This is a digitai copy of a book that was preserved for generations on library shelves before it was carefully scanned by Google as part of a project
to make the world's books discoverable online.
It has survived long enough for the copyright to expire and the book to enter the public domain. A public domain book is one that was never subject
to copyright or whose legai copyright term has expired. Whether a book is in the public domain may vary country to country. Public domain books
are our gateways to the past, representing a wealth of history, culture and knowledge that's often difficult to discover.
Marks, notations and other marginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journey from the
publisher to a library and finally to you.
Usage guidelines
Google is proud to partner with libraries to digitize public domain materials and make them widely accessible. Public domain books belong to the
public and we are merely their custodians. Nevertheless, this work is expensive, so in order to keep providing this resource, we have taken steps to
prevent abuse by commercial parties, including placing technical restrictions on automated querying.
We also ask that you:
+ Make non-commercial use of the files We designed Google Book Search for use by individuals, and we request that you use these files for
personal, non-commercial purposes.
+ Refrain from automated querying Do not send automated queries of any sort to Google's system: If you are conducting research on machine
translation, optical character recognition or other areas where access to a large amount of text is helpful, please contact us. We encourage the
use of public domain materials for these purposes and may be able to help.
+ Maintain attribution The Google "watermark" you see on each file is essential for informing people about this project and helping them find
additional materials through Google Book Search. Please do not remove it.
+ Keep it legai Whatever your use, remember that you are responsible for ensuring that what you are doing is legai. Do not assume that just
because we believe a book is in the public domain for users in the United States, that the work is also in the public domain for users in other
countries. Whether a book is stili in copyright varies from country to country, and we can't offer guidance on whether any specific use of
any specific book is allowed. Please do not assume that a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner
any where in the world. Copyright infringement liability can be quite severe.
About Google Book Search
Google's mission is to organize the world's information and to make it universally accessible and useful. Google Book Search helps readers
discover the world's books while helping authors and publishers reach new audiences. You can search through the full text of this book on the web
at|http : //books . qooqle . com/
UC-NRLF
$B 315 tn
'Vi
\
1
(«QUtM »U.
Digìtized by
Google
Opere di Alessandro Manzoni
EDIZIONE HOEPLI
Voi. II.
(in due parti)
BRANI INEDITI
DEI
Promessi Sposi
DI
ALESSANDRO MANZONI
PER CURA
DI GIOVANNI SFORZA
PARTE IL
SECONDA EDIZIONE ACCRESCIUTA
Milano - ULRICO HOEPLI - Editore
Digìtized by VjOOQ IC
Digitized by
Google
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
BRANI INEDITI
DEI
PROMESSI SPOSI
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
BRANI INEDITI
DEI
Promessi Sposi
DI
ALESSANDRO MANZONI
PER CURA
DI GIOVANNI SFORZA
PARTE II.
Seconda edizione accresciuta
Ulrico Hoepli
EDITORE LIBRAIO DELLA REAL CASA
MILANO
I905
Digìtized by
Google
Rrss;
PROPRIETÀ LETTERARIA
Milano, 1905 - Tipografìa Umberto Allegretti, Via Orti.
Digìtized by
Google
INDICE DELLA SECONDA PARTE
Le prime accoglienze ai « Promessi Sposi», studio
di Giovanni Sforza ix
XII. — Fuga di Don Rodrigo 353
XIII. — Ritorno di Lucia al suo paese .... 363
XIV. — Visita del Conte del Sagrato a Lucia. . 373
XV. — Cure del Cardinal Federigo per mettere
al sicuro Lucia 387
XVI. — Il tozzo di pane e il bicchier d'acqua del
Cardinal Federigo 395
XVII. — La carestia del 1628 - Ragioni, rimedi e
moti dell'opinione pubblica nelle carestie . . 405
XVIII. — Don Ferrante e la sua famiglia . . . 433
XIX. — Il passaggio de' Lanzichenecchi. . . . 465
XX. — Dialogo sulla peste tra Don Ferrante e il
Signor Lucio 495
XXI. — La peste a Bergamo - Ritorno di Fermo al
paese nativo - Suo incontro con Don Abbondio
e con Agnese 525
XXII. — Fermo trova Lucia nel lazzeretto . . . 557
XXIII. — Scioglimento del voto di Lucia e morte
di Don Rodrigo 579
Appendici 595
J. — Il principio del Romanzo nella prima minuta 597
I (>«)•!■ Ili
— Vili —
II. — Il principio del Romanzo nella seconda
minuta 604
III. — Il principio del Romanzo nella copia per
la Censura 607
IV. — La fine del Romanzo nella prima minuta 611
V. — La Serva di Don Abbondio 618
VI. — La confessione di Lucia e il consiglio
d'Agnese 626
VII. — Una disgressione 642
VIII. — Il Padre Cristoforo ripreso dal Guar-
diano di Pescarenico 648
IX. — Il tentativo fallito del matrimonio clan-
destino nella prima e nella seconda minuta. 653
X. — Le correzioni air « Addio ai monti » . . 676
XI. — L'Innominato; brano della seconda mi-
nuta, stralciato poi dall'Autore 688
XII. — Descrizione dell'autografo della prima
minuta dei « Promessi Sposi » 712
Digìtized by
Google
LE PRIME ACCOGLIENZE
AI
«PROMESSI SPOSI»
Alessandro Manzoni. - P. II.
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
I.
Giulia, la primogenita del Manzoni, scriveva al
Fauriel T8 luglio del '27: «Debbo dirvi che abbiamo
« provato un gran piacere nel vedere il lieto successo
« del libro del babbo. In verità, superò non solo la
«nostra aspettativa, ma ogni speranza; in meno di
« venti giorni se ne vendettero più di 600 esemplari.
« È un vero furore ; non si parla d'altro ; nelle stesse
«anticamere i servitori si tassano per poterlo com-
«prare. Il babbo è assediato da visite e da lettere
« d'ogni specie e d'ogni maniera ; furono già pubbli-
«cati alcuni articoli intieramente favorevoli ed altri
«se ne annunziano».
Non senza una trepidazione grande l'aveva final-
mente dato fuori, come si rileva dalle lettere che il
Tommaseo, allora a Milano e in familiarità con lui,
era andato di mano in mano scrivendo a Giampietro
Vieusseux (*). «Il suo romanzo è addormentato»:
(*) Barbi M., Alessandro Manzoni e il suo romanzo
nel carteggio del Tommaseo col Vieusseux ; nella Miscel-
Digìtized by
Google
— XII —
(così il 12 novembre del '26) « egli teme di pubbli-
« cario, tanta è la nausea che ispira a ogni bene l'a-
« spetto di quella canaglia che ha parte nella BibUo-
« teca Italiana ». E di lì a dodici giorni : « Egli s'era
«scuorato un po\ non per tema di que' vili imbe-
« cilli, ma per quella stanchezza di mente che nasce
«al pensiero di vedere male accolta un'opera che
«costò tanta pena, e che, dic'egli, non fa male a
« nessuno. Io temo, soggiungea, che mi vogliano far
«scontare la troppa aspettazione ch'egli hanno di
«questo libro: aspettazione della quale, a dir vero,
« non è mia la colpa ». Gli tornava a scrivere il 2 de-
cembre: « Manzoni ripiglierà il suo romanzo, da cui
«l'aveva scuorato lo zelo dell'amicizia; voglio dire
«le critiche fatte al 20. canto del Grossi »(l). In
lanea di studi critici^ edita in onore di Arturo Graf> Ber-
gamo, 1903; pp. 235-256.
(') / Lombardi alla prima crociata, canti quindici di
Tommaso Grossi, Milano, presso Vincenzo Ferrano,
1826; tre voi. in-8.° di pp. VII-143, 152 e 163, dettero
occasione, come ebbe a dire Ermes Visconti, a « un di-
«luvio di libercoletti, quasi tutti pessimi, prò e contro »,
comparsi alla luce tra l'aprile e il maggio del 1826, per
la più parte. Cfr. Vismara A., Bibliografia di Tommaso
Grossi , Como, Ostinelli, 1886, pp. 37-40. A confessione
del Tommaseo, il Manzoni, « uomo di pace, non lesse
« di tutte quelle scritture che l'articolo nostro : fu poi for-
« zato a leggere quel di Parenti, che lo fece, dic'egli, star
«male per quindici giorni». Anche «l'articolo nostro»,
Digitized by
Google
— XIII —
un'altra, senza data, ma del febbraio o del marzo
del '27, soggiunge: «Manzoni è all'ultimo capitolo
« ancora. Ma incomincia a stampare l'altra metà del-
« l'ultimo tomo ; onde innanzi alla fine dell'anno si
« può sperare di veder il Romanzo alla luce (*). De-
v'essere un gran gridare, un gran sentenziare de'
cioè il secondo di quelli che il Tommaseo inserì nell'^*-
tologia, di Firenze [n.° LXX, ottobre 1826, pp. 3-30], al
Manzoni dispiacque. « Con quella sincerità ch'è sua pro-
«pria, ma che mi onora, disse d'aver letto l'articolo, e
« che gli pareva impossibile che fosse mio. — E perchè ?
« Vi traspare forse l'astio ? L* invidia ? Io mi conosco abietto
« sì, ma non tanto da invidiare al buon Grossi. — Astio
« no, ma disprezzo. Pare che le lodi ella le abbia con-
cesse alla compassione e al riguardo degli amici del
« Grossi ; ma le abbia insieme attemperate, anzi sepolte
«sotto la censura e il biasimo».
L'articolo di Marcantonio Parenti (nato a Monte-
cuccolo nel Frignano il 30 gennaio 1788 e morto a Mo-
dena il 23 giugno del 1862), che fece giustamente indi-
gnare il Manzoni, sfuggì alla diligenza del Vismara. S'in-
titola: Riflessioni sulla Mitologia e sul Romanticismo in
occasione che si pubblica per la prima volta II Doroteo
dell' Ottonelli. Si legge a pp. 401-418 del tom. IX e a
pp. 3-41 del tom. X delle Memorie di religione ', di mo-
rale e di letteratura, di Modena.
(*) In una lettera del febbraio '26 aveva scritto, par-
lando del -Romanzo : « prima della gita pedestre, non può
finirlo». Si trattava di un «viaggio pedestre di Manzoni
nel Bergamasco », che il Vieusseux riteneva desse « luogo
a qualche bella descrizione nel suo romanzo ».
Digitized by
Google
— XIV —
« Classici. E la Biblioteca Italiana come lo prenderà
« d'alto in basso ! » Gli torna a scrivere il 12 maggio:
«Manzoni non ha cominciato ancora a stampare
«l'altra metà dell'ultimo tomo; ma non va, mi dice,
« in campagna, se non se pubblicatolo. Io godo d'an-
« darmene via : penerei a sentire la lotta che forse
« gli si prepara, e forse non potrei non mischiar-
« mivi ».
Per «benevolenza modesta» dell'autore, aveva
egli letta gran parte, «innanzi che data alla luce»,
di «quella immortale più storia che romanzo»; e,
nel confidarlo al Vieusseux, la .diceva « divina cosa ».
Ne lesse anche de' tratti al Rosmini, «che, passeg-
« giando la sua stanza, sorrideva e ammirava » (*).
Avvenuta la pubblicazione, seguitò a ragguagliare
l'amico della varia fortuna del Romanzo. « I giudicii
« sono ancor vaghi », gli scriveva il 20 di giugno.
« Il pubblico è incerto; il nome di Manzoni lo preme
« e incute rispetto. La virtù ha i suoi diritti ». E di
(*) Il Rosmini, il 23 novembre del '26, scriveva al prof.
Pier Alessandro Paravia: «Leggo di questi giorni il Ro-
« manzo del Manzoni, che parmi una maraviglia. Egli mei
«comunica per sua gentilezza: io me ne inebrio, e penso
« che all' Italia apparirà come cosa nuova : e a sì limpido
« lume novellamente acceso, a lei parrà esserle accresciuto
« il veder della mente. Che cognizione dell'uman cuore !
«che verità! che bontà, la quale ovunque trabocca da
«un cuor ricolmo! »
Digìtized by
Google
— XV —
lì a quattro giorni : « A Zaiotti e ad Ambrosoli il
« romanzo del Manzoni non piace. Dicono che non
«conosce la lingua; che il secondo tomo (l) merite-
« rebbe di andar tutto al diavolo, ch'è un disturbo
« dall'azione, che negli altri però V azione (sentite i
« pedanti !) cammina bene. A molti piace molto : tutti
« però ci trovano troppi particolari : quelli che sanno
«scrivere ci trovano delle improprietà, e difetto di
« numero. Alcuni colloqui si notarono come eccessi-
«vamente veri. Si confessa però ch'è un modello
« di stile romanziero. Una signora ha trovato ottimo
«il titolo di storia (2), perchè, dice, par tutto vero.
« Un'altra, malissimo prevenuta, dovette pur pian-
« gere. S'accorse, per altro, ch'era un libro pericoloso %
« perchè i contadini vi fanno miglior figura che i
« nobili. L'istesso padre Cristoforo, diceva ella, è un
« mercante. V'ebbe chi ha trovato che Manzoni guasta
«la letteratura, perchè.... perch'è inarrivabile \ onde
« quelli che l'imitano, noi potendo agguagliare, non
« fanno che inezie. Ad altri parve leggiero, e insi-
(') Il secondo tomo della prima edizione abbraccia i
capitoli XII-XXIV.
(2) Per testimonianza della Gazzetta di Milano, « fu
« voce generale » che il titolo di storia milanese del se-
colo XVII t scoperta e rifatta « altro non significhi se non
«che l'autore tolse qua e là da croniche e storie molti
«particolari della sua opera, ma che il merito di averla
«tessuta s ordinata sia tutta di sua spettanza».
Digitized by LjOOQ IC
— XVI —
« gnificànte il titolo : ad altri voluminosa la forma.
« Una famiglia inglese, che lo voleva comperare, se
« ne tenne; perchè lo trova non libro da viaggio, ma
«da chiesa; non romanzo, ma Bibbia». Il 18 di lu-
glio seguitava a informarlo: « Parliam di Manzoni....
« Si diceva che il suo merito è di nulla tralasciare,
« neppure le menome circostanze, le menome pieghe
«del cuore; si lodava l'artifizio della narrazione e
« dei passaggi ; e che quel libro doveva studiarsi an-
«che per la lingua; e che nel secondo tomo quella
«conversione è mirabilmente preparata e descritta;
«e che la prolissità non annoia; e che il terzo tomo
« è di tutti il più bello ; che quella peste è cosa so-
«vrana, quel lazzeretto dalla potenza della pittura
«aggrandito. Quest'ultima espressione annuncia un
« ingegno che giudica un punto più elevato del so-
«lito: e questi sono gF ingegni a cui deve piacere
« Manzoni. Era ben piacevole, nei primi giorni in cui
« l'opinione pareva pendere più al male che al bene,
« il vedere l'accanimento di certe bestiucce letterarie
« a trovare i difetti, in quel libro in cui poco innanzi
« non sapevano cercare che pregi. E per aver trovato
«in un luogo marmaglia d'erbe> a gridare: vedete
«che improprietà.... con un'aria che inviluppava
«di disprezzo tutto il libro quant'era. Una donna
«che, malgrado la presunzione contraria, è forzata
« a piangere in quella lettura, vai bene un articolo:
« Io confesso d'aver pianto anch'io al terzo tomo : e
«un giorno dell'anno passato clje fummo da Man-
Digitized by LjOOQ IC
— XVII —
« zoni a Brusuglio e ch'io leggeva quella medesima
«conversione del tomo secondo, la trepidazione si
« leggea chiara nel volto di tutti gli udenti e del
« medesimo autore. Quest'è il caso in cui un au-
« tore può senza orgoglio lodare sé stesso. Ma se
«volete un giudicio d'altro genere, e non meno
« onorevole : un vecchio, letto il primo tomo, tro-
« vava piacere a riportare le cose lette, e narrarle
«anche a chi le sapea: e prima che il libro uscisse,
« il legatore (poiché Manzoni si fece legare le copie
« in casa) il legatore veniva congratulandosi con lui
« del merito di quell'opera, e gliene ripeteva alcun
« passo nel suo dialetto, mostrando d'averlo tutto in-
« teso benissimo. I giudizii dei letterati sono ben di-
« versi. Non so se io v'abbia scritto di colui che tro-
«vava mirabile soprattutto nel primo tomo la pa-
«gina 113 ('); quasi che in un'opera del Manzoni
(!) È la scena nella quale il P. Cristoforo chiede per-
dono al fratello dell'uomo che odiava cordialmente, e che
uccise. A quella scena sublime, taluno de' parenti, «che,
« per la cinquantesima volta, avrebbe raccontato come il
« conte Muzio suo padre aveva saputo in quella famosa
« congiuntura, far stare a dovere il marchese Stanislao,
« ch'era quel rodomonte che ognun sa, parlò invece delle
« penitenze e della pazienza mirabile d'un fra Simone,
« morto molt'anni prima ». È un accenno alla vendetta
che prese il conte Muzio Pallavicino contro il marchese
Stanislao Piasio ; tremenda tragedia della quale in Cremona
si parlò per gran tempo e ne son piene le sue cronache.
Ai.kssandro Manzoni. - P. II. b
Digitized by
Google
— XVIII —
« fosse possibile o lecito prescerre una pagina. Altri
« trovava da lodare quegli occhi del frate, parago-
« nati a due cavalli bizzarri. Nei quali elogi voi forse,
«cosi di lontano, non potrete sentire quanto di ve-
lenoso ci sia (*). Questi vili, non potendo sfogarsi
« sull'ingegno, gli mettono a conto e il lungo studio
« ed il lungo tempo occupato, e la sua stessa virtù ».
Soggiungeva poi: « Quello che offenderà molti, cer-
« tamente, è la troppa religione che c'è. Per apprezzar
«quel lavoro e comprenderlo, conviene aver lungo
«tempo conversato con l'autore; conoscere le sue
«idee letterarie e politiche, il suo modo di vedere
« le cose. Ed ancora non basta : la storia di quel se-
«colo egli Tha studiata nelle prime fonti, e ne* ri-
«voli più solitarii: tante bellezze che paiono di in-
« venzione sono storiche, sono inspirate dal fatto, eh 'è
« quanto a dire sono doppie bellezze. Così tante sot-
«tili allusioni, che racchiudono il germe d'un si-
« stema. E v'ebbe chi trovò migliore il Castello di
« Trezso/» Lasciata la Lombardia e tornato nella
nativa Dalmazia, il Tommaseo seguita a parlar de'
Promessi Sposi nelle sue lettere al Vieusseux. « Da
« Milano » (così in una del 17 d'agosto) « si scrive
(*) Io, per verità, non ci so vedere tutto il veleno che
ci vede il Tommaseo. È gente di corta levatura, che es-
sendo incapace d'abbracciare con uno sguardo solo la
bellezza dell'insieme, la gusta ne' brani che la colpiscono
maggiormente.
Digìtized by
Google
— XIX —
« che le mille copie del Romanzo son tutte spacciate;
« che qualcuno ne ride in segreto, che Monti chiac-
«chiera dello stile (*); che i più tacciono; che molti
« applaudono, purché però lo si chiami non romanzo,
« ma storia. Sento che a Padova piacque molto alle
« donne ».
Giacomo Leopardi ritrae al vivo l'opinione pub-
blica d'allora intorno ai Promessi Sposi, in una let-
tera che scrisse, da Firenze, il 23 agosto del '27, al
(l) Il Monti però ne scrisse al Manzoni con viva am-
mirazione. « Papadopoli e Prina » (son sue parole) « mi
« aveano messo in core la dolce speranza che mi avreste
«presto consolato d'una vostra desideratissima visita.
« Deluso di questa lusinga, e temendo che la mia im-
« minente mossa per Roma mi tolga la consolazione di
« più rivedervi, poiché Pun dì più che l'altro sento avvi-
« cinarsi il mio fine, mi presento in iscritto per dirvi che
« vado ad aspettarvi in cielo, dove ho certa speranza di
« rivedervi a suo tempo. Intanto prima che il mio don
« Abbondio m 'intuoni il proficiscere> vo' dirvi che ho ri-
« cevuto i vostri Sposi Promessi^ e di essi dirò quello che
«già dissi del Carmagnola: vorrei esserne io l'autore. Ho
« letta la vostra novella, e finitane la lettura, mi son sen-
«tito meglio nel core. Sì, mio caro Manzoni; il vostro
« ingegno è mirabile, e il vostro core è una fontana d'ine-
«sauribili affetti, ciò che rende singolare il vostro scri-
« vere e vi pone in un'altezza, cui solo possono aggiun-
« gere i pauci qtios aequus amavi t fupiter> al modo stesso
« che pochi possono amarvi e stimarvi come il tutto vo-
«stro Monti ».
Digìtized by
Google
— XX —
libraio milanese Antonio Fortunato Stella : « Del ro-
« manzo di Manzoni (del quale io solamente ho sen-
«tito leggere alcune pagine) le dirò in confidenza
«che qui le persone di gusto lo trovano molto in-
« feriore all'aspettazione. Gli altri generalmente lo
«lodano». Le «persone di gusto», cioè i letterati,
erano partigiane, più o meno, de' vecchi pregiudizi
della scuola classica, e per conseguenza il Manzoni,
che aveva voltato le spalle a questa scuola, dando
un avviamento nuovo all'arte, era agli occhi loro uno
scrittore fuori di strada. Tutti però si accordavano
nel riconoscergli un grande ingegno, ma con questa
differenza : per gli arrabbiati era né più né meno un
Attila della letteratura e dove metteva le mani gua-
stava ogni cosa: i temperati, pur trovando ne' suoi
scritti un'infinità di difetti, vi scorgevano però de'
tratti di singolare bellezza ; tratti che non mancavano
di gustare con ammirazione schietta e sentita. È utile
e curioso il rievocare il ricordo di questa battaglia
tra le «persone di gusto» e gli «altri»; i quali,
oggetto, sulle prime, di compassione, anzi di disprezzo,
finirono poi col vincere; tanta e così irresistibile fu
la forza della verità.
Fin dal novembre del '21 Giuseppe Carpani, uno
degli arrabbiati, scriveva all'Acerbi, in quel tempo
direttore della Biblioteca Italiana : « Manzoni avrebbe
« ingegno da fare cose bellissime e originali ; bat-
« tendo la via che batte, non farà che pazzie stram-
« palate, sparse di qualche scintilla di luce, che si
Digitized by VjOOQ IC
— XXI
« perde nelle tenebre del tutto » 0). A Torino, Tab. Mi-
chele Ponza, dal suo Annotatore Piemontese, scagliava
questi fulmini : « Io reputo classico tutto ciò che in
(!) A Mario Pieri sapeva un po' duro che « il dottis-
« simo e classico Niccolini siasi degnato di accostarsi ai
« Romantici ; e tanto più che in quel tempo appunto cor-
« revano alcune sentenze del signor Capo-Romantico Man-
« zoni, le quali facevano stomacare gli uomini di buon
« senno e sogghignare gli stolti giovinastri della sua scuola.
« Allorché uscì, per esempio, quel bellissimo sermone del
« Monti in difesa della Mitologia, e contra coloro i quali
« volevano proscriverla, il signor Manzoni andava dicendo
« esser quello il ventottesimo bullettino del Classicismo,
« accennando al ventottesimo e ultimo di Napoleone ; e
« quando uscì il poema del Grossi, / Lombardi alla prima
« Crociata , il medesimo Manzoni recitava per lo senno a
« mente gl'interi canti di quel poema, e i fanatici Roman-
« tici, suoi seguaci, andavano esclamando : Povero Tasso!
« Povero Tasso! O povero Tasso! Ora nessuno ignora di
« qual ridicolo andarono ricoperte dalla giusta Italia quelle
« stolte sentenze ». Il Pieri vide per la prima volta « il
corifèo del Romanticismo in Italia » (così chiama il Man-
zoni) in casa Vieusseux e poi lo "frequentò « alla locanda
« delle Quattro nazioni Lungarno, dove albergava con
« tutta la sua famiglia, cioè madre, moglie e sei figliuoli,
« per quei tre o quattro mesi ch'ei si trattenne in Firenze »
nel 1827. « La sua fìsonomia palesa a chi l'osserva » (son
sue parole) « animo gentile ed alto ingegno. In Milano
« io non l'avea cercato mai, per non rompere la vita so-
« litaria ch'egli amava di condurre in mezzo alla sua fa-
« miglia ; la quale, secondo allora si diceva, offeriva il
« modello delle ottime famiglie. Egli è agiato di beni di
Digìtized by
Google
— XXII —
«sé non ammette confusione di genere. Il giardino
« italiano è classico e l'inglese è romantico ; la pianta
« ed il fabbricato di Torino è classico, quello di Mi-
« fortuna, ma non gode salute né egli, né la sua donna.
« È uomo religioso (dicono) e galantuomo. Peccato che
« sia invaso dalla romanticomania ! Ma egli forse direbbe
«di me: peccato ch'egli sia invaso dalla classicomania!...
« Ma dopo averlo frequentato, mi vennero udite in bocca
« sua tante e sì strane sentenze da trasecolare ; né io so
« tenere per uomo modesto, e forse neppur vero religioso,
« chi si vuol creare capo-setta, e tratta con gran disprezzo
« i più grandi uomini dell'Italiana letteratura, e sopra tutto
« il grandissimo e infelicissimo Torquato Tasso. Indi a
« dieci anni mi venne per caso in mano una sua scrittura
«inedita, che mi fece variare il mio primo sentimento
« e raffermare nel secondo, siccome quella che me lo
« rappresentava un fanatico, il quale per poco non si
« recherebbe a distruggere, come papa Gregorio, tutt' i
« libri classici. Essa è in forma di lettera, con questo ti-
« tolo : Sopra i diversi sistemi di Poesia, lettera di Ales-
« saftdro Manzoni, in risposta a rispettabile amico di To-
« rino (ch'è il fanatico vecchio Azeglio), 1823, Né alcuno
« immaginarsi saprebbe le assurdità che quello scritto con-
« tiene. Il Romanticismo, egli dice, si propone il vero,
« l'utile, il buono, il ragionevole. E giacché egli non fa
« che asserire senza provare, e propone un Romanticismo
« tutto suo, e non qual si vede nella pratica degli scrittori
« romantici ; io risponderò francamente del no ; ed avrò,
« ciò che a lui manca, per miei argomenti il fatto reale ;
« e dirò all'incontro, che il Romanticismo si propone il
« falso, lo strano, il disordine, la deformità del vizio, lo
« scandaloso, il delitto, l'assurdo. Vedi tutte le opere de'
Digìtized by
Google
— XXIII —
« lano romantico ; l'abito nero con pantaloni bianchi
« è romantico, l'abito tutto nero con calzoni corti è
« classico ; la musica di Cimarosa è classica, quella
« di Rossini romantica ; le commedie di Destouches,
« di Regnard e di Goldoni sono classiche, quelle di
« Kotzebue e di altri scrittori nordofili, gallofili, stra-
«nofìli sono romantiche; le tragedie d'Alfieri sono
« Romantici in ogni genere di letteratura, ed anche nelle
« belle arti : vedi la grande opera drammatica, il Dottor
« Fausto , del vostro principe Goethe, per cui vi sentite
« struggere d'ammirazione, anzi che voi adorate qual nume.
« E quali sono i protagonisti e gli eroi de* signori Roman-
« tici ? I carnefici, i ladri, gli scellerati d'ogni maniera, o
« contadini, o buffoni, e simili personaggi: e le scene che
« ci presentano son tutte degne di loro, e ci tocca veder
« su i teatri i patiboli e le torture, ed ogni sorta di sacri-
« legi. Ecco la tendenza religiosa, e il bel vero, e l'utile,
« e il buono, e il ragionevole del Romanticismo, come
« pretende il signor Manzoni ». Cfr. Della vita di Mario
Pieri, corcirese, scritta da lui medesimo, libri sei, Firenze,
coi tipi di Felice Le Monnier, 1850; voi. II, pp. 63 e 67-69.
Anche a pp. 369-370 del tom. IV delle Opere, Firenze,
Le Monnier, 185 1, scaglia le sue folgori contro il Man-
zoni, e trova il Conte di Carmagnola « tragedia senza capo
« né coda, e senza quasi nessuno di que' pregi che ren-
« dono bella, e di assai malagevole composizione, una tra-
« gedia ». Riconosce però che « vi ha di be' versi, di belli
« e profondi concetti, qualche bella parlata ; ma né un
« atto, né un'intera scena che corrano bene ». Né lo ri-
sparmia nel dialogo : La letteratura classica e la romantica ,
che si legge a pp. 101-178 del tom. Ili delle Opere stesse.
Digìtized by
Google
— XXIV —
« classiche, quelle del Manzoni sono romantiche.
« Dunque, dove è ordine, armonia, regolarità è clas-
« sicismo ; dove mancano queste condizioni è roman-
« ticismo ». Giovita Scalvini scriveva: «La poesia
« romantica fu trovata da Cam figliuolo di Noè. Ne*
« quaranta giorni che si trovò nell'arca, egli fece un
« poema dove descriveva tutto ciò che aveva 'd'in-
corno. Unì le idee più disparate, perchè vedeva
«presso sé l'agnello e il lupo; vedeva fuori i pesci
« sulle cime dei monti : la sua musica, le strida de'
«moribondi». E per mettere alla gogna i romantici
ideava il dramma : La creazione del mondo e la fine y
con questi attori: «Il caos, le stelle, le tenebre, la
« luce, il diavolo, il serpente. Gli animali di Daniele.
« Il teschio di Adamo. La cometa che accompagnò
« i re Magi. Il libro dei sette sigilli. Enos. Il ca-
« vallo della morte. Il bue, l'asino, il corvo ». Scene :
« La creazione : una conversazione patetica fra Eva
« e il serpente. Il diluvio. Un soliloquio del corvo
« sulla carogna che sta per beccare ». Carlo Botta
scriveva da Parigi : « Io ho in odio, peggiormente
« che le serpi, la peste che certi ragazzacci, vili
«schiavi delle idee forastiere, vanno via via semi-
« nando nella letteratura italiana. Io gli chiamo tra-
« ditori dell'Italia, e veramente sono. Ma ciò procede,
« parte da superbia, parte da giudizio corrotto ; su-
« perbia, in servitù di Caledonia e d'Ercinia, giudizio
« corrotto con impertinenza e sfacciataggine ». Gli
battè le mani il Giornale Arcadico di Roma : « Sì
Digìtized by
Google
— XXV —
« certo, o Carlo Botta, sfumerà questa infame conta-
« minazione : tempo verrà, né forse è lontano, che
« gì' italiani si vergogneranno di tanti romantici vitu-
« perii, levati ora alle stelle dai goffi imbrattacarte
« e ciarlatani di certi giornali : e frutto di questa ver-
« gogna sarà il gittare sdegnosamente alle fiamme
« tutto in un fascio quel bastardume A'inni, di tra-
«gedie, di romanzi, di che ora, parte ridono e parte
« fremono i veri sapienti della nazione » (!).
A difesa de' Romantici si levò animoso Giuseppe
Mazzini. « Gli uomini che in tutti i loro scritti ane-
« lano al perfezionamento dei loro concittadini ; che
« avvampano per quanto di bello e sublime splende
«su questa terra; che hanno una lagrima per ogni
« sciagura che affligga la loro patria, un sorriso per
« ogni gioia che la rallegri ; gli uomini a* quali il vero
« è fine, la natura e il cuore son mezzi; che traspor-
« tano il genio per vie non corrotte dalla imitazione,
« non guaste dalla servilità de' precetti ; che a favole,
« vuote di senso per noi, sostituiscono una credenza
«che tragge l'animo a spaziare pei campi dell'infi-
« nito ; gli uomini che s'aggirano religiosi tra le ro-
« vine dell'antica grandezza e dissotterrano a conforto
« dei nipoti ogni reliquia dei tempi trascorsi ; questi
« uomini non tradiscon la patria; non son vili schiavi
« delle idee forestiere. Essi vogliono dare all'Italia
(') Giornale Arcadico ; tom. XXXII [1828], pp. 366-367.
Digìtized by VjOOQ IC
— XXVI —
« una letteratura originale, nazionale ; una letteratura
« che non sia un suono di musica fuggitivo, che ti
« moke l'orecchio, e trapassa; ma una interprete elo-
«quente degli affetti, delle idee, dei bisogni, e del
« movimento sociale. Ogni secolo modifica potente-
« mente gli uomini e le cose; ogni secolo imprime
«una direzione particolare all'umano intelletto... I
«veri Romantici non sono né boreali, né scozzesi;
«sono italiani, come Dante, quando fondava una
«letteratura, a cui non mancava di Romantico che
« il nome » (').
Il Rosmini fin dal maggio del '26 aveva scritto
a don Antonio Soini : « Col Manzoni abbiamo par-
«lato di voi. Che bontà di questo sommo poeta!
« Che affabilità ! Che anima sparsa in sul volto tutto e
«in sulle labbra! Egli lavora nel suo romanzo assi-
« duo. Temo assai della sua prosa; non dubito delle
« immagini e dei nobili sentimenti : di quello spirito
« non possono che uscire emule alla natura sublime,
« questi degni della nostra immensa destinazione. Ma
« la lingua? Non può crearsela questa lo spirito, alto
«quanto si voglia; gli bisogna ricorrere per essa
«alla dotta memoria; e temo che questa non sia
« stata arricchita per tempo di cotal merce. Pare però
« che egli stesso lo senta ; e se lo sente, lo studio
(*) Indicatore Genovese, n.° nt 9 agosto 1828. Cfr. Maz-
zini G., Scritti editi e inediti (4.* edizione); II, 57-61.
Digitized by VjOOQ IC
— XXVII —
«assiduo, ancorché un po' tardi, acconcerà forse la
«trascuranza dell'età prima». L'ab. Giuseppe Ma-
nuzzi, richiesto dal P. Antonio Cesari, che cosa
pensassero a Firenze de' Promessi Sposi y gli rispose,
suonarne « orrevolmente la fama, sì per l'invenzione,
« sì per la lingua, e sopratutto per la profondissima
« cognizione del cuore umano ». Ma però soggiun-
geva: «Da alquanti brani ch'io ne lessi, la lingua
« certamente non è della migliore : anzi, secondo me,
« poco buona, e peggiore lo stile. Già voi sapete es-
«sere il Manzoni un forte campione dei romantici:
« di che non è da meravigliare se trova lodatori in
« gran numero. Leggeste voi nulla di suo? che ve
«ne pare? scrivetemene». Il Cesari gli rispose: « Ho
« letto i Promessi Sposi del Manzoni ; mi ci parve
« trovare suoi difetti ; quanto ad episodi o digres-
« sioni, che non s'innestano col fatto (è ciò che tiene
« il lettore forse a disagio); quanto a lingua, egli ha
«studiato i nostri maestri, ma i Comici sopratutto.
« Del resto nella eleganza dello scriver grave e na-
« turale, egli è ancora addietro: ma credo che in
«poco, si farà grande scrittore. Nel colore, nella
«forza, neir espressione tuttavia vale assai: nelle pit-
« turette fiamminghe è maraviglioso ; come altresì nel
«toccare le passioni, gli affetti e movimenti tutti del
«cuore, fino a' più minuti, mi par gran maestro. In-
« gegno ha altissimo, acuto e facondo assaissimo. De'
«suoi Inni il migliore mi sembra quello della Pen-
«tecoste\ sono però sparsi tutti, qual più, qual meno,
Digitized by VjOOQ IC
— XXVIII — -
« di concetti pellegrini, che egli solo era atto a tro-
«vare. Risplende poi la sua pietà e religione: e
« certo quel romanzo è un trionfo della virtù ; e farà
« troppo più frutto, che nessun altro quaresimale ».
Il Cesari (l) poi finiva una sua lettera airab. Gae-
tano Della Casa : « Mi direte degli Sposi del Man-
«zoni e de* difetti che ci noterete; a vedere se ci
« scontriamo. Ma bellezze grandi ! » Che cosa gli ri-
spondesse non so. Giuseppe Pederzani, al quale pure
ne aveva domandato, gli replicava : « Del Manzoni
« ho letto un tomo e mezzo il passato autunno ; e
«più avanti non potetti, perchè chi mei prestò, sei
« portò poi a Milano, che fu il Rosmini prete. N'ebbi
«piacer molto, e certo ha tutti que* meriti che voi
« dite ; tranne forse questo solo, che a voi sembra,
« rispetto alla lingua, avere egli studiato ne' classici
«più di quel che pare a me; ma io debbo stare al
« giudizio vostro. Anche mi son paruti troppo lunghi
« e noiosi quegli episodi : ma qui posso aver torto
«facilmente: imperciocché comprendo bene, che in
«fine formano la materia dell'opera. Forse alla se-
« conda lettura non mi parrà più così. A ogni modo,
« scritto assai dilettevole e buono ».
Un altro pedante de' più arrabbiati, il corcirese
(!) Il Cesari lasciò manoscritti alcuni Pensieri sui Pro-
messi Sposi, che vedranno la luce ne' suoi Opuscoli lin-
guistici e letterari, che sta raccogliendo e ordinando il
sig. Giuseppe Guidetti di Reggio dell'Emilia.
Digìtized by
Google
— XXIX —
Mario Pieri, così discorre de' Promessi Sposi nelle
sue Memorie, che son rimaste inedite:
«Firenze, 15 agosto 1827. Ho letto i primi due
« capitoli (non potei averlo che per pochi momenti)
« del romanzo di A. Manzoni, del quale non dirò
« nulla fino a tanto che non l'avrò letto tutto, benché
« in quegli stessi capitoli io abbia inciampato in più
« d'una cosa di cattivo gusto, senza dir dello stile,
«che mi sembrò cosi tra il milanese ed il francese.
« E questi godono fama di grandi scrittori !
« Firenze, 6 ottobre 1827. Leggo i Promessi Sposi,
«che ora mi stancano colla soverchia prolissità e
«colle minutissime descrizioni.
«7, domenica. Il viaggio di Renzo (nel romanzo
« del Manzoni), da Milano a Bergamo, è una bellis-
« sima cosa, e quivi stanno bene anche quelle minu-
«tezze e particolarità, che ci vengono tanto spesso
« innanzi fino al fastidio in quel libro. Grande inge-
«gno è il Manzoni, ed è un gran peccato ch'egli
« voglia farsi il corifeo del falso gusto in Italia ! Ho
« consumato gran parte del giorno (dalle due alle
«sei) alle Cascine, passeggiando e leggendo i Pro-
« messi Sposi, La mattina ho letto una prefazione,
«che il signor Camillo Ugoni pose alla testa d'una
«edizione parigina delle poesie del Manzoni, in cui
«quel letterato bresciano, romantico per la vita, de-
« lira, al solito, sui bisogni del nostro secolo, sul
« dramma storico, sull'arte e sulla natura, sopra una li-
« berta ch'egli chiama Scolastica, ch'egli attribuisce
Digìtized by
Google
— XXX —
«all'Alfieri, e ai seguaci de* classici, e simili follie.
« Povera letteratura italiana, ecco i tuoi sostegni ! Che
« mai diverrà questo secolo, quando Monti e Pinde-
« monte non saranno più tra di noi !
« Firenze, 22 ottobre 1827. Ho terminato finalmente
« i Promessi Sposi, libro che, a malgrado del falso
« gusto, delle lungaggini eccessive, delle troppo mi-
« nute descrizioni, e simili altre tedescherie, manifesta
«un grande ingegno nel suo autore, oltre l'animo
« gentile e gli egregi costumi ».
Chi vide e gustò le bellezze de* Promessi Sposi
appena che uscirono dal torchio fu Pietro Giordani ;
e da Firenze, dove allora abitava, andò manife-
stando agli amici le impressioni ricevute da quella
lettura. Il 21 settembre del '27 scriveva a Francesco
Testa 0) : « Del Manzoni siamo perfettamente d'ac-
« cordo: eccellente pittore, benché fiammingo. Egli
« è ora qui : amabilissima e modestissima persona :
« riverito e amato da tutti, onorato straordinariamente
«dalla Corte». E che nel romanzo ci sia del fiam-
(L) In una lettera del Giordani al Testa, scritta da Mi-
lano il 5 novembre 1821, si legge: « Vidi la canzone » [//
Cinque Maggio] «del Manzoni; lodata da molti. Non di-
« sputo sull'argomento: ognun dice quello che vuole. Ma
«a me pare (quanto alla frase) che alle volte non abbia
« saputo dire quel che voleva ; e alle volte non so che
« cosa volesse dire. È bello il suo Inno sulla Risurrezione
« di Cristo ».
Digìtized by
Google
— XXXI —
mingo, è vero; ma lì dove ha maggiore bellezza,
bellezza ineffabile. Il 15 d'ottobre chiedeva a Laz-
zaro Papi : « È venuto costà [a Lucca] il romanzo di
«Manzoni? Com'è piaciuto?... Manzoni fu qui molti
« giorni ; ebbe grandi accoglienze da tutti ; e straor-
« dinario onore dalla Corte. È uomo di molta e ama-
«bile modestia, e belle maniere.... In Roma ora è
«proibito di vendere il romanzo di Manzoni, che
« pur vi entrò con amplissime licenze » (!). Il 22 del
mese stesso torna a scrivere al Testa: «Manzoni,
«amabilissimo per la modestia e la bontà e l'inge-
« gno, dev'esser partito assai contento di Firenze, e
«più contento della Corte, che l'ha onorato straor-
« dinariamente. Del suo libro, poiché volete, vi dirò
« che mi è piaciuto. Ci vedo un'assai fedele pittura
« dello Stato di Milano in que' tre anni miserabilis-
« simi 28, 29 e 30. Verità somma e finitissima ne' dia-
« loghi e ne' caratteri. Nobilissimo il carattere del
«Cardinale: naturalissimi tutti gli altri inferiori: la
«stolidezza e la ferocia dei dominatori stranieri ef-
« ficacemente rappresentata : un modello di religione
« tollerabile, e anche utile. Cominciano a insorgergli
« contradittori al solito: ma credo che il libro vin-
« cera e durerà. A me i difetti paion pochi e leggieri:
« i pregi moltissimi e non piccoli. E poi è il primo
(!) Giordani P., Lettere inedite a Lazzaro Papi, Lucca,
tip. di Gio. Baccelli, 1851 ; pag. 105.
Digìtized by
Google
XXXII —
« romanzo leggibile che sia sorto in Italia : è adatto
« a molte sorti di lettori : s'insinua nelle menti : vi ger-
« mogHerà qualche buon pensiero. Eccovi contentato,
« mio caro : v'ho detto quel che penso ; e non per po-
« litica, come m'imputano alcuni : e non pensano che
« uno che non si cura né del papa né dei re, non ha ca-
« gion di mentire per Manzoni, che biasimato non può
« mandarmi in galera, né lodato può farmi cardinale
« o ciambellaio ». Cosi ne scrive a Giuseppe Bian-
chetti il 13 decembre: « Il Romanzo di Manzoni mi
« par bello come lavoro letterario ; ma stupenda cosa
« e divina come aiuto alle menti del popolo. Io credo
« che farà un gran bene ; e i nemici del bene se ne ac-
« corgeran tardi. Grande amor del bene, e gran po-
« tenza e arte di farlo si vede in quell'ingegno ». Di
nuovo al Testa il 25 dello stesso mese : « Ho letto più
« di venti romanzi di Walter ; e quanti ancora me ne
«restano!... Non mi maraviglio che in tutta Europa
« piaccia molto il libro di Manzoni ; e ne godo. In
« Italia vorrei che fosse letto a Dan usque ad Ne-
« phtali : vorrei che fosse riletto, predicato in tutte le
« chiese e in tutte le osterie, imparato a memoria.
« Se lo guardate come libro letterario, ci sarà forse
«un poco da dire; secondo la varietà de* gusti e
«delle abitudini. Ma come libro del popolo, come
«catechismo (elementare; bisognava cominciare dal
«poco) messo in dramma; mi pare stupendo, di-
«vino. Oh lasciatelo lodare: gl'impostori e gli op-
« pressori se ne accorgeranno poi (ma tardi) che
Digìtized by
Google
— XXXIII —
«profonda testa, che potente leva è, chi ha posto
« tanta cura in apparir semplice, e quasi minchione :
«ma minchione a chi? agl'impostori e agli oppres-
«sori, che sempre furono e saranno minchionissimi.
« Oh perchè non ha Italia venti libri simili !» E al
Bianchetti 1*8 luglio del '31 : « Bellissimo e utilissimo
«il vostro Discorso sui romanzi storici, che io credo
«si potrebbero far belli, e al nostro popolo proficui;
« purché si seguisse la via di Manzoni. Ma chi ha la
«sua anima? Di tutti gli altri che ho veduti, nes-
« suno mi piacque ; anzi mi dispiacquero assai : imi-
«tazioni, e ben cattive e torte .dello Scott. Invece di
« scrivere contro tal genere (se pur è vero che scrive)
«bisognerebbe pregare Manzoni che facesse un se-
« condo lavoro simile ; e sarebbe una vera salute per
«la povera Italia. Gli altri, che dopo lui hanno gua-
« stato e guastano il mestiere, bisognerebbe pregarli
«a tacersi, e aspettare che sorga un Manzoni se-
« condo » (!).
(*) Il 6 luglio del '32 scriveva a Ferdinando Grillen-
zoni, a Genova: «Sarà costì il Manzoni; ed ella lo vedrà
« dal Marchese [Di Negro]. Io la prego di ossequiarlo
«da mia parte; e di scrivermene poi copiosamente ». E
il 24 del mese stesso : « Mi piace che abbia veduto Man-
« zoni ; e la prego di rammentarle una mia veramente af-
« fettuosa venerazione ; perchè io lo tengo per uomo glo-
« rioso e utile all'Italia... Veda un poco se è vero quel che
«dice quel giornale, che ora Manzoni siasi dato a studi
Alessandro Manzoni, - P. IL e
Digìtized by
Google
— XXXIV —
Giambattista Niccolini a Firenze e Felice Bellotti
a Milano non si fidavano del proprio giudizio e
aspettavano quello « del sesso gentile ». Il Niccolini
« di purismo ; e in che forma : e che cosa sta ora lavo-
rando. E veda un poco (ma con garbo) se conosce le
« cose di Leopardi, e che opinione ne ha ». Il 30 gliene
tratta di nuovo: « Le ripeterò che bramo di sapere se
« Manzoni è costì per salute, o per piacere. Desidero che
«sia per solo piacere. Egli ha la coscienza e l'Europa,
«che devono rendergli inutili le ammirazioni di tutti i
« pari miei : ma io confesso che mi fa un vero piacere
e l'ammirarlo. E prego V. S. d' imprimersi bene in mente
« i suoi discorsi, per potermene far godere in qualche modo.
« Io sento un pungente dispiacere di non esser costi, e
« potere ascoltarlo. Se io fossi capace di fare una Deca
«di Livio (mi pare dir molto), io cambierei questo pia-
« cere col piacere di udir lui. E, per ispalancare il fondo
«dell'animo mio, ci sono alcuni (non molti) ch'io posso
« ascoltar volentieri ; ma egli è il solo eh' io veramente
«desidero di potere udire, e in quelle cose ch'io non
« so, o alle quali non ho pensato ; e in quelle nelle quali
« non penso ora come lui. Egli è il solo (Dio perdonami
« questa sciocchezza) dal quale io desidererei imparare.
« Facilmente mi accorderei seco circa i romanzi storici
« (come si chiaman ora), né piangerei se il mondo non ne
« vedesse più. Ma non consento di porre in quel genere
« i Promessi Sposi; che mi paiono uno stupendo lavoro
« Senofonteo, un carissimo e utilissimo lavoro ; e ben
« vorrei che Manzoni (ch'egli solissimo può) ne facesse un
«secondo. Del resto, la sua sentenza su tutte le finzioni
« è nobilissima; è degna dell'intelletto giunto al suo equa-
Digitized by
Google
— XXXV —
era « impaziente » da un pezzo di vedere i Promessi
Sposi del Manzoni e / Lombardi alla prima cro-
ciata del Grossi, «avendo in gran concetto il loro
« ingegno » ; come scrisse al conte Fracavalli il 20 de-
cembre del '25. Neil* aprile del '26 chiedeva a
Felice Bellotti : « Il romanzo del Manzoni quando
uscirà ? » Gli rispose il 29 : « Del romanzo di Man-
« zoni altra notizia non posso darvi, se non che tra
« un mese si comincerà la stampa del terzo ed ul-
« timo tomo, essendo già finiti i due primi, che però
«l'autore non vuol dar fuori se non insieme con
«l'altro. Sicché non penso che prima del luglio si
« potrà leggere ». Il 2 agosto del '27 il Bellotti tornò
a scrivergli: «Del Romanzo di Manzoni, del quale
«eravate curioso, or che l'avrete letto, che ve ne
'«pare? Ha esso nel vostro senso adempiuta l'aspet-
«tore; e la ricevo nell'anima; anzi già Pavevo, e mi giova
« di vederla confermata da lui. Oh mi è ora un vero tor-
« mento al cuore non esser costì ! Ella mi riverisca tanto,
« con ogni effusion di sentimento quel Manzoni, che è
«proprio l'idolo de' miei pensieri. Oh (mi viene in mente)
«quanto son poco degni di lodarlo certi cervellacci fra-
« teschi ; come per esempio quel frataccio Niccolò [ Tom-
<ktnaseó\. Ma di ciò zitto, veda: ch'io non voglio pette-
« golezzi. Ma se lei come lei potesse destramente sentire
« che cosa pensa Manzoni di quel sì fanatico e sconvolto
« cervello, l'avrei caro. E tal gente crede d'avere la reli-
« gione, la poesia, la filosofia di Manzoni ! Ma dov'hanno
« la sua testa e il suo cuore ? Per dio, credo esserne meno,
Digìtized by
Google
— XXXVI —
«tazione che se ne avea? Le donne di Toscana lo
« leggono con piacere ? poiché di tal genere di scrit-
ture alle donne principalmente, ed al popolo non
« idiota e non letterato, si vuol lasciare il giudizio,
« essendo principalmente diretto al loro trattenimento
« e vantaggio. Se non che moltissimo io stimo il giu-
«dizio di quei dotti (ma son pochi), i quali sanno
«farsi a giudicare anche di romanzi, messe da parte
«certe prevenzioni e pretensioni importune: e chi
« più di voi sagace nel discernere quali siano queste
« e più giusto nello' scartarle ? » Ecco la risposta del
Niccolini : « Il Manzoni è qui, ed ho imparato a
«conoscerlo di persona: voi sapete che i buoni si
« credono volentieri grandi : ma non temo che l'af-
« lontano io, colla mia impotenza poetica, e la mia piena
« incredulità. Io gli sono lontano, e io meglio di tutti so
«il quanto; ma almeno non gli volto le spalle ». Il 17 d'a-
gosto rincalza : « Mi riverisca senza fine Manzoni, e molto
« le sue Signore. Ma è un eccesso di cortesia il dire che
« a lui abbian potuto in nessun modo giovare le mie pa-
« role ; perchè io lo vidi troppo poco, a ragione del mio
« desiderio ; e amai molto più (come ancora farei) di ascol-
« tarlo che di parlare ; e poco, troppo poco potei goderne,
« poiché tanti cercavano di occuparlo ».
Sei anni dopo, il 27 novembre '38, scrivendo parimente
al Grillenzoni, esce a dire: « Compreso Walter Scott, non
« trovo uno di tanti romanzi, che possa produrre un mi-
« nimo bene: eccetto l'unico Manzoni ; che mi par sempre
« cosa bellissima e utilissima ».
Digìtized by
Google
\
— XXXVII —
« fetto m'inganni, reputandolo il primo ingegno d'Ita-
« Ha 0). Ho letto il suo romanzo tutto d'un fiato; ma
«non mi fido del mio giudizio, e aspetto anch'io
« quello del sesso gentile ».
Il Rosmini piglia pure a ragguagliare gli amici
intorno la fortuna del libro : « I Promessi Spost sono
« avidamente letti, a malgrado della lunghezza, che
« da tutti sento notare » ; così al Tommaseo, in un
biglietto del 22 settembre '27. L'8 di novembre an-
nunzia a un altro amico : « Il Manzoni trionfò in
« Toscana ; il suo romanzo è tradotto in francese : si
« rende anche tedesco e parlasi d'una traduzione in-
« glese. Sono di quei pochi uomini che fanno ancora
« varcare il mare e l'alpi il nome italiano ». Il 22 di
decembre torna a ripetere : « De' Promessi Sposi già
«se ne sono fatte tredici edizioni, credo, e traduzioni
(*) All'attrice Maddalena Pelzet, la degna interpetre
delle sue tragedie, che era allora a Milano prima donna
nella Compagnia Rattopulo, scrisse il 19 febbraio del '29 :
« Ricordatemi al Bertolotti, alla cui tragedia desidero un
«esito fortunato: se io fossi, com'egli dice, il primo dei
« tragici viventi, bisogna dire che si stia male davvero :
«egli parlerà del Manzoni, le cui tragedie, quantunque
«non siano per la scena, almeno secondo le nostre abi-
« tudini, contengono tante bellezze, che il plauso delPEu-
« ropa meritamente lo corona sopra tutti. Voi sapete qual
« concetto io abbia fatto sempre di questo veramente gran-
« d'uomo: ciò che vi scrivo a Milano, ve l'ho detto a Fi-
« renze. »
Digìtized by
Google
— XXXVIII —
« in tedesco, in inglese, in francese. Pochi libri ita-
«liani hanno mai avuto tanto favore in Italia». Al
Manzoni poi scriveva il 26 marzo del '30: «qui i
«Promessi Sposi sono applauditissimi dal fiore di
« Roma ; e quelli che non la cedono a nessuno in
« commendarli e in proporli alla gioventù sono i Ge-
« suiti». Monaldo Leopardi lo conferma in una let-
tera a Giacomo : « Appena letto quel Romanzo ne
« fui rapito e lo giudicai prezioso non tanto alle let-
« tere, quanto alla religione e alla morale. Ebbi poi
« molta compiacenza nel sentire che in Roma i con-
« fessori Gesuiti lo danno a leggere alle loro peni-
« tenti » (').
Nel settembre del 1827 Raffaele Lambruschini, di-
scorrendo nell5 Antologia di Firenze d'una ristampa
del Quaresimale del Segneri e delle Prediche alla
Corte del Turchi, ricordò, per incidenza, i Promessi
Sposi, « che ora sono nelle mani di tutti ; notabile
(') In una lettera di Pierfrancesco Leopardi al fratello
Giacomo, del i° giugno '28, si legge : « Avendoci voi
«scritto una volta che conoscevate il celebre Manzoni,
«ho pensato di farvi cosa grata col mandarvi una copia
« dei suoi Inni. Volendo la marchesa Roberti stampare
«qualche cosa per la monaca Rossi, babbo le propose
« quest'Inni, e vi fece la dedicatoria. E vi mando questo
«libro, più perchè leggiate questa, che gY Inni, perchè
« m* immagino che lo stesso Manzoni ve li avrà dati a
« leggere. Fatemi dire in una delle lettere che ci scrive-
« rete, dove attualmente si trovi il suddetto Manzoni ».
Digitized by
Google
— XXXIX —
« produzione d'un uomo in cui non si saprebbe cosa
« ammirare di più, se i talenti o le doti del cuore,
« e di cui la nostra età e la nostra Italia hanno ra-
« gione d'inorgoglirsi ». E nel ricordarli, ne riportò
anche un brano : il colloquio tra il Cardinal Federigo
e l'Innominato. «Si tratta» (così il Lambruschini),
« da una parte, di un potente, rinomato per ardite
« ribalderie e per empietà, temuto ed odiato da tutti;
«dall'altra, di un sant'uomo, che trovandosi nella
« più ardita impresa a cui si possa accingere un sacro
« oratore, non adopra altre ragioni e altra eloquenza
« che quella dei semplici e degli umili » (!). Lapo de'
Ricci in una lettera inedita a Gio. Pietro Vieusseux,
del 25 settembre 1827, piglia a dire: «L'articolo
«del Lambruschini è un capo d'opera nel suo ge-
« nere ; i preti non gliene sapranno buon grado, per-
« che vorrebbero dominare ed esser asini. L'ho letto
«a pezzi e brani a questo mio paroco, giacché per
«l'intiero non era possibile farglici prestare atten-
«zione, ma ne ho letto tanto per scuoterlo, e per
«commoverlo, finché sentendo il sublime colloquio
« del Cardinal Federigo coli 'Innominato ha dovuto
« piangere, ed ecco una vittoria per la morale ».
Lapo volle manifestare anche a Gino Capponi l'im-
pressione profonda che aveva ricevuto dalla lettura
(*) Antologia, di Firenze, tom. XXVII, n. 81, settem-
bre 1827, pp. 71-75-
Digìtized by
Google
— XL —
de' Promessi Sposi, e gli scrisse il 4 gennaio del '28 :
« Non mi riesce di levarmi dal tavolino quel diavolo
« di Manzoni. Io credo di averlo letto per intiero sei
«volte, e dieci volte l'Innominato col Cardinal Fe-
« derigo, e sempre ho pianto; come faceva, e forse
« più di quel che faceva, quello scellerato convertito.
« Scrissi a Vieusseux che leggendo quel tratto al mio
« curato, per quanto più giocatore che leggitore, più
«bevitore che uditore, lo feci piangere; ho anche
«sentito soffiarsi il naso, ho veduto far contorcimenti
«ad alcuno dei miei contadini (e non sono dei più
«delicati campagnoli), mentre glielo leggeva. Qual-
«cheduno, che aveva sentito leggere i Promessi
«Sposi, una sera ha lasciato la partita dei quadri-
« gliati per venire alla panca di cucina, che è la sala
« di riunipne, per sentirmi leggere. Hanno tutti riso
«a Don Abbondio, ed hanno trovato il confronto
« subito : fra Galdino è tale quale fra Bonaventura
«di Padda, diceva un altro: certi miracoli senza
«sugo; ma sentito il pane del perdono di fra Cri-
«stoforo, silenzio, e pianto nascosto: perchè un con-
« tadino, che piange raramente, e soltanto perchè gli
«è morto il bue o l'asino, trova impossibile che si
«deva piangere sentendo leggere.... Ma quel Conte
«zio! ne conosci tu con quel parlare misterioso? io
«sì. E quella sommossa di Milano! E Renzo che
« gli pareva aver fatto amicizia col Gran Cancelliere !
« E il Notaro, che dice che è per pura formalità che
« lo fa condurre in prigione ! E la Monaca per forza !
Digìtized by VjOOQ IC
XLI
«e che so io? Vi può esser egli più verità? più ef-
«fetto? Io m'inquieterei come il Prior Albizzi con
«quei letterati che vogliono giudicarne letteraria-
« mente, o che vorrebbero far cambiare il romanzo
«perchè dicesse a loro modo. Quel libro mi pare
«che non possa appartenere alla parte letteraria: è
« un gran libro di morale ; e tale, io crederei, da fare
« una rivoluzione come il Don Quichotte, se un libro
« potesse far cambiare gl'istinti del cuore umano ».
Mentre Lapo de' Ricci, che era semplicemente un
colto gentiluomo, non rifinisce di leggere il dialogo
tra il Cardinal Federigo e l'Innominato, e quel dia-
logo gli strappa le lagrime; un letterato, e famoso,
Francesco Domenico Guerrazzi, scrive, che del Car-
dinal Federigo « il Manzoni potè fare un santo, ma
« non avrebbe mai potuto farne un galantuomo » (l).
Non c'è che, dire; tutti i gusti son gusti! Col P.
Cristoforo invece fu benevolo; e in un bizzarro giro
che la sua fantasia fece fare al Romanzo storico, me-
nato che l'ha in Italia « per ricrearsi », lo conduce
« pei colli della Brianza, dove conobbe Renzo e Lucia,
« prese tabacco nella scatola di fra Cristoforo (') : un
(*) Guerrazzi F. D., Manzoni, Verdi e VAlbo Rossi-
niano, Milano, Tip.. Sociale, 1874; p. 73.
(2) A proposito di questa scatola scrive lo Stampa [II,
87-88] : « Il Manzoni raccontò (e lo udii colle mie orecchie)
«ch'egli aveva l'intenzione di lasciar fuori, come super-
« fluo, l'episodio del P. Cristoforo che, chiamati a sé i
Digìtized by
Google
— XLII —
«degno frate in verità, ma il Romanzo dentro un
« orecchio ai suoi amici susurrava sommesso, che tre
«quarti delle virtù del frate Cristoforo, Alessandro
« Manzoni le aveva tolte a nolo da lui »(*).
Terenzio Mamiami, che era a Firenze nel 1827
quando vi andò il Manzoni, racconta: «io l'ho ve-
« due sposi, dice loro : Figliuoli! voglio che abbiate un ri-
« cordo del povero frate, e dopo di aver data loro la sca-
« tola, lavorata con una certa finitezza cappuccinesca, con-
« tenente gli avanzi di quel pane, dice loro : Fatelo vedere
«ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondo.... dite
«loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto! e che
«preghino anche loro, per il povero frate! Ma per l'ap-
re punto il consigliere abate don Gaetano Giudici non gli
«permise assolutamente quella ommissione, dicendo che
« era il più bello e commovente episodio del romanzo ».
Il figliastro gli chiese la ragione di questo taglio che
avrebbe voluto fare, e rispose: «Che vuoi!... a me pa-
« reva un di più ».
(!) L'editore Gaspero Barbèra, che il 7 settembre del '50
visitò il Guerrazzi in prigione, racconta : « Saputo che ero
« allora allora ritornato da un viaggio in Lombardia e nel
«Veneto, il discorso è caduto sul Grossi.... Del Manzoni
« ammirava più V Adelchi e il Carmagnola, che non i Pro-
« messi Sposi ; osservando che la lingua onde questi sono
« scritti non è cosa da menare quel gran rumore che se
« ne faceva, dacché quando un toscano parla anche da
« sguajato, un po' più un po' meno, dice quelle frasi che
« nei Promessi Sposi si vedono collocate a far mostra di
«sé». Cfr. Barbèra G., Memorie di un editore, Firenze,
1883; pp. 81-82.
Digìtized by
Google
Sai
^M ' ^ XLIII -
« duto impacciato fuor modo degli encomii infiniti
« che gli suonavano intorno. Rispondeva con parole
« poche ed avviluppate e arrossiva tuttavia a somi-
« glianza di fanciulla. Spesso il Leopardi assisteva a
« codeste apoteosi. Ed io, vedutolo una sera rincan-
« tucciato e solo, mentre il fiore de* letterati e degli
«studiosi afFollavasi intorno al Manzoni, lo incitai a
« manifestare quello che gliene paresse. Me ne pare
« assai bene, rispose, e godo che i Fiorentini non si
«dimentichino della gentilezza antica e dell'essere
«stati maravigliosi nel culto dell'arte». Aggiunge:
« Pochi anni dopo io l'udivo in Firenze esprimere
«intorno al Manzoni questa riservata sentenza. Che
« l'avere eletto pel suo romanzo una dell'epoche più
« sventurate e servili delle storie italiane dee nascon-
« dere molte ragioni ed assai poderose (l) ; ma certo
« non appariscono, e sembra invece uscire dal suo rac-
(*) Il Giordani ne' suoi Pensieri per uno scritto sui
Promessi Sposi loda il Manzoni di « aver creato nuovo
« odio ad antichi rei di calamità italiane », al « dominatore
« straniero e lontano, ignorante e crudele, superstizioso
« ed improvvido ». Cfr. Giordani P., Scritti editi e po-
stumi; IV, 132-134.
Giosuè Carducci, applaudendo in Lecco « all'interezza
«dell'arte in Alessandro Manzoni», disse che «fece del
« romanzo la gran vendetta su '1 dispotismo straniero e
«su '1 sacerdozio servile ed ateo». Cfr. Carducci G.,
Confessioni e battaglie, serie seconda, Bologna, Zanichelli,
1902; pp. 306-309.
Digìtized by
Google
— XLIV —
« conto la deplorevole conseguenza che del presente
« non bisogna zittire, dacché gl'Italiani altre volte si
« trovarono molto peggio e l'Austriaco vale un oro
«a petto del Castigliano» (l).
In due lettere, tutte e due dell'8 settembre '27,
il Leopardi apri l'animo suo al padre e allo Stella.
A quest'ultimo scriveva : « Io qui ho avuto il bene
« di conoscere personalmente il signor Manzoni, e di
«trattenermi seco a lungo: uomo pieno di amabilità,
«e degno della sua fama». E al padre: «Tra' fo-
«restieri ho fatto conoscenza e amicizia col famoso
« Manzoni di Milano, della cui ultima opera tutta l'I-
«talia parla». Di nuovo al padre: « Ho piacere che
«ella abbia veduto e gustato il Romanzo cristiano
« del Manzoni. È veramente una bell'opera ; e Man-
«zoni è un bellissimo animo e un caro uomo». E
al conte Antonio Papadopoli : « Ho veduto il romanzo
«del Manzoni; il quale, non ostante molti difetti, mi
«piace assai, ed è certamente opera di un grande
« ingegno ; e tale ho conosciuto il Manzoni in parec-
« chi colloqui che ho avuto seco a Firenze. È uomo
«veramente amabile e rispettabile».
Il barone Giuseppe Sardagna, il 25 febbraio del '28,
dava questi ragguagli all'Acerbi, allora console au-
striaco in Egitto : « Manzoni scrisse un romanzo sto-
0) Mamiani T., Manzoni e Leopardi; nella Nuova An-
tologia, voi. XXIII [1873], pp. 757-782.
Digitized by VjOOQ IC
« rico, / Promessi Sposi, di cui certamente avrete
«letto qualche cosa anche in Alessandria, giacché
« suppongo che i giornali francesi almeno vi arrivino.
« Questo libro ebbe un successo universale in Italia.
« L'autore vendette unicamente mille copie della sua
« edizione originale, e se ne fecero già più di sei ri-
« stampe. In tutt'altro paese questa produzione ba-
« stava per far la sua fortuna : in Italia il suo profitto
« fu di lire seimila a stento » (*). Col Sardagna si
accorda il consigliere Federigo De Mùller, che nel
descrivere nelle proprie Memorie (*) una visita fatta al
Manzoni nell'agosto del '29, piglia a dire : « Gaetano
« Cattaneo mi raccontò che i Promessi Sposi non
« hanno reso al Manzoni più di 5000 franchi, mentre i
« librai ne hanno guadagnato centomila; che il Man-
« zoni non volle mai decidersi a fare una seconda edi-
(*) Luzio A., Giuseppe Acerbi e la « Biblioteca italiana »;
nella Nuova Antologia, serie IV, voi. LXVI, fase. 23,
i° decembre 1896, p. 481.
(2) Il De Mailer del 1829 venne in Italia e vi dimorò
alcuni mesi. Nelle sue Memorie, che son rimaste inedite,
descrìvendo quel viaggio, parla a lungo della visita che
fece al Manzoni a Brusuglio. Un brano di questo episodio
fu pubblicato a Weimar nel 1832 col titolo : C. W. Mùller,
Goethe* s letzte Ut. Thaetigkeit, e poi per intiero venne
messo alle stampe nel 1871 da C. A. H. Burkhardt nel
n. 45 del Magazin f&r die Literatur des Auslandes. Ne
dette la traduzione L. Senigaglia nella Rivista contem-
poranea, di Firenze, ann. I, voi. II, pp. 359-365.
Digìtized by
Google
— XLVI —
«zione per il suo editore, essendo d'opinione che
«vi sarebbe stato molto da migliorare, e in tal
« modo dovette essere spettatore che in tutte le
«più grandi città d'Italia si pubblicassero nuove
« edizioni e ristampe, tutte travisate ». Infatti nel
1827 — Tanno stesso della prima comparsa de* Pro-
messi Sposi — furono subito ristampati a Livorno
da G. P. Pozzolini, col ritratto dell'autore; a Fi-
renze da Gaetano Ducei; a Lugano dal Veladini;
a Napoli co' torchi del Tramater. In Torino ne
fece due edizioni Giuseppe Pomba; a Parigi li ri-
produsse due volte in italiano il Baudry; a Berlino
vennero tradotti in tedesco dal Lessman. Nel '28
il Del Majno li ristampò a Piacenza, il Batelli a Fi-
renze ; il Pomba ne fece una terza edizione a Torino;
il Baudry mise in vendita due altre sue edizioni a
Parigi; dove furono pur pubblicate le due traduzioni
in francese del Rey Dusseuil (l) e del Gosselin; a
(!) Les Fiancés, histoire milanaise du XVII siede, dé-
couverte et re/aite par Alexandre Manzoni ; tv adulte de
Vitalien sur la troisième èdition par M. Rey Dùssueil,
Paris, Ch. Gosselin et A. Sautelet, 1828; 5 voi. in-120.
Prix, 18 francs. Il traduttore vi premise un Essai sur le
rotnan historique et sur la littérature italienne, che fu vol-
tato in italiano dal giornale milanese La Vespa [ann. II,
i° semestre, pp. 225-230 e 276-279], facendovi, in nota,
alcune osservazioni critiche. « En revoyant «notre travail »
(così il Rey Dussueil nell'Essai), « nous aurions pu faire
« aisément disparaitre toutes les tournures qui s'éloignent
Digìtized by
Google
— XLVII —
Lipsia uscì alla luce la traduzione in tedesco del Bùl-
low, a Pisa quella in inglese di Carlo Seven. In di-
ciotto mesi si hanno dunque tredici ristampe, delle
quali nove fatte in Italia, quattro a Parigi ; e cinque
traduzioni, due in francese, due in tedesco e una in
inglese.
L' Elena, lo Zucchi e Gallo Gallina incominciarono
a illustrare il Romanzo con tavole litografiche (l). Nella
festa da ballo in costume, data a Milano nel carne-
vale del '28 dal conte Bathiany, la quadriglia che
destò maggiore entusiasmo fu quella di Don Rodrigo
e dei bravi, anch'essa, insieme con gli altri costumi,
« un peu des tournures francaises ; mais ce n'était point
« une traduction que nous voulions donner au public ;
« c'était, autant que possi ble, l'ouvrage de M.Manzoni».
La Revue encyclopédique [tom. XXXVIII, pp. 488-490] gli
fece osservare: « Pour donner au public l'ouvrage de M.
« Manzoni, il fai lai t avant tout lui donner un livre bien
« écrit ». Parlò di questa traduzione anche la Bibliothèque
univer selle de Genève > nuova serie, tom. Ili [1836], p. 268.
(') Il 29 settembre del '28 la Gazzetta di Firenze nel
suo n.° 109 dava questo annunzio : « La lettura del
« romanzo i Promessi Sposi dipinge air immaginazione
« alcune scene con tanta forza, verità e precisione, che
« chiunque sa far uso della matita sentesi invogliato di
« rappresentare coi mezzi dell'arte pittorica ciò che l'au-
« tore seppe con rara maestria descrivere. Il sig. Gallina,
« valente artista, già noto per alcuni pregiati lavori, formò
« dodici composizioni dei casi più interessanti del suddetto
% romanzo, e queste, da lui stesso litografate, verranno
Digìtized by
Google
— XLVIII —
riprodotta in litografìa (l). La Minerva Ticinese an-
nunziava: «Quanto prima, con musica del maestro
« Caraffa, deve comparire sulle scene del Teatro ita-
« liano di Parigi un* opera tratta dal sì applaudito
« romanzo / Promessi Sposi » (*).
« impresse nello Stabilimento Ricordi. Il formato della
« stampa sarà di oncie 8 s/4 per 6 !/2J giusta dimensione
« per ornamento di un quartiere. La collezione verrà di-
« visa in sei fascicoli, di due stampe per ciascuno, e se
« ne pubblicherà un fascicolo ogni mese. Il prezzo di ogni
« stampa è fissato a paoli 9 in carta della China e a paoli
« 6 in carta velina ». L' Eco di Milano [ann. II, n.° 51,
29 aprile 1829, p. 204] le lodò, « tanto per P invenzione,
« quanto per l'esecuzione ». Francesco Pastori [Biblio-
grafia italiana ossia Giornale generale di tutto quanto si
stampa in Italia, libri, carte geografiche, litografie e no-
vità musicali, ann. I [1828], p. 76] trovò « lodevole » il
« pensiero del sig. Gallina di dare disegnati in litografìa
« i quadri principali del bellissimo romanzo del sig. Man-
« zoni » ; ed ebbe a dire « che V impresa, ben pensata e
« lodevolmente eseguita, prestava materia di gradevolis-
« simo ornamento » .
(1) Costumi vestiti alla festa da ballo data dal Signor
Conte Batthyany (sic), Milano, litografia Elena. [Ogni fa-
scicolo costava 20 lire italiane].
(2) La Minerva Ticinese, fase. 50, 16 decembre 1829.
Digìtized by
Google
— - XLIX —
IL
Non senza il suo perchè il barone Sardagna si
lusingava che l'Acerbi avesse avuto notizia dei Pro-
messi Sposi dai « giornali francesi », quasi tutti con-
cordi nel lodare il nuovo romanzo, a cominciar dal
Mémorial catholique, dove ne parlò il conte O' Ma-
hony (l), a venire alla Gazette de France, Quest'ultima
tornò a discorrerne anche nel '32, quando usci alla luce
la bella traduzione in francese del Montgrand. « Ben
« mille romanzi ci furon regalati da due anni in qua »
(son parole della Gazette} « ed è anche troppo se di
« tutta questa farraggine resterà un solo volume. Qual
« povera abbondanza mai ! E sarà vero che fra tanti
«scrittori, pieni d'estro, di fantasia, di perizia nel-
« l'arte dello scrivere, non se ne trovi neppur uno che
« pigli scrupolosamente a investigare la feconda mi-
niera de' nostri fatti domestici? E noi rimarremo
(*) Il « giudizio del conte O' Mahony sui Promessi
Sposi di Alessandro Manzoni » fu ristampato, con la tra-
duzione italiana a fronte, a pp. 391-413 del tom. Ili del-
l' edizione del Romanzo fatta a Lugano, presso Francesco
Veladini e comp., nel 1829.
Alessandro Manzoni. - P. IL d
Digìtized by
Google
— L —
« così, noi la nazione più letterata del mondo, senza
« avere il nostro Walter Scott e il nostro Manzoni? »
È un giudizio, come notava giustamente V Eco di
Milano, (che lo riportò traducendolo), « da fare insu-
le perbire l'Italia, la quale ha dato i natali al Manzoni, e
« da convincerla che anche in paese straniero e rivale
«si rende giustizia ai geni della sua. nazione ed ai
«loro capolavori»^). Proseguiva il giornale fran-
cese: « Vedete qua il Manzoni; si è impossessato
« degli annali del suo paese, e le rozze pietre son
«divenute diamanti sotto le sue mani.... Non altro
«che col mettere in azione i più reconditi segreti
«del cuore umano seppe trarre da un fondo sem-
«plicissimo le scene sue più drammatiche e più
«care... I Promessi Sposi ebbero fortuna infinita in
«Europa; e pure, questo romanzo è tutto quanto
« appoggiato a un pensiero affatto religioso, anzi, si
«potrebbe dire, affatto cattolico».
Fino dal 1827 la Revue encyclopédique > annunziando
la comparsa de* Promessi Sposi, aveva scritto : « Une
« multitude d'aventures et de caractères remplissent
« le cadre de cet ingénieux roman, Des incidens ha-
« bilement disposés, une peinture fidèle et animée des
« moeurs de cette epoque, un style toujours appro-
«prié aux situations, une grande variété de tons,
« telles sont les qualités qui ont mérité à ce bel ou-
(!) L'Eco, ann. VI, n. 1, 2 gennaio 1833.
Digìtized by
Google
— LI —
«vrage le succès éclatant qu'il vient d'obtenir en
« Italie, et qu'il va sans doute obtenir en France ».
La Revue promise di riparlare di questa « pro-
«duction littéraire aussi distinguée, et de payer un
« nouveau tribut d'estime à l'auteur, déjà célèbre en
<< Italie comme écrivain dramatiqueetcomme poète»^).
Disgraziatamente ne tornò a parlare per bocca d'uno
de' nostri esuli, Francesco Salfi, che raggiunse ad-
dirittura il grottesco ; pigliando perfino come buona
moneta il brano del « dilavato e graffiato autografo »
che il Manzoni riporta sul bel principio ; brano che è
una contrafazione perfetta non solo dello stile e
della lingua, ma della stessa ortografia del Secento.
Infatti, dopo aver detto, che «le sujet du roman est
« tire d'une histoire, peu connue, du chanoine Joseph
« Ripamonti, et rédigée dans le style prétentieux et
« ridicule du Secento », soggiunge, che il Manzoni
« débute par un fragment du manuscrit de Ripamonti
« et fait ainsi mieux sentir la nécessité d'en réformer
«le style, à fin d'en rendre la lecture supportable a
«ses contemporains ». Il Ripamonti che diventa l'au-
tore dell'immaginario « scartafaccio » ! È grossa, ma
non è la più grossa che il critico sballi. Nei Promessi
Sposi trova mancanza di coerenza organica e d'in-
treccio, bassezza ne' personaggi. « Ce qui rend cette
(!) Revue encyclopèdique, tom. XXXVI [octobre 1827],
pp. 411-412.
Digìtized by
Google
— LII —
« histoire plus repoussante encore» (seguita a scrivere)
« c'est rintervention des fossoyeurs, que Pauteur fait
« agir et parler trop longuement. Shakespeare s'était
«permis de nous présenter pour quelques instants
« ces dignes personnages s'entretenant entre eux.
« D'après son exemple, M. Manzoni est alle bien
«avant: il nous apprend leurs occupations, leurs
«friponneries, leurs bassesses. Ces détails, quelles
« que soient les beautés qui s'y mèlent, son trop
«hideux» O" E cosi, per la prima volta, nel 1828,
la « modestia manzoniana » dovette ricevere da un
critico ostile (*) la suprema delle lodi per un poeta :
quella di sentirsi nominare accanto a Shakespeare.
(*) Revue encyclopèdique, tom. XXXVIII [avril 1828],
PP- 376-389.
(2) Non senza interesse sono due lettere del Niccolini
a Salvatore Viale, una del 21 e una del 5 luglio '28. La
prima è questa: « Il Globo ha delle dottrine ultra-roman-
tiche, e nella Rivista il Salfi sta pedantescamente at-
« taccato ai precetti dei classici. Questa, per chi la discerne,
«è disputa in gran parte di nomi, ma pur divide la re-
« pubblica letteraria in due fazioni e offusca coi pregiu-
« dizi l' intelletto. Il Salfi accusa il Manzoni nel suo arti-
« colo sugli Sposi promessi d'essere fautore delle istitu-
« zioni monastiche. Quest'accusa è ingiusta, e non può
« cadere in mente di chiunque legga spassionatamente
«quel libro, ed io che intimamente conosco l'autore,
«e sono stato la persona colla quale ei più conversasse
«in Firenze, posso far fede che la sua pietà è scevra di
Digìtized by VjOOQ IC
— LIII —
Il Mamiani in un colloquio che ebbe a Parigi col
Sismondi, ragionando della Morale cattolica, l'udì
concludere con queste parole : « il vostro Manzoni
«argomenta bene, ma i vostri preti lavorano male;
«e poniamo pure che il regolo non sia distorto, la
« Curia lo storce ella al bisogno e avvezza gli occhi
« del volgo a falsar le misure. Oltreché, non è buona
«quella forma di culto che accarezza le pericolose
«tendenze d'una stirpe di uomini piuttosto che di
«combatterle.... Ad ogni modo, proseguiva il Si-
« smondi, se nella Morale cattolica si ammira un con-
« vincimento profondo, una rara potenza dialettica e
«certo sentimento finissimo e delicatissimo dell'in-
« dole umana e del bene etico, non manca qua e là
«qualche sforzo di apologista e qualche amplifica-
« zione acconcia al proposito (*). Invece ne' Promessi
« superstizione, e che non ama i frati ». Nell'altra scrive :
«A me premeva d'investigare le ragioni del silenzio del
« Salfi, ma senza però ch'ei mi potesse credere un accat-
«talodi.... Io amo più di conservare la dignità dell'animo,
« che mostrarmi ghiotto d'uno sciocco articolo di quel ca-
« nuto e solenne buffone. £ meritamente io lo chiamo così,
« perchè non v'è pazienza che sostenga di leggere i suoi
«imbratti sull'opere ch'escono in Italia: egli loda quello
«che fra noi si disprezza, o s'ignora, mentre maltratta e
« calunnia il Manzoni, primo ornamento delle lettere ita-
« liane >.
(*) Giuseppe Giusti racconta in una sua lettera, scritta
nell'aprile del '36 : « Finalmente ho parlato a Sismondi,
«e per due volte mi son trattenuto seco lungamente
Digìtized by VjOOQ IC
— LIV —
« Sposi il Manzoni è scrittore stupendo e non supe-
« rabile. Con che arte ti pone innanzi le istituzioni
«cattoliche, i frati, le monache, i voti non revoca-
bili, la confessione e che so io? scegliendo i punti
« più favorevoli di prospettiva e combinando in ma-
« niera gli avvenimenti che ogni colpa sia solo degli
«uomini, e nessuna delle dottrine! Il fatto sta che
« un altro romanzo non c'è in Europa, il qual goda
«forse di uguale celebrità. Né il Manzoni è inven-
«tore del genere. Nemmanco è inventore di quei
« Parlammo di Manzoni, e qui apparve singolarmente
« l'uomo grande. Io introdussi il discorso colla massima
«delicatezza, ma a bella posta, perchè voleva chiarirmi
« d'un dubbio, nato in me alla prima lettura di quel libro
«del Manzoni, ove confuta gli ultimi due capitoli della
« Storia delle Repubbliche. Sismondi parlò di quell'opera,
« dicendo che era ammirato della maniera urbana con la
« quale fu distesa : lodò la sincerità dell'autore, e ne com-
« pianse le ultime disgrazie, le quali, secondo lui, hanno.
« contribuito non poco a confermarlo ne' suoi principii ;
« aggiunse poi, sempre moderatamente, che gli pareva
« che si fosse partito da un punto molto diverso dal suo,
« poiché esso considerava le cose come sono attualmente,
« e Manzoni come dovrebbero essere. Né so dirti quanto
«fossi contento di vedere che io non m'era ingannato.
«Credei bene di dirgli che gl'Italiani non avevano fatto
«gran plauso a quel libro, e che anzi, senza scemare in
« nulla la debita reverenza al Manzoni, era stato riguar-
« dato piuttosto come un errore, o almeno come un'opera
« suggerita da qualcuno che lo avvicina per secondi fini,
« i quali, dall'altro canto, non capiscono nell'animo inte-
«gerrimo di quel sommo italiano».
Digìtized by LjOOQ IC
— LV —
« metodi compendiosi e vivi, o di entrar nel racconto
«ex abrupto per via di dialoghi brevi e animati, o
«di abbellirlo e farlo evidente mediante le spesse
« descrizioni : e queste condurre con maestria vera-
« mente pittorica e qual direbbesi del genere fiarn-
« mingo, non intralasciando particolare nessuno an-
«corchè minutissimo, qualora aiuti l'intendere bene
« un carattere, un'azione, una costumanza. Ma ciò
« ch'è novissimo e farà immortale il vostro Poeta per
«ogni tempo fu il tessere una epopea così casta e
« nobile, governata da sì eletta moralità, spirante un
«aroma sì puro di religione, che ogni madre con-
« segna senza paura nessuna alla sua fanciulla quel
« libro, e ogni direttor di collegio e di scuola fa il
«simile agli alunni suoi. Che dirò dell'aver posto
«con nuovo esempio sul dinanzi della scena due
«umili popolani, e nell'ultimo sfondo gli uomini e
« le cose accattate dalla storia ? Qual concetto è più
« cristiano dello sparger di luce la probità rassegnata
« della plebe lavoratrice e raffrontarla con le colpe,
«le violenze, gl'inganni che gli ordini superiori ci-
« vili esercitavano impunemente sugl'inferiori, i quali
« invece erano e sono il pupillo naturale e perpetuo
«consegnato all'umanità e sapienza educativa dei
«primi; e vedersi oggi quel che significa l'aver tra-
« sandato le obbligazioni e le cure della indeclinabile
«tutela» (1).
(') Mamiani T., Manzoni e Leopardi; nella Nuova An-
tologia; XXIII, 760-762.
Digìtized by
Google
— LVI —
Intorno ai Promessi Spost il Sismondi espresse il
proprio pensiero anche in una lettera che, da Gi-
nevra, scrisse a Camillo Ugoni l'n settembre del '29.
Gli dice: «Je suis enchanté d'apprendre que vous
« préparez une nouvelle édition de ses oeuvres (*) :
«c'est un homme d'un beau talent et d'un noble
«caractère. J'apprends avec bien de chagrin qu'au
« lieu de préparer quelque nouvel ouvrage dans le
« genre du roman historique dont il a fait un présent
« à T Italie, il écrit au contraire un grand livre contre
« ce genre d'ouvrages. Il y avait du genie dans ses
«Promessi Sposi ', il y avait en mème tems Pexem-
« pie du genre de lecture, qui peut, en dépit de la
«censure, faire l'impression la plus generale et la
« plus utile sur le public italien ». A Fulvia, figlia
di Pietro Verri, che fu moglie del colonnello Jaco-
petti, uno de* prodi di Napoleone, scriveva il 22 lu-
glio del '30 : « Si vous voyez quelque fois Manzoni,
«parlez lui de moi, dites lui mon admiration pour
« son talent, mon regret si vif, mon regret partagé
(*) Tragedie e poesie varie di Alessandro Manzoni,
colle prose analoghe ed un* apposita prefazione del barone
Camillo Ugoni — Quindicesima edizione — Lugano, Giu-
seppe Ruggia e C, 1830 ; in 160. di pp. XXVIII-272. La
«prefazione» dell'Ugoni abbraccia le pp. V-XXVIII e
porta la data: «Parigi, 19 novembre 1829». Ne diede un
cenno il Tommaseo nell'Antologia, tom. XXXIX, n. 151,
luglio 1830, p. 136.
Digìtized by
Google
— LVII —
«par toute l'Europe, de ce qu'il ne continue pas à
« marcher dans la carrière où il est si glorieusement
«entré. Dites lui que jamais il n'avait servi, que
«jamais il ne pouvait servir si puissamment la
« cause à la quelle il me reproche de ne point m'ac-
«corder avec lui, que par le portrait du P. Cristo-
foro. Il y a dans ses Promessi Sposi bien plus
« qu'un bel ouvrage littéraire, bien plus mème qu'un
«genre nouveau donne à l'Italie, il y a une bonne
«action. Pourquoi ne pas la répéter quisqu'il le
« peut? Par des livres sérieux on ne répand les pensées
«sérieuses que parmi ceux qui les ont déjà: mais
«lui il les a introduites dans un monde nouveau,
« qui n'avait jamais réfléchi, qui n'avait jamais mele
« les meilleures émotions du coeur àses amusements ».
Tra i giornali italiani, de' primi a parlare de'
Promessi Sposi fu // Nuovo Ricoglitore, di Milano.
« S'è finalmente veduto questo romanzo del Man-
« zoni, che aspettavasi da sì gran tempo; ma le temps
«ne fait rien à l'affaire, direbbe anche qui oppor-
« tunamente YAlceste di Molière : non si badi dunque
«all'aspettazione, ma vediamone l'argomento, discor-
« riamone la tessitura ». Dopo averne esposto « l'ar-
«gomento» e «la tessitura», prosegue: « Non sarà
«già qui tutta la storia compresa ne' tre volumi?
«sento domandarsi da moki. Signori miei, l'è pro-
« prio qui tutta intera, salvo certi tratti accessorii, che
«son parte, ma non essenziale, del romanzo, e son
«molti, a dir vero: ma non vogliate inferirne però
Digìtized by LjOOQ IC
— LVIII —
« che il romanzo abbia ad essere una seccaggine, un
«sonnifero, una morte: leggete prima e sentenziate
«poi, che ne avrete allora acquistato il diritto: ma
« voi dite che non volete comperare questo diritto a
« un cotal prezzo ; ebbene, udite adunque, non mica
« una sentenza, ma quattro chiacchiere d'uno che ha
« già letto. Che le arti abbiano un codice di leggi
« giustissime, chiarissime, opportunissime, dalle quali
« uno non può discostarsi senza rendersi ipso facto
« reo di oltracotata prevaricazione, è questo un teo-
« rema così evidente ch'io non so quello che mi direi
« o farei per sostenerlo ; mi pare che per difenderlo
« torrei di battermi ad occhi chiusi ; che poi sempre
« l'effetto d'un lavoro d'arte risponda alla bontà delle
« leggi e alla diligenza con cui furono seguitate, gli
« è questo un fatto rinnovatosi tante volte, che non
« vuol essere recato in dubbio : or dalle generali ve-
« nendo, come l'ordine prescrive, a' particolari, dico
«che l'arte dello scrivere romanzi ha sue leggi, le
«quali vi comandano di scegliere a dovere argo-
« mento e personaggi , che hanno ad essere o cose
« famose per le storie, ovvero imprese (se le create)
«d'un conio di grandezza e di perfezione ideale,
« che le renda interessanti e cospicue : v'ingiungono
« le leggi del romanzo d'annodare i fili della favola,
«e come gli abbiate intricati quanto bisogna a de-
« stare interesse e un soave stringicuore in chi legge,
«avete poi a progredire senza posa verso il disvi-
«luppo, e quanto più difilato correrete a quello,
Digìtized by LiOOQ IC
— LIX —
« tanto maggiore riuscirà il diletto che il vostro ro-
« manzo procaccerà ; son poi vietati dalle prefate
«leggi i lunghi episodi, i parlari dell'autore, quan-
« d'anche sien posti in bocca de* personaggi, i brani
« di morale, e siffatte cose, sotto pena che il romanzo
« cada di mano al lettore addormentato : questo pre-
« scrivono le leggi del romanzo, piene d'equità, ma
« contro a quelle stanno molti fatti dove elle non eb-
«bero alcun potere, e, per tacere d'altri esempi,
« parlerò adesso dei Promessi Sposi. Il romanzo del
« Manzoni va contro tutti gli ordinamenti prefati ;
« lascio stare l'oscurità de' personaggi che fanno da
«protagonisti, e dico degli episodi, che son tanti e
«sì lunghi, che in essi la storia de' Promessi Sposi
«si perde, e per poco non diventa una cosa acces-
« soria : che è mai infatti la storia, che sopra ho de-
« scritta, rispetto alle tante altre cose che ingrossano
« questo libro ; in cui troviamo trattati di economia
« pubblica, disquisizioni storiche, tirate di morale,
«omelie di vescovi, prediche di cappuccini, ecc.?
« Per le quali cose, che altro dovrebbe accadere,
«stando alle leggi dell'arte, se non istanchezza in-
« finita nel lettore, sbadigli, sonno; eppure la faccenda
« cammina diversamente, e ognun può vedere che il
« romanzo del Manzoni corre rapidamente per tutte
«le mani ed è letto con avidità. Qual cosa conclu-
« dano poi tanti leggitori come son giunti in fine, io
« non lo so, ma per il fatto mio affermo che questa
«lettura m'ha trattenuto piacevolmente assai, e che
Digìtized by
Google
— LX —
« m'è doluto quando col libro vidi toccare il termine
« il mio diletto. Fenomeni ! casi strani ! Ma vediamo
« un po' se ne venisse fatto di porre innanzi alcuna
« ragione ad intendere il caso strano. Non togliamo
« più a ragionare delle leggi onde si governa il ro-
« manzo, né vogliasi inquisire se il Manzoni le abbia
« osservate, e se questo sia quindi vero romanzo, o
«che altro sia; da chi volesse contendere su questo
« punto io mi spiccerei con dire : amico, se noi vuoi
«romanzo, sarà storia, sarà trattato, sarà un saggio,
«qualcosa sarà: e per isfuggire anzi affatto ogni
« questione di titolo , lo chiamo libro. Ora , in
« questo libro, l'autore deviando ad ogni tratto dalla
«storia de* Promessi Sposi, scorre, come sopra io
«diceva, a ragionare d'altre cose, che hanno bensì
« una relazione stretta col soggetto principale, ma
«non era forse mestiere che vi si spendessero tante
« parole. Pur non ostante, tutte coteste cose, che sem-
« brano scucite, le stanno bene insieme, e non man-
«dano suoni discordi, e non isviano punto l'animo
«del leggitore. Da qual movente può egli derivar
«questo? Sarebbe egli mai che la condotta e il le-
« game dell'affetto suppliscono a quella condotta e a
« quel legame che mancano apparentemente nell'o-
«pera? Veggo di vero che essa è tutta intuonata a
«un modo. L'ingegno sommo e il cuor candido di
« chi dettò son le corde che risuonano da per tutto,
« son quelle che mantengono una soave consonanza,
« che formano una reale unità, una verace condotta;
Digitized by
Google
— LXI —
«quella condotta appunto e quell'unità che ammi-
seriamo nelle odi di Pindaro, le quali pur toccano
« tante corde e cosF disparate da parer cose strambe
«chi non sentisse che le stanno tutte come a dire
«entro lo stesso accordo: e appunto d'un sì fatto
« genere sono le opere del Manzoni ; ma non ci
« discostiamo dai Promessi Sposi. In questo libro
«l'A. ci dispiega un bel tratto di storia patria con
«accurata fedeltà, con nitido ordine, con sottile e
«sana critica. In questo libro abbiamo una viva
«pittura de' costumi del secolo XVII. In questo
«libro troviamo rappresentati colle vere loro tinte
« caratteri d'ogni maniera, d'ogni cognizione, d'ogni
«stato. Abbiamo dipinte orrende scelleratezze, che
«son toccate con pennello si gagliardo da scuo-
« tere il cinico più gelato ; poi t' imbatti in certe
«scene gioconde, dove la forza comica è accom-
«pagnata ad una morale che ti consola; poi siam
«trasportati in situazioni pietose, commoventissime.
«Il pensiero dell' A. scorre leggerissimo sui vari
«soggetti, né il seguirlo riesce cosa grave alla nostra
« mente, poiché o penetri acutissimo, e sul fare di
« Sterne, fin ne' più profondi recessi del cuore umano,
«o si levi sublime con alti e luminosi concetti, o
«rapido voli a raggiungere idee lontanissime e di-
« sparate onde farne ingegnoso ed inaspettato con-
«fronto, tu travedi sempre la mente dell'A. tutta
«intesa con costante perseveranza a dei casi veri,
«interamente, liberamente, e non con altro animo,
Digìtized by
Google
— LXII —
« tranne quello che ne abbia l'umanità giovamento
« e diletto. Io potrei avvalorare le cose sopraddette,
«trascrivendo qui dal libro aldini luoghi, belli in
«sommo grado e immaginosi. I vari quadri della pe-
«stilenza; certi gruppi del sollevamento popolare;
« i passi drammatici dove fa sì bello spicco quella
«grande anima di fra Cristoforo; il sogno di Don
« Rodrigo, che pare uscito dal cervello di Shakes-
«peare, tanto è cosa caldamente immaginata; potrei
«trascrivere la descrizione dei dintorni di Lecco,
«che la è felice e magnifica quanto un quadro del
« Lorenese, e molti altri passi potrei allegare (se la
« legge della brevità me lo concedesse) per li quali
«si verrebbe a mostrare quanta energia, quale eie-
«vatezza, qual fonte d'affetto e di voluttà squisita
« si contenga nel libro dei Promessi Sposi, comunque
«alcuni abbiano affermato, né io vo' negarlo, ch'e'
«sappia d'ascetico.... Sì, signori, d'ascetico: e ne
«tornerà per questo meno piacevole la lettura? Ma
«siamo anime forti, e queste debolezze, che ponno
«intertenere i pusilli, non entrano punto nei nostri
«spassi, se non quando le divengono soggetto d'al-
« legro ed ingegnoso motteggio nelle amene brigate.
«V'intendo, o signori, e capisco che vorrete per
« conseguente essere anche persone di carattere, n'è
«vero? In questo caso v'è sicuramente interdetto il
«gusto di questa lettura. Poiché fra le vostre mani
« un libro mezzo ascetico potrebbe farvi scadere da
«quella reputazione di gagliardia.... pensava perla
Digìtized by
Google
— LXIII —
« soddisfazion vostra a un ripiego... Uditemi; e se
«vi procacciaste questo libro di cheto e ve lo leg-
« geste segretamente? » (*).
Nella Gazzetta di Milano così ne scrisse Francesco
Pezzi: «L'autore è chiaro per molti conti. Nepote
« dal lato materno del gran Beccaria, egli non si ri-
« stette ai lustro che gli deriva da questa affinità.
« Giovane ancora, il Manzoni alzò grido di facile in-
« gegno. Più tardo, salì i gioghi di Pindo con fausto
« successo. Il carme in morte deirimbonati sta presso
« ai Sepolcri del Pindemonte, del Foscolo, del Torti.
« Gli inni in onor di Maria spirano la soavità della
« grazia terrestre. In altri lirici componimenti la sua
« musa si spinse a nobile altezza. Trattosi quindi nel
« sentiero in cui quel d'Asti raccolse il retaggio della
« Greca Melpomene, il Manzoni volle trattare argo-
« menti semplici sulle norme della scuola romantica.
« Delle due tragedie ch'ei scrisse non rimangono
« nella memoria che alcuni concetti ed isolate bel-
« lezze di stile. In fine egli attese alla prosa. Il Man-
« zoni può dirsi il primo che abbia ora compiuto un
« vacuo fra noi in un ramo di letteratura, nel quale
«gli stranieri peccano d'abbondanza. Sia storia o
« romanzo, il suo libro mancava all'Italia. Da lungo
« tempo non facciam che discutere sul modo di con-
(') // Nuovo Ricoglitore> ann. Ili, part. I, n. 30, giu-
gno 1827, pp. 446-451.
