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NUOVA SERIE
PUBBLICATO PER CURA
DEL P. RAFFAELE GARRUCCI D. C. D. G«
E DI GIULIO MINERYINI
te
ACCADEMICI ERCOLàmSI
ANNO PRIMO
DAL 1 LUGLIO 1852 AL 30 CIUGNO 1853.
NAPOLI
DALLO STABILIMENTO TUOGBAUtO DI GILSEPPE CATAMÌO
Strada Venlaylieri M. 71. ì. P.
i8o3
PREFAZIONE
IjiAMO ormai al termine del primo anno del bullettino archeologico napolitano , e
speriamo di aver corrisposto, per quanto era possibile, alla espettazione de' dotti,
ed alle nostre promesse (1).
La relazione de' varii scavi seguiti nel Regno , e segnatamente di quelli di Pom-
pei , la pubblicazione d' importantissimi monumenti epigrafici , numismatici , e di
antichità figurata , ci forni argomento di svariate ricerche , ed apri un vasto campo
di studio a tutti i cultori delle archeologiche e filologiche discipline.
Noi siamo lieti di vedere estendersi di giorno in giorno il numei'o degli asso-
ciati regnicoli , perchè con ciò si appalesa non essere spenta tra noi la sacra fiamma
del classico sapere. Basta una scintilla per ravvivarla ,• ed a noi basta la idea di
concorrere ad un sì nobile scopo , per non tralasciare 1' intrapreso lavoro (2).
(1) Riponiamo in nota il programma delfa nuova serie del bul-
lettino napolitano, siccome fu da noi pubblicato nel mese di mag-
gio del passalo anno 1852.
« Da che cessò la pubblicazione del bullettino archeologico napo-
litano, il quale già vide la luce per cura del non mai abbastanza
rimpianto Commend. Francesco Maria Avellino, era desiderio di lutti
i cultori degli archeologici studii, che ricominciasse una regolare
notizia degli antichi monumenti, i quali sono tratti ogni giorno dal
feracissimo suolo di queste nostre regioni.
Noi non mancammo dal canto nostro di far conoscere o con sem*
plici descrizioni , o con incisioni e fac-simili , i monumenti o di
arte o di epigralìa, che ci fu dato di osservare : ma convenivamo en-
trambi nel desiderio dì dar fuori una periodica pubblicazione, nella
quale si registrassero le nuove scoperte di patrii monumenti, e le
novelle ricerche su' medesimi istituite da' dotti nazionali o stranieri.
Ricercando fra noi un vicendevole concorso alle nostre pubbli-
cazioni , ci avvedemmo di leggieri che sarebbe più utile consiglio
associarci collo scopo comune , a cui egualmente aspiravamo. Sor-
ge quindi colle nostre forze riunite il presente bullettino, che noi
intendiamo sia da riputare un prosieguo dell' antico , a cui tanta
estimazione procacciò il nome illustre dell' Editore. Se non che noi
dichiariamo innanzi tratto , che non ci leghiamo a parlar di notizie
nostre soltanto, ma potranno considerarsi di gradita appendice le no-
tizie siciliane, e quelle delle grandi scoperte, che interessano somma-
mente r archeologia , in qualunque punto della terra abbiano luogo.
Un' altra classe , del tutto estranea all' antico bullettino napolita-
no , vien costituita dalle antichità cristiane , alle quali è tanto ri-
volta oggidì r attenzione dei dotti. Noi toccheremo , ove la oppor-
tunità se ne presenti , le novità di archeologia cristiana de' primi
secoli, e le discussioni, alle quali esse dar possono la origine.
Noi abbiamo fiducia che i nostri sforzi per la diffusione delle no-
vità archeologiche, principalmente del nostro paese, sieno bene
accetti al collo pubblico in Italia e fuori : e ci attendiamo che con-
tinueranno a dar lustro alla presente ptibblicazioue que' chiarissimi
archeologi, i quali già parteciparono alla prima le loro dotte comu-
nicazioni ed osservazioni.
Se coli' annunciare continuamente i prodotti della passata civiltì,
varremo a tener fra noi svegliato 1' amore delle arti e dei classici
studii, saremo abbastanza compensati nella nostra intrapresa, e cre-
deremo di ricavare il più bel frutto dalle nostre fatiche ».
(2) In fine del 2. anno del bullettino sarà dato il catalogo degli
associali del Regno, i quali ajutando co' loro mezzi una patria pub-
blicazione concorrono al lustro del proprio paese, e sì mostrano
vaghi de' gentili studii dell' archeologia.
A tal pensiero si agglugne il benevolo accoglimento per parte flegli archeologi
nazionali e stranieri , che venne a coronar la nostra opera. Noi non rammente-
remo le miiversali congratulazioni, che privatamente ci furon fatte da tutta l'Ita-
lia , dalla Germania , e dalla Francia : ma non possiamo non esprimere la nostra
gratitudine per coloro , che manifestarono al pubblico sensi benigni veiso la nuova
serie del bullettino archeologico napolitano. La cwillà cattolica , il bullettino del-
l' Istituto di corrispondenza archeologica , la rivista archeologica di Parigi , la gaz-
zella archeologica di Berlino , ed altri rinomati giornali , compensarono largamente
di cortesi parole le nostre letterarie fatiche : e noi vogliamo che tutti i fautori del
nostro halletlino , fra' quaU primeggiano i nomi illustri di un Gerhard , e di un
Raoul-Rochette , si abbiano una pubblica dichiarazione della nostra riconoscenza.
S' abbiano altresì i nostri più sinceri ringraziamenti quei dotti , che comincia-
rono, o continuarono ad arricchire la nuova serie del bullettino colle loro comu-
nicazioni.
Ad un altro essenzialissimo dovere mancar non possiamo nel por termine a
questa nostra prefazione : ed è quello di attestare altamente la protezione al bui-
lettino accordata nel nostro paese.
Le numerose associazioni per parte delle diverse amministrazioni dello Stato,
e la facoltà di pubblicare a quando a quando gl'inediti monumenti del real mu-
seo Borbonico e di Pompei , sono il risultamento di questa benevola protezione :
nella quale la Reale Accademia Ercolanese , a cui ci facciamo vanto di apparte-
nere , ed il eh. sig. Principe di San Giorgio Spinelli , direttore del Real Museo
Borbonico e Soprautendenle generale degli scavi del Regno, gareggiarono con gli alti
funzìonarii , da' quali quelle due amministrazioni dipendono.
Saremmo certamente ingrati , se in queste pagine risuonar non facessimo il
nome dell' Eccellentissimo sig. Principe di Bisignano , Maggiordomo Maggiore di
Sua Maestà e Soprantendente generale della Real Casa; e quello del Commendatore
Francesco Scorza , Direttore del Ministero degli affari ecclesiastici e della istru-
zione pubblica.
Noi riputiamo questi due personaggi i principali protettori della presente pub-
blicazione. E se non siamo disanimati a proseguir T intrapresa col medesimo zelo,
col quale la cominciammo, egU è perchè nel loro favore noi speriamo il più va-
lido appoggio , ed il più lusinghiero incoraggiamento.
Gii Editori
P. Raffaele Gabrlcci d.c.d.g.
Ginio MiNEiiviNi.
BUllETTIXO ARCHEOLOGICO IVAPOlITA^O.
NUOVA SERIE
TV." 1.
Luglio 1852.
Descrizione di un vaso ruvese del Real Museo Borbonico. — Sulle sigle delle iscrizioni pompeiane dipinte a
pennello , e sidla difficoltà di ben Ira^'Crivere dalle pareli i caratteri dipinti.
Descrizione di un vaso ruvese del Real
Museo Borbonico.
Tra' vasi di Ruvo conservali nel Real Museo Bor-
bonico trovasi quello, di cui intendiamo dare in que-
sti fogli una esalta descrizione: e tanto più siamo spinti
a farlo sollecitamente , perchè da più tempo è desi-
derala la notizia di questo monumento da uno de'più
dotti illustratori dell'antica ceramografia; dir voglio
dal mio egregio collega ed amico cav. Odoardo Ge-
rhard.
È questa ua'idria a tre manichi, di altezza pai. 1
e 32 centesimi , con figure rosse in fondo nero. Sul
lembo esterno dell'orlo è l'ornamento di ovoli: sul
collo altro giro di ovoli più grandi , da' quali pen-
der si mira nel mezzo un bianco nastro : sulla pan-
cia è la rappresentazione, sotto la quale è un mean-
dro, che non si estende al di là della stessa; siccome
in altri vasi di simil forma non di rado s' incontra.
Tutta la composizione vien costituita da un doppio
ordine di figure. Neil' ordine inferiore vedesi nel mez-
zo un imberbe giovine cinto di bianco diadema, con
clamide che si affibbia sul petto , e breve tunica fre-
giata di stelle e di svariati ricami , e co' piedi muniti
di stivaletti : grandi ali si spiegano dietro a' suoi
omeri. Questo giovine è quasi di fronte movendosi
alla corsa , e sollevando in alto il capo. Siede paca-
tamente sulle sue spalle una femminile figura con
bianchi radii sul capo , e nastro che ne lega i capel-
li : ha essa lungo chitone senza maniche : colla de-
stra si atliene ad un braccio del suo rapitore disteso
per sostenerla , e colla sinistra tira un lembo di un
peplo che a lei medesima appartiene , e che mirasi
in parie svolazzante. A destra del descritto gruppo
scorgesi un giovine diademato con clamide che si ran-
noda sul petto , il quale fugge veloce a destra ele-
vando la dritta, e tenendo colla manca il doppio gia-
vellotto riverso. Chiude da questo medesimo lato la
scena Amore diademato e coronato sedente a destra,
e volgendosi a guardare il fuggitivo giovine. Dall'al-
tro lato del gruppo, eh' è nel centro, vedesi un gial-
lo candelabro o timialerio presso l' idolo di una di-
vinità , che poggia sopra un piedestallo. Sì il piede-
stallo che r idolo sono bianchi con tratti di giallo.
L' arcaismo dello xoanon è sufficientemente indicato
dalle gambe poco elegantemente fra loro ravvicinate:
[<y-x{\i\(jv{ji'\ji\tir\X'-j\a. ^IxiWer Acginet. pag. 110), e
dalle braccia simmetricamente elevate d' ambi i Iati
( x-'P=5 wctpccTSTafXJta/ Diod. 1 , 98 ): il simulacro ha
sulla testa il polos; un sottile ampeconio ricamato eoa
una fascia , che lo fregia , ed il rigonfio petto ne ad-
ditano senza alcun dubbio il sesso muliebre. Presso è
un albero. Vedesi accorsa all' idolo e genuflessa ab-
bracciandolo colla sinistra una donna di aspetto gio-
vanile con ornata slefane , tunica senza maniche , ed
orlata clamide.Anche da questo lalo termina la com-
posizione corrispondendo sotto il manico un giovine
diademato, con clamide, e petaso dietro le spalle, che
si avanza a destra, tenendo pur colla sinistra il doppio
giavellotto riverso.
Neil' ordine superiore sono due sole figure, divise
dall'ordine inferiore per mezzo di bianche linee tor-
tuose destinale ad indicare una montagna ( vedi il
hdllM. ardì, napol. an. VI. pag. 25 , e ciò che di-
1
— 2 —
clamo nella meruoi ia ììluslr. di un vaso ruv. del Real
Mus. Borì), pag. 4. e 8 ). A sinistra di chi guarda
scorgesi un giovine diademato e coronato , con cla-
mide e doppio giavellotto, il quale in precipitosa fuga
piega il destro ginocchio , e stende la sinistra gamba
nascosta in parte dalla sinuosità della montagna : lo
stesso sporge innanzi la destra , volgendosi a guardare
a sinistra. Dall'altro lato siede a destra sulla sua cla-
mide volgendosi a s. un giovine coronato, con capelli
in particolar modo cadenti , il quale tiene con ambe
le mani una bianca collana, o nastro.
Non esitiamo a riconoscere nella descritta compo-
sizione il ratto di Oritia eseguito da Borea , che già
comparve in altri vascularii dipinti. È stato osservato
che un tal soggetto non si è veduto Onora sopra al-
tra classe di monumenti : se n'eccettui la celebre cas-
sa di Cipselo , ove però vedevasi figurato in modo
particolare (Pausan. V, 19, 1 : vedi Welcker nelle
nouv. annal. de V Inslit. tom. II pag. 379). Tra' piìi
importanti vasi collo stesso soggetto è da ricordare
la magnifica anfora di Monaco illustrata dal dott. Sig.
cav. Welcker {nouv. annal. t. cit. p. 358-396, pi.
22, e 23 e die Giebelgi'uppen in Alle Denkmdler tom.
1 p. 84 : il mio chiarissimo collega comm. Quaranta
comunicò alla reale Accademia Ercolanese alcune os-
servazioni sul medesimo monumento), altri vasi della
collezione reale di Berlino (Gerhard Elr. undKampan.
Vasenb. tav. 26 p. 38 , ed Auserl. ì'asenb. Ili , 152
p. 8-15), un altro di Nola (Gerhard arch. Zeilung.
an. Ili tav. 31), ed altri monumenti ricordali dal cav.
Welcker nella citata sua dissertazione; cf.Mùiler Hand-
buch § 401 p. 632 ed. Welcker. Un altro vaso collo
stesso soggetto fu pure pubblicalo dal eh. Roulez(&MÌ-
lel. de Bruxelles VIlI,2p. 131). Vogliamo finalmente
avvertire che la stoviglia volceiite descritta dal de
Witte {calai. Durand a. 213) trovasi ora nel museo
Britannico , ed è descritta da' Signori Birch e New-
ton neir eccellente catalogo di quel gabinetto da essi
recentemente pubblicato (a catalogne of the greek and
etruscan vases in the British Museum voi. 1 . pag. 31 5
n. 870 ). In tutti gli accennati monumenti la figura
di Borea vedesi dello stesso modo effigiata come sul
nostro vaso , colla corta tunica , colle grandi ali , e
quasi sempre co' calzari : 1' unica differenza è che in
quelli il volto di Borea è ispido per nera e folta bar-
ba, mentre nel vaso del real museo l'osserviamo im-
berbe e giovanile. Ma una tale circostanza , oltre che
trova il confronto nel Borea della torre de venti ia
Atene (Stuart ant. di Atene 1, 21, Millin gal. myth.
tav. LXXVII f. 322), riconosce pure la spiegazione
in un' altra particolarità , che rende ancor più pre-
gevole il vaso del real museo. Ne' monumenti finora
comparsi Borea è nell'atto di raggiugnere Oritia : al-
lora il vento del Nord è nella più grande agitazione ,
ed offre la più feroce ed orrida fisonomia; ma nel va-
so, di cui discorriamo, dopo aver conseguito lo scopo,
dopo essersi impadronito della sua preda, la sua forza
ed il suo furore si calma, e nell'imberbe aspetto pre-
senta la tranquilla e piacevole fisonomia di uno sposo.
E se vogliamo andare alla idea fisica, secondo la spie-
gazione proposta dal cav.Welcker, il furioso vento del
Settentrione perseguita la lieve auretta delle montagne,
e tutti alterisce e spaventa, fintantoché non si congiun-
ge con essa , e va a disperdere il suo furore equili-
brando il suo formidabile soffio col tenue spirare di
quella. Né altrimenti spiegheremmo la fisonomia di
Borea, anche ritenendo la intelligenza data al mito
di Oritia dal comm. Quaranta , il quale in essa rico-
nosce una divinità di natura aquea ( nella citata me-
moria tuttavia inedita ). In conferma della quale opi-
nione potrebbe osservarsi che 'Opu'^via. è pure il no-
me di una Nereide presso Omero {II. % , 48 ) : dal
che si desume che quella denominazione non discon-
viene ad un essere , che ha stretta relazione colle ac-
que. Questo rapporto nella sposa di Borea è poi e-
spressamente indicato in alcuni monumenti, ne' quali
apparisce l' idria sfuggire dalle sue mani ( Tischbeia
111,31 ; Millin galér. mylhol. LXXX, 314; Gerhard
e Panofka Neapels ant. Bildw. p. 253 n. 1 684 : del
resto vedi ciò che osserva il Welcker nouv. annal. t.
II. p. 374). Il Reinesio pubblica la seguente iscrizione:
HORITHYAE
L • BARBIVS • L • LIB
TIIEOPOMPVS
NAV MERKAT
V ■ S
— 3 -
Egli è di opinione che questo navicularius merkator
facesse un voto alla Nereide di quel nome ( ci. I n.
CLXX p. 186). Ma io non so persuadermi che tras-
curate Io principali marine divinità l'Oceano , Nettu-
no , Teli ed Anfitritc , si sciogliesse un voto ad una
particolare Nereide. Io penso che la Orilia della rei-
nesiana iscrizione sia appunto la figlia di Eretteo , la
quale bene a ragione invocavasi da uno speculatore
che esercitava il commercio marittimo , come la spo-
sa di Borea , del terribile vento , produttore de più
funesti naufragii. Abbenchè la nostra pittura non tro-
vi il paragone de' monunienti ; pure è quasi nel prin-
cipale gruppo descritta da Nonno ( Dion. XXXIX ,
190), allorché questo poeta fa dire da Eretico a Borea
'IXio'CÓ»' dì yipo(.i(ii yxixotrró'koy , ùnit^i xouprjv
'ÀT^ioct, cV 'ìrxpoixotriv, àn^pTrccav apTro-yìS a.òpa,i ,
E^OjUivrjV àToaxTGv àxtvTiTuj aùiv ui'jjo.
Così e non altrimenti osserviamo Orilia sedere
immobile sul forte omero del suo sposo ; mentre le
aure la trascinano sulle montagne della Tracia. No-
tevole è poi lo svolazzante peplo di Oritia, che gonfio
dal vento fa l'ufficio di vcla,e che perciò confronta con
la pittura della rapita Europa descritta da AchilleTazio,
nella quale vedovasi la donzella wffwsp l^luj nJ ttittXm
Xpouixivr\ (Lib. 1 cap. 1 . Vedi sopra simili panni gon-
fii dal vento Avellino nel voi. 2° delle memorie della
reale Accad. Ercoìanese pag. 251 ). Ma di quale di-
vinità sarà l'idolo, che mirasi presso l'avvenimento,
ed a cui già si offerivaa profumi : come viene accen-
nato dal vicino ùmiaterio'i La soluzione di questo pro-
blema ci vien data da un classico luogo di Piatone messo
in confronto con un altro di Pausania.Questo periege-
te, dopo aver parlato dell' Ilisso, e del ratto di Orilia
avvenuto alla riva di quel fiume, aggiugne che passato
appena l'ilisso trovavasi un luogo denominato "Aypai,
ed il santuario della Diana Agrotera (lib. 1 cap. 1 9,5-6).
Questo santuario appunto e la statua di quella dea io
riconosco nel nostro vaso : di\inità a cui ben convie-
ne il po/os, e che essendo uno xoanon nella forma delle
pili auliche statue, non è strano che veggasi priva di
altri particolari attributi. Questa , che riputar si po-
trebbe una probabile conghiettura, acquista tutta la
forza della certezza da un importantissimo luogo di
Platone , ove si determina con precisione il silo, ove
r antichità supponeva succeduto quel fatto. Avverte
il filosofo che Borea avca rapilo OriUa non già alle
rive dell' Ilisso, ove trastullarsi solevano le gentili
donzelle, ma due o tre stadii più abbasso, sulla via che
menava al tempio della Diana Agrea , la quale non
è certamente diversa dall' Agrotera : ohx , òO.y.x xa-
rwòiv , 6'(70)' dv' r\ rplcf. srdòrx , t] Trpós rò tt,; 'A—
yp'M%s Sj*|3ocA 0,'xsy : e soggiugne che in quel mede-
simo silo era un altare di Borea ( p. 229 , B ). Non
poteva il nostro vaso rinvenire un più sicuro confron-
to : ed il santuario di quella dea è indicato non solo
dal timialerio che vedesi innanzi al simulacro , ma
altresì dall' albero destinato ad indicare il sacro bo-
schetto ( à'Xffos o ri'ixivos ) , che, secondo 1' uso de' re-
moli tempi, circondava il sacro edifizio. Fralle tradi-
zioni relative al mito stesso di Orilia avveneuna, che
mette la figlia di Eretico in rapporto coli' idolo di una
divinità. Accennar vogliamo a quel che narrava Acu-
silao , che la donzella, come una canefora, era stata
mandata a far sagrifizii in sull'Acropoli alla Minerva
Poliade, quando Corea celatamenterapilla(ap. Schol.
Odyss. XIV, 533). Ma non ci sembra che nel nostro
monumento siesi figurato un idolo di Minerva, né ac-
cennata la esposta tradizione: in fatti manca ad Oritia
la cesta indizio di una canefora; ed in quanto alla dea,
osservo che a Minerva mal converrebbe il po/os, men-
tre dall' altro lato mancano aflalto tutti gli altri sim-
boli attribuiti sempre alla dea guerriera , anche ne'
più antichi Palladii (vedi Miiller ^andò. p. 47 ed.
Welcker). Olirà le additate ragioni, ve ne ha pure un
altra, la quale appoggia ed illustra la nostra spiegazione.
I tre giovani che veggonsi sperperati e fuggitivi .essendo
muniti digiavcllotti, senza dubbio si appalesano per cac-
ciatori. Essi si danno a precipitosa fuga spaventali dal
furore del vento aquilonare. Ma certamente quei cac-
ciatori erano intesi ad onorare il santuario della Diana
Agrotera, quando fu in quel silo messo da Borea un così
fiero scompiglio. Sicché, a mio giudizio, non poteva
l'artista in miglior modo indicare il luogo dell'avve-
nimento , cioè "'Aypoct , che col figurare la divinità
protettrice de' cacciatori , ed i cacciatori stessi che
lasciano a mezzo i cominciati onori del cullo , per
— 4 —
fuggir l'impeto del vento. Rimane a dir qualche cosa
delia figura femmiuile , la quale genuflessa abbraccia
l'idolo, quasi dimandando soccorso a grave sventu-
ra. Già nella tradizione di Acusilao si parla di per-
sone che accompagnavano la figlia di EreKeo ( rovs
fX/TTOvraS ^«1 ipwXxccovTxj r-ty -A'^ty Scliol. Odyss.
XIV, 533 ); ma la stessa narrazione riportata da Pla-
tone (vedi il luogo cit. ) può richiamarsi a confronto
del nostro vaso. In essa si racconta che Oritia scher-
zava con Farmacia , allorché fu sorpresa da Borea :
e Socrate aggiugne che essendo spenta Oritia dalla
furia del vento fu detto che fosse rapita da Borea.
Comunque sia di questa spiegazione del filosofo ate-
niese; non sarà fuor di proposito ravvisare la donzella
Farmacia , la quale ricorre alla dea locale addolo-
rala per la perdita della rapilti compagna. Questo ma-
nifesto dolore della figura del nostro vaso può para-
gonarsi con la spiegazione di Socrate; e farne riferire
il soggetto, di che ci occupiamo, a funebre intelligen-
za , la quale non esclude la fisica idea simboleggiata
da quel mito. In altri monumenti si vede ancora Ori-
tia insieme con altre compagne allorché fu rapita :
così in un vaso del Tischbein ( HI , 31 ) , in altro del
real museo borbonico ( Gerhard e Panofka Neapels
aniike Bildwerhe p. 2o3 n. 1684) , in altro del Mil-
lin [peint. de ras. II pi. 5): per nulla dire de' due
monumenti pubblicati dal cav. Weicker ne' citati nuo-
vi annali dell'Istituto, ove Oritia è aggruppata con
Erse e Pandroso:^: dal che lo stesso dottissimo ar-
cheologo trae la intelligenza fisica del mito.
Due altre figure richiamano la nostra attenzione
nel vaso del real museo. Quella dell' Amore sedente
trova la piena spiegazione nella scena di senso eroti-
co e nuziale, acni assiste. Più interessante è l'altra del
giovine sedente sulla montagna. La sua pacatezza, ed
i capelli in parlicolar modo cadenti ci danno la cer-
tezza che sia in esso effigiala la deità locale della mon-
tagna, o il monte stesso personificalo. Simili genii
locali furono altrove riconosciuti ( Museo Capitol. t.
IV, tav. 25:Pio-Clem. IV, 40; V, 10, 2o:Ra-
oul-Rochelte mon. inéd. pi. 7); ed il monte Partenio
fu dal eh. Cavedoni credulo figurarsi in un antico
calamajo di bronzo con lavori di argento, ove da me
erasi lutt'allro ravvisato (vedi lull. ardi, napol. an.
II p. 54). Noi ci fermiamo alla medesima idea per la
figura sedente del nostro vaso : o che creder si vo-
glia la coUiaa sovrastante airilisso, o piuttosto il mon-
te Emo della Tracia, ove Borea arresterà il suo volo
per compire le sue nozze con la rapita donzella (Phe-
recyd. e Simonid. ap. Schol Apoll. I , 211 ; Apol-
lon. Rhod. Argon. I, 211-18). La personificazione
deir£'mo sotto la forma di un giovine cacciatore com-
parve in monumenti numismatici {mus.Sandem. 27,
269): nel nostro vaso ci sembra dalla chioma folta e
cadente a grandi masse indicata la nevosa cima di quella
montagna: e nella collana o nastro, che tiene la stes-
sa figura con ambe le mani, riconosco un femminile
ornamento preparato per cingerne le tempia o la gola
della novella sposa, qual donativo {xvoixxXuTrrripia.)
conveniente ad una simile circostanza.
MlNERVINI.
Sulle sigle delle iscrizioni pompeiane dipinte apennel-
lo , e sulla difficolta di ben trascrivere dalle pareti i
caratteri dipinti.
Ove le iscrizioni pompeiane dipinte a pennello sulle
pareti degli edifizì non rinchiudessero altra difficoltà,
che quella gravissima d' interpretarne le tante sigle ,
sarebbero argomento ben proporzionato a trattazione
accademica. Lo stesso dottassimo Commendatore Avel-
Uno, che ha il più gran merito in sludii siffatti, aven-
done sott" occhio una di esse , che in tre righe non al-
tro, che una sola voce rappresentava interamente scrit-
ta, e nel resto non meno di dodici lettere divise da pun-
ti, e principio ognuna d'esse di nuovo vocabolo, non
dubitò di asserire, credere se, che al solo Harduino ba-
sterebbe l' animo di dichiararle. B. N. 1 846 p. 50. Sì
manifesta e straordinaria difficoltà mi pose di buon' ora
desiderio di fare alcuna scoperta , e poiché a (al fi-
ne non v'era altra via, che quella dei confronti, cer-
cai studiosamente di raccogliere dulie pareti pompe-
iane quella porzione di leggende non perite ancora,
lo non aveva in mia mano vcruua collezione anlece-
— 5 —
dente, né seppi mai clie altri l'avesse, ed al mìo sco-
po non avrebbero giovato per fermo le iscrizioni già
pubblicate in libri diversi, dalie quali non era potu-
to risultare nulla per gli altri, e forse neppur io avrei
potuto trovarvi qualche elemento di soluzione. Comin-
ciai adunque il lavoro da capo, trascrivendo da tutte
le pareti le leggende fino alle più svanite, e non andò
guari, che quella intrapresa mi recò in mano il ban-
dolo da riuscire alla interpretazione anche di quelle,
che si eran tenute più insolubili. Questo frutto dei miei
studii sulle leggende parietarie pompeiane non ho vo-
luto che stesse ozioso più a lungo, e comincio in que-
sto mio scritto a comunicarne una parte.
Tutti sanno, che i programmi pompeiani veggonsi
terminare comunemente o iu tre lettere divise da pun-
ti 0 • V ■ F , od in una cifra equivalente , ma che fa-
cilmente si scioglie in esse. Né è men saputo , che la
prima interpretazione data si trasse dal concetto, che
queste fossero voci dei clienti agli usci dei loro patro-
ni, dai quali implorassero protezione, e favore. Laon-
de spiegaronle Orat , ut faveal. Nacque da ciò , che
si dessero i nomi alle case , togliendoli dalle esterne
pareti di esse; onde p. e. si denominò la casa di Cus-
pio Pausa , la Casa di Sallustio , quella che sulla fac-
cia esterna mostrava scritto Pansam, o Sallustium. Fu
ancor più pernicioso , che si tenessero per duumviri,
e per edili , quegli uomini , i quali forse non lo fu-
rono che nel desiderio , o nella satira dei loro con-
cittadini.
Il vero finalmente apparve , quando si lesse intero
facialis su di un programma, nel quale si votava per
Aulo Vettio Fermo , l' edilità , e fu avvertito il senso
forense dei due verbi faccre e rogare, nelle pubblica-
zioni antecedenti malamente tradotti prega e fa.
Pur tuttavia la scoperta non giovò che all' ultima
cifra, e le due prime se non nella opinione, per cer-
to col fatto rimasero senza alcun sostegno di confron-
to. Perocché da coloro, che hanno seguito a dar lo-
ro il significato di Orat ut , non si allegò mai ve-
run esempio , che ne rassicurasse ; luttocché il eh.
Rosini credesse di aver veduto V ut in una delle pri-
me pareti. Ma quel disegno aggiunto alle disserlalio-
nes isagogkae riscontrato suU'origiuale risulla alquanto
scorretto, e lo è segnatamente nel ROG • VT • F, do-
ve convien leggere ROGANT • Or ne avviene caso
assai piacevole, e sommamente onorifico ai primi in-
terpetri , i quali senza verun sussidio di ragguagli era-
no così addentro penetrati nello spirito di quelle eni-
gmatiche sigle , che la presente scoperta non dovrà
recar loro altro che un lieve cambiamento. Percor-
rendo io la strada che va dal foro ai Teatri lessi già
su di un pilastro tutta la formola stesa così :
MMARIVM
AED • FACI
ORO • VOS
Adunque le tre lettere 0 • V • F erano intese in Pom-
pei ORO • VOS • FACIATIS , e cosi dovranno quin-
di interpretarsi da noi. In altri dipinti incontro al-
cuna parte di questa formola, e se ne conferma l'uso
generale. In un pilastro leggo
- MA • HERENI
V3I
SERICVS • VOS
in altro
NEPOTEM IIVM
ORO
in un terzo
M
VjVmMBORVF
( gli OR dei programmi pubblicati nel voi. 1 del R.
Museo Borbonico provengono facilmente dall' aver così
interpretalo la cifra o monogramma delle tre lettere. )
Il terzo vocabolo si à in questo quarto programma.
N-VEI-"(VE7nort.)
V • V • B • 0 • V . CO
AMATOR • VEST
FACIAT • AED • M
II quale vcdesi già pubblicalo dal prof. Mommsen
nel suo Untcrilaìischen Dialecle Taf. XI. 29. f. 4.
con molta diversità.
Passando ora più innanzi nella proposta interpreta-
zione delle sigle , nella seconda linea del programma
di N. Veio sette lettere V-V-B-0-V-CO dimandano
un senso. Tra le quali tutlocchè sia spedito darlo to-
sto al V • B • O • V • di Vìnun. Bomim. Oro. Vos , ri-
mane nulla dimeno il primo V. e l'ultima sillaba CO,
6 —
a cui bisognerà procurarlo. Or quanto al V io gli
porrò alialo due dipinti, nel primo dei quali io leggo
XQV I D
D-V-V DIGNVS EST ,
e nel secondo
L . AQVT
DV.V.
ove
Nei quali il V. che segue al D- facilmente si spiega
Duum Virum. Se poi il V, che viene appresso, debba
o possa interpetrarsi QVINQVIENS , ovvero QVIN-
QVENNALEM, io non decido: certo la significazione
appena potrà essere altra cosa dalle due proposte.
In quest'ultimo dipinto riveggonsi tre sigle O.V.C.
che vengono opportune al confronto di O • V • CO del
prirao.Per altro il senso del CO non par meglio definito.
Cerco io tra le mie schede, e ritrovo NARTIV
OCOL
SECUND
ed inoltre; LVELVRIIVVBOVCOLFDI
Però propongo i)Orant.YosCOUegae.AMATO^,
\ESTalis, FACIa««s AEDjVm meritum.2)-Lucium A-
QVTm»H?DMMm. \irum. Y{quinquennalem) Orat \os
Co?/e3a.3)-MARTIVm Orat COLlega SECVNDws. 4)-
Lucium VEL • "VR* •U.'W-Yirum.Bonum'Oral'Yos
Collega • Facialis DI
In altri programmi leggesi
POSTV • • • ID
IVLIVS POLYBIVS COLLEGA FECIT
(Guar. Fasti duumv. p. 120.) e
L. VERANIVM HYPSAEVM
EDTERTIOQVINQ
CASELLIVM • MARCELLVM
AEDOPTIMOSCOLLEGAS (M.B. t. III. p. 7.)
A compiere la trattazione delle sigle , che accom-
pagnano i nomi dei cercati alle magistrature dai voti
dei popolani si vorrebbe certo , che io non dimenti-
cassi le celebri cinque sigle V • A • S • P • P, intorno al-
le quali caldamente si disputò dall'Avellino e dal Gua-
rini. Ma poiché un mio onorevole Collega ha già
disposto di farlo , io ne rimetto a lui la trattazione ,
contento di essere il secondo.
Si è già avvertito da altri, che non di rado furono
scritti in sigle anche i nomi delle persone richieste a
pubblici offici.
E questo è verissimo : né può giudicarsi strana co-
sa , essendo appunto il costume romano di votare pei
candidati , recandosi ciascuno ai comizii una tavolet-
ta colle iniziali del candidato. Risulta ciò da un' an-
tica testimonianza,che si trae da un luogo dell'orazio-
ne prò domo sua, ove si dimostra come potesse il Pre-
tore in caso di aver nomi di competitori somiglianti
nelle iniziali favorire un pretendente , assegnando a
lui le tavolette di alcun altro. /«, dicesi ivi, ^ostea-
quam intellexil, posse se, inlerversa aedililate a L.Pisone
consule Praetorem creari , si modo eadem prima litte-
ra competitorcm habuisset aliquem ole. Secondo que-
sta dottrina, non apparirà, io diceva, strano, che anche
in Pompei i notissimi pretendenti si designino sulle
pareti colle sole iniziali. Lo furon di fatti segnati co-
sì un Caio LoUio Firmo, un Publio Paquio Proculo,
un Aulo Vettio Firmo, un Caio Calvenzio Sittio Ma-
gno , un Lucio Numisio Raro , un Lucio Cecilio Ca-
pella , un Marco Cerrinio Vazia , un Lucio Ceio Se-
condo , un Marco Casellio Marcello , un Marco Sa-
mellìo Modesto , i quali mi risultano dai confronti ,
che son venuto facendo sulle mie schede fra i nomi
dissimulati in sigle, e gli interamente scritti. In mez-
zo ai quali studii potei facilmente comprendere qual
senso enigmatico si occultasse nelle dodici sigle ricor-
date di sopra , che fecero diffidare anche l'oculatissi-
mo Avellino, sino a dichiararle impossibili a spiegar-
si , sicché , se non all'Harduino a ninno avrebbe po-
tuto bastar l'animo di riuscirvi.Quella epigrafe invano
fu cercata da me sulla strada che va tra il tempio di
Venere, e la basilica, donde si era trascritta nel Bull.
Napol. 1846. p. 50. Riporterolla dunque da quell'u-
nico apografo così come ivi si legge.
PPPAV G--
M • E • S • Q • M • •
SVILIMEA • C
Sotto in caratteri neri
O • V • F • SVILIMEA • ROG • CAI • •
Io vi riconosco due duumviri e due edili da cre-
arsi, per voto di Suihmea. Chi poi siano questi lo im-
paro da un altra epigrafe, che dal medesimo Avellino
— 7 —
di onoranda memoria (rovo riportata nel secondo vo-
lume dei suoi aurei opuscoli a p. 225.
P • PAQVIVM PROCVLVM li • VIR • VIRVM B ■ D • R • O-ft
AVETTIVM FELICEMIIVIRV BDROit' DIGNI SVNT
C ■ MAR • VM ••■ MEPIDIVM SABINVMAEDILESVASP PO^ DIGNI
S • • SIT • ■ • SIVS • DE • ALBATORE • ONESIMO [SVMT
Questo illustre programma dicesi ivi segnato sul
muro a sinistra della bella strada pompeiana, che pia-
ce a' nostri moderni indicatori chiamar di Mercurio.
Paragonando ora i due dipinti scopresi a bella prima
l'intera somiglianza delle iniziali, e delle coppie. Che
se v'è qualche diversità, questa facilmente si compo-
ne , osservando ; come nel dipinto enigmatico furono
segnati alcuni punti dai quali si dimostra, che non fu
creduto intero dal trascrittore. Neanche il secondo
programma fu tutto letto , e nella seconda, terza , e
quarta linea veggonsi delle lacune. Così ad A. Vettio
manca il secondo nome, che dai programmi pompe-
iani conoscendosi essere stato Caprasio , facilmente
suppliremo qui AVETTIVM- Caprasium.¥EUCEM,
ed emenderemo là il lieve scorso del G per C , dopo
della qual sigla dovea seguire ragionevolmente l' F
del Felicem.
Passando alla seconda linea l' M • E • S • Q • M sarà
M. Epidium Sabinum. e Q. Marium se seguiamo la
lezione del primo , o C. Marium se del secondo, es-
sendovi dell' uno e dell* altro riscontri ; ma ninno di
essi due ha finora cognome sui programmi, onde non
può sapersi che cosa qui vi dovea essere scritto : la ter-
za e la quarta linea si leggeranno così: SuHimea Cu-
pit — Oro vos facialis. Suilimea rogat. Cai...
Che il C sia ben spiegato Cupil si prova con altro
programma , ove leggo- • VM MAGNVM AED
F - - • CVPIO • 0 - V • F
forse SiltiYM , ed in un secondo pubblicato dall' A-
' vellino, Opusc. T. II. p. 2-26.
A - VETTIVM - FIRMVM
AED - V - B • 0 V - F - FELIX CVPIT
Non debbo omettere di un singoiar dipinto la for-
mola inusitata.
SVETTIVM CERTVM
CLODIVS NYMPHODOTVS • CVPIDIS
Ma in quello fatto incidere nelle diss. Isagog. Tab.
o
IV. parmi si debba colla correzione di PRISCVM ia
TREBIVM anche emendare il Melellio /in METELLI-
CF ossia Cupiunt. Facile. Nel qual ultimo caso se altri
vuole interpretare Metelli cito faciunl col confronto
della epigrafe recentissima M • CEIVM II • V • ID
EPAGATVS CITO
ROG
trascritta nelle relazioni di quegli scavi , io non pos-
so darvi assenso; perocché essa invece va letta
CEIVM • II VID
EPAGATUS • GYLO
ROG-
( Queir O appartiene a leggenda anteriore; e l'unico
Ceio che si conosce nei programmi è prenominato
Lucio. )
Della non comune difficoltà di trascriver bene
anche i dipinti potrei recare in pruova le diversità dei
pochi, che tuttora possono riscontrarsi colle copie an-
tecedenti ; perocché il farlo di tulli non è possibile ,
siccome o cancellati alTatto , o periti cogli inlonachi ,
sui quali erano scritti. Basterà qui per altro darne un
saggio sulla leggenda , che ne avvisa perduta un' ur-
na di bronzo , trascritta dal Wordsworth e pubbli-
cata a p. 26 dei suoi fac-simili.
Legge egli Urna. Aenia. periit de tàberna
Sei. eam. quis. rctulerit dabuntur
HS LXV ' sei furem
dabilur. duplum
A - Vario
10 invece ho letto
VRNA- AENIA • PEREIT DE TABERNA
SEI • OVEI RETTVLERIT DABVNTVR
HS LXV • SEI - FVREM
DABITVNDECVMwm
lANVARIVS • QVI - hic HA
bilal • - -
11 Wordsworth non lascia di richiamare al confronic
di questo elegante manifesto il luogo di Petronio: i*«er
in balneo aberrami, si quis eum reddere aut commo-
slrare volueril , accipiet nummos mille. Con frasi più
analoghe Properzio nell'elegia 23 del libro 3.
Ergo tam doclae nohis PERIERE tabellae.
E dopo alcuni versi
8 —
Qim si qi(ù mih! RETTVLERIT donahilur auro.
Ed è notabile , che un tale avviso egli commette al
suo servo di proporre su di alcuna colonna.
I piier , et ciliis liaec aliqua propone columna;
Et dominum Esquiliis scribe HABITARE tuum.
Al qual proposito noterò di passaggio essere que-
sto esempio assai opportuno ad illustrare le cose di-
sputate dall' onorevole Signor D. Agostino Gervasio
nella sua memoria sulla iscrizione dei Luccei di Poz-
zuoli , ove nega la credula classe di persone addette
a scrivere sulle pubbliche vie programmi, avvisi, voti
e che so io.
Parimenti il prof. Mommsen, abile trascrittore, co-
piò da un pilastro in questa via medesima, che va ai
teatri, un' osca leggenda, che in altro lavoro io retti-
ficherò ; ma sopra di essa legge :
Q N • VAXII XA Taf. XI. 2. 29. f.
Le quali non parrà affatto credibile a veruno, che
debbansi leggere
CNVNIDIIIV-
Leggo riportato nell'eccellente Bulleltino Archeo-
logico Napol. T. Ili, p. 2.
M • HOLCONIVM D •
OVF
VERECVNDISSIMVM?
La qual ultima voce ben a ragione vedesi ivi con-
trassegnata da un dubitativo? lo che sempre meglio
dimostra la conosciuta accortezza dell'editore. Peroc-
ché ivi è scritto
VERRIVS • SEC^^\DVS • ROG
I dotti volumi delle antichità di Ercolano danno
incisa in vignetta la ripografia di strumenti da scrive-
re ; fra questi è un papiro svolto appena. Il pittore
si piacque di segnare a caratteri tutta quella parte di
esso , che rappresentava svolta , e molte righe di ca-
ratteri di fatti vi ravvisano gli Editori, che definisco-
no romani da qualche lettera che vi si distingue. Av-
vertono di poi nella nota soUoposta parer loro, che nel
primo verso si legga quisquis , nel penultimo maxima.
e nell'ultimo cura. (Voi. II. pitture p. 328.) ed otti-
mamente. Ma a volerla legger tutta quella colonna di
scrittura troverassi con maraviglia un prezioso esem-
pio d'idiotismo popolare, che con quasi perpetua apo-
cope toglie alle parole l' ultima lettera consonante , e
pronunzia p. e. ama, peria, valla, jmrci, restante, vaca.
Cosi popolarmente il pittore e con caratteri di corsivo
comune alle iscrizioni graffite , rarissimo alle dipinte,
va scrivendo due buoni disliei , che verranno a far
parie delle pochissime poesie lette finora nei graffiti.
Dice adunque, secondo a me pare, in questa maniera;
vedi la nostra tav. I, n. 1 .
Quisquis
ama valia
piiria qui p
arci amare ^) l) (a re in cifra)
Ristantii pii
ria quisqu
is. amarii
voca 2) 2) ( è dubbio se vaca o vaca deb-
Fiilicìis ^^ leggersi. Anche il C non è
adias. lasl chiaro, ma il senso ci manoduce)
piiri. 3) lo. 3) (leggo perias , e credo le due
Martia ''"^^ ^^Sni di richiamo )
siti. vili,
diinarii
maxima
cura ferii 4) *) ( '«■ ''^ "^o"- >
e disposti in righe metriche
Quisquis amaft) valia(t), periaft) qui parci(t) amare .
BestantefmJ periafij quisquis amare vocaftj.
Felices adias , perias , o Martia , si te
Vili fsj denarii maxima cura ferii.
Nei passati tempi non essendo conosciute le ardue
difficoltà delle leggende graffile, né le stranissime for-
me di lettere in esse usate, non si tentò più avanti una
intera lettura , bastando solo d' aver riconosciuto in
queir aperto volume contenersi uno scritto in carat-
teri romani , e corsivi. GARRuccr,
P. Raffaele Garrucci d.c.d.g.
GiDLio MiNERviM — Editori.
Tipografìa di Giuseppe Catàneo.
BILLETTIIVO ARCHEOLOGICO MPOlITAm
NUO\A SERIE
jyo 2.
Luglio 1852.
Nuove scoperte in Napoli , con la notizia di una nuova fratria. — Lamina di Amino. — Iscrizioni
di Capua (S. Maria). — Iscrizione cristiana di Pozzuoli.
Nuove scoperte in Napoli , con la notizia
di una nuova fratria.
Nello scavare le fondamenta delle fabbriche perti-
nenti al conservatorio di S. Filippo e Giacomo , ad
oggetto di fortificarle per nuove costruzioni, s'imbat-
terono gli artefici, a sette palmi sotto il più basso li-
vello di queir edifizio, ia alcuni ruderi ed in un gran
piedestallo di marmo. A poca distanza , ed allo stes-
so livello sopra indicato , incontrossi una strada la-
stricata di pietra vesuviana, che forse nou apparten-
ne a' tempi dell' antica Napoli , ma fu per avventura
rifatta sulla più antica strada in epoca posteriore.
I ruderi , de' quali sopra ho parlato e che solo in
parte sono visibili , per essere ingombri dal sopra-
stante edifizio , sono di opera reticolata : veggonsi
due muri, che costituiscono un angolo all'estremità
di qualche particolare edifizio , che più e più si e-
stendeva.
Poco lungi da' muri medesimi trovossi , ove tut-
tora esiste , il piedestallo di marmo , poggiato sopra
un pavimento di breccia rossa: e questa circostanza
unita a quella di essersi ancora rinvenute alcune la-
stre di bianco marmo , che servirono forse di rive-
stimento a' muri , ne accresce la idea della sontuosi-
tà dell'antico edifizio. Il piedestallo è ben cinque pal-
mi di altezza: vi è l' ornamento di una semplice cor-
nice di elegante stile , che Io fregia nella parte supe-
riore e nella inferiore; e solo la parte posteriore, che
dista alcuni palmi dal muro , è perfettamente liscia ;
nel laterale destro della pietra , circa mezzo palmo
distante dal muro , che Io costeggia , è scolpito un
ANNO I.
piccolo disco 0 patera con umbilico nel mezzo ; l' al-
tro laterale non è visibile, perchè non per anco sgom-
bro dalle fabbriche vicine. Nella parte anteriore leg-
gesi una greca epigrafe, intorno alla quale è 1" orna-
mento di una gola dritta. La larghezza , e la profon-
dità della pietra è senza la cornice palmi 2 ed 8 de-
cimi; colla cornice palmi tre ed un decimo.
La epigrafe , di caratteri di bella e grandiosa for-
ma, è la seguente :
AKAATAION-
A P P I A N O N
T n A T O N
TON • ETEPrETHN
KPHTONAAI
I punti sono triangolari, ed è notevole cheoegl'in-
cavi delle lettere veggonsi in alcuni siti tracce del
minio , di cui era stata dipinta tutta la iscrizione; dei
che si ha ricordanza in altre napolitane iscrizioni.
La prima cosa , e la principale , che a noi si pre-
senta è la voce Kpr)TovSct(; nella quale parmiindubi-
tato doversi ravvisare una fratria napolitana, che aoa
era ancora comparsa. Il finimento della stessa è si-
mile a quello di moltissimi demi attici (Ross, dieDe-
men von Attica colle annotazioni del Meier , Halle
1846 pag. 110 e seg. ) , e di varie altre fratrie già
note della nostra città. Tra queste ultime sono gli
Et'/ArjXsiSai , gli Ei/voo-TSfSa/, i IlavyiXsfS'ai , o Uoi.j-
xXitho^i, e se sono da ammettere i contrastati Eutx-i-
à«( ; a' quali vanno aggiunti i Siujrrx.'Sv.t , messi fuor
di dubbio dalla vera lezione assicurata giàdalcomm.
Avellino sul marmo originale ora nel real museo
borbonico (v. bullelt. arch. nap. an. I p. 22 eseg. ),
2 ■«-
— 10 —
ed i nostri Kpr-rov^*;. Or siccome di altre fratrie, così
ancora di questa, non si mostra facile la derivazione:
il che non dovrà parere raaraviglioso a chi conside-
ra il numero sterminalo de' demi Attici , fra' quali
moltissimi ci offrono una ignota origine. I nostri Crc-
tondae, paragonahili per lo finimento ad altri greci
nomi X«p6<^>c)*>, 'E-TTry-ixivóy^cts, derivarono per avven-
tura danno sconosciuto Cretone, (o Cratonc), del quale
nulla dicono le antiche tradizioni; giacché non saprem-
mo pensare a' Cretesi , tuttoché siano ben conosciuti i
loro slabilimenli in Siciha e nell'antica Italia (Hoeckh
Kreta voi. 2 pag. 372 e segg.). Egli è certo che cia-
scuna fratria aveva un particolare edifizio , ove riu-
nivasi pel sacro culto e pe' conviti , principali occu-
pazioni de fralori : questo edifizio dicevasi appunto
(Ppr,Tpsrov (Ignarra de Phratriis p. 63 e 170): e senza
dubbio le diverse memorie messe o ad uomini bene-
meriti , ovvero a divinità dalle differenti fratrie, col-
locavansi nell' edifizio proprio di ciascuna , che nelle
napolitaoe iscrizioni vien chiamato ancora ^parpict.
Per tal motivo io son di opiuione che l' edifizio , di
cui rimangono i ruderi intorno alla iscrizione de'Kpr,-
TCvS«( , sia da riputarsi il (pp-f]rpùov di questa antica
riunione: e solo ci duole che la difficoltà dello sca-
vo , ed il pericolo delle fabbriche superiori impedi-
scano di studiare una costruzione , che potrebbe da-
re una esalta idea di somiglianti edifizii.
I Cretondae nella nostra iscrizione onorano un ma-
sislrafo romano , che dicono loro benefattore. Non è
improbabile che questo personaggio frequentando
Napoli , secondo quel che dice in geneiale Slrabone
de' Romani aff/xsKCi (^tXox,ujpov'yt , xct,] ^wffiv a.ùri>Si
(lib. V. p. 378 cf. Martorelli de reg. ih. edam. p.
436 e seg. ), abbia avuta occasione di mostrar la sua
benevolenza a'componenti di quella fratria. Un esem-
pio perfettamente simile ci si presenta dal marmo de-
gli Artemisii che onorano L. Crepereo Proculo TON
lAlON EYEPI^ETHN; nel quale occorre ilfonfron-
lo delle medesime espressioni adoperate nel nostro
marmo (fgnarra de Phratriis p. 1 50). Il console, cer-
tamente suffetto, M. Claudio Arriano, che dicesi be-
nefattore de' Cretondae, è perfettamente sconosciuto,
anche al dottissimo Borghesi , che me ne ha scritto
ne" seguenti termini » Posso assicurarla che L. Clau-
dio Arriano è sconosciuto non solo fra i consoli, che
finora hanno trovato luogo ne' fasti , ma anche fra i
quasi seicento suffetti, die ho raccolti nelle mie sche-
de. Ilo praticato pure delle ricerche nelle lapidi e ne-
gli scrittori , ma indarno : onde ho il dispiacere di
doverle dire, che né della sua casa, né di lui, né del
tempo iu cui visse ho alcuna notizia da sommini-
strarle ». Non abbiamo dunque alcun ajuto per de-
terminare l'epoca precisa del monumento: nondi-
meno tenendo conto della eleganza de' caratteri della
nostra iscrizione , non che delia semplicità dello sti-
le in cui vedesi concepita , mi fo a conghietturare ,
che il marmo non oltrepassi l' epoca degli Antonini ,
alla quale appartengono altresì quasi lutti gli allri
marmi napolitani finora conosciuti.
Noi abbiamo reso conto di questa interessante sco-
perta in una particolare memoria letta alla reale Ac-
cademia Ercolanese , nella quale presentammo pure
alcune ricerche sulle fratrie napolitane. L' Accade-
mia, a nostra istanza, richiamò su questo importan-
te monumento di patria aniichilà l'attenzione dell' Ec-
cellentissimo sig. Principe di Bisignano Soprantenden-
te generale della Real Casa : e siamo sicuri che il
piedestallo de' Cretondae si vedrà quanto prima col-
locato nella raccolta epigrafica del Real Museo Bor-^
bonico, della quale dovrà riputarsi uno de'principali
ornamenti.
MiNBRVI.M.
Lamina di Amino.
PA • VI • PACVIES • MEDIS
VESVNE DVNOM DED
CACVMNIOSCETVR
Se gli antichissimi dialetti italici debbono conchiu-
dere gli argomenti intorno alle origini primitive de-
gli Italiani , come è ragionevole , ognun può vedere
da sé quanto importino gli sforzi, che pongono i dotti
in ispianare l' intelligenza dei monumenti. Non può
negarsi che da qualche lustro siasi mollo progredito
— 11 —
in questi rccondili sliidii , ma sarebbe ridicolo il so-
stenere che poco resti ad investigare. Gli stessi mo-
numenti, dai quali si fa originare quella qualunque
dottrina , che giuoco forza è necessario concedere ai
provetti investigatoli , non siam poi sicuri , clie sia-
no fedelmente trascritti. Spesso le copie discordano
sia per la forma delle lettere , sia per la verità della
ortografia , e delle parole, sia per la integrila slessa,
dovendosi riportare alla diligenza di chi non conob-
be nò la necessità di dubitare , ne l' importanza di
certi particolari, che son palesi a coloro, i quali do-
minano nella scienza delle investigazioni. Quindi vie-
ne, che vi sia mestieri di ritornar sugli stessi monu-
menti non a dilucidarli soltanto, che sarebbe conve-
niente , ma a rettificarne per sino la prava lezione.
Noi non sappiamo abbastanza raccomandare a coloro,
ì quali trovandosi sopra luogo desiderano proccurar-
si la intelligenza delle patrie memorie, di fornirci, per
quanto è in loro potere, diligentissime copie di (luei
monumenti , che vengono alla luce , onde non siano
mal fondate le osservazioni , che pur ci convien fare
intorno ad essi. Darò qui intanto principio ad una se-
rie di monumenti italici primitivi , veduti e trascritti
da me nei viaggi intrapresi da qualche tempo per ogni
parte del Regno, onde assicurare con esattezza la dif-
flciìe storia dei tempi antichissimi , le origini dei po-
poli , e la topografia.
Il De Sanctis nel suo Amino municipio dei Mar-
si, e poscia il Romanelli [Topogr. T. III. p. 224) di-
mostrarono nella moderna Città d'Antino l'antico mu-
nicipio .4Hn'num Marsorum, ignoto ai precedenti Geo-
grafi ; onde venne spontanea la correzione di Attina-
tes in Antinates al luogo di Plinio libro III. II. N. e,
XM. Il sig. D. Francesco Ferrante di primaria ed
illustre famiglia, uomo commendevolissimo per dot-
trina , aveva somministrato al De Sanctis il materiale
per quel suo lavoro , trascrivendo esattamente le la-
pidi di Antino , che egli veniva raccogliendo in sua
casa, onde profittò eziandio il Romanelli, che ne fa,
come era dovere onorevole memoria. Questo scrit-
tore mai non andò in Città d' Antino, né dopo di lui
alcun altro , onde sarò io il primo ad assicurare la
esattezza del Ferrante veramente maravigliosa a quei
tempi di trascriver lapidi. Dobbiamo ancora a lui la
notizia, e le varie copie della celebre lamina, di che
è parola, posseduta tuttavia dall'onorevole ed eru-
ditissimo Sig. D. Antonio Ferrante figlio ben degno
di tal padre , che l' ha giustamente carissima , della
quale darò il facsimile nella tavola III.
Degli illustratori diversi , chi più chi meno ha
progredito nella interpretazione di questa arcaica leg-.
genda. L'ultimo il prof. Mommsen si arresta al DEI),
fin dove dice sicura l'intelligenza, più oltre non ten-
ta. È poi il primo ad assegnare questo monumento
alla lingua Volsca , nella quale si conosceva finora
scritto il solo bronzo di Velletri , togliendolo cosi sia
agli Osci prescelti, come pare, dal p. Secchi {Descriz.
d' alquanti Etruschi arredi in oro. Roma 1846. p.
1.^. Bull. Archeol. n. 1. II.), sia ai Marsi , ai quali
viene comunemente attribuito da altri. La ragione
potissima di farlo e , di avere stabilito , che ove gli
Osci aggiungono al prenome e nome proprio il pre-
nome del padre, per esempio Marcus Pontius Publii
f fdiusj, ìYohci invece antepongono, dic'egli, il pre-
nome del padre al nome del figlio, così : Marcus Pu-
blii ffiliusj Pontius. La quale sua dottrina egli va ap-
plicando alla lamina di Antino , ove trova Paquius
Vibii (filius) Paccius , siccome lo aveva trovato pri-
ma nella lamina di Velletri. Or tutto questo nuovo
metodo di assegnazione suppone, se non m'inganno,
come dimostrato , che tanto nella lamina di Velletri
i nomi Cosulies, Tafames, quanto in questa di Antino
Pacuies siano indubitatamente nominativi singolari ;
onde si debba necessariamente conchiudere, che idue
prenomi non riguardano due persone di uno stesso
nome , ma una sola , lo che parmi arbitrario. Che
dovendosi in tali materie procedere per via di con-
fronti , ed essendo ignorale le desinenze volsche con
che distinguevano i singolari e i plurali , il più che
ci si permette è di ragguagliarle ai vicini dialetti del
Lazio.
Nei quali gli esempi per fermo dimostrerebbero ,
che le desinenze in lES sono anche, auzi più ordina-
riamente, delle forme plurali. Lo che posto, egli è ma-
nifesto, che la teoria dell' uso volsco di preporre il
prenome del padre al nome della gente, uoa tiene,
— 12 —
Certamenle in uno scudetto votivo di bronzo del Chir-
cheriano leggesi SEX • Q • VESVIES • Q • SEX • F •
DD , che son ciiiaro i due Vesvii Sesto, e Quinto, fi-
gliuoli di un Quinto l'uno, e di un Sesto l'altro, che do-
nano Donum danl quel piccolo busto di Pallade fer-
mato ivi sopra. Da un' ara trascrisse il dottor Lupac-
chini quest'altra leggenda, e la regalò all'Aulinori, fra
le schede del quale la ho trovata con questa indicazio-
ne, in villa Caesae non longe ab Amiterno in Domo sa-
cerdods Curali apnd DD De Al forno exscripnt Lupac-
chini. LP MODIESCFHDDL-M Cioè Lucius Pu-
llius Modies Cai filli Hcrculi Donum Dederunt Liben-
tes Merito. Il Borghesi notò nelle Osservazioni nu-
mismaiiche [iec. VII. p. 200. Giorn. Arcad. Tom.
12.) il L- C • MEMMIES, Lucius Caius Memmies delle
monete familiari, e richiamò a tal proposito il Q.M.
Minucieis Q. F. Rufeis Cognoverunt della tavola dei
Velurii , e dei Genuati (Grut. 204.) ove mostrasi in-
tero il dittongo EI invece del semplice E delle pri-
Bìc. Qui stesso a Massa dei Marsi Ire fratelli Eren-
tiii diconsi P • T • SEX • IIERENNIEIS ■ SEX • F , ed
in Sora A -PVEPiTVLEIElS, ambedue egualmente
fratelli. Ciò posto , chi può vietarmi di leggere PAcvius
\lbius PACVIES , e nella slessa lamina Veliterna a
maniera di esempio E<en'ws. SEcùts. COSVTIES ,
MMns. CMus. TAFANIES? Che se a taluno può far
«iiflicoltà , che neir Aniinate uno dei due si nomine-
lebbe ripetutamente Paquio, Paquius, Paquius; viea
presto a rassicurarlo questa lapida marsa , letta già
in Piscina sul Fucino e trasmessa all' Antinori
IP • PACCIVS • PAC • F • DEMIO • MONVMENT
EX • TESTAMENTO FACTVMESTARBITRATV
LIBERTORVM
e la venosina Q -OVIVS -OV . F. Lupoli. It. Venus.
p. 338.
Conchiudo adunque , che la legge della colloca-
zione dei prenomi non ha peranco sostegno alcuno
sicuro. Ai due Paquii dassi l'aggiunto MEDIS nome
del magistrato presso gli Oschi , i Vokchi etc. che si
era veduto finora sui monumenti Oschi, Volschi , e
Lucani come altri hanno osservato prima di me , e
r ho notato ancor io nella Iscrizione Osca Pompeia-
C3. Napoli 1851. p. lo. Qui però ha come un solo
S , così un D, nel che gli fa buon riscontro la forma
plurale non accorciata Medikeis della citata lapida
viaria Pompeiana.
Intorno alla VESVNE , lasciando slare , che alcu-
ni r bau creduto una novella città marsa , egh non è
chiaro per me che sia proprio la Dea Feronia, sic-
me altri vorrebbe. Le desinenze in NA così nelle dee
Vacuna , e Fortuna, come nel nome della sibilla Al-
huna non inducono certo allo scambio in NIA, né io
avrei allro che conghietture da opporre a conghiel-
lure , onde me ne rimango.
Vesunae Donum Dederunt è il significato sicuro
della linea seconda, e lo scambio dell'O in V ricorda
da un lato FORTONA per Fortuna inciso in un ala
di bronzo illustrala dall' Avellino. [Bull. Arch. Nap.
T.Vl.p.90), e l'eolismo della o in v, di chel'Ahrens
De Dial. Aeol. p. 97. 98.
La terza linea letta così , come è nell' originale ,
dividesi in tre parole separate da punti CA • CVM-
NIOS • CETVR, onde il CA a me sembra un preno-
me , e CVMNIOS il nome proprio Cuminius, o Co-
minius. Lo stesso prenome in due iniziali occorre!
nella lamina Veliterna MA • CA • TAFANIES , che:
ho spiegalo più sopra Maius , Caius, Tafanici (Ta~-
fanieij,encì pompeiano graffitoCA-RVSTlO-ACVST,,
di più in piedistallo dei Liguri BebianiC A MARTIO.
SATVRNINO [Mon. Lig. Baebian. p. 30fol.), inuna
lapida IserninaALFI A ■ CA • LHILARA [fst'. d' Iser-
nia p. 161.) in altra pubblicata dal Cupero CA -TI-
TIVS • SEDVLIVS [Thes. Poi. T. II. col. 250). Su'
Cumnios non mi trattengo, non facendo mestieri pro-
vare con esempi lo scambio dell' VS finale con OS
e mi rivolgo al terzo vocabolo che termina tutta Ve-
pigrafe , CETVR. Se i due Paquii , Paquio , e Vibi(
hanno fatto un dono alla Vesuna , sarà questa un
lamina votiva, essendo dimostrato che Donum oDo
noDedit siaformola conveniente ai sacri donarli. Ch
vi farà qui adunque Caius Cominius ? Quello stesso
che nella votiva di Trasacco Salvio Magio figliuol (f
Stazio , e Paccio Anaiedio figliuol di Stazio QVEIS
TORES. L'iscrizione è pubblicata del Mommsen, e
darò io in altro luogo interpretata. Ora importa
confronto, che ne viene in vero assai opportuno. P«
— 13 —
rocche dopo il VECOS • SVP'N VICTORIE SEINQ
DONO DEDET che chiude la forinola, seguono i no-
mi di due magistrali QVEISTOHES. Onde io mi per-
suado che anche ncU' Aniinale il Caio Cumioio vi stia
allo stesso modo , e che però convenga nel CETVR
cercare un significato analogo di magistratura. Che se
io paragono il CETVR al Ce(!<«n'o, che par si dovesse
arcaicamente dir CENTVR, siccome per asserzion di
Pesto conosciamo , che il Decurio dicevasi Decur, e
tolto la N , CETVR ; trovo , che nel!' antica Roma
il Centurione era la stessa persona che il Curione ,
dichiaralo da Giovanni Lido essere 6 rùiy li^w iffov-
TiffTTiS (De Maq. I. q. cf. Gervasio /scr. (/<"< Lucm p.
86. seg. E senza ciò , non vedo alcuna difficoltà di
ammettere una magistratura di tal nome in Anlino
a cui fosse annessa la cura del tempio della Vesuna,
siccome ai Questori del santuario della Vittoria sul
Fucino. Sia poi loro commessa solo la cura delle
cose sacre , o nò, io non decido , né se dehbano ri-
putarsi eponimi siccome il Fratriarco (cf. Meier Gentil.
Atl. p. 11). Nei quah due casi non sorprenderà un no-
minativo specialmente dopo il confronto dei Queisto-
res , ove si sarebbe aspettalo un ablativo , poiché
oltre a ciò, v'è anche da citare alcuni frammenti di
fasti municipali edili dal Pighio 1' uno , (v. Avellino
Opusc. T. II. p. 2o7), e dalRemondiniTallro, (/s/or.
Noi. p. 43) , ove i consoli si leggono in nominativo,
né il Borgesi si rimase perciò dall'opinare nel MCA-
ESO G A LLIVS graffito su d'un vasellino romano tra
i molti scoperti a S. Cesario , nomi di consoli , per-
chè gli risultava una coppia di consoli in Nominati-
vo. Laonde tutta la leggenda , che io non credo né
Marsa , né Osca, né Volsca, ma di un latino parlalo
fra i Marsi in Anlino già Municipio Romano, dovrà
interpretarsi cosi :
Paquius Vibius Pacvii Meddices
Vesunae donum dederunf.
Caiits Cominius Centuria
Garrcccj.
Iscrizioni di Capua fS. Maria).
Tra le scoperte di gran momento per la storia di
Capua debbon riporsi due iscrizioni , delle quali una
copia diligente mi recò l'erudito sig. Abaie D. Santo
Basliani , ottimo mio amico. S. Prisco è villaggio ben
accasato due miglia di là da S. Maria di Capua verso
la Tifata. Ivi alla Croce Santa, e propriamente nel ter-
ritorio del sig. Bonaventura Natale d' iufra gli avanzi
di antiche fabbriche sepolte un dieci palmi sotterra fu
cavato un parallelepipedo di calcarea tenera con leg-
gende su due lati. Al conladino parve questa troppo
gran mole , e da suo pari la spezzò iu cinque parti ,
onde trasportarla commodamenle alla sua casa in S.
Prisco. I pezzi nondimeno facilmente si ricompongo-
no, con qualche perdila di lettere nei nomi; è peral-
tro dispiacevole, che se ne sia recentemente smarrito
uno, onde resta oscuro qual monumento i maestri del
pago avessero costruito. Eccone la doppia leggenda.
Dal lato più stretto dice :
NE- FABER • M • FISIVS C • F • M • VIBIVS r
SIVS • ST • F • M • BAIBILIVS • L • F • TI HOSTIV
CuneOS ■ DVOS • IN TEATRO • FACIENDOS • COI
Dall' altro lato che é il più largo.
CM- VS • CN • P
MC/DELIVS • C • F.
M IIE-CIDIVS • M • F
L DECVMIVS NF STAR
ALFIDIVSLFSTRAB
MPANDIVS ME
P OCTAVIVS • P • F
C CORNELIVS C F SAP
HEISC • MAGISTR . EX • PAGEI • SCITV • IN • SERVOM
P • CORNELIO • LENTVLO CN AuYimO
M PONTIVS M L S.\L
A OCRATIVSMLALEX
CHOSfIVSMLHERM
ARVBRIVSAFPRAEC
IV.NONIS ■ GAVR ■ AB TrVLE////
ORESTE • COS M M////
u —
Il consolato di Publio Cornelio Lentulo, ediGneo
AuQdio Oreste ci determinano l'epoca della seconda
iscrizione, la quale è posteriore alla prima dicaralte-
ri più vetusti. Pare anche evidente che della prima sia
pei venula a noi solo la seconda metà, nella quale leg-
gansi i nomi di sei Maestri, i quali da tutte le lapide
dei villaggi posti nel teuimento privato dell'antica Ca-
pua rileviamo , che furono costantemente dodici. V.
Borghesi presso il FurlanettoLap.diEstep. 14. Adun-
que questo frammento di lapida fu già tolto da un
anteriore edifizio, che ci si dichiara nella iscrizione es-
sere stalo un teatro, onde essere convertito ad un se-
condo uso probabilmente sacro , perchè relativo al
culto di Giunone. Che se la lapida del R. Museo illu-
strata dal Mazzocchi presso il Daniele (Xum. Capuana
p. 101. se^g.) ove è parola di una rifazione del porti-
co appartenente al teatro del j)aO'^'s Hemdaneus , fu
trovata in Recali , villaggio discosto dalla moderna
Caserta un miglio e mezzo , egli è manifesto , che il
teatro di che ci parla questa nuova iscrizione scoperta
in luogo cosi lontano dal primo, sia diverso da quello.
