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Full text of "Bollettino - Deputazione di storia patria per l'Umbria"

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Idrobio 

LIBRARY 


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BOLLETTINO 


DELLA 


SOCIETÀ   UMBRA 


DI  STORIA  PATRIA 


VOLUMK    IL 


^ OtJ.fi puoi....   tÒ   '£'3vo;....   Tràvu   p^'v^   te 
DiON.  D"  Alicarn.  Ant.  Rorn.  I,  19. 


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Aiihiiiio   liiiHiioli 

S'-affale 
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PERUGIA 

UXIOXE    TIPOGRAFICA    COOPERATIVA 


1896 


DG 
973"" 

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ATTI   DELLA  SOCIETÀ 


Aduìiciìiza  generale  del  9  novcììibre  189ì> 


Oggetti  air  ordine  del  giorno 


1.  Belnzìone  del  Presidente  intorno  ai  lavori  della  Società; 

2.  Proposte  per  la  pubblicazione  di  fonti  storici  ; 

3.  Relazione  del  prof.  Mazzatinti  delegato  al  VI  Congresso  Storico   Ita- 

liano in  Roma  ; 

4.  Resoconto  dell'  Economo  suW  andamento  finanziario  della  Società; 

5.  Discussione  del  bilancio  preventivo  per  V  anno  1896  ; 

6.  Comunicazioni  varie. 

Presidenza  Fuan. 

Presenti  i  soci  : 

Ansidei  conte  dott.  cav.  Alessandro 
Ansidei  conte  dott.  Vincenzo 
Ansidei  conte  comm.  Pericle 
Bartelli  dott.  Vincenzo 
Bellucci  prof.  comm.  Giuseppe 
Brunelli  prof.  mons.  don  Geremia 
CuTURi  prof.  cav.  avv.  Torquato 
Fabretti  prof.  Ferdinando 
Ferrini  prof.  Oreste 
Fuju  comm.  Luigi 

GlANNANTONI   dott.    prof.    LuiGI 
LUPATTELLI   prof.    ANGELO 

Manzoni  conte  dott.  Luigi 
Mazzatinti  prof.  dott.  Giuseppe 
RoMiTELLi  dott.  mons.  arcid.  don  Marzio 
Rossi-Scotti  conte  comm.  Gio-Battista 


4  ATTI    DELLA   SOCIETÀ 

Scalvanti  prof,  avv.  Oscar 

Straccali  prof.  cav.  Alfredo 

Tenneroni  prof.  dott.  Annibale 

Tommasini-Mattiucci  dott.  Pietro 

Urbini  dott.  prof.  Giulio 

Valenti  conte  dott.  Tommaso 

Vallecchi  prof.  cav.  Ottavio 
Intervengono  per  invito   della   presidenza  1'  on.  Sindaco  di  Perugia 
cav.  dott.  Ulisse  Rocchi,  la  signora  Quirina  Alippi-Fabretti  e  la  si- 
gnorina Luigia  Fabretti. 

Si  dà  lettura  di  varie  lettere  e  telegrammi  dei  sei<uenti 
soci   che  giustificano  la  loro  assenza  : 

Barbiellini-Amidei  march.  Alessandro 

Blasi  prof.  Angelo 

Cerretti  dott.  prof.  Cesare 

Faloci-Pulignani  mons.  Michele 

Fangacci  don  Leonida 

Guardabassi  prof.  Francesco 

Lanzi  prof.  Luigi 

Manassei  conte  cav.  uff.  Paolano 

Fontani  prof.  Costantino 

Pardi  dott.  prof.  Giuseppe 

Sensi  dott.  prof.  Filippo 

Tiberi  prof.  iug.  Leopoldo. 

Quindi  prende  la  parola  il  Presidente  e  commemora  il 
presidente  onorario  Fabretti  rilevando  specialmente  i  suoi 
meriti  di  studioso  ricercatore  della  Storia  umbra  e  peru- 
gina ;  ricorda  i  soci  defunti  Ruggero  Bonghi  e  Fran- 
cesco Pag  notti.  Dopo  ciò  passa  a  dare  un  rapido  rias- 
sunto dei  lavori  eseguiti  dai  soci  e  presenta  il  programma 
ragionato  dei  lavori  già  pronti  per  il  secondo  volume  del  Bollet- 
tino, segnalando  fra  gli  altri  il  Canzoniere  umbro  preparato 
dal  prof.  Monaci  coli'  aiuto  del  prof.  Tenneroni.  Per  ultimo 
formula  tutto  un  disegno  di  pubblicazioni  per  i  volumi  delle 
Fonti  Storiche  e  sottopone  alla  considerazione  dei  soci  le  se- 
guenti proposte  : 


ADUNANZA  DEL  IX  XOVEMnUH  MDCCCXCV  ;> 

1.^  —  a)  per  un  Regesto  perugino  compilato  sopra  do- 
cumenti concernenti  la  legislazione  più  antica  fino  al  secolo 
XIV,  con  riguardo  speciale  a  quegli  atti  che  hanno  attinenze 
alla  costituzione  comunale  più  antica  e  che  precedono  le 
compilazioni  statutarie;  —  h)  per  gli  Statuti  del  1305  volga- 
rizzati nel  lo22,  studiandoli  a  confronto  della  compilazione 
antecedente  del  1279. 

2.''  —  per  un  Regesto  di  Sassovivo,  come  quello  che 
illustra  la  maggior  parte  dei  comuni  dell'  Umbria  e  di  altri 
luoghi  finitimi,  ed  è  guida  allo  studio  della  legislazione  an- 
tecedente agli  Statuti  municipali,  rispecchiando  lo  stato  della 
ricchezza  pubblica  e  di  tutte  le  condizioni  sociali  avanti  quel 
primo  assetto  economico  eh'  ebbe  principio  con  1'  assorgere 
del  comune  umbro. 

Raccomanda  poi  una  raccolta  di  laudi  umbre  e  la  com- 
pilazione della  bibliografia  storica  umbra.  Chiude  con  una 
esortazione  ai  soci  ad  intraprendere  tale  ordine  di  studi  e 
ringrazia  le  signore  F  a  b  r  e  1 1  i  ed  il  Sindaco  d'  essere  in- 
tervenuti all'  adunanza. 

Posto  fine  al  suo  discorso,  invita  il  socio  Scalvanti  a  dar 
lettura  della  relazione  a  lui  affidata  sulla  prima  proposta. 

§  1.  —  Come  è  noto,  il  più  antico  Codice  delio  Statuto 
perugino  è  quello  del  1279,  ma  sin  da  quando  dei  pre- 
ziosi manoscritti  deW  Aì'chivio  Comunale  si  occuparono 
gli  eruditissimi  Bonaini,  Polidori  e  Fabretti  (1),  apparve 
manifesto  che  il  Codice  del  1279  non  racchiudeva  i  primi 
Statuti  della  cittcà.  Si  allegarono  in  appoggio  di  questa 
opinione  documenti  di  leghe  tra  Perugia  e  Foligno  e 
altre  terre  dell'  Umbria,  ovvero  bolle  pontificie  della 
prima  metà  del  secolo  XIII;  ma  in  verità  non  era  me- 
stieri spigolare  nei  diplomi  di  archivio  per  giungere  a 
siffatta   conchiusioue.    Anzitutto   la  prova  dell'  antichità 


(1)  Ardi.  St.  Rai.,  Tomo  XVI,  Serie   I,  p.  la,  Firenze,    Vieus- 
seux,  18'0. 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

dei  perugini  Statuti  emergeva  chiara  e  lampante  dall'i- 
storia dei  secoli  XII  e  XIII.  L' org-auizzazione  del  go- 
verno democratico  in  Perugia  risale  all'anno  972;  e  se 
noi  pensiamo  alla  importanza  che  il  Comune  aveva  as- 
sunto fino  dal  secolo  XI,  alle  alleanze  che  seppe  strin- 
gere nel  secolo  dipoi,  alle  concessioni  ricevute  da  En- 
rico VI  nel  1186,  più  favorevoli  assai  di  quelle  largite 
alle  città,  lombarde  colla  pace  di  Costanza,  noi,  senza  bi- 
sogno di  altri  sussidi,  potremmo  persuaderci,  che  Perugia 
ebbe  Statuti  propri  fin  dal  secolo  XII. 

§  2.  —  Ma  poi,  basta  leggere  il  Codice  del  1279  per 
comprendere  che  esso  è  una  riforma,  non  il  primo  getto 
degli  Statuti. 

Infatti  si  nota  che  nella  mag-gior  parte  delle  Ru- 
briche il  testo  è  seguito  dalle  Addictiones,  che  incomin- 
ciano colie  parole  —  Additum  est  hiiic  capitulo  —  o  — 
Adiungentes  huic  capitulo  —  o  —  Item  duximus  adiun- 
gendum,  ecc.  —  È  inutile  allegare  esempi  di  queste  ag- 
giunte, imperocché  si  incontrino  ad  ogni  pie  sospinto.  La 
qual  cosa  non  solo  ci  dimostra  1'  antichità  dello  Statuto, 
ma  ci  dà  l' indice  necessario  per  giudicare  della  evolu- 
zione degl'istituti  politico-giuridici  verso  la  fine  del  se- 
colo XIII. 

Non  mancano  poi  testi,  i  quali  rammentino  capitoli 
anteriormente  fatti,  e  che  voglionsi  ripristinare.  Diamone 
un  esempio  —  «  Statuimus,  dice  la  rubrica  51,  quod 
ponatur  in  hoc  Statuto  capitidum  factum  tempore  Do- 
mini Milancii  super  filiis  Dom:  Andree  Jacobi  de  verbo 
ad  verbutn  totum,  cassando  omne  capitulum,  seu  capitula, 
que  essent  contraria  huic  capitulo  »  — .  Dal  che  abbiamo 
la  prova,  che  tra  il  Capitolo  allora  ripristinato  e  lo  Sta- 
tuto del  1279  era  intervenuta  un'  altra  riforma.  Simili 
esempi  si  raccolgono  dalla  rubrica  37,  ove  si  dice  —  «  hoc 
capitulum  valeat  et  valere  intelligatur  ab  anno  Domini 
currente  MCCLXXV  tempore  Dom:  Gregorii  Pape  X  » 
— .  Lo  che  significa  che  questo  Capitolo  fu  fatto  prima 
del  1279. 

§  3.  —  Ma  v'  ha  di  più.  È  noto  che  il  Bonaini  colla  pub- 
blicazione di  un  documento  inedito  del  7  maggio  1250 
ha  dimostrato  che  in  quel  mese  ed  anno  esisteva  in  Pe- 
rugia r  ufficio  di  Capitano  del  popolo  e  degli  Anziani, 
che  formavano   il  suo    Collegio   (1).    Da   questa   scoperta 


fi)  Arch.  St.  Ital.,  Voi.  XVI,  Parte  I,  prefazione,   pag.  XLIII, 
XLIV. 


ADUNANZA   DEL  IX   NOVEMBRE   JfDCCCXCV  7 

derivò  un  titolo  di  onore  per  Perug-ia,  la  finale  nell'  isti- 
tuzione di  questi  uffici  avrebbe  preceduto  Firenze,  che 
li  ebbe  solo  nel  20  ottobre  1250 .  Yj  notisi,  che  il  docu- 
mento riferitoci  dal  Bonaini  non  riguarda  l'introduzione 
di  quel  mag-istrato,  che  già  trovavasi  stabilito  a  quel 
tempo.  Ad  ogni  modo  tal  carica  non  fu  costituita,  se- 
condo l'affermazione  del  Mariotti,  nel  1258,  o  nel  1255 
(come  ebbe  a  scrivere  di  poi  nelle  Lett(ive)\  ma  risale 
certamente  oltre  il  mag-gio  12r)0. 

Ora  dal  Codice  che  esaminiamo  risulta  non  soltanto 
che  nel  1279  esistevano  più  riforme  del  primitivo  Costi- 
tuto; ma  che,  essendosi  da  più  anni  creato  il  Comujie 
del  Pojjolo  retto  dal  Capitano  e  dag'li  Anziani,  questo 
pure  aveva  g-ià  i  suoi  Statuti.  —  «  Addituin  est  (cosi  la 
rubrica  65)  quod  dictum  capitulum  cum  Statiitin  populi 
de  preconibus  debet  concordare  »  — .  Simile  richiamo  è 
fatto  in  materia  di  rappresaglie  —  «  Possint  autem  ve- 
nire illi  quibus  per  Statutum  Populi  ad  civitatem  Perusii 
anditus  concessus  est  »  — .E  quando  si  parla  alia  ru- 
brica 69  della  elezione  degli  Arbitri  per  dirimere  le  con- 
troversie, che  insorgessero  cum  nostris  vicinantiis^  al  ter- 
mine del  testo  si  legge:  —  «  Additum  est  huic  capitulo, 
quod  hoc  statutum  cum  Statuto  j^opuli  debeat  concor- 
dari  »  — .  Segno  evidente  che  quel  Capitolo  era  stato 
formato  prima  che  si  compilasse  lo  Statuto  del  comune 
del  popolo;  ed  è  naturale  che  il  Costituto  generale  lo 
avesse  preceduto. 

A  nessuno  può  sfuggire  l' importanza  grandissima  di 
questi  ed  altri  richiami,  che  per  brevità  tralasciamo;  im- 
perocché ci  istruiscano  intorno  ad  una  difficile  e  intri- 
cata questione,  e  cioè  sui  rapporti  fra  il  Comune  del  Po- 
destà e  il  Comune  del  Popolo,  i  quali  rappresentavano 
un  dualismo  pernicioso  per  la  saldezza  di  quei  piccoli 
Stati;  ed  è  prezioso  conoscere  come  e  su  quali  punti  i 
savi  legislatori  cercassero  di  mettere  in  pieno  accordo 
questi  due  elementi  della  vita  giuridica  della  città. 

§  4.  —  Detto  della  antichità,  e  volendo  ora  accennare 
all'  importanza  di  questo  manoscritto,  col  quale  general- 
mente concorda  il  Codice  dello  Statuto  volgarizzato  nel 
1322,  a  noi  sembra,  che  da  vari  punti  di  vista  l'impor- 
tanza di  quello  Statuto  debba  venir  considerata. 

1.°  —  Innanzi  tutto  abbiamo  in  esso  un  efficace  e 
autorevole  testimonio  del  grado  di  civiltà,  a  cui  era  giunto 
il  Comune  sul  declinare  del  secolo  XIII.  Si  comprende 
che  il  costume  era  severo  e  che  i  maneggi,  i  brogli  e  in. 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

genere  la  corruzione  non  era  ancora  penetrata  nel  mo- 
vimento della  vita  pubblica.  Il  culto  religioso  è  sincera- 
mente professato,  perchè  la  religione  è  fondamento  della 
giustizia.  —  «  Est  a  nomine  Dei,  cosi  si  esprime  il  Proe- 
mio, inclìoandum,  et  voluerit  et  mine  velit  legum,  tenere 
seiUentiam  recto  tramite  iustitie  ambulans  universitas  Pe- 
rusii  »   — . 

Un  sentimento  di  fiera  indipendenza  traspare  da  ogni 
linea  del  Proemio  e  da  molte  rubriche  del  testo;  è  questa 
un  popolo  che  ha  coscienza  di  sé,  dei  suoi  destini,  della 
parte  grandissima  che  gli  spetta  nel  movimento  demo- 
cratico di  quell'età;  e  a  dare  impulso  al  proprio  incivi- 
limento attende  coli' opera  delle  leggi,  le  quali  dimostrano 
che  la  vita  di  quel!'  organismo  è  già  molto  complessa 
e  varia,  seguo  infallibile  di  progresso. 

2.°  —  Sussidio  importantissimo  rende  poi  lo  Statuto 
del  1279  al  pari  di  quello  del  1305,  di  cui  parleremo  in 
appresso,  alla  grave  e  spinosa  questione  dell'  Ordinamenta 
dei  magistrati  in  Perugia.  Data  la  enorme  specializza- 
zione delle  funzioni,  era  già  assai  arduo  per  gli  storici 
il  ricostruire  l'organismo  dei  pubblici  poteri  nella  re- 
pubblica nostra;  ma  tali  oscurità  e  incertezze  si  accreb- 
bero a  dismisura,  quando  per  le  difficoltà  interne,  per  le 
discordie  tra  Nobili  e  Raspanti  e  per  le  diuturne  contese 
con  vicine  città  si  vennero  creando  altri  offici  temporanei, 
taluni  dei  quali  diventarono  permanenti  e  invasero  cosi 
gli  attributi  del  Collegio,  che  per  Statuto  sarebbe  stato 
chiamato  ad  esercitarli.  E  se  era  nei  dotti  vivissimo  il 
desiderio  di  legger  chiaro  negli  ordini  de'  Magistrati  cit- 
tadini, altrettanto  risultava  impotente  a  soddisfarlo  qua- 
lunque più  accurato  studio  delle  fonti  e  degli  storici.  Ba- 
sterebbe a  provarlo  la  incertezza,  che  domina  circa  le 
vere  attribuzioni  del  Parlamento  e  del  Consiglio  generale. 

Or  bene,  non  diciamo  che  lo  Statuto  del  1279  sia  de- 
stinato a  far  cessare  ogni  disputa  e  a  mettere  in  piena 
luce  l'organismo  della  repubblica;  ma  è  innegabile  che 
esso  può  rendere  assai  facile  il  cammino  alla  mèta  desi- 
derata, tanto  più  se  ravvicinato  collo  Statuto  del  se- 
colo XIV,  dove  il  disegno  sull'ordinamento  dei  magi- 
strati è  completo.  Vi  è  poi  nel  Costituto  del  200  una  ten- 
denza a  collocare  ciascun  pubblico  ufficiale  nel  luogo  suo, 
né  la  rete  delle  diffidenze  si  é  anco  distesa  suU'  orga- 
nismo della  repubblica  per  cagionarvi  una  confusione,, 
dalla  quale  non  è  possibile  uscir  vittoriosi.  Vogliamo  ci- 
tarne un  esempio.  Lo  Statuto   del   1279  ammette  che  il 


ADUNANZA    DEL   IX   NOVEMI5KE   MDCCCXCV  6 

PoteslA  possa  essere  —  de  civitate  et  comitatu  Perusii  —, 
la  quale  disposizione  inclarno  si  cercherebbe  nelle  poste- 
riori rit'ormagioni,  <iuaii(lo  si  andò  «ieiieralizzando  e  im- 
ponendo il  costuiue  di  sceg-liere  sempre  un  podesUV  fore- 
stiero. 

Dallo  Statuto  inoltre  si  rileva  quanto  g-rande  fosse 
r  autorità  dei  Consig'li.  Il  Consiglio  generale  ha  compe- 
tenza amplissima;  che  non  solo  senza  di  lui  nulla  sotie- 
tas  tei  Conpagna  fieri  poiest  (rubrica  óO)  ;  ma  esso  si  oc- 
cupa ancora  di  minori  affari,  come  della  ordinazione  del 
Sindaco,  che  deve  essere  costituito  —  Procuraior  in  Po 
mana  Curia.  —  E  poiché  uno  Stato  fortemente  organiz- 
zato non  può  sussistere  senza  l'ordine,  la  pace  e  una 
buona  amministrazione  della  giustizia,  cosi  noi  troviamo 
essersi  a  questi  fini  rivolto  l'animo  dei  legislatori.  Alla 
pace  pubblica  essi  consacrano  un  testo  da  rubrica  54) 
che  noi  vorremmo  qui  riferire  interamente  perchè  si  po- 
tesse giudicare  del  senno  di  quei  politici.  Grande  è  la 
cura  per  la  funzione  giudicatrice;  e  fin  d'  allora  noi  tro- 
viamo introdotta  e  guarentita  la  pubblicità  dei  giudizi 
(rubrica  11),  e  in  più  luoghi  si  cerca  di  dar  sicurtà  ai 
cittad'ni,  che  nessuno  verrà  per  qualsivoglia  motivo  o 
pretesto  impedito  di  presentarsi  al  Podestà  o  al  Capitano 
per  ottenere  giustizia  (rubriche  11  e  20ì.  E  le  sanzioni  per 
g-uarentire  ai  cittadini  il  libero  accesso  ai  tribunali  e  ai 
pubblici  ufficiali  sono  così  g-ravi  da  manifestare  nei  legi- 
slatori la  decisa  intenzione  dì  conseguire  l' intento. 

Ma  il  desiderio  di  assicurare  il  trionfo  della  giustizia 
si  scorge  anco  nelle  disposizioni  riguardanti  le  rappresa- 
glie, le  quali  hanno  impronta  di  tale  originalità  da  po- 
tersi credere  che  Perugia  sia  stata  tra  le  prime  a  disci- 
plinare r  uso  di  quei  mezzi  violenti,  che  si  invocavano 
per  le  dovute  riparazioni  di  giiistizia  (1). 

3.0  —  Lo  Statuto  ci  informa  inoltre  degli  ordini 
amministrativi  della  città.  Notevole  tutta  la  parte  finan- 
ziaria, nella  quale  hanno  tratto  di  originalità  i  metodi 
per  la  vendita  delle  gabelle,  per  le  collette,  per  la  re- 
sponsabilità degli  ufficiali  contabili  di  pubblico  danaro, 
per  le  pene  cui  andavano  incontro  il  Podestà  e  il  Capi- 
tano —   qui  proposuerint  in  Consilio  de  avere  comunis 


(1)  Su  questo  argomento  si  è  intrattenuto  il  giovine  Giusti- 
niano Degli  Azzi  Vitelleschi,  studente  del  nostro  Ateneo,  in  una  mo- 
nografia, che  presto  vedrà  la  luce  negli  Annali  dell'  Università  di 
Perugia. 


10  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

Perusii  alieni  dare  — .  Importautissime  poi  le  rubriche 
31,  32,  33,  35,  58  e  59  sulle  attribuzioui  amministrative 
che  si  affidavano  al  Podestà  e  al  Capitano  del  Popolo. 
Preziose  notizie  esso  ci  dà  circa  gli  stipendi  dei  pub- 
blici ufficiali.  E  se  è  vero  (com'è  difatti)  che  gli  Sta- 
tuti perugini  dei  secoli  XIV  e  XV  sono  fra  i  più  ricchi 
di  notizie  sugli  ordini  fiuanziari  di  quelle  età,  è  altret- 
tanto vero  che  a  conoscere  il  complicato  congegno  di  essi, 
g-iovauo  assaissimo  le  semplici  nozioni,  che  si  incontrano 
nello  Statuto  del  1279  e  in  quello  del  1305,  coi  quali  può 
essere  facilmente  completato  il  disegno  di  uno  stvidio  im- 
portante sul  regime  finanziario  della  repubblica. 

Vedremo  ancora  come  per  tempo  e  mirabilmente  ve- 
nissero organizzandosi  i  servizi  per  l' igiene,  per  il  gra- 
tuito ministero  dei  medici  e  chirurghi,  per  la  beneficenza, 
pubblica,  per  l' annona  e  va  dicendo  ;  come  sarà  di  ca- 
pitale importanza  verificare  non  solo  il  meccanismo  am- 
ministrativo, che  presiedeva  alla  esecuzione  delle  opere 
pubbliche,  ma  anco  il  valore  di  esse  e  i  modi  con  cui  si 
effettuavano.  E  tutt'  altro  che  inutile  sarà  1'  accurata  de- 
scrizione dei  lavori  di  sponda  compiuti  nel  Lago  Trasi- 
meno, tutto  il  sistema  di  polizia  di  quelle  acque  (rubri- 
che 246  e  segg.),  e  dei  lavori  alle  mura  della  città,  alle 
chiese,  ecc.  E  dal  lato  della  igiene  sarà  vantaggioso  cono- 
scere le  disposizioni  riguardanti  l'acqua  potabile,  la  costru- 
zione degli  acquedotti  e  delle  fonti  e  la  loro  manuten- 
zione (rubriche  165  e  segg.).  Né  meno  prezioso  ci  si  offre 
il  titolo  —  De  malefitiis  —  interessando  alle  materie  i^oli- 
tiche  il  verificare  i  sistemi  riguardanti  le  pene  di  polizia, 
le  carceri  e  va  dicendo  ;  e  alla  storia  giuridica  impor- 
tando assai  di  conoscere,  ad  es.,  i  principi  dì  quella  le- 
gislazione sulla  duplicità  delle  pene  (rubrica  280),  sul 
diritto  e  magistero  della  difesa,  sulle  prove  per  testimoni, 
sull'arresto,  sulla  qualifica  dei  reati,  ecc.  (rubriche  281, 
282  e  segg.  e  302  e  segg.);  sui  provvedimenti  atti  a  im- 
pedire la  falsa  monetazione  (rubrica  375)  e  via  di  seg'uito. 
4.°  —  Ma  lo  studio  dello  Statuto  può  servire  inoltre 
ad  illustrare  storiche  vicende  della  città.  Nelle  leggi 
odierne  il  legame  tra  le  loro  disposizioni  e  i  fatti  che  vi 
hanno  dato  luogo,  non  è  mantenuto  in  modo  espresso. 
Cosi  non  era  nelle  leggi  antiche,  nelle  quali  vediamo 
spesso  ricordati  fatti  storici  come  motivo  dei  canoni  le- 
gislativi. Molti  esempi  potrebbero  addursi  di  ciò;  ma  noi 
ci  contentiamo  di  citare  le  rubriche  sulle  rapx>resaglie  e 
quelle  sulle  paci.  E  a   modo   di  aneddoto   storico   alle- 


ADUNANZA  DKL  IX  NUVEMBUE  MDCCCXCV  11 

ghiaino  anche  questo.  Og'nun  sa  clic  il  Cristo,  che  si  vede 
sulhi  porta  del  Duomo  verso  hi  pia/./.a  (Ud  Comune,  vi  fu 
trasportato  nel  ir)40  all'epoca  della  <iuerra  del  Sale.  Qui 
non  faremo  la  disputa  se  queir  imnia^^ine  vi  fosse  yi;Y  o 
se  vi  fu  collocata  proprio  in  quella  occasione.  E  certo  che 
il  Duomo  venne  in  grau  parte  demolito  nel  secolo  XIV 
e  ricostrutto  più  <;rande.  È  naturale  quindi  che  fossero 
distrutti  anche  gli  ornamenti  che  vi  si  vedevano  negli 
ultimi  del  200.  Ma  nuUaineno  non  ò  egli  prezioso  il  sa- 
pere la  ragione,  per  la  quale  nel  1540  il  popolo  si  rivolse 
di  preferenza  a  quel  simulacro  e  in  quel  luogo  piuttosto 
che  in  altro  lo  collocò?  Eppure  questa  ragione  ci  vien 
fornita  dallo  Statuto,  da  cui  apprendiamo  l'ordine  dato 
al  Podestà  e  Capitano  (rubrica  81)  —  «  penitus  et  pre- 
cise facete  fieri  et  depingi  figuravi  Criicifixi  ad  introitum 
ecclesie  Sancii  Laurentii  super  hostium  ex  parte  ]}latee 
Comunis,  de  bonis  coloribus,  quam  pulcrior  dieta  figura 
benedìcta  potuerit  ordinari  »  — .  Duntiue  in  quel  luogo 
i  perugini  avevano  sempre  venerato  1'  effigie  di  Cristo, 
come  simulacro  di  fede  popolare,  come  cosa  propria  ;  ed  ò 
naturale  che  ad  essa  si  levassero  preghiere  e  voti  nel 
terribile  cimento,  che  doveva  decidere  della  libertà  di 
Perugia. 

5.°  —  E  poi  da  segnalare  un  pregio  nella  forma 
dello  Statuto  del  1279,  al  pari  che  in  quello  del  1305,  e 
cioè  una  maggiore  parsimonia  di  dettato  senza  frequenti 
ripetizioni  e  senza  quelle  ridondanze  e  superfluità,  che 
rendono  noiosa  la  lettura  di  molti  altri  Codici  posteriori. 

6.°  —  Infine  l' importanza  del  manoscritto  è  accre- 
sciuta dal  fatto  che  1'  archivio  di  Perugia  possiede  larga 
copia  di  documenti  riguardanti  1'  età,  in  cui  lo  Statuto 
venne  riformato.  Oltre  i  libri  delle  Sovimissioni,  di  cui 
il  Bollettino  con  molta  opportunità  ha  intrapreso  la  pub- 
blicazione sotto  gli  auspici  dell'  esimio  archivista  conte 
Ansidei  e  del  prof.  Giannantoni,  1'  Archivio  possiede  altri 
documenti  dell'epoca,  come  Bolle  poutifi'cie.  Atti  pubblici, 
Compendi,  ecc.,  e  finalmente  gli  Annali  decemvirati.  E 
per  quanto  del  secolo  XIII  non  vi  sieno  che  le  raccolte 
di  soli  16  anni,  pure  il  periodo  dal  1208  al  1279  può  es- 
sere utilmente  stiidiato  anche  col  sussidio  degli  Annali. 
§  5.  —  Premesse  queste  considerazioni,  veniamo  ad 
una  breve  descrizione  del  manoscritto.  Esso  è  un  in  folio 
grande  in  pergamena,  che  misura  centimetri  46  per  29. 
Consta  di  72  carte,  ossieno  144  facciate,  e  di  507  rubriche. 
È  diviso  in  quattro  parti. 


12  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

La  prima  è  uu  Titolo  generale,  che  abbraccia  materie 
svariatissime,  ed  è  contenuto  in  84  rubriche.  Ivi  si  tratta 
degli  uffici  del  Podestà  e  del  Capitano,  dei  loro  ufficiali, 
di  alcune  funzioni  amministrative  che  loro  spettano  ;  (iplla 
amministrazione  della  giustizia,  delle  collette,  della  guerra, 
delle  rappresaglie,  della  concordia  e  della  pace,  di  molte 
opere  pubbliche,  degli  approvigionamenti,  ecc.  È  insomma 
il  titolo,  nel  quale  si  raccolgono  le  materie  di  ammini- 
strazione e  di  governo  della  città.  Invano  si  ricerche- 
rebbe un  ordine  rigorosamente  sistematico  nella  succes- 
sione dei  testi.  La  stessa  materia  finanziaria,  che  il  legi- 
slatore si  propose  trattare  in  XI  Capitula  precisa  (ru- 
brica 47),  si  trova  poi  disseminata  qua  e  là  in  questa 
titolo  e  in  altri  ancora. 

Segue  alla  rubrica  85  la  seconda  parte  —  o  titulus 
offìtialiiiTn,  qualiter  prius  salarium  statuatur  quarti  alì- 
quis  offltialis  eligatur  — .  Questo  titolo  contiene  la  descri- 
zione àelV  organismo  preposto  all' esercizio  delle  funzioni 
amministrative  e  di  governo. 

Vien  poi  alla  rubrica  280  il  —  Titulus  de  ìualefitiis  — 
e  alla  rubrica  302  il  titolo  —  De  deportatione  armorum. 

§  6.  —  Tutto  questo  abbiamo  notato  per  dimostrare, 
che  qualunque  studioso  si  vada  occupando  dei  Fonti  le- 
gislativi della  gloriosa  repubblica,  deve  tener  presente 
questo  Codice  importantissimo,  richiamarne  spesso  le  di- 
sposizioni, farne,  direm  quasi,  il  piedistallo  dell'opera  sua^ 

Ma  sarebbe  conveniente  per  la  Storia  Patria  intrapren- 
derne ora  una  speciale  e    isolata   pubblicazione  ? 

Certo,  se  la  Società  avrà  modo  di  effettuare  anche  la 
pubblicazione  di  questo  manoscritto,  farà  cosa  utilissima 
agli  studiosi.  Ma  se  il  pubblicare  questo  Statuto  dovesse 
di  soverchio  ritardare  la  stampa  di  quello  in  volgare  del 
secolo  XIII,  noi  riterremmo  più  proficuo  attendere  alla 
pubblicazione  di  quest'  ultimo  confrontato  col  Codice  del 
1279.  Ed  eccone  le  ragioni. 

Anzitutto  è  noto  che  il  nostro  compianto  presidente 
Ariodante  Fabretti  ebbe  iu  animo  di  pubblicare  egli  stessa 
lo  Statuto  del  1279  co'  suoi  tipi  privati;  ma  la  morte  troncò 
il  suo  divisamente,  col  quale  voleva  coronare  l'opera  da 
lungo  intrapresa,  di  dare  in  luce  le  più  importanti  cro- 
nache e  documenti  di  storia  perugina.  Fra  le  carte  di  lui 
si  trovarono  infatti  circa  90  esemplari  di  6  fogli  di  stampa, 
in  piccolo  formato,  eguale  a  quello  che  l' insig'ne  storica 
adoperò  per  la  stampa  delle  cronache.  Il  Fabretti  pen- 
sava certamente  di  far  precedere  questa  pubblicazione  da 


ADUNANZA    DEL   IX    X0VEMI5UE   MDCCCXCV  13 

un  proemio;  ma  riteneva  che  il  testo  nou  dovesse  essere 
annotato.  Invece  di  adottare  anche  nella  stampa  di  questo 
importante  Codice  1'  aureo  metodo  osservato  nella  sua 
opera  magistrale  sulle  prammatiche  perugine  in  materia 
di  leggi  suntuarie,  credette  poter  licenziare  al  pubblico 
lo  Statuto  riproducendolo  tal  quale  è,  senza  commento 
alcuno.  E  qui  ci  duole  dissentire  dall' illustre  uomo.  Edi 
vero,  dal  cenno  che  abbiamo  dato  del  manoscritto  appa- 
risce chiara  la  necessità  di  qualche  nota  di  raffronto  o  di 
schiarimento.  Basta  aprire  il  volume  e  gettar  gli  occhi 
sul  breve  proemio,  per  comprendere  come  esso  stesso 
racchiuda  una  seria  difficoltà  di  interpretazione,  che  ò 
d'  uopo  risolvere  con  una  nota. 

Ad  ogni  modo  poi  ciò  che  fece  il  Fabretti  non  è  che 
una  settima  parte  al  più  dell'  intero  compito.  Quindi  e  per 
questa  ragione  e  per  il  formato  e  per  la  scarsità  degli 
esemplari,  l'opera  del  Fabretti  non  potrebbe  gran  fatto 
giovarci. 

§  7.  —  D' altra  parte,  dal  momento  che  egli  intra- 
prese la  stampa  del  lavoro,  e  a  quanto  sembra,  gli  ese- 
cutori delle  sue  volontà  possiedono  la  trascrizione  del- 
l'intero manoscritto,  pare  a  noi  che  sia  il  caso  di  augu- 
rare, che  la  pubblicazione  venga,  a  cura  di  essi,  com- 
piuta; e  siamo  certi  che  non  mancherà  loro  l'appoggio 
ed  il  plauso  dei  cultori  delle  storiche  discipline. 

Cosi,  senza  intralciare  l'opera  di  questi  egregi,  la  So- 
cietà di  Storia  Patria,  tenuto  conto  del  Codice  del  1279 
e  richiamando  le  sue  disposizioni  ad  efficace  commento 
della  vita  giuridica  dei  perugini  nel  secolo  XIII,  potrebbe 
dar  mano  alla  pubblicazione  del  successivo  Statuto  del 
1305.  È  noto  infatti  che  lo  Statuto  del  1279  fu  appunto 
in  queir  anno  riformato.  Si  comprende  che  non  molto 
numerose  dovettero  essere  le  correzioni,  di  g'uisa  che  il 
dare  alle  stampe  la  riforma  equivale  g,  rendere  di  pubblica 
ragione  lo  Statuto  più  antico,  con  questo  segnalato  van- 
taggio, che  si  può  seguire  lo  svolgimento  che  i  principi 
giuridici  contenuti  nel  costituto  del  1279  ebbero  per  opera 
dei  savi  leg-islatori  della  prima  metà  del  secolo  XIV. 

§  8.  —  Riflettasi  inoltre  che  è  quello  il  periodo  più 
glorioso  della  repubblica  perugina,  e  segua  quasi  il  cul- 
mine della  sua  potenza.  È  il  momento,  in  cui  i  Papi  non 
che  ingiungere  ordini  ai  perugini,  usano  con  loro  un 
mite  linguag'gio  ;  è  il  momento,  in  cui  sembra  divenire 
realtà  il  vasto  progetto  di  una  forte  confederazione  di  co- 
muni sotto  l'alta   supremazia  di  Perugia:  è  il  momento, 


14  ATTI   DELLA    SOCIETÀ 

iu  cui  ueg'li  ordini  cittadiui  si  introduce  1'  ufficio  del  Prio- 
rato; è  il  momento,  nel  quale  molte  arti  importantissime 
acquistano  vita  autonomica  e  statuti  propri;  è  il  mo- 
mento, in  cui  Perugia  sembra  arbitra  della  pace  tra  tutti 
g-li  Stati  vicini;  è  il  momento  infine,  in  cui  essa  accresce 
le  sue  risorse,  raddoppia  la  sua  prudenza,  moltiplica 
quegli  elementi  di  vita,  che  le  hanno  permesso  di  pro- 
sperare, mentre  tante  altre  repubbliche  volgevano  a  irre- 
parabile e  precoce  rovina. 

Lo  Statuto  del  1279  può  rappresentare  dunque  la  balda 
g-ioventù  del  Comune;  quello  del  secolo  successivo  rap- 
presenta la  sua  piena  e  forte  virilità,  il  merig-g-io  della 
sua  g-loria.  Ora  con  una  sola  pubblicazione  noi  possiamo 
illustrare  quei  due  periodi  di  storia,  queir  ordinamento  dì 
pubblici  uffici  e  quella  legislazione,  che  i)i  mezzo  a  mille 
difficoltà  guidarono  Perugia  fino  al  tristissimo  evento  del 
secolo  XVI. 

Se  non  che  ognuno  di  voi  sa,  che  il  Codice  del  1305 
è  perduto,  di  g-uisa  che  non  ne  rimane  che  il  volgariz- 
zamento ordinato  nel  1322.  Ma  se  anche  il  Codice  latino 
del  1305  non  ci  fosse  stato  invidiato  dal  tempo,  noi  fran- 
camente proporremmo  la  stampa  delio  Statuto  volg'arizzato, 
perchè  essendo  una  scrittura  della  prima  metà  del  tre- 
cento, ha,  oltre  il  valore  storico-giuridico,  anche  im  va- 
lore letterario  per  lo  studio  circa  lo  svolgimento  della 
nostra  lingua.  E  ben  vero  che  la  lingua  usata  dai  tra- 
duttori è  soverchiamente  dialettale;  ma  è  altresì  indu- 
bitato che  il  periodo  ha  la  bella  semplicità  e  la  conci- 
sione che  si  ammirano  nelle  scritture  del  secolo  XIV.  E 
per  queste  considerazioni,  che  oggi  la  stampa  dei  Codici 
è  assai  più  pregiata  se  condotta  sugli  esemplari  in  vol- 
gare, che  su  quelli  di  una  barbara  latinità  ;  di  guisa  che 
possiamo  esser  certi,  che  auche  dal  lato  economico  il  suc- 
cesso del  nostro  lavoro  non  potrebbe  esser  dubbio. 

Nulla  è  da  dire  sul  contenuto  del  prezioso  Codice,  poi- 
ché già  avvertimmo,  che  tranne  le  importanti,  ma  non 
numerose  riforme  del  1305,  esso  riproduce  l' antico  del 
1279  e  ne  ha  tutti  i  pregi. 

Purnondiraeno  al  solo  fine  di  rilevarne  l'ampiezza,  di- 
remo che  esso  consta  di  libri  IV;  il  primo  si  occupa  della 
elezione  del  Podestà,  del  Capitano  e  del  Giudice  della 
giustizia,  insomma  dell'  ordinamento  della  repubblica,  e 
occupa  ben  104  rubriche  contenute  in  98  carte.  Il  libro 
II  è  la  legislazione  civile,  ampiamente  trattata  in  77  ru- 
briche.   Mirabile    è   inoltre   l' abbondanza   delle    disposi- 


ADUNANZA   DEL   IX   NOVEMIJUE    MDCCCXCV  15 

zioni  relative  al  diritto  penale,  ossia  la  parte  contenuta 
nel  1  bro  III  e  che  cousta  di  234  rubriche.  Com'  è  natu- 
rale, anche  questo  Codice  ha  una  parte  importantissi- 
ma destinata  all'edilizia,  materia  sulla  quale  si  ag-gira- 
vauo  volentieri  gli  Statuti  medioevali.  Nello  Statuto  no- 
stro a  questa  parte  è  destinato  il  IV  libro,  ed  è  di  157 
rubriche,  contenute  in  49  carte.  Questo  cenno  deve  ba- 
stare perchè  ognuno  comprenda  la  importanza  del  ma- 
noscritto. 

È  per  questo  che  (ove  non  sia  pos^ibile  la  pubblica- 
zione di  entrambi  gli  Statuti)  a  noi  parrebbe  conveniente 
la  stampa  dello  Statuto  in  volgare,  preceduto  da  un  proe- 
mio, che  contenesse  uu  cenno  storico  dell'  epoca,  alla 
quale  i  due  Statuti  appartengono,  e  quelle  considerazioni 
e  raffronti  di  indole  giuridica,  che  sono  indispensabili 
alla  piena  intelligenza  di  un  testo  legislativo.  Le  note 
pure  dovrebbero  far  rilevare  non  soltanto  le  mutazioni 
introdotte  nel  1305  allo  Statuto  del  secolo  precedente,  ma 
accennare  brevemente  alle  disposizioni  di  qualche  altro 
importante  Statuto  in  specie  dell' Italia  centrale.  Cosi  l'o- 
pera riuscirebbe  di  decoro  alla  città,  di  incremento  alla 
Società  nostra  e  di  insigne  vantaggio  ai  cultori  delle 
discipline  storiche,  allo  studio  dei  quali  verrebbe  offerto 
insieme  lo  Statuto  del  secolo  XIII  e  quello  del  secolo 
successivo. 

§  9.  —  E  vorremmo  ancora,  che  insieme  allo  Statuto 
volgarizzato  uscisse  in  luce  il  Regesto  perugino  dei  do- 
cumenti riferentisi  all'  epoca  dei  due  Statuti.  E  un  ottimo 
metodo  questo  adottato  dai  moderni  storici,  e  che  l'illu- 
stre nostro  Presidente  segui  con  tanto  successo  nella  mag- 
giore opera  sua.  La  stampa  di  un  Codice  legislativo  non 
accompagnata  da  notizie  storiche  e  dalla  pubblicazione 
dei  documenti  dell'epoca,  è  un'opera  incompleta,  e  che 
condanna  gli  studiosi  ad  un  lavoro  di  ricostruzione  sto- 
rica, che  non  possono  compiere  senza  incontrare  il  di- 
sagio di  trattenersi  negli  archivi,  ove  i  documenti  si  cu- 
stodiscono. Unendo  alla  stampa  del  testo  legislativo  una 
parte  a  sé  che  contenga  il  Regesto,  noi  faremmo  cosa 
conforme  all'  odierno  e  razionale  indirizzo  degli  studi 
storico-giuridici  ;  e  non  1'  arida  notizia  di  costumanze  e 
di  leggi  offriremmo  all'  ardore  degli  studiosi,  ma  la  di- 
pintura dell'  ambiente,  di  cui  leggi  e  costumanze  non 
sono  che  1'  eloquente  espressione. 

Prof.  0.  Scalvanti. 


16  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

Si  dà  la  parola  al  socio  G-iannantoni  per  la  relazione  sul 
Regesto  perugino  : 

Gli  Statuti  di  Perugia,  dei  quali  si  desidera  di  intra- 
prendere il  più  sollecitamente  possibile  la  stampa,  costitui- 
scono, come  è  evidente,  la  prima  fonte  del  nostro  diritto 
pubblico  interno  ;  ciò  che  si  riferisce  infatti  alle  magi- 
strature, ai  provvedimenti  di  polizia,  tanto  importanti 
durante  i  secoli  XIII  e  XIV,  al  diritto  penale,  a  tutto 
quanto  insomma  ha  qualche  relazione  con  la  vita  civile 
e  politica  di  un  popolo,  ivi  è  ricordato. 

Ma  non  per  questo  devesi  credere  che  tutto  sia  negli 
Statuti.  —  Molti  e  pregevolissimi  sono  pure  gli  altri  do- 
cumenti che  si  custodiscono  nell'  archivio  comunale  di 
Perugia  ;  limitandoci  per  ora  a  quelli  appartenenti  al 
secolo  XIII,  diremo  che  essi  in  gran  parte  possono  ser- 
vire di  illustrazione  e  di  commento  al  più  antico  Statuto 
che  tuttora  si  conservi  e  che  porta  la  data  del  1279.  — 
Difatti  non  pochi  di  quei  documenti  anche  anteriori  a 
quest'  epoca  pongono  in  luce  gli  ordini  costituzionali  ed 
amministrativi  del  Comune,  e  da  ciò  il  loro  alto  pregio 
e  la  loro  massima  importanza  ;  sono  essi  soltanto  che  ci 
porgono  molte  notizie  intorno  alle  disposizioni  che  si  con- 
tenevano in  altri  Statuti  che  senza  dubbio  precedettero 
quello  del  1279. 

Ciò  premesso,  si  comprenderà  subito  l'opportunità  o 
per  dir  meglio  la  necessità  di  raccogliere  e  pubblicare  i 
più  importanti  di  questi  documenti  per  intero,  gli  altri 
in  forma  di  Regesto.  Grave  però  è  il  compito. 

Tra  le  prime  cause  di  difficoltà  è  da  collocarsi,  ci 
sembra,  il  gran  numero  di  Codici  che  si  debbono  pren- 
dere ad  esaminare,  come  resulterà  dalla  breve  e  somma- 
ria relazione  che  ora  ne  daremo. 

Inoltre  è  necessario  stabilire  con  quale  ordine  e  con 
quali  criteri  sia  più  opportuno  procedere. 

Per  nostro  conto  osserveremo  che,  raggruppando  tutte 
quelle  notizie  che  portano  la  stessa  data  ma  che  pur  si 
trovano  in  diversi  volumi  rilegati  bene  spesso  in  epoche 
molto  posteriori  'senza  alcun  criterio  razionale,  si  ha  il 
vantag'g'io  abbastanza  considerevole  di  facilitare  allo  stu- 
dioso le  sue  ricerche,  di  rendere  il  lavoro  anche  più  or- 
ganico, e,  ciò  che  sommamente  importa,  di  permettere 
a  chi  si  accingerà  a  fare  la  storia  di  Perugia  e  dell'Um- 
bria l'attento  esame  del  graduale  svolgersi  della  vita 
pubblica  e  in  parte  anche  privata  dei  nostri  maggiori. 


ADUNANZA  DEL  IX  NOVEMHUE  MDCC'CXCV  1  7 

Ci  pennettiarno  pertanto  di  in-oporrc  la  pubblicazione 
in  forma  di  Rpg-esco,  se  non  di  tutti,  almeno  dei  più  im- 
portanti documenti  del  secolo  XUl  :  questi  varranno  a 
rivelare  sempre  meglio  aj^li  studiosi  le  generali  condizioni 
storiche  dell'  epoca,  durante  la  quale  gli  Statuti  furono 
composti  e  regolarono  i  rapporti  dei  cittadini  fra  loro  e 
coi  pubblici  poteri.  —  Se  il  divulgare  per  le  stampe  quel 
corpo  di  leggi  farà  noto  lo  stato  del  diritto  .'-i  pubblico 
che  privato  negli  antichissimi  tempi,  il  Regesto,  del  quale 
teniamo  parola,  servirà  a  porre  in  chiaro  tutto  l' am- 
bieute  sociale,  in  cui  quelle  manifestazioni  giuridiche  si 
effettuarono. 

Ed  ora  un  brevissimo  ceuuo  dei  mauoscritti  che  do- 
vranno esser  presi  ad  esame  :  ricorderemo  prima  i  più 
antichi  volumi  con  cui  incomincia  la  raccolta  delle  Ri- 
formagioni  e  degli  Annali  decem virali. 

La  data  più  antica  si  ha  nel  volume  D  (11S9-1339) 
ove  accanto  a  molti  altri  atti  di  vario  genere  sono  pa- 
recchi documenti  riflettenti  il  Chiugi,  un  trattato  di  al- 
leanza fra  Arezzo  e  Perugia,  notizie  di  speciali  rapporti 
fra  Perugia  e  Folignio,  Perugia  e  Gubbio. 

Di  uou  minore  importanza  è  altro  Codice,  portante  il 
titolo  «  Consilia  aarlorinn  annorura  seculi  XIII  » .  Inco- 
mincia cou  r  anno  12ófì  e  termina  col  1278  e  ci  reca  fra 
le  altre  notizie  degne  di  ricordo  quella  relativa  al  modo 
cou    cui  procedevasi  alla  elezione  del  Capitano  del  popolo. 

Il  terzo  Codice  che  all'esterno  con  nou  perfetta  corri- 
spondenza all'  iutero  contenuto  ha  il  titolo  di  «  Atti  del 
Consiglio  maggiore  dal  1259  al  1416  »  ci  indica  come  si 
procedesse  alla  compilazione  dell'  elenco  dei  sapienti,  i 
quali  venivano  appunto  eletti  per  consilium  speciale.... 
ad  compositionem  statutorum  ;  ci  dice  altresì  che  quei 
consiglieri  della  città  e  rettori  delle  arti  che  dovevano 
intervenire  alla  elezione  dei  consiglieri  speciali  e  gene- 
rali eran  tenuti  a  fare  detta  elezione  a  mezzo  di  schede. 

Il  Codice,  che  è  quarto  per  ordine  cronologico,  sul  dorso 
è  seg'nato  con  vj<  ed  è  intitolato:  «  Annales  variorum  an- 
norum,  »  .•  uell'  interno  porta  la  indicazione  di  «  Liber 
consiliorum  »,  incomincia  con  il  18  aprile  1266  e  termina 
con  il  30  decembre  1269.  In  esso  veggonsi  degli  speciali 
provvedimenti  sulla  moneta.  A  mostrarne  subito  l'impor- 
tanza basterà  citare  le  prime  parole:  Congregato  Consilio 
speciali  et  generali  et  alìoriim  bonoìmm  virorum  civitatis 
Perusij  qui  per  statutum  ad  coììsilium  venire  consueve- 
rant in  presentia-  capitanei  populi  perusini,  etc. 


18  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

Quasi  eguale  per  il  couteuuto  è  1'  altro  Codice  che 
anche  secondo  l' antico  inventario  dell'  Archivio  gli  fa 
seg-iiito  immediatamente  e  che  è  contraddistinto  con  la 
lettera  .4.  Sul  recto  infatti  della  1*  carta  si  leg-g-ono  presso 
a  poco  le  stesse  parole  ;  la  prima  data  che  vi  si  trova 
scritta  è  quella  del  magg-io  1273  e  l'ultima  è  quella  del 
gennaio  1276  (e.  170).  Sono  tutte  deliberazioni  e  riforme 
per  la  maggior  parte  importantissime. 

Fauno  seguito  a  questi  altri  quattro  Codici,  dei  quali 
i  primi  due  seguati  con  la  lettera  L  e  gli  ultimi  respet- 
tivamente  con  le  lettere  7i  e  C. 

Il  primo  dei  Codici  L  comprende  il  periodo  1276-77  e  in- 
comincia con  il  2  gennaio  1276  e  con  le  parole  seguenti: 
Ista  sunt  Consilia  sapientum  de  credencia  et  reformatio- 
nes  eorundem  facta  et  facte...  in  ipso  Consilio  sapientum^ 

11  secondo  abbraccia  il  breve  periodo  dal  1°  maggio  1276 
al  29  aprile  1277  e  contiene  le  deliberazioni  prese  dal 
Consiglio  generale  e  speciale  di  100  uomini  per  Porta,  dei 
consoli  e  rettori  delle  arti  precepto  Dortiinorum  Potestatis 
et  Capitanei. 

Più  variato  è  invece  il  contenuto  degli  altri  due  vo- 
lumi di  questa  collezione. 

Nel  volume  B  ad  es.  (13  ottobre  1284  —  2  gennaio 
1298),  a  e.  7*  si  hanno  scripture  et  instrumenta  perti- 
nentia  promissioni  et  summissioni  facte  Communi  Pe- 
nisi] per  Commune  Fulginei.  Dopo  la  e.  88  si  leggono 
sindicatus  et  reformationes  consulian  et  rectorum  artium. 

Nel  volume  C  finalmente  (3  novembre  1296  —  10 
aprile  1299)  a  e.  20'  leg'g-esi,  a  tacere  di  molti  altri 
punti  principalissimi  :  Hi]  fuerunt  sapientes  homines  electi 
per  consules  ai'tium  secundum  tenorem  reformationis  con- 
silij  x>^puli  inde  facte  ad  deliherandum ,  ordinandam  et 
reforrnandum  su])er  electione  novi  capitanei. 

Ci  sembrano  poi  degni  di  particolare  attenzione,  oltre 
alcune  riforme  del  tempo  dei  consoli  del  1288  e  del  1292, 
un  piccolo  volume  del  1277  contenente  note  di  ambascia- 
tori, potestà  e  capitani  del  popolo,  nonché  due  fascicoli, 
nel  primo  dei  quali  è  un  elenco  dei  membri  del  Consi- 
glio speciale  e  generale  eletti  secundum  formavi  statuti 
comunis  et populi...  curente  MCCLXXVII,  e  nel  secondo, 
dal  titolo  «  Privilegi  diversi  della  Città  »,  son  raccolte 
copie  di  bolle  papali  e  diplomi  imperiali  e  si  leggono  do- 
cumenti che  riguardano  i  rapporti  fra  Perugia  e  paesi  a 
lei  sottoposti. 

Parecchi   altri   volumi   ed   altre    carte   portano    date 


' 


ADUNANZA  DEL  IX  NOVEMBRE  MDCCCXCV  19 

varie,  ma  g-eueralmente  vanno  dal  127(i  al  1-2UC,.  Si  tratta 
per  Io  più  di  asseg-ne,  di  sentenze,  di  elenchi  di  banditi 
e  condannati,  ed  in  alcuni  Codici  si  hanno  memorie  cosi 
dettag-liate  e  precise  sui  delitti  e  sulle  pene  di  quei  tempi, 
da  poterne  senz'  altro  trarre  materiali  suflicieiiti  per  ri- 
costruire tutto  quanto  un  sistema  di  diritto  criminale. 
Oltre  a  ciò  accanto  a  molti  altri  frammenti  di  riforme 
aventi  al  solito  uno  speciale  valore  per  la  piena  intelli- 
genza delle  varie  rubriche  deg-li  Statuti  perugini,  di  cui 
formano  un  complemento  logico  e  forse  indispensabile,  sono 
meritevoli  di  menzione  otto  fasci  di  sentenze  senza  data 
ed  altre  dal  1255  al  1269,  numero  66  perg-amene,  della 
raccolta  «  Bolle,  Brevi  e  Diplomi  »  dal  12  ottobre  122-4  al 
1°  febbraio  1296,  e  numero  669  perg-amene  della  raccolta 
«  Contratti  diversi  »  :  la  data  più  antica  che  vi  si  legg-e 
è  del  5  novembre  1202. 

A  studiare  tutti  i  documenti  dell'Archivio  comunale 
appartenenti  al  secolo  XIII  non  resta  che  tener  conto  dei 
quattro  volumi  delle  Sommissioni,  di  cui  peraltro  si  è  già 
intrapresa  nel  Bollettino  e  si  va  continuando  la  pubbli- 
cazione. 

Abbiamo  sopra  accennato  al  vantaggio  che  il  Regesto 
di  questi  documenti  potrebbe  fornire  agli  studiosi,  dando 
loro  un'  idea  il  più  possibilmente  esatta  e  completa  di 
tutta  la  vita  sociale  dei  tempi,  ai  quali  i  documenti  stessi 
si  riferiscono.  —  I  volumi  e  le  carte  che  si  custodiscono 
neir  Archivio  del  Comune  e  di  cui  abbiamo  fatto  sopra 
parola  hanno  certo  una  notevolissima  importanza  ;  sarebbe 
però  da  ascriversi  a  somma  ventura  se  potessero  esten- 
dersi le  ricerche  ad  archivi  di  altri  enti,  seg-nataraeute 
ecclesiastici,  la  cui  origine  è  anche  più  remota  di  quella 
dei  Comuni. 

Questo  è  quanto,  incoraggiati  anche  dalla  benevolenza 
del  nostro  chiarissimo  Presidente,  esponiamo  a  lui  e  agli 
altri  egregi  nostri  colleghi  :  essi  con  la  ben  nota  loro  va- 
lentia in  questi  studi,  giudicheranno  se  i  documenti  di 
Archivio,  ai  quali  abbiamo  accennato,  siano  di  tale  natura 
da  meritare  che  ne  sia  compilato  un  Regesto. 


V.  ansidei. 

L.   GlANNANTONI. 


20  ATTI    DELLA    SOCIETÀ 

Finita  la  lettura  della  relazione  Ansidei-Giannantoni,  si 
legge  quella  sul  Regesto  di  Sassovivo  del  socio  Monsignor 
Michele  FalociPulignani  : 

Sassovivo,  vetusta  Badia  Benedettina  fra  i  monti  di 
Foligno,  possiede  inedito  un  Regesto  di  qualche  migiiaio 
di  ijergamene  che  dalla  metà  del  Secolo  XI  scendono  fino 
al  secolo  XV. 

Il  sottoscritto,  per  invito  ricevutone  dall'egregio  Pre- 
sidente della  nostra  Società,  ne  propone  la  pubblicazione 
integrale  per  queste  ragioni  : 

1.°  Perchè  i  documenti  si  riferiscono  a  quasi  tutti 
i  Comuni  dell'  Umbria,  a  molti  Comuni  delle  Marche, 
del  Lazio  e  taluni  a  Roma  stessa.  E  quasi  impossibile 
assicurare  che  col  pubblicarli  in  sunto  non  compromettasi 
la  esattezza  di  questo  sunto,  che  in  qualche  caso  può  riu- 
scire incompleto  in  quella  parte  che  1'  editore  giudicò  di 
poco  valore.  Spesso  un  nome,  una  frase,  una  parola,  de- 
termina la  soluzione  di  un  dubbio,  chiarisce  una  questione. 
2.°  Perchè  manca  alla  Storia  Umbra  un  complesso 
di  antichi  documenti  che  facciano  conoscere  le  forme  di 
tanti  contratti,  vendite,  permute,  donazioni,  enfiteusi,  sia 
sotto  la  legislazione  Romana,  sia  sotto  la  legislazione 
Longobarda,  e  questi  contratti,  specialmente  per  la  parte 
relativa  ai  Secoli  XI  e  XII  essendo  largamente  rappre- 
sentata nel  Regesto  di  Sassovivo,  è  necessario  pubblicarli 
integri,  senza  contrazioni  o  lacune. 

3."  Perchè  alcuni  atti  e  diplomi  Papali  che  sono  i 
più  interessanti,  per  le  enumerazioni  di  nomi,  di  titoli, 
di  confini,  di  privilegi,  sono  assolutamente  da  pubblicarsi 
testualmente. 

4."  Una  pubblicazione  integra  presenta  meno  dif- 
ficoltà tipografiche,  per  tanti  segni  che  converrebbe  sem- 
l)re  usare,  per  diversi  tipi  che  converrebbe  adoperare, 
con  maggiore  spesa  e  tempo. 

E  cosa  superflua  accennare  alla  grande  importanza  di 
questa  pubblicazione,  la  quale,  più  che  comunale,  ha  im- 
portanza regionale,  essendo  in  maggior  numero  i  docu- 
menti Umbri  che  quelli  solamente  Fulginati. 

Un'  introduzione  di  circa  150  pagine  dovrebbe  prece- 
dere con  numerazione  separata  il  Regesto,  il  quale  occu- 
perebbe circa  400  pagine  in  4°  e  dovrebbe  incominciare 
con  i  documenti  del  secolo  XI  fino  all'  anno  1467  in  cui 
r  Abbazia  fu  data  in  Commenda.  Dei   documenti   poste- 


ADUNANZA   DEL   IX    NOVIJMHUE    MDCCCXCV  21 

riori  si  potrebbe  dare  la  sola  indica/ione  della  data  e 
della  materia. 

Corredo  opportuno,  non  indispeusalMle,  dovrel)bcro 
9  essere  alcune  tavole  di  sigilli,  iscrizioni,    monumenti    di 

Sassovivo,  dei  quali  tanto  più  urg-ente  apparisce  il  biso- 
gno di  conservarli  in  caria,  (luanto  minore  è  la  cura  con 
la  quale  vennero  custoditi. 

Un  indice  alfabetico  dei  nomi  sarebbe  la  fine  di  un 
volume,  il  quale  riuscirebbe  una  miniera  sconosciuta  per 
la  storia,  per  la  tópog-rafia,  per  la  cronolog'ia,  per  l'arte 
umbra,  essendo  rappresentati  in  questo  Reg-esto  qiiasi 
tutti  i  Comuni  anche  i  minori  della  nostra  e  delle  vicine 
regioni. 

Folig-no,  5  novembre  1895. 

D    -Michele  Faloci-Pulignani. 

Del  ultimo  si  dà  lettura  della  proposta  per  una  raccolta 
delle  antiche  «  Laudi  umbre  »  presentata  per  lettera  alla  pre- 
sidenza dal  prof.  Filippo  Sensi  : 

La  pubblicazione  delle  più  importanti  raccolte  di 
laudi  spirituali  è  un  vecchio  desiderio  deg'li  studiosi  ri- 
masto troppo  lung-amente  insoddisfatto.  Mentre  i  prin- 
cipali nostri  antichi  canzonieri  hanno  ormai  visto  quasi 
tutti  la  luce,  e  una  bella  serie  di  illustrazioni  intorno 
ad  essi  pone  a  questo  rig-uardo  gli  studi  italiani  a  li- 
vello dei  mig-liori  stranieri,  i  Laudari,  dopo  le  felici 
scoperte  di  E.  Monaci,  sono  stati  ingiustamente  trascu- 
rati ;  tantoché  ultimamente  A.  D'Ancona  ristampando  le 
sue  «  Origini  del  teatro  Italiano  »  aveva  a  lamentarsi 
di  dover  condurre  la  ristampa  potendosi  solo  g'iovare  dei 
materiali,  sui  quali  aveva  dato  la  prima  volta  mano  al  suo 
lavoro. 

Nessuno  disconosce  l' importanza  di  quelle  raccolte  ; 
e  sarebbe  inutile  l' insistere  ancora  nel  far  notare  che 
quell'importanza  per  la  storia  generale  della  coltura  è 
massima,  sia  sotto  1'  aspetto  letterario,  pel  quale  le  no- 
stre vecchie  laudi  sono  un  documento  fondamentale  per 
chi  ricerca  le  origini  del  teatro  europeo,  sia  sotto  l'aspetto 
religioso,  rimanendoci  esse  il  principal  testimonio  del  sen- 
timento che  avvivò  uno  dei  più  notevoli  movimenti  reli- 
giosi del  Medio  Evo.  Tali  ricordi  valgano  qui  solo  a  far 


22  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

spiccare  il  valore  storico  di  quella  letteratura,  anche  se 
si  vog'lia  iuteudere  la  parola  storia  nei  suoi  più  ristretti 
confini  e  a  dare  affidamento  del  favore  che  una  simile 
pubblicazione  possa  attendersi  ovunque  siano  fa^tfiriti  gli 
interessi  della  cultura.  Che  poi  la  pubblicazione  sia  pro- 
mossa da  una  Società  di  storia  patria  umbra  apparirà 
non  solo  naturale  ma  quasi  necessario  a  chi,  ripensando 
allo  stretto  legame  in  cui  si  congiunsero  per  cosi  lungo 
tempo  nella  nostra  regione  la  storia  civile  con  la  religiosa 
e  questa  cosi  spesso  con  la  letteraria,  senta  il  dovere 
di  far  si  che  da  nessun'  altra  parte  sia  tolta  a  noi  l' ini- 
ziativa della  illustrazione  di  un  aspetto  cosi  spiccata- 
mente proprio  della  storia  nostra. 

La  Società  storica  umbra  è  pertanto  invitata  a  dar 
parte  nella  sua  collezione  di  «  Fonti  »  a  una  «  Eaccolta 
delle  più  importanti  collezioni  di  Laudi  umbre  ». 

* 
F.  Sensi. 

Si  passa  quindi  alla  discussione  delle  varie  proposte  e 
s'  incomincia  dalla  prima  relativa  agii  Statuti. 

Il  prof.  Cuturi  dimostra  la  opportunità  di  rendere  com- 
pleta la  pubblicazione  statutaria  facendola  precedere  dallo 
Statuto  del  1279,  e  ritiene  che  la  Società  non  debba  trovarvi 
difficoltà,  essendo  cosi  vasto  il  programma  delle  sue  pubbli- 
cazioni. Rileva  r  importanza  e  l' interesse  che  potrà  avere 
la  stampa  integrale  di  quel  testo.  Dopo  scambio  di  idee  in- 
torno air  argomento,  si  vota  sulla  prima  proposta  il  seguente 
ordine  del  giorno  : 

«  L'  Assemblea,  udita  la  relazione  del  prof.  0.  Scalvanti 
sulla  preparazione  della  stampa  degli  Statuti  perugini  e  il  re- 
soconto dei  signori  Ansidei  e  Giannantoni  intorno  ai  docu- 
menti della  legislazione  municipale  anteriore  alle  compila- 
zioni statutarie  ;  sentite  le  osservazioni  del  prof.  Cuturi  ri- 
guardo al  testo  del  1279;  considerando  che  conviene  dare 
un'  esposizione  completa  di  tutto  il  corpo  delle  leggi  e  degli 
ordinamenti  statutari  fino  alla  metà  del  secolo  XIV,  delibera 
di  affidare  la  preparazione  e  lo  studio   della    edizione    degli 


ADUNANZA  DEL  IX  NOVEMimE  MDCCCXCV  -ò 

statuti  allc'i  Presidenza  della  SocietA  e  alla  Commissione  in- 
caricata delle  pubblicazioni,  seguendo  le  norme  seguenti  : 

a)  Premettere  la  raccolta  dei  documenti  integrali  che 
in  qualunque  modo  chiariscono  la  condizione  del  Comune  di 
Perugia,  i  suoi  rapporti  fuori  della  sua  giurisdizione  e  in  ge- 
nerale tutti  gli  atti  concernenti  la  costituzione  politica  e 
civile  del  Comune  stesso. 

h)  Pubblicare  integralmente  il  Codice  del  1279  e  quello 
del  loOf)  sul  testo  volgarizzato  nel  1322  preceduti  dall'esame 
giuridico,  economico  e  politico  desunto  dalla  suddetta  rac- 
colta dei  documenti. 

e)  Illustrare  con  brevi  ed  opportune  annotazioni  tutto 
ciò  che  sembrerà  più  necessario  alla  storia  del  giure  medie- 
vale, con  raffronti  sopra  gli  Statuti  editi  dei  principali  Co- 
muni dell'  Italia  media,  e  allo  svolgimento  delle  istituzioni 
patrie  e  delle  opere  pubbliche. 

d)  Far  seguire  alla  edizione  un  glossario  di  tutte  le 
voci  e  delle  forme  dialettali,  dichiarandole. 

e)  Compiere  la  pubblicazione  con  un  indice  analitico 
generale  di  nomi,  luoghi  e  cose  contenute  nella  prima  e 
nella  seconda  parte  dell'opera. 

f)  Accompagnare  alla  pubblicazione  la  riproduzione  di 
saggi  paleografici  con  facsimili  eliotipici. 

g)  Consegnare  il  manoscritto  di  tutta  l' opera  completa 
alla  fine  del  triennio  della  vSocietà,  di  guisa  che  non  s'abbia 
a  intraprenderne  la  pubblicazione  senza  la  certezza  che, 
una  volta  iniziata,  sia  portata  a  compimento. 

h)  In  omaggio  alla  memoria  dell'illustre  prof.  A.  Fabretti, 
tanto  per  essere  stato  il  Presidente  onorario  della  Società 
nell'atto  della  sua  costituzione,  quanto  perchè  egli  stesso 
aveva  già  intrapreso  la  pubblicazione  di  un  volume  degli 
Statuti  Perugini,  sia  dedicato  questo  volume  primo  di  Fonti 
al  suo  nome  venerato  e  caro  ». 

Proseguendo  la  trattazione  della  stampa  dei  Fonti,  si  di- 


24  ATTI  DELLA   SOCIETÀ 

scute  la  proposta   per   il    Regesto    di    Sassovivo  e  quindi  si 
vota  il  seguente  ordine  del  giorno  : 

«  L'  Assemblea,  considerato  che  la  vetusta  Badia  Bene- 
dettina di  Sassovivo  tra  i  monti  di  Foligno  possiede  inedito 
un  Regesto  di  pergamene  clie  dalla  metà  del  secolo  XI 
scendono  fino  al  secolo  XV  ;  che  i  documenti  si  riferiscono  a 
quasi  tutti  i  Comuni  dell'  Umbria,  a  molti  Comuni  delle  Marche 
e  del  Lazio,  e  taluni  a  Roma  stessa  ;  considerando  che  manca, 
alla  storia  Umbra  un  complesso  di  antichi  documenti  che 
facciano  conoscere  le  condizioni  della  regione  nei  secoli  XI 
e  XII  e  che  stabiliscano  la  topografìa  di  luoghi  anche  scom- 
parsi ;  delibera  di  commettere  alla  Presidenza  come  sopra  la 
preparazione  di  un  secondo  volume  della  collezione  dei  Fonti 
storici  che  contenga  il  Regesto  di  Sassovivo  da  pubblicarsi 
con  i  seguenti  criteri  : 

a)  Premettere  un'  introduzione  critica  del  Regesto,  dove 
si  tenga  conto  di  tutte  le  osservazioni  di  paleografìa  e  diplo- 
matica, si  riassumano  i  caratteri  generali  della  compilazione 
tanto  in  riguardo  alla  storia  del  diritto  come  dell'  economia 
pubblica,  si  narrino  le  vicende  dell'  Abbazia,  discorrendo 
della  sua  influenza  sociale  nella  regione  e  fuori  e  si  dia  la 
cronologia  degli  Abati  colla  riproduzione  dei  sigilli  che  a 
ciascun  d'  essi  appartennero. 

h)  Riprodurre  integralmente  tutti  i  documenti  papali 
inediti  ed  i  contratti  contenuti  nel  Regesto,  dai  più  antichi 
fino  al  secolo  XII  inclusivo. 

e)  Degli  altri  documenti  dal  secolo  XIII  in  poi  dare  un 
Regesto  esatto  secondo  le  norme  meglio  approvate  in  pubbli- 
cazioni di  questo  genere,  salvo  pubblicare  per  intero  quelli 
che  sembrassero  di  suprema  importanza. 

d)  Far  seguire  alla  raccolta  note  dichiarative  del  testo 
e  storiche  a  chiarire  luoghi,  persone  e  istituti,  nonché  una 
illustrazione  artistica  dello  splendido  monumento  avanzato 
della  celebre  Abbazia. 


ADUNANZA   DEL   IX   NOVEMIilU:    MOCCCXCV  25 

e)  Chiudere  il  volume  con  facsimili  eliotipici,  coU'iudico 
onomastico  e  cronologico  e  con  un  i;los.sario  di  voci  non 
comprese  nel  Du-Cange. 

/')  Intraprendere  la  pubblicazione  solamente  dopo  com- 
piuta la  stampa  dello  Statuto  perugino,  seguendo  le  norme 
espresse  alla  lettera  della  precedente  deliberazione  ». 

Finalmente,  tenuto  conto  delle  ragioni  esposte  nella  rac- 
comandcizione  del  Presidente  e  nella  proposta  del  prof.  Sensi, 
per  provvedere  alla  raccolta  delle  Laudi  spirituali  e  poi  alla 
preparazione  della  Bibliografia  storica  della  regione  ;  considerato 
in  ordine  alla  prima  come  il  socio  prof.  Monaci  attende  di  pre- 
sente alla  pubblicazione  del  Canzoniere,  si  delibera  di  ufficiarlo, 
come  è  anco  desiderio  del  socio  Sensi,  perchè  si  compiaccia  di 
presentare  alla  Società  un  disegno  per  la  scelta  delle  Laudi 
umbre,  indicando  l'estensione  della  raccolta  per  averne  ra- 
gione nelle  future  deliberazioni  della  Società;  e  in  ordine  poi 
alla  seconda  di  invitare  la  presidenza  a  fissare  in  una  circolare 
1  termini  precisi  per  una  Bibliografia  storica  generale,  asse- 
gnando i  confini  entro  i  quali  dev'  esser  compresa  e  dajido 
il  modulo  delle  schede  perchè  il  lavoro  resulti  uniforme. 

Esaurita  questa  parte  relativa  alla  pubblicazione  dei  Fonti 
storici,  il  prof.  Mazzatinti,  delegato  a  rappresentare  la  So- 
cietà Umbra  al  congresso  storico  di  Roma,  dà  lettura  della 
sea'uente  relazione  : 


A  rappresentare  la  Società  nostra  al  VI  Congresso  sto- 
rico italiano  in  Roma  furono  deleg-ati  i  soci  prof.  Leo- 
poldo Tiberi,  prof.  cav.  Torquato  Cuturì,  conte  Vincenzo 
Ansidei,  prof.  Annibale  Tenneroni,  prof.  Giuseppe  Pardi, 
prof.  Francesco  Pagnotti,  prof.  Giulio  Urbini,  marchese 
Giovanni  Eroi!,  prof.  Alessandro  Bellucci,  prof.  Filippo 
Sensi,  prof.  Oscar  Scalvanti,  prof.  Costantino  Fontani, 
prof.  Luigi  Lanzi;  a  me  fu  dato  l'incarico,  che  accettai 
con  gratitudine  e  compiacenza,  di  riferire  al  Congresso 
intorno  all'  opera  compiuta  dalla   Società  nel    suo  primo 


26  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

auno  d'  esistenza,  ed  a  quanto  è  nei  suoi  voti  di  com- 
piere per  la  illustrazione  della  storia  nostra  e  in  adem- 
pimento al  cò(npito  suo.  Neil'  aula  mag-na  della  R.  Ac- 
cademia dei  Lincei  il  Congresso  italiano  fu  solennemente 
inaug-urato  il  21  ottobre,  presenti  i  Reali  ed  il  Principe, 
autorità  e  rappresentanti  degl'Istituti  storici  e  stranieri. 
La  g-iusta  proposta  del  prof.  Francesco  Nevati,  che  a  so- 
stenerla ebbe  a  compagno  il  nostro  socio  prof.  Sensi,  che 
cioè  «  nella  pubblicazione  di  antichi  documenti  sia  fe- 
delmente conservato  tutto  ciò  che  attiene  alla  sostanza, 
alla  lingua  e  alla  grammatica,  e  tutti  i  fatti  grafici 
che  costituiscono  una  legge  »,  e  che  inoltre  «  la  ripro- 
duzione integrale  dei  testi,  cosi  latini  come  volgari, 
sino  a  tutto  il  secolo  XVI,  non  sia  limitato  da  distinzioni 
uè  di  materia  uè  di  scopo,  e  che  per  i  secoli  seguenti  si 
restring'a  ai  casi  di  evidente  necessità  » ,  fu  unanimente 
approvata.  Giovi  ricordare  che  la  prima  parte  di  tale  pro- 
posta fu  discussa  nel  quinto  Congresso  in  Genova  nel 
1892  (1).  Accoglienza  favorevole  e  plauso  meritato  ottenne 
una  erudita  relazione  del  prof.  Arturo  Galanti  sulla  con- 
venienza che  le  trattazioni  storiche,  «  riconosciuto  che 
la  paletnologia  è  parte  dell'archeologia,  tengano  ragione 
dei  resultati  ottenuti  da  paletnologi  coli'  indagine  della 
civiltà  italica  preromana  ».  Dei  «  provvedimenti  da  in- 
vocare per  la  ricognizione  dello  stato  in  cui  si  trovano  le 
biblioteche  comunali,  per  promuoverne,  ove  necessiti,  una 
più  sicura  conservazione  e  un  migliore  ordinamento  e 
sulla  necessità  di  riordinare  e  tutelare  gli  archivi  comu- 
nali, degli  enti  e  degl'istituti  soppressi,  e  compilarne  gli 
indici»,  trattarono  con  singolare  competenza  e  con  asso- 
luta opportunità  il  nostro  socio  prof.  Sensi  e  il  prof.  Ora- 
zio Bacci,  rappresentante  la  Società  storica  della  Valdelsa; 
e  le  proposte  loro  furono  con  unanime  consenso  appro- 
vate. 

G.  Mazzatinti,  relatore. 

Venendo  alla  parte  dell'ordine  del  giorno  che  concerne 
alla  gestione  finanziaria,  un  esatto  e  dettagliato  resoconto 
vien  presentato  all'  adunanza  dall'  Economo  signor  conte  Vin- 
cenzo Ansidei,  e  procedendosi  poi  alla    nomina  di  due  revi- 


(1)  Adunanza  del  21  settembre.  Cfr.  Atti  del  V  Congressso.  Genova,  1893,  pag.  149 
«  segg. 


ADl'XAXZA    DEL   I\   N(JVEM1JKE    Mr>C'CC.\CV  27 

sori  del  consuntivo^  Lale  incarico  viene  affidato  ai  soci  conte 
comm.  G.  Battista  Rossi-Scotti   e    i)rof.  Ferdinando  Fabretti. 

Il  Presidente  accennando  all'  articolo  dello  Statuto  che 
concerne  le  riunioni  che  periodicamente  dovrebbero  te- 
nersi in  qualche  città  dell'  Umbria,  propone  che  per  l' anno 
venturo  si  designi  fin  d'  ora  la  città  di  Spoleto.  La  proposta 
è  accolta  all'  unanimità  e  viene  stabilito  che  questa  riunione 
debba  aver  luogo  entro  il  settembre  del  1896. 

Tutti  gli  oggetti  all'ordine  del  giorno  sarebbero  cosi  esau- 
riti, ma  prima  che  l'adunanza  si  sciolga  il  socio  mons.  Ro- 
mitelli  domanda  la  parola:  dice  che  essendosi  costituita  una 
Società  di  Storia  Patria,  sarebbe  desiderabile  che  essa  po- 
tesse anche  servire  di  aiuto  e  di  incoraggiamento  a  quei 
giovani,  che  si  volessero  dedicare  a  questo  genere  di  studi, 
appunto  per  continuare  le  tradizioni  della  scuola  del  Vermi- 
glioli,  del  Rossi,  del  Conestabile  e  del  Fabretti,  avviandoli 
allo  studio  della  paleografia  e  diplomatica. 

Il  prof.  Scalvanti  si  dichiara  favorevole  in  massima  alla 
proposta  del  Roraitelli,  ma  fa  d'altro  canto  osservare  che 
essendovi  ora  in  Firenze,  a  Roma  e  presso  alcuni  archivi  di 
Stato  un  corso  di  paleografia,  non  è  difficile  ai  giovani  volon- 
terosi acquistare  nella  lettura  dei  caratteri  antichi  e  nella 
critica  diplomatica  quella  pratica  che  è  indispensabile  a 
chi  voglia  coltivare  gli  studi  storici.  Tuttavia  è  lieto  di  ri- 
petere quello  che  già  disse  al  Presidente,  avere  egli  già 
indirizzato  su  questa  via  qualcuno  dei  suoi  scolari  di  Uni- 
versità, e  se  ne  ripromette  anche  presto  qualche  buon  frutto 
colla  valida  scorta  della  dottrina  paleografica  degli  archivisti- 
bibliotecari  del  Comune. 

Dopo  di  che  il  Presidente  ringrazia  le  signore  Fabretti  e 
r  onorevole  Sindaco  della  città  di  avere  onorato  di  loro  pre- 
senza r  assemblea,  e  1'  adunanza  è  sciolta. 

IL    PRESIDENTE 

Il  Segretario  —  L.  Giaknantoxi. 


28  ATTI   DELLA    SOCIETÀ 

SOCIETÀ  u:\inRA 

DI 

STORIA   PATRIA 


Perugia,  20  novembre  1895. 


Protocollo  N.  60 
CIRCOLARE    AI    SOCI 

Oggetto 

Materiale    storico 

(Seconda  edizione). 


Illiisfì'issimo  Siyuore, 

La  Società  Umbra  di  Storia  Patria,  fondata  allo  scopo 
di  preparare  tiua  storia  critica,  certa  e  severa,  non  a  co- 
modo di  parte,  ma  fatta  per  rappresentare  la  vita  del 
nostro  popolo,  pone  la  base  principale  dei  suoi  studi  ne- 
gli archivi  pubblici  e  privati  della  regione.  Quindi  fin 
dalla  prima  adunanza  del  Consiglio  direttivo  e  della  Giun- 
ta esecutrice  del  Bollettino  e  dei  Fonti  storici  accennava 
ad  alcune  norme  da  tenere  nella  ricerca  e  nello  studio 
della  materia  storiale,  perchè  1'  opera  comune  procedesse 
con  metodo  uniforme  e  per  via  spedita  quanto  più  fosse 
possibile.  La  qual  cosa  apparve  cosi  opportuna,  che  al- 
cuni soci  lontani,  tosto  che  n'  ebbero  sentore,  si  affret- 
tarono a  dimostrare  il  desiderio  che  venisse  esposta,  in 
una  breve  circolare  a  tutti  i  soci,  come  una  traccia  or- 
dinata delle  avvertenze  da  osservarsi  per  chi  intende  a 
lavorare  sulle  fonti.  Xè  indugio  a  contentarli,  tenendomi 
nei  limiti  della  piìi  stretta  brevità. 

E  perchè  non  di  rado  avviene  che  chi  si  mette  per 
la  prima  volta  a  tale  onorata  impresa  incontri  un  grave 
ostacolo  nel  disordine  in  che  trova  gli  archivi,  e  sgomento, 
come  chi  non  sappia  da  qual  parte  rifarsi,  si  senta  forte 
tentato  di  ritrarsene  ;  ovvero,  superate  anche  le  prime 
difficoltà,  metta  mano  a  dare  alle  carte  un  assetto,  e  nel 
corso  del  lavoro  accortosi  del  poco  profitto  che  ne  ricava, 
provando  e  riprovando,  non  mai  abbastanza  soddisfatto, 
perda  un  tempo  prezioso  ;  così  a  spianare  1'  aspro  cam- 
mino, credo  utile  indicare  quella  che  a  me  sembra  la  mi- 
glior guida  per  un  riordinamento  razionale  e  facile  degli 
archivi  comunali. 


CIRC'OLAUE   AI    SOCI 


29 


A  mio  avviso,  e  per  V  esperienza  eli  vari   anni   negli 
archivi  di  Stato  toscani,  prima  di  dar    opera   ad    un    la- 
voro di  tal   g-euere,    è    necessaria   una    cog-ni/.ione    della 
storia  del  Comune  o  dell'  istituto,  cui    1'  archivio   appar- 
tiene. Potendo,  dovrebbesi  studiare  attentamente  lo   sta- 
tuto, perchè  la  nozione  fosse  più  sicura.  Dag-li  statuti  si 
apprende  la  forma  del  reggimento  ptxbblico  ;  e    dove    le 
riforme  sono  copiose  e  complete,  si  ha  la  storia  delle  di- 
verse trasformazioni  del  governo  nelle  nostre  piccole  re- 
pubbliche. Di  qui  si  vede  quanto  lume  viene  per  essi  alla 
conoscenza  delle  carte.  Inoltre  g-li    statuti   accolgono    in 
sé  tutta  la  vita  del  Comune,  e  non  v'  ha  istituzione  pub- 
blica che  ivi  non  sia  accennata,  dando  essi  la   chiara   e 
precisa  designazione  della  natura  ed  estensione  degli  of- 
fici e  di  tutti  i  rami  della  amministrazione  che  compon- 
gono 1'  organismo  comunale.  E  perchè  questo  organismo 
risulta  di  tre  parti  principali,  civile  o   politica,  ammini- 
strativa e  giudiziaria,  vien  bene  la    partizione    generale 
delle  carte  in  questi  tre  grandi  gruppi.  Difatti   è   natu- 
rale che  chi  prende  a  studiare  la  storia  di  un  luogo,  in- 
tesa che  ne  abbia  1'  antica  sua  costituzione  (Statuti,  Ri- 
forme, Carta,  Costituto,  ecc.^  passi  a  conoscere  il  lento 
e  graduale  svolgimento  della  sua  vita  politica    nelle  de- 
liberazioni del  corpo  legislativo  (Consigli  di  credenza, 
MINORE,  GENERALE^,  e  negli  atti  del  corpo  esecutivo  (Con- 
soli, Priori,  Anziani,  dai  quali  vengono  le  Commissioni, 
i  Mandati  le  Legazioni,  le  Belazìoni  interne   ed  esterne, 
dove  entra  anche   il  carteggio)   e    in   quelli   di   tutti  gli 
altri  ufficiali  dipendenti  (di  Custodia,  di  Guerra,  di  Sa- 
nità,  d'  Istruzione  pubblica    e  di  Lavori  pubblici)  ; 
quindi  venga  alle  forze  produttive   (Gabelle,    Preste, 
Catasti,  e  Uffici  di  entrata  e  d'uscita);  e  per  ulti- 
mo ricerchi  le  sue  azioni   morali   negli    uffici  giudicanti 
in  civile  e  criminale  (Potestà,  Capitano  di  popolo,  Ca- 
pitano DI  GUERRA,  Magistrati  di  giustizia,   Corti  di 
Assessori,  Giudici  e  Collaterali,  ecc.). 

Ognuna  di  queste  grandi  divisioni  si  parte  in  serie, 
e  ogni  serie  si  pone  in  ordine  di  dipendenza  dall'ufficio 
principale,  dando  ad  ogni  codice  e  ad  ogni  carta  la  sua 
collocazione  per  cronologia  rigorosa. 
Questo  per  i  codici  e  per  le  carte. 
Per  le  pergamene  si  usa  una  distinzione  e  una  clas- 
sificazione separata. 

Le  pergamene  si  conservino  arrotolate,  e  nel  dorso  ri- 
producano la  data  (anno,  mese,  giorno  e  indizione). 


30  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

Dall' ang-olo  destro,  in  alto  della  pergamena,  si  farà 
pendere  nn  cartellino  cucito,  che  lasci  subito  scorg-ere  la 
data  che  ivi  verrà  ripetuta.  Si  collochino,  così  arrotolate, 
sopra  un  piano  orizzontale  di  un  armadio  o  scaffale  a 
più  ordini  di  palchetti,  e  ogni  palchetto  abbia  divisioni, 
di  venti  o  più  anni,  secolo  per  secolo,  e  ivi  si  dispong-a- 
no  per  ordine  cronolog-ico  :  così  le  pergamene  saranno, 
ad  ogni  bisogno,  subito  a  mano.  La  distinzione  che  al- 
cuni fanno  di  bolle  pontifìcie,  di  diplomi  imperiali  e  regi, 
di  atti  più  solenni,  è  sempre  a  carico  del  servizio  e  del 
concetto  razionale  dell'archivista,  come  la  classificazione 
che  altri  fa  per  materie,  per  provenienze,  per  destinazio- 
ni, e  per  fino  (pur  troppo  ancora  si  usa!)  per  autografi. 
Per  l'archivista  tutte  le  carte  hanno  uno  stesso  valore, 
o  che  rechino  la  sottoscrizione  di  un  gran  sovrano  o  di 
un  oscuro  notaro  :  —  perchè  dove  uno  non  è  attratto  dal- 
l'importanza  storica,  s'appaga  della  lingua;  e  mentre 
uno  indaga  le  ragioni  che  motivarono  i  grandi  fatti  nei 
documenti  officiali,  un  altro  desume  dalle  cifre  di  un 
obliato  registro  di  dare  e  d'avere  le  condizioni  stesse  di 
un  popolo.  —  Quindi  di  tutte  le  carte  abbia  la  stessa  cu- 
ra, cioè  di  conservarle,  di  inventariarle  e  di  spogliarle. 

Per  gli  inventari,  quello  pubblicato  per  l'Archivio  di 
Stato  di  Lucca  può  dare  un  saggio  dei  migliori  che  fin 
qui  siensi  fatti. 

Per  gli  spogli  dei  singoli  documenti,  dei  quali  è  ne- 
cessario avere  tutta  la  sostanza  e  l'estratto  di  tutti  i  no- 
mi dei  luog'hi  e  delle  persone  nella  loro  originale  lezione, 
si  può  j^rendere  norma  dal  Eegesto  dei  Capitoli  del  Co- 
mune di  Firenze  compilato  dall'illustre  comm.  Cesare  Gua- 
sti, di  cara  memoria.  Per  i  documenti  di  corrispondenza 
epistolare,  dove  la  copia  sia  grande,  basterà,  per  ora,  una 
breve  notizia  di  nomi,  di  luoghi  e  di  date  a  somiglianza 
della  pubblicazione  della  Soprintendenza  degli  archivi 
Toscani  :  Le  Carte  Strozziane  del  R.  Archivio  di  Stato  in 
Firenze  (vedi  Archivio  storico  Italiano,  serie  IV,  disp.  2*, 
dell' 85  e  seguenti). 

Finalmente  una  parola  di  consiglio  circa  il  metodo 
nella  trascrizione  e  nella  stampa  dei  documenti.  Ricordo 
qui  come  nel  Congresso  storico  di  Genova  si  lamentò  che 
in  Italia  non  si  fosse  ancora  raggiunta  unità  di  metodo. 
Notevole  fu  la  trattazione  del  IV  tema  sulla  uniformità 
da  tenersi  da  tutte  le  Società  e  Deputazioni  storiche  nel 
pubblicare  documenti  medievali.  Il  prof.  F.  Gasparolo  di 
Alessandria  ne  riferì  con  competenza  di   scienziato,  e  il 


ellU'oLAUE   AI    SOCI  .'il 

prof.  Paoli,  (la  ([Uc!  valente  che  ej^li  è  in  tutte  le  (que- 
stioni (li  paleo^Tatìa  e  diplomatica,  concluse  ])roponendo 
alla  apjirovazione  del  Con<4resso  che  urlld  jjKhblkdzione 
degli  antichi  documenti  sia  conservato  fedelmente  tutto 
ciò  che  attiene  alla  sostanza,  alla  lingua,  alla  gramma- 
tica, e  tutti  i  fatti  grafici  che  costituiscono  una  legge  Fer- 
mo (piesto  principio  g-enerale  che  risponde  alle  vere  esi- 
g-enze  della  scienza  storica,  mi  ero  già  permesso  di  cou- 
sig-liare  più  particolarmente,  al  confronto  dei  casi  a  noi 
Umbri  più  noti,  che  se  è  buono  per  i  documenti  più  an- 
tichi adottare  un  sistema  rigoroso,  per  i  meno  antichi 
fosse  tollerabile  una  moderazione  nella  riproduzione  iu- 
teg-rale  di  tutte  le  forme  grafiche. 

Il  nostro  compianto  Adamo  Rossi  si  attenne  sempre 
alla  più  rigida  osservanza,  permettendosi  appena  di  scio- 
gliere le  sigle  e  i  nessi.  Invece  il  nostro  Ariodante  Fa- 
bretti,  d' illustre  e  lacrimata  memoria,  amò  spaziare  in 
una  certa  libertà.  Faceva  distinzione  fra  V  e  U,  secondo 
il  suono  richiedeva.  Dava  le  maiuscole  ai  nomi  propri  e 
alle  parole  dopo  il  pxinto,  e  della  interpunzione  moderna 
si  serviva  per  agevolare  ai  lettori  quel  retto  senso  del- 
l' atto  che  egli  prima  di  juibblicare  aveva  ripetutamente 
studiato  a  vantaggio  degli  studiosi. 

Ma  dacché  i  nostri  studi  danno  un  grandissimo  sus- 
sidio ad  altre  scienze  e  specialmente  alla  linguistica  e 
alla  dialettologia,  che  hanno  fatto  e  fanno  tuttodì  gran- 
dissimi avanzamenti,  il  Congresso  storico  di  Eoma  ha 
raccomandato  a  proposta  del  prof.  Novati  e  del  nostro 
prof.  Sensi,  l'integrale  riproduzione  della  lettera  dei  testi 
di  qualsivoglia  specie,  in  modo  che  le  pubblicazioni  jìos- 
sano  servire  di  base  sicura  ad  ogni  forma  d' indagine 
scientifica.  A  questo  precetto  conviene  attenerci  rigoro- 
samente, per  evitare  che  uno  stesso  documento  si  veda 
a  i50ca  distanza  di  tempo  riprodotto  in  differente  maniera, 
a  correggere  il  capriccio  o  lo  scopo  di  un  solo  studioso 
per  il  punto  di  vista  suo  peculiare. 

Ai  giovani  che  chiedessero  un  avviamento  per  la  let- 
tura dei  codici  e  per  acquistare  la  critica  necessaria,  ri- 
cordo le  pubblicazioni  seguenti: 

Archivio  paleografico  italiano,  voi.  1°,  Miscellaneo,  fasci- 
coli I,  II,  III,  Ftoma,  1882  88,  in  f.°,  voi.  IL  —  Mo- 
numenti paleografici  di  Roma,  fase.  I,  Roma,  188i, 
in  f.°  (sotto  la  direzione  dei  professori  Monaci  e  Paoli) 
—  Eliotipia. 


32  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

Carini  —  Sommario  di  paleografìa  —  Appunti  per  la 
scuola  Vaticana  —  Roma,  1888,  in  8". 

Gloria  —  Compendio  delle  lezioni  teorico-pratiche  di  pa- 
leografia e  diplomatica,  Padova,  1870,  in  8°,  con  atlante. 

Paoli  —  Programma  scolastico  di  paleografia  latina  e 
diplomatica,  I  ;  Paleografia  latina  (2*  edizione),  Fi- 
renze, 1888,  in  8«. 

Lupi  —  Manuale  di  paleografia  delle  carte,  Firenze,  in  4°. 

POLiGOTTi  —  Nozioni  di  paleografia  con  tavole  illustra- 
tive del  carattere  notarile  dei  secoli  XIV  al  XVII, 
Roma,  1892. 

Prou  —  Manuel  de  paléograpliie  latine  et  francaise  du 
VI^  au  X  Ville  siede  sitivi  cV  un  dictionaire  des  abré- 
viations  avec  23  fac-similiés  en  jyhototypie,  Paris. 

Compiuta  alla  lesta  questa  sommaria  istruzione,  altro 
non  mi  rimane  che  ringraziare  tutti  i  soci,  cui  è  piaciuto 
darmi  prova  della  loro  benevola  deferenza.  Starò  atten- 
dendo dalla  loro  operosa  dottrina  quei  frutti  di  maturo 
sapere  che  ognuno  ha  diritto  di  aspettarsi.  La  viva  sod- 
disfazione con  che  è  stato  accolto  da  ogni  parte  l'an- 
nunzio della  nuova  Società  storica,  ci  conforti  ad  intra- 
prendere il  grave  compito  dei  lavori  con  coragg'io,  e  ci 
animi  a  proseguirli  con  costanza. 

L'  Umbria,  che  nella  storia  politica  nazionale  del  me- 
dio evo  ha  saputo  dare  esempi  fortissimi  e  gloriosi,  e  si 
è  acquistato  un  gran  posto  nella  rinascenza  delle  arti, 
non  deve  rimanere  seconda  nella  gara  delle  altre  regioni 
intese  ad  illustrare  il  passato.  Studiando  la  forma  intima 
delle  antiche  istituzioni,  troveremo  il  segreto  della  forza 
del  nostro  popolo,  del  valore  dei  nostri  capitani,  della 
grazia  squisita  de'  nostri  artisti,  e  affretteremo  il  com- 
pimento della  storia  nazionale,  che  sarà  compiacenza  e 
insieme  ammonizione  per  i  futuri. 

Il  Presidente 
LUIGI  FUMI. 


CIRCOLARE   AI   SOCI  33 

SOCIETÀ    UM15R.V 

1)1 

STORIA    PATRIA 

Perugia,  20  novembre  1805. 
Protocollo  N.  61. 
CIRCOLARE  AI  SOCI 

Oggetto 

Bibliografia  storica 


Egretjìo  collega, 

Neil'  Assemblea  generale  dei  soci  riunita  in  Perugia 
addi  9  corrente,  il  sottoscritto  per  dovere  dell'  ufiBcio  af- 
fidatogli si  fece  a  presentare  e  svolgere  partitamente  al- 
cune proposte  per  lavori  collettivi  da  pubblicarsi  nei  Fonti 
storici,  le  quali  proposte  discusse  e  approvate  vanno  già 
studiandosi  con  amore  per  mandarle  quanto  prima  si 
potrà  ad  effetto.  Per  ciò  che  concerne  la  compilazione 
della  Bibliografia  storica  regionale,  l'Assemblea,  non  dis- 
simulandosi la  gravità  e  la  difficoltà  grande  di  colesta 
compilazione  non  solo  per  evitare  l'eccesso  dei  difetti,  onde 
siffatte  opere  non  si  scompagnano,  ma  per  dare  una  certa 
uniformità  di  metodo,  invocata  generalmente  dagli  stu- 
diosi, incaricava  la  presidenza  di  indicare  un  sistema  di 
compilazione  a  norma  de'  soci  che  vi  si  volessero  appli- 
care. 

Xon  tardo  a  tenere  l' invito,  persuaso  che  a  por  mano 
ad  opera  grande,  come  è  questa,  si  richiede  lungo  spazio 
di  tempo  e  convenga  affrettare,  senza  lasciarci  prendere 
dag-li  sgomenti  che  non  servono  se  non  a  ritardare  e 
sciupare  i  buoni  propositi. 

Parlare  della  utilità  di  una  Bibliografia  storica,  anzi 
della  sua  assolvita  necessità,  torna  inutile  agli  studiosi. 
Bene  avvertiva  il  C  a  n  t  ù  che  se  prima  di  accingersi  ad 
un'  opera,  si  conoscessero  tutti  quelli  che  già  vi  si  ado- 
perarono, non  si  vedrebbe  sciupare  forze,  tempo,  ingegno, 
spese  a  rifare  il  fatto  e  si  terrebbe  il  proposito  di  dare 
sempre  un  passo  avanti  {Arch.  St.  Ital.,  serie  IV,  t.  I, 
p.  141).  Molti  trattarono  della  convenienza  di  compilare 
le  Bibliografie  storiche  regionali,  e  vari  tentativi  si  fe- 

3 


34  ATTI   DELLA   SOCIKTÀ 

cero  e  più  poderose  opere  sono  iu  corso  di  stampa.  'L'I- 
stituto storico  italiano  il  5  aprile  1886  riconosceva  infatti 
la  grande  importanza  delle  Bibliog-rafie  storiche  regionali, 
ma  rimandava  «  quell'  opera  colossale  a  tempo  più  op- 
portuno, lasciando  per  ora  alla  iniziativa  delle  Deputa- 
zioni e  Società  di  storia  patria  il  provvedervi  coi  mezzi 
loro  propri,  a  tanto  miglior  ragione  che  già  alcuni  soci 
di  esse  vi  si  posero  con  grande  amore  »  {Bollettino  del- 
l' Ist.  stor.  ital.,  IV,  I,  p.  52). 

Quanto  malagevole  sia  questa  impresa  ognuno  lo  com- 
prende. Non  si  può  dire  che  abbia  nemmeno  ricevuto  fin 
qui  una  serie  dì  precetti  che  soddisfino  a  tixtti  i  bisogni, 
appaghino  tutte  le  ricerche  e  contentino  tutte  le  esigenze. 
Da  qual  punto  ci  si  abbia  a  muovere  e  fino  a  qual  li- 
mire  giungere  sembra  controverso.  Qual  sistema  adot- 
tato nel  catalogo,  se  cioè  si  debba  registrare  per  crono- 
logia 0  per  alfabeto  o  per  materia  è  ancora  discusso.  La 
estensione  da  dare  all'  opera  è  certamente  il  nodo  più 
difficile  a  sciogliere.  Certamente  il  più  agevole  di  tutti  i 
sisteini  e  più  spedito  è  quello  di  attenersi  a  catalogare 
le  opere  che  parlano  di  storia  propriamente  detta.  Ma  si 
comincia  a  dire:  di  quale  storia  ?  La  medievale  sola,  come 
quella  che  più  direttamente  occupa  1' attenzione  delle  So- 
cietà, secondo  i  decreti  che  regolano  il  fine  per  ciii  fu- 
rono istituite  nello  studio  della  storia  patria  ?  0  vera- 
mente anche  l'antica  e  la  moderna?  E  se  queste  parti- 
zioni di  epoche  sono  fatte  a  comodo,  se  la  storia  non 
possa  conoscersi  studiata  monca  e  fatta  a  brani,  ma  debba 
abbracciarsi  tutta  intera,  perchè  non  si  avrà  a  compren- 
dere in  tutte  e  tre  le  epoche  ?  E  allora,  quella  scienza 
che  precedendo  le  epoche  testimoniate  dalle  scritture  e 
dalle  tradizioni  orali  trova  i  suoi  argomenti  e  le  sue  de- 
duzioni nel  seno  della  gran  madre,  la  terra,  e  l' altra  per 
la  quale  quando  non  si  hanno  viventi  da  esaminare,  uè  fos- 
sili da  scrutare,  negli  elementi  glottologici  si  vanno  investi- 
gando le  origini  e  le  agnazioni,  i  costumi  e  gli  usi  dei  padri, 
dovranno  essere  lasciate  in  disparte  ?  Se  una  volta  poteva 
immaginarsi  una  bibliografia  storica  circoscritta  dentro  i 
limiti  più  ristretti  della  parola,  oggi  per  il  nesso  che 
tutte  le  epoche  hanno  fra  loro  a  partire  dalle  cosidette 
IDreistoriche,  pare  conveniente  doversi  rifare  dalla  paleoet- 
uolog'ia  e  dalla  linguistica  per  giungere  ai  tempi  ar- 
cheologici e  da  questi  passare  ai  medievali  e  ai  successivi. 
I  progressi  che  ha  fatto  l'etnologia  hanno  innalzato  la 
storia  sempre  più  al  grado  di  scienza,  spostando  le  teorie 


CIUCOLAKK    AI   SO("I 


dei  filosofi  della  storia,  come  Vico  e  Ta-^ano,  Schlegel, 
Hegel  e  Miller,  e  per  cousegueuza  essa  deve  comprendere 
e  chiarire  tutto  il  i)assato.  Le  spiegazioni  di  tutto  il  pas- 
sato devono  precedere  la  politica,  e  poiché  ogni  fatto  è 
storia,  la  bibliografia  non  sarà  completa  se  non  riassuma 
tutto  il  movimento  degli  intelletti  in  ogni  ordine  di  latti 
a  qualunque  ramo  del  sapere  sieusi  rivolti.  Quindi  siamo 
condotti  ad  inventariare  tutte  le  forze  vive  e  morte  della 
regione.  Epperò  giustamente  Giovanni  Sforza  prendeva  a 
trattare  il  tema  degli  scrittori  italiani  in  un  cong-resso 
storico  italiano,  e  precisamente  nel  V  cong-res^o  tenuto 
in  Genova,  svolgendo  il  suo  argomento,  otteneva  che  la 
Commissione  incaricata  dell'esame  preliminare,  ne  rife- 
risse favorevolmente,  e  il  barone  .Mainio  «  con  quella 
chiarezza  propria  degli  uomini  che  sono  competenti  ed 
esperti  nella  materia  di  cui  discorrono  »,  come  disse  il 
presidente  Boselli,  proponesse  le  sue  assennate  conclusioni 
{Atti  del  quinto  congresso  storico  italiano,  Genova,  1898, 
p.  116,  130  e  segg.). 

Per  la  qual  cosa  ci  sembra  dover  proporre  la  Biblio- 
grafia storica  e  la  Biografìa  insieme  degli  scrittori  umbri, 
dove  si  leggano  i  titoli  di  tutte  le  opere  a  qualunque 
argomento  attinenti,  cosi  alla  storia  della  natura,  come 
alla  storia  degli  uomini  della  nostra  regione  attuale  ;  ed 
eziandio  di  tutti  (luelli  scrittori  che  nati,  educati  o  vis- 
suti qui  hanno  dato  opere  a  stampa,  si  diano  sommarie 
e  precise  notizie  biografiche. 

Con  questo  avremmo  accennato  alla  estensione  del 
nostro  vasto  disegno.  Ora  è  da  dire  qualche  cosa  del  me- 
todo 'più  opportuno  a  dargli  forma. 

Sarebbe  ozioso  investigare  se  convenga  compilare  tanti 
cataloghi  quanti  sono  Comuni  o  se  invece  venga  bene 
riunire  gli  scrittori  in  un  catalogo  solo,  quando  la  storia 
d'Italia  è  di  natura  sua  essenzialmente  comunale  e  le 
regioni  sono  state  solamente  di  fresco  ristrette  o  allar- 
gate, obbedendo,  più  che  a' criteri  storici,  ad  opportunità 
d' indole  amministrativa.  La  storia  avrebbe  reclamato  per 
r  Umbria  una  più  vasta  zona  di  territorio  italiano  che 
oggi  non  racchiuda:  quindi  pare  che  ogni  Comune  del- 
l' Umbria  attuale  meriti  un  catalogo  distinto  dei  suoi 
scrittori,  salvo  poi,  ad  opera  compiuta,  riunire  in  vari 
indici  gli  scrittori  con  gli  opportuni  richiami. 

Come  si  abbiano  a  collocare,  Comune  per  Comune, 
gli  autori,  è  cosa  più  ardua.  Non  si  esce  dai  tre  me- 
todi accennati,  cronologico,  per  materie  e  alfabetico.  Ma 


ìiQ  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

nessuno  dei  tre  va  immune  da  difetti.  Chi  studia  un  ar- 
g-omeuto  vorrà  andare  alla  pesca  di  ciò  che  fa  per  lui  in 
un  indice  dove  trovi  a  fior  d'acqua  1'  autore  che  lo  tratta: 
ma  non  sempre  è  dato  ben  disting-uere  la  materia  conte- 
nuta in  un  libro,  potendo  esso  appartenere  a  più  classi- 
ficazioni scientifiche  e  venire  collocato  là  dove  non  accada 
trovarlo.  Il  cronologico  non  può  essere  a  rigore  osser- 
vato ;  r  alfabetico  non  è  fatto  certamente  per  far  guada- 
g'nare  tempo  a  chi  avesse  fretta  di  spacciarsi,  oltreché 
non  tutti  i  libri  vi  troverebbero  posto  per  nome  di  autori, 
dove  sieno  gli  anonimi.  Il  sistema  da  preferire  sarebbe 
quello  che  eliminando  i  difetti  di  ciascuno,  si  giovasse 
de'  vantaggi  che  offrono  gli  altri.  L'  indice  per  materie 
è  senza  dubbio  il  migliore,  perchè  permette  collocare  gli 
autori  sotto  gli  argomenti  speciali  da  loro  trattati,  e  col- 
locarli cronologicamente,  senza  rinunziare  all'  ordine  al- 
fabetico, che  può  venire  come  sussidio  ultimo  nell'indice 
posto  in  fine.  In  tal  modo  ogni  argomento  si  avrà  l'e- 
lenco degli  scrittori  disposti  per  ordine  di  tempo  e  la  bi- 
bliografia sarà  storica  di  per  sé  stessa  per  ogni  soggetto. 

Venendo  alla  pratica,  la  nostra  bibliografia  sarà  ge- 
nerale e  particolare,  distribuita  in  tante  classi  quanti 
sono  i  gruppi  delle  materie  messe  a  catalogno.  In  molti 
casi  classificare,  frazionare  e  suddividere  torna  utile, 
perchè  dove  il  numero  delle  opere  soverchia,  lo  studioso 
divaga  e  perde  il  fine  per  cui  ricorre  alla  raccolta.  Ma 
se  questo  sistema  delle  partizioni  e  delle  ripartizioni  av- 
vantaggia da  una  parte,  dall'  altra  scapita  e  nuoce  alla 
economia  del  tempo  e  dello  spazio.  A  non  molti  gruppi 
sarebbe  da  distendersi,  e  la  suddivisione  dei  gruppi  ri- 
serbata ai  casi  di  una  letteratura  sovrabbondante. 

Il  sistema  più  comunemente  usato  dai  bibliografi  nel 
designare  i  gruppi,  indicato  dal  Garnier  e  messo  in  pra- 
tica dal  Martin  e  dal  Barbier,  è  di  dividere  gli  autori  in 
cinque  classi  :  teolog'ia,  giurisprudenza,  scienze  ed  arti, 
belle  lettere  e  storia.  Il  Fortis  d'  Urban  non  fece  che 
invertire  1'  ordine.  Ma  questo  è  un  sistema  più  proprio 
delle  Bibliografie  generali.  Per  le  particolari  e  regionali 
g'ioverà  allarg-are  il  riparto,  e  al  caso  nostro  sembrami 
che  si  potrebbe  stabilire  nel  modo  seguente  : 

I.  —  Storia  tjencrale  l'tnbra. 

1.  Topografia  ed  etnologia. 

2.  Dialettolog-ia. 


CIRCOLARE    AI    SOCI  37 

3.  Archeologia  : 

a)  Monmneuti, 

b)  Musei  e  collezioni. 

4.  Agiografia  o  storia  religiosa. 

II.  —  storili  2>">'tir<)hire  ilei   Comuni, 

1.  Topografia  ed  etnologia. 

2.  Dialettologia. 

3.  Archeologia  : 

a)  Monumenti, 

6)  Musei  e  collezioni. 

4.  Agiografia  o  storia  religiosa  : 

a)  Santi  e  reliquie, 

b)  Chiese  e  istituti  religiosi. 

5.  Storia  civile  : 

a)  Storie, 

b)  Monografìe, 
e)  Guide, 

d)  Giornali. 

6.  Amministrazione  ed  economia, 

7.  Legislazione  —  Giustizia. 

8.  Industria  e  commercio. 

9.  Arti  e  mestieri. 

10.  Previdenza. 

11.  Beneficenza  e  soccorso. 

12.  Istruzione  ed  educazione. 

13.  Ricreazione. 

14.  Edilizia. 

15.  Arti  decorative. 

16.  Genealogia  e  biografia. 

III.  —  Scritini-i  locali  ili  cose  iion.  itttiiietiti  all'Umbria. 

1.  Teologia. 

2.  Giurisprudenza. 

3.  Scienze. 

4.  Arti. 

ó.  Letteratura. 
6.  Storia. 

Articolo  per  articolo  segnato  sotto  la  sua  classe  avrà 
il  numero  d'  ordine  —  il  nome  dell'  autore  —  il  titolo  — 
l'editore,  l'anno,  il  formato,  il  numero  delle  pagine.  Po-_ 
tendo,  avrà  un  cenno  brevissimo  della  biografìa  dell' au 


o8  ATTI   DELLA   SOCIETÀ 

tore.  Dove  il  libro  sia  miscellaueo  o  possa  considerarsi 
tale,  recherà  l' indice  dei  capitoli.  L'  edizione  più  antica 
sarà  posta  in  principio  e  cosi  per  ordine  cronolog-ico  tutte 
le  altre.  Se  il  libro  è  anonimo  si  noterà  con  due  linee  =, 
se  è  pseudonimo  con  un  asterisco,  ponendo  fra  due  pa- 
rentesi quadre  [  ]  il  nome  accertato.  I  predicati  nobiliari 
e  relig-iosi  si  porranno  entro  parentesi  comuni  immedia- 
tamente dopo  il  cognome,  e  cosi  i  cognomi  preceduti  da 
Di,  Da,  De,  Del,  Jm,  San. 

Queste  le  linee  generali  dell'  opera,  la  quale  per  es- 
sere di  sua  natura  assai  complessa,  potrà  man  mano  che 
il  lavoro  procede  incontrare  nel  suo  disegno  quelle  va- 
riazioni che  si  riconosceranno  più  opportune.  Stabilire 
precetti  sicuri  e  criteri  fìssi  in  questo  caso  non  si  può 
tanto  facilmente;  e  l'illustre  barone  Manno  alla  distanza 
dal  primo  al  secondo  volume  della  sua  grandiosa  opera 
ci  avverte  che  «  postosi  all'ordinare  la  Bibliografia  locale 
senza  mutare  i  primi  criteri,  ne  allargò  i  limiti,  esten- 
dendo le  ricerche,  moltiplicando  le  notizie,  ampliando  il 
disegno  dell'  opera  e  la  portata  del  libro  »  (Bibliografia 
storica  degli  stati  della  Monarchia  di  Savoia,  Torino, 
1891,  voi.  II,  p.  7). 

Del  resto,  che  lavori  di  questo  genere  non  possano 
avere  la  pretesa  di  riuscire  mai  completi  è  cosa  a  tutti 
ben  nota,  e  noi  non  possiamo  pretendere  di  certo  di  fare 
tentativi  che  soddisfino  tutti.  Quei  soci  che  si  sentono 
bene  disposti  a  mettersi  a  tanta  fatica,  potranno  applicar- 
visi  senza  indugio,  avendo  presenti  più  che  queste  povere 
parole  gli  esempi  dei  Jahresberichte  der  GeschicMwissen- 
cìiaft,  del  Merkel  per  il  sag-gio  del  1885-91  e  sopratutto 
del  barone  Manno  per  la  Bibliografia  storica  degli  stati 
della  Monarchia  di  Savoia.  La  presidenza  si  j^ropone  di 
procurare  dalla  raccolta  del  conte  Mazzucchelli  le  copie 
di  elenchi  e  di  schede  conservate  nella  Vaticana  dei  sin- 
goli luoghi  dell'  Umbria.  Per  ora  non  occorre  che  i  com- 
pilatori si  perdano  a  collocare  gli  autori  in  gruppi  di 
materie,  essendo  questa  un'  operazione  da  riserbare  per 
ultimo.  Quello  che  di  presente  si  richiede  è  la  compila- 
zione delle  schede,  distese  su  fogliolini  separati  in  carta 
ben  consistente  e  con  tutti  i  quattro  margini  rifilati  a 
macchina  per  aversi  più  facilmente  a  mano.  La  scheda 
conterrà  con  perfetta  precisione  le  indicazioni,  di  cui  si 
è  detto  sopra.  Compilate  che  siano  le  schede  in  buona 
quantità,  saranno  trasmesse  alla  presidenza  insieme  ad 
una  nota  delle  opere  e  delle  collezioni  scientifiche  e  let- 


CIRCOLARE   AI    SOCI 


:)D 


terarie  consultate  per  detta  compilazione,  affinchè  quelle 
opere  e  quelle  collezioni  che  il  conipilatore  per  avventura 
non  avesse  tutto  l'ag-io  di  avere  tra  mano  possano  essere 
esaminate  dalla  presidenza,  che  così  si  assume  la  revisione 
e  la  uniformità  di  ogni  singola  bibliografia.  Nuovamente 
poi  i  compilatori  avranno  sotto  mano  le  loro  schede,  come 
quelli  che  stando  sul  luogo  sono  messi   in  grado  di  por- 
tarvi sempre  nuovi  miglioramenti  fino  al  momento  della 
stampa.  Esaurita  che  sia  un  giorno  l'opera  di  tutti  sulle 
parziali  biblio-biografìe,  e  finite  di  stampare,  un  volume 
di  indici  tripartiti  le  abbraccerà  tutte  in  un  sol  corpo.  I 
supplementi  che  di  anno  in  anno  si  potranno  pubblicare 
emenderanno  gli  errori  e  le  omissioni  e  terranno  al  giorno 
la  bibliografia  e  ne  faranno  manifesta  la  somma   utilità. 
Chi  sentendo  vivissimo  1'  amore  per  la  nostra  regione 
e  per  ì  nostri  studi  e  a  cui  sa  male  che  ciò  che  per   al- 
tri fu  intrapreso  da  noi  non    siasi    per   anco   tentato,    si 
consacri  a    tanto    lavoro,    continuandolo   con   costanza  e 
con  semplicità,  nò   lo  distolga  la  natura  ingrata  di  esso, 
arida    e    interminabile.    Giova    qui   ripetere    le    sapienti 
parole  del  barone  Manno  :   «  La  lode,  il  merito,  gli  onori, 
le    mercedi    vadano    pure    agli  autori   che   disegnano  a 
grandi  linee  e  scolpiscono  ricordi   monumentali  :  ma  non 
disprezziamo  la  scienza  sminuzzata,  1' entomologia  della 
storia.    La    storia  togata    ama    il    genio  \    se    però    non 
è    sorretta   dalla    erudizione,    rischia    d'inciampare    nei 
fossi,  come   1'  astrologo    della    favola.    I    prolegomeni,    i 
paralipomeni  della  storia  non  sono  che  compito  di  faticanti 
di  criterio,  essi  però  servono  a  quella    perfetta    informa- 
zione, senza  la  quale  non  si  può  erigere  un  monumento 
storico  definitivo,  che  non  sia  o  per  malizia   o   per   pas- 
sione 0  per  imperizia  o  per  debolezza  una   perpetua  co- 
spirazione contro  la  verità  » .  (Manno,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  10). 
Non  ci  sgomenti  la  difficoltà  dell'impresa,  se  sappiamo 
che  il  Le  Clerc,  uno  degli  uomini  più  dotti  del  secolo  XVI, 
critico  paziente  e  accurato,  potè  confessare   la    sua   defi- 
cienza in  lavori  di  tal  fatta.  Siano  ingrati,  siano  difficili, 
siano  lunghi,  noi  li  vorremo   intraprendere,  perche  som- 
mamente necessari  ;  e  la  posterità  ce  ne  sarà  grata. 

La  S.  V.  si  compiaccia  di  darmi  un  cenno  di  risposta 
perchè  la  presidenza  sappia  da  ehi  può  attendere  inco- 
raggiamento e  speranze  alla  presente  collaborazione. 

Il  Presidente 
LUIGI    FUMI. 


41 


LA     VITA 

DI 

ANGELO    GER ALDINI 

SCRITTA 

DA 

ANTONIO  GEHALDINI 


L'antico  manoscritto  della  vita  di  Angelo  Geraldini  che 
ora,  finalmente,  m' induco  a  consegnare  alle  stampe,  anche 
in  ossequio  alle  calde  e  gentili  istanze  del  nostro  egregio 
presidente  comm.  Fumi,  restavasi  da  gran  tempo  sconosciuto 
e  negletto  presso  un  mio  parente.  Rinvenuto  a  caso,  parve 
pervenire  nelle  mie  mani  affinchè,  pubblicandolo,  fosse  riven- 
dicata dall'ingiusto  oblio  la  memoria  illustre  di  quel  Ve- 
scovo di  Sessa,  che  come  guerriero  e  come  diplomatico, 
tanto  s'  adoperò  per  la  prosperità  della  Chiesa  e  dell'  intera 
società,  che  divenne  una  delle  più  belle  glorie  dell'  Umbria. 

Ritrovai  dappoi  nella  Vaticana  una  copia  in  tutto  con- 
forme a  questo  medesimo  manoscritto,  contrassegnata  col 
n.  6940,  e  dopo  averne  fatta  accurata  disamina,  mi  avvidi 
non  essere  il  nostro  che  una  trascrizione  fatta  su  quell'esem- 
plare stesso  in  miglior  forma.  Del  resto,  se  questo  impor- 
tante codice  cadde  nella  totale  dimenticanza  del  secolo  no- 
stro, era  però  ben  cognito  ne'  tempi  andati.  Onde  Cesare 
Orlandi  {Delle  città  cV  Italia,  t.  II,  Perugia,  1772)  ragionando 
degli  uomini  illustri  di  Amelia,  attesta  aver  dettata  Anto- 
nio Geraldini  la  vita  di  suo  zio  Angelo,  che  trovavasi 
ancora    manoscritta.    E    se  attentamente    si    riscontri    (luel 


42  B.    GEU ALDINI 

tanto  che  scrisse  l'Ughelli  {It.  sac,  t  VI,  Venetiis,  1720) 
relativamente  al  trigesimo  vescovo  suessano  Angelo  Ge- 
raldini,  si  rileverà  ben  tosto  non  aver  egli  fatto  che  un 
ristretto,  abbastanza  esteso,  di  questo  stesso  manoscritto, 
ritenendone  sovente  le  stesse  frasi  e  le  stesse  parole.  Ma  in- 
tanto dall'  essere  così  rimasto  dimenticato  avvenne  che  di- 
menticati fossero  ancora  i  fatti  in  esso  narrati,  e  quindi 
dall'età  nostra,  proclive  anche  troppo  ad  encomiare,  Angelo 
non  potè  riportare  i  ben  meritati  onori,  ancorché  tanti 
titoli  avesse  all'  ammirazione  e  alle  lodi  di  tutti  i  tempi 
come  quegli  che,  al  dire  dello  scrittore  della  sua  vita,  figura 
fra  i  più  grandi  personaggi  dell'epoca  sua.  Pur  nondimeno, 
a  lode  del  vero,  devo  aggiungere,  come  l' esimio  autore  delle 
critiche  osservazioni  sopra  i  punti  controversi  nella  storia  di 
Colombo  (Lazzeroni,  C.  Colombo,  osserv.  crii.,  Milano,  Treves, 
1893)  avuto  il  destro  di  ragionare  dei  due  fratelli  Geral- 
diui,  principali  suoi  cooperatori  all'  immortale  impresa,  e 
scoperte  ancora  nella  Barberiniana  memorie  inedite  sopra 
Angelo  loro  zio,  non  potè  a  meno  di  non  consacrare  a  tan- 
t'  uomo  una  splendida  pagina  che  si  legge  nella  appendice  II 
del  libro  primo,  lasciando  a  me  la  ben  gradita  cura  di  il- 
lustrare le  gesta  di  lui  e  degli  altri  illustri  antenati.  Mi  credo 
quindi  in  dovere  di  rendere  all'  egregio  scrittore  le  più  vive 
grazie  ed  attestargli  somma  e  perenne  gratitudine,  non 
tanto  per  la  stima,  di  cui,  senza  mio  merito,  si  compiacque 
onorarmi,  quanto  pei  solenni  e  giusti  encomi  tributati  cid 
Angelo,  che  qual  sole  risplende  nella  famiglia  Geraldini. 

Del  resto,  nutro  ferma  speranza  che  la  presente  pubbli- 
cazione;, mentre  porrà  in  chiaro  le  qualità  di  Angelo  Ge- 
raldini, non  lievemente  gioverà  all'intelligenza  della  storia 
del  secolo  decimoquinto,  diffondendo  molta  luce  sugli  avveni- 
menti, di  cui  fu  gran  parte,  per  essere  stato  quasi  sempre  al 
fianco  di  ben  cinque  pontefici  e  per  averne  compite  molte  rile- 
vanti e  difficili  missioni.  Godè  tutta  la  fiducia  ed  intimità  degli 
Aragonesi  tanto  del  reame  di  Sicilia,  quanto  di  Spagna,  e  di- 


l 


VITA    DI    ANCIEI.O    CKUALDINI  43 

sbrigò,  per  essi,  affari  della  più  alta  importanza  sempre  con 
prospero  successo. 

Le  cose  di  lui  sono  narrate  dal  nepote  Antonio,  il  quale 
sin  dalla  più  verde  età,  a  quanto  lo  stesso  ci  assicura,  es- 
sendo stato  compagno  dello  zio  ne'  suoi  viaggi,  da  lui  me- 
desimo ne  apprese  i  particolari  e  con  tutta  fedeltà  li  registrò 
per  trasmetterli  ai  posteri.  Senonchè,  1'  egregio  scrittore, 
cosa  veramente  deplorevole,  riportava  gli  avvenimenti  della 
sua  vita  sino  al  31  genuciio  1470,  laddove  Angelo  se  ne  mo- 
riva ai  3  d'agosto  1486.  Così  in  questo  manoscritto  non  si 
parla  degli  ultimi  sedici  anni  del  viver  suo,  il  periodo,  a 
mio  credere,  più  splendido  delle  sue  imprese.  Sembra  che 
11  biografo  non  volesse  lasciare  incompleto  il  suo  racconto  e 
Intendesse  di  protrarlo  sino  tiUa  morte:  per  questo  si  nel  codice 
Vaticano,  che  nel  nostro,  si  vedono  in  fine  tre  carte  in  bianco, 
per  registrarvi,  forse  a  suo  tempo,  il  resto;  ma  impedito  da 
tante  e  gravissime  cure  presso  la  corte  di  Spagna  e  sorpreso 
dalla  morte  tre  anni  appena  dopo  lo  zio,  non  potè  dare  ef- 
fetto a  quel  disegno. 

Ciò  non  ostante,  siamo  fortunatamente  in  grado  di  col- 
mare questa  infausta  lacuna.  Nel  codice  XXXII  delle  Mi- 
scellanee n.  103,  p.  119  della  Barberiniana  si  ritrova  un  pre- 
zioso manoscritto  intitolato  «  De  Viris  Geraìdinis  »,  ove  (men 
diffusamente  però  che  nel  nostro)  narrasi  per  intero  la  vita 
del  vescovo  Suessano.  Quantunque  anonimo,  pure  e  dal  Ja- 
cobilli  {Bibìlotheca  Umbria,  Fulginae,  1685)  e  dall'Orlandi  ci 
viene  assicurato  esserne  autore  Onofrio  Geraldini  de'  Cate- 
nacci quello  stesso  che  pubblicò  l' itinerario  del  suo  prozio  A- 
lessandro  vescovo  di  S.  Domingo;  quello  stesso  che  Prospero 
Mandosi  nella  sua  Bihììotheca  Romana  (Romae,  1682-92),  Cent. 
VI,  n.  99,  chiama  oiriim  notisslmum,  qui  totiis  in  expìicandis  anti- 
quitatibus  fiiit.  Possessore  quale  si  dimostra  d'importanti  me- 
morie relative  alla  famiglia  Geraldini,  senza  dubbio  pervenute 
in  sua  casa  coli'  eredità  dì  Onofrio  del  fu  Riccardo  Geraldini  e 
Cecilia  Busitani,  questo   valente   scrittore   fu    certamente  in. 


41  B.    GER ALDINI 

grado  di  raccórre  tutte  le  notizie  risguardanti  la  vita  dì 
Angelo,  suo  parente;  notizie,  a  cui  senza  riserva  di  poi  s'at- 
teneva il  medesimo  Ughelli  nell'  opera  sopra  citata.  Quindi 
niun  ragionevole  dubbio  può  insorgere  sulla  veracità  di  que- 
sto illustre  scrittore;  e  cosi  da  lui  potremo  conoscere  inte- 
ramente la  vita  di  Angelo,  supplendo  con  ciò  a  quanto 
manca  nel  codice  nostro.  Noi  pertanto  aggiungeremo  gli  ul- 
timi sedici  anni  della  vita  di  lui,  togliendone  da  tale  suo 
scritto  le  notizie  che  trascriveremo  colle  parole  dello  stesso 
biografo.  Renderemo  anche  queste  di  pubblica  ragione,  af- 
finchè si  possa  rilevare  il  carattere  di  queir  Angelo  Geral- 
dini,  il  quale  nella  sua  morte  fu  pianto  universalmente,  a  ca- 
gione degli  alti  suoi  meriti,  e  ritenuto  per  uno  degli  uomini 
più  eminenti  del  suo  tempo.  Lo  attesta  il  Gamurrini  nella  vita 
di  lui  (Fam.  noh.  di  Toscana  e  Umbria,  t.  Ili,  p.  170).  Possiamo 
essere  indulgenti  al  nostro  Antonio  se  preso  d'entusiasmo 
per  il  suo  antencito,  si  lasciò  andare  a  quelle  enfatiche  espres- 
sioni, con  le  quali  chiude  il  suo  scritto,  dove  certamente  non 
fa  difetto  la  retorica  :  «  Debent  igitur  Geraldini  Oliviferi,  Ame- 
«  rini,  Umbrique  omnes  Angeli  nomen  celebrare;  ad  nepo- 
«  tum  memoriam  honoratum  sanctumque  deducere,  ut  As- 
«  sirii  Ciri,  Persae  Darii,  Aegyptus  Ptolomaei,  Romani  Cae- 
«  saris  nomen  servarunt  et  ut  numen  coluerunt  ». 

Frattanto  credo  non  inopportuno  premettere  qualche 
notizia  sullo  scrittore  di  questa  biografia,  voglio  dire. di  Anto- 
nio Geraldini.  Quanto  saremo  per  dire  lo  abbiamo  desunto 
anche  da  Onofrio  Geraldini,  dal  Gamurrini  e  da  altri  accre- 
ditati   scrittori.  Dunque  poche  parole  intorno  a  lui  (1). 

In  Amelia,  antichissima  città  dell'  Umbria,  verso  la  metà 
del  decimoquinto  secolo  ebbe  Antonio  i  suoi  natali  da  Andrea 


(I)  Così  Antonio  al  n.  95  :  «  Gratiosa  maior  natu  nupsit  Andreae  Geraldini  lo- 
hannis,  concivi  optimo,  ex  quo  quatuor  habuit  lìlios,  praeter  ine  ìnìnimum  ».  Se  il 
Gamurrini  e  1'  Orlandi  ed  altri  liiografì  che  parlarono  di  lui  avessero  avuto  sott'  oc- 
chio questa  sua  irrefragabile  testimonianza  suir  origine  paterna  di  se  stesso,  non  a- 
yrebbero  al  certo  detto  esser  lui  liglio  di  Andrea  del  Sognale  ed  in   ossequio  dello 


VITA    DI   ANGELO    (lEllALIMXI  45 

Geraldini  di  Giovanni  e  da  Graziosa  di  Matteo  Geraldini  (1).  Sino 
dai  suoi  più  verdi  anni  attese  con  grande  profitto  alle  belle 
lettere  sotto  Grifone  amerino,  uomo  peritissimo  nella  lette- 
ratura, onde  Antonio  lo  chiama  il  Quintiliano  del  suo  tempo. 
Ed  ecco  un  altr'  uomo,  sconosciuto  pe'  suoi  meriti  letterari, 
che  onora  la  propria  patria  e  1'  Umbria. 

Ancor  giovanetto  venne  inviato  alla  Università  di  Pe- 
rugia, e  quindi  a  sempre  più  raffinarsi  nelle  lettere,  si  recò 
a  Bologna,  a  Fano  ed  a  Firenze:  in  una  parola  frequentò 
1  più  illustri  studi  d'Italia  (2).  Quale  e  quanto  profitto  fa- 
cesse nella  letteratura,  si  può  facilmente  conoscere  da 
que'  suoi  squisiti  versi  latini  composti  nei  più  difficili  metri 
che,  non  ventenne  ancora,  dedicava  al  Pontefice  Paolo  IL 
In  essi  tu  non  sapresti  che  meglio  lodare,  se  lo  stile  forbito, 
ovvero  i  concetti  alti  e  delicati.  Per  ben  quattro  secoli  e  più 
questo  primo  e  leggiadro  parto  del  suo  genio  poetico  rimase 
nascosto  nella  Vaticana;  ma  finalmente  nella  fausta  ricor- 
renza del  giubileo  episcopale  di  S.  S.  Leone  XIII  mi  fu 
dato  di  darlo  alle  stampe,  insieme  ad  altre  sue  poesie  esi- 
stenti nella  stessa  biblioteca.  Ancorché  ci  abbia  a  ridire 
qualcosa  sulle  frequenti  allusioni  mitologiche,  difetto  d' al- 
tronde del  classicismo  di  que'tempi,  e  si  possa  tacciare 
come  troppo  prolissa  qualche  sua  composizione,  menda  peral- 
tro condonabile  alla  sua  grande  facilità  poetica,  non  si  può  tut- 
tavia contestare  a  questa  sua  prima  produzione  purezza  nel 


zio  aver  adottato  il  cognome,  come  più  illustre,  di  sua  madre  Graziosa.  Antonio,  in- 
vece, tanto  per  ragion  di  padre,  che  di  madre,  appartiene  ai  Geraldini,  e  propriamente 
al  ramo  di  Lello,  che  in  me  si  estingue  ;  donde  sì  Giovanni,  che  Andrea  derivarono, 
come  in  seguito  vedremo,  dal  nostro  albero  genealogico. 

(1)  Così  apprendiamo  da  una  sua  bella  elegia,  inserita  nell'opuscolo  da  me  anni 
or  sono  pubblicato:  Antonii  Geraldini  specimen  carminum  (Ameriae,  189:?). 

Tota  tener  complens  non  duo  lustra  puer, 
Tanquam  ad  palladios  l'ueras  transmissus  Athenas, 

Formandum  tellus  te  P  e  r  u  s  i  n  a  tenet, 
Hinc  es  ad  Haemiliae  populos  Fanumque  profectus 

Rursus  ad  Iletruscos  inde  docendus  abis. 

(2)  Al  num.  6  di  questo  manoscritto  espressamente  dice  esser  lui  stato  a  studiare 
in  Firenze. 


46  B.    GER ALDINI 

dire  latino,  classico  sapore  nel  verseg^giare.  Tutte  queste  odi 
risentono  dello  stile  oraziano,  ma  specialmente  la  dedica  al 
pontefice  che  incomincia:  «  Accipit  latum  gremio  Timarum  ». 
L' ode  seconda  al  cardinale  Bessarione,  la  ventunesima  al  car- 
dinale Valentino,  l' ode  finale  sembrano  al  tutto  degne  del 
secolo  di  Augusto,  sia  per  l'eleganza  e  spigliatezza,  sia  pure  per 
sublimità  e  in  alcune  per  grazie  del  tutto  anacreontiche  (1). 

Il  desiderio  poi  di  arricchire  la  sua  mente  di  nuos^e  co- 
gnizioni e  sopra  ogn'  altro  d' illustrarsi  ancora  nella  via  di- 
plomatica, in  cui  il  suo  zio  Angelo  erasi  così  segnalato,  gli 
fece  intraprendere  con  lui  nel  marzo  del  1469  il  viaggio 
della  Spagna,  nell'  occasione  che  esso   veniva   colà   mandato 


(1)  Diamone  qualche  saggio.  Così  scrive  al  Cardinal  Valentino  ; 

Te  natura  t'avens  placidis  amplectitur  ulnis, 

Borgia  progenies. 
Nascenti  vultu  riserunt  cuncta  sereno 

Sydera  fausta  tibi. 
Sparserunt  Charites  tua  per  cunabula  flores 

Lilia  mixta  rosis. 
Effudit  nato  largissiraa  dona  soluto 

ALnter  amica  sinu. 
Accumulantur  opes,  crescit  tibi  copia  rerum 

Atque  operitur  humus 
Inque  genis  gratum  roseis  dedit  alma  decorem 

Gratia  iuncta  Deo,  etc. 

Così  conclude  a  Paolo  II  il  liljro  : 

lara  diu  emissae  celeres  quadrigae 
Finibus  prono  emicuere  cursu 
Carceres  spectant  sua  post  relictos 

Terga  feroces. 
Fraena  laxavit  vagabunda  collo 
Fortis  auriga,  et  rapidos  iugales 
Increpat  verbo  vocitans  anhelo  ad 

Verbcra  pendet. 
Hi  vagos  campi  rapuere  tractus 
Arva  pernici  spatiosa  cursu 
Yix  solum  tangens  quatit  acris  atram 

Ungula  terram. 
Limitem  pulsant  ])ositum  laboris 
Ultimam  cursus  tetigere  metani  ; 
lam  jugis  tempus  madidis  etjuorum 

Solvere  collo,  etc. 


VITA    DI    AN<;EL<)    OEKAl.KINI  47 

dal  re  Ferdinando  di  Napoli.  Ben  presto  niostruvasi  degno  di 
tanto  maestro,  dando  prova  di  straordinario  profitto  e  perizia, 
da  meritare  ben  tosto  di  andare  come  legato  al  re  di  Bosnia: 
quindi  cliiamato  alla  corte  del  re  Giovanni  di  Aragona, 
venivagli  commesso  l' onorifico  e  delicato  officio  di  segretario 
e  consigliere  dello  stesso  sovrano.  In  nome  di  questi  fu  s])edito 
in  qualità  di  ambasciatore  a  Francesco  duca  di  Brettagna, 
ad  Edoardo  re  d'Inghilterra  ed  a  Carlo  duca  di  Borgo- 
gna. Nelle  quali  legazioni  ottenne  sempre  il  più  splendido 
risultato,  onde  il  biografo  della  Barberiniana  soggiunge  aver 
talmente  prosperate  per  opera  sua  le  cose  di  Spagna,  da 
esserne  ad  ogni  buon  diritto  ritenuto  come  la  causa 
della  loro  solidità.  Prosegui  ad  essere  segretario  ed  intimo 
consigliere,  come  era  stato  prima  in  Sicilia,  di  re  Ferdi- 
nando ed  Isabella  aragonesi,  quando  essi  adirono  il  trono  di 
Spagna,  ed  in  quella  circostanza  fu  da  loro  spedito  con  ispe- 
ciale  missione  ad  Innocenzo  Vili,  cui  tenne  un'orazione  ma- 
gnifica, r  unica  che  si  sappia  essere  stata  licenziata  alle 
stampe.  Venuto  così  il  sommo  pontefice  in  cognizione  della 
ben  rara  abilità  del  nostro  Antonio,  lo  faceva  suo  nunzio 
presso  i  medesimi  reali  di  Spagna.  Di  ciò  ci  porge  un  docu- 
mento quanto  irrefragabile,  altrettanto  per  lui  onorifico  una 
medaglia  di  bronzo  in  onore  del  Geraldini  colà  coniata,  esi- 
stente ancora  ai  suoi  tempi  presso  Onofrio  Catenacci  dei 
Geraldini,  nella  quale  intorno  all'  effigie  di  lui  si  leggeva  : 
Aìitonius  Geraldinus  pontifìcius  logotheta,  annaìium  vates:  nel 
rovescio  eravi  raffigurata  la  Religione  col  turibolo  in  mano  e 
imj^ressa  la  epigrafe:  Sancta  rellgio.  Ora,  quel  ponti fiàus  lo- 
gotlieta  ci  attesta  appunto  1'  alta  missione  che  esso  riteneva 
in  nome  del  papa  presso  i  reali  di  Spagna,  poiché  ìogotlieta 
precisamente  significa  colui  che  dà  o  rende  la  parola  del 
principe;  in  una  parola  v'  era  chiamato  nunzio  pontifìcio 
ed  anche  annaìiuni  vates  per  aver  lui  cantato  in  versi  gli  an- 
nali di  Alfonso  d' Aragona. 

Oltre   poi   la   dignità    di   legato   pontificio,   vennero    ad 


48  B.    GERALDINI 

Antonio  conferite  altre  onorificenze  stando  in  Ispagna,  come 
di  conte  palatino,  di  protonotario  apostolico,  di  commen- 
datore della  Badia  di  S.  Angelo  in  Brolo  di  Sicilia  (v.  Ga- 
ra urrini  cit). 

Se  non  che  un'  altra  quanto  mai  propizia  occasione  di 
mostrar  l'acume  e  l'elevatezza  del  suo  ingegno  e  la  grandezza 
dell'animo  suo  porgevasi  ad  Antonio  al  suo  ritorno  dalla  le- 
gazione al  pontefice  Innocenzo  Vili.  Come  ci  viene  riferito 
dall'  illustre  suo  fratello  mons.  Alessandro,  che  con  lui  si  tro- 
vava alla  corte  degli  Aragonesi,  nel  celebre  suo  Itinerarium 
ad  Indos  Orientales,  presentavasi  appunto  allora  a  quella 
corte  Cristoforo  Colombo.  E  dopo  aver  presentato  indarno 
il  grandiosissimo  suo  disegno  ai  re  di  Francia,  d' Inghilterra,  di 
Portogallo  e  alla  repubblica  di  Genova  sua  patria,  finalmente 
veniva  a  proporlo  ai  reali  di  Spagna,  colla  convinzione  che 
quando  da  loro  gli  fossero  forniti  i  mezzi  necessari  al- 
l' impresa,  avrebbe  scoperto  e  conquistato  al  loro  regno  un 
nuovo  mondo. 

Si  sa  bene  quale  impressione  producesse  nei  cortigiani 
così  strana  proposta.  Neil'  universalità  ritenuta  come  una 
vera  utopia,  un  sogno  di  mente  alterata,  ed  anzi  parecchi 
de'  più  ragguardevoli  ecclesiastici  giudicatala  contraria  alla 
Fede,  a  Colombo  sarebbesi  senza  fallo  riserbato  l'esito  che 
incontrò  nelle  altre  corti.  Buoi  per  lui  però,  che  colà  ri- 
trovavasi  Antonio  Geraldini,  la  elevatezza  della  cui  mente 
a,  marcivigiia  li  velia  vasi  con  quella  del  gran  genovese.  Con 
tutta  affabilità  lo  riceve,  con  grande  attenzione  ne  ascolta 
le  ragioni  nella  dolce  lingua  della  propria  nazione,  ed  egli 
ben  tosto  l'apprezza,  intuisce  la  realtà  delle  sue  vedute,  di- 
viene propugnatore  e  difensore  dell'  illustre  ammiraglio  e 
adopra  tutta  l' influenza,  che  illimitata  godeva  presso  i  so- 
vrani, perchè  fosse  ammesso  alla  loro  udienza  e  fosse  ac- 
cettata la  proposta.  L'  efficacissimo  aiuto  di  lui  avrebbe  fi- 
nalmente recato  ad  effetto  le  dimande  di  Colombo  (onore 
per  altro  riserbato   al  suo  fratello  mons.  Alessandro),  se  a 


AHTA   DI   AXGELO    GEUAl.DINI  49 

tanto  patrono  nel  meglio  delle  speranze  una  immatura 
morte,  che  lo  rapiva  nell'agosto  del  1489  (l),  non  avesse 
impedito  di  recare  in  atto  la  grande  impresa.  Attestano  ben 
gravi  scrittori  che  all'annunzio  di  quella  morte  Colombo  non 
potesse  trattenere  le  lagrime,  ed  il  Cancellieri  (Disserta- 
zioni su  C.  Colombo,  Roma,  1809),  ricorda  come  esso  por- 
tasse lungamente  nell'animo  sì  grande  perdita  (2).  E  aveva 
ragione  ;  poiché  con  lui  veniva  a  perdere  il  potente  so- 
stegno, anzi  il  tutto  presso  la  corte;  talché  al  suo  morire,  a 
quanto  ne  assicura  mons.  Alessandro,  si  vide  ben  tosto  da 
tutti  abbandonato  e  costretto,  per  non  mendicare  il  vitto,  a  ri- 
fugiarsi presso  i  frati  della  Rabida.  L'essersi  Antonio  cosi 
energicamente  adoperato  per  TAlmirante,  nel  mentre  eh'  era 
questi  nella  corte  vilipeso  ed  osteggiato,  non  dimostra  chia- 
ramente l'elevatezza  della  di  lui  mente  e  la  magnanimità 
del  suo  cuore?  Basterebbe  questo  solo  a  rendere  caro 
il  suo  nome. 

3Ia  quello  che  rese  degno  dell'  immortalità  il  nostro 
antenato  é  la  valentia  veramente  straordinaria  nelle  let- 
tere. 

Già  noi  lo  vedemmo  non  ancora  ventenne,  cioè  prima 
del  1469  (essendo  poi  passato  in  Ispagna)  dedicare  a  Paolo  II 
quelle  classiche  poesie  non  indegne  del  secolo  di  Augusto  : 
ora  devo  aggiungere  che  la  sua  valentìa  sopra  ogn'  altro 
neir  arte  poetica,  quell'  estro  in  verseggiare  latino  con  tanta 
grazia  e  facilità  gli  meritarono  poco  appresso,  a  soli  venti- 
due anni,  la  poetica  corona  presso  la  corte  di  Spagna.  Ecco 


(1)  Onofrio  Geraldini  dei  Catenacci,  seguito  dal  lacobilli,  pone  la  sua  morte  nel 
148S  :  però  dalla  lettera  di  Pietro  Martire,  di  cui  ragioneremo  in  seguito,  diretta  ad 
Alessandro  Geraldini,  che  ha  la  data  del  23  agosto  14S9,  chiaramente  rilevasi  essere 
appunto  in  quell'anno  e  in  quel  mese  trapassato  mons.  Antonio  sui  trentanove 
anni  e  non  già  di  trentadue;  perchè  in  questo  manoscritto,  ultimato  nel  1470, 
dice  di  essere  stato  già  coronato  poeta  di  ventidue  anni;  nell'SS  non  ne  avrebbe 
potuto  aver  trentadue. 

(2)  Vedi  l'opuscolo  illustrato  «  L'Umbria  all'  Esercito  »  all'  articolo:  Cristoforo  Co- 
lombo e  l  fratelli  Geraldini  di  Amelia,  Roma,  Tip.  del  Senato,  1892,  p.  36. 


50  B.    GER ALDINI 

com'egli  stesso  parla  dell'insigne  onore  a  lui  conferito: 
«  Avendo  io  scritto  nel  primo  fiore  della  mia  giovinezza  in 
istile  bucolico,  elegiaco,  satirico,  lirico  ben  quattrocento 
ventimila  versi  (tanto  ferace  era  il  suo  estro  poetico!), 
nonché  novantotto  orazioni  e  dugento  trenta  epistole  fami- 
gliari, finalmente  giunto  nella  Spagna  inferiore  per  ordine 
dell'  invitto  re  d' Aragona,  da  Ferdinando  re  dell'  ulteriore 
Sicilia  e  figlio  di  lui  primogenito  e  d'Isabella  principessa 
di  Sicilia  e  nuora  del  medesimo,  in  un  grande  convegno  di 
nobili,  grandi  e  magnati,  fui  fregiato  con  immenso  plauso^ 
nel  ventiduesimo  anno  dell'età  mia,  della  laurea.  Del  qual  serta 
meritarono  d'esser  insigniti  solo  gl'illustri  poeti  e  capitani 
delle  milizie  nel  loro  terrestre  trionfo  ». 

Delle  principali  opere  sue  poetiche,  monumento  insigne 
del  suo  ingegno,  il  medesimo  Onofrio  dava  un  elenco  nella 
stesso  manoscritto  della  Barberiniana,  delle  quali  opere  non. 
furono  consegnate  alle  stampe  che  dodici  elegie  «  D e  vita 
Christi  »,  giudicate  molto  eccellenti  da  Apostolo  Zeno  e 
dagli  autori  da  lui  citati,  talché  egli  deplorava  che  soltanto 
quelle  siansi  stampate  (V.  Tieaboschi,  St.  della  leti,  ital.,  t,  VI, 
parte  2%  XXXV,  Milano,  1822-26).  Una  copia  di  queste  elegie 
fu  da  me  trovata  presso  la  biblioteca  Angelica  in  Roma.  Ec- 
cone i  titoli  riportati   dal  sopracitato  scrittore  : 

«  De  nativitate  Domini.  —  De  Regum  adoratione.  —  De 
perquisitione  facta  a  Maria  matre  Dei  et  losepho.  —  De  Bap- 
tismate.  —  De  Miraculis.  —  De  institutione  Sacramenti  Eu- 
charistiae.  —  De  Passione  Domini,  de  Resurrectione,  de  Ascen- 
sione. —  De  Spiritus  S."  missione.  —  De  ultimo  judicio.  — 
De  vita  beata.  —  Volumen  alterum  cui  nomen  Epodon  seu 
sacrorum  libri  duo.  —  Libellus  in  quo  poenitentialis  psal- 
modia  in  Carmen  latinum  aptissime  est  versa  (Haec  apud 
Barberinam  reperitur).  —  Fastorum  libri  Ferdìnandi  Catho- 
lici  Hispaniarum  regis.  — ■  Orationum  volumen.  —  Eius  lau- 
rea. —  lUustrium  virorum  sui  temporis  praeconia.  —  Par- 


VITA    DI    ANGELO    GEKAI.IUNI  .)I 

thenopes.  —  Ilispania.  —  Corvus  Noianus.  —  Riventum.  — 
Et  alia  multa  variaque  carmina  ». 

Fin  qui  il  Catenacci.  —  A  queste  opere  si  devono  ag- 
giungere :  «  Paulo  II,  Liber  carminum  »  che  fu  fatto  da  me 
stampare  nel  libretto  che  intitolai:  «  Antonii  Geraldini  spe- 
cimen carminum  »,  al  quale  aggiunsi  un'egloga  sulla  famiglia 
Geraldini  inserita  nel  nostro  manoscritto  ;  nonché  due  elegie, 
in  una  delle  quali  finge  il  poeta  che  sua  madre  gravemente  si 
lamenti  per  la  sua  lunga  lontananza,  nell'  altra  risponde 
alle  sue  querele.  Finalmente  fra  queste  opere  deve  registrarsi 
il  manoscritto  che  noi  adesso  facciamo  di  pubblica  ragione: 
«  De  vita  R.mi  in  Christo  Patris  Angeli  Geraldini  Episcopi 
Suessani  et  de  totius  familiae  Geraldinae  amplitudine  ». 

Avendo  suo  fratello  mons.  Alessandro  Geraldini  dato 
notizia  a  Pietro  Martire  d' Anghiera  dell"  immatura  di  lui 
morte,  questi  gli  scriveva  una  lettera  di  consolazione,  la 
quale  può  considerarsi  come  l'orazione  funebre  di  tant'uomo, 
come  r  eco  della  fama  che  meritamente  erasi  acquistata  in 
tutta  la  Spagna.  In  questa  lettera  ci  è  dato  altresì  di  rile- 
vare un  altro  insigne  merito  del  nostro  Antonio,  d'essere  cioè 
stato  in  tutto  il  maestro  e  la  guida  al  suo-  fratello  Alessan- 
dro, il  quale  alla  scuola  di  tal  precettore,  tanto  si  segnalò 
anch'  esso  nella  letteratura  e  nella  diplomazia  ;  a  lui,  in  una 
parola,  dobbiamo  Alessandro. 

Poiché  non  è  cosi  agevole  l'aver  fra  le  mani  le  lettere  di 
Pietro  Martire,  non  credo  far  cosa  inutile  se  qui  per  intero 
la  trascrivo.  Questa  é  la  settantesima  del  libro  II  delle  sue 
lettere  e  porta  la  data  del  23  agosto  1489,  ove  appare  a  ma- 
raviglia la  somma  stima  dell' Angirese  pel  nostro  poeta 
laureato  (D'  Axghiera  Pietro  Martire,  Opus  eppy^  a  cura  di 
G.  Berchet,  Roma,  1893). 

«  P.  M.  A.  M.  — •  Alexandre  Geraldino  praeceptori  minorum 
filiarum  regiarum  de  morte  Antonii  fratris  eius  Protronotarii. 

«  Exutum  veste  mortali  fratrem  tuum  Antonium  Geral- 
dinum  Prothonotarium  significasti,  mi  Alexander;  te  propte- 


52  B.    GERALDIXI 

rea  vitam  fore  post  hoc  acerbam  amaramque,  dum  vixeris, 
acturum  dicis  extra  patriam.  In  ilio  fratre  parentem  tuae 
peregrinationis  callidum  ductorem,  aetatis  tuae  moderatorem 
eximium  amisisti,  fateor,  et  vitae  magistrum.  At  si  felicita- 
tem  illius  tuumque  comodum  cura  incomodo  pensaveris,  si 
illuni  tu  aequa  lance  viventem  observasti,  uti  decuit,  araor- 
que  ipsius  erga  te  intimus  promerebatur,  nihil  invenies  pro- 
pter  quod  torquere  te  debeas,  aut  prosternere.  Sub  tutelatu 
illius  tanquam  veri  parentis,  agens  mollis,  blanditiosus  tener 
enutriebare  adeo  ut  grandaevus  effectus  non  minus  Mare 
tuum  fuisset,  quani  quum  mammas  peteres  infans.  Naviga- 
bas  tu,  ilio  tuam  navim  per  fluctus  regente  securus,  profun- 
dum  dormiebas,  nulla  tibi  erat  de  te  ipso  cura,  nulla  de  fu- 
turo sollecitudO;,  inermis  ad  negotia  humana,  virique  officia, 
deliciosus  surgebas.  Utilis  igitur  non  incomoda  fuit  illius  tras- 
raigratis.  Disces  namque  per  te  ipsum  vivere,  nullo  (extra 
te)  duce  gubernari.  Polles  ingenio,  rerum  experientia,  si  vi- 
tam annos  aliquot  excolueris  in  virum  evades  prudentem. 
Excutit  naturam  dormientem  necessitas,  artes  invenit,  quibus 
homines  emergunt.  Haec  de  te  multaque  alia,  quae,  ne  pro- 
lixus  videar,  est  consilium  praeterire.  —  De  ilio  autem  quid 
est  cur  doleas,  quod  ex  teterrima  valle  miserrimoque  specu,  ad 
splendidas  lucidasque,  ac  summis  gaudiis  et  felicitate  oppletis- 
simas  aethereas  sedes  evolaverit  f  Invidere  tuum  erit.  Creaverat 
Deus  heroicam  illam  animam,,  illam  doctrina  multiplici  refertis- 
simam,  Tiarmonia  coelesti,  poetica,  oratoriaque  vite  cultam  ut  iri 
eam perditam  pateretur  ?  Qualis  eratlyricis,  quanto  pede  libero  in- 
surgebat?  Quis praeterea  divini  cultus  ilio  curiosior,  qu's  Creatoris 
amantior  f  Cum  itaque  extra  patriam^  idest  in  hac  peregrinatione, 
Deum  tota  mente  coluerit,  amaverit,  adoraverit  ;  ipsius  Dei  iustitia 
liquefieret  nisi  mine  illum  in  proprio  sinu,  super  choros  coelestes, 
gaudentem,  beatumque  Deus  ipse  foverit.  —  Temperato  igitur, 
ratione  media,  quod  est  ali  quando  tempus  deleturum.  Vale. 
Ex  meo  tentorio  X  Kalend  :  sept.  MCCCCLXXXIX  ». 


63 


ANTONI  I     GERALDINI 

AMERINI   POETAR   LAUREATI 

DE   VITA   Olii   IN  CHSTO   PATBIS  ANGELI   GEBALDINI 

EPISCOPI     SLLiSSAM 
ET    DE    TOTIUS    FAMILIAE    GERALDINAE    AMPLITIDINE 


«•  i-  1.  —  Dicturi  de  vita  amplissimi  Patris  Angeli  Geraldiui  Ame-    Proemio, 

riui,  Pontificis  Suessaui,  nou  erit  si  quaedam  de  Ameriae  patriae 
conditore  priiis  altius  reteremus,  deinde  de  antiquitate,  ac  prae- 
stautia  Familiae  Geraldiuae,  in  qua  idem  priuceps  et  instaurator 
5  fuit,  cum  ejus  vita  conjnncta  nonnulla  subuectemus,  quae  pri- 
scorum  annalium,  quorum  ea  potissimum  causa  studiosi  indaga- 
tores  fuimus,  exemplo  et  auctoritate  comprobantur. 

De   Ameriae    conditore. 


2.    —    Ameria,   Plinio   referente   Catonis   testimonium,    condita    Amerio  fon- 
fuit  post  nonigentos  sexaginta  quatuor  annos  ante  bellum  Persei,    md'i'a.'^avant- 

10        quem  debellavit  Paulus  ^Emilius,  teste  Eusebio  de  temporibus,  non   J^^  (ii"Roraa' 
multo   ante   septiugentesimum   aunum    ab    Urbe   condita.  Constat 
itaque  Ameriae  praedictae  erectionem  fundatiouem  Romae  ducentis 
aunis  precessisse  (1).  Illam,  ut  ait  Festus  Pompejus,   Amerius  con- 
ditor  a  suo  nomine  sic  appellavit. 

15  Habet  post  terga  a  septentrione  altissimos  Umbriae  montes,  quin- 

decim  millibus  passuum  coutinuis  jugis  in  ea  parte  se  protenden- 
tes.  Ipsa  in  medio  ad  corum  radices  sita,  in  quodam  amoenissimo 
colle  a  laeva  a  Nare  fluvio,  a  dextera  a  Tiberi  pari  quinque  mil- 

*  e.  0.    lium  spatio  distat.  Et  ad  quintum  lapidem  *  e  fronte  Nar  in  Tibe- 


Toiiografia. 


(1)  Lo  storico  Orlandi  (op.  cit.  II,  1)  dalla  stessa  data  di  Plinio  e  dal  computo  fatto  da 
Stefano  il  grammatico  deduce,  che  la  fondazione  d'Amelia  precedesse  di  circa  3Ó0  anni 
quella  di  Roma.  Anzi  soggiunge,  come  il  dottissimo  Bernardino  Mandosi  in  una  sua  dis- 
sertazione, ancor  manoscritta,  intitolata  «  De  Ameria  Civitate  antiquissima  in  Umbria  », 
attesti  sopra  documenti  ritrovati  in  Germania,  essere  questa  settecento  anni  più  antica 
di  Koma.  Il  che  a  maraviglia  confermasi  dalle  stesse  mura,  come  meglio  vedremo  in 
apposita  appendice.  Secondo  il  citato  Mandosi,  il  fondatore  d'Amelia  sarebbe  stato  un 
re  degli  Aborigeni  chiamato  Amiro.  Nella  guerra  di  Turno  contro  Enea,  avendo 
parteggiato  pei  Rutuli,  la  città  presa  a  forza  da'  Trojani,  sarebbe  caduta  in  potere 
degli  Etruschi  e  sotto  il  loro  giogo  rimasta  sino  a  Tullio  Ostilio. 


54 


B.    GER ALDINI 


20 


La  rocca 
d'Ilio. 


Le  antiche 
mura. 


30 


35 


40 


45 

•  e.  3. 


50 


rim  deflueus  ante  ipsam  urbera  triaiiguli  speciem  praestat,  quam 
oram  prisci  Sabini,  Plinio  attestante,  iucoliiere.  Fuitque  omnis  ille 
ag-er  araerinus,  ut  patet  in  oratione  Marci  Tullii  Ciceronis,  quam 
prò  Sexto  Koscio  amerino  habnit,  in  qua  qnidem  asserii  Sex  :  Ro- 
sciura  tresdecim  latissima  praedia  juxta  Tiberini  possedisse. 

3.  —  Amerius,  de  quo  superius  meutionem  fecimus,  centum 
annos,  postquani  Albae  regnum  caeptum  est,  ex  Aeneadum  semine 
ortus  Ylionem  ^Eneae  socium  inter  auctores  generis  referens,  as- 
sequutus  est  a  regibus  albanis  Umbriae  partem,  quam  diximus 
trianguli  similitudinem  referre.  Dumque  in  clivo,  qui  magis  regiae 
sedi  videbatur  aptus,  ut  urbem  fundaret,  erexit  in  ejus  vertice 
arcem  altissimam,  et  in  exangulam  turrim  coelo  equavit,  cujus 
pars  major  hodie  perstat.  Arcem  vero  Ylioneum  noncupavit,  ut  Ylio- 
nei  progenitoris  sui  nomeu  apud  posteros  celebraret. 

Restitìt  etiam  in  hunc  usque  diem  uomen  arcis  in  porta  civi- 
tatis,  per  quam  subsidium  arci  inducebatur.  Quae  porta  Ylionei 
dicitur. 

4.  —  Remanserunt  quoque  in  haec  tempora  muri,  quibus  fun- 
dator  ipse  et  ejus  propago  urbem  cinxit.  Quos  nisi  per  summam 
pacis  tranquillitatem,  quam  sibi  studiosissime  intra  et  extra  regnum 
compararunt,  erigere  non  potuissent. 

Quippe  qui  nec  vetustate  labi  nec  uUo  bellorum  turbine  everti 
potuerunt,  sicut  impossibile  videtur  humanis  viribus  eductos  in 
altum  fuisse.  Sunt  enim  constructi  e  saxis  durisslmis,  vastae  molis, 
non  rectis  lineis  coeuntibus,  nec  quadratis,  sed  varias  linearum 
formas  in  structura  referentibus,  ita  tamen  composita,  et  conglu- 
tinata *  sunt,  ut  vix  eorum  juuctura  dignoscatur.  Nec  alia  Europae 
urbs  nec  ipsa  quidcm  Roma  se  talibus  circumdatam  moenibus 
fuisse  jactare  potest.  Neque  longe  aberraremus  si  post  septem  orbis 
mirabilia  aedificia,  quorum  prisci  scriptores  suis  operibus  memi- 
nerunt,  amerinos  muros  octavum  adnumeraverimus  (1). 


(1)  L'autore  che  ciò  opina  non  conosceva  al  certo  le  mura  monumentali  d'A- 
latri,  a'  suoi  tempi  in  gran  parte  sepolte,  le  quali  finalmente  ai  giorni  nostri  per  im- 
pulso specialmente  dell' alatrino  mio  amico  signor  canonico  de  Persiis  e  per  l'inde- 
fessa cura  del  valente  archeologo  senator  Pietro  Rosa,  che  con  somma  sagacia  ne  re- 
golò gli  scavi  a  spese  dello  Stato,  rividero  la  luce  e  si  possono  ammirare  nella 
^or  primitiva  costruzione  Tra  queste  stiipende  mura  ed  una  cinta  delle  mura 
amerine  appartenenti  alla  terza  epoca  intercede  tal  simiglianza  di  tecnica,  che 
diresti  avere  esse  avuto  lo  stesso  architetto  ed  1  medesimi  fondatori.  Però  presso 
di  noi  esiste  altra  cerchia  che  ci  attesta  la  civiltà  delle  prime  epoche,  come  vedremo 
nell'appendice. 


VITA   DI   ANGELO    OEUALDIXI  5i) 

5.  —  Tdein  Ainerius  et  oninis   ejus    proles   maxime  olivam   ar-     l-e  insegne, 

dai  rami 

borem  in  deliciis   habueruut,  recordati   Yliouein    oratorem   Jliieae       <i'  olivo, 
principem,  cuni  aliis  oliva  velatis  accessisse   ad   Latinum,    et  pri- 
mum  loqiiiitmn  pacem  impetrasse,  ut  ait  Maro  in  septimo,  centum 

55  oratores  angusta  ad  moenia  regis  ire  jubet  ramis  velatos  Palladis 
omnes.  Et  subinde  et  dieta  Ylionei  sit  voce  sequutus  :  «  Rex  genus 
eg-res'inm  Fauni  »  et  reliqua.  Xec  non  Xuma  Pompilius,  quern  ex 
Curibus  parvo  priscorum  Sabinoruni  oppido  decimum  octavum  la- 
pidem  ab  Ameria,  ad  romanum  regnum  post   Komuli  morteni  ac- 

GO  citum  fiiisse  legùmus,  pacis  studiosus,  oliva  pacis  praenuntia  usus 
est,  ut  idem  poeta  refert  in  sexto  leneidos:  Quls  procul  Illa  au- 
tem  ramis  Insignis  olivae,  Sacra  ferens  nosco  crines  incanaque 
menta  —  Begis  romani  et  reliqua,  et  deinceps  :  Cui  deinde  subibit  oda, 
qui  rumpet.   Dixit  autem  ocia  qui    rumpet,   quia  reg-ente  Xuma 

65  semper  laui  limiua  fueruut  clausa,  cum  reg-num  bello  fremente 
I^acavit,  Urbem  seditionibus  vacuam   tenuit,  cum    finitimis  pacem  " 

*  e.  4.  habuit;  Eg-eriae  Nimphae  monitu  leg'es  *  et  judicia  Populo  Komano 
coustituit.  Quorum  sub  observantia  et  timore  sub  perpetua  pace 
quirites  couquiescerent.  Haud  multo  post  Xumae   regnum   Amerii 

70  regis  et  couditoris  nepotes,  non  a  majoribus  suis  uUa  uuquara 
in  re  degeneres  in  Romam  cives  adscripti,  muneribus  et  honoribus 
reipublicae  perfuncti  sunt.  Et  semper  pareutum  more  pacis  et  quietis 
studiosi,  ut  Ylionei,  qui  praetendens  paciferae  olivae  ramum  Lati- 
num yEueae  conjunxit.  Et  tamen  sublimis  imperii  ^Eueadis  causa 

'75  fuit,  et  Amerii  ac  Xumae,  qui  regna  in  pace  adservarunt  merao- 
riam  ad  successores  proferrent,  ut  eos  per  illorum  vestigia  ad  pacis 
mauutentiouem  illicereut,  oliva  prò  insigne  usi  sunt.  Addiderunt- 
que  tria  astra  circum  oleam  piugenda  sive  ut  Jovis,  Phoebi  et  Ve- 
neris  clemeutia  sydera   uotarent.  Quae,  Jlioneo  ad  fereudam  cum 

80  latinis,  et  Amerio  ac  Xumae  ad  regna  in  pace  conservanda  dextero 
aspectu  faverent,  sive  ut  tres  prefatos  qui  perinde  ac  stellae  suis  sae_ 
culis  claruerunt  posteris  imitandos  ad  pacis  studium  persuaderent. 
Interea  eadem  stirpi  non  minus  Romae  quain  Ameriae  in  aviti g 
sedibus  sub  olivifero  cog-nomine  floruit. 

85  5.  —  Usque  ad  Geraldum  insiguem  jureconsultum,  qui  ex  ea-      Geraldini 

dem  progenie  originem  duxit,    ejus    progeniti   Geraldini    Olivifer^      Ohvifen. 
noncupati  sunt.  Veruni    magis    celebre   illud   recentius   coguomen 
Geraldinorum  apud  omnes  fuit,  praeter  quam  apud  Geraldum  Ge- 
raldi  nepotem.  Qui  sub  Quinto  Flaminio,  qui  Insubres  devicit,  mi- 

90  litans  Oliviferum  cognomen  Mediolauum  cum  familia  transtulit' 
et  ejus  miuores  hodie  avitum   insigne   atque   coguomen   olivarura 


B.    GÈ  R ALDINI 


GeraUlini 
in  Bologna 


GeraUlini 
di  Irlanda. 


retinent.  Sed  proprio  uomiue  fere  omues  ejusclem  generis  alumnt 
Geraldini  vocantur. 

•  e.  5.  H.  —  Multi  '^  dum  Bououia  in  Romanorum  colonia  deducta  est,  in 
95        illam  urbem  penates    patrios    transtulerunt.    Perraanentque  adhuc 

foecunda  eorum  semina.  Ex  illorum  quoque  stipite  deductus  est 
uobilissimus  ille  Clirisogonus,  Sexti  Roseli  Amerini  inimicus,  de 
quo  Cicero  in  rosciana  oratione  memiuit,  qui  deinde  sub  Svila  di- 
ctatore  militavit.  Et  debellatis  Fesulis  cum  aliis  militibus  syllanis- 
e  in  Firenze.  100  iuxta  Arnum  fìuvium  consedens,  inter  Florentiae  conditores  recen- 
sentur,  ac  perpetua  sui  generis  pignora  illic  propagavit.  Quae,  in 
liane  nsque  aetatem  Geraldinum  coguomen  tenuerunt.  Atque  ego 
dum  Florentiae  studerem,  illorum  annales  vidi,  qui  mihi  latinam. 
banc  historiam  extendendam  iter  aperuerunt. 

105  7.  —  Eiusdem  propagiuis   palmites   iu   Hyberniam   iisque  per- 

ducti  snnt,  patriamque  appellationem  adhuc  servant.  Cum  euinx 
Cajus  Caesar,  superatis  Gallis  Renum  transisset,  delude  victis  Ger- 
manis  ad  Britandos  tetendisset,  posuissetque  Oceano  jugum,  Ge- 
raldiuos  coeptorura   socios  in  praemium  tot  bellorum,   quos  secuiu 

110  gesserat,  Hibernia  insula  donavit.  In  qua  etiam  uostris  tempo- 
ribus principatum  teneut,  ac  saepe  numero  ad  Angelum,  de  quo- 
inferius  dicendum  proposuimus,  literas  dederunt,  tanquam  ad  con- 
sanguinitate  conjunctum,  eodem  cognomine  subscriptas  (1). 

8.  —  Hujus  vero  familiae,  quam  tanquam  altissimam  et  feracis- 

115  simam  arborem  inter  tot  orbis  regiones  ramos  et  brachia  proten- 
disse    non    contemneudis    scriptorum    testimoniis  comprobavimus^ 

•  e.  6".  ■»  praecipui  truuci  radices  et  verae  originis  pignora  iu  avitis  Ame- 
riae  sedibus  recto  tracto  subuluerunt.  Ejus  foetus  sublimis  in  ex- 
timatione  summoque  in  praecio   permulta   saecula  semper   consti- 

120  terunt.  Verum  deinde  fortunae  turbine  oppressa  arescere  coepit^ 
et  paullatim,  deficiente  robore,  humo  aequari  (2).  Donec  tempestate- 


Genitori 

di    Angelo. 


(1)  Checché  ne  sia  di  questo  ramo  della  famiglia  Geraldini  emigrato  in  Irlanda,  è- 
fuor  di  controversia  la  sua  esistenza  in  quelle  regioni,  sotto  il  nome  (a  quanto  as- 
serisce Mons.  Rocco  Cocchia  «  Cristoforo  Colombo,  e  le  sue  ceneri  »  p.  77)  di  Fitz  Ge- 
rald. Ai  tempi  di  Elisabetta  figlia  d'Arrigo  Vili  ancora  ritenevano  i  Geraldini  il  prin- 
cipato d' Irlanda,  ed  eroicamente  contro  lei  combattei'ono  per  la  fede,  come  estesa- 
mente racconta  il  Gamurrini  nella  storia  dei  Gherardini  di  Firenze.  Egli  li  ritiene  come 
consanguinei  ai  Geraldini  di  Amelia,  sebben  li  creda  derivati  da  Firenze.  Ciò  non 
concorda  punto  con  quanto  attesta  Mons.  Antonio,  assai  meglio  di  lui  informato.. 
Tutti  i  rami  della  stirpe  Geraldina,  a  suo  dire,  originarono  d'Amelia,  donde  poi  este- 
sero le  loro  propagini  nelle  altre  contrade,  come  in  Firenze,  Cento,  Bologna,  Milano 
ed  anche  in  Irlanda. 

(2)  Nel  ms.  Aquari. 


VITA   DI    ANGELO    GERALDINI 


57 


nostra  Matheus  Geraldinus,  tauquam  revirescens  oleastri 
stipes  nova  domui  Geraldinae  germiua  emisit.  Et  unum  praecipue 
sub  cujus  umbra  polulantes  alii  surculi  mirabiliter  foti  in  coelum 

125  usiue  cacuinina  substulerunt.  Is  luit  prudens  et  optimus  oiniiiuiu, 
qui  sua  aetate  vixerint,  Elisabettaiu  Geraldam  non  minoris  i)ru- 
dentiae  nec  dissimilem  moribas  uxorem  duxit,  christianae  reliyio- 
nis  divinique  cultus  non  miuus,  quam  ipse  observautissimani,  quae 
in  line  noui  mensis  post  conceptionem  g-ravesceret,  seque  nixibus 

130  prepararci,  anxia  prae  desiderio  pariendi  marem  prò  se  quaindam 
fatidicam  probaeque  vitae  mulierem  exoravit,  Deo  preces  et  sup- 
plicia  ut  fuuderet  quo  voti  compos  fieret.  Ipsa,  ut  reor,  spiritu 
afflata,  vigilaus,  vidit  in  ea  domo  ubi  genitrix  paritura  degebat, 
spleudidissimuin  palatium  sumptuoso  opere  extemplo  mirifice  ere- 

135  ptum,  cujus  in  aula  aeria  fixa  erat  cathedra,  in  qua  sacerdos  pon- 
tificalibus  ornamentis  indutus  et  mitram  in  vertice  g-erens  residebat. 
Ad  eam  visum  cum  praesagio  retulit. 

•e.  7.  9.  —  Mater  vero  per  quietem  vidit  iu  hortulo  suo  domui  -  cou- 
tig'uo  oleara  nasci  ex  quodam  trunco,  cujus  e  corticc  g-ermen  erupit 

140      foecundum,  quod  postea  stelligerum    olympura  vertice  contiug'ere 
visum  est,  extendens    ramos   et   brachia    late,  circumdabatque  so 
lum,  quod  viridi  umbra    tegebat:    deinde   albaria    nitidis   flammis 
illustrabat  et  ausonium  g-enus  foecuudabat  fructu  olivi,  cui  omnia 
balsama  cedebant. 

145  Sequenti  luce  quarta  bora  ante  solis  occasum  anno  a  christiano 

natali  millesimo  quadrig-entesimo  vig-esimo  secundo  (1),  quarto  ka- 
lendas  Apriles  enixa  est  puerum,  existente  love  in  medio  caelo 
et  Phoebi  sydus  amice  vultu  intuente.  Ex  quarum  convenientia,  et 
sapientiam  et  principatus  sub  eorum  afflata  orieutibus  influuut  (2). 

150  10.  —  Primogenitura  filium  pientissimi  parentes,  postquam  sacri 

Baptismatis  rore  perfusus  est,  Ang-elum  nominaruut,  unice  coluerunt. 
Et  desterà  indulgentia  summoque  affectu,  quibus  poterant,  in  de- 
liciis  ipsum  infantem  educarunt,  ac  probis  moribus  instruxerunt; 
dehiuc  pueriles  ingressum  annos,  Magistro  de  Claravalle,  viro  do- 


Visione 
rifi'rita   alla 
madre     par- 
toriente. 


Altra 
visione. 


Nascita 
di  Angel».- 


Sua  prima 
educazions^ 


(1)  Invece,  attenendoci  noi  con  più  ragione  alla  lapide  sepolcrale  di  Mons.  An- 
gelo, nella  quale  si  dice  esser  egli  morto  ai  3  agosto  148G  dopo  aver  vissuto  anoj 
settantaquattro,  mesi  quattro  e  giorni  5,  lo  dovrem  dire  nato  ai  29  marzo  del  \4\2  ; 
e  quindi  per  una  svista  del  biografoj  o  non  piuttosto  deli'  ammanuense  si  pose  la  sua 
nascita  al  1422,  cioè  dieci  anni  dopo. 

(2)  Lo  scrittore  in  questo  passo  ed  anche  in  qualche  altro  non  si  mostra  de' 
tutto  libero  dai  volgari  pregiudizi  de'  suoi  tempi. 


58 


B.    GERALDINI 


Segue 
il  capitano 
Alessandro 

Sforza. 


170 


Intraprende 
gli  studi 
letterari.        175 


Va  alla 

scuola 

-del  Filelfo 

in  Siena. 


155  ctissimo  et  in  primis  moralissimo  in  iug-euuas  artes  erudiendum 
tradiderunt.  At  vero  ciim  et  animi  et  corporis  vigore,  et  eloquentia 
ultra  quam  credibile  est,  coetaueis  praestaret,  et  illis  iu  pueri- 
libus  praeliis  dux  esset,  praecipiie  in  certamine  lapidum  et  can- 
narum  ludo,  a  quibiis  vix  poterat  a  praeceptore  cohiberi. 

160  11.  —  Miliciae  studiosus,  cum  Alexander  *  Sfortia  militum  dux  prae- 

*  e.  cS.    ter  moenia  urbis  cum  exercitu  transiret,  parentibus  insciis,  eis  se  puer 

addixit  ipsiusque  castra  sequutxis  est  ad  camere  cultum  receptus. 
Post  sex  mensibus  a  parentibus  revocatus,  cum  post  reditum  e  mili- 
tia  videret  se  ab  aequalibus  literarum  eruditione  superatum,  ferra 

165  non  potens,  Perusium  recta  conteudit.  Ubi  Guidus  ex  quadam  parva 
insula  Trasimeni  lacus  in  Etruria  oriundus,  latinas  tunc  literas 
edocebat.  Dumque  Tuderti  per  iter  in  diversorio  quietera  sumeret, 
sopitus  vidit  iu  laboribus  (?)  patriis  altissimas  aedes,  quae,  laquea- 
ria  et  culmina  haberent  aurea  sibi  quidem  erectas.  Ita  tamen  an- 
gusti eraut  primi  gradus,  per  quos  erat  asceudendum,  ut  vix  siae 
praecipiti  lapsu  superari  possent,  et  quo  altiores  erant  minus  arcti 
videbantur,  per  quos  omnis  dum  magna  cum  difficultate  passim 
obrepebat,  obuitens  tandem  ad  latiores  gradus  se  multa  vi  ferebat, 
et  sudans  demum  ad  fastigium  aedium  evexit.  Quod  dificultatem 
primorum  studiorum  significare  videbatur.  Eventam  tamen  toti 
generi  fertilem  et  gloriosissìmum  fore  (1)  pertendit.  Experge- 
factus  ante  lucem  iter  sequutus,  Guidumque  praeceptorem  adivit. 
Nec  multo  postea,  ubi  se  profecisse  non  parum  cognosceret,  cupi- 
dissimus  gloriae,  quae  virtutis  est  stimulus,  ea  potissimum   causa 

180       patriam  revisit,  ut  literatura  se  superiorem  coevis  ostenderet. 

12.  —  Verum  adolescens  ipse  virtutis  amore  naturali,  ac  potius 

*  e.  9.    supernae  ispirationis  impulsu  *  iucensus  flagrabat,  non   diu   Inter 

parentum  complexus  consistere  potuit.  Sed  mox  cum  celebre 
Francisci  Philelphi,  facundissimi  oratoris,  gravissimique  philosophi 
uomen  audisset,  qui  ea  tempestate  forte  Senis  latiuae  literaturae 
185  volumiua  explanabat,  ad  eum  properavic,  ut  ejusdem  sub  disciplina 
literis  operam  daret.  Audivit  ab  eo  nonnulla  ex  poesis  oraroriaeque 
facundiae  praeceptis  et  racionibus. 

(Continua). 


(1)  Il  ms.  ha  fere. 


59 


UN'OPINIONE  DEL  BARTOLO 

SULLA    LIBERTÀ     PERUGINA 


I 


§  1.  —  Il  Bartolo,  che  amò  ricordare  così  di  frequente  la  sua  pa- 
tria di  adozione,  lasciò  scritto  un  giudizio  sulla  condizione  politico- 
giuridica  di  Perugia,  che  merita  di  essere  conosciuto.  Fra  gli 
storici  della  città  tenne  conto  di  quésta  sentenza  il  Bonazzi,  cui 
l'additava  il  nostro  erudito  conte  prof.  Gian  Francesco  Cipriani. 
Ma,  a  parer  mio,  l'apprezzamento  che  il  geniale  scrittore  ne  fece 
nel  volume  I  della  sua  Storia  jjevufjina  non  risponde  al  concetto 
dell'insigne  giurista. 

In  altro  scritto  verificammo  quali  idee  e  quali  sentimenti  nu- 
trisse il  grande  da  Sassoferrato  circa  le  forme  di  governo  in  ge- 
nere e  in  specie  circa  gli  ordini  politici  di  Perugia  (1).  A  queste 
idee  e  a  questi  sentimenti,  informati  a  spirito  di  vera  libertà,  egli 
fece  omaggio  in  ogni  parte  della  sua  gigantesca  opera;  talché  ri- 
spetto alle  Costituzioni  LXI  e  LXII  del  titolo  De  decurionibus,  ecc. 
(Cod.   Lib.  X,  Tit.  XXXI)  egli  scrive: 

Facit  haec  lex,  quod  Civitas  Perusina  non  subsit  Ecclesiae  nec 
Imperio.  Et  si  dicas,  quicquid  non  subest  Imperio,  est  sub  Ec- 
clesicij  concedo;  nisi  Civitns  aliqua  non  subsit  Ecclesiae  ex  pri- 
vilegio concesso,  sed  Perusina  est  hujusmodi,  nam  Imperator 
donaint  cani  Ecclesiae,  seu  permutacit  cum  ea,  et  ex  privilegio 
Ecclesia  liberavit  eam  (2). 

Il  Bonazzi,  dopo  aver  riferito,  non  molto  esaltamente,  in  nota 
il  passo  del  Bartolo,  cosi  ne  ragiona  nel  testo  —  «  I  giuristi  d'al- 


(1)  Scalvanti,  Consideraziotìi  sul  io  libro  degli  Statuti,  ecc.,  Perugia,  1895. 

(2)  Opera  Omnia,  Tomo  Vili. 


60  O.     SCALVANTI 

lora  avevano  per  aforisma,  che  ciò  che  non  è  soggetto  all'Impero 
è  soggetto  alla  Chiesa,  senza  sospettare  che  fra  questi  due  enti 
ve  ne  fosse  un  altro  di  mezzo.  Bartolo,  per  altro,  pagando  il  suo 
tributo  al  pregiudizio  scientifico,  faceva  per  la  sua  patria  adottiva 
una  distinzione  sostenendo  che  Perugia  era  stala  data  o  permu- 
tata dall'Imperatore  alla  Chiesa,  e  dalla  Chiesa,  mediante  privi- 
legio, restituita  a  sé  stessa;  ma  Baldo,  nobile  e  devoto,  pare  che 
non  riconoscesse  questo  incomodo  privilegio  ». 

§  2.  —  Anzitutto  perchè  chiamare  pregiudizio  scientifico\a.  mas- 
sima del  diritto  pubblico  di  quel  tempo,  che  ciò  che  non  era  sog- 
getto all'Impero  era  soggetto  alla  Chiesa?  Altro  che  pregiudizio! 
Quel  principio  era  rigorosamente  scientifico,  perchè  acconcio  alle 
condizioni  del  tempo,  in  cui  le  due  costanti  tendenze  dei  popoli  a 
organizzarsi  con  possente  vincolo  unitario  su  vasto  territorio,  o  a 
comporsi  in  piccoli  organismi  godenti  di  libertà  interna,  erano  rap- 
presentate dal  ghibellinismo  e  dal  guelfismo,  veri  partiti  politici 
e  non  fazioni,  come  piacque  a  taluno  chiamarli.  Cotale  dottrina 
aveva  tutto  il  rigore  scientifico  di  fronte  all'età,  nella  quale  venne 
formandosi,  ed  è  errore  chiamarla  pregiudizio  quasi  fosse  stata 
architettata  dagli  artifici  di  cavillosi  ingegni.  E  oscura  poi  e  fuor 
di  proposito  la  menzione,  che  il  Bonazzi  fa  del  Baldo,  che  per 
essere  nobile  e  devoto  avrebbe  riconosciuto  incomodo  il  privilegio 
concesso  dai  Papi  alla  Repubblica. 

§  3.  —  Noi  pensiamo  pertanto,  che  a  comprendere  interamente 
il  profondo  significato  di  quel  passo  del  Bartolo,  occorra  riflettere,, 
che  per  il  diritto  pubblico  medio-evale  vi  era  una  sola  forza  orga- 
nizzatrice di  Stati,  r  Impero.  In  esso  si  concentrava  ogni  dominio 
in  temjìoralibus ;  e  tutti  gli  attributi  di  potere  sovrano  che  si  ve- 
devano, a  cagione  delle  immunità  e  dei  privilegi,  trasferiti  in  prin- 
cipi, città,  vescovi  e  abbati  si  ricollegavano  sempre  alla  podestà 
imperiale,  come  quella  che  aveva  espressamente  o  tacitamente  ab- 
bandonato nelle  loro  mani  l'esercizio  di  qualche  parte  della  sovra- 
nità. Ma  il  dominio  eminente  dell'Impero  non  si  cancella  mai; 
è  inalienabile;  né  privilegio  o  concessione  vale  a  distruggerlo. 
La  storia  è  là  per  provarlo,  imperocché  di  fronte  agli  stessi  li- 
beri reggimenti  delle  città,  1'  Impero  vantò  sempre  diritti,  affermò 
privilegi,  e  si  arrogò  la  facoltà  di  dettare  ordini  e  di  imporre 
condizioni  di  sudditanza.  Tutto  questo  perchè,  per  il  sistema  giù- 


un'  OPIXIOXH    del   IJAUTOLO    sulla    LIHEHTÀ    l'ERUCHXA  fil 

ridico-pollìico  del  tempo,  ogni  oulorità  leinporale  derivava  da  Dio, 
ma  risiedeva  nell'  Impero.  Né  si  può  rimproverare,  senza  mani- 
festa ingiustizia,  ai  giuristi  di  quell'epoca,  se  si  acquietarono  a 
■questo  assioma;  come  non  sono  da  riprendere  i  quattro  dottori  di 
Bologna  e  i  venlotto  judices  per  aver  risposto  al  quesito  di  Fede- 
rigo l  sulle  regalie  imperiali  —  che  tutto  quello  che  non  appa- 
riva manifestamente  e  legalmente  ceduto  alle  città  doveva  inten- 
dersi appartenente  all'  Impero.  —  Per  la  qual  cosa  non  vi  era, 
né  vi  poteva  essere  governo  legittimo  che  quello  dell'imperatore 
o  di  chi  lo  tenesse  direttamente  da  lui. 

§  4.  —  Comesi  sia  pervenuti  a  stabilire  questo  principio  di  di- 
ritto pubblico  è  facile  comprendere,  quando  si  pensi  alla  virtù  del 
principio  bandito  dal  cristianesimo  —  date  a  Cesare  quel  che  è  di 
Cesare,  date  a  Dio  quel  che  è  di  Dio  —  Nessuna  confusione  può 
avvenire  pei  veri  interpreti  del  Vangelo,  fra  podestà  temporale  e 
podestà  spirituale.  La  cupidigia  degli  uomini,  l'impero  di  circo- 
stanze sloriche  faranno  sì  che  a  quando  a  quando  il  potere  poli- 
tico si  trovi  congiunto  al  maestrato  sacro;  ma,  dato  il  principio 
cristiano,  essi  dovranno  di  bel  nuovo  separarsi;  perchè  una  volta 
pronunziato,  quel  principio  così  nuovo,  cosi  atto  ad  elevare  e  no- 
bilitare il  sacerdozio,  doveva  operare  per  virtù  propria  nei  secoli, 
e  impedire  la  costante  riunione  delle  due  podestà  aventi  fini  così 
diversi.  Era  impossibile  quindi  che  il  Papato  si  facesse  centro  di 
dominio  politico  nel  mondo,  in  modo  che  come  a  tutti  sovrastava 
per  il  suo  carattere  sacerdotale,  fosse  superiore  a  tutti  anche  nel- 
l'autorità temporale.  Furono  sibbene  i  papi  principi  di  uno  stato,  ma 
in  virtù  di  donazione  per  parte  dell'  Impero,  e  al  solo  effetto  che  al 
lustro  della  podestà  sacra  si  unisse  un  qualche  ufficio  di  tempo- 
rale sovranità.  Infatti  questo  stesso  potere  era  limitato  e  soggetto 
a  condizioni  tali  da  escludere  il  carattere  giuridico  di  pieno  ed 
esclusivo  dominio. 

Vediamolo  brevemente  col  mezzo  di  ricordi  storici,  che  vanno 
dalle  prime  ed  autentiche  concessioni  fino  all'epoca,  in  cui  vi- 
veva il  Bartolo;  e  così  potremo  meglio  comprendere  la  mente  del 
sommo  giurista  e  il  valore  della  sua  sentenza, 

§  5.  —  Prima  ancora  che  Carlo  Magno  fosse  coronato  Impe- 
ratore, fu  costituito  a  favore  di  lui,  nell'ordine  giuridico-politico 
di  Roma,  il  patriziato,  in  cui  si  riassumeva   l'alto   dominio  della 


62  O.     SCALVANTI 

cillà.  Ma  questo  palrizialo  era  un  ufficio  puramente  onorario  ? 
Stando  a  molli  e  gravi  scrittori,  fra  i  quali  1' Eccardo  (1),  parrebbe 
di  no.  Egli  infatti  così  si  esprime:  —  «  Patriciatum  romanum  cum 
urbe  Roma  regibus  Francorum  integre  subjectum  fuisse,  neque 
pontifices  sibi  quidquam  in  eo  jurisdictionis,  aut  ditionis  arro- 
gasse ».  —  Vero  è  che  non  sono  mancati  altri  scrittori,  i  quali 
hanno  sostenuto  il  contrario;  e  cioè,  che  onorario  fosse  il  palri- 
zialo dei  re,  ma  ciò  non  si  accorda  coli'  idea  che  si  aveva  allora 
di  questa  funzione.  Il  patrizio  di  Ravenna  e  il  patrizio  della  Si- 
cilia, ad  es.,  non  erano  uffici  onorari,  ma  effettivi  ;  e  giustamente 
opina  il  Muratori,  che  diverso  non  doveva  essere  il  concetto  del 
patriziato  romano  riconosciuto  da  Adriano  I  in  Carlo  Magno  nel 
774,  quando  ricevendolo  in  Roma  gli  usò  quegli  onori,  dice  Ana- 
stasio (2),  sicut  mos  est  ad  exarchiun  aut  patricium  suscipien- 
dum.  In  questa  opinione  mi  conferma  un  altro  argomento  sfug- 
gito al  Muratori.  Difatli  la  parola  —  patriziato  —  tanto  signifi- 
cava effettivo  potere,  che  lo  stesso  Adriano  I  volle  rivendicarne 
una  parte  a  sé.  —  «  Quia  ut  fati  estis  (scrive  il  Pontefice  a  Carlo 
Magno)  honor  patriciatus  vestri  a  nobis  irrefragabililer  conser- 
vatur,  simili  modo  ipse  Patriciatus  Beati  Petri  fauloris  vestri, 
lam  a  Sanctae  recordalione  Dorano  Pipino,  magno  rege,  genitori 
vestro,  in  scriptis  in  integro  confirmatus,  irrefragabili  jure  jjer- 
rnaneat  (3)  —  ».  Doveva  quindi  il  patriziato  di  S.  Pietro  spettare 
al  Papa.  Così  aveva  principio  quella  condizione  di  cose,  che  fruttò 
col  tempo  l'acerba  lotta  fra  Chiesa  e  Impero;  da  un  lato  l'Impero, 
consapevole  della  sua  alta  podestà  temporale;  dall'altro  lato  la 
Chiesa  che  cerca  di  avocare  a  sé  non  l'universale  potere,  ma  una 
parte  di  esso  in  Roma  e  in  alcune  provincie  d'Italia.  Questo  ibri- 
dismo di  due  poteri  riuniti  sopra  lo  stesso  territorio  si  ebbe  a  ve- 
dere quasi  costantemente;  e  n' è,  fra  moltissimi,  esempio  l'auto- 
rità, che  anche  in  fatto  di  ordinamenti  monastici  seppe  esercitare 
nel  939  Alberigo  principe  di  Roma,  essendo  pontefice  Stefano  Vili. 


(1)  Eccardo,  Eer.  frane.  1.  25,  e.  38. 

(2)  Vita  Haclriani  I. 

(3)  Circa  il  carattere  di  effettivo  potere,  che  ebbe  il  Patriziato  romano  si  può 
ricordare,  cbe  lo  stesso  Odoacre  nel  476,  secondo  ci  narra  Malco  {Hist.  Byz.  Tomo  J), 
si  appagò  di  quel  titolo;  e  difatti  per  quanto  egli  fosse  appellato  Re,  pure  Cassiodoro 
ci  dice  che  non  usò  mai  la  porpora  né  altre  insegne  regie,  e  non  battè  moneta  colla 
sua  effigie. 


un'  opinione    del    cartolo    sulla    LIIìEKTÀ    l'EKUGINA  63 

§  6. —  Vernili  alla  restaurazione  dell' impero  di  occideiile  per 
opera  di  Carlo  Magno,  nel  dirillo  pubblico  si  slabilisce  la  massima, 
che  lo  stesso  popolo  romano  deve  prestare  giuramento  di  fedeltà 
all'Imperatore,  onde  Stefano  IV,  al  tempo  di  Lodovico  il  l'io  — 
«  slalim  postquam  ponlificalum  siiscepit,  jussit  omnem  populum  ro- 
manum  fidelitatem  cum  juramento  promittere  Ludovico  (1)  ».  —  E 
tanto  era  penetrala  nella  coscienza  universale  questa  massima, 
che  la  stessa  Roma  dovesse  mantenersi  ligia  all'  Impero,  che  gli 
imperatori  vollero  ingerirsi  ancora  nella  nomina  dei  pontefici. 
Così,  quando  nell'  827  Gregorio  IV  fu  eletto  papa,  narra  Eginardo, 

—  «  non  prius  ordinalus  est,  quam  legatus  im|ieraloris  Romam  ve- 
nit,  et  electionem  populi  qualis  esset  examinavit  ».  —  Col  quale 
scrittore  si  accorda  l'Astronomo  nella  —  Vita  di  Lodovico  il  Pio 

—  ove  è  detto,  che  —  «  dilata  consecratione  ejus  usque  ad  consul- 
tum  imperatoris,  quo  annuente  et  electionem  cleri  et  populi  pro- 
bante, ordinatus  est  in  loco  prioris  ».  —  Anche  quest'altro  canone 
di  gius  pubblico  penetrò  addentro  nella  coscienza  dei  popoli  e  nella 
consuetudine  politica  del  tempo,  di  maniera  che  nell'  848,  per 
quanto  urgesse  la  elezione  del  pontefice,  a  causa  dell'  invasione 
dei  Saraceni,  i  Romani  —  «  quoque  novi  electione  pontificis  (Leone 
IV)  congaudentes,  coeperunt  iterum  non  mediocriter  contristari  eo 
quod  sine  imperiali  non  audebant  auctoritate  fulurum  consecrare 
pontificem,  periculumque  romanae  urbis  maxime  metuebant,  ne 
iterum,  ut  olim,  aliis  ab  hostibus  fuisset  obsessa  (2)  ».  —  E  se  la 
consacrazione  avvenne,  ciò  non  fu  se  non  dopo  aver  pronunziato  le 
più  solenni  proleste  di  non  voler  menomare  i  diritti  dell'  Impero. 
La  Chiesa  anco  ne'  suoi  Concili  sanzionò  poi  il  ritus  canonicus 
della  consacrazione,  che  non  poteva  farsi  senza  l' intervento  del- 
l'imperatore  o  de'  suoi  legati  (3).  Su  questo  punto,  a  cui  la  Chiesa 


(1)  Tegaxo,  De  gestis  Lud.  Pii,  n.  16.  Su  qiiesto  proposito  si  ha  ancora  la  t'orraula 
del  giuramento,  che  nell' 824  papa  Eugenio  II  avrebbe  imposto  al  clero  e  popolo  ro- 
mano verso  Lotario  imperatore.  Ma  sebbene  essa  ci  sia  stata  riferita  da  Paolo  Diacono 
(MURAT.,  Rer.  ital.,  P.  II,  T.  I)  ci  sembra  non  essere  documento  autentico,  per  le  ra- 
gioni addotte  dal  Mcratori,  {Ann.,  a.  824). 

(2)  Anastasio,   Vita  di  Leone  IV. 

(3)  Concilio  di  Ravenna  dell'anno  898  sotto  il  pontificato  di  Giovanni  IX.  —  «  Quia 
sancta  romana  ecclesia,  cui  auctore  Deo  praesidemus,  a  pluribus  patitur  violentias, 
pontifice  obeunte,  quae  ob  hoc  inferuntur  quia  absque  imperiali  notitia  pontilicis  Ut 
consecratio,  nec  canonico  ritu  et  consuetudine  ab  imperatore  directi  intersunt  nuncii, 
qui  scandala  Aeri  vetent.  Volumus,  ut  quum  instituendus  est  pontifex,  convenienti- 


64  O.     SCALVANTI 

cercò  limitare  i  diritti  dell'  Impero,  non  fu  discorde  nemmeno  il 
fìerissimo  pontefice  Gregorio  VII  (1).  L'autorità  imperiale  seppe 
dunque  così  fortemente  stabilirsi,  che,  anche  quando  per  cagione 
di  discordie  fra  i  pretendenti  al  trono,  o  per  la  ignavia  degl'im- 
peratori, l'istituto  decadde,  i  pontefici,  in  cambio  di  distruggere 
un  tal  potere,  cercarono  conservarlo.  Ciò  si  vide  anche  nel  915, 
quando  Giovanni  X,  considerato  che  nulla  poteva  sperarsi  dal 
cieco  imperatore  Lodovico,  s'indusse  a  cingere  delia  corona  am- 
bita il  Re  Berengario:  e  l'autorità  imperiale  era  così  pregiata, 
che  l'anonimo  poeta  termina  il  suo  panegirico  con  questo  verso  : 

Et  post  imperli  diadema  resumite  laudes. 

Adunque  tutto  il  temporale  dominio  accentravasi  nell'Impero  (2); 
né  nel  diritto  pubblico  del  tempo  mancavano  principi,  in  virtù 
dei  quali  l' imperatore  poteva  più  o  meno  ingerirsi  anco  negli 
affari  propri  della  Chiesa.  E  che  tutto  il  temporale  dominio  derivasse 
dall'  Impero  si  dimostra  in  ogni  pagina  delle  istorie  italiane  ;  ma 
n'  è  segno  evidente  il  fatto  avvenuto  al  tempo  di  Giovanni  XII  e  di 
Ottone.  Dolse  al  pontefice  vedere  l'imperatore  in  armi  contro  Mon- 
tefeltro,  che  stimava  esser  terra  soggetta  alla  Chiesa;  e  Ottone  gli  ri- 
spose: —  «  Omnem  terram  Sancii  Pelri,  quae  nostrae  polestali  subie- 


bus  episcopis  et  universo  clero,  eligatur  praesente  senatu  et  populo,  qui  ordinandus 
est.  Et  sic  ah  omnibus  electus,  praesentibus  legatis  iraperialibus  consecretur.  Nullu- 
sque  sine  periculo  sui,  juramenta  vel  proraissiones  aliquas  nova  adiventione  audeat 
extorquere;  nisi  quae  antiqua  exigit  consuetudo,  ne  Ecclesia  scandalizetur  et  impe- 
rialis  onoriflcentia  minuatur  ».  —  Questo  documento,  secondo  il  Muratori,  non  è  da  at- 
tribuii-e  a  Stefano  VI,  che  lo  avrebbe  emanato  nell'  89(5,  perchè  in  effetto  si  legge  nel 
Concilio  di  Ravenna  dell' 89S;  ma  a  me  sembra  possa  bene  attribuirsi  a  quel  pontefice, 
nulla  vietando  che  del  Decreto  di  lui  siasi  fatto  poi  un  canone  nel  Concilio  tenuto  da 
Giovanni  IX. 

(1)  Appena  eletto  (1073),  Gregorio  scrisse  della  propria  elezione  ad  Arrigo  VII,  il 
quale  inviò  a  Roma  Eberardo  conte  per  verificare  se  si  era  proceduto  alla  consacra- 
zione del  pontefice,  nel  qual  caso  gli  diede  podestà  di  dichiarare  nulla  la  elezione. 
Ma  Eberardo  trovò  che  la  solennità  della  consacrazione  non  era  avvenuta,  di  che  l'Im- 
peratore si  mostrò  soddisfatto.  —  «  Et  statim  Gregorium  VeruUensem  episcopum  Italici 
regni  cancellarium  ad  urbem  trasmisit,  quatenus  auctoritate  regia  electionem  ipsani 
confirmavit,  et  consecrationi  ejus  interesse  studeret  ».  (Ml'rat.  Ann.,  a.  1073). 

(2)  Sono  infinite  le  investiture  date  a  Vescovi  e  Abbati  dagl'imperatoi-i;  ma  ri- 
cordiamo in  special  modo  quella  fatta  da  Arrigo  IV  nel  10P3  a  Cenone  o  Corrado  ve- 
scovo di  Mantova  (Muratori,  Diss.  (37),  revocata  poi  da  Lotario  III  nel  113(5,  quando 
venne  in  Italia  dopo  la  dieta  di  Wirtzburg.  Di  molte  investiture  poi  è  traccia  nello 
stesso  testo  della  pace  di  Costanza. 


un'  opinione   del   BARTOLO    SULLA    LIBERTÀ   PERUGINA  65 

<;la  est,  promisimus  reddere  ;  alque  id  rei  est,  quod  ex  hoc  mu- 
nilione  Berengarium  cum  onini  familia  expellere  nitimur.  Quo 
enim  pacto  terram  hanc  ei  reddere  possumus,  si  non  prius  eam 
ex  violenloruni  manibus  ereclam  potestati  nostrae  subdimus  ì"  ».  — 
Qui  apparisce  evidente,  che  le  terre  dovute  alla  Chiesa,  venivano 
come  nuovamente  concesse  dall'  Impero,  quando  tornavano  a  lui 
soggette.  Non  erano  le  armi  imperiali  ai  servigi  della  Chiesa  ;  ma 
al  servizio  dell'  Impero,  il  quale  poi  delle  terre  riacquistate  faceva 
novellamente  dono  al  pontefice.  E  talvolta  era  lo  stesso  pontefice, 
che  esortava  i  popoli  a  farsi  vassalli  dell'  Impero,  ancorché  fos- 
sero soggetti  a  Roma  ;  e  ricordiamo  il  fatto  dei  Tiburtini,  che  nel 
1001  per  una  contesa  avuta  coi  Romani,  decisero  di  dichiararsi 
soggetti  imperiali  jure  (1),  e  vi  furono  incoraggiati  dal  Papa  Sil- 
vestro II. 

§  7.  —  L'Impero  tenne  poi  grandemente  a  stabilire,  che  tutto 
quello  che  la  Chiesa  o  altri  possedevano  emanava  da  lui  ;  e  fu 
sempre  vivo  negl'imperatori  di  occidente  il  desiderio  di  rendere 
irrita  e  di  niun  effetto  giuridico  la  vantata  donazione  di  Costan- 
tino; perchè  con  ciò  si  sarebbe  ammessa  una  tradizione  di  tem- 
porale autorità  a  favore  dei  Papi  anteriore  alla  restaurazione 
dell' Impero  di  Occidente.  E  chi  legge  e  scruta  le  istorie  ne  vede 
moltissimi  esempi,  Ira  i  quali  degno  di  essere  segnalato  quello 
di  Arrigo  II,  per  le  proteste  fatte  contro  le  opinioni  manifestate 
da  Leone  IX  e  da  Niccolò  li  (2).  E  se  i  Papi  volevano  con- 
ferire autorità  temporale  ai  principi,  l' Impero  se  ne  lagnava, 
così  che  quando  nel  1134  Ingilberto  marchese  fu  investito  da  In- 
nocenzo II  del  Governo  della  Toscana,  l'imperatore  gii  fece  com- 
prendere, che  non  dal  Papa,  ma  da  lui  doveva  ripetere  la  sua 
autorità  (3).  E  lo  stesso   Muratori,  sulla   scorta   dei   cronisti   del 


(1)  Pier  Damiano,   Vita  S.  Rom. 

(2)  Quando  nel  1059  Niccolò  II  diede  l'investitura  del  reame  di  Napoli  ai  Nor- 
manni, sebbene  in  quel  tempo  e  cioè  nel  1053  Leone  IX  scrivendo  a  Michele  Cerulario, 
patriarca  di  Costantinopoli,  riferisse  un  brano  dell'apocrifa  donazione  di  Costantino, 
e  in  generale  tutti  a  quel  tempo  la  riconoscessero  per  autentica,  pure  l' Impero  se  ne 
adontò,  e  Pier  Damiano  ci  narra,  che  l'Imperatore  Arrigo  IV  fece  cassare  omnia  quae 
ab  eo  (Niccolò  II)  fuerunt  statuta  (Vedi  Pier  Damiani,  Opus.  4). 

(3)  Si  legge  negli  Ann.  pis:  (Murat.,  Rer.  italic,  voi.  VI)  che  —  «  III  Kalendas.junii 
Pisis  est  celebratum  concilium  per  Papam  Innocentium  II  et  alios  praelatos.  In  quo 
concilio  Ingilbertus  de  marchia  Tusciae  investitus  est.  Qui  postea  defensus  a  Pisanis 


66  O.     SCALVANTI 

tempo,  conviene  che  non  poteva  il  Papa  conferire  ad  altri  le  Pro- 
vincie dell'Impero,  escluse  dalla  eredità  della  contessa  Matilde; 
mentre  sta  in  fatto,  che  l' Impero  dispose  invece  di  molti  beni 
compresi  in  quella  eredità  a  favore  delle  repubbliche  o  dei  prin- 
cipi italiani  (1)  ;  segno  certo,  che  V  Impero  riteneva  non  essere 
estranea  la  sua  alta  autorità  a  veruna  parte  del  territorio  sog- 
getto alla  podestà  imperiale. 

E  noto  poi  che  tra  Innocenzo  II  e  Lotario  III  le  dispute  fu- 
rono violentissime.  Basti,  che  quando  l' imperatore  venne  nel  1137 
in  Italia  e  si  trasferi  a  Roma,  papa  Innocenzo  volle  di  sua  mano 
investire  il  Conte  Rainolfo  a  Duca  di  Puglia.  Ma  poiché  per  il 
diritto  pubblico  allora  vigente  ogni  concessione  di  temporale  do- 
minio doveva  emanare  dall'imperatore,  Lotario  III  pretese  di  fare 
egli  l'investitura.  La  contesa,  secondo  ci  narrano  gli  storici,  durò 
trenta  giorni,  e  finalmente  fu  convenuto,  che  il  papa  e  l'impera- 
tore tenessero  entrambi  il  gonfalone  da  consegnarsi  a  Rainolfo. 
Lo  stesso  accadde  per  l'investitura  dell'abate  di  Monlecassino, 
monastero  che  si  considerava  Camelea  dell'impero.  Anche  qui  la 
disputa  fu  lunga  ed  aspra,  ma  prevalse  la  volontà  del   pontefice. 

§  8.  —  Ma  dove  meglio  apparisce  l'effettiva  autorità  imperiale 
negli  stati  della  Chiesa  e  in  Roma  stessa  è  nella  materia  giurisdi- 
zionale, che  nel  diritto  pubblico  d'ogni  nazione  ha  una  parte  im- 
portante, come  quella  che  racchiude  un  elemento  sostanzialissimo 
di  sovranità.  E  niun  dubbio,  che  in  Roma  gl'imperatori  tenessero 
funzionari  e  giudici  per  vigilare  sul  governo  della  città  e  ammini- 
strare giustizia.  Già  ne]r823  pel  fatto  della  uccisione  di  Teodoro- 
primicerio  e  di  Leone  nomenclatore  sorsero  dispute  fra  l'impera- 
tore e  papa  Pasquale;  e  sotto  il  successore  di  lui,  Eugenio  II, 
l'Impero  ebbe  a  vantare  notevoli  facoltà  al  dirimpetto  della  Curia 
romana.  Di  ciò  ci  fa  ricordo  il  biografo  di  Lodovico  il  Pio,  il 
quale   narra  che  —  «  tantae  querelae  adversus  Romanorum  ponti- 


et  a  Lucensibus  ubique  offensus  et  victus  a])U(i  Ficecchium  in  campo,  Pisas  cum  la- 
crj-rais  fugiens,  a  Pisanis  vindicatus  est».  —  Resulta  poi  che  nel  1137  l'imperatore  mandò 
al  marchese  Ingilberto,  come  a  suo  vassallo,  buon  nerbo  di  armati  sotto  il  comando 
del  Duca  Arrigo  suo  genero,  perchè  i  toscani  non  volevano  un  principe,  che  re- 
gnasse a  nome  dell'  imperatore.  Lo  che  dimostra  che  Lotario  III  aveva  resa  nulla 
l'investitura  fatta  dal  pontefice  Innocenzo  II. 

(1)  Scalvanti,  Considerazioni  sul  primo  libro  degli  Statuti  perugini.  Parte  I» 
Perugia,  1895,  Tip.  Boncompagni. 


un'  opinione    del    I5ARTOLO    SIXLA    LIIìERTÀ    l'ERlCINA  fJT 

fìces  judicesque  sonarent,  qiiod  quorumdam  ponlificiun  vel  igno- 
ranlia  vel  desidia,  sed  et  judicmn  coeca  el  inexplobili  cupidilale, 
multorum  praedia  injusle  fuerinl  confiscala.  Ideoqiio  reddendo 
qiiae  injusle  fuerunt  sublala,  Lolharius  rnagnain  populo  romano 
creavil  laeliliam.  Slalutum  esl  eliam,  Juxta  antiquuin  niorcin,  ut 
ex  ledere  imperatoris  millerenlur  qui  Judiciariam  exercentes  pote- 
statem,  jusliliam  omni  populo  facerenl,  el  lempore  quo  visum  foret 
imperatori  aequalance  penderenl  (1)  ».  —  Da  pochi  anni  è  risorto 
l'impero  occidentale,  e  già  è  ricevuto  come  canone  di  osservata 
consuetudine,  che  ex  ledere  impercdorìs  seggano  in  Roma  magi- 
strali, che  amministrino  — justitiam  omni pejpulo  — .  Vero  è,  che 
il  più  delle  volte  questi  tribunali  si  costituivano  d' iinfirovviso, 
sotto  r influsso  di  circostanze  speciali;  ma  è  indubitalo  che  l'Im- 
pero non  cessò  mai  di  usare  lutti  i  mezzi  per  mantenere  questa 
sua  prerogativa  di  sovranità.  Si  ha  memoria  neir829  dell'invio 
a  Roma  di  Giuseppe  Vescovo  e  di  Leone  Conte  per  conoscere  di 
una  vertenza  insorta  fra  Ingoaldo,  abbate  del  monastero  di  Farfa, 
e  la  Curia  romana.  E  notisi,  che  si  trattava  di  grave  accusa,  im- 
perocché alcuni  papi  si  sarebbero  resi  colpevoli  di  denegata  giu- 
stizia (2).  Il  papa  Gregorio  IV  non  volle  accettare  la  sentenza  dei 
giudici  imperiali  ;  ma,  si  osservi  bene,  l'unica  pretesa  che  avanzò, 
fu  quella  di  volere  interpellare  direttamente  l'imperatore.  Talvolta 
poi  è  lo  stesso  pontefice,  che  chiede  giudici  straordinari  alla  corte 
imperiale,  come  avvenne  ai  tempi  di  Adriano  II  (3)  e  di  Gio- 
vanni Vili  (4).    Un  tribunale  imperiale  trovasi    stabilito  in  Roma 


(1)  Astronomo,   Vit.  Luci.  Pii. 

(2)  Ingoaldo,  secondo  il  Pagi,  dolevasi  che  —  «  unde  tempore  Stephani,  Pascbalis 
et  Eugeni!  sempei-  reclamavimus  et  justitiam  minime  invenire  potuimus  ».  — 

(3)  Adriano  II  nell'  868  chiese  all'  Imperatore  dei  magistrati  per  giudicare  in  Roma 
Eleuterio,  reo  di  ratto  della  figlia  del  papa  e  della  uccisione  di  lei  e  della  madre  Ste- 
fania. I  cronisti  narrano  :  —  «  Hadrianus  papa  apud  Imperatorem  missos  obtinuit,  qui 
praefatum  Eleutherium  secvmdum  legera  romanam  judicarent  ».  —  I  giudici  imperiali 
andarono  a  Roma,  e  pronunciarono  la  condanna  di  Eleuterio  (Pagi  Ad  Ann.  Bai-.  — ). 

(4)  Papa  Giovanni  Vili  neU'SSOcosi  scrive  a  Carlo  il  Grosso:  —  «  Pro  justitiis  autem 
faciendis  sanctae  romanae  ecclesiae,  ut  idoneos  et  fldeles  viros  e  latere  ve-itro  nobis 
de  praesenti  dirigatis,  obnixe  deposcimus,  qui  nobis  pariter  cum  missis  nostris  proli- 
ciscentibus,  de  omnibus  justitiam  plenissimam  faciant,  et  vestra  regali  auctoritatc  male 
agentes  corrigant  et  emendent  »  — .  È  a  notare,  che  lo  stesso  Giovanni  VIII  nell'anno 
dipoi  (881)  chiese  nuovi  messi  impellali,  ma  in  appresso  non  sembrò  disposto  ad  ac- 
cettarli per  dirimere  alcune  controversie  in  Ravenna. 


68  O.     SCALVANTI 

al  tempo  di  Lodovico  III  (1).  E  quando  nel  967  \\  praefectus  urbis 
e  i  consules  di  Roma  si  resero  responsabili  di  gravi  offese  verso 
papa  Giovanni  XIII,  fu  per  opera  dell'imperatore,  secondo  ci  narra 
Liutprando,  che  i  colpevoli  e  loro  seguaci  furono  assoggettati  a 
severissime  pene  (2).  Al  tempo  di  Ottone  III  si  ha  altro  esempio 
della  giurisdizione  imperiale  in  Roma.  Ugo  abbate  di  Farfa  com- 
parisce dinanzi  all'imperatore  nel  palazzo  imperiale  di  Roma,  e 
Ottone  III  insieme  al  collegio  dei  giudici  risolve  la  disputa,  per 
la  quale  l'abbate  querelavasi,  e  intima  la  pena  di  100  libbre  d'oro 
puro  ai  contravventori,  da  applicarsi  —  «  medietatem  (notisi  bene) 
camerae  imperatoris,  et  medietatem  praefato  monasterio  Sanctae 
Mariae  in   Pharpha  (3)  ».  — 

§  9.  —  Ma  oltre  questa  funzione  giudicatrice,  che  esplicavasi  col 
mezzo  di  un  tribunale  ordinario  in  Roma  tenuto  da  giudici  ex  lettere 
imperatoris,  era  ricevuto  anche  un  altro  canone  di  pubblico  diritto, 
quello  dell'ultimo  appello  dei  romani  all'imperatore.  Tale  principio 
fu  solennemente  ammesso  nell'898  nel  concilio  di  Ravenna,  es- 
sendo papa  Giovanni  IX  e  Imperatore  Lamberto  (4). 

Aggiungasi  che  in  Roma  noi  troviamo  in  varie  epoche  sta- 
bilito  un   magistrato   imperiale,    il    praefectus   urbis  (5),    il  quale 


(1)  Si  raccoglie  tale  notizia  da  una  sentenza  riferitaci  dal  Fiorentino,  e  che  in- 
comincia colle  seguenti  parole  :  —  «  Dura  Domnus  Ludovicus  serenissimus  imperator 
augustus  a  regale  dignitate  Romam  ad  summura  imperialis  culminis  apicem,  ecc.  ».  — 

(2)  «  Romanorum  alios  gladio,  aiios  suspendio  interemit,  oculis  aliosprivavit,  exsilio 
alios  relegavit  ».  —  Di  tale  efferratezza,  tutt'  altro  che  giustificata  per  vendicare  il  mini- 
stro di  un  Dio  che  perdonava  a'  suoi  crocifissori,  Liutprando  cerca  scagionare  Ottone 
presso  Niceforo  Foca,  imperatore  di  Costantinopoli  (Vedi  Liut.  in  Legai.). 

(3)  Cronic.  Farf.  in  Murat.  Rer.  ital.,  Voi.  I,  P.  IL 

(4)  «  Si  quis  romanus,  cujuscumque  sii  ordinis,  sive  de  clero,  sive  de  senatu,  seu 
de  quocumque  ordine,  gratis  ad  nostram  imperialera  majestatem  venire  voluei'it,  aut 
necessitate  compulsus  ad  nos  voluerit  proclamare,  nuUus  eis  contradicere  praesumat  ; 
et  neque  eorum  res  quisquam  invadere  vel  depraedari,  aut  eorum  personas  in  eundo 
et  redeundo  vel  morando  inquietare  praesumat  ;  donec  liceat  imperatoriae  potestati 
eorum  causas  aut  personas,  aut  per  nos  aut  per  missos  nostros  deliberare.  Qui  autem 
eos  inquietare  eundo,  vel  redeundo,  vel  morando  tentaverit,  vel  eorum  quidpiam  re- 
rum auferre,  postquara  nostram  misericordiam  proclamaverint  imperialis  ultionis  in- 
dignationem  incurrat  ». 

(5)  «  Si  osserva  che  nel  1015  in  Roma  —  grandiora  urbis  et  orbis  negotia  longe  su- 

perexcedunt  eorum  judicia,  spectantque  ad  romanum  pontiflcem,  sive  illius  vicarios 

itemque  ad  roìnanum  imperatoreni,  sive  illius  vicarium  praefectum  urbis,  qui 
de  sua  dignitate  respicit  utrumque,  videlicet  domnum  papam  et  doranum  imperato- 
rem,  a  quo  accipit  suae  xjotestatis  insigne,  scilicet  exertum  gladium,  ecc.  »  (Baluzio, 
Mise,  Lib.  V,  pag.  64). 


un'  opinione   del   BARTOLO    SULLA     LIBERTÀ    PERUGINA  09 

aveva  vere  funzioni  di  governo,  e  teneva  nelle  sue  mani  la 
direzione  della  polizia  (1).  Ma  {)iù  di  ogni  altro  riscontro  del- 
l'autorità imperiale  in  Roma,  dopo  le  note  concessioni  fatte  ai 
pontefici,  valga  quello  della  facoltà  concessa  agl'imperatori  di 
emendare  le  stesse  leggi,  che  i  papi  davano  ai  loro  soggetti.  I*. 
Benedetto  III,  che  nell'SSS  scrive  a  Lotario  e  Lodovico  una  let- 
tera riferitaci  da  Graziano,  e  così  concepita  :  —  «  Nos  si  in- 
competenter  aliquid  egimus,  et  subdilis  juslae  legis  tramiiem 
non  conservavimus^  veslro  ac  missorum  veslrorum  cuncta  volu- 
mus  emendare  judicio.  Inde  magnitudinis  vestrae  magnopere  Clc- 
mentiam  imploramus,  ut  tales  ad  haec  quae  diximus,  perquirendo 
missos  in  his  partibus  dirigatis,  qui  Deum  per  omnia  timeant,  et 
cuncta  diligenter  exqnirant.  Et  non  tantum  liaec  soia,  quae  su- 
perius  diximus,  quaerimus  ut  examussim  exagilent,  sed  sive  minora, 
ecc.  (2)  ».  —  E  quando  neir<S98  si  volle  reprimere  il  pessimo  costume 
di  invadere,  alla  morte  di  un  papa,  il  palazzo  apostolico  e  sotto- 
porlo a  saccheggio,  la  legge  a  tal  fine  emanata  terminava  con 
queste  parole:  —  «  Quodqui  facere  praesumpserit,  non  solum  eccle- 
siastica censura,  sed  etiam  imperiali  indignatione  feriatur  ».  —  Per- 
tanto in  questi  tempi  così  favorevoli  all'ampliamento  dei  diritti  im- 
periali, è  naturale  si  venisse  formando  un  gius  pubblico,  che  ri- 
spetto al  dominio  temporale  tenesse  soggetta  la  Chiesa  all'Impero. 
E  perciò  quando  l'Impero  donava  una  terra  ai  papi,  essa  passava 
alla  soggezione  della  Chiesa";  ma  se  questa  le  avesse  accordato 
libertà,  non  era  che  una  libertas  semipiena.  E  ben  vero  che  per 
privilegio  la  città  donata  dall'imperatore  era  divenuta  patrimonio 
ecclesiastico;  ma  poteva  la  Chiesa  concederle    in  perpetuo   libero 


(1)  Fra  i  molti  esempi  circa  l'intervento  del  praefectus  urbis  si  può  citare  il 
fatto  avvenuto  nel  1086,  quando  i  Romani  elessero  a  forza  papa  Desiderio  abbate  di 
Montecassino,  che  si  nominò  Vittore  111.  Essi  non  avevano  voluto  piegarsi  ad  eleggere 
ottone  vescovo  di  Ostia,  e  il  prefetto  imperiale,  lasciato  in  libertà  dal  duca  Ruggiero, 
tornò  in  Roma,  ed  esercitando  la  sua  autorità  in  Campidoglio,  perseguitò  i  Vescovi 
aflinchè  non  avvenisse  la  consacrazione  di  Vittore  III.  Il  quale,  in  quei  frangenti, 
volle  tornarsene  a  Montecassino,  donde  poi  si  trasferi  nuovamente  a  Roma  chiamatovi 
dal  clero  e  dai  cittadini.  Ma  bastò  che  giungesse  in  Roma  un  messo  imperiale,  che  an- 
nunziasse la  prossima  vendetta  dell'antipapa  Guiberto,  perché  i  romani  abbandonas- 
sero tosto  Vittore,  sebbene  universalmente  amato.  E  se  la  elezione  di  Urbano  II  (a.  ,088> 
non  sollevò  minacele  per  parte  dell'  Imperatore,  ciò  fu  per  essere  egli  impegnato  nelle^ 
gravi  e  sanguinose  fazioni,  che  desolavano  la  Germania. 

(2)  Gratiax,  c.  9,  Dist:  10  et  e.  1-il,  2. 


70  O.     SCALVANTI 

reggimento,  creando  così  un  nuovo  tipo  di  sovranità,  che  il  diritto 
pubblico  di  quei  tempi  era  ben  lontano  dall' ammettere?  Che  l'Im- 
pero, per  benevolenza  verso  la  Chiesa,  si  spogliasse  di  una  parte 
del  suo  dominio,  si  comprende;  giacché  la  Chiesa  era  in  continui 
rapporti  coli' Impero,  ed  esso  stesso  metteva  capo  all'alta  autorità 
dei  pontefici.  Ma  non  poteva  la  Chiesa,  mediante  concessioni  di 
privilegi,  rinunziare  al  ricevuto  dominio  e  in  virtù  di  tale  rinunzia 
creare  slati  indipendenti  da  lei  e  dall'  Impero.  Noi  vediamo  che 
anche  quando  era  lo  stesso  imperatore,  che  accordava  privilegi 
alle  città,  e  riconosceva  i  loro  liberi  reggimenti  e  le  loro  consue- 
tudini, qualche  cosa  riservava  a  sé,  come  impronta  di  dominio,  ora 
sotto  forma  di  giurisdizione  in  grado  di  appello,  ora  per  mezzo  di 
un  funzionario  imperiale  residente  nelle  città,  ora  col  sottoporre  i 
comuni  al  pagamento  del  fodro  e  va  dicendo.  Questa  recognizione 
di  dominio  poteva  essere  di  lieve  peso  per  le  città,  ma  costituiva 
l'affermazione  di  un  diritto,  che  alla  prima  occasione  si  faceva 
valere.  Ora  se  la  cessione  alla  Chiesa  fosse  stata  incondizionata, 
e  se  coi  privilegi  concessi  dai  papi,  le  città  si  fossero  trovate  li- 
bere e  affrancate  da  ogni  vincolo  verso  l'Impero,  ne  veniva  di 
conseguenza,  che  esse  avrebbero  ricevuto,  coli' intermediario  della 
Chiesa,  più  di  quello  che  l' Impero  sarebbe  stato  disposto  a  con- 
cedere direttamente.  Vi  era  dunque  nell'Impero  un  titolo  di  sovra- 
nità, che  tornava  a  rivivere  tutte  le  volte  che  la  Chiesa  donataria 
rinunziava  alla  concessione  imperiale;  perché  questa  doveva  inten- 
dersi fatta  a  esclusivo  vantaggio  di  lei  e  non  a  vantaggio  dei  popoli. 
E  che  le  cessioni  fatte  dall'autorità  dei  papi  o  dei  vescovi  non 
avessero  efficacia  di  fronte  all'  Impero,  fu  sostenuto  anco  al  tempo 
della  lotta  fra  l'Hohenstaufen  e  le  città  lombarde.  Anche  qui  tratta- 
vasi  di  regalie,  le  quali  erano,  per  la  massima  parte,  passate  dalle 
mani  dei  vescovi  in  quelle  dei  comuni,  che  ne  affidavano  l'esercizio 
ai  consoli  da  loro  eletti.  Ora,  scrive  giustamente  l'Hegel,  si  voleva 
costringere  le  città  a  riconoscere  che  tutti  i  diritti  sovrani  e  gover- 
nativi erano,  giusta  l'antica  loro  origine,  diritti  spettanti  al  re,  e 
che  solo  per  U investitura  o  conferma  da  parte  del  re  stesso  po- 
tevano legittimamente  passare   nelle   loro   mani   (1).    —   A    nulla 


(1)  storia  delle  Cast.  ìiiun  ,  Gap.  IV. 


UN    OPINIONE   DEL   HAUTOLO    SL'LLA    I.IREHTA    l'EUUGINA  (   1 

valeva  che  il  vescovo  avesse  ler/ìttimamente  e  cioè  per  imperiale 
privilegio  esercitato  quei  diritti  sovrani;  essi  non  |Jolevano  venire 
legittimamente  trasferiti  nei  nuovi  governanti,  .se  non  per  conces- 
sione imperiale  diretta.  Dunque  il  diritto  dell'Impero  non  era 
estinto;  solo  se  ne  era  ceduto  l'esercizio  ai  vescovi,  i  quali  non 
avevano  potestà  di  trasmetterlo  in  altri. 

§  10.  —  Tutto  questo  siamo  venuti  notando  per  dimostrare  che  i 
canoni  di  diritto  imperiale  stabiliti  nella  stessa  Roma  erano  i  se- 
guenti: —  L'oche  ogni  concessione  di  temporale  dominio  doveva  de- 
rivare dall'Impero  —  2.°  Che  l'Impero  doveva  per  rito  canonico 
intervenire  nella  consacrazione  dei  pontefici  —  3.°  Che  rimaneva 
integro  il  diritto  nell'Impero  di  avere  anche  in  Roma  un  rafipre- 
senlante,  munito  di  larga  ingerenza  nel  governo  della  città  — 
4.°  Che  vi  si  mantenevano  giurisdizioni  imperiali,  e  si  faceva 
luogo  in  ogni  caso  al  ricorso  dinanzi  al  tribunale  supremo  del- 
l'imperatore. 

Di  qui  la  difficoltà  di  avere  un  governo,  che  non  fosse  soggetto 
•né  all'Impero  ne  alla  Chiesa;  perchè  la  donazione  fatta  dagl'im- 
peratori ai  papi  era  accompagnata  da  una  tacila  condizione,  e 
quasi  diremmo,  limitala  dalla  causa  slessa  che  vi  aveva  dato  luogo; 
^  perciò  il  privilegio  di  libertà  che  si  concedeva  dalla  Chiesa  fa- 
ceva stato  di  fronte  a  lei,  ma  non  aveva  valore  di  fronte  all'  Im- 
pero, che  poteva  sempre  far  rivivere  ed  esercitare  i  suoi  diritti 
di  alla  sovranità.  Bisognava  dunque  ampliare  e  modificare  il  di- 
ritto pubblico  del  tempo,  trovare  il  titolo  giuridico  della  legitti- 
mità e  perpetuità  dei  governi  autonomi,  e  porre  a  guardia  di  questa 
•conquista  scientifica  le  supreme  ragioni  di  giustizia. 

Intanto  è  da  notare  che  il  Bartolo,  parlando  della  sua  Perugia, 
accortamente  riconnelte  il  dominio  papale  a  quello  dell'Impero; 
•con  che  mira  a  stabilire  la  legittimità  di  quel  dominio  nella  Chiesa 
concedente;  legittimità  che  derivava  dalla  imperiale  concessione. 
Ma  come  pensò  poi  il  Bartolo,  che  di  fronte  a  Perugia  fosse  ve- 
nuto ad  estinguersi  ogni  diritto  dell'Impero,  mentre  sembra  che 
ogni  cessione  che  egli  faceva,  dovesse  sempre  intendersi  fatta  (e 
ne  abbiamo  visti  esempi)  salvo  in  omnibus  Jure  imperiali?  Stabi- 
lito il  titolo  di  legittimità  nel  potere  dei  papi,  occorreva  investi- 
gare in  qual  modo  la  Chiesa,  liberando  la  città,  ossia  restituen- 
dola a  libero  reggimento,  fosse  venuta  ad  estinguere  non  solo  le 


72  O,     SCALVANTI 

prerogative  della  sovranità  propria,  ma  quelle  ancora  della  sovra- 
nità imperiale,  che,  per  una  folla  di  esempi  storici,  sembravano- 
essere  inalienabili  e  imprescrittibili. 

V'erano  ragioni  storiche,  su  cui  poter  fondare  questa  ardila 
teoria  ? 

§  11.  —  Intanto  su  questo  punto  essenzialissimo  di  ricerche  è 
d'uopo  premettere,  che  sebbene» alta  fosse  l'autorità  imperiale, 
pure  di  fronte  a  lei  sorgeva  la  podestà  dei  papi,  e  già  abbiamo  ac- 
cennato come  questa  si  affaticasse  a  conquistare  un  qualche  tem- 
porale dominio  sulle  città  italiane.  "Va  bene,  che  chi  poteva  legit- 
timamente investire  la  Chiesa  di  questa  sovranità  era  l'Impero;, 
e  fu  veduto  ancora  che,  nonostante  le  concessioni  imperiali  ai 
pontefici,  l'autorità  degl'  imperatori  si  conservò  certamente  in  jure 
e  spesso  in  facto  fin  nella  stessa  Roma.  E  se  avessimo  d'uopo 
di  aggiungere  altri  fatti  a  quelli  già  riferiti,  vorremmo  ricordare- 
la  parte  presa  dagl'imperatori  nel  combattere  in  Roma  le  fazioni,. 
che  miravano  ad  affrancare  la  città  dal  giogo  imperiale  ;  onde  le 
fiere  contese  al  tempo  di  Ottone  I,  il  consolato  di  Crescenzio  e 
le  sanguinose  repressioni  di  Ottone  III. 

Ma  se  la  Chiesa,  ora  in  modo  occulto,  ora  in  modo  palese,  fin 
dalla  restaurazione  dell'  Impero  aveva  cercato  di  accrescere  la  sua 
potenza  non  solo  in  spivitualibus,  ma  anche  in  temporalibus,  quale 
era  ai  tempi  del  Bartolo  lo  stato  della  disputa  fra  la  Chiesa  e 
r  Impero  ? 

Abbiamo  osservato,  che  la  Chiesa  volle  riconosciuto  negl'impe- 
ratori soltanto  il  diritto  di  presenziare  la  consacrazione  dei  papi;, 
ma  pure  non  scarseggiano  nell'  istoria  esempi  di  protesta  anche 
contro  questo  rito  canonico.  Da  documenti,  di  cui  invano  si  re- 
voca in  dubbio  l'aulenticilà,  perchè  provati  sinceri  alla  stregua 
dei  raffronti  storici,  risulla  che  Adriano  III  nell' 884  volle  ces- 
sata la  ingerenza  imperiale  nella  elezione  dei  papi  (1).  E  tanta 
novità  vi  fu  allora  in  questa  parte  del  diritto  pubblico  della 
Chiesa  e  dell'Impero,  che  Stefano  V  fu  consacrato  senza  l'im- 
periale intervento  ;  onde  le  ire  di  Carlo  il  Grosso,  perchè  —  «  eo 
inconsulto  illum  ordinare   praesumerunt  (2)  ».  —  Al  qual  fatto  ri- 


(1)  SiGONio,  De  regno  ita!.,  lib.  V.  e  Ptolom:  Lue.  Hist.  ecc.,  t.  XI,  Rcr:  it. 

(2)  L.vMBECio,  Ann.  frane,  in  Murat.,  Rer.  Hai.,  P.  II,  T.  II. 


un'opinione   del   HAKTOLO    sulla    LIllKUTÀ    l'ERUC.INA  73 

sponde  quello  verificatosi  nel  lOGl  quando  fu  elello,  per  le  cure 
di  Ildebrando,  il  pontefice  Anselmo  da  Budugio,  che  prese  il 
nome  di  Alessandro  li.  K  vero  che  in  Roma  vi  era  un  parlila 
diretto  dai  conti  di  Tuscolo,  che  voleva  rispettale  le  prerogative 
imperiali  ;  ma  vi  era  pure,  e  prevalente,  il  |)artilo  che  istigava 
a  non  osservarle.  E  così,  mentre  Arrigo  li  volle  che  i  romani 
non  potessero  eleggere  il  papa  senza  suo  consenso,  e  Niccolò  II 
volle  rispettato  il  costume  antico,  che  riconosceva  nell'impera- 
tore il  diritto  di  verificare  la  elezione  e  assistere  alla  ordina- 
zione pontificia;  nel  caso,  da  noi  accennato,  si  volle  sopjiresso 
anche  quest'ultimo  resto  delle  imperiali  prerogative.  Inoltre 
abbiamo  già  visto,  che  lo  stesso  Giovanni  VIII  in  alcune  sue 
Epistole  protesta  contro  i  messi  imperiali,  inviati  a  Roma  per 
amministrare  giustizia.  Né  meno  fiere  sono  le  denegazioni  di 
Adriano  IV  nel  1159,  quando  insorge  contro  Federico  I,  che  aveva 
mandato  in  Roma  dei  magistrali  per  dirimere  controversie,  senza 
l'assenso  del  pontefice.  Ma  più  d'ogni  altro  documento  serve  a 
dimostrare  la  resistenza  che  i  Papi  fecero  contro  la  giurisdizione 
imperiale,  un  testo  delle  Clementine,  dove  il  pontefice,  a  proposito 
di  alcune  sentenze  ernanate  da  un  tribunale  imperiale  in  certe 
questioni  tra  Arrigo  e  Roberto  re  di  Sicilia,  dichiara  irriti  e  cani 
cotesti  giudicati,  allegando  che  il  re,  sebbene  citato  regolarmente, 
non  era  presente  al  giudizio  (1).  Oltre  a  ciò  cercano  i  papi  di 
scuotere  il  giogo  dei  re,  sollomeltendosi  solo  agl'imperatori,  la 
cui  consacrazione  slava  nelle  loro  mani;  talché  quando  Arrigo  III, 
che  non  aveva  assunto  ancora  la  corona  imperiale,  fece  deporre 
nel  Concilio  di  Sutri  i  tre  papi  Benedetto  IX,  Silvestro  III  e  Gre- 
gorio VI,  e  il  Baronio  dice,  che  fu  detestanda  prosunzione  del- 
l' imperatore,  dovuta    al    fatto    che    Gregorio   VI    era    stato   eletto- 


(1)  Il  Muratori  cita  l' Epistola  di  papa  Clemente  col  titolo  —  Pastoralem  —  mentre 
incomincia  colla  parola  —  Pastomlls  —  e  si  legge  nel  Corjìus  Juris  canonici,  Wj.  II, 
Clement.,  Tit.  XI,  Gap.  II.  Ivi  è  detto;  —  «  Nos  tam  ex  av.qierioritate  quam  ad  Impe- 
rium  non  est  dubium  nos  habere,  guani  ex  potesiate,  in  qua  (vacante  imperio) 
Imperatori  succedimus,  et  nihilominus  ex  illius  plenitudine  potestatis,  quam  Christus 
Rex  Regum  et  Dominus  dominantiura   nobis,  licet  immeritis  in  persona  Beati  Petri 

concessit,  sententiam  et  processus  omnes  praedictos,  et  quicquid  ex  eis  securum  est 

declaramus  fuisse  ac  esse  omnino  irritos  et  inanes Praehabitis  per  Imperatorem 

eumdem  quibusdam  processibus  contila  eum  (Regem)  absentem  tamen,  quamvis  legi- 
time  (juxta  Imperatoris  assertionem)  citatum,  ecc.  ». 


74  O.     SCALVANTI 

senza  suo  consenso,  molli  e  gravi  storici  osservano,  che  di  ciò 
non  poteva  Arrigo  dolersi,  in  quanto  che,  non  essendo  impera- 
tore, nessun  diritto  aveva  sulla  città  di  Roma. 

E  cenno  poi,  sotto  alcuni  pontefici,  del  loro  governo  su  Roma 
etìam  in  temporalibas,  come  fu  al  tempo  di  Giovanni  XII  (1).  Se 
nonché  le  tristi  condizioni  della  Chiesa  non  permisero  a  quel 
pontefice  e  ai  suoi  successori  di  affrancarsi  dall'impero.  Anzi  lo 
stesso  Giovanni  XII,  stretto  da  Berengario  II  e  da  Adalberto, 
dovette  ricorrere  all'  istituto  giuridico  deWadvocatia  ecclesiae,  in- 
viando Giovanni  diacono  e  Azo  scrinarlo  a  Ottone  per  chiamarlo 
a  difesa  della  curia  romana. 

§  12.  —  Ma  ancorché  a  quando  a  quando  la  Chiesa  si  trovi  nella 
necessità  di  ricorrere  all'  Impero,  ormai  noi  dobbiamo  verificare  un 
continuo  progresso  nelle  condizioni  di  lei.  Lo  stesso  Ottone  con- 
viene di  dover  largheggiare  colla  Chiesa,  ed  è  a  questo  proposito 
preziosissimo  il  documento  conservatoci  da  Graziano  e  che  leg- 
gasi anco  nel  Baronio  (2).  E  una  lettera,  che  Ottone  indirizza  da 
Pavia  a  Giovanni  XII,  e  dove  dice  :  —  «  Si  permittente  Domino, 
Romam  venero,  sanctam  romanam  Ecclesiam  et  te  rectorem  ipsius 
exaltabo  secundum  posse  meum  ;  et  nunquam  vitam  aut  membra 
et  ipsum  honorem,  quem  habes,  mea  voluntate,  aut  meo  Consilio, 
aut  meo  consensu,  aut  mea  exhortatione  perdes.  VA  in  romana 
urbe  nullum  placilum,  aut  ordinationem  faciam  de  omnibus,  quae 
ad  te  aut  ad  Romanos  perlinent,  sine  tuo  Consilio.  Et  quidquid 
in  nostrani  potestatem  de  terra  S.  Petri  pervenerit,  tibi  reddem. 
Et  cuicumque  regnum  italicum  commisero,  jurare  faciam  illum, 
ut  adjutor  tibi  sit  ad  defendendam  terram  Sancti  Petri  secundum 
suum  posse  ».  —  E  noto  come  queste. concessioni  non  approdas- 
sero al  fine  di  mantenere  pacifici  rapporti  tra  le  due  potestà.  Le 
lotte  fra  Gregorio  VII  e  il  quarto  Arrigo,  l'umiliazione  sofferta 
dall'autorità  impei'iale  a  Canossa,  la  conciliazione  avvenuta  nel 
1111  fra  Pasquale  li  e  Arrigo  V,  poco  stante  revocata  (3),  le  ri- 


li)  MuKAT.  Ann.^  voi.  XXXIII,  pag.  23. 

(2)  Annali  Ecclesiastici  all' an.  690,  e  Graziax.  Dist.  63,  e.  33.  TU.  Domln. 

(3)  Il  papa  aveva  proposto,  che  egli  rinunzierebbe  a  tutti  gli  stati  e  regalie,  che 
gli  ecclesiastici  avevano  avuto  e  riconoscevano  dall'  Impero  e  dai  regni  di  Carlo  Magno, 
Lodovico  il  Pio  e  Arrigo  I,  specificando  città,  ducati,  comitati,  zecche,  gabelle,  mer- 
cati, avvocazie,  corti,  castella,  ecc.;  e  il  Re  alla  sua  volta  rinunzierebbe  all' uso  di  in- 


un'opinione  del  iìautolo  sulla  libertà    I>E1U(;iNA  75 

sorgenti  contese  fra  Innocenzo  II  e  Lotario  III  e  tra  Federigo  I 
e  Adriano  IV,  le  proteste  degli  Ottoni,  i  trionfi  delia  politica  di 
Federigo  II  e  le  sue  discordie  con  Innocenzo  III  e  Gregorio  IX, 
son  tutti  avvenimenti,  su  cui  si  intessono  più  secoli  di  storia  ila- 
liana.  E  ove  ripensiamo  alla  stessa  lotta  delle  investiture,  se  da 
un  lato  ci  apparisce  manifesto  l'accanimento,  col  quale  T  Impero 
difese  non  solo  le  prerogative  della  sua  temporale  autorità,  ma 
ben  anco  il  titolo  della  sua  ingerenza  nella  nomina  dei  dignitari 
ecclesiastici  ;  dall'altro  si  apprende  che  la  Chiesa  ormai  riusciva 
ad  aver  ragione  dell'  Im[)ero.  Infatti  col  trattalo  di  Worms  l' Im- 
pero dovette  cedere  rispetto  alla  elezione  dei  prelati  e  alla  inve- 
stitura coli' anello  e  col  pastorale;  e  solo  gli  restò  il  diritto  della 
temporale  investitura  collo  scettro  e  della  precedenza  di  questa, 
al  di  là  delle  Alpi,  alla  investitura  spirituale.  Onde  non  ha  torlo 
l'Hegel,  quando  dice  che  in  quel  trattato,  l'imperatore  perdette 
la  causa  sul  punto  telale,  di  cui  trattavasi,  e  cioè  che  la  Chiesa 
■voleva  possedere  jure  proprio  le  regalie  anticamente  concesse 
agli  ecclesiastici  dall'  Impero  (1).  E  vero  che  la  Chiesa  non  riuscì 
colla  dieta  di  Worms  a  vedere  accolti  i  principi  del  Dictatus 
papae  di  Gregorio  VII  ;  ma  tuttavia  conseguì  gran  parte  del  suo 
scopo,  di  rendersi  cioè  assai  più  indipendente  dall'Impero.  Ma 
vediamo  con  ordine  di  ciò,  che  avvenne  al  tempo  del  Barbarossa. 
Federico  I,  bene  accorgendosi  della  influenza  sempre  maggiore 
dei  papi,  non  piegò  ai  voleri  del  pontefice,  che  non  volle  ac- 
cogliere gl'inviati  imperiali  per  amministrare  giustizia  in  Roma; 
parendogli,  dicono  gli  storici,  di  diventare  un  imperatore  dei  Ro- 
mani dì  solo  nome  e  da  scena,  quando  se  gli  volesse  levare  ogni 
potere  e  dominio  in  Roma  (2).  Né  potevano  piacere  a  Federico 
tali  propositi  della  curia  romana,  dal  momento  che  nel  1154  gli  ave- 
A'ano  offerto  il  dominio  —  «  legati  de  omnibus  civitatibus  Tusciae, 


vestire  i  vescovi  e  gli  abati.  AiTigo  V  andò  sulle  furie,  e  fece  prigione  Pasquale  II. 
Poi  nel  1111,  stabilito  un  accordo,  Arrigo  fu  consacrato  imperatore;  ma  in  parte  per 
il  mal  volere  di  lui  e  in  parte  per  l'opposizione  dei  vescovi,  l'accordo  venne  a  ces- 
sare col  Concilio  latei'anense  tenuto  nel  1116.  I  vescovi  disapprovarono  che  il  papa 
non  avesse  voluto  riconoscere  la  possibilità  di  investiture  a  favore  di  religiosi  per  parte 
di  laici. 

(1)  Hegel,  Storia  cleUa  Cast.,  Gap.  VI. 

(2)  MuRAT,  Ann.  —  ad  an.  1159. 


76  O.     SCALVAMTI 

nec  non  ex  omnibus  civitatibus  Spoleti,  munera  condigna  offeren- 
tes,  et  subjectionem  voluntariam  promitlenles  (1)  ». 

Pur  tuttavia  egli  ebbe  l'animo  disposto  a  rispettare  quei  pri- 
vilegi, che  nel  campo  del  temporale  dominio  gli  ecclesiastici  ave- 
vano ricevuto  dagl'imperatori.  E  ne  è  documento  infallibile  la  Pa- 
ce di  Costanza,  ove  si  legge:  —  «  In  civitate  illa,  in  qua  Episcopus 
per  privilegium  Imperatoris  vel  regis  comitatum  habet,  si  consules 
per  ipsum  episcopum  consulatum  recipere  solent,  ab  ipso  reci- 
piant  (2)  ».  —  Con  la  quale  disposizione  Federigo  confermava  i  pri- 
vilegi antichi,  e  poiché  l'investitura  dei  consoli  era  una  facoltà 
che  riservava  a  sé  («  alioqui  unaquaeque  civitasanobis  consula- 
tum recipiant  »),  riconoscendola  in  caso  di  privilegio  nei  vescovi,, 
veniva  quasi  a  crearli  vicari  imperiali. 

§  13.  —  Ma  sebbene  l'Impero  manifesti  di  sovente  e  in  termini 
vivaci  il  desiderio  di  riconquistare  intera  la  sua  indipendenza,  pure 
dagli  ultimi  del  secolo  XII  e  nel  secolo  seguente,  penetrano  nel  gius 
pubblico  delle  massime  e  dei  principi  atti  a  liberare  la  Chiesa 
dalla  supremazia  degl'Imperatori.  A  ciò  diedero  occasione  le  lun- 
ghe e  frequenti  vacanze  del  trono  imperiale;  imperocché  è  noto 
che  dal  1251  al  1273  non  si  ebbe  nessun  imperatore  o  re  dei  ro- 
mani. Nel  1273  fu  re  dei  romani  Ridolfo,  che  cercò  invano  di  re- 
staurare i  diritti  dell'Impero,  onde  inviò  il  figlio  in  Italia  per  com- 
piervi una  invasione  nelle  terre  della  Savoja.  Nel  1292  succede  a 
lui  Adolfo  di  Nassau,  come  re  dei  romani  fino  al  1298,  anno  nel 
quale  cotal  titolo  è  assunto  da  Alberto  tedesco.  L'impero  ritorna 
nel  1312  con  Arrigo  VII,  che  si  fa  coronare  imperatore  a  Roma, 
mentre  il  papa  è  in  Provenza.  Ma  dopo  due  anni  la  sedia  imperiale 
vaca  di  bel  nuovo,  e  cioè  dal  1314  al  1346,  quando  é  incoronato 
imperatore  Carlo  IV,  quello  stesso  a  cui  il  Bartolo  fu  inviato  am- 
basciatore (3).  Questo  stalo  di  cose  determinò  una  corrente  favo- 
revole alla  Chiesa,  di  cui  il  Bartolo,  vissuto  proprio  al  tempo  nel 
quale  le  lunghe  vacanze  dell'Impero  avevano  reso  più  facile  il 
lavorio  di  indipendenza  della  Chiesa  roniana,  dovette  tener  conto 
nella  costruzione  della  sua  teorica. 


(1)  Weingart,  Chronic  apud  Leibmtium,  t.  I.  , 

(2)  De  lìace  Constantiae,  §  Privilegia  omnia,  ecc. 

(3)  Scalvanti,    Cons.   sul  prino   libro   degli   Statuti  perugini.   Parte   I,    Pe- 
rugia, 1895. 


un'  opinione   del   BARTOLO    SULLA    LIBERTÀ    PERU(iINA  77 

Anzi,  lulla  la  storia  registra  in  più  occasioni  il  diritto  che  la 
Chiesa  volle  rivendicare  sul  regno  di  Sicilia,  e  per  citare  un  fatto 
solo,  perchè  si  collega  a'  due  grandi  nomi  di  Innocenzo  III  e  di 
Federigo  II,  ricorderemo  le  dichiarazioni,  che  il  pontefice  ebbe  a 
fare  nel  1215  a  Federigo,  e  cioè  che  se  veniva  esaltato  come  im- 
peratore, doveva  cedere  immediatamente  il  regno  di  Sicilia  al  figlio 
suo,  che  tal  dominio  riconoscerebbe  dalla  Santa  sede. 

§  14.  —  Ma  i  tre  istituti  che  la  Chiesa,  profittando  di  favore- 
voli circostanze,  cercò  introdurre  nel  diritto  pubblico  del  tempo 
furono  i  seguenti  : 

1.°  Che  l'Impero  era  dato  dal  Papa  in  feudo  agl'imperatori. 

2.°  Che  nella  vacanza  dell'  Impero,  il  vicariato  di  esso  spet- 
tava al  Papa. 

3.°  Che  come  il  Papa  dava  ai  He  l'Impero  in  feudo,  cosi  po- 
teva tal  concessione  revocare. 

1.  —  11  primo  cenno  di  concessione  quasi  feudale  dell'impero 
si  ebbe  nelle  lotte  fra  Federigo  I  e  Adriano  IV.  Fu  nel  1157, 
che  quel  pontefice  mandò  suoi  ambasciatori  a  Besanzone,  dove 
trovavasi  l'imperatore,  per  fargli  rimostranze  di  non  avere  punito 
ancora  quei  tedeschi,  che  avevano  fatto  prigione  Esquilo  arcive- 
scovo di  Lunden.  E  per  stimolarlo  a  compiere  quello  che  il  papa 
credeva  stretto  dovere  dell'imperatore,  Adriano  IV  ricordava  nelle 
sue  lettere  a  Federico  I,  di  avergli  conferito  la  corona,  di  che, 
aggiungeva,  non  avrebbe  avuto  mai  pentimento,  quando  anche 
—  majora  beneficia  excellentia  tua  de  manu  nostra  suscepisset  — . 
In  specie  quella  parola  —  beneficia  — ,  di  cui  Federigo,  così  vago 
di  definizioni  legali,  comprendeva  certo  il  significato,  spiacque 
a  lui  e  a'  suoi  fautori,  perchè  parve  volesse  il  papa  sostenere, 
che  Federigo  teneva  l'Impero  da  lui  come  in  feudo.  Nella  quale 
opinione  lo  confermava  una  scritta,  veduta  in  Roma,  e  che  leg- 
gevasi  nel  palazzo  lateranense  sotto  una  pittura  rappresentante 
l'imperatore  Lotario  a'  piedi  del  papa;  la  quale  scritta  era  così 
concepita  ; 

Eex  venit  ante  fores,  jurans  x>rius  urbis  honores, 
Post  homo  fit  papae,  sumit  quo  dante  coronam  (1). 


(1)  Ml'rat,  Annali,  ad  an.  1157. 


■ 


78  O.     SCALVANTI 

E  per  verità  il  senso  dell'intera  scritta,  e  in  specie  quella  pa- 
rola —  homo  —  ricevuta  in  significato  di  vassallo^  non  poteva 
riuscire  gradita  al  carattere  imperioso  di  F^ederico.  E  poiché  egli 
ebbe  a  lagnarsene  cogli  ambasciatori  del  papa,  uno  di  essi  per 
chiarire  il  concetto  del  suo  signore,  uscì  in  questa  frase:  —  .4  quo 
ergo  habet  si  a  domino  papa  non  habei  impteriumf  —  L'ira  che 
sollevarono  tali  parole  fu  tanta,  che  Ottone  conte  palatino  di  Ba- 
viera poco  mancò  non  uccidesse  il  legato  pontifìcio  (1). 

2.  —  Ma  ormai  il  principio  era  posto,  e  non  mancava  che  trar- 
ne le  conseguenze;  prima  delle  quali  doveva  esser  questa,  che 
nella  vacanza  dell'Impero,  l'alta  autorità  imperiale  apparteneva  a 
titolo  di  vicariato  al  papa.  La  quale  teoria  andò  formandosi  negli 
ultimi  del  secolo  XIII  e  ai  principii  del  XIV.  La  troviamo  infatti 
ricordata  nel  testo  —  Pastoralis  —  di  Clemente  altrove  citato,  là 
dove  si  dice:  —  «  Nos...  a  potestà  te,  in  qua  (vacante  imperio)  Im- 
peratori succedimus  ».  —  E  lo  stesso  si  afferma  nel  1322  al  tempo 
di  Giovanni  XXII,  quando  a  proposito  dei  diritti  pontifici  su  Pia- 
cenza, si  nota  che  questa  città  —  «  immediate  subjecta  est  et  fuerit 
ab  antiquo  Sanctae  Romanae  Ecclesiae  »  —  e  gli  storici  sostengono 
che  certo  tal  signoria  doveva  aver  luogo  nella  vacanza  deW  im- 
pero, come  era  avvenuto  per  Parma  e  Modena  (2). 

3.  —  E  se  fin  dal  tempo  di  Federigo  si  era  affacciala  l' idea, 
che  l'Impero  fosse  feudo  della  Chiesa,  nessuno  potrà  meravigliarsi 
che  poco  tempo  dopo,  e  cioè  nel  pontificato  di  Celestino  III  (1191- 
1198)  si  introducesse  l'altro  principio,  che  il  papa  poteva  revo- 
care la  podestà  concessa  infeudo  agl'imperatori  (3).   In  tal  modo 


(1)  Sebbene  quest'  idea  del  feudo  sia  sorta  più  tardi,  piire  un  cenno  di  simiglianti 
pretese  s'incontra  lino  dall' 823.  Infatti  quando  papa  Pasquale  invitò  Lotario  a  Roma 
per  procedere  alla  coronazione  imperiale,  lo  avvertì,  che,  senza  tale  solennità,  egli  non 
poteva  esercitare  atti  propri  di  un  imperatore;  e  quindi  era  mestieri  venisse  in  Italia 
a  cingere  la  corona,  non  al  solo  effetto  della  sanliflcazione,  ma  a  quello  eziandio 
del  potere  —  non  taìii  sancii ftcatione  guani potestate  et  nomine  —  (Pascasius  Ra- 
TBERTUS  in  Vita  Vallae  ab.  apud  Mab.). 

(2)  Vedi  fra  gli  altri  Muratori,  Ann.  d'Italia. 

(3)  L'IIovedeno  ne'  suoi  Annali  narra  che  quando  Celestino  III  diede  la  corona 
imperiale  ad  Arrigo  VI  —  «  percussit  cum  pede  suo  coronam  imperatoris,  et  dejecit 
eam  in  terram,  significans  quod  ipse  potestatem  ejiciendi  eum  ab  imperio  habet,  si 
ille  demeruerit.  Sed  Cardinales  statim  arripientes  coronam,  imposuerunt  eam  capiti 
imperatoris  »  — .  Il  cardinal  Baronie  accettò  il  racconto  dell' Ilovedeno;  ma,  ad  ogni 
modo,  posto  che  il  fatto  non  siasi  verificato  proprio  nel  modo  che  narra  1'  annalista, 
è  certo  che  qualche  cosa  di  simigliante  deve  essere  avvenuto  per  autorizzare  il  giudi- 
zio degli  storici. 


un'  opinione   del   BARTOLO    SILLA    LIltERTÀ     l'ERl'GINA  79 

questo  pontefice  andava  preparando  il  terreno  alle  altre  conquiste 
che  Innocenzo,  suo  successore,  doveva  intraprendere  a  favore  della 
Chiesa.  Né  deve  stupire,  che  dopo  essersi  introdotta  la  teoria 
dell'impero /eMO?o  della  Chiesa  e  del  vicariato  di  essa,  Bonifacio 
Vili  (a.  1294-1303)  si  proclamasse  egli  stesso  —  solus  impvra- 
tor  —  (1).  Con  questa  corrente  di  idee  si  apriva  il  secolo  XIV, 
nel  quale  il  Bartolo  visse  e  insegnò. 

§  15.  —  Al  suo  tempo  dunque  nessun  principio  pacifico  erasi  sta- 
bilito per  sistemare  in  modo  definitivo  la  posizione  giuridica  dell'Im- 
pero nei  suoi  rapporti  coll'Italia  e  in  specie  colla  Chiesa;  ma  eviden- 
temente questa  andava  ogni  dì  più  guadagnando  terreno.  II  grande 
giurista,  come  abbiamo  avvertito,  volle  innanzi  tutto  ricongiun- 
gere lo  stato  di  Perugia  agli  antichi  diritti  imperiali,  uniforman- 
dosi alle  massime  invalse  nei  secoli  precedenti,  ed  a  ciò  che  di 
quando  in  quando  l'Impero  affermava  anche  al  tempo  suo.  Non 
bisogna  infatti  dimenticare  l'Editto  di  Lodovico  il  Bavaro  dell'an- 
no 1339,  col  quale  si  vuole  rendere  affatto  indipendente  l'autorità 
imperiale  dalla  ingerenza  della  Chiesa  e  stabilire  che  l'imperatore 
per  la  sola  elezione  —  «  est  rex  verus  et  imperator  Romanorum 
censendus  et  nominandus  »  —  senza  bisogno  di  conferma  o  con- 
senso della  Sedia  apostolica  (2).  A  questa  dichiarazione  doveva 
tener  dietro  tutto  un  sistema  di  restaurazione  dei  diritti  impe- 
riali ;  talché,  col  voto  di  Uberto  da  Lampugnano  e  di  Marsilio 
da  Padova,  fu  sancito,  che  dai  tribunali  ecclesiastici  fosse  dato 
appello  alla  Corte  imperiale  ;  che  all'imperatore  spettasse  di  inter- 
venire per  la  convocazione  dei  concilii,  per  stabilire  feste  e  di- 
giuni, il  numero  dei  templi  e  dei  sacerdoti,  e  infine  che  a  lui 
spettasse   la   nomina  a  molte  dignità   ecclesiastiche,    non    esclusa 


(1)  Narrasi  che  Bonifacio,  ricevuti  gli  ambasciatori  di  Re  Alberto,  dichiarasse  che 
il  loro  signore  non  era  degno  di  rivestire  l'imperiale  autorità,  essendosi  ribellato  al 
Re  Adolfo.  E  poiché  i  legati  cercavano  persuadere  il  pontefice  a  più  ragionevole  con- 
siglio, narra  Benvenuto  da  Imola  (Hist.  August)  che  Bonifacio,  assiso  sul  trono  e 
tenendo  la  corona  in  capo  con  una  spada  a  lato,  bruscamente  esclamò:  —  «  /o  sono 
Cesare,  io  Vim2}eratore!  »  — 

(2)  «  Declaramus  quod  imperialis  potestas  et  dignitas  est  immediate  a  solo  Beo, 
et  quod  de  jure  imperii  et  consuetudine  antiquitus  approbata,  postquam  aliquis  eligitur 
in  imperatorem  ab  electoribus,  statim,  ex  sola  electione,  est  rex  verus  et  imperator 
Romanorum  censendus  et  nominandus,  nec  papae,  sive  sedis  apostolicae  confìrmatione 
indiget  vel  consensu  ».  —  (Fertile,  Storia  del  Diritto  italiano,  voi.  I).  La  quale  teoria 
Lodovico  il  Bavaro  pose  ad  effetto  facendosi  eleggere  dal  popolo  e  incoronare  da  SciaiTa 
Colonna. 


so  O.     SCALVANTI 

la  ingerenza  nella  elezione  del  pontefice  e  la  podestà  di  deporlo. 
La  stessa  esagerazione  che  si  nota  in  questo  disegno  di  Lodovico 
il  Bavaro,  ci  dinaostra  com'egli  agisse  per  un  forte  spirito  di  rea- 
zione contro  le  pretese  papali  ;  ma  tale  teorica  non  durò  nemme- 
no la  vita  di  lui,  imperocché  sia  noto  che,  lui  vivente,  venne  esal- 
tato al  trono  imperiale  Carlo  IV  (1). 

D'altronde  lo  stesso  Carlo  IV  pareva  risoluto  a  rivendicare  i 
diritti  dell'  Impero,  onde  Clemente  VI  nel  1348  prima  ancora  che 
Carlo  divenisse  imperatore  (2),  lo  sollecitò  a  cedergli  tutte  le  ra- 
gioni imperiali  sulla  città  di  Avignone;  il  che  conseguì  in  forma 
solenne  col  diploma  riferitoci  dal  Leibnitz  (3).  E  poiché  Giovanni 
Visconti  molestava  le  città  italiane  e  i  papi  erano  lontani  da  Roma, 
molti  comuni,  tra  i  quali  Firenze,  Perugia  e  Siena,  andarono  sol- 
lecitando Carlo  IV  a  scendere  in  Italia,  e  la  slessa  Lega  di  Lom- 
bardia del  1354  rinnovò  tali  pratiche,  che  raggiunsero  l'effetto  de- 
siderato, imperocché  in  quell'  anno  Carlo  IV  si  dispose  a  venire 
nella  penisola.  Ove  giunto,  non  si  ristette  dell'affermare  qua  e 
colà  i  diritti  dell'  Impero,  e  ne  è  prova  la  mutazione  introdotta 
nel  governo  di  Siena,  di  cui  mise  a  capo  Niccolò  patriarca  di 
Aquileja,  suo  fratello  naturale,  poco  dipoi  deposto  e  cacciato. 

§  16.  —  Bisognava  dunque  aver  sempre  riguardo  al  diritto  impe- 
riale, e  ricollegare  a  questa  suprema  fonte  di  temporale  dominio 
l'autorità  della  Chiesa  su  Perugia;  e  bisognava  poi  profittare  della 
evoluzione  fatta  dal  diritto  pubblico  nei  rapporti  fra  la  Chiesa  e 
Impero,  per  giungere  alla  dichiarazione  della  libertà  perugina  (4). 


(1)  La  venuta  in  Italia  di  Arrigo  VII  fu  cagione  che  la  parte  ghibellina  trionfasse 
quasi  dovunque,  e  poiché  contro  essa  insorsero  il  papa  e  il  Re  di  Napoli,  i  signori 
ghibellini  invocarono  l'intervento  di  Lodovico  il  Bavaro.  E  notisi  che  questo  prin- 
cipe, tra  per  le  contese  avute  in  Germania  con  Federigo  duca  d' Austria  e  per  la  guerra 
civile  durata  otto  anni,  quando  scese  in  Italia  non  potè  farsi  accompagnare  da  buon 
nerbo  di  armati,  e  la  sua  incoronazione  a  Roma,  compiuta  contro  il  volere  del  papa, 
che  lo  scomunicò,  non  potè  insignirlo  legittimamente  del  titolo  e  dell'autorità  impe- 
riale. Mezzo  disfatto  a  Roma,  partì  dall'  Italia  odiato  e  disprezzato  da  tutti  i  partiti. 

(2)  Il  Muratori  ritiene  che  Carlo  IV  fosse  imperatore  nel  1346,  ma  mi  sembra 
inesatto.  In  quell'anno  egli  ebbe  il  titolo  di  Re  dei  Romani.  Ma  la  cerimonia  avve- 
nuta in  Bonn  nel  25  novembre  13 i6  non  poteva  conferire  al  nuovo  signore  la  dignità 
«  la  corona  imperiale,  che  consegui  a  Roma  nel  5  aprile  1355  per  le  mani  del  cardinale 
Pietro  di  Bertrando,  vescovo  d'Ostia,  deputato  a  ciò  dal  pontefice  Innocenzo  VI. 