Digìtized by
Google
— LXIV —
«cepire e di scrivere. Il Manzoni frattanto non di-
«scuteva, ma concepiva e scriveva. Il nuovo parto
« della sua mente incatena l'attenzione del leggitore:
«crediamo con queste parole averlo definito abba-
« stanza. La ragione della voga di quest'opera salta
« agli occhi immediatamente. Varietà ed importanza di
« avvenimenti; pittura energica d'usi e di costumanze,
« di cui non si è perduta la traccia ; caratteri viva-
« mente tratteggiati ; passioni poste in contrasto, le
«vie dell'animo ricercate, e tutto ciò senza sforzo,
«senza l'orpello dell'esagerazioni, senza sussidio di
« mezzi incomprensibili ; ecco l'origine prima da cui
« deriva quell'allettamento che infondesi alla lettura
« dei Promessi Sposi. Se a questo s'aggiunga un bel
«calcolato riparto di tanti episodi, che presi isola-
« tamente parrebbe a prima giunta non potersi unire
« al soggetto fondamentale, ma che vi si combinano
«come tanti raggi nel centro d'un disco, e si avrà
« ragione dell'aura ond'è onorato il lavoro del Man-
« zoni. L'autore non attinse la principal vicenda nar-
« ratavi a fonte luminosa, in quanto che i veri pro-
«tagonisti dell'azione non sono illustri per alcun
«conto. Ma s'egli non comincia a intertenerci che
« della promessa fede di due amanti poveri e oscuri,
«mano a mano che va tessendo la loro istoria, da
« semplice che era, s'avviluppa con grande artificio,
« collegandosi ad avvenimenti ed a persone di grande
«importanza; locchè addoppia la sollecitudine del
« leggitore nel momento in cui crederebbesi che do-
Digìtized by LiOOQ IC
— LXV —
«vesse scemare». Il Pezzi piglia poi a riassumere
« le cose esposte, sviluppate e condotte con finis-
« simo accorgimento nel primo e nel secondo volume
« dell'opera del Manzoni »; promette di parlare «quanto
«prima del terzo e ultimo»; e di ragionare anche,
« colla guida d'onesta critica », della lingua e dello
•stile usati dall'autore, « non senza provare com'egli,
«tutto pieno del suo soggetto, siasi mostrato ad
« un tempo filosofo, moralista, uom di mondo e
« pittore » (*).
Curioso è il giudizio che ne dette il Corriere delle
Dame: «Appena uscita l'opera, ognuno si fece a
« dire : è uscito un Romanzo storico di Manzoni. La
«celebrità del nome trasse tosto numerosissimi am-
« miratori all'acquisto, ed alcuni, sempre fermi nel
«volerlo battezzare Romanzo, lo trovarono, sotto
« questo aspetto, sterile e poco interessante. Trattasi,
« dicono quelli, di due paesani {Renzo e Lucia) che
«s'hanno a sposare e che un feudatario prepotente
«glielo impedisce con ogni sorta di mezzi; dopo
«gran traversie si sposano, e lì finisce la dolorosa
« istoria, poiché tutti gli altri fatti e narrazioni s'hanno
«a considerare come altrettanti episodi, e formano
« invece il nerbo del libro. — Io rispondo a questa
«prima questione che il rinomato autore di tante
« belle poesie e di ben altri lodati componimenti non
(*) Cfr. Gazzetta di Milano dell' n luglio 1827.
Alessandro Manzoni, - P. II.
Digìtized by
Google
— LXVI —
« comincia dal dire sua propria quest'opera, e quan-
« d'anche la si fosse, egli l'ha intitolata: Storia mi-
« lanese del secolo X VII ; perchè dunque la si vuole
«un Romanzo f Certo che se si fosse inteso di of-
« frirci un romanzo storico sulle tracce di Walter
«Scott doveasi innalzare fra più nobili subbietti la
«scelta de' protagonisti, onde l'interesse general-
« mente eccitato venisse per le avventure di perso-
«naggi degni veramente d'istoria. Ma non vediamo
« noi forse che appunto l'illustre Scozzese, costretto
« a non smuovere se non storicamente dalle capitali
« o dai determinati luoghi i suoi personaggi illustri,
« inganna poi e tradisce il lettore, facendo in un luogo
«accadere cose avvenute le mille miglia lontane, e
«ravvicinando epoche distantissime fra loro, e con-
« fondendo le costumanze e gli usi tutti propri di
« diverse età, soltanto per dare in un solo Romanzo
«storico l'idea completa di varie avventure, di varie
« costumanze, e per stringere in un'epoca sola i vari
« periodi di una vita illustre ? Meno male sarà dun-
« que che ideali sieno i personaggi e tali da potere
«esser mandati qua e là ove più brama l'autore,
« purché storiche sieno le relazioni de' fatti che con-
« tiene il libro. — Meglio sarebbe, lo dicon tutti e
« lo dico anch'io, che la scelta cadesse sopra un'av-
« ventura d'illustri persone, e gli storici episodi cor-
« rispondessero a que' tempi, per istruirne il lettore;
« ma qui sta la difficoltà, e non già la difficoltà di
« invenzione, ma la difficoltà di rinvenire fatti inte-
Digitized by VjOOQ IC
— LVII —
«ressanti, contemporanei ad avventure particolari e
«specialmente amorose di persone degne* di storia.
« — Risponderà taluno, che è assai comodo formare
« un romanzo di tal sorta, poiché non è alla fin fine
« che una cronaca di quel determinato tempo, colle-
« gata ad una novella amorosa qualunque ella siasi.
« — Sia pur facile e comodo l'inventare una novel-
« letta amorosa per condire quell'arida parte storica*
« che vuol narrarsi, non sarà comodo, né a tutti fa-
«cile sicuramente far buona scelta dell'epoca che
«vuol presentarsi, far che succosamente sieno le
«cose narrate, e la sana filosofia, la buona morale,
«la vera politica venga alla mente del lettore me-
« diante la narrazione medesima; non sarà comodo
« il frugare centinaia di volumi e manoscritti per de-
« terminare alcune verità dapprima mal note; non
«sarà facile di belle e commoventi pitture descrit-
«tive adornare l'opera che si offre; né sarà tanto co-
« modo e facile mantenere le varie persone nel loro
«vero carattere, e fare che le ammonizioni di un
«cardinale Federigo Borromeo sembrino da quel
« medesimo chiarissimo porporato dettate e pronun-
«ziate; che le espressioni di un prepotente signore
«sieno le vere e le sempre udite; che la compas-
« sione fraterna di un P. Cristoforo dipinga una rara
« pietà, ma probabile altronde in persone benemerite
« a Dio ; che i tristi effetti di una forzata monacale
« reclusione sieno que' tanti mali che vediamo nel-
« l'opera del Manzoni vivamente scolpiti; non sarà
Digitized by
Google
— LVIII —
« facile, né comodo, in fine, far sì che in ogni parte
«dell'opera rilucente ed esaltata veggasi la virtù,
«sotto rozzi panni, e in tutt'altri depresso e anni-
« chilito il vizio. — Voi dunque, proseguon gli altri,
« ce lo date per un capo d'opera, per un non plus
« ultra: ed io, che pur vorrei mi si prestasse la debil
« penna a que' maggiori elogi che amo tributare ad
«A. Manzoni, dirò che questo libro è bello, interes-
sante e migliore di tanti altri che menarono in
« questi ultimi tempi gran rumore : ma non perciò lo
«veggo privo di qualche pecca, né tale da dirsi in-
« superabile. È prima, fra le cose ch'io prenderei a
« censurare, una prolissità che sfinisce e stucca in più
«d'un luogo; e basti, p'er accennarne uno, il dire che
« la sommossa, accaduta in Milano per la carezza del
« pane, e il saccheggio che voleasi dare ad una bot-
« tega di fornaio, fa muovere il Gran Cancelliere
« Ferrer per sedare il tumulto, e 14 pagine, belle,
« lunghe e larghe, come sono, tutte vengono impie-
« gate a descriverci l'andata non più di cento passi
« della carrozza di Ferrer, circondata dal popolo. —
«Viene, in secondo luogo, l'inutilità di alcune no-
« zioni che non fanno bella, né più interessante l'o-
« pera, e fra queste quello sciocco e lungo contrasto
« fra Bortolo e Renzo, il quale di tutto avea bisogno
« fuorché di perdersi a cicalare sul nome di bagiano
«con cui sogliono i Bergamaschi distinguere i Mi-
«lanesi. — Renzo poi lo trovo talvolta ingenuo fuor
« di misura, tal altra perspicace oltre la naturale sua
Digitized by LjOOQ IC
— LXIX —
«condizione, ed atto a riportarmi perfino un'intiera
«predica del P. Felice; in qualche incontro mancante
«troppo di un necessario ardimento e facile a con-
« fondersi pel più piccolo imbarazzo, ed altrove di
« una fortezza d'animo che lo innalza all'eroismo, e
«pronto a pronunciar sentenze ed a filosofare più
« che non gli convenga ; furibondo amante della sua
« Lucia, talora passa molt'ore e giorni senza pur
«rammentarla; tratto alla città per quell'amore di
«cui tutto vive, n'è dimentico e spogliato per se-
«guire que' tumulti che fanno d'ordinario allonta-
« nare anche 1 meno timidi ed i più avvezzi alle po-
« polari sommosse. Illetterato, com'egli è, tiene cor-
« rispondenza col mezzo di un amico con Agnese,
«madre di Lucia, la quale, fra l'altre, accompagna
«una sua lettera di un soccorso a lui di cinquanta
«scudi.... e come dunque sta in seguito che Renzo
«non avesse fatto confidenza a nessuno di quel de-
«naro avuto?... È Renzo perciò l'unico personaggio
« intorno al quale potrebbero insorgere ben fondate
« censure, e d'uopo avrebbe d'una lima accurata la
« parte che lo risguarda. — Ma, insieme strette tutte
«queste cose, non appariscono che nei fra mezzo a
«tante bellezze; e le copie di quest'opera furono in
«meno di due mesi tutte spacciate, e se ne fa ri-
« stampa a Torino, a Livorno, e si stanno prepa-
«rando comiche rappresentazioni, tratte dall'opera
«medesima, e finalmente si è aperta associazione a
«dodici tavole litografiche, che i punti più interes-
Digìtized by
Google
— LXX —
« santi della storia rappresenteranno, essendo affidata
« a valenti artisti l'esecuzione dei disegni » (l ).
La Vespa, un altro de* giornali milanesi d'allora,
invece si avventò contro il nuovo romanzo con rabbia
feroce ; e chi scese in campo a farne strazio fu il suo
« compilatore » Felice Romani. « Sepolta per tre anni
« nel magazzino del Ferrano, esce finalmente alla
« luce questa vecchia ringiovanita, di cui si dicevano
« le meraviglie dai pochi che l'aveano veduta e dai
«molti che l'avean da vedere. Esce finalmente alla
«luce: e corrono staffette per l'Italia, e galoppano
«corrieri oltre monti ad annunziare la comparsa
« della Bella del secolo XVII, abbigliata alla foggia
« del secolo XIX. Gli amici dell' A. la van portando
«in trionfo per le vie, per le case, pei caffè: bella!
« dice un giornalista : bella ! ripete un libraio : bella
« di qua, bella di là, bellissima, arci bellissima, me-
«ravigliosa! Ch'io pure possa darti un'occhiata, o
« veneranda virago, che meni tanto trionfo, e fai gi-
« rare il cervello di tutti i Narcisi della nostra let-
«teratura! — Ahimè, o lettori, io l'ho veduta.... Io
«non conosco il Manzoni né per benefici, riè per
«ingiurie ch'io n'abbia ricevute, né ho mai potuto
« e voluto frugare nella sua coscienza per giudicare
«della sua pietà. Le verità sociali e cristiane son
(*) Corriere delle Dame, n. 36, 8 settembre 1827, pa-
gine 285-287.
Digìtized by
Google
— LXXI —
« meritorie d'innanzi a Dio e d'innanzi ai Governi :
« e il mio cuore e la mia voce venera e loda chi le
« possiede veracemente : ma esse non accrescon dram-
me ma di merito sulla bilancia ove si pesano i lette-
« rati. Questi van giudicati dagli scritti ; ed io plaudo
« al Manzoni come lirico di vaglia, quando leggo i
« suoi versi in morte di Carlo Imbonati, qualche
« squarcio degli Inni sacri e la battaglia di Maclodio;
« ma cattivo tragico lo chiamo quando esamino il
« Conte di Carmagnola e l'Adelchi, né lo reputo mi-
« glior romanziere quando svolgo.... — Alto là, non
« è ancor deciso se / Promessi Sposi siano un ro-
« manzo, o una storia. — Tanto peggio per l'autore!
«se siete ancora indecisi sul genere del componi-
« mento. Voi date campo ai maledici di poter dire
« ch'ei non è né romanzo, né storia. Ma questo non
« voglio dir io ; e poiché i Promessi Sposi è pur
« forza che sian qualche cosa, li riguarderò come un
«romanzo fondato sulla storia. E i più concorrono
«in siffatta opinione. Non udite voi tutto il giorno
« gridare a gola aperta : finalmente abbiamo un
« Walter Scott anche noi ! finalmente il Manzoni ha
«riempiuto un gran vuoto che nella nostra lettera-
« tura esisteva. Benigni lettori ! lasciatemi dire quat-
«tro parole a costoro».
Risparmio queste « quattro parole » ai lettori e
seguito a spigolare. «Al Manzoni è piaciuto com-
« porre un romanzo storico, e come tale fu ac-
« colto dal pubblico, e il rapido smercio che in
V /
Digìtized by
Google
— LXXI1 —
«poco tempo egli ottenne, prova abbastanza ch'ei
«fu giudicato eccellente. Più vera sentenza, o let-
« tori, non fu mai proferita, né più umiliante per
« certe gloriole letterarie, di quella che ai Romani
« scrittori gridava il Venosino poeta, cioè che i libri
«hanno anch'essi il loro destino. E sapete voi da
« che cosa dipende siffatto destino ? Se Orazio non
«Tha detto, io ve lo dico: dipende da mille pas-
« sioncelle che in ogni tempo governarono la repub-
« blica letteraria, dalle mire dei lodatori, dall'influenza
« dei lodati, e più di tutto dalle stravaganze del
«secolo. Né a questo io faccio torto, affibbiandogli
«qualche stravaganza, poiché i passati aveano an-
« ch'essi le loro. Se qualcuno fra i Secentisti avesse
« osato menare la sferza contro il mal gusto de* suoi
« tempi e dire a quel Re di Francia che premiava
« di tant'oro il più detestabile sonetto del nostro
« Parnaso : Sire, quest'atto di vostra munificenza sarà
« biasimato da tutti i secoli futuri ; costui ne avrebbe
«riportate le beffe dei suoi contemporanei, e non
«avrebbe trovato un solo che facesse ragione alla
«sua giusta censura. Noi, per ventura, viviamo a
« giorni in cui le stravaganze dei letterati non sona
« premiate dai Re ; e se son mille i bizzarri cervelli
«che ad esse corrono dietro, pochi non sono i sa-
« pienti che fanno argine alla corrente e sono cu-
«stodi del bello e del vero. Pago del suffragio di
«questi, io non farò conto della disapprovazione di
« quelli ; ed esaminando liberamente il romanzo sto-
Digitized by VjOOQ IC
— LXXIII —
«rico del Manzoni, mi studierò di provare ch'ei
«pecca d'invenzione, di condotta, di caratteri, di
« stile ; e che paragonandolo a quelli del Walter
« Scott, gli è ristesso che scoprire agli stranieri le
«nostre miserie Peggior epoca della storia mi-
« lanese non poteva egli scegliere per base del suo
« romanzo : l'epoca della dominazione spagnuola, in
« cui due nazioni, anche straniere, entravano in guerra
« per contendersi un piccolo principato. Spento era
« il valore, morta ogni idea generosa, e la fame e la
« peste desolavano queste infelici contrade. Ditemi
« ora, o lettori, qual sarà il soggetto di un romanzo,
«che si raggira intorno a tal epoca? Quali saranno
« le imprese dei Milanesi, perchè il romanzo è inti-
« tolato Storia Milanese? O, per tacer delle imprese
« della nazione, quali almeno saranno i fatti di un
« qualcheduno fra i Milanesi, quali le vicende di lui,
«o vere, o immaginarie, che si colleghino colle vi-
« cende pubbliche, e formino insieme un compiuto e
«commovente quadro dei tempi? Quali saranno gli
«eroi? Forse l'ambizioso Governator di Milano pro-
« motore della guerra che si accende in Italia? Forse
« il coraggioso Duca di Nevers, che difende animo-
«samente i diritti della sua casa? Forse il Marchese
« Spinola, che viene a correggere gli errori del Cor-
« dova ? Forse gli oppugnatori o i difensori di Ca-
« sale, di Vercelli e di Torino, Spagnuoli o Francesi
« che sieno, Alemanni o Italiani, poiché tali sono gli
«eroi e le vicende di quell'epoca? Né un solo di
Digìtized by
Google
— LXXIV —
«cotesti personaggi è l'eroe del romanzo, né una
« sola di siffatte vicende forma il soggetto dell'istoria
« scoperta e rifatta dal Manzoni. Renzo Tramaglino
«e Lucia Mondella, due poveri lavoratori del con-
« tado di Como, sono gli eroi per cui dobbiamo inte-
« ressarci ; se si sposeranno, o no, è V importante vi-
«cenda che tener deve gli animi nostri sospesi
«Eccovi, o lettori, tutto il tessuto di questa istoria
«milanese rifatta: e s'ella è cosa che meriti il nome
« di storia, giudicatelo voi.... Ditemi, per vostra fede,
«il soggetto è egli interessante? Due contadini, che
«per prepotenza di un nobile e per dappocaggine
« di un curato non si possono sposare, sono essi gli
«eroi da collegare degnamente ad un'epoca storica
« qualunque ella sia? E questa epoca storica vi par
« ella bene svolta e presentata nel suo più bel punto
«di vista? E che cosa avete imparato dalle vicende
«dei vostri maggiori, per cui possiate gloriarvi, o
«almeno intenerirvi e piangere con quel generoso
«sentimento che ispirano le nobili sventure? Gen-
« tiluomini scapestrati o sciagurati, popolo avvilito o
«affamato, peste fomentata per ignavia dei domina-
« tori e per ignoranza dei dominati ! Dov'è un sen-
«timento generoso, un nobile affetto, una grande
«passione? Dov'è un eroe su cui riposino con com-
« piacenza i vostri occhi affaticati dallo schifo spet-
« tacolo che avete dinanzi? Dove un grand'uomo, che
« comparisca qual faro nella notte di quest'epoca te-
«nebrosa? Il solo cardinal Borromeo, personaggio
Digitized by LjOOQ IC
— LXXV —
« episodico, è Tunica figura che spicca in certo qual
« modo in questo quadro disgustoso. Ma se l'A. vo-
«leva introdurre il cardinal Borromeo, perchè con-
« finarlo in un villaggio ad affaticarsi intorno a cose
« di sì lieve momento ? E un uomo di tanta autorità
« non poteva essere posto in situazione più degna di
«lui? E i vizi dei tempi non gli presentavano più
« vasto campo ove luminose apparissero le sue virtù ?
« È bensì vero che ei divide il suo pane cogli affa-
«mati, che si adopera ad allontanare il flagello della
«peste, che si mostra pieno di cristiana carità: ma
«tutto ciò è raccontato per incidenza, e in nulla
« coopera all'andamento dell'azione, alla sostanza del
«soggetto. E dove pure ciò fosse, il cardinal Bor-
« romeo era egli un personaggio da romanzo ? ».
Il Pezzi nella Gazzetta di Milano pigliò le difese
del Manzoni, scrivendo, tra le altre cose: « Il voler nei
« romanzi restringere l'importanza dei principali per-
«sonaggi alle sole classi elevate, sarebbe lo stesso
«che stendere un piede alla catena quando si può
« esser liberi. Con un tal principio infinità di romanzi
« bellissimi avrebbero avuto l'ostracismo. Ci ha gran-
« dezza d'animo, virtù luminose, importanza in tutte
«le condizioni. E quanto più l'umiltà di alcune è
«posta in conflitto colla baldanza d'alcune altre,
« tanto maggiore è quell' effetto drammatico che
« debbe essere lo scopo delle opere destinate a com-
« muovere. Che la storia sia combinata colla finzione
« e questa con quella, in guisa che l'una non possa
Digìtized by VjOOQ IC
— LXXVI —
« stare senza dell'altra, il prova l'opera del Manzoni;
«per riguardo alla quale anzi non esitiamo a dire
«che la finzione è talmente fusa nella storia, che
« non si saprebbe scernere l'una dall'altra. Infatti,
«da questa fusione appunto, a cui l'autore volse i
« maggiori suoi studi, deriva l'interessamento che
«desta la lettura d'un romanzo, che, a parer nostro,
«veste tutti i caratteri della verità. In quanto al
« modo, nessuno potrà negarlo alle venture dei Pro-
« messi Sposi) poiché dal cominciamento allo svi-
« luppo, la condotta, piana e regolare, s'unisce natu-
« Talmente a episodi senza incontrare ostacoli. In
« quanto allo scopo, esso è semplicissimo, perchè mo-
« rale, né sapremmo al certo indicarne un migliore.
« In fine, che l'azione conservi una tal quale unità
« e che gli episodi siano connessi all'azione in modo
« di concorrere all'andamento di essa, è provato del
« pari nell'opera del Manzoni con questo argomento:
« tolga la Vespa un solo degli episodi importanti
«dall'opera stessa e ne vedrà l'orditura scompagi-
« nata in modo da non potersene raccapezzare il filo.
«Se la Vespa voleva di botto veramente dar nel
«segno col pungolo, l'opera presentavate un lato
« vulnerabile in alcune prolissità, in certe minutezze
« ed in parecchie locuzioni non lodevoli ; le quali
« cose, quantunque possano riguardarsi come lievi
« macchie in molta luce, sarebbero da sopprimere, o
« da emendare t> Q).
(*) Gazzetta di Milano del 15 ottobre 1827.
Digitized by
Google
— LXXVII —
Il Romani, che non era uomo da perdersi ne*
panni, non ci si perse, e così prese a ribattere le
critiche: «Sapete voi, o lettori, che si è risposto fi-
nora? — L'edizione fu esaurita in pochi giorni. —
« Lo so anch'io. — Moltissimi leggitori, che nonfu-
« rono in tempo di procurarsela, la chiesero a pre-
ssato. — Questi furono i più fortunati. — Molti
« altri, per averne gli esemplari, li pagarono il dop-
«pio e il triplo. — E i più sfortunati furono questi.
« — Per tacere dei Fogli italiani, quelli dell'estero
« ne fanno gli elogi. — Pesateli bene. — Se ne pre-
sparano nuove edizioni, traduzioni, incisioni, pil-
ature, ecc. ecc. — Se ne son fatte per libri peggiori
«di questo. — L'autore è festeggiato in patria e
«fuori. — Davvero che ci .ho gusto. — Ma lo smercio,
« le edizioni, le lodi dei giornali, le feste degli amici
« e le mense reali (l), e mille altre vie di farsi largo
(!) Da una lettera di Giovanni Pagni (il noto Fari-
nello Semoli delle baruffe del Monti con la Crusca) al mar-
chese Gian Giacomo Trivulzio, scritta da Firenze il 5 ot-
tobre 1827, tolgo questo brano : « Ha passato in Toscana,
«tra Livorno e Firenze, una cinquantina di giorni il ce-
« lebre Manzoni, decoro di questa capitale. Non può cre-
«dere quanto sia stato onorato e distinto dalla maggior
« parte dei letterati e dei nobili più culti, che si son dati
« la premura di conoscerlo e di ammirarne il carattere.
« S. A. R. [il Granduca Leopoldo II~\ lo ha invitato alla
«sua mensa, trattenendosi molto con esso lui ed ha vo-
«luto mostrargli in persona la preziosa ricchissima sua
Digìtized by
Google
— LXXVI1I —
«in letteratura, come provano che il soggetto dei
«Promessi Sposi sia interessante? — E la pubblica
«opinione la conti tu per niente, direte voi? — Alle
« volte molto, alle volte poco, dirò io. Non ho forse
«udito, in Italia, fischiare ad una tragedia dell' Al-
« fieri ed applaudire a Santa Margherita da Cor-
«tonaf Preferire al Tasso i Lombardi alla prima
«crociata? Vilipendere il Chiabrera ed altri sommi
«poeti ed encomiare le Melodie liriche? Nausearsi
« delle tragedie dell'Alfieri e dilettarsi perfino di Ser
« Gianni Caracciolo? (l). — Che il soggetto dei Pro-
« messi Sposi sia interessante, lo prova la spontanea
« universal confessione di quanti lo lessero in buona
« biblioteca. Io ho avuto il giacere di far compagnia alla
« sua famiglia, che avevo conosciuta a Milano, e che, do-
«tata di morali virtù, è degna di tanto padre di famiglia».
(l) È un'allusione al Sergianni Caracciolo > dramma sto-
rico del prof. G. B. De Cristoforis, Milano, 1826 ; in-8°.
del quale parlò il Tommaseo nell'Antologia, n. LXIX,
settembre 1826, pp. 104-111. Alle Melodie liriche di Sa-
muele Biava di Bergamo dette « gran lode » il Cantù nel
Ricoglitore. Invece la Biblioteca italiana « tolse a provare che
« poteano mostrarsi ai giovani come agli Spartani l' ilota
« ubriaco. Il colpo era diretto a sbalzarlo d'impiego : ma uscì
« una risposta, forte sino alla violenza, e segnata C. C. , dove
« era difeso il Biava e investito il suo avversario. Fu atto
«generoso, perchè quell'avversario avea in mano i pro-
accessi e potea mandarlo allo Spielberg; onde va data
« lode al difensore, che era Carlo Cattaneo». Cfr. Cantù C. ,
Italiani illustri ritratti; III, 79.
Digìtized by
Google
— LXXIX —
«fede, di non averne potuto sospendere la lettura che
«a malincuore ', e con impazienza di riprenderla. —
« Gli è giusto a cotesti lettori di; buona fede ch'io
« cerco aprir gli occhi, e ch'io grido : Signori miei,
« non è tutto oro quel che luce : non badate all'ap-
re parenza, esaminate la sostanza * (*).
Il Romani, benché scrivesse in fine al terzo de'
suoi articoli : « sarà continuato » , non proseguì ; tanta
e così generale fu l'indignazione che si levò contro
di lui, da ridurlo al silenzio. Con rabbia feroce aveva
dilaniato i Lombardi alla prima crociata del Grossi ;
questa nuova rabbia contro il romanzo del Manzoni
era la seconda di cambio. Gli fu detto basta, e
intese.
Chi passò il segno anche più del Romani nel
malmenare i Promessi Sposi fu l'ab. Giuseppe Sal-
vagnoli Marchetti di Empoli (*) ; e il « sunto » che
C) La Vespa, ann. I [1827], pp. 17-20, 38-43 e 96-103.
(2) Nacque V 8 settembre del 1799 ; involto nelle cospi-
razioni del 'ai, « negò denunziare i compagni ed ebbe da
« Ferdinando III, Granduca di Toscana, per carcere un
« convento di frati in paese ameno, di dove lo trasse a
« Roma lo zio monsignore [Giovanni'] Marchetti, dotto uo-
« mo, ma più illiberale del Principe lorenese, che fu ben
« lieto dell'esser libero da quel prigione ». Cfr. Tommaseo
N., Di Giampietro Vieusseux e dell'andamento della civiltà
italiana in un quarto di secolo, memorie, Firenze, 1863 ;
p. 44. < Passati gli anni successivi in privati impieghi, non
« però alieni da' cari studi, in Rimini e indi a Roma,
Digìtized by LjOOQ IC
LXXX
ne fece merita d'essere dissepolto. « Bel modo in
«vero d'istruire le donne! Empir loro la testa di
«stravaganze, di sciocchezze, di fatti e di passioni
« appena tornato a Empoli nel settembre del '29, fu sor-
« preso da febbri violente, che si volsero in tisi, e il 16
« decembre tolto a* viventi » . Così il Montani [Anto-
logia, n.° 108, decembre 1829, pp. 96-97], che aggiunge :
« Ei meditava, dicesi, un'opera storica; e forse per con-
« sacrarvisi avea rifiutata la sopraintendenza agli studi nel
« Seminario di S. Marino, offertagli dal celebre Borghesi
« a nome de' magistrati di quella Repubblica. . . . Ultimo
« scritto di lui, e soggetto d'ancor recenti, né punto blande
« censure, fu quello sugi* Inni del Manzoni. Io tremava, lo
« confesso, al pensiero che queste censure potessero, nello
« stato in cui egli trova vasi, pervenire al suo orecchio....
« Innamorato delle forme classiche, siccome quegli che
« dall' adolescenza fu sempre co' latini e co' greci, e co*
« nostri che meglio li imitarono, ove gli parve di trovar
« meno di queste forme, gli parve trovar meno di poesia.
« Così, trattandosi di teorie (veggasi la maggior parte de'
« suoi articoli dell' Arcadico) ove gli parve di trovar di-
« screpanza da' principii de' classici, gli parve di trovare
« opposizione assoluta da' principii del gusto ».
Appunto neir Arcadico [xxxvi ; 305] discorrendo della
versione delle Odi di Pindaro fatta da Giuseppe Borghi
prese a mordere « la miserabile e bislacca e torta foggia
« di metri regalataci con tante altre cose non poetiche e
« non italiane da Alessandro Manzoni ». Il Borghi, in una
lettera a Gaetano Cioni, stampata nell'Antologia [n.° 87,
marzo 1828, pp. 166-167], sorse a difesa del Poeta; ma
riroso critico, duro più che mai in quel suo giudizio,
diede fuori lo scritto : Intorno gV Inni sacri di Alessandro
Digìtized by
Google
— LXXXI —
« fuori del naturale, che invece d'insegnarti il vero
« e di dilettarti col bello, col buono, ti traggo.no la
« mente all'errore e il cuore al disordinamento delle
«passioni, insomma alla follia. Che utile verrà mai
« alle donne, se in uno stile bislacco e pieno zeppo
« di similitudini sconce, e che in nulla tengono al
« paragone ; di metafore ardite e stravaganti ; di pa-
« role non italiane, e proprie di un cattivo dialetto;
« di frasi, composte d'idee e di parole fra sé con-
trarie; che utile, io dico, ne verrà mai alle donne,
« se, fra tanta sozzurra, tu mostrerai a colori vivis-
« simi un parroco, che tradisce per paura il suo alto
«ministero; un signorotto, che ruba le fanciulle, e
« fa uccidere chi gli dice una mezza parola in con-
Manzoni dubbi *# Giuseppe Salva gnoli Marchetti, Roma
1829. Presso la Libreria Moderna, Via del Corso n.° 348
[In Macerata, presso Benedetto di Antonio Cortesi]; in-16.0
di pp. xxiv-112. A questi «biasimi da pedante», come
li chiama il Tommaseo, Y Arcadico [xlii, 131] applaudì
di gran cuore. La Biblioteca italiana [tom. 55, luglio 1829,
pp. 1-20], pur non menandogli buone tutte quante le
censure, concluse: t II parlare di originalità, di nuova
« scuola, d' ingegno divino, di culto, è un sostituire l'en-
« tusiasmo alla ragione, un traviare il giudizio dei giovani
« e dar nascimento a quelle tante poesie che il Manzoni
« non vorrebbe al certo aver fatte e nemmanco approvate,
« e non di meno si credono manzoniane ». Enrico Mayer,
peraltro, nell' Antologia [n.° 104, agosto 1829, pp. 92-99]
prese « a difendere » (son parole del Tommaseo) « non
« tanto il nome dell'Italiano poeta, quanto l'onore d'I-
Alrssandro Manzoni, - P. IL /
Digìtized by
Google
— LXXXII —
«trario; un cugino di questo birbo, che a furia di
« scherni più e più lo aizza al malfare ; un zio, che
« atterrisce un provinciale di cappuccini e lo forza a
« mandar cento miglia lontano un buon frate, che
«voleva opporsi al nipote, perchè tanto male non
« mandasse ad effetto ; una signora, fatta monaca per
«forza, che rompe sfacciatamente i suoi voti, che
« fa uscire di vita la sua conversa, la quale si è ac-
« corta della sua tresca, e che finalmente consegna,
« perchè ne sia fatto scempio d'iniquità, a quel birbo
« signorotto un'innocente fanciulla, a lei sotto la fede
« dell'ospitalità, o sotto la parola d'oVore affidata;
« una fanciulla imbecille, che trema al bene e al male
« e che crede di aver fatto voto di verginità perchè
« talia », e « lo difese con alto sentimento dell'arte e con
« facondia cordiale » . Videro pure la luce le Osservazioni
di un giovane italiano sui Dubbi del signor Giuseppe Sal-
vagnoli Marchetti intorno agli Inni sacri di Alessandro
Manzoni, Reggio, tip. Toreggiani e comp., mdcccxxx;
in-16.0 di pp. 230. Sono di Luigi Fratti, che, sebbene pre-
gato dalla modestia del Poeta a « mettere da banda » il
lavoro, per consiglio del P. Bottini gesuita, lo diede alle,
stampe. Cfr. intorno a questa controversia: Gambini Carlo,
Richiamo di alcune verità manifestate nel 1829 dal Salva-
gnoli sugli Inni sacri del Manzoni, Milano, tip. Galli e
Raimondi, [1882] ; in-16. ° di pp. 12. — Intorno gì* Inni
sacri di Alessandro Manzoni dubbi di Giuseppe Salva-
gnoli Marchetti, ristampati con aggiunte, informa di
dialogo, fatte da Federico Balsimelli, Bologna, tipografia
pont. Mareggiani, 1882; in-16.0 di pp. 360.
Digìtized by
Google
— LXXXII1 —
«si è messa una corona al collo; uno scimunito la-
«naro, che mentre dovea fuggire il potente che lo
«inseguiva, si ubbriaca in un'osteria e a tutti rac-
« conta dall'a fino alla z le cose sue; un signore,
«anche più birbone dell'altro, che fa d'ogni erba un
« fascio, e che per le lacrime di una ragazza (e chi
« sa quante ne aveva rubate, e alle lacrime di quante
«mai aveva insultato!) diviene un agnello? Basterà
« forse il contrapporre a tanto male e a tanta scioc-
« chezza la vera carità e franca di un buon cappuc-
« cino, e l'angelico carattere di un santo arcivescovo?
«No davvero: che, pur troppo, nella gioventù gli
«esempi del male fanno sì forte impressione, che
«non bastano a cancellarla, cento mila volte dupli-
«cati esempi di bene. Ed è troppo grave errore e
«troppo nociva cosa il dipingere agli uomini, e spe-
«cialmente ai giovani, le scelleraggini, e le conver-
« sioni al bene sì repentine e sì facili, che essi pos-
«sano trarre per conseguenza: — Operiamo pur
«male a nostro talento quanto ci piace \ alla fine,
« quando saremo stanchi ', ci volgeremo a Dio, ed egli
«non ci ributterà, purché tenghiamo sempre sopra
« il letto l'immagine del Crocefisso e della Madonna.
« — Queste son dottrine che rovesciano ogni legge
« divina e umana e che riducono la società ad una
«selva di bruti, oVe chi ha più denari, e in conse-
« guenza più forza, opprime, strazia e divora il suo
«fratello, insultando all'umana giustizia; persuaso
«che la divina non ha saette per coloro che hanno
Digìtized by
Google
— LXXXIV —
: fisso in cuore di ritornare a Dio quando saranno
tutte sbramate le voglie e tutte spente le passioni.
: Oh ! la divina morale ! » (l).
III.
Del romanzo si occupò anche un valentissimo giu-
reconsulto, il prof. Giovanni Carmignani, e lo fece
soggetto di un dialogo tra un critico e un giorna-
lista (*). Il giornalista loda sempre e sempre difende;
il critico biasima e va cercando addirittura il pelo
(*) Questo « sunto » si legge in una recensione che il
Salvagnoli Marchetti fece delle Prose scelte del principe
don Pietro Odescalchi, e che inserì nel Giornale Arcadico,
tom. 42, aprile-giugno 1829, pp. 95-109. La recensione e
il « sunto » gli attirarono sulle spalle alcune sferzate della
Biblioteca italiana [tom. 55, luglio 1829, pp. 29-31], che lo
fecero talmente andare in furore, da scrivere : « a ingiurie
« si fatte, quali sono le vostre, meglio si converrebbe, se
« fosse lecito, rispondere con la spada che con la penna ».
Cfr. Giornale Arcadico, tom. cit., pp. 355-364.
(2) Nuovo Giornale de* letterati, di Pisa, tom. XV. Let-
teratura, scienze morali e arti liberali [1827], pp. 215-232
e tom. XVI. Letteratura, ecc. [1828], pp. 64-93.
Digitized by LjOOQ IC
— LXXXV —
nelFovo; finisce però col ricredersi, e conchiude:
« Eccomi pure a me :
il finto
mio rigore abbandono,
« E sapete perchè mi piacque essere rigoroso ! perchè
« nel romanzo mi punse la frase derisoria ch'io c'in-
« contrai contro quel Metastasio, co' versi del quale
«chiudo adesso il nostro colloquio, non essendomi
«sembrato, che l'anima più drammatica, che abbia
« natura prodotta, dovesse deridersi come pittrice di
«eroi paragonabili a gente da piazza e da trivio.
« Del resto, io sono d'avviso, che il romanzo è una
«originale e classica produzione; che son sogni e
« ciance i supposti plagi dal Walter Scott nelle Pri-
«gioni di Edimburgo e ne' Puritani di Scozia; che
« l'A. ha finalmente dato un romanzo alla prosa ita-
« liana e ha fatto cessare l'antico e giusto rimpro-
«vero dell' Arteaga allorché nelle sue note alla dis-
«sertazione del Borsa rinfacciava alla Italia di non
«avere un S. Real ed un Marmontel; che, prescin-
« dendo da certa mancanza di più verisimil cemento
«nella struttura dell'azione del romanzo, il merito
« della esecuzione vince sempre e riscatta qualunque
« più minuto difetto dell'opera. E poiché incominciai
«col mostrarmi nemico del romanticismo, ingenua-
« mente vi dico, che se vi ha componimento nel quale
«quel genere possa essere, onde servire all'effetto,
Digìtized by
Google
— LXXXVI —
« adottato, egli è certamente il componimento in prosa
«e il romanzo».
De' tanti appunti fatti dal critico a' Promessi
Sposi, uno mi sembra degno di nota. Toccando della
« mala voglia » con la quale Lucia « si presta a sor-
« prendere il parroco», trova che l'espediente del matri-
monio clandestino « non era certo peccaminoso », ma
« di tale evidente giustizia, che, prescindendo dalla
« logica dell'amore, se ella ne aveva pure per Renzo,
« doveva a lei dimostrarla il rifiuto d'un parroco igno-
rante, pauroso, avaro e usuraio, come l'Autor lo
«dipinge». Poi, in nota, aggiunge: «Le denunzie
«erano già fatte e il matrimonio non poteva dirsi
« più clandestino, non rilevando molto la sua cele-
« orazione in luogo non sacro. Sancez, De matrim.,
«lib. Ili, disp. 15, n. 20. E qualora le denunzie non
« fossero state fatte, i migliori moralisti son concordi
« nel dire, che quando il matrimonio è ritardato dal-
« l' immaginevole rifiuto del parroco, non è pecca-
«minoso il sorprenderlo, per contrarlo. Paul. Ga-
«briel. Antoine, TheoL MoraL univ. tractat. de
« matrimonio, § 13, not. 3. Ecco dunque un romanzo,
« il qual poggia tutto sopra un errore di gius cano-
« nico e sopra un error di morale ».
Al Carmignani è però sfuggito un altro piccolo
scappuccio del Manzoni. Fa del P. Cristoforo il
confessore di Lucia; ora, la giovane fidanzata, nel
1628, non poteva confessarsi da lui, perchè « i cap-
« puccini di quei tempi, giusta l' inibizione delle loro
Digìtized by LiOOQ IC
— LXXXVII -
«costituzioni, tolta solo qualche tempo dopo, non
« confessavano assolutamente persone estranee all'Or-
« dine (*) ».
Un critico milanese, a cui piacque di restare ano-
nimo 0), prese a leggere i Promessi Sposi; e seb-
bene, durante la lettura, non venisse « giammai sce-
«mandosi»in lui la «stima grandissima» che aveva
per « quel celeberrimo autore, di cui tanto è vulgata
«la fama, che non pur nell'itala terra, ma in tutte
«le più colte nazioni è molto apprezzato»; nel ro-
manzo trovò quella « imperfettibilità », che è « indi-
« visibile compagna de* figliuoli di Eva ». Pensò
dunque di « schiccherare un foglio d'alcuni cenni cri-
« tici intorno a ciò che di meno pregevole e di meno
«consonante al rimanente » vi aveva rinvenuto;
manifestando nel tempo stesso « le bellezze an-
«cora dell'opera, benché con minore verbosità dei
« difetti ». Lasciando in pace le « bellezze », diamo
un saggio dei « difetti » che la fantasia del critico
nota: «Renzo ed Agnese volevano che Lucia par-
(') P. Felice da Mezzana cappuccino , Cenni sul P.
Cristoforo del Manzoni, Crema, tip. S. Pantaleone di L.
Meleri, 1899; p. 6.
(2) Sui Promessi Sposi, storia milanese del sec. XVH>
scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni, ragionamento
critico di Don Anonimo > autore di varj opuscoli pubbli-
cati colle iniziali P.° G.° S-P.°t Milano, coi torchi di Omo-
bono Manini, dicembre 1827; in-160. di pp. 64.
Digìtized by
Google
— LXXXVIÌI —
«lasse di che le avvenne con don Rodrigo: Oravi
«dirò tutto , rispose Lucia, asciugandosi gli occhi col
«grembiale. Se l'A. laddove dipinge Lucia vestita
«nel giorno nuziale me l'ha presentata, oltre agli
« spilli e al rimanente, con due calze vermiglie, con
« due pianelle di seta a ricami, e mi ha passato sotto
« silenzio il grembiale, io fui necessitato di attingere
« ch'ella in quel dì non lo cingesse. Adesso poi veggio
« che appunto in quel medesimo giorno, e non an-
« cora tramutata di panni, si terse le lagrime col
« grembiale. Com'è questa faccenda?... O Lucia aveva
« il grembiale, o Lucia non lo aveva; una delle due.
« Se lo aveva, inavvedutamente l'Autore: i.° ha tra-
« scurato di farlo conoscere al proprio leggitore ;
« 2.0 gli ha dato verun prezzo, facendogli esercitare
« l'officio del moccichino, mentre, se a tutto l'abito
« doveva aver consonanza, saria pur valuto qualche
« cosa. Se all' incontro non lo aveva dapprima, o l' A.
« ha preso adesso un abbaglio, o fa duopo argomen-
« tare, non che inserire negli annali, che = uno spi-
« rito, nel giorno 8 di novembre dell'anno di nostra
«redenzione 1628, ha cinto di un grembiale Lucia
« Mondella, mentr'essa stava per favellare di don Ro-
« drigo con Agnese sua madre e con Renzo Trama-
« glino suo innamorato = ». Eccoci ad Agnese, che,
in casa del sarto, si abbocca col Cardinal Federigo
e svela le colpe di Don Abbondio. « Udire una fem-
« niina » (nota il critico) « inveir quasi, e dinanzi al
« Cardinale, e contra il proprio curato, e perchè ?
Digitized by VjOOQ IC
— LXXXIX —
« perchè questi, onde scansare di perir tosto, ha pro-
« rogato il giorno delle nozze : ov'è colui che non
«saria preso da escandescenza contro della donna
« crudele, e non cercherebbe di turargli la bocca e
« di troncargli nella strozza le parole, ove la donna
« non fosse una larva che lo eludesse? Ma la pas-
« sione del leggitore vuole pur trovare il suo sfogo ;
« siedi' essa, riversandosi almeno sopra le pagine
« istesse, che ha dinanzi, chi sa quante insieme a
« quelle ne andranno vittima ! Il mio tirare di penna
« è sicuramente il minor male ».
Giuseppe Veladoni riconosce « che le menti di
« tutti gli italiani, e si potrebbe anche dire di molta
« parte d'Europa, restarono sopraffatte di meraviglia,
« da entusiasmo e da vero diletto » a leggere i Pro-
messi Sposi. «Una tanta opera.... non poteva esser
« pensata e scritta che da un profondo filosofo, da
« un vero conoscitore del cuore umano e da una
« penna condotta dai sentimenti più vivi di religione
«e di patria.... Per me, credo impossibile ohe siavi
« uomo di cuore che non abbia da rimaner commosso
« sino alle lagrime in più e più luoghi di questa mi-
« rabile prosa. . . . Essa è un libro che non perirà mai e
« farà sempre grande onore all'Italia del secolo XIX.
« Ma che? Non ha dunque difetti? Sì, ne ha : ma tutti
« compensati da una straordinaria bellezza e sodezza,
« così di pensieri, come di stile, considerati anche in
« sé stessi. Sono, per esempio, moltissime le parti
« che potrebbero essere capaci di utile restringimento,
Digitized by LjOOQ IC
— xc —
«e queste per non raffreddare di troppo il calore
« della storia principale. Tale, per esempio, la lunga
«conversazione, di cui è testimonio fra Cristoforo,
« quando trova a tavola don Rodrigo. Ma non è forse
« quella conversazione medesima una pittura vera e
«fedele delle follie che passavano per la mente dei
« grandi d'allora? Dissero alcuni altri, che la storia
« di Lucia e di Renzo, cioè del matrimonio di due
« villici, è cosa troppo piccola per farne il soggetto
« di un'opera di tre volumi, ond'è che le parti ac-
« cessone soffocare dovevano il principale. Ma non
« è forse vero, che per questo appunto che il matri-
« monio di due villici è una piccolissima cosa, tanto
« più rie risulta quindi l'evidenza di questa gran ve-
«rità, che in quei bruttissimi tempi, mentre i grandi,
«avendo paura uno dell'altro, si rispettavano a vi-
«cenda, tutta la loro prepotenza andava poi a sca-
« ricarsi nell'oppressione dei piccoli? Volete sapere
«dove io non saprei come validamente difendere il
«grande autore? Egli è sull'orrenda, scandalosa e
« ributtante comparsa, che malgrado l' industria usata
«dal religiosissimo autore nell'accennare le cose, fa
«nullameno in quest'opera quell' indegnissima mo-
« naca. Ben vedo e conosco che lo scopo morale del
« grand 'autore, anche in questo caso, fu quello di
«far vedere a quali orrendi termini riesca una vo-
« cazione forzata, e quanto grande peccato era egli
« quello delle famiglie di un tempo, che monacavano
«le figlie per viste economiche e mondane affatto.
Digitized by LjOOQ IC
— XCI —
« Ma il danno e lo scandalo di quella pittura è troppo
« potente per concepire la speranza che fra cento let-
«tori possano li novantanove raccogliere il frutto
« dell'esempio, e non rimaner invece amareggiati dal
«fiele. E se anche il danno non fosse che per uno
«solo?»^).
A Torino, Federico Govean così salutava la com-
parsa de' Promessi Sposi : « Mancava all' Italia un
« buon romanzo », che potesse rivaleggiare con quelli
del Lesage, del Cervantes e dello Scott. « Sorse
«quella benedett'anima del Manzoni, onore e lume
«d'Italia, e non contento di avere tentato una forse
«dannosa rivoluzione nella drammatica, e di aver
«migliorata la lirica moderna, volle far dono all'I-
«talia di un romanzo, ma di un vero romanzo; opera
«degna di non altro ingegno se non di quello che
« dettò la Pasqua e il Cinque Maggio ». L'avv. Mo-
desto Paroletti notava : « Un cospicuo letterato pie-
«montese, che già ebbe tentato il romanzo allego-
«rico, aveva quindi intrapreso di battere le orme
«di Walter Scott, pubblicando due storiette, scin-
«tillanti di erudizione.... Nelle altre contrade d'I-
« talia parecchi autori stavano in procinto di calar
«anch'essi nell'arena romanzesca per farvi pompa
(l) Giornale dell' italiana letteratura^ compilato da una
società di letterati italiani sotto la direzione ed a spese di
Nicolò da Rio, tom. LXV della serie intiera, serie IV,
tom. I [Padova, tip. del Seminario, 1828], pp. 265-268.
Digìtized by
Google
— XCII —
«dei loro lavori, fra cui giova distinguere il Ca-
«stello di Trezzo e la Battaglia di Benevento; e
«quelli in cui, fra i subalpini, un dottor tortonese
«faceva pur mostra di beir ingegno, la Sibilla Oda-
«leta, cioè, seguita dalla Fidanzata Ligure. Ma la
« fama loro doveva ecclissarsi dal romanzo de' Pro-
«messi Sposi di Alessandro Manzoni: perchè, alla
«chiarezza d'un tanto nome, ottenendo quest'opera
«la maggiorità de* suffragi, allettando i più schivi,
« piacendo ai dotti e facendosi leggere da ogni per-
« sona, fu acclamata qual libro popolare in Italia ».
Ne loda lo stile, la scelta e la condotta dell'argo-
mento. « Fra tutte le difficoltà non era la minore
« quella dello stile in cui si avesse a dettare. Do-
« vendo purgarlo da ogni sentore d'imitazione stra-
« niera, perchè ai dì nostri ogni cosa si desidera nelle
« prette forme italiane, e dovendo nullameno ren-
« derlo grato pei modi del dire, ognuno può giudi-
«care quanto malagevole fosse tal cosa; mentre, se
« importava di dare il bando ai modi francesi, per
« contro, era necessario lo schivare quell'andamento
« stucchevole che presenta all'orecchio dei più lo stile
« cruscante. E questa può affermarsi essere stata vittoria
« grande riportata dal Manzoni, perchè lo stile del suo
« romanzo è schietto italiano, senza macchia d'affetta-
« zione; è classico senza arcaismi ; ed è purgato, non
« senza una qualche tinta di popolarità, che molto ag-
« giunge alla verità de' ragguagli. Stile insomma da
« poter servire di modello a chiunque voglia scrivere
Digìtized by LjOOQ IC
— xeni —
«romanzi italiani ». Dopo averne con ammirazione
schietta e sentita rilevato le grandi bellezze, tocca de'
difetti. « È danno che questo libro, il quale da ro-
« manzesco può pigliar nome di storico, nelle parti più
« importanti diventi prolisso di soverchio e alquanto
« noioso. A lato delle inimitabili descrizioni rapide,
« vive e ben accennate, come quelle del lago di Lecco,
«della notte in cui battevano i bravi condotti dal
« Griso per rapire gli sposi, ed imprendevano questi
«a sorprendere il parroco, e poi del muoversi del
« P. Cristoforo da Pescarenico, e dello scappare Renzo
« di là dall' Adda, riprova il lettore un fastidio grande
« per le cotanto prolungate e sminuzzate due descri-
« zioni della carestia e della pestilenza » (*).
Il prof. Giuseppe Chiappa, dell' Università di
Pavia (2), dice che « i così detti romanzi istorici sono
« una sì fatta contraffazione dell' istoria che non pos-
«sono venir lodati di giusta e sincera lode. Quel
«mescere il reale all'immaginario, quel confondere
«il vero al falso, e il naturale al fittizio, non può
(') Rivista letteraria dei libri che si stamparono in To-
rino negli anni 1827 e 1828, Torino, per gli eredi Botta,
1829; pp. 119-120 e 138-146.
(2) Chiappa G., Sui Romanzi in generale ed in parti-
colare sul Ger olimi ossia Nano di una Principessa del-
l'autore della Sibilla Odatela ; in La Minerva Ticinese >
giornale di scienze ì lettere > artiy teatri e notizie patrie,
fascicolo 37, 16 settembre 1829; pp. 635-637.
Digìtized by
Google
— XCIV —
« dare che una mostruosa opera e quasi ibrida e ba-
« starda ». Soggiunge però : « ma ove la finzione sia
«ben innestata sul fatto istorico, e che quella non
«sia che un colore, o mezzo, per isvolgere e mo-
« strare lo stato reale delle cose, serbando in ogni
«luogo le leggi della convenienza e del verisimile,
« ne potrà risultare un utilissimo lavoro. E tale è il
«celebre romanzo del Manzoni». Ne tesse le lodi,
ne segnala le bellezze ; poi conclude : « Nessun altro
« romanzo venuto dopo, ha potuto appena toccare a
« un terzo della gloria durevole del romanzo di Ales-
« Sandro Manzoni. Lo stile poi si è, quanto si ri-
« chiede, convenevole al soggetto. Egli è vivo, ani-
« mato, franco e pieno di forza. Solo si fa desiderare
«più purgata la lingua. Ma oltreché finge l'A.
«averlo ridotto da una cronaca di que' tempi cor-
« rotti, egli non ha poi volto lo ingegno che alla
«chiarezza e all'evidenza, schifando ogni artificio-
«sità e leziosaggine. Ed in ciò è ottimamente rie-
« scito, conciossiachè nulla siavi che in quanto a in-
« telligenza abbia mai dato luogo a lagnanza. Ed in
«ciò egli ha conseguito il principale scopo di ogni
«scrittura, quello di rendersi intelligibile e chiaris-
« simo a tutti » (*).
(*) Anche Trussardo Caleppio volle scoccare i suoi ful-
mini contro il nuovo romanzo, censurandolo acerbamente
nell5 Almanacco critico pel 1830 di un militare in ritiro,
Digìtized by
Google
— xcv —
Due de' nostri esuli, Giovita Scalvini e Pietro
Giannone, presero a esaminare il romanzo del Man-
zoni. Giuseppe Pecchio scriveva da Brighton il io gen-
naio del '30 a Antonio Panizzi : « La Rivista ita-
« liana si stampa. {Pellegrino] Rossi ha scritto Tln-
« troduzione, Scalvini un bellissimo articolo sui Pro-
« messi Sposi, [Giovanni] Arrivabene uno su gli
« Istituti de' poveri de' Paesi Bassi. Si spera di
« avere dei collaboratori tedeschi di primo grido. Si
«avranno traduzioni dallo svedese. Quindi mi si
«scrive che passò stagione di osservazioni, e giunta
« è quella di dar spalla all'impresa. E vero, e biso-
«gnerebbe sostenerla con decoro almeno per un
« anno » (l). La Rivista ebbe vita, ma per due mesi
soltanto, e vi fece la sua comparsa Particolo dello
Scalvini (2); addirittura «bellissimo», anzi quanto
di meglio venne allora pensato e scritto intorno a*
Promessi Sposi. E fu giustizia il toglierlo dalla di-
Milano, Manini, 1829 ; in-160. Cfr. Robecchi, L. Questione
classico romantica, saggio d'una bibliografia ; in Poesie
di Carlo Porta rivedute sugli originali e annotate da un
milanese y Milano, tip. Ditta Wilmant di G. Botili! li e C,
1887; p. 707.
(1) Lettere ad Antonio Panizzi dt uomini illustri e di
amici italiani (1823-1870) pubblicate da L. Fagan, Firenze,
Barbèra, 1880; p. 80.
(2) Dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Arti-
colo primo, Lugano, coi tipi di Gius. Rnggia e comp.,
1831; in-8°. di pp. 56. E firmato: A. H. J.
Digitized by
Google
— XCVI —
menticanza colpevole in cui giaceva, il ristamparlo
e il divulgarlo (l) a onore della critica e del nome
italiano.
Il Giannone nel giornale L'Esule, che incominciò
a stamparsi a Parigi nel settembre del '32 con a lato
la traduzione in francese; e lo dirigevano Giuseppe
Cannonieri, Angelo Frignani e Federigo Pescantini;
non si limitò a parlare del romanzo, trattò anche del
Carmagnola e dell' Adelchi, de* Carmi e degl'Inni
(l) Fu ristampato a Brescia nel 1883 dallo Stabilimento
stereo-tipografico di G. Bersi e C; in-8°. di pp. 46. Nella
breve avvertenza è detto: « Il manoscritto sopra del quale
« fu condotta la presente edizione è una copia precisa,
«identica air autografo lasciato dell'esimio autore; non
« già copia od estratto da quei pochissimi esemplari che
«vennero alla pubblica luce l'anno 1833» {correggi:
1831] « in un periodico mensile, compilato da molti esuli
«italiani a Parigi; periodico ch'ebbe vita di più poco
« che due mesi e dal quale furono ritratte poche copie
« per regalo ad amici e parenti ». Sebbene « compilato
« da molti esuli italiani a Parigi », però si stampava a
Lugano coi torchi di Giuseppe Ruggia. Negli Scritti ai
Giovita Scalvini ordinati per cura di N. Tommaseo,
con suo proemio e altre illustrazioni, Firenze, Felice Le
Monnier, 1860; in-16.0 di pp. xvi-400, non fu riprodotto
l'articolo « bellissimo » sul Romanzo del Manzoni, benché
promesso dall'editore stesso nella prefazione : « De' lavori
« suoi critici recherò quasi per intero le considerazioni
« sull'Ortis del Foscolo, e quelle sui Promessi Sposi, degne
«dell'opera». Questo articolo, col titolo: Considerazioni
Digìtized by
Google
— XCVII —
sacri (*). Del romanzo ne dette un largo sunto, poi
pigliò a farne Tesarne. « Un lettore difficile » (son
sue parole) « esigerebbe forse un piano più magnifico,
« e condizione e caratteri meno comuni ne' due, che
« dan pure il titolo all'opera. Le avventure de' pro-
« messi sposi son esse le principali, a cui s'aggiun-
« gono come episodi il cappuccino Cristoforo, la mo-
«naca,il moto de' Milanesi, l'innominato, il cardi-
«nale, la fame, il passaggio d'un esercito, la peste
«e in generale la condizion di que' tempi, o vice-
« versa ? Renzo che è? Un filatore di seta, onestis-
« simo giovine per altro, e, come dice egli stesso, un
«buon figliuolo ; ma né distinto per altezza di sensi,
« né per vigor di carattere, né per altro che dia lu-
«stro e importanza. Interessa, non per sé, ma per
« la persecuzione di Don Rodrigo. Ne' moti di Mi-
« lano soltanto acquista qualche valor che gli è pro-
« prio, e nella costanza del suo amor per Lucia.
critiche scritte nel 1829 da Giovita Scalvini, venne pre-
messo all'edizione de' Promessi Sposi fatta a Firenze nel
1884 da' Successori Le Monnier, ecc.
(*) Giannone P., Delle opere di Alessandro Manzoni;
in U Esule > giornale di letteratura italiana antica e mo-
derna — Tomo primo. — Parigi, dai torchi di Pihan De-
laforest (Morinval), me des Bons-enfants, 34, M. DCCC.
XXXIII; pp. 262-302. La traduzione in francese, che l'ac-
compagna, è del sig. Lemonier, autore dei Souvenir s
d'Italie.
Alessandro Manzoni, - P. II. g
Digìtized by
Google
— XCVIII —
« Questa poi è anche minore di lui, e se non si tro-
« vasse nel castello dell'innominato, ov'è bella vera-
« mente e per dolore ineffabile e per isventura, la
«sua rassegnazione abituale ci parrebbe mancanza
«d'ogni umana affezione. Il medio evo offriva av-
venimenti più splendidi e caratteri d'un'energia
« che spaventa, per così dire. Che importa che nel-
« l'avvilimento in cui sono gl'Italiani, sappiano che
« altre volte sono stati così, per trovare un esempio
«e una scusa forse alla loro ignavia presente? Nel
«vedersi presentare un quadro d'oppressione attiva
«da una parte e di passiva stupidezza dall'altra, si
«consoleranno forse perchè que' tristi tempi passa-
« rono, e soffriranno quindi pazientemente i mali che
«rimangono loro, perchè in cumulo minore? Ma che
« han mai guadagnato ? I pessimi de' mali che gra-
«van sempre sovr'essi, terribili, insistenti, mortali:
«la divisione e '1 dominio straniero. Ecco ciò che
« un lettore severo, un lettore che riferisca ogn' opera
« alla gloria e all'utilità della patria, le uniche non
«usurane e generose davvero, potrebbe osservare
« riguardo alla scelta del soggetto ; ma questa scelta
« non era nell'arbitrio dell'A. per la difficoltà de'
« tempi e de' luoghi, e gli è costato, ne portiam ferma
«opinione, mille volte più sforzo d'ingegno, il cer-
« cario e il combinarlo così, che se avesse fatto al-
« trimenti. Discutiamo dunque sul piano com'è, senza
« cercare più oltre. Il sig. Manzoni volendo, e noi
«ne siamo convinti non solo, ma certi, anzi tratto
Digitized by
Google
— XCIX —
« ci proverebbe, non che così dovess'essere, ma che
« poteva essere solamente così.
«Questo fatto, sì breve; semplice e chiaro, ha
« però tali episodi e schiarimenti così allungati, che
« distraggon l'attenzione da esso. Quanto a questi
« ultimi, l'insistere che si fa, e nel bel principio del-
« l'opera, su la inutilità de' decreti contro i bravi,
« basterà, crediamo, a provare, che le digressioni non
«son sempre né felici, né brevi. Quanto a' primi,
« quello della monaca di Monza fa accorgere che
« dovria finire molto più presto. Gli altri, la fame
«cioè, e il guasto prodotto dal passaggio degl'im-
«periali, e la descrizione della peste, nel tempo
« stesso che mostran la forza d'ingegno e di pennello
« di chi ha saputo dipingerli con sì terribile evidenza,
« potrebbero spingere su le labbra a più d'uno la
« breve, ma calzante sentenza : non erat hic locus. Le
« pagine che riguardano il cardinal Federigo sono
« protratte in modo da farci credere che l'autore te-
« messe che quel prelato non fosse conosciuto abba-
te stanza, e ne faccia perciò il panegirico; e quelle
« poi ove si parla del carattere e degli studi di don
« Ferrante, sembrano, e quasi per confessione dello
« stesso scrittore, veramente perdute. Ma vi sono due
« altri episodi, due, l'uno per la brevità, l'altro pel
«legame immediato alla narrazion principale, en-
«trambi per verità di colori e per interesse fortis-
« simo, la cui bellezza è rara veramente e mirabile;
« gli eventi del P. Cristoforo quand'era al secolo, e
Digitized by
Google
— e —
« l'apparizione sulla scena dell'innominato. Peccato
«che il primo, a cui ci eravamo tanto affezionati,
« scompaia quasi al cominciare, e non ritorni che al
«finir dell'azione; e l'altro, il di cui carattere è gi-
«gantesco senz'essere esagerato, non produca qual-
« che cosa di veramente straordinario e solenne come
«l'indole sua! Nella storia ciò accade sovente; ma
«nel romanzo, e sia pure storico quanto vuoisi, lo
« scrittore non ha il privilegio d'intendere con ogni
«sforzo all'effetto dell'arte?
« Da questo rapido cenno delle cose che ci sem-
« brano mende nell'esecuzione del piano tale qual'è,
« può indursi che lo stile sia generalmente diffuso ;
« e difatti a noi pare così. In quanto a lingua, l'A.
« ha, più spesso che non si vorrebbe, fatt'uso di pa-
«role, d'idiotismi e di maniere proprie del luogo
« ove l'avvenimento si compie. Omero formava la sua
« lingua maravigliosa da' differenti dialetti di Grecia,
« Dante da quelli d'Italia, ma questi due esseri
« straordinari erano i primi. Gli altri grandi venuti
«dopo di loro, non l'hanno più fatto, e la ragione
«n'è chiara; non ne avevan bisogno, né credevano
« o bello o necessario tentare ciò che i tempi non
«concedevano più. Potrebbe aggiungersi anche, e
« senza tema d'errare, che la continua tendenza ad
« essere facile, e stretto il più che si può alla natura
« delle cose, abbia fatto trapassare d'un salto l'A.
«su certi modi, che appartengono alla lingua par-
« lata sì, ma non sempre alla grammaticale.
Digìtized by VjOOQ IC
— CI —
« Rispetto allo scopo morale di questo lavoro, a
« noi sembra che sia e la purità del costume e la
« sommissione ai decreti della Provvidenza suprema ;
« due grandi insegnamenti ambedue, il primo d'una
« utilità generale e che balza agli occhi d'ognuno,
« perchè limpido come la luce del sole ; il secondo
« d'un immenso conforto nelle sventure, allorché sono
« consumate e irreparabili, ma che può avere un'in-
« fluenza rovinosa e veramente fatale nell'atto in che
« le sventure ti sovrastano o percuotono, essendo al-
« lora, com'è difatti, soggetto a tante interpretazioni
« ed applicazioni quanti sono i caratteri degli uomini,
« i loro interessi, le passioni, le circostanze di fami-
« glia, di patria, di religione, etc. etc. Perchè, quale
« sulla terra può dirti sicuramente : — Questa sven-
« tura ti viene dal cielo, e convien rassegnarviti ;
« questa no, e puoi e devi lottare contro di essa? —
« È forse che la lunga tolleranza de' popoli, riguardo
«agli atti crudelissimi e nefandi della prepotenza
«feudale e dell'inquisizione, deriva tanto da questo
« elemento astutamente impiegato, quanto dal timore
« che si ha d'una potenza stabilita, sia pure qualun-
«que, e dalla naturale tendenza degl'individui alla
«calma, ove il moto offra un evidente pericolo. Gli
«ambiziosi vestano poi il manto dell'umiltà o quel
«degli onori, l'hanno, e spesso pur troppo! usato a
«lor fini privati: in altre parole, l'altare ed il trono,
«o meglio ancora, il potere spirituale ed il tempo-
« rale, i quali per quanto altro possa parere a' poco
Digìtized by LjOOQ IC
— cu —
«veggenti, si collegano in essenza fra loro, e sono
«per ogni società costituita quello che l'anima e il
« corpo sono per l'uomo, hanno fatto di esso ciò che
« un avaro fa d'una mina d'oro o d'argento. In fine
« è tal arma che, secondo la man che la tratta, può
«essere spada e scudo a vicenda, può salvare un
« popolo dall'infamia del servaggio, e farvelo piegare
« vilmente. Ma ne' Promessi Sposi quest'elemento è
«esso presentato nella sua parte buona o cattiva?
« Noi oseremmo dare un tal giudizio, quando, non
«per induzione soltanto, ma per esperienza potes-
« simo veramente sapere qual'è l'impressione che la-
«scia nel comun de' lettori. Certo è intanto che
« nelle circostanze e ne' tempi che corrono, la virtù
«della rassegnazione non è quella che occorre alla
«nostra povera patria: la sua sventura può essere
« combattuta e vinta da una volontà forte e tenace,
« temprata dalla prudenza. Che se niai, oltre lo scopo
«che abbiam creduto dovere accennare, si dicesse
«che v'è quello anche di far conoscere i tempi e
« promovere il debito abborri mento contro i privile-
«giati, un giudice severo risponderebbe nel primo
«caso, che un tale ufficio tocca alla storia; e nel
« secondo, che è prodezza intempestiva l'aprire ferite
« in un corpo già da tanto tempo cadavere. La feu-
«dalità, questo mostro immanissimo, non somiglia
«all'idra della favola: le sue teste cadute né si ri-
«produsser finora, né si riprodurranno mai più.
« Presentato ed accennato così il linguaggio della
Digìtized by VjOOQ IC
— CHI —
«censura, ci si permetta ora passare alla seconda
« parte della critica, non meno utile e più piacevole
« a un tempo ; né faccia maraviglia il vedere lodato
«ciò che ci è parso finora dar luogo a qualche ri-
« gida osservazione ; non v'ha cosa, che non possa
«offrire due aspetti. E primamente nella scelta di
« due protagonisti volgari, il sig. Manzoni ha mo-
« strato avere un concetto, più sensato non solo, ma
«più generoso ed umano della generalità de' ro-
« manzieri presenti. Perchè mostrare di credere che
«qualche classe della società solamente meriti la
«menzione e gli onori dell'eloquenza, ed il resto,
« che pure è base di tutto e fa vivere queste classi
« medesime, debba essere condannato all'oblio? Strana
« contradizione questa con lo spirito del secolo e col
« vantare che fanno i più celebrati scrittori la dignità
« dell'umana natura, la quale col fatto paiono restrin-
«gere poi a sola qualche frazione di uomini! Ne'
«Promessi Sposi le debolezze, gli errori, i vizi e i
«delitti de' potenti si presentano tai quai sono, e
« non con quell'aria d'amabile storditaggine, d'inte-
« resse e di grandezza quasi, di cui li adornano e li
«accarezzan sì spesso gli altri scrittori di simil ge-
«nere; i quali, magnificando i tempi feudali, non
« sembrano neppur dubitare che posson mettere cosi
«in forse il loro titolo di promotori, sostenitori o
« fautori almeno de' dritti imperscrutibili che la na-
« tura ci accorda. Ma tranne il romanziere Britannico,
« che l'ha fatto con cognizione di causa, e con animo,
Digitized by VjOOQ IC
— CIV —
«per quanto esser mai possa, deliberato, gli altri,
« illusi non sappiamo eia quale malia, hanno seguito
«la corrente, senza pensare ad altro scopo che alla
« novità ; ma speriamo che siano per avvedersene in
« tempo. Il nostr' A. non è caduto in tal fallo ; e per
« certo, leggendo quest'opera, nessuno risentirà mai
« la più picciola brama d'essere distinto da' suoi fra-
« telli per qualche privilegio mostruoso, ereditato od
« usurpato sovr'essi.
« Intanto la ricchezza, la varietà, l'evidenza delle
« descrizioni, sono pregi che distinguono quest'opera
« dal principio alla fine. Gli episodi, quelli stessi che
«sono meno giustificabili, offrono tale abbondanza
«di cose, di pensieri, d'interesse, e tanta conoscenza
« del cuore umano, che appunto per questo distrag-
« gono dall'azion principale. Commove e desta un'an-
«sia crescente il vedere con quali malizie finissime
« la religiosa di Monza sia tratta a compiere l'intiero
« sacrifizio di sé, e non si può a meno, nel condan-
«nar le sue colpe, di sentirne un'affannosa pietà.
« L'ammutinamento de' Milanesi è descritto sì viva-
« mente, le particolarità ne sono sì vere, che vedi
«agitartisi tutta quella calca su gli occhi, ne distin-
«gui i volti, ne ascolti la voce. L'ebbrietà perfino
« del povero Renzo non ti percuote meno dell'astuzia
«per la quale il bargello riesce a carpirgli il nome
« di bocca. Ma ciò che supera ogni lode è Lucia nel
«castello dell'Innominato. L'immagine d'un essere
«debole ed innocuo di fronte ad un altro sì formi-
Digitized by VjOOQ IC
— cv —
« dabile e spietato, e la vittoria del primo, racchiu-
« dono in sé un profondissimo senso di morale, che
«fa palpitare d'un impeto di speranza e d'ardire,
« ed eleva ogni anima ben nata. I pensieri di quel-
l'uomo feroce, que' pensieri che lo traggono a
«disperare, e l'altro che gli arresta la mano; tutta
« quella notte infine offrono un tal che di sì terribil-
« mente vero, misterioso e solenne, che a noi sembra
«poco il dire che negli altri lavori di simil genere
«non v'ha brano che possa paragonarsi a questo.
« Né si creda che dopo un tal quadro la fantasia e
« il cuor del poeta mostrino esaurimento o stan-
«chezza. La descrizione della fame, e più ancora
« quella della peste, fanno veracemente rabbrividire.
« In quest' ultima il sogno di don Rodrigo nella
«notte stessa che n'è colpito, basterebbe esso solo
«a far conoscere quanto l'A. senta avanti nell'arte
«somma che segue sì dappresso la natura senza
«scoprirsi; e la madre che reca la sua bambinella
«morta a' monatti, è tal misto di desolazioni, di
« pietà, di amore, di dolor rassegnato, che, breve e
« toccato di volo, com'è, ti si scolpisce indelebilmente
«in pensiero. Questi due brani stanno, a parer no-
« stro, con vantaggio in faccia a tutto lo splendore,
« l'abbondanza e la verità di quella vivace e straor-
«dinaria pittura. I caratteri sono disegnati a tratti
« sì giusti ed arditi e sostenuti con sì gran maestria,
« che non si smentono mai ; e quello di don Abbon-
« dio in particolare è nel suo genere d'una verità
Digìtized by
Google
— evi —
«che dispera. Quel colore locale che non t'induce
« mai in errore, quell'esattezza di fatti che non si
«trova mai
Dans les romans où l'on apprend l'histoire>
«come ha cantato scherzando un savio francese (l),
« sono qualità che, unite ad uno stile pieno di vita,
« e vario sempre secondo gli accidenti, e ad una
«lingua facile, ricca, armoniosa, assicurerebbero la
«fama di questo libro, quand'anche non vantasse
« altri meriti, e, come speriamo aver dimostrato, di
« gran lunga maggiori.
« Quantunque questo genere, per quanto ci pare,
« non debba porre gran radici in Italia, perchè nel-
« l'ampissimo campo delle lettere, offre gli stessi ca-
«ratteri degl'Ibridi fra le piante, pure trattato da
« chi, oltre la forza d'ingegno, si figga un alto, un
« utile proposito in mente, può produrre nobilissimi
« effetti ».
0) M. de Gourbillon.
Digìtized by
Google
— ctni —
IV.
De* tanti giudizi dati da' giornali d'allora in-
torno a* Promessi Sposi, due levarono un gran ru- *
more: quello della Biblioteca italiana e quello del-
V Antologia: ma l'eco di quest'ultimo, scritto da Nic-
colò Tommaseo (*), si dileguò ben presto ; non così
l'eco dell'altro, uscito dalla penna di Paride Zaiotti (?),
in voce di critico ingegnoso e acuto tra' partigiani
della vecchia scuola. Fin dal '24, appunto nella Bi-
blioteca italiana, aveva scritto un lunghissimo arti-
(!) Antologia, n. 82, ottobre 1827, pp. 101-119. L'ar-
ticolo, invece del Tommaseo, doveva scriverlo il dott. Gae-
tano Cioni, come si rileva da una lettera di Giuseppe
Montani, del 16 di settembre : « L'articolo sugli Sposi Pro-
« messi lo fa il dottor Cioni. Manzoni è qui [a Firenze]
«adorato da tutti. Il Granduca ha voluto veder lui e il
« suo bambino, che sempre lo accompagna. Gli ha fatta,
«mi dicono, la più affettuosa accoglienza». Il i.° agosto
aveva scritto : « Aspettiamo di giorno in giorno il Man-
« zoni, e mai non lo vediamo. Del suo romanzo (crede-
« resti ?) non è ancor giunta copia, se non al Batelli, che
« gli fa il brutto complimento di ristamparglielo ».
(2) Biblioteca italiana, n. 141, settembre 1827, pp. 422-
472 ; e n. 142, ottobre 1827, pp. 32-81.
Digìtized by
Google
— CVIII —
colo intorno all'Adelchi, diviso in due parti (l); ma
la Censura austriaca (è proprio il caso di ripetere:
Tu quoque, Brute/) ne corresse e mutilò alcuni brani,
con grave dispiacere del critico, che li mandò a leg-
gere manoscritti al Manzoni; il quale, vinto dal
tratto cortese, fu forzato a rispondergli e a ringra-
ziarlo (a).
L'incarico di scrivere la rassegna de* Promessi
Sposi l'accettò contro voglia: era un libro che non
gli" andava a sangue ; lo riteneva « sotto alcuni rap-
porti» inferiore alla Sibilla del Varese che, a suo
giudizio, « era un romanzo, cosa che non osava dire
« degli Sposi promessi ». La scrisse finalmente, dopo
essersela fatta aspettare un gran pezzo; per conclu-
dere : « bello è questo romanzo, ma il Manzoni potea
« fare anche di più ». E si accordò con lui il Tom-
maseo ripetendo : « dall'ingegno e dall'animo di Man-
« zoni si deve pretender di più » (a). Erano due delle
(*) La prima fu stampata a pp. 322-337 del t. XXXIV
[marzo 1824] ; la seconda a pp. 145-172 del tom. XXXV
[aprile 1824].
(2) Pubblicai questa lettera, scritta da Brusuglio il 6 lu-
glio del/ 24, in Milano vecchia, strenna del Pio Istituto dei
Rachitici di Milano , Anno IX, Milano, tip. Bernardoni di
C. Rebeschini e C, 1889; pp. 51-58.
(8) Come si accorda quello che il Tommaseo scrisse
de' Promessi Sposi nelle sue lettere al Vieusseux con
quello che stampò nell5 Antologia f È un repentino volta-
faccia: non si può chiamare con altro nome. Il Barbi si
Digìtized by LiOOQ IC
— CIX —
tante « persone di gusto », che « lo trovavano molto
« inferiore all'aspettazione ».
Un bibliofilo romagnolo, Giacomo Manzoni idi
Lugo, il futuro ministro della Repubblica Romana,
inviando al P. Alessandro Checcucci l'articolo dello
domanda: « Ma è stato preso proprio pel suo verso quel-
l'articolo? Ne dubito. Occorre, a intenderlo bene, una
«ricerca psicologica sul Tommaseo uomo e scrittore, e
«storica sull'ambiente, e dimenticare l'impressione che
«fa oggi generalmente il romanzo... E non può essere,
« che dove il Tommaseo tocca d'alcuni difetti, avesse in
«animo d'attenuarli e giustificarli, e che l'intendimento
« apologetico non appaia chiaro, o perchè così ha voluto
«l'autore, o per mancanza di quei nessi logici e formali
«che egli era solito trascurare? Avrebbe così ottenuto ef-
« fetto contrario a quel che si proponeva ; ma, si sa, altro
« è scrivere, altro riuscire a farsi intendere ! » Questa spie-
gazione, per quanto ingegnosa, non mi persuade. Leg-
gendo le postille e l'articolo si vede che a ogni istante
la viva e sincera ammirazione del Tommaseo per i Pro-
messi Sposi è come troncata dagli occulti paragoni ch'egli
fa inconsapevolmente tra il Manzoni e sé stesso ; e ap-
punto quel continuo guardare a sé stesso gli svia il giu-
dizio. Mentre riconosceva che il grande Poeta aveva « di-
«vinizzata la lirica, ricreata la tragedia, insegnata agl'I ta-
« liani la vera via della storia », e che in tutti questi campi
gli era superiore ; ho il convincimento che come romanziere
ritenesse di stargli alla pari e anche di sorpassarlo. In fin
de' conti che cosa significano le sue tante censure e cor-
rezioni ai Promessi Sposi? Significano: Avrei fatto me-
glio io!
Digìtized by
Google
— ex —
Zaiotti: Del romanzo in generale e dei Promessi Sposi
di Alessandro Manzoni discorsi due, l'accompagnava
con questa lettera: «Vi mando il libro dello Zaiotti,
«di cui vi parlai. E certamente questo vi sarà dono
«gratissimo, che due prose di questo genere, cosi
« ben condotte, e scritte con pari facondia e modestia
«forse non le ha l'Italia nostra. Fra le lodi le più
«smodate che da ogni parte son piovute e piovono
«sopra il romanzo del Manzoni, fra il grido che lo
«proclama capo-scuola del Romanzo storico e prin-
«cipe dei romanzieri italiani, levarsi in piedi e pub-
«blicare una censura di 101 pagine, giusta dalla
« prima all'ultima parola, sempre dignitosa senza iat-
«tanza, sempre riverente senza viltà, scriverla con
«istile che ogni letterato vorrebbe invidiargli, piano,
«armonioso e variatissimo, e divulgarla, e trovar
«plauso in Milano, sotto gli occhi del Manzoni, nel
«teatro delle maggiori sue glorie, è impresa ardua
« davvero ». Il P. Checcucci si affrettò a fare una
nuova edizione di « questi due maravigliosi discorsi,
«sì perchè chi non l'ebbe ancora alle mani potesse
«ammirarvi la vasta dottrina, la stupenda eloquenza,
« la profonda erudizione ed il retto giudizio di quel-
« l'esimio scrittore; sì perchè i giovani specialmente,
« usi a muoversi più per affetto che per ragione, nel
« giudicare delle opere, sebbene d'uomini grandi e
« giustamente reputati, prendano piuttosto norma dalle
«regole invariabili dell'arte, che dal prestigio del-
« l'opinione, alcune volte sospetta e ben sovente non
Digìtized by VjOOQ IC
— CXI —
« buona ». Il Checcucci battezzò « quinta » la sua
edizione (*), ignorando che 1* autore stesso già ne
aveva fatta una «sesta» a Venezia (8); nella quale,
per bocca del tipografo, manifesta V intendimento suo:
quello di «preservare il cuore e l'ingegno» degli
italiani « dalle dannose influenze che recar potevano
« i grandi esempi di Gualtiero Scott e di Alessandro
« Manzoni ».
Lo Zaiotti, a cui non manca né erudizione, né ur-
banità, né qualche acuta osservazione particolare, in
fondo ammirava il Manzoni, ma come poeta e poeta
lirico soprattutto. Fedele alla scuola de* classici, che
proscrive in letteratura quanto non ha faccia d'an-
tico, parlò del Manzoni tragico col preconcetto che
fosse fuori di strada : « perchè vorrà egli ostinarsi ad
«esser meno di Sofocle, quando l'Italia gli offre la
« corona di Pindaro ? » Parlò del Manzoni romanziere
col convincimento che il romanzo storico sia da ri-
gettarsi ; e appunto perchè un grande ingegno si era
dato a coltivarlo, gli parve una missione riparatrice
(!) Del Romanzo in generale e dei Promessi Sposi di
Alessandro Manzoni discorsi due — Quinta edizione ', Ur-
bino, coi tipi della V. Capp. del SS. Sacram. per Giu-
seppe Rondini, 1846 ; in-160. di pp. ViII-142.
(2) Del Romanzo in generale e dei Promessi Sposi, ro-
manzo di Manzoni, discorsi due. Sesta edizione, accresciuta
d* altri scritti. In Venezia, nella Tip. Emiliana, MDCCCXL;
in-16.0 di pp. VI-236.
Digitized by
Google
— CX1I —
flagellare quel nuovo genere senza pietà. A difesa
del romanzo storico (*) si levò animoso Giuseppe Maz-
zini; pur confessando (ed era giustizia) che «l'au-
« tore dei due discorsi scrivendo a lungo del romanzo
« d'Alessandro Manzoni, il fece con sì gentile animo
«e tanto affetto del vero, da insegnare ad ognuno,
« come la critica debba trattarsi ». Nota che lo Za-
iotti, «prevalendosi della fama che circonda il caro
«nome del Manzoni, attribuisce unicamente a vizio
« del genere il difetto d' interesse e calore ch'ei trova
« nei Promessi Sposi. Forse il difetto si esagera, e
« più d'una donna gentile che ha palpitato sui casi
«dell'ingenua Lucia e impallidito al ritratto dell'In-
« nominato, accusa il giudizio di rigidezza; ma fos-
«s'anche vero, che trarne? L'ingegno del Manzoni
«è vastissimo; ma a nessuno è dato balzar fuori, in
« un genere nuovo, perfetto come Pallade dal capo
(*) Trovò un difensore anche in Giuseppe Bianchetti
di Treviso. Cfr. Sopra i Romanzi storici [lettera] Al ba-
rone cav. Ferdinando Porro, Milano; in Giornale sulle
scienze e lettere delle Provincie Venete, n.° 107-108 del
voi. VI della Continuazione, bimestre di settembre e ot-
tobre 1830. Fu ristampata a pp\ 71-114 dei Discorsi cri-
tici intorno alla questione se giovi di ammettere o no nella
letteratura italiana il Romanzo storico, Treviso, coi tipi
di Gio. Paluello del fu Antonio, mdcccxxxii ; in-16.0 ed
a pp. 503-522 del libro: Dei lettori e dei parlatori, saggi
due di Giuseppe Bianchetti — Alcune lettere di lui me-
desitno, Firenze, Felice Le Monnier, 1858 ; in-16.0
Digìtized by LiOOQ IC
— CXIII —
« di Giove. Fors'egli avrebbe dovuto scegliere i suoi
«personaggi ideali in una condizione, che ammet-
tesse, se non più amore, modi almeno d'esprimerlo
« più caldi, e mezzi maggiori d'azione. Fors'anco il
«fine ch'egli ebbe di rischiarare un oscuro periodo
«del secolo XVII si svela troppo apertamente ad
«ogni capitolo, sicché n'è riuscita piuttosto una storia
«resa dilettevole da romanzesche avventure innesta-
«tevi, che un romanzo fatto utile dall'intreccio d'un
«quadro storico »(l).
Nell'esaminare V Adelchi lo Zaiotti ne propose un
nuovo disegno, «dove il notabile si è che violando
«la storia, viensi a provare come la storia sia ne-
«cessaria a poesia» (*). Anche nell'esaminare i Pro-
messi Sposi suggerì de' mutamenti ; questo, tra gli
altri: «anche il luogo, in cui l'ottimo frate» [il
P. Cristoforo] «viene ricondotto sopra la scena, ne
«sembra da collocarsi fra quelli che permettevano
«all'autore di aprire più largamente in suo volo
«Era giusto che il tribolato servo del Signore rac-
« cogliesse finalmente la palma di quel suo lungo
«martirio, e felice era stata l'idea del Manzoni di
«presentarcelo afflitto di peste, e tuttavia occupato
(*) Indicatore Genovese, n. 5, 6 e 7, giugno 1828. Cfr.
Mazzini G., Scritti editi ed inediti [quarta edizione], vo-
lume II, Letteratura voi. I, pp. 41-51.
(2) Tommaseo N., Studi critici, Venezia, Andruzzi,
I, 290.
Alessandro Manzoni • P. IL
Digìtized by
Google
— CXIV —
«a confortare gl'infermi: anche l'aver colà ridotto
«don Rodrigo, ed uniti così l'oppressore, il difen-
« sore e le vittime, era degno di massima lode, perchè
«dava campo ai più gagliardi contrasti Ma di-
«remo noi che fosse impossibile il far meglio che
« raccontarci così in due parole le morti di don Ro-
« drigo e di padre Cristoforo? Il Manzoni, meditando
« su quella situazione, avrebbe senza dubbio trovato
«qualche alto concetto, al quale noi non potremmo
«né di lontano mai arrivare: tuttavia chi ne vieta
« di esporre anche un nostro pensiero? Renzo, che
«ha già rinvenuta la sua Lucia, torna dal frate per
«narrargli l'impedimento del voto ed implorarne
«l'aiuto: ma il frate, oppresso dalla gravezza del
« male, è caduto presso il letto di don Rodrigo che
« soccorreva, né v'è più speranza ch'ei si possa rial-
«zare. Le preghiere di Renzo gli vanno all'anima,
«ma la morte già vicina lo ha disteso su quella
«terra a cui sarà ricongiunto fra poco. Corri, egli
« dice coir ultimo avanzo della cadente sua voce, corri
«da Lucia e qua la conduci, prima che venga la
« chiamata di Dio. Il povero Renzo vola alla capan-
« netta della fanciulla, che con passi vacillanti, pal-
« lida pallida, lo segue, finché giungono a quei due
« moribondi, che aspettano una sì diversa mercede.
«Ecco gli accusatori, il testimonio ed il reo: il Giu-
« dice sta più in alto, e fra pochi minuti l'irrevoca-
« bile sentenza sarà pronunciata. Gran Dio, non en-
« trare in giudizio co' tuoi miseri servi ! Noi non
Digitized by LjOOQ IC
— cxv —
/
«osiamo proceder più oltre, che l'ingegno ne cade
« innanzi a tanto orrore e a tanta pietà : ma che non
«avrebbe saputo fare il Manzoni? Gli effetti della
«Grazia erano già stati descritti nell'Innominato;
« qui rimaneva a mostrarci la disperata morte del re-
« probo, e il quadro riusciva perfetto, perchè 11 presso
«ne consolava la placida dipartita del giusto. Una
« maledizione su gli sposi e sopra sé stesso è uscita
« da Rodrigo, padre Cristoforo ha sciolto il voto, e
« benedetti i due giovani. Un profondo silenzio è
«succeduto a quelle parole: tutto è finito. Si sepa-
« rino quei due corpi, che più non saranno vicini in
« eterno. Guai a chi non intende la muta lezione che
« s'innalza dalla polvere di quella capanna ! È impos-
« sibile che i lettori non si dolgano pensando al ma-
« raviglioso partito che la mente e il cuore del Man-
« zoni avrebbero tratto da tanta passione : ma anche
« qui è sempre necessario ripetere, che senza mutare
« l'orditura del romanzo non poteva arrischiarsi una
« scena sì viva. La narrazione degli avvenimenti suc-
« cessivi dopo quell'impeto d'affetti non era più tol-
« lerabile, ed ivi stesso, davanti a quel letto di morte,
« Renzo e Lucia doveano rinnovare il loro giura-
« mento, abbandonata ogni più minuta conclusione
«alla fantasia de' lettori»^).
(*) E altrove : « Vogliamo almeno terminare con un
« voto, che è certo comune a tutta l'Italia. Perchè il.Man-
Digitized by VjOOQ IC
— CXVI —
Nell'ottobre del '27 mentre a Milano usciva alla
luce il compimento di questi discorsi, Niccolò Tom-
maseo veleggiava per l'Adriatico, e parte negli ozi
della traversata, parte in mezzo alle isole della sua
Dalmazia e nel porto d'Ancona fece una quantità di
postille (l) sopra un esemplare de* Promessi Sposi
donatogli dal Manzoni. Alcune sono in lode; le più
« zoni, così grande poeta, non ha intramesso alla sua prosa
«alcun verso? Perchè non ha egli seguito l'esempio del
«suo Goethe e di tanti altri illustri romanzieri, che ne
«aggiunsero questo diletto? La materia di frequente
«si prestava volentieri alla poesia.... Chi non vorrebbe
«ascoltare il divoto cantico e le laudi dei valligiani che
« s'affollano con santa allegrezza incontro al Cardinal Fe-
« derigo? Chi non intenderebbe un orecchio bramoso alle
«giulive canzoni di guerra dei soldati che vanno all'im-
« presa di Mantova? Tutti ricordavano il sublime canto
« per la battaglia di Maclodio, tutti aspettavano rinnovata
« quella robusta armonia. Né mancherà, in ispecie fra co-
«loro che più strettamente appartengono alla scuola ro-
«mantica, chi si dolga di non sentire espressa la canzo-
«naccia de' monatti, che viene appena accennata».
(*) Fin dal 1890 ne dette un saggio il prof. Emilio
Teza [Postille inedite di N. Tommaseo ai «Promessi
Sposi » ; nella Nuova Antologia^ serie III, voi. XXVII,
pp. 560-566] ; poi, nel 1897, vennero stampate per intiero
da Giuseppe Rigutini. Cfr. Postille inedite di Niccolò
Tommaseo, precedute da un discorso critico e accompa-
gnate da osservazioni^ Firenze, R. Bemporad & figlio,
1897; in-160. di pp. VIII-332.
Digìtized by
Google
— CXVII —
in biasimo e non senza acrimonia (l). Il Manzoni,
raccontata la favola dello « scartafaccio », soggiunge :
« Ed ecco l'origine del presente libro ». Il Tommaseo
chiosa : « Questo non iscusa la bugia. Si dirà che il
« Romanzo è tutto una bugia. Io rispondo che men-
«tire non è mai bello». Ritiene «che più naturale
« sarebbe stato, invece di villani (?), scegliere una fa-
(*) Eccone un saggio : « È affettato — Pesante — È da
buffone: tuono che l'autore assume talvolta — È brutto
— È duro — Non mi piace — Miseria — Piccolezza —
Cattivo — Inezia — Importuno — Non va — Quanta roba !
— È goffo — Mal detto — Pedantesco — Affettazione
— Pare un goffo dialogo di Goldoni — Rettoricume —
Bassezza — Evviva i soliloqui ! — È vecchiume — È un
guazzabuglio questo periodo — Malissimo detto — Inezia
grande — Lungherie misere — Falso — È ridicolo — È
da retore e mostra la stanchezza dell'autore — Affettato
e prolisso — Gretto e stracco » ; e giù di questo tono, con
mano sempre prodiga.
(*) I critici si trovarono concordi nel biasimare il Man-
zoni d'avere scelto a protagonisti due operai; all' infuori
ero del Sismondi , del Pezzi, del Giannone e di pochi
altri, tra' quali Giovita Seal vini, che scrisse: « Ha scelto
« Renzo e Lucia per isvergognare e ridurre al niente i
«Rodrighi e gli Egidii; per additarne come l'occhio di
« Dio, dinanzi il quale cessa ogni disuguaglianza, sappia
«scernere infra la turba %y ignobili e spregevoli che in
«lui bene confidano, e la sua mano sollevarli sulla mal-
« vagita illustre e tremenda... Vuoisi dunque considerare
« Renzo e Lucia come un simbolo di tutti i deboli, di
« tutti quelli che soffrono, e ai quali la giustizia è do-
h*
Digìtized by
Google
— CXVIII —
«miglia di città, povera, ma gentile, che anche al-
« lora era modo di dar risalto anche ai quadri cam-
«pestri». Trova «che don Abbondio in questo ro-
« manzo fa troppa figura, occupa troppo spazio » ;
gli sembra « scarso di sovrane bellezze tutto ciò che »
nel secondo tomo « appartiene al cardinal Federigo
« e all'Innominato »; e giudica si convertisse «troppo
« rabbiosamente » (l). Dei resto, a mettere in evidenza
«vuta... Che se a qualcuno e' paiono troppo piccioli,
« perch'ei sia curante dei loro umili casi, pensi che a lui
« per l'appunto il Manzoni li propone in esempio ; affinchè
« corregga il suo orgoglio ; né da loro rivolga indifferente
« gli sguardi, senza dirizzarli verso Colui che li ha posti
«sulla terra, ascolta le loro imprecazioni, e non li lascerà
« cadere : chi non può stare con loro, come prossimo, se
«ne faccia scala a sani pensieri fuori e più alti di loro».
(!) Nel dar conto nell'Antologia [n. 93, settembre 1828,
pp. 120-132] d'un mediocrissimo romanzo francese: Ger-
trude, par mad. Hortense Allart de Thérase, Flo-
rence, Ciardetti, 1827, scriveva : « Tutto ciò ch'è grande,
«è difficile: e però quant'è più l'altezza a cui si tende,
« più frequente è il pericolo della caduta. Troppo insi-
«stere sulla storia dell'uomo interiore, può generare fa-
« cilmente sazietà e noia ; può torre al poeta la forza e lo
«spazio di rappresentare i segni e gli effetti della pas-
« sione; può renderlo affettatamente minuzioso ed ardito
« a spacciare de' fatti dell'anima passionata, i risultati o
« della fredda meditazione, o d'un 'esperienza angusta, im-
« matura. La maggior difficoltà sta nel cogliere appunto
« la reale gradazione dell' affetto ; e mostrando il passaggio
«dell'anima dall'un grado all'altro, esser vero. Questa
Digitized by LjOOQ IC
— CXIX —
i biasimi tutti, bisognerebbe trascrivere le postille in
grandissima parte, e con le postille l'ostico giudizio che
« difficoltà non mi par superata in un de' tratti più mi-
« rabili de' Promessi Sposi; la conversione dell' Innomi-
« nato. Le disposizioni di quell'anima annoiata del male,
« i primi tocchi della pietà eh 'è, già per sé medesima un
« cambiamento in quel cuore ferreo, la confusione che lo
« assale alla vista della sua vittima, tutto è fin qui sovra-
« namente cólto, è quasi tutto con egual potenza indicato.
«Ma quando siamo alla notte, i sentimenti di rabbia, di
« disperazione, d'orgoglio che l'assalgono con tanta furia
« di quanta è capace un'anima ancora verde nel delitto,
« non mi paiono direttamente condurre a un così prossimo
« cambiamento. Un carattere come P Innominato, e non
« cangiato ancora, non ricevere alcuna impressione di
« sdegno, d'orgoglio da quel suo passaggio in mezzo alla
«folla meravigliata e sospettosa, non mi par verisimile.
« La storia dice che P Innominato, dopo avuto un collo-
« quio col Borromeo, cangiò vita: ma non dice, parmi,
« che l'Innominato sia ito a cercare la presenza del ve-
« scovo, in mezzo alla moltitudine radunata, in un giorno
« ch'era giorno di festa per tutto il dintorno. Egli scende
«tutto irritato di quella gioia comune, scende non per
«altro che per saperne il motivo, e va difilato a cercare
« dell'arcivescovo di Milano. Forse il passo parrebbe men
«brusco, se PA. avesse dipinti i sentimenti che, cammin
« facendo, agitavano quell'anima umiliata. Ma umiliarla
« conveniva dapprima, umiliarla agli occhi suoi propri ;
« giacché la stanchezza del male non genera che maggior
« perversità, quando non conduca ad arrossire della pro-
«pria bassezza. Io so bene che descritti tutti i gradi in-
« termedii della conversione, la cosa sarebbe troppo ita
Digitized by
Google
— cxx —
inseri nélV Antologia Q); dove la lode è sempre mi-
surata, il desiderio di censurare vivissimo sempre ;
e la lode rivolta non al libro, ma all'uomo, « grande
e per cuore e per ingegno », « ingegno mirabile »,
« sovrano ingegno », « ingegno divino », « uomo di-
vino », « genio e cuore apertissimo », « il giusto so-
litario», «il poeta del meglio», che si era perfino
« abbassato a donarci un romanzo » ; divinizzazione (')
e in lungo, so che allora sarebbe stato assai più diffìcile
«rendere teatrale e romanzesca quella conversione: so
«in fine che nella pittura del nostro Manzoni, c'è tanta
«profondità da ammirare, che non è quasi lecito il mo-
« strare desiderio di quello che manca».
(*) L1 Antologia [n. 116, agosto 1830; pp. 140-142] tornò
a parlare de* Promessi Sposi pigliando occasione dalla ri-
stampa che ne fece a Firenze, nel '30, la tipografìa Pas-
sigli, Borghi e C. in un voi. in-8.° e in sei volumetti
in-32.0 con vignette. Dell'articolo, scritto dal Montani,
è notevole questo brano: «Walter Scott, ha già detto
« qualcuno, va dalla storia al romanzo, Manzoni dal ro-
« manzo alla storia. Da questo loro andamento diverso
«risulta che ciò che nelle composizioni dell'uno forma,
« per così dire, lo sfondo delle composizioni medesime,
« in quello dell'altro forma il soggetto principale. Quindi
« non fa meraviglia ciò che da un anno si va bucinando,
« e in un giornale assai recente si narra senza mistero,
« che il Manzoni in uno scritto, che verrà presto alla luce,
«sul romanzo storico, si separi interamente da Walter
« Scott. Può egli non separarsene in teorica, quando in
«pratica ne va tanto lontano?».
(2) Singolare è questa lettera del Tommaseo al Vieus-
Digitized by LjOOQ IC
— CXXI —
che dispiacque al Leopardi, «perchè ha dell'adula-
torio, e gli eccessi non sono mai lodevoli».
Il Tommaseo a mano a mano andò temperando e
modificando quel severo giudizio, e quando nel '43
ristampò ne' suoi Studi critici il vecchio articolo del-
V Antologia molto vi tolse, non solo per condensar
meglio il pensiero, ma anche per renderlo meno aspro
seux, scritta da Milano il 12 novembre del '26 : € Man-
ie zoni forse per la primavera vegnente verrà con la fa-
« miglia a Firenze Del resto, se egli venisse a Fi-
le renze , vedreste un uomo che dall'assenza di ogni
«singolarità è reso agli occhi d'ognuno che non gli
«dissomigli, affatto singolare e mirabile. Una statura co-
« mime, un volto allungato, vaiuolato, oscuro, ma im-
« presso di quella bontà che l'ingegno, non che guastarla,
«rende più sincera e profonda: una voce di modestia e
« quasi di timidità, cui lo stesso balbettare un poco giunge
« come un vezzo alle parole, che paiono escir più mature,
« più desiderate : un vestito dimesso, un piglio semplice,
«un tuono famigliare, una mite sapienza che irradia per
« riflessimento tutto ciò che a lui s'avvicina.... Questo è
« l'uomo direste, il cui nome sarà simile di qui a mill'anni,
« adorato, com'io venero oggi il suo volto. Questo è l'uomo
« che in ogni via che calcò impresse un'orma indelebile ;
«che ha divinizzata la tragedia, che ha insegnata agl'I-
« taliani la vera via della storia ; che ha fatto il romanzo
« la lettura del Genio e della Virtù ; ch'ebbe amici i più
« buoni del secol suo ; che fu pio, semplice, generoso ;
« che trasse il suo genio dal cuore : e potreste aggiungere
« (questo è forse il maggiore degli encomii) che fu visto
« più d'una volta piangere sulle sventure degl'infelici ».