Avremo quindi guadagnato di conoscere meglio la
condizione di questi paghi , ossia villaggi dell' Agro
Capuano, nei quali tanta mole di fabbriche pubbliche
aveva trovato luogo nei tempi anche più remoti , e
propriamente in quei due secoli sesto e settimo di
Iloma , nei quali si condannavano in Roma i teatri di
pietra come inulili e perniciosi ai pubblici costumi (Epit.
Liv. Lib. XLVIII). Così anche gli anfiteatri furono co-
struiti prima fuori , che dentro Roma , ed in Capua
slessa r anGleatro , ed il teatro veggiamo essersi tanto
più rccculi di quello che i teatri pagani. Se non che
questo medesimo lusso pagano dovea risultare dalle
severe misure adottate dalla Repubblica Romana in-
t jrno all' antica Capua dopo la seconda guerra puni-
ca , quando ne distrussero ogni autonomia, riducen-
dola a prefettura, (v. Liv. L. XXVI. e. 16), e con-
servandone gli edifizii ut essel aliqua aralorum sedes !
1 uuovi padroni dei campi, non avendo omai più ra-
gione di preferire tal città, sul terreno loro assegnato
stabilirono loro dimora, onde in breve sorsero i pa-
ghi, ed in questi gii edifizii pubblici destinati al culto,
ed alle feste popolari. Avevamo finora conosciuto un
nome di pago tolto da Ercole, paguslhrculanem.na
aldo da Giove , pagus lovius, onde la Venere che vi
aveva culto traeva il suo appellativo di Venere Giovia.
(Mominsen Inscr. Neap. 3561); e per questo nuovo
pago che dà alla Giunone l'aggiunto GAVRana ci fa
credere, che si chiamasse appunto cosi, pajtfsGoMrus,
o Gatiranus, nome non nuovo in Campania, ove era
celebre il nemorosus palmite GawrMS (Slat. L.III. carm.
1. V. 147). 1 Maestri pagani furono tal volta soli in-
genui , tal altra liberti, o servi : unico era l'esempio
delia lapida di S. Severo, ove si leggano sei ingenui,
e sei liberti, e questi in secondo luogo, siccome fu al-
trove da me osservalo in proposito di un antica la-
pida puteolana (nel Bull. Nap. T. V. p. 114). Ma il
sig. Mommseu ha giudicato falsa questa lapide, o al-
meno titulum mihi quidem admodum suspeclum , dice
egli, precipuamente perchè in his nunquam recensenlur
magistri , nisi aut ingenui, aut libertini omnes, contra
in hac ingenui sex totidemque libertini. (Momm. I. N.
3563 ). A toglierlo da tal opinione , viene bene a
proposilo il mio titolo di S. Prisco con nove ingenui,
e tre liberti , e questi ancora seguiti da un ingenuo.
Il Mazzocchi aveva divinato da suo pari che nella Gru-
teriana XXI , 1 1 la formola EX • SITV • PAGI do-
vesse emendarsi EX • SCITV . PAGI , dando cosi
alla legge dal pago Ercolaneo l'appellazione di Pagi-
scilo: Ex hac vocula SCIVIT, die' egli, vides non ini-
merito legcm , qua de commentamur, pagiscitum posse
appellari. In Legera Pag. Pagi Hercul. Comment. p.
103. ap. Daniele N. Cap. I ; e la nuova lapida ci dà il
Pagi scito, EX. PAGEI • SCITV, appunto come egli
aveva opinato. Aggiugne la lapide, che tal pagiscilo
fu fatto IN. SERVOM • IVNONIS • GAVRI servi
delle deità pagane eran tenuti in forza della loro con-
dizione a sostenere le spese dei sacrifizii, e delle feste,
il quale non fu costume solamente greco (v. Cic. Di-
vin. in Ver. e. 17, ed ivi Grevio), ma diffuso ancora
fra popoli Italici. In Latino dicevansi perciò Marlia'
Ics i ministri publici Martis, ei dea veteribus instilutis
religionibusque Larinatium comecrati (Cic. prò Cluent.
e. 15). Può presumersi che un servo giunonio del
pago Gaurano debba essersi fatto reo di alcuna tra-
sgressione od omissione , onde ne fosse condannato
— 15 —
(lui pago ad un ammenda, e i maestri pagani venisse-
ro incaricali a spendere quel denaro in fabhriclie di
giunta o di restauro del lem|)io medesimo. Ed io son
certo , che ciò avremmo dovuto leggere nell' ultima
parte di questa linea, se ci fosse conservata.
Le lettere AR • • • •TVLE e nella seguente i due
M ••• M daranno luogo a conghictiure , fra le quali
forse potrebbe pigliar luogo ARAM (Am inmon)Or-
TVLER EF WOERVM REF. Le due ultime lette-
re della prima liuea sono logore , e lo spazio che ri-
mane dopo di questa e della seguente linea potrebbe
avei- contenuto le lettere , che il supplemento richie-
de. La formola apparisce più accorciata del solito in
HEISC in MAGISTR, e ciò non ostante vi fa biso-
gno di occupare anche lo spazio che rimaneva allato
al COS. Qui non veggo però alcun richiamo , sicco -
me gli ho notali il primo in altre lapidi del medesimo
stile, (Iscriz. di Salerno p, 5.) la quale osservazione
accetta ora il sig. Mommsen nei suoi corrigenda alle
Inscr. Neap. p. XXIV. n.3561. 3564. È da avverti-
re che come il pagiscito imitava il plebiscito roma-
no , così al Senatus consulto , o al decreto dei decu-
rioni municipale corrispondeva il decrelum pagano-
rum pagi , avendo già notato il Borghesi presso il
Furi. (Lap. di Esle p. 16,17,) che ì pagani pagi sono
la stessa cosa, che i magi^ilri pagani. Dal consolato di
P. Cornelio Lenlulo e di Cneo Aufidio Oreste, che ap-
partiene al 683, risulta, che lo stato dei paghi cam-
pani si conservò eziandio dopo la guerra sociale nel
piede di prima , non avendo mutata condizione Ca-
pua, dopo la seconda punica, né per la colonia Grac-
cana del 621 che bisogna ammettere col Giovenazzi
(Aveia p. 83. segg. ), né per la posteriore di Siila.
Garrucci.
Iscrizione cristiana di Pozzuoli.
Da pochi giorni soltanto iia veduta la luce in Poz-
zuoli la seguente epigrafe cristiana incisa in una la-
stra di bianco marmo, e rinvenuta presso un sarcofa-
go anche di marmo. In quanto al silo del ritrovamen-
to , rilevo dalle notizie fornitemi essere pieno di an-
tichi sepolcri più o meno nobili ed ornati : la quale
osservazione potrà dar luce alla migliore intelligenza
di alcuni punti difficili della iscrizione. Essa dice
cosi:
C. NONIVS. FLAVIANVS
PLVRIMIS ANNIS ORATIOMBVS PETITVS NATVS. VIXIT ANNO VNO
M. XI. IN CVIVS HONOREM BASILICA IIAEC A PARENTIBVS ADQ VISITA
CONTECTAQVE EST REQVIEVIT IN PACE. XVIII. KAL lAN.
Bellissimo ed elegantissimo è il dettato della iscri-
zione, abbenchè si appalesi, anche per la forma de' ca-
ratteri , del quarto o quinto secolo. È notevole osser-
vare il prenome di Cajo attribuito a Nonio Flaviano;
quantunque non sia nuovo ritrovarci prenomi segna-
ti nelle iscrizioni di epoca posteriore. Tutta cristiana
è la frase ORATIONIBVS. PETITVS: essendo trop-
po noto incontrarsi sovente oratio ed orationes nel si-
gnificalo di preghiera, nella versione fatta da S. Gi-
rolamo de' libri Santi. Tra* molti , non sarà fuor di
proposilo citarne qui alcuni esempli tratti dal Nuovo
Testamento — Hoc autem genus non ejicitur ni^ per
orationem d jejunium ( Mallli. e. XVII , 20 ) — ...
in oralione et jejunio (Marc. e. IX, 28) — Et erat
pernoclans in oralione Dei [Lue. e. VI , 12) — ... et
rum flesmj surrexisset ab oralione ( Id. e. XXII ,
45. ) — Elia? oralione oravit. ut nonplueret su-
per lerram ( B. lacobi ep. Cath. e. V, 17 ) — Hi
omnes erani persercrantes unanimiler in oralione ( Act.
A post. 1 , 14 ) — Ed al plurale : Orationes tuae, tt e-
Icemosynae tuae adscendcrunl in memoriam in con-
speclu Dei (Act, Apost. e. X , 4) — ut adjuve-
lis me in orationibtis veslris prò meadDeum(PMÌ. ad
Roman, ep. e. XV, 30): ed ora^toncs sanc/onm leg-
giamo nell'Apocalisse (e. V, 8). Né mancano gli e-
sempli nelle iscrizioni cristiane: cosi: in oralionis (sic)
— 16 —
tuis rogei prò nobii è nella epigrafe di Gentiano( Ma-
rini Arvali p. 362); ed oradonem orate prò me pecca-
tore io altra iscrizione presso il Muratori (p. MCML-
XVIII n. 4 ). Segue nella iscrizione di Flaviano - IN
CVIVS HONOREM BASILICA HAEC A PAREN-
TiBVS ADQ VISITA CONTECTAQVE EST. Per ben
coBìprendere il signiCcalo dell' intero senso , bisogna
determinare la intelligenza della parola BASILICA.
Non può certamente darsi a questa voce la signiOca-
zione di un ampio edifizio desliuato al sacro culto: in
fatti strano sarebbe l'immaginare che una vera Basi-
lica cristiana fosse in quel luogo edificata in onore del
piccolo Flaviano, il quale non essendo un martire non
poteva meritare una simile distinzione. A ciò si ag-
giunga che la Basilica della nostra iscrizione non di-
cesi edificala, ma bensi comperata (^adgfiwsiìay) da' geni-
tori di Flaviano. Non può adimque dinotare un tem-
pio, che era possibile acquistare per ridurlo a sepol-
tura di un fanciuUino.
Ne' cimiteri di Roma è frequente incontrare umili
tombe di privati , non che grandiosi sarcofaghi con
bassirilievi e ricchissimi fregi ( vedi Aringhi Roma
subterranea ) ; e merita una particolare menzione il
magniCco sarcofago marmoreo di Giunio Basso (Dio-
nysius vat. Basii, cryp. mon. tab. LXXX ; Aringhi
Moma subt. lib. 2. e. 10 p. 275; cf Bottari nelle
spiegazioni t. l p. 35 seg.). Occorre pure nelle iscri-
zioni memoria di queste sepolture nelle Basiliche.Cosi
ritrovasi :
GAVDIOSA DE
POSITA IN BA
SlUCA DOMNI
FELICIS ANNORVN
(Murator. p. MDCCCLXXVIII n. 8).
Ed altrove. . . DEPOSITVS IN BASILICA SAN-
CTOR
NASARI ET NABORIS ( Id. p. MCMLVI n 6 ).
Cosi in altra iscrizione del cimiterio di S. Balbina
leggiamo: (Id. p. MCMLXX n. 2).
FELIX FASTINIAN
VSEMIT SIBI ET VX
ORI SVAE FELICITATI
FELICI FOSSORI
IN BALBIMS BASILI
CA LOCVM SVB TE
GLATA SE VIVVM
In questa ultima epigrafe si fa menzione del /bs^or,
che avea l' ufficio di scavare i loculi per sopellire i
cadaveri , a pattuita mercede. Vedi altri esempli ia
Aringhi ( Roma suht. t. II p. 283 ) , in Fabretti ( p.
739), ed in lacuzio [Bonusae et Mennae Ut. p. 45).
Nella nostra iscrizione non dicesi acquistato unluogo
nella basilica, ma la òasiV/ca stessa in onor del defunto.
Quindi io son di opinione che Bas//jca sin da quel-
r epoca , in cui la nostra epigrafe fu dettata , indica-
va un sepolcro o sarcofago appartenente a cimitero
cristiano. A me sembra che in questo medesimo sen-
so trovisi adoperala tal voce da S. Girolamo. Il san-
to Dottore {epist. ad Heliod. XXXV p. 272 t. IV e-
dit. Paris. MDCCVI ) facendo le lodi di Nepoziano
monaco e presbitero , dice fra le altre cose , « Baii-
licas Ecclesiae, et Martyrum conciliabula, diversis flo-
ribus , et arbormn comis , vitiumque pampinis adum-
bravil ». Poiché troviamo insieme riuniti i sepolcri
de' Martiri ( Martyrum conciliabula ) e le Basilicae del-
la chiesa , potrebbe probabilmente supporsi che S.
Girolamo alludesse alle tombe annesse alla medesima
chiesa. Comunque sia di questa nostra conghiettura ,
non sarà fuor di luogo il richiamare che in epoca po-
steriore la voce medesima trovasi senza dubbio ado-
perata per edicola sepolcrale: per modo che nella leg-
ge salica è scritto ....qui twnham aut porticidum su-
per hominem mortuum expoUaverit ...solicKs 5. Siquis
vero Basilicam super kominem mortuum expoUaverit ,
30 solidis culpabilis judicabitur (tit. 58 §. 3, 4, 5xf.
Ducange glossar, med. et inf. latinit, Paris. Didot
1840 in 4" tom. 1 v. Basilica).
(continua) MiNERViffi.
P. Raffaele Garrucci d.c d.g.
Giulio Minervini — Ediiori.
Tipografia di Giuseppe Catanbo.
BUllETTIKO ARCHEOLOGICO MPOIITA^O.
NUOVA SERIE
N.o 3.
Agosto 1852.
Tre inedite monete di A^apoli. — Tavola aquaria Venafrana.
Tre inedite monete di Napoli.
Non fa luogo arrestarsi a magnificare la classica
scoperta , ed originalissima delle tre monete napoli-
tane , che qui prendo ad illustrare. Ciascuno ama-
tore delle antichità , e della storia patria , ciascun
cultore delle arti imitatrici riconoscerà in questi tre
elegantissimi gioielli , e della età più fiorente, quanto
si debba agli studii numismatici , fonte ricchissimo
di archeologico sapere. Al eh. sig. D. Gennaio Ric-
cio possessore di questi bei monumenti patrii non
debbo, che l'occasione di tanta scoperta, e gliene sarò
sempre perciò riconoscente. Sono tre emioboli d'ar-
gento , dei quali darò qui la descrizione , e i disegni
nella tavola aggiunta.
1. Protome giovanile rivolta a destra, cinta di dia-
dema , e con corno sporgente sulla fronte, intorno
JEPE-OOJ
][ Figura di donna alala , sedente , con ramo nella
sinistra che rivolgesi indietro guardando in allo : ac-
canto vedesi un' idria rovesciata sul suolo , intorno è
scritto [N]EOrOLlTlì[J] v. T. IV. n. I.
2. Protome simile alla descritta nel n. 1. ed in-
torno gli avanzi della leggenda JEPEI . . .
j! Figura di donna sedente non diversamente dalla
descritta al n. 1. v. Tav. IV. n. 2.
3. Protome femminile rivolta a destra con accon-
ciatura di capelli simile a quella, che vedesi su di al-
tre conosciute monete napolilane, cumane, e terinesi
intorno NEOIIOAlTHi.
J Donna alata sedente rivolta a sinistra, v. Tav. IV.
n. 3.
Ayifo I.
Si ha dunque nel dritto delle due prime monete
una protome di giovane diademato , a cui spunta un
corno bovino sulla fronte , e la leggenda completa
JEPElGOJ. Questa risulta dal confronto di ambedue
le monete, sulla seconda delle quali è JEPEI... man-
cando il resto , perchè la moneta è priva del campo
da quella parte , ove l' avrebbe dovuto recare scolpi-
to, e sulla prima $EnE"0O$ , nella quale manca l'I
per la medesima ragione.
Stabilita la leggenda , io non tardo a promulgar
la scoperta , dich arando che con essa ci si rivela il
patrio fiume , il Sebeto , e vengo alle prove. Che
questa leggenda riguardi tm fiume , lo dimostra il
costume delle città d' Italia , e di Sicilia di figurare
sulle loro monete le teste dei loro fiumi, o i nomi di
essi , e talvolta 1' uno e l'altro insieme. Leggesi co-
sì il nome del Sele e dell' His sulle monete Pestane
AAI3M, e FlIJ.se ne ravvisa la sola protome su quel-
le di Pesto, di Cosenza, di Lao , di Caulonia, di Noce-
ra, di Metaponto; e l'uno e l'allro insieme sulla moneta
di Crotone, di Catania, di Agirlo, di SeIinunle(Eckhel
Dod. Mm. T. IV. p.3 15. Avellino Oj)Msc.T.I.p.l08.
e n.VII. p. 144). Or qualsarà questo fiume sulla mo-
neta dei Napolitani, se non è il Sebeto? È vero, che
questo fiumicello non sonò così famoso nell'anlichità,
e che fu celebrato sol dai Poeti, ed ai tempi romani ,
onde potò ometterlo Strabone, scambiarlo col Clanim
Licofrone ; ma ciò non impediva all'antica superstizio-
ne dei nostri avi di consecrargli un tempio, nòdi to-
glierlo a tipo della monetazione. Perchè dunque si
trova nominato qui JEfEIGCJ e non SHBHyoS?
Pronunziarono così questo nome quei primi , che io
•_18 -
denominarono , e se è così , quando , e da chi venne
poi detto sertiQos ?
Qui io invece di chiamare ad aiuto le lingue india-
ne, e le colonie fenicie, dando luogo a ben arbitrarie
congetture , piuttosto confesso di non saperlo ; e mi
limito solo a dire , che , sembrandomi averlo dovuto
i Greci nella lingua comune scrivere , e pronunziare
ÌHBH0O5: , tulio ciò in che dilTerisce il nome ora
scoperto sulla moneta , sia dovuto a dialetto. Che in
lingua comune si fosse sciitto e pronunzialo così, par-
rai poterlo dimostrare dal costante uso dei poeti di al-
lungarne le sue prime sillabe ( Virgii.VlI. 734. Stat.
Silv. 1. 263. Columella de Cuìtii Hort. L. 10. 134.
cet.), e dal consenso dei uiij;liori codici, i quali ado-
perano il B , ed aspirano il T. A questi consentono
le copie della celebre lapida di Publio Mevio Eutico,
il quale AEDICVLAM • RESTITVIT • SEBETIIO
( Mom. Insct: A'eap. 2443. ove nota , che i soli Fal-
co, e Giordano riportano SEBETO). Adunque ilsiu-
golar modo di scriver JEPEOOJ non è inverosimile,
che provenga da dialetto : la quale opinione acquista
maggior forza dal considerare, clic anche il nome NEO-
PoHJ con che comunemente si appella Napoli sulle
monete è proprio modo del dialetto attico. E ciò non
ostante si nominò ancora NEAFTf 'HX, polendo solo da
questo esser derivato il NEHIloUlJ, di ionico dialetto
della rarissima moneta illustrala dall'Avellino {Bull.
Nap. II. tav. II. n. 12.). Aggiugni, che tutto questo
conviene pienamente colla tradizione, dalla quale ap-
prendiamo , che in Napoli si stabilirono colonie di-
verse di Calcidesi , di lìretricsi, di Ateniesi , di Pite-
«•usani ( Slrabone. V. 4. 7. ) , e che ricercando fra i
dialetti parlati da questi coloni, troviamo di falli uno
di essi, quello di Eubea, onde vennero le colonie dei
(Calcidesi , e degli Erelriesi , usare lo scambio del B
in n , scrivendo Plutarco {Sijmb. VI. 8,1.) MaXicr-rcc
TTV.'/ yj.Tv roTi A'to'/.zvaiv , àtri rcv B r'o IT Xf'^w'-
vois, e dell' II in Ei , secondo che lo testificano con-
cordemente i grammatici ( Ahrens de Dial. Boeot.
%. 39, 2). Onde che, se il Sebeto era qui realmente
pronunziato i^UBIK-JOS , avrebbero essi soli potuto
scambiarlo in StPtiQOS, equivalente per (pici tem-
pi , in che la vocale H non era dall' alfabeto dei Clo-
ni passata nella lingua comune,a$EPEI30J; siccome
NEonoUTEj, a NEOnoUTHS.
Se quesl' argomento non vale , egli ci sarà tolto di
ragionare sul vero antico nome e nazionale del Se-
belo fino a imovi e più efficaci riscontri. Del resto io
trovo semprepiù ragioni da confortarmi nella ipote-
si : perocché così mi spiego, in assoluto difetto di co-
lonie doiiche in Napoli , la desinenza in AS, NEO-
noAITAi di alcune monete, che è legge di dialetto
Beotico riconosciuta dall' Ahrens ( Op. cit. §. 44. 2)
il quale scrive; In declinatione prima in universum
Dorico more prò vulgari H est A. L' Eckhel ( Sylloge
p. 2) e l'Avellino {Bull. Nap. 1844. 41), non bene
Io riferivano a traccia di dorismo, che non trovò luo-
go mai fra noi. Lasciamo tuli' altro. La novella fra-
tria dei Cretondae non dovrebbe bastare ella sola a
fare te^limomo della Colonia di Eubea, edelsuodia-
lelio?
il sig. Minervini , che l' ha scoperta ed illustrala
( V. il n. 2. di questo Bull. ) , mi scusa di mostrare ,
che sia nome di fratria. Ma questa fratria , siachè
prendesse il nome dal condottiere Kp/iTwv , o KpTj-
Twvòas, siacliò da alcun eroe nazionale, si sarebbe in
sostanza dato un nome, che recava l'impronta della
primiera origine di tal parte di popolo. Or è ben
cerio , che tali patronimici sono per lo più di tipo
Beotico , siccome notò Eustazio , scrivendo del nome
Pagonda: n*yc<^voa.s, CniJi%rtxio rvino Boìwt/w x*-
tÒl tÒ '"E7r«;x=(iwvSocs , Kp£f'^v^oci ( Proem. Comm.
Pind. p. 13. Schneidewin ) ; ai quali l' Ahrens ag-
giugne dalle iscrizioui Beoliche X'xpuivò'jn, 'Asaxp^óy-
è%;, e forse XoiM)[h]it.5 {de Dial. Boeot. §. 48. I ).
Bisogna però avvertire , che questo dialetto non
si trovava puro in Eubea , come in Beozia ; perocché
quell'isola naturalmente unita alla Beozia, era stata
due volle occupata , e posseduta dagli Ateniesi , che
vi avevano dedotte colonie , e precisamente in quelle
due città Calcide, ed Eretria ; onde si sa essere venuti
coloni in Napoli. L'essere poi usciti dal nalivo paese
per collocarsi in terre di altro dialetto, dovea in quei
primi Icitipi aver generato una ancor maggiore inco-
stanza di forme grammaticali; onde avviene a noi di
leggere sulla moneta or NEOllOAlTIIi;, or .\E(J-
-19*-
nOAITAS con un misto di Attico , e di Beotico , e
per la medesima ragione NEOIIOAI J , e NEHIIO-
HJ. Con questo avviso potrebbe forse sospettarsi nel
XpriTOY^oii almeno ii T in vece del 0 , ( se l'O per ìì
è sbagb'o dello scarpellinn), ovvero la II in luogo del-
l'A ; perchè TpiTrouffi oi "\covii rà. Saff/a ds ■4'(Xà, xa.)
TX \i/(Xà eìs Sao-/*, dice Favorino (s.v. X(S«n cf. Hort.
Adoni V. ra.(^ujv, Eustalh. p. 468. L. 3-2.), ed Aristi-
de ( L. 2. de Musica p. 92 , 93. ) , ri 'làs tò irrspiiv
vTroffre\Xo(À.ivr\ rov A, xoi.ra.(pspsroi.i Trpòs rò H, non
potendo il Kprirùjv derivare da allro, se non che da
Kp(xrcuì , o da Kpr^Qujy. Le quali osservazioni parmi
debbano vieppiù confermare le tradizioni intorno alle
origini Attiche et Euboiche della Colonia , rendendo
non ben fondati i dubbii del Niebhur , il quale ri-
guardo agli Ateniesi avrebbe voluto commutare colla
momentanea venuta di Dietimo narrata da Timeo, la
positiva notizia di Strabene, che pone gli Ateniesi fia
i coloni di Napoli ( Hist. Romaine trois. ed. T. I. p.
221. n. 479. Golbery). Slimo adunque , che gli A-
teniesi vi venissero misti ai Calcidesi ed Eretriesi , sic-
come lo erano in Calcide ed in Eretria , le quali due
città avevano ricevuto fra le loro mura colonie da
Atene.
Dalla leggenda del dritto entro nella interpretazio-
ne del tipo. La giovanil figura cinta di diadema , e
con corno sporgente sulla fronte basterebbe da sé me-
desima , senza l'iscrizione, per essere slimata imagi-
ne di un fiume. Ai fiumi che si figuravano barbati ,
od imbeibi, davano gli Antichi l'attributo del corno,
avopj/w 'rvTri.o fìot'xpocvos (Sophocl. Trachin. 1 1 , 13.
V. Avellino Opiisc. T. 1. p.l02 segg) è chiamato da
Sofocle r Acheloo.
L'ha il Cralhis sulla moneta, che il Fiorelli atlri-
^buìsce ottimamente a Cosenza [Monete Ani. Ined. p. 1 5
n. 14), e 1 ha ancora il Sagras, che io stimo rappre-
sentarsi sulla moneta preziosa di Caulonia pubblicala
dall' Avellino [Bull. Nap. T. VI. tav. IV. 20 ). li qual
fiume dovrà riconoscersi nel sì contrastato tipo delle
monete di questa città , poiché la figura col ramo
nella destra è parimenti munita di corna [Bull. .\ap.
T. I. tav. Vili. 21), siccome quella del fiume Hyp-
sas di Selinunte. Similmente il Laino fu cusi effigialo
(Bull. Nap. T. I. tav. Vili. 15) e V Aesarus (Carelli,
Tab. CLXXXV. .*>9), ed il Casuenlus , ed il Sarnus ,
sebbene questi due invece delle corna di loro s'abbia-
no le arietine, ma l' intenzione è la medesima nei Me-
tapnntiai, e nei Nucerini. Ai quali viene ora aggiunta
per la nostra moneta , anche la graziosa effigie del
Sebeto.
Con queste vedute speriamo, che siano per l'avve-
nire meglio intese, e disegnate molle di quelle mone-
te, che dovrebbero riferire tipi simili a questi. Manca-
no perù nelle tavole conosciute del corno, che, sebbene
io sia persuaso essersi talvolta omesso, pure non arri-
schierò di citarne gli esempii prima di averli riscon-
trati sugli originali. Così, per citarne alcuni, io sospetto
l'abbia Y Aesarus della Carelliana tavola CLXXXV .
58, e forse al Sihr di qualche pestana con questo ri-
scontro potrebbe assicurarsi. In questo novero non
fo apparire né Salpi, né la Metapontina del Carelli (Tab.
CLIX. 190), perocché in ambedue tengo quella pro-
tome coronata di canna o salcio, e con orecchie e cor-
na faunine rappresentato il suolo paludoso.
Grandissime e meravigliose novità siam venuti ri-
levando nel dritto , ma non minori pregi noteremo
nel rovescio. Imperocché quivi è rappresentala la ri-
nomata Sirena Parlenope che aveva in Napoli tutto
insieme sepolcro, tempio, ed oracolo. Un'altra Sire-
na vedevasi figurare sulle monete di Velia, la Ligea,
riconosciuta dall'Avellino [Opuac. T. 1. p. 185 scg.)
Coloro che gli si opposero anno il torlo di aver
abbandonala così acconcia spiegazione per tener dietro
al debole argomento, che loro si creava dalla epigrafe
NIKA , letta più recentemente su di altra moneta di
Terina ( Raoul-Rochelle jW^moiV. Numi:im. p. ITti.
n. 2 ) , dalla quale pareva loro convalidarsi la vecchia
opinione del Liebe , e del Combe , che definirono
quella figura una Vittoria. Ma l'Avellino trovò nella
Sirena Parlenope , un argomento irrepugnabile, rap-
presentandosi questa su di una preziosa monetina na-
politaua, appunto come su quella di Terina la Sirena
Ligea (In Fr. Carellii nura. descr. adnotadonesp. 18,
19. De attecdoto Neapolilanorum nwno. )
11 disegno di quella è simile iu tutto alla terza mo-
neta , che si pubblica nella noslra tavola quarta : aia
— 20 —
la protome , che in quella è di un Ercole nella no-
stra invece sembra della Sirena Partenope con quella
acconciatura di capo , che vedesi in altri tipi di mag-
gior modulo. Nelle altre due scorgesi un' idria rove-
sciata sul terreno accanto alla Sirena , appunto come
sulle monete di Terina. La tradizione insegnava, che
Ligea fu sepolta accanto all' Ocinaro ( Licofr. Alex.
V. 729 ) , il qual fiume vien simboleggiato dall' urna
rovescia , e talvolta anche più pienamente dal leonto-
casma , o bocca aperta del leone , che manda acqua
nella vasca sottoposta, ove nuota un'oca. Similmente
i Napolitani posero l' urna accanto a Partenope , di
cui il sepolcro moslravasi in Napoli , ottov ^iixwra.i
fxvT,aa Twv Ss'pvw»' l^'y^i napG:)o'7rr,S (Slrab.V.4. 7)
vicino al Sebeto.
Da questa dimostrazione nasce, che la maniera te-
nuta fra noi di effigiar la Sirena, era di figurarla gio-
vane donna alata , e non un composto mostruoso di
uccello e di donna. E però quella immagine che a
lei era dedicata in Napoli ricordata da Snida , h ~ri
napSrvoTrr,? 'i^puroii %-ifTfOi àyaXfjia (Suida V. 'Siipv),
dovea essere operala a questo modo , e non come se
la imaginarono finora i palrii scrittori (v. p. e. il Ca-
paccio Hist. Nap. 1. e. 5.)
Per la qual cosa dobbiamo con noi medesimi con-
gratularci , che ci vediamo si bene levati da una falsa
credenza , in che ci teneva da una parte la totale
mancanza di monumenti, e dall'altra l'autorità dei
nostri scrittori , e saremo anche ammaestrali di qua
a riconoscere in qualche o bassorilievo , o statua ,
ritratta la Partenope , lo che nou potrà al cerio man-
care in avvenire.
Ma non han qui ancor fine le utilità della prege-
volissima scopiMla. La Sirena sulla moneta del n. 1.
ha nella sinistra un ramo, il qual simbolo veJesi an-
cora in mano a Ligea , ed in sua vece uu caduceo ,
una corona. Or sebbene poirebhe sembrare , che vi
stia a significare i giuochi napolitani , che erano an-
nui e solennissimi in onore della Partenope (Licofro-
ne Alex. 732, seg. lahn ad Persii Sai. VL 61-74)
non dimeno con eguale verosimiglianza terrebbesi ,
• he vi si adoperino come segni di singolari avveni-
menli pubblici, a che certo deve riferirsi il caduceo,
il ramo, le bende, e la corona di Ligea. Donde con-
seguita, che la Partenope prende luogo del Genio
della città, della Ninfa locale Nympha Sebethis maire
di Ebaio. Mesma Ninfa della fonte , che le diede il
nome , e della città, che dalla fonte medesima pren-
deva r appellazione , non è altrimenti rappresentata
che Ligea , e Partenope , alata , e con corona nella
destra (Fiorelli Mon. Ined. Tav. 11. 15. ); e Ligea
siede talora sul ^('$pos, come appunto il àyjxos di Reg-
gio , e di Taranto, e giuoca alla palla. Onde che, da
questo lato parmi assai vero quanto ne ha da suo pa-
ri discorso il Rochelle [Mem. Namis. p. 236 , ed al-
trove in quella dissertazione).
Nelle due prime monete non si vede alcun uso del-
l'H, essendo scritto NEonoUlTEJ, e SEUEIQOS ,
nella terza è invece NEOIIOAITHS con paleografia
meno antica. Appare quindi che le due prime prece-
dono di tempo questa terza. L' alfabeto Ionico , che
aggiunse alle vocali le due lunghe IL ed O, tuttocchè
qua e là fosse comincialo a riceversi , ciò non ostan-
te solo nella Olimpiade 94 (anno di roma 348) , fu
in Atene adottato nei pubblici monumenti. Qui in I-
talia le monete di Anassilao,chemorial280diRoma,
portano scritto RECINON , per PHriNliN, ma le
monete di Turio fondala al 306 di Roma , e quelle
di Eraclea, che sorse nel 320, non usano se non l'al-
fabeto Ionico. E comecché non sia noto quando co-
minciassero a coniare la loro moneta queste due cit-
tà , pure non sarebbe verosimile supporre, che se ne
slessero molte decine di anni senza batterla, avendola
allora tutte le città vicine, e sotleutrando esse a Siri,
e Sibari , che la coniarono.
Laonde le monete napolitane , che ritengono tut-
tavia l'antico alfabeto, non possono slimarsi molto po-
steriori all' entrare del quarto secolo di Roma ; nel-
la qual epoca fioriva da per tutto l'arte del disegno.
Così da una piccola monetina rilevando la scienza
numismatica cose tanto recondite , ed interessanti le
antichità patrie, ne dimostra con novella prova quan-
to meritantente siasi apprezzata , e coltivata dai lette-
rati più distinti ; e sempre più ne sprona a proccura-
re , che non lasciamo disperdere il frutto degli sludii
filili finora. Certo, che se alcun monumento mai do-
— 21 —
vesfe mctior amore di questa scienza , lo dovrebbe Marlorclii, e sua schiera , alla quale non pareva ba-
accendere la monetina che illustro, donde si son con- slaute la difesa del Vetrano [Sebcthì Vindiciae adv.
fermale la prima volta le oscure tradizioni patrie delle Marlorellium. N'eap. 1767.), inoltre come rappresen-
colonie primitive, si è penetrato anche nell'indole del tarono la Partenope, e cento altre utilità sonosi tratte,
dialetto Calcidico ed Erelriese , abbiamo finalmente che i lettori a lor prò' avranno potuto con noi venir
assicurata qual era la effigie sotto la quale i Na|)oli- rilevando,
tani figurarono il piccol Sebeto , il nome con che lo
chiamarono , francandoci così dai molesti dubbii del Garrccci.
Tavola aquaria Venafrana.
DECRETVM • IMP • CAESARIS • AVGVSTI • DE • AQVAE • DVCTV
COL • COLONIAE • IVLIAE • VENAFRI • IMP • CAESARE • Vili- T • STATILIO TAVRO II COS
AQVAE RIVOS DVCTVS QVI IN RVRA COLOXORVM LABVNTVR DVVMVIRVM
IVRI • D • PRAEFECTORVM • COLONIAE • PERMISSV • FLVANT • NE.MINEM COLOXORVM
5.VENAFRAN0RVM • VEL QVI COLONIAE • MVMCIPES • CADVCAM • DVCERE • PLACET
II • VIR • QVATVORVIR AQVAR OSTIVM IN AQVAE DVCTV QVI PER MP- IX IN OPPID
VENAFRANORVM TENDIT APERIANT • COLONIS VENAFRANIS EIVE QVI COLONOR
VENAFRANORVM NOMINE EROGARI ADTRIBVI ALIOVE QVO MODO DARI NON PLACET
QVI • RIVI • SPECVSSAEPTAPONTESPVTEILACVSQVEAQVAEDVCENDAEREFICIVNDAE
lO.CAVSA • SVPRA INFRAVE • LIBRAM • RECTEAEDIFICATISTRVCTI SVXT • SIVE QVOD
ALIVT • OPVS • EIVS • AQVAE • DVCEXDAEREFICIVXDAE CAVSA SVPRA INFRAVE LIBRAM
FACTVM • EST VTI QVIDQVIDEARVMRERVM FACTVMEST ITAE8SE HABEREET AQVA.S
REFICEREREPONERERESTITVFRE • RESARCIRESEMELSAEPIVS FISTVLAS CANALES
TVBOS • PONtiRE • APERTVRAM • COMMITTERE • SIVE • QVIDALIVTEIVS AQVAE DVCEN
15.DAE • CAVSA- OPVS ERIT- TACERE EI AGRO DVM QVI LOG VS AGER INF VNDO QVI
Lezione del prof. Mommsen Bulica, 4840. p. 43 , 63. Inscr. Neapol. n. 460/.
/, 2. videntur scripù fuisse Ulteris maioribus
VENAFR
LWìeralitate imp. Caesaris AuguHi. .
eaQVE AQVA
QVI RIVI ER • • ATISIICA
. facìundae re/iciuNDAe • cAVSA s
opus quod FACTVM EST II» . usum ciuf AOVae
lO.REFICERE REPONERE RESTITVERE SARCIRE • SEMEL • SAEPIVS YisltdXS CANALES
TVBOS PONERE A • C • • V • • mimAlTIERE • SIVE QVID ALIVT EIVS AQVAE DVCEn
DAE CAVSA OVus eiit . faccre. ius sii liceXtque DVM QVI LOCVS AGER INcie facti
— 22 —
0 SEIGNI L F TER MVLAE DICITVR ET IN FVNDO QVl L • POMPEI M^F TER SVLLAE
EST ESSEVE DICITVR MACERIA SAEPTVS EST PER QVEM LOCVM SVBVE QVO LOCO
SPECVS EIVS AQVAE ITER INIT Ni EA MACERIA PARSVE QVAE EIVS MACERIAE
AT ITER DIRVATVR MOVEATVR QVAM SPECVS REFICIVNDI AVT INSPICIVNDI CAV
20.SA FAMILIA AQVARIA CAVERIT QVOMINVS EA AQVA IRE FLVERE DVCIVE POSSIT
QVO VELINT CVIVS REI CAVSA DEXTRA SINISTRAQVE CIRCA EVM RlVOM CIRCAQVE
EAMMACERIAMQVAE AQVAE DVCENDAE CAVSA FACTASVNT OCTONOS PEDES AGRVM
VACVVM ESSE PLACET PER QVEM LOCVM VENAFRANIS- EIVE OVI VENAFRANORVM
COLOXORVM NOMINE ITER FACERE EIVS AQVAE DVCENDAE OPERVMVE EIVS AQVAE
25.DVCTVS FACIENDORVM REFICIENDORVM QVOD EIVS S • D • M FIAT IVS SIT LICEATQVE
QVAEQVAE AQVAE EARVMCVIVS FACIENDAE REFICIENDAE CAVSA OPVS ERVNT QVO
PROXVME POTERITADVEHERE ADFERREADPORTAREQVAEQVE INDE EXEMPTAERVNT
QVAM MAXIME ARS AGRI DEXTRA SINISTRAQVE P VII! lACERE DVM OB EAS RES DAMNI
INFECTI IVS • DARE PROMITTATVR EARVMQVE RERVM OMNIVM ITA EI AGENDARVM
30.IIV1RIS VENAFRANIS IVS POTESTATEMQVE ESSE PLACET DVM NE OB ID OPVS FONS MI
NVCIORVM CVIVS AGRI LOCIVE PER QVEM AGRVM LOCVMVE EA AQVA IS AQVAE
DVCTVS SE FERT INVIVS FIAT NEVE Q D M OPVS MINVS EX AGRO SVO IN PARTEM AGRI
QVAM TRANSIRE TRANSFERRE TRANSVERTERE RECTE POSSIT NE VE QVI EORVM PERQVO
RVM AGROS EA AQVA DVCITVR EVM AQVAE DVCTVM CORRVMPERE ABDVCERE AVER
So.TERE FACEREVE QVOMINVS EA AQVA IN OPPIDVM VENAFRANORVM RECTE DVCI
FLVERE POSSIT LICEAT
/•ueRINT-DETenores damnum vede saremTVR • Wl INEVNDO QVI L- POMPEI L. f. ter. nAVITAE
EST ESSEVE Bemt factum est. fiatve ALIL • S • SSE PER QVEM LOCVMSVAVLQVORECTe
lo. SPECVS EIVS AQVae faclus. est familia pubUc\ CERTA PARSVIe QVacI EIVS familiae ne
AlIIIr. ad eum locum accedant QVAM SPECVS REFICIVNDI AVT mStaurandi
causa. Ne quid fiat QVOMINVS E A AQVA IRE FLVERE duci POS
sii ex utraque parte. DEXTRA SINISTRAQVE CIRCA EVM RivoM quae aQuac
ducendae causa muri facti specave subter RIS ACTA SVNT OCTONOS PEDES AGRVM
■ZO.vacuom relinqui placet, ncque ad etim LOCVM VENAFRANIS EIVE QVI VENAFRANORVM
opiìidum inhabitat adire accedere nisi EIVS AQVAE DVCENDAE OPERVMVE EIVS AQVae
duclus catisa viarumque faciendarum rf^ClENDARVM QVOD EIVS SDMFIATIVS SIT LICEATQVE
Quaecumque eius aquae ducendae viacve FACIENDAE REFICIENDAE CAVSA oPVS ERVNTQVAj/i
rem ita uli s. s. e. facere licehit. ADFERRI ADPOHTARI QVAEQVl INDECVM • LM^)VN!?
25.QV/S attuìerit tollere ileB. DEXTRA SINISTRA QVE PVIII FACERE DVMOB EAsRtS DAMN
j/m inìuria ne ComìIITTATVR EARVMQVE RERVM OMNIVM ITA /hf/endARVM
ius potestatemquc esse placet ... N . . .
NVC . . Ne CVIVS AGRI LOCiVft peli QVEM AGRVM LOCVMVE EA AQVA it fluit
DVCtTVIr (fommlVS ITACMIVS OB ID OPVS MINVS EX AGRO SVO IN PARTEM AGRI
30.QVAM TrANSlRE TRANSFERRE coque uti RECTE POSSIT NEVE CVI EORVM PER QVO
RVM AGROS EA AQVA DVCITVR EVM AQVAE DVCTVM CORRVMPERE ABDVCERE AVER
TEBE FACEREVE QVO MINVS EA AQVA IN OPPIDVM VENAFRANORVM RECTE DVCI
FLVERE POSSIT LICEAT • • •
— 23 -
QVAEQVE AQVA IN OPPIDVM VENAFRANORVM IT FLVIT DVCITVR EAM AQVAM
DISTRIBVERE DISCRIBERE VENDVNDI CAVSA AVT El REI VEGTIGAL IiMPONERE CONSTI
TVER E II VIRO II VIRlS PRAEFEC PR AEFECTiS EI VS COLONI AE EX M AIORIS P ARTIS DECVRI
40.ONVM DECRETO QVOD DECRETVM ITA FACTVM ERIT CVM IN DECVRIONIBVS NON
MINVS QVAM DVAE PARTES DECVRIONVM ADFVERINT LEGEVIQVE EI DICERE EX
DECRETO DECVRIONVM QVOD ITA VT SVPKA SCRIPTVMEST DEC«ETVM ERIT IVS PO
TESTATEMQVE ESSE PLACET DVMNE EA AOVAOVAEITADISTRIRVTADISCRIPTADEVEQVA
ITA DECRETVM ERIT ALITER QVAM FISTVLlS PLVMBEIs D TABRIVO P LDVCATVR NEV
45.EAEriSTVLAEA\T RlVOS nIsI SVB TERRA QVAE TERRA ITINERIS VIAE PVBLICAELIMI
TISVE ERIT PONANTVR CONLOCENTVR NEVE EA AQVA PER LOCVM PRIVATVM IN
VITO EO CVIVS IS LOCVS ERIT DVCATVR QVAMQVE LEGEII EI AQVAE TVENDAE OPc
RIBVSVE QVAE EIVS AQVAE DVCTVS VSVSVE CAVSA FACTA SVNT ERVNT TVENDIS
IN DECRETO QVOD ITAVT S S E FACTVM ERIT DIXERIN
50.ITA • CAVTVM • IVS POTESTATEMQVE ESSE PLACET
51 — 57. superant vestigia literarum, quibus immorale non iuval
NVNTIARE • • AB • HVMO TEM
AGI TVNC ALIVT ITER FACTVM AD EAM AQVAM PRAETER QVAM FACIVNDAE RE
60.FICIVNDAE CAVSA QVIBVS X VENAFR.\N OKDLNARIOS PATRONOS QVI BONI
DENT OB QVAS CAVSAS D • T • HS- X- DABVNT IN AER.VRIVM QVAIVOUVIRVM IVDIGIO
DEQVE XXIl FISTVLlS • AQVAS COLONIS COLONIAE VENAFRANAE VACIVAS AVT CA
DVCAS QVAS ADDICENT QVOMINVS REIECTIO QVAM COLONO AVT INCOLAE FACERE
UCEt.fiat.CXM EO QVI EX II AC LEGE ERIT FACTVM ITAVT SVPRAS.E.DVM ERINT APVT QVEM
Co.AGlTVM DATVM ERIT AGENT EVM QVI INTER CiVIS ET PEUEGRINOSIVSDICETIVDICIVM
QVAEQVE AQVA IN OPPIDVM VENAFRANORVM IT FLViT DVCITVR EAM AQVAM
35.DISTRIBVERE DLSCRIBERE VENDVNDI CAVSA AVT EIREI VECTIGAL IMPONERE CONSTI
TVERE lì VIRO 11 VlRlS PRAEFECFRAEFECTiS EIVS COLONIAE EX MAIORIS PARTIS DECVRI
ONVM DECRIPTO QVOD DECRETVM ITA FACTVM ERIT CVM IN DECVRIONIBVS NON
MINVS QVAM DVAE PARTES DECVRIONVM ADFVERINT LEGEMQVE EI DICERE EX
DECRETO DECVRIONVM OVOD ITA VT SVPRA SCRIPTVM EST DECRETVM ERIT IVS PO
40.TESTATEM VE ESSE PLACET DVMNE EA AQVA QVAE ITA DISTRIBVTA DISCRIPTA DEVEQVA
ITA DECRETVM ERIT ALITER QVAM FISTVLlS PLVMBEIS D TABRIVO PLDVGATVR NEVe
EAE FISTVLAE AVT RlVOS NISI SVB TERRA QVAE TERRA ITiNERlS VIAE PVBLICAE LlMt
TiSVE ERIT PONANTVR CONLOCENTVR NEVE EA AQVA PER LOCVM PRIVATVM IN
VITO EO CVIVS IS LOCVS ERIT DVCATVR QVAMQVE LEGEM El AQVAE TVENDAE Ope
45.R1BVSVE QVAe cius aquac DVCTVS VSVSVE CAVSA FACFA SVNT ERVNT TVENDIS
ex maiori. parùs dccurionum NDECRETO QVOD ITAVT • S • S • E • FACTVM e,H. -DIXERI.^
eam legem rulam finnam q. MOMO • • si. PLACEB- •
48-6!. qualtuordecim versus prorsus evanidi.
practorem ad qu^m
C3./n ias /iunTAGENTcV-M QVI INTER CIVES ET PEREGRINOS IVS DICET iuDlClYm
— 24 —
RECIPERATORIVM IN SINGVLAS RES HS X REDDERE TESTEBVS QVI DVMTAXAT XDENVN
TIANDIS IVDICARI PLACET DVM RECIPERATORVM REIECTIO INTER EVM QVI AGET ET
EVM OVOCVM AGETVR ITA FIE< uti ex lege QVAE DE IVDICIS PRIVATIS LATA EST
LICEBIT OPORTEBIT
reciperatorium noMINE INQVEAS RESHSX REDDERE TESTIBVSQVE DVMTAXAT XDENVN
tielur facerc PLACET DVM RECIPerATORVM REIECTIO INTER EVM QVI AGIT ET
60.EVM QVOCVM AGITVR ITA Fiat neminus fiant quNAE DE PVBLICIS PRIVATIS BADIE
UCEBIT OPORTEBIT
Descripsi summo labore loco iocommodo ; ncque frustra ilerum conferetur a lectore perito.
Questo monumento pregevolissimo non viene qui
a far parte del nostro buliettioo , onde essere come
merita pienamente illustrato. Lo scopo precipuo della
nostra pubblicazione è di darne un'esatta ed accurata
trscrizione, ed una tavola (v. Tav. IL), onde appari-
scano evidenti le fatiche durale per tornarlo a novella
vita. Del resto ci atterremo alle leggi del foglio presente,
il quale non può darluogoa voluminostrillustrazioni.
Il prof. Mommsen ci dispensa di tessere il catalogo
delle diverse volte , in che ha egli dato a luce quan-
do alcun brano , quando tutta insieme la sua lezione
di questo prezioso decreto. Se ne legga la nota nella
recente edizione delle Imcriptiones NcapoUlanae lati-
nae.Lipsiae.'ISo2 p. 2'i3: ma non ci siamo potuti ri-
fiutare di ripetere la copia di lui, e i suoi supplementi
ad opportimo confronto, onde non sia mestieri ricor-
darne le discrepanze nel corso della illustrazione.
La pietra sulla quale fu fatto scolpire il decreto
Venafrano è travertino alquanto spugnoso alto pal-
mi sette, largo quattro. Fu levala di mezzo allerui-
ne di un'antica terra , S. Maria Vecchia, nel IT'io .
con altre pietre riquadrate , che dovevano servire
ù'imbasamento ad un novello abituro digitante Ire so-
le miglia da Venafro. È da notarsi, che alle falde del
monte , ove era situato quell' antico villaggio , passa-
va una volta l'acquidotlo N'cniifiano, e se ne veggono
tuttavia gli avanzi ove a traforo , ove a costruzione
per tutta la costa. Non erano quei tempi più felici dei
nostri , nei quali si fa tanto sperpero di monumenti
antichi , pure fu conservata, com'era, la parte scrit-
ta, collocandola sulla faccia del muro, ma a traverso
e propriamente sul fianco destro; avvenne altresì, che
ne andasse poca parte di sotto al livello del suolo.
Questa novella collocazione non deve averle recato
alcun logoro , poiché le parti consunte suppongono
il travertino messo nella sua naturai giacitura , onde
mi par probabile, che ciò avvenisse quando era al s.uo
posto , dal passargli accanto la via pubblica, ove era
sicuramente collocato.
Le prove fatte dal dotto legale sig. D. Cosmo de
L'Iris di leggerne, e trascriverne una qualunqe parte
sono note a tutti, ora che il sig. D. Giuseppe Melucci
ne ha messo a stampa 1' apografo. Il qual mio ottimo
amico si è troppo gentilmente espresso a mio riguar-
do, sperando da me i rilievi inosservali della leggen-
da , lo che , comunque io lo sperassi , certo credetti
mio dovere rispondere ad invilo di tanta cortesia.
Tutta la tavola costa di un titolo , e di cinque capì
di legge. 11 titolo ne insegna , che (jueslo è un de-
creto dell' Imperator Cesare Augusto intorno all' ac-
quidollo dei coloni della Colonia Giulia di Venafro ,
emanato l'anno 728 essendo Consoli Cesare l'ottava
volta , e Tik) SUitilio Tauro la seconda.
fcontinunj Garrccci.
P. Raffaele Garrccci n.c.n.r..
GiVLio MiNERviM — Editori.
Tipografa di Giuseppe Cataxeo.
BULLETTIAO ARCHEOLOGICO XAPOIJTWO.
N U 0 V A S E R I E
iV." 4. Agosto 1852.
Notizia deijli sravi di Pompei jìcr l' anno IS.'iO , e sefjucnti. — Noiizic di alcune IcrveroHe antirltc della collezio-
ne del defunto Francesco Mongelli in Napoli. — hcrizione cristiana di Pozzuoli, continuazione del u. 2. —
Tavola aquaria Venafrana: continuazione del man. precedente.
Notizia degli scavi di Pompei per l'anno 1850 ,
e seguenti.
Gli scavi , di cui parliamo in questo primo arti-
colo , si riferiscono alla grande strada che dal qua-
drivio della strada , che conduce alla porla di Nola ,
discende verso i teatri. Già il Comm. Avellino tenne
ragionamento di quelli eseguiti da varii anni nella
medesima strada , dandone notizia nel suo bulleltino
( an. II p. 1. e seg. an. Ili p. 1. e segg. an. Vp. 32
segg. an. VI p. 1 . e segg. ). Terminava egli la sua
relazione colla descrizione non compiuta della raa-
ravigliosa casa di M. Lucrezio , eh' è essa sola un
ricco museo de' più interessane dipinti : e già avea
parlato delle parli scoverle sino al 1847 delle nu-
merose botteghe , che si aprono sui marciapiedi di
quella strada. Nel riprendersi le scavazioni pompeja-
ne nel 1850 , dopo che furono sospese per lo spazio
di circa un anno e mezzo , si continuò a sgombrar
dalle terre gii edifizii situati alla parte sinistra della
strada , e poi altre importanti scoperte si fecero nelle
botteghe che seguono alla suddetta casa dilM. Lucre-
zio. Noi ci riserbiamo in altro articolo di rannodare
queste posteriori scoperte a quelle già note, e di ter-
' minare nel tempo slesso la descrizione delia casa di
M. Lucrezio, rimasta incompiuta per la inlerruzione
del bulleltino napolitano. Cominceremo intanto dal
dar la descrizione di una bottega con abitazione an-
nessa , la quale offre due distinte aperture, che sono
la settima e l'oliava dopo quella dell'androne della
suddetta casa di M.Lucrezio. Ora è distinta da' numeri
55 e 56 , per un lodevole costume da poco tempo
AfOiO I.
introdotto di denotare con numeri progressivi tutte
le aperture degli edifizii sulle diflerenli strade di
Pompei : la qual disposizione è dovuta al eh. signor
Principe di Sangiorgio Spinelli , attuale Sopranten-
dente generale degli scavi del Regno.
La soglia della bollega , di che discorriamo , è di
pietra vesuviana con incavi per inserirvi le tavole
della chiusura : appajono pure i segni de' gangheri e
degli antepagmcnta. Il pavimento della bottega è di la-
pillo nero battuto. Le mura sono dii)inte a diversi scom-
parlimenli di rosso, di giallo e di nero con varii fre-
gi : nella parte inferiore è lo zoccolo nero con orna-
mento di verdi piante. Ne' due muri laterali sono due
quadretti conservali, e due quasi interamente perduti:
in uno a sinistra è un pavone, in altro a destra è un
uccello, che si prepara a beccare alcune frulla. Nello
stesso muro è pratticato un piccolo larario. Al diso-
pra de'descritti scompartimenti continua il muro bian-
co con fasce di differenti colori, e con rami sospesi.
In uno de' quadri formati da quelle fasce vedesi un
vaso, e da presso un piccolo lirso ; in ^Itro un cigno,
e varii ornamenti, tra' quali due candelabri conglobi
al di sopra. Più in alto apjiariscono tracce di altro
muro, ove si veggono dipinti fogliami: ma non osser-
vandosi tracce di travatura, è molto probabile che vi
fosse una costruzione tutta di legno, che costituiva un
ammezzato , a cui si ascendeva per una scala anche
di legno.
Dalla bottega per soglia di bianco marmo si entra
in un'altra piccola stanza. 11 pavimento è di o/)(tóji/</nj-
num con rozzo musaico di bianche pictruzze nel mezzo.
Le pareti sono bianche, con scomparlinieutididif-
4
-26 -
ffrenli colori, ornati di rabeschi, maschere, uccelli e
quadrupedi: miransi poi sospesi a nastri un (impano,
«na piccola cesta semiaperta, ed altro oggetto incerto.
Di qua e di là ne' due laterali muri vedesi una figura
barbala , e con ampia tunica , che con ambe le mani
tiene sulla testa un vaso della forma del canthatos.
Nel muro a destra sono effigiati due Amori in parte
perduti . ed altrettanti nel muro a sinistra uno con
patera l'altro eoo lira, e tutti con clamide svolazzante:
siccome altre volte comparve l'Amore con lira ne'di-
pinti pompejani ( Ercolanesi pillure voi. V. tav. 37 ;
Avellino bullcd. arch. mpol. an. VI. p. 42 e 43 ).
Nella parte superiore vi sono residui di ornati di
stucco composti di una fascia piana con graziosi fo-
gliami, e di una curva con palmette e caulicoli: nello
spazio compreso da queste due linee sono dipinti un
ippocampo e due delfini. Nel muro che divide la bot-
tega da questa stanzetta o dielrobottega è prallicata
una piccola finestra per guardare nella bottega me-
desima; un'altra più larga finestra è pratlicata nel
muro più interno , sulla quale è una gran lastra di
bianco marmo , con una giunta di travertino rotta in
due pezzi: ed in queste pietre appariscono i segni del-
la chiusura. Allato a questa stanzetta vi è un pic-
colo andito che la costeggia: non vi ha alcun segno di
chiusura, il pavimento é di terra battuta; i muri nel-
la parte inferiore sono coverti di bianco intonico con
rozzi ornamenti , nella parte superiore sono affatto
privi d' inlonico e rozzi ; ove finisce l' intonico ad al-
tezza poco maggiore di un uomo veggonsi molti fori
rotondi per inserirvi tavole , per servire di armadio.
Segue un altro grande compreso , che può riputarsi
r atrio , con pavimento di terra battuta , e muri di
semplice inlonico bianco. Al suolo sono varii pezzi
di pietra vesuviana , che costituiscono la bocca di un
pozzo ; e varii dolii di terracotta , che furono rin-
venuli ri|:ioni di calce, uno de' quali vedesi fermato
con fabbrica. Scorgesi ancora più prossimo al muro la-
terale deslro un pogginolo di fabbrica con la superficie
superiore coverta di mattoni o pezzi di tegole , ed a
questo pogginolo si ascende mercè uno scalino di pie-
tra di Sarno. Certamente su quel rialto era messa una
scala di legno, che conduceva all'ammezzato supcrio-
re, di che innanzi dicemmo. In angolo è un piccolo
giltatojo di fabbrica, ove apparisce il foro per lo scolo
delle acijne. In questo medesimo muro a destra vi è
un'apertura , che dà il passaggio in un silo, di cui
diremo tra poco : e più in alto vedesi un ampio in-
cavo, con tompagno posteriore; con che si è lasciato
un finestrino più piccolo di quel eh' era in origine.
Il descritto compreso fa continuazione a sinistra con
allra porzione più adorna , senza tracce di chiusura,
e solo distinta da un dente che fa il pavimento , il
quale è signino con varii pezzi di marmo a musaico
per ornamento : i muri sono coverti di bianco in-
tonico con pochi ornamenti , tra' quali alcuni cigni.
Noi opiniamo che questa stanza servisse di Iriclinio.
Dall' atrio , come sopra descritto , si ascende mer-
cè uno scalino di pietra vesuviana in varii pezzi misti
ad altri pezzi di travertino, in un pianerottolo ove si
osserva soglia anche di pieira vesuviana con tracce di
chiusura. Da uno de'due lati si eleva il muro, dall'al-
tro non vi è muro affatto ; sicché doveva esservi un
arniaggio di legno per applicarvi la chiusura. 11 pavi-
mento di questa piccola stanza è di lapillo battuto eoa
fregi di varii marmi a musaico. Nel muro a sinistra ,
ove si scorge zoccolo giallo con piante acquatiche , il
fondo dell' inlonico è bianco , ed in esso scorgesi di-
pinto un essere virile con ali, coda e gambe di augel-
lo, che tien colla destra la oenochoe , colla sinistra la
patera, e dall'altra parte altro simile mostro, che tie-
ne colla mano la doppia tibia. Già in altre pillure pom-
pejane fu osservalo la Sirena maschio e l' Androsfinge;
ed una se ne vede pubblicata nel rea/ museo borbonico
collo slesso simbolo della doppia tibia (voi. VII tav. .52)
assai frequente ne' monumenti (vedi mon. ined. dìBa-
rane t. I tav. XII fig. 2 p. S9 e seg. ). Del resto veg-
gasi su questi esseii mostruosi ciò che si scrive negli
annaìi dell' htilulo archeologico TperVàimo 1836. p. 60.
Da questo medesimo muro per soglia di travertino,
ove sono tracce di chiusura , si passa in un cubicolo
con pavimento di lapillo battuto, ed ove sono inca-
strati per ornamento diversi pezzi di marmo, uno più
grande rotondo, ed altri più piccoli triangolarlo rom-
boidali. Lo zoccolo è rosso , su' muri veggonsi nel
fondo bianco dipinti Grifi, cigni, rabeschi ed altri fre-
— 27 -
gi. Tre quadredi ornavano questo cubicolo, uno dei
quali è inleramente perduto. De' due conservali , il
primo rappresenta il giovinetto Ganimede volto di
schiena e nudo sino alle cosce sdrajato sulla sua cla-
mide, ed immerso nel sonno, poggiandosi sul sinistro
braccio, e tenendo la destra mano al capo: in allo è
r aquila , che tiene nel becco il frigio berretto rapilo
al dormente figlio di Laomedonle. Fra le numerose
rappresentanze di questo mito, delle quali si vegga il
Miiller ( Handbuch %. 121 , n. 1 p. !•>(); e § WM
n. 6. 521. edit. Weicker), e quel che dicemmo noi
stessi [bullell. arch. nap. an. V p. 17 e seg. ) , non
trovasi giammai figurato Ganimede immerso nel son-
no. Due allre pitture di Pompei ci presentarono il
medesimo soggetto, ma in differente modo ( rea! mus.
Borì), tom. X (av. 56, e tom. toni. XI tav. 36 ). Può
credersi che il lascivo scherzo dell'aquila si suppon-
ga succeduto nell'Olimpo; mentre il già rapito gio-
vinetto godeva di quel profondo sonno , al quale ac-
cenna il festevole Luciano (Deor. dial. 4 verso la fi-
ne ). La posizione presso a poco simile , e l' orna-
mento della testa , che mollo si avvicina ad un jtilco
frigio , ci fa riferire anche a Ganimede uii:i jiittura
pompejana , in cui fu ravvisato l' Ermafrodito ( real
mus. Bori). I. X. tav. 5.^. ).
Nell'altro quadretto vedesi Apollo coronalo seden-
te sopra rossa clamide , ed appoggiandosi ad una
gialla lira, di cui sono visibili le sette corde: indietro
è figurata una montagna ed una pianta. In questo cu-
bicolo si vedono alcune basi o colonnelle di traver-
tino , che servirono di sostegno a statue o mense , e
che certamente furono ivi trasportate d'altrove. Riu-
scendo da questo cubicolo nel pianerottolo innanzi de-
scritto trovasi una vasca di fonte con pavimenlo di
opus signinum adorno di rozzo musaico formato da
' bianche pieiruzze , e da differenti pezzi di marmo.
Intorno a questa vasca si eleva una costruzione di f;ib-
brica, che costituisce superiormente un canale desti-
nato a nutrir dei fiori: il piano di questo canale nella
parte corrispondente verso l'atrio è rivestilo di lastra
di bianco marmo infranta in varii pezzi. Nel fondo
della vasca osservasi un foro per lo scolo delle acque,
ed altro se ne osserva di lati. Sul fouJo della vasca
era situato un piccolo phedesfallo di marmo confor-
malo a tronco di albero , e sullo slesso vedevasi pog-
giare un alalo Amorino anche di marmo. In conti-
nuazione di questa vasca vi è un giardinetto con mu-
ri graziosamente dipiuli, couìc graziose sono le dipin-
ture, che si veggiono presso la vasca. Da questo giar-
dino vi è lo scolo delle acque nella vasca medesima,
mercè un piccolo canale di fabbrica. Lo zoccolo dei
muri è giallo, e vi sono ripetute varie piante, come
sembra , di seìmm sempervirens. Il nmro che si eleva
presso la vasca è incavato ad arco come una nicchia:
e sotto di questo incavo è il fondo azzurro, e poi tra
una copiosa piantagione di fiori mirasi effigiala una
femminile figura (la Ninfa della fontana ) di bianco
con tratti di giallo nelle parli in ond)ra : questa ha il
capo coronato di foglie, è nuda sino all'ombelico, e
poi coverta da bianca tunica , che le discende insino
a' piedi : tiene con ambe le mani un piccolo cratere
di fonte , da cui vedesi pollare l'acqua. In direzione
di questa acqua dipinta vi è un piccolo foro, che pas-
sa a traverso della descritta figura, e donde sgorgava
un vero zampillo, che versavasi nella vera vasca sot-
toposta. Nella parte interna della nicchia sopra descrit-
ta sono dipinte varie foglie disposte quasi a pergola-
to , ed altre foglie e piante sono figurate all' esterno
della medesima nicchia , con varii uccelli che vi svo-
lazzano. Si appressa alla vasca poggiando su di un
piedestallo altra figura virile ed imherbe tutta nuda
dipinta pure di bianco con tratti gialli : una clamide
gli pende dalle spalle : colla destra tiene una clava
abbassala , e gli pende alialo un oggetto incerto . da
cui , come sembra , miransi sgorgare alcuni zampil-
li di acqua. In questo medesimo muro , eh' è lutto
rosso nella sua parte inferiore, seguono altri fogliami
ed uccelli; tra' quali uno ben grande , certamenle e-
solico , col corpo bleu , le ali rosseggiauti , le gambe
lunghe e rosse , il becco egualmente rosso , breve e
adunco. Vedesi poi altra figura . che par di Satiro ,
anche di bianco , con tratti di giallo : essa è barbata
e coronata: poggiando sopra un piedestallo è nell'at-
to di camminare a sinistra suonando la dojqiia ti-
bia. Neil' altro muro in una zona inferiore vedesi
u!) Tritone giovauxie ed imberbe eoa iscoinposta chio-
-28 —
ma e piccole corna sul capo, e con due anlerioii pordmo l'avverdre che tulli questi dipinli di bianco
branche non dissimih da quelle dell'asmcus, che com- la Ninfa nel mezzo della vasca, l'altra vasca sostenuta
balle con altro marino mostro a lesta di pantera, vi- dalla SGnge, e le altre campestri divinità furono eflB-
brando conira di esso il suo arco : e già si veggono giate coli' inlcndimenlo di figurare statue marmoree
sul corpo del mostro conficcate varie saette. Notiamo erette ad ornamento del giardino. Tanto ci viene in-
qui di passaggio non esser nuova la particolarità delle dicalo dal colore in tulle uguale , anche negli acces-
corna attribuite a' Tritoni ; giacché la slessa si osserva sorii , e principalmente dalla vasca sostenuta dalla
in alcune fi'nire di Tritoni di un' urna di terracotta da Sfinge , che dinota certamente ima scoltura , e dalle
noi pubblicala ( mon. incd. di Barone tav. XIII e tre difierenti figure , che si appalesano per immagini
XIV); e non mancammo in (juella occasione di richia- di statue dal poggiar che esse fanno sopra piedestalli.
mare il Pompeiano dipinto , di che ora ragioniamo : I varii zampilli e le differenti vasche alludono a que-
vedi la pag. 69. Nella parie superiore del medesimo gli scherzi di acque, le quali formavano uno de' mag-
muro, il cui fondo è azzurro, sono dipinte molle pian- glori ornamenti delle antiche abitazioni,
le, e nel mezzo uua vasca di color rosino sostenuta Nell'ordine superiore vedesi inlorno figurata una
da una Sfinge accovacciala, la quale poggia su di una caccia fra molle piante, ch'escono dal suolo. Una fi-
piccola base. Presso la vasca, in cui è figurala l'acqua gura di un Erma barbato dinota il luogo selvaggio ;
zampillante , veggonsi due esotici augelli : e nell'alto veggonsi poi due cervi spaventati fra due orsi ; altri
sono sospese da un pergolato due maschere coronate cervi feriti e sanguinanti sotto i denti di altri feroci
con bende pendenti , con ciascuna delle quali vedesi animali , tra' quali parci di ravvisare un leone : altri
aggruppalo un piccolo pedo. Al suolo veggonsi due cervi inseguiti da pantere : un toro combattente con
altri più grandi uccelli con lungo becco, e piccolo pen- un leone, ed altre fiere ora in parte perdute,
uacchio sul ca|)o ; i quali presentano il corpo di color Riuscendo al pianerottolo, che costeggia la vasca,
violetto e le lunghe e sottili gambe di rosso. La pie- si ha dallo slesso l'ingresso in altro cubicolo; all'en-
cola vasca dipinta merita di essere confrontala con Irata erano gli antepagmenta, per applicarvi la chiu-
l'allra marmorea vasca di fonte rinvenuta in Pompei, sura. Il pavimento di questo cubicolo è di lapillo
sostenuta da Ire Sfingi anche di marmo, poggianti so- battuto, e nel mezzo sono incrustali per ornamento
pra ornata base (vedi real mus. Borb. vol.V. t. XLI). alcuni pezzi di marmo e di travertino. Lo zoccolo è
Ci sembra ancora degna di osservazione la vicinanza rosso: i muri sono dipinti a scompartimenti di giallo,
del Tritone e della Sfinge nel pompejano dipinto da di bianco e di rosso con varii fregi e rabeschi, rami ed
noi descritto, dalla quale sempre più si conferma il altri ornamenti. Molti piccoli quadrelli erano sparsi nel
lunare rapporto di entrandii questi esseri milologici, fondo , de' quali sei sono ora visibili, e tutti rappre-
che non senza una qualche particolare ragione creder sentano alcuni vasi variamente disposti sopra di un
si possono insieme figurali. Nell'altro muro laterale a piano. Due quadrelli con figure erano nell'intero ctt-
sinistra è prallicala nel mezzo una grande apertura o Vicolo. Uno di essi in gran parte perduto rappresenta
finestra senza alcun segno di chiusura, e poi son di- la porzione superiore di un imberbe giovine, col ca-
pinte piante ed augelli, tra' quali è notevole una ci- pò coverto dell'elmo, e stringendo l'asta , il quale
vetta che si precipita in basso col capo all' ingiù. In si osserva in concitato movimento a sinistra : presso
corrispondenza di cpieslo animale è altra satiresca figu- è lo scudo. Potrebbe in questa figura ravvisarsi Achil-
ra (Pan?) nuda virile ed ind)erbe coronala di canne che le che preparasi a lasciare la regia di Licomede. Il
lien colla destra forse la siringa, colla sinistra il pedo, figlio di Peleo sembra abbastanza determinato dal-
ed è in alto di camminare a sinistra, poggiando pure l'impeto con che è tratto alle armi: Is ^ì rry 'ttol-
su di un piedestallo. Pria di procedere alla descrizione jOTrXi'o.v cpixrpo^ ( Pbilostr. jun. ini. 1 , 112); sic-
della parie supcriore de'mcdesimi muri; crediamo op- come si riscontra in altri monumenti (Raoul-Ro-
— 29 —
chelle mon. ìimi. lav. XII p. G9), e scf;natamon(e
nell'altro quadro pompejano pubblicato nel rcal mus.