(3)  Cod.  jur.  geni.,  t.  I,  n.  93. 

(4)  Tanto  più  poi  era  necessario  tener  conto  della  imperiale  concessione,  quanto 
che  l'Impero  qualche  regalia  pareva  voler  conservare  anche  sulle  città  afirancate 
dalla  Chiesa  (Vedi  Scalvanti,  op.  cit.,  Parte  I}. 


un'  opinione   del   BARTOLO    SULLA    LIBERTÀ    PERUGINA  81 

Il  Bartolo  mirò  a  questo  fine  così  ragionando.  Egli  ammise  che 
tutto  quello  che  non  è  sottoposto  all'Impero  soggiace  alla  Chiesa. 
E  ci  sembra  che  nello  stabilire  questo  punto,  il  Bartolo  abbia 
avuto  presente  la  invalsa  dottrina,  che,  cacante  imperio,  era  il 
pontefice  che  rappresentava  l'alta  autorità  imperiale  da  darsi  poi 
al  Re  eletto  quasi  in  ragione  di  feudo.  Ma  la  proposizione  aveva 
il  suo  rovescio;  di  guisa  che  bisognava  aggiungere  —  che  tutto 
quello  che  alla  Chiesa  non  apparteneva,  era  di  spettanza  dell'Im- 
pero. —  Ora  se  avveniva  che  la  podestà  imperiale  avesse,  mediante 
privilegio,  concesso  alla  Chiesa  la  sovranità  sopra  un  territorio, 
e  la  Chiesa  vi  avesse  rinunziato  a  favore  dei  popoli  soggetti,  la 
città  non  ricadeva  sotto  l'alto  dominio  imperiale,  perchè  il  papa 
era  quasi  signore  del  feudo  e  certamente  vicario  imperiale,  e  se 
alla  concessione  di  quella  città  aveva  l'imperatore  rinunziato,  ne 
veniva  che  il  papa  avesse  legittima  potestà  di  conferire  ad  altri 
la  sovranità  di  quella  terra.  Dunque,  se  coli' antica  concessione 
alla  Chiesa  mantenevasi  un  gius  imperiale;  attesi  gli  attributi 
dalla  Chiesa  stessa  posteriormente  acquistali,  quel  diritto  veniva 
ad  estinguersi.  A  tale  affermazione  giunge  il  Bartolo  esaminando 
nelle  Fonti  l'efficacia  dei  privilegi  rispetto  all'ordine  dei  decu- 
rioni, ove  si  nota  che,  ad  esempio,  alcuni  dignitari,  come  i  con- 
soli, i  patrizi,  il  prefetto  del  pretorio,  il  maestro  dei  militi  e  i  loro 
figli  venivano  esonerati  dall'ordine  dei  curiali,  e  tale  privilegio 
durava  anche  dopo  la  cessazione  dell'ufficio. 

Nello  stesso  modo  il  privilegio  della  franchigia  dall'Impero 
accordata  a  favore  della  Chiesa  nuova  sovrana,  doveva  continuare 
anche  dopo  che  era  cessato  nella  Chiesa  slessa  l'esercizio  del  di- 
ritto, che  aveva  formato  oggetto  del  privilegio  imperiale.  E  come 
il  privilegio  del  padre,  anche  dopo  la  cessazione  dell'ufficio,  gio- 
vava ai  figli,  così  il  privilegio  di  sovranità  accordato  alla  Chiesa 
giovava  ai  popoli,  anche  quando  era  venuto  a  mancare  il  diritto 
sovrano  dei  papi.  Questo  pensiamo  fosse  il  concello  del  Bartolo; 
e  per  quanto  l'analogia  fra  i  casi  contemplati  nelle  Cosi.  61,  64, 
65  e  66  Cod  :  De  decurionibus  et  flliis,  ecc.  non  apparisca  corretta 
di  fronte  alla  tesi  sostenuta  dal  celebre  giurista  per  giungere  alla 
proclamazione  della  libertà  perugina,  è  un  fatto  che  si  volle  so- 
stenere, che  la  conservazione  di  prerogative  imperiali  era  incom- 

6 


82  O.     SCALVANTI 

patibile  colla  sovranità  della  Chiesa,  alla  quale  conchiusione  pre- 
stavasi  il  diritto  pubblico  del  tempo. 

Ecco  perchè  Perugia  non  suhest  Ecclesiae  nec  Imperio;  lo  che 
è  quanto  dire  che  tra  l'autorità  imperiale  da  un  lato  e  la  podestà 
papale  dall'altro  sorge  una  terza  e  legittima  forma  di  sovranità, 
quella  delle  repubbliche  italiane.  Poco  importava  al  Bartolo,  vi- 
vente nel  secolo  XIV,  che  si  trovasse  la  sua  città  a  godere  di 
libero  governo  anco  per  franchigie  concesse  direttamente  da  im- 
peratori, ad  es.  da  Arrigo  VI  ;  poco  gì' importava  che  la  sua  slessa 
teorica  trovasse  qualche  restrizione  nelle  vicende  de' secoli  XII 
e  XIII  ;  a  lui  premeva  di  stabilire  scientificamente,  che  Perugia  non 
poteva  più  appartenere  né  all'Impero  né  alla  Chiesa,  e  a  ciò  gli 
servivano  i  materiali  storici  circa  i  recenti  rapporti  fra  le  due  po- 
destà. A  far  poi  che  i  fatti  rispondessero  alla  teorica  il  meglio 
possibile,  dovevano  adoperarsi  con  industre  ingegno  i  governanti, 
come  egli  stesso  vi  si  adoperò  nel  soddisfare  ai  pubblici  uffici, 
cui  lo  chiamavano  i  suoi  concittadini.  E  se  taluno  ritenesse  assai 
specioso  il  mezzo  escogitato  dal  Bartolo,  e  non  gli  paresse  infor- 
mato a  larghi  criteri  di  libertà,  egli  si  abbandonerebbe  al  più  fu- 
nesto errore  di  uno  storico,  quello  cioè  di  imprestare  a  lontane 
età  sentimenti  e  principi,  che  solo  il  tempo  ha  saputo  risve- 
gliare e  maturare  per  la  felicità  dei  popoli  e  la  perfezione  dei 
governi.  E  l'affermazione  del  Bartolo  potè  molto  anche  sull'animo 
dei  dotti,  che  fiorirono  nei  secoli  appresso;  e  noi  vediamo,  ad 
es.  Alberigo  Gentile  citare  con  certo  orgoglio  Perugia,  come  — 
una  in  non  multis  Italiae,  qaae  libera  a  Papa  et  ab  Imperio 
est  —  (1).  Ciò  prova  che  la  teorica  del  Bartolo  non  solo  era  stata 
accolta  dai  giuristi  del  suo  tempo,  ma  oltre  due  secoli  e  mezzo 
dopo  veniva  citata  da  uomini  insigni,  come  la  formula  più  esatta 
a  significare  la  libertà  perugina,  ormai,  ai  tempi  di  Alberigo,  ir- 
reparabilmente perduta. 

§  17.  —  Ma  a  quali  atti  di  donazione  imperiale  può  essersi  rife- 
rito il  Bartolo?  Se  noi  volessimo  tener  conto  di  tutti  gli  atti  in- 
terceduti fra  il  Papato  e  l' Impero,  non  finiremmo  più  questa  nota 
al  passo  del  Bartolo;  ma  a  noi  sembra    che   il  grande    giurecon- 


(I)  Laudes  Academiae  Perusinae  et  Oxoniensix,  Hanovia  MDGV. 


un'  opinione   del   BARTOLO    SULLA    LIBERTÀ    PERUGINA  -S:j 

sullo  non  abbia  pensalo  esclusivamente  ad  un  solo  diploma  per- 
chè r  espressione  che  adopera  è  incerla  :  —  nani  Imperator  do- 
navit  eam  (Perusiam)  Ecclesiae  seu  permutacit  cum  ea  — .  Ora 
altro  è  donazione,  altro  è  permuta;  l'una  esclude  l'altra,  né  po- 
teva cadere  in  equivoco  il  dolio  giurista. 

Pur  nondimeno  è  probabile  egli  si  riferisse  alla  celebre  con- 
ferma dei  privilegi  riguardanti  l'Umbria  fatta  da  Lodovico  il  Pio 
nel!' 818  al  pontefice  Pasquale.  Si  tratta  del  documento,  chetante 
ed  erudite  discussioni  ha  sollevato.  Vuoisi  infatti  che  il  diploma 
non  sia  sincero,  ma  finto;  e  il  Pagi  e  il  Muratori  son  giunti  a 
tale  evidenza  di  dimostrazione  da  rendere  presso  che  oziose  al- 
tre indagini.  E  di  vero  a  far  ritenere  insincero  quel  documento 
basta  il  trailo,  nel  quale  l' imperatore  cede  alla  Chiesta  —  insu- 
Las  Corsicam,  Sardiniam  et  Siciliani  sub  integritate  cura  omni- 
bus adiacentibus  et  territoriis  maritimis  — .  Dato  l'accordo  e  la 
pace  esistente  tra  Roma  e  1'  Impero  greco,  era  egli  possibile,  che 
Lodovico  facesse  al  papa  cessione  di  terre,  che  erano  sempre 
soggette  all'imperatóre  di  Oriente?  E  tanto  più  dobbiamo  confer- 
marci in  questa  opinione^  quanto  che  nel  diploma  non  occorre  ve- 
runa di  quelle  frasi  restrittive,  che  si  incontrano  in  allri  docu- 
menti di  data  posteriore.  Potevano  cedersi  infatti  territori,  di  cui 
non  si  aveva  a  quel  momento  l'impero;  ma  si  notava  ciò  con  ap- 
propriate espressioni,  ad  es.  —  patvimonium  Siciliae,  si  Deus 
nùstris  illud  tradiderit  manibus  — ,  la  quale  espressione  o  una 
consimile  non  occorre  nel  testo  in  esame.  Ma  è  duopo  osservare 
d'altro  canto  che  lo  stesso  Muratori  nella  Diss:  XXXIV  (1)  e 
negli  Annali  non  dichiara  in  modo  assoluto  che  quel  diploma  è 
finto;  bensì  avanza  il  dubbio  che  possa  essere  stato  interpolato. 
E  questo  è  il  vero;  anzi  a  noi  pare  evidentissimo,  che  tutta  la 
prima  parte  del  diploma  sia  vera  ed  autentica,  mentre  tra  questa 
parte  e  la  chiusa  v' è  un  passo  interpolalo,  che  riguarda  dona- 
zioni inverosimili  in  altre  parti  d'Italia. 

Abbiamo  più  sopra  notato,  che  rispetto  alla  menzione  della 
Sicilia,  Corsica  e  Sardegna  non  si  incontra  nel  testo  alcuna  ri- 
serva, la  quale  faccia  intendere  che  V  Impero  non    aveva   in    quel 


(\)  Voi.  II,  pag.  300  e  seg. 


84  O.     SCALVANTI 

tempo  il  dominio  delle  isole.  Ebbene  se  noi  poniamo  a  raffronto 
il  fatto  della  donazione  della  Sicilia,  ecc.  colla  formula,  che  usa 
l'Imperatore  verso  la  Chiesa,  abbiamo  la  prova  evidente  della  in- 
terpolazione. —  «  Ceterum  ut  diximus  omnia  superior  nominata^ 
ita  ad  veslram  partem  per  hoc  noslrae  confirmalionis  decretum 
roboramus  ut  in  vestro,  vestvoranique  successorum  permaneant  jure 
principatu  atque  ditione,  ut  neque  a  nobis  ncque  a  fìliis  noslris  per 
quodlibet  argumenlum  sive  machinationem  in  quacumque  parte  mi- 
nuatur  vestra  potestas,  ecc.  »  — .  Ognuno  comprende  che  una  formula, 
in  cui  si  conferma  il  privilegio,  pel  quale  un  territorio  deve  ri- 
manere in  principato  alla  Chiesa,  non  può  riferirsi  che  a  stati,  città 
e  castelli  che  si  trovavano  di  già  soggetti  alla  medesima.  E  qui 
invece  abbiamo,  che  non  solo  non  erano  soggetti  alla  Chiesa,  ma 
in  quel  tempo  non  si  trovavano  nemmeno  sotto  il  dominio  del- 
l' Impero,  d'Occidente.  Il  quale  concetto  si  incontra  anche  nel  prin- 
cipio del  diploma,  ove  parlandosi  della  conferma  data  da  Lodovico 
il  Pio  si  dice,  che  i  Papi  avevano  fino  allora  in  podestà  le  terre, 
cui  il  privilegio  si  riferisce. 

Pertanto  la  parte  del  documento,  che  riteniamo  autentica,  è  la 
seguente  : 

Ego  Ludovicus  Imperator  Augustus  statuo  et  concedo  per  hoc 
pactum  confirmationis  tibi  B.  Petro  Principi  Apostolorum  et  prò 
te  Vicario  tuo  Dompno  Paschali  summo  Pontifici  et  universali 
Papae  et  successoribus  ejus  in  perpeluum  sicul  a  praedecessoribus 
vestris  usque  nunc  in  vestra  potestate  et  ditione  tenuistis  et  di- 
sposuistis  civitatem  Romanam  cum  ducatu  suo  et  suburbanis  atque 
viculis  omnibus  et  territoriis  ejus  monlanis  ac  marilimis,  littori- 
bus  ac  portubus  seu  cunctis  civitatibus,  caslellis,  oppidis  ac  vicu- 
lis. In  Tusciae  partibus  idest  Portum,  Centumcellas,  Chere,  Ble- 
dam,  Marluranum,  Sutrium,  Nepe,  Castellum,  Gallisem,  Hortem, 
Polimartium,  Armeriam,  Tode,  Perusiam  cum  tribus  insulis  suis, 
idest  majorem  et  minorem,  Pulvensim,,  Narniam,  Utriculum  cum 
omnibus  finibus  ad  supradictas  civitates  pertinenlibus.  Simili  modo 
in  partibus  Campaniae  Signam,  Anagniam,  Ferentinum,  Alatrum, 
Patricum,  Frisilimam,  cum  omnibus  finibus  Campaniae. 

Nec  non  Exarchatum  Ravennatem  sub  integritate  cum  urbi-* 
bus,  civitatibus,  oppidis  et  castellis  quae  piae  recordationis  Dom- 


un'  opinione   del   BARTOLO    SULLA    LIBERTÀ    PERUGINA  85 

pnus  Pipinus  rex  ac  bonae  memoriae  genilor  noster  Karolus  Im- 
peralor  Beato  Pelro  Apostolo  et  predecessoribus  veslris  jamdudum 
per  donalionis  paginam  restituerunt,  hoc  est  civitalein  Havennam 
et  Emiliani,  Bobium,  Caesenam,  Forum  p.  p.  Forum  Livii,  Fa- 
ventiam,  Immolam,  Bononiam,  Ferrariam,  Comiacclum  . .  .  Simul- 
que  et  Penlapolim  videlicet  Ariminum,  Pisaurum,  Fanum,  Sene- 
galliam,  Anconam,  Hausimum,  Humanam,  Hesim,  Forum  Sem- 
pronii,  Montem  F'eretri,  Ulbinum  et  territoriuin  Valvense,  Kallem 
Luciolis,  Egubium  cum  omnibus  finibus  ac  terris  ad  easdem  civi- 
tates  pertinenlibus  (1) 

■  \-  •  •  ■  :  _ (2j. 

Ceterum  ut  diximus  omnia  superius  nominata  ita  ad  veslrum 
partem  per  hoc  nostrae  confirmationis  decretum  roboramus  ut  in 
vestro,  vestrorumque  successorum  permaneant  jure  principatu  at- 
que  ditione,  ut  neque  a  nobis  neque  a  fìliis  nostris  per  quodiibet 
argumentum  sive  machinationem  in  quacumque  parte  ininualur 
vestra  potestas,  aut  vobis  de  soprascriptis  omnibus  vel  successo- 
ribus  vestris  in  aliquid  sublrahatur  de  suprascriptis  videlicet  pro- 
vinciis,  urbibus,  ecc. 


(1)  stimiamo  utile  dare  le  variazioni  subite  dai  nomi  di  alcune  città  e  castella 
indicate  nel  testo.  Portum  —  Portus  Augusti,  Porto  (presso  Fiumicino  sul  braccio 
nord  del  Tevere):  Centincellas  -r-  Civitavecchia;  Chere  —  Caere,  oggi  Cerveleri 
(circondario  di  Civitavecchia);  Bledam  —  Bleram  oggi  Biecla  (al  sud  di  Vetralla); 
Marturanum  —  Manturanum  —  Canale  3Ionterano  (mandamento  di  Bracciano); 
SiTRiUM  —  Sutri;  Nepe  —  iXepi;  Castellum  —  Castro  dei  Volsci;  (mandamento  di 
Vallecorsa  circondario  di  Prosinone);  Gallisem  —  Gallese;  HoRTEM-Horta  oggi  urte; 
PoLiMARTiCM  —  Bomarzo  (circondario  di  Viterbo);  Armeri.vm  —  Ameriam,  oggi  a melia; 
ToDE  —  Tuderte  appellato  attualmente  Todi;  insulam  Majorem,  Minorem,  Pulvensim 
—  Isola  Maggiore,  Minore  o  Isoletta  e  Polvese  nel  Lago  Trasimeno  ;  Narniam  —  Nomi; 
Utriculum  —  Ocriculum  oggi  Otricoli;  Signam  —  Segni;  A's aosi au  — Ana giti;  Fe- 
RENTiNU.vi  —  Ferentino  presso  Anagni  —  Alatrum  —  Alatri  —  Patricum —  Patrica 
(circondario  di  Prosinone);  Frisilimann  — Frisilunam  oggi  Fresinone  ;  Bobium  o  piut- 
tosto Buidam,  oggi  Buda  (sullo  scalo  Rondone,  che  mette  nel  canale  di  Medicina  e 
di  là  nel  drizzagno  del  Reno),  o  anche  Butriu.m,  oggi  Ponte  di  Budrio  (sulla  Rigotta 
fra  Cesena  e  Savignano  di  Romagna);  Forcm  p.  p.  —  Forum  Popilii  oggi  Fo ri imjìo polii 
Forum  Livii  —  Forlì;  Faventiam  —  Faenza;  Immolam  —  /»ìo;a,-.CoMiACLUM  — 
Comacchio;  Ariminum  —  Rimini;  Pisaurum  —  Pesaro;  Fanum —  Fanum  Portunae 
oggi  Fano;  Senegalliam  —  Sinigaglia  o  Senigallia  ;  Hausimum  —  Auximum  oggi 
Osimo;  Humanam  —  Humanum  oggi  Sumana  (nell'Adriatico  a  sud-est  di  Ancona); 
Hesim  —  Jesi;  Forum  Sempronii  —  Fossomhrone;  Montem  Feretri  —  Macerata 
Feltria;  Ulbinum  —  Urbinum,  oggi  Urbino;  territorium  Valvense  —  Vadense,  oggi 
S.  Angelo  in  Vado  (Guado  sul  Metauro);  Kallem  Luciolis  —  Cagli;  Egubium  — 
Iguvium  oggi  Gubbio. 

(2)  In  questo  luogo  è  il  passo  interpolato,  ove  si  tratta  della  cessione  di  Corsica, 
Sardegna,  Sicilia,  ecc. 


86  O.     SCALVANTI 

Ego  Lodovicus  misericordia  Dei  Imp.  subscripsi.  Et  subscrip- 
serunt  III  filii  ejus  et  Episcopi  X  et  Abbates  Vili  et  Gomites  XV 
et  Bibliothecarius  unus  et  Mansionariiis  unus  et  Ostiarius  unus  (1). 

§  18.  —  Il  tratto  che  nel  Baronio  si  legge  in  tutto  lo  spazio 
punteggiato  è,  secondo  noi,  l'interpolazione,  che  vi  fu  fatta  con 
molta  probabilità  nel  secolo  XI  al  tempo  delle  lotte  fra  la  Chiesa 
e  r  Impero  (2). 

Con  questo  o  altro  diploma  pervenne  nella  Chiesa,  secondo  il 
Bartolo,  la  sovranità  su  Perugia  e  le  isole  del  Trasimeno.  La 
Chiesa  poi  —  ex  privilegio  liheravit  Ulani  — ;  ed  io  ritengo  che 
V  insigne  giurista  si  riferisse  qui  alla  Bolla  del  1198  di  Inno- 
cenzo III.  Infatti  cotesto  documento  non  sottopone  la  concessione 
delle  franchigie  ad  altre  restrizioni,  che  non  fossero  imposte  dal 
bisogno  di  proteggere  l'ecclesiastica  libertà  e  quel  patrimonio  di 
esenzioni,  di  cui  il  clero  godeva  dovunque  (3).  il  pontefice  prende 
la  città  sotto  la  sua  protezione,  ma,  previa  1'  approvazione  delle 
consuetudini  antiche  e  di  quelle  nuovamente  stabilite,  le  accorda 
libera  elezione  di  consoli  e  ampia  giurisdizione  anche  in  grado  di 
appello:  —  «  Consulatum  autem  cum  jurisdictione  sua,  vobis,  au- 
ctoritate  Apostolica,  confirmamus  ;  concedentes  ut  hiis,  qui  sunt 
ipsms  jurisdictioni  subiecti,  liberum  sit  ad  Potestatem  vel  Consu- 
les,  qui  prò  tempore  fuerint,  legilime  appellare  ;  consuetudines 
vestras  antiquos    quoque  et  novas   rationabiles  (4)  et  communiter 


(1)  Baronio,  Annali,  a.  818  in  f.,  tomo  XIV,  pag.  627. 

(2)  In  ciò  ci  sembra  concordare  lo  stesso  Muratori,  il  quale  dice  che  nel  1059 
vennero  pubblicandosi  le  asserte  concessioni  di  Costantino,  e  con  delle  aggiunte  i  di- 
plomi di  Lodovico  il  Pio,  di  Ottone  I  e  di  Arrigo  I  (Ann.,  anno  1059). 

'3i  A  confermare  poi  l'opinione  nostra,  che  il  Bartolo  si  riferisse  al  documento 
di  Innocenzo  III,  basti  il  riflettere  alla  parte  grandissima,  che  ebbe  quel  pontefice  nella 
restaurazione  dei  diritti  della  Chiesa.  Già  vedemmo  quali  pretese  affacciò  con  Fede- 
rigo II  rispetto  all'investitura  del  reame  di  Sicilia:  ed  ora  ricordiamo,  che  nel  1198,  e 
cioè  nell'atto  della  sua  elezione,  egli  dichiarò  che  la  cai-ica  di  ìiraefectus  urbis  non 
dipendeva  più  dagl'  imperatori.  —  «  Petrum  urbis  praefectum  ad  ligiam  lìdelitatem 
recepii,  et  per  mantum  quod  illi  donavit,  de  praefectura  eum  publice  investivit,  qui 
usque  ad  id  tempus  juramento  fidelitatis  imperatori  fuerit  obligatus,  et  ab  eo  praefe- 
cturae  tenebat  honorem  ».  —  Dopo  questi  atti  Innocenzo  III  potè  riconquistare  la  Marca 
d'Ancona,  il  Ducato  di  Spoleto,  Assisi,  Foligno,  Nocera,  ecc. 

(4)  Rationabiles  perchè,  per  l'insegnamento  del  Diritto  Romano  —  Consuetu- 
dinis,  ususque  longaevi  non  vilis  auctoritas  est;  verum  non  usque  adeo  sui  valitura 
momento,  ut  aut  rationem  vincat  aut  legem.  {Cosi,  di  Costant.,  Cod.  Lib.  Vili,  Tit.  52-2) 


un'opinione   del   BARTOLO    SULLA   LIBERTÀ    PERUGINA  S7 

observalas,  duximus  approbandas,  salva  in  omnibus  Aposlolicae 
sedis  auctoritale,  pariter  et  justiliae  et  Ecclesiaslicorum  omnimoda 
liberiate  ».  —  Ora  se  si  confronta  questo  documento  col  diploma  di 
Arrigo  VI  del  7  agosto  1186  è  facile  rilevare  che  al  solo  privile- 
gio concesso  da  Innocenzo  III  può  applicarsi  la  frase  del  Bartolo 
—  liberacit  illam — ;  perocché  nessun  riservo  di  sovranità  è  fatto 
dal  Pontefice,  mentre  nel  diploma  imperiale  si  legge  :  —  «  Salvo 
jvre  appellationum  que  fiunt  de  rebus  valentibus  vigintiquinque 
libras,  ecc.  «  —  le  quali  appellazioni  1'  imperatore  riserva  al  pro- 
prio tribunale. 

Il  documento  dell' 818  fu  divulgato  certamente  al  tempo  delle 
avvenute  interpolazioni,  e,  come  abbiamo  visto,  secondo  ogni  proba- 
bilità nel  secolo  XI.  D'allora  in  poi  vi  deve  essere  stata  occasione 
di  ricordarlo,  per  modo  che  al  Bartolo  non  potè  essere  sconosciuto. 
Noto  del  pari  dovette  essergli  il  diploma  di  Innocenzo  III  di  data 
più  recente,  e  che  costituiva  la  base  del  diritto  pubblico  di  quel- 
l'età nei  rapporti   fra    Perugia  e  la  Chiesa.  E  v'  ha  di  più.   Nella 

bolla  pontificia  occorrono  queste  altre  espressioni  —  «  Cicitatem 

sub  Beati  Petri  et  nostra  protectione  suscipimus eam  vero  nun- 

quanx  alienabimus,  sed  semper  ad  manus  nostras  curabimus  re- 
tinere  ».  —  In  altro  nostro  scritto  dimostrammo  che  la  parola  — 
eam  —  deve  essere  riferita  a  protectionem  e  non  già  a  —  ci- 
vitatem  — ,  come  voleva  il  Bonaini  (1).  Perciò  il  papa  obbliga- 
vasi  a  ritenere  sempre  presso  di  sé  il  protettorato  della  città.  Ciò 
era  cosa  di  gran  momento,  imperocché  la  protezione  di  una  città 
non  andava  disgiunta  da  alcuni  oneri  per  lei.  Or  bene  in  questa 
dichiarazione  del  pontefice  si  legge  l'obbligo,  che  egli  assumeva  di 
non  cedere  ad  altri  il  protettorato  della  città;  non  all'Impero  f^i- 
rettamente,  perchè  la  repubblica  non  voleva  abbracciare  la  parte 
ghibellina,  e  non  ad  altri  principi  o  signorie,  perchè  con  ciò  in- 
direttamente si  sarebbero  fatti  rivivere  i  diritti  dell'  Impero.  Tutto 
ciò  dimostra  la  tendenza  dei  perugini  a  schivare  in  quel  tempo  e 
sopra  ogni  altra  cosa  l'autorità  imperiale. 

Riassumendo  la   esposta   materia   al   dirimpetto   della   formula 


(1)  B3N.VINI,   Arch.   st.   it.,   T.   XVI,    Pref.   pag.   XXXII,  e  Scalvanti,   op.    cit., 
Cap.  Ili,  §  23. 


88  O.    SCALVANTI 

del  Bartolo,  dobbiamo  dire  che  l'antico  principio,  che  ogni  pode- 
stà deriva  dall'Impero,  il  quale  può  cedere  ad  altri    tale   dominio 

—  salvo  in  omnibus  imperiali  jure  —  spiega  la  parte  della  formula: 

—  Imperator  donavit  eam  (Perusiam)  Ecclesiae  — ;  e  che  le  mas- 
sime nuovamente  introdotte  nel  gius  pubblico  fra  la  Chiesa  e  l' Im- 
pero, giustificano  l'altra  parte  della  formula  —  Cicitas  perusina. 
non  suhsit  Ecclesiae  nec  Imperio  — .  A  questa  affermazione  il 
Bartolo  pervenne  considerando,  che  ormai  il  diritto  imperiale  era 
divenuto  più  onorario  che  effettivo,  e  ad  ogni  modo  aveva  ces- 
sato di  esistere  là  dove  era  una  espressa  concessione  alla  Chiesa, 
autorità  divenuta  capace  di  temporale  dominio,  e  perciò  capace 
di  trasferirlo  liberamente  e  perpetuamente  in  altri  con  pienezza 
di  sovranità. 

Perugia,  dicembre  1895, 

Prof.  Oscar  Scalvanti. 


89 


DOCUMENTI   ILLUSTRATI 


LE  TRE  FAMIGLIE  OHSIM 

DI  MONTEROTONDO,  DI  MARINO  E  DI  MANOPPELLQ 


§  1.  —  Una  deliberazione  del  Comune  di  Orvieto. 

La  deliberazione,  che  mi  dà  occasione  di  spiegare  un'altra 
volta,  in  questo  periodico,  la  fin  qui  confusa  genealogia  degli  Or- 
sini, è  quella  che  i  sette  capi  del  governo  in  Orvieto  presero,  il 
dì  6  maggio  1333,  di  mandare  a  Narni  due  ambasciatori  col  se- 
guito di  otto  cavalli,  affine  di  condolersi  col  Legalo  Giovanni  car- 
dinal diacono  di  S.  Teodoro  per  lo  sgraziato  caso  sopravvenuta 
ai  due  suoi  nipoti  Bertoldo  Orsini  ed  il  conte  Francesco  dell'An- 
guillara,  i  quali  pochi  giorni  prima  erano  stati  crudehnente  uccisi 
di  spada  da  Stefanuccio  di  Stefano  Colonna  e  dai  suoi. 

«  Die  sexta  mensis  Maii....  elegerunt  jì^udentes  viros  Memmum 
Jacobi  Raynerìi  Guillelmi  et  Muccioluvi  Cintii  de  Vaschiensibus  cives 
urbevetanos  ambaxiatores  et  in  ambaxiatores  ituros  et  qui  ire  debent  et 
débeant  ad  civitatem  Narnie  cum  octo  equis  inter  ambos,  super  am- 
baxiata  exponendi  prò  pa?*<e  dicti  Communis  Rev  :  Patri  et  D.  D. 
Johanni  S.  Theod.  diac.  Card.  Apost.  Sedis  Legato,  maxime  ad  condo- 
lendum  cum  eo  de  sinistro  casu  nuper  advenienti  contra  Brectulduin  de 
filiis  Ursi  et  Comitem  Franciscum  de  Anguillaria  nepotes  dicti  domini 
Legati,  qui  hiis  diebus  fuerunt  per  StepJianutium  dni  Stephani  de  Co- 
luTnpna  et  ejus  gentem  gladio  crudeliter  interfecti  »  (1). 

Il  cardinale  Giovanni,  che  nel  1333  esercitava  in  Italia  l'uf- 
ficio di  Legato  apostolico,  è  quello  stesso  Giovanni  Gaetano  Or- 
sini, che,  secondo  il  Ciacconio,  fu  creato  cardinale  diacono  del  ti- 
tolo di  S    Teodoro  nel  1316,  cioè  nella  prima  creazione  di  cardi- 


(1)  Archivio  comunale  di  Oi'vieto.  Rif.  XXXIV,  e.  19  r. 


90  F.    SAVIO 

nali,  fatta  dal  papa  Giovanni  XXII.  Di  chi  egli  fosse  figlio  il  Ciac- 
conio  non  dice,  né  dalle  memorie  finora  edite  punto  si  ricava  con 
certezza,  se  non  fosse  che  il  Villani,  nel  libro  IX,  capo  341  della 
Cronaca,  parlando  della  sua  nomina  a  Legato,  accaduta,  secondo 
lui,  ai  17  aprile  del  1326,  lo  chiama  «  il/esser  Gianni  Guatarli 
delli  Orsini  dal  Monte  ».  Ma  con  questa  designazione  quale  del 
ramo  degli  Orsini  era  indicato?  Era  forse,  come  alcuni  supposero, 
il  ramo  degli  Orsini  di  Marino,  che  a  quei  tempi  sembra  posse- 
desse pure  delle  case  al  Monte  Giordano  in  Roma;  oppure  il 
ramo  degli  Orsini  signori  di  Monlerondo? 

A  sciogliere  questa  difficoltà  ed  a  trovare  gli  ascendenti  del 
cardinal  Giovanni  gioverà  primieramente  la  notizia  del  grado  di 
parentela,  che  era  tra  lui  e  Bertoldo. 

Bertoldo  dalla  deliberazione  municipale  d'Orvieto  è  detto  ni- 
pote del  cardinale  Legato,  vale  a  dire  (trattandosi  qui  di  due  in- 
dividui consanguinei,  come  indica  V  identità  del  cognome  Orsini) 
figlio  di  un  fratello. 

Chi  fosse  questo  fratello  del  Cardinale  è  dichiarato  in  una 
lettera  di  papa  Giovanni  XXll,  del  dì  17  giugno  1330,  al  medesimo 
Legalo,  con  cui  lo  incarica  di  esortare  alla  pace  Bertholdum  Pon- 
■celli  nepotem  suum  (1).  Bertoldo  pertanto  era  figlio  di  Poncello,  e 
Poncello  e  Giovanni  Gaetano  cardinale  erano  fratelli  germani. 

§  2.  —  Alcune  dichiarazioni  sulla  genealogia  degli  Orsini. 

Come  già  ho  detto  altrove,  il  nome  di  Poncello  era  certa- 
mente un'abbreviazione  di  Napoleone,  quasi  Napoleoncello. 

Ne  reco  due  prove  indubitale.  Nel  1320  Bertoldo  figlio  di  Orso, 
che  fu  poi  arcivescovo  di  Napoli  e  che  era  allora  priore  di  S.  Ni- 
cola di  Bari,  lasciò  erede  Pietro  suo  nipote,  figlio  di  suo  fratello 
Poncello.  Che  Bertoldo  e  Poncello  fossero  della  discendenza  di 
Gentile  Orsini  è  indubitato  dalla  menzione,  che  il  suddetto  Ber- 
toldo fa  nel  suo  testamento  del  cardinal  Matteo  Rosso,  come  di 
suo  zio  paterno,  pairui  sui  (2). 


(1)  Vatihanischen  Akten  zur  deutschen  Geschichte  in  der  ZeU  Kaiser  Ludivigs 
<les  Bayern,  Innsbruck,  Wagner,  1891,  pag.  463. 

(i)  Il  sunto  di  questo  testamento  fu  da  me  dato  nel  Bollettino  della  Società  Um- 
bra di  Storia  Patria,  voi.  I,  pag.  536. 


LE   TUE    FAMKILIE    ORSINI,     ECC.  91 

Ora,  di  questo  medesimo  Ponoello  si  ha  altresì  il  lestamento, 
in  data  4  dicembre  1335,  ed  in  esso  egli  si  chiama  Napoleone. 

Un'altra  prova  si  ha  in  un  accordo,  che  il  di  4  maggio  1275 
fecero  i  due  fratelli  Matteo  Orso  e  Giacomo,  della  linea  di  Vico- 
varo  e  Campo  di   Fiore. 

Di  questo  accordo  si  slesero  dal  notaio  vari  atti,  tutti  nello 
slesso  giorno.  In  uno,  Matteo  Orso  promette  di  osservare  T  ac- 
•cordo  anche  a  nome  de'  tre  suoi  figli  minori  d'  età,  cioè  Napo- 
leoncello,  Tebalduccio  e  Giannuccio  (1).  In  un  altro  Matteo  Orso 
fa  la  medesima  promessa,  ed  il  notaio  non  chiama  più  il  primo 
<Jei  figli  minori  col  nome  Xapoleoncello,  ma  sebbene  col  nome 
■di  Poncello  (2).  Quindi  commise  un  errore  il  Litla,  allorché  nella 
tavola  XIII  degli  Orsini,  diede  per  figli  ad  Orso  un  Napoleone 
ed  un  Poncello,  mentre  questi  sono  soltanto  due  nomi  diversi  di 
una  stessa  persona,  o,  per  dir  meglio,  due  variazioni  dello  stesso 
nome. 

Del  resto,  i  nomi  di  Napoleone  o  Poncello,  di  Bertoldo,  di  Orso, 
<]i  Matteo  sono  tanto  spesso  ripetuti,  al  principio  del  secolo  XIV, 
nei  vari  rami  della  famiglia  Orsini,  che  di  qui  è  venuta  la  diffi- 
coltà principale,  che  impedi  fin  ora  di  stenderne  una  chiara  ed 
esatta  genealogia.  Più  di  tulli  poi  genera  confusione  il  nome  di 
Napoleone,  pel  vezzo  che  allora  avevasi  di  usare  promiscuamente 
o  il  nome  intero  o  le  sue  abbreviazioni  di  Poncello  e  Poncelletlo. 
Prendasi  per  esempio  questa  notizia  del  Gregorovius  :  «  Nel  1312 
i  cardinali  scrissero  lettere  urgentissime  ai  seguenti  Orsini,  cioè 
Gentile,  Romano,  Poncello,  Francesco  e  Poncelletlo  del  Monte  »  (3). 


(1)  «  Nos  Matheus  Ursus  filius  quond.  domini  Nepoleonis  lohannis  Gaietani,  et 
nos  Ursus  et  lacobus  ftlii  eiusdem,  dni  Mathei,  ipso  patre  nostro  presente  et  consen- 
tiente  nobis  et  auctoritatem  suam  prestante  in  omnibus  et  singiilis  infrascriptis,  no- 
mine nostro  proprio  et  nomine  Nepoleoncelli,  et  Thebalducij  et  lanucij  flliorum  no- 
stri Mathei  donamiis  et  titulo  donationis  ìnter  vicos  damus  et  concedimus,  cedimus 
et  ìnandanius  vobis  domino  lacobo  fratri  nostri  Mathei,  et  Nepoìeoni,  Fortibrachie 
et  Francisco  flliis  vestris  omnia  scilicet  iura  et  actiones  que  7iobis  Matheo  et  dictis 
filiis  nostris  et  cuilibet  nostrorum  com,petiint  et  competere  2^ossunt  aut  poterunt  mine 
■et  in  futuro  in  castro  quod  dicitur  de  Porcili  et  suo  tenimento  »  (Archivio  Oi'sini,  li, 
A,  II,  3'. 

(2)  Matteo  Orso  promette  di  fare  che  «  PonceUus  et  Thebalduccius  flUi  sui  et  olini 
Mete  uxoris  sue  (cioè  della  sua  prima  moglie  Oddolina)  statim  quod  pervenient  ad 
■etatem  XIIIl  annorum,  »  daranno  il  loro  consenso  (Ardi.  Orsini,  II,  A,  II,  5). 

(3)  Gregorovius,  VI,  60.  Qui  si  aggiunga  la  notizia,  dataci  da  Ferreto  Vicentino, 
■che  Gentile  era  allora  ammalato  per  una  ferita  alla  gamba  (i?.  I.  S.,  IX,  1102). 


92  F.    SAVIO 

Quanto  a  Gentile  e  Romano  non  v' è  pericolo  di  confusione;  il 
primo  era  figlio  di  Bertoldo  che  fu  rettore  di  Romagna  al  tempo 
di  Niccolò  III  nel  1278,  il  secondo  era  figlio  di  Gentile,  e  sì  l'uno 
che  l'altro  appartenevano  alla  linea  di  Soana  e  Pitigliano. 

Ma  il  Poncello  e  il  Poncelletto  indicati  in  ultimo  chi  saranno? 

Cercando  nei  vari  rami  della  famiglia  Orsini  noi  troviamo  al- 
meno sei  individui,  che  portavano  il  nome  di  Poncello,  e  di  essi  con- 
sta con  certezza,  o  almeno  con  molta  probabilità,  che  vivevano 
nel  1312,  cioè:  1.°  Napoleone  o  Poncello  della  linea  di  Soriano, 
figlio  di  Orso  e  fratello  di  Bertoldo  arcivescovo  di  Napoli,  di  cui 
abbiamo  parlato  sopra  ;  2.°  Un  Poncello  figlio  di  Matteo  della 
linea  di  Marino.  Egli  è  nominato  nel  testamento  di  suo  padre- 
nel  1305,  e  non  è  niente  improbabile,  che  fosse  ancor  vivO' 
nel  1312  (1)  ;  3.°  Napoleone,  cardinale  di  S.  Adriano  figlio  di 
Rinaldo,  anch'  egli  della  linea  di  Marino  ;  4.°  Poncello  figlio  di 
Matteo  Rosso  della  linea  di  Monte  Rotondo,  che  fu  vicario  regia 
in  Roma  nel  1323  (2)  ;  5.o  Un  Poncello  figlio  di  Fortebraccio  della 
linea  di  Vicovaro  e  Campo  di  Fiore  ;  0.°  Il  Napoleoncello  figlio  di 
Matteo  Orso,  della  stessa  linea  di  Vicovaro  e  Campo  di  Fiore,  di 
cui  abbiamo  parlato;  7."  Un  Poncello,  figlio  di  Orso  figlio  primo- 
genito di   Matteo  Orso  suddetto. 

Vero  è  che  a  quei  tempi,  per  evitare  la  confusione  che  neces- 
sariamente doveva  recare  questa  ripetizione  di  nomi,  si  soleva 
aggiungere  non  solamente  il  nome  del  padre,  ma  ancora  quella 
dell'avo,  per  es.,  Matthens  Ursus  filius  quondam  Napoleonis  lo- 
hannis  Gaietani  (3),  Isabella  uxor  nobilis  viri  dom.  Nepoleoni» 
domini  lacohi  Nepoleonis  de  flliis  Ursi  (4),  e  persino  del  bisa- 
volo, come  in  un  breve  di  Niccolò  IV,  il  quale  è  indirizzato  a 
Riccardo  nato  nobilis  viri  Fortibrachie  lacobi  Nepoleonis  (5). 

Ma  siffatta  nomenclatura  (la  quale  usavasi  solo  negli  alti  no- 
tarili) non  fu  sempre  conservata    esaltamente   nelle   traduzioni    di 


(1)  Questo  testamento  mi  fu  indicato  dal  eli.™»  Furai  con  altre  carte  Orsine, 
esistenti  nell'archivio  Caetani  in  Roma.  V.  n.  IX,  delV Appendice,  che  è  la  lista  delle  carte, 
quale  da  lui  mi  fu  gentilmente  trasmessa.  Faccio  però  delle  riserve  suU'  autenticità 
di  qualcuna,  per  es.  della  prima. 

(2)  Gkegorovius,  vi,  124. 

(3)  Neil'  accordo  col  fratello  Giacomo  del  4  maggio  1275  già  da  me  citato  sopra, 
pag.  47. 

(4)  Testamento  di  Isabella  nel  1270,  marzo  9  {Archivio  Orsini,  II,  A,  I,  46). 
(.5)  Archivio  Orsini,  II,  A,  II,  32. 


LE    TRE    FAMIGLIE   OKSINI,    ECC.  93 

quei  nomi  in  vc^lgare,  poiché  in  queste  non  si  tenne  sempre  conto 
del  caso  genitivo  e  si  tradussero  quei  vari  nomi  come  se  lutti 
fossero  nel  caso  retto  ed  appartenessero  ad  un  solo  individuo. 

§  3.  —  Differenza  tra  gli  Orsini  di  Monterotondo 
e  gli  Orsini  di  Marino. 

Venendo  ora  a  ricercare  chi  fosse  il  Poncello  fratello  del  car- 
dinal Gian  Gaetano  di  S.  Teodoro,  un  primo  e  forte  indizio  per 
collocarlo  debitamente  al  suo  posto  nell'albero  genealogico  degli 
Orsini  si  trova  nell'indicazione  dataci  dal  Villani,  che  il  Legato 
era  degli  Orsini  del  Monte.  Che  con  questa  indicazione  s'  inten- 
desse il  ramo  degli  Orsini,  discendente  da  Matteo  Rosso,  fratello 
ultimo  genito  di  Niccolò  III,  ne  è  prova  eziandio  il  necrologio 
della  basilica  vaticana,  composto  nella  seconda  metà  del  secolo 
XIV,  dove  il  medesimo  Poncello,  del  quale  discorriamo,  è  detto 
figlio  di  Matteo  Rosso  del  Monte  :  «  Idibus  iMaii.  Ohiit  magni- 
ficus  tir  Poncellus  domini  Mathei  Ruhei  de  Monte  ». 

Il  Litta  (tavola  V)  ammise  bensì  che  il  suddetto  Matteo  Rosso 
ed  i  suoi  figli  e  nipoti  si  chiamassero  del  Monte;  ma  credette 
cosi  significato  il  Monte  Giordano  di  Roma.  I  documenti,  che  or 
andrò  citando,  convincono  che  col  nome  di  Monte  si  deve  inten- 
dere Monte  Rotondo,  principale  possedimento  di  Matteo  Rosso  e 
de'  suoi  discendenti  ;  e  che  perciò  il  Litta  si  sbagliò  ancora  dando 
il  nome  di  signori  di  Monterotondo  ai  discendenti  di  Rinaldo,  al- 
tro fratello  di  Niccolò  III  (tavola  VII).  Un  terzo  errore  commise 
il  Lilla,  nella  stessa  tavola  VII,  attribuendo  a  Giordano  discen- 
dente dal  medesimo  Rinaldo,  i  figli  di  un  altro  Giordano  discen- 
dente da  Matteo  Rosso,  confondendo  quindi  stranamente  le  due 
discendenze.   Ma  vediamo  i  documenti. 

11  primo  per  ordine  di  tempo  e,  direi  pure,  d' importanza,  è 
l'atto  di  divisione  di  beni,  che  si  compi  nel  1286,  maggio  21),  tra 
Matteo  Rosso  da  una  parte  ed  i  figli  di  Rinaldo,  defunto  fratello 
di  Matteo  Rosso  dall'altra.  L'atto  si  conserva  originale  tra  le  carte 
dello  Spedale  di  S.  Spirito  in  Sassia,  ora  nell'  archivio  di  Stato 
in  Roma,  dov'  io  lo  vidi,  e  fu  pubblicato  nelle  sue  parti  sostan- 
ziali dal  Coppi  nel  tomo  XV  delle  Dissertazioni  della  Pontificia 
Accademia  Romana  di  Archeologia,  1846,  pag.  264  e  seg.  Quindi 
mi  basterà  darne  il  sunto. 


94  F,    SAVIO 

Alla  presenza  di  Giordano  cardinal  diacono  di  S.  Eustachio 
(fratello  di  Niccolò  III  e  di  Matteo  Rosso),  i  figli  del  fu  Rinaldo, 
cioè  Napoleone  e  Matteo  in  proprio  nome,  ed  in  nome  di  Orso 
e  Giovanni  ancora  pupilli,  come  pure  Ocilenna  madre  e  lulrice  di 
costoro,  volendo  procedere  alla  divisione  dei  beni,  che  possede- 
vano in  comune  fuori  della  città  di  Roma  insieme  con  Matteo 
Rosso  loro  zio,  diedero  a  costui  la  terza  parte  del  castello  di  Monte 
Rotondo  con  tutto  il  suo  tenimento  congiunta  per  indiviso  colla 
terza  parte  appartenente  a  Matteo  Rosso  e  colla  terza  parte  ap- 
partenente al  cardinal  Giordano. 

Di  più  la  terza  parte  del  castello  e  del  tenimento  di  Formello 
in  diocesi  di  Nepi,  e  tutti  i  diritti  che  potevano  avere  sul  castello, 
sulla  rocca,  e  sul  tenimento  di  Galeria,  e  sul  castello,  rocca,  ecc. 
di  Mugnano,  in  diocesi  di  Bagnorea. 

Alla  sua  volta  Matteo  Rosso  diede  a'  suoi  nipoti  la  terza  parte 
del  castello  di  Marino  e  suo  tenimento,  posti  nella  diocesi  d'Al- 
bano, la  terza  parte  del  castello  di  Aliano  nella  diocesi  di  Orte, 
come  pure  tutti  i  suoi  diritti  sul  castello  di  Foglia  in  Sabina. 

Dopo  questa  divisione  di  beni,  uno  dei  possedimenti  princi- 
pali di  Matteo  Rosso  divenne  Monterotondo,  dove  da  quel  mo- 
mento egli  ebbe  due  terze  parli  dei  diritti  di  sua  famiglia,  e  forse, 
quando  morì  il  cardinale  Giordano,  acquistò  pure  la  terza  parte 
restante. 

Al  contrario,  uno  dei  possedimenti  principali  dei  figli  di  Ri- 
naldo rimase  Marino,  dove,  oltre  alla  loro  terza  parte,  ebbero, 
pel  citato  alto,  la  parte  di  Matteo  Rosso. 

Sembra  inoltre  che  l'abitazione  principale  in  Roma  degli  Or- 
sini di  Monterotondo  fosse  sul  Monte,  che  prima  si  diceva  di 
Giovanni  Roncione  e  poi  si  disse  Monte  Giordano,  prendendo 
forse  il  nome  da  Giordano,  nipote  abiatico  di  Matteo  Rosso  sud- 
detto. Questo  io  deduco  da  un  atto  del  1367  che  dicesi  fatto  in 
Monte  magnifici  viri  Francisci  Jordani  de  filiis   Ursi  (1). 


(1)  Ecco  intero  il  sunto  dell'atto,  come  si  trova  riportato  dal  Galletti  nel  cod.  vat. 
7931,  pag.  49:  «  1367,  IndtcUone  V,  decem.  27.  Nobilis  vir  lohannes  Cinthii  Cancellar. 
Urbis,  procurator  magnif.  viror.  Domin.  Raynaldi  et  lordarli  de  Ursinis  militum 
tradidit  hospitali  S.  Spiritus  in  Saxia  integrum  castrum  Fabrice  cum  perline ntiis  in 
Collinea  districtus  Urbis.  Ab  1  latere  tenimentuni  Castri  Corchiani,  ab  alio  tenirnen. 
castri  Castilgionis,  ab  alio  tenimen.  Castri  Carbognani,  ab  alio  tenirnen.  Castri  Valle- 
rani,  ab  alio  teniinentuni  Fallari.  Item  integrum   Castrum  Castilgionis  in   Collinea 


LE   TRE   FAMKiLIE    ORSINI,     ECC.  95 

Darò  ora  la  genealogia  degli  Orsini  di  Murino,  per  [)Oler  po- 
scia discorrere  più  chiaramente  del  ramo  di   Monlerolondo. 

§  4.  —  Degli  Orsini  di  Marino. 

Dal  citalo  atto  della  divisione  di  beni  impariamo  quali  erano 
i  figli  di  Rinaldo,  divenuti  possessori  principali  di  Mai-ino,  cioè 
Napoleone,  Matteo,  Orso  e  Giovanni. 

Napoleone  era  allora  ecclesiastico,  ed  è  il  medesimo  che  poi 
da  Niccolò  IV  venne  creato  cardinal  diacono  di  S.  Adriano  nel 
1288. 

Nel  codicillo  del  suo  testamento  fatto  nel  1341  egli  stabilisce  delle 
messe  «  prò  animahus  dni  Rainaldi  patris  et  domine  Octilende 
matris  nostrorum  ».  Elegge  tra  i  suoi  esecutori  testamentari  «  Bay- 
naldv.m  de  Ursinis  niilitern  nepotem.  nostrum  et  eciam  Jordanum 
ipsius  Raynaldi  militis  fratrem,  si  in  loco  quo  decedemus,  prae- 
sens  fuerit  ».  Fa  pure  un  legato  «  sorori  Thomasiae  moniali  mo- 
nasterii  Sancii  Silvestri  de  capite  nepoti  nostrae  »  (1). 

Matteo  nel  1292  fu  senatore  di  Roma,  siccome  risulta  da 
un  atto  del  4  aprile  (2)  e  da  un  altro  del  10  maggio  di  quell'anno. 
In  quest'ultimo  egli  sottoscrisse  insieme  con  Stefano  Colonna  suo 
collega  nel  senatorato  la  pace  per  Corneto  (8).  Fu  di  nuovo  sena- 
tore nel  1302,  come  da  atto  del  2  giugno  (4). 

Egli  fece  testamento  nel  1305,  istituendo  suoi  eredi  i  figli  Or- 
sello,  Giannuccio  e  Poncello  (5). 

Di  Orso  non  sappiamo  altro  se  non  che  egli  fu  marito  di 
Margherita  Aldobrandesca  e  che  già  era  passalo  di  questa  vita 
nel  1297,  siccome  scorgesi  da  un  atto  del   cardinal  Napoleone  suo 


predicta:  ab  I  latere  tenimentwn  Corchiani,  ab  alio  tenimentuìn  Fabrice,  ab  alio 
tenimen.  Castri  Maxene,  ab  alio  tenimen.  Fallavi,  ab  alio  tenimen.  castri  Aliani.  Iure 
permutationis  quia  hospitale  dedit  et  cessit  supradictis  de  Ursinis  medietateni  Castri 
Asture  cu/m  adiectione  quinque  inilium  florenorum  aun.  Actutn  Rome  in  Monte 
magnifici  viri  Francisci  lordani  de  flliis  Tirsi  ». 

(1)  Codice  vaticano  7930,  pag.  154. 

(2)  Pflugk-Harttcxg,  Iter  Italicum,  623. 

(3)  Gregorovius,  Storia  di  Roma,  traci.  Manzato,  v,  5S4,  e  cita  la  copia  della  Jl/ar- 
garita  Cornetana,  che  è  nel  codice  vaticano  7931,  pag.  174. 

(4)  Pflugk-Harttung,  Iter;  Gregorovius,  V,  584. 

(5)  V.  infra  Appendice,  n.  IX. 


S6  F.  sA^^o 

fratello  (1).  Non  sappiamo  se  sia  egli  o  Giovanni,  ultimo  dei  figli 
dì  Rinaldo,  quel  fratello  del  cardinale  Napoleone,  che  mori  im- 
provvisamente durante  il  lungo  e  deplorevole  conclave  del  1292-94. 
Da  questa  morte  prese  occasione  lo  zelante  cardinal  Latino  Ma- 
labranca  per  rimproverare  a'  suoi  colleghi  il  disastroso  rilardo 
che  frapponevano  alla  elezione  del  Papa,  e  per  proporre  la  can- 
didatura dell'eremita  di   Morone  (2). 

Rinaldo  e  Giordano,  che  vedemmo  citati  dal  cardinal  Napo- 
leone nelle  ultime  sue  disposizioni  testamentarie,  erano  suoi  pro- 
nipoti, cioè  figli  di  Oliscilo,  figlio  di  Matteo.  Quindi  nei  loro  atti 
essi  si  chiamano  figli  di  Orso  di  Matteo  di  Rinaldo  (3).  Essi  fu- 
rono avversari  di  Cola  di  Rienzo.  Questi  in  una  lettera,  in  data 
del  15  agosto  1350,  chiama  Rinaldo  suo  capital  nemico  (4).  E  pur 
noto  che  egli  andò  ad  assediar  Giordano  nel  suo  castello  di  Ma- 
rino (5). 

Dopo  il  1375  non  trovansi  più  memorie  di  Rinaldo.  Forse 
egli  morì  in  questo  tempo,  e  probabilmente  senza  figli;  poiché 
d'ora  innanzi  vedesi  Giordano  disporre  da  solo  del  patrimonio  di 
sua  famiglia,  fino  a  vendere  Marino  ed  altre  terre  ad  Onoralo 
Caelani  conte  di  Fondi. 

Cito  qui  alcuni  dei  documenti,  che,  relativamente  numerosi, 
si  hanno  di  lui   (6). 

Del  1375  esiste  una  lettera  di  Gregorio  XI  diretta  a  Jordano 
de  Ui^sinis  de  Marena  (7).  Avendo  egli  poscia  aderito  all'antipapa 
Clemente  VII,  questi  in  data  del  2  dicembre  1378,  gli  concedette 
o  riconobbe   vari   castelli,  casali  e  possessioni,  tra'  quali  il  castel 


(1)  Appendice,  n.  VITI. 

(2)  Muratori,  Ann.  d' Ital   ad  an.  1294. 

(3)  Vedasi  il  mio  articolo  Delle  origini  e  dell'antica  nobiltà  degli  (h^sini,  nel  pe- 
riodico La  Civiltà  Cattolica,  fascicolo  del  3»  sabato  di  giugno  1895,  pag.  669. 

(4)  Gabrielli,  Epistolario  di  Cola  di  Rienzo,  Roma,  Forzani,  1S90,  pag.  170. 

(5)  Theiner,  III,  187. 

(6)  Dal  Gamurrini,  Istoria  genealogica  delle  famiglie  toscane  ed  umir e,  Firenze, 
1671,  voi.  II,  pag.  41,  è  citata  una  carta  del  1375  come  esistente  nell'archivio  di  Brac- 
ciano, segnata  col  n.  8  tra  le  scritture  di  Giov.  Paolo  Orsini  di  Yicovaro.  In  essa  Nic- 
colò conte  di  Nola  a  nome  suo  e  de'  suoi  nipoti  Guido  e  Bertoldo,  ed  in  nome  di  Ri- 
naldo e  Giordano  signori  di  Marino,  di  Giovanni  conte  di  Manoppello  e  di  Ugolino 
suo  fratello,  e  di  altri  Orsini,  cede,  in  riguardo  del  card.  Giacomo  della  linea  di  Li- 
cenza, ai  fratelli  di  questo  Cardinale  la  quarta  parte  della  metà  del  governo  di  Roma. 
Resta  ora  a  vedere  che  cosa  s' intenda  per  governo  di  Roma. 

(7;  Theiner,  op.  cit.,  II,  569. 


LE   TRE    FAMIGLIE    ORSINI,    ECC.  '•( 

S.  Elia,  quei  di  Neini,  di  Genzano,  di  Ardea  e  parecchie  posses- 
sioni presso  a  Nepi  del  reddito  annuo  di  100  fiorini  d'oro  (1). 

Il  Gregorovius  poi  cita  alcuni  altri  documenti,  esistenti  nel- 
l'archivio Colonna,  tra  cui  uno  singolarissimo,  in  data  del  13  feb- 
braio 1383,  col  quale  Giordano  dichiara  che  Giacomo  Orsini  non 
è  suo  figlio,  avendolo  sua  moglie  Anastasia  sostituito  nel  parto. 

Ai  IG  febbraio  dello  stesso  anno  il  medesimo  si  confessa  de- 
bitore a  suo  nipote  Onorato  dei  conti  di  Fondi  di  60,U00  fiorini, 
e  due  giorni  dopo  gli  vendette  Nepi,  Monlalto,  Marino,  Aslura, 
Campagnano  ed  altri  beni. 

Finalmente  ai  19  giugno  del  1384  fece  il  suo  testamento  in 
Bassano  d' Orte  (2). 

Come  vedesi  dalla  carta  XV  citala  neWAppendice  infra,  Mon- 
talto  di  Castro  nel  1309  si  era  data  a  Napoleone  Orsini  cardinale 
e  ad  Orso  suo  nipote. 

Questo  possesso  fu  occasione  di  varie  liti  con  Manfredi  dei 
Prefetti  di  Vico,  il  quale  vi  pretendeva.  In  fine  si  convenne  che 
gli  Orsini  e  Manfredi  lo  possederebbero  per  metà.  Ma,  essendo 
stato  Manfredi  scomunicato,  la  Chiesa  succedette  a  lui  nella  sua 
metà.  Nel  1359  Montalto  spettava  per  metà  ai  fratelli  Rinaldo  e 
Giordano  Orsini  (di   Marino),  eredi  del  cardinale  Napoleone  (3). 

Nonostante  il  citato  allo  del  13  febbraio  1383,  in  danno  di 
Giacomo  Orsini,  sembra  ch'egli  venisse  sempre  riconosciuto  come 
figlio  di  Giordano. 

Nella  sentenza  di  scomunica  lanciata  nel  1406  da  Innocenzo 
A''II  contro  i  partecipi  della  congiura  di  Ladislao,  è  nominalo  Gia- 
como Orsini  del  fu  Giordano,  usurpatore,  come  dice  il  Papa,  del 
castello  di  Marino  e  di  S.   Pietro  in  Formiis  (4). 

(1)  «  Castrum  S.  Helie  et  Casale  S.  Pecappe  (sic)  cum  Casali  Portiani,  que  spe- 
dare dicuntur  ad  Motiasterium  S.  Spiritus  de  Urbe  et  que  situata  sunt  prope  Civi- 
tatem  Sepesinam,  quorum  fructus,  redditus  et  proventus  centum  ftoreìiorum  auri 
valorem  annuum,  ut  asseritur,  non  excedunt,  necnon  Casalis  Valliscagie,  etdePe- 
stedera  et  Pescarella,  posita  in  districtu  urbis,  et  que  inhabitabilia  esse  dicuntur,  et  ad 
dictum  Monasterium  S.  Spiritus  pertinere.  Item  Castra  Nemi  et  Genciano  Alban.  Diec. 
cum  Casali,  quod  Montangiano  vulgariter  nuncupatur,  ad  Monasterium  S.  Anastasia 
extra  muros  urbis  pertinentia;  et  insuper  Castrum.  Ardie,  et  Casale  Florani,  quod 
positum  esse  dicitur  in  terìHtorio  dicti  tui  Castri  Mareni,  que  etiani  spedare  dicuntur 
ad  Monasterium  S.  Pauli  extra  muros  urbis  predicte,  ad  Nos  et  Rom.  Ecclesiam  pre- 
fatam  lìleno  jure  spectantia  »  (Ratti,  Storia  di  Gemano,  pag.  105). 

(2)  Gregorovius,  VI,  617. 

(3)  Theiner,  op.  cit.,  II,  26,  365,  3S1  e  401. 

(4)  R.UNALDi,  Annali  Eccl.,  anno  1406. 


98 


F.    SAVIO 


In  un  altro  documento  del  1428,  ossia  in  un  lascilo  fatto  da 
sua  figlia  Orsina  alla  basilica  di  S.  Pietro,  egli  è  chiamato  si- 
gnore della  città  di  Nepi  (1). 

Ecco  ora  l'albero  di  questo  ramo  degli  Orsini. 

Albero  degli  Orsini  di  Marino. 


I 


sp 

RINALDO 
ià  f   1286 
.    Ocilenda 

1 

1 

Napoleone 

-'r  1342 

1280  chierico 

12SS  card. 

diacono  di 

S.  Adriano 

1 

-Mal 

sena 

1292  € 

teste 

teo          Giovanna 
tore 

1302 

liOò 

1                            1 
Orso              Alessandra 
nel    1286 
impubere 
già  f  1297 

sposa 

Margherita 

Aldobrandesca 

1 

Giovanni 

impubere 

nel  1286 

Orsello 

vivo  1305 

e  1316 

1 

1 
Giovanni 

Pencolio 

Rinaldo 

1341, 

1368 

sig.  di 

Marino 

1 
Giordano 
1341,1378 
1383,1384 
sig.  di  :Marino 
sposa 
Anastasia 

1 

Giacomo 
già  T  1428 

1 

Giacoma 

sp.  Niccolò  II 

conte  di  Fondi 

1 

Onorato 

Gaetani 

1 

Orsina 

viva 

1428 

1 

Antonio 

già  "i"  nel 

1428 

1 

Anastasia 

già  T-  nel 

1428 

(1)  «  Septimo  hai.  iunii.  In  nomine  Domini,  Amen.  Anno  Domini  Millesimo  qua- 
dringentesimo  vicesimo  octavo,  mense  et  die  presentibus.  Magnifica  domina  domina 
Ursina  filia  cotidam  lacobi  de  Ursinis  olim  domini  civilatis  Nepesine  donavit  sponte 
Capitulo  in  Sacristia  inaiavi  in  pecunia  numerata  dwo  mttlia  florenorum  conver- 
tenda  in  possessionibus  emendls  jjro  augmento  dicini  cultiis  et  voluit  quod  omni  anno 
in  perpetuum  fleret  anniversariwn  prò  anima  prefati  Magnifici  viri  lacobi  de  Ur- 
sinis patris  diete  Ursine,  videlicet  die  VII  Septembris  in  capella  sancti  Martialis  que 
constructa  et  erecta  est  iier  suos  antecessores,  in  quo  anniversario  e.vpendantur  de 
pecunia  camere  manualiter  jloreni  auri  quatuor.  Etiam  voluit  quod  die  XII  mensis 
Novembris  fleret  anniversariìom  in  dieta  capella  sancti  Martialis  prò  anima  Magni- 
flce  Domine  Domine  Vannotie  de  Sabellis  matris  prenominate  domine  Ursine,  in  quo 
similiter  manualiter  floreni  quatuor  expendantur.  Etiam,  voluit  quod  ultra  dieta  an- 
niversaria flerent  viginti  quatuor  anniversaria  quolibet  anno,  scilicet  duo  mense 
Quolibet,  videlicet  unum  die  XVI  et  aliud  die  XXI  cuiuslibet  mensis  prò  animabus 
prefatorum  Magnifici  domini  lacobi  de  Ursis  patris  et  domine  Vannotie  de  Sabelli- 
matris  diete  domine  Ursine,  ac  Antonii  de  Ursinis  fratris  et  Anastasie  sororis  eius 
sdem  ».  (Necrologio  della  basilica  vaticana,  e.  73). 

La  menzione  della  signoria  di  Nepi  e  del  sepolcro  nella  cappella  di  S.  Marziale, 
dove  era  pure  sepolto  il  card.  Napoleone,  non  lasciano  dubbio  che  (lui  si  tratta  di  Or- 
sini della  linea  di  Marino,  e  di  Giacomo  figlio  di  Giordano. 


LE    TUE    FAMIGLIE   OUSINl,     ECC.  1)9 

§  r>.  —  Gli  Orsini  di  Monterotondo. 

Rilornanrlo  ora  a  parlare  degli  Orsini  di  Monlerolondo,  noi  ab- 
biamo di   PoNCEi.LO,  figlio  di  Matleo  Rosso,  le  seguenti  nolizie. 

Egli  era  senza  dubbio  il  Poncellello  del  Monte,  nominalo 
nella  lettera  dei  Cardinali  del  1312,  della  quale  ho  dello  sopra. 

Nel  1314,  maggio  2"),  Domenico  dell'AnguilIara  vendette  Mu- 
gliano a  Poncello  di   Matteo  Rosso  (1). 

Nel  1323  Poncellus  Mathei  Ruhei  era  senatore  (o  vicario  re- 
gio) insieme  con  Giovanni  Colonna  e  confermò  lo  statuto  dei  Mer- 
canti (2).  Kgli  m(jri  prima  del  1328,  poiché  il  17  marzo  di  que- 
st'anno il  Papa  scrisse  da  Avignone  a  vari  romani,  lodandoli  della 
lero  fedeltà,  e  tra  essi  a  «  Bertholdo  quondam  Poncelli  Matthei  : 
lacobo  .\apoleonis  :  Ricardo  Fortebrachi  :  Andree  de  filiis  Irsi 
de  Campo  Fior.  Eodem  die  nob.  viris  Francisco  militi  et  Pon- 
cello germanis  de  jìliis   Frsi  de  Campo  Florum  »  (3). 

Francesco,  altro  figlio  di  Matteo  Rosso,  venne  fatto  sena- 
tore con  Sciarra  Colonna,  subito  dopo  la  partenza  di  Enrico  VII 
imperatore  (4). 

Nel  1325,  in  giugno,  alcuni  vollero  per  senatore  Matteo  di 
Francesco  del  Monte,  ma  gli  altri  Orsini  lo  ricusarono  (5).  Può 
essere  che  Francesco  in  quel  tempo  fosse  ancora  vivo;  è  certo 
però  che  egli  morì  prima  del  1337. 


(1)  TOMASSETTI,   Caìnpagna  Romana,  I,  2iS,  456. 

(2)  GREGOROVirS,  VI,   124. 

(3)  Vatikanische/i  Akten  zur  deutschen  Geschìchte  in  der  Zeit  Kaiser  Ludicigs 
des  Bayern,  Innsbruck,  Wngner,  1891,  pag.  368. 

Dò  qui  intera  la  menzione  che  di  Poncello  si  trova  nel  necrologio  della  basilica 
vaticana,  pag  68:  «  Idibus  Maii:  Obiit  magnificus  tir  Poncellus  domini  Matthei  Rubei 
de  Monte  de  filiis  Ursi,  qui  reliquit  Basilice  nostre  quingentos  fiorenos  auri,  qui  con- 
versi fuerunt  in  em,ptia/ie  quarti  casalis  domini  Andree  de  Buccamatiis  ;  prò  cuius 
anima  dicatur  una  missa  in  die  cum,  precedentibus  vigiliis,  perpetuis  temjjoribiis,  in 
cappella  sua  S.  Blasii,  quain  idem  in  ipsa  basilica  construi  fecit:  expendantur  prò 
anniversario  suo  floreni  auri  duo  ». 

(4)  Gregorovius,  vi,  86.  Egli  dice  Francesco  di  Montegiordano,  ma  è  un  errore  ; 
doveva  dire  di  Monterotondo. 

(5j  Id.  VI,  12-4.  Il  Vitale  dice  che  fu  egli  che  non  accettò.  Nei  Regesti  Angioini 
pxibblicati  dal  Minieri  Riccio  sotto  il  titolo  di  Genealogia  di  tarlo  II d'Angiò  nclFAr- 
chivio  Storico  Napoletano,  18S2,  v'  é  la  nomina  a  vicario  regio  di  Matteui-cio  di  Fran 
Cesco  Orsini  del  Monte  nel  di  14  maggio  1325,  e  la  notizia  che  egli  rinunziò. 


100  F.    SAVIO 

Terzo  figlio  di  Matteo  Rosso  fu  Giacomo,  il  quale  nel  1295, 
stando  in  Monlerotondo  delegò  due  canonici  di  Roma  ed  un  certo 
Federico  di  Manerio  di  Monlerotondo  a  prender  possesso  di  un 
canonicato  di  Chartres,  che  gli  era  stato  conferito  da  Bonifacio 
Vili  (1).  Egli  fu  pure  canonico  di  S.  Pietro,  e  di  lui  si  fa  me- 
moria nel  necrologio  valicano  sotto  il  di  7  gennaio  (2). 

Finalmente  l'ultimo  dei  figli  di  Matteo  Rosso,  dei  quali  sia 
a  noi  pervenuta  memoria,  è  il  cardinale  Gian  Gaetano,  mandalo 
nel  1326  legato  apostolico  in  Italia.  Egli  morì  nel  1335  in  Avignone, 
ma  il  suo  corpo  fu  trasferito  in  S.  Pietro  nella  cappella  di 
S.   Maria   del  Parlo  (3). 

§  6    —  Segue  degli  Orsini  di  Monterotondo. 

Vengo  ora  a  parlare  della  discendenza  dei  due  suddetti  figli 
di  Matteo  Rosso,  cioè  di  Poncello,  che  pare  essere  slato  il  pri- 
mogenito, e  di  Francesco.  Dirò  prima  della  famiglia  di  quest'ul- 
timo, poiché  i  documenti  relativi  alla  medesima  servono  eziandio 
per  stabilire  quali  fossero  i  figli  di  Poncello. 

Oltre  Matteo,  che  già  ho  nominato  sopra,  Francesco  ebbe 
Gentile  ed  altri  figli,  indicati  come  natos  quondam  Francisci  de 


(1)  «  1290,  indici.  Vili.  Mail  sexta.  Nob.  vir  lacobus  natus  magnifici  viri  dni. 
Matthei  Rubei  de  flliis  Tirsi  de  Urbe  canonicus  camotensis  xiì'ocuratores  constituit 
ìnagistrwn  Angelmn  canonicum  ecclesie  ò'S.  Laurenti  et  Damasi,  Paulum.  canon,  ec- 
clesie SS.  C'elsi  et  luliani  de  Urbe  et  Fredericum  doni.  lohannis  de  Manerio  eiusdem 
terre  etc.  Actuni  in  castro  Montis  rotundi  magnifici  viri  domini  Matthei  Rubei.  Mat- 
theus  de  Morris  notar.  »  (Carta  dell'archivio  di  S.  Spirito  in  Sassia  compendiata  nel 
codice  vaticano  7997,  e.  9). 

(2)  «  VII  Idiis  lannarii  obiit  veìierabilis  vir  lacobus  domìni  Matthei  Rubei  de 
Filiis  Ursi  concanonicus  noster,  qui  reìiquit  nostre  Basilice  C.  florenos  auri,  qui  con- 
versi fuerunt  in  eìnptione  domus  cum.  signo  sudarti,  site  in  porticu  et  domus  cum 
signo  mustelle  site  iu.vta  portam,  viridariam;  expendatur  prò  anniversario  suo 
pensio  dictarum  duarum  domorum.  »  (Ivi,  e.  4). 

(3)  «  Tertio  Ka.lenrlas  Sept.  —  Anno  Dni.  MCCC  tricesimo  quinto  tertle  indlctionis 
mense  Augusti.  Obiit  Reverendis.nius  in  C.  pater  et  dominus  dominus  lohannes  Gay- 
tanus  de  domo  Ursinorum  sancti  Theodori  diaconi  Cardinalis  concanonicus  noster, 
cuius  corpus  requiescit  apud  suam  cappellam  sancte  Marie  pregnantis  silarn  in  Bar- 
silica  nostra,  qui  in  vita  sua  donavit  nostre  basilice  prò  redemjìtione  animaruìn  pa- 
tris,  ìnatris,  fratrmn,  nepotis  et  sua  terras  vinearum,  Suverete  et  totum  tenim.entun% 
ipsius  »  (Ivi,  e.  121).  Il  nipote,  del  quale  qui  si  parla,  è  senza  dubbio  Bertoldo  di  Pon- 
cello, ucciso  nel  1333. 


LE   TRE    rAMI(;LlE   OUSINI,    ECC.  101 

Monte  in  un  l)revG  di  Benedetto  XII,  in  data  del  5  agosto  \'X.V7, 
col  quale  confermò  le  tregue  tra  gli  Orsini  ed   i  (Colonna  (1). 

Matteo  era  già  morto  nel  1338,  poiché  non  si  trova  più  men- 
zione di  lui  in  vari  alti,  che  abbiamo,  relativi  all'ercdii;!  di  ^no 
fratello  Gentile. 

Costui  era  ecclesiastico  e  godeva  di  un  canonicato  a  Gam- 
brai.  Nel  1337  fece  testamento,  lasciando  erede  Giovanni  suo  fra- 
tello od  i  figli  maschi  nascituri.  Ma  lo  slesso  anno  1337,  Giovanni 
mori  e  tre  mesi  appresso,  forse  nel  gennaio  del  1338,  Gentile  lo 
seguì  nella  tomba. 

Sorse  allora  grande  discordia  tra  gli  Orsini,  poiché  Giordano 
figlio  di  Poncello,  anch' egli  del  ramo  di  Monterotondo,  occupò 
l'eredità  dei  due  defunti,  alla  quale  pretendevano  pure,  non  si  sa 
con  qual  diritto,   Rinaldo  e  Giordano  della  linea  di   Marino. 

Si  presero  le  armi  e  la  città  si  divise  in  due  fazioni,  stando 
con  Giordano  di  Poncello  il  conte  Bertoldo  degli  Orsini  di  Soana 
e  Giordano  Savelli,  mentre  coi  due  di  Marino  stava  Stefano  Co- 
lonna. 

Nell'ottobre  di  quel  medesimo  1338,  per  opera  specialmente  di 
Giovanni  arcivescovo  di  Napoli,  fratello  di  Giordano  di  Poncello, 
si  venne  ad  un  accordo.  Tutto  questo  si  ricava  da  una  lellera  (2) 


(1)  Theiner,  Cod.  iVpl.,  II,  22:  gli  Orsini  sono  cosi  nominati:  «  yobiles  viros 
Matfieum  et  Bertholdum,  natos  quondam  yeapoleonis  niilitis,  ac  lorclanum  quondam 
Ponceìli  de  Monte,  et  lohannem  eiusque  fratres  natos  quondam  Francisci  de  Monte, 
ac  Robertum  yolanum  et  Bertholdum  et  Guulonem  Comites  Palatinos  principales, 
et  lohannem  comitem  Anouìllane,  ceterosque  de  domo  Ursinorum  ».  Quanto  a  Matteo 
e  Bertoldo,  essi  sono  certamente  della  linea  di  Castel  S.  Angelo.  La  qualilica  di  Conti 
palatini  principali  data  a  Roberto,  Bertoldo  e  Guido  li  designa  assai  chiaramente  come 
appartenenti  alla  linea  dei  conti  di  Soana  e  Pitigliano,  un  ramo  dei  quali  ebbe;  pure 
la  signoria  di  Xola. 

(2)  Sebbene  la  lettera  scritta  dai  Senatori  di  Roma  a  Benedetto  XII,  non  porti  la 
data  dell'  anno,  tuttavia  dal  breve  del  Papa,  di  cui  parliamo  nella  nota  seguente,  si 
ricava  che  fu  scritta  tra  il  17-21  gennaio  1339.  In  essa  si  legge:  «  Rem  cum  discor- 
dia, e.vorta  novissime  de  mense  Augusti  seu  Septeìnbris  inter  nobiles  viros  domi- 
■nos  Raynaìdum  et  lordanum  milites,  nex>otes  domini  yeapoleonis  cardinalis  ex 
una  parte  et  lordanum  quondaìn  PoncelV.  de  flUis  Ursi  ex  altera,  occasione  succes- 
sionis  Gentilis  quondam  Francisci  de  eadem  domo  dissensionem  niaximam  et  scan- 
dalo in  Urbe  parasset  et  predica  milites  adcersus  eundem  lordanum^  comitem  Ber- 
tuldum  et  lacobum  de  Sabello,  domino  Stephano  de  Columpna  et  eius  flliis  publice 
adhesissent,  ipseque  partes,  sicut  manifeste  nocimus,  hinc  inde  se  pararent  ad  guer- 

ram,  dictas  partes  citari  fecimus Die  20  octobris  Rev.  Pater  dom.  Io.  archiepi- 

scopits  yeapolitaìius lordanum  germanum  suum,  comitem  Bertulduin  et  la- 

cobwn  de  Gabello  ad  reverentiam  et  obedientiam,  V.  Sanctitatis induxit  »  (V.  Vati- 

hanischen  Akten,  pag.  691). 


102  F.    SAVIO 

dei  senatori  di   Roma  al  papa    Benedetto  XII  e   da  due  brevi  del 
medesimo  Papa  (1). 

Nel  secondo  breve,  in  data  del  13  agosto  1338,  essendosi  già 
verificato  che  di  Giovanni  non  eran  nati  figli  maschi,  il  Papa 
ordina  che  siano  eseguiti  certi  legati  fatti  da  Gentile,  quale  ora 
doveva  considerarsi  come  succeduto  in  tutti  i  diritti  di  suo  fratello 
Giovanni,  morto  senza  figli  e  premorto  a  lui.  Ivi  è  notevole  che 
il  Papa  dà  a  Gentile  il  titolo  di  nipote  del  cardinal  Napoleone. 
Siccome  Gentile  non  era  figlio  di  nessun  fratello  di  Napoleone, 
resta  che  egli  sia  stato  o  suo  nipote  per  sorella,  oppure  nipote, 
come  si  dice,  alla  maniera  di  Brettagna,  essendo  in  realtà  solo 
cugino  del  Cardinale,  ma  inferiore  a  lui  per  età  e  per  dignità  (2). 

§  7.  —  Ancora  degli  Orsini  di  Monterotondo. 

Come  vedemmo,  i  figli  di  Francesco,  tutti  morirono  senza  le- 
gittima prole.  Al  contrario,  dei  figli  di  Poncello,  cioè  Bertoldo, 
Giordano,  Giovanni  arcivescovo  di  Napoli,  e  Napoleone,  due,  cioè 
quest'ultimo  e  Giordano  ebbero  una  lunga  serie  di  discendenti,  tra 
figli  e  nipoti. 


(1)  Il  primo  breve  di  Benedetto  XII,  in  data  19  febbraio,  anno  IV  del  pontificato, 
ossia  1338,  dice:  «  Prìdem  dilecto  fllio  nosù-o  Neapoleone  sancii  Adriani  diacono  Car- 
dinale executore  testamenti  quondam  Gentilis  clerici,  fllii  et  haeredis  quondaìn  Fran- 
cisci  Mathei  Rubei  de  fìliis  Tirsi  de  Urbe,  nobis  exponente  jìercepinius,  quod  praefatus 
Gentilis  condens  de  bonis  siiis  in  sua  ultima  voluntate  testamentum.,  quondam  lo- 
hannem  fratrem  suuin  et  ventrem,  seu  postumiiìn  nasciturum  ex  dilecta  in  Christo 
fllia  nobili  muliere  Massia,  tunc  uxore,  nunc  relieta  dicti  lohannis  vidua  Romana 
pregnante,  si  esset  mMsculus,  heredem  in  bonis  instituerat  antedictis,  quodque  licei 
Massia,  prout  idem  Cardinalis  certiflcatum  se  fore  dic'ebat,  lohanne  primo  et  deinde 
Gentili  prefatis  viatn  unicersae  carnis  ingressis,  tempore  obitus  dicti  lohannis  de  qua- 
tuor  vel  circa  de  ipso  lohanne  ìJregnans  remansisset,  et  tunc  de  septem  ìuensibus  tei 
circa  pregnans  existeret,  ac  hereditas  dicti  Gentilis  pro2')terea  nomine  ventris  seu  po- 
stumi nascituri  predicti  custodiri  deberet  et  etiam  possideri,  tamen  nobilis  vir  lorda- 
nus  Poncelli  de  Urbe  una  cum  fratribus  suis  hereditatem  ac  bona  prefata  post  ipso- 
ru)n  lohannis  ac  Gentilis  obitum  in  iniuria  dicti  ventris  temeritate  propria  occuparat  » 
(Theiner,  op.  cit.,  34). 

Comanda  il  Papa  che  si  custodisca  l' eredità  a  nome  della  prole  nascitura  e  se- 
condo che  questa  sarà  maschile  o  femminile,  si  faccia  secondo  il  decreto  del  testatore. 
Di  qui  si  vede  che  quando  il  Papa  scriveva,  Massia  era  ancora  gravida,  quindi  affinchè 
la  morte  di  Gentile  coincida  al  settimo  mese  di  sua  gravidanza,  la  si  deve  supporre 
avvenuta  nel  dicembre  1337  o  nel  gennaio  1338.  Le  discordie  perciò,  delle  quali  parlano 
i  .Senatori  (vedi  nota  antecedente)  avvennero  nel  corso  del  1338:  e  la  loro  lettera,  che 
ha  la  data  di  gennaio  tra  il  17  e  21,  deve  credersi  scritta  nel  gennaio  del  1339. 

(2)  Theiner,  11,  37. 


LE    TUE    l'AMKlLIK    OKSINl,     VAl\  10.\ 

Bertoldo,  quegli  che  fu  poi  ucciso  nel  1333  da  Slefjinuccio 
Colonna,  era  già  sialo  vicario  regio  di  Roma  pel  re  Hoberlo  prima 
nel  1323,  secondo  il  Gregorovius,  poi  nel  1329-1330(1).  In  quesla 
carica  era  senza  dubbio  il  15  febbraio  del  1330,  come  vedesi  da 
una  bolla  di  Giovanni  XXII  (2).  Secondo  il  Fflugk-llarllung,  nel 
132H,  giugno  8,  sarebbe  sialo  senatore  (o  vicario  regio)  liertol- 
dits  quondam  Poncelli  Ursini  (3j,  die  sarebbe  il  nostro.  Quindi 
si  dovrebbe  in  parie  correggere  quanto  racconta  il  Gregorovius 
che  il  4  agosto  1328,  appena  partito  Lodovico  il  Bavaro  ed  en- 
trato in  Roma  Bertoldo  Orsini,  nipole  del  cardinal  Legalo  Giov. 
Gaetano,  egli  fu  fallo  senatore  insieme  con  Stefano  Colonna  (4). 
Forse  allora  prese  possesso  della  sua  carica,  alla  quale  già 
era  stalo  designato  prima.  Ancora  teneva  quell'ufficio  il  7  settem- 
bre 1328,  sebbene  già  fossero  designati  i  successori,  Guglielmo 
di  Eboli  ed  il  conte  Novello  di   Monlescaglioso  (5). 

Nel  febbraio  del  1329,  il  popolo  insorse  (non  so  per  qual  ra- 
gione) contro  i  due  Orsini  e  nominò  (od  accettò)  per  successori 
Napoleone  Orsini  e  Stefano  Colonna. 

Di  Giordano  di  Poncello  fanno  ricordo  molli  documenti.  Nel 
1337,  novembre  11,  Giovanni  abate  di  San  Saba  rinnovò  a  lui,  a 
Giovanni  arcivescovo  ed  a  Napoleone  suoi  fratelli  «  locationem 
triam  partium  castri  Rocche  et  Burgi  Galerie....  quas  anno  1276 
locaverat   Bertoldo  et   Rainaldo  »  (6),  cioè  a  Bertoldo  come  rap- 


(1)  Gregorovius,  VI,  124  e  206,  dice  che  agli  8  giugno  1329  il  re  Roberto  scrisse 
a  Napoleone  Orsini  ed  a  Stefano  Colonna,  annunziando  d'aver  nominati  come  loro 
successori  Bertoldo  del  fu  Romano,  conte  di  Nola  e  Bertoldo  di  Poncello.  Onde  deve 
correggersi  il  Vitale,  I,  240. 

(2)  Accettando  l'abiura,  che  i  Romani  fecero  dello  scisma,  Giovanni  XXII  parla 
<iegli  ambasciatori  nominati  per  autorità  del  Consiglio  «  nec  non  dilectovum  flliofuni 
nobUium  virorum  Bertuldi  Comitis  Palatini  et  Bertuldi  Poncelli  quondam  Matthei 
<ìe  flliis  Ursi,  vicarioruni  carissimi  in  Christo  fllii  nostri  Roberti  Regis  Siciliae  illustris, 
■vice  nostra  Urbis  Henatoris  predictae  »  Theiner,  I,  570. 

(3)  Iter  Italicum. 

(4i  Gregorovius,  VI,  196. 

(5)  VI,  206. 

(6)  Nota  del  Galletti  nel  suo  ras.  che  forma  il  cod.  vaticano  7997;  fol.  9.  Riguardo 
a  Galeria  aggiungerò,  che  forse  il  suddetto  atto  d'investitura  o  locazione,  conceduta 
dall'abate  di  S.  Saba  a  Bertoldo  e  Rinaldo  (e  fors' anche  a  Matteo  Rosso)  nel  1276  do- 
vette compiersi  dopo  la  morte  di  Napoleone  altro  figlio  di  Matteo  Rosso  di  Gian  Gae- 
tano; poiché  é  certo  che  egli  nel  1267  possedeva  la  quarta  parte  di  Galeria,  quartam 
partem  totius  Rocce  et  Castri  Galerie.  Questa,  il  30  giugno  di  queir  anno,  egli  ce 
■dette  al  card.  Giovanni  (il  futuro  Niccolò  HI).  L'atto  di  cessione  fu  pubblicato  dal  Coppi, 
nelle  Dissertazioni  della  Pontificia  Accademia  Romana  di  Archeologia,  Roma,  1S64, 
tomo  XV,  pag.  253. 


104:  .  F.    SAVIO 

presentante  di  Gentile  primo  genito,  ed  a  Rainaldo  altro  figlio  di  Mat- 
teo Rosso  :  come  pur  figlio  di  costui  era  Matteo  Rosso  avo  dei 
tre  suddetti  che  ricevettero  l'investitura  di  Galeria. 

Si  osservi  che  dei  figli  di  Matteo  Rosso  di  G.  Gaetano  solo- 
Gentile,  Rinaldo  e  Matteo  Rosso  ebbero  discendenza. 

Dal  1351  almeno  (1)  fino  al  1"  dicembre  1364  Giordano  fu  ret- 
tore a  nome  del  Papa  del  Patrimonio  di  S.  Pietro  (2).  Nel  1351 
fu  eziandio  senatore  di  Roma.  Probabilmente  egli  morì  nel  corsO' 
del  1365  (3). 

Figli  di  Giordano  furono  : 

Francesco.  Egli  ebbe  delle  gravi  contestazioni  coi  Prefetti 
di  Vico,  le  quali  Urbano  V  s'argomentò  di  sedare  con  sue  lettere^ 
di  cui  una  in  data  del  10  settembre  1368  parla  appunto  della  pace- 
tra  i  De  Vico  et  Franciscum  quondam  lordarti  de  Ursinis  militem- 
ac  Bucivm  eius  fralrem  domicellura  Romanum  (4).  Le  discordie 
ripresero  o  continuarono,  poiché  alcun  tempo  dopo  Francesco  dei 
Prefetti  e  Francesco  Orsini  si  sfidarono  a  duello.  11  Papa  di  nuova 
cercò  di  metter  pace,  con  lettera  del  19  aprile  1370,  e  d' impedire 
il  duello  (5).  Forse  riesci  nel  suo  intento,  poiché  in  altra  lettera 
del  22  agosto  1370  egli  ricorda  certe  tregue,  alle  quali  obbligò  i 
due  suddetti  ed  i  loro  consorti  (6).  Pegno  della  pace  probabilmente 
fu  il  matrimonio,  che  nel  medesimo  1370  o  nel  ^72  si  patteggiò  tra 
Francesco  dei  Prefetti  del  fu  Giovanni  (consenziente  suo  fratello 
Battista)  e  Perna  sorella  di  Francesco  Orsini,  figli  del  fu  Gior- 
dano Orsini  de  regione  Pontis.  Il  V'ico  obbligò  tutto  il  castello  di 
Bieda  (7). 

Qualche  tempo  appresso  Francesco  morì,  poiché  in  un  trat- 
tato di  matrimonio  tra  sua  sorella  Giovanna  e  Giovanni  figlio  del 
fu  Censo  (alias   Cesso  o  Processo)  Capoccia   dei   Capoccini,  com- 


(1)  Theiner,  II,  373.  Secondo  la  Cronaca  d"  Orvieto  \nR.  I.  S.,  XV,  651,  egli  era 
già  rettore  nel  1347,  quando  procurò  la  pace  tra  gli  orvietani  e  quei  del  Patrimonio. 

(2)  Il  lo  dicembre  del  136-1  v'  è  una  lettera  a  lui  di  Urbano  V,  da  me  veduta  nei 
Regesti  manoscritti  di  questo  Papa,  tomo  247,  fol.  CLXXXIIIa. 

(3)  Nei  medesimi  Regesti  di  Urbano  V,  nel  tomo  XIV  dei  Regesti  avignonesi,. 
trovasi,  in  data  del  10  marzo  1366,  la  dispensa  a  Bucio  del  fu  Giordano,  giMndam 
lordani  de  Monte,  di  sposare  Caterina  del  fu  Giovanni  di  Supino. 

(4)  Theixer,  op.  cit.  II,  459. 

(5)  Ih.,  pag.  474. 

(6)  Ib.,  pag.  477. 

(7)  Archivio  Storico  della  Società  Romana  di  st.  pat.,  del  1S87,  pag.  528. 


LE   TUE   KAMICLIE   OUSIXI,    ECC.  105 

piiUosi  il  di  7  febbraio  1374  in  Monlerotondo,  ebbe  parlo  il  solo 
Bucio,  altro  figlio  di  Giordano  (1). 

Bugio,  giù  nominalo,  mori  prima  del  1389,  agoslo  4,  couìe  ri- 
levasi da  un  documenlo  che  parla  di  un  suo  figlio  di  nome  Rai- 
naldo  (2).  Quegli  sposò  Lodovica  Savelli  ed  ebl)e  per  figlio  Orso. 
Mori  prima  del  1409,  maggio  10  (3). 

Francesco  nel  1347  aveva  conlrallo  malrimonio  con  (Gostanza 
figlia  (li  Niccolò  degli  Annibaldi,  ed  ebbe  per  figli  Giov;inni,  Pon- 
cello  e  Paola,  o  Paoluccia,  o,  volgarmente,   Palozia  (4). 

Giovanni  e  Poncello,  domicelli  romani,  da  Innocenzo  VII  rice- 
vettero il  di  11  novembre  del  1405  (anno  1)  la  conferma  delle 
bolle  colle  quali  Urbano  V  e  Gregorio  XI  avevano  conceduto  a 
Francesco  loro  padre  e  a  Bucio  del  fu  Giordano  e  a  ciascuno  di 
loro,  in  modo  che  uno  potesse  succedere  all'altro,  e  mancando  i 
maschi  succedere  le  femmine,  i  castelli  di  Torre,  S.  Paolo,  Col- 
levecchio,  Stimigliano,  Selce  e  Monl'Arsoli  (5). 


(1)  «  Magnipcus  Bucius  natxs  quondam  lordani  Poncelli  de  flliis  Ursiproinittit 
magnifìcam  doniìnam  dominam  lohannanigernianam  suam  sororem  in  leyitimain 
uxorem  magnifici  viri  lohannìs  quondam  Censi  Capuccie  de  Coupoccinis  cuni  dote 
duoìttìn  millium  quingentorum  florenorum  boni  auri  ».  Giovanni  obhlifra  alla  sposa 
metà  del  castello  di  Mentana  «prò  indiviso  cum  alia  medietate  ijisius  lohannis  »  eia. 
metii  del  castello  di  Gentile  (Dalle  carte  del  notaio  Antonio  de  Scambiis,  raccolte  dal 
Galletti  nel  cod.  vat.  7930,  pag.  74).  Giovanna  Orsini  era  già  vedova  il  15  gennaio  1380, 
con  tre  Agli,  Processo,  Luigi  (Aloysius)  e  Leila  (Ib.,  pag.  137). 

(2)  «  Magniflcus  v  r  Raynaldus  fiìius  et  haeres  quondam  Buccii  lordani  de 
Ursinis  de  Urbe  »  (Ibid). 

(3)  1409,  maggio  10:  «  Magniflcus  vir    Vrsus  de   Ursis  dontinus  Castri  Montis 

Rotundi  debitor  reparationis  ven.  monasterii  S.  Pauli in  ducentis  florenis  cur- 

rentibus  ad  ratlonem  XLVII  soV.d.prov.  v.gore  legati  facV per  magniflcam  dominam 
dom.  Ludovicauì  de  SabeUis  vidiiam  quondam  Raynaldi  de  Ursinis  matrem  dicti 
Ursi  »  (Dalle  carte  del  notaio  Lorenzo  Impoccia  raccolte  dal  Galletti  nel  cod.  vati- 
cano  7930,  pag.  133). 

(4)  «  Anno  1347  Franciscus  vocatus  Ceccolus  fllius  lordani  de  Ursinis  con- 
traxit  matrirnoniutn  cum  dna  Constantia  f.  quond.  Nicolai  de  Aniballis  cum 
dote  flor.  6250  auri.  —  Nob.  Vir  Franciscus  quond.  lordani  de  f.  Ursi  miles  olim 
■vocatus  Ceccolus, pater  et  leaitimus  administrator  Ioannis,  Poncelli  et  Paxile  sive 
Palotie  flliorum  suorum  et  Dne  Constantie  fllie  q.  Mccolai  Ralli  de  Aniballis 
Dni  Castri  S.  Petri  in  formis.  —  Nicolaus  de  Aniballis  heredem  constituit  Colam 
eius  fiiium  et  si  decederet  sine  flliis  ei  substituit  Cappellani  S.  lacchi  in  Ecclesia 
Lateranensi;  qui  Cola  postea  decessit  in  ptipillari  etite  sine  flliis  ».  (Indicazioni 
compendiarie  di  carte  esistenti  nell'  archivio  della  basilica  vaticana,  nel  codice  barbe- 
riniano  XXXIII,  29,  pag.  33). 

Nel  1392,  agosto  22,  in  un  atto  sono  nominati  «  Magniflri  viri  lohannes  et 
Poncellus  germani  fratres  fllii  quondam  ìuayniflci  viri  dni  Francisci  de  Ursinis 
militis  ».  (Nelle  carte  di  Antonio  de  .Scambiis  indicate  nel  codice  vaticano  7930,  pag.  109  b). 

(5)  Codice  vat.  7928,  pag.  260,  dai  Regesti,  fol.  75. 


106 


F,    SAVIO 


Nel  1388,  settembre  24,  giurando  fedeltà  ad  Urbano  VI,  i  mede- 
simi avevano  ottenuto  i  suddetti  castelli,  e  di  più  la  città  di  Narni  (1). 

Di  Orso  furono  figli  Giacomo  e  Lorenzo,  ai  quali  nel  1448 
Niccolò  V  concedette  il  vicariato  del  castello  di  Cisignano  (2).  Orso 
viveva  ancora  nel  1421,  poiché  in  quell'anno  egli  e  suo  figlio  Gia- 
como furono  chiamati  eredi  da  Semidea  Orsini  (3) 

Raccogliamo  ora  nel  seguente  albero  le  notizie  che  ci  fu  dato 
rinvenire  sulle  generazioni  di  questa  linea  degli  Orsini,  riman- 
dando ad  uno  speciale  paragrafo  il  parlare  dell'ultimo  dei  figli 
■di  Poncello,  cioè  di  Napoleone  e  de' conti  di  Manoppello,  di  cui  egli 
fu  stipite. 

Albero  degli  Orsini  di  Monterotondo. 

MATTEO  ROSSO 
vivo  1295 


I 
'     Poncello 

1323  vicario 
regio  a  Roma 
T  15  maggio 
tra  1325  e  1328 


Giov.  Gaetano 

card,  nel  1316, 

nel  1326  Legato 

in  Italia 

-]-  1335  e  sepolto 

nella  cappella  di 

S.  Maria  del  Parto 


Giacomo 
canonico 


Francesco 
già  +  1337 


I                     I  I                        I 

Bertoldo       Giordano  Giovanni        Napoleone 

T  1333        già  -}-  1366  arcivescovo         stipite 

marzo  10.  di  Napoli       degli  Orsini 

Rettore  del  1328-1358                 di 

Patrimonio  Manoppello 
da  1351  a 
1364  0  65 
I 


Matteo 

Giovanni 

Gentile 

1325 

i   1337 

chierico 

sp.  Massia 

i  1337 

romana 

o  1338 

Francesco 

1 
Perna 

1 
Giovanna 

1 
Bacio 

T  tra  1370 

nel  1372 

nel  1374 

vivo  1374 

e  1374: 

sp.  Francesco 

sp.  Giovanni 

già  'l'  1389 

nel  1317  sposa 

dei  Pi-efetti 

Capocci 

sp.  Caterina 

Costanza  di 

di  Vico 

dei  Capoccini 

da  Supino 

Niccolò  Ralli 

viva  1400 

degli  Annibaldi 

Rin< 

lido 

Giovanni 

Poncello 

1 
Paola 

1392. 

1392. 

0 

vivo  1389 

1402. 

1402. 

Palozia 

nel   1369 

sp.  Adenolfo 

Conti 

già  i  1409 

sp.  Ludovica 

Savelli 

1 

Orso 

1409.1421 

1 

1 
Giacomo 

1 
Lorenzo 

1448 

1448 

(1)  CONTELORi,  Genealogiae Familiae  Comitum Roìnanoì^um,  'Roma.,\6ì>0,pa.g. 18. 

(2)  Cod.  vat.  7930,  pag.  164. 

(3i  «  1421.  Dna    Semidea  de  Ursinis  de  Regione  Pontls   fecit  testamentam   et 
Heredes  instituit  Mar/.   Viruin  Ursuin  quond.  Mag.  Viri  Rainaldi  Bucii  de  Ursinis 


LE    TKK    FAMIGLIE    OUSIN'I,     ECC.  107 


§  8.  —  Degli  Orsini  di  Manoppello. 

Napoleone,  ulliino  dei  figli  fli  Poncello  di  Matteo  Rosso  sposò 
Maria  figlia  di  Giovanni  Rosso  da  Siiliaco  (Sully)  e  di  Totna- 
sina  di  Sangro,  erede  dei  feudi  di  Manopfìello  e  di  Guardiagrele. 
Questo  matrimonio  si  fece  prima  del  1338  o  del  1343,  poiché  nel- 
l'uno o  nell'altro  di  questi  due  anni,  ai  7  agosto,  Napoleone  fece 
trasportare  da  Prata  a  Guardiagrele  il  corpo  di  S.  Niccolò.  In 
quell'occasione  un  fra  Giacomo  dei  Rosso,  francescano  di  Guar- 
diagrele, compose  un  inno,  dal  quale  si  ricavano  varie  notizie  re- 
lative alla  famiglia  di  Napoleone,  per  es.,  che  a  quel  tempo  egli 
non  aveva  ancora  figli  maschi,  ma  solo  due  figlie,  Antonia  ed  Or- 
sina. Vi  si  parla  pure  con  lode  di  Giovanni  arcivescovo  di  Napoli, 
(fratello  di  Napoleone),  al  quale  il  rozzo  poeta  augura  il  Papato  (1). 

Quest'  augurio  non  si  adempiè  ;  ma  in  compenso  si  verificò 
l'altro,  fatto  a  Napoleone,  d'aver  figli  maschi.  Quattro  n'  ebbe,  Gio- 
vanni, Tommaso,  Ugo  od  Ugolino  e  Francesco.  Quest'ultimo  era 
ancor  vivo  nel  1365  agii  8  dicembre  (2),  ma  passò  di  vita  prima 
della  morte  del  padre,  la  quale  avvenne  nel  1369.  Di  ciò  ne  istrui- 


re Jacobum  eiuf  fllium  et  omnes  fllios  nascituros  ex  dicto  Urso.  Legavit  Magnif. 
Dne  Due  Baptiste  de  Ursinis  Comitisse  Anguillarie  Castrum  Nucigliani  j)osituìn 
extra  portam  Castelli  toto  tempore  vite  sue,  et  post  eius  mortem  reliquit  dicturn 
Castrum  Basilice  S.  Petri,  Ecclesie  Lateranensi  et  Monasterio  S.  Pauli  extra 
Muros  urbis  »  (Codice  barberiniano  XXXIII,  29,  pag.  79). 

(1)  «  O  lux  splendor  radiorum—  0  Dux  candorme  ritoruni  —  Domum  serva 
Ursi7iorum  —  Pro  infinita  saecula.  Amen.  —  lohanneni  2}''iniuni  praesitlem.  — 
NeapoUtanum  principem  —  Vitadoctrina  celebrem  —  Fac  Papam  in  Ecclesia.  Amen. 

—  0  pater  sancte  plebium  —  NeajJolionem  inclitum  —  In  vita  fac   longissimum 

—  Per  cuncta  semper  saecula.  Amen.  —  Mariam  caelso  diligas  —  Ferventi  amore 
dirigas  —  Et  virili  prole  iinpleas  —  Qui  jubila  sit  in  patria.  Amen.  —  Antonel- 
luni  primuni  auge.  —  Ursinellam  pulchra^n  valde.  Et  germanis  multis  junge  — 
Qui  de  stirpe  sint  Ursina.  Amen.  —  Nicolae  fac  benigne  —  Dominam  conserva 
digne —  Thomasiani  sanctis  junge  —  Et  semper  sint  in  gratia.  Amen.  —  (Pansa, 
Gli  Orsini  signori  d' Abruzzo,  Lanciano,  Rocco  Carabba,  editore,  1 892).  Questi  crede 
«he  il  matrimonio  di   Napoleone  si   compiesse  nel  1330  o  nel  1331  (pag.  37). 

(2)  Urbano  V,  ai  VI  id.  decembris,  anno  quarto,  concedette  facoltà  di  eleggersi 
il  confessore  e  varie  altre  facoltcà  a  Giovanni,  «  Nob.  viro  lohanni  primogenito  .... 
nobilis  viri  Neapoleonis  de  fll.  Tirsi,  Comitis-  Manupelli  et  logothete  regni  Sicilie  y». 
Altre  facoltà  concede  ad  Ugo  e  Francesco  fratelli  di  Giovanni,  a  Napoleone  suo  padre 
ed  a  Roasia  di  Marzano  sua  moglie.  (Tomo  XIV  dei  Regesti  avignonesi  di  Urbano  V, 
nell'archivio  vaticano,  fol.  173). 


108  F.    SAVIO 

sce  una  lettera,  che  da  Viterbo  il  30  settembre  1369,  Coluccio 
Salutati  scrisse  ad  Ugolino  per  consolarlo  della  morte  del  padre. 
Parlando  della  diligenza,  che  questi  aveva  usato  nell'  educazione 
dei  figli,  esclama:  «  quales  autem  filios  fecit!  majorem  natie 
praefecit  regimini  subditorum  ;  iiiedium  Deo  ohtulit  ;  tertium, 
quantum  in  eo  fuit,  ita  ut  caeteros,  omni  morum  elegantia  exor- 
navit  »  (1). 

Il  secondo,  Tommaso,  fu  creato  cardinale. 

Napoleone  da  Giovanna  I  regina  di  Napoli  venne  creato  lo- 
goteta  e  protonotario  del  regno  di  Sicilia,  nei  quali  uffici  egli  già 
figura,  secondo  il  Pausa,  fin  dal  1362  ;  ma  la  data  della  sua  no- 
mina si  deve  molto  anticipare.  Avvi  una  lettera  di  Innocenzo  VI 
nel  1355,  nella  quale  si  dice  che  gli  abitanti  di  Rieti,  indotti  dal 
timore  della  regina  Giovanna  e  di  Luigi  suo  marito,  avevano  con- 
sentito, in  mano  di  Napoleone  conte  di  Manoppello,  protonotario 
e  logoteta  del  regno,  a  tenerlo  per  loro  potestà  a  vita  (2). 

Napoleone  rimase  sempre  fedele  alla  causa  di  Giovanna,  la 
quale  ne  lo  ricompensò,  dandogli,  oltre  le  cariche  predette,  anche 
il  feudo  di  Larino. 

Egli  ebbe,  d'accordo  con  Niccolò,  conte  di  Nola  suo  cugino,, 
intenzione  di  fondare  a  Roma,  presso  le  antiche  terme  di  Diocle- 
ziano un  monastero  pei  Certosini,  e  ne  ottenne  facoltà  da  Urbano  V^ 
con  breve  del  1363,  gennaio  5  (3);  ma,  prevenuto  dalla  morte,  non 
potè  attuare  il  suo  disegno.  Vi  attese  Niccolò  di  Nola,  al  quale 
Urbano  V  il  dì  23  luglio  1370  scrisse  un  breve  su  questo  argo- 
mento (4). 

Per  le  notizie  finora  esposte  puossi  meglio  comprendere  ed 
in  parte  correggere  quanto  scrisse  il  Montemarle  intorno  a  certi 
fatti  del  1386  (5).  Egli  narra  che  il  cardinal  di  Manoppello,  nomi- 


fi)  Epistolario  di  Coluccio  Salutati,  ed.  Novati,  in  Fonti  per  la  Storia  d'Italia, 
Roma,  1891,  pag.  107. 

(2)  Theiner,  II,  290. 

(3)  Regesti  di  Urbano  V,  tomo  261,  fol.  21. a 

(4)  Riportato  dal  Be.sozzi,  Storia  di  S.  Croce  in  GerMsa7ewi?«e,  Roma,  Salomoni,. 
1750,  pag.  186.  Qui  si  deve  correggere  V  Adinolfi,  II,  265,  che  crede  Napoleone  morto 
nel  1366,  e  fratello  del  conte  di  Nola. 

(.5)  Cronaca  inedita  di  Orvieto,  pubt)licata  dal  Gualterio,  Torino,  Starap.  Reale» 
1846,  pag.  56  e  seg.  Lo  stesso  errore  di  chiamar  Cola  fratello  del  Cardinale  fu  com- 
messo dal  Pellini,  Historia  di  Perugia,  Venezia,  1664,  I,  1355. 


hE   TRE    FAMIGLIE    ORSINI,     ECC. 


lOD 


nato  vicario  del  Patrimonio  da  Urbano  VI,  fu  assai  maltrattalo 
a  Narni  da  Baciolo  di  messer  Giordano,  il  quale  era  suo  zio.  Ciò 
si  deve  intendere  di  Bucio,  il  quale  è  detto  zio  del  cardinale,  per 
ragione  dell'età  assai  maggiore,  poiché  in  verità  egli  doveva  dirsi 
cugino  germano.  Poi  aggiunge  che  il  cardinale  mandò  al  papa 
Cola  suo  fratello.  Qui  vi  è  certo  errore  o  nel  nome  di  Cola  in 
luogo  di  Ugolino,  o  nella  indicazione  di  fratello  data  a  Cola,  il 
quale  sarebbe  stalo  nipote,  e  non  fratello,  del  cardinale.  Infine 
dice  che  nel  1387  fu  preso  a  Narni  prigioniero  dal  cardinale  un 
Poncello,  nipote  carnale  di  Baciolo  e  fratello  cugino  del  cardinale. 
Queste  affermazioni  son  vere,  trattandosi  qui  di  Poncello  figlio 
del  primogenito  di  Bucio,  cioè  di  Francesco. 

Di  Giovanni,  primogenito  di  Napoleone,  nacque  certamente 
un  altro  Napoleone,  il  quale  al  par  dell'avo,  ebbe  la  contea  di  Ma- 
noppello  ed  il  titolo  di  logotela  del  regno.  Egli  nel  1390  fu  man- 
dato ambasciatore  dal  re  Ladislao  al  papa  Bonifacio  IX  (Theiner). 

Albero  degli  Orsini  di  Manoppello. 

PONCELLO 

Napoleone 

lo  conte  di  Manoppello 

-i-  1369 


Giovanni 

già  -j-  1383 

sp.  Roasia 

di  Marzano 

I 


Napoleone 
1390 


I 

Tommaso 


Nicola 


Ugolino 


I 

Francesco 
vivo  1365 
già  T  1369 


Torino,  dicembre  1895. 


Fedele  Savio. 


110  F.    SAVIO 


APPENDICE 


CARTE   RELATIVE    AGLI    ORSINI 

nell'  archivio  di  casa  caetani  a  roma 


I.  1235  —  Certificato  estratto  dai  registri  di    Federico    II    che  Costanza 

Caetaui  era  nepote  di  Teodoro  Orsini  signore  del  castello  dì 
S.   Marco,  Terra  Saracena  ed  altri.  54,  58. 

II.  1266,  dicembre  16  —    Matteo    card,  di    S.   M.  in  P.   vende    a    Gior- 

dano, Rinaldo  e  Matteo  Orsini  figli  del  q.  Matteo  la  metà  del  ca- 
stello di  Marino  per  6,500  lire  di  provisini  del  Senato,  delle  quali 
2,000  in  denaro,  e  per  il  resto  gli  fu  dato  in  solutum  il  castello 
di  Tivera,  il  casale  di  Palmarolo  e  1'  orto  del  Torrone.       48,  6. 

III.  1278  —  Breve  di  Niccolò  III  per  comandare  all'  Abate  e  ai  monaci 

di  Terra  Mag'giore  che  nella  questione  col  vescovo  di  Trivento 
stiano  alla  concordia  stabilita  da  Lucio  suo  predecessore  ed  obbe- 
discano al  comando  della  sede  apostolica  (usa  del  proprio  nome 
di  battesimo).  31,  49. 

IV.  1286  —  Metto  (Matteo  ?)  Eosso  de   filiis    Ursi   vende    a   Napoleone, 

Matteo  ed  Orso  Orsini  suoi  nepoti  per  12,500  fiorini  d'  oro  le  sue 
ragioni  sopra  la  Castelluccia  ed  altre  terre  nelle  vicinanze  di  Al- 
bano. 48,  11. 

V.  1291,  aprile  12  —  Matteo  signore  di  Scarpa  avendo   già   venduto    al 

card.  Napoleone  Orsini  una  metà  del  castello  di  Scarpa,  gli  con- 
cede la  prelazione  nell'  acquisto  dell'  altra  metà.  47,  61. 

VI.  1292,  gennaio  31  —  Il  card.  Napoleone   Orsini    dà    procura    a   Ber- 

toldo Labro  per  fare  delle  convenzioni  con  Margherita  contessa 
palatina.  48,  22. 

VII.  1293,  marzo  23  —  Il  Consiglio    di  Montalto    di    Castro    delibera  di 

eleggere  per  un  anno  a  potestà  e  protettore  il  card.  Napoleone 
Orsini.  47,  57. 

Vili.  1297  —  Il  card.  Napoleone  Orsini  rinunzia  alla  tutela  ed  esecuzione 
del  testamento  di  Orso  Orsini  marito  di  Margherita  contessa  pa- 
latina. 47,  54. 


I 


LE   TUE   FAMIGLIE    ORSINI,     ECC.  Ili 

IX.  1305  —  Testamento  di  Matteo  di  Rinaldo   Orsini,    col    quale    (luesti 

iustituisce  eredi  Orsello,  Jannucoio  e  Poueelio  suoi  fi<;iiuoii  ecc. 

48,  31. 

X.  1305,  gennaio  22  —  Marg'lieiita  Aldol)randesea  contessa    palatina    di 

Soana  dona  il  castello  di  Pian  Castagnaio  al  card.  Napoleone 
Orsini.  47,  55. 

XI.  1307,  agosto  15  —  Guido  e  Jacoljucco    q.  Francesco   del  castello    di 

Galera  vendono  al  card.  Napoleone  Orsini  il  castello  di  Foglia  iu 
Sabina  per  200  fiorini  d'  oro.  48,  3. 

XII.  1307  —  Transazione  fra  il  card.  Napoleone  Orsini  e  il   Comune   di 

Montalto  di  Castro  che  promette  di  pag'are  in  risarcimento  dei 
danni  fatti  2,000  fiorini  d'  oro.  47,  53. 

XIII.  1308  —  Manfredo  di  Vico  prefetto  di  Roma  vende  il  castello  di 
Fabbrica  al  card.  Napoleone  Orsini  per  3,000  fiorini  d'  oro.    48,  5. 

XIV.  1308,  ag'osto  22  —  L'  Abate  di  S.  Salvatore  di  M.  Amiata  concede 
iu  enfiteusi  perpetua  al  card.  Napoleone  Orsini  il  castello  di  Pian 
Castag'uaio  per  il  canone  annuo  di  soldi  5  di  denari  cortonesi. 

48,  4. 

XV.  1309  —  Procura  fatta  dall'Università  di  Montalto  di  stare  10  anni  sotto 

il  reg-ime  del  card,  (orsini  Napoleone  e  di   Orso  Orsini.     47,  5G. 

XVI.  1316,  ottobre  1  —  Orso  Orsini  cede  la  metà  di  Montalto  a  Man- 
fredo, prefetto  di  Vico.  47,  64.         48,  29, 

XVII.  1316,  settembre  15  —  Transazione  fra  il  card.  Napoleone  ed  Orso 
di  Matteo  di  Rinaldo  Orsini  da  una  parte  e  la  comunità  di  M. 
Alto  dall'  altra,  la  quale  a  soddisfazione  di  una  multa  di  60,000 
marchi  d'  arg-ento  cede  il  dominio  e  la  proprietà  de'  beni  feudali  e 
allodiali.  47,  48. 

XVIII.  1316,  settembre  10  —  Sulla  stessa  materia.  47,  62. 

XIX.  1316  —  Giov.  detto  vende  al  card.  Orsini  il  casale  Alborucci  con 
sua  torre  in  distretto  di  Roma  per  5,500  fiorini  d'  oro.     "   48,  23. 

XX.  1318,  mag-gio  —  Orso  de  filiis  Ursi  fa,  procura  a  Gio.  Bobbone  per 

comparire  innanzi  a  Napoleone  card.  Orsini,  e  dichiarare  che  eg-li 
voleva  obbedire  ai  suoi  ordini  e  donarg-li  come  a  lui  piaceva  tutte^ 
0  parte  delle  terre  e  casali  da  esso  Orso  posseduti  (si  nominano). 

34,  662. 

XXI.  1318,  dicembre  12  —  Giacomo  e  Stefano  Conti  vendono  al  card. 
Napoleone  Orsini  il  casale  Bonricovero  e  la  torre  di  Bravis  nella 
parrocchia  di  S.  Antonio  per  2,000  fiorini  d'  oro. 

XXII.  1321.  —  Nicola  di  Matteo  di  Ang-elo  mercante  del  rione  Campi- 
telli  vende  a  Orso  Orsini  per  1,500'  fiorini  d'oro  vari  palazzi,  colon- 
nati, case  e  botteg'he  nel  rione  Campitelli.  48,  28. 

XXIII.  1329,  settembre  14  —  Il  card.  Napoleone  Orsini  dichiara  di  avere 
acquistato  da  Francesco  Gavellato  diversi  fondi,  trai  quali  il  castello 
di  Guardia  di  Orlando,  e  si  obbliga  a  restituire  il  castello  qualora 
in  tre  anni  gli  si  pag'hi  la  metà  del  prezzo.  47,  69. 


112  F.    8AVIO 

XXIV.  1334,  magg'io  20  —  Istruzioni  date  dal  card.  Napoleone  Orsini  a 
Matteuccio  di  Pog-g-io  suo  vicario  nelle  parti  romane  per  ben  am- 
ministrare le  terre  e  i  beni  che  eg-li  vi  possedeva.  48,  18. 

XXV.  1336,  lug'lio  16  —  Sentenza  del  Rettore  del  patrimonio  in  Tuscia, 
colla  quale  restituisce  al  card.  Napoleone  Orsini  la  metà  del  ter- 
ritorio di  Castelluccio  eh'  eg'li  godeva  in  passato  prò  indiviso  colla 
S.  R.  Chiesa.  47,  59. 

XXVI.  1337,  ottobre  5  —  Bolla  di  Benedetto  XII  che  ad  istanza  del  card. 
Napoleone  Orsini  ordina  al  Rettore  del  Patrimonio  che  lo  informi 
delle  vessazioni  fatte  ag-li  Orsini  nell'  esercizio  della  giurisdizione 
sopra  la  metà  del  castello  di  Montalto.  48,  17. 

XXVII.  1350,  luglio  16  —  Protesta  fatta  da  Giacoma  Orsini  ved.  di  Ni- 
cola Caetani  contessa  di  Fondi  a  nome  anche  di  Onorato  e  Gia- 
como Caetani  suoi  fig'li  contro  la  scomunica  lanciata  dal  card.  Le- 
gato Anibaldo  per  aver  essi  occupato  la  terra  di  Sezze.    41,  24. 

XXVIII.  1352  —  Copia  di  lettera  d' Innocenzo  VI  al  vicario  di  Roma  che 
verifichi  i  beni  e  diritti  posseduti  da  Giordano  e  Rinaldo  Orsini 
nel  territorio  di  Montalto.  47,  58. 

XXIX.  1363,  settembre  12  —  Paolo  e  Bartolomeo  Anibaldeschi  vendono 
a  Rainaldo  Orsini  per  8,000  fiorini  d'oro  le  loro  ragioni  sul  castello 
di  Campagnano.  48,  27. 

XXX.  1364,  agosto  17  —  Giov.  Caetani  conte  palatino  vende  Cerretello  di 
Ninfa  a  Rainaldo  Ursi  de  if.   Ursi  di  Marino  per  300  fiorini  d'oro. 

28,  51. 

XXXI.  1366,  settembre  30  —  Paolo  q.  Angelo  Malabranca  vende  a  Ri- 
naldo e  a  Giordano  Orsini  la  quarta  parte  della  rocca  d' Astura 
per  3,900  fiorini  d'  oro.  34,  63. 

XXXII.  1367,  maggio  20  —  Id.  della  4*  parte  della  Villa  S.  Giorgio  al 
detto  Orsini  per  400  fiorini  d'  oro.  2,  25. 

XXXIII.  1368,  maggio  14  —  Id.  della  i^  parte  della  rocca  d' Astura  al 
detto  Giordano  Orsini  per  6,000  fiorini  d'oro.  34,  60. 

XXXIV.  1378,  dicembre  2  —  Bolla  di  Clemente  VII  (antip.)  che  concede 
in  enfiteusi  a  3^  generazione  a  Giordano  Orsini  la  metà  di  Mon- 
talto e  il  castello  di  Lariauo  per  30  fiorini  annui.  50,  31. 

XXXV.  1379,  febbraio  —  Capitoli  fra  i  fratelli  Giordano  Orsini  del  Monte 
e  Niccolò  di  Brusco  Orsini  da  una  parte  e  il  popolo  romano  dal- 
l'altra.  '  47,  51. 


113 


DI  ALCUNI  ATTI 

DEL    NOTAIO 

GIO:  CESIDIO  DA  GAVIGNANO 


Il  prolocollo  (1)  del  notano  Gio  :  Cesidio  di  Ser  Giovanni  da 
Gavignano  che  abbiamo  ritrovalo  nell'archivio  notarile  di  Calvi, 
è  un  codicetto  in  4°  di  carie  92  non  numerale,  ricoperto  di 
una  pergamena  che  contiene  un  frammento  del  catasto  di  Ta- 
rano in  caratteri  del  XIV  secolo  e  sulla  quale  si  era  scritto  re- 
centemente: Incognito  di  notare  e  di  anno.  Reca  pure  in  testa 
alla  prima  pagina  questa  semplicissima  intestazione:  «  In  nomine 
domini  Amen.  Hic  est  liber  Instrumentorum  ad  que  rogatus  fui 
ego  lohannes  Cesidius  Ser  lohannis  de  castro  Gabiniani  sabi- 
nensis  diocesis  publicus  imperiali  auctoritale  notarius  et  iudex 
ordinarius  cum  signo  quo  consuevi  annis,  indiclionibus  mensi- 
busque  diebus  infrascriplis  ><. 

Esso  comprende  gli  atti  dal  5  novembre  1485  al  10  gennaio 
1488,  e  parecchi  ci  sembra  possano  interessare  alla  storia,  spe- 
cialmente quelli  che  richiamano  falli  di  mollo  anteriori  all'epoca 
del  notaio.  Esso  infatti  avendo  assistito  nel  1486  e  '87  il  signor 
Lorenzo  di  Gio  :  Francesco  de'  Cerroni,  del  rione  de'  monti  in 
Roma,  dottore  in  legge,  delegato  da  papa  Innocenzo  Vili  a  de- 
finire varie  vertenze  esistenti  Ira  alcune  comunità  e  signori  della 
Sabina,  ci  ha  tramandato  nei  suoi  alti  le  composizioni  eseguite  e 
le  sentenze  pronunciale  dal  detto  commissario,  dalle  quali  si  rac- 
colgono notizie  non  solo  della  Sabina  e  di  molti  suoi  castelli,  ora 


(1)  Abbiamo  ragione  di  credere  che  questo  sia  il  secondo  protocollo  di  Gio: 
Cesidio.  Sulla  copertina  del  libro  delle  Rif.  del  Coni.  a.  152S-30  abbiamo  trovato  infatti 
questa  nota:  «  A  primo  protocollo  notarli  pubblici  Io.  Cesidii  de  Gabiniano  Instrum. 

«  terminationis  anno  1473  et  ab  altero  Instrum.  ecclesie  malori  Sabinae  anno  11S7 

«  annot.  per  me  notarium  Io.  Bart.  ». 

8 


114:  D.    BENUCCI 

distrutti,  nel  medio  evo,  ma  indirettamente  anche  de'  baroni  ro- 
mani che  in  Sabina  ebbero  più  o  meno  contrastalo  dominio  a 
quel  tempo. 

Molte  notizie  su  questo  soggetto  raccolse  sul  finire  del  secolo 
scorso  il  canonico  Sperandio  (1),  e  benché  di  alcuni  suoi  docu- 
menti sia  dubbia  l'autenticità  ed  egli  stesso  sovente  sia  stato 
troppo  ardito  nelle  congetture,  l'opera  sua  non  manca  per  questo 
d'esser  notevole.  Ci  è  parso  quindi  opportuno  di  tenerla  presente, 
né  abbiamo  lasciato  di  richiamarla,  specialmente  ove  i  nostri  do- 
cumenti vengono  a  correggere  o  ad  illustrare  quanto  da  esso  fu 
esposto. 

Si  trova  negli  atti  di  Giovan  Cesidio  la  sentenza  emanata  dal 
commissario  pontificio  Lorenzo  de'Cerroni  in  data  27  luglio  148S 
sopra  la  questione  sorta  tra  il  comune  di  Rocca  Ranieri  e  quello 
di  Concerviano  intorno  ai  confini  del  tenimento  del  diruto  castello 
di  Antignano,  già  incorporato  a  Rocca  Ranieri.  Gli  abitanti  di 
questo  castello  volevano  avere  assoluta  giurisdizione  fino  al  Rio 
di  Fonte  Pasquale  che  mette  nel  Salto,  mentre  que.lli  di  Concer- 
viano affacciavano  il  diritto  di  pascolo  oltre  a  questo  confine  e 
verso  il  Rio  di  Monte  Piombarolo.  A  sostegno  dei  suoi  diritti 
Rocca  Ranieri  adduce:  l'istromento  di  incorporazione  di  Anti- 
gnano per  mano  di  ser  Nizio  da  Conligliano,  «  antiquitate  fere 
consumptus  »  e  di  cui  l'anno,  consunto  del  tutto,  «  infertur  ab  an- 
tecedentibus  annis  quibus  alia  instrumenla  fuerunt  stipulata  »,  e 
cioè  gli  anni  1285,  1286  e  1287  ;  una  vendita  di  pascolo  dal  Rio 
di  Fonte  Pasquale  al  Piombarolo  fatta  dal  comune  di  Rocca  Ra- 
nieri ad  uno  di  Concerviano;  la  tradizione  conservala  «  ab  eorum 
maioribus  et  a  senioribus  in  seniores  »  che  il  loro  castello  fosse 
edificato  «  a  comite  Raynerio  nobilissitno  viro  de  Ravenna  »  e  da 
lui  appellalo.  In  prova  di  ciò  «  ostendunt  supra  ianuam  turris 
ipsorum  vetuslissimam  tabulam  marmoris  albi  huiusmodi  lenoris 
sex  versiculorum,  videlicet:  Cuniarius  Raynerius  liane  fórtem 
erigit  arcem  |  vìncens  destruit  Antignanum  et  Castra  lohannis  \ 
Resistit  pugnanti  forti  manu  imperatori  Germani  fratres  Ray- 
nerius  atque  Johannes  [    Imperio    dioiso   amplectuntur   ubique    \ 


(1)  Sabina  sagra  e  lìrofana,  Roma,  Giovanni  Zempel,  MDCCXC. 


DI   ALCUNI   ATTI   DEL   NOTAIO    GIO  :    CESIDIO    DA    GAVIGNANO  UT» 

Semper  et  Arx  hec  deincle  iniacta  remansit  ì>.  Mancano,  aggiunge 
r  islromenlo  di  Gio:  Cesidio,  i  documenti  per  stabilire  il  tempo 
di  questo  avvenimento,  ma  resta  memoria  della  guerra,  m";  si  nega 
dalla  parte  contraria  che  esiste  nel  monte  contermino  di  delta 
Rocca  un  luogo  chiamato  ancora  «  platea  imperatoris  ». 

Ora  se  questo  imperatore  fu,  come  ci  sembra  ragionevole.  Fede- 
rico II,  che,  venuto  a  Rieti  nel  luglio  del  1241  «  feam]  sibi  rt^si- 
stentem  invenit  »,  e  tosto  si  affrettò,  chiamato  dal  cardinal  Gio- 
vanni Colonna,  a  Roma  (1),  questo  conte  Ranieri  è  lo  stesso  dei 
Dog.  I  e  LXXVI  dello  Sperandio.  Quest'ultimo  noi  abbiamo  rive- 
duto sull'originale,  che  si  conserva  nell'archivio  comunale  di  Calvi. 
È  un  verbale  della  Cerna  di  Calvi  del  10  ottobre  1491,  nella  quale 
è  fatta  menzione  d'un  antico  istromenlo,  dove  il  conte  Ranieri 
del  fu  Ranieri  colla  moglie  Maria  de  Dompnigallia  ed  i  figli  Lam- 
berto, Nicola,  Bailardino,  Adalberto,  Lodovico  e  Guidone  recessero 
alla  chiesa  di  Sabina  i  castelli  di  Altaino  e  Striano  che  da  antico  loro 
appartenevano.  Non  vi  si  fa  menzione  è  vero  dell'anno,  ma  che 
non  si  sia  lontani  dall'epoca  da  noi  supposta,  ci  conferma  questo  passo 
del  Doc.  I  dello  Sperandio  che  si  riferisce  alle  vendite  di  ghianda 
fatte  dagli  antichi  vicedomini  di  Sabina  :  «  Et  anno  1251  illustri 
comili  d.  Raynerio  et  illustri  comitissae  dominae  Mariae  de  Dom- 
pnigallia coniugibus  prò  eorum  vaxallis  de  Gabiniano,  ut  habetur 
ex  Rofrido  de  Faida  scriniario  Episcopien.   » 

Su  questo  documento  fu  bensì  gettato  il  sospetto  di  falso,  ma 
da  parte  interessata  a  volerlo  tale  (2).  Noi  troviamo  questa  indi- 
cazione corrispondere  così  esattamente  agli  altri  nostri  due  docu- 
menti che  ad  ogni  modo  ci  pare  di  non  dover  più  mettere  in  dubbio 
l'esistenza  di  questo  Ranieri  di  Conio  in  Sabina  verso  la  metà 
del  secolo  XIII.  E,  poiché  questo  conte  era  anche  signore  di  Ga- 
vignano,  ci  sorse  spontaneo  il  dubbio  se  non  appartenesse  alla  sua 
discendenza    un    certo   Giorgio,  nominato   appunto    in   Gavignano, 


(1)  Chron.  Riccardi  Sangermanensis,  ap.  Mur.ìtori,  R.  I.  S.,  t.  VII.  Federico 
fu  a  Rieti  anche  nel  1233  a  ricuperare  ciò  che  i  Reatini  avevano  conquistato  del  suo 
regno. 

(2)  Questo  documento  é  una  sentenza  di  restituzione  in  pristinura  della  chiesa 
di  Sabina,  lata  nel  1431.  Fu  impugnato  nel  1767  dalla  Comunità  di  Torri  contro  il  Pro- 
curatore fiscale  di  Sabina  specialmente  per  essere  stato  ritrovato  neir  archivio  di  Cer- 
chiara  da  un  tal  Seratini  famoso  falsario. 


116  D.    BENUCCI 

in  un  allo  del  noslro  notaio.  E  anzi  il  primo  che  egli  stenda  come 
cancelliere  del  Commissario  pontificio  (1),  venuto  a  Gavignano 
«  depulalus  et  eleclus  cum  omnimoda  facultale  et  poleslate  dero- 
gandi  et  validandi  quicquid  olim  a  domino  Pelro  Angelo  de  Ursi- 
nis  (2)  factum  fuit  de  hereditate  et  bonis  hereditariis  condam 
domini  comitis  Georgii  positis  in  perlinentia  castri  Gabiniani  sa- 
binensis  diocesis  »,  e  che  in  tal  qualità  od  a  nome  anche  degli  Orsini 
transige  cogli  eredi  del  detto  conte  il  2  giugno  1486. 

Per  quanto  però  noi  non  siamo  ripugnanti  dal  crederlo,  non 
abbiamo  certo  prove  sufficienti  per  riconoscere  nel  conte  Giorgio 
un  Coniario.  Lo  Sperandio  (3)  lo  dà  senz'altro  per  tale,  ma  come 
figlio  di  Alberico  da  Barbiano,  restauratore,  secondo  lui,  di  que- 
sta famiglia  dispersa.  Al  suo  tronco,  di  conseguenza,  egli  attacca 
anche  gli  eredi  del  detto  conte,  i  fratelli  Niccolò  Sante  e  Pietro 
Saraceno,  i  quali,  insieme  con  tutti  i  loro  figli  maschi,  nell'istro- 
mento  da  noi  citato,  accettano  in  nome  e  da  parte  degli  Orsini 
ciascuno  la  somma  di  lire  cento  provisine  che  loro  paga  il  Com- 
missario d'Innocenzo  Vili,  e  rinunziano  con  ciò,  in  favore  degli 
Orsini  slessi,  tutti  i  loro  diritti  su  quella  eredità,  obbligando  in 
caso  contrario  tutti  i  beni  ad  essi  pertinenti  «  ex  iure  proprieta- 
lis  in  tenuta  Collemonis  seu  lenimento  diruti  castri  Tribuci  et  in 
perlinentia  castri  Catini   ». 

Abbiamo  riportato  questo  passo,  perchè  ci  indica  i  possedi- 
menti di  questi  due  signori  proprio  in  que'  luoghi  che  lo  Speran- 
dio ha  fatto  centro  dei  possessi  de'  Coniarli  in  Sabina  (4).  Ma  un 
altro  atto  ci  dimostra  ancor  più  l'importanza  di  questi  personaggi. 


(1)  È  chiamalo  in  quest'  atto  Lodovicus,  ma  il  trovare  scritto  in  tutti  i  succes- 
sivi Laurentius,  colla  stessa  paternità  e  nella  stessa  qualità,  ci  fa  dubitare  d'  una  svista 
del  notaio. 

(2)  Del  ramo  di  Castel  S.  Angelo  (Vedi  Bollett.,  voi.  I,  F.  Savio,  Simeotto  Orsini 
e  gli  Orsini  di  Castel  S.  Angelo). 

(3)  Egli  pubblica  sotto  il  n.o  XXIII  due  documenti  estratti  dall'  archivio  di  Poggio 
S.  Loi'enzo,  dai  quali  si  rileva  come,  ancora  nel  1525,  i  Agli  di  Niccolò  Sante  e  Pietro 
.Saraceno  affacciassero  pretese  sui  beni  del  fu  conte  Giorgio  comitis  C'unii.  —  Nella  se- 
conda meta  del  secolo  scorso  (1762)  un  tal  Ignazio  Seraiini  intitolatosi  Conte  di  Cuneo» 
intentò  lite  alla  casa  Olgiati,  subentrata  nei  possessi  degli  Orsini,  per  la  restituzione 
dell'eredità  di  questo  conte  Giorgio,  presentando  un  inventario  dei  suoi  beni  deiranno 
1426.  Fu  scoperto  eh'  egli  lo  aveva  falsificato  servendosi  di  antiche  pergamene  da  cui 
aveva  grattato  i  primitivi  caratteri.  La  conoscenza  del  nostro  documento  avrebbe  reso 
vana  la  falsificazione. 

(1)  Egli  infatti  pone  in  Catino  la  sede  principale  de'  conti  di  Conio  in  Sabina. 


DI   ALCUNI   ATTI   HEL   NOTAIO    GIO:    CKSIDIO    DA    OAVIGNANO  UT 

Esso  è  la  sentenza  emanala  da  Lorenzo  de'Cfrroni  addì  2^  ngoslo 
1487  Ira  Niccolò  Sanie  e  Pietro  Saraceno  da  una  [larle  e  la  co- 
munita  di  Poggioperusino  dall'altra,  la  quale  negava  ai  detti  fra- 
telli il  diritto  di  pascolo  nel  proprio  territorio.  I  due  signori 
producono  i  patti  stipulati  col  cardinal  Baldassarre  Cossa,  leg.tlo 
pontificio,  nel  1410,  riconosciuti  e  confermati  per  placito  di  Mar- 
tino V  nel  1425,  ne'  quali  ai  loro  predecessori  e  a  tutta  la  loro 
discendenza  mascolina  in  perpetuo  si  accordava  il  privilegio  di 
essere  «  ubique  locorum  tainquam  cives  illorum  exstimandos  », 
in  compenso  della  cessione  fatta  alla  Chiesa  di  molli  loro  domini  (1). 
Ora  benché  in  questo  atto  si  legga  la  paternità  dei  due  fra- 
telli, figli  di  un  tal  Domenico  Sante  da  Catino,  né  sapremmo  come, 
se  lo  Sperandio  ne  avesse  avuto  contezza,  lo  avrebbe  fatto  deri- 
vare da  Alberico  da  Barbiano  (2),  ci  sembra  evidente  tuttavia  che 
costoro  fossero  eredi  di  una  polente   famiglia.   Parentela    avevano 


(1)  «  Laurentius  de  Cerronibus....  cuin....  bene  perspexerit  pactiones  faclas  curii 
«  condam  domino  Cardinali  Raldassarro  Cossa  legato  Bononie  per  apostolicam  sanctam 
«  sedem  Romanara  anno  domini  Millesimo  CCCCX,  ac  bene  cog-noverit  placilum  apo- 
«  stolicum  olira  sanctissirai  domini  Martini  pape  quinti  felicis  recordationis  remmo- 
«  rantis  (sic)  anno  domini  Millesimo  CCCCXXV  dictas  pactiones  per  quas  patet  apo- 
«  stolica  romana  acquisitio  plurium  locorum  datorum  et  concessorum  jìer  dictas  pa- 
«  ctiones  apostolice  sanate  sedi  Komanc  placitum  fuit  compensare  predeccssores 
«  dictorum  germanorum  fratrum  ipsorumque  successores  masculos  usque  quod  per- 
«  duiMverit  eorum  generatio  masculorum  ex  eo  quia  eisdem  datum  et  concessuni  fuit 
«  ubique  locorum  taraquam  cives  illorum  exstimandos  fore  et  esse  qulbuscunique  non 
«  obstantibus  et  propterea  eosdem  habere  tenere  et  possidere  omnia  et  singula  iura 
«  quo  pertinent  ad  predictos  cives  oppidanos  atque  terrigenas  in  universo  dominio 
«  temporali  prefate  apostolice  sancte  sedis  Romane,  nec  non  etiam  cognoverit  statuta 
«  et  leges  dictorum  liominum  et  Communis  Podii  predicti,  se  mature  cum  Consilio 
«  plurium  iuris  peritorum  prefata  apostolica  auctoritate  facultate  et  potestate  deter- 
«  minavit  ad  hanc  diffinitivam  sententiam  et  decretum  tenoris.  videlicet.  Xristi  no- 
«  mine  invocato  nos  Laurentius  de  CerroDÌI)US  etc.  dicimus  pronunciamus  ac  diftini- 
«  tive  sententiamus  et  decernimus  licitum  fuisse  et  esse  prefatos  gcrmanos  fratres 
«  Nicolaum  Sanctem  et  dominum  Petrum  Saracenum  ipsorumque  successores  masculos 
«  ducere  duxisse  ac  ducturos  fore  et  esse  per  se  vel  per  alios  nomine  ipsoinim  pro- 
«  prias  capellas  oves  et  alia  animalia  que  sint  et  fuerint  de  iure  proprietatis  eorum 
«  ad  pascendum  in  Montibus  pertinentibus  ad  Commune  et  homines  Castri  Podii  pe- 
«  rusini  simul  cum  eisdem  tamen  hominibus  usque  quod  eorum  protenditur  tenimen- 
«  tum  iuxta  confìnes  designatos  per  olim  dominos  Bertuldum  et  Robertum  de  liliis 
«  Ursi  ». 

12)  Lo  Sperandio  sostiene  anche  che  tutte  le  principali  famiglie  romane.  Or- 
sini, Savelli,  S.  Eustacchio,  etc,  avessero  comune  l'origine  coi  Coniari.  Ora  nel  nostro 

istromento  trovava  questo  passo «  Bertuldum  et  Robertum  de  tìliis    Ursi  eiusdem 

«  generis  cuius  sunt  prefati  germani  fratres....  ».  La  sentenza  é  emanata  «  in  domo 
olim  predictorum  dominorum  Bertuldi  et  Roberti  de  filiis  Ursi  et  nunc  civitatis  Rea- 
tine vel  eius  Communis  »  posta  in  Poggio  Perusino. 


118  D.    BENUCCI 

anche  coi  conti  di  Marerio,  giacché  loro  pro-ava  era  slata  l' illu- 
strissima signora  Filippa,  figlia  del  conte  Nicola  di  Marerio, 
come  si  rileva  dal  testamento  di  un  conte  Nicola  di  Marerio  giu- 
niore,  contenuto  nel  nostro  protocollo.  Questi,  anzi,  appunto 
perciò,  lascia  ai  due  fratelli  e  a  tulli  i  loro  discendenti  maschi 
in  infinito  venti  rubbia  di  terreno  nel  lenimento  del  diruto 
castello  di  «  Vulghe  recte  »  (presso  Ascrea  e  Castelvecchio) 
oltre  al  possesso  in  comune  e  <«  prò  indiviso  »  coi  suoi  figli  dell'in- 
tero lenimento  di  esso  castello,  «  proul  habilum  fuil  a  venerabili 
Monaslerio  farfensi   »  (1). 

Era  però  ormai  finito  il  tempo  delle  signorie  particolari  e  già 
dagli  alti  menzionati  appare  come  tulli  questi  nobili,  ne'  luoghi  di 
cui  i  loro  predecessori  avevano  il  dominio,  si  contentassero  di 
restare  cittadini  doviziosi.  Più  grosse  e  potenti  famiglie  ormai  li 
soverchiavano,  e  tra  queste  vediemo  spandersi  per  Sabina,  ove 
avevan  sempre  tenuto  un  piede,  gli  Orsini,  ora  col  favore  ora  a 
dispetto  de'  pontefici. 

Già  vedemmo  come  Pier  Angelo  avesse  occupato  i  beni  del 
conte  Giorgio  in  Gavignano  ed  agli  eredi  di  costui  fosse  parso 
conveniente  accettare  un'  indennità  in  danaro  ;  un  altro  atto  di 
Giovan  Cesidio  ci  mostrerà  come  si  comportasse  Paolo  Orsini  in 
Calino  (2),  di  cui  s'era  fatto  signore.  I  catinesi  gli  avevano  ven- 
duto nel  1480  per  1,600  fiorini  d'oro  le  legna  dei  loro  boschi,  e 
non  vedendo  arrivare  ancora  il  pagamento,  avevano  ricorso  al 
pontefice.   Lorenzo  de'  Cerroni  è  il  commissario  che  viene  a  giu- 


d)  II  testamento  é  fatto  in  Calvi  ove  il  conte  Nicola  giaceva  infermo  in  casa  di 
ser  Marco  Mattei  [de' MarescottiJ  il  10  marzo  li87.  Egli  lascia,  tra  gli  altri  legati, 
due  cavalli  per  ciascuno  a  Troilo  Orsini,  Pietro  Colonna  e  Pandolfuccio  Savelli,  no- 
mina i  due  primi  suoi  esecutori  e  fldecommissari  e  riparte  in  tal  modo  l'eredità  tra 

I  suoi  cinque  maschi:  i  possessi  di  Castelvecchio,  Vallecupola  ed  Ascrea  a  Francesco; 
quelli  di  Corbario  e  Villa  a  Griovanni  e  Filippo;  quelli  di  Castel  Colle,  Borgo,  Casaprota 
•e  Rocca  Sinibalda  a  Tommaso  e  Gentile.  Tutti  loro  istituisce  eredi  universali  nella 
contea  di  Marerio  e  ne'  castelli  del  contado  equicolano  secondo  il  placito  del  Re  Carlo 
di  Sicilia  del  li  giugno  1265.  All«  due  liglie  stabilisce  cinquanta  florini  d'oro  di  dote. 

(2)  È  lo  stesso  che  fini  miseramente  per  le  mani  del  Borgia  (Barbiellini  AMmEi, 

II  barone  Ferreoli).  Noi  abl)iamo  trovato  nell'archivio  notarile  di  Calvi,  ne;;li  atti  di  Mat- 
teo de' Marescotti,  un  biglietto  di  Gio.  Paolo  Orsini,  conte  d'  Atripalda,  scelto  arbitro  tra 
Organtino  Orsini  come  Signore  di  Monistero  e  Vacone,  e  la  L'niversità  di  Conflgni, 
dato  da  Poggio  Catino  il  18  gennaio  1487.  É  senza  dubbio  lo  stesso  personaggio,  figlio 
del  cardinale  Latino.  Apparteneva  al  ramo  dei  conti  di  Tagliacozzo,  i  quali  ebbero 
anche  la  contea  d' Anguillara. 


DI   ALCUNI   ATTI    DEL   NOTAIO    OIO  :    CESIDIO    DA   GAVIGNANO  IID 

dicare  anche  di  questa  vertenza,  ed  alla  sua  presenza,  il  giorno 
25  agosto  14S6,  Troilo  Orsini  riunisce  appunto  perciò,  nelle  f(jrme 
•consuete,  il  consiglio  di  Catino  (1).  Ivi,  dopo  aver  dichiarato  che 
ognuno  era  libero  di  dire  il  suo  parere,  si  lagna  che  i  catinesi 
abbiano  ricorso  al  papa  per  esser  pagati  dal  signor  Paolo,  suo  zio, 
■quando  questi  e  il  cardinal  Battista,  abbate  commendatario  di 
Farfa,  tanto  li  avevano  aiutati  contro  il  comune  di  Poggio  Mir- 
teto, ed  oltre  a  ciò  avevano  già  pagato  200  fiorini  d'oro  al  co- 
mune di  Poggio  Catino  (2)  :  esser  perciò  «  liberam  ipsorum  gra- 
titudinem  et  debitum,  amor  amore  pacandus  [sic]   ». 

Il  consigliere  ser  Antonio  Marezzi  risponde  mostrando  le  ne- 
■cessilà  di  Calino,  ed  ottiene  che  i  signori  Orsini  paghino  almeno 
■500  fiorini  d'oro,  che  il  signor  Troilo  versa  immediatamente  nelle 
mani  del  camerario  del  Comune.  Nel  discorso  di  ser  Antonio 
sono    riassunte  le  vicende  di  Catino  nel  XIV  secolo  (3).   Il  passo 


(1)  Si  noti  che  il  primo  dei  consitrlieri  nominati  è  Ser  Pietro  Saraceno. 

(•2)  «  Xotandum  est  quia  non  fuit  ah  ipsis  hominibus  et  Commune  Catini  expres- 
<  sum  quod  anno  MCCCCLXXXI  et  sequentihus  annis  tam  prefatus  d.  Paulus  quam 
«  Reverendissimus  d.  Baptista  diaoonus  Cardinali»  de  Ursinis  Commendatarius  Abbas 
«  Monasterii  Farfensis  multum  auxilium  et  operam  dederunt  predictis  hominibus  et 
«  Communi  Castri  Catini  in  litibus,  causis,  questionibus  et  controversiis  inter  eosdem 
«  et  inter  homines  et  Commune  Castri  Podii  Mirteti  sopra  terminationem  pro])rietatis 
-»  Montium  :  nec  etiam  espressum  fuit  quod  jìrefatus  dominus  Paulus  dedisset  bis  ccntum 
«  rtorenos  auri  Communi  et  hominibus  Castri  Podii  de  Catino  etc.  ». 

(3)  «  Quibus  omnibus  et  singulis  l)ene  auditis  et  intellectis,  surrexit  in  pedo  reve- 
«  rentia  qua  decet  Ser  Anthonius  Marotii  et  suum  consilium  ad  omnium  libitum  et 
«  ar1)itrium  proponendo  dixit:  Non  ignorari  nec  negari  beneticia  et  patroclnium  tam 
«  domini  Pauli  de  Ursinis  quam  domini  Cardinalis  Baptiste  ac  decere  futuros  esse  gra- 
«  tos,  sed  rememorandum  est  omnibus  quod  nostri  predecessores  homines  de  Catino 
«  usque  quo  »  (Sembra  veramente  il  segno  del  quia.  A  noi  pare  di  dover  leggere:  usque 
a  q'to.  Intatti  nel  doc.  prima  citato  ove  vuol  intendere:  fino  a  che,  é  scritto  chiara- 
mente: usque  quod)  «  se  ipsos  dederunt  et  subposuerunt  apostolice  sancte  sedi  Ro 
«  mane  nimiam  diminutionem  et  dampna  sustulerunt  a  malo  in  peius  etiam  ad  esse 
«  subpositos  domino  Theobaldo  de  sancto  Kustachio  facto  proprio  vicario  apostolico 
«  temporali  Castri  Catini  et  ipsius  hominum,  qui  per  patrocinium  et  potentiam  do- 
«  mini  imperatoris  Heynrici  voluit  minuere  vires  et  actionem  et  auctoritatem  predi- 
«  ctorum  hominum  de  Catino  cum  fecisset  et  obptinuisset  homines  Podii  de  Catino 
«  fore  et  esse  Commune  separatum  et  distinctum  a  nostro  Communi  et  univcrsitate 
«  prout  est  et  fuit  hoc  pluries  assertum  et  probatum  contigisse  anno  domini  mille- 
«  Simo  CCCXij,  ob  quod  ipsi  predecessores  nostri  ut  assueti  ex  origine  ad  imperium 
■«  supra  omnia  Castra  que  erant  in  antiquo  territorio  illorum  non  substulerunt  se 
«  ipsos  subponere  perpetuo  vicai'io  apostolico  temjjorali  et  dicto  domino  Theol)aldo, 
«  cum  (jUG  pacilìcati  fuerunt  per  opus  germanorum  frati'um  dominorum  lohannis  et 
«  Sciarre  de  Columpna:  non  minorem  diminutionem  et  atflictionem  attulerunt  bella 
«  seu  guerre  que  fuerunt  inter  Guclfos  et  Ghibellinos,  et  nunc  etiam  fertur  non  esse 
«  pacatos  de*  agabello  et  venditione  lignorum  in  montibus  iuris  nostre  Communis  prò- 


120  D.    BEXUCCI 

principale  è  quello  che  si  riferisce  a  Teobaldo  di  S.  Eustachio. 
Costui,  ottenuto  il  titolo  di  vicario  perpetuo  di  Catino  (forse 
dal  primo  de'  pontefici  che  prese  stanza  in  Avignone),  favorendo 
gli  imperatori,  intese  a  farsene  addirittura  un  possesso.  Perciò,, 
dopo  aver  sminuito  i  privilegi  de'  catinesi,  coli' intento  d'indebolirli, 
ottenne  da  Enrico  VII  che  Poggio  Calino,  che  prima  da  loro  di- 
pendeva, formasse  un  comune  distinto.  A  questo  punto  non  resse 
la  pazienza  de'  catinesi,  i  quali  più  non  sostennero  d'esser  sot- 
toposti al  prepolente  barone;  ma  egli,  come  ghibellino,  molto  pro- 
babilmente anche  prima  che  la  venula  di  Lodovico  il  Bavaro  a 
Roma  desse  baldanza  al  suo  partito  (1),  per  mezzo  di  Giovanni 
e  Sciarra  Colonna  (2),  fu  rappacificato  coi  catinesi. 

Nel  1477  tornò  Catino  alla  S.  Sede  (e  Sisto  IV  lo  vendè  a 
Rieti)  essendosi  colla  morte  di  Luigi  estinta  la  discendenza  dei 
S.  Eustachio.  Essi  possederono  in  Sabina  anche  il  diruto  ca- 
stello del  Monte  de'  figli  d'  Ugone  (Monte  Fido),  che  Giovanni  ed 
Agapito  fratelli,  sulla  fine  del  secolo  XIV,  donarono  ai  preti  mi- 
nori di  Aspra  con  atto  di  ser  Sabba  di  Cola  Barberi  di  Monte 
Santa  Maria,  scriba  del  monastero  farfense.  Ciò  sappiamo  da  un 
altro  istromenlo  di  Giovan  Cesidio,  in  data  14  settembre  1487,. 
ove  è  detto  come,  estinta  la  discendenza  dei  S.  Eustachio,  papa 
Innocenzo  Vili,  «  ob  defectum  dictorum  presbyterorum  »,  nomi- 
nasse amministratore  apostolico  del  castello  del  Monte  de'  figlr 
d' Ugone  Giacomo  di  Battista  Savelli,  signore  di  Palombara  Sabina,  e 
come  il  suo  procuratore,  Accursio  «  condam  domini  Arnoldi  »  dì 


«  pi'ietatis  nec  nostrum  Commune  et  iiniversitas  habet  et  possidet  nunc  aliud  bonum- 
«  a  quo  possit  habere  Iructura  et  utile  quod  habet  et  habuit  in  solis  dictis  montibusr 
«  nec  minus  ob  reverentiam  et  ob  gratitudinem  beneflciorum  receptorura  et  ob  plu- 
«  res  etiara  obtentas  gratias  apud  sanctissimum  dorainum  nostrum  papam  videtui*  esse- 
«  bonum  omnes  predictos  soeios  liomines  congregatos  et  coadunatos  ut  supra  vocaiT. 
«  se  contentos  et  integre  pacatos  dummodo  statini  dentur  et  tradantur  nostro  Com- 
«  munì  Catini  quinque  centum  florenos  auri  ad  rationem  .1.  sollidorum  prò  quolibet. 
«  floreno,  cura  sint  omnes  constituti  in  magna  necessitate  propter  expensas  in  litihus 
«  retroactis  et  ob  penuriam  et  mala  tempora  ». 

(1)  Teltaldo  fu  tra  i  baroni  che  addestrarono  il  Bavaro  neir  entrare  a  Roma  (Giov. 
Villani,  X,  541.  Non  ostante  questa  ribellione  de'  Catinesi,  i  successori  di  Teobaldo 
fecero  anche  di  peggio:  specialmente  Troilo,  finché  non  fu  ucciso  da  un  ministro 
(Vedi  MoROM,  Dizionario  di  erudizione  storico-ecclesiastica). 

(2)  Sciarra  Colonna  fece  nel  1314  la  ])ace  tra  Terni  e  Narni.  Egli  ebbe  in  questo 
secolo  molta  parte  nelle  vicende  dell'Umbria  (Vedi  Bollett.,  voi.  I,  G.  Pardi:  Dìie paci 
tra  Terni  e  Narni  etc.  e  Relazioni  d'Amelia  col  Coni,  di  Roma  etc).     . 


DI   ALCUNI   ATTI    DEI-   NOTAIO   GIO  :    CESIDIO    DA    C.AVIGNANO  121 

Canlaliipo,  agabellasse  a  Nicolò  de'  Buccamazi  di  Scandriglia  Tl'I*- 
balico  di  dello  castello,  del  quale  sono  designati  i  confini. 

Un  altro  documento  interessa  specialmente  la  storia  del  mo- 
nastero di  Fiii'fa,  ed  è  mollo  curiosa  la  notizia  che  si  lui  nel  li- 
bello supplice  degli  abitanti  di  Castelnuovo,  circa  la  fondazione, 
forse  leggendaria,  di  questo  castello,  falla  da  nomini  coniJolli  dal- 
l'oriente e  convertiti  alla  fede  cristiana  dal  monaco   Kaniero  (1). 

Già  da  gran  tempo  il  monastero  aveva  perduto  il  suo  antico 
luslro  per  opera  specialmente  di  Bonifacio  IX  papa,  che  spogliati 
i  monaci  delle  loro  terre  ne  aveva  investito  col  titolo  di  abbate  coin- 
niendalario  il  suo  nipole  ex  sorore  Francesco  Carbone  dotto  an- 
che Carbonacci  o  Tomacelli.  Oramai  fin  dal  1420  l'abbazia  non 
aveva  fatto  che  passare  d'uno  in  un  altro  Orsini,  quasi  fosse  un 
loro  feudo,  e  come  si  comportasse  il  cardinal  Battista,  f|uinto 
abbate  di  questa  casa,  si  può  vedere  dal  nostro  documento  in  data 
13  settembre  1487  (2).  A  noi  nel  pubblicarlo  parve  quasi  di  compiere 


(1)  «  In  primis  tenor  predirti  supplicis  libelli  prout  apparet  talis  est  videlicet: 
«  Universitas  et  horaines  Castri  novi  de  abhatia  farfensi,  maxima  humilitate  et  ea 
«  summa  qua  decet  reverentia  supplices,  consnltis  ipsorum  senioril)us  prudcntihiis 
«  viris,  die  nona  currentis  Mensis  Martii  hoc  anno  domini  Millesimo  CCCCXXX,  per 
«  manura  Ser  Johannis  Anthonii  pnhiici  notarli  de  Podio  sanati  Laurentii,  precantur 
«  omncs  et  singulos  venerabiles  et  Rclipiosos  viros  dominos  Monachos  et  Conventum 
«  venerabilis  Monasterii  farfensis,  ut  ipsi  memores  sint  predecessorum  sevi  primorum 
«  honiinum  Castri  novi,  qui  ex  orie:  te  ad  sanctissimam  Xristi  fidem  conversi  per  no- 
«  bilissimuni  farfensera  Monachum  Kayneriura  et  ducti  in  hanc  farfensem  ])artem. 
«  habuerunt  et  rcceperunt  a  pietate  Monachorum  predecessorum  tenimenta  dirutorum 
«  Castrorum  Agelli  et  Caballarie  ad  se  sustentandum  laboritiis,  velint  nunc  omnes  pre- 
«  dicti  venerabiles  domini  Monachi,  quovis  titulo,  dare  et  concedere  predictis  univer- 
«  sitati  et  hominibus  quicquid  maius  videtur  oportunum  ad  nccessitatem  pascendi 
«  propria  animalia  a  Petris  lixis  usque  ad  Rianara,  promictentes  quicquid  eisdem  do- 
«  minis  Monachis  placuerit  lieri  habere  prò  gratia  quam  Deus  ipsis  inspiret  etc.  ». 

(2)  «  In  nomine  domini  Amen.  Anno  domini  Millesimo  CCCClxxxvij  indictiono 
«  quinta  pontilìcatu  sanctissimi  in  Xristo  patris  et  domini  nostri  domini  Innocenti! 
«  divina  providentia  pape  octavi  Mense  septembre  die  decima  tertia.  In  presentia  mei 
«  notarii  et  testium  subscriptorura  ad  liec  specialiter  rogatorum  venerabilis  et  Relifrio- 
«  sus  vir  dominus  frater  Dionisius  de  Francia  cellerarius  Monasterii  farfensis  sancte  Marie 
«  non  vi  coactus  nec  dolo  vel  errore  et  aliqua  deceptione  ductus  sed  ex  eius  certa 
«  scientia  lilìeroque  arbitrio  et  propria  spontanea  voluntate  tam  nomine  suo  quam 
«  vice  et  nomine  omnium  Monachorum  dicti  Monasterii  farfensis  ipsiusque  Conventus 
«  absentium  tamquam  presentium  ex  ipsorum  vive  vocis  oraculo  ad  perpetuam  rei 
«  memoriam  traditur  factum  et  facta  predictorum  Monachorum  et  Conventus  Mona- 
«  sterii  farfensis  ne  in  posterum  successores  in  dicto  Monasterio  malori  colludio  et 
«  dolo  sufferant  dampna  et  preiudicia  ob  magnam  dolosam  dirainutionem  et  conver- 
«  sionem  antiqui  Manualis  seu  territorii  diruti  Castri  Acutiani  in  tenimentum  et  per- 
«  tinentiam  dirutorum  Castrorum  Agelli  et  Caballarie  quicquid  a  Riana  versus  leni- 
«  menta  dictorum  dirutorum  Castrorum  Agelli  et  Caballarie  erat  et  fuerat  semper  per- 


122  D.    BEN  UCCI 

la  volontà  di  que'  monaci,  che  della  loro  protesta  contro  gli  atti 
del  prepotente  abbate  vollero  lasciar  memoria  per  mano  di  ser 
Giovanni  Cesidio,  quasi  un  ultimo  grido  levato  contro  il  cardinal 
Battista,  che  poco  di  poi  li  spogliava  anche  del  castello  di  Sali- 
sano,  ultimo  rimasto  alla  mensa  de'  poveri  frati  (1). 

Chiudiamo  lo  spoglio  del  protocollo  di  Giovanni  Cesidio  da 
Gavignano  facendo  qui  appresso  breve  menzione  di  alcuni  altri 
istromenti  che  contengono  qualche  notizia  utile  alla  storia  parti- 
colare de'  luoghi  della  Sabina. 


■«  tinentia  seu  manualis  et  tenimentum  dicti  Monasterii  farfensis  proxima  usque  tem- 
«  pora  retroacta;  iuravit  ad  sancta  dei  eangelia  (sic)  corporaliter  habens  in  suis  ma- 
«  nibiis  scripturas  oranes  et  singulos  Monachos  dicti  Monasterii  farfensis  fuisse  et  eése 
«  violenter  inductos  atque  coactos  ab  auctoritate  et  potestate  Reverendissimi  domini 
«  Cardinalis  diaconi  Baptiste  de  Ursinis  Coramendatarii  abbatis  Monasterii  farfensis 
«  ad  dandum  et  prestandum  eorum  consensum  instromento  quo  manu  Ser  Jacobi  pu- 
«  blici  notarii  de  Podio  Mirteto  die  octava  proxima  preterita  nomine  falso  tenimen- 
«  torum  (sic)  Agelli  et  Caballarie  incorporata  fuere  et  locata  ad  centum  annos  nniver- 
«  sitati  et  hominibus  Castri  novi  sabinensis  diocesis  de  abbatia  farfensi,  cum  [non]  es- 
«  set  eisdem  Monacis  nec  prò  omni  oorum  iure  permissum  se  ipsos  apposituros  fora 
«  et  esse  reservationes  in  diete  instromento  appositas  ad  servandum  in  integrum  pro- 
«  pria  iura  predicti  Monasterii,  prout  melius  patet  a  presentibus  duobus  testibus  ad 
«  perpetuam  rei  memoriam  examinandis  in  hoc  instromento  .  videlicet  .  nobili  et  sa- 
«  pienti  viro  domino  Accursio  condam  domini  Arnoldi  de  Castro  Cantalu])i  sabinensis 
«  diocesis  eximio  legum  doctore  et  nobili  viro  domino  Xicolao  condam  domini  lohannis 
«  de  Bucchamatiis  de  Scandrilia.  Quorum  examinatus  ad  perpetuam  rei  memoriam 
«  dictus  dominus  Accursius  an  ipse  sciat  quicquid  proxima  preterita  die  octava 
«  Mense  septembre  contigisset  Inter  Reverendissum  dominum  Cardinalem  Baptistam 
«  ex  parte  una  et  inter  Monachos  Monasterii  farfensis  ex  parte  altera,  iuravit  ad  sancta 
«  Dei  evangelia  corporaliter  tactis  scripturis  noluisse  prefatum  dominum  Cardinalem 
«  Baptistam  admictere  dictis  Monachis  quod  in  istromento  nove  locationis  et  incor- 
«  porationis  teniraentorum  Agelli  et  Caballarie  raentionem  aliquara  Aeri  esset  de  quo- 
«  dam  supplici  libello  quo  Universitas  et  homines  Castri  novi  anno  domini  Millesimo 
*  CCCCXXX,  consultis  ipsorum  hominibus  postularunt  eisdem  concedendum  fore  et 
«  esse  ius  pascendi  quolibet  titulo  Monachis  placuisset  ultra  Perras  lixas  usque  ad 
«  Rianam;  nec  etiam  instromentura  inseri  quo  patet  nova  affixio  Fixarum  Petrarum 
«  avulsarura  facta  anno  domini  Millesimo  CCCClxxvij  :  sed  omnino  inopinanter  et  sta- 
«  tim  prcdictos  Monachos  facere  locationem  novam  dictorum  tenimentorum  hominibus 
«  et  universitati  Castri  novi  ad  placitum  et  iuxta  voluntatem  prefati  domini  Cardi- 
«  nalis  sic  omnino  volentis  iubentis  et  suam  auctoritatem  et  potestà tem  contra  predictos 
«  Monachos  iactantem  iactantis  ».  Nell'atto  di  reaffissione  di  termini  del  1477  é  ricor- 
data la  terminazione  eseguita  nel  1315,  quando  lo  stesso  tenimento  era  stato  locato 
all'Università  di  Castelnovo  dal  monaco  Arnaldo,  amministratore  del  Monastero. 

(1)  Il  Castello  di  Salisano  fu  ceduto  all'abbate  Commendatario  con  Bolla  di  Ales- 
sandro VI  del  29  agosto  1492,  ed  i  monaci  ricevettero  in  compenso  S.  Maria  in  Canneto 
«olle  sue  dipendenze  (Barbiellini-Amidei,  Op.  cit.). 


DI   ALCUNI   ATTI    UKI.   NOTAIO   GIO:    CESIDIO    DA    (iAVlGNANO  1215 

1486,  12  febbraio.  —  Affitto  del  pascolo  di  Rocca  Teobaldesca  del- 
l'Abbazia farfeus?.  Vi  souo  descritti  i  confini  del  teniniento  e  si  eccet- 
tuano i  seminati  del  Monastero  e  degli  uomini  di  Castelnuovo.  Atto  in 
Bocca  Teobaldesca. 

1486,  7  mag'gio.  —  Testamento  di  iiu  certo  Corasio  del  la  Ayghio, 
armeno,  malato  nell'ospizio  di  Farla,  che  lascia  gemme  e  tesori  al  Mo- 
nastero ed  ai  poveri. 

1486,  8  luglio.  —  Transazione  tra  frate  P\isticardo  dell'ordine  di 
S.  Agostino  economo  del  Convento  della  Santissima  Trinità,  ora  di  S.  Ma- 
ria, iu  Ponticelli,  e  i  compratori  delle  ghiande  del  bosco  lasciato  al  con- 
vento dal  conte  Giannicola  Virrocco.  Costoro  non  avevano  mai  pagato 
per  negligenza  dei  famigliari  dell'illustrissimo  signor  Francesco  di  Rai- 
mondo degli  Orsini  che  era  stato  lasciato  amministratore  dal  conte  Vir- 
rocco. Atto  in  Offeio.  Assiste  come  testimonio  Lorenzo  de'  Cerroni. 

1486,  22  luglio.  —  Sentenza  del  commissario  Lorenzo  de'  Cerroni 
nella  questione  vertente  tra  i  Comuni  di  Castelvecchio,  Mirandella  ed 
Ascrea.  Gli  uomini  di  Castelvecchio  esibiscono  un  lodo  di  Giovanni  di 
Fara,  arbitro  tra  l'Abbate  del  Monastero  di  S.  Salvatore  maggiore  e  i 
signori  Braccio  e  Filippo  coi  loro  nipoti  Nicolò  e  Francesco  di  Marerio 
nell'anno  lol2  ;  il  Comune  di  Mirandella  un  lodo  del  1289  fatto  da  Ni- 
colò di  Gianni  Cola  Colelle  da  Rieti  tra  esso  Comune  e  il  Monastero  d^ 
S.  Salvatore  suo  padrone  da  una  parte,  e  il  Comune  d' Ascrea  e  i  si- 
gnori Oddone  ed  Andrea  fratelli  suoi  padroni  dall'altra;  il  Comune 
d' Ascrea  presenta  lo  stesso  lodo  e  l' istromento  in  cui  fu  confermato 
nel  1315  da  Poncello  de  Buccamazi  di  Scandriglia. 

La  sentenza  entra  ne'  più  minuti  particolari  circa  ai  confini  e  alla 
giurisdizione  dei  tre  Comuni.  Atto  presso  l'eremo  di  S.  Angelo  nel  Monte 
Namnea. 

1486,  11  agosto.  —  Sentenza  dello  stesso  (come  commissario  del  re 
di  Sicilia)  tra  i  Comuni  di  Gergenti  e  S.  Angelo  in  Equicolis  per  que- 
stione di  confini.  Si  richiamano  le  regie  lettere  di  re  Carlo  del  22  giu- 
gno 1265  per  mano  del  cancelliere  Stefano  di  Roano,  da  cui  si  rileva 
la  sentenza  lata  e  la  terminazione  fatta  in  quel  tempo  da  Tommaso  di 
Marerio.  Atto  in  plano  Mandrilium. 

1487,  25  gennaio.  —  Componimento  di  Orso  di  Giovanni  Orsini,  si- 
gnore di  Striano,  pel  pascolo  di  questo  castello  venduto  ai  Calvesi.  Atto 
iu  Calvi. 

1487,  1°  settembre.  —  Don  Farolfo  del  fu  Ser  Giovanni  Cole  Futii 
da  Toflia,  canonico  di  S.  Sabina,  apostolico  economo  ed  amministratore 
della  chiesa  Forouovana,  eletto  e  deputato  da  Innocenzo  Vili  alla  rifor- 
mazione e  restituzione  della  detta  chiesa,  elegge  suo  legittimo  procura- 


124  D.    BEXUCCI 

tore  il  uobil  nomo  Roberto  del  fu  Laudone  Lotti  da  Toffia,  «  ad  obbligau- 
dum  et  agendum  ut  omues  universi tates  Commuuia  et  homiues  Castrorum. 
oppidorum  et  locorum  qui  et  que  existuut  et  suut  a  flumine  Tyberis 
usqxie  ad  flumeu  seu  Rivum  vel  lagiam  Kalendiui  et  usque  ad  culmina, 
Montium  ut  aqua  peudet  versus  diocesim  sabinensem  et  tenimentum  ca- 
stri Tancie  in  integrura  oblig-entur  omui  meliori  modo  ad  illa  antiqua 
regalia  et  imperialia  qnibus  antiquitus  ad  dationes  prestationes  pensio- 
nes  et  responsiones  in  quolibet  anno  tenebantur  et  adhuc  usque  etiam 
aliqui  tenentur  et  communiter  vocitautur  de  comitatu  sabinensis  ecclesie 
inaioris  esse  (1)  »,  non  che  a  riscuotere  locazioni,  censi,  frutti,  decime,  ecc. 
spettanti  alla  chiesa,  ai  suoi  canonici  e  dignità  come  spettava  aulica- 
mente alia  detta  chiesa  ;  «  cuius  veneratio  et  devotio  ab  antiquis  tempori- 
bus memoranda  ad  nostra  usque  tempora  manet  apostoli  sancti  Petri  in 
Ursaciana  domo  Foronovano  episcopio  »,  ed  a  sostenerne  il  reg'ime  con  mera 
e.  misto  imperio  «  supra  et  intra  et  extra  Podium  episcopii  ».  Atto  iu 
Tarano. 

Calvi  dell'  Umbria,  dicembre  '95. 

D.  Benucci. 


(1)  Anche  ((uesto  passo  concorda  pienamente  col  Doc.  I  dello  Sperandio  più  volte 
citato  e  ribatte  anzi  alcune  delle  accuse  sulla  sua  falsità. 


nsr  o  T  .^ 


Licenziavamo  le  bozze,  quando  ci  é  pervenuto  II  Comune  di  Nur-ni  nel  se  e.  XIII 
del  prof.  Terrenzi  (Terni,  Alterocca,  1895).  L' istronaento  di  cessione  del  castello  di 
Striano,  fatta  al  Comune  di  N'arai  nel  1238  da  Pietro  de  Capite,  pubblicato  dall'A.,  non 
sembra  in  accordo  col  documento  di  cui  si  ha  memoria  nella  Cerna  di  Calvi  del  1491^ 
da  noi  citata,  o  per  lo  meno  colla  data  a  cui  son  riferiti  il  conte  Ranieri  e  Maria  Don- 
nigallia  nel  documento  dello  Sperandio.  Xon  mancheremo  di  fare  ricerche  in  proposito. 


125 


POMPEO  PELLINI 

AMBASCIATORE    DELLA    CITTA    DI    PERUGIA    A    PAPA    GREGORIO    XIII 


Antico  e  non  mai  spento  desiderio  degli  studiosi  è  quello  di 
potere  un  giorno  ritrovare  di  Pompeo  Pellini,  di  questo  erudito 
«  coscienzioso  narratore  della  storia  di  Perugia,  quella  parte  delle 
sue  istorie  che  per  alcune  vicende  tipografiche  e  in  mezzo  ai  casi 
domestici  dei  suoi  discendenti,  andò  miseramente  smarrita.  E  se 
mai  da  qualche  vetusto  e  abbandonato  armadio  delle  nostre  antiche 
famiglie  patrizie,  se  da  qualche  ripostiglio  non  bene  esplorato  di 
biblioteche  o  di  archivi  nostri,  potranno  uscire  alla  luce  dispersi 
o  non  conosciuti  frammenti  della  antica  storia  e  letteratura  peru- 
gina, pochi  al  certo  sarebbero  cosi  pregiati  e  giungerebbero  tanto 
desiderali,  quanto  quelli  che  ci  permettessero  di  riempire  la  consi- 
derevole lacuna  lamentata  nella  storia  del  nostro  cinquecenlista  (1). 

Ed  è  facile  comprendere  la  vivezza  di  tal  desiderio  quando  si 
noti  che  non  v'ha  storica  narrazione  più  veritiera  e  diligente 
della  sua  :  né,  chi  vuole  addentrarsi  nello  studio  e  nella  ricerca 
della  storia  locale,  potrebbe  avere  guida  più  coscienziosa  e  si- 
cura. Non  spetta  certo  al  Pellini,  per  l'acume  politico  o  per  lo 
splendore  della  forma,  uno  dei  primi  posti  fra  gli  storici  del  cin- 
quecento, ma  niuno  forse  fu  così  esatto  e  minuto  e  scrupoloso  ri- 
tessitore  della  storia  della  propria  città  sulle  fonti  antiche,  sulle 
carte  e  sui  libri  giacenti  nei  patri  archivi. 

Ebbi  anch'  io  più  volte  l'occasione  di  verificare  la  indefettibile 
precisione  delle  sue  parole,  confrontandole  col  testo  degli  antichi 
statuti  o  delle  riformanze.  Ricordo  fra  le  altre,  che  il  compianto 
Ariodante  Fabretti  nelle  sue  ricerche  di  documenti  per  la  storia 
degli  ebrei  e  della    prostituzione  e  sulle  tariffe  doganali  dell'antico 


(1)  «  Dell'  Historia  di  Perugia  di, Pompeo  Pellini  (parte  I,  II,  III)  nella  quale  si 
contengono  oltre  V  origine  e  i  fatti  della  città  li  principali  successi  d'  Italia  per  il 
corso  d'  anni  3525.  In  Venetia  MDCLXIV  appresso  Gio.  Giacomo  Hertz  ». 


126  A.    BELLUCCI 

slato  perugino,  studi  che  ei  riprendeva  dopo  i  suoi  monumentali 
lavori  sulle  nostre  antichità  italiche  come  dicersorium  di  una  vita 
mirabilmente  operosa  :  ricordo  dico,  che  il  venerando  vecchio  per 
lo  più  procedeva  nella  ricerca  contronolando  sulle  storie  del  Pel- 
lini  tutte  le  menzioni,  tutti  i  fuggevoli  accenni  relativi  all'argo- 
mento che  studiava.  Ebbene:  neppure  una  delle  citazioni  tratte 
dal  Pellini  fu  trovata  non  rispondente  al  lesto  degli  statuti  o- 
delle  riformanze,  nell'anno  e  nei  giorni  indicati  da  lui  (1). 

Del  Pellini  quindi,  più  che  ritessere  la  biografia  sarebbe  im- 
portante ritrovare  la  parte  smarrita  delle  sue  istorie. 

Giova  per  altro  ricordarlo  in  qualche  fatto  memorabile  della 
vita  sua,  specialmente  quando  si  consideri  che  ninno  ancora  si  ac- 
cinse a  scriverne  con  larghezza. 

Dell'incarico  di  governare  Cascia,  fecero  menzione  fra  gli 
altri  e  il  Mariotti  (2)  e  il  Fabretti  (3).  lo  ora  rendo  nota  so- 
lamente una  lettera  della  Camera  Apostolica  di  Roma  al  vice- 
tesoriere di  Perugia,  ove  si  accenna  a  questo  ufficio  affidatogli  dai 
Reggitori  del  Comune. 

Dai  libri  dell'archivio  della  Camera  Apostolica  di  Perugia. 
Lib.  XIV,  fol.  29. 

Al  mag-uifico  amico  carissimo  raesser  Aldieri  della  Casa  vicetheso- 
riere  di  Perugia, 

Mag-niflco  amico  carissimo.  Come  dovete  sapere,  del  mese  di  Marza 
1564  fu  scritto  da  mons.  lUmo  et  Revermo  signor  mio  il  cad.  Borromeo,, 
et  audio  da  me  di  volontà  di  N.  S.,  che  si  dovessero  pagare  agli  oflfitiali 
di  cotesta  Prouiutia  quelle  medesime  prouisioni  che  soleuano  auere  auauti 
che  se  leuassero  le  legatioui.  Hora  pretendendo  messer  Pompeo  Pellini, 
quale  alhora  si  trouaua  al  gouerno  di  Cascia,  di  restare  creditore  di  qua- 
ranta cinque  scudi  in  circa,  per  compimento  della  sua  prouisioue  del 
tempo  che  egli  dimorò  in  quel  gouerno,  non  ho  potuto  mancare  di  dirui 
come  faccio  con  questa,  che  uogliate  riuedere  bene  il  conto  d'esso  messer 
Pompeo;  et  trouando  che  egli  resti  ueramente  creditore,  dobbiate  sodisfarlo 


(1)  AuiODANTE  Fabretti  «  Cronache  della  Città  di  Perugia  »  volumi  quattro, 
1887-'92,  tipi  dell'editore;  e  «  Documenti  di  storia  perugina  »  volumi  due. 

(2;  «  Saggio  di  memorie  istoriche,  civili  ed  ecclesiastiche  di  Perugia  e  suo  con- 
tado. —  Opera  postuma  di  Annibale  Mariotti,  Perugia,  Baduel,  1S06>.  (Vedi  la  dis- 
sertazione proemiale). 

(3)  «  Archivio  Storico  Italiano.  Prima  serie.  Voi.  XVI,  parte  II  ». 


POMPEO    PELLIXI    AMItASCIATOIlE,    ECC.  127 

di  quanto  g-iiistamente  se  g-li  deue,  con  pigliarne  le  debite  g-iustificationi» 
con  le  quali  ui  sarà  tatto  tutto  buono  :  et  a  voi  mi  raccomando.  Di  Roma 
il  di  21  d'Ag-osto  15G5. 

Ma  di  ben  maggiore  importanza  fu  l'ufficio  di  ambasciatore 
dei  Perugini  a  Gregorio  Xlll,  commessogli  dai  Dieci  Priori  che 
nel  gennaio  del  1575  reggevano  i!  Comune:  e  mostra  in  qual  conto 
di  uomo  prudente,  di  accorto  ed  esperto  negoziatore,  fosse  il  Pel- 
lini   avuto  dai  concittadini  (1). 

Non  trovando  che  di  questa  ambasceria  abbiano  fallo  ri- 
cordo né  il  Mariolli,  nò  il  Fabrelti,  nò  altri,  io  rendo  ora  di 
pubblica  ragione,  come  tratto  inedito  e  non  conosciuto  della  bio- 
grafia di  Pompeo  Pellini,  le  istruzioni  a  lui  date,  per  ordine  dei 
Priori,  dal  loro  cancelliere,  da  quel  Sante  Pellicciari  cioè,  ricor- 
dato nella  «  Bibliografia  »  di  G.  B.  Vermiglioli,  come  autore  di 
una  cronaca  di  Perugia,  esistente  manoscritta  presso  il  Mariotli  (2). 

Ma  siffatto  documento  merita  attenzione  anche  sotto  altri 
aspetti. 

Chi  volesse  prendersi  il  gusto  di  conoscere  di  che  natura  e  di 
che  forma  fossero  le  relazioni,  nella  seconda  metà  del  secolo  XVI, 
fra  la  Curia  Apostolica  e  le  città  assoggettate  e  omai  facenti  parte 
dello  Slato  della  Chiesa  ;  chi  volesse  vedere  fino  a  qual  punto 
l'antico  Comune  perugino  fosse  omai  asservito  a  Roma;  non 
avrebbe  che  a  gettar  gli  occhi  sopra  documenti  simili  a  questo. 
La  riottosa  Perugia,  la  pervicace  difendilrice  delle  proprie  franchigie 


(1)  Altre  notizie  biografiche  intorno  a  P.  Pellixi,  si  trovano  nello  stesso  volume 
degli  Annali.  Dalla  e.  65  t.  si  trae  che  ebbe  20  scudi  di  indennità,  e  dalla  e.  75  t. 
altri  5,  per  le  spese  della  ambascei-ia.  Dalle  e.  66,  67  e  passim  si  apprende  che  fu 
Priore:  e  dalla  e.  76  t.,  che  egli  come  Procuratore  e  Sindaco  della  città,  per  prov- 
vedere a  certe  indigenze,  pose  sui  beni  della  città  posti  in  Monte  Malbo  un  censo  an- 
nuo di  225  scudi. 

Dall'Archivio  della  Congregazione  di  S.  Martino,  sotto  l'anno  1579,  nel  libro  che 
ha  per  titolo  :  «  Libro  delle  adunanze  della  compagnia  degli  inferrai  miserabili  di 
Perugia  dal  1576  al  1643  >  si  ha  che  il  Pellini  fu  nominato  Vicepriore  della  compagnia. 

(2)  Vedi  fra  i  mss.  del  Nuovo  Fondo  del  mio  «  Inventario  dei  mss.  della  Comu- 
nale di  Perugia  ».  La  Cronaca  del  Pellicciaki  venne  poi,  probabilmente  colle  carte 
Mariotti,  alla  Comunale.  Reca  questo  titolo  :  «  Memorie  di  cose  successe  in  I^erugia  ». 
Sono  per  lo  più  brevi  notizie  sulle  feste  e  sui  funerali  più  solenni.  A  questa  prima 
scrittura  ne  tien  dietro  un'  altra  :  «  Ordine  et  modo  di  procedere  dei  signori  Priori 
di  Santi  Pellicciari  Cancelliere  ».  La  sua  Cronaca  comincia  e  finisce  cosi  :  <  Morto 
dell'  lUiiia  signora  Giovanna  Bagliona  della  Corgna  Marchesa  di  Castiglion  Chugino, 
1571,  a  di  viij  di  Gennaro  |  quando  li  M.  S.  P.  staranno ».  y,ei  Libri  submissionum 


128  A.    HELUCCI 

e  delle  proprie  autonomie,  ornai  sia  per  addormentarsi  nell'igna- 
via del  sei  e  del  settecento:  la  Guerra  del  Sale,  episodio  epico 
nella  storia  di  questo  popolo,  è  slata  l'ultima  manifestazione  di 
gagliardia,  l'ultimo  scalto  di  fiera  indipendenza  contro  il  dominio 
dei  Pontefici:  ornai  sul  frontale  del  Forte  Paolino,  di  quel  bello 
e  gigantesco  arnese  di  guerra  eretto  dal  Sangallo  per  ordine  di 
papa  Paolo  ili,  si  legge  la  memoranda  epigrafe:  Ad  reprimendam 
Pernsinoriim  audaciam. 

Come  vien  fatto  di  ripensare  a  tutto  ciò,  mentre,  scorrendo 
coH'occhio  il  documento  che  viene  appresso,  si  vede  in  che  stretti 
lacci  di  dipendenza,  anche  nelle  più  minute  occorrenze  del  vivere 
civile,  omai  Perugia  e  le  altre  terre  della  Chiesa  si  trovassero 
per  rispetto  a  Roma  !  I  dieci  Priori,  i  Decemviri,  come  i  cronisti 
romanamente  li  appellano,  la  magistratura  sovrana  dell'antico 
stalo  perugino,  domanda  con  diplomatica  unzione  l'assentimento 
del  Pontefice,  sotto  forma  di  brevi,  per  avere  il  permesso  della 
esportazione  dell'olio,  di  abolire  uno  dei  quattro  Auditori  di  Ruota 
(magistratura  giudiziaria  imposta  dal  Pontefice,  ma  pagata  dalla 
città);  di  aumentare  fino  a  100  some  la  messa,  o,  come  diremmo 
noi,  la  importazione,  del  pesce  del  lago  durante  la  quaresima  ecc. 

Contribuirebbe  non  poco  ad  illustrare  questo  documento,  una 
notizia  modesta,  ma  sicura,  intorno  alla  entità,  al  meccanismo  e 
alla  distribuzione  di  alcune  gravezze  imposte  alla  città  di  Peru- 
gia ;  come  per  es.  :    quelle   dell'uno    e    dell'altro    quattrino    della 


dell'  antico  archivio  del  Comune  di  Perugia,  nel  volume  di  esse  segnato  C,  trovasi 
che  le  carte  45  t.,  46,  47,  lasciate  in  bianco  dallo  scriba  più  antico,  furono  poi  riem- 
pite da  Sante  Pellicciari  che  vi  copiò  un  documento  importante  del  quale  mi  ac- 
cingo a  porgere  ai  lettori  una  succinta  notizia. 

C.  45  t.  <  Turris  Ranche.  —  Laudura  Inter  conmune  Perusij  et  conmune  Assisij. 
Ilec  est  copia  cuiusdara  laudi  lati  Inter  magnilìcum  conmune  Perusij  et  conmune  As- 
sisi.), repertum  per  me  santem  Pelliciarum,  notarium  publicura  et  vicecancellarium 
perusinum,  in  capsa  magna  existente  (sic)  in  Archivio  publico  diete  civitatis,  in  pre- 
sentia  magnifici  domini  etc.  laudum  scriptum  et  publicatum  manu  ser  Xicolai  Silve- 
stri Andree  de  Perusio  porte  solis,  tramsumptive  tamen  ab  exemplo  ser  Bernardi  ser 
Francisci  de  Perusio,  qui  pariter  copiaverat  ab  originale  (sic)  ser  Ranutij  olim  Ilde- 
brandini  notarij  et  scribe  Reformationura  comunis  Perusij  etc.  ».  —  La  copia  di  ser  Ber- 
nardo leggesi  negli  Annali,  anno  1385,  18  ottobre,  carta  2)0.  Il  documento  rogato  da 
.ser  Ranuccio  è  del  1321.  Arbitro  di  questa  sommissione  è  Caute  dei  Gabrielli  da  Gub 
bio,  allora,  «  capitaneus  guerre  et  Priorum  Artium  civitatis  perusij  ».  Il  patto  di  que- 
sta sommissione  consisté  nel  ribandire  1  favoreggiatori  della  Chiesa  e  nel  cedere  al 
comune  di  Perugia  il  castello  di  Torre  Ranca.  —Vedi  altra  sommissione  negli  .\nnali, 
sotto  la  data  13  decembre  1559. 


POMPEO    PELLIN'I    AMBASCIATORE,    ECC.  129 

carne,  dei  cavalli  morii  e  vivi,  del  sussidio  triennale,  del  porlo  e 
fortificazione  d'Ancona.  Ma  dal  complesso  del  documento  ci  è 
però  dato  di  rilevare  come  nel  1575  la  città  avesse  ottenuto  di 
permutare  tutte  le  altre  gravezze  in  una  specie  di  imposta  del 
macinato,  la  quale  gettava  annualmente  undicimila  e  quattrocen- 
todieci scudi  :  di  modochè  mancavano  all'erario  perugino  altri  due- 
mila novecentocinquantatre  scudi,  per  cavare  dalla  nuova  imposta 
la  somma  di  quattordicimila  trecentosessantatre  scudi,  cioè  l' in- 
tero ammontare  delle  sue  gravezze  annue.  La  qual  somma,  se- 
condo i  computi  comparativi  dei  valori  antichi  della  moneta  coi  no- 
stri, stante  a  quello  che  in  generale  ne  dicono  il  Cibrario,  il  Leber  _ 
ed  altri  nei  loro  libri,  era  certamente  peso  ingente  per  una  non 
grande  città,  in  un  tempo  in  cui  il  valore  della  moneta  si  può  in 
qualche  maniera  dedurre  anche  dal  costo  dell'olio.  Né  la  Camera 
Apostolica  peccava  in  longanimità  e  remissività  quando  si  trattava 
di  tributi  che  andavano  a  lei  direttamente.  Sullo  scadere  dei  ter- 
mini dei  pagamenti,  inviava  (saremmo  tentati  di  dire  :  sguinza- 
gliava), certi  speciali  esattori  con  pieni  poteri,  chiamati  Commis- 
sarii  e  anche  Commissarii  Cavalcanti  (1),  i  quali  o  in  uno  o  in 
un  altro  modo  dovevano  celermente  tornare  alla  Camera  Aposto- 
lica colle  intere  somme  che  erano  stati  inviati  a  riscuotere. 

Se  del  resto  questa  varia  e  antica  e  gradata  soppressione  delle 
libertà,  delle  franchigie  e  delle  autonomie  locali  nel  Lazio,  nella 
Campagna,  nella  Marittima,  nella  Sabina,  nell'Umbria,  nelle  Mar- 
che, nelle  Romagne,  per  dare  compattezza  e  salda  struttura  al  nuovo 
stato  che  si  era  venuto  formando:  allo  Stato  della  Chiesa  ;  merita 
quel  compianto  cui  invita  il  venir  meno  della  libertà  ;  contemplata 
da  altro  canto,  sotto  un  rispetto  non  sentimentale,  ma  storico  e 
politico,  vedremo  che  essa,  obbedendo  ad  un  intimo  svolgimento 
storico  e  sociale,  era  in  fondo,  come  in  Toscana,  nella  Lombar- 
dia e  nel  Veneto,  lenta  preparazione  a  quella  unità  più  larga 
e  più  organica  che  si  veniva  giovando  dell'estinzione  dello  spi- 
rito particolarista  e  della  fusione  delle  troppe  varietà  della  vita 
italiana  :  per  quanto  il  regime  che  Roma  impose  alle  varie  parti 
del   dominio,  fosse   spesso   improvvidamente  assorbente   o  cieca- 


(1)  Neil'  antico  archivio  dei  Comune  di  Rieti  vi  sono  appunto  libri  intitolati  dal 
nome  di  cotesti  esattoi'i:  Commissarii  Cavalcanti. 


130  A.    BELLUCCI 

mente  prepotente,  e  molli  atti  di  esso  non  possano  meritare  nep- 
pure l'approvazione  o  la  lode  dei  contemporanei. 

Si  suol  dire  fra  noi  e  forse  troppo  spesso  ripetere,  che  le  isti- 
tuzioni nostre  politiche,  militari,  giudiziarie,  ed  anco  le  civili  e  le 
amministrative  sieno  una  cattiva  copia  di  altrettali  istituzioni  fran- 
cesi. Il  lamento  è  in  gran  parte  vero  :  ma  per  giudicare  fino  a 
qual  punto  l'accusa  sia  meritata,  bisognerebbe  vedere  se  e  quanto 
è  vero  che  la  rivoluzione  francese  e  il  turbine  napoleonico  ab- 
biano spazzato  via  completamente  tutto  il  nostro  passato  nelle  sue 
consuetudini,  nella  sua  intima  vita  civile 

Ad  ogni  modo,  per  conoscere  e  studiare  il  diritto,  e  meglio 
ancora  l'andamento  amministrativo  nell'antico  stato  della  Chiesa,^ 
documenti  del  genere  di  questo  possono  essere  non  inutili  contri- 
buti. 

E  infine  curioso  il  vedere  come  le  terre  assoggettate  si  ribellina 
contro  il  prepotere  della  Dominante,  e  più  tardi  si  studino  in  più 
maniere  di  opporsi  alle  soverchie  ingerenze,  ai  troppo  gravi  o  irra- 
gionevoli tributi  ;  allo  stesso  modo  che  oggi,  quasi  un  vivace  moto  di 
ribellione  delle  membra  contro  il  capo,  agita  i  comuni  e  le  provinci  e 
contro  il  così  detto  accentramento  dello  stalo  nella  capitale.  Non 
è  privo  di  insegnamento  il  fatto  che  di  questo  aspetto  dell'attuale 
movimento  interno,  secondo  il  quale  si  cerca  di  ridare  alle  parti^ 
senza  danneggiare  la  compagine  e  la  inlima  unità  del  corpo  na- 
zionale, quelle  attribuzioni  del  governo  che  è  più  utile  e  più  le- 
gittimo dare  a  loro  ;  non  è  senza  insegnamento,  dico,  che  proprio 
negli  antichi  stati  della  Chiesa  si  sieno  rivelate  le  prime  manife- 
stazioni. Non  è  ignoto  a  nessuno  che  questo  moto  si  deve  in  gran 
parte  all'intuito,  alla  cultura,  alla  iniziativa  di  un  giovane  polilico,^ 
dell'on.  Fazi  :  ma  è  degno  di  nota,  ripeto,  che  questa  sana  ten- 
denza  si  sia  proprio  dall'Umbria  allargata  a  gran  parte  d'Italia. 

Siffatti  documenti  adunque  non  dovrebbero  passare  inosser- 
vati neppure  per  coloro  che  si  occupano  più  di  studi  politici  che 
di  patrie  memorie. 

Doti.  Alessandro  Bellucci. 


131 

INVENTARI  E  REGESTI 


I  CODICI   DELLE  SOMMISSIONI 

AL  COMUNE  DI  PERUGIA 

(Continuazione  del  Codice  lo  segnato  ^  —   Vedi  Volume  I,  pag.  130-15 :ì). 


Xin.  —  1217,  Decembre  31.  —  P.,  nella  piazza  del  C,  a 
piedi  del  Campanile  di  S.  Lorenzo.  —  Confirmatio  facta 
])ro  parte  Eugubinorum  ac  datio  contentorum  in  dicto  laudo 
Comuni  Perusij,  e.  9  t. 


«  In  presentia  Suppolini  Ugolini  presbiteri  investitoris  et 
Mincij  Bonibaronis,  lohannis  Hanerij,  Guidulij  Munaldi  Uguilio- 
nis,  Ugolini  Coppoli,  Uguilionis  Ugonis,  Fortis  Brachie  de  Ghis- 
lerio,  Ranerij  Christofani  et  Benserviti  Slephani,  Bernardi  Rivaldi 
et  Armanni  Comitis  testium  »,  il  Potestà  di  Gubbio  Ugolino  «  de 
Sancto  Paulo  »,  presenti  e  consenzienti  Pietro  «  de  Serra  », 
Bernardino  «  Uguitionis  »  e  maestro  Bianco  cittadini  di  Gubbio, 
concede  a  Bonifazio  «  Coppoli  »  Camerario  e  sindaco  del  C.  di 
P.  (1)  ogni  diritto  ed  azione  reale  e  personale  utile  e  diretta 
spettante  al  C.  di  Gubbio  su  tutto  il  territorio  che  rimane  al 
C.  di  P.  e  di  cui  si  fa  cenno  nel  lodo  precedente.  Similmente 
gli  Eugubini  fanno  ai  Perugini  ed  ai  loro  alleati  cioè  ai  Todini, 
Spoletini,  Spellani,  Bettonesi,  Cortonesi,  Nocerini,  Gualdesi  ed 
altri  «  finem  perpetuam  et  refutationem  irrevocabilem  »  per  tutti 
i  danni  arrecati  al  C.  di  Gubbio  «  prò  facto  guerre  »   (2). 


(1)  V.  :Mariotti,  Catalogo  dei  Potestà  etc,  pag.  197. 

(2)  Su  detta  guerra  V.  Pellini,  Storia  di  P.,  parte  I,  lib.  4o,  pag.  237,  e  Bo. 
NAZzi,  Storia  di  P.,  voi.  1,  pag.  271.  —  Questo  atto  e  i  due  precedenti  {XI  e  XII)  si 
leggono  anche  da  e.  48  r.  a  e.  50  t.  dello  stesso  Codice.  Della  penale  fissata  in  1000 
libbre  di  oro  purissimo  e  ricordata  nel  documento  a  e.  50  t.  non  si  fa  qui  menzione 
per  evidente  errore  dell'amanuense.  —  V.  anche  Bartoli,  St.  di  P.,  pag.  324. 


132  ANSIDEI   E   GIANNANTONI 

XIV.  —  1218,  Giugno.  —  Divisione  per  Porte  e  per  Parroc- 
chie del  terreno  lavorativo  spettante  al  C.  di  P.,  fatta  da 
dieci  cittadini  (due  per  ogni  Porta)  eletti  dal  Potestà, 
e.  58  t. 

Due  cittadini  per  ciascuna  delle  cinque  Porte,  cioè  Boninse- 
gna  «  de  Polo  »  e  Piero  «  Tendini  »  per  P.  S.  S.,  Uffreduzio  «  Ugui- 
tionis  »  e  Fabiano  «  Gualfredi  »  per  P.  S.  P.,  il  sig.  Bonaventura 
«  Ranaldi  »  e  Piero  «  Bernardoli  Fabri  »  per  P.  E.,  il  sig.  Ar- 
manno  «  Montanari]  »  e  Orlandino  per  P.  S.  e  il  sig.  Cristoforo 
«  Guiducij  »  e  Aldobrandino  per  P.  S.  A.  sono  eletti  dal  sig.  Andrea 
Potestà  di  P.  (1)  «  ad  invenienduin  et  dividendunn  per  Portas  et 
consequenter  per  Parrochias  totum  terrenum  laboraticium  Comunis 
Perusii  ubicumque  esset  ». 

La  maggior  parte  di  queste  terre  è  nei  pressi  del  Lago  Tra- 
simeno. 

Riccomanno  not.  —  "Benvenuto  not. 


XV.   —   1218,    Agosto   20.   —   Cagli.    —   Slndicafus   CalUj, 
e.  108  r. 


Il  Potestà  di  Cagli,  Raniero  «  Gappei  »,  consenziente  il  gene- 
rale Consiglio  di  detta  città,  promette  di  ratificare  tutto  ciò  che  a 
nome  e  nell'interesse  di  Cagli  sarà  per  fare  Bartolo  «  Bernardoli  » 
che  è  «  sindicus  sive  yconomus  sive  actor  »  di  detto  C,  per  tutto 
il  tempo  del  suo  regime. 

Allo  stesso  sindaco  sono  concessi  pieni  poteri  per  tutti  i  negozi 
in  nome  di  Cagli  conchiusi  e  da  concludersi,  nonché  per  ogni  pro- 
messa da  farsi  e  da  riceversi,  per  tutti  i  patti  e  transazioni,  e 
infine  «  ad  omnia  facienda  et  recipienda  contra  omnem  hominem 
et  a  quolibel  homine  nomine  diete  civitatis  ». 

Test.  —  Ugo  «  Berardi  »,  Morico  «  Salvatici  »,  Gentile  «  Si- 


(1)  Il  Mariotti  {Catalogo  cit.,  pagf.   197)  afferma  essere  questo  Podestà  Andrea 
di  Giacomo  della  famiglia  dei  Monteraelini  e  conte  di  Monte  Gualandro. 


I  CODICI   DELLE   SOMMISSIONI   AL   COMIXE   DI    PERl'CilA  l.'W 

nibalfli   Forestici   »,  Giovanni,    il    sig.    Lazzaro,   Ugolino    «   Doini- 
nici   »,  Giovanni   «    Litnzi   »   od  altri. 
Giovanni   not.   —  'Matteo  noi.  (1). 

XVI.  —  1219,  3ra^'gio  30.  —  P.,  nel  palazzo  del  C.  —  Giu- 
gno 5.  —  Cagli,  nella  Chiesa  di  S.  Geronzio.  —  Callij 
suhmissio,  e.   108  t. 

Bartolo  «  Bernardoli  »  sindaco  della  città  di  Cagli  sottomette 
questa  città  medesima  e  lutto  il  suo  distretto  al  C.  di  P.  rappre- 
sentalo da  Bombarone  (2),  promettendo  di  dargli  aiuto  contro  lutti 
i  suoi  nemici  «  ad  preceplum  et  voluntalem  poteslalis  seu  con- 
sulum  ». 

Si  obbliga  parimente  di  aiutare  con  tulle  le  forze  i  Romani 
ed  i  Perugini  e  di  non  far  pagare  agli  uni  e  agli  altri  «  nec  pe- 
dagium  nec  guidam  »,  L'aiuto  di  Cagli  è  promesso  ai  Perugini 
specialmente  contro  gli  Eugubini  e  i  Castellani  e  nei  limili  del 
contado  di  Nocera  dall'Appennino  alla  Marca:  che  se  i  Perugini 
faranno  guerra  al  di  là  di  questi  confini,  i  Cagliesi  daranno  loro 
soccorso  soltanto  di  cavalieri  e  d'arcieri. 

Ogni  anno  i  magistrali  di  Cagli  entro  un  mese  dalla  loro  no- 
mina si  recheranno  in  P.  per  giurare  obbedienza  a  quelli  Peru- 
gini, ed  ogni  anno  daranno  ancora  per  la  festa  di  S.  Ercolano 
quattro  marche  di  buono  e  puro  argento. 

Cagli  non  farà  tregua  o  pace  con  i  nemici  di  P.  senza  il  con- 
senso di  questa,  a  meno  che  i  nemici  non  fossero  il  Papa  e  l'Im- 
peratore. 

Il  Sindaco  di  Cagli  s'impegna  a  fare  ratificare  questi  patti 
anche  dal  Vescovo  di  Cagli,  e  la  penale  stabilita  è  di  1000  mar- 
che «  boni  argenti  »,  il  rettore  o  rettori  della  città  di  Cagli  «  prò 
tempore  »  giureranno  nell' assumere  il  loro  officio  l'osservanza 
dei  palli  conchiusi.  I  Perugini  dal  canto  loro  promettono  di  di- 
fendere i  Cagliesi  sopralutlo  contro  Gubbio  e  Città  di  Castello  ; 
i  Cagliesi  nel  territorio  perugino  non  dovranno  pagare  «  peda- 
gium  neque  guidam   ». 


(1)  V.  Sommissioni  .\,  62   r.  e  C.  50  r.,  Bartoli,  St.  di  P.,  pag.  32.5. 

(2)  Y.  Mariotti,  Catalogo  etc,  pag.  197. 


134  ANSIDEI  E   GIANNANTONI 

Test.  —  11  signor  Tommaso,  giudice  del  C.  di  P.,  Ugolino 
«  Salomonis  »,  Suppolino,  «  Ugolini  presbiteri  »,  Saraceno  «  Vi- 
veni  Herri  »,  Ranuccio  «  Bebulci  »,  Bucarello  «  Rainaldi  Ma- 
riani »,  Bartolo  «  domine  Giare  »,  Crispolto  «  Deotesalvi  Boccavi- 
telli  »,  Monaldo  «  Guastaferri  »,  Matteo  «  Ugonis  Marcovaldi  »  etc. 

A  questo  atto  fa  seguilo  la  ratifica  per  parte  del  Podestà  di 
Cagli  Raniero  «  Capoccij  »  di  tutto  ciò  che  il  Sindaco  di  Cagli 
promise  a  quello  del  G.  di  P.,  e  per  parte  di  quest'ultimo  di  tutto 
ciò  che  era  stato  promesso  dal  Podestà  di  P.  La  ratifica  porta  la 
data  del  5  giugno  1219  e  fu  stipulata  nella  città  di  Cagli  e  nella 
Chiesa  di  S.  Geronzio  alla  presenza  dei  testimoni  Donadeo  ca- 
merlengo di  Cagli,  Bruno  «  de  Cantieto  »,  Guido  «  Galgani  »  e 
Dante  «    Accomandi   ». 

D.  Alberto  vescovo  di  Cagli  e  Raniero  abbate  di  S.  Geronzio 
consentirono  a  tutte  le  promesse  fatte  da  parte  di  Cagli. 

Ranulius  not.  —  "Matteo  noi.   (1). 


XVII.  —  1234,  Marzo  7.  —  P.  nel  Palazzo   del  C.  —   Do- 
natio  facta  a  Comune  Perusij  hospitali  de  Colle,  e.  81  r. 


Avendo  il  C.  di  P.  costruito  l'Ospedale  di  Colle  nella  diocesi 
Perugina  «  ad  leprosos  et  infirmos  et  pauperes  sustenlandos  »  (2), 
ed  essendo  onesto  «  circa  illa  eidem  hospitali  misericorditer  pro- 


ci) V.  Sommissioni  A.  61  r.  e  C.  49  r.,  Pellini,  St.  di  P.,  parte  I,  pag.  240.  —Il 
Bartoli  St.  di  P.,  a  pag.  327  e  segg.  riporta  l' intero  documento.  Il  Bonazzi,  St.  di  P., 
voi.  I,  pag.  272  rileva,  l' importanza  di  quest'atto  che  resta,  così  egli  afferma,  fra  i 
nostri  documenti  come  modello  di  perfetta  sommissione. 

(2)  Nelle  Memorie  mss.  sui  castelli  perugini  è  detto  che  «  antichissima  è  la  fon- 
dazione dell'  Ospedale  di  S.  Lazzaro  de'  Leprosi  di  Colle  »  ed  il  Maru)tti  vi  aggiunge 
che  essa  «  forse  é  da  fissarsi  circa  il  1100,  cioè  da  poi  che  per  la  conquista  fatta  di 
Terra  Santa  da  Goffredo  Buglione  nel  1099  la  vera  lebbra  endemia  di  detto  paese  fu 
portata  da'  pellegrini  in  Europa  al  loro  ritorno  ». 

Nell'Archivio  Decemvirale  di  P.,  conservasi  una  Bolla  di  Gregorio  IX  data  presso 
Orvieto  l'anno  II  del  suo  Pontificato  e  diretta  al  Priore  e  ai  fratelli  «  hospitalis  le- 
prosorura  de  Colle  ad  romanara  ecclesiam  nullo  medio  pertinentis  ».  Con  questa  Bolla 
il  Papa  conferma  a  favore  dell'  Ospedale  tutte  le  immunità  e  tutti  i  privilegi  che  al 
medesimo  erano  stati  concessi  dai  Papi,  nonché  dai  Re  e  Principi  cristiani.  —  Il  Papa 
ancora  minaccia  «  indignationem  omnipotentis  Dey  et  beatorum  Petri  et  Pauli  aposto- 
Jorum  »  contro  chiunque  tenti  di  violare  queste  disposizioni. 


I   CODICI   DELLE    SOMMISSIONI    AL   COMUNE    DI   PERUGIA  13i> 

•videre  per  qtie  possil  eornm  necessitalibus  subveniri  »,  il  Potestà 
Ramberlo  «  de  Gisleriis  »  Bolognese  (1)  con  l'approvazione  del 
Consiglio  speciale  e  generale  dà  e  concede  per  donazione  «  inler 
vivos  »  a  dementino  «  Bontadis  »  rettore  dell'ospedale  dei  lebbrosi 
lutto  il  terreno  lavorativo,  silvalo  e  non  silvato  e  che  trovasi  tra 
a  seguenti  confini,  cioè  «  a  pila  que  est  prope  agruiu  Boneore  de 
Agello  usque  ad  viain  que  venit  de  Agello  et  pilam  Sancii  Ru- 
iìni  et  a  pila  predicta  usque  ad  pilam  Collis  Montis  Bolli  (2)  et  usque 
ad  stratam  que  vadit  ad  capud  plani  Anguillarie  et  usque  ad  pi- 
lam hospitalis  leprosorum  et  ab  ipsa  pila  usque  ad  pilam  Collis 
■et  ab  eadem  pila  ante  Castilionem  et  ab  ipso  Castilione  ab  alia 
parte  usque  ad  pilam  que  est  desuptus  Castilione  et  ab  ipsa  pila 
usque  ad  viain  que  venit  de  Agello  ».  La  penale  promessa  dal 
C  di  P.  è  di  500  marche  di  puro  argento. 

L'istrumento  si  chiude  con  le  seguenti  parole  che  addimo- 
strano quale  importanza  dessero  i  contraenti  all'atto  che  avevano 
posto  in  essere:  «  Quicumque  aulem  prediclam  donationem  in  loto 
■vel  parte  infringere  presunserit  vel  in  aliquo  contra  venire  tem- 
ptaverit  illam  eandern  maledictionem  habeat  et  eiusdem  pene  ac 
danpnalionis  supplicio  condenpnetur  quam  Dominus  noster  Jehsus 
Christus  dedit  Nalham  et  .Abiron  et  lam  ipse  quam  eius  liberi  et 
heredes  et  res  ipsorum  in  exterminium  convertantur  et  condenpna- 
tionis  penam  similem  consequantur  quam  Dominus  dedit  Sodome 
•et  Gomorre.  Amen,  amen,  amen   ». 

Test.  —  I  signori  Lazzarino  e  Bulgarino  giudici  del  Potestà, 
Luinardo  notaro  dello  stesso  Potestà,  Maestro  Selvatico  notaro, 
8  signori  Bucarello  e  Matteo  giudici,  Bartolomeo  «  Benedicti  Ba- 
runtij   »,  Bongiovanni  «   Rainerij  Acetanlis  »,  Cenelia  ed  altri. 

Bonaccorso  «  Guidonis  Arpinelli  »  Bolognese  not.  (3). 


Il  e.  di  P.  sembra  aver  avuto  qualche  inprerenza  neiraraministrazione  di  questo 
■Ospedale,  risultando  da  un  documento  del  27  ajrosto  1399  che  i  Priori  ne  nominavano 
il  notaro,  sentito  prima  su  detta  nomina  il  parere  del  Priore  dell'  Ospedale  medesimo 
(Rifortnagioni  98  e.  32  r.). 

(1)  V.  Mariotti,  Catalogo  etc,  pag.  202,  ove  è  ricordato  che  il  nome  di  questo 
Potestà  si  legge  in  una  lapide  (petra  justitiae)  tuttora  esistente  in  una  facciata  del 
nostro  Duomo. 

(2)  Località  poco  distante  da  Pascilupo,  nel  conflne  fra  l'Umbria  e  le  Marche. 

(3)  V.  A.  65  r.  e  C.  53  r.,  Pellini,  St.  di  P.,  p.  I,  pag.  249.  —  Anche  il  Bartoli, 
St.  di  P.,  pag.  357,  accenna  all'importanza  di  quest'atto,  e  ne  riferisce  l'ultima  parte 
contenente  le  terribili  imprecazioni,  che  i  donanti  facevano,  secondo  l'uso,  dei  divini 
iiagelli  contro  chiunque  avesse  violato  la  donazione. 


13o  "     ANSIDEI   E   Gì  ANN  ANTONI 

XVIII.  —  1238,  Novembre  24.  —  «  In  burgo  castri  Valiane^ 
in  domo  quam  inhabitat  Peccorellus  » .  —  Domini  Andrea 
Jacobi  emptio  tertie  partis   Vaìicme,  e.  73  r. 

Guido  ed  Uguccione,  figli  «  q.  Uguitionis  Marchionis  »  (1)  ven- 
dono ad  Andrea,  figlio  «  q.  Jacobi  Francisci  »,  la  terza  parte  a  pro- 
indiviso »  del  Castello  di  Valiana  e  della  sua  curia  e  distretto,, 
cioè  fra  questi  confini:  «  a  Porticiolo  intus  et  mictit  per  Carrariam 
ad  fossatum  Caminate  et  a  Caminala  secundum  quod  mictit  per- 
Carrariam  ad  capud  Gorgonis  et  a  capite  Gorgonis  secundum 
quod  mictit  per  viam  traversam  et  mictit  ad  campum  ohm  Britij 
qui  est  ad  combrabiam  de  Mollano  et  ab  ispsa  combrabia  secun- 
dum quod  mictit  visum  per  fossatum  qui  est  ab  ista  parte  Gab- 
biani et  mictit  in  fossatum  Vallis  Floris  et  mictit  in  Clanibu& 
ad  portum  de  la  Fracta  ». 

Di  questa  terza  parte  i  venditori  si  obbligano  a  trasferire  al 
compratore  il  libero  possesso  ad  eccezione  di  quelle  terre  che  at- 
tualmente possiede  Manno,  figlio  del  fu  Ugolino  di  Pietro,  sulla 
quali  terre  pur  tuttavia  trasmettono  al  compratore  «  omne  ius  et 
actiones  utiles  et  directas  reales  et  personales  »  che  loro  spettavano. 
I  venditori  dichiarano  di  aver  ricevuto  da  Andrea  di  Giacomo  «  in 
veritale  iusto  pretio  liberationem,  quietationem  et  absolutionem  et 
paclum  de  non  ulterius  petendo  de  quinque  milia  quingentis  sex- 
tariis  frumenti  »  che  i  venditori  slessi  avrebbero  dovuto  dargli 
per  vendita  a  lui  fatta  dal  padre  loro,  nonché  di  tutti  i  debiti  ed 
obbligazioni  da  cui  fossero  in  qualsiasi  modo  vincolati  essi  o  it 
padre  loro  e  segnatamente  «  de  sexcentis  libris  »  che  eran  te- 
nuti a  pagare  secondo  risultava  da  pubblici  istrumenti  annullati 
tutti,  ad  eccezione  di  quello  per  cui  il  padre  dei  venditori  mede- 
simi aveva  venduto  ad  Andrea  di  Giacomo  Monte  Gualandro  (2). 
La  penale  a  cui  si  sottomettono  i  venditori  in  caso  d'inosservanza 


(1)  V.  documento  n.  V,  ove   sono  nominati  Uguccione  e  Guido   Marchesi  figli 
«  q.  Kaneri.i  Marchionis  ». 

(2)  È  probabile  che  questo  Andrea  di  Giacomo  sia  il  potestà  menzionato  nel  do- 
cumento n.  XIV. 


I   CODICI   DELLE    SOMMISSIONI   AL    COMINE    DI    PERUGIA  137 

dei  palli  è  il  doppio  del  prezzo  patinilo  e  la  rifazione  di  lulti  i 
danni  e  spese  derivanti  al  compratore  da  tale  inosservanza. 

Test.  —  I  sigg.  Manno  «  oliin  Ugolini  Petri  »,  Raniero  «  Ma- 
nentis  »  e  Girardino  «  q.  Plantinelli  »,  Paolo  «  oliin  filins  domini 
Acerbi  »,  Saraceno  «  olim  Vivoli  »,  Rainaldo  «  Maestri  »,  Aliolto 
«  Giberti   »  ed  altri. 

Clarello  noi.  —  *MonaIdo  «   Uarolini   »  noi. 


XIX.  -:r-  1239,  Febbraio  4.  —  Valiana  «  ante  domum  Ra- 
naldi  de  Pece  ».  —  Domini  Andree  Jacobl  emptio  tertie 
partis  Val  lane,  e.  75  r. 


Avendo  Guido  ed  Uguccione  «  filii  olim  Uguilionis  marchionis 
de  Valiana  »  venduto  la  terza  parte  del  Castello  di  Valiana  al 
sig.  Andrea  «  Jacobi  »,  si  obbligano  a  pagare  100  marche  di 
buono  e  puro  argento  in  caso  di  inosservanza  dei  palli  sopra  sta- 
biliti. 

Test.  —  Raniero  «  Manentis  »,  Guido  «  Bescie  »  e  i  signori 
Crispollo,  Manno  «   Ugolini   »,  Gualterolo  e  Girardino. 

Ranuzio  noi.  —  *Niccola  noi.  (1). 


XX.  —  1244,  Dicembre  30.  —  Chiusi,  casa  del  sig.  Mar- 
tino «  Bernardi  » .  —  Domini  Manni  domini  Ugolini  em- 
ptio cuiusdam  poteris  siti  in   Villa   Vallane,  e.  76  r. 


Guido  ed  Uguccione  marchesi  di  Valiana,  figli  «  olim  domini 
Uguilionis  marchionis  »  liberamente  e  irrevocabilmente  a  titolo  di 
donazione  danno  e  concedono  a  Manno  del  fu  Ugolino  (2)  di 
Pietro  ogni  diritto  di  proprietà  ed  ogni  azione  reale  e  personale, 
utile  e  diretta    o    mista    sulla    metà   di    tutto  il    podere   che   detta 


(1)  Di  questo  e  dell'atto  precedente  si  ha  copia  in  una  pergamena  che  esiste  nella 
collezione  dei  contratti  dell'Archivio  Decemvii'ale  di  P.  e  che  è  contraddistinta  con  la 
segnatura  AA.  n.  14. 

(2)  Manno  di  Ugolino  tigura  come  testimonio  anche  nell'atto  precedente. 


138  ANSIDEI  E   GIANNANTONI 

Manno  o  altri  per  lui  aveva  «  tempore  discordie  orte  inter  ipsura 
dominum  Mannum  etdictos  Marchiones  de  diclo  podere  »  e  che  ora 
Manno  od  altri  per  lui  ha  in  Valiana  «  cum  accessibus  et  egres- 
sibus  usque  in  vias  publicas  ».  L'altra  metà  di  detto  podere  il 
sig.  Manno  aveva  in  feudo  dai  ricordati  Marchesi. 

E  tale  donazione  e  cessione  questi  fecero  a  Manno  «  propter 
bonum  meritum  et  juslum  benefitium  que  fuerunt  confessi  se  ab 
€0  habuisse  et  recepisse  ».  La  penale  è  fissata  nella  somma  di 
100  libbre  «  honorum  denariorum  senensium  et  pisanorura  mi- 
nutorum  ». 

Test.  —  I  sigg.  Aghineto  giudice,  Martino  «  Guelfutij  »,  Ge- 
rardino «  Plantanelli  »,  Griffolino  Filippo  «  Jacobi  »,  Nericone  «  Vi- 
telli »,  Aringerio  «  Pisane  »  e  Pietro  «  Guinizelli  ». 

Giannino  figlio  q.  Finiguerre  not. 


XXI.  —  1244,  Dicembre  2.  —  Chiusi,  casa  del  signor  Mar- 
tino «Bernardi  ».  —  Confessio  facta  a  domino  Manlio  do- 
mini Ugolini  se  hàbere  et  tenere  medietatem  unius  poteris 
siti  in  Valiana  ad  feudum  prò  domino  Guidone  Marchio- 
num,  e.  77  t. 


Il  sig.  Manno  «  olim  domini  Ugolini  Petri  »  per  sé  e  suoi  figli 
ed  eredi  confessa  di  aver  ricevuto  e  di  tenere  «  titulo  feudi  seu 
jure  feudi  et  ad  rectum  feudum  »  da  Guidone  (1)  ed  Uguccione 
Marchesi  di  Valiana  figli  del  fu  Uguccione  la  metà  «  prò  indiviso  » 
di  tutto  il  podere  situato  in  Valiana,  che  lo  stesso  Manno  posse- 
deva al  tempo  della  discordia  sorta  a  proposito  del  podere  stesso 
fra  Manno  e  i  ricordali  Marchesi;  giura  inoltre  fedeltà  «  prò  dieta 
medietate  dictis  Marchionibus  secundum  bonum  usum  et  consue- 
tudinem  contrade  »  e  promette  di  «  non  stare  in  dictis  neque  fa- 
ctis  nec  dare  aliquam  operam  vel  sludium  seu  consilium  quod 
dicti  marchiones  vel  eorum  filii  et  heredes  perdant  vitam  nec  mera- 
brum  nec  aliquid  de  jure  eorum  »;   s'impegna  a  denunziare  qua- 


(1)  Guido  Marchese  e  de  Valiana  »  fu  presente  come  testimonio  alla  sommissione 
<ii  Castello  della  Pieve  a  Perugia  del  13  maggio  1250. 


I   CODICI   DELLE    SOMMISSIONI    AL   COMUNE    DI    l'EUlOIA  139 

lunque  allentato  alle  loro  persone  e  ai  loro  dirilli,  non  appena  ne 
abbia  cognizione,  a  difenderli,  e  a  non  mantenere  qualunque  giu- 
ramento avesse  fatto  a  lor  danno.  Alla  volta  loro  i  Marchesi  con- 
fermano Manno  nel  possesso  di  questa  metà  e  nel  diritto  di  fare 
tutto  ciò  che  è  conforme  all'indole  del  contralto;  le  parti  poi  vi- 
cendevolmente si  promettono  a  titolo  di  penale  il  pagamento  di  cento 
libbre  «  honorum  denariorum  senensium,  lucensium  et  pisanorum 
minutorum  ».  Dopo  di  che  i  Marchesi  Guido  ed  Uguccione  con- 
cedono in  feudo  le  terre  menzionate  al  detto  Manno  «  graliose 
et  liberaliter  »  e  lo  mettono  solennemente  al  possesso  «  per  por- 
reclionem  et  corporalem  investiluram  eorum  manuum  ». 

Test.  —  I  sigg.  Aghinetto  giudice,  Martino  «  Guelfulij  »,  Ge- 
raldino «  Plantanelli  »,  Griffolino  Filippo  «  Jacobi  »,  Nercone  «  Vi- 
telli »,  Aringerio  «   Pisane  »  e  Pietro  «  Guinizelli  ». 

Giannino  figlio  q.  Finiguerre  not.  (1). 


XXII.  —  1251,  Gennaio  29.  —  Gualdo,  Palazzo  del  Comune. 
—  Sindicatus  terre  Gualdi  ad  submictendum  eam  Comuni 
PerusiJ,  e.  82  r. 


Il  sig.  Benvenuto  di  Borgo  S.  Sepolcro  giudice  del  C.  di  Gualdo 
-e  gli  uomini  dello  stesso  C.  congregati  in  gran  quantità  «  ad  aren- 
gam  sono  campane  et  voce  preconis  in  platea  dicli  Comunis  nul- 
loque  adslantium  contradicenle  sed  omnino  clamantibus  fiat  fiat  » 
creano  maestro  Bartolo  da  Sigillo  loro  sindaco  *  ad  faciendum 
mandata  et  precepta  nobilis  civitatis  Perusij,  ad  deferendum  claves 
portarum  dicti  castri  Gualdi  et  ad  submictendum  dictum  castrum  ». 
Inoltre  danno  facoltà  a  Bartolo  di  fare  al  sindaco  di  P.  ogni  pro- 
messa da  questa  città  domandata  «  que  pertineret  ad  honorem  et 
reverentiam   civitatis    Perusij  et   comodum  comunis  Gualdi. 

Test.  —  I  sigg.  Bartolo  «  de  Foresta  »,  Oddone  «  Gilij  »  e  Ba- 
iigano. 

«   Franconus  »  not.  (2). 


(1)  Il  documento  è  interessante  per  le  formole  che  contiene  risguardanti  la  conces- 
sione di  terre  fatta  «  titulo  feudi  ». 

(2)  V.  Sommissioni  A.  145  r.,  C.  19  t. 


140  ANSLDEl   E   GIANNANTONI 

XXIII.  —  1251,  Febbraio  1.  —  P.  —  Gualdi  submissio   Ci- 
vitati  Perusij  cum  traditione  clamum,  e.  83  r. 


«  Convocato  Consilio  speciali  et  generali  (centum  boni  homi- 
nes  per  quamlibet  portam,  rectores  artium  et  bailitores  sotietatum 
civilatis  Perusij)  »,  avanti  a  detto  consiglio  si  presentano  maestra 
Bartolo  di  Sigillo  Sindaco  e  procuratore  del  Castello  di  Gualda 
ed  altri  uomini  di  detto  castello  a  ricevere  gli  ordini  di  Raniero 
«  Bulgarelli  »  (1)  Potestà  di  P.,  giurano  sia  a  nome  del  Comune 
di  Gualdo  sia  a  nome  dei  privati  in  detta  terra  dimoranti  di  pre- 
stare obbedienza  al  C.  di  P.  sempre  che  e  comunque  vengano 
loro  gli  ordini  di  questo  comunicati,  e  a  testimonianza  che  si  pon- 
gono sotto  la  protezione  e  difesa  di  P.  consegnano  in  presenza 
del  Consiglio  al  Potestà  le  chiavi  di  Gualdo.  Queste  son  poi  re- 
stituite dal  Potestà  allo  slesso  Sindaco  Bartolo  perchè  custodisca 
il  castello  di  Gualdo  «  ad  honorem  Comunis  Civitatis  Perusij  » 
come  in  qualità  di  Sindaco  aveva  promesso. 

Test.  —  I  sigg.  Almerico  giudice  del  C.  di  P.,  Tancredi  «  de 
Roscano  »,  «  Mazico  de  Aspello  »,  Tudino  «  Coppoli  »,  Giovanni 
«  Coppoli  »,  Ermanno  «  Suppolini  »,  Jacopo  «  Petrutij  »,  a  Pas- 
solo  Taurelli   »,  Gualfreduccio  «  Tebaldi  »  ed  altri. 

Bongiovanni  «   Retri  Marescocti   »  di  Orvieto  not. 

Ecco  l'elenco  dei  nomi  di  Gualdesi  «  qui  juraverunt  in  Con- 
silio secundum  tenorem  Sacramenti  scriptum  per  Boniohannem 
notarium  Comunis  Perusij   ». 

I  sigg.  Raniero  «  Rogerij  »,  Tommaso  o  de  Compresseto  »,  Leo- 
nardo «  de  dogano  »,  Gualtiero  «  Ugolini  »,  Baligano  «  Per- 
fecli  »,  Ildebrandino  «  domini  Ranerij  >>,  Rolando  «  Bertraimi  »,. 
Oddo  «  Gilij  »,  Bonamaza  «  Johannis  »,  Ranaldo  «  Consulis  »,. 
Bartuccio  «  domini  Petri  »,  Trasmondo  «  Bonoscagne  »,  maestro 
Speranza  notaro,  Tommaso  «  de  Insula  »,  Montanaro  «  Bugati  »,  Ja- 
copuccio  «  Fortis  »,  Mercalello  «  Petri  »,  Bartolo  «  Transmundi  »^ 


(1)  V.  Mariotti  «  Catalogo  dei  Potestà,  pagg.  207  e  208  »,  ove  affermasi  che  Raniero 
è  della  famiglia  dei  Conti  di  Marsciano.  Egli  era  Potestà  anche  nel  1250,  come  risulta 
dagli  atti  riflettenti  la  sommissione  del  Castello  della  Pieve  e  i  contrasti  di  questo 
con  P.  (Sommis.  A.  e.  125  r.  e  C,  e.  17  r.  e  segg.). 


I   CODICI    DEI.LE    SOMMISSIONI    Al.   COMUNE    I>I   PERUGIA  141 

Pietro  «  Vinlure  »,  Borgognone  «  Benvenuti  »,  Uguccionello  «  de 
Comprexeto  »,  Genliluccio  «  domini  Johannis  »  e  Ventura  «  Jen- 
nuarij   »  (1). 

XXIV.  —  1251,  Febbraio  13.  —  Castello  di  Gualdo.  —  Peronis 
de  Podio  Nucerij  juramentum  de  ohediendo  mandati.s  Co- 
munis  PerusiJ,  e.  84  r. 

«  Peronus  Ranerij  Guelfi  de  Podio  »  del  contado  di  Nocera, 
alla  presenza  di  Raniero  «  Bulgarelli  »  Potestà  di  P.  (2)  «  sponle 
juravil  sequilatnentuin  et  mandata  ipsius  Potestatis  et  Comunis 
Perusij  »  obbligandosi  anche  in  nome  di  suo  fratello  e  degli  altri 
uomini  del  castello  a  considerare  respettivamente  come  amici  e 
nemici  quelli  che  son  tali  per  P.  e  in  modo  speciale  i  Fulignati  «  Dei 
et  ecclesie  et  comunis  Perusij  proditores  »  e  a  recar  loro  offesa 
«  per  se  et  suos  juxta  posse  ». 

Test.  —  I  sigg.  Tancredi  «  de  Roscano  »,  Raniero  «  Cri- 
stofani   »,   Ranuccio  e  Sensuccio  «   Domini  Tancredi   »  ed  altri. 

Bongiovanni  «   Petri  Marescoti   »  not.  (3). 

XXV.  —  1251,  Marzo  17.  —  GubbiO;,  Chiesa  della  Canonica 
«  in  loco  quod  dicitur  paradisus  ».  —  Venditio  castri 
Fossati  facta  Comuni  Eugid)ij,  e.  21  r. 

Raniero  e  Bernardino  «  Bulgarelli  »,  donna  Aiguiria  moglie 
del  detto  Bernardino,  Jacopo,   Ugolinuccio   e  Trasmunduccio    figli 


(1)  V.  Sommis.  A.  e.  126  t.,  C.  e.  20  r.,  le  Storie  di  P.  del  Pellini  (parte  I,  pag.  260), 
del  Bartoli  (pagr.  407)  e  del  Boxazzi  (voi.  I,  pag.  295),  nonché  il  Ciatti  [Perugia  pon- 
tificia, lib.  X,  pag.  351). 

(2)  Questo  Raniero  é  lo  stesso  ricordato  nel  documento  precedente  ed  era,  cre- 
diamo, della  medesima  famiglia,  alla  quale  appartenevano  Bernardino  (V.  Doc.  n.  Ili) 
€  Bolgarello  (V.  Doc.  n.  XI). 

(3)  Della  sommissione  di  Poggio  di  Xocera  é  ricordo  anche  nel  Pei.lini,  op.  cit., 
parte  I,  lib.  4o,  pag.  260,  e  nel  Bartoli,  op.  cit.,  voi.  I,  pagg.  407  e  408,  dove  son  tra- 
dotte le  Aere  parole  contro  i  Folignati.  —  Il  C.  di  Foligno  aveva  nel  16  novembre  1237 
fatto  lega  con  P.,  Todi,  Gubbio  e  Spoleto  «  ad  honorem  laudera  et  reverentiam  onni- 

potentis  Dei sacrosante  romane  Ecclesie  matris  nostre  ac  summi  pontificis  domini 

Gregorij  Pape  noni  etc.  »  (Sommissioni  C,  e.  28  t.),  e  successivamente  aveva  abbrac- 
ciato le  parti  dell'imperatore  Federico:  di  qui  la  guerra  con  P.  rimasta  fedele  alla 
Chiesa.  —  V.  anche  il  Cod.  Frammenti  diversi  del  sec.  XIII  n.  28  a  e.  11  t.,  e  Bonazzi, 
op.  cit.,  voi.  I,  pagg.  298  e  299. 


142  ANSIDEI   E   GIANNANTONI 

del  detto  signor  Raniero,  Raniero  e  Bulgaruccio  e  Favarone  figli 
del  detto  signor  Bernardino  (1)  vendono  a  Benincasa  «  Benlivol- 
lij  »  sindaco  del  C.  di  Gubbio  il  Castello  di  Fossato  con  tutte  le 
sue  pertinenze  e  con  lutti  i  diritti  ed  azioni  loro  spettanti  sugli 
uomini  e  sui  possessi  del  castello  medesimo.  Segue  un  elenco  dei 
nomi  di  questi  uomini,  dopo  il  quale  si  leggono  le  parole  «  et  omnes 
alios  homines  quos  ipsi  vel  alii  prò  eis  habent  et  possident  in  dicto 
castro  et  curia  Fossati  ».  La  vendita  è  fatta  per  il  prezzo  da  di- 
chiararsi dai  seguenti  arbitri  :  I  sigg.  Pietro  «  Jacobi  »,  «  Saxone 
Ranerij  »,  Saxone  Liazari  »,  Ranuccio  «  de  Serra  »,  Jacopo  «  Ma- 
riani »  Armanno  «  Lazari  »,  Bongiovanni  «  Benincase  »,  Bonac- 
corso  «  Petri  »,  Recolo  «  Bonajuncte  »,  Raniero  «  Graliani  »^ 
Palmiere  «   Orlandoli   »  e  Ventura  «   Blasij   ». 

Il  prezzo  dichiarato  è  di  4000  libbre;  che  se  il  valore  delle 
cose  vendute  sia  per  caso  superiore,  i  venditori  intendono  fare 
del  di  più  donazione  al  G.  di  Gubbio.  I  venditori  stessi  rinun- 
ziano  al  beneficio  «  nove  constitutionis  epistole  Divi  Adriani  » 
e  la  moglie  di  uno  di  essi  al  beneficio  del  senatusconsulto  Vel- 
lejano  :  sono  poi  ricordatele  mogli  degli  altri  venditori  (Donna  Val- 
severina  moglie  del  signor  Raniero  «  Bolgarelli  »,  Donna  «  San- 
tesis  »  moglie  di  Raniero  «  domini  Bernardini  »,  Donna  Isabella 
moglie  di  Bulgaruccio  «  domini  Bernardini  »,  Donna  «  Schynka  » 
moglie  di  Ugolinuccio  «  domini  Ranerij  »)  le  quali  rinunziano  ai  di- 
ritti loro  spettanti  a  garanzia  delle  doti  respettive  sulle  cose  ven- 
dute «  sub  pena  dupli  ab  ipsis  dominabus  ipsi  syndico  solem- 
pniter  promissa  ». 

Test.  —  1  sigg.  Tiverio  «  domini  Ugonis  »  e  Ugo  «  Ranulij  »,  Pe- 
truccio  «  domini  Gabrielis  »,  Guido  «  Salvoli  »,  «  Deotacurra  Ra- 
nerij X,  Sabatino  «  Bernardi  »,  il  sig.  Alberto  «  Guidonis  »  ed  altri. 

Ventura  «  Blasij  »  noi.  —  *Piero  «  Bonifatij  »  noi.  (2). 


(1)  Notizie  interessanti  per  la  genealogia  del  Conti  di  Marsciano. 

(2)  Lo  stesso  atto  è  ripetuto  a  e.  31  t.  di  questo  Cod.,  senza  però  il  nome  del  no- 
tare autenticante  la  copia.  —  Di  esso  è  cenno  pure  nelle  Memorie  dei  Castelli  peru- 
gini compilate  da  Giuseppe  Belforti  e  ampliate  e  corredate  di  note  da  Annibale 
Mariotti,  il  quale  in  una  di  queste  scrive  quanto  appresso:  «  Fin  dal  11S7  si  ha  me- 
moria che  questo  castello  apparteneva  alla  famiglia  dei  Conti  di  Marsciano  e  si  crede 
che  in  detto  anno  essi  lo  concedessero  alla  città  di  Gubbio  ».  Soggiunge  poi  che  detti 
Conti  nel  1208  lo  sottoposero  al  C.  di  P.  ;  ed  in  vero  nel  Cod.  A  Sommiss.  a  ce.  70  r.  e 
95  r.  si  hanno  due  copie  di  questa  sottomissione  fatta  nel  4  sett.  1208  «  per  Bulgarel- 


I   CODICI   DELLE    SOMMISSIONI    AL   COMUNE   DI   PERUGIA  143 

XXVI.  —   1251,  Giugno   11.   —  Nocera,   nel  Palazzo   della 
Canonica.  —  IShidicatus  Niicerij  siibmlssioìiis,  e.  97  r. 


Bonacoltus  «  Michaelis  »  Poleslà  di  Nocera  ed  il  Consiglio 
della  stessa  città,  fra  i  membri  del  quale  sono  specialmente  ri- 
cordali Paolo  «  domini  Leonardi  »,  Giovanni  «  Aducti  »,  Maffeo 
«  Portine  »,  Massarone  «  Benvegnatis  »,  Giovanni  «  Scangni  -•>, 
Jacopo  «  Venture  »,  Ventura  «  Parisi]  »,  «  Incalzolo  Berardutij  », 
Aportolo  «  Adamoli  »,  Ajuto  notaro,  Bevignate  «  Bernardi  »,  Pe- 
Iruccio  «  Egidij  »,  «  Varcolo  Diamantis  »,  Jacopo  «  Blasij  »,  An- 
sovino  «  Capece  »,  Benvenuto  «  Junte  »,  «  Judone  Johannis  »,  il 
sig.  Murico  giudice  e  Maffeo  «  domini  Jacobi  »  camerlengo,  creano 
procuratore  del  C.  di  Nocera  Raniero  «  domine  Savie  »  a  rinnovare 
e  convalidare  il  trattato  già  conchiuso  fra  i  Perugini  e  i  Nocerini 
annullandolo  soltanto  in  due  capitoli,  «  quae  capitula  loquebantur 
de  non  juvando  nucerinos  contra  heugubinos  et  contra  homines 
Reali  perusini.  Tale  rinnovazione  doveva  esser  fatta  innanzi  a 
Rufino  «  domini  Robbacontis  de  Mandello  »  Potestà  e  al  Sindaco 
di  P.  (1). 

Test.  —  Ventura  «  Bartholi  »  Magalotto  «  Brunatij  »,  Guido 
«  Fiori  »  e  Gualfreduccio  «  Pezzij  »  (2). 


XXVn.  —  1251,  Luglio  11.  —  P.,  Palazzo  del  C.  —  Nucerij 

submiss  io,  e.  97  t. 

L'atto  comincia   col  riferire  la  sottomissione  di  Nocera  a  P. 


lum  de  Bulgarellis  de  Fossato  insimul  cum  filiis  Rainerio  et  Bernard  no  presentibus 
et  consentientibus  ».  Dell'atto  del  1251  esistono  nella  raccolta  delle  Bolle  e  Contratti 
(AA.  n.  26  a.  e  26  b.)  due  copie  autentiche,  in  una  delle  quali  si  legge  la  data  del 
18  marzo. 

(1)  V.  Mariotti,  op.  cit.,  voi.  II,  pag.  20S,  in  cui  «  Ruflnus  domini  Robbacontis  » 
è  chiamato  «  de  Mondello  ».  Nel  doc.  seg.  lo  stesso  Potestà  dicesi  «  de  Bandello  >. 

(2)  L'atto  è  ripetuto  a  e.  137  r.  del  Cod.  A. 


144  AXSIDEI   E   GIANNANTONI 

portante  la  data  del  12  dicembre  1202  (1).  —  Bonaccolto  Potestà  di 
Nocera  e  Raniero  Sindaco  e  Procuratore  dello  stesso  C.  pro- 
mettono a  Rufino  «  de  Randello  »  Potestà  di  P.  e  al  Sindaco 
Andrea  «  Negozzoli  »  di  osservare  fedelmente  tutti  i  patti  stabiliti 
nel  riferito  istromento  del  1202,  eccettuato  il  capitolo  in  cui  si 
stabiliva  che  i  Nocerini  non  dovessero  fare  coi  Perugini  «  guer- 
ram  et  pacem  et  ostem  contra  homines  de  castro  Reali  quod 
quidem  capitulum  in  totum  tollatur  ». 

Promettono  altresì  di  trattare  e  definire  innanzi  alla  curia 
perugina  «  et  coram  ofitialibus  eiusdem  curie  omnes  et  singulas 
causas  litis  vel  placiti  appellationis  a  viginli  libris  supra  ». 

Si  obbligano  altresì  a  che  il  Potestà  o  il  Console  o  il  Rettore 
della  città  di  Nocera  sia  eletto  o  chiamato  da  P.  ogni  qual  volta 
non  fosse  eletto  o  chiamalo  dalla  stessa  città  di   Nocera. 

Nocera  non  chiederà  né  permetterà  che  altri  chieda  per  lei 
alcuna  parte  «  de  aliqua  collecta,  colta  seu  data  »,  che  i  magi- 
strati di  P.  imponessero  al  C.  di  Gualdo  o  alla  sua  giurisdizione 
«  non  obstante  capitulo  quod  loquitur  quicumque  Consul  vel  Do- 
minus  vel  Rector  Perusij  fecerit  generalem  coltam  per  comitalum 
Perusij  faciet  similiter  per  comitatum  nticerinum  et  medietatem 
colte  facte  per  comitatum  nucerinum  habebit  comunantia  nucerina 
et  meditatem  perusina   ». 

Alla  lor  volta  il  Potestà  e  il  Sindaco  di  P.  promettono  la  os- 
servanza di  tutti  i  patti  sanciti  nella  precedente  sommissione  ec- 
cettuato il  capitolo  «  quod  loquitur  quod  Comune  Perusij  non  te- 
neatur  Comune  nucerinum  juvare  contra  Eugubinos  »,  il  qual 
capitolo  vogliono  che  sia  totalmente  annullato,  intendendo  anzi 
far  guerra  contro  gli  Elugubini  stessi. 

I  banditi  dal  C.  di  Nocera  saranno  considerati  tali  anche  dal 
C.  di  P.,  e  chiunque  dia  loro  ricetto  ed  aiuto,  «  substineat  illam 
penam  seu  solvat  illud  bannum  que  vel  quod  in  capitulis  civitatis 
Perusij  statutum  de  exbannitis  continetur  ».  Sono  eccettuati  da 
questa  disposizione  il  C.  di  Gualdo  e  tutti  i  castelli,  ville,  corpora- 
zioni e  persone  che  sottostanno  al  C.  di  P.  o  sono  con  questo  in 


(1)  V.  doc.  n.  VI,  del  quale  si  ha  un'altra  copia  in  questo  Cod.  medesimo  a  e.  117  r., 
e  dove  leggesi  che  Nocera  si  obbliga  a  seguire  P.  in  guerra  ed  in  pace,  fatta  ecce- 
zione per  gli  uomini  «  de  Castro  Reali  »  e  che  P.  alla  sua  volta  promette  di  aiutare 
i  Nocerini  contro  qualsiasi  loro  nemico,  ma  non  contro  gli  Eugubini. 


I   CODICI    DELLE    SOMMISSIONI    AL   COMUNK    DI    l'EKCCJIA  145 

legiì  e  che,  se  non  siano  sottoposti  al  bando  col  consenso  del  C. 
di  P.,  non  sono  tenuti  «  ad  solvendiini  ipsuin  Ijaiiniiin  vel  pcnain  ». 

Test.  —  I  sigg.  Guglielmo  «  Felri  »  cavaliere,  Ingilfredo  e 
Guidalotto  giudici,  Giovanni  «  Coppoli  »,  Luizeto  notaro  del  Po- 
testà e  Piero"  «  Johannis  Aldrovandini   ». 

Martino  «  Siginolfi   »  not.   —  'Bartholus  not.  (1). 


XXVIII.  —  1257,  Maggio  23.  —  Somaregio  «  ante  portam 
et  juxta  fossum  castri  ».  —  Castri  Somaregij,  Castri  Glo- 
giane,  Rocche  sancte  Lucie,  Podij  sub  Rifa,  Castilionis, 
Brescie,  Laurini  submissio,  e.  59  t. 


Il  sig.  Bartolo  «  Munaldi  »,  Monalduccio  e  Jacopuccio  «  do- 
mini Hainerij  »  del  Castello  di  Somaregio,  il  sig.  Raniero  e  Ca- 
valca «  domini  Rogerij  »  della  Rocca  di  S.  Lucia,  il  sig.  Bulga- 
rello,  il  sig.  Leonardo  «  domini  Stefani  »,  Ugolinuccio  «  domini 
Petri  »  del  castello  di  Glogiana  e  Rigacelo  «  domini  Ranaldi  de 
Mucia  »  promettono  a  Ristoro  «  Bonaspene  »  Capitano  nella  valle 
di  Somaregio  per  il  C.  di  P.  stipulante  ed  accettante  nell'inte- 
resse del  C.  stesso  di  custodire  bene  e  diligentemente  secondo 
lor  possa  a  servizio  e  in  onore  del  C.  di  P.  «  caslrum  Somaregij, 
castrum  Glogiane,  Roccam  S.  Lucie,  Podium  sub  Rifa,  Castiglio- 
nem,  Bresciam  et  Laurinum  et  eorum  jurisdictionem  et  districtus  », 
e  di  tenere  questi  castelli  sotto  la  prolezione  e  il  dominio  di  P. 
Si  impegnano, a  far  pace  e  guerra  secondo  che  piacerà  a  P.,  a 
fare  in  modo  che  i  delti  Castelli  rimangan  sempre  sotto  la  pro- 
tezione di  P.  e  a  denunziare  al  detto  Ristoro  o  a  qualunque  altro 
Capitano  «  qui  lune  temporis  preessel  ibidem  »  chiunque  violasse 
tali  palli. 

Test.  —  Piero  «  Ranerij  »,  Jacopello  «  Falij  cetadino  de  Came- 
rino »  notaro,  Salimbene  «   Boni   »  ed  altri. 

Perugino  not.   (2). 


(1)  V.  Bartoli,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  408.  Anche  di  questo  atto  collegato  al  pre- 
cedente si  ha  un'altra  copia  nel  Cod.  A,  e.  137  t. 

(2)  V.  Pellini,  op.  cit.,  p.  I,  lib.  40,  pag.  264,  e  Bartoli,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  470; 
nelle  Memorie  dei  Castelli  loerugini  già  menzionate  si  ha  qualche  incordo  del  Castello 

10 


146  ANSIDEI   E   GIANNANTONI 

XXIX.  —  1257,  Agosto  29.  —  P.   nella  piazza  del   C.  — 
Castri  Compresseti,  castri  Frecci  submissio,  e.  84  t. 

Il  sig.  Tommaso  «  Munaldi  »  e  Andreolo  di  luì  nepole  da 
Compresselo  (1)  e  Ivanuccio  «  domini  Barlholi  »  di  Frecce  sot- 
tomettono ad  Aldrebando  de  Riva  Potestà  di  P.  (2)^  al  sig.  Ber- 
nardo «  Benincase  »  priore,  ai  sigg.  Sinibaldo  «  magislri  Mathei  »,. 
Tomagino  «  magislri  Brunatij  »  giudici,  a  Raniero  «  Giiidonis  », 
Giovanni  «  domini  Rainaldi  Munaldi  »,  Benvenuto  «  Peri  Yse  », 
Jacopo  «  domine  Vite  »,  «  Perusio  Guerroli  »  e  Jacopo  «  Ben- 
cevenne  »  anziani  «  popoli  Perusini  »  stipulanti  pel  C.  di  P.  i 
castelli  di  Compresselo,  e  di  Frecco  nonché  gli  uomini  di  detti 
castelli  e  le  loro  giurisdizioni.  Promettono  pure  di  tenere  i  castelli 
medesimi  «  ad  honorem  et  statum  comunis  Perusij  »,  di  non  con- 
cedere su  questi  alcun  potere  a  chicchessia  e  di  far  guerra  e  pace 
«  ad  mandatum  Comunis  Perusij  ».  Il  C.  di  P.  alla  sua  volta  prende 
sotto  la  sua  protezione  i  detti  Castelli.  Le  parti  contraenti  si  ob- 
bligano inoltre  a  vicenda  a  pagare  in  caso  di  inosservanza  dei 
patti  cento  marche  «  boni  et  legalis  argenti  »,  ed  impegnano  re- 
spellivamente  i  loro  beni. 

Test.  —  I  sigg.  Ermanno  «  domini  Suppolini  »,  Guiduccio 
«  Peri  Paganelli  »,  Jacopino  «  Jacobi  »,  Tancredi  «  domini  An- 
dree  Crispolili  »,  Uguccione  «  Ranucini  »,  Angelo  «  domini  To- 
rnassi  »,   Mafeo  «  Centurarie  »  e  Bonaccorso. 

Brocardo  not.   (3).  (Continua). 


del  Poggio  di  sotto,  il  quale,  così  afferma  il   Mariotti,  apparteneva  al  territorio  di 
Assisi  e  nel  29  aprile  l'i96  si  sottopose  al  C.  di  P. 

Infatti  nel  voi.  degli  Annali  decemvirali  di  detto  anno  a  e.  27  t.  è  rammentato  il 
«  dorainium  castri  Podij  prioris  olira  comitatus  Assisij  prò  comuni  Perusij  »  e  a 
e.  28  r.  seguono  in  volgare  i  sei  capitoli  «  con  il  castello  del  Poggio  di  sotto  ». 

(1)  Un  Tommaso  di  Compresselo  figura  anche  nella  sommissione  di  Gualdo,  fra 
gli  uomini  di  quella  terra  che  giurarono  fedeltà  a  P.  (Cod.  iji  e.  83  t.). 

(2)  Il  Mariotti,  Catalogo  etc,  pag.  210,  afferma  che  il  nome  di  questo  Potestà  è 
«  Aldobrandus  de  Ricca  »,  ma  ricorda  che  il  Pei. lini,  op.  cit.,  parte  I,  pag.  264,  lo 
dice  «  Aldobrando  de  Riva  ».  Il  nome  che  leggesi  nel  documento  é  «  Aldrebandus  de 
Riva  ». 

(3)  Pieve  di  Compresseto  e  Frecco,  castelli  fra  Casacastalda  e  Gualdo  Tadino,  il 
primo  a  nord  e  il  secondo  a  sud  di  Schifano.] a.  Di  Compresseto  è  ricordo  nelle  citate 
Memorie  dei  Castelli  perugini,  ove  parlasi  della  signoria  che  di  questo  castello  ebbero 
i  Monaldi  e  dove  si  rammenta  anche  «  Mascius  Monaldutij  comes  de  Compresseto  » 
notato  fra  i  nobili  nel  Libro  Rosso  del  1333. 


117 

COMUNICATI 


PER  LA  PALEOGRAFIA  UMBRICA 

A  PROPOSITO  DELL'ARCHIVIÒ  PALEOGRAFICO  ITALIANO 
(voi.   I,  fase.   VII)  diretto  da  E.   Monaci. 


In  questo  largo  e  svariato  campo  d'indagini  e  raffronti  con- 
ducenti a  fissar  le  divergenze  dalle  paleografie  contermini,  quasi 
nulla  o  troppo  poco  si  è  notato.  Scarsissimi  e  rari  sono  i  fac- 
simili  editi  a  corredo  di  qualche  pubblicazione,  sebbene  ognun  di 
noi  ammetta  il  non  lieve  vantaggio  che  da  quelli  può  conferirsi 
alla  critica  dei  testi,  e  riconosca  il  bisogno  di  ordinare  il  mate- 
riale necessario  alla  storia  della  scrittura  in  Italia  ;  la  quale,  non 
altrimenti  che  la  politica  e  la  letteraria,  vuoisi  proceda  di  paese 
in  paese,  di  regione  in  regione.  Ex  libro  lux,  e  non  solo  dal  con- 
tenuto, ma  dalla  sua  grafia,  dalla  materia  ond'  è  composto,  dalla 
legatura  che  lo  riveste.  Se  non  che  oggi  viene  offerto  a  tal  ge- 
nere di  studi,,  e  ne  giunge  quasi  stimolo  a  ricerche  ordinale  e  me- 
todiche, un  primo  ed  assai  notevole  contributo  daWArclùvio  Pa- 
leografico Italiano  (fase.  VII,  voi.  I)  che  si  pubblica  in  Roma 
dall' ing.  Augusto  Martelli,  sotto  la  direzione  dell' illustre  prof.  Er- 
nesto Monaci.  E  noto  come  questa  raccolta,  unita  alle  altre  dei 
Facsimili  di  ant.  mss.  per  uso  delle  scuole  e  dei  Monumenti  pa- 
leogra/ici  di  Roma,  allo  stesso  professore  egualmente  dovute, 
intenda  pure  assai  efficacemente,  per  mezzo  degli  esercizi  pra- 
tici, ad  ammaestrare  nella  scienza  delle  antiche  scritture.  La  ri- 
produzione eliotipica  dei  monumenti  grafici  vi  accoppia  alla  fe- 
deltà fotografica  la  durata  della  stampa,  ottenendo,  in  molti  casi, 
un  rilievo  completo  di  segni  nell'originale  inafferrabili  perchè 
soltanto  calcati  o  del  tutto  svaniti,  ed  una  studiata  perfezione, 
da  non  temere  confronti  con  i  Facsim,iles  of  rnanuscripts  and 
inscriptions  del    Bond    e   del    Thompson,    con  i   Monumenta  gra~ 


148  A.    TENNERONI 

pitica  mecUi  aeci  del  Sickel,  con  la  Collezione  fiorentina  dei 
proff.  Paoli  e  Vitelli,  con  gli  Exempla  di  Zangemeisler  e  Wat- 
lenbach,  e  con  la  Paleogvaphie  des  Classiques  latins  diretta  dallo 
Chalelain.  Sapiente  vi  è  la  scella  e  il  ravvicinamento  per  iscuole 
e  regioni  in  ogni  secolo  dei  documenti  datati  o  che  si  lascian 
con  sicurezza  datare;  così  che,  dopo  bei  saggi  della  capitale 
quadrata  e  rustica,  si  delineanS  sott'  occhio  i  diversi  tipi,  lo 
svolgimento  della  corsiva  e  minuscola  notarile,  della  libraria,  della 
commerciale  e  della  letteraria.  Vi  soccorrono  precise  le  noie  sto- 
riche e  bibliografiche  coi  debili  rinvìi  alle  opere  ove  leggesi  tra- 
scritto il  testo  del  fac-simile.  Di  questo  novissimo  fascicolo,  in  fo- 
lio grande,  ricco  di  12  tavole  tirate  su  carta  grave  di  lino,  le  prime 
due  contengono  un  Volgarizzamento,  ritenuto  non  posteriore  al  1228, 
dell'arte  Xotaria  di  Rainerio  da  Perugia,  primiis  cjuem  constet 
Bononiae  Notariam  puhlice  docuisse  (1).  Non  meno  di  sette  fu- 
rono destinale  a  cospicui  saggi  caratteristici  della  scrittura  libraria 
nell'Umbria  durante  i  secoli  XiV  e  XV.  E  sono  le  tavole  77,  78,  79 
riproducenti  le  Laudes  creaturarum  o  Cantico  del  sole,  dal  famoso 
codice  338  della  Comunale  di  Assisi,  su  cui  si  agita  la  questione 
dell'autenticità  del  Cantico,  la  quale  crediamo  possa  ancor  meglio 
definirsi,  mercè  un  asame  minuzioso  delle  diverse  mani  vergatrici 
del  codice,  e  dell'ordine  e  del  collegamento  dei  quaderni.  Nume- 
rosi e  più  retti  raffronti  grafici  concorreranno,  senza  dubbio,  ad 
accertarci  se  quel  magnifico  ritmo,  o  prosa  assonanzata,  sia  real- 
mente il  più  antico  documento  pervenutoci  della  nostra  poesia 
religiosa.  Frattanto  l'esame  delle  tre  tavole  c'induce  a  confer- 
mare alla  lettera  del  codice  la  data  del  secolo  decimoquarto.  E 
ne  sarebbero  particolari  argomenti,  la  superfluità  e  maniera  di 
qualche  tratto  e  segno  diacritico,  il  prolungarsi  di  alcune  aste 
fuori  del  rigo,  il  distaccamento  delle  parole,  la  non  frequente  fu- 
sione di  lettere,  la  promiscuità  delle  due  forme  minuscole  della 
r  e  della  s,  se  bene  v'abbia  costantemente  la  k  per  eh.  Vero  si 
è  che  il  noto  erudito  Faloci-Pulignani,  pur  ammettendo  la  data  del 
XIV  inc.j  dimostra  (2)  come  il  suddetto  miscellaneo  338  sia  una 
copia  sincera  di  un    testo  indubbiamente  anteriore  al  1255;  ma  non 


(1)  Veggasi  A.  Gaudenzi,   7  suoni,  le  forme della  città  di  Boloyna,  ivi,  1S89. 

(2;  Misceli.  Frane,  voi.  VI,  fol.  2. 


l'ER    I.A    rALKOGUAlIA    IMIililCA  149 

sappiamo  ancora  se  in  tutto,  ovvero  soltanto  nella  parie  contenente  il 
ritmo.  Certo  egli  ó  che  si  continuerà  dai  più  a  credei-Jo  imcora  (Iellato 
da  S.  Francesco,  non  ostante  le  sottili  obiezioni  messe  in  campo 
dal  prof.  Della  Giovanna  (1),  le  quali  vedemmo  come  infrangersi  (2) 
non  solo  avanti  l'autorità  del  suddetto  apografo,  bensì  alla  nuova 
dello  Specidum perfectionis,  asseritagli  dal  prof.  Giulio  Salvatori  (3), 
e  a  quella   delle    Conformilates,  sancita    dall'Ordine    nel  1390. 

La  tav.  80  ci  offre  un  saggio  degli  Statuti  dei  Disciplinati 
di  S.  Caterina  in  Città  di  Castello,  tratto  dal  codice  unico  giudi- 
cato della  lo  metà  del  XIV';  le  81  e  82,  due  pagine  degli  Statuti  dei 
Disciplinati  di  S  Antonio  nella  slessa  città,  da  altro  codice  unico 
recante  le  date:  1386  e  1397,  ambedue  usufruiti  dall'avvocato  B. 
Bianchi  nel  pregiato  suo  studio  sopra  //  Dialetto  e  la  Etnogra- 
fia di  Città  di  Castello  (ivi,  1888).  E  così  ai  Disciplinati,  sino  a 
pochi  anni  or  sono  presso  che  dimentichi  o  ritenuti  inferiori  alla 
critica,  si  vanno  oggi  sempre  pii'i  rannodando  insieme  con  gli 
studi  sull'antica  poesia  religiosa,  quelli  della  lingua  e  dei  dialetti 
italiani.  Le  laude,  di  liriche  ed  epiche  trasformate  in  drammatiche 
dai  Disciplinati  di  Perugia,  di  Assisi  e  di  Gubbio,  per  lungo  tempo 
apparse,  in  confronto  alla  poesia  aulica,  senza  respiri  poetici  e, 
se  ricche  di  rime,  prive  però  d'ogni  lor  leggiadria,  non  che  di 
eletti  suoni,  rideste  ora  sull'autorevole  esempio  del  Monaci  a  nuova 
e  ben  diversa  vita,  par  che  nobilmente  si  vendichino  dell'ingiusto 
silenzio  patito,  manifestandosi  non  più  altrici  o  compagne  di  lu- 
gubri pianti  e  battiture,  ma  di  studi  fecondi  per  la  letteratura  che 
il  popolo  volle  far  sua. 

La  tav.  80  comprende  due  ce.  la  23*^  e  la  24*  ,  della  Regola 
delle  suore  di  S.  Chiara  di  Assisi^  quale  si  legge  in  un  codicetto 
membranaceo  mandatoci  in  esame  dalle  Clarisse  del  monastero 
di  S.   Pace    in  Norcia,  edificato    nel  1518. 

Per  esser  questo  sconosciuto  e  di  duplice  importanza,  al  vol- 
gare di  fondo  toscano  e  alla  paleografia  della  nostra  regione,  gio- 
verà qui  darne  particolare  notizia. 

E  un  membranaceo  in  8°  della  metà  del  secolo  XV,  di  carte 
44  scritte  in  grossa  lettera  gotica  con  iniziali  onciali  filogranate  in 


(1)  Giom.  stor.  d.  leti,  ital ,  voi.  XXV,  f'ol.  73. 

(2)  MisceU.,  cit. 

(3)  Innova  Antologia,  febbraio,  1895. 


150  A.    TENNERONI 

rosso  e  in  turchino,  ntìaiuscolelle  quadrate  tocche  di  giallo,  rubriche 
rosse  dei  XXVI  capitoli  onde  consta  la  Regola.  Assai  mediocremente 
dipinta  da  mano  posteriore  v' è  nel  primo  risguardo  S.  Chiara 
con  una  palma  nella  destra  e  un  libro  nella  sinistra,  profferente 
a  una  suora  dinanzi  lei  genuflessa:  Filia  mei  si  eris  fidelis  dabo 
tibi  palmam  victoriae. 

Precede  una  lettera  circolare  del  cardinal  prolettore  dell'Ordine, 
colla  quale  trasmette  ai  monasteri  delle  Religiose  Clarisse  la  seconda 
Regola,  ovvero  mitigazione  di  Urbano  IV  alla  prima,  data  da 
S.  Francesco  alle  medesime  e  già  approvata  da  Innocenzo  IV. 
«  Johanni  per  divina  gratin  diacono  cardinale  di  sancto  Xicolo 
in  carcere  tidiano  [Giovanni  Orsini,  poi  Nicolò  Ili].  Alle  dilecte 
in  Christo  figliole,  a  tutte  le  abbadesse  et  suore  incluse  del  Or- 
dine di  sancta  Chiara  ecc.  ».  A  e.  5^  «  Nel  nome  del  signore 
Incomen(;a  la  regola  de  le  suore  de  sancta  Chiara  :  Capitulo  pri- 
mo. Tucte  quelle  donne  le  quale  abandotiata  la  vanità  del  mondo 
corranno  intrare  in  questa  nostra  religione  et  perseverare  in  essa 
è  convenevole  e  necessaria  cosa  debbiano  observare  questa  legge 
de  vita  ed  ordine  in  li  loro  costumi  cioè  vivendo  In  obedientia. 
Sensa  proprio  et  in  castità  et  etiam  sotto  clausura  ». 

Termina  a  e.  40  col  capitolo  XXVI.  «  Che  la  regola  non  si 
desprerata  da  le  suore  |  Et  acioche  voi  in  questa  regola 
overo  formula  di  vivere  possiate  resguardare  come  in  uno  spechio 
ne  per   scordamento    alcuna    cosa    veniate    a    despreg(^are    ve   sia 

leda  per  spatio  de   omne   quindici   di   una    volta Ad    niuno 

adunqna  homo  sia  licito  rompere  o  guastare  questa  script ura  de 
la  nostra  constitutione,  concessione,  conformatione  et  absolutione 
€um  temerario  et  prosuntuoso  ardire  andarli  cantra.  Ma  si  al- 
cuno questa  cosa  presumera  de  attentare  et  fare  sappia  che  in- 
correrà la  indignatione  de  /'  omnipotente  Dio  et  de  li  beati  apo- 
stoli Pietro  e  Paolo.  \  Data  ad  Orvieto  a  di  diciasette  de  Octo- 
bre  nel  terQO  anno  del  nostro  pontificato  [1263].  Deo  gratias  » 

Seguono  da  e.  41'^  44'^  ,  copiale  dalla  slessa  mano,  «  certe 
ordinatiorie  facte  et  ordinate  nel  monasterio  de  Monteluce  [presso 
Perugia](1). ^cz'ocAe  meglio  observiamo  la  nostra prefessione  et  stato 


(ì)  »  Sed  cura  is  conventus,  qui  sanctissimae  Mariae  raontis  Lucis  sacratus  eva- 
«  sit,  a  recto  Religionis  tramite  aliquantulura  deflexisset,  a  beato  .Joanne  Capistrano, 
«  tunc  univcrsae  Cismontanae  Famiiiae   Generali   Vicario,   cum  alijs  plurimis,  anno 


li 


PER   LA   PALEOGRAFIA    IMIìUICA  lól 

religioso,  le  quale  non  obbligano  ad  peccato  mortale  ma  solo  a 
le  peniteiitie  taxate  ecc.  ».  E  queste  a  noi  danno  lume  sull'antica 
provenienza  e  luogo  di  scrittura  del  libro. 