Digitized by
Google
— CXXII —
e meno reciso (l). V'aggiunse un accenno alla lingua
adoperata dal Manzoni ne* Promessi Sposi; punto che
fin allora non aveva toccato altro che in una lettera
confidenziale a Cesare Cantù, scritta da Parigi Tu gen-
naio del '37. Gli dice: «Godo che il Manzoni pensi
« a ristampare il romanzo, egli stesso ; e tanto meglio
« se con mutazioni e con giunte. Non ponga indugio;
«non badi a1 suoi scrupoli troppi, né agli sdottora-
« menti dei consiglieri immancabili, de* quali è prov-
« veduto appunto chi non ne ha bisogno. Lasci stare
«ogni cosa, muti solo qualche parola o qualche
«modo, se vuole: e anche questo con carità, senza
« spellare vivi quel Renzo e quella Lucia » (*). Le
parole aggiunte al vecchio scritto son queste : « Nella
« dicitura senti meditazione e cura continua. Io non
« dirò se per tal cura Manzoni sia giunto a vera-
« mente italiana proprietà di linguaggio e snellezza
« di stile : ma certo è che ne' modi lombardi e fran-
« cesi o non acconciamente toscani della prima stampa,
« quanto nelle docili e felici (sebbene non sufficienti)
«correzioni della stampa recente, è copia grande
(*) Il Rigutini ristampò il vecchio articolo dell5 Anto-
logia in fronte alle Postille [pp. 1-21], ma senza accen-
nare per nulla ai tanti cambiamenti che vi aveva fatto
l'autore nell'edizione del '43 ed ai lievi ritocchi di quella
del '58.
(2) // primo esilio di Nicolò Tommaseo 1834- 1839, let-
tere di lui a Cesare Cantù, Milano, Cogliati, 1904; p. 102.
Digitized by
Google
— CXXIII —
«d'ammaestramenti agli amatori dell'arte» (l). Il
primo giudizio nella sostanza non lo mutò mai. Già
vecchio, a un amico, che voleva scrivere intorno a*
Promessi Sposi dava per consiglio: «Com'egli» [il
Manzoni] «senta e ritragga la natura visibile è al-
«tresl da notare; il cielo, i monti; gli alberi, le
«acque; i suoni, i colori; se non che alla freschezza
« del sentimento e alla maestria dello stile, in quanto
« lo stile è concetto, non direi corrispondere sempre,
« anzi di rado, la freschezza e franchezza dello stile
«in quant'è lingua e armonia». Poi soggiungeva:
« All'arte proprio direi, che nell'esame di tale lavoro
« non sia da dare peso se non in quanto essa è mo-
« ralità ». Voleva « della lingua e del numero » de'
Promessi Sposi studiasse « quel che c'è di straniero,
«d'incerto, d'improprio, di prolisso senza necessità
« di chiarezza » (2).
Giambattista Bazzoni (3), uno degli emuli, volle
(') Tommaseo N., Studi critici; I, 304-312.
Cfr. Ispirazione e arte o lo scrittore educato dalla so-
cietà e educatore , studi di Niccolò Tommaseo, Firenze,
Felice Le Monnier, 1858; pp. 417-426.
(2) Tommaseo N. Dizionario estetico >, Firenze, Succes-
sori Le Monnier, 1867, pp. 622-623.
(3) Nacque a Novara il 12 febbraio del 1803; si laureò
in legge a Pavia; presa la carriera della magistratura, al
pane onorato del suo forte Piemonte e de' suoi vecchi
Re preferì quello dell'Austria, e morì il 9 ottobre del
1850, consigliere dell'I, e R. Tribunale criminale di Milano.
Digìtized by
Google
— CXXIV —
egli pure dire la sua. « I Promessi Sposi s'udirono
«annunziare tanto tempo innanzi che apparissero
«al pubblico, ch'ebbero tutto il campo di ricevere
« dalle mani abilissime del loro valente autore quella
«forbita, lucente e veramente nuziale acconciatura
«di cui egli seppe adornarli. V'ha in quei libri
« una inimitabile proprietà di vocaboli, espressioni
« fine, vere, calzanti : vi si trova per tutto una vita,
« un' indagine profonda del cuore, delle circostanze,
«delle cause; un nesso invisibile, ma universale,
«efficace, che offre pascolo a tutti i gradi d'intel-
« ligenza ; è un complesso insomma di quadri affatto
«nuovi e sublimi. È vero però che vi si rinvenne
«un lato vulnerabile come il calcagno nel fatato
«corpo d'Achille; ma però le saette ad essi sca-
« gliate dai nostri Paridi non li ferirono si addentro
«da togliere loro la vita, che durerà anzi sempre
« robustissima ».
Ombra di Giambattista Bazzoni, che ti aggiri tra
le rovine dimenticate del tuo Castello di Trezzo,
metti il cuore in pace: non ebbero da quelle saette
neppure scalfita la pelle; del resto, così dura, che
sfida i secoli!
Torino, 27 marzo 7903.
Giovanni Sforza.
Digitized by
Google
XI.
Fuga di Don Rodrigo.
Alessandro Manzoni.
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
Ma quella dea che ha (mirabile a dirsi !) tanti
occhi, quante penne, e tante lingue, quanti occhi,
e (ma questo pare più naturale) tante bocche, quante
lingue, e finalmente tante orecchie, quanti occhi,
lingue e bocche (debb'essere una bella dea), questa
ultima sorella di Ceo e di Encelado, partorita dalla
Terra in un momento di collera; veloce al passo e
al volo, che cammina sul suolo e nasconde il capo
tra le nuvole, che vola di notte per l'ombra del
cielo e della terra, né mai vela gli occhi al sonno;
e di giorno siede sui comignoli dei tetti, o su le
torri, e spaventa le città, portando attorno il finto
e il vero indifferentemente, costei aveva già, prima
della notte, diffusa nei paesi circonvicini la storia
delle avventure di quel giorno. Per fare intendere
al lettore questa particolarità, abbiamo usurpato" for-
inole che, a dir vero, appartengono esclusivamente
alla poesia, ma saremo scusati da coloro, i quali
sanno che ad imprimere vivamente una immagine
Digitized by
Google
~ 356 -
nelle fantasie il mezzo più efficace è l'allegoria, e sin-
golarmente quella già nota e consecrata delle antiche
favole: perchè quando si vuol fare immaginar bene
una cosa, bisogna rappresentarne un'altra: così fatto
è l'ingegno umano quando è coltivato con diligenza.
Siccome però a voler cavare dalle allegorie il senso
vero ed ultimo, quello che si vuol trasmettere, è ne-
cessario in ultimo pensare alle cose che le allegorie
fanno intendere, così non lasceremo di dire che tutti
gli abitanti del contorno, che erano convenuti quel
giorno in Chiuso, tornando la sera alle case loro,
raccontarono ciò che avevano veduto, ripeterono ciò
che avevano inteso, commentando le circostanze
che per sé non avrebbero bastato a dare idea d'un
fatto compiuto, e inventarono gli episodj che erano
indispensabili per dare continuità alla storia. Ma il
fondo delle loro relazioni era vero; e questo fondo
aveva abbondantemente di che eccitare una grande
maraviglia e un grande interesse. Il Conte del Sa-
grato era nome d'una terribile celebrità nei con-
torni e assai più lontano, e una conversione tanto
inaspettata e che doveva portare tanti cangiamenti,
era argomento all'universale di una pia maraviglia,
di esultazione, e di riconoscenza a Dio, e di nuova
venerazione per l'uomo di Dio, che ne era stato lo
stromento. E quello che rendeva ancor più interes-
sante quella conversione era l'averne veduto un ef-
fetto immediato, un testimonio vivo, già tanto inte-
ressante per sé: una povera giovane restituita vo-
Digitized by LjOOQ IC
— 357 —
lontariamente dal carcere privato alla libertà e alle
braccia di sua madre. Ma pei parrocchiani di Don
Abbondio l'interesse era ancor più grande che per
gli altri ; per essi la povera giovane era Lucia, quella
Lucia che avevano veduta fra loro modesta, bella,
irreprensibile, allegra, che avevano pianta sommes-
samente smarrita, della quale si sussurravano mille
notizie diverse e tutte lagrimevoli, della quale ora
i suoi vicini potevano dire: l'abbiamo veduta noi
oggi con Agnese andare dal Cardinale, che le voleva
parlare in persona. Al mattino vegnente la fama si
posò anche sul comignolo del castellotto di Don Ro-
drigo; ed è facile immaginarsi che la novella ch'ella
portava fece sull'animo suo tutt'altro effetto che sul-
l'animo di quella povera moltitudine. Quella Lucia,
ch'egli aspettava da un giorno all'altro d'avere se-
gretamente negli artigli, ora pubblicamente libera;
sventate e divolgate ad un punto le sue trame ab-
ominevoli, e quel suo alleato nel quale egli fidava,
che con la sua cooperazione doveva dare l'autorità
del terrore al fatto, e far morire il biasimo anche
nelle bocche dei più arditi, ora disertato, divenuto
un oggetto di fiducia per gli avversarj. Don Ro-
drigo si sforzava di ridere e guardava in faccia ai
suoi bravi per attignere coraggio o indifferenza, ma
s'accorgeva che i bravi guardavano in faccia a lui
con la stessa intenzione ; e per non trovare il coraggio
il mezzo più sicuro è di essere in molti a cercarlo:
anche quel poco che ognuno si sentiva se ne va: il
Digitized by
Google
- 358 -
Griso stesso (l) era avvilito. Costoro s'erano tutti ra-
dunati nel castello come in un asilo, perchè non pa-
reva loro di star bene in nessun altro luogo. Girando
il mattino, s'erano avveduti che tirava un'aria estrania,
inusitata : avevano osservata su tutti i volti una esal-
tazione, una risolutezza, che aveva abbattuta la loro,
che veniva in gran parte dall'abitudine di mostrarla
soli. Prima d'allora quando un contadino s'avveniva
in uno scherano, e vedeva in lui non solo la forza sua
e le armi che portava, ma tutta la potenza dei suoi
compagni e del capo, passava a canto con una umile
riverenza ; se fosse stato insultato lo avrebbe tollerato
in pace, perchè era certo che gli altri che lo aves-
sero veduto sarebbero stati molto contenti di esserne
fuori e non avrebbe avuto un ausiliario: ma ora,
l'occasione di esternare un sentimento unanime aveva
fatta sentire a tutti una fratellanza, una comunione
d'idee e di causa; ognuno era certo che la cosa era
intesa da mille come da lui ; e ognuno, comunicando
agli altri il suo nuovo coraggio, ne riceveva da essi,
per la ragione inversa di quello che era accaduto ai
bravi e a Don Rodrigo. La conversione del Conte,
(l) Il Visconti fa in margine l'osservazione seguente :
« Lascerei come una inezia questo cenno sul Griso. Ha del
rettorico o per dir meglio del Tassesco:
Argante, Argante stesso ad un gran urto
Di Rinaldo abbattuto appena è surto.
Digitized by
Google
— 359 —
la liberazione di Lucia era l'argomento dei discorsi
di tutti quelli che s'incontravano; la gente si fer-
mava in crocchj a parlarne; un bravo che passasse
in veduta dei crocchj aveva tutti gli occhj addosso
a sé, e la espressione di tutti quegli sguardi era una,
quella dell'orrore. Tutti parlavano sicuramente della
pietà cheavevano provata, del timore che avevano avuto
per quella innocente, mettevano fuori i pensieri che
avevano compressi o comunicati sotto voce alla sfug-
gita, è trovando una conformità agli altri, sentivano
che a quei pensieri era unita una forza. La giustizia
aveva trionfato, il cielo s'era manifestato per l'inno-
cente, e questa manifestazione, che pareva una pro-
messa d'ajuto, accresceva ancor più l'animo di tutti.
Un potente scellerato aveva pubblicamente abjurata
col fatto la iniquità, e l'aveva cosi vilipesa e inde-
bolita nello stesso tempo. L'iniquità era conosciuta,
e perdendo un protettore terribile, aveva acquistato
un nemico pur terribile, un cardinale, un santo, un
nobile, uno che aveva mezzi di persuasione, di forza,
di autorità, di aderenze. Quello poi che rinforzava
l'effetto di tutte queste considerazioni era la notizia
sparsa che il Cardinale veniva a visitare anche quella
parrocchia, che si fermerebbe qualche tempo nei con-
torni, che vi sarebbe folla d'uomini condotti dallo
stesso sentimento pio, avverso alla ingiustizia. E già
si diceva che il castellano di Lecco, quello spagnuolo
per cui il Podestà aveva tanta stima, si disponeva
ad incontrare il Cardinale, in gran pompa, coi suoi
Digìtized by LjOOQ IC
— 360 —
soldati : tutta la forza, tutto lo splendore era per la
pietà e per la giustizia. Ognuno pensava che gli scel-
lerati avrebbero dovuto convertirsi come il Conte, o
perdersi d'animo e fuggire.
Don Rodrigo, dopo non breve esitazione, prese que-
st'ultimo partito. La violenza quando è assistita dalla
fortuna ama a mostrarsi, ella ha con sé come un ar-
gomento della sua bontà, o della sua ragionevolezza,
poiché ottiene il suo intento; ma quando è abban-
donata dalla fortuna, quando non valgono altri ar-
gomenti che quelli del diritto, del senso universale
della giustizia, che le mancano quando appare non
solo come ingiustizia, ma come sbaglio, allora la
violenza vorrebbe nascondersi anche a sé stessa. Don
Rodrigo pensava che cosa mai avrebbe potuto fare
di conveniente che stesse bene in quei giorni, e non
trovava nulla, nemmeno un soggetto di discorso con
chi venisse a visitarlo. E, d'altra parte, s'immagi-
nava bene che nessuno sarebbe venuto. Quei signori
che lo avevano adulato fin'allora, si sarebbero allora
avveduti ch'egli era un ribaldo, il Podestà doveva
in quei momenti far dimenticare le sue relazioni con
l'uomo, che avrebbe dovuto reprimere e punire; al
più il dottor Duplica (l), il quale non voleva mai
inimicarsi senza speranza un signore, sarebbe stato
(!) È il famoso Azzecca-garbugli, che prima chiamò
Bettola, poi Duplica. (Ed.)
Digìtized by
Google
- 36i -
quei giorni a poltrire in letto, per potergli dire un
giorno che una malattia gli aveva tolto il bene di
ossequiare il signor Don Rodrigo. Questi non ve-
deva così distintamente tutte queste disposizioni, ma
le sentiva confusamente come per istinto. D'altra
parte, come condursi col Cardinale? Tutti i signori
del contorno sarebbero andati a visitarlo, ed egli
rimanersi solo a casa? Che direbbe lo zio del Con-
siglio segreto ? Andare dinanzi al Cardinale, egli ?
gran Dio !
Ordinò dunque che tutto si apparecchiasse pel ri-
torno in città, e al più presto. Quando la carrozza
fu pronta, vi fece salire tre bravi : il Griso, come il
più terribile (l), fu posto all'avanguardia sulla serpe,
tutto armato; al resto della famiglia fu dato ordine
di venire a Milano l'indomani, e si partì. Dopo i
primi passi, Don Rodrigo vide coi suoi occhi la via
piena di viandanti che andavano in folla a Maggia-
nico, altri per vedere il Cardinale, per assistere alla
solennità : giovani, vecchi, benestanti e poveri in quan-
tità, che sapevano di non tornare con le mani vuote.
Guardò alla sfuggita e conobbe in un punto su tanti
volti quale era il sentimento universale per lui : fre-
mette, si promise di vendicarsi, ma s'accorse che la
menoma dimostrazione in quel momento poteva far
nascere una guerra della quale l'evento finale non
O Valente. [Postilla del Visconti].
Digìtized by
Google
— 3^2 —
sarebbe stato dubbio: dissimulò dunque, ritirò la
testa nella carrozza, guardò i suoi bravi e lesse sui
loro volti pallidi il desiderio di esser fuori di quella
processione e lontani dal paese. Sentì un romore
dietro, stette in silenzio, tendendo l'orecchio, e com-
prese che erano urli e fischj. Allora mormorò fra i
denti: vorrei che il Griso avesse giudizio, che non
mi facesse scene. Avrebbe voluto dare al Griso questo
consiglio della paura, ma la paura gli comandava di
non muoversi, di non farsi vedere, e stette in quella
ansietà inoperosa fino a che la carrozza, giunta al
punto dove la strada si divideva, imboccò quella che
conduceva a Milano e si separò dalla folla che te-
neva a Maggianico. Don Rodrigo e i suoi scherani
respirarono allora dallo spavento, ma i pensieri che
rimasero a Don Rodrigo non furono molto più se-
reni. Il cocchiere sferzò i cavalli per allontanarsi al
più presto, e tutti i viaggiatori, senza dir motto, lo
lodarono in cuore e si rallegrarono sentendo che la
carrozza andava velocemente, senza impedimenti, in
una strada solitaria. Buon viaggio (1).
(*) Quest' episodio è un brano del capitolo III del
tornò III. (Ed.)
Digìtized by
Google
XII.
Ritorno di Lucia al suo paese.
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
Ma se le accoglienze dei paesani di Lucia al Car-
dinale non poterono essere più clamorose, né più
calde di quelle che gli avevano fatte per tutto at-
torno, avevano però una espressione di una ricono-
scenza speciale, che Federigo potè distinguere : anzi
egli intese più d'una volta nelle benedizioni che gli
erano date, unito al suo nome suonare quello di Lucia.
Il buon vecchio tripudiò in cuore e per quella gioja
che dà sempre agli onesti il vedere l'espressione pub-
blica d'un sentimento onesto ed umano e perchè con
un tal favore del popolo gli parve che Lucia potesse
con sicurezza tornare, almeno per allora, a casa sua.
Ritiratosi pertanto, come abbiam detto, nella casa
di Don Abbondio, il Cardinale s'informò da lui e
da qualche altro prete su lo stato delle cose per rap-
porto a Lucia, e potè esser certo che ogni pericolo
era cessato per lei, giacché il suo gran nimico e gli
scherani di questo se n'erano iti con la coda tra le
gambe, e quand'anche fossero stati sfrontati a segno
di rimanere, i difensori di Lucia sarebbero stati dieci
Digìtized by
Google
— 366 —
volte in numero più del bisogno. Quando ebbe questa
certezza, Federigo ordinò che l'indomani di buon
mattino la sua lettiga andasse a prendere Lucia e la
madre, e impose all'ajutante di camera che si por-
tassero provvigioni di vitto alla casetta delle donne,
perchè le poverette e Lucia principalmente non pro-
vasse quei mancamenti e quei disagj che le avreb-
bero renduti increscevoli i primi momenti del ritorno,
e prolungato in certo modo il sentimento amaro del-
l'assenza.
All'indomani, alzatosi al solito di buon mattino,
attese il Cardinale alle consuete operazioni, s'intrat-
tenne alquanto col Conte del Sagrato, il quale non
aveva mancato di venire a quella stazione della vi-
sita, come negli altri giorni, poscia andò nella chiesa,
come era uso. Le funzioni non erano ancora termi-
nate, che Lucia giunse con Agnese alla soglia della
casetta paterna. Agnese aveva parlato per tutta la
strada; la sua gioja, pel ritorno trionfale, la gioja
di ricondurre salva a casa la figlia da tanti pericoli,
la gioja d'esser divenuta conoscenza di Monsignore
illustrissimo, l'aspettazione dell'accoglimento che le
farebbero i parenti, i conoscenti, tutti i paesani erano
sentimenti espansivi e distinti che si prestavano assai
bene alla sua loquacità naturale. Ma i sentimenti di
Lucia erano misti, intralciati, ripugnanti: erano di
quelli sui quali la mente s'appoggia con una insi-
stenza dolorosa per distinguerli e per assoggettarli ;
di quei sentimenti che non cercano di esser comu-
Digìtized by
Google
— 3^7 —
nicati, né trovano ancora la parola che li rappresenti.
Rivedeva ella la sua casa, quella dove aveva pas-
sati tanti anni tranquilli, che aveva tanto desiderato
e sì poco sperato di rivedere, ma quella casa che
non era stata per lei un asilo, quella casa dove aveva
data una promessa che non credeva di poter più at-
tenere, dove aveva tante volte fantasticato un avve-
nire, divenuto ora impossibile. Era terribilmente in
forse di Fermo : Agnese non le aveva potuto dire se
non quello ch'ella stessa sapeva confusamente ; che
Ferino, cioè, dopo il tumulto di Milano del giorno
di San Martino, aveva dovuto fuggire dalla città e
uscire dallo Stato per porsi in salvo. E quand'anche
Fermo fosse tornato tranquillamente, le ansietà di
Lucia si sarebbero cangiate, ma non avrebbero cessato,
perchè ella non poteva più esser sua. Tremava ancora
nel pensiero che Fermo potesse essere informato del
suo ratto, della sua prigionia, e non sapesse esatta-
mente com'ella aveva fuggito ogni pericolo ; la pove-
retta, mentre aveva rinunziato a Fermo, avrebbe vo-
luto ch'egli sapesse ch'ella era in tutta degna di lui.
Avrebbe voluto che Fermo fosse informato del voto
ch'ella aveva fatto, senza ch'ella glielo dicesse, che
egli l'approvasse con dolore, che non pensasse mai
ad altra, né più a lei, o per meglio dire, giacché
questa non era l'idea precisa di Lucia, avrebbe vo-
luto che Fermo facesse tutti i giorni una risoluzione
di non più pensare a lei ; che si fosse ben ricordato
che era suo dovere di dimenticarla. L'assenza del
Digitized by VjOOQ IC
- 368 —
Padre Cristoforo accresceva ed esacerbava tutti questi
cordoglj : le mancava l'ajuto e il consiglio; quegli a
cui ella confidava anche i mezzi pensieri, quegli le
cui parole la rendevano sempre più tranquilla e più
conscia di sé stessa. Quanto a Don Rodrigo, egli
era messo, almeno per qualche tempo, fuori del caso
di far paura, e la rimembranza di quest'uomo, trista
certo e orrenda per Lucia, non accresceva però le
sue inquietudini. Pensava però che Don Rodrigo sa-
rebbe tornato e rimasto e che il Cardinale non avrebbe
potuto sempre aver Pocchio sopra di lei per difen-
derla, e da questo pensiero deduceva la necessità di
trovare qualche dimora più sicura, e sperava che il
Cardinale stesso ne avrebbe tolto l' incarico.
Così, dopo d'avere abbracciata la zia, che l'ac-
colse piangendo, Lucia la lasciò con Agnese, che se
ne impadronì per raccontarle tante tante cose, e si ri-
tirò nella sua stanza.. Ivi, dopo d'aver ringraziato Dio
dell'averla ricondotta quivi, oltre e contra la speranza,
si mise a rivisitare tutte le sue masserizie, come per
provare se potesse ricominciare la sua vita passata;
ma non v'era oggetto nella casa, non v'era angolo
al quale non fossero associate idee divenute dolorose
e ripugnanti. Lucia prese come macchinalmente il suo
arcolajo e sedette a dipanare la matassa di seta che
aveva lasciata a mezzo quando Fermo venne a pi-
gliarla per la spedizione del matrimonio clandestino.
Dopo pochi momenti ecco giungere Perpetua
affannata a dire che Monsignore, tornato di chiesa,
Digìtized by
Google
— 369 —
aveva chiesto se Lucia era arrivata, e che udendo
di sì, aveva ordinato che fosse tosto chiamata. Il si-
gnor Curato poi, aggiunse Perpetua sottovoce, mi
ha imposto di dirvi, o Lucia, che vi ricordiate del
parere che vi ha dato a Chiuso: ehm? sapete? di
non dir nulla di quel tale affare; Agnese, m'inten-
dete? del matrimonio, guardatevi dal parlarne, perchè,
perchè i Cardinali passano e i curati restano. Le due
donne si guatarono in viso, come per dire l'una all'al-
tra: ora mò? non siamo più in tempo. Ma Agnese, fatta
una faccia tosta, disse a Lucia : certo non bisogna
dir nulla; e mettendo la bocca all'orecchio di Lucia
continuò: del matrimonio clandestino. Guaj, vedi, è
un guaj grosso. Lucia con queste due ingiunzioni,
l'una delle quali era ineseguibile, e l'altra poteva di-
pendere dalle domande che il Cardinale le avrebbe
fatte, s'incamminò, tutta pensierosa e agitata, con le
due donne, alla casa del curato. Per la via incontra-
rono la folla, che uscita dalla chiesa si diffondeva
nel contorno ; e Lucia fu accolta con acclamazioni (*),
e fermata ad ogni passo da saluti, fra i quali, ver-
gognosa, con gli occhi bassi e gonfj, entrò nella casa
parrocchiale, e fu tosto condotta nella stanza dov'era
Federigo, il quale la ricevè con le solite precauzioni.
(*) Lascerei queste righe, per dare maggiore brevità,
e perchè queste acclamazioni sono cosa troppo simile alle
altre in cui Lucia fu nominata plaudendo al Cardinale.
[Postilla del Visconti].
Alessandro Manzoni.
Digìtized by
Google
— 37o ~
Dopo alcune inchieste cortesi sul suo viaggio, sul
piacere ch'ella aveva provato nel rivedere la sua
casa, Federigo la interrogò di nuovo sull'affare del
matrimonio. Lucia dovette rispondere e raccontò tutta
la faccenda fino al clandestino, dove si fermò come
un cavallo che ha veduto un'ombra, e rista con una
sosta improvvisa é singolare, che non è quella solita
d'allora che è giunto al termine del suo viaggio. Fe-
derigo, che s'avvide di qualche cosa, domandò a
Lucia che risoluzione avesse presa ella, sua madre,
lo sposo quando si videro chiusa la via a quella
unione che desideravano e che chiedevano legittima-
mente. Agnese udendo questo, cominciò a far certi
visacci a Lucia, cercando di non lasciarli scorgere al
Cardinale (cosa non molto facile), e questi visacci
volevano dire : rispondi : niente, abbiamo aspettato
con pazienza. Lucia stava interdetta: Federigo, che
vedeva tutto — 1' avrebbe veduto un cieco nato —
disse ad Agnese, con un contegno tranquillo e serio :
Perchè non lasciate esser sincera la vostra figlia? e
volto a Lucia : parlate liberamente, continuò : Dio vi
ha assistita: dategli gloria con dire la verità. Lucia
allora spiattellò tutta la storia del clandestino, e la
narrazione divenne allora liscia, verisimile e ben con-
gegnata.
— Avete confessata una colpa, disse tranquilla-
mente Federigo: Dio ve la perdoni e.... a chi v'ha
dato una tentazione cosi forte di commetterla. Ma
d'ora in poi, buona figliuola, e voi, buona donna,
Digìtized by VjOOQ IC
— 371 —
non fate più di quelle cose che non raccontereste
volentieri.
Quindi passò a chiedere a Lucia dove fosse Fermo;
che ora il matrimonio poteva e doveva esser tosto
conchiuso.
Questo era un punto ancor più rematico. Le dirò
io.... cominciava Agnese, ma il Cardinale le diede
un'occhiata, la quale significava, ch'egli sperava la
verità più da Lucia che da lei, onde Agnese am-
mutì; e Lucia singhiozzando, rispose: Fermo, povero
giovane, non è qui ; s'è trovato in quei garbugli di
Milano e ha dovuto fuggire; ma son certa ch'egli
non ha fatto male, perchè era un giovane di timor
di Dio.
— • Ma che ha fatto in quel giorno? chiese ancora
il Cardinale: quale è la sua colpa?
— Non ne sappiamo di più, rispose Lucia.
Il Cardinale, giacché altri non v'era a cui do-
mandare, si volse ad Agnese, la quale, rianimata,
disse: Se volessi potrei inventare una storia per con-
tentare Vissignoria illustrissima, ma sono incapace
d'ingannare una gran persona, come Ella è; e non
sappiamo proprio niente di più.
— Dio buono ! disse il Cardinale : insidie, colpe,
sciagure, incertezze, ecco il mondo dei grandi e dei
piccioli. Ma voi, disse a Lucia, che pensate adunque
di fare intanto?
— Io, rispose Lucia, io vedo che il Signore ha
deciso altrimenti di me, che non mi vuole in quello
Digìtized by
Google
— 372 —
stato, e ho messo il mio cuore in pace. E se trovassi
dove vivere tranquillamente, fuor d'ogni pericolo;
se potessi esser ricevuta conversa in un monastero....
consecrarmi a Dio....
— Oh che furia! sclamò Agnese.
— Voi vi siete promessa, buona giovane, disse
Federigo: vi siete 'allora risoluta a promettere senza
riflessione, leggermente?
— Questo no, disse Lucia arrossando.
— Bene, disse Federigo, potrebbe ora dunque
esser leggiero il ritrattarvi. Se quest'uomo fosse in-
nocente, se potesse sposarvi, che mutamento è ac-
caduto nelle vostre relazioni? Nessun altro che una
serie di sventure ad ambedue, e non è questa una
ragione per separarvi. Questo non è il momento di
pigliare una risoluzione. Sospendete, fate ricerche,
aspettate che Iddio vi riveli più chiaramente la sua
volontà. L'asilo (l) intanto ve lo troverò io.
Lucia fu tentata più d'una volta di rivelare il
voto, ma una vergogna insuperabile la ritenne. Fe-
derigo l'assicurò che non sarebbe partito da quei
contorni prima d'avere stabilito qualche cosa per lei ;
e dopo qualche altra parola di consolazione e di av-
viso la lasciò partire con Agnese (*).
(*) Un asilo, caro Alessandro, pare che il Cardinale
voglia metterla in monastero a fare il noviziato. [Postilla
del Visconti].
(2j È un brano del capitolo IV del tomo III. (Ed.)
Digitized by VjOOQ IC
XIII.
Visita del Conte del Sagrato a Lucia.
Digitized by
Google
Digìtized by
Google
Abbiamo detto che il Conte del Sagrato era ve-
nuto ogni mattina a quella chiesa che il Cardinale
visitava in quel giorno. Stava alquanto con lui in
quell'ora di riposo che precedeva il pranzo, e poi
ripartiva. Ma in questo giorno egli era venuto con
un disegno, che fu cagione di farlo rimanere più tardi.
Sapeva il Conte che Lucia doveva tornare alla sua
casa : il Cardinale lo aveva informato di questo, anzi
gliene aveva chiesto consiglio : perchè, dove si trat-
tava di pericolo e di cautela, di bravi e di tiranni,
non v'era uomo più al caso di dare un buon consi-
glio (*) : e il Conte aveva confortato il Cardinale ad
(*) Il consiglio chiesto dal Cardinale mi piace, ma assai.
Rialza in un modo inaspettato il Conte dopo la sua con-
versione, lo rende sempre più vivo. Ma bada bene: che
il Cardinale aveva ordinato la lettiga subito dopo aver
parlato coi preti, e l'ultimo consiglio dev'essere quello
del Conte, come il più di peso. Non ti spiacerebbe di
soggiungere in quel luogo dopo le parole : Quando ebbe
Digitized by VjOOQIC
— 376 —
installare pure sicuramente Lucia nel suo pacifico al-
bergo. Prevedendo egli dunque che quel giorno Lucia
si sarebbe trovata dal Cardinale, non vi si presentò
all'ora consueta, ma stette nella chiesa, aspettando
l'ora in cui il Cardinale era solito di desinare, e
quando questa gli parve dover esser giunta, entrò
nella cucina, dove Perpetua stava in grandi faccende,
e le chiese, con umile affabilità, di potere ivi tratte-
nersi ad attendere che il pranzo fosse finito, per chie-
dere udienza a Monsignore. Chi entra in una cucina
in un giorno di cerimonie è sempre il mal venuto;
ma il Conte aveva una antica riputazione di ribalderia
e una recente di santità, ' che imposero anche a Per-
petua, la quale, per levarsi dattorno nel modo più
gentile quell'incomodo arnese, propose al Conte d'en-
trare nella sala del pranzo. — Si faccia avanti, dis-
sella, sulla mia parola : Monsignore la vedrà molto
volentieri; e anche il mio padrone e tutta la com-
pagnia: non faccia cerimonie.
Ma il Conte disse di nuovo che desiderava di
attendere ivi in un canto. Perpetua lo fece sedere al
posto d'onore della cucina, nel banco sotto la cappa
del cammino, dicendo : Vossignoria starà come potrà:
veramente avrebbe fatto meglio d'entrare coi signori,
questa certezza, nella quale fu riconfermato dall'opinione
d'un altro personaggio, di cui lasceremo per ora che il
lettore indovini il nome, Federigo ordinò, ecc.? [Postilla
del Visconti].
Digìtized by
Google
— 377 —
che quello è il suo posto : basta, com'ella vuole : mi
scusi se non posso fare il mio dovere a tenerle com-
pagnia, perchè oggi ho tante faccende : ella vede. Il
Conte sedette, ringraziò, e cavato un tozzo di pane(l),
che aveva portato con sé, si diede a mangiare. Quando
Perpetua vide questo, non lo volle patire. — Come?
un signore suo pari ! non sarà mai detto ch'ella faccia
questo torto alla mia cucina. Ecco, si serva, mangi
di questo: e lasci fare a me per mandare in tavola
il piatto senza un segno: non faccia complimenti:
che serve? — E come il Conte rifiutava, Perpetua
gli si avvicinò all'orecchio e gli disse a bassa voce :
— Via, signor Conte; che scrupoli son questi? so
quello che posso fare; la padrona sono io qui. — Ma
tutto fu inutile. Il Conte ringraziò di nuovo, e con-
tinuò a rodere ostinatamente il suo pane.
Quando poi da quello che accadeva in cucina
s'avvide che erano cessati i cibi e levate le mense,
fece chiedere udienza a Federigo, dal quale fu tosto
fatto introdurre.
— Monsignore, diss'egli, quando gli fu in pre-
senza, questo è un giorno di festa singolare per questo
paese e per voi: ma in questa allegrezza comune,
io, io ho una parte ben diversa da tutti gli altri ; il
gaudio puro e sgombro della liberazione d'una in-
(*) Tozzo di pane mi pare troppo da pitocco, direi un
pane. [Postilla del Visconti].
— 378 —
nocente non è per colui che l'aveva vilmente oppressa,
angariata. A me conviene dunque un contegno e un
linguaggio particolare ; lasciate che io faccia oggi la
mia parte; approvate che io vada ad implorare un
perdono da quella innocente, ch'io mi umilj dinanzi
a lei, che le confessi il mio orribile torto, e che ri-
ceva dalla sua bocca innocente dei rimproveri, che
non saranno certo condegni alla mia iniquità, ma che
serviranno in parte ad espiarla.
Federigo intese con gioja questa proposizione; e
pel Conte, a cui questo passo sarebbe un progresso
nel bene e una consolazione nello stesso tempo ; e
per Lucia, alla quale lo spettacolo della forza umiliata
volontariamente, sarebbe un conforto, un rincoramento
dopo tanti terrori; e pel trionfo della pietà, e per
l'edificazione dei buoni; e finalmente perchè una ri-
parazione pubblica e clamorosa attirerebbe ancor più
gli sguardi sopra Lucia, e sul suo pericolo (*), sarebbe
una più aperta manifestazione del soccorso che Dio
le aveva dato, la renderebbe come sacra, e così più
sicura da ogni nuovo attentato dello sciaurato suo
persecutore. Approvò egli dunque con vive e liete
parole la proposizione e aggiunse : — Dite : dite se
l'offesa la più ardentemente bramata, la più lunga-
(l) Lascerei e sul suo pericolo, che imbroglia; pare
che fosse attualmente in qualche pericolo per parte di
Rodrigo. [Postilla del Visconti].
Digìtized by
Google
— 379 —
mente meditata, la meglio riuscita reca mai tanta
dolcezza quanto una umile e volontaria riparazione?
— Ah! la dolcezza sarebbe intera, rispose il Conte,
se la riparazione potesse esserlo, se il pentimento, se
l'espiazione la più operosa, la più laboriosa potesse
fare che il male non fosse fatto, che i dolori non fos-
sero stati sentiti.
— Ma v'è ben Quegli, rispose Federigo, che
può far di più; che può cavare il bene dal male, dare
pei dolori sofferti il centuplo di gioja, fargli bene-
dire a chi gli ha sofferti. E quando voi fate per Lui
e con Lui quel poco che v'è concesso di fare, Egli
farà il resto: Egli farà che del male passato non
resti a quella poveretta che un argomento di rico-
noscenza e di speranza, e a voi di una afflizione umile
e salutare (').
Detto questo, il Cardinale chiamò il curato, e gli
impose che facesse avvisare Lucia del disegno del
Conte, e le dicesse ch'egli stesso la pregava di ac-
coglierlo. Partito il curato, Federigo richiese il Conte
che aspettasse tanto che Lucia potesse essere av-
vertita.
(*) Di fianco alla presente risposta di Federigo e alle
parole del Conte : Ah! la dolcezza, ecc. il Visconti scrisse :
« Lascerei questi due punti : non bisogna poi essere pro-
digo di riflessioni ascetiche in un Romanzo. Anche per
l'edificazione de* lettori — non ridere tu, sebbene io rida
di me stesso — è meglio presentare più che si può con
disinvoltura le idee Cristiane ». (Ed.)
Digitized by LjOOQ IC
— 380 —
Dopo qualche momento il Conte usci dalla casa
di Don Abbondio e s'avviò a quella di Lucia tra una
folla di spettatori, fra i quali era già corsa la notizia
di, ciò che si preparava.
La forza, che spontanea, non vinta, non strascinata,
non minacciata, si abbassa dinanzi alla giustizia, che
riconosce nella innocenza debole un potere, e domanda
grazia da essa, è un fenomeno tanto bello e tanto
raro, che beato chi può ammirarlo una volta in sua
vita. Quei buoni terrieri (in quel momento erano tutti
buoni) non si saziavano di guardare il Conte, lo se-
guivano, lo circondavano in tumulto, lo colmavano
di benedizioni. Tanta è la bellezza della giustizia:
per tarda ch'ella sia, innamora sempre quando è vo-
lontaria : quelli che dopo aver fatti patir gli uomini
si vendicano dell'odio loro, che gli tormenta, col fargli
patire ancor più, non pensano che quell'odio è pronto
a cangiarsi in favore, in riconoscenza, al momento
che una risoluzione pietosa, un ravvedimento, anche
senza confessione, faccia cessare i patimenti.
Il Conte camminava ad occhi bassi e col volto in-
fiammato, tutto compunto e tutto esaltato, che po-
teva sembrare un re condotto in catene al trionfo, o
il capitano trionfatore, e Don Abbondio camminava
al suo fianco e pareva... Don Abbondio.
Giunti alla casetta di Lucia, il curato fece entrare
il Conte, e con ambe le mani ritenne la folla, o al-
meno le comandò che si rattenesse, tanto che potè
chiuder l'uscio, e lasciarla al di fuori.
Digitized by
Google
- 38i -
Lucia, tutta vergognosa, condotta dalla madre, si
fece incontro al Conte, il quale, trattenendosi vicino
alla porta, nell'atteggiamento di un colpevole, le disse
con voce sommessa : Perdono : io son quello che v'Jia
offesa, tormentata: ho messe le mani sopra di voi,
vilmente, a tradimento, senza pietà, senza un pretesto,
perchè era un iniquo : ho sentito le vostre preghiere,
e le ho rifiutate: ho veduto le vostre lagrime, e son
partito da voi senza esaudirvi. Vi ho fatta tremare
senza che voi m'aveste offeso, perchè era più forte
di voi e scellerato. Perdonatemi quel viaggio, per-
donatemi quel colloquio, perdonatemi quella notte;
perdonatemi, se potete.
— S'io le perdono! rispose Lucia. Dio s'è ser-
vito di lei per salvarmi. Io ero nelle unghie di chi
mi voleva perdere, e ne sono uscita col suo ajuto.
Dal momento ch'ella m'è comparsa innanzi, che io
ho potuto parlarle, ho cominciato a sperare ; sentiva
in cuore qualche cosa che mi diceva ch'ella mi avrebbe
fatto del bene. Così Dio mi perdoni, come io le per-
dono.
— Brava figliuola! disse Don Abbondio, così si
deve parlare : fate bene a perdonare, perchè Dio lo
comanda ; e già quando anche non voleste, che utile
ve ne verrebbe? Voi non potete vendicarvi, e non
fareste altro che rodervi inutilmente. Oh se tutti pen-
sassero a questo modo, sarebbe un bel vivere a questo
mondo !
— È vero, disse Agnese, che questa mia pove-
Digìtized by VjOOQ IC
- 382 -
retta ha patito molto... ma bisogna poi anche dire
che noi poveretti non siamo avvezzi a vedere i signori
venirci a domandar perdono.
— Dio vi benedica, disse il Conte, e vi compensi
con altrettanta e più consolazione i mali che io vi
ho fatti, tutti quelli che avete sofferti. Indi soggiunse
titubando : Come sarei contento se potessi far qual-
che cosa per voi !
— Preghi per me, disse Lucia, ora ch'è divenuto
santo.
— Quello ch'io sono stato, lo so pur troppo
anch'io : quello ch'io ora sia, Dio solo lo sa, ri-
spose il Conte... Ma voi, in questa vostra orribile scia-
gura... in questa mia scelleratezza... non avete avuto
soltanto timori e crepacuori... La vostra famiglia...
una famiglia quieta e stabilita... i vostri lavori, l'av-
viamento... voi avete sofferti danni d'ogni genere...
se osassi... se osassi parlare di compensar questi, io
che v'ho fatto tanto male, che non potrò compensar
mai... ma Dio è ricco... frattanto datemi questa prova
di perdono... accettate, e qui cavò, con peritanza quasi
puerile^), un rotolo di tasca... accettate questa pic-
ciola restituzione... non mi umiliate con un rifiuto.
— No, no, disse Lucia: Dio mi ha provveduta
(*) Leverei la peritanza quasi puerile , per stare alle
parole del Ripamonti ; vorrei che avesse sempre il Conte
nostro qualche cosa di soldatesca [Postilla del Visconti].
Digitized by LjOOQ IC
- 3»3 -
abbastanza : v'ha tanti poverelli che patiscono la fame:
io non ho bisogno...
— Deh! non non rifiutate, replicò il Conte con
umile istanza: se sapeste ! questa somma... questo nu-
mero... pesa tanto in mano mia... e sarei tanto sollevato
se l'accettaste... Non mi farete questa grazia, per mo-
strarmi che m'avete perdonato? e vedendo che il
volto d'Agnese esprimeva il consenso che il volto e
le parole di Lucia negavano, presentò alla madre il
rotolo, implorando, pur con lo sguardo, il consenso di
Lucia (1).
— Grazie, disse Agnese al Conte; e tu, continuò
rivolta a Lucia, ora non parli bene. Questo signore
lo fa pel bene dell'anima sua, e noi poveri non dob-
biamo esser superbi. Così dicendo svolse il rotolo e
sclamò : Oro !
— Vostra madre ha ragione, disse Don Abbondio:
accettate quello che Dio vi manda, e se vorrete farne
del bene, non mancheranno occasioni. Così facessero
tutti ! Così Iddio toccasse il cuore a qualchedun altro
e gli spirasse di compensare anche me, povero prete,
delle spese che ho dovuto fare in medicine per quella
maledetta... Voleva dire paura, ma ebbe paura di
parlare imprudentemente e si fermò.
(l) Leverei implorando, ecc. per la ragione dianzi detta,
e perchè il Conte era uomo avvezzo ad agire, e chi è av-
vezzo ad agire fa addirittura. Doveva beneficare con quella
risoluzione con cui dava dapprima de' colpi di spada.
[Postilla del Visconti].
Digìtized by
Google
- 3»4 —
— Vi ringrazio della vostra degnazione, disse il
Conte a Lucia, e del vostro perdono. E se mai in
qualunque caso voi credete ch'io possa esservi utile,
voi sapete... pur troppo... dove io dimoro. Il giorno
in cui mi sarà dato di fare qualche cosa per voi, sarà
un giorno lieto per me : mi parrà allora che Dio mi
abbia veramente perdonato.
— Ecco che cosa vuol dire avere studiato ! disse
Agnese : appena Dio tocca il cuore, si parla subito
come un predicatore.
Lucia ringraziò pure il Conte, il quale, dopo d'aver
ripetute parole di scusa (l) e di umiliazione e di tene-
rezza, si congedò, uscì con Don Abbondio, e sulla
porta si divisero. Il Conte, tra le acclamazioni della
folla, prese la via che conduceva al suo castello, e
Don Abbondio tornò a casa.
Appena le due donne furono sole, Agnese svolse
il rotolo e in fretta in fretta si diede a noverare. Du-
gento scudi d'oro ! sclamò poi ; quanta grazia di Dio.
Non patiremo più la fame certamente.
— Mamma, disse Lucia, poiché quel signore ci
ha costrette ad accettare questo dono e ha preteso
che fosse una restituzione.... quei denari non sono
tutti nostri. Non siamo noi sole che abbiamo sof-
terti danni.... non sono io sola che abbia dovuto fug-
(*) Non sarebbe meglio, di pentimento e di affezione?
[Postilla del Visconti].
Digìtized by
Google
- 3«5 - .
gire, intralasciare i miei lavori. Io -sono tornata fi-
nalmente.... e se non istarò qui, ho almeno chi pensa
a me, chi non mi lascerà mancare di nulla.... Un
altro è lontano, e Dio sa quando potrà tornare. Mi
parrebbe di aver rubati quei denari, se almeno al-
meno non gli dividessi con lui.
— Glieli porterai in dote, disse Agnese, studian-
dosi di rotolare come prima gli scudi, che, facendo
pancia da una parte o dall'altra, sfuggivano dalle sue
mani inesperte.
— Non parliamo di queste cose, mamma, disse
Lucia sospirando; non ne parliamo. Se Dio avesse
voluto.... ah! le cose non sarebbero andate a quel
modo. Non era destinato che fossimo... non ci pen-
siamo per carità.
— Ma s'egli torna, voleva cominciare Agnese.
— È lontano, è profugo, ramingo... ah! c'è altro
da pensare : forse egli stenta, forse non ha pane da
mangiare. Forse con questo ajuto egli potrà collo-
carsi bene altrove, farsi un avviamento, uno stato...
— Ohe! disse Agnese, tu non pensi più a lui?...
— Penso a toglierlo d'angustia e di bisogno, ri-
spose in fretta Lucia. Questo lo possiamo fare; al
resto provvederà Iddio.
Agnese era onesta e buona, e per quanto le pia-
cessero quei begli scudi giallognoli, non avrebbe po-
tuto possederli con un contento puro e tranquillo
quando le fossero divenuti in mano un testimonio
di dura e bassa avarizia. Consentì ella dunque a desti -
Alessandro Manzoni. 25
Digìtized by VjOOQ IC
— 386 -
narne la metà a Fermo e promise a Lucia che avrebbe
cercato tosto il mezzo di farglieli tenere sicuramente.
Ma Agnese era rimasta colpita di quella nuova ras-
segnazione di Lucia all'assenza del suo promesso
sposo, e non lasciò di tentarla con interrogazioni di-
rette, tortuose, calzanti, subdole, pervenirne all'acqua
chiara. Lucia però seppe per allora e per qualche
tempo schermirsi dal soddisfare alla curiosità materna,
allegando sempre che era inutile il pensare a cose che
le circostanze rendevano impossibili (l).
(*) È un altro brano del capitolo IV. « La scena del
Conte merita un capitolo a parte », scrisse il Visconti in
margine al principio dell'episodio; soggiungendo: «In
questa porzione del Romanzo giovano, mi pare, i periodi
piuttosto brevi : e contenenti un oggetto solo, per quanto
si può. Dunque : Capitolo... (quello che sarà). // Conte del
Sagrato era venuto, ecc. » . Arrivato poi alle parole : ren-
devano impossibili, tornò a notare : « Qui finirei il capitolo.
Al seguente ci penserai tu, mentre vuoi cangiare, come
mi hai detto, il modo di mandare Lucia in quella casa di
signori ». (Ed.)
Digìtized by
Google
XV.
Cure del Cardinal Federigo per mettere
al sicuro Lucia.
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
Il Cardinale aveva risoluto di partire quella sera,
di là (!), per portarsi ad una parrocchia vicina ; ma
partiva cpl dispiacere di non avere ancora potuto
provvedere Lucia d'un asilo ; e quantunque tutto pa-
resse ivi sicuro per essa, pure il cuore del buon vec-
chio non era abbastanza tranquillo. Per avere la cer-
tezza che desiderava, egli non si rivolse a Don Ab-
bondio, perchè teneva per fermo (e nessuno dirà
ch'egli giudicasse temerariamente) che Don Abbondio
per rispondere Monsignor sì, o Monsignor no, avrebbe
consultato piuttosto 1* interesse e la sicurezza sua pro-
pria, che quella di Lucia. Commise egli adunque al
suo cappellano crocifero di aggirarsi fra il popolo e
di osservare lo stato delle cose, la disposizione degli
animi, di vedere se v'era rimasta in paese gente di
mala intenzione, se insomma si poteva partire col
cuore quieto, lasciando Lucia nel luogo dove alcuni
giorni prima non era stata sicura. Il cappellano fece
(') Dal paese di Lucia. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 39Q —
ciò che gli era stato imposto; parlò al sagrestano,
agli anziani, al console, e da tutti fu accertato che
nulla v'era da temere. Anzi, appena si ebbe sentore
di questa inquietudine del Cardinale, in un momento,
giovani e vecchj s'offersero di guardare la casa di
Lucia, con quella risoluzione, con queir ardore con
cui si veggono offrire le alleanze ad un principe vit-
torioso. — Son qua io, diceva l'uno — tocca a me,
diceva l'altro — io son cugino, gridava un terzo —
io, io che non ho paura di brutti musi, schiamaz-
zava il quarto, e così fino al centesimo. Non si sa-
rebbe potuto credere che Lucia pochi giorni prima
avesse dovuto fuggire segretamente da quello stesso
paese. Perchè costoro non si presentavano quando
v'era il bisogno? Eh! perchè v'era il bisogno.
Avuta questa sicurezza, il Cardinale partì, fa-
cendo ancora ripetere a Lucia ch'egli non si sarebbe
scostato da quei contorni prima d'aver provveduto
alla sua sorte. Infatti, egli andò sempre in quei giorni
ripensando al modo di compire questa sua opera e
ricercando in ogni persona, in ogni circostanza se
poteva farne un mezzo al suo benefico intento. A
forza di attendere e di ricercare, l'occasione si pre-
sentò. Visitando una di quelle parrocchie, ricevette
Federigo fra le altre visite, che accorrevano da ogni
parte, quella d'una famiglia potente di Milano,
che villeggiava in quelle vicinanze (!). Don Vale-
te A cominciare dalle parole : Visitando una di quelle
Digìtized by
Google
— 39i —
riano (l), capo di casa, Donna Margherita (2)> sua mo-
glie, Donna Ersilia, loro unica figlia, e Donna Bea-
trice, sorella del capo di casa, rimasta vedova nel
primo anno di matrimonio e ritornata a vivere riti-
ratamente in casa. Dei primi tre il Cardinale non
aveva conoscenza molto vicina: sapeva soltanto che
la famiglia, benché molto distinta, pure non faceva
terrore, che Don Valeriano non aveva riputazione di
soverchiante e di tiranno; e questo merito negativo
bastava in quei tempi a conciliare ad una famiglia
potente la stima e la fiducia dei più savj. Oltre di
che, Donna Beatrice era nota a Federigo assai più
da vicino; le abitudini di una vita tutta consecrata
alla pietà e alla assistenza dei poveri, le avevano data,
senza ch'ella se ne curasse, una riputazione di san-
parrocchie, ecc. fino a quelle : dalle zanne del lupo, con
cui ha fine questo tratto del Romanzo, il Manzoni die di
frego a ogni cosa,, scrivendo in margine : « Invece di questa
visita, ecc. sia Don Abbondio che avendo saputo come
Donna Prassede cercava una donna di servizio, suggerisca
ad Agnese di proporre Lucia ; e lo faccia per mostrare in-
teressamento, e per isbrigarsene nello stesso tempo. Agnese
vada da Donna Prassede, che villeggia a qualche miglio
di là e deve partire air indomani per Milano. Lucia è ac-
cettata. Il Conte e le conseguenze si raccontino nel capi-
tolo IX». (Ed.)
(*) Lo ribattezzò poi col nome di Don Ferrante. Quello
di Valeriano gli fu suggerito dal « gran Valeriano Casti-
glione », autore dello Statista regnante. (Ed.)
(2) Divenne poi Donna Prassede. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 392 —
tità, e il Cardinale, in più occasioni, incontrandosi
con essa nelle stesse intenzioni e nelle stesse occu-
pazioni, aveva avuto campo di accertarsi che quella
riputazione non era menzognera. Quando adunque
questa visita gli fu annunziata, propose egli di tro-
vare il modo che Lucia andasse in quella casa; ma
non dovette studiar molto a condurre il discorso do-
v'egli desiderava : perchè l'affare di Lucia era stato
tanto clamoroso, che Don Valeriano non mancò di
parlarne, per fare un complimento al suo liberatore.
Questi allora, dopo d'aver modestamente rifiutate le
lodi, ch'egli sapeva di non meritare, raccontando sem-
plicemente il fatto e togliendone tutto ciò che la
fama vi aveva aggiunto in suo onore, aggiunse che
però tutto non era finito, che quella povera giovane,
uscita da un tanto pericolo, non era pure in sicuro,
non aveva un asilo, e che certamente avrebbe com-
piuta una opera incominciata da Dio chi l'avesse rac-
colta. Don Valeriano guardò in faccia a Donna Mar-
gherita, la quale assentì con una occhiata : Donna Bea-
trice, non guardata da loro, gli guardò entrambi con
ansietà per vedere se avevano inteso, se avrebbero
fatto vista d'intendere: Donna Ersilia continuò a guar-
dare la croce del Cardinale, la porpora, a seguire
con l'occhio la mano, per osservare l'anello, che erano
le cose per le quali s'era fatta una festa di venire
a far quella visita. Don Valeriano offerse al Cardi-
nale di prendere Lucia al servizio della casa, o come
il Cardinale avrebbe desiderato. Il Cardinale accettò
Digìtized by
Google
— 393 —
lietamente : fece avvertire Lucia ed Agnese, le quali
vennero all'obbedienza : Lucia fu consegnata a Donna
Margherita e posta ai servizj di Ersilia. Don Vale-
riano fu molto contento d'avere esercitata una pro-
tezione : Donna Margherita di avere in casa una per-
sona, alla quale potè metter nome: quella giovane
che mi è stata affidata dal signor Cardinale arci-
vescovo; Donna Beatrice, di vedere in sicuro una
innocente, e di poterla soccorrere e consolare ; Donna
Ersilia, d'avere una donna al suo servizio con la
quale potere parlare senza che le fosse dato sulla
voce. Lucia pure fu contenta di avere una destina-
zione che la toglieva da quel contrasto doloroso tra
il voto e il cuore; Agnese, di vedere la sua figlia
in salvo e in casa di signori ; e finalmente il Cardi-
nale, di aver messa quella pecorella al sicuro dalle
zanne del lupo (*).
(*) È un brano anche questo del capitolo IV. (Ed.)
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
XVI.
Il tozzo di pane e il bicchier d'acqua del
Cardinal Federigo.
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
Prima però di staccarci da Federigo non possiamo
a meno di non raccontare un tratto accaduto nella
visita da lui fatta in quei contorni (*) ; perchè questo
racconto, quale lo troviamo nel nostro manoscritto
e altrove, serve assai a dipingere i costumi di quel
tempo, tanto lontani dai nostri e osservabilissimi per
una certa pienezza d'entusiasmo, per una esplosione
di sentimenti clamorosa, per un impeto veemente,
come troppo spesso al male, così pure qualche volta
verso ciò che era veramente stimabile. Oltre di che,
Federigo è personaggio tanto amabile, nelle sue
azioni anche le più comuni v'è sempre una tale espres-
sione di gentilezza, di bontà, che fa riposarvi sopra
la fantasia con diletto, e cogliere ogni pretesto per
rimanere il più che si possa in una tale compagnia ;
che se qualche lettore osasse dire che noi ve lo ab-
biamo trattenuto troppo a lungo, osasse confessare
(*) Nel paese di Lucia. (Ed,)
Digìtized by
Google
- 398 -
d'aver provato un momento di noja, bisognerebbe
concluderne delle due cose Puna: o che noi raccon-
tiamo in modo da annojare, anche con una materia
interessante, o che questo lettore ha un animo ine-
ducato al bello morale, avverso al decente, al buono,
istupidito nelle basse voglie, curvo all'istinto irra-
zionale. Ma il primo di questi due supposti è ma-
nifestamente improbabile a parer nostro. Veniamo
al racconto.
Dalle chiese delle quali abbiamo parlato si era
Federigo trasportato a visitar quelle della valle di
San Martino, che era allora nel dominio veneto e
nella diocesi milanese; e per tutto dov' egli si an-
dava fermando, oltre la folla dei parrocchiani, la
chiesa, la piazza, la terra formicolavano di moltitu-
dine accorsa dai luoghi circonvicini. In una di quelle
terre, avendo egli sbrigate nella sera stessa del suo
arrivo le principali faccende, aveva egli disegnato di
partire prima del pranzo, per giungere più tosto alla
stazione vicina. Era la chiesa, dov'egli si trovava,
posta sulla cima d'un lento pendìo, che terminava
in una vasta pianura. Celebrati i santi misteri, si
volse egli dall'altare per favellare al popolo, e sten-
dendo dinanzi a sé il guardo, che dalla elevazione
dell'altare poteva trascorrere, per la porta spalan-
cata, sul pendìo e nel piano sottoposto, vide, dalla
balaustrata del presbitero, nella chiesa, sul pendìo,
nel piano una calca non interrotta, come un sel-
ciato continuo di teste e di volti ; se non che,
Digitized by LjOOQ IC
— 399 —
al di fuori, quella superficie uniforme era interrotta
da tende alzate, che facevano parere quel luogo un
campo, o una fiera; guardando poi più fisamente,
scorse fra quella moltitudine abiti diversi di ricchezza
e di foggia, che dinotavano una varietà di condi-
zioni e di paesi. Chiese egli a chi lo serviva più
da vicino, che cosa volesse dire quel concorso; e
gli fu dettò, che era gente accorsa da tutta la dio-
cesi di Bergamo, e dalla città stessa, per vederlo,
per udirlo. E perchè, diss'egli, non gli accoglieremo
noi gentilmente come si conviene con ospiti? Quindi
dette alcune parole di insegnamento e di salute ai
popolani, che non avendo avuto viaggio da fare ave-
vano i primi occupata tutta la chiesa, propose loro
che facessero gli onori di casa e cedessero il luogo
a quegli estranei, che erano venuti da lontano per
sentire un vescovo. La voce corse tosto per la chiesa
e per lo spazio di fuori ; questi uscivano e cedevano
il luogo con pronta cortesia, quegli entravano con
ritegno e con rendimenti di grazie : contadini e si-
gnori parevano in quel momento gente bene edu-
cata. Cangiata a poco a poco l'udienza, il Cardinale
parlò a quei sopravvenuti come gli dettava la sua
abituale carità e la simpatia particolare che aveva
eccitata in lui quella ardente e comune volontà, la
quale egli si sforzava di credere attirata in tutto dal
suo ministero e per nulla da una inclinazione alla
sua persona. Terminato il discorso, benedisse egli
tutto quel concorso, lo accomiatò, e si dispose a par-
Digìtized by
Google
— 4°° —
tire. Salito sulla sua mula, si mosse col suo seguito,
in mezzo a quella moltitudine, ma dopo alquanto
viaggio, quando credeva d'abbandonarla, s'avvide
che la moltitudine lo seguiva. Si volse egli allora,
ristette in faccia a quella e la benedisse di nuovo,
come per congedarla ultimamente. Ma rimessosi in
via, s'accorse che non era niente, e che la proces-
sione continuava. Li fece pregare di ritornarsene e
di non aggravare inutilmente la stanchezza del cam-
mino già fatto, ma tutto fu inutile : gli era come un
dire al fiume torna indietro. Si erano già fatte più
miglia di cammino, l'ora era tarda, quando il Car-
dinale, che era digiuno e già da lungo tempo com-
batteva con la fame, sentendo mancarsi le forze e
visto che quel giorno gli era forza desinare in pub-
blico, si fermò sulla cima d'una salita, dove vide
spicciare una sorgente da una roccia che fiancheg-
giava il cammino e chiese, così a cavallo, che gli
fosse servito il pranzo. L'ajutante di camera tolse da
un cestello un- pezzo di pane e glielo presentò. Fe-
derigo lo prese, indi chiese che gli fosse riempiuto
un bicchiere a quella sorgente. Mentre questo si fa-
ceva, cominciò Federigo a banchettare, non senza
un qualche pudore per tutti quegli spettatori, e chiuse
il banchetto col bicchiere d'acqua, che gli fu porto.
Quando tutta quella folla vide quali erano le mense
d'un uomo così dovizioso e così affaticato, insorse
un grido di maraviglia, un gemito di compunzione :
e questi sentimenti crebbero quando, fra quegli ac-
Digìtized by
Google
— 4oi —
corsi, alcuni, i quali conoscevano più degli altri le
costumanze del Cardinale, affermarono che questo
era il suo solito pranzo quando doveva farlo in cam-
mino, e che quello che gli era imbandito in casa
non ne differiva di molto. I poveri si rimproveravano
la loro intolleranza nel disagio, i ricchi la loro in-
temperanza; e quivi tosto molti fra questi distribui-
rono ai bisognosi i danari che si trovavano in dosso.
Il Cardinale, così ristorato, pregò i più vicini che
finalmente tornassero e persuadessero gli altri a tor-
nare, e alzata la mano su tutta la turba, che egli
dominava da quella altura, la benedisse di nuovo,
stendendo poi verso di quella affettuosamente ambe
le mani in atto di saluto. La turba rispose con nuove
acclamazioni, e non osando più resistere al desiderio
di quell'uomo, si rivolse e tornò addietro. Federigo
proseguì il suo cammino.
Venga ora un uomo ben eloquente e si provi a
dare uno splendore di gloria a quel pranzo del Car-
dinale, a renderlo un soggetto frequente di ammi-
razióne e di memoria; non gli verrà fatto. È forse
da dire che queste virtù di semplicità e di tempe-
ranza non danno mai alla fantasia degli uomini di
che ammirare? non già, poiché si parla tuttavia delle
magre cene di quel Curio mal pettinato, come lo
chiamò Orazio ; è viva e comune la memoria del sa-
lino di Fabricio e del suo piattello, sostenuto da un
picciuoletto di corno. E perchè dunque il tozzo di
pane di Federigo e il suo bicchier d'acqua non po-
Alhssandro Manzoni. 26
Digìtized by VjOQQ IC
— 4°2 —
tranno ottenere una simile immortalità di gloria? Se
alcuno ha in pronto una cagione ragionevole di questa
differenza, la dica; per me non ho potuto trovarne
che una, ed è: che il cardinale Federigo non ha
mai ammazzato nessuno. La più parte degli uomini,
parlo degli uomini colti, non consente ammirare le
virtù frugali ed astinenti che in coloro i quali ec-
citano con virtù feroci un'altra ammirazione di ter-
rore: non risguarda quelle come virtù, che quando
sieno unite ad un profondo sentimento d'orgoglio
e di disprezzo per qualche parte del genere umano.
Se quel tozzo di pane fosse stato mangiato da un
generale in presenza di ventimila cadaveri, sarebbe
in tutti i discorsi, in tutti i libri; nessun fedele
umanista avrebbe potuto evitare di farvi sopra al-
meno una amplificazione in vita sua. Eppure, la
ragione dice che quel tozzo di pane, solo cibo d'un
uomo che avrebbe potuto nuotare nelle delizie, e
che se ne asteneva per un sentimento profondo
della dignità umana, e per dar pane a chi ne man-
cava; quel tozzo di pane, mangiato tra le fatìche
d'un ministero di misericordia, di pace ' e di pietà,
dovrebb' essere una rimembranza più cara agli uo-
mini che non quel salino e quel piattello, che co-
priva la mensa d'un uomo, che era sobrio per po-
tere esser forte contra gli uomini (*); che si accon-
(!) Segue, cancellato : « che nella sua povertà privata,
godeva della potenza soverchiatrice, della cupida ambi-
zione ». (Ed.)
Digitized by VjOOQ IC
403
.tentava di essere un povero Fabricio, perchè fosse
un potente Romano. Le idee di cui si componeva
il sentimento temperante di questo erano superbe,
ostili, sprezzanti, superficiali (*); quelle di Federigo,
umane, gentili, benevole, profonde. In quello stesso
convito di Pirro, dove Fabricio dette quelle prove
della sua fermezza e della sua astinenza, lasciò egli
trasparire manifestamente quel suo animo: ivi, all'u-
dire le dottrine epicuree esposte da Cinea, disse egli
quelle atroci parole, tanto lodate dagli antichi, e, chi
lo crederebbe? dai moderni (2): Oh Ercole! (il santo
era degno del voto) oh Ercole ! diss'egli, fa che queste
dottrine sieno ricevute dai Sanniti e da Pirro fin
tanto che saranno nemici del popolo romano. Ma il
nostro mangiator di pane avrebbe avuto orrore di
sé, se avesse potuto anche un momento desiderare
(*) Segue, cancellato : « superficiali : se fossero diven-
tate comuni, se molti uomini di tutte le nazioni le aves-
sero ricevute e messe in pratica, fossero divenuti virtuosi
come Fabricio, vi sarebbero state molte nazioni forti per la
loro temperanza e avide di dominare, le qua[li]. (Ed.)
(*) Di fianco al periodo, che incomincia colla parola :
superficiali e che termina qui, il Manzoni segnò una linea
e scrisse in margine : « Direi, se si può, che quelle idee
adottate universalmente avrebbero prodotti uomini poveri
e forti e ambiziosi : non migliorato il mondo, etc. queste
invece avrebbero introdotta una equa e pacifica distribu-
zione delle cose necessarie, poveri soccorsi e ricchi asti-
nenti : cresciuta la pazienza a misura che ne sarebbe sce-
mato il bisogno». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 404 —
la perversità ai suoi nemici, ai nemici del suo po-
polo. Egli desiderava la giustizia, la fortezza, la so-
brietà a tutti, la desiderava per loro, per sé, per la
gloria del Dio di tutti, la desiderava, e tutta la sua
vita fu spesa a promuoverla. La sua benevolenza non
era nazionale, né aristocratica, egli non aveva bisogno
di odiare una parte del genere umano per amarne
un'altra : si faceva povero non per insultare, non per
dominare, ma per dividere la condizione dei suoi
fratelli poveri e per migliorarla. A dispetto di tutta
la storia, di tutta la morale, di tutta la rettorica, Fe-
derigo Borromeo era più grand* uomo che Fabricio,
o, per meglio dire, Federigo era veramente gran-
d'uomo, per quanto un sì magnifico epiteto può stare
con un sì misero sostantivo Q.
(') Col racconto di questo episodio della vita del car-
dinal Federigo ha termine il capitolo IV del tomo III
della prima minuta. (Ed.)
Digìtized by
Google
XVII.
La carestia del 1628 — Ragioni, rimedi
e moti dell'opinione pubblica nelle ca-
RESTIE.
Digitized by
Google
Digìtized by
Google
Era quello il secondo anno di scarso raccolto :
nel primo era stata piuttosto scarsità che carestia:
le provvigioni rimaste degli anni grassi antecedenti
avevano supplito tanto o quanto al difetto di quello
e la popolazione era giunta al nuovo raccolto non
satolla e non affamata, ma certo affatto sprovveduta.
Ora, il nuovo raccolto, nel quale erano riposte tutte
le speranze, fu scarso, come abbiam detto, e lo fu
d'assai più del primo, in parte per maggiore con-
trarietà delle stagioni, e in parte per colpa orrenda
degli uomini. Si guerreggiava allora in Italia, e non
lontano dal Milanese, il quale si trovò soggetto ad
alloggiamenti di truppe e a gravezze straordinarie.
Queste furono tanto intollerabili, e le estorsioni, le
rubberie, il guasto della soldatesca portati a tal segno,
che molte possessioni erano rimaste abbandonate,
molte campagne incolte, e molti contadini erano andati
accattando quel vitto che avrebbero procacciato a sé
e ad altri col lavoro delle loro braccia (1). E dove
(!) Lampugnano, La pestilenza seguita in Milano, Mi-
lano, 1634, pag. 19. [Nota del Manzoni].
Digìtized by
Google
— 408 —
pure s'era coltivato, le seminagioni erano state scarse,
perchè l'agricoltore, tentato dall'urgente bisogno,
aveva sottratta e consumata una parte e la migliore
del grano che doveva esser destinato a quelle. Ot-
tenuto appena il raccolto, la guerra stessa, che era
stata la principale cagione a renderlo scarso, fu la
prima a divorarne una gran parte. Le depredazioni
parziali, le provvigioni per l'esercito, e lo sprecamento
infinito delle une e dell'altre fecero tosto un tale squar-
cio in quel misero raccolto, che la fame fu preveduta,
quasi sentita sotto la messe stessa. I territorj che
circondano il Milanese, in parte afflitti dalla guerra,
e tutti dalla sterilità comune di quell'anno, non la-
sciavano speranza di cavarne ajuto di viveri. Sorse
quindi quel sentimento di ansia e di terrore nei più,
di gioja avara e crudele in alcuni, che nasce da una
cognizione confusa, ma viva, della sproporzione tra
il bisogno di nutrimento e i mezzi di soddisfarlo,
tra il grano e la fame : e questo sentimento produsse
il suo effetto naturale, inevitabile: la ricerca premu-
rosa, e l'offerta stentata del grano; quindi il rinca-
ramento.
Questa sproporzione è uno di quei mali che spa-
ventano la terra, perchè pesano ad un tempo sur una
moltitudine: quando un tal male esiste, i migliori
mezzi per alleggerirlo, (giacché toglierlo non è in
potere dell'uomo) sono tutte quelle cose che possono
diffonderlo più equabilmente, farne sopportare al mag-
gior numero, a tutti i viventi, se fosse possibile, una
Digìtized by VjOOQlC
— 4Q9 —
picciola porzione, affinchè a nessuno ne tocchi una
porzione superiore alle forze dell'uomo; fare che quel
male sia un incomodo per tutti, piuttosto che l'an-
goscia mortale per molti, e la morte per alcuni.
Quindi il primo, il più certo e il più semplice mezzo
di alleggiamelo comune è l'astinenza volontaria dei
doviziosi, che si privino di uria parte di nutrimento
per lasciarne di più alla massa del consumo univer-
sale. Poi tutto quello che può aumentare nelle mani
degl'indigenti i mezzi di acquistarsi il vitto, in pro-
porzione dell'aumento delle difficoltà, cioè del rin-
caramene. Aumento quindi delle mercedi, e nuovi
guadagni offerti per mezzo di nuovi lavori ai molti
a cui cessano in quelle circostanze i lavori e i gua-
dagni usati. Questo mezzo però sarebbe uno scarso
rimedio, sarebbe anzi un accrescimento del male, se
non fosse accompagnato dalla cura attenta, assidua
di somministrare il vitto anche a quei molti che per
debolezza, o per infermità, non lo possono ottenere
col lavoro: si avrebbero allora dei lavoratori ben nu-
triti e degli impotenti morti di fame : e la beneficenza
sarebbe crudele per molti (1). A questi ultimi non
si può provvedere altrimenti che con l'elemosina,
tanto sapientemente comandata dalla religione : quella
(*) Quest'inciso, mi pare, imbarazza la serie delle idee,
massimamente perchè beneficenza significa più diretta-
mente dono gratuito, che una ricerca di lavoro. [Postilla
del Visconti].
Digìtized by
Google
— 4io —
elemosina di cui molti scrittori hanno enumerati e
censurati amaramente gli abusi. Né a torto ; poiché
é utile scoprire e censurare gli abusi dovunque s'in-
trudano: è però cosa trista e dannosa che in sog-
getto di tanta importanza non si sieno quasi consi-
derati che gli abusi ; e sarebbe da desiderare che al-
cuno pigliasse la bella e forse nuova impresa di
ragionare del buon uso della elemosina, di mostrare
convella sia uno dei mezzi più potenti, più semplici,
e certo più irresponsabili a tutti quei fini (l) che si pro-
pone una saggia e ragionata economia pubblica.
Questi, che abbiamo accennati, sono certamente i
principali e più sicuri rimedj alla penuria delle sus-
sistenze ; e quando si fossero posti in opera, il meglio
da farsi sarebbe sopportare quella parte inevitabile
di patimento con tranquillità e con rassegnazione,
giacché tutte le ire, tutte le declamazioni, tutti i falsi
ragionamenti non ponnò far nascere una spiga di fru-
mento, né accelerare di cinque minuti il nuovo rac-
colto, che deve mettere alla disposizione degli uomini
una nuova massa di sussistenza.
Ma, oltre i mezzi per render tollerabile quel male,
ve n'ha pur troppo, e moltissimi, per esacerbarlo, per
accrescerlo, per rendere più trista e complicata una
situazione che lo è già tanto per sé ; e questi mezzi
(*) A molti di quei fini, se non m' inganno. [Postilla
del Visconti].
Digìtized by
Google
— 4H —
sono stati, per l'ordinario, più adoperati dei primi, e.
si possono ridurre a due capi principali : le idee del
popolo, e i provvedimenti dei magistrati. Nella epoca
di cui parliamo, le idee e i provvedimenti concorsero
potentemente a produrre quel tristo effetto in un grado
singolare.
Nei tempi di carestia, là carestia è il soggetto di
tutti i discorsi : fatto ben naturale, ma degno di molta
osservazione e di commento. Tutti ragionano delle
cause del male, tutti propongono i veri rimedj, tutti
dissertano di principj generali, di commercio, di mo-
nopolio, di accapparramento, di importazione, di espor-
tazione, di circolazione. Ma la maggior parte non si
è occupata mai in vita sua di questa materia: i primi
pensieri sono giudizj, e V applicazione dei principj
precede alla ricerca di essi. Guaj allora a quegli che
hanno pensato a questi principj nel tempo in cui nes-
suno vi pensava ; guaj a quegli che danno più degli
altri un senso preciso a quelle parole che tutti pro-
feriscono; guaj a quegli che hanno esaminati con una
vista generale i fatti che sono l'argomento della di-
scussione comune ! Essi soli non sono ammessi a par-
lare: essi debbono vedere pazientemente discorrere
i sofismi precipitati e baldanzosi della ignoranza,
perchè chi può fermare il sofisma? la ragione in bocca
loro è paradosso, e quando non si avesse altro da
opporle, basterebbe quella accusa che le si fa di es-
sere stata sui libri. La parola che suona alto, che
signoreggia in quelle dolorose circostanze è quella
Digìtized by
Google
— 412 —
della irriflessione: ma cessata la carestia, cessano tutti
i discorsi; nessuno ne vuol più parlare, né sentire a
parlare: i libri, se quell'epoca ne ha prodotti che
trattino di quella materia, sono per lo più un soggetto
di contraddizione per un momento, e rimangono
dopo quasi dimenticati : la società è in quel caso si-
mile ad un povero scapestrato, il quale, trovandosi
all'estremo, non ha parlato d'altro che di novissimi
e di penitenza ; convalescente, accoglie ancora il prete
per urbanità; guarito, allontana da sé tutti i pensieri
di quel momento del terrore.
Cessi il cielo che alcuno rinfacci ostilmente l'igno-
ranza ad un popolo che non ha mai avuto maestri,
né ozio ; l'irritazione fanatica ad un popolo che non
trova pane col suo lavoro. Ma quegli che meritano
rimproveri acerbi e severi, quégli che per utile loro
e d'altrui vorrebbero essere sborbottati come ragaz-
zacci capar bj, tanto che si correggessero, sono co-
loro, i quali potrebbero meditare a loro agio sui fatti
simili, esaminare le conseguenze, i giudizj, i sistemi
che ne hanno cavati gli scrittori, pesare le osserva-
zioni e le opinioni, e procacciarsi così una opinione
ragionata; e non lo fanno mai; ma, al momento del
serra serra, escono in campo a sentenziare furiosa-
mente, cominciano a pensare con la voce e studiano
dalla cattedra, coprono, vilipendono, calunniano le
voci che nascono da un antico pensiero, ripetono in
un linguaggio meno incolto e più strano i giudizj
storti, le idee appassionate del popolo, e diffondono
Digìtized by
Google
— 413 —
ed accrescono la stortura e la passione, si oppongono
ferocemente a tutti quei raziocinj che potrebbero il-
luminare l'opinione dell'universale sulla natura e sulla
misura del male, ricondurre gli spiriti ad una rifles-
sione più tranquilla, e stornare quelle risoluzioni che
lo peggiorano : e infervorati in queste degne imprese
non si spaventano col pensiero della loro ignoranza;
anzi ne cavano argomento di gloria e di fiducia; e
a tutte le obiezioni, (o alla metà delle obiezioni, perchè
di rado lasciano terminare una frase ad un galan-
tuomo) rispondono con quell'inverecondo sproposito:
noi non vogliamo teorie; non riflettendo nemmeno
che quelle che essi sputano tutto il dì sono pur teorie ;
diverse da quelle dei loro avversarj, in ciò soltanto
che non sono fondate sulla cognizione, o almeno sulla
ricerca dei fatti.
Le storture del popolo e di questi che abbiamo
detto intorno alla carestia sono molteplici per sé, e
infinite nelle loro applicazioni e nei loro rivolgi-
menti ; molte si possono vedere enumerate in alcuni
libri che le hanno esaminate e ribattute con più sa-
gacità e pazienza che profitto; ma si possono forse
ridurre a due capi principali. Il primo è l'opinione
che il male non esista, che il difetto di sussistenze
sia soltanto una apparenza, nata da combinazioni per-
fide degli uomini. Questa opinione viene sempre
espressa e ripetuta con una formola concisa, come
tutte quelle che racchiudono un errore o un equi-
voco: il grano c'è. Proposizione ambigua, che può
Digitized by
Google
— 414 —
intendere una verità fatua e inconcludente, o una af-
fermazione temeraria e fanatica. Poiché se con quelle
inconsiderate parole si vuol dire che esiste una in-
determinata quantità di biade, si dice il vero, ma
che cosa s'insegna? che cosa si vuol concludere?
quella non è, né può essere la questione. Ognun sa
che i grani si raccolgono una volta l'anno, o a certe
distanze, e che si consumano alla giornata : tra l'un
raccolto e l'altro ci debbe dunque esser grano più
o meno: se non ce ne fosse assolutamente, non si
parlerebbe più di stentare, ma di morire, e tutti, e
in pochi giorni. Se poi dicendo: il grano c'è, s'in-
tende (come s'intende) che ne esista una quantità
eguale al consumo ordinario, proporzionata al bi-
sogno, o al desiderio della popolazione; come mai
una tal cosa si afferma senza conoscere, senza poter
conoscere, senza cercar di conoscere il fatto su cui
si forma il giudizio: la quantità del grano esistente?
Eppure un fatto, che con le più minute indagini, coi
calcoli più scrupolosi, con l'esame il più freddo non
si conosce mai con precisione, è continuamente af-
fermato con sicurezza, senza indagini, senza calcoli,
senza esame : un fatto, che appena si può conoscere
approssimativamente per gli indizj del prezzo, della
ricerca, della distribuzione, del consumo, si afferma
assolutamente contra la testimonianza di tutti questi
indizj.
L'altra stortura, conseguente da questa, e pur ma-
dornale, è nel supporre che il male sia il caro prezzo
Digìtized by
Google
— 415 —
del grano: mentre questo non è che un effetto del
male vero, la sproporzione tra il grano e il bisogno;
è un effetto, e un doloroso, deplorabile, funesto,
acerbo, accumulate quanti epiteti vorrete, non sa-
ranno mai troppi: ma il sostantivo è: rimedio. Il
caro prezzo è un rimedio, considerato parzialmente
per un territorio, perchè vi attrae il grano dai paesi
dove è meno scarso, e quindi a minor costo: è un
rimedio considerato generalmente, perchè, forzando
pur troppo migliaia d'uomini a diffalcare una parte
del consumo ordinario, è cagione che si risparmj, si
distribuisca per tutto l'anno fino al raccolto la scarsa
e mancante vittovaglia. Se una forza qualunque po-
tesse illudere, addormentare fino alla fine tutti i ter-
rori, tutte le cupidigie, di modo che in un anno,
scarso generalmente, il prezzo rimanesse basso come
negli anni abbondanti, ne avverrebbe certamente che
il consumo, fin che grano vi fosse, sarebbe eguale a
quello degli anni abbondanti : si viverebbe lietamente
a discrezione per qualche tempo: e l'ultimo effetto
di questo terribile beneficio sarebbe di fare sparire
tutta la provvigione qualche mese prima del raccolto.
Il linguaggio di coloro che hanno ben fitte in
testa queste due storture è accetto al popolo, che pa-
tisce ; e la cosa è troppo naturale : non riconoscendo
il male nella natura delle cose, attribuendolo tutto
alla perversità umana, essi mostrano nello stesso tempo
una compassione, che pare più sincera per chi soffre,
un grande orrore per chi fa soffrire, e fanno sempre
Digitized by VjOOQ IC
— 416 —
intravedere la possibilità d'un rimedio pronto ed as-
soluto. Ma quegli i quali veggono chiaramente la
realtà del male, non hanno cose gradite da dire a
chi lo sopporta; poiché chi, dopo d'aver suggeriti
alcuni rimedj per minorare il male, confessa che
molto è senza rimedio, e raccomanda la rassegna-
zione, può difficilmente far credere che compatisce
chi nega all'addolorato che la causa prima, unica
del suo dolore, sia nella volontà scellerata di alcuni;
converrà che abbia ben fama di onesto e di umano
perchè l'addolorato si contenti di crederlo cieco e
insensato, e non lo chiami atroce, fautore, complice
di quelli che creano il dolore. Sono i chiaroveg-
genti, in quel caso, come un medico, che giunga
al letto d'un infermo circondatò da una famiglia
amante e ignorante, dove si trovi un ciarlatano il quale
assevera che il male è tutto nella cecità, o nella im-
postura dei medici, e ch'egli tiene un'ampollina dov'è
la salute. Se il medico, il quale vede che la ma-
lattia è incurabile, si lascia uscire dalla chiostra dei
denti questo suo parere, la famiglia lo riguarderà
come un pazzo crudele che desidera di veder morire
le persone.
Queste false idee che, a malgrado di tanti scritti
ragionati e dell'aumento di tante cognizioni, vivono
tuttavia latenti e come addormentate nella mente di
moltissimi, pronte a ricomparire quando una penuria
(che Dio tenga lontana) dia loro occasione di mo-
strarsi, erano ben più universali, più pertinacemente
Digitized by LjOOQ IC
— 417 —
tenute, più furibondamente applicate nei tempi della
nostra storia, nei quali l'ignoranza era tanto più ge-
nerale, e la scienza, che era pure di pochi, consisteva
in un peripateticismo, inteso come si poteva e appli-
cato come si voleva a tutte le quistioni possibili di
ogni genere, in tempi in cui non esisteva ancora l'eco-
nomia politica, voglio dire la scritta e ridotta in trat-
tati, perchè l'economia politica di fatto esiste nella
società necessariamente, più o meno spropositata.
Gli sventurati abitanti della campagna avevano
veduta la scarsità del raccolto, avevano vedute e sof-
ferte le atroci dissipazioni della soldatesca, e gli sven-
turati abitanti della città le avevano pure intese rac-
contare : ma quando la carestia cominciò a farsi sen-
tire, né gli uni, né gli altri volevano accagionare di
un tanto male una causa passata e irrevocabile. Come
se non avessero veduto nulla, o tutto dimenticato,
essi attribuivano il caro prezzo soltanto alla crudele
ingordigia di quegli che possedevano il grano. E una
circostanza speciale avrebbe dovuto pure avvertirli
di esaminare più freddamente, se l'esame freddo fosse
possibile in quei casi. L'anno antecedente era pure
stato scarso; e si era per tutto quell'anno gridato
contra gli accapparratori come contra la sola cagione
della carezza ; si era detto che il grano abbondava,
ma era tenuto chiuso, stivato, murato nei granaj degli
avari. Ora l'anno era passato, si era fatto il nuovo
raccolto ; sarebbe stata cosa molto naturale ricercare
se quel grano era stato finalmente venduto, o no.
Alessandro Manzoni. 27
Digìtized by
Google
— 418 —
Nel primo caso, avrebbero dovuto gli uomini con-
chiudere che sbrano dunque ingannati nell'affermare
che il grano abbondava, poiché s'era venduto a caro
prezzo fino al raccolto, appena aveva bastato. Che
se il grano dell'anno antecedente non era venduto,
esisteva dunque; i capitali degli avari, i granaj erano
occupati; come dunque potevano essi fare ancora
nuove incette? Ma la popolazione, sfogando sempre
il suo dolore con imprecazioni, non pensava che le
ultime contraddicevano alle prime. Si diceva anche
che molti accapparravano i grani per ispedirli in altri
paesi; e in questi altri paesi si gridava che i grani
erano spediti a Milano. Tutti quelli che ne possede-
vano erano oggetto di minaccia e di abbominazione :
i possessori che non lo vendevano erano tiranni;
quegli che lo comperavano per rivenderlo, mostri ad-
dirittura; i fornaj che ne facevano provvista, scelle-
rati che volevano ritirarlo dal commercio e imporgli
il prezzo che sarebbe piaciuto alla loro avidità. Che
ognuno provvedesse la quantità che poteva essergli
necessaria fino al raccolto, era cosa impossibile. Quindi
se la popolazione avesse voluto o potuto rendersi un
conto esatto delle sue idee e dei suoi desiderj, avrebbe
trovato eh* ella voleva che il grano non fosse in
nessun luogo. Il prezzo, straordinario al momento
stesso del raccolto, crebbe nell'autunno, crebbe straor-
dinariamente al cominciare dell'inverno, e col prezzo
crebbe il fremito e il clamore del popolo, il quale
accusava già apertamente i magistrati di negligenza,
anzi di connivenza, con coloro che lo affamavano.
Digitized by VjOOQ IC
— 419 —
Non è però da dire che i magistrati non facessero
dalla parte loro molti spropositi ; ma questi erano, in
numero e in grossezza, ancora ben lontani dai desi-
derj e dalle richieste del popolo. Il maneggio delle
cose forza a riflettere anche quelli che sono più ne-
mici della riflessione; e chi deve operare o coman-
dare direttamente scorge talvolta, anche a mal suo
grado, anche chiudendo gli occhi, V impossibilità o
l'assurdità d'un provvedimento che è domandato con
furore dai molti che lo stimano giusto, e lo credono
agevole. Oltre di che, l'effetto immediato di quegli
spropositi era di esacerbare la condizione universale ;
si sentiva crescere il male ; e l'aumento si attribuiva
non già alla efficacia funesta degli spropositi fatti,
ma al non farne abbastanza (l). Era stato tassato il
prezzo massimo del riso a lire quaranta imperiali il
mòggio per la città di Milano (8) : la conseguenza
fu che quegli che possedevano riso e potevano ven-
(*) Qui il Manzoni aggiunse, in margine, ma poi can-
cellò : « Gli uomini facevano allora quello che pur troppo
hanno fatto quasi sempre. Dicono intollerabile la sventura
quando è ancora in picciol grado, la rassegnazione sembra
loro impossibile quando è ancor facile: s'ingegnano tanto
che la rendono più grave, e che la spingono talvolta ad
un segno, in cui non resta più nemmeno ad essi la forza
necessaria per essere impazienti, ed hanno, ben più della
rassegnazione, lo stupore », (Ed.)
(2) Il Manzoni vi ha scritto di fianco : « Grida del 2 Ago-
sto 1628 ». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 420 —
derlo a molto maggior prezzo per tutto 'altrove, non
ne spedirono più un grano alla città; e questa si
trovò senza riso. Altro editto che* tassa il riso allo
stesso prezzo massimo per tutto lo Stato : altra con-
seguenza, che i possessori ricusino di vendere ad un
prezzo comandato quella merce a cui la rarità ne ha
assegnato un maggiore. Ordine di vendere il genere
a chiunque ne offra il prezzo tassato: industria dei
possessori a nasconderlo, per poter rispondere : non
ne ho. Pene severe, indeterminate, arbitrarie a chi lo
nasconde: nuova industria, nuovi aguzzamenti d'in-
gegno, nuovi trovati per evitare le pene senza esser
danneggiato. Comparvero allora, come dovevano com-
parire, di quegli uomini i quali conoscono a perfe^
zione l'arte di eludere gli editti, arte tanto più fa-
cile, quanto più gli editti sono assurdi. Costoro,
osservato lo stato delle cose, fatte le loro ragioni,
trovarono che comperando il riso ad un prezzo molto
maggiore dell'assegnato arbitrariamente, si poteva
fare ancor molto guadagno: offersero quel prezzo ai
possessori, i quali non rispondevano di non aver riso
da vendere a chi lo pagava più di quello che co-
mandava la legge. Questi nuovi compratori trovavano
poi il modo di rivendere il riso a maggior prezzo
agli Stati vicini, dove non v'era tassa, o di conser-
varlo nascosto in onta degli editti : il modo consiste,
come ognun sa, nello studiare non tanto la volontà
unica donde è uscita la legge, quanto le volontà mol-
teplici, varie, più vicine, che debbono eseguirla, e nel
Digitized by
Google
— 421 —
trovare i mezzi di eludere queste volontà, o di com-
perarne la complicità.
Quello che si è detto del riso accadeva di tutti gli
altri grani: come il possederli, il farne commercio,
era un rischio dell'avere e della persona, un sog-
getto di terrore, un peso di sospetto pubblico, quasi
un marchio d' infamia, così avvenne che questo com-
mercio non fosse quasi più ricercato che dagli uomini
i più esperti ad eludere il rischio, i più agguerriti
contra l'odio e contra l'infamia; i quali sapevano
come tutte queste cose, affrontate e sofferte con una
certa sapienza particolare, possono fruttare danari.
La scarsità del frumento e i mezzi posti in opera
per renderlo più comune lo avevano fatto salire ad
un prezzo esorbitante. Si vendeva cinquanta lire il
moggio, se crediamo al Ripamonti, allora vivente:
settanta, anzi ottanta, se vogliamo stare al detto di
Alessandro Tadino, medico riputatissimo di quei
tempi, che scrisse anch'egli (a dir vero, con le go-
mita) una storia della peste e della carestia che l'a-
veva preceduta. Ma supponendo anche esagerata
l'asserzione di quest'ultimo, il prezzo attestato dal
Ripamonti era tale da porre in angustia una gran
parte della popolazione.
I mali nei loro cominciamenti producono nel-
l'uomo, generalmente parlando, una irritazione più
forte del dolore. Sclama egli, da prima, che i mali sono
intollerabili, che sono giunti all'estremo, e tanto fa,
tanto s'ingegna, tanto s'arrabatta, che. coi suoi sforzi
Digìtized by
Google
— 422 —
crea egli questo estremo, che naturalmente non sa-
rebbe arrivato: s'accorge allora che si può soffrire
molto di più di quello ch'egli aveva creduto dap-
prima, ogni nuovo colpo gli rivela una nuova facoltà
di patire e di accomodarsi, ch'egli non sospettava in
sé stesso; e salta per lo più dalla rabbia all'abbatti-
mento, senza aver toccata la rassegnazione.
Per sua sventura il popolo milanese trovò in quella
occasione l'uomo secondo i suoi desiderj, l'uomo che
partecipava delle sue idee, e che, assecondandole, gli
procurò una gioja corta e fallace, a cui doveva suc-
cedere un nuovo dolore senza disinganno, un nuovo
furore, l'ebbrezza del delitto, lo spavento delle pene,
e quindi la tranquillità stupida della disperazione
impotente.
Il governatore di Milano, Gonzalo Fernandez di
Cordova, si trovava allora a campo sotto Casale, per
una guerra, atroce nella condotta, orrenda nelle con-
seguenze, ,e nata da certi pettegolezzi, dei quali par-
leremo più tardi e più laconicamente che sarà pos-
sibile ('). Nella sua assenza governava lo Stato il
(') Eccone il racconto : « Non la guerra propriamente
« detta, ma un passaggio di truppe, più funesto agli abitanti
« che nessuna guerra più accanita, desolò una parte del
« Milanese, e condusse la peste, dalla quale nessun angolo
« di quel paese fu salvo. Ci conviene ora accennare breve-
« mente le origini di tanta rovina. Vincenzo I Gonzaga,
« Duca di Mantova, era morto nel 1612, lasciando tre figli.
Digìtized by
Google
— 423 —
gran cancelliere Antonio Ferrer. Questi, stordito dai
richiami continui e crescenti del popolo, stordito dal
vedere che tutti i provvedimenti già dati, invece di
togliere il male, lo avevano accresciuto, non sapendo
più che fare e persuaso che qualche cosa bisognava
pur fare, s'appigliò al partito di quelli che non veg-
gono nelle cose reali un elemento ragionevole di de-
terminazione : fece un'ipotesi. Suppose che il frumento
si vendesse trentatre lire il moggio, né più né meno.
Ammessa l'ipotesi, tutte le cose si raddrizzavano e
correvano a verso. Il prezzo del pane si trovava pro-
porzionato alle facoltà della massima parte, cessavano
quindi i patimenti, le minacce, le angustie; era un
altro vivere. Animato e rallegrato dallo spettacolo che
la sua fantasia aveva creato, Antonio Ferrer fece un
altro passo: pensò che quel lieto vivere si sarebbe
ricondotto se si fosse potuto far discendere il pane
al prezzo corrispondente a quel prezzo ipotetico del
frumento. Procedendo col pensiero, trovò che un suo
ordine poteva produrre questo effetto; e conchiuse
che bisognava dar l'ordine. Il pover'uomo non badò
« Il primo, Francesco, morì nello stesso anno, e non ri-
« mase di lui che una figlia, per nome Maria ; Ferdinando,
« che dopo di lui tenne lo Stato, morì senza prole legittima
«nel 1626; Vincenzo II, l'ultimo dei fratelli, gli succedette
« in età di 32 anni, già consumato dagli stravizi, senza spe-
« ranza di prole e manifestamente vicino al sepolcro. Già
« molte ambizioni, molte cupidigie, molti sospetti stavano
Digìtized by
Google
— 424 —
che cosa fosse conchiudere dal supposto al fatto, ope-
rare come se le cose fossero in uno stato diverso da
« all'erta aspettando ch'egli vi scendesse. Ma egli aveva in-
«stituito erede per testamento Carlo Gonzaga, Duca di Ne-
« vers, del resto suo parente più prossimo. E per assicu-
« curare l'effetto di questa disposizione, aveva segretamente
« fatto scrivere al Nevers che mandasse a Mantova il figlio,
« pur Carlo, Duca di Rethel, affinchè al momento che il
« ducato verrebbe a vacare, potesse pigliarne il possesso in
« nome del padre. Ma, oltre il ducato di Mantova, dalla
« successione del quale erano per investitura escluse le
« femine, Vincenzo lasciava pur quello del Monferrato, al
« quale, pel complicato, confuso, incerto, variamente ap-
« plicabile diritto pubblico d'allora, Maria, nipote di Vin-
« cenzo, poteva aver qualche ragione. Per togliere ogni
« soggetto ed ogni pretesto di dissensioni, pensò il Duca
«Vincenzo, o chi pensava per lui, a dare quella Maria
« in moglie al Duca di Rethel, che aveva fatto chiamare.
« L'aspettato giovane arrivò che il Duca Vincenzo era agli
«estremi: le nozze, che questi aveva proposto, si fecero
« nella notte dopo il 25 Dicembre 1628, mentre egli mo-
« riva.
« La morte e il matrimonio terminano per lo più le
« tragedie e le commedie del teatro, ma danno sovente
« principio alle tragedie e alle commedie della vita reale.
« Al mattino lo sposo comparve in grande abito da lutto,
« assunse il titolo di Principe di Mantova, e padrone delle
«armi e della cittadella, fu senza difficoltà riconosciuto
« dagli abitanti. Ma v'era altri a questo mondo che ave-
« vano qualche cosa da dire in quella faccenda.
« Luigi XI II re di Francia o per dir meglio il Car-
« dinaie di Richelieu, sosteneva il Nevers, uomo d'origine
Digìtized by
Google
— 425 —
quello in cui erano: non pose mente a distinguere
che quel tale prezzo moderato era un bene in quanto
«italiana, ma nato francese; anzi aveva egli, il Cardinale,
« per mezzo di legati, avuta gran parte nel testamento
« del Duca Vincenzo. Don Filippo IV,* o per dir meglio
« il Duca d'Olivares, non poteva patire che un principe
« francese venisse a stabilirsi in Italia, e sosteneva le pre-
« tenzioni di Don Ferrante Gonzaga, parente più lontano '
« del Duca Vincenzo.
« Carlo Emmanuele Duca di Savoja aveva pure an-
« tiche pretenzioni sul Monferrato ; i Veneziani, ai quali
« dava ombra la grande potenza spagnuola in Italia, favo-
« rivano il Duca di Rethel, ma con trattati, con promesse
«e con minacce; e Urbano VIII, inclinato a quel Duca e
« sopra tutto alla pace, ajutava, come poteva, queste due
« cause con raccomandazioni e con proposte di accomo-
« damenti. Finalmente l'imperatore Ferdinando II pre-
tendeva che il Duca di Nevers, erede trasversale, non
« aveva potuto senza il suo consenso impossessarsi di feudi
« dell'impero, la successione ai quali era rivendicata da
« altri. Richiedeva quindi che il possesso degli Stati fosse
« depositato presso di lui, finch'egli gli aggiudicasse per
« sentenza, e citò il Duca di Nevers con tutte le forma-
« lità allora in uso. V'erano poi altre pretenzioni secon-
«darie e più intralciate, che passiamo sotto silenzio, per
« non annojare il lettore, il quale comincia forse a mor-
«morare; e certamente non saprà abbastanza apprezzare
« la fatica che facciamo per restringere in brevi parole
« tutta questa parte di storia. Il Duca d'Olivares, istigato
« continuamente dal Cordova , governatore di Milano,
« strinse un trattato col Duca di Savoja contra il novello
« Duca di Mantova. Questi si pose sulla difesa, si venne
Digìtized by
Google
— 426 —
fosse stato conseguenza naturale della proporzione
tra la ricerca e la quantità esistente, ma non un bene
per sé, e in ogni modo. Non pensò a niente di tutto
questo; fece come una donna di mezza età che per
ringiovinire alterasse la cifra della sua fede di bat-
tesimo. L'ordine fu dato, promulgato ed eseguito.