Borbonico voi. IX. tav. VI. Neil' altro quadretto ò
dipinta Leda tutta nuda , se non che una {gialla cla-
mide le si avvolge intorno al destro ginorrbio : ha
gialli orecchini , i polsi sono adorni di auree arinil-
le , e le tibie di perisce) idi : un peplo di color vio-
letto le ricopre il dorso , ed il capo è circondato di
azzurro nimbo. La sposa di Giove siede sopra un or-
nato letto ricoperto di azzurro panneggio con alcune
parti di rosso , e poggia i piedi sopra un suppeda-
neo. Ella addimostrasi quasi sorpresa osservando il
bianco cigno , eh' è già nel suo seno. lu un angolo
del quadro mirasi al suolo un calato rovesciato. Mol-
ti sono i munumenti rappresentanti 1' avventura di
Leda col cigno , de' quali , oltre quello clic ne dis-
sero il Mùller Handhmli §. 3oi n. 4-, ed il >yel-
cker nella nuova edizione di questa opera p. "320 ;
è a vedere l'ampio catalogo distesone dal eh. signor
cav. Bernardo Kòhne nella sua dissertazione die hci-
den groiimi Silber-Gcfà'ife dcs KaificrUchcn Mìacums
der Eicmilagc zu Si. Peleisbnr(j impressa in Pietro-
burgo l'anno 1847. p. 48 e segg. vedi quel che di-
ce sul mito stesso di Leda p. 3 e segg. La pittura
Pompejana venuta recentemente alla luce oiTre la par-
ticolarità del nimbo intorno al capo dell'amala di
Giove: per tal circostanza va paragonata alla pittura
scoverta in Gragnano nella quale si osserva la me-
desima narlicolarità , ed ove è pure un ornato iello
presso all' avvenimento ( Ercolanesi Pilture voi. IH.
tav. 10). Avuto riguardo al nimbo , gli Ercolanesi
furono di opinione che in quel dipinto fosse rappre-
sentala una divinità, e vi rav\isarouo Nemesi piutto-
sto che Leda p. 30. Già il sig. Kohne si oppose a
questa idea nella citata dissertazione p. 7. ; e noi os-
serviamo che il nimbo poteva ben convenire ad una
nortale, che per la sua slrettissima relazione col so-
vrano dell'Olimpo fu falla quasi partecipe dell'apo-
teosi: vedi sul nimbo le cose raccolte dagli slessi Erco-
lanesi v. 1. delle pillurc p. 270, e v. II. p. (il eseg.
cf. Schulz bullcUirw dell'Istituto 1841 p. 102 e seg.
Ora il nuovo dipinto di Pompei con un'altra partico-
larità viene a dimostrare che trattisi appunto di Leda,
e che non saremmo autorizzati a pensare a Nemesi ,
so non quando si trovassero a costei attribuiti simboli
tali da farla con certezza distinguere (vedi Chr.Walz
de Nemesi Graeeorum. Tnbingae MDCCCLIIj. In ipie-
sta nuova pittura vedesi il calalo rovesciato , siccome
in altra pompejana pittura (/?. mus. lìorb. XII, 3^ ove
presso all' aureo calatisco veggonsi figurati due fusi.
In altro dipinto anche di Pompei un Amorino porla
via il calato con gomitoli e fusi [op. cit. tom. XIII ,
tav. 3). A proposito della prima di queste due pitture
osserva il Corani. Quaranta farsi allusione a' femmi-
nili lavori, a' quali Leda era intenta, disturbati dal-
l' arrivo del Cigno : e potrebbe anche dirsi interrotti
dalle novelle idee, alle quali si rivolge la mente della
figliuola di Testio. Or queste femminili occupazioni
mal converrebbero a Nemesi , ma piuttosto riputarsi
deggiono proprie di donna mortale. Che se nel nostro
pompejano quadro Irovansi riunite le due parlieola-
rilà del nimbo e del calato, sarà necessario il conchiu-
dere die ci si offra agli sguardi Leda, e non la tre-
menda dea puuitrice delle umane malvaggità. Sicché
dir dovremo lo slesso della pillura di Gragnano, nel-
la quale il nimbo non può avere una differente intel-
ligenza da quella che presenta nella pittura di Pom-
pei recentemente scoperta. Ci piace finaliiienle di os-
servare che anche in questa casa , ove in due sepa-
rati cubicoli vedonsi eflìgiati gli amori di Giove per
Ganimede e per Leda, può credersi si faccia allusione
alla duplex Venus , siccome fu osservato jter questi
due soggetti riuniti nel [)orlico di Tessalonica (Stuart
Ani. of. Athens III. oh. 9. pi. 9. II. v. Mueller //anc/-
hueh%. 128. n. 1.).
Accanto alla descritta bottega, era 1' entrata per la
casa che vi si riuniva , con un sistema frcijuenle in
Pompei , e comune a tutte le botteghe della medesi-
ma strada; onde non esser coslrelti ad entrare ed usci-
re dalla casa per un sito addetto al negozio. L'apertu-
ra esterna verso la strada non mostra alcun indizio di
chiusura , ed era un vestibolo scoperto , del che vi
è qualche altro esempio in Pompei. I muri laterali
sono rossi e senza inlonico per alcuni palmi di altez-
za : in quello a sinistra vedesi sporgere una porzione
di pilastro di pietra di Sarno , e uell" altro a destra
30 —
appajono molti incavi per travi o tavole : sicché an-
che qui dovea essere un ammezzato accessibile per via
di scale.
Neil' angolo a destra di questo vestibolo compari-
sce al suolo la bocca di uu pozzo , con puteale , che
la ricopre. Nel muro di fronte all' entrare scorgesi
in allo un'apertura all'altezza medesima degl'incavi
sopra descritti : è quindi probabile che per quella si
aveva comunicazione Ira gli ammezzali inlerni , e que-
sto esteriore. Dal vestibolo si ha l' adito ad altro roz-
zo andito , ove a sinistra vedesi elevato alquanto dal
suolo un muricciuolo che rinchiude il cesso: allo
stesso Iato è un' apertura , per la quale penetravasi
neir atrio della casa. Segue poi in continuazione del
vestibolo la cucina , ov' è focolajo in gran parte di-
strutto, ed ove fu ritrovalo un ahenum di bronzo so-
pra un braciere di ferro ; vedesi finalmente un rialto
presso ad un piccolo compreso, che serviva probabil-
menle per dispensa, scorgendosi ne' muri i buchi per
le tavole delle scansie.
Nello spazio prossimo alla cucina vedesi al suolo
una sfogatola de' canali sottoposti , con bocca di tra-
vertino : nel muro poi di destra entrando nella cu-
cina vcdonsi incavi precedenti a posteriori tompagni,
ed i doccioni , che discendono lunghesso il muro nei
sottoposti condotti. Questa parte della casa era estre-
mamente rozza, e forse Irovavasi in ricostruzione.
fcontimiaj Minervim.
Notizia di alcune terrecotte antiche della collezione
del defunto Francesco Mon(jelli in Napoli.
È ben risaputo che il sig. Francesco Mongelii pos-
sedeva una raccolta non ordinaria di antichi monu-
luenli , in genere di medaglie , di vasi , di bronzi , e
di terrecotte. Dopo la sua morte avemmo la oppor-
tunilà di proccurarci i disegni di alcuni fra' principali
pezzi di quella collezione: e questi inlendiamo di an-
dar man mano pubblicando nel presente buUetlino.
Cominciamo dalle terrecotte, delle quali presentiamo
incise alcune nella nostra tavola l , fig. 6 , 7 , 8, iu
grandezza metà dell'originale.
Nella fig. 6 vedesi ritratto un piatto lavorato a stam-
pa con molli ornamenti; su'quali appariscono in molli
punti tracce del bianco, di che erano dipinti. Non è la
prima volta che mi sia capitalo di osservare simih mo-
numenti: anzi diedi altrove notizia di due altri piatti af-
fatto identici a quello, che qui pubblichiamo; uno de'
quali apparteneva alla raccolta del sig. Giovanni Jatta,
e l'altro rinvenivasi presso il negoziante di antichità sig.
Raffaele Barone : vedi il huUell. archeol. nap. an. Ili
p. 55 e seg. Parvemi allora di scorgere in entrambi
una prominenza nel mezzo quasi emisferica, ed intor-
no intorno dodici ovali cavità tramezzate da allrellan-
te teste con pileo frigio, presso ciascuna delle quali ap-
pariscono le ali , ed in cui ci parve di ravvisare ap-
punto il dio Limo , siccome si scorge figuralo in altri
monumenti (cf. Cavedoni butlell. dell' ist. arch. 1841
p. 112^, // quale percorre i dodici mesi dell' anno ».
La maggior conservazione della patera del sig. Mon-
gelii ci porge il destro di rettificare in parte la rife-
rita descrizione. In fatti le teste col pileo non sono
munite di ale ; ma offrono a' due lali due altre più
piccole teste di profilo , volte alla media , imberbi ,
e senza alcun fregio ovvero ornamento , che le rico-
pra: certamente la poca conservazione di queste late-
rali testoline me le fece altra volta scambiar colle ali.
Ora ho a notare che un simile piatto si osserva fralle
terrecotte del real museo Borbonico, ed in esso ap-
pajono pure le (re leste, come in questo che pubbli-
chiamo. Una tale di^-ersità, lungi dall' escludere la in-
telligenza lunare, alla quale avevamo pensato , a noi
sembra che maggiormente la confermi. Veggendosi
tre leste fra loro aggruppate , e dodici volte ripetu-
te, tanto più ricorre il pensiero alle (re fasi della Lu-
na nel giro di un anno. Altrove noi ravvisammo una
simile relazione delle dodici lune co'serpeggianli cir-
ri di una testa gorgonica [tnon. ined. di Raff. Barone
p. 10. lav. Il fig. 2): ed altri, benché differenti, rap-
porti colle rivoluzioni lunari furono in altri monu-
menti riconosciuti dal eh. Panofka [nius. Blacas pi.
10 p. p. 3:3 seg.), e da altri archeologi [Lnynes etud.
numisin. p. 51 ; Miiiier Orchomenos p.-25G: vedi pu-
re quel che dicemmo noi slessi ne' citali ìtionum.
ined. di Barone p. 9 , e 27 ). Nò a questo ordia»
— 31 —
d' ilice disconviene la presenza delle ovali cavità ,
quando si consideri la peculiare intelligenza data al-
l'uovo nelle mistiche ed orfiche dottrine (Plutarch. II.
symp. Ili, I ,76; Macrob. Salumai, lib. VII, 16 ).
Per quel che spetta alle due teste di profilo , che co-
steggiano la media, potrebbe ancora pensarsi alle ani-
me, le quali si aggirano intorno al globo lunare (ve-
di bullett. arch. napol. an. V. p. 150). Ma di queste
ricerche formeremo argomento di più ampia discus-
sione.
Fig. 7. In questa figurina osserviamo una donna
neir alto di percuotere il timpano, che tien solleva-
lo colla sinistra. Nella medesima collezione Mon-
gelli serbavasi un' altra simile figurina , ma di più
piccole dimensioni , poggiante sopra una base , che
formava continuazione colla figura medesima. Noi
crediamo che questi monumenti si riferiscano al cul-
to di Cibele; e traendone argomento dall'altra terra-
cotta, in cui si scorge la piccola base , siamo di opi-
nione che venga effigiata la medesima divinità , alla
quale non disconviene l'attitudine, in che la vedia-
mo figurata.
Finalmente nella figura 8 vedesi la parte supe-
riore di un alato Amore con grappolo , che mostra
nel volto una particolare espressione ; mentre le pal-
pebre abbassate ci additano che sia immerso nel son-
no. É dispiacevole che sia perduto il rimanente di
questa figura notevole per la sua grandezza. Ignoria-
mo poi s«^ formasse parte di qualche gruppo, o fosse
isolatamente lavorata. È forse da ricordare a tal pro-
posito il cosi detto Genio alato dionisiaco, del quale
si vegga ciò che scrive il Creuzer {Dionys. p. 164).
In qualunque modo, il nostro Amore va nella ca-
tegoria de' bacchici Eroti frequenti negli antichi mo-
numenti ; e nel sonno che 1' opprime può riconoscer-
' si per avventura una funebre allusione.
(continua) ^ Minermni.
Iscrizione cristiana di Pozzuoli: continuazione
dell' articolo inserito nel num. 2.
Or dalla iscrizione di Pozzuoli sembra abbastanza
comprovalo che la stessa significazioueaver dovette la
parola basilica in tempi più antichi. Né parrà stra-
no il modo di adoperar questa voce, quando si consi-
deri che in monumenti pagani le voci corrispondenti
aedes, ed acdicula trovansi usate a dinotare una parte
di un sepolcro, o l'intero monumento 'Reines. ci. VI,
1 1 2; XI, 109, 1 1 2: adp.46: Orelh n.C;n,i:;08,i512,
43 13). Né debbo omettere che dassi talvolta alla tomba
la denominazione di ara: IIOC-SEPVLCRVMSIVE-
ARA (Reines. ci. XVI, 68 cf. Fabretii, c.II,2:J6ove
così appellasi un' urna sepolcrale). Da tutte le quali
cose mi sembra probabile il supporre che siccome le
tombe pagane prendevano nomi di sacri edifizii , per
motivo del religioso culto prestalo appo loro a' de-
funti , così nelle idee de' Cristiani , secondo le quali
non minore osservanza si accorda alle anime de' morti,
l'edificio che li contiene prese ancora una religiosa
denominazione.
Comunque sia di queste nostre osservazioni, è chia-
ro che ì'honor, di che è menzione nel nostro marmo,
è Yhonor sepulturae rammentato sovente nelle iscrizio-
ni, e che colla semplice parola di lionor ci viene ad-
ditato in una epigrafe di Roma presso il Fabretti (p.
1 52, 22 1 , OreUi tom.II p.28i n. 4400). La iscrizione
di Flaviano si chiude colla ovvia formola REQVIEVIT
IN PACE, che in molte altre iscrizioni s'incontra.
È ben conosciuto che la formola IN PACE è tanto co-
mune ne' monumenti cristiani , che fu ritenuta come
indizio certo di cristianesimo dal Mabillon {de cuìlu san-
clorum ignol. §. VI vct. anal. p. 557 , oeuvres post.
t. 1 p. 232), dal Morcelii [op. epigr. voi. Il p. 77),
dal eh. Cavedoni [ragg. critico de'uwn. delle arti cri-
si, primitive. Modena 1840 p. 33 e 34); non ostan-
te le contrarie osservazioni del eh. sig. Raoul-Ro-
chette [meni, de l' Acad. des inscr. ci beli. hiir. t.
XIII p. 196.); ed ultimamente il eh. de Witte la ri-
guardò pure come formola cristiana in alcune monete
della imperatrice Salonina, colla epigrafe AVGV^STA
I.\ PACE [mém. sur l'impér. .Salunine p. 37esegg.);
della quale opinione torneremo a |)arlare in altra oc-
casione. Solo notiamo che la formola REQVIEVHT
diiTerisce nel senso dall'altra REQVIESCIT IN PACE,
la quale è ancor più frequente. Questa si riferisce al-
l' attuale stato del defunto , q^tiell' allra al punto didla
— 32 —
sua morie: l'una vale riposa nella pace del Sifjnore,
l'allra si acchetò in pace da'travagli della vita: e cor-
risponde alle allre formole più coinuui, in pace re-
censii , in pace decessit , delle quali abbondano tutte le
raccolte di cpigraG cristiane. Sono anche infiniti gli e-
seiupli della data del mese, senza che si determini l'an-
no ( Lupi Severae mari. epil. p. 7G e segg. ove par-
la pure delle molte date consolari in epigrafi cristia-
ne ) ; per modo che non accade fermarsi su questo
particolare.
La iscrizione , della quale brevemente si é ragio-
nato , dicesi rin^■enuta in quel silo appunto ove si
crede fosse aniicanienle edificata la basilica di S. Ste-
fano. Su questo sacro ediGzio vedi le cose notate dal
nostro eh. collega sig. Can. Scherillo ( gli alti del
martirio di S. Gennaro sez. 2 e. VI ; e enciclopedia
dell' ecclesiastico voi. IV p. 913 e seg. nell' articolo
Pozzuoli da lui inserito in quella raccolta), il quale
ne addila l' area e la estensione. La nostra iscrizione
confermar potrebbe la determinazione di quel sito ,
dovendo senza dubbio riferirsi a cristiano cimitero.
MlNERVllNI.
Tavola aquaria Vena frana: continuazione del num.
precedente.
Il primo articolo regola l' uso del corso principa-
le delle acque fuori di città. 11 secondo dei condotti
subalterni. Nel terzo si dispone della manutenzione ,
e dei lavori da eseguirsi intorno all' acquidoso , ed
alle fabbriche annesse. Col quarto prescrivesi la nor-
ma da tenere nelle dispense delle acque dentro la cit-
tà. Dopo di questo articolo è una lacuna di selle righe
di lezione disperata ; tuttavia dagli avanzi di questo ,
se non sono piuttosto i resti di un sesio, che cominciava
un poco più sopra delle righe da me trascritte, rile-
vasi, che si ordinavano i giudizii di usurpazione, e si
sanzionavano le mulle ai contravventori. Questi argo-
menti saranno meglio sviluppati nel commentario; in-
tanto (a uopo notare come da questa intera lettura
siasi stabilito il vero senso di quasi tutto il decreto ,
determinandosene , ciò che importava moltissimo , il
tempo al 728 di Roma.
Chi si pone solt'occhio la tavola, che abbiam fatto
disegnare , s'accorgerà presto del metodo seguito dal-
l'antico scarpelliuo in scolpirla. 11 carattere in tutte le
parli è augusteo , onde si dileguano i sospetti di chi
ha creduto essere questa una copia antica posteriore
a quell'aureo secolo. Generalmente si osserva negli
antichi monumenti di lunga scrittura , che le ultime
linee si serrano, il formato delle leltere impicciolisce,
lo che ne fa arguire ordinariamente poca esaltezza
neir artefice in disporsi la materia da consegnare alla
pietra. Questo medesimo vedesi chiaramente avvenu-
to allo scultore del decreto Venafrano ; se non che i
due primi articoli non somigliano punto nò al riposo,
né alla grandezza nò alla buona forma delle leltere ,
che compongono il terzo, uè infine alla giusta distan-
za delie righe; e quanto allo stare in perpendicolo, i
capiversi se ne discostano visibilmente , disordinando
così il regolar andamento , che si vede poi osservato
in tulio il resto della leggenda. Lo che non polendo
spiegarsi ragionevolmente colle leggi ordinarie del me-
todo , che vediamo tenersi dagli artefici in trattare
queste materie; ci fa forza riconoscervi una correzione
adottata posteriormcnle, per la quale lo scultore gio-
vandosi dello spazio , come meglio poteva , non ha
potuto dare alle lettere , né alle linee una giusta e
proporzionala disposizione.
(continua)
Garuucci.
Ao/a. — Alla |)Dg. 18 col. 2. lin. 1. corr. SIIRHGOS- alla p.
21. Tavola aquaria Yenafrana linea 7. leggi NE APERIANT" ed
alla i>. 23. linea 58. DVCAN'T TEM • ■ •
P. Raffaele Garrccci d.c.d.g.
GirLio MiNERviM — Editori.
Tipografia di Giuseppe Càtaneo,
BULIETTINO ARCHEOLOGICO NAPOLITAm
NUOVA SERIE
N.o 5.
Settembre 1852.
Notizia degli scavi di Pompei per l' anno 1SH0 e seguenti: conlimiazione dell' articolo inserito nel num. prece-
dente— Osservazioni intorno al nome BASILICA della iscrizione Puleolana di C. Nonio Flaviano Fram-
mento d' iscrizione presso V antico teatro di Capua : con osservazioni del conte Borghesi. — Tavola aquaria
Venafrana : continuazione del num. precedente.
Notizia degli scavi di Pompei per l' anno ISoO e
seguenti: continuazione dell' articolo inserito nel
n.° precedente.
Segue la bottega n. 60. Questa ha soglia di pietra
vesuviana , con visibili incavi per la chiusura; il pa-
vimento è signino. Le mura sono ricoperte di bianco
intonico, e vi si scorgono in giro molti buchi, desti-
nati forse ad inserirvi le assicelle per sostegno di ar-
madii. Nel muro di fronte vedesi pratticato un pic-
colo finestrino , che guarda nella dietrobotlega.
A questa si ha l' adito da una grande apertura ,
che dovea esser chiusa con tavole , e da un piccolo
andito a sinistra, ove non apparisce alcuna traccia di
chiusura. La dietrobottega è ancor essa ricoperta di
rozzo inlonico bianco : nel muro laterale destro è
aperto un finestrino sul vestibolo della casa annessa
alla bottega ; un altro simile finestrino è nel muro
posteriore , che guarda la parte interna della casa.
Presso al medesimo muro veggonsi quattro scalini ,
uno dei quali di pietra vesuviana , ed i rimanenti
di pietra di Sarno; i quali costituivano un insieme con
una scala di legno, per accedere agli ammezzati su-
.periori. Nella medesima dietrobottega scorgesi ora un
grosso vaso di travertino ( una specie di mortaio ), ed
altri pezzi della medesima pietra: come pure varie
anfore e grosse tegole , ritrovate forse nello stesso sito.
Segue alla bottega il veslibolo della casa , che vi
era unita , sul quale come dicemmo guardasi dalla
dieirobodega per un finestrino. Questo vestibolo , o
androBC , ha verso la strada soglia di travertino , in
ANNO I.
cui sono le tracce della chiusura. I due laterali muri
dell'androne sono dipinti a scompartimenti di nero
con rosse fasce nella parte inferiore, e superiormente
di bianco con lince anche rosse. L'abitazione che vi
si unisce non è ancora disotterala, e ne daremo ia
seguito la descrizione, quando le scavazioni posteriori
ce ne forniranno il mezzo. Una sola stanza intera-
mente scoperta è ricchissima di dipinti , e merita di
essere sollecitamente portata alla notizia de'nostri let-
tori. 11 fondo di questo cubicolo è giallo , lo zoccolo
è rosso con piccole fascette verdi , e fregiato di verdi
fogliami. Ad una certa altezza dal suolo sono orna-
menti di stucco a bassorilievo.
Nelle pareti sono alcune bianche fasce con serpeg-
gianti rami, ch'escono da graziosi vaselli della forma
del canlharos, alcuni augellelti beccano fra quei ra-
mi , e presso scorgesi mezza figura virile cou sitala.
Sotto a ciascuna di queste fasce sono bellissimi qu.i-
dretli di paesaggio , con edificii , e figurine che vi
stanno dattorno, in differenti posizioni.
Nel giallo fondo è effigiato un pergolato con grap-
poli pendenti, e nel campo sono dipinte varie figure.
Nel muro di fronte scorgonsi due Amori con clami-
di svolazzanti; uno ha la patera , l'altro un fascio di
verdi foglie. Nel mezzo è un quadro notevole pel sog-
getto. Un giovine , che sembra di mesta fisonomia ,
con azzurra clamide , e calzari , e col capo cinto di
corona , siede a sinistra poggiando la manca sul suo
sedile , colla destra tiene il polso di una donna nuda
fregiata di armille, e di corona radiata, co'capelli svo-
lazzanti, e con peplo che la ricopre dalle cosce in giù, la
— 34 —
quale si allontana a sinistra 11 fondo del quadretto è
azzurro, e comparisce ncH'indiclro un edifizio. A me
sembra die ci si offra allo sguardo Achille mesto ,
in coìloiuio colla sua madre che a lui promette le
armi ( //. S v. 70 e vegg. ) Il giovanile aspetto del
scdonle eroe, e la tristezza che gli appare nel volto,
Len si convengono all'amico dell'ucciso Patroclo , e
ben corri 'pondono al confronto de' monumenti ( ve-
di Paus. X, 31 , 2: Raoul-Rochelte mon. inéd. pag.
r.9 e segg. 157 , 277 not. 3,318: Mincrviui bull,
ardi, napol. anno IV p. 63 e vad Jatta p. 1 1 5).
Né a questa idea si oppone la corona data all' eroe ;
giaecliè in una patera canosina , appartenente al sig.
Raffaele Barone, e da noi pubblicala [bull. arch. nap.
an. IV. tav.ll.n.1,2) vedesi appunto il flgliuol di Pe-
h) , attendendo dalla madre le armi, col capo coro-
nato di foglie, [bull. cìl. p. 64 , e vasi Jatta p. 1 1 8):
della quale particolarità furono da noi additale varie
ragioni. L'aspetto della donna, e la sua nudità è ben
conveniente ad una delle Nereidi , le quali o allatto
nude, o con piccole clamidi svolazzanti si trovano fl-
gurate ne'pompejani dipinti (vedi real mus. B«rb. voi.
VI tav. XXXIV; voi. Vili lav. LV; voi. X lav. VII,
XIX , XXXIV); e non è neppur nuovo l' ornamento
delle armille e della corona radiala, che si trova fre-
quentemente ripetuto nelle Ogure di Nereidi sopra i
vasi dipinti ( vedi Minervini collezione Jatta p. 106 e
seg. ; Gerhard apulische Vasenbilder , tav. VII, ed
altri esempli). Se le due figure possono riferirsi a Te-
li ed Achille , il modo come sono fra loro aggruppa-
le ci sembra evidentemente determinarne il soggetto,
siccome fu da noi ritenuto. In fatti il movimento della
dea, che è sul punto di rivolgersi alla partenza , di-
nota che ella fece al giovane eroe una visita ; e l'atto
del giovane di trattenere la donna, mentre resta tran-
quillamente seduto, accenna a filiale affezione, e non
già ad altro affetto , che non potrebbe additarsi dalla
mesta e riposata attitudine.
Tulle queste particolarità si spiegano interamente
rolla omerica narrazione : e pare che il pittore , con
l'alto del rivolgersi di Teli per allontanarsi dal fi-
glio , abbia voluto esprimere ciò che si legge in
Omero :
"Qs ape. tPtt'vV^cr affa vc/Xiv rpa7r=6'wos k7o (II. X V.
138), e che maravigliosamente vi sia riuscito.
Nel muro laterale a sinistra vedesi una donna se-
minuda con velo svolazzante, la quale tien colla de-
stra un azzurro piattello , forse di vetro , e colla si-
nistra solleva una tenia.
Nella stessa parete scorgesi in un quadrello Endi-
mione dormente sdrajato sopra di un poggio. Il gio-
vine cacciatore ha stivaletti e clamide , e tien colla
destra il doppio giavellotto riverso: presso è un bian-
co cane latrante verso Diana-Luna, che sopraggiunge
dall'alto. La dea ha velata tunica rossa , e giallo hima-
tion svolazzante : le armille a' polsi , e le periscelidi
compiono il suo vestimento. Sulla di lei lesta è una
bianca luna crescente , e nel mezzo un bianco astro:
i capelli ondeggiano dietro la testa : colla destra sol-
leva alquanto Vhimalion di che è fregiala, e colla si-
nistra sostiene un piccolo scettro. E ben conosciuto
che molle sono le rappresentazioni relative a Selene
che va a trovare Endimione: sulle quali olirà le cose
dette dal Mùller Handbuch §. 400 not. 2 p. 649
ed. Welcker, è da vedere una lunga discussione pria-
cipalmenle su'bassirilievi col medesimo soggetto (Ger-
hard ani. Bildtverke lav. XXXVI-XL) fatta dal eh. pr.
Jahn aìxhàol. Beilràge p. 51-73. Ne' quali ultimi
monumenti è stalo osservato il funebre significato di
questo mito , siccome quello di Adone con Venere
Libilina (Gerhard arch. Zeitung 1849 p. 21 5 e 217).
Questa funebre intelligenza non è punto applicabile
a'dipinti delle pompeiane case, ne' quali piuttosto può
credersi quel mito allusivo al sonno, a cui si davano gli
abitatori de' cubicoli ove si vede figuralo. Fra le pit-
ture Ercolanesi trovasene pubblicata una rappresen-
tante Selene con Espero, che visita Endimione (Er-
colanesi pitture voi. III. tav. 3. ove nelle illustra-
zioni si parla dislesamente delle varie tradizioni re-
lative al medesimo mito). E qui osserviamo che ve-
desi nel canipo una piccola luna falcata , la quale
tocca quasi la testa di Endimione. Questa notevole
particolarità vedesi in tulio omessa nella pubbUcazio-
ne del real museo Borbonico in cui la pittura medesi-
ma è riprodolla voi. IX tav. 40. Merita dì richiamar-
si a confronto un altro pompeiano dipinto , che or-
35-
nava la parete di un cubicolo : in esso è Endiniionc
sdrajalo con lagobolos e cane; manca la presenza della
dea, ma invece vedesi al di sopra una luna falcala
con astro , che fa certamente allusione ad Artenùs-
Selene, accompagnata da Hespcros {Bull. ardi. nap.
an. V p. 4). Due altre pitture trovansi pur pubblica-
te ncir opera citata del real mus. Borbonico , le quali
fanno bel confronto a quella di cui diamo ora la de-
scrizione. Nella prima ( voi. XIV tav. 3 ) comparisce
Endimione sdrajato con una semplice clamide e col
doppio giavellotto , mentre la dea si avanza tenendo
un piccolo flagello , e col capo adorno di nimbo a
foggia di luna falcala : la precede un alato putto re-
cando la fiaccola [Hesperos), e presso Endimione è uu
Cane che volgesi a guardare la dea.
Il flagello corrisponde al piccolo scettro o rhahdos
del nuovo dipinto, ed entrambi si trovano convenien-
temente attribuiti ad una divinità della luce , perchè
spesso queste deità soo figurale guidando i loro carri,
o singolari destrieri ( vedi molti esempli in Gerhard
Lichtgollheilen) (1).
È ancora più importante per lo confronto della
nuova pittura l'altro quadro pubblicato nel real mus.
borbonico voi. XIV tav. XIX. In esso la dea tira pu-
re alquanto colla sinistra lo svolazzante peplo , con
un gesto già riconosciuto di femminile civetteria (ve-
di molli esempli da noi citali vasi di Jalla p. 22 e
seg.); colla destra invece del rìmbdos tiene una fiacco-
la (Diana Phospìioros o Selene: vedi i mon. ined. di
Barone p. 3,4.): vedesi pure sulla di lei testa una lu-
na falcata e due astri, ne' quali il mio eh. collega cav.
Finali riconosce giustamente Hesperos e Phosphoros.
Nel nuovo dipinto osservandosi un solo astro parmi
indicarsi Hesperos, perché riferibile piuttosto alla not-
te che al giorno. Finalmente la più notevole coinci-
'denza de' due dipinti è il cane latrante verso Selene;
siccome comparisce pure in una tazza chiusina pres-
so Endimione . che attentamente guarda verso il cielo
{buUelt. dell'ht. 1840 p. 2). In questo ultimo niODU-
menlo, sepure non voglia pensarsi ad altro cacciatore
(I) Così comparisce Diana che scende dal cocchio per vbilare En-
dimion« : annali dell' Itt li!t49 p. 409.
amante di Diana-Luna (Vinet rev. arch. an. V p. 469)
lo star desio di Endimione potrebbe alludere alla tra-
dizione riferita dallo scoliaste di Apollonio Rodio: che
Endimione era creduto il primo osservatore de' perio-
di e de' numeri lunari [Arg. IV, 264 p. 161 Wcl-
lavcr. vedi bullctt. arch. nap. au. IV p. 121). 11
latrar del cane verso la Luna ci richiama al pensiero i
versi di Virgilio:
.... visaeque canes ululare per itmbras
Adcenlante Dea (Aen. VI, v. 255).
Veggansi pure le altre relazioni de'tani con Arie-
mis-Hecate- Selene da noi notale nelle novelle diluci-
dazioni sopra un chiodo magico p. 1 1 e seg.
Nella terza parete , eh' è rimpetto a quella ove è
Achille e Teli , scorgesi dipinto un Amorino con cla-
mide svolazzante , che tiene con ambe le mani una
cesta.
Finalmente nel muro laterale destro è un quadretto
col soggetto di Narcisso. Il figliuolo di Cefisso adorno
di rossa clamide siede a destra guardandosi nella sot-
toposta fonte , mentre tiene colla sinistra un'asta ri-
versa. Presso è un Amore che spegne la fiaccola co-
me Genio della morte. Più in alto è una Ninfa semi-
nuda sedendo sopra gialla clamide, la quale con ao)-
be le mani presenta al giovine una funebre corona.
Non vi è soggetto , che sia più frequentemente ri-
petuto nelle pitture murali (Ercolanesi pitture V 28-
31 , real mtis. Borb. I, 4; Wieseler die Nymphe Ecko
tav. n. 3. mus. Borb. II, 18; XIV, 18): ed e da
rammentare particolarmente il vaghissimo dipinto di
Nocera, ove è notevole la presenza di Eco, col 7r\xyiv.i'-
Xoì, che fu dottamente illustrato dal commen. Avellino
[bullett. arch. nap. an. Ili pag. 33 e seg ; Jahn iiber
einigeaufEros und Psyche beziigl. Kunslwerke oc Ber l-
chte der Kon. Sachs. Gesellsch. der Wissensch. 1851 p.
1 70 s.). In questa composizione vedesi pure un .\more
che spegne la sua fiaccola , in funebre senso , ed in
simile significato una stele con vaso al disopra ; come
nel dipinto pubblicato nel recU mus. borb. tom. II lav.
XVIII, ed in altro (Ercolanesi pt«. voi V tav. 28. Sul
senso funebre del vaso sulla colonna v. Cavedoni
Spie, numism. p. 50 n. 03, e ciò che dicemmo noi
stessi nel bull. arch. nap. an. VI. p. 64). Lo stes-
— 36 —
so mito fu ravvisato io un vaso dipinto dal medesimo
Avellino {buìl. nap. an. II tav. Ili pag. 57 e scgg).
La parficolarità dell' Amore cbe spegne la fiaccola si
osserva pure ia altra pittura murale (Ercolauosi pitt.
voi. V tav. 28), e su di ciò si veggano gli Ercola-
nesi (p. 126 not. h. ). Ma chi sarà mai la donna
che presenta a Narcisso la funebre corona? Certamen-
te non può giudicarsi Eco , che in tutl' altra posizio-
ne comparisce nella pittura di Nocera sopra citata ,
ed in altra del real mas. Borbonico voi. MI tav. IV
cf. Wieseler. /. e. n. 2. Piuttosto è da paragonarsi con
questa l'altra figura stante presso Narcisso in questo
ultimo dipinto, e più ancora la figura sedente con ur-
na rovesciata, ed Amorino sulla spalla che vcdesi nella
pittura sopra citata n. 3. del Wieseler : nella quale
può ravvisarsi la Ninfa della fontana , ove il giovine
figlio di Liriope va a compire il suo destino.
MiNERVlM.
Osservazioni intorno al /lome BASILICA della iscri-
zione Puteolana di C. Nonio Flaviano
Il Bingham, e tutti coloro che con lui si sforzano di
negare l'antichissimo uso cristiano di sepcliir in alcu-
na parte delle Basiliche i corpi dei confessori non
martiri ( Orig. Eccles. T. III. L. VIII. e. V. §. 8.
Halae 1727) facendone erroneamente autori i monaci
nei secoli di decadenza, citano , ma non interamente,
il passo di S. Paolino, che chiaramente lo insegna;
omettono poi le altre autorità , che il Muratori da suo
pari va dimostrando loro , nel commento ai versi del
Saalo,
Cellula demuUis,quaeperlalera undique magnis
Adposilae leciti, praehenl secura sepullis
Hospilia.
(S. Paulin. de S. Felice nalal. XI v. 478 seg. Ve-
ronae 1736. .Muratori Disscrl. XVII. p. 838-842.).
Or queste parti interne della Basilica Nolana, che il
Santo Vescovo di Noia qui chiama Cellulac, ed al v.
.'i31 Cellae, (cf S. Gregorio di Turs, de Gloria Confes-
sor, e. evi. Praesume , precamur , ut caro sancla se~
pullurae reddatur. Et sic ab ilUs iniunclus, aliare in
cellula ipsa sacralur ), altrove nella epistola 32. a Seve-
ro, ove descrive la basilica costruita da se a Fondi in
onore di S. Felice Nolano, le dice Cubicula (p. 203.
edMurat.): Tolum extra conchani basilicae spali um, allo,
et lacunalo culmine, geminis utrinque porticibus dila-
tatur, quibm duplex per singulos arcus columnarum
ardo dirigitur. Cubicula intra portlcus quaterna lon-
gis basilicae lateribus inserta , secrelis orantiitm , vcl
in lege Domini medilanlium , praeterea memoriis reli-
giosorum ac familiarium accomodatos ad pacis aeler-
nac requiem locos praebent. È poi questo il nome or-
dinario che loro dà Anastasio Bibliotecario , e segna-
tamente nella vita di Leone terzo (p. 306 ed. Fr.
Bianchini. Romae. 1718.): Cubicula inlra Ecclesiam
beati Petri Aposlolorum Principis, quae nimia vetu-
state marcuerant eliam (leggo et iam) pene ruiluraerant
isdem egregius Praesul a fundamentis firmissimum po-
nens aedificium in meliorem erexit statum (cf. Murat.
not. ad Episl. 32. S. Paulini p. 912, 913. ed. cit. e
nella Dissert. XVII p. 839.)
Altra appellazione egualmente solenne in Anastasio è
quella di 0/a^on'a, come p. e. nella vita di S. Simma-
co (p. 86 ) racconta , che nella basilica diS. Andrea
da lui costrutta, fecit oralorium S. Thomac apostoli, ora-
lorium S. Apollinaris, oralorium S. Sosii, e nella vita
di S. Ilario (p. 1Qi):Hic fecit oratoria tria inbaplisle-
rio constantiniano, S. Ioannis Baplislae, et S. Ioannis
Ecangelistae , et S. Crucis, omnia ex argento et lapi-
dibus pretiosis. Assai bene il Muratori paragonò que-
ste Cellulac , o Cubicula , od Oratoria alle moderne
cappelle delle Chiese Cattòliche. Dopo tutto ciò , è
ben da maravigliare, come i descrittori delle antiche
basiliche comunemente abbiano finora omesso di no-
tare sì rilevante costume di cristiana antichità: e molto
più , che r uso di seppellire nelle chiese siasi creduto
di tempi più vicini a noi, e però riprovevole.
Le autorità gravissime qui prodotte ne insegnano,
che in molte antiche basiliche fino dal quarto secolo
furono costruite apposite cappelle destinate a racco-
gliervi i fedeli in orazione , a cantare i salmi , ed a
sepoltura di uomini religiosi. Inoltre, che in queste
medesime cellae, dette oratoria, e cubicula, furono col-
— 37 -
locati altari (v. il luogo di S. Gregorio di Turs ad-
dotto di sopra), e che ebbero il loro titolo da alcun
santo, le reliquie del quale vi doveaoo avere special
culto. Rivenendo ora alla insigne lapida di C. Nonio
Flaviano , in cuius honorem basilica hacc adquisila ,
conlectaquc est , come leggcsi ivi, io son di avviso,
che la basilica, di che è quivi parola, non sia stata al-
tra cosa, se non una di queste cellette, o cubicula. Di
fatti la iscrizione è stata scoperta fra le ruine dell'an-
tica cattedrale di Pozzuoli , delta Stefania , che non
si può mai supporre comprala , e ricoperta dai pa-
renti di Flaviano per consacrarla a sepolcro del te-
nero corpicciuolo di lui. In quei tempi , nei quali il
culto dei confessori aveva nella Chiesa qualche raris-
simo esempio , ed in persone celebri per illustri ed
eroiche azioni, come S. Martino, comparabili perciò
agli esempii lasciali dai martiri, sarebbe strano imagi-
nare, che ci si parli nella lapida del culto di un fan-
ciullino morto di soli 23 mesi. Anche degli sfessi
fanciullini in odium Clirisli occtsos sapientissimamente
giudicò il gran papa Benedetto XIV , non convenir
canonizzarli per la novità, siccome bene avverte il Can-
cellieri (D/ssert. epislol. sopra due iscrizioni delle mar-
tiri Simplicia ed Orsa, pag. 53). Adunque se la Ste-
fania non fu sacra a Flaviano, e se Flaviano vi fu di
fallì sepolto, le parole Basilicahaec non potranno giu-
stamente riferirsi, che ad una parte di essa; ed in que-
sto caso gli esempii allegati di sopra mi confortano a
sostenere , che in alcun cubiculo di essa compro , e
rifatto da' suoi, sia sialo riposto l'innocente corpo di
Flaviano. Abbiamo letto più sopra , che i cubicoli
della basilica di S. Pietro nimia velustale marcuerant,
et iam pene peritura etani, che pare essere il caso della
nostra basilica, la quale ebbe bisogno di essere coper-
ta. Chi si conosce delle antiche basiliche, avrà rileva-
to, che spesso i tetti delle navi, o portici laterali, sono
più bassi del tetto della nave di mezzo, e però ben in-
tenderà, come essendo in buono stato tuttavia la Chie-
sa , potevano alcuni cubicoli aver bisogno, che se ne
rifacesse quella porzione di letto, che mal li copriva.
Io preveggo, che a molli dei lettori l' unica diflScoltà
di ammettere questa spiegazione della voce Basilica
potrebbe essere la novità dell'uso, onde a questo me-
desnno porterò riparo, togliendone il riscontro da
un classico luogo di S. Girolamo, del quale ha fallo uso
anche il sig. Minervini, (v. la pag. 10. di questo Bul-
lell. ), che dop„ le cose già delle . pare s' intenda da
sé assai bene. Egli chiama Basilicas Eccksiae quelle me-
desime celle , <he S. Paolino ha dello Cubicula , ed
Anastasio anche Oratoria.
Il passo è nella leltera sessagesima (ed. Vallarsi. Ve-
ronae 1734. T. I,p. 338) scritta l'anno 39C, ove loda
il santo sacerdote Nepoziano della cura squisita, e so-
lerle posta in mantener nella, ed ornala la sua Chiesa.
Ivi parlando appunto delle Cappelle, o cubicoli, od
oratorii di essa , da lui decorali , dà loro il nome di
Basiliche: Hoc idem possumm et de isto dicere, qui ba-
silicas Eccksiae, et marlyrumconciliabula, diversis (lo-
ribusetarborum comis , viliumque pampinis adumbra-
rit,ut quidquid placebat in Ecclesia, lamdispositione,
quam visu , Presbiteri laborem et sludium testarelur.
Adunque i santi parenti di Flaviano comprarono I..
basilichetta, e la coprirono, per dare al bealo loro fan-
ciullino, ottenuto già da Dio con preghiere di lunghi
anni, e che con umile rassegnazione vedevansi tolto,
onorala sepoltura. Altra era e diversa l'indole delle
Basilicac, od Oratoria, fabbricale fuori di ciltà per
sepoltura (Murai. Anecd. Gr. p. 260, 270. Morcelli.
Kal. Consl. T. I. p. 18S.), e delle Basilicae, o Ba<i-
liculae descritte dalCiampini, {Vet. monuw. e. XIX. p.
183 cf. Zestermann , die Ant. u. d. Chr. Bas. I.eips.
I847.p.l68,4.)che in sostanza rassomigliavano ad un
Ciborium, o Con/'ess/o, composte di un altare, o sepol-
cro, ovvero dell'uno e dell'altro insieme, cioè di un
altare col sepolcro sottoposto, e coperte da un fastigio
o cupolino sorretto da quattro colonne, delle quali è
evidente donde si avessero quel nome che portano, an-
che nel titolo 58 §. 3,4,5. delle leggi saliche, e che io
non credo, non essendo questo il caso, dover citare al
confronio.Cosi nelle iscrizioni pagane trovasi la cella se-
polcrale detta lalvolia Principiola, Pracloriolum, Tem-
plum , la qual prima voce vedesi appunto adoperata
in un frammento di lapida puteolana edila la prima
volta dal Borghesi, il quale dottissimo com'è, disperò
poterne determinare il signiticato (v. Sianislao Viola
Risposta alle osservazioni eie. Roma. 1849. p. 89 )
-38 —
PRINCIPIOLAM. A SOLO. OMNI sua PECVNIA
FECIT. Queste siogolari appellazioni ebbero origi-
ne eviden (emente da quella forma esterna di decora-
zione architettonica, che procacciò anche alle nicchie
cinerarie il nome di aediculae, e che avrà facilmente
indotto cosi S. Girolamo, come l'autore della iscrizione
puteolana, e certo altri a noi ignoti di quei tempi, a
dare il nome di Basilica ai cubicoli, o cappelle, fab-
bricati sulle pareti laterali delle Chiese. — Garrucci.
Frammento d'iscrizione presso l'antico teatro di
Capua : con osservazioni del Conte Borghesi.
Non ha molto fu quasi interamente scavato in S.
Maria un antico teatro , del quale ci proponiamo
dare un più esteso ragguaglio , e forse ancora il
disegno, in uno de" prossimi fogli del hulleltino. Tutti
sanno esser nota al Pellegrino ed al sommo Maz-
zocchi una porzione di questo magniCco monumen-
to, la quale sin da quel tempo sventuratamente fu
in parte distrutta ( vedi Mazzocchi in mut. camp,
amphit. C. Vili )• Ne parla pure il eh. collega Sig.
Rucca (Capua Velere p. 1 12): ma sembra che non sicsi
avuta giammai notizia se non che di una parte de' porti-
ci, e del recinto esteriore I recenti scavi ci danno una
più chiara idea di questo nobilissimo edifizio, novello
argomento della splendidezza dell' antica Capua. Il
rivestimento di marmo tuttora visibile in alcuni de'
gradi, frammenti di colonne di marmo cipollino, ed
alcuni pezzi anche di marmo con ornati e fregi di
assai fino gusto, sono una valida dimostrazione della
magnificenza dell'opera. Riserbandoci di discorrerne
degnamente in altro articolo , vogliamo qui riferire
un frumento d' iscrizione rinvenuto presso quel me-
desimo sito , che ci venne comunicato dal nostro
egregio amico Sig. Giovanni Sideri. Il frammento di-
ce così :
M AR • •
M FIL. N •
M ■ PRC • •
FAL PV • •
vicmio • • •
M • VICIRIV ■ • • •
ve FRATR • • •
£ in una gran pietra di marmo di larghezza pai.
2 e 3 decimi, di altezza circa parimi tre: i pun-
ti sono triangolari , e le lettere nella prima linea
più grandi vanno decrescendo nelle altre , serbandosi
eguali per ogni due linee. Tutta la iscrizione è cir-
condata per tre lati da una cornice. Nel lato infe-
riore la cornice era interrotta da due laterali incavi,
de' quali ora uno solo è visibile per la frattura del
marmo.
Piacerà a' nostri lettori conoscere ciò che mi ha
scritto solla monca epigrafe il dottissimo Borghesi,
a cui ne diedi comunicazione.
« Constando dal titolo Vir Clarissìraus , che se-
natoria fu la famiglia cui spelta il frammento, potrà
sospettarsi con qualche fondamento che PVdenti si
abbia da supplire nel mozzato cognome di quel M.
Arrio, essendo conosciuto L. Arrio Pudente console
ordinario con M. Gavio Orfito nel 918, per non
far conto del Q. Arrius Pudens soldato dei vigili al
tempo di Caracalla (Kellermann VII. p. 2. 26). Ma
quest' Arrio ostenta insieme l' altro gentilizio di Vici-
rio, onde potrebbe nascer dubbio a quale delle due
case veramente appartenga , se la questione non ve-
nisse decisa dal fratello , che si chiama apertamente
M. Vicirius. Per lo che si avrà da dire , che l' altro
nome di Arrio secondo l'uso famigliare a questi tem-
pi gli provenisse dalla madre, la quale doveva essere
anch' essa di nobil legnaggio , se questo o prima o
dopo ( il che non può giudicarsi se non da chi dalla
forma delle lettere può argomentare dell'età del fram-
mento) pervenne al supremo onore dei fasci. Quindi
se la famiglia materna secondo la mia congettura ado-
perava il prenome di Lucio, riterrò volentieri , che
tanto il suo prenome , quanto le note geneologiche
spettino alla casa del padre, nella quale i! fratello ci
addimostra usitata la denominazione di Marco. Anche
la gente Viciria non lasciò desiderare il suo nome ai
fasti, in quelli delle ferie Latine (Arv. p. 129) segnan-
dosi un' anno non ancor ben determinato con . . . AE-
CIO . . . MO, e con . . . VICIRIO . MARTIALICOS,
che furono sufTefti ai tempi di Vespasiano o poco do-
po. Egregiamente il Marini supplì nei nomi del pri-
mo L. MAECIO PostuMO , che fu un' Ar vale men-
— 39 —
(ovato nella Tav. XXII dell' anno 831 , sul conio del
quale si avrebbe ora non poco da aggiungere : ma
non posso ugualmente applaudirgli , (piando in ri-
scontro del secondo cita un Q . VICRIVS • Q • L •
MARTIALIS (p. 140 nota 33 ) maestro di uno dei
vici di Roma uell' 889 (Grut, p. 290 col. 3, Mu-
rai. 60i. 1 .) essendo che la gente Vicria fu certamente
diversa dalla Viciria, come dimostrano le molte lapi-
di , che della prima ancor ci rimangono. Avremmo
anche un' altro console Vicerio Alariano collega di
L. Maecio Postumo , che sarebbe stato surrogato fra
I'SjI e rSoG, se potesse assicurarsi che la gente Vi-
ceria conosciuta per altre pietre fosse slata la stessa
che la Viciria ; e molto più se potesse prestarsi piena
fede alla lapide Spagnuola, per lo meno scorrettissi-
ma, da cui proviene, riferita dal Grutero p. 321. 10,
ed accusata di falsità dal Maffei A. C. L. p. 319, non
sapendo se basti a difenderla la correzione proposta
dal Marini (Arv. p. 1G4), mentre resta sempre so-
spetto il nome dell'Imp. Traiano, il quale non si ve-
de cosa stia a fare in quel luogo. Del resto può affer-
marsi che la casa dei Vicini fu propria di codeste re-
gioni , perchè a riserva di due liloletti insignificanti
dell' Etruria (Murai. 869. 7, e 1601. 3) quanti altri
marmi conosco in cui si fa memoria di lei, incomin-
ciando dalla notissima Viciria Archis madre del Pro-
console Nonio Balbo , provengono tutti dal regno di
Napoli, 0 almeno da paesi limitrofi.»
Ml.NEnVLNI.
Tavola aquaria Venafrana : continuazione del num.
precedente.
Or che è saputo essere questo un decreto dettato
da Augusto, non avrà più luogo la dimanda, se deb-
ba tenersi come lavoro dei decurioni di Venafro ; sì
bene resta di soddisfare ad una ragionevole questio-
ne , che ci si potrebbe proporre intorno alla natura
del dettalo , se debba stimarsi originale , o copia di
alcun altro anteriore, e se trattalo piano e completo,
ovvero un estratto di articoli da un corpo di leggi. E
quanto al primo , non ci è permesso ignorare esserci
molto innanzi dettate leggi in Roma intorno alla con-
dona e distribuzione delle acque; disposizioni ante-
riori ricorda ancora Frontino , ma un corpo di le^-^'i
raccolte dai senafusconsuUi, non vien citato da verjn
antico scrittore. Anche dopo il 728 bisognando a Ro-
ma rimettere in vigore , o determinar meglio , e più
propriamente, le ordinazioni già prescritte , si usò di
proporre in senato alla sanzione quando una, e quan-
do un'altra disposizione. Riguardo al secondo que-
sito, molto ragionevolmente si terrà che questo decreto
sia un estratto delle migliori leggi romane, e ce ne dà
argomento un luogo di Frontino , ove assicura , che
egli non trova costituito alcuna cosa intorno alle ac-
que dei municipii , ma che di fatto vi si teneva una
regola uniforme e costante, non altrimenti che se fos-
sero state fatte le leggi da ciò: De aquainpraediaso-
cionim data, nihil constitutum inverno; perinde tamen
obsei-vatur, ac iure cautwn (art. 109). Or questo non
poteva altrimenti acca dere, che applicandovi le leggi
romane regolatrici delle acque, e degli acquidolti.
Però in questa redazione osservasi talvolta un andar
contorto, e sintassi priva dei convenienti suoi membri,
e tal altra anche difficile a scusarsi d'errore, siccome
si farà vedere a suo luogo.
Eccone intanto la intera trascrizione in carattere
minuscolo, onde agevolarne la lettura anche a coloro,
che non hanno uso di ricavarla dall'apografo.
Decretum Imp. Caesaris Augusti de Aquae duclu
I Colonorum. Coloniae. luliae. Venafri. Imperatore.
Caesare. Octavum. Tito. Slatilio. Tauro. ilerv.m. con-
sulibus. I
i. Aquae rivos, ductus, qui in rura colonorum la-
buntur, Duumvirum / iuri dicundo, Praefectoruni Co-
loniae permissii fluant : ncminem, colonorum / vena-
franorum, vel qui Coloniae municipes, caducam du-
cere placet.
2. Duumviri, Qualuorviri Aquarum , o:,lium in
aquae duclu, qui per millia paisuum novem in oppi-
dum vcnafranorum tendii , ne aperiant ; colonis ve-
na franis, cive qui colonorum/ venafranonm nomine,
erogari, adtribui, aliove quo modo dari non placet.
3. Qui rivi , specu$, saepla, fontes, pulci, hcusque,
— 40
aquae ducendae, refìcitindae /causa, supra infraveli-
bram, recle acdificali , structi sunt , sive quod / aliut
opus eiiis aquae ducendae, reficiundae causa , supra in-
frave libram, /factum est, uli quidquid carum rerum
factum est ila esse, hahere, et aquas / rcpcerc, repone-
re, restiluere, rcsarcire , semel, saepius, /islulas, cana-
ìes , / (ubos ponere , aperluram commiltcre , sive quid
aliul eius aquae ducen/ dae causa opus eril facere ei
agro; dum qui locus ager in fundo, qui / Quinti Sci-
(jnii Ludi fila Terentina Mulae dicitur , el in fundo,
qui Ludi Pompdi Manii fiìii Terentina Suììae / est ,
esseve dicitur , maceria saejìlus est , per quem locum ,
subve quo loco / specus eius aquae iter init, ni ea ma-
ceria, parsve quae eius maceriae / al iter diruatur, mo-
vealur , quam specus reficiundi, aul inspiciandi cau- j
sa familia aquaria caverit , quo minus ea aqua ire ,
fluere, ducive possil / quo velini ; cuius rei causa, dex-
ira , sinistraque circa eum rivom, circaque/ eam ma-
reriam , quae aquae ducendae causa facta sunt , oclo-
nos pedes agrum /vacuum esse placet, per quem locum
venafranis , cive qui venafranorum / col onorum no-
mine, iter facere eius aquae ducendae, operumque eius
aquae / ductus fadendorwn , refìcicndorum , quod eius
sine dolo malo fiat, iui sii, licealque / Quae quae aquae
earum , cuius facicndae , re/iciendae causa opus erunl ,
quo / proxume poterit , advehere , adferre , adporla-
ìc, quaeque inde exempla erunl / quam maxime ahs
agri dextra , sinistraque pedibus odo iacere ; dmn ob
eas res damni I infecli ius dari promittatur , earum-
que rerum omnium ita ei agendarum / Duumviris ve-
nafranis ius poleslaleìnque esse placet ; dum ne ob id
opus fons Mi I nuciorum, ctiius agri, locive, ])€r quem
agrum, locumve, ea aqua, is aquae / ductus se feri, in-
vius fiat , neve quis dolo malo opus minus ex agro suo
in parlem agri / quam iransire , transferre, Iransvertcre
recle possit : neve qui eorum , per quo / rum agros ea
aqua ducitur, eum aquae duclum corrumpere, abducc-
r? , aver lieve , facereve quoniinus ea aqua in oppidian
venafranorum rccie duci fluere possit, liceat.
4. Quaeque aqua in oppidum venafranorum it ,
fluii, ducitur, eam aquam/ distribuere, discribere ven-
dundi causa, aul ci rei vectigal imponere, consti / tuere
Duumviro, Duumviris, Praefeclo, Praefeclis eius Co-
loniae ex maioris parlis decufi/ onum decreto , quod
decretum ila factum eril, eum in decurionibus non
I minus quam duae partes decurionum adfuerint , le-
gemque ei dicere ex/ decreto decurionum, quod ila ut
supra scriptum est , decretum erit , ius , pò / testatemve
esse placet ; dum ne ea aqua , quae ita distributa , di-
scripla, deve qua/ ila decretum eril, aliler quam fislu-
lis plumbcis dumlaxal ab rivo pedibus quinqttagin-
ta ducatur ; neve / eae fistulae, aul rivos, nisi sub ter-
ra , quae terra itineris viae publicae, limi/ tisve erit ,
ponantur, conlocenlur ; neve ea aqua per locum priva-
tum invito co , cuius is locus eril , ducalur ; quamque
legem ei aquae tuendae, ope / ribitsve, quae eius aquae
ductus , ususve causa facta sunt, erunt, luendis, . . . in
decreto , cpiod ita, ut supra scriptum est , factum erit,
dixerinl / ila caulum, ius polestalemque esse placet.
nuntiare . . ab humo ducanl lem . . . / agi , tunc aliut
iter factum ad eam aquam pruder quam faciundae ,
re / ficiundac causa quibus venafran. ordinarios pa-
tronos, qui boni / denl : ob quas causas dum taxat se-
slerlios decem mille dabunt in aerarium, qualuorvirum
iudicio;/dcque viginli duabus fislulis aquas colonis co-
loniae venafranae vacivas, aul ca / ducas , quas addi-
cent, quominus rcieclio, quam colono, aul incolae face-
re /licei . . . eum eo qui ex hac lege erit, factum ita, ut
supra scriptum est, dum crini aptit quem) agilum da-
lum eril , agcnl, eum , qui inter civis et peregrinos ius
dicet, iudicium I reciperatorium in singulas res sester-
lios decem mille reddere, testibus , qui dum taxat de-
cem, dcnun / tiandis, iudicari placet; dum reciperalorum
reiedio inter eum qui aget, el / eum quoeum agetur ila
fìeft itti ex lege qjuae de iudiciis privatis lata est/li-
ccbit, oportebit.
(continua) Garrucci.
P. Raffaele Garrccci d.c.d.g.
Giulio Mi>ervini —Editori.
Tipografa di Giuseppe Càtaneo.
BllLETTINO ARCHEOLOGICO IVAPOLITWO.
NUOVA SERIE
N.o 6.
Settembre 1852.
Due Iscrizioni fremane di Pennaluce. — Osservazioni sulle monete di Napoli colla proiome del Sebeto.
Giunta alle osservazioni sid vaso di Oritia.
Due Iscrizioni frentane di Pennaluce.
Il museo del Vaslo formatosi con rara generosità
di libere e gratuite cessioni dei proprielarii per lode-
volissimo consiglio del sig. D. Luigi Marcliesani, au-
tore ben noto di un'accuratissima storia di quella Cit-
tà , ha di recente avuto in dono due rare tavolette di
bronzo dalle terre di Pennaluce. Sono scritte ambe-
due in carattere sannitico, ma di forma non comunis-
sima, e di dettato importante assai, contenendo quasi
ogni parola una novità. Ecco la lettura, e la interpre-
tazione della prima (Tav. III. n. 2),
DRR>«^liqRVB -^RR)!
18V«^mTBV.ÌiaHD
TTBn«(]V^iH3>l
Calavio Osidio (figliuol di) Gavio
Vibio Ottavio ffigliuol dì) Ofdio
Censori anno aperto ....
Primo pregio di questo bronzo è , che da esso ci
venga tutto intero l'alfabeto eccetto la W, lo che cer-
tamente in monumenti di sì piccioia mole non potrà
. spesso accadere. La paleografia qui è notevole per
la seconda forma dell" R assai rara , per la maniera
con che è cavato 1' 8 ed il ^ , per la i non veduta fi-
nora , e per un secondo esempio dei due li legati a
traverso H. Il primo Censore chiamasi Caal. Hiisi-
diis. Altro nome osco che cominci colla sillaba Cai,
non può aver maggior dritto di Calavio , Caluvìo , e
Calinio a, compier questa voce. Scelgo Calavio come
JNNO I.
più solenne, ed osservo, che in ogni caso, egli è nuo-
vo r uso che se ne fa qui di nome personale. Nella
linea seguente vedremo anche Ofdio , star per nome
proprio del padre di Vibio Ottavio. Laonde si diman-
derebbe giustamente, se i popoli italici di razza san-
nitica abbiano universalmente usato veri prenomi ,
come i Romani; cioè nomi distintivi delle persone tra
di loro di forma, e di uso particolare; o non piutto-
sto abbiano la più parte portali due nomi, togliendo-
ne uno dal padre, e l'altro a scella. Gli esempii dei
creduti prenomi sono ora mulli|)licali in guisa , che
la vincono quasi al confronto dei nomi, lo che parmi
segno manifesto da riconoscere l' errore. Confrontisi
per esempio Pupdiis Slenis ( Mom. die Unter. Dial.
p. 189), e Stenis Calinis{ìd. p. 193) Z. Ilurliis
Cm (id. 174) e Cm Babbiis (id. 177), Pc. De. Pe
(id p. 171.), e De Slatiis {id 173), Dee. Tre (id.
18.t), Ni. Pupd ( 18'0, e Tanas Niumeriis (173),
Ocius Calavius (Liv. IX. 26) e ^IDV • A in Pompei
di mia lettura (il Mom. Taf. XI. 29 e legge 3V«A)
Percen Gaaviis ( Mom. XV ) e Gaaviis Hùsidiis qui
medesimo. Quali di questi debbano riputarsi preno-
mi di lor natura , io non so dirlo. Per lo contrario
nella Italia primitiva non mancano esempii di questo
costume , e con due nomi si appellano Metius Fufe-
tiìis Albano, ed Octavius Maìnilius di Tuscolo , Mo-
dius Fabidius Sabino di Curi, Tullius HosliUmùìMc
duUia , Attius Tullius Re Volsco, Mamurius Veturius
nei carmi Saliari , Gellius Egnatius, e Gellius Staiius
Sanniti, Pontius Cominius, ed Arcius Navius Roma-
ni, Laevius Cispius di Anagni, Vavcius Vitruiius Ge-
nerale di Fondi , e di Piiverno, Vettius Messius \'ol-
42 —
SCO , Novim Plauiius forse Latino , Dindia Macoì-
nia di Palestina, Egnalius Mecennim dei tempi stessi
di Romolo, e Mammins Velurius di Numa, Dionigi
d'Alicaruasso ne insegna a riconoscere nei nomi 5e/--
vius, Naevius, e Lucius un Trp'-.sriyopixòv t'ycixx, ed in
TuUius, Auim, e Tarquiiùus im auyysyix'A, x%) ttcì-
fTfuiwixrAv (Dion.A.R.III 65). Così portava due nomi
Miui Ascanius ed Egciius Tarquinius figlio di Arum
Tarqutnhis, così Meltius Curtius.Cìò non ostante, Feste
notò elle Talus in Latinorum nominibus pracnominis
loco faisse videlur (FestusQu.XVI. I .ed.Miiller.il quale
ricorda opportunamente il TctXXos Trpctvvos di Sabina
compagno di Tazio appresso Dionigi L. II. 46), il Ma-
mcrcus Ira gli Osci ( L. XII.p. 1 30 Miiller), ed il Manius
in Ariccia (id. s. v, cf. Jahn ad Persii Sai. VL p. 22o),
Vanone il Crepuscus di Amiterno (L. L. VI. 7). Pare
quindi , che si debba star cauli ad ammettere trai
prenomi, quanti nomi si veggono tenerne il luogo; per-
chè v' ebbe un altro modo di denominarsi trai popo-
li italici. Onde parmì questo costume del y.otviv òycix%
si venisse a poco a poco a distendere , preudendo il
luogo del TrpoffYiyopixóv più vetusto.
Questi piccoli schizzi gettati così, come si suole in
articoli di questa natura , daranno , spero , luogo a
più mature considerazioni , onde diminuire i pregiu-
dizii intorno alla regolarità dei nomi e prenomi nella
Jingua segnatamente Osca, eSannitica. Tornando ora
alia nostra tavola; il nome Caal leggesi scritto con due
R, come HnRRn e ill)l)IRRm sulle monete, ^IDRR>
qui stesso, e nella lapida di Nola (Mom. Unt. Dial.
p. 178. ). Aggiugnesi poi il secondo nome Hosidio.
Questa gente elevossi in Roma sol negli ultimi tempi
della Republica, ricordando Appiano (B.C. p. 613),
e Diodoro (p. 498. Vessel.) un //osidt»s Ce^a salvato
dal figlio al tempo delle proscrizioni di Siila , e i fa-
.sti consolari il Cneus Hosidius Gela all' 801 consorte
di Lucio Vagellio. Potevasi quindi sospettare la sua
origine straniera, ed ora ci viene un buon argomento
da riputarla Sannitica , e Frentana. Il Vasto ci ha
dato alcuni Osidii , un Q. Hoddio Al. . è nella rac-
colta del Momm. (/. N. 5268. num. 86.) un C.
Hosidio C. . . con Ire suoi Uberli ho copiato io me-
desimo nel musco del Vasto ,
V C HOSIDIO C • •
veTeran • •
c hosidivs • c • l-
patrono • et • sir/
etchosidio clisi
IIOSIDIAE 0 FAVSTae
In altra lapida ricorre la memoria di un altro C.
Hosidio a cui una Calavia pone il monumento ,
D
C • HOSI • •
CALAVIA • •
Ed in fine son ricordati in altra pietra (Ilosi)dio Ne-
pole a cui il figlio Ti. Hosidio Massimo ed Hosidia
Afiodisia moglie pongono la memoria sepolcrale
(Momm. /. A'^. num. 5268). Questo Calavio Hosidio
era figliuolo di Gavio, il qual nome leggesi distesa-
mente scritto anclie nella lapida di Numsio Erennio
citata più sopra. I nomi cominciano a significarsi con
parole tronche, e finalmente con sigle, quando son
passati neir uso generale a farla da prenomi.