11  volgarizzamento  risulta  per  tanto  uno  de'  più  antichi  fra  i  vari 
•conosciuti  della  Regola,  si  per  l'età  da  attribuirsi  al  manoscritto, 
si  perchè  la  sua  lezione,  che  ponemmo  in  più  passi  a  raffronto  con 
quella  di  un  codice  del  quattrocento,  esistente  nella  Comunale  di 
Siena,  ed  ivi  messo  a  stampa  nel  1853,  ne  appare  assai  sposso  più 
primitiva  ed  originale,  spiegatene  pure  alcune  differenze  dal  non 
-aver  l'editore  conservato  la  lezione  con  quella  rigorosa  fedeltà, 
cui  dobbiamo  oggi  attenerci  Ben  si  distinguono  nel  nostro  codice 
dall'  italiano  comune  letterario  alcune  peculiarità  fonetiche  del 
vernacolo  umbro,  tanto  che  la  sua  ortografia  latineggianle  ci  sem- 
bra più  tosto  consigliata  al  traduttore  dal  lesto  Ialino,  che  dall'uso 
invalsone,  ed  ancor  meno  introdottavi  dalla  saccenteria  del  copista. 
1  nessi,  le  abbreviazioni  vi  s'  incontrano  meno  spesso,  ed  è  a  sup- 
porsi  in  grazie  all'uso  cui  era  il  libro  destinato.  La  sua  scrittura, 
identica  sempre  al  fac-simile  deir.4rc/?.  paleografico,  è  in  lettera 
gotica  minuscola  di  scuola,  grossa,  diritta,  passante  in  modo  ri- 
gido, uniforme  da'  suoi  grossi  tratti  ai  sottili.  Più  volte  avvertimmo 
lo  stesso  tipo  di  lettera,  quasi  modello  d'officina  scrittoria  umbra, 
in  altri  codici  del  trecento,  scritti  in  città  prossime  a  Perugia, 
maggior  centro  di  cultura,  quali  ad  es.  il  Laudario  Frondiniano 
di  Assisi  (già  Manzoniano  8,  ora  Vitt.  Eman.  478),  V Inventario 
di  Sacri  arredi  nel  cod.  184  della  Comunale  di  Todi. 

Chiudono  il  fascicolo  due  saggi  di  scrittura  del  laudario  ap- 
partenuto a  un  sodalizio  laico  di  Sansepolcro,  descrittoci  dal  Co- 
razzini  ne'  suoi  Appunti  storici  e  filologici  su  la  Valle  Tiberina 
superiore,  dove  segnandosi  il  confine  umbro-toscano,  le  proprietà 
grafiche  dell'uno  e  dell'altro  versante  nella  stessa  guisa  che  le 
dialettali  si  abbracciano  e  si  confondono.  La  mano  che  vi  copiò 
!e  laude  sino  alla  e.  19  (.v.  tav.  83)  si  volle  dal  signor  Enrico 
Betlazzi  (1)  circoscrivere  agli  ultimi  del  dugento  o,  lutt'al  più,  ai 


-«  Domini  14ì8,  sub  Nicolao  V  Pontifìce  reforraatus,  atque  sub  secunda  beatae  virgi- 
-«  nis  Clarae  Regula  redactus  est,  sub  qua  et  usque  in  praesens  maxima  cum  laude 
«  eius  sorores  vixerunt  »  (Gonzaga  Fr.  De  Origine  Seraptcae  Religionis.  Roniae,  15S7, 
voi.  I,  pag.  173). 

(1)  Giorn.  stor.  della  letteratura  ital.,  Torino  1891,  Voi.  XVIII,  pagg.  25?-254. 


152  A.    TEXNERONI 

primi  del  trecento,  per  poterne  dedurre  che  la  Toscana  vantasse- 
la  sua  fiorila  di  laudi  volgari  sin  da  quando  Jacopone  peregrinava 
nell'Umbria.  E  le  prove"?  L'aspetto  generale  del  carattere,  il  quale 
invece  ad  ogni  occhio  discreto  non  appar  differente  che  per  certo 
andamento  mal  sicuro  dalla  grossa  minuscola  gotica  scolastica  di 
molli  codici  umbri  e  toscani  con  date  della  metà  del  secolo  XIV 
e  per  sino  del  1492,  come,  non  senza  meraviglia,  abbiamo  testé 
notalo  nello  Statuto  dei  Sarti  di  Todi,  presso  quella  Congre- 
gazione di  Carità.  L'uso  inoltre  del  K  per  eh  e  e,  quantunque 
esso  da  solo  non  possa  ritenersi  certo  confine  d'età,  specie  poi 
se,  come  in  quel  lesto,  figuri  insieme  al  eh:  l'antichità  del  metro, 
quando  v'  è  precisamente  il  prediletto  da  Jacopone  nella  lauda- 
ballata,  od  altro  (1)  più  spesso  ricorrente  nei  laudari  dramma- 
tici di  Assisi,  di  Orvieto  e  della  provincia  di  Roma.  Né,  dob- 
biamo credere,  valsero  evidenti  imitazioni,  e  ricordi  di  frasi  e 
modi  Jacoponici  a  distoglierlo  dell'arrischiare  un'opinione  tendente,, 
non  diremo  a  minuire  una  gloria  della  letteratura  umbra,  cui  del 
resto  s' intese  sempre  affermare  soltanto  la  priorità  della  lauda 
drammatica,  ma  a  spostare  un  centro  d' irradiazione  poetica  re- 
ligiosa, conlradicendo  a  giudizi  su  fatti  sottoposti  a  rigoroso  esame. 
Che  poi  le  forme,  arcomperare,  arvenire,  argine,  ariehate,  fra- 
gello  e  tamanto,  ecc.  testimoni  ino  proprio  dell'esservi  in  quei  25- 
carmi,  de'  quali  tre  ben  conoscevansi  per  una  Nota  del  prof.  Mo- 
naci all'Accademia  dei  Lincei  (Roma,  1889),  alcuni  aretini,  nes- 
suno un  po'  cognito  dei  volgari  di  Perugia  e  di  Todi  potrà  con- 
sentirgli. 

Ma  torniamo  al  nostro  argomento  che  porge  occasione  d'in- 
vitar gli  studiosi  a  voler  segnalare  al  Bollettino  i  codici  con  data 
certa  dei  secoli  ^'III-XV,  a  preferenza  tra  questi  i  volgari,  scritti 
nella  nostra  regione,  dandone  qualche  cenno  sulla  loro  grafia.  F*o- 
tremo  in  tal  guisa  concorrere  a  determinare  in  breve  le  modalità 
della  lettera  e  de'  suoi  ornati,  la  sua  nomenclatura  islessa  ancor 
vaga  e  conlradetta,  le  varie  maniere  dei  nessi  e  delle  abbrevia- 
zioni nella  paleografia  umbrica  ;  le  quali  per  quanto  si  vogliano 
e  si  credano,  alla  prima,  simili  e  comuni  ad  altre  regioni,  pur  sem- 


(1)  a  b  a  bb  ce  d  |  e  f  e  ff  gg  d. 


TER   LA   l'ALEOGRAFIA    UMIÌUIOA  153 

pre  ritengono  tanto  d'indole  e  forma  propria  da  rivelare  a  un  oc- 
chio attento  il  grado  d' influsso  su  di  esse  esercitato  dalle  scuole 
limitrofe,  specie  dalla  toscana. 

Che  se  notevoli  differenze  naturalmente  esistono  anche  in  ciò 
fra  regione  e  regione  italiana,  ognuno  imagina  quanto  maggiori 
se  ne  abbiano  colle  altre  nazioni.  Non  minore  ò  (juindi  il  bi- 
sogno che  si  ha  d'un  lessico  di  abbreviature  italiane,  le  quali  se 
non  formaronsi  a  caso,  evidente  ne  è  il  duplice  vantaggio  che 
ne  seguirebbe  agli  studi  filologici  sugli  antichi  testi  volgari.  (3ve 
si  eccettuino  le  poche  abbreviature  latine  raccolte  dal  Gloria  e 
dal  Lupi,  classificate  in  5  specie  dal  Paoli  (Firenze,  1891  in  8) 
e  dal  Volta  (Milano,  1892)  che  si  studiò  di  coordinarle  alle 
note  tironiane  e  alle  sigle  romane  con  dichiarazioni  in  tav.  lito- 
grafiche non  certo  perspicue,  siamo  ancora  tributarii,  in  punto  a 
dizionari  o  larghe  trattazioni  di  esse,  ai  tedeschi  Baringius  (1), 
Walter  (2),  Kopp  (3)  e  più  comunemente  ai  francesi  Batlheney  (4), 
Chassant  (5)  e  Prou  (6),  i  quali  però,  come  il  Du  Gange  nel  Le- 
xicon niediae  et  infimae  Latinitatis,  rappresentano  a  noi  il  gran  di- 
fetto di  non  aver  tratto  esempi  che  scarsissimamente  dai  nostri 
testi  medievali. 

Roma,  dicembre  '95. 

A.  Tenneroni. 


(1)  Clavis  diplomatica,  Hanoverae,  1754. 

(2)  Lexicon  diìAomaticum ,  ahbreviationes  syllabaruiyi  etvocumin  diploma- 
tibus  et  codd.  a  saec.   Vili  ad  XVII  usque  occurrentes  exponens.  Gottingae,  1747. 

(3)  Palaeo(jraphia  critica,  Mannhemii,  1817-1829. 

(4)  L'Archiviste  frangois,  au  methodepour...  déchiffrer  les  anciens  e'critures. 
Paris,  1775. 

(5)  Paléographie  des  chartes  et  des  mss.  Paris,  1S84. 

(6)  Manuel  de  pale'ographie  latine  et  francaise...  suivi  d'un  dictionnaire  des 
abbreviations.  Paris,  ed.  A.  Picard. 


155 


SUL  RITROVAMENTO  DI  UN  CODICE 


DI  CRONACA   PERUGINA 


Utilissime  all'istoria  patria  e  in  specie  a  quella  dell'Umbria 
sono  tutte  le  ricerche,  che  mirano  a  stabilire  in  quali  rapporti  si 
trovassero  le  città  guelfe  colia  Curia  Romana.  E  questa  una  ma- 
teria di  studio,  la  quale  non  ha  solo  il  pregio  della  erudizione, 
ma  quello  altresì  di  ricostruire  la  verità  storica  in  un  punto  del 
Diritto  pubblico  italiano,  dove  l'impero  delle  passioni  ha  troppo 
spesso  fuorviato  le  menti  degli  scrittori.  Per  ciò  deve  essere  re- 
putata grande  fortuna  il  ritrovamento  di  quelle  scritture  antiche, 
•che,  con  la  più  schietta  ingenuità,  ci  narrano  le  vicende  delle  re- 
pubbliche guelfe  negli  anni,  in  cui  si  fecero  più  intime  le  loro  re- 
lazioni col  papato. 

E  giacché  appunto  in  questi  giorni  ci  è  toccato  in  sorte  di 
scoprire  in  un  Archivio  privato  un  prezioso  manoscritto  di  cro- 
naca perugina,  che  colma  deplorate  lacune  di  altri  Codici  proprio 
nel  tempo,  in  cui  la  Repubblica  ebbe  più  stretti  rapporti  colla 
Chiesa,  così  non  sarà  discaro  ai  lettori,  che  di  questa  scoperta 
teniamo  loro  parola. 

Quando  nel  1850  i  compilatori  deWArchicio  storico  italiano 
vollero  dar  mano  alla  pubblicazione  delle  Cronache  e  Storie  ine- 
dite della  città  di  Perugia,  assegnarono  al  primo  dei  volumi  l'opera 
poetica  di  Bonifazio  da  V^erona  dal  titolo  —  De  rebus  a  perurji- 
nis"  gestis.  Ann.  MCL-MCC XCIII  —  tratta  dal  poema  —  Euli- 
stea  ;  collocarono  quindi  gli  Annali  di  Perugia  dal  H94  sino  al 
1352  ricavati  da  un  Codice  della  biblioteca  comunale  per  opera 
del  Fabretti  ;  e  in  ultimo  diedero  il  luogo  al  Diario  o  Cronaca  del 
Oraziani,  stimato,  tra  gli  antichi    lavori    storici  sulla  città,  il   mi- 


156  O.     SCALVANTI 

gliore,  il  più  completo,  il  più  esleso  (1).  Che  fosse  opera  di  u» 
Graziarli  non  è  accertato,  imperocché  l'unico  indizio  che  si  ha 
sulla  persona  deiFaulore  è  l'enunciazione  di  quel  nome  nell'esterno 
dei  libro,  e  il  fatto  di  averlo  il  Vermiglioli  ritrovato  nel  1837  in 
Torgiano  nella  biblioteca  di  casa  Oraziani.  Ma  se  non  si  può  ac- 
certare il  nome  dello  scrittore,  questo  è  indubitabile,  che  il  cro- 
nista fu  uomo  di  raro  acume  storico,  accuratissimo  nelle  ricer- 
che ed  esattamente  informato  dei  casi  della  sua  patria.  Alla  quale 
non  limita  le  sue  diligenti  investigazioni,  ma  volendo  tener  di- 
scorso delle  vicende  di  altre  città^  ricorre  alle  cronache  del  Della 
Tuccia  e  di  Giovanni  di  Juzzo  speziale  per  Viterbo  e  per  le  cose 
di  Roma  al  Diario  dell'  Infessùra  e  va  dicendo. 

Sino  al  1837  l'esistenza  di  questo  Codice  fu  ignorata,  e  ne 
dobbiamo  il  ritrovamento  al  dottissimo  Vermiglioli.  II  manoscritto 
si  conserva  nella  Comunale  di  Perugia  ;  è  un  volume  in  forma  di 
ottavo,  guasto  dall'età,  e,  scriveva  il  Bonaini,  difettoso  di  varie 
carte.  La  scrittura  dalle  linee  corrette  e  massiccie,  è  certamente 
del  secolo  XVI  alquanto  inoltrato,  e  si  legge  con  facilità.  Questa 
manoscritto  fu  pubblicato  dal  Fabretti  neW Archivio  storico  italiano^ 
e  vi  ferero  noie  eruditissime  il  Fabretti  stesso,  il  Bonaini  e  il  Po- 
lidori.  Ma  poiché  il  Diario  era  privo  di  molte  carte,  il  Fabretti 
ebbe  l'accortezza  di  colmare  le  lacune  del  manoscritto  introducen- 
dovi dei  supplementi  ricavati  da  altre  cronache,  che  poi  diede  in 
luce  nei  due  volumi  pubblicati  nel  1887-88  col  titolo  —  Cronachedella 
città  di  Perugia.  —  Il  quale  espediente  é  degno  di  lode,  in  spe- 


(1)  Gli  eruditi  di  storia  perugina  sono  unanimi  nel  riconoscere  il  pregio  di  questa 
scrittui'a,  dichiarata  la  migliore  di  tutte  quelle,  dello  stesso  genere,  che  ci  informano 
degli  avvenimenti  di  Perugia  fino  al  secolo  XVI.  Ma  io  vado  più  in  là,  e  dico,  che  la 
Cronaca  del  Oraziani  é  documento  superiore  anco  ai  lavori  dei  secoli  XVI  e  XVII  ; 
e  non  sappiamo  in  verità  come  Adamo  Rossi,  potesse  dire  —  «  che  di  tutti  i  cronisti  pe- 
rugini non  é  chi  meriti  di  essere  conosciuto  più  di  Giulio  di  Costantino,  sia  per  la 
condizione  cui  appartienp,  sia  pel  sentimento,  di  che  mostrasi  pieno,  sia  per  la  cono- 
scenza de' fatti,  sia  pel  modo  come  li  racconta  »  —  (Vedi  Ricordi  di  Giulio  di  Costantino 
cUM  ìól~  al  l.'ióO  pubblicati  con  Note  di  Adamo  Rossi  —  Perugia,  1S68).  Anzi  tutto  que- 
sto popolano  dà  a  divedere  molta  ignoranza  della  storia  e  scrive  nel  più  sgramnftitico 
dialetto,  e  poi,  quanto  al  sentimento,  di  die  mostrasi  pieno,  ci  sembra  essere  tutt'  altro 
che  elevato.  E  basti  la  introduzione  alla  Cronaca:  —  «  In  prima  dirò  che  da  poie  che 
io  conobbe  el  male  dal  biene  (quale  io  naque  nell'  anno  1503  o  circa)  e  per  insino  a 
r  anno  1517,  fu  un  vivere  tanto  bono  e  abundante  de  tutte  i  bene,  die  non  se  pode- 
ria  aquiperare  »  — .  Il  lettore  rifletta  al  tempo  a  cui  si  riferiscono  le  lodi  del  cronista, 
e  giudichi  poi  il  sentimento  di  lui. 


SIL    lUTRUVA.MKNTO    IH    IN    CODICI;    DI    (  KoNACA    l'KUrdlNA  l.)( 

•eie  perchè  adottalo  con  buon  lume  <li  critica.  Tutluvia  por  quanto 
accurata  riuscisse  l'opera  del  P'abretti,  non  v'iia  studioso  di  mate- 
rie storiche  dell'Umbria,  il  quale  non  abbia  lamentato  le  troppo 
frequenti  lacune  del  manoscritto  rinvenuto  dal  Vermiglioli,  tanto 
più  se  si  rifletta  che  questo  Diario  non  potè  essere  consultato  nella 
sua  integrità  nemmeno  dal  maggiore  storico  di  Perugia,  e  sieno 
quindi  innumerevoli  le  notizie  dateci  dal  Oraziani,  e  di  cui  non 
è  cenno  nell'opera  magistrale  del  Pellini  (1). 

11  diario  incomincia  coll'onno  130i),  e  prosegue  fino  al  1:^20, 
ove  è  una  prima  interruzione  fino  al  1327,  supplita  dalla  Cronaca 
dell'Anonimo  (2).  Riprende  da  quell'anno,  e  giunge  al  1350,  ov'è 
la  lacuna  di  un  anno  colmala  da  un  brano  di  Codice  appartenuto 
al  Vermigliùli.  La  narrazione  ricomincia  coU'agosto  del  13r)0  fino 
al  1368  col  vuoto  dell'anno  13n9,  e  in  parte  del  G8,  al  che  sup- 
plisce sempre  la  cronachetta  dieW Anonimo.  Mancano  poi  gli  anni 
dal  1370  al  1388,  intorno  ai  quali  si  danno  notizie  alliiito  a  di- 
versi cronisti.  Continua  il  Diario  dal  1388  al  1391  con  una  nuova 
interruzione  di  7  anni,  e  cioè  fino  al  1398  dalle  stesse  fonti  ripa- 
rala. 11  medesimo  si  osserva  dal  1400  al  1424,  dove  pur  troppo 
l'intervalhj  non  si  è  potuto  colmare,  perchè  del  periodo  della  do- 
minazione di  re  Ladislao  nulla  raccontano  le  altre  cronache.  Il 
Diario  riprende  col  1424  e  seguilo,  con  poche  interruzioni  di  mi- 
nor conto,   fino  al  1450,  ov'  è  una  lacuna  di  ben  37  anni,  supplita 


(1)  Per  limitarmi  a  pochi  raffronti,  quali  ho  potuto  fare  (ino  ad  ora  tra  la  istoria 
del  Pellini  e  il  manoscritto  da  me  ritrovato,  dirò  che  molti  avvenimenti  dell'anno  1451) 
dal  Codice  registrati,  non  si  trovano  nell"  opera  dell'  illustre  storico.  Questo  ho  ri- 
ncontrato pel  fatto  della  morte  di  Teodoi'ina  moglie  di  Braccio,  avvenuta  a  Bastia, 
<■  della  sepoltura  della  salma  di  lei  in  S.  Maria  degli  Angeli.  Citerò  inoltre  la  narra- 
zione dei  tumulti  di  Perugia  nel  1482,  la  quale  è  assai  incompleta  nel  Pellini,  mentre 
è  accuratissima  nel  manoscritto.  Ad  es.  il  Pellini  non  ci  racconta  —  «  che  Averardo 
de  M.  Sperelio  insieme  alli  Ranieri  se  fecero  forte  in  capo  de  la  piaza  tutti  d'accordo; 
e  lì  stettero  saldi  per  lino  a  tanto  che  la  scaramuccia  fo  staccata,  la  quale  durò  circa 
2  ore  e  fu  una  terribile  cosa  a  vedere,  perocché  andavano  1'  uno  contro  1'  altro  come 
cani  arrabbiati;  e  se  non  fusse  clie  Filippo  de  Ansideo  venne  giù  con  tutti  li  frati  del 
Monte  con  un  Chroceflsso  grande,  li  quali  se  cacciarono  in  mezzo  gridando  —  Mise- 
ricordia, ìniseriGurdia,  pace,  pace  —,  ce  sarien  morti  moltissimi  da  una  parte  e  1'  al- 
tra, et  similmente  et  vescovo  di  Asese  se  operò  fortemente  per  fino  a  tanto  che  la  cosa 
fo  relassata;  onde  che  il  Magnifico  Guido  de  li  Baglione  essendo  li  a  cavallo  andò  a 
abbraciare  il  detto  Chroceflsso,  e  disse  —  Sionor  mio  —  ecc.  —  (Cte  631  e  632  del  ms.)  ». 
—  Di  tutto  ciò  non  è  un  cenno  in  verun  altro  cronista,  e  nemmeno  nello  storico  Pel- 
lini,  il  quale  si  limita  a  riferire  la  parte,  che  ebbe  nella  pacificazione  il  vescovo  di 
Assisi  e  il  Tesoriere  apostolico. 

(2)  Pubblicata  dal  Fabretti  nel  Voi.  I  delle  Cronache  Perug.,  1S87,  pag.  10  e  segg. 


158  O.     SCALVANTI 

colla  Cronaca  del  Veghi  e  dei  Villani,  e  finisce  col  tratto  da| 
1487  al  16  luglio  1491.  Mancano  quindi  più  di  100  anni  di  cronistoria^ 
e,  quel  che  è  peggio,  mancano  tratti  di  narrazione,  che  sarebbe 
slato  utilissimo  conoscere,  come  quello  dal  1450  al  1487,  il  periodo 
di  Serissima  lotta  tra  Perugia  e  la  Curia  romana. 

Quanto  all'epoca,  in  cui  venne  compilata  la  cronaca,  ha  ben 
ragione  il  Bonaini  di  affermare,  che  ciò  dovette  avvenire  verso 
la  metà  del  secolo  XVI.  Di  quest'opera,  al  tempo  in  cui  venne 
pubblicata  neW Archivio  storico,  si  conoscevano  due  soli  esemplari,, 
uno  rinvenuto  nella  biblioteca  Oraziani,  e  l'altro  già  posseduto  dai 
Minori  Osservanti  o  del  Monte,  e  che  nel  1850  era  nelle  mani 
del  prof.  Luigi  Bartoli.  Niun  altro  esemplare  ricordano  gli  erudi- 
tissimi compilatori,  i  quali  ci  attestano  che  il  Codice  Bartoli  non 
era  che  la  copia  di  quello  più  antico  appartenuto  a  casa  Oraziani. 
Di  guisa  che  può  dirsi  che  il  ritrovamento  dell'altro  esemplare 
presso  il  Bartoli  nessun  sussidio  rese  a  colmare  le  deplorale  la- 
cune del  Codice  scritto  nel  secolo  XVI. 

E  duopo  però  riconoscere  che  un  altro  e  ben  prezioso  esem- 
plare sfuggì  alle  ricerche  di  quegli  eruditi,  ed  è  quello  da  noi  rin- 
venuto, in  occasione  di  altre  ricerche,  nell'Archivio  di  una  egre- 
gia famiglia  di  questa  città  (1),  e  sul  quale  vogliamo  brevemente 
intrattenere  i  lettori. 

11  manoscritto  consta  di  813  pagine  in  folio,  ed  è  ben  con- 
servato.   Fu  scritto  poco  dopo  la   metà   del    secolo   XVI    (2),  e   si 


(1)  La  famiglia  Angelini-Paroli,  nel  cui  Archivio  abbiamo  ritrovato  altri  impor- 
tanti manoscritti  (Vedi  il  nostro  lavoro  dal  titolo  —  Alcune  notizie  su  Benedetto  Barzi, 
giureconsulto  perugino  del  sec.  XV  —  Perugia,  1895). 

(2)  Dapprincipio  dubitammo  di  ciò,  perché  la  scrittura  non  ha  quella  nitidezza 
e  quelle  linee  severe,  che  si  ammirano  nei  Codici  del  500.  Ma  oltre  a  considerare,  che 
nella  seconda  metà  di  quel  secolo,  il  carattere  andò  assumendo  minore  semplicità  di 
forme,  noi  ci  troviamo  dinanzi  a  un  riscontro,  che  non  ammette  dubbio  di  sorta.  In 
fatti  neir  ultima  pagina  del  Codice  si  leggono  queste  parole  —  Rendesi  detto  quader- 
nuccio  adì  10  de  luglio  i562,  Cojiia  5. a  —  Ora  é  ben  vero  che  il  numero  5  è  formato  in 
guisa  da  potersi  scambiare  per  un  6;  ma  d'  altronde  noi  abbiamo  intercalate  nel  testo 
alcune  bizzarre  annotazioni  di  un  Pompeo  Barzi,  che  appartengono  al  1655,  e  che  evi- 
dentemente ci  furono  introdotte,  dopo  che  il  Diario  era  stato  copiato.  Perciò  la  data 
di  questa  copia  non  può  riferirsi  al  1662,  che  sarebbe  posteriore  a  quella  delle  note 
marginali  di  quello  strano  personaggio.  Né  si  obbietti,  che  una  parte  del  manoscritto 
poteva  essere  stata  approntata  fino  dal  1655,  quando  il  Barzi  ci  scriveva  quelle  sue 
bizzarrie  o  allu(-inazioni,  che  dir  si  voglia  ;  prima  perché  è  evidente  essere  la  scrittura 
diluì  di  molto  posteriore  a  quella  del  Oraziani;  e  poi  perché  la  copia  ha  tale  unifor- 
mità da  escludere  che  possa  essere  stata  V  opera  di  molti  anni,  quanti  ne  corsero  dal 
1655  al  1662.  Osserviamo  poi,  che  quelle  annotazioni  nulla  hanno  che  fare  col  testo 
(Vedi  il  nostro  lavoro  sul  Giureconsulto  Barzi,  Perugia,  1895). 


SUL   RITROVAMENTO   DI   UN   CODICE    DI   CRONACA   PEKUCilNA  159 

legge  facilmente,  sebbene  la  scrillura  non  sia  così  nitida  come 
quella  del  Codice  della  Comunale.  K  legato  in  pergamena  ;  e  si 
nota  che  una  pagina  del  145J1  fu  dal  legatore  trasportata  al  prin- 
cipio tra  l'anno  1327  e  il  1328.  Tranne  questa  trasposizione,  il 
manoscritto  non  presenta  altre  irregolarità  nel  modo,  col  quale  è 
stato  formalo  in  volume.  Nemmeno  qui  è  traccia  del  nome  del- 
l'autore. In  varie  pagine  rimaste  in  bianco  un  Pompeo  di  Pompeo 
di  Fabrizio  Barzi,  possessore  del  manoscritto,  vissuto  alla  metà  del 
secolo  XVI I ,  inseriva  le  più  stravaganti  cose  del  mondo.  Dapprincipio, 
vedendo  che  egli  parlava  spesso  del  libro,  su  cui  scriveva,  dicen- 
dolo di  sua  proprietà,  sperammo  che  vi  avesse  almeno  una  volta  re- 
gistrato il  nome  dell'autore;  ma  la  nostra  speranza  fu  completa- 
mente dehisa  (1).  Il  manoscritto  non  ha  frontespizio,  e  al  pari 
dell'allro  presenta  molle  lacune,  le  quali  però  sono  bene  spesso 
colmate  dal  Diario  a  slampa.  I  vuoti  che  esso  contiene  vanno  dal 
1309  al  1313,  tratto  che  è  completo  nella  Cronaca  stampata  ;  dal 
1314  al  1324,  di  cui  l'intervallo  dal  1313  al  1320  è  riparato  dal 
Diario  inserito  noWAchivio  storico,  che  avendo  alla  sua  volta  una 
lacuna  dal  1320  al  1327  trova  nell'odierno  manoscritto  completati 
gli  anni  1325  e  26.  Il  Codice  manca  degli  Annali  dal  1366  al  1389; 
e  la  Cronaca  già  conosciuta  non  ci  dà  di  questo  intervallo  che  la 
sola  narrazione  dal  1366  al  1368  e  1370,  e  dal  1388  al  1389.  Qui 
rimane  adunque  una  profonda  lacuna.  All'altra,  che  si  riscontra 
nel  manoscritto,  dal  1389  al  1442,  ripara  soltanto  in  parte  il  Dia- 
rio stampato,  perchè  ancor  questo  manca  del  tratto  dal  1391  al 
1398  e  dal  1400  al  1424.  Fino  a  questo  punto  i  due  Codici  non  si 
completano  interamente;  ma  il  manoscritto  non  presenta  altri 
mancamenti  dal  1422  in  poi  ;  e  perciò  gli  anni  dal  1422  al  1424 
(che  non  si  trovano  nello  stampato),  e  il  lungo  tratto  di  37  anni 
(1450-1487)  mancante  pure  nel  Diario  edito  dal  Fabrelti  sono  piena- 
mente reintegrati  dal  Codice  ora  scoperto,  il  quale  ha  ancora  l'ul- 


ti) Né  miglior  fortuna  avemmo  scorrendo  le  pagine  del  Codice  segnato  di  lett.  F. 
e  da  noi  pure  ritrovato  nell'  Archivio  Angelini.  Anche  in  questo  manoscritto  il  Barzi 
scrisse  molte  stranezze,  e  richiamò  quelle  registrate  nelle  pagine  bianche  della  cro- 
naca. «  Il  ricordo  della  supplica  che  io  feci  di  essi  miei  cento  volte  novecento  milioni 
di  Mondi  appare  scritta  per  mano  mia  in  un  altro  mio  Libro  segnato  Croce  a  carte 
86  seconda  facciata  e  a  carte  87  prima  e  seconda  facciata  ».  —  Il  Libro  cui  accenna 
è  il  Ms.  della  Cronaca,  ma  anche  in  questo  richiamo  nulla  ci  dice  del  nome  dell'  autore. 


160  O.     SCALVANTI 

timo  tratto  dal  1491  al  1494,  di  cui  è  privo  il  Diario  a  stampa  (1). 
Ora  sebbene  nel  volume  si  osservi  qua  e  là  qualche  lacerazione 
di  carte,  pure  io  ritengo  che  quei  vuoti  sussistessero  al  tempo,  in 
cui  venne  raccolto  e  legato.  Questo  Codice  non  apparisce  essere 
stato  molto  consultalo,  giacché  non  vi  sono  annotazioni  in  mar- 
gine, come  si  vede  per  lo  più  nelle  carte  di  quel  tempo,  in  specie 
nelFaltro  esemplare  della  Cronaca.  Non  crediamo  ingannarci  as- 
serendo che  questo  manoscritto  dovette  essere  esaminato  dal  conte 
Girolamo  Bigazzini,  valentissimo  genealogista,  perchè  in  qualche 
margine  si  veggono  notati  i  nomi  di  alcuni  nobili,  di  cui  si  nar- 
rano i  fatti  nel  testo  ;  e  varie  di  queste  annotazioni  sono  indub- 
biamente di  mano  di  quello  scrittore.  In  complesso  dunque  il  ma- 
noscritto presenta  una  lacuna  minore  dell'altro,  cioè  69  anni  di 
cronaca,  mentre  il  Codice  della  Comunale  ha  un  vuoto  di  oltre 
un  secolo.  Non  è  poi  difficile  congetturare  se  la  copia  da  noi  rin- 
venuta sia  slata  oppur   no   condotta    sull'originale   edito    dal    Fa- 


fi)  Rispetto  a  questo  periodo  della  cronaca  dobbiamo  far  menzione  di  un  breve 
scritto  di  A.  Rossi,  edito  per  le  nozze  Fumi-Cambi  nel  27  aprile  1879.  Il  Rossi  publ)licò 
in  quella  occasione  un  brano  della  Cronaca  di  Oraziani  dal  16  luglio  1491  al  2  set- 
tembre 1493.  Esso  si  riconnette  al  Diario  pubblicato  neir  Archivio  storico,  ed  è  parte 
del  manoscritto  scoperto  dal  Verraiglioli.  Come  il  Rossi  potè  ritrovarlo  lo  accenna  egli 
stesso  nella  pubblicazione  di  quel  Quadernuccio.  Egli  lo  vide  tra  le  mani  di  un  salu- 
maio, che  era  in  procinto  di  lacerarlo.  Lo  volle  sott'occhio,  e  conosciuto  il  pregio 
di  quella  scrittura,  ne  fece  acquisto  per  l'Archivio  di  Perugia.  Ma  il  salumaio  ne 
aveva  già  stralciate  alcune  pagine,  incominciando  dall'  ultima,  ed  ecco  perché 
il  Quadernuccio  non  prosegue  alla  pari  del  nostro  fino  al  1494.  Noi  abbiamo  con 
fi'ontato  r  edizione  del  Rossi  col  manoscritto  odierno,  e  poche  sono  le  varianti. 
L' egregio  scrittore  afferma,  che  il  Oraziani  intendeva  continuare  la  sua  Cronaca 
lino  al  1541  ;  e  noi  non  lo  impugnarne.  È  certo  però  o  molto  verosimile  almeno,  che  la 
Cronaca  non  si  prolungasse  al  di  là  del  1494,  perchè  il  manoscritto  da  noi  rinvenuto 
non  è  tronco  per  lacei'azione  di  carte  o  lasciato  in  bianco  per  mancanza  di  originale, 
ma  termina  con  la  già  riferita  annotazione  del  copista,  che  ha  tutta  1'  aria  di  essere 
il  terrjine  dell'  opera.  Ora,  per  quanto  preziosa  scoperta  facesse  Adamo  Rossi,  essa 
non  è  sufficiente  a  ristabilire  nemmeno  un  breve  tratto  di  cronaca.  Ad  es.  nei  punto 
dove  la  sua  pubblicazione  cessa,  il  nostro  manoscritto  continua  per  informarci  di  un 
fatto  di  molta  rilevanza,  ed  è,  che  fra  Bernardino  da  Montefeltro,  il  quale  predicava 
sulla  piazza  del  Duomo,  nell'  8  settembre  1493  lasciò  improvvisamente  Perugia  — .  «  Et 
-molto  (fra  Bernardino)  confortava  quelli  a  li  quali  apartiene  el  governo  e  che  si  non 
se  repara  cascherà,  el  giudizio  contro  di  loro,  e  poi  se  voltò  al  popolo  e  disse  —  eh"  ogni 
persona  governasse  la  casa  sua  e  chi  non  poie  fare  altro  guardi  sé  medesimo  e  facci 
bene,  altrimenti  el  giudizio  di  Dio  caschei'à  sopra  di  loro.  Et  cosi  confortava  ogni  per- 
sona a  far  bene,  e  molto  disse  che  si  non  se  mutava  modo  al  vivere  de  la  cita  che  noi 
dovemo  aver  peggio,  che  non  avemo  auto  e  presto.  E  questa  fu  la  7a  predica  che  lui 
facesse.  A  dì  8  detto  se  partì  detto  fra  Bernardino  la  matina  per  tempo  e  in  piaza  se 
aspettava  che  lui  venisse  a  predicare  però  che  era  sonata  la  campana  de  S.  Lorenzo 


SIL   RITROVAMENTO    DI    UN   CODICE    DI    CROXACA   l'ICRUCUXA  IGl 

brelli.  Deve  ritenersi  infalli,  che  entrambe  furono  eseguile  sopra 
esemplari  diversi  ;  perchè  lanlo  nell'una  copia  che  nell'allra  le  la- 
cune non  sono  soltanto  determinale  da  lacerazione  di  carie,  ma 
anco  dalla  deficienza  del  lesto  che  si  copiava,  talché  gli  ama- 
nuensi hanno  lascialo  in  bianco  molte  pagine  nella  speranza  di 
ritrovare  le  parti  mancanti  del  manoscritto  die  avevano  sott' oc- 
chio. E  che  il  nostro  Codice  non  sia  copia  dell'altro  custodito  nella 
Comunale  è  agevole  a  provarsi  con  molti  esempi  ;  ma  due  soli 
ne  scelgo  per  brevità.  Noi  risconlriamoche  il  copista  del  manoscritto 
inedito  ha  lascialo  in  bianco  una  pagina  antecedente  all'anno  13^9, 
io  che  significa  che  nell'esemplare  che  copiava,  esisteva  una  la- 
cuna. Se  non  che  quando  egli  attende  a  copiare  i  fatti  di  quel- 
l'anno, non  incomincia  dal  3  gennaio,  come  si  legge  nel  Diario  a 
stampa,  ma  sibbene  dal  14  di  marzo.  Ora  se  la  copia  fosse  stata 
condotta  sull'esemplare  ritrovalo  dal  Vermiglioli,  perchè  il  copista 
avrebbe    tralascialo  di    riferire   ciò   che   occupava  in  quel    volume 


a  predica,  et  esso  non  aveva  domandato  licentia,  et  gran  popolo  era  venuto  alla  pre- 
dica come  el  consueto  a  7  prediche  che  esso  aveva  fatto  in  piaza,  onde  che  intenden- 
dosi lui  esser  partito  senza  licentia  et  pensando  la  brigata  alle  cose,  quale  esso  aveva 
preditto,  molto  ciascuno  rimase  di  malavoglia  ».  —  Non  é  egli  strano  che  questo 
frat-"  da  Montefeltro,  che  presso  il  popolo  aveva  fama  di  profeta  \  et  più  volte  ce  recordò 
quelle  cose  le  quale  ce  aveva  aaunciate  et  preditte  in  qualche  sua  predica  del 
glassato,  quale  ce  sonno  advenute)  lasciasse  la  città,  proprio  mentre  la  campana  di 
S.  Lorenzo  suonava  a  raccogliere  i  fedeli  alla  sua  predica?  Egli  aveva  avuto  parole 
di  fuoco  contro  il  mal  vivere  dei  cittadini,  contro  1  potenti,  contro  gli  ambiziosi:  e  si 
rileva  anco  dal  passo  inedito  riguardante  la  7a  predica,  dianzi  riferito;  e  ci  sembra 
non  arduo  a  immaginarsi,  che  appunto  per  opera  di  qualche  potente  fosse  fatto  uscire 
di  notte  tempo  dalla  città.  E  poiché  i  raffronti  sono  il  maggior  sussidio,  che  abbia  la 
mente  umana  per  intendere  i  fatti  della  storia,  ricordei'erao,  che  in  Perugia  era 
allora  preponderante  la  fazione  dei  nobili,  e  doveva  essere  presso  di  loro  sospetta 
la  propaganda  di  fra  Bernardino,  cosi  strenuo  propugnatore  di  libertà,  di  giustizia  e 
di  popolare  governo.  Ricordisi  inoltre  che  fra  Girolamo  Savonarola  a  Firenze,  colla  sua 
predicazione  per  più  anni  continui  (scrive  il  Guicciardini  narrando  i  fatti  del  1495)  sì 
era  vindicato  fama  e  credito  di  profeta,  e  aveva  accennato  ancora  qualche  cosa  della 
rautazione  dello  stato;  e  detestando  iJubblicamente  la  forma  deliberata  nel  Parla- 
mento, affermava  la  volontà  di  Dio  essere  che  s' ordinasse  un  governo  assolutamente 
popolare  (Storia  d' Italia,  Lib.  II,  cap.  I).  L'  accesa  eloquenza  del  frate  produsse  due 
anni  dopo  quello,  in  cui  Bernardino  si  parti  improvvisamente  da  Perugia,  la  costitu- 
zione di  quel  Consiglio,  che  doveva  attendere  alla  riforma  dello  stato  fiorentino.  Adun- 
que erano  tempi  in  cui  rinfiammato  zelo  di  religiosi  si  manifestava  anco  nelle  poli- 
tiche faccende,  e  non  è  meraviglia  che  a  Perugia  gli  ambiziosi  e  potenti  capi  delle 
fazioni  nobiliari,  paventando  gli  effetti  delle  prediche  di  fra  Bernardino,  procurassero 
la  partenza  di  lui,  imperocché  da  più  anni  nella  vicina  Firenze  un  simile  apostolato 
esercitava  il  Savonarola,  ed  era  prossimo  il  giorno,  in  cui  se  ne  dovevano  cogliere  i 
frutti. 

II 


162  O.    SCALVANTI 

varie  pagine  di  scrittura  ?  Inoltre  noi  vediamo  che  il  manoscritto 
della  Comunale  all'anno  1445,  registrali  i  fatti  del  15  aprile,  ha 
un  foglio  bianco,  dopo  il  quale  manca  per  lacerazione  altro  foglio. 
Ammettendo  pure  che  il  foglio  straccialo  fosse  scritto,  è  certo  che 
l'amanuense  trovò  nell'esemplare  una  lacuna,  la  quale  dovrebbe 
riscontrarsi  anco  nel  manoscritto  inedito.  Per  contrario,  mentre  il 
Codice  della  Comunale  termina  colle  parole  —  A  di  17 ....  —  e 
riprende  colle  parole  —  e  Mariotto  dei  Baglione  et  retornaro ;  — 
il  nostro  manoscritto  continua  spedito  per  altre  due  pagine  dalle 
parole  —  A  di  17  de  aprile  —  fino  a  ritrovare  le  parole  —  Ma- 
riotto dei  Baglione,  ecc.  —  che  appartengono  alla  cronaca  del  9- 
di  luglio  dell'anno  1445. 

Noi  crediamo  che  questa  breve  descrizione  del  Codice,  oggi 
ritrovato,  sia  sufficiente  a  provarne  la  grande  importanza.  Pure  ci 
sembra  opportuno  venire  ad  una  più  ampia  dimostrazione  di  ciò. 
Si  rifletta  prima  di  ogni  altra  cosa,  che  col  nuovo  manoscritto 
vien  riparandosi  al  tratto  di  37  anni,  mancante  nel  Diario  a  stampa. 
E  se  ciò  possa  interessare  grandemente  gli  studiosi  di  storia  ita- 
liana e  massime  umbra,  facilmente  si  prova  colle  seguenti  consi- 
derazioni : 

l.o  —  Anzi  tutto  bisogna,  osservare  alla  importanza  del  pe- 
riodo storico  dal  1450  al  1487.  In  questa  parte  degli  Annali  oltre 
la  diligente  e  minuta  esposizione  delle  frequenti  contese  fra  la 
Repubblica  e  il  Papa  noi  abbiamo  descritti  i  tumulti  di  Perugia^ 
di  Viterbo,  le  discordie  sorte  in  Firenze  nel  1466,  la  liberazione 
di  Orvieto  e  la  sua  pacificazione  nel  1468,  la  lega  fra  il  conte  Fe- 
derigo da  Montefeltro  e  il  conte  Carlo  Forlebracci,  le  gesta  del 
Piccinino,  di  Nello  Baglioni  e  di  altri  altissimi  personaggi,  le  im- 
prese di  re  Alfonso,  le  discordie  fra  Carlo  Fortebracci  e  Carlo  Ba- 
glioni, le  difficoltà  insorte  fra  Siena  e  Perugia  pel  furto  dell'Anello 
della  Vergine,  la  guerra  fra  i  Senesi  e  il  Piccinino,  tra  Perugia 
e  Firenze,  la  pestilenza  del  1476,  molte  e  gravi  controversie  colla 
Curia  Romana,  quella  in  specie  per  il  pagamento  delle  decime 
nel  1483  e  altre  narrazioni  interessanti  la  storia  generale  d'Italia 
e  di  Europa.  Aggiungansi  le  notizie  più  preziose  circa  i  provve- 
dimenti intesi  a  riformare  lo  stato  all'  interno,  a  soccorrere  i  po- 
veri, mediante  leggi  speciali  e  fondazioni  di  Opere  Pie,  a  dare 
incremento  alle  arti  della  lana  e  della   seta,  a  diminuire  il  lusso 


SUL   RITROVAMENTO    1)1    UN    CODICE    DI    CRONACA   PERUGIA  Kj:} 

dei  costumi,  ad  abbellire  la  città,  a  provvedere  alla  pacificazione 
degli  animi,  a  riordinare  la  zecca  e  va  dicendo. 

2  °  —  Tutto  questo  periodo  storico  così  fecondo,  cosi  ricco 
di  avvenimenti  è  nel  manoscritto  distesamente  narralo  senza  ve- 
runa interruzione.  Esso  è  contenuto  in  350  pagine  di  fitta  scrit- 
tura, poco  meno  della  metà  dell'  intero  Codice.  È  dunque  la  parte 
più  estesa,  più  accurata,  che  fa  fede  di  minutissime  indagini,  di 
pazienti  ricerche  e  di  infaticabile  zelo  nel  valente  cronista.  Si  ha 
poi  la  fortuna  che  il  tratto  offertoci  dall'odierno  manoscritto  è  il 
sicuro  addentellato  del  Diario  a  stampa  (1). 

3.°  —  Si  deve  considerare  inoltre,  che  questa  e  le  al  tre  aggiunte 
ricavate  dal  manoscritto,  suppliscono  veramente  ai  vuoti  della  Cro- 
naca, perchè  son  la  Cronaca  stessa  ;  mentre  non  è  a  dire  il  medesimo 
dei  supplementi  introdottivi  dal  Fabrelti.  Poco  sopra  riconoscem- 
mo il  grande  servigio  reso  dall'  illustre  uomo  nel  volere  annessi 
quei  supplementi  al  Diario  Oraziani;  ma  non  appena  si  gettino 
gli  occhi  sul  manoscritto,  ognuno  comprende  a  quale  distanza  si 
trovino  le  cronache  del  Veghi,  dei  Villani  e  dell'Anonimo  da  quella 
del  Oraziani.  Per  non  distenderci  in  troppi  esempi,  avvertiremo 
che  mentre  dal  Diario  del  Veghi  e  dai  lavori  di  Villano  e  Ciancio 
Villani  non  è  stalo  possibile  trarre  veruna  notizia  riguardante 
l'anno  1453  onde  supplire  alla  lacuna  della  Cronaca  Oraziani, 
il  manoscritto  nostro  contiene  ben  5  pagine  relative  a  quell'anno, 
e  in  esse  si  raccontano  le  visite  imperiali  a  Siena,  Viterbo  e  Roma, 
i  casi  di  Firenze,  le  scorrerie  delle  soldatesche  del  Re  d'Aragona, 
i  danni  che  esse  arrecarono  al  contado  perugino,  la  venuta  del 
conte  Federigo  d'Urbino,  la  lega  fra  Firenze  e  Perugia  e  più 
altre  cose  interessanti  la  storia  d'Italia  e  quella  della   nostra  re- 


(1)  Infatti  il  Diario  edito  dal  Fabretti  (pag.  628)  termina  con  queste  parole  — 
«  A  quisti  di  se  disse  che  el  conte  Francesco  era  stato  fatto  duca  de  Milano.  A  dì  26  de 

luglio ».  —  E  il  nostro  manoscritto,  dopo  queste  parole,  continua  —  «  A  di  26 

de  luglio  morì  Cola  de  Restoro,  che  la  mattina  stette  a  la  messa  a  S.  Filippo,  ecc.  >.  — 
Né  meno  sicura  è  la  ripresa  al  termine  dell' intenallo  dei  37  anni.  Il  manoscritto 
giunge  colla  narrazione  al  4  agosto  1487  e  così  dice  —  «  A  dì  4  de  agosto  Giovagnie 
del  Gentiluomo  degli  Arcipreti  retolse  Carlo  famiglio  de  Piero  de  Raniere  da  le  mani 
dei  birri  e  ferì  2  delti  ditti  birri  in  capo  alla  piazza  —  A  dì  detto  Giovagne  del  genti- 
lomo,  fu  messo  per  rebello,  ecc.  ».  —  Col  corsivo  riprendesi  il  testo  del  Diario  a 
stampa.  Per  tal  modo  il  tratto  che  .si  legge  nel  nostro  Codice  viene  ad  incastonarsi 
nella  Cronaca  stampata,  senza  pur  1'  ombra  di  interruzione  o  d"  incertezza. 


164  O.     SCALVANTI 

pubblica.  Di  tulio  ciò  non  è  verbo  in  alcuna  delle  cronache,  da 
cui  dovettero  allingersi  i  materiali  per  supplire  ai  mancamenti 
del  testo  allora  conosciuto.  E  quando  pure  queste  cronache  con- 
tengono una  narrazione,  essa  è  insufficiente  a  darci  notizia  ade- 
guata delle  vicende  della  città.  Ad  es.  nell'anno  1453,  per  il  Sup- 
plemento sesto  al  Diario  Oraziani  non  vi  sarebbe  stato  di  note- 
vole che  il  dono  fallo  dal  padre  Angelo  del  Toscano,  generale 
deirOrdine  di  S.  Francesco,  alla  comunità  di  un  ognia  di  Gri- 
fone, la  quale  li  era  stata  donata  dal  Re  di  Francia,  e  alli  20 
di  agosto  mori  e  fu  sepolto  in  S.  Francesco.  Ma  invece  a  queslo 
medesimo  anno  1453  il  manoscritto  contiene  preziose  notizie  su 
Carlo  di  Braccio,  sul  Gentile,  capitano  della  signoria  di  Venezia, 
sui  progressi  delle  armi  turchesche  in  Costantinopoli  e  sui  matri- 
moni e  morti  di  illustri  cittadini.  E  come  nell'anno  appresso  gli 
altri  cronisti  si  limitano  a  registrare  la  morte  di  Agamennone 
degli  Arcipreti  e  l'entrata  in  monastero  di  Berardo  da  Corgnia  ; 
il  codice  inedito  ci  parla,  in  mezzo  a  molle  altre  cose,  del  Breve 
di  Nicolò  V  sul  pagamento  delle  decime  dei  benefizi,  di  cui  erano 
investiti  gli  abati  e  altri  dignitari  della  Chiesa;  continua  la  nar- 
razione dei  casi  di  Costantinopoli,  della  pace  tra  Venezia,  il  Duca 
di  Milano  e  i  fiorentini;  del  passaggio  di  molte  genti  d'arme  da 
Perugia  ;  della  richiesta  di  Carlo  di  Braccio  condottiero  dei  vene- 
ziani per  avere  messi  perugini  da  inviare  al  pontefice;  del  con- 
vegno degli  ambasciatori  di  varie  città  in  Perugia;  della  con- 
ferma della  pace  tra  il  Comune  nostro  e  Firenze;  delle  forze  mi- 
litari di  Carlo  Gonzaga;  delle  giostre  tenute  in  Perugia  nel  de- 
cembre  1454  e  promosse  da  Braccio  de'  Baglioni  e  da  Giapeco 
degli  Arcipreti,  dove  si  fa  memoria  del  nome  dei  giostratori,  ecc. 
Noi  vorremmo  proseguire  nel  raffronto  tra  il  pochissimo  che  of- 
frono le  cronache  Veghi  e  Villani  e  il  mollissimo  che  s'ap- 
prende da  questo  Diario  inedito  del  Graziani;  ma  di  un  altro  solo 
saggio  dovremo  appagarci  per  non  riuscire  infiniti.  L'anno  1455 
della  Cronaca  Veghi  col  sussidio  delle  altre  scritture  ci  porge 
novella  della  pena  del  rogo  inflitta  ad  una  fattucchiera,  dei  tor- 
menti che  si  diedero  alla  moglie  di  Carlo  de'  Graziani  e  del  sacco 
di  Celona  compiuto  da  Giacomo  di  Nicolò  Piccinino.  Or  bene,  no' 
non  possiamo  nemmeno  per  sommi  capi  accennare  alla  pingue 
materia  contenuta  nel  Codice  inedito  sotto  quest'anno  1455.  Basti 


SIL   RITROVAMENTO    DI    IN    CODICE    DI    CRONACA    l'ERUCUNA  1(J5 

il  sapere  clie  la  nnrruzione  occupa  venliciruiue  pagine  dell'  in-folio, 
perch<>  non  v'c''  mese,  il  quale  non  abl)ia  dato  occasione  a  nume- 
rosi ricordi,  che  sono  in  lutto  del  numero  di  ottanta^  menlit>  le 
cronache  del  supplemento  ne  recano  tre  soltanto,  insomma  lad- 
dove lutto  il  supplemento  dal  1450  al  1487  è  contenuto  in  28  pa- 
gine di  testo  con  copiose  note,  il  tratto  del  manoscrillo  inedito  è 
di  carte  350,  senza  conlare  che  nello  slesso  supplemento  mancano 
interi  anni,  come  il  1472,  che  occupa  5  carte  del  manoscrillo,  e 
il  1480,  che  diede  materia  al  cronista  Oraziani  di  registrare  30  av- 
venimenti di  primaria  importanza.  Né  sembrino  al  lettore  trojipo 
minuziose  queste  nostre  indagini;  perchè  ad  altro  non  miriamo 
che  a  dimostrare  vie  più  il  pregio  singolarissimo  del  Diario  del 
Oraziani,  il  quale  si  discosta  dai  lavori  precedentemente  compi- 
lali, per  la  ragione  che  l'autore  intese  a  raccogliere  da  molle  cro- 
nache e  storie  ogni  interessante  notizia.  E  naturale  quindi  die  il 
suo  lavoro  riuscisse  più  completo  degli  altri,  da  cui  si  tolsero  i 
supplementi. 

Se  poi  ci  siamo  particolarmente  intrattenuti  sul  tratto  di  sto- 
ria dal  1450  al  1487,  e  se  diciamo  che  eguale  importanza  ha  la 
narrazione  degli  anni  dal  1491  al  1494  (1),  affermiamo  essere  il 
medesimo  per  le  lacune  meno  eslese,  e  che  il  manoscrillo  può 
completamente  colmare.  Così  mentre  nell'anno  1361  la  Cronaca 
stampala  ci  narra  solo  della  congiura  ordita  a  favore  di  Alessan- 
dro di  Pellolo  de'  Vincioli  per  farlo  signore  della  città,  il  mano- 
scrillo ci  racconta  con  maggiore  particolarità  il  fatto  e  le  sue  con- 
seguenze, e  ci  informa  poi  della  compilazione  dei  Libri  del  Cata- 
sto. Similmente  nel  1360  al  vuoto  del  Diario  ripara  il  manoscritto, 
il  quale  dà  notizia  non  solo  dei  falli,  che  l'illustre  Fabrelti  ha  ri- 
cordalo in  nota  (2),  ma  anco  dei  moti  di  Assisi,  della  riforma  sta- 
tutaria, delle  ambascerie  al  Papa,  del  passaggio  delle  compagnie 
bianche,  della  presa  del  castel  di  Siena,  dell'arrivo  alla  Fratta  di 
300  tedeschi,  dell'occupazione  dei  borghi  di  quella  città,  e  ci  fa 
ricordo  di  importanti  deliberazioni  del  Consiglio  dei  500  sulla 
guerra,  molle  delle  quali  circo.-tanze  furono  ignorate  dallo  stesso 
diligenlissimo  Pellini. 


(1)  Vedi  la  nota  a  pag.  160. 

(2)  Cronaca  del  Oraziani,  pag.  202. 


166  O.     SCALVANTI 

4.0  —  E  olire  a  darci  presso  che  completo  il  Diario  Ora- 
ziani, il  manoscritto  è  preziosissimo  sussidio  a  correggere  qualche 
inesattezza  inseparabile  da  ogni  lavoro  di  simil  genere,  nella  quale 
caddero  i  compilatori  deWAr'chivio  storico.  Verbigrazia,  abbiamo 
riscontrato  che  essi  talvolta  riportarono  nel  testo  delle  annota- 
zioni marginali  evidentemente  di  mano  diversa  dello  scrit- 
tore della  cronaca,  e  che  nel  Codice  odierno  non  si  veggono. 
La  qual  cosa  può  generare  difficoltà,  oscurità  e  incertezza  nel  ri- 
levare un  fatto  o  una  data  storica  (1).  I  raffronti  col  manoscritto 
gioveranno  inoltre  a  correggere  alcune  trasposizioni  di  testo,  che, 
per  errore  di  copia,  si  incontrano  nel  Diario  a  stampa  (2).  In- 
somma se  Adamo  Rossi  nella  dedicatoria  a  Luigi  F'umi  del  la- 
voro altrove  ricordato,  collocava  poche  pagine  della  Cronaca  Ora- 
ziani dal  1491  al  1493  tra  le  più  preziose  scritture  del  genere 
prediletto  agli  studiosi;  con  quanto  maggior  ragione  possiamo  noi 
rallegrarci  della  scoperta  di  un  manoscritto,  nel  quale  si  ha  circa 
un  secolo  di  storia  perugina  inedita  ampiamente  narrata.  Ed  è 
perciò  che  ci  siamo  affrettati  a  informarne  i  lettori  per  utilità  de- 
gli studi  storici  riguardanti  l'Italia  e  in  special    modo  l'Umbria. 

Perugia,  novembre  del  '95. 

0.  Scalvanti. 


(1)  Vedi  il  nostro  lavoro  —  Benedetto  Barzl  giurecons.  del  secolo  XV  —  Perugia, 
IJoncompagni,  1895. 

(2)  All'anno  1342  nel  Codice  stampato  si  trova  una  lacuna  dopo  il  passo  che 
segue  —  «  Del  mese  di  settembre  nel  dicto  millesimo,  essendo  raesser  Ottaviano  de 
gli  Begliforte  signore  di  Volterra  per  modo  de  tiranno,  el  dicto  meser  Ottaviano  et 
gli  suoi  consorti  dettero  et  sottomisero  la  dieta  cita  de  Volteri'a  el  suo  destretto  a 
messer  Gualtiere  Duca  de  Attena  a  vita,  el  quale  era  signore  generale  a  vita  de  la 
cita  de  Fiorenza  e  de  suo  destretto,  benché  dicto  meser  Otaviano  remase  pure  Io  mag- 
giore de  la  dieta  cita Et  se  partirò  glie  ditte  loro  conductore  italiane,  et  non 

volsei-n  entrare  nel  contado  de  Peroscia  con  la  dieta  compagnia  ».  —  Orbene,  questo 
ultimo  passo  in  corsivo  deve  essere  collocato  innanzi  al  primo,  al  termine  di  un  hmgo 
periodo,  che  é  contenuto  solo  in  parte  nel  Diario  a  stampa.  Il  tratto  poi  prima  della 
lacuna  viene  di  seguito  al  passo  riferito  in  corsivo,  e  il  manoscintto  lo  completa  con 
questa  notizia,  che  manca  nel  Codice  della  Comunale:  —  «  Di  dicto  millesimo  il  Co- 
muno  de  Arezzo  con  volontà  del  Comuno  de  Fiorenza  si  sottomise  e  diede  la  detta 
cita  e  destretto  al  sopradetto  duca  di  Atene,  fecero  la  detta  sommissione  in  casa  del 
detto  duca  di  .\tene,  et  li  predetti  casi  furono  del  mese  di  settembre  ». 


i;7 


A  PROPOSITO  DI  UN  ARTICOLO 


DI 


MASSIMO   KOVALEVSKY 


sulle  conseguenze  econoiniclie  della  Peste  ini  talia 


Il  KovALEvsKY,  Studiando  la  legislazione  niedioevale  concer- 
nenle  il  lavoro  e  la  mercede,  si  è  domandato  quale  influenza  abbia 
avuta  la  grande  mortalità  della  peste  del  1348  sulla  elevazione 
■della  mercede  medesima.  Tale  ricerca  era  già  stata  fatta,  per  ciò 
che  concerne  l'Inghilterra,  dal  Rogers '{Histort/  of  Agriculture 
and  Prices),  dal  Seebohm  {The  Black  Death)  e  dal  Gasquet 
i^Black  Death  in  England);  ma  nessuno  di  essi  aveva  pensato  a 
paragonare  la  legislazione  inglese  con  le  siiniglianti  e  contempo- 
ranee norme  legislative  della  Francia,  dell'Italia,  della  Germania 
e  della  Spagna.  Specialmente  forse  le  repubbliche  italiane  del  me- 
dioevo possono  fornire  interessanti  notizie  intorno  a  siffatto  argo- 
mento. 

Il  KovALEvsKY  pertanto  fece  a  tale  proposito  delle  ricerche 
negli  archivi  di  Firenze,  Siena,  Perugia,  Orvieto  e  Venezia,  e  ne 
espose  le  conclusioni  in  una  comunicazione  fatta  ad  Oxford  nella 
sezione  F  del  Congresso  dell'associazione  inglese  per  il  progresso 
della  scienza  :  relazione  che,  tradotta  in  tedesco  dal  Redlich,  è 
comparsa  recentemente  nella  Zeitschrift  fìir  Social-und  \Mrth- 
schaftsgeschichte,  voi.   Ili,  fase.  3°  e  4°,  pag.   406-23. 

1  dati  intorno  al  decrescere  della  popolazione  nelle  città  ita- 
liche per  cagion  della  peste  sono  stati  talvolta  esagerati  dai  Cro- 
nisti; sarebbe  pertanto  necessario  poterli  controllare.  Ma  ciò  non 
é  agevole  fare  per  le  grandi  città,  come  Milano  e  Genova,  i  cui 
archivi  furono  ripetutamente  bruciati  e  distrutti.  Invece  piccole 
città,  quali  Orvieto,  Todi  e  San  Gemignano,    conservano   nei  loro 


1G8  G.    PARDI 

archivi  ricco  materiale  per  la  storia  economica.  Né  quanto  alla 
prima  città  sono  stati  pubblicali  i  più  notevoli  documenti  di  tal 
genere  nella  poderosa  raccolta  fatta  dal  Fumi  dei  più  antichi  do- 
cumenti risguardanti  la  storia  orvietana  (Cod.  JDip.  d'Orvieto  per 
L.  Flmi).  Giacciono  pertanto  inedili  nei  respetlivi  archivi,  ed  il 
KovALEvsKY  li  ha  esaminati  accuratamente.  Una  delle  conseguenze 
economiche  della  peste  fu  che  il  prezzo  della  mano  d'opera  crebbe 
molto.  Dice  a  questo  proposito  Matteo  Villani  (I,  5):  «  E  il  la- 
vorio e  le  manifatture  d'ogni  arie  e  mestiero  montò  oltre  al  doppio 
consueto  ». 

Dopo  aver  esposto  le  notizie  e  i  dati  concernenti  le  mercedi 
rinvenuti  negli  statuti  di  Mantova  e  di  Bologna  e  nelle  Provvi- 
sioni del  Maggior  Consiglio  di  Firenze  degli  anni  1348-52,  l'A.  os- 
serva come,  nello  stesso  modo  che  a  Firenze,  non  fosse  fissato  un 
massimo  delle  mercedi  negli  statuti  di  Perugia,  xuia  città,  la  quale 
era  retta  dal  Priori  delle  arti  sotto  la  superiorità  più  o  meno 
nominale  del  Papa  e  del  suo  Legato.  Era  questi  allora  il  celebre 
Egidio  Albornoz,  che  dava  opera  a  riformare  gli  ordinamenti  di 
Perugia  quando  scoppiò  la  peste  del  '48.  Ora  negli  statuti  perugini^ 
riveduti  sotto  la  sua  direzione  ed  apparsi  nel  1349,  si  rinvengono 
disposizioni  somiglianti  a  quelle  fiorentine.  Poiché  infatti  i  la- 
voratori del  contado  e  del  distretto  di  Perugia  lasciavano  i  fondi,, 
che  avevano  in  affitto,  per  prenderne  altri  concessi  loro  volen- 
tieri a  migliori  condizioni  per  cagione  della  grande  mortalità^ 
per  tal  modo  la  coltura  dei  campi  era  in  vari  luoghi  abbando- 
nata e  le  vettovaglie  salivano  ad  un  prezzo  molto  alto.  Perciò 
fu  stabilito  che  nessuno  affittuario  potesse  abbandonare  i  fondi 
presi  in  affitto  prima  del  termine  di  tre  anni  {Ann.  decemv.  di 
Perugia,  a.  1351,  e.  59).  Ma  questa  legge,  olire  a  non  conse- 
seguire  l'intento  propostosi  dai  reggitori  del  Comune  {Ann.  de- 
cemv., a.  1347)  non  determinava  il  massimo  della  mercede:  e  ciò- 
in  repubbliche  di  artigiani,  quali  Firenze  e  Perugia,  mentre  in- 
vece repubbliche  più  aristocratiche ,  come  Pisa  ed  Orvieto,  fissa- 
vano il  massimo  della  mercede  per  i  lavoratori  della  città  e  dei 
contado.  Così  lo  statuto  pisano  del  1350.  Cosi  le  deliberazioni  del 
Maggior  Consiglio  d'Orvieto  del  1349  (nella  Zeitscrift  f.  S.  u  TI'. 
G.  è  stampato  erroneamente  1359),  per  le  quali  fu  imposto  che 
ogni  due  mesi  si  scegliessero    due   commissari,  i    quali    determi- 


A   PROPOSITO   DI    UN   ARTICOL(J    DI    MASSIMO    KOVALKVSKY,    ECC.        1(51) 

nassero  il  prezzo  delle  singole  cose  e  del  lavoro.  Troviamo  pure 
nelle  Riformante  degli  anni  susseguenti  le  tariffe  delle  varie  in- 
dustrie e  dei  vari  lavori. 

Per  tal  modo  Orvieto,  grazie  all'accurata  monografia  del 
chiaro  A.,  appare  quale  una  delle  città  italiche,  che  più  saggia- 
mente e  praticamente  portarono  rimedio  al  crescere  del  prezzo 
delle  cose  vendibili  e  della  mano  d'opera  —  cagionalo  dnlla  grande 
mortalità  del  '48  —  fissandone  il  massimo. 

Stimo  pertanto  non  inopportuno  esporre  con  una  certa  lar- 
ghezza i  provvedimenti  economici  presi  dal  Comune  orvietano  in 
quella  terribile  calamità,  provvedimenti  sconosciuti  fin  qui,  e  ri- 
portare per  intero  la  tariffa  del  massimo  delle  mercedi  stabilita 
nel  1350,  essendo  quest'ultimo  un  documento  non  dispregievole 
di  sapienza  economica,  che  porge  occasione  a  fare  alcune  rifles- 
sioni. 

La  peste  del  '48  non  fu  ad  Orvieto  meno  tremenda  che  al- 
trove: è  stato  detto  che  su  10  persone  morissero  9.  La  città  era 
inoltre  in  quel  tempo  travagliata  da  guerre  intestine.  I  figli  del 
morto  Signore  di  Orvieto,  Ermanno  Monaldeschi,  e  più  ancora  li 
crudele  e  potente  Bonconte  della  Vipera,  volendo  maggioreggiare 
in  patria  e  trovando  resistenza  nel  forte  amore  dei  cittadini  per 
la  libertà,  li  molestavano  e  danneggiavano  continuamente  per 
mezzo  dei  numerosi  loro  sgherri  e  seguaci. 

E  bello  il  vedere,  tra  l'infuriare  del  morbo,  che  sentiménti 
alti  e  liberi  nutrissero  gli  Orvietani.  Non  abbattuti  dalle  calamità 
della  peste  e  della  guerra,  il  19  settembre  1348  si  riformarono  a 
popolo  e  a  libertà,  «  cum  ipsa  urbevetana  civilas  cum  suo  comi- 
tatù  et  districlu  a  diu  iugiter  fuerit  atrocibus  guerris  et  sevis 
angustiis  et  oppressionibus  conquassata  et  sub  tirampnorum  pro- 
tervia peditata  et  conculcata,  et  nunc,  Deo  propitio,  in  pacis  dul- 
cedine  requiescat  »  (1).  Sembra  quasi  che  la  pace  e  la  libertà  re- 
casse loro  tanta  gioia  quanto  dolore  non  aveva  apportato  la  mor- 
talità; ed  è  manifesto  che  il  fiore  delle  libere  istituzioni  sboccia 
anche  tramezzo  agli  orrori  della  desolazione  e  della  morte. 

E  doveva  esser  proprio    pietoso   lo   spettacolo   di   Orvieto   in 


(1)  Ardi.  coni.  d'Orv.  Riformante,  voi.  LXVI,  e.  35. 


170  G.    PARDI 

quel  tempo,  quasi  vuota  di  abitanti  e  con  le  case  mezzo  abbattute 
a  cagion  delle  guerre  intestine.  Infatti  il  18  ottobre  "48  fu  delibe- 
rato dal  Maggior  Consiglio  che  fossero  severamente  punite  le  di- 
struzioni di  case,  «  quapropter  dissensiones  et  scanda[la],  que 
atrociter^  hoste  humani  generis  operante,  in  ci  vitate  urbevetana 
viguerunt,  nonnulle  domus^  hedificia,  menia  et  alia  casamenta  pa- 
tent  circumquaque  diruta  »  (1). 

Uno  dei  primi  atti  del  nuovo  Consiglio  popolare  riguarda  il 
prezzo  delle  mercedi.  Considerando  infatti  che  gli  operai  ed  i  ven- 
ditori «  propter  sevam  et  inauditam  pestem  mortiferam,  qué  nuper 
undique  in  humano  genero  est  diffusa,  pretium  adeo  carum  tollant 
quod  cives  et  alii  cuncti  conqueruntur  merito  et,  nisi  provideatur 
celeriter,  non  possunt  facere  facta  sua,  ex  quo  detrimentum  non 
modicum  rei  publice  exoritur  et  iactura,  ne  igitur  huiusmodi  ap- 
petitus  noxius  et  nefandus  usus  in  Urbisveteris  civitate  diutius 
nec  ulLerius  vigeat  et  res  predicte  in  congrua  dispositione  persi- 
stant  »  (2);  il  Consiglio  medesimo  stabilì,  il  giorno  31  settembre, 
che  quanto  alle  cose  da  vendere  ed  alle  opere  personali  non  si 
potesse  richiedere  se  non  il  quarto  di  più  di  quello  che  si  soleva 
far  pagare  innanzi  alla  peste.  Questo  provvedimento,  senza  disco- 
noscere le  giuste  ragioni  dei  rivenditori  e  degli  operai  per  accre- 
scere alquanto  il  prezzo  delle  cose  e  dei  lavori,  impediva  loro 
molto  praticamente  di  portarli  ad  un  prezzo  troppo  allo:  accon- 
tentava essi  da  un  lato  e  da  un  altro  tutti  i  cittadini.  Vedremo 
poi  che  questo  criterio,  di  un  quarto  di  più  di  quanto  si  soleva 
prender  prima,  sia  mantenuto  anche  nelle  tariffe  posteriori.  Il  che 
prova  come  il  Comune  orvietano  avesse  trovato  il  giusto  mezzo 
per  non  disgustare  né  i  lavoratori  né  i  compratori. 

Oltre  alla  difficoltà  di  concordare  equamente  il  prezzo  delle 
mercedi,  il  Consiglio  della  repubblica  si  trovava  in  grande  imba- 
razzo perchè  era  stretto  del  bisogno  di  danaro,  ma  i  pochi  ed  im- 
miseriti abitanti  dei  pivieri  del  contado  si  rifiutavano  di  pagare 
le  imposte.  Perciò  il  18  febbraio  del  1349  fu  fatta  una  proposta 
«  super  conservatione  et  reparatione  pleberiorum  comilatus,  quo- 
rum nonnulla  iam  defecerut   in  totum  propter  mortiferam   pestem 


(1)  Ardi.  com.  d' Orv.  Rif.  LXVI,  e.  4S  r. 

(2)  Rif.  LXVI,  e.  44  r. 


A   PROPOSITO    DI    IN    ARTICOLO    DI    MASSIMO    ROVAI, KVSKV,    KCC.         171 

per  orbem  diffusam  et  gravia  onera  ipsis  pleben'is  per   urbevela- 

nuin  Comune  imposila ob  que  ipsa  pleberia  sunt   vacuala  ho- 

minibus  el  poderia  el  bona  in  eisdem  exislenlia  prò  maiori  parie 
incullivala  persislunl  »  (1).  Considerando  laii  Irisli  condizioni  delle 
campagne  i  consiglieri  preferirono  che  i  loro  abitatori  continuas- 
sero a  lavorare  i  fondi  senza  pagare  imposizioni,  e  determinarono 
che  nessuno  li  potesse  molestare  per  cagione  di  gabelle  o  di  taglie. 
Gli  abitatori  della  città,  dove  dimorava  la  parte  più  ricca  flella 
popolazione,  si  trovavano  in  condizioni  differenti  perchi'  molli  eran 
divenuti  doviziosi  anche  di  poveri  od  avevano  accresciuti  i  pos- 
c^essi  per  mezzo  di  eredità.  Quindi  essi  erano  in  grado  di  pagare, 
ed  a  loro  non  furon  risparmiale  imposizioni  e  taglie:  qualora  man- 
cassero, anche  lassando  questi,  i  denari  necessari  al  Comune,  si 
ricorreva  ad  imprestili  con  Ebrei. 

Tuttavia  alcuni  dei  cittadini  erano  rimasti  in  misero  stalo  e 
non  potevano  pagare.  Perciò  il  16  settembre  del  '49  fu  deciso  che 
nessun  popolano  potesse  venire  molestalo  od  imprigionato  per  de- 
biti sino  al  1°  gennaio  del  1350.  Fu  concessa  una  dilazione  al  pa- 
gamento delle  imposte  «  ad  hoc  ut  urbevetana  civitas  civibus  re- 
plealur,  que  occasione  peslis  et  morlis  generalis  est  quasi  lotaliter 
civibus  vacuala  »  (2).  Gli  animi  infatti,  aggiunge  la  deliberazione, 
per  i  terribili  segni,  che  continuamente  appariscono,  debbono  esser 
volli  piuttosto  alla  misericordia  che- non  alla  severità.  Un'altra 
prova  di  misericordia  fu  quella  di  liberare  i  prigionieri:  con  il 
che  si  veniva  ad  avere  un  risparmio  nel  mantenimento  loro  e 
nella  paga  dei  carcerieri,  e  nello  stesso  tempo  si  realizzò  un 
utile  facendo  far  loro  un'offerta  in  danaro.  Fu  inoltre  proibito  ai 
cittadini  di  offendere,  molestare  o  trarre  alcuno  in  giudizio  per 
delti  o  fatti  o  cagioni  di  qualsiasi  specie. 

Un  barbaro  uso  di  quel  tempo  si  era  di  vendicarsi  dei  nemici 
non  colpendoli  nelle  persone,  ma  nelle  cose,  distruggendo  cioè  le 
vigne,  guastando  le  messi,  ecc.  11  che  in  quel  frangente  sarebbe 
stato  maggiormente  pericoloso  e  dannoso  per  tutta  la  cittadinanza. 
Perciò  il  Consiglio  orvietano,  il  29  novembre  del  '49,  raddoppiò  le 
pene  stabilite  per  i  danni  inferii  ai  fondi  e  specialmente  alle  vigne. 


(1)  Rif.  LXVn,  e.  17  r. 

(2)  Rif.  I-XVII,  e.  67  t. 


172  G.    PARDI 

Per  riparare  allo  spopolamento  delle  città  i  reggitori  di  queste 
pensarono  di  concedere  gli  slessi  diritti  e  privilegi  dei  cittadini 
ai  forestieri  che  venissero  a  stabilirvisi.  Così  fu  fatto  a  Siena  e 
specialmente  a  Venezia  ed  in  tutto  lo  stalo  veneto.  E  così  fu  de- 
liberato si  facesse  pure  ad  Orvieto,  dove  vediamo,  ad  esempio,  un 
tal  Francesco  di  Soana  venirsi  a  stabilire  con  diritti  di  piena  cit- 
tadinanza nel  maggio  del  '49.  E  già  il  18  ottobre  del  '48,  «  quia 
urbevetana  civitas  propter  scandala,  guerras  et  angustias  ac  mor- 
tiferam  peslem  nimium  suis  civibus  sit  vacuala  »  (1),  era  stalo- 
deliberalo  che  chiunque  venisse  ad  abitare  in  Orvieto  avesse  immu- 
nità per  10  anni. 

Un  altro  inconveniente  della  grande  mortalità  si  fu  uno  stra- 
ordinario numero  di  pupilli  e  di  pupille,  sopra  i  cui  possessi  i 
tutori  o  le  tulrici  potevano  commettere  abusi  o  frodi.  Perciò  il  6 
ottobre  1349  furono  imposte  pene  ai  tutori  che  facessero  ciò  e  venne 
deliberato  che  ciascuno  di  essi  dovesse  render  ragione  del  suo- 
operato  a  due  persone  dabbene  del  rione  in  cui  abitavano.  E  ciò 
almeno  una  volta  Tanno  e  sempre  quando  ne  fossero  richiesti.  Fi- 
nalmente il  6  decembre  vennero  eletti  due  buoni  uomini  per  ogni 
rione  cittadino,  i  quali,  assieme  al  giudice  del  podestà  o  del  ca- 
pitano di  popolo,  rivedessero  i  conti  dei  tutori  e  delle  tulrici 

Altre  disposizioni  d'indole  economica  furono:  che  i  macellai 
dessero  il  peso  giusto  della 'carne  e  non  vendessero  una  specie 
di  carne  per  un'altra  (presa  il  21  agosto  1348);  che  i  panettieri 
dessero  il  peso  giusto  del  pane  e  si  eleggessero  due  buoni  uo- 
mini per  istabilirlo  ai  panettieri  medesimi  (presa  il  6  novembre 
1348)  ;  che  il  fiorino  valesse  4  lire  cortonesi  e  non  più  (presa  il 
3  febbraio  1349);  che  nessuno  potesse  vendere  il  vino  ai  fore- 
stieri (presa  il  15  settembre  1349);  e  che  finalmente  nessuno  si  re- 
casse a  lavorare  fuori  del  contado  orvietano. 

E  furono  sagge  norme  anche  queste.  La  carne  ed  il  pane 
sono  gli  elementi  più  essenziali  per  la  vita  e  quindi  si  doveva 
aver  cura  che  i  macellai  ed  i  panettieri  dessero  il  peso  giusto  e 
che  la  carne  fosse  di  buona  qualità  ed  il  pane  ben  colto.  Essendo 
molto  instabile  il  prezzo  del  fiorino,  poteva  venirne  esageralo  il 
valore  :  occorreva  quindi  determinarlo  precisamente. 


(1)  Rif.  LXVI,  e.  48  t. 


A   PROPOSITO    DI  UN    AUTICOLO    DI   MASSIMO    KOVALEVSKV,    ECC.         173 

Una  delle  cure  maggiori  dei  reggitori  dei  (Comuni  era  di  evi- 
tare la  carestia  ;  in  quel  tempo  pertanto,  in  cui  molti  campi  ri- 
manevano incoltivati,  era  utile  impedire  che  elementi  di  prima  ne- 
■cessilà  conie  il  grano  (di  cui  in  tutti  i  tempi  mediovali  fu  proi- 
bita od  ostacolata  ad  Orvieto  l'esportazione)  ed  il  vino  rimanes- 
sero in  città,  e  non  fossero  venduti  a  forestieri. 

In  quel  frangente,  in  cui  v'era  bisogno  di  braccia  per  lavo- 
rare i  campi,  è  naturale  si  cercasse  impedire  che  uomini  validi 
per  il  lavoro  si  recassero  altrove  e  che  si  confiscassero  quindi  i 
loro  beni,  quando  si  partissero  dalla  città  e  dal  contado. 

Ma  la  prova  più  chiara  di  sapienza  economica  fu  data  dal 
Comune  orvietano  con  il  determinare  il  massimo  delle  mercedi. 
Noi  crediamo  non  far  cosa  disutile  riportando  qui  appresso  inte- 
gralmente le  tariffe  delle  singole  arti,  le  quali  ci  suggeriscono  le 
seguenti  considerazioni  : 

1.°  —  Abbiamo  già  detto  che  il  criterio  di  un  quarto  di  più 
•di  quanto  si  soleva  far  pagare  una  cosa  od  un  lavoro  prima  della 
peste  del  '48,  è  mantenuto  in  queste  tariffe.  Vediamo  infalli  che 
ai  calzolai  per  il  cuoio  e  per  l'opera  loro  è  imposto  di  non  ri- 
chiedere «  pretium  quarti  pluris  illius  quod  accipiebant  ante  morta- 
litatem  que  fuit  anno  .M.CCC.XLVllI.  ».  Cosi  i  tessitori  e  le  tes- 
sitrici di  pannilani  «  accipiant  et  accipere  possint  quarlum  plus 
eo  quod  accipiebant  ante  mortalità  lem  ».  Così  i  fabbri  ed  i  ma- 
nescalchi. 

1  muratori  ed  i  legnaiuoli  potevano  esigere  la  paga  di  lire  4,80 
al  giorno.  Ora  troviamo  nel  Cibrario  (1)  che  il  salario  di  un  le- 
gnaiuolo era  di  lire  3,44  al  dì.  Elevando  al  massimo  di  prezzo  la 
giornata  di  tale  ar-ligiano  sulla  base  di  lire  3,44,  abbiamo  presso 
a  poco  tre  quarti  della  giornata  di  un  falegname  orvietano  nel 
1350,  cioè  di  lire  4,80.  Il  che  ci  conferma  nell'idea  che  le  tariffe 
stabilite  dai  consiglieri  orvietani  in  quell'anno  fossero  ispirate  al 
criterio  di  un  quarto  di  più  di  quello  che  si  pagava  prima  del  '48. 

Invece  ai  giurali  di  alcune  arti,  che  procacciavano  un  lauto 
guadagno,  quali  i  giudici,  i  notari^  i  macellai,  i  tavernieri  e  gli 
albergatori,  fu    ordinalo   di   rispettare   gli   statuti   delle   respettive 


(1)  Bella  Ec.  poi.  del  M.  E.,  Ili,  349. 


174  G.    PARDI 

arti  :  il  che  significava,  s'io  non  erro,  di  non  farsi  pagare  di  più 
di  quello  che  erano  soliti  per  l' innanzi. 

2.°  —  F'er  alcune  arti,  per  le  quali  era  agevole  determi- 
nare il  prezzo  massimo  di  ogni  cosa  e  di  ogni  lavoro,  questo  fu 
stabilito  precisamente.  Per  altre  poi,  per  le  quali  non  era  agevole 
far  ciò,  furono  elette  due  o  più  persone  oneste  ed  intelligenti  di 
quella  speciale  arte,  le  quali  tassassero  coscienziosamente  i  ge- 
neri di  vendita  e  le  mercedi  dei  lavori.  Sopra  di  questi  inoltre 
erano  dei  tassatori  generali,  i  quali,  tenendo  per  norma  la  tariffa 
stabilita  dal  Comune  o  fatta  dai  tassatori  speciali,  dovevano  di 
mese  in  mese  confermare  i  prezzi  o,  se  occorresse,  modificarli, 
poiché  (come  è  osservato  con  pratica  saggezza  nella  deliberazione) 
«  res  cariores  et  minus  care  in  unius  mensis  spatio  et  prò  tempore 
esse  solent  ».  Eravi  finalmente  un  esecutore  con  salario  conve- 
niente e  sufficienti  famigli  per  farsi  rispettare  e  far  osservare  la  ta- 
riffa determinata  dai  tassatori  generali,  punendo  i  trasgressori 
con  una  pena  già  fissata  o,  se  non  la  vi  fosse,  imponendo  egli 
stesso  a  suo  arbitrio  una  multa,  che  poteva  giungere  sino  a  100 
soldi  di  denari  cortonesi  (lire  it.  43,65). 

3.0  —  Le  disposizioni  risguardanti  le  singole  arti  e  l'enu- 
merazione delle  varie  opere  degli  artisti  danno  un'  idea  della  vita 
e  dei  costumi  del  tempo,  degli  utensili  allora  adoperati,  delle  ve- 
sti usate  più  comunemente. 

É  interessante  a  questo  proposito  la  tariffa  dei  sarti,  in  cui 
son  dichiarate  le  diverse  specie  di  indumenti  usuali  per  uomo  e 
per  donna.  Vediamo,  ad  esempio,  come  uno  degli  oggetti  più  fini 
di  vestiario  femminile  fosse  il  mantello  di  saia  d'Irlanda  foderato 
di  drappo. 

Dalla  tariffa  dei  barbieri  apprendiamo  che  essi  solevano  fare 
la  barba  nella  loro  bottega  o  nelle  case  degli  avventori  (extra), 
prendendo  in  questo  caso  il  doppio  di  mercede  :  vale  a  dire  in 
bottega  4  denari  cortonesi  (lire  it.  0,14)  e  fuori  8  (lire  it.  0,29). 
Al  contrario,  prima  della  pestilenza  non  potevano  chiedere  più  di 
2  denari  (lire  il.  0,07)  (1). 

I  mugnai   continuavano  ad   avere  la  stessa   mercede,  cioè  la 


(1)  Arch.  com.  d'Orv.  Statuti  della  Colletta,  Cod.  n.  2  (deiranno  1334),  §  CXLI 


A   PROPOSITO    DI    UN    ARTICOLO    DI    MASSIMO    KOVALEVSKY,    ECC.        175 

ventesima  parie  delle  biade  macinale,  come  eran  solili  fare  anche 
nel  1334  (1). 

1  calcinai  dovean  dare  calcina  ben  colla  e  con  giusla  misura 
e  cambiare  quella  non  colta  bene. 

E  degna  di  nota,  riguardo  ai  lavoratori  di  campagna,  la  di- 
stinzione tra  i  vari  lavori  che  compievano  (mietitura,  battitura  del 
grano,  ecc.)  e  la  ricompensa  più  o  meno  grande  secondo  la  mag- 
giore o  minor  fatica  dell'opera  loro. 

4.0  —  Tutte  le  tariffe  stabilite  nel  1350  risguardano  cose  di 
prima  necessità  e  di  uso  comune  e  non  oggetti  di  lusso  o  adope- 
rali da  pochi.  Infatti  ai  reggitori  della  repubblica  stava  a  cuore 
che  si  avessero  relativamente  a  buon  mercato  le  cose  di  uso  più 
comune.  Quanto  poi  agli  oggetti  di  lusso  chi  volesse  procacciar- 
seli doveva  pagarli  quanto  piaceva  al  venditore  od  alTarlista.  Ed 
è  naturale.  Perchè  chi  voleva  acquistare  di  tali  cose  superflue  era 
certamente  ricco  ed  in  grado  quindi  di  rimunerare  generosamente 
l'operaio.  Vediamo,  ad  esempio,  che  nella  tariffa  dei  lavori  da 
sarto  è  dichiarato  il  prezzo  dei  soli  indumenti  semplici;  quanto  a 
vesti  più  complicate  di  cucitura  o  ad  abiti  di  ecclesiastici  la  mer- 
cede è  lasciata  all'arbitrio  dell'artista. 

5.0  —  I  salari  dei  lavoratori  orvietani  nel  1350  completano 
la  lista  inserita  dal  Cibrario  nel  3°  volume  dell'-È'conomia  politica 
del  Medio  Evo,  dando  i  prezzi  di  opere,  di  cui  non  si  ha  ivi  al- 
cun esempio.  Riportandola  pertanto  qui  appresso  stimiamo  dover 
mettere  a  fronte  delle  mercedi  in  denari  cortonesi  (allora  adope- 
rati ad  Orvieto)  il  valore  correspettivo  in  lire  italiane,  accettando 
il  calcolo  fatto  dal  Cibrario  medesimo  che  ogni  denaro  cortonese 
valesse  quanto  lire  0,0364  di  nostra  moneta. 


(1)  statuti  della  Colletta,  Cod.  n.  2,  §  LXXIII.  Quod  molendinarii  non  accipiant 
nisi  de  viginti  partibus  unam. 


A   PUOI'OSITO    DI    IN    AirriCOLO    DI    MASSIMO    Ki  »  VAIJOVSK  V,    ECC. 


177 


Ordo  artium,  artificuui,  latioratorum,  rerum  veodendarum  el  tiuiusmodi. 


Arte  dei  giudici 
■e  dei  notari. 


Tariffa  dei  ci- 
matori di  panni. 


Tariffa  dei  cal- 
zettai. 


Tariffa  dei  tes- 
sitori e  degli  al- 
tri operai  dell'ar- 
te della  lana. 


Tariffa  dei  cal- 
zolari. 


Tassatori  dei 
calzolari  e  dei 
loro  s?arzoni. 


Omnes  et  siuguli  de  arte  iudicum  et  no- 
tariorum  teueautur  et  debeant  observare  sta- 
tutuui  diete  artis  ad  peuam  .XXV.  libraruni 
deiiarloruin,  et  minus,  ut  officiali  et  executori 
videbitur,  cousiderata  qualitate  delieti. 

Clmatores  accipiaut,  de  cimatura  panni  fio- 
rentini et  ultramontani  et  hniusraodi,  pretii 
octo  libr.  [proj  '?  kanna  vel  ab  inde  supra  bis 
bene  cimati  .X.  den.  prò  brachio,  si  semel  pan- 
nus  ipse  ciraabitur  .VI.  den.  de  aliis  autem  pan- 
nis  .VI,  den.  prò  brachio. 

Calligarii  prò  sutura  de  pari  calliyarum 
accipiaut  duos  soldos  et  sic  de  capputeo  unius 
brachii,  ab  inde  supra  et  infra  prò  rata,  et  in- 
tellig-atur  de  capputeo  non  lavorato  nisi  sutura 
simplici  tantum. 

Testores     artis     lane     accipiaut     de     tela 
.XXXIII.  postarum  .IIII.  libr,  den.   .     .     . 
de  tela  .XXXVI.  postarum  .V.  libr.  den.    , 
de  tela  ,XL,  postarum  .VI.  libr.  den.     .     . 
de  tela  .XLV.  postarum  .VII.  libr.  den. 

de  tela  .L.  postarum  .Vili,  libr 

de  sag-is  mesculatis  et  liscis  ultra  .XLV.  postas 
.Xll.  libr 

Laboratoribus  aliis  ipsius  artis  lane  ponau- 
tur  taxatores  artis. 

Calzolari!  de  calciamentis  coiaminis  et  co- 
iamine  et  de  ipsorum  laboritio  possint  accipere 
pretium  quarti  pluris  illius  quod  accipiebant 
antemortalitatem  que  fuitanno  .M.CCC.XLVIII. 
et  non  ultra,  et  sic  faciant  pueri  de  laboritio 
eoruin,  quorum  calzolariorum  et  puerorum 

Cola  Larii  \ 

Vannutius  Ciutii  /     . 

TI  ^        o     •     .  }  sint  taxatores. 

Petrus  Scei  et  l 

Ciucciarellus  Petri  Federici   ; 


Lire  Soldi 

Denari 
corlonesi 


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italiane 


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43  68 
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61  14 
69  90 

104*83 


12 


178 


G.    PARDI 


Tariffa  degli 
orefici. 


Arte  dei  fabbri 
e  dei  manescal- 
chi  e  loro  tassa- 
tori. 


Aurifices  accipiant  de  laboratura  argenti 
albi  .X.  sold.  prò  lincia,  aurati  autem  siciit 
solebant. 

Fabri  accipiant  de  cunctis  ferris  et  labori- 
tiis  qiiartum  plus  eo  qiiod  accipiebant  ante 
mortalitatem  et  non  ultra,  et  sic  faciant  mari- 
scalei,  quorum 
Ceccarellus  lacobelli  Rustici 
Mag-ister  lannes  Petri  faber  et  sinttaxatores. 
Tadeus  Guidutii  ) 


Arte  dei  pellic- 
ciai e  loro  tas- 
satore. 


Pelliparii  de  sutura  ut  supra  quartum  plus 
accipere  possuut  de  sutura,  quorum  Martinus 
Vellis  sartor  sit  taxator. 


Tariffa  dei  cu-  Sutores   de   sutura   robbe   fornite   et   bene 

^'■^o^^-  sute,  scilicet  gonnella   cum  manicis   de  avan- 

tagio,  guarnacbia  et  mantello  .XX.  sold.  den. 


Cucitura  di  indu- 
menti semplici. 


de  mantello  .V.  sold 

de  guarnacbia  .VI.  sold 

de  gonnella  .VI.  sold 

de  manicis  de  avantagio  .III.  sold.    .     . 

de  fodero  guarnachie  .V.  sold 

de  farsitio  schiecto   vel  mediato   ad  .XXIIII," 

rigas  .XXVII.  sold. 

de  indumentis  et  pannis  mulierum  a  .XII.  au- 

nis  supra  medietas  plus. 

de  pueris  .XII.  aunorum  masculis  et  fernmiuis 

et  ab  inde  infra  tertium  miuus. 

de  mantello  mulierum  sarge   Jrlande   foderato 

drappo  .XX.  sold 

de  mantello  lane  panni  alterius  .XII.  sold. 
de  guarnello  hominis  .VI.  sold 


Cucitura  di  ve-   hec  vero  locum  habeant  de  indumentis  mediatis 

sti  non  semplici   ^gj  simplicibus  et  non  in  aliis,  nec  in  indumen- 

o   per   Ecclesia-  ^  ' 

Etici.  tis    ecclesiasticarum     personarum,    de    quibus 

accipiant  sicut  est  convenieus  et  labor  exposcit. 


Lire  Soldi 

Denari 
cortonesi 


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5'  — 
6  - 
6  — 
3  — 

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7a 
22 

61 


A  PROPOSITO   DI    IX    ARTICOLO   DI   MASSIMO   KOVALEVSKY,   ECC. 


179 


Arti  dei  macel- 
lai, procaccianti, 
tavernieri,  ecc. 


Macellari  i 

Procacciantes 

Taberuarii 

Pizicaioli 

Salai  oli 

Fuuarii 

Albergatores 

Camagn  aioli 

Maciuarii 


Tariffa  dei  mu-   Muratores  mag-istri  et 

ratori   e   dei  le-  . 

gnaiuoli.  Magistri  liguaramis 


et  quilibet  eonim  servare  de- 
beut  statiita,  leges  et  ordiua- 
menta  artium  et  civitatis  Ur- 
bisveteris. 


de  ipsonim  mag-isterio 
accipiant  prò  die  .XI. 
sold.  prò  quolibet,  et 
non  ultra.  Manuales 
antera  .VII.  sold. 


Tariffa  dei  mu-         Molendinarii   prò   molitura  biadi   accipiant 
r  gnai-  (jg  .XX.  partibns  imam,  et  non  ultra. 


Tariffa  dei  bar- 
bieri. 


Tariffa  dei  cal- 
cinari. 


Tariffa  dei  va- 
sai e  loro  tas- 
tatore. 


Tariffa  dei  te- 
gol  ai. 


Barberi!  prò  barba  in  apotheca  .IIII.  den. 
extra  .VIII.  den.  de  coppa  et  heobottomia 
.VIII.  den.  prò  quolibet,  extra  duplum.      .     . 

Calcinarii  deut  calcinam  bene  cottam  ad 
mensuram  Comunis  iustam  et  formatam  prò 
.X.  sold.  raserinm,  et  calcinam  non  bene  cot- 
tam carabire  debeant. 

Vascellarii  de  vasis,  videlicet  panata  pititti 
.X.  den.  accipiant,  de  panatella   media   pititti 

.VI.  den 

de  vascello  pititti  .XII.  den. 

de  urceo  .Villi,  pitittorum  .III 

de  ciotola  pietà  .IIII.  den.     . 

de  ciotola  alba  .III.  den.  .     . 

quorum  Xerutius  dni  Vannis  sit  taxator 

Tebularii  accipiant  de  tebulis  bene  cottis 
ad  mensuram  Comunis  factis  de  centinario  .L. 
sold. 

de  centenario  planellarum  .X.  sold 

de  centinario  mactonum  .XX.  sold 


sold 


Lire  Soldi 

Denari 
cortonesi 


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italiane 


11    — 


3    U.i 


10 


4    3G 


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4 

I 

3 


50  — 


21 

4 

8 


180 


G.   PARDI 


TarifTa  dei  vet- 
turali. 


Tariffa  dei  la- 
voratori campa- 
ij'nuoli:  mietitori, 
battitori  di  gra- 
no, ecc. 


Pene  per  chi 
vada  a  lavorare 
fuori  del  contado 
orvietano. 


Pene  per  chi 
vada  ad  abitare 
fuori  della  città 
e  del  contado  or- 
vietano. 


Victurales  accipiaut  de  victuris  et  carregio 
prope  civitatem,  per  duo  miliaria  de  quolibet 
miliare  dtios  sold.  ab  inde  supra  .XVIII.  den. 
prò  miliare. 

Laboratores  extivo  tempore  ed  metendum 
et  vacteudum  ad  plus  prò  die  acci  pere  possint 

prò  quolibet  .X.  sold 

et  expensas,  in  aliis  laboritiis  .Vili.  sold.  cum 
uno  medio  pititto  aquatitii  tantum,  et  hoc  a 
kalendis  aprilis  usque  ad  kalendas  novembris. 
AUis  vero  temporibus  .VI.  sold.  tantum  cum 
aquatitio,  et  siquis  eorumdem  laboratorum  ali- 
quo  quesito  colore  plus  acciperet  vel  peteret 
aut  accipi  vel  peti  faceret,  solvat  nomine  pene 
qualibet  vice  .C.  sold.  den.  et  quilibet  possit 
accusare  et  denumptiare  delinquentem  et  ha- 
beat  medietatem  pene  et  teneatur  sibi  creden- 
tia.  Et  siquis  laborator  extra  civitatem  et  co- 
mitatum  Urbisveteris  causa  Iaborandi  accede- 
rei, solvat  lìomine  pene  prò  qualibet  vice  .X. 
libr.  den.  et  si  moraretur  dieta  de  causa  ultra 
octo  dies,  ex  tunc  de  octo  in  octo  penam  .X. 
libr.  solvere  teneatur,  ita  quod  ultra  primam 
vicem  tot  sint  pene  .X.  libr.  quot  erunt  sum- 
me  .Vili,  dierum.  Siquis  autem  vellet  ire  ad 
laborandum  extra  coinitatum  Urbisveteris,  ha- 
bita  licentia  dnorum  Priorum  populi,  iuxta 
ipsam  licentiam  ire  possit  et  stare  libere  sine 
pena.  Qui  vero  causa  habitandi  ob  dictam  cau- 
sam  se  abseutaret  a  civitate  et  comitatu  et  ac- 
cederei alio,  inde  ad  .XV.  dies  reddire  debeat, 
aliter  dicto  elapso  termino,  ex  tunc  prout  ex 
nunc  et  ex  nunc  prout  ex  tunc,  idem  talis  sit 
ipso  facto  de  civitate  et  comitatu  Urbisveteris 
exbanuitus  et  condempnatus  iu  centum  libr. 
den.  et  omnia  bona  sua  sint  applicata  et  con- 
fiscata Comuni  Urbisveteris.  Et  quilibet  in  quo- 
libet dictorum  casuum  accusare  et  denumptiare 
possit  et  teneatur  sibi  credentia  et  habeat  me- 
dietatem pene,  que  possit  et  debeat  auferri  de 
facto  et  summarie  sine  strepi  cu  et  figura  iudicii 
et  absque  prolatione  sententie. 


Lire  Soldi 

Denari 
cortonesi 


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italiane 

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873 


A   PROPOSITO    DI    IN    ARTICOLO    DI    MASSIMO    KOVALKVSKY,    ECC. 


181 


Tariffa  dei  for- 
nari. 


Tariffa  dei  tes- 
sitori di  panni. 


Furuaiii  suis  liguis  et  sino  foniatico  et  ab- 
sque  noccialis  de  raserio  pauis  bene  cotti  ac- 
cipiaut  ad  plus  .V.  sold.  deu 


Textores  et  textrices  pannorum  liui,  teva- 
gliarum  et  huiusmodi  de  ipsorum  laboritio  ac- 
cipiaut  et  acci  pere  possint  qiiartum  plus  eo 
quod  accipiebant  ante  mortalitatem  et  uou  ul- 
tra, et  siquis  predictorum  extra  coniitatum  et 
civitatein  accederei,  iu  illam  peuam  cadat  si- 
cut  supra  coutiuetiir  de  laboratoribus,  et  sinii- 
lis  modus  erg-a  deliuqueutem  servetur  et  ser- 
vari  debeat 


Tariffa  delle         Alumpue,  bavle  et  iiutrices  in  civitate  mo- 

balie  e  nutrici,     rantes  suis  expeusis  in  anno  ad  plus  accipiant 

.XVI.  libr.  den.  Ille  de   comitatu  libr    .XIIII. 

den.  de  bavlatico 


Tariffa  delle 


Tariffa  dei  ser- 
vitori. 


Famule  et  servitrices  suis  calciamentis  et 
indumentis  accipiant  expeusis  dui  .XV.  libr.  in 
anno.  Ille  autem  que  haberent  expensas,  indù- 
menta  et  calciamenta  cong-rua  habeant  quinque 
libras  et  uou  ultra 


Famuli  et  servitores  extra  civitatem  labo- 
rantes  cum  expeusis  dui  habeant  et  accipiant 
in  anno  .XXX.  libr.  den.  et  non  ultra.  Et  si 
haberent  expensas  et  indumenta  et  calciamenta 
solita  et  decentia,  prò  suo  salario  habeant  in 
anno  florenos  quatuor.  Et  si  non  haberent  a 
duo  expensas,  uec  iudumeuta,  nec  calciamenta 
et  morareutur  omnibus  suis  expeusis,  habeant 
quinquag-inta  libr.  den.  prò  quolibet  .... 


Lavoratrici  e         Laboratrices   et   curatores   accipiant  de  ip- 
curaton.  sorxim  labore  quartum   plus  eo   quod   accipie- 

bant ante  mortalitatem. 


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437 


10 


182 


G.    PARDI 


Tassatori  di 
varie  cose  ven- 
dibili. 


Tassatori  gè 
nerali. 


Ufficiale  ese- 
cutore. 


Quo  vendautur  prò  duobus  den.  unum  .     . 

\  siut  supersti- 


Cecchiuus  Nutii   Macthey   Sal- 
vatici 
Bartucciolus  Vanuis  Davini 
Guicciarellus  Petri  Federici 
Lutius  Bartolomutil 


tes  et  taxato- 
res  super  11- 
guis,  paleis, 
caseo,  pullis, 
anseribus,  er- 
ba et  huius- 
/  modi. 


-   Ceccarellus  dui  Niui 
Contutius  Yanuis  Audrie 
Paulutus  lacobelli  Magalocti 
Uffolinus  Nalli  Cini 


generales  ta- 
xatores  super 
omnibus  et 
sing'ulis  arti- 
bus  et  artifici- 
bus  et  omni- 
bus aliis,  quo- 
1  rum  taxatloni 
/  cum  cousensu 
dnorum  Priorum  popull  stari  et  pareri  debet, 
et  devlse  In  mensem  taxationem  per  Ipsos 
fieudam  roborare  nel  reuovare  debent,  quia  res 
cariores  et  minus  care  In  unius  mensis  spatio 
et  prò  tempore  esse  solent,  quorum  taxatorum 
officlum  durare  debet  .VI.  mejislbus  et  non 
ultra. 

Et  super  predictis  et  quolibet  predictorum 
slt  et  esse  debeat  unus  officialis  et  executor 
cum  Ilio  officio  et  salario  et  familia  sicut  per 
Consilium  fuerlt  stabllitum.  Qui  officialis  iuxta 
elus  discretionem,  In  omni  casu  in  quo  non 
esset  pena  imposita,  posset  penam  impouere 
et  auferre  usque  ceutum  sold.  den.  prout  ipsi 
vldebitur  et  placebit,  et  tam  In  predictis  quam 
in  aliis  penam  et  penas  de  facto  exig-ere  et  au- 
ferre summarie,  slue  strepltu  et  fig-ura  iudicil 
et  ab.-que  prolatione  sententie. 


Orvieto,  decembre  1895. 


Lire  Soldi 

Denari 
cortonesi 


Lire 
italiane 


G.  Pardi. 


IHli 


ANALECTA  UMBRA 


A  prova  della  diffusione  e  della  popolarità  nelT  Umbria  dei  uomi 
dell'antica  epopea,  furono  raccolti  alcuni  di  questi  nel  fase.  II,  a.  I  del 
presente  Bollettino,  \)cig.  4o2.  Ag'giunoiamo,  dedottili  dal  catalog-o  dei 
condannati  eugubini  dal  1240  al  44,  che  conservasi  nell'Archivio  storico 
di  Gubbio,  questi  altri  :  Jaunuarius  Sibiline  (fol.  1),  Blancus  Marsiliae 
(fol.  3),  Alisaute  e  Pag'anellus  (ivi),  Pag'anellus  Bene  e  Pag-anellus  Boni 
(ivi),  Juntolus  Pag'anelli,  Fraucus  Gratiae,  Januarius  Viviani  (ivi),  Agura 
OQannae  (fol.  5  e  seg.),  Flore  Paganelli  (fol.  6),  uxor  Petri  de  Franco 
(fol.  7),  Jacobus  Viviani,  Vivianus  Ade  (ivi),  Johannes  Sibiliae  (fol.  8), 
Francolus  Jaunis  (fol.  9),  Marsilia  uxor  domini  Uguicionis  (fol.  10),  An- 
drae  Oliverii  (13\ 

Com'  abbiam  fatto  pel  soggetto  precedente,  apriamo  una  rubrica  per 
la  raccolta  dei  Fonti  di  Storia  Umbra  nelle  biblioteche  straniere.  A  Dresda 
(cfr.  Katalog  der  Handschriften  der  Kiinigl.  óffentlichen  Bibliotek  zu  Dre- 
sden  di  Franz  Schnorr  von  Carolsfed  ;  Leipzig,  Teubner)  trovansi,  rela- 
tivi  alla  storia  nostra,  i  ms.  seguenti  : 

Cod.  F.  185.  Coustitutiones  domus  Sapientiae  Perusinae.  Documenti 
del  secolo  XIV  ;  copie  del  secolo  XVI,  in  4"  di  ff.  67. 

Cod.  F.  191.  Iter  Penisinuni,  an.  1643  [di  L.  Holsteuio?],  secolo  XVII, 
in  8^  di  ff.  18. 

Cod.  F.  70.  «  Severii  Minervii  de  gestis  Spoletinoruin  »  :  precede 
l'epigramma  di  Niccolò  Scevola  (fol.  2-38).  — '  «  Hic  est  liber  in  se  con- 
tlnens  omues  labores,  omnia  onera  et  quae  ego  Thomas  Martauus  miles 
imperialis  de  Spoleto  passus  sum  toto  tempore  vitae  meae  »,  1429-1440 
{fol.  40-51).  —  «  Vitae  sanctorum  qui  apud  Spoletum  claruerunt  »,  di 
Giov.  Battista  Bracceschi  dell' ord.  di  s.  Domenico  (fol.  51-77).  —  «  Vi- 
tae sauctorum  Concordi!  et  Seutiae  quae  reperiuntur  in  quodam  libello 
ms.,  in  pagina  pergamena  apud  mouiales  ss.  Triuitatis  civitatis  Spole- 
tinae  »  (fol.  78-80).  —  Vita  Poutiani  extracta  ex  libro  pergara.  vetustiss. 


1S4:  ANA1.ECTA   UMBRA 

ms.  etiam  cum  figuris  passiouis  elicti  saucti  »  (fol.  81-83).  —  [Simonis 
de  Raiuis  parmeusis'?]  vitae  potestatum  Spoleti,  1274-1278  (fol.  84-87). 
—  Cronaca  Spoletina,  1305-1424.  De  uobilibus  de  Spoleto,  1378-1419  e 
1347-1417  (fol.  88-135),  Secolo  XVII,  di  ff.  135.  Fu  comprato  a  Roma  nel 
1739. 

E  testé  uscito  un  bel  volume  di  documenti  su  la  Signoria  di  Fran- 
cesco Sforza  nella  Marca  (Recanati,  Simboli)  raccolti  nell'  archivio  di  Re- 
canati da  Michele  Rosi  :  sta  in  bella  compag'uia  con  le  altre  memorie 
pubblicate  su  codesto  argomento  dal  prof.  Gianandrea,  dal  Valeri  e  dal 
Benadduci.  Tra  gli  uomini  d' arme  vi  è  ricordato  Antonello  da  Narni  ; 
tra  gli  uffiziali  pubblici,  Angelo  da  Perugia,  Giovanni  da  Terni,  Lotto 
de'  Sardi  vescovo  di  Spoleto  e  commissario  pontificio,  ser  Antonio  da  Spo- 
leto e  un  Tommaso  (da  Rieti?)  commisi^ario  dello  Sforza;  trai  presentati 
ma  non  eletti  alla  Potesteria  di  Recanati,  Angelo  delli  Jocusi  da  Terni,. 
Antonio  de  Crisolinis  di  Amelia,  un  ignoto  da  Narni,  Pieramico  di  Ar- 
cangelo pitr  d'Amelia,  e  ser  Beninteso  di  Giacomo  da  Foligno. 

Tra  le  spigolature  di  erudizione  e  di  critica  del  prof.  Francesco  Fla- 
mini (Pisa,  Mariotti,  1895  ;  edizione  di  70  esemplari),  un  articolo  è  re- 
lativo a  Giovannautonio  Campano,  di  cui  il  prof.  Lesca  die  un  saggio 
biografico  e  critico  (Pontedera,  Ristori,  1892).  Il  Campano  fu  dal  1472 
al  74  governatore  per  la  Chiesa  a  Todi,  a  Foligno,  ad  Assisi  e  a  Città 
di  Castello  :  dal  52  al  59  era  vissuto  a  Perugia  dove  nel  55  ottenne  la 
cattedra  di  eloquenza.  Il  Flamini  ne  dà  una  succosa  biografia.  E  a  pag.  64 
e  seguenti  descrive  il  ms.  XIII,  C,  32  della  Nazionale  di  Napoli,  che 
contiene  1'  Altro  Marte  di  Lorenzo  Spirito,  non  trascurando  di  menzio- 
nare l'altro  cod.  eh' è  nella  Bodleiana  di  Oxford,  ital.  41. 

Dalla  collezione  di  monete  urbiche,  posseduta  dal  prof.  Bellucci,  la. 
sig.^  Ada  sua  figlia  ha  dedotto  brevi  ma  sicure  Notizie  sulla  zecca  di 
Gubbio  (Perugia,  Boncompagni),  ch'ebbe  vita  dal  tempo  della  signoria 
di  Guidautouio  da  Montefeltro  sino  al  1799.  Di  coloro  che  principalmente 
illustrarono  le  monete  eugubine,  1'  autrice  ricorda  lo  Zanetti,  il  Saverio- 
e  il  Cinagii.  E  Rinaldo  Reposati'?:  e  pure  è  autore  notissimo  Della  zec- 
ca di  Gubbio  in  due  grossi  volumi  (Bologna,  Lelio  dalla  Volpe,  1772-73, 
di  pp.  448  e  499).  I  documenti  che  riguardano  Paolo  Emilio,  Giuseppe, 
Antonio  e  Giovanfrancesco  Galeotti,  zecchieri  durante  i  pontificati  da 
Innocenzo  X  a  Benedetto  XIII,  sono  posseduti  dal  prof.  G.  Mazzatinti 
che  li  acquistò  da  un  rivenditore  di  carte  da  macero  e  sui  quali  può  ri- 
tessersi con  pienezza  la  storia  della  zecca  eugubina  in  quel  periodo.  Le 


ANALECTA   UMBRA  185 

monete  studiate  in  quest'opuscolo  dalla  sig-.*  Bellucci,  l'iirono  inviate^  alla 
recente  Esposizione  di  Città  di  Castello,  della  quale  In  pubblicato  (C.  di 
C,  Lapi),  per  ciò  che  rig-uarda  l'arte  antica,  il  Catalogo  per  cura,  cre- 
diamo, del  cav.  Mag'herini  Oraziani.  Giacché  finora  in  questo  Bollettino 
non  se  u'è  fatta  parola,  crediamo  opportuno  di  additare  (jnalcuno  dei 
molti  ogg'etti  d'arte  umbra,  decoro  di  quella  Mostra  stiuisita.  K,  innanzi 
tutto,  la  tavola,  rappresentativi  la  vergine  seduta  in  trono  col  bam- 
bino, ed  ai  lati  s.  Caterina  e  s.  Pietro  Martire:  in  alto,  sopra  le  due 
colonne  del  trono,  due  angeli  veduti  in  iscorcio.  Nel  Catalogo  (juest'  o- 
pera  bellissima  è  attribuita  a  Giovanni  Santi  :  invece,  è  di  Andrea  .Man- 
tegna.  I  tre  possessori  d'allora  (adesso  è  stata  venduta)  l'acquistarono 
in  Urbino,  dov'era  collocata  su  l'altare  della  cappella  del  Palazzo  du- 
cale e  poi,  da  qui  remossa,  era  stata  nascosta  in  un  soffitto  del  Palazzo 
stesso.  Tale  provenienza,  la  figura  di  s.  Caterina  che  può  giiulicarsi  un 
ritratto,  se  non  d'una  duchessa,  d'una  gentildonna  della  corte,  le  ini- 
ziali A.  M.  (fu  detto  che  indicavano  Ave  Maria  anziché  il  nome  del 
pittore),  la  tecnica  del  quadro  e  tante  altre  circostanze  importanti  per 
la  sua  storia  esterna,  non  furono  tenute  in  nessun  conto  dai  possessori 
inesperti  e  troppo  creduli  ai  g-iudizi  di  piìi  inesperti  nella  pittura,  sì  che 
da  essi  fu  recentemente  venduta  per  un  mitissimo  prezzo.  Chi  l'acquistò 
l'ha  già  rivenduta  come  una  delle  cospicue  opere  di  Andrea  Mantegna, 
Ojtre  a  questa,  notiamo:  parecchie  tavole  d' ig'noti  scolari  del  Perugino 
e  di  seguaci  della  maniera  di  Ottaviano  di  Martino  e  della  scuola  um- 
bra; il  gonfalone  di  Benedetto  Bonfigli  in  s.  Francesco  di  Montone;  pit- 
ture di  Francesco  da  Castello,  di  Sante  di  Tito  e  di  Bernardino  di  Ma- 
riotto;  intagli  in  leg-no  del  Maffei  da  Gubbio;  maioliche  eugubine  del 
secolo  XVI;  un  piatto  e  una  tazza  a  riverbero  di  maestro  Giorg-io;  si- 
g'illi  medioevali  di  Castello  e  di  Montone;  bronzi  umbri;  il  celebre  pi- 
viale della  Cattedrale  di  Gubbio;  i  mig-liori  paramenti  sacri,  og-g-etti  ar- 
tistici e  documenti  onde  son  ricchi  il  tesoro  e  l'archivio  della  Cattedrale 
Castellana. 


Nel  numero  40  della  Cronique  des  arts  P.  Durrieu  ha  stampato  un 
articolo  dal  titolo  Le  jyrimitif  italien  du  Musée  de  Lisieux.  Trattasi  d'una 
pittura  che  proviene  da  Perug-ia,  ed  ora  è  nel  Museo  di  Lisieux  in  Nor- 
mandia. Rappresenta  la  Verg-ine  col  bambino  ed  é  firmata  da  «  Mastro 
Antonio  de  Calvis  » . 

Il  Supplemento  XIV  alla  ZeitscJirift  fftr  romaniftche  philologie  di  Gu- 
stavo Gruber  contiene  la  bibliografia  delle  pubblicazioni  del  1889  (Halle, 


186  ANALECTA   UMBRA 

Niemeyer,  1894)  clie  può  consultarsi  cou  frutto   per   la   storia  letteraria 
<iella  nostra  regùoue. 

Due  belle  raccolte  di  Canti  popolari  romagnoli  e  marchigiani  rac- 
colti a  Fossombrone  (Forlì,  Bordaudiui,  1894:  Pesaro,  Nobili,  1895)  sou 
veuute  ad  arricchire  la  letteratura  folkloristica  mercè  g-Ii  studi  e  le  cure 
dei  professori  B.  Perg-oli  e  D.  Rondiui.  Ai  nostri  studiosi  giovi  qui  darne 
l'annunzio  per  ciò  che  moltissimi  canti  di  quelle  due  regioni  son  comuni 
alla  nostra:  naturalmente  g"li  accurati  annotatori  hanno  sempre  avvertita 
quella  comunanza,  ed  è  talvolta  identità,  di  sentimento  e  di  forma. 

Nelle  Cronache  forlivesi  di  Andrea  Bernardi,  il  più  vero  e  mag- 
gior cronista  di  Romagna,  delle  quali  il  volume  I  è  stato  ora  pubblicato 
su  l'autografo  da  G.  Mazzatiuti,  auspice  la  R.  Deputazione  di  Storia 
Patria  per  le  provincie  romagnole,  due  capitoli  trattano  di  storia  nostra: 
«  La  Cita  de  Castello  tolta  da  M.  Nicolò  dai  Vitello  »,  e  «  La  Cita  di 
Peruxa  tolta  alii  Ode  per  li  Baiune  » .  Non  particolarità  nuove  :  ma 
semplice  ed  utile  conferma  di  quanto  su  quei  due  avvenimenti  ci  era 
noto.  Il  Cronista  ha  narrati  con  larghezza  i  due  fatti,  secondo  che  g-liene 
giunse  «  per  el  devolghe  »  il  racconto  :  e  questa,  in  generale,  è  la  fonte 
delle  sue  cronache,  le  quali  vanno  dal  1476  al  1517. 

Nel  Catalogo  della  B.  Pinacoteca  di  Milano  [Palazzo  Brera]  (Milano, 
Civelli)  sono  notate  varie  opere  umbre.  Due  tavole  di  scuola  umbra 
(pag.  29)  e  un'  altra  della  scuola  del  Perugino  (pag.  30)  appartennero 
alla  galleria  Oggiani  (Sala  F).  Una  tavola  di  Nicolò  di  Liberatore  (Sala  II, 
num.  180)  è  firmata  ed  ha  l'anno  1465:  proviene  dalla  chiesa  dei  Con- 
ventuali di  Cagli.  Costituiva  la  parte  centrale  di  un'ancona  di  quattor- 
dici tavole,  undici  delle  quali  esistono  nella  stessa  Pinacoteca  sotto  i 
numeri  160,  161,  163,  165,  165  A-C,  180,  183,' 200,  276  e  278.  Due  scom- 
parti, rappresentativi  S.  Michele  e  S.  Gerunzio,  furono  ceduti  per  cam- 
bio dall'Accademia  a  Filippo  Benucci  :  un  altro,  in  cui  è  raffigurato 
S.  Sebastiano,  è  nella  galleria  Oggioui,  num.  602.  Il  Frenfanelli  Cibo, 
Nicolò  Alunno  (Roma,  Barbèra,  1872,  pag.  117),  descrive  questa  tavola, 
accennando  soltanto  a  tre  di  quelli  scompartimenti. 

Nella  5*  edizione  del  Katalog  der  gem.dldesammlung  der  Kgl.  àlteren 
Pinakotek  in  Miinchen  sono  descritti  sotto  i  numeri  1034,  1035.  1036 
tre  belli  dipinti  di  Pietro  Perugino  (Sala  Vili,  numeri  561,  550,  590). 
Ne  discorsero  anche  il  Crowe  e  Cavalcasene,  Geschichte,  ecc.,  IV,  267 
e  592. 


ANALECTA    UMBRA  187 

Del  nostro  Presidente  onorario  i)rof.  Ari<)(liiiit(!  Fahrctli,  il  «  ben  vis- 
suto sag'g'io  »,  come  lochiamo  un  suo  coll('<;vi,  ha  tessuto  una  dilij^cntis- 
sima  biografia  il  prof.  P>nianno  Ferrerò  e  l'ha  inserita  nell' ^l/j////a/-/o 
della  R.  Università  di  Torino  (a.  1894-95).  Delle  sue  opere  è  qui  data 
la  bibliografia,  dalle  vite  dei  Capitani  di  ventura,  pubblicate  dal  '42  al 
'46,  ai  documenti  per  la  storia  di  Perugia,  de'  quali  gli  ultimi  videro 
la  luce  nel  '92. 

Come  fu  annunziato  nel  precedente  numero  di  (juesto  Bollettino, 
nella  Miscellanea  storica  della  Valdelsa  (a.  ITI,  num.  2)  è  stato  pubbli- 
cato dal  sig-uor  U.  Xomi-Veuerosi-Pesciolini  1'  accurato  studio  sul  (juadro 
di  Bernardino  Betti  (il  Pinturicchio)  esistente  nella  Pinacoteca  Comunale 
di  San  Gimig-nano.  Fu  fatto  eseguire  dai  monaci  di  Monteoliveto  :  rap- 
presenta la  Vergine  assunta,  adorata  da  un  papa  (S.  Greg-orio)  e  da  un 
santo  abate  (Bernardo  da  Chiaravalle).  Il  documento  dell'allog-azione  del 
dipinto  è  qui  prodotto,  ed  esiste  nell'Archivio  di  Stato  in  Firenze:  se 
ne  deduce  che  1'  opera  era  finita  il  9  febbraio  del  1512.  Illustra  il  bel- 
l'articolo la  riproduzione  fototipica  del  meraviglioso  dipinto. 

Angelo  Lupattelli  ha  dato  alle  stampe  oltre  alla  storia  della  jntt ara 
in  Perugia  e  delle  arti  ad  essa  affini  dal  risorgimento  sino  ai  nostri 
giorni  (Foligno,  Campitelli,  1895),  come  era  stato  annunziato  nel  nostro 
Bollettino,  I,  179,  anche  la  Petit-Guide  de  Pérouse  (Paris,  Pedone  Libraire 
edit.  13,  rue  SoufRet,  1895);  e  l'Accademia  delle  Belle  arti  di  Perugia 
il  discorso  del  colonnello  Claudio  Cherubini  per  la  premiazione  ed  espo- 
sizione dell'anno  scolastico  1894-95  (Perugia,  Santucci,  1895). 

L'annuario  dell'Accademia  di  Spoleto  per  il  1894  (Spoleto,  Bassoni, 
1895)  reca  una  Nota  sullo  statuto  inedito  di  Collestatte  e  Torreorsina.  Fu- 
rono due  comunità  delle  diocesi  di  Spoleto  rette  con  giurisdizione  feudale 
tino  alla  restaurazione  del  Governo  pontificio  dopo  l'epoca  napoleonica. 
Il  conte  Paolano  Manassei,  autore  della  Nota,  ricorda  il  privilegio  di  Be- 
nedetto III  del  maggio  856,  la  costituzione  del  1218  di  Onorio  III  e  gli 
atti  di  Innocenzo  IV,  la  soggezione  agli  Orsini  e  ai  Manassei,  i  quali 
ultimi  tennero  la  giurisdizione  feudale  di  Collestatte  infino  al  1799. 
L'egregio  conte  Manassei  si  domanda:  Quale  ordinamento  ebbero  gli 
istituti  feudali  nello  Stato  Ecclesiastico?  A  risolver  questo  e  molti  altri 
quesiti  che  egli  pone  innanzi,  osserva  giustamente  che  «  molto  ha  gio- 
vato o  gioverà  l'esame  e  lo  studio  degli  statuti  che  si  conservano  delle 
Università  feudali,  statuti  in  cui  la  storia  e  la  vita  di  esse  si  rispecchia  ». 
E  così  cerca  di  dare  un'  idea  dello  statuto  di  Collestatte    e   Torreorsina, 


188  ANALECTA   UMBRA 

redatto  uel  1663  (epoca,  veramente,  insufificieute  a  dare  un  lume)    e   dì- 
viso  nei  soliti  cinque  libri. 

Annunziamo  con  vivo  piacere  la  pubblicazione  deW  Annuario  della 
Accademia  Spoletina  degli  Othisi  1893-94  (Spoleto,  tip.  Bassoni,  1895) 
che  contiene:  Avvertimento  —  CampeUo,  Notizie  storiche  dell'Acca- 
demia —  Anfjelini  C,  Commemorazione  Fontana  e  Sansi  —  Arcan- 
geli D.,  Per  una  g-nida  di  Spoleto  —  Angelini  G.  F.,  L' ag-ricoltura  a 
Spoleto  —  Piergili  G.,  Linfa  fluente  —  Pomjnlj  G.,  Pochi  pensieri  di 
scienza  medica  —  Caetani-Andreani  M.,  A.  Monteluco  —  Gori  F.,  Pro- 
posta di  compilare  una  guida  di  Spoleto  —  Pizotta  F.,  La  letteratura 
classica  agraria  —  Campello.,  Tornata  del  25  ag-osto  1894;  relazione  — 
Campello,  Commemorazione  del  canonico  Bonaccia  —  Angelini  G.  F.f 
Le  attuali  condizioni  della  musica  italiana  —  Caetani-Andreani  il/.,  In 
morte  di  T.  Gnoli  Gualandi  —  Angelini  C,  Di  un  aifresco  di  Giovann 
Spagna  —  Pomjnlj  G.,  Il  parroco  Kueipp  —  Gherghi  B.,  Cenni  biblio 
grafici  e  bibliologici  delle  opere  di  tre  autori  spol etini  —  JSIavai-sei  P. 
Nota  sullo  Statuto  inedito  di  Collestatte  e  Torreorsina  —  Commemorazioni 
dei  soci  De  Eossi,  Fabretti,  Carini  e  Cantù  —  Avvertenza  —  Appendice 
—  Elenco  dei  soci  —  Magistratura  novemvirale.  Come  Appendice  al- 
l' annuario  1893-94  sono  pubblicati  g"li  atti  della  tornata  6  ottobre  1895, 
dove  dopo  le  parole  del  presidente  Paolo  Campello  della  Spina  si  dà  il 
discorso  del  socio  sen.  Gaspare  Finali  intitolato:  Umbria  nella  Divina 
Commedia. 

Il  nostro  egreg-io  socio  Giuseppe  Terrenzi  nei  suoi  ajypiinti  e  note 
storiche  parla  del  Comune  di  Xarni  durante  il  secolo  XIII^  in  un  libretto 
di  pag'ine  77-XXII  (Terni,  Alterocca,  1895),  prendendo  le  mosse  dalla 
sog-gezione  in  cui  passò  il  Comune  dall'Impero  alla  Chiesa,  soggezione 
che  si  riduceva  al  pagamento  di  sussidi,  alla  confeima  degli  statuti  e 
all'  arbitrato  da  accettare  dalla  S.  Sede.  Narra  gli  avvenimenti  di  quel 
secolo,  le  tendenze  alle  eresie  patarine,  lo  spirito  di  rappresag-lia,  l'in- 
fluenza di  S.  Francesco,  l'azione  di  Innocenzo  III,  di  Onorio  III,  di  Gre- 
gorio IX,  di  Innocenzo  IV,  di  Alessandro  IV,  l' alleanza  di  Narni  con 
Spoleto  e  Todi  (1259),  la  costituzione  interna  del  Comune,  per  la  quale 
si  mantenne  gagliardo  nelle  sue  libertà,  entrando  a  far  parte  di  quella 
lega  umbra  con  Perugia,  Todi,  Spoleto  e  Assisi  che  Bonifacio  Vili  di- 
sciolse, chiamandola  cosa  nefanda.  La  narrazione  benissimo  condotta 
sulla  storia  generale,  e  scritta  con  cuore  caldo,  termina  con  un  manipolo 
di  documenti,  dodici  in  tutti,  che  si  completano  con  la  pubblicazione 
del  Pardi  fatta  nel  l  volume  del  nostro  Bollettino:  Due  paci  fra   Tern^ 


i 


AXALECTA    UMI5UA  189 

■e   Xarni,  ecc.,  dove    si    produssero    i    documenti    l-27)S    decembre  1,  dati 
neirVIII  e  IX  dal  Terreuzi  nucora. 

Negli  Atti  della  TI.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  voi.  X.XIX, 
si  contiene  una  nota  del  prof.  Federico  Paletta  :  Apjninfi  da  un  viano- 
scritto  della  Capitolare  di  Perugia,  che  contiene  i  franiinenti  del  vangelo 
di  S.  Luca  editi  nel  secolo  scorso  dal  Bianchini  (Evangeliarum  tjuadru- 
2)lej\  parte  2*,  voi.  2",  p.  D  e  XI  e  seguenti)  e  da  lui  giudicati  del  prin- 
cipio del  secolo  VI  e  di  cui  vedi  Blume,  Iter  dal.,  10,  249,  Bellucci  in 
Mazzatinti,  Inventario  dei  manoscritti  delle  Biblioteche  d' Italia,  Bettmanu, 
Archivio  di  Pertz,  XII,  óló.  L'egregio  professore  esamina  con  buona  cri- 
tica il  manoscritto,  esclude  che  vi  sieno  traccie  di  lettere  in  oro,  uè  pur- 
puree, specialmente  per  avere  osservato  in  un  manoscritto  di  numero  29 
del  secolo  XI  nella  parte  interna  di  una  delle  assicelle  della  legatura 
«  traccie  evidenti  di  un  foglio  e  mezzo  di  pergamena  bianchissima,  scritta 
a  due  colonne  per  pagina  in  antica  e  bella  onciale.  Le  membrane  forte- 
mente incollate  al  legno  furono  malamente  strappate,  di  modo  che  ri- 
masero aderenti  alla  fodera  brani  di  pergamena  e  l' inchiostro  delle  let- 
tere, che  ora  appaiono  naturalmente  voltate  in  senso  contrario  ».  Egli 
colTassistenza  del  reverendissimo  Romitelli  vi  ravvisò  frammenti  del  van- 
gelo di  S.  Giovanni  appartenenti  senza  alcun  dubbio  allo  stesso  evange- 
liario, di  cui  facevano  parte  i  frammenti  pubblicati  dal  Bianchini.  Al- 
l'altra assicella  della  legatura  dello  stesso  manoscritto  numero  2)  era  in- 
collata una  carta  originale  disgraziatamente  mancante  a  sinistra,  che 
riproduce,  emeudaudo  il  Bethniauu  che  l'ascrive  al  secolo  IX,  mentre 
deve  ritenersi  del  principio  dell'  XI. 

In  nn  opuscolo  intitolato  Vita  di  S.  Eraclio  martire  e  descrizione 
della  sua  chiesa  nel  castello  di  questo  nome  (Foligno,  Artigian.  di  S.  Carlo, 
1895),  monsignor  Faloci  Pulignani  ristampa  quanto  di  S.  Eraclio,  di 
S.  Giusto  e  di  S.  Mauro  scrisse  il  Jacobilli  nel  1G28  a  pagine  131  134 
delle  vite  dei  santi  e  beati  di  Foligno  con  varie  annotazioni  e  giunte. 
Racconta  poi  brevemente  le  notizie  della  chiesa  del  secolo  XI  e  delle  sue 
pitture  del  secolo  XV  fino  a  questi  ultimi  anni,  in  cui  ridotta  a  teatro 
ed  altri  usi,  nel  '95  fu  ristabilita  al  culto,  dopo  lunghe  contese,  e  col 
concorso  del  Governo  restaurata.  Si  danno  in  JBue  vari  cenni  sopra  al- 
cuni che  sortirono  i  natali  in  Sant'  Eraclio. 

Fra  le  recensioni  del  libro  del  prof.  Turbini  Giulio  su  la  patria  di 
Properzio,  aggiungiamo  quelle  accolte  nei  seguenti  periodici  :  La  lette- 
ratura, IV,    19    (recensione    favorevole    di    C.  Antona   Traversi)  ;  Revue 


190  ANALECTA    UMBRA 

critique  iV  liistoire  et  de  litterature,  numero  46  (recensione  favorevole  di 
Felice  Ramorino)  ;  il  Bibliofilo,  X,  9-10  (favorevole)  ;  Berliner  Philolo- 
gische  Worchenschift,  X,  22,  (ì9(S-700.  Ivi  il  signor  Ugo  Magnas  dice 
che  il  libro  «  prova  una  scienza  profonda  ed  un'ampia  conoscenza  della 
letteratura  speciale  dell'argomento,  da  raccomandarsi  anche  in  Germania 
a  tutti  coloro  che  vogliono  approfondire  la  questione  ». 

Pubblicazioni  nuziali.  —  Il  dotfc.  Ugo  Patrizi  ha  stampato  per  le 
nozze  Paci-Tommasi  (Città  di  Castello,  Lapi)  due  sonetti  di  Nerio  Mo- 
scoli,  di  cui  e  d'altri  poeti  umbri  darà  presto  la  vita  e  le  rime  il  pro- 
fessore Pietro  Tommasini.  I  due  sonetti  com.  :  «  Lor  eh'  io  porsi  la  mano 
en  ver  le  rose  »  e  «  Do  lo  robaste,  di,  donna  leg-giadra  ».  Il  Mescoli,  è 
detto  nella  lettera  dedicatoria,  è  di  Castello  e  «  vissuto  tra  lo  scorcio  del 
1200  e  1  primi  del  300  »  :  egli  «  conferma  la  tradizione  che  die'  agli 
umbri  un  alto  posto  nella  vita  del  pensiero  e  nella  forza  dell'  immagi- 
nazione e  del  sentimento  ».  —  Il  prof.  G.  Donati  ha  tratto  dal  ms.  H^ 
fi!  della  Comunale  di  Perugia  un  sonetto  (  «  Qual  donna  si  puoy  dar  quel 
vero  vanto  »)  di  Lorenzo  Spirito  e  1' ha  pubblicato  per  le  nozze  Cone- 
stabile  Della  Staffa-Moceuigo  Soranzo  (Perugia,  Boncompagni),  riprodu- 
cendo con  istrettissimo,  e  forse  soverchio,  rigore  diplomatico  la  lezione 
del  codice.  —  Lo  stesso  prof,  ha  dato  in  luce  per  altre  nozze  illustri 
(Pavxlucci  de'  Calboli-Lazari)  il  sonetto  del  Petrarca  «  Benedetto  sia  '1 
giorno,  ecc.  »  qual'  è  nel  ms.  C.  43  della  biblioteca  perugina.  —  Per 
nozze  Meniconi  Bracceschi-Taticchi  il  conte  Alessandro  Ansidei  ha  ripub- 
blicata (Perugia,  Boncompagni)  l'ode  «  Dolce  mi  suona  ancora  »  d'Ip- 
polito Pindemonte  (edita  già  a  Perugia  nel  1780  per  nozze  Meniconi- 
Oddi),  che  fu  amico  ed  estimatore  di  Reginaldo  Ansidei.  —  Su  II  ca- 
stello dì  SanV Elena  ha  raccolte  notizie  sconosciute  il  medesimo  Conte  e 
le  ha  dedicate  al  prof.  V.  Sereni  nel  dì  delle  nozze  di  sua  figlia  Giuditta 
con  Francesco  Bologna  (Perugia,  Santucci).  Di  questo,  come  dei  tanti 
altri  castelli  del  territorio  perugino,  Giuseppe  Belforti  cercò  e  mise  as- 
sieme le  memorie  storiche,  le  quali  Annibale  Mariotti  ampliò  ed  illustrò 
di  note  eruditissime.  Il  conte  Ansidei  ha  ritessuta  la  storia  del  castello 
antico,  di  cui  rimangono  ancora  gli  avanzi  severi  e  le  mura,  su  quelle 
memorie  e  su  altre  che  dedusse  dai  privati  archivi  delle  famiglie  Ugo- 
lini e  Sansoni. 

Nel  Separatabdruct  aics  «  Zeitsclirift  fUr  handelsrech  »  (Band.  XLI) 
trovasi  una  recensione  del  Goldschmidt  ad  una  lettera  del  perugino  Bal- 
do degli  Ubaldi  pubblicata  dal  dott.  Federico  Patetta.  Questa  lettera  di 
Baldo  (1327?  —  1400),  il  quale  fu  una  delle  più  salde  colonne  della  giù- 


ANALECTA    l  MllKA  191 

risprudeuza  medievale  dopo  la  morte  del  suo  grande  iiiacstro  Bartolo, 
riguarda  negozi  cambiari,  ed  è  perciò  iuteressautissima  ])ercliè  non  si 
aveva  fiu  qui  alcuna  notizia  che  Baldo  avesse  egli  stesso  preso  jìarte  ad 
affari  commerciali  e  di  cambio.  La  lettera  edita  dal  Patetta  trovasi  nella 
Vallicelliana  di  Roma  (IIs.  I).  24)  ed  il  Goidsclunidt  opina  giustamente 
appartenga  agli  ultimi  anni  della  vita  di  Baldo,  l'orse  nel  1399,  in  cui 
fu  chiamato  da  Pavia,  dove  era  insegnante,  a  Piacenza,  al  qual  fatto 
sembra  riferirsi  un  passo  della  lettera  medesima. 

F.  Meili  nel  suo  scritto  intitolato  Die  theoretischen  Abhandlungen 
von  Bartolus  iind  Baldus  uber  </a.s'  internationale  Privat-iind  Strafrccht 
rusammengestellt  (Leipzig,  Duncker  u.  Ilumblot  1894,  p.  64,  in  8  —  Ver- 
mehrter  Sondetabdruck  aus  der  Zeitsch.  filr  internationale  Privat  u. 
Strafrecht  IV)  trascrive  le  trattazioni  di  Bartolo  e  di  Baldo  relative  al 
diritto  privato  internazionale  e  con  ampia  dottrina  le  illustra,  provando 
che  con  Bartolo  si  inaugura  un'epoca  nuova  per  il  diritto  privato  e  pe- 
nale internazionale  e  Baldo  partecipa  con  lui  all'onore  del  principato  di 
questa  scienza. 

Un  bel  discorso  è  quello  che  il  Pardi  ha  pronunziato  nella  solennità 
della  distribuzione  dei  premi  delle  scuole  Liceali,  Ginnasiali,  Tecniche 
e  Elementari  di  Orvieto  il  20  novembre  del  1895.  Egli  ha  parlato  della 
storia  e  della  sua  importanza  nell'insegnamento  con  parola  elevata  e 
brillante.  «  Xella  storia  all'  indagine  paziente  e  minuziosa  dei  fatti  si  ac- 
coppiano stiipendameute  l'impeto  della  eloquenza,  l'ardore  ed  i  colori 
smaglianti  della  poesia,  la  profondità  di  considerazioni  della  filosofia  ». 
E  qui  dà  a  grandi  linee  i  sommi  insegnamenti  che  si  ritraggono  dalla 
suprema  maestra  della  vita,  abbracciando  a  larghi  tratti  la  storia  delle 
popolazioni  asiatiche,  dove  fu  la  culla  della  civiltà,  la  storia  del  popolo 
romano,  dalla  unità  del  cui  impero  si  dilatarono  rapidamente  dovunque 
e  senza  ostacoli  le  belle  massime  del  cristianesimo,  la  storia  d'Italia,  che 
«  sede  una  volta  di  un  potentissimo  impero,  fiorente  d' agricoltura  anche 
dove  regna  or  la  malaria,  ricca  di  commerci  «e  d'industrie,  invasa  poscia 
da  stranieri  di  og-ui  specie  —  gli  uni  meno  barbari  degli  altri,  ma  cru- 
deli i  secondi  più  dei  primi  —  divisa,  sminuzzata,   lacerata, vide  a 

poco  a  poco  crescere  con  tanti  e  sicuri  progressi  da  umili  principi  quella 
cavalleresca  casa  di  Savoia  che  doveva  finalmente  coronare  il  sogno  dei 
patrioti  e  dei  martiri,  l'indipendenza  e  l'unità  della  patria ».  Il  di- 
scorso splendido  offerto  a  S.  M.  la  Reg-ina  Margherita,  ha  incontrato  dal- 
l'Augusta  Donna,  che  personifica  la  bontà  e  la  cultura  italiana,  il  più 
sincero  gradimento,  e  il  giovane  autore  ha  ricevuto  dall'alta  Signora  i 


192  ANALECTA   UMBRA 

più  lusiughieri  rallegramenti,  felicitandosi  coli'  eg-regio  professore,  che 
dalla  cattedra  eleva  i  giovani  ai  più  nobili  ideali  del  bello  e  della  patria. 
Il  discorso  è  stato  elegantemente  stampato  dalla  Tipografia  Boncompagni 
di  Perugia. 

Il  nostro  socio  prof.  Carmelo  Cali  in  xin  opuscolo  intitolato:  «  Pacifico 
Massimi  e  l' Hecatelegium  »  discorre  della  lunga  e  agitata  vita  del  poeta 
Ascolano,  dà  la  bibliografia  delle  opere  di  lui  che  «  fu  il  creatore  dì 
quel  genere  di  poesia  a  doppio  senso  che  ha  nome  da  Francesco  Berni, 
precorse  in  un  certo  qual  modo  Pietro  Aretino  e  fu  in  polemica  con  An- 
giolo Poliziano  »,  rammenta  l'opinione  che  di  questo  umanista  ebbero  i 
contemporanei  ed  i  posteri  e  conclude  con  l'affermare  che  il  Massimi  ha 
lasciato  nell'arte  tracce  indelebili.  —  L'opuscolo  pregevole  per  la  pro- 
fonda ed  estesa  cultura,  della  quale  il  prof.  Cali  vi  dà  saggio,  ha  per 
noi  uno  speciale  interesse,  poiché  il  Massimi  visse  in  Perugia  dal  1459 
fino  al  1467  per  lo  meno,  fu  protetto  dai  Baglioni  e  particolarmente  da 
Braccio  II  e  ricordò  in  molte  sue  poesie  uomini  e  cose  di  Perugia. 

Un  mazzetto  di  leggende  Sublacensi  illustrate,  è  una  vera  fioritui'a 
di  erudizione  del  signor  Carlo  Merkel  che  con  questo  titolo  ha  pubblicato 
un  libretto  (Roma,  Forzani  e  C.)  di  40  pagine,  di  utile  e  gratissima  let- 
tura. Esse  leggende  hanno  un  valore  storico  notevole  veramente,  «  Pro- 
vano per  quali  robuste  fila  avvenimenti  e  racconti  antichissimi  si  siano 
conservati  nella  memoria  del  popolo...  Queste  leg'g'ende  e  questi  usi  che  lo 
scetticismo  moderno  non  ha  potuto  soffocare  ci  fanno  rivivere  nei  tempi 
antichi,  in  cui  l'Alighieri  immaginò  la  Divina  Commedia,  ci  rappresen- 
tano ancora  quel  popolo  pio  ed  immaginoso,  dal  quale  per  secoli  usci- 
rono tanti  artisti  maravigliosi  ».  I  titoli  sono  questi:  1.  Leggende  di 
S.  Benedetto.  2.    Santa  Chelidonia.  3.  Il  Santuario  della  SS.  Trinità. 

Negli  Atti  deW Accademia  Properziana  del  Subasio  in  Assisi  (decem- 
bre  1895,  numero  3)  il  canonico  Giuseppe  Elisei  egregiamente  illustra 
un  sarcofago  gentilesco,  che  trovasi  nel  sotterraneo  dell'antica  Chiesa 
Ugoniana  sotto  la  presente  cattedrale  di  S.  Rufino,  e  pubblica  delle 
memorie  storiche  sul  coro  grande  della  stessa  Cattedrale,  opera  splendida 
di  maestro  Giovanni  da  Sanseverino.  —  Le  sculture  del  sarcofago  sou 
riprodotte  in  una  tavola  in  fondo  a  questo  fascicolo  degli  Atti  della  be- 
nemerita Accademia  Assisana. 


1!>3 


SPOGLIO  DI  PERIODICI  (1891-92) 


Archivio  storico  dell'arte  (Roma). 

1891,  fase.  1.  Fumi  L.,  Ricordi  d'un  Oratorio  del  secolo  XV  nel 
Duomo  di  Orvieto.  Alle  dilig-entissime  notizie  storiche  seg-uouo  26  docu- 
menti inediti,  tratti  dall'Archivio  dell'Opera,  dal  1402  al  1493.  La  cap- 
pella venne  demolita  :  «  alcuni  frammenti  di  marmo  scolpito  a  busti  di 
santi  e  stemmi  dell'  Opera,  rinvenuti  dopo  demoliti  gli  altari  nel  luogo 
ove  era  stata  la  cappella,  hanno  indotto  a  crederli  avanzi  degli  ornati 
di  essa.  Ma  nulla  di  certo  ;  e  nuli'  altro  rimane  di  questa  opera  che  il 
ricordo  pervenutoci  dai  documenti  » .  —  Compimento  del  palazzo  Marino 
in  Milano  di  Galeazzo  Alessi  :  notizia. 

Fase.  2.  Fritz  Harck,  quadri  di  maestri  italiani  nelle  Gallerie  ]ìri- 
vate  di  Germania.  Nella  Galleria  Weber  di  Amburgo  la  scuola  umbra 
è  rappresentata  da  una  lunetta  attribuita  al  Perugino,  ma  da  ascriversi 
piuttosto  alla  sua  scuola.  Due  altre  tavole  pone  l' Harck  in  compagnia 
di  quest'opera  umbra  :  ma  esse  sono  di  Marco  Palmezzano  che  è  forli- 
vese !  —  Corrado  Ricci,  Fioravante  Fioravanti  e  V architettura  bolognese 
nella  prima  m,età  del  secolo  XV.  Toccasi  del  F.  in  Perug-ia,  dove  «  fe- 
de lo  chastello  di  Braccio  »  Fortebraccio  a  Montone,  coni'  è  dichiarato 
In  una  lettera  di  Jacopo  della  Quercia  a  un  operaio  del  Duomo  di  Siena. 
A  Montone  fu  nel  1418  :  questa  data  è  stabilita  dal  R.  mercè  un  docu- 
mento deir Archivio  criminale  di  Bologna.  Anche  si  determina  che  i  la- 
vori dell'emissario  perugino  del  Trasimeno  sono  suoi,  malgrado  l'asserto 
di  Annibale  Mariotti  che  li  attribuisce  ad  Aristotile  Fioravanti  ;  e  pur 
suoi  son  quelli  eseguiti  al  Velino  presso  la  caduta  delle  Marmore.  —  E. 
A.,  La  remozione  del  coro  della  chiesa  suiìeriore  di  s.  Francesco  d'Assisi. 
L'a.  esprime  il  proprio  parere  dichiarando  che  plaude  alla  remozione, 
«  poiché  si  riparò  in  tal  modo  ad  un  grave  errore  artistico  compiuto  nel 
1500,  l'errore  d' ingombrare  un  tempio  che  artisticamente  può  dirsi  il  più. 

13 


194  SPOGLIO   DI   PERIODICI 

bello  e  perfetto  della  cristianità  » .  La  ragione  del  suo  plauso  sta  uel  fatto 
che  il  coro  del  Sanseverinate  «  copriva  parte  delle  pitture  di  Giunta  e 
di  Cimabue,  stuouava  pure  colle  linee  perfettamente  euritmiche  del  mo- 
numento, ed  impediva  che  1'  altare  potesse  essere  ricollocato  uel  mezzo 
della  crociera,  suo  posto  originario  ».  Conclude:  «  meglio  quindi  che  la 
remozione  sia  avvenuta  ». 

Fase.  3.  N.  B[aldoria],  Recensione  dell'  opuscolo  di  Luca  Beltrami, 
Andrea  Orcagna  sarebbe  autore  d'un  disegno  per  il  pulpito  del  Duomo 
di  Orvieto?  Gli  pare  che  il  Beltrami  «abbia  colto  nel  segno  attribuendo 
quel  prezioso  frammento  ad  Andrea  Orcagna,  il  quale,  come  si  sa,  prese 
parte  ai  lavori  del  Duomo,  sia  come  architetto,  sia  come  mosaicista  dal 
1358  al  1361,  dopo  cioè  aver  terminato  a  Firenze  il  celebre  tabernacolo 
di  Or  San  Michele  ».  Nuove  e  minute  osservazioni  del  Baldpria  confer- 
mano e  raiforzano  questo  giudizio.  —  Tiberi  L.,  Adamo  Rossi  :  necro- 
logia e  bibliografia  de'  suoi  scritti  editi  sulla  storia  e  di  critica  artistica,, 
e  degl'  inediti.  Fra  questi  sono  da  notarsi  alcune  memorie  su  la  Catte- 
drale di  Perugia,  su  la  fontana  e  1'  acquedotto,  su  la  pittura  dal  seco- 
lo XIII  al  XVI,  il  catalogo  descrittivo  della  Pinacoteca  Vannucci,  vari 
studi  su  Raffaello  e  un  discorso  su  gli  architetti  fra  Bevignate,  Barto- 
lomeo Mattioli  e  Galeazzo  Alessi. 

Fase.  5.  A.  Nardini  Despotti  Mospignotti,  Lorenzo  del  Maitano  e  la 
facciata  del  Duomo  di  Orvieto.  Monografia  ampia  e  diligentissima. 

Fase.  6.  E.  Miintz,  L'architettura  a  Roma  durante  il  pontificato  di 
Innocenzo  Vili:  Nuovi  documenti.  Uno  di  questi,  del  31  marzo  1485, 
riguarda  «  magistro  Gasparrino  civi  perugino  architectori  » . 

1892,  fase.  1.  V  è  data  la  riproduzione  del  quadro  di  Fiorenzo  di 
Lorenzo,  posseduto  dalla  Galleria  Borghese,  rappresentante  il  crocifisso 
coi  santi  Girolamo  e  Cristoforo.  «  Da  alcuni  attribuito  alla  giovinezza 
del  Pinturicchio,  splende  come  se  fosse  tutto  incastonato  di  gemme,  ha 
la  freschezza  d'un'opera  appena  uscita  dalle  mani  del  suo  autore  ». 

Fase.  2.  Kristeller  P.,  La  xilografia  veneziana.  V  è  riprodotto  il  fron- 
tespizio della  «  Spiritualis  vitae  compendiosa  regula  »  di  fra  Cherubino 
da  Spoleto,  in  grandezza  originale  (Venezia,  s.  a.,  in  4).  E  v'  è  ricor- 
data la  rara  edizione  dei  Fioretti  (Venezia,  1490)  di  cui  un  esemplare  è 
nel  Museo  Correr  G.,  13  :  a  fol.  1  è  incisa  la  figura  del  santo  che  riceve 
le  stigmate  (cfr.  la  Bibliographie  des  livres  à  figures  vénitiens  del  Duca 
di  Rivoli,  pag.  85  e  170). 

Fase.  3.  A.  Venturi,  Disegno  per  il  pulpito  del  Duomo  di  Orvieto. 
E  nel  gabinetto  delle  stampe  a  Berlino  e  qui  vien  riprodotto  (vedi  l'ar- 
ticolo del  Beltrami  sopra  citato).  Il  prof.  V.  nota  che  «  lo  stile  delle  fl- 
gurette  del  disegno  di  Berlino,  stile  più  distinto  che   nelle  altre  di  Or- 


SPOGLIO    DI   l'ERIODICI  195 

vieto,  ha  caratteri  spiccatamente  senesi,  tanto  che  non  sarciumo  alieni  di 
credere  che  il  diseg'uo  apparteng-a  a  Lorenzo  Maitani  ». 

Fase.  5.  Boni  G.,  Il  Leone  di  s.  Marco.  S'accenna  al  Toro  in  bronzo 
della  Cattedrale  di  Orvieto  e  se  ne  dà  la  fototipia.  K  di  Lorenzo  Mai- 
tani. —  Nella  Miscellanea  si  dà  la  notizia  del  liicollocainento  del  coro 
in  s.  Francesco  d'Assisi.  Il  Cavalcasene,  che  quel  ricollocaniento  com- 
battè col  Sacconi,  col  Cantalamessa  e  col  Sacconi,  torna  a  riaffermare  il  \ìto- 
prio  giudizio  sulla  giustizia  della  rimozione  del  coro  (cfr.  il  rapporto  del 
Sacconi  in  Bollettino  ufficiale,  uum.  23  ;  30  dicembre  e  4  maggio  1S!)2), 
cui  definisce  «  macchinoso  mobile  »,  pur  riconoscendo  (meno  male  !)  eh'  è 
«  non  privo  di  pregi  » . 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria  (Roma). 

1891,  fase.  1-2.  L.  Fumi,  Carteggio  del  Comune  di  Orvieto  degli  anni 
1511  e  1512.  Sono  28  lettere  importanti  per  la  storia  delle  imprese  di 
Giulio  IL 

1892,  fase.  1-2.  C.  Calisse,  Costituzione  del  patrimonio  di  S.  Pietro 
in  Tuscia  nel  sec.  XV.  Ne  fecero  parte  la  contea  di  Sabina,  compren- 
dente i  distretti  di  Narni,  Terni,  Rieti,  Amelia  e  il  territorio  fra  Spoleto 
e  la  Nera.  Anche  vi  sono  studiati  i  diritti  di  Orvieto  su  vari  Comuni. 

Archiv  fììr  literatur  und  Kirchengeschiciite  (Friburgo). 

1891,  fase.  1.  Ehrle  Fr.,  Die  dltesten  Hedactionen  der  Generalcon- 
stitutionen  des  Franziskanerordens.  In  questa  dotta  trattazione  sono  pub- 
blicati estratti  di  decisioni  di  Capitoli,  fra  i  quali  di  quelli  di  Assisi.  Fra 
i  manoscritti  delle  antiche  costituzioni  è  studiato  quello  della  Comunale 
di  Todi. 

ARCin\ao  storico  italiano  (Firenze). 

1891,  disp.  3.  Necrologia  del  barone  A.  Sausi.  Comprende  un  esame 
accurato  delle  opere  sue  illustranti  la  storia  di  Spoleto. 

Disp.  4.  Favorevole  recensione  della  Storia  di  Città  di  Castello  del 
Magheriui  Graziani.  —  Nello  stesso  fase.  E.  Miiutz  prende  in  esame  i 
lavori  e  le  pubblicazioni  sulla  storia  dell'arte  italiana. 

Fra  le  altre  opere  è  notata  quella  dell'  lieiss,  Médailleurs  de  la  Re- 
naissance in  mezzo  ai  quali  è  Ludovico  da  Foligno.  Ed  è  pur  ricordato 
che  in  uno  dei  volumi  del  catalogo  della  Collezione  Spitzer  appare  il 
pastorale  di  Benci  Aldobrandini  vescovo  di  Gubbio  (1331)  e  un  bassori- 
lievo magnifico  dei  Della  Robbia,  rappresentante  l'Ascensione  e  prove- 
niente da  Città  di  Castello. 


196  SPOGLIO   DI   PERIODICI 

Arte  e  storia  (Firenze). 

1891,  Bonucci  I.,  Un'opera  di  Bernardino  Pinturicchio.  Crede  sia 
suo  il- quadro  dell'Assunta  eh' è  nel  Museo  di  Napoli.  —  Faloci-Pulig-uani 
M.,  La  Maestà  bella  x>resso  Foligno.  È  l' immagine  a  fresco  d'una  ma- 
donna, dipinta  nel  sec.  XV  in  un'  edicola  fuori  della  città  da  Pietro  Moz- 
zasti. Cfr.  Tja  Bondinella,  strenua  umbra,  Spoleto,  1843,  pag.  5  e  seg*. 
—  Notizie  di  Spoleto  sui  restauri  nel  Duomo,  e  sulla  scoperta  del  teatro 
romano  e  della  rocca. 

1892,  Miintz  E.,  Gli  architetti  Cola  di  Caprarola  e  Antonio  da  san 
Gallo  il  vecchio  a  Nepi.  Cola  fu  illustrato  con  documenti  da  A.  Rossi  iu 
Giorn.  di  erudiz.  artistica,  I,  3  e  seg".,  343  e  seg".  Lavorò  a  Todi  e  a 
Foligno. 

Atti  della  R.  deputazione  ferrarese  di  storia  patria  (Ferrara). 

1892,  fase.  1.  Venturini  0.,  Belgradi  accademici  conferiti  dallo  stii- 
dio  di  Ferrara  nel  primo  secolo  di  sua  istituzione.  L'  8  magg'io  1488  fa 
conferito  il  «  doctoratus  in  medicina  »  ad  «  Autonius  de  Vitellensibus 
de  Fulig-no  » .  Un  «  dominus  Bandinus  de  Fulig-no  »  era  tra  i  commissari 
pei  conferimenti  delle  cattedre  nel  1402. 

Axxuali  dell'Università  di  Perugia  (Perug-ia). 

1892,  1.  Scalvanti  0.,  Il  Mons  pietatis  di  Perugia  con  qualche  no- 
tizia sul  Monte  di  Gubbio:  con  documenti. 

Atti  dell'accadeiiia  la  Nuova  Fenice  (Orvieto). 

Rapporti  delle  tornate  1890-91,  BuUettino  2-4.  Il  socio  G.  Cozza  Luzi 
lesse  il  discorso  //  Duomo  d'  Orvieto  e  Raffaello  Sanzio  nel  trionfo  eu- 
caristico ;  il  socio  Zampi  trattò  della  pianta,  e  il  socio  L.  Fumi  delle  de- 
corazioni a  stucco  nelle  cappelle  del  Duomo  stesso  e  delle  pitture  che 
qui  furono  eseguite  dal  1337  iu  poi  ;  il  socio  Onori  della  vita  e  delle  ope- 
re di  Gentile  da  Fabriano  che  dipinse  anche  a  Perugia,  a  Città  di  Ca- 
stello ed  in  Orvieto,  dove  nel  1425  compiè  in  una  cappella  del  Duomo 
\?i,  X>ulcerrima  maiestas  ;  il  socio  Fumi  discorse  dei  Moualdi  e  Filippeschi 
a  proposito  de.'  noti  versi  del  canto  IV  del  Purg.  di  Dante.  Anche  si 
die  conto  del  Diario  Orvietano  di  ser  Tommaso  di  Silvestro,  di  cui  la 
stampa  è  affidata  alle  cure  amorose  e  sapienti  del  socio  Fumi,  e  dell'Al- 
bum poliglotto  che  fu  da  lui  raccolto  e  pubblicato  pel  sesto  centenario 
del  Duomo.  Notevolissima  in  questo  splendido  volume  la  introduzione 
storica  del  socio  Rondoni,  eh' è  un  felice  riepilogo  della  storia  medio- 
evale orvietana,  fatto  sul  Codice  Diplomatico  della  città,  messo  assieme  e 
dato  in  luce  nel  1884  dallo  stesso  socio  L.  Fumi.  Sono  altresì  da  segna- 


SPOGLIO   DI   PERIODICI  197 

larsi  gli  articoli  del  Lisiiii  sui  pareri  di  T^ori'iizo  Maitaui  e  il  Duomo  di 
Sieua  ;  del  Gaudiui  sulle  tappezzerie  dipinte  nel  J)uonio,  con  riprodu- 
zioni eroniolitografìche  ;  del  Beltrauii  ohe  indaga  se  Andrea  Orcagiia  lu 
autore  d'un  disegno  pel  pulpito  del  Duomo;  del  Leonori  su  le  più  in- 
signi cattedrali  del  secolo  XIII;  del  Nardiui  Despotti  su  i  (|uadri  a  mo- 
saico nella  tacciata  del  Duomo.  Il  socio  Cerretti  vi  pubblicò  la  lìappre- 
sentazione  del  miracolo  di  Bolsena,  prezioso  documento  per  la  storia  del 
teatro:  cfr.  Torraca,  Il  teatro  Hai.  (Firenze,  Sansoni,  1885),  pag-.  VI. 

Rapporti  delle  Tornate  1891-92.  Il  socio  Fumi  trattò  di  l'aolo  111  in 
Orvieto  uel  1536,  secondo  le  notizie  tramandate  dalle  Riforme  e  da  lui 
ilhistrate  con  note.  Nella  seduta  del  15  giugno  fu  approvata  la  stampa 
d'  un  opuscolo  dal  titolo  Eapporti  fra  Genova  ed  Orvieto  nel  secolo  XIV, 
dimostrati  da  nove  documenti  ^^1300-1390)  tratti  dall'arch.  coni,  orvietano 
e  dal  socio  Fumi  pubblicati  in  omag-g-io  al  quinto  Cong'resso  storico  di 
Genova.  Questo  numero  del  Bollettino  è  illustrato  da  un  diseg-no  di  fram- 
mento di  tazza  etrusca,  che  conservasi  nel  museo  Faina,  e  da  due  piante 
del  Duomo. 

Xum.  5-6.  Il  socio  Cardella  die  larg-a  notizia  '  delle  pitture  di  una 
tomba  etrusca  a  camera,  scoperta  presso  Orvieto;  die  resoconto  degli 
scavi  d'una  necropoli  il  socio  Mancini;  dell'architetto  militare  e  civile 
Ascauio  Vitozzi  discorse  il  socio  L.  Furai  e  lesse  una  memoria  che  può 
servire  d' introduzione  al  Diario  della  guerra  di  Castro  dal  1641  al  43 
che  conservasi  ms.  nell'archivio  storico  d'Orvieto:  di  Ugolino  di  Mon- 
temarte,  luogotenente  dell'Albornoz,  trattò  il  socio  Tommaso  Onori;  del 
materiale  raccolto  dal  Fontanieri  per  una  storia  della  diocesi  orvietana^ 
11  socio  Palazzetti  ;  della  costruzione  del  Duomo  e  degli  artisti  che  vi 
operarono,  il  socio  Zampi  ;  e  da  ultimo  della  vita  di  Gentile  da  Fabria- 
no, ricordandone  i  dipinti  in  PeriTgia  ed  Orvieto,  il  socio  conte  Fabri 
Stelluti. 

COJIPTES-RENDU   DES    SÉAXCES   DE   l/ACADÉMIE   DES  InSCRIPTIONS  (Parigi). 

1892,  gennaio-febbraio.  Casati  C,  Note  sur  la  nécropjole  étrusque  dé- 
couvert  en  1891  à  Castiglione  del  Lago.  E  del  sec.  Ili  a  C. 

Deutsche  litteratiti  zeiting  (Berlino). 

1892,  num.  4:4.  Frey  C,  Il  Duomo  d'  Orvieto  e  i  suoi  restauri  di  L. 
Fumi:  recensione  favorevolissima. 

HiSTORiscHE  ZEiTSCHRiFT  (Monaco  -  Lipsia). 

1892,  fase.  1.  Recensione  de  II  Castello  di  Campetto  di  P.  Campello. 
Notasi  che  l'a.  divaga  dall'argomento. 


198  SPOGLIO   DI   PERIODICI 

Gazzetta  letteraria  (Torino). 

1892,  niim.  2.  Del  Cerro  E.,  Attraverso  V  Umbria  verde:  Assisi. 
Niim.  41.  Del  Cerro  E.,  Perugia. 

Giornale  storico  della  letteratura  itamana  (Torino). 

Voi.  XVIII,  fase.  1-2.  R.  Sabbadini,  Briciole  umanistiche.  Vi  si  tratta 
di  Tommaso  Fontano  che  il  Lancellotti  identificò  con  il  Seneca  da  Ca- 
merino, e  il  Biondo,  da  questi  disting'uendolo,  lo  disse  di  Perugia.  Il 
Sabbadini  non  sa  dov'  egli  fosse  nel  1444,  «  ma  probabilmente  in  qualche 
paese  dell'Umbria,  giacché  pare  che  egli  abbia  trascorso  nell'Umbria 
l'ultima  parte  della  sua  vita,  come  insegnante  e  come  magistrato  ».  In 
fatti  alcune  sue  lettere,  contenute  nel  cod.  Vaticano  Ottoboniano  1677, 
•sono  datate  da  Perugia  e  Foligno. 

Voi.  XIX,  fase.  1.  F.  Novati,  Le  poesie  sulla  natura  delle  frutta  e 
i  Canterini  del  Comune  di  Fii'enze  nel  Trecento.  Naturalmente  l'a.  ricor- 
da anche  Benuccio  da  Orvieto  e,  pubblicata  di  sul  cod.  Redìano-Lauren- 
ziauo  184  la  sua  canzone  «  0  be'  signior,  poi  che  maug-iato  avete  »,  si 
prova  di  stabilire  le  relazioni  che  corrono  fra  questo  componimento  e  il 
capitolo  di  Pietro  Cantarini  da  Siena  «  Chari  signor,  po'  che  cenato  ave- 
te »,  e  conclude  che  Benuccio,  forse  inconsciamente,  modellò  la  canzone 
sul  capitolo  del  senese. 

Fase.  2-3.  Cesareo  G.  A.,  Su  V  ordinamento  delle  poesie  volgari  di 
F.  Petrarca.  Riferisce  la  canz.  «  Spirto  g'entil  »  a  Bosone  da  Gubbio, 
riportandola  agli  ultimi  del  1337.  E  largamente  detto  per  quali  ragioni 
la  canzone  non  possa  convenire  ad  altri,  ma  si  bene  al  Raifaelli.  Cfr. 
Domenica  del  Fracassa,  II,  num.  2  e  8;  Fan fidla  della  Domenica,  1886, 
num.  del  2  maggio. 

Voi.  XX,  fase.  1-2.  E.  Lamma,  Il  cod.  di  rime  antiche  di  G.  G.  Ama- 
dei.  Il  L.  dà  la  tavola  di  tre  codici  bolognesi,  ne'  quali  si  leggono  anche 
il  sonetto  di  Bosone  da  Gubbio  in  risposta  a  Cino  da  Pistoia,  i  noti  so- 
netti di  Andrea  da  Perugia  al  Petrarca,  e  la  canzone  «  Cruda  selvag- 
gia, ecc.  »  di  Bartolomeo  da  Castel  della  Pieve.  —  Recensione  de  La  pro- 
jìhetia  fratria  Mudi  de  Perusio  pubblicata  da  R.  Filippini  sopra  un  cod. 
napoletano  (Fabriano,  1892).  Umbro  ne  è  l'autore;  ma  l' identificare  ser 
Mucio  o  Stramazzo  con  frate  Mucio  è  cosa  malsicura. 

Il  Muratori  (Roma). 

1892,  fase.  1.  Palmieri  G.,  Seine  degli  abbati  di  Farfa  in  continua- 
zione al  Muratori.  E  ricavata  da  una  storia  di  un  Gregorio  romano  che 
va  dal  1101  al  1640.  Continuaz.  nei  fase,  successivi. 

Fase.  2.  Ballerini  F.,  Le  feste  di  Gubbio  per  la  nascita  di  Federico 


J 


SPOGLIO    DI    PERIODICI  199 

Ubaldo  dei  Duchi  d'  Urbino.  Relazione  dall'archivio  Vaticano,  Arni.  LX, 
1.  Coutinuaz.  nei  fase,  successivi. 

L'  Arcadia  (Roma). 

Ili,  6.  Bartolini  A.,  Dante  in  Gubbio. 

La  biblioteca  delle  scuole  italiane  (Modena-Veronaì. 

1892,  num.  3.  F.  Gabotto,  Altri  documenti  su  Tommaso  I\[arroni  da 
Mieti.  Cfr.  questo  Bollettino,  I,  174  e  445. 

MlTTHEILlTs'GEN     DER    KAISERLICHEN    DEUTSCHEN     ARCIIAEOLOfUSCIIEN    IN- 

STiTcTTS  (Roma). 

1891,  fase.  2.  Il  Petersou  dà  conto  di  scoperte  a  Spoleto. 

IsuovA  Antologia  (Roma). 

1891,  fase.  6.  Recensione  delle  Cronache  di  Perugia,  voi.  III,  edite 
da  A.  Fabretti.  Favorevole. 

Fase.  14.  Recensione  de  II  duomo  di  Orvieto  e  i  suoi  restauri  di  L. 
Fumi.  Favorevole. 

Notizie  degli  scavi  d'antichità  (Roma). 

1892,  gennaio.  Scavi  della  necropoli  di  Todi  e  rinvenimento  di  og- 
getti del  sec.  III-II  a  C. 

Febbraio.  Altri  scavi  a  Todi. 

Marzo.  Altri  scavi  nella  necropoli  citata. 

Ottobre.  Notizia  di  un  bollo  figulinario  scoperto  a  Perugia. 

Nuova  Rivista  Misbna  (Arcevia). 

1891,  num.  2.  Anselmi  A.,  Necrologia  di  Adamo  Rossi. 

Num.  6.  E.  Luzi,  L'Università  degli  studi  in  Ascoli  Piceno.  Vi  è 
asserito  che  nel  sec.  X  i  monaci,  emigrati  da  Farfa,  fondarono  in  Ascoli 
■e  nel  suo  distretto  i  principali  monasteri. 

Xum.  7.  Necrologia  di  A.  Angelucci  di  Montecastrilli. 

Num.  8.  P.  Tedeschi,  Di  Luciano  da  Lovrana.  E  l'architetto  anche  del 
palazzo  ducale  di  Gubbio.  Qui  se  ne  ritesse  un'accurata  biografia. 

Num.  11.  V.  E.  Aleandri,  Bernardino  di  Mariotto  da  Perugia  pit- 
tore del  sec.  XVI  e  la  sua  dimora  in  S.  Severino  dal  1502  al  1521. 
Notizie  documentate  di  pitture  da  lui  eseguite  a  S.  Severino  in  quegli 
■anni. 

1892,  num.  1.  Anselmi  A.,  Monumenti  ed  oggetti  d'arte  in  Albacina. 


200  SPOGLIO   DI  PERIODICI 

Nella  parete  della  casa  Merloni  Sautoui  è  un  affresco  di  Orlando  Merlini^ 
pittore  perugino  (sec,  XV-XVI). 

Nnm.  2.  Id.,  id.,  in  Arcevia.  Due  pilastrini  d'una  tavola  del  Siguo- 
relli  in  S.  Medardo  sono  della  maniera  di  Niccolò  di  Liberatore  :  nella 
sagrestia  è  una  croce  processionale  d'  argento  di  Cesariuo  del  Koscetto, 
orafo  perugino,  fatta  dal  1524  al  26.  Nella  chiesa  di  S.  Maria  degli  Ere- 
mitani di  S.  Agostino  è  una  statua  di  S.  Autouio  abate,  scolpita  in  le- 
gno, di  scuola  umbra  del  sec.  XV. 

Num.  6.  Id.,  id.  in  Sassoferrato.  Nella  chiesa  di  S.  Pietro  e  S.  Chiara 
è  una  tavola  da  attribuirsi  a  Orlando  Merlini  che  nel  1478  abitava  in 
Sassoferrato.  Nella  sagrestia  è  un  frammento  d'affresco,  rappresentante 
l'Annunziata,  di  pittore  umbro  del  sec.  XV.  In  S.  Croce  è  il  trittico  di 
Antonio  da  Fabriano,  creduto  finora  opera  di  Nicolò  di  Liberatore.  Nella 
chiesa  parrocchiale  di  Col  della  Noce  esiste  un  trittico  di  Matteo  da  Gualdo 
con  la  data  del  1471. 

Num.  10.  Fra  le  Notizie  e  Varietà  è  dato  breve  cenno  di  una  grande 
tavola  di  Pietro  Perugino,  esistente  nell'  ex-monastero  di  S.  Maria  delle 
Grazie  in  Senigaglia,  e  dei  restauri  eseguitivi  a  cura  del  Ministero  di  P.  L 


Kevue  critique  d'  histoire  et  littérature  (Paris). 

1891,  fase.  20.  Recensione  molto  favorevole  della  Storia  di  Città  dì 
Castello  del  cav.  Magheriui  Graziani. 

Eepertoriuji  FiJR  KuNSTWissENSCHAFT  (Berlino). 

1891,  XII.  Schmarsow  A.,  Antonio  Federighi.  A  questo  scultore  se- 
nese attribuisce  una  pila  d'acqua  santa  nel  Duomo  di  Orvieto. 

XIII.  Thode,  Sin  uns  Werke  von  Cimàbile  erhalten  ?  Risposta  al 
Wickoff.  Vi  si  tratta  naturalmente  della  Madonna  in  S.  Francesco  e  dei 
Crocifisso  in  S.  Chiara  di  Assisi. 


Rendiconti  della  R.  Accademia  dei  Lincei  (Roma). 

1892,  voi.  I,  fase.  2  della  Classe  di  Scienze  morali,  stor.  e  filol.  E.. 
Monaci,  Aneddoti  per  la  storia  letteraria  dei  Laudesi,  dei  Disciplinati  e 
dei  Bianchi  nel  medio  evo.  Laude  della  provincia  di  Roìna.  Da  un  cod^ 
del  dott.  Pietro  Tommasini  Matteucci  di  Città  di  Castello.  La  seconda 
(«  sopra  ogni  lingua,  amore  »)  è  di  Jacopone  ;  la  sesta  («  Yhesù  fac^o- 
lamento  »)  gli  è  attribuita.  Nella  prima  e  quarta  «  si  trovano  pure  delle 
forme  che  sono  dell'Umbria  e  non  della  Toscana»;  ma  è  da  concludere 
che  di  queste  laude  «  il  fondo   primitivo  sia   romanesco  :  sieno  esse  di 


SPOGLIO   DI   PERIODICI  201 

Roma,  sleno  di  Nepi,  intanto  non  par  dubbio  che  alla  provincia  romana 
appartengano  ». 

Rivista  italiana  di  Nlmismatica  (Milano). 

1891,  fase.  1-2.  Milani  L.  A.,  Aes  rude  rinvenìifn  alla  Bruna  jn-esao 
Spoleto.  —  ]\Iarig-uoli  F.,  Zecchino  di  j^apa  l'io  II  attribuito  a  Foligno. 

Rivista  storica  italiana  (Torino). 

1891,  fase.  1.,  G.  Mazzatinti,  Recensione  di  II  Castello  di  Campello 
di  Paolo  Campello.  Sfavorevole. 

Fase.  i.  A.  Melani,  Recensione  delle  monografie  storiche  di  L.  Fumi 
Il  Duomo  d'Orvieto  e  i  suoi  restauri.  Il  volume  è  giudicato  «  un  eccel- 
lente contributo  storico  agli  studi  architettonici  italiani  ». 

1892,  fase.  1.  G.  Mazzatinti,  Recensione  dei  Costumi  e  superstizioni 
dell' Ajypennino  marchigiano  di  Caterina  Pigorini  Beri.  Vi  è  notato  che 
il  cauto  di  Fiorino  è  diffuso  nell'Umbria,  per  esempio  a  Nocera  ed  a 
Gubbio,  e  che  con  1'  Umbria  hanno  comuni  le  Marche  molti  cauti  popolari. 

Revue  des  deux  Mondes  (Parigi). 

1891,  fase.  15  giugno.  Arvéde-Barine,  S.  Francois  d'Assise.  Ne  ri- 
tesse la  vita  e  tratta  dell'  opera  e  della  influenza  sua. 

Revue  historique  (Parigi). 

1891,  fase.  1.  Nel  Bullettino  delle  opere  di  storia  italiana  il  prof. 
C.  Cipolla  tien  conto  della  Lirica  religiosa  nell'Umbria  di  G.  Chiarini  e 
delle  notizie  su  S.  Bernardino  da  Siena  in  Orvieto  e  in  Forano  di  L.  Fumi. 

1892,  fase,  maggio-giugno.  C.  Cipolla,  Bullettin  historique.  Italie.  Mo- 
yen-àge.  Tra  le  opere  uscite  in  luce  dall"88  al  91  e  qui  prese  in  rasseg-na, 
alcune  riferisconsi  all'  Umbria.  Continuazione  nel  fascicolo  successivo. 

Studi  e  Documenti  di  Storia  e  Diritto  (Roma). 

1891,  fase.  1.  L.  Fumi,  Statuti  e  regesti  dell'  opera  di  S.  Maria  dì 
Orvieto:  continuazione. 

Tue  American  Journal  of  Archaelogy  (Boston). 

1891,  fase.  4.  Relazione  di  scavi  a  Castiglion  del  Lago  ed  a  Todi. 

ZeITSCIIRIFT   FiJR   KiRCHENGESCHICHTE    (Gota). 

1892,  fase.  2-3.  Lempp  E.,  Anfiinge  des  Clarissenordens.  La  vita  di 


SPOGLIO   DI  PERIODICI 


202 


S.  Chiara,  ritessuta  con  diligenza  sulla  scorta  della  leggenda  più  antica, 
comprende  lo  studio  su  le  regole  e  le  vicende  loro. 

Zbitschrift  FiJR  Ethnologie  (Berlino). 

1891,  1.  Undset  J.,  Archaeologische  Aufsatze  ìlber  sudeuropciische 
FundstUcke.  Vi  si  prendono  in  esame  i  monumenti  dei  Musei  di  Rieti, 
Chiusi  e  Perugia. 


203 


RECENSIONI  BIBLIOGRAFICHE 


Argii.  Antonio  Ganesthelli.  —  U  Abbazia  di  S.  Galgano,  monogra- 
fia storico-artistica  con  documenti  inediti  e  numerose  illustrazioni.  — 
Firenze,  Fratelli  Alinari  editori,  1896,  in  4°  g-.  di  pag-.   15G. 

Delle  molte  illustrazioni  di  monumenti  pubblicatesi  negli  ultimi  anni 
in  Italia,  questa  dell'  Abbazia  di  S.  Galgano,  se  non  la  prima,  deve  an- 
noverarsi senza  dubbio  fra  le  migliori.  Fino  ad  oggi  quei  ruderi  vene- 
randi, dove  1'  edera  verde  s'  abbarbica  tra  i  filari  alternati  di  mattoni  e 
di  travertino,  dove  l'umile  fiore  del  pruuo  biancheggia  sui  roveti  nel 
pavimento,  quei  piloni  ridotti  a  sosteg'uo  di  pochi  valichi  qua  e  là  nelle 
navate,  e  g'ii  occhi  e  le  belle  bifore  aperte  tuttora  nelle  cadenti  mura- 
g'iie,  erano  tutte  preziose  reliquie  ig-norate  dai  più,  prima  che  fosse  alla 
portata  degli  artisti  la  bella  e  dotta  illustrazione  del  Canestrelli.  Nel 
leg'g'ere  il  suo  libro  si  prova  più  vivo  quel  mistico  sentimento  che  si 
sveglia  in  noi  alla  vista  di  un  ediflzio  religioso  del  medioevo.  Se  poi  si 
rifletta  che  di  quel  monumento  lasciato  da  più  secoli  in  balìa  del  tempo 
e  degli  uomini,  non  rimangono  che  rovine,  la  venerazione  si  converte 
in  tristezza,  e  dobbiamo  esser  grati  a  queir  anima  gentile  di  donna  che 
<  ora  è  soltanto  una  mesta  e  santa  memoria  »  per  avere  con  sentimento 
squisito  dell'  arte,  inspirato  all'  egregio  A.  suo  compagno,  lo  studio  del- 
l'Abbazia di  S.  Galgano  e  all'  illustre  Direttore  regionale  per  la  conser- 
vazione dei  momimenti  della  Toscana  che  lo  incoraggiava  a  pubblicarlo. 

L'  illustrazione  è  divisa  in  due  parti,  storica  e  artistica,  coli'  appen- 
dice di  quaranta  documenti. 

Dall'anno  1180,  in  cui  Galg-ano  Guidotti  di  Chiusdino  nell'antico 
Stato  Senese,  infisse  la  sua  spada  a  guisa  di  croce  nelle  fenditure  di  un 
masso  sul  Monte  Siepi,  e  quivi  vissuto  romito  fino  al  3  dicembre  del- 
l' anno  appresso,  meritò  per  la  santità  della  vita  di  essere  canonizzato 
nel  1188,  noi  per  la  lunga  serie  di  sei  secoli  assistiamo  quasi  anno  per 
anno  alle  liete  e  tristi  vicende  della  celebre  Abbazia.  La  quale  in  mo- 
deste proporzioni  costruita  in  principio  sulla  vetta   del    monte,    si   com- 


204  RECENSIONI   15IBLIOGRAFICHE 

poueva  di  iiua  piccola  cappella  di  pianta  circolare,  tuttora  esistente, 
(fig.  1,  pag-.  2)  e  di  un  piccolo  cenobio  dove  presero  stanza  alcuni  mo- 
naci Cistercensi.  Alla  nascente  Abbazia  non  mancarono  donazioni  e  la- 
sciti testamentari.  E  da  privati  e  dal  Vescovo  Ildebrando  della  vicina 
Volterra  furono  regalati  i  monaci  di  vasti  terreni,  con  facoltà  di  costruire 
un  acquedotto  per  i  mulini  del  monastero,  e  si  arricchiva  la  piccola  chiesa 
con  doni  di  preziosi  arredi  sacri  e  di  ricche  suppellettili  (Gap.  I). 

Poi  cresciuto  il  numero  dei  monaci  si  riconobbe  necessaria  la  costru- 
zione di  una  nuova  Abbazia  a  pie'  del  monte  nel  piano  della  Merse  (^1224), 
intanto  che  alcuni  di  essi  si  trasferivano  alla  Badia  di  S.  Salvatore  presso 
Firenze  e  ad  altre  Abbazie  filiali,  fra  le  quali  è  notata  quella  di  S.  Giu- 
liana presso  Perugia  (Gap.  II). 

Né  mancarono  privilegi  per  parte  di  imperatori  e  di  papi.  Fu  concessa 
l'immunità  ai  monaci  e  protezione  ad  essi  e  ai  loro  beni.  Nessuna  città 
o  comune,  nessun  console  o  potestà  poteva  molestare  il  monastero  né 
imporgli  gabelle  od  altre  gravezze.  Innocenzo  III  lo  esonera  dal  paga- 
mento delle  decime  ;  Gregorio  IX  ordina  ai  vescovi  e  prelati  della  To- 
scana di  proteggere  i  monaci  di  S.  Galgano,  con  facoltà  di  scomunicare 
chi  volesse  loro  imporre  decime  od  estorcere  largizioni  di  vitto  ;  lo  stesso 
papa  conferma  nel  modo  il  più  solenne  la  proprietà  dei  loro  beni  nelle 
diocesi  Senese,  Grossetana  ed  Aretina  ;  Innocenzo  IV  li  esenta  dal  pa- 
gamento dei  pedaggi  per  il  trasporto  delle  provviste  occorrenti  alle  ne- 
cessità dei  monaci,  dà  loro  facoltà  di  officiare  le  chiese  a  porte  chiuse 
in  tempo  di  generale  interdetto,  privilegi  tutti  confermati  successiva- 
mente da  più  pontefici  fino  a  Bonifacio  Vili  che  li  ratificava  da  Roma 
nel  1302. 

Vollero  alcuni  che  l'Abbazia  di  S.  Galgano  avesse  facoltà  di  batter  mo- 
neta, e  l'A.  per  fedeltà  storica  riproduce  un  quarteruolo  di  quel  monastero 
colla  spada  sul  trimonte  da  un  lato,  una  mano  che  tiene  un  pastorale  dal- 
l'altro (fig.  3,  pag.  12),  ma  escluso  per  mancanza  di  documenti  quel  privi- 
legio, ammette  che  il  quarteruolo  di  S.  Galgano  non  é  moneta  vera  e  pro- 
pria, ma  una  semplice  Tessera  mercantile  (Gap.  III).  Ad  ogni  modo  dalle 
citate  facoltà  e  privilegi  si  rileva  l'importanza  morale  e  materiale  dell'Ab- 
bazia cui,  con  Brevi  e  Bolle  pontificie  furono  unite  nel  1398  e  nel  144T 
altri  monasteri  del  territorio  Senese,  ed  era  capace  di  dare  asilo  a  più 
che  cinquanta  monaci  (Gap.  IV).  Ad  essi  ricorrevano  papi  e  vescovi,  co- 
muni e  privati  per  pronunziare  lodi  e  dirimere  differenze  e  liti.  Spesse 
volte  li  vediamo  fungere  da  giudici  e  da  notari  pubblici.  Si  fa  parola 
nei  documenti  di  un  frate  Giacomo  medico  fiscale,  di  frate  Ugolino  me- 
dico chirurgo,  dell'abbate  Ranieri  fisico  e  di  altri  molti  versati  nelle  arti 
e,  nelle  idrauliche  discipline  o  col  titolo  dà  operarli  o  di  magister  operis 


RECEX.SIOXI    HIlUJOlìliAI'ICMB  205 

lapidum,  fra  i  (juali  j)iace  di  ricordare  il  monaco  Giiolo,  cui  fu  dato  in- 
carico di  studiare  se  l'acqua  del  fiume  Merse  si  potesse  derivare  e  con- 
durre fino  a  Sieua  (Gap.  V).  La  Repubblica  Senese  accordò  all'Abbazia 
di  S.  Galg-auo  protezione  e  tutela,  adoperò  quei  monaci  o  come  teso- 
rieri del  pubblico  erario  o  come  operai  del  Duomo,  e  allorché  le  com- 
pafi'nie  di  ventura  (1380)  fecero  «  del  monastero  di  San  Ghaljiliano  loro 
«  ricepto,  et  la  robba  delle  villate  et  poderarii  della  corte  di  Fruosini 
■a  ridussero  al  detto  Monastero  per  loro  vivare  »  il  concistoro  della  Re- 
pubblica accordò  somme  per  sopperire  ai  bisog-ni  dei  monaci,  mai  ces- 
sando anche  in  seguito  di  aver  cura  delle  loro  proprietà  e  dei  loro  beni 
(Gap.  VI).  Questi  si  componevano  di  vastissime  possessioni  di  terreni, 
case  e  moìini,  di  gualchiere  e  ferriere  poste  nelle  varie  corti  e  contadi 
dell'antico  stato  di  Siena  e  del  Grossetano.  Ebbero  in  Siena  più  case,  e 
la  Ghiesa  e  lo  Spedale  di  S.  ^Maria  Maddalena  ed  un  palazzo,  ora  di  pro- 
prietà del  conservatorio  del  Refug-io  che  già  fu  detto  dei  monaci  di  S. 
■Galgano  (Gap.  VII). 

La  mala  sorte  toccata  a  tante  illustri  Abbazie  italiane  di  cadere  sog- 
gette al  dominio  degli  abbati  commendatari,  cioè  di  monsignori  e  cardi- 
nali di  S.  Ghiesa,  colpì  la  nostra  Abbazia  nei  primi  anni  del  secolo  XVI. 
La  Balia  Senese  fa  di  tutto  perchè  l'Abbazia  di  S.  Galgano  non  «  tran- 
seat  in  commeudam  »  ma  una  Bolla  di  Giulio  II  (lóOo)  diretta  al  capi- 
tano di  popolo  e  ai  priori  di  quel  Gomune  annunzia  loro  la  nomina  del- 
l'abbate commendatario  il  cardinale  Federigo  Sauseveriuo.  Alle  opposi- 
zioni del  Gomune  si  risponde  colla  minaccia  di  un  interdetto  generale  ; 
cosi  da  un  anno  all'altro  al  succedersi  dei  commendatari  vi  fu  sempre 
contrasto  fra  essi,  e  il  comiine  di  Siena,  che  nel  1513  inviò  speciali  am- 
basciatori al  pontefice  per  chiedere  che  l'Abbazia  dì  S.  Galgano  non 
«  vadat  in  commendam,  quia  est  maxime  importautie  tam  civitatis  quam 
civium  et  quod  a  c'.vibus  fuit  dotata  »,  ma  il  cardinale  abbate,  cui  pure 
si  presentarono  gli  ambasciatori,  irritato  rispose  loro  «  Vos  Senenses,  qui 
nihil  potestis,  audetis  abbatiam  nostram  impedire  nobis  ?»  È  inutile  di- 
lungarsi nel  ricordare  le  difficoltà,  le  lotte  e  gì'  intrig-hi  che  ad  ogni  suc- 
cessione sorgevano  per  la  elezione  dei  nuovi  commendatari,  fra  questi  e 
le  famiglie  degli  antecessori  ;  solo  ci  fermeremo  su  quel  mons.  Giovanni 
Andrea  Vitelli  dei  Ghiandaroni  eletto  nel  1538.  Questi,  il  cattivo  genio 
dell'Abbazia,  «  tutto  il  tempo  che  la  tenne  in  mano  attese  alla  distrut- 
<■  tione  di  essa,  lasciando  usurpare  molti  beni,  cadere  i  poderi,  alienare, 
■8  impegnare  ciò  che  v'  era  di  buono,  et  quel  eh'  è  peggio  vendere  il 
■«  piombo  che  copriva  tutta  la  cupola  della  chiesa  stessa  e  della  cappella 
<  del  miracolo  di  S.  Galgano  » .  È  ricordato  (1576)  che  nella  chiesa  sfor- 
nita di  arredi  sacri  non  vi  si  teneva  nemmeno  il  SS.  Sacramento,  per- 


206  RECENSIONI  BIBLIOGRAFICHE 

che  il  frate  che  vi  era  «  valde  pannosus  et  ig-uarns  litterarum  »  non 
aveva  da  comprar  l'olio  per  la  lampada.  Involto  il  Vitelli  in  citazioni  e 
catture,  ora  è  nominato  «  huomo  da  bene  che  non  ha  luogo  più  dove 
«  possa  stare  »,  ora  si  parla  della  «  mala  natura  di  quell' abbataccio  » 
il  quale  contro  un  compenso  di  600  scudi  all'anno  rinunziò  finalmente 
l'Abbazia  al  cardinale  Alessandro  Farnese  che  ne  ottenne  il  possesso  nel 
1576.  Da  quest'anno  al  1724  in  cui  fu  nominato  commendatario  mons,  Giu- 
seppe Maria  Feroui,  lunga  è  la  serie  dei  più  o  meno  savi  amministra- 
tori dell'  illustre  Abbazia.  Il  Peroni  nel  1727  ottiene  l'enfiteusi  fino  alla 
terza  g'enerazione  a  favore  dei  discendenti  di  un  suo  fratello,  poi  che 
otto  religiosi  Minori  Osservanti  andassero  a  stare  a  S.  Galgano  per  of- 
ficiarvi la  chiesa.  Nel  1735  gli  fu  concessa  una  maggiore  e  più  estesa 
durata  del  livello,  la  riduzione  del  canone,  e  finalmente  nel  1757  l'enfi- 
teusi perpetua  col  canone  che  in  principio  era  di  scudi  1500,  poi  ridotto 
a  soli  scudi  584.  L'ultimo  commendatario  nominato  da  Pio  VI  (1787)  fu 
mons.  Ranieri  Finocchietti,  La  proprietà  dei  beni  dell'Abbazia  dalla  fa- 
miglia Feroni  che  ne  affrancava  1'  enfiteusi  passò  nel  1884  in  proprietà 
del  marchese  Ippolito  Nicolini,  attuale  possessore  della  tenuta  di  Frosini, 
nella  quale  è  posto  il  tempio  monumentale. 

In  si  lunga  serie  d'anni  il  tempio  e  il  monastero  furono  sempre  la- 
sciati in  deplorevole  abbandono.  Nel  1666  pioveva  nella  chiesa  da  tutte 
le  parti  :  non  si  ha  più  cura  di  serrare  ed  aprire  la  porta  ;  così  il  gran 
tempio  «  alcuna  volta  è  ricetto  di  bestiami  grossi  e  minuti  ».  È  riferito 
nel  1724  che  la  gran  chiesa  è  «  di  continuo  sottoposta  ad  imminente  ro- 
vina »   (Cap.  IX). 

Rovinò  il  campanile  ai  22  gennaio  del  1786,  e  dopo  tre  mesi  dal 
granduca  Pietro  Leopoldo  esonerata  la  famiglia  Feroni  dalla  manuten- 
zione del  tempio,  questo  fu  sconsacrato  il  10  agosto  1789.  Oggi  caduto 
il  tetto,  le  volte  e  parte  dei  muri,  non  restano  del  bellissimo  monumento 
che  macerie  e  rovine. 

Tali  notizie  da  noi  riassunte  sommariamente  furono  ricavate  dai  do- 
cumenti originali  di  tre  Caleffi  ossia  Instrumentari  provenienti  dall'Ab- 
bazia di  S.  Galgano  ora  nell'archivio  di  Stato  di  Siena.  Si  g-iovò  pure 
l'A.  di  alcune  pergamene  dei  Cistercensi  conservate  nell'Archivio  di  Stato 
di  Firenze  e  di  altri  documenti  degli  archivi  mediceo  e  Feroni.  Delle 
notizie  riportate  da  altri  scrittori  e  cronisti  tenne  poco  o  nessun  conto, 
riferendole  nei  soli  casi  che  in  confronto  ai  documenti  autentici  gli  det- 
tero argomento  di  crìtica  e  dì  profonda  discussione. 

Dalla  storia  del  monumento  passiamo  all'esame  della  parte  artistica. 
L'A,  nel  suo  studio  si  rivela  cultore  sincero  dell'arte  medievale  e  pro- 
fondo conoscitore  della  sua  storia.  Al  giorno   d'oggi  un  monumento  di 


RECENSIONI   BIBLIOGRAFICHE  207 

quell'epoca  si  analizza,  si  studia  in  se  stesso,  non  jìIù  in  relaziono  ad 
altri  che  pure  riscosserol 'animi razione  generale  nell'aurea  epoca  dell'arte 
Greca  e  Romana,  e  nei  secoli  vicini  a  noi  nel  periodo  dell'arte  del  Rina- 
scimento. È  ora  dimostrato  che  la  sesta  medievale  ebbe  uno  stile  tutto 
proprio,  che  se  in  qualche  sua  parte  ci  fa  ricordare  i  più  essenziali  ele- 
menti organici  dell'arte  antica,  vediamo  questi  modificarsi  e  trasformarsi 
radicalmente,  man  mano  che  l'arte  più  che  colla  civiltà  del  tempo  pro- 
grediva di  pari  passo  col  sentimento  religioso  che  l'ispirava.  Quegli  ele- 
menti che  noi  troviamo  nelle  prime  basiliche  cristiane  e  successivamente 
nelle  chiese  della  primitiva  forma  lombarda  scompaiono  può  dirsi  del 
tutto  dall'organismo  degli  ediflzi  religiosi  di  stile  ogivale,  sia  d'oltrenioute 
che  italiani.  Diverso  è  l'ideale  che  ispira  l'architetto  del  medioevo. 
Nelle  chiese  cristiane  non  è  più  il  solo  sacerdote  che  entrar  nella  cella 
mentre  il  popolo  distratto  e  confuso  rimane  adunato  nei  vestiboli  del 
tempio  ;  il  sacrifizio  cristiano  non  ò  pel  popolo  un  mistero,  che  perciò  si 
unisce  alle  preghiere  dei  sacerdoti  e  sta  con  essi  devotamente  affollato 
intorno  al  santuario.  Ben  diverso  è  pertanto  il  principio  che  dovette  ani- 
mare gli  artisti  delle  due  scuole  pagana  e  cristiana.  Nel  tempio  pagano 
la  cella  colla  statua  del  nume  è  il  solo  elemento  essenziale.  La  camera 
del  tesoro,  il  doppio  vestibolo,  le  ali  in  giro,  la  cripta  sotto  la  cella  ove 
si  ascondono  i  congegni  necessari  alle  trasformazioni  ed  apparizioni  di 
rito,  le  gallerie  superiori  dei  tempi  ipetri  dove  facevano  bella  mostra, 
come  ora  nei  nostri  musei,  le  statue  degli  altri  numi,  questi  ed  altri 
erano  elementi  secondari  ;  tutto  è  materialismo.  Invece  il  tempio  cri- 
stiano più  che  ai  sensi  parla  allo  spirito.  E  quando  da  un  valico  all'altro 
delle  sue  navate  si  ripercuote  solenne  l'invito  del  sacerdote  «  in  alto  i 
cuori  »,  allora  si  che  il  popolo  si  solleva  coll'anima  al  di  là  di  quelle 
volte  e  di  quelle  mura,  e  secondando  coU'occhio  e  colla  mente  lo  spin- 
gersi su  su  delle  sveltissime  colonnine  che  formano  fascio  intorno  ai  pi- 
loni, e  r  incontrarsi  su  in  alto  dei  costoloni  delle  crociere,  e  le  curve 
arditissime  delle  arcate  e  le  strette  e  le  lunghe  finestre,  le  cuspidi  e  i 
pinacoli  delle  facciate  e  quegli  archi  rampanti  che  par  si  vogliano  spin- 
gere sempre  a  maggiore  altezza,  tutto  in  quel  momento  commuove  l'ar- 
tista cristiano  che  ama  e  che  sente,  tutto  gli  parla  di  Dio. 

Pertanto  non  è  più  il  caso  di  proseguire  nel  vezzo  di  dare  l'appel- 
lativo di  barbaro  a  tutto  ciò  che  sente  di  medioevo.  E  con  vera  compia- 
cenza vediamo  illustri  scrittori  darsi  allo  studio  di  quell'  arte  e  di  quei 
monumenti,  ricercarne  la  storia,  e  l'artefice  che  l'ideava,  e  il  tempo  di 
loro  costruzione  con  analisi  critica  del  loro  stile,  mettendoci  sott' occhio 
coi  migliori  metodi  delle  arti  grafiche  i  particolari  tutti  della  loro  pla- 
nimetria ed  ortografia,  nonché  i  profili   e  l' insieme   di  tutte  le  più  mi- 


208  RECENSIONI   BIBLIOGRAFICHE 

uute  decorazioni.  L'Illustrazione  del  Cane-itrelli  è  un  modello  del  g-enere, 
e  ci  sia  permesso  a  sua  lode  di  far  parola  sommaria  dei  suoi  particolari. 

L'indicazione  precisa  della  costruzione  della  nuova  Abbazia  e  del 
tempio  monumentale  non  è  dato  conoscerla  dai  documenti.  Da  questi  è 
solo  possibile  rilevare  il  periodo  di  tempo  in  cui  si  svolse  la  grandiosa 
opera  del  monastero,  ed  in  modo  anche  più  incompleto  quella  del  tempio. 

Del  monastero  sappiamo  che  nel  1224  ai  10  febbraio  rogavasi  un 
istrumento  apud  abbatiam  novam.  Nel  1229  è  già  ricordata  la  cloìnus 
ojyere  ed  il  luogo  ubi  actantur  lapides  operis  :  perciò  non  crediamo  di  tener 
conto  di  altri  documenti  citati  dall'A.,  perchè  la  citazione  delle  infer- 
merie, del  parlatorio  e  della  porteria  si  possono  è  vero  riferire  ai  detti 
locali  nell'Abbazia  nuova,  ma  più  probabilmente  riguardano  quelli  del 
vecchio  monastero  sul  monte.  Ad  ogni  modo  è  fuor  di  dubbio  che  il 
nuovo  monastero  nel  piano  della  Merse  si  cominciò  a  costruire  nel  primo 
quarto  del  secolo  XIII. 

Anche  più  incerta  è  l'indicazione  del  tempo  della  costruzione  della 
chiesa.  Piace  all'A.  di  ammetterla  contemporanea  a  quella  dell'Abbazia 
sulla  fede  di  un  atto  rogato  ai  24  di  aprile  del  1227  Jiixta  Ecclesiam 
superiorem  Sancii  Galgani.  Dubita  egli  stesso  che  tale  indicazione  si  ri- 
ferisca alla  piccola  chiesa  rotonda  sul  monte  Siepi,  e  quel  dubbio  si  fa 
in  noi  certezza,  perchè  la  citazione  della  chiesa  superiore  si  associa  è 
vero  all'  idea  di  una  chiesa  inferiore,  è  però  più  naturale  il  supporre  che 
i  monaci  di  S.  Galgano  trovandosi  a  disagio  nel  piccolo  cenobio  sul  monte, 
più  che  alla  nuova  chiesa  abbiano  prima  provveduto  alla  costruzione 
nella  pianura  di  un  monastero  più  ampio  e  più  comodo,  avendo  già  la 
piccola  chiesa  superiore.  Ci  avrebbe  offerto  indizio  ben  più  sicuro  la  ci- 
tazione suddetta,  se  invece  della  chiesa  superiore  vi  fosse  nominata  la 
chiesa  vecchia,  che  in  tal  caso  era  indiscutibile  il  fatto  di  una  chiesa 
nuova.  Perciò  non  siamo  lontani  dal  convenire  coll'asserzione  dei  cronisti, 
che  riportano  la  costruzione  del  tempio  al  1246.  Da  quell'anno  non  man- 
cano sicure  memorie  dell'opera  grandiosa  che  nel  1288  se  non  era  del 
tutto  ultimata,  certo  è  che  la  nuova  chiesa  era  già  uffiziata  dai  monaci 
almeno  in  parte,  essendo  ricordato  in  quell'anno  un  istrumento  rogato 
«  in  ecclesia  nova  ante  altare  conventus  ipsius  mouasterii  ». 

Chi  fosse  il  primo  architetto  del  tempio  e  monastero  di  S.  Galgano 
non  è  il  caso  di  ricercarlo.  Nessuna  memoria  certa  di  documenti,  né  si 
può  prestar  fede  a  quanto  racconta  il  Libanori  nella  vita  di  Davide  Dan- 
dini  di  una  contesa  insorta  fra  i  maestri  e  muratori  della  chiesa  di  S.  Gal- 
gano, dove  è  nominato  il  disegno  o  modello  che  in  carta  aveva  formato 
l'architetto  chiamato  Curzio  nativo  di  Chiusi;  ma  da  quali  documenti 
traesse  il  Libanori  tali  notizie,  non  è  sicuro.  L'A.  pertanto  dopo  aver  ri- 


RECENSIONI    lìinLIOfiUAFiriIH  209 

cordate  le  scuole  monastiche  dei  secoli  XI,  XII  e  XIII  e  i  monaci  ar- 
chitetti che  vi  fiorirono,  non  dubita  di  affermare  che  ad  essi  è  pure  do- 
vuta la  chiesa  ed  Abbazia  di  S.  Gal<i'ano,  avendosi  meinoria  di  (|ualche 
monaco  nominato  operarlo,  e  fra  questi  di  un  Frate  lI>;olino  di  Maffeo 
chiamato  nei  Calefìi  «  mag-ister  lapidum....  mag-ister  operis....  operarius 
opere  ».  Egli  però  non  può  essere  ritenuto  il  primo  architetto,  non  aven- 
dosi di  lui  memoria  prima  del  1275  (Cap.  I). 

La  chiesa  ha  la  pianta  a  croce  latina,  è  divisa  a  tre  navi  con  sette 
valichi  a  sesto  acuto  con  doppio  archivolto  a  spigoli  netti  in  ciascuna 
parte  del  braccio  anteriore.  Il  transetto  ha  il  collaterale  dal  lato  delle 
navate  e  due  cappelle  per  parte  dal  lato  opposto  di  fianco  all'abside  o 
tribuna  che  è  quadrata.  Nella  pianta  ed  alzato  del  tempio  si  hanno  i 
seguenti  elementi  di  stile  oltramontano.  Tutte  le  volte  si  proiettano  su 
pianta  rettangolare  più  o  meno  allungata,  ad  eccezione  di  quella  della 
tribuna,  in  cui  gli  archi  diagonali  si  staccano  dagli  angoli  del  quadrato, 
ma  vengono  sostenuti  alla  chiave  da  un  sottarco  trasversale,  secondo  il 
costume  di  alcune  chiese  francesi.  Sono  bipartiti  i  contrafforti  negli  an- 
goli esterni  della  tribuna  e  del  transetto,  e  profilati  a  più  riseghe  si  spin- 
gono in  altezza  al  disopra  delle  navi  laterali.  La  sacrestia  attigua  alla 
.sala  capitolare  non  fa  parte  dell'organismo  icuogTafico  della  chiesa.  I  pi- 
loni delle  navate  sono  a  fascio  su  pianta  crociforme  con  una  colonna  in- 
castrata a  due  terzi  in  ciascuna  faccia,  però  a  differenza  della  scuola  ita- 
liana la  colonna  che  prospetta  sulla  nave  di  mezzo  si  stacca  non  dalla 
base,  ma  a  più  metri  da  terra,  secondo  le  consuetudini  della  scuola  bor- 
gognona.  I  muri  esterni  non  hanno  archettatura,  ma  la  cornice  di  fini- 
mento non  è  sormontata  da  parapetto  a  traforo.  L'altezza  di  tutta  la 
chiesa  corrisponde  al  lato  del  quadrato,  alla  larghezza  cioè  dalla  chiesa 
stessa  misurata  da  parete  a  parete  esterna  dei  muri  estremi  laterali.  E 
soppressa  finalmente  la  galleria  sulle  volte  delle  navi  laterali  e  fu  sosti- 
tuito ad  essa  il  triforio,  che  però,  come  ben  dice  l'A.,  può  chiamarsi  un 
triforio  atrofizzato,  apparendo  nella  nave  mediana  in  forma  di  piccole  fi- 
nestre rispondenti  nello  spazio  sotto  il  tetto  delle  navi  laterali. 

Se  però  si  considera  che  nel  tempio  di  S.  Galgano,  prevale  in  tutte  le 
altre  parti  l'elemento  proto-ogivale  italiano,  quello  specialmente  del  pi- 
lone a  fascio,  che,  al  dire  del  Nardini-Despotti,  ha  nella  sua  compagine 
organica  di  elemento  sostenente  il  germe  della  compagine  organica  del 
sostenuto,  cioè  delle  volte,  cosicché  i  piloni  e  le  volte  «  sono  tra  loro  in 
«  intima  correlazione  e  sono  preordinati,  coordinati  e  connessi  tra  loro», 
dovremo  conchiudere  coli 'A.  che  lo  stile  della  chiesa  di  S.  Galgano  è 
uno  stile  di  transizione  inspirato  ai  principi  fondamentali  della  basilica 
lombarda  a  volta  ogivale,  modificato  in  alcune  disposizioni   icnografiche 


210  RECENSIONI   BIBLIOGRAFICHE 

e  Statiche  da  im'iuflueuza  architettonica  borgog-nona  e  in  varie  forme 
decorative  ed  ornamentali  prima  da  questa  medesima  influenza  poi  dal 
sentimento  artistico  e  dalle  tradizioni  locali. 

Bello  e  profondo  si  fa  lo  studio  dell'A.  dopo  che  stabilito  siffatto 
principio  riguardo  allo  stile  del  momimeuto  da  lui  illustrato,  ci  dimostra 
che  non  potendosi  mettere  in  dubbio  essere  stati  i  monaci  Cistercensi  i 
primi  e  soli  architetti  dell'Abbazia  di  S.  Galgano,  quella  e  non  altra  era 
per  essi  la  maniera  di  architettare,  benché  non  avessero  uno  stile  proprio 
ed  originale. 

Dacché  sullo  scorcio  del  secolo  XI  dall'eremo  di  Solesme  in  Borgogna, 
S.  Roberto  e  i  suoi  monaci,  contuttoché  denunziati  quai  novatori  fana- 
tici, si  trasferirono  a  Cistercio  (Citeaux),  poi  pel  crescere  del  loro  nu- 
mero a  Pontignì  e  nel  1115  sotto  la  guida  di  S.  Bernardo  a  Chiaravalle, 
l'austerità  originaria  della  regola  di  S.  Benedetto  fu  rimessa  in  vigore 
e  si  escluse  dalle  chiese  e  monasteri  dell'ordine  qualsiasi  traccia  di  lusso 
e  di  ornamento  superfluo.  Nelle  chiese  dei  Cistercensi  (in  Italia  le  Ab- 
bazie di  Casamari  e  Fossanova),  più  che  la  decorazione,  figura  la  sem- 
plicità dell'organismo.  S.  Bernardo  nella  sua  epistola  riportata  in  parte 
dall'A.  (pag.  7(i,  nota)  condanna  «  l' inutile  ampiezza  delle  navate,  i  ric- 
chi materiali  resi  lucidi  con  tanta  cura  » ,  non  vuole  pavimenti  istoriati, 
perchè  «  il  tallone  dei  passanti  non  colpisca  il  volto  di  un  santo....  », 
non  mostri....,  non  quadrupedi  a  coda  di  serpente....;  non  pesci  a  coda 
di  quadrupedi  «  ed  altre  simili  bellezze  deformi  e  belle  deformità  ». 
Perciò  i  suoi  monaci  nel  costruire  le  loro  chiese  si  attennero  alla  mas- 
sima semplicità  ;  più  che  regole  e  leggi  di  stile,  osservarono  alcune  forme 
generali,  per  cui  le  loro  costruzioni  assumono  «  un  carattere  di  famiglia 
che  le  fa  riconoscere  facilmente  » . 

Le  chiese  Cistercensi  sono  quasi  sempre  precedute  da  portico.  Di 
fianco  alla  tribuna,  per  lo  più  quadrata,  alcune  volte  semicircolare,  stanno 
due  cappelle  per  parte  anch'esse  o  quadrate  o  a  sesto  di  circolo.  Il  tran- 
setto può  dirsi  elemento  essenziale,  però  manca  alle  volte  del  collaterale. 
I  piloni  sono  a  fascio  o  a  base  quadrata,  mai  monocilindrici.  Nella  ele- 
vazione, lo  stile  e  ^-li  ornamenti  assumono,  secondo  le  varie  regioni,  ca- 
rattere diverso  col  variare  delle  tradizioni  artistiche  locali.  Ciò  apparisce 
evidente  dallo  studio  comparato  di  alcune  piante  di  Abbazie  Cistercensi 
che  l'A.  (forse  in  eccedenza  al  bisogno)  riporta  nella  sua  illustrazione 
(pag.  80....  84),  quali  le  Abbazie  di  Thoronet,  di  Silvacaue,  di  Senanque, 
di  Fontenay,  di  Chiaravalle  e  di  altre  da  esso  semplicemente  descritte, 
della  Germania. 

E  queste  regole  e  norme  consuetudinarie  le  vediamo  osservate  nel- 
l'Abbazia di  S.  Galg'ano,  che  ha  decisa  somiglianza  con  quella  costruita 


RECENSIONI   BIBLIOGRAFICHE  211 

pochi  anni  avauti  in  Casamari  (fig.  14,  pag-.  77).  Lo  stesso  organismo, 
la  stessa  maniera  di  semplicissima  decorazioue,  solo  discostandosi  da  essa 
in  quelle  parti,  dove  potè  influire  la  tradizione  artistica  della  regione, 
che  nel  tempio  di  S.  Galgano  appare  manifesta,  specialmente  nelle  liue- 
stre  sopra  i  valichi  delie  navate,  che  nella  tribuna,  nel  transetto  o  sul 
primo  valico  della  nave  mediana  sono  piccole,  ad  una  luce,  con  occhio 
circolare  nella  lunetta  dei  mezzarchi,  secondo  i  caratteri  della  scuola  bor- 
gognona,  mentre  le  ultime  sei  verso  la  porta,  mancanti  dell'occhio  supe- 
riore, sono  bifore  con  colonnina  e  traforo  eguali  in  tutto  alle  finestre 
della  scuola  senese. 

Dall'insieme  del  monumento  l'A.  passa  a  descrivere  i  piloni,  i  va- 
lichi e  le  volte,  le  porte,  le  finestre,  le  cornici  interne  ed  esterne,  i  ro- 
soni delle  volte,  particolari  tutti  da  esso  studiati  con  vero  criterio  arti- 
stico, descrivendoli  non  solo,  ma  più  specialmente  facendovi  risaltare 
dove  la  decorazione  subì  l'influenza  d'oltremonti  e  dove  si  mantenne 
schiettamente  italiana.  In  tutte  predomina  la  semplicità,  la  sobrietà  del- 
l'ornato; trafori  di  finestre  che  a  prim' occhio  lasciano  travedere  il  trac- 
ciato geometrico  delle  loro  figure,  belle  cornici,  costoloni  a  profilo  ar- 
chiacuto, capitelli  e  rosoni,  dai  quali  fu  esclusa  la  fauna  di  animali  mo- 
struosi, od  almeno  fu  ridotta  a  qualche  testa  qua  e  là  d'uomo  e  di  leone, 
e  ad  eccezione  di  qualcuno  di  essi,  dove  fa  capo  qualche  nastro  a  forme 
geometriche,  sono  tntti  trattati  a  foglie  profilate  e  piegate  quasi  sempre 
air  italiana. 

Del  monastero  poco  è  a  dirsi.  Come  nelle  altre  Abbazie  Cistercensi, 
esso  fiancheggia  la  chiesa  alla  sua  destra.  Il  chiostro  era  ad  arcate  so- 
stenute da  piedritti  di  quattro  colonnine  a  giorno,  di  cui  avanzano  soli 
quattro  capitelli  (fig.  oO).  Alla  sala  capitolare  si  accedeva  dal  Iato  est  del 
chiostro,  al  refettorio  dallo  stesso  lato,  e  questo  era  diviso  dalla  sala  per 
r  interposizione  del  parlatorio  e  della  scala  che  couduceva  al  piano  su- 
periore di  detto  braccio,  dove  si  aveva  il  dormitorio,  le  camere  dell  'abate 
ed  una  cappella  colla  sacrestia.  Queste  parti  di  fabbricato  sono  ancora 
in  piedi,  ma  nulla  rimane  delle  corti,  delle  infermerie  e  dell'ospizio.  Del 
cimitero,  alla  sinistra  del  tempio,  esistono  tuttora  un  tratto  di  muro  di 
cinta  e  la  cappella.  Da  notarsi  è  la  bifora  della  sala  capitolare  (fig.  29) 
che  si  distacca  in  ogni  sua  parte  dallo  stile  e  decorazione  della  chiesa. 

Gli  oggetti  d'arte  che  ancora  rimangono  di  quel  tempio  ricchissimo 
sono:  il  gradino  dell'altare  con  formelle  a  storiette  dipinte,  la  bella  an- 
cona a  più  figure  conservata,  come  il  gradino,  nell'Istituto  di  belle  arti 
in  Siena.  Il  reliquiario  della  testa  di  S.  Galgano  è  venerato  nel  mona- 
stero del  Santuccio  di  quella  città,  altro  reliquiario  di  argento  e  rame 
dorato  con  smalti  nella  villa  di  Frosini.  Nel   museo   dell'opera  di  Siena 


212  RECENSIONI   BIBLIOGRAFICHE 

può  vedersi  il  pastorale  in    rame  dorato,    nel   cui  riccio  sta  la  figura  di 
S.  Galgano. 

Rimane  a  dirsi  della  struttura  del  tempio  e  del  monastero.  Di  essa 
l'A.  ci  dice  soltanto  dei  materiali  adoperati  nella  costruzione  del  tempio. 
Questi  furono  il  travertino,  il  sasso  accapezzato,  il  mattone.  Il  para- 
mento esterno  in  alcune  parti  è  tutto  a  filari  di  travertino,  in  altre  sono 
questi  alternati  con  filari  di  sasso  accapezzato,  e  l'opera  è  dove  più  dove 
meno  regolare.  Neil'  interno  per  la  massima  parte  la  struttura  dei  muri 
è  di  sasso  o  di  mattoni.  Il  paramento  di  travertino  figura  in  tutti  i  pi- 
loni e  nelle  fronti  di  alcuni  valichi,  e  della  stessa  pietra  sono  i  cunei 
dei  sottarchi  delle  navi  miiiori  e  i  rosoni  nel  centro  delle  volte.  I  sot- 
tarchi della  nave  mediana  hanno  una  costruzione  mista  di  materiale  la- 
terizio e  di  cunei  di  travertino.  I  costoloni  e  la  maggior  parte  delle  volte 
erano  di  mattoni.  Oltre  a  tali  notizie  avremmo  ritenute  opportune  quelle 
relative  alla  stabilità  delle  varie  parti  del  monumento.  Noi  sappiamo  che 
il  tempio  antichissimo  rimase  dopo  più  secoli  in  completo  abbandono  e 
che  prima  che  il  tetto  e  le  volte  rovinassero  già  le  muraglie  avevano 
«  aperture  per  tutto  ».  Ci  è  noto  altresì  che  il  cardinale  Commendone 
(1577)  fece  restaurare  la  chiesa  di  S.  Galgano,  e  tutta  l' incatenò  «  con 
spesa  almeno  dì  due  milla  scudi  ».  Si  potè  per  la  malizia  degli  uomini 
e  aver  levato  ferrate,  guasti  cori  antichissimi  per  cavarne  chiodi,  levato 
pestìi  e  bandelle  d'  usci  et  il  tutto  venduto  »  a  proprio  vantaggio  ;  po- 
terono i  monaci  in  causa  delle  scarse  loro  rendite  ricusarsi  alle  ripara- 
zioni urgenti  al  tetto  della  chiesa  e  al  campanile,  supplicando  a  farli 
(1624)  il  commendatario  «  camminando  le  cose  a  manifesta  rovina  »  (pag. 
56)  :  ma  il  rifiuto,  sempre  riprovevole,  opposto  dall'  abbate,  e  l' incuria 
di  questi  potè  essere  la  sola  causa  della  rovina  del  monumento  ?  Ci  na- 
sce spontaneo  il  dubbio  che  forse  al  peso  delle  volte  e  della  tettoia  non 
fosse  adequata  la  resistenza  dei  sostegni  ;  che  quei  contrafforti  esterni 
della  nave  centrale  così  sporgenti  i:>osati  in  falso  sopra  i  sottarchi  delle 
navate  laterali,  abbiano  influito  col  loro  peso  alla  rovina  degli  archi  e 
delle  volte,  molto  più  che  su  queste  per  ì  guasti  della  tettoia  pioveva 
per  tutto.  Lo  stesso  A.  fa  cenno  di  tale  difetto  (pag.  9)  che  riscontrato 
.su  altri  monumenti  dì  quello  stile,  l'Enlart  attribuisce  all'  imperizia  dei 
maestri  italiani.  Inoltre  vi  fu  forse  difetto  nella  stessa  struttura  o  per 
la  qualità  delle  malte  o  dei  materiali  adoperati,  dove  in  specie  sì  co- 
struirono i  muri  di  semplice  sasso,  benché  acconciato  e  ridotto  in  forma 
regolare.  E  ci  domandiamo  :  Come  mai  potè  rovinare  il  campanile  che 
ricoperto  o  da  guglia  o  da  tettoia,  con  poche  volte  o  solai  nei  ripiani, 
era  sollecitato  ad  ogni  modo  da  poche  forze  orizzontali  o  di  spinta?  E  come 
spiegarci  quella  speciale  struttura  nella  facciata,  dove  figura  fra  le  due 


RECENSIONI    ItIltLU>t;i:Al-I(IIK  2i:{ 

finestre  un  grosso  pilone  die  «gravita  sul  vano  della  porta  centrale  e  si 
protende  su  in  alto  quasi  a  far  sostegno  alla  chiave  del  niezzarco  di  fondo 
della  nave  mediana  V  (.^uaie  il  parere  dell'egregio  autore? 

Diremo  in  ultimo  che  le  tavole  e  i  disegni  illustrativi  della  bella  mo- 
uog'rafia  nulla  lasciano  a  desiderare.  Sono  in  parte  vedute  pittoriche 
dell'  interno  e  dell'esterno  del  monumento,  in  parte  riproduzioni  di  dise- 
gni ricavati  dalla  cartella  di  studi  dell'A.  Nelle  testate  e  a  pie'  dei  ca- 
pitoli, nelle  loro  iniziali  abbiamo  particolari  artistici  messi  \k  con  tutta 
la  civetteria  dell'arte.  E  porte  ed  archi  e  valichi,  pila  e  lavabo,  porta- 
torcie  e  campanelle  di  ferro,  formelle,  capitelli  e  mensole,  freg-i  e  cor- 
nici, il  tutto  è  cosi  bene  scelto  e  riprodotto  con  tanto  lusso  e  finezza  da 
esserne  grati  ai  fratelli  Alinari,  veri  paladini  dell'arte  fotografica.  Essi 
non  contenti  di  avere  arricchito  i  nostri  studi  della  piii  bella  raccolta  di 
tanti  tesori  artistici,  ora  si  fanno  editori,  e  la  splendida  Illustrazione  del- 
l'Abbazia di  S.  Galgano,  otfertaci  qual  primo  saggio,  ci  promette  una 
lunga  non  interrotta  serie  d'illustrazioni  di  altri  monumenti  italiani.  Il 
libro  testé  venuto  alla  luce  è  di  quelli  che  si  fa  leggere  e  studiare,  ci 
solleva  e  ingentilisce,  e  dopo  finito,  non  sazii  di  tante  bellezze,  si  vor- 
rebbe che   durasse  ancora  di  più. 

P.  Z. 

FoRTis  Etruria.  —  Deuxièine  partie.  Eléments  du  Droit  Etrusque  —  Ex- 
trait  de  Vouvrage  «  Jus  Antiquum  » ,  par  C.  Charles  Casati  de  Ca- 
SATis,  Paris,  1895. 

Fin  dal  1888  l'egregio  giureconsulto  e  dotto  archeologo  francese,  il 
cons.  Carlo  Casati  de  Casatis  pubblicò  con  il  titolo  Fortis  Etruria,  la 
prima  parte  di  un  interessantissimo  lavoro  sulle  origini  etrusche  del  Di- 
ritto romano,  promettendo  fin  d'allora  una  seconda  parte  che  compren- 
desse più  speciali  nozioni  sulla  famig'lia,  sulla  proprietà,  sulla  procedura 
ecc.,  ricercando  così  tutto  che  valesse  a  dimostrare  come  il  Diritto  ro- 
mano non  sia  che  il  portato  del  Diritto  etrusco,  rivendicando  all'incivi- 
limento etrusco  la  parte  d'influenza  che  gli  spetta  purauco  nelle  poste- 
riori civiltà. 

Il  soggetto  preso  a  trattare  dal  Casati  è  aifatto  nuovo,  nessuno  es- 
sendosi occupato  prima  di  lui  di  Diritto  Etrusco,  e  tal  soggetto  fu  dal 
Casati  medesimo  trattato  con  amore  tutto  speciale,  con  larghezza  di  ri- 
cerche e  con  esattezza  di  giudizio  degne  del  più  grande  encomio,  ogni 
asserzione  documentando  ed  ogni  fatto  provando,  in  base  alle  analisi  le 
più  accurate  delle  iscrizioni  e  dei  monumenti. 

Nella  prima  parte  dell'opera  erasi  occupato  a   dimostrare  l'incivili- 


214  RECENSIONI   lUBLlOtlAFlCHE 

mento  etrusco  cou  la  scorta  dei  niouumeuti,  l'orig-ine  tutta  etrusca  dei 
nomi  di  famiglia  e  della  Gente  romana;  in  questa  seconda  parte  un  ca- 
pitolo è  cousecrato  al  frammento  del  testo  della  Ninfa  etrusca  Lasa  Veka, 
uno  dei  rarissimi  saggi  del  Diritto  primitivo  e  sacerdotale;  e  gli  altri 
trattano  del  Diritto  personale,  del  matrimonio  etrusco,  del  divorzio,  della 
successione,  della  proprietà,  del  Diritto  amministrativo,  penale,  ecc.  ecc., 
il  tutto  accompagnato  da  copiose  ed  erudite  note  complementari. 

Più  di  3000  iscrizioni  etrusche  funerarie  hanno  pòrto  il  mezzo  al  Ca- 
sati di  stabilire  la  costituzione,  o  meglio  l'organamento  della  famiglia 
etrusca,  la  quale  denota  già  un  alto  grado  di  civilizzazione  per  il  posto 
riservato  alla  madre  di  famiglia,  allora  appunto  che  le  altre  civiltà  pri- 
mitive lasciavano  alla  donna  una  parte  assai  umile  ed  oscura,  quando 
non  la  consideravano  come  un  animale  domestico  e  nulla  più. 

Particolare  interesse  ha  per  noi  siffatta  pubblicazione,  poiché  è  nei 
nostri  monumenti  locali  che  il  dotto  autore  ha  trovato  mèsse  abbondan- 
tissima di  documenti  e  di  raffronti  per  rendere  ai  nostri  progenitori  quella 
giustizia  che  fino  ad  ora  era  stata  loro  contrastata,  per  sostenere  il  suo 
asserto  così  enunciato  nella  prima  parte  dell'opera: 

«  Il  me  parait  établì  par  les  textes  et  par  les  mouuineuts,  coutrai- 
rement  à  la  thése  du  célèbre  historien  M.  Mommseu,  que  la  civilisation 
romaine  est  néc  de  la  civilisation  ètrusque.  Si  Rome  a  subì  l' iufluence 
de  la  Grece,  si  la  civilisation  romaine  est  deveuue  grecque,  e' est  a  une 
epoque  postérieure;  lorsque  les  Romaius  eurent  assujetté  les  Grecs  par 
les  armes,  les  Grecs  a  leur  tour  firent  passer  les  Romains  sous  le  joug* 
de  leur  genie  litteraire  et  artistique,  et  alors  l' enfliieuce  ètrusque,  ju- 
sque-là  toute  puissante  dans  les  moeurs  et  daus  les  arts,  s'  eflf'a(ja  peuà  peu 
au  poiut  d'étre  oubliè  et  niée,  sans  cependant  riellement  disparaìtre  ». 

L' interessante  ed  accurato  lavoro  del  Casati  merita  di  esser  cono- 
sciuto in  Italia,  e  particolarmente  in  Perugia  ove  le  scienze  giuridiche 
hanno  antiche  e  splendide  tradizioni,  conservate  tali  fino  ai  nostri  giorni; 
e  noi,  discendenti  dall' Etrusca  gente,  da  questo  popolo  nobilissimo  che 
ebbe  la  forza  dell'  ordine,  la  virtù  del  sacrificio  e  la  onesta  serietà  della 
vita,  siamo  sicuri  compiere  opera  buona  ed  eminentemente  patriottica 
annunziandolo  e  raccomandandolo  con  le  parole  ìstesse  con  le  quali  l'e- 
gregio redattore  in  capo  della  Gazette  des  Tribunaux  de  Paris  (14  no- 
vembre 1894)  chiudeva  una  sua  elaborata  recensione  su  l'opera  grandiosa 
Jus  antiquum,  di  cui  il  volume  in  discorso  é  un  estratto  : 

«  Il  convient  de  mettre  en  relief  les  travaux  comme  celui  de  M.  Ca- 
«  sati  et  de  féliciter  leurs  auteurs.  Ils  rendent  d'éminents  services  a  l'hi- 
«  stoire  et  a  la  science  du  droit  » . 

A.   LUPATELLI. 


215 


NECROLOGIO 


Ruggero  Bonghi,  socio  onomrio,  mori  il  22  ottobre  1895 
in  Torre  del  Greco,  riinpianto  da  tutti  quanti  amano  la  pa- 
tria e  gli  studi.  La  nostra  Società  serberà  la  più  venerata 
memoria  di  lui  che  essendo  in  Perugia  nei  giorni  in  che  si 
fondava  questa  istituzione  umbra,  ebbe  per  essa  parole  cor- 
tesi e  incoraggiamenti  lusinghieri,  né  saprà  mai  dimenticare 
hi  parte  che  egli  ebbe  per  la  erezione  del  Collegio  di  Assisi. 
Fra  le  moltissime  sue  pubblicazioni  noi  dobbiamo  ricordare 
in  modo  particolare  il  suo  studio  su  S.  Francesco;,  che  fra 
tutti  gli  scritti  di  lui  «  cotesto  è  stato  il  più  e  meglio  letto 
(lo  dice  egli  stesso),  appunto  per  questo:  perchè  spiega  e 
non  turba,  perchè  risponde  a  una  realità  di  sentimento  e  non 
a  una  superbia  di  speculazione,  perchè  tocca  affetti  che  sono 
stati  e  saranno  sinceri  nell'  uomo,  e  non  ne  lusinga  di  falsi 
e  corrotti;  perchè  rasenta  i  problemi  più  ansiosi  dell'umana 
lìatura  e  non  li  scaccia  via  o  dileggia:  giacché,  è  vano  il 
negarlo,  l' uomo  repugna  al  falso,  ed  è  falso,  checché  una 
supposta  scienza  pretende,  il  disconoscere  la  natura  e  pre- 
tendere che  la  metà  o  la  minor  parte,  ne  sia  il  tutto  ». 


Francesco  Pagnotti,  nato  il  17  ottobre  1869  in  Montefalco, 
morto  il  22  ottobre  1895  in  Roma,  era  nostro  socio  collabo- 
ratore. Nel  1891  si  era  laureato  in  storia  moderna  con  tesi 
dichiarata  degna  di  stampa  sull'umanista  Giannozzo  Manetti, 
del  quale  ricostrusse  criticamente  la  vita  da  lui  scritta  di 
Mccolò  V.  Ottenne  uno  dei  due  posti  di  studio  di  perfezio- 


216  L.    FUMI 

namento  per  la  storia  moderna  istituiti  in  quei  giorni  dal 
Villari,  e  intanto  frequentava  il  corso  di  giurisprudenza  nella 
Università  di  Roma,  in  cui  si  laureò  nel  '94.  Frequentò  il 
corso  di  Paleografìa  e  Diplomatica  presso  il  R.  Archivio  di 
Stato,  dando  ottime  prove  di  profitto  e  di  attitudine  alle  di- 
scipline storiche  e  paleografiche.  Nominato  lo  scorso  anno 
professore  nel  ginnasio  superiore  Terenzio  Mamiani,  ascritta 
alla  R.  Società  Romana  di  storia  patria,  alla  Società  Geogra- 
fica italiana  e  alla  nostra  Società  Umbra,  dedicò  con  grande 
amore  tutto  il  suo  tempo  alla  scuola  e  alle  ricerche  storiche. 
Di  lavori  a  stampa  non  ne  lasciò  che  due;  uno  studio  pre- 
paratorio alla  nuova  edizione  critica  della  vita  di  Niccolò  V 
del  Manetti  pubblicato  dalla  Società  Romana  (1891)  e  la  rela- 
zione di  una  nunziatura  in  Savoia  scritta  da  Bernardino  Cam- 
pello  uditore  del  Nunzio  di  Torino  (1624  27)  inserita  nell'Ar- 
chivio della  detta  Società  (1893).  Da  due  anni  e  più  lavorava 
intorno  alla  vita  di  Innocenzo  III  scritta  da  Niccolò  da  Gurbio 
(Niccolò  da  Calvi  nell'  Umbria),  e  ne  aveva  già  bella  e  pronta 
l'edizione,  con  un'ampia  prefazione,  dove  accennava  al  sua 
proposito  di  studiare  tutte  le  vite  de'  pontefici  del  secolo  XIIU 
In  buona  parte  aveva  già  trascritto  un  manoscritto  Vaticana 
di  storia  Umbra  e  segnatamente  di  Trevi,  compilato  nei  primi 
del  secolo  XVI  da  un  Podestà  di  Trevi.  Questa  storia  del 
tutto  sconosciuta  e  autografa  non  limita  le  notizie  alla  città 
sua  patria,  ma  ne  dà  anche  delle  altre  città  dell'Umbria^ 
dove  fu  parimente  chiamato  all'ufficio  di  Podestà,  né  manca, 
di  interessare  alla  storia  di  Roma,  specialmente  là  dove  ri- 
ferisce le  voci  che  correvano  sulla  vita  privata  di  Alessan- 
dro VI.  La  nostra  redazione  aveva  accettato  di  inserirla  nel 
Bollettino,  e  senti  con  piacere  fin  dalla  metà  di  aprile  del  1895,. 
che  egli  avesse  condotto  il  lavoro  già  a  due  terzi  e  inten- 
desse raffrontare  la  cronaca  col  Diario  di  Ser  Tommaso  di 
Silvestro  che  si  viene  pubblicando  a  fascicoli  dal  Fumi,  e  il- 
lustrarla con  ricerche  negli  Archivi  Umbri  e  con  qualche 
breve  osservazione  sul  dialetto  umbro,  essendovi  non  poche 


NECROLOGIO  217 

forme  peculiari  che  possono  interessare  anche  il  filologo.  La 
Società  ha  fatto  vive  premure  alla  desolata  famiglia  del  va- 
lente giovane  per  ottenere  questo  suo  studio,  affinchè  non 
restino  inutili  tutte  le  sue  nobili  fatiche  e  la  sua  memoria 
resti  vieppiù  cara  fra  noi  per  quanto  è  sinceramente  com- 
pianta. 


Il  nostro  amatissimo  amico  e  collega  prof.  Giuseppe  Maz- 
zatinti  ha  avuto  il  dolore  di  perdere  il  suo  padre  diletto,  e 
la  sventura  che  ha  ferito  il  suo  cuore  di  figlio  ha  colpito 
tutti  i  suoi  amici  ed  ammiratori  che  pubblicamente,  a  nostro 
mezzo,  gii  esprimono  la  loro  condoglianza  profonda  in  queste 
pagine  illustrate  dalla  sua  erudizione  eletta  e  curate  dal  suo 
costante  amore. 

La  Redazione. 


219 


PERIODICI  IX  CMO  0  IN  DONO  -  OJIACillO  DI  PtDDLlC.lZIOXI 


Bullettino  dell'  Istituto  Storico  Italiano  (Numeri  14  e  Ifi).  —  Sommario  del 
n.°  16.  —  Le  «  Vitae  pontificiim  mediolanensium  »  ed  uua  «  syl- 
loge  »  epigrafica  del  secolo  X,  per  L.  A.  Ferrai.  —  Al  critico  deg-li 
«  Aualecta  Bollaadiaua  »  per  L.  A.  Ferrai.  —  Documenti  terracl- 
nesi  per  I.  Giorgi.  —  Studio  sul   «  Prochiron  legum  »  per  F.  Buan- 

DILEONE. 

Archivio  Storico  Italiano  (Dispeuse  3*  e  4*  del  1895).  —  Sommario  della 
dispensa  4.*  —  Memorie  e  documenti.  —  Una  bolla  inedita  e  scono- 
sciuta di  Celestino  V.,  F.  Carabellese.  —  La  cong-iura  di  Gerolamo 
Gentile,  M.  Rosi.  —  Di  alcune  leg-g-i  suntuarie  pistoiesi  dal  XIV  al 
XVI  secolo,  A.  Zanelli.  —  Nuovi  documenti  sforzeschi  fabrianesi, 
A.  Giaxaxdrea.  —  La  Società  Colombaria  di  Firenze  nell'anno  ac- 
cademico 1894-95,  A.  Alfani.  —  Archivi  e  Biblioteche.  —  Aneddoti 
e  varietà.  —  Corrispondenze.  —  Rasseg-na  bibliog-rafica.  —  Necro- 
log'ia.  —  Notizie. 

E.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino.  —  Memorie.  — (Serie  II,  Tomo  XLIV, 
Anno  MDCCCXCIV).  —  Classe  di  Scienze  morali,  storiche  e  filolo- 
g-iche.  —  Indice.  —  Le  più  recenti  indàg-ini  statistiche  sug-li  scio- 
peri, S.  CoGNETTi  De  Martiis.  —  Di  alcuni  manoscritti  copti  che 
si  conservano  nella  Biblioteca  Nazionale  di  Torino,  F.  Rossi.  —  L'an- 
tica Biblioteca  Novaliciense  e  il  frammento  di  un  Codice  delle  Ome- 
lie di  S.  Cesario,  C.  Cipolla.  —  Alfonso  Corradi  ricordato  nei  suoi 
lavori  scientifici  in  relazione  alla  Storia,  G.  Claretta.  —  Appunti 
dal  Codice  Novaliciense  del  «  Martyrologium  Adonis  » ,  C.  Cipolla. 
—  L'ultima  colonna  della  iscrizione  etrusca  della  Mummia,  E.  Lat- 
tes.  —  Notizia  di  alcuni  codici  dell'antica  Biblioteca  Novaliciense, 
C.  Cipolla.  —  Antichi  inventari  del  Monastero  della  Novalesa  con 
la  serie  degli  Abbati  e  dei  Priori  del  medesimo,  C.  Cipolla.  —  Atti 
(Voi.  XXX,  Dispense  1^  a  12%  Anno  1894-95). 

Archivio  della  R.  Società  Bomana  di  Storia  Patria  (Voi.  XVIII,  Fasci- 
coli l"-2°  e  3°-4°.  —  Sommario  del  Fascicolo  3''-4".  —  P.  Savignoni, 
L'Archivio  Storico  del  Comune  di  Viterbo.  —   D.  Oraxo,  Il  diario  di 


220       PERIODICI  IN   CAMBIO   O   IN   DONO  —  OMAGGIO   DI  PUBBLICAZIONI 

Marcello  Alberini.  —  V.  Capobianchi,  Appunti  per  servire  all'ordl- 
namento  delle  monete  coniate  dal  Senato  Romano  dal  1184  al  liSS- 
e  degli  stemmi  primitivi  del  Comune  di  Roma.  —  Varietà.  —  Ne- 
crologia. —  Atti  della  Società  Bibliografia.  —  Notizie.  —  Periodici. 
Archivio  Storico  Lombardo  (Serie  III,  Fascicoli  7°  e  8").  —  Sommaria 
del  Fascicolo  8'\  —  Memorie.  —  Un  giuramento  di  fedeltà  a  Bea- 
trice di  Tenda  duchessa  di  Milano  e  signora  di  Pontecurone  ed  altri 
atti  del  segretario  ducale  Cristiani,  Z.  Volta.  —  Notai  milanesi  del 
trecento  (Primo  spoglio  dell'Archivio  notarile  di  Milano),  E.  Motta. 

—  Varietà.  —  Storia  ed  arte. 

Archivio  Storico  per  le  provincie  napoletane  (Anno  XX,  Fascicoli  III  e 
IV).  —  Sommario  del  Fascicolo  IV.  —  Mastrojanni  0.,  Sommaria 
degli  atti  della  cancelleria  di  Carlo  Vili  a  Napoli.  —  Cerasoli  F.^ 
Urbano  V  e  Giovanna  I  di  Napoli  (Documenti  inediti  dell'Archivia 
segreto  Vaticano.  —  Croce  B.,  Intorno  al  comunismo  di  Tommasa 
Campanella.  —  Gabotto  F.,  La  Chiesa  di  Bisceglie  dal  Vescovo  Bi- 
sanzio al  Vescovo  Nicolò.  —  X.,  Aneddoti  di  Storia  napoletana.  — 
Sogliano  a..  Miscellanea  epigrafica  napoletana.  —  Contributo  alla 
storia  e  topografia  antica  di  Napoli.  —  Necrologia. 

Archivio  Storico  per  le  x>rovincie  jmrmensi  (Voi.  I,  1892)  —  Agnelli  G.» 
Archivio  della  Collegiata  di  Castel  San  Giovanni  di  Olubra.  —  Car- 
RERi  F.  C,  Antiche  memorie  della  Pieve  di  Castellarquato  nel  Pia- 
centino. —  Passerini  G.,  Appunti  storici  di  notari  parmigiani  (Ales- 
sandro Malgari,  Lodovico  Sacchi).  —  Restori  A.,  La  battaglia  del 
29  giugno  1734  e  i  primi  documenti  del  dialetto  urbano  di  Parma.  — 
Appendice:  Sag'gio  di  bibliog-rafia  dialettale  parmense.  —  Tononi 
A.  G.,  Gl'inventari  delle  due  chiese  maggiori  Santo  Antonino  e  Cat- 
tedrale di  Piacenza  dei  secoli  XII  e  XIV.  —  Capasso  G.,  Il  prima 
viaggio  di  Pier  Luigi  Farnese  Gonfaloniere  della  Chiesa  negli  Stati 
Pontifici  (1537)  —  «  Lamento  »   per  la  morte  di  Pier  Luigi  Farnese. 

—  Passarini  G.,  La  Giureprudenza  del  Foro  notarile  parmense  nel 
secolo  XVI  sulla  validità  dei  rogiti  imperfetti. 

Mivista  eli  Storia,  Arte,  Archeologia  della  Provincia  di  Alessandria 
(Anno  IV,  Fascicoli  11"  e  12").  —  Sommario  del  Fascicolo  12°.  — 
Parte  I.  —  Studi  (Casale  Monferrato)  —  Documenti  storici  del  Mon- 
ferrato (VII)  —  Relazione  (seconda)  esatta  e  sincera  di  ciò  che  è 
passato  nella  resa  di  Casale  alle  armi  imperiali  nell'anno  1706.  — 
Studi  (Alessandria)  —  Un  episodio  della  Storia  di  Alessandria  al  fi- 
nire del  secolo  XIV,  G.  Pittaluga.  —  Studi  (Casale  Monferrato)  — 
Il  Moncalvo  —  Notizie  su  documenti,  F,  Negri.  —  Memorie  e  no- 
tizie. —  Bibliografia  della  Provincia.  —  Parte  II.  —  Documenti.  — 


l'ERIODICI   IN    CAMBIO    O    IK    DONO  -•  OMAdGlO    DI    ITlìHMCAZIONI        221 

Documenti  ed  estratti  di  docuinoiiti  \n'v  la  Storia  di  (iavi,  C.  Dk 
Si  MONI. 

Atti  e  memovie  della  lì.  Deputazione  di  Storia  Patria  per  le  provincie 
modenesi  (Voi.  VII  della  vserie  IV  pubblicato  a  celebrare  il  primo 
centenario  dalla  nascita  di  Mons.  C.  Cavedoni).  —  Indice.  —  Mons. 
Celestino  Cavedoni),  Discorso  del  dott.  B.  Golfi.  —  Scritti  arclieo- 
loy-ici  sulla  Lunigiaua  di  Mons.  C.  Cavedoni  raccolti  ed  annotati 
dal  cav.  G.  Sforza.  —  Tombe  Li-'uri  di  IMassa  Lunense  dell'  avv. 
A.  Crespet.lani.  —  Corrispondenza  archeologica  fra  C.  Cavp:doni, 
A.  Crespellani  e  G.  Vandklli.  —  Lettere  inedite  di  C.  Cavedoni 
a  G.  Paltrinieri  pubblicate  dal  Sac.  F.  Ceretti. 

Ecole  Francaise  de  Rome  —  Mélanges  d' Archeologie  et  d'IIistoire  (XV 
Année,  Fase.  1  et  2-3).  —  Aug-uste  Geffroy  par  L.  D.  —  L'é- 
pitaphe  d'Abercius  par  L.  Duciiesne.  —  Un  dessin  d'après  l'an- 
tique par  S.  Reinacii.  —  Notes  sur  l' itiuéraire  du  Pape  Calixte  II 
de  1121  a  1123  par  P.  Fabre.  —  Notes  sur  quelques  voies  romai- 
nes  de  l'Afrique  proconsulaije  par  J.  Toutain.  —  La  dominatioa 
francaise  à  Pise  par  C.  de  la  Roncière.  —  Les  inscriptions  chré- 
tiennes  de  l'Asie  mineure  par  F.  Cumont.  —  Chronique  archéolo- 
g-ique  Africaine  par  S.  G.sell. 

Atti  della  Società  di  Archeologìa  e  Belle  Arti  per  la  provincia  di  Torino 
(Voi.  VI).  —  Indice.  —  I  sepolcreti  di  Ornavasso,  E.  Bianchetti. 

Bollettino  della  Società  di  Storia  Patria  Anton  Lodovico  Antìnori  negli 
Abruzzi  (Anno  VIII,  Puntata  XV).  —  Documenti  inediti  dell'Archi- 
vio municipale  dell'Aquila,  I.  Ludovisi.  —  Cenni  g-eog-rafici  e  sto- 
rici del  Castello  di  Assergi,  V.  Moscardi.  —  Cenni  biografici  del 
celebre  archiatro  napoletano  Antonio  Villari  (lettera  del  Dott.  Li'iGi 
Villari  al  Prof.  E.  Casti).  —  Ricordi  storici  riguardanti  g'ii  Abruzzi 
nella  Rivoluzione  del  1820,  L.  Palatini.  —  Giudizio  di  due  dotti 
tedeschi  sull'Abruzzo,  E.  Del  Re. 

Bulletin  de  la  societé  d' histoire  Vaudoise  (n.  12)  —  Table  des  matières 
—  Déclaratiou  de  S.  A.  Sér.  Mouseigneur  Ernest  Louis  Landgrave 
de  Hesse  en'  faveur  des  Vaudois.  —  Histoire  des  persécutions  endu- 
rées  par  les  Vaudois  du  Dauphiné  aux  XIII,  XIV  et  XV  siècles. 

jB.  Accademia  dei  Rozzi  —  Bullettino  senese  di  Storia  Patria  (Anno  II, 
Fascicoli  S"-!").  —  Memorie  originali.  —  I.  Del  Lungo,  Il  Savo- 
narola e  i  Senesi.  —  G.  Pardi,  Della  vita  e  degli  scritti  di  G.  Co- 
lombini. —  G.  Rondoni,  Il  mistero  di  S.  Caterina  in  un  codice  della 
Biblioteca  Comunale  Senese.  —  Varietà.  —  Archivi.  —  Rassegna 
bibliografica. 

Studi  e  documenti  di  Storia  e  Diritto  (Anno  XVI,  Fascicolo  4°).  —  Note 


222       PERIODICI   IN   CAMBIO    O   IN   DONO  -  OMAGGIO   DI   PUBBLICAZIONI 

iutorno  alla  dottrina  dei  leg-ati,  E.  Carusi.  —  SuH'  interpretazione 
di  nn  passo  di  Tibullo  iu  rapporto  ad  antiche  vie,  A.  Rocchi.  — 
Lettere  e  rime  inedite  di  I.  Frugoni,  G.  Zannoni. 

Miscellanea  Storica  della  Valdelsa  (Anno  III,  Fascicoli  2"  e  3°).  —  Som- 
mario del  Fascicolo  3°.  —  G.  Carocci,  Castelfiorentino,  Ricordi 
e  notizie.  —  A.  Neri,  Castello  e  Badìa  di  Pog-g-io  Marturi  presso 
Pog'gibonsi.  —  Varietà  e  Aneddoti.  —  Comunicazioni  e  quesiti. 

Società  Storica  Comense.  —  Raccolta  storica.  —  Atti  della  visita  pasto- 
rale diocesana  (1589-1593)  di  A.  Feliciano  Ninguarda,  Vescovo  di 
Como  (Voi.  Ili,  Dispensa  2»). 

Bollettino  della  Società  Africana  d'Italia  (Anno  XIV,  Fascicoli  l°-8°,  e 
9''-10''). 

Nuova  Rivista  Misena  diretta  dal  Prof.  Anselmo  Anselmi  (Anno  VIII^ 
numeri  7-10). 

Miscellanea  Storica  Senese  (Anno  III,  numeri  8  e  9). 

Bullettino  della  Società  Dantesca  italiana  (Voi.  Ili,  Fascicoli  1"  e  2°). 

La  Critica,  Rivista  settimanale  di  arte  diretta  da  G.  Monaldi  (Anno  III^ 
numeri  1-4). 

R.  Istituto  Lombardo  di  Scienze  e  Lettere.  —  Rendiconti  (Serie  II,  Vo- 
lume XXVIII,  Fascicoli  16-20). 

R.  Accademia  dei  Lincei  (Classe  di  Scienze  morali,  storiche  e  filologiche) 
—  Rendiconti  (Serie  V,  Voi.  IV,  Fascicoli  6-11). 

Commissione  Municipale  di  Storia  Patria  e  Belle  Arti  di  Carpi.  —  Me- 
morie storiche  e  documenti  su  Carpi  (Voi.  VI). 

Erudizione  e  Belle  J.?'^iV  Miscellanea  diretta  dal  Prof.  Francesco  Rava- 
GLi  (Anno  II,  Fascicoli  11"  e  12°). 

Accademia  di  Scienze^  Lettere  e  Arti  degli  zelanti  e  PP.  dello  Studio  di 
Acireale.  —  Atti  e  rendiconti  (Nuova  serie,  Voi.  VI). 

Rivista  di  Storia  antica  e  Scienze  affini  diretta  dal  Dott.  Giacomo  Tropea 
(Anno  I,  Fascicoli  2°  e  3°). 

n  Rinascimento,  Rassegna  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti  (Anno  I,  Fasci- 
colo 8"). 

L'Educazione  popolare,  Rivista  mensile  diretta  da  Giuseppe  Neri  (An- 
no II,  Fascicoli  8°  e  9°). 

R.  Accademia  Lucchese  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti.  —  Atti  (Tomo  28°). 


Pu^n  L.  —  L' Inventario  dei  beni  di  Giovanni  di  Maguavia  Vescovo  di 
Orvieto  e  Vicario  di  Roma.  —  Roma,  Tip.  Poliglotta  della  S.  C.  di 
P.  F.,  1895. 


PERIODICI  IN   CAMBIO   O   IN    DONO    -  OMAGGIO    DI   PUnBLICAZIONI       223 

Cn'OLLA  C.  —  Cesare  Cautù  ed  Enrico  vou  Sybel.  —  Cenni  commemora- 
tivi. —  Torino,  C.  Clausen,  1895. 

Charitas.  —  Pubblicazione  per  cura  di  G.  Sannucci.  —  Assisi,  Tip.  Me- 
tastasio,  1895. 

Manassei  P.  —  Nota  sullo  Statuto  inedito  di  Collestatte  e  Torreorsiua, 
comunità  della  Diocesi  di  Spoleto  rette  con  giurisdizione  feudale  fino 
alla  restaurazione  del  g-overno  pontificio  dopo  1'  epoca  napoleonica. 
—  Spoleto,  Tip.  Bassoni,  1895. 

Broussolle  J.  C.  —  La  Rocca  d'Assise,  Pèlerinag-e  aux  pays  des  vicux 
paintres  ombriens.  —  Paris,  Letouzey  et  Ané,  Editeurs,  1895. 


A 


225 


IL  CATASTO  D'  ORVIETO 


DELL'  ANNO    1292 


i.ii',!ii:i 

1  \ 

Aiiliiiiiii 

ìilllIKl 

S'-affah- 

Fila 

Nunu'i'o 

Il  Canestrini,  nella  sua  opera  magistrale  «  La  scienza  e  l'arte 
di  Siato  desunta  dagli  aiti  ufficiali  della  repubblica  fiorentina  e 
dei  Medici  »,  parlando  degli  statisti  di  Firenze,  città  che  egli  dice 
aver  dimostrata  —  come  dimostrò  realmente  —  una  sapienza  gran- 
dissima negli  ordinamenti  economici,  si  esprime  a  questa  ma- 
niera (I,  7)  : 

«  Ed  in  vero  i  nostri  statisti  ponendo  ogni  studio  nel  cercare 
e  conoscere  esattamente  tutta  la  ricchezza  privala,  tutta  la  mate- 
ria imponibile,  e  nel  procurare  nello  stesso  tempo  l'eguaglianza 
contributiva  non  solo  per  ragione  di  giustizia  ma  ben  anche  per 
accrescere  sempre  più  la  rendita  dello  Stato,  e  sostenere  la  po- 
tenza e  la  riputazione  dentro  e  fuori  d' Italia  della  repubblica  fio- 
rentina, non  si  contentarono  della  proporzione  approssimativa  o 
presuntiva  nel  riparto  delle  imposte,  ma  fecondi  come  erano  d'in- 
gegnosi ritrovati,  e  per  la  grande  pratica  degli  affari  e  dei  cal- 
coli mercantili  espertissimi  nell'aritmetica  politica,  aiutati  forse 
anche  dalle  tradizioni  della  repubblica  d'Alene,  si  applicarono  ad 
accertare  con  vari  modi  di  calcolo  la  facoltà  contributiva  di  ciascun 
cittadino,  a  perfezionare  sempre  più  la  forma  e  il  modo  d' imposta 
e  della  sua  distribuzione,  per  cui  divennero  sempre  più  esalti  e 
severi  ricercatori  della  ricchezza  privala  e  delle  risorse  d'ognuno  ». 

Ma,  ad  onta  di  tutto  ciò,  la  repubblica  fiorentina,  nelle  impo- 
sizioni sopra  la  ricchezza  immobile,  non  fu  così  perfetta  come 
altre  città  della  Toscana,  avendo  fino  ai  primi  decenni  del  se- 
colo XV  adoperato  V  eslimo,   avendo   cioè   presa   per   norma  del- 

15 


226  G.    PARDI 

l'imposte  la  stima  delle  sostanze  di  ciascun  cittadino,  fatta  a  se- 
conda della  denuncia  loro  od  arbitrariamente  da  ufficiali  a  ciò 
deputati.  Di  qui  una  grande  incertezza,  instabilità,  ineguaglianza 
ed  ingiustizia  nel  riparto  delle  imposte  medesime,  ingiustizia  age- 
volata dalle  passioni  politiche,  poiché  il  partito  dominatore  si  stu- 
diava di  aggravare,  quanto  più  era  possibile,  gli  avversari  e  di 
sgravare  al  contrario  i  propri  fautori  (1).  Ed  il  Canestrini  stesso 
(pag.  104)  confessa  Timperfezione  deW  estimo  e  ne  nota  i  due 
principali  difetti:  «  il  primo,  che  la  gravezza  veniva  distribuita  sul 
numero  dei  cittadini  e  non  propriamente  sulla  qualità  e  quantità 
della  ricchezza;  il  secondo,  che  nell' imporre  e  distribuire  i  pesi^ 
non  sempre  la  legge,  ma  più  spesso  l'arbitrio  degli  uomini  pre- 
valeva; laonde  le  frodi,  gli  abusi,  le  parzialità  ». 

In  questo  adunque,  vale  a  dire  nella  ricerca  più  certa  e  più 
esatta  della  facoltà  contribuitiva  dei  cittadini,  furono,  per  così  dire, 
maestre  a  Firenze  anche  due  cittadelle  non  poste  nella  Toscana 
culla  degli  ordinamenti  economici  :  Macerala  ed  Orvieto,  le  quali 
con  i  catasti,  del  1268  l'una  (2)  e  del  1292  l'altra,  stabilirono  una 
norma  sicura  per  l' imposizioni  sulla  ricchezza  immobile. 

E  cito  Macerata  ed  Orvieto  soltanto,  perchè  sul  catasto  del- 
l'una è  stato  pubblicato  un  accurato  studio  dell'avv.  Foglietti,  e 
perchè  quello  dell'altra  è  appunto  materia  del  presente  scritto.  Ma 
potrei  ricordare  catasti  antichi  di  altre  città,  come  quelli  di  Iesi 
della  metà  del  secolo  XIII,  di  Amandola  del  1328,  di  Ascoli  del 
1381   (3),  e  di  Amelia  mollo  anteriore  al  1357  (4). 

Ho  creduto  degno  d'esser  reso  di  pubblica  ragione  un  esame  del 
catasto  d'Orvieto  del  1292,  monumento  della  sapienza  politica  ed  eco- 
nomica di  questo  Comune,  compiuto  lo  stesso  anno  in  cui  si  poneva 
la  prima  pietra  di  un  meraviglioso  monumento  d'arte,  della  calte- 


li) La  provisione  dei  catasto  fiorentino  comincia  con  questa  dolorosa  esposizione 
dei  danni  arrecati  dall'estimo; 

«  Quelli,  quanti  e  quali  cittadini  la  inegualità  delle  gravezze  pubbliche  abbia  dei 
beni  spogliati,  della  patria  pi'ivati,  lo  esterminio  delle  sostanze  a  disperazione  quasi 
abbia  condotti,  il  desiderio  di  molti  che  desideravano  ritornare  alla  patria  abbia  ri- 
tratto, di  quanti  mali  abbia  dato  cagione,  spauriti  e  dubbiosi  di  suo  stato  abbia  te- 
nuti, con  scrittura  ovvero  lingua  dire  non  si  potrebbe  ». 

(2)  R.  Foglietti,  Il  catasto  di  Macerata  nell'anno  136S,  Macerata,  1SS6. 

(3)  A.  Crivellucci,  L'antico  catasto  di  Ascoli  (Studi  storici  di  A.  Crivellucci  ed 
E.  Pais,  voi,  II,  pag.  493-522). 

(4)  Arch.  coni.  d'Amelia,  pergamena  del  1357,  gennaio  7. 


IL   CATASTO    d'  ORVIETO,   ECC.  227 

drale  di  S.  Maria  (1):  duo  avvenimenti  notevoli,  che  attestano  la 
floridezza  e  grandezza  della  repubblica  orvietana  sulla  fine  del 
secolo  XIII. 

Compatiscano  pertanto  gli  amanti  di  queste  ricerche  chi,  de- 
sideroso di  fare,  si  avvolge,  errando  forse,  per  i  labirinti  di  un 
intricato  argomento,  procurando  di  uscirne  dopo  aver  acquistala 
qualche  cognizione  giovevole,  studiandosi  cioè  di  giungere  a  qual- 
che conclusione  nuova  e  non  inutile. 

§  1.  —  Descrizione  paleografica  dei  due  codici  contenenti 
il  catasto  della  città  e  del  contado  d'Orvieto  del  1292. 

Il  catasto  della  città  è  contenuto  in  un  grosso  codice  mem- 
branaceo, di  carie  608,  con  varie  lacune.  Nel  quartiere  di  Santa 
Pace  mancano  le  e.  51-2,  57-9,  08-89;  nel  quartiere  di  Posteria 
mancano  le  e.  128-137  e  non  si  legge  la  numerazione  da  e.  207 
a  e.  211,  perchè  il  margine  superiore  è  corroso;  nel  quartiere 
Serancia  mancano  le  e.  3-18. 

Ogni  e.  è  lunga  0,52,  larga  0,28.  Il  margine  superiore  mi- 
sura 0,04  e  l'inferiore  0,10;  nel  margine  sinistro  sono  scritti  i 
nomi  dei  possessori  dei  terreni  ed  i  capiversi  delle  pagine,  nel 
destro  le  stime  dei  possessi.  La  somma  della  stima  dei  possessi 
di  ciascuno  e  le  intestazioni  dei  quartieri  sono  in  rosso. 

Comincia  in  tal  modo: 

IN  NOMINE  DOMINI  AMEN. 

Ad  Honorem  et  Reverentiam  Omnipotentis  dei  Beate  Marie  semper 
Virgiuis  et  Beatorum  Apostolorum  Petri  et  Pauli  et  omnium  sanctorum 
et  sanctarum  dei.  Et  ad  honorem  et  reverentiam  sacre  sante  romane  Ec- 


(1)  Tra  questi  due  fatti  v' é  alcuna  relazione?  Il  Manente  (Historie,  pag.  157), 
dopo  aver  narrato  come  per  costruire  il  duomo  d'Orvieto  furono  abbattute  le  due 
chiese  di  S.  Costanzo  e  di  S.  Maria  Prisca,  aggiunge  che  il  pontefice  permise  si  spendes- 
sero nella  fabbrica  le  offerte  presentate  al  Corporale,  e  che  inoltre  «  fu  fatto  et  ordinato 
il  Catasto  generale  et  sontuoso  come  al  presente  si  vede  per  tal  fabrica,  et  tutti  Ba- 
roni et  cittadini  volentiermente  pagarono  gran  quantità  di  danari  per  la  fabrica  di  tal 
tempio  ».  Le  parole  del  Manente,  false  per  riguardo  a  molti  fatti  della  storia  orvie- 
tana, sono  state  messe  in  dubbio  anche  a  questo  proposito;  ma  io  reputo  sien  qui  ve- 
ritiere, perchè  la  concordanza  della  data  tra  l'istituzione  del  catasto  e  la  fondazione 
della  cattedrale  conforta  l'asserzione  del  cronista. 


228  Ct.  pardi 

elesie  et  Ad  statura  Pacificum  et  Quietum  Civitatis  Urbis  Veteris  Eius- 
que  Comitatus  et  districtus  Civitatis  prefate.  Hic  est  Liber  Appassatus 
sive  mensurationis  Terrarum  et  Possessionura  Hominum  Civitatis  et  Co- 
mitatus Civitatis  prefate.  Ac  etiam  Extimatiouis.  Factus  et  conpositus 
per  Discretos  Viros  Mag'istrum  Transmundum  Egidii  de  Fabriano,  Pal- 
merutium  Eius  Filium,  Bernardum  Hermanni  et  Bonansegnam  Bartholi 
de  Fulgiueo  Agrimensores  Terrarum.  Et  scriptus  per  me  Jacobum  Massei 
de  Fulgineo  notarium,  Sub  Anno  dni  M.CC.  LXXXXII.  ludictione  Quinta, 
Tempore  dni  Niccolay  pape  Quarti,  Et  Tempore  Potestarie  Nobilis  et 
Egregii  Militis  dni  Fiorii  de  Mediolano  Honorabilis  Potestatis  et  Capita- 
nei  Civitatis  Eiusdem:  Que  quidem  possessiones  Extimate  fuerunt  per  Re- 
ligiosos  Viros,  Fratres  ordinis  Sancti  Guilielmi. 

Dopo  questo  titolo  principia  il  catasto  del  quartiere  di  Santa 
Pace,  diviso  nelle  seguenti  regioni: 

De  Rigoue  saucte  Pacis da  e.     1  a  e.     32 

De  Rigone  sancti  Christofani  .  .  . 
De  Rigone  Vallis  Placte  .... 
De  Rigone  Ripe  Ulmi 

Dopo  il  catasto  del  quartiere  di  Santa  Pace  segue  quello  del 
quartiere  di  Postierla  intestato  in  tal  guisa: 

IN  DEI  NOMINE  AMEN. 

Ad  Honorem  et  Reverentiam  Omnipotentis  dei  et  Gloriose  Beate  Marie 
semper  Virginis,  Beatorum  Apostolorum  Petri  et  Pauli,  Beati  Constantii 
Martiris  et  Omnium  sauctorum  et  sanctarum  dei.  Ad  honorem  et  Reve- 
rentiam sacrosancte  Romane  Ecclesie.  Et  ad  bonum  et  pacificum  statura 
Civitatis  et  Comitatus  Urbis  Veteris.  Hic  est  liber  appassatus  et  mensu- 
rationis terrarum  Viuearum  et  aliarum  possessionum  hominum  et  perso- 
narura  diete  Civitatis,  Videlicet  de  quarterio  Pusterule  cura  extimatione 
Ipsarum  possessionum.  Factus  et  conpositus  per  discretos  Viros  Tran- 
smundmu  Egidii  de  Fabriano,  Palmerutium  eius  filium,  Berardum  Har- 
manni  et  Bonansegnam  Bartholoni  de  Fulgineo  agrimensores,  scriptus 
per  me  Venturam  Jacobi  de  Spello  notarium  usque  ad  Regionem  sancti 
Angeli  et  inde  antea  per  Angelum  Thorae  de  Fulgiueo  notariiim. 