« alle mani, Carlo Èmmanuele invase il Monferrato, e Cor-
« dova pose l'assedio a Casale. Il Duca di Mantova, stretto
« da due nemici potenti, invocava gli amici ; ma i Vene-
« ziani non volevano muoversi se il Re di Francia non
« mandava un esercito in Italia, e il Re di Francia, o il
« Cardinal di Richelieu, era impegnato nell'assedio della
«Rocella. Presa questa, parati o vinti certi intrighi im-
« brogliatissimi di Corte, il Re e il Cardinale s'affacciarono
« all' Italia con un esercito, chiesero il passo al Duca di
«Savoja; si trattò, non si conchiuse, si venne alle mani,
« i Francesi superarono e acquistarono terreno, si trattò
« di nuovo, il passo fu accordato, il Re e il Cardinale s'a-
« vanzarono, trassero agli accordi il Cordova spaventato,
« gli fecero levare l'assedio di Casale, vi posero guerni-
«gione francese, e tornarono a casa trionfanti, e accom-
« pagnati da due sonetti dell' Achillini. 11 primo, quello
«che comincia col famoso verso:
Sudate, o fuochi, a Preparar metalli,
«è tutto di lode; l'altro è di consiglio, perchè la poesia
« ha sempre avuto questo nobile privilegio di ravvolgere
« avvisi sapientissimi e insegnamenti reconditi negli idoli
« lusinghieri della fantasia e nella magica armonia dei
« numeri. L' Achillini consigliava il Re di Francia, vinci-
« tore della Roccella e liberatore di Casale, di tentare l'im-
Digìtized by
Google
— 427 —
Ordini meno iniqui e meno insani avevano tro-
vato nelle volontà, nella natura stessa delle cose,
ostacoli invincibili, ed erano rimasti senza esecuzione,
ma alla esecuzione di questo vegliava il popolo, il
quale, come era ben naturale, l'aveva accolto con un
grido di esultazione; e vedendo finalmente esaudito
«presa del Santo Sepolcro, né più né meno. Però il
« Cardinale di Richelieu non ne fece nulla : convien dire
«che avesse altro in testa. Ma i Veneziani, che allo scen-
«dere de' Francesi, s'eran dichiarati e mossi, istavano
« per legati e per lettere presso il Cardinale perchè l'e-
«sercito da lui condotto non tornasse indietro, e addu-
« ce vano mille ragioni, per provare che non era da far
«conto su quei trattati; ma il Cardinale badò alla prosa
«dei Veneziani come ai versi dell'Achillini. La guerra
« continuò infatti contro il Duca di Mantova. Questi aveva
« fatte e andava facendo tutte le sommessioni immaginabili
«all'imperatore a fine di placarlo e di piegarlo ad accor-
« dargli l'investitura. Ma Ferdinando stava fermo in esi-
«gere che i ducati fossero a lui ceduti in deposito; e
« irritato dalle ripulse del Duca, più che ammansato dalle
« sue riverenze ; irritato di più dell'aver questi domandato
«il soccorso francese, stimolato dalla Corte di Madrid, si
« dichiarò anch'egli nemico del Duca di Mantova. L'eser-
« cito Alemanno, di circa trentasei mila uomini, ragunato
«sotto il comando del Conte di Colalto, ebbe ordine di
«portarsi all'impresa di Mantova ; la vanguardia che, già
« da qualche tempo aveva occupato ostilmente il paese
«de' Grigioni, si diffuse per la Valtellina e ai 20 di set-
« tembre entrò nello Stato di Milano ». Questo brano è
tolto dal capitolo I del tomo IV. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 428 —
e convertito in legge il suo desiderio, non sofferiva
che fosse da burla. Il popolo accorse tostò ai forni
a domandare il pane a quel prezzo legale, e lo do-
mandò con quell'aria di risolutezza e di minaccia che
danno la forza e la legge insieme unite.
Se era naturale che il popolo esultasse, non lo
era meno che strillassero i fornaj : un politico avrebbe
potuto dire che quello era il caso di fare soffrire un
picciol numero per sollevare e tranquillare una gran
moltitudine: ma il male era che questo picciol nu-
mero era appunto quello che doveva e che poteva
solo dare in fatto quello che la legge comandava e
prometteva in parole ; e a produrre l'effetto non ba-
stava che i fornaj avessero ricevuto un ordine pre-
ciso, non bastava che avessero molta paura, che fos-
sero disposti a sopportare l'ultima rovina delle so-
stanze per salvare la persona: era necessario che
potessero. Ora, la cosa comandata, era non solo do-
lorosa per essi, ma diveniva di giorno in giorno più
difficile ; ma doveva arrivare un momento in cui sa-
rebbe stata impossibile. Il popolo stesso affrettava
questo momento : quantunque gridasse risolutamente
e tenesse confusamente che quel prezzo stabilito era
equo, ragionevole, sentiva però anche confusamente
che esso era come in guerra con tutto il resto delle
cose, che era l'effetto d'una volontà e non della na-
tura, e prevedeva pure confusamente che la cosa non
avrebbe potuto andar così sempre, né a lungo. Ap-
profittava quindi del momento di baldoria, assediava
Dicfitized by
Google
— 429 —
continuamente i forni, come dice il Ripamonti, si af-
faccendava a carpire quel pane che gli era dato quasi
da una ventura momentanea, e la sua pressa indi-
screta gareggiava con la fretta e col travaglio dei
fornaj. Così quella cieca moltitudine consumava im-
provvidamente in poco tempo, e sparnazzava in parte
la scarsa e preziosa provvigione, la quale però do-
veva servirgli per tutto l'anno. I fornaj, costretti ad
affacchinare e a scalmanarsi * per discapitare, pone-
vano in opera tutte le arti per far perder tempo ai
chieditori di pane, senza irritarli all'estremo, adul-
teravano il pane con tutte quelle sostanze che, senza
troppo lasciarsi distinguere, ne accrescessero il peso, e
intanto non rifinivano di domandare che la legge fosse
abrogata. Ma Antonio Ferrer stava immoto a tutti
i richiami, come Enea agli scongiuri di Didone (*).
Generalmente parlando è impresa delle più ardue
quella di smuovere un uomo da una sua ipotesi : con
meno fatica gli si farà rinnegare l'evidenza dei fatti,
perchè finalmente l'evidenza l'ha trovata; ma l'ipo-
tesi l'ha fatta egli ; e l'ha fatta, non per ozio, né per
ispasso, ma per un gran bisogno che ne aveva, per
uscire da un impaccio. Oltre questa cagione generale,
si può supporre, senza temerità, che quell'uomo, ben-
ché dagli effetti avesse dovuto conoscere quanto il suo
(l) Lascerei questo paragone così intempestivo in ma-
teria così triste. [Postilla del Visconti].
Digitized by
Google
430
ordine era stato pazzo, non voleva rivocarlo egli e
perdere così tutto il favore del popolo, anzi cangiarlo
in furore; giacché certamente il popolo l'avrebbe
creduto subornato e corrotto, se avesse tolto ciò che
egli aveva stabilito come giusto. Prevedeva egli
dunque che la cosa non sarebbe durata, ma lasciava
ad altri la briga di dichiararla cessata legalmente.
Come però spesse volte bisogna rispondere qualche
cosa ai richiami che non si vogliono soddisfare, An-
tonio Ferrer rispondeva ai fornaj, a tutti quelli che
per uficio erano costretti parlargli dello stato an-
gustioso delle cose, rispondeva che i fornaj avevano
guadagnato assai in passato, e che era giusto che
tollerassero allora quella picciola perdita. I fornaj re-
plicavano che non avevano fatto questi guadagni, e
che non potevano più reggere alla perdita presente ;
Antonio Ferrer ripigliava che avrebbero guadagnato
nell'avvenire, che sarebbero venuti anni migliori, che
insomma il tempo avrebbe rimediato a tutto (l).
Il tempo è una gran bella cosa: gli uomini lo
accusano, è vero, di due difetti: d'esser troppo corto
e d'esser troppo lungo; di passare troppo tardamente,
e d'essere passato troppo in fretta: ma la cagione
primaria di questi inconvenienti è negli uomini stessi,
e non nel tempo, il quale per sé è una gran bella
(') Qui termina il capitolo V del tomo III. Il brano
che segue è il principio del capitolo VI. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 43i —
cosa: ed è proprio un peccato che nissuno finora
abbia saputo dire precisamente che cosa egli sia.
In questo caso però il tempo non poteva essere
d'alcuno ajuto, anzi, a dir vero, gl'inconvenienti erano
di quelli che col durare si fanno più gravi. I fornaj
avevano protestato fin da principio, che se la legge
non veniva tolta, essi avrebbero gettata la pala nel
forno e abbandonate le botteghe ; e non lo avevano
ancor fatto, perchè sono di quelle cose alle quali gli
uomini si appigliano solo all'estremo, e perchè spe-
ravano di dì in dì che Antonio Ferrer, gran cancel-
liere, sarebbe restato capace, o qualche altro in vece
sua. Alla fine i Decurioni (un magistrato municipale)
vedendo che la minaccia de' fornaj sarebbe divenuta
un fatto, scrissero al governatore, ragguagliandolo
dello stato delle cose e chiedendogli un provvedi-
mento. Probabilmente il signor Gonzalo Fernandez di
Cordova avrà avuto molto a cuore di trovare un
mezzo per nutrire stabilmente molti uomini; ma in
quel momento, impedito egli e assorto in una faccenda
più urgente, quella di farne ammazzare molti altri,
non potè occuparsi della prima e ne diede l' incarico
ad una commissione, ch'egli compose del presidente
del Senato, dei presidenti dei due magistrati ordi-
nario e straordinario e di due questori. Si riunirono
essi tosto, o, come si diceva allora spagnolescamente,
si giuntarono: e dopo mille riverenze, preamboli,
sospiri, proposizioni in aria, reticenze, tergiversa-
zioni, spinti sempre tutti verso un solo punto da una
Digìtized by
Google
— 432 —
necessità sentita da tutti, conscj che tiravano un gran
dado, ma convinti che altro non si poteva fare, con-
chiusero ad aumentare il prezzo del pane, riavvici-
nandolo alla proporzione del prezzo reale del fru-
mento; e si separarono nello stato d'animo d'un
minatore che avesse dato fuoco ad una mina non
caricata da lui, prevedendo bene uno scoppio, ma
non sapendo né quando, né quale egli sarebbe.
Digìtized by
Google
XVIII.
Don Ferrante e la sua famiglia.
Alessandro Manzoni. 28
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
Dobbiamo ora far conoscere al lettore i perso-
naggi coi quali si trovava Lucia.
Don Ferrante (l), capo di casa, ultimo rampollo
d'una famiglia illustre, che pur troppo terminava in
lui, uomo tra la virilità e la vecchiezza, era di me-
diocre statura, e tendeva un pochetto al pingue,
portava un cappello ornato di molte ricche piume,
alcune delle quali, spezzate nel mezzo, cadevano
penzoloni, e d'altre non rimaneva che un torzo.
Sotto a quel cappello si stendevano due folti so-
praccigli, due occhi sempre in giro orizzontalmente,
due guancie pienotte per sé, e che si enfiavano ancor
più di tratto in tratto e si ricomponevano mandando
un soffio prolungato, come se avesse da raffreddare
una minestra ; sotto la faccia girava intorno al collo
un'ampia lattuga di merktti finissimi di Fiandra, la-
(!) Prima, come fu detto, gli pose nome Valeri ano ;
poi lo ribattezzò Don Ferrante. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 436 —
cera in qualche parte e lorda da per tutto : una cappa
di.-.C1), sfilacciata qua e là, gli cadeva dalle spalle,
una spada, col manico di argento mirabilmente cesel-
lato e col fodero spelato, gli pendeva dalla cintura ;
due manichini, della stessa materia e nello stesso
stato della gorgiera, uscivano dalle maniche strette
dell'abito, e un ricco anello di diamanti sfolgorava
talvolta nell'una delle due sudicie sue mani; talvolta,
perchè quell'anello passava anche una gran parte della
sua vita nello scrigno d'un usurajo; e in quegli inter-
valli Don Ferrante gestiva alquanto meno del solito."
Questo contrasto nel suo abito esteriore nasceva
da altri contrasti del suo carattere e delle sue cir-
costanze: Don Ferrante, portato al fasto e alla tra-
scuraggine, era anche ricco e povero. Già da molto
tempo aveva egli divorato a furia di sfarzo, e la-
sciato divorare a furia di negligenza e d'imperizia, il
suo patrimonio libero ; e sarebbe egli rimasto povero
del tutto e per sempre, se un suo sapiente antenato non
avesse anticipatamente provveduto a quel caso, isti-
tuendo un pingue fedecommesso. Don Ferrante quindi,
benché nell'animo non fosse molto dissimile dal sel-
vaggio di Montesquieu, non poteva, com'egli, abbatter
l'albero per cogliere il frutto, e non poteva far altro
che lanciar pietre al frutto per farlo cadere acerbo
e ammaccato. Viveva di prestiti : e per trovarne do-
(l) Lacuna dell'originale. (Ed.)
Digitized by
Google
— 437 —
veva ricorrere ai più spietati usuraj, e subire le più
rigide leggi che essi sapessero inventare e per sup-
plire alla legge comune, che non dava loro alcun
mezzo di ricuperare il prestato, e per pagarsi del
rischio. E siccome nelle idee di Don Ferrante le
pompe e il fasto tenevano il primo luogo, così alle
pompe e al fasto erano tosto consecrati i denari che
toccavano le sue mani; e il necessario pativa. In
mezzo a queste cure incessanti, Don Ferrante non
aveva lasciato di coltivare il suo ingegno, e senza
essere un dotto di mestiere, poteva passare per uno
degli uomini colti del suo tempo. Possedeva una li-
breria di varie materie, la quale per poco non aggiun-
geva ai cento volumi (*) : e aveva impiegato su quelli
abbastanza tempo e studio per avere una cognizione
fondata nelle scienze più importanti e più in voga;
(*) Francesco D'Ovidio [Manzoni e Cervantes; in Di-
scussioni manzoniane, Città di Castello, Lapi, 1886; pa-
gine 68-72] col solito suo acume paragonò la biblioteca
di don Quijote con quella di don Ferrante. Lorenzo
Stoppato [La Biblioteca di don Ferrante, Milano, tip. Bor-
tolotti di Giuseppe Prato, 1887; in-160 di pp. 59] ne fece
soggetto di una geniale conferenza, letta a Milano, il
17 febbraio 1887, nella sala dell' esposizione permanente
di belle arti. Cfr. pure: I Don Ferranti ossia i moderni
avvocati della peste ; in La Civiltà cattolica, anno XIII,
serie V, voi. II, quaderno 291 di tutta la collezione,
3 maggio 1862, pp. 257-268. — Bacci- O., Don Ferrante
nei « Promessi Sposi »; in Saggi letterari, Firenze, Bar-
bèra, 1898; pp. 87-129. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 43» —
teneva i principj e quindi non era mai impacciato
nelle applicazioni. L'astrologia era uno di quei rami
dell'umano sapere nei quali Don Ferrante era ver-
sato. Sapeva non solo i nomi e le qualità delle do-
dici case del cielo, le influenze che hanno in cia-
scuna i diversi pianeti, ma conosceva anche in parte
la storia della scienza, la quale è ragione della
scienza stessa: ne conosceva i cominciamenti, il pro-
gresso: come era nata neir Assiria, e ci doveva na-
scere: giacché essendo il cielo un gran libro, e il
cielo deir Assiria molto sereno, è naturale che ivi si
cominci a leggere dove i libri sono più chiari e in-
telligibili. Sapeva a memoria un buon numero delle
più stupende e clamorose predizioni che si sono av-
verate in varii tempi : e aveva in pronto gli argo-
menti principali che servivano a difendere la scienza
contro i dubbj e le obiezioni dei cervelli balzani degli
uomini superficiali e presuntuosi, che ne parlavano
con poco rispetto ; perchè anche a quel tempo v'era
degli uomini così fatti. Della magìa aveva pure una
cognizione più che mediocre, acquistata non già con
la rea intenzione di esercitarla, ma per ornamento
dell'ingegno, e per conoscere le arti così dannose
dei maghi e delle streghe, e potere così entrare a
parte della guerra che tutti gli uomini probi e d'in-
gegno facevano a quei nemici del genere umano. Il
suo maestro e il suo autore era quel gran Martino
del Rio, il quale nelle sue disquisizioni magiche
aveva trattata la materia a fondo, aveva sciolti tutti
Digitized by LjOOQ IC
— 439 —
i dubbj e stabiliti i principj , che per quasi due secoli
divennero la norma della maggior parte dei letterati
e dei tribunali, quel Martino del Rio che con le sue
dotte fatiche ha fatto ardere tante streghe e tanti
stregoni, e che ha saputo col vigore dei suoi ragio-
namenti dominare tanto sulla opinione pubblica, che
il metter dubbio su la esistenza delle streghe era di-
ventato un indizio di stregheria. A un bisogno Don
Ferrante sapeva parlare ordinatamente e anche lucu-
lentamente del maleficio amatorio, del maleficio ostile
e del maleficio sonnifero, che sono i cardini della
scienza, e conosceva i segreti dei congressi delle
streghe come se vi avesse assistito. Aveva più che
una tintura della storia in grande, per aver letta
più d'una volta quella eccellente storia universale del
Bugatti; possedeva poi singolarmente quella del tempo
dei paladini, che aveva studiata nei Reali di Francia.
Per la politica positiva aveva egli principalmente ri-
volte le opere dell' immortale Boterò; e conosceva
assai bene la politica di Spagna, di Francia, del-
l'Impero, dei Veneziani e di tutti i principali Stati
Cristiani, e poteva pur dare una occhiatina anche nel
Divano. Per la politica speculativa il suo uomo era
stato per gran tempo il Segretario Fiorentino, ma
questi dovette scendere al secondo posto nel con-
cetto di Don Ferrante e cedere il primo a quel
gran Valeriano Castiglione, che in quello stesso
anno aveva dato alla luce la sua opera dello Statista
Regnante, dove tutti gli arcani i più profondi e i
Digitized by
Google
— 44o —
più reconditi precetti della ragione di Stato sono
trattati con un ordine nuovo e sublime. E bisogna
confessare che il nostro Don Ferrante prevenne il
giudizio del mondo sul merito del Castiglione. Poco
dopo, Urbano Vili lo onorò delle sue lodi; Luigi XIII,
per consiglio del Cardinale di Richelieu, lo chiamò
in Francia, per esservi istoriografo ; Carlo Emanuele
dipoi gli affidò lo stesso ufizio; il Cardinale Bor-
ghese e Pietro Toledo viceré di Napoli lo pregarono,
invano però, di scrivere storie : e fu finalmente procla-
mato il primo scrittore dei suoi tempi. Quanto alla
storia naturale non aveva, a dir vero, attinto alle
fonti e non teneva nella sua biblioteca né Aristotele,
né Plinio, né Dioscoride, giacché, come abbiam detto,
Don Ferrante non era un professore, ma un uomo
colto semplicemente ; sapeva però le cose le più im-
portanti e le più degne di osservazione, e a tempo
e luogo poteva fare una descrizione esatta dei draghi
e delle sirene, e dire a proposito che la remora, quel
pescerello, ferma una nave nell'alto, che Tunica fe-
nice rinasce dalle sue ceneri, che la salamandra è
incombustibile, che il cristallo non è altro che ghiaccio
lentamente indurato. Ma la materia nella quale Don
Ferrante era profondo assolutamente era la scienza
cavalleresca, e bisognava sentirlo parlare di offese,
di soddisfazioni, di paci, di mentite. Paris del Pozzo,
TlJrrea, l'Albergato, il Muzio, la Gerusalemme li-
berata e la conquistata, i Dialoghi della nobiltà e
quello della pace di Torquato Tasso gli aveva a me-
Digìtized by LjOOQ IC
— 441 —
nadito ; i Consigli e i Discorsi cavallereschi di Fran-
cesco Birago erano forse i libri più logori della stia
biblioteca. Anzi Don Ferrante affermava, o faceva
intendere spesso, che quel grand' uomo non aveva
sdegnato di consultarlo su certi casi più rematici ; e
parlando talvolta di quelle opere con quella venera-
zione che meritavano, e che, per verità, ottenevano
da tutti, Don Ferrante aggiungeva misteriosamente:
Basta: ho messo anch'io un zampino in quei libri.
Ma gli studj solidi non avevano talmente occu-
pati gli ozj di Don Ferrante che non ne restasse
qualche parte anche alle lettere amene : e senza con-
tare il Pastorfido, che al pari di tutti gli uomini colti
di quel tempo egli aveva pressoché tutto a memoria,
non gli erano ignoti né il Marino, né il Ciampoli,
né il Cesarini, né il Testi: ma soprattutto aveva fatto
uno studio particolare (') di quel libretto che conte-
0) Segue, cancellato : « delle poche rime stampate e
di quelle poche prose di Claudio Achillini » ; e poi : « delle
rime stampate, del discorso accademico e delle poche let-
tere di Claudio Achillini». Qui il Manzoni accenna senza
dubbio alle Rune \ e Prose \ di Claudio | Achillini. | In
questa nuova impressione \ accresciute di molti sonetti, \
et altre coinpositioni \ non più stampate : \ Con aggiunta di
diverse \ Bellissime Lettere di Proposta, e \ Risposta del
medesimo autore. | In Venetia, M.DC.LVI. | Per Gia-
como Bortoli. | Con licenza de' Superiori; in-120. È questa
infatti la prima volta che furono raccolte e stampate le
« poche lettere » dell'Achillini, mentre le sue Rime ave-
Digìtized by
Google
— 442 —
neva le rime di Claudio Achillini; libretto nel quale
diceva Don Ferrante, tutto, tutto, fino alla protesta
sulle parole Fato, Sorte, Destino e somiglianti, era
pensiero pellegrino ed arguto. Aveva poi un teso-
retto, una raccolta manoscritta di alcune lettere dello
vano avuto una quantità di edizioni. Essendo state rac-
colte e stampate nel 1656, non potevano figurare nella
biblioteca di Don Ferrante, morto nel 1630; il Manzoni
cancellò dunque l'accenno e corse al ripiego di fargli in-
vece possedere « una raccolta manoscritta di alcune let-
tere» dello stesso grand'uomo. «Poche lettere», (nota il
mio amico Luigi D'Isengard), « ma c'è da imparare una
« nuova maniera di estetica : — // sonetto inviatomi da
« V. S. è cosa ang elica , per non dire un angelo in versi. I
« due terzetti sono due Chori di Grazie. La chiusura è una
« prigionia di maraviglie. — Dopo il qual giudizio non è
« da mettere in dubbio che il maggior poeta di quanti ne
« nascessero, o tra i Toscani ', o tra i Latini, o tra i Greci,
« o tra gli Hebrei sia Giambattista Marini ; e non è da
« stupire che la sacra eloquenza fosse tutta nel saio d'un
« cappuccino così macilente e confitto e sepolto dentro ai
«Panni, che si vede, anzi non si vede, e non si ode che una
« lana agitata che sgrida, un mantello vocale, un cappuccio
« che atterrisce ; un fuoco che scintilla fuori dalle ceneri,
« una nuvola bigia che tuona spaventi, una penitenza spi-
« rante, un sacco di querele che si riversa addosso ai pec-
« catori. Oh Dio, quanto è vero, che questo è il vero modo
«di predicare; e se tutti i predicatori fossero tali, so
« certo, che più consideratamente camminerebbe il mondo ».
Cfr. D'Isengard L., Claudio Achillini e Don Ferrante;
in La Rassegna nazionale, di Firenze, anno XX, voi. CIV,
fascicolo del i° dicembre 1898; pp. 629-636. (Ed.)
. Digìtized by
Google
— 443 ~
stesso grand* uomo; e su quelle si studiava di mo-
dellare quelle che gli occorrevano di scrivere per
qualche negozio, o per isciogliere qualche ingegnoso
quesito, che gli veniva proposto; e, a dir vero, le
lettere di Don Ferrante erano ricercate con qualche
avidità, e giravano di mano in mano per la scelta e
la copia dei concetti e delle immagini ardite, e sopra
tutto pel modo sempre ingegnoso di porre la que-
stione e di guardare le cose: stavano però male di
grammatica e di ortografìa (1).
Vi sarebbero molte altre cose da dire chi volesse
compire il ritratto di questo personaggio, ma, per
amore della brevità, ce ne passeremo, tanto più ch'egli
non ha quasi parte attiva nella nostra storia. Veniamo
dunque alla sua signora consorte.
(*) Segue, cancellato : « Non vorrei con tutto questo
che alcuno pigliasse Don Ferrante per un uomo straor-
dinario, perchè avendo studiato un po' tutta la sua vita
ed inclinando ora alla vecchiezza, fra gli autori che te-
neva in stima particolare contasse molti recenti, alcuni
viventi, e alcuni perfino assai più giovani di lui. Don Fer-
rante era quello che doveva essere, quello che sono sempre
stati e saranno sempre gli uomini provetti, i quali già da
gran tempo hanno veduto dove stia la perfezione del sa-
pere, hanno adottato un sistema, e chiuso il numero delle
loro idee. La loro avversione, i loro sospetti, le loro ire
non sono già contra gli uomini nuovi, ma contra le idee
nuove ; anzi se fra i giovani sorge taluno, che ricevendo
con molta venerazione le dottrine che trova trionfanti, le
Digìtized by
Google
— 444 —
Donna Prassede, per ciò che risguarda il sapere,
era molto al di sotto del suo marito. Il suo ingegno,
a dir vero, non era niente straordinario, ed essa non
si era mai data una gran briga di coltivarlo, almeno
sui libri. Ma siccome la mente umana non può vi-
vere senza idee, così Donna Prassede aveva le sue,
e si governava con esse, come dicono che si dovrebbe
fare cogli amici. Ne aveva poche, ma quelle poche
le amava cordialmente e si fidava in esse interamente
e non le avrebbe cangiate ad istigazione di nessuno.
Avrebbe anche avuto, com'era giusto, una gran voglia
di farle predominare in casa: e pare che il carattere
trascurato (l) di Don Ferrante avrebbe dovuto servire
a maraviglia a questo desiderio della consorte: ma
v'era un grande ostacolo. La più parte delle idee in
questo mondo non possono esser messe ad esecuzione
senza danari ; ora Don Ferrante, poco o nulla curan-
studia, vi si affonda dentro, e le estende e dà loro un
nuovo lume, i provetti riconoscono il suo merito e lo
esaltano con ammirabile imparzialità. Oh! se al tempo di
Don Ferrante fossero venuti oltre giovani che avessero
ardito riesaminare quelle idee che dovevano soltanto ri-
cevere ed applicare, giovani che avessero frugato in tutti
quegli assiomi, di quegli che invece di dire : Capisco, di-
cono: Perchè? avreste veduto come Don Ferrante gli
avrebbe pettinati, ma per buona sorte non ve n'era uno».
(Ed.)
(l) Nell'autografo, forse per una svista, c'è scritto : stra-
scurato. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 445 —
dosi del governo della casa, aveva però ritenuto
sempre presso di sé il ministero delle finanze; e, a
dir vero, gli affari ne erano tanto complicati, che
ormai nessun altro che egli avrebbe potuto inten
dervi qualche cosa.
Aveva Donna Prassede il suo spillatico, pattuito
nel contratto nuziale, e allo spirare d'ogni termine,
dopo un po' di guerra, un po' di schiamazzo, molte
minacce di svergognare il marito in faccia ai parenti,
veniva essa a capo di riscuotere la somma che le era
dovuta. Ma fuor di questo, tutta l'eloquenza, tutta
l'insistenza, tutte le arti di Donna Prassede non
avrebbero potuto tirare un danajo dalla borsa di
Don Ferrante. Le entrate, prima che si toccassero,
erano impegnate a pagar debiti urgenti, o destinate
a soddisfare qualche genio fastoso di Don Ferrante.
Non rimaneva dunque a Donna Prassede altro do-
minio che su la sua persona, sul modo d'impiegare
il suo tempo, su le persone addette specialmente al
suo servizio : cose tutte nelle quali Don Ferrante la-
sciava fare; poteva ella in somma dare tutti gli or-
dini l'esecuzione dei quali non portasse una spesa,
o che non fossero in opposizione alle abitudini e alle
volontà risolute di Don Ferrante. La sua gran voglia
di comandare, ristretta in questo picciol campo, vi
si esercitava con una energia singolare. Donna Pras-
sade profondeva pareri e correzioni a quelli che vo-
levano, e ancor più a quelli che dovevano sentirla:
e per quanto dipendeva da lei, non avrebbe lasciato
Digìtized by
Google
446
deviar nessuno d'un punto dalla via retta. Perchè,
a dire il vero, questa smania di dominio non nasceva
in lei da alcuna vista interessata ; era puro desiderio
del bene ; ma il bene ella lo intendeva a suo modo,
lo discerneva istantaneamente in qualunque alterna-
tiva, in qualunque complicazione di casi le si fosse
affacciata da esaminare: e quando una volta aveva
veduto e detto che quello era il bene, non era pos-
sibile ch'ella cangiasse di parere; e per farlo riu-
scire, predicava ed operava fin tanto che avesse ot-
tenuto l'intento, o la cosa fosse divenuta impossibile:
nel qual caso non lasciava di predicare, per convin-
cere tutti che avrebbe dovuto riuscire.
La signorina Ersilia, anzi Silietta, giacché come
amici di casa noi possiamo chiamarla col diminutivo
famigliare che usavano i suoi parenti, Silietta era un
personaggio non troppo facile da descriversi, né da
definirsi. Le sue fattezze erano senza difetti e senza
espressione : i suoi due grandi occhi grigj non si mo-
vevano che quando si moveva tutta la testa; teneva
la bocca sempre semiaperta, come se ad ogni mo-
mento sentisse una leggiera maraviglia: rideva spesso
e sorrideva di rado; parlava lentamente e placida-
mente, ma volentieri e a lungo tutte le volte che al-
cuno dei suoi parenti non fosse presente a darle su
la voce. Intendeva a stento, e talvolta a rovescio,
quel che, altri dicesse; e quando ciò le accadeva con
persona che ne mostrasse impazienza, Silietta si scu-
sava con dire: son corta d'ingegno; cosa che s'era
Digitized by LjOOQ IC
— 447 —
intesa dire spesso da Don Ferrante e da Donna Pras-
sede e dalle suore che l'avevano avuta in cura. Era
destinata al chiostro, per la ragione, facile ad indo-
vinarsi, che Don Ferrante non poteva certamente
darle una dote proporzionata al partito che sarebbe
convenuto alla sua nascita e al grado che teneva la
casa. Su questa sua destinazione non sapremmo, per
verità, dire quali fossero i suoi sentimenti. Non vi
aveva avversione, inclinazione nemmeno : risguardava
questa destinazione come una cosa a cui altri aveva
dovuto pensare ed aveva pensato, e che per lei era
indifferente, a un di presso come Tesserle stato posto
più tosto un nome che un altro ; anzi la risguardava
quasi una conseguenza naturale del suo sesso e delle
circostanze della sua famiglia; e ripeteva sovente ciò
che le era stato detto nell'infanzia da una sua go-
vernante : se fossi nata un maschio, sarei un gran si-
gnore. Ma la cosa era fatta, e Silietta sapeva bene
che non si nasce due volte.
Sotto due padroni, così diversi di inclinazioni e di
occupazioni, (giacché Silietta, e per Tordine naturale
delle cose, e per indole, non si contava come pa-
drona) la famiglia era come divisa in due classi ; anzi
in due partiti, ognuno dei quali aveva nella famiglia
stessa un capo; le due persone cioè che erano più
innanzi nella confidenza dell'uno e dell'altro padrone.
Prospero, il maggiordòmo di casa e il favorito di Don
Ferrante, faceto e rispettoso, disinvolto e composto,
dotto a tutto fare e a tutto soffrire, abile a trattare gli
Digitized by LjOOQ IC
— 448 —
affari e a parlare senza mai proferire le parole che po-
tevano far sentire gl'impicci o offendere la dignità del
padrone, sapeva suggerir a proposito un invito da fare
onore alla casa, trovare un cammeo prezioso, un
quadro raro, ogni volta che una rata di pagamento
stava per entrare nella cassa di Don Ferrante : e sa-
peva trovare un prestatore ogni volta che la cassa
era asciutta. L'antesignano dell'altro partito, la go-
vernatrice favorita di Donna Prassede, era nominata
molto variamente. Il suo nome proprio era Marghe-
rita, ma dalla padrona era chiamata Ghita, dalle donne
inferiori a lei e dai paggi di Donna Prassede, si-
gnora Ghitina; e dai servitori di Don Ferrante, quando
parlavano fra di loro, non era mai menzionata altri-
menti che la signora Chitarra. Pretendevano costoro
che il suo collo lungo, la sua testa in fuori, le sue
spalle schiacciate, la vita serrata dal busto e le anche
allargate le facessero somigliare alla forma di quello
strumento : e che la sua voce acuta, scordata e sal-
tellante imitasse appunto ilsuono che esso dà quando
è strimpellato da una mano inesperta. Esercitava essa,
sotto gli ordini immediati della padrona, la più se-
vera vigilanza sulle' persone che dipendevano da
questa, ed era ministra di tutto il bene ch'ella po-
teva fare in casa e fuori. Ma quanto alla gente di
Don Ferrante, essa non poteva fare altro che notare
tutte le azioni disordinate che essi commettevano, di-
sapprovare con qualche cenno, o al più con qualche
frizzo, e riferire poi il tutto alla padrona, la quale
Digitized by LjOOQ IC
449 —
pure non poteva fare altro che gemere con lei. Pro-
spero, com'è naturale, era l'oggetto principale di av-
versione per Donna Prassede; ma inviolabile, com'egli
era, se ne burlava in cuore, non lasciando però di
corrispondere con riverenze profonde agli sgarbi della
padrona, che rendeva poi con usura in tutte le oc-
casioni alla signora Chitarra. Benché questi due capi
col loro predominio fossero passabilmente incomodi
ognuno alla parte della famiglia che dirigeva, pure
l'una parte e l'altra aveva sposate le passioni e le
animosità del suo capo; l'una faceva crocchio a mor-
morare dell'altra; quando si trovavano in presenza,
si scambiavano visacci, e talvolta parolacce; cerca-
vano scambievolmente di farsi scomparire e d'im-
pacciarsi a vicenda nella esecuzione degli ordini ri-
cevuti. Don Ferrante però aveva appena qualche sen-
tore di questa guerra sorda, perchè egli non osser-
vava molto, e Prospero non si curava di parlargli
di malinconie ; e le querele della moglie le attribuiva
Don Ferrante ad inquietudine di carattere, a giuoco
di fantasia, come le domande di quattrini. Silietta,
senza prender parte attiva, secondava coi voti, e,
quando le era permesso, con le parole, il partito
della signora Ghitina.
Lucia si trovava esclusivamente sotto l'autorità di
Donna Prassede, la quale certamente non intendeva
di lasciare questa autorità in ozio. Si proponeva ella,
a dir vero, di farsi ben servire da Lucia nella parte
che le aveva assegnata; ma, oltre questo fine, che
Alessandro Manzoni. 29
Digìtized by
Google
— 450 —
era semplicemente di giustizia, Donna Prassede ne
aveva un altro di carità, disinteressata a suo modo,
che le stava a cuore ancor più del primo, ed era
di far del bene a Lucia, la quale le pareva averne
gran bisogno. Perchè tutto ciò che Donna Pras-
sede aveva udito in campagna, per la voce pub-
blica, della innocenza di quella giovane, le afferma-
zioni magnifiche ed energiche di Agnese quando era
venuta a proporle la figlia, il volto, il contegno mo-
desto, la condotta stessa così irreprensibile di Lucia
non bastavano a produrre un pieno convincimento
nella mente di Donna Prassede: e non poteva essa
persuadersi che una giovane contadina avesse levato
tanto romore di sé, fosse passata per tanti accidenti,
senza averne cercato nessuno, senza essersi gittata
un po' all'acqua, come si dice, senza essere almeno
una testa leggiera. Donna Prassede teneva per re-
gola generale che a voler far del bene bisogna pensar
male: la sua voglia di dominare, di operare su gli
altri, che anche ai suoi occhi proprj prendeva la ma-
schera di carità disinteressata, era come il ciarlatano
che non dice mai a chi viene a consultarlo : voi state
bene; perchè allora a che servirebbe l'orvietano? Ol-
tracciò, l'aver ricoverata, sottratta al pericolo d'una
infame persecuzione una povera giovane, era un'opera
certamente non senza gloria; però in questo Donna
Prassede non era più che uno stromento quasi pas-
sivo, e la parte che le era toccata non domandava
altro che un po' di buona volontà, senza efficacia di
Digìtized by LjOOQ IC
— 45i ~
azione e senza esercizio di senno, era più un assenso
che una impresa. Ma dopo aver ricoverata la povera
giovane, emendare anche il suo cervello un po' bal-
zano, rimetterla sulla buona strada, questo sarebbe
stato non solo compire, ma rassettare l'opera del
cardinale Federigo, il quale era, a dir vero, un degno
, prelato, un uomo del Signore, dotto anche sui libri,
ma quanto ad esperienza di mondo, a discernimento
di persone, non ne aveva molto: questa insomma
sarebbe stata gloria; e perchè Donna Prassede po-
tesse ottenerla, era necessario che Lucia avesse il cer-
vello un po' balzano, e avesse fatto almeno qualche
passo su una cattiva strada. Per averne qualche prova
positiva Donna Prassede richiese qua e là informa-
zioni intorno a quel Fermo a cui Lucia era stata
promessa, e sulle avventure, sulla fuga del quale
Donna Prassede aveva intese in villa voci -confuse;
discorsi, ma tutte poco buone. Le informazioni furono
quali dovevano essere, che quel giovane era un fa-
cinoroso, venuto a Milano per metterlo sossopra, per
fare il capopopolo, ch'era stato nelle mani dei birri, a
un pelo della forca; e se ora respirava tuttavia in
paese straniero, lo doveva alla sua audacia nel resi-
stere alla giustizia e alla celerità delle sue gambe.
Questa notizia confermò il giudizio di Donna Pras-
sede e le diede materia per le sue operazioni. Dimmi
con chi tratti e ti dirò chi sei, è un proverbio; e
come tutti i proverbj non solo è infallibile, ma ha
anche la facoltà di rendere infallibile Y applicazione
Digitized by
Google
— 452 —
che ne fa chi lo cita. Lucia aveva dunque infallibil-
mente, non già tutti i vizj, che sarebbe stato dir
troppo, ma una inclinazione ai vizj di Fermo : questo
fu il giudizio di Donna Prassede. E il bene da farsi
era non solo d'impedire che Lucia ricadesse mai
nelle mani di Fermo, ch'ella avesse con lui la me-
noma corrispondenza; bisognava andare alla radice,
al più difficile, guarire Lucia, farle far giudizio, to-
gliere da quel cervellino l'attacco per colui : attacco
che, a dir vero, era il solo vizio essenziale di Lucia.
Questa allora sarebbe divenuta al tutto una buona
creatura; e chi avrebbe avuto tutto il merito dell' im-
presa? Donna Prassede.
La prima parte di questo disegno, la parte mate-
riale, la vigilanza esteriore sopra Lucia, era partico-
larmente affidata alle cure di Ghita. Doveva essa te-
nerle sempre gli occhi addosso, accompagnarla alla
chiesa, spiare s'ella parlava a qualcheduno, se qual-
cheduno le faceva un cenno, osservare attentamente
che qualche messo nascosto non le si accostasse. Com-
presa e piena dell'uficio che le era imposto, Ghita
nella via andava sempre con gli occhi sbarrati e
sospettosi ; e siccome il volto di Lucia attraeva spesso
e fermava gli sguardi, così la guardiana si trovava
spesso nel caso di fare il viso dell'arme ai guarda-
tori, o almeno di far loro intendere ch'ella vegliava
e che la loro mira era sventata : e quando s'avve-
deva che la sua aria di sospetto e di minaccia fem-
minile, invece di stornare i tentativi, avrebbe pro-
Digitized by
Google
— 453 —
vocata P insolenza, pericolo comunissimo a quei tempi,
allora accelerava il passo e lo faceva accelerare a
Lucia. In chiesa poi, se uno di quegli che si trova-
vano sui banchi vicini aveva guardato attentamente
a Lucia, o aveva tossito, Ghita, continuando a mor-
morare le sue orazioni, non pensava più che a guar-
dare il suo deposito. Aveva inoltre P incarico di fru-
gare, quando lo poteva senza essere scoperta, nelle
tasche di Lucia, per vedere se mai ella ricevesse
qualche lettera. Questa precauzione avrebbe potuto
sembrare inutile, giacché, e qui dobbiamo aperta-
mente confessare una cosa, che finora si è appena
indicata e lasciata indovinare, la nostra eroina non
sapeva leggere ; ma Ghita pensava che le precauzioni
non sono mai troppe. Quello poi che in questo pro-
cedere vi poteva essere d'indelicato, non riteneva
Ghita per nulla; essa non vi sospettava nemmeno
nulla di simile; non conosceva né la parola, né P idea;
anzi la parola in questo senso non esiste neppure ai
nostri giorni nella lingua pura, e noi adoperandola
sappiamo d'essere incorsi in un brutto neologismo.
Finalmente doveva Ghita cercare di scovare nei di-
scorsi di Lucia se mai ella avesse qualche speranza,
se qualche pratica fosse ordita, farla ciarlare artifi-
ciosamente su tutti quegli incidenti che avevano dato
a Ghita qualche sospetto.
Ebbene, signori miei, tutta questa gran macchina
di cure e di operazioni, tutto questo lavorare sot-
t'acqua non dava quasi nessun incomodo a Lucia, o
Digìtized by
Google
— 454 —
per dir meglio, ella non se ne avvedeva, e benché
non potesse a meno di non sentire qualche cosa di .
minuto e di pettegolo nella sollecitudine continua di
Ghita, pure lo attribuiva alla indole di lei e non mai
ad un disegno profondo e comandato. I pensieri di
Lucia, quel pensiero ch'era divenuto lo scopo prin-
cipale della sua vita, la portava alla ritiratezza, ad
astenersi da ogni comunicazione, e quindi ella non
era avvertita dolorosamente di ciò che altri facesse
per rivolgerla ad un punto al quale ella tendeva na-
turalmente. In altri tempi quella situazione così nuova,
cosi opposta alle sue abitudini, cosi lontana dalle sue
affezioni, le sarebbe stata penosissima, ma la facilità
ch'ella vi trovava di ottenere quel, suo scopo faceva
ch'ella vi stesse con rassegnazione, e quasi vi ripo-
sasse, se non con piacere, almeno col desiderio di
farsela piacere. E il suo scopo era tuttavia quello di
cui abbiamo già parlato : scordarsi di Fermo. Si stu-
diava ella quindi di rinchiudere tutte le sue idee
nella casa dove era stata allogata, di ristringerla alle
sue occupazioni, si métteva con grande intenzione a
tutte le cose che le erano comandate, si rallegrava
tutte le volte che vedeva dinanzi a sé molti doveri
che occupassero tutta la sua giornata, che non le
dessero agio di correre con la mente a desiderj vani
e colpevoli, di smarrirsi nelle memorie d'un passato
irreparabile. Le memorie tornavano però sovente a
tormentarla; l'immagine della madre era sempre la
prima a presentarsi; e mentre Lucia si fermava a
Digìtized by
Google
— 455 —
contemplarla con sicurezza, con una mesta affezione,
l'immagine di Fermo, che le stava dietro nascosta,
si mostrava. Lucia voleva respingerla tosto ; ma l'im-
magine, che non voleva andarsene, aveva un buon
pretesto, ed era sempre lo stesso, per obbligare Lucia
a trattenerla almeno un momento, le ricordava in
aria trista e non senza rimprovero i* pericoli che
Fermo aveva corsi, e quelli che forse gli soprasta-
vano ancora, le rimostrava che quando anche un nuovo
dovere può far rinunziare ad un affetto già così le-
cito, già così caro, non deve, non vuol però togliere
la pietà, la sollecitudine, la carità del prossimo. Lucia
combatteva, rivolgeva la mente ad altre immagini,
ma tutte erano tinte di quella prima, tutte la richia-
mavano. I luoghi, le persone: Don Abbondio avrebbe
dovuto pronunziare quelle parole per cui ella sarebbe
stata di Fermo: i consigli, le cure del Padre Cristo-
foro per chi erano? per Lucia e per Fermo: fino il
monastero di Monza, finjo il castello del Conte, fino
il cardinale Federigo, tutto si legava a Fermo, e
molte volte Lucia, ripensando a tutto questo, si ac-
corgeva ch'ella si era immaginata di raccontar tutto
a Fermo. Con tutto ciò, ella combatteva, e la guerra
sarebbe stata se non sempre vinta, pure meno aspra
e meno dolorosa; Lucia avrebbe potuto, se non ot-
tenere lo scopo, almeno andargli sempre da presso,
se questo scopo non fosse stato anche quello di
Donna Prassede.
La brava signora, per toglier Fermo dall'animo
Digìtized by
Google
— 456 —
di Lucia, non aveva trovato mezzo migliore che di
parlargliene spesso. La faceva chiamare a sé, e se-
duta sur una gran seggiola, con le mani posate e di-
stese sui bracciuoli, di qua e di là dei quali pende-
vano le maniche della zimarra di damasco rabe-
scato a fiori, che era stato l'abito di moda nei bei
giorni di Dònna Prassede nel tempo in cui v'era
buona fede e semplicità, in cui tutti, fino ai giovani,
erano savj ed onesti, col volto imprigionato tra un
cappuccio di taffetà nero, che copriva la fronte, e
una enorme lattuga, che girava intorno alla gola e
sul mento, Donna Prassede ricominciava la sua pre-
dica, per provare a Lucia eh' ella non doveva più
pensare a colui. La povera Lucia protestava da prin-
cipio con voce angosciosa e timida, ch'ella non pen-
sava a nessuno. Donna Prassede non voleva mai stare
a questa ragione e ne aveva molte da opporre. So
come vanno le cose, diceva ella, conosco il mondo,
so come son fatte le giovani; se v'è un ribaldo, è
sempre il più accetto. Fate che per qualche acci-
dente non possano sposare un galantuomo, un uomo
di giudizio, si rassegnano tosto; ma se è uno sca-
vezzacollo, non se lo possono cavar dal cuore. Eh,
figlia mia, non basta dire non penso a nessuno,
vogliono esser fatti, fatti e non parole. Così, se-
guendo una sua idea, che è anche quella di molti
altri, che per far passare in una testa repugnante
i proprj sentimenti, bisogna esprimerli con molta
efficacia, adoperare i termini i più forti ed anche
Digìtized by
Google
457
esagerati, Donna Prassede non risparmiava i titoli al
povero assente, lo nominava come un oggetto d'or-
rore, di schifo, faceva sentire che sarebbe stata cosa
inconcepibile, mostruosa, che alcuno potesse avere
interessamento e peggio inclinazione per colui. Cosi
ella otteneva [appunto l'intento opposto a quello
ch'ella si proponeva. Lucia cercava di dimenticar
Fermo; ma quando una parola sgraziata e nemica
glielo voleva a forza rimettere nella mente in un
aspetto odioso e spregevole, allora tutte le antiche
memorie si risvegliavano ed accorrevano per respin-
gere una immagine tanto diversa dalla immagine in
cui quella mente era stata avvezza a compiacersi.
Il disprezzo con che il nome di Fermo era proferito
faceva ricordare a Lucia la condotta, il contegno, il
buon nome di Fermo, tutte le ragioni per cui ella lo
aveva stimato; l'odio faceva risorgere più risoluto l'in-
teresse; l'idea confusa dei pericoli ch'egli aveva corsi,
anche dei falli ch'egli poteva aver forse commessi,
pericoli e falli che Donna Prassede rinfacciava a Lucia
con eguale amarezza, come un eguale motivo di av-
versione, suscitavano più viva e più profonda la pietà,
e da tutti questi sentimenti rinasceva quell'amore che
Lucia si studiava tanto di estinguere. L'amore, ac-
consentito o combattuto che sia, dà a tutti i discorsi
una forza e un vigore suo proprio. Lucia diventava
coraggiosa e giustificava Fermo, e Donna Prassede
approfittava di quelle parole come d'una confessione,
per provare a Lucia che non era vero ch'ella non
Digitized by
Google
- 45» —
pensasse più a lui. E con questa prova in mano la-
vorava sempre più animosamente sull'animo di Lucia,
facendole vedere chi era colui ch'ella ardiva pure di
difendere. E che doveva ringraziare il cielo che la
cosa fosse finita a quel modo, altrimenti le sarebbe
toccato un bel fiore di virtù. Buon per lui che le
gambe lo avevano servito bene, altrimenti avrebbe
fatto una bella figura, avrebbe tenuto compagnia a
quei quattro altri ' galantuomini Quando la gros-
solana signora toccava tasti, d'un suono così orribile,
la povera Lucia non poteva più fare altro che pren-
dere con la sinistra il grembiale, portarlo al volto
per nasconderlo e per ricevere le lagrime che le sgor-
gavano dirottamente.
Se Donna Prassede avesse parlato cosi per un odio
antico, per fare vendetta di qualche affronto crudele,
l'aspetto del dolore che producevano le sue parole
gliele avrebbero forse fatte morire in bocca, o can-
giare in parole più dolci; ma Donna Prassede par-
lava per fare il bene, e non si lasciava smuovere : a
quel modo che un grido supplichevole, un gemito
di terrore potrà ben fermare l'arme d'un nemico, ma
non il ferro d'un chirurgo. Fatte ingojare a Lucia
tutte le amare parole ch'ella credeva necessarie pel
bene di lei, Donna Prassede, che non era trista in
fondo, la rimandava con qualche parola di conforto
e di lode, e rimaneva sempre soddisfatta di avere
acconciato un po' il cuore di quella giovane. Ac-
conciato come una gala di mussolo stirata da un ma-
Digitized by
Google
- 459 —
guano. La povera Lucia, riconoscendo la buona in-
tenzione, pregava però caldamente che queste prove
d'interessamento le fossero risparmiate.
Donna Prassede aveva nel fondo del suo cuore un
altro disegno sopra Lucia, che sarebbe stato il com-
pimento dell'opera. Silietta si compiaceva molto nella
compagnia di quella giovane, che era la sola in casa
che le desse retta e la lasciasse parlare; e Donna
Prassede pensava che si sarebbe fatto un gran be-
nefizio a Silietta e a Lucia stessa se si fosse potuto
farle nascere la vocazione di andar conversa nel mo-
nastero dove Silietta doveva esser monaca (l). Quivi
Lucia sarebbe stata fuori d'ogni pericolo per sempre,
e la buona opera di Donna Prassede sarebbe stata
più evidente, più conosciuta ; Lucia sarebbe divenuta
un monumento parlante della sapiente benevolenza
della sua padrona. Non ne aveva però fatta la pro-
(l) Di Silietta il Manzoni parla di nuovo nel capitolo I
del tomo IV. «Dalla fine dell'anno 1628», (così scrive)
« alla quale siamo pervenuti con la narrazione, in sino
alla metà del 1630, i nostri personaggi, quale per ele-
zione e quale per necessità, si rimasero a un di presso
nello stato in cui gli abbiamo lasciati : e la loro vita non
offre in questo tempo quasi un avvenimento che ci sembri
degno di menzione. Noi non poniamo, per esempio, tra
gli avvenimenti memorabili la vestizione di Silietta, come
non si considera per una epoca importante nella storia
astronomica una piccola eclissi preveduta e calcolata e
non visibile in Europa ». Il tratto però che riguarda Si-
lietta è cancellato. (Ed.j
Digìtized by
Google
— 460 —
posizione a Lucia, ma con quell'arte sopraffina che
possedeva, cercava tutte le occasioni per far nascere
spontaneamente nel cuore di Lucia questo desiderio.
A poco a poco queste insinuazioni divenivano più
frequenti e più chiare; e Lucia cominciava a com-
prenderle, ma però senza che le cominciasse la voglia
di acconsentirvi (1). V era nulladimeno per essa un
gran vantaggio, che Donna Prassede cadeva meno
spesso, e con meno impeto, su quel primo, più do-
loroso argomento; tanto più doloroso, perchè Lucia
non aveva con chi esilararsi della tristezza angosciosa
che quei discorsacci le cagionavano. La nostra Agnese
era lontana, a casa sua, dove pensava sempre a Lucia
e andava spesso alla villa di Donna Prassede per
saper le nuove di Lucia ; e le nuove le erano sempre
date ottime, coi saluti della figlia. La buona donna
si struggeva di rivederla, ma andar fino a Milano !
In quei tempi, con quelle strade, con quella scarsezza
di comunicazioni, coi bravi, coi boschi, quella era
quasi una impresa di cavalleria errante ; e Agnese si
rassegnava all'idea di esser lontana da sua figlia
come ai nostri giorni farebbe una madre, della con-
dizione di Agnese, che avesse una figliata collocata
in Inghilterra (2).
(*) In margine il Manzoni notò poi questo pensiero :
« La signora le aveva lasciata una impressione confusa,
ma spiacevole, etc. ». (Ed.)
(') Segue, ma cancellato : Fine del tomo III, u Mar-
Digìtized by LjOOQ IC
46 1
zo 1823. Questo brano forma il Capitolo IX appunto del
tomo III della prima minuta. Vi aggiunse quest'altro
brano: « La povera donna aveva un'altra faccenda su le
braccia : la corrispondenza con Fermo. Quantunque egli
non trovasse bel paese quello dove non era Lucia, pure
sapendo che egli stava sui registri di Milano, non ardiva
scostarsi dall'asilo. Faceva scrivere ad Agnese, per chie-
derle nuove della figlia ; dico faceva scrivere, perchè i
nostri eroi, simili in ciò a quelli d'Omero, non conosce-
vano l'uso dell'abbici. Agnese si faceva leggere e inter-
pretare le lettere, e incaricava pure altri della risposta.
Chi ha avuto occasione di veder mai carteggi di questa
specie, sa come son fatti e come intesi. Colui che fa scri-
vere dà al segretario un tema ravviluppato e confuso;
questi, parte frantende, parte vuol correggere, parte esa-
gerare per ottener meglio l' intento, parte non lo esprimere
come lo ha inteso; quegli a cui la lettera è indiritta, se
la fa leggere ; capisce poco ; il lettore diventa allora in-
terprete e con le sue spiegazioni imbroglia anche di più
quel poco di filo che l'altro aveva afferrato: di modo che
le due parti finiscono a comprendersi fra loro come due
filosofi trascendentali. Il peggio è quando la situazione
della quale si vuol render conto è complicata e i disegni
e le proposte che si vogliono fare sono contingenti e con-
dizionate. Tale era il caso di Fermo. Il suo disegno era
di stabilirsi a Bergamo, di viver quivi della sua professione
e di farsi con quella anche un po' di scorta, di preparare
un buon letto a Lucia e che allora essa venisse a Bergamo
con la madre ed ivi si concludessero le nozze. Ma i tempi
non erano propizii. L'amore, che dipinge le cose facili,
bastava bensì a persuadere a Fermo che il suo disegno
si sarebbe potuto eseguire in seguito; ma non poteva na-
scondergli che per allora era ineseguibile. Bisognava adun-
que che Fermo facesse intendere ad Agnese questo mi-
scuglio di speranze fondate, anzi certe, di impaccio attuale,
Digìtized by
Google
462 —
di sì nell'avvenire e di no nel presente. Agnese ricevette
la lettera dopo il ritorno da Monza, intese e fece rispon-
dere come potè. Il ratto di Lucia fece tanto strepito che
la voce ne giunse a Fermo, ma per buona ventura insieme
con quella della liberazione. Pure ognuno può immagi-
narsi quali fossero le sue angustie. Se Lucia fosse rimasta
nel suo paese, Fermo certamente non si sarebbe tenuto
dall'andarvi : di nascosto, di notte, travestito, per balze,
per greppi, come che fosse, vi sarebbe andato. Ma egli
seppe anche che Lucia era partita per Milano; e in tale
circostanza, non solo il pericolo diventava per Fermo, in-
comparabilmente maggiore, ma il tentativo incomparabil-
mente più difficile e l'evento quasi disperato. Dovette
egli dunque contentarsi di chiedere schiarimenti ad Agnese.
La buona donna trovò il mezzo di fargli avere, per mezzo
d'un mercante quei cento scudi, che Lucia aveva destinati
a lui, ed una lettera, nella quale v'era l'intenzione di
metterlo al fatto di tutto l'accaduto. Ma questa lettera
non isgombrò le inquietudini e le ansietà di Fermo ; anzi
i cento scudi le accrebbero: giacché, pensava egli, ora
che Lucia, per una ventura inaspettata, possiede tanto che
basta perchè noi possiamo viver qui marito e moglie, per-
chè non viene ella e mi manda invece questi denari, come
un dono, come una elemosina, come... e qui Fermo si
sentiva scoppiare... come un congedo? Voglio io denari
da lei? E se ella non è mia, pensa ch'io possa da lei
ricevere qualche cosa ? Per quanto Agnese avesse cercato
di fargli scriver chiaro che Lucia dallo spavento in poi
si trovava quale egli l'aveva lasciata, Fermo alla vista di
quei denari e dati a quel modo era assalito da mille dubbi
torbidi e strani. Le lettere che egli faceva scrivere a Lucia,
cadevano tutte in mano di Donna Prassede, la quale certo
non le consegnava a cui erano indiritte, ma, pel meglio,
le leggeva e si regolava su le notizie che ne ricavava.
Fermo, sempre più inquieto, chiedeva ad Agnese la spie-
Digitized by LjOOQ IC
463
gazione di quei dubbii e del silenzio di Lucia. Quand'an-
che Agnese avesse saputo scrivere, non avrebbe potuto
soddisfare il poveretto, perchè la cagione del silenzio le
era .ignota, ed essa pure non capiva bene il contegno di
Lucia con Fermo. La spiegazione di tutto era nel voto
fatto da Lucia, e che essa non aveva confidato né meno
alla madre. La corrispondenza andava sempre più imbro-
gliandosi fin che essa fu interrotta dagli avvenimenti che
racconteremo nel volume seguente. Fine del tomo III».
(Ed.)
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
XIX.
Il passaggio de' lanzichenecchi.
Alessandro Manzoni. 30
Digìtized by
Google
Digitized by
Google
La milizia, a quei tempi, era ancora in molte parti
d'Europa composta in gran parte di venturieri, che
si ponevano al soldo di condottieri di professione, i
quali andavano poi coi loro drappelli al servizio di
questo o di quel principe. Oltre le paghe, sulle quali
non era da fare assegnamento certo, quello che de-
terminava gli uomini ad arruolarsi era la speranza
del saccheggio e tutte le vaghezze della licenza. Di-
sciplina generale non v'era in un esercito, né avrebbe
potuto conciliarsi con le varie autorità private dei
condottieri : e questi, prima di tutto, non si curavano
di mantenere una disciplina particolare nei loro reg-
gimenti, perchè non avevano per questa parte re-
sponsabilità verso nessuno ; e quand'anche alcuno di
essi, a cose pari, avesse pur desiderato di contenere
i suoi soldati in un qualche rispetto per le proprietà
e per le persone degli abitanti, questo disegno sa-
rebbe stato per lo più o contrario ai suoi interessi,
o superiore alle sue forze. Perchè soldati di quella
sorte o si sarebbero rivoltati, o avrebbero tosto de-
Digìtized by
Google
— 468 —
serte le bandiere di un comandante nemico della vio-
lenza e del saccheggio. Oltre di che, siccome i prin-
cipi nel comperare i soldati pensavano più ad averne
in gran numero per assicurare le imprese, che a pro-
porzionare il numero alla loro facoltà di pagare, la
quale era ordinariamente molto scarsa, cosi le paghe
erano per lo più ritardate e mancanti; e le spoglie
dei paesi dove passava l'esercito divenivano come
un supplemento tacitamente convenuto degli sti-
pendj. Quindi i soldati di quel tempo e per le ten-
denze che gli avevano tratti a scegliere quella pro-
fessione, e per le abitudini di essa formavano come
una collezione di tutte le nequizie che può dare la
natura umana nel suo maggior grado di perverti-
mento. Ma quelli che allora scendevano nel Milanese
erano poi il più bel fiore di quella farina; erano in
gran parte gli stessi che guidati dall'atroce Wal-
lenstein avevano poco prima desolata la Germania
in quelle guerre tanto impropriamente chiamate di
religione, poiché queste stesse masnade che avevano
combattuto per la parte che protestava di sostenere
la religione cattolica erano composte in parte di lu-
terani.
L'annunzio della venuta di costoro portò il ter-
rore nei distretti per dove avevano a passare: nelle
altre parti si diceva : povera gente ! stanno freschi :
chi sa come gli acconciano coloro ! vedrete che non
lasceranno loro altro che gli occhi per piangere : sia
lodato Dio che non passeranno per di qua. Ma chi
Digìtized by
Google
— 469 —
sapeva che quell'esercito portava la peste con sé, e
l'aveva già disseminata nei luoghi dove aveva stan-
ziato, sentiva qualche cosa di più che una fredda
pietà per altrui. La maggior parte però degli abi-
tanti del Milanese o non lo voleva credere, o non
se ne curava, o con quella fiducia, senza motivi,
cosi strana e così comune, diceva: Poh! che ha da
venire la peste da noi ?
Colico, sulle rive del lago di Como, presso alla
foce dell'Adda, fu la prima terra che toccarono quei
demonj ; dopo e d'averla messa a sacco, l'arsero ad-
dirittura ; se per rabbia di non avervi trovato abba-
stanza bottino, o pel diletto di fare una baldoria,
non si sa. Di là, senza curarsi d'itinerario, né di
poste assegnate, ma guardando solo dove fosse più
da sperarsi bottino, si gettarono sopra Bellano, lieto
paese sulle falde d'un monte e alla riva del lago.
Gli abitanti, ammoniti dall'esempio recente e dalla
prossima mina, avevano o nascoste sotterra, o tra-
sportate in fretta sui monti le cose più preziose e
le più facili a trasportarsi; e molti di essi s'erano
appiattati lassù, abbandonando le case. Con tanto
più di furore v'entrarono quelle masnade, e delle cose
lasciate presero tutto ciò che poteva loro servire e
sperperarono ed arsero il resto, mobili, botti, travi.
Quegli che erano rimasti colla speranza di preser-
vare i loro averi, ne videro la distruzione, videro
l'abominevole sfrenatezza, e per sopra più soggiac-
quero agli strapazzi, alle percosse e alle ferite. Né
Digitized by VjOOQ IC
— 47o —
i campi all'intorno furono risparmiati ; la vendemmia,
somma speranza dei terrazzani in quell'anno cala-
mitoso, sparve in un momento ; coll'uve furono ster-
pate le viti, gli alberi abbattuti col frutto, molti casali
incendiati. Appena cessarono di farsi udire le trombe
che avevan sonata la partenza d'un reggimento, un
nuovo squillo dall'altra parte annunziava terribilmente
l'arrivo di altra simile, anzi peggiore brigata. I so-
pra wegnenti, trovando la distruzione dove avreb-
bero voluto portarla, si vendicavano su le cose e su
le persone che capitavano loro alle mani, come di un
furto che fosse stato loro fatto : e tanta cupidigia fru-
strata tornava tutta in furore. Qualche memoria del
guasto di quel paese ci rimane in alcune lettere di
Sigismondo Boldoni, scrittore riputatissimo ai suoi
tempi, e che forse avrebbe acquistato un nome più
esteso e più autorevole anche presso ai posteri se
non fosse morto all'uscire della giovinezza, e sopra
tutto se quei pochi anni gli avesse vissuti in un se-
colo in cui fosse stato possibile concepire nuove idee
d'una precisione e d'una importanza perpetua, e per
esporle trovare quello stile che vive. Questi, sulle
prime, .non aveva voluto fuggire, e parte cercando di
avere ad alloggio ufiziali, parte chiamando soccorso di
soldati italiani ivi stanziati, era venuto a capo di pre-
servare la sua casa, e di difenderla poi quando fu mi-
nacciata : e racconta agli amici i suoi pericoli e gli ul-
timi disastri. V'è pure in una di quelle sue lettere
un tratto singolare, che merita d'esser ricordato. Il
Digitized by LjOOQ IC
— 471 —
tenente del colonnello Merode, il cui reggimento era
venuto pel primo, entrato nel giardino di Sigismondo,
accennò un boschetto e domandò che razza di piante
fossero quelle e che frutto portassero. — Ahi bar-
baro ! pensò il Boldoni : non conosce l'alloro. — E
conchiuse fra sé, che da tal gente non era da spe-
rarsi misericordia (*). Desolato quel territorio, le fe-
roci locuste si gettarono nella Valsassina. È un
gruppo di montagne e di valli, paese poco visitato
dal sole, intersecato da torrenti, petroso e selvatico
negli accessi, ma per entro rivestito in gran parte
di ricchi pascoli, e più fertile che non l'annunzi il
suo nome: ha varie terre, quale sul pendìo, quale
nel fondo, a luogo a luogo assai vasto perchè si
possa chiamarlo pianura: e sur alcuni monti più er-
bosi sono sparse bianche e picciole casette, che da
lontano raffigurano quasi un gregge sbandato al pa-
scolo. Non vi mancavano possessori agiati, ma la
(') A Sigismondo Boldoni, che visse dal 1597 al 1630,
l'u settembre del 1899 fu eretto un monumento nel suo
nativo Bellano. L'ab. Luigi Vitali nel discorso inaugurale,
che pronunziò, diceva: «il Boldoni, in alcune sue lettere,
con viva e commovente verità, ci descrive una delle molte
discese dei barbari, il passaggio dei Lanzichenecchi, de-
scrizione che forse ha ispirato alcune delle belle pagine
dell'immortale romanzo / Promessi Sposi » . Cfr. Vitali L.,
Patria e Religione % cotmnemor azione, Milano, Cogliati,
!9°3; PP» 534-535- Da quelle lettere trasse infatti più d'una
ispirazione il Manzoni. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 472 —
più parte degli abitanti erano e sono tuttavia man-
driani, i quali vi dimorano nelle stagioni più miti e
passano al piano i mesi più rigidi. La fama spaven-
tosa della sorte di Bellano precedeva le truppe, e i
valligiani s'erano presso che tutti rifuggiti sulle somme
alture, lasciando deposte sotterra presso le case le
loro ricchezze, e cacciando dinanzi a sé le mandrie,
che sono la principale. Ma i saccheggiatori, ai quali
non bastava quello che era stato loro abbandonato,
e a cui le arti di preservazione degli abitanti ave-
vano suggerite nuove armi di offesa e di depreda-
zione, si diedero a rintracciarli. Quelli che erano stati
più lenti a fuggire, o che furono sorpresi nei loro
nascondigli, strascinati giù pei greppi a minacce, a
percosse, ricondotti nei villaggi, erano quivi sottoposti
alle torture che può inventare la cupidigia più cru-
dele, perchè rivelassero i tesori nascosti. Due pas-
sioni ben diverse, ma egualmente potenti, l'avidità
e il terrore, supplivano alle convenzioni del linguaggio
e si spiegavano fra di loro in un rapido e terribile
dialogo. I gemiti, le voci supplichevoli, le mani
giunte al petto, o stese al cielo non impetravano che
nuovi strazj : l'infelice, che si prostrava ad abbrac-
ciare le ginocchia dei suoi oppressori, era rialzato a
forza di percosse. Colui che aveva riposto sotterra o
danaro o suppellettili, o a cui il vicino, per far
pompa di previdenza e di sicurezza nei suoi ripieghi,
aveva confidato il luogo del suo deposito, si stimava
felice di avere con che acchetare quella perversità,
Digitized by LjOOQ IC
~ 473 ~
accennava premurosamente e con aria di sommessa e
quasi amichevole intelligenza ai soldati, che lo se-
guissero, e mostrava loro la terra di recente smossa,
o l'armadio murato di fresco ; e cercava di sguizzare
fra mezzo, i saccheggiatori, che, ciechi per ingordigia,
si gettavano a gara sulla preda.
Dalla Valsassina il temporale discese nel terri-
torio di Lecco (*).
Le contingenze infelici della vita umana son tante,
che non di rado l'uomo oppresso da una sventura
può consolarsi col pensiero d'altro male o di peggio
che senza quella sventura gli sarebbe capitato infal-
libilmente. Se la infame passione di Don Rodrigo
non fosse venuta a turbare i placidi destini di Fermo
e di Lucia, essi, dopo d'aver passato un anno d'inopia,
contra la quale chi sa se le loro facoltà avrebbero
bastato, si sarebbero ora trovati, probabilmente con
un bambinello, esposti nel loro paese a quella or-
renda furia militare, costretti a fuggire; e quando aves-
sero schivati tutti i pericoli della persona, tornando
poi a casa non v'avrebbero trovate che le muraglie,
e quelle mezzo diroccate e i segni perversi e luridi
del sozzo torrente che v'era passato. Questi guai
sembrano ora leggieri al paragone di ciò che Lucia
e Fermo hanno sofferto in quella vece, ma allora,
(!)Qui termina il capitolo I del tomo IV e incomincia
quello II. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 474 —
non v'essendo il paragone e non potendo essi nem-
men per sogno immaginare come possibili tutte le
traversie che abbiamo narrate, quel minor male sa-
rebbe ad essi paruto il colmo della infelicità. Co-
munque sia, in mezzo a tanti mali fu una ventura
per entrambi l'esser lontani da casa loro in quel
brutto momento.
E Agnese? Agnese si trovava mò proprio nel-
l'intrigo. Vengono; hanno saccheggiata Cortenova,
hanno dato il fuoco a Primaluna, disertato Introbbio,
Pasturo, Barzio, si sono veduti a Ballabio, son qui,
son qui; cosi la fama andava di momento in mo-
mento crescendo e avvicinando il terrore. Alcuni di
quei ppveri valligiani, che invece di rintanarsi sui
monti, dove forse non sarebbero stati sicuri, avevano
stimata miglior via di fuga, precorrere il nemico,
giungevano ansanti, spaventati, in disordine, come
reliquie d'un esercito disfatto e inseguito, e raccon-
tavano cose orribili della crudeltà dei soldati, prin-
cipalmente contra coloro che fossero o paressero opu-
lenti. Agnese aveva ancora una ventina di quegli
scudi d'oro che il Conte del Sagrato le aveva do-
nati cosi a proposito e quasi per ispirito di profezia ;
che in quell'anno, senza quell'ajuto di costa, la po-
veretta sarebbe stata ridotta a morire di stento, o a
pitoccare disperatamente, come tanti altri. Ma dopo
d'aver sentifi i vantaggi della ricchezza, Agnese ne
provava ora tutte le cure e i terrori. È ben vero
ch'ella aveva sempre dissimulata prudentemente quella
Digitized by VjOOQ IC
~ 475 —
ricchezza, e il solo che fosse del segreto era Don
Abbondio, che era stato testimonio del dono, ed al
quale essa ricorreva per fargli di tempo in tempo
cambiare uno scudo in picciola moneta. Ma una in-
discrezione poteva avere tradito il segreto, o un so-
spetto averlo indovinato, e allora il pericolo sarebbe
stato terribile e la fuga mal sicura. Poiché era cosa
nota che nei luoghi dove la soldatesca era già pas-
sata, uomini, ai quali in verità non si saprebbe tro-
vare un epiteto, o per invidia, o per isperanza di
premio, avevano guidati quei masnadieri al nascon-
diglio di qualche lor paesano denaroso, segnandolo
così allo spoglio ed ai tormenti. Per queste ragioni
Agnese fluttuava in un dubbio tempestoso : più volte,
vedendo passare qualche frotta de* suoi paesani che
tiravano verso i monti, s'era mossa per mettersi in
loro compagnia; e poi ristava, pensando con racca-
priccio ai pericoli che l'asilo stesso poteva essere per
lei. Ma dove trovare quello che le desse la sicurezza
particolare di ch'ella aveva bisogno? Maneggiando
e rimaneggiando quegli scudi d'oro, svolgendoli e
rincartocciandoli, togliendoli di seno per riporveli
meglio, le sovvenne di colui che glieli aveva dati,
delle sue proferte, del suo castello posto al confine e
in alto come il nido dell'aquila ; e si fermò tosto nel
pensiero di cercarsi l'asilo colà. Aveva già sotter-
rate, nascoste sul solajo, riposte alla meglio le mas-
serizie più grosse; sbarrò, come potè, le finestre;
tolse un fardello, dove aveva ragunato ciò che le sue
Digìtized by
Google
— 476 —
forze bastavano a portare; ravvolse per l'ultima volta
quegli scudi d'oro e li cacciò sotto il busto, tra la
camicia e la pelle, uscì di casa, chiuse la porta, più
per non trascurare una formalità, che per fiducia che
avesse in quei gangheri e in quelle imposte, si mise
la chiave in tasca e s'avviò. Trovandosi così soletta
in istrada, pensò quanto le sarebbe stato prezioso un
compagno in quel tragitto. Ma voleva esser galan-
tuomo, galantuomo a tutte prove, superiore ad ogni:
sospetto e più forte d'ogni tentazione. Dove trovarlo
anche questo? Il curato? Perchè no? la casa paroc-
chiale è a pochi passi, tentiamo.
Chi non ha veduto Don Abbondio in quel giorno
non ha un'idea vera dell'impaccio. I nemici che si
avvicinavano erano i più terribili che egli avesse mai
avuti a fronte, e quelli contra cui erano più inutili
tutte le sue armi, tutti i suoi stratagemmi. Non era
gente da ammansarsi colla pieghevolezza e colla som-
messione, molto meno da contenersi colFautorità.
Non v'era salute che nella fuga ; ma, primo di tutti
a risolverla, Don Abbondio era poi rimasto indietro
di molti per le difficoltà che trovava nella fuga stessa
e per le condizioni ch'egli vi aveva voluto porre.
L'ertezza del cammino lo spaventava, e questo spa-
vento gli aveva fatto perder qualche tempo a voler
persuadere or l'uno, or l'altro dei suoi parrocchiani
che lo portassero in lettiga; ma, in verità, quello
non era momento da trovar lettighieri. Era pure an-
dato pregando tutti quelli che avevano buone spalle
Digìtized by
Google
— 477 —
che per amore del loro curato si caricassero delle
sue masserizie, delle sue provvigioni, anche dei suoi
mobili, per portarli in alto e riporli in salvo ; ma si
era indirizzato ad uomini occupati a scegliere tra i
pochi loro averi quello che si poteva trafugare, la-
sciando con dolore il resto alle voglie dei ladri: e
nessuno aveva spalle da allogare a Don Abbondio.
Pensava final mente a nascondere il tutto sul luogo,
ma la cosa era per sé difficile, e il tempo stringeva.
Di più, non aveva ancora saputo scegliere un asilo,
e, senza farne mostra, era tormentato dallo stesso
timore che Agnese. Girava il poveruomo per la
casa, tutto affannato e stralunato, non sapendo che
farsi; se la prendeva, quando col duca di Nivers,
come diceva egli, che avrebbe potuto rimanersi in
Francia e voleva a forza esser duca di Mantova,
quando col duca di Savoja, che voleva ingrandirsi,
quando coir imperatore, che stava su certi puntigli,
e quando con Don Gonzalo di Cordova, che non
aveva saputo mandare quei diavoli per un'altra strada.
Bestemmiava ancor più la durezza dei suoi paroc-
chiani, che non volevano dargli ajuto. Oh che gente!
sclamava, che gente! ognuno pensa a sé! non c'è
carità! Si faceva alla finestra e chiamava quelli che
passavano, con una certa voce mezzo piagnolente (l)
e mezzo rimbrottevole. Venite a dare una mano al
(l) Prima scrisse: piang olente. (Ed.)
Digìtized by
Google
- 478 -
vostro curato, se avete viscere di misericordia; non
siate così cani. Ajutatemi a portar via quei pochi
stracci, quei pochi stracci, ripeteva, perchè nessuno
sospettasse ch'egli avesse cose preziose da salvare.
Aspettatemi che venga anch'io con voi; aspettate
almeno che siate quindici o venti, tanto da potermi
guardare, ch'io non sia abbandonato. Volete voi la-
sciarmi solo in man dei cani? Meritereste che il vo-
stro parroco fosse spogliato, ammazzato. Miseri-
cordia! Fermatevi dunque. Eh! tiran di lungo. Oh
che gente!
Bisogna dire che Don Abbondio fosse ben acce-
cato dalla paura per parlare a quel modo. Quegli, a
cui egli faceva quelle preghiere e quei rimproveri,
passavano dinanzi alla sua casa curvi sotto il peso
delle robe loro, quale trascinandosi dietro la sua vac-
cherella, quale traendosi dietro i figli, che a stento
lo seguivano, e la donna, che portava quelli che non
potevano camminare, quale reggendo un vecchio o
un infermo. Altri tornavano scarichi dal monte a rac-
cogliere altre masserizie finché reggessero le forze e
lo permettesse il pericolo. Alcuni di loro non ri-
spondevano a Don Abbondio, altri diceva : eh si !
s'ingegni anch'ella, signor curato. — Oh povero me!
oh che gente! ripeteva egli. Ognuno pensa a sé;
ognuno pensa a sé; e a me nessuno vuol pensare.
Per buona sorte, Perpetua aveva conservato assai
più sangue freddo e operava e dava consigli come
Caterina I aveva fatto nel campo alle rive del Pruth
Digitized by LjOOQ IC
— 479 —
quando Pietro, stretto tra i Turchi e i Tartari, non
trovando uscitane consiglio, era caduto d'animo, non
sapeva a che partito appigliarsi e non aveva più energia
che per isfogarsi in querele e in rimproveri. Per-
petua, ben convinta che non era da fare assegna-
mento sopra altri, aveva fatto due fardelli, uno* per
sé, uno per Don Abbondio, e poi in fretta e in furia
sparpagliava il resto delle masserizie nei bugigatti
più nascosti della casa, sul solajo, sotto il pagliajo,
dietro i tini. Quando questa faccenda fosse termi-
nata alla meglio, ella aveva proposto di presentare
a Don Abbondio il fardelletto destinato per lui e di
intimargli di partire, giacché in quel momento era
cosa evidente che il padrone non era in caso di go-
vernarsi, e pel suo meglio bisognava comandargli.
È però vero che Perpetua aveva creduto di ricono-
scere una simile necessità in mille altri casi che a
gran pezza non erano urgenti come il presente.
In questo frattempo sopravvenne Agnese, e co-
municata la sua risoluzione, fece intendere a Don Ab-
bondio ch'ella poteva essere opportuna anche per lui.
— Dite davvero, Agnese? disse Don Abbondio.
— È un buon parere, signor padrone, disse Per-
petua: andiamo senza perder tempo.
— Senza perder tempo, disse Don Abbondio,
perchè costoro possono giungere da un momento al-
l'altro. Ma saremo sicuri in casa di quel signore? Eh !
— Andiamo, disse Perpetua; sicuri come in chiesa:
gli parlerò io : siamo amici : è stato nella mia cucina
Digìtized by
Google
— 480 —
quieto come un agnello: è diventato un «omo del Si-
gnore.
— Male non me ne vorrà fare, che dite eh? sa-
rebbe un peccato senza costrutto : quelle poche volte
che ho dovuto trovarmi con lui, sono sempre stato
così compito! Andiamo, ma la mia povera roba IO).
— Anch'io ho dovuto lasciar quasi tutto il poco
fatto mio, che sano una povera vedova, disse Agnese.
— Sia fatta la volontà di Dio, disse Don Ab-
bondio: e intanto Perpetua gli diede il fardello., di-
cendo: porti questo, ch'io porto quest'altro.
— Oh poveretto me ! disse Dan Abbondio. Che
ci avete messo?
— Camicie e abiti, rispose Perpetua; indi, fattasi
all'orecchio di Don Abbondio, domandò sotto voce:
i danari li ha in tasca?
— Sì, zitto, zitto, per amor del cielo, rispose Don
Abbondio, e prese il fardello. Sentite, Perpetua, riprese
poi tosto, al momento di partire, tirate fuori qualche
altro abito che Agnese farà questo servizio al suo
curato di portarlo.
— Ma non vede che ho preso con me tutto quello
di mio che poteva portare? disse Agnese.
— Oh me poveretto ! mormorò Don Abbondio,
ognuno pensa a sé. Andiamo, andiamo. Perpetua,
(!) Segue, cancellato: «La vita, signor curato, la vita,
disse Perpetua». (Ed.)
Digìtized by
Google
— *48i —
chiudete bene la porta : alla custodia di Dio. Aspet-
tate.... ma no, no, peggio: sono la metà luterani!
misericordia!
Don Abbondio rispondeva cosi ad una proposi-
zione che s'era fatta e che alla prima gli era paruta
un bel trovato per preservare la casa. Voleva staccare
dalla chiesa il quadro del Santo protettore e affiggerlo
al di fuori su la porta, per indicare che la casa era sacra
e per fare in modo che non potesse essere intaccata
che per mezzo d'una profanazione; ma s'avvide tosto
che quel mezzo di difesa, molto debole per sé contra
soldati avidi di rapina, poteva in questo caso dive-
nire una provocazione a far peggio, giacché fra quei
soldati v'era di molti ai quali uno sberleffo fatto col-
l'alabarda all'immagine d'un Santo sarebbe sembrato
un'opera meritoria, una espiazione anticipata del sac-
cheggio.
Data una occhiata lagrimosa alla casa, Don Ab-
bondio s' incamminò colle due vecchie amazzoni e
per tutta la via non fece altro che sospirare, lagnarsi
dell'abbandono in cui l'avevano lasciato i suoi par-
rocchiani, domandare a Perpetua dove avesse ripósta
la tal cosa e la tal altra, e se credeva che non le
avrebbero trovate: enumerare tutte le ragioni per
le quali il Conte sarebbe stato peggiore d'un cane
se gli avesse fatto male, e divisare dove si sarebbe
potuto cercare un asilo se quello a cui si andava fosse
mal sicuro.
Giunti presso al castello, videro un gran movi-
Alessandro Manzoni. 31
Digitized by
Google
— 482 —
mento, gente che andava, gente che veniva, uomini
in arme appostati, altri che giravano in ronda a tre,
a quattro, tanto che Don Abbondio cominciò a scrol-
lare il capo e a dire: Che è questa faccenda? Ma
Perpetua gli spiegò tosto che quegli erano eviden-
temente uomini che vegliavano alla sicurezza del ca-
stello, e di quelli che, come si vedeva, andavano ivi
a rifuggirsi'.
— Ohimè ! ohimè ! disse Don Abbondio : vedo
che qui si voglion fare delle pazzie ; ' farsi scorgere
appunto quando più si vorrebbe stare zitti, rannic-
chiati, senza né meno fiatare. Basta: vedremo: se
fanno pazzie per tirarsi addosso la burrasca, dei monti
ce n'è, e i precipizj non mi fanno paura: quando si
tratti di salvare la pelle, ho coraggio anch'io quanto
chi che sia, andrei in mezzo al fuoco.
Dette sotto voce queste parole, Don Abbondio
proseguiva lentamente, guardando con attenzione a
quegli armati, e cercando di comporre il volto alla
indifferenza e di non lasciar trasparire il suo pen-
siero, che diceva dentro: Scommetterei che questo
gradasso ha caro che sia venuto un flagello così or-
ribile per avere il pretesto di fare un po' di rimesco-
lamento. Oh che gente! Oh che gente!
Del resto, le cose erano quivi come Perpetua le
aveva immaginate. Al castello del Conte era rimasta
unita una antica opinione di sicurezza e di potenza ;
e i nuovi costumi del signore ne avevano cancellata
affatto l'idea di oppressione e di terrore ; dimodoché
Digìtized by
Google
- 483 —
la gente del contorno dalla banda del Milanese vi
accorreva come ad un asilo, forte e pietoso nello
stesso tempo. Il Conte, lieto di essere un oggetto di
fiducia a quei deboli che aveva tanto spaventati ed
oppressi, raccolse tosto i primi che si presentarono.
Ma un tal uomo non avrebbe potuto considerare la
sua casa come un asilo disarmato, un nascondiglio
di paura, né starsi con le mani in mano quando ad
ogni momento poteva presentarsi un'occasione di me-
narle santamente. Fece addirittura tirar giù dal so-
lajo le armi irrugginite, le fece ripulire in fretta, ne
distribuì ai servitori. Quindi a misura che accorre-
vano fuggiaschi, egli trasceglieva gli uomini capaci
di portare le armi, dava loro moschetti e partigiane.
Quando la provvigione fu esaurita, ne fece raccogliere
all'intorno : e scompartiva gli uficj a quei nuovi sol-
dati; altri mandava in ronda, altri più lontano per
esplorare, altri stavano raccolti per porsi in difesa.
Quando uno era entrato nel castello ed era passato
in rivista dal signore, diveniva verso di lui come un
soldato col suo antico ufiziale, tanto il Conte pos-
sedeva quella forte risolutezza che piega le volontà,
e' quella parola che toglie il pensiero di fare diver-
samente da quello ch'ella suona. Aveva allogate le
donne e i fanciulli nelle stanze più riposte; i letti
erano pei vecchj e per gl'infermi : una gran sala ser-
viva di magazzino per le robe che erano portate su
dai rifuggiti : tutto era collocato in ordine, con nu-
meri, dei quali il corrispondente era dato ai padroni ;
Digitized by VjOOQ IC
484
ed alla porta della sala era posto come un corpo di
guardia; chi aveva portate provvigioni, viveva di
quelle, e i poveri erano nutriti dal Conte con razioni,
che si distribuivano regolarmente come in un campo.
Egli, come l'Ariosto sognò di Carlo in Parigi, di
qua, di là, non istava mai fermo: dava ordini, visi-
tava posti, metteva a -luogo quelli che arrivavano,
governava ogni cosa; e dove nascesse qualche gar-
buglio, qualche contesa, si mostrava, e tutto era
finito.
Era appunto su la porta quando giunsero i nostri
pellegrini ; gli riconobbe tutti e tre e gli accolse tutti
con pronta cordialità; ma alla madre di Lucia fece
una accoglienza particolare, nella quale traspariva
come una gratitudine perchè ella gli desse ora una
occasione di compensare alquanto in quello stesso
castello la terribile ospitalità che vi aveva trovato la
figlia.
— Bene avete fatto, brava donna, disse il Conte,
di cercare qui un ricovero. Bene avete fatto di ri-
cordarvi di me: fate stima di essere in casa vostra.
Voi ci portate la benedizione.
— Oh appunto ! rispose Agnese, sono venuta à
darle incomodo.
Il Conte le chiese con premura novelle di Lucia,
e quelle udite, si rivolse a Don Abbondio, e disse :
La ringrazio, signor curato, ch'ella si degni scegliere
un asilo in questa casa.
— Manco male che conosce i suoi meriti, pensò
Digitized by
Google
— 485 —
Don Abbondio, e cominciò per rispondere : In questi
frangenti.... in queste circostanze.... non si.... lutto
è Ma, vedendo che la frase così cominciata non
poteva venire a bene, la convertì in un inchino pro-
fondo.
— Son già arrivati alla sua parrocchia coloro ?
domandò il Conte.
— Dio liberi ! rispose Don Abbondio : Dio liberi !
Non sarei qui, vivo e sano, ad implorare la prote-
zione del signor Conte.
— Si faccia cuore, ripigliò questi : qua su non
verranno; ma se volessero tentar la prova, siamo
pronti a riceverli. In ogni caso la sua presenza è
preziosa, signor curato: ella potrà animare questa
buona gente alla difesa della vita di tanti de-
boli, della pudicizia di tante donne, che confidano
in noi.
— Un corno, disse fra sé Don Abbondio.
— Ella potrà, proseguì il Conte, assistere quelli
fra noi che lasciassero la vita in questa impresa di
misericordia.
— Signor Conte, disse Don Abbondio, sarà quel
-che Dio vorrà. E così dicendo girava la testa a guar-
dare qual fosse la più vicina e la più alta delle cime
che dominavano il promontorio su cui era posto il
castello, per fissarsi uno scampo dove in quel caso
poter benedire i combattenti.
Non rimaneva nel castello più che un letto libero,
e fu dato, com'era giusto, a Don Abbondio, prete
Digitized by VjOOQ IC
486
e vecchio. Ma il Conte, memore della notte che Lucia
aveva quivi passata, non avrebbe potuto sofferire che
la madre di lei dormisse su la paglia. Fece quindi
portare il suo letto nel dormitorio delle donne e di-
sporlo quivi per Agnese, intimando ai servi che si
guardassero bene dal dire che quello era il letto del
padrone: e nella sua stanza fece in quella vece por-
tare una bracciata di paglia.
Quindici giorni circa passarono i nostri rifuggiti
nel castello; quindici giorni di batticuore e di so-
spetto, di spauracchi subitanei e di rincoranti non è
vero> di vigilie, di allarmi, di pericoli, che, grazie al
cielo, tutti svanirono senza danno. Il castello era fuor
di strada e quei pochi demonj di lanzichenecchi sban-
dati, che capitavano alle falde del promontorio, veg-
gendo su per la via uomini in arme, e non sapendo
quanti più ve ne fosse in alto, più curiosi allora di
preda che di battaglia, se ne tornava pel loro meglio.
Oltracciò, la parte dell'esercito che nella marcia si di-
stendeva lungo l'estremo confine, aveva un interesse
urgente di tenersi raccolta e all'erta e di non disper-
dersi troppo a buscare. Sull'altro confine era rac-
colta una forza dei Veneziani, la quale, sotto il co-
mando di Marco Giustiniani, provveditore all'armi
in Bergamo, era destinata a costeggiare l'esercito
alemanno per tutto quel tratto del suo passaggio che
toccasse i confini della Repubblica ; e a questa forza
avevano dato nome di squadrone volante. Alla pre-
senza di questi, che certo non erano amici, e che
Digitized by LjOOQ IC
- 4»7 —
vedendo un bel tratto potevano far da nemici, biso-
gnava camminare con giudizio; e questa fu princi-
palmente la cagione per cui il castello non fu mo-
lestato. Ma anche questa, che in fatto era salute, fu
pel volgo inerme che vi era ricoverato, e per Don Ab-
bondio principalmente, un aumento d'inquietudine:
poiché se il confine veneto fosse stato sguernito, Don
Abbondio certamente l'avrebbe varcato e sarebbe an-
dato innanzi innanzi fino a che non avesse più in-
teso parlare di lanzichenecchi. Ma ora, il poveretto
non aveva più rifugio; l'accesso ai monti, oltre la
fatica, era pieno di pericoli pei predoni che potevano
trovarsi su la via: e attraversare lo squadrone vo-
lante sarebbe stato lo stesso che correre in bocca al
lupo : giacché quella era una marmaglia ragunaticcia
d'uomini tagliati a un dipresso alla misura dei lan-
zichenecchi; e nel paese che le era dato a proteg-
gere faceva il peggio che poteva.
Ognuno può immaginarsi come il povero Don Ab-
bondio passasse quei quindici giorni. Stavasi colle
donne, coi vecchj e coi fanciulli nel luogo il più ri-
posto del castello: di tempo in tempo la paura lo
cacciava fuori a domandar novelle, e rare erano quelle
che non gli accrescessero lo spavento. L'aspetto del-
l'armi, dei preparativi di difesa, da una parte, lo
rincorava alquanto; dall'altra, gli era intollerabile, fa-
cendogli immaginare tutte quelle bagattelle in mo-
vimento a far carne. Si percoteva il petto e le guance,
pensando alla minchioneria che aveva fatta. Mi son
Digìtized by
Google
— 488 ~
messo in gabbia da me stesso (l), diceva tra sé, so-
spirando. Oh che bestia! mi sono lasciato condurre
da due pettegole. E in questo pensiero s'infuriava
tanto che più d'una volta tirò da parte Perpetua per
isfogarsi in improperj contra di essa. Ma quando Per-
petua, giustificandosi, alzava la voce, Don Abbondio
la faceva tacere e cessava di garrire anch'egli, tutto
impaurito che non nascesse qualche scandalo, e il
Conte, tornando all'antica natura, non facesse il dia-
volo. Don Abbondio sedeva alla tavola del Conte,
che in quell'accampamento era come la tavola dello
stato maggiore: v'erano i signori del contorno, che
facevano da ufiziali, le signore e qualche prete. La
tavola era lieta: il Conte, da buon generale, met-
teva in campo e intratteneva discorsi atti ad ispirare
risoluzione, a ravvicinare gli animi, a mettere i pen-
sieri in comune, perchè i pensieri solitarj sono più
vicini allo scoraggiamento. Bisognava dunque par-
lare e ridere, e si rideva ; ma per Don Abbondio era
un supplizio : e quando il Conte gli rivolgeva in par-
ticolare il discorso per animarlo un pochetto, egli
allora, sforzandosi di mangiare e di ridere, faceva
in una volta due smorfie che gli davano una figura
veramente compassionevole.
Ma tutte le cose hanno veramente un termine:
passano i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di
(') In margine il Manzoni aggiunse: «son venuto a
fuggir l'acqua sotto una grondaja ». (Ed.)
Digìtized by
Google
- 4*9 -
Merode, passano i cavalli d'Anhalt, passano i fanti
di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli, e
poi quelli di Ferrari, passa Altringer, passa Fursten-
berg, passa Colloredo, passano i Croati; quando
piacque al cielo passò anche Galasso, che fu l'ultimo.
Lo squadrone volante de' Veneziani si mosse an-
ch'esso per tener dietro al movimento dell'esercito
alemanno su la riva opposta dell'Adda, fin dove ella
era confine fra i due Stati, e portarsi poi sull'Oglio
a fare la stessa processione. Quando le due retro-
guardie furono distanti una giornata dal castello, gli
ospiti ne uscirono come uno stormo di passeri si spar-
paglia all'intorno dai palchi aerei e fronzati d'una
gran quercia, dove erano accorse a ricoverarsi dalla
tempesta. Don Abbondio avrebbe voluto gittarsid'un
volo al suo nido, per mirar tosto cogli occhj proprj
il suo dolore e il guasto che v'era stato fatto, e nello
stesso tempo perchè i barberini, vedendo la casa ab-
bandonata, non venissero a portar via quello che i
barbari avevan potuto lasciare. E poi per quanto il
Conte avesse dato segni e prove d'esser divenuto un
galantuomo, Don Abbondio non l'aveva potuto guar-
dar mai in volto senza ricordarsi dell'uomo brusco
che era stato altre volte, e non istava con lui di buon
animo, massime in picciola brigata. Ma, dall'altra
parte, lo riteneva la paura di abbattersi in qualche
lanzichenecco sbandato, rimasto addietro alla busca,
e di affogare in porto. Era quindi sempre su le mosse
e sempre s'indugiava, domandando novelle dei con-
Y
^Digi
— 49° —
torni a tutti coloro che giungevano al castello ; e le
novelle erano dolorose. Quei pochi, rimasti colla spe-
ranza di guardar le case, o discesi troppo presto, si
erano trovati sbigottiti, storditi dalle percosse e dallo
spavento; ogni arredo, ogni masserizia sparita, e in
quella vece nelle case un impatto di strame, tizzoni
di mobili arsi, greppi di stoviglie sfracellate per
istrazio dopo avervi bevuto il vino rubato, schifezze
d'ogni genere, un tanfo che toglieva il respiro, di-
modoché ognuno tornando con ansia alla casa de-
relitta ne usciva alla prima con fastidio e doveva
farsi forza a poco a poco per rientrarvi a renderla di
nuovo abitabile. In qualche luogo il padrone, avan-
zando così per la sua casa, udiva un gemito ; guar-
dava con sospetto che fosse : era un soldato, che lan-
guiva infermo, che spirava: e il padrone ristava a
quello spettacolo con un senso misto di ribrezzo e
di pietà, di rancore e di spavento, scorgendo nel volto
livido, nelle membra macchiate del giacente l'imma-
gine confusa, ma terribile della peste, che fino allora
forse egli aveva sprezzata come un sognò lontano.
Il Conte, argomentando da queste relazioni, che
Agnese, se si fosse affrettata di tornare, non avrebbe
però trovato nulla da guardare, la ritenne per due
o tre giorni; e intanto raccolse, di quello che gli
rimaneva, un po' di provvigione, fece mettere in-
sieme un po' di biancheria, qualche mobile, qualche
attrezzo di cucina, e, caricatone un baroccio, volle che
Agnese partisse su quello con quella poca scorta e
Digitized by
Google
— 491 —
la fece accompagnare da due suoi tarchiati servi, or-
dinando loro che aiutassero la povera donna a ripu-
lire la sua casa. Agnese partì dopo molte ripulse
cerimoniose e mille rendimenti di grazie, e Don Ab-
bondio e Perpetua le andarono in compagnia.
La strada fu trista per lo spettacolo continuo della
distruzione e della disperazione ; ma la giunta fu più
trista ancora. Alla esclamazione, cento volte ripetuta,
di povera gente, succedette il povero me: parola che,
generalmente parlando, esce da una parte più profonda.
Cogli ajuti del Conte, Agnese potè quel primo
giorno spazzare il suo povero abituro, ricogliere
qualche masserizia sparsa qua e là nell'orto e nel
campo, scavare ciò che aveva deposto sotterra, e tra
con questi rimasugli e con quel di più che il Conte
le aveva dato appresso, allogarsi in casa, se non
come prima, almeno in modo da poterci stare pas-
sabilmente, anzi da eccitare l'invidia dei suoi pae-
sani. Ma il povero Don Abbondio questa volta ebbe
campo e ragione più che mai di sclamare : oh che
gente! oh che gente! La sua casa era la più mal-
trattata del villaggio, perchè era la più apparente;
e gli ospiti eroi, sospettando che ci dovesse esser
più che altrove ricchezza nascosta, vi avevano im-
piegato più ostinate cure a metter tutto sossopra. Il
sospetto non era mal fondato, né le cure erano state
inutili: e Perpetua, mettendo il piede su là soglia,
tra mezzo i mobili spezzati, i fogli lacerati e le piume
delle sue galline, scorse tosto con raccapriccio fran-
Digitized by VjOOQ IC
— 492 —
turni e brani di quelle cose ch'ella pensava aver meglio
appiattate ; e dovette confessare che i lanzichenecchi
avevan più ingegno a scovare, ch'ella non avesse a
nascondere. Don Abbondio, spinto innanzi dall'ansia
di vedere i fatti suoi, e rispinto dal ribrezzo e dal-
l'orrore, metteva il capo alla porta d'una stanza e
lo ritraeva, dava tre passi e ristava. Quale spettacolo !