La mancanza di abbreviazioni, e di sigle dimostra
generalmente una maggiore antichità del monumento.
Se la sigla > delle monete di Papio Mutilo debba in-
terpretarsi, come fa il Mommsen Gavius, io non de-
finisco. Ben parmi non esser sicuro affatto , che Ca-
ius o Gaius come si legge nei cenotafii Pisani ( v. le
osservazioni del Noris T. IL p. 183, 184, MùUerad
Fcslumi». 95 Osann, cxcurs. /. ad Cic. deRep.)&ia l'e-
quivalente di Gavius, specialmente se deve tenersi
maggior conto della interpretazione accennata da Plu-
tarco [Quacsl. Rom.c.SO), e bene sviluppata dal Furia-
netto {Lap. d'Eslepa^. 68), che della etimologia poco
soddisfacente dell'Autore de Nominibus, che tal nome
deriva a gaudio Parenlum ( L. X. Valerli Maximi ).
Nella seconda linea è nominato Vibio Ottavio fi-
ghuol di Ofdio , i quali nomi crescono di mollo la .
importanza del monumento. Perocché per comincia-
re da Viibis, chiunque ha letto la nota posta alla pa-
gina 25, e 26 del primo fascicolo del Tempio di Iside,
avrà rilevato quindi, che il V passato nella categoria,
dei prenomi per le città italiche già romane , non
aveva finora verun confronto, che ne assicurasse del-
la interpretazione Yihius , o Vibus proposta già dal
^3 -
Borghesi [Suovi Fram. dì Fasti parte l.p. 83.). Che
assai bene siasi apposto quel sommo, forse Io proverà
questo bronzo : almeno rileveremo, che il ì'iftus del
prof. Mommsen [Unler. Dial. p. 2G0) non può aver
luogo fra le conghietture felici. Ma nel ^0H3 gua-
dagnansi ancora due altre novità. Perocché i due II
vi son congiunti da una Irasversa appunto come sul-
la moneta di Alife leggesi AH8HA , e 1' I vedesi
sormontato da un punto ì , che niuno in altri monu-
menti aveva sinora fatto rilevare. A determinare il
valore di tal nuova cifra fa duopo rappresentarsi, che
naturalmente il nominativo avrebbe dovuto finire in
^11 , alla qual forma corrispondente all' IVS dei La-
lini vedesi talvolta sostituito un ^1 , siccome qui in
Octavis. Quindi può dedursi che doppia ne era la pro-
nunzia in es, ed in is; e perchè alcuno non stimi que-
sta ^I un'imperfezione, o varietà ortografica , ricor-
do , che queste desinenze in ^1 ripetonsi su leggende
latine , ove non può esser dubbio il suono dell' ^1
osco. Nella mia Storia d'Isernia a p. 186 feci uso di
questa osservazione citandone gli esempi dai vasellini
di S. Cesario trascritti dal Baldini [sag. deU'xicc. Cor-
ion. T. I. diss. 8), al quale aggiusta fede il Q. CAE-
CILIS, l'HlMlNIS, il M. SIICTILIS , il T. TVSA-
NIS del Chircheriano , copiali da me, e prima, seb-
bene non esattamente, dal Lupi {Epit. S. Severae pa-
gina 89, 93).
Quanto all' I , alcuno non ha notato ancora questa
singolarità paleografica , tultocchè non sia questo il
primo monumento , che la mostri. La celebre tavola
di Crecchie ne ha di quelli che somigliano al nostro
fra i diversi, a cui riunisce un punto in quell'alfabeto
or da un Iato, or da due, or da una estremità, or da
ambedue. Nella voce J-nW , in irKEJ, ENEi , in
VI3A-l-n, in ^3liV|^, se ne veggono le forme non me-
' no di sei, e sono !• i ! ì* I •!• degne di paragonarsi alle
dieci forme diverse di Y riconosciute nell'alfabeto Li-
cio. Né ciò paia strano; peroccliè anche nella pronun-
zia romana trovavano i Grammatici non meno di sei
suoni della L Prisciano scrive, (p. 559. Putsch.): /e<r
vocales quando medìae sunt àlternos inter se sonos vi-
dentur confundere, teste Donato ut VIR, OPTIMVS.
Et I quidem quando poH V consonantem loco digam-
ma fmictam aeoìici ponitur brei'is sequente D , tei M,
vel R, rei T, rei X, ^onum Y Graecc videlur habere,
ut VIDEO, 1 /.»/, vinns. yirivM, rix. (cf.
Vello Longo De Orthogr. 22 IC). Quintiliano distin-
gue la I lunga, la breve, e la consonante, ai quali cin-
que suoni aggiunge il suono medio tra la E , e la I ,
quando neque E j>lane , ncque I auditur ( Quint.
//i,s/. Orai. L. l. cap. IV.). Quello, che non mi so
spiegare è , come non sia stato osservato questo se-
gno , non dico già nella scrittura della pietra di
Crecfhio , dove mancò solo di essere inleso , ma
nella gran tavola del Giove Libero diFurfone (Moni,
num. 6011 ), ove non meno di trentasei I veggon-
si sormontali dai punti ! ben degni perciò di venire
a confronto del novello bronzo di Penne , non meno
che della iscrizione di Fiume da tanto tempo trascrit-
ta e pubblicata dal p. Zaccaria [Instit, Lapid. L. II.
e. XL p. 281. Venezia.)
C • LiViO • C • F • SERG.
CLEMENTI • MiL • COH • Vili
PR • > • C • MARCI • GEMELLiXi
LiViVS-OBSEQVESLiB
VF-
Al bronzo di Penne fa buon confronto la sannitica
moneta di Hyrium , ove l' Avellino aveva notato un
I contrassegTiato dal punto sottoposto [in Carelli tah.
p. 31. Lipsiae ed. Caved. ), che in un altro esempla-
re, tenuto da me solt'occhio ora che scrivo , è invece
notato di sopra AHIQY. Segue al prenome ^iIIH3 il
nome ^DRTBV con novità di non minore impor-
tanza. Perocché trovo la prima testimonianza della
gente Octavia fra i Sanniti Frentani che si sapeva fi-
nora Volsca in Velletri (Suet. Aug. e. 1. 2), Latina
in Frascati (Liv. 1. 49 cf. 10, 41), Etrusca in Pe-
rugia (Vermiglioli. Imcr. Perug. p. 7472, 182,
267); tra i quali ultimi ricorre collo scambio del >l in
a, come appunto nella nostra. Lo che veggo tornare
a buona conferma del ^3IBaRHH , e del ^laiBROFJW
( Momm. Unt. Dial. Taf. XIII. 47 ) , da me in-
terpretato Marcius , Marcii ( Osservaz. intorno ad
una Iscr. Osca. p. 6 , 7). Dopo ì'Octavius sison sal-
vati gli avanzi del oome paterno , che io credo Of-
dius , e me ne dà l' unico riscontro la lapida di Col-
lellara (Giovenazzi Accia XXXIV, 3 Momm. I. N.
n. 5763 ) , nella quale è L. OFDIVS. L.F. PET.N.
11 Giovenazzi Io ha paragonato il primo con Ofidius,
ed Aufulius, e stimo che a ragione riguardo al pri-
mo. So che altri si allontana da questa opinione, ma
io leggo nella lapida forse Puteolana del Museo Spi-
nelli :
MVINICIVSML-
GAHA
MVINCIVSML.
KAIETTANVS VIXANXV
MVINCIVSML FELIX
La copia del Guarini, e quindi del Mommsen ( n.
3437) malamente trascrive per tutto VINICIVS. Pa-
ragono il Vestricio di un anello trovato probabil-
mente in Capri nel 1808, T. VESTRICI APHNI,
col hVH>ll(]IT^33 del cippo Avellano , poi Obdius
con OhiJius , Numsius con Numisius , Caldius con
Calidius, Vtcrius con Vicirius, Decrius con Decirius,
Cainius (da monumento inedito) con Casinius, e mi
parvero, che si usava talvolta questa sincope. Qualche
ripugnanza sol trovo di accomodarmi a creder lo stes-
so Ofdius ed Ovidius ; tullocchè non ignori lo scam-
bio della F in 8, che sulla moneta di Nocera è solenne,
leggendosi ^HVkl(BTR8R^fq , ed WVH(BTmR^R.
Segue il piccolo bronzo a regalarci nella parola
QV^lH3)i altre novità rilevantissime.
Fino alla scoperta della colonnetta di Macchia vi-
cino ad Agnone [Bull. Nap. IV. 71), il i era occor-
so solo nelle monete della guerra Sociale , messovi
però in segno numerico, siccome lo Y, del quale non
si hanno ancora riscontri d'uso alfabetico. Laonde il
Mommsen dubitò di ammetterlo nell' alfabeto usuale
( Bull. Nap. V. p. 44 ) , non bastando a farvelo acco-
gliere l'uso che ivi se ne fa di sigla prenominale, sic-
come ai K latino , die' egli , non fu sufficiente servire
al prenome Kaeso, onde entrasse nei dritti di lettera
alfabetica Latina. Dunque sicuri finalmente dell'indo-
le di questo elemento, vediamo di definirne l'uso pri-
mitivo. Gli alfabeti danno al zeta un valore di sibilan-
te , ma non di doppia. Questo suono non mancò agli
Etruschi , non ai Greci italioti , non ai Messapi , e lo
rilevo ancora nei graffiti sui fondi di vasi dei sepolcri
Campani , e su di una parete pompeiana , che dici-
frerò in altro luogo. I Romani, a giudizio dei Gram-
matici, tardi lo adottarono, ma la testimonianza di
Vello Longo , che lo aveva trovato nei carmi Salia-
ri , prova che l' alfabeto con che erano scritti , non
era ancora Romano. Da questo lato la questione in-
torno alla origine del ^ non riguarderebbe più la for-
ma materiale dell'elemento, sibbene l'impiego che se
ne faceva in quei primi tempi.
Se Medenùus fu l'antico nome di Mezmtius (Pri-
scian. L. 1. cap. ult. 551. Putsch.), per lo contrario
Giove che nell'antica lingua del Lazio fu scritto DIO-
VE ( Creili n. 1287. Bull. InslH. 18l6. p. 90. Quin-
til. Inst. Orai. I. e. IV. ) , in un singoiar contrapeso
di telaro del Chircheriano tuttavia inedito , è ZIOVI.
Nella lingua Arabica è un suono di dentale sibilante ,
che potrebbe dare qualche idea della pronunzia del
Zelha primitivo di questi popoli italici ; non è un S
né un D chiaro, ma un suono medio tra l'uno e l'al-
tro (dtha). A dir preciso è un D aspirato , al quale
i Sanniti Frentani aggiungono 1' ^, come i Greci anti-
chi, dopo inventate le cifre S e Y scrivono X^ e 0^.
Adunque QV^HB)! è lo stesso che CENZOR, sicco-
me COJA.eCOZA, MALIES e MALIEZA sulle mo-
nete. La lingua Sannitica fra i Lucani pronunzia CEN-
STUR , tuttocchè facciasi grande inpiego del Z per S
in parecchi vocaboli della tavola Bantina. Ciascuno
sarebbesi aspettato un plurale in luogo di (lV^lH3)l
come ^I3)il^3m , nondimeno la forma più frequen-
te di questo plurale è MEDIJ pel bronzo di Anti-
no , ^^IR^Sm nella lapida Nolana ( Momm. Unt.
Dial. p. 178) , MEAAEIS nella Mamertina (Mora.
op. cit. p. 193.). Dell'ultimo vocabolo di tutta la leg-
genda ci è rimasta la prima parte nelle quattro lettere
TTRn. Stando al paragone di ^H3TRn sul cippo no-
lano, il senso del quale non può esser controverso , e
di hRHRTRn del bronzo di Agnone , parmi assai
verosimile, che il nuovo vocabolo debba avere quel
medesimo senso causativo, corrispondente alla forma
Hiphil degli Ebrei, e che i Latini diedero appunto alla
voce Palare { = facere ut quid pateat) , Aperire. Se
altri coll'esempio di Pelora (=.qualuor=rirofoC) osco
slima derivarlo dal greco TrorTw ( = 7raWw) figo ,
— 45 —
troverebbe come conforfar la sua opinione nel dida-
lorio figere ; ma nei due casi tal vocabolo non dovreb-
be molto allontanarsi dalla desinenza plurale in ^H3,
onde a parer mio, l' intera voce sarebbe ^H3TTRn.
Il frammento di bronzo del u. 3. T. III. scritto da
ambedue le facce viene dalle stesse terre diPennaiii-
ce. Le due parole intere , cliè non fa luogo tentare
le monche, WW>I|-I ed ^3^QV fanno sospettare
un registro di paghi , o villaggi e forse anche città.
Acca, Ursae ed Ursenhim, queWa tra gì' Irpini, queste
nei Brutti] potrebbero giovare al paragone.
Garricci.
Osservazioni sulle monete di Napoli colla protome
del Scbelo.
È veramente classica la scoperta del mio eh. col-
lega P. Garrucci , il quale riconobbe per la prima
volta il nome del Sebeto in due monetine napoletane
possedute dal signor giudice Riccio , e di cui trovasi
la descrizione a pag. 17 di questo bulletlino. Nel con-
gratularmi con lui di sì fortunato incontro, mi sia le-
cito aggiugnere alcune osservazioni a ciò eh' egli dot-
tamente ne ha scritto. Il mio collega conghietturando
che l'originario nome del nostro fiumicello esser dovea
Sr,(3*]5)os , stima che nella forma del dialetto beotico
tramutossi in XriirH^os. Opina quindi che debbasi
quella denominazione così variata alla colonia Euboica
di Calcidesi e di Eretriesi , di cui parla Slrabone (V,
4,7.). Comincio dall'osservare con lui, che il nome di
%ri^r\^o5 non trovasi in alcun greco scrittore; e soltanto
negli autori latini comparisce quella forma. L' unico
monumento greco ed arcaico, che ci presenti il nome
' del Sebeto,è appunto la moneta , di cui un doppio esem-
plare si possiede dal Sig. Riccio. Sicché non siamo
autorizzati a supporre una forma differente in tempi
remoti sol perchè in tempi posteriori trovasi adope-
rata da scrittori latini. La somiglianza del suono del
7r e del (3 fu causa talvolta che queste due lettere si
scambiassero nella pronunzia anche ne' nomi geogra-
fici , ne' medesimi sili a* quali le denominazioni ap-
partennero. Ricorderò a tal proposilo le monete di
Bizanzio, nelle quali il nome della città e indicalo or
dalle lettere ITT, or dalla iscrizione BTZAXTIiZ.N ,
come derivato dall'eponimo eroe che ITt'^xS e Br^aj
venne appellato (Bekker anecd. t. IH. p. 1 1 86 ; Chae-
robosc. in T/icorfos. p. 3fl) (1). Il Sig. Piiuler facendo
la illustrazione di quelle medaglie (a;i«a/. deli hi.
1 834 p. 207 seg.), molti altri esempli aggiugne dello
scambio del /3 col tt, i quali non si riferiscono a parti-
colari dialetti: p. 310. E volendo citare un altro esem-
pio numismatico, ricorderò alcune monete di .\mbra-
cia colla epigrafe .\MriPAKmTA\(Eckliel(/oofr.II,
162), le quali furono a proposito richiamate dal eh.
Cavedoni [spicil. numism. p. 38). Né son da tacere
due altri esempli , che ci fornisce la numismatica de'
re della Caracene , il primo della epigrafe .VPTAriA...
per dinotare Artahazo (Visconti icon. gr. voi. Ili p.
263), ed il secondo EPTAITANOT per Artabano
(Id. ibid. p. 269). Oltra questa varietà di pronunzia,
che non è certamente dovuta a dialetto , osservo che
i latini tramutarono ancora talvolta il ■tt nel loro B
anche ne' nomi geografici : e citerò il notissimo ITy-
^oùi , a cui corrisponde il latino Buxcnlum ; ed a
questo potrebbero ancora aggiugnersi altri non dissi-
mili esempli. Da tutto ciò vogliamo desumere che non
può dimostrarsi essere la forma Si^prjSos originaria e
primitiva del nome del nostro fiume, anzi ci par pro-
babile r opposto , cioè che Xri'Trsi^os sia la più an-
tica denominazione. Il motivo , che ci spinge a cosi
pensare , si è che la voce 5rii3r|.'ìos non offre alcuna
greca derivazione (2) ; laddove il Xy]7nt!^oi può deri-
varsi da molte voci , con significazione non isconve-
niente alle acque (3). Credo utile richiamare a con-
fronto del vocabolo Xr\-7riiBo5 un' altra parola , che
leggesi in Esichio : dir voglio SaViSos , che il lessi-
cografo dice significare un particolar sagrifizio presso
(I) È conosciuto che l'eroe MtTxfios die nome a' Melaponlini:
( Eckbel doctr. 1 p. 15G). Di questa varietà di MéVa/Jose ìVh-
Toaróvriov vedi il Mazzocchi ad lab. Heracl , p. 99.
[ì) Non debbo intanto tacere che presso Nonno trovasi il nome
%-nfìihs attribuito ad un Satiro : Dionys. XXXII, v. 22S.
(3) Non parliamo per ora di queste derivazioni, sulle quali fare-
mo altrove una particolare discussione.
— 46 —
i PaGi. Noi nulla sappiamo di quel sagrifizio (Eugel
Kyproi t. II p. 163) ; ma ravvisiamo una notevole so-
miglianza fra quelle due parole, alle quali dee proba-
bilmente attribuirsi una comune derivazione , ed una
simile intelligenza. Da questo qualunque siasi confron-
to potrà desumersi che S-n-^J/^o? sia dovuto a jouica
o attica forma.piuttosto che a beotica, non altrimenti
che il NEHnoUlJ di altra rarissima medaglia, ed il
NEonoUlTEJ di non poche altre monete. In confer-
ma dell' jonismo o atticismo delle monetine del Sig.
Riccio parmi appunto la iscrizione del rovescio , ove
si legge NEonc )HTE[^] : ed avrebbe dovuto trovarsi
^ EonoUTAS , quante volte fosse stata la moneta
coniata sotto la influenza del beolico dialetto , sicco-
me ne avvertono lo stesso Garrucci , ed il Cavedoni ia
Carelliitah. p. 23 n U-U.
Sicché le monetine, delle quali discorriamo, sono,
a mio giudizio, dovute alle Attiche colonie, e si risen-
tono di puro atticismo, senza mistione di altro diffe-
rente dialetto. Comunque sia di queste nostre osserva-
zioni, che sottomettiamo al giudizio dello stesso nostro
collega , a noi pare che le monetine di Napoli posse-
dute dal Sig. Riccio diano luce ad un' altra quistione.
A tutti è noto quanto fu scritto sul toro a volto uma-
no, che appare sulle medaglie della Campania e della
Sicilia : altri rapportandolo al Bacco-Sole (Ebone de'
Napolitani), altri ad Acheloo, o ad altro dio fluviale
indigeno (Echkel dodr. t. I. p. 129 e segg. ; Avellino
opuscoli v.I p. 81 e seg., v. II p. 139 segg.; e bullcU,
napol. an. VI p. oO ; Millingen rccueil de quelq. med.
gr. inéd. pag. 8 e seg. ; Mùller Gotiing. Gelh. Anzci-
gen 1829 p. 20oO segg. Handhuch §. 403 not. 2 p.
6.'i8 ed. Welcker: Slreber negli alti dell' Accademia
di Monaco t.II; Wieseler in Zeilschrifl der AUerlhumss-
tviss. 1843 pag. 503 e segg. ; de Witle rev. numism.
1840 p. 397 segg. Letronne journ. des sav. 1832 p.
176-177, Cavedoni spicil. numism. p. 25 not. 33,
Lajard, nelle mcin. de l'Ac. des inscr. et belLlctlr. v.XV
p. 98 ctc. ). Ora le nostre medaglie, che ci presentano
le forme del patrio fiume indicato dal suo proprio no-
me, vengono a distruggere la idea espressa particolar-
mente dal Mùller , che un dio fluviatile dovessse rav-
visarsi nel toro androprosopo. 11 Sebeto e non già altro
fiume trovasi rammemorato nella numismatica napoli-
tana: e questo è rappresentato come altri fiumi di a-
spetto giovanile ed imberbe , e con taurine corna ,
non già come toro con volto senile e barbato. La no-
tevole differenza delle due immagini ci conduce a ri-
conoscere la diversità delle divinità , che si vollero
effigiare (v. Avellino opusc. t. II p. 168). E questo
ci sembra un altro argomento per accedere alla opi-
nione dell' Eckhel e dell' Avellino , che il Bacco toro
ravvisarono nel toro androprosopo (l). Se nel ritto
delle medaglie del Sig. Riccio comparisce seaz' alcun
dubbio il fiume Sebeto , nel rovescio vedesi effigiata
la Sirena Partenope, presso un'urna rovesciata. È
notevole che in alcune monete diTerina vedesi la Si-
rena Ligea coir idria sulle gambe, ed in rapporto eoa
un fonte (Avellino opusc. tom. I tav. I n. 6 vedi pag.
133 segg.). Talvolta è seduta presso un'idria (Carelli
lab. CLXXV III n. 28 e 30. ).
Non farà certamente maraviglia la relazione delle
Sirene colle acque (vedi Ovid. art. amat. Ili , 311 :
ed i miei mon. ined. di Barone p. 60). Ma tanto più
si rende notevole, quando si paragoni un classico luo-
go di Licofrone, che mette in relazione le Sirene Par-
tenope, Leucosia, e Ligea co'fiumit presso i quali fu-
rono sepolte [Cassand. v. 712-37). Già il commen-
datore Avellino vide tutta la importanza di questo pas-
saggio , richiamandolo a confronto delle medaglie di
Terina e di Napoli col tipo delle Sirene {adnot. in Ca-
rell. p. 19). Ora le monete di Napoli del Sig. Riccio
trovano una più evidente spiegazione ; giacché l'urna
rovesciata allude al sepolcro della Sirena in vicinan-
za delle acque ; siccome ha notato il Garrucci : ed
io aggiungo che la testa del Sebeto ci fa conoscere che
le sue onde, e non già quelle del Clanio, ne bagnavano
la tomba; giacché , siccome avverte Slrabone, anche
(I) Tra'varii luoghi relativi al Bacco toro è notevole la cantile-
na delle donne Elee presso Plutarco quaest. Graecae, 36 cf. de Isid.
et Osir. ^'à , sulla quale si vegga ciò che scrive il Sig. Koester
de canlUenis popul. vet. Graccor. pag. 41 e s. È degno di osser-
vazione che traile antichità di Ninive comparisce il toro a testa uma-
na barbata, però senza le taurine corna, ed alato: vedi Layard Kine-
veh and ils remains C. V nella tavola di fronte alla pag. 127
del 1. voi. della edizione di Londra del 18t9. In questo non può
non ravvisarsi una solare divinità ; e ninno penser< bbe ad un dio
delle acque.
a' suoi terniìi moslravasi in Napoli il nionumcùlo di
Partenopc (1. V, 4, 7; vedi Slat. fylv. 1. 5, 3, v. 104
sog. , e Plinio lib. Ili e. V). Nò valgono le contrarie
osservazioni del IMarlorelli [ih. Calam. p. C80); giac-
ché il fiume rXavl?, di cui parla Licofrone, esser do-
vrebbe presso al sepolcro della Sirena , il che non
conviene certamente al Cìanio. Sicché, a mio giudi-
zio , nel rXotvìs di Licofrone dovrà ravvisarsi un al-
tro nome del Sebelo; nome significativo del pari che
Xrj'T-iJìos, siccome faremo rilevare in altra occasione.
Per la occasione, che ce ne porge il dolio articolo
del Garrucci , vogliamo dire alcuna cosa sugli altri
fiumi ravvisali nelle medaglie. Pria di ogni altro vo-
gliamo osservare che 1' MIR riconosciuto in una me-
daglia di Posidonia (Mionnel $uffl. toni. I. pag. 30G)
pel nome del fiume "Is (Lycophr. Cms. v. 724) da
Avellino [hullelt. ardi. nap. an. I. p. 24) , era slato
già come tale ravvisato dal Barlhélemy {mém. des in-
scr. et hell. lellr. voi. XLVII p. 179-180). E l'esser-
si in una medesima opinione incontrati due dottissimi
numismatici è un grande argomento della probabilità
della loro conghiettura. Per quanto ci persuade la spie -
gazione del Garrucci, che ravvisa il 5a(/ras nella testa
giovanile con piccolo corno di una rarissima mone-
ta di Caulonia (Avellino huU. Nap. toni. VI tav. IV,
20 ) : non posso però aderire alla sua conghiettura ,
con che al medesimo vorrebbe riferire il tanto con-
trastato tipo di quella città , sul quale anche noi pre-
sentammo una particolare opinione ( bui. arch. nap.
an. IV. pag. 133: vedi ciò che se ne dice nell'a/c/i.
Zeit. del Gerhard, gennaio 1848 p. 208). Il nostro
collega fonda la sua spiegazione sopra una medaglia
pubblicala nel bulletUno arch. napol. an. I tav. Vili
n. 21 , ove crede di ravvisar le corna sul capo della
figura percotente col ramo; ma a noi sembra che sia
la chioma in parlicolar modo disposta : tanto più che
in tutte le altre di bellissima conservazione non osta-
ta mai osservata la particolarità delle corna. Né poi,
a parer mio, potrebbe rendersi conto delle più com-
plicate composizioni , nelle quali si trova la figura
percotente.
Parimenti non parmi doversi ritenere come effi-
gie del Sarno la testa con arielinc corna, visibile
nelle medaglie di Nuceria '. Friedlaender oìÌì. Mun~
zen pag. 21 seg. tav. IV . .Alalgrado le osservazioni
del Millingen {Comùl. p. 198.), noi crediamo che
sia da preferire la opinione di.Vvellino {atti della soc.
Pont. v. I. p. 319, Lai. vel. numism. v. I. p. 101.
opiisc. voi. I. p. 94 , s. ) , seguilo dal eh. Cavedoni
{bnlletlino dell' hi. 1839 p. 138), avuto riguardo
al classico luogo di Suetonio (^?e dar. rhetor. IV),
che non ci sembra soggetto a dubbiezze. Sarebbe in
fatti nuovo il veder corna di ariete, e non già di toro,
che sono quelle allribuite a' fiumi da Strabene (X e.
2 §. 19 t. II p. 300 Cramer), da Pesto (lib. XX.
qu. XVI, 6 p. 303MiiIlor;, dalMacrobio {Salurn. V,
IS), da Eustazio [ad Dionys. perieg. 433), e da altri
(v. il Meursio ad Lycophr, p.81). Per questo medesi-
mo motivo non credo che sia un fiume effigiato nelle
medaglie Melapontine. La testa col corno arielino vcdesi
ora barbala ed ora giovanile ed imberbe (Carelli lab.
CLIII e CLIX n. 1G9). Non vi ha dubbio che nella
lesta barbala debbasi riconoscere Giove Ammone (vedi
Eckhel doctr. t. I. p. 15.}, e Cavedoni nelle tavole di
Carelli della ediz. di Lipsia p. 81 adn. 90-98): sem-
bra perciò che debba ravvisarsi nella giovanile ed im-
berbe 0 lo slesso Ammeuc , o jìiutloslo il di lui figlio
Dioniso (Diod.III, 72). Questa particolarità della duplice
tesla barbala ed imberbe con corna arieline riscontrasi
ancora nella numismatica della Cirenaica; e meritano
di essere lette a tal proposito le dotte osservazioni del
eh. Cavedoni mon.ant.della Ciren.p.21 e 31 seg: ove
però non troviamo rammentale le medaglie di Meta-
ponto. Un notevole confronto a questi monumenti nu-
mismatici si ha da due vasellini della collezione del fu
Giovanni Jalla , de' quali non sarà discaro leggere in
questi fogli la descrizione. Il primo rappresenta a ri-
lievo una testa di fosca carnagione con capelli e barba
nera, ed arietine corna di nero , rosse ne' margini.
Sopra si eleva un vasetto ad un sol manico , presso
al quale è l' ornamento di palmelte: nella parte ante-
riore è dipinto un giovine coronalo con clamide e cal-
zari, che siede sopra un sasso , tenendo colla destra
una patera con offerte. Il secondo vasellino rappre-
senta a rilievo una testa giovanile di bianca carna-
cione col labbro rosso , e co' contorni degli occhi e
i8 -
delle allre membra disUnli da linee di fosco colore:
i capelli son neri: due corna di ariete anche bianche
sorgono a'due lati del capo. Sopra si vede il becco di
una ocnochoe, che compie il vaso. Ecco dunque ripe-
tuta neir antica ceramografia la duplice forma del
personaggio a corna di ariete : e non può dubitarsi
che sia appunto effigiato Giove Ammone , ed il suo
figlio Dioniso ; delle quali divinila era già penetrato
il culto nelle nostre regioni. E l' allusione funebre di
simili vasi non manca di mistica intelligenza, doven-
do attribuirsi probabilmente a'misterii ed alla reli-
gione di Rea , che da tempi remoti s' introdusse fra
quelle popolazioni. Sulle divinità che han relazione con
l'ariete veggasi un dotto articolo del Cav. Gerhard nel-
Y archdolog. Zeit. an. Vili. Febbr. e Marzo 1850 p.
149 e segg., ove parla pure di Ammone. Sulla si-
gnificazione solare dell'ariete in rapporto ad Ammo-
ne vedi pure de Guidobaldi Alessandro e Bucefalo p.
194 e seg. Il sig. Lersch ha parlato di molti greci mo-
numenti ove è rappresentato Ammone : JarUkh. d.
Ver. V. Alterthumsfr. in ii/i. voi. IXtav. IVp. 92-96.
Ml.VERVIM.
Giunta alle osservazioni sul vaso di Oritia.
Alla pag. 3 fu da noi riferito a Diana Agrea, piut-
tosto che a Pallade, quell'idolo arcaico, che scorge-
si presso il ratto di Oritia nel vaso del real museo da
noi illustrato. Ora ci piace di dare qualche dilucida-
zione su quell'antico xoanon , sul quale assai poco
fermammo la nostra attenzione. Meglio considerando
io osservo che la particolarità del polos, o modio po-
trebbe convenire a Pallade, Sono a tal proposito da
richiamare le cose dette dal Millingen(artc. uned. man.
ser. 2 p. 13) sulle antiche immagini di Minerva: e
segnatamente su quella che osservasi in una delle me-
tope del Partenone (Stuart, Aiit. of Alhens tom. II.
pi. 15 n. 4), che egli opina essere probabilmente il
Palladio miracoloso acquistato da Demofonte , e con-
servato nel tempio di Minerva Poliade suU' Acropoli.
Ed in quanto all' ornamento della testa , è da citar la
statua di M nerva Poliade di Erydirae (Pausan. lib.
VII cap. 5 , 9) , la quale offriva in ambe le mani una
conocchia, e sul capo un pileo [TtJXov) , che non do-
vea esser molto dissimile da un polos , o modio : ( Ve-
di Gerhard prodrom. mylh. Kunslerklàr. p. 120 seg.,
e Minervenidole p. 4 e seg. ). Con la quale immagi-
ne , per quel che risguarda la conocchia , potrebbe
confrontarsi la Pallade Iliade delle medaglie (Cavedo-
ni spicil. numism. p. 152 n. 154): se pure non vo-
glia riputarsi invece una fiaccola il simbolo da lei te-
nuto ; siccome parve all' Eckhel ( doclr. (om. II. p.
484 ) , e ad altri : vedi Zannoni galler. di Firenze t.
V p. 182: Minervini mon. ined. di Barone p. 7. Va-
rie figure arcaiche di Minerva Poliade son conosciu-
te, le quali presentano sulla testa una specie di po/os,
e nessun altro simbolo che il Gorgoneo sul petto (Ge-
rhard Minervenid. lav. 1 ). Ma più vicino è il confron-
to di un vaso della racc<dta Durand ( Raoul-Roehette
mon. inéd. pi. LX p. 322), ove comparisce il troja-
no Palladio con un modio sul capo perfettamente si-
mile a quello dell'idolo, eh' è presso la scena di Ori-
tia. Comunque sia di questi confronti, noi non abban-
doniamo la nostra idea sulla significazione dell'idolo,
non solo per la mancanza di qualunque altro simbolo
proprio di Pallade , ma ancora per l' insieme della
composizione. Queste poche cose abbiamo voluto ag-
giugnere , riserbando alla pubblicazione del monu-
mento stesso una più ampia discussione , che mal si
farebbe senza l'ajuto di un disegno.
Minervini.
P. Raffaele Garrucci d.c.d.g.
GiDLio Minervini — Editori.
Tipografìa di Giuseppe Cataxeo.
BULLETTIIVO ARCHEOLOGICO IVAPOIITAXO.
NUOVA SERIE
N.° 7.
Ottobre 1852.
Descrizione di una patera antica dipinta , con due Eroi eponimi delle attiche tribù. — Iscrizione di ì'ena-
fro. — Dichiarazioni di due monete di Traiano, l'una Latina e l' altra Greca. — Tavola aquaria Vena-
frana, continuazione del numero 5.
Descrizione di una patera antica dipinta, con due
Eroi eponimi delle attiche tribù.
Appartiene alla insigne collezione Santangelo la
bellissima patera pubblicata ne' numeri 4 e 5 della
nostra tavola III ; e noi ne dobbiamo un disegno al-
l'egregio sig. Cav. D. Michele, che di altri non meno
preziosi monumenti ci permetterà di arricchire la pre-
sente pubblicazione. La patera, di che discorriamo ,
proviene da Canosa ; le figure , che ne fregiano sola-
mente il coverchio, son rosse in fondo nero, ed i ca-
ratteri sono rossastri. La composizione si divide in
due parti relative a due Eroi, intorno a' quali si veg-
gono varie figure femminili. Da un lato è Pandione
UANAIfiN imberbe coronalo di mirto, con clami-
de che ne ricopre la metà infeiiore del corpo, seden-
te a sinistra sopra un rialto, presso al quale si eleva
la mistica pianta ad elice. L'eroe stende il destro
braccio, e sull' indice poggia un augelletlo.
Questo Pandione , che vedesi figurato nella nostra
patera, non è il padre di Erettco, e capo di quella re-
gia stirpe (marni. Par. lin. Itela; Apoiiod. lib. 3
cap. 14), ma sibbene il più recente Pandione figlio
di Cecrope, e genitore di Progne e Fikuuela ( .\pol-
lod. lib. 3 cap. 13. marni. Par. lin. 16 e 17), il
quale die il nome alla tribù Paudionide ( Pausan.
lib. I. cap. V. 3 e 4. lib. X, e. X, 1). A noi sembra
ben determinalo dall'augello che gli poggia sull'in-
dice , che a noi pare un usignuolo , e che fa certa-
mente allusione alle avventure della sua casa , nella
quale ebbe luogo la metamorfosi in quell'uccello
(Roulez nouvcll. annui, t. 11 p. 2G1 segg.). Nel no-
ANXO I.
Siro vaso vedesi l' attico principe assistito da tre don-
ne, le quali sono vestite di doppia tunica , e miransi
in variate attitudini. La prima col capo ornalo di
sphendone alle spalle dell' eroe si appressa recando un
piattello con frutta: l'altra, senz' alcun fregio alla
testa , è di fronte a Pandione , e curva abjuanlo la
persona verso di lui sollevando il sinistro piede sopra
un rialto; fra lei e l'Eroe è al suolo un vaso con co-
verchio: finalmente la terza adorna di ampyx volge
la testa a sinistra , recando colla sinistra una casset-
ta ; tra lei e la compagna è un'ara a foggia di capi-
tello jonico , su cui arde la fiamma. Veggonsi nel
campo varie iscrizioni , le quali non corrispondono
con precisione alla situazione delle figure , presso le
quali si veggono segnate. Pare che quella che reca la
cassetta sia denominala KATMEXH l'allra, eh' è di
fronte a Pandione , non offre alcuna epigrafe che la
dislingua ; ma sembra che ad essa riferir si dcggia il
nome EIIIXAPIS KAAH che n'è alquanto discosto:
in questa ipotesi , alla donna col piattello ripieno di
frutta spetterebbe la denominazione di XI KOIIO A li.
É noto che questo ultimo nome di MK< )n()AIS com-
parve in un' altro vasculario dipinto (Raoul-Rochet-
te mon. inéd. pag. 11 ) ; ma più volte occorre l'altro
di K AT>IE\H (v. quel che dicemmo di (piosto nome
nel bidlcllino arch. nap. an.V p. 27 e 28, p. 81 e seg. ,
e pag. 87 : parleremo poi più ampiamente di un' al-
tra iinportanlissima patera della medesima collezio-
ne Santangelo, di cui abbiamo data altrove una sem-
plice descrizione: mon. ined. di Barone yol.l.p-'H).
Comuncpie sia delle denominazioni , che si veggono
sparse nel campo, o che siano da attribuirsi alle fem-
— -io —
minili figure presso le quali si veggono segnale, o die
accennino ad altro ; certa cosa è che quella donna la
quale reca il piatlello va paragonala alla figura della
ITANA.AIi. I Adi altro dipinto da noi altrove pubblicalo
(lìono dell' Accad. Pont, agli scienz. p. 81, seg.),clie
fu da noi ravvicinala alle divinila delle slagioni. L'ara
ardente ed il vaso con covercbio accennano per av-
ventura alla duplice mistica pnrificazione per l'acqua
e pel fuoco , clie rendono gì' iiu'ziati degni della feli-
cità dell' Elisio ; giacché nel vaso, che scorgesi pres-
so Pandione , non saprei ravvisare un' allusione alla
festa X'-=^ islilnita da quell' attico principe (Arisloph.
Acharnes 961 , Eqit. 9o ). In questa nostra maniera
di vedere sarebbe rappresentata l' apoteosi di Pandio-
ne, vedendosi circondalo da figure e da simboli, che
valgono ad indicarla. E qni mi piace di osservare che la
iscrizione EIIIXAPIS KAAII può fare allusione alla
X«p/s che s'identifica talvolta coli' "Clpx: tanto più se
dovesse riferirsi alla figura, presso la quale è dipinta.
È da notar finalmente , per quanto spella a que-
sta prima rappresentanza, che la figura di RAVMEXE
sarebbe assai bene appropriala al soggetto, se dovesse
in essa ravvisarsi Proserpiua , secondo che opinò per
altro monumento il dottissimo cav. Welcker, osser-
vando che nel cullo di Ermione il re degl'inferi è
detto KXt'/xEvos (Paus, II, XXXV, ^):\odì annali del-
l' ist. 184.") p. 17C e segg. In tale idea la infernale
mistica divinità si trova quasi fra'duc soggetti, a' quali
prende una egual parte , trattandosi della beatitudine
di due aitici Eroi.
Nella seconda parte della patera vedesi l'Eroe An-
tioco ANTIoXo? pur coronato di mirto , e con cla-
mide avvolta al sinistro braccio , che si avvicina alla
Vittoria NIKII senza le ali , vestita di lunga tunica ,
e clamide , e col capo fregiato di ornata sphcndone ,
la quale siede di fronte all'Ei-oe, stendendo colla de-
stra la patera , da cui versa il liquore. Presso alla
Vittoria sorge dal suolo una pianta, come sembra, di
ulivo. Alle spaile di Antioco è una femminile figura
la quale si appressa ad un timialerio , quasi nell'alto
di prenderlo, e colla sinistra tiene abbassata una co-
rona di ulivo. Presso di lei è scritto MTPPIMSKH
KAAH.
Non può esservi alcun dubbio che l'Antioco della
nostra patera sia il figlio di Ercole e di Meda figliuola
di Filante (Apollod. lib. 2 cap. 8, 3; Diod. Sic. lib.
IV. cap. 37 . 1 ; Pausan. lib. I. e. V. ) , il quale va
tra' dieci eponimi eroi delle attiche tribù ( Paus. /. e.
e lib. X, e. X, 1.). Il giovane eroe riceve dalla Vit-
toria la bevanda del trionfo , mentre altra donna si
appressa a recare una corona , all' aspetto di un ti-
mialerio indizio di sagrifizio e di apoteosi. Frequente
è ne'monumcnti la Vittoria senza le ali (Miiller Handb.
§. 406. noi. 2 pag. 666. s. ed Welcker); ma la no-
stra ci richiama al pensiero il tempio della ^ixri x-
TTTipoj , eh' era ne' Propilei sull' Acropoli di Atene
(Paus. lib. 1 e. XXU. 4). La pianta di ulivo poi è ben
conveniente all'Attica del pari che alla figura della
Vittoria.
Questo nostro monumento riesce importantissimo
per lo confronto di una delle rappresentanze del ce-
lebre vaso di ;\Iidias (MiiUn gal. mijlk. XCIV, 383 ;
Ilankarvill. I, 130 seg.; Gerhard negli atli della Ac-
cad. di Berlino lcS39). Il vedere due attici Eroi in-
sieme riuniti con varie simboliche figure , parci con-
fermare la opinione del sig. doli. Carlo Teodoro Pyl,
il quale riconobbe in varie figure gli aitici Eroi Ip-
potoonle , Antioco , dimeno , Oeneo , e Demofoon-
te ; i quali ben ravvicina alle fatiche di Ercole , ed
alla permanenza di Medea nell'Attica [de Medeae
[ab. pari. II pag. 88 e segg. ). Nel vaso di Midias le
figure degli Eroi si collegano con le avventure di un
altro eroe, qual'è Egeo, e stanno ad indizio della re-
gione , non allrimenti che le statue loro vedevansi col-
locale nel Tlioìos, come racconta Pausania (lib. I. e.
V ). All'incontro nella patera della collezione Santan-
gelo Pandione ed Antioco stanno in tali attitudini, che
accennano alla loro apoteosi ed al culto loro prestato
dopo la morte. Così di Pandione narra lo stesso Pausa-
nia l'H'pw ov in Megara, e gli onori renduligli da'Mega-
resi (1. 1 e. XLI, 6). Vogliamo finalmente notare che,
se n' eccettui la statua nel Tkolos di cui fa menzione
Pausania, e l'altra eretta nell'Acropoli, di cui parla lo
stesso scrittore (1. I e. V), non esistono monumenti che
ci pongano sotto gli sguardi la figura di Pandione ;
resta solo il vaso , di cui finora ragionammo , a mo-
— di-
strarci il figlio (li Cecropc indicalo dal simbolico au-
gello ; da cui potrebbe forse desumersi clie la statua
del Tlwlos fosse della medesima jìarticolarità insigni-
ta, per distinguerla da quelle degli altri eponimi Eroi.
Intanto non sarà fuor di luogo l'osservare che la
patera di Canosa è un novello esempio dell'atticismo
delle appule contrade, del quale avemmo più volte
la occasione di parlare , specialmente pe' monumenti
ceramografici provenienti da Ruvo.
MlNERVIM.
Iscrizione di Venafro.
MAECI • FELICIS VI
AEOVITATE • MAGNIFICO
BEVEVOLEXTIA • COLENDO
ABSTINENTIA • CONTINENTIAQ
MIRANDO • VIRTVTE • CONS
TANTIAQVE • CONSPICVO
MAECIO • FELICI VI
CIVITATIS • VENAFRANAE • DE
FENSORI • ORDINIS • P0« SO
RI • POPVLIQVE • RECTORI
PROViNCiAE • sa:\inìtivm
INIVNCTIVAE • VICIS • MERITO
OR • INSIGNI A • ElVS • IN • |{EM
PVRLICA3I • BENE • GESTA • 1>;J
OR • RECORDATIONEM • OMNIVM
BENEFICIORVM • QVAE • A • IMA
lORIRVS • ElVS • CI VITATI • SVNT
SI PRAESTITA • ORDO • SPLENDiDIS sic
MVS • ET VNIVERSVS • POPVLOS sic
VRBIS • VENAFRANAE • CONSTI
TVIT • PATRONO
Questo importante monumento storico era cognito
per r unica pubblicazione del eli. Colugno, che ne
trasse la copia dalle schede del benemerito De Utris.
Nella mia storia d'isernij , ove facea luogo citarlo,
m' ingegnai rcllificarne le lezioni , perchè non aveva
lino allora trovato, ove giacesse il monumento. E fu
maraviglia , che in quel giorno medesimo , quando
avutone un sentore dal Ch. sig. Arcidiacono Colugno
mi recava a dissotterrarlo, nella jiiazzelta della Cia-
lallella era già in mano di uno scarpellino , che rotta
la gran base in due pezzi, e fatto già saltare per aria
lr(! righe della leggenda , l' avrebbe finita tutta. Fu
fortuna che lo scarpello non fosse ancora scorso là ,
ove era j)iù erronea la lezione precedente ( Cotugno,
Mem. di Venafro p. 200. Momm. /. N. n. 4620).
Le righe perite sono la 13. 14. lo. Delle altre righe
noterò qui gli errori.
1 . Il Momm. scr. FELICI, e rigetta la lezione del
de Utris V • I • , ha però ragione il de L'tris in am-
bedue i luoghi. — 2. A • CIVITATE • il Monun.
malim DIGNITATE.-4. CONTENENDO, il Momm.
malim CONTINENTIAQ • ottimamente — 7. FELI-
CIO — 8 , 9. POSsesSORIS— 1 1 . SAMNH ADIN—
12. IVNCTIVAE — 18. PRAESTITA — 19. SI-
MVS . e POPVLVS , ma de L'tris POPVLOS.
Di questa insigne iscrizione ho detto alcuna cosa nel-
la storia sopraccennata, ove o|)ino, che Mecio Felice
forse era uno di quei favoriti da Costanzo , ai quali
egli distribuiva le provincie arbitrariamente , allar-
gandone talvolta anche i confini ; lo che è aperta-
mente detto nelle parole, Provinciae Samnilium iniun~
cticae vicis merito. Parvemi poterlo additare in<-quel
Felice Notarlo , che Giuliano ributtò dalla magistra-
tura degli ullìzii, a cui lo proponeva Costanzo. Il vo-
cabolo POS . . . SORIS è pur così scritto, nò in
mezzo v'è alcun avanzo di lettere, perchè saltata via
la scheggia , che le conteneva. Rimane quindi , che
sia questa voce erroneamente scolpita, come altre qui
slesso, invece di PROVISORIS. La qual voce ha al-
tri esempi (Minervini Bidl-Sap. a.V. p. 66 agg. Viscr.
di Rustico presso il Gervasio hcr. di Nap. 51). E ad
oscitanza del (juadratario debbono attribuirsi il SI del-
lo SPLENDIDISSIMVS scolpito alla linea superiore
accanto al PRAESTITA, el POPVLOS per POPV-
LVS. Dalle parole ob recordationem omnium hene-
ficiorum , quac a maiorihus eiu^ civilati suiti prae-
slita, si apprende che il patronato di Venafro era
antico in famiglia Mecia. Quesf onore, siccome già
— 32 -
notò il Reinesio, a Parentlhus in ìiheros elnepotesde-
rii-alus est. Così i Municipes Clvililani , L. Aradium
Proculum V. CLiberos, Poslcrosquc cius, Sibi, Pos-
terisque suis, Patronos cooptaverunt (Reiaes. 412. 39).
Garrucci.
Dichiarazioni di due monete di Traiano, luna Latina
e l' altra Greca.
Fra' molliplici e bei (ipi delle monete di Traiano
mi giovi considerarne due, finora non ben dichiarali,
per quanto io mi sappia ; l' uno de' quali ne melte
sott' occhio la piìi meravigliosa delle imprese di quel
valoroso Augusto, e l' altra uno dei gravi difetti che
ne oscurarono le virtù.
niP CAES NEUVAE TRAIANO AVG GER
DAC P M TRP COS V P P , Testa laureata.
)( S P Q R OP TIMO PRINCIPI , S C , Figura
virile quasi ignuda con manto svolazzante , che le
s' inarca sovra la testa , e con pianta palustre nella s.
che correndo a gran passi ha raggiunto una figura
feminile pileata fuggente e caduta a terra, e premen-
dola col d. suo ginocchio in sul femorele stringe conia
d. la gola. /E I.
Nel grandioso tipo di questi assai comuni sesterzi
di Traiano 1' Eckhcl ( T. VI. p. 418) ravvisa il Da-
nubio , che opprime la Dacia , a riguardo dell' aiuto
prestato da quel nobilissimo fiume ai Romani nel-
1' assoggettamento della Dacia , sostenendo la flotta
Romana, e il ponte costruitovi sopra da Traiano me-
desimo ; ma cotale ragione parmi veramente un po'
forzata e tratta troppo di lontano. La vera e sponta-
nea interpretazione si ha da Plinio giuniore, che esor-
tando Caninio Rufo a celebrare in versi Greci le me-
ravigliose geste di Traiano nella guerra Dacica, scri-
ve {L. Vili, epist. 4): dices immissa terrìs nova
(lumina.
Quella grandiosa figura virile pertanto rappresenta
uno dei fiumi della Dacia , che , costretto dall' opere
de' Romani a mutar alveo , corre ad opprimere e
devastare gli accampamenti e le terre de'Daci. E
questo stratagemma parmi assai chiaramente rappre-
sentato in quella parte della colonna Traiana [Segm.
XXI , XXII J , ove veggonsi improvvisamente som-
mersi e soffocati fanti e cavalli Daci da una impetuo-
sa e larga corrente d' acqua in luogo montano, e sel-
voso. Mentre che i Romani stansi in sicuro ed incal-
zano i nemici , questi in gran parte veggonsi travolti
dall' onde insieme co' cavalli , greggie ed armenti ; e
pochi di loro rimasi in salvo tentano inutilmente di
salvare i compagni , o sono in atto di piangere alla
vista di tanto sterminio. Nella medaglia la figura del
Fiume, in atto di stringere la gola alla Dacia fuggen-
te e prostrata, con tutta proprietà rappresenta al vi-
vo il caso de' miseri Daci sommersi e soffocati in
quelle acque. Ella preme col ginocchio il femore della
Dacia da sé raggiunta; e per simile modo Perseo pre-
me il fianco di Medusa caduta a terra, in un dipinto
parietario Ercolanese [Mas. Borbon. T. XII, tav. 48;
cf. Annali dell' Inst. T. XXllI , p. 770). L'antico ar-
tefice , neir ideare ed eseguire il sovra descritto bel
tipo delle monete di Traiano , probabilmente venne
ispirato anche dai sublimi versi di Omero , ove de-
scrive il fiume Scaraandro, che impetuoso segue ed
incalza il fuggente Achille [Iliad. XXI, 24S. segg.).
ATTOKPNCP TPAIANOC APIC KAlCCCBrCP
AAK ITAP , Testa laureata.
][ IOTAlCU)\ TCON KAl AAOAIK€U).V, TSP,
Testa feminile velata turrita, con grappolo d'uva che le
pende in suW orecchio e la guancia destra. JE. I
In altre simili monete di Traiano, impresse in Lao-
dicea della Siria , manca il titolo ITAP o nAP9 , e
nel rovescio è segnato l'anno B3P dell'era propria
di quella città [v. Noris, Epodi. Syromac. p. 2:58, 239.
Eckhel, T. Ili, p 518).
Esse spettano agli anni di Roma 807,868; e per-
ciò ponno sicuramente dirsi impresse allor che Traia-
no era in quelle contrade intento alla guerra contra
Cosroe re dei Parti ; ed amante coni' era de' buoni
vini , non avrà per certo omesso di gustare gli squi-
siti di Laodicca.
Nelle monete imperatorie di Laodicea della testa
del Genio feminile della città non ostenta il simbolo
di quel grappolo d' uva altro che in quelle di Traia-
— 53 —
no , come rilevo da parecchi esemplari del Museo
Estense, che ho soli' occhio; segno evidenle, che Traia-
no realmenle dilcllavasi delle uve e de' vini Laoili-
cei. Non trovo avvertita da altri la notevole parti-
colarità del giappolo che in queste monete pende in
sulla guancia della testa di Laodicea e ne copre tutto
r orecchio ; tranne che in uno dei disegni datine dal
Noris v' è indizio di una come foglia di vite ( /. e.
p. 239). 11 territorio di Laodicea della Siria, e spe-
cialmente il monte ad essa sovrastante , era sì ferace
di buone vigne, che somministrava il vino agli Ales-
sandrini per la maggior parte ( Straho, XVI, p. 707.
7o2 ). Traiano poi era sì amante de' buoni vini , che
Dione ( Hist. LXVIIl. 1 ) , nel commendarne che fa
le virtù , non potendo dissimulare cotale suo difetto ,
pure lo scusa dicendo ch'egli non s'inebbriava, ben-
ché bevesse molto [cf. Sparlian. in Hadrianoo. Vic-
tor in Cacsarib. 13). Per questa, e per altra vie più
grave pecca di Traiano , cognominato Ottimo, escu-
sata dallo stesso Dione , chiaro si pare quanto mai
difettosa e limitata di per se sia la vantala probità
naturale.
Gel. Cavedoi.
Tavola aquaria Vena frana, continuazione del n. 5.
DECRETVM. IMP. CAESARIS. AVGVSTI. Non
sarà questione , se debba darsi a questa tavola nome
di Senalusconsullo, di Edillo, di Lcx, leggendovisi scrit-
to Decrclum. Anche il senato dava talvolta i suoi de-
creti, che Elio Gallo credeva essere una parte, o por-
zione del senalusconsullo ( Pesto L. XIX. in Senalus
Decreliim): ma decrelum patrum disse Suetonio la leg-
ge emanata dal Senato intorno al primo posto da dar-
si ai Senatori negli spettacoli ( Aug. e. 44 ), e decre-
tum patrum in vece di Senalus consultum bassi nella
L. 17. D. ad municipal. dello ancora decreta senalus
L. 32. §. 24. D. de don. ini. vir. et uxor. Più lardi
invalse il costume di dar questo nome alle sentenze
imperiali , e così Paulo iulitolò i suoi tre libri di sen-
tenze degli Imperatori ìihros dccrctorum, e Teofilo la
stessa iaterprctazione loro dà trasportando il dccrcfwm
nel greco, %7ró^x<jii j:«?ji'>.;wi> imtol^u St'o ixipùit tcj.-
p' 'Minò Sixot^ofAj'iwv \y.'^ii^'j\KÌyt\ ( ad §. 6. Instit. de
Iure nat. geni, et civ.)
mi AQVAE • DVCTV. Che nei nu'gliori (empi
si scrivesse diviso acpiac dal duclus sospellolh il l'o-
leni (a Frontino p. lo. n. l 't) il quale stimolla or-
tografia ancora di Frontino; satis credibile fit, noluisse
Frontinum ex dnahus hisce vocibus aqua et duclus u-
nam vocem componcrc. Osservò invece , che la sola
voce aqua gli vale a dinotar l'acquidotto. Io lo incon-
tro nelle lapidi, ( Grut. 176. 1. Murai. 447. 1.), e
qui stesso, aquas reficerc , resarcirc, 1. 13. e talvolta
l'uno e l'altro, secondo lo stile dei legali, ea aqua, ii
aquae duclus fluii 1. 31.
COL • COLONIAE ■ IVLIAE • VEXAFRI. Colio
stesso appellativo di Colonia Giulia vien denominato
Venafro sul cippo letto da me ai Puzzilli , casale di-
stante due miglia a settentrione di Venafro.
TECTIGAI
COLCOLIV
VEXAFRI
Ultimamente il signor Conte Rorghesi ha stabilito
perciò , e per la testimonianza di Frontino , che dice
a Venafro essere stata dedotta una colonia dai trium-
viri (erroneamente Vviri dcduxerunl nelle edizioni),
che essa fu una delle colonie collocate da Cesare Ot-
taviano, prima di aver ricevuto l'appellazione di Au-
gusto , e però dette solo Giulie ( Iscr. Perug. p. 6. ).
In un frammento pur Venafrano leggesi ,
\MIVLAVG VI
AIDIAP.SFCID
CAFACTVM E
(>)
(1) 11 Mommson ha supplito Wnafntm, e riferisce l'AM a Colo-
niMl. A me senibia assai duro P inaudito Wnafrum, e non ve-
dendo la necessità di tenere, che sì parli della Colonia, propongo
di supplire un altro edilìzio pubblico in VenalVo , il quale poteva
avere i medesimi appellativi imperiali, che la Colonia, ed inoltre
un aggiunto venutogli da alcun nobile e beni'nierito cittadino, il
quale vi avesse dipoi operato alcun inipoLlaiUe restauro , o rile-
vanti aggiunzioni ; e non altrimenti che a Napoli la Basilica si
chiamò AVGus^a ANMA.NA ( Momm. Inscr. Keap. n. -2621), cosi
quella qualunque l'ubbrica si denominasse in Venafi'o lVL»a AV-
Gusta Wbiana. Il nome dei Vibii leggesi su di un aluo fram-
mento Venafrano appartenente ancora a fabbriche pubbliche, e chi
sa se a questa medesima.
u —
il quale, comunque voglio supplirsi, dimostra in ogni
modo essersi di poi al lilolo di Giulia unito quello di
Au(jum, ossia, ehe la colonia di Venafro fu rinnovella-
ta (la Augusto. Ciò per altro deve essere accaduto do-
po il 728 , nel qual anno Venafro porta ancora il
solo nome di Giulia, siccome apparisce manifesto dal
titolo del decreto, che abbiamo sottocchio. Ed invero
una nuova assegnazione fatta da Augusto polevasi de-
durre in qualche modo da Frontino, ove scrive, che
s!(»i»>ia montiumjure templi Iileac ab Augusto sunt cou'
cessa (così leggo in vece di Dcae creduto dal Momm-
sen forse Dianac Bull. Instit. 1830. p. 48.) , la qual
conghieltura Ideae è stala di poi rafTermata dal Lach-
mann, il quale, come mi scrive il Conte Borghesi, ha
corretto, appunto così, questo luogo sull'autorità del
codice Palatino. La nuova edizione del Lachmann non
.si è avuta ancora fra noi.
niP. CAES.\RE VIII.T.STATILIO. TAVRO.II.
COS. Ciascuno vede di quanta importanza sia questa
scojìerta, che ci fa assegnare il decreto all' anno 728
di Roma, epoca dalla quale bisognerà partire da ora,
per corcare le basi dei posteriori scnatusconsul li, rac-
colti da Frontino , il più antico de' quali rimonta al
743. Frontino ignorava quali leggi si fossero date
mai fuori di Roma ai Socii; noi scopriamo nel decre-
to venafrano di Augusto, che le leggi anteriori citale
da Frontino eransi già applicale, almeno a questa co-
lonia. Intendiamo finalmente , perchè non si trovano
qui tracce dei SCti del 743, nò della legge Quinzia del
7V!Ì.Iuvcce andreuio in seguilo dimostrando quali ap-
plicazioni siansi posteriormente venute facendo nelle
leggi, e SCti mancandoci il corpo di leggi delle quali
tpiesto decreto sembra essere un estratto.
Art. 1. Dell' uso de' corsi, e dell'acqua caduca.
Questo primo articolo prescrive 1' uso delle acque nei
terreni fuori di città , che con approprialo vocabolo
diconsi RV'RA dai Giureconsulti , pei quali 1' acjer si
definisce ; loais ruii sine aedi fido L. 21 1. D. deverb.
niguif. , ovvero locus sine villa L. 27. 1). eod. tit.
Perlùchè nelle leggi Toria e I\Iamilia Icggonsi uniti i
tre vocaboli AGER , LOCVS , AEDIFICIA , e qui
slesso troveremoLOCVS AGFR che più propriamen-
te in città dicesi area L.2 11.1). eod. tit. Cominciasi con
AQVAE. RIVOS. DVCTVS che non è tautologia. Il
proprio vocabolo , che comprende tulle le maniere di
condotti d'acqua è RIVVS. il DVCTVS, o DVCTIO
non significa veruna qualità di coudotli , ma solo il
convogliare le acque. Perciò Vilruvio sciisse : Ductus
aquae fiunt generibus tribus : rivis per canales structi-
les , aut fistulis plumbeis , seu tubulis ficlilibus ( L. 8.
e. 6. ed. Marini ). Nei SCti recati da Frontino bas-
si costantemente RIVVS, SPECVS, col qual secondo
vocabolo si determinavano i rivi coperti o sotterra-
nei , 0 sospesi sugli archi , o traforanti le montagne,
non mai DVCTVS, Ciò non ostante in Frontino me-
desimo, e nei monumenti, il DVCTVS prendesi in si-
gnificato di ficus, e così ancora nel codice Teodosiano
XV. Tit. II. L. L. Ove corrisponde precisamente al
RIVOS della simile legge Auguslea del terreno incol-
lo a' lali dell' acquidotto.
Non meno precisa è la maniera d' indicare la su-
prema magistratura della Colonia , sia la ordinaria
col proprio nome di Duumviri turi dicundo sia la
solita surrogarsi in taluni casi col nome di Praefe-
eli , dalla quale dovevasi avere avuto il permesso ,
che Augusto conferma con questa legge , togliendo
insieme ai coloni , ed ai municipi di appropriarsi
l'acqua, che soprabbondava alle erogazioni. Poi quanto
alle novelle erogazioni , o a[>palli, ordinando, che si
facessero col decreto dei decurioni , ai quali fossero
tenuti i duumviri di sottoporre la domanda. Suppone-
si r acquidotto di già costruito ed in uso prima del
nuovo decreto , nel (piale vien confermato il dritto
della dispensa a coloro , che lo avevano già ottenuto
sia dai duumviri , sia dai Prefetti della Colonia.
Le parole neminem coloiìorum venafr. vel qui colo-
niae muniiipes rendono vieppiù sicuro, che dentro le
slesse mura abitavano cittadini romani di due condizio-
ni, coloni, e municipi; e però che Venafro era colonia
e municipio al tempo medesimo. Lo slesso può dirsi
dei pompeiani e roloìii di Poni])ei, o come dei munici-
pes, et coloni di Teramo ha di iccenle provato il eh. sig.
Ilenzen [Uull.IuM. lS."il.p.8'j, 173). ;Vlla legge nemi-
nem caducain ducere placet fa buon riscontro il caput
ma»K/a/w«ni riferito da Frontino (.1/7. III.), CADV-
CA.M NE.M1.\E.M DVCERE VOLO di data posteriore.
Art. 2. Dei corsi nuovi. II. vìi: Qualuonir. aquar.
oslium in aquae ducili, qui per m. p. IX in oppidiim
venafranoruin tendil ne aperìant : colonis venafranis
sive qui colonorum venafranoruin nomine eroijari al-
tribui aliove quo modo dari non placet.
Siccome nella legge precedente erasi data ogni facol-
tà ai duumviri delia colonia di concedere corsi di ac-
que, cosi in questa si proibisce di aprire alcuna porta
ai fìanchi dell' acquidollo per tulio il suo cammino di
nove miglia , inoltre togliesi ora ogni drillo di dispen-
sare , a quei che saranno incaricali della cura delle
acque sia duumviri, sia quallroviri. Ed era veramen-
te dannoso così 1' uno , come l' altro : ma io credo ,
che questi due articoli siano stali o tolalmenle rifor-
mati, o modificali in qualche lor parte : mostrandosi
apertamente gran diversità nella forma calligrafica di
queste linee, paragonate alle seguenti. Veggonsi quin-
di i capiversi del primo articolo cominciare irrego-
larmente fuori del perpendicolo segnato dal primo
scultore ; le lettere, che dovrebbero essere sul prin-
cipio meno piccole, che in seguilo, ove l'artefice te-
mendo non gli bastasse lo spazio le andò impicciolen-
do , e stringendone gli spazii , invece vi sono né si
grandi, né si ben formate, e ciò neppur costantemen-
te , onde bassi un più manifesto argomento di cor-
rezione. Le (piali abrasioni , o lilure , hanno più in-
fluito a rendere la lettura di questa parte difficile , e
dubbia.
IIVIR. QVATVORVIR. AQVAR. Le vestigie della
leggenda anteriore appaiono qui, e poi, manifeste.
Il prof. .Momni. lesse LIB , e difalti le prime tre let-
tere IIV non se ne discoslano gran fatto , anzi colla
V assai marcate appariscono le tracce della B ante-
cedente. Cosi alla R di AQV^\R risponde un M , ed
alla I di QVATVORVIR un E. Ciò non ostante so-
, no sicuri i Duumviri e i Quatuorviri aquarii , che
non credo cariche conlemporaneamenle sostenute ,
ma prevedute solo nella legge, come possibili a sur-
rogarsi r una a 1' altra. Avevasi già un sentore dei
Duumviri aquae pcrducendae creati in Roma ex se-
natusconsullo al 483, per condurre a fine la costru-
zione di queir acquidollo, che prendeva l'acqua dal-
l'Auiene vecchio (Front. Art. CO.). Un confronto an-
che locale si trae dal duumvirato i'rbis Moeniundae,
carica sostenuta da Lucio Acluzio.
OSTIV.M. Con (piesto nome venne indicato propria-
mente lo sbocco dei fiimii in mileriaaquaria, qui ])er
tanto sembra gli si conservi il generico suo significato
di porta, e che aperire oslium valga aprire una porta,
e non altro.Vielasi adunque ai magistrati priimirii delle
ac(}ue di farlo, ed inoltre d'ingerirsi in «lualunque
modo alla erogazione e distribuzione di esse sia tra
coloni , sia a chiunque a nome dei coloni le chiedes-
se. I duumviri giusdicenti, ovvero i prefelli, nell'arli-
colo precedente avevano ricevuto questa incuniheuza
per le acque fluenti nell'alveo dell' acquidollo. Io
Roma si variò: Inierdum enim ab aedilibua, inlerdum
a censoribus permissum. invenio dice Eronliiio Art. 915.
Questa facoltà viene ivi negata agli appallulori , ed
in questo articolo si vieta ai duumviri o (luallioviri
addetti alla cura delle acijue di aprir usci sui lati del-
l'acciuidolto, e in (pialunijiie maniera distribuir l'ac-
qua. Nell'arliculo (piarlo vedremo richiedersi un de-
creto dei Decurioui a maggioranza di voti per ogni
novella concessione.
COLONIS. eie. Appare anche da questo luogo la
natura dell' estrallo , che abbiamo solt' occhio , e vi
avrà forse influito anche la nmlazione introdotta di
poi, perchè non fosse troppo limpido il senso, né sem-
pre esatta la corrispondenza dei mendjii. E ben chia-
ro , che altro andamento si conveniva a legar bene
questa seconda parte coi membri antecedenti. È proba-
bile che una volta vi fosse scritto alcun regolamento in-
torno all'acqua fw^Hca, di che nell'art, l.e nell'ultima
parte della lapida ricorre la menzir>neL. 02. Una volta
l'acqua che veniva in Roma per gli acquidotti era de-
stinata ai publici usi ; quindi si era provislo , che ai
privati si erogasse l'acqua quae ex lacu liumum acce-
derei, che sono le parole della legge aulica riferite da
Frontino art. 91). Quest'acqua però prese il nome di a-
qua caduca e cosi la chiama VarroneR.R. III. 5. Intor-
no all'uso di questa leggiamo essersi di poi stabilito,
che a niuno si erogasse , so non a chi avesse avu-
to tal concessiun dal Principe: Caducam neminemdu'
cere volo , ni-i cpti meo beneficio aut priorum princi-
pum habcnl ;Front. Art. Ili ). La caduca si derivava
56 —
colle fistole o tubi , e però dopo assegnate le leggi di
dispensa intorno all' acqua dei )/i /, o condotti mag-
giori , dovca regolarnicule prescriversi alcuna cosa
intorno ai tubi o condotti minori , nella qual legge
\eniva inclusa anche l'acqua caduca, che dai castelli
si erogava per mezzo di tubi.