Il  quartiere  di  Postierla  è  diviso  nelle  seguenti  regioni: 


33 

» 

42 

43 

» 

50 

53 

» 

125 

IL   CATASTO    d'  ORVIETO,    ECC.  229 

Inprimis  de  Regione  saucte  Marie .  da  e.  1  a  e.  32 

De  Regione  sancti  Salvatoiis     .     .        »  33  »  46 

De  Regione  sancti  Constautii     .     .        >  47  »  80 

De  Regione  sancti  Blaxii  ....         »  81  »  100 

De  Regione  sancti  Egidii  ....        »  101  »  106 

De  Regione  sancti  Leonardi  ...         »  107  »  128 

De  Regione  sancti  Angeli      ...         »  137  »  202 

De  Regione  sancti  Stephani  ...        »  203  »  221 
[Manca  il  rione  di  san  ^Martino] 

Segue  il  catasto  del  quartiere  di  San  Glocanni  e  San  Gio- 
venale, scritto  dal  notaro  Martino  di   Pietro  da   Fabriano: 

De  qiiarterio  sancti  Jiivenalis  et  santi  Johaunis. 

De  Rigone  sancti  Juvenalis  .  .  .  da  e.  1  a  e.  72 
De  Rigone  sancti  Matthey ....  »  73  »  80 
De  Rigone  sancti  Fustini  ....  »  81  »  90 
De  Rigone  sancti  Johannis      ...        »       91      »     128 

Segue  il  catasto  del  quartiere  Serancia,  di  cui  non  è  indi- 
cato da  qual  notaro  sia  stalo  scritto: 

De  Regione  Seraucis da  e.     1  a  e.  47 

De  Regione  Sancti  Angeli  sub  Ripa  »       48      »  54 

De  Regione  Sancti  Laurentii  ...  »       55      »  67 

De  Regione  Sancti  Apostoli     ...  »       68     »  106 

É  infine  la  stima  dei  beni  di  persone,  di  cui  non  si  sapeva 
di  che  regione  fossero  o  se  appartenessero  alla  città  od  al  con- 
tado : 

In  nomine  domini  amen.  Infrascripti  snnt  homines  et  persone  recepti 
cum  Infrascriptis  possessionibns,  qui  non  fuerunt  Noti  de  qua  Regione  es- 
sent  per  Homines  Regionum  positos  per  Comune  Civitatis  Urbis  Veteris, 
Nec  agnosci  potueruut  per  aliquos  homines  requisitos  ad  hoc  qui  essent 
et  au  essent  de  Civitate  an  de  Comitatu....  da  e.  120  a  e.  134. 

Il  catasto  del  contado  d'Orvieto  è  contenuto  in  un  grosso  codice 
membranaceo,  di  e.  717,  presso  a  poco  delle  stesse  dimensioni 
delle  e.  del  catasto  della  città  e  con  margini  eguali.  Non  v'  è  nes- 
suna lacuna.   La  somma    della   stima    dei    possessi   di    ciascuno    è 


230  G.    PARDI 

scritta,  al  solilo,  in  rosso,  come  pure  le  intestazioni  dei  paesi  del 
contado. 

Comincia  in  questo  modo  : 

IX  DEI  NOMINE  AMEN. 

Ad  Honorem  et  Reverentiam  Omnipoteutis  dei  et  Beate  Marie  semper 
Virg'inis,  et  Beatorum  Apostolorum  Petri  et  Pauli  et  Omuiiim  sanctorum 
et  sauctarum  dei  et  Ad  honorem  et  Reverentiam  sacre  saucte  Romane 
Ecclesie  et  Ad  statum  Pacificum  et  Quietum  Civitatis  Urbis  Veteris  eius- 
que  Cornitatus.  Hic  est  liber  Appassatus  et  Meusurationis  Terrarum  et 
Possessiouum  hominnm  et  personarum  Totius  Comitatus  et  Districtiis, 
Castrorum,  Pleberiorum  et  Yillarum  Civitatis  Urbis  Veteris  Cum  Extima- 
tioue  dictarum  possessionum  facta  per  Religiosos  Viros  fratres  de  Ordine 
sancti  Guilielmi.  Factus  et  Compositus  per  discretos  viros  Magistnim  Trau- 
smundum  Egidii  de  Fabriano  et  Paimerutium  eius  Filium  de  Eodem 
Loco,  Berardum  Herraauui  et  Bonanseg'nam  Bartholoui  de  Fulgineo  Agri- 
mensores  Terrarum,  Tempore  potestarie  Nobilis  et  Egreg'ii  Militis  dni 
Fiorii  de  Mediolano  Honorabilis  Potestatis  et  Capitanei  Civitatis  prefate. 
Sub  Anno  dui  Millesimo  Ducentesimo  Nouagesimo  Secundo.  ludictione 
Quinque  (sic)  Tempore  dni  Niccolay  pape  Quarti. 

Il  catasto  del  contado  è  diviso  nella  maniera  seguente: 

Pleberium  FicuUi e.       1  —     68 

Castrum  Fabri e.     69  —     96 

Pleberium  sanate  Marie  in  Forzano,  e.     97  —  100 

Castrum  Campursilvuli e.  101  —  142 

Castrum  Alglaui     .......  e.  143  —  146 

Pleberium  Aleronis e.  147  —  171 

Castrum  Rubialgli e.  172  —  174 

Castrum  Paterni e.  175  —  178 

Pleberium  Sancti  Fortunati     .     .     .  e.  179  —  193 

Pleberium  Bardani e.  194  —  198 

Pleberinm  sancti  Donati e.  199  —  238 

Pleberium  Mimiani e.  239  —  252 

Pleberium  sancti  Abundi     ....  e.  253  —  260 

Pleberium  Sucani e.  261  —  292 

Castrum  Lubriani e.  293  —  312 

Castrum  Civitelle  As'liani    ....  e.  313  —  332 


IL   CATASTO    d'  ORVIETO,    ECC.  231 

Pleberiiim  sancti  Johannis  ....  e.  333  —  340 

Castrum  Fichiui e.  341  —  388 

Plebcrium  sancte  Marie  Stiole.     .     .  e.  38U  —  397 

Castrum  Mentis  Guabionis  ....  e.  398  —  458 

Pleberium  Monti  Long-i e.  459  —  477 

Pleberium  sancte  Marie  de  Rosa.     .  e.  475  —  522 

Pleberium  sancti  Felicis e.  522  —  538 

Pleberium  sancte  Marie  in  silva.     .  e.  539  —  582  r. 

Pleberium  sacti  Petri e.  582  t.  —  584 

Pleberium  Moutis  Jovis e.  585  —  596 

Pleberium  Montis  Leonis     ....  e.  597  —  648 

Pleberium  Caruaiole e.  649  —  658 

Pleberium  Stennaui    ......  e.  659  —  678 

Pleberium  Morraui e.  679  —  709 

Castrum  Turris e.  710  —  717 

In  questi  due  calasti  non  sono  registrati  se  non  i- possessi 
consistenti  in  terreni.  Di  ogni  singolo  pezzo  di  terra  è  indicalo  in 
quale  contrada  si  trova,  se  è  coltivato,  sodo,  a  vigna,  ad  orlo,  a 
prato,  a  bosco  e  ne  sono  espressi  i  confini,  l'estensione  e  la  slima. 
Eccone  un  esempio:  - 

Dnus  Spinellus  Rayuutii  Transmundi.  Ha- 
bet  viueam  in  coutrata  Tinaie  iuxta  Lunar- 
dum  Jacobi  Terze  d.  II  1.  [de  duobus  lateri- 
bus]  et  viam.  Que  est  unus  mezalis  et  vigiuti 

sex  tabule.  Estimata Trencencis  uonaginta  una 

1.  [libra]  CXXII  s.  [sol- 
dis]. 

Item  habet  terram  [fei'ra  coltivata]  in  po- 
dio Mariani  iuxta  Nerium  Saraceni,  Nerium 
Ug'izonis  et  fossam.  Que  est  tres  mezales. 
Extiraata Vigintiquatuor  1. 

Item  habet  terram  in  Plano  Luce  iuxta 
Petrum  Pecore  d.  II  1.  et  Nerium  Ugizonis. 
Que  est  unus  mezalis  et  medius.  Extimata    .     Duodecim  1. 

Item  habet  pratum  in  Parrano  iuxta  ec- 
clesiam  sancti  Johannis,  dnum  Ciptam  et  viam. 
Que  (sic)  est  unus  mezalis  et  medius  et  decem 
tabule.  Extimata. '  .    Quinquag-inta  sex  1. 


232  G.    PARDI 

Item  habet  unum  tenimentum  iu  vocabulo 
Vallis  Canuaui  et  Fraucag-uauo  iuxta  heredes 
Petri  Ciptadini,  iossam  d.  IL  1.  et  viam.  Que 

(sic)  est  duodecim  tabule.  Estimata.     .     .     .     Quatuorcentis      quadra- 

g'inta  1. 

Item  habet  infra  dictos  confìues  vineam. 
Que  est  quinque  mezales.  Extimata.     .     .     .     Ducentisquinquaginta  1. 

Item  habet  sodum  infra  dieta  latera.  Quod 
est  sex  mezales.  Extimatum Decem  et  octo  1. 

Item  habet  unum  ertale  in  dicto  loco  iuxta 
heredes  Petri  dni  Ciptadini  et  viam  d.  II.  1. 
Quod  est    vig-intiquatuor    tabule.  Extimatum     Novem  1.  et  XI  s. 

Item  habet  silvam  infra  dieta  latera.  Que 
est  unus  mezalis.  Extimata Tribus  1.  (1). 


(')  Non  sarà  inopportuno  accennare  qui  brevemente  alle  misure  dei  terreni  ado- 
perate in  quel  tempo.  In  Orvieto  usavansi  allora  più  comunemente  la  tavola  ed  il 
messale.  Quanto  alla  tavola  è  misura  assai  nota.  Il  Rezasco  nel  suo  Disionario  del 
linguaggio  italiano  storico  e  amministrativo,  scrive  a  questa  parola:  Misura  delle  terre, 
che,  in  alcune lìarti  della  Toscana,  corrispondeva  a  metri  3,S6:  nel  Genovese  a  144 
piedi  quadrati,  e  nel  Reggiano  a  quattro  pertiche  quadrate,  computata  la  pertica  a 
sei  braccia,  ed  il  braccio  a  dodici  onde.  Ora,  poiché  la  tavola  corrispondeva  a  me- 
tri 3,86  nella  vicina  Siena  (Banchi,  Statuti  Senesi,  II,  363),  con  la  quale  Orvieto  ebbe 
tante  e  svariate  relazioni  e  da  cui  apprese  alcuni  ordinamenti  economici  (ad  esem- 
pio, quelli  delle  gabelle),  non  sarà  irragionevole  credere  che  fosse  computata  egual- 
mente in  quest'ultima  città.  Quanto  poi  al  tnezsale  non  mi  è  avvenuto  di  poterne 
trovar  menzione  o  notizia  in  alcun  libro  da  me  consultato;  per  la  qual  cosa  è  da 
supporre  fosse  una  misura  locale.  Non  riuscendo  pertanto  a  stabilire  quanto  venisse 
computato  il  m.e2zale,  ho  creduto  poterlo  dedurre  dal  confronto  con  la  tavola,  o  me- 
glio, dal  ragguaglio  della  stima  di  terreni  misurati  con  la  tavola,  con  quella  di  altri 
che  si  trovassero  nelle  medesime  condizioni,  misurati  con  il  mezzale.  Ecco  un  esem- 
pio, il  quale  mi  sembra  dia  un  risultato  abbastanza  soddisfacente  (  Catasto  del  con- 
tado, e.  157  r.): 

Rem  habet  sodum  cmn  quercubus,  quod  est  quadraginta  tabule,  extimatum,  — 
duodecim  s. 

Item  habet  sodum  cum  quercubus....  quod  est  decem  tabule,  extim,atum  —  tri- 
bus  s. 

Item  habet  sodum  cum  quercubus...  quod  est  tres  mediales,  extimatum,  quatuor^ 
l.  et  decem,  s. 

Un  terreno  sodo  con  querci  della  misura  di  10  tavole  era  adunque  stimato  3  soldi. 
Un  altro  terreno  nelle  medesime  condizioni,  della  misura  di  40  tavole  era  stimato 
12  soldi,  cioè,  al  solito,  3  soldi  ogni  10  tavole.  Quindi  un  altro  simigliante  appezza- 
mento di  terreno,  di  100  favole  di  misura,  dovrebbe  essei-e  stato  stimato  30  soldi.  Tro- 
viamo ora  che  un  pezzo  di  terra,  nelle  medesime  condizioni  dei  primi  due,  della  mi- 
sura di  3  meszali,  è  stimato  4  lire  e  10  soldi,  equivalenti  a  90  soldi,  vale  a  dire  30  soldi 
ogni  mezzale,  il  che  fa  precisamente  la  stima  di  100  tavole  di  un  siffatto  tei'reno.  Non 
è  pertanto  senza  fondamento  l'opinione  nostra  che  il  ìnezzale  fosse  computato  ICQ  ta- 
vole, ossieno  3S6  metri. 

Finalmente,  quanto  al  valore  delle  monete  allora  adoperate  in  Orvieto,  ho  osser- 
vato altrove  che  quivi  era  usata  come  unità  la  liì^a  cortonese,  corrispondente  a  li- 
re 8.736  di  nostra  moneta. 


IL   CATASTO    D    ORVIETO,    ECC. 


233 


§  2.  —  In  qual  modo  erano  divise  le  possessioni 
ad  Orvieto  nel  12U2. 

11  frazionamento  della  proprietà  ò  certo  una  delle  coi-e  più 
interessanti  a  conoscersi  nello  studio  della  vila  economica  degli 
Slati.  11  catasto  orvietano  del  1292  non  registra  se  non  i  possessi 
in  terreni,  non  tenendo  conto  delle  case,  dei  molini,  della  ric- 
chezza mobile,  ecc.  A  quelli  adunque  dobbiamo  restringere  le  no- 
stre ricerche.  E  poiché  i  maggiori  proprietari  vivevano  in  città, 
dove  si  accentrava  la  ricchezza,  mentre  nel  conlado  la  proprietà 
era  frazionatissima,  cominciamo  dall'esaminare  il  catasto  cittadino, 
quartiere  per  quartiere  e  regione  per  regione. 


I.  QUARTIERE  Di  S.  PACE. 

1.   Rione  di  S.  Pace. 

In  questo  rione  abitavano  146  proprietari  di  terreni.  Nel 
seguente  prospetto  li  ho  riparliti  secondo  il  valore  dei  loro  pos- 
sessi. 

Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

Da 
1000  a  2000 

Sopra  2000 

5- 

9 

9 

46 

21 

28 

28 

Coloro  che  possedevano  più  di  2000  lire  erano  certo  le  per- 
sone più  ragguardevoli  della  città.  Perciò  reputo  utile  riferire  qui 
i  loro  nomi  (nell'ordine  in  cui  li  troviamo  nel  catasto)  con  la  stima 
dei  loro  terreni  in  lire  cortonesi  e  con  appresso  il  valore  corri- 
spondente in  lire  italiane: 

Aldrevauninus  Scag-ui 1.     2796  uguali  a  24425,85  1. 

Angelus  Rainutii  Trausmundi ....     I.     3055         »  26678,48  1. 

Heredes  Bouiohanuis  de  Miccinellis   (1)     1.     5734         »  50092,22  1. 


(1)  Si  noti  che,  per  avere  il  valore  reale  dei  possedimenti,  biso;jna  ancora  mol- 
tiplicare per  3  la  somma  ottenuta  con  la  riduzione  delle  lire  cortonesi  in  lire  italiane. 
Cosi,  ad  esempio,  gli  eredi  di  Dongiovanni  dei  Miccinelli,  che  avevano  fondi  stimati 
lire  cortonesi  5734,  ossieno  50092,22  lire  italiane,  possedevano  effettivamente  150276,66  1.  i. 


234 


G.    PARDI 


Heredes  Bartholi  Petri  Guidulie  . 

Celle  Micciuelli 

Cauis  Moualdi 

Foft'us  Acconraanui 

Giiidus  Gilii  Berti 

Intende  Cremoueusis  de  Optimellis 
Luuardus  lacobi  Terze    .... 

Montanarius  Berardi 

'/^  Miiualdutiiis  Catalani 

Masseiis  Rainntii 

Missciuns  Petri  Guidilitie  .  .  . 
Org-esins  Comes  de  Scitoua .  .  . 
Petrucius  Ricci  Miccinelli    .     .     . 

Rayuerius  Terze 

Raynaldus  Gentilis 

Raynerius  lohannis 

Spinellus  Raynntii  Transmiindi    . 

Spinutius  lallachyni 

Uguliuus  Uguliui  Grece.  .  .  . 
Rayuuzzeptus  lacobi  Tasce.     .     . 

Vauues  Ugulini 

Vannes  Manentis 

Vanues  Gerardi  Arezzani     ,     .     . 

Petrus  Beucevenne 

Andreas  Guillelmi  de  Bardano 


4250  uguali 

4775 

2587 

2732         » 

3974 

4859         » 

3035 
10438 

2527 

3367 

2306         » 

3768 

3043 
12613 

2336 

2984 

9703 

6385         » 

2678 

3139 

3358 

4376 

3737 

2271         » 

7819 


a  37128,00  1. 
41714,40  1. 
22600,03  I. 

23866.75  1. 

34716.86  1. 
42444,22  1. 

26513.76  1. 
91186,48  1. 

22075.87  1. 
29413,.S1  1. 
20145,21  1. 
32917,24  1. 
26883,64  1. 

110187,16  1. 

20417.21  I. 

26068.22  1. 
84765,40  1. 
55779,36  1. 
23395,00  1. 
27422,30  1. 
29334,68  1. 
38228,73  I. 
32646,43  1. 
19839,03  1. 
68306,68  1. 


2.   Rione  di  S.  Cristoforo. 
Possessori   di    terreni   slimati 


.>^otto  10  1.    Da  10  a  50   Da  50  a  100  Da  100  a  500 


13 


24 


Da 
500  a  1000 


11 


Da 

1000  a  2000 


Sopra  2000 


Amideus  Guidi  Marci .     .     . 
Egidius  et  Philippus  Simonis 
Heredes  lacobi  Ranaldi   .     . 

lannes  Morici 

Niccola  Farolfi  Scarpette 
Loctus  et  Vannes  Cambii    . 


3868  uguali  a  33790,84  1. 


2526 

s 

22067,13  1 

2621 

» 

22897,05  1 

3318 

» 

28986,04  1 

2969 

» 

25063,58  1 

4245 

t> 

37084,32  1 

IL   CATASTO    D    ORVIETO,    ECC. 


235 


3.    I-liONE  DI  Valle  PL\riA. 
Possessori    di    terreni    stimati 


Sotto  10  1.    Da  10  a  50 


Da  50  a  lOODa  lOOa  50o|   ^.^^^^  \  looOa^oOO 


10 


31 


11 


Sopra  2000 


Bracliyixs  Brachyi  Rayuutii. 
Osiccus  Micciaelli  .     .     .     . 


1.     3948  uguali  a  34489,72  I.  i. 
1.     4996         »  43645,05  1.  i. 


3.    Rione  di  Ripa    dell'  Olmo. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 


Da  10  a  50  Da  50  a  100 


Da  100  a  500 


15 


47 


Da 

500  a  1000 


Da 

1000  a  2000 


34 


42 


Sopra  2000 


41 


Heredes  Andrée  Scancati 

Andreas  Castaldi 

Audrioctus  et  Berardinus  Adbiduti  . 

Filii  Alexandri  Bernardi 

Frater  Berardinus 

Bouiohannes  Bonag-iunte 

Bicchutius  Raynaldi 

Heredes  Andrutii  Boniohannis  Bonaccursi 

Berardinus  Albonecti 

Borgarutius  lacobi 

Ciceus  et  Monaldutius  Guilelmi    ,     .     . 
Dna  Clara  uxor  quondam  Neri  Bercii  . 

Conte  lacobi  

Henricutius  Bauli  Zampi      .     .     .     .     . 
lannes  Sperandei  Sallamare      .... 

lohannes  Ugizonis 

lacobus  Xiecole 

lacobus  Albonecti 

lacobus  Raynutii  Ug'onis 

Heredes  lacobutii  Castaldi 


2251  ug^uali 

3646 

5003         » 

2218 

3928 

2296 

6669 

7679 

6300 

3081 

74.30 

2098 

4432 

2522         » 

3540         r> 

2377 

2461         » 

5215         » 

2450         » 

3966 


a  19664,73  1. 
31851,45  1. 
43706,20  1. 
19376,44  1. 
34315,00  1. 
20057,85  1. 
58260,38  1. 
67083,74  1. 
550.36,80  1. 
28915,61  1. 
64908,40  I. 
18328,12  1. 
38717,95  1. 

22032.19  1. 
30925,44  1. 
20765,47  1. 
21499,29  1. 
45.5.58,24  1. 

21403.20  1. 
34646,97  I. 


236 


G.    PARDI 


Meus  Guilelmì 1.    4407  uguali  a  38499,55  1. 

Nerius  Romani 1.     3397  »  .  29676,19  1. 

Nerius  Petri  Sallamare 1.     2623  »  22914,52  1. 

Filli  Nini  Guidecti  Capitauei   ....  1.     2854  »  24932,54  1. 

Nerius  Alexandri 1.     2044  »  17856,38  1. 

Nerius  Pepi 1.     2800  »  24460,80  1. 

Petrus  Forti  Brazze 1.     4350  »  38001,60  1. 

Picchius  Rayuerii 1.     2624  »  22923,26  1. 

Rayuuzzittus  Ardizzoni 1.     5105  »  44597,28  1. 

Senebaldus  Ardizoni 1.     4978  »  43437,80  1. 

Heredes  Sallamare 1.  13372  »  116817,79  1. 

Siuibaldas  Petri 1.     2421  »  21149,85  1. 

Stephauus  lordani  Stephani      ....  1.     7844  »  68525,18  1. 

Vannes  Rabertutii  Raynutii  Philipp!     .  1.     3628  »  31694,20  1. 

Heredes  Vannis  Andree  Rubei     ...  1.  19178  »  167539,00  1. 

Zanuis  Petri 1.     4395  »  38394,72  1. 

Zutius  Paganelli 1.     3241  »  28313,37  1. 

Francbus  lacobi  Franchi 1.     4547  »  39722,59  1. 

Petrus  lacobi 1.     2965  »  25902,24  1. 

Petrus  Castaldi 1.     2318  »  20250,04  1. 

Petrus  Mathei  Toncelle 1.    2127  »  18581,47  1. 

II.  QUARTIERE  DI  POSTIERLA. 

1.   Rione  S.   Maria. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

Da 
1000  a  2000 

Sopra  2000 

12 

45 

53 

78 

23 

14 

10 

Angelus  Guidi 

Bartus  Petri  Gani 

Capozzarius  Gu.lielmtitii  et  fratres    . 

Predo  lacobi  

Putius,  Lig-o  et  Perutius  Guidi  Peri 

Gottofredus  Raynutii 

Massucceptus  Raynutii 

Nerius  Berardi   ...*.... 

Raynaldus  Petri  Gani 

Eaynuccepttis  lacobi  de  Civitella.     . 


6234  ug-uali  a  54460,22  1. 


2489 
2854 
2623 
2673 
3206 
4023 
2125 
3967 
2451 


21743,90  1. 
24932,54  1. 
22914,52  1. 
23351,32  1. 
28007,61  1. 

35144.92  1. 
18564,60  1. 
34585,71  1. 

21411.93  1. 


IL   CATASTO    D    OU VIETO,    ECC. 


237 


2.   Rione  di  S.  Salvatore. 
Possessori    di    terreni    stimati 


Sotto  10  l. 


Da  10  a  50 


Da  50  a  100 


Da  100  a  500 


24 


Da 
500  a  1000 


10 


Da 
1000  a  20OO 


Sopra  2000 


lacobus  Ursi  Ragolìni I.    3797  uguali  a  33170,59  1.  i. 

lacobinus  Guasta 1.    4311         »         37660,89  1.  i. 

3.   Rione  di  S.  Costanzo. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1.     Da  10  a  50  , Da  30  a  lOODa  100  a  500 


10 


23 


69 


Da 
500  a  1000 


Da 
1000  a  2000 


19 


Sopra  2000 


19 


Abbiduttis  Benencase 

Bouaveuture  Benencase  Abbiduti.  .  . 
Bartutius  Thederici  Frederici  Telonag-i 

Cipta  Herraanni 

Cipta  Giiidouis 

Hermanmis  Cittadini 

Galienus,  Berardinus  et  Viviauus  magi- 

stri  Scagni  Medici 

Heredes  Maynecti  Boniohannis     .     .     . 

lacobus  Guidi  Trausmuudi 

Heredes  lannis  Bartholi  Benedictionis  . 

Matheus  Boniohannis  Olive 

Mannus  Trausmundi 

Nerius  Benencase  Abbiduti 

Frater  Oddo  Audree  Heremiti .... 
Heredes  Petri  Guidi  Pecore  .... 
Tonus    et    Carloctus    Raynutii    Guìcto- 

uis 

Zutius  Trasmundi 

Heredes  Zarfagle  Cittadini  .  .  .  •  . 
Heredes  Petri  Cittadini 


3246  uguali 
3490 
2430 
4550 

5706         » 
6952         » 


2138 
2260 
4783 
2978 
2690 
3264 
5923 
2472 
4747 

2291 

2740 

13929 

2161 


a  28356,05  1. 
30488,44  1. 

21228.48  1. 
39748,80  1. 
49847,61  1. 
60822,67  1. 

18677,56  1. 
19743,36  1. 
41784,28  1. 
25015,80  1. 
23499,84  1. 
28514,30  1. 
51743,32  1. 
21595,39  1. 

41461.16  1. 

20014.17  1. 
23936,44  1. 

121683,74  1. 

18878.49  1. 


238 


G.    PARDI 


4.   Regione  di  S.   Biagio. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

Da 

1000  a  2000 

Sopra  2000 

10 

31 

20 

47 

8 

2 

4 

Alioctus  lacobi  Quintavallis     ....     1.    2418  uguali  a  21123,64  1.  i. 


Leo,  Farolfus,  Petrus  et  nepotes  eorum, 

Comites  de  Monte  Marti    ....  1.  33925 

Pandolfus  Frederici 1.  3848 

Thomasiuus  lacobi  Quintavallis  ...  1.  4502 

5.  Regione  di  S.  Egidio. 
Possessori  di  terreni  stimati 


296368,80  1. 
33616,12  1. 
39329,47  1. 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 

500  a  1000 

Da 

1000  a  2000 

Sopra  2000 

2 

12 

6 

13 

4 

2                  3 

Aldrebandinus  Pelle 1.    2517  uguali  a  21988,51  1. 

Heredes  Bartholi  Bucciconi 1.     2140         »  18695,04  1. 

lanues  Egidii  Morichelli 1.    4336         *         37878,49  1. 

6.  Regione  di  S.  Leonardo. 
Possessori   di   terreni    stimati 


Sotto  10  I. 


Da  10  a  50 


13 


Da  50  a  100  Da  100  a  300 


11 


42 


Da 
500  a  1000 


13 


Da 

1000  a  2000 


10 


Sopra  2000 


Aldrebandinus  Manuppelli  sive  Grece  .  1.    2538  uguali  a  22171,96  1. 

Heredes  Berzi  Petri  Fabri 1.    2995         »         26164,32  1. 

Franciscus  Uguizionis  sive  Grece.     .     .  1.    3164         »         27640,70  1. 
Benencasa,  Bartutius,  lacovutius,  Nutus 

et  heredes  Petri  lohannis  Fallantie  1.     2079         »  18162,14  1.  i 

Munaldus  Aldrebandutii  Niccole  ...  1.  18306         »        159921,21  1.  1 


IL   CATASTO    n'  ORVIETO,    ECC. 


23!» 


Mathiutius  et  Girardutius  Girardini  Bel- 

lanprati 1.     2312  uguali  a  20197,63  1.  i. 

Petrus  Aldrebaudutii  Niccolo  ....     1.  13219         »        lir)481,18  1.  i. 
Raj-nucceptus  Aklrebaudìui  Manuppelli  Grece   [Mancano  qui  alcuni  fogli]. 


7.  Rione  di  S.  Angklo. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

Da 
1000  a  2000 

Sopra  2000 

5 

59 

82 

150 

31 

19 

17 

Heredes  Andrea  Fallastate  de Munaldischis  I.  2375  uguali 

Heredes  Aldrevauuiui  Ainodei  Lupizzini  1.  2871  » 

Berardus  Fordevolie  de  Castro  Civitelle  1.  7596  » 

Cinus  filius  olim  Raynucii  Provenzani  .  1.  7972  » 

Meus  filius  olim  Rayuucii  Provenzani    .  1.  7129  » 

Ceccus  Bouasii 1.  2165  » 

Philippus  Fidantie 1.  3318  » 

Ofredutius  Oddonis  de  Corbario     .     .     .1.  2991  » 

Heredes  Lupiziui  Scag-ni  Petri  .     .     .     .1.  2241  » 

Heredes  Nini  Amedei 1.  7192  » 

Nerius  Uguizionis  Grece 1.  5254  » 

Proveuzanus  Amodei 1.  7215  » 

Senebaldus  Petri  Senebaldi 1.  4101  » 

Heredes  Gemi  Tabernarii 1.  2002  » 

Therius  Bouasii 1.  3970  » 

Heredes  Todini  de  Fordevolie  de  Civitella  1.  6387  » 

Vannes  Paganucii 1.  2534  » 

8.  Rione  di  S.  Stefano. 

Possessori  di  terreni  stimati 


a  20748,00  1. 
25081,05  1. 
66358,65  1. 
69643,39  1. 
62278,94  1. 
18913,44  1. 
28986,04  1. 
26129,37  1. 
19577,37  1. 
62829,31  1. 
45898,94  1. 
63030,24  1. 
35826,33  1. 
17489,47  1. 
34681,92  I. 
55796,83  1. 
22137,02  1. 


Sotto  10  1, 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

Da 
1000  a  2000 

Sopra  2000 

4 

41 

24 

47 

16 

4 

2 

Giliutius  Aldrebandini  de  Paterno 
Petrus  Andree 


3507  uguali  a  30637,15  1.  i. 
3083         »  26933,08  1.  i. 


240 


G.   PARDI 


III.  QUARTIERE   DEI  SS.  GIOVANNI  E  GIOVENALE. 

1.   Rione  di  S.  Giovenale. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 


Da  10  a  50  ;  Da  50  a  100 


40 


46 


Da  100  a  500 


130 


Da 

500  a  1000 


52 


Da 


1000  a  2000      sopra  2000 


41 


32 


Augclutius  lacobi 1.  3591  uguali  a  31370,97  1. 

Angelus  Alexandri 1.  4004  »  34978,94  1. 

Teus  et  Lutius  filli  Arloctl 1.  4635  »  40491,36  1. 

Andrioctus  Castellani 1.  2515  »  21971,04  1. 

Niuus  Andree  Galisi 1.  2976  »  25998,33  1. 

Buccolus  Guidonis  Azzare 1.  3747  »  32733,79  1. 

Hugolinus  Boniohannis 1.  2669  »  23316,38  1. 

Beraldus  Petri  de  Sciano 1.  2298  »  20075,32  1. 

Berzus  Aldrevandini 1.  6402  »  55927,87  1. 

Dominicus  Francisci 1.  3150  »  27518,40  1. 

Forzore  Bundi 1.  2049  »  17900,06  1. 

Gerardus  sive  Grifus  Ugolini  ....  1.  2178  »  19027,00  1. 

Johannes  Cinfonis 1.  2884  »  25194,62  1. 

Heredes  Mathej'  lohannis  Citadini    .     .  1.  3690  »  32235,84  1. 

Matheus  Guidi  medicus 1.  3047  »  26880,67  1. 

Massius  Ugolini 1.  3216  »  28094,97  1. 

N.  N 1.  2170  »  18957,62  1. 

Nallus  Vallonchi 1.  2175  »  19000,80  1. 

Nerius  Salimbene 1.  2039  »  17812,70  1. 

Kutius  Ugolini 1.  3224  »  28173,60  1. 

Oddutuis  Andrutii 1,  2236  »  19533,69  1. 

Petrus  Rainerii  Rudigerii 1.  17458  »  152513.08  1. 

Petrus  Aldrovandini  Sforzaterre  ...  1.  5855  »  51149,28  1. 

Petrus  Sforzaterre 1.  9790  »  85525,44  1. 

Filippus  Bartutii 1.  3350  »  29265,60  1. 

Petrus  Muualdi  Rainerii  Stefani  ...  1.  16960  »  148162,56  1. 

Petrus  Cappecta 1.  6634  »  57954,62  1. 

Rainerius  Munaldi 1.  15522  »  135600,19  1. 

Tebaldutius  Dominici  Falsacappe.     .     .  1.  2060  »  17996,16  1. 


IL    CATASTO    D    ORVIETO,    ICCC. 


■2\l 


Heredcs  Tutii  Bernardini 1.     2!i21  n<>uali  a  2')'y\l,(M',  1. 

Vaunutius  Rainerii  Vallonclii  ....     1.     2332         »  20372,35  1. 

Ug-olinus  Aldrovaudini 1.     6182         »  r)400:),!t5  1. 


2.   liioNE  Di  S.   Matteo. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 


Da  10  a  50 


19 


Da  50  a  100 


13 


Da  100  a  500 


33 


Da  Da 

500  a  1000     1000  a  2000 


Sopra  2003 


Severius  Domiaichelli  Fiorentini  ...     1.    2101  uguali  a  18354,33  1.  i. 

3.  Rione  di  S.  Faustino. 
Possessori  di  terreni  stimati 


sotto  10  1. 


Da  10  a  50   Da  50  a  100  Da  100  a  500 


31 


24 


31 


Da 

500  a  1000 


Da 

1000  a  2000 


Sopra  2000 


Angelus  et  Vannes  et  Zannes  Rugerii 

Mongnay 1.    2335  uguali  a  20388,56  1.  i. 

4.   Rione  di  S.  Giovanni. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 

500  a  1000 

Da 

1000  a  2000 

Sopra  2000 

2 

24 

18 

57 

21 

8 

11 

Berardimis  Rainerii  Comes  .  .  . 
Ugolinus  Bulgarutii  de  Marsiano 
Franciscus  Andree  Andree  .  .  . 
Nerius  Bulgarutii  Comes  .  .  . 
Neri  Munaldi  Rayuerii  .  .  .  . 
Xardus  Bulgarutii  Comes  .  .  . 
Petrutius  Boniohannis  .  .  .  . 
Ventura  Malavere 


21939  uguali  a  191659,10  1 


2698 

» 

23569,72  1 

6777 

» 

59203,87  1 

9694 

» 

84686,78  1 

4238 

» 

37023,16  1 

7879 

» 

68830,94  1. 

2413 

» 

21079,96  1 

4399 

» 

38429,66  1 

10 

24-2  G.   PARDI 

Simon  Raynerii  Guidonis    ."....     1.  30836  ixg-uali  a  269383,29  1. 

Vaunes  Audree  Bele 1.    2824         »  24758,54  1, 

Zelingixs  UguizoniS' 1.    3150         »         27618,40  1. 


IV.  QUARTIERE  DI  SERANCIA. 


1.   Rione  di  Serancia. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

Da 

1000  a  2000 

Sopra  2300 

3 

9 

18 

38 

39 

17 

24 

Aldrovaudinus  Aldrovaudiui     .... 

Areugutius  Arengherii 

Barthutius  Pandolj^hi  Gurancie    ,     .     . 

lacobutius  Biechi  Bernardi 

lacobus  Eainerii  Guillelmi 

Guido  Euberti  de  Mezzano 

Lucius  Berardini     • 

Ninus  lacobi  Patri  Caromi 

Oddo  de  Medicis 

Petrus  Aldrovandutii  Xerconi  .... 
Petrus  lohannis  de  Albricis  .... 
Biccutius,  Pangnus,  Steplianutius  et  ne- 

potes  Philippi  Riccomanui.  .  .  . 
Pellus  et  Xerius  Guidi  Francisci  .  .  . 
Petrutius  et  Massius  Raynaldi  Coltray . 

Puctius  Melior;s 

Petrus  Bernardini  Bartholomeì  .  .  . 
Heredes  Petri  lacobi  Petri  Caromi    .     . 

Raynaldus  Aldrovandini 

Rubertus  Albizi 

Munaldutius,  Dominicus  et  Putius  Ste- 

phaui  

Vannes  Forzoris  de  Albricis  .... 
Vannes  Bartholi  Bernardini  Lucie    .     . 

Ugolinus  Lupicini 

Heredes  Magalocti  Petri  Uguizonis  cum 

nepte  (sic) 


2199  uguali  a  19120,46  1. 


4678 
4740 
16444 
3952 
2330 
3953 
4967 
2592 
3327 
3393 

13183 
4183 
2734 
2670 
3646 
4076 
4725 

11044 


1.  5065 
1.  3139 
1.  3759 
1.  15629 


1.  3431 


40867,00  1. 

41408,64  1. 

143654,78  1. 
34524,67.1. 

20354,88  1. 

34533,40  1. 

43391,71  1. 

22643,71  1. 

29064.67  1. 
29641,24  1. 

115166,68  1. 

36542.68  1. 
23884,04  1. 
23325,12  1. 
31851,45  1. 
35607,93  1. 
41277,60  1. 
96480,38  1. 

44247,84  1. 

27423.20  1. 
32738,62  1. 

136534,94  1. 

29937.21  1.  i. 


IL   CATASTO    I>    ORVIETO,    ECC. 


243 


2.   Rione  di  S.  Angelo  sub  Ripa. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  L 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

Da 
1000  a  2000 

Sopra  2000 

5 

15 

14 

19 

5 

4 

1 

Frater  Marcus  Arlocti. 1.    2506  uguali  a  21892,41  1.  i. 

3.   Rione  di  S.  Lorenzo. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  lOO 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

Da 

1000  a  2000 

Sopra  2000 

1 

15 

11 

41 

12 

10 

1 

Corradus  Armauui 1.  14095  uguali  a  123133, !i2  I.  i. 

4.  Rione  di  S.  Apostolo. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

Da 
1000  a  2000 

Sopra  2000 

3 

8 

20 

43 

30 

14 

12 

Barthutius  Eaynaldi  Presbiteri       ...  1.  2726  uguali  a  23812,-33  1 

FutiusGismuudicumlmudutioeiusnepote  1.  2219  »  19385,18  1 

Meus  et  Vannes  magistri  Guidi     ...  1.  3342  »  29195,71  1 

Gibellinus  Munaldi  lordani 1.  3257  »  28453,15  1 

lordanellus  Beccoli 1.  2019  »  17637,98  1 

Xerius  Massei 1.  7298  »  63755,32  1 

Petrus  Novellus  Munaldi        1.  9323  »  81445,72  1 

Vivianus  Marinotii I.  2907  »  25395,55  1 

Ugolinus  Boncontis 1.  11241  »  98201,37  1 

Yangnes  Massei 1.  7309  »  63851,43  1 

Ugoliuus  loliaunis  Rubei  cum  nepote     .  1.  4828  »  42267,40  1 

Petrus  lohauuis  Adbruuamontis     ...  1.  2004  »  17506,94  1 


244 


G.    PARDI 


V.  Persone  di  cui  non  si  potè  sapere  di  qual  Rione  fossero 
o  SE  appartenessero  alla  città  o  al  contado. 

Posseditrici  di  terrerd  stimati 


sotto  10  1.  I  Da  10  a  50  Da  50  a  100  Da  100  a  500     5ooS%00      1000^^000      ^^P^^  ^000 


10 


34 


21 


21 


Dalle  cifre  sopra  riportale  dei  possessori  di  terreni  di  ciascun 
quartiere  orvietano  e  della  stima  dei  loro  possessi  si  ottengono, 
quanto  ai  vari  quarieri,  i  seguenti  risultati: 

I.    QUARTIERE    DI    S.    PACE. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  \. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 

500  a  1000 

Da 

1000  a  2000 

Sopra  2000 

7 

44 

31 

148 

77 

80 

77 

II.  QUARTIERE  DI  POSTIERLA. 

Possessori  di  terreni  stimati 


sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 

500  a  1000 

Da 

1000  a  2000 

Sopra  200O 

33 

216 

226 

470 

124 

63 

65 

III.  QUARTIERE  DEI  SS.  GIOVANNI  E  GIOVENALE. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 

500  a  1000 

Da 
1000  a  2000 

Sopra  2000 

12 

114 

101 

251 

81 

55 

45 

IL   CATASTO   D    ORVIETO,    ECC. 


21: 


IV.  QL'AKTIEllE   DI  SERANCIA. 
Possessori  di  terreni  stimati 


Sotto  10  1. 


12 


Da  10  a  50 


4G 


Da  50  a  103 


63 


Da 


Da  100  a  500    590  a  1003 


1000 


Da 


a  2000      sopra  2000 


141 


8(5 


45 


38 


Infine,  tirando  la  somma  delle  cifre   riportale  per  i  quartieri 
orvietani,  si  giunge  al  risultato  seguente: 

ABITANTI  DI  ORVIETO 

Possessori  di  terreni  stimati 


sotto  10  1. 

Da  10  a  50 

Da  50  a  100 

Da  100  a  500 

Da 
500  a  1000 

3G8 

Da 

1000  a  2000 

Sopra  2000 

64 

420 

421 

1010 

243 

205 

Ma  poiché  adoperavasi  allora  in  Orvieto  la  lira  cortonese, 
equivalente  a  240  denari  cortonesi,  ognuno  dei  quali  aveva  il  va- 
lore di  0,0364  della  lira  moderna,  secondo  un  calcolo  fatto  dal 
Cibrario:  riducendo  perciò  in  lire  italiane  le  cortonesi  (uguali  a  li- 
re 8.736)  si  ha  che  nel  1292  vi  erano  in  Orvieto  i  seguenti  ca- 
pita di  terreni  slimati  quanto  appresso: 


Sotto  1.87,36 


64 


Da  1.  87,36   Da  1.  436,80 
a  1.  436,80   1  a  1.  873,60 


420 


421 


Da  1.  873,60 
a  1.  4368 


1010 


Da  1.  4368  j  Da  1.  8736  '«_„_„  1    ,-,-., 
al.  8736       al.  17472    /^opra  1.  1/4/2 


368 


243 


205 


Inoltre,  perocché  nell'estimo  dei  terreni  non  si  dà  il  valore 
effettivo  di  questi,  ma  si  ottiene,  approssimativamente,  il  capitale 
vero  moltiplicando  l'estimo  per  3,  facendo  pertanto  una  tale  ope- 
razione si  ha  il  risultato  che  ad  Orvieto  nel  12!)2  vi  erano  i  se- 
guenti capita  di  terreni,  i  quali  avevano  ciascuno  il  valore  qui 
sotto  indicato  : 


246 


Sotto 
1.  262,08 

Da  1.  262,08 
a  1.  1310,40 

Da  1. 1310,40 
a  1.  2620,80 

421 

Da  1.  2620,80 
al.  13104,00 

Da 
1.  i3iai,oo 

a  1.  26208,00 

Da 
1.  26208,00 
a  1.  52416 

248 

Sopra 
1.   52416 

64              420 

1010 

368 

205 

Dalle  cifre  sopra  riportale  si  può  abbastanza  agevolmente  de- 
durre che  in  quel  tempo  la  proprietà  in  Orvieto  era  molto  fra- 
zionata ;  il  che,  io  credo,  doveva  conferire  non  poco  al  benessere 
degli  abitanti  di  questa  città  (1).  Infatti,  per  quanto  una  volta  si 
considerasse  come  dannoso  ai  popoli  un  eccessivo  frazionamento 
della  terra  (2),  ì  moderni  studi  economici  e  sociali  hanno  condotto 
gli  uomini  a  riguardare  con  occhio  più  benevolo  le  piccole  proprietà. 


(1)  Sebbene  il  frazionamento  delle  proprietà  fondiarie  sia  stato  da  taluni  consi- 
derato come  dannoso  all'agricoltura  ed  alla  ricchezza  delle  nazioni,  non  mancano  in- 
signi economisti,  che  1'  hanno  ritenuto  vantaggioso  per  la  produzione  favorevole  al 
benessere  dei  popoli.  Citerò  qualche  esempio  : 

H.  Baudrillart,  Economie  politique  populaire,  Paris,  1869,  p.  103.  «  La  petite 
proprieté....  est  trés-productive  par  l'énergique  travail  qu'  elle  developpe.  Elle  forme 
des  milions  de  familles  attachées  au  sol  ». 

G.  Filangieri,  Delle  leggi  politiche  ed  economiche  (Biblioteca  dell'Economista, 
.s.  I,  v.  VI,  p.  763).  «  Senza  una  buona  ripartizione  le  ricchezze,  invece  di  fare  la  feli- 
cità della  nazione,  ne  accelerano  la  rovina  ». 

G.  S.  EisDEL,  Trattato  sulV  industria  delle  nazioni  (Bibl.  dell'  Ec,  s.  I,  v.  Vili, 
p.  320).  «  Una  disuguaglianza  eccessiva  nella  proprietà  del  suolo  é  più  dannosa  di  una 
disuguaglianza  eccessiva  nella  distribuzione  di  ogni  altra  specie  di  proprietà  ». 

G.  Droz,  Economia  politica  o  Principi  della  scienza  delle  ricchezze  (Bibl.  del- 
l'Ec,  s.  I,  v.  VI,  p.  993).  «  Senza  enunciare  idee  scipite  e  false,  si  possono  far  valere  talune 
considerazioni  in  favore  delle  piccole  proprietà  ». 

DcpLYNODE,  Della  proprietà  territoriale  in  Francia  (Bibl.  dell'  Ec,  s.  II,  v.  Il, 
p.  123  segg.).  «  Se  consideriamo  gli  effetti  della  piccola  proprietà  sotto  rapporti  divei'si 
da  quello  dell'aumento  della  ricchezza,  possiamo  abbastanza  congratularci  a  vedere  il 
suolo  della  Francia  diviso  fra  un  gran  numero  di  mani.  Col  sentimento  della  proprietà, 

e  sopratutto  della  proprietà  territoriale,  sorgono  i  pensieri  più  alti  e  più  nobili 

Non  solamente  l'appropriazione  del  suolo  da  parte  dei  contadini  é  un  fatto  eminente- 
mente civilizzatore,  ma  é  ])ure  una  guarentigia  di  tutto  il  corpo  sociale:  giacché  per 
mezzo  di  esso  si  trovano  nelle  classi  lavoratrici  milioni  di  uomini  prudenti,  economi, 
amanti  dell'  ordine  stabilito  e  della  libertà.  Questa  condizione  di  cose  mi  sembra  tal- 
mente importante,  che  io  non  saprei  comprendere  una  libera  democrazia,  nella  quale 
esista  qualche  sicurezza  per  l'ordine  sociale,  senza  immaginarci  una  grande  divisione 

di  proprietà La  divisione   del   territorio  è  ancora,  e  precipuamente,  un  beneficio 

di  primo  ordine,  in  quanto  permette  ad  un  gran  numero  di  persone  di  prender  parte 
ai  godimenti  della  fortuna  ». 

(2)  A  questo  concetto  sono  ispirate  la  legge  prussiana  del  4  settembre  1865,  la 
quale  ordinava  che  tutte  le  pertinenze  di  una  tenuta  state  alienate  dovessero  far  ri- 
torno a  quella;  la  legge  pel  Nassau  del  1700  determinante  che  la  estensione  di  terre 
necessaria  pel  mantenimento  di  una  famiglia  fosse  di  6  morghen  di  campo  e  4  lj2 
di  terreno  erboso  ;  la  legge  boema  del  1790  vietante  di  ridurre  le  terre  ad  appez- 
zamenti troppo  piccoli,  ecc.  ecc.  (Vedi  X.  Meitzen,  Agricoltura,  Bibl.  dell'  Ec,  s.  Ili, 
V.  XI-XII,  p.  284  segg.). 


IL   CATASTO    d'  ORVIETO,    ECC.  247 

Non  v'ò  tuttavia  clii  non  convenga  elio  le  proprietà  troppo 
piccole  arrechino  qualche  inconveniente  economico.  Un  fondo,  il 
quale  non  abbia  estensione  sufficiente  per  mantenere  una  famiglia, 
fa  andare  talvolta  perduta  la  forza  di  lavoro  eccedente  i  bisogni 
del  fondo  medesimo.  Inoltre  l'essere  il  lavoratore  legalo  al  suo 
campicello,  insufficiente  a  sostentare  la  propria  famiglia,  [miò  an- 
che costringerlo  a  lavorare  ad  un  salario  troppo  basso. 

Ma  queste  considerazioni  non  mi  sembra  valgano  per  la  di- 
visione del  territorio  orvietano  nel  1292;  dove  la  proprietà  non 
era  tutta  accentrata  nelle  mani  di  pochi  (come  avveniva  allora 
frequentemente  e  come  accade  ora  pure)  e  dove,  d'altra  parte,  i 
fondi  troppo  piccoli  non  erano  in  grande  quantità.  Vediamo  di- 
fatti che  la  maggior  parte  dei  capita  descritti  nell'antico  catasto 
orvietano  valevano  da  2020  lire  a  13104  ed  erano  pertanto  suffi- 
cienti al  mantenimento  di  una  famiglia. 

Confrontando  infine  l'antico  catasto  con  quello  odierno,  dob- 
biamo constatare  che  i  possessi  in  terreni  sono  maggiormente  ac- 
centrati adesso  che  non  nel  1292.  Infatti,  per  quanto  la  popola- 
zione sia  diminuita  considerevolmente  (per  riguardo  alla  città, 
dove  abitano  le  persone  più  facoltose)  ed  il  territorio  del  circon- 
dario orvietano  sia  alquanto  minore  di  quello  della  repubblica  me- 
dievale, nondimeno  i  grandi  proprietari  sono  sempre  numerosi  e 
più  ricchi  di  quelli  antichi,  possedendo  taluno  più  di  un  milione 
di  soli  fondi  e  superando  non  pochi  le  300,000  e  400,000  lire  di 
possedimenti  in  terreni. 

§  3.  —  Artisti  possidenti  d'Orvieto  neW anno  1292. 

Un  altro  fatto,  il  quale  ci  conforta  nell'opinione  che  in  quel 
tempo  la  proprietà  fosse  maggiormente  frazionata  che  non  ora, 
si  è  il  rinvenire  un  numero  non  insignificante  di  persone  appar- 
tenenti alle  arti  minori  aventi  dei  possessi;  mentre  adesso  non  si 
troverebbero  certamente  in  Orvieto  17  calzolai,  15  legnaiuoli,  13  pie- 
traiuoli  ed  11  fabbri  possidenti,  come  v'erano  nel  1292.  Per  di  più 
si  tenga  presente  che  nell'antico  catasto  orvietano  non  sono  regi- 
strate se  non  le  proprietà  fondiarie. 

L'arte,  che  più  rendeva  in  quel  tempo,  sembra  fosse  la  me- 
dicina:   i    tre    maggiori    possidenti,  tra    i    giurati    delle   arti,  cioè 


2-Ì8  G.    TARDI 

quelli  che  possedevano  più  di  2000  lire  corlonesi  (lire  italiane  52,416)^ 
sono  due  medici  ed  un  taverniere.  Tra  i  possidenti  da  1000  a  200O 
lire  corlonesi  (cioè  da  26,208  a  52,416  lire  it.)  troviamo  un  fortu- 
nato calzolaio,  un  medico,  uno  scrivano,  un  sensale,  uno  spadaro 
ed  un  usciere  del  Papa.  Tra  i  nomi  dei  possidenti  da  500  a  1000 
lire  cortonesi  (vale  a  dire  da  13,104  a  26,208  lire  it.),  leggiamo 
quelli  di  tre  sarti,  di  due  funai,  di  due  vasellai,  di  un  barbiere, 
di  un  muratore,  ecc.  E  da  notarsi  anche  tra  questi  il  nome  di  un 
faher  serrator :  il  che  dimostra  come  esso  dovesse  avere  un  gua- 
dagno maggiore  de'  suoi  compagni  d'arte,  perchè  nessuno  dei  nu- 
merosi fabbri  (11)  giunge  a  possedere  500  lire  cortonesi. 

I  possessi  più  numerosi  sono,  al  solito,  quelli  da  100  a  500 
lire  corlonesi  (cioè,  da  2G20  a  13,104  lire  il.).  Che  abbiano  poi 
proprietà  fondiarie  stimale  da  50  a  100  lire  corlonesi  (vale  a  dire 
da  1310  a  2G20  lire  il.)  ve  ne  sono  pure  parecchi.  Tra  i  posses- 
sori di  terreni  slimali  da  10  a  50  lire  cortonesi  (cioè  da  2G2  a  1310 
lire  it.)  troviamo  6  pielraiuoli,  5  legnaiuoli,  5  mugnai,  2  calzolai, 
l'ortolano  dei  frali  minori,  ecc.  Quei  pochi,  che  possedevano  meno 
di  10  lire  corlonesi,  sono  due  legnaiuoli,  un  banditore,  un  brac- 
ciante, un  fornaio,  un  pietraiuolo,  un  salsettaro  ed  un  sarto. 

Tulio  questo  si  potrà  facilmente  riscontrare  nei  quadri  seguenti,, 
da  cui  si  scorgerà  pure  quali  arti  erano  allora  più  esercitale  in 
Orvieto:  come  cioè  vi  fossero  poco  o  niente  esercitale  le  arti  di 
lusso,  quali  quelle  della  seta  e  della  lana,  e  molto  invece  le  arti 
più  direttamente  utili  alla  vita  pratica,  come  quelle  dei  calzolai,, 
legnaiuoli,  pielraiuoli  e  fabbri. 


IL    CATASTO    D    OUYIETO,    ECC. 


24;> 


I.  QUARTIERE  DI  S.   PACE. 
1.  Rione  di  S.  Pace. 


POSSESSI 

1       o 

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1 

§ 

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N  O  M  E 

ARTE 

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O    «2 

lacobus 

Mungnaius 

— 

Dorainicus  Albcrtini 

Merzantis 

- 

Mag-ister  Johannes 

Petraiolus 

- 

Ugolinus 

Cappellarius 

— 

2.  Rione  di  S.  Cristoforo. 


Andriottus  Bevetutti  Scagavire 

Calcinarius 

Boniohannes  Parentis 

Procazzantis 

— 

Frcdericus  Barthi 
lacobus 

Tentor 
Pellizzarius 

— 

Propicius 

Tinctor 

— 

Laurentius 

Calcinarius 

- 

Raynaldus  None 

loculator 

- 

Egidius  Berardini 

Calcinarius 

- 

3.   Rione  di  Valle  Piatta. 


Bartholomeus 

Scopaius 

— 

Guillelmus  Bartholi 

Barberius 

Micchael 

Ortaiolus 

- 

Paulus  Bonagratie 

Macellarius 

- 

Franciscus  loliannis  Vindemie 

Curatore 

- 

Vannes  lobannis  Astigane 

Curator 

— 

250 


G.    PARDI 


4.  Rione  di  Ripa  dell'Olmo. 


ARTE 

POSSESSI 

NOME 

o 
o 

o 

IO 
Ti 

o 

o 
o 

cS 

o 
ira 

o 
o 

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o 

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o 

8 

W 

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o 

Q 

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Q 

O 

e» 

Aldrebandinus 

Bastai'ius 

— 

Bonvenutus  Rogerii 

Clavarius 

- 

Magister  Girardinus 

Calzolarius 

- 

Guilielmxitius 

Sellarius 

- 

Rainutiiis 

Pettenarius 

- 

Nutus 

Pellizzarius 

- 

Ninus  Palmerii 

Notarius 

- 

Hubertus 

Faber  cervellarius 

- 

Christofanus 

Funarius 

- 

Ventura 

Scrivanus 

- 

II.  QUARTIERE  DI  POSTIERLA. 

1.  Rione  di  S.  Maria. 


Amodeus  Vengnatis 

Magister  Lingnorum 

— 

Aldrebandutius 

Faber 

- 

lohaimes  d'Aynese 

Petraiolus 

- 

Appressus 

Laborator 

- 

Baronus  Petri 

Magister  Lingnorum 

- 

Boccolus  Petri 

Magister  Lingnorum 

- 

Brunatius  et  lacobus 

Sergentes  dni  Pape 

- 

Blancus 

Usscerius  dni  Pape 

- 

Magister  Bosius  magistri  loliannis 

Faber 



Bombaronus  Sembianze 

Magister  Lignorum 

— 

Bartholus  Venzi 

Procazzantis 

- 

Biasius               • 

Mugnaius 

- 

lohannes 

Spadarius 

- 

Compagnus 

Murator 

- 

Ciccus  lacobi 

Renaiolus 

— 

I 


IL   CATASTO    1)    (tUVIBTO,    ECC. 


251 


(Continua)  1.   Rioni-;  ni  S.   Mahia. 


ARTE 

POSSESSI 

NOME 

o 
o 

o 

ira 

2 

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1 

vi 

5 

2 

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5 

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rt  1  rt 

rt 

o 
co 

Daynesc 

Petraiolus 

— 

Magister  Deotallevi 

Murator 

- 

Iloni'icus 

Taberuarius 

- 

Aldrebaudutius 

Pilizarius 

- 

Giliutius  Tliomassi 

Petraiolus 

— 

lacobus 

Tigularius 

— 

lacobus 

Petraiolus 

- 

lacobus  Ugolini 

Sellarius 

— 

lacobus  Bilacque 

Pillizzarius 

- 

lacobus  Mariani 

Mugnarius 

- 

Matheutius 

Tigularius 

- 

Matheus  Thome 

Sartor 

- 

Masseus 

Piscator 

- 

Masseus 

Coltraius 

- 

lacobus 

Renaiolus 

- 

Ninus  dne  Azze 

Spadarius 

- 

Niccolecta 

:Mugnarius 

- 

Petrus 

Pescaiolus 

- 

Paganellus 

Mugnarius 

- 

Pepe  Raynerii 

Asinarius 

- 

Petruzolus  Benciveni 

Magister  Lingnorum 

— 

Rusticliellus  CTUillelnii 

Pellizzarius 

- 

Raynerius  Divitie 

Sartor 

- 

Nutius  Mazze 

Cartarius 

- 

Restorus 

Barberius 

- 

Raynerius  Berardinì 

Borsarius 

— 

Rubertus  Benamate 

Calzolarius 

tSymoncellus 

Mungnai'ius 

- 

Vannes 

Renaiolus 

- 

Vannes  Petri  Gratiani 

Renaiolus 

252 


G.    PARDI 


(Continua)  1.   Rione  di  S.   Maria. 


ARTE 

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Vannes 

Spadarius 

— 

Vannes  Massei 

Tigillarius 

- 

Orvetanus  Rodolli 

Mercator 

— 

Zacus  de  Florentia 

Tabernarius 

— 

— 

Zonus  Venture 

Petraiolus 

2.   Rione  di  S.  Salvatore. 


Aldobrandiaus  RoUandi 

Clavarius 

— 

Bartolus  Boldroni 

Negoziantis 

- 

Berardinutius  Hommodei 

Cartulai'ius 

- 

Mammillinus  Andriocti 

Pinctor 

- 

Coradus 

Cartarius 

— 

Filippellus 

Conzatore 

- 

Gonnella 

Celonarius 

— 

lacobus  Egidii 

Oliarius 

- 

lannes  Longus 

Calzolarius 

- 

Aldi'ebandutius 

ISIagister  Lingnorum 

- 

Putius  Orvetani 

Coltellarius 

Rubertus  Bonomi 

Medicus 

- 

Thomas  lohannis 

Oliarius 

— 

Vannes 

Salaiolus 

- 

3.  Rione  di  S.  Costanzo. 


Angelus  lohannis  Morici 

Salsettarius 

— 

Angelutius 

Pillizzarius 

- 

Bartutius  Bar  ti 

Negosiantis 

- 

Benavere  Rencordati 

Faber 

- 

Magister  Xiccolaus 

Barberius  et  Sartor 

- 

IL   CATASTO    D    OKVIKTO,    ECC. 


253 


(ContinuaJ  3.   I^ionk  di  S.  Costanzo. 


A  R  T  E 

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Filippus  Riccarbcne 

Fredei-icus  Petri  Cepparelli 

Magister  Scangnus 

Giacobellus  Raynerii 

lacovutius  Conteri 

Johannes  Volte 

Lapus 

«iuidus 

Nicola  et  Florentinus  Blasii 

Prianus  Compagni 

Palmerius 

Petrutius  Darti 

Entendi  Benentendi  Rubens 

Raynerius 

Raynaldutius 

Thodinus 

Ventura  lacchi 

Clavarius 

Sartor 

Medicus 

Negosiantis 

Calzolarius 

Pecorarius 

Procurator 

Barberius 

Salaioli  et  Oliarli 

Cappellarius 

Panicoculus 

Negosiantis 

Celonarius 

Negosiantis 

Vendi  tor  panni  vecchi 

Procurator 

Ortolanus  fratrum  min. 

- 

- 

4.    Rione  di  S.   Biagio. 


Angelutius  Ventm'e 

Alexandrutius 

Corvenzinus 

Defendi 

lohaniies 

lacobus  Andree 

lacobus 

Johannes 

lacobellus  Angelicti 

lacobus 


Murator 

Murator 

LaV)orator 

Pecorarius 

Magister  Lingnorum 

Sartor 

Faber 

Petraiolus 

Banditor 

Sartor 


254 


G.    PARDI 


(Continua)  4.  Rione  di  S.  Biagio. 


ARTE 

POSSESSI 

NOME 

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Matlieus  lacobi 

Murator 

— 

Preianus 

Petraiolus 

- 

Petrutius  stefanie 

Ortulanus 

- 

Stefanus 

Pilizzarius 

- 

Raynerius 

Mugnaius 

- 

Vito  Aldrebandutii 

Laborator 

- 

Zolus  Bone 

Fornarius 

— 

5.  Rione  di  S.  Egidio. 


Andreas  Aspecte 

Funarius 

— 

Dominicus  Tebaldi 

Magister  Lingnorum 

- 

Franciscus  Rosone 

Petraiolus 

- 

Guido  Simonis 

Vascellarius 

- 

Johannes  Lochesis 

Funariiis 

- 

6.   Rione  di  S.   Leonardo. 


Bolonginus  Raynaldi 

Funarius 

— 

Bartholomeus  Girardi 

Lanaiolus 

- 

Bartus  , 

Caldararius 

- 

Cola  Toste 

Ortolanus 

- 

Ciccus Scelenguati 

Sartor 

- 

Conpagny  Massei  Centelezze 

Oliarius 

- 

Guillielmus 

Pomaiolus 

- 

Magister  Petrus 

Faber  serrator 

- 

lacobellus 

Magister  Lingnorum 

- 

Bergaminus 

Marescalcus 

- 

Petrus  Michaelis 

Calzolarius 

- 

Andreas 

Magister  Lingnorum 

- 

Petrutius  Mathei 

Calzolarius 

- 

IL   CATASTO   d'  OKVIETO,   ECC. 


7.  Rione  di  S.  Angelo. 


ARTE 

POSSESSI 

— 

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Aldrevandinellus  Amate 

I.aborator 

— 

Allevutius 

Fa  ber 

- 

Angelus  Allevi 

Sartor 

- 

Vannes  Sometani 

Tabernarius 

- 

Herardinellus  Rustichelli 

Laborator 

- 

Butius  Ranaldi 

Cartari  US 

- 

Compag'nolus  Guidonis 

Laborator  lilati 

Damianus 

Calzolarius 

- 

Dominicus  Francisci 

Pilizarius 

- 

Franciscus 

Calzolarius 

- 

Fahrutius  Guillelmi 

Notarius 

- 

Guilielmus  Guercius 

Ortolanus 

- 

Guilielmus  Pepi 

Setaiolus 

- 

Egidius  Racchi 

Sartor 

- 

lannes  lanuarii 

Calzolarius 

- 

lacobus  Leonardi 

Merzante 

- 

- 

lohannellus  Fonte 

Petraiolus 

lacobiis  Sciacte 

Funarius 

- 

lannuzolus  Petri  Pape 

Salsettarius 

- 

Johannes  Deotallevi 

Faber 

- 

lacobutius  Raynaldi 

Sartor  grassus 

- 

Lucas  Bartholomei 

F"aber 

- 

Manderius  lannis 

Tinctor 

- 

Munaldutuis  Raynerii 

Magnanus 

- 

Michael  Symoais 

Conzatore 

- 

Nepolionus 

Procazzante 

- 

Nicolaus  Petri 

Barberius 

- 

Magister  Orvetanus 

Medicus 

- 

Petrus  Deotallevi 

Conzadore 

- 

Philippus 

Texetore 

— 

256 


G.    PARDI 


(Continua)  7.  Rione  di  S.  Angelo. 


ARTE 

POSSESSI 

NOME 

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Krater  Pace 

Calmagnaiolus  [sic) 

— 

Petrus  Boniohannis 

Sensali  s 

- 

Poltratius  Faxie 

Notarius 

— 

Franciscus  olìm  de  Aretio 

Tinctor 

Scagnus  Deotesalvi 

Salsectarius 

— 

Traselgardus 

Laborator 

- 

Ternus 

Tahernarius 

- 

Thomasellus 

]Mugnarius 

- 

Nutius  Mazze 

Cartarius 

- 

Vannes  Peri 

Funarius 

- 

8.   Rione  di  S.  Stefano 


Andreas 

Magister  Lignorum 

— 

Berardinus 

Cappellarius 

- 

Bivianus 

Magister  Lignorum 

- 

lacobus  Pliilippi 

Calzolarius 

- 

Pleneria 

Negoziantis 

Tliomas  Darti 

Faber 

- 

Ugolinus 

Magister  Lignorum 

- 

III.  QUARTIERE  DEI  SS.  GIOVANNI  E  GIOVENALE. 
1.  Rione  di  S.  Giovenale. 


Guidarcllus 

Pretaiolus  (sic) 

— 

losephus  Rubeus 

Notarius 

- 

Magister  Guillielmus 

Medicus 

- 

Magister  Matbeus 

Medicus 

— 

IL   CATASTO    D    OU VIETO,    ECC. 


257 


(Continua)  1.  Rionh  ni  S.  Giovenale. 


NOME 


ARTE 


POSSESSI 


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Kestorus 
Tanus  Vive 
Vannes  Berardini 
Uffolinus  Pedonus 


Petraiolus 
Calzolarius 
Pretaiolus  {sic) 
Murator 


2.   Rione  di  S.   Matteo. 


Deotalleve 
Johannes  Massarie 
Oddarellus 
laconectus 
Aentiu'a 


Calzolarius 

Calzolarius 

Calzolarius 

Pecoraius 

Faber 


3.  Rione  di  S.  Faustino. 


Bartus  Fortis 

Pecorarius 

— 

Bencevenue 

Faber 



Johannes  Guidi 

Sartor 

— 

Zinbardus  Deotalleve 

Barberius 

- 

4.  Rione  di  S.  Giovanni. 


Berrectinus 
Petrus  Guidi 
Sensus 
Gherardlnus 


Petraiolus 
Molendinarius 
Laborator 
i  Pecorarius 


17 


258 


G.   PARDI 


IV.  QUARTIERE  DI  SERANCIA. 

1.  Rione  di  Serancia. 


ARTE 

POSSESSI 

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Angelutius 

Blaxius 

Morandus 

Zubus 

Spinellus 

Camangnaiolus 

Aurifex 

Pillizzarius 

Pesciaiolus 

Faber 

- 

- 

2.  Rione  di  S.  Angelo  sub  Ripa. 


Guidectus  Benvenuti 
Johannes 


Vascellarius 
]Magister  lignaminis 


3.  Rione 

DI  S.   Lorenzo. 

Boniohannes 

Pissiaiolus  (sic) 

— 

Barontius 

Murator 

- 

Bartliutius 

Vascellarius 

- 

Bentevengna 

Pomaiolus 

- 

Durante 

Pelliparius 

- 

Guillelmus 

Sensalis 

- 

lacobus 

Pictor 

- 

lacobus 

Vascellarius 

- 

Nicola 

Vascellarius 

- 

Nicolaus 

Vascellarius 

- 

Petrus 

Vascellarius 

- 

Romanutius 

Calzolarius 

- 

Benvenutus 

Calzolarius 

— 

4. 

Rione  di 

S.  Apostolo. 

Mactheus 

Magister  lignaminis 

— 

Mactheus 

Medicus 

- 

Tomaronus 

Sartor 

- 

Petrus 

Ortaiolus 

— 

IL   CATASTO   D    ORVIETO,    ECC. 


2'oU 


Per  far  vedere  più  chiaramenle  quali  arti  fossero  di  prefe- 
renza esercitate  in  Orvieto,  porrò  qui  sotto  in  ordine  alfabetico  i 
nomi  di  tutti  i  mestieri,  con  accanto  il  numero  delle  persone,  che 
li  esercitavano,  da  noi  rintracciate  nel  vetusto  catasto  orvietano. 
Soltanto  non  possiamo  aver  la  lista  completa  dei  componenti  le 
arti,  perchè  non  tutti  certamente  saranno  slati  proprietari  di  ter- 
reni : 


Asinariiis 1 

Aurifex 1 

Bauditor 1 

Barbeiiiis 6 

Bastarius 1 

Borsarius 1 

Calciuarius 1 

Caldararius 1 

Calzolaiius 17 

Cainaug-uaiolus 2 

Cappellarius 4 

Cartariiis 3 

Cartiilarius 1 

Celonarius 2 

Clavarius 3 

Coltellarius 1 

Coltraius 1 

Conzadore  3 

Curator 2 

Faber 11 

Faber  cervellariiis 1 

Faber  serrator 1 

Fornarius 1 

Fuuarius 6 

lociilator 1 

Laborator 6 

Laborator  filati 1 

Lauaiolus 1 

Macellarius 1 

]\Iagister  lignorum 15 

!Mag'uaniis 2 

Mariscalcus 1 

Mediciis 7 

Merciantis 3 

Moleudiuarius 1 

Mugnaius 7 


Murator 7 

Negosiantis 1 

Xotarius 3 

Ortulauus (i 

(Jliarius 4 

Pauicoculus 1 

Pecorarius 5 

Pellizarius 10 

Petraioliis 13 

Pettenarius 1 

Pinctor    2 

Piscator 2 

Pisciaiohis 2 

Pomaioliis 2 

Procazautis 3 

Procurator 2 

Eeuaiolus 4 

Salaiolus 3 

Salsettarius 2 

Sartor 11 

Sartor  grassus 2 

Scopaius 1 

Scrivanus    . 1 

Sellariiis 2 

Sensalis 3 

Sergeus  domini  Pape  ....  2 

Spadarius 3 

Tabernarius 3 

Tegularius 2 

Texetore 1 

Tigillarius 1 

Tinctor   3 

Usscerius  domini  Pape     ...  1 

Vascellarius 7 

Veuditor  panni  vecchi.     ...  1 


260  G.   PARDI 

§  4.  —  Forestieri  possidenti  in  Orvieto  nel  1292. 

Di  una  specie  di  forestieri,  diffusa  in  quasi  tutte  le<5Ìttà  d'Ita- 
lia, dov'essi  vivevano  in  condizioni  men  dure  che  non  in  altri 
paesi  d'Europa,  vale  a  dire  degli  Ebrei,  non  ne  troviamo  neanche 
uno  menzionalo  nel  catasto  orvietano.  E  ciò  è  facilmente  spiega- 
bile, perchè  gli  Ebrei  non  impiegavano  le  loro  ricchezze  nella  com- 
pera di  terreni,  ritraendone  un  fruttato  maggiore  con  il  darli  ad 
usura.  S'aggiunga  poi  che  nella  maggior  parte  dei  luoghi  non  ave- 
vano il  diritto  di  posseder  beni  immobili  (1).  Nondimeno  è  certo 
che  degli  Ebrei  alcuno  ve  ne  doveva  essere  in  Orvieto.  Ne  tro- 
viamo ricordati  più  d'uno  negli  atti  dei  podestà  d'Orvieto  degli 
anni  1277  e  seguenti.  Inoltre  sappiamo  che,  una  ventina  d'anni 
dopo  la  compilazione  del  catasto,  nel  1312,  il  Comune  orvietano 
accordò  ad  essi  speciali  condizioni,  avendo  bisogno  da  loro  del- 
l'imprestilo di  una  forte  somma  per  far  togliere  l'interdetto^  il 
quale  da  vari  anni  gravava  sopra  Orvieto. 

Degli  altri  forestieri,  venuti  generalmente  da  città  e  borgate 
vicine,  troviamo  in  maggior  numero  Perugini,  Cremonesi,  Luc- 
chesi, Senesi  e  Viterbesi.  La  maggior  parte,  al  solilo,  avevano 
possessi  da  100  a  500  lire  cortonesi,  uno  appena  ha  più  di  2000 
lire  di  proprietà  fondiaria,  tre  soltanto  meno  di  10  lire.  Abitavano 
i  più  nel  quartiere  di  Postierla. 

La  condizione  di  questi  forestieri,  lavoratori  o  commercianti, 
non  doveva  esser  differente  da  quella  degli  altri  cittadini. 

«  1  forestieri  (dice  il  Cibrario,  I,  263)  che  voleano  fare  perpe- 
tua o  temporaria  dimora  in  una  terra  doveano  farsene  accettar 
borghesi,  comprar  casa  d'un  certo  valore  e  soddisfare  agli  altri 
obblighi  della  borghesia La  borghesia  si  concedeva  dal  Con- 
siglio del  Comune  a  tempo  od  in  perpetuo.  Quando  veniva  a  ren- 
dersi cittadino  alcuno  dei  grandi  baroni,  gli  si  concedeva  per  l'or- 
dinario dispensa  dall' obbligo  di  residenza  e  da  qualche  servizio 
personale  ». 


(1)  Cfr.  in  Fertile,  Storia  del  diritto  italiano,  III,  184.  Avevano  nondimeno  il 
diritto  di  possedere  immobili  in  Ascoli  (Cfr.  Crivellucci,  L'antico  catasto  di  Ascoli, 
p.  518). 


IL.   CATASTO    1)    ORVIETO,    ECC. 


261 


«  Chi  non  poteva  o  non  volea  rendersi  borghese,  usava  met- 
tersi in  guardia  del  Principe  o  del  Comune;  e  per  tu!  protezione 
gli  rispondeva  un  annuo  censo  d'un  fiorino  o  d'un  obolo  d'oro, 
o  di  poche  libbre  di  cera,  di  pepe,  di  cannella,  o  di  tali  altre 
derrate  ». 

Nel  seguente  quadro  sono  enumerati  lutti  i  forestieri  possidenti 
in  Orvieto  con  i  relativi  possedimenti: 

Forestieri  dimoranti  in  ORvir;To: 

QUARTIERI    DOVE    ABITAVANO    E    POSSESSI    LORO. 


LUOGHI 

DI 

PROVENIENZA 


QUARTIERI 

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DI    ABITAZIONE 

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Acquapendente 
Amelia  .... 
Arezzo  .... 
Bagnorea  .  .  . 
Bologna  .  .  . 
Bolsena  .  .  . 
Camerino .  .  . 
Casale  .  .  .  . 
Città  di  Pieve  . 
Cremona  .  .  . 
Fermo  .  .  .  . 
Firenze.  .  .  . 
Genova .  .  .  . 
Gubbio.  .  .  . 
Lucca  .  .  .  . 
Milano  .  .  .  . 
Montefalco  .  . 
Montepulciano  . 
Parma  .  .  .  . 
Perugia  .  .  . 
Pistoia  .     .    .    . 


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262 


G.    PARDI 


LUOGHI 

DI 

PROVENIENZA 


QUARTIERI 

POS 

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DI    ABITAZIONE 

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Puglia  .  . 
Santa  fiora. 
S.  Gemini. 
Siena  .  . 
Todi .  .  . 
Viterbo.    . 


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5.  —  Possessi  di  comunità  ecclesiastiche  e  di  pie  istituzioni. 


Grandissima  era  nel  medio  evo  la  potenza  delle  idee  religiose, 
le  quali,  per  quanto  non  venissero  facilmente  comprese  né  di  fre- 
quente messe  in  opera  dai  rozzi  guerrieri,  eccitavano  nondimeno 
la  loro  fantasia,  ispirando  ad  essi  piuttosto  superstizione  che  non 
religione  vera.  I  principi  ed  i  baroni  di  quel  tempo,  reputando 
di  scontare  le  colpe,  i  fatti  di  sangue  con  il  far  doni  ai  monasteri 
ed  alle  chiese,  largheggiarono  con  gli  ecclesiastici.  La  paura 
millenaria,  inoltre,  fece  moltiplicare  senza  fine  le  donazioni  ai  mo- 
nasteri ed  alle  chiese,  cagionando  così  l'accrescersi  vie  più  della 
potenza  dei  prelati,  che  vennero  ad  acquistare,  oltre  al  potere  spiri- 
tuale, fortissimo  allora,  un  potere  temporale  e  numerosi  privilegi. 

Ma  questi  furono  infrenati  dai  Comuni.  Rimase  tuttavia  per 
molto  tempo  ancora  il  privilegio,  che  dei  beni  delle  comunità  ec- 
clesiastiche non  fosse  pagata  l'imposta  fondiaria.  Ed  infatti  ve- 
diamo che  nel  catasto  orvietano  non  sono  registrati  i  possessi  di 
tal  genere.  Eppure  questi  non  erano  poco  numerosi,  a  giudicare 
soltanto  da  quelli,  che  a  caso  si  trovano  ivi  ricordati  nel  deter- 
minarsi i  confini  dell'una  o  dell'altra  proprietà.  Ad  esempio,  l'ab- 
bazia del  Monte  Orvietano  aveva,  come  si  capisce  facilmente  dal 
■catasto  del  1292,  possessi  addirittura  sterminati.  Così  il  monastero 
di  san  Severo,  i  canonici  di  san  Costanzo,  ecc. 


IL   CATASTO    L>' ORVIETO,    ECC.  263 

Scorrendo  soltanto  il  catasto  della  città,  mi  ò  venuto  fallo  di 
notare  varie  pie  istituzioni  e  comunità  ecclesiastiche  posseditrici 
di  terreni,  che  io  riporto  qui  appresso  in  quell'ordine,  in  cui  si 
rinvengono  nel  catasto  medesimo.  Nò  credo  che  la  lista  sia  per 
riuscire  completa,  perchè  alcune  potranno  non  esservi  ricordate 
ed  altre  essermi  per  avventura  sfuggile. 

1.  Hospitale  [sancte  Marie],  Catasto  della  città{Quartiere  di  S.  Pace),  e.  1  r. 

2.  Ecclesia  sancii  Sani,  ivi. 

3.  Plebs  Stempuani,  e.  2  r. 

4.  Ecclesia  sancii  lohaunis,  ivi. 

5.  Ecclesia  saucti  Silvestri,  ivi. 

6.  Hospilale  sancii  Lazari,  e.  2  t. 

7.  Cauouici  sancii  Conslanlii,  e.  31  t. 

8.  Ecclesia  saucte  Crucis,  ivi. 

9.  Ecclesia  saucle  Marie  de  Bethelem,  ivi. 

10.  Abbatia  Moatis  Orvelane,  e.  4  r. 

11.  Ecclesia  sancte  ÌMarie,  ivi. 

12.  Ecclesia  sancii  Conslanlii,  e.  4  t. 

13.  Episcopatus,  h.  5  r. 

14.  Ecclesia  saucle  Trinitatis,  e.  5  t. 

15.  Ecclesia  sancii  Martini,  ivi. 

16.  Ecclesia  sancii  Petri,  e.  8  r. 

17.  [Ecclesia  ?]  sancte  Mustiole,  e.  8  t. 

18.  Ecclesia  saucti  luvenalis,  e.  9  r. 

19.  Ecclesia  sancii  Valentani,  e.  11  t. 

20.  Ecclesia  sancii  Felicis,  e.  13  r. 

21.  Ecclesia  sancii  Blaxii,  e.  14  t. 

22.  Ecclesia  sancii  Sepiilcrì,  e.  16  t. 

23.  Ecclesia  sancii  Spirili,  e.  17  t. 

24.  Ecclesia  saucti  Pauli,  e.  20  t. 

25.  Hospitale  sancii  lacobi,  e.  22  t. 

26.  Ecclesia  sancii  Egidii,  e.  23  t. 

27.  Ecclesia  saucti  Abuudi,  e.  21  t. 

28.  Ecclesia  sancii  Donati,  e.  31  t. 

29.  Ecclesia  sancii  Marci,  e.  32  r. 

30.  Ecclesia  sancii  Andree,  e.  32  t. 

31.  Ecclesia  sancii  Christophani,  e.  34  r. 

32.  Ecclesia  sancii  Dominici,  e.  35  r. 

33.  Ecclesia  sancii  Benedicli,  e.  35  t. 

34.  Ecclesia  sancii  Bartholomei,  e.  39  r. 


2G4  G.   PARDI 

35.  Ecclesia  sancti  Fustini,  e.  40  r. 

36.  Ecclesia  sancti  Angeli,  e.  41  r. 

37.  [Ecclesia?]  sancte  Augustiole,  e.  41  t. 

38.  Mouasterium  sancti  Guilielmi,  ivi. 

39.  Monasterium  sancte  Marie,  ivi. 

40.  Mouasterium  sancti  Pauli,  e.  54  r. 

41.  Plebs  de  Ficullo,  e.  57  r. 

42.  Ecclesia  sancti  Laurentii,  e.  55  t. 

43.  Ecclesia  sancti  Viti,  e.  ^<9  r. 

44.  Ecclesia  sancti  Antonii,  e.  ()i  ?'. 

45.  Ecclesia  sancte  Lucie,  e.  65  t. 

46.  Ecclesia  sancti  Fortunati,  e.  i(?0  r. 

47.  Ecclesia  sancti  Leonardi  (Quartiere  di  Postierla),  e.  8S  r. 

48.  Ecclesia  sancti  lorg-ii,  e.  34  r. 

49.  Ecclesia  sancti  Nicolai,  e.  79  r. 

50.  Monasterium  sancti  Severi,  e.  iS5  r. 

51.  Ecclesia  sancti  Severi,  e.  202  r. 

52.  [Ecclesia?]  sancti  Sebastiani,  ivi. 

53.  Ecclesìa  sancte  Anastasio,  e.  204  <. 

54.  Ecclesia  sancti  Stephani,  e.  205  r. 

55.  Monasterium  Mentis  Aralis  (Quartiere  dei  SS.  Giovanni  e  Gioveìiale), 

e.  96  r. 

L'abbazia  di  san  Niccolò  del  Monte  Orvietano  è,  s'io  non  erro, 
la  comunità  religiosa  che  aveva  «laggiori  possedimenti  (1). 

Un'altra  abbazia,  della  quale  son  ricordate  varie  proprietà 
nel  catasto  del  contado,  è  quella  di  san  Pietro  di  Acqualta,  che 
nel  1358  fece  lega  con  i  conti  di  Montemarte  (2). 

Numerose  proprietà  fondiarie  avevano  pure  i  canonici  di 
san  Costanzo.  Il  più  antico  vescovo  orvietano  ricordato  nei  docu- 
menti, Sigifredo,  concesse  loro  nel  1209  molte  chiese  e  molte  terre. 
Divenuti  pertanto  ricchi  e  potenti,  osarono  perfino  proclamare  un 
vescovo  colpevole  di  disonestà. 

La  chiesa  di  san  Costanzo  era  la  più  ragguardevole  della  città,, 


(1)  Sorgeva  presso  il  castello  di  Fienile.  Neil' archivio  comunale  di  questo  paese 
si  conserva  un  inventario  dei  beni  di  tale  monastero  Benedettino,  del  tempo  in  cui  fu- 
rono ceduti  in  enliteusi  perpetua  al  Comune  licullese  dai  canonici  di  S.  Maria  Mag- 
giore di  Roma  (anno  16^11). 

(2)  Tutte,  o  quasi  tutte,  le  notizie  storiche  riportate  appresso  son  tolte  dal  Codice 
diplomatico  d'Orvieto  del  Fumi,  che  io  credo  inutile  citare  volta  per  volta. 


IL    CATASTO    IJ'  ORVIETO,    ECC.  265 

l'antica  calledrale,  e  sorgeva  nell'area  di  quella  odierna.  Ma  nel  12S4, 
avendo  il  vescovo  Francesco  in  ariiuio  di  edificare  una  nuova  chiesa, 
unì  la  parrocchia  di  san  Costanzo  con  quella  della  vicina  siinta  Maria 
Prisca  e  dei  redditi  riuniti  delle  due  chiese  costituì  la  rendila  della  no- 
vella cattedrale,  che  cominciò  a  sorgere  bellissima  pochi  anni  dopo. 

Delle  altre  chiese  sopra  menzionate  quella  di  sant'Andrea 
esiste  ancora  con  lo  stesso  nome.  Anlicaniente  vi  si  stipularono 
anche  alti  del  Comune.  Nel  1203  il  podestà  Parenzo  concordò  ivi 
le  condizioni  della  pace  tra  i  Senesi  ed  il  conte  Aldobrandino. 

Le  chiesuole  di  san  Bartolomeo,  di  santa  Anastasia,  di  san  Giu- 
Ifano,  di  san  Lorenzo  e  di  san  Matteo  erano  poco  ragguardevoli 
ed  appartenevano  tutte  al  capitolo  di  san  Costanzo,  a  cui  furono 
confermate  da  un  privilegio  di  Adriano  IV. 

Le  chiese  di  san  Biagio,  di  sant'Angelo,  di  sant'Egidio,  di 
san  Leonardo,  di  san  Martino,  di  san  Salvatore  e  di  santo  Ste- 
fano dovevan  sorgere,  evidentemente,  nei  rioni  omonimi  del  quar- 
tiere di  Postierla.  Così  nel  rione  dello  stesso  nome  del  quartiere 
di  santa  Pace  la  chiesetta  di  san  Cristoforo  ed  in  quelli  corri- 
spondenti del  quartiere  dei  santi  Giovanni  e  Giovenale  le  chie- 
suole suburbane  di  san  Matteo  e  di  san  Faustino. 

La  chiesa  di  san  Giovanni  (quartiere  e  rione  omonimi)  era 
l'archivio  del  Comune  e  vi  si  riponevano  il  bossolo  degli  ufficiali 
e  vari  altri  atti  e  scritture.  L'antichissima  chiesa  di  san  Giove- 
nale (quartiere  e  rione  omonimi),  basilica  pagana  un  tempo,  è 
giunta  sino  a  noi  cangiata  solo  in  parte.  È  menzionata  in  un  atto 
del  1198  (lodo  tra  Orvieto  ed  Acquapendente). 

La  chiesetta  di  san  Lorenzo  era  situata  nel  quartiere  di  Se- 
rancia,  ed  in  quello  di  santa  Pace  sorgeva  il  tempio  di  san  Do- 
menico, in  cui,  poco  prima  del  1292,  Arnolfo  di  Lapo  erigeva  un 
bellissimo  monumento  al  cardinal  di  Bray. 

Delle  chiese  del  contado  ricorderemo  quelle  di  sant'Abbondio,  di 
san  Felice,  di  san  Pietro,  di  san  Severo,  da  cui  prendevano  la  deno- 
minazione gli  omonimi  pivieri  o  ville.  Viceversa  le  ville  di  Acqualta 
(nel  piviere  di  Monte  Giove)  e  di  Monte  Orvietano  (nel  piviere  di 
Fienile)  davano  la  denominazione  alle  due  abbazie  situate  nel  loro 
territorio. 

Oltre  ai  beni  delle  chiese  sopra  nominate  erano  numerosissimi 
quelli  appartenenti  ai  vari  monasteri    ed    all'episcopato,  perchè    i 


266  G.  PARDI 

vescovi  furono,  sul  principiar  dei  Comuni,  quasi  principi  o  baroni 
ed  ebbero  molta  potenza  e  ricchezza. 

I  monasteri  poi  raccoglievano  generalmente  intorno  a  loro  grandi 
quantità  di  terreni  donali  da  signorotti  e  da  baroni.  Ed  in  tali  dona- 
zioni si  eccedeva  forse  un  poco  per  il  vivissimo  sentimento  religioso  ; 
ma  per  lo  più  tali  beni  donati  erano  pascoli,  selve,  sterpaglie, 
luoghi  deserti,  che  i  monaci,  quasi  soli  allora  ad  esercitare  amorosa- 
mente   l'agricoltura,  sapevano  trasformare  in  belli  e  floridi  possessi. 

Tra  i  monasteri  orvietani  son  degni  di  ricordo  quello  intito- 
lato al  fondatore  del  monacismo  occidentale,  san  Benedetto,  di  cui 
sopra  vediamo  menzionata  la  chiesa;  quello  di  santa  Croce,  cHe 
sorgeva  nell'area  della  Piazza  del  popolo  e  fu  abbattuto  nel  1281 
per  costruir  questa;  il  monastero  di  san  Domenico  sorgente  presso 
la  chiesa  dello  stesso  nome,  nel  cui  capitolo  gli  inquisitori  pro- 
nunciavano le  terribili  sentenze  contro  gli  eretici;  quello  della 
santa  Trinità  di  Spineta  (luogo  vicino  ad  Orvieto);  quello  di  san  Gu- 
glielmo, divenuto  ricchissimo  quando  Gregorio  IX  gli  concesse 
l'altro  monastero  orvietano  di  santa  Maria  di  Massapalo;  quello 
di  san  Severo,  di  cui  rimangono  ancora  in  piedi  una  bella  torre 
decagona  ed  un  elegante  loggiato  nell'  interno  ;  quelli  di  santa  Maria, 
di  san  Paolo,  di  san  Vito,  ecc. 

Anche  le  pievi  avevano  dei  possedimenti,  molti  dei  quali  son 
menzionati  nel  catasto  del  contado. 

In  quello  della  città  troviamo  soventi  volte  la  espressione: 
iuxta  terram  -plehis,  senz'altro. 

Molto  ricca  era  certo  la  pieve  di  Stennano  ricordata  come 
confinante  a  numerosi  appezzamenti  di  terreno.  Molte  proprietà 
fondiarie  aveva  pure  la  pieve  di  Ficulle 

Tra  le  pie  istituzioni  una  delle  più  altamente  umanitarie  son 
gli  ospedali.  Mentre  i  governi  comunali  non  si  curavano  di  fondare 
di  tali  filantropici  istituti,  lo  spirito  di  carità  religiosa,  come  dice  il 
Cibrario,  ne  faceva  sorgere  dovunque  :  lungo  i  fiumi  e  i  torrenti,  nei 
passi  difficili  e  nelle  gole  dei  monti  e  sulle  vette  del  san  Bernardo 
e  del  Moncenisio,  nelle  campagne  e  nelle  città.  Quasi  ogni  cat- 
tedrale e  ogni  ricco  monastero  aveva  un  ospedale,  o  per  i  pelle- 
grini (xenodochiumj ,  o  per  i  vecchi  (gerontocomium),  o  per  gli  or- 
fani (ovphanotrophium) ,  o  per  i  mendicanti  (ptocotrophiumj,  o  per 
i  malati  (nosocomium),  o  per  i  fanciulli  poveri  (brephotrophium) . 


IL   CATASTO    1>'  ORVIETO,    ECC.  267 

L'ospedale  più  nolcvole  d'Orvieto  Tappellato  nel  catasto 
Hoapitale  semplicemente  od  Hospitale  sanate  Marie)  fu  quello 
di  sunta  Maria  della  Stella.  Nel  1292  ne  era  rettore  frate  Gio- 
vanni da  Firenze,  il  quale  nel  1288  aveva  ottenuto  da  Niccolò  IV 
che  accordasse  a'  suoi  frati  la  regola  dell'ospedale  di  san  Gia- 
como d' Allopascio.  Lo  stesso  pontefice,  trovandosi  a  dimorare  in 
Orvieto  nel  1291,  concesse  vari  privilegi  all'ospedale.  11  Comune 
lo  prese  sotto  la  sua  protezione  nel  1310,  gli  accordò  non  pochi 
favori  e  privilegi  e  per  esso  stanziò  873  lire  annue  di  nostra  mo- 
neta. Nel  §  41  della  Carta  del  popolo  al  podestà  ed  al  capitano 
di  popolo  è  prescritto  di  difendere  e  mantenere  i  beni  e  i  diritti 
di  quell'ospedale. 

Altri  ospedali,  annessi  ad  una  chiesa  o  ad  un  monastero, 
v'erano  allora  in  Orvieto.  Ad  esempio  un  privilegio,  concesso  dal 
marchese  Ranieri  nel  1113  alla  chiesa  di  santa  Maria  di  Massa- 
palo,  ricorda  l'ospedale  di  questa.  Un  ospedale  era  congiunto  pure 
alle  chiese  di  san  Giuliano  e  di  san  Matteo.  E  nominato  nel  ca- 
tasto anche  un  ospedale  di  san  Giacomo;  ma  non  so  se  sia  lo 
stesso  che  quello  di  santa  Maria  della  Stella,  avendo  i  frali  di 
questo  abbracciata  la  regola  di  san  Giacomo  d' Allopascio  e  dedi- 
cala al  medesimo  una  cappella. 

Mentre  tali  comunità  religiose  e  pii  istituti  aveano  l'esenzione 
dal  pagare  l'imposta  fondiaria,  non  ne  erano  esenti  gli  ecclesia- 
stici come  possidenti  privati.  Non  troviamo  tuttavia  numerosi  chie- 
rici proprietari  di  terreni.  Pertanto,  od  essi  amavano  impiegare 
altrimenti  che  non  in  possessi  fondiari  il  loro  danaro,  di  cui  al- 
lora l'interesse  era  altissimo,  o  non  erano  mollo  ricchi  privata- 
mente.  La  prima  opinione  ci  sembra  più  probabile. 

Altri  Comuni  concessero  esenzioni  agli  ecclesiastici  medesimi, 
od  ai  medici,  ai  notari  e  agli  avvocati,  od  ai  forestieri  invitati  ad 
esercitare  qualche  mestiere  sul  loro  territorio.  Ma  dal  catasto  del 
1292  non  risulta  che  il  Comune  di  Orvieto  accordasse  ad  alcuno 
tali  esenzioni,  poiché  vi  vediamo  registrale  proprietà  di  medici, 
di  nolari,  di  ecclesiastici,  di  forestieri. 

§  5.  —  Popolazione  censita  della  città  nel  1292. 

Mentre  l'Italia  era  andata  decrescendo  di  popolazione  a  co- 
minciare dall'anarchia  militare   del    III    e    IV   secolo    dell'impero 


268  G.    PARDI 

romano  fino  al  sorgere  dei  Comuni,  all'epoca  di  questi  si  ha  in- 
vece un  rapido  incremento  di  popolazione,  prodotto  ed  indizio 
certo  delle  condizioni  migliorale.  Si  calcola  infatti  che  Cremona 
avesse,  nel  1300,  circa  80,000  abitanti,  Firenze  ne  aveva  a  un  di- 
presso 100,000  nel  1336  e  quasi  100,000  Siena  nel  1348.  In  Or- 
vieto nel  1292  erano  più  di  14,000  abitanti  possessori  di  terreni; 
dal  che  si  può  argomentare  che  la  popolazione  vera  della  città 
fosse  molto  maggiore,  quasi  di  30,000  persone,  come  dedurremo 
più  innanzi  dal  confronto  con  i  catasti  e  i  focolari  degli  anni 
seguenti. 

Ad  ogni  modo,  ammettendo  pure  che  la  proprietà  fosse  oltre- 
modo frazionata,  la  popolazione  d'Orvieto  in  quel  tempo  sarebbe 
stala  sempre  più  del  doppio  di  quella  d'oggi,  che  non  giunge  ad 
8,000  abitanti  secondo  l'ultimo  censimento. 

La  popolazione  delle  campagne,  al  contrario,  dev'essersi  sempre 
accresciuta  per  ragioni  facili  a  comprendersi.  I  Comuni  del  medio 
evo,  che  avevano  rinvenuta  una  fonte  di  prosperità  e  di  grandezza 
nella  libertà  concessa  agli  artisti,  non  estesero  tale  beneficio  alle 
campagne.  Inoltre  nuocevano  alla  floridezza  dell'agricoltura  le 
guerre  incessanti,  per  le  quali  i  campi  venivano  devastati  dalle 
scorrerie  dei  nemici,  ed  improvvide  leggi,  che  punivano  talvolta 
i  colpevoli  piuttosto  nei  beni  che  nella  persona,  ordinando  si  ta- 
gliassero le  biade  dei  loro  campi  e  le  viti  delle  loro  vigne.  Con- 
tribuiva sopratutto  all'affollarsi  delle  genti  nelle  città  la  poca  si- 
curezza dei  luoghi  non  chiusi  quando  succedeva  qualche  guerra. 
E  queste  disgraziatamente  non  erano  molto  infrequenti  ! 

La  popolazione  della  città  dev'esser  andata  sempre  crescendo 
sino  al  fatale  anno  1313,  nel  quale,  dopo  una  lunga  e  feroce  lotta, 
furon  cacciati  d'Orvieto  tutti  i  ghibellini  e  vennero  distrutte  le  loro 
case.  Per  tal  modo  gli  abitanti  di  essa  si  riducevano  quasi  alla 
metà.  E  vero  che  a  non  pochi  fu  concesso  di  ritornare  in  patria, 
ma  molti  preferirono  esulare. 

La  popolazione  abbiente  d'Orvieto  è  descritta  nel  quadro  se- 
guente, in  cui  ogni  fuoco  è  calcolato  5  teste,  quantunque^  come 
dice  il  Foglietti  a  proposito  di  Macerata,  si  potrebbe  forse  portare 
anche  a  6  o  7  teste  ogni  fuoco,  vale  a  dir  quelle  persone  che  ac- 
cendevano un  sol  fuoco,  che  formavano  una  sola  famiglia. 


II.   CATASTO    D    ORVIETO,    ECC. 


269 


Popolazioni-:  censita  ni  Oiwieto  nell'anno  1292. 


FUOCHI 

TESTE 

FUOCHI 

TESTE 

QUARTIERI 

RIO  N  l 

per  ogni 

per  ogni 

per  ogni 

per  ogni 

Rione 

Rione 

Quartiere 

Quartiere 

S.  Pace .... 

116 

730 

S.   Pace 

S.  Cristofano.    . 
Valle  Piatta  .    . 

66 
65 

330 
325 

464 

2320 

Ripa  fieli' Olmo 

1S7 

935 

S.  Maria    .    .    . 

223 

1125 

S.  Salvatore  .    . 

53 

265 

S.  Costanzo   .    . 

147 

733 

Postierla 

S.  Biagio   .    .    . 
S.  Egidio  .    .    . 

122 
42 

610 
210 

1181 

5905 

S.  Leonardo  .    . 

97 

485 

S.  Angelo  .    .    . 

363 

1815 

S.  Stefano .    .    . 

132 

660 

SS.  Giovanni 

e 

Giovenale 

S.  Giovenale .    . 
S.  Matteo  .    .    . 
S.  Faustino   .    . 
S.  Giovanni  .    . 

348 
74 
96 

141 

1740 
370 
480 
705 

639 

3295 

Serancia    .    .    . 

148 

740 

Serancia 

S.  Angelo  sub  Ripa 
S.  Lorenzo     .    . 

63 
91 

315 

455 

432 

2160 

S.  Apostolo    .    . 

130 

650 

Fuochi  (teste  corr 

spendenti)  non  iser 

itti  in  nessun  quartiere 

80 

400 

Somma  tota 

le    .    .    . 

2816 

14080 

§  6.  —  Quartieri  e  rioni  d'Orvieto: 
nomi  loro  e  delie  persone  che  li  abitavano. 


Orvieto  nel  1292  era  divisa  in  quartieri,  suddivisi  alla  lor  volta 
in  un  numero  maggiore  o  minore  di  rioni,  nella  maniera  seguente: 


270  G.    PARDI 


I.    QUARTIEKE    DI    S.     PaCE. 

1,  Rione  di  S.  Pace.  3.  Rione  di  Valle  Piatta. 

2.  Rione  di  S.  Cristofano.  4.  Rione  di  Ripa  dell'  Olmo. 

II.  Quartiere  di  Postierla. 

1.  Rione  di  S.  Maria.  6.  Rione  di  S.  Leonardo. 

2.  Rione  di  S.  Salvatore.  7.  Rione  di  S.  Angelo. 

3.  Rione  di  S.  Costanzo.  8.  Rione  di  S.  Stefano. 

4.  Rione  di  S.  Biag-io.  9.  Rione  di  S.  Martino. 

5.  Rione  di  S.  Egidio. 

III.  Quartiere  dei  SS.  Giovanni  e  Giovenale. 

1.  Rione  dì  S.  Giovenale.  3.  Rione  di  S.  Faustino. 

2.  Rione  di  S.  Matteo.  4.  Rione  di  S.  Giovanni. 

IV.  Quartiere  di  Serancia. 

1.  Rione  di  Serancia.  3.  Rione  di  S.  Lorenzo. 

2.  Rione  di  S.  Angelo  sub  Ripa.  4.  Rione  dei  SS.  Apostoli. 

Il  quartiere  più  vasto  e  popoloso  d'Orvieto  era  quello  di  Po- 
stierla (denominazione  corrotta  modernamente  in  Pistrella),  così 
chiamato  perchè  terminava  alla  Posterula  (Porta  Postierla), 
delta  poi  Porta  Soliana  (porta  solisj.  Anche  il  quartiere  fu  ap- 
pellato soliano  e  quindi  della  Stella;  ma  la  regione  così  denomi- 
nata non  comprende  se  non  una  parte  dell'antica. 

La  chiesa  di  santa  Maria,  da  cui  s'intitola  un  rione,  fu  ab- 
battuta (assieme  a  quella  di  san  Costanzo)  per  edificare  sulla  me- 
desima area,  notevolmente  ingrandita,  la  cattedrale,  che  conservò 
l'identica  denominazione  (santa  Maria  nuova  o  novella).  Non  esi- 
stono più  nemmeno  la  chiesa  parrocchiale  di  san  Salvatore,  riu- 
nita alla  cattedrale,  vicino  alla  quale  sorgeva;  né  la  chiesa  di 
san  Biagio,  riunita  alla  prossima  parrocchia  di  santo  Stefano  dal 
cardinale  Girolamo  Simoncelli  nel  1605;  né  quelle  di  sant'Egidio, 
di  san  Leonardo  e  di  san  Martino. 

Sant'Egidio  s'innalzava  presso    il    monastero    di   san  Pietro, 


IL   CATASTO    I)'  OKVIIOTO,    KCC.  271 

proprietà  un  tempo  di  monache  domenicane,  ora  ridotto  ad  uso 
di  carceri  giudiziarie.  Nel  111'.' il  vescovo  d'Orvieto  Guglielmo  con- 
cesse la  chiesa  ai  monaci  di  Santa  Croce  di  Sassovivo  di  Foligno,  da 
cui  passò  alle  monache  sopra  menzionate.  Recentemente,  cioè  nel 
18(iO,  la  parrocchia  di  sant'Egidio  ò  stala  per  decreto  vescovile 
trasferita  nella  vicina  chiesa  di  san  Domenico. 

San  Leonardo  era  una  parrocchia  notev(jle  perchè  vi  fu  riu- 
nita anche  quella  di  san  Cristoforo.  Sorgeva  sul  Corso  (la  via  prin- 
cipale della  città)  dicontro  al  palazzo  Febei-Piccolomini.  Venne 
demolita  nel  1802  e  la  parrocchia  di  san  Leonardo  fu  trasferita 
prima  nella  chiesa  della  Madonna  di  Loreto  e  poscia  in  quella 
di  san  Bernardo. 

S.  Martino  era  prossima  alla  Porsia  Postierla  e  fu  abbattuta 
poco  dopo  il  1359  per  ordine  del  cardinale  Egidio  Albornoz,  che 
nelle  vicinanze  fece  costruire  la  celebre  Rocca,  detta  appunto  di 
san  Martino,  pressoché  spianata  interamente  dai  Beffati  (fazione 
cittadina)  nel  1395,  ricostruita  più  bella  per  cura  dei  pontefici  Bo- 
nifacio IX,  Martino  V  e  Nicolò  V,  compiuta  da  Paolo  II  e  Ur- 
bano Vili  e  restaurata  pure  da  Alessandro  VII.  La  parrocchia 
di  san  Martino  venne  riunita  alla  chiesa  ancora  esistente  di 
santa  Maria   Nuova  dell'Ordine  dei  Servi. 

Delle  antiche  chiese,  da  cui  s'intitolavano  i  rioni  del  quar- 
tiere di  Postierla,  non  rimangono  in  piedi  se  non  sant'Angelo  e 
santo  Stefano. 

Il  tempio  sacrato  al  culto  di  san  Michele  Arcangelo  esisteva 
fin  dal  secolo  VI.  V'era  annesso  un  ospedale  e  l'officiavano  tre 
parrochi.  Ciò  indica  la  grandezza  della  parrocchia  molto  eslesa  e 
che  annoverava  più  di  duemila  abitanti. 

Non  cosi  antica  come  sant'Angelo  era  la  chiesa  di  santo  Ste- 
fano, né  tanto  eslesa  era  la  sua  parrocchia.  Nondimeno  se  ne  hanno 
notizie  fino  dal  secolo  XII,  nel  quale  venne  assoggettata  al  capi- 
tolo e  al  clero  di  santa  Maria  della  Stella. 

Molto  vasto  e  popoloso  era  pure  il  quartiere  dei  santi  Gio- 
vanni e  Giovenale.  I  rioni  di  esso  prendevano  la  denominazione 
dalle  chiese  di  questi  due  santi  e  da  quelle  di  san  Matteo  e  di 
san  Faustino. 

Il  tempio  di  san  Giovanni  Evangelista,  detto  de  platea,  fu  edi- 
ficato nel  916  da  Giovanni  X,  ampliato   e   restaurato  nel  1003  da 


2(2  G.    PARDI 

Giovanni  XVII,  demolilo  nel  1697.  Sopra  l'area  di  esso  sorse  la 
chiesa  moderna,  più  ristretta  e  del  tutto  nuova. 

La  chiesa  di  san  Giovenale  è  notevolissima  perchè  conser- 
vata in  parte  nella  sua  primitiva  forma  architettonica.  Fu  edifi- 
cata nel  1004  a  spese  di  sette  nobili  famiglie,  tra  le  quali  i  Mo- 
naldeschi  ed  i  conti  di   Marsciano. 

Le  chiesuole  di  san  Matteo  e  di  san  Faustino  sorgevano  pro- 
babilmente nei  suburbi  della  città,  ora  disabitati,  presso  Porta 
Romana.  Infatti  tracce  di  abitazioni  furono  rinvenute  nel  fare  l'at- 
tuale Campo  della  fiera  ed  altre  eran  lì  presso,  dove  i  muri  tu- 
facei della  città  scaricandosi  hanno  reso  pericoloso  il  luogo. 

Il  quartiere  ed  il  rione  di  santa  Pace  furono  così  denominati 
dalla  chiesa  di  santa  Maria  della  Face,  costruita,  assieme  al 
grandioso  convento  domenicano,  nel  1233.  Avvenuta  la  canoniz- 
zazione di  san  Domenico,  fu  a  lui  dedicala. 

Il  cardinale  Anibaldeschi  ampliò  il  convento  e  la  chiesa,  che 
eresse  forse  a  tre  navate.  Vi  stette  come  lettore  di  teologia,  in- 
torno al  1263,  san  Tommaso  e  vi  compose,  a  delta  di  molti,  l'uf- 
ficio della  festa  del  Corpus  domini,  allora  istituita  per  solennizzare 
il  noto  miracolo  di  Bolsena.  In  san  Domenico  sono  la  cattedra 
del  gran  teologo  e  l'elegante  monumento  eretto  da  Arnolfo  di  Lapo 
al  cardinal  Gugliemo  di  Braj,  morto  in  Orvieto  nel  1282. 

La  chiesa  di  san  Cristoforo,  da  cui  prende  la  denominazione 
un  altro  dei  rioni  del  quartiere  di  santa  Pace,  fu  abbattuta  innanzi 
a  quella  di  san  Leonardo,  in  cui  dapprima  era  stata  trasferita 
la  parrocchia  di  san  Cristoforo,  corrispondente  ad  un  dipresso 
alla  parrocchia  attuale  della  Madonna  di  Loreto. 

11  rione  di  Valle  Pialla  terminava  ad  oriente  il  quartiere  di 
santa  Pace  confinando  con  quello  di  Postierla  :  era  così  chiamato 
perchè  comprendeva  un'ampia  ed  aprica  valletta  ben  coltivala  e 
poco  abitata,  a  nord-est  della  città. 

Il  rione  di  Ripa  dell'Olmo  corrisponde  in  parie  all'odierno 
luogo  detto  Ripa  degli  uomini  :  si  estendeva  per  una  lunga  e  stretta 
striscia  rasente  alle  ripe  della  città,  a  settentrione  del  quartiere 
di  santa  Pace. 

11  quartiere  di  Serancia  non  si  sa  perchè  venisse  così  chia- 
mato, forse  perchè  vi  facevano  la  corsa  del  Saracino  (giuoco  della 
quintana).  Corrisponde  al  moderno  Serancia  per  buona  parte. 


IL   CATASTO   D'  ORVIETO,    ECC.  273 

Il  rione  di  sant'Angelo  fnib  Ripa  fu  denominato  fluiln  chiesa 
omonima,  che  doveva  trovarsi  nei  suburbi  meridionali  della  città 
nel  luogo  appellato  ora  Surripa. 

Quello  di  san  Lorenzo  similmente  s'intitolò  dalla  chiesa  del 
medesimo  nome,  detta  volgarmente  san  Lorenzo  de  Arari,  forse 
perchè  non  venisse  confusa  con  san  Lorenzo  in  Vineis  sorgente 
sur  un  colle  di  faccia  ad  Orvieto.  Esisteva  già  nel  1028,  al  tempo 
del  vescovo  Sigifredo,  nel  luogo  ove  ora  è  l'orto  de'  frati  minori. 
Poiché  recava  incomodo  a  questi  il  salmodiare  dei  preti,  che  of- 
ficiavano in  san  Lorenzo,  nel  1291  i  Francescani  ottennero  che 
fosse  distrutta  la  chiesa.  Nicolò  IV  lo  concesse  loro  a  patto  che 
ne  edificassero  un'altra,  alla  distanza  di  40  canne.  Sorse  cos\ 
l'attuale  san  Lorenzo  costruita  dal  vescovo  Francesco  Monaldeschi. 

Il  rione  di  sant'Apostolo  prendeva  il  nome  dalla  chiesa  dei 
santi  apostoli  Filippo  e  Giacomo,  eretta  nel  1007  e  dotata  da  varie 
nobili  famiglie  orvietane.  Fu  una  delle  sette  principali  parrocchie  an- 
tiche. È  ora  proprietà  del  Seminario  orvietano,  a  cui  sorge  accanto. 

Il  più  popoloso  quartiere  della  città  era,  come  si  è  accennato 
innanzi,  quello  di  Postierla,  che  occupava  circa  un  terzo  dell'area 
di  Orvieto  ed  in  cui  abitavano  più  di  5,000  persone  appartenenti 
a  famiglie  posseditrici  di  terreni.  Infatti  gli  antichi  quartieri  erano 
divisi  in  modo  differente  dai  moderni,  i  quali  occupano  quattro  aree 
presso  a  poco  uguali  e  simmetriche,  spartite  da  due  linee  quasi 
rette,  che  s'incontrano  nel  centro  della  città  nel  crocevia  della  Torre 
del  Moro.  Invece  in  antico  i  quartieri  cittadini  eran  formati  molto 
più  irregolarmente.  Il  quartiere  di  Postierla  comprendeva  tutto  il 
moderno  rione  della  Stella  e  parte  di  quello  della  Corsica.  Il  quartiere 
di  santa  Pace  abbracciava  parte  dell'attuale  rione  della  Corsica  e 
di  quello  dell'Olmo.  11  quartiere  di  Serancia  era  formato  solo  da  una 
parte  del  rione  omonimo  attuale.  Finalmente  il  quartiere  dei  santi 
Giovanni  e  Giovenale  comprendeva,  nella  parte  estrema  della  città, 
contrapposto  a  quello  di  Postierla,  una  parte  dei  rioni  dell'Olmo  e 
di  Serancia.  Talché  questi  due  quartieri,  con  due  lunghe  striscio  tra- 
sversali, si  spingevano  da  una  parte  all'altra  d'Orvieto.  Anche  le 
divisioni  delle  antiche  regioni  non  corrispondono  certo  alle  moderne 
vie,  ma  seguivano  piuttosto  le  delimitazioni  delle  parrocchie,  conser- 
vatesi senza  grandi  variazioni  sino  ai  nostri  giorni.  Cosicché  non 
sarebbe  difficile  ricostruire  la  pianta  topografica  d'Orvieto  nel  1292. 

18 


274  G.   PARDI 

Ritornando  al  quartiere  di  Postierla,  osserviamo  quali  note- 
voli personaggi  dimorassero  nel  1292  nei  rioni  di  questo. 

11  più  ricco  tra  gli  abitanti  del  rione  di  santa  Maria  era  un 
Angelo  di  Guido  probabilmente  dei  Filippeschi. 

Nel  rione  di  san  Salvatore  dimorava  Giacomino  di  Guasta 
padre  di  quel  Guasta  di  Giacomino,  che  nel  1316  fu  con  il  capi- 
tano di  popolo,  Poncello  Orsini,  all'  assedio  del  castello  di  Bisenzo  (1). 

Nella  vasta,  popolosa  e  ricca  regione  di  san  Costanzo  abita- 
vano Avveduto,  Bonaventura  e  Neri  di  Benincasa  della  nobile 
famiglia  degli  Avveduti,  favorita  poscia  dal  re  Ladislao  di  Napoli 
quando  s'impadronì  di  Orvieto;  Cittadino  di  Ermanno  Monaldeschi, 
che  prestò  fideiussione  per  Orsello  Orsini  quando  giurò  fedeltà 
al  Comune  d'Orvieto;  il  padre  di  lui,  Ermanno  di  Cittadino,  morto 
poco  dopo  ;  Giacomo  di  Guido  di  Trasmondo  e  gli  eredi  di  Ciarfaglia 
e   di   Pietro    di    Cittadino,  appartenenti  essi  pure  ai  Monaldeschi. 

Non  è  giusto  pertanto  l'asserire,  come  è  stato  fatto,  che  il 
quartiere  di  Postierla  fosse  tutto  di  Ghibellini  e  di  Filippeschi  (2), 
mentre  nel  rione  di  san  Costanzo  avevano  la  loro  dimora  i  guel- 
fissimi  Monaldeschi.  E  di  fatto,  se  il  quartiere  di  Postierla  fosse 
stato  tutto  abitato  dai  Filippeschi,  essi  avrebbero  formata  quasi 
la  metà  della  popolazione  cittadina. 

Nel  rione  di  san  Biagio  abitavano  Leone,  Farolfo  e  Pietro 
della  nobile  famiglia  dei  conti  di  Montemarte  con  i  nepoti  loro. 

I  Montemarte  furono  cosi  detti  dal  castello  omonimo. 
Andrea  di   Farolfo  di  Montemarte  ricevette   dai    Todini,  sulle 

cui  terre  eran  posti  i  maggiori  suoi  possessi,  un'ingiuria  atroce, 
che  l'attaccò  grandemente  agli  Orvietani.  Andrea  ebbe  cinque  figli: 
Leone,  Oddo,  Farolfo,  Pietro  e  Landò.  Oddo  e  Landò  morirono 
assai  presto;  ed  il  primo  soltano  lasciò  discendenza,  che  non  giunse 
tuttavia  alla  seconda  generazione.  Leone,  vivente  ancora  nel  1292, 
non  ebbe  prole.  Da  Farolfo  discesero  i  conti  di  Titignano,  da  Pietro 
quelli  di  Corbara. 

II  conte  Pietro  fu  tra  i  condottieri  orvietani   alla   battaglia  di 


(1)  Chr.  Urbevetana  (Arch.  St.  it.,  anno  18S9,  p.  33). 

(2)  Questa  falsa  opinione  é  nata  per  le  parole  del  cronista  Planante,  il  quale  al- 
l'anno 1313  narra  che  furono  abbattute  400  case  di  Filippeschi  nel  quartiere  di  Postierla. 
Realmente  molti  Filippeschi  abitavano  lungo  la  via  denominata  ora  soUana,  ma  questa 
non  era  tutto  il  quartiere  di  Postierla,  molto  più  vasto,  come  s'  è  detto,  dell'  odierno 
rione  della  Stella. 


IL   CATASTO    d'  OKVIKTO,    ECC.  275 

Montaperli,  ed  il  figlio  Pielruccio  uno  dei  mossimi  sostenitori 
della  causa  guelfa  in  Orvieto  (1). 

I  figli  di  Pelruccio,  Ugolino  e  Francesco  (2),  abbracciarono  il 
mestiere  delle  armi,  che  concedeva  ai  nobili  d'allora,  dopo  il  Ira- 
mutamento  dei  Comuni  in  Signorie,  di  acquistare  gloria  ed  una 
maggiore  indipendenza  ;  e  tanto  essi  quanto  i  loro  discendenti  si 
segnalarono  in  quell'avventurosa  carriera. 

Nel  rione  di  san  Leonardo  abitavano  numerose  famiglie  ap- 
partenenti alla  nobile  casata  Della  Greca:  Aldobrandino  di  Ma- 
nuppello,  Francesco  di  Uguccione  e  Rinuccetto  di  Aldobrandino 
di  Manuppello.  Furono  probabilmente  dei  Della  Greca  Monaldo  e 
Pietro  di  Aldobranduccio  di  Niccola,  dei  quali  troviamo  ricordati 
i  possedimenti  nel  rione  di  san  Leonardo. 

Ma  il  più  notevole  personaggio  della  casata  Della  Greca  abi- 
tava nel  rione  di  sant'Angelo. 

Ranieri  o  Neri  di  Uguccione  (più  comunemente  detto  di  Ugo- 
lino) ebbe  in  patria  la  carica  più  ambita  dei  nostri  Comuni  me- 
dievali, quella  di  capitano  di  popolo,  in  cui  fu  riconfermato  due 
volte.  Egli  di  guelfo  si  fece  ghibellino  per  fierezza  di  sentimento 
e  per  affetto  alla  città  natale.  Mentre  infatti  esercitava  la  capitanìa, 
venne  in  Orvieto  papa  Martino  IV,  raggiuntovi  da  Carlo  d'Angiò. 
I  soldati  francesi  di  questo  spadroneggiavano  la  città,  la  quale  si 
levò  a  rumore  e  gridò:  morte  ai  Francesi!  Neri,  che  avrebbe 
dovuto  consigliare  la  calma,  incoraggiava  invece  la  sommossa, 
rivelandosi  ghibellino  di  sentimenti.  Più  tardi  fece  nominare 
un  podestà  ghibellino,  il  conte  dell' Anguillura,  e  tentò  far  pri- 
meggiare il  proprio  partito  nelle  cose  cittadine.  Non  vi  riuscì 
perchè  i  Guelfi,  capitanali  dai  Monaldeschi,  eran  troppo  numerosi  e 
potenti.  Nondimeno  Neri  Della  Greca  resta  una  delle  più  fiere, 
nobili   ed  ardimentose  figure  della  storia   medievale  d'Orvieto. 

Dimoravano  pure  nel  rione  di  sant'Angelo  gli  eredi  di  Andrea 
di  Fallastata  Monaldeschi;  gli  eredi  d' Aldevrandino,  figlio  di  quel- 
l'Amedeo Lupicini,  che  fu  tanta    parte    delle    cose    cittadine    (era 


(1)  Veggasi  intorno  a  lui  la  Cronaca  inedita  degli  avvenimenti  d'Orvieto  e  d'altre 
parti  d'Italia  dall'anno  1333  all'anno  1400  di  Francesco  Montemarte  Conte  ui  Cor- 
bara  (Pubblicata  da  A.  F.  Glalterio,  Torino,  1S46). 

(2)  È  questi  lo  scrittore  della  Cronaca  menzionata  sopra. 


276  G.   PARDI 

rettore  di  Orvieto  nel  1266  come  risulta  da  un  atto  del  29  giugno) 
e  venne  dichiarato  eretico  e  scomunicato  assieme  alla  moglie  Ste- 
fania ed  alla  sorella  Pacifica;  gli  eredi  di  quel  Nino  di  Amedeo 
(dei  Lupicini  anch'esso)  morto  nel  1289  nella  battaglia,  in  cui  fu- 
rono sconfitti  i  Ghibellini  di  Arezzo  (1)  ;  alcuni  della  nobile  fami- 
glia dei  Provenzali,  ossieno  Gino  e  Meo  di  Rinuccio  di  Provenzano 
e  Provenzano  di  Amedeo  (il  cui  avo,  dello  stesso  nome,  era  stato 
console  ed  anziano  della  città  ed  era  morto  paterino);  Sinibaldo 
di  Pietro  di  Sinibaldo  della  ragguardevole  famiglia  degli  Ardic- 
cioni,  ecc. 

Nel  quartiere  dei  santi  Giovanni  e  Giovenale,  nel  rione  di 
san  Giovenale,  abitavano  Angelo  di  Alessandro,  probabilmente  dei 
Filippeschi,  Filippo  di  Bartuccio  Filippeschi,  Ranieri  di  Monaldo 
e  Pietro  di  Ranieri  di  Redigerlo  Della  Terza  (2),  altra  illustre 
casata  orvietana,  Ugolino  di  Aldobrandino  Della  Greca,  ecc. 

Nel  rione  di  san  Giovanni  erano  i  palazzi  dei  conti  di  Mar- 
sciano:  Bernardino  di  Ranieri,  Nardo,  Neri  ed  Ugolino  di  Bul- 
garuccio. 

I  conti  di  Marsciano  traggono  origine  —  a  quanto  narra 
rUghelli  (3)  —  da  un  conte  Cadolo  di  stirpe  longobarda,  ricor- 
dalo in  una  donazione  del  figlio  suo  Lotario,  che  aveva  ampi  pos- 
sessi in  quel  di  Lucca  e  di  Firenze;  e  presero  il  nome  dal  forte 
castello  di  Marsciano,  nome  da  èssi  conservato  anche  dopo  di  aver 
venduto  Marsciano  ai  Perugini  nel  1281  (4).  I  discendenti  di  Lo- 
tario acquistarono  vasti  possedimenti  nel  territorio  di  Chiusi  e 
d'Orvieto  e  verso  la  Maremma,  e  specialmente  con  Orvieto  ebbero 
relazioni.  Nel  1118  il  conte  Bernardino  di  Bulgarello  fece  alto  di 
sommissione  e  di  vassallaggio  al  vescovo  di  Orvieto  per  il  ca- 
stello di  Parrano,  da  lui  posseduto  e  situato  nella  diocesi  orvie- 
tana (5):  allo  rinnovalo  dal  conte  Bulgarello  al  vescovo  Giovanni 
il  17  novembre  1211, 


(1)  Fumi,  Cod.  dipi.  d'Orvieto,  p.  338. 

(2)  Il  padre  di  Pietro,  Ranieri  Della  Terza,  abitava  già  tra  la  Piazza  del  popolo 
e  la  Torre  del  Papa,  ma  nel  1281  (febbraio  16)  aveva  vendute  le  case  da  lui  ivi  posse- 
dute al  Comune,  che  le  acquistò  per  fare  la  Piazza  del  popolo.  Che  uomo  risoluto  ed 
audace  fosse  Pietro  di  Ranieri  dimostra  un  fatto  narrato  nella  Chr.  Urb.,  p.  20. 

(Z)  F.  UoiiELLi,  Albero  et  Historia  della  famìglia  de'  Conti  di  Marsciano,  Roma, 
10G7. 

(4)  Ivi,  p.  3 

(5)  Ivi,  p.  21.  Da  Bernardino  di  Bulgarello  discesero  i  conti  di  Parrano. 


IL    CATASTO    d'  ORVIETO,    ECC.  277 

Il  conte  Bernardino  di  Ranieri,  che  aveva  stanza  in  Oi'vielo 
nel  rione  di  san  Giovanni  nel  1292,  era  figlio  di  cpiel  Ranieri, 
stalo  podestà  di  Firenze  nel  1250  (1)  e  che  conquistò  Gualdo  per 
il  Comune  di  Perugia  l'anno  appresso;  e  fratello  di  Bulgaruccio 
o  Bulgarello  (di  cui  si  conserva  nell'archivio  arcivescovile  d'Or- 
vieto il  sigillo  con  l'arma,  la  più  antica  sin  qui  conosciuta  de' Mar- 
sciano,  Ire  gigli  d'oro  in  campo  rosso),  che  nel  1259  fu  podestà 
a  Città  di  Castello  e  conseguì  nel  medesimo  anno,  assieme  al  fra- 
tello Bernardino,  la  cilladinanza  orvietana,  o  non  solila  —  dice 
rUghelli  (2)  —  a  conferirsi  a'  Baroni,  e  Signori  di  Feudo  ». 

Bulgaruccio  morì  prima  del  1292  lasciando  i  tre  figli  Bernardo 
o  Nardo,  Ugolino  e  Neri,  che  vediamo  appunto  abitare  in  Orvieto 
nel  1292,  dove  viveva  pure  lo  zio  Bernardino.  Assieme  al  quale 
nel  1276  avevano  avuto  controversia  con  il  Comune  di  Poggio 
Aquilone  a  loro  soggetto,  e  nel  1281  avevano  venduto  Marsciano 
al  Comune  di  Perugia  per  cinquemila  lire.  Erano  così  ricchi  che, 
sebbene  (come  appare  dal  catasto  del  1292)  avessero  vastissimi 
possedimenti  in  Orvieto,  pure  erano  allirali  per  non  meno  che  in 
questa  città  nei  registri  del  Comune  di  Perugia,  sul  territorio  del 
quale  avevano  castella  e  proprietà  fondiarie  in  gran  numero  (3). 

Nardo,  il  più  potente  dei  fratelli,  fu  nel  1282  podestà  d'Or- 
vieto, «  offitio  —  son  parole  dell'  Ughelli  (4)  —  solito  allhora  darsi 
dalla  Republica  a  Huomini  di  cospicui  natali,  e  di  valore  emi- 
nente ». 

Dimoravano  nel  rione  di  san  Giovanni  anche  i  Ranieri,  fami- 
glia venuta  in  fama  per  Neri  di  Zaccaria,  che,  essendo  nel  1315 
podestà  di  Firenze,  condannò  per  la  terza  volta  all'esilio  Dante  Ali- 
ghieri (5);  e  per  Leonardo  di  Simone,  che  vendicò  l'uccisione  di 
suo  zio  Guido  e  liberò  la  patria  dalla  tirannia  di  Matteo  Orsini 
nel  1345. 

Nel  1292  vivevano  Neri  di  Monaldo  di  Ranieri    e   Simone  di 


(1)  Pellini,  HistoìHa  di  Perugia,  p.  I,  e.  260. 

(2)  Ughelli,  op.  cit.,  p.  25. 

(3)  Ivi,  ivi,  p.  26. 
(I)  Ivi,  ivi,  p.  27. 

(5)  Fu  anche  podestà  d'Orvieto  nel  1316  (G.  Pardi,  Serie  dei  supremi  magistrati 
e  reggitori  d'Orvieto  dal  principio  delle  libertà  comunali  all'anno  i500,  Perugia,  1895, 
p.  51). 


278  G.    PARDI 

Ranieri  di  Guido,  uno  dei  più  ricchi  cittadini  d'Orvieto,  stato  po- 
destà nel  1265-6  e  nel  1285  (1). 

Nel  rione  di  Serancia  del  quartiere  omonimo  avevano  l'abi- 
tazione Giacomuccio  di  Ranieri  di  Guglielmo,  de' Ranieri  anch' egli; 
Oddone  della  famiglia  dei  Medici  (i  cui  antenati  avean  ceduto  al 
Comune  orvietano  il  castello  di  Bisenzio),  il  quale  era  stato  sin- 
daco del  Comune  nel  1270;  Pietro  di  Giovanni  e  Vanne  di  For- 
zore  degli  Alberici,  che  divennero  poscia  una  delle  più  notevoli 
famiglie  della  città;  Roberto  degli  Albizi,  di  un  ramo  forse  della 
illustre  casata  fiorentina  trapiantatosi  in  Orvieto;  Ugolino  di  Lu- 
picino  Lupicini,  uno  dei  Dodici  eletti  a  far  lega  col  Comune  di 
Perugia  nel  1315  (atto  del  3  ottobre  di  quest'anno)  e  sindaco  nel 
1330  del  Comune  orvietano  per  cingere  la  spada  al  novello  cava- 
liere Bicello  de'  Baglioni  perugino. 

Nel  rione  di  san  Lorenzo,  presso  le  ripe  della  città,  aveva 
l'abitazione  Corrado  di  Ermanno  Monaldeschi,  visconte  del  ca- 
stello di  san  Venanzo,  capitano  di  popolo  in  Firenze  nel  1299, 
eletto  da  papa  Bonifacio  Vili  a  presiedere  alla  fabbrica  di  santa  Ma- 
ria e  alla  difesa  e  al  governo  di  Valdilago  e  di  Acquapendente,  e 
morto  nel  1300  in  battaglia  presso  Radicofani.  Egli  accrebbe  gran- 
demente la  potenza  della  propria  famiglia  sposando  Latina  dei  vi- 
sconti di  Campiglia  ed  agevolò  al  figlio  Ermanno  l'acquisto  della 
signoria  della  patria  (2). 

Nella  regione  di  sant'Apostolo  dimoravano  Neri  di  Masseo 
(Monaldeschi?);  Vanne  di  Masseo  Monaldeschi,  giudice  e  lettore 
di  leggi  nello  studio  orvietano,  uomo  molto  stimato  per  senno  e 
dottrina,  uno  degli  otto  sapienti  scelti  a  trattare  con  la  Curia  ro- 
mana la  quistione  dell'interdetto  scagliato  contro  il  Comune,  sin- 
daco e  procuratore  di  questo  per  rinnovar  la  lega  con  Perugia  (3), 
uno  dei  Signori  Cinque  nel  1315  (4);  Pietro  Novello  di  Monaldo 
Monaldeschi,  ambasciatore  al  papa  nel  1300,  uno  di  Cinque,  ca- 
pitano di  parte  guelfa  e  capitano  dell'esercito  mandato  in  soccorso 
di  Firenze  nel  1315  (5);   Ugolino  di  Bonconte  Monaldeschi,  il  cui 


(1)  G.  Pardi,  op.  cit.,  p.  41  e  44. 

(2)  G.  Pardi,  La  signoria  di  Ennanno  Monaldeschi  in  Orvieto,  Roma,  1S95,  p.  12. 

(3)  Ivi,  ivi,  p.  10. 

(4)  G.  Pardi,  Il  Governo  dei  Signori  Cinque  in  Orvieto,  ivi,  1894,  p.  21  e  23. 

(5)  Cfr.  le  due  op.  qui  sopra  cit.,  l'una  a  p.  11  e  l'altra  a  p.  24. 


IL   CATASTO    I)'  ORVIETO,    ECC.  27!) 

padre  fu  due  volte  podestà  d'Orvieto  (nel  1241  e  nel  1256),  avo 
dell'altro  Ugolino  di  Bonconte,  che  aiutò  Ermanno  Monaldeschi 
ad  impadronirsi  della  signoria  della  patria  e  dapprima  divise  con 
lui  il  potere. 

Nel  rione  di  santa  Pace  del  quartiere  dello  slesso  nome  erano 
le  case  di  Angelo  di  Ranuccio  di  Trasmondo  Monaldeschi,  di  Don- 
giovanni, di  Celle  e  di  Pelruccio  di  Riccio  dei  Miscinelli  (1),  po- 
tente famiglia  ghibellina  mandata  a  confine  nel  1315  (2);  di  Cane 
di  Monaldo  Monaldeschi;  di  Intende  di  Cremonese  degli  Ottimelli; 
di  Lunardo  di  Giacomo  e  di  Ranieri  della  Terza;  di  Montanaro 
di  Berardo,  di  Monalduccio  di  Catalano,  di  Spinello  di  l^anuccio 
di  Trasmondo  e  di  Spinuccio  di  lallachino  Monaldeschi;  di  Orge- 
sio  dei  conti  di  Cetona  (grosso  castello  dipendente  dapprima  da 
Siena,  poscia  da  Chiusi  e  finalmente  venduto  ad  Orvieto  dal 
conte  Aldobrandino);  e  di  Ugolino  di  Ugolino  della  Greca,  fratello 
del  famoso  Neri  capitano  di  popolo. 

Nel  rione  di  san  Cristoforo  abitavano  Amedeo  di  Guido  di 
Marco  ed  Egidio  e  Filippo  di  Simone,  probabilmente  appartenenti 
alla  famiglia  dei  Ranieri,  e  Lotto  e  Vanne  di  Cambio  dei  Miscinelli. 

Un  altro  dei  Miscinelli,  Osicco,  aveva  dimora  nel  vicino  rione 
di  Valle  piatta. 

In  quello  di  Ripa  dell'Olmo  eran  le  case  di  Andrea  di  Ca- 
staldo, probabilmente  dei  Filippeschi,  di  Andriotto  e  di  Bernar- 
dino Avveduti;  di  Alessandro  di  Bernardo  Filippeschi;  di  An- 
druccio  di  Pietruccio  di  Bongiovanni  della  famiglia  Bonaccorsi  ; 
di  Giovanni  di  Sperandio  e  di  Neri  di  Pietro  Sallamare;  di  Neri 
di  Alessandro  e  di  Stefano  di  Giordano  di  Stefano  Filippeschi 
e  di  Rinuccetto  e  di  Sinibaldo  degli  Ardiccioni,  famiglia  ghibel- 
lina molto  potente  (3). 

Tali  adunque  i  principali  personaggi  abitanti  nei  vari  rioni 
dei  quartieri  cittadini.  La  storia  potrà  forse  acquistare  dalla  co- 
noscenza delle  loro  ricchezze  qualche  lume  —  essendo  la  ricchezza 
mezzo  precipuo  per  venire  in  potenza  ed  in  fama  — ;  e  non  lieve 


(1)  Petruccio  di  Riccio  Miscinelli  fu  condannato  come  eretico  nel  1268. 

(2)  Fui'on  posti  i  Miscinelli  nella  prima  cerna  dei  confinati  composta  de'  più 
ardenti  ghibellini. 

(3)  Monaldo  degli  Ardiccioni  fu  capitano  di  popolo  nel  1285.  Una  sorella  di  Ri- 
nuccetto e  di  Sinibaldo,  donna  Imilga,  nel  1268  (settembre  28)  era  stata  condannata 
come  paterina. 


280 


G.    PARDI 


vantaggio  ne  ritrarrà  la  topografia  dell'antica  Orvieto,  che  aveva 
allora  una  divisione  molto  diversa  dall'odierna  e  da  nessuno  sin 
qui  conosciuta.  Le  vie  di  essa  si  popoleranno  inoltre  delle  figure 
di  un'epoca  gloriosa,  rammentale  a  noi  dagli  avanzi  dei  palazzi 
e  delle  torri  dei  Monaldeschi,  dei  Filippeschi,  dei  Della  Greca, 
dei  Ranieri,  dei  Della  Terza,  dei  Miscinelli.  Infine  si  avrà  quasi 
la  fisonomia  della  città,  dove  alcuni  rioni  (come  quelli  di  san  Matteo,, 
di  san  Faustino,  di  sant'Angelo  sub  Ripa,  di  Valle  piatta)  non 
erano  abitali  che  da  povera  gente  e  non  popolali  che  da  basse 
e  miserabili  case  di  tufo;  mentre  in  altri  (come  quelli  di  san  Gio- 
venale, di  san  Giovanni,  di  san  Costanzo,  di  Serancia,  di  santa  Pace) 
dimoravano  i  più  ragguardevoli  personaggi  e  si  ergevano  superbe 
le  caselorri  merlate  e  si  aprivano  le  botteghe  dei  grassi  artigiani. 

Per  mezzo  dell'esame,  da  noi  intrapreso,  dei  nomi  iscritti 
nel  catasto  orvietano  del  1292,  oltre  a  rintracciare  gli  uomini  più 
notevoli  del  tempo,  potremo  pure  farci  un'idea  dell'origine  dei 
nostri  nomi,  cognomi  e  soprannomi,  che  nella  primitiva  forma 
latina  medioevale  faranno  trasparire  abbastanza  chiaramente,  come 
attraverso  un  tenue  velo,  il  loro  significato.  Avremo,  inoltre,  in 
essi  le  più  antiche  tracce  del  dialetto  orvietano. 

Ecco  adunque  la  più  parte  dei  nomi  adoperali  nella  città 
d'Orvieto  nel  1292,  disposti  in  ordine  alfabetico: 


NOMI    MASCHILI. 


Accomandettus 
Accoamannus 
Accursutius 
Actavianus  . 
Adelmus.     , 
Admannitus 
Albertus 
Albouectus . 
Aldrevauuinus 
Aldoviuus   .     . 
Aldoviuutius    . 
Alexander  . 
Alexius  .     .     . 
AUevatus     . 
Amadore. 
Amoddeus  .     , 
Amoractus  .     . 


1  r. 

3  r. 

100  t. 

116  t. 

1  t. 

3  t. 

44  t. 


II,  106  t.  Andreas I, 

I,        8  r.  Audrutius 

43  r.  Audrioctus 

56  r.  Anglutius 

39  r.  Ang-nelus  (e  Angelus) . 

43  r.  Auguelutius     .... 

54  t.  Ansengna 

59  t.  Appressus II,      7  r. 

1  r.  Apollouius 108  r. 

43  t.  Argumeutus     ....     Ili,     5  r. 

43  t.  Arloctus 13  r. 

1  r.  Azzoliuus IV,   34  r. 

56  t.  Baldese Ili,  16  t. 

Ili,     5  t.  Baldus I,      92  t. 

I,  42  t.  Bambarouus     ....     II,       9  r. 

II,  106  t.  Barota 9  r. 

I,       56  r.  Baroncellus 138  r. 


IL.  CATASTO   d'  ORVIETO,    ECC. 


281 


Barnabutius    .... 

Bartholus 

Bartholomeus  .... 

Bartus 

Beccarius 

Becutìus 

Benveiiutus 

Bcrardus  (e  Beruardus) 

Berardellus 

Berardiuus   (e    Bernar- 

dimis 

Berarditius   (e    Beruar- 

ditiiis) 

Berrezoctus 

Bertus 

Berzus : 

Bezocus  (e  Bizocus).     . 

Biccutius 

Bindus    

Bindatius 

Blancus  

Blaxiiis 

Blaxiolus 

Bonaccursus    .... 

Bonencasa  

Bouifatiiis 

Bouiohaunes  .... 
Borgarutius     .     .     .     . 

Branchius    

Bucculus 

Bticciilutius      .     .     .     . 

Bxindus 

Cauappus     

Cang-uus  (e  Cagnus)     . 

Caug-nolus 

Caute 

Cantutius 

Castaldus 

Castellanus 

Catalaaus 

Ceccus    

Celle 

Christophanus .... 

Cinus 

Cipta  


I,  93  t. 
44  t. 
33  t. 

1  r. 

II,  204  r. 
I,  58  r. 
Ili,  15  t. 
I,      12  r. 

32  r. 

3  r. 

4  r. 
Ili,  23  r. 

I,  8  t. 
Ili,  22  r. 

II,  106  t. 
IV,    38  r. 

5  r. 
20  r. 

t. 
t. 


I, 


15 

20 

II,  138 


I, 


III, 


n, 
I, 
n, 
I, 


n, 


59 
61 

5 
56 
61 
44 
16 
24 
28 
25 
62 
25 

6 

6 
53 

7 
12 

6 

5 
20 

7 
51 


Ciptus Ili,  2r.  r. 

Citanus 25  r. 

Clarante I,     113  t. 

Clottus 7  r. 

Cola 34  t. 

Comes Ili,    17  t. 

Compiug'uiizolus  ...  Il,       9  t. 

Copazoims 10  t. 

Corvellus I,       62  r. 

Damiauus II,   158  r. 

Dayuese 10  t. 

Deodatus 10  t. 

Dominicus I,       45  t. 

Domiuichellus.     .     .     .  III,  20  r. 

Dompuadeus    .     .     .     .  II,  l.^iS  r. 

Dorauuus I,       37  t. 

Eg'idiu.s 34  t. 

Ermannus 15  t. 

Farolfus 38  t. 

Fassciolus 8  r. 

Fllipputius 62  r. 

Fortutius Ili,  17  r. 

Forzore 28  r. 

Franchus 126  t. 

Francutius II,     12  t. 

Franciscus I,       32  r. 

Francischellus .     .     .     .  III,  27  r. 

Fredericus II,     21   t. 

Frederig-ellus  ....  12  t. 

Galganiis 45  t. 

Galismiis I,       55 

Gentilis II,      9 

Gerardus 3 

Gerardutlus      ....  9 

Gerì 5 

Ghilius II,      8 

Giliutius I,      14 

Giottus II,    44 

Gismundus IV,   74 

Goctofredus     ....  I,     101 


Colante II,     17 

Gratiosiis 15 

Grimutius III,  18  t. 

Guasta II,     37  r. 

Guastutuis Ili,   31   t. 


^82 


G.    PARDI 


Oualfredus II,     46  t. 

Giialterius 66  r. 

Giierrerius 103  r. 

Ouidus  (e  Guido)     .     .  8  r. 

Guidarellus 9  t. 

Guidarotius      ....  65  r. 

Guidectus 8  r. 

Giiilbertus 27  r. 

Guilimutuis      ....  66  t. 

Guillelmus 37  r. 

Guillelmutius  ....  31   t. 

Guiscardvis Ili,  61  r. 

Henricus I,       26  r. 

Hermanuiis      .     .     .     .  I,       97  r. 

Hermauuellus  ....  158  r. 

Hermitatius     ....  64  t. 

Hug-uliuus 14  t. 

lacobus  (e   lacovus  ed 

lacomus)     ....  3  t. 

lacovutius 11  r. 

laanes 5  t. 

lillachynus  (e  lalachy- 

nus) 24  t. 

lughilbertixs     ....  IV,   73  t. 

Intende I,       10  r. 

lohanues 10  t. 

lohanuellus 50  r. 

lohannutius     ....  10  t. 

lordanus IV,   76  t. 

loseppus 73  r. 

lulianus I,         8  r. 

Lambertutius  ....  22  r. 

Laxirentius 37  r. 

Leo     .......  II,     91  r. 

•Leorsus  (e  Liorsus)  .     .  I,      12  r. 

Ligo II,     14  r. 

liiorsellns I,       12  r. 

Lippus II,     13  t. 

Loctus     ......  I,      42  t. 

Loderius  (e  Locterius) .  IV,  77  t. 

Lunardus I,       11  r. 

Macteus 6  r. 

Mactutius    .,..'.  93  r. 

Maynente 6  t. 

Manfrcdus 13  t. 


Mannutius  .....    I, 

Marcus 

Marcutius 

Marcellus 

Marianus 

Martinus      ..... 

Masseus 

Massucceptus  ....    II, 

Meliore IV, 

Meus I, 

Micchele 

Moutanarius    .... 

Munaldus 

Nallus 

Namoratus 

Nardus 

Nepoleone IV, 

Neri I, 

Niccola I, 

Ninus 

Nisius 

Nutius 

Occinellus 

Oddus     

.Oddarellus 

Offredus 

Oraugnellus     .... 

Orgesius 

Origone 

Orrige 

Osiccus 

Orvetanus 

Paganellus 

Pandolfus IV, 

Paulus I, 

Paulutius 

Pellus IV, 

Pepus  (e  Pepo)     ...     I, 

Peregrinus 

Perus II, 

Perutius 

Petrus I, 

Petrutius 

Petruzzolus 

Philippu.s 


38  t 
5  r 

52 

44 

96 

47 

13 

22 

32 

92 

46 

12 
3 

13 

97 

97  t. 


36 
14 
11 
97 
123 
47 
99 
16 
22 


36  t. 

64  r. 

15  r. 

36  t. 

54  t. 

45  r. 

47  r. 

118  t. 

39  t. 
39 
48 
30 
46 
30 
17 

17  r. 

4  r. 

15  t. 

16  r. 
20  r. 


IL    CATASTO    1>"  «JllVIICTO,    ECC. 


283 


Picchiiis. 

Polcrius  . 

Polli tiiis  . 

Prodeiitiiis 

Propicius 

Putius     . 

Puzzolus 

Ranaldus 

Raydiyerius 

Rayueruis    . 

Raymizziuus 

Rayuuzziptus 

Kicchus  . 

Riccobaldus 

Rodolfus. 

Rollandus 

Rollandinus 

Romauus 

Rubertus 

Riiffiuus  . 

Rug'erius 

Rusticus . 

Sabbatiuus 

Salomon . 

Salvarelhis 

Sascauellns , 

Savi  u  US  . 

Seuebaldus 

Serali  uiis 

Severiis  . 

Sfforza     . 


I,     106  t. 
10  r. 

■lui  t. 

39  r. 
32  t. 

39  t. 
101  t. 

30  r. 

Ili,  43  r. 

I,        7  t. 

1  t. 

20  t. 

I,  40  r. 
44  t 

103  t. 
32  r. 
16  t. 
28  r. 

40  r. 
16  r. 
49  t. 
32  r. 

1  r. 

30  r. 

Ili,  59  r. 

II,  64  r. 
Ili,  29  r. 

I,  22  r. 
24  t. 

II,  30  r. 
Ili,  27  r. 


Soloinia  

Spiiiellus  .... 
Spinutiiis  .... 
Stephaniis    .... 

Symon 

.Syinoncellu.s  .  .  . 
Syribollus    .... 

Taldiis 

Taucredus  .... 

Tauiis 

Tebaldus     .... 

Teinpus 

Thoniassus  .... 

Tinus 

Transiniiudus  .     .     . 
Ufredutius  .... 

Ug-us  ...... 

Vang-nes  (e  Vannes) 
Vaug'uutius. 
Veraldiis      .... 

Verzilliis      .... 

Zaccaria 

Zart'aglia  (e  Zarfag-la) 

Zarrus 

Zeliugus 

Zeus 

Zouus 

Zoltus 

Zuccus 

Zumbus  .  .  .  .  . 
Ziitius 


I, 
II, 
I, 


II,  07  t. 
1,       2>   t. 

24   t. 

22  t. 

34  t. 

30  r. 
11--^  t. 
Ili  r. 

I,  25  t. 
HI,  00  r. 
I,       92   t. 

94  r. 

2()  r. 

26  t. 
1   t. 

43  r. 
Ili,  26  t. 
I,      20  r. 

31  r. 
31  t. 
40  t. 

116  t. 
76  r. 
116  t. 
111,126  t. 

I,  117  t. 

II,  33  t. 
46  r. 

Ili,  25  r. 
IV,  28  r. 
I,     117  t. 


I, 


n, 

I, 


NOMI    FEMMINILI 


Abbeduta  . 
Alamanua  . 
Aldruda  .  . 
Alegranza  . 
Altedemaua 
Amata  .  . 
Audriiitia  . 
Ang-ela  .  . 
Angelica 
Armanna  . 
Azza  .     .     . 


II,       7  r. 

I,  9  r. 
Ili,  27  r. 

II,  47  t. 
1   t. 

62  t. 
27 
82 
85 
104 
II,     22  t. 


I, 

n, 

IV, 


Barnabea 
Bellabruua 
Bellaveui 
Benamata 
Benvenuta 
Berta .     . 
Bianca     . 
Blancitiore 
Biatrice  . 
Bona  .     . 
Boutade  . 


I, 

33  t. 

n, 

9  t. 

III, 

17  r. 

n, 

29  t. 

7  t. 

7  t. 

III, 

28  r. 

II, 

48  r. 

9  r. 

84  r. 

I, 

60  r. 

284 


G.    PARDI 


Bosa I,      40  r. 

Calandra II,     12  r. 

Caradonna 13  t. 

Chiavoneria     .     .     .     .  IV,    73  t. 

Clara I,       34  t. 

Diamante 49  r. 

Dieta II,     85  r. 

Divitia 158  r. 

Domenag'olata.     .     .     .  Ili,  107  r 

Drusta I,       41   t. 

Encisa II,     16  t. 

Fabressa 106  t. 

Fiorentina II,     57  r. 

Fontana Ili,   48  t. 

Foresetana II,   109  r. 

Francisca I,       35  t. 

Galitiana 32  r. 

Gemma 45  t. 

Giiigiia 14  t. 

Gradilitia 6  r. 

Gratia II,  127  r. 

Gudilitìa I,       12  t. 

Guidocta IV,  74  t. 


Guidulla I,        4  r. 

lacoba 53  r. 

luliana Ili,  31  t. 

lunchetana I,        7  r. 

Margarita IV,  106  r. 

Marzia II,  109  r. 

Mathea 4  r. 

Micchilocta 108  r. 

Odolina I,       37  r. 

Oliva II,     12  t. 

Pisana 97  r. 

Plana I,       25  r. 

Riccadonna Ili,  44  t. 

Riccha 97  r. 

Rosana 125  t. 

Sabbatina I,       45  t. 

Sebjlia Ili,  59  r. 

Spadutia 59  r. 

Stefania Il,     17  r. 

Verde IV,    41  t. 

Verdenevella    ....  41  r. 

Verdiana 76  r. 


COGNOMI  E  SOPRANNOMI. 


Adbiduti  (Cfr.  Avveduti)  I,      53  t. 
Advauzati  (Cfr.  Avvan- 

zati 9  r. 

Albese 44  t. 

Alteneve 48  t. 

Amoddei  (Cfr.  Amìdei)  49  t. 

Aroui 11  r. 

Ardizzari 14  r. 

Arezzari 28  r. 

Avaritie 30  r. 

Baroni     •■....  16  r. 

Bastantie Ili,  57  t. 

Beccari I,       58  r. 

Beccaromi 97  t. 

Becchi IV,    85  r. 

Becuneranti     ....  72  r. 

Belcortese Ili,  91  t. 

Beldie II,     16  t. 

Benassagi I,      Ut. 


Benefacti     ....  II,     67  r. 

Bencevenne     ....  I,        4  t. 

Bentevengne    ....  III,  81  t. 

Bevetutti I,      33  t. 

Bilacqua  (Cfr.  Bevilac- 
qua)    II,     16  t. 

Boccabone I,     136  r. 

Boccafrictelle  ....  IV,  131   t. 

Boccalepre II,     16  r. 

Boccalete Ili,  97  r. 

Boccanera  (Cfr.  Bocca- 
negra)     I,     107  t. 

Beccarle 40  r. 

Bocatius  dictits  (Cfr.  Boc- 
caccio)      II,     67  r. 

Bonafede II,     89  t. 

Bonaiuutis  (Cfr.  Bonag- 

giunta) I,       10  r. 

Bonaguide 49  t. 


IL   CATASTO    D    ORVIETO,    ECC. 


285 


Bonavenere II,    49  t. 

Bona/J  (Cfr.  Bonazzi)   .  I,    102  r. 

Bonfils-li  (Cfr.  Donfigli)  II,  7  r. 
Boniusengna  (Cfr.    Bo- 

7ì  insegna)    .     .     .     .  I,       12  t. 

Bonostis II,     47  r. 

Bouscg-noris  (Cfr.  Bon- 

signorl) 19  r. 

Borscette  (Cfr.  Borsetta)  I,      32  r. 

Bramandi(Cfr.J5r«7na?i<t!)  I,  14  r. 
Braiulalg:le(Cfr./ira«(Zrt^Zm)    103  r. 

Brixnazzotti III,  62  t. 

Bucciconi II,  102  t. 

Bucti  (Cfr.  Butti)     .     .  I,      26  t. 

Busse II,  100  t. 

Butrichelli I,     107  r. 

Cacabassi Ili,   20  t. 

Cag'ao:olpe(=  cacacoZ^^e)  25  t. 

Cambii  (Cfr.  Cambi)     .  I,      42  r. 

Capraceche II,     47  r. 

Cardinalis    qui    dicitur 

(Cfr.  Cardinali)  .     .  III,     2  r. 

Carebone 132  t. 

Carmangne    (Cfr.    Car- 

ìnagna) II,  102  r. 

Carteblance*     ....  88  t. 

Casati I,       59  t. 

Cavaldolo II,     38  t. 

Cavalieri     (Cfr.     Cava- 

glieri) I,         7  t. 

Ceutucose Ili,   .36  r. 

Cicerle IV,    76  r. 

Civenne II,     10  r. 

Clazzarnesi   (=   schiac- 

ciarnesif)    ....  IV,    80  t. 

Cocce 33  t. 

Compangui  (Cfr.  Com- 
pagni)       II,     25  t. 

Cornacchia 178  r. 

Crudelis  (Cfr.   Crudeli).  119  t. 

De  Albricis  {Alberici)     .  I,       31  r. 

De  Claratenuta  .  .  .  103  r. 
DeFilippischis(^^^^7)^esc^^■)       54  t. 

De  Grecha  (De^Za  Greca)  26  t. 

De  Miccinellis  (il/iscmcZ^z)  9  t. 


DcMonaldischi.s(ilfonaWesc/</)  10  r. 

DeOptiinellis(0<</7ne^/j)  11  r. 

De  Spada  (Cfr.  Spaila)  III,    68  t. 

De  Tertia  {Della  Terza)  I,       29  r. 

De  Turri  {Della  Torre)  215  t. 

De  caruodevale   (^=   di 

carnevale)   ....  II,  167  r. 

Deoceviva 66  t. 

Deotallevi  (Cfr.  Diotal- 

levi) 10  r. 

Deotesalvi   (Cfr.    Dioti- 

salvi) 109  r. 

Fassce I,      39  t. 

Faranfutii II,      6  t. 

Ferraloca Ili,  50  t. 

Flaccalussu  (=  fiacca- 
lusso) Il,  107  r. 

Fiorite  (=  fiorita)    .     .  III,  21  r. 

Fogalassci IV,     5  r. 

Fortibrazze  (Cfr.  Forte- 
braccio)  I,       66  t. 

Fortisguerre  (Cfr.  For- 

teguerra)     ....  IV,    20  t. 

Fragavire I,      33  t. 

Frascanbocche.     .     .     .  100  t. 

Gentilezze II,  109  r. 

Ghise I,      59  t. 

Gibellinus  dictus.     .     .  Ili,  75  t. 

Godete I,      30  t. 

Grani II,  101  r. 

Gra.ssci  (Cfr.  Grassi)    .  III,   60  r. 

Grassilli  (Cfr.  Grasselli)  6  t. 

Guance  rossce  {^^^  guance 

rosse) 144  r. 

Lazzarulli I,       10  r. 

Leccardi II,     39  r. 

Lomauge I,      63  t. 

Maccari 66  t. 

Madonne I,       94  r. 

Malabranca II,   146  r. 

Mancie 204  t. 

Mancini I,       38  t. 

Manzafoccaza  (=  man- 
gia focaccia)    .     .     .  III,   56  t. 

Marcabrini 31  t. 


286 


G.    PARDI 


Marconi I,  42  t. 

Meldrude II,  30  t. 

Mezzabanie I,     104  r. 

Micci II,  97  r. 

Monnezza (=imìnotidezza)l,    118  t. 

Mucafave IV,  38  t. 

Nasiis 66  t. 

Nobilis  (Cfr.  Nobili).     .  I,  12  t. 

None  {Della  Noìia)  .     .  40  r. 

Occiili  bovis     ....  Ir. 

Orbene 97  t. 

Pacipti  (Cfr.  Pacetti)    .  10  t. 

Pauaccattati     ....  II,  26  r. 

Papilloni IV,  78  r. 

Pazzus Ili,  24  r. 

Pectorutius II,  25  t. 

Pellis II,  13  r. 

Penze I,  43  t. 

Pessine  (Cfr.  Pessina)  .  Ut. 

Pig-ulotti Ut. 

Pilosus II,  196  t. 

Pleueri I,  16  t. 

Raffe 105  t. 

Riccomondi II,  44  r. 

Eig-alis I,  8  r. 

Robbavilla  .....  Ili,  67  r. 

Eouciglioni Il,  20  t. 

Rovai 15  r. 

Rubens 15  t. 

Saceutis IV,  21  t. 

Salimbene Ili,  41  r. 

Sallamare 96  t. 

Scambii I,  44  r. 


n, 

III, 

I, 


90  t. 
10  t. 
16  t. 
40  r. 
30  t. 
Ili,  12  r. 
33  r. 


IV, 
II, 
I, 


Scancati I,      53  r. 

Scangni 8  r. 

Scarcamurus    ....     II,     58  r. 

Scarpette I,      93  t. 

Scelenguatus  (=  scilin- 
guato)   .... 

Schiacte  

Scolari 

Seg-ni 

Servidei  

Settembrine 

Siccadenari 

Sig'ilbocti 

Sordonus 

Sperandei  {Cf r.Sperandio) 
Squinzacannelle  .     .     . 

Stabilis 

Strambus 

Taborie 

Tartalg-li    (Cfr.     Tarta- 
glia)    50 

Tignosi 41 

Truffe 116 

Tundus 2 

Vaccondei 30 

Verdepalme 85  r 

Vespe.     ......  3  t 

Vidi 60  t 

Villani 14  t 

Viudemie 45  t 

Zanforgrani      ....  7  t 

Zanforgnige     ....  40  t 

Zifere Ili,  40  r 


40  r. 

10  r. 

67  r. 

13  t. 

104  r. 

Ili,    12  t. 

I,       26  t. 


§  7,  —  Pivieri^  castelli,  ville  e  contrade: 
nomi   loro   e   delle  persone   che    li   abitavano. 

A  quel  modo  che  la  città  parlivasi  in  quartieri  (altrove  in 
sestieri,  ecc.)  ripartiti  in  rioni;  così  il  contado  dividevasi  in  pi- 
vieri, ville  e  castelli. 

Nel  1278,  per  ordine  di  Bertoldo  Orsini,  podestà  d'Orvieto, 
furono  dichiarati  i  confini  dei  pivieri  e  delle  terre  del  contado 
orvietano  (1).  Ed  i  pivieri  erano  allora  denominati  in  tal  modo: 


(1)  Fumi,  Cod.  dipi.,  p.  320. 


IL   CATASTO   U    ORVIETO,   ECC. 


287 


I. 

Rculle. 

II. 

Carnaiola. 

III. 

Moutelcoue. 

IV. 

Fabro. 

V. 

Fichiuo. 

VI. 

Casteir  orvietano. 

VII. 

Castel  vecchio. 

vili. 

Camposelvoli. 

IX. 

Cetona. 

X. 

San  Giovanni  di  Monte  Pagliano. 

XI. 

San  Donato. 

XII. 

Sant'Abbondio. 

XIII. 

Bardano. 

XIV. 

Sugano. 

XV. 

Petroio. 

XVI. 

Petramata  o  San  Pietro  in  veteri. 

XVII. 

San  Fortunato. 

XVIII. 

Santa  Maria  in  Forzano. 

XIX. 

Agliano. 

XX. 

Vaiano. 

XXI. 

Castel  dell'abbazia  di  santa  Maria 

di  Vaiano 

XXII. 

Morrano. 

XXIII. 

Santa  Maria  di  Stiolo. 

XXIV. 

San  Felice. 

XXV. 

Santa  Maria  in  Selva. 

XXVI. 

Rasi. 

XXVII. 

Stennano. 

XXVIII. 

Mimiano. 

XXIX. 

San  Giovanni  de  Selvule. 

XXX. 

Monte  Lungo. 

XXXI 

Monte  Giove. 

Nel  catasto  d'Orvieto  del  1292  troviamo  una  completa  indi- 
zione di  tutti  i  pivieri,  i  castelli  e  le  ville  del  contado,  che  noi 
riportiamo  qui  appresso.  Noteremo  qualche  differenza  tra  la  prima 
e  la  seconda  lista.  Ad  esempio  il  castello  di  Celona  non  è  più  iscritto 
fra  i  pivieri,  essendo  piuttosto  una  terra  dipendente  dal  Comune 
d'Orvieto  che  non  un  piviere  di  questo.  Viceversa  vediamo  ag- 
giunti i  pivieri  di  Alierona  e  di  Montegabbione  ed  i  castelli  della 
Torre,  di  Monterubbiaio,  di  Paterno,  ecc. 


288 


G.   PARDI 


I.  Pleberium  Fienili. 

II.  Villa  Abbatie  Mentis  Orvetani. 

III.  Villa  Uzelle. 

IV.  Villa  Rotansilve. 

V.  Villa  Mealle. 

VI.  Villa  Mentis  Nibi. 

VII.  Villa  Sancti  Venantii. 

VIII.  Villa  Vesscani. 

IX.  Villa  Sale. 

X.  Villa  Corvini. 

XI.  Villa  Grilg-lani. 

XII.  Villa  Zelle. 

XIII.  Villa  Torselle. 

XIV.  Villa  Porsene. 

XV.  Villa  Carrarie. 

XVI.  Castrum  Fabri. 

XVII.  Castrum  Urbevetanura. 

XVIII.  Pleberium  Saucte  Marie  in  Forzano. 

XIX.  Castrum  Campursilvuli. 

XX.  Castrum  Alg-lani. 

XXI.  Pleberium  Aleronis. 

XXII.  Villa  Meane. 

XXIII.  Castrum  Rubialgli. 

XXIV.  Castrum  Paterni. 

XXV.  Pleberium  Sancti  Fortunati. 
XXVI  Villa  Podii. 

XXVII.  Villa  Canalis. 

XXVIII.  Pleberium  Bardani. 

XXIX.  Villa  Pagani. 

XXX.  Pleberium  Sancti  Donati. 

XXXI.  Villa  Sancti  Cleuci. 

XXXII.  Villa  Auriaua. 

XXXIII.  Villa  Vallonchi. 

XXXIV.  Villa  Alviani. 

XXXV.  Pleberium  Mimiani. 

XXXVI.  Villa  Campilglolis. 

XXXVII.  Villa  Fracte. 

XXXVIII.  Villa  Podii 

XXXIX.  Castrum  Suffii. 

XL.  Villa  Sancti  Abundi. 

XLI.  Villa  Podii  Ravnerii. 


IL    CATASTO   D    ORVIETO,    ECC. 


289 


XLII.  rieberium  Sucaiii. 

XLIII.  Villa  Mentis  Seraldi. 

XLIV.  Villa  rosolie. 

XLV.  Castruin  Lubriaui. 

XLVI.  Castrum  Civitelle  Ag-liani. 

XLVII.  Pleberiuin  Sancti  lohannis  iu  Silvolis. 

XLVIII.  Villa  Grisung-nani. 

XLIX.  Villa  Francang'nani. 

L.  Villa  Patrig'uoiii. 

LI.  Villa  Seiaui. 

LII  Villa  Capite. 

LUI.  Castnim  Fichini. 

LIV,  Pleberium  Saucte  Marie  Stiole. 

LV.  Castrum  Moutis  Guabiouis. 

LVI.  Villa  Dalliane. 

LVII.  Pleberium  Moutis  Long'i. 

LVIII.  Villa  Nervani. 

LIX.  Villa  Spantis. 

LX.  Pleberium  Saucte  ]\Iarie  de  Rasa. 

LXI.  Castrum  Vetus. 

LXII.  Pleberium  Sancti  Felicis. 

LXIII.  Villa  Militis. 

LXIV.  Pleberium  Sancte  Marie  in  Silva. 

LXV.  Villa  Siccaui. 

LXVI.  Villa  Sancti  Severi. 

LXVII.  Villa  Cezzani. 

LXVIII.  Castrum  Rote  Castelli. 

LXVIX.  Villa  Collis  Longi. 

LXX.  Pleberium  Sancti  Petri  in  Vetere. 

LXXI.  Villa  Petrorii. 

LXXII.  Pleberium  Moutis  lovis. 

LXXIII.  Villa  Civitelle. 

LXXIV.  Castrum  Montis  lovis  de  Moutanis. 

LXXV.  Villa  Abbatie  Aque  Alte. 

LXXVI.  Pleberium  Montis  Leonis. 

LXXVII.  Pleberium  Caraiole. 

LXXVIII.  Pleberium  Stennani. 

LXXIX.  Villa  Cannarli. 

LXXX.  Villa  Sancti  Augustalis. 

LXXXI.  Castrum  Guani. 

LXXXII.  Pleberium  Morrani. 


19 


290  G.    PARDI 

LXXXIII.   Villa  Morrani. 
LXXXIV.    Villa  Sancti  Fustini. 
LXXXV.      Castrum  Mucaronis. 
LXXXVI.    Villa  Mouazzaui. 
LXXXVII.  Villa  Sancti  Petri. 
LXXXVIII.  Villa  Fulglaui. 
LXXXIX.    Villa  Balnei. 
XC.  Villa  Cerreti. 

XCI.  Villa  Montonis. 

XCII.  Villa  Aucaraui. 

XCIII.  Castrum  Turris. 

Questi  i  nomi  dei  pivieri,  delle  ville  e  dei  castelli  orvietani 
nel  1292.  Ogni  piviere  poi  e  villa  e  caslello  aveva  varie  contrade 
con  differenti  nomi.  Reputando  inutile  riportare  i  nomi  di  ogni 
contrada,  riferiremo  soltanto  quelli  del  piviere  di  Fienile,  nell'or- 
dine in  cui  si  presentano  nel  catasto  del  contado: 

Contrata  fontane,  cerri  grossi,  case  longe,  ragni,  zeppeci,  runilgloli, 
caccoli,  larciriani,  sancti  lohannis,  casaline,  mercati,  fontis  fébraie,  sancti 
Cristojyhani,  rote,  rijye,  scojoite,  cerreti,  canalis,  sancti  Quirici,  de  bussolis, 
scandilarii,  revellate,  vivolgle,  ecc.  Altre  deuominazioui  locali  erano  le 
seguenti  :  iìi  valle,  in  costis  fontane,  in  elcito,  in  valle  piada,  in  carbo- 
naria,  in  valle  vecchia,  in  plano,  in  plano  montis,  in  fontanellis,  in  or- 
talihus,  in  costa  pantani,  in  podio  donato,  in  strepalglis  [sterpaglis],  in 
podio  furcariim,  in  fornacibus,  ecc. 

Fienile,  donde  s'intitola  il  grosso  piviere  di  tal  nome,  è  ora 
capoluogo  di  mandamento  nel  circondario  di  Orvieto.  Fu  il  nerbo 
della  potenza  dei  Filippeschi;  vi  nacque  il  giureconsulto  Serafino, 
podeslrà  di  Orvieto  nel  1200. 

11  caslello  dell'abbazia  di  san  Niccolò  del  Monlorvietano  sor- 
geva a  poca  distanza  da  Fienile.  Infatti  l'abbazia  con  le  case  at- 
torno era  cinta  di  mura  a  guisa  di  fortilizio  o  castello. 

Al  mandamento  di  Ficulle  appartengono  Rotanselva,  Mealla, 
Montenibbio,  Verciano  e  l'antico  castello  della  Sala.  Quest'ultimo, 
situalo  a  sud-ovest  di  Ficulle,  fu  sottoposto  alla  giurisdizione  del 
Comune  di  Orvieto  nel  1222,  fu  proprietà  di  Gentile  Monaldeschi, 
tiranno  di  questa  città  nel  1437  —  egli  dal  caslello  prese  il  so- 
prannome di  Gentile  della   Sala  —   e   venne  distrutto   pochi  anni 


IL    CATASTO   d'  ORVIETO,    ECC.  21)1 

dopo.  San  Venanzo  ò  ora  Comune  a  so  nel  inandainenlo  d'Or- 
vieto. Le  terre  di  Zelle,  Torselle  e  Porselle  potrebbero  forse  ve- 
nire identificale  con  i  paesi  odierni  di  Celle,  Torsollino,  e  Po- 
celle.  Carrara,  castello  ora  distrutto,  sorgeva  presso  Ficullo.  Vi 
nacque,  pare,  il  monaco  Graziano. 

Fabro,  capoluogo  di  Comune  nel  mandamento  di  Ficulle,  ap- 
partenne ai  Monaldeschi  della  \'ipera,  al  famoso  Bonconte,  cru- 
dele tiranno  d'Orvieto  nel  secolo  XIV. 

È  sparita  la  denominazione  di  Caslellorvietano.  Santa  Maria 
in  Forzano  corrisponde  probabilmente  al  luogo  detto  Santa  Maria 
vicino  a  Fabro. 

Camporsevoli  o  Camposelvoli  è  stato  conteso  tra  gli  Orvietani 
ed  i  Senesi,  si  sottomise  ai  primi  nel  1288,  ma  fu  occupato  sta- 
bilmente dai  secondi  nel  1433.   E  ancora  in  quel  di  Siena. 

Agliano  appartiene  ora  al  mandamento  di  Bagnorea  nella  pro- 
vincia di  Roma. 

Allerona,  grossa  terra  presso  al  Paglia,  forma  Comune  nel 
mandamento  di  Ficulle.  Ad  ovest  di  Allerona  era  la  villa  di  Meana. 

Castel  Rubiaglio  corrisponde  all'odierno  Monterubbiaio,  paese 
del  Comune  di  Castel  Viscardo  nel  circondario  d'Orvieto. 

Paterno  denominasi  ora  Poggio  Paterno  e  sorge  non  lungi 
da  Castiglion  Teverina  e  da  Baschi,  con  cui  fu  in  lotta,  riceven- 
done una  tremenda  sconfitta,  tanto  che  si  diceva:  chi  vuol  veder 
Paterno  vada  a  Baschi  (imitazione  di  un  altro  più  noto  motto  po- 
polare). Nel  1348  sembra  si  fosse  ribellato  ad  Orvieto.  Infatti  Mo- 
naldo di  Ermanno  Monaldeschi  chiese  di  poter  tenere  pedoni  e 
fanti  nella  Teverina  «  ad  resistentiam  illorum  de  Paterno  et 
Roccha  Sberni   ». 

San  Fortunato,  piviere  orvietano  una  volta,  è  frazione  del  Co- 
mune di  Marsciano  nel  circondario  di  Perugia. 

La  villa  di  Poggio  corrisponde  probabilmente  a  Poggio  Aqui- 
lone, che  sta  nel  Comune  di  san  Vito  in  monte  (mandamento 
d'Orvieto). 

Canale  è  a  sud  e  Bardano  a  nord  di  Orvieto,  non  lungi  dalla  città. 

San  Donato,  piviere  un  tempo,  è  ora  un  podere  della  con- 
tessa Piccolomini  non  lungi  da  Castel  Giorgio  (mandamento  d'Or- 
vieto); vi  sono  gli  avanzi  d' un'antica  abbazia.  Villa  auriana, 
Vallonchio  e  san  Clencio  eran  località  del  piviere  di  san  Donato. 


292  G.    PARDI 

Alviano,  castello  del  mandamento  di  Amelia  nel  circondario 
di  Terni,  ò  noto  per  i  suoi  signori,  che  furono  valentissimi  nelle 
armi.  Basterà  ricordare  tra  essi  Ugolino  d' Alviano,  capitano  di 
popolo  d'Orvieto  nel  1313,  e  Bartolomeo  d' Alviano,  che  ebbe  nome 
non  oscuro  tra  i  condottieri  del  suo  tempo.  Presso  Alviano,  il 
21  marzo  1214,  furono  stipulali  i  capitoli  di  amicizia  e  di  alleanza 
tra  Narni  ed  Orvieto. 

Il  castello  di  Campiglia,  ora  in  quel  di  Siena,  fu  sottomesso 
ad  Orvieto  da  Visconte  di  Gentile  il  10  settembre  del  1215.  I  vi- 
sconti di  Campiglia  erano  molto  potenti  e  contribuirono  alla  gran- 
dezza di  Ermanno  Monaldeschi,  nato  da  una  donna  di  quella  fa- 
miglia. Nella  guerra  tra  Firenze  e  Siena,  stettero  con  Orvieto, 
alleata  dei  Fiorentini,  contro  i  Senesi. 

La  Fratta  si  può  forse  identificare  con  Fratta  todina  (man- 
damento di  Todi,  circondario  di  Perugia);  e  Castel  Soffio  potrebbe 
aver  qualche  relazione  con  Castel  Sozio,  che  stava  a  mezzogiorno 
di  Civitella  d'Agliano. 

Sant'Abbondio  e  Poggio  Ranieri  son  due  località  del  Comune 
di  Allerona. 

Sugano,  castello  ad  ovest  di  Orvieto,  appartenne  a  Corrado 
di  Berardo  Monaldeschi  e  fu  occupato  e  bruciato  nel  1413  dal- 
l'esercito di  re  Ladislao:  Monte  Seraldo  e  Posolle  erano  località 
del  piviere  di  Sugano. 

Il  Castel  di  Fichino,  a  mezzodì  della  montagna  di  Cetona,  non 
lontano  da  Camporsevoli,  fu  contrastato  mollo  tra  Orvietani  e  Se- 
nesi :  lo  tennero  gli  uni  per  molti  anni,  finché  agli  altri  fu  con- 
cesso da  Pio  II  verso  la  metà  del  secolo  XV. 

Lubriano  e  Civitella  d'Agliano  sono  ora  nel  mandamento  di 
Bagnorea  (provincia  di  Roma).  Lubriano  appartenne  ai  Monal- 
deschi del  Cervo  (vicino  ad  esso  sorgeva  il  castello  della  Cervara) 
e  vi  fu  sepolto  Benedetto  di  Ermanno.  Civitella  era  uno  dei  pos- 
sessi di  Corrado  e  Luca  di  Berardo  Monaldeschi.  Venne  distrutta 
nel  1322  perchè  ribellatasi  più  volte  ad  Orvieto,  ma  poco  dopo 
ricostruita. 

Montegabbione  è  Comune  nel  mandamento  di  FicuUe. 

Montelungo  e  Nervano  sono  poco  lontani  da  Spante,  frazione 
del  Comune  di  san  Vito  in  monte. 

Castelvecchio  era  verso  Toscanella  :  nell'atto  di  concordia  tra 


IL   CATASTO   d'  ORVIKTO,    ECC.  293 

i  Comuni  di  Orvieto  e  di  Toscunelln  è  stabilito  che  la  rocchetla 
di  Castelvecchio  non  danneggerà  quei  di  Toscanelia  (1283  niag- 
gio  23). 

Villa  Militis  forse  Rocca  di  Meleto  sul  Tevere  non  lungi  da 
Baschi,  nella  provincia  romana. 

Gezzano  è  il  moderno  Genzano  (circondario  d'Orvieto). 

San  Severo,  il  paese  dove  sorgeva  l'abbazia  dei  santi  Severo 
e  Martirio,  è  nel  mandamento  d'Orvieto:  vi  si  conserva  un  bel 
palazzo  del  cardinale  Girolamo  Simoncelli,  erettogli  forse  da  Si- 
mone Mosca,  con  entro  affreschi  dei  fratelli  Zuccheri. 

Rotacastelio  ò  nel  Comune  di  san  Venanzo  nel  mandamento 
d'Orvieto.  I  suoi  conti  molestarono  san  Vito  e  furono  perciò  posti 
al  bando  dal  Comune  orvietano  e  scomunicati  dal  vescovo. 

Collelungo  pure  è  nel  Comune  di  san  Venanzo. 

San  Pietro  in  teiere  denominasi  anche  oggi  san  Pietro:  sta 
nel  Comune  di  Fabro. 

Monte  Giove  è  nel  mandamento  di  Ficulle:  appartenne  un 
tempo  alla  famiglia  Mazzocchi  :  fu  posto  a  fuoco  nel  1325  dai  Vi- 
terbesi capitanali  da  Silvestro  di  fianieri  Gatti. 

La  villa  di  Civitella  corrisponde  a  Civitella  de'  Pazzi,  comune 
di  Baschi,  mandamento  di  Todi,  dove  sorgeva  pure  un  tempo  la 
celebre  abbazia  di  san  Pietro  di  Acqualta,  luogo  oggi  detto 
Abbadia. 

Monleleone  è  Comune  del  mandamento  di  Città  della  Pieve 
nel  circondario  di  Orvieto,  Carnaiola  sta  nel  mandamento  di  Ficulle. 

La  denominazione  di  Stennano  non  esiste  più;  ma  il  luogo 
così  detto  era  situato  tra  Morrano  e  Spante,  ad  est  di  Orvieto. 
A  settentrione  di  Stennano  è  san  Faustino  (mandamento  d'Orvieto). 

Villa  Cannarla  non  ha  certo  nulla  che  fare  con  Cannare  del 
mandamento  di  Bevagna  nel  circondario  di  Spoleto,,  ma  piuttosto 
forse  con  il  paese  di  tal  nome  situato  nel  circondario  di  Perugia. 

Onano  è  nella  provincia  di  Roma,  mandamento  di  Acquapen- 
dente. Apparteneva  ai  visconti  di  Campiglia,  che  lo  dettero  in  pegno 
al  Comune  di  Orvieto.  Fu  poi  feudo  dei  Farnese,  contea  di  Corrado 
e   Luca  di  Berardo  Monaldeschi,  possesso   di  Luca  della  Cervara. 

Morrano  è  a  nord-est  di  Orvieto  e  trovasi  nel  di  lei  manda- 
mento. Non  è  da  confondersi  con  il  paese  dello  stesso  nome,  che 
fece  parte  un  tempo  del  Contado  aldobrandesco  (in  Maremma);  ed  i 


294  G.   PARDI 

cui  signori  furono  quasi  sempre  in  pacifiche  ed  amichevoli  relazioni 
con  gli  Orvietani  e  vennero  assoldali  da  Ermanno  Monaldeschi 
nella  guerra  da  lui  intrapresa  contro  gli  Orsini. 

Mucarone  è  una  piccola  località  non  lungi  da  Morrano  (ora 
più  comunemente  detta  Maccarone)  ;  così  Monazano  (ora  Molazano); 
così  Bagni  e  Montone  (ora  Poggio  Montone)  ed  Ancaiano,  tutti 
luoghi  del  mandamento  di  Orvieto.  E  sparita  la  denominazione  di 
Cerreto,  ma  questa  località  doveva  esser  presso  Morrano  essa 
pare.  Non  sappiamo  se  Fugliano  si  possa  identificare  con  Fuli- 
gnano,  terra  del  Comune  di  san  Vito  in  monte. 

11  castello  della  Torre  può  corrispondere  od  a  Torre  Sanse- 
vero  od  a  Torre  Alfina.  Ma  già  abbiamo  veduto  che  la  prima  era 
denominata  Sansevero  semplicemente.  Torre  Alfina  venne  occu- 
pala dall'esercito  di  re  Ladislao  quando  assediò  Orvieto;  uomini 
ragguardevoli  furono  Neri  e  Pandolfo  della  Torre,  il  primo  dei 
quali  ebbe  parte  notevole  negli  avvenimenti  politici  d'Orvieto, 
il  secondo  podestà  di  Orte.  Torre  Alfina  appartenne  ai  conti  di 
Corbara  (Francesco  e  suoi  eredi).  Ricostruita  dai  marchesi  Cahen, 
di  cui  è  proprietà,  sorge  in  vicinanza  di  Castel  Viscardo  (man- 
damento d'Orvieto). 

Da  quanto  abbiamo  esposto  sopra  possiamo  dedurre,  che  il 
territorio  dell'antica  repubblica  orvietana  del  1292  comprendeva 
tutto  il  moderno  circondario  d'Orvieto,  si  distendeva  in  quello  di 
Perugia  dalla  parte  di  Todi,  penetrava  nella  Toscana  dal  lato  di 
Siena,  invadeva  la  provincia  di  Roma  in  più  punti,  dilagando  con 
il  Tevere  nella  valle  da  questo  denominata. 

Dipendevano  inoltre  da  Orvieto  in  quel  tempo  molte  terre  e 
castella,  sulle  quali,  per  riguardo  alle  recenti  sottomissioni,  non 
si  ponevano  tasse  uguali  a  quelle  del  territorio  orvietano  vero  e 
proprio,  e  per  le  quali  quindi  non  era  stato  fatto  il  catasto:  Acqua- 
pendente (sottomessasi  il  5  marzo  1251);  Proceno,  il  contado  di 
Montorio,  Piancastagnaio  ed  il  castello    di    Saturnia    (1251,  luglio 

11,  12,  14  e  16);  Bisenzio,  Castel  Pero,  Valentano  (1257,  giugno 

12,  13  e  15);  i  forti  castelli  di  Cetona  e  di  Sarteano  (1260,  giugno 
11  e  1265,  settembre  7)  la  Terra  guiniccesca  sottomessa  dal  conte 
Aldobrandino  e  di  nuovo  da  Guido  da  Monforte  (1285,  giugno  2),  ecc. 

La  repubblica  orvietana  aveva  dunque  i  seguenti  confini.  A 
settentrione  il  Montamiata  e  la  montagna  di  Cetona,  oltre  la  quale, 


IL   CATASTO    I)'  ORVrETO,    ECC.  295 

con  i  castelli  di  Celona  e  di  Sarteano  da  essa  dipendenti  indi- 
rettamente, si  spingeva  fino  a  Chiusi  ed  a  Chianciano,  che  poi 
occupò,  venendo  a  confinare  con  la  repubblica  senese  presso  a 
Montepulciano.  Ma  Chiusi  fu  ceduta  ai  Perugini  da  Ermanno  Mo- 
naldeschi,  e  la  repubblica  senese  invase  a  poco  a  poco  e  tenne 
per  sé  Chianciano,  Sarteano,  Celona,  Piancastagnaio,  Camposel- 
voli  e  Fichino. 

Ad  oriente  il  corso  del  Tevere,  confine  valicalo  in  qualche 
punto  con  l'occupazione,  ad  esempio,  di  Alviano  in  quel  di  Amelia. 

A  mezzogiorno  presso  a  poco  i  moderni  confini  con  cui  tocca 
la  provincia  di  Roma,  eccettuata  una  buona  parte  dell'attuale 
mandamento  di  Bagnorea. 

Inoltre  appartenevano  indirettamente  ad  Orvieto  le  terre  della 
valle  del  lago  di  Bolsena,  di  cui,  dopo  lunga  lolla  con  la  santa 
Sede  (per  la  quale  incorse  perfino  nella  scomunica),  ebbe  confermalo 
il  possesso  da  Bonifacio  Vili,  sulla  fine  del  secolo  XIII. 

Ad  occidente  la  montagna  di  Sanlafiore,  il  monte  Penna  e  il 
lago  di  Bolsena,  oltrepassalo  con  le  terre  indirettamente  dipen- 
denti di  Bisenzo,  di  Capodimonte  e  di  Valentano. 

Esaminali  così  i  nomi  dei  pivieri,  delle  ville  e  dei  castelli 
del  contado  orvietano,  veniamo  ad  osservare  i  nomi  delle  persone 
di  questo,  i  quali  differiscono  alcun  poco  da  quelli  cittadini.  Nella 
lista  seguente  son  riportati  nomi,  cognomi  e  soprannomi  non  ri- 
scontrali nel  catasto  della  città,  disposti  per  ordine  alfabetico: 

N  0  M  I    MASCHILI. 

Acteuarte 651  t.  Boccius 13  r. 

Advoltrone 574  t.  Bouadeus 696  t. 

Aleviitiiis 70  t.  Bonamente 519  t. 

Allegiiri 590  t.  Bondemanmis 106  t. 

Alliutius 248  t.  Bontadusus 630  r. 

Altujuvnus   f^  altogiorno)  325  t.  Brazolus 76  r. 

Anibaldus 139  r.  Bucarutius 502  t. 

Appulglesis  f=  pugliese)  .  230  r.  Buschiptus  ('=  boschetto)  .  658  r. 

Arrecabeue 562  t.  Casella 296  t. 

Asellus 154  r.  Cenne  ....          ...  82  r. 

Ballutius 258  t.  Conversanus 93  t. 

Barrutius 92  t.  Crissus 484  t. 

Berzellus 95  t.  Cursus  (=.  Còrso)     .     .     .  533  r. 


29  G 


G.   PARDI 


Datus 509  t. 

Douus 560  r. 

Donictulus 561  t. 

Erculamis 10  r. 

Eveuelhis 621  t. 

Fatius 57  t. 

Flaviamis 659  r. 

Flore 88  t. 

Forzatns 236  r. 

Freug-uellus  (=  fringuello)  501  t. 

Friulinus 502  t. 

Fusarellus 322  r. 

Geutilescus 96  r. 

Guarnatiis 591   t. 

Guelcus    .......  618  r. 

Giierziiis  .......  255  t. 

Guezzus 525  r. 

lelcouus 555  t. 

Lamontixis 32 

Lanuus 3  r. 

Lapus 76   t. 

Maunatore  (=  wiayidatore) .  525  t. 

Mauuatiis  (=  mandato)     .  510  t. 

Marnabiitius 630  t. 

Masscius 142  r. 

Melglorictus 6  t. 

Naldus 1  t. 

Odiatus 549  t. 

PaltouTis 406  t. 

Paltonutius 508  r. 

Pannolfus 312  r. 

Parronus 313  t. 


Quintarellus 632  r. 

Ricchardus 50  t. 

Rig-us 301  t. 

Sambuis 100  r. 

Savarinus 59  t. 

Scaug'noltis 141  t. 

Sensus Ut. 

Servictus  (=  servetta)   .     .  312  t. 

Silvester 50  r. 

Staotalus 622  t. 

Sutius 93  r. 

Symus 145  r. 

Syfredus 179  t. 

Taccaldinus 80  t. 

Tacdeus 2  t. 

T aìentvLcms  {=^  talentuccio)  112  t. 

Trincolus 577  r. 

Turrese 714  t. 

Vegnate 443  t. 

Veng-nus 96  r. 

Veuutillus 411   t. 

Veuutouus 525  t. 

Vianus 54  t. 

Vìug-nalus 314  t. 

Volante 160  r. 

Volantellus 577  r. 

Yo\glsi{=  voglia)  presbiter/  579  r. 

Zacheus 82  t. 

Zanni 72  t. 

Zardauellus 715  r. 

Zovannes  (^=  Giovanili)     .  73  t. 

Zovannellus  (=  Giovannello)  72  t. 


NOMI    FEMMINILI. 


I 


Adalasca 121  t. 

Abbandonata 35  t. 

Addensata 27  t. 

Advennata 627  t. 

Agurella 79  t. 

Albasia 634  t. 

Alta 668  r. 

Altadouna 274  r. 

Altaviva 13  t. 

Alturisu 74  r. 


Alviva 41 

Ang-ese 686 

Armellina 298 

Asina 668 

Benag-ia 271 

Bereza 133 

Bonaccursa 273 

Bonademani 251 

Bonafemina 253 

Bonora 668 


IL   CATASTO   D    ORVIETO,    ECC. 


297 


Ceccola 578  t. 

Chieineiitiua 133  t. 

Coutadiua 097 

Diluvia 714 

Douuessa 121 

Encasa 34 

Florutia 79 

Geutclecta 330 

Gerarda 44  t. 

Gilliaua 605  t. 

Grifa 327  t. 

Hermmaunutia 858  t. 

Holiua 117  t. 

lontula 056  t. 

Imi  Ida 75  t. 

Isocta 677  t. 

Mactiitia 87  r. 

Masolata 220  t. 

Meldina 382  r. 


Mignarda 134  t. 

Oliseli  «gliela 501    t. 

Oriiiamia 34   t. 

Orvc'taua ;*)34   t. 

Paula 60  t. 

Perusiua 685  r. 

Pocubella 502  r. 

Proveutaua 84  r. 

Rag-oldaua 377  t. 

Rosa 512  r. 

Sabina 690   t. 

Santa 576  t. 

Santiitia 07  r. 

ScAuegìante  (^  somigliante)  371   t. 

Sibiliota 310  r. 

Theodora.     • 10  r. 

Ysabella 583  t. 

Ventorutia 215  t. 

Viridis 658  t. 


COGNOMI  E  SOPt^ANNOMI. 


Acceptantis 160  t. 

Adiuti 102  r. 

Admaniti  (Cfr.  Ammaniti)  .  69  t. 

Alticelli 87  t. 

Altinoris 659  t. 

Ammirate 106  r. 

Arregnati 75  t. 

Artiuisci 10  r. 

Bavosus 293  t. 

Befulci 506  t. 

Bellabrazzi 115  t. 

Bellafonte 116  r. 

Bellamadonne 630  r. 

Bellamprae 384  r. 

Bellautucte 622  t. 

Bellassai 212  r. 

Bencevenissi 371  t. 

Beutezunga  (==  ben  ti  giunga)  221  t. 

Besscotus 81  t. 

Beste 85  r. 

Bonadprehensi 501  t. 

Bonagure 31  t. 

Bonaparte 535  r. 


Bonappressi 528  t. 

Brime 76  t. 

Brouzardi 7  r. 

Bucchinus 243  r. 

Buiani 56  r. 

Burguuguoni  (Cfr.  Borgo- 
gnoni)  222  t. 

Caledule 49  t. 

Calvuli 19  r. 

Camaronis 

Cammereui 

Capigonis 

Caputosti 

Cavatoste 

Cazaguerre  (^^  caccia  guerra) 

Cimini 

Claranibaldi 

Congnoscentis 

Consilii 

Corvolutii 115  r. 

Corvuli 116  r. 

Crudi 95  r. 

De  boero 97  r. 


294 

78 

126 

374 

120 

175 

46 

331 

677 

43 


298 


G.    PARDI 


De  urso 689  t. 

Demandi 634  t. 

Deotaccommandi  ....  25  t. 

Deotasservi 217  r. 

Deotavive 21   i. 

Deuteface 91  t. 

Deiitefece 92  r. 

Dilectissime 677  t. 

Domestici      .....  590  r. 

Dulcedompue 591  r. 

Encresceutie 8  t. 

Fabelle 547  t. 

Falcouis 143  t. 

Fasaui 711  t. 

Feroci 373  t. 

Finocchi Ut. 

Fortinerie 45  r. 

Frisce 16  t. 

Frngerii 710  t. 

Fascini 691  r. 

lastimati 212  r. 

Incontri 74  r. 

Inforzati 256  t. 

Tonte 46  r. 

Iucche 153  t. 

Lemosina 571   t. 

Lepore      . 95  r. 

Lig-ere 81  r. 

Lingue  folle 254  r. 

Luraay 71  t. 

Luugus 89  t. 

Mag-nafabe  (eManzafava)  88  r.  e  90  r. 

Mantuani 41   t. 

Manzarelli 522  t. 

Mazzacape 35  r. 

Mazzagalli 3.59  r. 

Mazzi 19  r. 

Melloritie 715  r. 

Menabone 529   t. 

Morandi 384   t. 

Nurmerg-lini Ut. 

Orlaudini 301  r. 

Parriue 65  t. 

Pasce 86  t. 

Pedeconis 68  r. 


Perfidi 655  t. 

Porcaug'ni 93  r. 

Pregadei 48  r. 

Quintavallis 273  r. 

Reguardi 69  r. 

Robbe 180  t. 

Rocchi  (e  De  Rocchi)    .     .  43  r. 

Rocole 590  t. 

Ruibocti 3  t. 

Rubbe 183  r. 

Salaque 640  t. 

Saldine 617  t. 

Salladini 553  t, 

Saporelli .  215  r. 

Sauzaguerra.     .....  14  t. 

Satulli 69  t. 

Scambiolus 683  t. 

Schifate 318  r. 

Scor gnsLV acca,  (^^scornavacca)  91  r. 

Sculglatus 295  t. 

Siuguine 104  r. 

Solaradie 139  t. 

Soldaneru 331  r. 

Sommay 306  t. 

Spene 39  r. 

Sybone 588  t. 

Submerge 273  r. 

Talg-Iamilgli  {==  tagliamiglió)  271  r. 

Talledite  (=  tagliadita)     .  289  t. 

Tardoneri 288  r. 

Thodesche 549  t. 

Those  (Cfr.  Della  Tosa)     .  106  t. 

Tornabene 482  t. 

Torsi 55  r. 

Torti 94  r. 

Toscasi 341   t. 

Trabucchicti  (=  trabocchetto)   89  t. 

Tramandati 81  t. 

Tranquillus 383  r. 

Tribator 2  r. 

Triccaduri 633  t. 

Trovaldie 341   t. 

Turzanus 75  t. 

Urmeg-lini 6  r. 

Valentini 669  r. 


IL   CATASTO    D    ORVIETO,    ECC. 


2^)1) 


Veni 50  r. 

Verderose 082  t. 

Venuli 75  t. 

Viveune 714  t. 

Virmilg'li  f-^  i'erini(/lio)     .  126  r. 

Vizzii \     .     .  199  t. 


Varaclii 159  t 


Zopparolli 
Zoiitaronus 
Zordungni 
Zuce    .     . 


204  r. 

331  r. 

COI  r. 

18  t. 


§  8.  —  Esame  dei  catasti 
conservati  neW arcl/irio  comunale  antico  d'  ^)rrieto. 

Mancano  documenti,  che  rischiarino  la  storia  dell'imposta  fon- 
diaria in  Orvieto  prima  del  1292,  nel  quale  anno  il  Comune  or- 
vietano deliberò  la  istituzione  del  catasto  generale  delle  posses- 
sioni in  terreni  della  città  e  del  contado.  Che  non  sia  registrala 
in  questo  la  ricchezza  mobile  non  fa  meraviglia,  perchè  su  di  essa 
i  reggitori  degli  stati  portarono  in  epoca  alquanto  più  larda  la  loro 
attenzione;  ma  desia  invece  sorpresa  il  non  vedervi  segnali  i 
possessi  in  fabbricali  ed  in  molini,  dei  quali  è  già  fatta  menzione 
nel  catasto  di  Macerala  del  1268.  Può  essere  pertanto  che  le  case 
ed  i  molini  non  fossero  sottoposti  alla  r/abella  sulle  jìossessioni 
(come  allora  veniva  chiamala  l'imposta  sulla  ricchezza  immobile)  ; 
o  che  le  proprietà  di  tal  genere  fossero  registrate  in  un  libro  ap- 
posito, il  quale  sia  andato  per  avventura  smarrito. 

Il  catasto  del  1292  è  intitolato  «  liber  appassatus  terrarum 
et  possessionum  cicitatis  et  comitatus  »  :  è,  vale  a  dire,  un  in- 
ventario dei  possessi  fondiari.  I  quali  vennero  misurati  dagli  agri- 
mensori Trasmondo  di  Egidio  da  Fabriano  e  Palmeruccio  di  lui 
figlio,  Bernardo  di  Ermanno  e  Boninsegna  di  Bartolo  da  Foligno. 
Alla  misura  è  unita  la  slima  dei  terreni  fatta  dai  frati  del  mona- 
stero orvietano  di  san  Guglielmo. 

Ma,  sebbene  fosse  stalo  compiuto  questo  primo  e  regolare 
catasto,  non  si  creda  andasse  in  disuso  V estimo  o  lira,  che  fino 
a  quel  tempo  aveva  probabilmente  servilo  per  istabilire  T  imposta 
sulla  ricchezza  immobile;  poiché  l'istituzione  della  lira  risale  ai 
primi  tempi  delle  libertà  comunali  e  fu  forse  suggerita  «  ai  cit- 
tadini de'  Comuni,  che  venivano  francandosi  a  libertà,  dalle  tradi- 
zioni del  censo  romano,  non  perdutesi  affatto  durante  i  lunghi 
anni   dell'oppressione    barbarica   (1)   ».    Anzi    talune   leggi    lango- 


(1)  G.  Bacchi,  Gli  ordinamenti  economici  de'  Comuni  toscani  nel  inedia  evo  e 
Jiegnatamente  del  Coìiiune  di  Siena,  ivi,  1879,  p.  15. 


300  G.    PARDI 

barde  sembrano  accennare  all'esistenza  di  un  estimo,  più  o  meno 
imperfetto,  dei  beni  immobili  almeno;  che,  senza  una  forma  em- 
brionale di  estimo,  si  sarebbero  diffìcilmente  eseguite  le  leggi  di 
Liutprando,  in  virtù  delle  quali  l'obbligo  del  servizio  militare  va- 
riava a  seconda  del  valore  dei  possessi  delle  singole  persone  (1). 

Comunque  sia  di  ciò,  è  certo  che  Pisa  fin  dal  1162  avea  per- 
fettamente stabilito  restimo,  come  si  capisce  dal  Breve  dei  Con- 
soli di  quell'anno,  pubblicato  dal  Bonaini  tra  gli  Statuti  pisani. 
E  nel  1198  cominciò  siffatta  istituzione  in  Siena,  come  attesta,  a 
quell'anno,  il  cronista  Angelo  di  Tura.  Nel  secolo  XIII  era  cer- 
tamente adoperato  l' estimo  in  Lucca,  quantunque  i  Lucchesi 
prendessero  specialmente  a  base  delle  loro  imposte  le  gabelle,  la 
più  notevole  delle  quali  era  quella  sull'entrata  ed  uscita  delle  merci. 
Nel  1266  V  estimo  era  stabilito  a  Firenze,  poiché  ce  ne  fa  menzione, 
a  quell'anno,  Giovanni  Villani. 

Sebbene  adunque  V  estimo  siasi  introdotto  nelle  varie  città  in 
tempi  diversi,  quasi  dovunque  ne  troviamo  accenni  anteriori  al 
secolo  XIV.  E  consentaneo  a  ciò  argomentare  che  Orvieto  pure 
l'adoperasse  prima  del  1292;  anche  per  la  ragione  eh' è  quasi 
impossibile  sia  il  catasto  di  quell'anno  la  prima  forma  d'imposi- 
zione fondiaria. 

In  tutte  le  cose  umane  si  va  per  gradi  e  non  si  giunge  d'un 
tratto  alla  perfezione.  Ed  in  Orvieto,  come  altrove,  V estimo  per- 
durò per  molto  tempo  dopo  il  1292,  servendo  a  completare  il  ca- 
tasto. Infatti  i  reggitori  della  repubblica  avevano  in  questo  una 
guida  sicura  per  conoscere  i  possessi  dei  singoli  individui;  ma 
per  i  cangiamenti  di  proprietà,  che  succedevano  naturalmente  di 
anno  in  anno,  adoperavano  ancora  V estimo,  per  non  sostenere 
troppo  di  frequente  la  spesa  —  non  insignificante  certo  —  della 
compilazione  d'un  nuovo  catasto. 

Nelle  necessità  del  Comune  imponevasi  la  lira,  imposizione 
non  annuale  o  da  pagarsi  a  determinati  intervalli,  ma  straordi- 
naria in  questo  caso  e  posta,  quando  stringeva  il  bisogno,  sui 
beni  ragguagliati  alla  lira,  unità  di  misura  monetaria. 

Fin  nel  primo  volume  delle  Riformanze  del  Comune  orvietano, 
a  noi  pervenute,  troviamo  accenni    di    siffatta  imposta.  Il  2  otto- 


(1)  ScHUPHER,  Ist.  1)01.  lang.,  p.  379. 


IL   CATASTO    D'  ORVIETO,    ECC.  301 

bre  1295  il  capitano  di  popolo,  UbaKlo  degli  Antelminelli  di  laicca, 
propose  nel  Consiglio  dei  Consoli  delle  arti  e  degli  anlerioni  del 
Comune  e  del  popolo  «  si  placet  quod  quadrtiginla  solidi  denario- 
ruin  [soldi  di  denari  cortonesi]  in  civitale  et  comitalu  colliganlur 
prò  singulo  centenario  per  libram  correclam,  prò  solvendis  debi- 
tis  Comunis,  sicut  alias  pluries  reformatum  est  ». 

Propose  inoltre  che  la  medesima  /ira  si  esigesse  nelle  terre  di 
Val  di  Lago  (terre  poste  in  vicinanza  del  lago  di  Bolsena  dipen- 
denti da  Orvieto);  altrimenti  si  sarebbe  dovuta  levare  una  somma 
maggiore  dalla  città  e  dal  contado. 

Ora  la  frase  contenuta  nella  proposta  del  capitano  Ubaldo, 
come  molte  altre  volte  è  stato  deliberato  dal  Consiglio  delle  Ri- 
formanze  (reformatum  est),  fa  capire  che  non  era  infrequente 
una  imposizione  di  tal  genere,  di  cui  numerosissimi  esempi  rin- 
veniamo nei  tempi  posteriori. 

In  questo  caso  adunque  lira  equivale  all'imposta  medesima; 
mentre  generalmente  lira  od  estimo  significava  la  stima  delle  so- 
stanze dei  cittadini. 

Il  24  decembre  1304  il  Consiglio  delle  Riformanze  deliberò 
che  fosse  rifatto  V  estimo  in  tal  modo:  che  venissero  eletti  12  uo- 
mini per  ciascun  rione  della  città,  i  quali,  quattro  per  volta,  com- 
putassero la  lira  di  tutto  il  rione.  Le  lire  fatte  dalle  tre  quaderne 
di  persone  eran  poscia  divise  per  tre  ed  i  resti  ottenuti,  sommali 
assieme,  formavan  la  lira  reale,  cioè  la  slima  della  sostanza  dei 
cittadini.  Così  per  ogni  rione. 

I  Dodici  fli  ciascuno  di  questi  erano  eletti,  di  tra  le  persone 
più  oneste  e  specchiate,  dai  sette  Consoli  delle  arti  maggiori. 

Invece  il  16  febbraio  del  1316  fu  deciso  che  la  lira  venisse 
fatta  a  seconda  della  denuncia  spontanea  dei  singoli  proprietari 
di  beni,  a  cominciare  dai  più  ricchi  sino  a  quelli  che  possedes- 
sero per  una  somma  di  500  lire.  Eleggevansi  poscia  un  giudice 
e  notari  forestieri  per  indagare  se  le  denuncie  fossero  fatte  co- 
scienziosamente e  per  punire  chi  avesse  detto  il  falso. 

II  metodo  della  denuncia  era  usato  comunemente,  come  si  de- 
sume dagli  ordinamenti  del  Comune  fiorentino  esposti  dal  Cane- 
strini. Tale  denuncia  poteva  farsi  od  oralmente  (come  sembra 
fosse  quella  del  1316)  o  per  iscritto  (come  fu  nel  1350). 

Infatti  nel  1316  venne  stabilito  che  si  chiamassero   nel   Con- 


302  G.    PARDI 

sigilo  generale  del  Comune  25  nobili  e  25  popolani  alia  volta,  a 
cominciare  dai  più  ricchi;  e  che  nel  Consiglio  medesimo  essi  fa- 
cessero la  lira  dei  propri  beni.  Non  si  capisce  perchè  l'avrebbero 
dovuta  fare  nel  Consiglio  generale,  qualora  fosse  stala  per  iscritto 
e  non  una  denuncia  orale,  che  era  probabilmente  registrata  dai 
notari  del  Comune. 

Scritta,  al  contrario,  era  la  denuncia  ordinata  nel  1350.  Con- 
siderando infatti  in  quell'anno  il  Consiglio  delle  Riformagioni  (1) 
come  molti,  con  astuzie  e  frodi,  fossero  riusciti  a  non  farsi  alli- 
rare,  deliberò  che  entro  un  mese  tutti  gli  abitanti  della  città  e 
del  contado  dovessero  assegnare  in  iscritto  i  loro  beni,  per  vo- 
caboli e  confini  e  con  la  stima  del  valore  di  essi. 

Mi  son  diffuso  un  poco  a  parlar  della  lira,  perchè,  come  è 
stato  osservato  innanzi,  si  collega  strettamente  al  catasto,  al  quale 
serviva  di  complemento  in  quell'epoca. 

Nell'archivio  comunale  d'Orvieto  (parte  II,  serie  I)  son  con- 
servati i  seguenti  catasti,  estimi  ed  assegne  : 

I.  e  II.  Catasti  della  città  e  del  contado  dell'anno  12'.)2,  dei 
quali  abbiamo  ormai  diffusamente  parlato. 

III.  Beni  del  Comune  appartenuti  ai  ribelli  ghibellini  (Bona 
Communis  olim  rehellium.  —  in  busta,  e.  40). 

Nel  1313,  essendo  stati  i  Ghibellini  vinti  dai  Guelfi  dopo  una 
lotta  tremenda,  furon  mandati  in  esilio  ed  ebber  distrutte  le  case 
e  le  torri.  Fu  inoltre  stabilito  dai  vincitori  che  dessi  non  potes- 
sero più  né  vendere,  né  comprare,  né  possedere  cosa  alcuna  ;  e 
che  i  loro  beni  divenissero  proprietà  di  tutti,  vale  a  dire  del  Co- 
mune, il  quale  se  ne  valeva  per  il  pubblico  interesse.  Ma  non 
fruttando  questi  beni,  per  quanto  numerosi,  ciò  che  avrebber  do- 
vuto fruttare,  o  per  appropriazioni  indebite  o  per  paura  della  ven- 
detta degli  esuli,  il  Comune,  l'il  ottobre  del  1314,  decise  di  ven- 
derli. Furono  infatti  posti  all'incanto  sotto  la  vigilanza  di  un  giu- 
dice. Ma  poiché  parte  di  questi  non  potè  esser  venduta,  venne 
data  in  affìtto  o  coltivata  per  parte  del  Comune  stesso  (2).  Ne  fu 
fatto  pertanto  un  inventario,  probabilmente  tra  il  1314  ed  il  '15, 
che   è  quello  conservato   ancora   nell'archivio   comunale.  Disgra- 


(1)  Rif.  ad  an.,  e.  36  t. 

(2)  G.  Pardi,  Il  Governo  dei  Signori  Cinque  in  Orvieto,  p.  15-7. 


IL   CATASTO    d'  OUVIKTO,    ECC.  30iJ 

zialamenle  non  vi  Irovioino  regislruli  i  possessi  di  tulli  gli  esuli 
ghibellini,  essendo  stali  oramai  venduti  [ter  la  massima  parte; 
altrimenti  da  tale  inventario  avremmo  potuto  trarre  copiose  notizie 
sul  numero  dei  Ghibellini  e  sulle  loro  ricchezze. 

Ecco  i  nomi  dei  più  notevoli  Ghibellini  ivi  ricordati: 

Tiles  Kayuerii,  e.  1  t.  Lenunus  dui  Petri,  e.  2  t.  Petrus  dui  Castaldi, 
i  possessi  mag-g'iori  del  quale  erano  iu  Salci,  dove  aveva  uu  palazzo  ed 
una  torre,  e.  3  r.  Andriiitius  dai  Castaldi,  e.  4  r.  Pippus  Optimclli,  e.  5  r. 
Luzzius  Mei  de  Philippischis,  e.  5  t.  Filii  lordani  de  Philippiscliis,  e.  ò  t. 
lauus  dni  Petri,  e.  6  r.  Heredes  Albertutii  de  Mizziuellis,  e.  7  r.  Petrus 
Cellis  de  Mizziuellis,  e.  7  7\  Teste  de  INIizzinellis,  e.  7  t.  Celle  de  Miz- 
ziuellis, e.  7  t.  Vauues  Greche,  e.  9  r,  Stephauellus  lordaui  de  Philip- 
pischis, e.  9  r. 

Troviamo  adunque  tra  i  ribelli  uno  degli  Ottimelli,  tre  Filip- 
peschi,  quattro  dei  Miscinelli  ed  uno  della  famiglia  Della  Greca, 
guelfa  dapprima  e  divenuta  ghibellina  al  tempo  di  Neri  di  Ugo- 
lino, quando  videro  i  Francesi  spadroneggiare  la  città  sotto  la  pro- 
tezione di  Martino  IV. 

IV.  Catasto  del  contado  della  prima  metà  del  secolo  XIV 
(e.   1-97  ed  1-41,  in  busta). 

È  mollo  guasto  ed  incompleto  e  non  v'è  menzionata  veruna 
persona  ragguardevole.  Non  ne  possiamo  adunque  ricavare  alcuna 
notizia  degna  di  considerazione. 

V.  Addizioni  al  catasto  della  città  e  del  contado  (della  prima 
metà  del  secolo  XIV,  intorno  al  1330  —  voi.  legato  in  pergamena, 
guasto  in  principio,  di  e.  3-50,  1-57,  1-45). 

Le  più  ragguardevoli  persone,  di  cui  sien  registrati  i  beni, 
appartengono  alla  famiglia  dei  Monaldeschi:  Pietro  Novello,  che 
nel  solo  paese  di  Castiglione  (vicino  ad  Orvieto  e  nel  quale  si 
veggono  ancora  tracce  della  dominazione  dei  Monaldeschi,  come 
un  bel  battistero  nella  chiesa  con  l'arme  di  questa  famiglia)  pos- 
sedeva più  100,000  lire  di  terreni  (De  castro  Castilionis,  e.  1-6J ; 
Bonconte  di  Ugolino,  il  quale  vi  aveva  possedimenti  ancor  più 
estesi  (lei,  e.  8-loJ ;  Ciuccio  di  Nericcia,  e.  16-8 ;  Monakluccio 
di  Ciarfaglia,  e.  28 ;  e  Monaldo  di  Ugolino  «  aliter  dictus  Arclii- 
presbiter  »,  e.  47-8. 

VI  e  VII.  Denuncie  di  possessi   fatte  l'anno  1360    e    catasto 


304  G.    PARDI 

del  rione  cittadino  di  santa  Maria  probabilmente  dello  stesso  anno 
(voi.  legato  in  pergamena,  di  e.  1-18  ed  1-140). 

Ecco  un  esempio  delle  denuncia,  che  i  forestieri  possidenti 
sul  territorio  orvietano  (poiché  questo  volume  contiene  quasi  sol- 
tanto denuncie  di  possessi  di  forestieri)  dovevan  fare  innanzi  ai 
signori  Sette: 

Piperozzus  Cole  Bucciarelli  de  Bulseno  venit  coram  dictis  dnis  Sep- 
tem  et  asingnavit  et  asseniit  se  habere  in  civitate  urbevetana,  regione 
saucti  Gostantii,  uuam  donium  intra  viam  et  res  filiorum  Pepi  dni  Petri 
et  Angeli  Tini  etc.  Que  omnia  asseruit  et  confessus  fuit  esse  tributaria 
dicti  Comunis  [Urbisveteris]  e  prò  ipsis  promisit  prout  in  ordinamento 
coutinetur,  et  prò  quo  fideiussit  ser  Simon  Ciecchi  promictens  et  reuun- 
ptiaus  etc.  (e.  1  t.J. 

Donde  si  capisce  che  i  forestieri  possidenti  in  Orvieto  dove- 
vano dare  un  cittadino  orvietano  per  fideiussore,  il  quale  guaren- 
tisse il  pagamento  dei  dazi,  delle  taglie,  ecc. 

Infatti  donna  Frattuccia  di  Bartolone  di  Baschi  promette,  per 
un  suo  possesso  posto  nel  castel  di  Paterno,  di  pagare  «  datia, 
tallias,  collectas  et  onera  secundum  formam  ordinamenti  loquentis 
de  ista  materia  ». 

I  forestieri  adunque,  possessori  di  terreni  o  di  case  posti  sul 
territorio  orvietano,  dovevan  presentarsi  in  persona  dinanzi  ai 
Sette,  sotto  pena  di  perdere  ogni  loro  possedimento  situato  come 
sopra.  Qualora  non  potessero  venire  in  persona,  nominavano  un 
procuratore.  Così  fecero  «  Hermannus  dni  Raynerii  de  Viterbio  » 
e  il  nobile  uomo  «  Tadeus  dni   lldribandini  ». 

YIII.  Catasto  dei  rioni  di  sant'Angelo  sub  Ripa,  san  Lorenzo 
e  santi  Apostoli  (grosso  volume,  di  carte  non  numerate,  legato 
in  pergamena). 

Questo  nuovo  catasto,  o  meglio  estimo,  di  cui  son  rimasti 
alcuni  volumi,  fu  fatto  l'anno  1363,  nel  tempo  in  cui  era  ufficiale 
incaricato  del  rinnovamento  dell'eskimo  Righetto  di  Armanno  de- 
gli Altafesti  di  Gubbio.  Ciò  si  capisce  dal  principio  del  volume, 
che  è  il  seguente  : 

lu  nomine  dni.  Amen.  Hic  est  liber  sive  quaternus  coutinens  in  se 
omues  et  singulas  possessiones  et  res  in  mobiles  positas  in  civitate  et  co- 
mitatu  Urbisveteris   homiuum  et  personarum    rionum   santi   Angeli   de 


IL   CATASTO    1>'  (MiVIETO,    ECC.  305 

subripa,  santi  Laiirentii  et  santorum  Apostolorum  diete  civitatis,  factus, 
editus  et  conpositus  tempore  sapieutis  et  discreti  viri  dui  Righetti  Arniani 
deAltafestis  de  Euj^ubio  honoral)iIis  oHicialis  diete  civitatis  super  coustruc- 
tioue  et  coupositione  nove  libre  ipsius  civitatis  et  couiitatus  ciusdeiu  etc. 

Di  persone  degne  eli  ricordo  non  vi  sono  menzionali  i  beni  se 
non  di  «  Petrus  Ursinus  filius  quondtiui  Benedicli  dni  lionconlis 
.de  Monaldeschis  ». 

Benedetto  di  Bonconle,  dello  più  comunemenle  Benedello 
della  Vipera  —  e  di  vipera  ebbe,  olire  cbe  l'arine  ed  il  sopran- 
nome, anche  l'astuta  ferocia  —  tiranneggiò  per  vari  anni  Orvieto 
dopo  la  merle  di  Ermanno  Monaldeschi.  Avendo  egli  condotta  in 
moglie  Violante  degli  Orsini,  Matteo  di  questa  famiglia,  eletlo  Con- 
rervatove  dello  stato  pacifico  della  città  (che,  se  prima  non  era 
in  pace,  lo  fu  ancor  meno  sotto  il  di  lui  governo)  si  associò  nel 
potere,  l'anno  1445,  il  cognato  Benedetto,  che  divenne  il  più  crudele 
tiranno  orvietano.  Il  figlio  di  Benedetto,  Pietro,  soprannominalo 
Orsino  a  cagion  della  madre,  fu  dei  capi  della  fazione  melcoriiia, 
che  travagliò  la  città  lottando  con  quella  dei  Muffali. 

IX.  Catasto  dei  rioni  di  sant'Egidio  e  di  santo  Stefano  del- 
l'anno 1363  (grosso  volume  e.  s). 

Non  v'è  menzionala  alcuna  persona  ragguardevole. 

X.  Catasto  del  rione  di  san  Giovanni  dell'anno  1363  (voi.  le- 
galo in  pergamena,  di  e,  1-190). 

Nel  rione  di  san  Giovanni  nel  1363  abitavano  :  Pietro 
di  Cola  di  Sinibaldo  degli  Ardiccioni,  i  cui  possedimenti  son  ri- 
portati a  e.  755;  Vanne  di  Monalduccio  di  Neri  della  Torre,  il 
qual  Neri  fu  ricco  e  potente  cittadino  vissuto  nella  seconda  metà 
del  secolo  XIII  (e.  95);  e  molli  dei  conti  di  Marsciano,  vale  a 
dire  «  Borgarus,  Lodovichus  et  Ugolinus  quondam  Tiberuccii 
Lamberti  comilis  de  Marsciano  »  (e.  13),  Bandino,  Bulgaruccio 
e  Corrado  di  Neri  (e.  21,  28^  57),  Lodovico  di  Bindo  (e.  107) 
e  Nollo  di  Giacomo  (e.  107). 

Abbiamo  detto  innanzi  di  Nardo  di  Bulgaruccio  conte  di  Par- 
rano,  podestà  orvietano  nel  1282.  Egli  mori  nel  1320  lasciando 
un  solo  figlio  di  nome  Neri,  padre  di  Bandino,  di  Bulgaruccio  e 
di  Corrado,  che  nel  1336  avevano  l'abitazione  loro  in  Orvieto  nel 
rione  di  san  Giovanni.  Un  altro  figlio  di  Neri,  Pelruccio  conte  di 
Migliano,  aveva  stanza  in  Perugia  nella  parrocchia  di  sant'Anto- 

20 


306  G.    PARDI 

nino,  dov'era  alliralo  per  lire  3538.  E  perciò  che  non  Io  troviamo 
ricordato  nel  catasto  orvietano,  avendo  ereditati  i  possedimenti 
del  padre  posti  su  quel  di  Perugia. 

Bulgaro,  Lodovico  ed  Ugolino  eran  figli  di  Tiberuccio  dei 
conti  di  Parrano,  cugino  di  Neri  di  Nardo  di  Bulgaruccio.  Furon 
alcun  tempo  in  lotta  con  il  Comune  di  Orvieto,  terminala  con  una 
transazione,  per  la  quale  Bulgaro  si  obbligò  a  pagar  1000  fiorini, 
lasciando  per  sicurtà  ostaggio  il  fratello  Ugolino. 

Lodovico  di  Bindo  apparteneva  probabilmente  alla  stirpe  dei 
conti  di  Marsciano  signori  di  Monte  Giove,  essendosi  in  quel 
tempo  divisa  la  nobile  famiglia  nei  tre  rami  di  Marsciano,  di  Par- 
rano e  di  Monte  Giove. 

Della  stirpe  dei  conti  di  Monte  Giove  era  Notto  di  Giacomo, 
che  fu  fratello  della  beata  Angelina  Marsciana,  fondatrice  del  terzo 
ordine  delle  suore  di  san  Francesco.  Egli  ebbe  in  moglie  una  Mo- 
naldeschi  di  Orvieto,  Angela  di  Nericcia  di  Ciuccio  di  Nericcia 
dei  Monaldeschi  dell'Aquila. 

XI.  Catasto  dei  rioni  di  san  Biagio,  san  Martino  e  sant'An- 
gelo dell'anno  1363  (voi.  legato  in  pergamena  con  carte  in  di- 
sordine). 

Non  v'è  menzionala  alcuna  persona  ragguardevole.  Tuttavia, 
confrontando  questo  con  il  catasto  del  1292,  si  può  trarne  la  con- 
clusione che  il  numero  dei  possessori  d'immobili  nel  popoloso 
quartiere  di  Postierla  era  notevolmente  diminuito  nel  1363  :  indizio 
forse  del  minore  frazionamento  della  proprietà  e  prova  certa  della 
diminuzione  della  popolazione  della  Postierla,  decimata  in  parte 
dalle  pesti  ed  in  parie  mandata  in  esilio,  perchè  per  buona  parte 
ghibellina,  dopo  la  vittoria  dei  Guelfi  nel  1313. 

Per  mezzo  del  catasto  del  1363,  se  disgraziatamente  non  fosse 
giunto  a  noi  incompleto,  avremmo  potuto  istituire  un  esalto  con- 
fronto con  quello  più  antico  del  1292,  studiare  la  differenza  di  po- 
polazione tra  l'una  e  l'altra  epoca,  l'accentramento  maggiore  o 
minore  della  proprietà,  dedurne  la  floridezza  più  o  meno  grande 
di  questa  o  di  quell'arie. 

Ci  dobbiamo  invece  accontentare  di  poter  constatare  che  la 
popolazione  nel  1363  era  certo  alquanto  scemata,  ma,  sebbene 
decimata  dalla  terribile  pestilenza  del  1348,  non  si  era  ridotta  ad 
un  numero  cosi  esiguo   come   vedremo    avvenire    negli    anni    se- 


IL   CATASTO   d'  ORVIETO,    ECC.  307 

guenli.  Il  che  potremo  arguire  dalle  cifre  poi?le  qui  appresso,  le 
sole  che  ci  sia  concesso  riferire  con  sicurezza  ;  notando  tuttavia 
che  nel  catasto  del  1363  son  registrati  anche  i  proprietari  di  case, 
mentre  non  lo  erano  in  quello  del  1292.  Ma  il  raffronto  non  è 
meno  sicuro,  essendo  pochissimi  i  possessori  di  soli  fabbricati 
iscritti  nel  catasto  del  1363. 

Il  rione  di  san  Lorenzo  aveva,  nel  1292,  91  fuochi  corrispon- 
denti a  455  leste;  e  ne  ebbe,  nel  1303,  67  corrispondenti  a  335  leste. 

11  rione  dei  santi  Apostoli  aveva,  nel  1292,  130  fuochi,  cioè 
650  teste;  e  ne  ebbe,  nel  1363,  91  cioè  455  teste. 

Il  rione  di  san  Giovanni  aveva,  nel  1292,  141  fuochi,  vale  a 
dire  705  leste;  ed  ebbe,  nel  1263,  124  fuochi,  ossieno  620  teste. 

Di  un  maggiore  accentramento  della  proprietà  parrebbe  des- 
sero prova  le  ricchezze  dei  discendenti  di  alcune  famiglie  registrate 
nel  catasto  del  1292;  ma  non  possiamo  affermare  nulla  di  sicuro 
riguardo  a  ciò. 

Quanto  alle  arti  sembrano  meno  esercitate  o  meno  fruttuose 
di  prima,  poiché  nei  rioni  di  san  Lorenzo  e  dei  santi  Apostoli  non 
troviamo  ricordato,  tra  i  possessori  d'immobili,  alcun  giuralo  delle 
arti;  nel  rione  poi  di  san  Giovanni  vediamo  nominati  un  notaro, 
e.  10,  un  sarto,  e.  126  r.,  un  legnaiuolo,  e.  129  r.,  3  calzolai, 
e.  131  r.  e  srjg.  1  taverniere,  e.  151  t.j  un  manescalco,  e.  175  t. 
ed  un  mugnaio,  e.  186  t. 

XII.  Catasto  di  Civilella  d'Agliano  della  2»  metà  del  sec.  XIV 
(voi.  legalo  in  pergamena,  di  e.  numerale  soltanto  sino  alla  Boa). 

Il  castello  di  Civilella  d'Agliano,  situalo  ora  nel  mandamento 
di  Bagnorea,  appartenne,  fin  dalla  costituzione  del  Comune  or- 
vietano, a  questo;  ma  sulla  fine  del  sec.  XIV,  nel  1391,  Bonifa- 
cio IX  lo  concedette  ai  Monaldeschi,  i  quali  avevano  molto  con- 
tribuito a  far  ritornare  Orvieto  sotto  la  dipendenza  della  Chiesa 
dopo  la  morte  di  Biordo  Michelolli.  E  nel  1404  Innocenzo  VII 
confermava  a  Qorrado  ed  a  Luca  di  Berardo  Monaldeschi  e  loro 
eredi  «  castrum  Civitelle  Agliani,  diocesis  balneoregensis,  comi- 
latus  tum  et  districtus  civitalis  nostre  urbevetane  cum  roccha 
existenle  in  dicto  castro  et  cum  loto  eius  lenimento  et  dislriclu 
ac  omni  dominio  et  quasi  potestale,  auctorilale,  imperio  et  iurisdic- 
tione,  quod  et  quas  populus  prefate  civitalis  nostre  urbevetane 
habuerunl  vel  habebant  de  iure  vel  de  facto  seu   consueludinibus 


308  G.   PARDI 

quibuscunque   el  cum  omni    iure   gabellarum   el    pedagii    et   omni 
alio  iure  »  ecc. 

XIII.  Catasto  del  1372  (di  e.  188,  legato  in  pergamena  e  molto 
guasto). 

XIV.  Frammenti  di  assegne  catastali  degli  anni  1399-1402 
(in  busta,  di  e.  40,  segnati  con  i  numeri  XV,  XVI  e  XVII). 

XV.  Frammenti  di  catasti  delle  ville  della  prima  metà  del  se- 
colo XV  (in  busta,  segnati  con  i  numeri  XVIII,  XIX,  XX  e  XXI). 

XVI-XXI.  Catasti  e  focolari  degli  anni  1402,  1404,  1411  e 
1412,  (in  busta,  segnati  con  i  numeri  XXII,  XXIII,  XXIV,  XXV, 
XXVI,  XXVII,  XXVIII  e  XXIX). 

Morto  Biordo  Michelolli,  che  aveva  signoreggiato  su  di  Or- 
vieto dal  1395  al  1398  con  i  titoli  di  governatore,  difensore,  irihuno 
e  signore  generale,  la  città  tornò  sotto  la  Chiesa.  Allora  Bonifa- 
cio IX  nominava,  nel  1398  medesimo,  suo  fratello,  Giovanni  Toma- 
cello,  rettore  e  capitano  generale  del  Patrimonio  e  del  ducato  spo- 
letino,  facendo  poi  in  modo  che  venisse  chiamato  per  signore  ad 
Orvieto.  Gli  Orvietani,  prima  di  darsi  a  lui,  gli  fecero  promettere, 
che  non  gli  avrebbe  molestati  con  gravezze  per  10  anni  almeno. 
Ed  il  Tomacello,  pur  di  avere  la  città  in  sua  mano,  promise. 

Ma  nel  1400  dovettero  gli  Orvietani  pagare  certa  somma  per 
soddisfare  Paolo  Orsini  spedito  a  soccorrer  la  Marca.  E  nel  1402 
era  imposta  loro  una  tassa  per  dar  la  paga  ad  un  tal  capitano 
Mostarda  preso  al  soldo. 

La  somma  a  ciò  necessaria  (480  fiorini?)  fu  esatta  in  tre  volte. 

É  stato  smarrito  il  libro,  che  conteneva  V allirato  degli  abi- 
tanti della  città  e  del  contado  per  pagare  la  prima  rata:  quello 
fatto  per  la  seconda  rata  è  tra  i  calasti  della  busta  XVI-XIX  e 
porta  il  numero  XXIV  (di  e.  76  in  parte  bianche).  Comincia  in 
tal  modo  : 

«  lu  nomine  domini,  amen.  Hic  est  liber  sive  quateruus  allibratus 
homiuum  et  personarum  civitatis  et  comitatus  Urbisveteris  debentes  sol- 
vere eorum  libram  ad  rationem  trium  librarum  denariorum  prò  quolibet 
miliario  prò  secunda  terzaria  solvenda  Mustarde  Capitaneo  etc.  sub  anno 
domini  millesimo  quatriuceutesimo  secundo  ». 

Da  questo  registro  della  lira  imposta  nel  1402  possiamo  rica- 
vare le  seguenti  cifre,  che  ci  danno  la  popolazione  censita  d'Or- 
vieto in  quell'anno  : 


IL    CATASTO    D'  ORVIETO,    ECC. 


309 


QUARTIKRI 


R  1  O  N  I 


FUOCHI 

dei 

Rioni 


TKSTE 


FUOCHI 

dei 
Quartieri 


TKSTE 


S.  Pace 


Postierla 


S.  Pace . 
Ripa  dell'Olmo 
Valle  IMatU 
S.  Cristoforo 

S.  Costanzo 
S.  Maria  . 
S.  Salvatore 
S.  Leonardo 
S.  Anpelo  . 
S.  Stelano  . 
S.  Hiajjfio  . 
S.  Martino 
S.  Egidio  . 


58 

102 

4 

43^ 

""54" 
37 

28 
71 
183 
90 
47 
35 
35 


200 

510 

20 

215 

"260^ 
185 
140 
355 
915 
450 
235 
175 
175 


207 


578 


1035 


2890 


55.  Giovanni 
e  Giovenale 


s.  Giovanni 
S.  Giovenale 


124 
244 


Serancia 


Serancia    . 
SS.  A])Ostoli 
S.  Lorenzo 


123 

67 
36 


620 
1220 

~615" 
335 
180 


Somma  totale 


368        I        18<0 


226  1130 


6895 


Confrontando  questo  quadro  della  popolazione  censita  d'Or- 
vieto nel  1402  con  quello  dell'anno  1292  da  noi  innanzi  riporlatOj 
ci  accorgeremo  : 

1.0  Che  erano  spariti,  nel  quartiere  di  Serancia,  il  rione  di 
sant'Angelo  sub  Ripa  ed  in  quello  dei  santi  Giovanni  e  Giovenale 
i  rioni  di  san  Matteo  e  di  san  Faustino:  la  qual  cosa  prova,  a 
mio  credere,  come  nel  tempo,  in  cui  la  popolazione  ridondava  nella 
città,  si  fosse  sparsa  anche  nei  suburbi  (eran  rioni  suburbani 
sant'Angelo  sub  Ripa,  san  Matteo  e  san  Faustino);  donde  si  ri- 
trasse tra  le  forti  mura  cittadine,  dove  non  era  pericolo  di  sor- 
prese nemiche,  quando  le  case  furono  rese  semivuote  dalle  pesti- 
lenze e  dalle  guerre  intestine. 

2.0  Che  si  erano  quasi  spopolati  i  rioni,  popolosissimi  un 
tempo,  di  santa  Maria  e  di  santa  Pace,  mentre  avevano  ancora 
un  buon  numero  di  abitanti  i  rioni  di  san  Giovenale,  di  san  Gio- 
vanni, di  Ripa  dell'Olmo  e  di  Serancia:  indizio  forse  dell'esser 
venuta  meno  nei  rioni  interni,  un  tempo  affollati  e  pieni  di  vita 
e  di  commercio,  quella  schiatta  vigorosa  d'artisti,  che  avea  formata 
la  grandezza  dei  Comuni  medioevali;  laddove  i  contadini,  soprav- 
venuti, dalle  loro  tane  scavate  nelle  rocce,  ad  occupare  più  comode 
abitazioni  in  città,  aveano  invaso  i  quartieri  attorno  alle  mura,  dove 
s'istallarono  ed  abitano  ancora  assieme  ad  animali  domestici. 


310  a.  PARDI 

3.0  Che  il  numero  dei  possidenti  (e  non  di  soli  terreni,  ma 
anche  di  fabbricati  e  di  case)  si  era  ristretto  nel  1402  a  meno 
della  metà  di  quello  del  1292:  prova  certa  della  grande  diminu- 
zione di  popolazione,  che,  se  non  fosse  stata  addirittura  straordi- 
naria, non  avrebbe  potuto  far  scemare  così  notevolmente  il  nu- 
mero dei  proprietari.  A  decimare  gli  abitanti  delle  città  medioevali 
in  generale  e  di  Orvieto  in  particolare  concorsero  varie  cause, 
quali  furono  la  cessazione  della  libertà  (con  il  tramutarsi  dei  Co- 
muni in  Signorie),  che  portò  con  sé  anche  il  decadimento  della 
vita  rigogliosa  economica  e  commerciale,  agevolata  un  tempo  dal 
sentimento  patrio  e  dalla  semplicità  maggiore  dei  costumi;  più 
ancora  le  guerre  intestine,  le  quali  fecero  distruggere  nel  1313, 
come  si  è  visto,  popolosi  rioni;  e  sopratutto  le  pestilenze,  morbo 
antico  ricomparso  più  terribile  verso  la  metà  del  sec.  XIV,  in  cui 
stese  quasi  un  velo  di  morte  sull'Europa  e  sul  mondo,  che  in  po- 
chi anni  disertò  spietatamente.  Nella  pestilenza  del  1348  narrano 
antichi  cronisti  che  ad  Orvieto  ed  a  Siena  su  dieci  persone  ne 
morissero  nove:  cifra  certamente  esagerata,  ma  che  fa  nondimeno 
capire  la  terribilità  della  malattia. 

E  dal  1348  al  1402  la  peste  infierì  di  frequente  in  Orvieto. 
S'aggiunga  che  nel  1389  la  città  fu  travagliata  dalla  guerra,  da 
un  lungo  assedio  e  dalla  pestilenza.  Aveva  l'antipapa  Clemente  VII 
ottenuta  la  signoria  della  terra  e  la  manteneva  con  l'aiuto  di  Luca 
e  Corrado  di  Berardo  Monaldeschi,  a  cui  si  può  dire  l'avesse  in- 
feudata. Il  pontefice  Urbano  VI  la  volle  rivendicare  alla  Chiesa. 
Orvieto  fu  stretta  da  duro  assedio,  sostenuto  vigorosamente  dai 
due  potenti  Monaldeschi  e  dai  Muffati,  seguaci  dell'antipapa, 
mentre  la  fazione  dei  Mercorini  parteggiava  per  il  pontefice  romano. 

Narra  adunque  il  Manente  all'anno  1389  che  i  Muffati  asse- 
diati «  erano  ridutti  in  gran  calamità  per  il  lungho  assedio,  es- 
sendo nella  città  grandissima  carestia  d^ogni  cosa,  dove  si  beveva 
acqua,  e  si  mangiava  carne  de  cani,  gatti,  cavalli  et  uccelli  delle 
torre  et  herbe,  et  molli  moriron  di  fame,  et  il  quarlengho  del  grano 
si  vendeva  X.  fiorini  d'oro,  et  oltra  la  grande,  et  estrema  carestia 
vi  fu  la  peste,  et  questa  guerra,  et  assedio  fu  l'ultima  ruina,  e 
destruttione  d'Orvieto,  e  suo  territorio,  et  morirono  di  ferro  in 
tal  guerra  più  di  500  huomini  fra  dentro,  e  fuora,  e  per  far  fuoco, 
•et  altri  bisogni  quei    di    dentro  guastaron    molte   case,  e  Chiese, 


IL    CATASTO   D'  ORVIETO,    ECC.  311 

che  non  si  vidde  mai  obsidione  tuie,  che  più  presto  volevan  mo- 
rire delia  fame  che  rendersi  a  lor  nemici  ». 

Così  diminuita  adunque,  per  le  ragioni  sopra  esposte,  era  la 
popolazione  d'Orvieto  nel  1-402.  Noi  abbiamo  potuto  rintracciare 
il  numero  dei  proprietari  d'immobili,  ma  quale  era  quelb»  dei 
nullatenenti'^  A  rispondere  a  questa  domanda  ci  aiuta  il  volumetto 
catastale  n.  XXIII  ;  nel  quale  è  contenuto  V allirato  dei  cittadini 
orvietani,  dimoranti  nel  quartiere  dei  santi  Giovanni  e  Giovenale, 
che  dovean  pagare,  al  solito,  tre  lire  di  denari  per  ogni  migliaio, 
per  la  terza  rata  del  soldo  da  darsi  al  Capitano  Mostarda  (prò 
ultima  ierzaria).  Nel  medesimo  libro,  da  e.  28  in  poi,  si  trovano 
i  focolari  degli  abitanti  del  medesimo  quartiere  e  di  quel  di  Se- 
rancia:  «  Infrascripta  sunt  focularia  hominesque  ipsa  facientes 
civitalis  Urbisveteris,  videlicet  quarteriorum  sancti  luvenalis  et 
Serancis  civilatis  prefale,  quorum  quidem  nomina  et  prenomina 
inferius  describuntur.  Kt  primo  qui  quidem  infrascripti  solvere  de- 
bent  quatuor  soldos  denariorum  prò  quolibet  foculari  ». 

Il  nome  di  focolare  ci  riporta  all'imposta  detta  focatico  ed 
anche  focaggio,  da  pagarsi  da  coloro,  che  accendevano  un  mede- 
simo fuoco  e  vivevan  quindi  sotto  lo  stesso  tetto.  I  focolari  delle 
città  medioevali  sono  i  mezzi  più  sicuri  per  conoscerne  la  popo- 
lazione. Disgraziatamente  noi  non  abbiamo  per  Orvieto  la  descri- 
zione completa  di  tutti  i  fuochi,  ma  soltanto  di  quelli,  i  cui  com- 
ponenti dovevan  nel  1402  pagare  4  soldi  di  denari. 

E  già  stato  osservato  che  i  possidenti  (anche  quelli  allirati 
per  piccole  somme  come  12,  14,  20  lire)  eran  tassati  a  ragione 
di  3  lire  ogni  migliaio.  E  pertanto  naturale  argomentare  che  le 
famiglie,  tassate  di  soli  4  soldi  ciascuna  fossero  nullatenenti.  Ac- 
cettando questa  ipotesi  (confortata  da  un  passo  delle  Riformanze 
dell'anno  1452),  si  avrebbe  che  nel  1402  vi  erano  ad  Orvieto  i  se- 
guenti fuochi  di  persone  non  possidenti  immobili,  appartenenti  ai 
quartieri  dei  santi  Giovanni  e  Giovenale  e  di  Serancia  : 

Rione  di  san  Giovanni  —  119  fuochi  corrispondenti  a    595  teste 
»       di  san  Giovenale  —  210  »  1050     » 

»       di  Serancia  —  116  »  580     » 

»       dei  santi  Apostoli —    64  »  320     » 

»       dì  san  Lorenzo     —    43  »  215     » 


312  G.    PARDI 

Essendo  pertanto  quasi  uguale  la  cifra  dei  fuochi  dei  nulla- 
lenenti  a  quella  dei  possidenti,  si  potrebbe  inferirne  che  Orvieto 
aveva  nel  1402  una  popolazione  di  circa  12,000  persone.  Accet- 
tando lo  stesso  calcolo  per  la  popolazione  del  1292  avremmo  che 
in  quest'anno  in  Orvieto  eravi  ad  un  dipresso  una  popolazione 
di  30,000  persone:  l'una  e  l'altra  cifra  non  mi  sembrano  molto 
distanti  dal  vero. 

Nel  catasto  del  1402  troviamo  i  nobili  orvietani  registrali  a 
parte.  Leggiamo  infatti  a  e.  62  del  n.  XXIII  ed  a  e.  25  del  nu- 
mero XXIV:  «  Libra  nobilium  civium  Urbisveteris  et  quantitates 
quas  solvere  debent  ».  Di  qui  possiamo  ricavar  la  ricchezza  dei 
più  notevoli  cittadini  del  tempo. 

I  figliuoli  dello  storico  e  guerriero  conte  di  Corbara,  Fran- 
sco  di  Monlemarte,  sono  allirati  per  18000  lire.  Eran  dessi  i  conti 
Ridolfo  ed  Ugolino  ricercali  d'amicizia  dal  cardinale  Baldassare 
Cossa,  che,  salito  sul  trono  pontificio,  li  ebbe  carissimi,  Ridolfo 
fu  capitano  di  400  lance  del  papa  ed  il  fratello  Ugolino  era  così 
potente,  che  da  solo  stringeva  una  lega  con  Siena  nel  1443. 

1  conti  di  Tilignano  (altro  ramo  dei  Montemarte  non  meno 
glorioso  di  quello  di  Corbara)  Bernardino  e  fratelli,  che  troviamo 
ricordati  nella  pace  tra  i  Muffati  ed  i  Melcorini  del  1385  giu- 
gno 13,  son  allirati  per  1.  3500.  Altro  conte  di  Titignamo,  Farolfo^ 
(forse  quello  stesso  che  era  stato  nel  1345  cavallerizzo  maggiore 
e  capitano  di  Luigi  di  Taranto  re  di  Napoli?)  è  allirato  con  i  fra- 
telli per  1.  3500. 

Dei  Mon  al  deschi  troviamo  registrati  Francesco  di  Bonconte^ 
e  Monaldo  di  Bonconte,  due  polenti  capi  dei  Mercorini  inter- 
venuti alla  tregua  del  1385  (allirati  per  1.  400  ciascuno);  Pie- 
tro Antonio  (1.  1500)  e  Pietro  Novello  di  Monaldo  (1.  1500);  e 
Corrado  e  Luca  di  Berardo,  potentissimi  Ira  i  Monaldeschi^ 
(l.  8000).  Furono  questi  ultimi  due  capi  dei  Muffali  e  dall'antipapa 
Clemente  VII  ebbero  infeudala  la  città.  Corrado  fu  visconte  di 
Lubriano,  Sermognano,  Civilella  d'Agliano  e  Onano,  e  vicario  di 
Bolsena  per  Bonifacio  IX;  Luca  conte  di  Bolsena,  di  Sugano, 
di  Meana,  di  Cervara,  di  Fichino  e  di  Onano.  Attorno  a  loro  si 
raggruppa  tutta  la  storia  di  Orvieto  in  quel  tempo. 

Olire  la  taglia  del  1402,  un'altra  fu  imposta  ad  Orvieto  nel  1404 
per  pagare  certa  somma  al  signore  della  città,  Giovanni  Tomacello, 


IL    CATASTO    D'  ORVIETO,   ECC. 


313 


come  si  ricava  dal  volumello  catastale  n.  XW'I.  Il  quale  lia  la 
seguente  intestazione: 

«  In  nomine  domini,  amen.  Infrascripli  suut  cives  et  inchole 
urbevetani  debentes  solvere  eorum  fochuiaria  ad  ralionem  quinque 
librarum  argenti  valentium  XII  soldos  antediclorum  denariorunr» 
prò  quolibet  fochulare  etc.  impositas  civitati  et  coinitatui  prefatis 
ex  deliberatione  civium  civitalis  eiusdem  prò  exigendis  et  solven- 
dis  trecenlis  florenis  in  auro  magnifico  et  excellenli  dno  dno 
lohannello  Tomacello  milite  (sic)  neapolilano  prò  sancla  romana  Ec- 
clesia Patrimonii  et  Ducati  et  ex  speliali  conmissione  diete  civi- 
talis Urbisveteris  Hectori  et  Gubernatori  generali,  occasione  con- 
pensationis  et  conpositionis  facte  cum  dicto  dno  prò  parte  Comunis 
diete  civilatis  ne  irelur  per  comunilalem  diete  civitalis  et  eius  co- 
milalus  proul  ipsa  coraunitas  receperat  in  mandatis  a  dno  preli- 
balo in  occasione  castri  Suriani  [luogo  del  Contado  aldobrandescol 
rebellis  sancle  malris  Ecclesie  etc.  sub  anno  dni  M.  IIH.^  quarto 
indiclione  XII,  tempore  dni  Bonifalii  pape  noni  die  ultima  mensis 
iunii  ». 

1  focolari,  sopra  i  quali  era  messa  l'imposta  di  5  lire  d'ar- 
gento —  focolari  certo  di  persone  possidenti  —  danno  la  seguente 
popolazione  censita  d'Orvieto  nel  1404,  diminuita,  sembrerebbe, 
dal  1402  in  poi  : 


QUARTIERI 

RIONI 

FUOCHI 

dei 

Rioni 

TESTE 

FUOCHI 

dei 
Quartieri 

TESTE 

5.  Pace 

S.  Pace.     . 
Ripa  dell' Olr 
Valle  Piatta 
S.  Cristoforo 

no 

52 

78 

5 

38 

260 

390 

25 

190 

163 

865 

Postierla 

S.  Costanzo 
S.  Maria    . 
S.  Salvatore 
S.  Leonardo 
S.  Angelo  . 
S.  Stetano. 
S.  Biagio   . 
S.  Martino. 
S.  Egidio  . 

63 

96 
28 
58 
129 
65 
47 
28 
45 

315 
480 
MO 
290 
645 
325 
235 
140 
225 

557 

2795 

SS.  Giovanni     |  S.  Giovanni 
e  Giovenale      |  S.  Giovenale 

IDI 

188 

505 
940 

289 

1445 

Serancia    . 
Serancia           SS.  Apostoli 
S.  Lorenzo 

103 
51 
22 

515 

255                   176 

110 

880 

Somma  totf 

de    .    .    . 

5985 

314  G.    PARDI 

XXII.  Catasto  dei  rioni  di  san  Salvatore,  di  san  Leonardo  e 
di  sant'Angelo  (assegne  dall'anno  1410  al  1445  circa  —  cod.  cari, 
frammentario,  senza  numerazione  di  pagine). 

Troviamo,  nel  quartiere  di  san  Leonardo,  i  figli  ed  eredi  del 
conte  Francesco  di  Corbara  :  Ranuccio  allirato  per  1.  11340  ed 
Ugolino  per  1.  1867. 

XXIII.  Catasto  dei  beni  immobili  posti  nel  contado  di  Fienile 
dell'anno  1427  (cod.  cart.  senza  numerazione  di  pagine  e  non  ri- 
legato: v'è  aggiunto  un  bastardello). 

XXIV.  Catasto  della  città,  ossia  assegne  degli  anni  1445-6 
(cod.  cari,  framm.  senza  num.  di  pag.  e  non  rilegato). 

Tra  le  persone,  quivi  ricordate,  è  da  menzionare  Monaldo  di 
Berardo  Monaldeschi  allirato  per  1.  3600,  mentre  nel  catasto  del 
1402  lo  era  soltanto  per  1.  400. 

XXV-XXVII.  Catasto  della  città,  ossieno  assegne  fatte  proba- 
bilmente intorno  all'anno  1447.  (Tre  grossi  codici  cartacei,  scritti 
con  chiarezza  ed  eleganza,  con  larghi  margini,  rilegati  bellamente 
con  tavolette  di  legno.  Il  n.  XXV  è  di  e.  100,  il  n.  XXVI  di  e.  145, 
il  n.  XXVII  di  e.  250:  il  primo  contiene  le  assegne  del  quartiere 
di  san  Giovanni  e  Giovenale,  il  secondo  di  santa  Pace  ed  il  terzo 
di  Postierla). 

Le  persone  più  ragguardevoli  abitanti  in  questo  tempo  in  Or- 
vieto sono  : 

Nel  rione  di  san  Giovanni  «  dnus  lacobus  de  Vitaleschis  de 
Cornelo  »,  allirato  per  1.  1500  (e.  30  r.J  ;  «  Le  Rede  di  Manno  di 
Piergiuvanny  dy  Conty  da  Marsciano  »,  allirati  per  1.  2000  fc.  45  t.J 
e  Borgaro  di  Conte  di  Ugolino  da  Marsciano  per  I.  1500  fc.  66  r). 

Giacomo,  della  potente  famiglia  dei  Vitelleschi  di  Cornelo,  era 
conte  del  castello  di  Benano  presso  Orvieto.  Infatti  Eugenio  IV, 
con  un  Breve  del  1432,  gli  concesse  lo  sgravio  per  i  suoi  castel- 
lani di  Benano  dell'onere  di  30  fiorini,  perchè  fossero  impiegati 
nella  riparazione  delle  mura  del  castello. 

Figlio  ed  erede  di  Manno  di  Piergiovanni  da  Marsciano  fu 
il  conte  Carlo  di  Parrano,  che  nel  1473  prestò  giuramento  al  ve- 
scovo d'Orvieto  per  il  feudo  di  questo  castello.  Egli  ebbe  in  isposa 
Imperia  figlia  dell'  orvietano  Buccio  Monaldeschi,  capo  dei  Muf- 
fali, ucciso  la  notte  dell' 11  settembre  1437  dai  Mercorini  entrati 
a  mano  armata  in  Orvieto. 


I 


IL    CATASTO    d'  ORVIETO,    ECC.  315 

Nel  quartiere  di  santa  Pace  abitavano  il  figlio  di  Buccio,  Achille 
Monaldeschi,  che  prese  in  moglie  Tradita  di  Giov.  Andrea  Colonna 
(allirato  per  1.  r»2G  —  e.  40  tj  ;  Pat)lo  Pietro  Moiialdeschi,  che 
sposò  pure  una  della  famiglia  Colonna,  donna  Aurelia,  e  fu  capi- 
tano di  milizie  della  Chiesa  ed  acquistò  fama  nella  battaglia  d'Aquila, 
in  cui  peri  Braccio  da  Montone  (allirato  per  1.  500  —  e.  6^  rj; 
Gentile  e  Luigi  di  Luca  Monaldeschi  (allirati  l'uno  per  1.  2745  e 
l'altro  per  I.  664  —  e.  55-57);  Ugolino  signore  del  castello  di 
Alviano  (allirato  per  I.  2000  — e.  58  r)  ;  Cecco  signore  del  ca- 
stello di  Baschi  (allirato  per  I.  1200,  ridotte  a  1000  "  per  determina- 
zione del  Consiglio  generale  »  il   2  aprile  1456  —  e.  (ÌO  t). 

Nel  quartiere  di  Postierla  avevan  dimora  Ranuccio  ed  Ugo- 
lino conti  di  Corbara  (allirati  l'uno  per  I.  5038  e  l'altro  per  1.  1000 
—  e.  121  r),  ed  i  conti  di  Titignano  (allirati  per  1.  6000  —  e.  121  t). 

Fra  le  altre  assegne  troviamo  degne  di  esser  ricordate  quella 
dei  Consoli  dell'arte  della  lana  («  duo  tiratoria  cum  aliquantulo 
orto  »,  stimati  1.  100  —  e.  113  t.  del  quartiere  dei  santi  Giovanni 
e  Giovenale);  e  quella  di  due  Ebrei,  «  Abraham  et  Consilius  Da- 
ctali  hebrey  »,  per  1.  127  di  terreni  (ivi,  e.  120). 

Nel  catasto  del  1292  non  troviamo  ricordata  alcuna  persona 
appartenente  all'arte  della  lana:  indizio  certo  che  in  quel  tempo 
non  era  in  onore  ad  Orvieto,  dove  fu  introdotta  dalla  vicina  città 
di  Siena  e  dove  divenne  ben  presto  l'arte  più  ragguardevole  e 
ricca;  tanto  che  nel  1451  due  dei  signori  Nove  erano  eletti  di  tra 
i  giurati  dell'arte  della  lana. 

Quanto  agli  Ebrei,  abbiamo  osservalo  come  nel  1292  nessuno 
di  essi  fosse  possidente  in  Orvieto;  ma  nel  1313  fu  stabilito  che 
alcuni  Ebrei,  i  quali  avean  fatto  un  prestito  al  Comune  d'Orvieto, 
fossero,  con  i  loro  discendenti,  considerati  come  veri  e  propri  cit- 
tadini orvietani;  ed  inoltre  che  potessero  pignorare  o  prender  pos- 
sesso dei  beni  dei  debitori  e  fideiussori  e  loro  eredi,  avanti  e 
dopo  la  condanna,  venderli,  ecc.  Ecco  perchè  nel  1447  troviamo 
degli  Ebrei  possessori  di  terreni  in  Orvieto. 

Il  catasto  del  1447  ci  fa  conoscere  come  il  dialetto  orvietano 
si  fosse  maggiormente  accentuato  ed  avesse  presa  qualche  diffe- 
rente caratteristica.  Ciò  si  potrà  capire  dai  nomi  e  soprannomi 
delle  persone  registrale  nel  catasto  medesimo,  i  quali  pure  sono 
molto  cangiali  dal  1292  a  questo  tempo. 


316  G.    PARDI 

Ecco  la  lista  dei  nomi  più  comuni  usali  in  quel  tempo,  tra- 
scritti fedelmente  dalle  assegne  del  quartiere  dei  santi  Giovanni 
e  Giovenale  (n.  XXV): 

Alberti!  e.  2  r.  Catalnccio  e.  3  r.  Ag-nìhi  e.  4  t.  Fxxcciu  e.  5  r.  Ar- 
chileo e.  5  r.  Biancardo  e.  6  t.  Dariu  e.  7  r.  Bartolomeiu  e.  7  r.  Giu- 
vani  e.  7  t.  Mascio  e.  7  ^.  Buoufante  (dicto)  e.  S  r.  Petrucciu  e.  S  <. 
Petrocco  e.  5  <.  Pietrupaulu  e.  10  t.  Fecatella  (dicto)  e.  12  r.  Mancino 
e.  y/  r.  Perazza  (dicto)  e.  i2  t.  Coluzzu  e.  i5  ^.  Cacartino  (dicto)  e.  i3  ^. 
Pieruantoniu  e.  i4  ?'.  Punta  e.  iJ  ^.  Spetiale  (dicto)  e.  i5  ?•.  Puzzarella 
e.  16  r.  Picchio  (dicto)  e.  16  t.  Pampaluua  e.  18  r.  El  perù  (dicto)  e.  19  r. 
Morbida  e.  i5  t.  Gattivello  e.  i9  ^.  Britio  e.  19  t.  Malacosa  (dicto)  e.  19  t. 
Giliu  e.  19  t.  Cianfrog-na  e.  20  r.  Del  Tostu  e.  20  r.  Del  Morrone  e.  SO  t. 
Giuvampiero  e.  2i  t.  Trombecta  e.  2-?  ^.  Delamassaia  e  22  r.  Mechii 
e.  22  ?'.  Pugliarella  e.  22  t.  Che  mai  non  suda  (dicto)  e.  25  ?\  Tomeiu 
e.  2(>  r.  Formicchy  e,  25  ^.  De  la  sibia  e.  58  r.  Piato  e.  5.9  r.  Sensu  e.  40  r. 
Lucciarello  e.  4/  t.  Corso  e.  ^i  <.  Baunoccyo  e.  42  r.  Di  cacioppa  (dicto) 
e.  45  ?'.  Del  Bello  e.  44  ?*.  Leale  e.  45  ?\  Lollaiu  e.  47  ^.  Liicautouiii 
e.  48  r.  Biricchone  (dicto)  e.  54  t.  Jacho  e.  5(>  r.  Luccio  e.  57  r.  Torce 
feccia  (dicto)  e.  ffi  t.  Toroue  e.  65  ^.  Borgaro  e.  55  r.  Savino  e.  57  ?•. 
Pallocta  e.  68  r.  Mag-ag-niuo  (dicto)  e.  78  t.  Narducciu  e.  58  t.  Caccione 
(dicto)  e.  78  t.  Ciacciu  e.  55  ?\  Cappellecto  e.  55  r.  Meccuccio  e.  55  <. 
Al  fresco  e.  70  ?'.  Ferrancciu  e.  70  r.  Mqjo  c.  7(?  t.  Del  Villano  e.  7i  r. 
Simoucellu  e.  74  ^.  Guasparino  e.  75  ?%  Ciuflfulacto  e.  75  r.  Guerriere 
e.  75  t.  Paternostro  e.  75  t.  Ciopag'no  e.  77  r.  Barone  (dicto)  e.  77  <. 
Tucto  bianco  e.  78  <.  Della  mità  e.  75  r.  Porchettaio  e.  8<9  ^  Abichiere 
e.  8i  ^.  Del  Malestro  e.  84  r.  Del  Gierciu  (dicto)  e.  84  ^.  Schiau  e.  50  r. 
Vechio  (dicto)  e  50  <.  De  la  paia  e.  91  t.  Petricha  e.  93  t.  Bozzo  (dicto) 
e.  93  t.  Vastellaiu  e.  94  r.  Tortorino  e.  94. 

XXVIII-XXIX.  Allirato  e  focolari  dell'anno  1449  (cod.  cart. 
senza  rilegatura  e  senza  numerazione  di  pagine). 

Comincia  in  tal  modo: 

«  In  nomine  dni,  amen.  Anno  dni  millesimo  quatrincentesimo  qua- 
dragesimo nono  etc.  Hic  est  liber  in  quo  scribuntur  omnes  cives  urbe- 
vetani  et  etiam  alie  persone  habentcs  eorum  possessiones  in  territorio 
urbevetano  allibratas  et  accatastatas  in  allibratu  et  catastu  civitatis  Ur- 
bisveteris,  qui  et  que  solvere  debent  eorum  libram  et  eorum  focularia. 
Que  libra  et  focularia  imposita  fuit  tempore  magnificorum  dnorum  Con- 


IL   CATASTO    I>'  ORVIETO,    ECC. 


317 


servatorum  etc.  <\\v,\m  libram   exig-i  debet  ad  rationcm   dccem  soldorum 
prò  quolil)et  ceuteuario  allil)ratus  et  prò  qiiolibet  foculari  » . 


Peusone  allirate  nel  1440 


FUOCHI 

FUOCHI 

QUARTIERI 

K  IONI 

dei 
Rioni 

TESTE 

dei 
Quartieri 

TICSTE 

S.  Pace .... 

46 

230 

&  Pace 

S.  Cristoforo.    . 

24 

120 

HO 

550 

Ripa  dell'Olmo. 

40 

200 

S.  Costanzo   .    . 

48 

240 

S.  Maria    .    .    . 

58 

200 

S.  Salvatore  .    . 

33 

105 

S.  Leonardo  .    . 

71 

355 

Postierla 

s.  Anj,'-elo  .    .    . 

161 

820 

514 

2570 

S.  Egidio  .     .     . 

31 

170 

S.  Stefano .    .    . 

58 

2'.)0 

S.  Kiagio   .    .    . 

27 

135 

S.  Martino     .    . 

21 

105 

SS.  Giovanni 

S.  (liovanni   .    . 

60 

300 

160 

800 

e  Giovenale 

S.  Giovenale  .    . 

100 

500 

Serancia    .    .    . 

98 

490 

Serancia 

SS.  Apostoli  .    . 

46 

230 

173 

865 

S.  Lorenzo     .    . 

29 

145 
Somma  totr 

Ile    .    .    . 

4785 

Focolari  del  1449: 


S.  Pace .... 

34 

170 

S.  Pace 

S.  Cristoforo.    . 
Ripa  dell"  Olmo 

18 
36 

90 
180 

88 

440 

S.  Costanzo    .    • 

27 

135 

S.  Maria    .    .    . 

38 

190 

S.  Salvatore  .    . 

20 

100 

S.  Leonardo  .    . 

40 

200 

Postierla 

S.  Angelo  .    .    . 
S.  Egidio  .    .    . 
S.  Stefano .    .    . 
S.  Martino     .    . 
S.  Biagio   .    .    . 

107 
18 
46 
21 
2-1 

535 
90 
230 
105 
120 

341 

1705 

SS.  Giovanni 

S.  Giovanni   .    . 

38 

190 

115 

e  Giovenale 

S.  Giovenale  .    . 

77 

385 

Serancia    .    .    . 

62 

310 

Serancia 

SS.  Apostoli  .    . 
S.  Lorenzo     .    . 

34 
19 

170 
95 

115 

575 

Somma  tota 

de 

3295 

Come  si  vede  pertanto  dalle  cifre  sopra  riportate,  la  popola- 
zione d'Orvieto  sembrerebbe  notevolmente  diminuita  anche  dal 
1404  al  1447. 

XXX.  Focolari  della  città  dell'anno  1456  (cod.  cart.  senza 
numerazione  di  pagine  e  senza  rilegatura). 

11  numero  dei  focolari  del  1456  non  è  molto  differente  da 
quello  dei  focolari  del  1447.  Perciò  crediamo  inutile  riportarlo. 


318  G.    PARDI 

XXXI-XXXV.  Assegne  dell'anno  1470.  (Codici  cari,  ben  scritti 
con  larghi  margini  ed  elegantemente  rilegati  con  tavolette  di  legno, 
eccetto  l'ultimo.  Il  n.  XXXI,  con  e.  non  numerate,  contiene  ras- 
segne del  quartiere  dei  santi  Giovanni  e  Giovenale;  il  n.  XXXIII, 
di  e.  44-144,  del  quartiere  di  santa  Pace;  ed  il  n.  XXXV,  con  e. 
non  numerale,  di  Castel  Rubello  e  di  Forano). 

Nel  quartiere  dei  santi  Giovanni  e  Giovenale  troviamo  ras- 
segne di  Riccardo  di  Conte  e  di  Polidoro  di  Riccardo  degli  Al- 
berici (1.  186  e  1.  325);  di  Giannotto  dei  Simoncelli,  da  cui  uscì 
un  cardinale  papabile,  Girolamo,  vescovo  di  Orvieto  e  protettore 
degli  artisti,  per  il  quale  lavorarono  mollo  i  fratelli  Zuccheri  (al- 
liralo  per  1.  1402);  di  Ugolino  di  Borgaro  dei  conti  di  Parrano 
(1.  2925)  e  del  «  magnifico  conte  Antonio  da  Marsciano  »  (1.  500). 

Quest'ultimo  fu  «  de'  più  segnalati  della  sua  famiglia  nell'arte 
militare,  la  quale  esercitò  per  la  Repubblica  di  Venelia  fin  dai 
primi  anni,  per  la  inlrodutlione,  che  gli  diedero  al  servigio  di 
quella  i  meriti  di  Guerriero  di  Marsciano  zio  di  suo  padre,  di  Gen- 
tile suo  zio  materno  e  di  Gatlamelata  (da  NarniJ  suo  suocero  »  (1). 
Antonio  intorno  all'anno  1459  venne  elello  uno  dei  tre  governa- 
tori delle  lance  spezzale  di  san  Marco.  Fu  all'assedio  di  Trieste 
nel  1463  con  1400  cavalli,  si  segnalò  poscia  nella  guerra  Ira  i 
Veneziani  ed  il  Duca  di  Ferrara,  ed  era  dal  1483  capitano  gene- 
rale dei  Fiorentini,  quando  mori  al  loro  servizio  di  un  colpo  di 
bombarda.  Di  lui  parlarono  con  lode  gli  storici. 

Nel  quartiere  di  Serancia  abitavano  nel  1470  Pirro  e  Oliviero, 
Marco  del  Pazzello,  Francesco  d'Alberico  e  Guerriero  di  Marco, 
tutti  degli  Alberici  (allirati  per  1.  855,  472,  313,  339);  Oliviero 
d'Azzo  dei  conti  di  Titignano  (1.  205);  Gentil  Pandolfo  di  messer 
Luigi  della  nobile  famiglia  Magalotti  (1.  632)  ed  Achille  Monal- 
deschi  (1.  580). 

Nel  quartiere  di  Postierla  leggiamo  l' assegne  del  conte  Ni- 
colao  del  fu  Ugolino  di  Corbara  (1.  1100);  dei  conti  Lionetto,  Ga- 
leotto, Carletto  e  Radulfo  di  Corbara  (1.  5100);  del  conte  Antonio 
da  Marsciano  (1.  1300);  di  Ranieri,  di  Pietro  di  Giovanni  e  di 
Anselmo  di  Paolo  dei  nobili  di  Baschi  (1.  800,  300  e  300). 

Con  questi  volumi  catastali  giungiamo  alla  fine  del  secolo  XV. 


(1)  UciiiELLi,  op.  cit.,  p.  32. 