Ogni stanza, oltre il guasto che presentava, dava
tosto l'idea del guasto generale; i segni d'un vasto
saccheggio erano ragunati in un picciolo angolo,
come idee sottintese in un periodo scritto da un
uomo di garbo. Sul focolare della cucina, per esempio,
si vedevano più tizzoni spenti, i quali accennavano
ancora d'essere stati un bracciuolo di seggiola, il
piede d'un trespolo, un'imposta d'armadio, una doga
del botticino dove Don Abbondio teneva il vino che
per una lunga esperienza aveva riconosciuto il mi-
gliore amico del suo stomaco. Di questi e di tanti
altri mobili non restavano che rottami, un po' di ce-
nere e di carboni spenti; e con quei carboni, come
per compenso e per un complimento al padrone, i
guastatori avevano schiccherate le pareti di fantoc-
ciacci, ingegnandosi con berretti quadri e altre divise
di raffigurarne dei preti e studiandosi di farli orribili
e ridicolosi; intento che, per verità, non poteva fal-
lire a tali artisti.
Don Abbondio, mettendosi le mani in que' due
suoi ciuffetti grigi su le tempie, balzò di casa come
un forsennato e andò di porta in porta a gagnolare,
Digitized by LjOOQ IC
— 493 —
a scongiurare quegli, che tornati da qualche giorno
avevano assestate alla meglio le case loro, che ve-
nissero a dare un po' di governo alla sua; e nello
stesso viaggio, guardava anche chi fosse più fornito
di roba salvata dalla rapina, e accattava in prestito
da chi una panca, da chi una coltre, da ehi un piatto,
da chi una pentola ; .tanto " che con gli ajuti e con le
prestanze potè accamparsi quel giorno in casa, per
riconquistarla e riordinarla poi tutta a poco a poco.
Passati quei primi giorni e nel tempo appunto delle
brighe e delle spese, Don Abbondio ebbe con sé
stesso e con Perpetua una guerra assai fastidiosa.
.Perpetua, parte con la sua vista, acuta come il fiuto
di un bracco, parte con la sua abilità a far ciarlare
la gente, scoperse che molte masserizie del suo pa-
drone non erano già state sciupate dai barbari, ma
erano sane e salve in paese nelle mani dei barbe-
rini: ne fece tosto avvertito Don Abbondio, perchè
si facesse rendere il suo. Ma Don Abbondio non vo-
leva sentir toccare questa corda : non già che gli di-
spiacesse assai vedersi così rubato a man salva e sa-
pere il fatto suo in mano d'altri, ma quegli che se
lo tenevano erano i più terribili e bizzarri arieti del
suo gregge; quegli dai quali Don Abbondio aveva
sempre sofferto ogni cosa, piuttosto che provocarli
al cozzo, che aveva sempre accarezzati e lodati come
i più savj ed esemplari. Sicché sopra il rovello e il
danno aveva egli a tollerare anche le baruffe con Per-
petua, e di queste baruffe ve n'era una tutte le volte
Digìtized by
Google
494
che Don Abbondio si lagnava di qualche mancanza,
domandava qualcheduno di quegli utensili che altri
aveva fatti suoi.
— Vada a cercarlo al tale, che lo ha, diceva Per-
petua, e che non lo avrebbe tenuto fino a quest'ora
se non avesse che fare con un... buon uomo.
— Zitto, zitto, Perpetua, zitto.
— Zitto, zitto, rispondeva Perpetua, e così ella si
lascerebbe mangiar gli occhi del capo. Rubare agli
altri è peccato, ma a lei è peccato non rubare.
— Oh che spropositi ! oh che spropositi ! scla-
mava Don Abbondio. Ma sapete pure.... Col nome
del cielo.... volete la mia morte!...
La baruffa andava talvolta in lungo, ma Don Ab-
bondio rimaneva sempre vincitore, perchè quando si
trattava di paura, egli mostrava una risoluzione e
una virtù tale che Perpetua sentiva di non poter com-
petere, e taceva la prima. Tutto quello che fece Don
Abbondio fu di gittare in predica qualche motto sul
dovere di restituire e su la trista sorte di chi va al-
l'altro mondo carico dell'altrui; ma. lo diceva con
certe perifrasi, con un riserbo, con una delicatezza
da fare onore ad un predicatore di Corte* E pure,
appena quelle parole erano uscite, gli pareva che
fossero state troppe e troppo ardite, e per riparare un
qualche brutto effetto che ne potesse venire, passava
tosto a parlare dell'ira e della mansuetudine e del
gran male che è l'infierire contra quelli che non vo-
gliono né possono far difesa.
Digìtized by
Google
XX.
Dialogo sulla peste tra Don Ferrante e
il Signor Lucio.
Digitized by
Google
Digìtized by
Google
Poco dissimili dai ragionamenti che il popolo ur-
lava nelle vie erano quelli che i signori schiamaz-
zavano nelle sale. I dotti poi, convenendo per la più
parte nella opinione comune, la sostenevano però con
argomenti un po' più reconditi e si scatenavano contra
il tribunale e contra quei pochi medici con uno
sdegno e con uno scherno più filosofico. Per darcene
un saggio, Fautore del manoscritto riferisce una di-
sputa occorsa in una brigata signorile tra il nostro
Don Ferrante e un Magnifico Signor Lucio, del
quale l'autore, tacendo il cognome, accenna alcune
qualità. Era costui professore d'ignoranza e dilet-
tante d'enciclopedia ; si vantava di non aver mai stu-
diato, e ciò non ostante, anzi per questo appunto,
pretendeva decidere d'ogni cosa; perchè i libri, di-
ceva egli, fanno perdere il buon senso. Ammetteva
bene una scienza che si poteva acquistare colla espe-
rienza e comunicare per mezzo della parola: teneva
che si possano scoprire verità; anzi non è da dire
quante verità egli credesse di conoscere; ma nei
Alessandro Manzoni. 32
Digìtized by VjOOQIC
- 498 -
libri, non so per quale raziocinio, supponeva che
non si potesse consegnare altro che bugie.
Si strepitava in quella brigata contra i regola-
menti della Sanità, che, divenendo di giorno in giorno
più risoluti, cominciavano a non far distinzione di
persone e assoggettavano anche i potenti ad una vi-
gilanza incomoda.
— Tutto questo, diceva il Signor Lucio, in grazia
dei libri, dei sistemi, delle dottrine che hanno scal-
data la testa d'alcuni, i quali, per nostra sciagura,
comandano. Non è ella cosa che fa rabbia e pietà
nello stesso tempo il vedere quel buon vecchio di
Settala, che potrebbe fare il medico con giudizio e
servirsi della sua buona pratica acquistata in ses-
santanni e del buon senso che gli ha dato la natura,
vederlo, dico, perduto dietro sogni ridicoli, incapar-
bito contra il sentimento d'un pubblico intero, inna-
morato di quella sua idea pazza del contagio ; perchè ?
perchè l'ha trovata nei suoi autori. Scienziati, scien-
ziati; gente fatta a posta per creare gl'impicci.
— Piano, piano, disse Don Ferrante; il quale,
benché occupato a dissertare in un altro crocchio,
aveva intesa quella scappata del Signor Lucio. Piano,
piano; se si tocca la scienza, son qua io a difen-
derla.
— Don Ferrante fa da buon cavaliere a prènder
le parti d'una dama che gli comparte - tanti favori,
disse una signora ; e il tratto riscosse un mormorio
di applauso da tutta la brigata.
Digìtized by
Google
— 499 —
— Quand'anche ciò fosse vero, disse Don Fer-
rante, dopo aver pensato soltanto per un mezzo mi-
nuto, una tale parzialità sarebbe da attribuirsi non
al mio debol merito, ma alla innata benignità del
sesso. Comunque sia, continuò egli, son qui a pro-
vare che la scienza non ha colpa in quegli spropo-
siti che si metton fuori sotto il suo nome.
— Don Ferrante, con tutto il suo ingegno, non
mi potrà sostenere, rispose il Signor Lucio, che tutte
quelle belle ragioni che si dicono da alcuni per far
credere che vi sia la peste, il contagio, o che so io,
non sieno cavate dalla scienza.
— Dica dalla superficie, Signor Lucio, dalla su-
perficie, rispose Don Ferrante. Anzi la scienza, chi
la scava un po' al fondo, dice tutto il contrario e in-
segna chiaramente che il contagio è una cosa im-
possibile, una chimera, un non-ente.
— Sono cose che le donne possano intendere?
domandò quella signora.
— La materia è un po' spinosa, disse Don Fer-
rante; ma vedrò di renderla trattabile. Dico dunque,
che in rerum natura non vi ha che due generi di
cose ; sostanze $ accidenti : ora il decantato contagio
non può essere né dell'uno, né dell'altro genere ;
dunque non può esistere in rerum natura. Le so-
stanze prego di tener dietro al filo del ragiona-
mento sono semplici, o composte. Sostanza sem-
plice il contagio non è; e si prova in due parole:
non è sostanza aerea, perchè se fosse, volerebbe tosto
Digìtized by LjOOQ IC
— 5<>o —
alla sua sfera, e non potrebbe rimanersi a danneg-
giare i corpi : non è acqua, perchè bagnerebbe ; non
è ignea, perchè brucerebbe ; non è terrea, perchè
sarebbe visibile. Sostanza composta, né meno, perchè
tutte le sostanze composte si fanno discernere all'oc-
chio, o al tatto; e fra tutti i signori medici non vi
sarà quell'Argo che possa dire d'aver veduto; non
vi sarà quel Briareo che possa dire di aver toccato
questo contagio. Oh benissimo ; vediamo ora se può
essere accidente. Peggio che peggio. Ci dicono questi
signori che il contagio si comunica da un corpo al-
l'altro; sarebbe dunque un accidente trasportato. Ah!
ah! un accidente trasportato: due parole che coz-
zano, che ripugnano, che stanno insieme come Ari-
stotele e scimunito; due parole da fare sgangherar
dalle risa le panche delle scuole, da fare scontorcere
la filosofia, la quale tiene, insegna, pone per fonda-
mento che gli accidenti non possono mai mai passare
da un soggetto all'altro. Mi pare che la cosa sia evi-
dente.
— Intanto, disse il Signor Lucio, senza tutti
questi argomenti, col semplice buon senso, tutti i
galantuomini e il popolo stesso sanno benissimo che
questo contagio è un sogno.
— Non lo sanno; perdoni, rispose Don Ferrante,
lo indovinano a caso, come atomi sènza cervello che,
girando senza saper dove, concorressero a comporre
una figura regolare. Mi dica un po', di grazia, se sa-
pranno poi dire la cagione vera di questa mortalità.
Digitized by VjOOQ IC
— 5oi —
— Oh bella ! disse il Signor Lucio ; la cagione è
chiara; in tutti i tempi si muore; in alcuni le morti
sono più frequenti, perchè v'ha più malattie; e questo
é il caso nostro.
— Sì, disse Don Ferrante; ma la malattia, la
cagione prima delle malattie?
— Né qui pure c'è sotto gran misterio, rispose
il Signor Lucio : la carestia, la mala vita hanno ca-
gionate le malattie.
— Tutto bene, disse Don Ferrante, ma la ca-
gione prima?
— Io non so che cosa ella intenda per cagione
prima, disse Don Lucio.
— Ora vede ella se bisogna poi ricorrere alla
scienza, disse Don Ferrante. Per trovare la cagione
prima delle malattie, della carestia, di. tutti questi
infortunj, quella che spiega tutto e- che fa tutto, bi-
sogna andar molto in fondo, anzi molto in alto, bi-
sogna cercarla ìfegli aspetti dei pianeti. Perchè non
si vuol fare come il volgo, che guarda in su, vede
le stelle e le considera come tante capocchie di spilli
confitti in un torsello: ha bene inteso dire che le
stelle influiscono, ma non va poi a cercare né come,
né quando. Abbiamo il libro aperto dinanzi agli
occhi, scritto a caratteri di luce; non si tratta che
di saper leggere. Ed ecco che due anni fa comparve
quella gran cometa, causata dalla congiunzione di
Saturno e di Giove, apparet cometa magnus in cardine
dextro, la quale indicava chiaramente che Tanno sus~
Digìtized by
Google
— 5<>2 —
seguente, che è poi Tanno passato, doveva regnare
una terribile carestia, come si è trovata la spiega-
zione in quest'anno, con quelle parole tanto chiare
e tanto terribili: Fames in Italia morsque vigebit
ubique. Che se i dotti le avessero trovate prima, non
sarebbero mancati gli increduli che se ne facessero
beffe ; ma dopo il fatto anche i più ostinati debbono
tacere. Ed ora, a furia di osservare e di calcolare,
da quella congiunzione funesta si è ricavata un'altra
predizione egualmente chiara ; così non fosse !
Tutti stavano ansiosamente attenti ; Don Ferrante
levò la destra come se stesse per proferire un giu-
ramento, la sua fronte si corrugò, la sua voce prese
un tuono lugubre e solenne, e articolò la formola
terribile : mortales parai morbos; miranda videntur.
— O poveretti noi ! disse una signora, e, rivolta
al suo vicino, chiese che cosa volesse dire quel latino.
— Le prime parole, rispose egli, voglion dire
che il morbo appare mortale: il resto è una escla-
mazione che non significa niente (*).
(*) Segue, cancellato: «Il Signor Lucio volle ancora
opporsi, ma l'impressione di terrore che Don Ferrante
aveva prodotto su gli uditori, gli rendeva poco disposti a
sentire la forza delle opposizioni. Io non so niente, disse
il primo, di tutte queste predizioni ; so però che senza di
esse si capisce benissimo perchè ora tanti muojano : muo-
iono perchè è venuta la loro ora. Nessuno badò all'argo-
mento del Signor Lucio». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 503 —
Don Ferrante continuò: Ecco la cagione prima
della mortalità, ecco dove sta Terrore di questi pochi
medici che voglion fare il singolare e resistere alPe-
videnza e credono di spaventarci con un grande ap-
parato di dottrina, come se, alla fine, avessero a fare
soltanto con gente che non abbia mai toccato il limen
della filosofia. Non basta parlare, a proposito e a
sproposito,, di vibici, di esantemi, di antraci, di bu-
boni violacei, di furoncoli nigricanti : tutte cose belle
e buone, tutte parole rispettabili: ma che non fanno
niente alla questione....
— Eppure, disse il Signor Lucio risolutamente,
perchè gli pareva di avere alle mani una buona ra-
gione, eppure anche quei medici non negano che
T aspetto dei pianeti presagisca malanni....
— E qui li voglio, interruppe Don Ferrante ; qui
dà in fuora lo sproposito. Confessano questi signori,
perchè a negare un tal fatto ci andrebbe troppo co-
raggio, confessano che tutto il male è causato dalle
influenze maligne, e poi, e poi vengono a dirci che
si comunica da un uomo all'altro. Chi ha mai inteso
che si possano comunicare le influenze? in quel caso
gli uomini sarebbero gli uni agli altri come tanti
pianeti. Confessano che il male è causato dalle in-
fluenze e dicono poi: state lontani dagli infermi, non
toccate le robe infette, e schiferete il male : come se
le influenze, discese dai corpi celesti in questo mondo
sublunare, potessero schifarsi; come se quando le
stelle inclinano al castigo si potesse declinare la
Digitized by
Google
— 504 —
loro potenza con certe precauzioni ridicole ; come se
giovasse sfuggire il contatto materiale dei corpi ter-
reni, quando chi ci perseguita è il contatto virtuale
dei corpi celesti. Per me credo che anche questo ac-
cecamento dei medici, e appunto dei medici, che hanno
la mestola in mano, sia un effetto di quella costitu-
zione maligna che domina in questo anno sciagurato,
acciocché, per giunta di tanti mali, ci tocchi anche il
flagello dei regolamenti.
Tutti quegli uditori erano persuasi fin da prima
che il male non era contagioso ; sapevano che era
comparsa quella cometa; avevano inteso dire che
l'aspetto dei pianeti in quell'anno era funesto, ma
da tutte queste idee non avevano mai pensato a
cavar quel sugo che Don Ferrante espresse nella
sua bella argomentazione. Uscirono tutti di quivi
più atterriti di prima e nello stesso tempo più irri-
tati contra i regolamenti e più disposti a trascurare
come inutili tutte le cautele. Lo stesso contraddit-
tore Signor Lucio parti da quella disputa più pen-
soso, perchè le predizioni astrologiche erano di quelle
cose ch'egli riponeva non nei sogni della scienza,
ma nei canoni del buon senso.
Quando ora si considera quali cose fossero a quei
tempi tenute generalmente per vere, con che fronte
sicura sostenute e predicate, con che fiducia appli-
cate ai casi e alle deliberazioni della vita, si prova
facilmente per gli uomini di quella generazione una
compassione mista di sprezzo e di rabbia, e una certa
Digìtized by
Google
— 505 —
compiacenza di noi stessi ; non si può a meno di non
pensare che se uno di noi avesse potuto trovarsi in
quella età con le idee presenti sarebbe stato in molte
cose l'uomo il più illuminato e nello stesso tempo il
bersaglio di tutte le contraddizioni (*).
Ma dietro questa compiacenza viene anche facil-
mente un sospetto. E se anche noi ora viventi te-
nessimo per verissime cose che sieno per dar molto
da ridere alle età venture? cose da far dire un giorno:
pare impossibile che quei nostri vecchj con tanta pre-
tensione di coltura fossero incocciati di errori tanto
marchiani. E perchè no? Guardandoci indietro, noi
troviamo in ogni tempo una persuasione generale,
quasi unanime d'idee la cui falsità è per noi mani-
festa; vediamo quéste idee ammesse senza dibatti-
mento, affermate senza prove, anzi adoperate alla
giornata a provarne altre, dominanti insomma per
una, due, più generazioni, talvolta senza proteste,
senza richiami. Talvolta però ne troviamo alcuni, ma
o non ascoltati, o derisi, o trattati seriamente male :
(') Il Manzoni aveva in animo di rimaneggiare tutto il
rimanente di questo brano. Infatti v'incollò un fogliolino,
che dice: «Deduzione più logica: i.) generazioni; e di-
« venute poi il ludibrio delle generazioni susseguenti ;
«2.) Sarebbe una storia fino a più di ammirazione \ 3.)
« Talvolta senza richiami, etc. fino a rifiutata awertita-
« mettte \ 4.) Conclusione : Ma una siffatta storia , etc. Ri-
« fondere il tutto per adattarlo alla nuova deduzione». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 5<>6 —
cosa che ci fa strabiliare, vedendo noi ora quanto
fossero ragionevoli, come esprimessero verità le più
ovvie, anzi tanto ovvie che l'annunziarle ora con im-
portanza farebbe ridere per un altro verso. Questi
richiami si trovano per lo più sparsi, gittati come di
passaggio, per occasione, nelle opere di sommi scrit-
tori, o con più diretta intenzione, con qualche mag-
giore insistenza in libri strani e sconnessi, dove ar-
dite verità sono confuse con arditi spropositi e con
istravaganze volgari. Dal che si vede quanto fosse
prepotente l'autorità di quelle idee ; giacché non ar-
divano impugnarle che gli uomini difesi da una gran
fama, o i fanti perduti, per così dire, della lettera-
tura, gli scrittori che non temevano più, o che am-
bivano la riputazione incomoda e* pericolosa di amici
del paradosso. Volendo poi tener dietro al corso e
alle vicende di quelle idee, si trova generalmente che
dopo quei primi assalti staccati, comparve qualche
scrittore pensante e metodico a combatterle in re-
gola. Allora un trambusto da non dire : quelle idee,
disturbate seriamente nel loro antico e legale pos-
sesso, sono sempre state difese con sicurezza e con
ardore.» Si sarebbe detto ch'elle non fossero mai state
così forti, così inconcusse, come in quel momento:
ma' noi posteri, che vediamo la cosa finita, possiamo
giudicare che forza era quella. Egli era come quando
uno va di notte con un lumicino a dar fuoco ad un ve-
spajo; gli abitatori sbucano in furia; è un batter
d'ale, un avventarsi, un ronzio terribile; pare che
Digitized by LjOOQ IC
— 507 —
vadano ad una conquista, o che celebrino una vit-
toria ; ma guardate al nido, e vedrete ch'egli arde ;
v'accorgete che tutto quel concitamento nasce dal-
l'impaccio di non sapere dove andarsi ad alloggiare.
E cosa degna di osservazione come tutte quelle
guerre si rassomiglino: in tutte i difensori furono
costretti a variare ad ogni momento il sistema della
difesa ; ad abbandonare ogni giorno argomenti pro-
posti con somma fidanza e ad inventarne dei nuovi,
a misura che i primi erano malconci e renduti in-
servibili. Alcuni di quei nuovi argomenti furono tal-
volta molto arguti; ma per chi voleva riflettere,
l'epoca stessa della scoperta era un pregiudizio contra
di essi ; poiché' sarebbe cosa troppo strana che dopo
cento o dugent'anni di persuasione e di consenso in
una opinione si trovino tutto ad un tratto le ragioni
fondamentali che la fanno esser vera. Un altro punto
notabile di conformità che hanno avuto quelle guerre
fu questo, che sempre si sono andati a scovare, un
po' tardi, tutti i richiami antichi contra quelle idee,
per far vedere che lo scrittore il quale veniva in
campo a combatterle non diceva nulla di nuovo. E
quelli che si presero di tali brighe non s'avvedevano
che era un darsi della scure in sul pie: venivano a
provare che la verità era già stata annunziata da
molto tempo, che era stata posta loro dinanzi, e che
essi non l'avevano avvertita, o l'avevano rifiutata av-
vertitamente.
Sarebbe una storia molto curiosa quella di tutte
Digitized by VjOOQ IC
— 5<>8 —
le idee che hanno così regnato nelle diverse età,
delle origini, dei progressi e della caduta loro. Si
vedrebbero le più solenni stravaganze raccolte insieme
e tenute da una circostanza comune, di essere state
universalmente avute in conto di verità incontrasta-
bili. Si direbbe : nel tal sècolo il negare la tal cosa,
che ora nessuno* vorrebbe affermare, vi avrebbe fatto
mandare ai pazzerelli ; nel tal altro, l'affermare la tal
altra, che ora nessuno vorrebbe porre in dubbio,
vi avrebbe fatto andar prigione ; in quello, la tal pro-
posizione vi avrebbe fatto perdere ogni eredita; in
quell'altro, era appena lecito avventurarla al tale
grand' uomo, e con molta precauzione, con aria du-
bitativa, aggiungendovi per correzione la tal altra
cosa, che ora per noi e fin d'allora era forse per lui
stesso una sciocchezza badiale. Si vedrebbe un tale
errore proposta da prima con timidità, sostenuto con
modestia, combattuto acremente, diffuso lentamente
fra i contrasti, aver poi dominato con lunga ed uni-
versale tirannia : tal altro, annunziato con pompa,
come una scoperta, e tosto ricevuto : tale nato, cre-
duto e morto in un paese : tale, recato da di fuori e
ricevuto con gratitudine ; tale, sorto tra il popolo il-
letterato, e a poco a poco ammessa dai dotti, ri-
dotto da essi in sistema, e restituito agli inventori
con corredo di dottrine; tale, scovato in un libro
vecchio; tale, immaginato da un corpo , da un uomo
autorevole; tale, messo fuori da un uomo senza ere-
dita e senza merito, aver latto grande fortuna, perchè
Digìtized by VjOOQ IC
— 5©9 ~
conforme ad altre idee storte già dominanti e ad una
generale disposizione degli ingegni: e per troncare
con una delle specie più singolari una lista, che sa-
rebbe troppo difficile e troppo lungo il compiere, si
vedrebbe tale errore tenuto fermamente, amato, pre-
dicato con ardore fanatico dagli uomini i più colti
e pensatori di un'epoca, e rispinto dal popolo e dalla
folla dei dotti minori, quando per amore di preven-
zioni diverse, e quando per le vere e buone ragioni :
dimodoché su quel punto i posteri non trovano da
compatire in un'epoca che gli uomini pei quali hanno
più di ammirazione.
Ma una storia siffatta, oltre la curiosità, potrebbe
avere anche uno scopo importante. Osservando riu-
nite tante opinioni false e credute, si verrebbero cer-
tamente a scoprire molti caratteri generali, comuni
a tutte, cosi nella indole loro, come nel modo con
cui sono invalse, nelle circostanze che le hanno fatte
ricevere e sostenere, nei rapporti loro con altre opi-
nioni, o con interessi, eccetera. Questi caratteri sco-
perti, potrebbero poi servire come di uno scandaglio
per noi : si potrebbe osservare se fra le idee, dominanti
al nostro tempo, ve n'abbia alcune nelle quali questi
caratteri si trovino ; e cavarne un indizio per osser-
varle con più attenzione, con uno sguardo più libero
e più fermo, e con un certo sospetto, per vedere se
mai non fossero di quelle che una età impone a sé
stessa come un giogo, che le età venture scuotono
poi da sé con isdegno. Giacché è cosa troppo pro-
Digìtized by
Google
— 5io —
babile che anche noi ne abbiamo di tali, e sarebbe
pretensione troppo tracotante il crederci esenti da
una sciagura, comune a tutti i nostri predecessori. Io
credo che molte delle nostre opinioni attuali si tro-
verebbero avere di quei caratteri ; anzi alcuno di essi vi
è tanto manifestamente, che, senza studio, alla prima
occhiata si può scorgere. Citiamone uno dei più
estrinseci ed apparenti, e che si ravvisa in tutti gli
errori antichi, ora riconosciuti tali: un errore della
discussione, un'ombra, una ritrosaggine, una subita at-
tenzione a rispingere con ira o con beffe ogni dubbio,
un ricorrere tosto all'autorità dei morti e al consenso
dei vivi per chiamar tante voci in soccorso a coprire
quella che Voleva rendere un suono diverso. Ora,
mettiamoci un po' la mano alla coscienza: quante
dottrine non predichiamo e non sosteniamo noi a
questo modo ? Se v'ha chi lo nega, è facile, non dirò
farlo ricredere, ma costringerlo a somministrare egli
stesso una prova novella del fatto che non vuol con-
fessare. Se uno venisse ora a dire, per esempio: è
egli veramente, inappellabilmente provato che
Eh ma! signori, voi mi fate già la cera brusca ! Per-
donate, non vado oltre, tronco la frase sacrilega;
ripiglio il manoscritto del mio autore e torno alla
storia (*).
C) Il Manzoni soppresse questo dialogo, con il quale
termina il capitolo III del tomo IV della prima minuta;
ma, nel capitolo XXXVII del testo definitivo, raccontando
Digitized by VjOOQ IC
— 5H —
come morì don Ferrante, non mancò di esporre quello
che esso pensava intorno la peste. Ecco le parole del
Manzoni: «Di donna Prassede, quando si dice eh* era
«morta, è detto tutto; ma intorno a don Ferrante, trat-
« tandosi ch'era stato dotto, l'anonimo ha creduto d'esten-
« dersi un po' più ; e noi, a nostro rischio, trascriveremo
« a un di presso quello che ne lasciò scritto.
« Dice adunque che, al primo parlar che si fece di
«peste, don Ferrante fu uno de' più risoluti a negarla,
« e che sostenne costantemente fino all'ultimo, quell'opi-
« nione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma con
«ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che
«mancasse la concatenazione.
« In rerum natura^ diceva, non ci son che due generi
«di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il
« contagio non può esser né l'uno né 1' altro, avrò pro-
« vato che non esiste, che è una chimera. E son qui. Le
« sostanze sono, o spirituali, o materiali. Che il contagio
« sia sostanza spirituale, è uno sproposito che nessuno
«vorrebbe sostenere; sicché è inutile parlarne. Le sostanze
« materiali sono, o semplici, o composte. Ora, sostanza sem-
« plice il contagio non è ; e si dimostra in quattro parole.
« Non è sostanza aerea; perchè, se .fosse tale, in vece di pas-
« sar da un corpo all'altro, volerebbe subito alla sua sfera.
« Non è acquea ; perchè bagnerebbe, e verrebbe asciugata
« da' venti. Non è ignea ; perchè brucerebbe. Non è ter-
« rea ; perchè sarebbe visibile. Sostanza composta, nep-
« pure ; perchè a ogni modo dovrebbe esser sensibile al-
« l'occhio o al tatto; e questo contagio, chi l'ha veduto?
« chi l'ha toccato ? Riman da vedere se possa essere acci-
« dente. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dot-
« tori che si comunica da un corpo all'altro ; che questo
« è il loro achille, questo il pretesto per far tante prescri-
« zioni senza costrutto. Ora, supponendolo accidente, ver-
« rebbe a essere un accidente trasportato : due parole che
Digitized by LiOOQ IC
— 512 —
«fanno ai calci, non essendoci, in tutta la filosofia, cosa
« più chiara, più liquida di questa : che un accidente non
«può passar da un soggetto all'altro. Che se, per evitar
« questa Scilla, si riducono a dire che sia accidente pro-
« dotto, danno in Cariddi ; perchè, se è prodotto, dunque
« non si comunica, non si propaga, come vanno blaterando.
« Posti questi princìpi, cosa serve venirci tanto a parlare
« di vibici, di esantemi, d' antraci ... ?
« Tutte corbellerie, scappò fuori una volta un tale.
«No, no, riprese don Ferrante: non dico questo:
« la scienza è scienza ; solo bisogna saperla adoprare. Vi-
«bici, esantemi, antraci, parotidi, bubboni violacei, fu-
« roncoli nigricanti, son tutte parole rispettabili, che hanno
«il loro significato bell'e buono; ma dico che non han
« che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere
« di queste cose, anzi che ce ne sia ? Tutto sta a veder
« di dove vengano.
« Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin
«che non faceva che dare addosso all'opinion del con-
« tagio, trovava per tutto orecchi attenti e ben disposti :
« perchè non si può spiegare quanto sia grande l'autorità
« d'un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli
« altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva
« a distinguere, e a voler dimostrare che l'errore di que'
« medici non consisteva già nell 'affermare che ci fosse un
« male terribile e generale; ma nell 'assegnarne la cagione;
« allora (parlo de' primi tempi, in cui non si voleva sentir
«discorrere di peste), allora, in vece d'orecchi, trovava"
«lingue ribelli, intrattabili; allora, di predicare a disteso
« era finita ; e la sua dottrina non poteva più metterla
« fuori, che a pezzi e bocconi.
«La c'è pur troppo la vera cagione, diceva; e son
« costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi
«quell'altra così in aria.... La neghino un poco, se pos-
«sono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove.
Digìtized by VjOOQ IC
— 513 —
« E quando mai s'è sentito dire che l'influenze si propa-
«ghino...? E lor signori mi vorranno negar l'influenze?
« Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno
«dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie
«di spilli ficcati in un guancialino...? Ma quel che non
« mi può entrare, è di questi signori medici ; confessare
« che ci troviamo sotto una congiunzione cosi maligna, e
« poi venirci a dire, con faccia tosta : non toccate qui, non
« toccate là, e sarete sicuri ! Cóme se questo schivare il
«contatto materiale de' corpi terreni, potesse impedir
«l'effetto virtuale de' corpi celesti! E tanto affannarsi a
« bruciar de* cenci ! Povera gente ! brucerete Giove ? bru-
«cerete Saturno?
«His fretusy vale a dire su questi bei fondamenti, non
« prese nessuna precauzione contro la peste ; gli s'attaccò ;
« andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio,
«prendendosela con le stelle».
Olindo Guerrini [Achìllini e Manzoni; in La Rassegna
settimanale y di Roma, voi. Ili, n.° 59, 16 febbraio 1879,
pp. 130-131] notava, per il primo, che il ragionamento
posto dal Manzoni in bocca a don Ferrante, lo « copiò di
« sana pianta, senza dirci dove l'avesse preso », e ne in-
dicava la fonte : una lettera di Claudio Achillini ad Ago-
stino Mascardi. Tornava a trattare la questione, con grande
serenità e molto garbo, Luigi d'Isengard {Claudio Achil-
lini e don Ferrante ; in La Rassegna nazionale, di Firenze,
anno XX, voi. 104, i° decembre 1898, pp. 629-636.]
Agostino Mascardi di Sarzana, che, visse dal 1591 al
1640 ed ebbe grido tra' letterati d'allora, mentre a Milano
e nel resto d'Italia infieriva la peste e correvano le più
strane e orribili voci intorno gli untori, scriveva all' Achil-
lini : « Ditemi, di grazia, signor Claudio, che credete delle
«cose' di Milano? Non parlo degli accidenti di guerra e
«della peste, che pervia d'ordinario contagio si propaga,
«ma di quell'altra, che si dice esser seminata dagli 110-
Alkssandro Manzoni. 33
Digitized by
Google
— 514 —
« mini con mistura d'incanto. Io per me, come non sono
«dei più arrendevoli a creder tutto quello che si attri-
ce buisce al diavolo, così non lodo l'ostinata credulità di
«certi filosofastri, che, per far troppo del saccente, danno
« nell'infedele. Che in altri tempi si sia trovata cotal sorte
« di peste, dalla malvagità degli uomini appiccata con
«diverse misture, è notissimo». Qui tira in ballo Seneca
e Tito Livio, Paolo Diacono e Procopio, Pomponio Leto
e Gregorio Nisseno, Evagrio, Cedreno e Sigiberto; poi
prosegue : « Può nondimeno accadere che la moltitudine,
« credula al suo peggiore e inchinata alla superstizione,
« v'aggiunga molte cose del suo, in virtù dell'eccessivo
« timore che la toglie di senno. Però, figliuole della paura
« e della sciocchezza stimo io quelle larve di Principi, di
« vecchi e di palazzi, delle quali s'empiono i fogli di Lom-
« bardia, quando non sieno macchine mal composte di
« qualche ingegno, più curioso che discreto, per dar ma-
« teria di spavento alla plebe, e agli uomini sensati o dj
« riso o di sdegno. È certo nondimeno che nelle pubbliche
« calamità gli autori antichi osservano molte fiere visioni,
«o vere, o immaginate dalla paura.... Tantoché, per ab-
« battere dalle sue fondamenta Milano, era necessario che
« alla fame compassionevole, alle violenze di barbara sol-
«datesca, alle ruine di tanti anni di guerra, alle stragi
« della peste comune, s'aggiungesse il veleno, dirò insa-
«nabile, se è composto fin nell'Inferno con liquori nel
«nostro mondo non conosciuti».
L'Achillini gli rispondeva dalla sua villa al Sasso, nella
valle del Reno, dove s'era rifugiato per paura del con-
tagio : « È toccato alla peste lo svegliare il mio nome che
«dormiva sotto i ricchi padiglioni della vostra memoria:
« né voglio già ringraziamela, perchè non merita grazie
« una siffatta disgrazia ; t ben rendo grazie a voi che co-
« tanto m'avete onorato con la vostra eloquentissima ed
« eruditissima lettera, alla quale come potrò mai rispon-
Digìtized by LiOOQ IC
— 515 —
« dere a parte a parte, se, subito ch'io Pebbi ricevuta, ven-
« nero a me alcuni gentiluomini bolognesi, fra i quali un
« Paride letterato la riconobbe per un' Elena e me la rubò?...
« Voi mi richièdete il mio senso intorno agli spettri di Mi-
« lano e alla magica peste portata dalla fama su certi fogli
« curiosi, che vanno attorno. Qui, o ragioniamo del potere,
« o del fatto. Se del potere, chiara cosa è, e la teologia
« non ci lascia dubitare, che il Demonio può naturalmente
« queste e cose maggiori, purché Dio non gli sottragga il
«potere: intendo però, s'egli eserciterà le sue forze na-
« turali dentro alla latitudine del moto locale, trasportando
« e applicando gli agenti alle materie : perchè se noi cre-
« dessimo che nei predicamenti della qualità, della quan-
tità o della sostanza egli potesse immediatamente prò-
« durre sì fatti termini, noi, s'io non m'inganno, faressimo
«errore. Se poi ragioniamo del fatto, certo che per le
« continue relazioni che vengono da Milano, anche in
« quest'ultimo spaccio, io molto agevolmente m'induco a
«crederlo; ma non già credo quelle favolose circostanze
« che questa estate andavano attorno, le inverisimilitudini
« delle quali erano troppe note a chi leggeva quei fogli :
« e che altre volte siano avvenute sì fatte pestilenze, o col
« concorso del Demonio, o con l'arte ignuda degli uomini,
« oltre le nobilissime autorità addotte da voi, io mi ri-
« metto ad un certo trattatello manuscritto, che va attorno,
« il cui titolo è : De peste tnanufacta, nel quale sono re-
«gistrate molte altre autorità di simil fatto; ma quello
« che mi confonde l'ingegno si è come si trovino uomini
« di barbarie tanto inumana, che cospirino coi Diavoli alla
« distruzione di tutta la propria spezie. Io qui impazzirei
«col pensarvi, e però vengo ad un'altra non meno cu-
«riosa maraviglia, e chieggo a voi che cosa è egli mai
« questo fomite, o seminario pestifero, che resta impresso
« nei panni e con fecondità così tragica fruttifica la morte
« delle famiglie e dei popoli interi ? È egli accidente, o so-
Digitized by
Google
- 5i6 -
«stanza? Se accidente, o è trasportato, o prodotto, al
« primo modo repugna la filosofìa, la quale non ammette
« il passaggio degli accidenti da un soggetto all'altro . Al
«secondo pare che ripugni il non potersi intendere con
«quale energia possa l'appestato tradurre dalle radici o
« dalle potenze dei panni agli atti una si fatta qualità, oltre
« che non sarebbe agevol cosa lo assegnare in quale spezie
« di qualità dovesse riporsi. Se è sostanza, come vogliono
«tutti gli antichi e Greci e Latini, o è semplice, o è com-
« posta : se semplice, o ella è area, e perchè in breve
« tempo non vola alla sua sfera, liberandone i panni ? O è
« acquea, e perchè non bagna, o non è dall'ambiente,
« tante volte accidentalmente secco, disseccata e consu-
«mata? O è ignea, e perchè non abbrugia? O è terrea,»
«e perchè non si vede, o col tatto non si sente? Se è so-
« stanza composta, torno a dire che dovrebbe, o coir oc*
« chio, o col tatto discernersi ; e pure egli è verissimo che
« un panno bianco, mondissimo agli occhi nostri, uccide-
« rebbe una città intera ».
Queste lettere, che subito furon date alle stampe, le-
varono un gran rumore e più volte tornarono a veder la
luce. La prima edizione ha questo titolo: Due lettere |
Vuna | Del Mascardi ali* Achillini | L' altra \ DelVAehil*
lini al Mascardi \ sopra le presenti calamità. \ Dedicate al-
l' Illustriss. Signora \ D. Maria P epoli \ Contessa di Ca-
stiglione, Sparvi, | EBarragazza. \ In Bologna , per Fran-
cesco Casanio 1630. Con licenza de' Superiori \ Ad istanza
di Bartolotneo Cavalieri et Cesare Ingegneri; in-40 picc.
di pp. 24. Furono riprodotte: In Firenze, MDCXXXL \
Nella Stamperia di Pietro Nesti al Sole \ con licenza de'
superiori; in-40 di pp. 16 — In Roma, Per Lodovico Gru
gnaniy MDCXXXL | Con Licenza de" Superiori ; in-40 di
pp. 20 — e In Roma, et in Milano \ Ad istanza di Gio* Batt.
Bidelli | MDCXXXI; in-180 di pp. 32. Poi vennero inserite
nella raccolta delle Rime e prose dell' Achillini, stampata a
Digìtized by
Google
- 517 —
Venezia nel 1656, 1673, ecc. È probabile che il Manzoni leg-
gesse la lettera ispiratrice in una di queste ultime edizioni ;
ma non si può escludere che potesse avere avuto tra mano
anche una delle altre stampe» sebbene assai rare. Infatti
consultò un numero grande di libri e di opuscoli intorno alla
peste del 1630; quanti ne potè trovare. E poi pizzicava di bi-
bliofilo. Sta li a provarlo un esemplare, postillato di suo pu-
gno, della Serie \ de' \ testi di lingua \ usati a stampa nel Vo-
cabolario | degli Accademici della Crusca \ con aggiunte \
di altre edizioni da accreditati scrittori molto pregiate, \
e di osservazioni critico-bibliografiche. \ Bassano MDCCCV.
Dalla Tipografia Remondiniana \ con R. permissione / in-8°;
che si conserva nella librerìa di Brusuglio.
Il prof. Lorenzo Stoppato [La Biblioteca di Don Fer-
rante, Milano, tip. Bortolotti di G. Prato, 1887 ; pp. 47-49]
pigliò le difese di don Ferrante, ponendogli in bocca questa
risposta al Guerrini : « Caro signor mio, Ella mi imputa di
« plagio? Ma non sa Ella che il distinguere fra sostanza e ac-
« cidenle è una delle formule più consuete e precise della fì-
« losofia aristotelica, e che l'applicazione della formula im-
« porta uno sviluppo eguale di ragionamento, per ogni
« caso ? Che non varia altro che la materia alla quale viene
€ applicata? E mi crede così da poco da aver bisogno di
« copiare un ragionamento, come farebbe uno scolaretto ?
«E Lei mi fa un gran caso dell'aver io considerata la
«peste come sostanza e come accidente? Ma non sa che
«gli scolastici hanno disputato per fino se Dio fosse ac-
« cidente o sostanza ». Fin qui la difesa non fa una grinza ;
dove zoppica è in quello che segue : « Né mi venga a
«dire che io ho copiato dall' Achillini.... Dica piuttosto
«che anche l'Achillini ha copiato quel ragionamento, e lo
«ha copiato precisamente da Massimiliano Viani di Pal-
« lanza. Costui infatti, nei suoi Dialoghi su i rimedi ef-
«ficacissimi per guardarsi dal mal contagioso, stampati a
« Milano, dal Rolla, Tanno 1630, a pag. 40 » [correggi
Digitized by
Google
- 5i8 -
pp. 44-45]» «scrive: — Per compiacervi dirò quello che
« dice alcuno filosofo sopra tali particolari, circa il punto
«che sii questo fomite, o seminario pestifero.... Se egli
« sii accidente, o sustanza. Se accidente, o è trasportato,
«o è prodotto. Al primo modo repugna la filosofia, la
« qual non ammette passaggio degli accidenti da un sog-
« getto all'altro.... Se sustanza, o è semplice, o è com-
« posta. Se è semplice, o ella è aerea, e perchè in breve
«tempo non vola alla sua sfera? O è acquea, e perchè,
«o non bagna, o non è dall'ambiente, tante volte acci-
« dentalmente secco, disseccata e consumata? O è ignea,
« e perchè non abbrucia ? O è terrea, e perchè, o non si
« vede, o col tatto non si sente ? Se è sostanza composta,
« dicono che dovrebbe, o con rocchio, o col tatto discer-
«nersi.... Quanto poi alla generazione di questo male,
« può seguire per alterazione o corrozione d'aere, cioè per
«l'aere viziato e corrotto per aspetti nemici di stelle — ».
Lo Stoppato conchiude : « Eccovi, caro signor critico, che
« anche il vostro Achillini è un plagiario e ha copiato ad
« litteram dal Viani ».
Ho qui dinanzi il suo libro e comincio col trascriverne
il titolo : Remedii efficacissimi \ per \ guardarsi dal mal con-
taggioso, | Accioche non vadi infettando i Vicini, \ ttè faccia
progresso ; \ con altri avertimene \ necessarii per tali bi-
sogni, | Opera \ composta in forma di Dialogo \ da Massi-
migli ano Viani | di Pallanza \ Per beneficio publico. \ In
Milano, | Appresso Carlo Francesco Rolla Stampai. \ vi-
cino al Ver zar o. È un volumetto in-8° di pp. 51, oltre
8 in principio e 3 in fine. L'anno manca; ma si deduce
dalla lettera dedicatoria del Viani Ali1 III.»*0 Magistrato
della Sanità dello Stato di Milano, scritta da « Milano li 23.
Giugno 1657»; nonché dall'approvazione del Magistrato
stesso, che è del 27 del medesimo mese. In questa ap-
provazione si commenda anche il libro, e si esortano le
Comunità, «per il loro particolare beneficio, a provve-
Digitized by VjOOQ IC
— 519 —
« dersene d'una copia, prohibendosi a ciascun stampatore
« et ad ogni altra persona il stampare» far stampare, o in-
« trodurre da di fuori di questo Stato per anni dodici pros-
« simi avvenire la medesima opera ; et ciò sotto pene pe-
cuniarie et anco corporali». Ecco dunque provato che
l'Achillini non è per nulla un plagiario. Lo sarà il Man-
zoni? Osserva Luigi Morandi [cfr. La Perseveranza del
19 febbraio 1879] : non solo non può parlarsi « di plagio,
«ma neppure d'imitazione, almeno nel senso più ovvio
«che si dà a questa parola» ; è «una trovata storica»,
la quale prova che anche i personaggi e i fatti inventati,
furono dal Manzoni « coloriti con tinte ricavate da fatti e
« da personaggi consimili e realmente storici di quel
« tempo ». Ribadisce Orazio Bacci : « Non si potrebbe par-
« lar mai di un plagio, sibbene di un substrato storico —
« quasi direi — che V autore volle dare alla sua figura ;
«e la citazione dèlia fonte non era necessaria, né forse
«artisticamente possibile». Notevole è poi ciò che scrive
il D'Isengard: «Che il Manzoni, volendo ritrarre nel suo
«romanzo la Lombardia del secolo XVII, abbia fatto
« uno studio accuratissimo di queir età, dei luoghi, dei
«costumi, dei caratteri e degli avvenimenti, è cosa risa-
«puta.... Non si contentò di studiare quel secolo nelle
« linee principali, ma scese ai particolari ; ben sapendo che
« i fatti minimi, come insegnò Bacone, giovano a spie-
« gare i fatti massimi. Colla virtù assimilativa dei grandi
«ingegni, e coir industriosa abilità delle api, fabbricava il
« suo miele. Nel libro di Stefano Stampa si legge : — Una
« volta mi mostrò nel Ripamonti (*) il testo somigliantissimo
« della predica del padre Felice, dicendo : — Vedi son
(*) Qui lo Stampa è tradito dalla memoria. Gli mostrò
invece il La Croce, dove a pag. 77 si riporta la predica.
(Ed.)
Digìtized by
Google
— 5*> —
« quasi le stesse parole delle quali mi som servito io. —
« Della lettera dell' Achillini avrebbe potuto dire egual-
« mente: Vedete, per far parlare a don Ferrante il lin-
guaggio della pedanteria, con tutti gli errori e le su-
« perstizioni del tempo, non m'è parso vero di trovare in
«quella lettera il fatto mio. Ma come l'orpello dell' A-
«chillini nel crogiuolo manzoniano sia divenuto oro pu-
lissimo, questo è un segreto dell'arte ». Giuseppe Galli
\Un' operetta inedita del Card. Federico Borromeo sopra
la peste in Milano ed i « Promessi Sposi » ; ne\V Archivio
storico lombardo , ami. XXX, voi. XX, pp. 1 10-137] scoprì
che il Manzoni approfittò di un'opinione espressa dal Lam-
pugnano a p. 13 del suo libro: La peste seguita a Milano
Panno iójo, stampato nel 1634, per metterla in bocca a
don Ferrante. L'opinione del Lampugnano è questa : « Né
« finalmente mi dà l'animo di concedere che la peste sia
« qualità contagiosa. Perchè sarebbe accidente. Né po-
« tendo l'accidente essere contrario alla sostanza, non ca-
« pisco come possa da subietto in subietto passare ad
« operare la corruzione ». Sentiamo adesso la medesima
opinione uscita dal crogiuolo manzoniano : « Riman da
« vedere se possa essere accidente. Peggio che peggio.
« Ci dicono questi signori dottori che si comunica da un
«corpo all'altro; che questo è il loro achille, questo il
« pretesto per far tante prescrizioni senza costrutto. Ora,
« supponendolo accidente, verrebbe a essere un accidente
« trasportato : due parole che fanno ai calci, non essen-
« doci, in tutta la filosofìa, cosa più chiara, più liquida di
« questa : che un accidente non può passar da un sog-
« getto all'altro ».
Il Manzoni dice che nella « sciènza cavalleresca » don
Ferrante « meritava e godeva il titolo di professore », e
non a torto, giacché « aveva nella sua libreria, e si può dire
« in testa, le opere degli scrittori più riputati in tal ma-
« teria: Paride dal Pozzo, Fausto da Longiano, l'Urrea,
Digitized by
Google
— 521 —
« il Muzio, il Romei, 1* Albergato, il Forno primo e il
« Forno secondo di Torquato Tasso ».
// Forno o vero della nobiltà, dialogo del signor Tor-
quato Tasso , vide la luce a Vicenza, nel 1581, per Pierin
Libraro; il Trattato del modo di ridurre a pace l'inimi-
citie private , di Fabio Albergati, fu pubblicato a Roma,
co* torchi dello Zannetti, nel 1583 ; i Discorsi cavallere-
schi del conte Annibale Romei, divisi in cinque giornate,
vennero impressi a Venezia dallo Zilettt nel 1585. Di Gi-
rolamo Muzio, giustinopolitano , si hanno ben cinque
opere: Le Risposte cavalleresche ', Venezia, Giolito, 1551;
// Duello, Venezia, Giolito, 1558 ; La Faustina, delVarmi
cavalleresche a* Principi e cavalieri d'onore, Venezia,
Valgrisi, 1560; Il CavalierOy Roma, Biado, 1569; Il Gen-
iti h uomo, distinto m tre dialoghi, Venezia, Valvassori,
1575. Lo spagnuolo Girolamo d'Urrea è autore del Dia-
logo del vero onore militare , nel quale si definiscono
tutte le querele che possono occorrere fra l'uno e l'altro
uomo, con notabili esetnpi di antichi e moderni, che fu
tradotto in italiano da Girolamo Ulloa e stampato a
Venezia dal Sessa nel 1569. Di Fausto da Longiano
si ha // Gentilhuomo, diviso in due parti, Venezia, 1542
e 1544; e 11 Duello regolato alle leggi dell'onore, con
tutti i cartelli missivi e responsivi, Venezia, Valgrisi, 1552;
e di Paride dal Pozzo i Libri IX del Duello, Venezia,.
1521. Oltre questi « antichi », c'era un suo contempo-
raneo, che don Ferrante riteneva « l'autore degli au-
tori», il «celebre Francesco Birago». E anzi il Man-
zoni nota che « fin da quando venner fuori i Discorsi ca-
« Valter eschi di quell'insigne scrittore, don Ferrante pro-
« n ostico, senza esitazione, che quest'opera avrebbe ro-
« vinata l'autorità dell' Olevano, e sarebbe rimasta, insieme
« con l'altre sue nobili sorelle, come codice di primaria
« autorità presso i posteri » . Li Discorsi cavallereschi del
Signor Francesco Birago, Signore di Melone e di Si-
Digìtized by LjOOQ IC
— 522 —
ciano , ne' quali, con rifiutar la dottrina cavalleresca del
Signor Gio; Battista Olevano, s'insegna a ranchettare ho-
norevolmente le querele nate per cagione d'hottore, ebbero
una prima edizione a Milano, dal Bidelli, nel 1622, che
poi li ristampò « riveduti et accresciuti » nel 1628. Oltre
un Trattato cinegetico, o vero della Caccia, Milano, Bi-
delli, 1628, il Birago compose tre altre opere cavalleresche,
« nobili sorelle » de* Discorsi, cioè: Dichiaratione et av-
vertimenti poetici, istorici, politici, cavallereschi e morali
sulla Gerusalemme conquistata del Tasso, Milano, Soma-
sco, 1616 ; Consigli cavallereschi, ne' quali si ragiona circa
il modo di far le paci, con un'Apologia cavalleresca per
il Sig. Torquato Tasso, Milano, Bidelli, 1623; e le Deci-
sioni cavalleresche. Si hanno insieme raccolte col titolo :
Opere cavalleresche del Signor Francesco Birago, di-
stinte in quattro libri, cioè: Discorsi, Consigli libro I e
II e Decisioni, Bologna, Longhi, 1686 ; in-40.
Il dott. Ubaldo Mazzini {La Cavalleria nei Promessi
Sposi, nuovo contributo alla ricerca dei fonti manzoniani',
nella Rassegna nazionale, di Firenze, ann. XXI, voi. 109
della collezione, 16 settembre 1899, pp. 333-346], ritiene che
il Manzoni «ha avuto per guida un'opera soltanto d'un
« solo di quegli autori » , i Consigli cavallereschi del Bi-
rago. « Gli altri autori e le loro opere » (così il Maz-
zini) « ha trovato citati ne* Consigli ad ogni capitolo, ad
« ogni pagina, e parecchie volte : con questo però non
« voglio escludere che egli li abbia consultati ; ma più
« letti che studiati, come direbbe egli stesso ». No: il Man-
zoni era troppo coscienzioso, troppo diligente, per con-
tentarsi di bere a una sola fontana; gli ha letti tutti, gli
ha tutti studiati ; c'è da giurarlo. Scorrendo i Consigli (è
sempre il Mazzini che scrive) « non solo è facilissimo tro-
« varvi il riscontro con alcuni passi dei Promessi Sposi,
« ma ben si comprende ancora come abbia fatto del Bi-
« rago l'autore prediletto di don Ferrante, il suo amico;
Digìtized by
Google
— 523 -
« come lo elevi sopra tutti gli altri, e il perchè della pro-
« fezia intorno alFOlevano. Ultimo venuto nella nobile
« falange dei trattatisti dell' honor e, contemporaneo e com-
« patriota di don Ferrante, il Birago, per lo stile, il gu-
« sto, il modo di argomentare caratteristico dell'età in cui
« visse, è ben naturale che tanto andasse a' versi di don
« Ferrante.... Si può pensare che lo stesso nome di don
« Ferrante il Manzoni l'abbia tratto dai Consigli del Bi-
« rag°> giacché nel Consiglio IV, in cui si esamina il caso
« di chi pretende essergli stato venuto meno della parola, si
« tratta appunto della vertenza insorta tra certo signor
« Ferante Nova ed il signor Giovaniacomo Latuada ».
Intorno a questa incarnazione d'un dotto del Seicento,
morto, « come un eroe di Metastasio, prendendosela con
«le stelle», è pure da consultarsi: Albertazzi A., Don
Ferrante, in Fanfulla della Domenica, ann. XXII, n. 6.
(Ed.)
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
XXL
La peste a Bergamo — Ritorno di Fermo
al paese nativo suo incontro con
Don Abbondio e con Agnese.
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
Lasciando ora Don Rodrigo nel suo tristo rico-
vero (') ci conviene andare in cerca d'un personaggio'
separato da lui per condizione, per abitudini e per
inclinazioni, e la storia del quale non sarebbe mai
stata immischiata alla sua, se egli non lo avesse vo-
luto a forza. Fermo, del quale intendiamo parlare,
aveva campucchiato quell'anno della carestia, parte
col suo lavoro, parte coi soccorsi di quel suo buon
parente ; alla fine, per non essergli troppo a carico,
intaccò i cento scudi di Lucia, ma col proposito di
restituire, se mai Lucia non fosse più quella per lui.
Il passaggio della soldatesca interruppe quelle scarse
e imbrogliate comunicazioni di pensieri e di notizie
che passavano tra lui ed Agnese. Dietro la solda-
tesca venne la peste, ai primi avvisi della quale i
magistrati di Bergamo interdissero il commercio col
territorio milanese finitimo, mandarono commissarj
0) Il lazzeretto. (Ed.)
Digìtized by
Google
- 528 -
ad invigilare al confine, fecero por guardie e can-
celli. Pure, come era accaduto nel Milanese, la di-
sobbedienza fu più attenta, più destra, più ingegnosa
che la vigilanza; gli abitanti del confine berga-
masco non credevano né pur essi molto alla peste e
trattavano di soppiatto coi loro vicini; e, con molta
fatica e con molto pericolo, ottennero di potere avere
anch'essi la peste in casa. Entrata che fu, invase
poco a poco il contado, poi i sobborghi di Bergamo,
poi la città (*). La peste di Bergamo, e nei modi con
(*) Il canònico Giovanni Finazzi, amico del Manzoni,
pubblicava a pp. 409-485 del tom. VI della Miscellanea
di storia italiana, edita per cura della Regia Deputazione
di storia patria, Torino, Stamperia Reale, 1865, la Rela-
zione della carestia e della peste di Bergamo e suo territorio
negli anni 1620 e 1630, scritta da Marc' Antonio Benaglio,
premettendovi, tra le altre, queste parole : « Chi volesse
« la storia della peste di Bergamo del 1630, la e* è (dice
«il Manzoni al cap. XXXIII de' suoi Promessi Sposi),
«scritta per ordine pubblico da un tal Lorenzo Ghirar-
« delti : libro raro però e sconosciuto, quantunque contenga
« forse più roba, che tutte insieme le descrizioni più celebri
« di pestilenze. E quantunque il Ghirardelli, come pubblico
«cancelliere della città e dell'offizio di sanità, fosse uno
« di quegli uomini, ai quali (per dirlo collo stesso Manzoni
« nella Colonna infame) in qualche caso può esser coman-
« dato e proibito di scrivere la storia, nondimeno pel ca-
« rattere di onoratezza e lealtà sua propria, e pel savio
« e liberale incarico raccomandatogli dal voto del maggior
« consiglio della stessa città, con rara accuratezza dei più
« minuti dettagli (come appunto portava la parte presa
Digìtized by
Google
— 529 ~
cui si propagò, e in tutti i suoi accidenti, presenta
molti tratti di somiglianza notabile con quelli del
Milanese. Come ia- questo paese, così nel bergamasco,
dopo scoverta la peste, si trovò ch'ella si sarebbe
dovuta prevedere per evidenti segni astrologici e per
inauditi portenti ; v'ebbe pure la incredulità di molti
abitanti, e la negligenza delle precauzioni ; v'ebbero
« in proposito il 26 dicembre 163 1 dal maggior consiglio)
« descrisse le vicende e il successo di quella peste dai
«primi pronostici che se n' ebbe e dai primi principii
« ond' essa pullulò e andò set pendo nel territorio, con i
« Progressi, accrescimenti e strage atrocissima, così nella
« città, come nel contado ; narrando e descrivendo non solo
« li ordini e provvisioni fatte dal Magistrato della sanità
«per la preservazione universale, ma anco gli errori oc-
« corsi per aversi poco esperienza di sì fatti maneggi, con
«filo continuato di narrar veramente tutte le cose più no-
« labili, con l'ordine e serie de' tempi, sino all' intiera e
« totale estirpazione. Ma di quella peste, che fu sì fiera e
« desolante, oltre al Ghirardelli, altri de' nostri lasciarono
« più o meno dettagliate memorie, che se fossero pub-
blicate tornerebbero per avventura di non inutile com-
« mento o supplemento alla storia di esso Ghirardelli, e
« potrebber recare alcune particolarità di fatti, da far jne-
« glio conoscere quel tratto di storia patria, più famoso
« che conosciuto. Ora fra gli scrittori di così fatte memòrie
« crediamo di dover prescegliere Marc'Antonio Benaglio,
« cancelliere che fu del venerando consorzio della mise-
« ricordia : che in più succoso e vivace stile, che non fa-
« cesse per avventura il Ghirardelli, ce ne lasciò una dotta
« e coscienziosa Relazione ». (Ed.)
Alessandro Manzoni. 34
Digìtized by
Google
— 53o -
i dispareri fra i medici, Tinesecuzione degli ordini
e il rilasciamento nei magistrati stessi, nato da una
falsa fiducia che il male fosse cessato. Quivi pure
una processione, contrastata con ragioni savie e vo-
luta con fanatismo, diffuse rapidamente il contagio
nella città ; quivi pure molte vite generosamente sa-
grificate in prò' del prossimo da cittadini, e partico-
larmente da ecclesiastici ; quivi pure licenza e avanie
degli infermieri e becchini, che ivi erano chiamati net-
tezzini, come in Milano monatti ; quivi pure preserva-
tivi e rimedi strani o superstiziosi. Quivi pure, come in
Milano, subitanei spaventi per voci sparse di sorprese
nemiche, sognate dalla paura, o inventate dalla mali-
zia ; e finalmente, per non dir tutto, quivi pure all'udire
che in Milano v'era gente che disseminava il contagio
con unzioni, nacque un terrore che il simile non avve-
nisse, anzi parve di vedere unti i catenacci e i martelli
delle porte e le pile delle chiese ('). Ma la cosa non
(') Dal capitolo IV del tomo IV tolgo il seguente brano
riguardante gli untori : « La cagione d'un così subito e
« portentoso aumento del male fu data a voce di popolo
« agli untori: si disse con asseveranza e si ripetè con fu-
« rore, che quegli uomini, congiurati allo sterminio della
« città, prendendo il destro della processione, che l'aveva
«posta tutta unita, per così dire, in loro balìa, avevano
« unti in quel giorno quanti avevano potuto, e sparso tutto
« il cammino di polveri venefiche, per le quali il contagio
« s'era appiccato alle vesti, ai piedi scalzi, anche alle scarpe
« dei di voti & inavvertiti pellegrinanti. L'opinione delle
Digìtized by
Google
531
andò oltre; e come in questo particolare, così nel resto,
gli accidenti tristi, che abbiam toccati, furono in Ber-
gamo men gravi, meno portentosi; T incrudeltà fu
« unzioni, che fino allora non aveva prodotta che una vaga
« inquietudine e ciarle, dopo questo, ch'ella prendeva
«per un gran fatto, cominciò a partorire ben altri effetti.
« Due principali furono distinti e notati dal Ripamonti,
« uomo che, in molti punti, liberandosi e segregandosi
« dalla opinione pubblica dei suoi tempi, volse la mira
« delle sue osservazioni alle cose appunto che nessuno, o
« quasi nessuno avvertiva, esaminò quella opinione stessa,
« mutò sovente i termini della questione, fu solo a di-
« scernere e a dire molte verità, e fece intendere che molte
« ancora ne dissimulava, molte ne indeboliva per non ir-
« ritare il giudizio pubblico, il quale, come traspare chia-
« ramente dalla sua storia, gli faceva una gran paura e
« una gran compassione nel tempo stesso. Un effetto fu
«che i magistrati, tutti i potenti, ingolfati in ispeculazioni
« politiche, divagati e avviluppati colla mente nei segreti
« delle corti per arzigogolare quale dei principi, quale
« dei re stranieri potesse essere il capo della trama, non
« pensavano a quello che era da provvedersi nelle ur-
« genti congiunture della peste ; e spaventati poi dalla
«vastità supposta e dalla oscurità stessa delle insidie,
«si abbandonavano sempre più a quella stanca trascu-
«ratezza, che è compagna della disperazione. L'altro effetto
« più deplorabile, atróce, fu di estendere, di facilitare, di
« irritare i sospetti e di giustificare, di santificare tutte le
« offese più crudeli, che quei sospetti potevano suggerire.
«Non solo dallo straniero, dal nimico, dalla via pubblica
«si temeva, ma si guardava alle mani dell'amico, del
« servo, del congiunto, ma si poneva il piede con sospetto
Digìtized by
Google
532 —
meno ostinata, men clamorosa, la trascuranza men
crassa, la superstizione meno feroce, la violenza meno
bestiale e meno impunita. Di questa differenza v'era
« per la casa. Ma orribil cosa ! si tremava al contatto della
« mensa, del letto nuziale. Il viandante straniero che, non
« ben sapendo fra che uomini si trovava, si rallentasse a ba-
« loccare sul cammino, o che stanco si sdraiasse per ripo-
« sare, il mendico che per città si accostava altrui tendendo
« la mano, colui che inavvertitamente toccasse la parete
« di una casa, l'affrettato che urtasse, altri per via, erano
«untori; al terribile grido d'accusa accorrevano quanti
« avevan potuto udirlo; l'infelice era oppresso, straziato,
«talvolta morto dalle percosse, o trascinato alle carceri,
« tra gli urli e sotto le battiture, benediceva nel suo cuore
« affranto quelle porte, e vi entrava come dalla tempesta
« nel- porto. E quante volte saranno accorsi alle grida,
« avranno partecipato al furore comune di quegli stessi
« che più tardi poi dovevano esser vittime d'un simile
« furore.
« Così l' irreligione esacerbava la sciagura che una ap-
« plicazione falsa ed arbitraria della religione aveva estesa
«ed accresciuta. Dico l' irreligione, perchè se l'ignoranza
« e la falsa scienza delle cose fisiche, e tutte le altre ca-
« gioni, di cui abbiamo parlato di sopra, poterono far ri-
« cevere comunemente l'opinione astratta di unzioni e di
« congiure, furono certamente le disposizioni anti-cristiane
« di quel popolo corrotto, che rendettero quella opinione
« attiva e feroce neh" applicazione. Nessuna ignoranza
« avrebbe bastato a così orrendi effetti, quando fosse stata
« congiunta con quel sentimento pio che prepara gli animi
« alla tranquillità ed alla riflessione, che avverte a pensar
« di nuovo quando il pensiero diventa un giudizio, una
Digìtized by
Google
— 533
molte cagioni, alcune presenti, altre antiche, quale
nelle persone e quale nelle cose ; la ricerca delle quali
cagioni è fuori affatto del nostro argomento. Quello
« azione su le persone, se fosse stata insomma congiunta
« con quella carità che è paziente, benigna, che non si
« irrita, che non pensa il male, che tutto soffre. Ma l' in-
« tolleranza della sventura, la disciplina e Poblio delle
« speranze superiori a tutte le sventure del tempo, Tor-
« rore pusillanime e furioso della morte erano le cagioni
« che mantenevano negli animi una irritazione avida di
« sfogo e di vendetta, e quindi sempre in cerca di fatti
« che ne dessero l'occasione, quindi ancora pronta a tro-
« var questi fatti ad ogni momento.
« Il Ripamonti riferisce due esempi di quel furor po-
« polare, avvertendo bene i suoi lettori di averli trascelti
« non già perchè fossero dei più atroci fra quegli che acca-
« devano alla giornata, ma perchè di quei due egli fu te-
« stimonio.
« I magistrati, i quali avrebbero dovuto reprimere e
« punire queir iniquo furore, lo imitarono e lo sorpassa-
« rono con giudizj motivati e ponderati al pari di quei po-
« polari, che abbiam riferiti, con carneficine più lente, più
«studiate, più infernali. Passare questi giudizj sotto si-
« letizio sarebbe ommettere una parte troppo essenziale
«della storia di quel tempo disastroso; il raccontarli ci
« condurrebbe o ci trarrebbe troppo fuori del nostro sen-
« tiero. Gli abbiamo dunque riserbati ad un'appendice,
«che terrà dietro a questa storia, alla quale ritorniamo
« ora ; e davvero ».
Nel capitolo V del tomo IV della prima minuta il
Manzoni prese a trattare esclusivamente del processo degli
Digìtized by LjOOQ IC
— 534 —
che ora importa di sapere si è che Fermo contrasse
la peste, e la superò felicemente. Tornato alla vita,
dopo d'averla disperata, dopo quell'abbandono e quel-
untori; poi stralciò que' fogli, per formarne un'appendice
al Romanzo, svolgendo il soggetto in modo più largo. Se
ne conserva il primo sbozzo, già intitolato: Capitolo Vy
poi Appendice storica su la Colonna infame. Sono 60 fogli
di 4 pp. l'uno, il primo de* quali non è numerato : gli
altri portano la numerazione 1-59, fatta dal Manzoni stesso.
Alcuni fogli serbano, ma cancellata, la numerazione che
ebbero quando fecero parte del manoscritto del Romanzo
e sono: 53, divenuto I; 54-57, divenuti 2-5; 62-67, dive-
nuti 10-15; 65-67, ripetuti, diventati 18-20; 68-70, mutati
in 21-23. Comincia: «Due femminelle, Catterina Rosa e
Ottavia Boni, trovandosi sgraziatamente alla finestra di
buon mattino il giorno 21 di giugno » ; finisce : « e noi
con uno scopo ben meno importante, e con tanto minor
corredo d' ingegno, ci siamo però proposti di fare ciò che
non era ancor stato fatto » .
Quando il Manzoni depose il pensiero di stamparla in-
sieme col Romanzo e invece stabilì di farne una pubbli-
cazione separata, la intitolò : Storia della Colonna infame ',
e vi premise queste parole : « Fra i molti giudizj legali
« che nel 1630 e al di là, furono portati in Milano, su per-
« sone accusate d'aver propagata la peste con unzioni, uno
« parve ai giudici così degno di memoria, che decretarono
« un pubblico monumento a mantenergliela ; e fu quella co-
lonna nominata infame, che stette in piedi cento qua-
« rantott'anni. E in questo eglino s'apponevano: il giu-
« dizio fu veramente memorabile. Ma un monumento non
« è una storia: anzi talvolta è, non solo meno, ma qualche
« cosa di contrario alla storia. Ma se quei giudici non ci
Digitized by
Google
535
l'abbatti mento, sentì egli rinascere più che mai fresche
e rigogliose le speranze, le cure e i desiderj della vita,
cioè pensò più che mai a Lucia, alle antiche affezioni,
«avessero dunque lasciato altro, ci avrebbero dati, per
« verità, ben pochi mezzi per conoscere ciò di che vole-
« vano farci ricordare. Ma, senza volerlo, e probabilmente
« senza pensarvi, essi furono occasione che altri, proba-
« bilmente ancora senza averne 1* intenzione, conservasse
« al pubblico i materiali bastanti per la storia di quel giu-
« dizio. In mezzo a quei tapini accusati si trovò, per le
« singolari circostanze che racconteremo, un uomo di gran
«condizione. Quest'uomo, potendo .per la sua giustifica-
«zione ricorrere a mezzi dei quali gli altri non avevano
« per avventura nemmeno l'idea, e che non sarebbero stati
« in poter loro quand'anche i difensori gli avessero loro
« suggeriti, quest'uomo, dico, pubblicò con le sue difese
«e in appoggio di quelle, un grande estratto del processo,
« che, come a reo costituito, gli fu comunicato. Su quel vo-
« lume, che non debb'essere mai stato comune, ed ora è
« singolarmente raro, si è principalmente compilata la se-
« guente storia. Il soggetto di essa è il giudizio dei due
« condannati, il nome dei quali fu iscritto nel monumento,
« e quello dell'uomo di condizione che fu assoluto. Degli
« altri avviluppati in quello sciaguratissimo affare si citerà
« ciò che serve ad integrare la storia principale, o anche
« quei tratti che per la loro singolarità e importanza loro
« possono parere sempre opportuni, e che uno non sa-
« prebbe risolversi ad ommettere, quando vi sia un ap-
« piglio per farli conoscere».
In fine allo sbozzo dell' Appendice il Mauzoni scrisse la
seguente dichiarazione: «Alcuni libri, collezioni, mano-
«scritti, rarissimi, ed anche unici, da cui l'autore ha rica-
Digìtized by
Google
- 536 -
agli antichi disegni, alla incertezza in cui era da tanto
tempo dei pensieri di essa, e alla nuova terribile incer-
tezza della salute, della vita di lei, in quel tempo dove
« vato molte notizie per questo lavoro, e per quello che
« lo precede, gli furono comunicati con molta gentilezza,
« e lasciati con molta sofferenza o da amici, o da per-
« sone ch'egli non ha l'onore di conoscere personalmente,
« ma che per obbligar qualcheduno non hanno bisogno
« di conoscerlo. Si degnino tutti di gradire l'attestato della
«sua gratitudine, e l'omaggio reso ad una cortesia che in
«altri casi potrebbe essere di molto vantaggio alle let-
« te re ».
Tra le carte del Manzoni si trovano alcuni fascicoli,
che egli stesso intitolò : Estratti e citazioni per servire
alla descrizione della peste y al processo degli untori, alla
storia politica di quel secolo . Son copie di documenti tratti
dall'Archivio Civico e dall'Archivio di S. Fedele di Mi-
lano, ^spogli di gride, appunti presi da manoscritti e da
opere a stampa. Con la guida di questi Estratti e delle
citazioni che il Manzoni stesso fece ne' capitoli XXVIII,
XXXI e XXXII de' Promessi Sposi, do qui un elenco
delle fonti alle quali attinse nel descrivere la carestia e
la peste famosa.
Josephi Ripamonti! | canonici scalensis \ chronistae
vrbis | Mediolani \ Historiae patriae [decadis V \ libri VI, \
Mediolani | Ex Regio Palatio, Apud Io: Baptistam et
Iulium Caesarem Malatestam Regios Typographos, senza
anno; in-40 di pp. 419, oltre 42 in principio e 1 in fine
non numerate ; col ritratto del Ripamonti, disegnato dallo
Storer e inciso in rame dal Blanc.
Josephi Ripamontii | canonici scalensis \ chronistae
yrbis Mediolani \ de Peste \ quaefvit anno CU \ D CXXX. \
Digìtized by
Google
— 537 —
il vivere e l'esser sano era una come eccezione alla
regola. Tutte queste passioni crescevano nelF animo di
Fermo di pari passo che il vigore nelle sue membra ;
libri V. | desvmpti \ ex Annalibvs \ vrbis \ qvos LX. \ De-
cvrionvm \ avtoritate \ scribebat (In fine:) Mediolani | Apud
Malatestas, Regios ac Ducales | Typographos, senza anno ;
in-4° di pp. 411, oltre 12 in principio e 1 in fine non nume-
rate. [Nel primo libro tratta della carestia e della peste, nel
secondo degli untori ; il terzo ha per soggetto le geste del
cardinale Federigo Borromeo e del clero durante il contagio;
nel quarto parla del Magistrato di Sanità ; nel quinto para-
gona la peste del 1630 con quelle precedenti. Le postille
che vi fece il Manzoni sono a stampa a pp. 449-453 del
voi. II delle sue Opere inedite o rare. Cfr. anche : La Peste
di Milano del 1630 libri cinque, cavati dagli Annali della
città e scritti per ordine dei XL Decurioni dal canonico
della Scala Giuseppe Ripamonti, istorio grafo milanese,
volgarizzati per la prima volta daW originale latino da
Francesco Cusani, con introduzione e note, Milano, ti-
pografia e libreria Pirotta, 1841 ; in-8° gr. di pp. XXXVI-
362. — Cfr. pure: Cusani F., Paolo Moriggia e Giuseppe
Ripamonti, storici milanesi; nell'Archivio storico lom-
òardo, ann. IV, fac. I, 31 marzo 1877, pp. 43-69].
Borromeo card. Federigo, De pestilentia quae Me-
diolani anno 1630 magnam stragem edidit; ms. nella Bi-
blioteca Ambrosiana di Milano. [Cfr. Galli G. Un1 operetta
del card. Federico Borromeo sopra la peste ed i « Pro-
messi Sposi » ; né\Y Archivio storico lombardo, serie III,
ann. XXX [1903], voi. XX, pp. 110-137]. Il Manzoni ne
possedette una copia fatta dall'ab. Bentivoglio, che gli fu
procurata dal suo amico Gaetano Cattaneo. Sulla peste
-conobbe anche il Ms.° Vezzoli.
Digìtized by
Google
- 538 -
e quando queste furono ben riconfortate, egli, con la
risolutezza d'un giovane convalescente, disse in sé
stesso : andrò e vedrò io come stanno le cose. Il pe-
Preservatione \ dalla peste \ scritta dal sig. Protome-
dico | Lodovico | Settala | con privilegio. | In Milano |
Per Giovali Battista Bidelli. | M. DC. XXX; in-8° di
pp. 60.
Cvra | locale \ de* tvtnori \ peslilentiali, | che sono il
Buòone, V Antrace, o Car- \ boncolo, df i Furoncoli. \
Contenente tutto quello, che si ha da fare \ esteriormente
nella cura di questi mali. \ Tolta dal Libro della cura della
Peste | del Signor Protofisico Lodovico | Settala. | In
Milano, | Per Giovan Battista Bidelli. 1629; in-8° di
PP- 32.
La peste del | MDCXXX | Tragedia nouamenle \ com-
posta | dal padre \ Fra Benedetto Cinq vanta | Teologo,
e Predicatore \ generale \ De Minori Osservanti \ Fra li
Accademici Pacifici \ detto il Seluaggio; in-240 di pp. 239,
senza anno e note tipografiche. [Il permesso della stampa,
dato in Milano da fra Leone Rossi, Ministro provinciale,
è del « io genaro 1632 » ; la lettera dedicatoria del Cinquanta
a « Gio. Battista Calvanzano, Mercante Pio e diuoto », è
data dal Convento di Santa Maria della Pace in Milano
il « 6 genaro 1632 ». Parecchi versi di questa tragedia
furon dal Manzoni trascritti ne' suoi Estratti.~\
La pestilenza \ segvita in Milano \ L'anno 1630 \ rac-
contata da | D. Agostino Lampvgnano | Priore di San
Simpliciano \ Al Serenissimo \ Carlo primo Gonzaga \ Dvca
di | Mantova, Monferrato , Neuers, j Vmena, Rethel, etc. \
In Milano per Carlo Ferrandi, | con licenza de' Supe-
riori. | 1634 ; in-12 di pp. 82.
Raggvaglio \ dell* origine \ et giornali svccessi \ della
Digitized by
Google
A'"o-;
ir ■:■■
— 539 — ■*)-;, ..
ricolo della cattura gli dava poca molestia; da quello
che si passava in Bergamo egli vedeva che la peste
assorbiva o affogava tutte le sollecitudini, ch'ella era
gran peste \ Contagiosa , Venefica & Malefica seguita nétta
Città | di Milano & suo Ducato dall' Anno 1629. \ fino al-
l' Anno 1632. | Con le loro successive Provisioni & Or-
dini. | Aggiuntovi un breue Compendio delle più segnalate
specie di Peste \ in diuersi tempi occorse \ diviso in dve
parti | Dalla Creatione del Mondo fino alla- nascita del
Signore, \ Et da N. S. fino alti presenti tempi. | Con di-
versi antidoti \ Descritti da Alessandro Tadino Medico
Fisico | Colle giato & de' Conseruatori deW Illustriss. Tri-
bunale | della Sanità dello Stato di Milano. \ All'Itilo
Sig.r Francesco Orrigone Vicario \ di Prolusione della
Città & Ducato di Milano. | In Milano. M. DC. IIL. | Per
Filippo Ghisolfi. Ad instanza di Gio. Battista Bidelli, j Con
licenza de' Superiori & Priuilegio; in-40 di pp. 151, oltre
8 in principio e 1 in fine senza numerare.
Atteggiamento \ dello | Stato di Milano \ per \ Le Im-
poste, e loro Ripartimenti. \ Opera di | Carlo Girolamo
Cavatio I prosapia de' Conti della Som agli a, | Genti-
Ihuomo Milanese, \ giovevole \ Per rappresentare alla Cat-
tolica Maestà \ del Re N. S. | Filippo IV. il Grande \ L'A-
more Costante del Dominio, \ E la forma facile di Benigno
solleuamento. \ Honorevole \ Per le Prodezze de Cittadini. I
Dilettevole \ Per le Storie, ed Inf or mattoni. \ Dedicata a
gli Illustrissimi Signori \ Vicario, e Sessanta \ del Con-
siglio Gefierale \ della Città di Milano. | In Milano M. DC.
LUI. | Nella Reg. Due. Corte, per Gio. Battista, e Giulio
Cesare fratelli | Malatesta Stampatori Reg. Cam. & della
Città; in-fol. di pp. 732, oltre 58 in principio e 76 in fine
senza numerazione.
Digìtized by
Google
— 54Q —
come un obblivione, o un giubileo generale per tutte
le cose passate ; vedeva che i magistrati avevano ben
poca forza e poca voglia d'agire contra i delitti della
Vita | di | Federico \ Borromeo \ Carditiale del Titolo
di Santa Maria degli Angeli, \ ed Arcivescovo di Milano, \
Compilata \ da Francesco Rivola | Sacerdote Milanese, \
e dedicata da' Conservatori \ Della Biblioteca , e Collegio
Ambrosiano \ Alla Santità di Nostro Sig. Papa \ Ales-
sandro Settimo. | In Milano, | Per Dionisio Gariboldi.
M. DC. LVI. ; in-4° di pp. 769, oltre 24 in principio e 55
in fine non numerate.
// | memorando contagio \ seguito in Bergamo Vanno
1630. | historia \ scritta d'ordine Pub lieo \ da Lorenzo
Ghirardelli I libri otto. \ Consacrata \ all'immortalità \
della stessa III >«*" Città \ di Bergamo. | In Bergamo, M.
DC. LXXXI. | Per li Fratelli Rossi Stampatori di essa
Città. | Con licenza de* Superiori; in-40 di pp. 361, oltre
S in principio e 1 in fine senza numerazione.
Memorie \ delle cose notabili \ successe in Milano intorno
al | mal contaggioso Panno 1630. \ Del riccorso da Signori
della città a Padri Capuccini \ per il Governo del Lazza-
retto. | Come fu destinato il Molto Rpv. Padre Felice da
Milano della \ Nobilissima Famiglia de Casati, ed il Rev.
Padre Michele \ da Milano della Famiglia de* Marchesi
Pozzobonelli. \ De' Portamenti d'essi Padri in quelle ca-
lamità; e come entrasse \ la Peste ne' Conventi loro. \ Delle
ammirabili azioni, ed affannose fatiche d' Eccellentissima
Carità \ dell' Illustrissimo Signor Marchese \ Don Gian-
battista Ar conati \ di Gloriosa ricordanza, luce splendidis-
sima di que1 tempi, \ Reg. Senatore, e Presidente della
Sanità. \ Del bel passaggio all' Eternità di molti Capuccini
Vittime di \ Carità, E d' altri risanati per intercessione
Digitized by VjOOQ IC
54i —
giornata, e tanto meno contra reati ormai rancidi ; e
sapeva, per la voce pubblica, che in Milano il rilascia-
mento d'ogni disciplina buona e cattiva era ancor
della Gran \ Vergine Miracolosa delle Grazie \ Nella
Chiesa delli Mollo Reverendi Padri Domenicani \ in Porta
Vercellina. \ Con in fine tre Capitoli in compendio della
purga | delle cose infette, e sospette usata, \ Raccolte da
Don Pio La Croce, | Consagrate \ all' Illustrissimo Signore
il Sig. | Don Giuseppe Arconati \ Marchese di Busto Ga-
rollo | Arconate, etc. | In Milano Nelle Stampe di Giu-
seppe Maganza. 1730; in-40 di pp. 92, oltre 8 in principio
e 2 in fine senza numerazione.
Del conte Pietro Verri consultò e cita la Storia di Milano
e le Osservazioni sulla tortura, che postillò; come po-
stillò il suo discorso De W Annona. Cfr. Opere inedite o
rare di A. M. voi. II, pp. 122-124 e 374-386. Cita pure
il trattato Del governo della peste di Lodovico Antonio
Muratori, edizione modenese del 1714; cita Del morbo
petecchiale e degli altri contagi in generale, opera
del doti. F. Enrico Acerbi ; l'amico e medico suo.
Cfr. inoltre : Ghiron I., Documenti ad illustrazione dei
«Promessi Sposi» e della peste dell1 anno 1630; neìVAr-
chivio storico lombardo, ann. V, fase. 4 [31 dicembre 1878],
PP- 749-758.
Degli Estratti manzoniani ne trascriverò qualche brano,
per saggio.
« Danno portato dai soldati veneziani. Ghirarfdelli],
«P- 55- — Processione, p. 161. — Sintomi della peste,
« p. 224. — Unzioni, p. 244. — Inumanità dei nettezzini,
«p. 252. — Non furono mai veduti tanti frutti pendere
«dagli arbori, etc, p. 258. — Mortalità: città e borghi,
«9)533; territorio, 47,322, p. 341. — Continuò la mor-
Digìtized by VjOOQ IC
542
più grande. Oltre di che, egli si proponeva di cangiar
nome, di procedere con cautela, e di scoprir paese,
e prender voce nel suo paesetto natale, prima che
avventurarsi in Milano. Con questo disegno, egli lasciò
in deposito presso un buon prete (quel suo fidato
parente era morto di peste) gran parte degli scudi
che gli rimanevano, ne prese pochetti con sé, si tolse
un pajo di pani, un po' di companatico e un fia-
schetta di vino pel viaggio, e si mosse da Bergamo
sul finire di luglio, pochi giorni da poi che Don Ro-
drigo era stato portato al lazzeretto.
I pochi, che erano guariti dalla peste, si trovavano
in mezzo all'altra popolazione come una razza pri-
vilegiata. Una grandissima parte della gente languiva
« talità, sicché più d'un terzo fu trovato mancar di peste
« — Esenzioni per io anni ai forestieri in Bergamo ,
«p. 356».
« Deputati delle parrocchie. Rip[amonti], p. 58 — io cai.
« maii, p. 75 — Quatuor homines deprehensos esse, etc,
«p. in — Lazzeretto e P.re Felice, p. 128 — Diluvio ai
« 23 di luglio, p. 131 — Sed belli graviores esse curas,
« p. 245 ».
«Viveva in un certo castello, etc. Rivola, p. 254 —
«Card. Fed. Borromeo raccomanda ai parochi che incul-
« chino il dovere di rivelare la malattia contagiosa, p. 582
« — Condotte a termine di salire in fin sopra i tetti, etc,
«p. 759»-
« Morti della peste in Milano, 1630. Ripamonti, pa-
« ghie 228-229, morti 140,000. Vedere il luogo, dove le
« ragioni per cui il calcolo sembra a lui stesso al di qua
Digìtized by
Google
543
inferma, moriva, e quegli che non avevano contratto
il male ne vivevano in un continuo terrore; come
ogni oggetto poteva col tocco esser cagione di morte,
così di tutto si guardavano; i passi erano misurati
e sospettosi, i movimenti ritrosi, irresoluti, fretta ed
esitazione in un tempo, un allarme incessante, una
disposizione a fuggire, e con tutto questo il pensiero
sempre vivo che forse tante precauzioni erano inutili,
forse il male era già fatto. I pochi risanati invece,
non temendo più del contagio, camminavano ed ope-
ravano senza tutte quelle precauzioni, e l'aspetto della
incertezza altrui cresceva in molte occasioni la fiducia
e la scioltezza loro: erano come i cavalieri dell'un-
decimo secolo, coperti d'elmo, di visiera, di corazza,
« del vero — Tadino, p. 136, morti 185,558 — Somaglia,
« p. 500, morti 180,000 — Rivola, p. 584 (a mezzo settem-
bre), morti 122,000 — Ms.° Vezzoli, p. 73, morti 122,464
« — Lampugnani, pag. 67 (la stessa avvertenza che al
«Ripamonti), morti 160,000».
In un foglio volante, non però di mano del Manzoni,
si legge: «Il giorno 21 giugno a Milano il sole leva a
« 4.1* 12.', tramonta a 7. 48. Era uso in Italia incomin-
« ciare a contare le ore o al preciso tramonto, o ad una
« mezz'ora dopo di esso. Nel primo caso le 8 ore italiane
«corrispondono a 3. 48 della mattina, ossia 24 minuti
«prima del levare del sole; che è precisamente all'aurora.
« Se si contino le 24. h mezz'ora dopo il tramonto, lo che
«è il 20 caso, le 8 ore corrispondono a 4. 18 dell'orologio
« francese, perciò 6 minuti prima' del levar del sole. In
« Milano si contava dunque le 24 al preciso tramonto». (Ed.)
Digitized by
Google
544
di cosciali, di gambiere, con una buona lancia nella
destra, un buon brocchiere alla sinistra, una buona
spada al fianco, una buona provvigione di giavel-
lotti, sur un buon palafreno, agile air inseguimento
ed alla ritratta, in mezzo ad una marmaglia di vil-
lani a piede, ignudi d'armatura, e poco coperti di
vestimenti, che per offesa e per difesa non avevano
che due braccia e due gambe, e il resto delle membra
non atto ad altro che a toccar percosse. L' immunità
del pericolo ispira il sentimento e dà il contegno del
coraggio; è la parte meno nobile, ma spesso una
gran parte di esso; e questa verità si è sapiente-
mente trasfusa nella nostra lingua, dove il vocabolo
sicuro , che* in origine vale fuor di pericolo, fu tra-
slato a significare anche ardito. Con questa baldezza,
temperata però dalle inquietudini che noi sappiamo
e dalla pietà di tanti mali altrui, camminava Fermo
in un bel mattino d'estate, per coste amene, donde
ad ogni tratto si scopre un nuovo prospetto, per verdi
pianure, sotto un cielo ridente, tra il fresco e spez-
zato luccicare della rugiada, all'aria frizzante del-
l'alba e al soave calore del sole obbliquo, appena
comparso sull'orizzonte. Ma dove appariva l'uomo,
dove si vedevano i segni della sua dimora, del suo
passaggio, spariva tutta la bellezza di quello spetta-
colo: erano villaggi deserti, animati soltanto da ge-
miti, attraversati da qualche cadavere, che era por-
tato alla fossa senza accompagnamento, senza ro-
more di canto funebre : qua e là uomini sparuti, che
Digìtized by LjOOQ IC
- 545 —
erravano, infermi che uscivano disperati dal coviglio,
per morire all'aria aperta, birboni che agguantavano
dove fosse da spogliare impunemente. Fermo cercò
di schivare tutte le parti abitate, venendo pei campi ;
sul mezzo giorno si riposò in un bosco, vicino ad
una sorgente, ivi si rifocillò col cibo che aveva por-
tato seco ; lasciò passare le ore più infocate, riprese
la sua strada; cominciò a riveder luoghi noti, misti
alle memorie della sua fanciullezza, e due. ore circa
prima del tramonto scoperse il suopaesetto. Alla prima
vista Fermo ristette un momento, come sopraffatto
dalle rimembranze e dai pensieri dell'avvenire, e ri-
preso fiato, procedette, entrò nel paese. L'aspetto era
come quello di tutti gli altri che Fermo aveva do-
vuti vedere; ma la tristezza fu ben più forte che
egli non l'avesse ancor provata. Guardò se vedeva
attorno qualche suo conoscente, qualche persona viva:
nessuno; le porte chiuse, o abbandonate; avanzando,
scorse un uomo seduto sul limitare, lo guardò, durò
fatica a riconoscerlo, travisato com'era dal male(1);
ma non fu riconosciuto da esso, che gli piantò in
faccia due occhj insensati, e non fece motto. Fermo
lo chiamò per nome, non ne ebbe risposta, e più che
mai accorato si avviò alla sua casa. Ella era quale
l'avevano lasciata i lanzichenecchi: senza imposte,
diroccata qua e là, qua e là affumicata, e dentro
(!) In margine il Manzoni vi scrisse : « Stupido : gli
parve Gervaso ed era Tonio ». (Ed.)
Alessandro Manzoni. 35
Digìtized by LjOOQ IC
— 546 —
vuota, ma non già pulita, che vi rimaneva ancor lo
strame che era stato letto ai soldati. Ne uscì Fermo
in fretta inorridito, ritirando l'occhio dallo spetta-
colo e la mente dai pensieri e dai ricordi che quello
spettacolo faceva nascere, e si incamminò alla casa
d'Agnese, con l'ansia di rivedere un volto amico, di
udire da lei ciò che tanto gli stava a cuore, e col
battito di non ritrovarla, di non ritrovar pure chi
gli sapesse dire s'ella viveva.
Per giungervi, doveva Fermo passare su la piaz-
zetta della chiesa, dov'era pure la casa del curato.
Quando fu in luogo donde la piazza si poteva ve-
dere, guardò egli alla casa del curato, e vide una
finestra aperta e nel vano di quella un non so che
di bianco-giallastro in campo nero, una figura im-
mobile, appoggiata ad un lato della finestra. Era Don
Abbondio in persona, e ad una certa distanza poteva
parere un vecchio ritratto di qualche togato, scialbo
per natura, per l'arte del pittore e per l'opera del
tempo, appeso di traverso fuori al muro, per la buona
intenzione di ornare qualche solennità. Fermo, che
aveva sospettato chi doveva essere, arrivato su la
piazza, lo riconobbe, e da prima, tornandogli a mente
che egli era una delle cagioni delle sue traversie,
sentì rivivere un po' di stizza e volle passar di lungo.
Ma tosto, l'antico rispetto pel curato, quel desiderio
di sentire una voce umana e conosciuta, così potente
in quelle circostanze, la speranza di risapere da lui
qualche cosa che gì' importasse, vinsero nell'animo
Digitized by
Google
— 547 —
di Fermo, che si arrestò, fece una riverenza, e diriz-
zando il volto alla finestra, disse : — Oh, signor cu-
rato, come sta ella in questi tempi ? — Don Abbondio
aveva guatato costui che veniva, gli era sembrato di
riconoscerlo; ma quando sentì la voce che non gii
lasciava più dubbio — Per amor del cielo ! disse,
voi qui? Che venite a fare in queste parti? Dio vi
guardi! Vi pare egli, con quella poca bagattella di
cattura ?
— Oh via, signor curato, disse Fermo non senza
dispetto, mi vuol ella fare anche la spia?
— Parlo per vostro bene, disse Don Abbondio,
che nessuno ci sente. Chi volete che ci senta. Non
vedete che son tutti morti ? Che venite a cercare fra
queste belle allegrie ? Andate, tornate dove siete
stato finora ; non venite a porre in imbroglio voi e
me ; perchè quando si tratti di castigar voi e di tor-
mentare me, pò ver uomo, vi sarà dei vivi ancora.
— Signor curato, mi saprebbe ella dar qualche
nuova di Lucia?
— Oh Dio benedetto ! ancor di questi grilli avete
in capo? Oh poveri noi! che serve che vengano i
flagelli, se gli uomini non voglion far giudizio ! E
la peste, figliuolo, la peste? Non sapete che c'è la
peste ?
— Ella deve ricordarsi, signor curato, disse Fermo
con voce alquanto risentita, che Lucia ed io
non eramo grilli.
— Oh! disse Don Abbondio, figliuol caro, voi
Digìtized by
Google
- 548 -
avete sempre avuto il timor di Dio, spero che non
sarete cangiato. Per questo vi parlo con libertà, da
vero padre, perchè vi ho sempre voluto bene. So io
quel che dico, questo non è paese per voi : se vi do-
vesse accadere qualche disgrazia — e già, pur troppo,
non la schivereste — che crepacuore per me! La
cattura è terribile; v'è un fuoco contro di voi ! E poi
la peste....
— La peste l'ho avuta, disse Fermo, son gua-
rito, e non ho più paura.
— Vedete che avviso vi ha mandato il cielo, per
farvi pensare al sodo.... Anch'io l'ho avuta e son
qui per miracolo.
— Ma di Lucia non mi sa ella dir nulla?
— Figliuol caro, che volete ch'io vi dica? Non
ne so nulla: è in Milano; cioè v'era: di chi può
dirsi ora, v'è? Sarà morta: muojono tanti.
— Ma noi siam pur vivi, e....
— Per miracolo, figliuolo, per miracolo. E il
frutto che ne dobbiam trarre è di cacciar tutte le
bazzecole dalla testa. In Milano, figliuolo! chi vive
in Milano? Questo è un purgatorio, ma quello è l'in-
ferno. Non vi passasse mai pel capo....
— E Agnese, signor curato?
— Agnese è qui : e per miracolo non ha contratta
la peste finora ; ma si guarda, si guarda ; ha giu-
dizio, non vuol vedere nessuno; non le andate fra
piedi, che le fareste dispiacere.
— Sia lodato Dio; ma ella né mi vuole aju tare,
né vuole che altri m'ajuti.
Digìtized by LjOOQ IC
— 549 —
— Che dite, figliuolo? io son tutto per voi, e
parlo perchè vi voglio bene; e perciò vi torno a dire:
non vi passasse mai pel capo.... Dio guardi! In Mi-
lano ! Sapete come state ! Una cattura di quella sorte !
un impegno! e con tanti nemici che avete! Dio li
beri! e poi, so io quel che dico, potreste trovare.
chi sa? gente che vuol bene, ma gente che si
piglia impegni di proteggere, e poi sostenere..
cozzare.... basta, parlo con tutto il rispetto... ma
Dio solo è da per tutto... Si vuole, si comanda, si
promette, si fa l'impegno.... si scompiglia la matassa
e si dà in mano al curato perchè la riordini.... e eh
ne va col capo rotto è il curato.... Fate a modo mio
tornate dove siete stato finora.
— Basta, disse Fermo, non mi aspettava da lei
più soccorso di quello che mi abbia avuto. Io non
intendo tutti questi suoi discorsi; ma poi che ella
non ha altri consigli da darmi, si contenti ch'io faccia
a modo mio.
— No, Fermo, per amor del cielo, non mi fate
un marrone : non mettete in imbroglio me e voi. Ab-
biate compassione d'un pover uomo, che ha bisogno
di quiete ; e sarebbe giusto finalmente che la godesse.
Quello che ho patito io, vedete, non lo ha patito
nessuno. Ne ho passate d'ogni sorte: spaventi, cre-
pacuori, fatiche: è venuta la carestia, e m'è toccato
di veder persone morirmi di fame su gli occhi. Ho
dovuto fuggire di casa, e nessuno mi volle ajutare;
ho trovato cuori duri come selci ; e i soldati m'hanno
Digìtized by
Google
55o
sperperato ogni cosa. E sono stato..-., e ho dovuto..,
e basta.... sono stato ricoverato da un degno signore....
basta so io quello che ho patito. E poi la peste ! ho
dovuto assistere agli appestati.... e ne ho avute io
delle cure, sa il cielo! ma l'ho presa anch'io, e son
qui vittima della mia carità; d'allora in poi non son
più quello. Perpetua è morta, mi ha abbandonato in
questi guaj ; e mi tocca servirmi da me, povero, vec-
chio e malandato, come sono. Ecco che appena comin-
ciava a star bene, e voi venite per darmi nuovi tra-
vagli....
— Signor curato* disse Fermo, io le desidero
ogni bene; e del travaglio ella ne può bene aver
dato a me, ma non io a lei, in fede mia. La spia
ella non me la vorrà fare; del resto, io mi rimetto nelle
mani di Dio. Attenda a guarir bene, signor curato.
— Sentite, sentite, — continuava Don Abbondio,
ma Fermo aveva già fatta una riverenza di risoluto-
congedo, e camminava verso la casetta di Lucia.
— Oh povero me! questo ci mancava! continuò-
a barbottare fra sé Don Abbondio, ritirandosi dalla
finestra. Povero me ! Se costui va a Milano, se trova
Lucia, se tornano alle loro antiche pretese, ecco rin-
novato l'imbroglio. Un Cardinale che dirà: voglio
che si faccia il matrimonio; un signore che dice, non
voglio: ed io tra l'incudine e il martello. Basta....
disse poi soffiando, dopo d'avere alquanto pensato....
muore tanta gente. . . . che dovessero rimanere al mondo-
tutti quelli che si divertono a mettere le pulci nel-
l'orecchio di me pò ver uomo !