Art. 3. Manutenzione dell' acquidotto. Qui rivi
specus saepla fontes pulei lacusque aqme ducendae
}yfciumìae causa e/c. Trattandosi in questo capo della
rifazione dell' acquidotto , e di tutte le fabbriche an-
nesse, non può dubitarsi, che vi debbono essere
nominate tutte quelle , che appartenevano all' acqui-
dotto venafrano. Non fa però gran peso non trovarsi
aporta menzione né dei castelli , né della chiavica ;
potendosi compensare dal vocabolo lacus, il caslellum
o botte di dispensa, e dal rivus la chiavica immissaria
detta incile. E quanto alla sinonimia del lacus e ca-
slellum viene garante Frontino medesimo , il quale
nell'art. 94 spiega le parole dell'antica legge ne quis
privalus aliam ducal, quam quae ex lacu humum ac~
cedil, idesl quae ex lacu ahundavil, eam nos caducam
vocamus: ed all'art. 110. ritornando sulla interpre-
tazione della voce caduca ha scritto; Aquac quae ca-
ducae wcantur , idesl quae aul ex castcUis efjluunt
ani ex manalionihus fislularum: e si ha all' art. III.
il Mandalum Principis : Caducam neminem ducere
volo:nam necesse est excaslellis aliquam partemaquae
effluere. Ma il vero si è che lacus nell'antica legge fu
detto quel recipiente che Vilruvio ordina si costrui-
sca castello coniunclum , e cui egli dà nome di rece-
jUaculum, donde colla solita figura trasportatosi il si-
gnificalo dal continente al contenuto , caslellum e la-
cus diventarono sinonimi. Traevasi dal castello per
i privati col mezzo di tubi quel superfluo di aqua ,
che ex lacu humum accederei. Al lacus poi erano ap-
plicate le fUtulae , che conducevano l'acqua ai pub-
blici usi. E forse sotto il solo nome di lacus sarà stala
conqìresa anche la piscina limaria , che credo indi-
carsi in un frammento di legge edito dal Marini. Arv.
p. 70 col nome di lacuna, e che sicuramente è tradotta
puteus in un luogo di Frontino non osservato. Parla
ivi dell' acqua che nilùl aul ìninimum pluvia inqui-
nalur , si pulei exlrucli obiecli sunl. cap. 89. Il Po-
leni è tutto in darci la definizione del puteo vitruvia-
no Vili. 7. che è tuli' altra cosa dal significato del
luogo , che abbiamo davanti. Nel senatusconsulto
della legge Quintia sono nominati distintamente i ca-
stella, e i lacus CASTELLA LACVS AQVARVM
PVBLICARVM QVAE AD VRBEM DVCVNTVR
Front, pag. 221, e Frontino medesimo scrivendo di
Agrippa, dice: Habuit et familiam propriam aquarum,
quae tueretur ductus atque castella et lacus. Art. 94. e
i lacus vi sono opposti ai tubi concessi a privali; Quid
aquarum puhlicis operihus , quid privatis daretur, nel
medesimo senso però in che lo adoperò Plinio ricor-
dando che Agrippa . . . lacus sepiingenlos fedi H. N.
XXXVI. 24. , e Vilruvio ove discorre delle fìstulae
in omnes lacus et salienles.
E credo perciò che lo stesso senso abbia il senatus-
consulto riferito da Frontino a p. 119, nel quale son
nominati i castelli dei privati, ove si accoglievano le
acque concesse in comune a più persone, onde di-
stribuirsene di là per mezzo delle fistole la porzio-
ne competente a ciascuno : CASTELLA PRIVATI
FACERE POSSENT EX QVIBVS AQ VAM DVCE-
RENT QVAM EX CASTELLO COMMVNEM AC-
CEPISSENT. In breve il lacus ebbe fra molti sensi
alcune spiegazioni proprie nella materia degli acque-
dotti. E significò un receplaculum , che era nel ca-
slellum , poi anche il caslellum dei privati , che era
insieme receplaculum. C antica legge lo intende nel
proprio senso , Frontino , Vilruvio, Plinio gli fanno
corrispondere il secondo ; e Ulpiano L. 3. §. 3. D.
de ri vis: si aqua in unum lacum conducatur, et inde
per plures ductus ducatur.
fcoìtlinua) GARnucci,
P. Raffaele Garrucci d.c.d.g.
Giulio Mì.neuvim — Editori.
Tipografia di Giuseppe CATAyEO.
BILLKTTIIVO ARCHEOLOGICO IVAPOllTAm
NUOVA SERIE
N.' 8.
Ottobre 1852.
Monela inedita di Napoli, che ì-isolvc la quistione del (oro androprosopo. — Notizia de<jli scavi di Pompei :
continuazione dell'articolo inserito nel num. 3. — Relazione dei nuovi scavi eseguiti neW Anfiteatro Campa-
no. — Giunta all' articolo precedente. — Tavola aquaria Vena frana , continuazione del num. precedente.
Moneta inedita di Napoli , che risolve la quistione del
toro androprosopo.
La monetina del Sig. Riccio con la protome del Se-
Leto ( lav. IV n. 1,2), della quale si è favellalo di
sopra, (p. 17 segg. e p. 45 segg.), cominciò per da-
re una prima luce sulla quistione del toro andropro-
sopo. Veniva quella a diràoslrarc che nel mostro non
dovesse ravvisarsi im dio fluviale indigeno, come sa-
rebbe il Sebeto.clie soUo altre forme ci si offriva per
la prima volla. Noi nel trarre una (ale conclusione
ne desumemmo un argomento in favore della opi-
nione, che nel toro a volto umano riconobbe il Bacco
Ebone de' Napolitani. Ma perchè la influenza di quel
nuovo fatto archeologico non oscurasse la verità, dando
appoggio e sostegno a non vera congbietlura , volle
fortuna che ci capitasse alle mani un'altra unica me-
daglia napolitana , che scioglie la quistione in favore
dell' Acheloo ; per modo che non potrà più muover-
sene alcun dubbio per l'avvenire. Così avremo la
sorte di aver del tutto chiarita, nelle prime pagine del
nostro bullettino , la ricerca del toro androprosopo ,
con irrecusabili fatti.
La nuova medaglia, alta quale accenniamo, è pos-
seduta dallo stesso sig. giudice Gennaro Riccio, a cui
appartenevano le monetine del Sebelo , le quali sono
già andate ad arricchire il gabinetto numismatico del
real museo Borbonico. Noi non tardammo a ravvi-
sare tutta la importanza di un si pregevole monumen-
to: ed il eh. possessore, a nostra richiesta, ce ne per-
mise la pubblicazione (V. lav. IV. n. 8).
ANXO I.
Testa di Apollo laureata a dritta , con una specie
di zazzera.
)( Mezzo toro a volto limano nuotante sopra onde
marine, dalla cui aperta bocca esce un grosf'O zampil-
lo di acqua : dietro al toro una lira, sopra NEOITO-
AITE. JE 5.
Gettando uno sguardo sul tipo del rovescio , sarà
agevole convincersi che il toro androprosopo nuota
fra le onde. Prima di tutto osserviamo che le onde
marine sono conformale in quella guisa che frequen-
tissimamente s' incontra ne' monumenti di o'mi erne-
re , siccome avemmo altrove la occasione di notare
[bullett.arch.nap.an.W p.5o.s. e vasi latta p.83.seg.
109, 162); ma in modo particolare son da rammen-
tare le medaglie di Taranto, nelle quali sotto al delfino
si veggono i marini flutti in simile guisa figurati. La
posizione poi del toro è evidentemente di un anima-
le che nuota ; a tanto accennando le gambe piegate
verso il corpo, e l'attitudine della lesta. Or nella nu-
mismatica delle nostre regioni è ovvio di ritrovare il
toro, o il mezzo toro con le anteriori zampe ripiegale
verso il corpo, e col capo abbassato, ovvero con una
sola delle zampe anteriori piegate. Tali posizioni ac-
cennano al nuoto, non potendo riportarsi ne al mo-
vimento di procumbenle , né a quello di cozzante.
Sicché anche negli altri numerosi esemplari , ove
queir atlitudine s' incontra , noi potremo senza diffi-
coltà riconoscere il toro ;uidr(iproso|i() nuotante : e
solo si suppongono le onde , che nella monela del
Siij. Riccio sono chiaramente accennate. Nondimeno
son traile gambe del toro non poche volte simboli al-
— o8 —
lusivi alle acque : talora un delfino , talora altro pe-
sce , e tal altra un augello acquatico. La effigie del
toro nella medaglia del Sig. Riccio aggiugoe un'altra
particolarità , ed è lo zampillo ch'esce dalla sua boc-
ca. E questa , accoppiala alle onde fra le quali gal-
leggia , mostrano alla oidenza che siasi voluto indi-
care una divinità che ha strettissima relazione coU'e-
lemento dell'acqua. È pure iudubilato che alla intelli-
genza di questa moneta non giova la particolar nar-
razione di Nonno {Diouyt. hb. XI, v. 136. segg. ),
richiamata dall'illustre Avellino in sostegno della sua
opinione a spiegare le medaglie di Alonliain ( opusc.
voi. 1. p. 90 segg.). Indipenlenlemente dalla osser-
vazione che il toro di Nonno non era androprosopo,
che non era Io stesso Bacco , ma una immagine del-
l' agricoltura, avvertiamo che esso non nuotava nelle
onde come nel proprio elemento , ma assetato si ab-
beverava, e poi spargeva sulla terra il soprabbondan-
te umore. Il confronto è onninamente dissimile , e
resterà la medaglia del Signor Riccio nella sua unica
significazione, senza potersi in conto alcuno ripor-
tare a Bacco , o ad Eboue. Dall' altra parte è trop-
po vicino il confronto della medaglia di Napoli con
quella di Alonzio per giudicare che una medesima
divinità sia rappresentata in entrambe. Sicché un es-
sere slretlameute collegato colle acque dovrà rav-
visarsi nelle monete di Alonzio, come in tutta la nu-
mismatica della Sicilia. Ciò ritenuto, noi sin da que-
sto momento annunziamo che non debba ad altro
pensarsi che all'Acheloo, secondo la opinione di molti
dotti archeologi, e principalmente dell'Ignarra ((ie Pa-
ìaestra ) ; siccome faremo notare in una particolare
memoria , che ci proponiamo di leggere alla reale
Accademia Ercolanese.
Vogliamo qui unicamente richiamare un impor-
tantissimo luogo di Sofocle, già invocato a spiegarle
monete di Alonzio; nel quale il tragico ci presenta
r Acheloo che fa sgorgar zampilli dalla sua barba :
'Ex di d%<jy.hu yzvii'oih'js
Kpo(/vol 0/£pijX('v:vT0 xpryAioij Tror^ù.
Trachin. v. 14, 15.
Nò alcun dubbio potrà muoversi sulla identità del
personaggio descritto da Sofocle con quello delle mo-
nete di Alonzio, perchè l'acqua sgorgava da'peli della
barba, e non dalla bocca (Avellino opusc. t. Ip. 116);
giacché non giudichiamo necessaria la identità del
sito, da cui parte l'acqua, quando e 1' uno e l'altro
ci presentano una medesima significazione. Tornando
alla medaglia del Sig. Riccio, noi crediamo che l'at-
titudine di nuotare sia propria dell' Acheloo , che ri-
conosce una derivazione non dissimile da x^'^'Ì^j, do-
vendo l'a considerarsi come aumentativo, non già co-
me privativo : e perciò la Ura X-'^^*^*' > può riputarsi
ancora aggiunta in allusione al nome della divinità ,
a cui si trova vicino.
Questo nostro articolo si abbia come un semplice
annunzio di un fatto importantissimo ; ma tratteremo
eslesamente tutta la quistione del toro androprosopo
nella enunciata memoria. In essa discuteremo d'oude
sia provenuta la forma di quel mostro , che si è fi-
nanche incontrato fralle antichità assirie di Nioive, e
che dovrà pure in quelle riportarsi all' elemento del-
l' acqua , vedendosi ivi altresì il leone alato, che cer-
tamente figura la ignea natura del sole: al qual du-
plice fatto non fu da noi messa attenzione , quando
esponemmo altrove una diversa idea ( vedi sopra p.
46 not. 1 ).
. MlNERVINI.
Notizia degli scavi di Pompei : continuazione
dell'articolo inserito nel num. 5.
Alcune altre aperture si sono scoverte in continua-
zione ; ma non essendosi internato lo scavo da questo
lato sinistro della strada, ne differiremo la descrizio-
ne a tempo più opportuno.
Intanto pria di passare a descrivere gli edificii si-
tuali al lato destro , non tornerà discaro il veder ri-
portati i varii programmi, che furono letti sull'ester-
no de'pilastri di fabbrica esposti tanto a destra quan-
to a sinistra della medesima strada.
1. SVETTIVM • CERTVM
CLODIVS • NYMPIIODOTVS • CVPIDIS
• • Vr(mon.)
59
2. P • VEDrV'M • N\THMIANVM
AED • HILARIO • CVM • SVA • ROGAI
3. ALBVCIVM
4. L ■ C • S • IIVIR 0^
.... ILIO
5. IVSTINVM
AED 0/>
6. P • AONIVM
PROCVLVM
7. PROCVLE FRONTONI
TVO • OFFICIVM • COMMODA
8. CN • HELVIVM • SABINVM
ROG
CAPRASIA • FAC
9. C • CALVENTIVM
Il • V • I • D ROG
10. CN • HE • • • •
11. HOLCONIVM?
PRISCVM D • R- P • II • • •
IVVENEM • FRVG
12. CEIVM II VIR
HELVIVM • AED
13. CELSVM
OVE
14. SECVNDVM
AED
15. PANSAM -AED • 0^>
Venendo ora alla descrizione degli edificii , clie
veggonsi al destro lato della strada , comincerò da
quello , la cui apertura è segnata col num. 45, che
segue immediatamente alla vasca di pozzo, di cui già
tenne discorso il commendatore Avellino. Unum. 45
è una bottega non ancora interamente scoverta : ve-
desi all' estremo verso la strada un poggiuolo di fab-
'brica rivestito di marmi bianchi o di varii colori. Se-
gue altra bottega segnata col num. 47 , le cui pareti
son rozze, con varii pogginoli di fabbrica, che si ele-
vano dal suolo. Vien poi altro compreso numero 50
tuttora ingombro dalle terre , di cui appariscono an-
cora i rozzi muri. Segue il num. 51 ; cioè bottega
con abitazione annessa , la quale è interamente sco-
vcrla ; e perciò ne diamo una minuta descrizione. Al-
l' ingresso della bottega non appaiiscono tracce della
chiusura, non vedendosi affatto la soglia; e puòsup-
porsi che fosse chiusa da un tavolato. Il pavimento è
di lapillo battuto con ornamento di varie bianche pie-
truzze.
Le pareti son bianche con fasce rosse per orna-
mento , e festoni , che vi s' intrecciano.
Nel bianco campo si veggono sparsi animali , e
fruita ; una mozza melagranata presso ad una mela ;
un piccolo vasetto con ulive e presso un ramoscello
di ulivo; un cigno; un delfino; una melagranata pres-
so ad un'arancia; un frutto di fico d'India due noci,
ed una coppia di fichi secchi [duplex ficus).
A destra della bottega, e propriamente nell'angolo
esterno, è un piccolo chiuso di fabbrica , aperto sol-
tanto dal lato interno che guarda la bottega : entro
questo chiuso è un rialto con pendenza verso la stra-
da , che serviva di gittatojo , vedendosi pratticalo un
foro che menava l' acqua all'esterno sul marciapiede.
In questa bottega vedesi un piccolo mulino di pietra
vesuviana , composto della mela e della pila perfetta-
mente conservate. Dalla descritta bottega si passa alla
dielrobottega , mercè un' entrata , in cui non appajo-
no vestigia della chiusura. Il pavimento è parimenti
di lapillo battuto con bianche pietruzze per ornamen-
to. Lo zoccolo è rosso con ornato di bianche linee
verticali , e le pareli son gialle. Nel muro d' ingresso
è una finestra , che guaida nella bottega; e nell' altro
muro parallelo è altra finestra più ampia. Nell'ango-
lo destro ò un incavo , la cui continuazione costituir
dovea una nicchia , per uno stipo a muro. In questo
compreso vedesi ora una piccola base rotonda di tra-
vertino in parte frammentata. A destra della dielro-
bottega è un andito che introduce nell' interno del-
l' abitazione , e nel giardinetto che si descriverà : non
ha traccia di chiusura ; il pavimento è siynino , e le
laterali pareti sono ornate a fasce verticali allernan-
tisi di bianco e di nero.
Questo andito in continuazione s'impiccolisce, for-
mandosi un dente a sinistra, e sul nuiio a sinistra con-
tinua lo stesso ornamento di fasce bianche e nere. A
destra vedesi un giltalojo di fabbrica , ed al di sopra
s' elevava la scala di legno , che couduceva a qualche
— eo —
ammezzato superiore, e di cui si scorge il primo sca-
liuo (li pietra vesuviana. La porzione di muro corri-
spondente sotto la scala è di semplice intonico bianco
senza dipintura ; il rimanente è dipinto a fasce bian-
che e nere.
A destra è un'apertura che conduce ad un ampio
compreso , e che corrisponde alle spalle della dietro-
bottega , della quale è alquanto maggiore. Il pavi-
mento è signino, per una metà ornato di bianche pie-
Iruzze , e per un'altra metà privo di tale ornamento:
ivi è un (juadrato limitato da' quattro lati da linee di
bianche pielruzze , ed internamente fregialo da pezzi
di marmo di vani colori. A destra è nel muro un in-
cavo , ed altro simile incavo a sinistra quasi doppio
del primo; entrambi destinali certamente ad inserirvi
qualche mòbile. Lo zoccolo è rosso , interrotto da
bianche e gialle linee, e da ornamento di fogliami. Le
pareti son gialle , con compartimenti di rosso e di
verde, e con bianchi ornamenti. Nel fondo giallo mi-
ransi dipinti due pavoni, ed un altro augello, ed una
pantera corrente. Neil' ordine superiore sono rami
verdeggianti, ed altri ornali, tra i quali apparisce pu-
re un Grifo. Due soli quadretti fregiano le pareli ,
l'uno e l'altro rappresentanti pesci , gamberi, ed al-
tre marine produzioni.
Da questo compreso si accede ad altro locale , a
cui si passa ancora dall'andito o corri dojo sopra de-
scritto. Questo locale è limitato dalla parte posteriore
del giardino , e dalla parte anteriore del rimanente
dell' edificio : sembra che fosse interamente coverto ;
giacché in una porzione di muro, clie si eleva verso
il giardino , vedesi in alto un fineslrihQ destinato a
darvi luce. Nel pavimento signino apparisce una pic-
cola sfogatoja o lume del canale sottoposto , coperta
da un pezzo di marmo lavoralo , ed un puleale di
travertino con ornato di cornice e dentelli , coperto
da un pezzo quadrato di travertino, con residui del-
l' anello nella parte supcriore. Questo locale esser
dovea quasi interamente chiuso e privo di luce dalla
parie del giardino : ove forse elevavasi un tavolato.
Segue il giardino , che compie 1' cdifizio : è esso co-
steggialo da due soli lati da un canale di fabbrica ,
nel mezzo di cui ù nel lato anteriore una piccola va-
schetta con doppio condotto, uno de' quali si dirige
verso il pozzo. Le pareli che circondano il giardino
sono di semplice infonico biancastro , e rozze nella
parte superiore. In un muro leggesi graffito
VIBIA AMEIA.
Alla descritta abitazione succede una bottega se-
gnata col n. 53. Non vi è traccia di chiusura , e le
pareli son rozze : a destra era una scala di legno, che
menava a qualche ammezzato superiore; ed ora ve-
desi tuttora il pogginolo o grado di opus signinum ,
che le dava cominciamenlo. Nell'angolo esterno a si-
nistra è una costruzione circolare destinata alla custo-
dia di un canale , che sembra condotto di acqua ; e
presso sopra un piccolo rialto di fabbrica vedonsi i
residui di una cassa di ferro di non molto grandi di-
mensioni , ove forse il padrone della bottega serbava
il danaro ritratto dalla sua industria. Uscendo dalla
d 'Scritta bottega sul marciapiede della strada, incon-
trasi un piccolo poggio di pietra di Sarno addossato
al pilastro esterno. Segue una importante abitazione,
il cui ingresso è segnato col n. 57. Ha questo i segni
della chiusura sulla soglia di pietra vesuviana. Precede
il solito andito o prolhyron : il pavimento ne è signi-
no, con ornamento di bianche pielruzze simmetrica-
mente disposte: lo zoccolo è nero con linee bianche,
e gialli ornali. Le pareli son gialle , con scomparti-
menti di nero , e bianchi ornamenti : a sinistra scor-
gesi nel campo un caprio corrente in parte perduto.
Da questo andito si passa nell' atrio tuscanico , alla
cui entrata non si veggono tracce ,di chiusura : le due
pareti laterali dell'entrata sono adorne di linee bian-
che , gialle e rosse.
Il pavimento dell' atrio è di opus signinum , con
pezzetti di bianco marmo , ed altri più grandi disse-
minati a maggiori distanze.
Nel mezzo vi è il compluvio nobilissimo lutto ri<
vestilo di bianco marmo, con cornice nella parte in-
terna , ove si vede un foro per lo scolo delle acque.
Sul suolo del compluvio vedesi una piccola base di
marmo adorna di grandi foglie di acanto a bassori-
lievo, sulla quale poggiava una vaschetta di marmo,
da cui zampillava l' acqua. Nella parie posteriore è
un pilastrino di fabbrica rivestito di bianco marmo ,
-CI -
destinalo a racihiuilere un condono di piombo pro-
veniente dalle vicinanze del peristilio : sul dello pila-
slrinu sono fabbricale alcune pietre con concliii'lie
incastrale ; e di mezzo sorge il condotto , cbe versa-
vasi nella vaschetta innanzi accennala per animarne
lo zampillo. Presso al compluvio sono due sfogatoje
de' sottoposti canali, una delle quali è coverta da un
pezzo di marmo lavorato, l'altra è priva di cover-
chio. Sul descritto pilastrino poggia un'ampia mensa
di bianco marmo, cbe è pur sostenuta da due laterali
sostegni anche di marmo di bellissimo lavorio , con
scolture. Sì dall'uno cbe dall'altro lato si ripetono
le medesime scollure , o i medesimi bassorilievi.
Dalla parte che guarda l'ingresso della casa vedesi
la metà anteriore di un alato mostro , cbe ha lesta di
drago con lingua prominente, corna di capra, e zam-
pe di leone: pare che siesi voluto figurare la Chime-
ra. Nell'opposto estremo è scolpita la metà anteriore
di un Grifo. Al lato esterno vedesi a bassorilievo un
corno dell' abbondanza ripieno di frutta e di altri co-
mestibili , e presso un grosso globu con due fasce
che Io cingono fra loro incrociandosi. AH' interno è
un grazioso ramo con foglie e fiori. Sulla faccia su-
periore della mensa sono scolpite le cifre numeriche
LXXIX. Lo zoccolo dell' atrio è nero con ornamenti
di giallo e di rosso , non che di piante, e di gialle te-
ste gorgoniche. Le pareti sono gialle con scomparti-
menti di rosso e di nero. Ne' muri , che sono al dor-
so dell' ingresso , veggonsi due graziosi candelabri e
svariati rabeschi. Nel muro di fronte si ripele due
volte r ornamento di simili candelabri , osservando-
sene uno più conservato , cbe ci permette di offrir-
ne la descrizione : su rosso piedistallo si eleva il can-
delabro di rosso con gialli rabeschi , di mezzo a ca-
pricciosa architettura dello sfesso giallo colore , sulla
quale torreggiano due ippocampi parimenti gialli. Al
di sotto vedesi in un particolare quadretto dipinta a
chiaroscuro in campo verdino una magnifica testa di
Medusa , con alette alla fronte. Nel muro laterale si-
nistro vedonsi in campo nero varii ornamenti di giallo
di verde e di bianco , e nel mezzo un bellissimo tri-
pode di giallo , quasi fosse di oro.
Questo sacro arnese presentasi dalla parte più n d-
bile destinata ad essere più visibile. Sopra una base ,
ador na di una testa a rilievo , si elevano i tre piedi ,
due de'quali sono formati a foggia di colonne con le
rispettive basi , ed i corrispondenti capitelli. Quello,
che vedesi dalla parte anteriore, è conformato a guisa
di erma , cbe si eleva egualmente sopra una base , e
termina in lesta di disinilà, che par fenuninile, eoa
due piccole laleiaii anse a poca distanza dal collo :
siccome comparisce in altre simili erme. Al di sopra
del capo di questa erma si scorge un fogliame , da
cui sorge una rotonda prominenza che va decrescendo
superiormente ; e nella parte più alta e delicata poi--
gia la coppa del tripode fahcnumj.
È questo ornato di fogliami , di baccellature, e di
una gorgonica testa ; e più sopra presenta un fregio
di rosonciai , e di cinque bianche lire , che figurano
come se fossero di argento. L' apollinea cetra è ben
conveniente a questo sacro arnese di Apollo. Al di
sopja della bocca del tripode si elevano tre statuette;
la media con lunga tunica, e con acconciatura di le-
sta simile a quella dell'erma sottoposta , afferra con
ambe le mani due enormi serpenti ravvolti in varie;
spire; le altre due laterali anche vestite di tuniche par
che pieghino le ginocchia , e ciascuna di esse alTerri
con una delle sue mani uno de' serpenti. Due cerchi
ornati di prominenti fiorellini rinforzano i piedi del
tripode, ed altro cerchio sostiene le tre figurine spor-
genti dalla bocca dell'a/tt'Hum, le quali visi attaccano.
In confronto di questo dipinto tripode son da ricor-
dare i tripodi descritti da Pausania , che diconsi so-
stenuti da varie divinità ; tali sono Venere , Artemi-
nide , e Proserpina con Cerere (lih. IV e. XIV , 2).
Non può con certezza diffinirsi chi siano quelle tre
femminili figure che afferrano serpenti ; giacché non
vorremmo pensare facilmente alle Furie, alle Gorgo-
ni , 0 ad altri esseri di simil natura : ma ove ci rie-
sca d' illustrar questa particolarità del tripode pom-
pejano , non mancheremo di comunicar le nostre ri-
cerche a' lettori del bulleltino. Sotto al candelabro .
nel sito corrispondente allo zoccolo , è una gialla ce-
sta pendente da un nastrorsopra vedesi in campo ver-
de una bianca pantera punzecchiata di rosso , che si
ciba di qualche cosa.
— 62 —
In uno de' muri dell' atrio vedonsi graffite varie
lettere , o il principio di un alfabeto
B A B C D li
Altrove si legge
POLICARPVS FVGIT
In altro sito leggesi anche graffito un fallo, ed alcuni
segni incerti.
Ma è più importante la seguente iscrizione tracciata
col carbone in una parte dello zoccolo , la quale se
non interamente, si è nella massima parte conservata
dopo il decorso di circa diciotto secoli :
POPAM . AED . ORO .V OS .... XXI SALPIO
Sarebbe stato assai interessante che tutti i caratteri si
fossero serbati. Non mi è riuscito di leggere oltre l'OS
di VOS , ed anche il XXI non è scevro da dubbio.
Tra il V e r OS non mancano lettere ; ma l' antico
pompejano , che segnò que' caratteri, volle rispettare
un giallo ornamento , che occupa quel posto nello
zoccolo nero. Intanto è questo un novello esempio per
la intelligenza dell' 0 . V . F , che già venne dal col-
lega Garrucci additata per ORO VOS FACIATIS in-
vece dell' ORO VT , siccome pria si leggeva : vedi
pag. 5.
Nel muro destro dell'atrio è pratticato un piccolo
finestrino. In questo medesimo muro sono due aper-
ture, che conducono a due cubicoli. 11 primo ha traccia
di chiusura , con soglia di pietra vesuviana : il pavi-
mento è signino , i muri sono di semplice intonico
senza dipinti. Il secondo cubicolo ha pure soglia di
pietra vesuviana : il pavimento è signino , con molti
irregolari pez2Ì di marmo per ornamento. Lo zoccolo
è rosso , con scompartimenti di verde , e con orna-
menti di giallo, e verdi fogliami : vedesi pure in esso
un cigno ed altro capriccioso animale. Le pareti son
bianche con piccole fasce di rosso , giallo e verde , e
con ornati e rabeschi. Tra questi è un candelabro, e
capricciosa architettura sormontata da un mostro alato
con testa di drago e corna , e zampe di leone , del
tutto somigliante a quella specie di Chimera scolpita
nel sostegno della mensa, eh' è presso al compluvio :
vedesi pure una cesta semiaperta , e nel campo un
pavone e varii delfini. Finalmente sono nello stesso
campo dipinti varii Amorini con verdi clamidi svo-
lazzanti ; il primo reca sulla spalla un vaso o tino :
degli altri due uno è nella maggior parte mancante ,
neir altro è presso che svanito il colore. Nel muro
verso il peristilio è una grande finestra.
(continuaj
MlNERVIM.
Relazione dei nuovi scavi eseguiti nell'Anfiteatro
Campano.
Il giorno 4 ottobre 1831 cominciarono i lavori
dell'esterno del monumento a destra dell'ingresso
principale , per l' ampiezza di numero sei arcate , e
così inoltrandosi internamente si sono proseguiti fino
al dì 6 aprile 1832.
Diversi oggetti abbiamo rinvenuti, cioè frammenti
architettonici , e di statue in marmo, una moneta di
oro dell'imperatore Giustino, diverse di bronzo, un
pezzo di osso lavorato con cerchietti incisi , forse ma-
nico di gladio, ed una gemma di lapislazuli con la se-
guente epigrafe :
Heiceci
HAieor
AHU)
Giunti alla base delle colonne, addossate ai pila-
stri esterni, nel primo e secondo portico, vi abbiamo
rinvenuto il pavimento lastricato di grandi pietre di
travertino di figure regolari , il quale giungendo fino
all' esterno del monumento , sporge dal plinto delhJ
basi delle anzidette colonne per pai. 1 , 63 , ove
termina con un gradino dell' altezza di pai. 0, 90.
Da tale scalino si discende in un piano , ugualmente
lastricato , scoverto finora per la larghezza di palmi
19 dal medesimo gradino , nò può determinarsi fin
dove giunga, essendo il resto coverto di terra.
Trovandosi detto pavimento mancante in alcuni
giti dei massi , fui spinto a voler conoscere la gros-
sezza delle pietre che lo compongono , ed il suolo
sottoposto , quindi avendo fatto scavare nel ponte di
— C3 —
un masso ni' imbattei in una costruzione laterizia sot-
toposta al pavimento , perlocliè ordinai ai lavoratori
di allargare ed approfondire detto scavo, e riconobbi
esservi un canale di accpia , clie percorre esterna-
mente l'ellissi dell'Anfitealro sotto il detto pavimento.
Il detto canale si discosta dal ponte del menzionato
scalino per palmi 5, è profondo palmi 4, 50, è lar-
go palmi 2, 75, ed i massi cbe Io coprono sono spes-
si palmi 2,25. Avendolo io percorso carponi con lu-
me insieme ad un muratore , giunti alla distanza di
palmi 50 dall'asse maffgiore trovai un altro canale di
simile costruzione che lo traversa : di questo secondo
canale un braccio s'interna nell'Anfiteatro corrispon-
dente sotto al quarto arco a destra dell'ingresso mag-
giore , ed un altro braccio si prolunga in linea retta
del primo fuori dell'Anfiteatro. Il primo braccio s'in-
noltra per palmi 42 ed il secondo per circa pai. 20 ,
nò mi fu lecito andare oltre, perchè interrato.
Ritornato nel sito dell' intersecazione dei canali , e
fattomi di bel nuovo nel primo che cinge l'Anfiteatro,
lo percorsi per altri pai. 282, ove similmente la terra
lo aveva colmato. Alla distanza di palmi 230 dall'asse
maggiore mi sembrò nel masso che covre quel sito
del canale esservi uno sportello.
Inoltre è da notare cbe dal piano dei due indicati
portici esterni si passa negli aditi di comunicazione
con gli altri corridoi, mercè di uno scalino alto pal-
mi 0, 90 anche di travertino. In questi aditi , non si
trova pavimento, forse perchè di marmo, ed in altra
epoca tolto.
La scoperta di queste importanti particolarità de-
vesi tutta agli attuali scavi, perchè niuno finora aveva
parlato né dello scalino esterno , né dei canali sotto-
posti , né dell" altro gradino degli aditi. Il solo Maz-
zocchi alla pagina 138 dell'opera In mulilum Ampli.
Camp, tilul. dice che egli nulla vide , ma che seppe
da un lapicida esservi all'intorno del monumento un
lastricato ed uno scalino.
A me sembra che questi due canali servissero a
deviare le acque piòvane.
Gli scavi attualmente sospesi, saranno quanto pri-
ma riattivati avendo S. M. il Re N. S. oidinalo di
darsi le convenienti disposizioni, perchè si nobile mo-
numento sia interamente scoperto.
L' Archiletlo
Ulisse Rizzi.
Giunta all' articolo precedente.
Con grandissimo piacere abbiamo riferita la noli-
zia de' più recenti scavi eseguiti nell'anfiteatro Cam-
pano sotto la intelligente direzione dell' egregio ar-
chitetto Sig. Ulisse Rizzi. Noi ci attendiamo che pro-
seguendo lo scavo, mercè le cure del chiarissimo si".
Principe di Sangiorgio , tanto impegnato per la con-
servazione di ogni sorta di antichi monumenti , si
venga a scoprire quanto prima (piel classico edifizio
in tutte le sue parli. Sarà allora più opportuno deter-
minare r uso di quegli acquidotti , che al Sig. Rizzi
sembrano destinali a deviare le acque piovane, e che
altri riporterebbe forse ad altra destinazione. Riman-
dando ad altra epoca una più esatta dichiarazione
delle novelle scoperte, vogliamo soltanto notare che
la pietra con la gnostica iscrizione sopra riportata tro-
vasi già collocata nel real museo Borbonico, ove ab-
biamo potuto riscontrarue la lezione ; e ci proponia-
mo di dirne qualche cosa ia altra occasione.
MlXEUVl.M.
Tavola aquaria Venafrana continuazione del numero
precedente.
Il decreto Venafrano sembra lo abbia nel signifi-
cato generale di recipiente o castello, o lago, senza di
cbe dovrebbe ammettersi , o una legge , che tra le
fabbriche annesse all' acquedotto dimentica di nove-
rare il castellum , oyvero un acciuidolto , che fosse
privo di castellum, delle quali due ipotesi non so
quale sia più assurda.
Oltre dei lacus, o castella, è necessario ad ogni ac-
quidotto la sua chiavica immissaria destinata alla prc-
— 64 -
sa delle acque. Questa chiavica ebbe nome di incile,
del quale nò Viiruvio, nò Frontino ha parlalo ; ma
Ulpiano lo definisce locus depressus ad latus fluminis ,
ex eo diclus quod incidalur; incidìlur enim vel lapis ,
vcl terra, undc primitm aqua ex (lamine agi possit.
Essendo adunque rivo o fossa ancor esso , onde
fossas inciles disse Catone (R. R. e. 155), ed Ulpiano
prima incilia , vel principia fossarum, quibus aquae
ex flamine vel ex lacu , in jìrinmm rivum pelli solent
(L. 1. § 8. D. De aqua collidiana), e le glosse Inci-
les ^ti/jpvyiì, ^luipv^ Emissarium,e ¥eslo, Incilia , fos-
sae quae in viis fiunt ad deducendam aquam, sive de-
rivationes de rivo communi faclae; non è maraviglia
che sotto il general nome di rivi sia compresa. Ulpia-
no giudicò che nel rivos, specus, saepta nominali nel-
r editto del Pretore potessero venir intese anche le
fosse e i pozzi: sed et fossae et palei hoc interdicto con-
tinentur 1. e. § 2.
SAEPTA II Vossio ed altri opinarono che miglior
ortografia fosse scrivere questo vocabolo senza ditton-
go, dcducendolo da <TÌi,xo?, ove fosse accaduto lo stesso
scambio del x in p, che in Xvxni e Lupus; gli si op-
pone la tavola Venafrana, i codici piìi antichi (Osaa.
in Cic. de Rep. pag. 88.) , e un buon numero di la-
pidi dei migliori tempi (Noris Cen.Pis. p. 198. T. 1 1).
Quanto al significato, equivale il sacjjfa alle nostre
chiuse , e cosi son definiti da Ulpiano : saepta sunt ,
quae ad incile opponuntur aquae dcrivandae compel-
lendaeee ex flamine causa, sive ea lignea sunt, sive la-
pidea, sive qualibet alia materia sinl, adconlinendam,
transmiitcndamque aquam excogitata.E di questi saepta
nò Vitruvio , nò Frontino hanno parlato. Sotto nome
di FONTES iulendonsi lo scaturigini di acqua viva (L.
1 . §. 4. D. de Fonte): questi si restaurano [reficiuntur);
nisi enim purgare et rcficere fontcm licueril , nullus
tisiis eius eril scrive Ulpiano. L 1. p. 8. D. De Fonte.
P\nrEI. All'esito dell'aria sono destinati gli sfiatatoi,
od aperture, per le quali possa esalar quella porzione
di essa, che l'acqua trae seco nel corpo, ed ingrossa
continuamente colla evaporazione. Ma nei rivi , ove
l'acqua trascorre in condotti di piombo, od in (uhi di
creta in luogo dello sfiatatoio o puleus, conveniva al-
zar pilastri o colonne, alle quali univasi e con essee-
levavasi quella parte di fistula destinata a far sprigio-
nare l'aria raccolta; e perchè l'altezza della sorgente
non obbligasse punto a sboccar fuori dalla apertura
l'acqua, si aveva cura di livellarne le altezze, a secon-
da dei capi , e della spinta non interrotta nel corso.
Questa sorte di sfiatatoi avrebbe potuto appellarsi
columnaria , ma non è sicuro che siano nominati da
Vitruvio nel luogo, ove i manoscritti, e le stampe pri-
mitive variano tra il columnaria , e le colliquiaria. Il
Marini ritiene nel testo colliquiaria, perchè tiene cer-
to, che nei venlres, o sostruzioni arcuate fra due clivi
non è possibile aprire uno sfogatoio , donde die' egli
rifluirebbe tutta l' acqua : aqua aflluerel ex his , cum
ad punctum , quod libella capids fontis inferius esset,
se elevavisset (Marini ad Vitr. lib. Vili. e. VI. n.
22. ). Ma ciò non può avvenire , ove lo sfiatato-
io, ed anche il pozzo si elevi al livello della sorgente.
La colliquiaria per lo contrario intese prò quadam
amplitudine , quae danda est flstulis in ventre (Marini
L. e n. 20. ). Non veggo come possano vim spiritus
relaxare non dandogli alcuno sfogo di fuori del con-
dotto. In Pompei vedesi la forma delle eolumnaria'm
più luoghi , sui due fianchi delle quali sono aperti i
canali destinali a ricevere e contenere il tubo di piom-
bo a smaltimento dell'aria, ed a conservare il livello
della fonte allitudincm exortus sui; e spesse se ne veg-
gono , essendosi forse avuto davanti quella massima
così espressa da Plinio : Si longiore traclu veniet, s«-
beat crebro, desccndalgue, ìie Ubramcnla pereant,
I pozzi lumina delti da Plinio , che Vitruvio pre-
scrive doversi cavare alla disianza di due aclns, putei
intcr duos sinl aclus (Plin. //. N. L. XXXI. 31.) os-
sia duecento quaranta piedi, arrivavano fino a fior di
terra , adoperandosi per i rivi sotterranei cuniculi.
(continua) Gaurdcci.
P. Raffaele GAnnrr.ci d.c.d.g.
GiiLio Mi.>Euvi.M —Editori,
Tipografia di Giuseppe Càtà^eo,
BILLETTINO ARCDEOLOGICO AAPOLITAXO.
NUOVA SERIE
N° 9.
Kovemlji-c 18.32.
Osservazioni numismaticlic. — Dilla Icijjje dei sclUiiiIddne solidi per oyiii libbra — Della Gruma o sia Fer-
ramenlo agrimensorio , figuralo in un cippo sepolcrale d' Ivrea. — Notizia de' più recenti scavi di Pompei :
conlinuazione dell' articolo inserito nel num. precedente.
Osservazioni namismaliche.
i. Protome giovanile laureala a s., davanli leggen-
da svanita.
)(Delfino a s. e clava, sopra al delfino (;W Ij^lHYOYR,
di sotto ^ll>l>IRF];W) (v. Tav. IV. n. i).
É celebre questa moneta , per la difficoltà incon-
trata finora a leggerne le epigrafi in tutti gli esempla-
ri. PuLldlconne la prima il eli. Comm. Avellino (0-
pusc.T. II. p. l-27.Tav.V.fig. 6) , e delle tre leggende
potè appena ricavare due lettere appartenenti alia ter-
za ^' •• M , onde si rimase da qualunque commento.
Poscia da altro esemplare riusci a trarre intera questa
medesima epigrafe , e dandone notizia nel forno III.
degli Opuscoli (Tav. VII. n. 3, pag. 9'p) scrisse; (/«&-
hio pia, non rimane, ch'essa erpiicalga in lettere lali~
ne alla voceMAKRHS; pensò quindi attribuii la a Mar-
cina città tirrenica , e poi Sannilica sul golfo di Sa-
lerno. Dopo dell'Avellino il Mommsen ha dato il suo
parere intorno a questa leggenda medesima , e dice
così ; La seconda , come ho rironosciiilo io stesso sugli
originali, è ZmmRW mom ^lia>IRW (presso il Fiorei-
li , Ann. di Numism. 1,43).
, Le nuove cure del sig. Friedlaender intorno alle mo-
nete osche , lasciano quasi intatto questo cam|)0 [die
Ofkischen il/unren. p.63). « Due sono le iscrizioni sul
rovescio di questa moneta l'una di sopra, l'altra al di
sotto del delfino volto a sinistra, disopra leggcsi xW.W
od 'ahuru, di sotto 'makdiis' di poi una clava»: cosi il
Friedlaender. Ma non è da omettere , che su questa mo-
neta medesima, passala ora nel Real Museo di Berli-
AM\-0 I.
no, era slato letto >IHY>IYH, come a|)prendo, dal sig.
Principe di S. Giorgio. La qunl lezione lascia poco a de-
siderare al confronto della mia, cheè(?mi )IHY(JYfsI.
La prima lettera è chiaramente R cosi in (|uesta, co-
me nella moneta del museo Santangelo , veduta pu-
re dal Friedlaender, il quale per altro non vi ravvi-
sa il secondo elemento ivi abbastanza sicuro Y. Nella
copia del eh. Sig. Principe di S. Giorgio sono tutte
le linee dell' R, tranne la traversa superiore, ma quel-
la che va obliipia a congiungere le due verticali in-
clina a sinistra H , contro l'ordinario andamento; il
quale sbaglio vedesi ivi ripetuto nell'HH di ^IDI'MRSJnI
e altrove. L' YR dunque è assicurata per la lettura
dello Spinelli, e per i due esemplari, il mio, e quel-
lo del Museo Santangelo. La terza lettera è Q facile a
scambiarsi col ^, e col >l in una moneta un pò frusta,
e logora, o mal coniata, nel resto confrontano le due
lezioni, la mia, e quella del eh. Spinelli, a cui, se
piace, possono aggiugnersi le due finali HHI, che forse
non sono del tutto svanite.
Minor discrepanza è intorno alla lezione del nome
sottoposto al delfino, ove ricorre la stessa ambiguità,
e lo scambio medesimo della lettera )l , che altri leg-
ge ^, altri Q. Nel mio esemplare, che ho tuttavia sol-
t' occhio, è sicuro un )l, onde legj;o ill>l>IRRW, TR
è raddoppiato, siccome in HlflRRn, in ^JVHRRT) ,
e parmi assai più analogo ai conosciuti nomi gentili
degli Osci, fra i quali contansi Paccius, Occiui, Vac-
cius, Laccius , oStlaccius, inoltre si sa che .V'irras
era detta un'osca persona, nelle favole Atellaue(Dio-
med. L. III. e. de gener. poèm.)
Accordandomi poi agevolmente coi Sigg. Momm-
— C6 —
sen e Friediaender a riputar questo vocabolo un no-
me proprio, forse di un magistrato supremo, dichiaro
che per me la moneta non è più di dubbia attribuzio-
ne, ma che ne entrano in pieno possesso gli Aurun-
ci , i quali battono il metallo in una zecca comune ,
col nome della nazione , siccome i Campani , i Lu-
cani , i Vestini , i Frenlani , e in qualche modo an-
che i Safinì o Sanniti ai tempi della guerra Marsica.
Negli ultimi tempi il territorio di questo popolo Au-
runco sembra aver avuto per conGne i due fiumi , il
Liri , ed il Saone fSamJ , almeno aver avuta qui la
somma di lor signoria , ove contavansi fra le città
principali Cales , Suessa , Minlurnae , Vescia , Amo-
fia , od Aurunca. Niebhur intorno alla città Aurun-
ca, che risulta dal racconto di T. Livio (1. 8. e. 15.)
ha opinato , che lo storico romano commette lo sba-
glio di credere una città quella Aurunca, che era la
nazione Aurunca(//.iJ.L.V.p.234.Golb.).Più appres-
so nondimeno ammette la città detta Ausona, che con
Minturna, e con Vescia fu occupata a tradimento dai
Romani (p.323.cf.LivioL.IX.c.23). Ma una città ^w-
runca è nominata ancora da Festo fexc. Pauli p. 18.
Mùller ): A quo f Ausane) condilam fuisse Auruncam ur-
bem etiam ferunt ; e per lo contrario il medesimo Nie-
bhur ha sostenuto altrove la sinonimia dei due nomi
Aurunci ed Ausoni {H. R.L.l.p.QS,99), come di Au~
$on , e di Aurun. Sarebbe mai vero , che la città di
Aurunca fosse di poi detta da Livio ausona.'' Nel qual
caso l'unica diflìcoltà da superare sarebbe, che Livio
racconta della prima al 419, moenia antiqua eorum ,
urbemque ab Sidicinis delelam (L. Vili. 1 o) ; quando
di Ausona al 440 dice , Ausona et Minlurnae et Ve-
scia Urbes erant (L. IX. e. 23.) Ma fino a qual se-
gno sogliano esser vere le positive notizie di distru-
zioni siffatte , lo dimostra un simile racconto intorno
a Cuulonia distrutta affatto , secondo Diodoro , nel-
l'anno di Roma 372 (BibUoth. XIV. lOG) , ma che
nondimeno era in piedi al 38o per Diodoro medesi-
mo (XV. 14. cf. Pausan.VI, 3, .3), siccome ben os-
serva il eh. Sig. Raoul-Rochette (Meni. deNumis. no-
te 2. Paris. 1840). Del resto non par certo se la città
Aurunra , ovvero la nazione degli Aurunci battesse
la moneta , di che è parola ; tuttocchè io inclini a cre-
derla propriamente di Aurunca , quando era città ca-
pitale della nazione, prima che questa si separasse in
parziali governi ed indipendenti , e lo era certamente
divisa al 415 quando Calvi guerreggiava da sé (Nie-
bhur H.R.I.V. 234, 235 ), siccome me lo fa arguire
il nome Macciis, che pare il magistrato supremo , ejus
genlis princeps ( cf. Sthennius Meltius (SamniliumJ gen'
vis princeps (Festo V. Mamerlini. p. 158. Miill. ).
Sul rovescio , e dietro la prolome di Apollo il eh.
Pr. Spinelli leggeva gli avanzi AlN di leggenda , che
nel mio esemplare vedesi cominciare davanti la me-
desima prolome , sulla quale non so che dirmi , pe-
rocché non mi è riuscito assicurarne la lezione. Par-
mi per altro che cominci con un YM.
2. Protome di Pallade a d. coperta di elmo attico
coronato di ulivo , sotto HVR
)( Toro a volto umano a d. sopra ONAHMAH
Ira le gambe M , davanti una cicogna ( v. Tav. IV.
n. 5.).
3. Protomc femìnile a d. con tenia intrecciata fra
i capelli )( Toro a volto umano a d. sopra AfTlANO
(v. Tav. IV. n. 6] , tra le gambe una serpe.
11 prof. Mommsen , {Iscr. Messap. Roma. 1848.
p.52.n.), e dietro di lui il Friediaender ( Osk. Miln.
p. 34 ) hanno citata questa moneta , ed il primo, che
la vide nel Museo Santangelo , notò che ne aveva par-
lato r Abeken (MitteliL p. 333, n. 5 ) ; ma il Fried-
iaender ne dà anciie la leggenda OHAnM.\H.
I disegni per altro non ne sono molto esatti , pe-
rocché neir uccello del rovescio, patentemente cico-
gna, hanno fatto sospettare al eh. Cavedoni uno del-
la specie dei Falconi, [Medaglie Osche pag. 198.
Bullett. dell' Inslitul. Roma. 1850). Nell'unica mo-
neta del Friediaender (Tav. V. n. 2. Campani, op.
cit. ), che somiglia pienamente alla mia, legge egli
OHAnMA>: , ed io son sicuro , che la prima lettera ,
meglio osservata troverassi un H. Di sotto alla proto-
me del dritto il nome HVR pare iniziale di alcun ma-
gistrato di nazione Campana. Potrei citare a conferma
Strabone, il quale nei nomi dei demarchi di Napoli di
origine Campana, trovava un solido argomento della
dominazione straniera in questa città (V.4.7,), se te-
nessi che le monete colla epigrafe Rampano siano co-
— G7
nialo in Napoli. Fu questa la sentenza dell'Avellino ( 0-
pwsc.T.II.p. 1C7), che fondava la sua congellnra sulle
parole di Strabene, dalle quali parevagli potesse dedut-
si , che i Campani accolti in Napoli vi esercitassero
in qualche tempo tutta l'influenza , apparendo dai fa-
sti napolitani , che vi sostennero eziandio ma;;is(ratu-
re. Allegava quindi il paragone dei Campani in Sici-
lia, i quali coniarono moneta in Entella col nome lo-
ro, e della città ENTEAAA5; KAMnA\a\. Qui per
altro non apparisce veruna traccia di dialetto Osco, e
però potrebbe taluno rivolgere l'argomento dell'Avel-
lino contro di lui iu questo modo: Dal fatto sicuro dei
Campani di Entella , si apprende , che vi usarono in-
vece della propria, la lingua Greca del paese, e però
vedendosi nelle monete dei Campani di qua un dia-
letto osco, deve piuttosto riputarsi, che se le siano co-
niate fuori ; specialmente perchè non ebber certo in
Napoli quel dominio , che in Eniella soggiogata da
loro, dimostrando inoltre i nomi campani tra' ma-
gistrati, che Strabone cita, essersi dai Campani di Na-
poli usata lingua greca , e confermandolo la celebre
iscrizione di Ischia, dei Campani Faccio Nimsio , e
Maio Pacullo , che è egualmente scritta in greca lin-
gua. A convalidare da questo lato la opinione del eh.
numismatico napolitano allegherò il confronto dei Cam-
pani di Regio,e di Messina, i quali scrivono MEJJANO,
e RECINO sulla moneta: pei Messinesi propose già il
Cavedoni [Spie, tiumwn. p. 28.n..38. ), di riconoscer
i Mamertiui di Sicilia padroni di Messina. La proto-
me della seconda moneta di questo popolo qui fatta
incidere parmi potersi ora sicuramente definire col
confronto della monetina terza, riconoscendovi la Si-
rena Partenope , come sulle Cumane, donde pare imi-
tato questo tipo , dovrebbe teneisi ritratta la Sibilla
di Cuma. Intorno allo scambio nell'Osco del >l in B
■veggasi la p.43 di questo bullett. Dopo tale mutazione
non reca maraviglia la mancanza di questa aspirazione,
che forse può ben paragonarsi al Calor detto "'AXwp
a KcttAwn'x detta AvXwvix , ove sembra invece, che
r aspirato siasi convertito in K. Intorno all' M che ve-
desi tra le gambe del toro , e talvolta scambia il po-
sto colla cicogna , taluno ha creduto che si dovesse
congiungere al nome leggendo Campanom. In altri
tempi avrebbero trovato una spiegazione della Cico-
gna [TTiXxpyòi), e della serpe ò'-fis riportando il pri-
mo simbolo alle tradizioni intorno ai Pelasgi , ed il
secondo agli Opici detti cosi dai serpenti ; Servius.
Aen.XU.y.l^O. Capuemes antea Opki appellati sunl,
quod illic plurimi ahnndavere serpenles; ma (jueste
erudizieni rassomigliano molto a quelle che si rica-
vavano una volta , e pur tuttavia da alcuni si cavano
dalle lingue semitiche ed indiane.
4. Protome femminile coronata , con pendenti , e
collana , rivolta a s.
)( Otto guerrieri con le punte delle spade ignudo
rivolte verso un porchetto, presso al ipiale è un mi-
nistro occupato, come pare, a tenerlo fermo, nel cam-
po una insegna , nell' esergo IIIIA.
La spiegazione , che i dotti hanno finora proposta
del tipo rappresentato al rovescio di questa moneta ,
è , che quivi otto capi dell' armata sannitica confede-
rati sacrificano la scrofa dinnanzi all'insegna militare
( Cavedoni , Bull. Napol. T. VI. p. 74. ). Colle quali
parole sembra che apertamente alludano al rito foe-
(ìeris faciundi descrittori da Livio (1 , 24. IX, V>. cf.
Sveton. in Claud. XXV. ) , e che Virgilio conqiendiò
in due versi (Vili, 041 , 642):
Armati Jovis ante aram , paleraaqur lencnla ,
Stabant , et eaesa iunejehant foedera porca.
Or a chi bene osserva la composizione di questa ra|)-
presentanza , parrà , se mal non m' appongo , troppo
diversa da quella delle monete, che si assume d'inter-
pretare col confronto di essa. Quivi trattasi di un fe-
ciale , a quo porcus ferialur , qui leges recilel , preca-
tionem adhibeal ; inoltre il sacrificio preceder dovea
la confederazione , che facevasi fia i quarti della vit-
tima immolata. Dei quali riti è evidente , che ninno
si ravvisa sulla moneta sannitica; onde realmente non
si può tenere per anco spiegato quel tipo. Forse per
quanto ne conosciamo degli antichi rili , si rimarrà
sempre oscuro , e dovremo restar paghi a dire , che
si tiatti qui di un giuramento sulla vittima, che sarà
poi sacrificata, davanti all'insegna, e non del rituale
fnederis feriendi. Alla quale seconda opinione un va-
levole appoggio par ri presti il celebre passo di Cice-
rone, citato opportunamente pi ima dall' Eckhel , poi
- 68 —
«lai Cavedoni, in cui discorronilo un* alleanza falla dai
Runiaui coi Sannili , non parla allrinienti di feciale ,
ma solo di iiu giovane che leneva il porchello fde
Iiìieitlìone ii): In eo foedcre , quoti faclum est quon-
dam cum SamniUbus, quidam adoìescens nohiìis por-
cam suilinuil iussu Imperaloris. Si cerca qui da Cice-
rone , se dalo in mano ai Sannili 1' Imperatore , do-
A esse il Senato consegnare al nemico ancora il giovane,
che aveva sostenuto la porchetta. Nel qual caso è in-
dubitato, che si sarebbe a più ragione dovuto cercare
del feciale , e di qualunque altro più immediato nii-
nislro del sacrificio , se questi fossero stati adoperati
in quella cerimonia. Adunque fa luogo conchiudere,
the in quel cerimoniale si fé a meno del feciale. Un
altro lume ci >icne da Servio a vie meglio intendere,
the r Iniperator Romano fece qui l' alleanza con rito
non suo , ma proprio dei Sannili. Perocché racconta
quel grammatico , che l' uso del feciale era instituito
da Numa, e che in Roma slessa prima di ciòusavasi
di ferire col ferro: Nani cum ante gladiis con fgeretur,
a fccialibus inventum , ut silice feriretur ( Aen. Vili.
V.C VI). Secondo questa tradizione non veggo alcuna
difiìcollà di inlerpretare la cerimonia rappresentala
sulla moneta, siccome dimostrazione dell'antico rito,
con che i capi congiurino. Sarebbero quindi figurati
i capi dell'esercito Sannitico , che gladiis configunl
porcam , quam adoìescens nohilis suslinet. A maggior
conferma della qual interpretazione , osservo , che
Pitti Cretese in quel suo racconto della guerra tro-
iana a questo rito medesimo dovea aver 1' occhio ,
quando cosi bene ne disegnò anche i particolari della
rappresentanza : lasciando scritto , che i Greci , mu-
cronibus sanguine (porci marisj oblilis, adhibilis etiam
aUis ad eam rem necessariis, inimicitias sibi cum Pria-
mo, per reìigioncm conftrmanl (de B. Troiano. L.ij.
Della legge dei sctlanladue solidi per ogni libbra.
» Al tempo di Augusto si coniarono con una lib-
bra d'oro 40 solidi, ma gradatamente in appresso con
la stessa quantità se ne battè un maggior numero ,
sino che V.\LEMiMA>oI co.y IìNA legge oudinò, cue
DA UNA LIDBRA d'oRO FOSSERO COMATl "t'I SOLIDI (Cod.
X, tit. LXXII (LXX), §. 3, dell' a. 307); selle mo-
nete d' oro di questo imperatore si trovano per
LA PRIMA VOLTA LE LETTERE OB.» Cosi il Fricdlaen-
der in un estratto dell'opera die Milnzen Justinians-
Berlin 18i3, p. 72, tav. VI in 8, dettato qui in Na-
poli , e tradotto in italiano dal sig. Fiorelli , il quale
lo ha inserito nei suoi Annali di Numismatica (Voi. 1 .
p. 78. 1846). Nel terzo fascicolo di questo medesi-
mo volume primo a pag. 201 comincia una descri-
zione di pesi antichi del Museo Chirchcriano dettata
da me (1) , avanti alla quale il sig. Fiorelli ha messo
un suo articolo intorno ad un exagium solidi deW'im-
peratore Onorio, che il signor Friedlaender per sba-
glio mi attribuisce. In questa descrizione a p. 209 ,
210 entra in un mio parere intorno alla proposizione
del Friedlaender sopraccitata , che si può brevemente
esporre cosi.
Se Valentiniano I ordinò il primo, che da una lib-
bra d'oro fossero coniati 72 solidi, ciò non potè ac-
cadere , che col diminuirsi il peso gli spezzali della
libbra antica, ovvero coli' alterarsi di peso di questa ,
restando del medesimo peso gli spezzati della libbra :
ma ninna delle due cose è accaduta , adunque non
può esser vero , che Valentiniano I sia l' autore di
una nuova legge , con che si ordinasse , che da una
libbra di oro fossero coniati 72 solidi Provasi dipoi la
minore in questo modo. Che non siansi alterati di peso
i solidi è manifesto , costando , che dai tempi di Co-
stantino, a quei di Leone, i solidi d'oro pesano sulle
bilance grammi quattro, e pochi milligrammi [chi-
logrammi invece di milligrammi è uno sbaglio) ; che
non siasi alteralo il peso della libbra costa dal cambione
di Zemarco ivi pubblicato da me , e nei piombi an-
tichi ( tav. V. n. 4. p. 60 ) , il quale essendo appunto
dei tempi di Anastasio, e di Zenone, pesa nondimeno
gr. 309,50; ai quali se aggiungasi la foglia d'argento,
che lo rivestiva , ora mancante , avrebbonsi presso a
poco i 325 , o 327 grammi , peso normale dell' an-
tica libbra. Adunque stando le cose come prima , non
(I) Occorrono ivi alcuni errori tipografici, come 'AvoSo^o inve-
ce (li AvaSo'xos, Cartelli per Castelli, (beri:. Boni.) per (Iscrìz.
Dom. J , Borfli per Bot'9:/, avyyh per ovyjix- col.
— 69 —
può essere sfato Valonfiiiiano l' aulorc di tal legge.
Ora clic il signor Friwllaciuler ha stabilito, che la
legge (lei 72 solidi per libbra data sin da Costantino,
non sarà mestieri disputarne più oltre. Invece mani-
festerò un mio desiderio. Mio piacere sarebbe, che il
eh. numismatico tenesse conto ancora dell' altra os-
servazione mia, intorno al vero senso delle parole «u
septuaginla duos solido^ libra feratur acceplo fC. Tlieod.
XII, tit.VI, 13. cf. Cod.X, tit. LXXII, §. 5). Pe-
rocché siccome in questa disposizione non si fa una
nuova legge, ma si suppone già fatta, così nella ordi-
nativa di Costantino del 325 , Si quis soìidos appen-
dere volueril altri codi, sex (nel cod. septem) soìidos
qualernorum scripulorum nostris vullibus figiiratos ad-
jìcndat prò siiigidis unciis etc. (Cod. Theod. XII, tit.
VII. i.J, evidentemente si parla nella medesima sup-
posizione. Troverà quindi il eh. numismatico , che
giustamente ha egli prodotta la moneta di Massimino
Daza del 312 , col numero LXXII; quando se fosse
vero , che la legge fu data al 323 , non si potrebbe
affatto interpretare quel numero LXXII della moneta
di Daza anteriore di 13 anni al consolato di Paolino
e Giuliano, che segnano l'epoca dell'ordine emanato
da Costantino. In tal modo adottata anche questa se-
conda modifica, non si dovrà, che ammettere piena-
mente la sua interpretazione , siccome verissima , e
dargli quel plauso , che ha ben meritato col porsi su
questa seconda via da noi indicata alla giusta inter-
pretazione delle sigle OB , che ricevono validissima
conferma dall'insigne libbra di Zemarco con NOB
( fiqxt'ctxxrx OB ).
Gaurccci.
Della Grama o sia Ferramento agrimensorio ,
figurato in un cippo sepolcrale d' Ivrea.
L' undecima fra le 3i antiche lapidi Eporediesi di
recente pubblicale ed illustrale dal eh. sig. cav. Co-
stanzo Cazzerà (Torino, 18o2) mi parve degna di
speciale considerazione segnalamenle per riguardo allo
strumento in essa delineato (1), che senza meno vuol
(1) Vedi la nostra tav. V. lig 3.-C(i Mitori.
riferirsi alla professione di L. Ebutio Fausto , che vi
s'intitola MEXSOH. Essa è come segue:
Fastigio come di tempietto con parma o sia clipeo
sovrapposto a due aste decussate aveitli le ca-
spidi volte al basso
. . IB • CL AVDIA
. . AEBVT1V.S • L • L
AVSTVS • MENSOR
VI VIR • SIBI • ET
ARRIAE • Q • L • AVCTAI
VXORI • ET • SVIS • ET
ZEPVRE LIBERT
V F
Seggio come curule , con suppedaneo sott' efso.
Due fasci di verghe , forniti ciascuno della sua
scure.
Asta piantata verticale In terra, alla qìiaìe </ ad-
dossa una crociera consiitente di due regoli de-
cussati , forniti ciascuno verso V estremità sua
superiore di un perpendicolo o sia archipenzolo,
formato a guisa di due coni riversi.
Gli accenti od apici segnali sopra l'V ne' due nomi
AEBVTIVS e AVCTAI ne danno buon argomenti) a
credere, che questa epigrafe sepolcrale non sia di mollo
posteriore a' tempi di Trajano (cf. Marini, Fr. Arv.
p. 39, 709). Il clipeo congiunto alle due aslicciuoie
decussale, che orna il timpano del cippo o sia ara se-
polcrale , mostra che L. Ebulio Fausto , benché li-
berto di condizione, conseguisse il grado di cavaliere,
o che avesse da qualche Imperatore l'EQVO PVBLl-
CO (v. Annali delllnslit. T.XVllI, p. 12ì;. 11 seg-
gio quasi curule, col suo suppedaneo dis^iunlo, eJ ì
due fasci fornili di scure appellano a qualche sua ma-
gistratura coloniale o municipale (cf. Marmi Mod.
p. 223-227. 3Ia(Tei, Mas. Vcron. p. CXVlI);e se si
riferiscono al suo ijVtmKo, confortano l'oiiinione, che
VI . VIHI in (lualclie luogo ed in qualche partiooiar
circostanza formassero una commissione di sei decu-
rioni destinali nelle colonie ad una speciale incom-
benza (v. Bull. arch. 1839, p. 02).
70 —
Siccome il seggio ed i fasci probabilmente accen-
nano al titolo di VI . VIRo , così l'ordegno sculto al
disotto parrai da riferirsi alla professione di MENSOR,
che indicala cosi assolutamente suole essere quella di
aorimensore (v. Gervasio, hertz. Siponl. p. 30 ) , che
dLvasi anche MENSOR MACHINARIVS, in riguar-
do agli ordegni dell'arie sua , il principale de' quali
si era la CROMA , genus machinolae cuiusdam , quo
regiones agri cuiimute cognosci possunt (Festus s. v.).
La voce grotna , a parere del eh. Biot {Journal des
Savants 1849, p. 245), sembra denotare segnata-
mente la crociera rettangolare formata dalle due linee
di traguardo del ferramcntum. Essa è di sovente usata
come sinonima di questo strumento , del quale for-
mava in effetti la parte precipua. 11 ferramenlum, do-
vendo determinare il secondo lato di un angolo retto
orizzontale , dopo che il primo erasi di già tracciato
in sul terreno da misurare, facea d'uopo ch'esso avesse
un piano di traguardo , sia continuato o disgiunto ,
quadrato o circolare, avente almeno due regoli o li-
nee di traguardo intersecantisi ad angoli retti attorno
ad un centro, ed un sostegno centrale, da conficcarsi
in sul suolo, che potesse rendersi verticale per mezzo
del filo a piombo : nel qual caso il piano dello stru-
mento o si congiungeva con l'asse medesimo per modo
che potesse girare attorno a sé , oppure si applicava
e fermava in capo ad esso per mezzo di un foro e di
una vile (Biot, 1. e. p. 241). Quest'ultimo modo
pare fosse il più comune ed usato in antico , poiché
la groma o sia crociera di traguardo, a detto d'Igino,
era disgiunta dal ferramento ( Furlanelto, Appena, v,
GROMA) : posilo in eodem loco ferramento, GROMA
Sìiperponalur, Nel nostro monumento pertanto vedesi
r asse o sia sostegno del ferramenlum posto ritto , e
la groìna , o sia piano di traguardo , disgiunta e ap-
poggiata all'asse medesimo. Questo nell'imo è fornito
dì due risalii laterali per impedire , che non si pro-
fondi di troppo e non si smuova nel conficcarla in
terra ; e nel sommo mostra un pome picciolino , che
risulta da una superficie piana, e che può tenersi pel
capo della caviglia o vite, che serviva a fermarvi so-
pra la crociera di traguardo o sia la groma, che real-
mente mostra avere un foro centrale fatto per pas-
sarvi la caviglia. I due perpendicoli, che veggonsi pen-
dere verso le estremità dei due regoli della crociera,
servir dovevano a mettere verticale il sostegno ed
orizzontale il piano della crociera o sia groma, e forse
anche per traguardo. Tanto sembra indicarsi anche
in quel ditbcile passo di Frontino ( cf. Journ. des Sa-
vants, 1849, p. 149, ii^i): Ferramento primo uli,
et omnia momenla perpemo dirigere , oculo ex omni-
bus corniculis, extensa ponderibus et inter se comparata
FILA, seu NERVIAS , ita perspicere donec proxi-
mam , consumpto alterius visu , solam inlueatur. Non
saprei ben dire, se le rastreraature, che veggonsi fatte
nelle parti estreme dei due regoli decussali, sianvi per
ragione de' traguardi , o per meglio appendervi le
fila de* due perpendicoli.
L' antico marmorario avrà probabilmente credulo
meglio di rappresentare il ferramenlum agrimensorio
così montato, perchè trovasse troppa diflìcollà nel fi-
gurarlo montato con la groma a suo posto, la quale
avrebbe dovuto stare in posizione orizzontale mentre
che il suo sostegno tiene la verticale. Altri potrebbe
oppormi, che i due regoli da me creduti costituire la
groma non s'incrocicchiano ad angoli retti, come pur
sarebbe di dovere ; ma l' antico scarpellino , vedendo
che posti essi ad angoli retti sarebbero riesciti di troppo
accosto ai due fasci de' littori , forse die loro perciò
un angolo ottuso dalla parte superiore, oppure può
sospettarsi, che il disegno del Bagnolo in questo par-
ticolare non sia del tutto fedele al marmo originale
ora smarrito. Ancora lice supporre, che i due regoli
della groma fossero congiunti ed impernati per modo
che potessero accostarsi e congiungersi quasi in uno,
per vie maggiore comodità di trasporto , e che nel-
l'alto dell'operazione agrimensoria si situassero l'uno
perpendicolare all'altro per mezzo di segni fatti a tal
uopo, e con l'applicazione della squadra rettangolare.