IL   CATASTO   d'  OHVIKTO,    ECC.  319 

Gli  altri  codici  conservali  nell'archivio  comunale  antico  di  Orvieto, 
non  hanno  per  noi  se  non  pochissimo  interesse,  contenendo  o 
qualche  frammento  di  assegne  di  quartieri  cittadini,  o  assegno  di 
luoghi  del  contado,  come  il  n.  XXXVII  di  Civilella,  il  n.  XXXVIIl 
di  Kipalvella,  il  n.  XXXIX  di  Collelongo,  il  n.  XL  di  Luhriano, 
i  numeri  XLI-XLIV  di  Fienile,  ecc. 

Dal  1292  sin  dopo  la  metà  del  sec.  XVI  non  ebbe  Orvieto 
un  catasto  fatto  in  modo  perfetto  come  quello  più  antico,  che  re- 
sta quale  monumento  della  sapienza  economica  di  quegli  uomini, 
da  cui  fu  cominciata  l'opera  grandiosa  d'innalzare  la  cattedrale 
di  santa  Maria.  Solo  nel  1563,  quasi  dopo  tre  secoli,  fu  fatto  per 
Orvieto  un  catasto,  non  più  per  mezzo  di  denunzie  o  d'assegna, 
ma  con  la  misura  e  la  stima  esatta  dei  possessi,  per  opera  del 
Commissario  apostolico  Ferrante  Ferri. 

Uno  dei  numerosi  volumi  catastali  del  1563  (n.  LX)  ha  questa 
intestazione:  «  Liber  sive  quinternus  catasti  magnifice  civitatis 
Urbisveteris  eiusque  comitatus  et  districtus,  conlinens  in  se 
omnium  civium  nomina,  focularia,  bona  slabilia,  mensurata  et 
extimata  per  agrimensores  et  extimatores  respectivos  magnifici 
dni  Ferrante  Ferri  asculani,  Commissarii  apostolici  eie.  quod  ca- 
taslum  Ferrum  appellari  voluit  ». 

I  catasti  Ferri,  grandi  volumi  con  carte  non  numerate,  scritti 
con  chiarezza  ed  eleganza,  sono  i  seguenti  : 

LX.         Quartiere  di  santa  Maria. 

LXI.       Idem. 

LXII.     Quartiere  di  Serancia. 

LXIII.   Quartiere  di  Corsica. 

LXIV.    Quartiere  dell'Olmo. 

LXV.      Idem. 

Seguono  alcuni  volumi  del  catasto  del  contado. 

Orvieto  nel  1563,  come  risulta  chiaramente  da  questi  codici, 
doveva  avere  una  fisonomia  alquanto  differente  da  quella  che  pre- 
sentava nel  1292.  Non  più  gli  antichi  quartieri,  divisi  irregolar- 
mente, di  santa  Pace,  di  Postierla,  di  Serancia  e  dei  santi  Gio- 
vanni e  Giovenale;  ma  quelli  di  Corsica,  di  santa  Maria  (detto 
poi  della  Stella),  di  Serancia  e  dell'Olmo,  spartiti  regolarmente, 
con  linee  quasi  rette,  dalla  via  principale  del  Corso  e  da  altre 
strade,  le  quali  con  questa  s'incontrano   al   crocevia    della    Torre 


320  G.   PARDI 

del  Moro.  Non  più  gli  antichi  rioni,  denominati  una  volta  da  chiese 
in  gran  parte  abbattute.  Non  più  gli  antichi  cognomi,  rievocanti 
le  lotti  medioevali,  dei  Monaldeschi,  dei  Filippeschi,  dei  Della  Greca, 
dei  Della  Terza  —  rimanevano  solo,  per  giungere  fino  a  noi,  gli 
Alberici,  forse  perchè  meno  degli  altri  avevan  presa  parte  alla 
vita  libera,  variata  e  violenta  del  Comune,  e  potevano  quindi  abi- 
tuarsi alla  esistenza  nuova  — ;  ma  una  nobiltà  meno  belligera  e 
gloriosa  era  succeduta,  della  quale  non  ultimi  furono  i  Gualterio, 
da  cui  doveva  uscire  il  marchese  Filippo  Antonio,  uomo  di  stato, 
patriota  e  storico,  i  Simoncelli,  a  cui  apparteneva  il  cardinale  Gi- 
rolamo, ed  i  Manente,  resi  chiari  dal  buon  Cipriano,  che  scrisse 
amorosamente  la  storia  della  propria  città. 

Orvieto  nel  1563  aveva  perduto  affatto  ogni  vestigio  medioe- 
vale ed  erasi  rinnovellata  all'alito  potente  di  vita  moderna,  che 
da  un  secolo  ornai  soffiava  sull'Europa  e  la  trasmutava. 

Orvieto,  1896. 

G.  Pardi. 


321 


IL  CARDINALE  ALDOBRAM)!?^! 

E   IL  TRATTATO   DI   LIONE 


Si  è  tanto  scritto  intorno  alla  vertenza  fra  le  corti  di  Savoia 
e  di  Francia  a  cagione  del  Marchesato  di  Saluzzo,  che  ormai  po- 
trebbe, per  avventura,  sembrare  ozioso  farne  argomento  di  nuova 
trattazione.  Recentemente  l'egregio  prof.  Carlo  Manfroni  nella  Ri- 
vista Storica  (anno  8°,  fascicolo  2°)  e  poi  neWArcliivio  della  re- 
gia Società  Romana  di  Storia  Patria  (voi.  13,  fascicoli  ì°  e  2°) 
tornava  sopra  all'avvenimento  narrato  dapprima  dal  cardinal  Ben- 
tivoglio  nelle  sue  Memorie,  a  cui  attinsero,  come  a  fonte  origi- 
nale, tutti  gli  scrittori  fino  al  Ricotti  e  al  Carutti,  che  nella  Storia 
della  Diplomazia  della  Corte  di  Savoia  più  ampiamente  e  più 
maestrevolmente  ne  ha  discorso.  Lo  stesso  prof.  Manfroni  sul- 
V Archivio  ridetto  annunziava  molti  nuovi  documenti  venutigli 
alle  mani  dall'Archivio  della  Santa  Sede,  e  specialmente: 

1."  un  Diario  del  viaggio  fatto  dal  cardinal  Pietro  Aldo- 
brandino neW  andar  fegato  a  Fiorenza  per  la  celebrazione  dello 
Sposalizio  della  Regina  di  Francia,  e  dopo  in  Francia  per  la  pace; 

2.°  due  grossi  Registri  di  lettere  del  Negoziato  della  Pace 
conclusa  in  Lione  dal  cardinal  Pietro  Aldobrandini  sopra  le  dif- 
ferenze del  Marchesato  di  Saluzzo. 

Preziosa  è  certamente  l'una  e  l'altra  di  queste  nuove  fonti. 
Il  Diario,  scritto  da  un  tal  Agucchia,  Segretario  o  Maggiordomo 
del  Cardinale,  «  che  seguì  l'Aldobrandino  in  tutto  il  suo  viaggio 
e  tenne  per  lungo  tempo  la  corrispondenza  in  cifra  colla  Cancel- 
leria Pontificia  »,  dà  conto  dei  particolari  dell'andata,  nota  le  vi- 
cende della  Legazione  e  descrive  lo  stato   delle   cose   fra    le    due 

21 


322  L.    FUMI 

Corti.  Le  lellere  del  Cardinale  legalo,  del  Re  di  Spagna,  del  Papa, 
del  Cardinal  di  San  Giorgio,  del  Nunzio  di  Savoia,  del  Duca  e 
dei  Ministri  spagnoli  tracciano  la  parte  politica  della  Legazione, 
mettendo  in  evidenza  (come  dice  il  Manfroni)  le  ambizioni,  le  pre- 
tese, gli  infingimenti  e  le  doppiezze  dei  due  Principi  e  dei  loro 
Ministri;  le  male  arti  di  quelli  che,  come  il  Cardinale  Dossat,  vo- 
levano ad  ogni  costo  che  la  pace  non  avvenisse,  le  irresolutezze 
della  Corte  di  Spagna  e  de'  suoi  rappresentanti  in  Italia,  e  nar- 
randoci ad  uno  ad  uno  i  generosi  tentativi  fatti  dal  Legato  per  im- 
pedire che  nel  cozzo  di  tanto  opposti  interessi  si  riaccendesse 
una  guerra  che  allora  sarebbe  stata  perniciosissima  all'intera 
Europa. 

Ma  qui  il  signor  Manfroni  lamenta  la  mancanza  della  Rela- 
zione dell'Aldobrandino,  la  quale  non  ostante  le  più  minute  ri- 
cerche sue  e  dell'Abate  Palmieri,  allora  custode  dell'Archivio 
Segreto  del  Vaticano,  è  riuscito  impossibile  ritrovare. 

Ora,  mi  è  venuto  fatto  trovare  l'ampia  scrittura  del  Cardi- 
nale in  un  Codice  orvietano  del  tempo,  che  porta  in  fronte  il  titolo: 
—  Legaiione  in  Francia  del  Cardinal  Pietro  Aldobrandino.  — 
Il  Codice  orvietano  proviene  dalla  libreria  di  un  erudito  del  se- 
colo XVII  che  fu  archivista  dell'Archivio  Apostolico  delia  Santa 
Sede  collocato  allora  in  Castel  S.  Angelo.  Altra  copia  esiste  ne'  mss. 
della  Vittorio  Emanuele  di  Roma  in  un  codice  distinto  con  nu- 
mero 538,  proveniente  dalla  Biblioteca  dei  Gesuiti  che  Io  ebbero 
dalla  eredità  di  G.  B.  Barsotti  (1).  Ma  è  mancante  della  lettera  di 
Prefazione,  per  cui  non  appare  da  quello  che  ne  sia  autore  il 
cardinale  Aldobrandino,  e  reca  varianti  qua  e  là  da  giudicarla 
interpolata  per  adattarla  a  uso  di  storia. 

Non  è  la  relazione  officiale  ricercata  dal  Manfroni;  che  io 
credo  codesta  relazione  non  essere  stata  scritta  mai.  E  piuttosto 
qualche  cosa  di  più  e  di  meglio  di  un  documento  officiale,  in  cui  il 
Legato  dirigendosi  al  Pontefice  non  avrebbe  mai  avuto  bisogno  di 
spiegare,  così  per  filo  e  per  segno  come  fa  qui,  tutti  gli  anda- 
menti del  negoziato,  di  cui  era  stato  via  via  messo  a  parte  per 
lettere  frequenti  e  lunghe,  e  in  conversazioni  intime,  attesa  la  qua- 


(1)  Il  suo  titolo  é  questo:  Relatione  in  forma  di  Historia  della  pace  di  Saluzzo 
et  suoi  negotiati  precedenti. 


IL    CARDINALI-:    ALDOItKANltIM    E   IL   TRATTATO    DI    LIONE  'S2'.i 

lilà  e  i  rapporti  del  personaggio,  V amatissimo  suo  Cardinal  ne- 
jjote  primo.  E  questa  una  completa  ed  accurata  monografia  storica 
dettata  dallo  stesso  Legalo,  che  è  il  soggetto,  fru  tutti  gli  nitri, 
più  importante,  per  l'altezza  della  missione  sua  non  pure,  ma 
per  il  carattere  e  per  !•' avvedutezza  politica  che  vi  seppe  spiegare. 
Dal  parallelo  che  si  faccia  con  le  Memorie  del  lienticofjlio  si  vede 
chiaramente  non  essere  altro  che  questo  il  documento,  ov' ei 
fondò  la  sua  minuta  narrativa,  la  quale  procede  con  la  stessa  di- 
sposizione di  fatti,  con  lo  stesso  ordine  di  idee  e,  talvolta,  perfino 
con  una  certa  conformità  di  espressioni,  anche  dove  non  sarebbe 
stato  necessario  per  nulla  l' attenervisi  :  per  modo  che  oggi  si 
può  asserire  essere  la  storia  del  Benlivoglio  una  compendiata  espo- 
sizione della  liela^ione  dell'Aldobrandino.  La  quale  nonpertanto 
cessa  di  avere  per  noi  carattere  di  originalità,  poiché,  a  parte  il 
dettaglio  dei  vari  negoziati,  a  cui  lo  scrittore  si  trovò  in  mezzo  e 
di  cui  fu  l'anima,  rivela,  con  molta  chiarezza  e  precisione,  la 
somma  tolleranza  e  destrezza  politica  di  questo  diplomatico  pon- 
tificio, degno  di  essere  conosciuto  in  tutto  il  suo  valore. 

Messo  alla  prova  dal  temporeggiare  del  Duca,  dagli  infingi- 
menti degli  Spagnoli  e  dalle  avventatezze  dei  Francesi,  egli  si 
comporta  sempre  con  mirabile  correttezza  di  modi  :  previene  i 
colpi  delle  astuzie  cortigiane  con  abilità  e  prontezza,  al  bisogno 
si  fa  valere  con  dignità  e  nei  casi  disperati  s'impone,  sempre  si- 
curo del  fatto  suo. 

Per  questo  rapporto,  non  meno  che  per  la  geniale  narrazione 
di  ogni  più  particolare  incidente  delle  lunghe  e  intricale  trattative 
che  precedettero  il  concordato  di  Lione,  ritengo  di  grande  inte- 
resse per  la  storia  la  pubblicazione  di  questa  Legazione. 

Premesse  le  generalità,  vengo  a  dare  una  rapida  e  sommaria 
indicazione  della  Relazione^,  perchè  si  veda  l'ordine  della  narra- 
tiva e  risaltino  le  cose  ivi  discorse  con  acume  di  osservazione 
dal  valente  politico  italiano  in  un  affare  che  fu  di  tanto  momento 
per  la  penisola  e  per  l'Europa. 

Precede  una  lettera  del  Cardinale  Aldobrandino  al  signor 
Omero  Tortora,  scrittore  della  Storia  Universale  di  Francia,  dove 
si  scusa  del  ritardo  da  lui  messo  a  fargli  vedere  i  «  Registri  et 
altre  scritture  della  sua  lec^atione   di    Francia  ».  Ciò    fu    cagione 


324  L.    FUMI 

che  quell'autore  scrivesse  la  sua  Storia,  dicendo  «  poco,  e  quello 
non  in  tutto  aggiustato  col  fatto  ».  Ma  quel  libro  se  era  slato 
stampato,  non  però  era  pubblicato  (1);  e  però  egli  vedendo  i  Re- 
gistri del  Cardinale,  aggiunse  molte  cose  e  altre  variò,  mutando 
e   ristampando    gli    ultimi    fogli.   «   Il   che   Be   bene   aggiustò   quel 

poco ,  non  è  che  sia  la  cosa    mollo  mozza  e  manchevole  ».    A 

facilitare  la  ristampa  di  quell'opera  (2),  il  Cardinale  si  indusse  a 
fare  «   un   racconto,  overo   una    minuta    narrativa    di    tutto   quello 

che  successe  in  quella  Legatione e  gli  manda  il  netto,  intiero, 

minuto  e  verissimo  con  le  cause  che  di  ciò  s'andava  operando  ». 

La  narrativa  è  scritta  19  anni  dopo  l'avvenimento  nel  ponti- 
ficato di  Paolo  V.  Muove  dalle  prime  origini  della  conlesa  fra 
Savoia  e  Francia.  Celebra  Clemente  Vili,  che  animato  da  uno 
spirilo  retto,  e  infervoralo  della  pace  e  dello  zelo  per  la  estirpa- 
zione delle  eresie,  assolse  a  tal  fine  dalle  censure  Enrico  IV  e  si 
adoprò  alla  pace  fra  lui  e  Filippo  II  di  Spagna,  conclusa  col  trat- 
tato di  Vervins  nel  1598.  In  essa  non  venne  fatto  di  poter  com- 
prendere il  duca  di  Savoia,  «  come  colui  che  haveva  portato  l'armi 
contro  Henrico,  nel  tempo  dell'  interregno  e  della  turbolenza  di 
Francia,  e  con  titolo  di  aderire  alla  lega,  si  era  internato  nella 
Provenza  et  occupato  alcune  piazze  in  quella  provincia  e  nei  con- 
fini del  suo  Stato,  ma  più  d'ogni  altra  cosa  lo  havevano  in  quelle 
guerre  tenuto  interessalo  l'haver  egli  negli  ultimi  anni  di  Hen- 
rico III  occupato  il  Marchesato  di  Saluzzo  che  all'hora  dal  re  di 
Francia  pacificamente  si  possedeva   ». 

Non  fu  possibile  l'accordo  per  la  restituzione  di  Saluzzo.  Il 
duca  di  Savoia  diceva  averlo  ricuperato  di  diritto,  come  feudo  ri- 
cadutogli per  esenzione  della  linea  legittima  di  quei  marchesi  : 
Francia  allegava  il  pacifico  possesso  di  molti  anni.  Qui  il  Cardi- 
nale espone  minutamente  le  pretese  della  Francia  e  il  diritto  di 
Savoia,  e  rifa  la  storia  del  Marchesato  a  partire  dal  1210  per  la 
recognizione  in  feudo  fatta  da  una  Adelaide  contessa  di  Piemonte 


(1)  Tortora.  Omer,o,  Historia  di  Francia  di  Homero  Tortona  da  Pesaro,  divisa  in 
libri  ventidue,  nella  quale  si  contengono  le  cose  avvenute  sotto  Francesco  Secondo, 
Carlo  Nono,  Enrico  Terzo  ed  Enrico  Quarto  —  Venezia,  Gio.  Batta  Ciotti,  1619,  voi.  3  in  4o. 

(2)  Sebbene  di  quest'opera  vi  abbiano  esemplari  stampati  a  Venezia  dal  Ciotti 
coiranno  1719,  tuttavia  sono  la  stessa  edizione  sopra  ricordata. 

Perciò  la  Relazione  presente  del  cardinale  Aldobrandino  rimane  sempre  docu- 
mento nuovo,  degno  di  essere  studiato. 


IL   CARDINALE   ALDOIìRANIUNI   E    IL   TRATTATO    DI    LIUNE  325 

a  favore  di  Guiccione  Delfino  di  Vienna,  zio  di  lei,  e  proseguendo 
nel  121G,  quando  Tommaso  di  Savoia  rilascia  alla  medesima  una 
quietanza  d'ogni  sua  pretensione;  onde  i  Francesi  deducevano 
«  che  i  Conti  di  Savoia  non  bevessero  che  fare  nel  Marchesato 
o  che  per  questo  atto  vi  havessero  renuncialo  ».  Si  allegava  un 
atto  del  1290  e  successivamente  altri  alti  del  1295,  del  Ì'M'Ò,  del 
1354,  e  del  1390  a  favore  del  Delfino,  fino  a  Lodovico  Marchese 
di  Saluzzo  che  si  soggettò  a  Carlo  Vili.  Savoia  per  contrario  co- 
minciava a  portare  la  ragione  del  trattato  di  Vervins  che  lasciava 
un  anno  di  tempo  a  terminare  le  questioni  e  frattanto  le  cose  do- 
vessero rimaner  nello  stato  quo.  Dicevasi  non  essere  stata  spogliata 
Casa  Savoia  del  Marchesato  se  non  nel  1490;  doversi  non  dividere 
il  possesso  dal  dominio  in  diritto;  farsi  luogo  alla  ragione  col- 
l'esame  delle  scritture  che  cominciano  dal  11G9  con  un  lodo  di 
Bonifazio  Marchese  di  Monferrato,  per  il  quale  il  conte  Amedeo 
di  Savoia  dà  in  feudo  perpetuo  a  Manfredo  Marchese  di  Saluzzo 
lutto  il  Marchesato  per  60,000  fiorini  d'oro  e  quattro  terre  in  Pie- 
monte, e  continuano  con  alti  del  1363,  1364,  1365,  1372,  1375, 
1390  fino  al  1490,  ecc. 

Qui  si  riportano  le  allegazioni  di  diritto  da  ambe  le  parti  e 
le  contestazioni  reciproche. 

ft  L'uno  e  l'altro,  al  mio  credere,  dice  il  Cardinale,  abbrac- 
ciavano volontieri  la  strada  del  giuditio  ;  poiché  le  loro  ragioni 
facevano  apparire,  che  i  Marchesi  di  Saluzzo  riconoscessero  per 
supremi  signori  quando  i  Delfini  di  Vienna  e  Re  di  Francia,  e 
quando  i  Conti  e  Casa  Savoia,  secondo  che  la  forza  e  la  necessità  li 
costringeva  per  andarsi  mantenendo.  Colali  sono  i  fondamenti,  per 
lo  più,  de'  principati,  i  quali  se  dalla  maggior  parte  si  andassero 
scuoprendo,  si  trovarebbero  più  deboli  e  più  fiacchi  che  altri  non 
si  creda  ;  ma  il  tempo  e  la  forza  il  tutto  ricuopre  ». 

Fu  prorogato  il  compromesso  di  Vervins  di  4  mesi.  Al  Papa 
sembrò  troppo  breve,  e  ne  chiese  una  proroga  più  lunga.  Questa 
domanda  del  Papa  insospettì  il  He  contro  il  Duca  e  gli  Spagnoli; 
di  che  il  Papa  si  scagionò,  senza  farne  persuaso  l'animo  di  En- 
rico, il  quale  propose  di  depositare  il  Marchesato  in  mano  del 
Papa.  La  proposta  allarmò  il  Duca  e  gli  fece  credere  che  fosse 
diretta  a  far  cadere  quello  Stato  nella  persona  del  nepote  e  nella 
casa  sua,  «  calunnia  uscita    dalla    solila    malignità   della    Corte  di 


326  L.    FUMI 

Roma,  dove  la  passione  et  invidia  massimamente  contro  un  Papa 
glorioso  fa  ritrovar  false  invenlioni  senza  haver  l'occhio  alla  ve- 
risimilitudine  ». 

Il  iiepote  sfata  questa  diceria  con  buone  ragioni. 

Intanto  il  Duca  prende  la  risoluzione  di  recarsi  personalmente 
in  Francia  dal  He,  e  la  ragione  della  sua  andata  (ce  lo  assicura 
il  Cardinale)  fu  appunto  quel  sospetto;  ma  non  tace  di  tutte  le 
dicerie  che  correvano  per  questa  gita,  non  ultima  quella  della 
congiura  del  maresciallo  di  Birone  contro  la  vita  del  Re;  a  pro- 
posilo della  quale  congiura  rammenta  tutto  quello  che  era  perve- 
nuto ai  suoi  orecchi.  Discorre  minutamente  intorno  alle  trattative 
intercedute  fra  il  Re  e  il  Duca  fino  alla  sottoscrizione  del  capito- 
lato di  Parigi  del  27  febbraio  1600,  col  quale  il  Duca  si  obbligava 
a  restituire  il  Marchesato  col  cambio  della  Bressa. 

«  Ma  partito  il  Duca,  non  si  tardò  molto  a  conoscere  eh' egli 
non  haveva  punto  di  voglia  di  eseguire  il  Capitolo,  et  a  dubitare 
dell'esito  della  cosa,  et  il  Nuntio  di  Savoia  prattico  dell' humore 
di  lui,  avvisò  il  Papa,  che  non  obstante  la  sottoscrittione  de'  Ca- 
pitoli et  ogni  solennità,  non  tenesse  la  cosa  per  sicura,  se  di  Spa- 
gna non  veniva  chiara  e  reiterata  commissione  di  eseguirla  ».  Do- 
menico Belli,  cancelliere  ducale^,  è  spedito  in  Ispagna,  sotto  co- 
lore di  iscusare  con  quel  Re  la  sua  gita  in  Francia,  di  dargli 
parte  del  negoziato  ecc.  ecc.,  ma  veramente  «  per  scusare  la  gita 
<jon  l'istanza  et  autorità  del  Papa,  et  con  gli  invili  di  Francia  et 
esortationi  del  Patriarca  che  biasimasse  l'uno  e  l'altro  dei  partiti, 
come  nocivi  non  meno  al  Duca  che  pericolosi  agli  interessi  del 
Re  di  Spagna;  e  che  l'haverli  promessi  e  sottoscritti  i  Capitoli 
oltre  le  strette  preghiere  e  comandamenti  del  Pontefice,  si  attri- 
buisse al  trovarsi  in  gran  pericolo  in  mezzo  le  forze  del  Re,  dalle 
quali  per  uscire  non  haveva  trovato  miglior  rimedio:  haver  sco- 
perto l'animo  del  Re  di  Francia  essere  di  muovere  l'armi  contro 
di  Sua  Maestà  et  in  particolare  in  Italia  ecc.  ecc.  ».  —  La  ri- 
sposta del  Re  di  Spagna  fu  che  se  il  Duca  «  non  giudicava  do- 
vere stare  all'accordato  in  Parigi,  il  Re  non  haverebbe  mancalo 
di  aiutarlo;  che  non  desse  occassione  al  Re  di  Francia  di  muo- 
vergli guerra,  anzi  usasse  nel  rimanente  seco  ogni  buon  termine; 
ma  quando  Henrico  l'havesse  assalito.  Sua  Maestà  Thaverebbe 
■difeso;  che  si  procurasse  col  Papa  che  ripigliasse   il   trattato  per 


IL   CARDINALE    ALDOUIIAXDIN'I    K    IL    TUATTATO    DI    LIONE  327 

moderalione  de'  parliti,  di  che  si  haverebbe  falli  fare  caldissimi 
officii  con  Sua  Sanlità   ». 

Difalli,  nel  lampo  slesso  che  rafforzava  lo  Stalo  di  Milano  e 
vi  inviava  il  Conte  di  Fuenles,  instò  presso  il  Papa  per  la  revi- 
sione del  trattato. 

11  Papa  se  ne  schermì  abilmente.  Intanto  decorreva  il  termine 
de'  Capitoli  senza  che  il  Duca  vi  desse  effetto,  e  passavano  an- 
che due  altri  mesi;  oltre  i  quali  il   He  si  determinò  alla  guerra. 

11  Cardinale  dà  qui  luogo  alla  seconda  parte  della  sua  storia, 
sebbene  non  abbia  partizione  apparente  di  alcuna  sorte.  Dice,  come 
il  Papa,  rammaricalo  all'annunzio  della  guerra,  perchè  non  si  sa- 
rebbe fermala  fra  i  monti,  a  né  rimasta  fra  gli  angusti  confini 
della  Savoia,  ma  haverebbe  bentosto  avvampata  l'Italia  e  tutta 
la  Cristianità  »,  adunò  il  Concistoro,  vi  espose  lo  stalo  delle  cose 
per  il  Marchesato  di  Saluzzo,  die  conto  di  quanto  egli  aveva  fallo 
per  impedire  la  guerra  e  del  suo  proposito  di  non  abbandonare 
il  negozio,  anzi  adoperarsi  con  più  calore  ad  ovviare  maggiori 
mali;  e  a  tal  fine  domandava  l'avviso  del  Sacro  Collegio.  Scrisse 
ai  due  Re  di  Francia  e  di  Spagna  e  al  Duca  di  Savoia;  e  qui  il 
Cardinale  dà  il  contenuto  di  ciascuna  lettera.  Commetteva  al  Nunzio 
di  Spagna  di  informare  minutamenle  il  Re  delle  pratiche  falle 
dal  Papa  in  lutto  questo  affare,  dei  pericoli,  a  cui  si  andava  in- 
contro con  la  guerra,  e  di  insistere  presso  il  Re  e  presso  il  Duca 
di  Lerma  per  la  pace.  Speciali  istruzioni  sono  date  ai  Nunzi  di 
Savoia  e  di  Francia  e  specialmente  al  Patriarca  Coslantinopolitano, 
proponendogli  un  convegno  in  un  luogo  terzo  per  venire  ad  un 
trattato  comune.  Il  Papa  mirava  ad  assicurare  gli  Spagnoli  del- 
l'animo del  Re  di  Francia,  «  che  non  volesse  turbar  le  cose  dopo 
la  restituzione  del  Marchesato  »  ;  mirava  ad  assicurare  i  Francesi 
dell'osservanza  di  ciò  che  loro  si  promelle. 

«  E  perchè  col  lasciar  la  prolezione  di  Ginevra,  il  Re  haverebbe 
permesso  che  l'armi  del  Duca  e  de'  Spagnoli  si  fussero  voltate  a 
quella  parte  »,  volle  il  Papa  che  dal  Patriarca  si  tentasse  anche 
questo.  Proponeva  di  più  che  il  Re  si  contentasse  del  Marchesato 
di  là  de'  monti,  senza  curarsi  di  Pinerolo  o  altra  piazza  di  qua, 
«  parendogli  che  ciò  dovesse  togliergli  a'  Spagnoli  ogni  sospetto  ». 
Chiedeva    intanto    la    sospensione    degli  armamenti:   e   perchè   la 


328  L.    FUMI 

guerra  si  faceva  sempre  più  vicina,  sì  per  i  progressi  dei  Fran- 
cesi, come  per  la  venula  del  Conte  di  Fuentes  e  de'  soldati  spa- 
gnoli in  Italia,  deputò  suo  negoziatore  principale  Erminio  Valenti, 
stalo  già  Segretaj*io  del  Cardinal  Aldobrandino,  con  incarico  di 
proporre  una  transazione  finale  fra  le  parti.  Di  questa  transazione- 
sono  tracciate  tutte  le  linee  principali,  tanto  per  la  missione  sua 
a  Milano  e  a  Torino,  quanto  e  più  specialmente  a  Parigi,  dove 
apprese  le  buone  disposizioni  di  Spagna,  minacciava  il  Cristianis- 
simo unire  le  forze  della  Chiesa  con  quelle  del  Cattolico  per  te- 
nere le  armi  lontane  dall'Italia  e  faceva  sentire  la  disposizione 
del  Papa  di  inviare  un  Cardinale  legato  a  latere,  «  cosi  per  ri- 
chiederlo l'importanza  della  cosa  verso  il  Papa,  come  per  dar  sod- 
disfatione  alli  Spagnoli  et  all'ambasciator  di  Savoia  che  ne  face- 
vano instanza,  in  maggior  pretesto  al  Re  di  Francia  di  poter  cessar 
da  Tarmi  con  sua  reputatione  ».  Riportiamo  i  passi  della  Rela- 
zione che  concernono  l'incarico  dato  a  questo  diplomatico  umbro  : 

11  Papa  Ma  non  contento  di  tutto  ciò  il  Poutefice,  vedendo  tuttavia  il  fuoco 

spedisce  Er- 
minio   Va-    più  accendersi,  e  forse  mag-g-iore  il  pericolo,  e  difficultarsi  il  rimedio,  si 

per  li  prog-ressi  de'  Francesi,  come  per  la  veuuta  del  Conte  di  Fueutes,. 
e  de'  soldati  spagnuoli  in  Italia,  si  risolse  pochi  giorui  appresso  di  man- 
dar a  trattar  questo  negotio  Ermiuio  Valenti.  Questi  haueudo  dal  pren- 
cipio  del  Pontificato  seruito  nella  Segretaria  del  Cardinal  Aldobrandino, 
era  da  lui  stato  tirato  al  primo  luogo  di  Segretario  di  Stato,  essendosi 
portato  auanti  nella  gratia  del  Padrone  con  la  fedeltà  e  diligenza  nel 
suo  ministero,  e  con  una  naturai  piaceuolezza  et  affabilità,  che  lo  ren- 
devano amabile  et  al  Superiore  et  alla  Corte  et  insieme  in  opinione  di 
singoiar  bontà  e  sincerità.  Onde  amandolo  il  Cardinale,  e  disegnando 
à  portarlo  à  maggior  grado,  come  fece,  haueudolo  poi,  a  suo  tempo, 
fatto  far  Cardinale,  pensò  d' incaminarlo  à  ciò  con  darli  occasione  di  es- 
sere adoperato  dal  zio  in  negotio  di  sì  importante  qualità,  e  nel  quale 
tanto  il  Pontefice  premeua. 

A  due  fiui  riguardaua  la  missione  del  Valenti,  à  mostrare  à  quei 
Preucipi  la  premura  del  Papa  grande  in  accommodare  queste  differenze^ 
e  stabilire  la  pace,  e  l'affetto  che  ui  haueua  dentro,  mentre  metteua 
mano  à  persona  tanto  confidente  e  tanto  necessaria  al  seruitio  per  la 
qualità  dell'officio  suo,  che  l'allontanarla  non  poteua  recare  se  non  di- 
sagio: l'altro  era  di  proporre  nuouo  partito  e  nuoua  negotiatione.  Fa- 
ceuasi  ciò  col  professare  il  Pontefice  di  voler  accommodare  il  negotio  af- 
fatto senza  che  ui  rimanesse  attacco  veruno,  che  potesse  per  tal  cagione 


lenti. 


IL    CARDINALE   ALDOHRANDINI   E    IL   TUATTA  IO    DI    LIONE  329 

turbar  mai  più  la  ChristianiUi.  Onde  voloua,  che  si  venisse  ad  vua  tran- 
satione  finale  senza,  che  ili  hauesse  à  rimaner  più  lite  ò  compromesso, 
o  nascere  altra  sentenza. 

Fu  commesso  dunque  al  Valenti  di  andar  prima  à  Milano  h  trattar    .    "  yalenti 

incaricato  d» 

col  Conte  di  Fuentes  quiui  di  poco  arriuato,  e  doppo  essersi  rallegrato  recarsi  a  Mi- 
seco  del  suo  arriuo  in  Italia  in  nome  del  Pontefice,  lo  persuadesse  a 
voler  essere  Ministro  di  pace,  non  solo  con  quelle  rat-ioni,  che  al  suo 
Rè  stauano  bene,  ma  per  la  partlcolar  consideratione  della  sua  persona, 
per  ciò  che  essendo  egli  soldato  vecchio,  e  di  molta  riputatione,  acqui- 
stata col  suo  valore  e  con  diuersi  felici  successi,  non  doueua  facilmente 
cimentarsi  à  nuove  imprese,  et  arrischiar  ad  vn  bora  ciò  che  con  tante 
fatiche  e  tempo  procurato  s'hauea,  potendosi  far  glorioso  ancora  con  la 
pace  in  quell'età,  meritando  molto  appresso  la  Christianità  per  liuuerla 
quietata  in  tempo  di  tanto  pericolo. 

Douea  darle  conto  di  tutto  il  successo  del  negotio  e  della  necessità, 
nella  quale  il  Duca  si  era  posto  di  restituire  il  Marchesato  per  le  tante 
promesse  di  ciò  fatte;  onde  in  far  che  il  Conte  principalmente  appro- 
uasse  la  restitutione,  douea  premere  prima  d'  ogn'  altra  cosa;  ma  ciò  fatto, 
insinuar  poi,  che  egli  proporrebbe  al  Rè  di  Francia,  che  si  contentasse 
di  ripigliar  tutta  la  ricompensa  di  là  da'  Monti,  credendo  il  Papa,  che 
ciò  piacesse  molto  al  Rè  di  Spagna  et  à  suoi  Ministri,  tog'lieudo  via  i 
sospetti  concepiti,  ma  perchè  non  era  sicuro  che  il  Rè  di  Francia  ha- 
uesse  abbracciato  vn  tal  partito,  bisognaua  star  saldo  nel  proposito  di 
restituir  il  Marchesato  per  finir  la  guerra.  E  per  ciò  fare  ui  era  di  me- 
stieri, che  il  Conte  non  imbarcasse  il  Duca  con  le  speranze  di  g-randi 
aiuti  e  nuòue  imprese  e  progressi  di  guerra,  al  che  egli  era  pur  troppo 
inclinato,  per  ciò  che  imbarcato  nelle  sopra  dette  cose,  si  renderebbe  dif- 
ficile à  lasciarsi  gouernare  et  ad  esseguire  ciò  che  si  negotiasse.  Era 
insieme  necessario,  che  Sua  Eccellentia  si  contenesse  à  non  far  atti 
hostili  contro  il  Rè  di  Francia,  e  non  lo  prouocare,  nò  desse  occasione 
à  rottura  maggiore  anche  con  la  Corona  di  Spagna,  ma  andando  in  ciò 
trattenuto,  desse  luogo  alla  negotiatione. 

Spedito  dal  Conte  di  Fuentes,  doueua  andare  dal  Duca  di  Savoia,  e     l'  medesimo 

incaricato  di 

seco  trattar  solo  di  fare,  che  restituisse  il  Marchesato  liberamente  e  di  recarsi  in 
maniera,  che  più  dì  questo  parlar  non  si  dotiesse,  facendogli  di  ciò  le 
promesse  rinouare,  e  per  scrittura,  non  uolendo  il  Pontefice,  che  se  li 
desse  speranza  di  nuovi  partiti,  ma  si  stesse  stretto  à  quello  della  resti- 
tutione. Voleua  bene,  che  fatto  tutto  ciò  si  lasciasse  intendere,  quasi 
come  per  cosa  di  veruna  speranza,  che  se  li  venisse  fatto,  non  lascia- 
rebbe  di  parlare  al  Rè,  anche  del  cambio  di  là  da'  Monti,  ma  che  non 
si  uoleva  in  ciò  ingolfare,  hauendola   per  cosa  irriuscibile,   ma   che   per 


330  L.    FUMI 

og-ui  caso  che  potesse  occorrere  dì  haver  à  trattar  di  ciò,  Sua  Altezza  si 
disponesse  à  dar  cambio  vantag-gioso,    talmente   che  potesse   persuadere 
al  Rè  di  torlo,  e  finire  la  g'uerra,  tanto  più  essendo  vn    tal  partito   per 
og-ni  rispetto  al  Duca  molto  coramodo  et  vtile. 
a  i^^Yaièntì  ^^^  *^^*^  l'arte  e  tutta  la  forza  della  sua  neg-otiatione  si  douea  porre 

Si^^Francia^^  in  opra  col  Rè  di  Francia  per  persuaderlo  à  ritirarsi  dall'armi  con  ho- 
neste  conditioui,  come  che  n'era  maggior  bisog-uo,  e  perciò  con  la  let- 
tera, che  accompagnava  il  Valenti,  g'ii  diceva  il  Papa,  che  non  si  mera- 
uigliasse  Sua  Maestà,  se  og-ni  g-iorno  hauerebbe  lettere,  o  Messi,  ò  huo- 
mini  espressi  da  lui  fin  tanto,  che  quel  nuouo  fuoco  non  si  esting-uesse, 
non  potendo  se  non  uiuere  tra  tanto  in  continuo  tormento  per  li  mali, 
che  alla  Christianità  soprastauano.  Per  ciò  le  mandaua  non  pure  il  più 
intimo  Seg-retario,  ma  vno  de  più  confidentie  e  fedeli  seruitori  che  ha- 
uesse,  che  era  cousapeuole  di  tutto  l'animo  suo,  et  acciò  la  Maestà  Sua 
potesse  non  solo  saper  da  lui  og-ni  suo  pensiero,  ma  aprirsi  seco  libera- 
mente. 

Con  tale  introduttione  doueua  il  Valenti  insinuarsi  col  Rè,  e  procu- 
rar di  persuaderlo  che  haueudo  eg-li  fatto  dire  al  Papa,  che  non  faceua 
la  g-uerra  se  non  per  forza,  che  rihauendo  il  suo,  e  saluando  la  riputa- 
tione  cessarebbe  volentieri  da  essa.  Sua  Santità  g-li  mandaua  vn  partito 
nuouo,  vtile,  di  riputatione,  e  sicuro  ad  esseguirsi,  et  era  la  ricompensa 
tutta  di  là  da'  Monti  per  uia  di  vna  transattione  generale  di  non  hauer 
più  à  disputare  né  in  possessorio,  né  in  petitorio.  Che  facendosi  per 
questo  capo  con  1'  autorità  del  Papa  si  poteva  dire  cosa  nuova,  non  es- 
sendosi più  in  vna  tal  forma  trattato.  Sarebbe  stato  vtile,  perchè  la  ricom- 
pensa sarebbe  stata  molto  maggiore,  aggiungendosi  a  ciò,  che  fu  capi- 
tolato in  Parigi  quello  che  si  douesse  dare  di  più  in  cambio  di  Pinarolo. 
Il  che  farebbe  scemare  la  necessità  de'  presidij  e  con  essi  la  spesa,  es- 
sendo le  piazze,  che  le  toccassero,  come  incorporate  col  resto  del  suo 
Regno.  La  reputatioue  sarebbe  totalmente  salva,  anzi  si  accrescerebbe, 
poi  che  pigliandosi  dal  Rè  la  ricompensa  per  il  possesso  e  per  il  dominio, 
e  pigliandosi  assoluta,  ciò  non  uoleva  dir  altro,  che  haver  hauuta  la  sen- 
tenza in  favore,  senza  che  la  mossa  dell'  armi  hauesse  tutto  intorno  à 
tal  punto  ciò  assicurato.  La  sicurezza  dell 'essecuzione  dipendeua  in  gran 
parte  dal  far  tutto  con  sodisfattione  del  Rè  di  Spagna,  il  quale  non  si 
doueua  lasciare  di  chiamare  in  tal  negotatione  per  i  grandi  interessi, 
che  ui  haueua  fatto  in  quella  di  Parigi.  L'esito  haver  mostrato  che  non 
haueua  fatto  bene. 

A  questi  punti,  et  al  filo  della  sua  negotiatione  doueua  il  Valenti 
aggiungere  le  preghiere  del  Pontefice,  e  la  rappresentatione  del  suo  tra- 
uaglio  e  del  suo  ardente  desiderio,  et  il  fine  di  quietare,  e  far  bene  a  Sua 


1 


IL   CARDINALE    ALI»OBUAXI>INI    E   IL   TRATTATO    I»I   LIOXE  331 

Maest;\,  et  anche  ;V  tutta  la  Fraucia;  e  eoa  quest'occasione  uoleua,  che 
le  facesse  vn  discorso  di  (juanto  per  quel  Refluo  e  per  Sua  Maestà  la 
pace  fusse  necessaria. 

Gli  fu  commesso  che  tutto  trattasse  di  concerto  col  Patriarca  et  uni- 
tamente seco,  come  piìi  prattico  delle  persone  e  de  g'I'  humori  di  essi, 
e  che  in  tutto  si  ualesse  di  lui,  che  douea  rimanere  al  resto  del  filo  del 
negotio,  non  essendo  la  sua  gita,  che  per  portare  al  Rè  l'affetto  del  Papa, 
mediante  vna  persona  cosi  intrinseca  e  confidente,  a  far  le  sue  proposte, 
et  incominciar  il  trattato  e  tornarsene. 

Al  fine  aggiunse  il  Papa,  che  potendo  essere  che  si  risolvesse  à 
inandare  vn  Cardinale  con  vna  legatioue  solenne,  parendo  che  la  qua- 
lità del  negotio  il  richiedesse,  scuoprisse  paese  col  Rè  e  con  gli  altri 
personaggi  nel  negotio  interessati,  come  tal  risolutione  sarebbe  sentita, 
et  anco  come  la  sentirebbono  i  Nuntij  medesimi  del  Pontefice,  solendo 
auuenire,  che  parendo  loro,  che  di  questa  maniera  si  tolga  il  negotio  di 
mano  di  essi,  et  il  frutto  delle  fatiche  fatte  e  la  gloria  della  buona  riu- 
scita, coir  attrauersare  il  Legato  et  la  sua  uegotiatioue,  antepongono  la 
propria  passione  al  publico  seruitio. 

Ma  perchè  «  la  negoliatione  del  Patriarca,  che  sempre  era 
stata  viva,  andava  languendo,  facendosi  le  pretensioni  maggiori 
et  il  trattar  più  duro,  quella  del  Valenti  non  hehbe  miglior  for- 
tuna ».  —  L'abilità  del  Sessa  e  dell'ambasciatore  di  Savoia  era 
tale  che  il  Papa  soleva  dire:  «  In  cambio  di  far  la  guerra  al  Re 
di  Francia,  la  facevano  a  lui  con  le  continue  molestie  ». 

La  narrazione  procede  con  riferire  il  modo  onde  venne  sug- 
gerita al  Papa  la  scelta  del  nepote  Aldobrandino.  La  legazione  si 
mostrava  oUremodo  difficile,  dopo  le  dichiarazioni  di  Enrico  IV 
di  non  volere  sospendere  le  armi,  né  parlar  di  tregua  o  di  altro 
partilo.  Il  che  fa  esclamare  il  Cardinale  Aldobrandino  :  «  Così  la 
felicità  delle  vittorie  mula  la  volontà  dei  Principi  e  difficulta  i  trat- 
tati ».  Agevolò  la  via  la  richiesta  falla  dal  Re  al  Papa  della  per- 
sona di  lui  per  benedire  e  solennizzare  le  regali  nozze  con  Maria 
de'  Medici  in  Firenze.  Premessi  gli  avvisi  ai  Principi,  il  Cardi- 
nale, con  un  accompagnamento  di  più  di  mille  persone,  si  parti  di 
Roma  il  2G  settembre  1600,  diretto  alla  sua  prima  legazione,  «  dove 
seppe  valersi  dell'autorità  sua  non  a  pompa  della  propria  persona, 
ma  per  far  risplendere  più  chiaramente  la  maestà  ed  il  decoro 
Ecclesiastico  ». 


332  L.    FUMI 

Pochi  giorni  si  trattenne  dopo  le  nozze,  «  chiamandolo  altrove 
il  negozio  che  andava  sempre,  per  i  progressi  dei  Francesi,  peggio- 
rando ».  Ritenne  un  numero  limitato  del  seguito,  di  cui  fa  tulli  i  nomi. 

Partì  per  Milano.  Conferi  il  18  ottobre  -a  Stradella  col  Conte 
di  Fuentes  ;  e  a  cagion  della  stanza  angusta,  di  lì  si  recarono  a 
Voghera. 

a  Due  disegni  haveva  il  Legato  per  se  medesimo:  il  primo  di 
far  la  pace  per  servilio  pubblico  e  reputazione  del  Papa  e  propria, 
in  ogni  modo  non  si  curando  che  costasse  più  ad  una  parte  che 
all'altra.  Il  secondo  era  di  finire  ogni  cosa  di  sorte,  che  togliesse 
affatto  di  briga  il  Zio,  non  volendo  che  gli  rimanesse  più  il  tra- 
vaglio del  deposilo  o  del  giuditio,  se  fusse  possibile;  nel  rima- 
nente sempre  che  havesse  potuto  giovare  alle  parli  e  far  loro 
piacere,  l'averebbe  volentieri  fatto  ». 

Non  vi  erano  che  due  partili  :  la  restituzione  libera  del  Mar- 
chesato e  la  ricompensa  di  là  da'  monti.  Il  secondo  partito  aveva 
tre  difficoltà  molto  grandi  :  1.°  il  cambio  di  Pinerolo,  a  tenore  del 
trattato  di  Parigi  ;  2.°  la  cessione  di  Contale,  De  Monte,  Rocca 
Sparviere  e  Castel  Delfino,  che  dava  ai  Francesi  un  piede  in  Pie- 
monte, senza  il  Marchesato  ;  3.°  il  dubbio  che  il  Re  si  contentasse 
di  un  cambio  proporzionato,  nello  stalo  in  cui  erano  allora  le  cose 
in  Savoia.  Chiese  liberamente  l'opinione  del  Conte  intorno  alla 
questione  del  cambio  e  fin  dove  voleva  e  poteva  arrivare.  Ma  il 
Conte  e  su  questo  e  sulla  restituzione  non  osava  pronunciarsi  da 
solo.  Lasciava  travedere  il  suo  desiderio  per  commettere  il  depo- 
silo al  Papa  col  giudizio  in  capo  a  tre  anni.  «  E  qui  si  conobbe 
(dice  il  Legato)  che  la  durezza  di  restituire  il  Marchesato  non  era 
solo  del  Duca  di  Savoia,  ma  insieme  de'  Spagnoli,  quali  havereb- 
bero  voluto  avanzar  tempo  e  valersi  della  autorità  del  Pontefice  ». 

Convennero  insieme  di  abboccarsi  col  Duca,  «  persuadendosi 
di  poterne  cavar  utile  non  poco  intorno  alla  sicurezza  dell'  esse- 
cutione  di  ciò  che  si  appuntasse,  togliendosi  di  questa  maniera 
a'  Spagnoli  et  al  Duca  il  rifugio  di  scusarsi  un  sopra  l'altro,  né  po- 
tendo negare  di  esseguire  quel  che  insieme  havessero  promesso  ». 
L'indomani  a  Tortona  ebbe  luogo  l'abboccamento.  Il  Duca  insieme 
col  Fuentes  e  col  Ministro  di  Spagna  tendevano  coi  loro  discorsi 
a  piegare  il  Legato  ad  una  lega  fra  il  Pontefice,  Spagna,  Venezia, 
Savoia  e  altri  potentati    d'  Italia,  o  a  depositare  il  Marchesato  in 


IL    CARDINALE   ALDOUUAXDIXI    K   IL   TRATTATO    DI    LIONK  333 

man  rlel  Papa  per  Ire  anni,  o  il  Papa  sentenziasse;  e  il  compenso 
riguardare  tulio  il  territorio  di  là  de'  Monti,  sostituito  a  Pinerolo 
il  bialiaggio  di  Gex.  Se  non  si  potesse  far  la  lega,  il  Pupa  pro- 
mettesse al  Re  di  Spagna  di  prendere  l'armi  e  unirsi  seco  contro 
i  Francesi,  in  caso  che  col  Marchesato  infestassero  il  Duca  overo 
tentassero  novità  in  Italia   ». 

Il  Legato  si  sentì  pungere  di  rimprovero,  come  se  il  Papa 
avesse  volte  le  armi  di  Fiandra  e  portatele  in  Italia,  «  e  che  cam- 
minasse con  troppo  rispetto  verso  i  Francesi  ».  Schivò  egli  il 
colpo  con  destrezza,  dimostrando  con  quanto  zelo  il  Papa  si  fosse 
adoperalo  per  la  pace  generale  e  a  vantaggio  di  Spagna  :  l'unione 
col  Re  cattolico  non  era  cosa  da  trattarsi  col  Re  di  Francia,  come 
il  negozio  della  pace,  per  la  quale  era  stato  inviato  ;  ma  piuttosto 
da  agitarsi  fra  il  Papa  e  Spagna  :  intanto  della  pace  si  parlasse 
e  non  di  altro  :  per  la  lega  esservi  sempre  tempo,  desiderando, 
il  Papa  di  star  sempre  unito  col  Re  Cattolico,  come  fin  dal  prin- 
cipio del  Pontificalo  lo  era  stalo,  dopo  la  lega  di  Francia  e  la 
guerra  di  Ferrara. 

(Juesto  primo  congresso  non  approdò  a  nulla  :  anzi  finì,  dopo 
che  si  fu  ritirato  il  Legalo,  con  un  po'  di  bisticcio  fra  il  Duca  e 
il  Conte.  Il  Duca  non  avrebbe  voluto  parlare  di  restituzione,  se 
non  dietro  ordine  scritto  a  nome  del  Re  di  Spagna  :  il  Conte  non 
ne  volle  sapere,  per  non  fare  della  persona  del  Re  il  protagonista 
del  dramma. 

Di  poi  anche  il  Legato  si  unì  nella  idea  del  Fuenles.  Per  non 
disgustare  interamente  il  Duca,  si  venne  alla  conclusione  di  fargli 
scrivere  dal  ministro  di  Spagna,  che  sua  maestà  approverebbe 
sempre  la  restituzione,  e  di  fare  scrivere  una  dichiarazione  al  Duca 
pei''  cedere  Saluzzo,  ad  intuito  del  Papa,  quando  dal  canto  di 
Francia  si  venisse  alla  restituzione  delle  terre  ducali.  Questi  due 
atti  sono  del  25  ottobre. 

Stabilito  così  il  punto  della  restituzione,  si  venne  a  quello 
della  ricompensa.  Il  Legato  promise  di  fare  ogni  sforzo  per  con- 
chiudere più  col  cambio  che  con  la  restituzione,  «  havendo  in  ciò 
premuto  gli  Spagnoli  »  ;  e  si  fece  promettere  dal  Duca,  il  quale 
in  cambio  di  Pinerolo  non  aveva  offerto  se  non  il  Baliaggio  di 
Gex  posseduto  da  Ginevra,  che  avrebbe  pensato  a  qualche  altra 
cosa  di  cui  si  parlerebbe  a  Torino. 


334  L.    FUMI 

L' importanza  di  questo  congresso  di  Tortona  ci  appare  in 
questa  Relazione  assai  maggiore  di  quella  che  per  la  storia  fin 
qui  si  sappia.  Il  Cardinale  minacciò  di  non  voler  proseguire  più 
oltre  il  suo  viaggio,  se  quivi  non  si  gettassero  le  fondamenta  so- 
lide della  pace.  Il  Duca  che  fino  allora  aveva  ondeggiato  nella 
indecisione,  partì  poco  soddisfatto  per  Torino.  L'abboccamento  di 
Tortona  dimostrò  (dice  il  Legato)  «  quanto  poco  fondamento  si  fusse 
possuto  fare  nelle  promesse  di  esso  prima  seguite,  e  quanto  fusse 
stato  necessario  per  incamminar  bene  questa  negotiatione  ». 

Date  le  notizie  del  ritrovo  di  Torino,  della  guerra,  del  viag- 
gio fino  a  Chambéry,  delle  accoglienze  ricevute  dal  Re,  passa  a 
dire  delle  trattative  primamente  intercedute,  nelle  quali,  messo  da 
parte  il  trattato  di  Parigi,  esclusa  la  tregua,  furono  invitali  i  De- 
•putati  di  Savoia  all'unico  scopo  di  negoziare  la  pace.  Essi  furono 
il  signor  Di  Salisme  presidente  della  Camera  (Alimes)  e  France- 
sco Arconati.  Da  parte  del  Re,  Sillery  (Brulard)  e  Jeannin. 

Ai  30  decembre  posto  mano  al  trattato,  si  agitò  del  compenso: 
«  ma  le  offerte  delli  Savoiardi  furono  così  basse  e  poco  propor- 
zionate all'  ingordigia  de'  Francesi,  che  operorono  poco  buono  ef- 
fetto. Offerirono  solamente  la  Bressa  Alta  e  Bassa  fino  alla  Ri- 
viera di  Enne,  purché  si  desse  e  promettesse  il  passo  per  la  gente 
di  guerra  al  Re  di  Spagna,  per  andare  e  tornare  in  Fiandra  e 
contado  di  Borgogna:  offerirono  di  più  il  Baliaggio  di  Cesse,  la 
Volle  di  Barcellonetta  interamente  e  quella  di  Stura,  e  con  questo, 
con  rimanere  al  Duca  Pinarolo  et  oltre  al  Marchesato  di  Saluzzo, 
Centale,  Demonte,  Castel  Delfino  e  Rocca  Sparviera;  ma  perchè 
queste  cose  erano  le  medesime  tante  volte  offerte  e  ricusate,  molto 
presto  li  deputati  di  Francia  mostrorono  che  non  gradiva  loro  tale 
offerta  ».  I  Francesi  poi  erano  eccessivi  nelle  loro  pretese:  libero 
il  Marchesato  e  come  si  trovava  quando  l'occupò  il  Duca  con  tutte 
le  munizioni  e  i  forti,  durante  il  tempo  che  fu  in  suo  potere;  le 
spese  di  guerra:  la  risoluzione  di  tutte  le  differenze  con  Casa  Sa- 
voia :  Momigliano  in  garanzia  :  non  voler  domandare  ricompensa 
né  curarsene,  ma  aspettare  un'offerta  accettabile. 

«  Andavano  li  deputati  di  Francia  con  molto  artificio,  et  oltre 
le  dimande  esorbitanti,  trattavano  con  superiorità  et  avantaggio... 
duri  nelle  loro  pretenzioni,  ma  nelle  scritture  che  davano,  pareva 


IL   CARDINALE    ALDOURAN'DIXI    E   IL   TU  AITATO    DI    LIONE  335 

che  accrescessero  sempre  qualche  circostanza  più  difficile,  per 
tirar  t,'li  altri  a  credere  che  per  questa  via  fusse  impo.^sibile  con- 
cludere la  pace  o  che  non  si  concluderebbe  senza  condizioni  svan- 
taggiose e  poco  honorevoli  per  loro...  Cosi  andò  un  pezzo  cami- 
nando  questo  trattato,  guidato  da'  Francesi  con  artificio  per  scoprir 
l'animo  della  parie  avversa,  più  che  per  dargli  fine,  riservandosi 
all'ultimo  di  cavar  fuori  le  loro  vere  pretenzioni,  per  volerle  a  viva 
forza  conseguire,  dandone  loro  le  nuove  felicità  tuttavia  occa- 
sione.... ».  Il  Legalo  si  accorgeva  delle  loro  arti  e  se  ne  ramuìa- 
ricava:  «  ma  poco  muoveva  né  i  padroni,  né  i  ministri   ». 

La  capitolazione  del  forte  di  S.  Caterina,  l'andata  del  He  a 
Lione,  seguito  dal  Legato,  la  solenne  entrata  in  quella  città,  la 
pompa  delle  nozze  reali,  il  ritorno  ai  negoziati  di  pace,  ma  in  con- 
dizioni sempre  più  sfavorevoli,  distruggendo  a  Lione  quanto  prima 
si  era  fatto  a  Chambéry  con  sempre  nuove  esigenze,  onde  si  vide 
al  punto  di  ripassare  le  Alpi,  sono  tutte  cose  raccontate  giorno 
per  giorno  con  la  diligenza  e  la  precisione  di  particolari  di  chi 
vi  ha  avuta  la  prima  parte. 

Finalmente,  scopertosi  il  Re  inclinato  al  cambio  di  Saluzzo,  nò 
i  Savoiardi  mostratisene  malcontenti,  lo  sforzo  del  Legato  fu  tutto 
in  migliorare  le  condizioni  di  questo  cambio,  che  dopo  lunghi  con- 
trasti fu  stabilito  nel  modo  ben  noto  per  le  storie. 

In  virtù  del  nuovo  accordo,  la  Savoia  doveva  restituirsi  al 
Duca  in  quel  modo  e  nelle  stesse  condizioni,  nelle  quali  i  Fran- 
cesi   nell'occuparla  l'avevano  trovata. 

Premeva  al  Legato  che  il  forte  di  S.  Caterina  non  si  sman- 
tellasse e  ne  aveva  molto  innanzi  già  tenuto  proposito  dopo  che 
il  Re  lo  aveva  occupato. 

Quel  forte,  demolito,  avrebbe  lasciato  più  facile  il  passo  ai 
calvinisti  di  Ginevra.  Ma  la  notte  stessa  di  quel  giorno  della  con- 
clusione del  trattato,  ecco  il  Re  ordinare  di  abbattere  il  forte  di 
S.  Caterina. 

Era  un  mancar  di  parola,  e  il  Legato,  adontatosene  fortemente, 
mandava  a  dirgli:  «  Che  egli  non  pure  non  credeva  di  essere 
obbligato  di  servar  la  sua  o  farla  servare  alli  Deputali  di  Savoia, 
ma  per  procedere  più  cavallerescamente  che  poteva,  havendo  ri- 
guardo più  al  suo  nascimento  et  alle  sue  qualità  che  al  merito 
del  caso,  levava  espressamente  la  parola  al  Re,    e   si    dichiarava 


33G  L.  Foii 

libero,  pretendendo  che  dalla  parie  di  Sua  Maestà  si  fusse  man- 
cato e  di  dover  ricevere  soddisfatione  ».  11  contegno  dignitoso  e 
autorevole  dell'  Aldobrandino  onora  altamente  il  carattere  della 
diplomazia  italiana,  ed  è  degno  di  essere  notato  in  tempi,  in  cui 
la  prudenza  politica  e  la  ragion  di  Stalo  sembrano  consigliare  una 
grande  moderazione  nel  risentimento  per  le  offese  al  decoro  na- 
zionale. Egli  pose  in  iscritto  le  sue  dichiarazioni,  non  contento 
di  avere  si  alto  levato  la  voce,  e  spedì  la  scrittura  al  Re.  Vivo  e 
presente  è  il  ricordo  che  il  Cardinale,  diciannove  anni  dopo,  fa 
di  questo  incidente,  dove  narra  come  ottenesse  la  dovuta  ripara- 
zione dai  Ministri  e  dal  Re  e  il  compenso  per  Casa  di  Savoia. 

Profittò  il  Legalo  di  questa  soddisfazione  per  stringere  i  panni 
agli  Ambasciatori  del  Duca.  Da  loro  ottenne  la  dichiarazione 
scritta  V8  gennaio  1601,  senza  della  quale  ben  si  vede  per  la  Be- 
lazione  del  Legato  come  la  pace  non  si  sarebbe  effettuata  mai  più; 
perchè  il  Duca,  che  scrisse  ai  suoi  Ambasciatori  di  non  più  sot- 
toscrivere i  Capitoli  della  pace,  certamente  era  entrato  in  nuove 
speranze  per  i  raggiri  degli  Spagnoli  e  per  le  mene  del  Mare- 
sciallo di  Biron. 

0  Ma  ricevuta  questa  lettera  da  loro,  se  ne  andarono  subito 
dal  Legato,  e  conferitogli  l'ordine  che  tenevano,  si  scusarono  di 
non  poter  sottoscrivere  i  Capitoli.  Il  Legato,  benché  spesso  s'in- 
fastidisse di  sì  spessi  accidenti  e  ne  prendesse  gran  travaglio; 
non  di  meno,  fatto  coraggio,  e  pensando  quanto  più  erano  spessi 
gli  accidenti  e  maggiori,  più  fusse  da  stringere  i  Deputati  a  sot- 
toscrivere, altrimenti  non  si  farebbe  mai  niente,  disse  loro:  Avver- 
tissero bene  quel  che  facevano;  che  il  negar  di  sottoscrivere, 
era  un  porre  il  mondo  sottosopra  e  tirare  una  colpa  grande  so- 
pra di  loro  medesimi  e  sopra  il  loro  padrone:  la  parola  era  già 
data  et  il  non  sottoscrivere  era  mancamento  che  si  faceva  non 
solo  ai  Francesi,  ma  a  lui  che  1'  haveva  data  per  loro  et  a  loro 
istanza  :  il  Re  se  ne  terrebbe  offeso  e  pensarebbe  che  fusse  un 
fargli  un  tiro  per  vendicarsi  dell'accidente  del  forte  di  S.  Cate- 
rina e  si  piccarebbe  di  sorte  che  non  farebbe  più  la  pace  :  e  sì 
come  si  erano  tutti  doluti  del  Re,  che,  dopo  la  parola  data,  ha- 
vesse  innovato,  così  si  potrebbe  ciascuno  doler  di  loro  e  del 
Duca,  che,  dopo    la    parola    data,    non    volesse    passare    innanzi. 


IL    CAUDIXAI.E    ALDOBKANDINI    E   IL   TRATTATO    I>I    MONE  337 

Quell'ordine  del  Duca  non  e^^ser  arrivato  a  tempo,  né  haver 
Irovalo  la  cosa  da  farsi,  ma  fatta;  onde  non  esser  da  osservare; 
perché  non  poteva  il  Duca,  quando  scrisse  quella  lettera,  sapere 
in  che  slato  il  Negozio  fusse  ;  né  ciò  voler  dir  altro,  senonchè 
non  facessero  la  pace,  quando  non  fusse  falla;  mentre  era  data 
la  parola:  che  la  scrittura  si  fa,  perchè  ne  rimanga  la  prova; 
ma  la  parola  conclude  i  negotii  :  e  pure  anche  la  scrittura  si  po- 
teva dar  falla,  poiché  era  stata  rivista  et  appuntata  e  slabilila  di 
comun  consenso  ». 

Concluse,  che  voleva  si  osservasse  la  parola  e  sottoscrives- 
sero i  Capitoli.  Ma  i  Deputati  ricusavano;  che  ne  andava  loro  la 
testa.  In  questo  contrasto,  pensarono  di  pigliar  il  parere  dell'Am- 
basciator  di  Spagna.  Piacque  al  Legato  che  mandò  il  Patriarca 
subilo  ad  informarlo;  ma  pregò  lutti  che  si  tenesse  la  cosa  segreta, 
dubitando  che  venendo  all'orecchie  del  Re,  s'insospettisse  e  non 
volesse  che  i  suoi  Deputati  sottoscrivessero. 

«  Arrivati  dall'Ambasciatore  i  Deputati  di  Savoia  e  trovatovi 
già  il  Patriarca,  dopo  haver  parlato  alquanto  con  l'Ambasciatore 
medesimo,  fecero  un  congresso  tutti  insieme,  e  si  dispulò  la  cosa 
lungamente;  et  i  Deputali  sfoderorno  gli  ordini  loro  per  poterli 
essaminare;  e  si  vidde  che  il  Duca  aveva  comandato  che  si  fa- 
cesse la  pace  e  si  sottoscrivesse  non  solo  prima  dell'accidente 
del  forte  di  S.  Caterina,  ma  dopo  ancora  ».    Così   l'Aldobrandino. 

Alle  esortazioni  del  Legato  si  aggiunse  il  parere  del  Tassi, 
e  gli  Ambasciatori  del  Duca  accettarono  dal  Cardinale  la  scrittura 
dell' li  gennaio  1601  e  firmarono  i  Capitoli. 

Con  che,  non  ha  termine  la  Relazione,  la  quale  si  diffonde 
ancora  lungamente  per  riportare  tutte  le  pratiche  fatte  per  tirare 
il  Duca  alla  ratifica  della  pace  entro  il  mese  prescritto.  Qui  il  Le- 
gato spiegò  una  meravigliosa  attività  e  un  fine  tatto  di  Diploma- 
tico provello;  poiché  riusci  a  stornare  i  Francesi  di  ritornare  alle 
armi,  quando  finito  il  primo  mese,  ottenne  la  proroga  di  un  altro 
e  più;  sollecitò  un  colloquio  col  Duca  e  col  Conte  di  Fuentes, 
spedì  e  rispedì  al  Nunzio  di  Spagna,  e  risolse  di  partire  per 
r  Italia  egli  stesso. 

Tutte  queste  pratiche,  di  una  difficoltà  somma,  non  sono  rac- 
contale dal  Bentivoglio,  e  quindi  non  sono  note  agli  storici.  Non 
slimo  di  doverle  riassumere    sulle  20  pagine    ultime   della  Rela- 

22 


338  L.    FUMI 

zione,  perchè  saranno  più  gradile  leggerle  a  stampa  insieme  e 
non  disgiunte  da  tutta  la  importante  scrittura.  La  quale  è  non 
solo  una  testimonianza  singolare  della  abilità  diplomatica  dell'Al- 
dobrandino, e  il  documento  fondamentale  della  storia  del  trattato 
di  Lione,  ma  altresì  un  nuovo  libro  per  la  letteratura  del  secolo 
XVI  e  dei  primi  del  XVI 1,  in  cui  la  chiarezza,  l'ordine  e  la  forma^ 
tuttoché  soverchiamente  prolissa,  danno  all'Aldobrandino  un  po- 
sto di  poco  inferiore  al  Bentivoglio. 

Dice  il  senatore  Carutti  :  «  Nelle  memorie  del  Cardinal  Ben- 
tivoglio i  discorsi  e  gli  uffici  del  Cardinale  Aldobrandini  con  Carlo 
Emanuele,  col  Conte  di  Fuentes  e  con  Enrico  IV  sono  diffusa- 
mente riportati....  Chi  ha  vaghezza  nell'arte  del  negoziare  e  vo- 
glia leggerli  intieri,  se  ne  diletterà  e  per  lo  stile  e  per  certa  ma- 
niera propria  dei  Nunzi  Romani  ». 

Che  se  dopo  questa  nuova  pubblicazione  Carlo  Emanuele  I 
ne  uscirà  in  opinione  al  disotto  a  quella  che  per  le  storie  si  ha 
di  lui,  non  per  questo  è  scemalo  il  vantaggio  che  venne  al  Pie- 
monte e  all'  Italia  dal  trattato  di  Lione,  di  cui  può  ormai  dirsi 
senza  dubbio  autore  il  Cardinale  Pietro  Aldobrandino. 

Orvieto,  20  maggio  1896. 

L.  Fumi. 


33*) 


SULLE    FONTI 


DEI 


FIORETTI     DI     S.    FRANCESCO 


Pochi  libri  son  cosi  universalmente  conosciuti  di  nome  come 
i  Fioretti  di  s.  Francesco  :  pure  pochi  anche  son  quelli  che  li 
abbiano  letti  interi.  1  più  si  fermano  a  frale  Lupo,  e  quelli  che 
hanno  il  senso  delle  cose  spirituali  tengono  il  segnale,  se  pos- 
siedono il  libro,  al  capitolo  della  perfetta  letizia.  Difalli  quelli  son 
due  capitoli  caralteristici  ;  perchè  l'uno  ci  dà  s.  Francesco  com'è 
vivo  nella  memoria  del  popolo,  l'altro,  com'era  inteso  e  ricordalo 
dai  suoi  più  fedeli  seguaci  :  ma  in  questi  due  capitoli  non  son 
tutti  i  Fioretti.  Leggendoli  ordinatamente,  altre  figure  ad  una  ad 
una  attirano  la  nostra  attenzione  per  alcuni  tratti  caratteristici, 
che  ce  le  danno  non  interamente  disegnale  e  colorile,  ma  vive. 
Sono  i  primi  compagni  di  lui,  quelli  che  ebbero  per  eccellenza  il 
nome  di  sodi:  frate  Bernardo  «  che  si  scalzò  primo  »  e  dette 
tutti  i  suoi  beni  ai  poveri  per  seguire  s.  Francesco,  e  di  lui  non 
si  dimentica  la  benedizione  che  ebbe  come  «  primogenito  »  dalla 
mano  destra  del  Padre  in  contrapposto  di  frate  Elia,  vicario  di 
lui,  ma  non  erede  del  suo  spirito.  Viene  poi  frate  Leone  «  pe- 
corella di  Dio  w,  che  ci  si  manifesta  in  tutta  la  sua  semplicità 
coi  due  colloqui  della  perfetta  letizia  e  del  novo  mattutino  degl'im- 
properi mutati  in  lodi.  Poi  frale  Masseo,  che  vediamo  ancora  come 
s.  Francesco  lo  fece  aggirare  intorno  più  volle  nel  Irebbio,  per 
sapere  quale  via  dovessero  prendere,  e  la  refezione  del  pane  ac- 
cattalo con  s.  Francesco  alla  mensa  della  pietra  così  bella  e  della 
fonte  così  chiara.   Poi  santa   Chiara  e  il  desinare  di  santa    Maria 


MO  G.    STADERINI 

degli  Angeli,  dove  la  prima  vivanda  fu  «  il  parlare  di  Dio  si  dol- 
cemente, sì  altamente,  sì  meravigliosamente,  che  tutti  furono  ra- 
piti in  Dio  ».  Altri  capitoli  parlano  direttamente  di  s.  Francesco, 
la  predica  agli  uccelli,  il  capitolo  delle  stuoie,  la  vigna  del  prete 
da  Rieti,  il  lupo  di  Gubbio,  le  tortore  selvatiche.  Poi  tornano, 
senz'ordine,  frate  Rufino  con  le  sue  tentazioni  e  ancora  gli  altri 
già  nominati,  e  frate  Egidio  col  colloquio  silenzioso  avuto  con 
s.  Luigi  re  di  Francia.  Vengono  poi  i  santi  delle  seguenti  genera- 
zioni :  sant'Antonio,  Corrado  da  Offida,  Giovanni  della  Penna,  Ia- 
copo della  Massa,  Giovanni  della  Verna  e  Iacopo  da  Fallerona  ; 
sant'Antonio  coi  suoi  stupendi  miracoli,  gli  altri  con  le  estasi  e 
le  visioni,  che  ci  fanno  qualche  volta  ricordare  esser  loro  con- 
temporanei di  Dante.  Finalmente  abbiamo  un'operetta  a  sé  :  «  le 
considerazioni  delle  sacre  sante  Istimate  di  s. "Francesco  »  e,  nelle 
edizioni  a  stampa  dopo  quella  del  Cesari,  la  vita  di  frate  Ginepro 
e  quella  di  frate  Egidio  con  la  sua  dottrina  e  i  suoi  detti. 

Lasciando  per  ora  i  vari  capitoli  inediti  o  recentemente  pub- 
blicati come  tali,  prendo  a  esaminare  questa  raccolta,  come  è  data 
da  quel  codice  Manelli,  la  cui  superiorità  su  tutti  gli  altri  è  stata 
giustamente  messa  in  luce  da  L.  Manzoni. 

Chi  legge  per  la  prima  volta  i  Fioretti  ne  riceve  un'  impres- 
sione indistinta  così  pura  e  soave,  che  si  stenta  a  forzar  la  mente 
all'analisi  :  pure,  poiché  si  tratta  di  fiori  di  varia  natura,  merita 
conto  fermarci  un  momento,  per  vedere  quali  son  quelli  veramente 
vivi,  onde  sentiamo  la  freschezza  e  il  profumo.  Vedremo  difatti 
che  un  esame  particolareggiato  di  questa  raccolta  ci  conduce  a 
studiare  e  riconoscere  il  pregio  di  alcune  tra  le  più  antiche  me- 
morie francescane,  e  che  d'altra  parte  il  valore  di  queste  più  vi- 
cine ai  fatti  che  narrano,  dà  a  certe  parti  di  questo  libro  pregiate 
finora  solo  per  la  loro  bellezza,  anche  un'autorità  storica  non  tra- 
scurabile. 

Ora  il  primo  desiderio  che  viene  a  una  persona  mediocre- 
mente colta  e  che  sappia  come  i  Fioretti  sono  una  traduzione,  è 
d'andar  a  vedere  l'originale.  Quale  fosse  quest'originale  s'è  molto 
cercato.  La  storia  di  queste  ricerche  fatta  già  dall'Alvisi  (1)  e  dal 


(1)  In  MoRANDi,  Antol.  critica,  ed.  8a,  pagine  300-2. 


SULLE    FONTI   DEI   FIORETTI  341 

Manzoni  (1)  riassinno  qui,  solo  accennandola,    nei    punii    più    es- 
senziali. 

Naluralmente,  quelli  che  più  degli  altri  avevano  uno  stitnolo 
o  solo  un'occasione  a  tali  ricerche,  e  nell'abbondanza  dei  mezzi, 
più  probabilità  di  scoperta,  erano  i  Francescani  ;  e  appunto  un 
Francescano,  il  Wadding  (2),  ò  il  primo  che  rovistando  i  tanti 
scritti  del  suo  ordine  indica  un  Floretum,  testo  latino  dei  Fio- 
retti ;  ma  per  un  pezzo  senz'eco.  L'Affò  (3)  riscontra  nei  Fioretti 
capitoli  fedelmente  tradotti  dalle  CrunacJie  dei  AXIV  Generali: 
gli  Accademici  della  Crusca  (4)  li  registrano  come  volgarizza- 
mento di  una  parte  delle  Conformitates  ^s•.  Francisci  di  fra  Bar- 
tolomeo degli  Albizzi  (che  invece,  come  fu  poi  notato,  è  poste- 
riore (5)).  Il  Barbieri  (0)  indica  lo  Speculum  vitae  b.  Francisci 
et  sociorum  eius.  L'Alvisi  nel  convento  di  s,  Isidoro  a  Roma 
trova  il  codice,  a  cui  alludeva  il  Wadding,  col  titolo  di  Actus 
s.  Francisci  et  sociorum  eius,  e  lo  segnala  agli  studiosi  come  testo 
latino  dei  Fioretti. 

Relazione  tra  i  «  Fioretti  »  e  gli  «  Actus  ». 

La  rispondenza  dei  Fioretti  agli  Actus  è  come  di  traduzione 
fedele  ad  originale  ;  ma  un  semplice  confronto  dei  due  indici  ci 
mostra  divergenze  che  non  si  possono  trascurare.  Perchè  negli 
Actus  di  s.  Isidoro  noi  abbiamo  diciassette  capitoli  che  non  han 
riscontro  nei  Fioretti  e  viceversa  otto  capitoli  di  questi,  oltre 
quasi  tutta  l'operetta  delle  Considerazioni  sulle  Stimmate,  non  han 
rispondenti  nel  testo  latino  di  quel  codice.  Sicché  non  possiamo 
dire  che  i  Fioretti,  quali  li  abbiamo  nel  cod.  Manelli,  derivino 
direttamente  dalla  raccolta  rappresentata  a  noi  dal  cod.  di  s.  Isi- 
doro :  piuttosto  da  una  simile,  dove,  con  la  libertà  usata  ordina- 
riamente   dai    raccoglitori    delle    memorie    Francescane,    come   di 


(1)  In  Misceli.  Frane,  1889,  voi.  Ili,  fase.  IV  e  seguenti. 

{2}  Script,  ord.  Min.,  pag.  179. 

(3)  Cantici  volgari  di  S.  Fr.,  Guastalla,  1777,  p.  CI. 

(-1)  Voc.,  Va  Impress.,  1843. 

(5)  \:  Opus  conformitatum  fu  presentato  al  capitolo  gcn.  dell'ordine  il  1399,  e 
vi  sono  codici  dei  Fioretti  anteriori;  per  esempio  il  codice  Manelli  (della  Nazionale  di 
Firenze,  Race,  palat..  E,  ">,  9,  84)  è  del  1396. 

(6;  Fioretti;  Parma,  18.V.),  p.  VII. 


342  G.    STADERINI 

esempi  a  scopo  d'edificazione,  erano  stali  probabilmente  aggiunti 
altri  capitoli,  gli  altri  capitoli  che  abbiam  notato  mancanti  nel 
cod.  di  s.  Isidoro  :  ed  è  notevole  che,  tranne  due  derivanti  da 
altre  fonti  più  antiche,  gli  altri  hanno  tutti  evidentemente  un'ori- 
gine locale,  essendo  lutti  di  cose  appartenenti  alla  provincia  della 
Marca.  Sicché  per  il  nostro  scopo  noi  possiamo  per  ora  metter 
da  parte  i  Fioretti  e  prendere  in  esame  direttamente  gli  Actus. 

Ricerca  delle  Fonti. 

Come  già  s'  è  detto  parlando  dei  Fioretti,  che  in  questa  parte 
corrispondono  perfettamente  agli  Actus,  noi  troviamo  prima  ca- 
pitoli riguardanti  non  s.  Francesco,  ma  alcuni  dei  primi  socii, 
Bernardo,  Leone,  Masseo,  Rufino,  Egidio,  e  inoltre  tre  capitoli 
che  parlano  di  santa  Chiara.  Ora  gli  stessi  capitoli  noi  troviamo 
in  un'altra  opera  assai  importante,  perchè  è  quasi  un'enciclopedia 
storica  dei  primi  due  secoli  dell'ordine,  che  porta  volgarmente  il 
nome  di  Cronache  dei  XXIV  Generali.  Senza  dubbio  esse  son 
posteriori  alla  compilazione  degli  Actus,  risultando  chiara  la  loro 
data  dall'ultimo  Generale  (1),  di  cui  danno  la  storia:  ma  questi 
racconti  riguardanti  i  primi  socii,  che  in  esse  sono  in  gruppi  re- 
cisamente staccati,  come  tante  vite  a  sé,  ciascuna  col  suo  Incipit  e 
quasi  tutte  con  una  introduzione,  più  ricche  di  fatti  che  negli 
Actus,  queste  vite  donde  le  ha  tratte  il  compilatore  delle  Crona- 
che? Esistevano  già  in  quella  forma?  11  proemio  stesso  di  quella 
compilazione  può  sembrar  che  le  additi  (2)  :  quaedam  notabilia,  quae 
in  aliquihus  legendis,  tractatibus,  processibus,  cronicis  dispersa 
repperi...  nec  non  de  vitis  sanctorum  fratrum  inspecta  quantum 
potai...  recollegi;  ma  quest'ultima  frase,  oltreché  può  essere  che 
si  riferisca  solo  alle  vite  dei  santi  frali  posteriori,  di  molti  dei 
quali  si  parla  nelle  Cronache  e  che  le  notizie  sui  primi  socii  siano 
attinte  da  qualcuna  delle  altre  categorie  di  fonti  indicate,  non  ri- 
sponde poi  nemmeno  con  sicuro  significato  alla  nostra  domanda. 
Una  risposta  sicura  danno  le  Cronache  solo  per  la  vita  di  frate 
Egidio,  composta,  come  dice  nel  suo  proemio  l'autore,  di  cose  che 
egli    ha   vedute   e   udite   dal    santo   stesso  o  udite   da    suoi    intimi 


(1)  Eletto  nel  1373. 

(2)  Dal  bellissimo  cod.  dell'Angelica  di  Roma,  Fondo  Novelli,  1752. 


SULLE   FONTI   DEI    l'IOUETTI  343 

compagni,  e  un  di  questi  v'  è  in  un  lungo  nominalo  fr.  Paulus 
de  Prato.  Per  altra  via  che  le  Cronache  conosciamo  poi  le  vite 
o  leggende  di  santa  Chiara  e  di  s.  Antonio  scritte,  la  prima  cer- 
tamente, probabilmente  la  seconda,  da  Tommaso  da  Celano,  da  un 
contemporaneo  dunque  ;  e  son  le  vite  stesse  che  danno  le  Cro- 
nache. Finalmente  non  mi  par  trascurabile,  se  si  mette  insieme 
con  questi  dati,  quel  passo  di  Tommaso  nella  2»  Vita,  interrom- 
pendo il  suo  elogio  su  frate  Bernardo:  sed  huius  liernardi  laudes 
■aliis  narrandaa  relinquimus. 

K  da  notare  però  che  in  queste  vile  dateci  dalle  Cronache 
mancano  due  capitoli,  uno  di  frate  Masseo  e  uno  di  frate  Leone, 
che  si  ritrovano  nelle  edizioni  a  stampa  dei  Fioretti.  Dell'ultimo 
dei  due  specialmente  fa  impressione  la  mancanza  :  è  il  capitolo 
della  perfetta  letizia,  quello  che  ci  rivela  più  serena  e  profonda 
J'anima  di  s.  Francesco.  Si  potrebbe  pensare  che  questi  apparte- 
nessero (per  la  forma,  s'intende)  al  compilatore  degli  ^4c^ms  ;  ma 
negli  Actus  possiamo  determinare  per  eliminazione  i  capitoli  che, 
a  notizia  nostra,  non  risalgono  a  fonti  anteriori,  e  ad  essi  manca 
appunto  quel  carattere  di  semplice  fedeltà  al  vero,  quel  candore 
incomparabile  che  è  proprio  specialmente  del  colloquio  sulla  per- 
fetta letizia  ;  e  d'altra  parte,  per  ammettere  che  ne  fosse  lui  l'au- 
tore, bisognerebbe  riconoscergli  una  natura  d'artista,  quale  tutta 
l'opera  sua,  dove  si  può  creder  veramente  sua,  non  ci  lascia  nem- 
meno supporre.  L'unica  conclusione  che  si  può  trarre  da  questa 
mancanza  è  che  le  Cronache  non  ci  conservano  queste  vite  in- 
tere :  né  questo  fa  meraviglia  in  un'opera,  che,  sebbene  accurata 
quanto  soglion  essere  le  più  accurate  opere  francescane,  vuol  rac- 
cogliere però  troppe  cose,  perchè  non  ne  vada  smarrita  qualcuna. 

Alle  Cronache  dunque  dobbiamo  ricorrere  per  aver  un'idea 
di  queste  vite,  fino  a  che  qualche  fortunata  scoperta  non  ci  dia 
intera  anche  questa  parte  preziosa  dell'antica  letteratura  france- 
scana. Il  dialogo  di  Crescenzio  da  Iesi  con  le  sue  attraenti  parole 
iniziali  :  Venerabilium  gesta  patrum,  per  quel  che  se  ne  può  ar- 
gomentare dagli  estratti  che  ne  danno  le  Cronache  slesse  e  dalla 
stessa  forma  dialogica,  non  soddisferebbe  probabilmente  molto,  se 
si  fosse  conservato,  questo  nostro  desiderio. 

Assai  più  facile  a  determinare  è  la  provenienza  delle  parti 
che  riguardano  la  Verna  e  la  Porziuncola.  La  Verna  dalle  Slira- 


344  G.    STADERINI 

male,  la  Porziuncola  dal  Perdono  erano  slate  consacrale  come  i 
due  santuari  francescani  :  era  ben  naturale  che  conservassero 
anche  in  iscritto  il  ricordo  di  privilegi,  di  grazie  divine,  onde  ve- 
niva la  vita  loro  spirituale  e  materiale. 

Per  la  Verna,  il  primo  racconto  che  ci  si  presenta,  quello 
appunto  de  incentione  montis  alvernae,  porta  chiara  la  testimo- 
nianza della  sua  origine  nelle  famose  parole, con  cui  esso  finisce  : 
Hanc  ystoriam  habuit  fratev  iacohus  de  massa  ab  ore  fratria 
leonis  et  frater  agolinus  de  monte  fS.J  Marie  ab  ore  dicti  fra- 
tris  iacobi  et  ego  qui  scriba  ab  ore  fratris  Ugolini  viri  fide  digni 
et  boni.  A  proposito  delle  quali  è  da  notarsi,  come  già  è  stalo 
notato  da  altri,  che  il  nome  di  frate  Ugolino  del  Monte  S.  Maria 
appare  un'altra  volta  nei  Fioretti  come  nome  d'autore,  nel  capi- 
tolo che  racconta  di  fra  Giovanni  della  Penna  (XIV)  ;  dimo- 
doché queste  due  indicazioni  ci  mettono  sulla  via  per  ritrovare 
la  provenienza  di  alcune  parti  di  questa  raccolta  non  derivanti  da 
fonti  già  note. 

Quanto  poi  alla  Porziuncola,  appunto  nell'opuscolo  sulle  sue 
prerogative  e  sul  Perdono,  che  compilò,  com'è  nolo,  nella  1»  metà 
del  sec.  XIV  fra  Bartolo  d'Assisi,  si  trovano  i  capitoli  ad  essa 
relativi  degli  Actus  di  s.  Isidoro.  Può  essere  che  in  questo  mano- 
scritto quel  piccolo  gruppo  di  racconti  e  d'attestazione  sull'Indul- 
genza non  sia  che  un  estratto  del  libro  di  fra  Bartolo  ;  e  allora 
bisognerebbe  pensare  a  un'interpolazione  posteriore,  perchè  diffi- 
cilmente si  può  ammettere,  dato  eh' esso  servì  all'autore  della  rac- 
colta avignonese  (1),  che  il  libro  degli  Actus  sia  posteriore  alla 
compilazione  del  liber  sacrce  indulgentice  :  ma  poiché  fra  Bar- 
tolo stesso  cita  come  materiali  raccolti  in  questo  i  racconti  e  le 
attestazioni  delle  leggende  antiche  e  delle  nuove  e  gli  altri  detti 
dei  socii  intorno  al  luogo  della  Porziuncola  e  alla  singolare  sua 
santità  e  tutto  quello  che  potè  trovare  riguardo  all'  indulgenza  e  i 
miracoli  relativi  ad  essa,  può  essere  che  a  queste  stesse  fonti  abbia 
attinto  direttamente  il  compilatore  degli  Actus.  A  questi  capitoli 
due  altri  si  trovano  innestali,  più  brevi,  pure  relativi  alla  Por- 
ziuncola, ma  d' indole  diversa,  trascritti    fedelmente  dalla   2"  Vita 


(1)  Adotto  la  denominazione  che  al  Salvadori  (v.  più  giù,  pag.  362)  pare  più  chiara 
dell'altra  «  Antif/ua  legenda  »,  per  indicare  la  raccolta  di  memorie  francescane  con- 
.servataci  nel  cod.  vat.  <1354. 


SULLE   FONTI   DEI   KlOUETTI  345 

d'i  Tommaso  da  Celano.  Un  dubbio  può  sorgere  dal  capitolo  che 
è  primo  in  questo  gruppo  e  che  racconta  l'acquisto  della  chiesa 
di  Santa  Maria  degli  Angeli.  Esso  si  trova  nella  stessa  forma 
in  un'altra  opera  francescana,  sul  cui  valore  recentemente  s'è 
molto  parlato,  ma  che  ancora  merita  tutta  la  nostra  attenzione  ; 
lo  SpecuLiuìc  perj'ect ionia:  si  ritrova  anzi  in  quella  parte  dell'opera 
che  è  sembrata  più  sospetta  ed  è  invece  quella  che,  se  mai,  ne 
assicura  meglio  l'autenticità.  A  quest'opera  stessa  ci  riporta  un 
altro  racconto  degli  Actus,  quello  della  tentazione  de'  topi  e  del 
miracolo  della  vigna,  in  cui  già  il  Della  Giovanna  (1)  riconobbe 
«  un  rimaneggiamento  di  due  capitoli  éeWo  SptcìtLum  »;  rimaneg- 
giamento in  cui,  osservo  subito,  è  soppressa  la  parte  che  narra 
l'origine  del  Cantico  del  Sole. 

Altri  capitoli  sono  negli  Actus  riguardanti  s.  Francesco,  che 
non  appaiono  o  non  nella  stessa  forma  in  altra  delle  fonti  fran- 
cescane an-teriori  che  io  conosco.  Basta  leggerli  attentamente,  per 
osservare  un  carattere  speciale  che  nella  loro  varietà  è  loro  co- 
mune :  son  lutti  miracoli  o  fatti  slraordinarii,  e  quelli  che  d'altra 
fonte  vi  si  trovano  hanno  qui  trasformazioni  o  aggiunte,  in  cui  si 
può  riconoscere  lo  stesso  carattere,  d'un  meraviglioso,  cioè,  im- 
prontato d'un  realismo  un  po' grossolano.  Tra  questi  notevole  è  il 
miracolo  del  lupo  di  Gubbio,  dove  s.  Francesco  inteso  solo  come 
poteva  essere  dal  popolo,  conserva  pure  la  sua  geniale,  arguta  e 
amabile  semplicità.  Non  si  creda  dall'esser  questo  racconto  tra  i 
capitoli  che  abbiamo  cosi  caratterizzati,  che  esso  sia  pura  invenzione  : 
già  Tommaso  da  Celano  parla  di  lupi  addomesticati  da  s.  Fran- 
cesco, e  anche  questo  è  un  esempio  del  reciproco  amore  tanto 
notato  dai  contemporanei  Ira  il  Santo  e  tutte  le  creature  sue  so- 
relle. Questo  spiega  forse  come  al  racconto  del  lupo  segua  quello, 
che  non  pare  punto  meraviglioso,  delle  tortole  selvatiche  ;  stando 
insieme  altrove,  non  è  improbabile  che  anche  qui  il  lupo  diventato 
fratello  si  sia  tirato  dietro  le  sorelle  tortole.  Dico,  non  è  impro- 
babile :  ma,  chi  osservi  la  chiusa  del  racconto,  e  come  tutto  il 
sugo  d'esso  pare  raccolto  li,  in  quel  fanciullo,  che  per  le  tor- 
tole date  a  s.  Francesco  «  factus  est  postea  fr.  Minor  »,  più 
naturalmente,  mi  pare,  va  riconnesso  cogli  esempi  di  conversioni 


(1)  S.  Frane,  d' A.  giullare,  in  Giorn.  st.  della  lett.  it.,  fase.  73. 


346  G.    STADERINI 

o   di   salutari   operazioni   della    Provvidenza    antecedenti    e  susse- 
guenti a  questo  nella  stessa  raccolta. 

Un'altra  serie  di  capitoli  troviamo  negli  Actus  di  s.  Isidoro 
riguardanti  la  vita  di  Corrado  da  Offida,  Pietro  da  Monlecchio, 
Giovanni  della  Verna,  Giovanni  della  Penna,  tutti  marchegiani. 
Evidentemente  essi  hanno  origine  da  vite  di  questi  santi  frati, 
(quella  di  Giovanni  della  Verna,  che  è  la  più  lunga,  ci  è  data  di 
fatto  dalle  Cronache).  Delle  quali  un  esempio  bellissimo  ci  è  dato 
nei  due  capitoli  degli  Actus  che  raccontano  dei  due  studenti  bo- 
lognesi Pellegrino  e  Richieri,  che  negli  Actus  di  s.  Isidoro  tro- 
viamo invertiti,  ma  mantengono  il  loro  ordine  nello  Speculum 
vitae  (da  e.  148  v.  a  e.  150  v.)  ;  sono  una  breve  e  intera  leggenda 
antica  francescana  nata  nel  luogo  stesso^  dove  colui  di  cui  si  nar- 
rava era  morto  e  col  carattere  di  ricordo  utile  all'occasione  per  i 
processi. 

Con  questi  capitoli  degli  Actus  vanno,  e  per  il  posto  che  oc- 
cupano e  per  la  materia,  quelli  dei  Fioretti  che  gli  Actus  di  s.  Isi- 
doro non  hanno  e  che  han  comune  con  essi  l'origine  dalla  pro- 
vincia della  Marca  :  è  evidente,  dalla  stessa  fonte  chi  ha  attinto 
più,  chi  meno.  Restano  i  capitoli  che  han  per  carattere  1'  ostilità 
contro  frale  Elia  :  dei  quali  il  primo  ci  appare  quasi  fin  dal  prin- 
cipio degli  Actus  a  proposito  di  Bernardo,  che  anche  altre  me- 
morie ci  rappresentano  come  suo  contrario.  Chi  raffronti  questi 
capitoli  con  quelli  dello  Speculum  vitae  da  e.  167  a  e.  172  come 
un'interpolazione  nella  vita  di  frate  Egidio,  vedrà  che  v'era  tutta 
una  piccola  letteratura  contraria  ad  Elia,  proveniente  dalla  parte 
spirituale  dell'Ordine  (1);  e  non  farebbe  meraviglia  che  anche  que- 
sta si  trovasse  raccolta  in  un  libello  contro  il  prepotente  Generale. 

Sicché  le  fonti  degli  Actus  sono  : 

1.0  Le  vile  dei  socii  più  insigni  scritte  probabilmente  da 
altri  socii  ;  quella  di  santa  Chiara  certamente,  e  probabilmente 
quella  di  s.  Antonio  scritta  da  Tommaso  da  Celano:  e  quelle,  dif- 
ferenti d'età  e  di  carattere,  dei  Minori  di  santa  vita  appartenenti 
alla  2°  e  alla  3»  generazione  francescana. 

2.°  Opuscoli  locali  riguardanti  la  Porziuncola  e  l'Indulgenza 


(1)  Lo  dimostrano  anche  gli  accenni  delle  Vite  e  l' opuscoìx>  di  SaUmbene  che  si 
intitola  II  prelato. 


Sl'LLE    FONTI    DKl    l'IOKIOTTI  347 

del  Perdono,  la  Verna  e  le  Slitnmale  ;   che   ancora,  non   imporla 
se  in  altre  redazioni,  sono  giunti  tino  a  noi. 

3.°  Lo  Speculum  perfectionis. 

4.0  Un  probabile  Liher  ìniraculurnìii  perduto. 

5.0  Scritti  polemici  contro  frate  Elia. 
I  capitoli  dei  Fioretti  che  non  hanno  riscontro  negli  Actua 
di  s.  Isidoro  risalgono  anch'essi  a  queste  medesime  fonti,  fuorché 
le  considerazioni  sulle  Stimmate,  la  cui  fonte  è  in  massima  parte 
s.  Bonaventura  —  Vita  s.  Francisci,  cap.  XIII,  De  Stigmatibus 
sacris  —  con  ampliamenti  e  interpolazioni  varie,  che  vedremo  in 
un  esame  più  particolare. 

Analisi  particolare. 

Le  Cronache  dei  XXIV  Generali  hanno  sotto  il  titolo  di  Mia 
Jratris  Bernardi  tutti  i  capitoli  che  sono  negli  Actus  più  uno  sulla 
missione  a  Firenze  tolto  dalla  leggenda  dei  tre  socii  e,  nel  capitolo 
della  benedizione  data  in  morte  cancellatis  manibus  da  s.  Fran- 
cesco, il  racconto  d'un' altra  benedizione  precedente,  che  si  ri- 
trova neWo  Speculum  perfectionis  e  che  pare  un  duplicato  di  quella, 
sostituito  a  Elia,  per  contrapposto  di  Bernardo,  Egidio  (è  proba- 
bile invece  che  la  sostituzione  sia  slata  l'inversa):  e  ancora,  man- 
cano negli  Actus  alcuni  altri  tratti  più  brevi,  come  quello  di  Ber- 
nardo, che  dietro  Elia  cavalcante  un  cavallo  nimis  altus  et  grossufi 
J'ortiter  insufflabat  et  percutiebat  (jroppam;  o  dell'acqua  rosacea 
rifiutata  da  lui  infermo  perchè  impedimento  al  meditare.  Son  come 
disgregati  ricordi,  e  a  chi  si  debbano  non  possiamo  determinare 
con  precisione;  possiamo  dir  solo  quel  che  dice  il  proemio  della 
raccolta  avignonese,  che  queste  notizie  dei  socii  si  debbono  ad  altri 
socii:  scripta  socioruni  exprimentia'  titani  et  gesta  <^  6*/-'  ^ 
sociorumque  eius. 

Con  un  carattere  più  evidente  di  vita  ci  appare  nelle  stesse 
Cronache  quella  di  Leone;  è  una  serie  di  capitoli  ben  concate- 
nata, che  ci  dà  tutte  le  notizie  che  abbiamo  di  lui  nelle  memorie 
francescane  a  noi  note  fino  alla  sua  morte  e  sepoltura,  con  una 
introduzione  ricca  d'immagini,  quasi  come  un  ornato  ingresso,  che 
somiglia  molto  a  quella  della  vita  di  Rufino:  Quasi  vas  auri  so- 
liduni  onxni  lapide  precioso  pignientoruni  suavitate  confertuni  inter 


348  G.    STADERINI 

beati  Francisci  socios  resplenduit  frater  leo  eius  secretarius  et 
confessor,  quia  virtutum  quasi  gemmar  uni  varietale  tenendo  vitam 
activam  modo  mirabili  adunatam,  tandem  fuit  in  vite  contempla- 
tive (sic)  in  ortum  aromatum  et  regis  cellam  vinariam  introdu- 
ctus.  Così  introdotti  nella  vita  di  «  frate  pecorella  »,  non  si  resta 
un  po'  sorpresi  a  guardare  questo  gemmato  stile?  perchè  la  nar- 
razione di  quella  vita  è  veramente  tutta,  come  la  vita  ch'essa  ri- 
specchia, d'una  «  semplicità  colombina  »,  e  quel  proemio  è  lumi- 
noso invece  come  l'aureola  d'un  santo.  Chi  può  averlo  scritto? 
Espongo  una  congettura,  così  come  m'è  venuta,  l.o  stesso  con- 
trasto col  proemio,  che  colpisce  qui  come  nella  vita  di  Rufino, 
avevo  notato  leggendo  il  pi'ologo  lutto  sfolgorante  d'immagini  che 
è  in  fronte  all'umile  Leggenda  dei  Tre  Socii.  Ora  questo  veramente 
poetico  prologo  ha  una  singolare  evidente  somiglianza  con  quel 
tratto  di  Tommaso  da  Celano  nella  1»  vita  che  è,  si  direbbe,  uno 
splendido  saluto  della  poesia  all'apparir  di  Francesco.  Più  che 
imitazione,  pare  riproduzione;  e  poiché  imitazione  qui  molto  dif- 
ficilmente si  può  ammettere,  è  molto  probabile  che  l'autore  sia 
appunto  Tommaso.  11  latino  della  Leggenda  stessa  dei  Tre  Socii, 
se  si  confronta  col  latino  dello  Speculum  perfeclionis,  che,  come 
vedremo,  ci  conserva  nella  loro  forma  più  genuina  i  ricordi  tra 
gli  altri,  dei  tre  socii,  non  pare  un  po'  meno  rozzo  di  questo,  un 
po'  più  ripulito?  non  si  direbbe  ricorretto?  Cosi  dicendo,  ho 
espresso  una  congettura  sull'intervento  di  Tommaso  nella  Leggenda 
dei  Tre  Socii:  non  mi  pare  improbabile  che  egli  stesso  abbia  vo- 
luto o  accettato  di  presentare,  quasi,  con  la  sua  parola  ornata  le 
due  umili  vite  di  Leone  e  di  Rufino,  di  cui  sentiva  bene,  per 
usare  una  sua  espressione,  «  la  gloriosa  semplicità  ». 

Tornando  dunque  agli  Actus,  tutti  i  capitoli  che  essi  danno  su 
fra  Leone  si  riscontrano  in  questa  vita  che  si  legge,  molto  proba- 
bilmente intera  e  nella  sua  forma  primitiva,  nelle  Cronache  dei 
XXIV  Generali.  Del  capitolo  sulla  perfetta  letizia  che  vi  manca, 
s'è  già  detto  nell'introduzione. 

Anche  per  frate  Leone  gli  Actus  ci  danno,  com'è  naturale^ 
una  scelta.  Due  tra  gli  altri  non  ne  riportano,  che  si  trovano  nello 
Speculum  perfectionis  :  l'uno,  le  famose  parole  scritte  da  Leone  a 
Corrado  da  Offida  e  depositate  da  questo  a  s.  Damiano,  così  im- 
portanti, come  vedremo,  per  la  storia  dello  Speculum;  l'altro  per 


SULLE    FONTI    OKI    FIORETTI  349 

il  quale  pure  è  fonie  Leone  slesso,  la  visione  in  cui  Crislo  si  la- 
menta con  lui  dei  vizi  de'  frali. 

Mancano  negli  Actus  di  s.  Isidoro:  un  suo  dubbio  sulla  ver- 
ginità di  s.  Francesco  che  si  trova  incastrato  in  una  delle  con- 
siderazioni sulle  Stimmate;  tre  visioni,  di  s.  Francesco  apparente 
con  ali  ed  unghie,  dei  frati  arrampicantisi  nel  giudizio  divino  su 
per  le  due  scale  vermiglia  e  bianca,  dei  frali  che  passano  il  gran 
fiume  od  annegano,  se  liberi  o  coi  fardelli,  le  quali  si  trovano  qua 
e  là  in  qualche  codice  dei  Fioretti.  Né  dagli  Actus,  né  da  alcun 
codice,  che  io  sappia,  dei  Fioretti,  non  son  riportati  :  il  capitolo 
de  zelo  ad  ecangelicam  paupertatem,  che  narra  della  conca  mar- 
morea eretta  da  Elia  nel  tempio  d'Assisi  e  spezzata  da  Leone,  il 
gratum  miraculum  quo  impetravit  lac  cetulae  ad  parculum  na- 
triendum,  e  finalmente  una  visione  annunzianle  la  morte  di  Rufino. 

Notevole  è  il  capitolo  primo  di  questa  vita  che  corrisponde 
alla  2a  metà  del  capitolo  degli  Actus,  De  incentione  montis  alcer- 
nae,  il  noto  racconto  di  cui  come  prima  fonte  è  indicato  negli 
Actus,  non  nel  testo  delle  Cronaclie,  frate  Leone. 

La  vita  di  Masseo,  ben  diversamente  da  quella  di  Leone,  ha 
un  esordio  che  parrebbe  tolto  a  un'opera  di  carattere  più  gene- 
rale: somiglia  agli  esordi  che  hanno  certi  capitoli  degli  Actus: 
Pastor  sanctissimus  beatus  pater  Franciscus  grerjem  suum  gene- 
raliter  sollicite  cvstodiens  et  gubernans  singulari  tamen  super 
sotiorum  suorum  custodia  diligentius  vigilabai.  Et  ideo  pvudenter 
considerans  quod frater  Masseus  de  virtute  cresceret  in  virtutem... 
gli  assegna  «  l'ufficio  della  porta,  della  limosina  e  della  cucina  ». 
Ma  i  capitoli  di  questa  vita  hanno  lutti  ben  chiara  quell'impronta 
stessa  d'ingenua  fedeltà  al  vero,  che  han  le  vite  di  Leone  o  di 
Rufino:  alcuni  anzi  sono  tra  i  più  freschi,  i  più  belli  dei  Fioretti. 
Anche  qui,  come  per  Bernardo  resta  ignoto  l'autore,  ma  difficil- 
mente si  può  ammettere  ch'esso  non  sia  uno  dei  primi  minori  o 
uno  che  abbia  avuto  tali  racconti  da  uno  di  loro  (1). 


(1)  Notevole  questo  passo  che  non  si  trova  negli  Actus:  «  Iste  fi*.  Masseus fuit 

cum  beato  Francisco,  quando  indulgentiam  plenariam  in  sancta  Maria  de  Portiuncula 
Perusii  a  dno  papa  impetravit  »,  che  mi  ricorda  il  passo  degli  Actus  (cod.  di  s.  Isidoro, 
e.  22  v.)  «  sicut  recitavit  fr.  iacobus  de  massa,  sanctus  homo,  qui  omnia  supradicta 


350  G.    STADERIXI 

Come  per  fra  Leone  manca  il  caratteristico  capitolo  della  per- 
fetta letizia,  per  frale  Masseo  manca  quello  anche  così  vivace  de- 
gli Actus  con  quell'interrogazione  improvvisa:  Unde  tihif  Unde 
tibif  Unde  Uhi? 

Non  son  riportali  negli  Actus  Ire  brevi  capitoli:  de  eius  or-a- 
iione  et  abundantia  lacrymarum,  d'un  singoiar  turbamento  nella 
sua  faccia  naturallter  semper  iocunda,  e  un  terzo,  quantum  sihì 
murmura  dislicehant.  I  capitoli  riportati  dagli  Actus  hanno  al 
solito  un  preambolo  più  o  meno  lungo,  pieno  d'unzione. 

La  vita  di  Rufino  l'abbiamo  già  messa  accanto  per  il  suo 
proemio  con  quella  di  Leone  e  anch'essa,  come  questa,  pare, 
qual'è  nelle  Cronache,  una  vita  intera.  Vi  si  riscontrano  precisa- 
mente tutti  i  capitoli,  che  leggiamo,  con  qualche  aggiunta  e  qual- 
che omissione,  negli  Actus:  aggiunte  ed  omissioni  che  servono  a 
spiegarci  meglio  che  scopo  avesse  questa  compilazione.  E  comin- 
ciamo dal  proemio  com'è  nelle  Cronache.  Quasi  arcus  refulgens 
inter  divine  contempiationis  nebulas  varietate  virtutum picturatus 
in  civitate  Assisii  a  pii  (sic)  exemplari  vita  resplenduit  et  inter 
alias  beati  Francisci  discipuLos  caritatis  rubare  Lilia  (sic:  lilii?) 
pmritatis  candore  enituit  ac  generalis  fragravit  redalentia  san- 
ctitatis  Negli  Actus  il  capitolo  corrispondente  al  primo  di  questa 
vita  non  ha  più  quest'introduzione:  al  suo  luogo  ce  n'è  un'altra, 
sulla  penetrazione  che  avea  s.  Francesco,  «  tamquam  bonus  pa- 
stor  »,  dei  segreti  dei  suoi;  e  Rufino  è  citalo  come  l'esempio  più 
opportuno  («  ut  unum  de  multis  commemorem  »)  e  finito  l'esempio, 
ripiglia  difatti  il  discorso  di  prima  («  sicut  bonus  pastor  aves  suas 
noverai  »  etc.)  e  cita  ancora  altri  esempi  (fr.  Helias,  fr.  Johannes 
de  Gapella,  fr.  cuius  guttur  tenebat  diabolus,  etc).  Lo  slesso  si 
vede  nel  cap.  Qualiter  vidit  plagam  lateris  s.  Francisci,  dove,  a 
differenza  dal  testo  delle  Cronache^  il  soggetto  principale  è  sem- 
pre s.  Francesco.  Due  capitoli  mancano  negli  Actus.  L'uno  è  una 
visione:  Rufino  e  Leone  son  gravemente  infermi  alla  Porziuncola: 


habuit  ab  ore  fratris  massei,  qui  in  iUo  miraculo  (la  predica  agli  uccelli)  fuit  socius 
sancti  patris  Francisci  ». 

I  Sodi  in  tanto  hanno  importanza,  in  genere,  in  quanto  testimoni  della  sua  vita 
e  della  sua  parola.  Il  nos  qui  cum  iìiso  fuimus  non  é  che  il  suggello  necessario  e  na- 
tui'ale  d'ogni  loro  testimonianza. 


SULLE   KONTI   DEI   FIOUKTTI  351 

Leone  vede  in  sogno  una  processione  di  Minori,  Ira  cui  con  oc- 
chi raggianti  Bernardo  nnorlo  prima,  che  vengono  a  prendere 
un'anima  morihonda;  ed  egli  crede  di  sé,  ma  Rufino  lo  trae  d'm- 
ganno:  clarissinie  vigilando  ha  veduto  egli  venire  a  sé  con  lulla 
quella  turba  Francesco  e  d'un  bacio  di  lui  dolcissimo  la  bocca 
sua  esala  ancora  tutta  fragrante  d'un  odore  meraviglioso.  L'altro, 
prout  fr.  Conrardiifi  de  ()//ida  persanctissinms  (^sic  :  vir  sanctis- 
simusi?)  recitavit,  narra  d'una  tremenda  tentazione  del  demonio 
in  forma  d'angelo  a  lasciar  Francesco,  per  ritirarsi  in  solitudine, 
ed  ha  una  gran  somiglianza  con  l'altro  ad  esso  seguente  nelle 
Cronache,  riportato  dagli  Acius,  dove  il  demonio  appare  in  forma 
di  Cristo:  dei  due  racconti  simili  in  quello  che  ha  scelto  il  com- 
pilatore (se  l'ha  scelto)  ha  molto  maggior  parte  s.  Francesco,  ed 
è  notevole  quella  prolissità  che  amano  in  genere  i  libri  devoti. 

Con  frate  Egidio  si  fa  un  po'  più  di  luce,  grazie,  come  s'è 
detto,  al  proemio  della  vita  sua  che  si  legge  nelle  Cronache:  «  ...  ad 
dei  honorem  et  ad  audientium  utilitalem  aliqua  cerha  domini  et  ma- 
gnifica opera  que  in  beatissimo  patre  nostro  fratre  Egidio  ope- 
ratus  est  spiritica  sanctus  prout  a  suis  sotiis  intellexi  et  ah  eodem 
viro  sancto  cui  familiaris  fui  experientia  didici  licet  indignus 
script  are  commendavi  ». 

1  tre  socii  nella  lettera  con  cui  presentano  a  Crescenzio  da 
Jesi  la  loro  leggenda,  ricordano  tra  le  persone  che  han  consultato 
per  essa  «  fratrem  Johannem  socium  venerahilis  pairis  fratris 
Egida,  qui  plura  de  his  habuit  ab  eodem  fratre  Egidio  et  san- 
ctae  memoriae  fratre  Bernardo;  e  nn  frate  Giovanni  compagno 
del  detto  frate  Egidio  »  è  ricordalo  in  un  capitolo  dei  Fioretti 
(XLVIII)  che  narra  di  frate  Jacopo  della  Massa.  I  quattro  capi- 
toli che  di  Egidio  danno  gli  Actus  hanno  in  questa  raccolta  la 
stessa  forma  che  nelle  Cronache,  senz' altra  aggiunta  che  quella 
semplicissima  chiusa  caratteristica  della  maggior  parte  dei  suoi 
capitoli:  ad  laudem  domini  nostri  Jesu  Christi. 

Restano  degli  Actus  le  vile  di  santa  Chiara  e  di  s.  Antonio, 
per  le  quali  non  abbiamo  più  bisogno  d'un  confronto  con  le  Cro- 
nache, essendo  già  note,  s'è  detto,  come  vile  o  leggende  a  sé. 
Per  la  prima,  la  leggenda  di  santa  Chiara,  non  fo  che  trarre  le 
notizie  che  mi  paiono  più  opportune  dal  recente  scritto  di  G.  Cozza 


352  G.    STADERINI 

Luzi  «  II  codice  Magliabechiano  della  storia  di  santa  Chiara  » 
(15  marzo  1895,  inserito  nel  Bollettino  della  Società  Umbra  di 
Storia  Patria,   voi.   I). 

Dal  prologo  ad  essa  dunque  (che  è  nel  cod.  Magliabechiano, 
XXXVIII,  n.  135)  risulta  scritta  da  Tommaso  da  Celano  per  or- 
dine di  papa  Alessandro  IV;  e  notevole  è  la  lettera  (riportata 
pure  in  quel  codice)  con  cui  egli  la  presenta  al  papa,  la  quale  ci 
può  dire  in  che  modo  lo  storiografo  ufficiale  dell'Ordine  procedesse  in 
queste  sue  compilazioni:  «  ....  Reputando  non  essere  cosa  sicura 
procedere  a  questa  opera  per  le  informatione,  le  quali  trovavo 
defettuose,  mi  disposi  di  havere  di  queste  colloquio  con  gli  com- 
pagni di  s.  Francesco  et  col  venerabile  collegio  delle  sante  ver- 
gini compagne  di  essa  beatissima  Clara...  Et  havendo  io  havuto 
piena  iiìformatione  della  santa  et  laudabile  vita  della  gloriosa 
vergine  Clara,  dagli  compagni  di  sancto  Francesco  e  dal  sacro 
collegio  delle  suore,  mi  disposi  di  procedere  all'opera...  et  perchè 
comunemente  la  brevità  a  tutti  è  piacere  (sic)  et  grata  delle  molte 
cose  raccogliendone  poche,  con  pieno  (piano  ?J  et  facile  stile  et 
simplice  ordine  mi  sono  sforzato  di  scriverle  ».  E  dal  prologo 
risulla  come  furono  fatti  i  processi,  i  quali  pure  ebbe  certamente 

in  mano  fr.  Tommaso:   «   ...    Bartolommeo  vescovo  di   Spoleto 

per  comandamento  del  beat.'>^o  Innocentio  papa  Quarto  insieme 
con  M.  Jacobo  arciprete  di  Traevi  et  gli  frati  san.^i  cioè  frate 
Leone  et  frate  Angelo  da  Rieti  compagni  di  santo  Fran.<^<^  et 
frate  Marco  frate  m.inore  et  ser  Martino  notaio  personalmente 
andò  al  monastero  di  Santo  Damiano  et  con  giuramento  astrinse 
a  dire  la  verità  alquante  suore  di  antichità  et  santità  fam.ose 
di  quello  che  sapevano  circa  la  vita  et  conversione  et  miracoli 
di  questa  vergine  Clara.  Le  quali  cose  intese  diligentemente 
esaminate  et  fedelmente  inscritte  per  il  pubblico  notaio  al  .so- 
prad.  sommo  pontefice  furono  destinate  ».  Tutto  questo  ho  vo- 
luto trascrivere,  perchè  può  esser  utile  ricordarlo  anche  per  un'al- 
tra parte  di  questo  studio.  Di  questa  vita  tre  capitoli  soli  son  ri- 
prodotti negli  Actus  tali  e  quali. 

Che  allo  stesso  Tommaso  da  Celano  si  debba  anche  la  leg- 
genda di  s.  Antonio  è  un'opinione,  non  so  se  già  espressa  da 
altri,  certo  dal  P.  Ilario  da  Parigi  in  una  lettera  del  4  marzo  1895 
allo  stesso  ab.  Cozza-Luzi  (v.  in  nota  allo  scritto  stesso  di  quest'ul- 


SULLK    FONTI   DEI   FIORETTI  353 

timo).  Anche  a  me  pare  che  a  chi  conosce  il  suo  stile,  il  suo 
nome  debba  venir  in  mente  spontaneo  nel  leggerla:  ma,  per  conto 
mio,  sento  che  ho  bisogno  di  studiare  ancora  la  questione,  prima 
di  poter  dire  qualche  cosa  di  concludente  in  proposilo.  Certo  quella 
exquisila  eloqiientia  che  tutti  riconoscevano  a  Tommaso,  come 
gli  riconoscono  ora  i  suoi  lettori,  era  più  adatta  n  rispecchiare  la 
vita  piena  di  meraviglie  di  s.  Antonio,  che  la  grande  ma  sem- 
plice vita  di  santa  Chiara.  Certo  tra  queste  due  vite,  quella  di 
s.  Antonio  specialmente,  e  le  altre  vite  dei  socii  che  leggiamo 
nelle  Cronache,  salta  vivo  agli  occhi  quel  contrasto  che  appare 
ogni  tanto  a  chi  studia  queste  prime  memorie  francescane,  tra  lo 
spirilo  di  pura  semplicità  che  nulla  nasconde  e  lo  spirito  scola- 
stico, tra  il  francescano  e  il  letterato:  un  letterato,  sì,  Tommaso, 
che  era  francescano  e  poeta,  e  quando,  come  non  di  rado  avviene, 
lo  spirito  di  s.  Francesco  e  il  suo  istinto  di  poeta  cospirano  in- 
sieme, vibra  il  suo  stile  non  frasi  concettose,  ma  fulgori:  ma  per 
quanto  abbia  fitti  gli  occhi  in  colui  «  qui  semper  locutiotmm  vita- 
vit  aenigmaia  et  verborum  faleras  ignoravit  n,  alla  relorica  che 
gli  ha  infcjrmato  la  mente  e  che  al  suo  tempo  appariva  quasi  lul- 
t'uno  con  l'arte,  egli  rinunzierebbe  malvolentieri:  pure  umiliando 
il  suo  stile  a  quella  «  referentium  simpliciiatem  »,  egli  guarda 
quasi  istintivamente  i  dotti,  quasi  perchè  s'accorgano  che  è  lui  che 
vuole  umiliarlo.  Invece  nelle  vile  di  Bernardo,  di  Rufino,  di  Mas- 
seo,  di  Leone,  d'  Egidio,  di  Ginepro,  con  quello  stile  sempre  di- 
messo e  piano,  come  di  chi  non  scrive,  ma  parla  e  parla  sem- 
plicemente, è  ben  riconoscibile  l'umile  linguaggio  dei  socii,  quella 
vera  parola  francescana  che  ci  attrae  leggendo  lo  specchio  di  per- 
fezione e  la  leggenda  dei  tre  socii:  quei  tratti  anzi  di  quello  e  di 
questa  che  abbiam  visto  nella  vita  di  Bernardo  e  in  quella  di 
Leone,  hanno  un'  impronta  così  uniforme  al  resto,  che  non  si  nota 
la  differenza. 

Capitoli  riguardanti  la  Porziuncola  e  la  Verna. 

Qui  è  una  differenza  notevole  tra  la  compilazione  degli  Actus 
e  i  Fioretti.  Per  la  Porziuncola,  come  per  la  Verna,  gli  Actus 
ci  rappresentano  ancora  come  vaganti  i  racconti  relativi  ai  due 
celebri  luoghi  francescani:  per  l'una  e  per  l'altra  ci  danno  il  primo 

23 


354:  G.    STADERINI 

nucleo  con  alcuni  altri  elementi  che  poi  s'andrà  ingrossando  di 
attestazioni  e  di  racconti  fino  al  liber  sacrae  indulgentiae  di  fra 
Bartolo  d'Assisi  e  alle  Considerazioni  sulle  Stimmate,  dei  Fioretti. 

Intorno  al  luogo  della  Porziuncola  noi  abbiamo  quel  che  ne 
ha  scritto  Tommaso  da  Celano  nel  cap.  XII  della  2»  Vita.  Qui  è 
come  il  germe  di  tutti  gli  ampliamenti  posteriori:  il  primo  nucleo^ 
che  però  non  esclude  che  qualche  cosa  di  originale  dimenticato 
da  lui  ci  sia  nel  racconto  dello  Speculum.  Nello  Speculum  ab- 
biamo il  racconto  che  è  riportato  negli  Actus  e  in  qualche  codice 
dei  Fioretti,  come  s.  Francesco  ebbe  questo  luogo  dai  Benedet- 
tini del  Subasio,  e  come  ne  volesse  solo  l'uso,  riconoscendone  la 
signoria  dai  monaci  con  l'offerta  annua  di  una  fiscinula  piena  pi- 
sciculis  qui  vocantur  lasce,  offerta  a  cui  i  monaci  rispondevano 
con  un  vaso  d'olio.  A  s.  Francesco  premeva  che  vi  fosse  un  luogo 
che  servisse  come  d'esempio,  Speculum,  a  tutti  gli  altri  della  re- 
ligione, la  Porziuncola,  e  lasciò  detto  anche  nel  testamento  come 
si  dovesse  custodire:  e,  come  la  ragione  che  gli  aveva  fatto  la- 
sciare Rigotorto  era  stata  una  scortese  distrazione  dal  silenzio 
della  contemplazione  e  della  preghiera,  volle,  che  qui  il  silenzio 
si  osservasse  particolarmente.  Abbiamo  anzi  una  speciale  costi- 
tuzione a  questo  proposito  contra  verba  inuiilia  et  ociosa,  che  an- 
ch'essa fece  poi  parte  degli  opuscoli  illustrativi  della  Porziuncola. 

Ma  la  principale  delle  prerogative  era  l'indulgenza  del  Per- 
dono. Essa  è  già  designata  da  Tommaso  nella  2^  Vita  con  la  vi- 
sione della  moltitudine  dei  ciechi  che  un  frate  vide  affollata  at- 
torno a  questo  luogo  «  pregar  per  pace  e  per  misericordia  ». 

La  più  antica  testimonianza  risale  a  fr.  Masseo,  che,  a  quanto 
pare,  fu  compagno  di  s.  Francesco  in  questa  andata  al  papa  a 
Perugia  per  ottenerla,  e  l'estensore  sarebbe  stato  Marino  nipote 
di  Masseo,  da  cui  più  volte  l'aveva  inteso,  che  morì  nel  1308 
«  plenus  dierum  et  sanctitatis  ». 

Del  fatto  abbiamo  testimonianze,  sempre  derivanti  dalla  stessa 
fonte  di  Masseo,  di  Benedetto  d'.Arezzo,  che  fu  uno  dei  socii  e  di 
Ranieri  anch'esso  aretino,  compagno  di  fr.  Benedetto:  testimo- 
nianze di  compagni  ed  amici  degni  di  fede,  che  risalgono  ad  un 
uomo  titae  probatissimae  e  quindi  anch'egli  buon  testimone.  Ma 
Teobaldoj  vescovo  d'Assisi,  nel  privilegio  scritto  nei  primi  anni 
del  trecento  cita    anche    una    testimonianza  di  frale  Leone:  «  fr. 


SrLLE   FONTI   DEI    FIORETTI  iìófi 

Leo  unus  de  sociìs  eius  tir  jjrobatissimae  ciiae  [relulit]  sicut  ah 
ore  s.  Francisci  [ac]ceperat  n.  Dov'è  questa  testimonianza  ?  Nella 
raccolta  avignonese,  in  una  parte  che  conserva  un  gruppo  di  no- 
tizie prese,  sembra,  dalle  prime  fonti  perdute,  abbiamo  un  rac- 
conto semplice  e  breve,  che  ha  un'impronta  di  verità  superiore 
a  quella  di  tutti  gli  altri.  Il  Sabatier,  che  aveva  infirmato  la  ve- 
rità dell'indulgenza,  davanti  a  questo  racconto  si  ricredè. 

Vat.  4354,  e.  108  r. 

Cum  autem  b.  Fr.  ecclesiam  de  Porchiucola  dedicare  vellet,  ibat  cum 
socio  prò  iudulgentia  ad  summum  Poutiticem,  qui  Urne  erat  Perusii.  Cura- 
tine ab  ilio  indulgentiam  ad  dictam  ecclesiam  humiliter  petivisset,  papa 
numerum  certura  assig-uans  ait:  Vis  tu  tot  dies?  Et  Frauciscus  :  Non  —  Vis 
tu  tot  aunos?  —  Franciscus:  Non  Quid  vis  ergoV  ait  pontifex.  Kt  Franci.scus  : 
Domiue,  remissionem  volo  omnium  peccatorum.  Et  ille  :  Grandem  rem  patisti. 

Et  cum  b.  Fr.,  non  minus  velie'  papa  sencieus  eum  virum  domino 
plenum  dedit  sibi  per  octo  dies  remissionem  omnium  peccatorum.  Car- 
dinales  vero  hoc  audieutes  indig-nati  dicebaut  summo  pontifici  quod  per 
hoc  curia  vilificaretur,  quia  nullus  curatur  ilhic  venire.  Quod  saltem  sic 
mitigaret  quod  hec  iudulg'entia  per  diem  naturalem  duraret.  Sicque  fa- 
ctum est  quod  b.  Fr.  cum  gratiarum  actione  Ictus  recessit.  Dumque  per 
viam  incederet,  subito  vis  somnii  irruit  in  eum  dixitque  ad  socium:  Ora, 
frater,  quia  me  oportet  parumper  quiescere.  Cumque  se  inclinasset  post 
paululum  surrexit  iocundus  et  g-audens.  Quod  advertens  socius  quesivit 
de  quo  g-auderet  et  dixit  :  Revelatum  est  mihi,  frater,  quia  quod  papa  fe- 
cit  in  terris  Christus  coufirmavit  in  celis.  Sicque  exultans  spiritu  domum 
rediit. 

Può  esser  quello  il  racconto  di  fra  Leone?  La  congettura,  già 
probabile,  diventa  certezza,  se  si  confronta  con  un'altra  attestazione 
sull'Indulgenza  dataci  dagli  Acius  (almeno  dal  cod.  di  s.  Isidoro) 
e  riprodotta  a  e.  13  del  suo  libar  da  fra  Bartolo  d'Assisi,  che  la 
trovò,  egli  dice  «  in  Sacristia  Perusii  scriptum  vianu  propria  re- 
verendi patris  fratris  Angeli  de  Perusio  ».  Se  s'ha  da  credere 
dunque  a  fr.  Angelo,  a  lui  ha  riferito  D.  lacohus  Coppali  de  Pe- 
rusio questo  racconto,  così  come  glielo  raccontava,  da  lui  richie- 
sto, frate  Leone  coram  uxore  sua  (di  Iacopo)  et  quadam  alia  do- 
Tìxina  et  lacohutio  (sic). 

E  il  racconto,  solo  lievemente  alteralo  dal  discorso  indiretto, 


356  G.    STADERINI 

è  lo  stesso  che  ci  dà  la  raccolta  avignonese:  sicché,  se  qui  ab- 
biamo un  «  dixit  fr.  Leo  »,  vien  da  sé  che  là  supponiamo  un 
0  fr.  Leo  scripsit  ». 

Il  nome  di  fra  Leone  ci  riporta  naturalmente  alla  Verna.  Egli 
infatti,  come  s'è  visto,  é  indicalo  in  fine  del  capitolo  De  incentione 
montis  Alcernae,  come  fonte  di  quel  racconto,  probabilmente  per 
la  sua  ultima  parte  soltanto,  dov'egli  appunto  appare  compagno 
di  s.  Francesco  nella  Quaresima  di  s.  Michele:  e  mentre  di  que- 
sto è  documento  scritto  indiscutibile  l'autografo  di  Leone  che  è 
nel  Sacro  Convento  d'Assisi,  neppure  della  veracità  di  quell'indi- 
cazione non  vedo  ragione  di  dubitare:  é  tutto  d'una  semplicità  e 
d'una  verosimiglianza  evidenti. 

Della  prima  parte,  che  più  propriamente  risponde  al  titolo 
del  capitolo,  ignoro  la  fonte.  Della  realtà  del  fatto  narratovi  attesta 
V instrumentum  donationis  montis  alvernae,  che  si  conserva  nel- 
l'archivio di  Borgo  San  Sepolcro,  con  cui  il  9  luglio  1274  il  figlio 
del  conte  Orlando  di  Chiusi  autentica  la  donazione  fatta  a  voce 
dal  padre  VS  maggio  1213:  e  ha  bene  un'impronta  di  verità  an- 
che nei  suoi  particolari  il  racconto  che  ne  danno  gli  ActuSj  dalla 
a  magna  solemnitas  milicie  nove  »  alla  grandissima  festa  e  alle- 
grezza delle  sorores  avicide,  insolita,  ma  tanto  lì  naturale. 

Questo  per  la  Verna  :  del  miracolo  delle  Stimmate  gli  Actus 
di  s.  Isidoro  danno  solo  una  narrazione  tarda,  secondo  una  rive- 
lazione avuta  da  un  frate  nel  1282,  e  altri  due  racconti,  d'una 
visione  e  d'un  miracolo,  tardi  anch'essi,  che  si  leggono  anche  nel- 
r ultima  Considerazione  dei  Fioretti. 

Quest'operetta  delle  Considerazioni  h  nata  molto  probabilmente 
dal  capitolo  sulle  Stimmate  di  s.   Bonaventura  (XIII). 

É  quello  che  ha  dato  non  solo  l'ordine  dei  racconti,  ma  il 
fondo  principale,  che,  preceduto,  com'era  naturale,  dal  racconto 
de  inventione  montis  ALvernae,  abbellito  qua  e  là  di  tutti  quei  par- 
ticolari che  parvero  più  opportuni  e  arricchito  di  nuovi  miracoli, 
fu  diviso,  poiché  le  Stimmate  «  furono  cinque  secondo  le  piaghe 
del  N.  S.  G.  C.  »,  in  cinque  considerazioni.  E  ora,  per  trattarne 
un  po' più  particolarmente:  la  1»  e  la  2*  considerazione  son  com- 
poste essenzialmente  del  racconto  de  inventione  m.  A.,  aggiuntovi 
il  racconto  di  fra  Leone,  con  interpolazioni  a  ogni  passo  tolte  da 
più  luoghi  di  Bonaventura  :  le  parole   ai    demoni    per   esempio,  i 


SULLE    FONTI   DEI    KKmETTI  307 

colloqui  con  Dio,  la  fonte  scaturita  improvvisa  per  dissetare  il  vil- 
lano, la  cortesia  del  falco:  la  melodia  dell'angelica  viola,  che  se- 
condo Bonaventura  egli  udì  gravemente  infermo,  a  Rieti  come  ag- 
giunge Tommaso,  suona  qui  anch'essa,  non  si  sa  come,  quasi  a 
prepar  l'animo  con  la  sua  «  intollerabile  dolcezza  »  al  doloroso  e 
dolce  mistero.  Nella  3»  considerazione  all'ultima  parte  del  cap. 
De  inventione  m.  A.  segue  il  racconto  come  in  Bonaventura, 
fuorché  nella  «  cisitazione  preparativa  »  dell'angelo,  tratta  da 
quella  slessa  larda  rivelazione  narrata  più  sotto,  da  cui  son  ripor- 
tate anche  le  parole  di  Cristo,  segue,  come  in  Bonaventura,  fino 
alla  discesa  dalla  Verna  che  pare  un  sunto  di  quella  lettera  di 
fra  Masseo  così  semplice  e  bella,  con  quei  dolcissimi  addii  di 
S.  Francesco,  che  non  pare  possano  esser  d'altri  che  d'un  testi- 
monio del  vero. 

La  4»  è  invece  un  mosaico  alla  meglio  connesso  di  racconti 
attinti  a  varie  fonti  ;  a  Bonaventura  specialmente  e  allo  Specalum 
perfectionis  o  ad  uno  dei  suoi  elementi. 

Anche  più  disgregala  è  la  5»  :  come  appare  dai  vari  litoli,  è 
una  serie  di  visioni  e  di  miracoli  deposti  in  vari  conventi  dei  Mi- 
nori ;  e  sono  indubbiamente  la  parte  più  tarda  di  tutta  la  raccolta 
dei  Fioretti. 


Speculum  perfectionis. 

Nella  ricerca  delle  fonti  abbiamo  già  visto  che,  direttamente 
o  no,  deriva  dallo  Speculum  perfectionis  quel  capitolo  degli  Actus 
che  dà  fusi  insieme  il  racconto  della  tentazione  dei  topi  col  mira- 
colo della  vigna  del  prete  di  Rieti;  ma  s'è  potuto  vedere  già  per 
le  parecchie  citazioni  fatte  e  lo  vedremo  meglio  dopo,  lo  Speculum 
perfectionis  è  una  fonte  importante  anche  per  gli  Actus:  a  ogni 
modo  la  questione  sulla  sua  autorità  è  così  vitale  per  la  primitiva 
storia  francescana,  che  non  mi  sembra  fuor  di  luogo  fermarcisi 
un  po'  particolarmente  anche  in  uno  studio  sulle  fonti  dei  Fioretti 
di  s.  Francesco. 

Una  semplice  lettura  dello  Speculum  può  bastare  ad  attestarne 
la  sincerità,  così  come  per  il  capitolo  sulla  perfetta  letizia  o  la  let- 
tera di  Masseo  narrante  l'addio  di  s.  Francesco  alla  Verna;  con- 


3Ó8  G.    STADERINI 

tuttociò,  siccome   c'è   chi    n'ha    dubitato  (1),  bisogna    addurne   le 
prove. 

Le  più  famose  testimonianze  intorno  a  quest'opera  le  abbiamo 
da  Ubertino  da  Casale,  noto  specialmente  per  i  versi  di  Dante 
(ver.  XII,  124)  in  cui  è  opposto  come  eccessivo  zelatore  della  po- 
vertà a  Matteo  d' Acquasparta  : 

ma  non  tia  da  Casal  né  d'  Acquasparta, 
là  onde  veg-nou  tali  alla  scrittura, 
che  l'uu  la  fug'g'e  e  l'altro  la  coarta. 

Egli  dunque  nel  libro  V  del  suo  Arbor  citae  crucifixae,  opera 
del  1305,  più  passi  cita  testualmente,  letteralmente  corrispondenti 
ad  altri  passi  dello  Speculnm,  siccome:  «  In  dictis  et  in  scriptis 
sancti  viri  et  socii  sui  (di  s.  Fr.)  fratris  Leonis  reperilur  ex- 
presse »,  «  sicut  sanctus  pater  socius  beati  Francisci  multum 
continuus  fr.  Leo  manu  sua  conscripsit  »  ed  altre  espressioni 
simili. 

La  più  notevole  citazione  è  questa: 

Quoad  testimoulum  celicum  quod  ista  regala  habuit  a  duo  Ihu  Xpo: .... 
quod  sequi  tur  a  saucto  fratre  Conrado  predicto....  et  viva  voce  audivit  a 
sancto  fratre  Leone  qui  praeseus  erat  et  reg'ulam  scripsit.  Et  hoc  ipsum 
in  quibusdam  rotulis  manu  sua  couscriptis,  quos  commendavit  in  moua- 
sterio  sauctae  Clarae  custodiendos  ad  futurorum  memoriam  dicitur  conti- 
neri.  In  illis  autem  multa  scripsit,  sicut  ex  ore  patris  audiverat,  in  factis 
suis  viderat  ;  in  quibus  mag-nalia  contiuentur  de  stupendis  sancti  et  de 
futura  corruptioue  regulae  et  de  futura  renovatioue  ipsius  et  de  magna- 
liis  circa  regnlae  insti tutionem  et  renovationem  a  deo  :  et  de  intentione 
h.  fr.  super  observantiam  reg'ulae....  cum  multo  dolore  audivi  illos  rotulos 
fuisse  distractos  et  forsitau  perditos,  maxime  quosdam  ex  eis  ». 

Sicché  dalle  attestazioni  di  Ubertino  neW Arbor  si  raccoglie 
che  fra  Leone  ha  scritto  di  propria  mano  dei  ricordi  di  s.  Fran- 
cesco e  che  altri  ricordi  di  lui  riferì  a  viva    voce   specialmente   a 


(1)  V.  Dki.i.a  Oiovanna,  S.  Frane.  d'A.  giullare,  nel  Giorn.  stor.  dellalett.,  fase.  73^ 


SULLE   FONTI    DEI    FIORETTI  3^9 

Corrado  da  Offida,  il  quale  visse  per  mollo  tempo  con  fra  Leone. 
Questi  ricordi  Corrado  li  avrebbe  poi  deposti  ad  Assisi  nel  mona- 
stero di  santa  Chiara,  come  nel  sacro  depositario  delle  memorie 
dell'Ordine  (1).  Ubertino  non  avrebbe  visto  l'originale  di  Corrado, 
bensì  o  gli  autografi  di  Leone  o  delle  copie. 

In  un'altra  solenne  occasione  udiamo  la  testimonianza  di  Uber- 
tino, in  mezzo  a  quel  gran  processo  dibattutosi  nel  principio  del  se- 
colo XIV  ad  Avignone,  con  tanto  commovimento  d'animi  e  di  li- 
belli. Ira  gli  Spirituali,  di  cui  egli  appunto  era  il  rappresentante,  e 
i  Conventuali,  Ira  chi  coartava  la  regola  e  chi  la  fuggiva.  Come 
naturale,  Ubertino  ha  più  volte  occasione,  invocando  l'aiitorità  di 
s.  Francesco,  di  citare  gli  scritti  di  Leone.  Nb  cita  infatti  e  ricita 
con  insistenza  parecchi  passi  perfettamente  corrispondenti  anche 
questi  ad  altri  passi  dello  i^pecidum  :  «  Sicut  patet  in  dictis  fra 
tris  Leonis  manu  sua  conscriptis,  sicut  ab  ore  s.  patris  audivit  », 
«  sicut  in  cedulis  sanctae  memoriae  fralris  Leonis  legi  manu  sua 
conscriptis  »:  ed  altre  espressioni  simili;  ma  una  tra  le  altre  è 
notevole  : 

«  Omnia  {circa  V  intenzione  di  s.  Fr,  sulla  povertà)  patent  por  sua 
verba  expressa  quae  per  sanctum  virum  Leonem  eius  socium  tam  de 
mandato  s.  patris  quani  de  devotioue  eius  fueruut  solemniter  conscripta 
in  libro  qui  habetur  in  armario  fratrum  de  Assisio  et  in  rotulis  eius  quos 
apud  me  habeo  manu  eiusdem  fr.  Leonis  conscripta  ». 

Dalle  parole  dunque  d'Ubertino  nel  processo  risulta  ch'egli 
aveva  letto  e  possedeva  tuttora  dei  ricordi  di  s.  Francesco  in  ce- 
dole o  rotoli  autografi  di  fr.  Leone;  che  potrebbero  anche  essere 
quegli  stessi  scritti  di  Leone,  di  cui,  come  abbiam  visto,  nel  1305 
trascriveva  dei  passi  nel  suo  Arhor  vitae  crucifixae:  ad  ogni 
modo,  non  v'è  certo  contraddizione  in  questo  tra  le  due  testimo- 
nianze. E  non  v'è  nel  fatto  che  \\e,\V Arbor  parla  di  rotoli  deposi- 
tati nel  monastero  di  santa  Chiara  che  con  dolore    ha    inteso  es- 


ci) Cfr.  Spec.  perf.  fnel  Cod.  Vat.  43S4,  paragr.  XLII);  «  Infrascripta  verba  fr.  Leo 
socius  et  confessor  s.  f  rancisci  scripsit  fratri  Chonrado  de  Ofììda  dicens  liabuisse  ab 
ore  b.i  fr.i  que  idem  fr.  Chonradus  retulit  apud  sanctum  Daraianura  prope  .\ssisium  ». 


360  G,    STADBRINI 

sere  stati  portati  via  e  forse  perduti,  e  nel  processo  parla  d'un 
libro  qui  habetur  in  armario  fratrum  de  Assisto. 

Che  le  memorie  conservate  ad  Assisi  lì  sian  chiamale  rotvli 
e  qui  libery  non  può  destar  sospetto,  posto  che  quando  scriveva 
VArbor  non  le  aveva  viste  e  forse  faceva  confusione.  E  le  parole 
di  Ubertino  son  confermate,  come  nota  anche  il  Della  Giovanna 
che  a  lui  non  crede  (e  in  tutta  questa  questione  sullo  Speculum 
mi  par  troppo  deliberato  di  non  voler  credere  a  nulla),  dalla  testi- 
monianza veramente  notevole  che  il  nolo  rappresentanle  degli  Spi- 
rituali Giovanni  Olivi  fa  nella  sua  Expositio  regulaes.  Fr  ,  cap.  10: 
«  cedulas  fratris  Leonis  quas  de  his  quae  de  Paire  nostro,  tam- 
quani  eius  singularis  socius,  viderat  et  audierat,  conscripsit  »,  at- 
testazione probabilmente  anteriore  al  1292,  anno  della  sua  ultima 
condanna;  e  da  quella,  importante  anch'essa,  del  B.  Francesco 
da  Fabriano  morto  nel  1322,  che  nella  sua  Cronaca  dice:  «  Fratrem, 
Leonem  ego  vidi  et  scripta  eius  legi  quae  recollegit  de  diciis  et 
vita  sanctissimi  Patris  nostri  Francisci  ».  Può  essere  che  que- 
st'ultima si  riferisca  alla  Legenda  triiim  sociorum,  ma  l'espres- 
sione dictis  et  vita  è  ripetuta  più  volte  per  designare  i  ricordi  che 
abbiam  nello  Speculum,  mentre  nella  Leggenda  dei  tre  socii  non 
abbiamo  altro  che  i  discorsi  falli  nei  capitoli. 

«  Ad  ogni  modo,  dice  il  Della  Giovanna,  [questi  rotali]  non 
sarebbero  mai  da  confondersi  con  lo  Speculum  pjerfectionis,  che 
non  può  essere  opera  di  fra  Leone,  perchè  in  esso  egli  è  ricor- 
dalo con  parole  d'encomio,  come  già  ebbe  a  notare  l'Affò  ».  Ora 
anch'io  ho  studiato  il  codice  bolognese  studiato  dal  Della  Gio- 
vanna, che  «  è  proprio  quello  slesso  nel  quale  l'Affò  ha  trovato  il 
volgarizzamento  dello  Speculum,  corrispondenlissimo  all'incorrotta 
codice  bussetano  »,  e  in  quel  testo  non  ne  ho  trovale  punto:  le 
rare  volte  che  Leone  è  nominato,  è  nominato  semplicemente 
frate  Leone.  Ad  ogni  modo,  se  anche  in  altri  codici  si  trovassero 
capitoli  dello  Speculum  nominanti  Leone  con  parole  d'encomio,  ciò 
non  contrasterebbe  per  nulla  con  l'idea  che  ci  facciamo  dello  Spe- 
culum. dal  suo  proemio  slesso:  «  La  quale  opera  è  compilata  e 
composta  per  modo  di  leggenda  di  alquante  antiche,  le  quale  in 
diversi  luoghi  scrissono  e  fecono  scrivere  o  vero  riferirono  i  com- 
pagni del  Beato  Francesco  ». 


SULLE   FONTI    DEI    FIORETTI 


3(il 


Ma  la  prova  decisfva  della  sincerila  dello  Speculiim  è,  secondo 
me,  il  confronto  con  la  2»  Vita  di  Tommaso,  quello  appunto  che  il 
Della  Giovanna  invoca  come  prova  del  contrario.  Alcuni  capitoli 
dello  Speculum  son  tratti  evidentemente  di  lì,  e  col  proemio  dello 
Speculum  non  c'ò  contraddizione.  Altri,  e  son  la  maggior  parte, 
riferiscono  fatti  e  discorsi  riferiti  anche  da  Tommaso,  ma  in  forma 
diversa  e  molti  portano  quel  famoso  suggello  dei  compagni  del 
santo  «  Xos  qui  cum  ipso  fuimus  ».  Dò  qui  un  saggio  di  questi 
capitoli  corrispondenti: 


Spec.  perf.  (1). 


Tom.  2",  2»  Vild,  III,  e.  CI. 


Fratri  etiam   qui  faciebat 

et  operabatur  Ugna  dicebat  ut  mm- 
quara  totum  arborem  incideret,  sed 
incideret  taliter  arbores  quod  sem- 
per  aliqua  pars  remaueret  integra 
amore  illius  qui  salutem  nostrani 
in  lig'no  crucis  voluit  operari.  Si- 
militer  fratri  qui  faciebat  hortum 
dicebat  ut  non  totani  terram  cole- 
ret  nisi  prò  herbis  comestibilibus, 
sed  aliquam  partem  terre  diraitteret 
ut  produceret  herbas  vireutes  que 
temporibus  suis  producere[«<]  fra- 
tribus  flores  amore  illius  qui  dicitur 
flos  campi  et  lilium  convallium. 


Lig'na  cedentes  fratres  pro- 

hibet  totam  succidere  arborem  ut 
spera  habeat  iterum  puliulaudi  ;  iu- 
bet  hortolanum  indefos.sos  limiteK 
circa  hortum  dimittere  ut  suis  tem- 
poribus herbarum  viror  et  tiorum 
venustas  praedicent  speciosum  re- 
rum omnium  patrem. 


Tommaso,  con  quel  suo  quasi  sallustiano  studio  di  brevità, 
ci  dà  in  forma  tutta  succinta  il  racconto  che  nello  Speculum  <"* 
in  una  forma  più  naturalmente  piana  ed  aperta,  come  è  proprio 
della  viva  voce:  è  evidente  che  quello  dei  due  è  l'originale,  che 
dà  la  materia,  per  dirla  con  l'autore  della  leggenda  in  versi  di 
S.  Chiara,  «  luce  sua  cestita  »,  quello  che  penetra  «  veri  dulce- 
dine  mentem  ». 

Ma  necessariamente  poi  Tommaso   per  tutti    i    fatti    avvenuti 


(1)  Lo  dò  nel  testo  latino  della  Race.  Avign..  perfettamente  corrispondente  alla 
Spec.  Bolognese,  cap.  117. 


o()2  G.    STADERINI 

durante  la  sua  assenza  e  per  molli  altri  probabilmente  anche 
quando  era  in  Italia  dovette  ricorrere  ai  socii  di  S.  Francesco  e 
più  specialmente  ai  suoi  più  famigliari. 

Difatti,  mentre  per  la  1»  Vita  egli  dichiara  d'aver  attinto  an- 
che alle  testimonianze  dei  sodi:  ea  quae  ex  ipsius  ore  anelivi  tei 
a  fidelibas  et  probatis  intellexi;  la  2^  Vita  è  presentata  nel  proe- 
mio generale  come  lavoro  collettivo  dei  socii,  di  quelli  quibiis  ex 
assidua  conversatione  illius  plus  ceteris  diutinis  experimentis 
innotuis. 

La  composizione  di  queste  due  vile,  per  cui  egli  è  come  il 
biografo  ufficiale  dell'ordine,  è  analoga  molto  probabilmente,  molto 
naturalmente  alla  composizione  che  della  Vita  di  santa  Chiara  ci 
è  attestala  dal  prologo  ad  essa  riportato  più  sopra. 

Un'altra  prova,  e  molto  importante,  dell'autorità  dello  Specu- 
lum  traggo  senz'altro  da  appunti  delle  lezioni  su  s.  Francesco  e 
la  prima  letteratura  francescana  fatte  quest'anno  nell'Università 
di  Roma  dal  prof.  G.  Salvadori,  a  cui  devo  anche  il  suggerimento 
di  questo  mio  lavoro: 

n  Noi  abbiamo  una  testimonianza  a  questo  proposilo,  il  cui 
«  valore  non  è  slato  ancora  abbastanza  considerato,  cioè  il  proe- 
«  mio  della  Raccolta  d'antiche  memorie  del  Santo  conservala  nel 
«  cod.  valicano  4354  e  tradotta  nel  vaticano  oltoboniano  681,  che 
«  contiene,  come  il  Della  Giovanna  ha  notato,  buona  parte  dello 
«  Specularli  perfectionis .  Or  bene,  il  compilatore  di  quella  raccolta 
«  si  dà  a  conoscere  per  un  Minore  il  quale  nella  prima  metà  del 
«  Trecento,  parte  altrove,  parte  in  Avignone,  volle  mettere  assieme 
«  un  supplemento  alla  Legenda  nova  di  s.  Bonaventura,  racco- 
«  gliendo  più  cose  notabili  ed  utili  di  due  specie.  Primo,  intorno 
«  allo  zelo  della  carità,  dell'umiltà,  della  povertà,  e  all'intenzione 
«  di  s.  Francesco  circa  l'osservanza  di  queste  virtù  e  della  Re- 
«  gola,  e  queste  egli  dice  d'aver  tolte  dalla  slessa  Legenda  vetus, 
«  alla  quale  aveva  attinto  frale  Bonaventura,  che  è  nome  dato 
«  dopo  il  1260  alle  due  vite  di  Tommaso  da  Celano;  e  poi  dai 
«  Detti  dei  socii  scritti  da  uomini  approvati  dell'Ordine.  Poi  i  fatti 
«  straordinari  o  i  miracoli,  che  egli  tolse,  prima  da  un  libro  di 
«  un  Federigo  arcivescovo  di  Riga,  che  quasi  senza  dubbio  è  il 
«  francescano  Federico  Barone  morto  nel  1340;  poi  ancora  dalla 
«  Legenda  vetus  di  Tommaso;  poi  dagli  scritti  dei  socii  che  dicono 


SII.I.E    FONTI    DEI    FIOUETTI  3().'ì 

«  la  vita  e  le  gesta  di  alcuni  dei  più  ricordali  Ira  i  [»riini  Minori; 
«  poi  alcune  cose  di  s.  Antonio,  del  b.  Giovanni  della  Verna  e 
*  di  altri.  Ora,  credo  si  possa  supporre  con  fondamento  che  il 
«  libro  di  P'ederico  arcivescovo  di  Riga  era,  sebbene  solo  in  parte, 
«  quello  degli  Actus  sancii  Francisci  che  possediamo  anche  noi. 
«  Questo  libro  conteneva,  come  contengono  gli  Aclus,  il  racconto 
«  dei  fatti  più  straordinari  e  dei  miracoli  e  le  tradizioni  riguar- 
«  danti  la  Porziuncola  e  la  Verna,  e  in  esso  abbiamo  quindi  in 
«  parte  il  Testo  latino  dei  Fioretti.  Quali  sono  dunque  le  fonti 
«  che  rimangono  della  Race,  avignonese? 

«  La  2»  Le<jenda  di  Tommaso;  le  notizie  intorno  alle  virtù 
«  di  Fr.  date  dai  suoi  Compagni  e  scritte  da  uomini  approvati 
«  dell'Ordine;  le  Legende  scritte  dai  Compagni  stessi  di  Fran- 
«  Cesco  e  da  alcuni  tra  i  primi  Minori  ;  le  Legende  di  S.  Antonio, 
«  del  b.  Giovanni  della  Verna,  di  Corrado  da  Offida,  di  Giovanni 
«  della  Penna.  Ora,  se  andiamo  per  eliminazione,  alla  parte  della 
«  Raccolta  avignonese  corrispondente  aWo  Speculum  perfectionis, 
«  vediamo  che  corrispondono  i  nomi  di  Tommaso  e  dei  Tre  Socii  : 
«  e,  se  ne  togliamo  i  paragrafi  di  Tommaso  che  si  possono  ri- 
«  scontrare,  noi  abbiamo  che  secondo  il  compilatore  le  notizie 
«  dello  Speculum  perfectionis,  o  sono  scritte  dai  Tre  Socii,  o  sono 
«  date  da  loro  e  scritte  da  uomini  approvati  dall'Ordine  ». 

Liher  rìiiraculorunif 

Ora,  lasciando  di  cercare  quali  fossero  precisamente  i  limiti 
del  libro  di  Federico  Barone,  posto  che  noi  abbiamo  una  serie 
di  falli,  la  quale  non  risale  ad  alcuna  delle  fonti  note,  dobbiamo 
supporre  che  ve  ne  sia  una  ignota,  e  dal  suo  contenuto  le  con- 
verrebbe bene  il  titolo  di  liher  miraculorum  o  exemplorum. 

Ed  è  possibile  che  il  libro  di  Federico  Barone,  se  non  era 
una  cosa  con  gli  Actiis,  avesse  appunto  questo  titolo. 

Nella  prima  parte  di  questo  studio  ho  già  detto  che  i  capi- 
toli riguardanti  i  santi  Minori  della  2^  e  della  3»  generazione  son 
presi  da  vite  che  prima  correvano  separale  (1).  Di  autori  non  co- 
nosciamo dai  Fioretti  che  quello  della  vita  di  Giovanni  della  Verna, 


(1)  Questo  appare  chiaramente  da  un  confronto  tra  gli  Actus  e  i  Fioretti. 


364  G.   STADERINI 

Ugolino  del  Monte  santa  Maria  (f  1322).  Ugolino  resta  autore 
diretto  di  questi  capitoli  (1)  e  indiretto  del  cap.  De  inventione 
montis  Alcernae:  non  d'altro.  Il  compilatore  vero  degli  Actus  ri- 
mane ignoto,  e  del  resto  alla  materia  raccolta  non  aggiunse  molto 
del  suo:  e  quasi  piace  che  il  primo  autore  dell'opera  nella  quale 
s.  Francesco  è  apparso  al  popolo  sempre  vivo,  rimanga  oscurata 
nella  sua  luce. 

Roma,  14  ottobre  1895. 

Giuseppe  Staderini. 


(1)  Dal  pi'oemio  degli  Actus  parrebbe  che  tutti  quei  capitoli  dei  santi  della  Marca 
non  entrassero  nel  piano  della  compilazione: 

Sunt  quaedam  notabilia  de  b.o  f.o  et  sociis  eius  et  quidam  actus  eorum  mirabi- 
les,  qui  ifi  legenda  eius  praetermissa  fuerunt  :  una  conferma  potrebbe  essere  il  fatto 
che  la  chiusa  caratteristica  degli  altri  capitoli  :  ad  laudem  domini  nostri  lesu  Christì 
manca  in  questi  ;  i  due  primi  soltanto  hanno  Dea  gratias.  Ma  e  su  questo  e  su  al- 
tri punti  del  presente  lavoro  ritornerò  ancora. 


365 


RICERCHE  SULLA  ANTICA  CITTA  DI  REGILLO 


Tito  Livio,  nel  secondo  libro  delle  sue  Istorie,  all'anno  247 
di  Roma,  così  si  esprime  : 

«  Erano  consoli  Marco  Valerio  e  Publio  Postumio.  In  quel- 
«  l'anno,  fu  ben  pugnato  contro  i  Sabini.  I  Consoli  trionfarono. 
«  Quindi  i  Sabini  si  apparecchiavano  alla  guerra  con  maggiore 
«  accanimento.  Contro  essi,  e  perchè  non  nascesse  insieme  qual- 
«  che  pericolo  repentino  da  parte  del  Tuscolo,  con  cui  sebbene 
«  non  vi  fosse  aperta  guerra,  vi  era  però  sospetta,  furono  eletti 
«  consoli,  Publio  Valerio  per  la  quarta  volta,  e  Tito  Lucrezio  per 
«  la  seconda. 

«  Una  sedizione  sorta  nei  Sabini,  tra  quelli  che  amavano  la 
«  guerra,  e  quelli  che  preferivano  la  pace;  aumentò  alquanto  le 
«  forze  dei  Romani.  Imperciocché,  Azio  Clauso,  a  cui  poscia  fu  dato 
«  il  nome  di  Appio  Claudio  in  Roma;  mentre,  essendo  egli  fau- 
ci tore  della  pace,  veniva  perseguitato  dai  partigiani  della  guerra; 
«  né  si  trovava  in  forze  sufficienti  da  tener  testa  all' oppoeta  fa- 
«  zione;  dal  vico  Regillo,  con  grande  seguito  di  amici  e  clienti 
«  si  ritirò  a  Roma.  Ad  essi  fu  tosto  data  la  romana  cittadinanza, 
«  ed  assegnati  i  campi  che  sono  al  di  là  dell' Aniene:  e  fu  questa 
«  chiamata  l'antica  tribù  Claudia,  aggiuntivi  poscia  quelli  che  pro- 
«  venissero  da  quell'agro.  Appio,  ascritto  tra  i  Padri,  non  andò 
«  molto,  che  pervenne  alla  più  alta  riputazione. 

«  I  Consoli,  con  nemico  esercito,  partiti  per  l'Agro  Sabino, 
«  quando  ebbero,  colla  devastazione  e  la  guerra,  ridotte  a  tale  le 
«  forze  del  nemici,  che  per  lungo  tempo  non  avessero  più  a  te- 
«  merne  alcuna  ribellione,  tornarono  a  Roma  trionfanti.  Publio  Va- 


366  A.    BARBIELLINI-AMIDEI 

«  lerio,  che  a  giudizio  di  tutti  era  riguardato  per  il  principe  nelle 
«  arti  della  guerra  e  della  pace,  l'anno  dopo,  morì,  sotto  il  conso- 
«  lato  di  Menenio  Agrippa  e  Publio  Posturnio,  con  gloria  inn- 
«  mensa,  e  con  beni  di  fortuna  così  esigui,  da  mancare  il  denaro 
«  per  il  funere.  Fu  questo  fatto  a  spese  del  pubblico.  Le  matrone 
«  lo  piansero  come  Bruto  »  (l). 

Questo  fatto  saliente  della  storia  romana,  che  Livio,  coll'usato 
suo  laconismo,  ha  tratteggiato  con  poche  parole,  mi  ha  fatto  na- 
scere il  desiderio  di  ricercare  le  circostanze  ed  i  dettagli  che  ac- 
compagnarono questa  grande  decisione  di  Appio  Claudio  e  dei 
suoi  seguaci,  e  di  rintracciare  il  sito  dove  sorse  Regillo. 

Atta  o  Azio  Clauso,  detto  poi  Appio  Claudio  in  Roma,  fu  primario 
cittadino  di  Regillo,  e  quasi  onnipotente  in  Sabina  per  il  suo  sapere, 
per  le  sue  ricchezze  e  per  il  largo  seguito  dei  suoi  amici  e  fautori. 
Riaccesasi  contestazione  e  discordia  tra  i  Sabini  ed  i  Romani,  opinò 
che  si  dovesse  preferire  la  pace  alla  guerra  coi  medesimi. 

Il  partito  avverso  alla  pace,  sparse  malignamente  la  voce  che 
Clauso  amava  la  pace  coi  Romani,  per  potere  coli' aiuto  dei  me- 
desimi divenire  signore  e  tiranno  dei  Sabini.  Questo  ingiusto  so- 
spetto gli  lacerò  l'anima;  e  siccome  era  fiero  ed  indomito,  nel  247 
di  Roma^  505  anni  avanti  Cristo,  abbandonò  la  sua  patria,  a  ciò 
incoraggiato  anche  dal  romano  Valerio  Publicola  suo  amico;  e  si 
condusse  a  Roma  con  7,000  famiglie  sabine,  nelle  quali  erano  5,000 
uomini  atti  alle  armi. 

I  Romani  accolsero  lui  ed  i  suoi  festosamente:  li  ascrissero 
ad  una  delle  prime  tribù  istituite  dai  Re,  che  più  lardi  fu  chia- 
mata Vetus  Claudia  Trihus,  come  dicono  Livio  e  Virgilio  (2); 
dettero  loro  la  cittadinanza  romana  e  le  terre  che  erano  tra  Fi- 
culea  e  Fidene,  oggi  Monte  Gentile  e  Castel  Giubileo. 

Claudio  fu  subito  ascritto  al  Senato,  e  tra  le  famiglie  patrizie. 

La  guerra  seguita  tra  i  Sabini  ed  i  Romani,  dopo  l'emigra- 
zione di  Appio,  fu  subito  perduta  dai  Sabini.  Claudio   divenne    il 


(1)  TiT.  Liv.,  Hist.,  Lib.  II,  e.  16. 

(2)  TiT.  Liv.,  Hist.,  Lib.  II. 

Ecce  Sabinorura  prisco  de  sanguine  magnani 

Agraen  agens  Clausus,  magnique  ipse  agminis  instar, 

Claudia  nunc  a  quo  diffunditur  et  trihus  et  gens 

Per  Latium,  postquam  data  Roma  Sabinis.  Virg.,  Aeneid.,  VII. 


RICERCHE   SULLA    ANTICA    CIITÀ    IH    KEdlLLO  otJT 

signore  di  Roma  ed  il  direttore  della  politica  romana.  Fu  con- 
sole, fu  l'ispiratore  della  creazione  della  terribile  dignità  dillalo- 
riale,  che  incusse  spavento  ai  contemporanei  ;  ma  insofferente  di 
carattere,  e  soverchiamente  severo,  si  creò  dei  nemici  che  lo  chia- 
marono a  render  conto  di  tanti  atti  di  giustizia  eccessivamente 
crudeli. 

Piuttosto  che  giustificarsi,  si  uccise  nel  470  avanti  Cristo, 
convinto  di  essere  stato  giusto  e  di  non  avere  mai  mancato  al 
suo  dovere.  Fu  tanta  la  sua  potenza,  che,  durante  la  sua  vita  ed 
il  suo  apogeo,  fu  detto:  data  Roma  Sabinis-,  perchè  egli  era  tutto. 

Fondò  la  celebre  famiglia  Claudia  romana,  e  l'imperatore 
Claudio,  si  vantava  di  essere  suo  discendente.  Tacito,  al  LibrdXI 
degli  Annali,  gli  fa  dire:  Majores  mei,  quorum  antiquissimus  CLau- 
ses,  origine  Sabina,  simul  in  Ciciiaiem  Romanam.,  et  in  J'amiUas 
Patriciorum  adscitus  est. 

Questa  famiglia  nobilissima  si  divise  in  cinque  grandi  rami, 
da  cui  uscirono  vari  imperatori  ed  un  numero  infinito  di  uomini 
illustri  e  di  consoli.  Dal  ramo  dello  dei  Fulcri  uscì  Appio  Clau- 
dio il  cieco,  il  fondatore  della  Regina  omnium  ciarum,  la  famosa 
Via  Appia,  che  da   Roma  conduceva  a  Brindisi. 

I  Claudi  proseguirono  a  possedere  in  Sabina,  anche  dopo  la 
loro  emigrazione  in  Roma  :  ed  il  suggello  di  un  mattone,  trovato 
presso  delle  rovine  antiche  nel  secolo  passalo,  nel  territorio  di 
Montopoli,  prova  che  avevano  una  villa  in  quei  pressi,  anche  dopo 
-vari  secoli  dal  loro  trasferimento  a  Roma  : 

PAET.  ET-  APRON-  COSS- 
EX.  PR- 
T.  CLAVD-  QVARTI 

II  quale  suggello  ci  dà  due  notizie  utili  ad  un  tempo.  La  prima, 
che  Tito  Claudio  Quarto,  della  famosa  famiglia  dei  Claudi,  vi  avea 
una  villa,  come  si  desume  da  quel  ex  praedio ;  e  che  questa  villa  fu, 
per  ciò  che  riguarda  i  fabbricali,  o  adornata  con  nuovi  edifizì,  o 
restaurata  negli  esistenti,  nell'anno  168  dell'era  volgare,  sotto  gli 
imperatori  Marco  Aurelio  e  Lucio  Vero.  La  seconda,  ed  è  utilis- 
simo per  la  storia,  ci  fa  vedere,  che  vi  fu  un  console  sostituito 
in  quell'anno;  e  che  questo  fu  quel  Peto  qui  nominato  insieme  ad 


368  A.    BARBIELLINI-AMIDEI 

Apponiano.  Giacché,  dai  Fasli  Consolari,  risultano  consoli  a  quel- 
l'anno solamente  Aproniano  e  Lucio  Vegio  Paolo. 

Ma  ora  che  la  storia  di  questa  grande  famiglia  Regillense 
ci  ha  tanto  interessato  viene  naturale  la  domanda  :  dove  era  Re- 
gillo? 

Molli  hanno  fantasticalo  sulla  sua  posizione:  e  nel  secolo 
decimosettimo,  vi  fu  perfino  un  distinto  prelato,  Monsignor  Pier 
Francesco  De  Rossi,  che  senza  alcun  antico  avanzo,  senza  alcun 
documento,  acciecalo  dall'amore  che  portava  ad  un  piccolo  feudo 
in  Sabina,  volle  vederlo  nel  microscopico  Poggio  Sommavilla. 

Dionisio  d'Alicarnasso  lo  pone  a  160  stadi  da  Roma;  Svetonio 
e  Stefano  geografo  ne  fanno  menzione,  senza  precisarne  il  silo; 
Plinio  ed  Olstenio  non  ne  parlano. 

Strabene,  che  nacque  in  Amasia  54  anni  avanti  Cristo,  e  morì 
21  anni  dopo  Cristo,  e  visse  perciò  sotto  Augusto  e  Tiberio,  non 
nomina  Regillo;  e  cosi  si  esprime  delle  città  Sabine  a  suo  tempo  : 

><  I  Sabini hanno  poche  città,  e  quelle  rovinate 

«  dalle  continue  guerre,  come  Amilerno,  Rieti,  a  cui  è  vicino  il 
«  castello  di  Antrodoco,  eie. 

«  Vi  sono  anche  i  Foruli  dei  Sabini,  scogli  più  atti  a  fare 
«  rivoluzione,  che  ad  abitarvi.  Curi  ora  è  un  villaggetto,  etc.  (1). 
«  Inoltre  Trebula,  Ereto  ed  altre  residenze  di  tal  genere,  sono 
«  piuttosto  da  annoverarsi  tra  i  villaggi,  che  tra  le  città  »  (2). 

Cluverio,  nella  sua  Italia  antiqua,  parla  molto  superficial- 
mente di  Regillo,  e  la  mette  a  caso  tra  Curi  e  Farfa,  senza  pre- 
cisare alcun  posto. 

Ma  Plauto  ci  dice  che  Regillo  era  così  chiamalo,  quasi  pic- 
cola Regia  e  villa  reale  della  città  di  Curi,  regia  della  Sabina  (3). 

E  che  Regillo  non  fosse  lontano  da  Curi,  capitale  dei  Sabini, 
lo  prova  il  fatto  che  Clauso,  nobile  Regillense,  era  al  giorno  di 
tutte  le  trame  che  si  ordivano  in  Curi  per  avversare  il  suo  piano 


(1)  Eppure  Curi  ebbe  un  miglio  e  mezzo  di  diametro. 

(2)  Sabini urbes  liabent  paucas,  easque  continentibus  bellis  attritas,  .\miter- 

num,  Reale  cui  vicinum  est  oppidum  Interocrea,  etc.  Sunt  et  Foruli  Sabinorum,  saxa 

ad  rebellionem  quam  habitationem  aptiora.  Cures  nunc  viculus  est,  etc Praeterea 

Trebula,  Eretum  et  alia  Id  genus  domicilia,  pagis  potius  quam  urbibus  adnumeranda. 
Strab.,  GeograiìMcoì^uin,  Lib.  Y,  p.  228,  B. 

(3)  Plaut.  in  Epit. 


RICERCHE   Sri.LA   AN'HCA    CITTÀ    DI    REdlLLO  ;{()!» 

di  pace  e  conciliazione  coi  Romani,  e  muovere  invece  di  nuovo 
guerra  ai  suddetti. 

Dunque,  data  la  distanza  da  Roma,  stabilita  da  Dionisio,  lo 
scopo  di  villeggiatura  dei  Re  Curensi,  a  cui  dovea  il  suo  nome, 
come  dice  Plauto,  la  presenza  d'interessanti  ruine  che  n'attestano 
l'esistenza,  lutto  concorre  a  farla  stabilire  nella  contrada  Maja- 
lino  nel  territorio  di  Mompeo,  che  oltre  di  racchiudere  lulli  que- 
sti estremi,  è  bagnala  alle  falde  dal  fiumicello  Riana,  che  nei 
documenti  Farfensi  è  chiamato  Regiano,  quasi  fiumicello  Regio 
o  di  Regillo. 

Descriveremo  per  poco  la  località.  Forse  due  chilometri  fla 
Mompeo  verso  Rieti,  si  erge  un  bel  monte,  tutto  esposto  a  mez- 
zogiorno, che  dolcemente  declina  fino  al  fiumicello  Riana.  Sulle 
falde  di  quel  monte  vaghissimo,  dei  ruderi  esistenti  attestano 
l'antico  vico  Regillense. 

Una  parete  di  questi  muri,  fino  a  non  molli  anni  fa,  si  ergeva 
a  circa  trenta  metri  di  altezza,  come  persone  ancora  viventi  as- 
seriscono; e  questa  gente  di  campagna  chiamava  la  torre.  Molte 
rovine  si  trovano  nei  pressi  ;  ed  anche  alla  parte  opposta  del 
monte  di  Majalino,  al  di  qua  del  fiumicello  Riana.  Anzi  sulla  col- 
lina a  nord-est  di  Majalino,  e  quasi  incontro  al  medesimo,  si  tro- 
vano, oltre  avanzi  antichi  informi,  delle  pietre  tagliale  e  lavorale; 
e  due  di  esse,  lunghe  due  metri  e  larghe  centimetri  ottanta  con 
degl'incassi  nel  centro,  rivelano  che  forse  servirono  di  basi  osti- 
pili  di  porta.  Muri  e  pietre  lavorate  si  trovano  per  ogni  verso; 
ed  una  grande  conserva  di  acqua,  divisa  a  più  stagni,  che  oggi 
volgarmente  chiamano  Grotta  Ciollina,  dimostra  che  questa  ser- 
viva o  agli  usi  di  Regillo,  cavalcando  con  apposite  opere  di  arte 
e  condutture  il  fiumicello  Riana,  o  serviva  ai  fabbricali  che  erano 
nella  parte  opposta  di  Regillo.  Molte  incrostazioni  calcaree  deno- 
tano il  pelo  dove  giungeva  l'acqua. 

Anche  in  questi  ultimi  tempi,  dei  terrazzieri,  lavorando  a  caso, 
vi  hanno  trovalo  delle  tombe  con  vasi  della  più  remola  antichità, 
contenenti  ossa  umane. 

La  presenza  di  queste  interessanti  ruine  in  una  località  in- 
cantevole, e  che  naturalmente  invitava  ad  abitarvi  o  villeggiarvi, 
ha  fatto  vedere  al  chiaro  archeologo  signor  Chaupy,  in  quel  silo, 
l'antica  Regillo;  ed  il  signor  D'Anville,  seguendo  la  fondala  opi- 


370  A.    BARBIELLINI-AMIDEI 

Dione  del  suddetto  antiquario,  nella  Tavola  premessa  al  Tomo  I 
della  Storia  Romana  di  Rollin,  metteva  nel  territorio  di  Mompeo 
la  città  di  Regillo,  come  Curi  in  quello  delia  Fara. 

Calindri  mette  pure  Regillo  nel  territorio  di  Mompeo,  e  dice 
che  altri  credono  che  le  rovine  di  Regillo  contribuissero  alla  edi- 
ficazione di  Mompeo. 

Ma  di  questo  parleremo  più  tardi. 

Il  dotto  Cluverio,  nella  sua  Italia  antiqua,  non  precisava  cosi 
esattamente  la  località,  ma  pure  in  qualche  modo  l'accennava, 
quando  credeva  che  fosse  esistita  tra  Curi  ed  il  fiume  Farfa. 

Anche  la  presenza  della  Villa  dei  Claudi,  del  secondo  secolo 
dell'  impero,  nel  territorio  di  Montopoli,  mentre  esclude  Regillo 
dalla  casa  rurale  dei  medesimi,  fa  supporre  che  la  vecchia  città 
non  fosse  molto  lontana  da  quella. 

Guattani  nei  suoi  «  Monumenti  Sabini  »  sostiene  che  Mom- 
peo, prima  che  fosse  acquistato  da  Pompeo,  era  Regillo  ;  ma  noi 
mostreremo  che  sebbene  la  famosa  Villa  del  Magno  Pompeo,  da 
cui  Mompeo  prende  il  suo  nome,  non  era  lungi  da  Regillo,  non 
per  questo  era  la  medesima  cosa,  e  due  buoni  chilometri  sepa- 
ravano l'uno  dall'altro. 

Le  rovine  che  si  trovano  nella  località,  chiamata  Majalino, 
sono  della  più  remota  antichità  e  del  tempo  dei  Re,  e  per  nulla 
accennano  all'epoca  di  Pompeo;  perciò  più  atte  ad  indicare  la 
città  di  Regillo  di  antichissima  origine  e  che  come  tutte  le  città 
Sabine  decadde,  quando  fu  stabilita  definitiva  pace  e  concordia 
tra  il  popolo  romano  e  sabino.  Giacché,  ammessi  i  Sabini  alla 
cittadinanza  ed  a  tutti  gli  onori  di  Roma,  fino  ad  avere  un  quar- 
tiere nobilissimo  loro  designato,  l'attuale  Quirinale,  che  da  loro 
prese  il  nome,  finirono  per  stabilirsi  in  Roma  quanti  avevano  de- 
naro o  potere,  abbandonando  le  loro  città  natie. 

Da  questo  loro  installamento  nella  città  di  Roma  provenne 
l'abbandono  e  decadenza  quasi  totale  delle  loro  città,  talmente  che 
Strabone  e  Dionisio  di  Alicarnasso  trovarono,  a  loro  tempo,  ri- 
dotte a  modesti  villaggi  città  che  furono  nobilissime.  Strabone  ci 
fa  sapere,  che  la  regia  città  di  Curi  (da  cui  è  venuto  il  nome  di 
Quirino,  Quiriti  e  Quirinale)  che  nei  tempi  felici  aveva  avuto  un 
diametro  di  un  miglio  e  mezzo  di  abitazioni,  a  suo  tempo  era 
ridotta  ad   un   villaggetto,  viculus.  E   così   deve  essere  avvenuto 


RICERCHE    SILLA    ANTICA    CITTÀ    DI    KKMI.I.O  'MI 

anche  di  Regillo,  che  pian  piano  disparve  in  guisa  da  non  la- 
sciare quasi  traccia  di  so  al  principiar  dell'  impero. 

Però  da  lutti  gli  argomenti  addotti  superiormente,  e  dalle  ro- 
vine tuttora  esistenti,  si  può  con  tutta  sicurezza  stabilire  che 
Regillo  esistesse  nella  bella  falda  meridionale  che  scende  dalla 
montagna  di  Majalino  nel  territorio  dell'attuale  Mompeo. 

Ma  siccome,  nel  mondo,  le  cose  piuttosto  che  a  sparire  del 
tutto,  sono  destinate  a  modificarsi  ed  a  trasformarsi  ;  così  dalla 
vicina  Regillo,  quasi  sparita  al  cader  della  Repubblica  ed  al  co- 
minciar dell'Impero,  surse  la  grandiosa  Villa  del  Magno  Pompeo, 
che  i  più  interessanti  monumenti,  ancora  esistenti,  ci  ricordano. 

Cadde,  perciò,  in  errore  il  Guattani,  quando  scrisse  che 
Mompeo,  prima  che  fosse  acquistato  da  Pompeo,  era  Regillo  ; 
perchè  se  è  vero  che  erano  vicini,  non  erano  però  la  medesima 
cosa,  passando  una  bella  distanza  tra  loro,  ed  essendo  del  tutto 
diversi  i  monumenti  che  ricordano  Regillo  e  la  Villa  Pompejana. 

Già  prima  del  grande  rivale  di  Cesare,  un'altra  villa  era 
sorta  in  quei  pressi. 

Fabio,  detto  Massimo,  anch' egli  volle  trovare  riposo  alle  sue 
cure  politiche  nei  freschi  recessi  della  Sabina  :  e  nella  loca- 
lità, anche  oggi  corrottamente  chiamata  Villa  Marsa  nel  terri- 
torio di  Mompeo,  ebbe  egli  la  sua  casa  campestre.  La  ricordò 
anche  Cicerone  nelle  sue  opere,  scrivendo  :  Villa  Fabii  Maximi 
in  Agro  Sabino. 

Ma  questa  dovea  essere  eclissata  da  quella,  che  per  opera 
del  Magno  Pompeo,  dovea  sorgere  nel  posto  più  eminente  di  quella 
vaga  contrada. 

La  bellezza  del  monte,  su  cui  sorge  Mompeo,  ridente  per  la 
feracità  del  terreno,  l'abbondanza  delle  acque,  e  più  per  gl'incan- 
tevoli panorami  che  vi  si  godono  per  ogni  verso,  dovette  invitare 
quel  grande  ad  edificarvi  la  sua  dimora  campestre,  che  ancora 
tanti  avanzi  antichi  ricordano  e  fanno  vedere  quanto  dovette  es- 
sere grande  e  magnifica. 

Il  suo  grande  amico  ed  ammiratore,  Marco  Tullio  Cicerone, 
dovette  andarvi  qualche  volta  a  vederlo,  come  appare  dalle  sue 
lettere  (1). 

(1)  In  Pompejanum  statim  cogito,  sed  faciam  te  certiorem.  Cic,  Epist.  4,  Lib.  VII. 


oT2  A.    BARBIELLlNI-A>nDEI 

Cerio,  il  nucleo  dell'antica  villa  dovette  essere  dove  oggi  sorge 
il  palazzo  baronale,  che  per  le  varie  edificazioni  e  raffazzonamenti 
che  ha  subiti,  ha  fatto  quasi  sparire  le  più  antiche  costruzioni. 

Ma  delle  sue  dipendenze  restano  ragguardevolissimi  monu- 
menti, specialmente  nella  parie  del  monte  che  discende  verso  la 
strada  che  conduce  a  Salisano,  e  verso  una  piccola  chiesa,  detta 
la  Madonna  del  Mattone.  Ivi  veggonsi  ruderi  di  antichi  bagni, 
avanzi  di  sepolcri  magnifici,  quali  quelli  della  Via  Appia  a  Roma, 
pavimenti  in  musaico,  e  muri  antichi,  di  cui  alcuni  reticolati,  per 
una  larga  estensione,  dimostranti  quanto  grande  e  bella  dovesse 
essere  quella  villa. 

La  semplicità  e  l'ignoranza  dei  passali  abitatori  ha  disperso 
gli  ornamenti  e  le  lapidi  che  ornavano  quei  magnifici  sepolcri,  ed 
appena  una  ne  fu  letta  al  posto  dal  Marocco  (1)  salvala  dai  rovi 
e  da  una  moltitudine  di  rami  di  quella  pianta  chiamata  Ficus  In- 
dica che  copriva  e  cingeva  quasi  del  tutto  quel  venerabile  monu- 
mento, come  esso  dice.  Io  però  non  sono  riuscito  a  vederla.  Que- 
sto bellissimo  monumento,  oggi  chiamalo  la  Palombara,  ha  una 
bella  camera  sepolcrale  a  volta,  ridotta  a  stalla,  e  l' iscrizione  che 
vi  lesse  il  Marocco,  moslra  che  fu  innalzato  ad  onore  di  una  li- 
berta di  Pompeo,  di  nome  Pasidiena,  e  ad  una  figlia  di  questa. 
Ecco  r  iscrizione  : 

PASIDIENAE 

P.  L.  CLIMENAE  ET  MEGISTAE  FILIAE 

FECIT  HIMER- 

P.   L.  vuol  dire  Pompei  Lihertae. 

Le  altre  lapidi  che  doveano  designare  i  bei  monumenti  se- 
polcrali, esistenti  lungo  quella  via,  sono  state  disgraziatamente 
disperse.   Una  ne  ho   letta   murata  nel    palazzo   baronale,  e  dice  : 

PETILIA  T.  ET 

P.  ATRL  L.  ETHERA 

P.  ATRIVP.  E. 

L.    SYNEROS 

CONLIBERTAE  ET  SIBI 


(1)  Marocco,  Monwnenti  dello  Stato  Pontìftoio,  Tom.  II,  p.  75. 


RICBRCIIK    SILI,A    ANTICA    CITTÀ   DI    REOILLC)  373 

Dall'insieme  si  veiJe  che  questi  monumenti  sepolcrali,  sebbene 
grandiosissimi,  erano  dei  liberti  dei  signori  del  luogo,  i  quali 
avevano  in  custodia  la  villa  e  le  sue  vaste  dipendenze. 

E  giacché,  per  fa  vicinanza  di  Regillo,  abbiamo  fallo  parola 
<lella  sontuosa  villa  di  Pompeo,  rappresentata  oggi  dal  cnstello  di 
Moinpeo  ;  a  diletto  dei  nostri  lettori,  faremo  la  storia,  per  quanto 
ci  I'  dato  dai  documenti,  di  questo  simpatico  villaggio. 

La  maggior  parte  degli  antichi  avanzi,  di  cui  abbiamo  fatto 
parola,  sono  del  periodo  imperiale,  e  certamente  del  primo  e  se- 
condo secolo:  e  ciò  dimostra  evidentemente  che  anche  dopo  la 
caduta  e  la  morte  in  Egitto  del  grande  Pompeo,  i  suoi  successori 
seguitarono  ad  usare  come  luogo  di  delizia  quel  luogo,  e  certo 
almeno  per  due  secoli  dopo  la  sua  morte,  come  quei  monumenti 
rivelano. 

Di  là  comincia  il  bujo  della  storia,  che  aumentato  per  la 
guerra  civile  in  permanenza  nella  seconda  metà  del  terzo  secolo 
per  l'ambizione  di  tutti  quei  generali  o  tiranni  che  aspiravano  al- 
l'impero, e  nel  quarto,  quinto  e  sesto  secolo  per  le  irruzioni  bar- 
bariche, ci  fa  perdere  ogni  traccia  di  Mompeo  fino  ai  tempi  di 
Adriano  I  (772-795),  in  cui  per  la  prima  volta  lo  ritroviamo  no- 
minato sotto  il  modesto  nome  di  Fundus  Pomjjejanus. 

Trovasi  così  scritto  in  una  lapide  di  quel  Papa,  che  è  nell'alto 
del  Portico  di  S.  Pietro  ;  ed  è  ricordato  come  quello,  che  sommi- 
nistrava l'olio  per  le  lampade  che  ardevano  sulla  tomba  dell'Apo- 
stolo nella  Basilica  Vaticana. 

In  una  iscrizione  del  secolo  ottavo,  esistente  nella  Chiesa  di 
S.  Maria  in  Cosmedin,  trovasi  scritto,  Fundus  Pompejanus.  Nella 
Collezione  Deusdedit,  trovasi  egualmente  Fundus  Pompejanus. 

Nell'anno  816,  Papa  Stefano  IV,  tra  gli  altri  fondi,  conferma 
all'Abate  di  Farfa,  Ingoaldo,  sotto  Ludovico  Pio,  nel  terzo  anno 
del  suo  impero,  Fundum  Pompejanum  (1). 

Nel  Diploma  dell'imperatore  Lotario  (820-849),  riportato  nei 
Codici  Farfensi,  si  trova  richiamato  il  Fundum  Pompejanum  (2). 

Dai  surriferiti  documenti,  si  vede  bene,  che  l'antico  fondo  di 
Pompeo  era  divenuto  proprietà  della  famosa  Abbazia  di  Farfa. 


(1)  Reg.  Farf. 

(2)  Reg-.  Farf.,  pag.  74. 


374  A.   BARBIELLINI-AMIDEI 

Infatti,  neir  875,  l'Abate  Giovanni  dà  in  enfiteusi  Mompeo 
{Pompeje)  ad  un  tal  Francone,  e  tra  i  confini  è  designato  un  rivo 
che  scende  dalla  Bocca  di  Azzone. 

E  due  anni  dopo,  neir877,  il  nnedesimo  Abate  Giovanni  per- 
mette a  Francone  di  edificarvi  un  castello. 

Ecco  il  principio  e  la  fondazione  dell'attuale  Mompeo,  il  quale 
dalla  decadenza  dell'  impero  fino  a  quest^anno  '877,  non  era  stato 
altro  che  una  tenuta,  chiamata  ora  Pompejanum,  ora  Praedium 
Pompejanum,  ora  Fundus  Pompejanus. 

Da  ora  in  poi,  non  è  più  la  squallida  tenuta  che  si  presenta; 
ma  il  Castrum  Pompei  coi  suoi  fortilizi  ed  i  suoi  abitatori. 

Si  vede  che  la  linea  feudataria  di  Francone  dovette  estin- 
guersi, oppure  che  per  demeriti  fosse  spogliata  dall'Abate  Far- 
fense  del  feudo;  perchè  all'anno  956,  sotto  il  Papa  Giovanni  XII, 
troviamo  che  l'Abate  Adamo  dà  in  enfiteusi  a  terza  generazione, 
il  che  vuol  dire  in  investitura,  ai  fratelli  Gaiderisio  ed  Ottaviano, 
figli  di  Buza,  il  castello  di  Mompeo,  chiamato  in  quell'atto  Pom- 
peje (1). 

Dai  documenti  Farfensi  parrebbe  che  non  tutte  le  terre  di 
quel  territorio  fossero  comprese  nell'investitura  feudale,  perchè, 
nel  998,  l'Abate  Ugo  che  succedette  ad  Alberico  nel  997,  dà  in 
enfiteusi  un  terreno  a  Mompeo,  chiamato  Bove  gelato  (2). 

Dall'investitura  di  Gaiderisio  ed  Ottaviano  di  sopra  nominati, 
non  sappiamo  se  ve  ne  siano  state  altre,  prima  che  il  feudo  pas- 
sasse nella  casa  degli  Orsini,  discendenti  di  Simeotto  Orsini,  si- 
gnori di  Castel  S.  Angelo  in  Roma. 

Un'antica  arma  di  questa  famiglia,  molto  tozza  nella  forma, 
con  due  orsi  per  supporti,  ho  veduto  murata  in  un  portico  o  cor- 
tile del  palazzo  baronale,  la  quale,  rivelando  una  grande  antichità, 
mi  fa  supporre  che  già  circa  il  duodecimo  secolo,  gli  Orsini  di 
Castel  S.  Angelo  fossero  padroni  del  luogo. 


(1)  Codex  2,  Lib.  Largitox'ius. 

(2)  Quest'Abate  comprò  con  denaro  la  sua  dignità  da  Gregorio  V,  papa  accessi- 
Inle  air  oro,  e  meritò  il  rimprovero  di  Ottone  III  imperatore,  nel  Placito  del  998,  dove 
dice:  Qui  sibi  hnperialis  Abbatiae  (l'Abbazia  di  Farfa,  era  detta  Imperiale,  perchè 
dipendeva  direttamente  dagli  Imperatori  Germanici)  absqìie  nostro  asseristi  regimen 
usurpaverat,  et  quod  deterius  est,  pretto  enierat  a  Romano  Ponti/Ice.  Chronic. 
Farf.,  492. 


I 


RICERCIIK   Sl'LLA    ANTICA    CITTÀ    NI    KIOfill.KO  375 

Anzi  io  credo  che  debbano  allribuirsi  a  loro  parlo  del  recinto 
fortificalo  e  due  torrette  rimaste  a  memoria  dell'antico  castello, 
quasi  interamente  distrutto,  e  raffazzonato  nella  forma  di  palozzc) 
baronale  dai  Marchesi   Naro,  ultimi  signori  del  luogo. 

Addurremo  ora  quei  documenti,  che  a  questa  famiglia  si  ri- 
feriscono, come  signori  di  Mompeo. 

Ai  2G  di  aprile  del  1423,  Bertoldo  di  Troilo  Orsini,  nomina 
dei  procuratori  per  ricevere  dagli  eredi  degli  Anguillara  e  degli 
Alberteschi  quanto  gli  spetta  in  Castiglione  ed  altrove,  secondo 
l'arbitrato  del  Cardinale  Giovanni  vescovo  di  Albano,  e  di  Pon- 
cello  Orsini,  zio  del  Cardinale,  ed  a  ricevere  quietanza  a  favore 
delie  comunità  di  Foglia,  Pompegio  e  Gravignano  (1). 

Nel  1448,  il  magnifico  Pier  Angelo  Orsino,  signor  di  Mom- 
peo, donò  al  Priore,  monaci  e  Monastero  di  santa  Maria  di  Farfa, 
il  castello  di  Montefalcone,  che  era  nei  pressi  di  Mompeo,  con 
tutto  il  suo  territorio,  ragioni,  azioni,  e  gius  padronato  ecclesia- 
stico sopra  le  sue  chiese,   e  segnatamente  su  quella  di  s.   Luca. 

Ora  è  intieramente  sparito  tale  castello  (2). 

Dal  testamento  del  suddetto  Pier  Angelo  Orsini,  in  data 
29  marzo  1476,  per  gli  atti  del  notaio  Egidio  Micaronio,  si  viene 
a  conoscere,  che  a  quel  tempo,  uno  dei  figli  del  testatore,  di 
nome  Troilo,  era  già  morto.  Perciò  egli  lasciò  erede  il  figlio 
superstite,  Pier  Francesco,  in  tutti  i  suoi  castelli,  terre,  rocche, 
eie,  nominatamente in  castro  Aloni is  Pompei,  etc.  (3). 

E  da  questo  nome  di  Monte  di  Pompeo,  è  certamente  deri- 
vato il  nome  di  Mompeo,  più  naturalmente  di  quello  che  molli 
scrittori  vogliono  dire,  che  invece  provenisse  dal  cambiamento 
della  lettera  P  in  M. 

Nel  1559,  il  feudo  apparteneva   ancora   ai   discendenti   di  Si- 


(1)  Arch.  Stor.  Rom.,  anno  1887,  voi.  X,  p.  252. 

(2)  In  tal  donazione,  sono  cosi  enunciati  i  confini  :  A  serina  montis  MaJoUni  ver- 
sus dictum  Castruììi  montis  Falconis,  et  versus  Castrwni  Salisani,  et  ab  alio  latere 
est  rivus  Andrianus  et  alias  fines.  Actum,  in  Castro  Potnpei  in  domibus  seu  palatio 
solita^  habitatìonis  praefati  D.  Petri  Angeli,  Mattheus  magistri  Cicchi  de  Tio^'i,  nO' 
tarius  et  jiidex  ordinar ius. 

Quinterno  n.  12,  Arch.  Reat. 

Ed  in  Marocco,  tona.  Ili,  pag.  23. 

(3)  Arch.  Vatic.  Cod.  Collectanea  ad  Ursinos. 


376  A.    BAUBIELLINI-AMIDEI 

meotlo,  come  risulla  dalla  lapide  esistente  sulla  porta  della  chiesa 
parrocchiale,  dedicata  alla  Natività,  dalla  quale  risulta  che  il  po- 
polo del  castello  di  Mompeo,  restaurò,  in  quell'anno,  questo  lem- 
pio,  mentre  erano  signori  del  luogo  Alessandro  e  Virginia  Orsini, 
e  sedeva  sulla  cattedra  di  Pietro,  il  santo  Pontefice  Pio  V.  Ecco 
l'iscrizione  : 

HOC  TEMPLVM  FVIT  RESTAVRATVM  A  POPVLO 

C.  MOMPEI  SVB  DOMINATIONE  ALEXANDRI 

ET   VIRGINIAE  VRS.    ET   SVB   PONTIFICATV 

DOMINI  NOSTRI  PII  PP.  V.  PONT.  MAX. 

A.  D.  MDLIX. 

Ma,  gli  Orsini,  riempitisi  di  debiti,  furono  presto  obbligati  a 
disfarsi  dei  loro  possessi  in  Sabina;  ed  in  tale  circostanza,  ven- 
derono il  castello  di  Mompeo  ai  marchesi  Capponi  di    Firenze. 

Questi  alla  lor  volta,  lo  venderono  alla  nobile  famiglia  Naro  ro- 
mana, che  l'ha  posseduto  fino  al  primo  quarto   di    questo  secolo. 

Questa  famiglia,  ora  estinta,  fu  la  vera  provvidenza  di  questo 
luogo,  e  fece  del  tutto  per  riportarlo  all'antica  grandezza. 

Il  marchese  Bernardino  Naro,  vero  signore  dall'animo  grande 
e  generoso,  volle  far  risorgere  la  villa  di  Pompeo,  là  dove  da 
tanto  tempo  era  disparita. 

Disfece  quasi  per  intero  il  castello  ed  i  fortilizii  dei  passati 
signori  e  degli  Orsini,  lasciandone  solo  due  torri  a  ricordo.  Sul- 
l'area di  quello,  edificò  un  bel  palazzo  baronale,  che  sebbene  ab- 
bandonato e  negletto  dai  presenti  possessori,  fa  ancora  arguire 
dal  suo  stalo  fatiscente  la  primitiva  grandezza  e  magnificenza. 

Circondò  questo  di  giardini,  fontane  e  deliziosissimi  viali,  che 
il  Piazza,  testimonio  oculare,  lo  fa  credere  il  castello  incantato  di 
Armida,  esclamando  che  per  quel  luogo  erano  tornali  i  bei  tempi 
del  grande  Pompeo  (1). 

Il  suddetto  marchese  Bernardino  Naro,  all'ingresso  della  terra, 
costruì  un  maestoso  portone  in  travertino  al  di  fuori,  da  cui  si 
gode  il  vago  prospello  della  Sabina,  della  Tuscia  Romana  e  di 
Roma  stessa. 


(1)  Piazza,  Gerarchia  Cardinalizia,  pag.  188. 


KICERCHB    SILLA    ANTICA    CITTÀ    DI    KKfUI.I.O  377 

Apri  e  lastric(')  slrade,  Ira  cui  una,  che  da  quelito  portone, 
conducesse  direttamente  al  suo  palazzo. 

Volle  anche  lasciar  ricordo  della  sua  pietà  a  quei  buoni  ter- 
razzani. 

Riedificò  perciò  dai  fondamenti  la  Chiesa  parrocchiale  nel  ìCAY.i, 
non  essendo  stali  sufficienti  i  restauri  fattovi  dal  popolo  di  Monipeo 
nel  155U.  Ed  a  dimostrare  V  affezione  sua  particolare  a  questo 
luogo,  vi  edificò  una  cappella,  gentilizia,  dove  dispose,  che  dopo 
la  sua  morte  vi  fosse  deposto  il  suo  cuore  ;  costume,  che  osser- 
varono i  suoi  discendenti  fino  a  tutto  il  secolo  decimosettimo, 
come  risulta  dalle  lapidi  ivi  esistenti. 

Così,  mentre  seppellivano  i  loro  corpi  nella  bella  chiesa  della 
Minerva  in  Roma,  ove  avevano  una  splendida  cappella,  manda- 
vano a  deporre  i  loro  cuori  nel  loro  amato  Mompeo. 

Il  medesimo  Bernardino  Naro  provvide  con  lascili  ai  poveri, 
alle  ragazze  da  marito,  ed  al  restauro  e  dotazione  di  altre  piccole 
chiese  campestri. 

n  figlio  Fabrizio  se  non  assomigliò  il  padre  nella  magnifi- 
cenza, non  gli  fu  secondo  nella  pietà. 

Arricchì  il  tempio  paterno  con  ricchi  reliquarii  ed  insigni  re- 
liquie ;  trasportò  da  una  chiesa  campestre,  nella  cappella  genti- 
lizia dal  suo  padre  edificata,  un  antichissimo  crocifisso  intagliato 
in  legno,  grande  forse  più  del  naturale,  che  per  la  sua  rara  per- 
fezione artistica,  commuove  il  cuore  al  vederlo,  e  desta  nello  slesso 
tempo  venerazione  ed  ammirazione. 

Piazza  ha  descritto  pateticamente  con  particolari  dettagli  que- 
sta Traslazione,  che  dovette  essere  un  vero  avvenimento  per  quel 
villaggio. 

Ottenuta,  Fabrizio  Naro,  da  Papa  Clemente  X  l'indulgenza  a 
forma  di  giubileo  per  tulli  gli  astanti,  invitò  a  questa  festa  tutta 
l'aristocrazia  Romana,  facendo  coniare  medaglie  di  argento  comme- 
morative, che  distribuì  agl'intervenuti.  Tutta  la  Sabina  vi  accorse. 

Era  il  17  maggio  1674:  deposto  il  Cristo  sopra  un  talamo, 
sontuosamente  ornato  di  stoffe  preziose,  fu  questo  portato  da  do- 
dici poveri  vestiti  di  panno  paonazzo,  con  i  sandali  all'apostolica, 
mentre  dei  nobili  romani  sostenevano  un  ricchissimo  baldacchino 
che  lo  ricopriva,  ed  il  Vescovo  di  Sabina  e  gli  altri  personaggi 
chiudevano  il  corteo. 

25 


378  A.    BARBIELLINI-AMIDEI 

Furono  dotate,  in  memoria,  tulle  le  ragazze  povere,  e  fatte 
larghe  elemosine  a  storpii  ed  indigenti  (1). 

Ma,  con  i  Naro,  fini  ogni  grandezza  di  questo  luogo  ;  ed  ora, 
tolte  le  bellezze  della  natura,  che  vi  spira  ridente  per  ogni  verso,, 
nulla  più  vi  rimane,  all' infuori  delle  memorie  da  noi  accennate. 

Sono  però  ancor  celebri  i  frutti  del  suo  territorio,  che  fanno 
ricordare  l'antico  adagio  romano  su  loro:  Omnia  mala,  mala, 
praeter  Appia  Pompejana.  Che  è  un  calembour,  o  giuoco  di  pa- 
role bello  e  buono.  Giacché,  in  latino,  la  parola  malum,  signifi- 
cando egualmente  male  e  melo^  l'adagio  voleva  dire:  che  tulli  i 
mali  erano  mali,  all'  infuori  delle  mele  appiè  di  Mompeo. 

In  mezzo  a  tutte  le  vicende  e  traversie  passate,  è  grato  a 
quei  buoni  terrazzani  conservar  memoria  della  loro  origine.  Così, 
il  suggello  del  Comune  porta  la  scritta:  Communitas  Pompejana; 
sul  Granajo  di  proprietà  del  Comune,  leggesi  la  sigla  P.  C.  P. 
che  vuol  dire  Pubblicae  Commoditati  Pompei;  e  sulla  facciata 
della  Chiesa  di  S.  Carlo,  edificata  dal  popolo  di  Mompeo  nel  1620, 
è  scritto  : 

PIETATIS  STUDIO  POPVLI  A  POMPEJO  SABINI. 

I  lettori  vorranno,  nella  loro  gentilezza,  scusarci,  se  ricer- 
cando la  città  di  Regillo,  abbiamo  sorvolato  le  memorie  di  Mom- 
peo; perchè  Regillo  trovasi  nell'attuale  territorio  di  questo,  e 
perchè  ci  pareva  che  valesse  la  pena  d'illustrare  un  luogo,  che  fu 
deliziosa  dimora  di  quel  grande,  che  per  poco  non  supplantò  Ce- 
sare nella  signoria  del  mondo. 

Roma,  maggio  1896. 

Alessandro  Barbiellini-Amidei. 


(1)  Piazza,  Sabina,  p.  188. 


I 


•MU 


L'AMMINISTRAZIONE  ECONOMICA 

DELL'ANTICO    COMUNE    DI    PERUGIA 


La  saggezza  negli  ordinamenti  finanziari  e  nei  processi  del 
pubblico  riscontro  economico  è  certamente  da  riguardarsi  come  una 
delle  cagioni  onde  Perugia  si  alzasse  tra  mezzo  alla  barbarie  e 
si  ingrandisse  tanto  da  poter  essere  annoverala  fra  le  cospicue  e 
libere  città  d'Italia.  E  riesce  veramente  incresciosa  la  mancanza 
di  lavori,  che  facciano  conoscere  con  certezza  i  servizi  dell'entrata 
e  della  spesa,  le  varie  scritture  ed  i  conti  di  questo  antico  co- 
mune, che,  per  lungo  tempo  e  attraverso  fortunose  vicende,  seppe 
mantenere  intatta  la  sua  autonomia. 

Di  questo  mi  era  forza  parlare  fin  dalle  prime,  non  per  vana 
compiacenza  nel  mostrare  ch'io  intendo  colmare  una  lacuna,  ma 
per  il  desiderio  vivo  di  sapere  che  presto  altri  compierà  un  la- 
voro tanto  utile,  con  quella  pienezza  di  ricerche  e  con  quella  pro- 
fondità di  considerazioni,  per  le  quali  io  non  ho  né  mente  né  lena 
bastevoli. 

La  legge  del  minimo  mezzo  va  rigorosamente  applicata  alle 
pubbliche  amministrazioni,  nelle  quali,  purtroppo,  come  nei  tempi 
che  corrono,  la  intralcialura  dei  regolamenti,  prodotta  dalle  nu- 
merose variazioni  successivamente  apportale  al  verificarsi  di  ogni 
bisogno,  senza  riordinare  mai  le  disposizioni  già  prese,  e  talvolta 
anche  la  facilità  nel  concedere  cariche  ai  numerosi  petenti,  hanno 
promossa  T eccessiva  estensione  di  una  burocrazia  troppo  onerosa 
per  l'azienda.  Ma   l'applicazione  di    tale   legge   suppone   unità   e 


o80  V.    ALFIERI 

armonia  di  movimenti  e  perciò  una  sapiente  istituzione  di  organi 
amministrativi  e  una  sapiente  distribuzione  di  funzioni,  alle  quali 
si  può  giungere  soltanto  col  trarre  le  norme  amministrative  dalla 
considerazione  larga  e  coscienziosa  dei  fatti,  ricercando  il  passato 
con  grande  amore  e  lungo  studio,  applicando,  in  somma,  alle  di- 
scipline amministrative,  specialmente  alla  ragioneria,  che  si  rife- 
risce al  controllo  economico,  quel  metodo  sperimentale,  a  cui 
molte  scienze  debbono  il  loro  continuo  incremento. 

E  deve  riescire  molto  profittevole  l'esame  accurato  degli  or- 
dinamenti governativi  nella  antica  Perugia,  per  sapere  come,  col 
sorgere  e  l'aggrandirsi  delle  libertà  cittadine,  si  tendesse  a  creare, 
sviluppare  e  coordinare  gli  organi  amministrativi,  ad  adattare  alle 
nuove  esigenze  quelli  già  esistenti,  a  regolare  i  singoli  servizi  in 
guisa  da  segnare  ad  ogni  magistrato  la  via  da  percorrere  e  da 
raltenerlo  costantemente  in  essa,  onde  avesse  l'intiera  ammini- 
strazione comunale  a  foggiarsi  in  modo  da  permettere  alle  parti 
sue  di  compiere  azioni  legate  sempre  da  mutua  dipendenza.  Ma 
non  si  creda  che  questo  esame  debba  partire  esclusivamente  dalla 
convinzione  di  trovare  negli  antichi  documenti  amministrativi  tutte 
le  disposizioni  necessarie  e  sufficienti  al  reggimento  delle  odierne 
aziende.  Sono  considerabili  le  evoluzioni  subite  dal  pubblico  con- 
trollo economico,  vuoi  per  il  progresso  nella  produzione  e  nella 
circolazione  della  ricchezza,  vuoi  per  il  perfezionamento  nei  mezzi 
e  nei  processi  finanziari,  vuoi  per  i  mutamenti  di  tendenze  della 
vita  sociale  e  per  lo  sviluppo  del  reggime  rappresentativo,  vuoi 
per  l'accrescimento  dei  bisogni  comuni  e  quindi  perla  sopravve- 
gnenza  di  nuove  spese  e  l'ottenimento  di  nuove  entrate  pubbliche, 
vuoi  infine  per  la  integrazione  e  la  conseguente  differenzazione 
degli  organisiTii  politici.  Del  resto,  il  controllo  economico  si  svi- 
luppa a  mano  a  mano  che  cresce  la  ricchezza,  specialmente  quella 
mobiliare,  perchè  l'importanza  sua  è  in  ragione  composta  della 
quantità  dei  beni  economici  e  della  rapidità  delle  loro  mutazioni; 
e  tale  controllo  aumenta  in  estensione  e  intensità  a  misura  che 
il  lavoro  amministrativo  diventa  più  complesso  e  si  fa  più  grande 
la  divisione  sua,  perchè,  crescendo  la  differenzazione  amministrativa, 
crescono  eziandio  le  forze  dissolventi,  onde  l'integrità  dell'orga- 
nismo non  può  essere  serbata  lungamente  senza  un  efficace  con- 
trollo, che  renda  perfetta  la  coesione  delle  parti.  Se,  qualche  se- 


l'amministrazione  economica,  ecc.  '^Hl 

colo  addietro,  quando  le  pubbliche  aziende  non  erano  inolio  com- 
plesse, si  poteva  sostenere  che  l'arte  del  controllo  non  era  ardua, 
ora  devesi  pur  convenire  che  le  funzioni  di  ragioneria  e  gli  or- 
gani a  cui  sono  deputate  prendono  una  parte  ben  grande  nella 
compagine  amministrativa.  Bisogna  rilevare  e  studiare  lutto  il  la- 
voro economico  nelle  sue  cause  e  nei  suoi  effetti,  stimolarlo  e  vin- 
colarlo in  guisa  che  abbia  sempre  a  procedere  convenientemente. 
La  valutazione  degli  elementi  patrimoniali  e  dei  loro  mutamenti, 
gli  inventari,  le  previsioni,  la  costrizione  dei  fatti  amministrativi, 
le  registrature  analitiche  e  sintetiche,  i  rendiconti  e  le  revisioni 
loro  sono  ora  funzioni  di  controllo,  che,  nelle  pubbliche  aziende, 
si  manifestano  piene  e  convincenti  più  che  in  passato. 

Negli  scorsi  secoli  vi  furono  ordini  veramente  buoni,  ma  tal- 
volta contrastavano  al  fine  ultimo  per  cui  erano  emanati,  avendo 
in  sé  troppa  rigida  severità.  Ora  i  debitori  del  fìsco  non  temono 
più  la  sospensione  dei  diritti  politici,  l'esclusione  da  tulli  gli  onori, 
offici  e  benefici  dello  stalo,  la  confisca  dei  beni,  l'esilio,  la  distru- 
zione delle  loro  case.  E  questa  mitezza  di  mezzi  del  controllo 
economico  moderno  ne  attesta  di  certo  la  superioranza  rispello  a 
quello  antico.  Ora  la  qualità  di  ministro  delle  finanze  non  attira 
più  l'odio  popolare,  i  pubblici  tesorieri  non  ritardano  più  a  loro 
talento  i  pagamenti,  i  pubblicani  non  possono  più  conseguire  lucri 
favolosi,  non  si  affida  più  il  denaro  pubblico  ai  frati  camerlenghi 
o  Chiavari  o  massari,  perchè  il  conlrollo  moderno  tende  a  forzare 
ognuno,  che  lavora  nell'azienda,  ad  essere,  anche  malgrado  suo, 
onesto  ;  a  differenza  del  controllo  antico,  che  spesso  si  fondava 
troppo  sulla  rettitudine  e  sul  sentimento  religioso. 

E  rimoto  il  tempo  in  cui  i  tributi  e  le  lasse  si  corrispondevano 
in  natura  ;  perciocché  i  reggitori  delle  pubbliche  finanze  cercarono  di 
ridurre  a  denaro  tutte  le  rendite  e  per  conseguenza  anche  le  spese, 
onde  riuscisse  meno  intralciala  la  gestione  e  più  efficace  il  suo  ri- 
scontro. Aumentando  l'iinporlanza  relativa  del  denaro  nelle  funzioni 
dell'entrata  e  dell' uscita,  divenne  cura  precipua  dei  governanti 
l'accogliere  in  tempo  nelle  casse  i  fondi  necessari.  Per  semplificare 
il  processo  dell'entrata  e  per  rendere  pronte  e  sicure  le  riscos- 
sioni, si  indussero  anche  a  dare  ad  appallo  le  gabelle;  talvolta 
anzi  ricorsero  purtroppo  a  un  metodo  più  sbrigativo,  cedendo 
temporalmente  ai  creditori  dello  statr)  i   proventi    delle    imposte   e 


o82  V.    ALFIERI 

delle  tasse.  Volendo  regolare  il  servizio  del  tesoro,  gli  slatisli  non 
seppero  da  prima  escogitare  altro  espediente  che  quello  di  affidare 
à  speciali  magistrati  tante  casse  quanti  erano  i  cespiti  delle  en- 
trate e  delle  spese.  La  molteplicità  delle  casse  e  l'imputazione 
dei  fondi  provenienti  da  determinate  rendite  all'eseguimento  di 
■'e  spese  sono,  per  avventura,  le  caratteristiche  che  ebbe,  negli 
stati  nostri  medioevali,  il  servizio  del  tesoro.  Nella  veneta  repub- 
lica,  pressoché  tutti  i  magistrati  avevano  casse  proprie  e  gene- 
ralmente più  d'una,  ove  custadivasi  il  denaro  secondo  le  fonti  da 
cui  proveniva  e  l'impiego  che  doveva  farsene,  ed  a  cui  attendevano 
speciali  cassieri  e  speciali  scontri,  obbligati  a  tenere  giornali  e 
quaderni  separali  (1).  La  limitazione  delle  varie  categorie  di  spesa 
si  faceva  prima  dal  consiglio  dei  dieci,  poi,  dopo  la  sua  riforma, 
dal  senato;  uno  speciale  magistrato,  i  provveditori  alla  scansazione, 
vigilava  perchè  non  si  uscisse  dalle  limitazioni  fatte;  la  distribu- 
zione del  pubblico  denaro  ai  vari  magistrati  si  faceva  con  regola- 
zioni di  casse  generali  o  parziali,  avuto  riguardo  a  ciò  che  dove- 
vasi spendere  nell'anno  e  procurando  di  deputare  a  ogni  ufficio 
o  reggimento  le  intere  rendite  di  uno  o  più  dazi,  o  di  una  o  più 
camere  (2).  Anche  a  Firenze  si  applicò  il  metodo  di  assegnare  a 
ciascuna  categoria  di  spesa  i  fondi  provenienti  da  determinate 
rendite  o  tasse,  e  di  custodire  simili  fondi  in  casse  separate; 
avendo  cura  di  vincolare  alle  uscite  più  importanti  le  entrate 
più  sicure,  alle  spese  relative  a  un  dato  luogo  i  proventi  ivi  otte- 
nuti, e  comminando  pene  severe  a  chi  erogasse  le  somme  riscosse 
in  modo  diverso  da  quello  prefisso.  Così  il  camarlingo  del  Monte 
aveva  assegnamento  a  carico  delle  gabelle  più  sicure,  cioè  quelle 
del  sale,  delle  porte,  del  vino  al  minuto,  in  una  somma  stabilita 
annualmente  o  mensilmeHte;  quando  si  istituì  la  decima,  venne 
destinato  il  prodotto  di  essa  a  redimere  il  debito  pubblico,  per  il 
che  fu  detta  anche  tassa  di  redenzione;  nel  1351  fu  deliberato  dai 
consigli  che  tutto  il  denaro  riscosso  per  il  comune  nella  terra, 
corte  o  distretto  di  Prato,  per  la  gabella  del  vino  al  minuto,  si 
spendesse  nel  condurre  a  termine  il  cassero  di   Prato  e  che  il  ca- 


(1)  F.  Besta,  La  Ragioneria,  Vroìxi^ìone  letta,  nella  solenne  apertura  dejrli  studi, 
per  l'anno  scolastico  1880-81,  alla  R.  Scuola  superiore  di  comraei'cio  in  Venezia,  pag.  52. 

(2)  V.  Besta,  op.  cit.,  pag.  53. 


I 


l'ammixisth AZIONE  ECONOMICA,  ECC.  :>>^:i 

inarlingo  dei  governanti  di  della  gabella  dovesse  pagarlo  ai  sopra- 
stanti alla  costruzione  del  cassero  stesso,  sotto  pena  di  lire  cin- 
quecento (1). 

Ma  tali  ordinamenti  del  servizio  di  cassa,  sebbene  valessero 
a  separare  nettamente  le  previsioni  di  cassa  e  la  ripartizione  dei 
fondi  dalle  autorizzazioni  delle  entrale  e  delle  uscite  ed  a  stabil- 
mente fissare  le  rendite  e  limitare  le  spese,  non  erano  tuttavia 
scevri  da  inconvenienti,  poiché  rendevano  numerose  le  scritture, 
complicali  i  riscontri,  troppo  grandi  le  somme,  che  dovevano  ri- 
manere nelle  diverse  casse,  necessari  gli  storni  da  cassa  a  cassa, 
quando  tardava  l'entrala  dei  fondi  deputati  alle  singole  spese,  e 
difficile  il  disporre  con  sollecitudine  del  pubblico  denaro  secondo 
le  occorrenze.  Laonde,  in  progresso  di  tempo,  si  cercò  di  ridurre 
il  numero  delle  casse,  lasciando  ai  diversi  magistrati,  non  il  ma- 
neggio, ma  la  sola  disposizione  del  denaro;  di  separare  la  facoltà 
■di  accertare  le  entrale  e  le  uscite  da  quella  di  custodire  il  denaro 
e  di  curare  gli  incassi  e  i  pagamenti;  ed  in  questo  modo  si  venne 
all'unità  del  tesoro,  vale  a  dire  all'unità  del  magistrato,  che  deve 
presiedere  alla  custodia  del  denaro  e  alla  distribuzione  sua  nei 
vari  luoghi  dove  si  manifestano  interessi  da  soddisfare.  L'unità 
del  tesoro  eliminò  necessariamente  la  molteplicità  dei  fabbisogni 
di  cassa;  i  dati  di  questi  si  riunirono  in  un  solo  bilancio;  e  allora 
le  previsioni  relative  alle  entrate  e  alle  uscite  di  un  determinalo 
periodo  amministrativo  si  considerarono,  nei  governi  parlamentari, 
come  autorizzazioni  definite,  le  quali  segnavano,  specialmente  per 
la  spesa,  limiti  fermi. 

Nei  secoli  andati,  il  controllo  pubblico  si  rivolgeva  piuttosto 
a  reprimere  e  punire  anziché  a  prevenire  e  frenare  ;  era  in  gran 
parte  susseguente  e  non  antecedente  e  concomitante  al  lavoro  am- 
ministrativo. Non  si  definivano  previamente  in  ogni  loro  fase  gli 
affari  o  i  negozi,  nei  quali  svolgevasi  la  pubblica  gestione  ;  non 
sempre  si  astringevano  efficacemente  i  funzionari,  con  la  vigi- 
lanza, l'opposizione  d'interessi,  gli  ordini  e  le  ricevute  per  iscritto, 
alla  esatta  osservanza  del  loro  mandato.  Non  di  meno  la  costri- 
zione dei  fatti  amministrativi,  nei  liberi  nostri  comuni,  ebbe  mani- 


ci) P.  RiGOBON,  La  Contabilità  di  stato  nella  repubblica  di  Firenze  e  nel  Gran- 
ducato di  Toscana,  pag.  S4. 


384  V.    ALFIERI 

festazioni  imporlanli.  A  Firenze  i  camarlinghi  addetti  alle  diverse 
gabelle,  i  notari  e  gli  scrivani  di  entrata  dovevano  registrare  quo- 
tidianamente gli  introiti,  sotto  pena  di  lire  cento  ;  i  governatori 
delle  singole  gabelle  dovevano  tutti  i  giorni,  meno  i  solenni  e  i 
festivi,  notificare  ai  regolatori  dell'entrata  e  della  spesa  l'ammon- 
tare dell'  introito  della  giornata  precedente  a  mezzo  di  cedola  scritta 
dal  camarlingo  e  sottoscritta  dal  notaio  postogli  accanto  ;  per  gli 
ordinamenti  di  camera  del  1289,  i  camarlinghi  non  potevano  am- 
mettere ordini  di  pagamento  dei  signori,  che  non  fossero  sotto- 
scritti da  cinque  di  loro  (1).  A  Venezia  si  faceva  obbligo  ai  ma- 
gistrati di  registrare  il  fatto  amministrativo  in  presenza  della  parte 
interessata  odi  un  suo  rappresentante;  si  consentivano  ai  singoli 
uffici,  cui  eransi  deputate  somme,  per  la  diretta  esazione,  dalle 
camere  o  dai  magistrati  dei  dazi,  l'autorità  di  avvogadori  fiscali^ 
ponendosi  cosi  saggiamente  in  giuoco  opposti  interessi  ;  il  sinda- 
cato sui  ministri  subalterni  e  sui  magistrali  era  assiduo  ed  era 
quasi  costantemente  efficace  l'attrito  di  opposte  tendenze  fra  essi  (2). 
Più  sviluppato  era,  per  avventura,  in  quei  tempi,  il  controllo 
consuntivo  ;  poiché  si  era  scrupolosi  nel  confrontare  il  fatto  col 
diritto,  nel  prescrivere  la  conservazione  dei  documenti  di  prova  e 
la  registrazione  delle  operazioni  effettuate  ed  obbligare  ciascuno, 
che  aveva  il  maneggio  del  pubblico  soldo,  a  rendere  ragione  del 
suo  operato.  L'ordinamento  amministrativo  dei  liberi  nostri  co- 
muni non  permetteva,  forse,  la  compilazione  e  la  resa  di  conti 
per  dimostrare  lo  stato  della  pubblica  fortuna  ed  i  risultamenti 
generali  del  governo  in  un  dato  periodo  di  tempo.  Nulladimeno 
si  obbligavano  gli  officiali  aventi  maneggio  di  denaro  a  render 
conto  dell'azione  loro,  specialmente  quando  essi  uscivano  di  ca- 
rica ;  ma,  invece  di  riassumere  e  ordinare  in  acconci  prospetti  i 
dati  relativi  alla  gestione,  presentavano  i  libri  da  essi  tenuti  e 
dai  quali  avrebbero  dovuto  ricavare  quei  dati.  A  Venezia  i  diversi 
cassieri  dovevano  saldare  essi  stessi  ogni  mese  i  loro  registri,, 
portare  i  loro  libri  così  saldati  e  contare  il  residuo  ai  camarlinghi 
del  comune  ;  a  Firenze  i  libri  dei  camarlinghi  erano  saldali  e 
chiusi  dai  magistrati  revisori,  i  quali  determinavano  la  situazione 


(ì)  P.  RiGOBOX,  op.  cit.,  pag.  88,  89. 
[ti)  F.  Desta,  op.  eit.,  pag.  53,  78. 


L' AMMIXISTKAZION'B   ECONOinCA,    KCC.  3H5 

finale  ed  il  resto,  che  avrebbe  dovuto  essere  versato  (1).  Si  lia 
tuttavia  qualche  esempio  di  documenti,  che  accennano  alle  gene- 
rali entrate  e  spese  delio  stato  ;  tali  sono,  per  esempio,  due  ca- 
pitoli della  cronaca  di  Giovanni  Villani  risguardanti  le  rendite  as- 
sise e  le  spese  ferme  del  comune  di  Firenze  nel  133H,  e  i  brani 
della  cronaca  Alberegna,  che  ricordano  le  rendite  e  le  spese  di 
Venezia  nel  146!).  (ìiova  però  osservare  che  non  si  compilavano 
bilanci  fondati  sui  risultamenti  reali  della  gestione  in  \\n  determi- 
nato spazio  di  tempo,  sibbene  prospetti,  che  non  erano  né  pre- 
ventivi ne  consuntivi,  ma  piuttosto  conti  d'  avviso,  tendenti  a  di- 
mostrare a  quanto  sarebbero  montate  annualmente  le  rendite  e  le 
spese  dello  stato,  ove  questo  si  fosse  mantenuto  nelle  condizioni 
normali  (2).  Solamente  più  tardi  si  pensò  a  ottenere  dati  compen- 
diosi intorno  alla  gestione  di  ogni  anno  decorso  ed  a  presentare 
veri  conti  per  la  dimostrazione  dell'intiera  opera  amministrativa. 
Benché  non  fosse  ordinata  la  compilazione  periodica  di  consun- 
tivi, poteva  non  di  meno  essere  stabilita  la  tenuta  e  richiesta  la 
presentazione  dei  libri,  nei  quali  fosse  ricordato  l'avvenimento  di 
ogni  annua  entrata  e  uscita  pubblica.  Infatti,  a  Firenze,  con  deli- 
berazione, di  poco  anteriore  al  1384,  si  stabilì  che  i  priori  ordinas- 
sero, usando  dei  mezzi  più  opportuni,  che  si  calcolasse  e  annual- 
mente si  rivedesse  con  diligenza  la  ragione  integra  di  tutte  le  en- 
trate e  di  tutte  le  uscite  del  comune,  in  modo  da  poter  vedere 
ogni  anno  chiaramente  il  montare  delle  rendite  e  delle  spese  av- 
venute in  quello  decorso  ;  e  la  sopraintendenza  alla  compilazione  di 
tali  scritture  venne  affidala  ai  provveditori  della  camera  (3).  Ma 
se  la  compilazione  delle  scritture  complesse  trovava  non  lievi  in- 
ciampi nell'organismo  amministrativo  e  nei  processi  finanziari  dei 
nostri  comuni,  le  registrature  elementari  avevano  per  controverso 
largo  sviluppo.  E  riuscivano  eziandio  laboriose,  perchè  molle  erano 
le  magistrature  richieste  dalla  molteplicità  e  moltiformilà  dei  pub- 
blici bisogni  e  volute  specialmente  da  un  principio  fondamentale 
di  governo,  per  cui,  anziché  aumentare  le  attribuzioni  ai  magi- 
strati esistenti,  se  ne  dovevano  istituire  altri,  acciocché   fosse  li- 


ei) P.  RiGOBON,  op.  cit.,  pag.  12-1. 

(2)  F.  Besta,  op.  cit.,  pag.  02,  63. 

(3)  P.  RiGOHON,  op.  cit.,  pag.  102,  103. 


386  V.    ALFIERI 

mitato  sempre  il  loro  potere.  Per  una  disposizione  contenuta  ne- 
gli statuti  fiorentini,  riordinati  nel  1415,  il  notaro  e  il  cannarlingo 
erano  obbligati  a  presentare  i  loro  libri  allo  scrivano  o  ragioniere 
dei  regolatori,  entro  un  mese  dopo  discesi  di  carica  ;  e,  se  gli 
uffici  del  notaro  e  del  camarlingo  cominciavano  in  tempi  diversi, 
li  primo  doveva  tenere  un  libro  per  ogni  camarlingo  e  il  secondo 
doveva  tenere  un  libro  per  ogni  notaro.  Le  provvisioni  della  ca- 
mera, prese  a  Firenze  nel  1289,  prescrissero  che  giornalmente 
venissero  registrate  da  uno  dei  numeratori  del  denaro  le  singole 
entrate  e  dall'altro  le  singole  uscite,  e  che  i  notai  di  camera  re- 
gistrassero in  due  distinti  quaderni  le  entrate  e  le  uscite^,  divise 
in  capitoli.  E,  dopo  la  riforma  della  camera,  avvenuta  nel  1458, 
il  cassiere  doveva  segnare,  in  un  solo  libro,  da  una  parte  le  ri- 
scossioni e  dall'altra  i  pagamenti,  ma  sempre  alla  presenza  dei 
notaio  e  dello  scrivano  ;  il  notaio,  per  chiarezza  e  per  riscontro, 
doveva  tenere  un  altro  libro  delle  entrate  e  delle  uscite;  e  lo  scri- 
vano doveva  tenere,  secondo  l'ordine  dei  massai  della  camera,  un 
libro  grande,  per  la  trascrizione  e  la  classificazione  dei  pagamenti 
€  delle  riscossioni,  il  quale  libro  confrontavasi  dai  ragionieri  or- 
dinari col  registro  del  cassiere,  quando  il  cassiere  o  lo  scrivano 
scadevano  di  carica  (1).  A  Venezia,  con  decreto  del  senato,  in 
data  1°  febbraio  1515  (more  veneto),  venne  stabilito  che  a  comin- 
ciare dal  1°  marzo  1516  si  tenesse  all'ufficio  dei  camarlinghi  un 
libro  ordinario  nuovo  con  un  giornale  nuovo  per  notare  gior- 
nalmente i  fatti  nel  modo  seguilo  dai  banchi  di  scritta,  ossia  in 
partila  doppia  (2). 

A  disegno  mi  sono  fermato  sulle  principali  condizioni  del  go- 
verno economico  nei  liberi  comuni  medioevali  d'Italia,  per  facili- 
tare il  giudicio  dei  pubblici  ordinamenti  amministrativi,  in  parte 
almeno  veramente  originali,  che  Perugia  seppe  darsi  nel  tempo 
della  maggiore  sua  gloria. 

Reputo  espediente  trattare  prima  dell'organismo  amministra- 
tivo, poi  delle  funzioni  di  direzione,  di  gestione  e  di  controllo,  e 
disporre  le  notizie  nel  modo  indicato  dal  seguente  sommario: 


(1)  P.  RiGOiiON,  oj).  cit.,  pag.  98,  99,  112,  113. 

[2)  F.  Besta,  op.  cit.,  paj?.  79. 


Jl 


l'ammixistkazionk  economica,  ecc.  387 

Gli  organi  ((iinninistrativi. 

i.  I  coni«jli  —  il  pot('!itn  —  il  capitfino  del  popolo  —  /  priori. 

2.  Il  consifjlio  dei  priori  —  il  con,sif/li(j  dei  priori  e  dei  came- 
rari delle  arti  —  il  consi(/lio  dell'adunanza  (jenerale  —  il  con- 
siglio dell'aringo  —  il  consiglio  generale  —  il  consiglio  mag- 
giore —  il  consiglio  del  popolo. 

3.  /  direttori  delle  imposte  —  gli  officiali  collettori  —  il  ca- 
merlengo. 

4.  /  massari  —  i  conservatori  delle  monete  —  gli  officiali  del- 
l'abbondanza. 

5.  /  magistrati  deputati  a  sercizi  speciali  —  gli  agenti  minori 
—  i  castellani. 

6.  /  notari  —  i  computisti  —  i  cancellieri  e  gli  abbreviatori 
delle  riformagioni  —  gli  officiali  delVarmario. 

7.  /  sindaci  degli  officiali  superiori  —  il  maggior  sindaco. 

Le  funzioni  aimninistrative. 

8.  //  .servizio  di  cassa  —  l'autorizzazione  delle  entrate  e  la  li- 
mitazione delle  uscite. 

9.  L'  introito  della  camera  dei  massari  —  /'  introito  della  ca- 
mera dei  conservatori  delle  monete  —  /'  introito  della  camera 
dell'abbondanza. 

10.  L'esito  della  camera  dei  massari  —  l'esito  della  camera  dei 
conservatori  delle  monete  —  l'esito  della  camera  dell'abbon- 
danza. 

11.  La  riscossione  delle  rendite  e  il  pagamento  delle  spese  —  / 
mutui  pubblici. 

12.  La  vendita  dei  frutti  di  beni  comunali  e  dei  proventi  delle 
gabelle. 

13.  //  catasto. 

14.  /  libri  dell'armario  —  i  libri  della  cancelleria  —  i  libri  dei 
massari  —  i  libri  dei  conservatori  delle  monete  —  i  libri  degli 
officiali  dell'abbondanza  —  i  libri  dei  sindaci  e  dei  castellani. 

Svolgerò  questa  materia  alla  buona,    da    ragioniere,    non    da 
giurista,  ed  ometterò  le  osservazioni    comparative,    perchè    a    me 


388  V.    ALFIERI 

non  sembra  agevole  istituire  confronti  fra  gli  ordinamenti  antichi, 
che  sono  prova  luminosa  di  senno  pratico,  ed  i  moderni,  che  si 
dicono  frutto  di  indagine  scientifica,  e  perchè  il  lettore,  non  an- 
noiato dagli  eccessivi  ragionamenti,  potrà  così  afferrare  certi  fatti 
essenziali,,  annodarli,  definirne  la  natura,  le  relazioni,  le  leggi,, 
raccogliere  da  sé  in  un  punto  le  cose  più  disparate  e  lontane  e 
dedurne  le  idee  generali. 

Gli  organi  amministrativi. 

Il  pubblico  governo  economico  nell'antica  Perugia,  dovette 
certamente  adattarsi  allo  spirito  di  associazione,  alle  tendenze  indu- 
striali, forse  anche  al  sentimento  religioso,  che  informarono  le 
varie  corporazioni  artigiane,  e  sopratutto  ebbe  a  subire  l'influenza 
del  genio  democratico,  che  presiedette  all'organizzazione  comunale 
e  l'incitò  a  svolgersi  con  speciale  indirizzo  e  notabile  energia. 

L'aiuto  pei'sonale,  la  protezione  giuridica  furono  i  primi  fini 
delle  compagnie  artigiane;  poi,  divenuto  il  popolo  ricco  e  potente,. 
la  classe  media  trovò  in  esse  appoggio  per  mantenere  lo  stato; 
le  arti  entrarono  nel  comune  come  corporazioni  fortemente  costi- 
tuite, coordinale  tra  loro,  partecipi  del  governo,  si  manifestarono 
operose  per  fini  economici,  politici,  amministrativi  e  religiosi,  e 
parte  del  diritto  pubblico  e  privato  apparve  nei  loro  statuti  (1). 
Anche  a  Perugia,  città  non  semplicemente  commerciale,  ma  traf- 
ficante, con  proprie  industrie,  le  arti  ebbero  grande  azione  poli- 
tica, e  si  può  credere  che,  trovandosi  il  comune  intimamente  le- 
gato alle  corporazioni  locali,  conformasse,  in  parte  almeno,  il  suo 
riscontro  economico  a  quello  che  in  esse  veniva  esercitato. 

Perugia,  al  pari  di  altre  gloriose  repubbliche  italiane,  ebbe 
un'operosa  democrazia,  che  andò  assumendo  sempre  maggiore 
importanza,  che  recò  in  grembo  le  sorti  di  novelle  istituzioni,  vo- 
lute dal  popolo  desideroso  ognora  di  far  valere  i  suoi  diritti,  che, 
sino  dal  cadere  del  secolo  X,  rese  autonoma  l'amministrazione 
pubblica  e  seppe  mantenerla  incolume  fra  l'imperversare  degli  av- 
venimenti politici  ed  a   fronte    ancora    dell'autorità   papale,    a   cui 


(li  T.  CriTKi,  Le  corporazioni  delle  arti  nel  Comune  di  Viterbo,  pag.  90,  1. 


L' AMMIXISTRAZIOXK   KCONliMICA,    KCC.  :ìH9 

potè  chiedere  protezione,  come  ebbe  u  callivarsi  l'appoggio  degli 
imperatori,  ma  non  lasciò  sottometterla  fino  al  15:5!).  I  perugini 
si  mostrarono  costantemente  alieni  dal  concedere  ai  vescovi  un 
governo  temporale  nella  città  e  si  adoprarono  sempre  in  modo  che 
il  clero  non  intralciasse  le  faccende  comunali;  considerarono  la 
qualità  di  ministro  del  culto  incompatibile  coH'esercizio  degli  offici 
civili  e  non  ammisero  perciò  ecclesiastici  al  disimpegno  di  pub- 
bliche funzioni,  fuorché  in  casi  ben  radi  e  specialmente  quando 
giudicavasi  espediente,  per  il  buon  esito  dei  negozi,  l'intervento 
della  chiesa  (1). 

Per  conoscere  bene  l'indole  del  pubblico  riscontro  ecojiomico 
svoltosi  anticamente  in  Perugia,  occorre  badare  alla  organizza- 
zione amministrativa  del  comune  ed  esaminare  le  molle  disposi- 
zioni statutarie,  che  ad  essa  si  riferiscono.  Ma  tale  esame  pre- 
senta difficoltà  non  lievi,  perciocché  nei  comuni  la  ragione  pub- 
blica si  alzò  a  tal  punto  che  non  si  rivolse  solamente  a  qualche 
parte  del  diritto,  ma  abbracciò  l'intiera  legislazione,  ad  indicare 
forse  i  principi  di  quell'ordine,  che  doveva  col  tempo  in  tutta  la 
sua  pienezza  essere  stabilito  (2).  E  dagli  statuti  comunali,  neces- 
sariamente complessi,  lo  studioso  non  può  sempre  con  sicurezza 
trarre  tutte  le  notizie,  che  vorrebbe  convenientemente  classificare 
ed  esporre  con  chiara  sintesi.  Di  più,  è  bene  ricordare  che,  nelle 
amministrazioni  pubbliche,  non  è  sempre  possibile  una  differen- 
zazione  netta  e  piena  tra  gli  organi,  che  hanno  funzioni  eco- 
nomiche e  quegli  altri,  a  cui  sono  deputate  funzioni,  le  quali  mi- 
rano direttamente  a  conseguire  i  fini  dell'azienda;  talché  vi  pos- 
sono essere  bensì,  e,  per  poco  che  l'organismo  sia  complesso,  vi 
sono  in  fatto  organi,  che  hanno  solamente  funzioni  economiche, 
ma  vi  hanno  funzioni  economiche,  anche  importanti,  che  vengono 
compiute  da  organi  istituiti  per  altre  capitali  funzioni  (3).  Questa 
circostanza  emerge  purtroppo  dagli  statuti  perugini,  nei  quali,  al 
dire  del  moderno  storico  di   Perugia,  si  vede   frequentemente   at- 


(1)  L.  BoxAzzi,  istoria  di  Perugia,  voi.  I,  pag.  326,  337.  —  O.  Scalvanti,  Consi- 
derazioni sul  2irimo  libro  degli  Statuti  2)erug ini,  {Bollettino  della  Società  umbra  di 
storia  iMtria,  voi.  I,  fase.  II,  pag.  234). 

(2)  L.  Ciccoxi,  Origine  e  progresso  della  civiltà  europea,  voi.  Ili,  pag.  20. 

(3)  F.  Besta,  Corso  di  Ragioneria  pì'ofessato  alla  classe  di  magistero  nella, 
R.  Scuola  Superiore  di  Commercio  in  Venezia,  voi.  I,  pag.  165. 


390  V.    ALFIERI 

tribuita,  in  casi  disparalissimi,  a  tulli  quanli  gli  ufficiali  del  go- 
verno (quocumque  nomine  nuncupenlur)  la  esecuzione  d'uno  slesso 
decrelo  e  uno  scambio  di  uffici  non  corrispondente  al  titolo  degli 
ufficiali  (1).  E  perciò  riesce  ardua,  forse  vana,  la  classificazione 
di  tulli  gli  antichi  magistrati  comunali  rispello  alle  loro  attribu- 
zioni di  direzione,  di  gestione  e  di  controllo. 

Perugia  reggevasi  con  proprio  statuto  anche  prima  che  si 
compilasse  quello  del  1279:  se  ne  ha  prova  in  un  documento 
del  1201  relativo  alla  lega  coi  Folignati,  nell'atto  di  sommissione 
dei  Monlonesi  del  1210  e  ancora  in  una  lettera  di  Innocenzo  Ili 
nel  1215  (2).  Ma  gli  statuti,  secondo  i  mutali  bisogni,  di  tempo  in 
tempo  si  rinnovellavano  :  così  si  ha  notizia  di  riforme  ad  essi  ap- 
portate nel  1305,  nel  1366  e  nel  1415  (3).  E  questo  fatto  aumenta 
ancora  la  necessità  delle  indagini  estese  e  profonde,  per  chi  vo- 
lesse, con  piena  sicurezza,  ricostruire  idealmente  l'intiera  ammini- 
strazione economica  dell'  antico  comune  perugino.  Nondimeno, 
senza  avere  la  pretesa  di  accingermi  a  lavoro  si  arduo,  debbo  ac- 
cennare alle  principali  magistrature  perugine  risguardanti  il  ser- 
vizio dell'entrata  e  della  spesa  comunale  affinchè  possano  riescire 
chiare  le  notizie  del  pubblico  riscontro  economico,  che,  nel  se- 
guilo di  questo  scritto,  andrò  esponendo. 

Perugia,  simile  in  questo  a  molte  altre  città  italiane,  alternò 
per  assai  tempo  il  governo  dei  consoli  a  quello  del  potestà,  il  nu- 
mero 'tlei  consoli  variava  secondo  le  locali  circostanze  od  i  momen- 
tanei bisogni:  dieci  erano  i  consoli  alla  dedizione  dell'Isola  Pol- 
vese  del  1130  ;  sei  dinanzi  ad  Arrigo  VI,  quando  il  cancelliere 
imperiale  suggellava  al  campo  di  Gubbio  la  concessione  del  1185; 
sedici,  con  a  capo  il  camerario,  nella  sommissione  di  Castel  della 
Pieve  del  1188  (4).  Forse  la  numerosità  dei  consoli  fu  talvolta 
cagione  di  interne  fazioni  e  anche  di  impedimento  all'unità  e  im- 


(1)  L.  BoxAzzi,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  553. 

(2)  F.  BONAiNi,  Prefazione  al  tomo  sedicesimo  dell'Archivio  storico  italiano, 
pag.  XXXI]  I. 

(3)  La  più  antica  raccolta  di  statuti  perugini  che  tuttora  si  conserva  è  del  1279, 
in  latino,  su  membrana.  Esiste  anche  una  raccolta  in  vernacolo  con  la  data  del  1343, 
e  un'altra  in  latino  e  a  stampa  del  1527.  Vedasi  il  Compendium.  iuris  municipalis  ci- 
vitatis  Perusiae,  pag.  249  e  segg.,  di  Bartolomeo  Giliano. 

(4)  F.  BONAINI,  op.  cit.,  pag.  XXXI. 


l'amministrazione  economica,  ecc.  :{;H 

parzialità  di  governo  ;  laiche  si  pensò  di  deputare  la  s(jiiuiia  di- 
rezione del  comune  al  potestà.  Nel  liT-i  il  potestà  di  l'cingia  era 
in  Venezia  con  altri  che  tenevano  la  stessa  carica  e  coi  consoli 
di  cospicue  città  d'Italia,  per  corteggiare  Federico  I  e  papa  Ales- 
sandro ili.  Ma  la  carica  di  potestà,  sino  alla  fine  del  XIl  secolo, 
non  fu  che  straordinaria,  presso  a  poco  come  dittatura,  per  Ih 
quale  il  consolato  restava  momentaneamente  abolito,  sinch<"',  dopo 
i  primi  anni  del  XIII  secolo,  apparve  come  regolare  e  ordinaria 
autorità  suprema  dei  municipi.  Questo  alto  magistrato  venne  poi 
sopraccaricalo  di  uffici  ;  doveva  essere  nobile,  forasliero,  dotto  in 
legge;  doveva  durare  per  un  solo  anno  e,  più  tardi,  per  sei  mesi 
soltanto  ed  essere  sindacato  all'uscir  di  carica;  doveva  portar 
seco  tre  aiutanti  (socios),  sette  giudici,  dei  quali  uno  almeno  fosse 
barbiere  (1). 

Consoli  e  popolo  solamente  ci  presentano  gli  antichi  comuni  ; 
ma,  scemata  poi  la  confidenza  popolare,  sorsero  accanto  ai  con- 
soli i  consigli,  dei  quali  si  ha  notizia  anche  nella  storia  perugina, 
fin  dall'accordo  del  1200  con  Montone.  Il  consiglio  minore  era 
composto  dei  personaggi  più  cospicui,  specialmente  per  dottrina; 
venne  istituito  a  fine  di  non  trattare  col  popolo,  adunato  in  piazza, 
affari  delicati,  che  richiedevano  molla  circospezione,  e  fu  anteriore 
al  consiglio  generale,  scelto  fra  persone  d'ogni  condizione  e  isti- 
tuito dagli  stessi  consoli  per  diminuire  la  propria  responsabilità, 
fra  gli  impedimenti  che  loro  opponevano  il  feudalismo,  il  papato 
e  l'impero.  L'istituzione  del  potestà,  fornito  di  grandi  poteri,  non 
poteva  andare  disgiunta  da  quella  di  un  consiglio  sorvegliante, 
che,  a  Perugia,  nel  secolo  XIII,  era  costituito  da  cinque  consoli 
delle  arti,  scelti  uno  per  porta  (2). 

Il  capitano  del  popolo,  già  esistente  e  giudicante  in  Perugia 
verso  il  1255,  aveva  comune  col  potestà  il  giuramento  e  comuni 
sovente  anche  le  incumbenze,  ma  specialmente  era  investito  del 
potere  militare  e  di  una  parte  del  potere  giudiziario,  mentre  il 
potestà  continuava   ad   essere    il    rappresentante   politico  del  co- 


(1)  L.  BoNAZzi,  op.  cit.,  voi  I,  pag.  331. 

(2)  L.  BONAZZI,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  331,  333. 


392  V.    ALFIERI 

inune  (1).  Ambedue  poi  erano  tenuti  a  mantenere  la  dignità  della 
loro  carica  e  ad  osservare  l'imparzialità  del  loro  ufficio,  evitando 
specialmente  la  domestichezza  coi  cittadini  (2).  L'istituzione  del 
capitano  del  popolo  sarebbe  stata  nulla  se  non  avesse  trovato  ap- 
poggio in  un  nuovo  consiglio,  che  fu  detto  degli  anziani  e  com- 
posto di  dieci  membri.  L'ufficio  di  capitano  del  popolo  talora  fu 
congiunto  in  Perugia  a  quello  di  potestà,  il  che  seguì  pure  ri- 
spetto alle  cariche  del  potestà  e  del  capitano  di  guerra;  al  capitano 
del  popolo  si  aggiunse  poi  il  capitano  di  parte  guelfa,  che,  fra  i 
magistrali,  fu  l'ultimo  a  morire,  perchè  non  fece  mai  niente  (3); 
a  questo  si  aggiunsero  ancora  il  giudice  di  giustizia  e  il  sindaco 
maggiore,  per  aiuto  e  sorveglianza  ;  e,  osserva  il  moderno  storico 
perugino  (4),  quasiché  i  consigli  non  bastassero,  si  crearono,  nel 
1290,  i  savi  del  ritocco,  per  la  trattazione  di  negozi  delicati  e  se- 
veri. Fin  dal  1259  Perugia  aveva,  fra  i  primi  magistrati  della  re- 
pubblica, un  priore  delle  arti,  che  teneva  assai  del  carattere  del 
proconsole  in  Firenze;  quarantaquattro  anni  dopo,  essendosi  sop- 
pressi i  consoli  delle  arti,  vennero  istituiti  i  priori.  Erano  dieci; 
due  dovevano  appartenere  al  collegio  della  mercanzia,  e  il  primo 
dei  due  era  capo,  uno  al  collegio  del  cambio,  gli  altri  toccavano 
in  sorte  a  sette  delle  arti,  che  rimanevano  delle  quarantaquattro 
allora  esistenti.  Dovevano  essere  popolari  e  perugini,  possedere 
un  censo  di  cento  lire,  che  poi  fu  ridotto  a  cinquanta,  e  non  avere 
mai  esercitato  professione  servile.   Da  principio,  oltre  il  vitto,  eb- 


(1)  Teneatur  potestas  et  capitaneus  et  maior  sindicus  et  quilibet  eorum  scilicet 
potestas  suam  potestariam  et  otìicium  et  capitaneus  suam  capitaneriam  et  maior  .sin- 
dicus eius  officium  bene  legaliter  et  fldeliter  exercere  et  iura  communis  Perusie  de- 
l'endere  et  gubernare  et  prò  ispsis  inveniendis  et  habendis  investigare  omni  solicitu- 
dine  qua  poterunt  ampliori:  Et  observare  et  observari  lacere  iuxta  eorum  posse  tam 
ipsi  quam  eorum  et  cuiuslibet  eorum  iudices  et  officiales  et  cuiuslibet  eorum  omnia 
ordinamenta  artium  et  artis  cuiuslibet.  Stai.  Perus.,  voi.  I,  rub.  2.  —  Xos  potestas  et 
capitaneus  communis.  et  populi  perusini  et  quilibet  nostrum  iuramus  corporali  ter  ad 
sancta  dei  evangelia  tacto  libro  toto  posse  salvare  defendere  et  manu tenere  in  pace  uni- 
tate  et  bono  statu  totum  commune  et  populum  civitatis  et  comitatus  Perusie...  Rub.  3. 

(2)  Nec  habeant  ispi  potestas  et  capitaneus  nec  aliquis  de  eorum  famiglia  con- 
servationem  seu  familiaritatem  cum  aliquo  perusino.  Et  non  possint  ipsi  nec  alter 
eorum  commendere  nec  libere  cum  aliquo  perusino  vel  habitatore  ipsius  civitatis  cle- 
rico vel  laico  in  civitate  bui'gis  vel  suburgis  perusie.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  2. 

(3)  L.  BoxAZzi,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  552.  Vedasi  la  inconcludente  rubrica  473  del 
volume  primo  degli  statuti. 

(4)  L.  BONAZZI,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  340. 


l' AMMIXISTRAZIOXK    ECONOMICA,    FX'C.  393 

bere  Io  stipendio  di  dieci  soldi  al  giorno;  più  lardi  la  paga  venne 
cresciuta,  ma  questa  fu  senìpre  in  ragione  inversa  del  potere,  di 
maniera  che  linirono  col  percepire  un  fiorino  d'oro  (1)  al  giorno 
quando  la  democrazia  non  aveva  più  importanza.  L' autorità  loro 
risguardava  la  politica  e  l'economia,  non  la  giustizia,  giacché  la 
facoltà  di  sentenziare  nelle  materie  criminali  e  civili  spettava,  se- 
condo i  casi,  al  potestà,  al  capitano  del  popolo  e  loro  corti,  e  in 
quelle  delle  arti;  da  priiria  non  fu  piena,  ma,  a  partire  dal  1313, 
venne  accresciuta.  L'elezione  loro  fu  da  principio  falla  a  scrutinio 
segreto  dai  rettori  e  cittadini  d'arte,  divisi  per  porta;  poi  dai  due 
priori  della  mercanzia  e  dai  rettori  delle  arti,  che  erano  tenuti  a 
nominare  due  individui,  non  già  della  propria  porta,  ma  dell'altra 
susseguente  alla  propria;  quindi  da  diciassette  arti,  scelte  dai 
priori,  otto  per  bimestre,  compreso  sempre  il  camerlengo  della 
mercanzia;  e  così  incominciò  l'uso  delle  borse  annue  contenenti 
i  nomi  degli  eletti  (2).   Finalmente,  nel  1313,  fu  stabilito  che  i  priori 


(1)  L.  CiBR.vRio  {Dell'economia  politica  nel  medio  evo,  voi.  II,  lib.  Ili,  pag.  16^) 
e  segg.)  determinò  il  valore  di  moltissime  monete,  che  ebbero  corso  in  Europa  dal  1257 
al  1587,  fondandosi  sui  cambi  diretti  o  indiretti  accertati  nei  vari  tempi  tra  esse  mo- 
nete e  il  liorino  d'oro  di  Firenze,  che  serbò  sempre  il  peso  originario  d'una  dramma 
f.  la  suprema  purezza  a  ventiquattro  carati  e  al  quale  riconobbe  il  valore  di  lire  ita- 
liane 12,3655;  ma,  osserva  F.  Besta  {Corso  di  Ragioneria,  voi.  I,  pag.  471),  non  tenne 
cosi  verun  conto  delle  variazioni  avvenute  nei  rapporti  tra  i  valori  dell'oro  e  dell'ar- 
gento. Il  valore  della  moneta  è  indubbiamente  la  sua  ragione  di  scambio  con  le  altre 
merci,  e,  se  i  prezzi  delle  merci  variassero  tutti  nella  stessa  proporzione,  sarebbe  fa- 
cile inferirne  le  variazioni  nel  valore  della  moneta,  che  li  rappresenta.  Ma  il  rapporto 
fra  i  prezzi  delle  diverse  merci  non  è  sempre  costante  e  le  ricerche  sul  valore  nor- 
male delle  antiche  monete  possono  condurre  soltanto  a  risultamenti  approssimativi. 
Il  numero  delle  lire,  dei  soldi,  dei  denari  e  dei  piccioli,  che  entravano  in  un  fiorino, 
andò  sempre  crescendo,  talché  questo,  che  in  principio  valeva  lire  3,02,  come  attesta 
(Giovanni  Villani,  più  tardi,  secondo  il  Bonazzi,  valse  in  Perugia  lire  4  1/2  e  poi  lire  5. 
Il  Bonazzi  dice  che,  sul  principio  del  secolo  XV,  l'antico  fiorino,  l'idotto  al  piede  di 
cento  ogni  libra  d'oro,  si  chiamò  a  Perugia  ducato  di  camera.  Per  la  mala  fede  degli 
zecchieri  toscani,  chiamati  a  Perugia,  la  moneta  scapitò  tanto  che  si  dovette  j)oi  ag- 
giungere un  articolo  allo  statuto  affinché  i  cambisti  accettassero  il  fiorino  al  giusto 
valore  {Stat.  Perus..  voi.  IV,  rub.  118,  120).  Si  cei'cò,  al  dire  di  Vermigligli  {zecca z>e- 
ragina,  pag.  13,  17),  di  coniar  monete  d'oro  e  d'argento  nel  1259;  ma  forse  non  si 
improntarono  fiorini,  giulii  e  bolognini  avanti  il  1395.  Da  prima  si  batterono  sola- 
mente piccole  monete  di  basso  titolo,  come  denari,  quattrini  e  sestini.  Del  resto,  la 
zecca  perugina  esisteva  già  nel  1240.  I  rettori  del  cambio,  prima  detti  consoli  e  poi 
auditori,  erano  deputati  a  curare  ciò  che  fosse  della  zecca  e,  nella  udienza  dell'arte 
loro,  ad  imprimere  il  suggello  sulle  monete  d'oro  di  cui  si  volesse  guarentito  il  valore. 

(2)  L.  BoxAZZi,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  379. 

26 


394  V.    ALFIERI 

fra  tutte  le  arti  eleggessero  per  ogni  bimestre  d'un  anno  intero 
dodici  probi  cittadini,  e  i  dieci  estratti  fossero  i  nuovi  priori  (1). 
Per  consueto  venivano  eletti  nella  città,  ma  non  mancò  occasione 
che  fossero  trascelti  anche  fuori,  come  accadde  nel  1311,  quando 
si  nominarono  nel  contado  di  Todi  (2).  La  durata  ordinaria  della 
carica  priorale  era  di  due  mesi,  ma  nel  1494  cominciò  ad  essere 
di  tre.  I  priori  prendevano  parte  a  lutti  i  consigli  pubblici,  e,  an- 
che in  assenza  di  alcuno  di  essi,  i  rimanenti  deliberavano  (3). 
Erano  capi  del  potere  esecutivo,  avevano  seco  cancellieri  e  notari, 
presiedevano  direttamente  all'annona,  al  catasto,  alia  custodia  della 
città,  all'osservanza  degli  statuti  (4);  ma  legislatore  e  sovrano  era 
sempre  il  consiglio  generale  composto  di  cinquecento  cittadini 
d'arte  coi  loro  camerlenghi  e  rettori,  oppure  l' arengo  ossia  il  par- 
lamento convocato,  nei  casi  più  gravi,  in  piazza  S.  Lorenzo.  Sette 
erano  però  i  consigli  ordinati  a  trattare  la  cosa  pubblica  in  Peru- 


(1)  Pro  salubri  statu  et  conservatione  populi  Perusini  et  eius  manutentione  pa- 
cifica, cum  sine  capite  ordinata  ad  regendum  et  gubernandum  ipsum  populum  stare 
et  observari  non  posset:  provvida  deliberatione  statuimus  et  ordinamiis  :  quod  in  Con- 
silio popiili  perusini  more  solito  congregato  semper  de  duobus  mensibus  in  duos 
inenses  extrahantur  de  sacculis  communis  perusie  decera  boni  et  legales  sufficientes 
et  idonei  homines  de  populo  et  de  artibus  civitatis  et  burgorum  perusie,  duo  de  qua- 
lihet  porta,  qui  sint  et  appellentur  priores  populi  et  artium  civitatis  perusij  :  de  quibus 
decem  prioribus,  semper  duo  sint  de  arte  mercantie:  ita  que  singulis  duobus  mensi- 
bus duo  priores  sint  de  arte  et  collegio  mercantie  :  unus  de  arte  campsorura  ;  Alij 
vero  semptem  priores  sint  et  esse  debeant  de  alijs  artibus  et  de  collegio  aliarum  ar- 
tium   Stat.  Perus.,  voi.  1,  rub.  65. 

(2)  F.  Bjnaini,  op.  cit.,  pag.  LV. 

(3)  F.  BONAINI,  op.  cit.,   pag.  LVI. 

(4)  Et  studeant  ad  bonum  et  pacilicum  et  tranquillum  statura  coramunis  et 

populi  Perusini  et  eius  districtus.  Et  ad  iura  et  ad  iurisdictiones  et  lionores  commu- 
nis et  populi  Perusini  promovere,  conservare  manutenere  et  augere  prò  posse.  Dare 
insuper  prò  viribus  studium  quod  populus  et  artes  et  artiflces  diete  artis  insolita 
et  vera  libertate  et  flrmitate  persistant Pecuniam  avere  res  et  bona  communis  Pe- 
rusie diligenter  facei-e  costudiri  et  ipsara  non  expendere  nec  expendi  facere  inuliter 
nec  contra  forraam  statutorum  et  ordinamentorum  communis  et  populi  Perusini.  Stat. 
Perus.,  voi.  I,  rub.  66.  Itera  quod  dicti  priores  liabeant  et  habere  intelligantur  arbi- 
triura,  bailiara  et  auctoritatem  super  ))ladis  et  aliam  victualium  habundantia  liabenda 
et  facienda  in  civitate  Perusie  et  occasione  habundantie  habende  expensis  et  de  pe- 
cunia communis  Perusie  faciendi  et  ordinandi  et  debitum  leneratitium  sive  non  fene- 

ratitium  contrahendi  et  bladum  emendi  et  prò  minori  pretio  revendendi  faciendi 

Stat.  Perus.,  voi.  1,  rub.  67.  Vedasi  anche  la  rub.  71  del  voi.  I,  relativa  alla  osser- 
vanza degli  statuti  e  degli  ordinamenti. 


l'amministrazione  economica,  ecc.  ;3*(5 

gia(l);  nei  quali,  o  non  potevano  aver  luogo  se  non  irulividui 
ascritti  a  qualche  collegio,  o,  se  anche  i  colleggiati  eranvi  aiutnessi, 
la  maggioranza  costituivasi  tli  artefici  giurati.  Nulla  <•  a  dire  ri- 
guardo al  consiglio  dei  cinque  o  dei  dieci  dell'arbitrio,  a  cui  spesso 
accennano  gli  annalisti  municipali,  temporaneamente  istituito  in 
aiuto  dei  priori  e  che  talvolta,  a  somiglianza  delle  balie  fiorcmlino, 
ebbe  poteri  dittatoriali. 

Dopo  questo  cenno  sopra  i  sommi  magistrati  direttivi,  debbo 
ricordare  gli  officiali  comunali  deputati  alle  singole  faccende,  e 
che,  per  verità,  furono  in  Perugia  abbastanza  numerosi.  Torna 
utile  qui  il  dire  che  gli  impieghi  erano  pressoché  tutti  tempora- 
nei, duravano  ordinariamente  sei  mesi  o  un  anno,  e  che  si  di- 
stribuivano per  porta  (2).  Così,  osserva  argutamente  il  moderno 
storico  perugino,  niuno  artigiano  abbandonava  l'arte  sua  per  l'im- 
piego, le  cui  facili  funzioni  esercitava  senza  la  burbanza  dei  nostri 
burocratici  (3).  Kd  a  quei  tempi,  diversi  in  questo  dai  nostri,  vo- 
levano le  saggie  leggi  municipali  che  gli  uffici  assegnabili  dagli 
stessi  magistrali  non  dipendessero  da  nessuna  raccomandigia  o 
da  attenenze  di  parentela  (4). 


(1)  Ad  hoc  ut  nostra  respublica  beate  et  recte  regatur  et  gubernetur  :  Statuimus 
quoti  Consilia  civitatis  perusie  et  nostre  reipublice  .sint  ista  videlicet  consiliura  domi- 
norum  prioruni  artiura  civitatis  perusie  sit  primum  qui  debeant  esse  deccm  :  consi- 
liiim  doniinorum  priorum  et  canierariorum  artiura  ipsius  civitatis  quorum  caraera- 
riorum  numerus  totus  est  quadx'aginta  octo  sit  secundum.  Itera  consiliura  adimantic 
generalis  ((uingentorum  seu  trecentorum  artilicum  de  artihus  diete  civitatis:  Qui 
etiara  scripti  sint  in  matriculis  ipsaruni  artiura  sit  tertiura  consiliura.  —  Itera  consi- 
liura maximum  arenglie  seu  arenglii  et  parlamenti  sit  quartum.  —  Itera  consiliura 
generale  sit  quintum.  —  Itera  consiliura  raaius  sit  sextura.  —  Itera  consiliura  populi 
sit  septimura.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  222. 

(2;  Ad  hoc  ut  officia  sint  omnia  et  non  singularibus  personis  applicanda:  Statui- 
mus  et  ordinamus  presenti  capitulo  aliquo  alio  non  obstante:  quod  omnia  officia  po- 
testatura  sindicorum  et  vicariorum  danda  per  coramune  Perusie  ad  brevia  per  formani 
alicuius  statuti  vel  ordinamenti  communis  Perusie  debeant  eligi  et  fieri  per  portas  et 
Illa  porta  in  que  fuerit  electus  in  aliquo  dictorura  otficiorum  vel  alicuius  eorum 
non  possit  vocari  nec  eligi  aliquis  in  aliquo  dictorum  offìciorura  donec  in  ali.js  portis 
non  fuerint  electi  et  vocali  et  ipsa  officia  exercuerint  et  finitis  illis  portis  ad  priraani 
porta  electio  supradicto  devoluatur  et  liat  modo  et  ordine  supradicto  et  sic  de  poi'ta 
in  portara  liat  electio  predictorura  aliquo  capitulo  precedente  vel  sequente  non  ob- 
stante et  sit  precisura  salvis  scraper  sacchettis  et  ordinibus  sacchetti  et  per  hoc  ca- 
pitulura  in  nullo  derogatur.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  103. 

(3)  L.  BON.vzzi,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  55^). 

(-1)  Nec  etiara  possint  dicti  doraini  priores  eligcre  ad  allquod  ofticiura  cura  sa- 
lario percipiendo  a  comrauià  vel  ad  aliquara  anibasiatara  niittere  ali(iuem  eorura  vel 


396  V.    ALFIERI 

Fra  i  magistrali  più  importanti  preposti  alla  pubblica  gestione, 
ricordo  i  direttori,  che  venivano  eletti  di  sei  mesi  in  sei  mesi,  con 
un  esperto  notaio,  e  che  dovevano  sollecitare  tutte  le  esazioni  (1), 
esercitare  assidua  vigilanza  sopra  gli  officiali  deputati  alla  riscos- 
sione e  alla  custodia  del  denaro  (2),  in  modo  che  fossero  sempre 
tutelati  gli  interessi  del  comune  e  rispettati  pienamente  i  diritti 
dei  contribuenti  (3).  Avevano  adunque  attribuzioni  di  riscontro 
finanziario,  ma  eziandio  facoltà  giudiziali,  poiché  erano  chiamati 
a  definire  liti  e  controversie  relative  alle  esazioni  (4).  La  rubrica 
degli  statuti,  che  determina  l'ufficio  dei  direttori,  è  ben  rilevante 
nei  riscjuardi  del  governo  economico  e  dovrebbe  essere  considerata 


alicuius  eorum  consag-uineum  usque  in  tertium  graduili  inclusive  nec  eorum  notarium. 
Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  6Q.  —  Nec  possint  (massarij)  eligere  aliquem  ex  dictis  mas- 
sarijs  actinentera  ex  linea  ascendenti  vel  discendenti  nec  aliquem  stantem  cum  eis 
ad  unum  panem  et  unum  vinura.  Rub.  351. 

(1)  Statuimus  et  ordinamus  per  hanc  legem  auream  inviolabiliter  observari: 
Quod  decetero  eligantur  et  debeant  eligi  de  sex  mensibus  in  sex  menses  tres  boni  ho- 
mines  de  populo  Perusino  qui  vocentup  directores  et  unum  expertum  notarium  qui 
sint  et  esse  debeant  officiales  comraunis  Perusie  ad  sollicitandum  omnes  et  singulas 
exactiones  fiendas  per  comraune  Perusie  de  omnibus  et  singulis  que  deberentui'  ipsi 
communi  et  cuicumquara  causam  dicti  communis  hahenti  tam  conservatorum  monete 
quam  etiam  massariorum  dicti  coraraunis  quam  etiara  officialium  carapionis  biadi  vel 
cuiuscumquam  alterius  camere  dicti  communis:  et  dieta  debito  cum  effectu  exigi  et 
exequi  faciendum  per  ofticialem  et  exactorem  communis  Perusie  ad  liec  specialiter 
deputatum.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  7. 

(2)  Qui  boni  horaines  et  officiales  et  notarius  eorum  ex  debito  sui  offici.j  tenean- 
fur  et  debeant  perquirere  et  investigare  a  dominis  conservatoribus  monete  massarijs 
et  quibuscumque  alijs  offlcialibus  communis  Perusie  de  omnibus  et  singulis  debitis  et 
exactionibus  que  deberentur  per  quoscumque  causa  ipsi  communi  Perusie  et  ipsis  ca- 
meris  et  cuilibet  eorum  quorum  eorum  notarius  de  predictis  debitis  registrum  facere 
teneantur.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  7. 

(3)  Volumus  etiam  statuentes  quod  predicti  tres  boni  liomines  et  officiales  sic 
eligendi  sint  et  esse  intelligantur  officiales  super  indebitis  et  immoderatis  gravami- 

nibus  que  quotidie  inferuntur  civibus  et  comitatensibus  perusinis Stat.   Perus., 

voi.  I,  rub.  7. 

(4)  Habeant  etiam  cognitionem  et  iurisdictionem  dicti  directores  de  et  super 
omnibus  litibus  et  controversi.) s  vertentibus  et  que  verterentur  Inter  emptores  qua- 
rumcumque  communantiarum  comraunis  Perusie  et  Inter  fancellos  ipsorum  et  etiam 
inter  quascumque  personas  nomine  et  occasione  gabellarum Et  etiara  habeant  co- 
gnitionem et  iurisdictionera  quarumcumque  exactionum  et  executionura  (^ue  fierent 
vel  fieri  deberent  prò  dicto  communi  vel  prò  alijs  personis  vel  commitatibus  prò  dicto 
communi  vel  occasione  dicti  communis.  Et  dictas  lites  videndi  diffiniendi  et  termi- 
nandi  summarie  et  de  plano  sine  strepitu  et  figura  indicij  et  .sine  solutione  alicuius 
decimi.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  7. 


l'ammini.stuazi«»xe  economica,  kcc.  397 

nella  sua  interezza,  senza  tralasciare  neppure  la  relativa  ad- 
dici io  {Y),  da  chi  volesse  trattare  largamente  dell'organizzùzitjne 
amministrativa  nell'antico  comune  di   Perugia. 