Digìtized by VjOOQ IC
— 55i —
Intanto Fermo arrivò alla casetta d'Agnese, la
quale casetta, se il lettore se ne ricorda, era fuori
del villaggio, solitaria. Alla vista di quel luogo una
nuova tempesta sorse nel cuore di Fermo ; diede egli
un gran sospiro, e bussò.
— Chi è là? gridò da dentro la voce d'Agnese:
state lontano ; non bazzicate intorno alla porta ; verrò
a parlarvi dalla finestra. — Son io, rispose Fermo ;
ma Agnese, non aspettando a basso la risposta, aveva
fatte in fretta le scale e apriva la finestra. — Son io;
mi conoscete? disse ancor Fermo, quando la vide.
— Oh Madonna santissima ! sclamò Agnese : voi ? —
Io, rispose Fermo ; sono il benvenuto?
— Oh figliuolo ! sclamò di nuovo Agnese, quanto
vi avrei desiderato, se non avessi avuto paura per
voi? Ma ora che venite voi a fare?
— A saper nuove di Lucia e di voi, rispose Fermo.
A vedere se tutti si sono scordati di me. Che n'è di
Lucia?
— Figliuolo, sono mesi che non ne ho notizia :
prima di quel tempo ella stava bene di salute; ma
ora chi può sapere....?
— Io andrò a vedere, io vi porterò nuova di vo-
stra figlia, disse Fermo risolutamente.
— Voi? disse Agnese: ma e... mi capite. Basta....
— Volete aprirmi e parleremo più liberamente ?
— E la peste, figliuolo?
— Grazie al cielo ella non ha ammazzato me ed
io ho ammazzato lei, e son sano e salvo, come mi.
vedete. Aprite con sicurezza.
Digìtized by VjOOQ IC
— 552 —
— Scendo ad aprire, rispose Agnese; oh con
quanta consolazione v'avrei riveduto. Ma ora, bi-
sogna ch'io vi preghi di starmi lontano.
— Come vorrete, rispose Fermo.
— State ad aspettarmi nel mezzo della strada ;
quando aprirò, non vi affacciate alla porta ; lascia-
temi rientrare; poi entrerete e vi porrete in un an-
golo, lontano da me, e ci parleremo ; le parole non
hanno bisogno di toccarsi. Oh quante cose ho da
dirvi !
— Ed io a voi, rispose Fermo.
Agnese calò in fretta le scale, giunta alla porta,
avvisò ancora Fermo che stesse discosto, aprì, rientrò
fino in fondo alla stanza; Fermo entrò pure, prese
un trespolo, lo portò in un angolo, vi si pose a se-
dere, guardando intorno, ricordandosi di tanti mo-
menti passati in quel luogo, e sospirando; Agnese
andò a richiuder la porta e venne a sedersi nell'an-
golo opposto. E subito cominciò come una sfida d' in-
chieste.
— Come vi siete fidato di venir da queste parti ?
— Perchè Lucia non mi ha mai risposto?
— Come avete potuto fuggire?
— E perchè non venire dove io era in sicuro,
piuttosto che mandarmi denari?
— Chi v'ha strascinato in quei garbugli?
— Quanto tempo Lucia è stata in quello spa-
vento? e come è andata propriamente la cosa?
Fatte le prime interrogazioni più pressanti, ognuno
Digitized by VjOOQ IC
— 553 —
cominciò a rispondere brevemente a quelle del com-
pagno. Fermo finalmente pregò Agnese ch'ella rac-
contasse per disteso tutta la sua storia, promettendo
di soddisfarla egli poi della propria. Così Fermo co-
nobbe per la prima volta daddovero le triste vicende
di Lucia, e l'esito inaspettato. Tremò, fremè, impal-
lidì cento volte a quel racconto ; ora diede dei pugni
all'aria ed ora giunse le mani in atto di ringrazia-
mento; maledisse la Signora, benedisse il Cardinale,
diede maledizioni e benedizioni al Conte del Sagrato,
invocò ora la vendetta, ora il perdono del cielo sopra
Don Rodrigo. Ma un punto rimaneva tuttavia oscuro,
né Agnese sapeva dilucidarlo. Perchè non è venuta
con me? con me, suo promesso? con me, che doveva,
che poteva divenir suo marito? che ostacolo v'era
più? non sarebbero mancati che i denari, e il cielo
gli aveva mandati. Agnese non seppe dire, se non
ciò ch'ella aveva pur pensato : che Lucia fosse ri-
masta tanto stordita e sgomentata da quegli orribili
accidenti, che non le rimanesse più forza da voler
nulla, e fosse disgustata d'ogni cosa.
— Oh? andrò io a saperlo da lei, disse Fermo;
voglio vedere l'acqua chiara. Ella era mia; mi si
era promessa; io non ho fatto niente per demeri-
tarla; e se non mi vuol più e qui avrebbe pianto
se gli uomini non si vergognassero di piangere: se
non mi vuol più, me lo ha a dire di sua propria
bocca, e mi deve dire il perchè.
Agnese cercò di racconsolarlo, e lo chiese della
Digìtized by VjOOQ IC
554
sua storia, che Fermo le narrò sinceramente. Questa
storia fece molto piacere ad Agnese e le rimise Fermo
neir antico buon concetto. — Voleva ben dire io;
sclamava essa di tratto in tratto. Se sapeste come la
raccontavano qui, in cento maniere, l'una peggio del-
l'altra. Ma voi non me l'avete mai fatta scrivere ben
chiara.
— E voi, madonna, disse Fermo, non mi avete mai
data soddisfazione sopra quello che io voleva sapere.
— Basta, disse Agnese, lodato Dio che abbiam
potuto parlarci una volta ; valgon più quattro parole
sincere di due ignoranti che tutti gli scarabocchj di
questi sapienti. Ma voi come vi fidate di andare a
Milano, dove vi hanno tanto cercato, dove....?
— Chi mi conoscerà ! rispose Fermo, non m'hanno
visto che un momento; e il nome.... ne piglierò un
altro ; non ci vuol gran lettera per questo ; e poi chi
volete che pensi a me ora? Hanno da pensare alla
peste. Sono tutti in confusione. Muojono come le mo-
sche, a quel che si dice Ah! pur che viva Lucia!
— Dio lo voglia ! sclamò Agnese ; e lo vorrà, io
spero. Quella poveretta innocente ha tanto patito !
Dio gli conterà tutto quel male, per salvarla ora,
Ah ! Fermo io ho buona speranza ; andate pure ; mi
sento tutta riconfortata dall'avervi veduto. Sento una
voce che mi dice che i guai sono alla fine ; e che
passeremo ancora insieme dei buoni momenti.
Fermo chiese del Padre Cristoforo, e Agnese non
li seppe dir altro se non ch'egli era a Palermo, che
Digìtized by VjOOQ IC
— 555 —
è un sito lontano lontano, di là dal mare. Scontento,
e perchè sperava da lui ajuto e consiglio, e perchè
desiderava di raccontare a lui pure la storia genuina ;
e perchè avrebbe riveduto volentieri quell'uomo pel
quale sentiva tanta venerazione e tanta riconoscenza.
Disse però: brav' uomo! vero religioso! è meglio
ch'egli sia fuori di questi guai e di questi pericoli.
Agnese offerse a Fermo l'ospitalità per quella
notte, con molte prescrizioni sanitarie però di lon-
tananza, di cautela, di non toccar questo, di non
avvicinarsi a quell'altro luogo. Fermo accettò l'ospi-
talità ben volentieri e promise tutti i riguardi che
Agnese desiderava. Era venuta l'ora della cena, e la
massaja si diede ad ammanirla. Pose al fuoco la pen-
tola per cucinarvi la polenta. Fermo, da giovane ben
educato, voleva risparmiare la fatica alla donna e fare
egli il lavoro: ma Agnese, levando la mano: guar-
datevi bene dal toccar nulla, disse; lasciate fare a me.
Fermo ubbidì ; ed ella prese la farina, la gettò nel-
l'acqua, la rimenava dicendo : Eh ! altre volte era
Lucia! basta il cuor mi dice che la mia poveretta
verrà con me, e presto; e che staremo tutti in buona
compagnia. Fermo sospirava. Agnese versò la po-
lenta, raccomandando sempre a Fermo di non si muo-
vere, di non toccare ; poi andò a mugnere la vacca r
tornò con una brocca di latte, dicendo: vedete: quella
povera bestia da sei mesi è la mia unica compagnia.
Prese un bel pezzo di polenta, lo ripose sur un piat-
tello, lo sporse a Fermo, stando più lontana che po-
Digitized by
Google
- 556 -
teva, e stringendosi con' l'altra mano la gonna d' in-
torno alla persona, perchè non istrisciasse agli abiti
di Fermo ; quindi, allo stesso modo, gli sporse una
scodella di latte. Nel tempo della cena si parlò dei
disegni di Fermo, Agnese gli diede istruzioni sul
nome dei padroni di Lucia; gli comunicò le notizie
confuse ch'ella aveva sul luogo della loro dimora;
e questi discorsi gli tennero a veglia qualche ora
dopo la cena. Finalmente Agnese indicò all'ospite la
stanza dov'egli doveva coricarsi : era quella di Lucia.
Fermo amò meglio di andarsi a gettare sul picciolo
fenile, adducendo motivi di precauzione per la salute.
Prima dell'alba erano entrambi in piedi. Agnese diede
a Fermo due pani e due raviggiuoli, fattura delle
sue mani, gli riempì di vino il fiaschetto ch'egli
aveva portato con sé, dicendo: in questi tempi po-
treste morir di fame prima di trovare chi vi desse
da mangiare. Il congedo fu quale ognuno può im-
maginarselo, pieno di tenerezza, di accoramento e di
speranza. Fermo partì, viaggiò tutto quel giorno, e
avrebbe potuto la sera entrare in Milano, ma pensò
che avrebbe trovato più facilmente un ricovero al di
fuori. Ristette di fatti in una cascina deserta, a un
miglio dalla città. Dormì su 4e stoppie, e all' alba,
levatosi, si avviò e fece la sua seconda entrata in
Milano, che gli comparve di un aspetto più tristo e
più strano d'assai che non era stato la prima volta (l).
0) Questo brano è tolto dal capitolo V del tomo IV. (Ed.)
Digìtized by
Google
XXII.
Fermo trova Lucia nel lazzeretto.
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
All'intorno del picciolo tempio v'era un picciolo
spazio sgombro di capanne, e Fermo, giungendovi,
lo vide occupato da una folla, distinta in ragazzi, in
donne e in uomini, tutti composti e in gran silenzio,
fra il quale si udiva distintamente una voce alta ed
oratoria, che veniva dal tempio. Questo, elevato d'al-
cuni gradi al di sopra del suolo, non aveva allora
altro sostegno che le colonne, disposte in circolo;
nel mezzo v'era un altare, che si poteva vedere da
tutti i punti del lazzeretto, per mezzo agli interco-
lunnj vuoti, che in oggi sono murati. Ritto sulla pre-
della dell'altare stava un cappuccino, alto della per-
sona, fra la virilità e la vecchiezza; teneva con la
destra una croce, posata al suolo, che gli soprav-
vanzava il capo di tutto il traverso; e con l'altra mano
accompagnava di gesti il discorso che andava fa-
cendo. Era questi il Padre Felice, sopraintendente del
lazzeretto. Fermo, giunto sull'orlo di quella adu-
nanza, avrebbe voluto avanzarsi a trascorrerla e cer-
care ciò che gli stava a cuore ; ma, senza contare un
Digitized by VjOOQ IC
— 560 —
altro cappuccino che, con un aspetto tanto severo,
anzi burbero, quanto quello dell'oratore era pietoso,
stava ritto in mezzo alla brigata per tener l'ordine;
quella quiete generale, quell'attento silenzio e quella
unica voce bastarono ad avvertire il nostro ansioso
che ogni movimento sarebbe stato in quel luogo scom-
piglio e irriverenza. Stette egli dunque alla estre-
mità della brigata ad aspettare e udì la perorazione
di quel singolare oratore.
Diamo adunque, diceva egli, un ultimo sguardo a
questo luogo di miserie e di misericordia, pensando
quanti vi sono entrati > quanti ne sono stati tratti
fuora per la fossa, quanti vi rimangono, quanti pochi
al paragone siam noi, che ne usciamo non illesi, ma
salvi, ma colla voce da lodarne Iddio. L'anima no-
stra ha guadato il torrente; l'anima nostra ha gua-
date le acque soverchiatrici : benedetto il Signore!
Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia,
benedetto nella morte, benedetto nella salvezza, be-
nedetto nel discernimento ch'Egli ha fatto di noi in
questo sì vasto, sì smisurato eccidio! Ah possa es-
sere questo un discernimento di clemenza! possa la
nostra condotta, da questo momento, esserne un in-
dizio manifesto! Attraversando questo mare di guaj,
diamo uno sguardo di pietà e di conforto a quegli
che si dibattono tuttavia con la tempesta, e dei quali,
oh quanto pochi, potranno, come noi, afferrare un
porto terreno. Ci vedano uscirne rendendo grazie per
noi ed elevando preghiere per essi ! Attraversando la
Digitized by LjOOQ IC
_ 56i -
città, già sì popolosa» noi, scarsa restituzione dell'im-
menso tributo ch'essa mandò in questo luogo, mo-
striamo agli scarsi suoi abitatori un popolo scemato sì,
ma rigenerato. Procediamo con la compunzione nel
volto e coi cantici su le labbra. Quegli che son ri-
tornati nella pienezza dell'antico vigore porgano un
braccio soccorrevole ai fiacchi; gli adulti reggano i
teneri, i giovani sostengano con riverenza e con
amore i vecchj, ai quali la salute ritornata non ap-
porta che pochi giorni di stento. E se in questo sog-
giorno di prova, in questo stesso crogiuolo di pur-
gazione abbiam peccato; se abbiamo abusato anche
dei flagelli, se abbiamo sciupati i doni e le ricchezze
dello sdegno, come già quelli della benignità; eb-
bene ! non abbiam però potuto esaurire il tesoro del
perdono; ricorriamo ad esso di nuovo. Per me
E qui Taratore fece pausa, straordinariamente com-
mosso; poi tolse una corda, che gli stava ai piedi,
se l'avvinghiò al collo, come ad un malfattore, cadde
ginocchioni e proseguì :
Per me e per tutti i miei compagni, i quali, seb-
bene immeritevoli, siamo stati per una ineffabile
degnazione trascelti all'alto privilegio di servir Cristo
in voi; se, come pur troppo, njon abbiamo degna-
mente corrisposto ad un tanto favore, se non abbiam
degnamente adempiuto, un sì grande ministero
perdonateci ! Se la fiacchezza o la ritrosia della carne
ci ha resi men pronti ai vostri bisogni, alle vostre
chiamate, perdonateci! se Una ingiusta impazienza,
Alessandro Manzoni. 36
Digìtized by
Google
t
- 562 -
se una noja colpevole ci ha fatto talvolta nei vostri
mali mostrarvi un volto severo e fastidito, perdona-
teci ! se la corruttela d'Adamo ci ha fatto trascorrere
in qualche azione che vi sia stata cagione di tristezza
e di scandalo, perdonateci! Nessuno porti fuor di
qui altra amaritudine che delle sue proprie colpe!
Cosi detto, stette egli ginocchioni, come aspettando
un segno che l'umile e cordiale suo prego era ac-
cetto ed esaudito. Un singhiozzo, un pianto, un ge-
mito universale si levò da quella turba a rispondere.
Dopo qualche momento il frate s'alzò, prese la croce
ad ambe le mani e l'inalberò; scese dalla predelia e
quivi depose i sandali ; gridò ad alta voce : andiamo
in pace; poi intonò il Miserere ; e scalzo, portando
dinanzi a sé quell'alta croce pesante, scese gli sca-
glioni del tempio dalla parte rivolta alla porta me-
ridionale del lazzeretto che «bocca dinanzi alia mura
della città, e s'incamminò verso quella. Dietro lui
s'avviò la torma dei fanciulletti, di quelli cioè che
potevano reggersi e sapevano condursi da sé; poi le
donne, alcune delle quali tenevan per mano o nelle
braccia fanciulline, o bambini, e con fioca voce can-
tavano il salmo intonato dal guidatore; poi gli uo-
mini, pur cantando ; poi carri di convalescenti e delle
bagaglie di quei che partivano; quelle che in tanta
confusione s'eran potuto serbare e raccogliere. Ultimo
veniva quell'altro cappuccino che abbiamo menzio-
nato, con un gran vincastro in mano; e coi cenni
di quello, con gli occhi e con la voce teneva in sesto
Digìtized by LjOOQ IC
563
il convoglio. Era questi un Padre Michele Pozzobo-
nelli, il coadiutore più autorevole, e come il primo
ministro del Padre Felice, in quel regno di desola-
zione.
Fermo, tosto ch'ebbe veduto questo scender dal
tempio, e notato da che parte s'avviava, entrò di
nuovo fra le capanne per pigliare i passi innanzi,
senza dare né ricever disturbo, e sboccar poi di nuovo
su la strada per dove la processione doveva passare.
Dalla porta meridionale al tempio v'era infatti come
una strada, uno spazio che s'era lasciato sgombro di
capanne per dar passaggio ai carri degli infermi, che
per lo più entravano da quella porta, e da quello
spazio poi si distribuivano a dritta e a sinistra, come
si poteva. Fermo riuscì su quella, al mezzo incirca,
e vide venire il vecchio crocifero, lo vide passare,
vide passare i ragazzi e poi con un gran battito di
cuore esaminò le donne, che pur passavano; e lo
potè fare a suo agio, perchè elle procedevano a due
a due. Passa, passa; guarda, guarda; qui non v'è,
qui né pure: più che la metà è passata; poche ne
rimangono; compajono le ultime della fila femminile ;
ecco gli uomini ; Lucia non v'era. Quanta speranza
svanita! Rimanevano però i carri ancora: Fermo gli
vedeva venire; e i primi erano carichi di donne.
Stette dunque aspettando ; lasciò passare la schiera
degli uomini ; guardò ad uno ad uno quei carri. Pas-
savano lentamente, si arrestavano talvolta, come ac-
cade nelle processioni e nelle marce d'ogni genere,
Digitized by VjOOQ IC
— 564 —
di modo che Fermo potè aver la trista certezza che
nessuna di quelle donne- era sfuggita alla sua vista,
e che Lucia non v'era. Le braccia gli caddero quando
si vide finire in mano l'unico, o almeno il più forte
filo delle sue speranze. Anche prima di vedere tra-
scorrere quella per lui sì trista rassegna, egli sen-
tiva pur troppo quanto era più probabile che Lucia
fosse nel numero dei tanti portati fuora dal lazze-
retto sui carri, che dei pochi risanati: ma pure, come
si suole, egli metteva il suo desiderio sul guscio della
speranza e faceva traboccare le bilance da quella
parte. Ma ora egli credeva di dovere esser certo che
Lucia non era tra i guariti, né tra i convalescenti:
la contingenza più lieta per lui, Tunica sua speranza
(quale speranza !) era ormai ch'ella fosse ivi languente,
ma viva. Passato tutto il convoglio, passato il Padre
Michele, Fermo si mise, senza troppo pensare dove
andasse, su quella via rimasta sgombra, e le sue
gambe lo portarono dinanzi al tempio. Quivi gli ven-
nero alla mente le parole del buon frate Cristoforo:
Se non ve la scorgi, fa cuore tuttavia.... Cercala con
rassegnazione (l). Si prostrò su gli scaglioni del tempio,
(') Nel precedente capitolo, che è il settimo del tomo
q mrto, il Manzoni, tra le altre cose, descrisse l'incontro
di Fermo col Padre Cristoforo nel lazzeretto. Ma di quel
capitolo non restano che dei frammenti; e la scena del-
l' incontro in gran parte è perita. Eccone un saggio: « Gran
Dio ! » (è il Padre Cristoforo che parla) « questo -flagello
Digìtized by LiOOQ IC
- 565 -
fece a Dio una preghiera, o, per dir meglio, un vi-
luppo di parole scompigliate, di frasi interrotte, di
non corregge il mondo : è una grandine che percuote una
vigna già maledetta : tanti grappoli abbatte, e quei che
rimangono son più tristi, più agresti, più guasti di prima.
Tu stesso, qui dove l'uomo non dovrebbe aver cuore che
per la misericordia, tu odiavi ancora !
Fermo non disse nulla, ma il suo volto esprimeva il
pentimento.
— Or va, disse il Padre, alzandosi ; Iddio benedica le
lue ricerche.
— Vuol dire, Padre, ch'io la troverò? richiese Fermo
ansiosamente, come se parlasse ad un uomo che ne po-
tesse saper più di lui.
— Cercala con perseveranza, rispose il Padre, cercala
con rassegnazione. Iddio può fare che tu la trovi, ma non
te V ha promesso. Ti ha promesso di perdonare tutti i tuoi
falli, se tu perdoni a chi t'ha offeso ; ti ha promesso di
renderti felice per sempre al fine di questa vita, se tu os-
servi la sua legge. Non ti basta? Va, e qualunque sia il
frutto della tua ricerca, vieni a darmene contezza ; noi
ringrazieremo Iddio insieme. Così dicendo, egli pose le
mani su le spalle di Fermo, e stette un momento colla
faccia elevata, in atto di preghiera e di benedizione. Poi,
staccandosi, disse : Intanto io pregherò per voi : assistendo
a questi nostri fratelli, io pregherò per voi.
Fermo si prostrò ginocchioni, stette un momento, con
le mani compresse al volto, piangendo e pregando, s'alzò,
guardò intorno, uscì dalla capanna, e si diresse alla chiesa,
come gli aveva indicato il cappuccino. Egli era scomparso,
e andava cercando intorno dove fosse più bisogno della
sua assistenza». (Ed.)
Digìtized by
Google
- 566 —
esclamazioni, di domande, di proteste, di disdette,
uno di quei discorsi che non si fanno agli uomini,
perchè non hanno abbastanza penetrazione per inten-
derli, né sofferenza per ascoltarli; non sono abba-
stanza grandi per sentirne compassione senza di-
sprezzo. Si levò di là più rincorato e si avviò. Dal
tempio alla porta che divide il lato settentrionale, a
cui tendeva Fermo, scorreva, come dalla parte op-
posta, un viale sgombro di capanne, e si sarebbe po-
tuto chiamare la via dei morti, perchè ivi facevano
capo e giravano i carri che portavano alla fossa di
San Gregorio le centinaja che perivano ogni giorno
nel lazzeretto. Fermo scelse quella via come la meno
impedita e la più breve, e studiando il passo alla
meglio, tra rincontro continuo dei carri e l'inciampo
frequente di altri tristissimi ingombri, pervenne a pochi
passi dalla porta. Ma quivi un accorrimento di carri
vuoti che entravano, di colmi che uscivano, faceva in
quel punto un tale imbarazzo/ che Fermo, anziché af-
frontarlo, o aspettare lo sgombro, stimò meglio di
entrare tra le capanne per riuscire di quindi al fabbri-
cato. Le capanne in quel luogo eran tutte abitate da
donne, ed egli procedeva lentamente d'una in altra,
guardando. Or, mentre passando, come per un vi-
colo, tra due di queste, l'una delle quali aveva l'aper-
tura sul suo passaggio, e l'altra rivolta dalla parte
opposta, egli metteva il capo nella prima, sentì ve-
nire dall'altra, per lo fesso delle assacce ond'era con-
nessa, sentì venire una voce.... una voce, giusto cielo ì
Digìtized by
Google
567
che egli avrebbe distinta in un coro di cento can-
tanti, e che, con una modulazioni di tenerezza e di
confidenza, ignota ancora al suo orecchio, articolava
parole che forse in altri tempi erano state pensate
per lui, ma che certamente non gli erano mai state
proferite: Non dubitate; son qui tutta per voi; non
vi abbandonerò mai.
Se Fermo non mise uno strido, non fu perchè lo
rattenesse il riguardo di fare scandalo, il timore di
farsi troppo scorgere e d'essere preso, o cacciato;
fu perchè gli mancò la voce. Le ginocchia gli tre-
marono sotto, la vista- gli s'appannò un momento;
ma come accade per lo più quando dopo una gran
sorpresa rimane qualche cosa d'importante da farsi, .
o da sapere, l'animo gli ritornò tosto, e più conci-
tato di prima. In tre balzi girò la capanna, fu su la
porta, vide una donna inclinata sur un letto, che an-
dava assestando.
Lucia! chiamò Fermo, con gran forza e sottovoce
ad un tempo: Lucia!
Trabalzò ella a quella chiamata, a quella voce,
credette di sognare, si volse precipitosamente, vide
che non era sogno, e gridò : Oh Signore benedetto l
Fermo rimase su la porta, tacito e ansante, e Lucia
pure, dopo quel grido, stette immota in silenzio più
tempo che non bisogni a raccontare in compendio le
sue vicende dal punto in cui l'abbiamo lasciata.
Ella era sempre rimasta nella casa di Don Fer-
rante; e fino ad un certo tempo sotto la vigilanza.
Digìtized by
Google
— 5*8 —
severa di Donna Prassede. Ma, allo spiegarsi della
peste, questa signora, messe da un canto tutte le altre
cure, dimenticate tutte le brighe, non solo le sue
proprie, ma anche quelle di cui prima andava tanto
volentieri in cerca, non ebbe più che un pensiero, di
guardarsi dal pericolo comune. Pensò ella che per
fare del bene, la prima condizione è di essere in vita,
e, per allora, volle assicurar questa. Quanto al pros-
simo, non pensò più a regolarlo, ma soltanto a te-
nerselo lontano, tanto che non li comunicasse la pe-
stilenza. Don Ferrante, invece, persuaso che tutte le
precauzioni immaginabili non- avrebbero potuto fare
che la congiunzione di Saturno con Giove non fosse
avvenuta, né stornare le conseguenze di un avveni-
mento di quella sorte, non cangiò nulla al suo te-
nore solito di vita, e contrasse la pestilenza, che (')
in un giorno lo spicciò. Donna Prassede Q s'era ri-
(!) Segue, cancellato : « lo spicciò in pochissimo tempo,
« Il signor Prospero gli tenne dietro. Lucia, alla quale
« erano toccati i servigj più ». E di nuovo: « Don Ferrante
«l'appiccò al suo Prospero, questi ad una donna di casa,
«e questa a Lucia». (Ed.)
(?) Aveva scritto, ma cancellò: «Il primo pensiero di
« Donna Prassede dopo questa disgrazia fu di congedar
« Prospero, e tutta l'altra gente di Don Ferrante, ma né
« Prospero, né gli altri gliene diedero il tempo, perchè
« egli il primo e tosto gli altri in fila s' infermarono, e
« furono ». Segue, pur cancellato: « Donna Prassede, com-
« battuta tra il timore di tenersi un appestato in casa e
« il timore di attirarvi i monatti, non risolse nulla, ma stette
■« in una stanza remota, aspettando che ». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 5^9 —
tirata con la signora Ghita nella stanza più remota
della casa ; Prospero, che alla morte di Don Ferrante
era certo di dovere andare a spasso, pensava a farsi
un po' di fardello ; il resto della famiglia seguiva il
suo esempio; e il povero astrologo sarebbe morto
abbandonato, se Lucia non avesse avuta la carità di
prestargli qualche servigio. Il giorno stesso in cui
Don Ferrante mori, Lucia fu presa da un gran so-
pore, rimase come insensata, e cadde senza forze:
Donna Prassede ordinò tosto che(') ella fosse por-
tata nella via, ad aspettare un carro o una bussola
che la portasse al lazzeretto. Così fu fatto, e così
avvenne. Lucia, deposta in quella capannuccia, stette
alcuni giorni fuori di sé, senza prender cibo, né ri-
medi, lottando il vigore della natura con la violenza
del male, e non riprese l'uso delle sue facoltà se non
quando il male fu superato. Ma quale risvegliamento!
in quel tumulto di morte, in quello scompiglio di
guai, senza vedere un volto conosciuto, senza udire
una voce famigliare ! Pure in quel tempo, come in
tutte le grandi calamità, la vista o il racconto e l'a-
spettazione continua dei mali rendeva preparati a
tutto anche gli animi i meno agguerriti ; questa pre-
parazione, la gran ragione della necessità, la cascag-
gine stessa che il male aveva lasciata addosso a Lucia,
la fecero avvezzare ben tosto alla sua situazione ; la
(x) Prima scrisse : « quando si sentisse appressare un carro
del lazzeretto ». (Ed.)
Digitized by LjOOQ IC
— 570 —
fiducia in Dio gliela raddolcì. La capannuccia non
capiva che due letti, o covili che fossero: in pochi
giorni Lucia cangiò più volte di compagnia. Final-
mente, quando ella cominciava a potersi reggere, vi
fu portata una donna, che era moglie, anzi vedova
d'un ricco mercante di stoffe, madre, anzi orba di due
figli : la peste le aveva tutto portato via. Questa, ri-
masta sola in casa, e sentendosi pure colpita dal
morbo, aveva chiamato un commissario della Sanità,
che conosceva per sua buona sorte, e che per una
sorte ancor più rara era un galantuomo, e gli aveva
raccomandata sé e la sua casa. Egli la fece chiudere
e sigillare, promise di vegliarla, e fece portare la
donna al lazzeretto, con tutta quella cura particolare
che si poteva in quelle circostanze. Lucia assistette
la sua compagna, che superò pure la malattia, e,
come è facile ad intendersi, tra quella che prestava
si pietosi servigj , e quella che gli riceveva, ambedue
deserte, buone ambedue, s'era formata una stret-
tissima amicizia.
La vedova, prima di venire al lazzeretto, aveva
nascosta nella sua casa una buona somma di danari,
e vi aveva lasciate molte mercanzie, protette dal si-
gillo pubblico, e ancor più dalla indifferenza dei mo-
natti per le robe che non fossero di pronto uso o di
facile smercio. Trovandosi quindi sola e doviziosa,,
ella aveva proposto a Lucia di tenerla con sé, come
una sua figlia, e Lucia, ringraziando Dio che le aveva
preparato un asilo, e la buona donna che glielo of-
Digìtized by VjOOQ IC
57i
feriva, lo aveva accettato, ma solo per qualche tempo ,
tanto che potesse aver notizie di sua madre, e pen-
sare a prendere una risoluzione stabile. Ciò. ch'ella
aveva promesso alla sua compagna era di non ab-
bandonarla finch'ella non potesse uscire dal lazze-
retto; e perciò Lucia non s'era unita ai convale-
scenti che erano partiti quel giorno alla guida del
Padre Felice. Ma la buona vedova, avvezza a quella
dolce compagnia, e atterrita dal solo pensiero di re-
starne priva, nella desolazione, esprimeva di tempo
in tempo quel suo terrore e si faceva rinnovare da
Lucia la promessa in cui trovava la quiete dell'animo
suo. E per dissipare appunto una di queste dubi-
tanze, Lucia aveva dette le soavi parole che colpirono
l'orecchio di Fermo, e che abbiamo riferite.
Fermo era dimorato su la porta; e di là il sua
secondo sguardo s'era rivolto su la persona alla quale
quelle parole erano state dirette; e fu molto contenta
quando vide a che sesso ella apparteneva.
— Ah! siete viva e v'ho trovata! diss'egli, quanda
potè ricuperar la parola; ed entrò nella capanna.
— Voi! sclamò Lucia.
— Son venuto qui per cercarvi, e v'ho trovata l
rispose Fermo.
— E la peste?
— L'ho avuta.
— Ah ! fece Lucia con un gran respiro, che signi-
ficava assai più che un : me ne rallegro infinitamente.
— Ma come qui?
Digìtized by
Google
572
— Son venuto a cercarvi in Milano, appena ho
potuto ; m'hanno detto ch'eravate qui ; ci son ve-
nuto.
— Oh Signore ! disse Lucia, stringendo le mani
giunte, alzando gli occhi al cielo, e con una voce
che i singhiozzi stavano per interrompere. Poi, come
entrata di repente in un altro pensiero, chiese ansio-
samente: Sapete qualche cosa di mia madre?
— L'ho veduta jeri; è sana, vi saluta, e potete
credere.... era tutta in pensiero per voi, e sospira
di vedervi.
Lucia rispose con un altro respiro di consolazione.
Fermo continuò : — Sospira di vedervi, e crede....
tiene per sicuro Ma voi, voi mi parete stu-
pita ch'io sia venuto a cercarvi. Io.... son sempre
lo stesso.... non vi ricordate ...? che è avvenuto, Lucia?
— Tante cose! rispose ella sospirando.
— Ecco ! disse Fermo : sa il cielo che cosa v'a-
vranno detto di mei
— Che importa, rispose Lucia, quel che dica la
gente?
— Dunque....
— Dunque. ... io credeva. . . . che dopo tanto tempo. . . .
<lopo tanti guai.... non avreste più pensato a me.
— L'avete creduto? e me lo dite? quando son qui....
— L'ho creduto, disse Lucia, troncando in fretta
le parole appassionate di Férmo, l'ho creduto, perchè
sarebbe stato meglio.... è meglio.
Lucia aveva sempre tenuti gli occhi bassi ; ma
Digìtized by
Google
573
proferendo, non senza fatica, queste parole, chinò
anche la testa e la tenne appoggiata sul petto, come
per riposarsi d'un grande sforzo. *
— È meglio! disse Fermo, stordito e contristato
di quel mistero, e guardando fiso nel volto di Lucia,
per trovarvi la spiegazione di quelle tronche ed oscure
parole. È meglio! che cosa v'ho fatto io? è colpa
mia se.... Non sono io quello a cui avete promesso?
Che vi mancava perchè foste mia? un momento....
e.... ma gli ho perdonato. Non siete voi più quella....?
Dopo tanto sperare! dopo tanto pensare a voi ! dopo
Parlate chiaro; dite che non mi volete più; dite il
perchè; non mi fate
— Fermo, disse con voce più riposata e solenne
Lucia, che, mentre egli parlava, aveva cercato di rac-
cogliere tutte le sue forze. — Fermo, ascoltatemi
tranquillamente : pensate dove siamo : vedete questa
buona creatura che ha bisogno di quiete: ascoltatemi.
Io non sarò mai di nessuno... e non posso più esser
vostra.
— No, non l'avete detta voi questa parola, ri-
spose Fermo; no, che non l'ascolto: che ho fatto io?
perchè? chi ve l'ha detto? chi è entrato tra voi e
me? chi c'è entrato? voglio saperlo.
— Zitto, zitto, non andate avanti, per amor del
cielo, disse Lucia. Quando lo saprete, se siete an-
cora quello di prima, se temete Dio come una volta,
non direte cosi.
— Parlate, per amor del cielo!
Digìtized by
Google
574
— Sapete voi in che casi, in che spaventi io mi
son trovata, in che pericoli?
— Lo so, lo so, e.... gli ho perdonato.
— Ora, sappiate quello che nessuno, né pure mia
madre, ha udito finora dalla mia bocca. In una notte....
Vergine santissima ! qual notte !... lontana da ogni soc-
corso.... senza speranza di liberazione... sola... io sola,
in mezzo.... all'inferno, ho guardato in su, ho do-
mandato l'ajuto di quel solo che può fare i mira-
coli.... ho domandato un miracolo, e ho dovuto fare
una promessa.... mi son votata alla Madonna che se,
per sua intercessione, io usciva salva da quel peri-
colo, non sarei mai stata sposa d'un uomo.
— Ahi! che avete fatto! sclamò dolorosamente
Fermo: che avete fatto!
— Ho ottenuto il miracolo, riprese Lucia: la Ma-
donna mi ha salvata.
— Bastava pregarla, e vi avrebbe salvata. Che
avete fatto! Che avete fatto! Non dovevate fare un
tal voto.
— L'ho fatto: che giova parlarne più? Che giova
pentirsi? Pentirsi? No, no, Dio liberi! Egli pure è
sempre a tempo a pentirsi d'avermi salvata. Può la-
sciarmi cadere ancora in un pericolo, e allora, chi
pregherei io? che promessa potrei fare?
— Lucia, disse Fermo, e se non fosse il voto....?
dite; sareste la stessa per me?
— Uomo senza cuore ! rispose Lucia, contenendo
le lagrime, quando mi avreste fatte dire delle parole
Digitized by VjOOQ IC
575
inutili, delle parole che mi farebbero male, delle pa-
role che sarebbero forse peccati, sareste voi contento?
Partite, scordatevi di me: non eravamo destinati;
ci rivedremo lassù. Dopo queste parole, le lagrime
soverchiarono, e fra i singhiozzi ella continuò: dite „
a mia madre ch'io son guarita, che ho trovata questa
buona amica che pensa a me ; ditele che spero ch'ella
sarà preservata da questi guai, che Dio provvederà
a tutto, e che ci rivedremo. Partite, per amor del cielo;
e non vi ricordate di me che quando pregate il Si-
gnore.
— Lucia, disse Fermo, con tuono riposato e so-
lenne egli pure ; noi siamo due poveri figliuoli senza
studio: quel brav'uomo, quel gran religioso, quel
nostro padre, il Padre Cristoforo
— Ebbene?
— È qui, nel lazzeretto, ad assistere gli appe-
stati.
— È qui ! disse Lucia : ah ! non mi fa maraviglia :
oh se potessi vederlo, sentir la sua voce! È egli sano?
— È in piedi, disse Fermo, ma il suo volto
Dio voglia che sieno gli anni e le fatiche !
— Voi l'avete veduto! disse Lucia.
— L'ho veduto e gli ho parlato, rispose Fermo :
egli mi ha fatto animo a cercarvi, mi ha fatto pro-
mettere che tornerei a rendergli conto delle mie ri-
cerche. Corro da lui: egli ci ha sempre ajutati; e
spero che ci ajuterà anche in questa occasione.
— Che dite voi? che volete ch'egli faccia? pre-
Digitized by
Google
— 576 —
ghiamo Dio che ci ajuti.... che vi ajuti a sopportare»
Ditegli che io ho sempre pregato per lui; che, se può,
venga a trovarmi, a consolarmi, e voi voi
Non tornate più qui, per amor del cielo, voleva
ella dire, ma non lo disse (l). Dopo fatto quel voto
Lucia aveva sempre creduto di essersi legata irrevo-
cabilmente, e non aveva supposto mai che alcuna auto-
rità potesse annullare un patto col cielo; aveva ri-
spinto come colpevole il pensiero stesso, e non aveva
mai confidato a persona il suo doloroso segreto. Ma
quando Fermo parlò d'una speranza nel Padre Cri-
stoforo, quella stessa speranza confusa, entrò nel cuore
di Lucia; le balenò nella mente un: chi sa? intra-
vide come non impossibile che il Padre Cristoforo
potrebbe trovar qualche mezzo e in quel dubbio
ella stimò inutile di dire risolutamente a Fermo : non
tornate. Egli partì senza far altre parole, come un
uomo che pensa di tornar ben tosto, e Ravviò alia
capanna del buorl frate.
La vedova, compagna di Lucia, era rimasta con
gli occhi sbarrati a guardare quel personaggio sco-
nosciuto e ad udire quel dialogo, nuovo per lei;
giacché Lucia, la quale, come si è potuto vedere in
altre parti di questa storia, era molto discreta, non
(*) Segue, cancellato: «Quando Lucia nella sua ango-
« scia aveva fatto quel voto, non credeva (e, se mal non
« mi ricordo, abbiam fatta questa riflessione a suo tempo)
« che». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 577 —
le aveva mai parlato né della sua promessa di ma-
trimonio, né per conseguenza delle vicende conse-
guenti. Ma ora non potè scusarsi di fargliene il rac-
conto : e, a dir vero, la disposizione d'animo di Lucia,
in quel momento s'accordava assai bene con le voglie,
curiose e benevole ad un tempo, della vedova. Quelle
memorie, compresse e rispinte pertanto tempo, s'erano
ora presentate tutte in tanta folla e con tanto impeto
all'animo di Lucia, che il parlarne diveniva per lei
quasi uno sforzo necessario. Dopo aver dunque ri-
sposto alla meglio ai rimproveri che la vedova le
fece di un tanto segreto tenuto con lei, cominciò il
racconto, che fu spesso interrotto dai suoi singhiozzi
e dalle esclamazioni e dalle inchieste della ascolta-
trice (l).
(') È il principio del capitolo Vili del tomo IV. (Ed.)
Alessandro Manzoni. 37
Digitized by
Google
Digitized by
Google
XXIII.
Scioglimento del voto di Lucia e morte di
Don Rodrigo.
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
Fermo intanto era giunto alla capannuccia del Padre
Cristoforo, e avendolo veduto lì fuori, che, pregando,
chiudeva gli occhi ad un morente, si era ritirato nella
capannuccia, senza dar voce, né far segno che turbasse
quel pio e doloroso uficio. Quando il poveretto fu spac-
ciato, Fermo si mostrò, e il Padre Cristoforo andò a
lui, che tosto gli racccmtò la lietissima scoperta ch'egli
aveva fatta di Lucia viva e sana e quell'altra scoperta
che era venuta come a tradimento a guastargli una
tanta consolazione. Benché egli, in questa parte del
racconto, volesse aver l'aria di chi propone un dubbio
superiore ai suoi lumi, aspettando il giudizio d'un
sapiente, pure non lasciò scappare nessuna occasione
di qualificare d'imprudenza e di pazzia quel voto, che
veniva per lui così male a proposito. Così faceva sen-
tire che, per la parte sua, il giudizio era bell'e fatto ;
e intanto guardava attentamente al volto del Padre
Cristoforo, per iscoprireun pensiero, dal quale avrebbe
potuto dipendere la sua sorte. Ma non potendo leg-
gervi nulla, terminò con una aperta domanda: Che
Digìtized by
Google
- 582. -
ne dice, Padre? Il Padre stava pensoso: combattuto
fra il desiderio di rivedere Lucia e la speranza di
consolarla forse, e il timore di rendersi colpevole,
abbandonando per qualche tempo i suoi infermi. Dopo
essere cosi rimasto alquanto, pronunziò ad alta voce
la conclusione del dibattimento che era stato tra i
suoi pensieri. Ho un dovere con quella creatura, dis-
s'egli. Dio l'aveva in altri tempi indirizzata a me,
ed ora non me l'ha fatta venir così presso perch'io
ricusi di esserle utile. Andiamo.
Lasciò per la seconda volta i suoi ammalati alla
cura del Padre Vittore e si mosse con Fermo.
Questi andava innanzi tacito, facendo la guida per
quel triste labirinto, e dirigendosi al viale per cui
era passato la prima volta, e il frate, pur tacito, gli
teneva dietro.
Gli oggetti, che ad ogni mutar di passo si succe-
devano alla vista, tenevano occupato l'animo di quella
compunzione che non trova parole; e in quel mo-
mento su quel mesto spettacolo pareva che scendesse
e pesasse una mestizia più cupa e più grave dell'or-
dinario.
Una nuvola comparsa all'occidente aveva a poco a
poco coperto tutto il cielo : e alla oscurità crescente
avresti detto che il giorno era finito, se il sole, lon-
tano ancor forse due ore dal tramonto, non avesse
mostrato, come dietro ad un velo spesso ed immobile,
il suo disco grande e biancastro, donde partivano non
vivi raggi e diretti, ma un barlume scialbo e circonfuso,
Digitized by LiOOQ IC
- 583 -
che mandava (') una caldura morta e gravosa. L'aria
non dava un soffio, non si vedeva muovere una tenda
delle baracche, né piegar la cima d'un pioppo nelle
campagne d'intorno. Solo si vedeva la rondine, sdruc-
ciolando rapidamente dall'alto, rasentare con l'ali tese,
per un picciol tratto, la superfìcie ingombra e con-
fusa di quel terreno ; e tosto risalire, volteggiare per
l'aria in cerchi veloci e piombar di nuovo. Un'afa
faticosa prostrava gli animi con una oppressione straor-
dinaria. La lotta del morire era più affannosa; i ge-
miti dei languenti erano soppressi dall'ambascia; il
movimento delle opere era stanco, rallentato, come
sospeso; quella dubbia luce dava al colore della morte
e della infermità un non so che di più livido; un
non so che di più squallido all'abbattimento onde
erano atteggiate le figure dei sani; e su quel luogo
di desolazione non era forse ancor passata un'ora
amara al par di questa.
Eppure quegli che sopravvissero rammentarono
quell'ora con gioja per tutta la vita; era la prepara-
zione d'una burrasca, che scoppiò la notte, e menò
poi per due giorni una pioggia continua, dopo la
quale il contagio cessò quasi ad un tratto. Sotto il
fascio di quella comune gravezza, procedevano il
giovane e il vecchio, con la fronte bassa il primo e
con l'animo diviso fra lo studio della via, fra l'orrore
(') Il Manzoni sopra mandava ha scritto pioveva. (Ed.)
Digitized by
Google
— 584 —
delle cose che vedeva e l'ansietà del suo destino fu-
turo; e l'altro levando di tratto in tratto al cielo
la faccia smunta, come per cercare un più libero re-
spiro, e per secondare con quell'atto una speranza
interna. — È qui, disse Fermo con voce tremante,
accennando la capanna; e v'entrarono, che Lucia, col
volto lagrimoso, stava proseguendo il suo racconto.
Al riveder Fermo ella trasalì, e al vedere il Padre
Cristoforo balzò dal saccone di paglia, ov'era seduta,
e gli si gettò incontro sulla porta. — Oh Padre!...
Signore Iddio ! come sta ella? soggiunse poi tosto,
vedendogli i segni della morte in volto. — Come
Dio vuole, mia buona figlia, rispose il frate ; e presto
spero starò bene affatto.
— Come?.... disse Lucia.
— Come Dio vorrà, riprese egli tosto: Parliamo
ora di voi, per cui son venuto.
— Oh Padre ! quanto tempo ! quante cose ! disse
Lucia.
— Quante cose! ripetè il frate. E certo, se fossimo
là ai vostri monti, seduti in su la porta della casetta di
quella buona Agnese, mi lascerei andar volentieri a
farne lunghi discorsi. Ma qui il tempo è misurato.
E tosto, trattala in disparte in un angolo della ca-
panna, continuò : Fermo mi ha detto che avete fatto
voto di non maritarvi.
— È vero, rispose Lucia arrossando.
— Avete voi pensato allora, proseguì il vecchio,
che voi avevate un impegno solenne di matrimonio,
Digìtized by
Google
- 585 —
e che offerivate alla Vergine una libertà della quale
avevate già disposto? E che riprendevate una parola
già data, senza sapere se quegli che l'aveva ricevuta
avrebbe consentito a restituirvela ?
— Ho fatto male? chiese Lucia con sorpresa, e
con un rimorso che non era tutto doloroso.
— Avete voi confidato a nessuno questo vostro
nuovo impegno? interrogò di nuovo il frate: avete
chiesto consiglio?
— Non ho ardito, rispose Lucia.
— Ed ora, proseguì egli, che vi dice il vostro
cuore di quel voto?
— Che vuol ella che me ne dica? rispose Lucia,
arrossando più che mai e chiudendo quasi del tutto
gli occhi, ch'erano già chini a terra.
— Se non lo aveste fatto, lo fareste?
— Se.... non fossi in quel pericolo.... in un grande
pericolo.... e poi se non è permesso.... non lo farei.
— Se non lo aveste fatto, sareste tuttavia riso-
luta di sposare quell'uomo a cui avevate promesso ?
— Io credeva.... che fosse male il pensarvi.... ma
poi ch'ella me ne domanda.... oh Padre sì!
Fermo intanto adocchiava ansiosamente verso quel-
l'angolo, e la vedova anch'essa stava in una tacita
aspettazione. Il frate si fece presso a loro, accennando
a Lucia, che lo seguì con gli occhi bassi. Allora egli,
con voce spiegata, le rivolse questa nuova interroga-
zione : Credete voi che la santa madre Chiesa ha ri-
cevuta da Dio l'autorità di sciogliere e di legare?
Digìtized by VjOOQ IC
— 5«6 —
— Lo credo, rispose Lucia.
— Credete voi dunque che ella possa in suo nome
ricevere, confermare, o rimettere i voti che gli son
fatti, interpretando la sua volontà in questo, come nel
perdono dei peccati, e usando una potestà che tiene
da lui?
— Lo credo, rispose ancora Lucia.
— Domandate voi alla Chiesa di essere sciolta dal
voto di verginità, che avete fatto, o inteso di fare alla
Madre santissima di Dio?
— Lo domando, rispose Lucia, con una prontezza,
alla quale Fermo non ebbe nulla a desiderare, e che
potrà parere forse troppa a chi, non essendo stato
presente a quell'atto, non rifletta che la solennità della
richiesta, l'aria autorevole di chi l'ha fatta, non la-
sciavan luogo a titubamenti leziosi, e che ivi la ve-
recondia doveva essere tutta nella sincerità.
— Ed io, disse allora il buon frate con tuono
ancor più solenne, prego umilmente la Vergine, re-
gina di tutti i santi, che abbia sempre per aggradito
il sentimento del vostro divoto e travagliato sacri-
ficio, e lo offra al suo e nostro Signore ; e con l'au-
torità, che la Chiesa mi ha affidata, vi sciolgo dal
voto, annullando ciò che vi potè essere d'inconsi-
derato, e liberandovi da ogni obbligazione, se ne avete
contratta.
Non parleremo dell'effetto che queste parole pro-
dussero nell'animo dei due giovani : la buona vedova
era tutta commossa. Il frate continuò, rivolto a Lucia:
Digitized by LjOOQ IC
- 587 -
Siate moglie pudica, moglie affettuosa, moglie con-
tenta di quella contentezza che conduce all'eterna.
Questo Iddio ha voluto e vuole da voi. Quindi
levò le mani verso i due giovani, come per parlare
ad ambedue. Essi caddero ginocchioni ai suoi piedi,
ed egli, tutto assorto, e quasi senza avvedersi di quel-
Tatto, stese le mani su le loro teste e stette un mo-
mento pensoso. Erano nel fondo della capanna, come
chiusi tra quello e il letto della vedova, che teneva
gli occhi fissi su di loro ; i giovani inginocchiati con
la fronte bassa, e il frate ritto dinanzi a loro, con le
spalle rivoltate alla porta.
— Figliuoli, disse egli, che ho amati e che amerò
sempre, ricordatevi che se la Chiesa vi assolve da
un sagrificio, non lo fa per procurarvi le consola-
zioni di questa vita, che deve esser tutta un sagri-
ficio, ma per mettervi su la via della santificazione.
Amatevi, come compagni di viaggio, col pensiero di
avere a lasciarvi, con la speranza di ritrovarvi an-
cora e per sempre. Rendete grazie al cielo, che vi ha
condotti a questo stato non con le allegrezze turbo-
lente e-passeggiere, ma coi travagli e fra le miserie,
per disporvi ad una gioja raccolta, temperata e con-
tinua. E nei vostri discorsi qualche volta, e sempre
nelle vostre preghiere, ricordatevi....
Queste parole, che rinchiudevano come un pre-
sentimento e un tristo addio, rinnovarono nell* animo
di Lucia l'impressione dolorosa che le aveva pro-
dotta l'aspetto di chi le proferiva. Levò ella gli occhi
Digìtized by
Google
- 588 -
quasi involontariamente, tutta commossa, a riguar-
darlo di nuovo; ma insieme con l'oggetto che cer-
cava il suo sguardo, un altro inaspettato le se ne of-
ferse su la porta della capanna, alla vista del quale
ella mandò uno strido repentino. Tutti gli occhi si
rivolsero a quella parte donde le era venuta quella
subita commozione (1).
Ritto sul mezzo dell'uscio stava un uomo, smorto,
rabbuffato i capegli e la barba, scalzo, nudo le gambe,
le braccia, il petto, e nel resto mal coperto di avanzi
di biancheria, pendenti qua e là a brani e a filaccica;
stava, con la bocca semi-aperta, guatando le persone
raccolte nella capanna, con certi occhi, nei quali si
dipingeva ad un punto l'attenzione e la dissensa-
tezza; dal volto traspariva un misto di furore e di
paura, e in tutta la persona una attitudine di curio-
sità e di sospetto, uno stare inquieto, una disposi-
zione a levarsi, non si sarebbe saputo se per fuggire,
o per inseguire. Ma in quello sfiguramento Lucia
aveva tosto riconosciuto Don Rodrigo, e tosto lo ri-
conobbero gli altri due. Quell'infelice, da una ca-
panna, posta lungo il viale, nella quale era stato git-
tato, e dove era rimasto tutti quei giorni languente
e fuor di sé, aveva veduto passarsi davanti Fermo e
poi il Padre Cristoforo, senza esser veduto da loro.
(*) Qui finisce il capitolo Vili e incomincia quello IX.
(Ed.)
Digìtized by
Google
— 589 —
Quella comparsa aveva suscitato nella sua mente scon-
volta l'antico furore e il desiderio della vendetta,
covato per tanto tempo, e insieme un certo spavento,
e con questo ancora una smania di accertarsi, di af-
ferrare distintamente con la vista quelle immagini
odiose, che le erano come sfumate dinanzi. In una tal
confusione di passioni, o piuttosto in un tale delirio,
s'era egli alzato dal suo miserabile strame, e aveva
tenuto dietro da lontano a quei due. Ma quando
essi, uscendo dalla via, s' internarono nelle capanne,
il frenetico non aveva ben saputa ritenere la traccia
loro, né discernere il punto preciso per cui essi
erano entrati in quel labirinto. Entratovi anch' egli
da un altro punto, poco distante, non vedendo più
quegli che cercava, ma dominato tuttavia dalla stessa
fantasia, era andato a guardare di capanna in ca-
panna, tanto che s'era trovato a quella in cui, met-
tendo il capo su la porta, aveva riveduto in iscorcio
quelle figure. Quivi, ristando stupidamente intento,
udì quella voce ben conosciuta, che nel suo castello
aveva intuonata al suo orecchio una predica, tron-
cata allora da lui con rabbia e con disprezzo, ma
che aveva però lasciata nel suo animo una impres-
sione che s'era risvegliata nel tristo sogno precursore
della malattia. Quella voce lo teneva immobile, a
quel modo che altre volte si credeva che le biscie
stessero all'incanto, quando Lucia s'accorse di lui.
Dopo la sorpresa, il primo sentimento di quella
poveretta fu una grande paura : il primo sentimento
Digìtized by VjOOQ IC
— 59o —
del Padre Cristoforo e di Fermo, bisogna dirlo a
loro onore, fu una grande compassione. Entrambi si
mossero verso queir infermo stravolto, per soccorrerlo
e per vedere di tranquillarlo; ma egli, a quelle
mosse, preso da un inesprimibile sgomento, si mise
in volta e a gambe verso la strada di mezzo ; e, su per
quella, verso la chiesa. Il frate e il giovane lo segui-
rono fin sul viale, e di quivi lo seguivano pure col
guardo: dopo una breve corsa egli s'abbattè presso
ad un cavallo dei monatti che, sciolto, con la ca-
vezza pendente e col capo a terra, rodeva la sua pro-
fenda: il furibondo afferrò la cavezza, balzò su la
schiena del cavallo, e percotendogli il collo, la testa,
le orecchie coi pugni, la pancia con le calcagna, e
spaventandolo con gli urli, lo fece muovere e poi
andare di tutta carriera. Un romore si levò air in-
torno, un grido di piglia, piglia ; altri fuggiva, altri
accorreva per arrestare il cavallo, ma questo, spinto
dal demente, e spaventato da quei che tentavano di
avvicinarglisi, s'innalberava e scappava vie più verso
il tempio.
I due, dei quali egli era stato altre volte nemico,
tornarono tutti compresi alla capanna, dove Lucia
stava ancora tutta tremante.
— Giudizii di Dio ! disse il Padre Cristoforo : pre-
ghiamo per quell'infelice. Dopo un momento di si-
lenzio, il pensiero che venne a tutti fu di concertare
insieme quello che era da farsi: e i concerti furon
questi : che Fermo partirebbe tosto, giacché ivi non
Digìtized by
Google
— 59i —
v'era ospitalità da offerirgli, cercherebbe un ricovero
per la notte in qualche albergo, e all' indomani si ri-
metterebbe in via pel suo paese, porterebbe ad Agnese
le nuove della sua Lucia, andrebbe poi a Bergamo
a disporre la casa dove intendeva di stabilirsi con la
moglie e con la suocera; e tornerebbe poi ad aspet-
tare Lucia nel suo paese, dove dovevano celebrarsi
le nozze : ne avvertirebbe intanto Don Abbondio, il
quale era da sperarsi che, invece di frapporre nuove
difficoltà, sarebbe vergognoso di quelle che aveva
frapposte altra volta. Quanto a Lucia, ella protestò,
prima d'ogni cosa, che non si staccherebbe dalla sua
buona compagna, fin che questa non fosse affatto
guarita, e ristabilita nella sua casa. Il Padre la lodò,
Fermo non v'ebbe nulla a ridire, e la vedova, tutta
commossa, promise che accompagnerebbe essa Lucia
a casa e la consegnerebbe a sua madre.
— E voglio* farle il corredo, aggiunse all'orecchio
del Padre, a cui aveva fatto cenno di avvicinarsi.
— Dio vi benedica, le rispose il buon vecchio.
— E tu, disse poi a Fermo, che stai qui tardando?
il tempo, come vedi, si fa più nero e la notte si av-
vicina: affrettati di cercare un ricovero.
Convien dire ancora, ad onore di Fermo, che in
quel momento non gli doleva tanto lo staccarsi da
Lucia, appena trovata, è vero, ma ch'egli contava di
riveder presto, quanto dal Padre Cristoforo, che re-
stava lì a morire.
— Ci rivedremo, Padre? disse il buon giovane.
Digìtized by VjOOQIC
— 592 —
— Se Dio vorrà e quando Egli vorrà, rispose il
frate, vincendo una commozione, che andava cre-
scendo. Va, va, che non c'è tempo da perdere.
Fermo disse, con voce accorata, riverisco, al Padre,
che lo benedisse e gli strinse la mano: disse addio
a Lucia e alla vedova, sopprimendo : un arrivederci
presto, che gli veniva su le labbra ; poi spiccatosi in
fretta, partì.
— Vi raccomando l'una all'altra, buone creature,
disse il frate, e fece atto pure di andarsene ; ma, nel
dare a Lucia uno sguardo di commiato, vide nel-
l'aspetto di lei, mista alla commozione, una grande
inquietudine; s'avvisò tosto di ciò che poteva esserne
la cagione, e disse: Di che state inquieta?
— Quell'uomo....! disse Lucia.
— Poveretto ! rispose il frate, non è più in caso
di far paura a nessuno : non lo vedrete più, siatene
certa. Pure, soggiunse dopo d'aver pensato un mo-
mento, per ogni altro evento, sarà meglio ch'io vi
raccomandi a qualcheduno dei nostri. Così detto, uscì,
girò un poco in ronda, finché trovò un cappuccino,
e condottolo alla capanna, gli mostrò le due donne,
e gli disse: Sono due derelitte: vi prego di averne
una cura particolare. Vi lascio con Dio, disse poi
alle donne, e uscì dalla capanna. Lucia lagrimando
lo seguiva, egli le imponeva che tornasse, e così si
trovarono entrambi sulla grande strada, dove videro
una folla di monatti, che accorreva in tumulto, gri-
dando: aspetta, aspetta, ad altri monatti, che guida-
Digìtized by LjOOQ IC
— 593 —
vano un carro verso la porta. Il carro si fermò quasi
davanti ai nostri due amici ; quei monatti sopraggiun-
sero tosto ansanti; e due, che portavano un morto,
lo gittarono sul carro, dicendo un d'essi : mettetelo
bene in fondo costui, che non torni a cavallo, a farci
tribolare.
— Che diavolo è stato? disse più d'uno di quei
carrettieri.
— Il diavolo, rispose il monatto, l'aveva in corpo
costui: è andato su e giù Anch'ebbe fiato; se durava
ancora, faceva crepare il cavallo : ma è crepato egli ,
e allora, per amore, o per forza, ha dovuto venir giù.
Il Padre Cristoforo, rivolto allora a Lucia, le disse:
ricordatevi di pregare per questa povera anima, voi
e vostro marito, per tutta la vita, e di far pregare
i vostri figliuoli, se Dio ve ne concede. Tornate
alla vostra compagna. Iddio sia sempre con voi. Dette
queste parole, prese in fretta il viale, per andarsene
alla sua stazione; Lucia, compunta di quella sepa-
razione e atterrita dallo spettacolo, tornò a capo
basso e col petto ansante alla sua capanna, e Don Ro-
drigo, su la cima d'un tristo mucchio, fra lo strepito
e le bestemmie, usciva dal lazzeretto per andarsene
alla fossa.
- )
' V
Alessandro Manzoni. . „ / 38
Digitized by
Google
Digìtized by
Google
APPENDICI
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
I.
Il principio del Romanzo nella prima minuta.
24 Aprile 1821.
Cap. I.
Il Curato di
Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda
e che giace fra due catene non interrotte di monti
da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati
varj seni e per così dire piccioli. golfi d'ineguale
grandezza, si viene tutto ad un tratto a ristringere ;
ivi il fluttuamento delle onde si cangia in un corso
diretto e continuato, di modo che dalla riva si può,
per dir così, segnare il punto dove il lago divien
fiume (l). Il ponte, che in quel luogo congiunge le due
(') Sarà curioso e utile il vedere di quali e quante cor-
rezioni e pentimenti VA. tempestò questo primo periodo
e quello seguente. Scrivo in corsivo e metto tra parentesi
quadre le parole cancellate : « [Quel ramo del lago di Como
[che] donde esce l'Adda] [Alla estremità del ramo~] [Sulla
riva meridionale del ramo del [Lario~\ Lario che] Quel
ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra
due catene non interrotte di monti da settentrione a mezzo-
giorno, dopo aver formati varj seni e per così dire piccioli
Digitized by
Google
— 59» -
rive, rende ancor più sensibile all'occhio ed all'o-
recchio questa trasformazione : poiché gli argini per-
pendicolari, che lo fiancheggiano, non lasciano venir
golfi d'ineguale grandezza, si [ristringe alla fine] [viene alla
fine a ristringer per tal modo che] [ristringe] viene tutto
ad un tratto a ristringere [per tal modo, e [ri] avvicina le
sue [ri] due riviere a segno che si può [dire] fissare che a
quel punto il lago cessi e ilfiutne cominci [.] [si può manife-
sta] e a cambiare V ondeggiamento] ivi il fluttuamento [vario]
delle onde si cangia in un corso [diretto e seguito che]
diretto e continuato di modo che [si può] dalla riva si
può per dir così segnare il punto dove il lago divien fiume.
Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive, [e che
aumenta il corso [dell'acqua] e il rumore fluviale dell'acqua
[dell' acqua] e le dà [per così] un rumore per così dire flu-
viale [compisce all'occhiò] [rendotw] rende ancor più sensi-
bile all'occhio questa trasformazione]'», A questo punto si
legge in margine: *[gli argini [che non lasciano batter]
perpendicolari che non lasciano venir le onde a battere sulla
riva ma le costringono in un letto, e le fanno correre sotto
gli archi con uno strepito per così dire assolutamente flu-
viale]». Quindi prosegue nella colonna: « prendono] [rende
ancor più sensibile all'occhio ed alla fantasia [ed ali] questa
subita trasformazione :] rende ancor più sensibile all'occhio
ed all'orecchio questa trasformazione : [poiché gli argini
[non lasciano] perpendicolari che lo fiancheggiano non {perni]
lasciano] [poiché cessano le rive] [poiché gli argini perpen-
dicolari che lo fiancheggiano non lasciano ven] [poiché ivi
cessano le rive] [poiché gli argini perpendicolari che lo
fiancheggiano non lasciano] [poiché invece di batter sovra]
poiché gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non
lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le avviano
rapide sotto gli archi; [e l'uo] [e chi] [e l'uomo seduto
presso] [e stando presso gli argini] [e dove] e presso a
quegli argini uno può quasi sentire il doppio e diverso
rumore dell'acqua, [e dove ella] la quale qui viene a rom-
persi in [onde sul/] piccioli cavalloni sull'arena, e [dove
scorre travolta dai] a pochi passi tagliata dalle pile di
macigno scorre sotto gli archi con uno strepito per così
dire fluviale». (Ed.)
Digitized by
Google
— 599 —
le onde a battere sulle rive, ma le avviano rapide
sotto gli archi; e presso a quegli argini uno può
quasi sentire il doppio e diverso rumore dell'acqua,
la quale qui viene a rompersi in piccioli cavalloni
sull'arena, e a pochi passi, tagliata dalle pile di ma-
cigno, scorre sotto gli archi con uno strepito per
così dire fluviale. Dalla parte che guarda a setten-
trione, e che a quel punto si può chiamare la riva
destra dell'Adda, il ponte posa sopra un argine ad-
dossato alla estrema falda del Monte di S. Michele;
il quale si bagnerebbe nel fiume se l'argine non vi
fosse frapposto. Ma dall'opposto lato il ponte è ap-
poggiato al lembo di una riviera che scende verso
il lago con un molle pendìo, sul quale per lungo
tratto il passeggero può quasi credere di scorrere
una perfetta pianura. Questa riviera è manifestamente
formata da tre grossi torrenti, i quali, spingendo la
ghiaja, i ciottoli e i massi rotolati dal monte, hanno
a poco a poco spinte le rive avanti nel lago, ed erano
abbastanza vicini perchè le ghiaje gettate da essi a
destra e a sinistra abbiano potuto col tempo toccarsi
e formare un terreno sodo. Allora hanno cominciato
a correre in un letto alquanto più regolare, poiché
questi stessi depositi hanno loro servito d'argine, e
il successivo loro impicciolimento, cagionato dall'ab-
bassamento dei monti, dal diboscamento, e dalla di-
spersione delle acque, gli ha rinchiusi in un letto più
angusto. Così il terreno che li divide ha potuto es-
sere abitato e coltivato dagli uomini. Il lembo della
riviera che viene a morire nel lago è di nuda e grossa
arena presso ai torrenti, e uliginoso negli intervalli,
ma appena appena dove il terreno s'alza al di sopra
delle escrescenze del lago e del traripamento della
foce dei torrenti, ivi tutto è prati, campagne e vi-
gneti, e questo tratto d'ineguale lunghezza è in al-
Digìtized by
Google
— 6oo —
cuni luoghi forse d'un miglio. Dove il pendìo di-
venta più ripido son più frequenti, e assai più lo
erano per lo passato, gli ulivi ; al di sopra di questi
e sulle falde antiche dei monti cominciano le selve
di castagni, e al di sopra di queste sorgono le ul-
time creste dei monti, in parte nudo e bruno macigno,
in parte rivestite di pascoli verdissimi, in parte co-
perte di carpini, di faggi e di qualche abete. Fra
questi alberi crescono pure varie specie di sorbi e
di dafani, il cameceraso, il rododendro ferrugigno ed
altre piante montane, le quali rallegrano e sorpren-
dono il cittadino dilettante di giardini, che per la
prima volta le vede in quei boschi, e che non aven-
dole incontrate che negli orti e nei giardini, è av-
vezzo a considerarle colla fantasia come quasi un pro-
dotto della coltura artificiale piuttosto che una spon-
tanea creazione della natura. Dove poi la mano del-
l'uomo ha potuto portare una più fruttifera coltiva-
zione, fino presso alle vette non ha lasciato di farlo,
e si vedono di tratto in tratto dei piccioli vigneti
posti su un rapido pendìo e che terminano col nudo
sasso del comignolo. La riviera è tutta sparsa di
case e di villaggi: altri alla riva del lago, anzi nel
lago stesso quando le sue acque s'innalzano per le
pioggie, altri sui varj punti del pendìo, fino al punto
dove la montagna è nuda, perpendicolare ed inabi-
tabile. Lecco è la principale di queste terre e dà il
nome alla riviera: un grosso borgo a questi tempi
e che altre volte aveva l'onore di essere un discre-
tamente forte castello; onore al quale andava unito
il piacere di avervi una stabile guarnigione ed un
comandante, che all'epoca in cui accade la storia che
siamo per narrare era spagnuolo. Dall'una all'altra
di queste terre, dalle montagne al lago, da una mon-
tagna all'altra corrono molte stradicciuole, ora erte,
Digitized by LjOOQ IC
— 6oi —
ora dolcemente pendenti, ora piane, chiuse per lo
più da muri fatti di grossi ciottoloni e coperti qua
e là di antiche edere, le quali dopo aver colle barbe
divorato il cemento, ficcano le barbe stesse fra un
sasso e l'altro e servono esse di cemento al muro,
che tutto nascondono. Di tempo in tempo invece di
muri passano le anguste strade fra siepi, nelle quali
al pruno e al biancospino s'intreccia di tratto in
tratto il melagrano, il gelsomino, il lilac e il fila-
delfo. Una di queste strade percorre tutta la riviera,
ora abbassandosi, ora tirando più verso il monte,
ora in mezzo le vigne, ed ora sulla linea che divide
i colti dalle selve. Questa strada è talvolta seppel-
lita fra due muri che superano la testa del passeg-
gero, dimodoché egli non vede altro che il cielo e
le vette dei monti : ma spesso lascia un libero campo
alla vista, la quale quasi ad ogni passo scopre nuovi,
àmpii e bellissimi prospetti. Poiché guardando verso
settentrione tu. vedi il lago chiuso nei monti che
sporgono innanzi e rientrano e formano ad ogni tratto
seni o ameni o tetri, finché la vista si perde in uno
sfondo azzurro di acque e di montagne ; verso mez-
zogiorno vedi l'Adda, che, appena uscita dagli archi
del ponte, torna a pigliar figura di lago, e poi si
ristringe ancora e scorre come fiume, dove il letto è
occupato da banchi di sabbia portati da torrenti, che
formano come tanti istmi : dimodoché l'acqua si vede
prolungarsi fino all'orizzonte come una larga e lu-
cida spira. Sul capo hai i massi nudi e giganteschi
e le foreste, e guardando sotto di te e in faccia,
vedi il lungo pendìo, distinto dalle varie colture, che
sembrano striscie di varj verdi, il ponte ed un breve
tratto di fiume fra due larghi e limpidi stagni, e po-
scia, risalendo collo sguardo, lo arresti sul Monte
Barro, che ti sorge in faccia e chiude il lago dal-
Digitized by
Google
— 602 —
l'altra parte. Ma non termina quel monte la vista da
ogni parte, poiché di promontorio in promontorio
declina fino ad una valle che lo separa dal monte
vicino; e come in alcune parti la stradetta si eleva
al di sopra del livello di questa valle, da quei punti
il tuo occhio segue tra i due monti che hai in pro-
spetto un'apertura, che dalla valle ti lascia travedere
qualche parte dell'amenissimo piano che è posto al
mezzogiorno del Monte Barro. La giacitura della
riviera, i contorni e le viste lontane tutto concorrono
a renderlo un paese che chiamerei uno dei più belli
del mondo, se avendovi passata una gran parte della
infanzia e della puerizia e le vacanze autunnali della
prima giovinezza, non riflettessi che è impossibile dare
un giudizio spassionato dei paesi a cui sono asso-
ciate le memorie di quegli anni (l).
(*) Nella Guida di Lecco, sue valli e suoi laghi, com-
pilata da Giuseppe Fumagalli, con topografia descrittiva
del romanzo « I Promessi Sposi » , e scritti vari di An-
tonio Ghislanzoni, del doti. Giovanni Pozzi e di altri
autori, Lecco, Vincenzo Andreotti detto Busall, editore
[Milano, Stab. G. Civelli, 1882]; in-160, con una carta to-
pografica, si afferma che i panorami del territorio di Lecco
non si possono ritrarre per virtù di parole e che il Manzoni
non riuscì in questa descrizione, e non ottenne l' intento
neanche con l'addio, il quale ci commuove fortemente sol
perchè in esso «sta la sintesi di tutti quei dolori che lo
« determinarono » [p. 50]. B. Zumbini [/ Promessi Sposi e
il Lago di Lecco; in Studi di letteratura italiana, Firenze,
Successori Le Monnier, 1892, pp. 280-281] fa notare «a
« codesti egregi autori » che, « trattandosi di cose del Man-
« zoni, era meglio se ne ragionasse con minor disinvol-
« tura », poi soggiunge : « mi pare evidente che il Manzoni
« abbia adoperata la descrizione non già per far visibili
« alla mente le cose, quali sono nella loro realtà, ma piut-
tosto per derivarne nuovo pregio a quella rappresenta-
« zione di fatti umani, eh* era il suo più alto intento. E
Digitized by LiOOQ IC
6o3
Su questa stradetta veniva lentamente, dicendo
Tufizio ed avviandosi verso casa, una bella sera di
autunno dell'anno 1628, il curato di una di quelle
terre che abbiamo accennate di sopra (l).
« ciò fece con quella profonda consapevolezza di fini e di
« mezzi, di cui diede chiare prove in ogni altro suo lavoro,
«e con quel raziocinio che in lui non fu meno meravi-
« glioso delle facoltà poetiche. E veramente, da ogni par-
« ticolare di quella descrizione e da tutto ciò che seguita
« nel romanzo, s' intende com'egli volesse destare in noi
«l'immagine di un dolce e riposato ostello, i cui abitatori
« sarebbero stati felicissimi, se non li avesse contristati la
« violenza de' signorotti paesani e degli Spagnuoli ». (Ed.)
(') Cfr. Sforza Gio., Saggio di una ediziotie critica dei
Promessi Sposi, Bologna, tipografìa Zamorani e Alber-
tazzi, MDCCC XCVIII ; in-fol.
Digìtized by
Google
II.
Il principio del Romanzo nella seconda
MINUTA.
Gli Sposi promessi.
Cap. I.
Quel ramo del lago di Como che volge a mez-
zogiorno, chiuso e come guidato da due catene non
interrotte di monti, stendendosi in seni e golfi d'i-
neguale grandezza, a seconda dello sporgere e del
rientrare di quelli, viene quasi tutto ad un tratto a
ristringersi e a prender corso ed aspetto di fiume
tra una montagna ed un'ampia riviera, formata len-
tamente dal deposito di tre grossi e vicini torrenti.
Il lungo ponte, che in quel luogo congiunge le due
rive, rende ancor più sensibile all'occhio questa tra-
sformazione, e par che divida il lago dall' Adda. A
diritta, la testa del ponte posa su le radici del monte
Sanmichele; l'altra è piantata nel lembo della ri-
viera, che scende con lento pendìo, appoggiata alle
falde della montagna nominata il Resegone dai molti
suoi comignoli acuti e separati a guisa d'una sega.
Il lembo estremo, interciso dalle foci dei torrenti, è
di nuda e grossa ghiaja, e ad intervalli uliginoso.
Ma dove il terreno comincia a sollevarsi sopra le
Digitized by LiOOQ IC
— 605 —
escrescenze del lago e il traripamento dei torrenti,
tutto è prati, campi e vigneti, sparsi di ville e di
paesetti ; al di sopra, dove l'erta si fa più ripida, e
il monte comincia a separarsi in promontorii e in
valli, sono selve di castagni, di carpini, di faggi, e
al di sopra ancora le ultime creste dei monti, in parte
nudo ed eretto macigno, in parte rivestite di verdis-
simi pascoli o di foreste, e cosparse di casali e di
tugurii. Lecco, la principale di quelle terre, e che
dà nome al territorio, giace su la riva del lago, anzi
viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando egli
ingrossa: un borgo considerevole al giorno d'oggi,
e che s' incammina a diventare città. Ai tempi in cui
accaddero i fatti che siamo per narrare, Lecco era
di più un passabilmente forte castello, e aveva per-
ciò l'onore di alloggiare un comandante, e il van-
taggio di possedere una stabile guarnigione di sol-
dati spagnuoli, che insegnavano la modestia alle fan-
ciulle e alle donne del paese, accarezzavano di tempo
in tempo qualche marito, qualche padre, qualche fra-
tello, e sul finire dell'estate non mancavano mai di
spandersi nelle vigne per attaccare qualche grappolo
ai tralci, ed aumentare così la vendemmia.
Dall'una all'altra di quelle terre, dalle alture al
lago, da una altura all'altra, giù per le picciole valli
interposte, correvano, e corrono tuttavia molte stra-
dicciuole, ora erte, ora dolcemente inclinate, or piane,
chiuse per lo più da muri composti di grossi ciot-
toli, e rivestiti qua e là di antiche edere, che dopo
aver divorato colle barbe il cemento, ne fanno le
veci, e tengono legato il muro, che fanno verdeg-
giare. Per qualche tratto quelle stradicciuole sono
affondate e come sepolte fra i muri, di modo che il
passeggiero, levando il guardo, non vede altro che il
cielo e qualche vetta di monte; ad altri intervalli il
Digitized by LjOOQ IC
— 606 —
muro, che dalla parte più bassa sostiene la strada a
guisa di bastione, non s' innalza sul suolo di quella più
che un parapetto, e quivi la vista del viandante può
spaziare per varii ed amenissimi prospetti. Verso set-
tentrione domina l'azzurro piano del lago, tagliato da
istmi e da promontorii, e su le rive paesetti che Tonda
riflette capovolti ; a mezzogiorno l'Adda che appena
uscita dagli archi del ponte si allarga di nuovo in
picciolo lago, poi si ristringe, e serpeggia, e si pro-
lunga fino all'orizzonte in larga e lucida spira: sul
capo del riguardante si mostrano i massi elevati, ine-
guali delle montagne, sotto di lui il pendìo coltivato,
i paesetti, il ponte, in faccia la riva opposta del lago,
e risalendo per essa il monte che lo chiude.
Per una di queste stradicciuole tornava lentamente
dal passeggio verso casa, al cadere del giorno 7 di
novembre dell'anno 1628, il curato (questa è la prima
reticenza del nostro autore) d'una delle terre accen-
nate di sopra.
Digìtized by
Google
III.
Il principio del Romanzo nella copia per
la Censura (x).
Gli Sposi promessi.
Cap. I.
Quel ramo del lago di Como, che volge a mez-
zogiorno, chiuso e come guidato da due catene non
interrotte di monti, stendendosi in seni e golfi d'i-
neguale grandezza, a seconda dello sporgere e del
rientrare di quelli, viene quasi tutto ad un tratto a
ristringersi tra una montagna, ed un'ampia riviera
formata lentamente dal deposito di tre grossi, e vi-
cini torrenti ; e prende quivi corso ed aspetto di fiume.
Il lungo ponte, che in quel luogo congiunge le due
rive, rende ancor più sensibile all'occhio questa tra-
sformazione e par che divida il lago dall'Adda. A
diritta, la testa del ponte posa su le radici del monte
(l) Racconta lo Stampa [Alessandro Manzoni y la sua
famiglia , * suoi amici; II, 175]: «Il Manzoni non diede
« ad altri da ricopiare il suo romanzo, e udii raccontare
« da lui stesso che finito il romanzo ed avendo sul tavolo
« il mucchio di carte che lo componeva, invitato dal
« Grossi a darlo allo stampatore, gli rispose: — Oh giusto!
Digitized by VjOOQ IC
— 608 —
Sanmichele ; l'altra è piantata nel lembo della riviera
che scende con lento pendio, appoggiata alle falde
della montagna nominata il Resegone dai molti suoi
comignoli acuti e separati, a guisa dei denti ^una
sega. Il lembo estremo, interciso dalle foci dei tor-
renti, è di nuda e grossa ghiaja e ad intervalli uli-
ginoso. Ma dove il terreno comincia a sollevarsi al
di sopra delle escrescenze del lago e del traripamento
dei torrenti, tutto è prati, campi e vigneti, sparsi di
ville e di paesetti. Più su, dove l'erta si fa più ri-
pida, ed il monte comincia a separarsi in promon-
torii ed in valli, sono selve di castagni, di carpini,
di faggi. Più su ancora le ultime creste dei monti,
« ora bisogna copiarlo per porlo in netto, perchè lo stam-
pe patore possa raccapezzarsi. — Ebbene, fallo copiare,
« disse il Grossi. — Oh giusto! bisogna che lo copi io
« stesso, per fare in pari tempo quelle correzioni che sa-
« ranno del caso. — Come ! esclamò il Grossi, vuoi fare
« la fatica bestiale di copiare tutto quel mucchio di carta ?
« Ma sei pazzo! — Che vuoi che ti dica? Non posso fare a
« meno. Bisogna che faccia alla mia maniera. — Ed ebbe
« la pazienza di copiare lui stesso tutto il manoscritto dei
« Promessi Sposiy e mi pareva che nel raccontare tal cosa
« ne provasse una certa soddisfazione ». Lo Stampa nel-
Taffermar questo è stato tradito dalla memoria. Il Man-
zoni, condotta a fine la prima minuta, non poteva darla
a copiare ad altri, perchè non si trattava di una trascri-
zione, bensì di un rifacimento, che bisognava scrivesse da
per sé; come infatti fece. Della copia per la Censura,
che è d'altra mano, ed è la trascrizione della seconda mi-
nuta, resta soltanto il primo volume ; gli altri due sono
andati perduti. Dunque il consiglio del Grossi, se pur lo
dette, fu accolto e seguito. Questa copia ha molte corre-
zioni autografe del Manzoni, che a volte rifa di suo pugno
anche de* lunghi brani, o in margine, o incollando sul
manoscritto qualche brandello di carta. Nel presente sag-
gio, che ne do, stampo in carattere corsivo le correzioni
di mano di lui. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 609 —
in parte nudo ed eretto macigno, in parte rivestite
di verdissimi pascoli o di foreste, e cosparse di ca-
sali e di tugurii. Lecco, la principale di quelle terre,
e che dà nome al territorio, giace su la riva del
lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso,
quando egli ingrossa: un borgo considerevole al
giorno d'oggi, e che s'incammina a diventare città.
Ài tempi in cu? accaddero i fatti che siamo per nar-
rare, Lecco era di più un passabilmente forte ca-
stello, ed aveva perciò l'onore di alloggiare un co-
mandante, ed il vantaggio di possedere una stabile
guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavano la
modestia alle fanciulle ed alle donne del paese, acca-
rezzavano di tempo in tempo qualche marito, qual-
che padre, qualche fratello; e sul finire dell'estate
non mancavano mai di spandersi nelle vigne per at-
taccare qualche grappolo ai tralci, ed aumentare così
la vendemmia. Dall'una all'altra di quelle terre,
dalle alture al lago, da una altura all'altra, giù per
le picciole valli interposte, correvano e corrono tut-
tavia molte stradicciuole, ora erte, ora dolcemente
inclinate, or piane, chiuse per lo più da muri com-
posti di grossi ciottoli, e rivestiti qua e là di antiche
edere che divorando colle barbe il cemento, si pongono
in suo luogo, e tengono collegato il muro, che tutto
d'esse verdeggia. Per qualche tratto so?w quelle stra-
dicciuole affondate e come sepolte fra i muri, di modo
che il passeggiero, levando il guardo non iscopre altro
che il cielo e qualche vetta di monte. Altrove son ter-
rapieni, o giranti sull'orlo d'una spianata, o sporgenti
in fuora dal pendio come un lungo scaglione, soste-
nuti da muraglie che piombano erte al di fuori a
guisa di bastione, ma sul sentiero non sorgono che
ad altezza di parapetto; e quivi la vista del vian-
dante può spaziare pervarii, ed amenissimi prospetti.
Alessandro Manzoni. 39
Digìtized by
Google
— 6io —
Verso settentrione, domina l'azzurro piano del lago,
tagliato da istmi, e da promontorii, e su le rive pae-
setti che Tonda riflette capovolti; a mezzogiorno
l'Adda che appena uscita dagli archi del ponte si
allarga di nuovo in piccolo lago, poi si ristringe e
serpeggia e si prolunga fino all'orizzonte in larga e
lucida spira : sul capo del riguardante si mostrano i
massi elevati, ineguali delle montagne: al di sotto il
pendio coltivato, i paesetti, il ponte: in faccia la riva
opposta del lago, e risalendo per essa, il monte che
lo chiude.
Per una di queste stradicciuole tornava lentamente
dal passeggio verso casa, al cadere del giorno 7 di
novembre dell'anno 1628, don Abbondio*** curato
d'una delle terre accennate di sopra. (Il nostro autore
non la nomina; ed è questa la sua prima reticenza}.
Digìtized by
Google
IV.
La fine del Romanzo nella prima minuta.
Il tempo, che scorse tra le pubblicazioni e le nozze
fu impiegato dagli sposi ai preparativi pel trasloca-
mento a Bergamo e pel trasporto colà del loro mo-
dico avere, e Agnese, la quale, come il lettore se
n'è avveduto, pareva sempre voler dominare nei di-
scorsi, ma in fatto, povera donna, viveva per gli altri
e faceva a modo dei suoi figlj, anche in questo caso
si arrabattò per la causa comune : la vedova anch'essa
non lasciava di dare una mano.
Forse taluno di quegli che credono di veder me-
glio negli affari altrui, a prima giunta, che non vegga
colui di cui sono gli affari, dopo avervi molto pen-
sato, domanderà per qual motivo quella famiglia vo-
lesse abbandonare il luogo natale, la sua casuccia,
il suo picciol fondo, ora che era tolto di mezzo colui
che gV impediva di posarvisi tranquillamente. Per tre
ragioni principalmente.
La prima: quantunque Fermo allora non rice-
vesse alcuna inquietudine per quella sua impresa di
Milano, e la cattura fosse un titolo inoperoso, pure
un sospetto, una reminiscenza, un mal uficio, poteva
far risorgere l'antica querela e rimetterlo in Dio sa
quale impiccio.
Digìtized by
Google
— 6l2 —
La seconda è una di quelle ragioni che nel par-
lare astratto non si contano quasi per nulla, ma che
nel caso concreto sono più potenti a determinare che
molte altre. Ciò che Fermo aveva sofferto e temuto
nel suo paese gliel'aveva reso spiacevole: il suo paese
gli ricordava le angherie d'un soverchiatore, i pe-
ricoli della prigione e di peggio, poi il furore del
popolo, che lo cercava a morte. Memorie di questo
genere disgustano l'uomo da^ luoghi che le richia-
mano, e se quei luoghi sono la patria, ne lo disgu-
stano tanto più, appunto perchè gli guardava prima
con fiducia e con affezione. Anche il bambolo riposa
volentieri sul seno della nutrice, rifugge a quello da
tutti i terrori, cerca con avidità la poppa, che lo ha
nutricato fin allora, e s'accheta quando l'ha presa:
ma se la nutrice, per divezzarlo, intinge la poppa
d'assenzio, il bambino torce con dolore e con pianto
il labbro da quella nuova amaritudine, e desidera un
cibo diverso.
Finalmente, i nostri sposi erano entrambi lavo-
ratori di seta : triste circostanze gli avevano costretti
a dismettere per molto tempo la loro professione;
ma né l'uno, né l'altro aveva amore all'ozio; e il
loro disegno era di ripigliare tosto il lavoro, per vivere
tranquillamente e onestamente, e per nutrire ed al-
levare i figliuoli, che speravano, come tutti gli sposi
fanno. Ora, l'industria della seta, come tutte le altre,
era già decaduta spaventosamente nel Milanese, prima
di quelle recenti sciagure; e queste le avevan poi
dato l'ultimo crollo. Non è questo il luogo di de-
scrivere quello stato di cose e di toccarne le cagioni.
Già molte, nemiche d'ogni industria e d'ogni pro-
sperità, appajono anche troppo in questa lunga storia;
chi volesse conoscere le più immediate legga, se non
le ha lette, le belle memorie storiche del conte P.
Digitized by
Google
- 6i3 -
Verri sulla economia pubblica dello Stato di Milano ;
e se vuol conoscere più a fondo, frughi nei docu-
menti originali da cui quel valentuomo ha cavate le
sue memorie. Basti a noi il dire che l'uomo, il quale
aveva abilità e voglia di lavorare, stentava nel Mila-
nese, e che nel Bergamasco, come in altri Stati vi-
cini, si offerivano esenzioni, privilegii ed altri inco-
raggiamenti ai lavoratori che volessero trasportar-
visi. Questa differenza fece uscire una folla di operaj
e rivivere in quegli Stati molte manifatture che pe-
rirono nel Milanese, dove avevano fiorito. Differente,
per conseguenza, era anche l'aspetto dei due paesi.
In Bergamo (non vogliam dire che fosse il paradiso
terrestre) dopo la pestilenza, si vedevano tuttavia i
tristi segni e i tristi effetti di quella : la spopolazione,
le terre incolte, l'ardire cresciuto nei ribaldi, le abi-
tudini dell'ozio e del vagabondare : ma in quella pe-
tulanza stessa v'era una cert'aria di allegria, nata, se
non dalla abbondanza, almeno dalla sufficienza dei
mezzi e dei capitali : quegli poi che avevano voglia
di far bene trovavano in quei capitali una facilità
grande e pronta. Ma nel Milanese una cagione viva
e incessante di miseria sopravviveva alle miserie della
peste: un sistema che onorava l'orgoglio ozioso, che
favoriva la soverchieria perturbatrice, che alimentava
tutti gli studj del raggiro e delle ciarle, un sistema
oppressivo e impotente, insensato e immutabile, un
sistema di rapine e di ostacoli, impediva l'industria,
la pace e l'allegria.
Scelta dunque un'altra patria, i nostri eroi erano
però impacciati del come convertire in danaro i pochi
beni che dovevano lasciare nel paese dove erano nati :
ma la fortuna — non osiamo dire la provvidenza —
la fortuna, che voleva favorirli in tutto, come uno
scrittore che voglia terminar lietamente una storia
Digìtized by
Google
— 6i4 —
inventata per ozio, trovò un ripiego anche a questo.
I beni di Don Rodrigo erano passati per fedecom-
messo ad un parente lontano, il quale era un uomo
di ben diverso conio, un galantuomo, un amico del
cardinal Federigo. Prima di andare a prender pos-
sesso di quella eredità, trovandosi egli col cardinale,
gliene parlò. — Avrete forse una occasione di far
del bene e di riparare il male che ha fatto Don Ro-
drigo, gli disse il Cardinale, e gli raccontò in suc-
cinto la persecuzione fatta da quello sgraziato ai
nostri sposi e il danno di ogni genere che ne ave-
van patito. Se son vivi tuttora, soggiunse, non vi
prego di far loro del bene, che con voi non fa bi-
sogno ; ma di darmi notizia di loro, e di dire a quella
buona giovane ch'io mi ricordo sempre di lei e mi
raccomando alle sue orazioni. Il galantuomo, appena
giunto al castellotto, si fece indicare il villaggio degli
sposi e si presentò al curato. Don Abbondio, al ve-
dere il nuovo padrone di quella altre volte caverna
di ladroni, umano, cortese, affabile, rispettoso verso
i preti, voglioso di far del bene, non si può dire
quanto ne fosse edificato. E quando quel signore lo
richiese di Fermo e di Lucia e gli manifestò le sue
intenzioni benevole, Don Abbondio non solo si prestò
volentieri a secondarle, ma lo fece con una ispira-
zione molto, felice.
— Signor mio, diss'egli, questa buona gente è
risoluta di lasciar questo ' paese ; e il miglior servizio
ch'ella possa render loro è di comperare quei pochiN
fondi che tengono qui. A lei potrà convenire di ag-
giungerli ai suoi possessi, e quella gente si troverà
fuori d'un grande impiccio.
Il signore gradì la proposta, anzi con molto garbo
richiese Don Abbondio se non gli sarebbe dispiaciuto
di condurlo a vedere quei fondi e insieme a cono-
scere quella brava gente.
Digitized by LjOOQ IC
— 6i5 -
— È un onore immortale, disse Don Abbondio,
facendo una gran riverenza; e andò in trionfo alla
casa di Lucia con quel signore, il quale fece la pro-
posta, che fu molto gradita. Il prezzo fu rimesso a
Don Abbondio, a cui il signore disse all'orecchio
che lo stabilisse molto alto. Don Abbondio cosi fece :
ma il signore volle aggiungere qualche cosa : e per
interrompere i ringraziamenti dei venditori, gli in-
vitò a pranzo nel suo castello pel giorno dopo quello
delle nozze.
Quel giorno benedetto venne finalmente ; gli sposi
promessi furono marito e moglie ; il banchetto fu molto
lieto. Il giorno seguente ognuno può immaginarsi
quali fossero i sentimenti degli sposi e quelli di Don
Abbondio, entrando non solo con sicurezza, ma con
accoglimento ospitale ed onorevole nel castello che,
era stato di Don Rodrigo : a render compiuta la festa
mancava il Padre Cristoforo, ma egli era andato a
star meglio. Non possiamo però ommettere una cir-
costanza singolare di quel convito: il padrone non
vi sedè, allegando che il pranzare a quell'ora non
si confaceva al suo stomaco. Ma la vera cagione fu
(oh miseria umana !) che quel brav'uomo non aveva
saputo risolversi a sedere a mensa con due artigiani :
egli, che si sarebbe recato ad onore di prestar loro
i più bassi servigj, in una malattia. Tanto anche a
chi è esercitato a vincere le più forti passioni è dif-
ficile il vincere una picciola abitudine di pregiudizio,
quando un dovere inflessibile e chiaro non comandi
la vittoria.
Il terzo giorno, la buona vedova, con molte la-
grime e con quelle promesse di rivedersi che si fanno
anche quando si ignora se e quando si potranno
adempire, si staccò dalla sua Lucia e tornò a Mi-
lano: e gli sposi con la buona Agnese, che tutti e
Digìtized by LjOOQ IC
— 6i6 —
due ora chiamavano mamma, preso commiato da Don
Abbondio, diedero un addio, che non fu senza un po'
di crepacuore, ai loro monti, e s'avviarono a Bergamo.
Avrebbero certamente divertito dalla loro strada per
fare una visita al Conte del Sagrato, ma il terribile
uomo era morto di peste, contratta nell' assistere ai
primi appestati.
La picciola colonia prosperò nel suo nuovo stabi-
limento col lavoro e con la buona condotta. Dopo
nove mesi Agnese ebbe un bamboccio da portare at-
torno, e a cui dare dei baci, chiamandolo cattivaccio.
Ella visse abbastanza per poter dire che la sua Lucia
era stata una bella giovane e per sentir chiamar bella
giovane una Agnese, che Lucia le diede qualche anno
dopo il primo figliuolo (*). Fermo pigliava sovente pia-
cere a contare le sue avventure, e aggiungeva sempre :
d'allora in poi ho imparato a non mischiarmi a quei
che gridano in piazza, a non fare la tal cosa, a guar-
darmi dalla tal altra. Lucia però non si trovava ap-
(*) Il Manzoni nel testo definitivo si diffuse maggior-
mente a raccontare la vita de* suoi protagonisti anche
dopo maritati. Parlandone a uno de* propri congiunti, che
lo lodava appunto per questo, gli disse : « Che vuoi ? sarò
« probabilmente criticato di avere diminuito l'effetto della
« fine del romanzo continuando a descrivere la vita dei
«due sposi. Ma anche a me piace di più il lieto fine; e
« non ho potuto trattenermi dalla tentazione di stare un
« po' ancora in compagnia de* miei burattini ». Lo racconta
lo Stampa [Alessandro Manzoni, la sua famiglia, i suoi
amici, appunti e memorie; II, 177]; e aggiunge [p. 183]:
il Manzoni * non si sarebbe accinto a scrivere un altro
« romanzo sul tipo de' Promessi Sposi, ma ebbe una volta
« la tentazione di scrivere un altro romanzo di genere fan-
« tastico, di cui pur troppo non mi ricordo il titolo che
« doveva portare e la sua traccia generale ; ma la seppi ».
(Ed.)
Digìtized by
Google
— 6i7 —
pagata di questa morale : le pareva confusamente che
qualche cosa le mancasse. A forza di sentir ripetere
la stessa canzone e di pensarvi ad ogni volta, ella
disse un giorno a Fermo : Ed io, che debbo io avere
imparato? io non sono andata a cercare i guaj, e i
guaj sono venuti a cercarmi. Quando tu non volessi
dire, aggiunse ella, soavemente sorridendo, che il
mio sproposito sia stato quello di volerti bene e di
promettermi a te. Fermo quella volta rimase impac-
ciato, e Lucia, pensandovi ancor meglio, conchiuse
che le scappate attirano bensì ordinariamente de* guaj;
ma che la condotta la più cauta, la più innocente
non assicura da quelli: e che quando essi vengono,
o per colpa, o senza colpa, la fiducia in Dio gli rad-
dolcisce e gli rende utili per una vita migliore. Questa
conclusione, benché trovata da una donnicciuola, ci
è sembrata così opportuna, che abbiamo pensato di
proporla come il costrutto morale di tutti gli avve-
nimenti che abbiamo narrati, e di terminare con essa
la nostra storia.
17 settembre 1823.
Digìtized by
Google
V.
La Serva di Don Abbondio.
Colla compagnia di questi pensieri [Don Ab-
bondio] giunse a casa, chiuse diligentemente la porta
e andò a gettarsi su un seggiolone nel suo salotto,
dove la sua serva Vittoria Q) stava parecchiando la
tavola per la solita cena. Poche cose a questo mondo
sono più difficili a nascondersi di quello che sieno
i pensieri sul volto d'un curato agli occhi della serva.
Ma lo spavento e l'agitazione di Don Abbondio erano
così vivamente dipinti negli occhi, negli atti e in
tutta la persona, che per distinguerli non vi sareb-
bero bisognati gli occhi della vecchia Vittoria.
— Ma che cosa ha, signor padrone?
— .Niente, niente.
Questa risposta di formalità, Vittoria se la doveva
(*) Nella stessa prima minuta la ribattezzò poi Perpetua;
nome, come tanti altri de* Promessi Sposi, divenuto fa-
moso. In uno studio molto geniale del Graziadei [La
Serva di Don Abbondio, Palermo, Reber, 1903] si legge :
« In quella casa, piccola, che in tre passi si traversa una
«stanza e s'è nell'altra, non v'ha di grande che il buon
« senso di Perpetua, e solo la lingua di lei si move in
«fretta». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 619 —
aspettare, e non la contò "per una risposta, e pro-
seguì :
— Come, niente? Signor padrone, ella ha avuto
uno spavento: vuol darmi ad intendere?...
— Quando dico niente, ripigliò Don Abbondio
con impazienza, o è niente, o è cosa che non posso
dire.
Vittoria, vedendolo più presso alla confessione
che non avrebbe sperato in due botte e risposte, andò
sempre più incalzando. — Che non può dire nem-
meno a me ? Oh bella, chi si piglierà cura della sua
salute? Chi rimedierà. . . .
— Tacete, tacete, e non parecchiate altro, che
questa sera non cenerò.
Quando Vittoria intese questo, fu certa che v'era
una cosa da sapersi e che la cosa era grave, e giurò
a sé stessa di non lasciare andare a dormire il cu-
rato senza averla saputa. .
— Ma, signor padrone, per l'amor di Dio mi
dica che cosa ha: vuol ella ch'io sappia da altra
parte che cosa le è accaduto?
— Si, si, da brava, andate a fare schiamazzo,
a metter la gente in sospetto.
— Ma io non dirò niente, se ella mi toglie da
questa inquietudine.
— Non direte niente, come quando siete corsa a
ripetere alla serva del curato nostro vicino tutti i miei
lamenti contro il suo padrone, e m'avete messo nel
caso di domandargli scusa, come quando....