Il perpendicolo , che pende sospeso per mezzo di
un filo verso l' estremità di ciascuno de' due regoli ,
può dare ansa a sospettare, che questi servissero per
l'operazione detta cultcllare ad perpendiculum, sihene
dichiarata dal eh. Ilase [Journ. des Savants 1849,
p. laO), conforme al precetto di Frontino : o/^c<a
ante linea ad capitulum perticae aequalitcr ad perpen--
— 71 —
(Uculum cullellare debemus (p. 33. ed. Lachmann):
tanlo jiiù che in colale supposto le rastrcmature dei
due regoli servilo avrebbero a meglio accostarli e con-
giungerli come in uno colle parti loro estreme. IMa ,
senza dire, che nel monumento del nostro MENSOR
il perpendicolo è alquanto discosto dal capitulum per-
ticae , nel detto supposto non vedrebbesi altrimenti
per qual ragione i due regoli siano così congiimli e
s' intersechino nel bel mezzo ; e poi in colai caso l'asta
piantala ritta riraarrebbesi senza significalo.
Del resto ne" quincunci fusi di Lucerà ricorre una
crociera assai simile a questa del monumento Epore-
diese , ma consistente di due regoli assai più larghi ,
pedali a tulle quattro le estremità, che s'intersecano
ad angoli retti, talora con foro nel centro dell'inter-
sezione ; e fu detta mola , stella agraria o grama da
me e da altri (Ragguaglio dell' ed. delle tav. del Ca-
relli, tav. XV. cf. Journ. des Savanti 1847, p. 531 :
Riccio , Mon. di Lucerà p. 12). Ora peraltro parmi
più verisimile, che la crociera ricorrente ne' quincunci
di Lucerà indichi una fencstra (cf. Bottari, /?ojnasot-
terr. tav. 34), che dicevasi anche lumen, e che per-
ciò veniva ad essere tipo allusivo al nome LOVCERI.
Gel. Cavedoni.
Notizia de' più recenti scavi di Pompei: continuazio-
ne dell' articolo inserito nel num. precedente.
A sinistra dell'androne ed alle spalle dell' atrio so-
no tre piccole stanzette. Nella prima si ha l'accesso
dall' atrio stesso per soglia di marmo , ove si scorgo-
no tracce della chiusura. 11 pavimento è di semplice
calcina ; le pareti di rozzo intonico bianco con vani
buchi per inserirvi tavole , e presso l'entrata appari-
scono macchie di ossido di ferro. Pare che questo stan-
zino servisse di dispensa. Vicino a questo è altro pic-
colo compreso , a cui si ha pur l' ingresso dall' atrio
per mezzo di uno scalino di fabbrica ; il pavimento è
parimenti di calcina , le pareti di bianco e rozzo in-
tonico. Sembra che qui fosse-prallicalo il domesti-
co culto, giacché m' due muri, che formano angolo,
sono rozzamente dipinti i due soliti serpenti colle te-
ste convergenti nell'angolo presso una pianta; e sot-
to di esse vedesi un ii'.c.-ivo per inserirvi una tavola
onde appoggiarvi le offerte. Non so se sia un fatto ac-
cidentale , o se a quelle ofTerle si abbia relazione il
ritrovamento di varii frammenti di gusci di uova nel-
r incavo sopra accennalo , ove furono da noi veduti
frammisti alla terra. Dal descritto compreso si passa
in altro più ampio senza alcuna traccia di soglia , e
fornito dello stesso rozzo intonico. Molte iscrizioni o
dipinte o gradile si veggono su' muri di questa stan-
zetta , che prendca luce da una finestra dalla parte
della pubblica strada. Quelle che ci è riuscito distu>
diare sono le seguenti , riserbandoci di riferire in al-
tra occasione le altre , che meritano maggior consi-
derazione.
Le graffile sono
1. QTHILLANIVS
lANVARlVS.
2. APRILIS , e presso un grosso fallo simbolo
ben conveniente al mese in cui tutta la natura fiorisce
e tende alla riproduzione.
Sono poi scritte col pennello di rosso
1. Ci\F(NF)noH.)
2. APRIL
3. NVMMIANO FELICITER.
É questo probabilmente quel P. VcdioNummiano
raccomandalo a'sulTragii de' suoi concittadini in un
programma letto all'esterno delia strada , e da noi
riferito di sopra p. 59 n. 2.
Più importante è la seguente iscrizione scritta col
carbone.
SII CVNDVS
RIIGIMOM
VIIU TIINilT
llILICrriIR
In quanto alia paleografia, noteremo il solito uso
de' due 1 per E (1); ma vi è altresì la particolarità
(1) È tanlo frequente questo uso ne' graffiti ponipejaui , neHe
iscrizioni , e nelle medaglie , che non puossi atlribiiire a ^arlico-
larilii di pronuncia gallica in una iseriziunc di Gallia , siccome ave-
va sosp'ollalo il eh. Roulez : vet^i il giornale V Inslilut is^l p. 3^
— 72 —
dell" M figurata come quattro aste : della qiial forma
dovrà ragionare il eh. collega Garriicci, dal quale fu
])rima ravvisata l' M in questa pompcjana iscrizione.
Solo qui vogliamo notare che questo alfabeto lineare
talvolta presentava l' N formata come tre aste III : e
meritano di essere confrontate le medaglie di Saloni -
na colla epigrafe SALOXIXA • IN • PACE , in alcu-
ne delle quali si legge SALONIIHA IIII PACE. Del
resto nel carbone di Pompei si avverte la duplice for-
ma deir ]M , e r N è sempre regolarmente figuralo. In
quanto alla lingua, è pur notevole i\ regimomum, cha
non dovrà più riportarsi ad epoca bassa , e che in-
contra r analogia del suo finimento in palrimonium ,
nìatrimonium , vadimonium , ed altre simili voci.
Riuscendo nell' atrio , alla sinistra vedesi un altro
rozzo cubicolo con soglia di pipcruo , e tracce della
cbiusuia di legno colle imposte : il pavimento è di
calce , e le pareti di rozzo inlonico bi anco senza or-
namenti. Segue da questo medesimo lato sinistro un
compreso con grande apertura suU' atrio , da cui vi
si ascende per mezzo di uno scalino di marmo , sul
quale non appariscono tracce di chiusura. 11 pavimento
è signiuo con varie pietruzze di marmo: lo zoccolo è
nero con verdi piante ed augelli , ed altri ornati : le
pareti sono a vari! scompartimenti di rosso, di giallo,
e di bianco; e su di esse sono dipinti gialli candelabri,
uno de' quali interamente conservalo mostrasi sor-
montalo da un" alata figura , forse dell' Androsfinge.
Si osservano pure dipinte sulle pareli medesime fe-
stoni , uccelli domestici , l' Androsfinge , capricciose
arcbilelture , e paese. Vi è pralticala una finestra nel
muro eh' è verso il peristilio.
Non ci sembra da dubitare che in questo spazio ul-
timamente accennalo debba riconoscersi un' ala del-
l' atrio ( Vitruv. de Archìt. VI, 111, 4) , che qui si
vede unicamente a sinistra , abbenchò in altre case
pompeiane si scorgano le a/e a' due lati dell'atrio (vedi
Avciriuo (lese, di una casa pomjìei. 1837 p. 19. Ra-
oul-Rochette maison da po'éie Iragique p. 9 pi. 1 n.
6, e nel journ. des sav. 1832 p. 233).
Tutto l'atrio, compreso l' ingresso del peristilio,
è dipinto di rosso. Questo ingresso era chiuso da por-
te di legno che si fermavano sopra due pezzi di bian-
co marmo , i quali si osservano nelle estremità , ove
si distendevano le imposte anche di legno : la parte
media della soglia è simile al suolo dell'atrio, col quale
fa quasi continuazione. Dalla descritta apertura si pas-
sa nel peristilio, la cui parte anteriore serviva , forse
come , di lahlino. Tutto lo spazio che circonda il pe-
ristilio è pavimentato di opera signina , con orna-
mento a musaico di quattro bianche pietruzze mes-
se intorno ad una nera , che ripetendosi a jnccole di-
stanze lo rendono quasi adorno di fiorellini. Si veg-
gono quattro colonne di fronte , e tre da' lati : sono
esse dipinte di giallo e lisce per alcuni palmi dal suo-
lo , scanalate e rivestite di bianco stucco sino alla som-
mità : né sì ravvisano tracce di capitello a tutte le al-
tre colonne , meno che ad una della quale diremo tra
poco. Presso alla seconda delle colonne di fronte è
un puteale di travertino. Nel mezzo de! peristilio è il
solito giardinetto con canale che lo circonda , e colla
comunicazione al pozzo per mezzo di particolare con-
dotto. Traile quattro colonne di fronte è un altra aper-
tura per menare le acque ne' canali sottoposti ; ed il
canale , che si dirige verso l' atrio è nel suo principio
ricoverto di un pezzo di ardesia. Alla estremità de-
stra del giardino , in direzione della colonna laterale
media è un grande pezzo di tufo , da servir di sedile
o per sostegno di qualche oggetto. Le pareli del pe-
ristilio hanno zoccolo nero , con linee bianche che
l'intersecano , e che miransi dipinte grossolanamente
a foggia di marmo : sopra offrono varii scomparti-
menti di nero , di rosso e di giallo , e tra essi scor-
gonsi non poche interessanti figure.
fconlinuaj
MlNERVINI.
P. Raffaele Garrccci d.c.d.g.
GiCLio MiiNERViM — Editori.
Tipografia di Giuseppe Catakeo.
BllLEimO ARCnEOLOfilCO iWPOLlT VAO.
NUOVA SERIE
TV." 10.
Novembre I8ó2,
Notizia de p/w recenti scavi di Powpei: continuazione del num. precedente. — Iscrizioni di Scpino, con osser-
servazioni del conte Bartolomeo Borcjhesi. — Osservazioni intorno a due iscrizioni , ed agli articoli del
Sebeto di questo BuUettino. — Tavola aquaria Venafrana , continuazione del numero S.
Notizia de' più recenti scavi di Pompei: continuazio-
ne del mimerò precedente.
Nel muro , eh' è alle spalle dell' atrio, vedi una Vit-
toria alala con scudo ed asta volante a destra , con
tunica rossocerulea : e dopo un giallo candelabro con
festoni pendenti , scorgesi una femminile figura con
verde tunica e corona , poggiante sopra una base; col-
la destra tiene una gialla tenia , colla sinistra un pa-
niere con manico superiore , ove si scorgono verdi
foglie.
Nel muro a destra del peristilio si osservano varie
singolari figure. La prima è di un vecchio barbato ,
con pallio e calzari , clie si avanza a destra , tenendo
fra le mani la lira: è qui figurato certamente un poe-
ta , che però non ci sembra facile determinare qual
sia. La seconda figura è conservata nella sua parte in-
feriore , ed apparisce una donna quasi danzando o vo-
lando. La terza è una Baccante tutta panneggiata , la
quale pare intenta pure alla danza portando il tirso.
La quarta è altresì una donna , con panno che ne ri-
copre la metà inferiore del corpo , e che fa quasi un
arco dietro la di lei testa : colla destra tiene un ramo.
La quinta finalmente è un' alata figura muliebre, che
sostiene una grande cesta. Anche non pochi dipinti
adornano il lato sinistro del peristilio. La prima figu-
ra è virile ed imberbe : tiene colla destra un ramu-
scello abbassato: un rosso pallio la ricopre. La secon-
da è di una Vittoria alala, che reca un Echetlon , in
allusione a vittoria navale. Veggonsi poi due graziosi
candelabri , uno de' quali è sormontato da un An-
drosfingc , l' altro da un cigno.
iiJVJYO /.
Segue Diana con succinta tunica bianca , e ros-
so imatio , e adorna di orecchini : la dea comparisce
di fronte , e prende colla destra una saetta dal tur-
casso che le sporge dalla spalla , colla sinistra stende
r arco. Dopo un altro candelabro sormontato da un
cigno , scorgesi altra femminile divinità , nella quale
potrebbe ravvisarsi Latona : ha essa una lunga tunica
rossa, e verde peplo che le discende dal capo, e ch'el-
la tira alquanto colla destra ; mentre tien colla man-
ca un lungo scettro. Dopo un altro candelabro sor-
montato da un Androsfin gè , scorgesi finalmente un'
altra Vittoria alata con giallo panno svolazzante, clic
reca la spada.
Nel muro di fronte è dipinta una Baccante che
cammina a sinistra : ha lunga tunica gi.illa e scarpi-,
colla destra tiene una verde tenia , colla sinistra un
tirso , da cui pende una simile tenia dello stesso co-
lore. In un ordine superiore ne' due muri laterali del
peristilio , veggonsi al di sotto di una cornice di stuc-
co festoni , uccelli , teste gorgoniclie , ceste pendenti
da nastri , caprii correnti , rabeschi , ed altri orna-
menti. È notevole che le colonne del peristilio , an-
che senza i capitelli , si trovano più alle dell' ullinia
colonna a sinistra che è nell' angolo , e sulla quale si
appoggia una porzione di muro , ove sono dipinti uc-
celli, delfini , ed altri ornati diversi. Nell'angolo in-
terno del destro lato del peristilio è una rozza nicchia
con Ire scalini , di cui non è agevol cosa determina-
re la destinazione. In fondo al peristilio sono Ire di-
stinti compresi , a' quali si ha 1" adito dal peristilio
stesso.
Il primo compreso più ampio degli altri due ser-
io
7+ —
\ivn certamente di iriclinio. La soglia è ne'suoi estre-
mi munita di due pezzi di pietra vesuviana per fer-
marvi le imposte , nel mezzo è di opera signina con
bianche pietruzze. Il pavimento è signino con varie
bianche pietruzze e pezzi di marmo di differenti co-
lori. Lo zoccolo è rosso con varii ornamenti, fra' quali
appajono alcuni cigni. Le pareti sono gialle con scom-
partimenti di nero. Ora si veggono due quadretti tut-
tavia conservati : in uno è figurato un bacchico car-
ro tiralo da pantere , e sul quale si veggiono collo-
cati varii tirsi : nell' altro quadretto vedesi un Amo-
re stante con clamide , colla destra tiene un bastone
colla sinistra una lepre ; piìi in là è altro Amore se-
di ute sulla clamide in atto di accomodarsi la grossa
calzatura conveniente ad un cacciatore : presso è un
cane levriero che stende la testa. Non è nuovo il ve-
dere Amori intenti alla caccia (Mueller/Tajìdò. §. 391
not. o pag. 624 ed. Welcker), e più volte ce ne han
fornito rappresentanze le pitture pompejane ed Erco-
lanesi {pili, di Ercol. t. I tav. 37, II tav. 43, Vtav.
59) : uè poi è senza un motivo la caccia del lepre in
rapporto coli' Amore; giacché è ben conosciuto il
senso erotico ed afrodisiaco di quell' animale.
Sotto del descritto quadretto sono dipinti varii or-
namenti , frai quali è pure un caprio. In una bianca
fascia superiore appajono svariati ornamenti : ora te-
nie pendenti , ora maschere sceniche: in un segmento
di cerchio formato da duplice cornice di stucco sono
varie frutta sopra un rialto , cioè pere e melegra-
nate , e presso un uccello , forse fiigiano o gallina lur-
chesca , che si prepara a beccarle. Vedendosi pralti-
cata una grande finestra verso il peristilio, può a que-
sta stanza appropriarsi il nome di tridinium fene-
stratum.
A destra del triclinio è altra stanza , che può ri-
putarsi un' exedra o sala di conversazione ; e ad essa
si entrava pure dal peristilio , ma non offre alcuna
traccia di chiusura.
Nel silo corrispondente alla soglia il pavimento è
di opus sifjnimim con meandro a musaico di bianche
pietruzze, a' due lati dell'ingresso è il zoccolo colo-
rilo a foggia di gialla breccia, e poi in rossa cornice un
tralcio di vigna con foglie e grappoli pendenti, ed au-
gelli che vi beccano, tra'quali è notevole uno somiglian-
tissimo al pavone con pennacchio (Xoipob) sul capo, e
lunghissima coda portando col becco un giallo serpen-
tello; solo è notevole per la picciolczza del suo cor-
po per nulla conveniente al pavone, e forse deve at-
tribuirsi tale particolarità a capriccio dell' artista. Il
pavimento della stanza è di opera signina con bian-
che pietruzze , ed altre piìi grandi di marmi di diffe-
renti colori. Lo zoccolo è nero con varie fasce di ros-
so e di verde , ove si mirano foglie pendenti . rami,
ed altri ornali. Vi si osservano varii cigni di giallo,
maschere sospese , ed una coda di marino mostro,
forse ippocampo© altro animale , di cui è perduta la
parie superiore. Il muro laterale destro è in gran parte
caduto , e mostrasi a scompartimenti di giallo e di
verde intramezzati da rosse zone. Nel fondo giallo ve-
desi un disco con protome femminile , presso di cui
si vede il principio della rossa clamide , ed a cui era
forse accollala altra protome virile ora quasi intera-
mente svanita. Nel muro di fronte fra scompartimenti
di giallo, è capricciosa architettura con rabeschi e
marini mostri al culmine della slessa : vedesi poi trai-
le esili colonne da un lato una figura virile coronata
di foglie , ed altra ne dovea essere simmetricamente
dall' altro lato , ma ora è perduta , per esser caduto
l'intonico.
Nel mezzo di questa parete è un quadretto nel fon-
do giallo , che fu ritrovato assai deteriorato nell' alto
dello scavo. Una figura virile giovanile ed imberbe
siede a sinistra sulla rossa clamide appoggiando alla
fronte la destra ; questa si volge verso una donna, che
si appressa dalla parte di dietro. La poca conserva-
zione di questo dipinto , e la mancanza degli accesso-
rii ora interamente perduti ci fan sospendere ogni giu-
dizio sulla interpretazione , che dar se ne potrebbe.
Intorno al quadrello è una rossa linea che ne costi-
tuisce quasi la cornice ; siccome non è raro osservare
ne' pompejani dipinti.
Nel fondo giallo della parete sono due dischi , cia-
scuno con doppia prolome femminile e virile insieme
accollale. Più in alto sono nel medesimo muro figu-
rali fra capricciosi rabeschi due piccoli candelabri a-
lali. Nel muro laterale a destra osscrvansi scomparti-
menti di i^iallo dislinli da rosse (\isce : nel mezzo è ca-
pricciosa architeltura con colonne spirali a yiiisa di
foglie ravvolte, verdi linone, e poi una loggia con
pluteo, come sembra , di legno. Presso diipieslop/a-
leo vedesi da un lato mi uomo barbalo con bianca cla-
mide, che spiega con ambe le mani un volume: pres-
so l'altro cancello , eh' è dall'altro lato , è una fem-
minile figura coronata di foglie , con rossa tunica sen-
za maniche, la quale tiene colla sinistra la cetra, col-
la dritta l'aureo plettro. A noi pare che debba in que-
sta figura ravvisarsi una Musa. Gioito interessante è
il soggetto del piccolo quad.'O , eh' è nel mezzo di
questa parete. Un giovine lutto nudo, ma con clami-
de rossa cadente fino a' suoi piedi; cogli occhi di fu-
rore e quasi di mania , stringe colla destra la spa-
da , colla sinistra il fodero. A' suoi piedi è cadu-
ta in ginocchio una donna con doppia tunica rossa,
la quale stende il destro braccio al giovine , quasi per
allontanare la trista sorte , che la minaccia ; mentre
pone al petto la manca. Vedonsi al suolo le ombre
projettate da queste due figure. Indietro è un edifizio
come le mura di una città , o di una torre , e di su
la stessa veggonsi sporgere colla metà del corpo tre
femminili figure che assistono al terribile avvenimento:
una distende in alto il destro braccio in atto di spa-
vento , mentre un' altra stende ambe le braccia in
basso verso l' adirato giovine , in atto di dispera-
zione e di compianto. È notevole che la fisonomia
della donna minacciata non è giovanile. Questa par-
ticolarità ci persuade a riconoscere nel pompeja-
no quadro Alcmeone, che si prepara ad uccidere la
sua madre Erifile. Di fatti non può pensarsi al sagri^
fizio di Polissena fatto da Neottolemo , giacché man-
cherebbe una necessaria circostanza , qual' è il sepol-
cro di Achille. Né ci è del pari lecito volger la men-
te ad Oreste , che pone a morte la sua genitrice; per-
ciocché il fatto succeder dovrebbe nella magione di
Agamennone , e non già sulla pubblica piazza; ed al-
tri accessorii esser vi dovrebbero, che in altri monu-
menti appariscono , e che mancano aifalto nel pora-
pejauo dipinto.All'incontro tutto conviene al sempli-
ce fatto di Alcmeone uccisore di Erifile dopo la spe-
dizione degli Epigoni, il quale commise il tremendo de-
Jido per le persuasioni del tradito padre Anfiarao , e
per consiglio dell'oracolo (Diod.Sic.lib.IV.c.LXV, e
LXVI; Apidlod. lib. Ili, 7, ìì. I; Pausan. Vili, 2V.
ì; Tluic. hUl. II, e. 102; Anacr. od. 31; Suet. in
Nerone e. 39; Lucian. Nipwv IO; Plaut. capi. act. 3.
se. 4. v. 30 p. 113-1 1 ì edit. Avellin. Philostr. Apol-
lon. V. lib. IV, 38, 3, e VII, 2:i: cf. V. Soph. prooem.
2, ed Iler. XX, 33 (l)).Si raccoglie dalle riferite au-
torità che Alcmeone da lauti nioti\i sospinto, a' quali
ApoUodoro aggiunge il sentimento della propria ven-
detta, commise il matricidio (piasi preso ('a furore; e
tutti si accordano a notare la insania posteriore, per
la (]uale venne paragonato al matricida Oreste. Queste
tradizioni spiegano l'aspetto quasi maniaco del giovi-
ne tebano , richiesto ancora dalle esigenze dell'arte,
che non può offrire un matricida se non fuori di sé,
e con espressione di pazzo furore.
Questa nostra spiegazione ci sembra confermata dal-
le grosse mura , dall'alto delle quali gridano spaven-
tate varie figure , quasi per impedire l'orribile allen-
talo : sono esse le forti mura, e le torri di Tebe, che
ben si ratlrovano effigiate , come l' origine della sce-
na , che ci si offre alla vista ; giacché la presa delia
città fu causa di quella morte. Se questa nostra spie-
gazione è fondala , dovrà nel pompejano dipinto ri-
conoscersi un soggetto tutto nuovo, presentandoci per
la prima volta uno de'più famosi malricidii de' tempi
eroici.
In altri gialli scompartimenti erano di qua e di là
due altri dischi con duplice testa accollata, uno, cioè
quello a sinistra, é perduto, conservato è quello a de-
stra, e \i si scorge una prolomedi Pane con orecchie
caprine che suona la siringa, e presso la testa di una
giovine Ninfa coronata di foglie: forse Siringa, o Eco.
Più in su sono nel campo rami, pavoni, cigni, pan-
tere, e nel mezzo un' aquila al di sopra di un grosso
globo.
fconlinuaj Mi.nervim.
(1) Sofocle coniposo una irogeilia ìiililolala 'AXx.uai'wv , di cui
si liaiino pochi fiammcnli , e non si conosce con precisione il sog-
getto : certamente però si riferiva a fatii posteriori al matricidio,
ma che però n'erano la conseguenza: vedi il Sig. AhrcusSop/i.
fr. p. 304 segg. nella edizione del Sig. Didol.
— 76 —
Lcrizioni di Sepino, con osservazioni del conte
Barlolomeo Borghesi.
G NERATIO F\TI
DIO PRISCO
FVFIDI ATTICI
C V Q DES FIL
NERATI PRISCI COS
NEPOTI ACCI IVLIA
NI COS PRONEPOTI
MVxNICIPES SAEPI
NATES
questo Gaio Neralio Fufidio Prisco non appartenga a
quella casa direttamente. I nomi del padre Fufidio At-
tico mettono fuori di questione , che egli era un Fu-
fidio. Convien dire adunque che come molli altri pren-
desse la maggior parte dei suoi nomi dalla madre ,
che sarà stata una figlia del console L. Neratio Prisco,
se questi era suo nonno. Ma quale sarà egli dei due ,
r esistenza dei quali mi è stata manifestata da un'altro
marmo , che non so se edito ancora , communicato-
mi dal Mommsen , che me lo descriveva di grandi
dimensioni con belle lettere , e veduto da lui a Sepi-
no in casa del Rettore Brinni.
A questa lapida fa da compagna una seconda del
tutto simile, se non che vedesi dedicata a L. Ncrazio
Fufidio Prisco figlio del medesimo Fufidio Attico , e
però fratello di Caio. Il Mommsen ha inserita soltan-
to la prima nelle Inscr. Neap. n. 4929. La mia co-
pia è doì ala all' egregio sig. D. Bonifazio Chiovitti ,
il quale nota nelle due linee 4, e 5 un distacco di let-
tere , originato facilmente da corrosione di pietra in-
contrata dallo scarpellino. Trascrive altresì G. il pre-
nome di Nerazio. 11 eh. Borghesi me ne regalò , to-
sto che n' ebbe da me comunicazione , una interpre-
tazione , che io darò qui , ne quid profulurum din
laleat. Avverto soltanto, che la opinione del eh. sig.
Conte, che questo Fufidio Prisco abbia tolto il primo
nome dalla madre ha ricevuta una conferma da altra
laj)ida pur di Sepino, dalla quale apparisce che C Fu-
fidio Attico ebbe per moglie una Nerazia Marullina
(Momm. /. N. n. 4928 ) , di più ci si è confermato ,
che il prenome di Fufidio fu Caio, e che questi, il
quale nella nostra lapida dichiarasi soltanto questore
designato , ottenne di poi un consolato , certamente
sufielto.
Ecco le osservazioni del eh. Sig. Conte Borghesi.
» Benché Ella mi si mostrò poco soddisfatta della
scarsa messe epigrafica, che ha raccolta nella sua e-
scursione Apula, io però sono abbastanza contento ,
che mi abbia fruttato la lapide consolare di Sepino.
Da altre iscrizioni avevamo già motivo di arguire che
la gente Neratia fosse originaria di quel luogo, il che
ora si conferma dalla nuova, benché mi sembri, che
L • NERATIVS • L • F • Voi. Priscus.
PRAEF • AER • SAT ■ COS • Leg.Aug.Pr.Pr.in
PANNONIA • et
L • NERATIVS • L • F • VOL • VRiscus • F. Cos.
VIIVIR • EPVL • LEG • AVG • PR • PR . m • • •
INFERIORE • ET • PANNONIA
I supplementi delle due prime righe sono sicuri, per-
chè tolti di peso da un'altra sua iscrizione onoraria,
che si trova ad Allilia vicino aSepinu nella masseria
di Francesco Magliori, pubblicata dal Guarini nell' iter
vagum p. 31. n. 10. , e dal Mommsen nella disserta-
zione de appariloribus p. 4. Per determinare l' età di
costoro io osservo , che il primo Neratio si annunzia
Legato della Pannonia senza dir quale, il che per certo
significa, che al suo tempo era ancora una sola. Ora
è conosciuto , che quella provincia , la quale fu con-
solare fino dalla sua prima istituzione negli ultimi anni
di Augusto, non fu divisa in due , cioè in Pannonia
superiore , ed inferiore se non che in seguito delle
guerre Daciche di Traiano. Consta per una parte dai
marmi di Q. Glitio Atilio Agricola (Murat. p. 310),
ch'ella conservavasi intera , quando fu governata da lui
durante la prima guerra . in cui meritò i doni mili-
tari, terminata la quale nell' 856 impariamo dall'un-
decimo diploma del Cardinali che accompagnò a Roma
Traiano , da cui nei primi giorni dell' anno seguente
gli furono concessi i secondi fasci. Dall'altro lato ciò
testimonio Sparziano (Hadr. e. 3.), che nell' 860 se
n' erano già formate due provincie , attestandoci che
/ /
Adriano comandò la legione I. Mincrvia nella seconda
spedizione ultimata nell'SoS, che nell' 839 fu fatto
Pretore, e che nell'anno appresso gli fu data la lega-
zione della Pannonia inferiore , finché dopo il legale
intervallo di tre anni dalla pretura ebbe il consolato
neir 8G2. Per lo che se il più antico dei due Neratii
ebbe la provincia consolare Cesarea innanzi la divisione
delle Pannonie, ed anzi prima che la reggessero Ser-
viano ed Agricola, io terrò per fermo, ch'egli sia il
celebre giurisconsulto , del cui consolalo ci fa fede
IPomponio de origine iuris § ultimo , ed a cui Venu-
eio Saturnino nel digesto L. 48, tit. 8,1. 8, assegna
per coropaguo Annio Vero. Non ignoro le controversie
dei giuristi sull'età del senatusconsulto fatto sotto quei
consoli, che il Gravina volle ritardare fino all'impero
dlM. Aurelio, e che altri stabilì sotto Nerva, altri in-
fine sotto Domiziano. La questione è definita dal col-
lega , il quale non può essere se non che l' avo dell'
Imp. M. Aurelio, console tre volte, atteso che il bi-
savo non fu che pretorio, il padre inpraeluradcccssil
(Capitolino in 3Iarco e. 1). Ora noi sappiamo che l'avo
fu adscitus inpalriciosaprincipibus y^espasiano el Tito,
dunque non piìi tardi dell' 832. Dato , che egli fosse
allora per lo meno senatore , avrà avuta l'età conso-
lare verso la metà dell' impero di Domiziano, e infatti
quel principe circa 1' 845 (Dodwell Annalcs Slatiani
p. 307) proibì che si facessero più eunuchi, il che è
appunto il soggetto di quel senatusconsulto. Tutto ciò
pienamente si accorda colle deduzioni, che ricaviamo
da questa pietra.
Passando al secondo Neratio innanzi tutto mi con-
vien prevenire chi nella frattura PR.... invece di PIII-
scus volesse supplire PHOculus, e quindi confonder-
lo col L. Neratio Proculo della Gruteriana p. 412.
4-, il quale da lei apparisce essere stato console sulla
fine dell'impero di Antonino Pio, se prima daluxlt
vexillaliones in Syriam oh bellum Parlhicum , che
sospeso per qualche tempo scoppiò finalmente sotto M.
Aurelio. Per escludere un tale supposto basta dire,
che quel marmo esiste tuttavia sulla fontana pubbli-
ca di Sepino , e che confrontato di nuovo si confer-
ma che r onorato tì si dichiara Caii Filiiis , ond' è
per certo un personaggio diverso dal nostro , che si
confessa nato da un Lucio. Bensì ammetto , che an-
ch' egli sia stato della stessa famiglia , ed anzi sono
anche disposto a concedere , che il Caio suo |iaJre
possa essere stato un'altro figlio AA giureconsulto,
il quale pel primo abbia introdotto nella casa il co-
gnome di Proculo. Cosi persuade il nome di Neralia
Procula o Procilla moglie di C. Hclitio l'iclà e ma-
dre di C. BetitioPio(Guarini Commeitl. Xll^, la (pia-
le dal tempo in cui visse risultante da un'altra lapi-
de di suo figlio (Grut. 441.5), si ha a credere una
sorella del console Proculo. Ritengo dumpie che il
nostro Ludi Filius si chiamasse veramente PRiscus,
e che sia il primogenito del giureconsulto, non sa-
pendo dare altro senso ai due nominativi di questa pie-
tra , se non che padre e figlio, come i due Scribonii
Liboni (De Vita Ani. Ben. p. XX. n. 14), e i due
Minici Natali (Saggiatore Romano anno 3, quaderno
V p. 277) abbiano fatta fare qualche opera pubbli-
ca , onde se non manca una linea successiva , si ab-
bia almeno da supporre sul fine dell' ultima un FE-
Cerunt o un F. C. Nella linea superiore si è perduto
il nome di una delle due provincie , di cui fu Lega-
lo , non rimanendo se non che la qualifica allribuila-
le d' inferiore. Tre furono quelle , che cosi si distin-
sero , cioè la Germania , la Mesia e la Pannonia, ognu-
na delle quali negli ultimi anni di Traiano era con-
solare, per cui con piena confidenza ho suppIiloCOS
nella riga precedente. Quanlunque non abbia altra no-
tizia di costui , tullavolta dal tempo del consolato del
padre può dedursi , eh' egli abbia avuta la medesima
dignità sulla fine dell'impero di Traiano, o sul prin-
cipio di quello di Adriano, sotto cui avrà poi ammi-
nistrato le due Provincie , delle quali si fa cenno. Nò
con ciò viene a suscitarsi difficoltà contro l'altra opi-
nione esposta qui sopra , che quando fa incisa quel-
la lapide , vivesse il padre tuttavia , perchè il giure-
consulto deve esser giunto ad una rispettabile età sa-
pendosi che fu uno dei giuristi , che l' istesso Adria-
no in Consilio hnbuit ( Sparziano in Ifadr. e. 18).
Fra questi due consoli omonimi dovendosi adun-
que scegliere il nonno di Fulidio Prisco io non esito
a dichiararmi pel figlio , sembrandomi che la miova
lapide non possa precedere il regno degli Antonini.
— 78 —
Fondo un falò giudizio sullo prclcrizione del prono-
me in tutti questi personaggi , che prima uon solevasi
oniuieKere almeno sui marmi , e più sul titolo di C.
V. dato al padre Fufidio Attico , che soltanto a que-
sti tempi comincia a comparire, non perchè i senato-
ri non lo avessero da un pezzo, ma perchè per l' ad-
dietro reputavasi superfluo l'esprimerlo, restando sot-
tinteso neir indicazione della carica senatoria da essi
occupata. Aggiungasi il modo con cui si annunziano
i dedicanti MVNICIPES SAEPLNATFS , che ricorre
identico nella lapide di Neralio Proculo, il che som-
ministra una ragione di piiì per sospettare che queste
due pietre siano coeve. Infatti supponendo che la mo-
glie di Attico venisse alla luce sui primi anni di A-
driano , nel suo lungo impero , e nell' altro più lun-
go di Antonino Pio siavrà un comodissimo spazio per
distendervi due generazioni , tanto più che il figlio di
lei apparisce un giovinetto , che non avesse ancor toc-
cato gli onori , in lui non lodandosi che la sua nobil-
tà. La gente Fufidia fu poco diffusa , ed è ancor me-
no nota , talché non conosco di essa altro magistrato
se non che L. Fufidio Pollione console ordinario nel
919, che per la sua eia può benissimo essere stato un
altro figlio di Fufidio Attico , e C. Cerellio Fufidio
Pollilliano Questore di M. Aurelio (Grut, p. 379.7),
in cui però Fufidio è il nome proveniente dalla ma-
dre, non dubitando ch'egli sia nato dal G. Cerellio
Sabino Legato della legione XIII Gemina , e da Fufi-
dia Pollitta memorali in un marmo della Transilva-
nia. Incerto è poi se Accio Giuliano sia il bisavo pa-
terno o materno del nostro giovine. Egli mi è del tul-
io sconosciuto , ed anzi della stessa sua casa nomina-
tissima al cadere della repubblica non trovo in que-
sti tempi se non che un Accio Sura , che però vien
detto di splendidi natali , pel quale Plinio giuniore do-
mandò la pretura a Traiano (L.9.ep.9) ».
Gaurucci.
Osservazioni intorno a due iscrizioni , ed arili articoli
del Sebeto di questo Bulkltino.
L'iscrizione di s. Prisco illustrata alla p. 13 , seg.
di questo bulletliuo , è ora nel R. Musco , ove aven-
dola riletta mi sono avveduto , che niente manca fra
IIE ed IDIVS della lin. 3. del pagiscito , né possono
realmente tenersi per estremità di un C quei che ivi
sono altrimenti segni, ma non di scarpello. Intorno al-
l'ultima parte alla linea 5, e 7 leggo più correttamen-
te. AE •• 2 • • 1TVLE/// M • • e - ' • • '^ X/// onde po-
trebbe supplirsi AER. LXTVLEiJ MVLTAM. HS.
X/// Aerano intulerunt mullam sestertiorum decein. . .
E questo denaro credo prendesse il nome di aes ?nu/-
taticum, di che si fa menzione nella lamina di Fermo,
Orelli, n. 3147 e di argentum multae siccome par si
debba tradurre l' osco aragctud mullas.
Nella base venafrana edita a p. 51 è occorso per
crror tipografico un V per N in BENEV^OLENTIA.
Al V. 9, 10 il POS . . SORIS va ben supplito Possfs-
soris ed inleso per Tordo possessor, richiamando il luo-
go ordini, et poisessoribus cuimque civiialis del Dig.
2. 1. de decr. ab ord. fac. inteso già dal Pancirolo
de magist. viunic. e. 1 . in questo senso.
Dopo la stupenda scoperta del collega sig. Minervi-
ni, colla quale ha fissalo il si controverso tipo del loro
androprosopo sulle monete, segnatamente patrie, gio-
verà di avvertire , che oltre alla ragione generale del
cullo del fiume Acheloo diffusissimo per tutto, tòv 'A-
XsXwOK fxóvoy dvMTxS ày^^uiiroui GVix[:i\lriXi tih%y
(Ephor. presso Macrob. Salur. V, 18), due altre ne
aveva la nostra Partenope. La prima si è, che le co-
lonie dei Calcidesi prima di passare in Italia dimora-
rono nella Tesprozia , e nell' Ambracia siccome collo
Scaligero ha dimostrato l'Ignarra fdcBulhys. p. 24i.),
ove era solenne quasi come nella vicina Acarnania il
cullo di Acheloo. La seconda propria dei Partenopei
è , che Acheloo era padre delle Sirene , dette però
'Ax^Xwi'Sss da Apollonio [Argon. IV. 893),edaPau-
sania (IX, 34) 'Ax^Xw^t" St'yctTs'oss. L'accennata di-
mora degli Euboici in paese dorico potrebbe scusare
r opinione di coloro , che la desinenza in AX del
NsOTroX/rctS di alcune monete derivarono da dorico
dialetto. Perciò ho sostenuto , e tuttavia sostengo, che
in Napoli non fu mai parlalo il puro Atlico dialetto,
come slima il mio collega , non essendo mai venuta
in questa città veruna colonia direttamente da Alene,
0 da quelle contrade. Che se fu mollo ardila eoo-
— 79 —
gliiolliira il volere che le diversllà della voce SE-
PEieo^ dal volgare i:HBH0f)S derivassero da Leo-
tico linguaggio , e se concessi di troppo alla autorità
dell' Alirens, nulladimeno io non ho mai arrecato ,
come altri dice , questo argomento per pruova , ma
supposi , anzi dimostrai altronde ben noia la prove-
nienza beotica delle colonie Calcidesi. Al (piai pro-
posito facendo io forza sul nuovo nome di fratria , i
Crctondac, d' indole tutta Beotica, non addussi, che i
soli esempì allegati dall' Ahrens, ed ora a più valido
sostegno darò loro una buona giunta ricavandoli dalla
dotta opera del Keil, il quale vi ba travaglialo intor-
no. Essi sono : Facrxc^^aS , Aia.y untoti , (■^poiTcuvóct,? ,
rpuivhxi , Uii^JuD^xg, "Xxip^t^y^'j^i , <P%i^u>vh%? , Xou-
prLy^'xi, tutti Beoti (Keil, Syll. Inscr, Bocot. Nommcl.
Boeol. p. 205. seg. ).
Garrccci.
Tavola aquaria Venafrana , conlinuazione dd n. 8.
Questa legge vitruviana io riconosco nei cippi noli
per le pubblicazioni del Grutero, e del Fabretti, ove
in Glie di ciascuno leggesi P. CCXL. Eccone alcuni.
VIRG
TI ■ CLAVDIVS
DnVSI • F ■ CAESAR
AVG • GERMANICVS
PONTIFEX • MaXIMVS
TRIBVMC.POTESTATIV
COS IH ■ IMP • vili. P. P
1. P. Cr.XL
Grut. 176. 3. Murat. ( Grut. 176. 4 Orelli.
442. 7. Orelli 3319. 3320.)
VIRO
TI • CAESAR • AVG
PONTIF • MAXIM
TRIB • POT ■ XXXVllI
COS • V • IMP • Vili
I
P. CCXL
IVL • TEP • MAR
•
IVL TEP MAR
IMP • CAESAR
IMP CAESCVR
DIVI • F
DIVI F
AVGVSTVS
AVGVSTVS
EX • se
EX se
XXV
IXIII
PED • cCXL
P . CCXL
(Fabretti col. Tr.
1737.)
Questi furono per altro diversamcnlc interpretali
finora. Il Fabretti li tiTine misure del iugcio intro-
dotte a dinotare la lunghezza degli acquidotli: l'nius
jitgeii mensura me inducil , ut credam , veteres illos
aquarum curatores isto modulo loììgitudiiics rivorum
cuiusque duclits dimeliri w/Z/os fui^H' (Fabretti. op.
eli. col. 1738.). L' Orelli li definisce, cippi jiKjcralcs
ììiensurae causa conslituli ( Orelli Insc. Lai. p. 73 ad
n. 3319. 20.). Recentemente il prof. Mommsen ha
scritto « lungo gli ac(piidu(li romani ncll'cporu Aii-
gustea stavano termini , che indicavano il nome del
condotto dell'acqua, quello dell'imperatore che pose la
pietra, ed il numero delle jugera pedum CCXL, che
intercedevano fra il luogo , dove stava il cippo , e
l'altro, dove l'acqua veniva distribuita. Grut. 176.
3. 3. 1019, 10. Fabretti inscr. 600, o06 sq. de
aquis p. III. sq. 28 (Momm. Bull. Insili. 18o0. p. 49.
n. 2.). Il vero è, che (juesli cip[)i ci stavano ad indi-
care i pozzi , ed erano segnati |)erciò di doppia nu-
merazione , l'una progressiva, l'altra costante. Colla
prima veniva indicato il pozzo , colla seconda i due
aclus , ossia i dugento quaranta piedi che intercede-
vano fra l'mi pozzo, e 1" altro.
SVPRA IXFRAVE LIBRAM. Che la //&ra sia il li-
vello 0 pelo dell'acqua lo ba dichiarato il Polcni nel-
le note a Frontino p. 61. Art. 18. , ove dice aquae
omnes diversa in urbcm libra proveniunt: la frase me-
desima con che qui si abbraccia ogni fabbrica tanto di
sopra , quanto di sotto al pelo dell'acqua fluente, leg-
gesi ripetuta nella linea 11.
AEDIFICATI STRVCTI SVXT. Poiché il proprio
scopo di acdlficare è fabbricar di pianta , e solo im-
propriamente si estende a reslaurare, rcficerc , il (jual
secondo senso vuole Ulpiano incluso nel sepukruni
slne dolo malo acdlficare liceat, scri\ endo L. 1 . §. 9.
D. De mortuo inferendo ci scpulchro aedificando: ^ie-
diflcare non solum qui novum opus moliturinlclligcn-
dus est, veruni is cptoque, cptl vidi rcfircrc. Però l'esten-
sore del decreto Venafrano ad evitar ogni equivoco vi
aggiugne slrucll, del quale il significato generale è di
ordinare, comporre, e quindi di reficere, L. l.§. 6.
D. De rivis. Refìccre est . . . suhslrucre . . aedifca-
re . . e rispondono cosi i due verbi alle voci duccn-
— 80 —
dae, reficiundae assai bene. La legge vicndafaqualclie
tempo dopo la costruzioue dell' acquidotlo, e quando
era già in uso, onde si ordina, clie tutte le costruzio-
ni, e lifazioni fatte nell'acquidotto si tengano per ben
fatte, non alltinienti che le concessioni dei rivi e con-
dotti ottenute prima di questa nuova legge dai duum-
viri e prefetti della Colonia veggiamo essersi sanzio-
nate da Augusto nel primo articolo di questo decre-
to. Adunque si ovàìna ([uì, itti quklquid factum est, ila
esse, halere flìceat, oporlealj.
Quanto all'avvenire, son decretate parecchie cose
riguardanti segnatamente gli accomodi occorrenti , la
somma delle quali è , che sia lecito per la rifazione
dell' acquidotlo , e delle fabbriche annesse di operare
sul fondo ove passa l' acquidotlo medesinjo: aquas re-
fìccre , rcponere , restiluere , resarcire , semel, saepius;
fistuìas , canales , tuhos ponere, apcrluram commitlere,
sive quid aliud eìus aquae ducendae causa opus erit
facere ei agro. Che la maceria costruita sull' acqui-
dotlo niuno altrimenti rimuova o distrugga se non a
fine di ossei-vare o restaurare l' acquidotlo , e ancora
in questi casi ninna cosa si faccia , che disturbi ed
impedisca il corso delle acque. — Dum qui locus ager
ìnaccria saeptus eU , per quem locum , siihve quo loco
specus eius iter inil, ne ea maceria parsue quae eius
maceriae , aliler (1) diruatur, mocealur, quam specus
reficiundi, aut inspiciundi causa, etc. Nomina qui
il decreto due fondi di proprielarii Venafrani , che a-
vevano la servitù del passaggio dell' acqua , nei qua-
li a fianco del rivo erano costruite le macerie , che
ne vietavano l' accesso. In terzo luogo si ordina che
ad impedire qualunque usurpazione, e per dar com-
modo al trasporlo dei materiali , ed agio di lavorare
(1) Il ne ... aliter in luogo di NI — ATITER è una giusta emen-
dazione propostami dalla perspicacia del sig. Henzen, che io trovo
ragionevolissima, e l' ammetto pienamente, tiiltocchò niun vestigio
rimanga sulla lapida che dia luogo alla emendazione, essendo af-
fatto logore in quei due siti le lineucce trasverse.
ai manovali , si lascino a destra e a sinistra del rivo
e della maceria otto piedi senza coltura : Cuius rei
causa dextra sinistraque circa eum rivom , circaque
eam maceriam, quae aquae ducendae causa factasunt,
octonos pedes agrum vacuum esse placet , per quem
locum venafranis, eique qui venafranorum famuli, iter
facere, eìus aquae ducendae, operumve eius aquae du-
ctus faciendorum reficiendorum quod eius sine dolo
malo fiat , jus sit , liceatque , quaeque rei faciendae
refictendae causa opus erunt , quo proxume poterit
advchere adferre adportare quaeque inde exempla erunt
quam maxime abs agri dextra sinistraque pcdcs Vili
lacere liceat. E la osservanza di questi ordini viene
messa in guardia dei Duumviri, i quali prometteran-
no di tener giudizio de damno infecto. — Dum oh eas
res damni infecti ius (lari promitlatur , earumquc re-
rum omnium ita ei agendarum II viris Venafranis ius
potestatemque esse placet.
Chiudesi il capo con tre altre avvertenze. La pri-
ma è , che i lavori permessi intorno all' acquidotlo
non debbono impedire l'accesso al fonte dei Minucii,
il quale è collocato in quel fondo ove passa 1' acqui-
dotlo: Dum ne oh id opus fons Minuciorum cuius agri
locive per quem agrum locumve ea aqua, is aquae du-
ctus se fert , invius fiat.
Che in secondo luogo niuno muli il corso dell'ac-
quidollo da una parte all' altra del suo fondo , ove
l'acqua non possa fluire: Neve quìs dolo malo opus ex
agro suo in partem agri (ubi nihilj minus, quam tran-
sire fpossitj , transferre, transvertere recte possit.
Finalmente che niun possessore faccia alcun danno
all' acquidotlo , o altrove ne devii il corso : Neve qui
eorum, per quorum agros ea aqua ducilur, eum aquae
ductum corrumpcre, abducere , avertere facereve quo-
minus ea aqua in oppidum venafranorum recte duci
fiacre possit.
( continua J
Garrccci.
P. Raffaele Garrccci d.c.d.g.
GicLio MiNERviM — Editori.
Tipografia di Giuseppe Càtaneo.
BILIETTIÌVO ARCIIEOLOr.ICO !V\rOIJTAIVO.
NUOVA SERIE
TV.» 11.
Dicembre 1852.
Intorno alla lapida viaria osca di Pompei. — Iscrizioni Etnische graffile sul fondo esterno di due vasi irocali
in sepolcri campani. — Piombo Siciliano. — Lapide Capuana.
Intorno alla lapida viaria osca di Pompei,
nuoce osservazioni.
Nelle mie osservazioni intorno ad una i^criz. osca
( Memorie della I(. Acc. Ercol. voi. 7. p. 22 appen-
dice (1) ), dissi di seguire una lezione diversa da quella ,
che in quel momento di mia lettura si aveva soll'oc-
chio dagli Accademici. Ma la tavola che accompagna
le tre dissertazioni (j\Iem. cit. (in.) , fu fatta incidere
sopra una nuova re\isione, e però come più esatta di-
scorda in alcune cose dalla prima, del resto neanche
si conforma alla lezione, che io ritengo nel testo della
mia illustrazione. Omette per es. alla i. lin. il punto
dopo WRHR , e lo aggiugne al V di WHRQTTHVn,
inoltre alla lin. 6. nega 1' h al hfsDl. Or avendo il sig.
Wentrup pienamente confermata la mia lezione in
questi ed in altri luoghi controversi (Cu//. /ns^iV. 18.j2
p. 1 60) , mi sia permesso arrecar qui , a quel primo
mio esemplare una sola modiflca in cosa non osservata
ancor da veruno. Un secondo studio intorno alf av-
vanzo della prima lettera lin. 1., mi ha convinto, che
ella ha un appendice laterale di altra linea , appunto
cosi l- ; onde mi par certo , che debba interpretarsi
m , od H. Prescelgo intanto la W , perchè me lo di-
manda la regolare allineazione dei capiversi osservata
in tutta la leggenda , a cui soddisfare non bastereb-
bero le sole due linee della H.
(1) Intorno alle tre memorie sulla epìgrafe osca stampate in que-
slo volume voggaiisi le riviste del eh. signor Henzen inserite nel
Bull, dell' Instit. di quesf anno a pag. 87. seg. 158. seg.
ANNO 1.
Il sig. Wentrup nulla osserva intorno alla tillinia
lettera della lin. 1. nella (piale io veggo gli avanzi di
una m appunto così , t-H. L' H poi adottata da altri
non avrebbe dovuto avere le due prime linee verticali
sì virine l'una a l'altra. Inoltre ei tace intorno alia
parola ^H3TTRHHH3(HT parte della (piale finisce la
linea seconda , e parte vedesi scol()ita nella terza. Or
io leggo klWBcHT, e non trovo luogo al primo T, se
non nella linea seguente ^H3TT che iv i ('• forza sup-
plire, mancandone lo spazio materiale nell'anlece-
dente. Intcjrno alla H del R>/1-R)i « il signor Wen-
trup , dice il chiariss. signor Ilenzen (1) esprime la
sua maraviglia, che il Quaranta nega l'esistenza del-
l' i in Kaila, mentre quella gli appariva bastantemen-
te chiara , ed anche la simmetria dei versi indica che
qui ci deve essere una lettera ». A chi opponesse ve-
dersi ivi una linea obliqua, che non potrebbe richia-
marsi in verun modo a formare una H , la rpjale , si
dice , dovrebbe avere la linea aggiunta orizontale ,
e non obliqua , farei osservare esser tal questione in-
torno alla obliquità della linea aggimita assai secon-
daria , apparendo ivi chiaro anche al sig. Wentrup
la h ; inoltre avvertirei , che queste linee non sono
sempre orizontali , come par si supponga , essendo
ajiertamente oblique e rivolte in giti ncUl^kHA/KH
del R. Museo, nel WHRKT di molle moiielc dfl Tia-
no Sidicino, nel NBOTHBaS di [yarecchi nummi Fren-
tani , e persino nel RACE della lapida Terevcniinate
di Numerio Bairio tuttocchc; scritta con carattere lati-
no. Quanto poi al trovari^i talora rivolta in su , non
far mestieri di andarne a cercare esempi altrove, os-
servandosi in questa medesima lapida viaria anche se-
ti
— 82
conJo la (avola incisa nella linea 8. hHK. Dopo le
quali osservazioni ripelerò qui la primitiva mia let-
(iira (li (ulta la iscrizione , prima di passare a dir
(pialche cosa iatorno alla interpretazione di essa.
//kH • ^IITHVn //H//W • ^IITTVI^ • ^
llv VM3a3T • VMVl • >IR>I3 • ^1 VWl-
//'8RT^ • mRQTTHVn • THR • ^H3T
(]3n • TWTRHW3a3T • VhD • WRHF
a3T • RURiiRnwvn • wi • v^twi- • >
Vm. • TMR • 111 • >l3a3n • ^H3TTRHm3
1-3 • ^^R>i3 • ^l-3ll)iUI-3":,W • ^h33Vl • R V
ROX)!:!^ • VVt • RIDVI • RH • VW • ^^
^hBHRiRnwvn • ^i-a>ii-^3W • mia
l\ • ^H3^W • H35|Rmi?ll>iD3U3^
^HdTTRSVOn • ^1 VI51I-R • V5:
Ora fa luogo di a^iugnere alcune osservazioni in-
torno alla interpretazione di essa. E primieramente
credo ancor io , che il MccUceis Pdmpaiianeis debba
essere qui un genitivo singolare , non tanto per i
confronti , che lo persuadono , quanto perchè solo
così mi si toglie il singoiar impiego di magistrali di-
versi adoperati qual ad apporre i termini , ed appro-
vare, qual ad eseguire quel qualunijue lavoro, che ci
si addita nella liu. 10; quando da tutte le lapidi fino-
ra scoperte rilevasi che i magistrati medesimi, o parte
di essi son sempre adoperati a presedere al lavoro ,
e quello compiuto ad approvarlo.
Troverebbesi pertanto in tal caso superfluo V Ai-
dilis dell' ultima linea , aspettandosi qui il consueto
iiidum , cddum prùfallens. Ma ancor questo potrebbe
difendersi col non dissimile esempio di altra lapida
])ur pompeiana , ove Vinicio dicesi Cuaisldr Pùm-
paiians, e di qndsla medesima nostra viaria, ove pure
si aggiugnc al Mediceis il Pilmpaiianés non richiesto
afleillo in qualunque senso si voglia prendere quel
passi.i.
In secondo luogo avvertirò, che il i'mssu della lin.
4, o imu della 9, e 10, che io interpretava suo /«ss»,
or mi sembra essere ben allr.i co-a. AI qual cangia-
mento di opinione non può aver certo influito il pa-
rere del sig. KirchofT, nò l'autorità altrui, più di una
potentissima ragione , che mi fa avveduto essere la \-
del V^Vh vocale, opde non posso affatto paragonarlo
col IVSSV latino d'indole e di radice al lutto diverso,
lo prendo adunque il him come pronome dimostrati-
vo plurale eiisu, che tolta l'enclitica u proveniente
forse da un um, che così intero apparisce nel latino
antico in Sed-um, in Pcr-um, in Donec-um, mi ri-
mane ^Vh , facile al paragonare dei plurali in ^V ,
come ^Vn fQueis, Qacs , Quei) , onde i latini anti-
chi EIS , EI , e poscia 11. Né può far difficoltà la
mancanza , del punto nel primo V, perocché , può
esser stalo omesso in questa lapida , ove è tralasciato
altresì in ^H3^W, ed in VhU. Ammesse queste due
modifiche avrebbesi una più soddisfacente interpreta-
zione di tutta la lapida a questo modo.
M. Sallim . M. f. N. Ponlius . M. f.
Acdiles , hanc viam lerminavcrunt
ad ? portam ? slabianam perlicis ?
X. ii(dcìn([m) vlam pompcianam ter
minacerunl perlich ? II. ad ? caci
ìam . lovis . Milichiì . Has vi
as . el viam . ioviam . et . decuvia
rem ? magislratns . pompeiani
ex . silice . stravenmt . li
fdemquej aediles probaverunt.
Passo ora ad alcuni particolari. Ancor io la prima
volta che copiai la lapida credetti ravvisare la linea
orizontale disotto alla fi di WRaTTHVfl , e l'altra
che sega per mezzo le due verticali, onde il sig.Wen-
trup ha espresso il B , ma le seconde cure mi fecero
invece riconoscere un fi. Comunque ciò sia , parmi
poter paragonare il Pitoira osco colle formazioni delle
voci latine intra, extra, ultra, cantra, dira, nelle
quali la sillaba (ra ha origine dal tcra. L' THR credo
piuttosto A'r(=AD); e però il punirà sembrami an-
cora d' inceito significato.
La |)rima sigla W e la H , mancano tuttavia di e-
scm[»ii nelle lapidi osche. Lo che dimostra questa iscri-
zione "iù recente. Ilo detto che la H manca di esera-
83 -
pio , porcile la lapida di Tiìm'iiIo aveva scolpilo NI,
secondo che ho avuto occasione di verificailo sui^li
avanzi dell' orij^inale. Q limito al W il .l/a/((s, ed il3/<-
nius , Minalius vi hanno più dritto dv\i\\ altri prono-
mi , siccome più frequenti. Fa senso che non sia fi-
nora apparso il Mamcrcus , che i Graiuinatici attesta-
no essere slato in uso di prenome fra gli Osci. Ilo sti-
mato alla p. 5, che BHH del Irapezoforo di Pietrah-
bondante equivalesse a JtJarcm; ora panni più vero,
che sia il nome Maccim ciie leggesi nelle monete ()-
sche di Aurunca (1), dopo che ho avuto occasione di
stahilire 1' uso antico di servirsi di nomi di famiglia
in luogo di prenomi (v. pag. 41, 42 di(piesto/yi///.).
Perocché è ora ben sicuro che il )1 si cambiò anche
dagli osci in B per gli esempi allegali da me a pag. 6.
delle osservazioni intorno a questa iscrizione , e per
r^lDFTTBV dell'ultima lamina di Pennaluce , e pel
confronto certo del 3> QBAHH (tav. I. num. 1. di que-
sto Bull.) col ^3IB(]RW e col ^OIBAQAHH di due laz-
ze graffite del suolo Campano, e pel ON.\nM.\H delle
monete ( v. p. G6. di questo Bull. ). Cosi Paccius fu
scritto )in, Dccius )\^, e sarebbesi potuto scrivere an-
cora Bn , e B5|.
L' iscrizione di Bairio va letta così
NI • B.\mi • II • M • T • S • T A RAM
KACE • AMANAFED • ESIDVM
PROFATED
Cioè : Nìumeriis Bai) ih Herids Meddix Toulics
Scnaleis langinud Aram iacc amanafed • esi-
dum profaled (2).
Numerio Bairio figliuol di Herio magistrato supre-
(1) Qiicslc non lianno avuto assegnazione di luogo da altri Nu-
niismalici; ma io ne ìm pulililicata una alla p.Go,66, di questo Bull,
ove la leggenda /IH V (JlN niutle in sicuro I' allribuzione clic ne
ho fatta altra volta ad Aurunca.
(2) L'interpretazione delle quattro sigle M • T • S • T f u data dal
sig. Caraba , dal quale ne ebbi la prima copia, e parmi giustissima.
Egli ancora credette di emendare 1' II in N , che io invece ho ri-
tenuta col trascrittore.
mo per decreto del Senato quest'ara ha chiusa in un
recinto, ed egli medesimo ne iia appro\ato il lavoro.
La voce ^3(13n è spiegata da me per anali);:iaalla
perlica romana. « 11 sig. .Viifrecht , dice 1' Ilciizeii .
non accetta questa spiegazione, se non priclic il senso
gli sembra richiedere una misura longiltuliiiale , ar-
bitrariamente chiamandola perlica, e coiifrontando la
perecu o.sca colla perca umbra delie tavole ("tigulìiiie ».
[Rull. Inslit. 18:52. p. S!).) Non credo inutile osser-
vare , come sulla etimologia della voce latina pertica
nulla si è detto finora di soddisfacente dai grammati-
ci. Io considero questa voce nella i-elazioiie colla pf/ tu
umbra , come Pandica con Panda. E se perca può
essersi detto ancora perla , siccome si disse Marca ,
e Maria , avrebbesi nella voce perca la radice della
perlica. In tutte le iptjtesi Pcrec è tronco , non meno
di Per , ed io slimerei che la intera voce con\ enieiite
a questo luogo sia Perecai<.
A vie maggiormente escludere la falsa idea di Pcdes,
gioverà oltre alle ragioni addotte produrre tpiì da tiii
graffilo osco pompeiano i Pcde^ !M M scritti appiiiilo
così, 00 00 qn. Questo monogrannno manca dell' E in-
termedio, forse all'osca, ma certo come il P.D. XXXII
delle lapidi latine , secondo la giusta interpretazione
del sig. Minervini {Bull. Nap. lìl. p. 54.1 V. p. l.'J.'i),
confermata da un' arcaica di Capua tuttavia inedita
copiata ivi da me , IX ACRO P. II. IN. F. P. I).
V. Non è ben provala, evvero , la natura dittongica
della E di Cella , siccome ritenendone la interpn'la-
zione confessa l'Aufrecht, ma io ipii appello ad un
fatto, perocché così è realmente scritto sulla lapida. E
dico inoltre, che ciò trova un sostegno in Pùmpaiian^,
in Buvaiamid, in Suaei f=SeiJ, del medesimo dialet-
to. Se la famiglia Decuvia fosse qui indicata, io non
so dirlo , certo Deccvia come Pacvia equivale a Dec-
cia, Decia e credo sia la maniera più semplice di in-
terpretarlo. Degl'iman Ba..anm delle monete diXo-
cera Alfalcrna non si è per anco inteiprelato, luttoc-
chè si possa tenere col confionto di Sarninei, che sia-
no appellativi del municipio.
La più opportuna occasione a fermare il senso gram-
maticale di Sercucidimadcn pro\iene parmi da alda
lapida pompeiana , della quale soli tré frammenti si
— 84 —
rinvennero. La vera lezione di questa è, come segue:
TRW.n
iqi-R
j 1 1 iNk W 3a3T
TRn^vi-n^Haw'"
Comunque ne sia perita una gran parte , pure ne
resta tanto da assicurarci, che vi si parla di Edili, che
questi magistrali hanno segnali i termini, ed un'altra
cosa hanno fatta indicata dal verbo che determina in
^H3m. Fermiamone le parli : la prima linea conte-
neva certo i nomi de' magistrati , che dalla linea se-
conda dichiaransi Edili , adunque erano due, P. Ma-
(ììs AUUlis od Aidiléis; dopo la qual voce è
naturai cosa che venisse nominato l'obbietlo, e questo
era una strada : perocché nella quarta riga ricorre il
nominativo Vh3; perchè nella terza si parla di un la-
voro viario , qual è quello di determinar la larghez-
za e lunghezza della via ed il suo passaggio. Il voca-
bolo , del quale rimangono gli avanzi , si supplisce
cosi facilmente, come sicuramente ^H3TTìslHW3Q3T.
11 professore IMommsen , che legge teremnai , ( Uni.
D/a/.p.I82j, non ha veduto, che dopo l'asta dritta del
preteso h, segue una seconda Unea, egualmente ver-
ticale , e poi una base d'altra lettera, che manoduce
alla terza persona plurale del perfetto leremnatlens.
Dopo la qual lezione egli è facile intravedere , che
oltre a questo , un altro lavoro fu eseguito dagli E-
(lili , poiché segue al primo leremnatlens un secon-
do verbo egualmente di terza persona , e preterito ;
questo é ^HBHH i ". Alla copia del Mommsen manca-
no i due avanzi di lettera che precedono il niens. Il
primo si vede che era I , quindi imens , ed il secondo
potrebbe essere un 5|. Se mi si concede il N, io sup-
j)lisco qui Screiicidimens. Chi me lo impedisce? Già
basta solo imens per dimostrare fuori di via coloro
che di\ìdono la parola. Se avess-mo avuto intero Se-
reucidimens tutti mi avrebber conceduta la radice 5c-
rencidimo ; ora perchè questa voce nella forma Sereu-
cidimaden (1) è apparsa prima, non parrà forse vc-
(1) Quand'anche si volosse lenoro TEN preposizione posposta, non
potrel)bo spicgaiii EN SEREVCIDIMAD VVI'SE.NS JHf-ex} SJ7ìCf /c-
cerunt ?
ro, né verisimile, che sia un sol verbo , siccome pu-
re lo vuole la lapida. Io lascerò ad altri sbranare il
vocabolo , e supplisco la lapida a modo mio così :
P. MalifisJ
Aidilis ' (ecac . viamj. . . .
teremnallefns . hisu . sereuei)
dimens . Viu palfled . perec.
P. Malius
Aediles . Piane viam) ? . . . .
terminaverunl, fheisque . silicej
straverunl. Viapalfelperlicas. .).
Generalmente in questa . e nella piìi recente epi-
grafe notasi un andamento al tutto Ialino e dei miglio-
ri tempi ; lo che dimostra l' indole del dialetto facile a
pigliar forma migliore su di una lingua affine , che
contava già autori di stile, e di più ne conferma dello
studio , che i capi delle orde Sannitiche ponevano in
imparare , e dell' uso ordinario , che fra loro si face-
va della lingua latina , secondo la preziosa testimo-
nianza di Strabone : Iwi àpx^fysras (twv ^xvyirÙoy )
\ir\ vokù 'x^rfr%ri^%i rr\ Axrlyt] ^ioìXìxtoj , comun-
que in mal proposilo cerchi egli servirsene, a prova-
re l'origine latina della voce 'Priynv (L. VI. e. I. §.
6. ed. Kramer).
Gaurucci.
Iscrizioni Elm^che graffile sul fondo esterno di due vasi
trovali in sepolcri campani.
» On ne relrouve pas , en Campanie , la moindre
trace d'étrusque; les lettres pourraint Iromper, mais,
sans exception , tous les monuments écrits soni os-
ques , » cosi il Niebhur secondo la traduzione del
Golbery (T. 1. St. Rom. p. 109). Ristoratori delle
tradizioni vetuste sui popoli Etruschi di Campania
sorgono ora dal fondo dei sepolcri campani quei te-
- So -
sdaionii di scriKura , e di lingua invano cercati dal
profondo scrittore della storia Romana ed Italica, il
prof. Munimsen primo raccoglitore di giallid etru-
schi in Campania non o:?òapertauienle contradire alle
dottrine del Niebhur, ma tenne una via di mezzo, sup-
ponendo , che appartenessero questi ad Etruschi si ,
ma dedotti qui in colonia dai Romani. Questo non sa-
rebbe accaduto prima del 518, nel qual annosi resero
soggetta la Campania. Da questo tempo però franche
asserzioni di Livio ci assicurano che altri coloni non
furono dedotti in Campania , che Latini , e Romani ;
né parmi si possa supporre una deduzione di Etru-
schi, in forza della quale i Romani padroni avrebbero
messo in possesso di terreni cosi fecondi gente stra-
niera , e deditizia. Né il paragone dei Liguri dedotti
nel Taurasino può aver luogo, troppo diversa essendo
la condizione di sili montuosi , e tanto salvatici , che
neppure ai tempi nostri si hanno coloni , che vi vo-
gliano travagliare attorno a purgarli , e fecondarli.
Ciò per altro che più ne convince è il vedere , che i
monumenti etruschi non appartengono ad una sola
comunanza , come era forza che fosse , supposta la
colonia , ma sono egualmente diffusi in più luoghi.
Converrà quindi far ritorno alle antiche tradizioni ,
che si bene si accordano alle recenti scoperte , onde
resta vendicata l' asserzione tanto positiva di Polibio,
che gli Etruschi possedettero il tratto di terra che va
tra Capua e Nola, tv. TT-p] KctTrtTjV xa.) Ìsu/Xr^v ttì^ix
(Ilht. L. 11. e. 17).
Cefalone Gergizio (Gergilo era città della Frigia
posta sul monte Ida), autore assai vetusto TTccXaiòs
TTcaf, scrive Dionigi (L. 1. Archaeol. e. 72) insegnò,
che Capua fu edificata da Romo e Romolo , figli di
Enea ; Oro lo trascrive , e l' autore dell' Etimologico
da quest'ultimo (p. 490. Sylb. cf. Diou. Alic. 1. 37 ):
KotTTyr] TroXfS 'Ira>.ia.S, r^v Pwfxof, xcù Pw/xcXcsr/ol
'Aitiiou (cod. 'Afvitov) ixrtffxy, l'vS (p>]!7( Ks-P'xXtnv ó
Fipyrfiios. ourous "Hpo?.