Degli  officiali  collettori,  ossia  degli  agenti  di  riscossione,  poco 
dicono  gli  statuti;  e  solo  incidentemente  accennasi  ad  essi  in 
qualche  rubrica  (2).  La  ragione  di  questa  circostanza  va  cercata, 
come  dimostrerò  in  seguilo,  nella  consuetudine  di  appallare  le 
rendile  di  beni  comunali  ed  i  proventi  delle  gabelle. 

La  cura  del  pubblico  tesoro  veniva  affidala  al  camerario  o 
camerlengo  (3),  che  fu  magistrato  di  gran  momento  nella  costi- 
tuzione perugina,  quando  l'ufficio  suo  era  congiunto  a  quello  di 
console  (-4)  e  anche  dopo  che  il  comune  passò  al  reggimento  del 
potestà  (5).  E  tanta  era  in  quei  tempi  l'importanza  attribuita  al 
titolo  di  camerario,  che  i  camerari  delle  corporazioni  artigiane, 
l'ufficio  dei  quali  veniva  dagli  statuti  dichiarato  grave  e  ponderoso 
(est  grave  officium  et  ponderosum  prò  comuni  et  populi  Perusino), 
costituivano  uno  dei  selle  consigli  direttivi  del  comune  ((!).  Forse, 


(1)  Nell'edizione  a  stampa  del  152G,  le  disposizioni  del  secolo  XVI  sono  distinte 
dalle  precedenti  sotto  forma  di  addictiones.  —  Vedasi  il  Coìnpendmm  iuris  ìnunici- 
palis  Civitatis  Pei'usiae,  pag.  249  e  sepg. 

(2) conservatores  monete possint  teneantur  ed  debeant exarainare 

rationes  introituum  et  exituum  quorumcumque  omnium  et  singulorum  offlcialium  col- 
lectorum  fancellorum  et  notariorum  presentium  et  Cuturorum  deputatoruni  et  dopu- 
tandorum  ad  exigendum  gabellas  seu  communantias Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  3i7. 

(3)  Si  disse  anche  massario,  poiché  nel  mandato  dei  1230,  rilasciato  a  line  di  con- 
trarre accordo  con  Città  di  Castello,  viene  espresso  che  ciò  si  fa  dal  potestà  per  fa- 
colUi  del  comune  una  cura  Massarijs  et  Consiliis  specialibus  et  (jeneraìibus.  \edasi  la 
prefazione  del  Bonaini  al  tomo  sedicesimo  deir,4rc7i.  Stor.  Ital.,  pag.  4.  Del  resto  tale 
magistrato  ebbe  nomi  diversi  nei  diversi  stati  e  nelle  varie  corporazioni  medioevali, 
e  si  nominò:  camarlingo,  camerario,  clavario,  massario,  borsiere,  chiavaro,  chivigero, 
depositario,  cassiere,  tesoriere,  ecc.  Vedasi  il  Dizionario  del  linguaggio  storico  e  ara- 
ministrativo  di  G.  Rezzasco. 

(4)  Nell'atto  del  IISS,  relativo  alla  sommissione  di  Castel  della  Pieve,  il  camera- 
rio flgui'a  il  primo  fra  i  consoli  notati:  nel  trattato  del  1200  con  Gualdo  é  invece  l'ul- 
timo di  essi. 

(5)  Nel  trattato  con  Montone,  stipulato  in  Perugia,  si  obbligavano  solo  pel  co- 
mune il  potestà  e  con  esso  lui  il  camerario,  senza  che  intervenissero  di  persona  i 
membri  del  consiglio  generale  e  speciale,  che  pure  nell'atto  vengono  nominati  come 
coloro  dalla  cui  volontà  l'accordo  derivava.  Vedasi  la  prefazione  al  tomo  sedicesima 
éaWAi'Ch.  i>tOì\  Ital.,  pag.  1. 

(6)  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  ìjO,  224. 


")98  V.    ALFIERI 

nell'anlico  comune  di  Perugia,  l'erario  non  si  affidò  regolarmente 
a  religiosi,  come  avvenne  in  altri  stati  medioevali,  per  la  convin- 
zione che  così  fosse  più  sicura  la  custodia  del  denaro  e  più  onesto 
il  suo  maneggio  (1).  Furono  dal  comune  adoperati  i  frali  in  pa- 
recchi uffici,  probabilmente  fin  dal  secolo  XIII  e  di  certo  nel  se- 
colo seguente,  ma  erano  becchetti  o  padri  della  penitenza,  beghini 
o  pinzocheri  professanti  il  lerz' ordine  di  s.   Francesco  (2). 

L'ufficio  dei  massari,  che  dagli  statuti  consideravasi  ponde- 
roso (3),  risguardava  l'introito  e  l'esito  del  comune  (4).  I  massari 
erano  due,  duravano  in  carica  un  semestre  (5),  avevano  presso 
di  sé  un  aiutante  o  ragioniere  e  un  notaio  per  eseguire  e  regi- 
strare i  riscuotimenli,  un  altro  aiutante  o  ragioniere  e  un  altro 
notaio  per  eseguire  e  registrare  i  pagamenti  (6),  di  più  un  mes- 
saggiere  o  commesso  (7).  Si  stabilì  poi  che,  prima   di  entrare   in 


(1)  A  Firenze  non  radamente  i  camarlinghi  del  comune  erano  frati.  Nel  1267,  se- 
condo l'asserzione  di  Giovanni  Viltani,  si  fecero  camarlinghi  della  pecunia  i  frali  della 
Badia  di  Settimo  e  d'Ognissanti.  Verso  il  1289  i  camarlinghi  fiorentini  erano  quattro, 
uno  dei  quali  religioso,  col  salario  di  lire  cento  e  rimanente  in  carica  sei  mesi,  gli  altri 
.secolari,  da  rinnovai'si  ogni  due  mesi  ed  eletti  da  dodici  probi  uomini,  chiamati  dai 
priori  insieme  ai  consoli  delle  arti.  (P.  Riuobon,  op.  cit.,  pag.  48). 

(2)  L.  BoNAZzi,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  328,  379. 

(3)  Officium  massariorum  communis  perusie  est  offlcium  ponderosum  et  ipsura 
officium.  hucusque  fuerit  gestum  et  ministratum  et  factum  per  massarios  communis 
perusie  circa  pagaraenta  et  alia  plurima  plus  ex  arbitrio  quam  ex  ordine  sufficienti 
]jro  factis  communis  perusie  et  privatorum  negociorum  expenditione.  Stai.  Perus., 
voi.  I,  rub.  351. 

(4)  (;}uorum  massariorum  sit  et  esse  debeat  officium  et  intelligatur  super  introi- 
tibus  et  exitibus  dicti  communis  perusie  eisdem  debitis  et  permissis  per  formani  sta- 
tutorura  communis  perusie.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  351. 

(5)  Statuimus  quod  in  civitate  perusie  sint  et  esse  debeant  et  eligi  duo  boni  \n'\i- 
dentes  et  legales  homines  de  populo  perusino  qui  sint  massarij  dicti  communis  per 
semestre  tempus:  et  eligaatur  et  insacchulentur  per  bonos  homines  qui  deputabuntur 
ad  faciendum  sacchectura  officialium  dicti  communis  et  publicentur  de  sacchulo  de 
^sex  mensibus  in  sex  menses.  stat.  Perus  ,  voi.  I,  rub.  351. 

(6)  Et  habeant  dicti  massarij  per  expeditione  dicti  eorum  officij  prò  adiutoribus 
eorum  duos  fancellos  unum  qui  scribat  introitus  et  alium  qui  scribat  et  scribere  te- 
neatur  exitus  et  pagamenta  et  ipsos  fancellos  dicti  massarij  eligere  possint  et  debeant 

prout  videbitur. Et  habeant  et  habere  debeant  secum  duos  notarios  una  cum  eis 

insacchulandos  et  publicandos  quorum  notariorum  sit  et  esse  debeat  videlicet  unus  ad 
scribendum  introitus  alter  vero  ad  scribendum  exitus  et  solutiones  fiendas  per  ipsos 
massarios.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  351. 

(7)  Et  habeant  etiam  et  eligant  et  eligere  iiossint  dicti  massai-ij  prò  exi)edientihus 
ad  officium  eorum  unum  i  uuciuin Stat.  Perus.,  voi.  I,  l'ul).  351. 


l/ AMMINISTRAZIONE   ECONOMICA,    ECC.  39!) 

carica,  i  massari,  i  loro  notai  e  i  loro  ragionieri  o  conipiilisli  do- 
vessero prestar  giuramento  davanti  ai  priori  (I),  e  che  i  massari 
non  potessero  rinunziare  al  loro  ufficio  (2).  Lo  stipendio  dei  mas- 
sari venne  fissalo  dagli  statuti  a  quindici  tiorini  d'oro,  quidlo  dei 
loro  notari  a  quindici  pure,  quello  dei  ragionieri  a  dodici  e  quello 
del  messaggiere  a  sei  per  semestre  (3).  Gli  statuti  stabilivano  che 
ogni  provento,  non  assegnato  ad  altre  camere  o  ad  altri  luoghi, 
dovesse  pervenire  ai  massari  (4)  e  vietavano  a  tutti  i  magistrali 
di  depositare  o  far  depositare  somme  di  denaro  in  nessuna  camera 
o  tavola  fuorché  in  quella  dei  massari  (5).  Ed  anche  ordinavano 
ai  massari,  ai  loro  notai  e  ai  loro  ragionieri  o  compulisti  (fancelli 
ratiocinalores  sive  calculatores)  di  rimanere  tutta  la  gi(jrnala  (de 
mane  tempestive  usque  ad  noctem)  nella  camera  comunale  (in  ca- 
mera comunis  Perusie  uhi  sunt  solili  morari  alij  massarij")  e  cu- 
rare assiduamente  le  entrale  e  le  uscite  di  denaro  o  le  allre  fac- 
cende alle  quali  venivano  deputali.  I  massari  dovevano  badare, 
nei  riscuolimenti  di  denaro,  al  giusto  valore  delle  monete  d'oro 
e  d'argento  (6),  non  potevano  volgere  ad  altre  casse  le  riscossioni 
ad  essi  assegnate  (7),  avevano  facoltà  di  spendere  le  somme  de- 
positate nella  loro  camera,  anche  se  l'erogazione  non  riguardava 


(1)  Quod  massari.j  et  eonnn  notarij  et  fancellus  debeant  iurare  (H)rura  ofticiiim 
ci)rara  dorainis  prioriijus.  utat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  101. 

(2)  Qnod  massari.j  communis  non  pcssint  l'enunciare  ofticium  vel  cessare  ab  ad- 
uiinistratione  officij.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  463. 

(3)  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  351. 

(4)  Iteni  perveniant  et  pervenire  debeant  ad  manus  dictorura  niassarioruni  et  ad 
ipsos  raassarios  omnis  alia  pecunia  et  res  alie  dicti  communis  que  non  essent  depu- 
tate in  alia  camera  vel  loco  et  que  non  deberent  pervenire  ad  alios  otticiales  dicti  co- 
munis   Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  351. 

(5)  Item  quod  potestas  et  capitaneus  vel  maior  sindicus  et  index  iusticie  vel 
priores  artium  seu  aliquls  offìcialis  communis  Perusie  nuUam  pecunie  quantitatem  in 
niagnam  quantitatem  vel  parvam  de  eo  quod  debet  pervenire  in   communi,   ut  ordi- 

natum  est,  possint  deponere  vel  deponi  Tacere  in  aliqua  tabula  vel  camera stat. 

Pe>-us.,  vul.  I,  rub.  351. 

(6)  Et  ipsi  massari.j  bonam  pecuniam  ad  usum  civitatis  Perusie  recipere  tenean- 
tur:  Et  quod  tlorenos  aureos  et  raonetam  arjrenteam  teneantur  recipere  prò  eo  precio 
et  quantitate  quod  valebit  et  determinata  erit  in  camera  ubi  stat  et  teneatur  pondus 
communis  Perusie  et  non  ultra Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  351. 

(7)  Et  teneantur  et  debeant  tamen  ad  cameram  communis  Perusie  in  qua  mo- 
rantur  ad  oflicium  esercendum  lacere  debentibus  recipere  pagamenta  et  non  ad  ta- 
bulam  vel  cameram  alicuius.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  351. 


400  V.    ALFIERI 

il  deposilo  (1),  erano  obbligati  a  reslituire  il  denaro  ai  depositanti 
ed  a  consegnare  ai  nuovi  massari  il  fondo  di  cassa,  considerando 
la  specie  e  il  valore  delle  monete  ricevute  ed  esistenti  (2),  resta- 
vano infine  responsabili  dell'eccedenza  dei  pagamenti  sui  riscuo- 
timenli  da  essi  effettuati  e  dei  debiti  assunti  nel  loro  officio  senza 
valido  motivo  (3).  Altre  disposizioni  vennero  emanate  per  la  proroga 
dei  versamenti  (4),  per  la  stipulazione  dei  prestili  con  interesse  (5)^ 
per  la  consegna  dei  residui  di  cassa  (6),  per  la  regolarità  delle 
esazioni  (7),  ecc.  Ed  acciocché  fosse  maggiormente  saggia  e  sicura 


(1)  Et  possint  raassarij  communis  Perusie  et  debeant  depositum  aliquod  factum 
eis  vel  alteri  eorum  vel  ali.j  persone  recipienti  pi'o  aliquo  facto  prò  communi  in  in- 
troitibus  communis  perusie  ponere  et  tale  depositura  expendere  non  obstante  quod 
sententia  lata  non  fuerit  super  eo  prò  quo  factum  fuerit  depositum.  Stat.  Perus.y 
voi.  I,  rub.  351. 

(2)  Et  teneantur  idem  massarij  eandem  monetam  restituere  tara  deponentibus- 
quam  massarijs  communis  Perusie  qui  succederent  loco  sui  ei  in  eadem  specie 
et  per  eodem  valore  prò  quo  reciperint:  quod  si  massarij  non  observarent  in  C  libra- 
rum  denariorum  vice  qualibet  conderanetur.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  351. 

(3)  Preterea  dicti  massarij  taliter  debeant  suura  ofticium  exercere  quod  in  fine 
sui  officij  communi  Perusie  debitum  aliquod  non  assignent  per  ipsos  massarios  con- 
tractura  modo  aliquo  sine  causa.  —  Et  si  debitum  quod  ipsi  fecerint  assignarent  sibi 
tantum  debeant  imputari  ed  de  suo  ipsum  debitorem  solvere  et  satisfacere  teneantur. 
Stat.  Perus.,  voi.  I.  rub.  351. 

(4)  Quod  liceat  massarijs  proi'ogare  terminum  solventi  ante  tempus  determinatum. 
Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  361. 

(5)  Quod  non  liceat  massarijs  accipere  pecuniam  mutuo  sub  provisione  vel  fe- 
nore  sine  deliberatione  dominorum  priorum  et  camerariorum.  Stat.  Perus.,  voi.  I, 
rub.  363. 

(6)  statuimus  quod  massarij  communis  perusie  teneantur  et  debeant  infra  unum 
mensem  post  fìnem  eorum  officij  immediate  sequentem  dare  et  consignare  et  effectua- 
liter  restituere  eorum  successoribus  omnem  quantitatem  tlorenorum  et  pecunie  seu 
cuiuscumque  alterius  rei  que  quomodolibet  superfuisset  eis  asumptibus  et  expensis 
et  pagaraentis  factis  tempore  eorum   officij    sub  pena  C  C  C  C  C  librarum  denariomm 

prò  quolibet  et  restitutionis  dupli  quantitatis  que  quomodolibet  superfuisset Stat. 

Perus.,  voi.  I,  rub.  366. 

(7)  Cura  mala  consuetudine  sit  inductum  in  perniciem  substantie  et  haveris  rei- 
publice  perusine  quod  pagamenta  lìant  per  emptores  seu  exactores  communantiarum 
seu  gabellarum  seu  per  debitores  dicti  communis  vel  alios  extra  cameram  massario- 
rum  et  non  per  massarios  vel  sic  quod  utilitas  publica  non  modicum  fraudatur  ne  talia 
fieri  possint  imposterum  presenti  capitulo  duximus  statuendum  :  Quod  decetero  nul- 
lius  emptor  .seu  exactor  alicuius  communantie  seu  gabelle  dicti  communis  seu  debitoi- 
vel  alius  quicuraque  possit  vel  debeat  quoquo  modo  de  introitibus  et  pecunijs  debitis 
vel  debendis  camere  massariorum  aliquam  solutionem  facere  vigore  alicuius  ordina- 
menti vel  statuti  vel  provisionis  quod  seu  que  imposterum  fieret  quoquo  modo  etiara 
per  habentes  arbitriura  ab  adunantia  generali  alieni  persone  corpori  collegio  vel  uni- 


l'amministrazione  economica,  ecc.  401 

l'opera  dei  massari,  si  stabilì  ancora  che  un  consulente  avesse 
ad  assisterli  nel  disbrigo  delle  faccende  più  difficili  (1).  Le  entrale 
e  le  uscite  ordinarie  o  permanenti  della  camera  dei  massari  ven- 
nero dagli  statuti  comunali  diligenlemenle  considerate  nell'indole 
loro.  Quelle  dipendevano  in  gran  parte  da  gabelle  e  da  beni  de- 
maniali, queste  si  riferivano  alla  pubblica  beneficenza,  al  cullo  e 
alle  pompe,  agli  stipendi  e  alle  mercedi  spellanti  a  parecchi  offi- 
ciali comunali;  e  per  le  spese  non  stanziale  dagli  statuti  occorreva 
la  deliberazione  dei  competenti  consigli  (2).  Ma  delle  entrale  e 
delle  uscite,  al  pari  delle  relative  registrature,  dirò  nel  successivo 
capitolo. 

Simile  a  quella  dei  massari  era  la  magistratura  dei  conser- 
vatori delle  monete  (3).  !  conservatori  delle  monete  erano  tre, 
duravano  in  carica  un  semestre  (4),  avevano  presso  di  sé  un 
computista  e  un  notaio  per  l'esecuzione  e  la  registrazione  dei 
riscuotimenli,  un  altro  computista  e  un  altro  notaio  per  l'esecu- 
zione e  la  registrazione  dei  pagamenti  (5),  inoltre  potevano  eleg- 


versitati  nisi  massarijs  vel  eorum  fancello.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  ruh.  375.  —  nias- 

sarijs  communis  Perusie  nulla  ratione  vel  modo  sit  licitura  vel  permissuiii  quovis 
iure  causa  seu  tbniia  (luomodocumque  et  qualitercunniue  j)er  se  vel  aliuni  seu  alio.s 
dlrecte  vel  indirecte  post  flnem  eorum  offìci.j  esigere  seu  exigi  facere  ab  aliquo  com- 
muni universitate  vel  singulari  persona  ali(iuam  quantitatem  rtorenorum  seu  pecunie 
vel  aliquid  aliud  que  vel  quod  deheretur  communi  perusie  quoquo  modo  causa  seu 
forraam:  sed  talera  exactionem  facere  possint  durataxat  et  (ter  unum  mensem  post 
finitura  offtciura.  Rub.  365. 

(1)  raassarij  communis  Perusie  possint  et  eis  liceat  super  quiijuscumque 

casibus  opportunis  et  qui  quomodolibet  eraergerent  seu  dubitationem  afferrent  in 
vel  super  casibus  provisis  per  formam  statutorum  camere  ipsorum  quomodocumque 
aut  qualitercumque  consulere  consultorem  una  cum  eis  publicandum  de  sacculis:  et 
si  non  publicaretur  eligendum  per  eos Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  367. 

(2)  Quod  ultra  exitus  in  presenti  statutorum  volumine  contentos  massarij  com- 
munis Peinisie  niliil  possint  expendere  sine  deliberatione  consilij  opportuni.  Stat.  Pe- 
rus., voi.  I,  rub.  471. 

(3)  L'autorità  dei  massari  fu  poi  trasferita  nei  conservatori  delle  monete:  Bulla 
Non.  Regini.  in  5  regist.  Cancell.  Comm.,  pag.  32.  Vedasi  il  Compendium  iuris  muni- 
cipalis  Perusiae,  pag.  191  e  96. 

(4)  presenti  capitulo   valituro    perpetuo   duximus  statuendura  :   Quod  eli- 

gantur  et  eligi  debeant  tres  boni  prudentes  et  legales  cives  perusini  :  Ita  quod  distri- 
butio  electionis  ipsorum  per  portas  equaliter  observetur  et  insacchulari  debeant  in 
conservatores  et  prò  conservatoribus  monete  communis  perusie:  Quorum  officiura  du- 
ret  et  durare  debeat  tantum  sex  mensibus Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  229. 

(5)  Et  prò  expeditionc  eorum  offìci.j  et  executione  habeant  et  habere  debeant 
duos  bonos  fideles  et  expertos  fancellos   super   quibuscumque  introitibus  et  expensis 


402  V.    ALFIERI 

gere  un  officiale  sopra  dei  pignoramenti  (1).  Conservatori,  notari 
e  computisti,  all'inizio  del  loro  officio,  dovevano  giurare,  in  pre- 
senza dei  priori,  di  osservare  gli  statuti  coscienziosamente  (2).  La 
custodia  del  pubblico  denaro,  il  servizio  di  cassa  per  determinate 
entrate  e  uscite,  l'effettuazione  degli  ingaggi  (3)  e,  più  tardi,  la 
vendita  del  pesce  del  lago  Trasimeno  e  la  locazione  dei  beni  co- 
munali (4)  erano  le  principali  attribuzioni  dei  conservatori  delle 
monete.  Disposizioni  varie  regolavano  la  rielezione  dei  conservatori 
e  dei  loro  impiegati  (5),  l'intervento  dei  conservatori  all'ufficio  (6), 
la  proroga  dei  pagamenti  (7),  la  riscossione  dei  proventi  (8),  l'as- 
sunzione di  prestiti  con  interesse  (9),  la  consegna  del  fondo  di 
cassa  ai  successori  (10),  ecc.    Nell'intento  di  rendere  più  oculata 


ot  exitibus  eorundem  :  habeant  insuper  iluos  expertos  et  sufficientes  et  lideles  notarios 
quorum  unus  ad  scribendum  introitus  alter  ad  scribendum  exitus  et  expensa  per 
diotos  conservatores  faciendas Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  229. 

(1)  Statuimus  et  ordinamus  quod  conservatores  monete  possint  et  valeant  elig'ere 
et  deputare  unum  fancellum  super  pignoribus  conservandis  :  Et  quod  pignora  vendi 
possint  tempore  debito  et  permisso.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  350. 

(2)  Quod  conservatores  massarij  ofificiales  abundantie  et  eorum  notarij  et  fan- 
celli  debeant  eorum  iurare  offlcium  corani  dominis  prioribus.  Stat.  Perus.,  voi.  I, 
rub.  327. 

(3)  ad  quorum  manus  perveniant  et  pervenire  debeant  omnes  et  singuli  in- 
troitus redditus  et  provenctus  infra  scripti  et  prout  inferius  continetur:  qui  conser- 
vatores sint  et  esse  ifitelligantur  oflflciales  communis  peru-sie  ad  exigendum  et  reci- 
piendum  infra  scriptos  introitus  redditus  et  provenctus:  Et  de  ipsis  nomine  communis 
perusie  liniendum  et  refutandum  :  Necnon  ad  concedendum  stipendiarios  equestres  et 
pedestres  ad  stipendiura  vel  provisionem  communis  perusie  et  stipendio  vel  provi- 
sione solvendum  et  solvere  promittendum  secundum  forraam  presentium  statuto- 
rum Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  229. 

(4)  Vedasi  il  Compendium  iiiris  municlpalis  Civitatis  Perusie,  pag.  97. 

(5)  Quod  quilibet  conservator  ab  officio  conservatoratus  vacasse  debeat  per  tres 
annos  notarij  et  fancellus  per  duos.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  256. 

(6)  Quod  suffìciant  due  ex  conservatoribus  monete  ad  officium  excrcendum. 
Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  257. 

(7)  Quod  liceat  conservatoribus  prorogai'e  terminum  solventi  pecuniam  ante 
tempus.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  270. 

(8)  Quod  de  provenctibus  camere  conservatorum  nulla  soluti©  Aeri  possit  per 
alios  nise  per  conservatores  seu  fancellum.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  2S7. 

(9)  Quod  non  liceat  conservatoribus  acci  pere  pecuniam  mutuo  sub  provisione 
vel  fenore  sine  deliberatione  dominorum  priorum  et  camerariorum.  Stat.  Perus., 
voi.  I,  rub.  272. 

(10)  Statuimus  quod  conservatores  monet  et  massari.)  ofilciales  abundantie  et  alij 
«luicumquo  ofilciales  cives  perusini  quois  officio  fungerentur,  teneantiu",  et  debeant 
infra  unum  mensem  post  flnem  eorum  et  cuiusque   eorum  officij  immediate  sequen- 


l' AMMIXISTKAZIONK    KCOXOMll'A,    KCC.  .  403 

l'aziono  dei  conservalcjri  si  [jermise  poi  che  eleggessero  h  loro 
consulente  un  cilladino  espei'lo  e  dolio  in  dirillo  (I).  Secondo  gli 
staluti,  le  enlrale  ordinarie  della  camera  dei  conservalori  delle 
incmete  dipendevano  da  gabelle  e  da  beni  demaniali,  e  le  uscite 
ordinarie  riferivansi  a  censi  ecclesiaslici,  paghe  agli  armigeri, 
sli|)endi  dei  magistrali,  oggetti  di  cancelleria,  costruzioni  pubbli- 
che, ecc.  La  limitazione  delle  uscite  era  ordinata  con  bastevole 
rigore,  poiché  vietavasi  ai  conservatori  di  face  spese  in  misura 
maggiore  di  quella  degli  introiti  e  non  determinale  nell'indole 
loro  dagli  statuti  (2).  Cercherò  di  spiegare  nel  successivo  capitolo 
l'esecuzione  e  la  registrazione  di  queste  entrate  e  uscite. 

Magistratura  di  gran  momento  era  eziandio  quella  che  con- 
cerneva l'annona.  Gli  officiali  deputati  all'annona  (officiales  abun- 
danlie  et  campionis  biadi,  officiales  biadi  clusij)  erano  tre,  quattro, 


tem  dare  consignare  et  effectualiter  restitucre  eorum  et  ciiiusque  eoruin  successoribus 
omncm  quantitatem  florenorum  pecunie,  grani,  biadi  et  alterius  cuiuscumque  rei 
•lue  quomodolibet  superCui.^set  eis  a  sumptibus  expensis  et  pa}.'amenti  Cactis  tempore 

(^oruni  vel  alicuius  coruni  sub  pena  C  C  C  C  C  libraruni  denariorum Stat.  Perus., 

voi.  I,  rub.  275. 

(1)  conservatores  monete  po.ssint  et  eis  liceat  super  casibus  opportunis  qui 

<luomodolibet  eraergerent  seu  dubitationem  att'errent  in  vel  super  casibus  provisis  per 
J'ormam  statutorum  camere  ipsorum  quomodocumque  aut  qualitercumque  eligere 
unum  consultorem  civera  lidelem  et  expertum  et  doctura  in  iure  quem  voluerint  qui 
possit  et  debeat  quotiens  fuerit  requisitus  verbo  vel  inscriptis  consulere  ipsis  conser- 
vatoribus  super  premissis  fldeliter.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  278. 

(2)  Statuimus  quod  nulli  officio  conservatoratus  sit  licitum  vel  permissum  modo 
aliquo  seu  forma  de  introitibus  proventui"is  ad  cameram  conservatorum  tempore  of- 
ticij  conservatoratus  successoris  cxpendere  seu  exjìendi  tacere  directe  vel  indirecte 
quomodocunKiue  aut  (jualitercumque  aliquam   florenorum    seu  pecunie   quantitatem. 

sine  expressa  deliberatione  dorainorum  priorum  et  camerariorum Stat.  Perus., 

voi.  I,  rub.  325.  —  Quoniam  imraoderati  seu  inordinati  exitus  non  solum  privatorum 
su)>stantiam  sed  cuiuslibet  ojiijulentissime  reipublice  dissipant  et  evertunt:  presenti 
salutari  capitulo  duximus  statuendura  quod  conservatores  monete  eonimunis  perusie 
non  possint  nec  debeant  quoquo  modo  iure  causa  seu  forma  directe  vel  indirecte  per 
se  vel  alium  quomodocumque  aut  qualitercumque  ultra  exitus  contentos  in  presenti 
voluraine  statutorum  editorum  presenti  anno  millesimo  quadringentesimo  et  publi- 
catorum  die  ultimo  marti)  de  quibus  cxitibus  in  precedentibus  capitulis  et  presenti 
volumine  mentio  factam  extitit.  aliquid  pagamentum  seu  solutionem  aliquam  facere 
vel  aliquod  aliud  dare  de  bonis  aut  pecunia  seu  rebus,  communis  perusie  que  quo- 
modocumque aut  qualitercumque  perveiierint  ad  eorum  manus  contra  seu  preter  for- 
mara  seu  exigentia  precedentium  statorum  in  presenti  volumine  contentorum  et  si 
secus  vel  alter  facerent  quod  factum  fueriti  non  teneant  ipso  iure ,  rub.  32G. 


404;  .  V.    ALFIERI 

cinque  e  talvolta  anche  più;  duravano  in  carica  forse  un  anno  (1); 
avevano  presso  di  se  un  computista  e  un  notaio  per  effettuare  e 
notare  l' introito,  un  altro  computista  e  un  altro  notaio  per  effet- 
tuare e  notare  l'esito  della  loro  camera  (2),  tre  misuratori  al  più 
e  due  serventi  (3).  Gli  officiali,  i  notari  e  i  compulisti  applicati 
alla  camera  dell'abbondanza  erano  obbligati  a  giurare  innanzi  ai 
priori  di  adoperarsi  fedelmente  nel  loro  ministero  (4).  Era  studio 
precipuo  di  questi  officiali  d'impedire  e  di  prevenire  la  scarsezza 
delle  vettovaglie;  nulla  dovevano  trascurare  affinchè  le  sostanze 
alimentari  si  spacciassero  in  giusta  misura,  a  buon  prezzo  e  ben 
condizionale  sotto  l'aspetto  igienico;  dovevano  fare  incetta  e  som- 
ministrazione di  derrate;  ad  essi  spettava  il  riscuotimento  dei  pro- 
venti di  non  pochi  appalti  (communantie)  e  il  pagamento  di  varie 
spese,  e  però,  come  i  massari  e  i  conservatori,  avevano  cassa 
propria  (5).  Si  statuì  in  appresso  che  i   magistrati    preposti    alla 


(1)  Quod  eligantur  ed  eligi  debeant  duo  tres  vel  quatuor  vel  quinque  fldelissimi 
cives  perusini  officiales  et  prò  offlcialibus  super  abundantia  et  campione  biadi  dicti 
communis  prò  ilio  tempore  sicut  cognoverint  prò  utilitate  publica  commodius  expe- 

dire Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  475.  —  Ad  refrenandum  supertluos  exitus  dicti  com 

munis  et  camere  abundantie  et  etiam  moltitudinem  officialium  que  moltitudo  conf'u- 
sionera  generat  ut  plurimum  ubiscumque:  presenti  capitulo  duximus  statuendum: 
Quod  olìicialibus  noviter  eligendis  et  etiam  qui  eligerentur  iraposterum  seu  publica- 
rentur  de  sacculis  non  possit  nec  debeat  fieri  additio  officialium  :  et  si  fieret  non  va- 
leat  ispo  iure.  Rub.  476. 

(2)  Et  prò  expeditione  eorum  offici,]  et  esecutione  habeant  et  habere  debeant 
duos  et  expertos  fideles  et  sufficientes  notarios  quorum  alter  sit  ad  scribendum  introi- 
tus  alter  ad  scribendum  exitus  et  expensas  per  dictos  officiales  faciendas  occasione 
eorum  officij:  Necnon  ad  scribendum  varias  et  diversas  scripturas  prò -expeditione 
dicti  officij  quoiTiodolibet  opportunas  lial)eant  etiam  duos  fanccllos  expertos  et  fideles 
cives  Perusinos,  quorum  unus  sit  et  esse  debeaut  super  introitibus  pecunie  et  super 
introitu  grani  et  biadi  et  cuiuscumque  alterius  rei,  alter  vero  super  exitibus  et  expen- 
sis  :  Qui  quidam  notarij  et  fancelli  eligantur  et  eligi  possint  et  debeant  per  ipsos  offi- 
ciales, et  eligendorum  conflrmatio  per  dictos  officiales  tam  notariorum  quam  fancello- 
rum  spectet  ad  dominos  priores  et  camerarios  ai'tium  civitatis  Perusie.  Stat.  Perus., 
voi.  I,  rub.  475. 

(3)  Habeant  etiam  dicti  officiales  et  habere  possint  prò  executione  eorum  officij 
usque  in  tres  raensuratores  et  habeant  etiam  et  habere  possint  duos  famulos  quos  raen- 
suratores  et  famulos  sibi  possint  eligere  quos  expertos  et  fideles  esse  cognoverint. 
Stat.  Petrus.,  voi.  I,  rub.  475. 

e»)  Quod  officiales  abundantie  et  eorum  notarij  et  fancelli  debeant  eorum  iurarc 
offirium  coram  dominis  prioribus.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  546. 

(j)  sint  et  esse  intclligantur   officiales  super  abundantia    grani,   Iliadi   et 

onmium  ves_^cil)iliuiii  procuranda  habenda  et  conservanda  abundantia  in  civitate  et  co- 


l'a.mmimstrazionk  kco.nomica,  ecc,  405 

camera  dell'abbondanza  non  potessero  ricusare  il  loro  mandalo  o 
cessare  dalla  loro  amministrazione  (1),  che  non  dovessero  slipii- 
lare  mutui  a  interesse,  vendere  o  far  eslrarre  biade  senza  deli- 
berazione o  licenza  dei  priori  e  dei  camerari  (2),  che  avessero  fa- 
coltà di  prorogare  i  pagamenti  delle  biade,  di  costringere  alla  da- 
zione delle  derrate  i  renitenti  e  di  multare  i  trasgressori  dei  loro 
ordini  (3),  che  inoltre  fossero  obbligati  a  consegnare  ai  successori 


mitatu  perusie:  Kt  ctiani  super  campione  }?rani  et  biadi  dicti  coiuinunis;  Kt  siiit  et. 
<^sse  intelligantui'  oflicialcs  communis  prodicti  ad  exigendum  et  recipiendum  fru- 
ctus  redditus  et  proventus  postarura  clusi.j  Perusini  venditarum  et  vendendarum  im- 
posterum  et  omnium  et  singularum  communantiarum  dicti  communis  eorum  camere 
«luomodolibet  deputatarum  seU  imposterum  deputandarum  et  etiam  ad  exigendum  et 
recipiendum  iiuoscumque  fructus  redditus  et  proventus  et  precia  queque  quomodolibet 
])roventura  ex  ^rano  biado  farina  seu  pane  venditis  qiioijuo  modo  vel  ex  alijs  (juibuscum- 
<1U('  bonis  seu  rel)us  ad  dictani  caraeram  pcrtinentibus  sive  spectantibus  quo((UO  modo: 
Kt  de  ipsis  omnibus  et  quoiibet  eorundem  nomine  dicti  communis  lìniendum  et  refu- 
tandum  quotiens  et  prout  noverint  convenire.  —  Sint  etiam  et  esse  inteliigantur  of- 
lìciales  communis  Perusie  super  exitibus  expensis  et  pagamentis  quibuslibet  facien- 
dis  prò  dicto  communi  occasione  eorum  oflicij  iuxta  et  secundum  exigentia  infrascri- 
l)torum  capitulorum.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  475. 

(1)  Statuimus  quod  nullus  qui  ad  olììcium  abundantie  quomodolibet  eligeretur 
vel  de  sacculis  publicaretur  vel  quomodolilìet  surrogaretur  possit  audeat  vel  presu- 
mat  renunciare  dicto  ofticio  vel  quomodolil)et   cessare   ab  administratione  vel   cura 

dicto  officij  sul)  pena  et  ad  penam  mille  librarum  denariorum Stat.  Perus.,  voi.  I, 

rub.  477. 

(2)  Quod  non  liceat  ofticialis  abundantie  acquirere  pecuniam  mutuo  sub  provi- 
sione vel  fenore  sine  deliberatione  dominorum  priorum  et  camerariorum.  Stat.  Perus., 
voi.  I,  rub.  493.  —  Et  etiam  salvo  et  expresse  reservato  quod  officiales  abundantie  non 
possint  nec  debeant  vendere  nec  vendi  tacere  nec  mutuare  de  grano  seu  granum  dicti 
communis  sine  expressa  licentia  dominorum  priorum  et  camerariorum  artiura  qui  prò 
tempore  fuerint.  Kub.  478.  —  Nulli  officio  abundantie  vel  alijs  offlcialibus  communis 
lìeriisie  vel  alteri  cuicumque  persone  sit  licitum  vel  perraissum  alieni  concedere 
licentiam  portandi  seu  portari  faciendi  extra  comitatum  perusie  aut  extrabendi  gra- 
num seu  farinam  vel  aliud  genus  biadi  contra  seu  preter  formam  presentium  statu- 
torum  sine  espressa  licentia  el  deliberatione  dominorum  priorum  et  camerariorum 
artium  civitatis  perusie.  Rub.  502. 

(3)  officiales  abundantie    communis    perusie  possint  et  eis  liceat  cuilibet 

communi  corpori  seu  universitati  vel  singulari  persone  quod  vel  que  eis  solverei 
aliquam  quantitatem  pecunie  vel  aliquam  quantitatem  grani  vel  biadi  ante  debitum 
et  pretìxum  tempus  et  terminum  solutionis  ipsius  quantitatis  tali  solventi  prorogare 
terrainum  ad  solvendum  quod  deberet  solvere  eisdem  offlcialibus  de  tantumde  tem- 
poris  et  quantitatis  pecunie  vel  grani  seu  biadi  ante  terminum  solute  per  eum. 
Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  492.  —  Pro  conservatione  abundantie  statuimus  quod  ofli- 
ciales  abundantie  possint  et  eis  liceat  quotiens  venerit  opportunura  comi)ellere  et 
compelli  facere  de  facto  omnes  et  singulos  tam  cives  quam  comitatenses  quam  etiam 
forenses  et  alias  quascumque  personas  cuiuscumque  gradus   habitus  seu  dignitatis 


406  V.    ALFIERI 

i  fondi  di  cassa  e  di  magazzino  entro  quindici  giorni  dalla  fine 
del  loro  officio  e  ad  otninelLere  ogni  esazione  un  mese  dopo  aver 
lascialo  la  carica  (1).  Anche  agli  officiali  dell'abbondanza  si  as- 
segnò un  consulente,  che  avesse  ad  assisterli  nella  osservanza 
delle  disposizioni  statutarie  risguardanti  il  loro  ministero  (2). 
Della  effettuazione  e  della  registrazione  delle  entrale  e  delle  uscite 
di  beni  economici,  risguardanti  la  camera  dell'abbondanza,  trat- 
terò nel  successivo  capitolo:  basti  ora  ricordare  che  a  tale  camera 
venivano  dagli  statuti  assegnati  le  rendite  di  determinate  località 
(poste  seu  communantie  clusij  perusini)  ed  accollale  diverse  spese 
fisse  relative  a  salari,  a  oggetti  di  cancelleria  e  specialmente  a 
somministrazioni  di  vettovaglie,  e  che,  per  le  erogazioni  non  con- 


existant  ad  assignanduni  ipsis  ofiicialibus  vel  deputandis  ab  eis  per  mensui'atoreni 
omnem  quantitatem  grani  biadi  seu  farine  quara  in  civitate  vel  comitatu  Perugie 
\el  alio  quocumque  haberent  loco.  Rub.  501.  —  Ad  hoc  ut  ofliciales  ipsi  possint  effi- 
catius  eorum  officium  exercere  et  oranes  pareant  eis  circa  concernentiam  offici.j 
ipsorum  :  statuimus  quod  ipsis  ofiicialibus  sit  licitum  et  permissum  posse  quemlibet 
inobedientem  seu  non  observantem  eorum  mandata  seu  eorum  offlcialiura  vel  com- 
missariorum  de  facto  mulctare  prò  eorum  arbitrio  voluntatis  in  V  florenos  de  auro 
si  fuerit  civis  vel  comitatensis  perusie:  Si  aut  fuerit  forensis  punire  et  mulctare  de 
facto  possint  in  X  florenos  de  auro,  et  si  fuerit  castrum  vel  universitas  alicuius  castri 

in  L  florenos  de  auro,  et  si  fuerit  villa  vel  ville  universitas  in  XXV  florenos  de  auro 

Rub.  479. 

(1)  Statuimus  quod  ofliciales  abundantie  communis  perusie  teneantur  et  debeant 
infi'a  XA'  dies  post  linem  eorum  et  cuiusque  eorum  oflicij  immediate  sequentes  dare 
consignare  et  eff'ectualiter  restituere  eorum  et  cuiusque  eorum  sucessoribus  omnem 
quantitatem  florenorura  pecunie  grani  seu  biadi  et  alterius  cuiuscumque  i-ei  que  quo- 
modolibet  super  fuisset  eis  a  sumptibus  et  expensis  et  pagamenti»  factis  tempore  eo- 
rum vel  alicuius  eorum  oflicij  sub  pena  C  C  C  C  C  librarum  denariorum Stat.  Perus., 

voi.  I,  rub.  494.  —  offlciales  abundantie  communis  perusie  nulla  ratione  vel  modo 

sit  licitum  vel  pei'missum  quovis  iure  causa  seu  forma  quomodocumque  aut  qualiter- 
cumque  per  se  vel  alium  seu  alios  dircele  vel  indirecte  nisi  per  unum  mensem  post 
linem  eorum  offlcij  exigere  seu  exigi  lacere  ab  aliquo  communi  universitate  vel  sin- 
gulari  persona  aliquam  quantitatem  grani  biadi  et  alterius  generis  victualium  vel  flo- 
renos vel  pecunie  vel  aliquod  aliud  que  vel  quod  deberet  diete  camere  abundantie 
quoquo  iure  causa  seu  forma.  Sed  talem  exactionem  facere  possint  dumtaxat  infra 
terapus  offlcij  ipsorum  et  de  inde  infra  mensem.  Rub.  545. 

(2)  Ut  cuncta  sub  libra  procedant  iusticie  presenti  capitulo  duximus  stntuendum: 
Quod  offlciales  abundantie  communis  perusie  possint  et  eis  liceat  sub  casibus  oppor- 
tunis  qui  quomodolibet  emer^-erent  seu  dubitationem  afferrent  in  vel  super  casibus 
provisis  per  formam  statutorum  camere  ipsorum  quomodocumque  et  qualitercumque 
eligere  unum  consultorem  civem  fidelem  et  expertum  et  doctum  in  iure  videlicet  il- 
lum  quem  conservatores  monete  in  eorum  camera  eligerint  qui  possit  ed  debeat  quo- 
tiens  fuerit  requisitus  verbo  vel  in  scriptis  consulere  ipsis  oflioialibus  super  premis- 
sis  fldeliter.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  nib.  l'Jó. 


l'ammixi.stra/.ioxk  econo.mk'a,  ecc.  407 

tempiale  dalle  leggi,  era  necesi?ai'io  l'assenso  dei  priori  e  dei  ca- 
merari (1). 

Bastevolinenle  numerosi  erano  gli  officiali  delegali  a  servizi 
pei  quali  non  occorrevano  speciali  casse.  Tali  officiali  non  ave- 
vano sempre,  per  verità,  dirella  allenenza  col  governo  economico, 
ma  io  repulo  espedienle  ricordarli  qui  succinlamenle,  affinchè  sia 
meno  incompiuto  questo  cenno  intorno  all'oi'ganismo  amminisira- 
tivo  dell'antico  comune  di   Perugia. 

Della  vigilanza  sopra  slrade,  fonti  e  ponti  erano  incaiicati 
cinque  cittadini,  eletti  uno  per  porta,  i  quali  avevano  con  sé  un 
notaio,  per  le  debite  scritture,  e  ritnanevano  in  carica  un  anno  (2). 
L'edilità  e  l' igiene  pubblica  erano  affidate  a  un  cittadino  coadiu- 
vato da  un  notaio  e  da  un  ministro  del  potestà  e  del  capitano  del 
popolo  (3).  La  preslatura  di  bestie  da  cavalcare  o  da  someggiare 
a  prezzo  stabilito  era  regolata  da  un  cittadino  e  da  un  notaio,  che 
rimanevano  in  officio  sei  mesi  ed  avevano  per  salario  venti  soldi 
di  denari  (4). 


(1)  Quod  ultra  exitus  in  presenti  statutorum  voluraine  contentos  odiciales  almn- 
dantie  niliil  posslnt  expendere  sine  deliberatione  dominorum  priorum  et  camerario- 
rum.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  549. 

(2)  quod  deinceps  eligantur  quinque  boni  horaines  de  populo  perusino  vi- 

delicet  unus  per  porta  :  quorum  officium  durare  debeat  uno  anno  de  quiijus  liat  sac- 
cliectus  et  trahantur  de  anno  in  annum  quorum  quilibet  sit  prò  sua  porta:  Qui  te- 
neantur  et  debeant  saltem  semel  in  singulis  duobu.s  raensibus  ire  in  comitatu  et  in- 
spicere  et  providere  vias  maxime  principales  et  publicas  pontes,  fontes  et  similia  et 
ubi  defectum  in  talibus  invenirent  quod  eo    casu   adiacentibus   locis  portiones  talis 

operis  assignet  per  castra  et  villas  prout  miserit ut  qualitas  negoci.j  suadebit, 

que  omnia  scribantur  in  publicam  formani  et  per  publiciim  notarium  quem  quilibet 
dictorum  officialium  ducere  et  habere  debeat  et  ad  sacchectura  eligi  una  cum  oflicia- 
libus  supradictis  et  eo  modo Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  217. 

(3)  Statuimus  et  ordinamus  quod  eligatur  et  eligi  debeat  unus  providus  et  ido- 
neus  civis  qui  sit  et  esse  debeat  ac  iurisdictionem  liabeat  super  tabernarijs,  pizica- 
rellis,  panacoculis,  fornarijs  et  super  fontibus  i-eactandis,  murandis  et  meliorandis  et 
purgandis  ubi  fuerit  opportunum  cum  quo  sit  unus  ex  notarijs  potestatis  cum  socio 
potestatis  cum  socio  vero  capitanei  sit  unus  ex  notarijs  capitanei.  —  Debeat  insuper 
dictus  civis  cum  dictis  notarijs  ac  socijs  super  esse  porcis  qui  vadunt  ad  stratum 
per  civitatem  et  burgos  et  palloctantibus  et  balistarijs  et  possit  et  debet  ex  eius  of- 
licio  inquirere  de  omnibus  eis  coramissis  et  accusari  et  condemnari  possit  contrafa- 
cientes  in  predictis  et  quolibet  predictorum.  Stat.  Perus.,  voi.  1,  rub.  io. 

(4)  Insacculetur  unus  bonus  homo  et  unus  notarius  cum  eo  quorum  offìciuni 
duret  sex  raenses  et  habeat  quilibet  eorum  prò  suo  salario  a  communi  prò  dictis  sex 
mensibus  XX  solidorum  denariorum.  Qui  ofllciales  teneantur  facere  banniri  per  toiam 
civitatem  et  burgos  semel  omni  mense  quod  omnes  habentes  equos  seu  niulos  causa 


408  V.    ALFIERI 

Ai  guasti  e  alle  espropriazioni  di  beni  dislrelluali  erano  de- 
legali per  sei  mesi  un  officiale  ed  un  notaio,  che,  pel  ministero 
loro,  potevano  condurre  seco  un  misuratore  (1).  Per  la  concessione 
di  rappresaglie  erano  eletti  di  sei  mesi  in  sei  mesi  cinque  uomini 
di  arte,  uno  per  porta  (2).  Un  cittadino  ascritto  alla  mercanzia  e 
un  notaio,  eletti  dai  consoli  dei  mercanti  per  sei  mesi,  curavano 
le  riprese  e  le  vendile  di  cose  dipendenti  da.  staggimenti  o  rap- 
pressaglie  (3).   Due  officiali  nominati  per  un  anno,  con  lo  stipendio 


dandi  ad  vecturam  compareant  coram  eis  cum  ipsis  equis  et  mulis  infra  octo  dies  a 
tempore  banniraenti  assignandis  ipsis  officialiljus  et  ipsos  equos  et  mulos  qui  occa- 
sione dandi  ad  vecturam  coram  eis  fuerint  assignati  et  omnia  signa  et  maculas  et  ma- 
gagnas  eorum  scribi  faciant  et  postea  eos  bonaflde  sine  fraude  debeant  extimare  ita 
quod  illi  quorum  fuerint  extimationes  scire  non  valeant.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  170. 

(1)  unus  bonus  homo  et  officialis  et  notarius  qui  eligetur  et  eligi  debeat 

ad  sacchectum  et  de  sacculo  extrahi  et  publicari  de  sex  mensibus  in  sex  raenses 
et  cogantur  ipsi  officiales  et  notarius  et  intelligatur  ipse  officialis  esse  et  sint  com- 
munis  perusie  ad  recipiendum  portionem  bonorom  devastandorum  vel  etiara  publi- 
candorum  prò  communi  et  secum  ducat  tempore  quo  ibit  ad  destructiories  faciendas 
seu  ad  accipiendum  partem  )jonorum  publicatorum  prò  communi  suum  notarium  et 
unum  mensuratorem  quem  secum  ducere  voluerit  et  sit  etiam  sindicus  ad  vendendum 
dieta  guasta  et  ad  recipiendum  precium  et  ad  dividendum  Inter  commune  pei'usie  et 
speciales  personas.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rab.  16P. 

(2)  Statuimus  quod  super  represali.js  concedendis  officiales  extracti  de  sacculis 
et  in  futurum  extrahendi  qui  sint  et  esse  debeant  de  artibus  scilicet  unus  prò  qua- 
libet  porta  que  electio  dictorum  quinque  bonorum  hominum  fiat  et  fieri  debeat  et 
insacculetur  per  officiales  positos  ad  sacculos  componendum  et  sic  ad  electionem  et 
publicationem  dictorum  oflicialium  de  sex  mensibus  in  sex  menses  procedatur.  —  Qui 
boni  homines  et  officiales  habeant  plenam  potestatem  concedendi  represalias  cui  de 
iui'e  cognoverint  concedendas  et  concessas  tollendi  scilicet  que  prò  debito  de  quo  non 
appareret  instrumentum  confessionatum  vel  guarentigiatum  concesse  essent  cui  cre- 
diderint  concessa  non  fore  de  iure.  atat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  171. 

(3)  Eligantur  etiam  unus  bonus  homo  de  mercantia  et  unus  notarius  cum  eo 
super  rebus  que  reprehendentur  quibus  vel  alicui  eorum  quicumque  aliquid  repre- 
lienderit  debeat  illud  assignare  et  etiam  officiali  de  cuius  licentia  i-eprehenderit  infra 
tertiam  diem  a  die  reprehensionis  ad  penam  C  C  C  C  C  lilirarum  denariorum.  Et  nihi- 
lominus  cadat  a  iure  suo  in  rebus  reprehendis  ipso  iure  quam  contrafaciens  solvere 
teneatur  et  possit  etiam  de  robbaria  niliilominus  accusari  qui  officialis  esse  debeat 
cum  militibus  sive  socijs  potestatis  et  capitanei  et  ipsas  ras  reprehensas  tacere  banniri 
quotiens  eis  et  dictis  militibus  videbitur  convenire.  Et  factis  bannimentis  ipse  res  ven- 
dantur  prò  insto  et  convenienti  precio  per  dictum  bonum  hominem  de  mercantia  et 
predictos  milites  potestatis  et  capitanei  dum  tanto  illas  res  non  debeant  concedere 
illi  qui  eas  reprehendisset  seu  reprehendi  fecisset  vel  alicui  alij  quod  ad  ipsam  valeat 
pervenire  et  quando  fient  bannimenta  predictam  ille  qui  fecerit  represaliam  vel  alius 
prò  eo  non  intersit  et  illud  precium  quod  liaberetui*  ex  venditione   dictarum  rerum 


L' AM.MINISTKAZIONK    ICCOSOMICA,    ECC.  403 

ili  Irenta  fiorini  d'oro,  baduvuno  al  campione  di-Ile  carni  (1).  Ac- 
ciocché fosse  conservala  e  migliorala  la  pescagione,  venivano 
elelli,  di  anno  in  anno,  un  officiale  e  un  notaio,  che,  in  cerle 
tipoche,  dovevano  far  mettere  nel  lago  Trasimeno,  dagli  appalta- 
tori, lina  determinala  quantità  di  anguille  (2).  Altri  magistrati  (in- 
cora si  trovavano  in  Perugia  con  attribuzioni  di  varia  indole:  per 
esempio,  alle  scarcerazioni  da  effettuarsi  in  alcune  festività  ve- 
nivano deputati  due  cittadini  con  un  notaio,  eletti  per  un  seme- 
stre dai  priori  e  dai  camerari  (3)  ;  olire  al  potestà,  al  capitano  e 
ai  conser-vatori  delle  monete  si  delegavano  anche  alle  mostre  mi- 
litari e  alle  riviste  delle  munizioni  da  guerra  speciali  officiali  e  un 
notaio  (4).  Dai  priori  e  dai  camerari,  riuniti  in  consiglio,  si  elegge- 


r('l>rehcnsai"uin  (lehfat  silii  (lari Quo  ek'ftio  (lieti  boni  hominis  et   notarij   liat  et 

lieri  debeat  de  sex  mensil)us  in  sex  menses  per  dictos  consules  mercatorum  sub  pena 
<:  C  C  C  C  libraruni  denariorum  prò  quilibet  consule  contrafaciente  vel  neglif,fente.  Stat. 
Perus.,  voi.  I,  rub.  172. 

(1)  Item  dare  et  solvere  teneantur  et  debeant  diiobiis  oi'licialibus  campionis  car- 
nium  communis  pei'usie  solum  visa  eorum  electione  seu  publicatione  prò  anno  (pio- 
libet  tlorenos  XXX  de  auro  prò  utro()ue  eorum.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  418. 

(2)  Itera  ut  lacus  predictus  anguillis  uberius  abundet:  Et  ut  quantitas  anguilla- 
rum  in  lacu  predicto  mittenda  non  possit  aliiiualiter  defraudari;  statuiuius  et  ordi- 
mus  quod  eligantur  et  eligi  debeant  per  viam  sacchetti  continue  unus  bonus  homo 
et  unus  notarius  quorum  oflicium  duret  per  unum  annum  integrum  qui  bonus  homo 
sit  et  esse  intelligatur  onicialis  communis  perusie  ad  recipiendum  anguillas  inmittendas 
in  dictum  lacum  que  sit  et  esse  debeat  numero  XV  milia  anguillarum  vivarum  qua- 
rum  emptores  fructuura  aque  dicti  lacus  quinque  milia  inmittere  teneantur:  reliquie 
vero  X  milia  per  piscatores  dicti  lacus  inmitti  debeant  secundum  distributione  et  de- 
claratione  taciendara  per  dictum  oftìcialem  i)er  postas  dicti  lacus.  Stat.  Perus.,  voi.  I, 
rul).  218. 

(3)  Item  statuimus  et  ordinamus  quod  prò  tempore  futuro  eligi  debeant  duo 
lioni  homines  per  priores  et  camei'arios  novos  vel  per  maiorera  partern  ipsorum  in 
({ua  electione  adesse  debeant  ad  minus  septera  ex  priorlbus  presentes  in  concordia 
et  de  camerarijs  ad  minus  triginta  presentes  et  viginti  in  concordia  de  sex  mcnsibus 
in  sex  menses  et  unus  notarius  cum  eis  que  electio  fieri  debeat  per  sex  mensibus  pro- 
xime  futuris  incipiendis  in  Kalende  .JanuariJ  proxime  venturi  infra  tempus  X  dierum 
ante  principium  introilus  eorum  ofiicij  et  simili  modo  fiat  per  priores  et  camerarios 
(jui  extraverentur  de  mense  .Junij  et  sic  fiat  quibuslibet  sex  mensibus  de  anno  in 
annum.  Qui  officiales  habeant  potestatera  et  bailiam  ad  excarcerandum  captivos  de 
«■arcex'ibus  dicti  communis  in  festivitatibus  infrascriptis  modo  et  ordine  infra  scri- 
lito stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  187. 

(4)  Ut  stipendiarij  tam  equites  quam  pedites  serviant  communi  perusie  debite 
sicut  decet  cum  eorum  personis  et  etiam  cum  equis  :  Statuimus  et  ordinamus  quod 
<Iecetero  civis  et  notarius  i)ublicandos  de  sacchulis  perusinis  sint  et  esse  intelligantur 
super  monstris  gentium  armigerarum  equitum  et  peditum  quorumcumque  :  Kt  etiam 


410  V.    ALFIERI 

vano  i  custodi  di  rocche,  fortezze,  bastite,  castella  (castellani,  arx  et 
arcis  custos)  ;  i  quali  avevano  diritto  a  stipendio  e  dovevano,  dopo 
sei  mesi,  lasciare  la  loro  carica,  fare  inventario  e  dare  ragione 
delle  diverse  cose  avute  in  consegna  (1). 

Nel  libro,  che  contiene  le  disposizioni  relative  all'organismo 
amministrativo  dell'antica  Perugia  (Magistratuum  ordines  et  Au- 
ctorilatem),  sono  anche  distintamente  considerati  i  particolari  agenti 
del  comune,  per  esempio,  i  cursori  (2),   i  lubatori  (3),    i    campa- 


oranium  et  singulorura  castellanorum  et  aliarum  quorumlibet  habentiura  custodiam  ali- 
cuius  cassari  fortilitij  et  bastie  comitatus  perusie  seu  civitatum  terrarum  ca.stroruru 
et  locorum  quorumlibet  que  recomendatorum  vel  quomodolibet  summissorum  com- 
muni perusie:  Et  etiam  omnium  et  singularura  faraulorum  eorum  et  cuiuscumque 
eorura.  Et  etiam  omnium  et  singularum  raunitionum  quas  castellani  liabere  et  tenere, 

debent  secundum  formam  statutorum Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  244.  — Statuimus 

quod  monstre  gentium  armigerarum  tam  equitum  quam  peditum  quomodolibet  mili- 
tantium  ad  stipendium  seu  provisionem  communis  perusie  possint  et  debeant  bene 
diligenter  et  sollicite  sepe  sepius  revideri  tam  in  civitate  perusie  quam  alibi  ubicum- 
que  fuerint  tales  gentes  quomodolibet  deputate  ad  minus  una  vice  mense  «(uolibet 
per  conservatores  monete  seu  alium  civem  deputatum  per  ipsos  conservatores,  seu 
sit  marescalcus  vel  non  et  per  ofRciales  de  sacclmlis  publicand  s.  Rub.  245. 

(I)  Quod  quotienscumque  necessitas  fiagitaret  domini  priores  et  camerarij  artium 
civitatis  perusie  obtento  tantum  premitus  partito  super  unaquaque  electione  castellani 
ad  bussolas  et  fabas  albas  et  nigras  per  omnes  priores  concorditer  vel  ad  minus  per  no- 
vem  et  per  omnes  camerarios  concorditer  vel  ad  minus  triginta  quinque  possint  et  eis 
liceat  eligere  et  deputare  in  castellanum  seu  castellanos  illos  quos  putaverint  convenire 
et  mittere  ad  illa  loca  prout  et  sicut  putaverint  opportunum.  Salvo  quoii  nerainem  pos- 
sint eligere  qui  esset  debitor  communis  perusie  vel  condemnatus  seu  exbannitus  modo 

aliquo  seu  forma Decernentes  quod  massarij  communis  perusie  possint  teneantur 

et  debeant  visa  tali  electione  facta  iuxta  exigentiam  premissorum  seu  facienda  tales 
castellanos  et  eorum  famulos  conducere  et  scribi  tacere  debeant  per  pila  et  signa  si- 
cut sit  de  gentibus  armigeris  et  de  quecumque  pecunia  dicti  communis  et  sine  alio 
precepto  vel  mandato  solvere  et  solvi  facei'e  ad  rationem  duorum  florenorum  cum 
dimidio  prò  qualibet  paga  retinendo  tantum  debitam  gabellam  ad  rationem  II  solido- 
rum Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.   450 duxiraus  statuendum   quod  iraposterum 

nullus  castellanus  alicuius,  cassari  fortilitij  vel  bastie  comitatus  perusie  seu  civita- 
tum teri'arum  castrorum  vel  locorura  communi  perusie  recommissorum  seu  recom- 
mittendorum  imposterum  possit  audeat  vel  presumat  per  se  vel  alium  directe  vel  in- 
directe  vel  quovis  coloro  quesito  quoquo  modo  iure  causa  seu  forma  retinere  seu  facere 

retineri  cassarum  vel  bastiara  seu  fortilitium  aliquod  ultra  tempus  sex  mensium 

Rub.  180.  —  Quod  castellani  quaruradam  roccliarum  reddant  rationem  et  inventarium 
faciant  de  rebus  existentibus  in  eis.  Rubr.  192. 

(2)  De  baiulis  et  ofificio  baiulorum.  Rub.  181. 

(3)  De  tubatoribus  communis  Perusie  et  eorum  officio  et  salario.  Rub.  183. 


l'amministrazione  economica,  ecc.  in 

nari  (1),  i  nuirutori  (2),  i  medici  ('A),  i  luaniscalchi  (4),  i  custodi 
delle  masserizie,  del  palazzo  de'  priori  e  delle  forili  (5),  gli  spaz- 
zini (6),  i  carcerieri  (7),  i  donzelli  e  i  birri  (8),  ecc.  E  tulli  ave- 
vano salario  :  i  donzelli  del  comune  (doinicelli),  il  cappellano,  il 
lubatore,  il  cuoco  dei  priori  avevano  due  fiorini  al  mese,  e  si 
scendeva  a  un  fiorino  pel  sotto  cuoco  (quactero),  pei  custodi  delle 
porle,  per  gli  uscieri,  pel  chitarrista,  che  allietava  la  mensa  dei 
priori,  e  pel  naccherino,  che  accompagnava  le  trombe  dei  bandi- 
tori a  cavallo  (9).  Ma  di  tulli  questi  impiegati  non  è  necessario 
eh'  io  discorra.  Piuttosto  è  bene  che,  prima  di  chiudere  il  capitolo, 
io  dica  brevemente  ancora  degli  officiali  delegali  alla  compilazione 
e  alla  custodia  delle  scritture  risguardanti  il  governo  economico, 
e  eh'  io  accenni  eziandio  ai  magistrati  sindacatori,  tanto  iinpor- 
tanli  per  la  compagine  amministrativa  della  antica  repubblica  pe- 
rugina. 

La  molliplicilà  delle  magistrature  e  la  necessità  di  sindacare 
ogni  officiale  rendevano  molto  importante  la  registrazione  dei  sin- 
goli falli  anmiinislralivi.  Non  credo  di  essere  remolo  dal  vero  af- 
fermando che  più  di  cinquanta  erano  in  Perugia  gli  impiegali, 
che  dovevano  compilare  o  custodire  le  scritture  riguardanti  la  ge- 
stione comunale.  Ho  già  dovuto  accennare  ai  notari  del  potestà, 
del  capitano  e  dei  priori,  dei  direttori,  dei  massari,  dei  conserva- 
tori delle  monete,  degli  officiali  dell'abbondanza,  dei  magistrali 
sopra  strade,  fonti  e  ponti,  sull'edilità  e  sulla  pulitezza,  sulle  vet- 
ture, sopra  guasti  ed  espropriazioni,  sulla  concessione  di  rap- 
presaglie, sulle  scarcerazioni,  sulle   mostre   militari.  E  si  è  pure 


(1)  De  campanaris  et  corani  officio  et  salario.  Rub.  ls-1. 

(2)  De  muratoribus  et  eonim  garsonis  et  salarijs  eorum.  Rub.  5Ì'5. 

(3)  Quoti  medici  salariati  a  communi  non  recedant  sine  licentia  doniinorum  prio- 
rum  et  camerariorum.  Rub.  5S1. 

(4)  De  electione   duorum   marescalcorum  qui  declarent  signa  et  iiilos  eiiuorum. 
Rub.  253. 

(5)  De  quantitate  grani  dandi  custodibus  t'ontis  platee.  Rub.  539.  Vedansi  anche 
le  rubriche  422  e  208. 

(6)  De  salario  dando  mundatori  platee.  Rub.  447. 

(7)  De  custodia  et  custodibus  carcenim  communis  i^erusie.  Rub.  185. 

(8)  De  forma  iuramenli  iudicum  sociorum   domicellorum  et  Ijerruariorum  pote- 
statis  et  capitanei.  Rub.  5. 

(9)  L.  BoNAZzi,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  554. 


412  V.    ALFIERI 

visto  che  talvolta  slavano  con  i  notari  i  fancelli  raziocinatori,  ossia 
i  ragionieri,  specialmente  se  la  magistratura  concerneva  entrate 
e  uscite  di  denaro.  L'elezione  dei  notari  doveva  essere  fatta  a 
sorte  fra  i  matricolati  ed  in  guisa  che  agli  offici  più  rilevanti  si 
potessero  assegnare  le  persone  più  idonee  (1).  La  matricola  ve- 
niva formata  dai  tre  priori  del  consorzio  notariale  insieme  a  venti 
notari  buoni  ed  esperti,  da  essi  trascelli  in  numero  di  quattro  per 
ciascuna  porta  (2).  Perchè  i  notari  attendessero  con  assiduità  al- 
l'impiego, vietavasi  ad  essi  l'assunzione  di  qualsiasi  mandato  non 
risguardante  il  loro  officio  (3).  Si  dovette  anche,  per  utilità  pub- 
blica e  comodità  dei  cittadini,  proibire  che  i  notari  esigessero  o 
accettassero    somme    oltre    quelle  ad  essi    spettanti    per  salario  o 


(1)  Volumus  statuentes  quod  de  omnibus  offlcijs  que  inferiiis  declarantur  et  qiie 
dantur  per  commune  perusie  notarijs  de  civitate  perusie  et  que  in  futurum  dabuntur 
eisdem  lìant  sacchuli  et  ad  ipsa  officia  notarij  per  viam  et  modum  sacchetti  eligantur 
et  extrabantur  et  publicentur  in  maiori  et  generali  Consilio  civitatis  perusie  ad  hoc 
ut  boni  notarij  et  experti  ad  bona  et  magna  officia  ponantur  mediocres  ad  mediocria 
et  parvi  seu  minores  ad  minora  officia  assumraantur:  Et  liant  et  fieri  debeant  dicti 
sacchuli  sive  saccliecti  per  officiales  qui  eligerentur  ad  refectionem  sacchulorum 
omnium  officialium  civitatis  et  comitatus  perusie  dummodo  omnes  notarij  scripti  et 
sci'ibendi  in  matricula  notariorum  civitatis  et  burgos  perusie  et  consortij  notariorum 
eiusdem  civitatis  ponantur  et  mittantur  in  ipsis   sacchulis  et  scribantur  ipsa  officia 

inter  eos  secundum  modum  predictum Officia  vero  ad   que  poni  et  mitti  debent 

ipsi  notarij  in  dictis  sacchulis  sunt  infrascripta  videlicet.  —  Officium  notariatus  In 
armario  communis  perusie  et  notariorum  qui  sunt  in  dicto  armario  ad  copiandum.  — 
Officium  notariatus  cum  officialibus  biadi  clusij.  —  Officium  notariatus  cum  officia- 
libus  massarie  et  aconciminis  palatiorum  communis  Perusie.  —  Officium  notariatus 
cum  officiali  vel  priore  de  Colle.  —  Officium  notariatus  ad  copiandum  in  curia  sin- 
dici et  iudicis  iusticie.  —  Officium  notarius  cum  sindicatoribus  potestatis  et  capitane! 
et  aliorura  rectorum  communis  Perusie.  òtat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  207. 

(2)  Volumus  ordinantes  quod  priores  notariorum  civitatis  et  burgorum  perusie 
una  cum  XX  bonis  et  expertis  notarijs  eligendis  per  ipsos  priores  notariorum  quatuor 
per  portam  premisso  sacramento  teneantur  si  viderint  opus  esse  esaminare  et  inve- 
stigare de  condictione  et  qualitate  omnium  notariorum  civitatis  et  comitatus  perusie 
sub  pena  C  C  C  C  C  librarum  denariorum  prò  quolibet  eorum  et  quos  invenerint  esse 
legales  et  sufficientes  faciant  eorutn  nomina  et  pronoraina  et  loca  unde  fuerint  de- 
scribi in  matricula  de  verbo  ad  verbum  ponantur  in  statuto  populi  perusini  scilicet 
l)OSt  ipsum  volumen  per  notarium  qui  statuta  scribet.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  209. 

(3)  Et  ad  hoc  ut  quilibet  notarius  intendant  melius  et  haliilius  ad  suum  officium 
exercendum  ad  quod  deputabitur:  Volumus  quod  talis  notarius  durante  ilio  officio 
ad  aliud  officium  a  communi  perusie  habere  vel  exercere  non  possit  nisi  aliud  per 
commune  perusie  fuerit  provisum  vel  de  sacchulis  communis  perusie  extraberetur  : 
contrafaciens  vero  puniatur  in  I>  librarum  denariorum.  Stat.  Perus..  voi.  I,  rub.  207. 


l'amministrazione  economica,  ecc.  41:j 

provvigione  (1).  Heileralamenle  si  ordinò  oi  nolari  di  mostrarsi 
ed  essere  valenti,  onesti  e  diligenti  nel  loro  officio,  iiarticoUir- 
menle  nella  tenuta  dei  libri  relativi  a  entrale  e  uscite  di  beni  ;  e, 
se  riconoscevansi  incapaci  o  negligenti,  venivano  sostituiti  da  altri 
notari  nominati  ilai  priori  e  dai  camerari  (2).  Ordinarono  i  legi- 
slatori che  alla  registrazione  degli  introiti  delle  camere  dei  mas- 
sari e  dell'abbondanza  si  deputasse  un  notaro  veramente  esperto 
e  dotto;  e  dagli  statuti  risulta  che,  nel  1389,  fu  eletto  a  ttile  of- 
ficio, per  tre  anni,  couiinciun<lo  dal  primo  di  luglio,  e  con  stipen- 
dio annuo  di  trenta  fiorini  d'oro,  ser  Niccolò  di  Giglio,  notaro  pe- 
rugino di  porta  S.  Susanna  (3).   Anche  i  libri  di   entrata  e  uscita 


(1)  Utilitati  publice  et  coiiunodo  civiuni  et  comitatensiuin  intendentes  :  Statuimu.s 
•juod  nullii^  notarius  qui  liaberet  officium  cum  salario  a  communi  perusic  super  ;,m- 
hellis  macinatus  buccarum  et  salaria  pedagij  vel  alicuius  earura  vel  alterius  cuiu- 
scumque  persone  dicti  comniunis  :  non  possit  seu  debeat  (iuo({UO  modo  ab  aliquo  coin- 
iiiuni  corpore  collofi-io  seu  singulari  persona  occasione  vel  causa  talis  odici.j  prò  re- 
lutationem  vel  alia  quacumque  causa  aliquam  suscipcre  quantitatem,  nisi  dumtaxat 
salariuni  debitum  et  taxatum,  sub  pena  C  C  C  C  C  librarum  denariorum  prò  quolibet 
et  vice  (iualibet:  Ed  idem  iutellig-atur  de  notarlo  custodie  civitis  perusie  :  Salvo  quod 
solum  possit  notarius  accii)ere  prò  una  litera  in  sex  monses  facienda  de  castellantia 
per  se  et  famulo  duos  anconitano*  et  non  ultra.  Stat.  Penìa.,  voi.  i,  rub.  332.  Vedasi 
anche  la  rubrica  5G7. 

r2)  teneantur  et  debeant  parere  efficaciter  eorum   officialibus  circa  admini- 

strationem  eorum  officij  et  in  eorum  offlcium  concernentibus  debitis  et  honcstis  et 
assidua  vigilantia  excubare  circa  exercitium  et  gestionem  officij  et  libros  ordinate 
componere  et  assidue  tam  introitus  quam  exitus  et  alia  quecumque  emergentia  in  eo- 
rum vel  alicuius  eorum  officio  mittere  et  seriose  describere  prout  decet  et  omnia  et 
.singula  facere  ad  que  tenentur  seu  quomodoliljct  tenerentur  circa  tale  officium  ad 
quod  esset  quomodolibet  aliquis  electus  i:)ublicatus  vel  surrogatus  omni  negligentia 
l)rocul  pulsa.  —  Et  si  negligentiam  aliquam  conimitterent  in  premissis  vel  aliquo  eo- 
rum vel  non  parerent  ipsi  vel  aliquis.  eorum  :  Quod  domini  priores  et  camerari.j  ar- 
tium  diete  civitatis  perusie  ad  requisitionera  officialium  talium  rotariorum  seu  no- 
tarij  negligentium  vel  remissorum  seu  negligentis  aut  remissi  possint  teneantur  et 
debeant  alios  vel  alium  loco  inobedientum  seu  inobedientis  vel  remissi  idoneos  aut 
idoneum  surrogare  et  eligere  omni  vice  vacationem  aliquam  non  habentem  per  for- 
mam  aliquorum  statutorum  communis  predicti.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  331.  —  Ve- 
dansi  anche  le  rubriche  46;)  e  548  perfettamente  uguali  alla  rubrica  331. 

(3)  Cum  prò  ordinatione  introituum  caraerarum  massariorum  et  alìundantie 
communis  perusie  sit  non  solum  utile  sed  summe  necessarium  providere  ut  depute- 
tur  unus  diligens  et  expertus  et  fidelis  notarius  super  registris  prò  utraque  camera 
cum  officio  et  potestate  prout  est  et  habet  notarius  camere  con.servatorum  ad  hoc  ut 
introitus  utriusque  camere  sub  debita  ordinatione  procedant:  presenti  capitulo  duxi- 
raus  statuendum  quod  decetero  semper  sit  et  esse  debeat  et  deputari  unus  notarius 
lidelis  expertus  et  diligens  civis  perusinus  super  registris  camere  massariorum  et 
camere  officialium  abundantic  et  utriusque  cum   oflicio  et  potestate   prout   lialx't  et 


414  V.    ALKIERI 

delia  camera  dei  conservatori  delle  monete  furono  affidali  a  no- 
tari  :  si  può  leggere  negli  statuti  che  le  registrature  dovevano  es- 
sere compilate  secondo  le  forme  usate  da  ser  Benedetto  di  Pietro, 
notaro  dal  tempo  di  Rolando  del  Sulino,  e  che  valente  erasi  di- 
mostrato nell'ufficio  suo  ser  Giovanni  di  Angelo  del  Cerqueto  (1). 
Spettava  ai  priori  ed  ai  camerari,  e  non  ad  altri,  l'elezione  dei 
cancellieri  e  degli  abbreviatori  delle  riformagioni  (2).  Importante 
era  la  magistratura  dell'armario,  per  la  quale  venivano  semestral- 
mente eletti  due  cittmiini  buoni  ed  idonei  e  due  notari.  Gli  officiali 
dell'armario  dovevano  custodire  e  inventariare  i  documenti  e  con- 
segnare le  carte  e  le  chiavi  dell'armario  ai  successori  entro  otto 
giorni  dal  termine  dell'officio  (3).   I  notari  potevano  fare  addizioni 


cxei'cere  possit  notarius  super  registris  camere  conservatorum  cura  salario  XXX  flo- 
renos  de  auro  in  anno  sine  aliqua  solutione  vel  retentione  gabelle  cuius  quidem  sa- 
lari.j  dimidia  solvatur  et  solvi  debeat  sine  alio  precepto  vel  mandato  solura  visa  eius 
electioiie  per  massarios  communis  perusie  et  alia  dimidia  solvatur  et  solvi  debeat  per 

ofliciales  al)undantie FA.  quod  tale  offlcium  requiritpersonam  fldelem  doclam  pa- 

riter  et  expertam  considerantes  fidei  diligentiam  et  sufflcientiam  ser  Nicolai  gilij  no- 
tari j  de  perusio  porte  s.  Suxanne  ipsum  tenore  presentis  capituli  ad  dictura  offlcium 
l)ro  tempore  trium  annorum  incipiendorum  in  Kalendis  iulij  proxime  de  presenti 
anno  MCCCLXXXVIIII  cura  dicto  salario  et  alijs  muneribus  in  dicto  officio  duximus 
eligendum  et  eligimus  aliquo  non  obstante.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  459. 

(1)  Item  ut  in  camera  conservatorum  et  massariorum  communis  perusie  appa- 
l'eant  exitus  et  introitus  ordinate  et  cuncta  modo  recto  et  ordine  procedant:  duximus 
statuendum  quod  in  camera  conservatorum  monete  dicti  communis  fieri  debeat  unum 
registrum  et  unum  in  camera  massariorum  dicti  communis  in  cartis  edinis  in  quibus 
registris  scribi  et  registrari  debeant  omnes  introitus  et  exitus  dicti  communis  per 
notariurn  super  dictis  registris  deputandum  qui  notarius  sequi  debeat  in  dietis  re- 
gistris formam  consuetam  et  usitatam  olim  per  ser  benedictum  ser  petri  notarium  pe- 
rusinum  tempore  domini  rolandi  de  sulino,  qui  notarius  non  scribat  ncque  scribere 
de))eat  in  dictis  registris  creditorera  sine  debitore  nec  econverso  debitorem  sine  cre- 
ditore super  quibus  registris  eligatur  et  eligi  debeat  unus  notarius  valens  e^  legalis- 
siraus  sicut  olira  fuit  ser  ioannes  ser  angeli  de  cerqueto  per  dominos  priores  et  ca- 
merarios  cum  salario  per  ipsos  declarando  et  sibi  solvendo  per  conservatores  monete 
videlicet  prò  medietate  et  prò  alia  medietate  per  massarios  dicti  communis.  Stat.  Pe- 
rus., voi.  I,  rul).  5G0. 

(2i  Item  statuimus  quod  electio  cancellarij  communis  Perusie  et  abreviatoris  re- 
formationura  dicti  communis  spectet  et  pertineat  et  spedare  et  pertinere  debeat  ad 
dominos  priores  et  camerarios  et  non  ad  alium  quovis  modo  et  si  secus  fleret  non  te- 
neat  ipso  iure  et  nihilominus  pena  C  C  0  C  C  librarum  astanti  et  prioribus  et  alijs 
aliter  acceptantibus  quoquo  modo.  Stat.   Perus.,  voi.  I,  rub.  79. 

(3)  Statuimus  et  ordinamus  (juod  deinceps  ad  custodiara  dictorum  liliroruni  et 
scripturarum  ponantur  et  eligantur  et  eligi  debeant  duo  boni  idonei  et  legales  viri 
de  civitate  Perusie  de  ])0])ulo  Perusino  ad  sacchectuin  et  i)er  formam  sacchecti  et  de- 
sacculo  fxtrabanfur  et  ])ul)lic('atui-  et  cxtrahi  et  pulilicari  delìcant  in  Consilio  populi 


L' AMMINISTKAZIONK   ECONOMICA,    ECC.  41') 

o  correzioni  ai  libi'i  posli  neirarinnrio,  ma  non  |iot(n'aMo  comporre 
registralure  dopo  di  aver  deposta  la  carica  (I).  Precipua  incmn- 
benza  di  (piesli  magistrati  era,  come  meglio  si  vedrà  nel  capitolo 
seguente,  la  formazione  e  la  rettificazione  del  catasto,  e  perciò 
anche  la  tenuta  dei  libri  dell'estimo  (2).  Non  era  permesso  di  ca- 
var fuori  i  libri  dell'armario,  ma,  in  seguito  a  richiesta  degli  in- 
teressali, si  faceva  copia  delle  scritture  (3).  La  copiatura  delle 
scritture  esistenti  nell'armario  era  deputata  a  cinque  notari  eletti 
<ji  sei  mesi  in  sei  mesi  e  retribuiti    in    ragione  di  due  soldi  e  sei 


de  sex  niensilms  in  sex  inenses  :  (|ui  lìoni  homines  teneantur  et  debeant  restituere 
libros  et  clavcs  dicti  arniarij  et  ea  que  ad  eos  pervenerunt  ratione  dicti  oflieij  succes- 
soribus  eorum  infra  odo  dies  iiroximos  post  linitura  eorum  ofliciura  cum  inventario 
<iuod  fecerint  ut  infra  dicetur:  Kt  quod  domini  priores  et  camerari.)  artium  civitatis 
pcrusie  qui  jìro  tempore  fuerint  quotiens  eis  placuerit  habeant  auctoritatem  arbi- 
trium  et  bailiam  eligendi  unum  vel  duos  bonos  et  legales  viros  et  etiam  duos  notarios 
qui  notarij  sint  esperti  et  consueti  esse  in  dicto  armario  (jui  debeant  facere  et  scribere 
inventarium  de  omnibus  libris  et  scripturis  ligatis  et  condemnationum  et  absolutio- 
num  factarum  et  latarum  per  quoscumque  ofliciales  communis  Perusie  a  sexaginta 
<innis  cifra:  qui  et  que  reperirentur  in  dicto  armario:  quod  inventarium  debeant 
l)refecisse  infra  tempus  eis  dandum  per  priores  et  camerarios  in  cartis  membranis  et 
auctenlicare  quod  inventarium  semper  debeat  ibi  remanere.  Stat.  Perus.,  voi.  I, 
rub.  97. 

(1)  Iteni  ((uod  quilibet  ex  notarijs  doputatis  vel  dcputandis  ad  scribendum  ad- 
ii ictiones  dirainutiones  errorum  correctiones  permuta tiones  et  alias  scripturas  ad 
eorum  oliicium  spectantes  causa  oflieij  predicti  in  dicto  armario  et  catrasto  com- 
munis i)erusie  possit  et  sibi  liceat  impune  et  sine  pena  predictam  omnia  et  scripturas 
quacumque  ad  eorum  ofiicium  spectantes  scribere,  cassare,  addere  et  minuere  in  liln'is 
quibuscumque  et  manu  cuiuscumque  notarij  scriptis  publicis  vel  non  publicis:  non 
ol)stante  quod  manu  ipsorum  notariorum  armarij  scripti  non  apparerent  vel  essent 

Stat.  Perus.,  voi.  I,   rub.    lOC.  —  Item  volentes  modum  salubrem  et  ordinem  dare 

offlcialibus  armarij  librorum  communis  perusie  et  eorum  notarijs  statuimus  et  ordi- 
naraus  quod  officiales  et  notarij  principales  ipsius  armarij  debeant  sindicari  de  gestis 
in  eorum  ofiicio  et  quod  Unito  eorum  ofiìcio  nihil  ])Ossint  scribere  in  libris  dicti 
armarij  Rub.  561. 

(2i  officiales  armari)  communis  perusie  presentes  et  futuri  et  eorum  notarij 

de  mandato  ipsorum  offlcialium  possint  et  eis  liceat  teneantur  et  debeant  lacere  11- 
bram  ij)sis  non  habentibus  libram  in  civitate  vel  comitatu  scilicet  civibus  in  civitate 

vel  Ijurgis  et  forensibus  in  civitate  inter  forenses  tantum  si  in  civitate  al)itarent 

Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  128.  —  Item  quod  officiales  predicti  vinculo  iuramenti  et  ad 
l)enam  C  librarum  denariorura  prò  quolibet  eorum  teneantur  facere  summam  sum- 
marum  librarum  hominum  et  personarum  alliliratus  in  ipso  catrasto  reducendo  quod- 
libet  miliare  ad  minutam  ad  centinarium.  Riib.  113. 

(3)  officiales  et  notarij   armarij   teneantur  et  debeant  omni  die  in  quo  non 

<isset  aliquod  solemne  festum  non  obstante  quod  essent  ferie  de  se  copiam  facere  in 
<licto  armario  et  de  mane  et  de  sero  omnibus  petentibus.  Stat.  Perus.,  voi.  1,  rub.  123. 


41(5  V.    ALFIERI 

denari  al  più  per  ogni  caria  (1).  Per  riordinare  i  documenti  esi- 
stenti nell'armario,  si  dovette  poi  nominare  un  indoneo  cittadino,, 
al  quale  si  assegnò  l' incarico  di  esaminare,  insieme  agli  officiali 
dell'armario,  le  diverse  scritture,  di  appartare  quelle  inutili  e  di 
far  posto  alle  nuove  (2). 

Dall'esame  delle  disposizioni  sulle  antiche  magistrature  pe- 
rugine si  trae  questo  concetto,  che  alia  amministrazione  comunale 
dovevano  prendere  parte  molte  persone,  non  solo  per  la  molte- 
plicità delle  faccende  e  quindi  per  la  opportuna  divisione  del  la- 
voro, ma  eziandio  perchè  i  legislatori  forse  opinavano  che  l'ef- 
ficacia del  controllo  suole  essere  in  ragione  diretta  del  numero 
degli  agenti.  I  molti  con  più  difficoltà  si  corrompono  o  si  colle- 
gano :  ecco  la  giustificazione  di  non  pochi  ordinamenti  ammini- 
strativi dell'antica  Perugia.  E,  per  aumentare  il  riscontro  econo- 
mico, si  cercava  ancora  di  evitare  l'immediato  contatto  e  la  troppa 
dimestichezza  fra  officiali,  col  proibire  le  elezioni  di  quelli  che 
fossero  parenti  od  anche  semplicemente  amici  dei  magistrali  dai 
quali  avrebbero  dovuto  dipendere.  Forse  non  erano  sempre  de- 
terminali esattamente  e  irrevocabilmente  i  particolari  offici,  forse 
non  erano  sempre  definite  previamente  tulle  le  mosse  ammini- 
strative, forse  non  era  incitala  e  vigilala  sempre  l'azione  di  ognuno 
mentre  si  compieva  ;  ma^  senza  dubbio,  non  lasciavasi  mai  insin- 
dacata l'opera  dei  singoli  magistrati. 

Il  potestà,  il  capitano,  il  maggior  sindaco,  il  giudice  di  giu- 
stizia e  gli  officiali  loro,  venivano  sindacati  da  tre  cittadini,  che 
eleggevansi  a  sorte   nel   giorno  della    restituzione   dei    libri  ed  ai 


(1)  in  dicto  armario  esse  debeant  quinque  notarij  singulis  sex  mensibus  ad 

copiandum  et  exemplandum  scripturas  in  dicto  armario  existentes  et  copiam  exem- 
piandum  petentibus.  —  Qui  V  notarij  insacculentur  deinceps  et  de  sacculis  extraban- 
tur  scilicet  unus  per  porta  et  semel  tantum Et  recipere  debeant  prò  eorum  mer- 
cede et  salario  prò  scriptura  cuiuslibet  carte  duos  solidos  et  sex  denarios  ad  plus 

Slat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  97. 

(2)  domini  priores  artium  civitatis  perusie  possint  teneantur  et  debeant  eli- 

gere  et  deputare  unum  bonum  et  expertum  civem  perusinura  qui  una  cum  officiali- 
bus  armarij  librorura  comraunis  videat  provideat  et  examinet  scripturas  et  libros  inu- 
tiles  in  armario  existentes  que  iam  sunt  in  quinquaginta  annis  vel  ultra  ex  quo  fuc- 
runt  in  dicto  armario  presentate  et  remisse  que  ad  presens  requiruntur  et  possint 
teneantur  et  debeant  ipsas  scripturas  et  libros  prout  ei  dictis  ofticialibus  armarij  vi- 
debitur  alia  loca  ipsius  armarij  restringendo  reducere  et  seorsum  ponere  ita  quod 
novis  et  supervenientibus  detur  locus Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  142. 


l'amministka/.ione  economica,  ecc.  ut 

quali  era  data  ampia  facollA  di  inquisire  e  giuilicare.  Questi  scin- 
daci riscuotevano  per  salario  tre  fiorini  d'oro  dai  niassar'i  ed  ave- 
vano presso  di  se  un  notaio  per  la  copiatura  in  pubblica  forma 
delle  sentenze  e  un  giudice  del  fóro  per  gli  opportuni  consigli  (1). 
Gli  statuti  regolavano  scrupolosamente  questo  alto  sindacalo,  in  cui 
manifestavasi  di  certo  nella  pienezza  sua  l'autorità  democratica  : 
ne  consideravano  partitamente  gli  obbietti,  prescrivevano  i  modi 
di  effettuarlo  secondo  le  circostanze,  minacciavano  pene  ai  tra- 
sgressori; e  si  deve  credere  che  il  popolo,  geloso  dei  suoi  diritti, 
non  lasciasse  insindacala  l'azione  dei  principali  magistrati  comu- 
nali (2).   V^i  furono  certamente  irregolarità  amministrative,    infra- 


lì) Statuiiims  et  ordinanms  quoti  ad  sindicanduin  potestatem  et  capitaneiim  et 
forum  lamiliani  eligrantui*  et  deputentur  tres  l)oni  liomines  de  populo  l'erusino  ad 
sacchectum  et  de  sacculo  tara  facto  quain  fiondo  qui  sacchcctus  Jieri  debeat  tempore 
quo  sacchecti  liunt  Priorura  et  aliorum  oflìcialium  communis  Perusie  per  illos  bonos 
liomines  et  extrabantur  de  dicto  sacculo  die  restitutionis  librorum  dictorum  oHicia- 
lium  prò  cuius  sindicatu  traberentur  et  eius  officialium  et  lainilie  f|ui  lial)ent  et  lia- 
bere  del)eant  secum  unum  iudicem  forensem  (jui  eligetur  per  ottieiales  ad  lieo  depu- 
t^tos  vel  deputandos  a  quo  possint  recipere  consiliura  et  informationem  super  dicto 
sindicatu  et  testes  et  eorum  dieta  recipiant  et  examinent  cui  examinationi  etiam 
adesse  possint  dicti  sindici.  Et  dictis  sindicis  consilijs  dare  de  iure  tara  super  proces- 
sibus  factis  per  potestatem  vel  capitaneum  quam  etiam  super  his  qui  fient  coram  di- 
ctis sindicis.  Et  etiam  habere  debeant  unum  notarium  qui  de  sacculo  una  cum  dictis 

sindicis  cxtrabatur et  habeant  et  habere  debeant  dicti  tres  boni  homines  iurisdictio- 

nem  et  arbilrium  auctoritatera  et  liailiam  in  cog'noscendo  jjrocedendo  et  sentcntiando 
quod  et  quam  liabent  et  habere  ])ossent  quicnnique  ad  sindicandum  eligercntur  per  to- 
tum  populum  Perusie.  Et  eorum  processus  et  sententie  valeant  et  teneant  et  execu- 
tioni  mandentur  tamquam  valerent  iudicum  ordinariorura  quorumcumque...  Item  quod 
dicti  boni  homines  et  eorum  notarius  habeant  et  habere  et  percipere  possint  et  de- 
beant prò  eorum  salario  a  Massari.js  communis  Perusie  tres  florenos  auri  ])ro  quolibet 
eorum  et  notarios  duos  lìorenos  auri  visa  solum  eorum  elcctione  et  publicationt^  de 
sacchetto  et  sine  alia  apodissa  precepto  vel  mandato  quod  salariura  dicti  Massarij 
eisdem  bonis  hominibus  et  notano  dare  et  solvere  teneantur.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  14. 

(2)  Potestas  et  capitaneus  et  maior  sindicus  et  index  iusticie  et  offlcialis  damno- 
rum  datorum  et  quilibet  alius  ofRcialis  et  quilibet  eorum  :  Et  qui  temporibus  futuri» 
erunt  vel  cum  altero  eorum  steterit  in  civitate  perusie  finito  suo  officio  et  regimine 
debeat  examinari  et  sindicari  per  sindicos  ad  hec  deputatos  vel  deputandos  super  eo 
quod  dicti  domini  potestas,  capitaneus,  maior  sindicus  index  iusticie  et  quilibet  alius 
officialis  vel  socij  vel  iudices  vel  notarius  eorum  vel  alicjuis  eorum  reperirentur  de- 
fraudasse de  avere  communis  Perusie  vel  alicuius  specialis  persone  furtum  vel  rob- 
bariam  commississe  vel  barattariam  in  quatruplum  quantitatis  defraudate  et  subtracte 

vel  derobbate  vel  per  barattariam  habite  debeant  condemnari Et  priores  et  came- 

rarij  non  possint  ordinare  nec  reformare  nec  etiam  priores  proponero  noe  etiam  no- 
tarius scribere  nec  aliquis  arengare  quod  ante  tempus  a  su])radicto  statuto  ordiuaiuni 


418  V.    ALFIERI 

zioni  alle  leggi  del  riscontro  economico,  ma  ordinariamente  si 
cercò  di  punire  gli  incapaci  ed  i  disonesti,  di  onorare  i  saggi  ed 
i  leali  (1).  Nel  1390,  si  «  elessero  huomini  a  vedere  tulle  l'intrate 
«  e  uscite  della  citlàj,  con  facultà  di  poter  vedere  i  Conti  a  lutti 
«  gli  officiali,  che  havevano  in  fino  allhora  maneggialo  danari 
«  public!,  a  tulli  i  gabbellieri  e  appaltatori  di  Lago,  di  Salara,  di 
«  Macinato,  e  di  tutti  gli  altri  luoghi,  onde  entravano  danari  in 
«  comune.  Et  ordinarono  poi  che  per  l'assenza  del  Capitano  del 
«  popolo,  a  cui  apparteneva  di  rivedere  le  punlalure,  e  l'altioni 
«  de'  Priori  doppo  la  fine  dell'officio  loro,  e  ben  vedute  e  discorse, 
«  ò  di  ammetterle  ò  di  riprovarle,  che  il  Podestà  in  sua  vece  do- 
«  vesse  vederle  per  l'avenire,  e  particolarmente  a  i  due  Magi- 
«  strali,  che  poco  avanti  erano  usciti  d'officio;  il  che  non  habbiam 
«  voluto  tacere,  perchè  i  moderni  sappiano,  che  quello  officio, 
«  ch'era  il  primo  della  (^illà,  stava  anch' egli  a  sindacalo,  e  an- 
«  corche  havesse  la  briglia  dell'  amminislralione  del  governo  in 
«  mano,  erano  però  tali  quegli  antichi  nostri  padri,  che  per  raf- 
«  frenare  la  baldanza  de'  Magistrati,  volevano,  che  l'altioni  loro 
«  stessero  al  giudicio  del  Capitano  del  popolo,  e  de'  Camerlenghi, 


absoluatur  ita  quod  ad  sindicandum  non  stet  ;  Et  si  priores  vel  aliquis  de  predictis 
contrafecerit  puniantur  pena  C  C  librarum  denariorum  prò  quolibet  de  quo  expresse 
debeant  sindicari  per  eoruin  sindacatores  dicti  priores  camerari)  et  notarins  et  alie 
singulares  persone  per  potestatem  et  capitaneum  et  maiorera  sindicnm  in  dieta  pena 
debeant  condemnari  facta  probatione  quod  arrengaverint  per  duos  testes  de  auditu 
et  accusator  vel  denunciator  habeat  tcrtiam  partem  banni  a  massarijs  comrannis  Pe- 
rusie  sine  aliqua  appodissa  precepto  vel  mandato  eius  quod  venerit  in  communi.  Stat. 
Perus.,  voi.  I,  rub.  15. 

(1)  Nel  1359,  i  peruji-ini  vollero  che  si  chiamassero  a  sindacato  coloro  che  avevano 
amministrato  i  denari  per  la  guerra,  e  però  fu  chiamato  per  sindacatore  Geri  de'  Pazzi 
liorentino.  Non  avendo  potuto  questi  eseguire  le  sue  sentenze  contra  i  condannati,  se 
ne  parti.  Se  ne  chiamò  un  altro,  ma  questo  fu  messo  prigione,  ed  ivi  fini  i  suoi 
giorni.  —  Fu  soppresso  per  parecchi  anni  T  officio  del  maggior  sindaco  e  fu  poi  ri- 
messo nel  1408.  —  Nel  Ì33S,  al  potestà  (Xobilis  et  potens  Miles  Dominus  .Joannes  Do- 
mini Vinciguerre  de  Panciaticis  Pistoriensis  Potestas  Perusie)  fu  dai  priori  donata  una 
corona  d' oro,  che  gli  fu  messa  in  cipo  in  presenza  di  una  gran  moltitudine  di  gente, 
e  ciò  pel  suo  buon  governo  e  per  la  sua  giustizia  ed  equità.  Nel  137S,  fu  concesso  al 
potestà  (Nobilis  et  potens  Miles  Dominus  Errigus  Malaspina  de  Obizis  Lucensis  Po- 
testas Perusie),  per  la  buona  sua  amministrazione,  di  aggiungere  alla  sua  arme  il 
griffone,  insegna  di  Perugia.  —  Veggasi  il  Saggio  di  memorie  Istoriche  civili  ed  eccle- 
siastiche della  Città  di  Perugia  e  suo  contado  —  opera  postuma  di  Annib.\le  Ma- 
KiuTTi.  Torno  I,  parto  II,  i)agg.  2^3,  315,  200,  296. 


f 


l/ AMMIXISTKAZIONK    KC'f  )NO.MICA,    ECC.  419 

«  per  le  mani  iJe'  qvi.ili  si  rivedevano  iniiintis^iinaiiieiile  gli  alti 
«  loro,  de'  quali  spesso  n'erano  re|)r'ovali  nmlli  »  (1).  Leggendo 
gli  slaluli  di  Perugia  si  vede  allrihuila,  in  ^asi  disparalissiini,  a 
diversi  officiali  del  governo  la  esecuzione  di  uno  stesso  decreto, 
e  si  rileva  uno  scambio  di  incumbenze  non  sempre  giustificalo 
dal  titolo  dell'officiale.  Già  ho  dovuto  accennare  a  questa  circo- 
stanza, che  può  indurre  a  giudicare  non  sempre  ordinata  razio- 
nalmente l'amministrazione  comunale.  Per  esempio,  il  maggior 
sindaco  appare  occupato  di  strade,  di  delitti,  di  birri,  di  carceri, 
di  (Ianni  dati,  di  arredi  (2),  ecc.  Ma,  fra  le  attribuzioni  proprie 
del  maggior  sindaco,  si  devono  ricordare  la  vigilanza  sopra  le 
elezioni,  e  specialmente  il  sindacalo  dei  priori  delle  arti,  dei  mas- 
sari, dei  conservatori  delle  monete,  degli  officiali  dell'abbondanza, 
e  di  tulli  gli  altri  impiegati  comunali  (3).   I  magistrati  del  comune 


(1)  P.  Pei.lini.  —  Bell'  Ili-storia  di  l'eruyia,  parte  seconda,  libro  decimo,  pa- 
jjrina  1-1.  —  Già  dal  1315  erasi  staliilito  che  i  priori  dovessero  sottostare  al  sindacato 
<lel  capitano  del  popolo  e  del  giudice  di  giustizia.  (P.  Pelmni,  op.  cit.,  parte  prima, 
libro  (luinto,  pag.  410). 

(2)  Teneatur  et  debeat  dictus  maior  .sindicus  et  index  iusticie  ex  debito  sui  of- 
licij  :  Et  ad  eius  spectet  ofiicium  facere  lieri  aptari  et  explanari  et  sterni  vias  comi- 

fatus  et  districtus  Perusie  a  portis  burgorura  civitatis  extra  Stat.  Petrus.,  voi.  I, 

rub.  16.  —  Statuimus  et  ordinamus  quod  dictus  maior  sindicus  et  ludex  iusticie  sit 
et  esse  debeat  offlcialis  super  omnibus  et  singulis  damnis  datis  et  (jue  darentur  in 
comi  tatù  Perusie  toto  tempore  sui  offici.j  et  uno  mense  ante  per  quacumque  personas 
et  in  Civitate  vel  burgis  vel  suburgis  Perusie  et  de  damnis  datis  de  (|uibus  penderei 

processus Rub.  22.  —  Item  statuimus  quod  dictus  maior  sindicus  potestas  et 

capitaneus  et  ([uilibet  eorum  sit  et  esse  intelligatur  ot'licialis  sujjer  arrcdijs  et  vijs 

Rub.  26. 

(3|  Statuimus  et  ordinamus  quod  maior  sindicus  et  iudex  iusticie  teneatur  et 
dolìeat  ex  otficio  in([uirere  contra  omnes  et  singulos  qui  eligerentur  ad  aliqua  officia 
per  commiine  Perusie  et  contra  eligentem  et  insacculatos  et  contra  insacculatores:  Kt 
si  invenerint  aliquem  esse  electura  vel  elegisse  vel  insacculasse  vel  insacculatus  esset 
<;ontra  vel  preter  formam  statutorum  et  ordinamentorum  seu  rel'ormationum  civitatis 
Perusie  debeat  electionem  cassare  et  annullare  et  electum  et  eligentem  insacculatum 
et  insacculantem  condemnare  in  penis  contentis  in  statutis  et  ordinamentis  civitatis 
perusie.  stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  16.  —  Ad  officium  autem  dicti  iudicis  iusticie  et 
sindici  pertineant  sindicare,  exarainare,  punire  et  absolvere  et  condemnare  dominos 
jiriores  artium  et  omnes  et  singulos  alios  ofliciales  homines  et  personas  contenta.s 
in  presenti  capitulo  qui  fuerint  in  oftìcio  vel  qui  aliquid  commiserint  contra  formam 
statutorum  civitatis  i)erusie  in  tempore  vel  infra  tempus  sex  raensium  precedentium 
proxime  initium  sui  ofticij  quorum  ofiicium  expiravit  ante  initiura  sui  oflici.j.  Rub.  20. 
—  Item  quod  massarij  communis  Perusie  eorum  notari.j  fancellus  et  nuncius  et  qui- 
libet  ipsorum  et  omnia  et  singula  per  eos  et  quelibet  eorum  gesta  et  administrata 
t(Mni)ore   eorum  oHlciJ   quoqxio  modo  possint  et   debeant  diligentissime   sindicari  et 


420  V.    ALFIERI 

non  potevano  essere  assolti  prima  della  fine  del  loro  officio,  e 
nemmeno  potevano  essere  rieletti  immediatamente,  fosse  pure  fa- 
vorevole il  giudizio  dei  sindaci  (1).  Anche  gli  officiali  forensi  do- 
vevano essere  sindacati  al  termine  della  loro  carica,  e,  se  il  sin- 
dacamento  compievasi  prima,  i  conservatori  delle  monete  erano 
obbligati  a  sospendere  i  pagamenti  dei  salari  (2).  Dei  sindaci  di 
castelli  e  ville  (Sindici  Castrorum  vel  Villarum  Comitatus),  ricor- 
dati nel  primo  e  nel  terzo  libro  degli  statuti,  e  che,  fra  le  prin- 
cipali loro  incumbenze,  avevano  la  denuncia  dei  misfatti  e  dei 
danni  avvenuti  nella  loro  giurisdizione  (3),  non  reputo  espediente 


examinari  per  raaiorem  siiidicum  civitatis  Perusie  secundum  formam  statutorum 

Rub.  462.  —  Statuimus  quod  conservatores  monete  eorum  notarij,  fancelli,  nuncij  et 
marescalchi  et  quilibet  ipsorum  omnia  et  singula  per  eos  et  quelibet  eorum  gesta  et 
administrata  tempore  eorum  offlcij  quoquo  modo  possint  et  debeant  diligentissime 
examinari  et  sindicari  per  maiorem  sindicum  civitatis  secundum  formam  statuto- 
rum Rub.   328.  —  Statuimus  quod  offlciales  abundantie  eorum   notarij   fancelli 

mensuratores  et  famuli  et  quilibet  ipsorum  et  omnia  et  singula  per  eos  et  quelibet 
eorum  gesta  et  administrata  tempore  offlcij  quoquo  modo  possint  et  debeant  diligen- 
tissime  examinari  et  sindicari  per  maiorem  sindicum  civitatis  perusie  secundum  for- 
mam statutorum Rub.  547.  —  Item  sindicet  omnes  et  singulos  offlciales  et  supre- 

stites  alicuius  vie  fontis  vel  pontis  vel  alterius  laborerij  communis  Perusie  ad  quo- 
rum manus  pervenisset  aliqua  pecunia  vel  aliquid  aliud  a  communi  Perusie  vel  ab 
aliqua  universitate  vel  speciali  persona  occasione  talis  officij  aliquo  non  obstante  per 
totum  tempus  eorum  offlcij Rub.  21. 

(1)  Pro  statu  raeliori  communis  perusie  et  populi  statuimus  et  ordinamus  quod 
non  possint  nec  debeant  domini  potestas  et  capitaneus  et  index  maior  iusticie  com- 
munis perusie  nec  aliquis  offlcialis  communis  perusie  seu  eorum  offlciales  absolui 
anteciuam  suum  regiraen  et  offlcium  finiatur  vel  ante  tempus  sindicationis  flende  de 
eis  vel  aliquo  eorum  per  commune  perusie  nec  possint  vel  debeant  alieni  eorum  para- 
bole seu  licentie  dari  ad  aliquod  eundi  regimen  vel  offlcium  suo  durante  officio  extra 
comitatum  perusie  antequam  sit  lata  sententia  super  examinatione  sui  offlcij  per 
eorum  sindicatorcs.  —  Et  nullus  de  predictis  officialibus  communis  perusie  iurisdi- 
ctionem  habentibus  possit  in  offlcio  refìrmari  vel  conflrmari  seu  eligi  nec  in  eodem 
officio  vel  in  alio  communis  perusie  eligi  vel  assummi  a  die  depositi  officij  ad  octa 

annos  tunc  proxime  accessuros  salva  tamen  forma  infra   scripta  Stat.   Pei^us., 

voi.  r,  rub.  204. 

(2)  XuUus  offlcialis  forensis  communis  perusie  aliquo  modo  iure  cavisa  seu  forma 
vigore  alicuius  statuti  vel  ordinamenti  communis  perusie  possit  vel  debeat  sindicari 
vel  quomodoliliet  absolui  seu  eidem  sindicatus  remitti  infra  tempus  sui  offlcij  vel 
eius  durante  officio  quoquo  modo  vel  aliquid  provideri  seu  fieri  possit  quo  minus 
iuxta  formam  statutorum  communis  perusie  et  exigentiam  electionis  stare  debeat  ad 

sindicatum  Et  quod  conservatores  monete  vel  alij   officiales  communis  perusie 

tali  contra  dictam  formam  sindicato  vel  absoluto  non  possint  nec  debeant  ullo  modo 
iure  causa  seu  forma  solvere  ultimam  pagam  sui  salarij.  Stat.  Perus.,  voi  I,  rub.  270. 

(3)  Vedansi  le  rubriche  513  e  503  del  primo  libro  e  le  rubriche  3,  172  e  173  del 
libro  terzo. 


L' AMMINISTIJAZIONE   ECONOMICA,    ECC.  421 

discorrere.  Cosi  termino  questo  cenno  sull'organisino  annninislra- 
tivo  dell'antico  comune  di  Perugia  ;  ed  ora  mi  accingo  a  Irallare 
brevemente  delle  funzioni  amministrative. 

Le  funzioni  amministrative. 

Le  azioni,  in  cui  si  manifesta  l'amministrazione  economica, 
mirano  direttamente  o  indirettamente  a  rendere  la  ricchezza  dell'a- 
zienda nella  massima  misura  efficace.  Quelle,  che  tendono  diretta- 
mente a  tale  scopo,  costituiscono  la  gestione;  quelle,  che  tendono 
indirettamente  a  tale  scopo,  costituiscono  la  direzione,  se  sono  ri- 
volte a  coordinare  e  dirigere  le  prime,  e  costituiscono  il  controllo, 
se  sono  rivolte  a  rilevare,  ricordare,  stimolare  e  frenare  il  lavoro 
economico  (1). 

La  gestione  comprende  l'effettiva  accumulazione  di  beni  eco- 
nomici, la  trasmissione  loro  e  il  loro  dispendio  o  impiego  al  con- 
seguimento dei  fini  per  cui  l'azienda  esiste.  Le  entrale  e  le  uscite 
di  beni  economici  sono  fenomeni  della  gestione  e  possono  dipen- 
dere da  falli  amministrativi  di  varia  indole:  da  compere,  da  pro- 
duzioni, da  riscossioni,  ecc.,  oppure  da  vendile,  da  consumi,  da 
pagamenti,  ecc.  Sono  suscettibili  di  essere  considerate  in  vari 
aspetti  :  riguardo  ai  fatti  da  cui  derivano,  riguardo  agli  elementi 
patrimoniali,  che  vengono  aumentali  o  diminuiti,  riguardo  all'  im- 
portanza loro,  riguardo  alle  condizioni  dell'azienda,  ecc.  Non  è 
quindi  né  facile  né  breve  lo  studio  delle  entrale  e  delle  uscite  di 
un'azienda,  specialmente  se  questa  è  pubblica  e  complessa  e  di 
più  remola  e  spenta.  Ma  giova  osservare  che  certe  entrale  e  certe 
uscite  sono  intimamente  legate  ad  altre  uscite  e  ad  altre  entrale, 
e  che  perciò,  considerando  quelle,  si  considerano  implicitamente 
anche  queste.  Fra  gli  elementi  patrimoniali,  i  cui  accrescimenti  ed 
i  cui  scemamenli  sono  legali  a  sceraamenli  e  ad  accrescimenti  di 
molli  altri  elementi  patrimoniali,  v'è  il  denaro,  che,  per  i  suoi 
movimenti,  ha  grande  rilevanza  nei  fatti  di  gestione.  Nelle  aziende 
pubbliche,  particolarmente  in  quelle  di  corporazioni,  nelle  quali 
la  ricchezza  si  raccoglie  proporzionalmente  al  numero  e  all'  inten- 


ti) F.  Besta,  op.  cit.,  voi.  I,  paj?.  29. 


422  V.    ALFIERI 

sita  dei  bisogni  da  soddisfare  e  deriva  da  contribuzioni  delle  per- 
sone cui  l'azienda  giova,  la  maggior  parte  delle  entrale  è  a 
denaro  e  per  conseguenza  anche  le  uscite  sono  in  gran  parie  a 
denaro.  Adunque  io  credo  di  non  lasciare  grave  lacuna  se  mi  re- 
stringo qui  a  considerare,  entrate  e  uscite  a  denaro  e  se  delle 
olire  entrale  e  uscite  mi  occupo  incidentemente  soltanto. 

Anche  a  Perugia,  come  nelle  libere  città  greche  (1)  ed  in  pres- 
soché tutte  le  repubbliche  medioevali,  era  parso  che  il  modo  mi- 
gliore di  effettuare  a  tempo  le  erogazioni  necessarie  per  la  di- 
gnità, l'onore  e  il  benessere  del  comune,  dovesse  consistere  nel 
vincolare  a  ciascuna  spesa  ordinaria  o  permanente  i  fondi  prove- 
nienti da  determinate  rendite  o  lasse,  e  nel  fare  eziandio  custodire 
il  denaro  in  casse  separale  presso  distinti  magistrali.  Così  depu- 
tavansi  alle  spese  più  importanti  le  rendile  più  sicure  ed  alle  spese 
meno  rilevanti  le  rendite  meno  certe;  così  facevasi  fronte  alle 
spese  ordinarie  con  rendile  ordinarie  e  alle  spese  straordinarie 
con  rendite  straordinarie;  così  ollenevasi  la  fissazione  delle  en- 
trale e  la  limitazione  delle  uscite.  Le  rendile  si  determinavano, 
nell'indole  loro,  nella  loro  misura,  nei  modi  di  ottenerle,  con  atti 
solenni  e  per  tempi  non  brevi,  da  coloro  che  esercitavano  l'auto- 
rità eminente.  La  facoltà  e  insieme  il  dovere  di  esigerle  si  as- 
segnavano con  gli  slessi  alti  a  magistrati  speciali.  Parimenti  le 
spese  si  decretavano  per  tempi  determinali  o  finché  durava  la 
loro  ragione  di  essere,  ed  i  relativi  pagamenti  si  accollavano  ai 
singoli  consegnatari  del  pubblico  soldo.  Perchè  agli  officiali  non 
mancassero  i  fondi  necessari  per  i  pagamenti,  assegnavansi  a  cia- 
scuno di  essi  determinale  riscossioni;  e,  nell'intento  di  evitare  i 
possibili  storni  fra  le  diverse  erogazioni,  ordinavasi  per  l'appunto 
che  si  dovesse  custodire  il  denaro  in  particolari  casse,  e  all'uopo 
comminavansi  anche  pene  pecuniarie. 

Talvolta,  nell'  imputazione  dei  fondi,  si  collegavano,  non  solo 
gruppi  di  rendile  con  gruppi  di  spese,  ma  anche  rendile   singole 


(1)  Ricorda  Aristotile  che  i  magistrati  maneggiavano  quasi  tutti  pulìblico  de- 
naro; e  Demostene,  nell'orazione  contro  Androzione,  narra  che  una  volta  il  senato 
ateniese  non  potè  far  eseguire  la  legge  di  Temistocle,  la  quale  imponeva  la  fabbrica- 
zione di  venti  navi  all'anno,  perché  il  cassiere  del  magistrato,  a  cui  incumbeva  tale 
ufficio,  era  fuggito  portando  seco  due  talenti  e  mezzo.  Veggasi  la  prolusione  di  F.  De- 
sta: La  Ragioneria,  pag.  51. 


l'am.mixistkazioxk  KCO.NO.MICA,   iocc.  42H 

con  singole  spese.  Negli  stallili  pci'n^ini,  alla  nilifica  12:^  il.'l 
primo  libro,  r  dello  che  i  provenli  ilella  gabella  dei  posli-iholi  siano 
erogali  nella  niannlonzione  de'  palazzi  e  delle  masserizie  comu- 
nali; e,  nella  rubrica  42:)  dello  slesso  libro,  A  dello  ancora  che  le 
rendile  della  gabella  delle  emine  siano  impiegale  nella  manuten- 
zione delle  campane  e  nell'acconcime  degli  ammallonali.  Si  hanno 
anche  antichissimi  esempi  di  queste  destinazioni  di  speciali  rendile 
a  speciali  spese.  Nella  riformanza  del  15  luglio  1276,  è  dello  che 
«<  militihus  (jui  debent  ire  Spoleturn  in  succursu  ipaius  commitnis 
deheret  satisficri  et  solri  de  eorum  stipendisi  de  denariis  montia 
MalìA  »  (1). 

A  Perugia,  adunque,  l'erario  era  diviso;  ma  il  sistema  della 
molteplicità  di  casse  non  ebbe  certamente  grande  sviluppo,  come 
a  Venezia,  e  ciò  forse  per  la  minore  importanza  dei  bisogni  pub- 
blici e  dei  mezzi  economici  (2).  Vi  furono  casse  transitorie,  istituite 
in  vista  di  speciali  servizi  e  di  mutabili  circostanze,  special- 
menle  nel  primordio  del  comune,  quando  cioè  l'organismo  ammi- 
nistrativo non  era  ancora  formato  e  rassodato  in  modo  convene- 
vole (3).  Perugia,  alle  volte  imitatrice  di  Firenze,  forse  non  ebbe  casse 
generali  e  speciali  ordinate  in  guisa  che  a  determinate  epoche  1 
resti  di  queste  si  versassero  in  quelle  (4).   Le   casse    principali  e 


(1)  Ebbi  quest'ultima  notizia  dall'egregio  bibliotecario  conte  Vincenzo  Ansidei. 
Debbo  ringraziare  il  conte  Ansidei,  il  professore  Torquato  Cuturi  e  il  professore  Luigi 
(Jiannaiatoni  dei  consigli,  che,  per  agevolare  questo  mio  lavoro,  benevolentemente  mi 
diedero. 

(2)  Nel  1738,  a  Venezia,  erano  quattro  soli  i  magistrati,  per  cui  si  sostenevano 
spese,  che  non  avessero  cassa  propria.  —  Nella  scrittura  de'  Dep.  ed  Agg.  alla  prov. 
del  den.,  del  luglio  1720,  si  legge,  a  proposito  di  studi  fatti  per  tentare  una  riduzione 
di  casse  :  «  fu  di  mestieri  far  un'anatomia  generale  di  54  magistrati  che  regirano 
soldo  pubblico  e  distinguer  in  la  diramazione  di  21S  casse,  de'  quali  101  principali 
vengono  registrate  in  libri  separati,  ed  il  rimanente  che  sono  casse  112  subalterne  si 
unisce  nel  registro  a'  libri  delle  principali  sopradette  ».  —  Veggasi  l'opera  già  citata 
di  F.  Besta,  pag.  52. 

(3)  Dalla  riformanza,  poc'anzi  citata,  si  trae  che,  nel  1276,  esisteva  un  «  cameria- 
rius  raontis  Malbi  »,  il  quale,  è  detto  nella  stessa  riformanza,  non  voleva  pagare  i  de- 
nari nel  termine  stabilito.  —  Del  resto,  si  può  rilevare  dagli  statuti,  clie  talvolta  ma- 
neggiavano denaro,  non  solamente  i  massari,  i  conservatori  ed  i  magistrati  dell'abbon- 
danza, ma  eziandio  gli  officiali  delle  masserizie,  gli  officiali  sui  guasti,  ecc. 

(4)  A  Firenze,  le  casse  d'  uscita,  oltre  ad  avere  assegJiamenti  sulle  casse  speciali 
d'entrata,  ne  avevano  spesso  su  quella  generale  della  camera,  oppure  ricevevano 
somme  da  essa,  quando  qualcuna  delle  casse  d' entrata,  sulla  quale  stavano  assegna- 


424  V.    ALFIERI 

permanenti  erano  tre:  la  cassa  dei  massari,  la  cassa  dei  conser- 
vatori delle  monete  e  la  cassa  degli  officiali  dell'abbondanza.  A 
ciascuna  di  queste  casse  erano  assegnate  speciali  rendile  ed  ac- 
collate speciali  spese  dagli  stessi  statuti  comunali.  Per  tal  modo 
si  otteneva  stabilità  nella  fissazione  delle  rendite  permanenti  o  as- 
sise e  nella  limitazione  delle  spese  ferme.  Ma,  per  avventura,  si 
aumentavano  inutilmente  le  scritture  ed  i  riscontri  col  passaggio 
del  denaro  da  cassa  a  cassa,  si  lasciavano  inoperose  somme  di 
denaro  relativamente  troppo  grandi,  si  rendeva  difficile  la  pronta 
e  conveniente  erogazione  dei  fondi  al  soddisfacimento  dei  bisogni 
più  urgenti.  Di  qui  la  ragione  di  alcune  incongruenze,  forse  me- 
ramente apparenti,  che  si  crede  di  rilevare,  esaminando  le  dispo- 
sizioni statutarie  e  le  diverse  riformagioni  di  quei  tempi. 

Per  dimostrare  chiaramente  il  servizio  del  tesoro  nell'antico 
comune  di  Perugia,  reputo  espediente  di  epilogare  qui  le  diverse 
disposizioni  statutarie  relative  all'  introito  e  all'esito  delle  tre  pre- 
cipue casse: 

Introito  della  camera  dei  massari. 

1.  Gabella  liguorum,  palearum  et  herbarum, 

2.  Gabella  pignorum, 

3.  Gabella  bestiarum  quadrupedum  que  veudiiutur  iu  civitate  burgis  et 
suburgis  Perusie, 

4.  Gabella  accusatiouum  coucordiarum  laudorum   sententiarum  et  deci- 
morum, 

5.  Gabella  Buccarum, 

6.  Gabella  meusurarum  civitatis  et  comitatus  perusie  qiie  deputata  est 
per  aconcimiue  foutinra  et  cetera, 

7.  Communautie  pasture  clusij  Perusini  (1), 

8.  Communautia  pedatarum  et  pasture  montis  malbe  (2), 

9.  Commuuatie  montis  malbe  liguaminis  et  calcinarioriiTm, 


menti,  non  era  in  grado  di  contribuire  colla  somma  stabilita.  Le  casse  della  camera, 
specialmente  quella  generale,  oltre  alle  poche  rendite,  che  vi  dovevano  affluire  dai 
contribuenti,  ricevevano  dalle  diverse  casse  i  loro  resti  o  fondi  di  cassa  ad  epoche 
determinate.  Così  é  scritto  neir  opera  già  citata  di  P.  Rigobon,  pag.  85. 

(1)  Dei  Chiugi  perugino. 

(2)  Monte  Malbe  è  a  nord-ovest  di  Perugia. 


l/ A.MMINISTKAZKJXE    ECONOMICA,    EC<'.  425 

10.  Comnuuiantia  quiuque  crtiiieniriiin  sitanun  in  sii|naiiiiinnii  in  donii- 
bus  cainpiouis  (1), 

11.  Condemuatioues  que  liuut  per  dominos  potestatein  et  capitaneuiu  iiia- 
ioreni  sindiciun  et  per  quoscuinqne  alios  officiales  foreuses  civitatis 
perusie  :  Et  etiam  conservatorein  iusticie  coniitatus  perusic  :  Kt  etiam 
piM-  officiales  abuudautie  et  salarle, 

12.  Punctature  castellanorum  et  alioruin  officialluin  solveiule  in  dieta 
camera  seciiudiiin  tbrniam  statutorum  camere  couservatorum  de  mou- 
stris  revideudis  et  puuctaturis  solveudis, 

13.  Commuuautia  postriboli  (|ue  solvi  debet  otìicialil)Us  massariarum  com- 
inniiis  Perusie, 

11.  lutroitus  ceusuum  et  paliorum   qui   et  que  anuualiter   presentautur 

commuui  Perusie  iu  lesto  saucti  Herculani, 
1.").  Gabella  duorum   solidorum  prò  qualibet   libra    oiniiiuin    (|iiantitatum 

que  solvi  debeut  in  camera  massariorum   que   deputata  est  jier  ma- 

uutentione  fontis  aque  ductus  et  cetera  (2). 

Esito  della  camera  dei  massari. 

1 in  perpetuum  et  anno  quolibet  iu  lesto  decolatiouis  glo- 
riosissimi raartyiis  Herculani  liat  et  fieri  possit  et  debeat  annua  eli- 
mosina de  triginta  tribus  vestimentis  et  esse  debeant  quadraginta 
septem  canne  panni  bigij  ad  rationem  uuius  lioreni  prò  qualibet 
canua  et  etiam  quod  dicto  die  domini  priores  artium  qui  prò  tem- 
pore luerint  teneantur  et  debeant  trigintatribus  pauperibus  ob  Chri- 
sti  reverentiam  iu  eorum  palatio  commestionem  dari  facere  :  Et  quod 
prò  tali  expeusa  babere  possint  et  debeant  a  camera  massariorum 
auuo  quolibet  iu  dicto  testo  tres  ttorenos  auri (3). 


(1)  Sulla  piazza  del  Sopraniuro  pranvi  casamenti  per  i  pubblici  granai. 

(2)  Itera  perveniant  et  pervenire  debeant  ad  manus  dictorura  massariorum  et  ad 
ipsos  massarios  omnis  alia  pecunia  et  res  alle  dicti  communis  que  non  essent  depu- 
tate in  alia  camera  vel  loco  et  que  non  deberent  pervenire  ad  alios  oflicialcs  dicti  com- 
munis secundura  formam  statutorum  et  ordinamentorum  communis  predicti.  Stat. 
Perus.,  voi.  I,  rub.  351. 

(3;  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  37S.  —  Dice  il  Pollini  che,  nel  1389,  «  i  nuovi  Priori, 
«  capo  de  quali  fu  M.  Alberto  di  Nino  de  Guidalotti,  per  non  mostrar  di  essere  meno 
«  religiosi  de  gli  altri,  tra  le  prime  cose,  che  facessero  dopò  V  bavere  il  dì  di  Santo 
<  Herculano  ricevuti  i  debiti  Pali  ordinarono  per  avvertimento  di  un  Reverendo  Padre 
*  dell'  Ordine  Osservante  di  S.  Francesco,  che  si  vestissero  tredici  Poveri,  e  si  desse  loro 
«  la  Domenica  prossima  da  desinare  in  palazzo,  ad  imitatione  dei  Salvatore,  quando  il 
«  giorno  innanzi  la  sua  morte  volse  nell'ultima  Cena  lavare  i  piedi  a  Discepoli  »  (op. 
cit.  parte  prima,  libro  nono,  pag.  136S  - 1369). 

28 


426  V.    ALFIERI 

2 possint"  teneautur  et  debeaut  siue   aliquo   alio    precepto    vel 

mandato  de  quacixmque  pecunia  dicti  communis  expeudere  prò  cera 
emenda  prò  faculis  et  candelis  et  cereis  emendis  et  dandis  et  distri- 
buendis (1). 

3 teneautur  et  debeant   fieri   facere  unum  calicem    argeuteum 

deauratura  in  quo  suut  sculta  arma  communis  perusie  valoris  et 
precij  X  fioreuorum  quem  calicem  dicti  massarij  de  quacumque  pe- 
cunia dicti  communis  emere  teneautur  et  expendere  dictam  sum- 
mam  et  offerre  in  die  festivitatis  s.  Ambrosij  ecclesie  saucte  Marie 
nove  de  perusio  anno  quolibet  sub  pena  CCCCC  librarum  deua- 
riorum (2). 

4 dent  et  soluaut   anno   quolibet   camerario    pictorum   prò   pi- 

ctura  imaginis  herculani  X  librarum  deuariorum  siue  solutione  gla- 
belle   (3). 

5 teneautur  possint  et  debeant  dare  et  solvere  siue  alio  pre- 
cepto vel  mandato  hastiludentibiis  equestribus  in  platea  communis 
Perusie  ad  anulum  in  festivitatibus  sancti  Herculani  et  omnium  san- 
ctorum  cuilibet  lucranti  anulum  in  utroque  festo  prout  extitit  con- 
suetum  decem  libras  deuariorum (4). 

6 possint  et  debeant  dicti  massarij  expendere  de  pecunia  di- 
cti communis  prò  fulcimeutis  braviorum  :  ad  que  curritur  in  fe- 
stivitatibus sancti  Herculani  et  omniiam  sanctorum  et  prò  thauro, 
porchetta,  pane,  aucipitre  et  hastis  frangentibus  in  diebus  ordinati» 
tisque  in  quantitatem  LX  florenorum  de  auro  in  totum  ad  declara- 
tionem  dominorum  priorum  et  camerariorum  diete  civitatis  (5). 

7 possint    teneatur   et  debeaut    dare  et  solvere  de  quacumque 

pecunia  dicti  communis  que  pervenit  seu  perveniet  ad  eorum  ma- 
nus  siue  alio  precepto  vel  mandato  prò  elemosina  anno  quolibet  vi- 
delicet  in  Kalende  Aug'usti  cuiuslibet  anni  —  Fratribus  sancti  Frau- 
cisci  —  Fratribus  sancti  Dominici  —  Fratribus  saucte  Marie  nove 
—    Fratribus    sancti   Agustini    —   Pro    quolibet   conventu    dictorum 


(1)  Nelle  successive  rubriche  3S0,  381,  382,  383,  384,  385,  380,  387,  388,  389,  390,  391, 
392,393,  394,  393,  396,  397,  398,  399,  400,  401,  402,  403,  404,  405,  406,  407,  408,  410,  sono  pe- 
culiarmente fissati  il  numero  e  il  peso  delle  candele  e  delle  torcie  di  cera  da  sommini- 
strarsi, per  processioni,  luminarie,  funzioni  ecclesiastiche,  ai  singoli  magistrati  del 
comune,  a  chiese,  badie  e  conventi,  sopratutto  nelle  feste  di  S.  Costanzo)  di  S.  Erco- 
lano  e  di  S.  Lorenzo. 

(2)  Rub.  409. 

(3)  Rub.  412. 

(4)  Rub.  413. 

(5)  Rub.  414. 


L"  A.M.MINISTUAZIONE    ECONOMICA,    KCC.  127 

qxxatuor  coiiveutiium  libras  L  denaiiorum  videlicet  in  totuiii  lil)ias 
tlucentas  —  Itcìii  monasterìo  sancte  Marie  de  moute  lucido  anno 
(luolibet  libras  XXV  deuarioruni  —  Item  fratribus  saucte  Marie  ser- 
vorum  libras  XXV  denarioniin  —  Item  nionasterio  saucte  Marie  Mad- 
dalene libras  vigintiquinque  denarioruni  —  Item  dicto  monasterio 
dent  et  solvant  C  libras  denarioriini  anno  quolibet  videlicet  qiiiu- 
quaginta  in  lesto  uativitatis  et  alias  (luinqueginta  in  festo  ])ascatis 
dominice  resurectiouis  —  Item  de  decennio  iu  deceuuium  dent  et 
solvant  xinum  palium  de  offerendis  coniiuuuis  Perusie  (1. 

8 dent    et   solvant    et    dare    et    solvere    teueantur    et    debeant 

gubernatori  seu  rectori  saucte  Marie  maiestatis  de  volta  prò  oleo  emendo 
prò  lanipadibiis  accensis  retinendis  in  dieta  maestate  ad  eius  revo- 
rentiam  mense  quolibet  unum  fiorenum  de  auro  si  et  inquantiim 
oleum  quod  recoligitur  seu  recolligeretur  iu  bonis  diete  niaestatis 
non  sufficeret  :  quo  casu  dictam  <|uantitatem  solvere  teneatur  et  alter 
vel  alio  modo  non  sed  solum  solvere  debeant  iu  defectum  dicti  olei, 
prout  opus  fuerit  ad  ratiouem  uuius  floreui   prò  qualibet   mense  (2). 

9 cum  societas  sani   in   festivitate    gloriosissimi   martyris  Her- 

culani  iu  ferendo  imag-inem  dicti  martyris  iu  ludis  celebrandis  iu 
dieta  festivitate  se  preteritis  exercuerit,  et  preteritis  temporibus  a 
massarijs  communis  periisie  iu  dieta  festivitate  habere  consueverit 
sex  tlorenos  de  auro  et  XX  libras  denariorum  ut  ad  decorem  diete  fe- 
stivitatis  valeaut  excitare  :  duximus  statueudum  quod  massari.]'  com- 
mixuis  possi  ut  teneatur  et  debeant  anuo  quolibet  iu  dicto  festo  dare 
diete  societati  saxi  dictam  qxiantitatem  sex  florenos  de  auro  et  XX 
libras  denariorum  siue  aliquo  alio  precepto  vel  mandato  aliquo  non 
obstaute  —  Item  societatis  montis  lucidi  prò  ludo  et  festo  faciendis 
apud  modum  predictum  libras  L  denariorum  auno  quolibet  (3). 

10 deut  et  solvant  de  quacumque  pecunia  dicti  communis  qua 

perveuient   ad  eorurn   manus   capellano   sancii    Laureutij    (jui  pulsat 


(1)  Rub.  4  5.  —  Ricorda  il  Pellini  che,  intorno  al  14(5S,  fui'ono  donati  «  cento  fio- 
«  rini  doro,  e  altre  somme  in  diversi  tempi  alli  Reverendi  padri  di  Santa  Maria  degli 
«  Angeli  di  Perugia  fuor  delle  mura  in  porta  san  Pietro  Canonici  Regolari  di  san  Sal- 
«  valore  detti  delli  Scopetini  per  risarcimento  della  loro  Chiesa,  altri  quattrocento  lio- 
«  rini  alla  Chiesa  di  san  Francesco  in  porta  Sansanne,  alla  cui  fabrica  s'era  largamente 
«  dalla  Città  sovenuto,  e  altri  mille  dugento  ne  diede  alla  fabrica,  che  la  pia  casa  della 
«  Misericordia  faceva  nella  piazza  minore,  dove  lioggi  è  lo  studio,  e  il  Monte  della 
«  Pietà »  (op.  cit.,  parte  seconda,  libro  decimoterzo,  |)ag.  697). 

(2)  Rub.  416. 

(3)  Rub.  417. 


428  V.    ALFIERI 

campanam  prò  scholaribus  anuo  (]Uolibet  libras  decein  denarionim 
siue  alio  precepto  vel  mandato  (1). 

11 anno  qaolibct  in  Kalende  ianuarij  teueantur  et  debeant  dare 

et  solvere  sine  alio  precepto  vel  mandato  capellauo  sacristie  palati.) 
dominorum  prìorum  prò  oleo  emendo  et  prò  lanteruis  manntenendis 
per  ipsum  capellauum  cum  lumina  de  nocte  in  scalis  palati,)  domi- 
norum priorum  floreuos  deeem  de  aviro  sub  pena  CCCCC  librarum 
deuariorum  prò  quolibet  coutrafaciente  —  Item  massari.]  presentes 
vel  futuri  teneantur  et  debeant  sub  dieta  pena  dare  et  solvere  officia- 
libus  massaritiarum  prò  dictis  lanteruis  emendis  et  ordiuandis  in 
scalis  dicti  palati,!  :  ad  boc  ut  lumem  de  nocte  continue  habeatur, 
prò  honore  dicti  palatij  et  etiam  commodum  ascendeutium  seu  de- 
scendentium  per  scalas  dicti  palatij  floreuos  X  de  auro (2). 

12 teneantur  et  debeant  omnem  quantitatem  floreuorum  seii  pe- 
cunie perventure  ad  eorum  manus  tempore  eorum  offici,]  ex  g-abella, 
que  solvitur  et  solvi  debet  in  dieta  camera  ex  quautitatibus  floreno- 
rum  seu  pecuniarum  per  massarios  solvendis  sine  alio  precepto  vel 
mandato  prò  manntentioue  foutis  platee  et  eius  aqueductus  et  cister- 
uis,  dare  et  solvere  officialibus  massaritiarum  communis  perusie (3). 

33 possint  teneantur  et  debeant  siue  alio  precepto  vel  mandato 

solvere  et  solvi  facere  officialibus  massariarum  dicti  communis  prò 
mauutentione  palatiorum  et  massariarum  dicti  communis  et  prò  ali]s 
circa  eorum  officium  opportunis  omnem  quantitatem  florenorum  aiiri 

et   pecunie   percipieude  ex  gabella postribuli   anno   quolibet   ad 

eorum  introitus  poni  et  reg'istrari  facere (4). 

14 teneantur  et  debeant  sine  alio   precepto    vel   mandato    dare 

et  solvere  officialibus  massariarum  communis  perusie  prò  manuten- 
tione  campanarum  et  horolog-i,]  et  earum  pulsatioue  et  prò  aconcimine 
matonatus  civitatis  et  btirg-orum  portarum  et  suburgorum  perusie 
omnem  quantitatem  floreuorum  seu  pecunie  que  quomodolibet  per- 
veniet  ex  gabella  eniinarum  et  mensurarum  civitatis  predicte  bur- 
goiiim  et  suburgorum  (5). 

15 possint  teneantur  et  debeant  sine  alio  precepto  vel  man- 
dato dare  et  solvere  septem  domicellis  deputatis   seu  deputandis  per 


(1)  Ruh.  419. 

(2)  Rub.  120. 

(3)  Rub.  421. 
(4;  Rub.  422. 
(5)  Rub.  423. 


l'amministrazione  economica,  ecc.  421» 

(lomiaos  priores  et  camerarios  iu  palatio  liabitationis  dominoruni  prio- 
ruin  artium  civitatis  perusie yl). 

IG dent  et  solvant  et   dare  et  solvere   teneaiitur  et  debeaut 

prò  septem  raubis  septem  domicellorum  deputatorum  seu  deputan- 
dorum  ad  servitia  domiuorum  priorum  prò  (luolil)et  anno  iu  lesto 
beati  Constantij  ad  rationem  X  tiorenorum  de  auro  prò  (|ualil)et  rauba 
iu  totiiin  prò  quolibet  anno  Horenos  LXX  sine  ali(|ua  sohitioue  j;a- 
belle (2). 

17 dare  et  solvere  teueantur  et  debeaut  dicti  massari)'  sine 

aliquo  alio  precepto  vel  maudato  solimi  visa  eorum  electioue  prò  iu- 
dumeutis  uuucij  domiuorum  priorum  et  prò  duodecim  raubis  famu- 
lorum  et  portiuarij  et  eorum  notarij  ad  rationem  IIII  fiorenoriim 
auri  prò  qualibet  rauba  dictorum  tamiilorum  et  portiuarij  et  prò  in- 
dumentis  nuucij  sexdecim  tloreuorum  de  duobos  mensibus  iu  duos 
meuses  iu  totum  Horeuos  LXIIII  de  auro  cum  debita  tamen  reten- 
tioue  gabelle  sub  pena  CCCC  libraruin  denariorum  prò  (|Uolibct  cou- 
trafacieute  et  vice  qualibet  (3). 

18 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneautur  et  debeaut  de 

mense  quolibet  sacristie  capelle  domiuorum  priorum  vel  eius  succes- 
sori prò  suo  salario  duos  Horenos  de  auro  sine  alicuius  retentioue 
gabelle  sub  pena  cento  librarum  denariorum  (4:). 

19 deut  et  solvant   et  dare  et  solvere   teneautur  et  debeaut 

uni  coquo  eligendo  per  dominos  priores  prò  toto  tempore  officij  prio- 
ratus  duorum  meusium  Horenos  quatuor  de  auro  —  Itcìii  uui  gua- 
.etaro  et  qui  verrat  palatium  domiuorum  priorum  eligeudo  per  dictos 
dominos  priores  prò  tempore  duorum  meusium  iu  totum  duos  iiore- 
uos  de  auro  —  Item  uni  qui  hauriat  aquam  eligendo  per  dictos  do- 
minos priores  tempore  otticij  prioratus  et  ferat  ad  coquinam  et  ad 
salam  iu  totum  fioreuos  III  de  auro:  et  quod  dictas  quantitaies  sol- 
vere teneautur  et  debeant  solum  visa  eorum  electioue  sine  alicjuo 
precepto  vel  maudato  cum  debita  retentioue  gabelle  sub  pena  C  li- 
brarum denariorum  (5). 

20 solvant  et  solvere  teneautur  et  debeaut  notarlo  domiuorum 

priorum  prò  salario  scripturarum  et  libri  restituendi  in  cancellarla 
commuuis  perusie  per  eum  in  forma  publica  de  eis  de  quibus  roga- 


(1)  Rub.  42  i. 

(2)  Rub.  -J25. 

(3)  Rub.  426. 

(4)  Rub.  427. 

(5)  Rub.  428. 


430  V.    ALFIERI 

tus  fiierit  prò  tempore  cuiii.slibet  prioratus  tiorenos  X  de  auro  cum 
debita  retentioue  g-abelle (1). 

21 deiit  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneautur  et  debeaut  can- 

cellario  coiiimuuis  peru^ie  per  eius  quotidiano  victu  temporibus  et 
sub  peua  prout  iu  eius  electioue  exprimitur  ad  rationem  XX  solido- 
rum  denariorum  prò  quolibet  die  sine  alia  solutioue  vel  retentioue 
gabelle  prò  anno  (|Uolibet  in  totum  libras  CCCLXVI  denariorum  — 
Item  eideni  prò  lumiue  liabendo  in  cancellarla  communis  Perusie 
mense  (|Uolibet  duas  libras  candelarum  cere  sine  aliqua  solutione  g-a- 
J)elle  —  Item  eidem  anno  (luolibct  in  subsidium  expeusarum  ultra 
dictas  quantitates  tiorenos  (luindecim  de  auro  sine  aliqua  solutione 
gabelle  —  Item  eidem  prò  pensione  domus  anno  quolibet  XX  Hore- 
nos  de  auro  (2). 

22 possint  teneantur  et  debeant  dare  et  solvere  abreviatori  re- 

formationum  communis  Perusie  temporibus  et  sub  pena  in  eius  ele- 
ctione  contenta  prò  sublevatione  expensarum  anno  quolibet  florenos 
quindecim  de  auro  sine  aliqua  solutione  vel  retentioue  g-abelle  (3). 

23 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere   teneantur  et  debeant 

duobus  nuncijs  g-onfaloneriorum  prò  duabus  robbis  et  duobus  caputeis 
anno  quolibet  florenos  vig-inti  de  auro  et  libras  decem  (4). 

24.  Item  dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneantur  et  debeant  prò  sep- 
tem  robbis,  tubatorum  et  unius  naccbarini  ad  rationem  X  florenorum 
prò  qualibet  robba  solum  visa  eorum  electioue  florenos  LXX  de  auro 
retinendo  g-abellam  ad  rationem  XII  denariorum  prò  qualibet  li- 
bram (ó). 

25 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneantur  et  debeant  prò 

salario  dictorum  tubatorum  et  unius  naccbarini  cum  uno  equo  prò  quo- 
libet eorum  ad  rationem  V  florenorum  auri  quolibet  mense  et  quo- 
libet eorum  si  ronzinum  retineverint  :  et  si  ronzinum  non  retineve- 
rint  ad  rationem  trium  florenorum  prò  quolibet  mense  et  quolibet 
eorum  de  quo  quidem  ronzino  monstram  et  assig-nam  tacere  te- 
neautur   (6). 

2(5 volumus  et  mandamus   quod   capitulum   et   fratres   s.  Marie 

servorum   curam   habeant  capello   s.  Honofrij    in   doinibus   carcerum 


(1)  Rub.  429. 

(2)  Rub.  430. 

(3)  Ruh.  431.  —  Il  salario  il(';j:li  alilireviatori  delle  rif'oriiiagioni  era  pagato,  come 
si  vedrà  ia  .seguito,  dai  conservatori  delie  monete. 

(4)  Rub.  43:2. 

(5)  Rub.  433. 

(6)  Rub.  434. 


h'AMMlNI.STllAZlOXIi   KCOXOMICA,    KCC.  4.'51 

site habeaiit  a  inassarijs  comumiiis  penisie  anno  quolibot  unum 

ceiuin  cere  poiuieris  \'l  liliraruiii  et  liljras  VI  caiidclaruiii (^1). 

27 deut  et  solvaut  et  dare  et  solvere  teueantur  et  dcbeant  (juincjue 

custodibus  carcorum  ooininunis  perusie  prò  tempore  duorum  mensium 
ad  ratiouem  XII  solidoruin  denariormn  prò  quolibet  eorum  et  <|U0- 
libet  die  solum  visa  eorum  electioue  seu  publicatione  de  duobus  meu- 
sibus  iu  duos  menses  libras  CLXXX  denariorum.  Et  si  plus  minus 
ve  capereut  dies  prò  bimestrali  tempore  solvere  debeaut  ad  rationem 
XII  sulidorum  denariorum  prò  quolibet  die  ut  cai)ieut (2). 

2.S deut  et  solvaut  et  dare  et  solvere   teneautur  et  debeant  sine 

precepto  vel  mandato  custodibus  carcerum  coramunis  Perusie  solum 
visa  eorum  electioue  seu  i)ublicatione  prò  oleo  liabeudo  prò  lumiue 
tenendo  iu  dictis  carceribus  et  etiam  prò  aqua  habenda  prò  carceratis 
florenos  duos  de  auro  de  duobus  mensibus  iu  duos  menses (3). 

2!) dare  et  solvere   teneantiir  bouo  homini  et  uotario   dictorum 

carcerum  prò  eorum  salario  de  duobus  mensibus  in  duos  menses  li- 
bras X  denariorum  solum  visa  eorum  electioue  seu  publicatione  (4). 

30 teneautur  et  debeaut  dare  et  solvere  sindicatoribus  officia- 

liuui  foreusium  communis  perusie  solum  visa  eorum  electioue  seu  pu- 
blicatione prò  eorum  salario  florenos  tres  de  auro  prò  quolibet  eorum 
et  notarlo  ipsorum  sindicatorum  solum  visa  eius  electioue  florenos  II 
prò  quolibet  officio  sindicatus (5). 

ol massari.)'  possint  teneautur  et  debeant  sub   peua  C  librarum 

denariorum  prò  (juolibet  et  vice  qualibet  us()ue  iu  niuiierum  duode- 
cim  baiulorum  taui  electorum  quam  eligcndorum  prò  dominos  prio- 
rem  artium  ad  ratiouem  II  tloreuorum  prò  (juolibet  eorum  et  (|Uoli- 
bet  mense  solum  visa  eorum  electioue  et  habita  fide  ad  officialibus 
quibus  suut  yel  erunt  deputati  depeuso  servitio  de  tempore  in  tem- 
pus  ad  hoc  ut  illis  debeat  satisfleri  qui  servieut,  prout  decet (6). 

*{)2 dent  et  solvaut  et  dare  et  solvere  teneautur  officialibus   ar- 

niarij  librorum  communis  Perusie  prò  (jUolibet  eorum  prò  tempore 
semestrali  ad  rationem  XII  florenorum  de  auro  prò  (juolibet  eorum 
in  totum  florenos  XXIIII  de  auro  solum  visa  eorum  electioue  seu 
publicatione  (7). 


(1)  Rub.  435. 

(2)  Rub.  '436. 

(3)  Rub.  437. 

(4)  Rub.  i3S. 

(5)  Rub.  43'.). 
(0)  Rub.  410. 
(7)  Rub.  411. 


432  V.    ALFIERI 

33 dare  et  solvere  teueautur  et  debeant  uui  uotario  officialium 

custodie  solum  visa  eius  electione  seu  publicatioue  de  sex  mensibus 
in  sex  menses  in  totum  prò  tempore  semestrali  liorenos  VI  de  auro 
cum  debita  retentione  g-abelle  :  Et  uui  famulo  ad  rationem  unius  fio- 
reni  de  auro  mense  quolibet  videlicet  unum  iiorenum  prò  quolibet 
eoruni  et  quolibet  mense  et  famulus  vacare  debeat  sex  menses  (1). 

34 dare  et  solvere  teneantur  sine  alio  precepto  vel  mandato  prò 

peunonibus  tubarum  et  eorum  fulcimentis  dandis  tubatoribus  com- 
munis  perusie  anno  quolibet  tempore  consueto  et  expendere  perperea 
de  quacumque  pecunia  commuuis  perusie  quolibet  anno  usque  in  sum- 
mam  LV  tìorenorum  de  auro  prò  bis  omnibus (2). 

35 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneantur  et  debeant  prò 

iustitia  facienda  cuilibet  malapezze  et  vice  qualibet  ad  bullectenum 
oflficialium  forensium  qui  iusticiam  fieri  fecerint  libras  duas  dena- 
riorum  perusinorum  et  prò  alijs  causis  opportunis  perperea  secundum 

bollectenum  talium  officialum   omnem  quantitatem    opportunam 

Et  quod  per  massarios  communis  perusie  debeant  solvi  alimenta  et 
vestimenta  condecentia  dictis  duobus  malapezzis  videlicet  prò  quo- 
libet malapezza  XV  fiorenos  auri  in  anno (3). 

36 dare  et  solvere  teneantur  et  debeant   heredibus  occisi  vel  occi- 

dendi  sine  alio  precepto  vel  mandato  tertiam  partem  totius  condem- 
nationis  que  solveretur  communis  Perusie (l). 

37 dicti  Massarij  possint  teneantur  et  debeant  sine  alio  precepto 

vel  mandato  dare  et  solvere  omnibus  et  singulis  oflficialibus  forensi- 
bus  prò  inveutiouibus  armorum  ludi  et  invenctis  de  nocte  et  pun- 
ctaturis  castellanorum  et  famulorum  et  potestatum  et  rectorum  co- 
mitatus  et  civitatis  et  terrarum  suppositarum  communis  Perusie.  Et 
de  invenctis  coutra  devetum  et  in  salarium  fraudem,  committentibus  : 
Et  de  alijs  que  venire  fecerint  in  communi  omnes  quantitas  fìoreuo- 
rum  et  pecuniarxim  eis  debitas  per  formam  statutoruin  dicti  com- 
munis   (5). 

38 possint   teueautur  et  debeJint   sine   alio   precepto  vel 

mandato  dare  et  solvere  mundatori  platee  communis  perusie  anno 
quolibet  visa  solum  publicatioue  seu  electione  libras  L  denariorum  (6). 


(1)  Rub.  -142. 

(2)  Rul).  443. 

(3)  Rub.  444.  —  Qui  è  stabilita  la  paga  ai  carnefici. 

(4)  Rub.  415. 
(.5)  Rub.  446. 
(6)  Rub.  447. 


I.' AM.MINISTKAZIONE    ECONOMICA,    KCC.  433 

39 dare  et  solvere  teucantur  et  debcant  duol)us   oHicialilms  cain- 

pioiiis  caruiuiii  coimnunis  perusie  .soliiin  visa  eoriim  elcctioiie  seu  pu- 
blicatione  prò  auuo  quolibet  florenos  XXX  de  auro  prò  iitro(iue  eo- 
nim {V). 

40 possiiit  teneantiir  et  debeant  dare  et  solvere  prò  salario 

advocati  vel  sindici  communis  perusie  (piotiens  prò  d(!leiisa  iuriuiu 
comuiunis  in  aUijiia  lite  controversia  vel  causa  mota  vel  uioveuda 
coutra  conmmne  perusie  eli<i"eretur  per  doininos  priores  artiuin  ad 
mandatuni  dictoruiii  doniinoruni  et  canierarioruni  anno  (|U(jlil)('t  iis(|Ue 
in  quautitateni  X  tìorenoroni  de  auro  prò  quolibet  eoruni (2). 

41 possiut  teueantur  et  debeant  visa electione   facta 

castellauos  et  eorum  famulos de  (|uacuni(|ue    pecunia  dicti  coni- 

niuuis  et  sine  alio  precepto  vel  mandato  solvere  et  solvi  lacere  ad 
rationem  duorum  llorenorum  cum  dimidio  prò  qualibet  paga  retiueudo 
tanien  debitam  gabellam  ad  rationem  II  solidorum  prò  qualibet  libra 
de  quibus  quidem  castellanis  et  eorum  famulis  revideri  possit  et  de- 
beat moustra  prout  et  sicut  revideri  debet  de  alijs  castellanis  et  eo- 
rum lamulis  et  punctari  et  puniri  prout  et  sicut  debent  alij  castel- 
lani   (3). 

42 deut  et  solvaut  rectori  vel  ambasiatori  cuius  fuerit  equus 

ronziuus  vel  mulus  mortuus  vel  iuutilis  eff'ectus  emenda  ipsius  equi 
ronzini  vel  muli  secundum  extimationem  de  ipso  factam  per  couser- 
vatores  monete  communis  perusie  seu  per  dominos  priores  artium  ci- 
vitatis  perusie (4). 

43 duximus  statuendum  quod  decelero  quotienscumque  ad  do- 
minos priores  artium  civitatis  perusie  venerit  aliquis  nuntius  cuia 
aliqua  victoriosa  palma  vel  alicjua  felicia  seu  importautia  nova  re- 
portaverit  et  videretur  esse  deceus  prò  honore  communis  ipsum  nun- 
cium  seu  nuucios  quocumque  fuerit  honorare  in  vestimentorum  lar- 
g'itionibus  seu  pecuniarum  sicut  personarum  seu  l'acti  qualitas  po- 
stulare!     massari  communis  perusie  possint  teneantur  et  debeaut 

dare   et   solvere  otìicialibus  massaritiarum  communis  perusie  omnem 

quantitatem de  quacumque  pecunia  dicti  communis  que  pervenit 

seu  perveuient  ad  eorum  mauus  :  quam  quantitatem  dicti  officiales 
massaritiarum  teneantur  et  debeant  expeudere  in  bonorandis  talibus 
uimcijs (5). 


(I)  Rub.  448. 

{2}  Rub.  449. 

(3)  Rub.   in). 

(4)  Rub.   151. 

(5)  Rub.  452. 


■434:  V.    ALFIERI 

-44 Statuimiis   quod  de  cetero   domini   priores   artiuin  qui  i^ro 

tempore  fueriiit  possiut  teueantur  et  debeant  iu  pascate  nativitatis 
dominice  resurrectiouis  et  peutecostem  quolibet  die  trium  dierum 
cuiuslibet  pascatis  domiuum  potestatem,  capitaneum  popoli,  maiorem 
siudicum,  et  eorum  collateiales,  caucellarium,  abreviatorem  refor- 
mationem,  capitaueum,  custodie  et  notarium  deputatum  seu  depu- 
taudum  ad  Consilia  congreg-anda  iu  dicto  palatio  et  quemlibet  eorum 
honorabiliter  convenire  sicut  prò  houore  et  magniflcentia  dicti  com- 
niuuis  et  honore  oflKcij  fuerit  oportuuam  :  Et  quod  prò  quolibet  quo 
dictos  officiales  convivaverit  iu  qualibet  festivitate  pascali  prout  su- 
perius  est  expressum,  ipsi  domini  priores  habeant  et  habere  debeant 
sine  precepto  vel  mandato  solum  habita  fide  de  tali  convivatione  fa- 
cta  a  massarijs  communis  Perusie  florenos  tresdecim  de  auro  et  unum 
tertium  alterius  floreui  indequacumque  pecunia  dicti  commuuis  que 
perveniet  ad  eorum  mauus (1). 

45.  Ad  reverentiam   g-loriosissimi   martiris   Hercolani   et   mag-uiflcentiam 

et  honorem   commuuis  et  populi   perusini duximus   statueudum 

quod  domini  priores  artium  civitatis  Perusie  qui  prò  tempore  fuerint 
possiut  teneantur  et  debeant  in  dicto  die  festivitatis  convivare  hono- 
ritìce  sicut  decet  officiales  forenses  in  precedenti  capitulo  declaratos 
omnes  et  sing'oios  ambasiatores  seu  siudicos  civitatum  terrarura  et 
locorum  et  dominorum  communi  Perusie  suppositorum  seu  reccomen- 
datorum  qui  ad  dictam  civitatem  Perusie  veuerint  ad  preseutandum 
bravia  seu  alia  quecumque  censualia  in  tali  testo  dictis  dominis  prio- 
ribus  prò  communi  Perusie  recipientibus  :  et  quod  prò  tali  convivio 
dicti  domini  priores  habeant  et  habere  possiut  et  debeant  sine  alio 
precepto  vel  mandato  a  massarijs  communis  perusie  fiorenos  triginta 
de  auro  de  quacunKiue  pecunia  dicti  communis  que  pervenit  seu 
perveniet  ad  eorum  mauus (2). 

-46.  Cum  sepe  contingat  ad  dominos  priores  artium  civitatis  Perusie  di- 
rigi nuncios  a  diversis  partibus  et  persouis Statuimus  quod  mas- 

sarij  commuuis  Perusie  precedente  tamen  deliberatione  dominorum 
priorum  et  camerariorum  et  obteuto  partito  ad  bussolam  et  fabas  albas 
et  nigras  ad  minus  per  duas  partes  possiut  teneantur  et  debeant  visa 
solum  tali  deliberatione  sine  alio  precepto  vel  mandato  de  quacumque 
pecunia  dicti  communis  que  pervenit  seu  perveniet  ad  eorum  manus 
dare  et  solvere  dictis  dominis  prioribus  usque  in  vigiutiquinque  li- 
bras  denariorum  tempore  cuiuslibet  prioratus  et  non  ultra (3). 


(1)  Rub.  453. 

(2)  Rub.  454. 

(3)  Rub.  -ióS. 


L' A.MMINIsrUAZION'IO    ICCOXo.MU'A,    ECO.  435 

47 possiat  et  eis  liceat  precedente  taineu  deliberatione  domino- 
rum  ])riorum  et  camerariorum ex  pendere  de  pecunia  dicti    com- 

iiiunis  que  perveniet  ad  corum  manus  seu  pervenire  deberet  ex  jtre- 
ci.js  camerarum  dicti  communis  deputatarum  camere  massarioruui 
prò  reparatione  tectorum  hostiorum  et  fenestrarum  quantitatem  op- 
portuuam  in  ea  summa  prout  et  sicut  per  dominos  priores  et  came- 
rarios  extiterit  declaratum (1). 

4S possint  sino  alio  precepto  vel  mandato  ex  pendere  et  solvere 

de  quacumque  pecunia  dicti  communis  que  pervenit  seu  perveniet 
ad  corum  manus  prò  cartis  bombicinis,  pecudinis,  cera  rul)ea,  ver- 
nice, attramcuto  prò  li^-aturis  et  copertis  lil)rnrnm  et  prò  alijs  simi- 
libus  opportunis  prò  cancellaria  communis  jx'rusie  notaro  dominorum 
priorum,  oflicialibus  super  custodia,  olHciali  super  bullectino,  otHcia- 
libus  super  unione  siudicatoribus  officialium  tbrensium  prò  camera 
dictorum  massariorum  et  cuiusque  eonnii  tempore  officij  cuiuslibet 
massariatus  prò  tempore  semestrali  in  totum  usque  in  quantitatem 
septuag-inta  tiorenorum  auri (2). 

49 possint  et  debeant  siue  alio  precepto   vel    mandato   de   ipia- 

cnmqvie  pecunia  dicti  communis  solvere  anno  quolibet  ratiocinatoribus 
maioris  sindici  prò  salario  eorum  et  cuiuslibet  ipsoruin  solum  visa 
eorum  electione  seu  publicatione  tìoreuos  octo  de  auro  alitino  non 
obstante  (3). 

50 possint  et  debeant  quotieus  casus    emerserit   aliquem   medi- 

cum  terre  iudicium  iu  aliquo  casu  membri  debilitati  vel  cicatricis  vel 

alter solvere    cuilibet    medico   quantitatem   debitam    et    cousue- 

tam  (4). 

ól possint  teneautur  et  debeant  de  quibuscumqu.e  iutroitibus  pro- 

veuturis  ex  montemalbe  vel  de  alia  quacumque  pecunia  que  perve- 
nit seu  perveniet  qiaomodolibet  ad  eorum  manus  expendere  dare  et 
solvere  officialibus  ma^isaritiariiim  communis  perusie  totiens  quotiens 
opus  fuerit  prò  aptandis  et  mamitenendis  campanis  existentibus  in 
turri  palati)'  dominorum  priorum  et  reparatione  diete  turris  et  etiam 
prò  horolog'io  construeudo  in  dieta  turri (5). 

ó2 Statuimus  quod  quotiens  casus  emerserit,  mas>^arij  communis 

Perusie  ad  mandatum  dominorum   priorum  et  camerariorum   artium 


(1)  Rllli.  457. 
;2)  Rub.  438. 

(3)  Rub.  464. 

(4)  Rul).  465. 

(5)  Rul).  466. 


436  V.    ALFIERI 

civitatis  penisie  qui  prò  tempore  fueriut  possiut  et  debeaut  expen- 
dere  de  quaciiraque  pecunia  commuuis  Perusie  vel  solvere  prò  houo- 
rando  fuuus  cuiuseumqiie  prioris  qui  decederet  in  posteruni  eius  du- 
rante officio (1) 

53.  Pro  nutrimento  populi  Perusini  :  Statuimus  quod  massarij  commu- 
nis  Perusie  ad  mandatum  seu  declarationem  dominorum  priorum  et 
camerariorum  artium  civitatis  Penisie  qui  prò  tempore  fueriut  omni 
vice  possiut  et  debeaut  prò  abuudantia  facienda  in  civitate  et  comi- 
tatù  perusie  omuem  quantitatem  florenorum  et  pecunie  ad  eorum 
manus  perveuturam  solvere  officialibus  abuudantie (2). 

Introito  della  camera  dei  conservatori  delle  ìnonete. 

1.  Comuuautia  fructuum  reddituum  et  proveuctuum  aque  lacus  elusi.] 
perusini  et  gabelle  piscium, 

2.  Gabella  salmarum  grossarum  et  pedagij  de  pede  platee, 

3.  Gabella  salarle, 

4.  Gabella  contractuum, 

5.  Gabella  vini  et  bestiarum  et  mercatorum  comitatus  Perusie, 

6.  Introitus  et  proventus  collectarum  et  prestautiarum  prò  preterito  per 
commune  Perusie, 

7.  Gabella  II  solidorum  prò  libra  qualibet  retineuda  per  ipsos  couser- 
vatores  seu  ipsis  conservatoribus  solvenda  de  omnibus  et  sing-ulis 
solutionibus  et  pagaraentis  faciendis  per  ipsos  conservatores  vel  la 
camera  ipsorum  conservatorum  quibuscumque  personis  quomodocum- 
que  et  qualitercumque  non  obstante  quod  caveatur  quod  ipsas  solu- 
tiones  vel  aliquam  earum  facere  possent  vel  deberent  sine  reteutione 
vel  solutiones  alicuius  gabelle  preter  in  casibus  iu  presenti  volumiue 
statutorum  specialiter  exceptviatis, 

8.  Omnes  et  singule  puuctature  faciende  de  stipendiarijs  communis  pe- 
rusie equestribus  et  pedestribus  secundum  formam  pactorum  com- 
munis perusie:  Et  etiam  pene  quas  ipsi  stipendiarij  incurrerint  prò 
inobservantia  et  inobedientia  secundum  formam  pactorum  :  et  etiam 
punctature  que  fient  de  castellanis, 

9.  Omnes  punctature  que  fient  de  officialibus  forensibus  et  eorum  familijs 
secundum  formam  statutorum  et  ordinamentorum  communis  Perusie, 

10.  Omne  residuum  quod  restabit  et  super  erit  cuicumque  officiali  com- 


(1)  Rub.  468. 

(2)  Hub.  46).  —  Qui  si  la  cenno  dei  probabili  storni,  ossia  delle  probalìili  trasmis- 
sioni di  (ondi  da  cassa  a  cassa. 


LAM.MIXI.STUA/.IOXE   ECONOMICA,    ECC.  437 

inuiiis  perusie  ab  executione  sui  officij,  exceptis  ina.ssari.js  et  officiali- 
Inis  super  g^uasto  :  Et  etiam  exceptis  otticialibus  al)uudantie  et  biadi 
et  etiam  campiouis  carnium  et  ofiicialibus  super  niassaritijs, 

11.  Omuis  utilitas  et  omne  melioranientunì  percipienduni  per  ipsos  con- 
servatores  et  eorum  faucellos  de  bavere  et  pecunia  comuiunis  perusio 
ad  eorum  maiius  perveuta  seu  perveuieuda  tempore  eorum  offici.j, 

12.  Omnis  quautitas  Horenorum  et  pecunie  qui  et  que  communi  perusie 
solvi  debefet  per  commautiam  terranim  subiectam  seu  recommenda- 
tarum  ipsi  communi  seu  per  alias  quascumque  sing'ulares  personas 
et  prò  honore  censu  et  seu  pacto  ipsi  communi  Perusie  prestando 
prò  nuuc  vel  in  tuturum. 

13.  Commuuantia  omnium  et  siugularum  camerarum  sitarum  in  palatio 
populì  habitationis  domini  capitanel  civitatis  perusie  quarum  fructus 
vendi  cousueverunt  quod  palatium  nunc  habitat  dominus  potestas 
civitatis  Perusie, 

14.  Communautia  camerarum  sitarum  iu  palatio  habitationis  domini  po- 
testatis  civitatis  perusie  et  iuxta  et  prope  locum  maestatis  iuxta  di- 
ctum  palatium  et  domorum  seu  voltamenti  zecche  quarum  fructus 
vendi  consueveruut, 

15.  Communautia  camerarum  sitarum  in  domibus  campiouis  biadi  qua- 
rum friictus  vendi  constieverunt, 

16.  Communautia  miuus  orti  qui  olim  fuit  ecclesie  saucti  Fiorenti.), 

17.  Commuuantia  mentis  tetij  (l». 

18.  Communautia  honorum  olim  Bertaconis, 

19.  Communautia  faldi, 

20.  Communautia  uuius  tenimenti  terrarum  posita  vecchia  clusij  Periisini, 
'21.  Communautia  portus  et  poteris  olim  fratonis  panzi  (2), 

"22.  Commuuantia  pedatarum  aque  lacus  communis  perusie  (8), 

23.  Communautia  uuius  tenimenti  terrarum  positi  in  clusio  perugino 
prope  campum  stundece  et  possessioues  rivi  maioris  que  vocantur  le 
macchie. 

24.  Communautia  unius  tenimenti  et  domus  et  vim  positarum  iu  perti- 
uentijs  laviaui, 


(1)  Monte  Tezio,  a  nord  di  Perugia. 

(2)  Rispetto  l'antica  ortografia,  e  però  scrivo  anclie  i  nomi  con  l'iniziale  mi- 
nuscola. 

(3)  Sotto  la  voce  pedate,  sono  intese  tutte  quelle  terre,  che  sono  intorno  al  lago 
Trasimeno,  dalla  riva  di  esso  insino  alle  strade.  Cosi  dice  il  Pellini  (op.  cit.,  parte  se- 
conda, libro  decimo,  pag.  110). 


438  V.    ALFIERI 

25.  Commuuautia  bouorum  olim  areugutij  et  ix^-oliui  iiositorum  in  loco 
qui  dicitur  caioucole,  saltichie  et  paciano, 

26.  Comuuautia  de  casa  Castalda, 

27.  Commuuautia  duarum  bubulchariarum  que  olim  fuerunt  Renerij 
Giialterij, 

28.  Commuuautia  honorum  olim  mutij  domini  Fraucisci, 

29.  Commuuautia  saucte  Saviue  i^l), 
i30.  Commuuautia  Collis, 

31.  Commuuautia  duarum  bubulchiariarum  positarum  in  colcello, 

32.  Commuuautia  molendiuorum  poutis  novi, 

33.  Commuuautia  moutis  aieri  cuius  quidem  precium  redditus  et  pro- 
veutus  debeut  oftìcialibus  massari tiarum  commuuis  nostri  per  acou- 
cimue  viarum  civitatis  burg-orum  et  suburgorum  perusie  anno  quo- 
libet  prout  capieut  et  sumraabuut, 

34.  Commuuantia  bubulcharie  castri  Alghesis, 

35.  Commuuautia  castri  fossati, 

36.  Communantia  quatuor  bubulchariarum  terreni  posititi  in  clusio  Inter 
lacum  et  clauas  (2), 

37.  Communantia  Colcelli, 

38.  Communantia  arboreti  olim  lippoli  tilis  (3). 

Esito  della  camera  dei  conservatori  delle  monete. 

1 quod  couservatores  monete  qui  prò  tempore   fuerint   possint 

teneautur  et  debeaut  solvere  et  solvi  tacere  sanctissimo  in  Christo 
patri  et  domino  domino  Bonifacio  digua  die  providentia  pape  nono  vel 
eius  successori  canonice  intranti  vel  cui  prefatus  summus  poutifex 
vel  eius  successor  mandabit,  quautitatem  debitam  et  debendam  dicto 
domino  summo  pontifici  et  Romane  ecclesie  prò  ceusu  secundum 
formam  capitulorum  pacis  editorum  inter  dictum  summum  pontificem 
et  dictam  romauam  ecclesiam  experte  una,  et  dictum  commune  pe- 
rusie experte  altera (4). 


(1)  Terreni  presso  Ellera,  ora  detti  i  Sodi  di  S.  Saliina. 

(2)  Il  torrente  Caina  ; 

(3)  Itera  omnes  et  singule  alie  communantie  seu  gabelle  et  introitus  ipsarum 
quarum  redditus  et  provenctus  nec  debentur  vel  in  futurum  deberentur  camere  ii)so- 
rum  conservatorum  :  Et  omnes  communantie  et  gabelle  et  introitus  quicumque  et  que 

.massarijs  vel  alijs  officialibus  dicti  communis  deputati  non  essent  veniant  et  venire 
debeant  et  solvi  camere  ipsorum  conservatorum  monete  et  ad  ipsos  conservatores  jiei'- 
veniant.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  23(). 

(4)  Stat.  Perus.,  voi.  J,  rub.  290.  La  pace  di  Genova,  nel  1392,  fra  il  papa  e  i 
Visconti  é  firmata  anche  dai  Perugini,  come  alleati  di  Galeazzo.  I  Perugini  spediscono 


i/amministkazioniì  economica,  kcc.  439 

2 possiut  ipsi  conservatores  et  debeant  secunduiii  putta  et  con- 

ventiones  firmata  et  firniatas  seu  liniiaiida  cium  (iuihusi-uiii(|iu'  p-n- 
tibus   armigeris    equitibus  seii  peditibtis   (|UOcuiii<nie  modo  vel  torma 

conductis  seu  iuposterum  conduceiidis solvere  et  solvi   tacere  de 

quacumque  pecunia  dicti  coiiiiimnis  qiie  ad  eorum  iiianus  pervenit 
seu  perveniet (1). 

3 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teueantiir  ilomiuis  priori- 
bus  artium  civitatis  perusie  qui  prò  tempore  fueriut  videlicet  prò 
quolibet  prioratus  diiorum  mensium  in  totum  prò  eis  et  eorum  no- 
tario  prò  salario  eorum  et  previsione  fiorenos  quiug-entos  septuagiuta 
duos  de  auro  libras  IIII  et  solidos  VI  deuariorum  perusiuorum  sine 
aliqua  solutione  vel  reteutione  g-abelle (2). 

4 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneantur  et  debeant  do- 

niinis  Camerarijs  artium  vel  eorum  procuratori  prò  toto  tempore  se- 
mestrali ducentos  fiorenos  de  auro  sine  aliqua  solutione  gabelle (3). 

5 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneantur  et  debeant  do- 
mino  potestati   civitatis   perusie  prò  suo  et  eius  officialium  et  famu- 

lorum  salario  prò  tempore  semestrali duo  milia  fiorenos  de  auro 

cum  solutione  gabelle  (4). 

6 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneantur  et  debeant  do- 
mino Capitaueo  populi  maiori  «indico  indici   iusticie  prò  suo  et  offì- 


poi  ambasceria  a  Bonifazio  IX  per  offrirgli  l'assoluto  dominio  della  città,  a  condizione 
che  vi  venisse  a  risiedere,  e  che,  quando  ne  stesse  assente  per  più  d'un  anno,  o  ne 
partisse  con  animo  deliberato  di  non  tornarvi,  allora  ritornasse  al  comune  il  vicariato 
di  S.  Chiesa,  secondo  i  patti  stabiliti  con  Urbano  VI.  Il  Papa  accetta  e  viene  in  Pe- 
rugia, la  quale  consacra  2iOO  fiorini  d'oro  alle  feste  ufficiali,  non  ostante  l'impoverito 
tesoro.  Ritornano  i  Raspanti.  Pandolfo  Baglioni  insorge.  Ma  i  popolani  vincono  ed 
esiliano  i  nobili.  Biordo  Michelotti  entra  in  Perugia.  Si  fa  guerra  a  Bonifacio  IX  e  si 
conchiude  la  pace  nel  139G.  —  Vedasi  la  Storia  di  Petnigia  per  L.  Bon.vzzi,  voi.  I, 
pag.  513  e  segg. 

(1)  Rub.  291. 

(2)  Rub.  .292.  —  Lo  stipendio  de'  priori  venne  mutato  parecchie  volte.  Da  prin- 
cipio fu  di  dieci  soldi  al  giorno,  oltre  il  vitto  :  poi  di  un  fiorino  al  giorno.  Vedasi  il 
capitolo  precedente.  —  Alla  rubrica  299  é  scritto  ancora:  Item  dent  et  solvant  et  dare 
et  solvere  teneantur  et  debeant  ser  Antonio  alleutij  de  piro  et  ser  Christoforo  vagnutij 
de  gualdo  deputatis  ad  servitium  dominorum  priorura  (come  notari)  prò  eorum  et  fa- 
mulorum  salario  mense  quolibet  quantitatem  contenta  in  eorum  conducta  et  famu- 

lorum  seu  reflrma  tam  facta  quam  facienda Et  similiter  solvere  debeant  usque  in 

dictara  summam  cuilibet  alteri  officiali  post  depositum  ofiicium  seu  refirmam  dictorum. 

(3)  Rub.  293. 
(•4)  Rub.  29J. 


440  V.     ALFIERI 

cialiiim  et  famulorum   salario  prò  tempore   semestrali   florenos   mille 

quadringentos  de  auro ciim  debita  tameu  solutione  gabelle  (1). 

7 dent  et  soliiant  et  dare  et  solvere  teueantur  et  debeaut  can- 
cellarlo communis  Perusie  prò  eius  salario  prò  auuo  quolibet  florenos 

ducentos  viginti  octo  sine  solutione  gabelle (2). 

8 deut  et  solvant  et  dare  et  solvere  teueantur  et  debeant  abre- 

viatori  reformationum  communis  Perusie  prò  eius  salario  anno  quo- 
libet florenos  ceutum  septuaginta  de  auro   sine   aliqua   solutione  vel 

reteutione  gabelle (3). 

9 dare  et  solvere  teueantur  et  debeant  capitaneo  custodie  pa- 
lati,]' domiuorum  priorum  prò  tempore  semestrali  florenos  CCCL  de 
auro  cum  debita  solutione  gabelle (4). 

10 dent  et  solvant  electionarijs  videlicet  domini  potestatis  do- 
mini capitanei  populi  et  majoris  sindici  ad  mandatum  faciendum 
prò  dominos  priores  artium  diete  civitatis  prò  triginta  diebus  sala- 
rium  consuetum  :  videlicet  in  totum  Inter  electionarios  notarium  et 
sindicum  florenos  centura  viginti  de  auro  prò  quolibet  officio  electio- 
nariorum  potestatis  et  capitanei  cum  debita  solutione  glabelle  (5). 

11 dent  et  solvant  electiouario   notarlo  et  siudico  ad  eligeudum 

capitaneum  custodie  palatij  dominorum  priorum  prò  XV  diebus  In- 
ter omnes  XXXVII  florenos  cum  dimidio  de  auro  cum  debita  solu- 
tione gabelle  (6). 

12 dént  et  solvant  et  dare  et  solvere  teueantur  cuilibet  consultori 

forensi  eligendo  ad  consuleudum  sindicatoribus  potestatis  vel  capi- 
tanei maioris  sindici usque  in  quantitatem   quadraginta  floreno- 

rum  prò  quolibet  cum  debita  reteutione  gabelle (7). 


(1)  Rub.  295.  —  Nel  Vi]2,  il  capitano  del  popolo  aveva  di  stipendio,  per  tutto  il 
semestre,  800  fiorini  d'oro.  Cosi  scrisse  il  ■SIariotti  (op.  cit.,  tom.  I,  parte  II,  pag.  344). 
Ma  il  Pelijxi  (op.  cit.,  parte  I,  pagg.  385,  386)  disse  che,  nel  1311,  dal  primo  magistrato 
di  detto  anno  fu  accresciuta  la  paga  del  capitano  lino  a  1800  fiorini  d'oro  il  semestre.  — 
Nel  1388,  fu  stabilito  da  un  general  consiglio  che  al  potestà  e  al  capitano  del  popolo 
fossero  dati,  per  l'avvenire  ed  in  perpetuo,  1700  lìorini  per  semestre  e  50  corbe  di  spelta 
per  ciascuno.  Nel  1397,  fu  stabilito  che  il  capitano  del  popolo,  che  per  qualche  anno 
non  vi  era  stato,  avesse  per  sua  provisione  1300  fiorini  d'oro  per  semestre  e  il  potestà 
1.500  (Peli.ini,  parte  II,  pag.  86). 

(2)  Rub.  296. 

(3)  Rub.  297. 

(4)  Rub.  298. 

(5)  Rub.  300. 

(6)  Rub.  301. 
(7;  Rub.  302. 


L' AM.MIN'ISTKAZIOXK    IX'ONOMICA,    ECC.  441 

13 dcnit  et  solvaut  uni  consultori  civi  (iiiciii  coiisciNatores  eleg'o- 

riut  prò  suo  salario  prò  tempore  semestri in  totum  tlorciios  (|uiii- 

(|ue  de  auro  siue  alio  precepto  vel  mandato  (1). 

14 dicti  conservatores  possint  prò  se  ipsis  et  eoruni    salario    ro- 

tiuere  de  quacuinque  pecunia  dicti  coiniiiunis  prò  tempore  semestrali 

libere  licite  et  impune  tioreuos  XV  de  auro  prò  (luolibct   eorum 

Item  dent  et  solvaut  et  dare  et  solvere  teueautur  ed  deljeant  si  ne 
precepto  vel  mandato  duobus  notarijs  eorum  camere  prò  eorum  et 
cuiusque  eorum  salario  prò  tempore  semestrali  tloreiios  XX  de  auro.... 
duobus  fancellis  dumtaxat  super  introitibus  et  exitibus  ])er  ipsos  eli- 
gendis  prò  tempore  semestrali  usque  in  (juantitatem  XL  fiorenos  de 
auro uni  nuncio  p(!r  ipsos  conservatores  elicendo  prò  suo  sa- 
lario  uiiiun  tiorenum  prò  (luolibet  mense uni  vel  duobus    maru- 

finis  (2) elig'endis  prout  ipsis  conservatoribns   oportunum   vide- 

bitur  usque  in  quantitatem  trium  liorenorum  prò  quolibet  eorum  et 
mense  quolibet  (3). 

1» dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teueantur   et  debeant  sine 

alio  precepto  vel  mandato notarijs  diete  camere  super  reg'istris 

deputatis  et  imposterum  deputandis  prò  eorum    salario   ad   rationem 

XL  florenorum  de  auro  prò  quolibet  anno sine  ali(iua  retcntione 

gabelle  (4). 

16 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneantur  et  debeant  offi- 
ciali super  bollectino  sine  alio  precepto  vel  mandato  prò  se  et  alijs 
suis  officialibus  ad  rationem  octo  florenorum  de  auro  prò  quolibet 
mense  inter  omues (5). 

17 dent  et  solvant  et  dare  teneantur  et  debeant  fratribus  sancti 

Dominici  anno  quolibet  in  festo  corporis  Christi  siue  alio  precepto 
vel  mandato  libras  L  denariorum  prò  elimosina  facienda  dictis  fra- 
tribus (6). 

18 dent  et  solvant  et  dare  et  solvere  teneantur  et  debeant  offi- 
ciali et  notarlo  revisionis  monstrarum  cassarorum  et  fortilitiorum 
coramuuis  perusie  prò  eorum  salario  prò  quolibet  die   quo   equitave- 


(1)  Rub.  303. 

(2)  Marrufflni  o  ministri  di  arte  di  lana  e  di  seta. 

(3)  Rub.  304. 
(i)  Rub.  305. 

(5)  Rub.  306. 

(6)  Rub.  307.  —  Si  ila  (jui  un  esempio  di  irregolare  assegnamento  delle  spese, 
poiché  le  erogazioni  relative  alla  beneficenza  e  al  culto  spettavano  per  l'ordinario  ai 
massari. 

29 


442  V.    ALFIERI 

riut  prò  eorum  officio  exerceudo  XXX  solidos  denarionim  prò  quo- 
libet  equo  videlicet  officiali  prò  duos  equis  et  notarlo  prò  uuo 
equo (1). 

19 dent  et  solvaut  et  dare  et  solvere  teueantur  et  debeant 

pulsatori   quitarre  iu   refectorio   dominorum  priorum   prò   anno  quo- 

libet  XII  fioreuos  de  auro item  in  festo  sancti  Constantij  prò  una 

veste decem  florenos  de  auro (2). 

20 possiut  et  eis  liceat  prò  opportunitatibus  dicti  communis  con- 
ducere ad  stipeudiurn  seu  salarium  dicti  communis  usque  in  quatuor 
cabalarios  et  usque  in  quinque  cursores  cives  districtuales  seu  fo- 
renses:  Et  ipsis  caballarijs  de  quacumque  pecunia  dicti  communis  sine 
alio  precepto  vel  mandato  dare  et  solvere  prò  quolibet  et  quolibet 
mense  usque  in  Villi  florenos.  Et  cursoribus  prò  quolibet  eorum 
et  quolibet  mense  usque  in  quinque  florenos (3). 

21 possint  et  eis   liceat    deputai-e  et   eligere  super   moustris    fa- 

ciendis  et  de  g'entibus  armig'eris  unum  civem  in  officium  ire  deben- 
tem  cum  officialibus  publicaudis  ad  revidendum  monstras  gentium 
armig-erarum....  et  tali  officiali  solvere  prò  suo  et  equi  salario  prò  die 
quolibet  ad  rationem  XXX  solidorum  prò  quolibet  die (4). 

22 possiut  teneautur  et  debeant  sine  alio  precepto   vel  mandato 

dare  et  solvere  officialibus  super  monstris  gentium  armigerarum  ca- 
stellauorum    potestatum    et   aliorum    quorumlibet   officialium    foren- 

siura quartam  partem  omnium  et  siugvilarum  punctaturarum  sci- 

licet  quantitatum  que  remanserint  propterea  in  communi  seu  in  com- 
raune  venerint  quoquo  modo (5). 

23 dent  et  solvaut  et  dare  et  solvere  teneautur   et    debeant  cu- 

stodibus  portarum  civitatis  burgorum  et  suburgorum  perusie  prò  eo- 
rum et  cuiusque  eorum  salario  prò  mense  quolibet  sine  alio  precepto 
vel  mandato florenum  unum  de  auro  et  solidos  XL (6). 

24 possint  teneautur  et  debeant  ad  maudatum  et    provisioue  fa- 

ciendam  prò  domiuos  priores  et  camerarios  artium  civitatis  perusie 
de  tempore  in  tempus,  prout  uecessitas  postulabit  dare  solvere  vel 
numerare  officialibus  abundantie  dicti  communis  prò  grano   emendo 


(1)  Rub.  308. 

(2)  Rub.  309. 

(3)  Rub.  310. 

(4)  Rub.  311. 

(5)  Rub.  312. 

(6)  Rub.  313. 


l' AMMINISTKAZIONE   ECONOMICA,    ECC.  41:5 

aiit  emi  faeiemlo  ile  (|uaeuiiitiuc  pecunia  (lieti  eoniiimiiis  i|ue  porvc- 
nit  seu  perveuiet  ad  eornm  iiianns  occasione  eonim  oflici.j (1). 

25 possint  teneantur  et  debeant  de  (|iiacuin(|U(r  jH-cuiiia sol- 
vere et  uiunerare  emptoribus  campionis  carniiiin  dicti  coiiiiimiiis  onnii 
vice  qua  dietimi  campione  venderctiir  et  prò  ipso  faciendo  et  con- 
servando de  tempore  in  tempns  secundiim  deliberationeni  laciendam 
per  dominos  priores  et  camerarios  ([Ui  prò  tempore  luerint  uscpu!  in 
summam  duorum  milium  Horenoruni [2). 

26 dent  et  solvant  et  dare   et   solvere   teneautur    et    del>eaut  de 

<iuacuinque  pecunia ad   declarationem   et   maudatuin   diuntaxat 

domiuoriuii  priorum  et  camerarioruin per  aconcimine,    lortitìca- 

tioue  et  perfectioue  castrorum  clusij  Perusie (3). 

27 Statiiimiis  qiiod  prò   perfectioue   castri    spedalicclii    comitatns 

Perusie  per  offlciales  deputati  seu  depiitaudi  imposteruin  super  cou- 
structioue  dicti  castri  spedalicchi  habeant  et  habere  debeant  de  mense 
in  iiieusem  usqiie  ad  consumationem  et  pcrfectionem  integram  dicti 
castri  Horenos  C  de  auro  sine  solutioue  gabelle (4). 

28 dent  et  solvant  seu  ad  introitum   et  exitum   inittant  florenos 

C  C  C  de  auro  solvendos  super  et  de  introiti!  gabelle  pedagij  et  ga- 
belle grosse  de  pede  platee  vel  de  alijs  iutroitibus  si  eis  non  sit  sa- 
tist'actum siudico  capitiili  et  ordiuis  cartusiensis  vel  eiiis  procu- 
ratori occasione  restitutionis  domorum  olim  comitis  nolani (5). 

29 possiut  expendere    sine    alio    mandato    ex  precijs  qiie  ex  ca- 

meris  coptuinatis  seu  coptumandis  per  conservatores  pervenire  debent 
ad  eorum  caineram  per  aconcimine  hostioruin  tectorum  et  feuestra- 
riini  vel  alicuius  earum  omnem  quantitatem  (juam  viderint  necessario 
expendendam (6). 

30 possint  teneantur  et  debeant  absqiie  aliquo  alio   precepto  vel 

mandato  omnia  et   siugula    provisa    declarata exequi    observare 

adimplere  et  fieri  lacere prò  reparatione  porte   voltularum  civi- 

tatis  Perusie  et  bolagarij  (7)  et    muri    superioris.    —    Pro    palatio  de 


(1)  Rub.  31  i.  —  Anche  qui  sono  considerati  i  passaggi   di   denaro  da  camera  a 
camera,  come  nella  rubrica  469,  già  ricordata. 

(2)  Rub.  315. 

(3)  Rub.  318.  —  Trattasi  di  spese  ti-ansitorie,  come  alla  rubrica  seguente. 

(4)  Rub.  319. 

(5)  Rub.  32). 

(6)  Rub.  324.  —  K  anche  spesa  della  camera  dei  massari.  Vedasi  la  rubrica  457, 
già  notata. 

(7)  Anche  oggidì  v'  è  una  via  di  Perugia  detta  del  Hulagaio  e  un  fossone  a  nord 
della  città,  al  quale  si  dà  lo  slesso  nome. 


444:  V.    ALFIERI 

capite  platee  et  cameris  et  platea  palennim  et  lignorum  facienda  et 
satisfactioue  precij  prò  casalenis  venclitis  per  commime.  —  Pro  re- 
paratioue  calzi  saucti  Herciilaui  (1).  —  Pro  statutis  copiandis  et  libris 

faciendis  et  reg'istris (2). 

31 possiut  i^ro  carta  libris,  vernice,  actrameuto,  et  cera  qiiorao- 

dolibet  opportuuis  iu  eorum  camera  de  quacumqiie   pecunia ex- 

peudere  prò  quolibet  tempore  semestrali  iisque  in  quantitatem  XXX 
floreuornm  de  auro  si  ne  alio  precepto  vel  mandato  (3). 

Introito  della  camera  delV  abbondanza. 

1.  Posta  castilionis  clusini, 

2.  Posta  pozzoli, 

3.  Posta  sive  commuuantia  Zippe  valiani  et  colcelli, 

4.  Posta  sancti  Fatiicchij, 

5.  Posta  Abbatie, 

6.  Posta  pannicaiole, 

7.  Posta  capauuarum, 

8.  Posta  petrig'uaui, 

9.  Posta  case  maioris, 

10.  Posta  paterni, 

11.  Posta  portus  Filippi, 

12.  Posta  laviaui, 

13.  Posta  vaiani, 

14.  Posta  cautag-aline  (4), 

15.  Communautia   bonorum   omnium    rebellium   communis   Perusie   pre- 
sentium  et  futiirorum  (5). 


(1)  Muraglie  a  scarpa  della  chiesa  di  S.  Ercolano. 

(2)  Rub.  321.  —  In  questa  rubrica,  che  risguarda  deliberazioni  del  1389,  sono  in- 
dicate ancora  diverse  spese  particolari  «  Pro  satisfactioue  Marcho  boncagni  de  ottin- 

gentis  quinquaginta  florenos Ceccholino  de  Tuderto  de  mutuo  ducentorum  flo- 

renorura Ebrèis  de  mutuo   ducentorum   florenorum domino   Petro   vencioli 

vel  alteri  prò  eo  mutuanti  si  miituaverit  de  quingentis  florenos.  —  Pro  quantitate 
mutuanda  secundum  formam  contractus  celebrati  inter  commune  Perusie  et  em- 
ptores  campionis  carnium  de  mille  quingentis  florenos.  —  Pro  solutione  facienda 
super  censum  et  alijs  debitis  romane  ecclesie  Gentili  de  Assisio  de  centum  florenos 
in  anno.  —  Pro  subventione   facienda   Petro  de  sancto   Severino  prò  uno  anno  de 

quindecim  florenos Pro  satisfactioue  facienda  Baldino  ceccholi  de  tribus  milibus 

ducenti  quadraginta  fìorenos ». 

(3)  Rub.  323. 

(4)  Son  tutte  rendite  di  terreni  del  Chiugi. 

(ó)  Item  omnes  alle  poste  seu  communantie  solite  vendi  seu  concedi  per  came- 
ram  abundantie  vel  campionis  grani  non  preiudicando  iuribus  aliquorum  tenentiuni 
vel  possidentium  aliquam  ex  dictis  postis.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  inib.  475. 


l/  A.M.MINIS  rUAZlONE   ECONO.MICA,    ECC.  -ikó 

Esito  della  camera  dell' abbondanza. 

1 quoti  officialcs  abiiudantie  possine  vt  eis  liccat  liljcrc  licite  et 

iinpiaue  expeudere  de  quacuinciue  pecunia  dicti  cominunis  (lUe  c|Uo- 
modolibet  perveait  seu  perveuiet  ad  eorum  maiuis  jìro  emptioue 
grani  biadi  et  aliorum  quoruncumque  victiiaiiiim  pio  a])undantia  eon- 
servanda  iu  civitate  et  coniitatu  perusie  et  etiam  prò  vectuiis  pcda- 
g'ijs  et  gabellis  opportuuis  prò  reducendo  seu  reduci  faciendi  ad  ci- 
vitatem  perusie  g-rauuni  seu  bladum  quomodolibet  et  oume  geuus 
vectualiain  enipta  omnem  quantitatem  Horeuoium  seu  pecunie  quo- 
modolibet opportunam  siue  aliquo  alio  precepto  vel  mandato  (1). 

2 possiut  et  eis  liceat  libere  licite  et  impune  prò  exercitio  eo- 
rum ofticij  de  quacumque  pecunia  commuuis  perusie  emere  seu  emi 
lacere  unum  vel  duos  equos  vel  ronzeuos  prout  putaverunt  opportu- 
uum  quos  ecjuos  seu  ronzenos  unum  vel  duos  possint  retinere  con- 
tinue seu  temporaliter  sicut  putaverunt  opus  esse  et  prò  quolibet 
mense  prò  victu  cuiuslibet  equi  seu  rouzeni  d'ordeo  et  spelta  com- 
muuis perusie  dare  et  expeudere  usque  in  medium  corbcm  ordei  et 
medium  corbem  spelte  et  ferratura  stramine  et  alijs  opportuuis  de 
pecunia  dicti  communis  expeudere  usque  in  uuum  florenuiii  de  auro 
prò   quolibet  eorum  et  mense  quolibet [2). 

3 possint  et  debeaut  de  g-rano  dicti   commuuis   dare  et   mcnsu- 

rari  tacere  cuilibet  officio  prioratus  artium  civitatis  perusie  ad  reciui- 
sitionem  et  beueplacitum  dominorum  priorum  artium  civitatis  pre- 
dicte  qui  prò  tempore  existeutium  prò  bimestrali  usque  iu  «(uautita- 
tem  viginti  corbium  grani  boni  et  puri  inclusive  ad  rationem  et  prò 
precio  trium  fioreuoriim  de  auro  prò  quolibet  corbe  dando  et  in(!u- 
surari  facieudo  dictam  quautitatem  grani  prò  dicto  precio  siue  ali(|U0 
alio  precepto  vel  mandato (3). 

4 possiut  teueantur  et  debeant  siue  alio  precepto  vel   mandato 

solum  visa  electioue  domiuorum  potestatis  capitanei  populi  maioris 
siudici  et  iudicis  iusticie  civitatis  Perusie  vel  alicuius  eorum  de  grano 
dicti  communis  dari  et  mensurari  tacere  cuilibet  ipsorum  qui  prò 
tempore  fuerit  petenti  ad  eorum  et  cuiuslibet  eorum  beueplacitum 
prò  tempore  semestrali  inclusive  usque  in  quautitatem  quadragiuta 
corbium  grani  boni  et  puri  ad  ratiouem  et  prò  precio  trium  Moreno- 


(1)  Rub.  528. 

(2)  Rub    529. 

(3)  Rub.  530. 


44')  V.    ALFIERI 

rum  de  auro  prò  (]Uolibet  corbe  uou  obstaute  quod  g-rauum  prò  tem- 
pore plus  valeat (1). 

5 possint  teueantur  et  debeant  si  ne  alio  precepto   vel   mandato 

de  spelta  commuuis  perusie  dare  et  mensurari  facere  prò  tempore 
semestrali  siue  alio  precepto  vel  mercede  sed  g-ratis  cuilibet  potestati 
capitaiieo  populi  et  malori  siudico  qui  prò  tempore  fueriut  solum 
visa  eorum  electioue  (|uadrag'iuta  corbes  splelte (2). 

•! dent  et  mensurari  faciant   sine  ali([UO  precio  ex   dono  amore 

dei  monasterio  capitulo  et  conventui  monialium  sancte  Marie  Magda- 
lene  de  porta  santi  petri  anno  quolibet  decem  corbes  g-rani  videlicet 
<iuinque  corbes  g-rani  in  testo  nativitatis  domini  nostri  JesuChristi: 
Et  quinque  corbes  g-rani  in  festo  pascatis  resurrectionis (3). 

7 sine  alio  precepto  vel  mandato  teneautur  et  debeant  de  grano 

dicti  commuuis  bono  et  puro  dare  et  mensurare  et  mensurari  facere 
cancellarlo  commuuis  perusie  ad  eius  petitionem  anno  quolibet  sex 
corbes  g-rani  :  Et  similiter  abbreviatori  reformationum  dicti  commu- 
uis sex  corbes  g-rani  ad  eius  petitionem  prò  precio  iufrascripto  vide- 
licet quod  inquautum  corbes  g-rani  sit  valoris  duorum  fiorenorum 
inclusive  vel  abinde  supra  vel  sic  comiter  vendatur  in  platea  civi- 
tatis  perusie  vel  per  ipsos  officiales  de  g-rano  commuuis  quod  solvant 
et  solvere  debeant  dimidiam  valoris  et  precij  dicti  g-rani  prout  ca- 
piet  et  summabit  in  quocumque  valore  fuerit  a  duobus  iiorenis  su- 
pra. Si  verbo  fuerit  valoris  a  duobus  florenis  infra  quod  solvere  de- 
bet  ad  rationem  XXXX  solidorum  prò  quolibet  emina  g-rani (4). 

8 dent  et  mensurari  faciant  sine  aliquo  jjrecio  ex   dono   amore 

dei  capitulo  et  conventui  fratrum  s.  Marie  servorum  prò  capella 
s.  Honofrij  sita  in  domibus  carcerum  oftìcianda  sex  corbes  g-rani  anno 
quolibet (5). 

9 possint  teueantur  et  debeant  de   grano,   farina,  pane,    ordeo, 

spelta,  vino,  acceto,  carnibus,  et  alijs  quibuscumque  victualibus  et 
in  quacumque  quantitate  mittere  et  mitti  facere  in  campum  seu  exer- 
citum  dicti  commuuis  seu  ad  eiusdem  g-entes  ubicumque  fuerint  :  Et 
etiam  ad  quecumque  et  quacumque  castra,  loca,  fortilitia,  civitates 
seu  terras  in  ea  sumraa  et  eo  modo  et  forma  prout  et  sicut  fuerit 
quomodolibet  provisum  seu  declaratum (6). 


(1)  Rub.  531. 
(■2)  Rub.  532. 
f3)  Rub.  534. 

(4)  Rub.  535. 

(5)  Rub.  536. 
(C)  Rub.  537. 


1/ AM.MIN'ISTRAZIONK   ECONOMICA,    ECC.  447 

10.  Cuin  sepe  coutiug'at  ad  civitatein  i)eriisie  venire  revercndissimos 
doininos  Cardinales  et  alios  prelatos  nec  non  ilhistres  doiniuos  et 
alios  speetabiles  viros  quibus  prò  honore  et  inagniHceutia  coininunis 

perusie  decens  esse  dig-uoscitur  larg-itiones  et  enxenia  tacere  

diixiiims  statuendxiin  quod   officiales    abiindantie    ijossint    te- 

neantur  et  debeant  dare  et  meusurare  et  ineusurari  lacere  de  ordeo 
et  spelta  dicti  communis  vel  altero  eorum  occasioue  predicta  illis  per- 

sonis  et   iu   Illa  qiiantitate  et  siunnia  prout  et  sicut   per   

doininos  priores  et  camerarios  fuerit  quoniodolibet  provisuui  seu  de- 
claratum  (lì. 

11 possiut  teneantur  et  debeant  solum  visa  electionc  lactam  vel 

t'acienda  per  doniinos  priores  et  officiales  super  fonte  platee  de  anno 
in  annuin  dare  et  ineusurari  tacere    de    grano    dicti    communis    tres 

corbes  g-rani  custodi  lontis  platee  prò  eius  annuo  salario  retenta 

tameu  gabella  ad  rationem  XII  deuariorum  prò  qualibct  libra  exti- 
matiouis  dicti  grani  (2). 

12 possint  et  eis  liceat  de   quacumque   pecunia    dicti   communis 

que  perveuit  seu  perveniet  ad  eorum  manus  prò  g-abella  macinatus 
ex  g-rano  seu  biado  dicti  communis  solvere  et  expendere  oranem 
quautitatem  tiorenorum  seu  pecunie  quomodolibet  opportuuam  prout 
capiet  et  summabit  secundum  ordinamenta  diete  gabelle  inaciuatus 
siue  aliquo  alio  precepto  vel  mandato,  salvo  quod  dieta  quautitas 
non  possit  nec  debeat  quoquo  modo  execedere  prò  corbe  grani  sum- 
mam  XX  solidoruin  deuariorum  etiam  si  g-abella  macinatus  augu- 
meutaretur  vel  aliqua  pars  quomodolibet  super  adderetur:  ita  quod 
omni  tempore  et  in  quacumque  forma  gabella  exigatur  seu  vendatur 
solummodo  gabella  macinatus  prò  grano  dicti  commuuis  solvi  debeat 
ad  rationem  XX  solidorum  denarioram  prò  corbe  et  non  ultra (3) 

lo possint  teneantur  et  debeant   de   pecunia   exigenda   a   comi- 

tatensibus  perusini  vel  de  alia  quacumque  pecunia sine 

alio  precepto  vel  mandato  cuilibet  emptori  postarum  clusij  dare  et 
solvere  prò  vectura  XXX  solidos  denariorura  prò  quolibet  corbe  grani 
delati  perusie  et  dictis  ofticialibus  seu  fancelli  prò  dicto  communi 
recipientibus  inensurati  et  quod  duos  corbes  ordei  computari  debeant 
prò  uno  corbe  grani  (4). 


(1)  Rub.  53S. 

(2)  Rub.  539. 

(3)  Rub.  540. 

(4)  Rub.  541.  —  Sembra  che  l'orzo  avesse  un  valore  presso  a  poco  uguale  alia 
metà  di  quello  del  grano. 


448  V.    ALFIERI 

14 possiut  et  eis  liceat  siue  alio  precepto  vel  mandato   de   qua- 

cumque  pecunia  dicti  communis  que  pervenit  seu  perveniet  ad 
eoiirm  maniis  expeudere  et  solvere  prò  libris,  carta,  cera,  vernice,  et 
atramento  opportunis  durante  tempore  cuiuslibct  annalis  officij  et  ad 
ipsam  rationem  si  plus  tale  duraret  officium  prò  rata  anno  quolibet 
usque  in  quantitatem  quadraginta  florenorum  de  auro  (1). 

15 possiut  libere  licite  et  impune  sine  alio  precepto  vel  mandato 

de  quacumque  pecunia  dicti  communis  prò  eorum  et  cuiusque  eo- 
rum  salario  retinere  et  ipsis  solvere  florenos  usque  in  XXV  de  auro 
prò  quolibet  anno  et  quolibet  eorum  sine  aliqua  solutione  gabelle.  — 
Item  possint  et  debeant  solvere  duobus  uotarijs  ipsorum  et  prò  quo- 
libet anno  ad  rationem  trium  florenorum  in  mense.  Et  si  plus  du- 
raret officium  ad  rationem  uuius  floreni  cum  dimidio  de  auro  prò 
quolibet  mense  et  utroque  ipsorum  sine  aliqua  solutione  vel  reten- 
tione  g-abelle  quantitatem  opportunam.  —  Item  duobus  faucellis  prò 
anno  quolibet  possint  dare  et  solvere  siue  aliqua  solutione  vel  reten- 
tione  gabelle  florenos  usque  in  XXIIII  de  auro   prò   utroque   eorum 

mensuratoribus  usque  in  numerum  trium   prò   anno   quolibet 

prò  salario  cuiuscumque  ipsorum  annuo  siue  solutione  gabelle  sala- 
rium  deliberandum  per  officiales  abundantie.  Item  quod  dieta  salaria 
possint  augmentari  prout  dominis  prioribus  et  camerarijs  placuerit 
conditione  labore  et  qualitate  temporis  consideratis  (2). 

Le  spese,  adunque,  distinguevansi  in  tre  grandi  categorie. 
Alla  camera  dei  massari  erano  accollate  le  spese  per  la  benefi- 
cenza e  il  culto,  per  le  feste,  le  onoranze  e  i  ricevimenti,  per  la 
conservazione  di  masserizie,  cisterne,  fontane,  acquedotti  e  piazze, 
per  i  salari  ai  sindacatori,  agli  officiali  del  campione  delle  carni,, 
agli  officiali  dell'armario,  ai  ragionieri  del  maggior  sindaco,  ai 
castellani,  ai  carcerieri,  ai  carnefici,  agli  spazzini,  ai  tubatori,  ai 
serventi  dei  priori,  ecc.  Alla  camera  dei  conservatori  delle  monete 
erano  accollate  le  spese  per  il  soldo  delle  milizie,  per  le  opere  di 
fortificazione,  per  gli  stipendi  dovuti  ai  priori,  al  potestà,  al  capi- 
tano  del   popolo,  al  maggior  sindaco,  al  cancelliere,    agli    abbre- 


(1)  Rub.  543. 

(2)  Rub.  Mi.  —  In  certe  occasioni,  sopratutto  in  tempo  di  guerra,  poteva  il  mi- 
nisterio  deg-li  ofliciali  dell'abbondanza  diventare  gravoso  ;  di  qui  la  ragione  della  fa- 
coltà lasciata  al  consiglio  dei  priori  e  dei  camerari  di  aumentare  1  salari. 


l' AMMlNl.STllAZIONE   ECON(J.MlCA,    ECC.  1  !'.• 

viatori  delle  riformazioni,  al  capilano  tlella  ciislodia  del  palazzo 
priorale,  ai  consulenti  dei  sindacalori  e  dei  conservatori,  agli  offi- 
ciali sulle  rassegne  militari,  ai  custodi  delle  porte,  ecc.  Alla  ca- 
mera dell'abbondanza  erano  accollale  le  spese  per  acquisto  di 
biade  (1),  per  distribuzione  di  grano  ai  jioveri  (2),  ])er  vettova- 
gliamento delle  soldate.^cho,  per  somministrazioni  di  grano  e  di 
spelta  ai  priori,  al  potestà,  al  capitano  del  [jopolo,  al  maggior 
sindaco,  al  cancelliere,  ai  custodi  delle  fonti,  ecc.  iJi  più,  gli  offi- 
ciali di  ciascuna  camera  potevano,  entro  limiti  prefissi,  acquistare 
direttamente  libri,  carta,  cera,  inchiostro,  per  le  occorrenti  scrit- 
ture, e  prelevare  «  liber,  licite  et  impune  »  dai  fondi  di  cassa,  gli 
stipendi  loro  e  quelli  dei  loro  nolari  e  computisti.  Alcuni  officiali 
deputali  a  speciali  servizi,  per  esempio,  il  cittadino  e  il  notaio,  che 
dovevano  far  mettere  le  anguille  nel  lago  Trasimeno,  erano  pa- 
gati in  ragione  delle  giornate  di  lavoro  (3)  ;  altri  officiali  incari- 
cati di  particolari  riscuoiimenti  di  denaro,  per  esempio.  Tur. ino  di 
mercanzia  e  il  notaio,  che  dovevano  curare  la  vendita  delle  cose 
dipendenti  da  rappresaglie,  avevano  diritto  a    pagarsi    in    propor- 


(1)  Net  MGS  «  il  Magistrato,  perche  si  vedeva  alterare  il  prezzo  de'  prani,  e 

«  sperarsene  mala  raccolta  per  l'anno  futuro,  per  non  mancare  della  sua  diligenza, 
«  ancorché  in  tutto  l'anno  il  prezzo  maggior  di  esso  non  ascendesse  più,  che  a'  cin- 
«  quanta  soldi  la  mina,  che  hoggi  è  prezzo  vilissimo  e  bassissimo,  ordinò  nondimeno, 
«  che  chiunque  portasse  grano  forestiero  in  Perugia  si  guadagnasse  un  carlino  per 
«  somma,  e  che  si  vendessero  delle  farine  a  minuto,  e  molti  altri  ordini  fece,  tutti  al 
<  mantenimento  dell'abbondanza  volti  :  tanto  havevano  gli  antichi  nostri  a  cuore  la 
«  povertà,  e  il  vedere  abbondante  la  città  loro.  Et  Galeotto  di  M.  Lello  de'  Baglioni, 
«  che  a  Roggiero  de'  Ranieri  successe,  fece  instanza  al  Papa,  che  di  già  s'era  veduto 
«  il  mal  ricolto  de'  grani,  e  il  gran  bisogno,  ch'era  per  haversene,  che  le  piacesse  di 
«  darne  la  tratta  dal  patrimonio,  e  dalla  Marca  per  otto  mila  somme,  e  nel  consiglio 
«  ordinario  furono  vinti  due  mila  liorini  per  comperarne  con  animo  di  prenderne  tut- 
«  tavia  col  ritratto  di  essi,  e  delle  farine,  che  di  continuo  si  vendevano  ».  (Pellini, 
op.  cit.,  parte  seconda,  libro  decimoterzo,  pag.  G97). 

i2)  Nel  1381,  i  priori  «  accioche  Iddio  gli  mantenesse  nella  loro  libertà,  e  desse 
«  loro  aiuto  contra  quelli  che  cercavano  d'occupargliela,  diedero  facultà  à  tré  Citta- 
«  dini  di  dispensare  à  poveri  della  Città  e  del  contado,  cinquanta  Corbe  di  Grano 
«  amore  Dei »  (Pellini,  op.  cit.,  parte  prima,  libro  nono,  pag.  1278). 

(3)  Ita  quod  in  totum  non  stent  ultra  XL  dies  et  habeant  et  habere  debeant  inter 
omnes  postas  et  piscatores  prò  eorum  salario  prò  quolibet  eorum  et  quolibet  die  <|no 
serviverint  ad  predicta  XL  solidos  denariorum  et  debeant  stare  et  vivere  eorum  sum- 
ptibus  et  expensis Stat.  Fcrus  ,  voi.  I,  rub.  218. 


450  V.    ALFIERI 

zione  del  montare  delle  esazioni  falle  (1).  Gli  officiali,  che  non 
avevano  cassa  propria  e  che  dovevano  spendere  per  il  comune, 
ad  esempio,  i  cuslodi  delle  masserizie,  ottenevano  dalle  camere 
iscrizioni  a  loro  credilo  (2).  1  notari  talvolta  erano  retribuiti  in 
proporzione  del  numero  delle  carte  scritte  (3). 

La  misura  delle  uscite  veniva  stabilita  in  due  modi  :  a  mon- 
tare netto  (sine  relentione  gabelle)  oppure  a  montare  lordo  (cum 
retenlione  gabelle)  (4).  La  limitazione  delle  uscite  era  fatta  più  o 
meno  strettamente,  prescrivendo  che  si  erogasse  qualunque  pro- 
vento (quamcumque  pecuniam  communis)  oppure  solamente  alcune 
determinale  rendite  (introilum  ex  gabella ). 

Le  spese  straordinarie,  non  indicate  dagli  statuti,  venivano 
deliberale  nei  consigli,  prima  di  essere  effettuate,  soprattutto  nel- 
r  adunanza  generale  (consilium  generalis  adunantie)  o  nel  parla- 
mento (consilium  maximum  et  summum  arenghe  seu  parlamenti). 
Le  spese  ordinarie  e  fìsse,  contemplale  dagli  statuti  nelF  indole  e 
nel  montare,  potevano  essere  compiute  dagli  officiali  delle  com- 
petenti camere  senza  speciale  autorizzazione  (sine  alio  precepto 
vel  mandalo).  Le  spese  ordinarie  e  variabili,  considerate  dagli 
statuti  solamente  nella  natura,  dovevano  essere  eseguile  in  se- 
guito a  ordinazione  del  consiglio  dei  priori  e  dei  camerari  (prece- 
dente tamen  deliberalionem  dominorum  priorum  et  camerariorum 


(1)  Et  (lieti  bonus  homo  et  notarius  habeant  et  liabere  debeant  prò  eorum  sala- 
rio sex  denarios  prò  qualibet  libra  (luantitatis  que  redigeretur  ex  rebus  reprehensis.... 
Stai.  Perus.,  voi.  I,  rub.  172.  —  Anche  gli  ofliciali  incaricati  di  esecuzioni  contro  i 
debitori  del  comune  o  contro  chi  frodava  la  gabella,  ottenevano  mercedi  proporzio- 
natamente alle  esazioni  fatte.  Veggansi  le  rubriche  271  e  362  del  primo  volume  degli 
statuti  e  quanto  si  dirà  ancora  nel  corso  di  questo  scritto. 

(2)  Kt  quod  dicti  massari.)  teneantur  et  debeant  et  eorum  notarij   et  fancellus 

dictam  quantitatem  ad  petitionem  dictorum  officialium  ed  eourum  introitus  et 

cxitus  poni  lacere  et  registrari Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  423. 

(3)  Veggasi,  a  cagion  d'esempio,  la  rubrica  97;  già  citata  nel  primo  capitolo. 

(4)  Nei  pagamenti,  gli  ofliciali  delle  camere  ritenevano  ordinariamente,  a  titolo 
di  gabella,  due  soldi  per  ogni  lira:  «  Ad  hoc  ut  commune  perusie  circa  eius  introi- 
tum  malora  suscipiat  augumenta:  Statuimus  quod  decetero  nulla  solutio  alicuius 
quantitatis  tlorenorum  seu  pecunie  fieri  possit  vel  debeat  per  conservatores  monete 
seu  fancellum  vel  aliquem  eorum  modo  aliquo  seu  forma  vel  per  aliam  personam  prò 
eis  alieni  persone  corpori  collegio  seu  universitati  quomodocumque  aut  <iualitercum- 
que  sine  solutione  vel  retentione  gabelle  ad  rationem  II  solidorura  denariorum  prò 
qualibet  libra  (juantitatis  (jue  solveretur  ».  —  Stat.  Perus.,  voi  I,  rub.  280.  Veggasi 
anche  la  rubrica  373  relativa  ai  pagamenti  dei  massari. 


L' A.M.MlMSTI{AZI()Nfc:    ECONOMICA,    ECC.  451 

arliuin  —  ad  mandaluiii  seu  declaraliono  (loiiiinoiuin  pi'ioriiin  et 
cainerarioruin  arliuin)  (1).  Per  vcrilà,  reffelluazione  della  ripesa 
non  avveniva  sempre  secondo  !e  regole;  e  talvolta  l'acconsenli- 
niento  per  le  spese  straordinarie  era  dato  dai  priori,  senza  il  volo 
dei  consigli,  ai  quali  rimaneva  sollanlo  il  dirilto  eli  giudicare  e 
sanzionare  l'operalo  (2). 

La  frequenza  e  la  ineguale  ripartizione  della  collella  (collecla 
vel  multa),  imposizione  straordinaria,  che,  nei  primi  tempi,  era 
l'unico  mozzo  di  sopperire,  risanguando  l'erario,  ai  bisogni  del 
comune,  fu  cagione  di  tristissimi  umori.  Nel  1215,  volendo  com- 
porre le  discordie  Ira  popolani  e  nobili,  pajia  Innocenzo  III  de- 
stinò, come  suo  messo  ai  perugini,  Stefano  cai'dinale  dei  SS.  dodici 
Apostoli  e  camerlengo  di  Santa  Chiesa.  E  i  patii  che  si  ferma- 
rono furono  questi  :  che  le  rendile  dei  comuni  soggetti  si  doves- 
sero dare  in  appallo  (ad  cottimum)  a  coloro  che  più  denaro  offe- 
rissero (qui  plus  voluerint  dare);  che  non  si  potessero  imporre 
gravezze  in  città  e  nel  contado  se  non  quando  la  rendila  ordina- 
ria mancasse  in  tutto  o  non  fosse  bastevole  a  soddisfare  al  papa 
o  altrimenti  all'imperatore,  al  popolo  di  Roma  e  ai  bisogni  della 
guerra  generale,  che  il  comune  movesse;  che  la  ripartizione  della 
collella  si  facesse  non    per   libra,  ossia    per   possidenza,   ma   per 


(1)  non  possint  nec  debeant  quoquo  modo  iure  causa  sea  forma  directe  vel 

indirecte  per  se  vel  alium  (luomodocumque  aut  qualitercumque  ultra  exitus  contentos 

in  presenti  volumine  statutorum  aliquod  pagamentum  seu  solutionem  aliquam 

lacere  vel  aliquid  aliud  dare  de  bonis  aut  pecunia  seu  rebus  communis  perusie  (jue 

•luomodocumque  aut  qualitercumque  pervenerint  ad  eorum  manus Salvo  quod 

precedente  tamen  deliberatione  consili.j  dominorum  priorum  artium  civitatis  perusie 
«[ui  prò  tempore  fuerint  et  camerariorum  :  et  obtento  partito  ad  minus  per  novem 
jn-iores  et  triginta  quinque  camerarios  ad  biissolam  et  fabas  dicti  consilij  super  uno 

quoque  casu,  possint  et  eis  liceat espandere  orar  em  quantitatem   tlorenorum  seu 

pecunie  Stat.  Perus ,  voi  I,  rub.  326,  471,  549. 

(2)  Il  Pellini  lasciò  scritto:  «  e  vi  fu  (nel   1377)   approvato  e  vinto,  ch'al- 

«  cuni  doni,  ch'erano  stati  fatti  da'  Priori  a  Giovanni  .\.guto,  e  al  Conte  Lucio,  fossero 
«  benfatti,  percioche  il  Magistrato  de'  Signori,  come  anco  per  l'adietro  era  stato 
«  quello  de'  Consoli  dell'Arti,  non  havevano  facultà  di  fare  spesa  senza  l'Autorità  del 
«  Consiglio  fuori  che  d'una  picciola  somma  di  danari,  il  che  é  in  uso  anco  hoggi, 
«  benché  diversamente,  percioche  alle  spese  sopra  quella  ordinaria  somma,  e'  habbiam 
«  detto,  è  necessario,  che  vi  concorrano  in  luogo  del  Consiglio  li  Camerlenghi,  con 
«  una  tanta  quantità,  e  strettezza  di  voti,  che  rendono  il  pili  delle  volte  difficili  tutte 
«  le  sorti  di  spese  straordinarie,  che  si  pensano  di  fare  da  Magistrati,  ancorché  evi- 
«  dentemente  si  vedessero  utili  e  necessarie  ».  (Op.  cit.,  parte  prima,  libro  nono, 
pag.  11S7J. 


452  V.    ALFIERI 

pavroccJiia,  ossia  per  testa  e  da  due  cittadini  eletti  dai  parroc- 
chiani (I).  La  ripartizione  della  colletta  per  possidenza  spiaceva  al 
popolo  e  piaceva  ai  nobili,  i  quali  avevano  i  loro  beni  esenti  da 
gravezze,  per  diritto  feudale,  o  li  avevano  fuori  del  comune  (2). 
La  colletta  riscuotevasi  il  più  delle  volte  in  denaro,  unico  pro- 
cedimento che  fosse  privo  di  quei  soprusi  che  seco  recava  la  pra- 
tica, non  affatto  ignota  nella  stessa  Perugia,  di  togliere  come  tri- 
buti i  cereali  (3).  Invece  della  colletta  talvolta  si  imposero  pre- 
stanze ai  cittadini  e  agli  ebrei;  modo  spiccio  di  risanguare  il  pub- 
blico tesoro.  Queste  prestazioni  forzate  erano  fatte  per  libra,  e  da 
sei  soldi  salirono  anche  a  venti  ed  a  quaranta  sopra  ogni  cento 
lire  per  la  città  e  metà  pel  contado  (4).  Nel  1384,  gli  ebrei  sono 
compresi  in  una  prestanza  obbligatoria  in  occasione  di  guerra  ; 
altra  prestanza  è  imposta  agli  ebrei,  nel  1386,  per  sopperire  agli 
stipendi  delle  milizie  assoldate  ;  in  un'  imposta  generale  del  1409 
si  comprendono  gli  ebrei  per  33  fiorini  d'oro  e  30  soldi  di  denari; 
si  obbligano,  nel  1416,  gli  ebrei  e  la  loro  sinagoga  di  prestare 
cento  fiorini  d'oro  al  comune  per  i  bisogni  della  guerra;  ancora 
si  obbliga,  nel  1434,  la  sinagoga  degli  ebrei  a  prestare  al  comune 
cinquecento  fiorini  (5).  Alle  volte  si  contraevano  prestiti  di  de- 
naro, che  poi  si  estinguevano  in  una  sola  epoca,  più  o  meno  lon- 
tana, determinata  o  indeterminata,  oppure  mediante  rate  e  con 
gli  annui  proventi  di  certe  gabelle.  Così,  nel  1448,  il  comune  di 
Perugia  restituisce  il  denaro  avuto  in  prestito  dalla  università 
degli  ebrei;  e,  nel  1389,  avendo  gli  ebrei  prestati  settecento  fio- 
rini d'oro,  per  mantenere  l'abbondanza  delle  vittovaglie,  si  stabi- 
lisce di  pagare  il  debito  del  comune  mediante  le  rendite  delle  ac- 
que del  lago  (6). 


(1)  Lib.  submiss.,  lett.  A,  pag.  57.  —  L.  Bon'azzi,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  266.  —  F. 
BoNAixi,  op.  cit.,  pag.  52.  —  P.  Pellim,  op.  cit.,  parte  prima,  libro  quarto,  pag.  234. 

(2)  L.  BONAZZI,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  266. 

(3)  F.  BONAINI,  op.  cit.,  pag.  LUI. 

(4)  L.  BoNAZZi,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  412. 

(5)  A.  Fabretti,  Documenti  di  storia  perugina,  voi,  II,  pagg.  104,  106,  119,  129. 

(6)  A.  Fabretti,  op.  cit.,  voi  II,  pagg.  143,  112.  —  Xi  massari  e  ai  conservatori 
delle  monete  si  vietò  la  stipulazione  dei  prestiti  a  interesse  senza  la  previa  delibera- 
zione dei  priori  e  dei  camerari  :  «  Ut  imposterum  commune  perusle  non  ledatur  de 
facili  in  cambi.js  provisiouibus  seu  fenore  ab  acquisitiones  pecuniarum  qui  lìeri  in 
preteritura   sepe  numero  consueverunt  :  duximus   statuendum   ([uod non  possint 


l'  amministrazione  economica,  i:cc.  453 

Da  un  importanle  documenlo  del  1410,  già  publjliculo  da  un 
esimio  e  diligente  cultore  di  storia  patria,  si  possono  rilevare  le 
norme  particolari,  che  si  avevano  a  Perugia  nell' imporre  gravezze 
e  le  forme  e  i  modi  che  si  seguivano  nell'esigerle.  Nel  1410,  il 
comune  di  Perugia  ordinò  una  imposizione  per  un  anno  agli  abi- 
tanti della  città  e  del  contado,  e  la  mise  all'incanto  per  cederla 
agli  offerenti  migliori.  «  I  cittadini  a/lihro(i,  cioè  descritti  nel 
«  catasto  comunale,  pagavano  in  ragione  delle  libre  che  possede- 
«  vano,  ma  in  una  progressione  discendente,  ossia  il  rovescio 
«  dell'imposta  progressiva:  cinque  bolognini  per  25  libre,  sei  bolo- 
«  gnini  da  25  libre  a  50,  otto  da  50  a  100,  e  soldi  20  per  ogni 
«  centinaio  dalle  100  libre  in  su.  I  nullatenenti  e  le  loro  famiglie, 
«  cosi  della  città  come  del  contado,  pagavano  in  ragione  del  nu- 
«  mero  delle  bocche,  cioè  dieci  soldi  per  bocca,  e  s'intendevano 
«  dall'età  di  quattro  anni  in  su;  ma,  se  le  due  prime  bocche  della 
«  famiglia*pagavano  dieci  soldi,  per  le  altre  la  tassa  era  ridotta 
«  a  cinque  soldi.  Agli  ebrei  serbavasi  un  trattamento  speciale, 
«  più  oneroso;  s'essi  tenevano  banco  o  prestavano  danaro,  paghe- 
«  rebhero  venticinque  soldi  per  bocca,  sempre  da  quattro  anni  in 
«  su:  lutti  gli  altri  quindici  soldi  per  bocca,  ossia  tre  volte  più 
«  dei  cittadini.  La  imposta  colpiva  tutti  i  cittadini,  non  esclusi  i 
«  forestieri;  ma  le  eccezioni  erano  molte.  Andavano  esenti  i  servi 
«  e  le  serve,  i  poveri  e  gl'inabili  al  lavoro,  i  frati  o  fraticelli 
«  mendicanti,  certi  officiali  pubblici,  alcuni  ecclesiastici  e  gli  sco- 
«  lari  forastieri  »  (1).  Era  costumanza  dei  comuni  medioevali  di 
sottrarre  a  certe  gravezze  chi  poteva  recare  utile  e  lustro  alla 
città;  così,  a  Perugia,  ottennero  esenzioni  siffatte  i  creditori  del 
comune,  i  dottori  forensi  e  gli  scolari  (2). 


nec  debeant  quoquo  modo  acquirere  seu  acquiri  facere  sub  aliqua  provisione,  costo 
l'enore,  seu  cambio  aliquam    (|uantitatem   florenorum  seu  pecunie  prò  communi  Pe- 

rusie  sine  deliberatione  dominorura  priorum  et  camerariorum  artium  » Stai.  Perus., 

voi.  I,  rub.  272  e  363. 

(1)  A.  Fabretti,  op.  cit.,  voi.  II,  pagg.  69  e  70. 

(2)  «  Imposero  (nel  1381)  una  Imprestanza  a  tutti  li  forestieri  habitanti  nella  Città, 
«  e  Contado,  che  pagando  ciascuno  secondo  la  tassa  fatta  da  gli  officiali  sopra  ciò  de- 
«  putati,  s'intendessero  esser  fatti  Cittadini  della  Città,  il  che  fu  anco  conceduto  a 
«  tutti  gli  Hebrei,  che  concorsero  ad  un  pagamento  di  cinquecento  Fiorini  d'oro,  che 
«  donarono  a'  Magistrati,  purché  essi  fossero  liberati  dalle  tante  ordinarie,  e  straor- 
«  dinarie  gravezze,  che  giornalmente   pagavano,  di  che   furono  fatti  essenti  per  due 


454  V.    ALFIERI 

A  Perugia  l'esazione  delle  imposte  si  faceva  il  più  spesso 
per  appallo,  radamente  a  percezione  diretta;  e  forse  preferivasi 
il  primo  modo  per  i  dazi  e  il  secondo  per  l'estimo  (1).  Pertanto, 
il  riscontro  dell'entrata  si  restringeva  alla  vigilanza  sugli  appal- 
tatori (emplores)  per  parte  delle  camere.  Ma,  se  la  forma  dell'ap- 
palto agevolava  o,  per  meglio  dire,  semplificava  il  riscontro  finan- 
ziario, era  anche  una  confessione  permanente  dell'inefficacia  od 
almeno  della  imperfezione  di  tale  riscontro.  Le  malleverie  o  cau- 
zioni non  erano  sempre  sufficienti  né  potevano  mancare  agli 
appaltatori  i  pretesti  per  rompere  contratti  gravosi:  soltanto  i  più 
deboli  soggiacevano,  ma  da  essi  poco  o  nulla  otteneva  il  fisco. 
Fra  le  ragioni,  per  cui  simile  forma  di  esazione  era  adottala  dai 
nostri  comuni,  si  hanno  queste:  che  gli  appaltatori  potevano,  die- 
tro compenso,  anticipare  i  fondi  che  i  tributi  avrebbero  dovuto 
gettare,  e  che  il  comune  non  era  obbligato  ad  aumentare,  per  il 
servizio  dell'entrala,  il  numero  dei  suoi  agenti.  Quando  non  basta- 
vano le  imposte  sulle  proprietà  immobili  né  su  quelle  mobili  a 
far  fronte  alle  spese,  si  ricorreva  ad  imprestiti,  come  già  si  è 
visto,  e  talvolta,  per  guarentire  la  restituzione  dei  denari  presi  a 
prestito,  non  rimaneva  ai  reggitori  dei  comuni    altra   via    se   non 


«  anni,  dovendo  per  quel  tempo  concorrere  solamente  alle  spese  che  pagavano  gli  Ori- 
«  ginarij  Cittadini  della  Città  ».  (P.  Pellini,  op.  cit.,  parte  prima,  libro  nono,  pag.  1276). 
—  Nel  1304,  il  consiglio  generale  esentò  Boscolo  di  Aj-ezzo  dalle  pubbliche  prestanze, 
essendo  questi  tenuto  a  prestar  danari  agli  scolari  «  pi'o  honore  Comunis  et  studio 
conservando  in  civitate  »  (A.  Fabretti,  op.  cit.,  voi.  I,  pag.  5).  — Veggasi  anche  la  rubrica 
322  del  primo  libro  degli  statuti  perugini:  «  Coniirmatio  privilegiorum  concessorum 
scholaribus  et  inmunitas  declarata  in  solutione  pedagij  et  gabelle  tam  prò  doctori- 
bus  foren.sibus  quara  scholaribus  ». 

(1)  Venezia,  progredita  tanto  nel  riscontro  linanziario,  non  trovò,  per  l'esazione 
delle  imposte  dirette,  modo  migliore  dell'  appalto.  Del  resto,  in  parecchi  stati  a  lìnanze 
esauste,  si  vendevano  adirittura  le  tasse  esigibili  in  più  anni  ed  anche  in  perpetuo. 
Eppure  l'esperienza  di  tutti  i  tempi  mostrava  che  l'appalto  era  spesso  dannoso  ai  con- 
tribuenti ed  al  pubblico  tesoro.  Cartagine,  quando  voleva  arricchire  i  patrizi  impove- 
riti, li  mandava  ad  esigere  gravezze  nelle  città  sudditte.  Il  senato  romano,  nell'anno 
587  di  Roma,  deliberò  di  rinunciare  all'esercizio  delle  miniere  di  Macedonia,  venute 
in  potere  della  repubblica,  per  timore  che  gli  appaltatori  spoglia,ssero  i  sudditi  e  de- 
rubassero l'erario  !  Per  certo,  negli  stati  fortemente  costituiti,  non  mancarono  esempi 
di  appaltatori,  che  fecero  magri  affari  col  flsco,  ma  é  pure  sicuro  che  poco  utile  no 
toccasse  all'  erario.  (F.  Besta,  Sunti  Utografati  delle  lesioni  di  Contabilità  di  Staio). 


l' AM.MINISTUAZIOXK    i;(()Nf).MI(A,    EV'f.  455 

quella  di  porre  nelle  mani  dei  crnMlltori  i  pruvenli  [nilililici,  di  ven- 
dere cioè  le  gabelle,  invece  di  appallarle  (t). 

La  gabella  delle  some  r/rosse  e  del  pedaggio,  della  anche,  in 
qualche  cronaca  perugina,  gabella  grossa,  fu  da  prima  appaltala 
per  Ire  anni  in  tem|)n  di  pace  e  per  un  anno  in  tempo  di  guerra, 
come  risulta  da  una  cedola  del  1375);  e  |»iù  lardi  venne  ceduta 
per  annate,  sia  in  tempo  di  guerra  che  di  pace.  In  una  cedola 
del  1391,  i  dazi  sono  espressi  in  moneta  perugina,  cioè  in  lil)re, 
soldi  e  denari,  per  qualtrocenlovenlinove  specie  di  meicanzie  (2). 
E  in  tale  cedola  sono  fissale  anche  le  norme  per  la  esazione  dei 
dazi  da  appaltarsi.  Per  esempio,  i  gabellieri  erano  tenuti,  sotto 
pena  di  venticinque  lire  di  denari,  a  dare  le  polizze  per  l'entrala 
e  per  l'uscita  delle  mercanzie.  Chi  domandava  le  polizze  era  obbli- 
gato a  dichiarare  specificatamente  le  mercanzie,  allriinenli  perdeva 
le  cose  non  denunziate  e  pagava  venticinque  lire,  di  cui  la  metà 
spettava  al  comune,  un  quarto  all'appaltatore  e  l'altro  quarto  allo 
scopritore  della  contravvenzione.  Coloro  che  venivano  a  Perugia 
con  mercanzie,  dovevano  lasciare  pegno  alla  porta,  dove  erano  le 
guardie,  sotto  pena  di  venticinque  lire,  e  pagare  la  gabella  all'en- 
trata delle  mercanzie  o  due  giorni  dopo.  Le  mercanzie  potevano 
essere  estratle  enlro  quindici  giorni,  compreso  quello  della  loro 
entrala,  ma  non  più  lardi,  sotto  pena  di  cinquanta  lire  e  del  dop- 
pio della  gabella.  Per  non  pagare  il  dazio  di  uscita,  bisognava 
notificare  che  le  mercanzie  introdotte  si  sarebbero  estralte,  e  giu- 


(1)  Oenova,  avendo,  nel  lliS,  giieri-a  con  i  Saraceni  di  Spagna,  contrasse  un  de- 
bito con  i  Veneziani,  assicuraiido  ai  mutuanti,  per  malleveria  dei  denari  sborsati, 
i  proventi  di  alcune  galielle  per  un  determinato  tempo.  Venezia  fece  un  somigliante 
imprestito  negli  anni  1164  e  1207.  Pisa,  nel  1315,  avendo  preso  a  prestito  dai  cittadini 
loOOO  fiorini  d'oro,  cedette  ai  crediloi'i,  per  la  sicurezza  del  rimborso,  le  gabelle  co- 
munali. Orvieto,  nel  1304,  quando  istituì  le  gabelle,  le  obbligò  ai  creditori  in  estin- 
zione del  debito  contratto  di  22000  lire  cortonesi.  —  (G.  Pardi,  Gli  statuti  della  col- 
letta del  comune  d'  Orvieto  —  Bollettino  della  Società  Umbra  di  Storia  Patria, 
fase.  I,  pag.  76). 

(2)  Ecco  alcuni  dati:  allume  di  rocca,  per  soma,  lib.  1  e  soldi  :>;  acciaio,  per 
soma,  lib.  1;  bambagio  tinto,  per  soma,  lib.  4;  coltri  di  seta  nuove,  per  ciascuna, 
lib.  1;  carta  bambagina,  per  soma,  lil).  1;  carta  pecorina,  per  soma,  lib.  2;  corame 
grezzo,  per  soma,  lib.  1,  sol.  10;  corame  lavorato,  per  soma,  lib.  2;  grana  di  Roma, 
nia,  per  soma,  lib.  25;  lino  viterbese,  alessandrino,  napoletano  e  padovano,  per  soma- 
lib.  1;  lana  di  provenza,  per  soma,  lib.  2,  sol.  5;  riso,  per  soma,  lib.  1;  solfo,  per 
soma,  sol.  10;  vino  nostrano,  per  soma,  sol.  10;  vino  di  malvagia,  per  soma,  lib.  2,  ecc. 


456  V.    ALFIERI 

rare  poi  che  non  si  erano  permutale;  e  chi  frodava  era  costretto 
a  pagare  venticinque  lire  e  il  doppio  della  gabella.  Nessuno  aveva 
diritto  di  entrare  in  città  e  di  uscirne  o  di  attraversare  il  contado 
con  mercanzie  senza  la  polizza  dei  gabellieri,  ed  ai  contravventori 
veniva  comminata  la  pena  di  cinquanta  lire  e  del  doppio  della 
gabella  (1). 

La  gabella  del  macinato  (gabella  macinatus)  fu,  nel  1382, 
venduta  per  un  anno,  e,  nella  relativa  cedola,  si  stabilì  che  venisse 
computala  in  proporzione  diretta  del  numero  delle  bocche,  ossia 
delle  persone,  e  in  progressione  crescente  del  montare  delle  libre, 
ossia  delle  sostanze  (2).  Affinchè  i  ricchi  concorressero  convenien- 
temente ai  tributi,  e  forse  per  evitare  i  danni  che  avrebbero  po- 
tuto derivare  dalla  convenienza  di  far  figurare  le  biade  da  macinare 
in  proprietà  di  chi  aveva  minor  censo,  si  ordinò  a  chiunque  avesse 
pagato  la  gabella  in  ragione  inferiore  a  un  fiorino  d' oro  per  cen- 
tinaio di  peso,  sopra  venti  soldi  per  focolare,  di  pagare  ancora 
semestralmente  la  differenza.  I  sindaci  dei  castelli  e  delle  ville 
erano  obbligati,  sotto  pene  pecuniarie,  a  notificare  agli  appaltatori 
gli  abitanti  della  loro  giurisdizione,  in  principio  di  ogni  semestre; 
od  anche  gli  officiali  dell'armario  erano  tenuti,  sotto  pene  pecu- 
niarie, a  dare  copia  agli  appaltatori  delle  somme  allibrate.  Gli 
appaltatori  dovevano  tenere  sempre  in  ordine  1' estratto  catastale, 
e,  se  in  questa  bisogna  mostravansi  negligenti,  erano  colpiti  da 
una  multa  di  cinquecento  lire;  e  soggiacevano  anche  al  pagamento 
di  cento  lire,  se  la  pesatura  delle  biade  non  facevasi  regolatamente. 
Il  prezzo  della  gabella  era  versato  dagli  aggiudicatari,  a  rate  bi- 
mestrali posticipate,  nella  cassa  dei  conservatori  delle  monete  (3). 
Prima  di  mandare  le  biade  al  mulino,  era  necessario  farle  pesare 


(1)  Nel  1410,  la  gabella  grossa  fu  venduta  per  settecentosessanta  fiorini  d'oro,  e 
nel  1432,  per  fiorini  duemilanovecentosettantadue.  Veggansi  i  Documenti  di  storia 
perugina  editi  da  Ariodante  Fabretti,  voi.  II,  pag.  1  e  segg. 

(2)  Ecco  alcuni  dati:  fino  a  venticinque  libre  di  catasto,  si  dovevano  pagare  28 
denari  per  ogni  centinaio  di  peso  di  grano  da  macinare;  da  venticinque  a  cinquanta, 
2  soldi;  da  cinquanta  a  cento,  2  soldi  e  6  denari;  da  cento  a  duecento,  3  soldi;  da 
duecento  a  trecento,  3  soldi  e  6  denari  ;  da  trecento  a  quattrocento,  4  soldi;  da  quat- 
trocento a  cinquecento,  5  soldi;  da  cinquecento  a  seicento,  C  soldi;  da  seicento  a 
settecento,  7  soldi,  ecc. 

(3)  Della  prima  rata,  metà  doveva  essere  data  ai  conservatori  uscenti  di  carica 
e  l'altra  metà  ai  conservatori  entranti  in  carica. 


l' AMMINISTRAZIONE   ECONOMICA,    ECC.  A'Ù 

<iirufficio  della  gabella  e  dichiarLire,  anche  con  f^Miiranienlo,  il  nome 
del  proprietario  di  es^e.  I  ragionieri  delhi  gabella  noUivuno  sopra 
un  libro  a  due  sezioni  la  data  della  presentazione,  la  qualiln  e  la 
quantità  delle  biade  e  il  nome  del  proprietario,  e  slaccavano  da 
tale  libro  i  polizzini,  che,  muniti  del  bollo  della  gabella,  dovevano 
poi  essere,  con  le  biade,  consegnali  ai  mugnai  ;  i  quali,  di  mese 
in  mese  o  di  bimestre  in  bimestre,  li  resliluiviino  all'ufficio  della 
gabella.  Chi  non  faceva  pesare  le  biade,  prima  di  recarle  al  mu- 
lino, incorreva  in  una  multa  di  dieci  lire,  delle  quali,  la  metà  an- 
dava al  comune,  un  quarto  all'accusatore  e  l'altro  quarto  ai  ga- 
bellieri ;  chi  era  trovato  a  far  macinare,  senza  avere  la  bolletta, 
pagava  cento  soldi  ogni  corba  ;  chi  aveva  la  bolletta,  ma  per  una 
quantità  di  biade  inferiore  alla  vera,  perdeva  l'eccedenza  delle 
biade.  I  mugnai,  che  macinavano  senza  aver  ritirala  la  bolletta, 
erano  costretti  a  sborsare,  per  ogni  infrazione,'  dieci  lire.  La 
farina,  prima  di  inviarsi  ai  proprietari,  portavasi  all'ufficio  della 
gabella,  perchè  fosse  pesala  e  registrata  come  le  granaglie,  e  per- 
chè, sulla  legatura  dei  sacchi,  fosse  posto  il  sigillo  dei  gabellieri. 
Nei  mesi  di  maggio,  giugno,  luglio,  agosto,  settembre  e  ottobre, 
la  differenza  fra  il  peso  del  grano  dato  a  macinare  e  quello  della 
farina  ottenuta  non  poteva  essere  superiore  a  dodici  libbre  ogni 
cento  libbre  di  grano,  ed  a  dieci  libbre  negli  altri  mesi:  delle  mag- 
giori differenze  erano  responsabili  i  mugnai  11  pagamento  della 
gabella  si  eseguiva,  per  la  città,  i  borghi  ed  i  sobborghi  di  Pe- 
rugia, quando  riliravasi  la  bolletta  ;  per  il  contado,  era  fatto  dai 
sindaci,  al  termine  di  ogni  semestre.  Alla  vigilanza  sulla  giusta 
imputazione  della  gabella,  alla  tutela  dei  diritti  dei  contribuenti  e 
alla  composizione  delle  controversie  fra  questi  e  gli  appaltatori 
erano  deputali  tre  cittadini  (1). 

Il  campione  delle  carni  fu  venduto,  nel  1386,  per  cinque  anni 
e,  nel  1389,  per  quattro  anni,  a  rischio  e  ventura  dell'aggiudica- 
tario. Nella  cedola  del  1386  (cedula  venditionis  campionis  carnium) 
venne  stabilito  che  il  compratore  ottenesse  in  prestanza  dai  con- 
servatori delle  monete  milleottocento  fiorini  d'oro  sopra  i  proventi 


(1)  Ve^rgansi  i  Documenti  di  storia  iJevugina  editi  da   Ariodante  Kabretti, 
voi.  II,  pag.  233  e  segg. 

29 


458  V.    ALFIERI 

delle  acque  del  lago  Trasimeno,  anch'esse  appallale;  che  mela  di 
tale  somma  fosse  dal  compralore  reslituila  al  lermine  del  conlralto, 
l'altra  metà  un  anno  dopo,  e  che,  in  caso  di  trasgressione  ai 
palli,  il  compralore  dovesse  risarcire  il  comune  delle  spese  falle 
per  l'abbondanza  delle  carni.  L'aggiudicatario  riceveva  in  uso  dal 
comune  i  casamenti  tenuti  dagli  officiali  del  campione  e  tulli  gii 
arnesi  occorrenti  per  l'esercizio  della  professione.  Di  più,  aveva 
diritto  di  mantenere  nel  Chiugi  perugino,  su  monte  Malbe  e  in 
altri  territori  comunali,  le  bestie  da  macello.  Riscuoteva  anche  la 
gabella  della  pastura  del  Chiugi,  ma  doveva  pagarne  il  prezzo 
annualmente  al  comune,  in  ragione  di  trecento  fiormi  d'oro  per 
anno.  Chi  introduceva  bestiame  nel  distretto  perugino  non  pagava 
gabella;  chi  voleva  eslrarre  bestiame  dal  contado  doveva  sbor- 
sare il  decimo  al  compratore  del  campione,  il  quale  era  obbligalo, 
solto  pena  di  cinquecento  lire,  a  lasciar  passare  il  bestiame  ed  a  ri- 
mettere al  conduttore  una  polizza  di  transito  valevole  per  otto  giorni 
(1).  Era  fatto  obbligo  al  compratore  del  campione  di  curare  l'ab- 
bondanza delle  diverse  carni  (castratine,  porcine  e  vitelline)  e  di 
venderle  a  prezzi  prefissi  (2).  Le  carni  dovevano  essere  buone  e 
sane,  altrimenti  il  compratore  e  gli  agenti  suoi  venivano  multati 
per  due  lire  ogni  volta  che  si  conslastava  la  contravvenzione.  I 
cittadini  deputati  alla  vigilanza  sul  campione  delle  carni,  potevano 
costringere  l'appaltatore  a  ritirare  le  carni  non  buone;  e,  se  l'ap- 
paltatore non  era  sollecito  nell'obbedire,  incontrava  una  pena  di 
cento  lire.  All'appaltatore  era  vietala  la  vendila  delle  carni  fuori 
del  suo  macello,  sotto  pena  di  lire  cento  per  chi  vendeva  e  per 
chi  comperava;  ed  era  pure  comminala  la  pena  di  quaranta  soldi 
all'appaltatore,  se  rifìutavasi  di  vendere  le  carni  poste  in  mostra  (3). 
La  gabella  sulla  vendita  del  vino  (gabella  vini  quod  venditur 
ad  minulum  et  in  grossum)  nella  città,  nei  borghi  e  sobborghi  di 
Perugia,  fu,  nel  1387,  venduta  per  un  anno.  Secondo  la  cedola,  i 
venditori    del    vino    dovevano   chiedere   licenza    all'aggiudicatario. 


(1)  I-"cco  alcuni  dati:  per  i  cavalli  e  per  i  buoi,  si  pagava  10  lire  ogni  centinaio; 
per  le  pecore  e  le  capre,  lire  2  e  soldi  10. 

(2)  Ecco  alcuni  dati:  la  carne  di  castrato  si  vendeva  a  2  sol.  la  libb.  ;  la  carne 
di  porco  e  di  vitello  a  20  den.  ;  la  carne  di  bue  e  di  vacca  a  15  den. 

(3)  Veggansi  i  Documenti  di  storia  jJemgina   editi  da  Ariodante  Fabretti, 
voi.  II,  pag.  196  e  segg. 


L' AMMINISTKAZIONE   ECONOMICA,    KCC.  45f> 

allrimenli  incorrevano  nella  uiullu  di  venlicin(|iie  lire,  di  f:ui,  la 
metà  apparteneva  al  comune,  un  quarto  al  giudice  o  agli  officiali 
sulle  gabelle  e  l'altro  quarto  all'appaltatore;  inoltre  erano  obbligati 
a  pagare  il  doppio  della  gabella  sul  vino  venduto  senza  licenza. 
Al  compratore  delle  gabella,  se  non  emetteva  le  polizze  richieste 
per  l'attestazione  della  licenza,  inttiggevasi  la  pena  di  cinquanta 
lire;  e  la  metà  di  questa  sonnna  apparteneva  al  comune,  un  quarto 
a  chi  aveva  chiesta  la  licenza  e  l'altro  quarto  agli  officiali  sulla 
gabella  (I). 

La  gabella  sulla  legna,  sulla  paglia,  sull'erba,  fu  vendtita, 
nel  1387,  per  un  anno.  Nella  cedola  (cedula  venditionis  gabelle 
lignoruni),  fatta  in  quell'anno,  è  detto  che  il  prezzo  della  gabella 
doveva  essere  versato  nella  cassa  dei  massari,  ogni  bimestre. 
Chi  si  recava  a  vendere  in  città  o  chi  faceva  venire  in  città  legna, 
paglia,  fieno,  carbone,  era  tenuto  a  pagare  la  gabella  (2). 

La  gabella  sui  postriboli  fu  venduta,  nel  1389,  per  cinque 
anni,  alla  condizione  che  il  pagamento  si  dovesse  fare,  secondo 
la  cedola  (cedula  postriboli),  di  quattro  mesi  in  quattro  mesi,  agli 
officiali  sopra  le  masserizie.  Le  meretrici  dovevano  restare  in  un 
determinalo  luogo  della  città,  e,  in  caso  di  disubbidienza,  erano 
costrette  a  pagare  al  comune,  la  prima  volta,  trenta  lire,  la  se- 
conda, cinquanta  lire,  e  la  terza  volta,  venivano  frustale  pubbli- 
camente. A  chi,  senza  licenza,  ricettava  merilrici,  niinacciavasi  la 
pena  di  cento  lire  (3). 

Per  meglio  dimostrare  l'amministrazione  economica  dell'antico 
<;omune  di  Perugia,  mi  proverò  ad  epilogare  qui  le  principali  dispo- 
sizioni statutarie  relative  alla  vendita  e  alla  esazione  delle  gabelle; 
poscia  dirò  brevemente  del  catasto  e  chiuderò  il  capitolo  con  alcune 
notizie  sulle  registrature  delle  entrate  e  delle  uscite. 

I   conservatori   delle    monete   ed    i    massari,    due   mesi    prima 


(1)  Veggaasi  i  Documenti  di  storia  periKjina  editi  da  Akiodantk  Fahretti, 
voi.  II,  pag.  190  e  segg.  —  Veggasi  anche  la  rubrica  203  de  primo  volume  degli  sta- 
tuti :  «  Quod  gabella  vini  et  bestiarum  comitatus  Perusie  prò  una  quaque  porta  in- 
simul  vendi  debeat  de  porta  in  portam  ». 

(2)  Per  una  soma  di  legna,  paglia  o  fieno,  si  dovevano  pagaie  12  soldi,  e  per  un 
sacco  di  carbone,  soldi  2.  —  Veggansi  i  Documenti  di  stoì^ia  perugina  eàìl\  à-à  .\rio- 
i>ANTE  Fabretti,  vol.  II,  pag.  182  e  segg. 

(?;  Veggansi  i  Documenti  di  storia  perugina  editi  da  Ariodante  Fabretti, 
voi.  I,  pag.  57  e  segg. 


460  V.    ALFIERI 

che  scadesse  l'affilio  dell'anno  precedenle,  dovevano  far  bandire, 
soUo  pena  di  cenlo  lire  per  ciascuno,  la  vendila  delle  gabelle  (1). 
E  gli  aggiudicatari  erano  lenuli,  entro  due  giorni  da  quello  del- 
l'aggiudicazione, a  presentare  la  malleveria  di  cittadini  peFugini 
sufficienti  per  numero  e  censo  (2).  Le  cedole  della  vendita  delle 
gabelle  dovevano  essere  integramente  registrate  dalla  cancelleria 
del  comune  (3).  Agli  esattori  delle  imposte  era  comminata  la  pena 
(li  cinquecento  lire,  se  recavano  discapito   al    pubblico  erario  (4). 


(1)  teneantur  et  debeant  art  penam  C  librarum  denariorum  prò  quolibet 

ftcrum  caiitrafaciente  de  anno  in  annum  duolius  mensihus  antequam  gabelle  seu 
communantie  recad>int  seu  revei-tantur  ad  commune  perusie  banniri  et  subhastari  fa- 
cere  per  publicum  preconem  communis  perusie  gabellarum  fructus  et  conimunaii- 
tiarum  dicti  communis Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  259  e  353. 

(2)  Statuimus  quod  conservatores  monete  et  alij  quicumque  vendentes  commu- 
iiantias  et  gabellas  communis  perusie  possirit  teneantur  et  debeant  recipere  bonos 
et  sufficientes  tìdeiu  sores  ciws  perusinos  ab  emptoribus  earum  seu  alj  illis  quibus 
l'uerint  stabilite  infra  secund^jm  dieni  a  die  stabilimenti  iuxla  et  sicun  lum  modum 
qualitateni  et  numerum  infra  scriptum  videlicet  :  Pro  gabella  communantie  aque 
lacus  usque  in  viginti  fideiussores.  —  Pro  gabella  vini  in  civitate  Perusie  hurgis  et 
suburgis  usque  in  decem  fideiussores.  —  Pro  gabella  salarie usque  in  decem  fi- 
deiussores. —  Pro  gabella  pedagij  et  gabella  grossa usque  in  decem  fideiussores. 

—  Pro  alijs  quoque  communantijs  seu  gabellis  usque  in  quinque  fideiussores  prò 
qualibet.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  2S4.  —  Ab  emptoribus  communantie  vel  gabelle 
cuius  precium  esset  anuale  a  L  llorenos  infra  dedisse  debeant  fideiussores  bonos 
quorum  extimum  seu  catrastum  sit  et  esse  debeat  ad  minus  centarum  librarum  de- 
nariorum ad  grossam.  —  Et  si  anuale  precium  esset  a  L  florenos  supra  usque  ad  C 
florenos  delisse  debeant  fideiussores  bonos  quorum  extimum  seu  catrastum  sit  et 
esse  debeant  ad  minus  quinqueginta  librarum  ad  grossam.  —  Et  si  precium  anuale 
excederet  summam  C  florenoruni dedisse  debeant  fideiussores  bonos  quorum  ex- 
timum seu  catrastum  sit  et  esse  debeaf.  ad  grossam  ad  minus  extimationis  dupli  to- 

tius  preci.]  prò   quo   talis  communantia   seu  gabella   venderetur  prò  uno  anno 

Rub.  35(5. 

(3)  conservatores   monete  et  massarij  communis  vel  alij   ofliciales  dicti 

communis  ad  quos  bannimenta  stabilitio  et  venditio  communantiarum  gahellarum 
seu  aliorum  bonorum  dicti  communis  pertineret  teneantur  et  debeant  antequam  ad 
bannimenta  dictarum  communantiarun?  gabellarum  et  seu  bonorum  procedant  faciant 
et  facere  teneantur  cedulas  dictarum  venditionum  registrari  de  verbo  ad  verbum  in 
cancellarla  communis  Perusie.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  344. 

(Ji  nullus  oflicialis  communis  perusie  collector  fancellus  seu  emptor  ali- 

cuius  comiiunantie  vel  gabelle  dicti  communis  per  se  vel  alium  directe  vel  indirecte 
vel  quovis  colore  quesito  possit  vel  debeat  de  aut  super  quantitate  aliqua  que  sol- 
veretur  per  commune  Perusie  vel  per  ipso  communi  et  ad  eius  exitum  poneretur  fa- 
cere  vel  fieri  facere  aliquod  pactum,  defalcationem,  cambium,  baractariam,  simo- 
niam  vel  fraudem  aliquam  quoquo  modo  sub  pena  CCCCC  librarum  denariorum... 
Stat.  Perus.,  voi.  1,  rub.  315. 


l'amministrazione  economica,  ecc.  4(>1 

L'esazione  delle  gravezze  non  poteva  essere  falla  che  nel  lempo 
dell'appallo  e  nel  semestre  oppure  nell'anno  successivo,  secondo 
'  casi;  se  no  incorrevasi  nella  multa  di  cento  lire  (1).  Se  gli 
appaltatori  non  pagavano  in  tempo  il  prezzo  delle  gabelle  e  perciò 
gli  officiali  delle  camere  ricorrevano  a  mnlui,  per  avere  i  tondi 
necessari  alle  pubbliche  spese,  gli  interessi  palluili  restavano  a 
carico  degli  appaltatori  morosi  (2).  La  vendita  delle  gabelle  non 
poteva  essere  fatta  dagli  officiali  delle  camere  per  tempo  maggiore 
di  quello  prefisso  e  senza  la  deliberazione  del  consiglio  dei  priori 
e  dei  camerari  (3).  Era  a  tutto  rischio  e  pericolo  degli  acquirenti 
delle  pubbliche  rendite  qualunque  infortunio  potesse  succedere, 
come  cavalcale,  guerre,  gelo,  grandine,  sterilità,  ecc.,  e  perciò  il 
comune  non  era  tenuto  a  concedere  diminuzioni   del    prezzo    delle 


(1)  Nullus  eniptop  vel  socius  alicuius  comnuinantie  vel  galieUe  commniiis  pe- 
rusie  possit  vel  debeat  ullo  modo  petere  accipere  vel  exigere  aliquam  quantitateni 
tlorenorum  pecunie  vel  alterius  rei  quarti  dioeret  sibi  deberi  quoruodocumque  aut 
qualiter  cumque  ab  aliqua  persona  communi  collejTjo,  corpore,  vel  univeisitate  occa- 
sioiir  galielle  vel  communantie  cnus  fnisset  emptor  seu  socius,  nisi  dumtaxat,  du- 
rante tempore  quo  esset  emptor  ipsius  communantie  vel  gabelle  inquaiitum  preiium 
communi  solverint  temporibus  debitis  ut  teiientur.  —  PU  siquis  emptor  vel  socius 
alicuius  communantie  vel  gabelle  per  se  vel  alium  executionem  aliquam  peteret  seu 

faceret  vel  Heri  faceret  ultia  dictum  termiiiuin iiicidnt  in  penam  C  librarum  de- 

nariorum Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  3G4.  \ella  rubrica  273,  il  tempo  suppletivo   di 

esazione  é  fissato  a  un  anno. 

(2)  conservatoribus  monete  raassarijs  commun's  perusie  vel  oflìcialihus 

abundantie  quiijus precia  deberentur  et  soluta  non  essent  tempore  debito sit 

licitum  et  permissum  tale  precium  seu  precij  quantitatem  quod  seu  que  conventio 
tempore  solutum  seu  soluta  non  esset  acquirere  seu  acquiri  facere  sub  quacumque 
provisione  vel  cambio  seu  tenore  prout  commodius  fieri  puterit  suraptibus  etexpen- 
sis  eniptorum  non  solventium Stat.  Perus.,  voi    I,  rub.  200,  354,  4S2. 

(3)  non  possint  seu  debeant  quoquo  modo  vendere  seu  vendi   facere  aii- 

quam  communantiam  seu  gahellam  eorum  camere  deputatara  prò  maioi-i  tempore 
vel  alter  seu  sub  alijs  pactis  modis  seu  conditionihus  nisi  dumtaxat  usque  in  tempus 
et  cuni  illis  pactis  in  cedulis  talium  gabellarum  et  communantiarum  ordmatis  de 
presenti  anno  MCCCLXXXVIIII  et  de  mense  Aprilis  per  reguiatores  communis  Pe- 
rusie. —  Et  etiam  non  possint  nec  debeant  venditionem  facere  aliquam  de  talibus 
coramunantijs  seu  gabellis  vel  aliqua  earuni  ad  contante  sine  expresse  deliberatione 
doininorum  priorum  et  camerariorum  artium  civitatis  perusie  opportuna.  Stat.  Pe- 
rus., voi.  I,  rub.  355.  —  Vedasi   anche   la  rubrica  201  :  «  Quod   nulla  ex  infrascriptis 

coramunantijs  seu  gahellis  possit  vendi  nisi  prò  uno  anno  nec  etiarr.  a  contante » 

e  la  rubrica  262:  «  Quod  gabella  salarie  et  gabella  pedagij  non  possint  vendi  sine 
deliberatione  censii  j  dominoru;!!  priorum  et  camerariorum  cum  triginta  quinque 
fabis  albis  ». 


4G2  V.    ALFIERI 

gabelle  (l).  Cosi  disciplinalo  e  frenalo,  l'appalto  non  generava  gravi 
abusi  e  il  comune  aveva  il  beneficio  di  poler  riscuotere  somme 
determinate  a  epoche  fisse  e  compensava  in  gran  parte  il  profitto 
degli  appaltatori  con  il  risparmio  di  spese  derivante  dall'energia 
del  tornaconto. 

Per  determinare  l'imposta  con  precisione,  per  distribuirla 
giustamente,  per  graduarla  secondo  la  condizione  economica  dei 
singoli,  occorreva  naturalmente  la  istituzione  di  regolare  catasto; 
e  Perugia  si  accinse  per  tempo  alla  notazione  delle  proprietà  pri- 
vate e  alla  compilazione  dei  libri  dell'estimo  (2). 

Nessuna  mutazione  era  fatta  alle  scritture  catastali  senza 
l'assentimento  degli  officiali  dell'armario  (3).  Chi  aveva  venduto 
tutti  i  suoi  beni  irumobili  poteva  chiedere  di  essere  tolto  dal  cata- 
sto, e  gli  officiali  dell'armario  erano  tenuti  a  registrare  il  trasfe- 
rimento della  proprietà  (4).  Per  far  cancellare  dai  libri  dell'estimo 
i  beni  perduti  in  seguito  ad  alluvione,  occorreva  la  fede  di  quattro 
o  cinque  testimoni;   ed    i    beni    ottenuti    in    seguito    ad    alluvione 


(1)  Quod  deinceps  omnes  et  singule  communantie  et  gabelle  communis  perusie 
iiecn  ni  poste  cliisij  perusini  et  fructus  redditus  .et  proventus  earum  et  cuiuslibet 
earuna  per  conservatores  monete  massarios  ofRciales  ahundantie  et  quoscunique  alios 
oSìciales  communis  perusie  nomine  dicli  communis  ad  tempus  vendende  vel  alter 
concedente  qualitercumque  et  quandocumque  vendantur  et  concedantur  quihuscum- 
que  emptorihus  et  eas  emere   volentibus  ad  omne  ipsorum   riscbium,  .pericuìura,  et 

fortunam Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  25S  e  352; —  Forse  non  sempre  gli  appaltatori 

rinunciavano  a  richiedere  diminuzioni  del  prezzo  e  il  comune  si  rifiutava  a  conce- 
derle. Sul  principio  del  secolo  XIV,  a  Lucca,  avendo  soldati  mercenari  tedeschi  gua- 
state le  campagne,  i  compratori  delle  gabelle  della  vicai-ia  di  Camaiore  chiesero  di 
essere  reintegrati  de"  danni  sofferti  e  l'ottennero.  (G.  Pardi,  op.  cjt.,  pag.  78). 

(2)  Xel  1313  furono  eletti  dieci  frati  della  penitenza  per  riordinare  le  libbre  dei 
possidenti,  non  convenientemente  descritte  nei  libri  pubblici.  (A.  Makiotti,  op.  cit., 
tomo  I,  parte  2a,  pagg.  245,  246) 

(3)  rulla  mutatio  diminutio  seti  augumento  cancellatio  vel  descriptio  de 

novo  vel  aliquid  aliud  possit  fieri  de  aliqua  lil)ra  catrasto  seu  extimo  alicuius  :  nisi 

de  presentia  consensu  et  voluntate  ofRcialiiim  dicti  catrasti Stat.  Perus.,  voi.  I, 

rub.  09. 

(4)  si  aliquis  civis  vel  comitatensi  perusinus  vendiderit  omnia  sua  bona 

Te!  rem  aliqunm  immobilem  :  qua  vendita  nihil  immobile  siì)i  remanserit  :  si  voluerit 
et  petierit  coram  officialibus  armarij  se  et  eius  catrastum  et  libram  et  omnia  sua 
l)ona  toUi  cassari  et  elevari  de  diete  catrasto:  possint  dicti  officiales  talia  bona  ven- 
dita vel  in  alio  quocumque  translata  em|itorihiis  ipsarum  rerum  vel  alio  titnlo  ipsas 

res  acquireniil)ns  por.ere  et  aca trastare  in  eorum   catrasto  et  libra Stat.  Perus., 

voi.  I,  rub.  &S. 


L' AMMINISTHAZIONK    ECONOMICA,    ECC.  4G3 

•dovevano  essere  denunciati  entro  un  semestre  dui  ^ioi'nn  dcH'ac- 
cessione,  sotto  pena  di  cento  lire,  ai^li  officiali  dell'armario,  i 
quali  erano  obbligati  pure,  sotto  pena  di  cento  lire,  di  farli  stimare 
a  spese  del  proprietario  e  di  notarli  in  catasto  (1).  Le  case  disaf- 
fittate non  erano  comprese  nel  catasto,  purché  il  disaflitto  fosse 
testimoniato  da  tre  o  quattro  convicini  (2).  La  pigione  assegnavasi 
per  l'eslimo  in  montare  netto  (3).  Le  case  usale  dagli  slessi  pro- 
prietari per  l'esercizio  di  qualche  loro  arte  dovevano  esseri;  alli- 
brate secondo  la  pigione  che  si  avrebbe  potuto  percepire  (-4).  Si 
poteva  chiedere  di  essere  allibralo  nel  luogo  ove  Irasferivasi  la 
dimora,  purché  in  esso  si  rimanesse  due  anni,  si  avesse  casa 
propria  e  la  maggior  parie  dei  beni  posseduti  (5).  Gli  eredi  erano 


(1)  si  per  inundationem  vel  alliivionem  vel  aqiiarum  inipetum  terremim 

vel  domus  vel  aliqua  alia  res  aliiljrata  seu  acatrastata  alicui  seu  aliquibus  toUeretur 
ili  totum  vel  in  partem  occuparetur  :  quod  f'acta  (ide  legitima  de  predictis  per  qua- 
tuor  vel  quique  testes  fidedignos  de  libro  et  catrasto  eius  cuius  t'uerit  talis  i-es  abiata 

aut  occupata  ex  causa  predicta  elevetur  et  removeatur Kt  si  alicui  aliquod  ter- 

renutn  accreverit  per  alluvionem  aque  vel  tluininis  redditam  :  ponatur  tale  terrenum 
et  addatur  ei  cui  accreverit  seu  pervenerit  in  coniitatu  Perusie l'U  ille  cui  accre- 
verit vel  obvenerit  vel  sic  acquisiverit  terrenum  predictum  teneatur  assignare  infra 
sex  menses  a  tempere  quo  sic  ut  dictum  est  acquisiverit  modo  predicto  qua  assi- 
gnatione  facta  predicti  ofliciales  teneantur  lacere  dictum  terrenum  mensurari  et  ex- 
tiniari  expensis  assignantis  :  secundum  quam  extimationem  in  catrasto  ponatur  et 
accatrastetur  pena  non  assignanti  et  otfìcialibus  in  predictis  negligentibus  C  libraruni 
denariorum Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  100. 