Vittoria sarebbe qui montata sulle furie se non
avesse avuto un secreto da scavare, e se non avesse
pensato che nulla allontana da questo intento come
il piatire sopra cose estranee. Interruppe dunque Don
Abbondio, ma in aria sommessa:
— Oh, per amor del cielo, che va ella mai ri-
Digìtized by VjOOQ IC
— 620 —
mescolando : sono stata ben castigata ; non aveva cre-
duto far male, e dopo d'allora guarda che mi sia
uscita una parola. Signor padrone, se io parlo....
— Via, via, non giurate.
— Ma vorrei poterla soccorrere, chi sa che io
non abbia un povero parere da darle. Io l'ho sempre
servita di cuore e con attenzione, ma ella sa, e qui
fece una voce da piangere, ella sa che i misterj non
li posso soffrire. Una serva fedele ha da sapere....
In fondo il curato aveva voglia di scaricare il
peso del suo cuore, onde fattigli ripetere seriamente
i più grandi giuramenti, le narrò il miserabile caso:
mentre la buona Vittoria, tra la gioja del trionfo e
l'inquietudine del fatto, che non poteva esser lieto,
spalancò gli orecchi e ristette colla posata alzata nel
pugno, che tenne puntato sulla tavola.
— Misericordia! Sclamò Vittoria: oh gente senza
timor di Dio, oh prepotenti, oh superbi, oh calpe-
statori dei poverelli, oh tizzoni d' inferno !
— Zitto, zitto, a che serve tutto questo?
— Ma come farà, signor padrone?
— Oh! vedete, disse il curato in collera, i bei
pareri che mi dà costei? Viene a domandarmi come
farò, come farò, come se fosse ella nell'impiccio e
che toccasse a me cavamela.
— Sa il cielo se me ne spiace, signor padrone;
ma bisogna pensarci.
— Sicuro, e nell'imbroglio son io.
— Pur troppo, disse Vittoria, ma non si lasci spa-
ventare : eh ! se costoro potessero aver fatti come
parole, il mondo sarebbe loro: Dio lascia fare, ma
non strafare: e qualche volta cane che abbaja non
morde.
— Lo conoscete voi questo cane ? e sapete quante
volte ha morso?...
Digìtized by
Google
— 621 —
— Lo conosco e so bene che....
— Zitto, zitto, questo non serve.
— Signor padrone, ella ci penserà questa notte,
ma intanto non cominci a rovinarsi la salute per
questo: mangi un boccone.
— Ma, se non ho voglia.
— Ma se le farà bene ; e, detto questo, si avvi-
cinò al seggiolone dov'era il curato e lo mòsse al-
quanto, come per dargli la leva: il curato si alzò, ella
spinse il seggiolone vicino alla tavola: il curato vi
si ripose, e mangiato un boccone di mala voglia, fa-
cendo di tempo in tempo qualche esclamazione, come:
Una bagattella! ad un galantuomo par mio, ed altre
simili, se ne andò a letto colla intenzione di consul-
tare tranquillamente e ordinatamente sui casi suoi (*).
La consulta fu tempestosa e durò tutta la notte.
L'egoismo, la debolezza e la paura vi si trovavano
come in casa loro, l'astuzia doveva quindi essere inci-
tata e ricevere l'incarico di proporre il partito, e così
fu. Senza annojare il lettore colla relazione di tutte le
fluttuazioni, dei ripieghi accettati e rigettati, basterà
il dire che il partito di fare quello che si doveva,
senza darsi per inteso della minaccia, non fu nemmeno
discusso, che si pensò a quello di assentarsi, tanto
da aspettare qualche benefìzio dal tempo, ma questo
anche fu rigettato, perchè non v'era spazio per ese-
guirlo. La celebrazione del matrimonio era stabilita
pel giorno vegnente, e una partenza di buon mattino,
senza lasciare nessuna disposizione, avrebbe avuto
tutto il colore d'una fuga, ed espóneva a molti im-
picci e rendiconti. Fu però riservato questo ripiego
(*) Qui termina il capitolo I del tomo I della prima
minuta, e incomincia il capitolo II. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 622 —
per l'ultimo, cercando intanto di guadagnar tempo
e di agire sulla parte più debole. Don Abbondio si
preparò a questo esperimento, passò in rassegna tutti
i mezzi di superiorità e d'influenza che l'autorità, la
scienza (in paragone di Fermo) e la pratica gli da-
vano sopra quel povero giovane, e pensò al modo di
farli giuocare. Questi bei trovati di Don Abbondio
appariranno più chiaramente nel discorso ch'egli ebbe
con Fermo. Fermo non si fece aspettare.
L'accoglimento freddo e imbarazzato, l'impazienza
e quasi la collera, il tuono continuo di rimbrotto,
senza un perchè, quel farsi nuovo del matrimonio,
che pure era concertato per quel giorno, e non ri-
cusando mai di farlo quando che sia, parlare però
come se fosse cosa da più non pensarvi, le insinua-
zioni fatte a Fermo di metterne il pensiero da un
canto ; il complesso insomma delle parole di Don Ab-
bondio presentava un senso così incoerente e poco
ragionevole, che a Fermo, ripensandovi così nell'u-
scire, non rimase più dubbio che non vi fosse di più,
anzi tutt'altro di quello che Don Abbondio aveva
detto. Stette Fermo in forse di ritornare al curato
per incalzarlo a parlare, ma, sentendosi caldo, temette
di non passare i limiti del rispetto, pensò alla fin
fine che una settimana non ha più di sette giorni,
e si avviò per portare alla sposa questa triste nuova.
Sull'uscio del curato abbattè in Vittoria, che andava
per una sua faccenda, e tosto pensò che forse da essa
avrebbe potuto cavar qualche cosa, e, salutatala, entrò
in discorso con lei.
— Sperava che saremmo oggi stati allegri in- ,
sieme, Vittoria.
— Ma ! quel che Dio vuole,* povero Fermino. .
— Ditemi un poco, quale è la vera ragione del
Digìtized by VjOOQ IC
— 623 —
signor curato per non celebrare il matrimonio oggi,
come s'era convenuto.
— Oh! vi pare ch'io sappia i secreti del signor
curato? — È inutile avvertire che Vittoria pronunziò
queste parole come si usa quando non si vuole esser
creduto.
— Via, ditemi quel che sapete; ajutate un po-
vero figliuolo.
— Mala cosa nascer povero, il mio Fermino.
Per timore di annojare il lettore non trascriverò
tutto il dialogo ; dirò soltanto che Vittoria, fedele ai
suoi giuramenti, non disse nulla positivamente, ma
trovò yn modo per combinare il rigore dei suoi do-
veri colla voglia di parlare. Invece di raccontare a
Fermo ciò ch'ella sapeva, gli fece tante interroga-
zioni, e che toccavano talmente il fatto, noto a Vit-
toria, che avrebbero messo sulla via anche un uomo
meno svegliato di Fermo, e meno interessato a sco-
prire la verità. Gli chiese se non s'era accorto, che
qualche signore, qualche prepotente avesse get-
tati gli occhi sopra Lucia, etc; parlò dei rischj che
un curato corre a fare il suo dovere ; del timore che
uno scellerato impunito può incutere ad un galan-
tuomo; fece insomma intender tanto, che a Fermo
non mancava più che di sapere un nome. Finalmente,
per timore, come si dice, di cantare, si separò da
Fermo, raccomandandogli caldamente di non ridir
nulla di ciò che le aveva detto.
— Che volete ch'io taccia, disse Fermo, se non
mi avete voluto dir nulla.
— Eh! non è vero che non vi ho detto nulla?
Me ne potrete esser testimonio, ma vi raccomando
il segreto. — Così dicendo, si mise a correre per un
viottolo che conduceva al luogo ov'ella era avviata.
Fermo, che aveva acquistata tutta la certezza che una
Digìtized by
Google
— 624 —
trama iniqua era ordita contro di lui, e che il curato
la sapeva, non potè più tenersi, e tornò in fretta alla
casa di quello, risoluto di non uscire prima di sa-
pere i fatti suoi, che gli altri sapevano così bene.
Entrò dal curato.
— Mi promettete ora, disse il curato, di non dir
niente ?
Fermo, senza rispondere, gli chiese di nuovo per-
dono, e
da lui, che molto anco volea
Chiedere e udir, guai lume al soffio sparve.
Don Abbondio, dopo d'averlo invano richiamato,
tornò in casa, cercò Vittoria; Vittoria non v'era; egli
non sapeva più quello che si facesse.
Spesse volte è accaduto a personaggi assai più
importanti di Don Abbondio di trovarsi in situa-
zioni imbrogliate a segno di non sapere quale deter-
minazione prendere, e non avendo nulla di opportuno
da fare, e non potendo stare senza far nulla senza una
buona ragione, trovarono che una febbre è una ragione
ottima, e si posero al letto colla febbre. Questo disim-
pegno Don Abbondio non ebbe bisogno d'andarlo a
cercare, perchè se lo trovò naturalmente. Lo spa-
vento del giorno .passato, l'agitazione della notte e
lo spavento replicato di quella mattina lo servirono
a maraviglia. Si ripose sul seggiolone tremando dal
brivido e guardandosi le unghie e sospirando ; giunse
finalmente Vittoria. Risparmio al lettore i rimpro-
veri e le scuse. Basti dire che Don Abbondio ordinò
a Vittoria di chiamare due contadini suoi affidati e
di tenerli come a guardia della casa, e di far sapere
che il curato aveva la febbre. Dati questi ordini, si .
Digìtized by
Google
625
pose a letto, dove noi lo lasceremo senza più occu-
parci di lui un tratto di tempo, nel quale egli cessa
d'avere un rapporto diretto colla nostra storia. Sol-
tanto per prestarmi alla debolezza di quei lettori che
non capiscono che l'uomo timido, il quale lascia di
fare il suo dovere per ispavento, merita meno pietà
dello scellerato consumato, il quale, cercando il male
e facendolo spontaneamente, mostra almeno di avere
una gran forza d'animo e di sentire le alte passioni,
e che potrebbero essere solleciti per quel meschino,
credo di doverli informare che Don Abbondio non
morì di quella febbre.
Alkssandro Manzoni.
Digìtized by
Google
VI.
La confessione di Lucia e il consiglio di
Agnese.
Parla ! parla ! Parlate ! parlate ! gridavano in una
volta la madre e Fermo. Lucia (l), atterrita, coster-
(*) Luigi Settembrini [Lezioni di letteratura italiana,
settima edizione; III, 315] si domanda: «Come sono gli
« occhi di Lucia ?» E risponde : « Non si sa ; essi li teneva
« quasi sempre chinati a terra per pudore. Un altro poeta,
« e specialmente un francese, quali occhi avrebbe dati a
« quella fanciulla ! » Nella prima minuta la descrizione degli
occhi di Lucia c'era, ma nella stessa prima minuta la can-
cellò. Ecco il passo. Scrivo in corsivo e metto tra due
parentesi la parte a cui dette di frego. «Oltre questo,
«che era l'ornamento particolare di quel giorno, Lucia
« aveva quello quotidiano di una modesta bellezza [. Questo
«era l'ornamento particolare di quel giorno , tna Lucia ne
« aveva un quotidiano, che consisteva in due occhi fieri, vivi
« e modesti, e in un volto di una regolare e non comune
«bellezza']', la quale era allora accresciuta e per dir così
«abbellita dalle varie affezioni dell'animo suo in quel
« giorno. Poiché appariva nei suoi tratti una gioja non
«senza un leggier turbamento, un misto d'impazienza e
« di timore, e quella specie di accoramento tranquillo che
«ad ora ad ora si mostra sul volto delle spose, e che
« temperato dalle emozioni gioconde e liete, non turba la
« bellezza, ma l'accresce e le dà un carattere particolare ».
Digìtized by VjOOQ IC
— 627 —
nata, vergognosa, singhiozzando, arrossando, sclamò:
Santissima Vergine ! Chi avrebbe creduto che le cose
sarebbero giunte a questo segno ! Quel senza timore
di Dio di Don Rodrigo veniva spesso alla filanda
a vederci trarre la seta. Andava da un fornello al-
l'altro, facendo a questa e a quella mille vezzi, Puno
peggio dell'altro: a chi ne diceva una trista, a chi
una peggio e si pigliava tante libertà: chi fuggiva,
chi gridava; e, pur troppo, v'era chi lasciava fare.
Se ci lamentavamo al padrone, egli diceva: badate
Il consigliere Federico de Miiller raccontando nelle
proprie Memorie una visita che fece al Manzoni a Brusu-
glio, nell'agosto del 1829, scrive: «Discorremmo molto
« dei Promessi Sposi. Io gli detti copia d'una lettera in
« cui una amica, di molto ingegno, si manifesta molto
«entusiasta di questa opera. Ne ebbe gran gioia; ma
«contro l'osservazione che vi si trova, esser cioè Lucia
«più un ideale che una vera figura d'italiana, affermò
«subito che la purezza e la castità delle contadine lom-
« barde supera ogni aspettativa, e che egli ritrasse Lucia
« fedelmente dal vero. Madama » \Enrichettd\ « Manzoni
«s'accordava in ciò perfettamente con lui, e m'assicurò
«che tra le contadinelle di que' contorni esiste una tale
«esagerata morigeratezza e ritrosia, da costringerle a ben
« guardarsi, quando vanno la domenica a passeggiare col
« fidanzato, dal prenderlo per la mano e dall 'esser fami-
«gliari con lui, se non vogliono correr pericolo di venir
«diffamate dal popolino».
Racconta lo Stampa {Alessandro Manzoni, la sua fa-
miglia, i suoi amici; II, 167]: «Un giorno il Manzoni,
« al caminetto del suo studio, mi domandò spontanea-
« mente e senza che me l'aspettassi: — Dimmi un po',
«non ti pare che, come contadina, abbia idealizzato un
«po' troppo la Lucia? — Risposi francamente: — No!
« perchè ho avuto occasione di conoscere qualche conta-
« dina che aveva dei sentimenti puri ed un cuore delicato
« come quello della tua Lucia. — Mi parve che gradisse
« molto questa risposta e che rimanesse molto soddisfatto
«di questa mia assicurazione». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 628 —
a fare il fatto vostro, non gli date ansa, sono scherzi,
e borbottava poi : gli è un cavaliere, gli è un uomo
che può fare del male; è un uomo che sa mostrare
il viso. Quel tristo veniva talvolta con alcuni suoi
amici, gente come lui. Un giorno mi trovò mentre
io usciva e mi volle tirar in disparte, e si prese con
me più libertà : io gli sfuggii, ed egli mi disse in col-
lera: ci vedremo: i suoi amici ridevano di lui ed
egli era ancor più arrabbiato. Allora io pensai di non
andar più alla filanda, feci un po' di baruffa colla
Marcellina, per aver un pretesto, e vi ricorderete,
mamma, eh* io vi dissi che non ci andrei. Ma la fi-
landa era sul finire, per grazia di Dio; e per quei
pochi giorni io stetti sempre in mezzo alle altre, di
modo ch'egli non mi potè cogliere. Ma la persecu-
zione non fini : colui mi aspettava quando io andava
al mercato, e "vi ricorderete, mamma, ch'io vi dissi
che aveva paura d'andar sola, e non ci andai più:
mi aspettava quand' io andava a lavare, ad ogni passo :
io non dissi nulla; forse ho fatto male: ma pregai
tanto Fermo che affrettasse le nozze: pensava che
quando sarei sua moglie colui non ardirebbe più tor-
mentarmi; ed ora.... Qui le parole della povera Lucia
furono tronche da un violento scoppio di pianto.
— Birbone ! assassino ! dannato ! sclamava Fermo,
correndo su e giù per la stanza, e mettendo di tratto
in tratto la mano sul manico del suo coltello.
— Ma perchè non parlare a tua madre? disse
Agnese: se io l'avessi saputo prima....
Lucia non rispose, perchè la risposta, che si sen-
tiva in mente, non era da darsi a sua madre: tutto
il vicinato ne sarebbe stato informato. I singulti di
Lucia la dispensavano dall'obbligo di parlare.
— Non ne hai tu fatto parola con nessuno? ri-
dimandò Agnese.
Digìtized by
Google
— 629 —
— Si, mamma, l'ho detto al Padre Galdino (l)
in confessione.
— Hai fatto bene, ma dovevi dirlo anche a tua
madre. E che ti ha detto il Padre Galdino?
(') Lo ribattezzò col nome di Padre Cristoforo nel capi-
tolo IV del tomo I della stessa prima minuta ; nella quale, da
principio, lo fece anche guardiano del convento di Pesca-
renico ; carica, per altro, che gli tolse quasi subito. Il nome
di Galdino lo dette invece al cercatore delle noci, prima
da lui chiamato fra Canziano. Costui fa la sua comparsa
nel capitolo III del tomo I. «S'ode picchiare all'uscio
« e nello stesso momento un sommesso, ma distinto Deo
«gratias. Lucia, immaginandosi chi poteva essere, corse
« ad aprire ; e allora, fatto un inchino, entrò infatti un
« laico cercatore cappuccino colla sua bisaccia pendente
«alla spalla sinistra, e l'imboccatura di essa attorcigliata
« e stretta nelle due mani sul petto. — : Fra* Canziano,
« dissero le due donne. — Il Signore sia con voi, disse
« il frate : vengo per la cerca delle noci ; e come il rac-
« colto è stato buono, voi ne darete a Dio la sua parte,
« affinchè ve ne dia un altro eguale o migliore l'anno
« venturo ; se però i nostri peccati non attireranno qual-
«che castigo. — Lucia, vanne a pigliare le noci pei pa-
« dri, disse Agnese ». Mentre la figlia eseguisce la com-
missione, fra Canziano racconta alla madre il miracolo
delle noci, avvenuto in Romagna, dove egli era stato
cercatore ; e avvenuto al tempo del « padre Agapito » (ri-
battezzato nel testo definitivo padre Macario)^ « che era
«un santo». Poi così prosegue il racconto: «Qui ricom-
« parve Lucia col grembiule tanto carico di noci che lo
« poteva reggere a fatica, tenendo i due capi sospesi colle
« braccia tese e allungate. Mentre fra Canziano si tolse
« la bisaccia dalle spalle, la pose in terra e aprì la bocca
« di quella per introdurvi l'abbondante elemosina, la madre
« fece un volto attonito e severo a Lucia, per la sua pro-
« digalità; ma Lucia le diede un'occhiata, che voleva dire:
«mi giustificherò. Fra Canziano proruppe in elogj, in au-
«gurj, in promesse, in ringraziamenti; e, rimessa la bi-
« saccia, si avviò; ma Lucia, fermatolo: — Vorrei una
« carità da voi, disse. Vorrei che diceste al Padre Galdino
Digìtized by
Google
— 630 —
— Mi ha detto che cercassi di evitare colui ; che
non vedendomi, non si curerebbe più di me; che af-
« che ho bisogno di parlargli di somma premura ; e che
«mi faccia la carità di venire da noi poverette subito su-
«bito, perchè io non posso venire alla chiesa.
— « Non volete altro ? non passerà un'ora che lo dirò
«al Padre Galdino.
— « Non mi fallate.
— «State tranquilla; e così detto, partì, un po' più
« curvo e più contento che non quando era arrivato.
« Il Padre Galdino era un uomo di molta autorità fra i
«suoi e in tutto il contorno; eppure fra Canziano non
« fece nessuna osservazione a questa specie di ordine che
« gli si mandava da una donnicciuola di venire da lei ; la
«commissione non gli parve strana niente più che se
« gli si fosse commesso di avvertire il Padre Galdino che
« il Vicario di Provvisione e i Sessanta del Consiglio ge-
« nerale della Città di Milano lo richiedevano per man-
« darlo ambasciatore a Don Filippo Quarto, Re di Ca-
« stiglia, di Leone, etc. Non vi era nulla di troppo basso,
«né di troppo elevato per un cappuccino: servire talvolta
«gl'infimi, ed esser serviti dai potenti; entrare nei pa-
« lazzi e nei tugurii colla stessa aria mista di umiltà e di
« padronanza ; essere nella stessa casa un soggetto di pas-
« satempo, e un personaggio senza il quale non si decideva
« nulla ; cercare la limosina da per tutto, e farla a tutti
« quelli che la chiedevano al convento ; a tutto era av-
« vezzo un cappuccino, e faceva tutto a un dipresso colla
«stessa naturalezza, e non si stupiva di nulla. Uscendo
« dal suo convento per qualche affare, non era impossibile
« che prima di tornarsene si abbattesse, o in un principe
«che gli baciasse umilmente la punta del cordone, o in
« una mano di ragazzacci che, fingendo di essere alle mani
« fra di loro, gli bruttassero la barba di fango. La parola
«frate in quei tempi era proferita colla più gran venera-
« zione e col più profondo disprezzo ; era un elogio e un'in-
« giuria : i cappuccini forse più di tutti gli altri riunivano
« questi due estremi, perchè senza ricchezze, facendo più
« aperta professione di umiliazioni, si esponevano più fa-
«cilmente al vilipendio, e alla venerazione che possono
« venire da questa condotta. La considerazione poi data
Digìtized by
Google
- 63i -
frettassi le nozze; e che se durava la persecuzione,
egli ci penserebbe.
« generalmente al loro Ordine li poneva nel caso sovente
« di giovare e di nuocere ai privati, di essere grandi ajuti
« e grandi ostacoli, e da quindi anche la varietà del sen-
timento che si aveva per essi, e delle opinioni sul
«conto loro. Varii pure e moltiformi erano e dovevano
« essere i motivi che conducevano gli uomini ad arruo-
« larsi in un esercito così fatto. Uomini compresi della
« eccellenza di quello stato, che allora era esaltata uni-
« versalmente ; altri per acquistare una considerazione
«alla quale non sarebbero mai giunti^ vivendo, come allora
«si viveva, nel secolo; altri per fuggire una persecuzione,
« per cavarsi da un impiccio ; altri dopo una grande sven-
« tura, disgustati del mondo ; talvolta principi, o fastiditi
«o atterriti del loro potere; molti perchè di quelli che
« entrano in una carriera per la sola ragione che la ve-
«dono aperta; molti per un sentimento vero di amor di
«Dio e degli uomini, per l'intenzione di essere virtuosi
« ed utili ; e questa loro intenzione (perchè quando si è
« persuasi d'una verità bisogna dirla; l'adulazione ad una
«opinione predominante ha tutti i caratteri indegni di
« quella che si usa verso i potenti), questa loro intenzione
«non era una pia illusione, l'errore d'un buon cuore e
« d'una mente leggiera, come potrebbe parére, e come
« pare talvolta a chi non sa, o non considera le circostanze
«e l'idee di quei tempi: era una intenzione ragionata,
«formata da una osservazione delle cose reali; e in fatti
« con queste intenzioni molti, abbracciando quello stato, fa-
« cevano del bene tutta la loro vita; anzi molti, che sa-
« rebbero stati uomini pericolosi, che avrebbero accresciuti
«i mali della società, diventavano utili con quell'abito
«indosso. Ho fatta tutta questa tiritera, perchè nessuno
«trovi inverisimile che fra Canziano, senza fare alcuna
«obbiezione, senza stupirsi, si sia incaricato di dire nul-
« lameno che al Padre Guardiano che s' incomodasse a
« portarsi da una donnicciuola, che aveva bisogno di par-
« largii ».
Il mutamento del nome seguì, come s'è detto, nel
capitolo IV, che prima intitolò : // Padre Guidino, e poi :
// Padre Cristoforo \ e seguì dopo che n'ebbe scritte
Digitized by
Google
— 632 —
— Oh che imbroglio! che imbroglio! riprese la
madre.
alcune pagine. Son queste : « Era un bel mattino di no-
« vembre; la luce era diffusa sui monti e sul lago: le più
« alte cime erano dorate dal sole non ancora comparso
« sull'orizzonte, ma che stava per ispuntare dietro a quella
« montagna, che dalla sua forma è chiamata il Resegone
«(Segone), quando il Padre Galdino, a cui fra Canziano
« aveva esposta fedelmente l'ambasciata, si avviò dal suo
« convento per salire alla casetta di Lucia. Il cielo era
« sereno e un venticello d'autunno staccando le foglie
« inaridite del gelso le portava qua e là. Dal viottolo guar-
« dando sopra le picciole siepi e sui muricciuoli si vede-
«vano splendere le viti per le foglie colorate di diversi
«rossi, e i campi, già seminati e lavorati di fresco, spicca-
« vano dall'altro terreno come lunghi strati di drappi
« oscuri stesi sul suolo. L'aspetto della terra era lieto, ma
«gli uomini che si vedevano pei campi o sulla via mo-
«stravano nel volto l'abbattimento e la cura. Ad ogni
« tratto s' incontravano sulla via mendichi laceri e maci-
« lenti, invecchiati nel mestiere, ma fra i quali molti si co-
« noscevano per forestieri, che la fame aveva cacciati da
« luoghi più miserabili, dove la carità consueta non aveva
« mezzi per nutrirli ; e che passando a canto ai pitocchi
« indigeni del cantone gli guardavano con diffidenza e ne
« erano guardati in cagnesco come usurpatori. Di tempo
«in tempo si vedevano alcuni, i quali dal volto, dal modo
« e dall'abito mostravano di non aver mai tesa la mano
« e di essere ora indotti a farlo dalla necessità. Passavano
« cheti a canto al Padre Galdino, facendogli umilmente di
« cappello, senza dirgli nulla, perchè la sola parola che
« indirizzavano ai passeggieri era per chiedere l'elemosina,
« e un cappuccino, come ognun sa, non aveva niente. Ma
« il buon Padre Galdino si volgeva a quelli che appari-
« vano più estenuati, più avviliti, e diceva loro in aria
« di compassione : — Andate al convento, fratello ; finché
« ci sarà un tozzo per noi, lo divideremo. — I contadini,
«sparsi pei campi, non rallegravano più la scena di quello
« che facessero i poverelli. Salutavano essi umilmente il
« Padre Galdino, e quelli a cui egli domandava come l'an-
« dasse : — Come vuole, padre? rispondevano: lava ma-
Digitized by LjOOQ IC
— 633 —
Férmo si arrestò tutt'ad un tratto ; guardò Lucia
con un atto di tenerezza accorata e rabbiosa e disse :
questa è l'ultima che fa quel birbone.
— Ah no, Fermo, per amor del cielo, gridò Lucia,
« lissimo. — Alcuni, che in tempi ordinari non avrebbero
« osato fermare e interrogare il Padre Guardiano, fatti più
« animosi per la miseria dei tempi, gli dicevano : — Come
«anderà questa faccenda, Padre Galdino?
« — Sperate in Dio, che non vi abbandonerà. Povera
« gente ! Il raccolto è proprio andato male ?
« — Grano non ne abbiamo per due mesi, le castagne
« sono fallate, e il lavoro cessa da tutte le bande.
« Questa vista e questi discorsi crescevano vie più la
« mestizia del buon cappuccino, il quale camminava già
« col tristo presentimento in cuore di andare ad udire una
« qualche sventura.
« Ma perchè pigliava egli tanto a cuore gli affari di
« Lucia? E perchè al primo avviso si era egli mosso come
« ad una chiamata del Padre Provinciale ? E chi era questo
« Padre Cristoforo ? »
Ecco la prima volta che dà al frate il nuovo nome.
Ne fa questa pittura : « Il Padre Cristoforo da Cremona
« era un uomo di circa sessanta anni » (poi corresse : più
presso ai sessanta che ai cinquantanni) : « e il suo aspetto
« come i suoi modi annunziavano un antico e continuo
« combattimento tra una natura prosperosa, robesta, un'in-
« dole ardente, avventata, impetuosa e una legge imposta
« alla natura e all' indole da una volontà efficace e co-
« stante. Il suo capo, calvo e coperto all'intorno, secondo
« il rito cappuccinesco, di una corona di capelli, che l'età
« aveva renduti bianchi, si alzava di tempo in tempo per
« un movimento di spiriti inquieti e tosto si abbassava
« per riflessioni di umiltà. La barba, lunga e canuta, che
« gli copriva il mento e parte delle guance, faceva ancor
« più risaltare le forme rilevate, alle quali una antica abi-
tudine di astinenza aveva dato più di gravità che tolto
«di espressione, e due occhj vivi, pronti, che di tratto
« in tratto sfolgoravano con vivacità repentina : come due
«cavalli bizzarri condotti a mano da un cocchiere col
« quale sanno per costume che non si può vincerla, pure
Digitized by VjOOQ IC
— 634 —
gettandogli quasi le braccia al collo. No, per amor
del cielo. Dio c'è anche pei poveri. Come volete
ch'egli ci ajuti se facciamo del male?
— No no, per amor del cielo, ripeteva Agnese.
« fanno di tratto in tratto qualche salto, che termina su-
«bito con una buona stirata di briglie.
« Il signor Ludovico (così fu nominato dal suo padrino
«quegli che facendosi poi frate prese il nome di Cristo-
«foro), il signor Ludovico era figlio d'un ricco mercante
«cremonese, il quale negli ultimi anni suoi, vedovo e
« con questo unico figlio, rinunziò al commercio, comperò
«beni stabili, si pose a vivere da signore, cercò di far
«dimenticare che era stato mercante, e avrebbe voluto
« dimenticarlo egli stesso. Ma il fondaco, le balle, il brac-
« ciò gli tornavano sempre alla fantasia, come l'ombra di
« Banco a Macbeth ».
Per quali ragioni l'Autore prima lo chiamò Galdino e poi
Cristoforo? Damiano Muoni [L'antico Stato di Rotnano di
Lombardia ed altri Comuni del suo Mandamento, cenni sto-
riciy documenti e regesti, Milano, Brigola, 1871 ; pp. 243-244]
rinvenne negli Archivi di Finanza di Milano «un docu-
« mento del massimo interesse », che « potrebbesi deno-
« minare : Incarico impartito il 21 ottobre 1646 dal Rev.
«/*. Cristoforo da Como, Guardiano di Monza, a frate
« Lorenzo da Novara, Ministro Provinciale \ per verificare
« quali furono i PP, Cappuccini, che si distinsero in cari-
<ktatevoli servigi, massitne all'epoca della peste del 1630».
Il P. Felice da Mezzana, cappuccino, [Cenni sul Padre
Cristoforo del Manzoni, Crema, tip. S. Pantaleone di
L. Meleri, 1899; p. 12] osserva giustamente che è un ti-
tolo « dato con inesattezza, perchè da esso titolo risulta
« il guaio che un inferiore {Guardiano) darebbe ordini ad
« un superiore {Provinciale) ». Propone dunque che invece
s'intitoli : Processo autentico, istituito per commissione Ge-
neralizia, sui Cappuccini assistenti al lazzeretto e sul ser-
vizio ivi prestato nella pestilenza del 1630, compilato Vanno
1646. Da questo Processo risulta che il P. Vittore, uno
de' superstiti, dichiarò che tra i cappuccini che prestarono
l'opera loro nel lazzeretto di Milano vi fu anche il « Padre
« Fra Cristoforo Picenardi da Cremona, sacerdote, che
Digìtized by
Google
— 635 —
— Fermo ! disse Lucia, voi avete un mestiere ed
io so lavorare, andiamo lontano tanto che costui non
senta più parlare di noi.
« mori nel mese di giugno del suddetto anno 1630 di
« peste, stimata da lui catarro, ma dagli altri tutti giudi-
«cata vera peste, havendo servito con molto fervore di
« carità et esempii religiosi a* poveri appestati ». Fra Bo-
nifacio, laico, altro dei superstiti, depose che il « Padre
«Fra Cristoforo servi e morì di peste al lazzeretto»; e il
P. Felice Casati, terzo e ultimo dei superstiti, ripetè che
il « Padre Fra Cristoforo servì nel lazzeretto e vi lasciò
«la vita». La scoperta fece chiasso, e il «documento»
fu mostrato al Manzoni, il quale corse nella sua libreria
e tornò con le Memorie delle cose notabili successe in Mi-
lano intorno al mal contagioso ranno 1630 , ec. raccolte
da Don Pio La Croce, In Milano, nelle Stampe di Giu-
seppe M aganza, 1730; in-40. Son le memorie stesse che cita
nel cap. XXXII de' Promessi Sposi, dicendole tratte
« evidentemente da scritto inedito d'autore vissuto al tempo
«della pestilenza; se pure non è una semplice edizione,
«piuttosto che una nuova compilazione». Tornò dunque
con queste Memorie e lesse al suo visitatore quello che
vi sta scritto a pag. 12. «Nelli stessi giorni;» (così il
La Croce) « il P. Cristoforo da Cremona, sacerdote, molto
«avanti già eletto a quel servizio, tolti gli ostacoli che
« fin allora gliel'avevano impedito, alla fine entrò nel de-
«siderato arringo: e ben si può dire desiderato, perchè
« più volte fu udito dire : — Io ardo di desiderio di
«andare a morire per Gesù Cristo, ed ora mi pare mil-
« l'anni. — Desiderio che ebbe poi felicissimo V effetto
« corrispondente, a' io pure di giugno, morendo di peste
« per il servizio di quei poveri, nella persona de' quali
«serviva il suo diletto Gesù». Gfr. Stoppani A. I primi
anni di Alessandro Manzoni, spigolature, Milano, Ber-
nardoni, 1874; pp. 135-138.
Il Muoni tira la conseguenza che, « giusta siffatto do-
« cumento, il P. Cristoforo anziché essere al mondo un
«Ludovico, nato da un semplice mercante di provincia,
«apparterrebbe in quella vece all'antica e patrizia fami-
«glia dei Picenardi di Cremona». Il «documento» in-
vece prova soltanto che il P. Cristoforo, morto di peste
Digìtized by VjOOQ IC
- 636 —
— Ah! Lucia! e poi? non siamo ancora marito
e moglie : il curato vorrà farci la fede di stato libero ?
al lazzeretto, apparteneva alla famiglia Picenardi di Cre-
mona. Ora, siccome a Cremona delle famiglie Picenardi
ce n'erano parecchie, alcune patrizie, altre no, resta a
vedersi da quale di esse sia uscito. Della « nobilissima
famiglia dei Picenardi » già l'aveva detto il P. Mas-
simo Bertani da Valenza [Anna/i Cappuccini, part. Ili,
voi. Ili, n.° 30]; ma ottantaquattro anni dopo la morte
del P. Cristoforo e senza darne nessuna prova. Ai giorni
nostri se n'è fatto caldo sostenitore Don Luigi Lucchini,
che più volte è sceso in campo. Cfr. Fra Cristoforo dei
Promessi Sposi, personaggio storico cremonese, illustra-
zione documentata, scene della braveria cremonese, Bozzolo,
tip. Arini, 1902, in-8.° — Commentario dei Promessi Sposi,
ovvero la rivelazione di tutti i personaggi anonimi, Boz-
zolo, tip. Commerciale, 1902, in-8.° — Lo stesso, Seconda
edizione, riccamente illustrata da medaglioni, Lecco, tip.
arciv. del Resegone, 1904, in-8.° Le sue conclusioni son
queste. Trova ne' libri de' battezzati di Cremona un Lo-
dovico, figlio di Giuseppe Picenardi e di Susanna Cellana,
nato il 5 decembre 1568, non però appartenente ai «rami
« più cospicui del casato », ma alle « altre famiglie dei Pi-
«cenardi, ricche di censo, senza però un cenno di 110-
« biltà » ; e trova che questo Lodovico era uno spadaccino
e un attaccabrighe, in discordia con la prepotente e san-
guinaria famiglia cremonese degli Ariberti. Esclama : que-
sto è" il Picenardi che si fece cappuccino, e tutto quello che
scrive il Manzoni del P. Cristoforo è la biografia di lui, « non
« un parto inverosimile, creato dalla fantasia del roman-
« ziere ». Il P. Felice da Mezzana (_Op. cit. ; pp. 7-8] gli
risponde : « che ci sia stato un Lodovico nella nobile fami-
« glia Picenardi poco importa, e il Lucchini avrebbe do-
« vuto fare a meno della fede di nascita ; si dovrebbe mo-
« strare: i.° che questi si fece cappuccino ; 2.0 qual fu la
«causa che diede l'ultimo colpo alla sua vocazione». Il
Lucchini non riesce a dimostrare né una cosa, né l'altra;
e « dopo d'aver avuta la bella ventura di poter assodare,
« con documenti e prove abbastanza copiose, la vita dram-
« matica di Lodovico Picenardi, è abbandonato dalla capric-
« ciosa fortuna nel momento più bello, quando trattavasi
Digitized by LjOOQ IC
— 637 —
non saremo pigliati come vagabondi ? dove andarci
a porre?
« di trovare, stabilire, assodare storicamente l'ultimo atto,
« o lo scioglimento del dramma ».
Pio La Croce nelle sue Memorie y oltre il P. Cristoforo
da Cremona e tanti e tanti altri cappuccini che presta-
rono l'opera loro generosa durante l'infierire della peste,
rammenta anche un P. Galdino della Brusada, non già
laico, ma sacerdote, che «con purità particolare» servì
egli pure gli appestati. Il Manzoni dette dunque questo
nome di Galdino al tipo ideale di cappuccino che andava
immaginando; nome già portato da un arcivescovo di Mi-
lano, che fu cardinale e santo, e talmente caritatevole da
restare in proverbio il pane di S. Galdino. Ma poi trovando
nelle stesse Memorie rammentato un P. Cristoforo da Cre-
mona, morto nel lazzeretto assistendo gli appestati; appunto
per aver egli fatto olocausto della vita in quel tremendo
luogo di dolore, fu in lui e col suo nome che idealizzò il
proprio eroe della carità cristiana. E a fra Canziano dette il
nome di Galdino; il « nome soltanto, si badi »; e ripensando
al proverbio milanese elpan de San Galdin, « di qui dovè
« forse venire al romanziere l' idea di metter quel nome
« ad un frate cercatore ; da lui destinato a rappresentare
« uno degli aspetti della vita conventuale », come nota col
suo solito acume il D'Ovidio [Fra Galdino; in Le corre-
zioni ai Promessi Sposi e la questione della lingua, Napoli,
Morano, 1893; pp. 259-260]. Racconta lo Stampa [Op. cit. ;
II, 149] : « Un giorno che il Manzoni sorrideva delle sciocche
«accuse di bigottismo che gli erano affibbiate.... venne
« fuori a dire : — Non hanno capito che ho messo a posta
« nel romanzo quel personaggio di fra Galdino per porre in
« ridicolo per l'appunto i pregiudizi bigotti ? — ». Il Man-
zoni, discorrendo col Bonghi, ebbe a dire: «M'hanno chi
« lodato, chi rimproverato d'aver voluto rimettere in onore
« i Cappuccini. Non ci ho neppure pensato. Gli ho messi
• « così nel mio romanzo, perchè mi son parsi una forza viva
« e attiva in quei tempi. Ora, non gii credo più utili alla
«religione». Cfr. D'Ovidio F., I pensieri inediti del Bon-
ghi-, in Simpatie, Palermo, Sandron, 1903, p. 79.
Óltre il D'Ovidio, si occuparono di fra Galdino, Luigi
Ercolani, Fra Galdino a Francesco D'Ovidio, Reggio,
Digìtized by
Google
- 638 -
Lucia ricadde nel pianto. Sentite, disse Agnese;
sentitemi, che son vecchia. Era questa una confes-
tip. Lipari, 1879; in-8°; Alderino Bondi, Fra Galditio,
nella Psiche, di Palermo, ann. XVI, n.° 21, i° novem-
bre 1899 ; e Francesco Lo Parco, Due frati nei « Pro-
messi Sposi », Ariano, Stab. tipografico Appulo-Irpino, 1901;
in-8.° Di fra Galdino tratta a pp. 5-17 e 44-46; l'altro frate
è il P. Cristoforo.
Luigi Sailer [// P. Cristo/oro nel Romanzo e nella
Storia; in Discussioni manzoniane ', Città di Castello, Lapi,
1886, pp. 147-196] trova « parecchi riscontri curiosi » tra
Alfonso III d'Este che, rinunziata la corona ducale di
Modena, si fece cappuccino, e il frate manzoniano. Nic-
colò Rodolico [L'abdicazione di Alfonso III d'Este,
Acireale, tip. dell'Etna, 1901, pp. 87-92] non crede « esatto
«storicamente il continuo trascendere, che il Sailer nota,
« delle virtù effettive ed eroiche del Principe, in eccessi
« viziosi di cui appariscono tutti i germi nel P. Cristoforo
«del Manzoni». Per il Rodolico «la splendida figura del
« P. Cristoforo non ha, per la sua verosimiglianza, bisogno
« di riprove istoriche in episodii della vita del Duca cap-
«puccino. Essa vive nell'anima buona eterna dell' Uma-
« nità, che ama il P. Cristoforo, poiché corrisponde a ciò
«che è in essa di veramente buono, di quel Buono che
« talvolta, come scintilla del fuoco divino, sprizza di luce
«nelle azioni umane dei padri Cristo fori della Storia».
Rodolfo Renier [Un riscontro al serio accidente per
cui indossò la tonaca P. Cristoforo ; in Giornale storico
della letteratura italiana, XXXVIII, 247-250] nega che il
Manzoni «abbia in modo alcuno esemplato il Duca cap-
« puccino. Troppe e troppo palesi sono le diversità. Ma
« se il Manzoni conobbe la storia di Alfonso (e chi sappia
«quanto accurata sia stata sempre la sua preparazione
« storica non dubiterà che l'abbia conosciuta), è probabile,
« anzi quasi certo, che da essa tolse più d'una ispirazione
« per delineare, in conformità allo spirito del tempo, la
« figura di Lodovico-Cristoforo». In un brano della prima
minuta, che ho riportato qui sopra, il Manzoni annovera
tra quelli che si fecero cappuccini « talvolta Principi, o
fastiditi, o atterriti del loro potere ». È un accenno ad Al-
fonso III, la cui vita ritengo abbia appresa dal Muratori,
Digitized by LjOOQ IC
— 639 —
sione che la buona Agnese faceva di rado, in caso
di somma necessità e quando si trattava di dar fede
alle sue parole. Io ho veduto un poco il mondo : non
bisogna spaventarsi troppo: il diavolo non è mai brutto
come si dipinge ; e a noi povera gente le cose pajono
talvolta imbrogliate, imbrogliate, perchè non abbiamo
la pratica per uscirne. Io ho veduto molte volte dei casi
non già nelle biografie che ne scrissero il P. Giovanni da
Sestola, il P. Giuseppe Maria Mozzarella e il P. Gaspero
De Rougnes.
Giovanni Livi [// duello del Padre Cristoforo in re-
lazione a documenti del tempo; nella Nuova Antologia^
fascicolo del 16 giugno 1899J rintracciò una grida de* Ret-
tori di Brescia del 5 maggio 1589, con la quale, «consi-
« derando con quanta facilità il più delle volte, per causa
« della sola precedentia della strada, succedono homicidii
«de importanza », si ordina, sotto gravi pene, «che nel-
« T avenire .... incontrandosi gentilhomini o altre persone
« che pretendino la superiorità della strada, sempre quello
« che caminarà dalla banda del muro con la mano destra
« verso a esso muro non sia, né possa essere sforciato a
« partirsi da suo luogo, nel qual modo l'uno et l'altro ha-
« vera la banda destra». Il Manzoni anche nell'episodio
del duello di Lodovico dipinge i tempi con tale verità, che
se ne ha la piena conferma ne' documenti. Questo prova
la grida, e niente altro ; ma che la grida fosse conosciuta
da lui, che gliela potessero avere inviata o Camillo Ugoni,
o il Mompiani, o Giambattista Pagani, come vuole il Livi,
è un correr troppo. A buon conto, quando il Manzoni
scriveva il romanzo, il Mompiani era sotto processo; l'U-
goni in esilio; il Pagani non si occupò mai di ricerche
erudite.
Il prof. Rodolfo Renier riporta una curiosa lettera d'Isa-
bella Gonzaga al marito, che è del 17 decembre 1507, nella
quale lo ragguaglia che a Mantova, « essendosi incontrati a
« caso, suso uno cantono, messer Francisco Suardo et Zoan
« Lodovico da Gonzaga, per non cedersi l'un l'altro la via,
«sono stati fermi più de nn'hora, contendendo de prece-
« dentia, l'uno per esser ca valer, l'altro de la casa del
Digitized by
Google
— 640 —
che parevano disperati: un buon parere d'un uomo
che aveva studiato aggiustò tutto. Fate a modo mio,
Fermo. Pigliate quei quattro capponi, poveretti ! che
doveva sgozzare io questa mattina pel banchetto : te-
neteli bene stretti per le gambe, andate a Lecco :
sapete dove abita il dottor Pèttola? (*). — Lo so be-
nissimo. — Bene, andate da lui, presentategli i cap-
« Gonzaga». Finalmente ebbero un'idea felice: «se vol-
« tarono l'uno al contrario de l'altro, ritornando per la via
« dove erano venuti ».
Il marchese Bartolommeo Ariberti di Cremona, tro-
vandosi a Bologna, fu richiesto d'aiuto da Niccolò So-
resina, suo concittadino, che essendo venuto a litigio col
figlio del Doge di Venezia, là studente, temeva «che,
« accompagnato dalla sua numerosa fazione di venti o
« venticinque che si fussero fra servidori e scolari », avesse
«risoluto di affrontarlo e di torgli il muro». Il marchese
gli dette braccio e « si trasse pertanto avanti il suo came-
« rata, per sostener quel muro e quella mano che gli si
« doveva, e che gli avversari, co' quali egli né haveva
« conoscenza, né alcun disparere, tentavano fuor di ra-
« gione di usurparsi. A quest'atto, che parve ardito a chi
« supponeva di non trovar resistenza, ma di potersi ingo-
«iare a man franca col grosso numero dei seguaci Pav-
« versano, tratte dall'una e dall'altra parte le spade, cam-
« peggio la bravura del marchese sì fattamente, che ca-
«gionò terrore agli oppositori e meraviglia grande agli
«spettatori, vedendolo, con cinque sole persone, passare
« avanti vittoriosamente ed illeso, sostenere al maggior
«colmo l'honore all'amico ed a sé». Vita del Marchese
Bartolomeo Ariberti , dedicata all'Illustriss. Signore il
Sig. Marchese Girolamo Ariberti da Gienserico Franco-
mono Scirtibargamo [Giacomo Ariberti], In Gormalta,
senza note tipografiche, [1649]; pp. 8-10. Cfr. anche: Ma-
nacorda G., // duello di Lodovico e un duello storico ; nel
Giornale storico della letteratura italiana; XLIV, 273-276.
Di questi esempi, rovistando per gli archivi, ce n'è da
trovarne un'infinità. (Ed.)
(*) Nella stessa prima minuta cancellò qui e altrove
questo nome, sostituendovi quello di Duplica, che poi
Digìtized by
Google
— 641 —
poni: perchè, vedete, quando si vede che uno può
regalare, gli si dà retta. Contategli tutto il fatto, e
domandategli parere. Eh ne ho visto io della gente
che non sapevano dove dar del capo, che andando
a consultarsi con lui non trovavano la strada, e dopo
d'avergli parlato tornarono a casa vispi come un tin-
cotto che saltellando nella barca, per disperazione,
cade nell'acqua e si trova in casa sua. Fate così,
Fermo.
Nelle situazioni molto imbrogliate il parere che
piace più è quello di pigliar tempo per avere un
altro parere definitivo : ogni consiglio che suggerisca
una risoluzione presenta ostacoli, difficoltà, nuovi
imbrogli : ma questo, di consigliarsi di nuovo e me-
glio, è semplice, non nuoce e nello stesso tempo dà
una lusinga indeterminata che per questo mezzo si
troverà una uscita (l).
nella seconda minuta diventò Azzecca-garbugli. E can-
cellò anche il nome della serva di lui, che nella prima
minuta era Felicitia. (Ed.)
(!) Quest'episodio è tolto dal capitolo III del tomo I
della prima minuta. (Ed.)
Alessandro Manzoni.
Digìtized by
Google
VII. .
Una digressione.
Bisogna confessare che nei romanzi e nelle opere
teatrali, generalmente parlando, si vive meglio che
a questo mondo: ben è vero che vi s'incontrano
birboni più feroci, più diabolici, più colossali, scel-
leraggini più raffinate, più ingegnose, più recondite,
più ardite, che non nel corso reale degli avveni-
menti; ma vi ha pure dei grandi vantaggi, ed uno
che basta a compensare molti mali, uno dei più
invidiabili si è che gli onesti, quelli che difendono
la causa giusta, per quanto sierio inferiori di forze
e battuti dalla fortuna, hanno sempre in faccia dei-
Tempio, ancor che trionfante, una sicurezza, una ri-
soluzione, una superiorità di animo e di linguaggio
che dà loro la buona coscienza, e che la buona co-
scienza non dà sempre agli uomini realmente viventi.
Questi, quando abbiano dalla parte loro la giustizia
senza la forza, e vogliano pure ottenere qualche cosa
difficile in favore della giustizia, sono obbligati a pen-
sare ai mezzi per giungere a questo loro fine, e i
mezzi sono tanto scarsi, e per porli in opera senza
guastare la faccenda si incontrano tanti ostacoli, fa
bisogno di tanti riguardi, che da tutte queste con-
Digitized by VjOOQ IC
— 643 —
siderazioni si trovano posti necessariamente in uno
stato di esitazione, di cautela e di studio che gli fa
sovente scomparire in faccia ai loro avversarj, riso-
luti ed incoraggiati dalla forza e dalla abitudine di
vincere, e spesse volte, convien dirlo, dal favore o
sciocco, o perverso degli spettatori. L'uomo retto
sente, a dir vero, con certezza e con ardore la giu-
stizia della sua ragione, ma questa sua idea è un risul-
tato, una conseguenza d'una serie di ragionamenti e
di sentimenti, per la quale è trascorso il suo animo :
se egli la esprime, fa ridere l'avversario, il quale
per un'altra serie d'idee è giunto e si è posto in un
risultato opposto: e pur troppo, tolti alcuni casi,
l'uomo che non ha che sé per testimonio e per appro-
vatore e che vede negli altri contraddizione e scherno
perde facilmente fiducia, e <yasi quasi è disposto a du-
bitare, o almeno si trova in quello stato di contrasto
che fa comparire l'uomo imbarazzato. Avvien quindi
spesse volte che un ribaldo mostra in tutti i suoi
atti una disinvoltura, una soddisfazione che si pren-
derebbe quasi per la serenità della buona coscienza,
se fosse più placida e più composta, è che l'uomo
onesto e nella espressione esteriore e nell'animo in-
terno mostra e prova talvolta una specie d'angustia
e di vergogna, che si crederebbe rimorso, dimodo-
ché a poco a poco finisce per essere soperchiato non
solo nei fatti, ma anche nel discorso e nel contegno,
e sta come un supplichevole e quasi come un reo
dinanzi a colui che lo è veramente.
Si è fatta questa riflessione per ispiegare come
il buon Padre Cristoforo, il quale veniva per doman-
dare a Don Rodrigo l'adempimento della più stretta
giustizia e la cessazione della più vile iniquità, si ri-
mase come confuso e vergognoso quando si trovò
così solo con tutte le sue buone ragioni in mezzo
Digìtized by
Google
— 644 —
ad un crocchio romoroso e indisciplinato di amici di
Don Rodrigo, e in sua presenza (*).
In mezzo a questo trambusto vennero i servi a
torre le mense, ricevendo e dando urtoni e gomitate :
quindi si pose sul desco molle un gran piatto pirami-
(') Il Padre Cristoforo assiste al pranzo di Don Ro-
drigo. «Era questi in capo alla tavola: alla sua destra
«sedeva il giovane Conte Orazio», [divenuto poi Attilio
nel testo definitivo], « cugino di Don Rodrigo, suo com-
«pagno di libertinaggio e di soperchieria, e che villeg-
« giava con lui ; alla sinistra il Podestà, che Don Rodrigo
« aveva invitato non senza perchè, potendo trovarsi in un
«impegno dal quale si sarebbe cavato meglio quando la
« Giustizia fosse tutta disposta in favor suo. Il Podestà
« mostrava di ricevere Tonpre di sedere famigliarmente a
«tavola d'un cavaliere con* un rispetto misto però d'una
«certa libertà che gli dava il suo ufìcio; accanto a lui e
« con un rispetto il più puro e il più sviscerato sedeva il
« nostro dottor Duplica, il quale avrebbe voluto essere il
« protetto di tutti quelli che eran da più di lui e il pro-
« tettore di tutti quelli che gli erano inferiori : due o tre
«altri convitati di ancor minore importanza attendevano
« a mangiare e a sorridere con una adulazione ancor più
«passiva di quella del dottore: e quando questi appro-
« vava con un argomento, o con una lode, che voleva esser
«ragionata, essi non sapevano dire più in là di: certa-
« mente ».
La disputa cavalleresca, nella quale il conte cugino e
il Podestà erano di contrario parere e in cui bisognò che
anche il Padre Cristoforo dicesse come la pensava, fu
suggerita al Manzoni dal Birago. Il dott. Ubaldo Mazzini
nello scritto già ricordato: La Cavalleria nei Promessi
Sposi, prova, che « il luogo dei Consigli del Birago che ci
« mostra a luce meridiana esser quel libro il vero fonte a
« cui ha attinto è il Consiglio II, cioè il caso di bastonate
« date ad un portator di sfida, che trova riscontro nel ca-
« pitolo V dei Promessi Sposi. Non solo qui il caso è per-
« fettamente identico; ma identici sono i personaggi, iden-
« tiche le citazioni, spesso identiche le parole ». (Ed.)
Digitized by LjOOQ IC
— 645 —
dale di marroni arrostiti, e si portarono fiaschi di vino
più prelibato, di quello che in Lombardia si chiama
vino della chiavetta, e del quale, per un privilegio sin-
golare, ogni proprietario ha sempre il migliore del
contorno. Gli elogj del vino, com'era giusto, ebbero
una parte della conversazione, senza però cangiarla
del tutto: il gridìo continuò per una buona mezz'ora:
le parole che si sentivano più spesso erano ambrosia
e impiccarli. Finalmente Don Rodrigo si alzò e con
esso tutta la rubiconda brigata: e Don Rodrigo, fatte
le sue scuse agli ospiti, si avvicinò al Padre Cristo-
foro e lo condusse seco in una stanza vicina C).
Ognuno può avere osservato che dalla peritosa
spòsa di contado fino a fino all'uomo il più di-
sinvolto e imperturbabile, e, per dirla in milanese,
il più navigato, tutti hanno certi loro gesti fami-
gliari, certi moti insignificanti, dei quali fanno uso
quasi involontariamente, quando trovandosi con per-
sone, colle quali non sieno molto addomesticati, non
sanno troppo che dire, o aspettano il momento di
dir cosa la quale non è attesa, né sarà molto gra-
devole a chi deve intenderla. La differenza che passa
tra gì' intrigati e i navigati (son costretto a prendere
entrambi i vocaboli dal dialetto del mio paese, il
quale non manca d'uomini dell'una e dell'altra specie)
la differenza è che i primi coi loro moti incerti e va-
cillanti e goffi mostrano sempre più il loro imbarazzo
e vi si vanno sempre più affondando, mentre negli
altri questo disimpegno è nello stesso tempo un eser-
cizio di eleganza e di superiorità. Tutte le classi
(*) A questo punto termina il capitolo V del tomo I
della prima minuta e incomincia quello VI, intitolato:
Peggio che peggio. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 646 —
hanno una provvisione particolare e caratteristica di
questi atti, e questa distinzione era più osservabile
nei tempi in cui le classi erano più distinte per abi-
tudini e anche pel costume di vestire, il quale si pre-
stava naturalmente ad usi diversi di questo genere.
Si potrebbe qui fare una erudita enumerazione di
questi gesti, cominciando dai personaggi più celebri
e dalle condizioni più note degli antichi Romani, o
anche degli Egizj, ma sarebbe troppo provocare
T impazienza del lettore, avido certamente di seguire
la nostra interessante storia. Diremo soltanto che gli
atti più usuali dei cappuccini per avere, come dicono
i francesi, une contenance> erano di accarezzarsi la
barba, di fare scorrere il berrettino innanzi indietro
dal sincipite all'occipite, di porre la mano destra
nella larga manica sinistra e viceversa, o di stirarsi
il cordone, o di palpare ad uno ad uno i grossi pa-
ternostri del rosario, che tenevano appeso alla cintola.
Questa ultima operazione appunto faceva il Padre
Cristoforo quando si trovò da solo a solo con Don
Rodrigo ; di modo che si avrebbe creduto che vi po-
nesse molta occupazione, ma il lettore sa che il buon
Padre era preoccupato da tutt'altro. Del contegno
di Don Rodrigo non occorre parlare, giacché ognun
sa che nessuno è tanto sciolto, franco, sgranchiato,
quanto un ribaldo dopo un buon desinare. Stava egli
però con qualche curiosità e con qualche sospetto di
quello che il Padre fosse per dirgli ; sospetto che il
contegno un po' irresoluto del Padre aveva quasi can-
giato in certezza, gli accennò con sussiego che sedesse,
si pose egli pure a sedere, e ruppe il silenzio con
queste parole: — In che posso obbedirla, Padre? —
Questo era il suono delle parole, ma il modo con
cui erano proferite voleva dire chiaramente: frate,
bada a chi tu parli, e a quello che dirai.
Digitized by VjOOQ IC
— 647 —
Il tuono insolente di quest'invito servì mirabil-
mente a togliere ogni imbarazzo al Padre Cristo-
foro; perchè, risvegliando quell'uomo vecchio che il
Padre non aveva mai del tutto spogliato, mise in moto
quello che v'era in lui di più franco e di più riso-
luto: cosicché, invece di farsi animo, dovett'egli fre-
nare l'impeto che lo spingeva a rispondere sullo
stesso tuono, per non guastare l'opera delicata che
stava per intraprendere. Onde, con modesta, ma as-
soluta franchezza, rispose : — Signor Don Rodrigo,
il mio sacro ministero mi obbliga a passare un of-
ficio con vossignoria. Io desidero ardentemente che
nessuna mia parola possa spiacerle, e per antivenire
ad ogni disgusto, debbo assicurarla che in tutto quello
ch'io sono per dire io ho di mira il bene di lei, quanto
quello di qualunque altra persona. — Don Rodrigo
non rispose che allungando il volto, stringendo le
labbra, aggrottando le ciglia e dando ai suoi occhi
una espressione ancor più minacciosa e sprezzante.
Digìtized by
Google
Vili.
Il Padre Cristoforo ripreso dal Guardiano
di Pescarenico.
Intanto il Padre Cristoforo, benché fiaccato e
frollo delle corse, dei disagj, delle inquietudini e delle
parlate di quel giorno (*), aveva presa correndo la
via per giungere al più presto al convento, e andava
saltelloni giù per quel viottolo sassoso, torto e reso
ancor più difficile .dalla oscurità; andava il povero
frate, parte ruminando gli accidenti della giornata
e quello che poteva soprastare, parte pensando al-
(l) È la giornata che, chiamato da Lucia, corre alla
sua casetta, e trova la giovane in angoscia per l'impedito
matrimonio e per le persecuzioni di don Rodrigo. Il Padre
Cristoforo, dopo, « si avviò al suo convento. Ivi andò in
«coro a cantare terza e sesta, s'assise alla parca mensa,
« e allora più parca del solito per la carestia che comin-
« eia va a farsi sentire dappertutto, e dopo raccomandati al
«Vicario gli affari del suo piccolo regno, si pose in via
«verso il covile dell'orso, che si trattava di ammansare;
« senza avere, a vero dire, molta speranza del buon successo
« del suo tentativo ». Di ritorno dal « castelletto di don Ro-
« drigo » , corre di nuovo alla casetta di Lucia, « nell'atti-
tudine di un generale » che ha « perduta, senza sua colpa,
una battaglia». (Ed).
Digìtized by LjOOQ IC
— 649 —
l'accoglienza che riceverebbe al convento giungen-
dovi a notte già fitta. Vi giunse pur finalmente,
mezzo sconquassato, e toccò modestamente il cam-
panello, aspettando quel che Dio fosse per mandare.
Il frate portinajo aperse e accolse il nostro figliuol
prodigo con quel maladetto misto di sussiego, di
soddisfazione, di clemenza, di commiserazione e di
mistero, che gli uomini (tranne l'uno per milione)
mostrano sempre in faccia di colui che per qualche
suo fallo, o anche per qualche sventura, sembra loro
stare in cattivi panni. Il Padre Guardiano le vuol
parlare, disse costui al nostro amico, il quale seguì
la sua scorta pei lunghi corridoj e per le scale, ras-
segnato a toccare una buona gridata e in angustia
di ricevere una penitenza la quale gì' impedisse di
potere all'indomani trovarsi col servo di Don Ro-
drigo e fare per gl'innocenti suoi protetti ciò che
il caso avesse richiesto.
Giunto alla cella del Guardiano, bussò sommes-
samente, e vista la faccia seria del Guardiano, si
pose le mani al petto, curvò la persona, chinò la
testa sul petto e disse: Padre, son balordo. Era
questa, chi noi sapesse, la formola usata dai cappuc-
cini per confessarsi in colpa al loro superiore. Bi-
sogna sapere che il Guardiano era contento in fondo
del cuore che il Padre Cristoforo avesse commesso
un mancamento. Un lettore di otto anni potrebbe
qui domandare : perchè faceva il volto serio, se era
contento? e gli si risponderebbe, che appunto era
contento perchè il Padre Cristoforo gli aveva dato
il diritto di fargli il volto serio. La condotta del no-
stro amico era tanto irreprensibile che il Guardiano
non aveva mai avuto occasione di far uso sopra lui
della sua autorità, voglio dire della autorità di ri-
prendere e di punire, e alla prima occasione che
Digitized by
Google
— 650 —
ne aveva, gli pareva di esser daddovero il Padre
Guardiano. In oltre il Padre Cristoforo, senza fare
il dottore, senza disputare, dava però a dividere
chiaramente di non approvare alcuni tratti della
condotta e della politica dei suoi confratelli e del
suo capo, e più d'una volta aveva ricusato di ope-
rare di concerto con gli altri; biasimandoli cosi in-
direttamente, ma chiaramente: dal che veniva che
i frati e il Guardiano avevano per lui più rispetto
che amore. E il rispetto veniva, in parte, anche dalla
fama di santo che il Padre Cristoforo aveva al di
fuori, e che apportava al convento onore e limosine.
Non è quindi da stupirsi se il Guardiano si dilet-
tasse nel vedersi davanti balordo quel Padre Cristo-
foro e gustasse a lenti sorsi l'umiliazione di lui e il
sentimento della propria autorità.
— È questa l'ora, diss'egli gravemente, di ritor-
nare al convento?
— Padre, confesso che dovrei esser rientrato da
molto tempo.
— E perchè vi siete dunque tanto indugiato?
perchè avete violata una regola, che conoscete così
bene ? m
— Fui trattenuto da un'opera di misericordia.
Il Guardiano sapeva che il reo era incapace di
mentire, e vide tosto che se avesse voluto andar più
ricercando, avrebbe facilmente fatto rivelare al Padre
Cristoforo cose che tornerebbero in suo onore : onde
gli parve meglio fargli una ammonizione generale sul
fallo di cui si era riconosciuto colpevole. Gli disse
che preporre le opere Volontarie di misericordia al-
l'obbedienza era segno di orgoglio e di amore alla
propria volontà : che non era bene quel bene che non
è fatto secondo le regole : che bisogna prima fare il
dovere e poi attendere alle opere di surerogazione :
Digìtized by
Google
- 65i -
e altre cose di questo genere. Aggiunse poi che egli,
Padre Cristoforo balordo, doveva conoscere di quanta
importanza fosse la regola da lui infranta e per la
disciplina e per evitare ogni scandalo; ma che per
l'età sua e per esser questo il primo suo fallo contro
la regola, e perchè si teneva certo che non v'era
altro che la violazione della regola, si contentava
per questa volta ch'egli prima di coricarsi recitasse
un miserere colle braccia alzate: e cosi lo congedò
e si gittò sul duro suo pagliaccio, più soddisfatto
però che se si fosse posto sul letto il più delicato,
poiché non è da dire quanta consolazione si senta
nel far fare agli altri il loro dovere, e nel ripren-
derli quando se ne allontanano.
Questa fu la mercede che il nostro Padre Cristo-
foro ebbe della sua giornata, spesa come abbiam
detto. Tristo chi ne aspetta altre in questo mondo.
Egli recitò il suo buon miserere e lo conchiuse di-
cendo: Dio, fate misericordia a me e a quel pove-
retto che io.... toccate il cuore di Don Rodrigo,
tenete la mano in testa ài povero Fermo, salvate
Lucia e benedite il Padre Guardiano (*). Abbiate
pietà dei peccatori, dei penitenti, dei giusti, dei fe-
deli e degli infedeli, degli oppressi e degli oppres-
sori, dei cappuccini, dei zoccolanti e di tutti i re-
golari, di tutti gli ecclesiastici e di tutti i laici, dei
popoli e dei principi, dei carcerati, dei giudici, dei
banditi, dei ladri, dei birri, delle vedove, dei pu-
pilli, dei bravi, dei zingari, degli indemoniati, dei
(') Segue, cancellato: «Quindi si gittò egli pure sul
suo canile, dove lo lasceremo dormire, che ne ha biso-
gno». Quello che vien dopo, raggiunse poi. (Ed.).
Digitized by
Google
— 652 —
vivi e dei morti. Cosi sia. Quindi si gettò anch'egli
sul suo canile, dove lo lasceremo dormire, che ne ha
bisogno (*).
(*) Questo brano è tolto dal capitolo VII del tomo I
della prima' minuta. (Ed.)
Digìtized by
Google
IX.
Il tentativo fallito del matrimonio clan-
destino.
A) PRIMA minuta»
Tra il primo concetto di una impresa terribile e
l'adempimento, ha detto uno scrittore privo di buon
gusto, P intervallo è un sogno di fantasmi e di paure.
Lucia era nelle angosce di questo sogno. Agnese, la
stessa Agnese, così risoluta e disposta all'operare, era
sopra pensiero, e trovava a stento le parole per rin-
corare la poveretta. Ma al momento in cui l'azione co-
mincia e l'animo che fino allora tollerava i pensieri che
gli passavano sopra, cacciandosi a vicenda e tornando,
è costretto a comandare una risoluzione e a dirigere
le azioni del corpo, allora egli si trova tutto trasfor-
mato: al terrore e al coraggio, che lo agitavano, suc-
cede un nuovo terrore, e un nuovo coraggio: l'im-
presa si affaccia alla mente come una apparizione
nuova, inaspettata; si scoprono mezzi e ostacoli non
pensati ; ciò che sembrava più difficile si trova fatto
quasi da sé, l'immaginazione si ferma spaventata, le
membra niegano di moversi dinanzi ad un passo
che era sembrato il più agevole : il cuore manca alle
promesse che aveva fatte con più sicurezza.
Digitized by
Google
— 654 —
Quando s' intese bussare sommessamente alla
porta (l), Lucia fu presa da tanto terrore, che risol-
vette in quel momento di soffrire ogni cosa, di esser
sempre divisa da Fermo, piuttosto che eseguire la
risoluzione presa; ma quando Fermo,. entrato, disse:
son qui, andiamo; quando tutti si mostrarono pronti
ad avviarsi senza esitazione, come a cosa già deter-
minata, Lucia, come strascinata, prese tremando un
braccio della madre e un braccio di Fermo e s'avviò
colla brigata avventurosa.
Zitti, zitti, nelle tenebre, a passo misurato, giun-
sero dinanzi alla casa del nostro Don Abbondio, il
quale era ben lontano pover uomo ! dal pensare che
una tanta burrasca si addensasse sul suo capo. Qui
si separarono, come erano convenuti: e la coppia
innocente, per un viottolo tortuoso, che girava attorno
all'orto del curato, e sdrucciolando poi sommessa-
mente dietro il muro di fianco della casa, venne a
porsi presso all'angolo di essa ; Fermo e Lucia, per
trovarsi nel luogo più vicino alla porta ed entrare
quando il destro verrebbe; Agnese, per uscire ad
incontrare Perpetua nel momento opportuno. Toni,
destro, col disutilaccio di Gervaso, che non sapeva
far nulla da sé, e senza il quale non si poteva far
nulla, si affacciarono bravamente alla porta e tocca-
rono il martello.
— Chi è? gridò una voce alla finestra, che si
aperse in quel momento: era la voce di Perpetua.
Malati non ce n'è, dovrei saperlo : è forse accaduta
qualche disgrazia?
— Son io, rispose Tonio, con mio fratello, che
abbiamo bisogno di parlare col signor curato.
(*) Era Fermo, il quale menava con sé Tonio e Gervaso,
che dovevano servire da testimoni al matrimonio. (Ed.)
Digìtized by VjOOQ IC
- 655 -
— È ora questa da cristiani? rispose agramente
Perpetua: che discrezione? tornate domani.
— Sentite: tornerò, o non tornerò: mi trovavo
alcuni pochi soldi per pagare al signor curato quel
debituccio che sapete: ma se non si può, aspetterò
un'altra occasione: questi so come spenderli, e verrò
quando ne abbia guadagnati degli altri.
— Aspettate, aspettate: vado e torno: ma perchè
venire a quest'ora?
— Se Torà potete cangiarla, io non m'oppongo :
per me son qui; e se non mi volete, me ne vado.
— No no, aspettate un momento; torno con la
risposta.
Cosi dicendo richiuse la finestra : a questo punto
Agnese si spiccò dai promessi, e, detto sotto voce a
Lucia: coraggio; è un momento; gli è come far cavare
un dente, venne a porsi dinanzi la fronte della casa,
aspettando che Perpetua aprisse, per far vista di
passare.
Perpetua venne infatti tostamente, ed aperse la
porta, e disse: dove siete?
Quando i due fratelli si mostravano, Agnese passò
dinanzi a loro, e salutò Perpetua, fermandosi un mo-
mento sui due piedi.
Buona sera, Agnese, disse Perpetua, donde a que-
st'ora?
— Vengo dalla filanda, rispose Agnese, e se sa-
peste.... mi sono indugiata appunto in grazia vostra.
— Oh perchè? riprese Perpetua: indi, rivolta ai
due fratelli: entrate disse, salite pure, che vengo
anch'io. — Quegli entrarono.
— Perchè, ripigliò Agnese, una donna pettegola !
non sanno le cose e voglion parlare.... credereste?
si ostinava a dire che non vi siete sposata con Beppo,
perchè egli non vi ha voluto. Io sosteneva che voi
l'avete rifiutato....
Digitized by
Google
— 656 —
— Certo, sono stata io; ma chi è costei?
— Questo non fa.... ma non potete credere quanto
mi sia spiaciuto di non saper ben bene tutta la storia,
per confonder colei.
— È una bugiarderia, disse Perpetua, la più nera.
Sentite come andò la faccenda, e ho testimonj, ve-
dete. Ehi, Tonio, socchiudete la porta, e salite pure,
ch'io verrò poi. Tonio rispose di dentro che si. Per-
petua cominciò la sua storia e Agnese si avviò verso
l'angolo della casa, opposto a quello dietro cui erano
in agguato i due giovani, e quando pur passo passo
vi fu giunta, lo voltò, seguita da Perpetua: e vol-
tatolo, tossì per dar segno. Il segno fu inteso, e
Fermo traendo Lucia, la quale correva come un le-
protto inseguito, in punta di pie vennero fino alla
porta, l'aprirono delicatamente e si trovarono nel ve-
stibolo coi due fratelli, che gli stavano aspettando.
Chiusero sommessamente il chiavistello (*) per di
dentro e salirono insieme, mentre Agnese moltipli-
cava le inchieste, per trattenere la fante. I quattro
congiurati, tutti diversamente commossi, ascesero le
scale, e posati che furono sul pianerottolo : Toni disse
ad alta voce : Deo gratias, ed entrò col fratello, mentre
Don Abbondio, che gli aspettava, rispose: Avanti.
Fermo e Lucia ristettero dietro la porta : senza muo-
versi, senza alitare : l'orecchio il più fino non avrebbe
potuto ivi intender altro che il battito del cuore di
Lucia. Toni, entrato, socchiuse la porta dietro di sé.
Don Abbondio, convalescente della febbre, e non
guarito della paura, stava seduto su un vecchio seg-
giolone, ravvolto in una vecchia zimarra, coperto il
capo d'un vecchio camauro, sotto il quale si vedeva
- (!) Variante: « saliscendo». (Ed.)
Digitized by
Google
- 657 -
uno sguardo sospettoso e teso, un lungo naso, e fra
due guance pendenti una bocca quale ognuno l'ha
dopo d'aver sorbita una ostica medicina. Aveva di-
nanzi a sé una vecchia tavola e sulla tavola una pic-
ciola lucerna, che mandava una luce scarsa sulla ta-
vola e sui dintorni, e lasciava il resto nelle tenebre.
Presso alla lucerna, era il breviale, e aperto dinanzi
a Don Abbondio il Quaresimale (l).
— Ah! ah! fu il saluto di Don Abbondio.
— Il signor curato dirà che siamo venuti tardi,
disse Toni inchinandosi, come pure fece più goffa-
mente Gervaso.
— Venite tardi in tutti i modi, rispose Don Ab-
bondio. Basta, vediamo.
— Sono venticinque buone lire di quelle con San-
t'Ambrogio a cavallo, disse Toni, cavando un grup-
petto di tasca.
— Vediamo, replicò il curato: le prese, le volse
e le rivolse e le numerò, e furono trovate irrepren-
sibili.
— Ora, signor curato, mi darà gli orecchini e la
collana della mia povera Tecla.
— È giusto, rispose Don Abbondio; e andò ad
un armadio e cacciata una chiave, guardandosi in-
torno, come per tener lontani gli spettatori, aperse
una parte d'imposta, riempi l'apertura colla persona,
introdusse la testa per guardare e un braccio per ri-
tirare il pegno; lo ritirò, chiuse l'armadio, svolse la
carta dov'era il pegno, e guardatolo, c'è tutto? disse,
indi lo consegnò a Toni.
— Ora, disse Toni, mi favorisca di una riga di
quitanza.
(*) La felice trovata di Cameade, come vedremo, ba-
lenò alla mente del Manzoni nella seconda minuta. (Ed.)
Alessandro Manzoni. 42
Digìtized by LiOOQ IC
— 658 —
— Non vi fidate? rispose bruscamente Don Ab-
bondio. Ecco, volete darmi anche quest'incomodo.
— Che dice mai? s'io mi fido, signor curato:. ma
dalla vita alla morte....
— Bene, bene, come volete. Oh che seccatura!
Bisognerà ch'io ponga inchiostro nel calamajo. Per-
petua! dov'è costei? Perpetua! -
— Perpetua era da basso, tutta affacendata a pre-
pararle da cena : la lasci stare, signor curato : anche
il calamajo, che farà più presto.
Cosi, brontolando, tirò un cassettino dal tavolo,
ne tolse carta, penna e calamajo, e si pose a scri-
vere, dettandosi ad alta voce la composizione. Frat-
tando Toni e Gervaso, com'era convenuto, si posero
dinanzi allo scrittore in modo da toglierli la veduta
della porta; e come per ozio andavano soffregando
coi piedi il pavimento, per dar agio ai di fuori di
venire avanti senza essere intesi. Don Abbondio,
tutto nella sua quitanza, non badava ad altro. Al
fruscio dei quattro piedi Fermo strinse la mano di
Lucia per darle risoluzione, la pigliò con sé e pian
piano entrarono nella porta, Lucia più morta che viva,
e si collocarono dietro i due fratelli. Don Abbondio,
finito ch'ebbe di scrivere, rilesse attentamente da sé,
quindi fatta lettura ad alta voce, prima di alzare gli
occhi dalla carta: sarete contento? disse, e preso il fo-
glio lo porse a Toni. Toni, allungando la mano per pi-
gliarlo, si ritirò da una parte, Gervaso dall'altra, e i
due sposi apparvero in mezzo (l) come all'alzare d'un
(') Segue cancellato : « Don Abbondio non aveva avuto
« tempo di spaventarsi, né di maravigliarsi, né di vedere,
« che Fermo aveva già pronunziate le parole magiche :
« Signor curato, in presenza di questi testimonj, questa
« è mia moglie ». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 659 ~
sipario. Don Abbondio intravide, vide, si spaventò,
si stupì, s'infuriò, pensò, prese una risoluzione, tutto
questo nel tempo che Fermo impiegò a proferire le
parole magiche : Signor curato, in presenza di questi
testimonj, questa è mia moglie. Le labbra di Fermo
non erano ancor tornate in riposo, che Don Ab-
bondio aveva già lasciata cadere la quitanza fatta,
afferrata colla manca e sollevata la lucerna e tirato
colla destra a sé un tappeto, che copriva il tavolo,
gettando a terra il breviale e il quaresimale, e bal-
zando tra la seggiola e il tavolo s'era avvicinato a
Lucia; la poveretta con voce tremante aveva ap-
pena potuto dire: e questo.... che Don Abbondio
gli aveva gettato scortesemente il tappeto sulla
testa e sul volto, e tenendoglielo colle mani rav-
volto e stretto sulla bocca, perch'ella non potesse
proseguire, gridava a testa, come un toro ferito : tra-
dimento ! tradimento ! ajuto ! ajuto! Il lucignolo della
lucerna, che Don Abbondio aveva lasciata cadere a
terra, si moriva mandando un ultimo chiarore, e la
povera Lucia, appoggiata a Fermo, coperta così di
quel ruvido velo, pareva una statua sbozzata in creta,
a cui un rozzo fattore dell'artefice copre la testa con
un umido panno. Cessata ogni luce, Don Abbondio
lasciò la poveretta, la quale già per sé non avrebbe
più potuto proseguire, e pratico com'era del luogo,
trovò tosto a tentone la porta della stanza vicina,
v'entrò, vi si chiuse e continuò a gridare: tradi-
mento ! Perpetua ! accorr' uomo : gente in casa ! clan-
destino : tre anni di sospensione ! una schioppettata !
fuori di questa casa ! fuori di questa casa ! Perpetua !
dov'è costei! Nella stanza tutto era confusione. Fermo,
inseguendo come poteva il curato, aveva strascinata
con sé Lucia alla porta e bussava gridando : apra,
apra, non faccia schiamazzo : apfa, o la vedremo. Toni,
Digìtized by
Google
— 66o —
curvo a terra, girava le mani sul pavimento per tro-
vare la sua quitanza, e Gervaso, spiritato, gridava
e andava cercando la porta della scala per porsi in
salvo.
Don Abbondio, vedendo che il nimico non voleva
sgomberare, si fece ad una finestra che dava sul
sagrato, a gridare ajuto. Batteva la più bella luna
del mondo, e l'ombra della chiesa e del campanile
si disegnava sulle erbe lucenti del sagrato : per quel-
T ombra veniva tranquillamente (l) con un gran
mazzo di chiavi pendente alla mano il sagrista, il
quale, dopo suonata l'avemaria, era rimasto a sco-
pare la chiesa e a governare gli arredi dell'altare.
Lorenzo! gridò il curato, accorrete, gente in casa!
ajuto. Lorenzo si sbigottì; ma con quella rapidità
d'ingegno che danno i casi urgenti, pensò tosto al
modo di dare al curato più soccorso ch'egli non chie-
deva e di farlo senza suo rischio. Corse indietro alla
porta della chiesa, scelse nel mazzo la grossissima
chiave, aperse, entrò, andò difilato al campanile,
prese la corda della più grossa campana e tirò a mar-
tello (2).
B) SECONDA MINUTA.
Tra il primo concetto d'una impresa terribile e
l'adempimento (ha detto un barbaro (3) che non era
(1) Segue cancellato: «il sagrestano». (Ed.)
(2) È un brano del capitolo VII del tomo I della prima
minuta. (Ed.)
(3) Prima scrisse : « (ha detto un barbaro che di tanto
«in tanto esce in qualche bella scappata d'ingegno, ma
« che nel complesso non può non accontentar noi gente
Digìtized by
Google
66i —
privo d'ingegno) l'intervallo è un sogno pieno di
fantasmi e di paure. Lucia era da molte ore nell'an-
ce di gusto raffinato, avvezza a composizioni così continua-
le mente ragionevoli, così rigorosamente sensate) ». Nel
testo definitivo è rimasto: «Tra il primo pensiero d'una
« impresa terribile, e l'esecuzione di essa, (ha detto un
« barbaro che non era privo d' ingegno) 1' intervallo è un
« sogno, pieno di fantasmi e di paure ». Il barbaro è Sha-
kespeare, il quale espresse questo pensiero nell'atto secondo
del suo Julius Caesar. Il reverendo Carlo Seven, che prese
a tradurre in inglese i Promessi Sposi appena vennero alla
luce, arrivato a questo passo, dette in furore e scrisse al
Manzoni una lettera stizzosissima, chiedendogli conto e
spiegazione di un tal giudizio. N'ebbe la seguente risposta,
che ha la data del 25 gennaio 1828. « Pregiatissimo Si-
«gnore, Si ricorda Ella di quel personaggio della com-
« media, il quale, strapazzato e battuto dalla sua sposa,
«per sospetto geloso, si rallegra tutto di quegli sdegni,
« benedice quelle percosse, che gli sono testimonianze
«d'amore? Ora, pensi che tale, a un di presso, è il mio
« sentimento, nel veder Lei così in collera contro di me,
« per difendere il mio Shakespeare : giacché, quantunque
«io non sappia un iota d'inglese, e quindi non conosca
« il gran poeta che per via di traduzioni, pure ne son sì
« caldo ammiratore, che quasi quasi ci patisco se altri
«pretende esserlo più di me. E un tempo ch'io me la
«pigliava più calda che non adesso per la poesia e pei
« poeti, non le so dire quanta rabbia mi facessero quelle
« così rabbiose e così inconsiderate sentenze di Voltaire e
«de' suoi discepoli sulle cose di Shakespeare. E forse più
« ancor delle ingiurie mi spiaceva quel modo strano di
«lodarlo dicendo che, in mezzo a una serie di strava-
« ganze, egli esce di tempo in tempo in mirabili scappate
« di genio: come se la voce del genio, che in quei luoghi
« leva, per dir così, un grido, non fosse quella stessa che
« parla altrove ; come se la stessa potenza, che ivi fa di
« sé una mostra straordinaria, non si mostrasse, con meno
«scoppio, ma con maravigliosa continuità, nella pittura
«di tante e tanto varie passioni, nel linguaggio di tanti
« caratteri e di tante situazioni, così umano e così poetico,
Digìtized by
Google
— 662 —
gosce di questo sogno : e Agnese, la stessa Agnese,
l'autrice del consiglio, stava sopra pensiero, e tro-
« così inaspettato e così naturale ; linguaggio cui non trova
«se non la natura nei casi reali, e la poesia nelle sue più
« alte e profonde inspirazioni ; come se la stessa potenza
« non apparisse nella scelta, nella condotta, nella progres-
« sione degli avvenimenti e degli affetti, nell'ordine, così
« negletto in apparenza e così seguito in effetto, che uno
«non sa se debba attribuirlo a un mirabile istinto, o ad
«un mirabile artificio: o piuttosto v'è straordinariamente
«dell'uno e dell'altro, etc. etc. E appunto contro quel
« sentimento di Voltaire (sul quale, del resto, è stato detto
« da altri, prima di me, meglio ch'io non saprei mai dire)
«io me la son voluta prendere con quella mia frase iro-
« nica ; la quale, intesa da Lei in senso proprio, non
«maraviglia che l'abbia così scandalizzata. Ma, poiché
«Ella l'ha intesa così, mi domanderà certamente come
« io abbia creduto che Ella l'avesse a intendere altrimenti.
« Le dirò che mi son fidato, prima di tutto, nelle parole
«stesse; le quali, se Ella vi pon niente, son tanto strane,
«a pigliarle sul serio, che m'è sembrato che avvisassero
« per sé di doverle pigliare pel verso opposto. Quelli che
« han voluto metter più basso Shakespeare, lo hanno detto
«un genio rozzo, indisciplinato, ma tutt'altro che volgare:
«la mia proposizione, intesa secondo la lettera, verrebbe
«a dirlo un ingegno barbaro e mediocre. E un giudizio,
« così lontano da tutti i giudizi, riuscirebbe ancor più strano
« e inintelligibile nella circostanza in cui è messo fuori, a
«proposito cioè d'un luogo famoso, d'un passo che, anche
• « da quelli che non apprezzano lo scrittore, è conosciuto
« e citato come uno dei più nobili di tutta la poesia. Ol-
« tracciò, io mi son fidato nella supposizione che i miei
«lettori (dei quali, coni' Ella dee aver veduto, io prono-
« sticava al mio libro un numero ben minore di quello
« che gli ha dato la sorte) conoscessero la mia ammira-
« zione per Shakespeare, e da questa conoscenza fossero
« guidati a interpretare (se ve n'era bisogno) le mie parole.
«Ma come l'avevano a conoscere? mi domanderà Ella di
« nuovo. Per un mezzo che mi viene a punto per fare
« una mia vendetta, una vendetta proprio di quelle atroci,
Digìtized by LjOOQ IC
— 663 —
vava a stento parole per rincorare la figlia. Ma al
momento del destarsi, al momento in cui si vuol por
«alla moda di noi altri italiani, per castigarla, s'Ella mi
«permette, dell'aver pensato così male di me. E il suo
« castigo sarà di leggere una mia lettera, in francese, in-
« tórno alle unità drammatiche, lunga di molte buone pa-
« gine e pubblicata già da qualche anno. Ma io veggo
«ch'Ella domanda misericordia, e non voglio esser cru-
«dele: ridurrò dunque la pena allo stretto necessario; e,
« per uscir di scherzo, la pregherò di guardare nell'edi-
« zione, fatta costì la Pisa] da codesto sig. Capurro, di varie
« mie corbellerie, i luoghi di quella lettera dove è parlato
«di Shakespeare. E sono, alla pag. 409, un piccolo con-
« fronto tra il concetto generale dell'Otello e quello della
« Zaira di Voltaire. Poi, alla pag. 414, dove, confes-
«sando che non mi gusta la mescolanza del serio e del
« giocoso nei drammi di Shakespeare, Ella vedrà s' io
« rinnego l'uomo, e se dibatto punto della mia ammira-
« zione per esso. Alla 421, dove, per la parte mia, Shake-
« speare non è quasi altro che nominato, ma vedrà come
«e in che compagnia: quivi poi son riferite osservazioni
« d'un mio amico, le quali Ella leggerà sicuramente con
« piacere. Finalmente, s' io ho ben frugato per tutto, alla
« pag. 429, dove comincia un transunto del Riccardo II ;
« un transunto magro e atto forse a dimostrare che chi
« V ha steso abbia poco veduto in Shakespeare ; ma non
« certamente che vi abbia poco guardato. Ciò non di meno,
«l'effetto che la mia frase ha prodotto in Lei così con-
«trario al mio intento, mi dà giusto sospetto di non es-
« sermi spiegato così chiaro come avrei dovuto, e mi fa
«temere che un effetto simile non sia prodotto nel più
«degli altri lettori ch'io avrò da Lei: sicché, non solo io
« consento (come Ella gentilmente mi propone) ; ma la
« prego eh' Ella voglia prevenire ogni simile interpreta-
« zione in quel modo che le parrà migliore. Le rendo
«nuove grazie dell'onore che Ella mi fa coli' occuparsi
«della mia favola-storia; e sento lietamente la speranza
« che Ella mi dà di potere presto aver quello di cono-
« scerla personalmente e di esprimerle a viva voce la mia
« riconoscenza e i sentimenti dell'alta stima, coi quali mi
Digìtized by LjOOQ IC
— 664 —
mano all'azione, l'animo si trova tutto trasformato.
Al terrore e al coraggio, che vi battagliavano, suc-
cede un altro terrore, un altro coraggio: l'impresa
si affaccia alla mente come una nuova apparizione:
ciò che più si apprendeva da prima sembra talvolta
« pregio di rassegnarmele Dev.mo obb.mo servitore Ales-
« sandro Manzoni ».
Carlo Seven stampò la lettera a pp. XI-XVII della
Preface che sta in fronte al voi. I della sua traduzione,
accompagnandola con queste parole : « This passage »
(l'accenno al barbaro che non èra privo d'ingegno) « con-
« tains a sentiment from Shakespeare ; and 1 was struck,
« as every one who reads it must be, with the paren-
«thetical remark; in which the author styles the King of
« Bards a barbarian not entirely destitute of talent. Indi-
ce gnant, as a loyal subject should be at the aspersions
«of a rebel, I dared to fling the gauntlet at his feet;
«and in a letter to M. Manzoni (to which I was encou-
« raged by a previous communication), I charged him
« zealously if feebly, with his crime. In the reply, which
« I am permitted to annex at foot, he condescends to
«rebut the charge; and extend a friendly hand, where I
«looked for a hostile glaive. He alleges, as will be seen,
« that the passage is ironical — but I will not spoil the
« defence by garbling it. Let the Reader consider it with
« attention ; and while attracted by the beauty of the
« Autor's style — the force and warmth of his panegyric
«on Shakespeare: while admiring the ingenious mode
«by which he deprecates our English prejudices — let
«him recommend to this highly gifted individuai, hence-
« forward to be less frugai of a note of ad mi rati on ! And
« let him add, in the language of one among the consum-
«mate masters of Irony that England has had to boast
« To statesmen when we give a wipe,
« We print it in Italie type».
Cfr. The betrothed lovers ; \ a \ milanese tale of the
XVII th, ceniury: \ trans lated \ front the italian \ of\ Ales-
sandro Manzoni. | In three volumes. \ VoL I | Pisa : | Nic-
colo Capurro, Lungarno | 1828; pp. VIII-X.
Digìtized by
Google
— 665 —
divenuto in un punto agevole : talvolta s' ingrandisce
l'ostacolo che appena si era avvertito, l'immagina-
zione si arretra spaventata, le membra negano il loro
uficio, e il cuore manca alle promesse che aveva fatte
con più sicurezza (l).
Al bussare sommesso di Fermo, Lucia fu presa
da tanto terrore, che risolvette in quel momento di
soffrire ogni cosa, di esser sempre divisa da lui, piut-
tosto che eseguire la risoluzione presa; ma quando
Fermo si fu mostrato, ed ebbe detto: son qui, an-
diamo ; quando tutti si mostrarono pronti ad avviarsi
senza esitazione, come a cosa stabilita, irrevocabile,
Lucia non ebbe spazio né cuore d' intromettere dif-
ficoltà ; e, come strascinata, prese tremando un braccio
della madre, un braccio del promesso sposo, e s'avviò,
senza far motto, colla brigata avventuriera.
Zitti, zitti, nelle tenebre, a passo misurato usci-
rono dalla porta e presero la strada fuori del paese.
La più dritta e corta era di attraversarlo per dive-
nire all'altro capo, dov'era la casa di don Abbondio:
ma scelsero la più lunga onde camminare inosser-
vati. Per una giravolta di stradicciuole al di fuori,
giunsero in breve presso alla meta, e quivi si divi-
sero. I due promessi rimasero nascosti dietro l'an-
golo della casa, Agnese con essi, ma dinanzi, per ac-
correre in tempo ad incontrare Perpetua e ad impa-
dronirsene: Tonio col disutilaccio di Gervaso, che
non sapeva far nulla da sé, e senza il quale non
si poteva far nulla, si affacciarono bravamente alla
porta e toccarono il martello.
(!) Segue cancellato : « Un matrimonio clandestino era
« per Lucia Zarella quello che l'uccisione d'un dittatore
« per Marco Bruto ». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 666 —
— Chi è, a quest'ora? gridò una voce alla fine-
stra, che si aperse in quel momento : era la voce di
Perpetua. Malati non ce n'è, ch'io sappia: è forse
accaduta qualche disgrazia?
— Son io, rispose Tonio, con mio fratello, che
abbiamo bisogno di parlare col signor curato.
— È ora da cristiani questa? rispose agramente
Perpetua: che discrezione! tornate domani.
— Sentite: tornerò, o non tornerò: ho riscossi
non so che danari, e veniva a saldare quel debituccio
che sapete: aveva qui venticinque belle berlinghe
nuove: ma se non si può, pazienza: questi so come
spenderli, e tornerò quando ne abbia riscossi degli altri.
— Aspettate, aspettate: vado e torno: ma perchè
venire a quest'ora?
— Se Torà potete cangiarla, io non m'oppongo :
per me son qui; e se non mi volete, me ne vado.
— No, no : aspettate un momento ; torno con la
risposta.
Cosi dicendo richiuse la finestra : a questo punto
Agnese si spiccò dai promessi, e detto sotto voce a
Lucia: coraggio; è un momento; gli è come far ca-
vare un dente, venne a porsi lungo la fronte della
casa, poco lontano dalla porta, aspettando che tor-
nasse Perpetua, per giungerle addosso (1).
(!) Segue cancellato: «Perpetua era salita a portar
« l'ambasciata a don Abbondio, il quale, convalescente
« della febbre dello spavento, anzi più guarito (quanto
« alla febbre) che non volesse lasciar credere, stava sul
« suo seggiolone, con un libricciuolo aperto dinanzi. 11
« poveruomo, tanto era lontano dal pensare alla burrasca
« che gli si addensava sul capo ! andava cercando nella
« sua memoria chi fosse stato Cameade. Bisogna sapere
« che don Abbondio si ». Il Manzoni nel correggere la
copia per la Censura troncò qui il capitolo, e di quello
che segue ne formò il principio del capitolo Vili. (Ed.)
Digitized by
Google
— 667 —
— Cameade ! chi era costui ? ruminava tra sé don
Abbondio, seduto sul suo seggiolone nella stanza da
letto, con un libricciuolo aperto dinanzi, quando Per-
petua entrò a portargli l'imbasciata. Cameade! questo
nome mi par bene di averlo inteso o letto; doveva
essere un uomo di studio, un lettera tone del tempo
antico : è un nome di quelli : ma chi diavolo era co-
stui? Tanto il pover uomo era lontano dal pensare
alla burrasca che gli si addensava sul capo ! Bisogna
sapere che don Abbondio si dilettava di leggere
qualche linea ogni giorno, e un curato suo vicino,
che aveva un po' di libreria, gli prestava un libro
dopo l'altro, il primo che gli veniva alle mani. Quello
su cui meditava in quel momento don Abbondio,
convalescente della febbre dello spavento, anzi più
guarito (quanto alla febbre) che non volesse lasciar
credere, era un panegirico in onore di san Carlo,
detto con molta enfasi, e udito con molta ammira-
zione, nel duomo di Milano, due anni prima. Il santo
vi era paragonato, per l'amore dello studio, ad Ar-
chimede; e fin qui don Abbondio non trovava in-
ciampo ; perchè Archimede ne ha fatte di così belle (l),
(!) A proposito dell'accenno a Cameade il prof. Nino
Tamassia [Due note manzoniane; in Giornale storico della
letteratura italiana; XXI, 182] scrive: «chiedere perchè
«il Manzoni tirò fuori il nome di quel letteratone del
«tempo antico, sembrerebbe forse una stranezza beli* e
« buona: e pure non è così. Accostiamo alle parole messe
« in bocca di don Abbondio queste altre di un dialogo di
«Agostino [Contra Academicos, cap. Ili, n.°7; in Opera,
«ed. Venet. 1833, I, p. 305]: Tarn Licentius: Cameade s,
« inquity Ubi sapiens non videtur t Ego, ait, Graecus non
«sum, nescio Carneades iste qui fuerit. Non coincide la
«domanda di don Abbondio: Cameade! Chi era costui?
« con la frase di Agostino : nescio Carneades iste qui fuerit?
« 11 Manzoni aveva studiato il gran dottore africano, e ne
Digìtized by
Google
— 668 —
ha fatto dir tanto di sé, che per saperne qualche cosa,
non fa mestieri una erudizione molto vasta. Ma dopo
€ fa fede la lettera sua al Poujoulat nella quale, da
€ par suo, cerca di determinare dove precisamente sor-
cgesse il celebre Cassiacum, ove Agostino si era ritirato
€con la madre, il figlio e gli altri amici, per prepararsi
cai battesimo. E notisi che il dialogo cantra Academicos
€ è opera nata dalla conversazione di Agostino e de' com-
€ pagni, durante il tranquillo soggiorno di Cassiaco. Non
€ parrà dunque più strana, dopo queste considerazioni,
€ l'ipotesi che il Manzoni, scrìvendo i Promessi Sposi,
€ ricordasse il nescio Carneades iste qui fuerit, e lo fa-
€ cesse dire al povero don Abbondio, come saggio della
€ non troppo ampia cultura del clero d'allora ».
Proprio dopo le parole della seconda minuta, che ho
stampate: « perchè Archimede ne ha fatte di cosi belle»,
il Manzoni scrìsse, ma cancellò : € che non occorre esser
€ molto erudito per saperne qualche cosa. Ceda Cameade ,
« proseguiva poi il panegirico. Cameade ! ruminava tra sé
« il lettore : chi era costui? mi par bene.... Perpetua entrò
«ed espose la domanda di Tonio». È evidente: la fonte
alla quale attinse il Manzoni, non si deve cercare nel
passo di S. Agostino, ma nel « panegirico in onore di
€ S. Carlo, detto con molta enfasi, e udito con molta am-
c mi razione, nel duomo di Milano, due anni prima ». Il
Lucchini [Contentarlo dei Promessi Sposi, ovvero la ri-
velazione di tutti i personaggi anonimi , Lecco, 1904;
pp. 129-130] afferma recisamente : eli libro sul quale me-
editava in quel momento don Abbondio.... era un pane-
egirico in onore di S. Carlo.... Quel panegirico.... avea
€ per titolo La Fenice, e il suo autore fu Lucio Giuseppe
« Avogadro della Congregazione di Somasca e professore
e di teologia a S. Maria Segreta in Milano, ove era pre-
€ vosto ». La Fenice, or ottone in lode di S. Carlo Borro-
meo.... di Don Lutio* Gioskppe Avogadro, fu recitata
alti 4 di Novembre 1652; venne stampata € in Milano »
appunto nel MDCLII, e non c'è rammentato nemmen
per sogno Cameade! Si tratta invece d'un altro panegirico,
recitato nel 1626. Bisogna frugare per le Biblioteche di Mi-
lano e scovarlo. L'ho tentato, ma per ora senza frutto.
Coraggio e avanti; la fortuna arrìda al nuovo Colombo \
(Ed.)
Digìtized by
Google
669
Archimede, l'oratore chiamava a paragone anche Car-
neade: e quivi il lettore era rimasto arrenato. Per-
petua annunziò la visita di Tonio.
— A quest'ora? disse anch'egli don Abbondio,
com'era naturale.
— Che vuol ella? non hanno discrezione: ma se
non lo piglia al volo....
— Se non lo piglio ora, sa il cielo quando lo
potrò pigliare. Fatelo venire. Ehi ! ehi ! siete poi ben
sicura che sia egli, Tonio?