Se Cefiilone ebbe compita la storia dei Frigi al più
far^i sulla prima metà del secolo quarto di Roma ,
come pare al Niebhur fSt. liom. 1. 2o7. Gr)ll).) , ei
scriveva sui primordii della invasione Sannitica in
Campania , adunque non poteva parlare della Capua
romana. Questa tradizione fu certamente indigena, e
vetustissima ; perocché i Sanniti medesimi occupata
Capila , e trasformandola di lingua, e di cosi inno ne
vollero consecrala la memoria sulla moneta , facen-
dovi rappresentare Telefo padre di quella Roma, che
tolta in moglie da Enea, credevasi aver dato il nome
alla città eterna (l'iul. in llimuloc. 2. Avrlliiio JShIL
Nap. 1. 12). Cornelio R.ilbo a' tenq)i di (jiiilio lil'e-
riva al Capi troiano parente di Enea la deduzione di
Capua , i quali racconti , che riescono tulli a fare di
Cnpua una colonia Troiana , si riducono ficilmcnle
a questo senso , che i Tirreni Pelasgi , i (piali abita-
vano la Frigia, erano della medesima nazione dei Tir-
reni Pelasgi , che popolarono di loro colonie si gran
parte d'Italia, e che ahilarono sulle due rive del Te-
vere. Altri autori letti da Velleio ne confermano l'ori-
gine tirrenia , riportandone la fondazione a i8 anni
prima di Roma (Velleio 1 . 7.). Tito Livio, Slrabono,
ed in generale gli scrillori del secolo di Augusto , la
dissero fabbricata dagli Etriisci, e datole il nome Vol-
turno. Questo nome è realmoule di Etrusca origine,
ed il Vormiglioli Irà le iscrizioni Perugine ha notala la
gens ANaV0-\3ì (p. 2()2. 203), che come ANmU^Ì
(Voluìnnius ) cambia l'O in E, e però deve tradursi
Vollumius. Ma non meno Etrusco apparisce Capys ,
significando in quella lingua il falcone, e coloro, cut
poìlices pedtun curvi essent, inalar falconis avis ( Fesl.
43. Mùller , Servius ad Acneid. X. v. l'to. cf. Ca-
pena etrusca città adiettivo di Capi/s, siccome lo è la
porla Capena che mette sulla via di Capua; cf. i nomi
di famiglia Caponia , Capnvanla. Vermiglioli , hcr.
Perug. IV. 189, 226, 2o3 , 2oo). Anche Antioco
disse Capua così denominata dai Tirreni (Strab. v. 4.
3). Laonde questa tradizione dovrà spiegarsi riferen-
dola alle colonie di Etrusci in varii tempi venute a
rinforzar Capua , alcuna delle quali le a\ rà eziandio
cambiato nome , se non é piuttosto vero , che una
citlà (cf. Strab. v. 4. Ovu/krwpyjs ifxuiwixós Ieri
Tr7 TTxfo^vriv TToXsi |vP.-;T,?;i:(,u/vr),o castello Voltur-
no sia stalo edificato poco lontano da Capua, onde si
scambiasse per alcun tempo il nome Ira loro, siccome
tra Palaepolis, e NeapoU:^, nelle quali due vìllhpopo-
lus idem hahilabat. Da ciò risulla , che la prima me-
86 —
moria (li Eiriisca colonia, dopo la prima fondazione,
deve farsi risalire ai 229 , o 233 di Roma , quando
alcuni dicevano fondata Capua dagli Ehiisci , ed in
quest'epoca appunto Slrabone parla dej;li Eirusci ,
rome di corsari del mar Tirreno (VI. 1. S), e Dio-
ni"i racconta di un esercito di Tiireni , di Umbri , e
di Danni disfatti da Aristodemo (VII. 5. cf. Niebliur.
II. 3 'io. Golb.).
La seconda apparterrebbe al 283 , quando gli Stru-
sci sottomiser Roma, secondo la ingenua confessione
di Tacito, deiUla urbe [H. III. lì), la qual epoca
prescelta da Catone , sta colla maggior potenza degli
Etrusci, i quali al 279 avevano assediata Cuma, che
se ne salvò cogli aiuti di (jeroiie.
Nulladimeno colla occupazione sannitica dell'anno
331 non è a credere che in Capua si spegnesse ogni
seme di Anniglie Etrusche in Campania, siccome l'in-
vasione di Cuma accaduta tre anni dopo non valse a
cambiarle il greco linguaggio conservatosi in fiore si-
no ai tempi di Slrabone, ed oltre, come dimostrano
i monumenti i\i trovati posteriori ad Augusto. Inol-
tre gli Etrusci di Nola pare s'abbiano conservato iloro
dritti , perocché accresciuti di una colonia Calcidese
poterono respingere le forze Sanniticlie. Le terre in-
termedie certo seguitarono ad essere abitate dagli E-
trusci; in sonnna gli Etrusci si mantennero la loro
comune , se tanto dopo l' ingresso nei loro domimi
delle orde Samiiliche , poterono eziandio batter mo-
neta col loro carattere IDN0H , tuttoccbè alquanto
fuso coir Osco, siccome lo appalesa 1' H , e forse il
do[ipii> H conosciuto parimenti nelle monete della
guerra sociale coniate da Caio Papio Mutilo , con la
leggenda l-inRm>.
(jeneralnuiite non può negarsi l'influenza Osca in
alcuni grulliii dei vasi , che debbono riputarsi appar-
tenere a Cnniglic Etrusche , siccome in Etruria nie-
<lesima notarono i dotti e grecismi, e latinismi, e qual-
che greco elemento apparisce ancor (juì, almeno nella
leggenda 3 HRaV j^ (Momm. V. D. Taf. XIII. 5.
ohe sembra //. Ulsinius , siccome parmi evidente il
y.iO.ixvr, , ( à-)-} frov ZEpofXriov Elym. M. s. V. ) , nella
voce RNB>W> della epigrafe n. 4. (tav. cit.). Pre-
luessc queste osservazioni a dichiarazione dell' argo-
mento, entro a dilucidare il grafiìlo novello della tazza
Capuana (t.I n. I).Leggesi ivi ll+^^g®3Rll an^XHRW.
11 \W in carattere più piccolo, e quasi fuor di luogo
mi dimostra, che la leggenda i\i debba finire, comin-
cerò dunque da Maerce il commento.
Né il vocabolo , né il significalo è nuovo in Etru-
sco. Il suo genitivo Marces ha due esempii fra le iscri-
zioni perugine; il primo è a n. 184. pag. 2i9. del
Vermiglioli Hcli. Marces. Nari , il secondo a pag.
lo4 (2), ma che il dotto Autore non riconobbe, lo'-
gliendo l' M di Marces. Àlenas. Thuius per iniziale
di Mi (sono). Nel nuovo graffito leggesi col dittongo
Maerce , e cosi ancora Prziacles , se qui non è piutto-
sto un errore , che in tal genere di scrittura non fu
possibile correggere , e però convenne sovrappor-
re r una delle due lettere , che fanno gruppo. Il dit-
tongo ae invece di e , è particolar dialetto degli 0-
sci,e dei Sanniti, i quali scrivono /*i<myw/a/ìs, e Caila,
e Suai, e BùvaiaKùd, ma un esempio di acperanoo
era occorso finora , se non in uno scifo del museo
Campana con SAIITVRNT POCOLOM, ed in un graf-
fito trascrii to da me in Pompei Maiius. Al Marce, o
Maerce fa buon riscontro il Marhies, ed il Maraliieis
di altre due tazze campane , specialmente ora che è
ben dimostrato lo scambio del e in h si nell' Etrusco,
come noli' Osco ( v. le mie Oss. intorno l' iscr. Osca
di Pompei. Napoli ISIil. , e questo Bull. p. 43.).
Segue Prziaetcs in genitivo, onde conviene che sia
il nome del padre di Marcio ; manca poi di una vocale
tra Vr i}'\ z, certamente secondo il costume etrusco,
il (piale si riconosce ancora nella moneta campana
colla leggenda Irnthii e talvolta Irnthd. 11 svi si scri-
ve qui colla stessa forma, che in un graffito pompe-
iano lk03BI^Ill5 , ed in quest' altro pur campano ,
che il prof. IMonmisen ha dato a Tav. XIU. n. 4. del-
l'^'.!). mRRHB>W<»jgTli3q^l3TlR rizleis.Veli'
teis. Cidcliina. sim. (il Momm. legge Enleis L. e). Al
Prziaelcs di questa lay/a fa riscontro il Pkelaunales
di altra tazza del Museo Chircheriano (Tav. 1. n. 4),
che mi si dice trovala a Bomarzo , ed il OIAPITA ,
Thiapi(a, di una terza proveniente forse dalle mede-
sime terre , i quali nomi come Phrcnlinnle (Vermi-
glioli /*(■/■. Perni], p. 319. ) sembranmi aver forma
— 87-
patronimica. L' ultimo vocabolo \W è noto per più
monumenti (v. Lanzi. Saggio de. p. 422, 431,432,
444 , 445 , 447, 463 ) , e per la spiega/ione datane
dal Lanzi , che lo paragonò ali" EMI , ELMIfiiecofv.
Secchi Descrizioìic d' alqiKUili Etruschi Arredi. Ilonia.
1846. p. 9, 10.). Gli Osci ritennero coi latini ili)/,
ed io sospetto , die iu Cam[)ania toj^liesscro dal vici-
no dialetto una simile forma di verbo anche gli Etru-
sci , che l'abitavano , e lo vorrei riconoscere nel SI M
di tre graffili campani , ove a più segni si manifesta
una fusione di alfabeto , e di dialetto. Il primo è
mi^^^iXVHR)! (Momm. Taf. XIII. n. ±), b-^o io
Canuliea. Sim, il secondo non dissimile 1-HRI3HITA31,
Feìlinei. sim, ed il ferzo citato più sopra ì'izleis. Ve-
lileis. Ctdfcjhua. sim (Momm. n. 4.).
In quel medesimo sepolcro , ove fu trovato la taz-
za col graffilo sopraesposto , era nna pcliicc ornata di
due rappresentanze erotiche, disotlo al piede lessi NVO
(Tav. I. n. 3. ) , che sarà forse sigla di più lungo vo-
cabolo , siccome lo CNA in tazza del Chircheriano
( Tav. I. n. 3 ). È per me incerto se il XVO sia gre-
co arcaico , o> vero Etrusco , nel qnal caso la terza
lettera O cfpn'vniicbbe ad im ^/i , ® , la quale si scri-
ve in (re maniere, anchesullamoneta/niz/uV, or pie-
namente ®, or ® e finalmente 0 comeinOL\niTA.
l
Garrccci.
Piombo Siciliano.
L' antica Erice , che riceverà Ira breve un' insigne
giunta di sue monele dallo studio di due nobili e cul-
lissimi giovani Eiancesco e Ludovico Iligilifi, ha mes-
so alla luce un bollo di piombo, assai singolare, per-
chè segnalo del nome di un proconsole della Sicilia,
affatto nuovo , e vie maggiormente perchè questi è
quel Giunio Bleso , nolo negli Annali di Tacito , e
neir Istoria di Dione. La forma del bollo è nuova an-
che per me , che ne aveva di già pubblicale tulle le
varietà a me noie nei Piombi amichi (Tav. III. 13 ,
1 o — 21 , IV, 1 — 11 ). Mostra dunque ad un canalet-
to , che lo corre iniorno , di essere stato intromesso
in alctma falda di panno, e quivi conqìresso fra le
staffe della tanaglia, dalla (piale ha ric(;vuta l'impron-
ta in rilievo del nome Q. IVNIVS I5LAESVS l'IlO-
COS. Il carallere è conNcnienlissimo ai Icnijii nei
quali lioii Giiinio , cioè alla seconda mela del sec(jlo
settimo di Roma. Dal suo consolalo suITcllo , che si
pone al 763 (Borghesi, Saggiatore T . 1. p. 331 ),
j>uò prendersi noihia onde determinare anche l'epoca
dèi suo proconsolalo di Sicilia.
Perocché essendo questa carica pretoria , con\ ie-
ne r abbia conseguila prima del 763 , in che fu suf-
fetlo. E poiché era legge ai teuq)i di /\u;:uslo, che
chi era slato pretore sortisse la [iro^inciadopocimpic
anni , la sua gestione di (piella magisliatura non si
può credere di molto lontana dall' anno , in che ma-
neggiò i fasci. Di lui poclu! altre cose si raccontano,
che era fratello della moglie di Lucio Scio Slrabone
cavaliere romano , e però zio malcrno del celebre L.
Elio Sciano (Tacit. Ann. HI. 3o ), e che al 767 go-
vernava tre legioni in Pannonia , provincia consola-
re , le quali alla morte di Augusto gli si sollevaro-
no (Dio, LYII. 4. facit. Ann. I. lo), che dopo fu
mandato proconsole in Africa, (Tacit. Ann. III. 58) ,
la qual pro>incia, secondo le leggi in vigore sotto Ti-
berio, si polca conseguire solo dopo dicci anni dall'e-
sercizio del consolalo.
Il più antico bollo di epocxi certa , che finora io
conosceva, appartiene ad Antonino Pio (v. Tav. IV.
n. 1. ), porla di sopra l'impronta dell' Imperalorc e
iniorno la leggenda IMP IIADIUAWS AN(oiì//.VS
PIVS , nella massa del piombo veggonsi aperti i due
canaletti della cordicella , per la quale era attaccato,
e che lo trapassava per mezzo.
Questo è lo stile ordinalo dei bolli , e ne ho altri
riscontri non meno rari ( v. Tav. IV. n. 2-1 1). Pre-
ziosissimo poi stimo il bollo malamente letto dal Fi-
coroni , e clu; dalla sua c<jllezione medesima ora con-
servala nel museo ^'alicano io ritrassi , iu foiuia di
tavoletta con ap[)iccaglia , con leggenda da ambedue
i lati. Xella faccia più nobile è scritto :
VER
PIÙ
COS, sul rovescio OXXXIIX
— 88 —
Stimo questa coppia di Consoli si riferisca ad An-
iiio Vero l'avo di Slarc' Aurelio, ed al giureconsulto
L. Xerazio Prisco, i quali sufTetli tennero colai ma-
gislralura circa ]'845. Sulla interpretazione poi delle
cifre segnale alla parte opposta non so che dirmi. An-
noterò solo , che dalle pareti Pompeiane furono tra-
scritte dall' Avellino simili note [Bull. Napoì. T. Ili,
81 ) , e che tra i miei graffiti pompeiani ho già regi-
strato questa cifra eXXXHj, accanto alla quale ORI-
CIAII , voce forse esplicativa dell' O , e che col con-
fronto di Cauncac (Cic. de Div. 1 1, 40. Plin.H.N.
XV., 19) , e di Thchakac (Fetr. Sahjr. p. 140, Am-
stel. 1GC9, cf. Loheck, Paralip. Gr. Gr. p. 316)
può significare alcun fruito provvenienle da Oricum
di Epiro. É poi noto il costume di segnar sulle anfore
la coppia dei consoli, a determinare il tempo, in che
\i si riponeva dentro il vino , e però l'O della tavo-
letta mi richiama al pensiero il luogo di Petronio (5a-
tyr. 1 14, ed. cil.): AUatae sunt amphorae vitreae di-
liyeììter gypsalae , quorum in ccrvicibtis piltacia erant
adfxa , cuni hoc Ululo , Falernuvi Opimianum anno~
rum cenlum. Altro costume fu di scrivere sui colli
delle anfore i consolali , e ne ha dato esempio una
pompeiana col consolato di Vespasiano per la terza
volta, e del Figlio, che io mi son ingegnato di deter-
minare alle Calende di Marzo deir824 (Inlorno alla
leggenda ì'espasiano III. el Filio C-s, Napoli, 1841
vedine il ragguaglio del eh. sig. Henzen Bull. Inslit.
1852, p. 95 seg.) , e tolgo questa occasione per dare
lulla la leggenda , che non era stata ancor veduta da
me , quando ne scrissi sulla relazione altrui.
SA?R
XXI
VESPASIANO . IH
ET . FILIO C ^ S
Altra legg«'nda di epoca piìi vetusta che riferisce i
(xjnsoli del 778 fu pubblicata dal Guariui (In Cipp.
Ose. Ahell. p. 56), Cn. Ie»TVLO . M . ASINIO .
COS . FVNDAN. Riferiscono poi amendue vini fa-
mosi, il Sorrentino, del quale ha disputato, dopo altri,
il mio eh. amico sig. Bart. Capasso con pari giudizio
ed erudizione (Mem. Stor. Arch. della Penis. Sorren-
mm, Napoli 1846, p. 64, seg. ) , ed il Fundano detto
ancora Cecubo ( Strab. Ilorat. Mart. cf. Ovid. ex
Ponto, li. Marlial , XIII. , ep. 115).
Garrucci.
Lapide Capuana.
sig. Henzen ha
Nel Bullettino dell' Instiluto il eh
inserito a p. 138. di quesl' anno la iscrizione trovala
non ha guari in S. Maria di Capua , secondo l' apo-
grafo al medesimo dotto comunicala dal signor doti.
F. Wenlrup , che 1' ebbe dal eh. Fiorelli. Questa co-
pia ha dato luogo ad alcuni dubbii dell' interprete, ai
quali è duopo soddisfare, pubblicandone qui una co-
pia corretta di mia lettura.
In questi due
luoghi v'è posto
solo per una let-
tera, però sup-
plisco CoS,eVR.
///sVLFiUUQVlRlNCVALGiU t//
SEXPOnTiDIOBASSO M IVNIO CELEREir V //
SEX ■ HELVIO CFP- TITIO • FALERNO ■ AED
PRAMMIVSPLCIIRESTVS
NAVIGATOR • I • 0 • M
Dalla parte opposta
I • 0 • M
Il costume di determinar l'epoca, consegnando sui
marmi il nome dei magistrati municipali , ha pochi
riscontri , come notò già il Borghesi (pr. il Furlanet-
to , Lap. d' Este p. 13). É per altro ben antico, sic-
come ho fatto vedere alla p. 12, 13, di questo Bull,
ai quali esempii può venirsi ad unire l' ara di Alba
dedicata ad Ercole , scorretta nel testo adottato dal
Mommsen (/. N. 5613), nella quale l'eponimo è
C • SALTORIVS • C • F.
Garrucci.
P. Raffaele Garrucci d.c.b.g.
Giulio Mi.nervim — Editori.
Tipografia di Giuseppe Catàneo.
BILIJIITIXO ARCHEOLOfilCO iWPOLITAXO.
NUOVA SERIE
A^.« 12.
Dicembre I8ò2,
Nolizia (le più rerciili svaci di Pompei : coitlinuaziune del A'((//t. prtcedeitte. — Deierizione di alcuni rasi
dipinti del real museo Borbonico.
Notizia de' pia recenti smr« di Pompei : continuazio-
ne del numero IO.
Anche dal peristilio si passa Jn altra stanzetta, cb'è
l'ultima a sinistra, e che forse avea destinazione po-
co dissimile dalla precedente: vi si ha l'adito perso-
glia di piperno, con visibili tracce della chiusura. Il
pavimento è signino cou pezzetti di marmo dissemi-
nati fra mezzo al mattone. Lo zoccolo è rosso con ra-
mi , piante acquatiche , ed altri ornamenti. Le pareti
sono gialle, e vi si ammirano capricciose architetture
e graziosi rabeschi. Nel muro laterale destro, l'archi-
tettura si ripete eguale due volte.Sopra svelte colonne
epilaslrinisieleva un ediOziocon frontone triangolare
ottusissimo: sopra è un cornicione dritto, ove poggiano
agli estremi due Grifi, e nel mezzo è una maschera sce-
nica femminile. Più su si eleva altro edifizio, e sopra
iJi cornicione è un delfino. Sotto al descritto edifizio
è un vaso della forma della oenochoe. La stessa archi-
tettura , siccome avvertimmo , si ripete una seconda
volta ; se non che la maschera ofl're uaa specie di
benda , che ne cinge la fronte.
A' due lati di questa architettura , sono due dischi
con protomi ; uno è inferamente perduto , l' altro ci
presenta una protome imberbe con anelli ad ornamen-
to delle orecchie , e pileo ricurvo che ne ricovre la
testa : presso è un piccolo pedo , o bastone ricurvo.
È forse un Paride , o piuttosto un Ganimede.
Nel mezzo è un quadretto molto interessante con-
tornato da iDssa fascia, che ne figiira quasi la cornice.
Siede a destra sopra ornata sedia , ove apparisce l' or-
namento di un Amorino , una donna vestita di rossa
tunica, poggiando i piedi sopra un suppedaneo. Col-
^.V.YO /.
la sinistra tiene l'asta, e colla destra è nell'atto di a-
iiimato gestire , per accom[)agnar «juasi le sue parole.
Innanzi a lei vedesi un giovine con rossa clamide, che
muovesi ad andare a destra, mentre si volge alla don-
na: è notevole che ([ucsla figura apparisce di schit^na.
Di fronte alla medesima donna è altro giovine pur cou
rossa clamide e spada al fianco, che tien colla sinistra
il bastone ; mentre appressa la destra alla bocca in at-
to di meditazione.
Le tre figure effigiale nel pompejano dipinto a me
sembra che si riferiscano ad Oreste e Pilade in Tauri-
de. I due amici stanno alla presenza d'Ifigenia, che già
li ha riconosciuti. Non sono essi colle mani legate die-
tro al dorso, come nella pittura Ercolanese (Ercolan.
pitture toni. I tav. XII) nel bassorilievo .\lbani (Zoega
Bassir. II ,LVI}, e nell'interessante vaso della colle-
zione Santangelo(Raoul-Rochette mon. inèd. pi. XLI
p. 201 seg. ); perchè ormai ravvisati per (piel che s<j-
no pensano al modo come sottrarsi al furore di Toan-
te. Ecco perchè si vedono i due giovani armafi l' uno
di spada l'altro di asta: e perchè Oreste sta cogitabon-
do , e munito di bastone, ad indicare le sue numero-
se peregrinazioni. In quanto alle armi tenute da' due
giovani amici, merita di essere richiamata in confron-
to la pittura pompejana ( Real mus. borbonico toni.
IX tav. XXXIII ) egregiamente si)iegata dal mio dolio
amico sig. cav. Gerhard [archaeologische Zeitumj 18 59
tav. VII p. 65 seg. ) per Pilade ed Oreste presso Ifi-
genia , che si preparano a fuggire , o già fuggiron da
Tauride recando secoloro il rapilo Palladio ( vedi pu-
re ciò che dicemmo noi slessi nel voi. IV. parte 1.
p. 277 segg. delle memorie della reg. accad. Ercola-
nese). Ora è notevole che entrambi tengono l'asta ri-
12
— 90
versa , ed un solo di essi ha la spada , non altrimenli
che sul noido dipiulo si osserva. E degno di allenzio-
ne che la figura d'Ifigenia lien colla destra un'asta:
una tale particolarilà potrebbe in doppio modo spie-
garsi ; o supponendo eh' ella tiene l' asta del diletto
fialellojche difalti ne apparisce privo alla sua presen-
za ; o piuttosto eh' ella si vegga munita del jeralico
scettro , non altrimenti che sul vaso Santangelo , di
cui fu detto di sopra. E l'asta tenuta nel nostro dipin-
to da Ifigenia non sarà senza allusione alle parole di
Euripide , per le quali Oreste die l' ultimo segno al-
la sorella, per esser da lei riconosciuto. Egli rammen-
ta che l'asta di Peinpp, conservala nelle paterne ca-
se, era nascosta nella stanza d' Ifigenia ( //j/i. in Tawr.
823 segg.). Questo rapporto della figliuola di Agamen-
none ad un' asta , potè farle attribuire quel simbolo :
senza tradire intanfo il soggetto ; potendo infatti ac-
cennare o all' armatura di Oreste , o al sacerdotale
scettro.
Al di sopra del descritto quadretto fra rabeschi e
capricciosa architettura vedi un pavone,ed un canlha-
ros , da cui escono rossi rami.
Il muro di fronte , anche di giallo , va distinto in
tre zone , oltre lo zoccolo. Nella zona inferiore sono
nel fondo giallo a' due estremi due dischi in gran par-
te perduti : in quello a destra è figurata una protome
femminile con ornamento alla fronte ; nell' altro a si-
nistra è protome con ali alla fronte, la cui carnagione
essendo più fosca si addimostra virile. Chi sa che in
(juesti due dischi , che possono credersi in rapporto
fra loro , non dobbiamo ravvisare le teste di Glori e
di Zeffiro ! Segue capricciosa architettura sormontata
al solito da Grifi marini , se pure riputar non si vo-
gliano alati dragoni. Nel muro è un quadretto con-
tornato da rossa fascia, quasi da piccola cornice. Sie-
de all' ombra di verde albero sopra bianco sedile un
giovine con rossa clamide , e volge gli occhi in alto
a contemplare Diana-Luna, che a lui si appressa dal-
l' alto con svolazzante tmathion di rosso , sollevan-
dolo alquanto colla destra sul suo capo fregiato di bi-
corne luna. La guida un Amorino in parte perdu-
to , mentre un altro Amorino carezza il cane del cac-
ciatore accovaccialo ivi presso. Già vedemmo di sopra
altro quadretto con somigliante soggetto (pag. 34 seg.).
E notevole nel pompejano dipinto lo star desto dell' a-
mato cacciatore: il che potrebbe spiegarsi.o col farci
riportar la figura del giovine ad Orione , o ad altro
amante della dea; ovvero allo stesso Endimione nella
sua qualità di astronomo: vedi sopra pag. 35. La
seconda zona ci presenta nel mezzo come una base a-
dorna nella parte anteriore nella slessa guisa di alcu-
ne piccole antefisse rinvenute in Pompei ed altrove ,
che offrono cioè due Grifi volli 1' uno di fronte all'al-
Iro , e frammezzati da rabeschi somiglianti a tre vasi
della forma del canlharos. Sopra si eleva un tempiet-
to, e nel mezzo è figurala la terribile egida come una
breve pelle di capra sormontata dalla lesta di Medu-
sa , e circondala nella parte superiore da otto ser-
penti. Questo simbolo, che campeggia isolato solto al
tempietto , accenna al cullo dell'egioco Giove, o del-
l' egidarmata Pallade : essendo conveniente ad ambe
quelle divinità. A'due lati del tempio è capricciosa ar-
chitettura intrecciata di ceste con offerte, di timpani eoo
bende pendenti , di cigni con ali spiegale; e vi si os-
servano ancora varii quadretti con marini mostri G-
gurati di bianco. Finalmente la terza zona vien costi-
tuita da una cornicetta di stucco , e da una porzione
della parete simicircolare limitata nella sua parte cur-
va da altra cornicetta dì stucco , e dipinta di giallo a
foggia di grandi tegole , che costituiscono un tetto in
pendenza.
Non è meno interessante il muro lalerale sinistro,
sul quale si ripetono le pitture come nel destro ; po-
tendosi in esso considerare una doppia zona , oltre Io
zoccolo. Nella prima vedesi la stessa architettura co'
Grifi e le maschere , e col vaso verde, certamente di
bronzo , sotto l' edifizio. A' due lati erano due [dischi
con protomi ; una è perduta, perchè caduto l'intoni-
co ; r altra ha tutti i caratteri di un ritratto, e la co-
rona di edera ( dodarum hederae praemia frontium )
lo addita per qualche famoso poeta dell'antichità.
Ci proponiamo di darne altrove un' accurata incisio-
ne, per determinarne, se sarà possibile, l'attribuzione.
Nel mezzo è un quadretto circondato dalla solita rossa
cornice. Siede a sinistra sulla rossa clamide , gettata
sopra un sedile, un giovine imberbe tutto nudo colla
— 91 -
spada al fiarK'o.Vedesi a lui daccanto mollemente silra-
jala ed abbracciandolo sidla sinistra spalla una fem-
minile Cj^ura adorna del nimbo, con orecchini, e ros-
so mantello , che le ricopre la parie inferiore del cor-
po, mentre la superiore sino alle cosce rimane denu-
data dal giovine, che l'è vicino, il quale ha solleva-
to alquanto un lembo del mantello. Presso è accovac-
cialo un cane ; ed in alto sen vien volando un picco-
Io Amorino, che reca con ambe le mani una fiaccola.
Indietro sono sassi con tracce di vegetazione.
Non può esser dubbio che in questo dipinto sia fi-
gurato il tanto ripetuto soggetto di Marte e Venere ,
che sì di frequente è stato incontrato in Pompei ( Real
mus. Borb. voi. IX. fav. IX , e X. tav. XL. cf. bul-
lett. arch. napol. an. II. p. 2 , ove Marte ha la bar-
ba , ed an. Ili , p. 4 cf. an. IV p. 43. eie. ). E' fre-
quentissimo incontrar Marte giovine ed imberbe , o
solo è notevole nel nostro quadro la mancanza della
panoplia , veggendosi al fianco del dio la sola spada.
Venero ci si presenta col nimbo , come è stato osser-
vato altre volte ora azzurro, ora bianco intorno la testa
della medesima divinità , attesa la sua significazione
lunare.o in qualunque modo astronomica ( vedi Schulz
nel bullett. dell' ht. 1841 p. 102, 103 s.). La pre-
senza del cane trova il suo confronto in altro dipinto
pur pompejano , molto somigliante a questo che ora
abbiamo descritto (vedi real mus. Borb. v. I,t.XVlII).
Noi altra volta sospettammo che questo dipinto , ed
altri di soggetto presso a poco simile, dovessero rife-
rirsi agli amori di Alessandro e Boxane ; e pensava-
mo che il cane figurasse il fido animale del Macedone
denominato ITsp/ras (Plutarch. Alex. e. 61. in ima
nostra memoria inedita letta alla reale Accademia Er-
colanese). Ora però il nimbo dato alla femminile fi-
gura , che la determina per una dea , ci persuade a
ritornare alla opinione anticamente seguita , almeno
per quanto concerne questo ultimo quadro. In tale i-
dea il cane dovrà riferirsi al dio della guerra ; e così
pure nella novella pittura, che riproduce la medesima
scena. Neil' alalo fanciullino, che vien dall'alto coU'ac-
cesa face ad illuminare gli amplessi della coppia divi-
na, se poniamo mente al simbolo da lui recato, dire-
mo che ci si presenti la figura dell'Imeneo, a cui spes-
so la fiaccola si trova convenientemente attribuita ( A-
vellino nel voi. Ili delle tnemonc della reg. Accad. Er-
colanese p. 2o4 segg. cf. Mueller Uandb. §. 392 n.
1 p. 628 ed. Wi'Ickcr): quantunque non sarebbi' del
pari disadatta all' Amore , die hi appressa a contem-
plare il suo trionfo suU' indomabile Marte e sulla sua
propria genitrice.
Neil' ordine superiore della parete sono gli slessi
ornamenti come nel muro di froiilc , ma jiiii conser-
vati; ed appariscono due tempietti poggianti sopra
graziosi paesaggi con edifizii ; e sotto i tempietli me-
desimi sono due vasi delia fomia del cantliaros, con
rossi rami che ne pendono di fuoii.
Finalmente nella parete parallela al quadro di Ar-
lemis-Selene , vedesi del pari capricciosa archilettura
sormontata da marino mostro , ed nn disco con pro-
tome femminile , che ha pure i caratteri di ritratto ,
fregiata di orecchini, e di rossa tenia circondata la fron-
te e la gola. La parte superiore è perfettamente simi-
le a quella del muro , che l' è di rimpelto , veden-
dosi la stessa cornicetta di stucco , la dipintura a te-
gole, e tutti gli altri dipinti descritti di sopra; none-
scluso il tempietto e l' egida che vi è di sotto.
E' però notevole che al di sopra del tempio vedesi
un' aquila sul globo , ornamento che si ripete in alto
nelle altre pareti : dal che ci è forse dato desumere ,
che anche l'egida vada riferita più a Giove, che a Mi-
nerva nella stanzetta , di cui abbiamo data la descri-
zione.
fconiinuaj
MlNERMXI.
Descrizione di alcuni msi dipinti del real
museo Borbonico.
Fra le piìi pregevoli cose , che vennero in questi
ultimi giorni ad arricchire il Real .Musco Borbonico,
sono da annoverare tre magnifici vasi provenienti dagli
scavamenti di Canosa; e di questi ci sembra importan-
te dar sollecilameale notizia nel nostro buUettino.
92 -
11 primo vaso è un'anfora a mascheroni di allezza
palmi 6 circa. I manichi di questa colossale e maravi-
yliosa stoviglia sono fregiati di capricciosa ramificazio-
ne con fiori di diverse grandezze , e vanno a termi-
nar sulla pancia del vaso in nere teste di cigno ; co-
me non è insolito di osservare ne' vasi dipinti di ap-
|)ula provenienza. La descritta ramificazione dalla
parte più nobile del vaso offre nel mezzo due eguali
teste di fronte prive del colio: la carnagione n è bian-
ca , gialli i capelli ; dimezzo a' quali spuntano due
bovine corna di bianco. L'oilo del vaso nella parte
superiore è rosso; al lembo si osserva una piccola fa-
scia di nero, più sotto un giro di ovoli, poi un ramo
con foglie e fiori, e finalmente un bianco meandro ad
onda. Sul collo comparisce prima un grazioso orna-
mento di palmette fra loro alternantisi di giallo e di
rosso in campo nero ; e poi una importante rappre-
sentazione. A' due lati è la solita ramificazione , che
tanto frequentemente si vede su' vasi dipinti intorno
alla simbolica testa: nel mezzo sorger si mira dal suo-
lo un più ampio fiore , sulla cui aperta corolla è ac-
covacciala una bianca Sfinge con ali spiegate, ed aven-
te sul capo l'oinamento di un modio quasi crenato, o
se vuoisi dir meglio, turrito. A destra è un nudo gio-
vine colla clamide , che ritenuta sotto la sinistra a-
scella pende in giù , dietro le spalle ha il bianco pe-
taso sospeso ad una cordicella : colla sinistra tiene la
spada tuttavia entro il fodero , e con occhi quasi di
spavento innalza verso la Sfinge la destra elevando l'in-
dice ed il medio : ha poi le gambe incrociate in atto
di riposo. Dall'altro lato della Sfinge è una Furia, che
pure incrocia le gambe: due bianchi serpentelli le sor-
gono di mezzo a' capelli , ed ha pure bianchi orec-
ciiini. Una tunica manicata adorna di neri puntini, ed
il cui estremo lembo è fiegiato di gialli cigni ; una
doppia fascia ad armacollo, che s'incrocia sul petto;
e gli stivaletti compiono il suo vestimento: ella si ap-
poggia con ambe le mani ad una lunga asta, curvan-
do alcun poco il corpo in senso opposto al sito , ove
si rattrova la Sfinge.
Al cominciar della pancia è un giro di palmette e
caulicoli , interrotto da' manichi: e poi è un aerogi-
ro di ovoli.
Sulla pancia è una interessantissima rappresentan-
za , composta di tre ordini di figure. Neil' ordine su-
periore , vedi nel mezzo una tenda sospesa a quattro
eguali sostegni : sotto scorgesi un letto bianco , con
fascia amaranto nel lato visibile ; sul letto è disteso
un materasso , ed alle due estremità si veggono cu-
scini. Siede sul letto un vecchio con bianco crine, rav-
volto in ampio pallio , che si appoggia col mento so-
pra un lungo bastone bianco, ch'è tiene con ambe le
mani: ha pur le scarpe, e solleva una gamba sull'al-
tra, tenendo fra esse la sua spada eutro il fodero. Pare
che questo personaggio rivolga il discorso ad altro
vecchio canuto pur con pallio e calzari, chesi appog-
gia col corpo al suo bianco bastone , che tiene sotto
la sinistra ascella; e stende la destra verso 1' uomo se-
duto, quasi entrando con lui in animato discorso. Fuo-
ri della tenda vedi a sinistra una donna con lunga tu-
nica , che incrocia le gambe : essa ha bianco orna-
mento fra' capelli, collana, armille, e calzari di bian-
co: colla destra tira alquanto un peplo, che le discen-
de dal capo , colla sinistra si attiene ad uno de' soste-
gni della tenda ; a cui però punto non si rivolge. El-
la guarda piuttosto a sinistra verso due giovani, de 'quali
il primo siede sulla sua clamide , ha la spada nel fo-
dero sospesa ad una tracolla , l' elmo acuminato die-
tro le spalle; tenendo colla sinistra l'ampio scudo di
bianco , che poggia al suolo: colla destra si attiene al-
l' asta. Egli si rivolge verso 1' altro giovine stante" a
lui da presso con clamide che gli avviluppa il corpo;
questi colla sinistra tiene lo scudo , che l'artista ha
figurato dalla parte interna, osservandosi le corregge
per imbracciarlo, colla destra prende l' asta : al suolo
è il suo elmo acuminato con correggiuola , ed in al-
to fra la donna ed il giovine io primo luogo descritto
scorgesi nel campo un bianco bucranio. Dall' altra la-
to della tenda sono effigiate tre figure di di\inità. La
prima è Pallade sedente a destra : la dea ha orecchi-
ni, collana, e sulla lunga tunica si distende la formi-
dabile egida: colla destra stringe l'asta, colla sinistra
il giallo scudo. A lei di fronte sta in piedi Mercurio
con clamide e calzari: è notevole che i calzari non so-
no alati , ed il capo del dio non è ricoperto da peta-
so, ma sil)bene da troppo largo elmo poco convcnieu-
— 93 —
■e al suo capo; snrà 1' "'Al'ios xi'\r,, corno allrihuloilel
(liopsicoponipo: colla sinislra abbassa il bianco cadu-
ceo , slcnde la deslra colle dila aperte favellando eoa
Pallade. Cbiude questo primo ordine di figure Pan tul-
io nudo con piccole corna di bianco sporgenli dal ca-
po: colla deslra tiene una clava nodosa, sosliluita non
poche volle al pastorale pedo , colla sinistra hi si-
ringa ; ed al sinistro braccio è sospesa una pelle di
fiera.
Passiamo ora a descrivere le figure effigiate nell'or-
dine medio di questa classica rapprcsenlanza.Nel mez-
zo è un bianco monumento poco sollevalo dal suolo,
sulla parte anteriore del quale è scritto a rossi caratteri
IIATPOKAOTTAa'OS.Su questa specie di grado ()2à-
^pcv) si eleva un'alta pira composta di ben dodici fi-
la di legna regolarmente ammassate, alla cui parte an-
teriore veggonsi appoggiati due gambali, ed uno scu-
do con r emblema di una bianca testa di fronte: sullo
scudo si veggono alcune rosse macchie di versato
sangue. Sul rogo è un elmo con cresta , e con due
lunghe penne; più un giallo torace, privo di qualun-
que ornamento, ed altro più adorno torace con l'eni-
hleraa di una testa di fronte , che novellamente si ri-
pete. Presso al rogo un prigioniero frigio è inginoc-
chialo sul bianco grado colle mani legale dietro al
dorso.
Presso di questo giovine prigioniero Achille cogli
occhi di furore ed in concitalo movimento stringe col-
la d(>stra la spada , alTerrando colla manca i capelli
della infelice vittima: il figliuol di Teli ha la clamide,
ed al fianco il fodero della spada: un'altra spada tut-
tavia nel fodero , ed un pileo frigio sono giacenti al
suolo.
Dal medesimo lato sono tre altri prigionieri frigii
seduli in diverse posizioni, e colle mani legate dietro
il dorso. ITan tutti pilei ricurvi, anassiridi con svariati
ornamenti , corte tuniche , e clamidi , secondo il co-
stume amazzonico : ed umili col capo chino stanno
attendendo la loro sorte. Dall'altro lato della pira è al
suolo poggiata una gialla oenochoe. Si appressa poi al
rogo un personaggio barbato di maestosa fisonomia
con elmo adorno di due penne e di cresta ; ha il pet-
to armato di lorica , la clamide ed i calzari: tien col-
la sinistra la lunga asta, e colla deslra stende una pa-
tera quasi facendo libazione sul rogo. Segue una don-
na con lunga timica stretta alla cintura da una fascia,
ha orecchini , collana , e duplice arinilla a' polsi: un
panno le discende dal capo , ed ella lo stringe colla
destra sotto il mento. Finalniente chiude questo se-
condo ordine di figure un' altra donna , che reca il
funebre ventaglio, ed una gialla cesta, ove sono for-
se ri|»oste le bende , una delle quali è sospesa al de-
stro braccio.
Non meno interessante è il ferzo ed inferiore ordi-
ne di figure , che si riferisce al medesimo soggetto.
Fa in esso principal mostra la quadriga di Achilie, al-
la cui parte posteriore è legato il cadavere di Ettore.
Vedesi ritenere i destrieri già fermati dopo veloce cor-
so r auriga nel consueto costume; cioè con corto gon-
nellino ritenuto da due fasce ad armacollo.
A destra è un giovine guerriero con doppio gia-
vellotto , ed elmo acuminato dietro le spalle , e coi
calzari , che siede a destra sulla sua clamide , tenen-
do colla sinislra lo scudo, e volgendosi all'auriga,
che pure a lui si rivolge. Dall'altro lato del cocchio,
e presso le teste de' cavalli, è una donna con lunga
tunica , armille a' polsi, collana, orecchini, e biancbi
ornamenti Ira' capelli, la quale versa da un vaso ,
della forma della oenochoe, il liquore in largo cratere
sostenuto da tre piedi poggianti su di una base. In al-
to è sospeso nel campo un giallo bucranio , simbolo
di sagrifizio. Segue allra donna similmente vestila ,
di cui risalta la mesta attitudine , veggendosi poggiar
sulla destra palma la faccia. Chiude ila questa parte
la scena un altro frigio prigioniere, vestilo come gli
altri , se non che non ha le anassiridi; e quasi pur len-
tamente si muove colle mani legate dietro al dorso. Ai
suolo è una piccola pianta , e più in fuori un albero,
a cui è sospeso uno scudo lunato di giallo coli' em-
blema più volte ripetuto di una testa di fronte.
Pria di passare alla parte men nobile di questo clas-
sico monumento, vogliamo presentare sulle rappresen-
tanze finora descritte alcune brevi osservazioni (I).
Al primo sguardo non può dubitarsi del soggetto
che vien figurato in questa prima faccia del vaso : è
(1) 11 mio eh. collega comm. Quaranla ha Iella una breve no-
— 9i
la rappresentanza de' funerali di Patroclo giusta lao-
merica narrazione (11. * , ed iì). Cominciando dal-
l'ordine medio di fij,mre, è in esso rappresentata la pira
di Patroclo , come una catasta di legna tagliate dalle
selve dell' Ida (11. W, 117). Presso è Achilie che
scanna uno de prigionieri Trojani ( II. * 20 segg. 175
segg. ) colle sue proprie mani , mentre altri attendono
la loro sorte. Questa medesin\a scena vedesi figurata
sulla cista mistica prencstina pubhiicata dal eh. Sig.
Raoul-Rochette [mon. inéd. pi. XX pag. 90 segg.).
In questa la figura di Achille, come sul nostro vaso,
vedesi colla corta chioma ; che già fatta ne aveva la
offerta al fiume Sperchio (11 * 140 segg.). Anche il
numero de' prigionieri preparali al sagrifizio non cor-
risponde alia omerica narrazione; ma bene ha osserva-
lo l'archeologo francese che ciò non accenna a diversa
tradizione , ma è dovuto alle esigenze dell'arte , che
tene ha diminuito il numero di tante vittime, le quali
dovcano successivamente essere immolate (/.c.p.92).
La pira è perfeltamenle simile nella cista a quella del
vaso di Canosa. Nella tavola iliaca (n.68) vedesi d^
forma piramidale, come non è'infrcquente ne' monu-
menti, segnatamente di origine orientale: e vi si legge
sotto riATPOKAOT KATSIS.Nel nostro vaso la pira
si eleva sopra un bianco grado, eh' è indicato dalla iscri-
zione nATPOKAOT TA*OS. Queste parole fanno
certamente allusione al sepolcro di Patroclo , che fu
elevato appunto in quel sito medesimo , ove fu arso il
suo rogo. Lo dice espressamente lo stesso Omero, al-
lorché narra che dopo incendiata la pira TGpvwffocvro
§£ ffTfxa QiixilXioL Ti 7rpc|3aXo>"ro — k\ìJ^i 7rt/pr,v (Il ^.
V. 2oB). Sicché nel caso supposto dal poeta la pira
veniva ad identificarsi col sepolcro di Patroclo.
E forse quel grado, su cui poggiava il rogo, poteva
appellarsi rx-fos voce dinotante un qualunque fune-
bre monumento, o che contenesse il corpo del defun-
to o che noi contenesse. In fatti sembra in non dissi-
mile àgnificazione adoperata da Euripide ne* versi se-
guenti , che crediamo opportuno di riferire :
IloXtV Ti ya'p co» xi(Tfxcv ìv^rfjM toc^uj ,
Socr.^'/~ t' ik%ir,) ccujjLv. (JOY xa.Ta.'jfìiiruj ,
ti7.ia di queslo va^o alla reale AccaJdnia Erculanese, ove sostie-
ne sulle parlicolariU delfe rapprcseulauza alcune opinioni diverse
dalle mie.
S-y^7,s ixiXltjffrf k 'TTupàv jlxkù/ as^SY.
{Iphig. in Taur. 632. ss.).
Prima di tulio il tragico distingue il ra^ dalla
-TTvpcl ; e poi facendo menzione di questa dopo di quel-
lo par che accenni ad una costruzione non dissimile
da quella figurala sul vaso , di che discorriamo. Le
armature offerte sul rogo incontrano un vicino con-
fronto nella cista prencstina , ove pur si veggono una
corazza , un elmo e due scudi, in uno de' quali si os-
serva benanche l' emblema di una gorgonica testa, che
adorna varie delle armi nel nostro vaso. E qui mi pia-
ce di osservare che prohabilmenle le armi offerte sul
rogo appartengono a' vinti nemici ; giacché lo scudo,
che quasi un trofeo vedesi sospeso ali' albero nell'or-
dine inferiore, per la sua forma quasi lunata non par
conveniente a Greci guerrieri ; e su di esso si osserva
l'emblema della gorgonica testa, come sulla corazia
e sullo scudo che fregiano il rogo , nel nostro vaso ;
e come sullo scudo che pure adorna la pira nella ci-
sta prencstina. Comunque sia di ciò; l'atto di Achil-
le , che scanna il frigio prigione innanzi al rogo ,
corrisponde alla omerica espressione TrpTrapoi^i Tii-
fT,s (Il ^. v. 20. segg.). Pria di passare a dir qualche
cosa delle altre particolarità degne di osservazione
nel nostro vaso , vogliamo notare che i bucranii , i
quali compariscono due volle nel campo , possono
accennare o a' buoi uccisi nel funebre banchetto (II.
^. V. 30 ) ; o agli altri buoi sagrificati ed imposti al
rogo stesso di Patroclo (v. 166). La pira tanto nel
vaso di Canosa quanto nella cista prencstina non arde,
mentre già vi si era appiccato il fuoco, quando il sa-
crifizio de' prigionieri avvenne. Questa mancanza della
fiamma ricorda ciò che narra Omero che Achille fu
obbligato a pregare i venti a soffiar sulla pira, perchè
subilo si consumasse (v. 192 segg.). Il cadavere di
Patroclo non apparisce , né può credersi già consu-
mato dal fuoco ; questa particolarità , osservata nel-
la più volte citata cista prencstina , ci darà campo
di presentare una nostra conghittura sulla rappresen-
tanza che vedesi sul collo del vaso. Il nobile perso-
naggio che fa libazioni al rogo dee riputarsi Agamen-
none , il quale prende sì gran parie in tutta quella
- 9:ì -
lunebre cerimonia (Il ■I'. v. 110 segg. ). Il capo de'
Greci guerrieri fa olTerle in vece di Achille, oii lui si
accoppia in quel mesto ufficio versando sulla pira il
vino , dopo averne riempila la palerà dal vaso , che
poggia al suolo. Le due donne accennano alle fune-
bri cerimonie già eseguite sul cadavere di Patroclo ,
or col flabello cacciandone le importune mosche (.In-
nal. ddt'ht. 1 843 i).30, 283 d.jour.dcs Sacanls 1 842
p. 228) or fregiando il feretro di funeree bende.I molli
guerrieri sedenti coli' elmo beolico sono certamente i
Mirmidoni, i quali dopo aver ricevuto da Achille il co-
mando di armarsi per accompagnar l'escijuie dell' a-
niico (II. ^. V. 4 e seg. 129 e seg. ) , furono poi li-
cenziati quando si venne alla erezione della pira (v.
1 o8 ). Ecco perchè si veggono sedenti e quasi in ri-
poso , abbenchè rivestiti delle loro armi. Poco lungi
dal sito dell' avvenimento vedesi un cratere , entro il
quale una donna fa cadere il liquido umore da un
Taso ; ed è figurato probabilmente con esso quel gran
tripode che Agamennone a^ea preparato per far ter-
gere Achille dalle brutture del nemico sangue ; ma
che questi toccar non volle pria di mettere Patroclo
sul rogo (v. 34 segg.). L'altra donna in mesto aggia-
mento creder si potrebbe Briseide , la quale è quella
che ci si offre più addolorata e gemente per la ucci-
sione di Patroclo (ll.T,282 seg.). Si compie il dramma
col carro di Achille guidato dal fido Automedontc, che
attende AcJiille, perchè disfoghi il suo sdegno sul morto
uccisore del suo diletto compagno ; il che di fatti av-
venne dopo che Patroclo fu sepolto (II. i^). Restano
finalmente a spiegare i due canuti vecchi, che miransì
sotto la tenda in discorso. A me sembra che sia quella
la tenda di Nestore, che io riconosco nel personaggio
sedente sul letto ; e l' altro personaggio è certamente
Fenice, l'altro vecchio del campo de'Greci, che tanto
interesse prende sempre alle avventure di Achille ,
come suo precettore ed amico (II. I, 447 segg, , T ,
311), Anzi non senza particolari ragioni si veggono
insieme riuniti que' Greci guerrieri, che furono quasi
cagione della sventura, di cui geme il Pelide. Di fatti
Agamennone è quegli che eccitando lo sdegno di A-
chUle fu causa che Patroclo combattesse per lui : Ne-
store consigliò a Patroclo di prender le armi dell'adi-
rato compagno, e di porsi f,\U lesta delle sue schiere
(II. A, 044 segg. ): Fenice pugnava sotto il comando
di Patroclo (11. II, 190), ed Aulomedonte, l'auriga
di Achille, fu (piegli che indDs.sù le armi dello stessj
Patroclo , allorché questi rivestiva quelle dell' amico
(II. IT, 145 segg.). Sono dunque nel nostro vaso
ravvicinali qne' personaggi , che piti di ipialunque
altro, bau rappoilo col defunto, e con chi ne piange
la morte.
La tenda di Nestore poi giuslamenle si vede rap-
presentata perchè fu appunto in essa che Patroclo fu
persuaso a combattere, per cui incontrò la sua fi:ie.
La donna che si attiene alla Icnda di Nestore , e che
perciò si appalesa a lui pertinente , è al cerio la bella
Ecamede , che die al vecchio il figliuol di Teli dal
bottino di Tenedo (II. A, 024). Non sono poi di po-
ca importanza le tre deità, che si scorgono nella parie
più alta del vaso. La figura di Minerva comparisce
ancora nella cista prencslina ; ed è al certo con\ e-
nienle ad una rappresentanza relativa aJ Achille , di
cui è la protettrice in tutta la Iliade, Della figura di
Mercurio diremo fra poco. La presenza di Pane, ol-
irà le sue note relazioni collo stesso Mercurio ( llo-
mer. hymn. 18), può alludere al suo nome dì xy.ri-Ji
(Riessling ad Tbeocr. EiJ>jl. \, 14) per accennare al
sito dell'avvenimento; perchè Achille sul lido ( iV
ùxrr^s II. ^, 125) aveva ordinata la pira ed il se-
polcro di Patroclo,
Dopo queste brevi osservazioni torno all'esame del
collo del vaso, che a mio giudizio, è la parte più in-
teressante del nostro magnifico monumento.
La Sfinge, ed il giovane che l'è vicino, potrebbero
a prima giunta richiamare il pensiero al mito di Edipo.
Non ignoro che Edipo vedesi talvolta combattendo
colla Sfinge, e perciò munito di spada (vedi moìi.
incd. di Barone p, 45 seg. ) ; ma sul nostro vaso il
personaggio ch'è presso la Sfinge ha la spada nel fo-
dero, è mesto nel volto, ed è in quell'atto di riposo,
che non conviene a chi sta eseguendo una difficile
operazione. D' altra parte la Sfinge sorge dal simbo-
lico fiore, e non può figurar certamente la Sfinge te-
bana, che in modo più semplice vedrebbesi effigiata.
A ciò si aggiunga la figura della Furia , che non ha
— 96 —
upa sufEcieule spiegazione nel nii(o di Eilipo (I). Io
riconosco nei nostro dipiulo un soggetlo, che dà con-
ferma alle idee da me più volle annunziale in precedenti
sciitlure. Prima d' ogni altro avverto che alla Sfinge
va collcgata una significazione lunare : e non mi di-
stenderò a ripetere le rngioni addotte a lungo in altra
occasione(v.6i///.arf/t.nn;}.n.lV.p.l07seg.p.l21seg.).
Solo richiamerò a confronto il vaso del sig. Barone ,
allora ricordato a p. lOS, nel quale vedesi una simile
figura di Sfinge con radii sul capo, ch'esce dalla sim-
holica ramificazione. Le piccole lacinie sulla covertura
di lesta della Sfinge del nostro vaso corrispondono
nella intelligenza a' radii della Sfinge , eh' è nel vaso
di Barone ; la quale essendo sola non può riportarsi
al mito di Edipo. Or la intelligenza lunare si riferma
dulie due facce con piccole corna fra' capelli , che si
trovano quasi allo stesso livello , e possono farci de-
terminare per regione lunare tutto quello spazio, ove
il giovine colla spada vedesi effigialo. Ciò posto ; io
giudico che quel giovine eroe , che si scorge presso
quella Sfinge, figuri un'anima, che si aggira in quel
circolo, ove giunse dopo la morie. E stato non poche
volte osservato che l'incrociar delle gambe è proprio
delle anime; e la spada nel fodero , che tiene il gio-
vine colla sinislra , addila la inulililà di quell' arma
dopo il corso della vita mortale. In questo ordine di
idee , assai ben si ritrova la Furia quasi custode del-
l' Orco : così a noi presenta Marone la tremenda Ti-
sifone , la quale
Vcstibulum exsomnis servai noctesque diesque.
( Aen. VI , 533 seg. )
E la posizione della Fuiia appoggiata all'asta ben
si conviene a chi sta alla guardia di un sito qualunque.
Chi sarà dunque quel guerri«ro, che già è penetrato
nell'Orco , o attende il momento di penetrarvi? Noi
(1) Merita non pcrtaiUo di essere qui riconUito un luogo della
Oilissea, ove si dice ilie Edipo fu lasciato uè' dolori , a lui pro-
dotti dalle Furie della madie ( \ 279, 280) : ed un altro della Ilia-
de, ili cui si narra che alcuni greci eroi , die si provarono a" fune-
)jri' giuochi di ralroclo , eransi pria provati in quelli celebrati in
onore di Edipo { W, 079 seg ).
crediamo che sia Io stesso Patroclo, che dopo il rogo
potrà esser fatto partecipe della felicità dell'Elisio.
Ecco perchè non apparisce il corpo sul rogo ; men-
tre si è figurato sul collo del vaso, ed in quello stato
che l'uomo si attende dopo la morte. Lo slesso Omero
ha data l'idea all'artista di figurare in quel modo
l'anima di Pa Iroclo. Racconta il poeta come il Pelide
crasi addornrcntalo , ed a lui comparisce in sogno
Patroclo domandando di essere sepolto , per poter
entrare nell' Orco : Qc/ivri [xi gVt/ Tax'^* , vuXxs
'A'i^cio ■TTspr^ffuj (II. ^. v. 71), da cui lo tenevan lon-
tano le anime de' morti. Ecco come vedesi in stret-
tissima relazione il soggetlo del collo con quello della
pira. E in seguito di questa che Patroclo è fatto ca-
pace di entrar nell'Orco, ed ivi godere di quella de-
stinazione , che alle anime è riserbata. E la presenza
di Mercurio fialle divinità protettrici de' Greci, ac-
cenna colla galea plutonica e col caduceo alla sua
qualità di psicopompo , che tanto è richiesta dal sog-
getto. Queste nostre idee, che orasemplicemente ac-
cenniamo , saranno meglio sviluppale , quando sarà
pubblicalo il monumento stesso; il che ci auguriamo
che avvenga al più presto , perchè possano più facil-
mente valutarsi le nostre particolari opinioni.
Intanto dalle cose dette finora sarà facile cosa il
convincersi che l' artista , il quale dipinse il vaso di
Canosa , lo fece sotto la influenza delle omeriche poe-
sie. Si osservano di falli in esso ritratte le più minu-
te particolarità , che fanno a que' sublimi versi il più
interessante confronto. Noi non sappiamo abbastanza
insistere perchè nella maggior parte de' casi s' istitui-
sca il paragone tra' monumenti e gli antichi scritto-
ri : 0 che gli artisti s'imbevano delle narrazioni de'
poeti ; o che gli artisti ed i poeti attingano alla me-
desima fonte di popolari tradizioni , è fuor di dubbio
che le due classi di documenti superstiti si danno un
vicendevole ajulo. Il vaso di Canosa da noi descritto
valga per un novello argomento di quanto abbiamo
asserito.
fcoìUinuaJ MiNERvi.M.
P. Raffaele Gariiccci d.c.d.g.
GicLio MiXERViM — Editori.
Tipografia di Giuseppe Cataneo.
DILLKTTLAO ARCHEOLOGICO MPOlITAm
NUOVA SERIE
iV." 13. Gennaio 1853.
Della leggenda nATPOKA<^)T TA^o^; su di un vano dipinto di Canosa. — // LuDUS Gladi atorivs , ov-
vero Convitto dei Gladiatori in Pompei. — Dell' arma gladiatoria detta Galervs.
Della leggenda nATP< )KA()T TA*05; su di un
taso dipinto di Canosa.
Darò il mio parere intorno al senso della leggenda
ITATPOKAOT TA«I><)S dipinta sul taglio di un gran
plinto , che fa da base alla pira , ove dovrà abbru-
ciarsi il corpo di Patroclo. Sta a sinistra Agamennone
preparato a versare dalla tazza il Ti'fji(3ox^'ov x,-'9'^W-'-f
come con tragico fraseggio chiama Eschilo quella li-
bazione che solca farsi versando or vino , or olio sul
corpo del defunto (Aeschyl./s««e a Teòev. 1006. Her-
mann), e a destra Achille che scanna i prigionieri Tro-
iani, Tpuiujy fxiyrx^i'ixwy iiixi l'jiòy^ovi xf'-yjito'~ ììr'fóujv
(Hom. //. Sf. V. 173, 176). Se debbon valere le no-
tizie che si hanno intorno ai funerali dei Greci a Troia,
e che ci vengono da Omero , dal quale come da fonte
perenne si fecondarono di poi le menti dei poeti e
degli artisti , questa è una rappresentanza , che ante-
cede la combustione del cadavero di Patroclo. Ecco
le parole del Poeta :
Aw6i'yi% oi Tpwtov fxiyx^i'ixuiv t'i;*s IcSXot'S
XcnXxcj" òriióujY, x'xyjj. §£ iPpsffl iMrfliro ipyx'
'Ev hi TTupòi ixivoS TiXi ff/oVipsov, otppoc iiii.oiro.
{II. ^. V. 175 seg. d.Odyss. i^. v. 65 seq. Q. Smirn,
Parai. IH, v. 175, Virgil. Aen. XI cet). Difatti la
pira non è accesa , sulla quale se non vedesi elevato
il cadavere può per altro supporsi nel mezzo del rf/-
X« Si'X;vov, secondo la poetica frase di Pindaro ( Pith.
3 , 38 , Bergk ), e sopra il suo letto funebre, >Jxp?
(//. * V. 171), essendo figurata la pira dal suo mi-
nor lato. Ciò posto io ragiono così: Quando è evi-
dente che r artista ci ha rappresentato il funus , egli
ÀKNO I.
è ancor certo che la leggenda non può avere altro
senso diverso da questo : adunque il TA<t02; dovrà
spiegarsi funus , non sepulcrum. Che poi la voce
TA<I>Oi^ abbia questo signiGcato , si rileva da più
luoghi di antichi scrittori , e da Omero medesimo, il
quale , ciò che è molto considerevole , nel caso pre-
sente, in questo significato appunto secondo gli anti-
chi prende il ra^os , scrivendo ( //. ^ v. 619)
Tri vt'v , xoLi ffot Tof'TO, yspoy, xiiixr,Xir>Y ìcrou ,
na.rprjxXoio t%^ov \Ky^ix\\K\xiM%i' oh yàp ìr' dùròv
"04'Si Iv 'ApyiloKTi'
e nell'ultimo verso della Iliade (//. Ci v. 801)
"Cls oi'-y-s àfxp/iTTOV Ta-Pov "E,xrops 'nr7ro^%noio.
E stato già notato dai dotti il proprio senso del
verbo ©aWjiv, onde derivò che fosse adoperato a si-
gnificare le due maniere di sepellire, obruere humo ,
ed igni cremare, QoiTrruv X'^ov/(Eurip. Suppl. 17),
S%7rr-:iY ■jrupt ( Plut. in Rom. Filostr. Sen. Imag. II ,
30, Aelian. N. A. X, 22 cet). Di questo secondo si-
gnificato del verbo S%7rrsiy ha fra gli altri disputato
r Hemsterhuis nelle note a Senofonte Efesio ( p. 202
seg. ) , ed il lacobs nell' Antologia Palatina ( p. 44.j
cf. Filostrato Seniore Imag. p. 100 , 25 , e p. 556,
Weicker). In conseguenza di che il Creuzer ha os"
servato, che « cura tam late pateret vocabuli vis , o-
mnem rilum infuneribustractandis, omnemquemor-
tuorum curam indicans , factum est , ut corpora di-
cerentur ©aWfffSxj , sepeliri , in quibus sola crema-
lio locum habuerat, necdum insecula fuerathumalio,
aut in hypogaeum aliumve locum condendis reliquiis
destinatum relalio » (ad Ilerod. V, 8 Baehr).
Così Erodoto ÌTTScrav ^ìiìxvr'-jvci x'xro(.K%uiT%yri;,
13
OS-
TI a>.XwS yvr xpr^avrss. Allude a questo doppio si-
gniGcalo a parer mio anche la risposta che dà Ifige-
nia ad Oreste presso Euripide. Perocché avendo Ore-
ste dimandato :
Ta$oS Ss TToToi lliif^i \x , oVav 9«vw ;
risponde la sorella , che il fuoco del sacriCzio , ed
una larga fossa saranno il suo ralpoS"
TTrp Isp&v fv^ov, "XJ^ryixxr' ivpouTroY Tnrp'xs.
(Eurip. Iph. in Taur. v. 624,625). Dalle quali pre-
messe spontaneamente si deduce che il rr/Jfos può a-
vere il significato di xoivrris (I ), ed analogamente anche
di rogiis ; e così anche le glosse di Filosseno, roipos,
rogui (2). Io però slimo, che al caso nostro sia da pre-
ferirsi il senso di funus, che ha più vicini confronti nei
luoghi addotti di Omero, ed inoltre in quello di Eu-
ripide già allegato dal eh. collega [Bull. p.95). Nel
qual luogo distinguendosi apertamente la Tt/pà dal
TCi^oi, ed aggiungendosi, che molla ricchezza di ar-
nesi si porrà sul Tovpos, h^riTou rci^oj, non v'ha pili
dubhio che il Ta'pos non sia, né possa aver significato
di xoivffH [aclus cremandi), né di rogo, -^ry^cc. Esclu-
desi ancora il senso di sepolcro, perocché ivi Ifigenia
soggiugne , lavOf^ r' sXmuj (jmjjlx ffòy xarocfflisffw ,
vuol dire , che il corpo del defonto è ancor entro la
pira ardente.
Non rimane quindi altro , che il senso di fumis ,
nel quale vien compreso complessivamente ogni rito
di sepellire per inumazione, e per combustione. Che
poi dal senso più largo siasi devenuto talvolta ad un al-
tro più particolare, lo dimostra il significato di rc/^os
per epulum ferale, cena funebre ( //. *, 29 Eustath.
Odyss. T. 309 cf. Feith, Ani. Hom. L. I, e. XV),
siccome qui Euripide lo toglie pel rogo preparato col
cadavere sul suo letto , e con tulle le cose preziose
solite farsi abbruciare col defunto, ed Esthilo pel fu-
(1) Nella tavola iliaca di falli si legge KAT^IS ITATPOKAOT
ni la rapprcsenlanza è gran fallo diversa dalla nostra. Del resto in
ambedue si scoprono differenze dal racconto di Omero, Dia non di-
rei gib, clic la pira ancor qui è spenta , essendo, a mio giudizio,
vano r andar nrcando le tracce delle vampe in .soggetto di tal
natura, e che inoltre ò fatto a dimostrazione, e non per iscopo ar-
tistico, e dippiii in bassorilievo.
(2) Il conim. Quaranta logUe io questo senso il TAOOS IIA-
TPOKAOr.
nebre apparecchio del cadavero , precedente la inu-
mazione {I sene a Tebe 1021 , Hermann), come io
giudico. Adunque io stimo funus sia l'omerico signi-
ficalo di Tx>Co5 nei luoghi allegati, e segnatamente nel
H'xrpóx.Xoio roi^ou, che l'artista se non m'inganuo
sembra aver tolto proprio dallo slesso poeta.
In questo caso il ro[^oi sarebbe precisamente ado-
perato per r%^y\, funus , il qual senso gli danno an-
che gli antichi presso Eustazio al luogo citato ( //. *
618), e le osservazioni dei dotti lo hanno già da un
pezzo confermalo (v. Schweighaeuser ad Herodot.V,
63) ; laonde nATPOKAOT TA<I>OS io inlerpetro il
funerale di Patroclo.
Garrccct.
Il LuDVS GiADiATonius, ovvero Convitto dei Gladia-
lori in Pompei.
Un edifizio è in Pompei consistente di un portico
quadrato , attorno al quale ricorre una doppia fila di
camerette in due piani, e si va ad esso immediatamente
da coloro , che entrano in città dalla parte dei teatri,
È poi facile ravvisarlo , perché su di una parete si
legge scritto a buone lettere PORTICO DEI TEATRI.
Questa denominazione pertanto non è universalmente
tenuta dagU scrittori , trai quali taluni 1' han creduto
un Forum ( v. Gaetano D' Ancora , Prospetto storico'
fisico degli scavi di Ercolano e di Pompei, Napoli 1 803
p. 79) , e questo del tempo degli Etrusci! (Gius. Ga-
lanti, Napoli e Contorni , NapoU 1838 p. 335), al-
tri , e sono i più , un quartiere di soldati Castrum ,
(Gli Ercolanesi, Bronzi T. II. p. 416. n. 40, Mazois,
ed altri). Andò più oltre il dotto Monsign. Rosini ,
opinando , che fosse un quartiere di soldati si, ma di
marina: In cubiculis circa Porticum Pompeianampo-
sitis militum contubernium fuisse in dubium revocari
ncquil , cum ibidem clypeos , ocreas , loricas, galea» ,
gladios , invenerimus. Ea autem arma ad classiario$
mililes pertinuisse argumento sunt anchorae , guberna-
mla , tridentes tum in armis ipsis insculpta , tum in
porticus columnis graphio passim ab otiantibus deli-
ncata eie. Igitur Pompeiis stationem classiarii mise'
— 99 -
nates halchanl etc. (Dhscrt. hagofj. p.81). Facendo-
ci alla disamina delle ragioni, che poterono delcrmi-
nare questi autori a definizioni sì dille reiili , stupire-
mo a riconoscere , come un molino a grano ed uu
altro ad olio quivi rinvenuti potessero parere argo-
mento sulTicienfe a creder questa una piazza o Foro
nundinario; e come a ravvisarvi un portico dei Tea-
tri bastasse ad altri il vedere , che la maggior porla
di uno d' essi gli corrispondeva ( Fr. De Cesare , Le
più belle ruine di Pompei descriue misurate e disegnale,
Napoli , 1835 p. 78). Miglior fondamento par si a-
vessero quelli, l' opinione dei quali è poi prevalsa ,
i quali lo dissero quartiere di soldati : perocché nelle
stanze che corrono intorno al portico si erano final-
mente trovati non meno di diciannove elmi di bron-
zo , di sedici gambali , e poi tre scudi , un parazo-
nio , una grossa punta di lancia , tre baltei , e due
braccialetti. Che se ancor essi debbono aver torlo ,
come dimostrerò , pure questo non risulta da altro ,
se non perchè non considerarono la natura di quelle
armi , donde ne avrebbero facilmente conosciuta la
diversa destinazione. In questa considerazione volle di
poi entrare il dotto Rosini , ed ottimamente, ma non
tenne parmi una giusta via. Perocché in luogo di e-
saminare qual forma di armi fosse quella , ed a quale
professione o condizion di persone conveniente , egli
fé' caso invece delle figure emblematiche, che le ador-
nano.