(•>)  domus  sive  camere  allibrata  vel  allibrate  ratione  pensionis  prò  tem- 
pore quo  non  pensionarentur  :   eleventur  et  minuantur   de   libra  illius  cui   alibrate 

forent:  facta  fide  de  predictis  per  quatuor  vel  per  tres  testes  de  coiivincinia Stat. 

Perus.,  voi.  I,  rub.  102. 

(3)  si  aliquis  domum  suani  ampliori    pensione  locaverit  alienam  v^rbo 

jniiiori  pensione  conduxerit:  tanto  mtius  debeat  assignare  quantum  est  illud  quod 
pensionis  nomine  prò  aliena  domo  solvere  est  obligatus.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  103. 

(4)  si  aliquis  exerceret  artem  in  domo  propria   <|uod   illa  domus  debeat 

allibrari  et  acatrastari  per  inde  ac  si  dictam  domum  locaveret  seu  pensionaret  liabita 
consideratione  ad  redditum  seu  ad  pensionem  que  ex  dieta  domo  percipi  posset.  Stat. 
Perus.,  voi.  I,  ruu    114. 

(5)  si  contigerit  aliquem  alibratum  in  aliquo  castro  vel  villa  ire  ad  habi- 

tandum  ad  aliquem  alium  locum  castri  vel  ville  comitatus  perusie  et  ibi  continue 
per  iluos  annos  habitaverit:  et  domum  propriam  habuerit:  quod  possit  petere  coram 
olììcialibus  arniarij  se  alibrari  vel  acatrastari  in  loco  ubi  liabitabit,  si  et  inquantum 
in  loco  ubi  habitat  habuerit  maiorem  partem  bonorum  suorum  et  se  elevari  et  eius 
libram  cassari  de  loco  unde  discessit.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  101. 


4:61  V.    ALFIERI 

obbligati  a  farsi  catastare  in  luogo  del  defunto  (1).  I  proprietari 
di  case  erano  allibrali  nella  parrocchia  dove  avevano  le  case  loro 
e  non  in  quelle  dove  abitavano;  e  se  avevano  case  in  diverse 
porle  e  parrocchie,  venivano  allibrati  nella  porta  e  nella  parroc- 
chia da  essi  scelta  (2).  Gli  allibrati  in  diversi  luoghi  del  contado 
dovevano  ridurre  la  libra  nel  solo  luogo  in  cui  più  dimoravano 
per  gli  interessi  loro  (3).  Le  variazioni  catastali  relative  agli  abi- 
tanti del  contado  facevansi  ordinariamente  in  seguito  a  notifica- 
zione e  domanda  dei  sindaci  (4).  Chiunque  reputava  eccessiva 
l'estimazione  dei  suoi  beni  aveva  facoltà  di  farla  rivedere  a  sue 
spese  (5).  Coloro  i  quali  commettevano  frodi  riguardo  al  catasto^ 
simulando  compre  e  vendile  di  beni,  venivano  puniti  con  il  paga- 
mento di  duecento  lire  e  la  confisca  dei  beni  comprati  e  ven- 
duti (6).  I   beni  venduti  a   prezzo    maggiore   dell'estimo   dovevano 


(1) si  aliquis  alibratus  in  libro  et  acatrastatus  in  catrasto  communis  pe- 

rusie  decesserit  superstite  sibi  ali(|UO  suo  Alio  lierede  vel  aliquo  alio  suo  vel  eman- 
cipato vel  estraneo  lierede  cuiuscumque  condictionis  existat  et  dictus  lieres  velit  suum 

nouiem  scribi  et  poni  in  catrasto  et  libra  decedentes  cui  successerit Stat.  Ferus., 

voi.  I,  rub.  107. 

(2)  unus  quisque  liabeat  librara  suam  in  porta  (t  parrochia  in  que  habi- 
tat et  moratur:  sed  si  in  una  parrochia  domum  habet  propriam  in  alia  verbo  habi- 
tat: in  parrochia  propre  domus  libra  fiet.  —  Si  aut  in  diversis  portis  vel  parrochijs 
domos  habet  proprias  :  et  in  altera  ipsarum  vel  utriusque  habitet:  sit  in  allibrandi 

electione   in    que  de  dictis    portis  et   parrochia   voluerit  allibrari Stat.  Perus., 

voi.  I.  rub.  120. 

(3|  si  aliquis  comitatensis  esset  alibratus  in  duolius  vel  pluribus  castris 

vel  villis  quod  tota  eius  libra  reducatur  et  sibi  fiat  in   castro  vel  villa  in  qua  fanii- 

liariter  habitaverit  prò  bonis  suis  ubicumque  positis  vel  existentibus Stat.  Perns.y 

voi.  I,  rub.  122. 

(4)  Sindici  castrorum  et  villarum   comitatus   perusie  ex  forma  alicuius 

ordinamenti  de  venditione,  alienatione,  translatione  et  adiustatione  possessionum  et 
rerum  honiinum  et  personarum  mortuorum  absentatorum  et  depauperatorum  et  ani- 
bitatorum  eoruni  universitatis  tenentur  nie.n  facei'e  olBcialir.us  armari]  et  catrasti 
communis  perusie  ad  hoc  ut  tempore  res  et  possessiones  de  ipsa  libra  et  catrasto 
eleventur  et  acquirenti  seu  dictas  res  possidenti  in  suo  catrasto  ponantur  et  scriban- 
tur Stat.  Perus.,  voi.  I,  ruli.  126.  —  Vengasi  anche  la  rubrica  111. 

(.5)  si   aliquis  deinceps  conquereretur  coram  offlcialibus  armarij  quod 

immensuratione  et  mensurationibus  sue  possessionis  vel  possessionum  erratum  fue- 
rit :  possint  et  teneantur  dicti  offlciales  armarij  omnes  et  singulas  possessiones  talis 
conquerentis  suis  expensis  facere  revideri  et  mensurari  et  tales  mensurationes  ad 
veritatem  reducere Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  110. 

(6)  siquis  comitatensis  vel  alius  quicumque    venderet   vel  alienaret  vel 

alio  modo  trasferret  aliquam  possessionem  alicui  in  frau  lem   vel  fictitie  ad  cessan- 


L' AMMINISTKAZIONK   IX'OXOMICA,    ECO.  4<)i> 

essere  notali  in  catasto  secondo  il  valore  accerUito  (1).  (ìli  ufticiuli 
dell'armario  avevano  obbligo  di  mettere  sempre  in  catasto  il  mag- 
gior valore  e  di  accrescere  la  libra  a  qualsiasi  ricbiedente  (2).  Ad 
essi  era  anche  deputata  la  correzione  degli  errori  rilevali  in  cata- 
sto (3).  In  caso  di  compera  e  vendila  di  beni,  si  presentava  la  cedola 
del  contralto  ai  nolari  dell'armario,  i  quali  eseguivano  la  necessaria 
voltura  (4).  Diversi  erano  i  limili  dell'eslimo  per  la  città  e  per  gli 
abitanti  del  contado  (5).  Sui  beni  posseduti  fuori  del  comune  non 
si  ponevano  gravezze  ('i).  1  forestieri,  dopo  Irenl'anni  di  residenza, 
dovevano  essere  cataslali,  e  cosi  potevano  godere  di  alcuni  privi- 


dum  onus  libre  et  factioruni  conimuuis  perusie  :  (luod  tam  verclit^r  sseu  alienato!" 
quam  emptor  seu  acquieiitor  puiiialur  tt  coiiiiemnetur  per  potestalem  et  capitaneuiri 
in  OC  libras  denariorum  et  rem  ipsam  venditam  vel  alienatam  perdaiu  et  in  communi 
deveniant  et  conliscetuf  ipso  iure.  Stai.  Perus.,  voi.  I,  rub.  112. 

(1)  possessiones  (|ue  venduntur  et  aiienantur  ultra  quai'fitatem  (pie  esti- 
mate sunt  in  catrasto  delieant  extimari  ementi  et  acquirenti  secund'uni  i>recium  et 
secunduni  quantitatem  preci.)  et  tion  minus  aliquo  non  ohstante.  Slat.  Perus.,  voi.  I, 
rub.  1K>. 

(2)  officiales  armari.)  in   descriptionihus  extimationum    pcnant  preciura 

si  fiierit  maius  quani  extimatio  et  si  extimatio  fuerit  maior  precio  ponantnr  extima- 
tio  :  Ita  ([uod  semper  maior  quantitas  describant  et  alibretur.  Stat.  Perus.,  voi.  I, 
rub.  125 leneantur  it  deheant  ad  penani  C  lilirarum  denariorum  a i:j;ere  et  accre- 
scere libram  et  summam  libre  cuiuscumque  petentis Rub.  135. 

(3)  Et  quacumque  ratione  vel  causa  error  apparent  ex  eorum  arbitrio  et 

officio  corrigere  et  emendale  et  ad  veritatem  debitam  reducere  ad  petitionera  peten- 
tis et  eorum  officio  summarie  et  sine   strepitu  et  ligura   iudici.j Stat.  Perus., 

voi.  I,  rub.  1:^.1.  —  Veggasi  anche  la  rubrica  i;ì3. 

(4)  quicum(iue  tam   civis  quam    comitatensis  perusinus  vei  quicumque 

alius  vendiderit  vel  alio  quoquo  modo  alteri  concesserit  ali(iuam  rem  sibi  allil)ra- 
tam:  qucd  ad  eius  petitionera  vel  alterius  cuius  interesset  seu  sindici  castri  vel  ville 
unde  esset  venditor  vel  concessor  habita  cedala  venditionis  seu  coi  cessionis  talis  rei 
vendite  vel  concesse:  officiales  armari.)  possint  teneantur  et  debeant  taiem  rem  de 
libra  vendentis  vel  cedentis  elevare  et  cassare  et  ponere  et  describere  in  libra  emen- 
tis  vel  alter  acquirentis Stat.  Perus.,  voi.  I,  run.  IIG. 

(j)  civibus  Perusinis  et  allibratis  in  civitate  et  etiam  forensibus  allibratis 

in  civitate  perusie  vel  allibratis  inter  -absentalos  de  comitatu  liat  et  (ieri  debeat  libra: 
Kt  facta  esse  intelligatur  ad  minus  XXV  librarum  ad  grossam  :  Kt  comitatensibus 
perusinis  et  allibratis  in  comitatu  lìat  et  fieri  debeat  libra  v  librarum  ad  grossam 
ad  minus Stat.  Perus..,  voi.  I,  rub.  132 

(G)  omnes  et  singuli  cives  et  comitatenses  perusini  qui  aliqua  bona  sta- 

bilia  possiderent  extra  comitatum  et  distrlctum  perusie  non  teneantur  nec  debeant 
solvere  prò  ipsis  bonis  aliquas  datas  nollectas  vel  factiones  imponendas  per  commune 
perusie  si  prò  ipsis  bonis  in  civitate  castro  vel  loco  in  cuius  territorio  et  districtu 
sunt  talia  bona  solverint  dummodo  dare  et  piene  probent  se  alibi  factiones  solvere 
et  onera  suportare  prò  bonis  predictis.  Stai.  Perus.,  voi.  I,  rub.  141. 


466  V.    ALFIERI 

legi  ciltadini  (1).  Nessun  forestiero  aveva  diritto,  per  venti  anni, 
da  che  era  stato  allibralo  o  erano  stali  allibrati  gli  ascendenti 
suoi,  di  assumere  pubblico  officio  o  esercitare  una  delle  quaran- 
taquattro arti  (2). 

I  libri  del  catasto,,  conservati  nell'  armario,  erano  di  perga- 
mena e  disposti  in  modo  che  ad  ogni  proprietario  si  potesse  as- 
segnare un  conveniente  numero  di  pagine.  In  capo  alla  prima 
facciala  di  ogni  serie  di  pagine  slavano  il  nome,  il  casato  e  l'arme 
dell'  allibrato;  seguivano  la  descrizione  dei  beni  e  l' indicazione  del- 
l'estimo e  poi  uno  spazio  in  bianco  per  le  successive  variazioni. 
1  notai  principali  dell'armario  dovevano  tenere,  secondo  gli  sta- 
tuti, un  libro  di  cartapecora,  per  notare  le  cassazioni  di  condanne, 
di  focolari,  di  beni  perduti  per  alluvione,  delle  pigioni,  gli  allibra- 
menti dei  forestieri,  ecc.  ;  e  dovevano  depositare  tale  libro  in  can- 
celleria, entro  tre  giorni  dal  termine  dell'officio  (3).  Agli  officiali 
dell'armario  si  comandò  anche  di  far  compilare  dai  loro  notari 
due  registri,  in  cui  fossero  notati  compendiosamente  ed  alfabetica- 
mente i  condannati,  e  di  trasmetterli  ai  massari,  affinchè    gli  of- 


(1)  siquis  forensis  habitaverit  continue  per  XXX  annos  in  civitate  Peru- 

sie  qucd  possit  et  debeat  deseribi   inter  cives  absentatos  in  armario  librorum   dicti 

communis  et  acatrastari  et  allibrari   in  ea  porta  et  parcchia  prout  sibi  libuerit 

Stat.  Perus.,  voi.  1,  rub.  135. 

(2)  siquis  ori^inaliter  forensis  nunc  quomodoliljet  allibratus  inter  cives 

orijjinarios  perusinos  seu  absentatos  et  quomodolibet  descriptus  a  XX  annis  citra 
seu  infra  ipsum  tempus  quod  a  die  descriptioris  et  acatrastationis  facte  quomodolibet 
inter  cives  infra  XX  anni  s  seu  inde  ad  XX  annos,  non  possit  nec  debeat  quoque 
modo  liabere  vel  quomodolibet  exercere  per  se  vel  alium  a]iqu<jd  offlcium  communis 
Perusie  vel  XXXXIIII  artium  civitatis  perusie  vel  alicuius  earum  neccivitatum  ter- 
rar'im  seu  locorum  communi  Peiusie  suppositorum  seu  recomendatorum  seu  reco- 
mendandorum  imposterum  qucquo  modo Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  137. 

(3)  Hat  unus  liber  in  armario  supradicto  expensis  dictorum  notariorum 

in  cartis  pecudinis  in  quo  etfectualiter  dicti  notarij  prir.cipales  teneantur  scribere  et 
notare  de  tempore  in  tempus  infrascripta  que  sunt  importantie  et  maxime  efficacie 
videlicet.  —  Cassationes  quarumcumque  condemnationum.  —  Cassationes  foculario- 
rum.  —  AUibrationes  forensium  seu  comitatensium  allihrandorum  de  novo  inter 
civis  seu  absentatos.  —  Cassationes  quorumcumque  honorum  per  alluvionem  et  im- 
petum  aquarum.  —  Cassationes  et  positiones  estimati  num  pensionum  seu  rerum 
que  pensionantur  que  extimari  debeant  secundum  formam  statutorum  de  tali  ma- 
teria loquentinm  qui  liber  deposilo  officio  infra  tres  dies  restitui  debeat  per  ipsos 
nutarios  in  cancel.aria  communis Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  561. 


L'A>:MiNisri{.\/,i(>Ni.:  economica,  i:cc.  4G7 

liciali  d(!lle  camere  polo^sero  conoscere  chi    ncjn  aveva    dirillo    a 
paga  dal  comune  (1). 

1  nolari  dovevano  inslnimentare,  ossia  redigere  in  piddilica 
forma,  ogni  alto  amminislralivo.  1  contraili  erano,  in  cancelleria, 
nolali  sopra  un  libro  detto  lihcr  ronlrarOnini  (2).  Le  riforma/ioni 
erano  Irasci'itte  in  un  liher  maf/nus  di  carta  pecora,  che  tenevasi 
nella  cancelleria  del  comune  (3).  Le  diverse  condizioni  e  forma- 
lità di  vendita  delle  rendite  comunali  erano  esposte  in  un  registro 
<ìgX[o  fornm  la  ri  II  1)1  communaniiarvm  et  (jaheUni'inn ,  posto  ancli'esso 
in  cancelleria  (4).   Le  rapiiresaglie  erano  descritte   in  un  speciale 


(1)  officiales  armarij  et  eorum  notarij  de  proximo  publìlicandi  possint  fe- 

jicantur  et  debeant  lieri  facere  duo  registra  in  cartis  niembranis  (|uorum  alteruiu 
stare  debeat  in  camera  massariorum  sub  tabulis  liKatum  :  in  ((uihus  <iuideni  re;,'istris 
teneantur  et  dobeant  sub  compendio  registrare  et  registrnri  facere  omnes  et  singulos 
<;ondemnatos  dicti  communis  a  MCCC  LXXV  de  mense  decemt)ri  citra  scribendo  no- 
nien  condemnati,  jjrout  descrii)tum  est  in  condemnatione,  cum  nomine  pronf)rain(; 
-•i;;nomine  et  loco  et  tempore  et  tjuantitate  seu  ((ualitate  condemnationis  per  ordinem 

-•ill)liabeti  :  ut  faciiiter  valeant  inveniri  Ka  omnia  decernentes  ut  conservatores 

massari.)  et  alij  ofliciales  commimis  Ferusie  neminem  possint  conducere  vcl  eligere 
qui  esset  condemniitus  vel  alter  assumere  seu  salarium  provisionem  vel  stipendium 
solvere  vel  aliquid  concedere  quoquo  modo.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  330. 

(2)  Si  cancellarius  notarius  priorum  et  notarij  potestatis  vel  capitanei  vel  aliquis 
eorum  seu  aliquis  eprum  notarius  fuerint  rogati  de  aliquo  contractu  communis  Pe- 
rusie  seu  aliquem  contractum  emptionis  vel  permutationis  vel  sindicatus  vel  alterius 
rei  seu  alterius  conditionis  pertinentis  vel  spectantis  ad  dictum  commune  fecerint  vel 
rogati  fuerint  facere  teneantur  ille  notarius  qui  tale  scripserit  vel  fecerit  instrumentiim 
seu  contractum  intra  XV  dies  postquam  rogatus  fuerit  ipsum  cancellarlo  caneellario 
assignare  qui  cancellarius  teneatur  et  debeat  scribi  facere  per  eundcm  et  autenticare  : 
Et  ipse  etiam  teneatur  de  ijs  de  quibus  rogatus  fuerit  in  publicam  formam  scribere 
in  quodam  libro  qui  esse  semper  debeat  in  cat^cellaria  communis  de  cartis  pecudinis 
et  ligatum  et  coopertura  cum  assibus  et  vocetur  liber  contractuum  communis  Peiii- 
sio Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  S. 

(3)  notarius  dominorum  priorum  artium  debeat  restituere  librum  suum  in 

cancellaria  integrum  et  sine  aliiiua  obmissione  et  sine  ceteris  pena  mille  librarum 
denariorum  prò  quolibet  contrafaciente  ;.  et  teneatur  dictus  notarius  registrari  facere 
in  registro  retinendo  in  cancellaria  dicti  communis  omnes  reformationes  perpetuo  du- 
raturas  de  quibus  rogatus  fuerit  de  quibus  cancellarius  communis  debeat  notitiam 

facere  oflficialibus  forensibus  dicti  communis.  Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  565  Et 

de  predictis  reformationibus  liat  unus  liber  magnus  per  dictum  notarium  cancellarium 
vcl  abreviatorem  cum  subscriptione  notarij  predicti  vel  cancellarij  vel  abreviatoris 
sTibscriptioni  in  ijs  et  alijs  piena  ad  hibeatur  fìdes  aliquo  non  obstante  in  cartis  pe- 
«•udinis  qui  semper  remaneat  in  cancellaria  communis  predicti.  Rub.  78. 

(4)  Statuimus  et  ordinamus  ([uod  liat  et  ordinetur  in  dictam  cancellaria  unus 
liber  qui  vocetur  formularium  communantiarum  et  gabellarum  communis  perusie  in 
([uo  libro  ponantur  scribantur  et  registrentur  manu  cancellarij  cnnununis  perusie  veL 


468  V.    ALFIERI 

libro,  detto  registrum  repvesaliarum,  custodito  pure  in  cancelle- 
ria (1).  Le  residenze  e  le  paghe  dei  castellani  e  dei  loro  famuli 
erano  ricordale  nel  liher  conductarum,  che  stava  pure  in  cancel- 
leria (2).  Si  conservavano  ancora  in  cancelleria  i  registri  nei  quali 
i  notari  delle  varie  camere  scrivevano  i  debitori  del  comune  (3). 
Le  principali  scritture  della  camera  dei  massari  distingue- 
vansi  in  due  sistemi  ;  uno  relativo  all'introito  e  l'altro  relativo 
all'esito.  E  per  ciascun  sistema  si  avevano  due  registri  :  uno  era 
di  carta  e  rimaneva  sempre  nella  camera,  l'altro  era  di  membrana 
e,  alla  fine  dell'officio,  si  presentava,  come  rendiconto,  al  maggior 
sindaco  e  poscia  depositavasi  nell'armario  (4).  Di  più,  nella  ca- 
mera dei  massari,  si  tenevano  due  altri  libri  :  in  uno  si  scrive- 
vano le  vendite  dei  fruiti  di  beni  comunali,  indicando  il  luogo,  il 
tempo,  l'appaltatore, *il  fideiussore,  il  prezzo,  ecc  ;  nell'altro  si  scri- 
vevano le  vendile  dei  proventi  di  gabelle,  indicando  la  data,  il 
termine,  l'aggiudicatario,  il  mallevadore,  la  quantità,   il    montare. 


alteriiis  experti  notarij  pei*  dictum  cancellarium  eligendi  omnes  et  singule  forme  se- 
cundum  quas  in  presenti  tempore  vendi  consueverunt  ipse  coramunantie  et  gabelle- 
ita  quod  quelibet  communantia  et  gabella  in  dicto  libro  per  se  habeat  foi'mam  suam 
cum  pactis  modis  et  cum  capitulis  consuetis Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  146. 

(1)  Statuimus  quod  liat  et  fieri  debeat  et  stare  continue  in  cancellaria  communis 
Perusie  unum  registrum  in  cartis  membranis  quod  registrum  massarij  communis  pe- 
rusie  expensis  communis  Perusie  fieri  faciant  sub  tabulis  ligatum  quod  vocetur  regi- 
strum represaliarum  :  In  quo  quidem  registro  describantur  et  describi  debeant  omnes 
et  singule  represalie  et  alie  quecuraque  licentie  concesse  liactenus  ad  alicuius  vel  ali- 
quorum  istantiam Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  177.  Veggasi  anche  la  rubrica  467. 

(2)  descriptlo  castellanorum  et  famulorum  lìeri  possit  et  debeat  per  no- 

tarium  super  exitibus  camere  massariorum  in  uno  libro  depei'se:  Qui  quidem  nota- 

rius teneatur  et  debeat  notarium  talis  castellani  cum  numero  pagarum  et  locum 

ad  quem  dirigitur  ex  scripsisse  et  registrasse  in  cancellaria  communis  perusie  in  liln'o 
conductarum Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  450. 

(3)  ofHciales  abundantie  et  alij  quicumque  officiales  dicti  communis  electi 

.seu  eligendi  possint  teneantur  et  debeant  per  eorum  notarios  registrar!  facere  in 

registro  existenti  in  cancellaria  dicti  communis  omnes  et  singulos  debitores  dicti  com- 
munis   Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  49). 

(4)  Teneantur  notarij facere  duos  libros  omnium  introitum  dicti  communis 

scilicet  unum  prò  eorum  orriginali  in  carta  bombicina  et  alterum  ponendo  in  armario 
communis  Perusie  et  omnium  expensarum  quas  facient  dicti  massarij  similiter  faciant 
duos  libros  quorum  unum  habeant  dicti  massarij  prò  eorum  orriginali  et  alterum 
]>onant  in  dicto  armario  prò  comtnuni  quos  liljros  ponendo»  in  armario  faciant  lleri 
in  cartis  pecudinis  et  non  in  cartis  bombicinis Stat.  Perus.,  voi  I,  rub.  351. 


l' AMMINISTRAZIONE   ECONOMICA,    ECC.  4(!!) 

ecc.  (1).  E  lenevasi  anche  un  libro  dei  dehilori,  ]jer  quanto  con- 
cerneva la  camera  (2),  e  un  libro  delle  paghe  spellanli  ai  castellani 
e  ai  loro  famuli  (3).  I  massari  dovevano,  in  forma  pubblica  ed 
entro  un  mese  dalla  fine  del  loro  officio,  consegnare  i  libri  della 
camera  ai  successori  (4). 

Le  principali  scritture  della  camera  dei  conservatori  distin- 
guevansi  in  due  sistemi:  uno  relativo  all'introito,  Tidlro  relativo 
all'esito.  E  per  ciascun  sistema  si  avevano  due  registri:  uno  era 
di  carta  e  rimaneva  sempre  nella  camera;  l'altro  era  di  membrana 
e,  alla  fine  dell'officio,  si  presentava,  come  rendiconto,  al  mag- 
gior sindaco  e  poscia  deposilavasi  nell'armario  (5).  Di  più,  nella 
camera  dei  conservatori,  si  tenevano  due  altri  libri:  in  uno  si 
scrivevano  le  vendile   dei    frutti    di    beni    comunali,    indicando    il 


(1)  Statuimus  quod  in  camera  massariorum sint  et  esse  debeant  et  lìeri   do 

novo  in  cartis  membranis  et  inter  tabulas  ligati  duo  libri  :  in  quorum  uno  scribantur 
omnes  communantie  communis  perusie  camere  massariorum  prò  extensum  et  ubi  site 
sunt  in  quo  libro  scribi  debeant  sub  breviloquio  homines  et  persone  quibus  tales  com- 
munantie vendite  sunt  et  prò  quanto  precio  et  ipsorum  lideiussores  et  promissio  pre- 
ciorum  ubi  etiam  scribantur  solutiones  pagamentorum  preciorum  ipsarum  comunan- 

tiarum  cura  millesimo  mense  et  die in  alio  verbo  libro  scribantur  omnes  gabelle 

communis  perusie  diete  camere  deputate  per  extensum  et  que  venduntur  per  ipsura 

commune  et  cui  et  nomina  lìdeiussorum  cum  (juantitatibus  millesimo  mense  et  die 

Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  359. 

(2)  massari.j  communis  perusie  possint  teneantur  et  debeant  sub  pena  CCCC  C 

librarum  denariorum  prò  quolibet  negligente  et  vice  qualibet  de  facto  auterendarum 
\>er  maiorem  sindicum  vel  alium  oHicialem  dicti  communis  reduci  lacere  in  uno  regi- 

.stro  deperse  in  eorum  ca;uera  omnes  et  singulos  debitorcs  camere  eorum Utat. 

Perus.,  voi.  I,  rub.  360. 

(3)  descriptio  castellanorum  et  famulorum  fieri  possit  et  debeat  per  nota- 

rium  super  exitibus  camere  massariorum  in  une   libro   deperse iilat.   Perus., 

vel.  I,  rub.  450. 

(4)  Libros  aut  introitura  et  exituum  et  gestorum  tempore  eorum  oflici  in  forma 
publica  massari,!  et  eorum  notarij  et  fancellus  teneantur  et  debeant  restituisse  et  as- 
signasse  infra  mensem  post  finem  eorum  offlcij Stat.  Perus,,  voi  I,  rub.  366. 

(5)  Statuimus  quod  per  notarium  conservatorum  qui  fuerit  super  introitibus 
deputatus  fiant  et  Aeri  debeant  duo  libri:  Et  in  quolibet  ipsorum  scribantur  omnes 
et  singuli  introitus  conservatorum  quorum  est  notarius,  quorum  librorum  unus  sit 
in  borabicinis  et  remanere  debeat  in  camera  dictorum  conservatorum  :  Alter  verbo  in 
pecudinis  et  coram  maiori  sindico  in  line  oftici.j  iuxta  consuetudinem  debeat  presen- 
tai'e,  et  simili  modo  fiant  per  notarium  conservatorum  qui  fuerit  ad  scribendum  exitu.s 
deputatus  duo  libri,  et  in  utroque  eorum  scribantur  omnes  et  singuli  exitus  et  ex- 
pense  fìaciendi  per  ipsos  conservatores:  quorum  unus  in  dieta  camera  debeat  rema- 
nere  alter  verbo  coram  maiori  sindico  producatur Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  26S. 


■470  V.    ALFIERI 

luogo,  il  tempo,  rappallatore,  il  fideiussore,  il  prezzo,  ecc  ;  nell'al- 
tro si  scrivevano  le  vendile  dei  proventi  di  gabelle,  indicando  la 
(lata,  il  termine,  l'aggiudicatario,  il  mallevadore,  la  quantità,  il 
montare,  ecc.  (1).  E  lenevasi  anche  un  libro  dei  debitori,  per 
quanto  concerneva  la  camera  (2),  e  un  registrum  credilorum,  in 
cui  erano  notati  i  creditori  del  comune  (3).  1  conservatori  delle 
monete  dovevano,  in  forma  pubblica  ed  entro  un  mese  dalla  fine 
del  loro  officio,  consegnare  i  libri  ai  successori  (4).  Spettava  ai 
conservatori  delle  monete  la  revisione  bimestrale  dei  conti  degli 
officiali  collettori.  Gli  officiali  collettori,  i  loro  notai  e  computisti 
erano  obbligati  a  presentare  ai  conservatori  i  relativi  libri  (codices 
rationes  introituum  et  exituum),  e,  se  rilevavasi  frode  a  danno  del 
comune,  venivano  deferiti  al  maggior  sindaco  per  l'applicazione 
delle  pene  comminate  dagli  statuti  (5). 


(1)  Statuimus  quod  in  camera  conservatorum  predictorum  sint  et  esse  deb^ant 
et  fieri  de  novo  in  cartis  membranis  et  inter  tabulas  ligati  duo  libri  in  quorum  uno 
sci'ibantur  omnes  communantie  communis  Perusie  per  extensum  et  ubi  site  sunt 
in  quo  libro  scribi  debeant  sub  breviloquio  homines  et  persone  quibus  tales  commu- 
nantie vendite  sunt,  et  prò  quanto  predo  et  ipsorum  fideiussores  et  promissio  precio- 
rum,  ubi  etiam  scribantur  solutiones  pagamentorura  preciorum  ipsarum  communan- 
tiarum  cum  millesimo  mense  et  die In  altero  verbo  libro  scribantur  gabelle  com- 
munis perusie  per  extensum  et  que  venduntur  per  ipsum  commune  et  cui  nomina  II- 
deiussorum  cum  quantitatibus  millesimo  mense  et  die Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  207. 

(2)  conservatores  monete  massarij  communis  perusie  offlciales  abundantie 

et  quicumque  alij  officiales  seu  exactores  quarumcumque  gabellarum  seu  coramunan- 
tiarum  dicti  communis  i)Ossint  teneantur,  et  debeant  sub  pena  C  C  C  C  C  librarum  de- 
nariorum  prò  quolibet  negligente  et  vice  qualibet  de  facto  auferendarum  per  maio- 
rem  sindicum  vel  aliura  officialem  dicti  communis  reduci  facere  in  uno  registro  de- 
perse in  eorum  et  cuiusque  eorum  camera  omnes  et  singulos  debitores  camerarum 
predictarum  vel  alicuius  earum  seu  communantiarum  seu  gabellarum  predictarum.... 
Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  269. 

(3)  conservatores  proxime  futuri  et  aliJ  qui  prò  tempore  fuerint  teneantur 

et  debeant  per  notarium  super  registris  in  eorum  camera  in  uno  registro  quod  vo- 
cetur  registi'um  creditorum  communis  perusie  registrare  et  registrar!  facere  omnes 
et  singulos  creditores  dicti  communis Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  3-10. 

(4)  libi'os  aut  introituum  et  exituum  et  gestorum  tempore  officij  ipsorum 

in  forma  publica  conservatores  massarij  officiales  abundantie  et  officiales  campionis 
carnium  si  venditio  de  eo  non  fieret  in  futurum  et  eorum  et  cuiu.sque  eorum  nota- 
ri.i  teneantur  et  debeant  restituisse  et  assignasse  in  fra  mesem  post  flnem  eorum  et 
cuiusque  eorum  officij Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  275. 

(5)  conservatores  monete  presentes  et  qui  prò  tempore  fuerint  possint  te- 
neantur et  debeant  sul)  pena  C  C  C  C  C  librarum  denariorum  a  quolibet  neglijjente  seu 
reculante  per  maiorem  sindicum  eo  ipso  revidere  ad  minus  de  duobus  mensil)us  in 
duos  menses  diligentissime  et  examinare  rationes  introituum  et  exituum  quorumeum- 


L' AMMINISTKAZIUNK    KCONOMICA,    ECC.  lil 

Le  principuli  scrillure  della  caiiieru  deirabbùndaiiz}!  dit:lingue- 
-vansi  in  due  sistemi:  uno  relalivo  alla  cassa,  l'allro  relativo  al 
magazzino.  Le  scritture  di  cassa  suddividevansi  in  due  sistemi 
minori:  uno  dell'introito,  l'altro  dell'esito;  e  per  ciascuno  si  ave- 
vano due  registri  :  uno  era  di  carta  e  rimaneva  sempre  nella  ca- 
mera, l'.dlro  era  di  membrana  e,  alla  fine  dell'officio,  si  presen- 
tava, come  rendiconto,  al  maggior  sindaco  e  poscia  deposilavasi 
nell'armario  (1).  Parimente  le  scritture  di  magazzino  suddivide- 
vansi in  due  sistemi  :  uno  dell'entrata  di  derrate,  l'altro  dell'uscita  ; 
e  per  ciascun  sistema  si  aveva  un  libro  speciale  (2).  Di  più,  nella 
camera  dell'abbondanza,  si  teneva  un  registro,  in  cui  si  notava  di 
anno  in  anno  la  presupposta  misura  delle  rendile  delle   terre  del 


que  omnium  et  singulorura  officialium  colleotorum  fancellorum  et  notariorum  pre- 
sentium  et  fiiturorum  deputatorum  et  deputandorum  ad  exigendum  frabellas  seu  com- 
niunantias  dicti  communis  prestantias  seu  collectas  imiiositas  aut  imponcndas  et  ma- 
xime gahellam  seu  communantiam  salane  galjellam  pedagij  et  alias  quascumque  ga- 
bellas  et  coramunantias  et  introitus  quoslibet  provenire  debentes  ad  cameram  conser- 
vatorura:  Et  quod  orani  officiales  coUectores  notarij  et  fancelli  et  quilibet  ipsorum 
sub  dieta  pena,  et  ut  supra  premittltur,  auferenda  possint  teneantur  et  debeant  ad  re- 
quisitionem  ipsorum  conservatorum  vel  duorum  ex  eis  ostendere  et  assignare  ipsis 

conservatoribus  codices  rationes  introltuum  et  exituum  quorumcumque Utat.  Pe- 

rus.,  voi.  I,  rub.  3^17. 

(1)  Statuimus  quod  per  notarium  ahundantie  civitatis  perusie  qui  fucrit  super 
introitibus  deputatus  liant  et  fieri  debeant  duo  libri:  Kt  in  ([uolibet  ipsorum  scribantur 
omnes  et  singuli  introitus  oflicialum  abundantie  civitatis  Perusie  quorum  est  notarius 
quorum  librorum  unus  remanere  debeat  in  camera  dictorum  oflicialum  et  alter  vero 
corara  maiori  sindico  in  line  ofìicij  iuxta  consuetudinera  debeat  presentari.  Kt  simili 
modo  fiat  per  notarium  ot'ficialum  qui  fuerit  ad  scribendum  exitus  deputatum  duo 
libri  et  in  uno  quoque  eorum  scribantur  oranes  et  singuli  exitus  et  expense  faciendi 
et  faciende  per  ipsos  officiales  quorum  unus  in  dieta  camera  abundantie  debeat  re- 
manere alter  vero  coram  cancellano  communis  perusie  vel  maiori  sindico  produca- 
tur Stai.  Peì^s.,  voi.  I,  rub.  489. 

(2)  officiales  abundantie  per  eorum  notarios  et  fancellos  possint  teneantur 

et  debeant  in  uno  libro  deperse  singuliter  et  destincte  describere  et  describi  facere  omnes 
«luantitates  grani  seu  biadi  quas  quomodocuraque  aut  qualitercumque  emerent  seu  emi 
facerent  ab  aliqua  universitate  domino  vel  singulari  persona  describendo  et  describi 

faciendo  tempus  emptionis  facte  et  a  quibus  seu  quo  emerint  et  prò  quanto  precio 

Kt  simili  modo  describi  faciant  in  uno  libro  deperse  singuliter  et  distincte  omnes  et 
singulas  venditiones  grani  seu  biadi  quas  facerent  de  die  in  diem  describendo  cui 
persone  et  prò  (juanto  precio  designando  personam  co  modo  et  forma  prout  et  sicut 
in  emptione  tenentur  facere  cum  effectu.  —  Kt  similiter  describi  faciant  deperse  sin- 
guliter et  distincte  omnem  quantitatem  grani  seu  biadi  quam  de  die  in  diem  face- 
rent quomodolibet  macinari  et  cui  molendinario  granum  dcderint  ad  molandum  ad 
hoc  ut  de  die  in  diem  videri  et  discerni  possit  quantitas  que  perperea  ad  exitum 
mitteretur.  Stat.  Periis.,  voi.  I,  rub.  500. 


472  V.    ALFIERI 

Chiugi  (1).  E  si  teneva  anche  un  libro  dei  debitori,  per  quanto 
concerneva  la  camera.  Gli  officiali  dell'abbondanza  dovevano,  in 
forma  pubblica  ed  entro  un  mese  dalla  fine  del  loro  officio,  con- 
segnare i  libri  ai  successori. 

Delle  armi  e  degli  arnesi  esistenti  nelle  rocche  e  nei  castelli 
si  faceva  inventario  in  pubblica  forma;  ed  ogni  castellano,  recan- 
dosi alla  residenza  assegnatagli,  doveva  portare  seco  una  copia 
dell'inventario,  per  riscontrarla  e,  entro  quindici  giorni  dall'arrivo, 
significare  le  variazioni  al  capitano  oppure  al  potestà  ed  ai  priori  (2). 

Dopo  queste  notizie  relative  all'ordinamento  dei  registri,  si 
può  conchiudere  che,  nell'antica  Perugia,  se  non  cercavasi  di  adat- 
tare le  scritture  a  qualunque  esigenza,  se  non  conoscevasi  la 
massima  potenza  computistica  dei  melodi  di  registrazione,  sape- 
vasi  però  ricordare  bene  con  la  scrittura  ogni  fatto  di  gestione, 
per  conoscere  assiduamente  lo  stato  dell'azienda  e  chiaramente  di- 
mostrare l'opera  amministrativa. 
Perugia,  giugno  1896. 

Alfieri  Vittorio. 


(1)  prò  officiales  abundantie  tam  presentes  quam  qui  prò  tempore  fuerint 

liat  et  lieri  possit  et  debeat  unum  registrum  de  anno  in  annum  per  ali<iuera  ex  no- 
tarijs  diclorum  oftìcialium  cui  dicti  ofliciales  mandaverint  :  in  quo  fiat  et  (ieri  debeat 
compendiosa  descriptio  in  totum  collecte  extimi  et  libre  seu  catrasti  cuiuslibet  castri 
seu  ville  comitatus  perusie  deperse  et  similiter  describi  debeat  sub  descriptione  talis 
libre  extimi  seu  catrasti  facienda  ut  supra  ad  descriptionem  cuiuslibet  castri  loci 
seu  ville  dicti  comitatus  quantitas  grani  et  biadi  et  que  prò  ilio  anno  debet  percepì 
ex  dicto  clusio  et  quantitas  que  prò  rata  tali  castro  contingeret  :  Et  similiter  quanti- 
tas pecunie  que  tanget  tale  castrum  locum  seu  villam  ad  rationem  XXX  solidorum 
denariorum  quolibet  corbe  prò  rata  secundum  exitum  seu  librara  talis  castri  loci  seu 
ville Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  488. 

(2)  Ex  nunc  in  antea  talis  modus  servetur  videlicet  quod  de  omnilms  et  singu- 
lis  balistis,  sagiptamentis,  corazzis,  armis,  ferramentis,  arnesibus,  massaritijs  et  cun- 
ctis  rebus  alijs  roccharum  civitatis  perusie  et  castri  plebis  et  aliarum  roccharum  que 
.sunt  vel  erunt  in  terris  communis  Perusie  fiat  et  fieri  debeat  inventarium  et  inven- 
taria in  publicam  lorraam:  Et  quod  quilibet  castellanus  quando  vadit  seu  ibit  ad  di- 
ctum  oflicium  teneatur  et  debeat  secum  portare  copiam  registri:  Et  inquisitionem 
facere  postquam  fuerit  in  ipsa  roccha  de  rebus  predictis  et  si  reperierit  aliquid  esse 
sub  tractum  ablatum  vel  asportatum  diminutum  vel  vastum  significare  per  literas 
domino  capitaneo  populi  Perusini  vel  potestati  vacante  capitaneo  et  dominis  prioribus 

artium  civitatis  Perusie  infra  quinque  dies  a  die  principij  sui  ofllei.j  computandos 

Stat.  Perus.,  voi.  I,  rub.  192. 


473 

.     ANTONII     GERALDINI 

AMEHINI   POHTAK  LAUKHATI 

DE   VITA   BMI   IN   CHÌTO   PATBIS  ANGELI   GEBALOINI 

EPISCOPI    SL'ESSAM 
ET    DE    TOTIUS    FAMILIAE    GERALDINAE    AM  IMITI  KINE 


(Continuazione  vedi  fascicolo  I,  anno  II,  pay.  58). 

13.  —  His  pneritiae  rudimentis,  nec  i  vulyaribus  ])riinicii.s  cxa-   Studialegge. 
ctis,  quarto  decimo  aetatis  anno  (1),  die  festum  divi  Lucae  Evau- 

190  g-elistae  seqiieuti  ;  ad  leg-iim  civilium  studia  cum  esset  conver- 
sus, Mattheus  g-enitor,  titpote  qui  filiorum  quiuque  totidem  femella- 
rum  alternis  vicibus  feminis  post  mares  ex  eadem  uxore  natis  educan- 
dorum  onus  ferre  non  poterai  ipse  solus,  graviter  tulit  primogenitum, 
quem  in  alenda  sobole  socium  habere  sperabat,  studio  literarum  sibi 

195  abdnctum,  et  se  dispendium  potius,  quam  opera  ab  ipso  eodem  tem- 
pore expectare.  Misit  itaque  Bartholomeum  fratrem  et  Angelum  Ar- 
changeli  lilium  Geraldinum  propinquum  suum,  qui  Alio  paternos  la- 
bores  fratruinque  et  sororum  catervam  prius  commemorarent, 
deinde  ipsum  revocarent.  et  ad  lucrosum  aliquod  studium  exhorta- 

200  reutur.  Patruum  et  et  propinquum  talia  sibi  patrio  nomine  refe- 
rentes  hoc  responso  est  prosequntus:  quod  quamquam  eorumdem 
hortatu  milicias  destituerat,  nullo  modo  in  animum  ducereut  se 
ipsorum  quoque  persuasioni  bus  ingenuarum  artium  studia  relictu- 

*  e.  iO  rum,  *  quae,  magis  domui  suae,  couducibilia  futura  erant,  (juam 

205       quodvis  aliud  lucrosi  opilìcii  studium. 

14.  —  Quibus  dimissis,  receptus  est  in  collegium,  quod  quidam       Entra  nel 

collegio  Qal- 

Galeranus,  qui  prò  bene  actae  vitae,  sanctitatem  in  beatorum  lerano. 
numerum  a  posteris  relatiis  est.  Ibidem  constituerat,  ubi  quadra- 
ginta  juvenes,  qviilibet  prò  septem  annorum  victu  sexaginta  au- 
210  reos  primo  ingressu  pendentes,  Jureconsultorum  digestis,  impera- 
toriisque  sanctionibus,  ac  pontificiis  decretis  studiosissime  invigi- 
laut,  parce,  et  religiose  sub  peritissimi  jurisconsulti  doctrina  de- 
gunt.  Si  erraverint,  ut  proclive  est  juvenibus,  magistri  imperio 
plectuntur;  eodem  assistente,  singulis  diebus   de  jure   disputant. 


(1)  Intendi,  a/itio  1426. 

30 


474  B.    GEKALDINI 

215  Qnotidie  missae  sacrificio  christiano  iutersunt,  eodemque  catholico 
ritu  quater  in  auuo  peccata  fatentur,  et  eucharistiam  totieus  quo- 
tanuis  pio  corde  siiscipere  cousueverimt  Talibus  vitae  istitntibus  as- 
sueti  facile  studeutibus  caeteris  bouarum  artium  scieutia,  et  vitae 
cultu  antecelluut.  Inter  eos  educatus  Angelus  utrique  juri  accuratis- 

220      sime  studuit.  Euituit  semper  non  minus  studiorum  excellentia,  quam 

prudenti  rerum  Consilio,  et  actione.  Atque  ita  coUeg'arum,  et  praece- 

ptoris   extimatioue,  census  omnes  illius  collegii  mag'istratus   prius 

g-essit. 

e l*"tt°^"'d'^l-  ^^'  —  Deinde  publicis  omnium  Senis  studentium  in   muueribus 

r  università   925      praefectus  inter  universi  studii  cousultores  unus  bis  duobus  aunis 
«Il  biena,  ^ 

ad  illuni  mag'istratum    electus   est.    Idem  annos  leg'endi   muneris, 

quam  lecturam  vocant,  communi  omnium  consensu  obtinuit,  miraque 

auditorum  frequentia,  siug'ulari  ac  pene  divina  laude  absolvit.  Se- 

•  e.  il  nensium  g-ratium   consequutus  *  multos  amerinis  concivibus  apud 
230      eos  magistratus   impetravit,   pluresque   compatriotas   ad  literarum 

studia  suis  exhortatiouibus,  et  auxiliis  convertit.  Inter  quos  Ber- 
nardinum  fratrem,  secundo  g'enitum,  dnodecim  annos  natum  Senas 
ad  se  accesivit,  quem  humanis  prius  artibus  erudiri  curavit,  deinde 
fructiferi  jnris  sententiis  instrni,  qnibus  eidem  quoqne  ut  sibi  iter 

235  ad  jndicandi  rationem  aperireret.  Cam  in  g-eminatos  fratris  sui  ac- 
cessione sumptns  videret,  nec  haberet  unde  sibi  ad  impensas  sub- 
sidium,  et  fomenta  polliceretur,  diffldens  caeptorum  operum  exitu, 
cura  obstare  sibi  adversam  rerum  seriem  vereretur,  consilium  rau- 
tavit,  et  Francisco  Philelpho  procurante,  oratores  Reg-is  Cipri  seque- 

240  batur;  Qui  eum  ad  Regem  deducebaut  futurnm  ipsius  cousiliarium, 
et  secretorum  partici  pem,  non  si  ne  mag-no  honore  atque  usu.  Au- 
diens  antera,  dum  Ferrariae  esset,  in  itinere  a  Dominico  narinensi, 
quod  Petrus  Boccariuus,  et  Pax  Cerichella,  cum  de  generis  prae- 
stantia,  et  studiorum  aemulatione  primis  usque  annis  contenderei, 

245  publice  de  jure  responderant,  invidia  gloriae  motus  quod  studia, 
quae  ipse  tunc  reliuquebat,  prosequeutes  clariores  se  in  patria  fu- 
turos  extimabat,  retulit  pedem,  seque  studiis  toto  pectore  reddidit. 
Fratrem  prinium  Senis,  deinde  apud  Massam  Cararam  judicem  con- 
stituit,  utrumque  magistratum  per  annum  integrum  administratu- 

250      rum.  Ex  quorum  emolumento  ^  ad  studia  literarum  vires,  et  parva 

•  e.  a  quaedam  amnicula  (?)  reparavit. 

Inviato  a  16.    —   Deinde   decreto    senensis   Senatus   Papiam    tetendit,    ut 

Bologna.  Martinum  Laudensem  in  utroque  jure  consultissimum   ibidem   le- 

ctorem  publico  stipendio  conduceret.    Eadem   causa   profectras   est 

255      Bononiam  ad  Bonerium  liberaralium  artium,    et  medicinae  profes- 


VITA  DI  AX(;i<:i-o  (;i;i{Ai.i)iN"i  475 

sorem.  Quibus  conductis  iu  sui  laboris  iirot-uiiiua  non  ii.iriiiii  mi- 
litatis  ab  eodem  senatu  cousectus  est.  Quod  ci  ad  suinptuuin  suf- 
fectnm  maxime  profuit.  Cura  certamen  esset  inter  Sieulum,  et 
Aquilauuin  uter  eorum    imiversis  studentibus  rector  propoueretur, 

2G0      studeutescjue   inter  se  dissidentes  pars  aquilani,  i^ars  siculi  studiis      ^u*  accor- 
haererent,  ipse  aquilano,  qui  miuus  potcns  fuit;  favebat,  utc|ue  illum 
competitori  praeferret,  Perusium  prò  sutt'ra<i;iis   impetrandis   festi- 
uavit,  et  quadrjig-inta  illinc    studontes  sua  prudoiitia,    suasionibus 
auctoritate  Seuas  perduxit.    Quorum   vocibus  et   favore  a(iuilanus 

265  sieulum  superavit,  regimeuque  obtiuuit.  Quod  Ang-elo  nostro  non 
minorem   Perusii  quam  Senis  laudein,  et  <j;-loriam  obtinuit. 

17.  —  llis  meritis  iusignis  juventutis  nationis  romanae  priuceps  ha-       Da  saggio 

pubblico. 

beri  apud  socios  meruit.  Dum  Eug'enius  quartusejusnomiuisPontifcx 

Max:  cum  omni  Romana  curia  ibi  per  sex  nieuses  ageret,  juris  nodos, 

270      et  leguua  euigmata  ter  corani  onniibus  iu  pubblicis  foris  siunino  acu- 

raiue,  mirandaciue  gravitate  dissolvit.  Ob  quae,  virtutis  non  vulgaria 

testimonia  universis  sacrae,  religionis  principibus  gratissiinus  extitit. 

Precijniani  vero  gratiam,  et  extimationem  uactus  est  apud  ceu- 

*  e.  13.  suram  -  illius  gravissimi,  et  maximi  Patris  Dominici  de  Capranica     • 

275      Firmani  Cavdinalis,  cujus  judiciuni  non  minoris  ponderis  fuit  aetate 

nostra,  quam  olim  Catonianum.  Severissimus  enim  erat  ceusor,  nec 

quidquam    adprobare   cousuevit   quin   ulla  ex   parte  labasset.  ]\Ie-         Entra  in 

....  .      .  ,  .  ,        .    .        1  ....         grazia    del 

minit  igitur  ipsius,  dum  mtentus  esset  ad  eripiendum  mvicti   du-   Card.CaiJra- 
cis  Francisci  Sfortiae  manibus  Piceuum,  quod  ante  Mediolani  domi- 

280  nium  in  duodecim  annos  occupatum  tenuerat  cum  exercitu  quator- 
decim  millium  partim  peditum,  partim  equitum,  in  eam  provintiam 
legatus  a  summo  Pontifìce  Eugenio  praedicto,  qui  tuuc  noviter  in 
urbem  redierat.  Ex  qua  discedente,  patrum  concilio  pulsus  fuerat, 
deinde  in  eam  revocatus,  Umbriam  recuperaverat.  Cum  ergo  Cardi- 

285       nalis  restaurando  sacro  Pont,   imperio  incumbens,  et  tanta  rerum 

mole  septum  censpiceret,  se  prudenti  aliquo  diserto  viro  indigere,        Questi  lo 

chiama    suo 
cuius   opera,  et  fide  in  tam  arduis  negotiis  uti  posset.  Ilunc  elegit    intimo    con- 

quem  consilii  et  eloquii,  ac  fidei  copiam  habere  arbitratus  est. 

18.  —  Angelum   itaque  e  Senis  Picenum,    ubi   tunc  »erat  cum 
290      exercitu  per  literas  accivit.  Is  antequam  peteret,  Romam  divertit, 

ut  ibi,  posteaquam  christiano  ritu  sacerdoti  peccata  fuisset  fassus, 
culpae  indulgentiam,  quae  divorum  Petri  et  Pauli,  et  Johannis 
Apostolorum  aedes  visitantibus  concessa  est,  assequeretur.  Dum 
ille  iter  perageret  prima  nocte  posteaquam  Senis  (1)  egressus  fuerat, 
295  quiescens  vidit,  subeunte  aurora,  in  avita  sede  profundum  extemplo 
repentem   vivae   aquae  puteum,  ex  quo  multi  limpidissimi   emer- 

(0)  Ms  :  Senas. 


476 


15.    GERALDINI 


•  C.  i4. 


.".00 


Canonico 
di  Amelia. 


305 


Rilevanti 
missioni. 


310 


315 


320 


Il  forte  Gi- 
rone di  Fer- 
mo. 


330 


Prosegue 
gli  studi  le- 
gali in  P  e- 
ruiria. 


335 


gereut  *  rivi,  quorum  uou  erat  promptum  diguoscere  ubertatemne 
aquarura,  au  puritatem  magis  admirari  deberet.  Excitatus  tanti 
visus  ordine  paulisper  attouitus,  iter  et  propositum  suum  sequutus, 
atque  eo  itinere  Romam  cum  applicuisset,  ab  Eugenio  Summo 
Pontifice  canonicatus,  et  praebendae  jus  obtinuit  in  tempio  Ca- 
thedrali  divae  Firmiuae  Ameriae  patriae  indigetis,  felix  profecto 
priucipium,  cum  tanta  deinceps  accessio  facta  est.  Qui  subinde, 
illic  abscedeus,  tandem  ad  cardinalem  Tolentinum  piceni  urbem 
recepit.  Illuni  cum  prudentissimus  dominus  clementer  inter  intimos 
domesticos  recepisset  nihil  ab  opinione,  quam  de  eo  coneeperat  im- 
mutatus  est,  verum  ejus  presentia  adauctus. 

19.  —  Bis  ipsum  Romam  ad  Eugenium  Max:  Pontiiìcem  misit, 
quater  ad  illustrem  Franciscum  Sfortiam  praefatum  tunc  hostem. 
Bis  ad  Anchonitanos,  ter  ad  Camertes,  semel  ad  Ricinnatenses, 
ad  Firmanos,  Tolentiuates,  Fabrianeuses,  et  totiens  ad  Cingulanos 
legavit.  Cingulani  praedicti,  et  Sanseverinates  per  ejus  manus, 
eo  constituente  conditiones  pacis  acceperunt. 

20.  —  Alexander  quoque  Sfortia,  Francisci  frater,  Gironem  fir- 
manam  arcem,  in  qua  fuerat  obsessus,  cum  apostolico  imperio 
reddere  cogeretur,  certis  conditionibus,  ipso  interveniente,  confir- 
matis  Cardinali  restituit,  ob  quod  meritum  Firmani  multum  Angelo 
debentes  ipsum  semper  maxime  observaruut.  Illius  euim  opera  rece- 
ptam  arcem,  quae  urbi  exitio  erat,  postea  permittente  summo  Ponti- 
fice, ut  sibi  jugum  demereut,  everterunt.  Erat  enim  arx  in  nativo  sco- 
pulo super  urbem  vetusta,  et  miranda  mole  erecta,  quae  inexpugna- 
bilis  urbi  domiuabatur.  Nec  universa  Europa  tutiu.s,  aut  nobilius 
opus  fuisseaudivimus.  —  Ipse  *  delude  quaecumque  operae  praecium 
luit  nunc  ad  amicos,  nunc  ad  hostes  profectus.  Nec  inimicorum 
timuit  iusidias,  neque  ulla  quae  utrimque  ingruebant  pericula 
detrectavit,  cum  ubique  fraudes  vigerent,  undique  inter  bellorum 
turbiues  vis  immiueret,  atque  omnni  ex  parte  se  raptores  circum- 
ferreut,  ut  mos  est,  inter  Martis  tumultus.  Atque  ita  omne  pice- 
num  apostolico  juri  Eximum  (Oximum)  usque  restitutum  est. 

21.  —  Haec  postquam  egerat,  Cardinalem,  qui  se  illinc  ad  re- 
formaudum  Perusinam  Remp:  et  Umbriam  in  meliorem  cultum 
redigendum,  contulerat,  sequutus,  studia  repetiit,  quae  per  annum 
fere  omiserat.  Quotidianaque  disputatione,  quae  coram  ipso  Car- 
dinale privata  post  prandium  flebat,  et  quadam  publica  repetitione, 
quam  fecit,  reseraus  pontificii  juris  latebras,  abditosque  recessus, 
inauditam  de  sua  indole  spem,  et  expectationem  innovavit,  atque 
exausit. 


VITA  1>I  ANOELO  (;eualdini  477 

luterea  Eug'euius,  ut  diximus,  Umbria,  et  oiiinibus  IMceni  ar- 
cibus,  oppidis,  atque  urbibiis  Eximuin  usi|U(^  in  (littioiifiii  receptis, 

340  ipso  Cardinale  suadente,  ut  ejus  vices  invicto  animo  adente  redi- 
geudi  «fuociue  in  suam  pote.statem  Bouoniam  rcbelicm  spem  cou- 
cepit.  Et  quam  primum  opere  ipso  spem  sequutus  est. 

Adhibuit  Tarctarum  de  Bectona,  et  Eliseum  cives  Periisinos, 
Nicolai  Piccinini  ma^ni  ductoris  olim    secretarios,   cum    aliquibus 

345  civibus  Bououieusibus  ad  rem  couficiendam,  caeptorum  ministros. 
Veriim  ad  hoc  cum  Philippi  Mariae  tum  ducis  Mediolani  milites 
necessarii  viderentur,  prudeutiae  sagacitatjs  ipsius  Angeli  cura 
demandata  est,  cum  Eliscus,  et  Tartarus  praetati   addicti  fuerant 

•  e.  16.  socii.  *  Hos  deduxit    prope  Ferrariam  dissimulato    corporis  cultu, 

350      per  mille   capitis  discrimina  iuter  consertissimos  hostes  ;  ibi  ipsis   „  Recupera 
relictis,  ad  ducem    peuetravit  (juam   celerrime.  Obtinuit   ab  eo  lu- 
liauum  Forliveusem  exercitus  dncem.  Quem  cum  copiis  mille  quin- 
quegeutoram   equitum   et   mille  peditum  in  agrum   Bououiensem 
conduxit,  quibus   major  pars  oppidorum    Bouonicnsium   sacro  Ec- 

355  clesiae  imperio  reparata  suut.  Ipse  bis  post  tertium  meusem  pe- 
ractis,  ad  Cardiualem  rediit  Perusium. 

22.  —  Ibi  reperit  per  meusem  ante  reditum  Collegii  uovae  Sa-  Rettore  del- 
pieutiae  noucupatae  rectorem  (se)  fuisse  designatum.  Collegium  illud  pienzain  Pe- 
studentium  domiciliura  a  Benedicto  Guidalotto    piissimo,    Recina-   '""fe''*- 

360  tensique  psaesule  fuerat  institutum.  Morte  praeveutus  Benedictus, 
cum  absolvere  opus  non  potuisset  testamento  statuit  illud  perfici 
e  suis  opibus  debere,  reliquitque  testamenti  executorem  Cardiua- 
lem Firmauum.  Quo  costituente,  quadragiuta  studeutes  in  illud 
admissi  suut.  Illi  cum  de  aliquo  preficieudo  agereut  huuc,  «luam- 

365      vis  abseutem  novi  collegii  rectorem  desiguaruut. 

His  compertis  Angelus  in  utroque  iure  consultorum,  quos  do- 
ctores  vocant,  praestautiam  infra  triduum  assertus  est  die  natali 
beati  Johanuis  Baptistae  anno  aetatis  vigesimo  secuudo  (1444)  (1). 
Dedueta  pompa  in  palatium  Cardiualis,  et  vigiuti   octo    utriusque 

370      jurisconsultis  examiui  assistentibus.  Qui    omnes,  praeter    quinque,      Laurato  in 
mercedis  suae,  quam  in  simili  solemnitate  accipere  consueveruut,    dénza.^^"^^* 
pecuuias  eidem  ob  virtutem  liberaliter  reddiderunt,    ipsumque   in 
utreque  jura  consultissimum,  nullo  discrepante,  adprobarunt. 

23.  —  His  omnibus  octo  et  viginti  jureconsultis  Cardiualis  lau- 

375       tissimum  convivium  constituit,  dumque  in   sumptuosa    illa    coena       Giurecon- 

^  '-  sultoinsi- 

•  e.  is.  *  regifico  liixu  parata  discumbeutes  essent  prope  finem,  ecce  qua-   gne. 

draginta  studentes   primum    et  novum   Rectorem   ut   exciperent, 
venerunt,  peratocque  convivio   mag-na   caterva  stipantes  ad  colle- 


li)  Piuttosto  trigesimosecundo. 


478 


B.    GERALDINI 


Migliora- 
menti da  lui 
portati  nel 
suo  Collegio. 


Vicario  del 
Vescovo  di 
Perugia. 


Rettore  del- 
la Sapienza 
vecchia. 


g'ium,  et  ad  mag-istratum  (1)  tuoc  primum  iuiti  admiaistrationem 
380  comitati  suut,  et  partim  Cardi ualis  favore,  partim  ob  virtutis 
suae  merita  et  expectationem,  quam  de  se  contraxerat,  partim 
propter  reg'eudi  coUeg'ii  mimus  noviter  delatum  tanto  honore  tau- 
toque  omnium  plausu,  et  jurecousultorum  couseusu  ad  g-radum 
illum  juris  consulti  asceudit,  quanto  neminem  uostris  temporibus 
385      obrepisse  audltum  est. 

24.  —  Interim  credito  sibi  uovo  reg-imini  intentus,  duas  et  vi- 
g^inti  cameras  studentibus  costruxit,  translatos  alio  Benedicti  au- 
ctoris  libros  recuperavi t,  et  in  bibliotecam  composuit,  Illos,  quos 
costruendi    colleg'ii    aedibus   praefuerant   ad   reddendam   rationem 

390  malae  administratiouis  reos  deprehensos  daranorum  refactioni 
coeg-it.  Ex  quibus  repetundarum  accersitis  multam  pecuniam  ex- 
tortam  iu  colleg'ii  beneflcium  convertit.  Praesentibus  et  futuris 
ibi  studentibus  vivendi  raciones,  et  leg'es  tradidit,  a  quibus  parens 
et  auctor  colleg'ii  uominari  et  meruit,  et  obtiuuit.  Non    enim   mi- 

395  noris  est  faciundus,  qui  urbem  legibus,  quam  qui  moeuibus  fun- 
davit.  Nec  minora  Quii-itibus  Numae  leg'um,  quam  Romulo  ma- 
rorum  fundatori  gratia  habenda,  et  g'ioria  reddeuda  fuit. 

25.  —  Antequam  haec  pereg-isset  nondum  postinitummag-istrutum 
mense  exacto,  factus  est  Perusiui  Praesulis  vicarius.    Ibi  haec  of- 

400  fìeii  monumenta  sui  reliquit.  Quindecim  monialium  mulierum  con- 
•  e.  is.  veutus  episcopali  gubernationi  submissos  *  ab  ingredientium  corru- 
ptorum  labefactione  prohibuit,  et  ab  omni  virili  congressu.  Mari- 
bus  enim  praeter  leg'em  adeuntibus,  comuni  christianae  religionis 
comercio  beueficiis  interdixit,  sacerdotes  concubiuas  dimittere  com- 
405  pulit.  Extremae  testantium  voluntates,  multos  aunos  ante  illud 
temporis  impeditae,  ipso  statuente,  execjuutae  fueruut. 

26.  Est  etiam  Perusii  collegium,  quod  sapientiae  veteris  dicitur, 
ad  novi  colleg'ii  difereutiara.  Per  Nicolaum  Capacium  Romanum 
S.  Ecclesiae  Cardinalem  olim  sumptuoso  opere  erectum,  et  magno 

410  patrimonio  dotatum,  iu  quo  circiter  octuaginta  studentes  jugiter 
aluntur,  cousuevitque  ejus  rector,  qui  nunquam  nisi  eximius  ali- 
quis  jureconsultus  esse  solitus  est.  Episcopi  quoque  vices  gerere. 
Aegre  tulerunt  illius  coUegii  alumui  munus  illud  Rectori  suo  fuisse 
ademptum,  et  in  uovi  collegii  Rectorem    trauslatum.    Ideoque  de- 

415  decus  regentis  iguaviae  objectantes,  rectorem,  quem  habebaut,  re- 
pudiaruut.  Et  Angelo  Geraldino  illius  magistratus  gerendi  hono- 
rem detulerunt;  partim  ejus  virtute  illecti,  partim  ut  amissura  mu- 


(1)  Ms.  Magistratus. 


VITA    DI    AN(;Kr.O   GKUALDINI  479 

neris  honorem  roparerent.  At  iiovac,  ut  dixiinus,  sapieutiac  socictas, 
cum  Kectorem    suiiin    ad   alioiuiii   rc^iinen    transterri    non    aequo 
420      animo  pateretur,  impetravit  ex  ambabus  Ang-elus,  ut  eodem  tem- 
pore utique  novae,  et  vetri  congregationi  preeset. 

27.  —  Hoc  tertio  munere  suis  iionoribns  addito  haec  oilicia  prae-      S"»  a>'"ni. 

nistrazionu. 
stitit;  quod  veteris  coileyii  aedil)U.s  tecta  niinam  innovavit  minan- 

tia;  Damuosum  domus  et  reddituum  ministniiu  uiultoruiii  nobilium 
425       favore  fulctum  a  tali  adininistratione  -  expulil;  vinuiri  dum  maj'-no 
•  0.  10.  dispendio  ad  studt'iitiuni   usuni  (luotannis  (uneretur,  vincas  domui 
utillimas  parvo  ejusdcMn  siuiiptu  |)ropa<jari  curavit.  Acdcs  nobilis- 
simas  foro  iinminentes  litiyio  ab  ojusdem  colle^-ii  jure  alienas  fa- 
ctas  summa  industria  recuperavit.  Interini  practer  consuetudinem 
430      oblatus  est  ei  leg-endi  lionos    eum    stipendio  solis    civibus  ante  id   -i- ^r^^ff^'*'^* 
temporis  dari  solitus.  (^ueni  «j-essit  niag-na  cum  facundia,  et  gravi- 
tate, habuitque  frequentissimos  auditores. 

28.  Additus  est  praeterea  liis  titulis  alius  honor.  Quod  per  re- 
cessum  Petri  de  Capranica,  is  est  substitutus,  qui  Cardinalis  loco, 

435      ejus  curiam  celebrantes  audiret,  causarumque  seutentias,  et  judicia   delcardi'nale 
proferret.  Hos  quinque  magistratus,  quibus  quinque  insig-nes  juris   Capranica. 
consulti  potiri  consueveruut,  ipse  solus  citra  sex  meusium  cursum 
obtinuit,  g-essitque  eodem  tempore,  quod    nunquam    prius  coutiu- 
g'erat,  ut  tot  honores  in  unum    uno    tempore  in    Illa   urbe   conge- 

440      rereutur. 

Ex  temporis  curriculo,  quo  Episcopi  (ut  diximus)  Perusini  vlces 
gerebat,  quatuor  et  otaginta  studeutes  in  jure  cousultorum  numero 
recepti,  et  adprobati  sunt.  Totidem  oratioues,  quot  ipsifuerunt,  sicut 
Vicarii  est  officium  publice  habuit  disertissimas  quidem  et  horna- 

445  tissimas.  Eorum  privilegia  vicarii,  ut  mos  est,  nomine  expedita 
sunt.  Quod  ei  maxime  gratum  fuit,  quod  se  (Trante,  et  examini  pre- 
sidente, tres  concives,  multi  compatriotae,  et  plurimi  sodales  inter 
houoratum  jureconsultorum  ordinem  relati  fuerunt.  Praecipuam  vero 
iudustriam  et  sapientiam  adhibuit  ad  regendos  lubricos,  variisque 

450      (leg:  variosque)juvenum  studentium*animos,etmultiplices  volunta-   S^°'  'alunni. 

'  e.  50.  tes.  Nani,  quamquam  veluti  consueti  sunt,  multi  fidis(l)  factiouibus 
agitati  diversa  semper  inter  se  sentiebant.  Rarusque  inter  plurimos 
cum  alterius  voluntate  conseutiebat.  Ita  tamen  ad  benevolentiam 
sui  concordes  habuit,  ut  ad  bene  de   se  sentienduin   uuanimes,  ut 

455  nemo  illorum  esset,  qui  se  primum  apud  ejus  praecordia  esse  non 
existimaret.  Et  de  illius  virtute  omnia  vel  mandita  sibi  pollicere- 
tur.  At  vero  Angelus,  cum  instabiles  illorum  mentes  cognosceret, 
veritus  ne  aliquid  de   benevoleutia,  aut  de  opinione,  quam  de  se 


(1)  Forse  deve  leggersi  inlidis. 


480 


B.    GER ALDINI 


Premura 
per  i  suoi 
concittadini. 


Richiamato 
a  Roma. 


Giudice  d'ap- 
pello e  luo- 
gotenente 
generale  in 
Fabriano. 


habebant,  novìs  inter  ipsa  colleg-ia  discentiouìbus  exortis,  immuta - 

460  retur,  et  ut  suum  munus  recte  perficeret  utramque  societatem  com- 
muni foedere  ligavit.  Et  uovas  illis  ueg-otiorum  litium  occupatio- 
nes  objecit,  aliisque  in  dies  actionibus  implicavit.  Nam  prius  in  re- 
parandis  juribus  colleg'iorum,  quae  praemisimus,  intentos  habuit. 
Deiude  exortatus  est,  et  persuasit,  ut  causam  ag-itarent  contra  stu- 

465  dentes  cives,  qui  ipsos  in  publicis  arg-umentationibus  praecedere 
voluissent,  et  auxilio  eisdem  fuit,  dum  locum  suum  cum  honore 
tuerentur.  Atque  ita  eo  tempore  quo  illis  praefuit,  egit,  ut  inter 
se  non  dissiderent,  verum  et  publicum  bonum  omnes  intenderete, 
nec,  ut  eorum  mos  fuerat,  contra  reg'entem  rebelles  verterentur.  Re- 

470  cordabatur  enim,  quod  ipse  et  in  Senis  in  colleg-io  expertus  fuerat,. 
studentes,  cum  externis  carerent  belli.s,  intestina  quaerere,  et  per- 
saepe  in  ipsum  rectorem  verti  consuevisse. 

Praemissa  dum  ageret  semper  studiosissimus,  non  aliarum  actio- 

•  e.  21.  num  oblitus,  quae  *  virtutis  essent,  Baptistam  Geraldinum  g-erma- 

475  num  tertio  genitum,  undecim  annos  natum,  Pascalem  Gerardum 
consobrinum,  Angelum  Archangcli  propinquum,  Evangelistam 
Racanum,  deinde  Jacobum  Mandosium  Perusiura  ad  leg'em  et 
bonarum  artium  studia  convocavit.  Quorum  Baptistam  in  eque- 
strem  ordinem  deinde   referri    meruit.    Alii    omnes    clarissiraorum 

480  jureconsnitorum  titolos  accoperunt.  Multos  praeterea  concives, 
et  flnitimos  ad  totius  patriae,  decus  illuc  ad  ingenuarum  artium 
studio  perduxit,  partim  officio,  cui  et  locum,  et  studendi  faculta- 
tem  in  amicorum  civium  Perusinornm  domibus  praestitit,  partim 
sui  aemulatione  pertrassit.  Qui  uunc  diversis   artibus   peritissimi  ; 

485      multi  eorum  patriae  nomen  suis  virtutibus  illustrant. 

29.  —  Vigesimo  secundo  mense  posteaquam  jureconsulti  nomen 
adeptus  est,  bis  honoribus  iusignis,  accersitus  Romam  a  Cardinale 
reliquit  in  duobuy  magistratibus  successorem  Paulum  a  sancto  Ge- 
mino finitimum  et  amicum.  In  alios  tres  alii  succcsserunt. 

490  Romam  cum  accessit,  Eugenius  e  vita  migravit,  Nicolaus  eju& 
appellationis  quintus  pontificatui  successit.  Ab  eo  Monasterii  Sancti 
Erasmi,  quod  est  diocesis  Spoletanae,  situm  super  oppidum  Ce- 
sarum  consequutus  est.  Et  quamvis  ejus  redditus  custodibus  arcis 
Cesàrum    destinati    essent,   obtinuit   tamen  ut   sibi   relinqueretur. 

495  custodiumque  salarium  e  propriis  Pontificatus  Max  :  redditibus 
penderetur.  Cardinalis  postea  quartum    piceni  legatus   eo  die,  quo 

•e.  22.  Fabrianum  Angelus  est  ingressus,  *  ipsum  constituit  judicem,  quem 
appellatiouum  dicunt.  Cujus  primum  est  de  alienis  judiciis  judi- 
care.  Et  locum   tenentem   geueralem   in   generalibus   esse  jussit, 


VITA    DI    ANGELO    (ÌEKALH1NI  481 

500      credi(lit(|ue  ei  vices  suas.  Euindcm  statini    i)(».st  'roleiitimiin   iiiisit, 
ut  universae  curiae  lìiccnae  tVequeutiain  Sausevcriimin   traduceret. 
Quod  ipse  diligeutissiine  absolvit. 
30.  —  Reddita  est  tuiic  priimun  Italiae  pax  per  Nicolaiiii»  Poii-       Rivede  icr 

,,       .  ...  .    ^.  •      1     11-        I'  ••     cause  agita- 

tihceia  Maxiimiin,  (lUi  ocii  et  (|Uictis  ainator  oimiia  bellica  huj^euii   te  in  tempo 

505       coepta  diiiiisit.   l'>oiioiiiat<iue  habeua.s  certi.s  condictioiiilms  rec.iepit,      '  fe'"""'"'"'''- 
pacato    etiain    Picaeuo,    ijisi    oiiiniuin    Judicioniiii,    (|iiae    l)elloruin 
violeutia,  veteri  justitiae  inimica,  oppre.ssa  jacueruiit  co<'iiitio   re- 
missa  fuit. 

Non  limito  post  Franciscus  St'ortia,  de  quo  superius  dictuiii  est, 

510  ciim  ad  iiiajora  evocarctur  ipsunuiue,  et  virtus  et  fortuna  comes 
ad  Mediolaui  dominium  evelierent,  acceptis  ab  apostolieae  sedis 
fastigio  duobus  et  vigiuti  minibus  aureorum,  ut  pepigerat,  Esira 
restuit  iu  Angeli  manus,  <iui  ea  causa,  eo  mi.ssus  fuerat.  Quod 
oppidum  solum  ipse  Franciscus  in   ea  usque    tempora   retinuerat, 

515      atque  illuc  curia  generalis  Picaeni  translata  est.   Ibi  quoque  per     ^jf*iggf°' 
ipsum  Angelum  res  pubblica  reformata,   judiciaque  rcnovata   sunt. 
Et  omnia  quae  bellorum  concussa  iinpetu  labebantur  firmis  legibus 
stabilita.  Revocati  primum  ejusdem  opera  exules,   qui  apostolicas 
partes  sequuti  sfortianorum  potentiam  profugerant.  Revocati  deinde 

520      Sfortiaui,  qui  sibi  conscii  de  bis,  quae  contra  pontifitios,    egerant 

•  e.  23.  sauctae  Ecclesiae  imperii  censuram  formidantes  aufugerant,  *  pars  ■ 
Pontitìcuin  clementia,  et  liberalitate  uti  noluit,  atque  extorris   re- 
mansit.  Qui  redieruut  non  minus  adversae  factionis,    quam   amici 
in  g-ratiam  quocumque  tempore    redeuntes    recepti    sunt,    lUisque 

525  evangelico  praecepto  indultum  est.  Aequis  deinde  legibus  utraque 
subjugata,  etiam  pari  regimine  urbs  omnis  reformata, 

Eodem  modo  ToUentinantiuin  respub  :    in    meliorem  cultum   re-   Montecchio* 
dacta  est,  Monticuluin  quoque  ejusdem   provinciae  oppidum   tunc 
duo  millium  incolarum  suo  accessu  illustravit,  et  mirifice  munivit. 

530  Cum  enim  niinis  latus  esset  murorum  ambitus,  qui  sine  multis 
custodiis,  et  propugnautoribus  ab  impugnantium  vi,  et  insidiis, 
haud  facile  tueri  possit,  obtinuit  primum  ut  sexcentae  casae  de- 
molireutur,  et  moenia  contraerentur,  munirenturque  propugnacula. 
Deinde  cum  nullo  modo  possent  convenire  inter  se  de  pretio    cul- 

535  tores,  diversa  enim  erant,  et  rustica  capita,  egit  cum  illis,  quo- 
rum domus  contractis  maeuibus  extra  circuitum  relinqui  debebaùt, 
illas  dirimi  patereutur.  Et  ab  aliis  impetravit,  qui  duplices  habebaut 
casas,  exclusis  quae  (quas)  ipsis  colebant  habendas  relinquerent. 
Visa  est  vero  talis  oppidanorum,  et  praecipue  agrestium  de  praetio 

540      domorum  conveuieutia  fere  omnibus  impossibilis.  Cum    ad    omnia 


482 


B.    GEUALDINI 


È  a  lui  defe- 
rita la  causa 
•dei  Varano. 


E  fatto  udi- 
tore del  Car- 
dinale peni- 
tenziere. 


Condanna  i 
Permani. 


545 


e.  24. 


550 


555 


560 


565 


570 

•  e.  25. 


Sua  vittoria     575 


580 


cousilia  sibi,  quamvis  utilia  adversari  consueti,  tuac  damuosis 
privatum  si  respicias  comodum,  et  calamitosis  rebus  facilem  as- 
sensum  praebuisseut  ex  tanta  rerum  confusione  expeditissimi,  ae 
ipsius  Consilio  consultissimi  fuisseut. 

Montis  Luponi,  et  Montisphilatrani  incolis,  suis  ratiouibus  per- 
suasit,  ut  Sigismundi  Pandiilfì  Malatestae,  qui  ea  occupaverat, 
jugo  se  subtraherent,  et  ad  saucta  Poutiflcum  jura  ultro  *  rever- 
terentur.  Atque  ita  illa  duo  tbecundissinia  oppida  apostolico  obse- 
quio  sine  vi,  et  sine  ullo  bellorum  fremitu  restituta  sunt. 

31.  —  Nobiles  A^'aranenses,  Camerini  domini,  qui  Canderolam 
oppidura  Ecclesiae  juri  subditixm  hostiliter  invasissent,  cum  esset 
Angelo  delegata  causa,  illos  reos  judicavit,  resarciendorum  da- 
muorum,  quae  intulerant,  vicariatus  titulis,  et  praeminentia  ci- 
vitatis  Camerini  privavit,  illos,  et  municepes  a  comuni  christianae 
religionis  participatione  abdicavit.  Urbi  sacris  iuterdixit,  villas  et 
oppida  ab  xirbis  dominio  segreg-avit,  et  privileg'iorum,  muneribus, 
quibus  a  summis  Pontificibus  donata  fuerat  spoliavit.  Cum  autem 
a  Pont:  Nicolao  nobiles  ipsi  indulg'entiam  essent  assequuti,  ipsius 
opera  factum  est,  ut  non  ante  in  gratiam  reciperentur,  quam  Can- 
derolam, Montemrotundum,  et  Belfortem  oppida  sacrae  Ecclesiae 
relinquerent. 

Post  XVIII  mensem  cum  Cardinali  Romam  repetiit,  remansitque 
mag'ister  familiae  ipsius  Cardinalis,  et  ejus  vices  in  auditione  ser- 
vans.  Fuit  subinde  in  Cardinalaem  a  Pont.  Max  :  collatum  munus, 
quod  poenitentiariae  dixerunt,  cuius  officium  est  poeniteutibus  in- 
dulgere. Is  quoque  Cardinalis  loco  auditor  institutus  veniam  poeni 
teutibus  pontifìcia  auctoritate  peccatorum  culpara  remisit. 

32.  —  Non  longe  postea  tempora  Firmani  ceperunt  proditione 
castellum  Montisoctonis,  quod  episcopali  sceptro  debetur.  Exorta 
proterea  inter  Cardiualem  et  Firmanos  controversia,  quinquies  ad 
prosequendam  litem  Angelus  Picaenum  prosequutus  est.  *  Tandem 
definitiva  judicis  sententia  Firmani  ejus  opera  sunt  ad  restitutio- 
nem  condemnati,  quibus  sacrorum  beneficio  interdixit,  privilegiis, 
et  oppidorum  et  villarum  veterl  conjuuctione  privavit. 

33.  —  Cardiualem  Bononiensem  Nicolai  Quinti  Pont:  fratrem,  ut 
contra  Firmanos  cum  exercitu  contenderet,  exoravit.  Poenituit  fa- 
cti  Firmanos,  cum  sibi  sacris  interdictum,  et  militares  copias  in 
se  ruentes  conspexissent.  Miserunt  idcireo  Oratores  ad  Cardiualem, 
qui  veniam  supplico  nomine  supplices  implorarent.  Indulsit  illis 
Cardinalis,  castellumque,  et  amorem,  et  observautiam  a  Firmanis 


VHA    DI    AXGELO    GEKALDIXI  483 

civibus   ii)sius    Aiis"i'li    fii)era,  et    iiuliistria    rcc-upcravit.  (^>uo(l    fiiit 
beueficiuin  non  vulvare. 

34.  —  Cassiani  a  Cardinali  niissus   civiles  tniiinltns    coini)rt'ssit,    f^o'nprime  in 

'  '     Cascia    1   ci- 

statuitque   iuter  eos  paceni,  (|uani  us»iue  ad  ir^iininis  rcip:  inno-    '^''''  tumulti. 
585       vationem  per  aunum  cuni  medio  teuuerunt.  Ejus  foedere  sul)lato, 
in  nova  mao-istratunni  i)artit'one  disentionibns  exortis,  niutuis  cla- 
dibus  in  Panli  Pontitìcatum  ad  extrenium  n.sijue  exitinin    patriani 
perduxeruut. 

35.  —  Anno  a  Kedentoris  Natali   quintiuag-esinio  super   millesi- 
590       mum  iu  celebritate  lubilei,  quo  fere  omnes  Cliri.stiaui  ex  omnibus 

oris  Romam  coutiuuut,  et  a  comuni  g-aiidio,  quod  ex  culpae  cri- 
minum  remissione  assequuntur  annuni  jubilei  dictum  fuisse  opi- 
uor,  adbreviatoris  quos,  rectius  compendiatoris  diceremus,  muuus 
desig-natus  est.  Horum  officium  est,  apostolicas  qiias  Bullas  vocant, 
595      componere,  et  limare  et  de  illorum  structura   iudicare.  Is  ad  pri-     Diviene  Ab- 

'  '  .'I  l»reviatore  di 

mum,  et  secundum  prius  :  deinde  infra  annum  ad  tertium  g-radum    P''^'"co   »nag- 

^  '  "  giure, 

obrepsit.  Ad  quem  ueminem  recipi  nisi  per  decennium   autem   iu 

•  e.  26.  primo,  etiam  in  secundo  *  versatus  fuerit  decreto  Pont:  statutum  fuit. 
Est  enim  Magistratus  ille  triplicis  gradus.  Nam   priinus  breviato- 

600  rum  ordo  est,  cui  licet  pontificiae  largitiones  literas  ab  aliis  scri- 
ptis  videre.  Non  tamen  de  ipsorum  compositione  judicium  pro- 
ferrre,  qui  primae  visionis  noncupatur,  Seciindus  appellatur  de 
parco  minori,  qui  et  videre,  et  de  nonullis  levibus  jure  suo  indu- 
cere potest.  Tertia  series  nominata  est  de  parco   majori,  quae   de 

605      omnibus  tam  parvi,  quam  magni  pouderis  censere  solita  est,  atque 

illas  corrigere,  expolire,  et  expedire.  In  hunc  igitur    tertium  bre- 

viatorum  gradimi,  non  obstarunt  saeverae  Pontitìcum  institutiones, 

quomiuus  ante  aunum  exactum  post  primum  reciperetur. 

Verum  multiplex  ejus  virtus,  et  fama  Celebris  arcta  legum  vincula 

610  coufregeruut.  Illa  tamcu  breviatorum  munera,  nonnisi  iu  peritis- 
simos,  iu  facundissimos,  prudentissimostiue  viros  conferri  mos  uu- 
quam  fuit.  ludigeut  enim  eorum  praefecti  maguae  peritiae,  ma- 
gnaeque  facundiae  uec  miuoris  prudentiae. 

Ex  ea  vero  perfectione    singulai-is,    et  inaudita  ipsi  laus  prove- 

615  venit,  partim  ex  mansetudine,  et  promptitudiue  audiendi  omnes 
ad  se  proflciscentes,  quibus  se  facillimum,  et  studiosissimum  prae- 
stabat,  partim  ex  liberalitate  in  amicos,  et  curiales,  a  quibus  nun- 
quam  laboris  praemium  exaegit,  partim  etiam  doctrina,  et  Consilio, 
quibus  in  transigeudis  eorum  ncgociis,  utebatur. 

620  36.  —  Hic   quoque   magnum  illi   bumauae   fortunac    excmplum 


484 


B.    GER  ALDINI 


I  Geraldini 
d'Irlanda  gli 
inviano  una 
deputazione. 


La  riceve 
con  sommo 
onore. 


Costruisce 
in  patria  uno 
splendido  pa^ 
lazzo. 


se  obtulit,  quo  antiquum  illud   ijroverbium   comprobatur  «  Homi- 
num  frontes  persaepe  occurrere,  montium  vertices  nunquam  ». 
Dum  enim  in  poutificiarum   literarum  terg-o  curu  nomine  et  co- 

•  e.  27.  gnomen  iscriberet,  *  ut  mos  est,  hiberni  Geraldini  de  quibus  in  re- 

625  petitioue  Geraldini  g-eneris,  in  principio  operis  diximus,  Angelum 
Geraldinum  Amerinum  in  tergo  legentes  socium  cog'nomen  reco- 
gnoverunt,  et  adrairati  sunt.  Et  memores  priscae  originis  stirpis 
suae,  quae  in  Ameria  fuerat,  Romara  miseruut  nuunullos,  quibus 
iujunxerunt  Ang-elum  Geraldinum  g-eneris  consortem  consanguineo 

630  nomine  salutarent,  gratularenturque  cum  eo  de  familiae  felicitate, 
quae  tam  clara  pig'nora  ab  antiqna  origine  non  degenerantia  hac 
aetate  produxisset  ipsum  tulerit  virtute,  dig-nitate,  et  gloria  insi- 
g:nem.  Deinde  facta  quoque  et  eventus  suos  in  Hybernia  docerent, 
qui  a  tempore  Julii  Caesaris  in  illuni  usque  diem  principatum  te- 

635  uuissent.  Delude  ipsorum  favorem,  opes,  et  potentiam  eidem  utenda 
oiferrent  tamquam  consanguineo.  Nuntios  illos  magnifice  Angelus 
excepit,  liberalissimeque  dimisit.  Mutuo  enim  prius,  cum  illis  de 
successibus  Geraldinae  sobolis,  et  de  dominio  gratulatus  ac- 
ceptis  eorum  oblationibus,  vicissim   operas,  et   fortunas  suas  arbi- 

640  trio  illorum  paratissimas  fore  detulit,  pollicitationesque,  reipsa 
prosequutus  eorumdem  negotia  in  romana  Curia  offieiosissime  egit. 
Omnes  porro  Hyberni,  qui  postea  Romam  venerunt,  quousque  An- 
gelus in  praedicti  muneris  administratione  permansit,  non  reeba- 
tur  se  in  romana  Curia  aliquid  impetrasse,  nisi  ejus  nomine  11- 
teras  expeditas  in  Hiberniam  reportasset.  Maximo  enim  favore  il- 
lud cognomen  omnes  prosequebantur  magni  auspicii  maximaeque 
felicitatis  esse  late  credebant. 

37.  —  Ex  eodeni  magistratu,  ut  peripatetico  more,  opes  velut 
virtutum  fomenta  cum  virtute  conjungamus,  *  nec  illis  admuiculis, 
et  ornamentis  carere  velimus,  quae  ex  divitiis  proficiscuntur,  multas 
fortunas  comulavit,  remque  familiarem  longe  amplifìcavit.  Qua- 
tuor  enim  sororum  dotes,  quae  dum  nupserant  promissae  maritis 
fuerant,  solvit.  Cum  pater  ex  genere  gravis  familiae  aliaenum  aes 
conflasset,  omnia  ejus  debita  dissolvit.  Construxit  uovas,  et  splen- 

655  didissimas  aedes,  in  propria  avitarum  sedium  sita,  ubi  tam  felici- 
ter  fata  etiam  posteris  se  protendebant,  eversis  prioribus,  quae  fa- 
ciem  primi  parietis  pulcherrimam,  et  quadratìs  vivìs  lapidibus 
compositam  habebaut,  nec  altera  illis  similis  tota  urbe  reperiebatùr. 
At  illa  demolita,  ut  pulchrior  fìeret,  tam  gravi,  et   iniquo   animo 

660      tulit  genitor,  ut  nunquam  posteaqaum  solo  aequatus   prior  paries 


645 


•  e.  2S 
650 


VITA    IH   ANGELO    OKU  ALDINI  485 

fuerit,  doiniira   videro  i)Otuerit,  aiiteqxiain    novus    ilio   praestautior 
erectus  fuerit. 

Aedes  itaque  novas  tanto  suinptu,  tautaque  architectura  compo- 
suit,  ut  nullum  in  tota  urbe   vestigium    sit,  (juod   simile   ante   id 

665       teiuporis  aedificium  ibi  fiiissc  iudicet. 

f^mit  etiam  ex  breviatiirae  (quanti  sic  vocantì  emolumento,  po- 
marium,  intra  urbis  moenia  septemtrioni  oxpositum,  (luod  in  tres, 
et  quinquag'inta  hortulos  divisum  erat,  et  a  totidcm  possessoribus 
emendum  fuit.  Atque  ut  in  iinum  redig'eret  aequaretque,  quator- 

670  decim  casas,  majori  qua  par  erat  praetio  emptas,  a  fundamentis 
convulsit,  et  delevit,  ac  in  unam  aequam  formam  redactum  muris 
palchrisque  aedificiis  circumdedit.  Addit  praetera  patrimonio  multa 
latissima,  et  feracissima  praedia.  Quorum  unum  octif^cnta  soli  jug^era 
suo  gremio  complectitur,  in  quo  ipse  et  decem  fructiferarum  arbo- 

675      rum  millia  *  sua  expeusa  consevit,  tamque  lata  vineta  propagavit, 

•  e.  29.  quam  ad  totius  cujuslibet  populi,  quamvis  ampli,  usum  satìs  esset. 

Emit  ([uoque  castellum  Seppi  aprico  clivo   prope   Balneoregium,      Acquista  il 

feudo    Seppi 
et  Lubrianum   situm,    quod   principium    dominii    fuerat,    et   sedes   dai  Cervara 

nobilibus  de  Cervaria  Monaldeusiljus  cog'nomiuatis.  Magna  profecto   schi. 

(580  ejusdem  castelli  fortuna,  quod  semper  in  celebre  uobilium  domi- 
nium  jure  esse  debeat.  Multa  demura  sub  eodem  Pontiflce  maxime 
in  domum  ornamenta  congessit.  Multos  finitimos  officiis  sibi  et  suis 
devixit.  A  vicinis  enim  Luouanensibus,  tum  ob  ag-rum  Porchiani 
oppiduli  diruti  eorum  juribus  additum,  cum  jure  exigendi  Ibidem        Privilegi 

685      vectigalia,  tum  etiam  quod  illis  a  Pontiflce  impetrarat  ut  navim  in  ° 

Tiberim  trahere  liceret,  exemptus  fuit  et  ipse,  et  Geraldiui  omnes 
ab  orani  et  vestigalium,  et  navali  solutione. 

A  Tudertibus  civitate  donatus  cum  omui  progenie  Geraldina, 
quae  in  omnia  ipsius  Reip  :  munera  ejus  meritis  adscripta  est. 

690  'ò8.  —  Federici  Imperatoris  augusti,  qui  Xicolao  Pont  :  regnante 

.     Roraam  venerat,  ardua  negotia,  cum  sapientissime  diligentissimeque     l  Geraldini 
expedisset,  pater  et  fratres  cum  sobole  futura  ejus  beneficio  comites   palatini   da 
Palatini  fieri  meruerunt  per  pviblicas  et  augustas  literas.  Ab  eodem     ^  ^"*^ 
prò  galeae    insigne  in  christis  pardo  donati  sunt.   Sublato   deinde 

695  ex  humano  comercio  Xicolao  Pontifico  Kalistus  valentinus,  tertius 
ejus  nominis,  sublimi  divi  Petri  chatedrae  insedit. 

Venerat  forte  paulo  ante  lacobus  Nicolai  Piccinini  fllius,  acer- 
rimus  ipse  quoque  militiae   ductor,  cum  multis  copiis,  ut  sacram 

•  e.  30.  Pontificum  potestatem  *  infestis  armis  adoriretur.    Sed  Alphonsus 
700      perpetui  nominis  Rex,  cum  eum  a  caeptis  revocasset,  in  Senenses 

exercitum  vertit. 


486 


B.    GERALDINI 


Inviato  in 
ajuto  ai  Se- 
nesi asse* 
diati. 


Il  Piccinino 
messo   in 


fuga. 


Riconcilia  il 
Papa  con 
Francesco 
Malatesta. 


Segretario 
di  p.  Callisto. 


39.  —  Challìstiis  et  ut  Seueusibus  iu  tanto  periculo  adesset, 
et  bellorum  rabiem  a  sua  sede  compesceret,  seueusibus  rebus  in- 
tegris,  maguas  copias  coeg'it.  Habuitque  auxiliares,    et  ducis   Me- 

705      diolani,  et  Venetum,  et  Florentiuorum  acies  equitum  decem  millia, 
et  quatuor  millia  peditum.  Quibus  Johauuem  de  Ceutomilio  fortis 
simum  belli  ducem  perfecit  summo  imperio.  Et  Augelum  in  castra 
leg-atum  misit,    cuius    auctoritate   omnia    in    expeditione    gereuda 
commissa  sunt.  A  qua  commissione  similes  legati  comissarii  appel- 

710  lari  censueverunt  Romani  de  his,  quae  acta  sunt  rescribere,  et  de 
agendis  summo  Pontifici  consulere. 

Primo  congressu  lacobus  cum  suis  turmis  a  delectu  pontificio 
in  fugam  compulsus  coactus  fuit  in  oppidum  quod  Castillionis  de 
Piscaria  dicitur,  se  recipere,  quod  quidem  erat  sub    potestate   Al- 

715  phonsi  Regis,  atque  illuc  usque  apostolicae,  cohortes  insequntae 
sunt.  Verum  ab  eo  manus  abstinueruut,  ne  bellorum  cum  Alphonso 
quoque  causam  darent,  si  illuni  in  agris  dictioni  ejus  subditis 
impugnassent.  Cousederant  Piscarium,  ut  Jacobo  iter  interclude- 
rent,  ne  aut    Perusium,    aut  Lucani    per   agruni    Pisanum   tende- 

720  ret.  Seuenses,  qui  vim  hostium  formidantes  voluerunt  cum  ipsis 
iuiquis  couditionibus  pacisci,  Angelus  ab  inhonesto  proposito  con- 
tinuit. 

luterea  ejusdem  Jacobi  milites  anonae  defectu  compulsi  omnes 
difugerunt,  intra  undecimum  mensem,  ex  quo  praefatus  ductor 
partim  in  Castillione,  partim  in  Orbiteli©  obsessus  fuerat,  composita 
est  pax  inter  Pontificem  *  et  Jacobum  hac  prima  condictione,  ut 
ablata  Seueusibus  restituerentur. 

40.  —  Exorta  est  inter  Pontificem,  et  ducem  Mediolani  Fran- 
ciscum  Sfortiam,  qui  tria  millia  equorum  ad  nutum  Rallisti  in 
ejus  custra  suppetias  miserat,  maxima  auspicio  quam  idem  An- 
gelus e  medio  sustulit,  confi rmavitque  pristinum  eorum  foedus, 
ex  quo  dux  praedictus  Angelo  multuui  debere,  et  scepe,  et.  pu- 
blice  testabatur. 

41.  —  Hisce  peractis  Angelus,  cum  primum  ad  Kallistum  rediit 
735      in  meritorum    primo    admissus   est   ad  participationem  arcanorum 

Pontificum,  quod  munus  secretariorum  dicitur,  coucessitqueei  e  sacris 
beneficiorum  emolumentis  primo  vacantibus  sub  ditione  pontificia, 
et  a  quacumque    praesule   conferendis  tenus  suramam   quiugento- 
rum  ducatorum  quotanuis  futuram. 
740  Designavitque  suis  publicis  literis  Matheum  ejus  genitorem,  et  fra- 

tres  omnesque  eorum  haeredes,  et  posteros  comites  palatinos  cum 
facultate  restituendi  inlegitime  genitos  in  omnia  legitimo  conubio 


725 

•  e.  31. 


730 


VITA  DI  an<;elo  <;erali)1ni  487 

nascentium  Jura,  et  tabelliones  iustitueudi,  ipsos<|Ue  ab  oiimi  onere 
corporeo  exeinptos  esse  jussit. 
745  42.  —  Viterbiuin,  quaiii  Iturbiuni  prisci  dixeruiit,  a  l'ont:  l)is  fiiit    viierfo'^  "* 

legatiis.  Duin  fiuoribus  civilil)us,  et  piiblicis  depredationibus  excia- 
deretiir,  incenden'ntuniixe,  semel  ut  concivium  raptaeopcs  resiyna- 
reutur,  rursus  ut  arma  depoucreutur,  et  iitrum(|iie  asseiiuutus  est. 
Troilus,  et  Galeottiis  Gacteuses,  quae  t'amilia   primaria  in   urbe   i-i'^era  dalla 

'  III  pena  di  inor- 

750      Illa  esse  consuevit,  cum  deiude  uoa  conciuiescerent  a  bello  civili,  es-   to  i    Gatte- 
chi, 
sentque  deducti  captivi    in  arcem    Soractis,    et   etiam  nulla   esset 

mora  ciuominus  capite  damnati  Poutilicis  mandato  laqueo  suspen- 

derentur,  is  retiuuit  praeceps  eorum  fatum,  fuitque  causa  ut  vita 

illis  produceretur.  Iterum  cum  Guj^lielmi  Gacti  ejusdem  san<4'uinis, 

755  diversae  tamen  factionis,  per  insidias  trucidati  bona  deriperentur, 
is  a  rapina  servavit. 

'  e.  32.  43.  —  Deiuceps  Bononiam  jussu  Pont:  maximi  profectus,  *  Bouo-  g^è spedito 
nienses,  qui  occupaverantoppida  Plebis,  et  Centi  Bonouiensis  Epi-  »' Bolognesi, 
scopi  sceptro  subdita,  ad  restitutiouem  movit,  suaditque  oppidauis 

760  Centi,  ut  sub  cons:ueti  praesulis  jug-um  ultro  revertereutur.  Ilabuit 
vero  ad  haec  sua  vota  Centi  optimates,  quibus  Geraldiui  cog-nomea 
est,  facillimos  adiutores.  Quos  generis  sotios  esse  tuuc  primum  com- 
perit  ex  illis  Romauis  Geraldini  originem  habuisse,  qui  cum  Bo- 
nonia  deducta  fuit  colonia,  ibi  restiterunt.  Ipse  Angelus  tum  me- 

765  minit,  et  (ut)  ipsi  referebant.  Gratulati  igitur  ad  invicem  de  ori- 
ginis  societate  multis  se  honoribus  mutuo  prosequebantur. 

Est  ipsa  domus  amplissima,  quae  plusquam  septuaginta  viros  ha- 
bebat,  hoc  tempore  in  sexdecim  lares  divisos,  voluntate  tamen 
conjunctissimos.  Omnium  primus  est  Nicolaus  senior,  qui   paterno 

770      nomine  a  toto  genere  appellari    non   iramerito    possit.    Compositis      È  ricevuto 
rebus     Angelus   Bononiam    rediens    ab    urbis    praefecto     niaximo   onore  in  Bo- 
honore,  et  plausu  exceptus  est,  et  ab  iisdem  illi  couvivium  niaximo     °^"^" 
apparatu  celebra  tum.  In    cuius   frequeutia    dum   esset,  nunciatum 
est  Aeueam  Seuensem  Cardinalem,  qui  postea  Pii  secundi   nomen 

775  accepit,  Kallisto  defuncto,  ad  poutificatus  culmeu  evectum  fuisse. 
Maximam  ex  tam  fausta  felicique  relatione  loetitiam  accepit  An- 
gelus, audiens  veteris  amici,  a  quo  amplissimus  postea  dignitates 
assequutus,  felicitatem. 

44.  —  Fuit  enim  ab  eo,  quamvis  in  actioue,  de  qua  modo  dixi-        P'ojl  1° 

780      mas,  abesset,  Datarius  designatus,  cuius  officium   est   supplicatio-   rio. 
nes  porig-ere,  eius  signaturae  assistere,  deinde  diem  et  locum,  ubi 
datae  sunt  conscribere,  atque  idcirco  Datarius  appellatur.  Ad  quod 
munus,  uounisi   quivis   breviatorum   peritissimus   eligi    consuevit. 


488 


B.    GER ALDINI 


Lo  fa  Pro- 
tonotario. 


Dal  papa 
è  spedito  a 
Francesco 
•Sforza  ed  al 
Duca  di  Sa- 
voja. 


Renato  Re 
di  Francia. 


Come  si  di- 
portasse con 
quel  Re. 


Est   antera  non   minus   Inerosa  administratio  propter   mag'istratus 

785  emolnmenta,  quam  honorificnm  propter  pontiflciae  sìg-naturae  prae- 
seutiam.  Vernm  deinde  novns  Pontifex   mag-istratnm   illuni   Lau- 

•  e.  33.  rentio  Roborellae  detnlit,  censens  *  multiplicem  virtntem,  promptum, 
invidumqne  ingeuiura  Angeli  semper  in  arduorum  dificilinraque 
negotiorum  expeditione  versatum,  iuter  rnilitares  tnmnltus,  in  re- 

790  gendis  feris  populorum  animis,  in  Pontificum  legationibus,  con- 
flciendisque  Inter  principes  foederibus,  non  dignnm  esse  quod 
tam  in  ociosa  actione  lentesceret.  Cura  igitur  primum  in  curiam 
revertisset,  procubuissetque  ante  suos  pedes,  eum  sereno  vultu 
excipiens   [in]    protonotariornm   collegium   assurapsit.    Hi    praelati 

795  vocautur,  et  ab  Episcopis  corporis  cultii  in  nullo  differuut,  prae- 
ter  quam  in  subtegmine  pilei,  quod  bis  e  nigro  serico  est,  illis  e 
viridi.  Solebaut  publicis  Pontificum  cousistoriis  assistere,  atque 
omnia  de  quibus  in  eis  referebatur  prius  quam  alii  notare. 

45.  —  Ipsum  tura  legavit  ad  invictum  Mediolani  Ducem  Fran- 
800  cescum  Sfortiam,  ut  de  ejus  voluntate  certior  fieret  in  tuendis  re- 
bus Ferdinandi  Alphonsi  filii,  qui  post  obitum  patris  paterno  regno 
successit.  Deinde  ut  ad  ducem  Allobrogum  proficisceretur  ad  com- 
pouendos  utrìusque  ducis  controversias.  Quae  omnia  sibi  injuncta 
accuratissime  peraegit.  Nam  ducis  mentem  cum  Pii  voluntate  con- 

805  junxit.  Ducum  veteres  lites  pontificia  auctoritate  sopivit.  Per  ea 
tempora  Pius  Neapolira  misit  Latinum  Romanum  Cardinalem,  cui 
Ursino,  ac  (a)  familiae  nomine  cognomentum  fuit,  et  Nicolaum 
Pistoriensem  Cardinalem  Teauensem.  Qui  Ferdinaudum,  et  trabea, 
et  regni  diademate  apostolico  nomine  induernet. 

46.  —  Angelum  vero  ad  regem  Rhenatum  Ferdinandi  Regis 
hostem,  et  ejusdem  regni  competitorem,  ac  postea  invasorem,  Mas- 
siliam  misit  ut  primum  justam  Pontificis  causam  ipsi  palam  face- 
ret,  qua  motus  praefatum  honoriflcentissimis  decretis  Regem  ap- 
pellasset,  et  corouarit.  *  Deinde  firmum,  et  justum  propositum  in 
eodem  tueudo  declararet,  admoneretque  si  arma  in  ipsum  Regem 
moveret,  pontificem  oppositum  habiturum. 

Cum  Rhenatus  oratoris,  qui  jam  Avinionem  perveuerat  adven- 
tum,  legationisque  causam  intellexisset  in  populos  evulgavit  se 
Pontificis  legatura  non  adraisurum.  At  Angelus  haec  audiens  decre- 
820  vit  ad  eura  non  ire  nisi  prius,  ut  accederet,  per  literas  ipsius  roga- 
retur.  Atque  eo  usque  in  Avinione  perraansit,  quo  duo  ad  se  no- 
biles  venerunt,  qui  Rhenati  noraine  ipsura  obsecrarent,  coraitarentur- 
que  in  Regis  tecta.  Exposita  corara  ipso  oratione  sibi  coraissa,  et 
anirao  Regis  corapresso,  Roraam  repetebat  Angelus,  cum  redditae 


810 


•  e.  34. 

815 


VITA    DI    ANtlHlJ»    «IKUALDINI  489 

825       fiierint  ei  PoiitiHcis  literac,  (|iubu.s  ij).si  iiijuu;j;t'l)atur,    ut   Carpcii- 
turatae  omni  Vencsino  coinitatui  g'iibernando  consisterei. 
47.  —    ()iii  iu  Narbonensi  Gallia  est  sub  apostolicis  scciìlri  iinpe-     i;  i-itto  f,'o- 

'  •  '  verna  toro  di 

rio  per  sexa^inta  annos    illuc  "'uberuatoris   pontificii   admissi  non   c-iriientnra- 
fiienint.  Ipse  vero,  adhil)itis  yallis  niilitibus,  et  sacroruni  interdi     Contea    «lei 

,  ,«  .  ....  ...  ^11.         Veiiaisino. 

8o0  ctione,  relig'iosisqiie  arnus  in  gxibernatoreni  receptus  esl.  Quod  lìo- 
niae  magna  ciim  laetitia,  et  adrairatione  postea  renunciatum,  aii- 
ditunuiue  fuit,  dum  iutellcctum  esset  quod  cotnitatus  praedicti 
.jura  sedi  pontificiao  per  eum  summa  cuin  mag-nitudine  reparata 
fuissent.  Sunt  in  eo  tres  Urbes  opulentissiniae,  oppida  vero  duo  et 

835  septuag-iuta.  His  Angelus  duormn  anuorum  cursu  praefuit  ;  judicia 
coustituit,  jure  pontificio  populos  ad  nielioreni  vitae  rationern  re- 
deg'it.  Soepe  tamen  prò  Ecclesiae  sublimitate  vitae  discrimen  iu- 
currit,  praesertim  cum  quidam  V  Carpenterate,  ubi  erat  ejus  sedes. 

•  e.  .i'.5.  Cives,   qui    patriam  Khenato  voluerunt  *  prodere,  plebejos   illicere 

840  coepissent  rapinis  opum  jiuleorum.  Quorum  partein  interemerunt, 
partem  sacri  ba])tismatis  unda  irrorarunt,  septuaginta<jue  illorum 
domus  omne  suppellectile  spoliarunt.  Moisis,  et  omia  aebraica  vo- 
lumiua  minutissime  lacerata  in  publicam  viam  coujeceruut.  Eorum 
violentiam  Angelus  summa  fortitudine  repressit,  adbibito   externo 

845       praesidio,  vicitque,  et  de  illis  justvim  suplicium  sumpsit.  E  converso   Reprime  una 
Judeis,    qui    usura   totius    regionis    fortunas    hauserant,  cum    fere   t'uzione*con- 
omnes  debentes  sibi  reddidissent  totani  provinciam  sub   ,jug"a  tra-    ^^°  »''  '''"■«'• 
xerunt,  iuhibuit  ne  iu   mutuis   contrahere    possent   publicis  istru- 
mentis,  sed  acceptis  pignoribus,  et  deposito,  ut  minus  rapidum  foe- 

850       nus  exercerent,    tolleravit.    Deinceps    cum   inveterata   consuetudo 
penes  eos  esset  (juod  creditores  ejus  proviuciae  vocareut  debitores 
suos  in  judicium  ad    aliena  fora,    obligarentque    illos    ad   externa 
tribunalia  apud  illos  praecipue  a  quibus  faciliorem  exactionem  de-   sa„n.ie  ]^,„^i 
beutibus  damnosum  magis  et  incomodum  expectabant.    Is   evertit   f-'^,  ""P'-dire 

'^  ^  le  loro  usure. 

855  hauc  iniquam  consuetudinem,  universo  populo  calamitosara,  et  in- 
credibilis  jacturae.  Quippe  quod  hi,  qui  statuto  tempore  non  fuis- 
sent solvendo,  statim  ad  tam  longinqua  judicia  postulati  aut  magno 
cum  dispendio,  duplicatis  debitis,  proficiscebantur,  aut  pars  bonorum 
in  pnblicum  referebatur,  et  aliaenum  aes  et  eorum  bonis  exigebaUir 

860  solvebantque  laboris  praemiura  exactoribus,  at([ue  ita  omnis  eorum  res 
familiaris  evanescebat,  et  persoepe  illi  cui  niil  debebant  detineban- 
tur  in  alienis  urbibus,  et  per  aliorum  debita  poenas  luebant.  Quod 
injusticiae  genus  represalia  in  jure  vocant.  Ipse  itaque  constituit  ne 
debitores  extra  ecclesiae  jura  obligaudi  cuiquam  potestas  esset.  Sta- 

865       tuta  muleta  iis  qui  se  obligarent,  qui  eos  ad  hanc  obligationem  co- 

32 


490 


B.    GERALDINI 


Difende  i 
deboli. 


Dirime  in  sei 
mesi  oltre 
niìlleliti  pro- 
tratte da  pa- 
recchi anni. 


Come  libe- 
rasse la  pro- 
vincia dai  la- 
trocini. 


Viene  a  patti 
colCardinale 
di  Fuso. 


•  C.  36. 


870 


875 


880 


885 


890 


•  e.  37. 

895 


900 


935 


gereut  *  tabelliouibus,  qui  tam  iuiqiiain  oblig-ationem  annotassent. 
Omues  vero  tam  uobiles,  quam  plebeos  mansuete,  constauter, 
dilig-enterque  audiebat.  Pupillos,  viduas,  pauperesque  omnes  a  ma- 
gnatum  oppressione  tuebatur. 

Lites  ad  multos  annos  a  causidicis  productas  ipse  statini  iusta 
trutiua  diremit,  cum  omnes  audiret  indefessus.  Xullara  coutra- 
versiara  senteutiae  censura,  sed  omnia  per  concordiam  termlnabat. 
Et  sic  litigia  ultra  mille  primis  sex  sui  mag-istratus  mensibus  sus- 
tulit,  utraque  parte  tam  rei,  tam  actoris  ad  concordiam  reducta. 

Valerius  causidicus,qui  veteri  quorumdam  lite  alebatur,  cum  ad 
eum  accersitus  ire  distulisset,  iterumque  accitus  tandem  ad  guber- 
natorem  accessisset,  et  ab  eo  increparetur  respondit  subridens, 
sciebam  equidem  quod  tibi  veteri  lucro  privare  animo  sedebat, 
atque  idcirco  citus  non  veni.  Nani  me  non  latebat,  quod  postea- 
quam  venissem  arte  tui  eloquii  quocumque  volebas  perdtixisses. 
Est  euim  tuae  praecipuum  curiae  munus  ut  quoscumque  tuis  sua- 
sionibus  quocumque  impellas.  Latrocinia  quae  antiquo  usu  in  ea 
provincia  justa  esse  videbantur,  passimque  fiebant  ea  lege  extin- 
xit.  Quod  de  multis  latronibus  aequae  poenae  sumptae  sunt,  et 
universis  tum  urbium,  tum  oppidorum  cultoribus  severis  mandati» 
imperatum,  ut  agrum  suum  a  raptoribus  vacuum  et  tutum  viato- 
ribiis  praestarent  et,  si  minus  expoliatis  ìpsì  satisfacerent,  et  si  ca- 
ptivum  latronem  in  jus  suae  curiae  non  deduxissent  certa  poena 
mulctarentur.  Itaque  omnibus  peregre  proficiscentibus  erant  itinera 
(secura)  etiamsi  fulvum  aureum  palam  in  manibus  tulissent. 

48.  —  Petrus  Cardinalis  a  clarissimo  genere  de  Fuso  ortum 
duceus,  tempore  Eugenii  quarti,  quo  Christiana  ecclesia  scismatica 
discensione  laborabat,  et  concilium  contra  ipsum  Pont:  apud  Ba- 
sileam  frequens  *  erat,  armis  Avinionem  invasit,  quam  tribus  et 
trigiuta  annis  tenuit  sub  praetextu  perpetuae  legationis,  et  sati- 
sfactionis,  quae  in  belli  sumptibus  expenderat.  Cumque  is  cum 
Pio  Pontifice  discederet  (forsau  dissideret)  Avinionenses  Pium 
exortabautur  ad  dejciendum  ipsum  ex  urbis  potestate,  suadentes 
pontifici,  quod  illuc  impium  in  eum  concilium  cogere  moliretur. 
Studium  officiumque  su.um  ad  conficiendum  facinus,  et  ad  rempubli- 
cam  sub  antiquum  sacrae  ecclesiae  jugum  retraheudam  promit- 
tentes.  Delegata  est  Angelo  talis  expeditionis  cura,  ut  Cardinalem 
ipse  cum  aliis  coepti  sociis  ex  ilio  solio  deturbareut.  Verum  An- 
gelus adverlit  fieri  tuto  non  posse.  Habebat  enim  in  potestate  pa- 
lacium  Avinioneuse,  et  quinque  arces  in  venesino  comitatu,  quae 
non  potuissent  tam   cito   expugnari,   eratque   priculosum   ne  ipse 


VITA    DI    ANGKLO    GEKALIUNI  4!)1 

cum  se  talibus  diticultatibus  ciuctum  viderct,  cimi  Kenato  Reg-e 
conveuiret,  qui  tuin  coutra  Ferdiuanduin  lle^ein,  (|U('in  Poutifex 
tuebatiir,  iu  compauia  bella  g^ercbat,   ipsi(|ue  Avinioiiein   traderet. 

910      Ratus  itaque  caiitius  esso  apostolicae  sedi,  et  sibi  tutius  ne   avin- 
cioaensem  legationem,  dum  uimis  avide  quaereret  forte  utrainque 
et  illara,  et  venesinam  amitteret;  decrevit  pace  potius,  et  securi- 
tate  qiiam  bello,  et  disciimiue  rem  agere. 
Pepigit  cum  Cardinali   bis    conventionibus.    Quod   Cardinalis    sil)i 

915  omues  arces  resignarct  et  praeteritorum  bellorum  expcnsis  cede- 
rei, ne  ea  causa  Fusani  proceres  Cardinalis  cousang-uiuei  post  fa- 
timi eius  illam  urbem  invaderent.  Ipse  Cardinalis  ad  extremum 
vitae  termiuum  iu  legatione  confirmaretur,   coustitueretur(iue  le- 

•  e.  3S.  o-atus,  quem  de  latere  *  dixeruut,  iu  provincia  Narbouensi. 

920  49.   —  Forte  eodem  tempore  inter  se  discors   erat   ordo    Cartliu-    .     Concorda 

siensis  relig-ionis,  cuius  prima  sedes  est  quiudecim  millibus  super 
Granopolim,  quam  magnam  Charthusiam  vulgo  appellant  inter 
alpium  jiiga  continua  nive  praetecta  toto  anno  inaccessibilis  erat, 
praeterquam  duobus  mensibus,  nisi    viae,    super   altissimas   nives 

925      sternantur  magno  sumptu. 

Generalis  enim  minister  ordiuis  sibi  conscius,  veritus  ne  a  ma- 
gistratu  excuteretur,  anuuum  totius  religionis  concursum,  quem 
capitulum  vocaut,  ne  fieret  secundum  ordinis  instituta,  impediebat, 
multosqne  ipsius  antistites,  qui  suis  votis    obsistebant    a    priorati- 

930      bus  deturbavit,  multos  carceribus  clansit,    atque   religionis    obser- 

vantia,  et  illius    ordiuis    congregationes    primatum  discussionibus 

evertebautur.  lUuc  Angelus  a  Pont  :  missus  et  ordinis  priores,   et 

antistites  in  eumdem  locum  iu  votum  coegit,  ac  generale    capi  tu-         Presiede 

"  "  '■  al  lor   capi- 

lum  eo   anno   celebravit    cum    pontificio    nomine,    et    iutertuit    et   tologenerale 

e  tof^lie  degli 
935      praefuit.   Statutum    est    ejus    opera    in   illis   adventitiis    communi    abusi. 

omnium  consensu,  ut  quotendis   capitulum    servatis    priscis    illius 

religionis  institutis,  et  novis  rejectis  celebraretur.  Priores  depositi 

in  pristinam   dignitatem    restituii    fuerunt,    in    vinculum    conjecti 

soluti,  et  carceribus  demissi.  Omnesque  sacri  ipsius  religionis  ritus 

940  instaurati,  et  multi  ad  majorem  regulae,  et  quietis  rationem  et 
divini  cultus  incrementum  innovati. 

Religionis  ipsius  cultores,  pietatis  divinorumque  officiorum  dili- 
gentissime  observatores  sunt.  Taciturni  silentii  ita  studiosi,  ut 
mussare  non  audeant,  nisi  prius  a  superioribus  venia  impetrata.  A 

945       carnium  cujiTsque  generis  esu,  sanctius  quam  pictagorei  abstinent, 

•  e.  39.  iitopte  *  qui  etiam  in  extremis  vitae  laboribus  earum  cibum  ventri 

non  indulgent.  Xon  mendicant,  sed  vivunt  redditibus  annuis.  Clausi 


■Ai)2 


B.    GERALDIXI 


Prosciuga 
le  paludi 
del  Sorga. 


Ritorna  in 
Roma. 


sunt  in  amplissima.s  aedes  iu  suis  cameris  beue  compositis,  ortulum, 
piiteiim  ci.stcniani,    et    locvim    oratiouis  cum    pluteolo  habeutibus, 

950  ter  in  hebdomada  iu  couvictura  aliorum  fratrum  prodeunt.  Quibus- 
que  septem  diebus  fateri  peccata  cog-untur.  lUorum  di.sceptatio- 
iiibus  uuuqiiam  animo  se  apostolica  auctoritas  iuterpossiierat.  Ve- 
runi ipso  tunc  praeseute  omnis  religionis  ritns  boni  coufirmati 
sunt  et  in  meliorem  formam  redacti. 

5)55  50.   —  Sorg-a  est  fous  in  provincia  Narbonensi(l),  qui  fuerat  cele- 

bratus  cautilenis  Francisci  Petrarcae  ;  duin  spirat  quidam  ventus  in 
loco  ubi  oritur  trinm  turrium  spatio  aquas  iu  altum  ejaculatur  paulum 
sub  casum  in  quinque  rivos  dividittir.  Quorum  medius  et  melior,  et 
latior  fiuit.  Nullns  eorum  vado  transit,   sed  aut   ponte,  aut  cimba 

060  trajciendus  est.  Alvei  rivorum  ex  ag-eribus  facti  jacentes  campos  su- 
pereminent.  Yerum  multis  in  locis  rupti,  agros  arabitu  quadraginta 
passuum  millium  ab  anti(iuo  iuondaraut,  et  noviter  faeracissima  prae- 
dia  ag-rediebantui",  fecerantque  stag'uum,  ex  quo  multa  redundabaut 
incomoda.  Nani  romanum  iter  viatoribus  impediebat,  agros,  ut  dixi- 

!)65  mus,  late  occupabat,  nebulas  emitlebat,  quae  et  foetus  arborum,  et 
aeris  salubritateni  animantibus  corrumperent.  Ipse  ig'itur  utile  0f)us 
comuni  labore  fieret  excog'itavit,  nt  obicibus  tabularum  hostiis  ri- 
vorum interpositis  sing'uli  subtraherentur  prius,  deinde  alvei  pur- 
g'arentur,  erig'enturque  ag-g-eres,  atque  ita  via  publica,    omnesque 

1)70  stagnantes  campi  reparati,  saluberque  aeris  tractus  illi  provinciae, 
eius  Consilio  redditus,  planitiem  illam  ab  inundatione  servatain 
apostolico  juri  adjudicavit,  et  Inter  quosdam  ejus  nomine  dividit. 

•  e.  40.  Qui  *  quotendis  certuni  tributum  ejus  aerario  pendere  debebant,  si 
venderent  quarta  praecii  pars  ejus  rationibus  cederet,  deberentqiie 

975  '  rivorum  alveos  purg-atos  conservare  ag'eres,  si  qua  parte  laberent, 
reficere,  ne  rursus  ag-ri  illi  rivorum  inundatione  obruerentur. 

51.  —  Haec  omnia  cum  summa  laude  in  ea  provincia,  cui  duo- 
bus  annis  praefuit,  praestitisset,  nec  quidam  aliud  g'ioria  dig-num 
ibi  posse  fieri  perspexisset,  versus  curiani  Romanam  retulit   pedem 

980  sperans,  fremente  bellis  Italia,  se  aliquid  ibi  sua  industria  rece- 
pturum  dignuni,  ex  quo  et  laudem  et  dig-uitatis  amplificationem 
consequeretur.  Mediolano  iter  faciens,  per  Insubriam  ab  invicto 
Francisco  Sfortia  duce  bonore  maximo  in  hospitium  exceptus  est. 
Qui  ei  profusissimum    convivium    celebravit    luxu  pene   inaudito  : 

9H5  ordine  mirifico  gratia  et  hilaritate,  quamquam  paulo  posterius  eius 
mater  defuncta   erat,   incredibili.  Quatuor  in   ea    mensa   convivae 


(1)  :ms.  cui. 


VITA    DI    ANfiEI.O   GERALDINI  i*Xl 

fuerimt.  Ipse  Poutificis  max:  lo^-atus  a  (U-xtcra,  regius  Onitor  a 
sinistra  raedii  iuter  tluecin  Franciscuin  et  lilaiicam  uxon-ni  sc- 
debant. 

990  E    fronte  discumbebat   ducis   primogenita   Hippolita,    quae  Al- 

phonso  Calabriae  duci,  Rcg'is  Ferdinandi  primog-cuito,  nupta  est, 
futura  Partlienopis  Kogiua,  cuin  aliis  fonnosissiuiis  illustriljusciuc 
puellis  in  eodeni  convivio,  quamvis  lugubrem  adirne  cultum  ser- 
varent.  Xobiles  ministri  omnes  ultra  quadrigentoruin  numorum  aut 

995  nigri  serici,  aut  hyacentiuis  vestibus  induti  erant,  quod  pulchruni 
fuit  spectaculuiii. 

52.  —  Romani  cum  pervenisset  a  sumino  Pontitice  aliique  cliri- 
stianae  religiouis  proceribus   mag'uo   amore    praecipuaque    laetilia 

*  e.  di.  receptus  fuit.  Intulerat*  tuncbellum  Pius  II  Jacobo  Sabello  Auicum       Kiconcilia 
1000     Ecclesiae    tuuc    hosti    [qui]    Jacobo    Piciniuo    miliciae    (1)     duci    con  FMo  il. 
couseutierat,  atque  ea  causa  multa  ejus  oppida  expugnaverat.  An- 
gelus soepe  ad  utrumque  profectus  Jacobo  Pontificem   conciliavit. 
Fecitqiie  aequum  et  ratum  inter  eos  foedus. 

53.  —  Dehinc  Neapolim  una  triremi  ad  Regem  profectus  est  Pon-      inviato  al 

'■  '^         '■  Re  (li  Napoli. 

1005  tificis  jussu  ut  Ducem  Sorae,  Cotronaeque  domiuum,  quem  'Mnr- 
chionem  dicunt,  regiae  fidei  adderet,  concordesque  cum  eo  red- 
deret  et  Hystrie  Domiuum  rebellari  paratum  in  fide  coutincret, 
quod  fieri  non  potuit,  sed  duo  illi  priucipes,  qiios  praemisimus, 
cum  Rege  se  vincierunt.  Non  din  tamen.  Xum  postea  rebelles  facti, 

1010  fidem  non  servarunt.  Postremo  uterque  principatu  depulsus  poenas 
luit  perfidiae.  Exinde  Pontificis,  et  Regis  nomine  Florentias  pergens, 
obstilit  legatis  gallis,  qui  illuc  tenderai,  ut  Florentinos  exorarent, 
faverent  partibus  Renati  Regis.  Mandato  dai 

Papa,  e  «lai 

Atque   ita    egit    cum    Cosimo    Medicae    illius    Senatus   primate   Re    Alfonso 
1015     aliisque  optimatibus  ut   Fiorentini    non    modo    Regi    Renato    nom   con  buon  ri- 
adessent,  et  se  medios  servarent  ;  veruni  ut   si    Ferdiuandus   Ilex   ^'^  **'°' 
aliquo  modo  soccubuisset,  ejus  partes  adiuvarent. 

54.  —  His  peractis  Angelus  Romanain  curiam  sequutus   est  re- 
gis orator  et  procurator,  cujus  nomine  bis  tributuin  censura  ecclesiae 

1020  sublimitati  solvit,  equum  album  cum  auratis  faleris  anno  priore  e- 
lapso  tempore.  Nani  Rex  post  terapus  statutum  miserat.  Quod 
Pontifex  aegre  tulit.  Secundo  anno  ne  Pontifex  Regi,  ut  prius, 
succenseret,  equum  album  cum  phalcris   eniit  inscio  Rege  (ut)  in      oratore  e 

'e. 42.  tempore   ad   Pontificem  ejus  nomine  duceret.  Duxitque   Pientiam,    pfpi-iir.i.tore 

"^  ■'  ^  '     delReAlfon- 

1025     novam  Civitatem*  Hetruriae,  a  Pio  Pontifice  institutam,  et  ab  ejus    sopressoPio 

'  •         li. 

(1)  Ms.  duce. 


494 


B,    GER ALDINI 


Presenta  in 
nome  del  Re 
il  tributo  con 
molta  avve- 
dutezza. 


Viene. 


È  nomina- 
to da  Pio  li 
vescovo  di 
Sessa. 


nomine  dlctam,  tibi  Pontificis  Pii  natalis  tuei'at,  seciue  illnc  retii- 
lerat  voluptatis  studio,  et  ut  natale  solum,  quibus  posset  orna- 
mcntis  aug'eret.  Sacraverat  co  die  cathedrale  ipsius  orbis  templum, 
quod  ipse  fundaverut.  Et  exibat  diviuis   rebus  peractis   templi   11- 

1030  mina,  cuni  Angelus  ibi  expectaus  tributum,  et  munus  Regium 
loculeuta  oratione  sequntus  est.  Quod  et  Regi,  et  Pontifici  fuit 
jocundissimum.  Fuit  vero  illa  prima,  et  ultima  ceusus  pensio. 
Cum  ante  Albiensis  Cardinalis,  qui  erat  fautor  Renati  adversarii 
Regis  Ferdinandi,  ei  obiceret,  quod  oeto  et  quadraginta  aureorum 

1035  millia  prò  tributi  censura  debebat,  noii  solvisset,  miraretur  cum  pon- 
tifex  illud  ferret,  respondit  Angelus,  Pium  justius  Gallis,  qui  Fer- 
dinandi bella  intulissent,  contempta  pontificii  culminis  auctoritate, 
quam  Regi  suo  irascì  posse,  qui  tuendo  regno  suo  ab  eorum  insul- 
tibus  intentus,  impediebatur  quominus  debitum  censura  penderei. 

1010  55.  —  Interim  Pier  biasius  Zaccheus  Spoletauus  cohortis  prae- 
fectus,  qui  tum  sub  duce  Sinuessano  Regi  Ferdinando  inimico  mi- 
litabat,  et  prius  Angelo  interpetre  a  Pont  :  Kallisto  tertio  stipendio 
obtinuerat,  concedente  e  superis  praesule  Suuuessauo,  sedera  illam 
vacare,  eidem  ut  meriti  vicem  referret,  significavit,  et  is  Pium 
Pontificem  certiorem  reddidit.  Qui  profecto  tunc  Angelum  Suessae 
Praesulem  creasset,  ni  Cardiuales  Galli  obstitssent.  Qui  desuaserunt 
Sumrao  Pontifici  asserentes,  cura  Angelus  Regis  partes  sequere- 
tur,  et  Bernardinus  ejus  germanus  eidem  obsecundaret,  nullo  modo 
fieri  posse  ut  a  duce  ipso  Regi  contrario,  episcopatus  possessiouem 
assequeretur  unquara.  Plus  qui  illoruni  dissuasionibus  honeste  re- 
fellere  non  potuisset,  sibi  tunc  in  animo  sederet,  si  aut  per  Regis 
victoriam,  ant  per  ducis  assensum  unquara  daretur  Angelum  in  sede 
Suessani  Praesulis  collocare,  subticuit,  et  passus  est  dignitatem 
illam  novem  mensibus  sessore  carere. 

1055  56.  —  Tandem  cum  Ferdinandus  Rex  hostes  apud  Troyam  apu- 
lam  superasse!  anno  quadrigentesimo  sexagesimo  primo  supra  mil- 
lesimum  a  Christi  natali,  trig-esirao  nono  natalis  ipsius  ajnid  Pien- 
tiam  Plus  Suessae  episcopum  Angelum  coustituit,  declaravitque 
honorificentissimae  vocis  oraculo,  duobus  taraen  annis  dignitatibus 

1060  illius  fructibus  caruit.  Nani  etsi  dux  Suessae  crebris  literis  horta- 
batur  ut  Suessam  accederet,  pontificatusque  sui  jura  acciperet, 
nunquam  taraen  ejus  hortatum  obsequutus  est.  Nec  Suessam  no- 
luit  ingredi  dura  ille  Dux  urbi  dominabatur  veritus  ne  aut  summo 
Pontifici,  aut  Regi  suspitionem   uUo   pacto   moveret,  post  viginti 

1065    mensium  decursum  et  is  suae  dignitatis  sedem  obtinuit. 

57.  —  Exacto  mense,  cura  Cadens  Imolae,  et  Astorgius  Faveu- 


1045 


e.  4:ì. 


1050 


VITA    DI    ANGELO    f.KK ALDINI  405 

tiae  domini   hic  patruus,  ille  fratris   lìlius,  discordia  ag-itarentiir,      itimettc  la 

„     4.    ■  1     II-  •       ■  i  j.    ■  ..,.  •         ci»ncor<iialra 

miituisquo.  bellis  se  invicem  peterent,  ipse  suessanus  poutitex  (luiu-   (.adente    si- 

que  dieniin  intercapedine  mandato  Pii  inter  utrumque  concordiae    |^,"''.Vi' 'istor- 

1070    nexus  jecit,  receptis   apostolico   nomine   Oriolo,  et  Montebacta":lia   ^'.",  "''t-'norc 

'  '  '  '  '  "di  lac-ii/a. 

castellis.  Quae  Astorgùus  occnpaverat  in  depositum  quousqne  jiiris 
examiue   decerneretur  utri  eoruin  iure  deberentur.  (  »bstabat   con- 

•  e.  44.  ventioni  *  buie,  tantiiiam  obices,  stipendia,  <iuae  Astorg-ius  militibus 

dederat.  Ipse  hoc  modo  solvit  hoc  scrupuhim,  (|Uod   cuin  eo  pepi- 

1075    g-it,  ut  apostolico  nomine  coudouaretur  ei  tributum  aureorum  quod 
prò  tribus  annis  censum  debebat  pontificiae  sedi,  cuius  nomine  vi- 
carius  illud  dorainiiim  teuebat,  seciueretunjue  cum  copiis  ad  summi 
Pontificis  obsequia.  Qui  tum   Dominicum  Pandulfum   Malatestam     Vittoria  so- 
debellabat  Apostolicae  sedi  Bertinoro  incensa  ;  et  Cervia   urbibus,    latesta. 

1080  vicarium,  et  noviter  rebellem  vulg-atum,  quia  Sig"ismondo  germano 
apud  Ariminum,  Fanum  et  alias  iirbes  vicario  Pontificio,  Pontifi- 
cis rebelli  adhaesisset  atque  ita  factum  est,  et  utraque  ex  parte 
Malatestae  invasi.  Nani  illustris  Federicus  Urbini  doininus  forti.s- 
simus,  prudentissinnisque  belli  Diux  cum  Xicholao  Pistoriense  Car- 

1085  dinaie  Teauense  iuvicti  animi  summoeque  prudentiae  Pontificis  tum 
leg'ato  ab  uno  latere  Sig'ismundi  urbes  expiignabant,  ex  alio  latere 
de  im proviso  Ang'elus  etiam  a  Pontifice  missus  Astorg^ium  praedi- 
ctum  in  Dominicum  duxit  cum  exercitu  mille  ducentorum  equi- 
tum,  et  trium  millium  peditum   partim    oppidanorum,  partim   ex- 

1090  terorum.  Quod  clarum  facinus  Pontifici  quam  g'ratissimum  fuit, 
et  praecipiie  qualiter  insperatum  (1),  hostibus  vero  summo  terrori 
quod  Malatestae  uudique  oppugnarentur.  Ipse  uno  die  antequam 
dux  cum  delectu  Meldulam  diverteret  ad  Ciccum,  et  Pinum  vica- 
rios  apostolicos  Forliviiim  contenderet,  ut  ab  illis  obtineret  aut  pou- 

1095     tificias  partes  adiuvareut,  facta  pactione  praedae  dividendae,*  aut 

•  e.  45.  saltem  ne  adversarentur,  praestarentque   tutum   trausitum,  et  co- 

meatum  per  ag-rum  suum.  Verum  hoc  secuudiim  tantum  impetra- 
vit,  tunc  deinde  Meldulam  prolectus,  eo  quod  audivei-at  exercitum 
Astorgii  illuc  pervenisse,  possuisseqne  castra,  et  meldulanos  se  in- 
1100  terim  expectare  cum  quo  deditione  paciscereutur.  Couditiones  acce- 
perunt   quod   si   infra   triduiim   a  Doraiuico  non   videretur   subsi- 


(1)  L'autore  ammirando  la  celerità  della  mossa  strategica  narrata  al  n.  57,  al 
margine  della  pagina  4-1  inseriva  questi  distici  «  luxta  liane  sententiara,  quam  alibi 
versibus  clausi  »  Improvisa  raagis  delectant  gaudia  mentera 

Quam  per  tardas  consenuere  moras, 
Ille  magis  gaudet,  cui  res  ex  tempore  parta  est 
Quam  qui  paulatim  multiplicavit  opes. 


496 


B.    6ER  ALDINI 


Ksempìo  di 
fedeltà  'alla 
'lata  parola 
in  rig-iiardo 
as-'li  ostaggi 
torlivesi. 


Altro  e- 
s empio  di 
lealtà  d'An- 
urelo. 


dium,  ultro  oppitliim  apostolicis   reserarent,  dederuutque  octo   ob- 
sides    oppidi    priraiores.  Astorg-ius,    cui    falso   i-enunciatiim   fueret 
suppetias  Mcldulauis  adveiitare,  coepit  timere  et  retro   pedem  vo- 
1105    lebat  ferre. 

58.  —  Hunc  Angelus,  cum  ad  mediae  noctis  horam  hortationi- 
bus,  et  snasionibus  pene  invitum  teauisset,  formidine  aucta,  terg'a 
oppidum  verteutem.  iterum  inde  ad  unum  miliare,  iu  quodain  an- 
gusto adito  retinuit.  Rursus  trepidantem  in  fugamque  versum  du- 

Ilio  ceni  ad  tria  passuum  millia  prope  Forlivium  cum  exercitu  sistit. 
Cum  vero  videret  quosdam  in  fronte  exercitus  abscendeutes,  jamque 
paulum  ad  aliis  semotos,  Angelus  puucto  calcaribus  equo,  citato 
cuisu,  omnes  preteriit,  qui  medii  erant,  ferturque  ad  illos,  quos 
ab  iliis  recedere  viderat.  Quos  libi  deprehendit  obsides  esse  qui 

1115  farailiaribus  Astorg-ii  circumdati,  captivi  Faveutiam  contra  pactio- 
nem  deducebantur,  iratus  consistere  jussit,  cum  dux  ira  excan- 
descens,  advocato  tam  celeriter  notarlo  protestaretur  obsides  ca- 
ptivos  prò  utilitate  Ecclesiae  tenendos,  ut  aut  Meldulani  oppidum 
dareut,  aut  exigerentur  ab  eis  octo  millia  aureorum  si  subsidiuem 

1120     Malatestae  adveuisset.  Ipse  quoque  cum  inquam  esse  ducis*  sen- 

•  e.  46.  teutiam  censeret,  eodem  modo  accito  notarlo  protestatus  est  non 
esse  fug'iendum,  sed  redeundum  si  Meldulam  potiri  voluissent, 
praesertim  liullo  inimico  adversante.  Atque  ita  obsidibus  liberta- 
tem  reddidit,  et  ne  a  militibus  astorgiams  spoliareutur  Forlivium 

1125  usque  comi  tari  jussit,  et  ut  tuti  ab  eorum  iusultu  proti cisceruutur, 
ex  quo  magna  ipsius  fama  servatae  fìdei  per  omnes  illos  Aemiliae 
populos  ac  exteros  provagata  est. 

59.  —  Astorgius  per  uuius  dìei  cursum  retro  exercitum  reduxit^ 
1130     quem  vix  tertio  die  potuit  impellere,  ut  alia  via  hostes  adoriretur. 

Johanna  ejus  uxor  apud  Augelum    precibus    institit,  ne   a  marita 
tam  sene,  tantum  animum,  audentiam  que  extorqueret. 

Motis  castribus  Caminatorum  oppidum  aggressi  expuguaruut,. 
diripueruutque.  Oppidani,  qui  cum  omni  preciosa   suppellectili   se 

1135  receperant,  Franciscum  uizanensem  Astorgii  scribam,  Angeli  no- 
mine funibus  iu  arcem  per  moenia  substulerunt.  Deinde  nonnullos 
alios,  eodem  modo  adniiseruut,  cum  quibus  paciscerentur.  Frau- 
ciscus  vero  cum  sociis  postquam  se  oppidanis  potentiorem  vidit,. 
liortatus  est  illos  ut  supellectilem  in  turrim  ex  arce  comportarent, 

1140  suadeus  illis  tutiorem  fore  ab  aliis  militibus.  Ipse  autem  turris 
jus  prius  ceperat,  et  deinde  propter  fidem  advenientes  sing'ulo& 
cum  opibus  cepit  ligavitque.  Angelus  semper  perfidiae    inimicus, 


VITA    DI    AN(;iCI,0    UKKAM)INI  497 

mag-na  cotitcutioue  egit,  ut  oppidaiii  diiuitteieiitur,  ooniinque   (ut 

aequum  erat)  in  turri  direptae  restitucreutur. 
1145        GO.  —  Eadein  die  arx  Montis  Veneris  expu'^nata.  Deinde  Civjtel- 

hun  deducta  expeditione,  ca|ttis  suburbis,  cani  praeliari  caeptnm  esset 
•e.  17.  contortnia  est  ex  ore  *  Bonibardae  bellicae  niacbinae,  novitcr  iuven- 

tae  orbiculare  saxuni  in  An<4eliin»  leg'atuni  directuni,  (juid  (quod)      Corre  peri - 

,  ...  .  •      ,         A         i-        .  .1         ^°^°   ^^    '■*'■ 

Inter  pedes  eiiui  nwiiis  tran-^ieus  cuiu.sdam  Angeli  assi.stentis  pedem    stare  ucciso 

1150     contuudit.  Kuuior  fuit  apud  oppidauos    legatuui  eo  ictu  occidis.se,    bombanla. 
atque  deditiouis  actio  paulo  iuterceptaest.  Mox  cum  legatuni  incolii- 
meni,  et  aliuin  percussuni  luis.se  piane  illis  innotiiisset,  se  nitro  pontifi- 
cio juri,  cum  aliis  tribus  oppidis  toedere  connexis  dediderunt. 

61.  —  Coniitatuuni  (ìiaccioli,  et  Fontis  frigidi  priiicipes,  (!t  ejus 
1155     subditi  cum  apostolico  Icg'atoconsonsiorunt.ComitatusetiamCoserculi 

principes,  cum  suis  oppidis  cum  eju.sdem    voluntate    couvenerunt. 

Cultores  vallis  Oppii,  coserculauo  comitatui  subditi,  paulo  ante, 

quam  principes  praedicti    toedus    cum    Ponti ficis  legato   percussis- 

sent,  arcem  ubi  congesta  eraut,  omnia  praetiosa   domiuorum   sup- 

1160  pellex,  ceperunt  tradideruntque  legato.  Quam  Angelus,  postea- 
quam  in  suam  potestatem  recepisset,  retinuit,  ne  principes  inco- 
laruni  iujuriam  ulciscereutur.  Coserculauis  principibus  omnia  bona 
praeter  arceni  restituii.  Inde  prog'ressus  Angelus  cum  Astorg'io, 
cum  undique  hostiles  populos  invadereut,  ceperxmt  antir|uissimum 

1165     civitatem  Sarsinani  Plauti  Poetae  conuci  patriam. 

62.  —  Karolus  Malatesta  Sog'liauensis  domiuus  Castripondi,  Ga- 
leoctus  domiuus  Castrilunarii,  Rog-erius  dominus  Vallenucis,  cui 
titulus  est  vicecomitis  Archiepiscopatus  Ravenuae  cum  suis  op- 
pidis conditioues   pacis   ab   apostolicis   acceperunt.   Deinde   locata 

1170    sunt  castra  contra  Castrmn    novum,    quod    expuguaturn    est   arce 
•  e.  46.  Ecclesiae,  *  spoute  tradita. 

63.  —   Mox   cum    statuisset    proximo    vesperi    cum   aliis    copiis       Libera  A- 

storgio    da 

jung'i,  quibus  illustris  Urbiui  dux  et  Cardinalis  theaueusis   ponti-   gravissima 
ficio  nomine  praeeret  ut  Cesenam  obsidione  cingereut,  Astorgius,    suo    LM-ande- 

1175     ut  uotam  formidinis  Meldulae  acceptam  dilueret,  sine  aliorum  con-   P^"'^"  °- 
sensu  ^leldulam  reversus  est,   quam   circum  castra   disposuit  post 
non  multos  dies,  cum  hostes  de  improvise  superveuisseut,  Astorgio 
extra  castra  profecto,  omnem  exercitum   ipsius   fudissent  diripuis- 
seutque   impedimenta,  nisi  Angelus  magno  discrimine,    majorique 

1180    animo  obstitisset  illis. 

64.  —  Quidam  quem  Marchiouem  de  Malaspina  appellant,  cum      Generosità 
Angelum    capere    contenderet    ab     ejus    familiaribus    captus    est.        Angelo. 
Huuc  Angelus  postea,  relieto  ei  eqiio,  et  armis  praoter   consuetu- 


498 


B.    GBRALDINI 


1185 


1190 


1195 

'C.49 


1200 


12Ò£ 


1210 


Suo  rigore 
contro  i  col- 
pevoli d'in- 
■cendio  e  di 
■stupro. 

La  sua  mo- 
derazione 
ammirata 
■dagli  stessi 
nemici. 


1215 


1220 

•  e.  50. 


diuem  dimissit.  Astorg'ius  interim  certamini  super  accedens,  cum 
•sexag'iuta  equitibus,  quos  in  sui  corporis  tutelam  adducebat  octua- 
g'inta  juxta  pontein  occidit.  Et  si,  ut  Ang-elus  suadebat,  fuisset 
victoriam  tunc  sequutus  actum  fuisset  de  Malatestarum  statu, 
vidissent  eo  die  postremum  belli  eventum  Dirempta  pugna,  castra 
mutata,  et  in  monte  collocata  sunt  ut  majori  securitate  fruerentur. 
Accessit  illis  Corradus  de  Alviauo  cum  quadrig-eutis  equitibus.  Cum 
delude  paucos  post  dies  ab  alio  exercitu  ecclesiae,  de  quo  supra 
mensionem  fecimus,  convocata  essent,  et  hostium  terras  populan- 
tia  se  aliis  coujung'ere  niterentur,  Cesenam  uudique  circumsede- 
rent,  assiduis  pluviis  a  caeptis  milites  .sunt  prohibiti  ;  erant  enim 
pruinosi  Novembris  finis,  hyematum  *  omnes  secesserunt.  Quatuor 
et  trig'inta  diebus  postea,  quorum  ex  Faventia  delectum  eduxe- 
rant,  ab  utriusque  copiis  captae  sunt  duae  urbes  Malatestarum 
Sarsiua,  et  Seneg-allia,  cum  castellis  ducentis  et  pluribus  ;  ditatus 
praeda  uterque  exercitus. 

Astorg'ius  cum  majori  militum  parte  Faventiam  remeavit. 

65.  —  Angelo  centum  equites,  et  octigeutos  pedites,  reliquit, 
quos  cum  aliis  quatrigeutis  equitibus  ad  statioues  per  ea  loca  dis- 
posuit  per  quae  operae  praecium  videbatur.  Ipse  reliquis  partim  in 
Castrouovo  collatis,  partim  per  alia  loca,  quae  ceperat  dispersis, 
cum  omni  equitatu  ei  ducentis  peditibus  in  oppido  Caminatarum 
in  hibernis  constitit,  Consuluit  statini  itinerum  securitati  cum  mi- 
lites ageres  qui  aquam  iìuminis  advertendas  Meldulanorum  molas 
deducunt,  vellent  evertere  non  permissit,  cen.sens  non  esse  demo- 
lieuda  ea,  quea  Mekhilanis  tunc  non  multum  obesset,  et  si  postea 
Meldulani  ditionem  recepissent  mag-no  sumpto  forent  reparanda, 
Supplicium  sumpsit  de  illis.  qui  villas  incendernnt.  Ultus  est  Ja- 
cobum  Ferrariensem,  qui  Meldulanae,  mulieri  vini  intulerat.  Tan- 
taque  moderatione  erg'a  hostes,  et  justitia  apud  omnes  eg'it  ut 
non  minus  ab  inimicis,  quani  amicis  amaretur  timeretur  honore- 
turque.  Et  tres  latentes  prodictiones,  quae  in  ipsum  pontificio- 
sque  ag-ebantur  eidem  ub  hostibus  detectae  fuerunt. 

66.  —  Obrepsit  ea  liyeme  inter  oppidanos,  qui  sacro  pontificum 
jug'o  praedicta  quatuor  et  trig'inta  dieruni  intercapedine  subditi 
fuerunt  g-eneralis  quorumdam  conjurationis  contagio.  Repercul- 
serat  eorum  animos,  ut  arbitror  pristini  domiuii,  *quamvis  tyrannici, 
amor,  studebantque  ut  ad  consuetiiin  jugum,  quamvis  asperum, 
et  iniquum  colla  prenienda  reducereut.  Nec  uovas  blauditias  sa- 
craeque  Ecclesiae  indulgentiam,  et  aequitatem  ferre  satis  noverut. 
Ut  a  natura  inditum  est  fera  animalia  nunquam  recte  mansuescat. 


VITA    I>I    ANCELO    (IICHALDINI  499 

1225  sed  silvas  oiniiiuo  alii  repetaut  urbaiiitatis  iiidocilia.  Sic  veteri 
proverbio  peues  omues  vulg-atum  est  liauas  lil>enter  ad  paludes. 

67.  —  Rebellarunt  eodeiii    tempore  octo  et  vij^iuta  oppida.  Reli- 

qua  uou  potuerunt,    riiiidain    enim    perditionis   miiiister,   qui  lite-     Scopre  una 
teras  defercbat,  omnia   inetu,    cruciatuque    revelavit.    Cam   omuia   "^""S'ura. 

1230  cospirantium  cousilia  deprehendisset  Ano-elus,  dixit  eum  meutitum 
fuisse,  in  liis,  qnae  detulerat.  illnnuint'  libere  ad  suos  remeare  iiis- 
sit,  et  admonuit  ne  desciscere  j)arati.s  diceret  se  ali(iuid  de  illis  re- 
tulisse  legato,  ne  cimi  minime  veruni  esset  ab  ipsis  interfìceretur. 
Hoc  autem  fecit  Ang-elus  eo  Consilio   ne    vul.i>atae  proditionis  rei, 

1235     onines  alii    statini    rebellarent.    Minister   ad   suos   rediit,    dixit([ue 

ipsorum  cousilia  adliuc   latere.    Interini    leg-atus   cuin   exercitu  ae      Di  lui  ac- 

^  cortezza  af- 

quitans  magno   astu  Coserculis   domino,   et    Civitellae   primatibus    Unchò  non  si 

couspirationis  consciis  captis,  recepit  in  potestatem  Civitellae,  Con-    ribellione. 

serculis,  et  quorumdam  aliorum  oppidorum   arces,   domiuum  vero 

1240  praedictum  Faventiae  relegavit,  arcem  autem  Coserculi,  quae  non 
a  domino  sed  a  inatre  sibi  libere  eredita  l'uerat,  libereque  ejusdein 
matri  restituit  post  exitum  bellorum  magna  cum  dificultate;  fuerat 
enim  per  Pontiflcis  literas  Angelo  iujunctum  ut  eam  Giactioli  co- 
mitatus  principibus  in  damuoruin  rependia  consignaret,  fini  multa      La  doma. 

1245    amiserant  oppida  ea  tempestate,  duin  sacrae  *  ecclesiae  fìdem  iute- 

•  e.  51.  meratam  servare  studuisset. 

68.  —  Postquam  ineunte  vere,  omnes  a  stationibus  hiberuis  in 
castra  retulissent,  omuia  oppida,  quae  desciverant,  rursus  debellata 
suut.  Tanta  vero  inquietudine  bellorum  Angelus  Dominicum  Ma- 

1250     latestam  tmdique   adortus    est,  ut  eum  compulerit,  dimisso  Sigis- 

mundo   germano,  cum  solio  pontificio   pacem    quaerere.   Qui  pepi- 

git,  ut  dum   ipse  vita  frueretur,  Cesenae    dominium    retineret,  et       Costringe 

,.,...     T-i  .  •  Dora:  Mala- 

post  fatum  ejus  cederei  apostolicae  ditiom.  Eratque  inter   primos   testa  a   ri- 

pactiones,  ut  omnino  a  fratris  subsidio  abstineret.  coUa'chiesa. 

1255  Has  pacis  couventiones  idem  suessanus  Poutifex,  qui  auctor 
fuerat,  expedivit  apud  Reversanum  oppidum,  quo  Malatesta  pesti- 
litatem  fugiens,  quae  Cesenae  seviebat,  se  receperat.  Coegitque  omnes 
civitatis  et  oppidorum,  quae  Dominico  suberant  in  suis  manibus 
pontificiae  sublimitati  tìdem  adjurare.  Dominicum  vero  a  censuris 

1260  poutificiis  solvit,  ipsumque  divinis  ofìiciis,  et  christianae  religiouis 
partecipationi  restituit,  quo  non  multo  poste  vita  migrante,  omne 
illud  dominium  pontificiae  potestati  fidelìter  paruit. 

69.  —  Sigismundus  quoque  Pandulphus  ejus  germanus  in  gra- 
tiam  Pontificis  Pii  receptus,  assignatis  eidem  legato  Cisterna,  et 


500 


B.    GERALDINI 


Anche  Sigi- 
smondo Sfor- 
za è  costret- 
to a  far  pace 
col    Poutetì- 

CP. 


1265 


•  e.  53. 

1270 


1275 


Pacificata 
laRomagna, 
n'è  costituito 
Legato. 


1280 


1285 


1290 


•  e.  53. 

1295 


1300 


Fano  e  Ce- 
sena restano 
alla  Chiesa. 


Umbria,  et  arcibus  Pcunabilli,  Manli,  et  saucti  Leonis,  ([X\ae  iu 
sua  Ade  permauserant.  Illi  vero  Ariminum  cuni  tribus  millibus  pas- 
sumii  ag'ri  circum  circa  rciuausit,  coutractis  domimi  tinibiis,  mi- 
uus  louga  procuratioue  Iil)eratus.  Fiiit  deiude  ad  comiiuia  christia- 
uae  relig'iouis  beneficia,  (luibus  -  ob  perfidiam  interdictum  (interdi- 
ctus)  tuerat,  restitutus  per  ipsum  Angelum  sunnni  Poutilicis  man- 
dato, et  a  censuriis  pontificiis  absolutus,  dato  in  re  jurejurando  se 
uunqixam  in  posterum  apostolicae  sedi  fastig-inm  contempturum. 
Et  iis  qui  Romanae  Ecclesiae,  partes  fueraut  secuuti  et  iu  exiliiim 
pulsi  tutuni  in  patriam  reditum  daturum,  et  omnia  eorum  bona 
illaesa  cousig'naturus. 

70.  —  Sopitis  tandem  bellorum  incendiis  in  Haemilia,  et  omnium 
Malatestarum  statu  ditioui  pontificiae  subdito  praeter  Ariminum 
(ut  diximus)  in  quo  tributum  annuum  mille  aureorum  Ecclesiae 
addictum  fuit,  omnium  copiarum,  quae  ad  tutelam  bello  partarum 
restatutae  (restitutae)  fuerant,  reg-imen  totius  provinciae  guber- 
natio  suessano  Praesuli  a  Pont:  Maximo  delegata  fuit. 

Consignavit  dono  primum,  eo  jubente,  Amalfitano  duci,  ejusdem 
nepoti,  ac  regio  genero,  Civitatem  Seuog'alliae  cum  comitatu  et  vica- 
riatum,  quem  appellaut,  olim  (?)  ut  ajunt  Fani  comitatum  cuju& 
sunt  numero  oppida  octo  et  triginta.  Quod  etiam  Regis  Ferdiuandi 
voluntate  factum  est.  Erant  enim  obbligata  illa  oppida,  per  quatuor, 
et  quadraginta  millibus  aureorum,  quorum  jus  Rex  in  dotem  fì- 
liae  assignavit,  quae  ipsi  duci  nupsit. 

Urbini  vero  duci,  quem  uou  latine,  comitem  noncupant,  sex  et 
quinquagiuta  oppida  elargitus  est,  quae  in  ea  regione  sunt,  quam 
Montisfereti  dixerunt.  Charolo  Sogiiauensi  Malatastae,  Castellum 
Sancti  Johannis  iu  Galilea.  Alexandre  Sfortiae  Vicario  apud  Pisau- 
rum  Gradariam  oppidum  nobile  cum  duobus  aliis  tradidìt  ^. 

Antonello  Foropo  piliensi  equitum  ductori  Tamellum  cum  duobus 
aliis  oppidis  concessit,  Johandi  Francisco  de  Bagno  decem  oppida 
dono  dedit.  Gotfredo  Cini  Cesenati  Castri  novi  jus  assignavit  eju- 
sdem Pontificis  (nomine).  Qui  omues  praedicta  oppida  in  prae- 
mium  bene  gestae  militiae  receperunt. 

Civitas  Fani  insig-nis  cum  omni  comitatu,  et  oppida  comitatu 
Arimini,  et  Cesenae,  quibus  postea  ipsa  Cesena  accessit  per  obitum 
Malatestae,  nulli  principi  adscripta  dono  fuerant,  sed  sub  pontificio 
jure  permanserunt.  Ac  ne  Pio  grave  esset  dispendium,  quod  ex 
gubernatorum  municipumque  stipendiis  proficisceretur,  atque  ea 
causa   reliqua   oppida   parta   eo  bello   ab   ecclesiae   ditione  eodem 


VITA  i»i  AXCEr-o  gi:i:am»iNI  501 

1305  modo  faceret  aliena,  og-it  apud  cives,  et  incolas  oiiines,  ut  pio 
simili  salario  nitro  solvorent  dimidium  tril)uti,  »|Uod  ante  tiranno 
pendenbat.  Et  sic  factum  est,  ut  illis  non  esset  gravis  dimidiata 
annui  tributi  ])ensio:  «ino  diutius  clementi  pontificum  iniperio, 
quae,  mera  est  libertas,  fruereutur.  Et  sublata  i)ontifìcibus  causa, 

1310  qua  oppida  a  se  alienare  compellerentur.  Consedit  «^-ubernator  Fani 
prò  majori  temporis  parte.  Xunquam  g-ravem  provincialibus  im- 
peusam  intulit,  quarnvis  soepe  provinciam  visitasset,  cui  non  mi- 
nori justitia,  quam  fortitudine  praefuit.  Constituta  ubique  iudicia 
et  omnia  sacris  legibus  renovata,    quae  bellorum    incomodis  con- 

1315  senucrant;  puniti  ab  eo  fures.  Multi  latroues  fiag-ellis  caesi,  multi 
in  crucibus  pepederunt,  et  omnis  provincia  pacata  est.  Proviucia- 
les,  qui  dum  rebellassent,  militum  gazas,  et  arma  diripuerat  re- 
stitutionem  compulsi  eo  temperamento  ut  militibus  satisfieret;  op- 
pidani  non  pessundarentur. 

1320        71.  —  Pancielta  *  Fanensis  popularis  tumultus  caput,  et  rebellari     Reprime  la 

*  e.  ói.  paratus,  re  per  Angelum  prudenter  cognita  suspensus  laqueo  vitam    dei^Pando^ 
abrnpit.  Alii  factiosi  sicarii  ejus  sequaces  relegati  omnes  fuerunt.    ^^' 
In  Carticceto,  quod  caput  est  Fanensis  comitatus  arcem  fundavit, 
ne  Iterum  rebellaret,  eodem  modo  prospexit   ne  Savignauo  facile 

1325    esset  factu. 

Cum  vero  deinde  Sigismundus  Venetae  militiae  Dux  designatus 
contra  Mahumethum  Amiram  christianae  religionis  acerrimum 
impugnatorera,  ac  turcharum  principem  in  Peloponessum  exerci- 
tum  ducerei-,  illi  ad  veterem    tyrannura    redire   noluerunt. 

1330  Indignatus  idcirco  Pius  Pontifex  urbem  illam  Ingo  tirannico  as- 
assuentam,  Amalfitano  Nepoti  suo  sororio  dominandam  tradere 
decrevit. 

Erat  prefecto  et  dificile,  et  periculosum,  cum  propter  multiplicis 
populi  mentes  diversasque  sententias,  tum  propter  contrarlam  poii- 

1335  tificii  coUegii  voluntatem.  Hujus  consilii  curam  Angelo  Injunxit. 
Dederatque  duci  literas  bullatas,  quibus  titulum  ac  jus  domiuii 
eidem  concessarat,  ibatque  Fanum  ut  urbem  illam  occuparet.  Cives, 
cum  id  suspicari  caepissent,  vulgari  tumultu  costituerunt  eum 
escludere,  si  venisset.  Quod  magno  dedecori  fuisset   summo   Pou-       Mirabilis- 

1340     tifici.  Angelus  ne  id  fieret  persuasit  duci  (per)  literas  non  vulga-   s'""'^ '^"o  «^^ 


res,  simularetque  se  ad  invisendam  Senegalliam,  aliaqne  oppida 
sua  tendere.  Atque  ita  dux  intra  urbem  cum  gratia  admissus,  di- 
missusque  est.  Pius  interim  per  literas  Angelo  jussit  daret  (dare) 
operam,  ut  cives  ipsi  in  domimim  accirent.  Rursus  contraria  erat 


sua  accor- 
tezza. 


502  15.   fu;iiAr-i)iNi 

1345  Cardinal  ili  III  Kontcìitia,  (piia  nullo  modo  assentiri  dccrevorant  urbera 
illaiii  jiiii  apostolico  subduceio. 

At(jU(!Utnim(|ue  ^uboriiatorem  *dis.sonis  i)Ctitionibn.ssollicital)ant. 

•c.ùr>.  Jlinc  (."jirdinales  rniuitabaiitur,  si  talia  rnoliretiir,  inde  IMus  iusta- 
bat  nt  <|uamprimurn  rv.m  perag'eret.  Nec  tutum  erat  si  alterutri 
parti  dispiccret.  Tali  in  dificuitatc  constituto  sucssano  Pontiflce  (1), 
erat  eniin  amborum  discordibus  vohuitatibus  in  eodem  re  obtem- 

1355  porandum,  dixit  Federicus  Urbini  dux,  qui  tamen  erat  illius  con- 
silii  eonscius,  cxpertus  siim  equidem  in  arduis,  et  dificillimis  actlo- 
nibus  pnidentiam  tuam,  verum  in  boc  nullus  relictus  est  pruden- 
tiae  locus.  VX  aut  in  Scyllarn,  aut  in  Carybdim  vertas  necesse  est. 
Cepit  tandem  g-uberuator  hoc  consilii,  ut  Pio  sig'nificaret  rem  esse 

1360  labore,  et  periculis  ita  plenam,  ut  per  se  absolvere  eam  non  possit 
propter  populi  dissentioncm,  praesertim  etiam  cum  pars  civium, 
(|uae  ducem  dominum  abnucrct,  aut  capieuda,  aut  belio  extra  ur- 
l}em  pellenda  esset.  Quod  magno  dedecori  eidem  foret,  sed  tutius 
esse  rem  diforre  us(|ue  ad  ejus  adventum  in  Ancbonenj,  ex   <iua 

1365  Fanum  ca  causa  poterat  se  coiiferre,  et  rem  ncpotis  conficere. 
Cujus  sententiam  Pius  coinprobavit,  Cardinalibus  cadcm  via  satis- 
factum  est.  Atque  ita  tali  onore,  et  discrimine  lovatus  est  Ang'C- 
lus,  et  vafro,  ac  dextro  Consilio  olapsus  prcidicas  bine  inde  di- 
sposi tas. 

l.')70  72.  —  Misorat  int(^roa  l'ins  per  omnos  oras  p]uropae  cruciferos, 
qui  universos  Cliristianae  roligionis  cultores  undi([uo  exciront,  ad 
debellandum  impurum  Mahumetam  Amiram  Turcharum  principem. 
At(jue  ipso  cum  omni  pontificum  congTog-atione  in  eam  expeditio- 
nem  iturus,  Anchonorri  se  vehei  jussorat,  ut   inde   cum    ali((uibus 

1375     praovius  Ragusam  Illyriorum  caput  transfetaret.  At(|UO  illuc  omues 

•  e.  r,o.  *christicolarum  legionos  usque  ad  novum  ver  opperitur.  Ang-elum  ad 

ClermanoH,  ac  Panonios  Icg'averat  sexaginta  cruciferorum  millibus 

Da  Fio  li  praofoctum.  C^ui  oiimos  ad  tam    sanctum    facinus  suiiimum    Cliri- 

costituito 

condottiero  sto  optimo  maximo  futurum  oblocaustum. 

mila  crocia-    13H0        Vcrum  Pius  Aoncas  Pontifcx  Maximus,  infectis  rebus  ad  supo- 
nià'e  i'nFan-  ros"  concessi t,  atquo  ita  omnis  illa  indita  sauctissimaque  expeditio 

intercepta  est. 

73.  —  Invictus    Dux    Frauciscus   Slortia   eo    tempore  Augelum 
Suossao  poiitificom  optabatdesignari  Arcbiopiscopum  Gonuaeinsig'nis 
1385    Liguriao  M(;tropolis  (|uam  tunc  novitor  suo  iin])orio  addidcrat.  At- 
que ea  de  re  ad  suprcmum  Pont:  litcras  dederat,  post  (|uam  Pius 


noma. 


(1)  Ms.  Pondlici. 


VITA    L>I    ANGELO   GERALULNI  503 

inexorabilem  mortalium   legem   subivit.  Aug-elus  proviuciam  sibi         n  Duca 
creditam  siue  aliquo  tunniltu,  uec  iiiiuimo  <|uidem  motu  facto  sub    sforza^*de«i" 

fide  Romanae  P^cclesiae  coutinuit.  j^^*  presen- 

tarlo    Arci- 

1390        Episcopo  subinde  Perusino  in  provinciam  sibi  successore  misso,   ^eacovodi 
et  Petro  Barba  (Barbo»  cui  Paulo  secundo  postoa   nomen   fuit   ad 
summum    Poutiticatum    assumpto,  Angelus   in   Komanam   euriara 
se  referebat,  vulgato  prius  per  praecones  suo  recessu,  ut  si  cui  ipse 
vel    familiares  quid(|uam   debuissent.  satisfaceret.   Xemo   fuit   qui 

1395    nihil  cuiquam  debebant  repeteret.  Verum   omnes  ejus  abscessum 

aegre  ferebant,  non  ut  gubernatoris,  qui  jiiste  in  aliquos  severius 

animo  advertisset,  sed  ut  patris  patriae,  qui  se  omnibus  clemen-      insigni  at- 
testati di  \>e- 
tissinium  exibuisset,  atque  ipsum  moesti  optimates  bine  inde  glo-   nevolenza 
...  ,1  .  .,,.  .       .  dei  Fanesi  al 

merati  extra  urbem  ad  multa  passnum   millia  comitati  sunt,  tan-   partire  d» 

1400     dem  dimiserunt.  ^°^*'''- 

T-l.  —  Faciebat  per  Ameriam  natalem  urbem  iter  Angelus,  cum 

ad  patriae  portam  perveuisset, 'audivit  lugubrem  campanarum  so- 

uum,  quae  ob   sui   parentis  pientissimi  obitum  pulsabantur,  ut  a 

concive  intellexit.  Ingressu  urbem  ad  aediura  limiua  reperiit  Ma- 

1405    trem.  *  Hyeronimum  germanum,  sorores,  patrueles,  et  consobrinos 

•e. 57.  fratres,  et  sororis  nepotes,  propinquos,  et  affines  funebribus  vestibus 
flebiliter  tectos,  et  plorantes  cives  omnes  tara  plebejos,  (luam  patri- 
tios  lugentes,  qni  patris  funus  ad  sancti  Francisci  templum  secuti 
fuerant.  Quod  tanta  vexillorum    fanalium,  clamantiumque  pompa 

1410  elatum  fuit,  quanta  nuuqnam  in  ea  urbe  fuisse  aliud  alium)  fer- 
tur.  Fnit  enim  comunis  patriae  luctns,  parti m  propter  defuncti 
probitatem,  partim  propter  farailiae  araplitudinem.  Ipse,  quamvis 
incredibili  dolore  angeretur,  patrem  enim  ingenti  pietate  colebat, 
et  observabat  tum  publicam  fati  necessitatem  recordatus,  quod  in 

1415  tam  acerbo  casu  mirandum  fuit,  non  lacrimarum  quidem  unam 
emisit,  quod  fuit  maximae  constantiae  documentum. 

Nonullis  diebus  pateruae  animae  exequiis  ibi  pie  solutis,  Romam 
petiit,  interfuitque  Pontifìcis  Maximi  coronationi.  Dehinc  et  regi- 
mina,  et  legationes  detrectans  Romae  magistratuum  immunis  de- 

1420  gere  cupiebat,  tantum  consequendo  Archiepiscopatui  Genuensi  in- 
tentus,  ut  dux  quotidianis  literis  exortabatur.  Ante  non  exa- 
ctum  mensem  novus  Pontifex,  peractis  divinis  rebus  e  vesper- 
tino rediens  offitio  obvium  sibi  Angelum  (adì  se  vocavit,  dixitque 
ipsum  Tibur  proficisci  decrevisse,  et  admonuit  ut  in  ea  re  consu- 

1425  leret  rectius.  Post  quindecim  dies  ea  causa  ad  se  accivit  coram  è  stato  go- 
Philippo  Cardinale  Bonouiensi.  et  Angelo  de  Capranica  Cardinale  xivoU***"  ^ 
Reatino,  araplissimis  basibus  pontificii  culminis.  Cum  Angelus  re- 


504 


15.    GER  ALDINI 


Innalza  il 
forte  di  Ti- 
voli. 


1430 


•  e.  5S. 

1435 


1440 


Si  reca  in 
Sessa. 


1445 


1450 


Stupende 
riforme  e  mi- 
glioraraenti 
che  in  pochi 
mesi  v'intro- 
duce. 


1455 


1460 


e.  59. 


1465 


miisset,  nostra,  iiiqiiit,  causa,  Pout  :  Max  jubemxis  illud  miiuus 
snbeas.  Cupimus  enim  tibiirtiuae  arcis  opus  quod  imperfectura 
peudet,  te  presidente,  absolvatnr,  et  reg"imeu  illkis  civitatis  con- 
cussum,  ac  labaus  fulciatur  prudentia  tua.  Scimiis  enim  te  Tibur- 
tìuis  te  notiim,  et  carum  iitpote  antiquum  Firmani  Cardinalis 
familiarem,  quem  ipsi  tum  *  observant. 

75.  —  Invitiis  igitnr  fere  Tiburs  (se  coufert)  Angelus,  duin  cu- 
pit  quamprimunn  Romam  repetere,  ante  sex  mensium  cursum 
arce  finita,  et  Reip.  statu  reformato  ab  eo  munere  se  abdicavit, 
dimissione  a  sumino  Pontifice  impetrata  sub  eo  excusationis  tecto- 
rio,  quod  episcopatum  suum  suessanum  visere  cupiebat,  quo  nun- 
quam  post  suae  diguitatis  promotionem  duobus  et  triginta  mensi- 
bus  ante  illud  temporis  factam,  accesserat. 

76.  —  Suessam  perveuiens  ab  universo  populo  poutifex  summo 
cum  plauso  publicaque  loetitia  exicipitur,  et  tanto  gratior,  quanto 
ìnsperatior  accessit.  Audiverant  enim  novam  diguitatis  Genuensis 
agitationem,  intellexeruntque  piane  incliti  ducis  mediolanensis  vo- 
tum,  et  studium.  Ipse  uonuihl  ibi  immoratus,  posteaquam  Suessa- 
nos  omnes  tum  Sacerdotes,  quam  alios  cives  amplexatus  est, 
quamprimum  Partenopem  ad  Regem  contendit.  Quem  uti  par  e- 
rat,  visit,  et  debita  reverentia  prosequutus  est.  A  rege  quoque  re- 
galiter  receptus  Sinuessam  se  retulit,  ubi  quatuor  estivis  mensibus 
moram  traxit"  Ibi  primum  divinorum  (divini  numinis)  cultum  in- 
vocavit,  auxitque. 

Clerum  coucubinas  dimittere  jussit,  et  ad  continentiam  religio- 
nemque  sacerdotalem  retrassit.  Novis  moribus  institutis,  praeteri- 
torum  criminum  reatum  dimisit  impunem  Subsidium  quod  chari- 
tatis  appellant  novis  praesulibus  debitum  illis  indulsit. 

Atque  omnem  dioecesim  gratis  visitavit,  nulli  vel  minimam  im- 
pensam  inferens,  ubique  sacra  faciens.  Coujugatos  omnes  a  pelli- 
cibus  senjunxit.  Tccta  majoris  templi  labentia  reparavit.  Sublimem 
majoris  altaris  testudinem  terremotu  collapsam,  instauravit,  illam- 
que  cum  ambabus  eidem  bine  inde  adherentibus  tunicari,  de- 
albarique  fecit,  media  tota  pietà.  Totum  templum  amotis  altari- 
bus  sepulchrisque  iucongruis  reformavit,  *  structisque  circum  circa 
lapideis  sedivis.  Parietes  quoque  sacrarli  uovo  tectorio  praetegi 
dealbarique  suis  suumptibus  curavit.  In  duas  partes  divisum  in 
unum  redigi  sacrarium.  Templum  quoque  extra  urbis  moenia  si- 
tum,  in  suessano  siuu  per  totam  viciniam  celeberrimum,  quod  dici- 
tur  sanctae  Mariae  in  planitiae,  tuuc  per  eum  reparari  coeptum 
est.  Deinde  totum   reformatum   deletis   parietibus,   sepulchris,   et 


VITA    Iti    AN'C.El.O    f;rOUAM)INI  505 

aris  non  Ih'iic',  positis,  et  ubi  opus  luit  crcctis,  ttiiiifatuiii    dciilba- 

1170     tumque.    Aedes    episcopales   in    Sinuessa,    cpiae    partim    collapsae 

eraiit,  partim  riiinam  ininal)antTxr  omnes  reparataes. 

Condituinquc  uoviirn  pontificale  palatium,  cui  in  tota  Campania  Kabrica  a 

.          T        ■                   •                             •     1         1         -Il  suo  spese  uno 

Simile  non  mvenitur.  In  ejus  erectioue  ex  proprio  loculo  iiullc  (|ua-  s|.len<lido  ve- 

...                                     j..  .scovato. 

tng-euto.s  aureos  expcndit. 

1475  Proedia  pontificatus  sui  per  muitos  anno.s  coli  jussit,  emptis  a- 
g-ricoli.s  bobus,  et  sub.sidio  pecuniarum  coloni.s  praestito,  atque  ita 
omnes  agri  renovati  sunt.  Duo  millia  quing-enta  olae  in  ei.s  con- 
sitae,  Arbores  partim  ad  vitae  substinendas,  quas  pergiilas  recte 
dicimus,  partim    fructiferae   quatuor  millia    propagatae.    Jura,    et 

1480  emolumeuta  epi.scopalia  per  nobile.s  occupata  undi([iie  magno  stu- 
dio recuperata  sunt. 

77.  —  Aestate  cxacta  Romam  redìit,    et    curiam    per    biennium 
sequutus,  causam  genuensis  archiepi,scopatus  prosequebatur.  Verum 

deinde  summus  Poutiflex  ab  ea  supersesedere  jussit,  donec  qui  tunc       Ritorna  a 

^  ,    ~  ...  .  .1,        T^.  11.  T.  Roma. 

148o     arcbiepiscopatui  praesidebat  Duci  suspectus  ad  aliam  dignitatem  eve- 

heretur.  luterea  maguorum  opcrum  expertem  aetatem  non  ducebat. 

Xum  vcueratissimum  germanum  Johauem  Geraldinum  ad  preasula 

tatum  ChatliaceiLsem  assumi  curavit  in  cujus  dig'uitatis  competitione 

muitos  habuit  aemulos.  Verum  et  Pontifex  Max:  et  Rex  Xeapolitanus 

1490    Angeli  causa  omnibus  competetitoribus  Johannem  preaetulerunt. 
Est  autem  Cathanzarium  primaria  *  urbis  Calabriae  Ferdinandi 

•  e.  00.  regis  sceptro  subdita. 

78.  —  Deinde  Suessam  repetens  adhibitis  aliis  tribus  episcopis,        Consacra 

.,  ,.  .  -,  vescovo  il 

ipse,  ut  mos  est,  suis  mauibus  tratrem  consecravit,  quod  rarum  fratello  Gio- 
1495  antea  auditum.  Episcopis  illis  et  universo  clero,  ac  nobilibus  sues- 
sanis  solemne  convivium  celebravit.  Fratrem  sacratum  bipartita 
.supellectiti,  media  cum  parte  equorum,  et  omnium  ornamentorum 
.suorum  et  pontificatus  Cathacensis  po.ssessionem  magno  cum  comi- 
tatù  misit. 
1500  79.  —  Deinceps  Romam  revertit,  tutatusque  Guglielmum  Ra- 
nerum,  et  Franciscum  germanos  dominos  Baschiae  affines  a  non 
nuUorum  oppidorum  rebellione,  qui  freti  favore  aliquorum  proce- 
rum,  et  principum  in  Curia  Eomana  insontes  eos  impug-uabant. 
Et  jam  summi  Pontificis  mentem  flexerant  ut  dominos  illos  ejiceret  Difende 

presso  il  Pa- 

1505     dominio.  Verum  Pontifex  suessanus  impugnationibus  obstitit,  sua-    pa  i  signori 


sitque  Pontifici  maximo,  cum  progenitores  eorum  propter  probi- 
tatem,  et  justitiam  quadrig-entos  anuos  in  ilio  oppido  regnassent, 
inhonestum,  impiumque  esse  nepotes  etiam  inoxios  ab  avito  solio 
deturbari,  et  obtinuit  ut  ab  ipso    summo   Pontifice   in    priucipatu 

33 


di  Baschi. 


50G 


B.    GEH  ALDINI 


È  visitato 
in  Sessa  da 
Re  Ferdi- 
nando. 


Ambascia- 
tore ai  Fio- 
rentini, ai 
Veneti  per 
ottenere  la 
confedera- 
zione italia- 
na. 


1510  coufirmareutiir,  nec  multo  post  eosdem  a  Tudertium  impugnatioue 
defendit.  Qui  Baschiae  jus  iu  agro  suo  sitae  repeteutes  in  domi- 
nos  iusurrexeruut. 

Nec  multo  post  corrupto  coeli  tractu  pestilitateque  saeviente  Sues- 
sam  secessit,  ea  lue   coutracto   Fraucisco   Geraldino,  mag-na  dili- 

1515  gentia,  ingeutique  sumptu  mederi  jussit.  Verum  immedicabilis 
lues  raedelam  uullam  admissit,  et  lepidissimus   ille  juvenis    infra 

•  e.  61.  triduum  *iuteriit,  mag'no  dolori  misero  parenti  suo  Nicholao  futurus. 

80,  —  Ante  exactum  mensem  Ferdinandus  Italiae  lumen,  et  Re- 

gum  decus,  Suessam  veniens,  semper  deiude  in  liunc  usque  diem 

1520  ejus  offiiciis,  et  obsequiis  in  suis  arduis  negotiis  usus,  delectatus- 
que  est.  Misit  ipsum  primum  ad  summum  Pontificem  ad  compo- 
uendas  utriusque  contraversias.  Mox  ad  Floreutinam  Rempubli- 
cam  ;  dehinc  cum  novum  iu  gallia  cisalpina  iuter  diicem  Milani, 
et  Venetos  bellum  oriretnr,  Venetias  legavit  principem   Oratonim 

1525  Italicae  confederationis,  Habiiit  in  eo  Senatu  omnium  oratorum 
nomine  orationem  hictilentissimam  ;  tandem  post  mnltos  bine  inde 
consnltationes  pacem  reformanmt.  Legatum  ipsum  cum  regium, 
tum  pontificìae  dignitatis  prudentissimum,  facundissimumque  ma- 
gno honore  ad  publica,  secretaqne  Consilia  veneti  admiserunt,   et 

1530  per  urbem  magna  patrum  caterva  stipantes,  comitabantur.  Osten- 
deruutqne  fora  in  arena  fundata,  deductusqiie  in  aequore  moles, 
navalia,  innumeras  cimbas,  biremes,  triremes  naves,  omnia  arma- 
menta  neptunia.  Ipsi  duo  navigia  capedibus  obtecta,  et  auleis,  qui- 
bus  per  sinus,  et  aquosas  urbis  vias  cum  suis  veherentur,  concesse- 

1535    runt.  Peracto  legationis  munere,  cum  esset  venetum  agrum  egressus, 

miserunt   pone   scribam,  qui    muuus  zachari,   caerae   et   ziuzeberi 

transmarini,  et  quantitate  et  qualitate  pra,estans  deferret.  Is  aliud 

iter  facieus  per  mare  euim  prius  deinde  per  padum  vectus  est. 

Legatum  prevenit  et  in  quodam  oppido  agri  ferrarensis  ofifendit, 

1540  rediditque  praestantissimum  muuus.  Angelus  postquam  recepit 
munus;  deditque  scribae  et  munerum  latoribus  *  coenam  ;  Centum 

'e.  02.  petiit,  Geraldinosque  ejus  oppidi  proceres,  qui  tam  mulieres,  quam 
viri,  quam  juvenes  ipsi  obviam  prodeuntes  magno  plausu,  et  fre- 
quentia,  comunique  loetitia  cousanguineum  exceperunt.  In    domo 

1545  Nicolai  Geraldini  optimatis  hospitio  receptus  ea  nocte  quievit.  Se- 
quenti  luce  Bonouiam  divertit,  a  qnindecim  Geraldinorum  illuc 
usque  comitatus. 

Quibus  8enatum  illius  urbis,  et  Johannem   Baptistam   Sabellum 
pontificium   protouotarium,    gubermatoremque    exoravit,    ut   inter 

1550    civium  numerumque,  et  jus  referreretur. 


VITA    DI   ANGELO    GERALDINI  507 

Bonouiae  quoque  ab  aliis  Geraldinis  Bououiensibus    mira   curri 
hilaritate  receptus  est.  Atque  illinc  multo  Geraldiuorum    cum    co- 
mitatu  recedeas  Florentiam  pervenit. 
81.  —  Ibi(iueque  orig'iuis  consortes  repeiit  Geraldiuos  a  Chriso- 
1555    srouo  (ut  diximus)   Sillauo    milite   "-euus  duceutcs.  Ab   co  senatu      iGeraMini 

o  \  ^  o  jj  Firenze. 

assequntus  est,  ut  Mag-istratus  Baptistae  germani  sui,  qui  praetor 
florcntiuus  fuerat  desig-natus,  tuuc  ad  gMibernatioucm  Corsicae  a 
Duce  Mediolaui  missus,  praeturam  illam  adire  non  potiiisset  in  a- 
liud  tempus  gerendus  diferrerentur. 

1560  Illic  lacobum  Geraldinum,  juvcnem  gratum,  et  modcstum  ex 
Ceuto  se,  iusciis  parentibus,  sequutum,  ut  exteras  vidcrct  uationes 
iuter  suos  recepit. 

Dehiuc    Seuesis    Senatus,    cum    per    eam  urbcm  iter  faceret,  et       Kicevo  o- 
houoribus,  et  muneribus  prosequutus  est.  natò<lisienu' 

1565  82.  —  In  Urbem  cum  porvenisset  summus  Pontifex  de  reditu 
ipsius  certior  fàctus,  quatuor  horis  cum  eo  colloqui  voluit.  ]Multa 

•e.  63.  vero  cum  ejus  fastigio  verba  *  fecit  Ang'ekis,  multis  rationibus  us- 
us  ut  iuter  eum  et  regiam  Majestatem  concordiam  sanciret,  et  ja- 
ceret  quietis  Italiae  fundameuta.  Tandem  peracta  leg'atione  ad  Re- 

1570  gem  in  Apuliam  couteudit.  Qui  prius  ea,  (|uae  egcrat  exposuit,  et 
retulit,  quae  sibi  a  Poutifìce  Max.  fuerat  iujuucta,  ut  suo  nomine 
Regi  diceret,  gratissiinum  habuit,  valdeque  ejus  solertia  et  indu- 
stria delectatus  est.  Misit  deinde  ipsum  ad  Alphonsum  ducem  Ca- 
labriae,  primogeuitum,  et  ad  concilium  suum  Partenopes,  ad  quod 

1575     de  omnibus  referret,  asserens  se  infra  triduum  postremam  volun- 

tatem  suam  de  pace  cum  Paulo  II  sancienda,  literas  ;  de  bis,  ([uae 

agenda  essent,  quas  istructiones  vocaut,  post  eum  Xeapolim  mis- 

surum,  ut  illieo  ad  Pont:  Max  rediret  italicae  quietis  fulcra  (1). 

83.  —  Interea  lohaunes  Renati  lilias  Andegavensium    dux   Fer- 

1580    dinaudi  regis  invicti  ad  regni  competitionem  inimicus,  impetrato 
a  Rege  galliae  praesidio,  coactis  multis  bine  inde  copiis  pirineos 
transivit,  irrupitque  magno  fragore  in  Hispauiam  citeriorem,  ut  e- 
minentissimi   Regis   lohannis   Alpbonsi   immortalis  nominis  ger-     è  mandato 
mani,  ac  patrnì  Ferdinand!  regis  praefati  reguum  invaderet.  Fuit   ^l^^ediSpa- 

1585  hoc  cordi  Ferdinando,  cum  ut  patrui  sui  reguum  a  veteris  hostis 
irruptione  tueretur,  tum  ut  suum  tutum  ad  omui  futura  invasione 
periculisque  servaret.  Ratus  si  dux  lohannes  ibero  regno  per  victo- 
riam  potiretur  nullam  moram  fore  quomiuus  in  suum  in  Italiam 


(1)  addendum   forsan  jacienda  cum  in  Ms:  incompleta  remaneat  i)eriodus  ex 
amm:  errore. 


508 


H.    GKRALDINI 


K  spedito 
dal  R.'  Al- 
lonso  ili  Spa- 
trila per  aiu- 
tare il  Re  di 
S  p  a  !.'  n  a  a- 
irre.dito  dai 
Francesi. 


Nella  spe- 
dizione gli  si 
aggiunge  a 
compagno  il 
nepote  Anto- 
nio  Geral- 
dini. 


Pa-  ;  da 
Xapoli  il  7 
marzo    1169. 


15i)0 

•  e.  04. 


W.)ò 


IGOO 


1605 


IGIO 


•  e.  65. 

1615 


KJ20 


1625 


rediret,  ex  quo  enm  iternin  inag-no  ciim  labore,  et  immortali  laude 
sua  ac  maximo  gallorum  dedecore  detruxerat. 

*  Mutavit  ig-itur  propositum  novis  emergeutibus  causis.  Et  An- 
gelus, (jnem  Romam  redire  statuerat,  decrevit  in  Hispauiam  cite- 
riorem  transfetaret.  Ad  patruum  ipsiim  prius,  deinde  ad  proceres, 
priucipes,  et  Remp.  hispauiae  legatus  iturns  ad  sistendas  homlnum 
inentes,  ad  couciliandos  eidem  priucipum  auimos,  ad  subsidium 
favoresque  bine  inde  aucupandos,  ad  declarandam  universis  men- 
tem  suam  ad  tutelam  regni  sui  patrui  paratissimam.  Ut  prius  clas- 
sem,  quam  in  ejus  subsidium  miserat  per  alios  quatuor  menses 
perlatis  stipendiis  coufirmaret,  ut  Regi  assisteret,  consuleret,  et 
quocumque  Rex  Johannes  voluisset,  proficisceretur.  Elegit  itaque 
triremes  ex  amplissimo  castramentario  suo  Rex  Ferdinaudus,  quae 
Angelum  legatura  eum  familia  veherent,  et  bonorifice  comitarentur. 

84.  —  Ipsum  ego  Autonius  tune  sum  sequutus,  partim  avidus 
exteras  oras  videndi,  partim  ut  ei  perlougi  itineris  incomoda 
adessem,  istruererque  sub  eo  Regum  negotia  transigenda.  At  vero 
quanivis  latius  de  ipsius  iteueris  rationem  ad  Episcopuni  Catha- 
censem  opusculum  descripserim,  non  erit  alieuum  si  quaedam  quae 
in  protectionis  decui-su  uobis  obtigerunt,  deferemus. 

Anno  a  Cbristi  natali  quatrigeutesinio  sessagesimo  nono  super 
millesimo,  quinto  Idus  Martias  e  portu  parthenopeo  solvimus  ma- 
gno bombardarum  strepitu  in  tonitrus  similitudiem,  et  loetitiae 
siguum  emisso,  et  per  ora  Caprarearum,  atque  Aenariae  in  lucis 
crepusculo  sumus  progressi  ad  lylibeum  trinacriae  promontorium 
proras  *  detorquentes.  Veruni  Zephirus  nos  ad  Liparem,  vulcanlas- 
que  insulas  praeter  voluntatem  irapulit,  pernoctavimusque  in  vul- 
cauiarum  portu,  et  ea  vidimus,  quae  de  nocturnis  incendiis  ex  il- 
larum  insularum  vertice,  diurnoque  fumo  in  piceae  nubis  simili- 
tudiuem  erumpeutibus,  et  a  poetis,  et  ab  bistoriographis  referun- 
tur.  Hinc  non  ventorum  sed  remorum  vi  ducti  Panhormum  ap- 
plicuiraus.  Ibi  Johannes  de  Centimilio  militiae  dux,  de  quo  diximus 
in  expeditione  illa,  Kallisto  tertio  jubente,  deductain  lacobum  Pic- 
ciniuum  militiae  iraperatorem,  recordatus  veteris  amicitiae,  et 
contuberni!  quod  cum  Angelo  (habuerat)  ad  eum  praestantissima 
munera  ciborum  ex  zaccharo  conditorum,  quae  confecta  appellant, 
misit.  Quibus  perexitialem  illam  aegrotationem,  qua  apud  Aponia- 
uam,  comuni  quadam  contracti  fuimus  coutagione  usi,  ab  inte- 
ritu  fuimus  viudicati.  Deinde  ericinum  inontem  praeterlabentes 
ad  Drepanum  mox  ad  lylibeum  appulsi  sumus  hinc  ad  apouiauam 
ubi  febris,  quae  postea  veluti  quadam  lues  per  omnem   familiam 


VITA  DI  ax(;elo  (iEi{ aldini  501) 

1630  serpit  me  primiim  invasit.  Inde  olapsi  Sardiniae  et  Corsicac  litora  Tn  via-po 
in  lybiam  verg-entia  aml)iviimis.  Sardiniae  quinqiiagintu  arietes  y^,a.  ^  "  *'*" 
apiid  Auristagniini  dono  dati  per  triremes  divisi  siint. 

Corsicac,    etiain    numera    accepimiis    non    indij^na    ab    ainicis 
Baptistae   Geraldini,  qui   tiinc   prò  duce  Mediolanensiiim  Galeatio 

1635  Maria  Stbrtia  Franciscii  tìlio  illam  iusnlam  giibernabat,  et  proto- 
etiouis   nostrae   insciiis  non  venerat  ad    litiis,  ut  nos  transeunte» 

•e.  66.  videret.  Illinc  Xiceam  antiquissimam  *  Allobro.^Mim  i^l)nrbem  trajeci- 
mus,  mox  per  Narbonensems  innm.  Scmper  inde  per  hostilia  litora 
magno  cum   periculo,  et  rerum,  quae  aegros  relevassent,  inopia. 

1640  Taracouem  usque  navigavi mus  nullo  e  Iolo  anonam  viatico  reno- 
vare  poteramus,  nec  aqua,  tum  quidam  noslri.s  remigibus  ire  tu- 
tum  erat.  Vernm,  qnamvis  aegri,  sordidis  aliqnibns  vilibusqne  nan- 
laruin,  el  remiguin  cibariis  nlebamnr. 

Duo  hostiuui  navigia  piscatoria,  quae  uri  caeperant  naiJtae  cre- 

164:5     mari,  nt  ipsi  statuerent,    Angelus  passus   non   est.   Nec  equas  ar- 
mentarias,  et  equos  pullos,  et  admissarios,  qui  ad  litus  uscpie  ve- 
nerant  iuterfici.  Quinto  Xonas  Majas  ad  Taracouem  Hispaniae  ci- 
terioris  olim  caput  iu  coutiueutem  desceudimus. 
85.  —  Dumque  illuc  aegra  corpora  omues  curaremus,  et  legatus  Re  gìo 

1650  lethalibus  pene  exureretur  febribus,  iuvictus  Rex  Johannes,  (jui  con t"© If Le^ 
ut  gallorum  froutibus  se  opponeret,  tan(iuam  ad  Regni  limeu  Ta-  frJ)Ja„rave- 
raconam  paruniper  accesserat,  veuit  cum  omni  concilio  suo,  et  uobi-   mente    in- 

^  ■*  '  ferino. 

lium  curialiuni  caterva  ad  Angeli  hospitium,  ut  eum  viseret,  horta- 
returque  ad  pristinam    valetudinem  recuperandam,  et  de  ejus  ad- 

1655  ventu  maxime  gratularetur.  Ipse  non  multo  post  convaluit,  sta- 
timque  ad  Regem  pergeus  se  legationis  causam,  me  prae  sente,  in 
frequenti  concilio  maxima  cum  facundia  exposuit,  deinde  classem 
ad  regis  auxilium  confirmavit,  persolveus  quatuor  mensium  sti- 
pendia. Erat  ea   classis    viris,    et    armis    mirifice    instructa,   quae 

1660    rebellem  Barcellonam    per   mare   obsidebat,  dum  defectu  rei   fru- 

■  e.  69.  nientariae  laboraret,  ut  eidem  -  omne  marittimum  subsidium 
intercluderet. 

Gallorum  vigiuti  (millia)  (2)  quos  pyrineos  superasse  diximiis,  cum 
pars  ad  expuguandos  arces  in  ipsis  montibus  consedisset,  pars  Ge- 

1665  rundam  circumsederet,  eminentissimus  Rex  legavit  Angelum  sues- 
sanum  pont  :  ad  celeberrimos  regni  sui  proceres  opulentis.si- 
masque  Respublicas,  ut  omnes  ad  praestandos  cum  militum,  tum  pe- 


di Ms  :  Allóbrogorum  (sic). 

(2)  Millia,  es  menda  ammanuensis  ommissum  p<f. 


510 


B.  GEUALDINI 


ciiuiariim  sdppo.tias  ad  repelleiidos  e  fiuibus  exhortaretiir   hostes: 
cimctosqiie  ad  regMiorum  siiormn,    et  patriae  libertatis   propug-ua- 

1G70  tiouem  concitaret.  Qiiod  ipse  diligeatissime  perfecit  et  apud  Va- 
leutiuiim  Seuatum,  qui  iu  illiim  usqiie  diem  se  dificilem  ad  jDrae- 
staiida  Reg-i  siibsidia  praestiterat.  Eleg-antissimam,  omuinra  sen- 
teutia,  orationem  habnit,  obtiniiitqiie  uon  parviim  pecimiarum  et 
g-entiiim    siibsidiiim.    Itaque   ex   hoc    et    aliis    hmc   inde   auxìliis 

1G75  compnratis,  sola  Gerimda  uou  vi  expiignata,  sed  a  qiiibiisdam  pri- 
matibiis  prodita  in  hostium  potestatem  de  veni  t. 

Venit  eo  tempore  Valentiam  Rex  Siciliae  ulterioris,  Reg-is  Jo- 
hanuis  primog'euitiis,  qui  ad  Histabellam,  cui  superioris  Hispa- 
uiae  reg-num    debetur,    accitus   ad   perageudum   cum    ea    connu- 

1G80  bium,  iturus  erat.  Et  Ang*elum  ut  ipsum  ad  nuptias  comitaretur 
fuerat  a  parente  requisitus.  Reg-em  igitiir  Siciliae  Caesararug-u- 
sfam  nsque,  caput  celtiberiae  quae  mine  Arag-onia  dicitur,  sequuti 
sumus.  Veruni  ipse  Rex,  mutata  sententia,  dissimulato  corporis 
cultu,  cum  paucis  familiaribus  ad  Isabellam  principem  incog-nitus 

1685    penetravit.  Nos  vero  ad  g-euitorem  ejus  Regem  reversi   sumus    et 

•e.  OS.  iu  Taraca  *  oppido  non  long-e  a  Taracoue  moram  trahentes  de  feli- 
cissima Regis  Trinacriae  coujugii  celebratioue  certiores  facti  sumus 
ex  tali  matrimonio  magnae  rerum  mutationem  (mutatio)  auimo- 
rumque  mutationes  emerserunt  (1)  cum  quantum  regno  scesptro  inde 

1690  auctoritatis  accessit,  tantum  ab  ejus  adversariorum  animi  deces- 
sit.  Nec  satis  Regi  Enrico  sororiae  nuptiae  satisfacere  videbantur. 
Verum  ipsum  quoque  hostem  Ibre  certo   autumabant. 

His  rerum  dlficultatibus  septi,  Rex  Johannes,  et  piissimus  primo- 
ÈfaUopri-  g-enitus  Angelum  Suessae  pontifìcem  suum  consiliarum  creaverunt, 

mo   ministro 

di   Re   Gio-   l(9o     ejus  in  Consilio  magnani  habentes  flduciam  detuleruntque  ipsi 

ponlificatum  (ponlificalus)  annui  redditus  (2).  regni  caput. 

Et  ipsum  suum  iu  llaliam  legatura  illieo  remiserunt.  Qui  optatis 
ipsorum  cupieiis  satisfacere  longam  perigrinalionem  agressus  est. 
Genuam  divertii  ad  confirmandas  cum   illa  Republica  indutias, 
1800    (jtias  illi  apud  Johannem  clemenlissimum  regem  irapetraverat,  san- 
cieralqiie  certis  condilionibus.    Et    prinium,  ut  omnes  captivi,  qui 
ad  reniig'ium  mullis  jam    aniiis    delinebantur,    dimillerenlur.    Qui 
omnes  Angelus,  dura  esset  Dertusae,  nuovo  obtinuit  magna  conleu- 
tione  a  triremium  dominis,  ut   solverenlur,    restiluerenUirque   pa- 
1705     triae  et  propinquis;  liberale  piumqiie  sludium,   Deo  et  homiuibus 


Sue  lega- 
zioni in  Ita- 
lia. 


(1)  Ms.  emerxerunt. 

(2)  L'autore  tace  la  quantità  dell'assegno  .somministrato  allo  Zio,  pov  ragioni  a 
lui  note. 


VITA    I>I    ANOKLO    (iKItALDIM  511 

f|iiam  <>Talissiiniiiii.  (^tiiii)]»!'  limili  caplivnnim  foiijiiyali,  niiilli  pa- 
Ireslaiuilias,  imilli  oorum    cives  eraiiL  ainplissiiui  in  civilalt*.   Nec 

•e.  69.  animi  dubiiiin  smini  non  soliim  *  (1)  iixoru.s,  liln-ros,  et  propincjiios 
assiduo  in  liicln  vilani  ducere,  Deotjiie    opliiiio    illonini  c'a[)livila- 

1710  lem  objeelare,  sed  iirlteni  i|ii<)(pie,  el  imiversani  Li;;-iiriam  anii.s- 
sorinn  civiiiin  jacLiirani,  t'aniilianinKnie  oibitaLeni  assidue  deplorare. 
Qiiod  lanlo  niagis  illi  palriae  Angeli  olhciiim  yraliim  esse  di-buil, 
qiiam  diHciliiis  full  quo  miniis  illis  speraliini.  C^iod  lol  annis  ante 

1715  consecpii  non  poUieninl,  el  Deo  gralius,  qui  orbalae  reipiiblicae, 
familiarnmqiie  clamanlium  lamenlalionos,  ac  preces  aiidiebat. 

86.  Leg-aliouem  siiara  secnliiriis  est  Aug-eliis  ad  petendiim  nia- 
rilimiim  ab  iuviclo  reg'e  Ferdinando  classo,  regnis,  anclorilaleqiie 
poleulissimo.  A  quo   ad  palruuni    (ul  diximus)  fuerat    leg-aius.  E 

1720  Xeapoli  Romana  profeclurus  ad  poscendam  ipso  a  siimmo  Ponli- 
fice  dispeusalionem  prò  ipso  Reg-e  Ferdinando  lohannis  regis  filio 
qui  Hisabella  uUerioris  Hispaniae  haeredem  sibi  sangniine  juuclam, 
nxorem  duxit.  Ad  renovandam  sislendamque  amici  liani  cum  FIo- 
rentinis,  Venelis,  et  Duce  Mediolaui,  aniplissimis  Ilaliae  poleulalibus. 

1725  Deinde  in  Galliam  Belg'icam  ad  jaciendum  cum  duce  Burg-undiae 
foedus,  mox  is  celiicam  ad  sanciendam  cum  Reg'e  Galliae  pacem. 
Et  demum  por  Aquilaniam  ad  componeudas  res  snperioris  Hispa- 
niae ad  Reg'em  Henricum  ilurus  solvit  e  Derthusa  dio Februari 

anno  sepluag-esimo  supra   millessinunn    per   hoslia  Iberi  in  mare 

1730    egressus. 


APPENDICE   —    1. 

Con  la  spedizione  di  Angelo  al  re  Enrico,  intrapresa  nel  fe- 
braio  1470,  termina  il  racconto  di  Antonio  sulla  vita  di  lui. 

Prosegue  la  narrazione  degli  ultimi  anni  Onofrio  Geraldini  de' 
Catenacci,  scrittore  già  noto  al  lettore.  Esso,  dopo  avere  come 
di  volo  indicale  le  legazioni  sostenute  dai  Vescovo  di  Sessa  a 
favore  del  re  di  Spagna  dal  1409  al  febraio  1470,  già  ricordale 
dal  nostro  poeta,  e  dopo   avere   aggiunto,    esser   lui  ancora  stato 


(1)  Qui  seguono  tre  pagine  lasciate  da  Antonio  in  bianco  forse  per  potervi  re- 
gistrare le  altre  gesta  dello  zio  sino  alla  sua  morte. 


512  B.    GERALDINI 

di  nuovo  legalo  del  re  Giovanni  a  Paolo  II  morto  ai  20  luglio  1471^ 
prosegue  così  il  suo  compendiosissimo  racconto. 

«  Mox  a  Sixto  IV  bis  in  Galliam  legalus,  deinde  Avinionen- 
«  sium,  et  Gomitatus  Gubernator  renunciatus  ponlificium  aucto- 
«  rilalem  solide  stabilivi!,  ac  sumnia  cum  laude  administravit. 
«  Postea  Perusiae,  et  Umbriae  praefuit,  in  universam  Germa- 
«  niara,  et  ad  Caesarem  legatus,  ac  pontificatui  Caminensi  pre- 
«  positus,  seditiosum  concilium,  immo  conciliabolum  nec  iure  a  falsO' 
«  Archiepiscopo  Cranerio  Magunliae  contro  ponlificem  inchoa- 
«  tum  nec  minore  fortitudine  quam  industria  disolvit. 

«  Sub  Innocentio  Vili  ad  Ferdinandum,  et  Elisabettam  cite- 
«  rioris,  ulteriorisque  Hispaniae  reges  nuncius  missus  ea  lega- 
«  tione  egregia  functus. 

«  Vix  Romani  regressus  coorto  inter  Ponlificem  Max  :  et 
«  Regem  Neapolitanum  bello,  iterum  castrorum  legatus  designa- 
«  tur,  ubi  dum  pontificiam  auclorilatem  Consilio,  vigilanlia,  omni- 
«  que  conatu  tueretur,  castrorum  laboribus,  atque  assidua  armo- 
«  rum  delalione  afflictalus,  dum  Cardinalis  ab  Imperatore,  et  Ke- 
«  gibus  expeteretur  (1)  septuageaario  major  obiit  apud  Vejos  (2) 
«  tertio  (3)  Nonas  Augusti  anni  1486  summo  sui  desiderio  familiae,. 
«  relieto,  quam  praeclaris  litulis  auxit.  Patriae  quam  pluribus  or- 
«  namentis,  et  eadificiis,  ac  muneribus  Principum  ornaral,  Pon- 
ce tifici  et  Eclesiaslicae  dignitali,  quos  cum  vitae,  jaclura  adversus- 
«  omnes  hostes,  et  etiam  amicos  Reges  tutatus  erat,  ac  omni 
«  hominum  generi,  cui  beneficum,  et  gratissimum  semper  se  prae- 
«  buit,  ac  extitit  meritissimum  amicorum  exemplar. 

«  In  Urbe  amerina  cadaver  suorum  cura  vectum  in  Ecclesia 
«  S.  Francisci  in  Capella  S.  Antonii  Geraldinorum  gentilitia  inter 
«  suos  conditus  est  cuius  monumenti  sub  ejus  integra  in  sarco- 
«  phago  statua,  talis  est  inscriplio 


(1)  II  Gamurrini  inoltre  aggiunge  esser  stato  ritrovato  presso  Mons.  Angelo  un: 
pontilicio  documento,  conservato  ancora  pi'esso  i  suoi  eredi  ai  tempi  del  medesimo- 
storico,  col  quale  Papa  Innocenzo  Vili  promettevagli  di  promuoverlo  al  Cardinalato 
al  primo  Concistoro.  Ma  disgraziatamente  non  vi  giunse. 

(2)  \ei  tempi  dello  scrittore  ritenevasi  che  Civita  Castellana  l'osse  l'antica  Vejo, 
jnentre  oggi  si  ha  quasi  per  certo  che  esistesse  nei  dintorni  di  Buceano. 

(3)  Nella  lapide  sepolcrale  Icggesi  Non:  Aug: 


VITA    DI   ANGELO    (JEKALDINI  513 


ANGELO   GERALDINO 

SIESSANO    ET   CAMINENSI    PONT. 

IOANNES   GERALD.    PONT.    CATIIACENSI.S 

BERNARDINUS   GERAL.  NEAPOLIS   AC   BAPTISTA  GERAL. 

FLORENTINAE   EQUESTRIS.    ORD  :    PRAETORES    FRATKES 

AXTONIUS.    Ql'E   GERAL.    XEPO.S 

H.    M.    P. 

Vix  •  Au  *  Ixx  iiii  •  Meu  •  iiii  •  Dies  •  v  obiit  •  An.  Sa. 
MCCCCLXXXVi  mi  Xou:  Aug-. 

Ed  il  nostro  poeta  laureato  a  piò  dello  stesso  sepolcro  vi  ap- 
poneva i  versi  seguenti,  che  in  carattere  diverso  trovo  riportali 
in  questo  stesso  nianoscrillo  : 

Ille  Geraldini  generis  celeberrinius  auctor 

Augehis  Antistes  pulera  Suessa  tuus 
Hic  jacet :  heii  qualem  amisit  sacer  ordo  patiouum 

Perdidit  heu  qualem  gens  amerina  patrein 
Dulichio  siinilis,  lustraverat  aequora  terras  ' 

Dum  patriae  vig-ilans  cousulit.  et  patribns, 
Sed  nimis  ingestos  alios  superaddere  fasces 

Dum  studet,  imraeusum  uou  tulit  uuus  ouus 
Occidit  ergo  aliis,  sed  uou  sibi,  quando  peregit 

Fortia,  quod  dederant,  fata  sequtus  iter. 

Il  feracissimo  estro  poetico  di  Mons.  Antonio,  oltre  al  sur- 
riferito epitaffio,  ne  dettava  un  altro  che  trovandosi  in  questo 
manoscritto  trascriviamo. 

Qui  egli  più  esplicitamente  allude  ai  fatti  dello  zio,  e  special- 
mente alle  vittorie  riportate  in  Germania,  ed  alla  spedizione  con- 
tro il  re  di  Napoli.  L'esser  poi  morto  a  Vejo,  famosa  per  l'espu- 
gnazione di  Coroliano  dopo  dieci  anni  d'assedio,  suggerivagli  la 
brillante  epigrammatica  chiusa  :  Eccolo 

Aliud  Epit." 
Quum  Patrum  Autistes  Sinuessae  jura  tuetur 

Asserii  et  meritis  poutificale  decus 
Haerculeas  adiit  metas  :  boreaeque  recessus 

Et  maris,  et  terrae,  cuucta  pericla  tulit. 


Ó14  B.    GERALDIXI 

Veruni,  qiiem  adversis  studiis  g-ermania  freudens 

Reddidit,  et  multa  beticus  arte  vafer  : 
Abstulit  iufaustis  castris  oeuotria  mater, 

Poutificis  ad  Veijos  dum  pia  signa  reg-it. 
Quod  vix  Roma  fereus  Veij  retinete  Camilluin, 

Clamat,  et  huuc  uobis  reddite  quaeso  ducem 

A  questi  disliei  tien  dietro  un'altra  iscrizione  per  il  sepolcro 
del  medesimo  : 

Ang-elo  Geraldino  Ameriuo 

Suessae  et  Camineusi  Episcopo 

De  pontificio  culmine:  de  Geraldinorum  familia 

Deque   omni    hominum    g-enere    meritiss  : 

Io  :  Epis  :  Cathacen.  Fr  :  Ant  :  pontificius  Protonota  : 

Reg'umque  Hispaniae  legatus  Nepos 

Bern  :  et  Bapta  equites  Amerini  al  Praetores  Neapolitauus,  e  Florentinus 

Fratresque  pientiss. 

Patrono  indulg'eutissirao  posuerunt 

H.  N.  S. 

Vix  annas  LXX  Mens  Dies 

Forse  mise  an  :  LXX  e  non  LXXIV,  come  in  realtà  leggesi 
nella  lapide  sepolcrale  di  Angelo,  o  perchè  non  ben  ne  ricor- 
dasse l'età,  ovvero  la  tenesse  preparata  qualche  anno  prima  della 
morte  di  lui  non  avendoci  neanche  apposto  il  millesimo. 

Collo  stesso  carattere,  che  potrebbe  essere  dello  slesso  Poeta, 
trovo  riportalo  un  altro  epitaffio  composto  da  un  tal  Pier  Francesco 
Laurclio  amerino.  Affinchè  non  rimanga  in  appresso  perduto 
{non  meritando  d'altronde  di  esser  dimenticato)  credo  bene  di 
trascriverlo,  anche  perchè  concisamente  allusivo  alle  più  illustr 
imprese  di  Mons:  Angelo. 

P.  Franciscus  Laurelius  Amerinus 
Angelus  hic  situs  est:  gentis  et  auctor 

Geraldinae:  Idem  praesul  Arunca  tuus. 
Ter  Gallos  :  quater  Hispanos  :  Germaniaque  regna 

Orator  Regum  Pontifìcumque  adiit. 
Sed  dum  castra  regit  :  Romamque  tuetur  ab  hoste, 

Pontifice  Innocuo  sceptra  tenente,  obiit. 
Tot  patriae  titulos  :  generique  hic  attulit  unus 

Quot  vel  non  omnis  Gens  Amerina  dedit. 


VITA    I>I    AXUELO    liKKALDIM  i*ìì^ 

Neppure  creilo  dover:*!  <limenlicare  qnes^tn  allri  versi  di  An- 
tonio riportali  nel  codice  \'aticano,  come  allestanli  un  beli' allo  di 
munificenza,   verso  la  sua  chiesa  di  Sessa. 

Illa  Geraldini  g-eneris  celcberrimus  Anctor 

Angelus  Ausouiae  fama,  decusque  patruiu 
Elargitus  agTOs  propio,  qixos  emerat,  aere 

Institnit  triplex,  hoc  pietatis  opus. 
Pauperibus  frug-es  :  pueris  alimenta  doceudis 

Muuera,  et  ad  sacrum  quaelibet  apta  dari  ; 
Foelix  Pontificis  mentis  Siuuessa  profecto  ! 

Piguore  plus  foelix  uibs  amcrina  tuo! 

Finalmente  non  mi  sembra  dovere  omellersi  un'altra  cosa  di 
Angelo,  della  quale  il  Catenacci  non  fa  parola.  Si  è  lo  avere  ospitato 
per  ben  venti  giorni  in  sua  casa  il  Pont:  Sisto  IV.  E  ricordato  da 
un  apposita  lapide,  esistente  ancora  sopra  il  portone  dello  stesso 
palazzo,  ove  abitò,  di  proprietà  al  presente  del  sig.  Avv.  Carpenti. 
Questa  stessa  iscrizione  altresì,  riportata  dall'annotatore  del  Ciac- 
conio  sotto  l'anno  1476  al  lom.  2°,  pag.  1279  edizione  del  1G30, 
il  quale  attesta  ancora  di  aver  lette  alcune  lettere  del  medesimo 
Pontefice  dirette  ad  Angelo  quando  Irovavasi  Pro-legato  in  Avi- 
gnone ed  oratore  del  Papa  colla  potestà  di  legato  a  latere. 

Ecco  per  tanto  la  detta  iscrizione  : 

SIXTUS   IV   PONT.    MAX   PRID.    KAL.    JULII 

DOMUM   HANC    GERALDIXAM   IXGRESSUS   EST   IX   QUA 

DIES   XX   PLACIDISSIME   CONQUIEVIT   AMOEXITATE 

HOSPITII  PLURIMUM   DELECTATIS   DEINDE 

EPISCOPORUM  EQUITUMQUE   GERALDIXORUM 

nOXORE   REFOCILLATO    AXIMO   PROFECTUS 

AXXO    SALUTIS   MCDLXX^T 


APPENDICE  SECONDA. 

Compendio  della  vita  di  Angelo. 

Ora  lasciamo  riprendere  il  discorso  ad  Antonio  Geraldini,  il 
quale  riepiloga  il  detto  intorno  allo  zio  aggiungendovi  qualche 
altra  notizia  della  sua  vita. 


516  B.    GERALDINI 

II.    QUAEDAM   DE   EJUS   STATURA,    MORIBUS,   ET   VITA   TER   COMPENDIUM. 

•c.  75.      1.   _  *  Haec  fuit  in  huuc  usque  diem  Angeli  vita  quam  per  se- 

riem  servato  temporum  ratione   in   hoc    eompendiuin   redegimus. 

Ntxnc  ag-e  quaedam   confuso   temporum    ordine   summatim  et  per- 

stricta  collecta  recenseamiis.  Deinde  de  pietate  in  patriam,  ac  pa- 

5        rentes,  deinde  de  meritis  in  familiam  dicendum  est. 

Corpore  fuit  procero,  exilitate  non  indecora,  sed  quae,  dignitatem 
augeret.  Fronte  lata,  et  veneranda,  facie  alioquin  oblonga,  et  ma- 
jestatis  piena.  Oculis   honoratis,    et    pupula    oculorum    nigerrima,, 
vivaci,  atque  hilari.  Coeteris  membris,  et  liueamentis  aptis    et  al- 
io       titudini  corporeae  respondeutibus.  Valetudine  prospera  usus  est,  ut 
qui  contiuentissime  vixerit.  Nam,  ut  alia  exempla  omittam,  in  Ca- 
minatis  haemiliae   oppido    sacerdotem    sibi   virgineuj   stuprandam 
offerentem  altercatione  multisque  jurgis  repulit.  Niimquam  impu- 
dicum  verbum  fundere  est  auditus,  atque  ipsa  continentia  lacessi- 
15        tus  in  virilitate   lumborum    calore    atque   dolore   diu    oppugnatus 
luxum  naturae   gestatione    topacij    cohercebat    (?).    Robustissimus 
fuit,   et   laboris,   ealoris,    frigorie    tollerantissimus,    deinde   caloros 
aeg'rius    tollerabat,    utebaturque    simplici   toga   in    media   hyeme. 
Impatiens  inediei,  postquam  statuta  mensis   bora   adventasset,  ut 
20        qui  adhustae,  bilis  est.  Soepe  tum  nocturnam  coenam  *  non  susce- 
•  e.  74.  pit.  Cibum  parce  sumebat,  nec  praeciosum  aut  delicatum,  sed  co- 
munem  tantum,  mundumque   appetebat.  Potum    dilutissimum    ad 
continentiae  studium,  et  tantum  ad  extinguenduu   reuum    aestus. 
Somni  parcissimus  ;  non  enim  quatuor  horis  continnis  quietem  ad- 
25         mittebat   et  eam  levissiraam.    Quod  reliquum  erat   noctis   ducebat 
insomue,  et  aut  legebat,  aut  scribebat,  aut  supplicationes,  et  preces 
debitas  per  horas  a  summis  Pontifìcibus    insti tutas,   religiosissime 
persolvebat.    Erat   enim    rcligionis    studiosissimus,    et    plus   culto 
(cultu)  meridiano  somuo    raro    soccubiiit,  primo  diluculo  e  strati» 
30        non  mollibus  erig-ebat.  Nunquam  enim  i^lumis  utebatur,  sed  crasso, 
et  obduro  grabato,  quod  lumbos  minime  foveret.  In  rerum   actio- 
nibus  expeditissimus  fuit,  ac  diligentissimus. 

Omnemqiie  moram  inique  tixlit.  Nec  domesticos  quidem  ne  par- 
vo ocio  frui  sinebat.  Nec  ludis,  aut  jocis  iudulsit.  Neque  illis  dele- 
35  ctari  suos  ìndulgentius  patiebatur.  Verum  statim  ad  seria  revocabat, 
et  aut  ipse  de  historia,  de  moribus,  aliquave  insigni  re  loqueba- 
tur,  aut  ab  aliis,  ut  loqueretur,  exigebat,  quos  actentissime  audie- 
bat.  Ubi  negotia  defuissent,  familiaribus  novas  occupationes  obi- 
ciebat.  Magno  Consilio  persaepe  rerum  diligentique  examinatarum 


VriA    DI    ANdELO    OKUALDINI  f)!? 

40  praevidebat  eventus.  Mag-uo  animo  fortunae  nmtationes  acerbosqiie 
casus  ferebat.  Couvivia  inajore  gratia,  (|uam  aniiicntia,  et  prodi- 
gai ita  te  faciebat, 

•e.  75.  88.  —  Amicos  studiosissime  *  colere  et  officiosissime  retiuere  con- 
suevit.    Xeminem    verbis   lacesserc,    neque    nìaledicentiaiii    aocjuo 

45        auimo  tollerare. 

Conciliandae  lioiiiiiuim  gratiae  intenderò,  et  ad  i»romereudum 
mirixm  in  modum  propensus  esse.  Inpensarum  rationem  habens, 
nil  temere  de  partis  prodig-ere,  nec  illis  parcere  ubi  expendere 
operae  praetium   erat.  XuUius   mercedem    retiuebat,  cum    in   eri- 

50  g-endis  aedifìcis  viridariis  praedisque  colcndis  tot  opcrariorniii  la- 
bore nsus  sit. 

Oblatas  sibi  pecuuias,  et   opes  ab    liiis    qui    non  habebant,  non* 
accepit.  Renuit  bellatorem  equum  a  sigismundo  Paudulpho  Mala- 
testa  sibi  dono  missum  diceus,  sacerdotibus  mula  opus  esse,  atque 

55  ipsum  qui  in  Turcas  expeditionem  duceret  mag'ni  ilio  equo  indig-ere. 
Quemdam  sibi  multam  pecuniam  ofFerentem  reuni  crimiuis  judi- 
catum  uon  absolvit  sed  Hag-ellis  caedi  jussit.  lustitiae  acerrimus, 
et  iutrepidus  defensor  se  prò  ejus  tutela  capitis  discrimen  adiit,  et 
praecipue  in  carpenterateusi  tumultu,  dum  judeorum  opes  a  vulgo 

60  diriperentur  passinique  trucidarentur  judeì.  Xec  ullo  praecio,  aut 
ducum,  pontifìciumque  imperio  (imperium)  ei  vim  fecit.  Priorem 
conventus  cartiiusini  apud  Papiam  literis  ducis  Pontificisque  sibi 
comeudatum,  maguumque  aureorum  numerum  offerentem,  sed 
male  meritum  a  prioratu  deturbavit.  Quemdam  hortantem  ut  con- 

G5  ditionem  acciperet  redarguit,  non  precuuiarum,  sed  immortalitatis 
rationem  habeudam.  Eodem  modo  dimisit  alium  priorem    a    duce 

•e.  76.  Borgundiae  sibi  per  literas  comendatum.  *  Renuit  et  magnam  pe- 
cuniae  summam  a  judeis  delatam  ut  in  mutiiis  pnblico  instrumento 
contrahere  permitteret. 

70  Sacerdoti  ex  metallornm  comistione,  ac  phucatione,    magnas  et 

siibitas  divitias  policenti  si  praevio  deposito  adiuvaret,    dixit  non 
esse  habendam  fidem  inopi  divitias  promittenti. 

In  adolescientia  rehtoribus,  et  poetis  dedit  operam.  In  juventute 
augustis  sanctonibus  pontificioque  jure  peritissimus,   ut   diximus. 

75  In  munus  breviatorum  de  parco  raajori  receptus,  librum  ejus  disci" 
plinae  compo.gxiit,  in  qua  divino  ingenio,  sing'ula  quae,  ad  apo- 
stolicos  compendiatores  pertinent,  complexus  est. 

Suessae  Pontifex  designatus,  ad  sacras  literas  theologiamque 
anirauu,  cui  viglantissime   cum    a  publicis  actionibus  requisceret, 

80         incumbebat. 


518  B.    GERALDI.NI 

Vohimeu  maximum  lucubravit  de  viciis,  et  virtvitibus  pleraque 
insignia  ex  claris  aiictoribus  excerpens. 

II.  De  EJi  s  pietate  in  patriam. 

89  —  Fuit  in  patriam  iitilitatem  officiossissimus.  Xam  civitatis, 

85        et  diverticula  ciim  convulsa  essent,  et   coeuosa  coctilibus  lateribus 

sterni  curavit,  i^opulares  tumultus,  bellaque  intestina   compressit. 

Obtinuitque  a  Nlcolao  V  ejus  nominis  Pontefice,  ne  in   factionis 

participes   anlmadverteretur.  Quodfuit  patriae  salus;  omnes  enim 

erant  ejus  crimnis  rei,  et  omnium  punitionem,  si  justum  de  omni- 

90        bus  l'uisset  sumptum  supplicium,  omnls  patria  corruisset. 

Focis  oppidum,  quod  dlim  rebellasset,  ab  amerinis  captum,  et 
ad  arctiorem  ambitum  reductum  fuerat,  patriae  dictoni  per  judi- 
cium  addici  operatus  est.  Deinde  a  Nicolao  Pontifice  max  :  confir- 

•  e.  79.  mari.  *  Nouullis  illud  destruere  nitentibus,  obstitit. 

95  Eg-it  patriae  causam    cum    illis   de   CoUicello,    qui   ab   ejus   di- 

tioue  subtrahere  conarentur.  Cum  nobiles  Canali  Ameriam  op- 
pug'narent,  et  Collicellum  cumbussissent,  consequtus  est,  ut  Plus 
Pont:  Max:  ipsos  debellaret,  oppidumque  illud,  quod  lohannem 
Geraldinum    fratrem.  Pontifici    Max:  nomine  iter  facientera  oppi- 

100  dani  cepissent,  nec  statim  dimississent,  rejecto  Pii  Poutificis  man- 
dato, summus  Pontifex  indignatus  everti  jussit.  Valles  Turris 
Picchi  ad  jus  patriae  reduci  curavit,  et  eas  coli,  cum  nuuquam 
aetate  nostra  fuissent  cultae. 

Castelhim  Saucti  focetoli  ut  restauraretur,  colereturque  plurimum 

105      semper  studii  et  industria  impendit. 

Bartholomei  Geraldiui  patrui,  et  Autonii  Cresciolini,  quamvis  tunc 
aemuli,  qui  auctores  fuerunt  ut  Lacuscellum  oppidum  rebelle  diri- 
peretur  et  solo  acquare  tur,  quatuorque  fratres  rebellionis  principes 
ad  unam  arborem  suspensi  laqueo  darent  poeuas,  ipse  in  romana 

110      curia  patrocinium  suscepit,  ne  plecterentur.  Omnibus  palam  facieus 

praedictos  cives  prò  patriae  tutela,  et  honore,  ac  prò  eorum  meritis 

juste  in  iilorum  excidium  populura  concitasse.  —    Multis  leg'atio- 

nibus  suae  reip  :  jura   defendit,    nec  nunquam  mercedem  recepii. 

Ut  Alviaui,  Attillaui,  Guardejae  lovis,  et  Pinnae  oppida  finitima 

115  in  jus  ac  potestatem  patriae  suae  redirent  persaepe  dilig-entissi- 
mam  operam  dedit. 

Concivium  litibus  nunquam  se  ut  patrouus  inseruit,  sed  ad 
eorum  concordiam  propensior  semper  extitit.  Ad  versa  verum  for- 
tuna passis  et  Consilio  et  ope  adfuit. 


VITA    DI    ANMiKLO    (ii:UAM)INI  511) 

120  Miiltis  ad  literaruni  .studia  opitiilatus  est;  *  iiiultis  ad  ma^-istratus 

•  e.  7cS.  conse(iuendos  ;    multos    ad   viituteiii,     et    lionorcin    cxortatiouibus 

et  auxilio  cduxit. 

His  atque  aliis,  curii  in  cives,  et  jìatriaiii  meritis,  tuiii  multipli- 
cibus  fratniiu  mayistratilìus,  et  oniainentis  patriam  universam, 
125  insig-nciii,  honoratissiinaiiiquc  reddidit,  ut  non  iujuria  patriae 
Pater,  et  decus,  et  <4loria  dici  iiieritus.  Haec  et  plura  tuerunt  ia 
patriam  merita;  uuuc  in  familiani  tantum  Gcraldiniam  munifi- 
ceutiam,  et  studium  succiucte  referamus. 

III.  Descriptio  Geraldini  generis  Amerini. 

130  90.  —  Omue  Geraldiuornm  geniis,  qiiod  Ameriae  constitisse  in 

operis  primordio  dictiim  est,  continuata  a  priscis  prog'enitoribus 
serie  nostro  tempore  in  quiuqiie  larcs  divisum  erat.  Miuus  omuinm 
Geraldinorum  sanguine  conjnncti  siint  ei  familiae  Angeli  Geraldini 
fìliornm  Archaugeli,  qui  et  rem  familiarem  et  lares  inter  se  divisos 

135       habeut.  At  quia  ipsì  aurifices   erant  opulentissimi,  et   opilitio   suo 

intenti  ad  gerendos  magistratus  miuus  apti  videbantur,  nec  praetu- 

ras,  nec  munera  illis  adeuuda  procuravit,  verum  in  corum  prolem 

multa  coutulit. 

Riccardura  enim  Angeli   industrii  et   prudentissimi   viri  filium 

140  ultra  sanguiuis  jnra  condiscipulum,  et  sodalem  meum  ad  litera- 
rum  (studia)  convertit  fovitque. 

Qui  humanis  studiis  maxime  perfecit  sub  Grifone  amerino,  et 
licteratura,  et  instruendorum  puerorum  disciplina  altero  aetate 
nostra  Quintiliano.  Is  deinde  uxorem  duxit,  fuitque  Angeli  studio 

145      accitus  scriba  lohanuis  comitis  pontifìciarum  *  cohortium  ducis. 

*  e.  79.      91.  —  Francisco  vero  Geraldino  praefati  omnium  profecto  aeta- 

tis  suae  optimo  fìlio  primogenito  quator  annis  ad  iugenuarum 
artium  studia  Romae  facultatem  praebuit.  Cum  ad  Reuatum  Re- 
gem  tempore  Pii  Pontificis  Maximi  (ut  premissimus)  legatus  Mas- 

150  siliam  contenderei  per  Bononiam  iter  facturus,  eum  secum  duxit. 
Dumque  Bonouiae  esset  ipsum  in  collegium,  quod  Petrus  de  An- 
chorauoclarissimusjureconsultus  iustituit,  gratis  alendum  recipi  pro- 
curavit, relictis  ei  multis  suis  libris,  et  annua  ad  studiorum  fomen- 
tum  pensione  pecuuiarum  eidem  ex  suis  rationibus  institiita.  Is  post 

155  septem  aunorum  studiuni  peritissimus  neniine  discrepante  in  hono- 
ratum  jureconsultorum  ordinem  assertus  est.  Dum  studerei  onmes 
coUegii  magistratus  gessit.  Legendi  munus  cum  praemio,  procurante 
etiam  Angelo  est  assequutus. 


520  B.    GERALDINI 

Delude  peues  Baptistani  Geraldimim  praetorein  Mediolami  bien- 
160      Ilio  jndex  fiiit.  Floreutiae  jiidex  in  hunc   iisque   diem   permansit, 
et  quotidie  de  ejus  virtute  ampliora  expectantur  (1) 

Minores  ejiis  fratres  omnes  Augeliis  ad  studia   literarum   illexit 
promovitqne. 

92.  —  Nicolaus  Francisci  filius  patruelis  Angelo  fuit  propinquior 

165      vir  profecto  eloqueutissimus,  et  gravissiraus.  Ipse  Angeli  opera  est 

assequutus    domus    piilcherrimas    aedibus  Angeli  coutiguas,  ejus- 

dem  quoque  auxilio  patrimoniiim    amplificnvit.  Auximi  et  Imolae 

praeturas  gessit,  ex  quibns  vexilla  retulit.  Eximi  (2)  ac  Viterbiensis 

eidem  est    delata.  Guberuatienem    habuit    comitatus  Ariminensis, 

170      Lunano    praefiiit,    atque   singiilis    siiae    patriae    muneribus.  Per- 

'  e.  80.  slam  ejus  filiam  *  Nicolao  Boccarino  Angelus  conjugavit.  Fuerunt 

Nicholao  filli  sex.  Frauciscum  qui  Romae  pestilentia  correptus  est, 

penes  se  Angelus  educavit.  Evangclistam  Grifoni  doctissimo  eru- 

dientum  tradidit.  Reliqui  quatuor  parvi  admodum  sunt. 

175  93.  —  Proxiraior  fuit  Angelo  Bartholomeus  patruus.  Is  cum  ad 

Genesiam  praeturam  Angeli    studio   fuisset  designatus,  eam  renuit. 

Curae  familiari  iuteutus  Inter  primarios  civitatis  maxima  semper  in 

extimatione  est  habitus,  omnibus  suae  reip:  muneribus  functus  est. 

Acerrimus    patriae    defensor    castella   Porchiani,    Nicolai    Focis, 

180      Lacuscelli,    et    Canalis,    ut  diruerentur    effecit.    Dives   in    summa 

opulentia  popolarique  favore  consenuit. 

Filios  habuit  Petrum,  cui   Angelus   Civitellae   arcis    in   Hemilia 
curam    demandavil.    Angelum    Antonium,    quem   idem    humanis 
stiidiis  erudiri  curavil.  Et  deincps  scribae  honorem   penes    ducem 
185      Columnae  ad  eum  deferri,  qui  postea  ditissimam  duxit  uxorem. 

In  Lucianum  Petri  filjum   sacrorum   beneficiorum   honorem,    et 
redditus  couferri  studuit.  Justum  ejus  fralrem  latiuis  literis  instrui: 

IV.  Merita  ix  parentes. 

94.  —  In  parentes   vero  se   pieulissimum,  observanlissimumque 

190      semper  gessit.  Solvit  primum  palris   debita,  quae  ex  onere  fami- 

liae  contraxerat,  erexit    illis   splendidas  aedes,  et    pomarium   am- 

plum  emil  coluitque,  emit  et  agros  feraces,  et  latos,  et  Seppi  op- 

pidum,  omnes  fortuuas  suas  in  eorum  arbitrium,  aut  jus   semper 

•  e.  81.  relulit.    Matheo  *  parenti    Maceratae,  Exii  (?)   (Esii),  et  Nuceriae 

195      civitatum    praeturas    conquesivit.  Quibus  omnibus   gestis   insigui- 


(1)  Fu  anche  governatore  di  Orvieto  nel  1491. 

(2)  p:sii. 


VITA    DI    ANGELO    GEUALItlNI  r)21 

bus  iiil)is  (loualiis  est.  Arcis  C.-iesanun,  el  lerraniiii  Ariiulformii 
reg'imeu  ciiin  mercede  oideiii  coniparavit,  ni  palaliuiis  coiiies  ijìse 
culli  siiiis  omnibus  recto  tramile  ab  ejiis  origiucm  ducenti  tiercl 
a  Callisto  pjiis  nominis  III  siimmo  Pontefice,  et  a  Federico    Cae- 

200  sare  obtiniiit,  ciim  aucloritate  coustiliioudi  tabelliones,  ni  in  inle- 
gitimo  couiibio  g-enitos  ad  logitiine  g-euitornm  jnra  constiliiomli. 
Eumdem  demiim  in  patriam  summo  cimi  houore  revisil,  ut  ii)i 
rei  familiaris  ciiram  gcrens  (g-orenlcm).  Nani  fìlii  oiiines  in  g-ercn- 
dis  exteris  mag'islratibiis  semper  aberant  iuter  siionim  ora  conqiiie- 

205  scerent.  Qui  municipalibiis  magislratibiis  conlenlus,  abiindaule 
patrimonio,  tranquillissime  soniiit.  Exadoqne  inter  iirbes  antisli- 
lis  vcxilliferi  miiuere  obiit,  magna  liberonim  felicilale,  inler  iixo- 
ris.  Hyeronimi  ultimi  g-enili,  ualaniiiKiiie  complexiim.  Vidil  natos 
dig'iiitalc  el  houoro  prae  stanlos.  Vidit  lilias  bene  niiptas,  et  feli- 

210  citer  prole  Ibecimdas.  Vidit  nepotiim  et  pronepolum  numeriim. 
Nec  miniis  iiltimis  honoribiis  decoratus  fuit.  Fimiis  ei  nig-ris  vexii- 
lis  eqiiis  fiinebribus  faleris  leclis,  et  per  civitatem  dnclis  iuuii- 
meris  fiiualibiis  iiiag-na  propiuqiioriim  pullalornm  pompa  comuni, 
ac  publieo  lucili,  ednctiim  per  urbein,  celebratumque  fuit    mag-no 

215      sumpter  el  impeusa,  qnam  Ang-eliis  pientissimiis  uatus   persolvit. 

'  e.  s-^.  Klpitaphinm  el  carmiuibiis  soluta  oratioue  *  sepulcliro  ejiis  cae- 
landiim  qiiod  sequi  tur  eg'ocomposui. 

Matheo  Geraldino  Amerino  Parenti  optimo.  Seniori,  et  Augustali 
Angelus  Pont:  Suessames  lohannes  Pontifex  Cathacensis 
220  Bernardinus,  Baptista,  Hyeronimus  equites  et  turmarem  praetores 
Com  :  palatini  nati  pientissimi  dedicarunt. 

Clauditur  hac  foelix  g-enitor  Matheus  in  urna 
Quem  statuit  prolis  inclytus  ordo  piae. 
Angelus  hoc  satus  est  Senuessae  praesul  amoenae, 
225  Quo  Geraldina  est  nobilis  aucta  domus. 

Xatus  et  buie  g-eneris  soboles  divina  lohannes 

Praesul  apud  Calabros  est  Cathacensis  agri. 
Bernardinus  et  bine,  bine  et  Baptista  creati 

Ambo  equites,  aequus  rector  uterque  virum. 
230      Tu  quoque  bellig-eras  ducens  Hyeronime  turmas 
Xatorum  decoras  ultimus  ipse  greg-em. 
Hoc  et  avo  celebrem  series  g-enerosa  nepotum 

Pullulai  in  cultis  g-ens  Amerina  tuls 
Indeque  preclarum  ducens  Antouius  ortum 
235  JNIanibus  hic  positi  carmina  sacrai  avi. 

34 


5:22  B.    GER  ALDINI 

Liicubravi  quoque  iu  perpeUiinn  ejiis  mounmenlum,  epislolam  fii- 
ucbrem  alqueXeuias,  qiiasim  lueiselegis,  siquis  qiiaesierit,  reperiet. 

•e.  S3.  Helisabecla  g-enetrix  adhuc  superestcs,  oniniinii  *  bonoriim  liilrix 
et  domina  remausit. 

240  94.  —  Sorores  ei  fuerunt  quinque.  Gratiosa  major  natii,  Andreae 

Geraldino  filio  lohannis  concivi  optimo  niipsit.  Ex  quo  qualuor 
habuit  natos  preter  me  ininimun,  Inter  vivenlium  comercium  non 
fdturos  diulurnos.  Viro  non  multo  post  vidiiata  Paci  Bossetano 
conjugala  est. 

245  Ex  00  Alexandrum  (1)  ac  Costanlinum  mares,  Sidoniam  et  Tul- 

liani femellas. 

Johanna  secunda  fuit  ;  tradita  Petro  Nicolai  Cioni  filio  ex  quo 
prior  Johannem  et  Doranam  suscepit,  quae  ab  ipso  Angelo  Tadeo 
Artimisio,  viro  nobili  et  literato  in   gerendis   magistratibiis  exer- 

250  citato  conjugata  est.  Obiit  Jhoanna  saevieute  pestilitate  Amerlae 
morbo  quoque  contracta. 

Catherina  est  quarta  (tertia)  soror  Mario  Piccinino  nupta  pesti- 
litate interiit  antequam  pareret.  Loetitia  quae  quarta  in  ordine 
femellarum  exorta  est  nupsit  Alberto    Rhacauo   viro   nobili,    tulit 

255      ex  eo  mares  duos. 

Honesta,  quae  ultimus  parentum  fuit  foetus  diuturna  non  fuit 
sed  in  primoevo  flosculo  pestilitate  correpta,  extincta  est.  Quum 
et  Catharina  soror,  quamvis  pius  germanus  Angelus  tuuc  ex  pi- 
ceno in  Umbriam  se  retulisset   ut   sorores  ex    loethali    tunc    urbe 

260      abduceret,  nani  fratres  iu  piceno  reliquerat. 

Sororum,  et  Sororiae  nepotibus  dotes  ipse  Angelus  solvit,  nun- 
quam  Ameriam  rediit,  quamvis  ipsas   secum  iuaequalea  dignitate 

'  e.  S4.  constitutus  ad  mensara  in  ordine  *  honorifice  discumbere  voluerit. 
Soepissime  dum    abfuit  diversa  ad  illas  iiiunera  misit,  ut  fratrem 

265      piuni  decebat. 

!)5.  —  Germani  eidem  Angelo  quatuor  fuerunt,  quorum  educau- 
dorum  non  velut  frater,  veruni  potius  velut  pater,  curam  habuit 
non  vulgarem. 

Bernardiniim  duodeeim  annos  uatum  Senas   advehi   curavit,  et 

270  primis  elementis  prius  euridiri,  dehiuc  rhetoricis  poeticisque 
preceptionibus  et  imitatione  exerceri.  Mox  civilibus  digestis  au- 
gustisque    sauctionibus    instrui.    His    studiis    peritus  dignoscendis 


(1)  Il  celebre  Vescovo  di  S.  Domingo  pel  cui  ajuto  Colombo  intraprese  r  immor- 
tale spedizione. 


VITA    DI   ANGELO   GEKALDINI  'y2'ò 

caiisis  per  aimiini  uirtusnriis  ejii.scl('in  Aiif;eli  opera  Seuis  praefici- 
citiir,  deiude  iu  Massa  civitat«. 

275  Deindeqiie  Siierchiani  arx  et  adjacentia  oppiiia    eideiii    refenda 

counuittuntur.  iiinc  Saxoferrali  Moulis  jiisli,  lìochae,  ci  Xiiceriae 
praeluras  administravit.  Mox  vice  comilis,  quein  diclini  iminere 
in  Valle  cuppina  fiinctiis  esl,  Roniae  criininmn  jiidcx  fiiit,  Adivit 
praeliiraiii  Nepesinae  civitalis.  Qua  gesta  arci  Valerani  et  capenis 

280  praefnil  montibus.  Postea  in  palatinorinn  coiniliiin  niuneruni  a 
Kallislo  Pout:  Max:,  iu  ecpieslris  ordinis  dig-nilaleiii  a  Ferdinando 
Keg-e  relalus. 

Asciili  praeloria  poteslale  jnra  reddidit.  Accepit  Inni  jnsliliae 
sceplnini  a  Baplisla  Geraldino  fratre,  qui    ipsum   in    ea    praetnra 

285  precesserat.  Quod  novum  el  adniirabile  fnit  germauum  germano 
in  simili  mag'istratii  snccedere. 

Peracto  siimma  cmii  jiislilia  eo  iu  miinere  Nursiae  praclor  exlitit. 
Deiude  Penisii  praelor    designalus    praeluram  illaiu    uon    adiil    a 

•  e.  se.  Rege    Ferdinandiim  *  Neapolim   accitns.  Fnuclus   est   praetnram, 

290  qnam  capilanatiim  vocanl,  ciijiis  ejus  jiis  in  patralrores  crimiuiim 
de  facto  ut  ajunl,  auimadvertere,  per  sex  meuses. 

Deiude  pra'-tura,  cui  regenlis  nomeu  indiliim  est,  el  priiis  solet 
civiles,  ac  crimiuales  cansiias  iu  universo  Regno  Xeapolilauo  de- 
ceruere  per  bieunium  integrum.  Alque  eam  urbem,  bollorum  fre- 

295  milu  soeviente  fortuna,  Regi  Ferdinando,  Alplionsi  lilio  trauquil- 
lam,  et  obsequiosain  sub  fide  con  servavit.  Exinde  praelor,  qucm 
capilaneuuì  dici  meminimus,  el  prò  (l)  Rex  Capuae  fuit  unum 
aunum  tempore  bellorum  siimma  poteslale.  Postea  ad  praeluram 
rediil  parlhenopeam.  Peracto    anno    ilio    illins   muueris   functione 

300  licii  Reg'is  viccs  gessit.  Hiuc  juslitiae  apud  Brulios  gencralis  mi- 
nister  annum  ac  sex  menses  complevit  praediclis  magistratibus 
functus,  cujuslibet  urbis  insiguia  domum  relulil,  et  sua  iu  qiia- 
lecumque  urbe  reliqiiit.  Neapoli  sub  ejus  iusig'ue  esl  piclum  hoc 
epigramma  quod  sequitur. 

305  «  Insiguia  Magnifici  d.  Bernardini  Geraldiui  Ameriui   equestris 

«  ordinis  et  co:  Pa  :  qui  belli  ac  pacis  inviclissimi  Regis  Ferdi- 
«  nandi  tempore  tres  aunos,  el  sex  menses,  ter  lume  praelor 
«  vexillum  Regni  Siciliae  Vexillnmque,  et  aiilenm  magistri  Jndi- 
«  ciarii  priucipis  gratiam  ac  hominum  beuevolenliam   iu  optimac 

310       «  adminìstraiionis  praemium  tulit  MCCCCLXVIIII.  XV  Feb  ». 

Ciiius  vexilla  coronas,  lacernas,    et   pelves    argenteos    ego    vidi 


(1)  Forse  :  Pro  rege. 


524  B.    GBR  ALDINI 

circiiiii  alria  disposilos:  pulchnnii  quidem  spectaciilum,  qui  domiim 
reviseus  diiodecim  imo  die  relulit  vexilla,  et  insig'uia  bene  gesto- 

•  e.  S6.  rum  immerum  egregia  testimonia.  * 

315  Deinde  Bareli  praetor,  lertitim  Neapoli  fiiit.  Nimc  Bareti  repetiit, 

gessitque  luag'istratum  in  quo  ileruiu  confìnnatus  est.  Fuit  desi- 
g'uatus  ad  praeluram  Rhealinani,  Auconitanam,  Firmanani,  Medi- 
olanensem,  Mantuanam,  Rhicinueteusem.  Duxit  uxorem  Persiani 
Crescioliui  filiam  nobilem  et  honoralissimam.  Ex   qua   Agabitum, 

320  (ìplaviinn,  Cainilknn,  Alphonsum,  Virgiliuni,  et  Regentem  quem 
Neapoli  dum  regens  esset  proetoria  potestate  regentem  nomi- 
uavit,  filios  quidem  formosissimos  non  indole  a  parentibus  de- 
generes  (1). 

96.  —  Baptista  germanus  tertius  in  ordine,  dum  Angelus  Car- 

325  dinali  Firmano  carissimus  Perusii  mag'istratum  g'ereret  ab  eodem 
duodecim  anuorum  puer  accersitus  ad  literarum  studia  usque  ad 
quiulum  decimum  aetatis  anuum  sub  variis  praeceptoribus  diver- 
sis  in  locis  ipsius  Angeli  impensa  altus  est.  Rhetoricae,  poesique 
artibus  apprime  erudkus  demum  leg'ibus  studere  incepit.  Ei  San- 

330  dina  Caesana,  una  ex  nobilibus  de  Macerino  dives,  et  honoratis- 
sima  pupilla  uxor  data  est.  Quae  ArgenLinam  formosam  sexto 
aetatis  anno  Bernardino  Boccarino  nobili  adolescenti  desponsatam 
ac  Belisarium  pulcherrimum  nostrae  aetatis  puerum  (2).  Deinde 
Mentis  Falconis  (1456)  praetureas  gessit.  Praeterea  a  Kallisto  Ter- 

335  tio  ejus  appellationis  Pontiflce  in  equitum  ordinem  adscriptus 
asculea  in  urbe  praetor  fuit,  habuilque  Bernardiuum  fratrem  in 
eo  magistratu  successorum. 

*  e.  87.      Ipse  deinceps  Firmuniim  praeturam  adiit,  et  ante  duos  menses* 

exactos  iuivit  Lancianensem  quam  per  annum  gessit,  et  eodem 
340  tempore  utraque  fuugebatur.  Quibus  gestis  locum  tenens  gene- 
ralis  in  Brutioi-um  provincia  declaratiis  est.  quia  in  administra- 
tione  illud  suo  Regi  obseqium  prestitit,  qui,  quamvis  adversante 
tunc  fortuna  quae  postea  secunda  fuit,  lacobus  Piccinini  belli  dux 
rebellasset,  Matlieum  Capuanum  militum  ductorem  ab    ejus   sti- 


(1)  Dal  cenotalìo  che  si  legge  nella  cappella  gentilizia  di  S.  Francesco,  nel  quale 
in  genere  si  dice  quanto  ne  racconta  Mons.  Antonio,  si  sa  che  Bernardino  visse  75 
anni  essendo  morto  nel  1474.  A  lui  fu  concesso  che  la  famiglia  Geraldini  potesse  in- 
nestare al  propio  lo  stemma  di  casa  Aragona. 

(2)  Moriva  di  soli  17  anni  nel  1482,  essendo  già  protonotario  Apostolico  ed  Ar- 
cidiacono Cavallicense  e  lo  zio  Angelo  gli  faceva  fare  un  monumento  in  marmo  an- 
cora esistente  in  S.  Francesco. 


Vri'A    DI   ANGIOLO    GEKAMìlNI  o2o 

345  pendiis  ;id  regia  casltM  jtcrtliixil.  Id  t'iiil  Heiri  ad  viclofiaiii  non 
vulgare  principium. 

Mox  Anclionae  jL'l  Reale  praetoi'iam  di^iiilalem  oliliiiiiil.  Deiiide 
Bi'utiorm  [monliuin  praeses  fiiil.  Mediolaneiisein  pi-ealiiram  i|tia- 
luop  annis  inlegris  tenuit.  Quod  nulli  arileu  conligisso  uudilumest. 

350  lllic  Geraldini  Oliviferum  generis  sotium  conn[)erit.    Quia    Ge- 

raldo jnrecoiisullo  Geraldini  cognominis  alidore,  ut  dicium  est, 
se  originem  ducere,  me  praesenle,  asseruil,  el  eadeui  viridanlis 
coelivae  insignia  in  amilo  relala  geslabat. 

Sic    lacobus     Geraldini    ulrius(|ue    jurisconsullus    Bassignani 

355  incola  in  agro  papiensi  dum  Mediolani  degerem  cum  avunculo 
se  Geraldo  OliviCero  consauguineum  esse  i-olulil,  et  Baplistam 
Praelorem,  ut  generis  sotium  convenit.  Sunt  apud  Insubres 
parenlales  eorum  liisloriae,  quae  ab  hoc  ordine  nostro  non  aber- 
rant,  in  origine  generis  Geraldini  ab  Amerio    Rege   deducti   (?). 

3G0       Verum  de  serie  prognalorum  alter  meminerit. 

El  inter  eos  maximus  fuit  jureconsultorum  ordo.  Fuit  Inter  nos 
contraversia  de   Divo    Himerio,    olim    Ameriae    Pontifico,    ciijus 

*  e.  8'J.  corpus  intergerrimum  post  tot  soecula  ab  omni  labo  *  servatur 
Cremonae  divino  lionore  colitur.  Nam  ipsi  in  unam  genealogiam 

365  divum  referunt  quare  ejus  corpus  Cremonae  corKpjievil.  Nos  vero 
inter  genesim  nostra m  (|uare  amerinus  fuerat  Ponlifex  recense 
ibmus.  (Hoc  ludicrc  dlctum). 

Corsicam  prò  lllmo  Duce  Mediolani  duobus  annis  gubernavit. 
Et  illam  bis  rebellem  ad  ducis  imperium  magno  aslu  el  Ibrtilu- 

370  dine  reduxit.  In  ea  puerum  ([iiem  Sfortiam  vocavit,  lulit.  Is 
etiam  vexilia  splendidissima  et  urbium  insignia  mullis  in  magi- 
stratibus  est  consequnlus. 

97.  —  lohannes  Geraldini  (|uartus  frater  fuit.  Hunc  optennem 
dum    pestilentia    Ameriae   saeviret   in  picenum    dcduxit  Angelus 

375  aluitque  sub  diversorum  praeceptorum  disciplina  ;  profecit  pluri- 
mum  in  oratoria  facultale,  bisloriai'um  et  jui'is  Pontificii  perilis- 
simus  fuit. 

Diutius  in  Romana  curia  penes  Angelum  moram  Iraxil.  Eidem 
Angelus  dum  pestifero  contagionis  tempore  ipse  quoque  mortem 

380  limerei  renuit  omnibus  suis  muneribus,  sacrorumque  benifi- 
ciopum  redditibus,  ut  si  ipse  interiisset,  fratri  juvenculo  ad  li- 
terarum  studia  relinqueret.  Maximae  profecto  pielatis  documen- 
tum,  quod  non  solum  in  vita,  sed  in  morte  sua  etiam  fratribns 
consultum    voluerit.    Procuravit   ipsi    sua    industria    Angelus,  ut 

385       persaepe  in  arduis  regcim  et  principum  negociis  cum  honore  ex- 


52(5  B.    GKR  ALDINI 

ercerotur.  Fuit  in  secmido  iibrevialonim,  seii  mclius,  nposlolico- 
rum  compendiuloruin  gradu,  (|iii,  ut  diximus,  de  minori  parco 
nuncupoiitur. 

Deinde  ejus  studio  et  prudentia  Cathacensis  Catliedrae  praesul 

390       insedit,  Angeli  manibus  consecratus,  ^  media    equorum   vestium 

•  e.  sy.  ornamentorumque  pontificalium  parte  donatus.  Ipsius  cura  aba- 
cie Tabernensis  in  suo  diocaesi  sitae  proventus  in  comendam, 
uli  dicunt,  recepit.  Noviter  ejusdem  opera  ducis  Calabriae  pro- 
curator,  et  orator  in  romanam  curiam   reversus  est  (1). 

395  98.  —  Ultimus  in  fratrum  serie  Hieronymus,  qui   quinquennis 

in  conlagione  amerina  in  picenum  quoque  evectus  fuit  Angeli 
cura.  Is  multis  in  locis,  impensum  non  recursantem  (non  recu- 
sante?)  literis  studuit.  Et  deinde  in  versuum  solutaeque  oratio- 
nis  structura  magnoperc  edoctus  in  collegium  Perusinuui,  quod 

400  novam  vocant  sapientiam  ejus  opera  admissus.  Civicis  populi 
Romani  legibus  operam  dedit.  Nobilem  uxorem  habuit  Cherubi- 
nam  Cbrislopbori  luris  consulti  de  Balneoregio,  filiam  pupil- 
lam  divitem,  et  multis  perexpetitam,  octennem  domum  duxit. 
Deinde  Amatricis  praeturam  administravit.  Mox  Bruciis    monti- 

405  bus  praeses  designatus,  et  Leonissae  praetor.  His  magistralibus 
functus  ad  rei  militaris  laboriosum  honoratunque  munus  conver- 
sus est.  Militavit  sub  Braccio  Blaglione  Pontificiae  Militiae  du- 
clore  triginla  aequilum  stipendio  receptus. 

Meruit    deincps    sub  Frederici    Urbini    duce,    turmarum    prae 

410  fectus  prò  quinquaginta  equitibus  stipendium  habuit.  Postremo 
a  lacobo  Picinino  fuerat  conductus  salario  centum  equilum.  Ilio 
a  Rege  Ferdinando  capto,  et  Matlieo  parente  defuncto,  tribus 
annis  Ameriae  in  otio  degit  familiaris  ;"ei  curam  liabens.  Nunc 
Neapoli  praeloria  dignitale  a  Ferdinando  Rege  in  equestris  ordi- 

415       nis  amplitudine  ascriptusest. 

■* e.  90.  Composuil  materna  lingua  multa  carminum  ^  milita  dvi\cis,  et 
gentilitiae  venae  non  inferiora  Francisci  Petrarcae  cantilenis  (2). 


(1)  Giovanni  (1488)  eresse  l'arcidiaconato  nella  chiesa  cattedrale  d'Amelia,  ove  si 
vede  il  suo  monumento  con  questi  versi  : 

«  Construis  et  generi  et  tibi  Geraldine  lohannes 
Presul  apud  Calabros  hoc  Cathacensis  opus  » 

(2)  Mori  il  14  ottobre  del   1481,  di  soli   anni  39,   mesi   8,    giorni    8.    Ciò  rilevasi 
fin  Ila  lai)ide   del  suo   marmoreo  monumento   nella   cappella  gentilizia   di   S.    Fi'an- 


VITA   DI   ANGIOLO    GKliAI.DlNI  527 

1)9.  —  Noe  iniupi.i   rieraldiinmn  geiius  pi-iiclofiiiin  fognoininari      KpiloL'osul- 
possef,  ciijus  geniti  tot  praelnriis  gessertiiil.  llli  muilos  legatio-   .ievìa'^famT- 

420      ues  inclyliirum  nrbium  per  divei-stis  mundi  regiones  udministra-   Jj|^^  Reral- 
runl,  nec  alia  tota  Europa,  quae    tot  itinclionibu.s,    tot  lam    am- 
plis  tiUilis,  et  lionoriltus  decorata  fner-at  i)rivalorum    lamilia    re- 
perilur,    si    privali    appeilari    dobonl,   ([ni    in    pubiicis    actionibus 
semper  sunt  versali.   Gesserunl    enini    praeliiras  et  magislralus, 

425  ex  (|uìbus  insignia  (ìoinnm  roldlcrmit,  bene  gestortun  rnnncrum 
monnmentnm. 

Legalionibus  vero  (?)  functi  sunt.  Fiiit  vero  ilhid  aduiirabiie 
quod  tam  ampia  familia  nullus  abrjua  membi-ornm  conlraclione, 
exuperalione.  defectione  aul   laésionc   deformis    fuil   Sed    omnes 

430  sua  mansuetudine,  eloquenlia,  prudenlia,  privalo  forensiciue  usu 
regibus  principibus  summisipie  Ponlificibus  gralissimi  exiilerunt, 
omni  bonarum  arlinm  disciplina  eruditi,  omnes  in  dignitate  con- 
stituli. 

Nam  duos  pontificali  amplitudine,  Ires  equestri  ordine  fratres, 

435  omnes  comites  palatinos  vidimtis.  Raro  et  hoc  contigit,  quod 
alter  germanus,  alter  in  magislratibus  snccesseril,  ut  Bernardi- 
nus,  et  Baptista  tValri  in  asculea  praelura.  Angelus  vero  sues- 
sanus  Pontifex  Jobannem  Pontifìcem  catbacensem  consecravit. 
Nun((nam  illis  obligli  ut  pnlrios  lares,  aul  alio  una  omnes  conve- 

440       nirel,  nisi  semel  ab  Angelo  Ameriam  convocati  per   unum  diem 

•  e.  9i.  cum  parentibus  et  sororibus  moram  Iraxerunl,  *  ut  de  re  familiari 

simul  constituerent.  Semper  enim  et  antea  et  post  variis  slndiis 

et  gerendis  magislratibus  per  varia  orbis  plagas  fueruut  diffusi. 

100.    —  Illis  ani  (aulem)  spectanda   Nepotum    comilum    palati- 

445       norum  series  subolemus. 

Agabilus  adolescens  magni  ingenii  ad  carmina  maternae,  la- 
tinaeque  linguae   industrius,    cullusque    et  in    primis   suae   vere 


Cesco,  ove  si  vede  la  sua  statua  al  naturale  in  divisa  militare.  Questa  lapide  è  del  se- 
guente tenore  : 

llieronimo  Geraldini;  equità  praeclaro,  armis  togaque  insignis  : 

qui  Nursiac  Spoleti,  Firmensis,  Xeapoli,  Aprutinis  Bononiae  re. 

Florentiae  Praetor  integerrime  jus  dixit 

A.  Suessanus  Carainensisque  .  Io  :  Cathacensis  Praesules 

Bernardinus  .  Baptista  Equites  Geraldini  germano 
B  .  M  .  F. 

Vixit  ann.  XXXVIIII  .  menses  Vili  dies  Villi 

Obiit  XIII  Octobr.  MCCCCLXXXI. 


528  B.    GER ALDINI 

jucunda  lepidaque  consuetudine  gratissimus  (1).  Oclaviu?,  et  Ca- 
millus  latinis  literis  npprime  erudilus  (2). 

450  Belisarius,  Alplionsus,  Virgilius.    Regens   el  Sfortia,  cum   per- 

aelatem  licueril,  erudiendi. 

101.  —  Ego  quoque,  his  Inter  prinnos  nepotes  accessi,  qui  An-  ■ 
geli  fratrumque  ciana  imitatus  vestigia,  ipsum  et  fratres  a  teneri^ 
annis  per  varias  oras   et   postremo   sum    in    Hiberiam   sequutus, 

455  cum  in  primaevo  juventutis  flore,  bucolico,  elegiaco,  satyrico,  li- 
rico, heroicoque  stilo  ad  quadraginta  tria  et  viginti  millia  car- 
minum  lucubrassem,  orationes  vero  decenti,  et  octo,  et  epistolas 
familiares  ducentas  et  triginta  duas. 

Deinceps  in   ulleriorem    accedens    Hispaniam    mandato   invicti 

460  Regis  Aragonum,  a  Ferdinando  ulterioris  Siciliae  Rege  ejus  pri- 
mogenito, et  ab  Isabella  principe  Siciliae  Regina,  ejusdem  nuru 
laurea  in  magna  nobilium  procerum  magnatunque  frequentia 
ingenti  plausu  donatus  sum  vigesimo  secundo  aetatis  anno^ 
Cujus  serto  nonnisi    spoetati  poetae  et  militiae    imperatores  ter- 

465  restri  trinmpho  olim  insignir!  meruerunt.  De  recepta  laura  pa- 
nagricum,  quod  lauream  appellavi,  [conscripsi?]. 

V.  Repetitio  et  coNCLUSio  FACTA  IN  LAUDBM  Angeli  Pont:  Suessani^ 

Angelus  itaque,  cujus  causa  hos  comentarios  conteximus  haec 
precipua  dona  est  assequutus. 
470  Qui  in  Romana  Eclesia  quinque  summis*  Pontificibus,  et  apud  ■ 

*  e.  92.  lohannim  Reges  Iberiae  Regem  et  Ferdinandum  fratris  filium,  eju- 


(1)  Nella  detta  cappella  gentilizia  avvi  una  lapide  dipinta  sulla  parete,  dedicata- 
qualche  secolo  dopo  alla  memoria  di  quest'  illustre  loro  antenato  da  Giulio,  Gaspare 
€d  Agapito  Geraldini  fratelli.  Questa  é  concepita  in  tali  termini; 

D.  O.  M. 
Agapito  Geraldino  .  Bernadini  Alio 
Archidiacono  Amerino,  Protonotario  Apostolico  ac  Abreviatori 

Omni  literarum  genere  ornato 
Alexandri  VI  Pont:  Max:  Segretario 

Db  praeclaras  animi  dotes.  ad  preces 
Fridericii  Siciliae  Regis  electo 

Archiepiscopo  Sipontino 
Immature  sublato  ann  :  salutis  MDXV. 
lulius  I  .  V  .  D  Archid.  Amer  :  Gaspar  et  Agapitus  Fratres 
Posuerunt. 

(2)  Camillo  fu  Abbreviatore  apostolico,  e  Arcidiacono  della  Cattedrale  :  mori  di  24 
anni  nel  1480. 


VITA   DI    ANGELO    GEKAI.DINI  52& 

sdem  loliundis  priinogeiiilmn  inferioris  Siciliuc  He^om  Consiliarius 

fuit  eodem  tempore,  et  omnium  legolus,  dum  o'ro  erumdem  Secre- 

tarius  essem,  eo  procurante,  tot  muneribus,  lol  lionoribus,  et  tilu- 
475      lis  functus  est,  qiiot  aut  raros,  aul  niillum  |)(jliliim  esse  audivi- 

mus.  Tantum   telliiris  obivit,  «[luiiitiiin  nec  Lilionim,  tiec  Alcidem 

legimus. 

Is  arentia,  et  bumilia  slii-pis  siiae  germina  ad   viridilalom,  sii- 

blimilalem(|ue  t'elici  irroralione  reduxit.  Fralics,  nepoles  pro])iii- 
480       quo»,  concives  ad  bonarum  arlinm  studia  excitavil,  fovitque. 

Is  familium,  ac  totam  patriam,  magistratibus,  lilulis,  multisiiuc 

meritis  accumulavi  t. 

Debcnt  Geraldini   Oiivifei'i,  Anieriiii,   Umbrique    omncs  Angeli 

nomen  celebrare,  ad  iiepottim  omnisque  ftosteriljilis  memoriam  bo- 
485       noratnmque  deducere  ut  Assyrii  Ciri,  Persae  Darii,  Aegyplu.s  Plo- 

lomei,  Romani  Caesaris  nomen  serv^i-unt,  et  ut.numina  coluerunt. 