— Diavolo ! rispose Perpetua, e scese, aperse la
porta, e disse : dove siete?
Tonio si mostrò; e in quel momento si mostrò
pure Agnese, come se passasse di quivi, e salutò
Perpetua per nome, fermandosi sui due piedi.
. — Buona sera, Agnese, disse Perpetua : donde si
viene a quest'ora?
— Vengo dalla filanda, e se sapeste.... mi sono
indugiata appunto in grazia vostra.
— Oh perchè? domandò Perpetua: e, rivolta ai
due fratelli: entrate, disse, che vengo anch'io.
— Perchè, ripigliò Agnese, una donna di quelle
che non sanno le cose, e voglion parlare.... crede-
reste? si ostinava a dire che voi non vi siete spo-
sata con Beppo Suolavecchia, né con Anselmo Lun-
ghigna (*), perchè non vi hanno voluta. Io soste-
neva che voi gli avete rifiutati, l'uno e l'altro....
— Sicuro. Oh la bugiarda ! la bugiardona ! chi è
costei ?
— Ve lo dirò ; ma non potete credere quanto mi
sia spiaciuto di non saper bene tutta la storia, per
confonder colei.
(*) Prima aveva scritto : « Beppo Calcarello » e « An-
selmo Stacchi». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 670 —
È una bugiarderia, disse Perpetua, la più infame !
Quanto a Beppo, tutti sanno, e hanno potuto ve-
dere.... Ehi, Tonio! socchiudete la porta, e salite
pure, ch'io vengo.
Tonio rispose di dentro che si ; e Perpetua pro-
segui la sua narrazione appassionata. In faccia alla
porta di don Abbondio si apriva tra due casipole
una stradetta, la quale non correva diritta più che
la lunghezza di quelle, e volgeva, dietro ad una di
esse, nei campi. Agnese vi s'avviò, come se volesse
trarsi alquanto in disparte per parlare più libera-
mente : e veggendo poi che la narratrice le veniva
dietro smemorata, voltò il canto, non senza un gran
palpito, e Perpetua dietro. Agnese allora tossì forte.
Era il segno: Fermo lo intese, fece animo a Lucia con
una stretta di braccio, ed entrambi, iji punta di piedi,
voltarono anch'essi il lor canto, strisciaron quatti
quatti rasente il muro, vennero alla porta, l'aprirono
dilicatamente ; uno e due, cheti e chinati, furono nel-
l'andito, dove trovarono i due fratelli ad aspettare.
Fermo abbassò pian piano il saliscendo nel mona-
chetto: e tutti quattro su per le scale, non facendo
pur romore per due. Giunti sul pianerottolo, i due
fratelli si fecero in faccia alla porta della stanza che
era di fianco alla scala; gli sposi si strinsero alla
parete.
— Deo gratias, disse Tonio, a voce spiegata.
— Tonio, eh? Entrate, rispose la voce di dentro.
Il chiamato schiuse le imposte appena quanto era
necessario per passare egli, e il fratel dietro. La riga
di luce che uscì d'improvviso per quella apertura,
e scorse a traverso il pavimento oscuro del piane-
rottolo, fece trepidare Lucia, come s'ella fosse sco-
verta. Entrati i fratelli, Tonio si richiuse dietro le
imposte: gli* sposi rimasero immobili nelle tenebre
Digitized by LjOOQ IC
— 671 —
con le orecchie tese, tenendo il fiato: il romore più
forte era il battito del cuore di Lucia.
Don Abbondio stava, come abbiam detto, sur
una vecchia seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra,
imbacuccato in un vecchio berretto a foggia di ca-
mauro, che gli faceva cornice intorno alla faccia. Due
folte ciocche che scappavano fuor del berretto, due
folti sopraccigli, due folti mustacchi, un folto pizzo
pel lungo del mento, tutti canuti e sparsi su quella
faccia brunazza e rugosa, parevano cespugli nevicosi
sporgenti da un dirupo.
— Ah ! ah ! fu il suo saluto, mentre si cavava gli
occhiali e li riponeva nel libricciuolo. '
— Dirà il signor curato che son venuto tardi:
disse Tonio, inchinandosi, come pure fece, ma più
goffamente Gervaso.
— Sicuro che è tardi. Sono ammalato, vedete.
— Oh ! me ne spiace.
— L'avrete inteso dire: sono ammalato; e non
so quando potrò lasciarmi vedere.... Ma perchè vi
siete tirato dietro quel.... quel figliuolo?
— Così per compagnia, signor curato.
— Basta, vediamo.
— Sono venticinque berlinghe nuove, di quelle
col sant'Ambrogio a cavallo, disse Tonio, cavandosi
un gruppetto di tasca.
— Vediamo, replicò don Abbondio: e le prese,
si rimesse gli occhiali, le volse, le rivolse, le noverò,
le trovò irreprensibili.
— Ora, signor curato, mi darà la collana della
mia povera Tecla.
— È giusto, rispose don Abbondio; e andò ad
un armadio, e cacciata una chiave, guardandosi in-
torno come per tener lontani gli spettatori, aperse
una parte d'imposta, riempi l'apertura colla persona,
Digìtized by VjOOQ IC
— 672 —
introdusse la testa per guardare e un braccio per ri-
tirare il pegno; lo ritirò, chiuse l'armadio, svolse il
cartoccino, disse: va bene? lo ripiegò e lo consegnò
a Tonio.
— Ora, disse questi, si contenti di farmi una riga
di quitanza.
— Anche questa! disse don Abbondio. Le sanno
tutte : ih ! come è divenuto sospettoso il mondo ! Non
vi fidate di me?
— Che dic'ella, signor curato? s'io mi fido! ma,
dalla vita alla morte....
— Bene, bene.
Così brontolando tirò a sé un cassettino del ta-
volo ; ne tolse carta, penna e calamaio ; e si pose a
scrivere, ripetendo a viva voce le parole a misura
che gli uscivano dalla penna. Frattanto Tonio, e ad
un suo cenno Gervaso, si posero in piedi dinanzi al
tavolo in modo di togliere allo scrittore la vista della
porta; e come per ozio andavano soffregando coi
piedi il pavimento, per dar segno a quei di fuori
che entrassero, e per isconfondere nello stesso tempo
il romore delle loro pedate. Don Abbondio, attuffato
nella sua scrittura, non badava ad altro. Al fruscio
dei quattro piedi, Fermo strinse la mano a Lucia
per darle coraggio, e pian piano entrarono, Lucia
più morta che viva; e si appostarono dietro i due
fratelli. Frattanto don Abbondio, finito di scrivere,
rilesse attentamente, senza sollevar gli occhi dalla
carta; la piegò, dicendo: sarete contento ora? e to-
gliendosi con una mano gli occhiali dal naso, sporse
con l'altra il foglio a Tonio, levando la faccia. Tonio,
stendendo la destra a prenderlo, si ritirò da una
parte; Gervaso, ad un cenno, dall'altra: ed ecco, come
al dividersi d'una scena, apparire nel mezzo Fermo
e Lucia. Don Abbondio intrawide, vide, si spaventò,
Digìtized by LjOOQ IC
— 673 —
si stupì, s'infuriò, pensò, prese una risoluzione: tutto
questo nel tempo che Fermo mise a proferire le pa-
role: signor curato, in presenza di questi testimoni i,
questa è mia moglie. Le sue labbra non erano an-
cora tornate in riposo, che don Abbondio aveva
già lasciata cadere la quitanza, afferrata colla manca
e sollevata la lucerna, ghermito con la destra il tap-
peto, che copriva la tavola, e tiratolo a sé con furia,
gittando a terra libro, carta, calamaio e polverino;
e balzando tra la seggiola e la tavola, s'era avvici-
nato a Lucia. La poveretta con quella sua voce soave,
e allora tutta tremante, aveva appena potuto profe-
rire: e questo.... che don Abbondio le aveva git-
tata scortesemente il tappeto sulla testa e sul volto,
per impedirle di pronunziare intera la forinola. E
per tenerle meglio quel drappo ravvolto intorno alla
bocca, lasciò cadere la lucerna: gridando intanto a
testa, come un toro ferito: Perpetua, Perpetua, tra-
dimento, aiuto ! Il lucignolo, morente sul pavimento,
mandava una luce languida e saltellante sopra Lucia,
la quale, affatto smarrita, non tentava pure di svi-
lupparsi, e stava come una statua sbozzata in creta,
sovra la quale l'artefice ha gittata un umido panno.
Cessata ogni luce, don Abbondio lasciò la poveretta,
e andò cercando a tentone la porta d'una stanza vi-
cina, la trovò, v'entrò, si chiuse dentro, gridando
tuttavia: Perpetua, tradimento, aiuto, fuori di questa
casa, fuori di questa casa. Nell'altra stanza tutto era
confusione : Fermo, cercando di cogliere il curato, e
remigando colle mani, come se facesse a gatta cieca,
era giunto alla porta, e bussava, gridando : apra,
apra, non faccia schiammazzo. Lucia chiamava Fermo
con voce fioca, e diceva supplicando: andiamo, an-
diamo, per amor di Dio. Tonio, carpone, andava sco-
pando colle mani il pavimento, per adunghiare la
Alessandro Manzoni. 43
Digìtized by
Google
— 674 —
sua quitanza. Gervaso spiritato gridava, e trasaltava,
cercando la porta della scala, per uscire a salva-
mento.
In mezzo a questo serra serra, non possiamo la-
sciare di arrestarci un momento a fare una riflessione.
Fermo, il quale strepitava di notte in casa altrui,
che vi s'era tramesso di soppiatto, e teneva il pa-
drone stesso assediato in una stanza, ha tutta l'ap-
parenza d'un oppressore: eppure, alla fine del fatto,
egli era l'oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo
in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente
ai fatti suoi, parrebbe la vittima: eppure egli era in
realtà l'ingiusto. Così va sovente il mondo.... Vo-
glio dire, cosi andava nel secolo decimo settimo.
L'assediato, veggendo che il nemico non isgo Al-
berava, aperse una finestra che dava in sul sagrato,
e si diede a gridare : aiuto ! Batteva la più bella luna
del mondo: e l'ombra della chiesa e del campanile
si disegnava bruna e distinta (l) sul piano verde e
liscio del sagrato. Per quell'ombra veniva tranquil-
lamente, con un gran mazzo di chiavi pendente alla
mano, il sagrista, il quale, dopo suonata l'avemaria,
era rimasto a governare non so che arredi dell'al-
tare. A quel gridìo levò egli la testa.
— Lorenzo (2) ! gridò don Abbondio : accorrete :
gente in casa: aiuto! aiuto!
Lorenzo, quantunque sbigottito, non perdette la
testa; trovò in su l'istante ch'egli poteva dar più
aiuto che non gliene fosse domandato, senza cac-
ciarsi egli nel tafferuglio, quale eh' e' fosse. Corse
(!) Le parole : « bruna e distinta » furono aggiunte dopo,
in margine. (Ed.)
(2) Nella copia per la Censura e nella stampa lo ribat-
tezzò Ambrogio, (Ed.)
Digitized by LjOOQ IC
— 675 —
indietro alla porta della chiesa; tolse nel mazzo la
grossissima chiave, entrò, andò difilato al campanile,
prese la corda della campana maggiore e suonò a
martello (*).
(!) È un brano del capitolo VII del tomo I della se-
conda minuta. (Ed.)
Digìtized by
Google
X.
Le correzioni all' « Addio ai monti > .
A) Prima stesura.
I viaggiatori silenziosi, volgendosi addietro, guar-
davano [il paese] le montagne e il paese, che la luna
illuminava. Si distinguevano i villaggi, i campanili,
le capanne : il castellotto di Don Rodrigo colla vec-
chia sua torre [sovrastava fra le capanne e le signo-
reggiava] alto sulle capanne pareva un [superbo] fe-
roce ritto nelle tenebre che [medita il delitto] in mezzo
ad una folla di coricati nel sonno [stesse] vegliasse
meditando un delitto. Lucia [scorreva coli' occhi] lo
vide, e rabbrividì; scerse coir occhio verso il sito
della sua umile casa, vide un pezzo di. muro bianco
che usciva da una macchia verde scura, riconobbe
la [ca] sua casetta, e il fico che ombreggiava la stessa:
e seduta com'era sul fondo della barca, poggiò il
gomito sulla sponda, chinò su quello la fronte come
per dormire; e pianse segretamente.
Addio, monti [ritti negli abissi dell'acque] [ap-
poggiati negli abissi delle acque ed elevati verso il
cielo;] posati sugli abissi dell'acque ed elevati al
cielo; cime ineguali, conosciute a colui [che vi guardò
Digìtized by
Google
— 677 —
colle prime sue occhiate} che fissò sopra di voi i
primi suoi sguardi, e che visse fra voi, come egli
distingue all'aspetto [gli uomini coi] l'uno dall'altro
i suoi famigliari, [valli segrete] valloni segreti, ville
sparse e biancheggianti sul pendìo come branco di-
sperso di pecore pascenti, addio ! Quanto [spiace-
vole] è [doloroso il lascia] tristo il lasciarvi a chi vi
conosce dall'infanzia! quanto è nojoso l'aspetto della
pianura [che fastidisce l'occhio e lo conduce per lon-
tani spazj dov'egli non trova che] dove [quello] [lo
spazio che si percorre somiglia a q] il sito a cui si
aggiunse è simile a quello che si è lasciato addietro,
dove l'occhio [fastidito] cerca invano [negli] nel
lungo spazio, dove riposarsi e [guardare] contemplare,
e si [abbassa] ritira fastidito come dal fondo d'un
quadro su cui l'artefice non abbia ancor figurata al-
cuna immagine della creazione. Che importa che nei
[deserti] piani deserti surgano città superbe ed af-
follate? il montanaro che le passeggia [non può stu-
pirsi degli edificj] avvezzo alle alture di Dio, non
' sente il diletto della maraviglia nel mirare edificj che
il cittadino chiama [alti] elevati perchè gli ha fatti
egli ponendo a fatica pietra sopra pietra. Le vie che
[si lodano] hanno vanto di ampiezza, gli sembrano
valli [anguste] troppo anguste ; [ed [egli] egli sa] l'afa
immobile lo opprime, ed egli che nella vita operosa
del monte non [aveva] [pensava alla sanità che at-
tor quando] aveva forse provato altro malore che la
fatica, divenuto [sospettoso] timido e delicato come
il cittadino, [parla] si lagna del clima e della tem-
perie, e dice che morrà se non torna ai suoi monti.
Egli che sorto col sole non riposava che al mezzo
giorno, e [alla sera] al cessare delle fatiche diurne,
[ora] passa le ore intere nell'ozio malinconico ripen-
sando alle sue montagne.
Digìtized by
Google
— 678 —
Ma questi sono piccioli dolori (*). L'uomo sa tor-
mentar l'uomo \>iell' animo] nel cuore; e amareg-
giargli il pensiero di modo che anche la memoria
dei [temp{\ momenti [lieti già pa] passati lietamente
[gli porta un rancore] [senza] [non misto di com-
piacenza] [invece è tutta dolorosa. Addio, casa natale]
affacciandosi ad esso perde ogni bellezza, e porta un
rancore non temperato da alcuna compiacenza; è
tutta dolorosa : reca all'afflitto una certa maraviglia
che abbia potuto altre volte godere, e non desi-
dera più quelle contentezze delle quali non gli par
più capace la sua mente trasformata (*). Addio, casa
natale, casa dei primi passi, dei primi giuochi, delle
prime speranze ; casa [dalla] nella quale sedendo con
un pensiero s'imparò a distinguere [dalle orme degli]
[fra i passi degli uomini] dal romore delle orme co-
muni il romore d'un 'orma desiderata con un miste-
rioso timore. Addio, addio casa altrui, nella quale la
fantasia [commossa, e] intenta, e sicura vedeva [il sog-
giorno] [si era fabbricato il] un soggiorno di [compagna]
sposa, e di compagna. Addio, Chiesa dove nella prima
[in/] puerizia si stette in silenzio e [colla gravita] con
adulta gravità, dove si [cantò] cantarono colle com-
pagne le lodi del Signore, dove ognuno esponeva
tacitamente le sue preghiere a Colui che tutte le in-
tende e le può tutte esaudire ; Chiesa, dove era pre-
(*) Fin qui il brano è tolto dal foglio che il Manzoni
numerò prima 90, poi 92, e che nella nuova numerazione
a matita è il 68-69. Questo foglio appartiene al tomo primo
della prima minuta. Il brano che segue è tolto dal fo-
glio 91, numerato recentemente 66-67. (Ed.)
(*) Il Manzoni notò in margine : « Dolore speciale : la
« contemplazione della perversità d'una mente simile alla
« nostra : idea predominante in chi è afflitto dal suo si-
« mile ». (Ed.)
Digìtized by
Google
— 679 —
parato un rito, dove l'approvazione e la benedizione
di Dio doveva aggiungere all'ebbrezza della gioja
il gaudio tranquillo e solenne della santità. Addio!
Il serpente nel suo viaggio [tortuoso e] torto e insi-
dioso, si posta talvolta vicino all'abitazione dell'uomo,
e vi pone il suo nido, vi conduce la sua famiglia,
[e l'uomo che] riempie il suolo e se ne impadronisce ;
[ne scaccia l'uomo il quale] perchè l'uomo il quale ad
ogni passo incontra il [reitile] velenoso vicino pronto
ad avventarglisi, che è obbligato di guardarsi e di non
dar passo senza sospetto, che trema pei suoi figli
[abbandona la sua abitazione, maledice il serpente
sente] sente venirsi in odio la sua dimora, maledice
[il vicino nuovo] il rettile usurpatore, e parte. E l'uomo
pure caccia talvolta l'uomo [dalla] sulla terra come
se [fosse una] gli fosse destinato per preda : [fino a
quel giorno in cui] allora il debole non può che
fuggire dalla faccia del potente oltraggioso : [fino a
quel giorno in cui] [un giorno poi] ma i passi affan-
nosi del debole sono contati, e un giorno ne sarà
chiesta ragione.
La barca giunta alla riva, urtando sull'arena [tra]
scosse Lucia, la quale [si alzò asciuganti] dopo avere
asciugate in segreto le lagrime, si alzò come dal
sonno.
E) Seconda stesura.
I passeggieri silenziosi, volgendosi addietro, guar-
davano le montagne e il paese rischiarato dalla luna,
e svariato qua e là di grandi ombre. Si distingue-
vano i villaggi, le case, le capanne: il castellotto di
don Rodrigo colla vecchia sua torre, elevato sulle
casucce ammucchiate alla falda del promontorio, pa-
Digìtized by
Google
— 680 —
reva un feroce che ritto nelle tenebre sopra una folla di
giacenti addormentati, vegliasse meditando un de-
litto. Lucia lo vide, e rabbrividì; discese coll'occhio
a traverso la china fino al suo paesello: [affisò l'e-
stremità] guardò fiso all'estremità, scerse la sua ca-
setta, scerse la chioma folta del fico che usciva [da/]
di sopra il muro: e seduta com'era sul fondo della
barca, appoggiò il gomito sulla sponda, chinò su
quello la fronte come per dormire; e pianse segre-
tamente.
Addio, montagne sorgenti dalle acque ed .[ele-
vate a] erette al cielo; cime ineguali, conosciute a
chi è nato fra voi, e distinte nella sua mente non
meno che lo sieno gli aspetti dei suoi più famigliari ;
valloni segreti, ville sparse e biancheggianti sul
pendìo, come branchi di pecore pascenti, addio !
Quanto è tristo il passo dell'indigena che si allon-
tana da voi ! [Quegli] A quello stesso che volonta-
riamente vi volge le spalle, [che va a procacciarsi for-
tuna, [sente ad un tratto] [vede nella] [vede e corre a] [e]
dirizzato a procacciarsi fortuna, si disabbelliscono in
quel momento i sogni della ricchezza, e nulla gli
sembra [più] desiderabile se non il soggiornare tra
voi. Il suo occhio si ritrae fastidito [dal vuoto uni-
forme aspetto della pianura [dalla u....]e affaticato]
e stanco dalla uniforme ampiezza della pianura ; [di-
nanzi agli edificii delle città affollate [egli pensa]
egli entra] l'aere gli simiglia gravoso e senza vita:
egli entra mesto e disattento nelle città tumultuose ;
e dinanzi agli edificii ammirati dallo straniero, egli
pensa [con diletto affannoso] con amore affannoso [ai
suoi monti] al camperello [che egli s,... del vicino su
cui egli ha posti gli occhi prima di partire] a cui
egli ha posto [add] gli occhi addosso da gran tempo,
ch'egli si compererà tornando a casa dovizioso, e
Digìtized by
Google
— 681 —
[pel quale solo si] per amore [del quale} di cui egli
si affatica ad acquistare, e sopporta il tedio di viver
lontano da* suoi monti.
Ma chi [mai] non aveva mai spinto al di là di quelli
pure un desiderio, né una vaghezza aerea, chi aveva
composti e intrecciati con l' immagine di quelli tutti i
disegni dell'avvenire, d'un avvenire sospirato segreta-
mente, e che [pareva] si credeva certo e imminente, e
ne è sbalzato [lungi] da una forza perversa! [lungi]
e strappato in una volta [dalle] alle costumanze più
care [e alle più care speranze] e turbato nelle più
care speranze ! [e parte senza sapere fra qua] s'avvia
in cerca di stranieri che non ha mai desiderato di
conoscere, e [senza] non può colla immaginazione
[precorrere al] trascorrere per uno spazio misurato
all'assenza, al momento stabilito del ritorno! Addio,
casa natale, dove sedendo con un pensiero [nascosto]
segreto s'imparò a distinguere dal romore delle orme
comuni il romore d'un'orma desiderata con un mi-
sterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa
guardata tante volte alla sfuggita passando e non
senza rossore, nella quale la [fantasia] mente [vedeva]
si compiaceva di figurarsi un tranquillo e perpetuo
soggiorno di sposa. Addio, chiesa, dove [era] si can-
tarono tante volte le lodi del Signore, dove era pro-
messo [un], preparato un rito, dove il sospiro segreto
[dell'animo] del cuore doveva essere solennemente
benedetto, e l'amore chiamarsi santo; addio!
Di tal genere, se non tali affatto, erano i pensieri
di Lucia, e poco dissimili i pensieri degli altri due
pellegrini, mentre [il battello] la barca gli andava av-
vicinando alla destra riva dell'Adda (*).
(*) Si legge in margine del foglio già ricordato, che il
Manzoni numerò prima 90, poi 92. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 682 —
C) Terza stesura.
L'onda segata dalla barca, riunendosi dietro la
poppa, segnava una striscia [.fuggente che] increspata,
che si andava allontanando dal lido. I passeggieri
silenziosi , [volgendosi [addietr. . .] indietro, guardavano
le moni. . .] [coi dorsi volti a quello, ma [coi voli colle fac-
ce [piegate] converse [rivolte indietro,] [girate indietro]
[seduti colle spalle converse] coi dorsi volti a quello,
[ma coi volti girati] e la faccia conversa indietro,
guardavano le montagne e il paese rischiarato dalla
luna, e svariato qua e là di grandi ombre. Si discer-
nevano i villaggi, le case, le capanne: il castellotto
di don Rodrigo, colla [vecchia] sua torre piatta, ele-
vato [sulle] sopra le casucce ammucchiate alla falda
del promontorio, pareva un feroce, che ritto nelle
tenebre sopra una [folla] compagnia di giacenti ad-
dormentati, vegliasse, meditando un delitto. Lucia lo
vide, e rabbrividì; discese coll'occhio a traverso la
china, fino al suo paesello ; guardò fiso all'estremità,
scerse la sua casetta, scerse la chioma folta del fico
che sopravanzava [le muraglie] sulla cinta del cortile ;
scerse la [sua] finestra della sua stanza: e seduta
com'era sul fondo della barca, appoggiò il gomito
sulla sponda, chinò su quello la fronte, come per
dormire; e pianse segretamente.
Addio, montagne sorgenti dalle acque, ed erette
al cielo; cime ineguali, [conosciute] note a chi è [nato]
cresciuto tra voi, e [distinte] impresse nella sua mente
non meno che lo sia l'aspetto dei suoi più famigliari;
torrenti dei quali egli [riconosce il fragore] distingue
lo scroscio, come il suono delle voci domestiche :
ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come bran-
Digitized by LjOOQ IC
— 683 —
chi di pecore pascenti ; addio ! Quanto è tristo il
passo dell'indigena che si allontana da voi! Alla
fantasia di quello stesso che {volontariamente vi lascia]
[si parte da voi in cerca del guadagno,] [si di] se ne
parte volontariamente, a procacciarsi guadagno, si
disabbelliscono in quel momento i sogni della fortuna;
egli [non sa capire come ab] si maraviglia d'essersi
potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non
pensasse che un giorno tornerà dovizioso. [A misura
ch'egli discende] Quanto più s'avanza nel piano, il
suo occhio si ritrae fastidito e stanco da quella am-
piezza uniforme; l'aere gli simiglia gravoso e senza
vita; egli s' inoltra mesto e disattento nelle città tu-
multuose ; le case aggiunte a case, le vie che sboccano
nelle vie [gli tolgono il fiato] pare che gli tolgano
il fiato; e dinanzi agli edifizii ammirati [agiti dallo
straniero, egli pensa con desiderio inquieto [alla
casuccid] al camperello del suo paese, alla cas uccia a
cui egli ha già posti gli occhi addosso da gran tempo,
e che compererà, tornando ricco a' suoi monti.
Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli
né pure un desiderio sfuggevole, chi aveva ^intrec-
ciati] composti e intrecciati con essi tutti i disegni
dell'avvenire, d'un avvenire tacitamente bramato, [e]
che pareva [ormai] certo ormai e imminente, e ne è
sbalzato [da una forza] lontano da una forza per-
versa ! Chi strappato ad un tempo alle più care costu-
manze, e sturbato nelle più care speranze, [s'avvia]
lascia quei monti per avviarsi in traccia di stranieri
che non ha mai desiderato di conoscere; e non può
colla immaginazione trascorrere ad un momento sta-
bilito [del] pel ritorno ! Addio, casa natale, dove
sedendo con un pensiero occulto, s' imparò a di-
stinguere dal romore delle orme «comuni il romore
d'un' orma aspettata con un misterioso timore. Ad-
Digìtized by
Google
— 684 —
dio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante
volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore;
nella quale la mente si compiaceva di figurarsi un
soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio,
chiesa, [nella quale si cantarono tante volte le lodi del
Signore] dove la mente si rasserenò tante volte, e tante
cure svanirono, cantando le lodi del Signore ; dove era
promesso, preparato un rito, dove il sospiro segreto
del cuore doveva essere solennemente benedetto, e
l'amore chiamarsi santo : addio ! Quegli che dava a
voi tanta giocondità è dapertutto ; ed Egli non turba
mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne
loro una più certa e maggiore.
Di tal genere, se non tali appunto, erano i pen-
sieri di Lucia, e poco dissimili i pensieri degli altri
due pellegrini, mentre la barca gli andava, avvici-
nando alla destra riva dell'Adda (*).
D) Il testo della prima edizione, con le cor-
rezioni DI QUELLA DEL 1840, RIVEDUTA DAL-
l'autore (2).
I passeggieri silenziosi, {colla faccia rivolta] con
la testa voltata indietro, guardavano [le montagne'] i
monti, e il paese rischiarato dalla luna, e [svariato]
variato qua e là di [grandi] grand'ombre. Si [discer-
nevano] distinguevano i villaggi, le case, le. capanne :
il palazzotto di don Rodrigo, [colla] con la sua torre
piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla
(*) Si legge nel capitolo Vili del tomo I della seconda
minuta. In realtà è la terza stesura. (Ed.)
(2) Le parole tra*parentesi quadre, in carattere corsivo,
son quelle della vecchia edizione originale, che mutò. (Ed.)
Digìtized by
Google
— 685 -
falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto
nelle tenebre, {sopra una] in mezzo a una compagnia
[di giacenti] d'addormentati, vegliasse, meditando
un delitto. Lucia lo vide, e rabbrividì: [discese col-
l'occhio a traverso la china] scese con l'occhio giù.
giù per la china, fino al suo paesello, guardò [fiso]
fisso {.alla] all'estremità, [scerse] scoprì la sua casetta,
[scersé] scoprì la chioma folta del fico che sopra-
vanzava [sulla cinta del cortile] il muro del cortile,
[scerse] scoprì la finestra della sua [stanza] camera;
e, seduta, com'era, [sul] nel fondo della barca, [ap-
poggiò il gomito] posò il braccio sulla sponda, [chinò]
posò {su quello] sul braccio la fronte, come per dor-
mire, e pianse segretamente.
Addio, [montagne] monti sorgenti [dalle] dall'acque,
ed [erette] elevati al cielo ; cime [ineguali] inuguali,
note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua
mente, non meno che sia l'aspetto [dei] de' suoi più
[famigliari] familiari; torrenti, [dei] de' quali {egli]
distingue lo scroscio, come il suono delle voci do-
mestiche; ville sparse e biancheggianti sul [pendìo]
pendio, come branchi di pecore pascenti; addio!
Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se
ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se
ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare
altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento,
i. sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi
potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non
pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto
più s'avanza nel piano, il suo occhio si [ritrae fasti-
dito e stanco] ritira, disgustato e stanco, da [quella]
quell'ampiezza uniforme; [l'aere] l'aria gli [simiglia
gravoso e senza vita] par gravosa e morta; s'inoltra
mesto e disattento nelle città tumultuose ; le case ag-
giunte a case, le [vie] strade che sboccano nelle [vie]
Digitized by
Google
— 686 —
strade, pare che gli [tolgano] levino il respiro; e [di-
nanzi] davanti agli [edifizii] edifizi ammirati dallo
straniero [egli] pensa, con desiderio inquieto, al
[camperello] campicello del suo paese, alla casuccia
a cui [egli] ha già [posti] messi gli occhi addosso,
da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a*
suoi monti.
Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli
[né pure] neppure un desiderio [sfuggevole] fuggi-
tivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni del-
l'avvenire, e [ne è] n'è sbalzato lontano, da una forza
perversa! Chi, [strappato] staccato [ad] a un tempo
[alle] dalle più care abitudini, e [sturbato] disturbato
nelle più care speranze, lascia [quei] que' monti, per
avviarsi in traccia di [stranieri] sconosciuti che non
ha mai desiderato di conoscere, e non può [colla]
con l'immaginazione [trascorrere] arrivare [ad] a un
momento stabilito [pel] per il ritorno ! Addio, casa
[natale] natia, dove, sedendo, con un pensiero oc-
culto, s'imparò a distinguere dal [romore] rumore
[delle orme] de' passi comuni il [romore] rumore
[di un'orma aspettata] d'un passo aspettato con un
misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa
sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e
non senza rossore ; nella quale la mente si [compia-
ceva di figurarsi] figurava un soggiorno tranquillo
e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo
tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Si-
gnore; [dove era] dov'era promesso, preparato un
rito ; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere
solennemente benedetto, e l'amore venir comandato,
e chiamarsi santo; addio! [Quegli che] Chi dava a
voi tanta giocondità è [da] per tutto ; [ed Egli] e non
turba mai la gioia [dei] de' suoi figli, se non per pre-
pararne loro una più certa e [maggiore] più grande.
Digìtized by
Google
— 687—
Di tal genere, se non tali appunto, erano i pen-
sieri di Lucia, e poco [dissimili] diversi i pensieri
degli altri due pellegrini, mentre la barca gli an-
dava avvicinando alla \_destra riva] riva destra del-
l'Adda (l).
(!.) Il prof. Giovanni Negri [Sui Promessi Sposi di
Alessandro Manzoni, cotntnenti critici, estetici e biblici;
premessovi uno studio su V opinione del Manzoni e quella
del Fogazzaro intorno all'amore, Milano, Scuola tip. Sa-
lesiana, 1903 ; part. I, pp. 149-157] fa alcune osservazioni
intorno a questo «Addio*, piene di finezza e d'acume.
(Ed.)
Digìtized by
Google
XI.
L'Innominato; brano della seconda minuta,
STRALCIATO POI DALL'AUTORE (z).
Nello schizzo che siam per dare della vita e del
carattere di queir innominato noi collocheremo alcuni
passi del Ripamonti, tra ducendoli alla meglio dal suo
bel latino (v). Pel rimanente non abbiamo altra au-
torità che quella del nostro manoscritto.
(!) L'autografo di questo brano forma il fascicolo se-
condo de* Fogli staccati dai Promessi Sposi. Il M. lo tolse
via dal tomo II della seconda minuta, dove occupava il
foglio 75 (già 93) e i fogli successivi 76-86. (Ed.)
(2) Ecco nel loro « bel latino » i passi del Ripamonti
che riguardano l'Innominato: « Memorano casum unius,
« qui procerum urbis quum haud sane ultimus esset, rura
« sibi urbem fecerat, ac magnitudine facinorum, iudicia,
« iudicesque et fasces ipsos imperiumque cohtemnebat.
« Posito in extremis provinciae finibus domicilio, solutam
«quandam ac sui iuris vitam agebat, receptator exulum
« et exul aliquandiu ipse, postea redux, eousque progres-
« sus, ut externi principis uxorem, cum ad maritum sponsa
« deduceretur, raperet sibique haberet, ac iusto denique
« matrimonio iungeret et nuptias illas innuptas celebrari
« nostra aetas vidit. Domus erat illa velut cruenta offi-
«cina mandatorum, capite damnati servi et capitimi ob-
« truncatores : non coquo, non aquariolo cessare licitum
Digitized by
Google
— 689 —
L'innominato era un tiranno, nel senso che si dava
allora alla parola, che non mi andaste ad accusar per
« erat : pueris imbutae sanguine manus : et facili in Ce-
« nomanos, Bergomatesve transitu, tanto magis contumax
« adversus edicta maiestatemque imperii huius familia tota
« erat. Herus ipse cum solum aliquando, nescio, qua
« de causa vertere statuisset, adeo modeste id, adeoque
«occultus, trepidusve fecit, ut per mediam urbem cum
« suis canibus haud sine tubae etiam sonitu transveheretur,
« regiaeque ipsi obequitaret, ac Regio Gubernatori dicenda
« convitia portae cnstodibus in transitu mandaret. De hoc
« nomine fama erat, tanquam domitis etiam adversus Ec-
« clesiae leges et mysteria fraenis, in praecipitia penitus
« ac derupta abiret. Sicut ingewia eiusmodi sunt, nun-
« quam id obiisse mysterium aiebant, ut peccata confite-
« retur. Voluit iste accedere ad Cardinalem, cum haud
« procul terribili domicilio, visitationis ordine, incessuque
« constitisset. Facile benigneque admittitur. Duas am-
« plius horas in colloquio retentus est. Quae dieta fuerint
« haud sane comperimus, quia neque Cardinalem inter-
« rogare quisquam nostrum super ea re auderet, neque
« alter ille quicquam est effatus. Tanta certe mutatio re-
« pente facta est animi et vitae morumque illius, ut miri-
« fica et magna et nova res ad colloquii virtù tem et effi-
« caciam haud ditbie referretur : opusque Cardinalis id
« familia tota illa gladiatorum agnosceret, ac, velut erepta
« sibi stipe, detestaretur. Etiam alia per utramque provin-
« ciam locis opportunis dispersa familia quam truculenti
«nutus et patratae vel patrandae caedes aiebant, man-
«suefacto nero, duceque sensere damnum. Simul pleri-
« qui procerum urbis multa et occulta consiliorum atro-
ce cium funestarumque rerum societate cum eo coniuncti
« postea quam ea quae communicata et inchoata facinora
« habebant, relinqui ab eo deserique senserunt, intellexere
« simul, id quod erat, diversa itinera vitae ingressum neque
« tantae rei mutationisque authorem ignoravere. Et exter-
«norum quoque Principimi nonnulli, quibus particeps et
« minister alicuius saepe magnae caedis ex longinquo ipse
«fuerat, si ve qui auxilia et ministros ei saepe miserant,
«cito sensere mutationem. Sed causam anxii exquirebant,
«donec hanc etiam pertulit fama et nuntiavit. Ego sicut
Alessandro Manzoni. 44
Digìtized by
Google
— 690 —
giacobino : tiranni, nell'uso comune e nelle gride erano
nominati coloro che col mezzo dei loro servi o bravi,
resistevano più o meno agli ordini ed alla forza pub-
blica, e ne esercitavano una arbitraria, capricciosa,
« augendae rei causa nihil ex vano attulisse velim : ita ne
« his quidem demere fidem debeo, quae comperta habe-
« mus. Vidi paulo post eum virum in cruda adhuc viri-
« dique senecta, nihil ex pristina ferocia retinentem prae-
«ter vestigia et notas, quarum argumento natura unum-
« quemque nostrum insiti vitii reum facit. Et has tamen
« ipsas recens assumpta mansuetudo castigabat scilicet
« atque inflectebat, ut quasi magno verbere victam et do-
« mitam esse naturam appareret >. Cfr. Iosephi Ripamonti,
canonici scalensis, chronistae urbis Mediolani, Historiae
patriae decadis V libri VI. Mediolani, ex regio Palatio,
apud Jo. Baptistam et Julium Caesarem Malatestam,
regios typographos, senza anno; pp. 308-311.
Dell' Innominato ne tocca anche Francesco Ri vola, bio-
grafo di Federigo Borromeo. Ecco quello che scrive:
« Così copiosi ed abbondevoli furono i frutti che dalla spi-
ritual visita della sua diocesi colse Federico, che non
« mi dà il cuore di potergli qui tutti sotto gli occhi d'o-
« gnuno pienamente rappresentare Viveva in un certo
« castello, confinante col dominio di straniero Principe, un
e Signore altrettanto potente per ricchezze, quanto nobile
« per nascita, il quale, datosi ad ogni maniera di misfatti,
« opprimeva con la sua potenza quando l'uno, quando
e l'altro degli habitatori, arbitro facendosi degli altrui af-
« fari, così pubblici, come privati ; e minacciando, anzi of-
« fendendo chiunque a' suoi cenni ardito havesse di con-
« trariare ; intanto che fatto era terrore di tutti que' con-
torni. Giunto in quelle parti Federico la sua diocesi
« visitando, volle con esso abboccarsi, per veder pure di
«distorlo dalla mala via e di ridurlo a porto di salute; e
« tanto disse, rappresentandogli con pastoral zelo il suo
«stato miserabile ed il pericolo dell'eterna dannatione,
« che lo dispose all'ammenda e fece sì che da quel giorno
« innanzi, con maraviglia di quanti erano de' suoi depra-
« vati costumi molto ben informati, deposta ogni presun-
« tuosa alterigia e ferocia, tutto mite, piacevole ed osse-
Digìtized by
Google
— 691 —
più o meno iniqua sopra i meno possenti. Fra quelli
ai quali le ricchezze e la nascita rendevano, in quella
condizione di tempi, possibile una tale tirannia, ben
radi erano che non ne usassero un pochetto, almeno
« quioso verso di tutti dimostrassi, né fu mai più alcuno
« che d'un minimo suo eccesso potesse ragionevolmente
«dolersi». Cfr. Vita di Federico Borromeo, Cardinale
del Titolo di S. Maria degli Angeli ed Arcivescovo di
Milano, compilata da Francesco Ri vola, sacerdote mi-
lane se, e dedicata da* Conservatori della Biblioteca e Col- ,
legio • Ambrosiano alla Santità di Nostro Sig. Papa
Alessandro Settimo. In Milano. Per Dionisio Gariboldi,
MDCLVI; pp. 253-255.
Ne parla pure Biagio Guenzati nel cap. 22 del lib. II
della sua Vita di Federigo Borromeo, Car dittale di Santa
Maria degli Angioli, Arcivescovo di Milano, compilata di
nuovo e accresciuta, che si conserva inedita nella Biblio-
teca Ambrosiana. Sqjive : « Ammirò ancora il mondo con-
vertire le Tigri di crudeltà in Agnelli mansueti, e
« squagliati in lagrime di penitenza li cuori più indiaman-
« titi per le destre maniere di Federigo. Tra li confini del
« dominio Milanese, Veneto e de' Grigioni godeva asilo
« securo un mostro di fierezza, cui per altro rendeva au-
torevole e temuto la nobiltà del sangue e la potenza.
«Questo, raccogliendo tutta la feccia dell'iniquità, che
«per purgarsi cacciavano fuori gli Stati confinanti, aveva
« al suo comando squadre di sgherri e tagliacantoni, che
«pascevansi colle stragi e col sangue, svenando vittime
« umane all'altrui odio. A quel castello, come al tribu-
« naie di Eaco o di Radamanto, ricorrevano tutti gli avidi
« di crudeli vendette ; in quello macchinavansi tradimenti
« e spacciavansi sentenze di morte, che venivano eseguite
«in mille guise da palliati carnefici». Qui racconta varie
imprese di lui; poi prosegue: « Portatosi dunque in quei
« contorni il Cardinale, ebbe ad albergare ancora in quella
«piccola Terra ove risiedeva questo Ministro di Morte.
« Volle questi, forse per compiere solo al debito della
«sua nascita cospicua, visitarlo e si trattenne segreta-
« mente con esso per due ore. Non si penetrò di che si
« discorresse fra loro ; né meno il Cardinale mai lo palesò ».
Digìtized by VjOOQ IC
— 692 —
in certe occasioni, talvolta forse senza averne una
coscienza ben distinta; molti la usavano come una
professione; fra i molti spiccava quest'uno. Unico
erede d'una famiglia primaria, nato con un talento
In una grida dèi io marzo 1603, pubblicata « In Mi-
lano, per Pandolfo et Marco Tullio Malatesti, Stampatori
Regi Camerali », il Governatore di Milano, Don Pietro En-
riquez de Azevedo conte di Fuentes, « conosciuto per
« esperienza di quanto commodo et utilità sia stata a questo
«Stato la grida d'ordine suo pubblicata sotto li 12 marzo
« 1601 contra banditi et assassini et altri facinorosi ; et
« desiderosa l'Eccellenza sua che questi sudditi, tanto af-
« fetionati alla Maestà Catholica et da lei commessi al suo
«governo, possano vivere con quella maggior quiete et
« sicurezza che sia possibile et i malfattori siano castigati
« et distrutti, ha deliberato (col parere ancora del Consi-
« glio Secreto et del Senato) che la sudetta grida si rinovi
«nel modo et forma che segue: Commanda S. E. che
« niuno, di qual conditione si sia, ardisca ricettare, né
« alloggiare, o dare alcuno aiuto o favore in qualsivoglia
« maniera ad alcuno condannato capitalmente di morte
« naturale, et bandito, o assassino, sotto pena della vita
« et confiscatione de' beni ; né si ammetterà escusatione
« a' padri o fratelli o altri parenti che habbiano ricettato
«o dato aiuto a figliuoli, fratelli o altri parenti, i quali
«siano banditi, o assassini». Qui seguono sei pagine di
stampa fittissima nelle quali il Governatore ordina alle
varie autorità di ammazzare, scorticare e impiccare oltre
dugento banditi, di cui dà il nome; poi prosegue: «Et
«perchè sono dispiaciuti oltre modo a S. E. gli eccessi
« seguiti nella persona di Lucia Vertemate, moglie che
«fu di Gio. Battista Piacenza, et nella persona di Gero-
«nimo Cusano et suo figlio; et parimente gli enormi et
«brutti misfatti commessi da Francesco Bernardino Vi-
« sconte, uno de' feudatarij di Brignano Geradadda e
«da' suoi seguaci; concede S. E. che qualunque conse-
« gnerà vivo o ammazzerà alcuno degli infrascritti, oltre
« il premio pecuniario promesso nelle gride, possa liberare
« due banditi per qualsivoglia caso, fuorché gli eccettuati
«in questa grida». Dà quindi il «Nome de' banditi per
Digitized by LiOOQ IC
— 693 —
superbo, imperioso, feroce, cresciuto fra l'apparato
d'una grande opulenza e d'una gran forza dome-
stica, fra il chinar riverente di facce bellicose e le
dimostrazioni d'una servilità pronta a tutto intra-
la morte della Vertemate, » il « Nome de' banditi per la
morte de* Cusani, » e « Li nomi di Francesco Bernardino
Visconte et suoi seguaci banditi » , che son questi : « Fran-
« cesco Bernardino Visconte di Brignano sudetto; Pompeo,
«suo uccellatore, habitante in Brignano; Battista Boldono,
« Cesare Zallatino et Dominico Rozzono, detto il Pelato,
« tutti tre habitanti in Triviglio ; Gio. Battista Nicoletto
« da Caravaggio; l'appellato il Casale da1 Bagnolo Cremo-
« nese ; Camilino di Salamone Parmigiano, altre volte ha-
« bitante nel detto luogo di Brignano in casa del detto
« Francesco Bernardino Visconte ». Quindi prosegue: « Né
« vuole S. E. che li sudetti condannati per la morte delli
«detti Vertemate et Cusani et per li già detti delitti di
« Francesco Bernardino Visconte et complici possano go-
« dere del beneficio della presente grida ; anzi li dichiara
«per sempre indegni di liberatione et di potere habitare
#«in questo Stato, salvo però se alcuno dei sudetti com-
«plici ci consegnasse o ammazzasse il principale, cioè il
« Conte Francesco da Vimercate, o Carlo Cusano, o Fran-
« cesco Bernardino Visconte, in tal caso quel tale possa
« godere del detto beneficio di questa grida, et non altra-
« mente » .
La grida, secondo il solito, non produsse nessun ef-
fetto ; e senza nessunissimo effetto fu rinnovata il 30 mag-
gio del 1609 e il 2 giugno del 1614. Bregnano, castello
anche al giorno d'oggi di proprietà de' Visconti, resta
dove il Milanese confina col Bergamasco. « I tempi ri-
• « sponderebbero. » (scrive il Cantù) : « l'uomo era terri-
« bile : la grandezza e potenza di quella famiglia, illustre
« e allora e adesso, poteva trattener la penna degli sto-
« rici : veggano i lettori qual peso sia a dare a questo sup-
« posto, del quale noi ci professiamo debitori allo stesso
«Manzoni». Cfr. Cantù C. Sulla storia lombarda del se-
colo XVII ragionamenti per commento ai Promessi Sposi
di Alessandro Manzoni, Milano, coi tipi di Luigi Nervetti,
1832; pp. 56-57-
Digitized by
Google
— 694 —
prendere, fra il concerto di cento voci che esalta-
vano a gara la potenza della casa; e divenuto pa-
drone in età assai giovanile, egli non fu contento
della porzione di superiorità che avevano goduta i
suoi maggiori. Queglino erano riveriti; egli volle
esser terribile : eran lasciati stare anche dai più po-
tenti e irrequieti; a lui pareva di scadere, quando
non facesse stare nessuno : erano per lo più rimasti
Francesco Bernardino era figlio di Giambattista Vi-
sconti e di Paola Benzoni di Crema. Il Litta [Famiglia
Visconti di Milano, tav. Vili] lo dice « assoggettato alla
confisca nel 1603 per commessi misfatti » ; né altro ag-
giunge di lui. Del padre scrive: « Del consiglio de* LX De-
« curioni, fatto cittadino di Cremona nel 1570. Nel 1577
« era capitano generale delle cacce. Dilapidatore al giuoco
«del proprio patrimonio, morì in Brignano nel 1595».
Dice che lascio tre maschi: Francesco Bernardino, Ga-
leazzo ed Ercole. Quest'ultimo era naturale ; come, delle
tre femmine, furono naturali Giulia e Maddalena; legit-
tima, Caterina, che sposò Ersilio Del Maino.
Afferma il Cusani che il canonico Giuseppe Ripamonti
« faceva parte del seguito del cardinale Federigo Borromeo
« nella visita pastorale della pieve di Treviglio nel 1608,
« ove ebbe luogo la conversione del famigerato Bernardino
«Visconti, feudatario del vicino Brignano, cui piacque a
« Manzoni appellare l'Innominato». Cfr. Cusani F., Paolo
Moriggia e Giuseppe Ripamonti ', storici milanesi; nell'^4*'-
chivio storico lombardo, ann. IV [1877], fase. I, pag. 58.
Della conversione del Visconti ne aveva già discorso nel
giornale La Perseveranza del 14-16 luglio 1876. Dopo di
lui ne trattarono: F. D'Ovidio, Due parole sull1 Inno-
minato t neh" Illustrazione italiana del 27 maggio 1894;
A. Graf, Perchè si ravvede l'Innominato? in Foscolo,
Manzoni, Leopardi^ saggif Torino, Loescher, 1898, pa-
gine 1 13-138; e G. Negri, La conversiotte dell' Innominato
e il convito della Grazia, e Se la conversione dell'Inno-
minato fu per il Manzoni un miracolo, in Sui Promessi
Sposi di A. M. commenti critici, estetici e biblici) Milano,
Scuola tip. Salesiana, 1903, part. II, pp. 157-282. (Ed.)
Digitized by VjOOQ IC
— 695 —
al di sopra in ogni impegno dove avessero parte;
egli volle essere arbitro negli altrui, in quelli dove
non aveva pure un pretesto per intromettersi. Già
da più generazioni la sua casa spiccava per una son-
tuosità principesca; egli riformò tutto quello sfoggio
di conviti, di caccie, di torneamenti, e ne impiegò
il costo in aumento di forza, in bravi, in armi, in
ispedizioni. Passava allora una gran parte del tempo
in città, e quivi la sua prima occupazione o il suo di-
vertimento fu di andare in cerca di quelli che nella
turba dei soverchiatori di mestiere erano i più fami-
gerati, di pararsi loro dinanzi in qualunque occa-
sione, per tastarli, per provarsi con loro e diminuire
quella loro gran riputazione, o farsegli amici, d* un'a-
micizia però subordinata dalla parte loro, che era
la sola che gli piacesse, la sola, per dir così, ch'egli
sapesse intendere. In poco tempo ne ridusse molti
a desistere da ogni rivalità e a dargli la mano in
ogni congiuntura, ne conciò male qualcheduno dei
più superbi e indomiti, e n'ebbe molti amici al modo
ch'egli desiderava. Nessun d'essi lo avrebbe confes-
sato, ma tutti sentivano alla sua presenza, e pen-
sando a lui, una certa inferiorità, che gli sforzava a
risguardarlo e a trattarlo piuttosto come un capo,
che come un amico. Nel fatto però egli veniva ad
essere il faccendone, lo strumento di tutti coloro, e
alle volte in affari in cui la cooperazione sarebbe
sembrata anche a lui vile, obbrobriosa, se non vi
fosse entrata la difficoltà e la forza, cose che nel
concetto comune, e più nel suo, nobilitavano tutto.
Era a quei tempi cosa trita e quotidiana, massime
fra i soverchiatori di professione, il richiedere negli
impegni scabrosi l'aiuto e l'opera degli amici ; cosa
disonorevole il rifiutarla senza buone ragioni ; e perchè
l'ingiustizia o il perìcolo dell'impresa fossero con-
Digìtized by
Google
— 696 —
tate come tali, bisognava che arrivassero a un grande
eccesso. Una simile consuetudine, che era pei tiranni
un mezzo e un carico del mestiere, secondo le oc-
casioni, doveva naturalmente dar molte faccende a
un tiranno come questo. I molti suoi amici avevano
molte e varie passioni da soddisfare ; la predominante
in lui era quella di far cose vietate e difficili, e di
non iscapitare, massime appo loro, di quel gran con-
cetto di audacia e di potenza. Pigliava quindi facil-
mente i loro impegni, concorreva alle loro spedi-
zioni e le dirigeva ; mandava i suoi bravi a minacciare
i loro rivali di amorazzi e di precedenze; a questo
faceva intimare che non passasse nella tal contrada,
a quello che non persistesse nella tal lite, risguar-
dava il renitente come suo nemico personale, lo af-
frontava nella via con un pretesto, e gli dava una
pena infamante sulla superficie del corpo, o una più
nobile al di dentro, secondo la condizione della per-
sona. E in quanti ebbe di questi scontri, in tanti ri-
mase al di sopra, più gagliardo, più coraggioso, più
destro, com'era, e meglio accompagnato d'ogni altro.
Per una strada tale, e di quel passo, non si poteva,
manco in allora, andar lungo tempo senza incon-
trarsi colla giustizia. Ben è vero che l'innominato
non lasciava di adoperare tutte le cautele usitate dagli
altri per eluderla e scansarla; e massime nelle cose
più gravi, come per esempio quando si trattasse d'un
omicidio premeditato, o d'un ratto, andava travestito,
cercava i luoghi, aspettava i momenti scuri: anche
i suoi bravi a fare le intimazioni più arrischiate e le
spedizioni più atroci, andavano acconciati in forma,
parlavano in modo, da lasciar conoscere a cui ap-
partenevano, quanto era necessario per incuter più
terrore, non tanto che bastasse a provare che appar-
tenevano a lui. Di modo che ad ognuno di quei suoi
Digitized by VjOOQ IC
697
attentati, la giustizia non aveva fatta altra dimostra-
zione che di pubblicare una di quelle gride, chia-
mate d'impunità, colle quali si prometteva questa e
un premio al complice che facesse conoscere l'autor
principale o i principali autori del delitto, dando in-
dizii sufficienti a procedere: gride che nei casi di
quest'uomo non avevano mai prodotto alcun effetto,
per ragioni che in parte s'indovinano facilmente, e
che in parte accenneremo in appresso. Quanto alle
violenze ch'egli aveva commesse a fronte scoperta,
in pien meriggio, nella via, v'era ad una per una il
verso di rappresentarle come necessitate dalla difesa,
o dall'onore, il codice del quale era allora molto più
rigido e sofistico riguardo alle offese, e infinitamente
più largo riguardo alla misura e ai modi delle sod-
disfazioni, che non lo sia al presente ; e nello stesso
tempo era più considerato come obbligatorio anche
dove fosse in opposizione colle leggi, non solo dal
più dei privati, ma anche da quelli che promulga-
vano ed eseguivano le leggi. Con questi mezzi un
uomo del suo grado poteva assicurarsi l'impunità di
mal fare, fino ad un certo segno ; ma costui passava
tutti i segni. Ne faceva più che nessun altro del suo
mestiere; offendeva piccoli e grandi senza distinzione;
e nello stesso tempo trascurava altri mezzi indispen-
sabili anche per fare impunemente meno di lui.
Gli altri tiranni (prescindo da alcuni disperati,
che in guerra aperta colle potestà e colla società,
vivevano or raminghi, or rintanati nei loro Castel-
lacci, e stavano anche alla strada come veri capi di
masnadieri; parlo di quelli che volevano abitare in
città e godere i comodi, gli spassi, gli onori della
vita civile) gli altri tiranni mantenevano più ade-
renze che fosse possibile col poter legale, si valevano
delle parentele, coltivavano cogli ufici e col corteggio
Digìtized by
Google
— 698 -
le amicizie degli uomini più graduati si obligavano
i subalterni colle protezioni e con certi atti di cor-
tesia degnevole, e avevano dipendenti e creati fino
tra gli infimi esecutori, ai quali compensavano le mi-
nacce coi regali. Cercavano insomma di tenere una
mano su le bilance della giustizia, per farle tracol-
lare dalla parte loro in una occasione, in un'altra
farle sparire che non si trovassero, per darle anche,
se veniva un bel tratto, su la testa di qualcheduno
che non avevano potuto finire colle armi della vio-
lenza privata. Costui, all'opposto, dopo essersi ini-
micati molti potenti, dei quali aveva toccati in varie
occasioni i protetti, gli amici, i congiunti, non solo
aveva sempre sdegnato di fare il più leggiero uficio
per raddolcire quegli odii e per soddisfare quegli
orgogli irritati, ma non s'era né anche curato mai
di procacciarsi almeno amici egualmente potenti da
contrapporre a quelli. Le sommissioni, le pratiche,
anco le cerimonie necessarie a questo fine,- gli erano
insopportabili: affettare una gran noncuranza per
ogni autorità era un elemento della sua passione, uno
di quei piaceri per cui egli affrontava tanti pericoli
e faceva tante male vite. I suoi parenti stessi, che
ne aveva più d'uno in alti posti, oltre che gli era
lor divenuto un peso con quel suo metterli sempre
a petto or d'un collega, or d'un superiore, col porli
sempre al partito di combattere con rischio, o di ce-
dere con diminuzione di credito, se gli era poi anche
disgustati col suo tratto verso di loro. Avrebbero
essi voluto difenderlo, ma insieme regolarlo; rat-
toppar bensì certe sue malefatte, ma tenersi in pos-
sesso di fargliene qualche buona riprensione, e di
prescrivergli norme di prudenza e di moderazione
per l'avvenire : egli con quel suo animo precipitoso
e ricalcitrante aveva altamente sdegnato favori di
Digìtized by
Google
— 699 —
quella sorte. Con tutto ciò, queglino, per l'onor del
nome, avevano continuato per qualche tempo a so-
stenerlo; ma finalmente, vedendo meglio d'ogni altro,
nella regione delle nuvole dove abitavano, il grosso
temporale formato contro di lui ; informati che dalla
bocca stessa del governatore erano usciti certi tuoni
sordi e cupi, per non commettere il loro credito nel
sostegno d'una causa che alla fine doveva esser per-
duta, s'erano ridotti a far vista di abbandonarla vo-
lontariamente, a mostrarsi irritati più che altri contra
il loro scandaloso parente, a far gli antichi romani,
e lasciarsi intendere che, mettendo le leggi e l'or-
dine publico innanzi agli affetti privati, avrebbero
lasciato un libero corso alla giustizia. Con lui non
potevano altro che mandargli avvisi di tempo in
tempo, che s'egli tirava innanzi a quel modo, non
facesse più conto della loro assistenza. Quanto agli
amici dell'innominato, essi non erano per lo più gente
che avesse voce per sé in quel capitolo:' alcuni, è
vero, imparentati con togati potenti, facevano con
essi a favore dell'innominato gli ufici ch'egli sde-
gnava; ma tali ufici indiretti avevano poca forza
contra le ire radicate e le pratiche degli avversarli,
occulte, in parte, per timore, ma calde e insistenti.
Le cose erano in questo stato, quando una mat-
tina si trovò in una via il cadavere malamente tra-
fitto d'un uomo ch'egli odiava: (il manoscritto non
dice di più), e la voce publica disegnò tosto l'inno-
minato come autore del fatto. In senato, nel palazzo
del governatore, nei gabinetti dei potenti, nemici
dell' innominato, si mormorò che era venuta la volta
di dar finalmente un grande esempio. Il capitano di
giustizia ricevette ordine segreto di procedere alla
cattura. Ordini tali contra tali uomini era ancor più
difficile l'eseguirli che il darli : bisognava non lasciar
Digìtized by LjOOQ IC
— 7°° —
traspirar nulla dell'intenzione, per sorprendere il
nemico, e insieme dar molte disposizioni e mettere
in campo forze straordinarie. Di queste forze poi non
si poteva far capitale che fino ad un certo segno:
quando si aveva che fare con un tiranno di cono-
sciuta bravura, e circondato da una mano di dispe-
rati, il più dei birri vi andavano di mala voglia, al-
cuni si rincantucciavano anche per non lasciarsi tro-
vare, o nel bello della spedizione la davano a gambe,
o abbassate le armi e cavato il cappello dicevano:
illustrissimo signore, vada pure liberamente, che noi
non siamo per fargli male. E quand'anche nessun
di loro avesse intelligenze coi bravi del tiranno, che
si voleva prendere, se ne sarebbe trovato più d'uno
che pel solo amore della pace avrebbe cercato qualche
mezzo di farlo avvertire; acciocché, fuggendo, to-
gliesse sé ed altri d'impaccio. Come che la cosa an-
dasse in questo caso, l'innominato ebbe tosto avviso
da più d'un luogo dell'ordine fulminato contra di
lui. Non pensò pure di mettersi in salvo colla fuga,
non si curò di rimpiattarsi, si mostrò anzi in publico
più del solito con un più grande accompagnamento,
per guardia insieme e per ostentazione, non rimise
punto della sua solita arroganza; anzi spiò attenta-
mente se qualche parente del morto gli passasse di-
nanzi con aria di provocazione, se alcuno de' suoi
nemici coperti volesse in quella occasione alzare un
po' la cresta e uscire appena appena dei termini con-
sueti di rispetto, deliberato e desideroso di farne in
tali circostanze qualche dimostrazione più strepi-
tosa.
In questo mezzo fu avvertito che un bargello, fa-
moso per varie prese difficili, scaltrito negli agguati
e intrepido negli assalti, coraggioso per natura e ob-
bligato ad esserlo sempre più per conservare la sua
Digìtized by
Google
riputazione di coraggio, essendogli stata questa volta-
promessa da certi potenti una grossa somma di da-
nari se facesse il colpo, ne aveva preso l'impegno,
e che troverebbe egli il modo di metter la musoliera
all'orso e di menarlo legato in gabbia. Da quel mo-
mento la vita del bargello divenne un tormento per
Tinnominato; se lo sentiva, per dir così, pesare su
le spalle. Per adescarlo e crescergli animo, finse d'es-
sere entrato in timore, si tenne chiuso in casa, fece
sparger voce di volere sfrattar di soppiatto e trave-
stito. Molta gente diceva che s'eran veduti altri bir-
boni dopo averne fatte tante e tante perdere in un
tratto quel gran rigoglio quando la loro ora era ve-
nuta; gli amici non sapevano più che pensare; egli
rintanato coi suoi bravi non si lasciava veder da
nessuno. I birri, che fino allora avevano giucato dalla
lunga, cominciarono a ronzare in frotte nei contorni
della casa, a tenersi ai canti della via: il bargello
li metteva a posto, li moveva, dirigeva ogni cosa,
girava travestito, teneva e faceva tener l'occhio, ora
alla porta, ora agli sbocchi della via, sbirciava con
certi suoi occhi cervieri chiunque uscisse di qua o
di là, temendo sempre che il suo uomo non gli scap-
passe sotto qualche travisamento. Ma l'uomo, che
pensava a fargli tutt' altro tiro che quello, avvertito
un dì sul vespero che il bargello vigilante s'era pian-
tato ad un canto della via, chiama un suo ragaz-
zaccio, ch'egli andava allevando al patibolo, gli pone
una valigetta su le spalle, e lo ammaestra che esca
da quel canto, strisciando dietro il muro a guisa di
chi vorrebbe passare inosservato. Mosso questo zim-
bello, egli mette l'occhio a un pertugetto d'una im-
posta chiusa, per vedere che accade nella via, e pochi
istanti dopo vede birri a due, a tre venire innanzi
e allogarsi dietro gli angoli di questa e di quella
Digitized by
Google
— 702 —
<casa vicina, e poi avanzarsi il bargello in persona,
entrare in una porta, star qualche momento, uscire, en-
trare in un'altra più vicina, far capolino, guardar fuori.
Lascia in vedetta a quel pertugio un servo che
desse un gran fischio quando il bargello porrebbe il
pie nella via e verrebbe verso la casa, scende in
fretta con molti altri, e li fa star pronti in arme sotto
il portico; egli cheto cheto va nell'androne a porsi
a canto una parete, tenendo colla destra il cane e il
grilletto, colla sinistra la canna d'una sua carabina,
terribilmente famosa al pari di lui. Un fischio, un
salto alla soglia, una sguardata, una mira, uno scoppio,
il bargello per terra, tutto ciò avvenne in sei secondi.
L'assassino rientrò subitamente, chiamò i bravi, e
alla testa loro piombò addosso ai birri, che, sorpresi
dal colpo e sopraffatti dal numero, la diedero a
gambe Q).
La città fu piena del caso. La notizia ne giunse
al palazzo di giustizia coi birri più corridori : il ca-
pitano corse a darla al governatore. Per l'ordinario
i governatori non s'impacciavano in queste faccende :
non già che fosse massima di lasciar fare i tribunali;
era anzi massima che i governatori potessero non
solo far le leggi, ma applicarle, derogare, dispensare,
dare in ogni caso gli ordini che loro paressero a
proposito. Molti infatti ne venivan dati in loro nome;
ma per lo più non v'era altro che il nome ; l'atten-
zione, la volontà e l'opera loro si esercitava in tut-
t'altri oggetti.
Chi nasce in questo mondo nei tempi ordinarii,
dice il manoscritto (7), è come un sonatore d'una
(!) Qui finiva il capitolo XIX e incominciava quello XX.
(Ed.)
(2) Prima scrisse : « Chi nasce in questo mondo, dice
Digitized by VjOOQ IC
~ 703 ~
grande orchestra in una festa, che si sveglia nel
mezzo d'una sonata e d'una danza, e trova una mu-
sica avviata, un tuono, una misura: bada un mo-
mento, per capirla bene, e poi piglia il suo stro-
mento (l) e cerca d'entrare in concerto. Così quegli
spagnuoli, che nascevano per essere governatori dello
Stato di Milano, trovavano una musica avviata di
faccende in corso, un gran numero d'idee stabilite
e predominanti, e fra l'altre questa: che la potenza
spagnuola aveva, o voleva, o doveva avere su tutta
L'Italia, almeno un predominio. Quando uno veniva
spedito a questo governo, vi portava l'idea fissa che
mantenere ed estendere questo predominio doveva
essere la sua grande occupazione. Lo era in fatti, e
lo sarebbe stata, quand'anche, egli, per impossibile,
non avesse avute né istruzioni, né inclinazioni a ciò.
Perchè trovava incamminata un'altra macchina op-
posta e complicatissima, mossa continuamente da
altre potenze, che non volevano quella storia del
predominio, e ne stavano sempre in sospetto, si
trovava a fronte e da ogni lato un vasto e confuso
sistema di resistenze, di difese, di offese, contra il
quale gli bisognava pure ingegnarsi. Bisognava
il manoscritto, e principalmente chi nasce nei luoghi dove
si maneggiano i grandi affari ». (Ed.)
(!) Prima scrisse : « ed entra in concerto. Si dà qualche
volta il caso che un sonatore con disposizioni straordi-
narie si svegli tra una sonata e l'altra, mentre gli stra-
nienti sono in disarmonia e si litiga perchè ognuno vor-
rebbe dare il tuono: lo dà egli, fa sonare e ballare a modo
suo fino a un certo segno, mena la danza, come si dice
in proverbio, e per lo più la mena in modo che finisce
col farsi rompere il suo stromento in mano e dar tutti gli
altri su la testa: ma queste sono eccezioni che non fanno
al nostro proposito ». (Ed.)
Digìtized by
Google
704
dunque vigilare tutti i principi e gli Stati d'Italia,
mantener questi nella devozione consueta, contener
quegli altri, o spaventarli, attirarli, conoscere i
loro pensieri , inimicarli , o riconciliarli , secondo
le occorrenze: un mondo di cose. Oltracciò i go-
vernatori erano capitani generali e conducevano in
persona le guerre, che avevano fatte nascere, o che
non era loro riuscito d'impedire, in Italia, o che vi
si facevano come parte di guerre più generali. Ave-
vano quindi sempre gli occhi e le mani in quella
grande matassa che avevano trovata scompigliata, e
scompigliata lasciavano partendo dal governo, o dal
mondo; e non restava loro troppo ozio per le cose
di governo interiore : le facevano fare, o le lasciavan
fare, mettevano di gran ghirigori in fondo a molte
carte, su le quali era scritto che eglino erano riso-
luti che le tali cose andassero al tal modo, senza
curarsi poi di sapere né il che, né il perchè, fuor
che in alcuni casi in cui per qualche cagione straor-
dinaria avevano essi realmente una volontà, o una
ne veniva loro inspirata. Il caso dell'innominato era
di questi: i suoi molti e grandi nimici lo avevano
dipinto al governatore come uno spirito rubello, un
perturbatore sedizioso, un uomo la cui audacia e
impunità nel delitto accusavano d'impotenza o di
trascuraggine la pubblica autorità; e nel vero non
era calunnia. Il governatore, già irritato, al ricevere
di quella notizia, ritenne il capitano, ebbe a sé membri
del consiglio segreto, senatori, altri magistrati; si
tenne consulta. Intanto colui che ne era il soggetto,
rientrato in casa, e ben rinchiuso, aveva pigliata la
risoluzione di non si muovere e si preparava ad ogni
evento; ma in quella notte stessa, qualche amico,
venuto a lui di soppiatto, gli comunicò di avere avuto
avviso segreto e certo che il governatore aveva per-
Digitized by LiOOQ IC
705
sonalmente preso impegno in quell'affare, ed era de-
liberato di fare all'ultimo uscir del castello un corpo
di moschettieri che si unisse ai birri e desse l'as-
salto alla casa. Non era più il caso di esitare: le
forze d'un privato, anche nel supposto inverisimile
che in tanto pericolo fossero per serbarglisi costanti,
non potevano competere con un tale avversario, ogni
volta che volesse davvero adoperar tutte le sue. Sul
far del giorno l'innominato uscì con tutti i suoi
bravi, e si andò a ritirare in un convento vicino. In
quei luoghi gli ospiti pari suoi, accompagnati, o no,
dovevano esser sofferti, anzi accolti, quand'anche fos-
sero tu tt' altro che desiderati ; e la forza secolare non
supponeva pure che fosse possibile d'introdurvisi. Un
tal passo acquetò anche un poco la furia, e indebolì
l'impegno del governatore: perchè nei casi in cui
si trattava più di vincere un puntiglio che di punire
un reo, la fuga di questo in un asilo poteva parere
una specie di soddisfazione alla potestà civile, un
confessare che non si ardiva di farle fronte nel campo
della sua giurisdizione; e per un uomo, che ha molti
affari grossi, poco basta a raffreddarlo in uno che
non sia dei principali. Però comparve in quel giorno
una grida del governatore stesso, colla quale a chi
consegnasse vivo l'innominato nelle mani della giu-
stizia, in maniera che sopra di lui ella potesse eser-
cire li suoi atti, venivano promessi mille scudi di
premio e la liberazione di quattro banditi, l'impu-
nità propria al consegnante, s'egli fosse complice, e
la liberazione, s'egli fosse bandito, purché non lo
fosse per certi casi riservati.
Vorrei poter risparmiare al lettore tutte queste
notizie e riflessioni generali su le opinioni, gli usi,
le istituzioni di que' tempi, e. condurlo speditamente
di fatto in fatto fino al termine della storia; ma i
Alessandro Manzoni. ' 45
Digitized by
Google
706
fatti che mi tocca di raccontare sono talvolta così
dissimili dall'andare comune dei nostri giorni, così
estranei alla nostra esperienza, che a dar loro un
certo grado di chiarezza, mi par pure indispensabile
di spiegare alquanto lo stato di cose nel quale e pel
quale potevano essere. Altrimenti, a quelli che non
hanno fatti studii particolari sopra quell'epoca, sa-
rebbe come presentare un osso d'uno di questi ani-
maloni di razze perdute, senza dare un po' di de-
scrizione dello scheletro, o di quel tanto che se n'è
potuto trovare e mettere insieme, per la quale si
vegga come quell'osso giucava. S'io dicessi sempli-
cemente che tutte le promesse di quella grida non
produssero alcun effetto, senza darne alcuna ragione,
forse a taluno la cosa potrebbe parere strana e in-
verosimile; due parole dunque, abbiate pazienza,
anche su questo proposito.
L'intento delle gride, chiamate d'impunità, e che
appunto avevano un nome proprio per esser molto
frequenti, l'intento era, come ognun vede, d'indurre
i rei medesimi a farsi ministri della giustizia, e di
seminare la diffidenza fra loro. Perduta la speranza
e abbandonata la pretensione di ottener l'effetto in-
tero degli editti, si voleva almeno, col sagrifizio d'una
porzione del publico esempio, assicurarne un'altra, e
la più importante. Ma, senza parlare della sensatezza
dell'intento, né del merito morale dei mezzi, che
questi, in moltissimi casi, riuscissero inefficaci a con-
seguirlo, ne abbiamo la prova in molte gride d'im-
punità contra uno o più banditi, ripublicate molti
anni dopo la prima publicazione. L'impunità d'un
delitto era un premio di poco valore per complici
che d'ordinario ne avevano addosso molti altri, e
che intanto godevano, con fatica, è vero, una impu-
nità intera all'ombra del loro capo. La liberazione
Digìtized by
Google
707
era un debole allettamento per banditi che non vi-
vevano, né volevano vivere se non di quelle cose
per le quali s'incorreva nel bando. Di più, per ot-
tenere questi vantaggi, quali che fossero, il complice
o il bandito doveva necessariamente aver che fare
con la giustizia, confidarsi ad una autorità cavillosa
e malfida, la quale certamente desiderava più di ster-
minarlo che di dargli una ricompensa, e che dispo-
neva di procedure complicatissime, e non solo ope-
rava ad arbitrio, ma ne aveva consecrato anche il
nome. Quanto a quell'esca del premio pecuniario,
ella non poteva tentare che una classe di persone:
le gride costituivano birro o carnefice ogni cittadino
che avesse voluto farne l'uficio e meritarne la paga;
ma l'uso della forza publica e le idee comuni ten-
devano a tutt'altro che a far risguardare come ono-
revole e virtuosa una tale cooperazione del privato
a quella forza, e nessun uomo dabbene e pacifico
avrebbe voluto affrontare un pericolo e l'infamia,
né vincere una ripugnanza fondata in gran parte
sopra motivi onesti, per amore degli scudi. Non re-
stavano dunque che i facinorosi di professione, e gli
scherani stessi del tiranno ; ma quando uno di questi
fosse riuscito a far sicuramente il suo colpo, doveva
poi aspettarsi la vendetta di lui, se, preso, egli tor-
nava in libertà, o dei suoi parenti ed amici, s'egli
fosse stato morto; doveva, dico, aspettarsela con cer-
tezza, in un tempo in cui la vendetta era dai più
tenuta come una obligazione d'onore, e l'assassinio
in questi casi non era contato fra quelle azioni che
lo tolgono. Tutto ciò quando l'impresa di prendere
o di uccidere un tiranno fosse stata per sé agevole ;
ma i tiranni adoperavano anch'essi naturalmente tutti
i mezzi che potevano, per assicurarsi con tra la forza
aperta e contra le insidie ; di questi mezzi ne avevano
Digìtized by
Google
— 708 —
assai; e quel che è osservabile, le gride stesse, fatte
contra di essi, ne suggerivano, ne somministravano
loro alcuni, e dei più potenti.
Le società civili (ancora un momento di pazienza)
sono state spesso paragonate al corpo umano, i le-
gislatori ai medici, le leggi alle medicine: e in fatti
queste cose si somigliano molto, se non altro in ciò,
che son tutte cose assai curiose. Hanno poi altre so-
miglianze parziali; eccone una. Un medico ammi-
nistra un rimedio ad intenzione che faccia nel corpo
una tale operazione, che il rimedio fa, o non fa, ma
ne fa poi sovente altre che il medico non ha volute,
né prevedute, che non riconoscerà come conseguenze
del suo fatto, quando si manifestino, ma dirà: oh,
vedete un po' che scherzi fa la natura! Lo stesso
accade sovente in fatto di leggi : e siccome poi le
società civili sono infermi di lunga vita, sono, per
servirci di,fun modo proverbiale, di quelle conche
fesse che bastano un pezzo, così alle volte, appena
dopo cento, dugento, trecent'anni, si comincia a so-
spettare, ad aver sentore, che certe doglie vecchie
d'un corpo sociale, certi sintomi stravaganti e non
mai spiegati, sono effetti d'uno specifico mirabile ap-
plicato o cacciato giù fin da quel tempo per ordine
d'un medico Valente, (parlo in metafora) o per consulto
di più valenti medici. V'ha anche alcuni di questi
effetti, né voluti, né preveduti dal legislatore, che
danno incuori immediatamente. Le gride, di cui par-
liamo, dovevano produrre inevitabilmente questo :
che i tiranni, quanto più erano minacciati da quelle,
tanto più si tenessero intorno di quei malfattori segna-
lati, ai quali le gride non promettevano grazia, e che
non avendo altra speranza di salvezza 'che nel loro
signore, non solo non erano tentati d'ordirgli insidie,
ma interessati a guardarlo dalle altrui. Così quegli atti
Digitized by LjOOQ IC
709
legislativi tendevano, non per intenzione, ma in fatto,
a riunire i più perniciosi e determinati ribaldi, da-
vano, per così dire, un nuovo bisogno e un nuovo
indicamento di organizzazione alle forze nemiche
della giustizia in tutti i sensi di questa parola. Che
se, per uscire da questo inconveniente, si fosse estesa
ad ogni classe di colpevoli la promessa delF impu-
nità e della liberazione, si cadeva nell'altro terribile
di rinunziare anche alla speranza, alla volontà, di
non lasciar senza pena almeno certi più atroci mi-
sfatti. Con queste osservazioni si capisce tanto o
quanto il come a nessuno venisse voglia di pren-
dere il tiranno innominato, né tanti altri banditi
come lui.
In quell'asilo egli dovette pensare ai casi suoi.
Grazia dall'autorità non era da sperarne, né manco
egli era inclinato a ricorrere ad un tale rimedio; ri-
maner quivi rinchiuso, a che fare ? e fin quando ?
Uscirne, e tornare a casa sua a far la vita di prima,
non era cosa riuscibile, al punto a cui aveva spinte
le cose. Risolvette dunque di sfrattar dallo Stato.
Suppongo che a questa circostanza debba riferirsi un
tratto della sua vita, che è menzionato nella storia
sopra citata del Ripamonti, un tratto che basterebbe
a dare un'idea dell'uomo, e che noi riporteremo
perciò, traducendolo alla meglio dall'energico latino
di quello scrittore: «Una volta», die' egli, «che costui,
« non so per qual cagione, volle sgombrare il paese,
«la paura che mostrò, il riguardo e la segretezza
«che usò, furono tali: traversò la città a cavallo,
« con un seguito di cani » (gli uomini si sottinten-
dono) « a suon di tromba ; e passando dinanzi al
«palazzo di Corte, lasciò alle guardie un'imbasciata
« di villanie pel governatore ». Uscito ch'ei fu dello
Stato, si publicò un altro bando che ne lo dichia-
Digìtized by
Google
7io
rava cacciato, e gli levava la protezione regia, sì che,
tornando, potesse esser fatto prigione e impunemente
offeso da tutti, mantenute le promesse anteriori; e
aggiunta la liberazione di quattro banditi a chi lo
consegnasse vivo o morto. Dove egli andasse a po-
sarsi, o dove errasse, che facesse fuori e quanto
tempo vi rimanesse, né il manoscritto lo dice, né
altrove ne ho trovata menzione: trovo soltanto che
una mattina egli pigliò il partito di tornarsene in
paese. O fosse cangiato quel governatore che s'era
dichiarato suo nemico personale; fossero mancati di
vita o decaduti di potenza alcuni de' suoi più capi-
tali nemici, o venuti in potenza de* suoi amici; o
fosse levato il bando per qualche potentissima rac-
comandazione (che anche un tal supposto è verisi-
mile in quella condizione di tempi); o fossero nate
altre circostanze qualunque da inspirargli una nuova
sicurezza, o quel suo animo gliene tenesse luogo,
certo è ch'egli stimò di poter tornare liberamente a
casa sua e di stabilirvisi, e vi tornò infatti, non però
in Milano, ma in un castello d'un suo feudo su
l'estremo confine col territorio bergamasco, e allora
collo Stato Veneto. È parimente certo che nella sua
assenza egli non aveva rotte le pratiche, né inter-
messe le corrispondenze con que' tali suoi amici, e
che stabilito nel suo castello continuò ad essere unito
con loro, per tradurre letteralmente dal Ripamonti,
« in lega occulta di consigli atroci e di cose funeste ».
Pare anzi che quel terribile faccendone di misfatti
approfittasse dell'esiglio per estendere tali corrispon-
denze, e contraesse allora in più alti luoghi certe
nuove terribili pratiche, delle quali il Ripamonti
parla con una sua brevità misteriosa: « Anche al-
« cuni principi esteri », dice questo scrittore, « si val-
«sero più volte dell'opera sua per qualche impor-
Digìtized by LjOOQ IC
— 7n —
« tante uccisione, e in più d'un caso gli spedirono
« da lontano rinforzi di gente che servisse a ciò
« sotto i suoi ordini ». Noi abbiamo ben fatto il pos-
sibile per trovar qualche più distinto particolare d'un
fatto così importante alla cognizione e del personaggio
e dello stato della società in quel tempo ; ma senza
effetto. La storia, e massime quella dei costumi, è
nei libri, come nei musei d'anticaglie, a pezzi e boc-
coni, e troppo spesso, principalmente nei libri, se ne
trova di quelli che non si possono mettere insieme
con altri pezzi e con altri bocconi, tanto da vederne
una figura, e da ricavarne una notizia (*).
(*) Segue cancellato: « Il castello dell'innominato era
posto a cavaliere ad una valle angusta ed uggiosa, su la
cima d'un poggio, che sporge in fuori da un'aspra gio-
gaia di monti, ed è, non si saprebbe ben dire, se con-
giunto ad essa, o separato, per un mucchio di greppi e
di dirupi e per un andirivieni di tane e di precipizii, così
sul di dietro, come sui fianchi. Il lato, che risponde nella
valle, è il solo accessibile : è un pendìo anzi erto che no,
ma continuo, a pascoli in alto, a colture nella più bassa
falda, e sparso qua e là di abituri ». Ferdinando Ra-
nalli \DegJi ammaestramenti di letteratura libri quattro ,
Firenze, Le Monnier, 1863; voi. Ili, pp. 211-213] dice
corna della descrizione del castello dell'Innominato fatta
dal Manzoni, e riporta la descrizione di un altro castello
fatta dal Bartoli, che leva al cielo; senza accorgersi che
appunto in quel raffronto sta la vittoria dell'autore de'
Promessi Sposi, da lui voluto annientare ! (Ed.)
Digìtized by
Google
XII.
Descrizione dell'autografo della prima mi-
nuta de' « Promessi Sposi » (x).
i) « Introduzione ».
Fogli 6 in-fol. di pp. 4 Timo. Il primo non è nu-
merato, gli altri hanno la numerazione alla romana
II-VI, fatta dal Manzoni stesso. Comincia: « L'Histo-
ria si può veramente »; finisce: « non sarebbe pure
inteso ». È il primo sbozzo autografo, ed è scritto a
colonna, come tutto il Romanzo. Forma il n. i.A de'
Fogli staccati dai « Promessi Sposi ». Fu stampato da
me a pp. 183-194 del voi. I degli Scritti postumi,
2) [Fogli di scarto del primo abbozzo afe//' Introdu-
zione].
Fogli 2 in-fol. di 4 pp. per ciascuno. Il Manzoni,
di sua mano, numerò col III il primo di questi due
fogli, ma poi dette di frego a quel numero e lo mutò
(l) Si conserva nella Sala Manzoniana della Braidense;
dove si trovano pure la seconda minuta, anch'essa tutta di
pugno del Manzoni ; la copia per la Censura, d'altra mano,
ma corretta da lui; e i Fogli staccati dai Promessi Sposi,
parimente autografi. (Ed.)
Digitized by
Google
713
in II.bis II secondo fu da lui numerato III. Comin-
ciano : « Ogni epoca letteraria »; finiscono : « a quelle
nostre, sacrificando». Formano il fascicolo n. i.B de*
Fogli staccati dai « Promessi Sposi ». Sono a stampa
a pp. 194-198 del voi. I degli Scritti postumi.
3) « Introduzione ».
Abbraccia 4 fogli in-fol. di 4 pp. l'uno, il primo
senza numerazione, gli altri numerati dal Manzoni 2-4.
L'ultima pagina del quarto foglio è bianca. Comincia:
« La Storia si può veramente »; finisce : « del molto
più che egli stesso vi ha speso ». Sta in fronte alla
prima minuta del Romanzo; ma in realtà è la se-
conda minuta dell' Introduzione. Fu stampata a pp. 198-
204 del voi. I degli Scritti postumi.
4) « Capitolo I. Il curato di ».
È il primo capitolo del tomo primo, con questa
data, su in alto: 24 Aprile 182 1. Si compone de* fogli:
I, 2-5 e 8-14. Di quest'ultimo è scritta soltanto la prima
colonna. De' fogli mancanti 6 e 7, il 6 fu trasportato
dal Manzoni nella seconda minuta, dove si trova. Gli
mutò il numero, prima in 7, poi in 8, rimastogli.
Il foglio 7 nella seconda minuta ebbe prima il numero
8, poi quello 9. Di esso, peraltro, stracciò le due ul-
time pagine e ve ne sostituì due nuove. Le due pa-
gine vecchie hanno adesso il n. 17. Il capitolo co-
mincia: «Quel ramo del lago di Como»; finisce:
« ordinatamente sui casi suoi ».
5) « Cap. II. Fermo ».
Si compone de* fogli 15, 17-23.' Di quest'ultimo
è scritta soltanto la prima colonna. Il Manzoni tra-
Digìtized by
Google
— 714 -
sportò nella seconda minuta le due prime pagine del
foglio 16; e lasciò nella prima le due ultime pagine
del foglio stesso. Il capitolo comincia : « La consulta
fu tempestosa e durò tutta la notte »; finisce : « che
noi racconteremo nel seguente capitolo ».
6) « Cap. III. II causidico ».
Prima era intitolato: «Don Rodrigo». Si com-
poneva de* fogli 24-34, che FA. trasportò tutti quanti
nella seconda minuta, dove hanno la nuova nume-
razione 47-68. Incomincia : « I tre rimasti a con-
siglio »; finisce: «Tanto è vero che un uomo col-
pito da grandi dolori non sa più quello che si dica ».
7) « Cap. IV. Il Padre Cristoforo».
Prima era intitolato: « Il Padre Galdino ». Si
compone de' fogli rimasti 35-38. I fogli 39-46 furono
dal Manzoni trasportati nella seconda minuta. Co-
mincia: « Era un bel mattino di novembre»; finisce:
« dicendo ad una voce : Oh Padre Guardiano ! »
8) « Cap. V. Il tentativo ».
Si componeva de* fogli 47-58, che il Manzoni tra-
sportò nella seconda minuta. Comincia : « Il qual
Padre Guardiano » ; finisce : « lo condusse seco in
una stanza vicina ».
9) « Cap. VI. Peggio che peggio ».
Si componeva de* fogli 59-67, che FA. trasportò
nella seconda minuta, ma cancellandovi quasi per in-
tiero la prima stesura e tornando a riscrivere il ca-
Digitized by VjOOQ IC
— 715 —
pitolo. Nella prima minuta è rimasto soltanto il
foglio 68. Il capitolo comincia: « Ognuno può avere »;
finisce: « di non dir parola del disegno contrastato ».
io) « Capitolo VII La sorpresa ».
Il Manzoni trasportò nella seconda minuta i fogli
69-80; lasciando nella prima soltanto il foglio 81.
Comincia : « Il Padre Cristoforo arrivava nell'attitu-
dine d' un buon generale » ; finisce : « e la povera
Lucia appoggiata ».
11) « Capitolo Vili La fuga».
De' fogli che lo formano sono rimasti 1*82, P83,
il 91 e il 92. Quest'ultimo era prima numerato 90.
Il Manzoni trasportò nella seconda minuta il foglio 84,
che divenne 86, 1*85 mutato in 87, 1*87 trasformato
in 89, T88 diventato 90, e 1*89 cambiato in 91. Il
vecchio foglio 86 manca. Con questo capitolo finisce
il tomo primo. Comincia: « Ton, ton, ton, ton, i
contadini»; finisce: «viveva delle sue stesse spe-
ranze ».
12) « Cap. I Digressione — La Signora ».
Prima aveva per titolo : « Cap. IX. Disgressione »;
divenne poi, invece dell'ultimo capitolo del tomo I,"
il capitolo I del tomo II. I fogli che lo compongono
hanno la vecchia numerazione manzoniana 92-101,
ma cancellata; uno soltanto, l'ile ultimo, ha quella
nuova, pur datagli dal Manzoni. Comincia: «Avendo
posto in fronte a questo scritto » ; finisce : « con la
Signora a subire Tesarne ».
Digìtized by
Google
7i6
13) « Capitolo IL La Signora tuttavia ».
Si compone de' fogli 12-23. H capitolo termina
nella seconda colonna dell'ultimo di questi fogli. Co-
mincia: « Le parole della Signora»; finisce: « si sa-
rebbe fatta per lo meglio ».
14) « Capitolo III».
Si compone de' fogli 24-34. Comincia : « V'ha dei
momenti in cui l'animo » ; finisce : « poteva esser un
gran. soccorso ».
15) « Capitolo IV».
Si compone de* fogli 35-45. Comincia: «Appena
cessati gl'inchini »; finisce : « e come diremo nel se-
guente capitolo ».
16) « Capitolo V».
Si compone de* fogli 46-53. Comincia: «Il quar-
tiere dove abitavano le educande »; finisce : « con un
colpo la lasciò senza vita ».
17) « Capitolo VI».
Si compone de* fogli 54-59. Disgraziatamente man-
cano i fogli 60-61. Comincia: «Accorse al romore
Egidio »; finisce: « non da un vecchio calvo e bar-
buto ».
18) « Capitolo VII».
Si compone de* fogli 62-74. Comincia : « Come
una truppa di segugi » ; finisce : « era appunto per
lui quel che il diavolo fece ».
Digìtized by
Google
— 717 —
19) « Capitolo Vili».
Si compone de' fogli 75-87. Comincia: « Il mat-
tino seguente » ; finisce : « la via che gli era pre-
scritta ».
20) « Capitolo IX ».
Si compone de' fogli 88-95 e 95 7*"99« Comincia :
« Quando Egidio si avvenne »; finisce : « essere esenti
da ogni perplessità ».
21) « Capitolo X».
Si compone de' fogli 100-116. Comincia : « La car-
rozza correva tuttavia » ; finisce : « e mescolandovi
del vostro il meno che sarà possibile ». In calce poi
porta scritto: « Fine del 2.0 volume ».
22) « Cap. I».
È il capitolo I del tomo III, e su in alto porta
scritto: 28 8bre 1822. Si compone de' fogli 1-11.
Comincia : « Il Cardinale Federigo secondo il suo co-
stume »; finisce: « seguirono posatamente la lettiga ».
23) « Capitolo II».
Ha principio alla terza colonna del foglio 11 e
abbraccia i fogli 12-24. Comincia: « La casupola del
curato »; finisce : « il nome del Conte del Sagrato
non ricompare poi più nel manoscritto ».
Digitized by
Google
- 7x8 -
24) « Capitolo III»,
Si compone de* fogli 25-30. Comincia : « Quando
il Cardinale, terminate le funzioni, si ritirò»; finisce:
« pregò egli il curato di portarsi a Chiuso e di far
sapere a Lucia ch'egli pensava a Lei e che stesse di
buon .animo ».
25) {Capitolo IV].
Il Manzoni si scordò d'intestarlo, ed Ermes Vi-
sconti vi scrisse : « Cafi. {quello che sarà) ». Abbraccia
i fogli S^0- Comincia: « Dopo due, tre o quattro
giorni spesi dal Cardinale nella visita »; finisce : « per
quanto un sì magnifico epiteto può stare con un sì
misero sostantivo ».
26) « Capitolo V».
Abbraccia i fogli 51-64. I fogli però 52-64, prima
avevano un'altra numerazione: il 52 era 51, e via di
seguito. Comincia : « Ho visto più volte un caro fan-
ciullo (vispo a dir vero più del bisogno » ; finisce :
« che sarebbero venuti anni migliori, che insomma il
tempo avrebbe rimediato a tutto ».
27) « Capitolo VI».
Si compone de' fogli 65-77. I fogli 65 e 66, prima
erano numerati 64 e 65. Comincia: « Il tempo è una
gran bella cosa : gli uomini lo accusano è vero di
due difetti »; finisce : « Prendiamo dunque gli uomini
come sono, raccontando quello che hanno fatto ».
Digìtized by LiOOQ IC
— 719
28) {Capitolo VI fi.
Abbraccia i fogli 78-86 e le due prime colonne
del foglio 87. L'intestatura: Capitolo Vff fu can-
cellata dal Manzoni, che per un istante vagheggiò
di farne la prosecuzione del capitolo precedente ; pen-
siero che poi depose. Comincia : « La folla che al-
l'avviarsi della carrozza s'era tutta messa in movi-
mento, per tenerle dietro, cominciò a disperdersi »;
finisce : « o a maggior pena pecuniaria o corporale ad
arbitrio di Sua Eccellenza. Obbligatissimo alle sue
grazie ».
29) « Capitolo Vfff».
Ha principio alla terza colonna del foglio 87 e ab'
braccia i fogli 88-99. Incomincia : « A queste parole
giunse egli alla soglia del palazzo del Capitano di
Giustizia»; finisce: «Lasceremo per ora Fermo,
giacché si trova in una situazione tollerabile e tor-
neremo colla sua e nostra Lucia ».
30) « Capitolo fX ».
Abbraccia i fogli 100-110. Comincia: « Dobbiamo
ora far conoscere al lettore i personaggi coi quali si
trovava Lucia»; finisce: «come ai giorni nostri fa-
rebbe una madre della condizione di Agnese che
avesse una figliata collocata in Inghilterra ». Segue,
ma cancellato: « Fine del tomo fff 11 marzo 1823 »;
poi, senza cancellare, e aggiunto dopo: «segue».
31) [Aggiunta al Capitolo fX\
Si compone de' fogli 111-113. Comincia: « La po-
vera donna aveva un'altra faccenda su le braccia: la
Digìtized by
Google
— 720 —
corrispondenza con Fermo »; finisce : « fin che ella fu
interrotta dagli avvenimenti, che racconteremo nel vo-
lume seguente »; e poi: « Fine del tomo III». Questa
aggiunta è formata dei fogli 58 e 59 del tomo IV, che
stralciò di là, dandogli i numeri 1 11 e 112, e del nuovo
foglio 113. Nel vecchio foglio 58 cancellò le due prime
colonne, contenenti un brano che incominciava : « Fatte
le parti, i monatti lo posero [Don Rodrigo] nella
bussola e lo portarono al lazzeretto»: e che finiva:
« Fermo era sempre rimasto a Bergamo, dove era
andato a porsi in salvo ».
32) « Capitolo I».
È il capitolo I del tomo IV. Abbraccia i fogli 1-13.
Comincia: « Dalla fine dell'anno 1628 alla quale siamo
pervenuti colla narrazione »; finisce : « Dalla Valsas-
sina il temporale discese nel territorio di Lecco ».
33) « Capitolo II».
Si compone de* fogli 14-25. Comincia: « Le con-
tingenze infelici della vita umana »; finisce: «vesti-
menta o cose di qualunque genere infette ». L'ultimo
brano però si legge in margine alla prima colonna
del foglio 26.
34) « Capitolo III».
Si compone de* fogli 26-37. H 2&> prima era 27.
Comincia: «Il giorno 22 d'Ottobre di quell'anno 1629,
Pietro Antonio Lovato »; finisce : « ripiglio il mano-
scritto del mio autore e torno alla storia ».
Digìtized by
Google
— 721
35) « Capitolo IV».
Si compone de* fogli 38-53. Il capitolo però ter-
mina nella prima colonna dell'ultimo di questi fogli.
Comincia: «Andavano intanto coll'avanzare della
primavera sempre più spesseggiando »; finisce : « Gli
abbiamo dunque riserbati ad un'appendice, che terrà
dietro a questa storia, alla quale ritorniamo ora; e
davvero ».
36) « Capitolo V».
Comincia nella seconda colonna del foglio 53 e
abbraccia i fogli 54-66. Principia così : « Una sera,
verso il mezzo d'Agosto, Don Rodrigo tornava alla
sua casa in Milano »; finisce : « e fece la sua seconda
entrata in Milano, che gli comparve in un aspetto
più tristo e più strano d'assai che non era stato la
prima volta ».
37) « Capitolo VI».
Non restano di questo capitolo che i fogli 67-73.
Comincia : « S'io avessi ad inventare una storia » ;
resta in tronco con le parole : « ma egli era presso
al termine della via, d'una via ».
38) [Capitolo Vili.
Di questo capitolo manca il principio; de' fogli
che lo componevano rimangono quelli 82-94. Nella
quarta colonna di questo ultimo foglio ha principio
il capitolo Vili. Ciò che resta comincia con una co-
Alhssandro Manzoni. 46
Digìtized by
Google
— 722 —
lonna tutta cancellata, che dalle parole : « il favore
degli uomini benevoli » arriva alle parole « dai suoi
nemici, i quali del resto ». Il capitolo finisce : « an-
dava cercando intorno dove fosse più bisogno della
sua assistenza ».
39) « Capitolo Vili».
Comincia, come s'è detto, nella quarta colonna
del foglio 94 e abbraccia i fogli 95-109. Comincia:
«All'intorno del picciolo tempio»; finisce: «si ri-
volsero a quella parte donde le era venuta quella
subita commozione ».
40) « Capitolo IX».
Si compone de'fogli 1 10-120. Comincia: «Ritto
sul mezzo dell'uscio »; finisce: « e di terminare con
essa la nostra storia». Poi vi sta scritto: «77 set-
tembre 1823 ».
Digìtized by
Google
FINE DELLA PARTE SECONDA.
Digìtized by
Google
Digìtized by
Google
Digitized by
Google
Opere « Alessandro Manzoni
edite da ULRICO flOEPLI
H&
Sono pubblicali:
I PfOIQeSSl SpOSÌ| illustrati con 40 tavole tratte da di-
segni originali di Gaetano Previati, e preceduti da uno
Studio su Gli anni di noviziato poetico del Manzoni di
Michele Scherillo . L. 5f —
Prani inediti dei Promessi Sposi di Ales-
sandro JVlanZOI)Ì* in due parti inseparabili, per cura
di Giovanni Sforza L. 8, —
Entro il 1905 si pubblicherà :
Tragedie* Odi, Poemetti : con una introduzione di
Michele Scherillo.
In preparazione:
Gl'Inni sacri e la Morale cattolica (la parte edita
e T inedita, e le varie appendici), con una introduzione di
Michele Scherillo.
Carteggio Manzoniano edito e inedito — Lettere
di Lui e a Lui, per cura di Giovanni Sforza, (bis volumi).
Varietà Manzoniane inedite, per cura di Giovanni
Sforza.
Iia storia della Colonna Infante* w Discorso sopra
alcuni punti della Storia longobardica in Italia, ed altri
scritti; con una introduzione di Michele Scherillo.
Dirigere Commissioni e Vaglia all' Editore Ulrico fioepli - Alitano.
Digitized by
Google
Digitized by
Google
Digìtized by
Google
4terr>w_£5i*£S 9Rm& „
il IS BOOK ON THE DATE DUE. THE PENAC
WILL INCREA8E TO SO CENT8 ON THE FOURTH
DAY AND TO $1.00 ON THE 8EVENTH DAY
OVERDUE.
SEP. 20 1&K
FEB 10 1933
i .\W ^1 1936
APR 16 1936
£EB
£ \3'i"i
^0\l 3 1931
j» 6 *»
FEB 9 1938
JUL 2 1938
JUl 16 1938
/
■
nn