Crevit  olivitcro  foelix  e  stipite  ramus 

Qui,  reuovat  prolis  robora  prisca  suae, 
Lans  Des  optimo  Max  :  II  Jan  :  MCCCCLXX. 
V.  F. 

490  Angelo  Geraldino  «Amerino  Pont  :  Suessano 

B.  M.  Restauratori  Domus  Geraldinae 

Amerinae.  Iam.  Pridem.  Ad  Extera.s 
Translatae.  Et  Fraternae  ac  Nepotem 
Amplitudinis.  Originis.  Fratres  Gratissimi 
495  posuerit 

Lans  Deo  Am. 

Terminalo  il  racconto  (iella  vita  di  Angelo,  il  nostro  Poeta 
inserisce  nel  suo  manoscritto  un'egloga,  allegorica  alla  famiglia 
Geraldini  adombrata  dall'olivo,  emblema  dello  slemma  gentilizio. 
Raffigura  sotto  il  nome  di  Titiro  Angelo,  sotto  il  nome  di  Dafni 
Giovanni,  sotto  quello  di  Mopso  Bernardino,  sotto  l'altro  di  Co- 
ridone,  il  fratello  Battista. 

Antonii  Geraldini  egloga,  qua  methaforice  loquitur 
de  domo  geraldina  sub  forma  pastorali. 

1  Flava  ceres  siccis  cum  forte  arderet  in  arvis 

Syrus  arentem  cum  fiideret  aestifer  orbem  Cronografia. 

Pastores  tum  Inter  florebat  ditior  umbros 
••  Et  pecoris  foetu,  atque  agrorum  limite  largo 


530 


B.    «ERALDINI 


Titiro. 


Esperienza 
di  Titiro. 


Suoi  viaggi. 


Topografia 
della  città  di 
Amelia. 


Parole  di 
Titiro. 


Quantum  milvius  edax  rapidis  non  circuìt  alis. 

5  Tityrus  et  spectaus  fessos  sudoribus  aestus 

Messores,  dixit,  ramos  captemus  opacae 
Arboris  iuveutae  victricis  Palladis  arte. 

Ag-restum  huic  fuerat  vetus  experieuta  renim, 
Usus,  et  antiquus  pecoris.  Nam  gallica  pavit 

10  Armeuta,  atque  truces  nimia  feritate  juvencos. 

Adodaui  liquidas  rheg'it  post  pabula  lymphas, 
Haemiliae  viridi  saturavit  gramine  tauros. 
Picenturaque  greges  olim,  et  nutrivit  etruscos 
Xajades  Hadraici  testes  mlhi  litoris  omnes. 

15  Tirreuique  freti,  testis  mihi  tibridis  unda. 

Ipse  et  occiduae  telluris  lictus  oberrans 
Herculis  extremas  perveiiit  adusque  columuas. 
Videre  hesperii  uereydes  aequoris  et  qui 
Nereus  in  mediae  terrae  perfunditur  orbem 

20  Qua  sol  iu  rutilas  prius  demergitur  undas 

Hoc  duce  campano  tractu  Sinuessa  salubri 
Fixa  salutaris  prati  depascitur  herbam. 

Forte  sub  apricis  regioiiis  coUibus  umbrae 
Urbs  amerina  patet  clivoso  coudita  monte. 

25  Hujus  loeta  vireut  contermina  moenibus  urbis 

Quae  Boream  excipiunt  lata  pomaria  flexu. 
Vix  glaucis  foetus  sustentans  frondibus  atros, 
Captatum  veniunt  omnes  bue  arboris  umbram 
Geutis  oliviferae  quiui  pulcro  ordine  fratres. 

30  Quarum  qui  primus  sic  Tytirus  incipit  ipse. 

Cernitis  hanc  dulci,   quae  uos  amplectitur  umbra 
Et  nigris  baccis,  quam  brachia  pandit  olivam 
Alta  magis  priscis  fuit,  et  foecuudior  annis. 
Quae  tibi  non  liquido  sicionia  cedat  olivo, 

35  Picenis  oleis  major,  placidique  venafri 

Ubere  :  tarchesiis  felicìor  illa  trapetis 
Et  tiburtinis  fuit  illa  feracior  arvis. 
Hujus  ab  annoso  excissas  jam  stipite  plantas 
Insula  dumosis  excepit  Hiberuia  campis; 

40  Germinaque  insubrium  subolescunt  Palladis  arvis 

Et  saturis  retinet  foecunda  Bononia  sulcis. 
Lydia  rura  genus  servant  vivacis  olivae  ; 
Quae  demum  longo  consumpta  exaruit  aevo 
Restitit  et  sterilis  siccato  robore  truncus 


VITA    DI    ANGIOLO    (;KKAI,I  UNI 


531 


45  Cuius  caiidicibus  sectis,  (niis  ercth'ri-t  ini'iuaiiiV 

Exiit  e  sicco  loecuiuluiii  eortice  f^eriiu'ii. 
Quod  modo  stelli^'cruin  couting-ere  vertice  olyiiipuin 
Creditur,  esteudens  ramos,  et  brachia  late  ; 
Circuindatiiue  soluin,  molli  (jiiod  prote^it  uiiil)ra 

50  Illustraus  nitidis  divorum  altaria  Haimiiis; 

Et  genus  ausoaiduin  fructii  loecundat  olivi, 
Balsama  cui  cedaiit  albo  sudantia  li^iio. 

Quare  ag'ite  ag-ricolae  tnmcos  dilerte  perag-ros 
Nam  truncis  meliiis  radix  oleag-ina  crescit. 

55  Solis  utraiiKiue  oleis  terram  reph^te  colendo 

Quos  super  instillet  caelestis  semina  roris 
Atque  salutifero  perfundat  luppiter  imbre. 
His  contra  Daphuis  Cathacensis  pastor  ovilis 
Lanig'eri  pecoris  custos,  (1)  <iuod  terg'ore  gestat 

•60  Sydonio  calabrum  ting'endum  murice  vellus. 

Daphuis  —  Audieram  memini,  dum  per  declivia  fuudi 
I'>rabam  nostri,    Xvmphae  cantare  solebaut 
Admixtae  satiyris  victricia  dona  Minervae 
Cum  patruns  curvo  percusserat  arva  tridente 

65  Bellig'erumque  eduxit  aequor,  mavortia  sig'ua, 

At  dea  cecropiam  conquassans  cuspide  terram 
Expulit  bine  g'iaucos  ramos  viridantis  olivae, 
Munera  frugiferae  semper  praenuutia  pacis. 
Tumque  dedit  victrix  optatum  nomen  Athenis 

70  Hoc  nos  nunc  Calabros  impleutes  arbore  saltus 

Tityre:  jam  jam  oleo  remur  ditescere  ping-ui 
Mopsus  —  Ast  eg'o,  Mopsus  ait,  seu  praedia  dulcis  oberro 
Partheuopes  ;  Capuaeve  solum,  seu  Brutia  lustro, 
Aut  Bareti  aestiferaeve  colo  ipse  novalia  Leucae; 

75  Haec  mihi  prae  cunctas  arbor  g'ratissima  surg-it 

Hanc  juxta  sordet  nobis  et  vitis  hyachi 
Et  Veneris  mirtus  Alcidae  populus  apta  (alta) 
Chaoniae  que  lovis  glandes,  et  laurea  Proebi. 
Quiu  memorant  olea  paphiam  venisse  columbam 

80  Arcibus  e  superis  munitam,  et  tecta  subisse 

Lig'nea;  daedalia  senior  qui  condidit  arte, 
Aequoris  antiquis  cum  finibus  unda  recepta  est 
Diftusum  quondam  cum  pontus  lictus  obivit 
Vertice  caeruleo,  qui  terras  texerat  ante 


Parla  Dafni. 


Risponde 

Mopso. 


(1)  Qui? 


532 


B.    GERALDINI 


Interloquì-    bo 
sceCoridone. 


90 


95 


Augurio  di    100 
Firsi. 


105 


110 


120 


Conclusio- 
ne di  Titiro. 


125 


Invadeus,  alpesque  altas,  arcesqiie  supinas 
Coridon  —  lam  sic  excepit  Coridou  haec  unica  curae 
.     Arbor  erit  uostrae  quoque  fortuna  vocabit  ; 
Gratior  liaec  uobis  est,  quam  Cibeleya  pinus, 
Thurea  quam  molles,  quae  ditat  virga  sabeos, 
Quam  uemus  aethiopuin,  quod  molli  veliere  canet 
Quam  per  oderatos  uascentia  ciunama  lucos, 
Major  et  hiuc  usus  maaat,  victusque  facultas. 
Haec  ig'itur  uostris  semper  revirescet  agellis 
Seu  mihi  piceni  cultus  praebetur  ovilis 
Seu  me  pastorem  saltus  spectabit  hetruscus 
Graudia  seu  romanae  armeuta  tuebimur  Urbis. 
Nunc  apud  insubres  cum  messis  quarta  recurrens 
Pascere  me  vidit  disteutas  lacte  iuvencas 
Omnibus  insevi  fundis  saera  dona  Minervae. 
Tirsis  —  Ultimus  haec  Tirsis,  facili  dehinc  voce  loqutus; 
Haec  etiam  prisco  fuerat  jam  grata  Catoni 
Hanc  etiam  olens  sumpsit  de  fronde  coronam, 
Cum  Victor  quondam  coutempsit  Olympia  circum 
Defluat  assiris  quamvis  e  germine  nardus, 
Caucasea  piper  et  rugosum  in  rupe  virescat; 
Mollis  arabs  varìos,  e  silvis  carpat  odores 
India  sic  costp,  et  praecioso  dives  amomo  ; 
Crescat  idumeo  quamvis  in  vertice  palma  ; 
Spiret  odorati  libani  per  jug'era  cedrus 
Ideiique  jugis  niteat  licet  alta  cupressus-, 
Robora  palladii  tunc  haec  gratissima  ligni 
Semper  erunt,  nostris  hic  palmes  vivet  in  ortis. 
Haecque  legent  pingues  foecunda  ex  arbore  baccas, 
Qui  venient  nostri  seri  de  stirpe  nepotes. 
Omnibus  applausit  ridenti  Titirus  ore 
Atque  haerens  trunco  teretis  sic  addit  olivae 
Tityrus  —  Hanc  lovis  aura  favens,  et  Phaebi  sidus  amae  num 
Et  Venus,  ac  placido  foveat  Cyllenius  astro  : 
Hinc  procul  armisoni  siut  noxia  sidera  Martis 
Et  gelidus  rigida  lateat  Saturnus  in  arce 
Nec  nisi  clementi  despectet  Delia  vultu. 
Finis 
Antonii  Geraldini  Amerini 
Opus 
Amelia,  agosto  1896.  B.  G-eraldim. 


533 


POMPEO    PELLINI 

AMBASCIATORE    DELLA   CITTÀ    DI    PERUGIA    A    PAPA    GREGORIO    XIII 


Dopo  l'articolo  del  dott.  prof.  Alessandro  Bellucci  pub- 
blicato sotto  il  riportato  titolo  a  pag.  12d,  anno  II,  fase.  I 
di  questo  Bollettino,  non  furono  per  errore  pubblicate  le  istru- 
zioni date  al  Pellini  e  riflettenti  l'ambasceria  al  Pontefice, 
alle  quali  il  detto  articolo  si  riferiva.  Ripariamo  alla  invo- 
lontaria omissione,  riproducendo  l'importante  documento. 


Riformanze  dell'antico  comuue  di  Perugia. 

Volume  degli  anni  1574:-'75-'76. 

(Carta  57  r.)  Die  dieta  [XXViij  Jauuarij  1575]  omues  antedicti  do- 
mini Priores,  numero  decem,  in  comuni  solita  adunantia  etc,  misso  inter 
eos  partito  per  sutfragia  approbantia  et  reprobantia,  eoque  obtento  per 
omnia  decem  alba  suffragia  in  pixidem  constituta,  nulla  in  contrariura 
reperta,  unauimiter  et  concorditer  elegerunt  nomiuaverunt  et  deputave- 
runt,  omnibus  melioribus  modo,  via,  jure,  causa  et  forma  quibus  magis 
melius  vallidius  et  efficacius  de  jure  tacere  potueruut  et  possunt  debue- 
runt  et  debent  ac  eisdem  licuit  et  licet,  magnificum  virum  dominum 
Pompeum  de  Pelliuis  de  Perusia  nuncium  ad  sanctissimum  Domimim 
Nostrum  Papam  et  totam  romanam  curiam,  ad  pertractandum,  agendum, 
faciendum  et  negociandum  in  Urbe,  illa  negocia  augustae  civitatis  no- 
strae  Perusiae,  quae  in  scriptis  eidem  domino  Pompeo  per  ipsos  M.  D. 
Priores  tradita  fuerunt,  ex  omnibus  eorum  arbitriis,  authoritatibus  et 
facultatibus,  ex  forma  quorumdam  statutorum  eis  datis  attributis  et  con- 
cessis 


534  A.    BELLUCCI 

Die  [vig-esimauova  Jaunarij]  predicti  Magnifici  D.  l'riores  numero 
deceni,  in  eorum  solita  Audientia  prò  tribunali  sedeutes,  uuanimiter  viva 
voce  obtinuerunt,  omni  modo  meliori;,  quod  mag-nificus  domiuus  Pompeus 
Pellinus  ab  eis  nuncius  electu>,  absumptus  et  deputatus  ad  sauctissimura 
Dominum  Nostrum  Papam  et  Romanam  Curiara,  habeat  ag-ere  et  tractare 
neg'ocia  aug-ustae  civitatis  nostrae  Perusiae  super  infraseriptis  punctis, 
de  communi  ordine,  merito  et  commissione,  et  matura  deliberatione,  factis 
et  extensis  per  egreg'ium  virum  Santem  Pelliciarum,  eorumdem  M.  D. 
Priorum  cancellarium.  Quorum  puuctorum  tenor  talis  est  qui  sequitur. 

I  Priori  delle  Arti  e  del  Popolo  di  Perugia. 

Molto  magnifico  messer  Pompeo  Pelliui,  ambasciatore  destinato  da 
Noi  alla  Santità  de  Nostro  Signore  Gregorio  per  divina  provvidenza  papa 
XIII.  A  ricordo,  per  essere  voi  stato  uno  dei  principali  del  Magistrato 
passato,  et  altrimenti  ancora,  quasi  di  continuo  versato  nelle  cose  pub- 
bliche; et  non  accadesse  stendersi  molto  intorno  alle  commissioni  che 
habbiamo  a  darvi,  ma  che  solamente  notassimo  i  capi  d'esse,  et  rimet- 
terci nel  resto  alla  prudenza  vostra  ;  nondimeno  a  sodisfazione  et  giu- 
stificazione vostra  vi  diremo  : 

Prima  :  che,  dopo  il  bascio  dei  ssmi  piedi,  debbiate  con  quel  maggiore 
aifetto  che  potrete,  ringratiare  S.  Santità,  a  nome  Nostro,  della  benigna 
gratia  che  l'è  piaciuta  farci,  di  concederci  che  possiamo  levar  le  gra- 
vezze dal  sale  et  dalla  carne,  et  impor  quelle,  coll'altre  che  non  have- 
vano  assegnamento,  a  questa  sola  della  macina  ;  mostrandole,  che  oltre 
alla  sodisfatione  che  universalmente  se  n'è  presa  da  tutti  quelli  che  a- 
mano  il  ben  publico  et  il  servizio  della  Santa  Sede,  il  nogotio  comincia  a 
riuscire  tanto  bene  che,  se  non  viene  impedito  da  chi  volesse  cavillare 
sotto  pretesto  di  prerogative  et  privilegi,  si  spera  che  sia  per  continuare 
con  tanta  felicità,  che  veramente  se  ne  tiene  et  terrà  grado  di  memoria 
sempre  graditissima  alla  gran  bontà  di  sua  Beatitudine. 

Ma  perchè  alli  giorni  passati,  Monsignor  Illustrissimo  il  card.  Ales- 
sandrino, ha  fatto  presentare  a'  nostri  appaltatori  un  monitorio  del' Au- 
ditore de  la  Camera,  prohibendo  loro  espressamente  che  non  diano  alcuno 
impedimento  a  chi  vuole  andare  a  macinare  alle  Mole  del  suo  Priorato, 
ma  che  si  lascino  andare  liberamente  come  prima;  supplicherete  umil- 
mente S.  Santità,  che  Le  piaccia  farci  gratia  d' imporli  perpetuo  silentio, 
acciocché  non  ci  convenga  necessariamente  litigare  con  S.  Signoria  Illma, 
come  per  le  cose  nostre  ordinarie  ci  è  stato  forza  di  fare  in  tempo  della 
felice  memoria  di  Pio  iiij,  nonostante  che  havessimo  ottenuto   in  Ruota 


POMPEO    PELLINI    AMBASCI ATOUE,    ECC.  535 

tre  seutentie  conformi  contro  il  Cardinal  Salviati  suo  antecessore.  Et  poi 
che,  nò  nostri  capitoli,  non  si  vieta  a  nessuno  l'andare  a  macinare  dove 
gli  piaccia,  si  contenti  ordinare  che,  chi  vuole  andare  alle  sue  mole,  o 
sia  lavoratore  o  ministro  del  suo  Priorato,  o  altri  chi  si  vo<rlia,  da  fo- 
restieri habiemnti  in  poi,  sia  oblig-ato  pigliare  da'  nostri  appaltatori  la 
bolletta  et  pagar  loro  la  gabbella  come  gli  altri  ;  conforme  alla  gratia 
che  a  S.  Beatitudine  è  piaciuta  farci,  senza  riservo  di  persona  alcuna; 
perciò  che  se  si  lasciasse  aperta  la  strada  di  andare  alle  sue  mole  senza 
bolletta  et  pagamento  di  gabbella,  oltreché  non  sarebbe  possibile  de  ri- 
parare alle  fraudi  infinite  che  si  farebbono  per  il  gran  concorso  che  là 
havrebbono  le  genti,  per  non  pagar  gabbella  ;  sarebbe  cosa  di  tanto  malo 
esempio  che  non  mancarebbono  degli  altri,  i  quali  hanno  le  molina  et 
pretendono  qualche  privilegio,  che  cercarebbono  per  questa  via  di  fare 
ancora  essi  il  medesimo  ;  et  cosi  il  negotio  perderebbe  di  reputazione  et 
portarebbe  pericolo  di  risolversi  in  fumo  ;  come  per  rispetto  delle  fraudi, 
erano  per  fare  quelli  del  sale  et  della  carne,  se  a  Sua  Beatitudine  non 
piaceva  di  prevenire,  con  la  gratia  di  permutargli  sopra  la  macina.  Et 
poi  non  si  servarebbe  né  anche  l'equalità,  come  per  bolle  de'  sommi 
pontefici  è  stato  ordinato,  et  in  particulare  dalla  Santa  Memoria  di  Pio 
V,  il  quale  rivocò  tiitte  sorti  di  privileggi  et  essentioni,  et  dechiarò  che 
dal  sussidio  triennale,  tasse  de'  cavalli  morti  et  quatrino  della  carne, 
non  fusse  esseota  persona  alcuna  di  qualsivoglia  dignità,  etiandio  cardi- 
nale, eccetto  quelle  che  fossero  veramente  onerose  per  causa  deffectuale 
sborscio  di  danari. 

Et  in  questo  proposito.  La  supplicarete  anche  humilemente  che  per 
torre  ogni  dubbio  a  chi  volesse  cavillare  contro  questa  esactione  et  per 
non  haver  sempre  a  fastidire  S.  Santità  et  suoi  ministri,  si  degni,  in  es- 
segutione  de'  suoi  brevi,  farci  gratia  di  dar  commissione  espressa  a  Mon- 
signor Reverendissimo  Governatore,  per  sé  et  successori  suoi,  che  debba 
astringere  a  pagar  questa  gravezza  tutte  quelle  persone  cosi  ecclesiasti- 
che come  secolari  che  d'allora  in  qua,  che  da'  noi  fu  fatta  la  composi- 
tione  del  sussidio  triennale  con  l'arcivescovo  Sauli,  commissario  aposto- 
lico, hanno  per  tassa  et  in  qualsivogli  altro  modo,  preso  il  sale  dalla  no- 
stra salala,  et  concorso  con  gli  altri  a  questa  gravezza  et  a  quella  della 
carne:  etiandio  che  da  quel  tempo  in  qiaà,  l' havessono  per  qualche 
tempo  per  lemosina  della  Reverenda  Camera  senza  l'augumento  ;  et  che,  per 
via  di  fraude  o  per  rispetto  de  la  trascuraggine  degl'  appaltatori  che 
sonno  stati,  havessero  intermesso,  differito  o  cessato  il  pagamento  ;  cer- 
tificando S.  Santità  che  per  una  volta  non  pnò  fare  a  questa  devotissi- 
ma città  gratia  che  le  possa  apportare  più  sodisfactione  et  partorire  mag- 
gior quiete  che  questa,  di  dar  ordine  et  modo  che  ognun  paghi,  et  tor 


536  A.    BELLUCCI 

via  la  materia  degl'odii  intestini  et  discordie  civili  che  per  ciò  potessero 
nascere. 

Ancora  esporrete  a  S.  Santità,  che  per  haver  questa  sua  devotissima 
città  penato  più  d'  un  anno  e  mezzo,  prima  che  abbia  potuto  trovare  et 
ottenere  un  asseg-uameuto  fermo  onde  potesse  cavare  quel  che  le  man- 
cava per  pag-are  le  tasse  de'  cavai  morti  et  vivi,  il  porto  et  la  fortifìca- 
tioue  d'Ancona,  et  l'aug'umento  della  porcina  salata,  era  restata  tanto 
adietro  coi  pag-amenti,  che  le  è  convenuto  pigliare  a  censo  2  milia  scudi 
per  sodisfare  i  Commissari  d'una  parte-,  a  talché  tra  questi,  e  quel  che 
resta  a  dar  loro,  et  che  necessita  anco  di  far  buoni  a  gli  Appaltatori  della 
.salaia  et  de  l'uno  e  l'altro  quatrino  della  carne  perchè  consentissero  a 
far  questa  permuta  della  Macina,  hog-gi  si  truova  il  debito  oltre  a  tre  milia 
scudi  ;  oltre  poi,  che  importando  le  sue  gravezze  14363  scudi  l'anno,  et  non 
cavandone  della  macine  più  che  ii4i0,  vengono  a  mancarle  ogni  anno  3953 
[2953]  scudi.  Di  maniera  che,  per  non  trovar  altro  modo,  s' è  andato 
considerando  di  ristrignere  le  cose  del  palazzo  fino  che  sia  possibile  et 
patire  anche  di  qualche  cosa,  per  fino  a  tanto  che  si  vegga  il  ritratto 
che  in  questo  primo  appalto  si  farà  della  macina.  Et  perchè,  tra  l'altre 
provisioni,  s'è  pensato  di  ridurre  la  nostra  Ruota  a  tre  auditori  soli,  per 
impiegare  li  240  scudi  che  si  danno  di  salario  al  quarto  aixditore,  negli 
interessi  di  due  altri  milia  scudi  da  pigliarsi  a  censo,  et  questo  non  può 
farsi  senza  la  benigna  gratia  di  S.  S.  per  essere  gli  ordini  di  detta  Ruota 
approvati  per  breve  del  Papa,  La  supplicarete  humilemente  che,  per  far 
in  un  medesimo  tempo  duo  gran  beueficj  alla  sua  città.  Le  piaccia  con- 
cederci gratia  di  poterlo  fare  ;  atteso  massime  che  questo  quarto  audi- 
tore non  serve  per  altro  che  per  fare  immortali  le  liti;  poiché  per  ispe- 
rienza  s'è  molto  ben  conosciuto  in  più  e  diverse  cause  di  grand' impor- 
tanza, che  per  essersi  tirati  duo  Auditori  per  banda,  non  hanno  mai 
potuto  accordarsi  a  sententiarci,  di  che  u'é  seguito  et  è  per  seguire 
tuttavia  grandissimo  danno  a'  nostri  Cittadini  ;  ove  che  riducendosi  a 
tre  auditori,  ogni  volta  che  due  saranno  d'accordo,  il  terzo  non  potrà  im- 
pedire che  le  cause  non  si  spedischino. 

Esporrete  parimente  a  S.  Santità  che  per  essere  alli  mesi  passati  dato 
a  l'olio  il  prezzo  di  XI  paoli,  per  vendersi  d'intorno  a'  nostri  confini, 
per  tutto,  a  ragione  di  XVI,  XVIII  et  XX  paoli  il  mezzolino,  Mons. 
Illiìio  Governatore,  con  tutta  la  diligenza  che  usa  in  ogni  cosa,  non  può 
fare  tante  provisioni  che  non  siano  più  l' inventione  che  si  trovano  per 
cavarlo  sin  dentro  le  casse  contro-bando  ;  a  tal  che  non  essendo  bastante 
la  Corte  a  rimediarci  né  a  fare  che  chi  l'ha  non  lo  tenga  celato  per  non 
darlo  al  prezzo  limitato,  questa  città  et  suo  contado  ne  son  caduti  in 
tanta  necessità,  che  l'andar  tutto  di'  cercando  da  comprarne  etiando  con 


POMPEO    PEM.INI    AMBASCIATORE,    ECC.  537 

Bollettino  di  S.  S.  II.,  (senza  che  si  possa  liavcr  per  danari)  ai  poveri 
uomini,  6,  si  può  dire,  un'altra  g'ravezza,  cosi  per  il  tempo  che  perdono 
come  anche  per  non  poter  la  notte  veg-liaro  a  g-uadagnarsi  il  pane;  oltre 
che  se  na  paté  ostremamonte  anco  por  vìvere  et  per  l'esercitio  della  lana 
et  d'altri  che  l'adoprano. 

Et  imperò  La  supplicarete  humilmente,  che  poiché  s'è  adempito  l'oh- 
blig'O  delle  cento  some  che  si  fuorono  imposte  jier  Roma,  Le  piaccia  ri- 
volger l'occhio  della  misericordia  verso  i  nostri  jìoveri  et  dar  licenza  che 
si  possa  vendere  per  quel  che  .se  ne  truova  ;  perciiè  og-ni  volta  che  i  pa- 
droni d'essi  sieno  liberi  nel  venderlo,  non  ò,  dubbio  che  la  città  ne  sarA, 
tanto  abondante,  che  noq  pur  ne  havrà  per  sé,  ma  potrà  darne  ag:l 'al- 
tri ;  et  non  havendo  mercantia  più  viva  di  (|uesta,  jtotrà  mantenere  il 
commertio  che  per  l'adietro  ha  tenuto  .sempre  con  Bologna,  et  altre 
città  de  Komag'ua,  mandandovi  l'olio,  et  ricevendo  altre  robbe  ;  et  ma- 
giormente  potrebbe  farlo,  quando  a  S.  Santità  piacesse  contentarsi  che 
quello  che  sopravanza  possa  cavarsi  2>er  lo  Stato  di  Santa  Chiesa  libera- 
mente ;  poiché  alla  R.  Camera,  pag'ato  che  le  sera  la  sua  g-abella,  non 
ne  seg-ue  alcun  preg'iuditio  ;  anzi  tanto  più  utile,  quanto  che  questa  Città 
sarà  più  mercantile.  E  di  questo  La  supplicarete  anco  per  ispecial  g-ratia. 

Supplicarete  anco  S.  Santità  con  tutta  l'efficacia  et  humilti'i  mag*- 
g'iore,  che,  per  Sua  bontà,  si  deg-ni  consolar  questa  .sua  devotissima  Città 
in  farli  gratia  che  ne'  suoi  monasterii  .si  possine  accettar  le  zitelle  che 
sonno  ben  disposte  a  .servire  a  Dio,  et  che  le  g-ià  accettate,  stando  in 
proposito,  possine  pig-liar  l'abito,  et  non  siano  più  trattenute,  come  son- 
no tuttavia  ;  sendo  che  esse  e  i  poveri  lor  padri  et  attinenti  non  sap- 
piano che  fin  sia  per  haver  il  caso  loro,  né  che  tampoco  sperino  di  po- 
ter rihavere  le  doti  che  anticipatamente  hanno  pagato  ;  che  veramente, 
per  esser  la  sua  città  incredibilmente  povera  et  [per]  aver  non  meno  copia 
di  monasterii  ehe  forsi  habbia  alcun' altra  città,  lo  riceverà  per  uno  dei 
mag'g'ìor  benefitij,  che  mai  per  alcun  tempo  potesse  ricevere;  attesoché 
per  esser  già  bene  incamìnato  l'ordine  dato  che  siano  sovvenuti  d'  ele- 
mosine pubbliche,  non  v'è  più  pericolo  che  alcun  di  quelli  che  sono  po- 
veri patino  talmente  del  vivere,  che  non  possino  accettare  molto  mag- 
gior numero  di  quel  che  vi  sia  stato  per  l' adietro  ;  oltre  che  non  riuo- 
vandosi  in  essi  le  persone  per  morir.si  di  quelle  che  vi  sono,  i  monasterij 
si  serrerebbono  in  breve  tempo,  e  i  poveri  Cittadini  carichi  di  famiglia, 
mancarebbono  di  questa  commodità  di  poter  locare  le  lor  zitelle. 

Apresso,  perchè  nella  cedola  del  lago  si  dispone  che  ì  conduttori  di 
esso  siano  obligati,  nel  tempo  della  quaresima,  mantenere  abondante  la 
città  di  pescio,  et  mettervene  ogni  settimana  settanta  some,  tra  grosso 
et  minuto,  in  modo  che  ogni  giorno  ve  ne  sia  abondanza  ;  et  per   esser 

35 


538  A.   BELLUCCI 

molto  cresciuta  la  gente  et  esservi  lo  studio,  et  tanti  monisterij  et  luoghi 
pij,  le  dette  settanta  some  non  possono  bastare,  anzi  se  ne  paté  tanto 
estremamente,  che  non  si  conosce  che  habbiamo  un  lago  tanto  abondante 
qui  vicino  ;  supplicarete  humilmente  S.  Santità,  che  si  degni  farci  gratia 
di  disporre  che  la  detta  messa  di  pesci o  si  debba  fare  di  cento  some  la 
settimana,  a  ciò  che  si  possa  fare  la  quaresima  come  conviene  a  buoni 
Christian!;  o  almeno,  non  contentandosi  di  questo,  Le  piaccia  deptarci 
per  Commessario  IMons.  Revermo  Vescovo  nostro,  come  quello  che  sta 
qui  fermo,  con  darli  piena  facultà  di  farci  osservare  in  questa  parte  la 
cedola  ;  et  la  pena  che  in  essa  viene  applicata  alla  capella  del  Palazzo 
et  conservatori  della  moneta,  applicarla  al  monte  della  Piata  ammini- 
strato da  S.  S.  Illma,  con  ordine  espresso  che  non  possa  farne  remissione 
0  gratia  alcuna;  poi  che  si  vede  manifesto  che  per  il  rispetto  che  si 
porta  al  thesaurario  et  altri  interessati  in  detto  lago,  non  si  procede  mai 
alla  essegutione  di  detta  pena,  ancor  ch'essi  siano  ogni  anno  mancati 
purassai  in  grosso  di  adimpire  l'obbligo  loro,  massime  da  1' bora  in  qua 
che  senza  intemento  [intendimento?]  della  Città  fu  rifermata  la  cedola, 
et  dechiarato  che  detta  messa  di  pescio  si  faccia  et  osservi  sì  et  in  tal 
modo  che  li  detti  conduttori  debbano  alla  palma  d'oliva  haver  messo 
detta  quantità;  la  qual  dechiaratione  essendo  mal  interpretata,  ne  segue 
ch'essi  fanno,  stentare  il  pesce  in  tutta  la  quaresima;  et  alhora  poi  che 
non  ve  n'è  più  bisogno  et  che  affronta  nella  mutation  del  nostro  magi- 
strato, non  v'  è  neanche  chi  si  curi  di  far  resentimento  contra  i  detti  con- 
duttori, et  così  ogni  anno  si  va  di  male  in  peggio  etc.  In  fede  etc.  Dato 
in  Perugia  nel  Palazzo  della  nostra  residenza  il  primo  di  febbraio 
MDLXXV. 

Sanctes  Pellicciarius  Cane,  mandatus. 


539 


UN  NUOVO  DOCUMENTO 

SULLA   CONCESSIONE   DEL   PERDONO    DI   ASSISI 
(Testimonium  Michaelis  Bernardi) 


Nelle  passate  edizioni  della  Vita  di  S.  Franceftco  io  avevo 
creduto  di  non  potere  accettare  tutto  ciò  che  riguarda  la  conces- 
sione delia  famosa  Indulgenza  della  Porziuncula  o  Perdono  d'As- 
sisi; ma  nuove  ricerche  da  me  compiute  a  Firenze,  a  Roma  e  in 
Assisi  mi  hanno  fatto  persuaso  ch'io  mi  era  ingannato:  esse  in- 
fatti non  solo  mi  hanno  condotto  alla  scoperta  di  documenti  nuovi, 
ma  mi  hanno  anche  provato  che  i  documenti  tradizionali,  che  si 
adducono  in  favore  dell'Indulgenza,  sono  in  generale  autentici. 
Gli  storici  però  che  li  trascurarono,  come  se  fossero  carte  senza 
valore,  meritano  veramente  di  essere  scusali,  perchè  nel  passare 
per  le  mani  di  copisti  ignoranti,  e  talvolta  anche  poco  scrupolosi, 
quelle  avevano  a  poco  a  poco  perduto  la  maggior  parte  di  quei  se- 
gni, onde  a  prima  vista  si  riconosce  un  documento  originale.  Nella 
prossima  edizione  francese  della  Vita  di  S.  Francesco,  darò  in 
extenso  tutti  i  documenti  che  si  riferiscono  alla  concessione  del 
Perdono  di  Assisi,  a  seconda  degli  originali.  Intanto  sono  lieto  di 
farne  conoscere  ai  miei  amici  dell'Umbria  uno,  il  più  curioso, 
senza  dubbio,  della  serie. 

Sarà  bene  anzitutto  di  mostrare  ai  lettori,  come  in  un  quadro, 
il  posto  de' principali  documenti: 

Ognuno  sa  come  nessuno  dei  veri  e  propri  biografi  di  Fran- 
cesco parli  in  modo  del  tutto  esplicito  di  questa  famosa  Indulgenza  : 
dirò  altrove  della  ragione  di  questo  silenzio  e  del  perchè  i  docu- 
menti si  raggruppino  intorno  a  certe  date. 


540  P.    SABATIER 

1"  gruppo  (1277). 

1.  Testimonianza  di  Benedetto  d'Arezzo; 

2.  Racconto  di  frale  Leone; 

3.  Testimonianza  di  frate  Oddo  d'Acquasparla  ; 

4.  Testimonianza  di  Pietro  Zalfani; 

5.  Disputa  di  Pietro  Giovanni  Olivi. 

2o  gruppo  (circa  1310). 

1.  Testimonianza  di  Giovanni  dell'Alvernia; 

2.  Parole  di  Ubertino  da  Casale; 

3.  Testimonianza  del  B.   Francesco  da  Fabriano; 

4.  Notificazione  di  frate  Teobaldo,  vescovo  d'Assisi. 

3°    gruppo  (1335). 

1.  11  libro  del  Bartoli  ; 

2.  Diploma  di  Corrado,  vescovo  d'Assisi. 

Possiamo  dire  che  i  nove  documenti  dei  due  primi  gruppi  si 
avvalorano  vicendevolmente,  in  quanto  sono  espressioni  differenti 
dello  stesso  argomento,  ed  è  probabile  che  nessuno  avrebbe  mai 
pensato  a  mettere  in  discussione  il  Perdono  d'Assisi  se  si  fossero 
avuti  dinanzi.  L'esame  minuto  di  essi  prova,  infatti,  l'auten- 
ticità della  concessione  dell'Indulgenza  e  come  costituiscano,  si 
può  dire,  la  tradizione  ufficiale  dell'Ordine  in  riguardo  allo  stesso 
fatto.  Invece,  i  due  documenti  del  terzo  gruppo  son  cosa  del  tutto 
diversa.  Tanto  nel  libro  del  Bartoli,  quanto  nel  diploma  di  Cor- 
rado troviamo  lo  stesso  argomento,  ma  in  mezzo  ad  una  varietà 
di  nuovi  racconti.  L'edificio  primitivo  è  sialo  distrutto  e  se  le 
pietre  vennero  usate  nella  nuova  costruzione  furono  però  così  spar- 
pagliate e  tanto  bizzarramente  disposte,  che  non  è  più  possibile 
farsi  un' idea  dell'antico  disegno. 

Che  mai  era  avvenuto  e  donde  proveniva  questa  ricchezza  di 
nuovi  materiali?  Né  il  Bartoli,  uh  il  vescovo  Corrado  ce  lo  dicono: 
ma  la  seguente  pubblicazione  ci  permette  in  certo  modo  renderci 
conto  dell'origine  dei  loro  lavori. 


UN   NUOVO    OOCUMENTO,    KVC.  541 

Mentre  nell'Ordine  dei  Frali  Minori  si  perpetuava  il  r-arconid 
della  storia  autentica  della  concessione  dell'Indulgenza  e  ^i  puli- 
blicavano  i  documenti  indicati  superiormente,  si  veniva  a  poco  a 
poco  formando  in  mezzo  al  popolo  una  leggenda,  che  descriveva 
sempre  i  medesimi  fatti,  ma  con  quella  forma  maravigliosa  di  cui 
l'immaginazione  popolare  si  compiace  rivestire  tutto  ci»'»  clic  l'in- 
teressa. 

Il  Bartoli  (ed  io  dimostrerò  nello  studio  critico  dell'edizione 
francese  che  il  vescovo  Corrado  non  ha  fallo  che  cppiarlo),  il  Bar- 
toli, dico,  trovandosi  dinnanzi  alle  due  tradizioni,  concernenti 
un  solo  e  identico  fatto,  non  ebbe  il  coraggio  di  scegliere  l'una 
coll'escludere  l'altra;  trascinato  dallo  zelo  per  la  sua  cara  F'or- 
ziuncola,  nulla  volendo  omettere  che  gli  sembrasse  poter  contri- 
buire alla  gloria  di  quella,  dimentico  che,  come  dice  il  Vangelo, 
non  bisogna  cucire  un  pezzo  di  panno  nuovo  su  un  vecchio  abito, 
cercò  di  accordare,  quasi  cucendoli  insieme,  i  racconti  più  disparati. 

Dal  che  provenne  che  per  secoli  la  storia  dell'Indulgenza  è 
stata  uno  dei  punti  più  oscuri  e  che  molli  storici  spregiudicati, 
colpiti  da  tutte  le  conlradizioni  dell'opera  del  Bartoli,  non  videro 
che  essa,  invece,  racchiudesse  tutto  un  complesso  di  vere  e  pro- 
prie testimonianze. 

Mancavano  gli  indizi  delle  vie  da  seguire  per  addentrarsi  in 
quel  dedalo  e  separare  la  storia  dalla  leggenda,  e  giustamente  ha 
detto  il  Le  Monnier:  «  Non  è  facile  di  scorgere  dove  fermarsi  in 
questo  progressivo  moltiplicarsi  di  abbellimenti  »  (1). 

Il  documento  che  segue,  la  testimonianza  di  Michele  Bernardi, 
ci  rappresenta  la  tradizione  popolare  sulla  concessione  dell'In- 
dulgenza. 

Ponendolo  nella  sua  integrità,  accanto  ai  documenti  più  in- 
nanzi indicali,  abbiamo  sotto  gli  occhi  le  medesime  fonti  che  ebbe 
il  Bartoli,  ed  è  quindi  facilissimo  vedere  come  egli  procedette. 

Questa  tradizione  popolare  così  isolala  ed  esaminata  nella  sua 
interezza  non  è  senza  un  certo  valore  storico.  I  fatti  vi  sono  molto 
alterati  nei  contorni,  ma  in  mezzo  alle  alterazioni  il  critico  storico 
scoprirà  molto  utili  indicazioni.  Si  prova  l' impressione  di    ascol- 


ti) Histoire  de  S.  Fr.  >.  I,  pag.  319,  Paris,  in  80,  1889. 


542  P.    SABATIER 

lare  un  racconto  in  cui  sollo  forma  di  parabola  si  esponga  un 
fallo  slorico. 

La  prima  metà  del  documento  si  trova  nello  Specidum,  71  a-72  b, 
ed  io,  già  disperalo  di  giungere  a  conoscere  il  resto,  l'ho  trovalo 
nel  ms.  Val.  4654.  E  su  questo  ms.  sarà  fissato  il  testo  che  segue. 

La  divisione  in  versetti  è  stata  introdotta  per  rendere  più  fa- 
cili le  ricerche  e  le  citazioni.  La  punteggiatura,  che  quasi  non 
esiste  nell'originale,  è  stata  aggiunta;  l'ortografia  è  stata  conser- 
vata rigorosamente. 

{fol.  154  a.)  [1]  lu  nomine  domini  et  individue  trinitatis  patris  et  filij  et 
spiritiis  sancii  et  beate  marie  semper  virg-inis  et  omnium  sauctorum,  ad 
revereutiam  quinque  plag-arum  quas  dominus  noster  iesiis  christus  suscepit 
in  crucis  patibulo  prò  salute  li  umani  generis  [2].  De  quibus  sanctus  fran- 
ciscus  contemplaus  affectuosius  consignatus  est  in  corpore  similitudinarie 
stigmatibus  ipsius  [3].  Ego  michael  bernhardi  olim  de  spello  et  coucivis 
uunc  et  habitator  civitatis  assisi],  tamquam  devotus  et  spetialis  beati 
francisci  et  ipsius  ordinis  [4],  Accessi  quadam  die  ad  locum  beate  marie 
de  angelis  sive  de  portiuncula,  et  ibi  inveni  fratrem  bernhardum  quinte- 
vallis  [5],  fratrem  leonem,  fratrem  petrum  cbatanii,  fratrem  augelum  de 
reate,  fratrem  philippum  longum  de  costa  saucti  severini,  fratrem  mas- 
seum  de  marignano  :  et  fratem  gnilielmum  qui  mutuo  loquebantur  ad 
invicem  [6].  Et  cum  accessissem  ad  eos  et  videus  quod  abscouse  loque- 
reu'tur,  rubore  ductus  volui  recedere  [7].  Et  ipsi  vocaverunt  me  :  et 
ego  accessi  ad  eos.  Et  illud  erat  colloquium  ubi  nunc  beatus  franciscus. 
Et  unus  illorum  cepit  loqui  ad  me,  scilicet  frater  petrus  catannii  et  dixit: 
[8]  Audi,  micbahel,  valde  mirabile  quod  accidit  diebus  istis  proximis 
preteritis,  quia  cum  ipsa  pia  mater  nostra,  videlicet  beatus  franciscus, 
qui  nunc  moratur  in  carcere  montis  sub  assisio  [9]  Et  frater  bernhardus 
venit  hodie  ab  eo,  qui  assotiavit  eum  ibi,  quia  cum  esset  iu  taberna- 
culo,  hoc  est  in  cella,  que  erat  in  horto  post  ecclesiam  sancte  marie, 
quam  ostendit  tuuc  hoc  anno  digito  [10]  de  mense  iauuarij  proximi  pre- 
teriti tempore  nocturno  quasi  media  nocte  [11].  Et  ecce  sathanas  venit 
ad  eum  iuxta  tabernaculum,  cum  ipsa  pia  mater  esset  in  oratione  et  di- 
xit ei  :  Fraucisce,  quare  vis  tu  mori  ante  tempus,  quare  ista  et  talia 
facis  ?  [12]  Nescis  tu  quod  dormire  est  potissimum  alimeutum  corporis  ? 
Tu  iuvenis  es,  tui  dormire  et  quiescere  potissimum  est,  et  alias  dixi  tibi 
in  quadam  ecclesia,  que  vocatur  quattuor  capelle  de  comitatu  tudertiuo, 
quod  tu  es  iuvenis  et  poteris  alias  facere  penitentiam  de  peccatis  tuis  [13]. 
(fol.  154  h.)  Ad  quid  ergo  affligis  tu  te  tantum  in  vi'gilijs  et  orationibus  ?  Et 


UN    NIOVO    UOCIMKNTO,    ECC.  ÌA'.\ 

tuuc  sanctus  l'rauciscus  cxpoliaus  se  tuuica  exivit  de  tabernaculo  et 
introivit  per  gTOSsam  clausain  et  sepem  et  ingressus  est  silvani  durissiniaia 
et  spiuosani,  qiie  erat  pliilippi  iacobi  iuxta  ecclesiain  de  portiuucula  [14J.  Et 
cum  ipsa  pia  iiiater,  videlicet  beatus  IVanciscus,  esset  in  medio  silve  cum 
corpore  a  spinis  coucremato  et  sanguinolento,  dixit  [lu].  Melius  est  iue- 
stimabiliter  quod  sic  agnoscam  passionem  domini  nostri,  quam  ego 
obtemperem  delitiis  et  blanditiis  deceptoris  [16].  Et  statini  fuit  in  medio 
silve  lumen  magnum  et  in  inaximo  gelu,  sicud  est  in  ianuario,  flores 
rosarum  apparueruut  et  cetus  angelorum  innumerabilis  apparuit  tani  in 
Silva  qiiam  in  ecclesia,  iuxta  quam  erat  silva  predicta  [17]  :  et  tunc  an- 
geli viva  voce  dixerunt  beato  Francisco  :  Accede  velocit(!r  ad  salvatorein 
et  matrem  eius  stantes  in  ecclesia  [18]  (Tunc  beatus  frauciscus  invenit  se  in- 
dutum  uovo  vestimento,  quomodo  vero  etqualiter,  ipse  ignorabat  :  et  tunc 
apparuit  via  recta  strata  de  serico  ornata  ad  eundum  in  ecclesiain  ip- 
sam  (1))  [19].  Et  ipse  beatus  frauciscus  accepit  de  rosario  rosas  rubeas 
et  rosas  albas  :  et  ivit  statim  per  viam  illam  in  dictam  ecclesiam  sanctc 
marie  et  accessit  ad  altare  et  posuit  ibi  rosas  quas  detulerat  [20].  Et 
tunc  vidit  domiuum  ihesum  stantem  et  beatam  virginem  matrem  eius 
stantem  a  dextris  eius  cum  magna  multitudine  angelorum  [21].  Et  tunc 
ipse  dominus  noster  locutus  est  beato  francisco  prostrato  in  terram  ante 
conspectum  eius  et  matris  eius  virginis  marie  [22],  et  dixit:  IVancisce, 
postula  quod  vis  circa  salutem  geutium  et  reparationem  ecclesie  terrestris. 
Et  ipse  iacebat  quasi  raptus  in  conspectu  divinitatis  [23].  Et  tandem, 
ad  cor  reversus,  locutus  est  dicens  :  Sanctissime  pater,  illud  supplico  ego 
miser  peccator,  quod  digueris  tacere  hanc  gratiam  humano  generi  [24], 
quod  concedas  veuiam  et  indulgentiam  omnibus  et  singulis  venientibus 
ad  locum  istum  et  iutroeuntibus  ecclesiam  istam  omnium  peccatorum 
siiorum  universaliter  et  singulariter,  de  quibus  confessiouem  fecerunt 
sacerdoti  et  mandato  comparuerunt  [25].  Et  supplico  beate  marie  ad- 
vocate  humani  generis  quod  prò  liac  re  adiuvare  et  apud  piissimam  et 
clementissimam  maiestatem  {fot,  155  a.)  tuam  intercedere  dignetur  [26],  Et 
ipsa  celorum  regina  humilissima  et  cleinentissima,  inclinata  precibus 
beati  fraucisci,  statim  cepit  supplicare  filio  suo  dicens  [27].  Altissime  oin- 
uipoteus  deus,  supplico  divinitati  tue  et  humiliter  intercedo,  quod  dignetur 
maiestas  tua  se  inclinare  procibus  fratris  francisci  famuli  tui  [28].  Et  ipsa 
divina  maiestas  locuta  est  dicens  :  Satis  grande  est  quod  petisti,  sed  ma- 
ioribus  dig'nus  es,  frater  fraucisce,  et  majora  habebis  et  ego  petitiouem  et 


(1)  Il  versetto  18  non  si  ti'ova  nel  codice  Vat.,  4654,  ma  quel  che  segue  prova  che 
ciò  dipende  da  una  pura  dimenticanza  del  copista  :  è  stato  dunque  aggiunto  dal  testo 
dello  Speculum  71  b. 


544  1>.    SAKATlER 

orationem  tuain  admitto.  [29]  Determiua  taiiieu  diem  in  qua  fieri  debeat  et 
tempus:  [30]  b.  franciscus  franciscus  satini  locutus  est  dicens:  Sanctissime 
pater  noster,  ordinator  celi  et  terre,  tu  digneris  ordinare  propter  mag-nam  mi- 
sericordiam  tuam  diem  istani  assistente  ad  hoc  beatissima  Virg-ine  matre  tua 
humani  generi  advocata.  [31].  Et  sic  divina  majestas  statuit,  a  vesperis  pri- 
me diei  augusti  usque  ad  vesperas  secuude  diei  [32],  ut  quicumque  venirent 
eo  die  contriti  et  contessi  de  peccatis  suis,  de  quibus  existerent,  quod 
remissa  fuerint  eis  omnia  peccata  per  eos  commissa  a  die  baptismi  usque 
ad  diem  adventus  et  iutroitus  ecclesie.  [33]  Et  ipse  beatus  franciscus  alt: 
Sanctissime  pater  noster  qualiter  fiet  quod  veniat  in  scientiam  et  in  cre- 
dulitatem  humauo  generi?  [34]  Et  ipse  dominus  noster  ait:  Francisce, 
hoc  flet,  deo  favorante  et  preparante  et  auxilium  prebente  gratie  sue 
[35].  Tu  autem  ire  debes  ad  vicarium  rome,  quem  coustitui,  cui  potesta- 
tem  dedi  ligandi  atque  solvendi,  ut  ipse  faciat  prò  te  fieri,  prout  ei  vide- 
bitur.  Et  beatus  franciscus  dixit  :  [36]  Qualiter  credit  (sic)  mihi  vicarius 
tuus,  forte  non  credit  (sic)  mihi  peccatori.  Et  ipse  omnipotens  deus  dixit 
beato  francisco  :  [37]  Deferas  tecum  testes  aliquos  de  sotiis  tuis,  qui  hoc 
audierunt  et  rosas  albas  et  rubeas  quas  iu  mense  ianuarii  collegisti  in 
Silva  in  afflictione  et  disciplina  corporis  tui,  et  numerum  rosarum  sicud 
tibi  videbitur  expedire  [38].  Predicta  omnia  audierunt  fr.  petrus  cathanii 
fr.  ruphinus  syphii,  fr.  beruhardus  quintevallis  {fol.  155.  lì)  fr.  masseus  de 
marignano  et  socii  [39],  qui  stabaut  in  tabernaculis  suis  idest  in  cellls  extra 
ecclesiam  in  orto  ubi  est  cella  beati  francisci  [40].  Et  beatus  franciscus 
de  illìs  rosis  accepit  tres  rubeas  et  tres  albas  ad  honorem  sanctissime 
trinitatis  et  ad  laudem  beate  virginis  hoc  fecit  presente  ipsa  majestate 
divina  simul  cura  matre  [41].  Et  demum  maximus  chorus  angelorum  qui 
surrexeruut  et  cantaverunt,  te  deutn  laudamus  [42].  Post  hoc  in  mane,  b. 
franciscus  recepii  tunicam  suam  et  accessit  ad  istos  tres  fratres  sotios  suos 
et  dixit  illis  [43]  :  Preparate  vos  ad  veniendum  romani  et  imposuit 
eis  silentium  de  hiis  que  audierant.  Et  hii  sunt  fratres,  scilicet,  f.  petrus 
cathanii,  fr.  bernhardus  quintevallis  et  fr.  Angelus  de  reate  [44],  et  ce- 
perunt  iter  ad  eundum  Romam,  relictis  aliis  sociis  in  loco.  Et  in- 
gressi civitatem  romam,  direxerunt  gressus  iuxta  ecclesiam  lateranensem 
et  ibi  invenerunt  papam  honorium  successorem  innocentii  vicarium  do- 
mini nostri  ihesu  christi  [45].  Cui  beatus  franciscus  adhesìt  cum  piis 
sotiis  suis,  significaus  sibi  omnia  supradicta  et  de  hiis  perhibuerunt  testi- 
raonium  tres  fratres  predicti  [46]  et  illi  detulerunt  VI  rosas,  scilicet  tres 
rubeas  et  tres  albas,  ut  superius  notatum  est  [47].  Et  ipse  papa  honorius 
aspiciens  in  mense  ianuario  rosas  ita  virentes  tanti  coloris  et  odoris  [48], 
et  dixit:  Hoc  verum  miraculum  est  et  divina  bonitate  scimus  quod  ve- 
ram  est  testimonium  eorum  [49].  Nos  tamen  loquemur  cum  fratribus  no- 


UN   NfOVO    DOCIME2NTO,   ECC.  515 

stris,  dixit  papa,  et  audienuis  in  Consilio  secreto  intentiouein  eoruin  et 
(leliberabimiis  quod  super  hoc  facieudum  sit  [50].  Et  iussit  ut  reci pere- 
tur  beatus  franciscus  cum  sociis  suis  in  loco  congruo  et  honesto  et  da- 
rentur  cis  necessaria,  et  mandavit  beato  traucisco  ut  se<|uenti  die  esset 
(fol.  156  a.)  diluculo  coram  eo  [51].  Ylt  statini  sequeuti  die  beatus  franci.scus 
stetit  coram  domino  papa:  l)i<i;'ne  christi  vicarie,  adimpleatis  circa  ma- 
teriam  stipra  dictam  voluutatem  reyis  cplestis  et  matris  eius  ob  cuius 
vocabulo  ecclesia  ang-elorum  sive  de  portiuucula  vocatur  [52].  Kt  dixit 
papa  beato  francisco:  afteras  coram  fratribus  meis  que  sit  voluntas  dei 
et  matris  eius,  licet  alias  dixerim  [53],  Beatus  franciscus  respondit:  Vo- 
luntas dei  est,  ut  a  vesperis  prime  diei  augusti  usque  ad  vesperas  se- 
cunde  dici  dicti  meusis  [54],  quod  quicumque  intraverit  et  quìcumque 
ibi  venerit  in  ecclesiam  s.c  marie  de  angelis  sive  de  portiuncula  assisi- 
natis  dyocesis  remlttautur  sibi  omnia  peccata  a  die  baptismi  [55],  videli- 
cet  que  tuuc  recordaverit  et  ibi  non  recordatur,  in  penitentia,  scilicet  in 
confessione,  memoriam  fecerit  et  mandatum  susceperit  a  sacerdote  corde 
contrito  et  humiliato  et  absolutus  fuerit  per  ipsum  sacerdotem  post  man- 
datum. [5G]  Papa  respondit:  Fr.  fraucisce,  magnum  est  quod  petis,  sed 
postquam  rex  celestis  dominus  ihesus  christus  ad  instantiam  beate  vir- 
ginis  marie  matris  eius  tuam  orationem  exaudivit  [57],  nos  scribcnnis 
episcopis  perusii,  assisii,  tudertini,  spoletiuo  et  fulginati  et  nucerino,  ur- 
beveterauo  [58],  quod  ad  locum  predictum  saucte  marie  prima  die  au- 
gusti conveniant  et  notificeut  veuientibus  indulgentiam  que  tibi  placue- 
rit  [59].  Et  beatus  franciscus  cum  sociis  suis  accepit  litteras  summi 
poutiflcis  ed  ad  dictos  episcopos  venerunt  et  litteras  dictas  fecerunt  pre- 
sentar! [(50].  Et  procuravit  ipse  beatus  franciscus  quod  in  die  prima  ka- 
leudarum  augustorum  (sic)  omnes  predicti  episcopi  venirent  ad  ecclesiam 
supradictam  [61].  Et  factum  est  pergulum  ligneum  in  quo  omnes  dicti 
episcopi  ascenderent  simul  cum  beato  francisco  [62].  Et  cum  magna  mul- 
titudo  gentium  esset  iuxta  perg-ulum  congregata,  et  circum  adiacentia 
dixit  iteriam  beatus  franciscus  episcopis  [63].  Quls  vestrum  vult  predicare 
et  veniam  aununtiareV  Et  ipsi  convenerunt  in  unum  et  intra  se  dixc- 
runt  :  [64]  Nos  habemus  sequi  voluutatem  fratris  fraucisci,  secuudum 
teuorem  litterarum  papalium  [65].  Et  dixit  beatus  franciscus:  Licet  non 
sim  diguus,  volo  aliqua  {fol.  156  b.)  dicere  et  predicare  in  conspectu  gen- 
tium et  auuuntiabo  indulgentiam  matris  dei  [66].  Et  vos  de  mandato 
summi  pontificis  auctoritatem  prestabitis  et  annuntiabitis  una  mecum. 
Et  surrexit  et  predicavit  beatus  franciscus  adeo  benigne  et  humiliter,  ita 
ut  videretur  angelus  celestis  et  non  homo  carnalis  [67],  Et  perfecto  ser- 
mone, denuntiavit  indulgentiam,  videlicet  quod  quiciimque  venirent  ad 
illam  ecclesiam  et  iugressum  haberent  [68]  a  vesperis  prime  diei  in  ka- 


5-46  P.    SABATIER 

leudis  augusti,  usque  ad  vesperas  secunde  diei  dicti  mensis,  tam  de  no- 
cte,  quam  de  die,  includendo  noctem  sicut  diem  [69].  remitterentur  sibi 
omnia  peccata  sua  postquam  coufessionem  fecerint  a  die  baptismi  usque 
ad  dictuni  diera,  et  hoc  locum  haberet  quolibet  anno  in  perpetuum  [70]. 
Audientes  vero  episcopi,  indignati  sunt  et  scandalum  passi  sunt  de  hoc 
quod  dixerat  beatus  franciscus  [71]  atque  dixeruut:  Licet  doraiuus  papa 
mandavit  nobis  quod  sequamur  circa  hoc  voluntatem  tuam  [72],  non  fui t 
sue  opiuionis  quod  sequeremur  in  hoc,  quod  congruum  non  est.  linde 
denuntiemus  indulgentiam  X  annorum  [73].  Et  surrexit  episcopus  assi- 
sinas  ad  dicendum  decem  annis,  et  dixit  quidquid  dixerat  beatus  fran- 
ciscus et  aliud  non  potuit  dicere  [7-t]  :  ad  hoc  sunt  multi  testes  tam  de 
perusio,  quam  de  aliis  civitatibus  et  de  coutrata.  [75]  Dicitur  etiam  quod 
omnes  alii  episcopi  sing-ulariter  unus  post  alium  surrexerunt  ad  id  quod 
dictum  fuerat  coutra  dicendum.  [76]  Et  omnes  quod  beatus  franciscus 
dixerat  affirmaverunt  aliudque  dicere  minime  valuerunt.  [77]  Testes 
autem  inter  alios  qui  interfueruut  :  Suppoliuns  hugoliui  presbiter,  domi- 
nus  andreas  de  monte  mellino  de  assisio,  dominus  neapoleo  de  armen- 
zano  [78],  dominus  Johannes  presbiter  de  geormini,  petrus  tubaldini,  et 
ut  predicitur  multi  alii,  quos  esset  difficile  nominare. 

P.  Sabatier. 


547 


COMUNICATI 


ANCORA  GLI  ORSINI 


Al  prof.  Fedele  Savio,  che  con  lanla  opporliinilà  ha  impreso 
a  dislricai'e  la  fin  qui  confusa  genealogia  degli  Ore-ini,  offriamo 
come  atleslalo  della  nostra  slima  queste  poche  notizie,  che  siamo 
lieti  d'aggiungere  a  quelle  già  da  lui  pubblicate  in  questo  Bollettino. 

Tra  gli  scarsissimi  documenti  del  XIV  secolo  da  noi  racca- 
pezzati a  stento  nell'archivio  notarile  di  Calvi,  annoveriamo  un 
fascicolo  di  bastardello  in  mezzo  foglio  che  va  dal  2  maggio  1372 
al  1374,  ed  un  quinterno  staccato  di  ugual  sesto,  ma  di  cui  non  si 
può  apprender  Fanno,  i  quali  dal  contesto  appariscono  esser  del 
notaio  Ser  Pietro  Bartolomelli  da  Calvi  (1).  Ebbe  costui  relazione 
cogli  Orsini,  e  fu,  come  si  rileva  dai  suoi  atti,  loro  vicario  in 
Monterotondo  nell'aprile  del  1373;  ci  ha  lasciato  perciò  vari  atti 
die  li  riguardano. 

11  più  importante  è  dell' 8  luglio  1373.  Esso  è  dato  in  Fiano 
Romano  (Plagiano  Romagne)  nella  chiesa  di  s.  Biagio  ed  è  scritto 
in  un  foglio,  che  poi  piegato,  come  gli  altri,  per  la  lunghezza,  fu 
cucilo  nel  fascicolo  mentovato.  In  esso  Francesco  di  Giordano  Or- 
sini, dovendo  pagare  alle  sorelle  Giovanna,  Alessandra  e  Simo- 
netta, nonché  a  Bucio  suo  fratello  presente  e  stipulante  per  le  so- 
relle, prò  ipsarum  doiibus  et  aliis  quihus  est  dicto  Bucio  ohliga- 
tus,  la  somma  di  fiorini  4135  d'oro,  a  norma  dell'arbitrio  dato  tra 
esso  Francesco  e  Bucio  da  Giovanni  Orsini  conte  di  Manoppello, 
e  volendosi  esonerare  da  detto   debito,  promette    e    si    obbliga  di 


(1)  Crédiamo  di  poter  attribuire  a  questo  notaio  anche  un  quinterno  in  folio  con- 
tenente sentenze  del  vicario  di  Calvi  nel  1372. 


548 


D.   BENUCCl 


dare  ogni  anno  al  detto  Bacio,  per  sé  e  sue  sorelle  stipulante, 
fiorini  700  d'oro,  metà  a  marzo  e  metà  a  maggio,  fino  alla  intera 
soddisfazione  del  debito.  A  garanzia  del  pagamento  vincola  i  red- 
diti e  proventi  del  castello  di  Galera,  al  qual  fine  nomina  fin  d'al- 
lora vicario  generale  delle  sue  terre  e  di  detto  castello  Cecchum 
de  Albei'inis  dictum  stupposuin  di  Roma,  rione  S.  Eustachio, 
«  absente  tamquam  presente  ». 

Sono  testimoni  all'atto:  «  dno  Nicolao  de  Ursinis  nolano  et 
palatino  comiti,  dno  Troylo  dni  Io.  de  Ursinis,  dompno  dominico 
abbati  de  Mon.  S.  Andree  in  Flam.,  dno  Angelo  Sassi  de  Urbe 
de  Rione  pince,  lanne  Vivaldi  de  Urbe  de  Rione  campi  martii, 
Ceccho  Montanaro  de  Rione  S.  Euslachii  et  dno  Nicolao  de  Ca- 
nimorluo  et  ser  Antonio  Cecchi  de  Plagiano  not.  »  il  quale  si 
sottoscrive. 

Dunque  nell'albero  degli  Orsini  di  Monterotondo,  datoci  dal 
Savio  (1)  dobbiamo  aggiungere  a  Francesco  di  Giordano  altre  due 
sorelle:  Simonetta  ed  Alessandra.  Che  nel  nostro  atto  non  si  faccia 
menzione  di  Perna,  è  evidente  pel  detto  del  Savio  ch'essa  andò  sposa 
nel  1372.  Ma  ciò  che  principalmente  importa  osservare  è  quel  che 
riguarda  lo  slesso  Francesco.  11  Savio  lo  crede  morto  tra  il  1370 
e  il  1374  perchè  il  solo  Bucio  interviene  al  matrimonio  di  Gio- 
vanna, compiutosi  appunto  in  quest'anno  a  Monterotondo.  La  con- 
gettura ragionevolissima,  cade  ora  facilmente,  perchè  sappiamo 
appunto  come  Bucio  si  fosse  assunto  verso  il  fratello  l' incarico 
di  provvedere  alle  sorelle.  Francesco,  infatti,  era  vivo  ancora 
nel  1376.  Ciò  apprendiamo  da  lin  breve  contralto  contenuto  nel  fa- 
scicolo d'un  bastardello  d'ignoto,  che  comprende  dal  1373  al  1377. 
É  un  prestito  di  35  fiorini  d'oro  tra  Calvesi  e  il  debitore,  in  caso 
d' inadempimento  di  patti,  si  obbliga  alla  multa  di  50  fiorini,  d'ap- 
plicarsi metà  a  Francisscho  et  Bucio  de  Ursinis  e  metà  al  credi- 
tore. È  in  data  del  20  marzo  1376. 

L'importanza  di  quest'atto  così  semplice  è  grandissima  per 
noi.  Anzitutto  è  l'unico  che  finora  accenni  ad  una  signoria  degli 
Orsini  a  Calvi  prima  del  XVI  secolo,  in  cui  fu  per  45  anni  degli 
Anguillara.  Ma  ci  dà  lume  anche  sopra  un  altro  punto. 


fi)  Le  tre  famiglie  Orsini  di  Monterotondo,  di  Marino  e  di  Manoppello  {Bollet- 
tiiw  n.  1). 


ANCORA   OLI   OKSIN'I  iMit 

Narra  il  Savio  sulla  scoria  del  Monlemarle  da  Orvieto,  che 
il  Cardinal  di  Manoppello,  nominalo  vicario  del  patrimonio  da  l'r- 
bano  VI,  fu  mallrallato  nel  1)^/86  in  Narni  da  liaciolo  di  messer 
Giordano  ch'egli  ritiene  per  Bucio  fralello  di  Francesco.  Aggiunge 
come  nel  1387  fosse  preso,  pure  a  Narni,  Poncello  di  Francesco, 
il  quale  poi,  secondo  il  Conlelori,  ottenne,  giurando  fedeltà  a 
Urbano  VI  insieme  col  fralello  Giovanni,  olire  altri  castelli,  anche 
a  città  di   Narni  il  24  settembre  del  1388. 

Ora  ecco  il  passo  del  Conlelori:   «   Joliannea  et  Poncel- 

lufi  fila  qu.  Francisci  de  Ursinist  iuvant  fidelitotem  Turbano  Sexto 
prò  Castri.s  Turris,  Siticis,  Mondsasiile,  Collisveieris,  Stimi iiani, 
S.  Poli  et  Civitate  Narnie  prò  quibis  censum  ndn  pkrsou  e- 
RANT  Camerae  Apostolicae  »  (1).  Ciò  vuol  dire  che  gli  Orsini  di 
Monterotondo  possedevano  Narni  (e  Calvi  con  esso)  anche  prima 
del  1388. 

Il  nostro  documento  ci  porla  a  stabilire  che  ciò  fosse  almeno 
fin  dal  137<i.  Non  tuttavia  oltre  il  1374,  nel  qua)  anno  (10  gen- 
naio) troviamo  in  Calvi  Ser  Andriolo  «  dni  Jacobicci  de  palma  » 
vicario  di  S.  K.  Chiesa.  Ed  anche  non  fu  il  loro  possesso  senza 
conlrasli  se,  al  dir  del  Moroni  (2),  Tommaso  di  Manoppello  (fra- 
tello di  Giovanni  nominalo  nell'atto  del  nostro  Barlolomelli),  le- 
gato per  Marche  ed  Umbria  di  Urbano  W,  ricuperò  al  pontefice 
Narni,  Amelia  e  Terni  nel  1379. 

Degli  altri  Orsini  nominati  nell'atto  dell'S  luglio  1373,  Nicolò 
conte  di  Nola  è  figlio  del  conte  di  Manoppello,  Giovanni  (3)  ;  Troilo 
di  Giovanni  ò  senza   dubbio   di    quel    ramo   di    Soriano  e  Castello 


(1)  Geìiealogiae  Familiae  Comitum  Romanorum,  Roma,  1050,  paff.  18.  Non  rile- 
viamo le  inesattezze  pili  volte  incorse  al  Savio  nella  traduzione  de'  nomi  de'  luoghi 
della  Saijina  essendo  facilmente  corregifibili  da  chi  non  n'  è  ignaro.  Due  atti  del  Bar- 
tolomelli  concernono  il  dominio  di  Bucio  in  Collevecchio,  Stimigliano  e  Santoiiolo. 
Sono  del  10  agosto  (1371  ?)  e  trattano  di  ordinaria  amministrazione,  ma  ci  i)iace  di 
aggiungere  a  conferma  delle  congetture  del  Savio  circa  il  Monte  Giordano,  che  sono 
fatti  in  Roma  in  domibus  i2)sii/s  Bvcii  in  camera  iuxta  salam  positam  in  monte 
Vrsincrum. 

(2)  Dizionario  di  ertidisione  storico-ecclesiastica,  voi.  XLIX,  pag.  166. 

,     (3)  Abbiamo  dal  Bartolomelli,  in  data  11  marzo  1373,  un  atto  tra  alcuni  fedeli  del 
conte  di  Manoppello,  tutti  di  Xerola,  ed  un  soldato  di  Xami  ;  actum  in  villa  S.  Anto- 

nii  in  domo  comitis  supradicti  in  proaulo  diete  domus  esistente supra  portam 

dicti  castri  (Nerola). 


550  D.   BBNUCCI 

S.  Angelo,  di  cui  il  Savio  slesso  ci  die  la  genealogia  nel  suo  scritto, 
su  Nicolò  Ili  (1),  e  quindi  cugino  di  Simeotto  che  fu  argomento 
d'una  memoria  dello  stesso  autore  nel  n.  3  di  questo  Bollettino. 

Del  brevissimo  tempo  che  costui  fu  signore  di  Orte,  ribella- 
tasi nel  1375  a  Gregorio  XI  per  istigazione  de'  Fiorentini  (2),  ab- 
biamo scoperto  un  episodio,  a  quanto  sappiamo  finora  ignorato, 
in  una  pergamena  adoperata  per  fodera  d'  un  bastardello  del 
1489-93  del  notaro  ser  Cherubino  lacobuzi  di  Calvi.  Questa  per- 
gamena, rifilata  in  calce,  sul  margine  destro  ed  in  parte  del  si- 
nistro, contiene  copia  di  una  condanna,  trovata  nei  libri  del  co- 
mune di  Orte,  lata  da  Carsucio  di  Franceschino  «  de  Carsidociis  » 
di  Perugia,  vicario  di  detta  città  pel  magnifico  principe  Simeotto 
degli  Orsini  nel  1376.  Il  detto  Carsucio,  avendo  trovato  il  processo 
iniziato  dal  suo  predecessore  contro  un  tal  Egidio  «  magistri 
Cardi  de  Orto  et  contrata  porcini  »,  imputalo  di  cospirazione  e 
tradimento  per  aver  trattato  di  dare  la  città  al  signor  Giordano 
di  Marino,  ed  essendo  scaduto  per  il  reo  il  termine  di  comparire 
o  farsi  rappresentare,  lo  condanna  in  contumacia  al  taglio  del 
capo  ed  alla  confisca  dei  beni.  Il  vicario  è  assistilo  dal  suo  as- 
sessore Enrico  del  fu  Matteo  de'  Beccatelli  di  Bologna  e  dal  suo 
nolaro  ser  Cecco  «  Baccii  »  di  Perugia.  Ecco  il  passo  in  parola,  in 
cui  si  rileva  come  Egidio  mandasse  ai  suoi  complici,  «  inler  alia, 
quandam  licteram  q[ua  apparel  quia  homines]  predicti  cum  quibus 
predicla  traclabat,  quorum  nomina  tacentur,  ad  presens  volebant  ac- 
cedere ad  dandam  civitalem  ortanam  dno  lordano  de  Marino  et 
eius  gen[tibus  armigeris,  et  expli]cite  quia  ipse  Egidius  operarci 
ita  et  taliter  cum  effeclu  quia  diclus  dnus  lordanus  dabit  gentes 
armigeras  pedestres  et  [equestrejs  et  faciet  omnia  que  [necesse 
essent  ad  plenam  ejxpeditionem  negolii  predicti,  et  per  ipsum 
Egidium  non  stetit  quin  presens  bonum  et  pacifichum  stalum  di- 
ete civitatis  orlane  lolleretur,  frumperetur]  seu  mularetur  et  ad- 
nulla[relur,  nec  quia  orlana  civitjas  ocpcupata  {sic)  et  invasa  non 
esset,  nec  quia  dictus  dnus  lordanus  ad  predicla  attendere  et  con- 
sentire noluil  »  (3). 


(1)  Civiltà  Cattolica,  an.  1894,  Quad.  \0M. 

(2)  MoRONi,  loc.  cit.,  pag.  187. 

(3)  Le  parole  chiuse  tra  parentesi  quadre  sono  quelle  da  noi  sostituite  sulle  man- 
canze dei  margini  e  dei  guasti  della  pergamena. 


ANCORA   OLI   ORSINI  551 

Si  Irallava  di  Orsini  contro  Orsini,  giacché  questo  Giordano 
è  del  ramo  di  questa  famiglia  detto  di  Marino,  del  quale  pure  si 
è  occupato  il  Savio  nel  Bollettino  del  gennaio  scorso  ed  al  (piale 
rimandiamo  il  lettore. 

Calvi  dell'Umbria,  marzo  189^. 

I).  Bknucci. 


I 


i 


553 


GLI  ANNALI  DEGLI  OLORINI 

E  I  MANOSCRITTI  DI  CRONACA  SPELLANA 


Giovanni  Targa  Olorini,  discepolo  di  Baldo,  scrisse  gli  Annali 
di  Spello,  sua  patria,  tino  al  1338;  lianuccio,  suo  proni|)ote,  li 
continuò  fino  al  1472;  Giovanni  e  Guido,  pronipoti  del  suddetto, 
fino  al  1594.  Ma,  com'è  già  stato  notato  da  altri,  non  si  sa  dove 
siano  andati  a  finire;  e  negli  ultimi  decenni  non  sono  stati  citati, 
a  quanto  pare,  se  non  di  seconda  mano.  Nella  prima  metà  del 
secolo  scorso  furono  posseduti,  non  si  sa  se  autografi,  dal  Passa- 
rini  (V.  Arme  ecc.,  p.  94);  e  in  una  Posizione  stampata  a  Roma 
coi  tipi  della  Camera  apostolica,  nel  1738,  per  la  canonizzazione 
del  b.  Andrea  Caccioli  (Sacra  Riiuum  Congr.,  p.  35),  un  ca- 
nonico attesta  d'aver  letto  notizie  d'esso  beato  in  un  Ms.  di  Guido 
Olorini,  nella  Libreria  de' Conventuali,  costituente  ora  la  massima 
parte  della  Comunale,  catalogata  nel  18f)5  dal  dott.  F.  Rosi,  che 
non  inventariò  parecchi  opuscoli  e  Mss  ,  accatastali,  con  le  carte 
dell'Archivio  di  S.  Andrea,  nelle  Colonne  7  e  8,  dove  ò  cercato 
invano  l'autografo  di  questi  Annali.  E  di  Guido  Olorini  non  si 
trova  più  un  Ms.  De  origine,  antiquitale  et  nobilitate 
Hi  spelli  (1610),  notato  dal  Doni  [L.,  p.  567,  n.  V)  e  dal  Ma- 
rucelli  [M.  m.,  v.  XCVI,  a.  62)  e  posseduto  dal  Passarini  (1.  e). 
Parimenti  andò  perdutala  II  istori  a  di  S  pel  lo  di  Fausto  Gen- 
tili (1021),  ricordata  dallo  lacobilli  {B.  U.,  p.  101),  dal  Maru- 
celli  (l.  e),  dal  Passarini  (p.  57),  dai  Bollandisti  (3  giugno). 

Rimangono  tuttavia  i  seguenti  Mss.  cartacei,  non  ancor  ca- 
talogati, che  in  massima  parte  derivano,  più  o  meno  direttamente, 
e  con  molte  inesattezze  e  incoerenze,  dai  detti  Annali  Oloriniani. 
1.  Il  i  storie  di  Spel  I  o  |j  e  t  Annali,  di  ff.  15  in  4°  picc, 
alla   rust.,  in    cali,  st.,    nella    Libreria    Rosi,  ora    Dini.   Sul    retto 

36 


554 


G.    TUBINI 


della  coperlina  v' è  lo  stemma  degli  Olorini,  riporlalo  nel  verso 
con  un  cappello  cardinalizio  e  le  parole:  Rainaldus  Offreduccius 
de  Olone,  Patviarcha  Hierosolimitanus  (crealo  da  Gregorio  V 
nel  998).  Comincia  :  Venuta  di  S.  Pietro,  Principe  degli  Apostoli, 
in  Italia;  finisce:  ...  non  volle  accettare,  e  giunge  con  le  notizie 
al  1598;  ma,  essendovi  a  p.  4  il  distico  del  Donnola  su  Orlando, 
non  può  essere  anteriore  al  1635. 

II.  Con  le  parole:  si  trova  un  antiquiss.°  e  nobiliss.°  ac- 
quedotto comincia  ora  un  frusto  e  acefalo  Ms  della  Comunale,  di 
pp.  124  in  4°  picc,  alla  rust.,  con  disordinata  numerazione  e  di- 
verse interfoglialure,  già  posseduto  e  in  parte  scritto  da  T.  Don- 
nola, che  vi  cita  una  sua  Historia  di  Spello  (?).  Oltre  un  suo 
abbozzo  su  La  Patria  di  Properzio  e  una  diceria  di  Fausto  Gen- 
tili, ecc.,  v'è  uno  scritterello  Sulte  Statue  di  Spello,  una  silloge 
d'iscrizioni  romane,  ignota  al  Bormann,  e,  a  pp.  31-49,  una 
Descrizione  dell'antichi  s  si  ma  Terra  di  Spello,  con  lo. 
traslazione  delle  reliquie  del  b.  Andrea  Cacciala,  composta  dal 
i?.^o  don  Nevio  Feliziani  di  Spoleto,  nel  1597,  trascritta  però 
posteriormente;  della  quale  si  legge  un'  altra  copia,  di  mano 
del  Dorio,  a  ce.  288-298,  300-311  del  codice  A.  V.  5  della  Jaco- 
billiana  di  Foligno,  segnato  nel  dorso:  Umbria,  t.  X.  E  ricordala 
dallo  Jacobilli  {B.  U.,  p.  206),  dal  Marucelli  (I.  e),  dai  Bollan- 
disti  (1.  e),  dal  Sansi  {St.  di  Spoleto,  II,  262).  Questo  Ms.  ter- 
mina con  la  parola  mortuus;  ma  in  fine  v'è  aggiunto  un  pezzo 
di  carta  con  un'iscrizione  (n.  5264  del  Bormann),  che  termina 
EIDEMQ.  PROB. 

III.  Antichità  II  e  diversi  Successili  di  Spello,  di 
ff.  136  in  4"  picc,  alla  rust.,  in  cali.  si.,,  nella  Libreria  Dini.  Sul 
verso  della  copertina  è  incollato  un  polizzino  di  uno  della  fa- 
miglia Targa  Olorini,  con  la  data  1651.  E  mutilo  fino  alla  p.  17, 
che    comincia:    Di   San   Felice,    detto    il    Vecchio  ...;  manca  dei 

ff.  35-41,  56,  101,  112;'  contiene  molte  cose   inutili   e    in    fine   la 
copia  d'una  lettera  dell'ag.   1671,  che  termina:   ...  accennato,  etc. 

IV.  Alcuni  Successi  dal  246  al  1360,  di  pp.  21  in 
4°  picc,  alla  rust,  nella  Comunale.  Comincia:  Compendio  cacato 
dagli  Annali  di  Spello;  contiene  anche  una  Relazione  estratta 
dal  Convento  di  Valdigloria  (cioè  da  una  sua  Cronaca  mscr.)  e 
un  Summarium  ex  Libello  Patris   Thomae  [Vagnoli]  de  Hispello, 


GLI    ANNALI    l)E<iLI    OLOIUNI,    ECC.  55') 

extraciuTìi  a  1).  Joanne  de  7\irgarinis,  ad  aelernam  mcrtiorium 
b.  Andrene  Caccioii,  1630,  ricordato  pure  dui  Boilandisli  (I.  e), 
e  neir  ultima  pagina  à  una  giunta  di  F.  A.  Sideri,  in  data  7  ot- 
tobre 1729,  che  termina:   ...  è  seppellito  nel  Cono.  d'Orrielo. 

V.  Passerini  (Ab.   Ferdinando),  Arme  ||  delle  Famiglie 

ci  ttad  i  n  e  II  d  i  S  pel  I  o  ||  me.sse  insieme con  le  Annotazioni 

istoriche  del  medesimo  \  nel  1721  :  autografo  di  ff.  132  in  A"  picc, 
leg.  in  perg.  e  posseduto  dal  signor  L.  Berretta.  Comincia  con 
una  Prefazione  (Non  vi  à  dubbio...)  e  termina  con  1'  Indice 
(....  Vainoli  e  Vignatoli).  Nell'Archivio  municipale  ce  n'ò  una 
copia  co IV aggiunta  fatta  in  fine  di  alcune  altre  famiglie  dal  Capno 
Michelangelo  Michelangeli,  nell'an.  1775,  di  pp.  149  in  8",  leg. 
in  perg.:  un'altra  copia,  ricordata  dal  Laspeyres,  è  nella  Li- 
breria Dini;  un'altra,  infine,  è  posseduta  dal  signor  Leone  Nar- 
doni  in  un  Ms.  di  Notizie  sloriche  di  Spello,  compilato 
circa  il  1819  (cfr.  Bormann,  C.  1.  L.  XI,  p.  765). 

VL  Di  Spello  e  suo  antico  splendore,  di  pp.8,  in  4" 
picc,  nella  Libreria  Dini.  Comincia:  Spello,  secondo  riportano 
le  antiche  sue  istorie,  e  al  riferir  di  Gio.  Targarini.... ;  v'è  ri- 
cordato l'anno  1720,  e  termina:  ...  da  essa.  In  altre  4  pp.  dello 
slesso  caratlere  segue  il  Catalogo  dei  Vescovi  che  stabilirono  in 
Spello  la  fede  cattolica  e  che  ressero  (juesta  chiesa. 

VII.  Magnani  (don  F.  Andrea),  L'.\nlichità  di  Spello, 
Terra  insigne  dell'Umbria,  provata  dagli  antichi  scrittori  e  la- 
pidi esistenti  in  essa  (1770?),  Ms.  di  ff.  26,  posseduto  da  Mons. 
M.  Faloci  Pulignani  di  Foligno.  Nel  cap.  I  Iralla  Degli  scrittori 
antichi  e  fabbriche  antiche  di  S.;  negli  altri  due  delle  lapidi,  e  in 
fine  v'è  l'enumerazione  dei  mausolei  (cfr.  Bormann,  p.  765).  — 
Dello  stesso  Magnani  il  P.  G.  Fratini  ricorda,  senza  però  dir 
dove  sia,  un  grosso  Ms.  di  Memorie  dei  cittadini  spellani  pas- 
sati al  cielo  con  fama  di  santità  (1793?),  e  nel  tomo  IV,  pp.  10-13, 
dei  Mss.  di  Memorie  spellane,  da  lui  depositali  nella  Biblioteca 
d'Assisi,  à  trascritto:  Brevi  cenni  biografici  su  ventidue  servi  e 
seroe  del  Signore,  oriundi  di  Spello,  estratti  dai  Manoscritti 
del  Magnani.  —  Del  quale  potrebb'  anch'  essere,  una  Breve  no- 
tizia della  Chiesa  e  del  Convento  di  S.  Onofrio  di  Spello,  di 
f)p.  12  in  4"  picc,  che  comincia:  Nell'anno  1523...,  e  termina:  ... 
in  breve  compendio . 


556 


a.    URBINI 


Il  Laspeyres  {Die  Bauwerke  der  Renaissance  in  Umbrien, 
p.  54)  dice  d'  aver  consultato  nella  Libreria  Rosi  una  Descri- 
zione di  Spello,  del  can.  Meschini,  camarlingo  di  S.  Giacomo, 
dell'anno  1728,  che  non  si  sa  dove  sia  andata  a  finire.  —  E  qui 
prendo  occasione  di  notare  come  qualcuno  abbia  ricordato  anche 
una  «  Storia  di  Spello,  di  Benedetto  da  Bevagna  »,  cioè  di  Teodoro 
Benedetti,  priore  di  S.  Lorenzo  dal  1656  al  1692;  la  quale  non  è 
affatto  citata  fra  le  opere  di  lui  né  dallo  Jacobilli,  né  dal  Passe- 
rini, né  dall'Alberti:  solamente  ò  veduto,  nell'Archivio  capitolare, 
diversi  appunti  storici,  riguardanti  la  Collegiata,  che  paiono  di 
sua  mano  e  sono  ricavati  in  parte  dal  Libro  dP  grosso,  raccolta 
di  rogiti  e  d'altre  memorie,  di  cui  gli  dobbiamo  un  minuto  indice 
alfabetico. 

Giulio  Urbini. 


I 


557 


DI  BONIFACIO  DA  VERONA  AUTORE  DELL' EULISTEA  (D 


Perugia  non  ha  cronache  anteriori  all'  Eiilislea  che  si  cre- 
dette perduta  e  che  poi  ritrovò  il  conte  Giancarlo  Conestabile. 
L'esemplare  smarrito  era  membranaceo  :  così,  infatti,  leggesi  nel- 
r  Inventario,  redatto  nel  1380,  dei  documenti  riposti  in  S.  Dome- 
nico dal  Cancelliere  del  Comune  :  «  In  capsula  diete  casse  recon- 
didi  ego  Franciscus  de  Montepolitiano  cancellarius  Perusie  lihrum 
Eulisteos  continentem  gesta  Perusinorum  heroico  Carmine,  in  pe- 
chudinis  cartis  et  sub  assidibus  ligatum  ».  Nel  1440  un  altro  Can- 
celliere, Tommaso  Pontano,  rifacendo  lo  slesso  Inventario,  cosi 
indicava  quel  manoscritto:  «  Item  liber  Eulisteos  in  cartis  pecu- 
dinis  sub  assidibus  ligatus,  copertus  corio  rubeo,  qui  incipit  Quo- 
niam  in  omni  speculatione  ».  Il  volume  dunque,  perduto,  come 
attesta  il  Vermiglioli,  dopo  il  1380  e  scoperto  a  Cortona,  trafu- 
gatovi non  sappiamo  da  chi  e  per  quale  ragione,  nel  1382,  riap- 
pariva nuovamente  fra  i  documenti  per  la  storia  perugina  :  si  sa 
che  i  Priori  di  Perugia  concessero  la  cittadinanza  a  un  Egidio 
da  Cortona  che  trovò  modo  di  restituire  al  Comune  il  poema.  Ma 
da  una  nota  marginale,  scritta  dal  Pontano  stesso  a  canto  alla  ci- 
tata indicazione  del  manoscritto,  deducesi  che  questo  tornò  a  scom- 
parire nel  1440.  L'esemplare  che  oggi  abbiamo  di  codesta  Cro- 
naca e  sul  quale  fu  edita  neWArchivio  storico  italiano,  non  è  il 
membranaceo  menzionato  negl'Inventari  del  1380  e  del  1440,  ma 
(così  lo  descrive  il  Bonaini)  «  una  copia  condotta  su  carta    bam- 


(1)  Vedi  in  Archicio  storico  italiano^  XVI,  parte  I,  le  Cronache  e  storie  inedite 
della  città  di  Perugia,  ecc.  a  cura  di  Francesco  Bonaini,  Ariodante  Fabretti  e  F.  L.  Po- 
lidori:  G.  0.  Conestabile,  Memorie  di  Alfano  Alfani,  Perugia,  1848,  pag.  5  e  segg.  ; 
Vermigligli,  Saggio  di  memorie  istoriche,  civili  ed  ecclesiastiche  della  città  di  Perugia, 
Perugia,  1806,  pag.  10-12:  Maffei,  Scrittori  Veronesi,  tomo  II;  L.vbbe,  Nova  biblioteca 
latina  mss.  Ubrorum,  Parigi,  1653,  pag.  66. 


558  G.    MAZZATINTl 

bagina  da  amanuense  vissulo  al  finire  del  secolo  XIII  o  in  quel 
torno,  quando  doveva  nei  Perugini  essere  ancora  molta  la  curio- 
sità di  leggere  le  loro  imprese  metricamente  celebrate  dal  poeta 
forestiero  ».  Di  ciò  che  intorno  a  questi  congetturò  e  scrisse  il 
Maffei  ;  s'egli,  come  al  Rovetta  sembrò  e  il  Maffei  stesso  riferì, 
sia  da  identificarsi  con  il  Bonifazio  degli  Scaligeri,  ancor  vivo  nel 
1290  ;  e  se,  prestando  fede  al  Labbe,  sia  da  attribuirsi  a  lui  la 
«  Veronica  heroico  poemate  mille  versuum  celebrata  »,  io  non 
dirò  qui  per  non  uscir  d'argomento:  nolo  però  che  il  poema, 
nell'esemplare  che  il  Bonaini  ebbe  sott' occhio  per  la  stampa,  fi- 
nisce così  :  '(  Explicit  Eulistea  sive  liber  Eulystidos  Bonifatii  Ve- 
ron.  ac  electi  Principis  ».  Non  sappiamo  se  codesto  titolo  di  Prin- 
cipe conveniva  in  realtà  all'autore,  o  se  sia  un'aggiunta  arbitraria 
dell'amanuense;  certo  è  che,  accettando  il  parere  del  Bonaini, 
non  parmi  fuor  di  proposito,  tanto  più  che  in  un  luogo  del  rifa- 
cimento in  prosa  del  poema  l'a.  dichiara  di  essere  «  inmensa  co- 
niunctus  familiaritate  »  con  la  Maestà  di  «  Rodulfì  serenissimi 
Romanorum  regis  ».  Per  cattivarsi  l'animo  di  re  Rodolfo  ed  es- 
sere di  sua  particolare  benevolenza  onorato,  dovè,  congettura  il 
Bonaini,  esser  necessario  che  l'a.  avesse  per  lungo  tempo  fre- 
quentata la  sua  corte  :  forse  fino  al  luglio  del  1291  (ma  ignoro  da 
quale  anno),  quando  Rodolfo  morì.  L'ipotesi  dell'esser  egli  vis- 
suU)  prima  di  quest'anno  e  fino  a  quest'anno  fuor  di  Verona  è 
resa  probabile  da  due  ragioni  che  mi  sembrano  valide:  la  prima 
è  che  l'a.  fu  bandito  dalla  nativa  città  durante  la  tirannia  di  Eze- 
lino, morto  nel  1259  ;  la  seconda  che  non  anteriormente  al  1293 
egli  dovette  recarsi  a  Perugia,  dove  pose  mano,  nel  luglio,  alla 
cronaca  poetica.  Dell'esilio  egli  stesso  ci  dà  notizia  nel  libro  IX: 
«  Me  Verona  tulit  ;  me  repulit  inde  tyrannus  Ecelinus  atrox  »  (1). 
Del  tempo  in  cui  scrisse  in  versi  e  poi  rifece  in  prosa  la  cro- 
naca, dell'incarico  e  del  prezzo  convenuto  per  compilarla,  rica- 
viamo le  testimonianze  dagli  Annali  Decemviralij  che  qui  sotto 
riporto. 


(1)  E  continua:  «  Aquilas  et  lilia  scrlpsi,  iDivinos  apices  Griphonis  et  arma  pO- 
tentis  Gestaque  multorum  quorum  sua  fata  per  orbem  ».  Che  abbia,  dunque,  com- 
posto tre  opere,  oltre  all' Eulistea,  la  prima  e  la  seconda  sul  sacro  romano  Impero  e 
sul  regno  di  Francia,  e  la  terza  su  le  gesta  d'uomini  di  fama  e  gloria  «  Pare  :  e  parve 
anche  ai  Bonaini  (op.  cit.,  pag.  XVI  nota;. 


Di    BONIFACIO    DA    VERONA   Al'TOUH    DKM/kIMSTEA  559 

Né  come  sierico  e  poeta  sollanlo  dovellero  slimarlo  i  Peru- 
gini, ma  pur  come  legista,  si  che  gli  avrebbero  affidalo  !' inse- 
gnamento del  diritto  civile  nello  stesso  anno  in  cui  scrisse  la  cro- 
naca (1).  Nel  'Ui  era  tuttavia  a  Perugia  e  die'  consiglio  nelle 
trattative  di  pace  fra  le  discordi  parti  politiche  di  Città  di  ('astello. 

[Arch.  Coiu.  di  Perug-ia,  Ann.  Deceinv.  1284-95,  Ibi.  19(5].  [1293] 
die  martis  ultima  Junii.  Congreg-ato  Consilio  speciali  et  generali  populi 
civitatis  PeiusiJ  in  sala  doinoniiii  domini  Von(;oIi  more  solito.  In  (pio 
Consilio  domiuus  Celle  capitaueus  dicti  populi  de  assensu  et  voluntate 
d.  Consulmn  arcimu  proposuit  et  consilium  postulavit.  ...  Item  cum  ma- 
gister  Bouifacium  de  Verona  magister  in  Estroloia  et  in  versificando 
veuit  ad  civitatem  Perusij  et  velit  solempne  opus  tacere  et  librum  auti- 
quitatum  et  negotiorum  Comuuis  Perusij  et  autiquitates  reducere  ad 
memoriam  prò  honore  Comunis  Perusij,  Si  placet  Consilio  qiiod  dum  sta- 
bit  in  ci  vi  tate  Perusij  ad  compilaudum  et  conficieudum  dictuin  opus, 
qnod  debeat  habere  expensas  a  Comuni  et  quod  profecto  dicto  opere 
provideatur  sibi  quod  videbitur  Consulibus  prò  tempore  existentibus  et 
consilium  populi  eousulatur.  (Nei  marg-ini  sono  due  note.  Una  è  del  se- 
colo XV,  e  dice  :  «  Opus  quod  conscriptum  Bonifatius  composuit  est  in 
Armario  cancellerie  Comuni  Perusij  albo  et  dicitur  Eulìssca:  signatum 
30  et  coopertum  est  corio  pavonatio  ».  L'altra  è  del  secolo  XVI  e  dice: 
«  X.*  quod  pulclirum  notabile  esset  hoc  refici  opus  »). 

[Ivi,  voi.  cit.,  fol.  197].  [Arloctucius  OddouisJ  consuluit  et  dixit  quod 
magister  Bouifacius  fabricaverit  opus  autiqiiitatum  Comunis  Perusij  de- 
beat habere  expensas  a  Comuni  prò  se  et  filio  et  consules  arcium  te- 
ueautur  et  debeant  de  moneta  Comunis  fieri  facere  expensas  predictas 
et  perfecto  opere  provideatur  sibi  de  salario  suo  quod  recipere  debeat 
prò  remuneratione  sui  laboris  ut  Consilio  populi  videbitur. 

[Ivi,  fol.  cit.].  [In  reformatione  consilii...  stanciatum  et  retbrmatum 
fuit]  quod  de  moneta  Comunis  Perusij  fiant  expense  magistro  Bonifacio 
et  filio  donec  stabit  et  faciet  librum  de  antiquitatibus  Comunis  Perusij 
et  consules  arcium  predictas  fieri  faciant  expensas  ut  eis  videbitur  con- 
venire et  perfecto  opere  predicto  provideatur  dicto  Mag'istro  Bonifacio 
prò  remuneratione  sui  laboris  sicut  videriut  convenire. 

[Ivi,  voi.  cit.,  fol.  207].  Die  lune  XVI  mensis  novembris  [1293].  Cum 


(1)  Cosi  afferma  il  Bini,  Mem.  Ust.  della  perugina  Univ.  degusticeli;  Perugia,  1816, 
parte  I,  pag.  21. 


560  G.    MAZZATINTÌ 

magister  Bonifacìus  de  Verona  in  cstroloia  poeta  construxit  et  eddiderit 
queindain  libruni  suo  docmate  de  memoiiis  autiquitatum  Perusiuoruiu 
seciiudum  quod  die  ultima  Juuii  proximi  lapsi  ordiuatum  fuit  in  cousilio 
populi.  Et  quod  sibi  prò  mercede  de  lavore  debetur  provideri  ad  votum 
consilii  populi.  Quod  salarimi!  placet  eis  sibi  ordinari  prò  mercede  labo- 
ris  dicti  operis  ei  solutorum  de  avere  Comuuis  Perusij  cum  sit  dig-nus 
mercenarius  premium  suscipere  prò  labore  consulere  debeatis. 

[Ivi,  fol.  cit.  Si  delibera  nello  stesso  consiglio]  quod  per  dominos 
Guidonem  de  Corg-nia  et  Tribaldum  iuris  professores  ordinetur  et  con- 
cedatur  salarium  magistro  Bonifacio  prò  remuneratione  laboris  operis 
nuncupati.  Et  valeant  et  rata  sint  que  per  eos  fient  et  ordinabunt  et 
fiant  polizia  de  avere  Comunis.  Item  fuerunt  cousilium  et  consiliarii  in 
piena  concordia  facto  partito  de  sedendo  ad  levandum  per  domiuum  ca- 
pitaneum  et  stanciaveruut  et  reformarunt  quod  auctoritate  et  decreto 
prefati  consilii  et  consiliariorura  Cum  comune  Perusii  non  desinat  me- 
morare beneficiorum  collatorum  nec  deficiat  suis  amicis  et  servitoribus 
prò  obsequiis  beneficia  retribuere  iuxta  posse  Et  sit  digaus  premium  re- 
cipere  mercenarius  prò  mercede  Per  dominos  Guidonem  de  Corguia  et 
Tribaldum  iuris  professores  viros  prudentes  Magistro  Bonifacio  poete  in 
dictamine  qui  eddidit  et  ordinavit  et  fecit  unum  librum  suo  dictamine 
ut  ordinatum  fuit  per  consiliiun  populi  perusini  per  eundem  debere  fieri 
dictum  opus  de  gestis  memoriarum  et  antiquitatibus  perusiuorum  prò 
mercede  et  labore  quem  passus  est  prò  ordinatione  libri  et  operis  ante- 
dicti  ordinetur  et  concedatur  salarium  quod  percipere  et  habere  debeat 
a  Comuni  Perusij  et  de  avere  Comunis  quod  eis  videatur  Et  salarium 
quod  per  eosdem  sibi  ordinabitur  et  coucedetur  poliqiam  fieri  faciat  do- 
minus  capitaueus  et  pagamentum  de  avere  Comunis  Et  eflficaciam  ha- 
beant  et  sint  rata  et  firma  que  per  eosdem  circa  premissa  extiterint  or- 
dinata statuto  aliquo  non  obstante. 

[Ivi,  voi.  cit.,  fol.  209;  anno  e  giorno  cit.].  Prudentes  viri  domini 
Guido  de  Corgnia  e  Tribaldus  iuris  professores  ob  baliam  eis  concessam 
et  attributam  supra  concessione  et  ordinatione  facienda  ad  votum  eorum 
de  salario  magistri  Bonifacii  prò  opere  libri  sui  dictaminis  facti  de  gestis 
Comunis  Perusij  eorum  Consilio  et  cum  Consilio  et  deliberatione  infra- 
scriptorum  iuris  sapientum  videlicet  dominorum 

Guidonis  Ugonis  Michael  Angeli 

Raynaldi  domini  Tancredi      Bonaparte  Gualfredotti 
Bonaventure  Elimosine  Vgucjionis  Bonaventure 

et  Gue(;'ii  domini  Andree  deliberarunt  et  ipsi  sapieutes  iuris  cum  eisdem 
quod  magister  Bonifacius  prò  opere  quod  fecit  suo  dictamine  de  gestis 
Comunis  Perusij  habeat  et  habere  debeat  de  avere  Comunis  Perusij  et  a 


LA   LEZENDA    DE    Vìi\    KAIN'KKU    FAXANO  5(51 

Coniuui  Perusiuo  .XXV.  Ilor.  iiuri  de  t|un)us  sil)i  tlomimis  capitaneus  apo- 
li(,-.iaiu  tieri  faciat  et  solutiouein  inas.sario  dv.  avere  Coiiiunis.  Et  <|UO(l 
ipse  mayister  Bonilacius  teneatur  et  (lel)eat  ii)suiii  opu.s  prosaico  distin- 
guere et  ordinare  et  componere  Et  prò  diete  opere  prosayce  faeiendo  et 
ordinando  per  eurn  cuni  lactuni  erit  habere  debeat  de  avere  Comuuis 
Periisij  .XXV.  fior,  auri  qui  sibi  exsolvantur  de  avere  Coniunis  prò 
mercede  laboris  et  opere  supradicto  si  per  euni  fiet  et  ordì nabi tur  ut 
dictum  est  et  dare  debeat  Coniuui  dictos  libros. 


11. 

LA  LEZENDA  DE  FRA  RAINERO  FAXANO. 


Il  codice  donde  ho  traila  questa  leggenda  e  che  esiste  nel- 
l'Archivio della  fraternità  di  S.  Maria  della  Vita  in  Bologna,  fu 
nolo  a  G.  B.  Vermiglioli,  il  quale,  anzi,  ne  fece  eseguire  per 
conio  proprio  una  copia  (cfr.  Nuova  riforma  delle  costituzioni 
della  cen.  compagnia  dei  ss.  Andrea  e  Bernardino  detta  della 
Gius(i::ia  di  Perugia;  Perugia,  Baduel,  1804,  pag.  5  :  e  Biblio- 
grafia stor.  perug.,  I,  119).  E  coiilenula  ne'  primi  due  fogli  del 
ms.,  che  è  membranaceo,  in  fol.,  del  sec.  XIV.  Negli  altri  fogli 
leggonsi  gli  evangeli  con  minialure,  sequenze,  preci,  ecc.  Veg- 
gansi  in  proposito  E.  Monaci,  Uffizi  drammatici,  ecc.  in  Rie.  di 
fil.  romanza,  1,  250;  D'Ancona,  Origini  del  teatro  ^,  I,  111  e  sg.  ; 
Bonazzi,  Storia  di  Perugia,  I,  305  e  sg. 

LEZENDA  DE  FRA  RAINERO  FAXANO. 

Questa  è  la  vita  de  fra  Rainero  Faxauo  de  Pcroxa  comenzatoro  de 
la  regola  di  Batudl  in  Bologna. 

Anno  Domini  Millesimo  ducentesimo  quinquagesimo  octavo,  tempore 
domini  Rolaudini  de  Mariscotis  potestatis  Peruxij.  Cum  hoc  sit  quod  ad 
honorem  omnipotentis  Dei  patris  et  filij  spiritus  sancti  et  ob  honorem 
et  reverenciam  Virginis  gloriose  et  passionis  et  aspersionis  sanguinis 
filij  Dei,  frater  Rainerius  Faxanus  de  Peruxio  fecerit  disciplinam  occulte 
decem  et  octo  annis  et  plus  ;  accidit  quadam  uocte  quod  dictus  frater 
faceret  disciplinam,  aspiciendo  ymagiuem  Virginis  gloriose  vidit  de  oc- 
culis  beate   Marie  virginis   lacrimas   exire  ;  et  videus  hoc  fortiter  cepit 


5G2  G.    MAZZATINTl 

se  percutere.  Et  sic  stando,  venit  quidam  ad  hostiiim  celle  dicti  fratris, 
iiiveniens  dictum  fratrein  paratuiii  ire  per  terrain.  Et  dixit  ei  :  —  Eg-o 
volo  venire  tecum  ad  discipliuani.  —  Et  frater  Rainerius  respoudit  :  — 
Quis  es  tu?  —  Et  respoudit  ille:  —  Ego  sum  frater  Beuvig-nay.  Non 
me  coguoscis?  Steti  enim  tecum  decem  annis  — .  Et  aspiciendo  vidit 
plures  alios  cuui  eo.  Et  dixit  ei  :  —  Qui  sunt  hii  qui  sunt  tecum  V  Et 
tunc  respoudit  sanctus  Benvig-nay  :  —  Isti  sunt  sanctus  Gerolimus,  san- 
ctus Floreucius,  sanctus  Cesarius  et  sanctus  Ciriacus  — .  Et  sic  sociatus 
ivit  cum  eis  usque  dum  pervenirent  ad  ecclesiain  sancti  Florencij.  Et 
clausis  ianuis  intraverunt  ecclesiam  predictam  et  ante  altare  sancti  Flo- 
rencij ceperunt  facere  disciplinam.  Et  faciendo,  sic  venit  ad  eos  sacrista 
illius  domus;  et  non  videns  nisi  fratrem  Raiuerium  miratus  est  valde. 
Et  dixit  dicto  fratri  :  —  Es  tu  solus?  Et  frater  respoudit:  —  Non;  immo 
est  hic  mecum  sanctus  Benvig-nay,  sanctus  Florencius,  sanctus  Cesarius 
et  sanctus  Ciriacus  — .  Et  dixit  sacrista:  —  Unde  intrastis  ecclesiam? 
—  Qui  dixit:  —  Uude  Domino  placuit  — .  Et  parum  stando,  exivit  di- 
ctus  frater  ecclesiam,  hostiis  ecclesie  fìrmiter  clausis.  Et  de  hoc  dompnus 
Manza  sacrista  expavescens,  die  sequenti  ivit  ad  confìtendum  peccata 
sua.  Et  confessus  cepit  uudus  ire  per  terram  disciplinam  faciendo.  Et 
sic  faciens,  in  capite  octo  dierum  defunctus  est.  Sequenti  vero  nocte, 
dum  dictus  frater  Rainerius  in  media  nocte  faceret  disciplinam,  occulis 
levatis  versus  Crucifixum  et  ymagiuein  gloriose  Virgiuis,  vidit  ab  utra- 
que  parte  unum  puerum.  Et  parum  stando,  venit  in  medio  illorum  que- 
dam  puella  defereus  litteram  in  manu  sua.  Et  posita  littera  super  tabu- 
lam,  disparuit  cum  pueris.  Et  statini  dictus  frater  ex  admiratione  cepit 
fiere  et  valde  turbari.  Dicebat  frater  semper  infra  se  ipsum  :  —  Bene- 
dictus  Deus  in  donis  suis  et  sanctus  in  omnibus  operibus  suis  — .  Et  sic 
stando,  apparuit  sanctus  Benvig-nay  diceus  dicto  fratri:  —  Quare  ploras 
et  quare  turbaris?  —  Et  frater  Rainerius  respoudit:  —  Propter  ea  que 
vidi  indignus  — .  Cui  sanctus  Benvignay  ait:  —  Non  turberis,  quia 
que  vidisti  a  Deo  sunt.  Pueri  quos  vidisti  uuus  est  sanctus  Michael, 
alter  est  sanctus  Gabriel.  Puella  quam  vidisti  est  mater  Domini  nostri 
Jhesu  Christi,  Et  dico  tibi  quia  propter  peccata  innumerabilia  et  tur- 
pia,  scilicet  sodomitarum  feneratorum  et  propter  corruptionem  fidei 
Christiane,  scilicet  propter  incredulitatem  patarenorum  gazanorum  pau- 
perum  lenonis  (?)  et  aliorum  multormu,  volebat  Dominus  mundum 
istum  subvertere  :  precibus  tamen  pie  Virginis  inclinatus  Dominus 
Jhesus  Christus,  largitur  spacium  christianis  penitenciam  faciendi,  et 
vult  quod  disciplina,  quam  occulte  diu  fecisti,  publice  fìat  a  populis. 
Unde  ibis  cras  ad  episcopum  perusinum  et  ei  litteram  preseutabis  ut 
quod  continetur  iu  littera  publice  denunciet  populo.  Adveniente  die  ivit 


LA   LEZENDA    DE    FRA    UAlNEUO    t'AXANO  5G3 

dictus  frnter  Raiiierius  ad  episcopuin  et  sibi  litteraiii  preseutavit.  Krat 
enim  sic  disposita  litteia  quod  uou  poterai  aperiri.  Et  si^iuificans  epi- 
scopo qualiter  sibi  liierat  litteia  presentata,  tunc  respoudit  episcopus 
dicto  fratri:  —  Tu  e-ì  bonus,  set  vis  nielior  rcputari  — .  Et  accepta  lit- 
tera,  frater  Kaiuerius  reversus  est  ad  cellani  suam  et  verecuiidia  captus 
cepit  fiere  et  rogabat  Deuui  patrein  et  beatani  Vir-^ineni  ut,  si  velie 
suum  esset,  predicta  deberent  mandari  ad  effectuni.  Et  tuuc  facta  oratione, 
venit  ad  eum  sanctus  Beuvignay  et  dixit:  —  Noli  timere,  frater,  et  noli 
turbari  ;  set  revertaris  ad  episcopum,  et  ipse  faciet  velie  tuuin  — .  Ad- 
venieute  die  reversus  ad  episcopum,  dedit  sibi  litteram  dicens  quod  super 
eam  celebraret  divina.  Et  accepta  littera  cecinit  inissam  episcopus  super 
eani.  Et  statini  aperta  est  littera  ;  et  episcopus  confestim  cuni  littera  in 
nianu  ivit  ad  scalam  palacij  Comunis  Peruxij  et  congregato  populo  dixit 
coudictionera  littera  et  qualiter  portata  fuit  et  id  quod  contiuebatur  in 
ea.  Et  Inter  cetera  leglt  ibi  hunc  versiculum  protete:  x\pprehendite  di- 
sciplinain,  ne  quando  irascatur  Dominus  et  pereatis  de  via  insta.  Lecta 
autem  littera,  multi  cum  domino  fratre  Raineiro  nudi  ceperunt  facere 
disciplinam  ;  et  sic,  cohoperante  divina  gracia,  secunda  die  nuUus  re- 
mansit  in  iirbe  qui  non  iret  nudus  faciens  disciplinam.  Et  oraues  qui 
habebant  odia  ad  pacem  et  concordiam  pervenerunt.  Et  sic,  ut  est  omni- 
bus manifestum,  dieta  penitencia  discipline  per  universum  orbem  chri- 
stianorum  excrevit,  cohoperante  Dco  patrc  eiusque  vinigenito  filio  Jhesu 
Christo  ac  amborum  spiriti!  sancto  paraclito,  cui  sit  honor  laus  perennis 
et  gloria  per  omnia  secula  seculorum.  Amen. 

G.  Mazzatinti. 


56;') 


ANALECTA  UMBRA 


Sul  poeta  perugino  Francesco  Pontano  dà  alciiiie  notizie  il  i)rof.  Re- 
mig-io  Sabbadini  nelle  Briciole  umanistiche  stampate  nel  Giornale  storico 
della  letteratura  italiana  (voi.  XXVII,  fase.  80-81). 

In  detto  Giornale,  negli  stessi  fascicoli,  a  proposito  delle  pubblica- 
zioni, alle  qnali  ha  dato  luog-o  il  terzo  centenario  di  Torquato  Tasso,  An- 
gelo Solerti  discorre  della  conferenza  che  il  nostro  socio  conte  Paolo  di  Cam- 
pello  della  Spina  lesse  al  Circolo  Romano  di  Studi,  e  cosi  scrive:  «  Il  conte 
di  Campello  fu  assai  misurato,  mostrò  di  aver  presa  conoscenza  dei  più 
recenti  documenti,  e  non  si  peritò  di  affermare  che  molte  leggende  sono 
ormai  sfatate  e  la  figura  del  Tasso  ci  si  presenta  sotto  un  aspetto  molto 
diverso  che  per  lo  passato  » . 

Nei  medesimi  fascicoli  del  Giornale  storico  della  letteratura  italiana, 
è  una  recensione  del  volume  di  A.  Wesselofsky,  «  Boccaccio,  la  sua 
società  e  i  suoi  conteìnporanei  »  (Pietroburgo,  tip.  dell'  imper.  Accademia 
delle  scienze  1893  94),  nel  qual  volume  è  un  «  non  fuggevole  cenno  » 
dei  maestri  del  Boccaccio,  fra  cui  Paolo  da  Perugia. 

Neil'  Archivio  storico  italiano  (serie  V,  tomo  XVII,  fase.  I),  il  pro- 
fessore Lodovico  Zdekauer  si  occupa  delV  Inventario  dei  beni  di  Giovanin 
di  Magnavia  vescovo  di  Orvieto  e  vicario  di  Roma,  pubblicato  dal  nostro 
Presidente  Luigi  Fumi,  affermando  che  siffatte  pubblicazioni  non  hanno 
un  valore  «  puramente  auedottico  e  di  sola  curiosità,  ma  servono  invece 
come  fonte  principale  per  le  nostre  cognizioni  intorno  alla  vita  privata, 
la  vita  vera,  e  che  forse  in  molti  casi  importa  più  della  politica,  della 
quale  talvolta  aiuta  a  spiegare  l'andamento  ». 

Sono  uscite  le  prime  dispense  dell'opera  del  prof.  Getulio  Ceci, 
Todi  nel  Medio  Evo.  Del  volume  che  tratterà  della  Storia  medievale  di 


566 


ANALECTA   UMBRA 


Todi  fino  al  papato  di  Bonifacio  YIII  inclusivamente  e  che  sarà  diviso 
in  due  parti,  la  seconda  delle  quali  contenente  gli  Statuti  tudertini  del 
1275,  discorreremo  quando  ne  sarà  completa  la  pubblicazione. 

Della  signoria  su  Todi  di  Malatesta  di  Pandolfo  Malatesta,  la  quale, 
secondo  il  Montemarte  {Cronaca  d'Orvieto)^  durò  fino  ai  primi  del  1395 
e  fu  susseguita  da  quella  di  Biordo  Michelotti,  ha  discorso  lo  stesso  pro- 
fessore Ceci  in  uno  opuscolo  intitolato,  Malatesta  di  Pandolfo  Malatesta 
e  il  Comune  di  Todi.  Vi  è  riprodotto  l'atto  del  17  agosto  1392,  col  quale 
questo  signorotto  nominò  i  suoi  procuratori  per  deveuire  col  pontefice 
Bonifacio  IX  ad  un  accordo,  di  cui  sono  espresse  nel  documento  le  con- 
dizioni assai  dure  pel  Malatesta. 

Per  le  nozze  Tenueroui-De  Lorenzi  il  prof.  Getitlio  Ceci  ha  dato 
alle  stampe  quattro  lettere  di  *S'.  Carlo  Borromeo,  tre  delle  quali  dirette 
al  luogotenente  di  Todi  Ercole  Rossi  da  Montefortino  e  la  quarta  indi- 
rizzata al  Vicelegato  di  Perugia,  Mons.  Grassi.  Gli  originali  delle  quattro 
lettere  si  conservano  nell'archivio  di  S.  Fortiinato. 


Nel  fase.  VI  (serie  seconda,  anno  I)  àelV Archivio  storico  dell'arte 
si  legge  un  interessante  articolo  del  nostro  socio  corrispondente  prof.  An- 
selmo Anselmi  intitolato  :  Le  maioliche  dei  Della  Bohhia  nella  provincia 
di  Pesaro-Urbino.  Ne  diamo  qui  notizia,  imperocché,  come  dice  il  chiaro 
autore,  «  questa  bellissima  e  gentile  arte  delle  terre  cotte  invetriate  che 
prese  il  nome  da  Luca  della  Robbia per  quasi  un  secolo  fiorì  espan- 
dendosi maggiormente,  dopo  la  Toscana,  nelle  Marche  e  uell'  Umbria, 
regioni  finitime  » . 

Il  prof.  Francesco  Ravagli  nella  sua  Miscellanea  di  Erudizione  e 
Belle  Arti  (anno  II,  fase.  XII)  scrive  un  articolo  su  I  fratelli  Gucci  e 
l'origine  dell'arte  della  stampa  in  Cortona,  ove  con  largo  corredo  di 
dottrina  dimostra  che  fin  dal  1541  Cortona  ebbe  una  tipografia  per  opera 
di  Niccolò  Gucci  e  Antonio  Mazzocchi.  Niccolò  e  Antonio  insieme  a  un 
altro  Gucci,  Bartolomeo,  stamparono  nel  1538  gli  Statuti  di  Città  di  Ca- 
stello, il  primo  libro  che  abbia  veduto  la  luce  nella  medesima  città.  Da 
un  manoscritto  della  Biblioteca  etrusca  di  Cortona,  Le  notti  Coritane, 
risulterebbe  che  il  Gucci  o  il  Mazzocchi  avessero  esercitato  V  arte  loro 
anche  in  Perugia,  ma  nulla  si  è  pocuto  trovare  di  stampato  da  detti  ti- 
pografi in  questa  città. 

Il  nostro  socio  Canonico  prof.  Anastasio  Rotelli  ha  pubblicato  le 
Memorie  della  vita  e  del  culto  del  B.  Giacomo  da  Cerqueto  agostiniano. 


ANALECTA    ISmRA  f)»)? 

L'opuscolo  contiene  interessanti  notizie  stilla  storia  della  Chiesa  peru- 
g-ina  e  su  Cerfjueto,  uno  dei  più  notevoli  ed  antichi  castelli  dell' arci- 
diocesi  di  Perugia. 

A  cura  del  dott.  Cesare  AriosTiNi  hanno  veduto  la  luce  in  un  ele- 
g-ante  volumetto  (Perugia,  Unione  tipografica  cooperativa,  ISSKì)  VAuto- 
hiografia  e  f/li  scritti  minori  del  prof.  Luigi  Bonazzi.  Ognuno  leggerà 
con  vero  interesse  la  vita  che  di  sé  medesimo-  ha  scritto  in  (|uella  forma 
vivace  e  al  tempo  stesso  correttissima  che  g-li  era  propria  lo  storico 
della  città  nostra.  All'autobiog-rafia  fanno  seguito  bozzetti,  discorsi  poli- 
tici e  bellissimi  versi. 

Nel  n.  6,  anno  XV,  del  periodico  di  Ilienze  Arte  e  Storia,  il  profes- 
sor Giulio  Urbini,  sotto  il  titolo  di  Passef/fjiate  ai'tisfirhc,  continua  ad  il- 
lustrare con  molto  amore  e  con  pari  erudizione  i  non  pochi  monumenti 
d'arte  dei  quali  son  ricchi  Spello  e  i  suoi  dintorni. 

Nel  fase.  I  del  voi.  II  di  questo  Bollettino  (pag.  09)  fu  ricordata, 
tra  gli  articoli  di  storia  unibra  inseriti  nei  periodici,  una  breve  mono- 
grafia di  A.  Bartolini  su  Dante  a  Gubbio,  che  leggesi  nel  fase.  VI  del 
voi.  Ili  de  L'Arcadia.  L'a.  s'appoggia  al  Pelli,  all'Arrivabene,  al  Trova, 
al  Balbo,  alTHell  e  ad  altri,  i  quali  affermarono  che  Dante  fu  a  Gubbio, 
senza  notare  che  1'  asserzione  loro  deriva  da  un'  unica  fonte,  cioè  dal 
Trattato  della  famiglia,  della  ])erso7ìa,  degl'  impieghi  e  delle  opere  di 
Me^ser  Bosone  da  Gubbio  di  F.  M.  Raffaelli  :  ha  tale  provenienza  quanto 
il  Tiraboschi  e  il  Mazzuchelli  scrissero  di  lui.  Codesta  venuta  dell'Ali- 
glieri  a  Gubbio,  la  sua  visita  all'Avellana  e  le  sue  relazioni  politiche  e 
letterarie  con  messer  Bosone,  che  l'avrebbe  accolto  nel  castello  di  Col- 
mollaro,  son  fatti,  dice  il  B.,  che  «  trovano  difficoltà  per  alcuni  critici 
moderni  »;  e  se  la  prende  in  ispecial  modo  con  Adolfo  Bartoli,  che  ac- 
cettò le  conclusioni  di  un  altro  critico  di  cui  il  B.  non  fa  neppure  il 
nome.  Il  Eaflfaelli  designò  un  Bastiano  tra  i  discendenti  di  Basone?: 
ora,  Bastiano  nel  Teleutelogio  parla  di  Dante  come  di  suus  pn'aeceptor ; 
dunque  a  Bastiano,  figlio  di  Bosone,  Dante  fu  maestro.  Cosi  il  B.  ra- 
giona. Ma  noi  gli  domanderemo  se  ignora  che  del  Teleutelogio  fu  data 
fin  dal  1881  un'  ampia  notizia  da  G.  Mazzatiuti  nel  tomo  VII  delia  se- 
rie IV  AqW Archivio  storico  italiano;  che  un  Bastiano  non  fu  figlio  o  tra 
i  discendenti  di  Bosone;  che  un  Bastiano  non  fu  autore  di  quel  libro 
morale,  ma  sibbene  Ubaldo  di  Sebastiano  (Jllis  Ubaldum  me  mater  dul- 
ci.s  alebat,  dice  egli  stesso  nell'  ultimo  carme)  ;  e  che  di  lui  e  della  fa- 
miglia sua   nulla  per  ora  si  sa.  Il  Bartolini   ignora   tutto   questo,  e  pur 


568  ANALECTA  UMBRA 

d'im  figlio  di  Bosone  e  alunno  di  Dante  discorre  con  tanta  disinvoltura. 
Per  lui  ha  peculiare  importanza  il  fatto  che  nelV Avventuroso  Ciciliano 
«  si  scorge  alcuna  cosa  di  sicuro  che  arieggia  la  Divina  Commedia  ; 
e  questa  tinta  dantesca  del  racconto  di  Bosone  non  si  potrebbe  spiegare 
senz'  ammettere  un  lungo  avvicinamento  fra  il  poeta  nostro  e  il  guer- 
riero di  Gubbio  ».  Le  poche  frasi  del  libro  attribuito  a  Bosone  che  dal 
Nott  furono  avvicinate  ad  alcune  della  Commedia,  sembrano  «  favore- 
voli »  al  B.  per  concludere  collo  stesso  Nott  che  tali  «  rassomiglianze 
nascessero  non  da  una  parziale  cognizione  della  D.  C,  ma  dalla  reci- 
proca ed  intrinseca  comunione  dei  pensieri  e  degli  studi  di  ambedue 
questi  valenti  scrittori  » .  Pel  Nott,  giovi  ricordarlo,  è  certo  che  nel  1311 
la  Commedia  era  finita  e  Bosone  aveva  compiuto  il  romanzo  ;  dunque 
dev'  esser  chiara  la  ragione  onde  «  queste  rassomiglianze  si  trovano 
ixg'ualraente  ricavate  dal  Purgatorio  e  dal  Paradiso  ».  Il  Bàrtoli  giusta- 
mente dubitò  che  il  libro  di  Bosone  fosse  terminato  in  quell'anno,  anzi 
credette  che,  cosi  coni'  è,  Bosone  non  l'abbia  scritto  -,  ma,  dice  il  Barto- 
lini,  «  queste  cose  sono  (dal  Bartoli)  accennate  di  volo  e  messe  in  mo- 
stra piuttosto  come  difficoltà  negative  che  come  asserzioni  positive  contro 
la  nostra  tesi  ».  Le  aveva  forse  accennate  di  volo  il  Mazzatinti  nello 
studio  critico  su  Basane  da  Gubbio  e  Te  sue  opere  che  il  Bartolini  non 
ha  letto  nel  voi.  I  degli  Studi  di  filologia  romanza  diretti  dal  prof.  E. 
Monaci?:  al  Bartoli  bastò  di  semplicemente  accennarle.  Ma  è  proprio  vero 
che  del  1311  il  romanzo  era  compiuto?:  o  il  Bartolini  non  1'  ha  mai  letto, 
0  non  s'  è  accorto  che  e'  è  la  diceria  del  1316,  recitata  da  Dino  Com- 
pagni a  Giovanni  XXII,  la  lettera  del  re  Roberto  ai  fiorentini  del  2  di- 
cembre 1333,  e  vari  squarci  delle  versioni  del  Ceffi  del  1321.  Ed  è  pro- 
prio vero  che  il  libro  è  opera  di  Bosone?:  ma  legga  l'a.  ciò  che  il  Mazza- 
tinti  ne  scrisse  a  pag".  324  e  seg.  del  citato  volume  deg'li  Studi.  E  la- 
sciamo andare  anche  le  somiglianze  tra  questo  goffo  racconto  e  la  Com- 
media di  Dante,  delle  quali  il  Bartolini  ne  riporta  cinque  sole  :  si  tratta  di 
somiglianze  come  questa  :  «  quanta  viltade  si  raccoglie  ne'  vostri  animi  » , 
e  Dante  «  Perchè  tanta  viltà  nel  cuore  allette?  ».  —  Ma,  più  che  per 
altro,  per  la  «  tradizione  popolare  »  si  dee  tenere  per  fermo  che  Dante 
fu  a  Gubbio  :  «  l'epigrafe  ch'è  sulla  casa  dei  conti  JFalcucci  è  una  testimo- 
nianza d'un  popolo  intero,  è  la  sintesi  di  vecchie  tradizioni-,  quella  sem- 
plice epigrafe  ha  un'eloquenza  più  viva  d' un' orazione  dell'Arpinate  ». 
Chiacchiere  ;  tanto  più  che  la  casa  Falcucci  non  fu  quella  dei  Raffaelli  : 
Bosone  abitava  presso  al  Vescovato,  e  del  suo  palazzo  restano  ancora 
due  piccole  fenestre  bifore  e  lo  stemma  di  sua  famiglia.  Se  mai  Dante 
fu  a  Gubbio,  qui  avrebbe  dovuto  albergare.  0  1'  iscrizione,  allora,  della 
casa   Falcucci  Nie  mansit  Dantes,  etc.  ?  :  la  vanagloria  del  Falcucci,  è 


ANALECTA    UMIìUA  5G9 

chiaro,  g'iimso  fino  a  questo  punto  ;  fino  audio  a  qiii'llo  di  notare  tale 
inventata  circostanza  nel  ms.  14,  Pluteo  42,  della  bil)lioteca  Laurenziana. 
—  «  Fu  poi  veramente  l'Alighieri  maestro  dei  figli  di  Bosone?  »,  do- 
manda il  B.  :  forse  si,  risponde  ;  e  si  deduce  dal  sonetto  e  Tu  che  stanzi 

10  colle  ecc.  »  ch'eg-li  riproduce,  ma  più  mostro  di  quanto  sia  in  rfóiltj'i, 
(l'ultimo  verso,  per  esempio,  eg-li  lesse  e  stampò  cosi:  «  che  tra  dal  vc- 
drallo  esser  vedutto  »).  Ma  chi  non  sa  og-gù  che  quel  preteso  autog-rafo 
è  del  secolo  XVI?;  chi  non  v'  ha  scorto  in  margine  l'anno  150SV  E  non 
sia  quel  sonetto  opera  di  Dante,  g-encrosamente  concede  il  B.  ;  ma  con- 
clude :  «  senza  proferire  sicuro  giudizio  intorno  al  sonetto,  possiamo  as- 
serire che  la  convinzione  non  pure  del  Kaffaelli,  ina  di  molti  storici,  che 
esso  appartenesse  al  poeta,  è  una  conferma  della  tenace  tradizione  po- 
polare che  asserisce  la  dimora  di  Dante  a  Gubbio  » .  Quanto  disg-raziato 
sonetto  !  :  lo  rifece  a  modo  suo  un  eug'ubino  nel  secolo  XVII,  forse  col- 
r  intendimento,  rabberciatane  la  forma  e  rifatti  a  nuovo  alcuni  versi, 
di  gabellarlo  più  agevolmente  per  nna   felice   opera  del  grande   Poeta. 

11  Mazzatinti  ne  possiede  l'autografo  che  qui  si  riproduce: 

Sonetto  di  Dante  a  Busone  lìafaeUì. 

O  tu  cir  hahiti  il  colle  omlìi'oso  e  fresco 

Sopra  del  fiume  che  non  é  torrente  ; 

Quinci  Molle  lo  chiama  quella  gente 

Con  nome  italiano  e  non  tedescho  ; 
Ponti  sera  e  mattin  contento  al  descho 

Poiché  del  cor  flgliuol(o)  vedi  presente 

Il  frutto  che  sperasti  e  sì  repenta 

S'  avanza  nello  stil  greco  e  francesco. 
Gavazzi  pure  il  primo  Rafaello  : 

Poiché  cima  d'ingegno  non  istalla 

In  quest'  Italia  di  dolore  hostello  ; 
La  cui  fama  vedrai  al  cielo  alzarla 

Sopr'  ogni  ingegno  più  fiorito  e  bello 

Come  sovr"  acqua  si  sostien  la  galla. 

Un'  ultima  domanda  :  e  chi  ha  mai  detto  e  dimostrato  che  i  Gabrielli 
furono  consanguinei  dei  Raffaelli  e  che,  per  conseguenza,  Dante  fu  pa- 
rente con  Bosone?  Fantastica  asserzione,  dalla  quale  si  ricava  un  bel 
colpo  di  scena  :  «  da  una  parte  la  condanna  fiera,  dall'altra  l'accoglienza 
amorevole  :  la  vita  del  grande  poeta  mosse  sempre  fra  questi  due  punti 
polari,  l'amore  e  l'odio:  da  un  lato  gli  amici,  dall'altro  i  nemici  ».  Al- 
tro che  «  ipercritica  »  colle  sue  «  rigide  spire  »!  Al  Bartolini  «  spiace 
di  vedere  tolte  dalla  biografia  dantesca  quelle  pagine  che  ci  ricordano 
Campaldiuo,  frate  Ilario,  l'ospitalità  di  Bosone,  per  non  dire  dell'amba- 


570  ANALECTA   UMBRA 

sceria  a  Bonifacio  che  si  vorrebbe  ora  contendere  »  ;  ma  come  confor- 
tarlo ?  La  vita  e  l'opera  di  Dante  non  si  studiano  con  le  lagrimette  e  i 
sospiri  per  le  tradizioni  che  la  critica  seria  scuote  e  distrugge,  e  collo 
svenevole  desiderio  che  «  si  lasci  che  cantino  i  nostri  monti,  le  nostre 
valli,  i  nostri  antichi  monasteri,  i  nostri  antichi  castelli,  Gubbio  ed  Avel- 
lana —  Onorate  l'altissimo  poeta  »:  fatti  si  oppongono  all'ipercritica, 
non  congetture  senza  base,  anzi  a  base  di  fiorita  retorica.  Del  resto,  a 
quanto  scrisse  Armando  Perotti  nel  Pantagruel  (a.  II,  num.  12  ;  Trani, 
2  maggio  1888)  sullo  stesso  argomento,  rispose  il  prof.  Pasquale  Papa 
nel  num.  15  del  medesimo  periodico  (Trani,  22  maggio),  ampiamente 
esponendo  le  ragioni  che  qui  sono  state  ripetute  e  combattendo  quelle 
del  Perotti  che  sono  appunto  le  ragioni  del  Bartoliui.  Perchè,  dunque, 
tornare  adesso  su  quel  vecchio  tèma  che  non  può  e  non  deve  esser  so- 
stenuto e  difeso?:  perchè  il  Bartolini  forse  ignora,  come  si  è  detto,  la 
monografia  del  Mazzatinti  e  l'articolo  del  Papa. 

Nel  fase.  Ili,  a.  I,  di  questo  Bollettino  fu  data  notizia  d'una  lettera 
del  prof.  Lupattelli  sopra  la  tavola  di  Luca  Signorelli  in  Umbertide. 
Qui  giova  aggiungere  che  i  documenti  relativi  a  questa  bell'opera  d'arte 
furono  stampati  da  Michele  Gualandi  nelle  Memorie  originali  italiane 
risguardantl  le  belle  arti,  serie  VI,  1845  (Bologna,  Sassi,  pag.  36  e  seg.). 
Il  Signorelli  ebbe,  secondo  tali  documenti,  tre  fiorini  e  36  soldi  una 
volta,  un  fiorino  un'altra,  e  poi  il  29  luglio  1516  «  per  termine  dei  la- 
vori »  70  fiorini.  Cfr.  1'  appendice  del  Milanesi  alla  Vita  del  Signorelli 
di  G.  Vasari  (ediz.  Sansoni,  III,  703). 

In  appendice  all'opera  magistrale  De  claris  archigymnasii  hononien- 
sis  jyfofessoribus  a  saeculo  XI  usque  ad  saeculum  XIV  di  Mauro  Sarti 
e  Mauro  Fattorini,  splendidamente  ristampata  da  Cesare  Abicini  e  dal 
comm.  Carlo  Malagola  (Bologna,  Merlaui,  1888- 1896),  è  riprodotta  la  se- 
rie degli  Scholares  illustres  dello  Studio.  Tra  questi  appaiono  :  all'  a. 
1268,  Mag.  Ventura  de  Perusia  scriptor  ;  all' a.  1269,  D.  Munandus  fi- 
lius  domini  Rainaldi  Napulionis  de  Fulginio  prior  sancte  Marie  Foris- 
porte;  all'a.  1270,  D.  Petrus  de  Urbeveteri  decretorum  doctor  ;  all'a.  1276, 
D.  Johannes  de  Perusia  ;  all'  a.  1284,  D.  Hugolinus  archipresbiter  de 
Urbeveteri  ;  all'  a.  1285,  D.  Gerardus  Hugolini  de  Spoleto  ;  all'  a.  1286, 
D.  Jacobi  de  Spoleto,  Mag-.  Butus  Tasoni  de  Urbeveteri,  D.  Johannes 
Arnaldi  de  Assisio,  D.  Paulus  domini  Philippi  de  Spoleto,  D.  Runipi 
domini  Francisci  de  Spoleto;  all'a.  1287,  D.  Raynalduccius  domine  Egi- 
dio de  Spoleto  ;  all'a.  1289,  D.  Silvester  Blaxius  Maphei  de  Perusio  e  D. 
Vanne  sive  Vignolius  domini  Silvestri  de  Spello  ;  all'  a.  1291    Mag.  An- 


ANALECTA    IMTÌRA  571 

gelus  filius  Oddoni.s  de  civitate  Perusii,  D.  Franciscus  doiiiiiii  Pctri  de 
Gubio  ;  all'a.  1292,  D.  Lambertus  domini  Zanis  de  Peruxio  ;  all'a.  1293, 
D.  Bernardus  de  Turi  de  Spoleto  e  I).  Stephanus  domini  Petri  licniti  de 
Urbevcteri.  Vn  Mayister  .Joiianues  de  Assisio  è  testimone  ad  un  atto 
del  1295  (II,  232).  Un  Ottaviano  rettore  dell'ospedale  di  S.  Maria  d' f)r- 
vieto  è  ricordato  nel  12(59  (in  Vita  di  Arimoudo  da  S.  Pietro,  I,  183), 
Di  uu  professore  d'Orvieto,  Jacobus  Orbevetanus  pliysicus,  sono  dati 
brevi  cenni  biog'rafici  (I,  54(jj.  Più  ampia,  se  bene  concisa  anche  questa, 
è  la  biografia  di  Raniero  da  Penig-ia  (I,  506),  professore  di  notarla:  in 
uu  atto  del  1228  è  notato  il  nome  della  sua  moglie,  Anastasia.  Nella 
matricola  dei  Notai  il  suo  nome  è  desig'uato  cosi  :  «  Magister  Raynerius 
Peruxinus  »•,  ma  «  non  solum  notariae,  sed  etiam  iuris  civilis  peritus 
erat  ». 

De  La  famujlia  di  Pondolfo  Collenuccio  il  dott.  Medardo  Morici  ha 
pubblicato  memorie  (Pistoia,  1896)  di  sulle  Cronache  di  Gualdo  di  Du- 
rante Dorio,  l'autore  della  Historia  della  famig-lia  Trinci.  Il  codice  con- 
servasi nella  Jacobilliana  del  Seminario  di  Foligno,  e  offrì  materiale  uti- 
lissimo al  prof.  M.  Faloci  Pulig-nani  pel  suo  studio  su  «  Le  arti  e  le 
lettere  alla  corte  dei  Trinci  » .  Codeste  cronache  sono  (e  cosi  furono  ret- 
tamente giudicate  nelle  Dissertazioni  Vossiane  da  Apostolo  Zeno)  uno 
zibaldone  di  accatastate  e  farraginose  notizie  di  storia  umbra  e  marchi- 
giana. Fatti  nuovi  sul  Collenuccio  deduce  da  tali  memorie  del  Dorio  il 
dott.  Morici,  ed  altri  già  storicamente  accertati  :  prova  evidente  della 
veridicità  dello  storico  ed  erudito  nostro. 

Nella  libreria  di  Ulisse  Franchi  di  Firenze,  tra  i  libri  e  i  manoscritti 
de'  quali  si  fece  la  vendita  il  27  aprile  scorso,  è  da  segnalarsi  un  co- 
dice di  Statati  perugini  (num.  707  del  Catalogo  ;  a.  XIX,  num.  128),  di 
cui  è  così  dato  il  titolo:  «  Quiste  sonno  li  stattute  dei  Cape  |  tanie  del 
contado  de  Perugia  facte  per  1  li  magnifici  signiore  de  Perusia  e  per  |  li 
nobilie...  del  m  |  agnicho  (?)  e  presente  facto  e  confer  |  mato  per  mss. 
pietro  donato  vesscovo  |  pacduano  governatore  per  sancta  |  romana  cclesa 
per  Io  presente  stato  ».  L'anno  1465  leggesi  nel  tergo  del  fol.  23,  col.  2, 
in  fine.  Il  ms.  è  dichiarato  «  pregevole,  su  pergamena  ».  —  Alla  stessa 
asta  erano  in  vendita  sette  lettere  autografe,  formanti  uu  «  carteggio 
importante  »  dal  1806  al  1827  di  G.  B.  Vermiglioli.  —  Altri  manoscritti 
di  storia  umbra  sono  da  segnalarsi  in  un  Catalogo  di  libri  antichi  e  mo- 
derni dei  fratelli  Bocca  (Roma,  Catal.  num.  XIII).  Un  volume  autografo 
di  «  Lectiones  XI  in  laudem  Perusiae  et  Perusinorum  »  dell'Alessì  ;  un 
volume  contenente  un   «  Discorso  sopra  la  famiglia  Corgna  di  Perugia  » , 


572  ANALECTA   UMBRA 

la  g-enealogia  dei  Baglioai,  e  due  discorsi  sopra  i  Oraziani  e  i  Crispolti 
(sec.  XVIII)-,  frammenti  di  cronache  di  Nocera  e  Gualdo  Tadino  (se- 
colo XVI")  ;  un  indice  delle  bolle  e  dei  brev^i  pontifici  che  sono  trascritti 
in  fine  dello  Statuto  di  Foligno  (sec.  XVIII)  ;  la  «  Series  Legatorum  ac 
Praesidum  Aug\  Perusiae  a  Braccio  »  fino  al  1754  (con  molti  stemmi); 
un  volume  di  «  Memorie  de'  fatti  occorsi  in  Perugia  a'  suoi  tempi  > 
del  Maciuara  (sec,  XVII  ineunte:  è  citato  dal  Vermiglioli,  Bibliografìa, 
pag.  92);  una  raccolta  di  «  Notizie  antiche  di  famig-lie  perugine  »  (se- 
colo XVII)  ;  e  un'  altra  di  notizie  storiche  della  Bastia  (sec.  XVI  e  seg'.  ; 
g'ià  dell'Archivio  Frondini), 

Il  signor  Angelo  Lupattelli,  r.  Ispettore  per  gli  scavi  e  monumenti, 
ci  comunica  la  scoperta  di  una  tavola  di  Ottaviano  di  Martino  di  Nello. 
«  In  Pietralunga  (Mandamento  di  Umbertide)  mi  fu  dato  scoprire  nel- 
l'ex-chiésa  di  S.  Agostino  una  tavola  a  tempera,  ben  conservata  nelle 
parti  principali,  a  cinque  scomparti  rettangolari,  terminati  a  triangolo, 
con  pilastrini  alle  estremità  laterali  e  con  la  leggenda  seguente,  in  caratteri 
del  quattrocento,  che  corre  in  tutta  la  lunghezza  della  base:  Hoc  opus 
feceriint  fieri  heredes  Pelvi  Corsutii  prò  anima  dui  A.  D.  MCCCCIII 
die  V  mensis  Madii  p.  maniis  Otaviani  de  Euguhio  Deo  gratias  am. 

Nello  scomparto  centrale  è  la  Vergine  in  trono  seduta  con  il  bam- 
bino in  braccio;  a  destra,  in  piedi,  S.  Paolo  ed  una  santa  martire;  a 
sinistra  un  santo  vescovo  in  sembianze  giovanili  (forse  S.  Ubaldo)  e 
S.  Antonio.  Nei  pilastri  sono  sei  figure  di  santi,  pure  in  piedi,  in  piccole 
dimensioni.  Nel  triangolo  sovrastante  alla  Vergine,  il  Padre  Eterno  a  tre 
faccie,  circoscritto  da  eleganti  decorazioni  in  pastiglia  dorata  :  negli 
altri  triang'oli,  quattro  piccoli  angeli,  pure  circoscritti  da  decorazioni  in 
pastiglia,  le  quali  corrono  anche  nelle  altre  parti  del  dipinto.  Il  non 
conoscersi  fino  ad  ora  di  Ottaviano  da  Gubbio  che  due  sole  opere  di 
cavalletto,  e  queste  nemmeno  sicure,  l'una  in  S.  Agostino  di  Gubbio  e 
l'altra  in  Montefalco  —  secondo  L.  Bonfatti  — ,  reude  preziosissima 
questa  tavola^  conservata  nella  sua  integrità,  ed  ora  assicurata  e  garan- 
tita dai  danni  dell'umidità  nella  sala  del  Consiglio  del  Comune  di  Pie- 
tralunga  ». 

Tra  /  manoscritti  della  R.  Biblioteca  Biccardiana  (fase.  V,  Roma, 
1895)  descritti  dal  dott.  Salomone  Morpurgo  riguardano  la  letteratura 
della  nostra  regione  i  segg.  ms.  1258  (Profezia  di  Tommasuccio  da  Fo- 
ligno), 1278  (Fioretti  di  S.  Francesco:  una  laude  di  Jacopone),  1287 
(un  volgarizzamento  del  sec.  XIV  della  vita  maior  di  S.  Francesco,  di 
cui  si  servì  il  Mauui  per  l'edizione  fiorentina  del  1735),  12!»0,  1295,  1312 


ANALECTA    UMBRA  573 

(Fioretti  di  S.  Francesco),  1-294  (Laude  di  Jacopoue),  1304  (Proverbi  di 
Jacopone).  Il  ms.  1295  contiene  un'altra  copia  del  citato  volgarizza- 
mento. 

SuH'arg-onieuto  della  battaglia  di  Tag-iua  è  apparsa  una  pregevole  noti- 
zia del  dott.  B.  Feliciaugeli  ueUa  Nuova  Rivinta  Miaeiia  (a.  Vili,  fase.  1-2: 
Estr.  in  (S"  di  pagg".  10),  col  titolo  un' opinione  poco  nota  inforno  al  luoi/o 
della  così  detta  battaglia  dì  Tagina.  Codesto  luogo  fu  indicato  vaga- 
mente da  Procopio,  tantoché  Flavio  Biondo  lo  pose  tra  Cagli  ed  Acqua- 
lag-na,  e  il  Baldi  lo  seg-ui  in  tale  opinione  :  il  Claverio  credette  avvenuta 
presso  Gualdo  Tadino,  altri  la  suppo.se  nel  Casentino;  l'IIodgkin  presso 
la  Scheggia,  il  Mazzatinti  —  fondandosi  sulla  tradizione  locale  —  nel 
piano  che  si  distende  dinnanzi  a  Gualdo,  il  Valsecchi  tra  Città  di  Ca- 
stello e  Boi'go  S.  Sepolcro.  Invece  l'Acquacotta  nelle  Monorie  storiche 
di  Matetica  opinò  che  Totila  e  Narsete  combattessero  «  nelle  vicinanze 
di  Casteiraimondo  »  e  che  Totila  ferito  morisse  «  in  una  villetta  piccola 
e  oscura  a  pochi  passi  da  Santa  Natòlia  che  fino  ad  oggi  Capriylìa  vieu 
nominato  e  potrebbe  esser  bene  il  luogo  Capras  che  ci  accenna  Proco- 
pio » .  Ma  il  Feliciang'eli,  riferita  e  vagliata  code-;ta  opinione,  conclude 
che  sebbene  non  regga  all'esame  critico,  pure  essa  «  non  è  meritevole 
dell'oblio  iu  cui  è  restata  ». 

Nei  numeri  6  e  8,  a.  IV,  del  periodico  Natura  ed  Arte  G.  Campari 
ha  inserito  le  note  di  un  suo  viaggio  Da  Orvieto  a  Viterbo,  corredate 
d' illustrazioni  di  vari  e  preziosi  monumenti  orvietani  ;  e  C.  Buffoni 
Zappa  alcuni  cenni  storici  su  Narni  (Città  italiane  dimenticate.  Nomi) 
e  la  descrizione  illustrata  delle  principali  opere  d'arte  che  ammiransi  in 
quel  Duomo. 

Nel  fase.  4  del  voi.  XI  della  lUvista  storica  italiana  il  prof.  G.  Maz- 
zatinti prese  in  esame  la  Cronaca  in  ternari  di  Giovanni  Santi  intitolata 
Federico  di  Montefeltro  duca  d'  Urbino,  che  nel  1893  aveva  integral- 
mente pubblicata  il  dott.  Enrico  Holtzinger  di  sul  Codice  Vaticano-Ot- 
toboniauo  1305.  Se  bene  il  Santi  si  limitò  a  trattare  delle  gesta  del  duca 
magnifico  e  guerriero,  pure  codesta  cronaca  ha  valor  grande  anche  per 
la  storia  nostra,  che  Gubbio,  ad  esempio,  fece  parte  del  ducato,  e  teatro 
delle  glorie  militari  del  principe  fu  l'Umbria.  Sta  qui  la  ragione  onde 
in  questo  Bollettino  si  dà  notizia  della  scoperta  d'una  vita  di  Federico, 
che  il  Mazzatinti  e  1'  Holtzinger,  e  prima  di  loro  1'  Ugolini  ed  altri,  cre- 
dettero perduta,  e  che  è  la  fonte  diretta  a  cui  attinse  il  Santi  per  la 
Cronaca  rimata.  Il  Mazzatinti,  non  isfuggitagli   la   simiglianza   sorpren- 


574  ANALECTA   UMBRA 

deute  che  corre  fra  il  testo  del  Santi  e  la  vita  di  Federico  del  Baldi, 
sospettò  che  l'uno  e  l'altra  discendessero  da  una  fonte  sola;  cioè  dalla 
vita  di  Federico  del  Paltroui,  che  il  Baldi  citò  qualche  volta.  Il  sospetto 
era  giusto,  ed  ora,  anzi,  è  assoluta  verità:  il  Baldi  rifece  la  vita  del 
Paltroni  e  il  Santi  la  versificò.  La  recente  scoperta  d'una  bella  copia, 
di  mano  del  sec.  XVI,  del  testo  del  Paltroni,  che  fu  segretario  del  duca, 
importa  a  noi  perchè  costituiste  un'ottima  fonte  e  genuina  di  storia 
umbra  negli  anni  più  belli  del  rinascimento.  Alla  gentilezza  del  signor 
G.  Castellani  di  Fano  dobbiamo  la  comunicazione  di  questo  prezioso 
esemplare.  E  cartaceo,  misura  mill.  252x155,  di  fogli  104  numerati  e  3  non 
numerati,  scritti  da  una  mano  del  secolo  scorso  ;  quella  stessa,  forse,  che 
scrisse  il  titolo:  «  Commentari  della  vita  e  gesta  gloriose  dell'invittis- 
simo e  magnanimo  Federico  Feltrio  duca  d'  Urbino,  raccolti  e  scritti  da 
Pierantonio  Paltroni  urbinate  suo  secretarlo  » .  Il  racconto,  sospeso  al 
fol.  104,  v'  è  continuato  e  comjnuto  «  mediante  una  copia  levata  fedel- 
geute  dal  suo  originale  esistente  nella  Biblioteca  Vaticana  ».  Da  questo, 
che  oggi  più  non  esiste,  derivarono  probabilmente  le  altre  due  copie 
che  sono  ora  nell'Archivio  di  Urbino  e  che  dall'amico  prof.  E.  Calzini 
ci  vengono  descritte.  La  prima,  oltre  alla  vita,  contiene  il  «  Ricordo 
della  famiglia  che  teneva  la  fel.  mem.  dell'  111.  et  ecc.  Signore  Federico  »  ; 
una  «  dissertazione  in  forma  di  lettera  intorno  alla  vita  e  fatti  dell'in- 
vittissimo Federico  »  di  Giov.  Gallo  Galli  ;  «  Notizie  intorno  alla  nascita 
del  duca  »  dello  stesso  Galli.  La  seconda,  eh' è  di  fogli  scritti  159,  ha 
soltanto  la  vita,  e  termina,  come  la  precedente  e  quella  del  sec.  XVI, 
con  le  parole:  «  come  scrive  frate  Leandro  ».  L'una  e  l'altra  copia  sono 
del  secolo  scorso.  —  Constatato  il  fatto  che  dalla  Vita  del  Paltroni  pro- 
cedono quella  del  Baldi  e  il  poema  del  Santi,  si  dovrebbe  concludere 
che  questo  e  quella  non  hanno  più  il  valore  storico  che  dianzi  veniva 
a  loro  attribuito.  Sarebbe  questa  una  logica  conclusione  se  anche  il  Santi 
nei  23  libri  che  suddividonsi  in  105  lunghi  capitoli  e  che  formano  il 
poema,  avesse  versificato  soltanto  il  testo  del  Paltroni:  ma  a  concludere 
a  quel  modo  si  oppone  il  fatto  che  il  rifacimento  in  versi  della  Vita  del 
Paltroni  giunge  fino  al  capitolo  62  ;  uè  può  supporsi  che  pochissime 
pagine  del  Paltroni  (sono  otto  nel  testo  posseduto  dal  Castellani)  siano 
la  fonte  di  altri  43  capitoli  del  Santi.  Per  ciò  il  poema  rimarrà,  nella 
seconda  parte,  fonte  attendibile  per  la  storia  del  Duca,  finché  almeno 
non  si  possa  stabilire  da  quale  più  ampia  biografia  di  Federico  discenda, 
0  se  in  quella  parte  il  Santi  abbia  narrato  fatti  de'  quali  fu  testimone. 

Nel  num.  3,  a.  I,  di  questo  Bollettbio  fu  annunziata  la  monografia 
del  prof.  Egidio  Calzini  :  Il  palazzo  ducale  di  Gubbio,  eh'  è  ora  apparsa 


AXALECTA   UMBRA  OiO 

* 

ncW Archivio  storico  dell'Arte  (Roin;i,  tip.  Coop.,  l.SiMJ;  cstr,  di  |»j>.  lo). 
Alle  due  domande  clie  l' a.  si  la,  —  Chi  ne  l'u  T  architetto?  —  e  —  In 
([uale  anno  fu  costruito?  —,  risponde  coi  confronti  istituiti  con  sinyohiri 
serietà  e  competenza  tra  questo  e  il  j)alazzo  ducale  di  Urbino.  K  sou 
posti  a  confronto,  riprodotti  in  fototipia,  i  due  cortili,  due  capitelli,  tre 
fregi  di  camini,  una  candelliera  d'un  pilastro  della  scala  del  palazzo  ur- 
binate e  l'arco  d' ingresso  a  pie'  della  scala  nel  palazzo  eugubino.  Lu- 
ciano da  Lovrana  fu  l'architetto  di  questo  ;  che  però  non  sorso  sotto  la 
sua  direzione  immediata  e  continua.  «  Quando  sul  finire  del  1472,  o, 
meg-lio  ancora,  sul  principio  dell'  anno  seguente  si  gettarono  le  prime 
fondamenta  del'  palazzo  di  Gubbio  e  si  allargarono  quelle  preesistenti, 
i  lavori  d'Urbino  dovevano  trovarsi  nel  massimo  del  loro  sviluppo  :  dun- 
que la  presenza  di  Luciano,  più  che  necessaria,  doveva  ritenersi  indi- 
spensabile uel  capoluogo  del  ducato.  Però,  accertato  che  l'architetto  del- 
l'edifìcio di  Gubbio  fu  il  Lovrana,  bisogna  anche  supporre  ch'egli  si  re- 
ca.sse  sul  posto  a  dirigere  il  primo  impianto  della  nuova  fabbrica  e  a 
presiedere  alla  costruzione,  almeno,  del  voltoue  e  del  cortile...  Poiché 
non  bisogna  dimenticare  che  proprio  il  portico  nel  cortile  di  Gubbio  è 
la  sola  parte  della  costruzione  ove  si  mostri  indubbiamente  palese  la 
presenza  dell'illustre  architetto:  il  tratto  importantissimo  del  palazzo  da 
lui  non  solamente  disegnato  ma  forse  anche  in  parte  diretto.  Del  cortile 
infatti  osserviamo,  a  colpo  d'  occhio,  la  struttura  elegante,  la  solidità 
perfetta,  le  proporzioni  delle  colonne,  la  grazia  dei  capitelli,  e  vi  ve- 
dremo lo  stile,  il  genio  di  Luciano  ».  Per  l'epoca,  appoggia  l'afferma- 
zione del  Calzini  un  documento  che  ci  rivela  come  nel  1480  la  parte 
principale  della  corte  era  compiuta  :  non  sia,  pertanto,  «  ardito  il  sospet- 
tare che  la  fabbrica  eugubina  non  debba  essere  stata  principiata  se  non 
cinque  o  sei  anni  prima  del  1480  ».  E  vero  che  così  vien  distrutta  «  la 
tradizione  gentile  che  quelle  stanze,  un  tempo  cosi  signorili,  accoglies- 
sero una  fra  le  più  elette  gentildonne  del  rinascimento  »,  cioè  Battista 
Sforza  -,  ma  non  v'  è  gentilezza  di  tradizione  che  tenga  dinanzi  alla  cri- 
tica giustamente  severa.  Gli  archivi  di  Gubbio  non  danno  aiuti  a  ritro- 
var gli  artisti  che  operarono  in  quella  corte  magnifica:  però  è  lecito  sta- 
bilire che  «  gli  scultori  i  quali  vi  lavorarono  non  souo  da  confondersi  con 
quelli  che  operavano  ad  Urbino,  guidati  nell'opera  loro,  ricca  e  geniale, 
dallo  stesso  architetto  ».  I  cultori  dell'arte  avranno  da  compiacersi  per 
la  felice  illustrazione  del  palazzo  eugubino  dataci  dal  prof.  Calzini  ;  ma 
nel  tempo  stesso  avranno  infinite  ragioni  di  ripetere  con  noi  —  Quanta 
vergogna  !  —  a  veder  quella  mole  superba  deperire  e  cadere. 

Lo    stesso    prof.  Calzini,  nella   solenne    tornata  Accademica   del   28 


57fi  ANALECTA    UMBRA 

marzo,  ricorreudo  il  413"  anuiversario  dalla  nascita  di  Raffaello,  lesse  in 
Urbino  un  discorso  su  Timoteo  Viti,  che  non  fu  una  delle  solite  eserci- 
tazioni accademiche,  come  ivi  solca  farsi  og-ni  anno  per  la  stessa  circo- 
stanza. Dicendo  della  prima  educazione  di  Raffaello,  confermò  il  fatto 
ch'egli  non  potò  avanti  il  finire  del  1499  essere  affidato  a  Pietro  Peru- 
gino :  di  questi  seguendo  le  peregrinazioni  in  Toscana,  nel  Veneto,  in 
Lombardia,  nelle  Marche  dal  1492  al  1499,  dimostrò  che  entro  a  tal  periodo 
non  potè  accogliere  nel  proprio  studio  di  Perugia  i  giovani  che  consa- 
cravansi  all'arte.  Il  Sanzio,  quando  andò  a  Perugia  sullo  scorcio  del  1499, 
era  stato  iniziato  nella  pittura  dal  su.o  concittadino,  il  leggiadro  Timoteo 
Viti,  che  a  26  anni  era  tornato  in  patria  artista  provetto  dalla  scuola 
di  Francia  e  di  Lorenzo  Costa.  Non  come  alunno,  dunque,  o  apprendista, 
come  suol  dirsi,  Raffaello  si  presentò  al  Perugino,  ma  si  bene  come  aiuto; 
tant'  è  vero  che  poco  dopo,  nel  1500,  il  maestro  si  servì  dell'  opera  siia 
neir  eseguir  le  pitture  nella  sala  del  Cambio.  Raffaello  allora  aveva  17 
anni.  Ed  a  mostrare  che  per  venire  in  quel  tempo  in  aiuto  di  Pietro, 
doveva  Raffaello  essere  stato  educato  all'  arte  da  un  altro  maestro,  il 
Calzini  prese  in  esame  diversi  dipinti  e  disegni  suoi  che  non  riflettono 
ancora  la  maniera  del  Perugino,  mentre  rilevano  all'evidenza  l'arte  del 
Viti.  Codesto  discorso,  ricchissimo  d'osservazioni  originali  e  forbito,  non 
è  che  l'orditura  di  una  piena  monografia  su  Timoteo  alla  quale  il  Calzini 
attende  con  amore  e  dottrina. 

Nel  voi.  V  degV Inventari  dei  ìnanoscritti  delle  Biblioteche  d' Italia 
pubblicati  a  cura  di  G.  Mazzatinti,  è  venuto  in  luce  (Forlì,  1896  ;  di 
pagg.  244)  quello  dei  tanti  mss.  ond'  è  ricca  e  pregiata  la  Comunale  di 
Perugia.  Di  pochi  aveva  data  notizia  il  prof.  A.  Rossi  ;  parecchi,  i  più 
antichi  e  di  valore  classico,  erano  stati  indicati  dal  Bethmann  e  dal 
Bluhme  ;  dei  greci  dierono  la  descrizione  l'Alien  e  il  Weinberger  nel 
Centralhlatt  filr  Bibliotekswesen.  Ora  il  completo  catalogo  appare  mercè 
le  cure  intelligenti  del  prof.  Alessandro  Bellucci  che  ha  pur  descritti  i 
volumi  di  recente  provenienza  (quelli,  ad  esempio,  del  Brizi  e  di  A.  Fa- 
bretti),  ed  ha  tessuta  la  storia  della  biblioteca  stessa  dalla  sua  fondazione 
per  il  lascito  cospicuo  di  Prospero  Podiani.  Moltissimi  sono  i  mss,  che 
riguardano  la  nostra  storia  e  la  nostra  letteratura:  gli  annali  di  Carlo 
Baglioui,  i  diari  e  le  corrispondenze  epistolari  del  Bonciari,  le  memorie 
del  Frollieri,  gli  scritti  del  Lancellotti,  la  storia  del  Crispolti,  le  memo- 
rie del  Sozi,  la  cronaca  del  Maturanzio,  le  miscellanee  dell' Oldoini,  le 
corrispondenze  del  Vincioli  ;  e  poi  in  grandissimo  numero  documenti  per 
la  storia  della  città  e  dello  Studio.  Degni  di  nota  vari  codici  di  rime 
antiche,  il  poema  di  Candido  Bontempi,  la  Fenice  dello  Spirito,  un  cau- 


ANALECTA   UMBRA  577 

zoniere  (muii.  709)  d'ig-noto  rimatore  perugiuo.  Abbondano  i  codici  uma- 
nistici e  di  classici.  E  questo  un  de'  mig'liori  catalojilii  che  finora  co- 
stituiscono la  raccolta  edita  dal  Mazzatinti. 

Su  /  Gabrielli  di  Gubbio,  cospicua  famiglia  d' illustri  cittadini  e  guer- 
rieri, ha  raccolte  copioso  notizie  Carlo  Gabrielli  e  ne  ha  stampata  la  prima 
parte  nei  fascicoli  VIII-XII  dclV  A  re  li  ir  io  .storico  gentilizio  del  Xdpolefdjui. 
Più  ricche  sarebbero  state  se  l'a.  avesse  potuto  esaminare  l'Archivio  comu- 
nale di  Gubbio  e  quella  miniera  storica  eh'  è  l'Archivio  di  Vincenzo  Ar- 
manni.  A  proposito  di  Girolamo  Gabrielli,  che  vuoisi  crociato  con  Gof- 
fredo di  Buglione,  l' a.  cita  la  Cronaca  del  GrefFolino  (meglio,  fram- 
mento di  cronaca)  che  si  conserva  nella  Biblioteca  di  Gubbio  :  ma  co- 
desto Greffolino,  che  altri  chiamò  Greftblino  di  Valeriano,  e  che  il  Lu- 
carelli {Memorie  e  guida  stor.  di  Gubbio,  pag.  356)  disse  vissuto  nella 
seconda  metà  del  sec.  XIII,  non  è  mai  esistito  !  Anche  è  citata  la  Cro- 
naca di  Guerriero  Berni  che  il  Muratori  pubblicò  :  per  chi  non  se  ne  ri- 
cordasse (ma  ormai  s'  è  ripetuto  a  sazietà)  quella  Cronaca  è  di  Silvestro 
Campioni  da  Gubbio,  e  il  Mazzatinti  la  ristampò  su  l'autografo  nell'^lr- 
chivio  storico  per  le  Marche  e  l'Umbria.  Copiose  notizie,  si  è  detto  ;  e 
in  realtà  s'avvantaggiano  di  molto  su  quelle  che  die'  il  Lucarelli  :  però 
fa  meraviglia  il  fatto  che  talvolta  siano  esposte  colle  parole  stesse  del- 
l'autore delle  citate  Memorie.  Veggasi,  per  citare  un  esempio,  il  cenno 
biografico  di  Gante  II  di  Giacomo  che  nelle  Memorie  del  Lucarelli  è  a 
pag.  4:01  e  seg.  e  nell'Archivio  cit.  a  pag.  274  e  seg.:  l'opera  del  Luca- 
relli è  citata  in  nota,  ma  la  pura  e  semplice  citazione  non  basta  quando 
si  tratta  di  riprodurne  integralmente  un  brano  così  lungo. 

La  R.  Deputazione  di  storia  per  le  provìnce  delle  Marche  ha  pub- 
blicato il  voi.  I  de'  suoi  Atti  e  Memorie  (Ancona,  Morelli,  in  8",  pa- 
gine 276).  Tra  le  pubblicazioni  proposte  dai  Soci  nell'adunanza  annuale 
del  1894  è  notevole  per  noi  quella  del  prof.  Plergili  :  Sj)igolature  dagli 
auìiali  di  Spello  riguardanti  il  marchese  di  Ancona  Raimondo  di  Spello 
da  cui  avrebbe  avuto  nome  la  terra  di  Castel  Raimondo.  Colla  storia 
della  nostra  regione  ha  attinenza,  se  bene  non  intima,  la  memoria  ac- 
curatissima del  prof.  Dino  Feliciangeli  Intorno  ai  rajjporti  tra  il  comune 
di  Camerino  e  Francesco  Sforza  signor  della  Marca  (pag.  43  e  segg.). 

Un  prezioso  manoscritto  della  Biblioteca  Comunale  di  Gubbio  è  stato 
ora  studiato  con  sommo  profitto  dal  dott.  Eurico  Simonsfeld  della  Uni- 
versità di  Monaco  in  Baviera  :  è  quel  volume  bambagino,  qua  e  là  molto 
deperito  e  a  mala  pena  leggibile,  che  contiene  l'autografo  della  Cronaca 


578  ANALECTA    UMBRA 

del  Cautiuelli.  Se  uè  leg'ge  uua  diffusa  notizia  a  pag'.  360  e  seg'g-.  dei 
voi.  Ili  Aus  den  Sitzungsberichten  cler  philos.-philol.-und  ìiistor.  Classa 
der  k.  haijer.  Akad.  d.  Wissen.,  dov'  è  pubblicata  la  inonog-rafia  dal  ti- 
tolo Untersuchu>i[/en  zu  den  Faentiner  Chroniketi  des  Tolosanus  und 
seiner  Fortsetzer.  Il  dott.  Simousfeld  ristamperà  tra  breve  codesta  Cro- 
naca SII  r  autog-ratb  eugubino  :  apparirà  tra  i  Monumenta  Germaniae 
Mst.  dei  quali  farà  parte  anche  la  vita  di  S.  Ubaldo  vescovo  di  Gubbio, 
scritta  da  Teobaldo  suo  successore,  a  cura  del  dott.  Holder-Egg-er  che 
riprodurrà  l'antico  testo  esistente  nel  voi.  I  delle  Riforniauze  dell'Archi- 
vio comunale  di  Gubbio. 


È  uscita  ora  l'edizione  critica  delle  Rime  di  Francesco  Petrarca  con- 
dotta sugli  autografi,  col  sussidio  di  vari  codici  e  stampe,  e  corredata  di 
varianti  e  note  dal  prof.  G.  Mestica.  Il  son.  XX  della  prima  parte  del 
Canzoniere  è  in  risposta  a  quello  di  Stramazzo  da  Perugia  (La  santa 
fama)  che  qui  è  riprodotto  secondo  la  lezione  del  cod.  Vaticano  3213, 
dove  sta  sotto  il  nome  di  «  Ser  Mutio  altramente  detto  Stramazzo  Pero- 
scino  »,  ag-g-iuntavi  la  postilla  «  Altrove  trovo  fosse  chiamato  Andrea 
peroscino  » .  La  Cauz.  VI  (Spirto  g-entil)  è  esplicitamente  dichiarata  come 
scritta  «  A  Bosone  da  Gubbio  senatore  di  Roma  >-  (ottobre  1336-ottobre 
1.387). 

Il  nostro  socio  conte  Luigi  Manzoni  ha  testé  pubblicato  (Bolog-na, 
tipografia  Alfonso  Garagnani  e  figli,  1896)  alcune  notizie  inedite  da  lui 
raccolte  su  «  Frate  Francesco  Pipini  da  Bologna  de  PP.  Predicatori. 
Storico,  geografo.,  viaggiatore  del  sec.  XIV  » .  Il  detto  lavoro,  nel  quale 
il  Manzoni  con  molta  cura  ricostruisce  la  vita  del  Frate  bolognese  e  dà 
importantissimi  rag-g'uag'li  sulle  condizioni  deg'li  studi  g-eografici  in  Italia 
durante  il  detto  secolo,  è  seg'uito  da  notevoli  documenti:  fra  questi  ne 
piace  seg'nalare  alcune  notizie  sul  modo  che  tenevano  1  pellegrini  nel 
recarsi  in  Terra  Santa,  notizie  che  il  conte  Manzoni  ha  tratto  dal  Cod. 
E.  39  della  Biblioteca  Comunale  di  Perugia.  —  Il  Cod.  contiene  un 
«  tractatello  dele  indulgentie  di  terra  Saucta  cum  le  sue  dichiaratioue 
compillato  per  frate  Francesco  Surian  de  l'ordine  de  li  frati  de  la  obser- 
vantia  de  Sancto  Francesco  ne  li  anni  del  Sig'nor  mile  quatrocento 
octantacinque  » .  Di  questo  viaggio  stampato  una  sola  volta  a  Venezia  nel 
1524  per  Francesco  Bindocci,  nonché  degli  studi  g-eog-rafici  ed  astrono- 
mici in  Perugia  il  conte  Manzoni  nel  libretto  di  cui  teniamo  ora  parola 
promette  di  occuparsi  in  questo  nostro  Bollettino,  e  noi  facciamo  voti 
perchè  eg"li  possa  presto  mandare  ad  effetto  il  suo  divisamento. 


ANELECTA    fMlJKA  57!) 

Nel  fascicolo  111  {vo\.  XX -XI,  della  serie  Illj  delle  Memorie  del 
II.  Istituto  Lombardo  di  Scienze  e  lettere  —  Classe  di  lettere,  scienze 
storiche  e  morali  —  si  le^-ge  una  memoria  del  prof,  Francesco  Novali 
su  «  Maestr'  U.ijoUno  da  ^[l)nte^'atilìi  medico  del  secolo  XIV  ed  il  suo 
Imitato  de' bagni  termali  d'Italia  ».  —  Con  questo  scritto  il  chiarissimo 
prof.  Nevati  porta  un  bel  contributo  alla  storia  della  medicina  in  Italia 
durante  il  secolo  XIV,  facendo  rivivere  nelle  pagine  brevi,  ma  ricche  di 
notizie  con  og-ni  amore  raccolte,  la  figura  di  Ug'olino  Caccini  che  del- 
l'arte salutare  fu  in  quei  tempi  una  vera  illustrazione.  —  Segnaliamo  il 
lavoro  del  prof.  Novati,  perchè  maestro  Ugolino,  dopo  aver  peregrinato 
in  varie  cittA  d' Italia,  fu  nel  1417  a  Città  di  Castello  in  (jualitii  di 
.<  medico,  fisico  e  salariato  pratico  »,  e  passò  poi  nel  1411)  a  Perugia 
chiamato  a  leggere,  nel  nostro  studio  da  Braccio  Fortebraccio.  —  In 
Città  di  Castello  il  valente  medico  pose  mano  a  quel  trattato  De  balneis, 
che  doveva  tanto  raccomandare  il  nome  di  lui  alla  posterità,  e  in  Pe- 
rugia egli  potè,  avendovi  avuto  da  un  medico  d'Assisi  notizia  della 
scrittura  di  Matteo  da  Piantinone  sui  bagni  di  Pozzuoli,  da  Bindaccio 
Ricasoli  luogotenente  di  Braccio  copia  degli  epigrannni  di  Pietro  da 
Eboli  ;  per  detti  bagni  potè,  diciamo,  rendere  più  completo  il  trattato 
medesimo. 

Da  un  opuscoletto  su  Bettona  Umbro- Etnisca  e  Romana  edito  a  Fi- 
renze (tipografìa  Minori  Corrigendi,  1896)  si  rileva  che  il  nostro  socio 
cav.  Giuseppe  Bianconi  sempre  con  vero  amore  raccoglie  ed  illustra 
tutto  quanto  si  riferisce  alla  storia  del  suo  paese  nativo. 

In  un  articolo  stampato  nella  Rivista  settimanale  di  Venezia  La 
Scintilla  (anno  X,  num.  1,  5  gennaio  1896)  il  dott.  F.  C.  Carreri  discorre 
del  Coro  e  degli  Autifonarj  di  Spilimbergo,  e  ricordando  wu  documento 
del  1489,  in  cui  si  accenna  a  «  fra  Piero  de  Columbaita  scriptor  de  li 
antiponarii  o  graduali  »  suppone,  nella  considerazione  che  a  Perugia 
fuori  di  Porta  S.  Susanna  esiste  la  piaggia  Colombata,  che  questo  fra 
Piero  sia  da  Perugia.  Poiché  il  Vasari,  rammentando  nella  vita  di  Agnolo 
Gaddi  il  miniatore  Pietro  da  Perugia  afferma  che  questi  imitò  la  ma- 
niera di  Stefano  Veronese,  sarebbe  desiderabile,  come  accenna  lo  stesso 
autore  dell'articolo,  che  un  accurato  confronto  fra  le  opere  di  StelVmo  e 
gli  autifonarj  di  Spilimbergo  venisse  a  confortare  di  nuove  prove  la  sup- 
posizione del  dott.  Carreri. 

Il  signor  Adolfo  Morini  in  una  breve  ma  interessante  pubblicazione 
intitolata  Cursula  (Roma,  tipografia  Avvocati,  1896)  tratta    dell'antichis- 


580  ANALECTA   UMBRA 

sima  origine  della  città  di  questo  nome,  che  esisteva  nel  territorio  di 
Cascia,  e  sommariamente  ne  ricorda  le  vicende,  accennando  alla  impor- 
tanza che  essa  ebbe  nell'  epoca  Romana,  alle  istituzioni  municipali  di 
cui  godette,  alle  famiglie  che  la  illustrarono  e  da  ultimo  a  Vespasia  Polla 
madre  dell'  imperatore  Flavio  Vespasiano,  la  quale  vi  sorti  i  natali. 

Il  dott.  Bartolomeo  Nogara  nell'Annuario  1895  96  della  R.  Accade- 
mia Scieutifìco-Letteraria  di  Milano  ha  pubblicato  una  memoria  su  alcune 
iscrizioni  del  sepolcreto  etrusco  di  Bruscalupo  omesse  o  inesattamente 
pubblicate  nel  nuovo  Corj^us  inscriptionmn  etruscarum  e  sulle  iscrizioni 
messapiche  attualmente  esistenti  alcune  fra  le  quali  ancora  inedite. 

Il  sig.  Giovanni  Guiraud,  antico  allievo  della  scuola  normale  supe 
riore  e  della  scuola  francese  di  Roma,  professore  aggregato  di  storia  al 
Liceo  di  Marsiglia,  ha  pubblicato  il  bel  volume  dal  titolo  :  L'état  ponti- 
ficai adris  le  grand  schisme,  étude  de  gtographie  politique  (Paris,  E.  Tho- 
rin,  édit,  1895,  pag.  252,  con  atlante).  Ne  parleremo  di  proposito  nel  fa- 
scicolo primo  dell'anno  III. 


5K1 


SPOGLIO  DI  PERIODICI  (1893-95: 


Accademia  la  NrovA  Fenice  (r)rvioto). 

Bullettino  5-fi.  Nelle  sedute  del  1H93  94  trattarono  di  Giovanni  Ma- 
g-navia  vescovo  d'Orvieto  il  presidente  L.  Fumi  ;  del  Governo  dei  Cinque 
in  Orvieto  il  socio  prof.  Pardi;  della  costruzione  del  Duomo  il  socio 
Zampi  ;  degli  affreschi  del  Sig-uorelli  nel  Duomo  il  prof.  Presenzini  -, 
dell'antica  chiesa  di  S.  Ang-elo  il  socio  Catenacci;  del  volgare  orvietano 
del  trecento  il  socio  Cerretti.  Tra  le  necrologie  è  quella  (pag-.  121)  del 
baron  Sensi.  —  Nella  seduta  del  7  giugno  1894  il  socio  on.  Bracci 
parlò  del  monumento  al  card,  di  Brave  in  S.  Domenico  di  Orvieto,  opera 
di  Arnolfo. 

Akchivio  storico  ITALIANO  (Firenze). 

Disp.  3-4,  1893.  De  Fabriczy  Cornelio,  Il  codice  dell'anonimo  Gad- 
diano  nella  Nazionale  di  Firenze.  Contiene  biografie  di  artisti,  per  lo 
più  fiorentini.  In  fine  è  semplicemente  notato  il  nome  di  «  Pietro  Peru- 
gino discepolo  di  Sandro  Boticello  ».  Ciò  dimostra,  come  il  De  Fabriczy 
avverte  alla  nota  226,  che  l'autore  ebbe  in  animo  di  scrivere  la  biogra- 
fia su^j  o  «  qualche  ragguaglio  su  esse:  il  che  poi  non  avvenne  ».  — 
Recensione  espositiva  del  voi.  II  dei  Documenti  di  storia  jicrugiìin  editi 
da  A.  Fabretti. 

Disp.  1,  1894.  Loeviuson  E.,  Intorno  alla  sottomissione  di  Spoleto  a 
Perugia  nel  1324.  Il  documento  è  ora  nell'Archivio  di  Stato  a  Roma.  — 
Recensione  favorevole,  ma  con  qualche  appunto,  della  vita  di  S.  Fran- 
cesco del  Sabatier.  —  Recensione  fav.  del  voi.  IV  delle  Cronache  di  Fé 
rugia  pubblicate  da  A.  Fabretti. 

Disp.  2,  1895.  Sforza  G.,  Il  falsario  Alfonso  Ciccarelli  e  Alberico 
Cgbo  Malaspina.  E  questi  «  tra  i  personaggi  di  conto  gabbati  dal  Cic- 
carelli »:  la  storia  della  loro  relazione  è  tessuta  sui  documenti  dell'Ar- 
chivio di  Stato  di  Massa. 


582  SPOGLIO   DI  PERIODICI 

Archivio  storico  dell'arte  (Roma). 

A.  VII.  Reymond  M.,  L'angelo  che  suona  del  Bargello  e  la  Fontana 
di  Perugia.  Cfr.  questo  Bollettino,  I,  433.  —  Calzini  E.,  Marco  Palmeg- 
giani  e  le  sue  opere.  Ve  tenuto  conto  d'una  delle  tante  repliche  dell'^l^i- 
data  al  Calvario  del  pittore  forlivese,  posseduta  dalla  galleria  Ran- 
g"liasci-Bran Galeoni  di  Gubbio.  Cfr.   Bollettino,  1,  435. 

Serie  II,  a.  I,  fase.  1.  Riproduzione  fototipica  della  Crocifissione  di 
Pietro  Perugino  nella  chiesa  della  Calza  a  Firenze.  Fase.  3.  Recensione 
del  libro  The  early  of  Raphael  di  Giulia  Cartwrig-ht  (M.  Henry  Ady), 
Londra,  1895.  V  è  notato  che  il  contatto  di  Raffaello  col  Perugino  si 
verifica  nel  1500,  quando  questi  aveva  compiuti  i  dipinti  nel  Cambio.  A 
tale  periodo,  che  ne  rappresenta  la  simig'lianza  sensibilissima  delle  opere 
del  maestro  con  quelle  dello  scolaro,  appartiene  il  quadro  della  Croci- 
fissione g-ià.  a  Città  di  Castello,  ora  proprietà  Mond.  Ma  tutto  il  libro 
ha  stretta  attinenza  colla  storia  dell'opera  di  Pietro  Perugnuo. 

Fase.  4.  Diego  di  Sant'Ambrogio,  Di  due  marmi  sopravanzati  nel- 
l'antica chiesa  di  S.  Eufeviia  d' Incino  del  sec.  XIII  e  di  un  altare 
d'Oi'vieto  del  XII.  E  l'altare  della  chiesa  di  S.  Giovenale  d'Orvieto,  la 
quale  è  dello  scorcio  del  sec.  XI:  la  scultura  è  di  un  Guidubaldo  che 
l'esegui  nel  1170.  La  chiesa,  malgrado  le  trasformazioni  subite  nel 
sec.  XIV,  «  rivela  nell'organismo  suo  chiari  i  capisaldi  della  pristina 
architettura  lombarda  ». 

Fase.  5.  Calzini  E.,  Il  palazzo  ducale  di  Gubbio. 

Fase.  6.  Anselmi  A.,  Le  maioliche  dei  della  Robbia.  Naturalmente 
v'è  detto  anche  delle  opere  che  sono  a  Città  di  Castello  ed  a  Fonte 
Avellana. 

Arte  e  storia  (Firenze). 

A.  XIII.  Pag.  92.  Buccoliui  Tito,  Il  coro  di  M.  Domenico  Indivini 
in  S.  Francesco  d'Assisi.  —  Pag.  37.  Urbini  G.,  Due  affreschi  del  Pe- 
rugino a  Spello.  —  Pag.  75.  Id.,  La  tribuna  di  S.  Maria  Maggiore 
a  Sj^ello.  —  Pag.  126.  Id.,  La  chiesa  di  S.  Claudio  a  Spello.  —  Pag.  157. 
Necrologia  di  A.  Fabretti. 

A.  XIV.  Pag.  2.  Urbini  G.,  La  chiesa  di  S.  Andrea  a  Spello.  — 
Pag.  50.  Id.,  Le  opere  d'arte  della  chiesa  di  S.  Lorenzo  a  Spello.  — 
Pag.  139.  Id.,  Opere  d'arte  di  Spello.  —  Pag.  170  e  181.  Sordini  G.,  Il 
sepolcro  di  Gabriello  Garofoli  da  Spoleto. 

Atti  della  R.  Accademia  delle  scienze  (Torino). 

1893  94.  Patetta  F.,  Appunti  da  un  ms.  della  Capitolare  di  Perugia. 
Cfr.  Bollettino,  II,  189. 


SPOGLIO    DI    PERIODICI  5S3 

Voi.  2H.  Ciati  V.,  Ancora  dello  Sjìirto  jicntil  di  Frane,  l'cfrarca. 
V'è  dottamente  dimostrato  che  la  canzone  non  è  diretta  a  Hosoue  da 
Gubl)io,  ma  a  Cola.  Vedi,  fra  l'altre,  una  recensinuc  in  Xiimn  .\,tfi>/nf/i>i, 
serie  ni,  voi.   IH,  j)ag',  160  e  seg*. 

Atti  dkm.a  Società  d'akciiicoi.okia  e  iìem.k   akti   di  Toimno  iTorino). 
V.  (!.  Fabretti  A.,  Iscrizione  romana  di  Gubbio  e    Terni   nel   Museo 
di   Torino. 

Atti  della  Società  ligure  di  storia  patria  (Genova). 

XXIV,  2.  Rosi  M.,  La  riforma  re.licjiosa  in  Lif/uria  e  Terefico  uìnbro 
Bartolomeo  Rartoccio.  Cfr.  Bollettino,  I,  486. 

BiLLETTiNO  DELLA  SOCIETÀ  DANTESCA  (Firenze). 

1895,  fase.  8  (mafi;'gio).  G.  Mazzoni,  a  proposito  de  f.a  Poesie  du 
Moìjen  Af/e  di  Gastou  Paris,  tratta  del  Sigieri  di  Dante  e  ammette  col 
Paris  che  è  quel  ntedesimo  di  cui  nel  Fiore  è  detto  che  fu  morto  a  ghiado 
in  Orvieto. 

Comunicazioni  di  l'x  Collega  (Berg-amo). 

A.  I,  num.  3.  Alla  domanda,  fatta  nel  nuin.  1,  Dove  cadde  Totila, 
si  rispondo  dal  prof.  Valecchi  che  pare  errata  la  indicazione  di  Matelica 
e  Gubbio. 

CoMPTE-RBNDiT  DES  sÉANCES  DB  l'Académie  des  Inscriptionis  (Paris). 

1893,  fase,  settembre-ottobre.  Hérou  de  Villefosse,  La  tessere  de  Bi- 
zerte.  Confrontasi  questa  tessera  con  quelle  di  Tolentino,  ora  nei  mu.sei 
di  Berlino  e  di  Perug-ia. 

Eco  DI  S.  Francesco  (Sorrento). 

1894,  30  novembre.  Priori  mous.  X.,  Il  giorno  della  morte  di  Santa 
Chiara.  Stabiliscesi  che  fu  l'undici  agosto,  anziché  il  2:2,  come  da  molti 
s'  è  detto  e  creduto. 

Erudizione  e  belle  arti  (Cortona). 

I,  fase.  3.  Aucillotti  L.,  Perugia  artistica. 

Fase.  10.  Urbini  G.,  Intagli  e  tarsie  di  m.  Andrea  Campano  da  Mo- 
dena. Trattasi  del  coro  in  S.  Lorenzo  di  Spello  che  altri  avea  descritto, 
ma  di  cui  nessuno  disse  l'autore.  Il  suo  nome  appare  in  un  documento 
dell'Archivio  della  Collegiata. 

Fase.  11.  Ausidei  V.,  G.  B.  Vermiglioli  e  201  lettere  del  Maturanzio. 


584  SPOGLIO   DI  PERIODICI 

Notizie  sul  ms.  E.  5  della  Bibl.  Comuucale  di  Perugia.  Cfr.  Bellucci,  In- 
ventario dei  mss.  della  Com.  di  P.,  Forlì,  1895. 

A.  II,  fa.sc.  1.  Urbiui  G.,  Lo  spedale  di  Sjìello.  Se  ne  descrivono 
le  cose  d'arte. 

Fase.  2.  Urbini  G.,  La  rotonda  di  Sx>ello.  E  a  breve  distanza  da 
Spello  e  dovrebbe  piuttosto  chiamarsi  Madonna  di  Vico.  Rotonda  si  dice 
anche  ora  perchè  il  Donnola  opinò  che  vi  fosse  un  mausoleo  romano. 

Fase.  G.  Urbini  G.,  Opere,  d'arte  di  Spello.  Chiese  sidmrhane.  S.  Ma- 
ria in  Paterno,  S.  Anna,  S.  Ventura.  Dilig-eutissime  descrizioni. 

Fase.  7.  Umbria  artistica.  Notizia  di  un  affresco  da  attribuirsi  alla 
scuola  di  Fiorenzo  di  Lorenzo,  ritrovato  nel  Nosocomio  di  Perugia. 

Fase.  9.  Lupattelli  A.,  DI  un  quadro  di  Luca  Signorelli  esistente  in 
Umbertide.  Cfr.  Bollettino,  I,  G23. 

Fase.  12.  Bavagli  F.,  I  fratelli  Cucci  e  r origine  della  stampa  in 
Cortona.  Furono  essi  che  stamparono  gli  Statuti  di  Città  di  Castello  dove 
si  recarono  nel  1538  chiamativi  da  quei  Priori.  Vi  restarono  fino  al  1839  e 
vi  fecero  1"  edizione  del  «  De  obsidioue  Tifernatum  »  di  Roberto  Orsi. 
Pare,  secondo  il  R.,  che  un  dei  due  stampasse  anche  a  Perugia,  ma  nulla 
ne  dicono  gli  Annali  tipografici  del  Brizi. 

Gazete  des  beaux-arts  (Paris). 

1893,  1  aprile.  Lefort  P.,  Le  m,usée  de  Prado.  La  peinture  italienne. 
V'è  tenuto  conto  delle  pitture  di  scuola  umbra  che  il  museo  stesso  possiede. 

1  ottobre.  Reymond  M.,  La  sculpture  fiorentine  au  XIV-XV  siede. 
Vi  son  presi  in  esame  i  bassorilievi  del  Duomo  di  Orvieto. 

Giornale  storico  della  letteratura  italiana  (Torino). 

Fase,  64  65.  Bellucci  A.,  Un  cancelliere  poeta  nel  500.  E  «  Lucan- 
gelus  de  Palmis  de  Malliano  Sabiuorum  civitate  »  che  fu  cancelliere  de- 
gli Anziani  d'Amelia  nel  1518  ed  autore  d'un  capitolo  in  ternari  in  lode 
d'Amelia,  che  qui  si  riferisce. 

Fase.  73.  Della  Giovanna  I.,  S.  Francesco  d' Assisi  giidlare  e  le  Lau- 
des  creaturarum.  Cfr.  Bollettino,  I,  434. 

Giornale  dantesco  (Roma). 

A.  Ili,  fase.  4.  Cosmo  U.,  Della  così  detta  cappella  dantesca  in 
Terni.  E  la  cap])ella  «  haeredum  d.  Johaunis  de  Paradisiis  de  Interamna  », 
che  poco  dopo  il  1350  fu  dipinta  da  un  artista  umbro  a  noi  ignoto.  Il 
C.  descrive  i  tre  regni  dell'oltretomba  ivi  rappresentati,  ne  lamenta  il 
pesdmo  stato  in  cui  sono  oramai  ridotti  per  l' incuria  dei  frati  e  per 
quella  non  meno  vergognosa  del  Comune  che  la  fa  «  servire  da  magaz- 


SPOGLIO    ni   PKRIODICI  5H5 

ziuo  alle  fcrravecchie  »,  e  ricono'-ce  che  il  pittore  mediocre,  arido,  freddo 
non  dovè  certo  ispirarsi  alla  Divina  Commedia,  che  di  dantesco  poco  o 
nulla  e'  è  veramente  :  il  pittore,  anzi,  non  dovè  nemmeno  conoscer  l'o- 
pera di  Dante.  <  Ma  un  giorno  (dice  il  C.)  piovve  a  Terni  un  disg-ra- 
ziato  qualunque,  che  doveva  da  qualche  vecchia  carta  aver  rilevato  ciò 
che  ora  pur  troppo  hi  nella  cadente  cappella  non  si  vede  più:  dette  alle 
pitture  un  par  d'occhiate  e  ci  fece  sopra  una  sua  pappolata  dove  tu  non 
sai  se  sia  più  offesa  la  grammatica  o  il  buon  senso  o  il  rispetto  severo 
agli  studi  nostri.  Il  nome  per  pietà  non  faccio.  Piansero  i  cittadini  com- 
mossi e  la  cappella  dantesca  parve  per  un  momento  un  fatto  accertato  ». 
Tanta  pietà  nel  non  fare  il  nome  di  quel  tale  che  con  sì  poca  i)ictfi  e 
molta  scortesia  vien  detto  «  un  disgraziato  qualunque  x>!  Quella  pappo- 
lata, se  non  erriamo,  è  il  discorso  che  il  prof.  A.  L.  lesse  a  Terni  il  23 
ottobre  1882  e  che  poi  a  spese  del  Comune  e  per  desiderio  della  Giunta 
fu  stampato  coi  tipi  del  Ceccarelli  in  un  opuscolo  di  pag.  20  in  8.°  Il 
prof.  L.,  dopo  aver  veduta  la  cappella  (ed  ebbe  tempo  di  darle  più  d'un 
par  d'occhiate)  ne  descrisse  gli  affreschi,  giovandosi  anche  e  largamente 
della  descrizione  inedita  che  n'  avea  fatta  il  prof.  Carattoli.  I  raffronti 
colla  Divina  Commedia  sono  del  Carattoli,  e  il  prof.  L.  (chi  scrive  qxieste 
linee  ha  sotto  gli  occhi  il  ms.  e  1'  opuscolo  dell'  uno  e  dell'  altro)  fedel- 
mente li  riferi.  Sbagliò  od  esagerò  il  Carattoli,  ed  altrettanto  fece  il  L. 
a  volergli  credere  e  a  voler  vedere  per  forza  la  ispirazione  dantesca  in 
quelli  affVeschi  :  ma  non  bastava  dire  che  errarono  tutti  e  due,  e  fecero 
tutti  e  due  della  retorica?  C'era  proprio  bisogno  di  ricorrere  a  modi  scor- 
tesi verso  uno  di  loro? 

La  Carità  (Roma). 

1894,  decembre.  Tenueroni  A.,  Lauda  del  b.  Jacopone.  È  quella  che 
comincia  0  novo  canto.  Ristampata  su  l'edizione  del  1490  e  collazionata 
sul  cod.  Manzoni  59. 

La  Nuova  Rassegna  (Roma\ 

A.  II,  num.  11.  Labanca  B.,  Francesco  d'Assisi  e  i  francescani  dal 
1226  al  1328.  Larga  esposizione  e  critico  esame  della  vita  del  Sabatier. 

Il  Muratori  (Roma). 

1893,  num.  5.  Ballerini  F.,  Feste  a  Gubbio,  ecc.:  continuazione.  — 
Num.  6.  Lettere  di  A.  Geraldini;  continuazione  nei  numeri  7-10. 

Il  Propugnatore  (Bologna). 

1893.  Frati  L.  e  C,  Indice  delle  carte  di  P.  Bilancioni.  Vi  sono  in- 

38 


586  SPOGLIO  DI  PERIODICI 

dicati  i  codici  e  le  edizioni  che  contengono  tre  canzoni  e  un  sonetto 
di  Sinibaldo  da  Perugia;  cinque  sonetti  di  Stramazzo  da  Perugia  ;  la  pro- 
fezia di  Tommasuccio  da  Foligno.  —  G.  Rossi,  Tavola  delcod.  1739  della 
Bihl.  Univ.  di  Bologna.  Vi  son  contenute  rime  di  Bartolomeo  Monalde- 
schi,  di  Andrea  da  Perugia  e  di  Monaldo  da  Orvieto. 

Iahrbuck  des  Kais.  Deutschex  archaeoloCtISChen  Instituts  (Berlino). 
1893,  fase.  2.  Hauser  F.,  Eire  Tyrrenische  amphora.  Appartiene  alla 
collezione  Bourguignon  e  fu  trovata  in  Orvieto.  Se  ne  studiano  le  rela- 
zioni colle  amfore  tirreniche  e  colle  calcidiche  e  corinzie. 

Literarische  Rukdschau  fììr  da,s   Katholische   Deutschland    (Fri- 
burgo). 

1893,  1  giugno.  Baumgarten  P.  M.,  Zur  Centenarfeier  des  Domes 
von  Orvieto.  E  data  notizia  delle  molte  e  splendide  pubblicazioni  scien- 
tifiche italiane  su  tale  argomento.  —  Nel  num.  del  6  giugno  tratta  delle 
tre  opere  del  Fumi:  Il  Duomo  d'Orvieto  e  i  suoi  restauri;  Statuti  e  re- 
gesti delV Opera  di  santa  Maria  d'Orvieto;  I  palazzi  dei  papi  e  del  capi- 
tano del  jyopolo  in  Orvieto. 

Miscellanea  francescana  (Foligno). 

Voi.  VI,  fase.  1.  Faloci  Pulignani  M.,  S.  Francesco  d'Assisi  e  la 
città  di  Foligno.  —  D'Alec^on  E.,  Sul  jnù  antico  poema  della  vita  di 
S.  Francesco;  continuazione.  Cfr.  Bollettino,  I,  447. 

Fase.  2.  Faloci  Pulignani  M.,  Gli  autografi  di  S.  Francesco.  Oltre 
alla  descrizione  e  trascrizione,  se  ne  dà  il  facsimile  in  fototipia.  Sono  la 
benedizione  di  fra  Leone,  le  Laudes  creatoris  e  la  lettera  allo  stesso  frate. 
—  Sabatier  P.,  Il  b.  Tommaso  da  Celano  e  il  suo  trattato  de  miraculis. 
Questo  è  qui  pubblicato  sul  ms.  338  della  Bibl.  di  S.  Francesco  di  As- 
sisi. E  un  brano  dell'opera  di  Tommaso  sui  miracoli  di  S.  Francesco.  — 
Faloci  Pulignani  M.,  Il  Cantico  del  Sole,  .ma  storia,  sua  autenticità.  Si 
confutano  le  conclusioni  a  cui  pervenne  il  prof.  Della  Giovanna  col  .suo 
studio  su  S.  Francesco  Giullare.,  edito  nel  Giorn.  stor.,  fase.  73.  —  L'Um- 
cria  Serafica:  continuazione.  Dal  1478  al  1485.  --  Brevi  recensioni  del- 
l' inventario  dei  mss.  della  Coni,  di  Assisi,  compilato  da  G.  Mazzatinti  e 
L.  Alessandri,  e  degli  studi  su  S.  Francesco  di  A.  Bournet,  H.  Cochin, 
P,  Sabatier,  G.  Salvadori. 

Miscellanea  storica  della  valdelsa  (Castelfiorentino). 

1895,  num.  2.  Un  quadro  di  Bernardino  Betti  detto  il  Pinturicchio 
nella  Pinacoteca  di  S,  Gemignano,   Cfr,  Bollettino,  11,  187. 


SPOGLIO    DI   rEHlODICI  587 

MlTTHEILUNGEN    DES   INSTITrT.S     FUK     SESTEHUEICIll.SCUE     GE.SClIlCnTSFOK- 

scuuNG  (Innsbruck). 

1894,  fase.  2.  Riegl  A.,  Alfonso  Ceccarelli  unti  scine  Falschungen 
von  Kaiserurkunden.  E  dato  anche  l' inventario  dei  diplomi  imperiali 
falsificati  da  Ini.  L'Ottenthal  nello  stesso  fascicolo  torna  su  rarnomctito 
e  fa  qualche  appunto  allo  studio  del  lìieyl. 

Mélaxges  d'archeologie  et  d'  histoire  (Paris-Rome\ 

1893,  3  luglio.  Fal)re  P.,  Une  charte  jìour  Fonte  Avellana  en  1192. 
È  pubblicata  e  illustrata. 

Nuova  antologia  (Roma). 

1893,  15  febbraio.  Recensione  favorevole  dei  Documenti  di  storia  j)e- 
riigina,  voi.  II,  editi  da  A  Fabretti. 

1894,  1  giugno.  Tesorone  G.,  La  città  di  Gubbio  e  i  soffitti  del  pa- 
lazzo Panfili.  Il  soffitto  al  pianterreno  (dov'è  ora  una  bottega  da  calzo- 
laio) non  esiste  più  :  le  mattonelle  bellissime  furono  vendute  alla  spic- 
ciolata a  forastieri.  Un  soflìtto,  ancora  intatto,  ò  nel  piano  superiore  del 
palazzo  ed  è  stato  recentemente  acquistato  dal  Ministero  di  P.  I.  :  sarà, 
credesi,  conservato  in  una  camera  del  palazzo  comunale.  Del  soffitto  di- 
strutto conserva  alcune  mattonelle  il  prof.  G.  Mazzatinti  :  hanno,  come 
il  Tesorone  racconta,  ornati,  dorature  e  l'arme  de'  Pamphyli. 

1895,  1-15  febbraio.  Salvador!  G.,  Su  S.  Francesco  d'Assisi  a  propo- 
sito d'una  sua  vita  recente:  quella  del  Sabatier. 

Oriente  Serafico  (Assisi). 

A.  VII,  1895.  Patrem  M.,  Cronologia  Francescana.  In  vari  articoli 
vengono  corrette  molte  circostanze  cronologiche  rammentate  dai  biografi 
di  S.  Francesco. 

Rassegna  bibliografica  della  letteratura  italiana  (Pisa). 

A.  I,  num.  1.  Recensione  favorevole  delle  Cronache,  voi.  Ili,  e  dei 
Documenti  di  Perugia,  voi.  I-II,  editi  da  A.  Fabretti. 

A.  II,  num.  2.  Novati  F.,  I  tnss.  ital.  d'alcune  biblioteche  del  Bel- 
gio e  delV  Olanda.  Nella  biblioteca  reale  di  Bruxelles,  ms.  14614,  è  il 
cap.  di  Bosone  da  Gubbio  su  la  Div.  Com. 

Un  esemplare  della  leggenda  maior  di  S.  Frane,  volgarizzata  nel 
sec.  XIV,  e  dei  Fioretti  è  nel  ms.  V,  69  della  r.  bibl.  di  Gravenhage. 

A.  Ili,  num.  3.  Recensione  dello  studio  di  mons.  G.  Cozza  Luzi  su 
Chiara  d'Assisi  (Roma,  1895,  di  pp.  48).  Fra  l'altre  cose  notisi  che  la 
scrittura  del  Cantico  del  Sole  contenuto  nel  cod.  338  della  Com.  di   As- 


588  SPOGLIO   DI   PERIODICI 

sisì,  è  assegnata  al  sec.  XIII  ;  mentre  il  p.  Ehrle  e  il  Mazzatinti  l'attri- 
buiscono al  successivo. 

Rassegna  piTtLiese  (Traui). 

Voi.  X,  num.  11-12.  Toniolo  G.,  Francesco  d'Assisi  e  il  suo  secolo; 
Studi  di  F.  Prudenzano.  A  proposito  della  11*  edizione  di  quest'opera; 
Napoli,  1893. 

Revub  des  ql'estions  historiques  (Paris). 

1895,  1  gennaio.  Cochin  H.,  S.  Francois  d'Assise  d'dprés  son  der- 
nier  historien.  Questi  è  il  Sabatier  a  cui  si  fa  rimprovero  di  non  avere 
intuito  lo  spirito  dell'Assisano  per  preconcetto  anticattolico. 

Revue  des  deux  mondes  (Paris). 

1894,  fase.  1.  Valbert  G.,  *S'.  Francois  et  ses  derniers  hiograjjhes.  A 
proposito  delle  due  vite  del  Le  Mounier  e  del  Sabatier.  Per  quest'ultima 
vegg'ansi  g-li  appunti  di  C.  Guignebert  in  Le  Moyen  Age,  1894,  fase.  3. 

Rivista  storica  italiana  (Torino). 

XI,  4.  Rinaudo  C,   Commemorazione  di  A.  Fabretti. 

Rivista  delle  tradizioni  popolari  italiane  (Roma). 

1893,  fase.  4.  Roux  0.,  La  maschera  i^erugina.  E  Bartoccio. 

Studi  e  doctoienti  di  storia  e  diritto  (Roma). 

1894,  fase.  1-4.  Fumi  L.,  7L'  inventario  dei  beni  di  Giovanni  di  Ma- 
gnavia  vescovo  d'Orvieto  e  vicario  di  Roma.  Cf.  Archivio  stor.  ital.,  di- 
spensa 4*  del  1895,  pag.  438. 

1895,  fase.  1-3.  Pardi  G.,  La  signoria  di  Ermanno  Monaldeschi  in 
Orvieto. 


589 


RECENSIONI  BIBLIOGRAFICHE 


GirsTiNiANO  Degli  Azzi  Vitelle.schi.  —  Le  rappresaglie  negli  stniidi 
perugini.  —  Studio  storico.  —  Perugia,  tip.  Boucompag-ui,  l.S!)5,  in 
ottavo,  di  pag'ine  64. 

Gli  studiosi  devono  esser  grati  al  signor  Giustiniano  Degli  Azzi  Vi- 
telleschi  delle  fatiche  ch'egli  ha  sostenute  per  recare  col  lavoro  annun- 
ziato un  utile  contributo  alla  storia  del  diritto  italiano  ;  poiché  essi  pos- 
sono trovare  nelle  brevi  pagine  che  compongono  il  lavoro  di  questo  gio- 
vane e  valente  aiitore,  notizie  interessanti  e  disposizioni  legislative  non 
mai  ancora  ricordate  da  altri  scrittori.  Con  chiarezza  il  signor  Degli  Azzi 
Vitelleschi  ha  saputo  esporre  specialmente  la  procedura  delle  rappresa- 
glie, quale  risulta  dagli  statuti  di  Perugia  del  1279  e  del  1526;  e  la  sua 
esposizione,  in  cui  sotto  distinti  capitoli  sono  raggruppate  le  principali 
prescrizioni  statutarie,  è,  per  quel  che  concerne  la  parte  teorica,  sufficien- 
temente completa.  Egli  tratta  difatti  delle  ragioni  per  cui  si  potevano 
chiedere  le  rappresaglie  e  delle  persone  che  le  potevano  domandare  ed 
ottenere  ;  della  procedura  in  generale  ;  dei  magistrati  cui  spettava  la  co- 
noscenza delle  rappresaglie;  delle  persone  e  cose  immuni  dall'esercizio 
di  tale  diritto;  della  pubblicità  e  della  cessazione  delle  rappresaglie. 

Impossibile  è  naturalmente  seguirlo  passo  passo  nel  suo  discorso  ; 
ma  non  voglio  però  lasciar  di  osservare  che  a  differenza  della  pratica 
seguita  altrove,  e  specialmente  a  Firenze,  il  Podestà  condivideva  a  Pe- 
rugia col  Capitano  del  popolo  1'  autorità  suprema  in  fatto  di  rappresa- 
glie; né  pare  che  i  Consigli  vi  avessero,  come  nel  Comune  fiorentino, 
ingerenza  in  siffatta  materia.  Altre  disposizioni  degne  di  essere  notate 
sono  quella  che  proibisce  di  concedere  rappresaglie  contro  i  forestieri  che 
venivano  a  Perugia  per  farsi  curare  e  l'altra  per  cui  le  licenze  concesse 
erano  colpite  da  una  prescrizione  decennale  che  vi  poneva  fine. 

La  notizia  di  tali  provvedimenti  basta  già  da  per  sé  a  rendere  in- 
teressante il  lavoro  del  signor  Degli  Azzi  Vitelleschi  ;  lavoro  che  natu- 
ralmente avrebbe  acquistato  un'importanza  molto  maggiore   se  l'autore 


590  Recensioni  bidliografiche 

avesse  riportato  iu  appoggio  delle  disposizioni  statiitali,  citate  cou  tanta 
dilig'euza  e  sag'acità,  alcuni  esempi  tolti  dalle  altre  serie  di  documenti 
conservate  nell'archivio  perugino. 

Ma  se  tali  esempi  egli  non  ha  creduto  opportuno  di  presentare  in 
questo  primo  saggio  lodevolissimo,  io  spero  che  non  trascurerà  di  offrir- 
celi quando  egli  darà  alla  luce  una  nuova  edizione  del  suo  lavoro. 

Gioverà  allora  pensare  se  non  conveng-a  togliere  addirittura  l'ultimo 
capitolo  sul  Comune  del  Popolo  e  quello  del  Potestà,  che  non  ha  che  fare 
col  tema  trattato  -,  e  se  non  sia  meglio  distinguere  nettamente  fra  loro 
le  disposizioni  contenute  nello  statuto  del  1279  e  quelle  dello  statuto  del 
1526  perchè  nessuno  possa  muovere  all'autore  il  rimprovero  di  aver  con- 
fuso le  varie  epoche  fra  loro,  di  non  avere  colla  debita  precisione  distinto 
i  magistrati,  le  leg'gi  e  i  caratteri  che  presiedettero  a  questa  istituzione 
nello  spazio  dì  quasi  due  secoli  e  mezzo.  Sarà  altresì  opportuno  di  ve- 
dere se  sia  lecito  affermare  che  nel  Regno  delle  due  Sicilie  «  poco  o 
nulla,  od  almeno  più  tardi  che  altrove,  allignò  »  «  quest'uso  barbaro  e 
incivile  »  (p.  10),  quando  si  ricordi  che  Sicardo  principe  di  Benevento 
ci  dà  fin  dal  secolo  IX  uno  dei  primi  esempi  della  legislazione  delle 
rappresaglie. 

Non  sarà  poi  affatto  inutile  osservare  che  se  il  primo  statuto  di  Pe- 
rugia è  del  1279,  la  prima  rubrica  fiorentina  relativa  alle  rappresaglie  è 
almeno  contemporanea,  se  non  anteriore  a  questa  data  ;  poiché  essa  non 
si  trova  già  nella  Balìa  generale  del  1309,  che  non  concerne  se  non  la 
Corte  della  Mercanzia,  ma  bensì  in  una  carta  di  concessione  del  1280 
dal  prof.  A.  Del  Vecchio  e  da  me  pubblicata  nel  nostro  volume^  dove 
appare  molto  più  elaborata  e  perfetta  che  non  quella  perugina, 

E  finalmente  l'autore  potrà  accorgersi  che  non  deve  ritenersi  per  una 
violazione  del  diritto  delle  genti,  come  egli  vorrebbe  (p.  17),  la  proibi- 
zione fatta  ag'li  stranieri  di  chiedere  iu  Perugia  rappresaglia  contro  i 
perugini  stessi  ;  essendo  invece  tale  proibizione  naturalissima.  Sui  loro 
cittadini  i  magistrati  avevano  piena  autorità  e  potevano  costringerli  co- 
gli ordinari  mezzi  legali  a  risarcire  il  danno  recato  ad  altrui;  senza  che 
fosse  necessario  di  ricorrere  a  quel  provvedimento  straordinario  delle  rap- 
presaglie, al  quale  non  potevano  rivolgersi  se  non  quando,  difettando 
di  mezzi  legali  di  coercizione,  avevano  esaurito  tutti  quelli  di  cui  paci- 
ficamente potevano  disporre  ed  avevano  ricevuto  dai  giudici  del  danneg- 
giatore un  formale  diniego  dì  giustizia.  Ed  a  questo  proposito  osserverò 
ancora  che  non  condivido  l'opinione  dell'autore;  secondo  il  quale  (p.  24) 
r  ofteso  senza  «  prendersi  il  disturbo  di  chiedere  la  riparazione  del  danno 
e  la  restituzione  del  tolto  al  Comune  cui  apparteneva  l'offensore  »  si 
querelava  subito  ai  giudici  della  sua  patria   per   ottenere  soddisfazione  ; 


RECENSIONI    niHhlOdUAIMClli:  591 

poiché  tale  afferinazioue  non  mi  pare  ibiulata  sopra  alcuna    delle   dispo- 
.sizioni  contenute  nelle  rubriche  pubi)licatc  a  pajiina  20  della  memoria. 

Questi  miei  appunti  e  «pieste  mie  osservazioui  non  tol<5ono  piMÒ 
niente  alla  sincerità  delle  lodi  che  ho  espresso  iu  principio  su  questo  la 
voro,  del  quale  riconosco  di  nuovo  l' importanza  e  l' interesse. 

Mi  compiaccio  sinceramente  di  vedere  un  giovane  valente  dedicarsi 
con  amore  e  cou  utilità  per  la  scienza  a  studi  a  cui  mi  sembra  vera- 
mente inclinato  ;  e  mentre  lo  incito  a  continuare  nella  sua  lodevole  fa- 
tica, lo  ringrazio  cordialmente  a  nome  del  mio  illustre  maestro  e  colla- 
boratore e  a  nonu;  mio  per  i  benevoli  <^iudizi  espressi  sul  nostro  volume. 
Firenze,  magyio  18%. 

EUOKNIO   CASANt)VA. 

Conferenze  della  Commissione  Senese  di  Storia  Patria.  —  Siena,    tip.  e 
lit.  sordo-muti  di  L.  Lazzari,  1895. 

Sono  qiiattro  preg-ievoli  lavori  di  storia  senese  iu  forma  di  conferenza. 

Nella  prima  di  queste  conferenze  sulle  origini  di  Siena  il  chino  prof. 
P.  Rossi  riassume  a  grandi  tratti  e  con  chiarezza  mirabile  tutto  ciò  che 
può  dedursi  dalle  tradizioni  popolari  e  dalle  leggende,  nonché  dalle  cro- 
nache intorno  ai  primi  secoli  di  vita  di  quella  Sena  vetus  che  occupa  a 
buon  dritto  un  posto  cosi  eminente  nella  storia  delle  città  italiane.  L'au- 
tore dopo  essersi  brevemente  intrattenuto  a  parlare  delle  due  famose  leg- 
gende {la  romana  e  la  gallica),  passa,  ad  esaminare  la  questione  se  il 
ove  oggi  sorge  Siena,  fosse  in  origine  umbro,  ed  a  questo  proposito  egli 
scrive:  «  La  cosa  è  per  dir  vero  probabile,  poiché  i  più  recenti  studi 
hanno  dimostrato  che  la  parte  centrale  della  nostra  penisola  fu  in  ori- 
gine abitata  quasi  esclusivamente  dai  Latini  e  dagli  Umbri,  due  rami 
poi  suddivisi  dal  pi'imitivo  pojjolo  italico  ». 

L' invasione  etrusca  apparterrebbe  ad  un  periodo  storico  posteriore, 
periodo  che  è  ben  messo  iu  rilievo  dalle  numerose  iscrizioni  e  da  tutti 
gli  altri  documenti  che  l'autore  ricorda,  dando  prova  di  una  non  comune 
erudizione  storica  e  di  una  grande  familiarità  con  le  opere  celebri  del 
Gori,  del  Palcretti  e  del  Gamurriui. 

Si  fa  menzione  da  ultimo  della  terza  fase  storica  di  quella  città,  del 
periodo  cioè  della  dominazione  romana,  e  si  viene  a  stabilire  che  Siena 
già  centro  di  qualche  rilievo  durante  la  dominazione  etrusca,  aveva  l' im- 
l^ortanza  e  il  grado  di  città  autonoma,  emancipata  dalla  dipendenza  di 
città  vicine,  se  non  prima,  probabilmente  all'epoca  dell'unificazione  ro- 
mana. —  La  seconda  e  la  terza  conferenza  contengono  respettivamente 
degli  studi  molto  seri  sulle  «  prediche  volgari  di  S.  Bernardino  in  Siena 


592  RECENSIONI   BIBLIOGRAI'ICHE 

uel  1-427  e  su  Sauta  Caterina  »  ;  l'una  è  opera  del  prof.  0.  Bacci  e  l'al- 
tra del  nostro  socio  corrispondente  prof.  C.  Calisse. 

Chi  ha  udito  o  letto  queste  due  belle  conferenze  non  può  non  aver 
veduto  apparire  nitide  e  luminose  dinanzi  alla  sua  immaginazione  quelle 
due  grandi  figure  :  da  un  lato  il  fraticello  tutto  animato  dalla  santa  idea 
di  fare  il  bene  degli  altri,  fiero  ed  instancabile  nel  combattere  i  mali 
costumi  che  affliggevano  molte  città  d' Italia  in  quel  tempo;  dall'altro  la 
popolana  senese,  la  cui  vita  tutta  quanta  si  riassume  in  una  serie  di  atti 
improntati  sempre  alla  più  schietta  dolcezza  e  soavità  di  modi,  ma  la 
cui  missione,  come  giustamente  dice  il  prof.  Calisse,  non  è  destinata 
alla  tranquillità  della  contemx>lazione  ina  all'operosità  della  vita;  come 
la  favilla  luminosa  s'innalza  verso  il  cielo  e  jyoi  ricade  alla  terra,  gri- 
dando sempre  ed  ovunque  pace,  pace,  jìace. 

Luigi  Giannantoni. 

Nozze  Mancini-Imbrico.  —  Per  il  matrimonio  della  signorina  Vittoria 
Mancini  con  il  cav.  Ulrico  Imbrico,  Tenente  dei  RR.  Corazzieri,  gli  Ac- 
cademici Etruschi  di  Cortona  hanno  dato  alle  stampe,  facendola  prece- 
dere da  una  gentile  lettera  alla  sposa  dovuta  alla  penna  elegante  della 
marchesa  Teresa  Venuti,  una  descrizione  inedita  delle  feste  nuziali  ce- 
lebrate in  Cortona  quando  il  suo  sesto  signore  Francesco  Casali  sposò 
Antonia  Salimbeni  nobile  senese.  La  importante  narrazione  è  tratta  da 
un  codice  cartaceo  ove  si  legge  la  storia  dei  Casali  scritta  dal  canonico 
Filippo  Alticozzi,  il  quale  codice  è  ora  di  proprietà  del  cav.  Girolamo 
Mancini.  Nello  stesso  opuscolo  è  stata  per  la  prima  volta  pubblicata  per 
opera  del  chiarissimo  prof.  Francesco  Ravagli  una  lettera  diretta  dal 
card.  Lorenzo  Pucci  ai  Priori  di  Cortona  il  23  febbraio  153L  In  essa  il 
cardinale  rivolge  preghiera  e  quasi  comanda  ai  magistrati  di  questa  città 
che  ai  canonici  e  al  capitolo  della  cattedrale  cortouese  sien  restituiti  gli 
splendidi  paramenti  sacri  donati  al  medesimo  capitolo  dal  card.  Silvio 
Passerini.  I  canonici  avean  consentito  che  il  Comune  di  Cortona  desse 
in  pegno  detti  parati  ad  alcuni  cittadini  di  Siena,  dai  quali  il  Comune 
stesso  aveva  tolto  in  prestanza  600  ducati.  Il  prestito  era  stato  fatto  per 
poter  pagare  al  principe  Filiberto  d'Oranges  la  intera  somma  di  20,000 
ducati,  che  i  cortouesi,  disperando  d'esser  soccorsi  da  Firenze  dopo  l'as- 
salto dato  dal  principe  alla  loro  città  il  14  settembre  1529  e  da  loro  va- 
lorosamente respinto,  e  nella  dolorosa  certezza  di  non  poter  resistere  ad 
un  nuovo  attacco,  s'erano  impegnati  a  pagare  entro  il  termine  d'un  mese 
al  capitano  delle  truppe  imperiali.  Tanto  la  descrizione  delle  feste  nu- 
ziali quanto  la  lettera  del  cardinal  Pucci  sono  accompagnate  da  oppor- 
tuuissime  notizie  illustrative.    Chiudono   l'opuscolo   due  graziosi  sonetti 


RECENSIONI    BIHLIOGRAFICHE  593 

dettati  dalTavv.  Antonio  lU-rti  nel  vernacolo  cortonese  che  ha  tanta  ana- 
logia con  quello  delle  campagne  ])erugine. 

Meritano  la  raagg'ior  lode  gli  egregi  promotori  della  liiblioteca  Cri- 
tica della  Letteratura  italiana,  e  la  Casa  editrice  Sansoni  ha  certamente 
acquistato  un  altro  titolo  di  benemerenza  dai  cultori  degli  studi  letterari 
in  Italia. 

Pubblicar  di  nuovo  le  monografie  che  non  possou  consultarsi  facil- 
mente, quelle  che  per  la  foga  superba  di  una  critica  troppo  giovane, 
troppo  moderna,  furono  ingiustamente  dimenticate,  quelle  sopratutto  che 
nei  limiti  di  un  modesto  ambito  di  ricerche  hanno  pur  diffuso  tanta  luce 
di  metodo  ed  hanno  suscitato  tanto  entusiasmo  di  studi  severi  e  geniali, 
coordinar  questa  scelta,  darle  un  afflato  organico,  è  quasi  un'  invenzione, 
direbbe  il  Montesquieu. 

E  noi  confidiamo  che  questa  avveduta  e  sapiente  antologia  sia  sem- 
pre ispirata  da  cosi  sani  principi  e  non  degeneri  in  un  raccogliticcio  di 
esotici  arbusti  brulli  di  fronde  e  pieni  di  spine. 

I  primi  due  volumetti  contengono  le  note  dissertazioni  del  Giesebrecht 
e  dell' Ozauam  intorno  all'Istruzione  in  Italia  nel  Medio  Evo:  a  queste 
succedono  gli  studi  del  Capasso  sui  Diurnali  di  Matteo  da  Giovenazzo,  e 
dello  Zenatti  su  Arrig-o  Testa. 

Insieme  con  due  monografìe  del  Paris  furono  inoltre  pubblicati  lo 
studio  del  Sainte  Beuve  intorno  al  Fauriel  e  Manzoni  ed  al  Leopardi,  ed 
una  stupenda  lettura  del  Carhie  sopra  Dante  e  Shakspeare. 

Auguriamo  alla  nobile  impresa  il  più  felice  successo. 

Abbiamo  anche  ricevuto,  con  gentile  dedica  dell'autore,  \\\\  piccolo 
manuale  di  Letteratura  italiana.  Sono  cenni  storico-critici  di  Onorato  lìoux 
(Roma,  Fratelli  Centenari,  1896). 

Come  compilazione  destinata  a  richiamare  alla  memoria  dei  giovani 
le  date  e  i  nomi  più  importanti  della  nostra  letteratura,  questo  scritto 
può  avere  un  certo  valore;  e  noi  crediamo  che  questa  per  l'appunto 
sia  stata  l'intenzione  del  noto  scrittore,  a  cui  va  per  ciò  tributata  ancora 
una  volta  la  lode  di  una  instancabile  operosità. 

J.  C.  Broussolle.  —  Pélerinages  ombriens.   —   Paris,    Librairie   Fisch- 
bacher,  1896. 

In  questo  volume,  in  cui  l'abate  Broussolle  si  occupa  con  vero  amore 
dell'  Umbria  nostra,  di  alcuni  artisti  ai  quali  essa  diede  i  natali,  di  molte 
delle  opere  d'arte  che  si  ammirarono  un  tempo  o  si  ammirano  anche 
adesso    nei    nostri   paesi,   invano    si    ricercherebbero    profonde    indagini 


591  RECENSIONI  BIBLIOGRAFICHE 

critiche  apportatrici  di  nuova  luce  nelle  questioni  storico- artistiche  che 
tuttora  si  agitano.  A  sitfatte  iudag-ini  il  signor  Broussolle  si  palesa  e  fran- 
camente aftermasi  del  tutto  contrario,  e  noi  non  sapremo  rimproverargli 
la  sua  avversione  se  prendiamo  a  considerare  quella  critica  eccessiva- 
mente minuziosa  che  non  sa  elevarsi  alla  sintesi,  e  la  cui  azione  è  tutta 
demolitrice.  Ci  sembra  però  che  al  signor  Broussolle  a  proposito  del  suo 
libro  possa  con  opportunità  ripetersi  —  in  medio  stat  virtus  —  :  se  l'e- 
gregio e  valente  scrittore  francese  avesse  tenuto  in  maggior  conto  i  se- 
veri studi  critici  e  avesse  esposto  il  lisultato  di  questi  (ai  quali  egli,  con 
il  suo  acuto  ingegno,  avrebbe  campo  di  applicarsi  molto  utilmente) 
nella  forma  geniale  e  brillante  che  gli  è  propria,  dal  volume  Péleri- 
nages  ombriens,  che  presenta  già  tanto  interesse,  sarebbe  venuto  alla 
storia  dell'arte  un  contributo  più  notevole;  il  capitolo  su  Benedetto  Bon- 
figli  avrebbe  con  mag'giore  larghezza  trattato  dell'opera  di  quel  maestro, 
e  nell'altro  De  Pérouse  à  Pérouse  sarebbe  stato  facile  al  signor  Broussolle 
discorrere  più  diffusamente  delle  numerose  opere  d'arte  che  si  conservano 
anche  nei  più  piccoli  paesi  dell'  Umbria.  —  In  una  nuova  edizione  di  questi 
Pélerìnages,  che  si  leggono  tanto  volentieri,  allarghi  il  chiarissimo 
autore  1  suoi  studi  e  le  sue  ricerche  ad  altre  parti  della  nostra  regione, 
sulle  quali  per  ora  egli  ha  taciuto  o  sorvolato  ;  se  ne  occupi  con  quel  di- 
ligente e  intelligente  amore,  con  cui  ha  descritto  ed  illustrato  la  piccola 
Chiesa  della  Rocca  S.  Angelo  o  Rocchiciola  presso  Assisi,  che  pur  non 
contiene,  come  egli  stesso  afferma,  pitture  di  speciale  importanza  e  va- 
lore, e  gliene  saranno  molto  grati  non  solo  gli  Umbri,  ma  tutti  quanti 
dell'  Umbria  amano  le  bellezze  naturali  ed  artistiche.  —  Noi  rivolgiamo 
fidenti  questa  preghiera  al  signor  Broussolle,  perchè  conosciamo  in  lui 
un  ammiratore  appassionato  dell'Umbria  verde:  tale  egli  si  rileva  nel 
capitolo  del  suo  libro  intitolato  Les  Paysages  ombriens,  capitolo  in  cui 
con  grazia  squisita,  con  entusiasmo  sincero,  descrive  i  paesi  nostri.  — 
Egli  non  si  sente  straniero  nell'Umbria,  e  del  su^o  affetto  verso  questa 
regione  e  Perugia  ci  è  gradita  testimonianza  la  parte  del  suo  volume 
—  Les  Pérugins  de  Pérouse  et  les  pillages  artistiques  des  armces  de  la 
revolution  et  de  l'empire  — .  Le  notizie  che  il  signor  Broussolle  vi  dà 
non  sono  certo  inedite,  ma  egli  col  diffonderle  a  mezzo  dì  un  libro  che 
avrà  non  pochi  lettori  anche  all'estero,  ha  cooperato  al  trionfo  della 
verità  e  della  giustizia. 

Abbiamo  sopra  affermato  che  l'abate  Broussolle  non  si  sente  straniero 
fra  noi  ;  aggiungiamo  ora  che  egli  per  la  sua  non  comune  cultura,  di  cui 
è  prova  la  pubblicazione  che  ci  occupa,  e  per  l'amabilità  perfetta  delle 
sue  maniere  si  è  guadagnato  in  questa  provincia  numerosi  amici,  che 
ben  volentieri  lo  rivedrebbero  in  mezzo  a  loro,  intento   ad   ampliare  e 


RECENSIONI    HllUJodltAKlCllE  5i)5 

completare  i  suoi  studi  artistici  ;  di  tali  studi  cj^li  ha  ^ià  oIVcrto  un  hcl 
saggio  in  questi  Pélerinage.s,  che  hauuo  veduto  la  luce  in  un  elegante 
volume  adorno  di  molte  riproduzioni  (talune  delle  ijuali  per  opera  dell'e- 
gregio pittore  Sebastiano  Novelli)  dei  ([uadri   di    maggiore  bellezza,  dei 

più  insigni  laonuinenti,  lU'i  più  incantevoli  paesaggi   uniljri. 

V.    A. 

Coi  tipi  della  Tuione  Tipogralica  Cooperativa  di  Perugia  ha  testé 
veduto  la  luce  uno  studio  del  dott.  Angelo  Fani  su  La  Deportazione. 
—  Dell"  importante  e  promettcntissimo  lavoro,  clie  considera  la  depor- 
tazione anche  dal  punto  di  vista  storico,  dobbiamo,  nostni  malgrado,  per 
l'abbondanza  della  materia  di  questo  doppio  fascicolo,  rimandare  al  pros- 
simo numero  la  recensione. 


n!)T 


l)U 


0  IN  DONO  -  OMAGGIO  DI  POI 


a.  latituto  Lombardo  di  Scienze  e  Lettere.  —  Memorie.  —  Classe  di  let- 
tere e  scieuze  storiche  e  morali  (Voi.  XX-XI  della  Serie  IH,  Fasci- 
coli 2"-3*').  ~  Carlo  Gii'.ssani,  La  <iuestione  del  linguaggio  se- 
condo Platone  e  secondo  Epicuro.  —  Fkance.sco  Novati,  Maestr'  Ugo- 
lino da  Montecatini  medico  nel  secolo  XIV  ed  il  suo  trattato  dei 
bagni  termali  d' Italia.  —  Rendiconti  (Serie  II,  Fascicoli  V  a  15"). 

B.  Istituto  Veneto  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti.  —  Pacomio  Rusauo 
grammatico  greco  del  secolo  XVI  e  i  manoscritti  autografi  delle  sue 
opere,  Ricerche  storiche  di  C.  Castellani.  —  Antonio  Favauo, 
Nuove  contribuzioni  alla  storia  delle  scienze  nel  decimosettimo  se- 
colo, Tito  Livio  Burattini  —  Nuovi  contributi  alla  storia  del  pro- 
cesso di  Galileo  —  Don  Baldassarre  Boncompagui  e  la  Storia  delle 
Scienze  matematiche  e  fisiche.  —  Gii'seppe  Occioni-Boxaffons,  De- 
gli studi  storici  relativi  al  Friuli  nel  triennio  1883-1885  —  Insurre- 
zioni popolari  a  Rovigo  nell'Istria  (1752-1796)  —  Del  commercio  di 
Venezia  nel  secolo  XVIII  —  Un  episodio  di  Storia  ecclesiastica  con- 
cordiese  —  La  liturgia  slava  nell'Istria  secondo  recentissime  pubbli- 
cazioni. —  Galanti  Ferdinando,  Saggio  di  Versioni  da  Filemone.  — 
Cesare  Augusto  Levi,  Dei  culti  orientali  nell'antica  Venezia;  Di- 
chiarazione di  un  monumento  mitriaco  in  Torcello  ;  Appunti  di 
critica  storica  sulle  analogie  fra  Mitra  e  San  Marco  —  Studi  archeo- 
logici su  Aitino  —  Su  Cheronzio  Augustale,  Taide  da  Licopoli  e 
Publio  Clodio  Quirinale.  —  Pompeo  Molmenti,  Di  un'  antica  forma 
di  rappresentazione  teatrale  Veneziana.  —  Bernardo  Morsolin,  Il 
Consiglio  di  Vicenza,  episodio  della  Storia  del  Concilio  di  Trento 
(1537-1538).  —  Nicolò  Papadopoli,  Del  Piccolo  e  del  Bianco  anti- 
chissime monete  veneziane  —  Moneta  Dalmatiae.  —  Fertile  An- 
tonio, I  laudi  del  Cadore.  —  Agostino  Rossi,  La  elezione  di  Co- 
simo I  Medici.  —  Federico  Stefani,  Sul  vero  autore  della  Storia 
arcana  della  vita  di  Fra  P.  Sarpi  attribuita  a  mons.  Giusto  Fontanini. 
—  Nuovi  appunti  sul  conte  Carmagnola  e  sui   documenti  che  lo  ri- 


598       PERIODICI  IN   CAIVIBIO   O   IN  DONO  —  OMAGGIO   DI  PUBBLICAZIONI 

g-uardauo.  —  E.  Teza,  Le  geste  di  S.  Cristoforo  nella  tradizione 
armena.  —  G.  B.  De  Toni,  Frammenti  Vinciani  ;  I.  Intorno  a 
Marco  Antonio  Dalla  Torre  anatomico  veronese  del  XVI  secolo  ed 
all'epoca  del  suo  incontro  con  Leonardo  da  Vinci  a  Pavia. 
Archivio  Storico  Italiano  (Dispense  l*-2*  del  1896).  —  Sommario  della 
dispensa  2^.  —  Atti  della  R.  Deputazione.  —  Memorie  e  documenti. 

—  Della  vita  di  Filippo  Brunelleschi  attribuita  ad  Antonio  Manetti 
con  un  nuovo  frammento  di  essa  tratto  da  uu  Codice  pistoiese  del 
secolo  XVI,  A.  Chiappelli.  —  Biella  e  i  Vescovi  di  Vercelli,  Ri- 
cerche, F.  Gabotto.  —  Una  minaccia  di  rappresaglia  contro  il  Co- 
mune di  Firenze  nel  1309,  P.  L.  Rambaldi.  —  Aneddoti  e  varietà.  — 
Corrispondenze.  —  Rassegna  bibliografica.  —  Necrologie.  —  Notizie. 

E.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino.  —  Memorie.  —  (Serie  II,  To 
mo  XLV,  Anno  MDCCCXCVI).  —  Classe  di  Scienze  morali,  storiche 
e  filologiche.  —  Indice.  —  L' immigrazione  dei  Gesuiti  spaguuoli 
letterati  in  Italia,  V.  Cian.  —  Maine  de  Biran  e  la  sua  dottrina  an- 
tropologica. G.  Allievo.  —  Frammenti  torinesi  del  Codice  Teodosiano, 
F.  Patetta.  —  Brevi  appunti  di  storia  novaliciense,  C.  Cipolla.  — 
Studi  psicofisiologici,  G.  Allievo.  —  Atti  (Voi.  XXX  Dispense  13^ 
a  16%  Anno  1894-95,  e  Voi.  XXXI,  Dispense  1^  a  5^,  Anno  1895-96). 

Archivio  Storico  per  le  Provincie  napoletane  (Anno  XXI,  Fascicoli  l''-2"). 

—  Sommario  del  Fascicolo  2".  —  Cerasoli  F.,  Clemente  VI  e  Gio- 
vanna I  di  Napoli  (Documenti  inediti  dell'Archivio  Vaticano,  1343- 
1352),  {continua).  —  Nunziante  E.,  I  primi  anni  di  Ferdinando 
d'Aragona  e  l'invasione  di  Giovanni  d'Angiò,  {continua).  —  Ceci  G., 
Il  giuoco  a  Napoli  durante  il  medio  evo.  —  Schipa  M.,  Un  ministro 
napoletano  del  secolo  XVIII  (Domenico  Caracciolo),  {continua).  — 
De  Crescenzo  S.,  Notizie  storiche  tratte  dai  documenti  angioini, 
conosciuti  col  nome  di  Arche,  {continua).  —  Beltrani  G.,  Un  ms. 
inedito  di  Onofrio  Fiani  da  Torremaggiore  sui  fatti  del  novantanove 
iu  Napoli.  —  Capasso  B.,  Notizie  intorno  alle  artiglierie  apparte- 
nenti alla  città  di  Napoli  dal  secolo  XV  fino  al  1648. 

Atti  e  memorie  della  E.  Deputazione  di  Storia  Patria  per  le  provincie 
di  Romagna  (Serie  III,  Voi.  XIII,  Fascicoli  4"  a  6°).  —  Comelli  G.  B., 
Pianta  di  Bologna  dipinta  nel  Vaticano,  e  altre  piante  e  vedute  di 
questa  città.  —  Bagli  G.  C,  Contributo  agli  studi  di  bibliografia 
storica  romagnola.  —  Manzoni  L.,  Fr.  Francesco  Pipino  da  Bologna 
dei  pp.  Predicatori.  —  C.  Malagola,  Segretario.,  Atti  della  Depu- 
tazione. 

Archivio  Storico  lombardo  (Serie  III,  Fascicoli  9''  a  10").  —  Sommario  del 
Fascicolo  10'',  —  Memorie.  —  L'  assedio  di  Milano  nel  1526  dappresso 


PERIODICI    IX    CAMBIO    0    IN    DOSO    -  OMAOOIO    DI    PUBBLICAZIONI        'jfMI 

mia  corrispondenza  inedita  di  Francesco  Guicciardini  commissario 
del  Papa  nell'esercito  dei  Colleg-ati,  G.  Bickxakdi.  —  1/ Tmanista 
Lodovico    Odasio    alla   Corte   dei    Duchi    di    orbino,  A.  l'iNK'm    ed 

E.  E.  Odazio.  —  Nozze  e  funerali  alla  Corte  dei  Gon'/aj^-a,  \hi'J-ì'ìiiO, 
G.  B.  Intra.   —  Varietà.  —    Archeologia. 

lìirisfa  di  Storia,  Arte,  Areheoloyia  della  proiincia  di  Alessandriti  (An- 
no V,  Fascicoli  13"- 14°).  —  Sommario   del    Fjiscicoio    14".    —  Studi. 

—  P.  Valente,  Il  Comune  xYstiji^iano  e  la  lotta  contro  Federico  I.  — 

F.  Negri,  Il  Moncalvo.  —  F.  Gabotto,  Asti  e  il  Piemonte  al  tempo 
di  Carlo  d'Orléans  (1407-1422).  —  Memorie  e  notizie^.  —  Documenti. 

—  F.  Savio,  Indice  del  Mnriondo.  —  C.  De  Si.moni,  Documenti  di 
Gavi. 

R.  Accademia  dei  Lincei  (Classe  di  Scienze  morali,  storiche  e  tìlolog-iche). 
Rendiconti  (Serie  V,  Xoì.  IV,  Fascicolo  12"  e  Indice  del  Volume  e 
Voi.  V,  Fascicoli  1"  a  5").  —  Atti.  —  Rendiconto  dell'adunanza  so- 
lenne del  7  g'iug^no  189(). 

Archivio  della  li.  Società  Romana  di  Storia  Patria  (Voi.  XIX,  Fasci- 
coli 1°  -  2").  —  P.  Saviononi,  L'Archivio  storico  del  Comune  di  Viterbo. 

—  D.  Orano,  Appendice  al  Diario  di  IMarcello  Alberini.  —  V.  Ca- 
POBiANCHi,  Appunti  per  servire  all'ordinamento  delle  monete  coniate 
dal  Senato  Romano  dal  1184  al  1439  e  degli  stemmi  primitivi  del 
Comume  di  Roma.  —  G.  Tomasetti,  Della  Campagna  romana.  — 
B.  Fontana,  Sommario  del  proces  o  di  Aouio  Paleario  in  causa  di 
eresia.  —  Varietà.  —  Atti  della  Società.  —  Bibliog-rafia. 

Atti  della  Società  Ligure  di  Storia  Patria  (Voi.  XXVII).  —  Le  Monache 
nella  vita  genovese  dal  secolo  XV  al  XVII  per  M.  Rosi.  —  La  morte 
di  Jacopo  Boufodio  per  M.  Rosi.  —  Un  g-eneologista  del  Principi 
Cybo,  del  socio  G.  Sforza. 

Bollettino  della  Società  di  Storia  Patria  Anton  L^odovico  Antinori  negli 
Abruzzi  (Anno  Vili,  Puntata  XVI).  —  Elog-io  storico  del  march.  Giu- 
lio Dragonetti,  V.  Moscardi.  —  L'Abruzzo  uella  «  Storia  documen- 
tata di  Carlo  V  »  di  Giuseppe  de  Leva,  L.  Palatini.  —  Stato  del- 
l'Aquila degli  Abruzzi  nei  grandi  periodi  sismici  del  1315,  1349-  e 
1461-62,  G.  Vittori.  —  Uua  corsa  pel  paese  dei  Vestini,  I.  Ludo- 
visi.  —  Un  opportuno  ricordo  bibliogTafìco  di  pubblicazioni  abruz- 
zesi e  marchigiane,  V.  Moscardi.  —  Un  documento  inedito  (sulla 
beatificazione  del  Ven.  Sertorio  Caputo),  L.  Palatini.  —  Pergamene. 
Rivista  bibliografica.  —  Appunti  bibliografici  e  critici.  —  Corrispon- 
denze e  varietà.   —  Atti  ufficiali  della  Società. 

La  Critica,  Rivista  settimanale  di  arte,  diretta  da  G-  Monaldi  (Anno  III, 
numeri  5  a  13). 


600       PERIODICI   IN   CAMBIO   O   IN   DONO  —  OMAGGIO   DI   PUBBLICAZIONI 

Bollettino  della  Società  Dantesca  italiana  (Voi.  Ili,  Fascicoli  3",  4°  e  5"). 

Miscellanea  Storica  Senese  (Anno  III,  numeri  10,  11  e  12,  e  Auno  IV, 
mimeri  1  a  8). 

B.  Accademia  dei  Rozzi  —  Bollettino  Senese  di  Storia  Patria  (Anno  III, 
Fascicolo  1°).  —  Atti  della  Commissione.  —  Memorie  originali.  — 
A.  LuscHiN,  I  sepolcri  degli  scolari  tedeschi  in  Siena.  —  G.  Pardi, 
Sulla  vita  e  gli  scritti  di  Domenico  da  Monticchiello.  —  Varietà.  — 
Archivi.  —  Rassegna  bibliografica. 

Nuova  Rivista  Misena,  diretta  dal  prof.  Anselmo  Anselmi  (Anno  VIII, 
numeri  11-12,  e  Anno  IX,  numeri  1-2). 

Atti  e  memorie  della  Società  Siciliana  per  la  Storia  Patria  (Anno  XX, 
Fascicoli  1°  -  2°  e  3"  -  4").  —  Sommario  dei  Fascicoli  3°  -  4°.  — 
Pellegrini  A,,  Nota  sopra  un'  iscrizione  egizia  del  Museo  di  Pa- 
lermo. —  Sampolo  L.,  Accademia  Siciliana  1790-1818,  nuove  ricer- 
che. —  Lagumina  B.,  Di  un  preg'evole  ripostiglio  di  monete  arabe 
trovato  a  Palermo.  —  Atti  della  Società. 

La  Favilla,  rivista  letteraria  delV  Umbria  e  delle  Marche,  diretta  da  Leo- 
poldo TiBERi  (Anno  XIX,  Fascicoli  V  a  6"). 

Studi  e  documenti  di  Storia  e  Diritto  (Auno  XVII,  Fascicoli  l°-2").  — 
Note  intorno  allo  dottrina  dei  legati,  [cont.  e  fine),  E.  Carusi.  — 
Annali  d' Italia  dalla  morte  di  Valeutiuiano  III  alla  deposizione  di 
Romolo  Augustolo  (Anni  455-476),  L.  Cantarelli.  —  Il  diverticolo 
Frontiniano  all'acqua  Tepula,  A.  Rocchi.  —  Il  Catalogo  della  Bi- 
blioteca di  Pomposa,  G.  Mercati. 

Miscellanea  Storica  della  Valdelsa  (Anno  IV,  Fascicolo  1°). 

Bollettino  della  Società  Africana  d'Italia  (Auno  XIV,  Fascicoli  11" -12° 
ed   Anno  XV,  Fascicoli  1\  2°  e  3"). 

Società  Storica  Comense.  —  Atti  della  visita  pastorale  diocesana  (1589- 
1593)  di  F.  Feliciano  Ninguarda  vescovo  di  Como  (Voi.  Ili,  Di- 
spense 3^  a  6^). 

Commentari  dell'  Ateneo  di  Brescia  jjer  l'anno  1895  (Brescia,  Stab.  Tip.- 
Lit.  Apollonio,  1895). 

Ecole  Frangaise  de  Rome  —  Mólanges  d' Archeologie  et  d'Histoire  (XV 
année.  Fase.  4  -  5  ;  XVI  année,  Fase.  1-2  et  3-4).  —  Un  acte  de  la 
Légation  du  Cardinal  Jean  Halgrin  en  Espagne,  par  M.  L.  Au- 
VRAY.  —  La  question  des  blés  daus  la  rupture  entre  Florence  et  le 
Saint-Siége  en  1375,  par  M.  L.  Mirot.  —  Notice  du  manuscrit  Va- 
ticau  latin  3881,  par  M.  J.  Paquier.  —  Le  livre  de  la  Chasteté 
compose  par  Jésusdenah,  Evéque  de  Ba^rah,  publié  et  traduit  par 
M.  J.  e.  Chabot.  —  Le  Monument  de  Benoìt  XII  daus  la  Basilique 


l'KRIODICI    IN    CA.MItlO    (I    IN    IXiNO  --  <  l.MA(  H  IH  »    DI    l'LlUtLirA/.K  »NI        »»Ul 

(le  Saiut-Picnt',  par    M.  (ì.    Dai  Min.  l'iie  colU'clioii  de;  tcssères, 

par    M.    11.    (ÌKAILIA)T, 

Archlrio  Storico  per  le  prorincie  jxtruicnsi  Voi.  II,  1S!)3).  —  K.  Ca.sa, 
Memorii'  storiche  di  Panna  dalla  morte  del  1  >iiea  Antonio  Fanie.sc 
alla  dominazione  dei  IJorhoni  di  Spagna  i  17:')l-17il)).  —  E.  Casa,  Storia 
deirammiiiistrazione  di  (ìn^lielmo  Du  Tillot  pei  duchi  Filippo  e  Imm"- 
dinando  di  Boritone  nel  governo  degli  Stati  «li  Parma,  Piacenza  e 
(lua.stalla  dall'anno  1704  all'anno  1771. 

lilri.sfa  ili  Storia  riiitica  e  scienze  a/p ni,  diretta  dal  dott.  Giacomi •  Tuoi-ka 
(Anno  I,  Fascicolo  4°). 

J.a  Ciriltà  Cattolica  i^Serie  XVI,  Voi.  V-VI,  Dal  (juad.  10i»:3  al  «luad.  1102). 

Bollettino  Storico-hihliografico  Subalpino,  diretto  da  Feuuinanim»  (Iamottc» 
(Anno  I,  numeri  1,  2  e  .'5). 

Nuovo  Arc/iirio  veneto,  ])uì)blicazione  della  lì.  Deputazione  niufit  ili 
tutoria  Patria,  Direttore  connn.  Fedeiìico  Stefani  (Anno  \'l,  nu- 
meri 21  e  22).  —  I  Conti  di  Verona,  parte  prima,  B.  Baidi  di  Ve- 
SME.  —  Della  patria  e  della  nazionalità  del  B.  Odorico  da  Porde- 
none, V.  Savi  —  Guarino  Veronese  e  la  polemica  sul  Carmagnola, 
R.  Sahuadini.  —  Ancora  del  (Jobbo  di  Rialto,  A.  Moschetti.  — 
La  morte,  il  monumento  di  Vettor  Pisani,  V.  Lazzaiuni.  —  Pubbli- 
cazioni sulla  storia  medioevale  italiana  (1894),  C.  Cipolla.  —  I  teatri 
musicali  di  Venezia  nel  settecento,  (contimca),  T.  Wiel. 

Analecta  Bollandiana  (Tom.  XIV,  Fascicoli  1",  2°  e  3°,  Toni.  XV,  Fasci- 
coli r,  2°  e  3"). 


In  morte  di  Cesare  Cantìj  a  cura   della    Famiglia  ;    Milano,  XI    marzo 

MDCCCXCVI. 
Carlo    Cipolla.    —    Brevi     appunti    di    Storia     Xovaliciense  ;    Torino, 

Clausen,  189G.  —  Le  pubblicazioni    della   Commissione  Colombiana  ; 

Roma,  Tip.  Forzaui,  1893. 
Commissione  Senese  di  Storia  Patria  nella    R.  Accademia   dei    Rozzi.  — 

Conferenze    tenute    nei    giorni    16,  23,   30    marzo  e   G   aprile    189ó  ; 

Siena,  Tip.  e  Lit.  Sordo-muti  di  L.  Lazzeri,  1895. 
Getulio    Ceci.     —    Todi    nel    medio    evo  ;    Todi,    Tip.    Trombetta.    — 

Quattro  lettere  di  S.  Carlo  Borromeo   pubblicate    per    nozze    Tenne- 

roni  De  Lorenzi,    VIII   gennaio    MDCCCXVI.    —  Malatesta  di   Pau^ 

dolfo  ]\Ialatesta  e  il  Comune  di  Todi  ;  Todi,  Franchi,  1890. 
Gaudenzio  Claretta.  —  Delle  principali  relazioni  politiche  fra  Venezia 

e  Savoia    nel    sec.  XVII  ;    Venezia,  Tip.  Visentini,  1895.  —   Il    de- 
si) 


(J02        PERIODICI   IN    CAilBIO    O    IM    DONO  --  OMAGGIO    DI   PUBBLICAZIONI 


posito  delle  Reliquie  tli  S.  Agostino  a  Pavia  e  il  Re  di  Saideg'ua 
Carlo  Emanuele  ITI  ;  Pavia,  Tip.  Fusi,  1894. 

MoRiNi  Adolko.  —  Note  istoriche  del  Comune  di  Pog-giodomo  ;  Ca- 
meriuo.  Tip.  Marcili,  1894.  —  Cursula,  Ricerche  giovanili;  Rom;i. 
Tip.  Avvocati,  189(i. 

(i.  B.  Paganelli.  —  Fondazione  per  T  istruzione  agraria  di  S.  Pietro 
in  Perugia.  —  Facoltà  agraria  universitaria  o  Scuola  agraria  supe- 
riore':* -,  Perugia,  Unione  Tipografica  Cooperativa,  189G. 

ToKUACA  Francesco.  —  Biblioteca  critica  della  letteratura  italiana  ;  Fi- 
renze, Sansoni,  1896. 

(tIUSEppe  Bianconi.  —  Bettona  Umbro -Etnisca.  —  Bettona  Romana  : 
Firenze,  Tip.  Minori  Corrigendi,  1891). 

Bartolomeo  Xogara.  —  Iscrizioni  etrusche  e  messapiche.  (Estratto 
diiW Annuario  lS9ò-dii  deUa  R.  Accademia  Scientifico-letteraria  di 
Milano). 

Onorato  Roux.  —  Letteratura  italiana.  Cenni  Storico -critici  ;  Roma, 
Tip.  Centenari. 


(;o:{ 


f)l  l'Ef,.^(l\E  E  111  liìllilll 


A  (1  O  S  T  I  N  I    C,    ÓGT. 

A  LESSI    G.,  193,  071. 

Alfieui  V.,  L'ammiuistrazione 
economica  dell'antico  Comune  di 
Perugia,  379. 

Akkjhieri   D.,  199,  5(!7. 

Amelia,  584. 

Andrea  da  Perug'ia,  19H,  578. 

A  N  G  E  L  u  e  e  I   A. ,  199. 

A  X  8  E  L  M  I    A.,  506. 

A  x  8  I  D  E  I  V.,  KJ,  190,  593.  I  co- 
dici delle  sommissioni  al  Comune 
di  Perugia,  131. 

Assisi,  192,  193,  19H,  200,   539. 


Baldo  da  Perugia,  190,  191. 

B  A  R  B  I  E  L  L  I  N  I  A  M  I  D  E  I  A. ,  Ri- 
cerche sulla  antica  città  di  Re- 
g'illo,  3(55. 

B  A  R  T  o  (;  e  I  o    B.,  583,  588. 

Bartolo,  59. 

B  A  R  T  o  L  o  M  E  o  da  Castel  della 
Pieve,  198. 

Bellucci  A.,  Pompeo  Pellini 
ambasciatore  di  Perugia  a  Gre- 
g-orio  XIII,  125,  533,   184,    576. 

B  E  N  u  e  e  I  D.,  Di  alcuni  atti  del  no- 
taio Gio.  Cesidio  da  Gavig-nano, 
113.  —   Ancora   g-li  Orsini,  547. 

B  E  X  r  e  e  I  o  da  Orvieto,  198. 


Bernardi    A.,  186. 
Bernardino     di    Mariotto    da 

Perugia,  199. 
Betti  B.;  vedi  Pinttiricchio. 
B  E  T  T  o  N  A  ,  579. 
Bianconi   G.,  579. 
BoN  Azzi   L.,  567. 
Bonghi    R.,  215. 
Bonifazio    da  Verona,  557. 
B  R  o  u  s  s  o  L  L  E  J.  C,  Pélerinag-es 

ombriens  ;  recensione  di  V.  A., 

593. 
B  R  r  s  f •  A  L  u  p  o  ,  580. 


Cali   C,  192. 

Calzini  E.,  574,  575. 

C  AMP  A  R  I  G.,  573. 

C  A  M  p  E  L  L  o  ,  castello  di,  197,  201. 

C  A  N  E  s  T  R  E  L  L I  A.,  L'abbazia  di 

s.  Galgano;  recensione  di  P.  Z., 

203. 
Carré  RI  F.  C,  579. 
Casanova  E.,  589. 
Casati  de  Casatis  C,  For- 

tis  Etruria;  recensione  di  A.  I^u- 

pattelli,  213. 
Castiglione  del  Lago,  197,201. 
Ce  e  i    G.,  565,  566. 
Ce  e  carelli  A.,  581,  587. 
C  E  R  Q  u  E  T  o ,    566. 


()0i 


TAVOLA  de'  nomi  DI  PERSONE  E  DI  LUOGHI 


C  E  8  A  R  I  N  o  flcl  Roscetto,  200. 
Cesidio    Gio.    da    Gaviguano, 

li;}. 
Chiara  (s.),  201,  583,  587. 
Città  di  Castello,  195,  200, 

582. 

C  O  L  L  E  S  T  a  T  T  E  ,    187. 
C  U  K  S  U  L  A  ,    579. 


Degli  A  z  z  i  V  i  t  e  l  l  e  s  c  h  i 
G.,  Le  rappresaglie  negli  Statuti 
perug-iui  ;  receusioue  di  G.  Ca- 
sanova, 589. 

Donati  G.,  190. 

D  o  R  I  <)   D.,  571. 

DlRRIEU  P.,   185. 


G  E  R  A  L I)  I  N  I  B.,  La  vita  di  Ang-. 
Geraldini,  41,  473. 

G  I  AN  N  AN  TO  N  I  L.,  16,  591.  I  Co- 
dici delle  sommissioni  al  Comu- 
ne di  Perugia,  131. 

Gualdo  Tadino,  572. 

Gubbio,  19B,  198,  199,  567,  574, 
577,  582,  583,  585,  587. 

G  U  e  e  I   fratelli,  566,  584. 

G  uiR  AUD    G.,  580. 


I  N  D  I  viN  I    D.,  582. 


Jacopo  NE    da    Todi,  200,    572,. 
573,  585. 


E  LENA  (s.),  castello  di,  190. 
Elisei  G.,  192. 


P"AB  RETTI    A.,  4,  187,  588. 
Faloci-PulignaniM., 20,189. 
F  A  s  A  N  I  Raniero,  561. 
Fattorini    M.,  570. 
Feliciangeli   B.,  573. 
Ferrerò    E.,  187. 
Fiorenzo  di  Lorenzo,  194. 
Flamini  F.,  184. 

FOLKiNO,   201. 

F  o  N  T  E  Avellana,  587. 

Francesco   (s.)    d'Assisi,    201, 

.339,  572,  573,  585,  586,  587,  588. 
Fumi  L.,  28,  33,  565.  Il  cardinale 

Aldobrandini    e    il    trattato    dì 

Lione,  321. 


Gabrielli  C,  577. 

G  A  viGN  AN  o(Gio.Cesidioda),113. 

<r  E  r  A  L  D  I  N I  Angelo,  41, 473, 

585. 
—  A  n  t  o  n  I  o  ,  41,  473. 


KOVALEVSKY     M.,    167. 


Ludovico  da  Foligno,  195. 
L  u  p  A  t  T  E  L  L  I  A.,  187,  213,  570, 


M  A  G  N  A  V  I  A  (di)  Giov.,  565. 

Manassei  P.,  187. 

Manoppello  (gli  Orsini  di), 
89. 

Manzoni    L.,  578. 

Marino  (gli  Orsini  di),  89. 

Massimi   P.,  192. 

Matteo    da  Gualdo,  200. 

M  A  T  u  R  A  N  z  i  o  ,  583. 

Mazzatinti  G.,  186.  Di  Boni- 
fazio da  Verona,  557.  La  lezenda 
di  Raniero  Faxano,  561. 

Meili   F.,  191. 

Mbrlini   O.,  200. 

M  E  RKEL     C,    192. 
M  E  Z  Z  AS  TI    P.,    196. 

Milano  (Pinacoteca  di\  186. 
M  I N  E  u  V I  o   S.,  183. 


TAVOLA    Di;     NOMI    DI    l'ICUSONIC    K    DI    Monili 


Gor» 


^Monaco    in  l'avicni    l'iii.u'otec.'i 
di),  1H(J. 

M  O  N  A  L  I)  E  S  V  II  I     B.,    ì)Hiì. 

yi  o  N  A  L  I)  o    da  Orvieto,  5S(). 

!M  O  N  T  E  HO  T  <)  N'  I)  O       (  l^li       Orsilll 

di\  SS). 

^I  o  N  T  O  N  E  ,    19;}. 

M  o  K  ic  I    M.,  571. 
M  o  KiNi    A.,  Ó79. 
M  o  n  p  UR  G  o  S.,  Ó72. 
Mo  SCOLI    N.,  190. 
M  V  z  1  o  ser,  iùH. 


N  A  K  N  1 ,  188,  57:5. 

X  I  e  o  h  ù  di  Liberatore,  200. 

N  o  CEKA,  572. 

XoG  ARA    B.,  580. 

X  o  V  A  T  I    F.,  579, 


r.7i,  .">72.   r)7t;,   .'.si,   5h2,   .'.«.!, 
r).s7. 

r  1  i:  r  I!  o    (la   l'i-ru^ia,  .'n9. 

V  i  N  T  CRIC  c  MIO,   187,   19(>,  58(». 

Po  N  T  A  N  O    F.,    5(55. 

—  T.,   19S. 

P  K  O  !■  E  R  y,  I  O  ,    189. 


H  A  F  K  A  E  L  L  I       H  O  S  O  N  K  ,       li)8, 

5<)7,  583,  587. 

li  A  V  A  G  L  I    F.,    5GG. 

r  e  g  i  l  l  o  ,  3(j5. 
Rieti,  202. 
Rondini  D.,  18(5. 
Rosi  M.,  184. 
Rossi  A.,  194,  199. 
Ro  TELLi  A.,  566. 
Roux  0.,  593. 


<  )  L  o  R I N  1  Giovanni,  553. 

—  Guido,  553. 

—  Ranuccio,  553. 
Orsini,  89,  547. 
Orvieto,  167,  193,  194, 195, 196, 

197,  199,  200,  201,  225,  573,  581, 
582,  584,  586,  588. 
Ottaviano  di  Martino  di  Xello, 


P  A  G  N  o  T  T  I    F.,  215. 

Paolo   da  Perugia,  565. 

Pardi  G.,  A  proposito  di  uu  ar- 
ticolo di  M.  Kovalevski  sulle 
conseguenze  della  peste  in  Italia, 
167.  Il  Catasto  di  Orvieto  del 
1292,  225. 

P  A  TETTA    F.,   189,   190. 

Patrizi   U.,  190. 

Pel  LI  NI   P.,  125,   533. 

Pergoli   B.,   186. 

Perugia,  5,  1(5,  131,  155,  183, 
189,    196,    198,    199,    202,    379, 


S  A  H  A  T  I  e  R  P.,  Un  nuovo  docu- 
mento sulla  concessione  del  Per- 
dono di  Assisi,  539. 

S  A  B  B  A  D  I  N  I  R. ,  565. 

San  SI  A.,  195. 

Santi  G.,  573. 

Sarti  M.,  570. 

S  A  s  s  o  V  I V  o  ,  20. 

Savio  F.,  Le  tre  famiglie  Orsini 
di  Monteiotondo,  di  Marino  e  di 
Manoppello,  89. 

Scalvanti  O.,  5.  Una  opinione 
del  Bartolo  sulla  libertà  peru- 
gina, 59.  Sul  ritrovamento  di 
un  codice  di  cronaca  perugina, 
155. 

Sensi  F.,  21. 

SiGNORELLi  L.,  200,  570,  584. 

S  I  M  O  N  S  F  E  L  D    f].,    577. 

SiNiBALDO  da  Perugia,  586. 
Società  Umbra  di  Storia  Patria, 

Atti,  3. 
S  p  E  L  L  o  ,  553,  567,  577,  582,  583, 

581. 


<JOj  tavola  de'  nomi  di  peusoxe  e  di  luoghi 

Spirito  L.,  190.  Terrenzi  G.,  188. 

Spoleto,   183,    184,    188,     19(),  Todi,  199,  201,  565,  56G. 

199,  201,  581.  T  o  M  M  A  s  IT  e  e  I  o  da  Foligno,  572. 

StaderiniG.,   Sulle   tbuti  dei  Torreorsina,  187. 

Fioretti  di  S.  Francesco,  339. 
S  T  n  A  M  A  z  z  o    da  Perugia  :    Vedi 

Muzio    e    Andrea    da   Perugia.  Urbixi  G.,  189,  5<J7.  Gli  Annali 

degli  Oloriui,  553. 

TenneroniA.,   Per    la    Paleo- 
grafia Umbrica,  U7.  V  a  n  x  u  c  c  i  P.,  193,  200,  581,  582. 
Tern  1 ,  583,  584.  Vermigligli   G.  B.,  571,   583. 


t 


GJ< 


INDICI']  1)1:1;  SKCON'DO  VOLII.MK 


^Iffi  (/<//((   Sorirfà. 

Adunanza  "-enerale  del  i)  noveiiil)rc'  1S95 J^ff/-       -^ 

Circolare  ai  Soci  sul  Materiale  storico t.         i>,s 

Circolare  ai  Soci  su  la  JHÌjUnt/ra/ia  storica »         :;;> 

JFcmoì'ie. 

La  vita    di    Angelo    Geraldiui    scritta    da    Antonio    Ceraldini 

(Moxs.  B.  Geualdini) Pagine  41,  47:^ 

Un'opinione  del  Bartolo  sulla  libertà  i^erugina  (0.  Scalvanti)  Pa;/.  Wà 

Il  Catasto  d'Orvieto  dell'anno  1292  (G.  Pardi) »  22.') 

Il  cardinale  Aldobrandini  e  il  trattato  di  Lione  (L.  Fumi).     .  »  ;>2l 

Sulle  Fonti  dei  Fioretti  di  s.  Francesco  (G.  Staderini)  ...  »  ì53J> 

Ricerche  sull'antica  città  di  Reggilo  (Barbiellini-Amidbi  A.).  »  oG5 
L'amministrazione  economica  dell'  antico  Connine  di  Perug'ia 

(V.  Alfieri) »  37Ì) 

Docuìnenti  ithistvati. 

Le  tre  fainig'lie   Orsini    di    Mouterotondo,  di  Marino  e  di   Ma- 

noppello  (F.  Savio) »         Hl> 

Di  alcuni  atti  del  notaio   Gio.  Cesidio  da    Gavig'nauo  (D.  Be- 

Nrcci) »       IIB 

Pompeo   Pellini   ambasciatore   della   città    di    Perug'ia   a  papa 

Gregorio  XIII  (A.  Bellicci) Pagine     125,  5'ò'ò 

Un  nuovo  documento  sulla  concessione   del  Perdono  di  Assisi 

(P.  Sabatier) Paff.  539 

Inventari  e  regesti. 

I  codici  delle  sommissioni  al  Comune  di  Perugia   (V.  Ansidei 

e  L.  GlAXXANTONlì »        131 


(!08  INDICE   DEL    SECONDO    VOLUME 

Coninìiicati. 

Per  la  Paleografia  Umbrica.  A  proposito  dell'Archivio  paleo- 
grafico italiano  (voi.  I,  fase.  7)  diretto  dal  prof.  E.  Mo- 
uaci  (A.  Tenneromi) P^^9-  147 

Sul  ritrovamento  di  un  codice  di  cronaca  perugina  (0.  Scal- 
vanti)       »       155 

A  proposito  di  un  articolo  di  Massimo   Kovalevski   sulle   con- 

seg'uenze  economiche  della  peste  in  Italia  (G.  Pardi)  .     .       »       167 

Ancoia  gli  Orsini  (D.  Benucci) »       547 

Gli   Annali   degli   Oloriui  e  i  manoscritti  di  cronaca   Spellana 

(G.  Urbini) »       553 

Di  Bonifacio  da  Verona  autore  delTEulistea  (G.  Mazzatinti).       »       557 

La  lezenda  de  fra  Rainero  Faxauo  (G.  Mazzatinti)  ....       »       5G1 

Analecta  Umbra Pagine     183,  565 

Spogli  di  periodici  1891-92,  1893-95 »  193,  581 

Mecensloni  hlhliogvafirhe. 

Canestrelli  a.  —  L'abbazia  di  S.  Galgano  (P.  Z.).  .  .  .  Pag.  203 
Casati   de  Casatis   C.   —    Fortis   Etruria.    Deuxième    partie. 

Eléments  du  Droit  Etrusque  (Lupattelli  A.) >  213 

Degli   Azzi    Vitelleschi.   —   Le    rappresaglie    negli   Statuti 

perugini  (K.  Casanova') »  589 

Conferenze  della  Commissione  Senese  di  Storia  Patria  (L.  Gian- 

N  ANTONI) »  591 

Nozze  Mancini-Imbrico »  592 

Biblioteca  critica  della  letteratura  italiana »  593 

Broussolle  J.  C.  —  Péleriuages  ombriens  (V.  A.)   ....  »  593 

Necrologio. 

Ruggero  Bonghi »       215 

Francesco  Paguotti »       215 

Periodici  in  cambio  o  in  dono  —  Omaggio  di  pubblicazioni  Pagine  219,  597 
Tavola  de'  nomi  di  persone  e  di  luoghi Pay-  t03 


DG  Deputazione  di  storia  patria 

975  per  l'Umbria 
U5D^7       Bollettino 

V,. 


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