Laonde fa maraviglia , come stando in questi dì-
scorsi , piuttosto non pensò ad armi di scenico appa-
ralo , essendo assai più numerose le allusioni al dio
della comedia , che non son quelle al dio del ma-
re. In somma , e perchè non potrebbe altri soste-
nere che siano armi di scenico apparalo quelle, sul-
le quali son figurati termini priapici , coi sacrifican-
ti a quel rustico nume , ove maschere di Fauni , e
Sileno yM%r% 'ttoiÙjy, e la Baccante ederifera, e i tir-
si colle lor ciste , e pelli di tigre , e bende mistiche ?
Poi quella ricchezza é profusion di ornati, e la stessa
mole sfoggiata, che alle rappresentanze teatrali sì mi-
rabilmente risponde , e fa sì opportunamente risov-
venire di queir apparalus speclalio descritta da Cice-
rone nella lellera a IMario : Armatura varia peditalus
ci cquitatus in aliqua pugna , quac popularem admi-
ralionem hahuerunl ! [ad fa ni. \\l\. l.). L quanto
agli strumenti marini rapprescii'ali su di esse , po-
tiebbesi notare, che ipielle armi sono appena Ire .
due mezzi scudetti , ove è scolpito uu granchio , un'
ancora , ed un tridente , ed un elmo , ove due soli
delfini son figurali ; (piando non meno di selle son
quelle , che hanno intere bacchiche rappresentanze ,
Sileni, Baccanti, Priapi, Satiri, maschere d'ogni ma-
niera , tirsi , ciste , nebridi , corone di ellera. Per la
(jual cosa , se il simbolico rappresentalo delle armi
dovesse condurci in tal (juislione a ril('var 1' uso di
esse, io non veggo ragionevole, che si debbano giu-
dicare piutloslo armi di marini , che di scenico ap-
paralo , specialmente perchè trovale in edifizio si con-
tiguo ai due teatri. Alle ragioni che vi ha ornai si pa-
tenti la scena sacra a Bacco gioverebbe ancora la pro-
tome di Ercole , che in più d' una d' esse è figurala ,
e la slessa "AIwciS favola non meno tragediabile, di
quella dell' Eroe tebano.
Non pertanto chi ammettesse queste osservazioni
non si troverebbe meno fuori di strada , e forse tanto
più perniciosamente , quanto una piacevole illusione
ve lo terrebbe più fermo.
Perocché a voler ben giudicare delle armi propo-
ste ad esame, conviene prima di ogni altro tener conio
della forma di esse, onde propriamente risulta la veri
loro destinazione. E ciò cheavrebberdovulof;ir tulli
in questo caso, sarebbe stato, pare a me, il notare,
che i diciannove elmi trovali qui avevano tulli visiera,
che i gamberuoli erano lavorali a coppie. E poiché
gli elmi della romana milizia, per solenne pruova di
una infinita serie di monumenti figurali, e per la clas-
sica testimonianza di Arriano , giudice autorevolissi-
mo , NON EBBERO MAI VISIERA ; Ti xpxvn ri
ds (Ji^^X*)*' '^-TroiyxiiOi, vpò rrf x'.^'xXr,? xoà róuv 7ra-
puwY 7rpof:,i'il'kr,r%i /xoW (Arriani Taclica e. 48), ( 1 ); né
(I) Vedi anche il Lipsie {Mil. Roin. Ili, 5). A lui vanamente si
oppone 1' autore della nota posta a p. 262 del voi. I. Bronzi (Ani.
Ercol. ) invocando i commentatori di Silio ( C33 , h. XIV), o i
monumenti. Perocché né Silio dh celate agli elmi romani in quel
luogo, nò Stazio, che parla de' Greci, nò il Fabrotti che cita an-
che erroneamente Masisle Persiano, né il Monlftiucon porta ve-
rmi monumcnlo , né il Cori veruno. Citano Alcimo Avito, e Clau-
— 100 -
i Romani usarono mai più di un solo gamberuolo o
Trp'jxyxixk, secondo Polibio, maestro non men com-
petente del primo (Polib. H. R. VI, 469. Amstel.
1670), faceva forza concbiiidere che alla romana
milizia né tli mare , nò di terra , quelle armi non ap-
partennero.
Lasciando stare adunque 1' argomento dei simboli
siccome non meno inefficaci a noi di quello che ab-
biamo dimostralo esserlo ad altri , entriamo piutto-
sto a definire l'uso dell' edifizio dalla qualità di esse
armi , che in tanta copia vi fiiron rinvenute , poi da
altre osservazioni non meno opportune , che ci ven-
gon somministrate assai ulilmenle dal giornale di que-
gli scavi.
Tolta di jiiezzo la romana milizia , per l' invitta te-
stimonianza di due gravissimi storici Arriano, e Po-
libio, non resta se non invocare l'autorità dei monu-
menti , che nella quislione presente abbiam veduto
essere sì d' accordo cogli scrittori. Monumenti adun-
que che diano egualmente elmi con le visiere, e dop-
pio gambale ad una condizione di persone io non co-
nosco se non i gladiatoria Escludo qui , come ognu-
no può avvisarsi , l' alta età della Grecia , che non
può allegarsi per l'epoca dei monumenti di che dispu-
tiamo, escludo per la ragione medesima la celata, che
i cavalieri romani usavano negli esercizii loro (Arrian.
1. e. ). Lungo sarebbe il noverarli tutti , e basterà
solo richiamare alla memoria le tavole aggiunte al
dotto suo lavoro dal eh. sig. Henzen {Musaico Bor-
ghcsiano ) , e le pitture gladiatorie dell' anfiteatro di
Pompei, e gli stucchi del Sepolcro di Umbricio Scau-
ro ( Mazois I , tav. 31 , IV. tav. 47 , 48. cf. gli Er-
colanesi T. Vili. Lucerne tav. 7. ) a' quali posso ag-
giugnere sin da ora un bassorilievo di molta istru-
zione , che mi son fatto disegnare in Venafro , sul
quale il gladiatore Blaslus ha visiera , e gambale dop-
pio. Laonde da tanto ragionevole confronto risulterà ,
diano. Ma questi scrittori non descrivono i Romani del primo secolo
di G. C. ; ed io volentieri concedo che venne poscia in uso nella mi-
lizia romana il (riSr^^cov 'Trcx^ix-rirafffj.oi come lo dice Niceta , il
quale ne ha lasciala ancora la più esatta descrizione {l,de Àrchi-
lupano tf. Scheffor ad Arriani Taci. p. 77.) ; e che io anzi ag-
giungo alle aulorilh arrecate dai contradittori , ai quali aveva pur
risposto Jo Scbtffer { ad Arriaai lactica p. 113, Upsal, 1604).
che le armi trovate nell'edfizio pompeiano detto con
niun fondamento quartiere di Soldati, siano veramen-
te gladiatorie ; quindi se ne possono dedurre due con-
seguenze , che io credo di grande rilevanza per la
scienza , e piij segnatamente per noi ai quali è quasi
affidata Pompei , e la illustrazione delle cose ivi sco-
perte.
La prima è, che il nostro museo possiede una col-
lezione rarissima , anzi unica di armi gladiatorie di
bronzo , degna di essere separala dalle greche e ro-
mane panoplie, colle quali veggonsi per l'antico erro-
re miste e confuse.
Ma la seconda anche più notevole , che l* Edifizio
ove furono scoperte queste armi in tanto numero , e
distribuite per tutte le stanze intorno , d' ora innanzi
debba dirsi appartenuto ai gladiatori, ossia un LVDVS
GLADI ATORIVS. Questo medesimo vero alcuni ave-
vano pur sospettalo ( v. Bechi , Museo Borb. voi. V,
XI, De Cesare , le più belle mine di Pompei, p. 79),
senza efficacia però di persuaderlo , e di farlo comu-
nemente accettare , onde è perdurato , e perdura tut-
tavia l'erronea denominazione di Quartiere dei Soldati.
Del ludus gladiatorius ha parlato da suo pari Giu-
sto Lipsio [Salurn. I, 1 ), notando segnatamente l'an-
gustia e lo squallore delle celle con alcuni luoghi di
Quintiliano , che lo insegnano. Corrisponde di fatti
la turpior custodia ed il sordidus cellarum situs, cu-
ius ad comparalioneni ergastidum leve est , alla stret-
tezza delle stanze del pompeiano ludo. Piacerà quin-
di di riconoscere ove si preparasse la famosa sagina
gladiatoria , in quale spazzo erano istruiti dal mae-
stro di scherma (/a)u's<a, doctor , magistcr) , cose tutte
che hanno ora il primo riscontro dopo questa note-
vole scoperta , per la quale formam gladialorii ludi
consideramus !
Quella stanza più larga delle altre, ed affatto aper-
ta verso il cortile aveva quattro dipinti , che scoperti
il 14 Febraio 1767 furono fatti disegnare dal Mor-
ghen , e poscia il 7 Marzo staccati e collocati nel Mu-
seo: due di essi sono trofei d'armi gladiatorie pre-
ziosissimi per la grandezza al naturale , e perchè ci
fanno conoscere alcune speciali forme di tali armatu-
re , delle quali darò in seguilo una illustrazione. Fa-
— 101 —
Cile è ora 1' iii(eiulcrc 1' uso dei coppi capaci di dieci sopra scolpito in rilievo , un limone , un' ancora , un
persone, e i quattro sclu-lclri essere stali diallrellanti granchio , un tridente con delfino , ed una luni;a te-
gladialori , tenuti in (|uel ;;asligo. Le molle iscrizio- nia rannodala in mezzo , con estremità a svolazzo. È
ni si dentro che fuori di cpiesto edilizio , e le armi incisa nelle DUs. hag. Tav. XV'II , al basso , e nel
graffite sulle pareti e sulle colonne erano quasi tutte Mmco Borb. T. IV. Tav. XXIX (\-. Tav. VII, n. 2\
gladiatorie. Non era in quei tempi molta perizia di La seconda fu cavata il 21 Fehraio 17(»7, cfu falla
copiare le !eg;j;ende parielarie di Pompei , ma se ne poi incidere dal Rosiui [Dhs. Isng. lab. XVII in mez-
tenne nondimeno più conio di ([nello , che non si zo a due altre di forma diversa , ma u'unlmente so-
sarebhe opinalo. Certo il giornale di questi scavi ne spese ad una catenella , con tavoletta sulla quale è
trascrive parecchi, anzi è il primo a copiare graffili, scritto RET /SECVJNI), ha figura quasi di canale
e ce ne dà fino dal 17G;j,e quando non può riuscir- chiuso da un lato con larga falda intorno fino allo
vi, ingenuamente se ne scusa. Ora che non manche- sbocco (ivi, n. 3). Fu raccolta la terza di mol'omag-
rehbe forse a qualcuno l'animo di vincere questa dif- gior grandezza della j)rima il 18 Aprile del medesimo
ficoltà, glinlonachi son periti, e convien stare a quel- anno, fatta incidere , e pubblicala poi nel volume IV
le poche notizie , che dal giornale ne vengono com- del Museo Borbonico Tav. XXIX n. 2. In questa son
municale. figurati tre scudetti , in quel di mezzo si rappresenta
Passando dalle leggende gladiatorie dii)inte (l)allo un busto di Ercole armalo di dava , nei due laterali
graffite, egli è evidente che moltissime ne sono perite, due protome puerili di prospetto con alette, che loro
se può Irarsene giusto argomento dai graffili, chelut- spuntano dal collo (ivi, n. 4).
torà si conservano in uno dei corridoi di questa fab- Il dotto Rosini osservando che due di esse erano
brica. La relazione degli sca\i ne avverte, che un al- marinis embkmalis omtsiae , fu d'avviso, che fossero
Irò corridoio era pur tutto scritto, ma ora l'intonaco servite una volta a soldati di marina. Ecco le sue pa-
delle pareli di esso è caduto. Rimangono ancora molte role : Esl quoddam armorum genus eruditis adirne i-
nel primo , in due delle quali son nominali i Curato- gnolum, quod parvae pellac speciem re feri uno in la-
res, in tre altre leggonsi liste di gladiatori con allato a lerc armaiae , in reli<piis vero rectac, habclquc infe-
ciascun nome il numero delle pugne. Esse, come in- rius cavilatem , qua brachiis e cubito humerum tenux
numerevoli altre, sono tuttavia o ignote, o mal trascrit- apiari commode queat, cuius schema marinis emblema-
te; e perù assai utilmente al proposilo, ed allo scopo tis onuslum nempc cancro, dclphino, tridente, ciuco ,
del presente bullettino credo sarà di pubblicare, oret- et anchora , cum terrestri miliiiae ìnopportunnm sit ,
tifieare le più importanti , lo che per non estender di navali percommodum esse poterai , cum scilicet mili-
troppo quest'articolo diretto a stabilire il Ludus già- tes pluteo navis protecti bonam corporis parlemeatan-
diatorius di Pompei, riservo ad allra trattazione. tum armatura indigchant, quae humeros et caput ob-
Garrccci. ducerei , inlerea dum iaculos et glandes in hosles im-
millerenl [Diss. hag. p. 81). Ampliò di poi quesla
Dell' arma gladiatoria detta Gàlervs. attribuzione il Comm. Quaranta, scrivendo : Usavasi
st fatto scudo non solo dalla gente di terra ma ezian-
Tra le armi scoperte nella escavazione dell'edifizio, dio da quella di mare , al che alludono il tridente, il
ohe in altro articolo ho dichiaralo Convitto di Già- delfino, il timone, il granchio e l'ancora che adornano
diatori , se ne rinvennero tre di forma al tutto sin- il primo. La palma e la corona coi lemnisci di cui è
gelare. fregialo lo scudetto che pende dalla calenuzza al n. 5,
La prima fu scoperta il 10 Gennaio 17G7, e porta unitamente alla spada ed al tridente, fan vedere essere
un offerta votiva navale ( Mus. Borb. voi. IV , tav.
(I) Queste con altro saranno spiegato da me iu altro articolo. XXIX, pag. I, 2j.
— 102 -
Più avanti non so che siasi progredito. Adunque
gli emblemi e i simboli marini in quest'arma, e sulle
pareli dell'edifizio pompeiano notate dal Rosini, e dal
Quaranta , dovranno essere indizio che le armi ap-
partengono a soldati di marina? Ma e dov'è che i sol-
dati romani imbraccino quest'arma? eppur gli esem-
pii in fatto di armati abbondano. Le due colonne la
Traiana di Roma , e la Teodosiana di Costantinopoli
basterebbero sole. Si aggiungano i tanti bassorilievi ,
i trofei , le pitture , le statue nelle quali opere tutte
sì varie chi mi troverà uno scudo somigliante a! no-
stro? Inoltre di monumenti che rappresentano soldati
di marina non manchiamo, e dai cippi sepolcrali dei
Classiarii fino alle intere composizioni di battaglie na-
vali, di che bastevoli esempii ci vengono dalle pareti
pompeiane, mai è che siasi veduta una figura di scu-
do disersa dalla ordinaria della milizia terrestre. I
soldati classiarii che combattevano sulle mezze coperte
assai poco potevano esser difesi dal parapetto, sìccot
me apparisce dal bassorilievo di Palestrina ora nel Va-
ticano (Visconti, e Winckelmann lo hanno pubblicalo,
cf. lo SchelTero De M'd. Nav. add. ade. XXXIV, 2),
e ciò , supposta la battaglia guerreggiata da lontano
colle fionde, cogli archi, e coi giavellotti, e colle ba-
lestre , che è scaramuccia. 3Ia quando si viene alle
prese , s'investe , si arrampigna , e la nave è ferma-
la, e la battaglia si fa non altrimenti che in terrafer-
ma , maniera certo ordinaria degli antichi, io chiedo
qual ragione avrebbe potuto far loro adottare il mezzo
scudetto sulla spalla sinistra, che non può recarsi da-
vanti alla difesa del capo, e della vita, che lascia sco-
perta tulla la persona ai colpi di punta e di taglio.
Per tutte le quali ragioni, e per l'autorità dei monu-
menti, se non avessimo altri argomenti positivi ed ef-
ficacissimi dell' uso di questi scudi , si sarebbe dovuto
per fermo abbandonar questa tra le conghielture in-
verisimili.
Or a\endo io in altro articolo dimostralo, che il
voluto quartiere dei soldati è un Ludus gladiatorius,
e ciò dalla natura degli elmi chiusi, e del doppio gam-
bale, aggiugnerò inoltre anche quest'arma singolare,
a convalidar la mia dimostrazione, intorno alla quale
proverò con i monumenti , che è gladiatoria.
Comincerò dai Pompeiani. Quando l' cscavazione
dell' anfiteatro pompeiano mise a luce il podio, era
questo lutto dipinto a bei compartimenti di erme, fra
le quali erano figurate ben intese coppie di gladiato-
ri, e di fiere , ora lutto è perito. Restano pertanto i
disegni tratti allora dal pittore Marsigli con molla ìq-
lelligenza di arte. l[ Mazois ne ha pubblicata la mag-
gior parte , ma è pur lulta\ ia inedita una coppia di
gladiatori, dipinta fra due erme, che ne terminano il
campo.
Non so capire perchè l'intelligente autore di quel-
r opera li volesse omessi , essendo essi i soli fra lutti
quei gladiatori ivi dipinti , che potevano dar luogo a
dotte ricerche, ed a rilevanti conclusioni. Figurai»
due giovani di poca barba , e l' un d' essi con lunga
chioma , nudi della persona tranne un certo gonnel-
lino stretto ai fianchi dal balteo. Mostrano inoltre di-
fendersi la sola parte bassa dello stinco con due giri
di pelle , dai quali procede una linguetta che sta a
guardia del dorso del piede, armano la destra di spa-
da , la sinistra di lancia. Tutto il braccio sinistro di
amendue è guarnito dalla manica gladiatoria , ed un
arnese portano adattato suU' omero sinistro , la for-
ma del quale ninno mi può negare , non sia una mc-
deshua cosa collo scudo, di che qui io discorro, (Tav.
VII. n. 5 ).
Inoltre in una lucerna della raccolta illustrala da-
gli Ercolanesi (Tav.XI) è figurato un gladiatore arma-
lo di spada, e di tridente, che sull'omero sinistro porta
la medesima forma di arnese, che le due figure pom-
peiane (Tav.VlI n. 10); ed altri quattro gladiatori ar-
mati parimenti come questo conosco io tra i graffiti; tre
dei quali ho cavati a dilucido in Pompei, (ivi, n.6.7.8)
del quarto ho tratta copia in Roma dalle mine degli
edifizii sottoposti al Palatino, di miglior forma ancora
dei pompeiani , e con epigrafe sovrapposta , che dice
ANTIGONVS LIRoo ooCXII(ivi,n.9). Altro esempio
mi viene da un bronzo del R. Museo, ove è figurato uq
gladiatore che investe col tridente, anche egli ha ma-
nica e scudo somigliante, manca però di spada, (ivi,
n. H). Tolgo il duodecimo da una lapida della colle-
zione illustrata dal Gori [Inscr.T. III. p. 99), e questo
ha gladio , e tridente nella sioislra mostrando co Ha
— 103 —
destra la rete , ha la manica , e scudo , e di più una
lunga fune gli parie dall' omero sinistro, e gli si av-
volge intorno al braccio destro, (ivi, n. 12). Final-
mente anche il eh. sig. llenzen notò detto arnese nel
Musaico Borghesiano (p. 44.), e ben ce 1' hanno i re-
ziarii pubblicati dal Marini [Fi: Arv. p. 163), seb-
bene assai mal falto.
Per tutti questi monumenti, ei mi pare omai messo
fuor di dubbio l'antico uso di quest'arma, e però io
passo ad una seconda questione intorno al genere di
gladiatori , che se ne servivano.
É questa discussione assai diflìcile conoscendo i
dotti , che le descri^ioni dei varii gladiatori lasciateci
dai scrittori di rado convengono coi monumenti; pure
sembra che si possa definire, che forse tulli i monu-
menti qui recati spettano a quel genere di gladiatori
che si dissero Retiarii (I). e combattevano colla fioci-
na, o tridente, usavano ancora del pugnale, siccome il
Lipsìo ben osservò (2), allegandone iu prova le parole
di Valerio Massimo : Reliarius Iraieclum gladio Atc-
ritim inlercmil ( C. I. De somniis) , sebbene Daza ivi
mostri di affidarsi con riguardo a quell'unico luogo
di Valerio. Che poi si avesse ragione il Lipsio di pre-
star fede a quel testo, ce lo assicurava già il musaico
pubblicato prima dal Winckelmann, e poi dal Marini
[Fr. Arv. p. 165), ove Calcndione reziario che com-
batte colla fascina in una seconda scena sovrapposta a
questa , vedesi invece sedere sul pavimento, ove l' ha
prosfrato l'avversario, e stringere un pugnale ad estre-
ma difesa , stando per terra poco discosto il tridente,
che egli ha perduto nella pugna, ed ora un nuovo so-
lidissimo argomento ne prestano i monumenti da me
raccolti. Laonde io immagino che il primo assalto del
reziario consistesse in avventare la sua rete per pi-
gliarvi dentro l' avversario ; ciò seguito , egli doveva
lavorar di tridente per ferirlo, e venendogli meno que-
sto , stringerglisi addosso col pugnale, e ferirlo.Que-
st'ultimo caso risulla dalracconlodi Valerio Massimo,
Retiarius compulso Mirmillone et ahjeclo, dum jaccn-
(1) Soli due gladiatori (Tav. VII, 5) hanno lance per tridenti, o
questi io non dclinisco per ora a qual classe appartengano.
(2) Cf. MaCfei AI. V. p. 125, 4, Vitale, la binai iiiscr, L- Àur.
Comm aetate iiusilas disscrt. p. 57.
lem ferire conatur iraieclum gladio Alerium inleremit
[De Somn. VII, 8). Che poi col tridente ferissero,
aprendo larghi squarci colle Ire sue punte lo rilevo
dalle parole di Prudenzio ( in Symm. 1 1 , 404 )
Speclant aeratam faciem , quam crebra (ridente
Impacio quatiant haslilia, saucius et quam
Vulneribus palulis parlem pcrfindal arenae.
Ma quando non avessero sapulo inviluppar l' avver-
sario , egli era giuoco forse che ne schivassero l'im-
peto colla fuga , e parmi si rilevi da Giovenale ( V .
13,14)
Postquam vibrata pendenlia rclia dcxlra
Nequicquam effudil , nudum ad spcctacida valium
Erigit et loia fugit agnoscendm arena.
Tenevasi poi vinto quel reziario, che avesse gettato
via il tridente; perocché così parmi si debba interpre-
tare Suetonio, il quale va d' accordo colla rap])resen-
tanza del musaico 3Iassimi citato di sopra: Retiarii
tunicati quinque, sine ccrlamine uUo , tolidem secuto-
ribus succubucranl , cum cecidi iuhcrcnlur, unus, re-
sumpfa fascina , omnes viclores inlercmil.
I miei graffili convengono col musaico Massimi, e
colla lucerna degli Ercolanesi e col bronzo Borgiano
nella movenza del reziario, e nell'uso della doppia sua
arma. Egli dovea investire col Itidenle non altrimenti
che il venator col venabolo la fiera. Colla sinistra colla
quale reggeva il tridente brandiva inoltre ancora il
pugnale, della qual arma manca solo il reziario Mas-
simi , ed il bronzo Borgiano , nel resto pienamente
convengono. Perocché tulli hanno nudamvullunì,ì>e€
galea frontcm abscondunt, secondo le frasi di Giove-
nale , tutti, tranne solo il musaico Massimi, se è ben
copiato, s'armano il braccio sinistro di manica, e
questa , come quell'appendice di essa, che risalta sul-
r omero sinistro , mostrano tulli egualmente i graf-
fili , i due dipinti , il musaico , ove è malamente fi-
gurato dal pittore , e '1 bronzo Borgiano.
Questo arnese impositus humero gladiatoris ci è a
suo modo cioè assai rozzamente in(hcato dallo scolia-
sla di Giovenale , il qtiale del resto ben si appone a
volercelo far ravvisare nelle parole di (pioilo scritto-
re , et longo iactelur spira galero [ Sat.XiU. v. 20S).
Ivi è nolo che il poeta ci desciivc un reziario della
— 104 —
specie dei tunicali , poiché solo in questo iiiodo si
può conciliare queslo luogo con Suetonio ( Cai. 30),
e coi monumenli, togliendo questi la tunica ai rezia-
ri! , e parlandone lo storico , siccome di una special
lilà in quel luogo.
Non può quindi esser dubbio , che il longm gale-
na facesse parte della panoplia deireziarii, ed in con-
seguenza , che questa sia proprio lo scudetto posto
sull'omero, secondo la interpretazione delio scoliaste,
jmposilus liumero gladiatoris , e perchè realmente que-
sto è quasi il solo arnese dei reziarii a cui mancava il
suo nome. Ho detto quasi , perchè resterebbe a spie-
gare la spira , che il Satirico unisce in quell' oscuro
passo al galero (Vili , 207 ,208):
Credamus lunicae , de faucibus aurea cum se
Porrigat , et longo iaclclur spira galero.
La iulerpetrazione che alla spira dava il Lipsie, pas-
sala poi nel Yossio , Dicilur de fasciis galeri sub men-
to siringi solitis (Etym. s, v.) , e dal Vossio anche nel
Porcellini ( Lex. §• 2 ) , non può avere più luogo, ora
che è dimostrato non essere il galerus un pileo senza
faida, siccome si giudicava una volta. Le parole dello
scoliaste, huiusmodi aliquid quo cilius sparsum funem
vcl iactatum relium colUgal (pag. 302, lahn) , intese
per la spira da Ottavio Ferrari {Elecl. 11, 16) , ed
ammesse nello stesso senso ora dal lahn (L. e.) , non
dichiarano che cosa fosse la spira, ma solo dicono che
serviva a raccogliere più presto sparsum funem el m-
clalum relium. Sembra quindi che fosse una tal sorta
di amcnlum (i^/crXr,) , che i reziarii portavano ac-
canto al galero fermo , e pendente da un capo. Onde
si spiegherebbe facilmente perchè il poeta unisca in-
sieme spira e galero , e perchè dica, che la spira bal-
zi , si agili , si scola, iaclelur. Dovea quindi servire
ad attaccarvi la fune della rete , e così s' intende aq-
cora come giovasse a racco^Mere sparsum funem et ia-*
clalum relium. Questa spira io ravviserei nella correg-
gia che si parte dalla spalla sinistra del gladiatore al
n. 12 della tav. VII, e gli passa attraverso del petto
congiungondosi di poi alla fune della rete , che egli
sostiene nella destra. Il reziario nell' atto di lanciar la
rete doveva avvolgersela intorno al braccio , e cotal
maniera di servirsi di questa correggia le potò giusta-
mente far dare il nome di spira. Il reziario Gracco
postquam vibrata pendentia relia dextra nequicquam
effudit , fugge per lo spazzo dell' arena , ed in quella
fuga gli balza la spira pendente dall' omero.
Dato con questi ragguagli la propria significazione
anche alla spira dei reziarii resta che entri a disputare
i simboli dei tre galeri Pompeiani, E già la via è pre-
parala alla interpretazione, dopocchè gli ho vendicati
ai reziari , le armi dei quali erano la fiocina ed il gla-
dio. Codesti simboli si veggono scolpiti sul più piccolo
di tutti , certamente dono preparato al santuario di
qualche nume , forse Nettuno , al quale era di vola
cotal sorta di gladiatori , perchè secondo Isidoro, Ne-
pluno pugnabal. Inoltre sul prezioso monumentino è
figurata uua palma, ed una corona, premii ambedue
solili dispensarsi ai gladiatori (1), dippiù avvi una
tavoletta sospesa dalla catenuzza medesima, che regge
lo scudetto , sopra la quale ripetesi la medesima pal-
ma e la corona , e si aggiugne lo scritto RET SE-
CVNDI. Questa epigrafe, che ora è facilissimo ed ovvio
di spiegare RET/ani SECVNDI, cioè ài Secondo Re-
ziario, aveva già una volta cagionata la spaventevole
evocazione di Ire maligni cacodemoni Rczio, Relicio,
e Relinacio , che sarebbero stati nomi gentili del vo-
tante. Fu quest'arma tenuta così propria del gladiatore
Reziario , che tal figura trovo aver data gli antichi
alla stele sepolcrale medesima di un Generoso Rezia-
rio , dove siccome nella nostra armatura pompeiana
appaiono scolpiti dai due lati il tridente, ed il pugnale,
fcontinuaj Garuucci.
(1) Lipsie non parla se non Ji palma, però la corona lo era al
pari, onde TerhiUiano (adv. Grmst.), Quantum illi et cruorcs el
vibiccs negolianlur , intcndis; coronas scilicet, el gloriam etc.
e Irai monumenli graffiti parecchi esempi! ne ho raccolto. Bi pal-
me e corone ci parla inoltre una gruteriana ( Grut. CXXXV, 4).
P. Raffaele Garrccci o.c.n.G.
GiLLio Mi.NEuvisx — Editori,
Jipografìa di Giuseppe Cataneo,
BILIETTIXO ARCHEOLOGICO MPOllTAm
NUOVA SERIE
N.o 14.
Gennaio 1853.
Monummli ciimani. Scoperte di S. A. R. // Conte di Siracusa.— Monete inedite.— Descrizione di alcuni vasi
dipinti del real nui^co Jìorhonico. Continuazione del n. 72.
Monumenti cmnani - Scoperte di S. A. R. il Conte di
Siracusa.
S. A.R. il Conte di Siracusa D. Leopoldo di Borbone,
principe dotato di sommo gusto nelle belle arti, delle
quali è pure esimio cultore , sul cadere dello scorso
anno intraprese una ben regolala scavazione nella clas-
sica terra dell'antica Cuma : la quale eseguila sotto la
sua intelligente sorveglianza, con quella religiosa cu-
ra, che simili intraprese domandano, ha dato il risul-
tamenlo d' interessanti scoperte. La scienza archeolo-
gica trova già ad esercitarsi sopra nuovi e difficili pro-
blemi , che richiedono la investigazione de' dotti. Né
si arrestava l' eccelso Personaggio alla semplice dire-
zione dello scavamento : che volle anche ne fosse a
tutti gli amatori della classica antichità communicata
la notizia, mercè un apposito giornale, del quale affi-
dava la cura al eh. signor Giuseppe Fiorelli socio cor-
rispondente della reale Accademia Ercolanese.
Noi da questa pubblicazione , della quale il primo
foglio ha già veduta la luce (l),e dalle nostre proprie
osservazioni, che avemmo il destro di fare sugli ori-
ginali monumenti , per alto onore a noi compartito
dall' illustre Possessore, daremo prontamente una bre-
ve descrizione de' monumenti Onora rinvenuti. E così
andremo man mano parlando degli altri , de' quali si
darà dal signor Fiorelli la notizia , o che a noi me-
desimi sarà conceduto di osservare. Due sono i punti,
su' quali finora sono stali diretti gli scavi. Il primo è
poco discosto da' ruderi del cosi detto tempio de' Gi-
ganti ( 0 tempio di Giove Statore) , ove la culmina-
(!) Monutnenli antichi posseduti da Sua Altezza Reale il Conte di
Siracusa — Napoli 1853 in J , presso Alberto Detken editore.
Ayiio I.
zione del suolo dava non pochi iudizii di antiche fab-
briche sepolte dalle terre. Eflettui lo in tal sito un saggio
di scavazione, è cominciato a comparire un pubblico
edifizio, fregiato di marmi.e ricco di pregevoli sculture ,
e di architettonici lavori di elegante stile.che noi repu-
teremmo dell' epoca degli Antonini. Grandi pezzi di
una cornice di marmo , una lunga serie di colonne
corintie del più bel marmo cipollino, alcune intatte,
alcune frammentale o sfasciate , e varie statue anche
di marmo, delle quali ci proponiamo dir qualche cosa
in altro nostro articolo, ci danno chiaro indizio della
esistenza di un edifizio pubblico, di cui però senza
ulteriori ricerche , non possiamo formarci una idea
precisa. Lo stato deplorabile, in cui il monumento ci
è pervenuto, non lascia la speranza di poterlo intera-
mente restaurare : e la scienza dovrà contentarsi di
più o meno probabili divinazioni, quando tutto il cir-
cuito ne sarà messo all'aperto. In due grandi pezzi di
bianco marmo, parte della cornice, si è letto il prin-
cipio e la fine di una iscrizione, che riesce di somma
importanza per indagare la qualità dell'edifizio, a cui
era sovrapposta. Dice essa così :
LVCCE ETIS . S . P
Se , come speriamo , ci sarà dato di ritrovare i pezzi
iaterraedii , che mancano , sapremo qual fabbrica fu
costruita o accresciuta da un Lucceio, oda variiLuc-
cei col proprio danaro; giacche non dubitiamo che
nelle sigle S . P . debbasi ravvisare la nota formola
Sua Pecunia. Si è raccolta nello stesso luogo una pic-
cola lastra marmorea, in cui è scritto
CN . LVCCEIVS . CN . F . GEMEL
FRATER
ed i frammenti di un' altra
14
— 106 —
LVCCEI . . ,
A
come pure una fis(ula di piombo col marchio
M . BENNI . RVFI
Della famiglia Lucccia ia Pozzuoli ha parlato lun-
gamente il cbiar. signor Gervasio, sostenendo che fu
essa di origine romana , e forse discendente da quel
Gneo Lucceio amico di Bruto, di cui parla Cicerone
[ad Alt. lib. XYl. cpsl. 5): vedi Gervasio m<onio
alla iscr. jmt. de Luccci nel voi. 7, delle memorie
della reg. acc. Ercol. pag. 233 e segg. 11 Sig. Fio-
relli mette in dubbio la idea dello stesso Sig. Gervasio
che cioè la famiglia dei Luccei da Roma si fosse tras-
ferita in Pozzuoli op. cil. p. 2 45 ; e bene a ragione
si avvisa che fosse piuttosto trapiantata in Cuma,.ove
taute memorie de' Luccei or compariscono , e pub-
blici edifizii si trovano da essi costruiti. 11 signor Fio-
relli paragona al M. Bennius Rufus del piombo Cu-
mano il M. Bennio, che trovasi insieme con Q. Cecilio
rammentato nel marmo de' Luccei illustrato dal Sig.
Gervasio. Ammettendo molto interessante questo con-
fronto,presento alcune osservazioni, facendone rilevare
la maggiore importanza. È assolutamente impossibile
che il M. Bennio fosse Console suffelto insieme con Q.
Cecilio Metello Cretico Silano nell' anno varroniano
760, e 7 dell'era volgare; imperciocché questo conso-
lalo sarebbe in Agosto, mentre nello slesso mese di A-
gosto trovasi nel Calendario Amiternino un altro suf-
felto , vale a dire Lucilio Longo (Mommsen inscr. r.
neap. lai. n. 5730). Sicché se que'due magistrati fos-
sero Consoli , esser dovrebbero entrambi sulTetli di
un altro anno. Or la scoperta di un M. Bennio Rufo
ne' piombi di Cuma , dà maggiore appoggio al no-
stro sospetto che quel Q. Cecilio , e quel M. Bennio
messi in fronte della iscrizione de' Luccei non fossero
Consoli , ma duumviri. Né riuscirà nuovo il vedere
indicala l' epoca in un municipio da magistrati mu-
nicipali , piuttosto che da' Consoli di Roma. Talvolta
li troviamo insieme co' Consoli , come nella lapida
Capuana di P. Rammio Creslo pubblicala in questo
Bullettino p. 88, ove si ricordano pure gli Edili. Del
resto ha osservato il dottissimo Borghesi che , quan-
tunque di rado, trovasi indicata la data da' duumvi-
ri da' quatuorviri , o da altri magistrati municipali
(v. Furlanelto lapidi del museo di Este pag. 13). Rie-
sce adunque probabile che il Q. Cecilio , ed il M.
Bennio siano duumviri Cumani , ora principalmente
che uno de' due trova il confronto nel M. Bennio del
piombo di Cuma(l). Sicché ammessa la idea che que'
magistrati non fossero Consoli , ma duumviri , resta
indubitato che quel marmo de' Luccei proviene da Cu-
ma e non da Pozzuoli (2) , e che va ad accrescere le
memorie ora venule alla luce per le ricerche di S. A.
R. il Conte di Siracusa.
Passo alla seconda classica scoperta , la quale ci
presenta una novità flnora rimasta senza sufficiente
spiegazione. In un terreno alquanto discosto dal sito
dello scavo sopra descritto, si è fatta ricerca di tom-
be romane. Tralasciando di parlare di poco interes-
santi ritrovamenti, dirò solo di una fra le suddette tom-
be, che ha offerto la novità sopra annunziata. La par-
te superiore di questo sepolcro, quasi tutta di costru-
zione laterizia , si eleva alquanto fra gli altri ; la in-
feriore rimane al di sotto del piano della strada cir-
ca pai. 12 napolitani. Noi ne diamo la descrizione qua-
si colle parole medesime del signor Fiorelli, ch'ebbe
tutto r agio di esaminarla. Questa cella , di figura ret-
tangolare ed a volta con le interne pareti ricoperte di
semplice intonico bianco ordinario , oltre i soliti lo-
culi ed una rozza cornice , sovra cui stavano disposti
diversi unguentarii di argilla , lucerne ed olle ripiene
di ceneri ed ossa , aveva una picciola ed angusta por-
ta fabbricata con grosse tegole , che ne vietavano l'in-
gresso. Inoltre addossati a tre delle pareti slavano a
guisa di triclinio grandi massi di fabbrica , sovra cia-
scuno de' quali era sparsa molta cenere o arena sotti-
lissima , e vi si adagiava un cadavere ; quello a sini-
stra dell' ingresso ne avea però due. Erano nella tom-
ba sei vasetti di vetro colorato , un vasetto cilindrico,
con atramenlo conservato nel fondo, ed altri oggetti,
(t) Dimostrerò in alira occasione che i nomi segnati su' condot-
ti di piombo non sono riferibili alle officine , ma sibbene a' padro-
ni de' differenti canali dì acqua , i cui tronchi percorrevano fondi
di diversi proprictarii. Ecco perdio vi si leggono i nomi de' più
ragguardevoli personaggi, ed anche lalvolla degl' Imperatori.
(-2) Questa ò pure la opinione del sig. Mommsen inscr. r. neap.
neir indice p. 4C2.
— 107 —
de' quali parleremo in appresso. Vi si Irovù pure una
inouela di bronzo di Diocleziano. Ninno de' (piallro
sclieleiri aveva il cranio: ma due di essi, quelli giacenti
a sinistra dello ingresso, avevano le intere leste di cera
con tutto il collo, gli ocelli di vetro. Non può giudi-
carsi con certezza, se gli altri scheletri avessero avuto
simili teste; non essendosene trovata alcuna traccia fra'
residui di ossa, e di cenere ; abbeneliè in essi mancas-
se poi totalmente il cranio.
Sua Altezza Reale , che entrò il primo nella tom-
ba , ben si avvide che delle due teste l' una fosse vi-
rile , e l'altra muliebre , e che la prima stesse un po-
co inchinata verso l' oriente : ma per quanta diligen-
za si usasse a conservarle entrambe , non fu possibile
raccoglierne intera che una sola; mentre l'altra ap-
pena tocca s'infranse in minutissimi pezzi. Invitato
dall'illustie possessore ebl>i l'agio di fare le mie os-
servazioni su queste fragili teste scampate alla mano
distruggitrice di circa sedici secoli. 11 Comm. Qua-
ranta , mio eh. collega , die sollecitamente notizia di
si curiosa scoperta alla reale Accademia Ercolanese,
comunicando le sue conghiellure su questo nuovo
)( Protome di cavallo a destra con redina sul collo,
intorno la epigrafe • • lA IH.H lAAIS Ae. Vedi
la tav. IV. n. 9.
2. Gli stessi tipi. Dalla parte del leone non appa-
risce alTatto la epigrafe, dalla parte della protome dr
cavallo si legge IAA19. La moneta apparisce più pic-
cola della precedente. Ae. Vedi tav. IV. n. 10.
3. Altro esemplare delia medesima grandezza. Da
un lato son tracce della iscrizione • • iAI • • • Dall'al-
tro si legge lAAia Ae. Tav. IV. n. 11.
4-. Testa imberbe galeata a destra
)( Grappolo, a sinistra APPANOY, nel campo XA
Ae. Tav. IV. n. 12.
Le tre monete in primo luogo descritte sono evi-
dentemente le stesse , colla differenza sollanlo della
maggiore o minore grandezza , proveniente forse dal-
l'essere nelle due più piccole consumato alquanto il
giro. Son tutte tre notevoli per la fabbrica rozza e ne-
gletta , che non crediamo doversi attribuire a greca
arte , ma sibbene ad arte epicoria di epoca abbastan-
za remota. La faccia, che a noi offre il leone, in una
delle tre è contrassegnata dalla epigrafe ITAIT, eh' è
fatto archeologico. Ed ora mi gode l'animo di annun- certamente retrograda , e ci addita il nome dell' ap-
ziare che l' eccelso Scopritore bramando che se ne i-
stiluisse lo studio da tulli gl'investigatori delle anti-
chità , ha fatto dono delle due teste al Real Museo
Borbonico, ove già si trovano, ed ove saran Ira poco
collocale in modo da potersi esaminare da' dotti e da'
curiosi. Salvo ad entrare in più minuti particolari ,
mi piace per ora di paragonare il costume di queste
teste di cera coli' uso de' Persiani e degli Sciti, segui-
to anche talvolta da' Greci, di covrir di cera i cada-
veri de' loro morti , per renderli più durevoli ( Vedi
Herod. lib. I, e. 140 , et lib. IV, e. 71 ; Strab. lib.
XV. p. 735 Gas., Cicer. Tusc. disp. I, 45; Cora,
Nep. Agesil. in fln. Cf. Brisson. de regno Penar, lib.
IL e. CCLI).
(continua) Mimervini.
Monete inedile.
1. Leone gradiente a sinistra con lingua di fuori ,
sotto a' piedi una hnea , sopra ITAlT
pula città di TIATI. È la prima volta che comparisce
la epigrafe retrograda nelle monete di Tiali ; giacché
vedesi sempre diritta in quelle finora conosciute (Mion-
net descr. fom. 1. p. 105 s. ; suppl. tom. 1. p. 218
seg. ; Friediaender oshischen Milnzen tav. VI e VII;
CareHi lahulae lab. LXXXVII, 1-18; cf. p. 33 edit.
Lipsiae ). Questa particolarità potrebbe, a nostro giu-
dizio , far riportare la medaglia ad epoca più antica:
ma non crediamo che possa desumersene un argomen-
to per favorire la opinion di coloro , che attribuiron
le medaglie colla epigrafe TIATI a Teale de' Marru-
cini; e noi senza alcun dubbio riteniamo simili mo-
nete di appula provenienza , secondo la opinione del
Giovenazzi e dell' Avellino , invano contrastala da al-
tri ( Vedi la nostra memoria sulle medaglie di Dalvon
p. 7 not. 1 . Si legga pure il sig. Friediaender oskisch.
Miinzen p. 47 e scgg. ; ed il eh. Mommsen Vnleri-
tal. DialelU. p. 301 ). Che se taluno ad osca ortogra-
fia riferir volesse la iscrizione retrograda , potrebbe
in ciò trovar qualche appoggio la ingegnosa con jhiel-
— 108 -
Inra del Mommsen che alla stessa Teafe Appula at-
tribuisce origiue Sannilica , non altrimenti die alla
Teate de'Marrucini, ed a Teano Sidicino (tscr. messo;).
]). 61 segg. ). Tornando alla nostra medaglia , avver-
tiamo che il lipo del leone s'è incontrato nella numi-
smalica di Teate (Carelli tab. LXXXVII num. 9-10;
Friediaender (ah. VII n. 13); sicché non merita par-
ticolar considerazione.
Se la nostra moneta si appalesa importantissima per
r antica e rozza fabbrica , e per la epigrafe retrogra-
da , acquista però maggiore interesse , quando se ne
pone a disamina l' altra faccia. A raggiungere la pie-
na intelligenza di questo lato della medaglia, sarà ne-
cessario determinare la lunga leggenda , che visi os-
serva. Paragonando fra loro i tre esemplari, non può
dubitarsi che la prima voce va letta BIAAI. Maggiori
(lifEcollà s' incontrano nella lettura della seconda vo-
ce , nella quale a me sembra doversi riconoscere il
nome di un' altra città : e questa dagli elementi tutto-
ra esistenti altra non potrà essere che HARPAI • ■ • ,
ovvero l-APPANOY frdr.J. Di fatti la distanza , che
intercede fra l'asta dimezzata, che costituisce il quarto
elemento di quella parola , e l' A di cui rimangono
iti seguilo le tracce, è troppo grande per non farci sup-
j)orre che fosse occupata da un' altra linea , la quale
non dovea passare la metà della linea precedente. Que-
ste condizioni ritrovansi nella sola P di arcaica for-
ma , come da noi venne supplita. Né si dica un osta-
colo il finimento hARflAI • • • • ; imperciocché noi ri-
leniamo che il resto del N sia rimaso consunto dal
tempo , non altrimenti che l'asta esteriore delBèri-
masa perfettamente disfrutta nel sito corrispondente
all' altra estremità della epigrafe, ove ognuno legge-
rebbe IAAIs; , senza il confronto delle altre due me-
daglie , che ci danno chiaramente BIAAl frelr.J. Ri-
tenuto dunque che la iscrizione ci fornisca il nome di
Arpi , se ne spiegano assai bene tutte le particolarità,
ili rapporto di una tale attribuzione. Prima di tutto
nel BIAAI noi riconosciamo un nome di magistrato
in dialetto messapico simile al ITOTAAI di altre ar-
pane medaglie (Mommsen unleril. Dial. p. 80), che
in altra moneta fu letto ancora IlTAAAl ( Reynier
l)ri!d$ iV une coUeclion de medailles p. 2G ). E qui os-
servo che forse il BIAAl ha una origine non diversa
dal BllATAJ della iscrizione di Ostuni ( Mommsen
iscr mess. p. 80 e 86 ; e unleril. Dial. p. 74 ). Non
vogliamo però richiamare a confrontoii nome BI AIAS
di una iscrizione di Oria (Mommsen uni. Dial. taf.
Ili Oria n. 5 ) ; abbeuchè non sappiamo se vada in
essa letto BIAlAS , per un facilissimo scambio fra il
A ed il A.
Non dee poi recar maraviglia quella specie di di-
gamma premesso al nome di Arpi ; giacché una si-
mile aspirazione trovasi frequentemente usata da'po-
poli della Messapia , anche nel mezzo delle parole:
senza dire che può attribuirsi all' arcaismo della epi-
grafe ; al che va pur riferita la circostanza della leg-
genda retrograda , e delja forma del R (1) , cose tut-
te che occorrono non di rado nella numismatica di
Arpi ( Avellino opusc. t. Ili tav. 7 fig. 4. p. 98; Mil-
lingen recueil p. 17 tav. Il fig. 1 ; Fiorelli monche med.
tav. I n.4 p. 4; Carelli tab. XC, Sedit. Lipsiae; Rey-
nier précis d'une co/Zect. p.26). Né è da omettere la me-
daglia con tipi campani, e con la epigrafe SONAH^A
verificala dal cav. Avellino [opusc. tom. I p. 151,11
p. 27 ; adnol. in Carell. p. 8 ); checché ne dica altri
in contrario (Mommsen iscr. messap. p. 52 noi. l,ed
Annali dell' Insl. tom. XX p. 108). Oltre le cose fi-
nora esposte , ben si conviene ad Arpi il tipo della
protome di cavallo , comune con la numismatica di
Ascoli, avuto riguardo alla sua mitica appellazione di
"ApyciS (Wfov (Strab. geogr. lib. VI pag. 283 in f.;
Plin. h. n. hb. Ili eli; Scrv. ad Virg. Aen. lib.
Vili V. 9 Klausen Aeneas und die Penai. II p. 1 173); a
cui fa confronto il tipo del cavallo corrente nelle mone-
te di argento (Eckhel doclr.t. 1 p. 140; num. vel. p. 29;
Cavedoni spicil. num. p. 15). Se tutte le considera-
zioni ci portano a determinar per arpana questa fac-
cia della medaglia , di che sliam ragionando ; altre
non meno gravi ci vietano di supporre che fosse nel-
la lunga leggenda un doppio nome di magistrato , e
che perciò la moneta fosse da attribuire alla sola cit-
tà di Tiali. In questa ipolesi non potrebbe spiegarsi
(I) Il Sig. Mommson soi^pt'lta ncconnarsi all' alfabeto mcssopico
dal U in monde di Arpi: iscr. mess. p. G5.
— 100 —
come parole in messapico dialedo s'incontrino in Tea-
no apulo , nella cui nuniisnialica non ve n è traccia
finora , ed ove non c'è dalo por argomenti storici di
riconoscere popoli messapici. Insolito è il veder nonif
di magistrati nelle medaglie di Teate : insolita è la
mancanza de' globuli , che costituisce una principale
particolarità del sistema monetario di quella città. E
quantunque queste due ultime opposizioni poliebbe-
ro dileguarsi , supponendo un diverso sistema nella
monetazione di epoca più aulica, pure resterebbe (piel-
]a del messapico dialetto , die a noi sembra forlissi-
ma ; senza dire che l'unica lezione ammes-;il;ile è (juel-
la da noi proposta, e che non può altra riputarsi pro-
babile senza un' arbitraria interpretazione.
Sicché per tutte le ragioni siamo indotti a ricono-
scere nel bronzo, di che favelliamo, una moneta bat-
tuta in Arpi , col nome di un Arpano magistrato , e
destinata a celebrare un'alleanza colla vicina Teale.
Non potrà certamente destar maraviglia una federa-
zione fra due popoli vicini , che da epoca antichissi-
ma aver doveano fra loro strettissima relazione. Ed ■
a questo proposito mi piace di ricordare le non poche
medaglie di Lucerà , nelle quali vedcsi 1' U arcaico
accoppiato in nesso col T: ed in questa unione già da
molti anni addietro il mio egregio amico Sig. Onofrio
Bonghi riconobbe una federazione tra Luceria e Tea-
te (vedi Reynicr prccis d'une colhct. de medailles p.
13 n. 3.). Nella quale idea incontrossi non ha guari
il eh. Fiorelli fmon. ined. dell' hai. ant. p. 2o). sen-
za che avesse in mente la opinione del sig. Bonghi.
Anche il Sig. Riccio osserva in appoggio di questa
attribuzione cli'ei possiede una medaglia di Tiali con
rU nel campo a dritta della civetta [nion. di Lucei ia
p. 21 ). Debbo non pertanto avvertire che l' Avelli-
no, nel. pubblicare simili monetine con TU non pen-
sa che a Lucerà fsupp. ad hai. vel. niim. p. 2o , e
real mus. Borh. toni. Ili tav. 32 n. Gj: ed il eh. Ca-
vedoni fu di parere che quelle due lettere fossero le
iniziali di iva romano mngisiralo come Lucius Teren-
ìins , o s'mi!».' fliulkt. ardi. nap. an. IFp. ! 0.3). Con-
fesso che l'aniìno mio inclina più alla idea della fe-
derazioBo; ed in tale caso avremmo un altro esem-
pio di alleanza nella medesima Apulia , abbenchè si
tratti di epoca posteriore. Noi ignoriamo affatto la sto-
ria di Arpi e di Teale ne' più remoti tempi , e non
ne sappiamo , se non rpianto si collega collt? guerre
sannitichc sostenute da' Roniam". Gli Apuli nel 429
stringono amistà co' Romani |)er la seconda guerra
contro i Sanniti : Lucani aUjue Apuli, dice Livio qui-
bus genlibus nihil ad eam dinn rum Romano poputo
fuerat , in fidcm vcncrunl (Lib. Vili e. 2!)). E se po-
steriormente parteggiano pe' Sanniti contro i Romani,
egli è perchè i Sanniti ne avevano occupate non pD-
che città , traile quali Teate e Luceria (Id. lib. IX e.
2 e 13). Questo fu certamente il motivo, che mosse
gli Arpani ad ajulare i Romani , e rompere ogni al-
leanza con gli Ajuili : Samnilium magis injuriis et
odio, quam beneficio ìdlo popidi Romani (lib. IX , e.
13). Non può dun(|ue dedursi dalla ostilità degli .\r-
pani contro gli Apuli nel i33 alcun argomento con-
tro una loro precedente alleanza co' popoli di Apulia,
e segnatamente con la città di Teate. Se questa fede-
razione sorge evidente dalla moneta da me pubblica-
ta , se ne potrà ricavare un novello argomento a so-
stegno dell'attribuzione a' Teanenscs Apidi delle me-
daglie colla iscrizione Tiali ; giacché quei di Ar|)i me-
glio avrebbero fatta allenza con una città della vici-
na Apulia , che con alira |tiù lontana de' Marrucini.
Poche parole aggiugniamo sulla monetina di Arpi
riportata nel n. 12 della nostra tav. IV', che appar-
tiene al collega (jarrucei. Lo stile n'è bello ; i tipi
sono già conosciuti; e noi abbiam creduto opportuno
di riferirla, a causa del nessodiAP nella epigrafe, co-
me pure pel nuovo nome di magistrato XApix>.r;; ,
XAp(^r,fjios , 0 altro di simile cominclamenlo.
Ml.NERVIM.
Descrizione di alcuni vasi dipinli del real muaeo Bor-
bonico. Continuazione del n. /2.
Degna di non poca considerazione si mostra pur
r altra fiiccia di questa stupenda stoviglia. L' orlo è
fiegiato de' medesimi ornamenti , che miransi dall'al-
tro la!o ; apparisce egualmente un giro di ovoli , un
— no -
ramo con foglie e fiori , ed un altro giro di marine
onde. Il collo ci presenta nella parte superiore un ra-
mo di edera con foglie e corimbi , nella parte inferio-
re una bacchica scena. Vedesi nel mezzo un giallo la-
bro, a cui si appoggia incrociando le gambe un gio-
vine Satiro con cavallina coda, e bianca tenia che gli
circonda il capo : colla destra tiene la patera , da cui
sorgono due ramoscelli ; colla sinistra un ramo, a cui
è sospesa una gialla benda. Presso la vasca è a sini-
stra una donna con lunga tunica , ampyx, e calzari ,
che tien colla destra un tirso con lunga tenia penden-
te , e colla sinistra un timpano.
Dall' altro Iato della vasca sono tre figure: un gio-
vine nudo, con bianca tenia che ne cinge la fronte,
siede sulla sua clamide, e tenendo colla destra il tir-
so volgesi indietro a guardare verso una donna vesti-
ta come la precedentemente descritta , e fregiata di
femminili ornamenti ; questa cammina a destra, e tien
colla dritta una lunga tenia , colla sinistra una pate-
ra da cui escono due ramuscelli. Compie la scena un
giovine Salirò , con coda , tutto nudo , e pur cinto di
bianca benda : egli siede a sinistra sopra di un sasso,
tenendo colla destra un giallo cantharos , colla man-
ca il tirso.
Sul cominciar della pancia vedesi un ordine di pal-
mette e caulicoli , e più in giù un giro di ovoli. Mi-
rasi poi una complicata rappresentazione , distinta in
due ordini uno superiore e l' altro inferiore. Nel su-
periore appare in mezzo un heroon di grandi dimen-
sioni , e dipinto di bianco misto di giallo ; è questo
sostenuto da due joniche colonne di sveltissime pro-
porzioni : sopra è una cornice liscia con fastigio trian-
golare ornalo ne' tre angoli da gialle palmelte. Nel
basamento è una linea di meandro ad onda, e poi un
plinto. Figurano sospese al soffitto dell' heroon due
gialle ruote , uno scudo rotondo, ed un pileo acumi-
nato. Presso la edicola sepolcrale sono effigiate tre fi-
gure : un uomo di fresca vecchiezza , inviluppalo nel
suo mantello , siede sopra sedia a spalliera, poggian-
do i piedi sopra un suppedaneo ; egli poggia la sini-
stra ad un rosso bastone , e stende la destra , con cui
sostiene una patera. A lui d'innanzi presentasi un
giovine con clamide , che si attiene ad un' asta e sten-
de la sinistra verso 1' uomo sedente. Finalmente ve-
desi un giovinetto di più piccole dimensioni , che re-
ca la ocnochoe. Tutte queste figure , ed i loro abbi-
gliamenti, come pure le armi, sono dipinte di bianco;
siccome frequenlissimamente n'è dato di osservare in
somiglianti ra|)prcsentazioni, che veggonsi presso le
edicole sepolcrali ne' vasi dipinti (I). A' due lati del-
l'/leroon son molte figure con dilferenli simboli. A
destra è im giovine nudo con gialla tenia al capo se-
dendo a destra sulla sua clamide , ei tiene un bastone
e la patera, da cui pende una gialla tenia. A lui din-
nanzi è una donna con tunica orlala , cui si sovrap-
pone un imatio , e fregiala di ampyx e di altri fem-
minili ornamenti , la quale eleva colla destra un'am-
pia corona , colla sinistra il flabello : sotto è nel cam-
po una tenia. Più in giù è un' altra donna similmen-
te vestita , ma la tunica non è orlata : questa siede a
sinistra volgendosi a destra ; colla manca tiene una
cassetta aperta , e colla destra il simbolico cleis. Si
volge costei ad un giovine con clamide e corona, che
- tien colla destra un festone , colla sinistra il bastone:
dietro è pur nel campo sospesa una tenia. Dall' altro
lato dell' heroon son pure quattro figure. Sopra vedi
una donna con vesti simili alla precedente ; questa,
tenendo un ramo di vite e cassa , volgesi ad un gio-
vine nudo con calzari , e tenia che ne circonda la te-
sta, il quale siede sulla sua clamide tenendo colla si-
nistra una corona con tenia che ne discende , e colla
destra il doppio giavellotto. Sotto colle spalle rivolte
a]l' heroon, a cui è vicino, siede un maestoso vecchio
con folta chioma e barba, ch'esser doveano in origi-
ne segnate di bianco ; questi mostra la sola apertura
delle ciglia appalesandosi cieco , non altrimenti che
nelle immagini del tebano Tiresia , ed in altre figure,
di cui si addita la cecità (vedi Raoul-Rochette leltr.
arch. p, 170: vedi pure un magnifico esempio nel vaso
di Pisticci da me pubblicalo nel bull. arch. nap. an.
1 p. 101 lav. V). L'ampio pallio, in cui si ravvolge
il nostro cieco vegliardo, ne lascia nudo il petto: egli
(1) Sembra probabile che siasi con questo ùnico colore voluto
figurare bassirilievi di marmo all'esterno del monuinenlo, piutto-
sto che immagini dipinte: vedi ciò che dicemmo nel bull, arch-
nap- an. Il p. 95.
— HI —
siede a sinisira incrociando le gambe munite di calza-
ri, e tien colla destra la lira poggiala sulle ginocchia,
mentre colla sinisira si attiene ad un lungo bastone. A
lui si appressa una donna recando con ambe le mani
un gran vaso a due manichi, con ornamenti di nero.
Neil' ordine inferiore si scorgono cinque nudi gio-
vani : il primo siede a destra sulla sua clamide, guar-
dando a sinistra , si appoggia allo scudo . e tiene il
doppio giavellotto. Il secondo avvolto nella clamide
solleva alquanto il destro piede , tenendo il doppio
giavellotto e l' elmo acuminato : il terzo siede sulla
clamide appoggiandosi allo scudo , e tiene una cas-
setta con tenia pendente. Il quarto stringe l' asta ; e
r ultimo , col capo circondato di gialla benda , tiene
una corona ed un grappolo. Sotto è in giro un mean-
dro. Sotto a' manichi sono complicatissime palmette;
e sul piede tutto nero è un ramo , che par di lam-
brusca.
Farmi che tutte le figure , che circondano l' he-
rooH , non siano già intente a funebri offerte , sicco-
me generalmente si credono. Esse si veggono mu-
nite di mistici attributi , quali sono il ramo di vite,
il grappolo, lo cleis , ]a pyxis ed altrettali; su' quali
è a vedere ciò che scrive il Millingen negli annali
dell' Ist. 1843 p. 91 e segg. A che dunque alludono
tutte quelle figure , non solo nel nostro vaso; ma an-
che in altri, ove tanto spesso si ripetono intorno alle
edicole sepolcrali ? A mio giudizio , non possono ge-
neralmente riputarsi immagini di uomini viventi, ma
di personaggi trasferiti ad abitare nel regno delle om-
bre. In fatti i nudi giovani con bastoni or sedenti , ed
ora incrociando le gambe, le gialle tenie, di cui so-
vente cingono il capo, menano alla idea di anime pas-
sate neir Orco, mercè l'onor del sepolcro. Ecco per-
chè si mirano intorno ad una tomba , che ne addita
la funebre relazione di quelle figure. Così spesso veg-
giamo un mitico avvenimento da un lato , e dall' al-
tro una scena del, mondo inferiore , che più o me-
no si collega con quello. Nel nostro vaso da un lato
miri la pira di Patroclo , Achille ed i Mirniidoni , e
molle donne che assistono a' funebri ufficii ; dall'altro
lato è una tomba , ed efebi , e donne, e guerrieri, non
già nelle altitudini di onorare un defualo , ma sibbe-
ne in altre posizioni tutte particolari , e con tali sim-
boli , che accennano al riposo della vita dopo le loro
forti e virtuose operazioni : e non sarà fuor di propo-
sito immaginare che siensi fìguiali da questo lato nel-
l'ordine inferiore gli stessi omerici eroi, che figurano
in parte dall'altro, gli stessi Mirmidoni, che ci pre-
sentano somiglianti le armature. Ou<'sta idea che trat-
tisi di eroi imagiuali nell'Orco, dopo la iniziazione
fatti degni de' godimenti dell' Elisio , si conferma per
la rappresentanza del collo ; la quale ci offre Satiri in
unione di Baccanti , facendo dionisiache libazioni ,
presso ad una vasca simbolo notissimo di purificazio-
ne; cose tutte che evidentemente accennano a'miste-
rii dionisiaci , tanto divulgati , e de' quali trovansi si-
cure allusioni ne' vasi di appula provenienza. Fra tutte
le figure effigiate intorno aWheroon la piìi notevole è
quella del cieco vegliardo sedente colla sua lira e col
suo bastone. Io non dubito affatto che debbasi in essa
ravvisare Omero, il poeta della Iliade, quello stesso,
che ha cantate le gesta di Patroclo , e di Achille , e
che ha narrato colla sua sublime poesia i funerali rap-
presentati nel nostro mirabile monumento. La cecità ,
il bastone , e la lira sufficientemente lo additano pel
celebre Melesigene. Credo poi che lo star seduto è
proprio di chi recita versi ; mentre questa circostan-
za è avvertita in Omero dallo scrittor della sua vita ,
tutte le volte che ce Io presenta nell' alto di profferi-
re i suoi carmi ( Hom. vii. e. 9 , 12 , 15 , 17 , 19 ).
Questa osservazione dà luce a quello che fu da altri
avvertito , che l' attitudine di Omero sedente è solita
è caratteristica. Così vedesi nel monumento di Arche-
lao da Priene (Visconti Pio-Clem. tom. 1 tav. B), e
tale scorgeasi la statua di Omero nel tempio erettogli
da Tolommeo Filopalore ( Aelian. var. hist. lib. XIII.
cap. 22 ). Né è da tacere che pur sedente comparisce
nelle monete di Smirne, di Colofone , diChio, su di
che leggasi l'Eckhel fdodr. tom. II p. 541 e segg.).
E citerò da ultimo la pompejana pittura rappresen-
tante Omero sedente presso una funebre stela , se-
condo la bella spiegazione del Coni m. Avellino fbidl.
anh. napol. an. IV p. 96 seg. ) , il quale non trala-
scia di richiamare altri eseiii])li, osservando rilevarsi
dalle medaglie che pur sedente fosse la statua del poe-
— 112 —
la ncU'Omcroo di Smirne, di cui favella Strabene
(Lib. XIV p. 646 Casaub. ). E qui mi piace di osser-
var di passaggio cbe le lettere graffile 3IOH<^)MI pro-
babilissimamente si riferiscono a quel pompejano di-
pinto ; essendo agevole il supporre , die qualcbe an-
tico abitatore di quella casa volle notare il soggetto,
e rimase a mezzo il suo scritto , che avea cominciato
a tracciare MOfnitmeiiluniJ HOMl(I)/). Vedi ciò che
dice della medesima pittura il eh. Cavedoni fbuUelt.
ardi, napol. an. V p. 57). Tornando al vaso di Cano-
sa avvertiamo che assai bene si attribuisce al nostro 0-
mero la lira, come istrumento conveniente ad un poeta
(Eckhel./.f.). Così nell'Odissea Femio preparandosi a
cantare, prende in mano la cetra per accompagnar la
sua voce (Oc/.A v. 1 50 seg.). E lo stesso Omero colla
lira si mostra altresì nella pittura pompejana sopra ri-
cordata: abbenchè più sovente abbia in mano il vo-
lume ; come nel vaso di argento di Ercolano coli' a-
poteosi di Omero ( Millingen uncd. mon. II tav. XIII
p. 23), ed in altri monumenti. In quanto al bastone,
allude alla cecità ed alla vecchiezza del vate, del pari
che alla sua vita errante e vagabonda: ed è perciò che
col bastone se ne vede la immagine sulle monete au-
tonome di Smirne (Eckhel doclr. lom. II p. 539); né
forse ad altro signiflcato accenna l'asta data ad Ome-
ro in altre medaglie della medesima città battute nei
tempi imperiali ( Id. ib. p. 548).
Ritenuto dunque che nel nostro vaso sia figuralo
Omero, acquista un pregio grandissimo ; giacché è il
primo esempio del ritratto del grande epico della Gre-
cia, che si osservi su" vasi dipinti ; e forse ancora è il più
antico monumento superstite, che cel presenti. Il ri-
tratto di Omero, sino da'lempi di Plinio, era riputato
bn desiderio più che una realtà: pariunlque deskleria
non traditi vidliis , sicut in Homero evenit ( Hist. nat,
lib. XXXV § 2). Debbo non pertanto avvertire cbe la
fisonomia di Omero nel nostro vaso molto si assomi-
glia a' ritratti omerici riportali dal Visconti [Icon.gr.
voi, 1 init. ) ; e bisogna conchiudere che vi fosse un
tipo ideale mollo antico , da cui trassero gli artisti po-
steriori. E chi sa che non si avvicinasse al nostro per
le fattezze del volto quell' antichissima immagine, che
Smicito Ateniese avea dedicala in Olimpia (Pausan.
V, 20). Vedi pure su' ritratti di Omero Miiller //and-
hucìi § 420 n. 4 p. 730 Welcker. Se almeno le figu-
re di giovani guerrieri collocali sotto l' hcroon creder
si deggiono anime fatte partecipi della immortalità,
lo stesso dovrà giudicarsi del medesimo Omero, che
ha raggiunto la sua apoteosi ; e quindi ben si rattro-
va in compagnia di personaggi che cominciarono una
novella esistenza nel mondo inferiore, lo sono di opi-
nione cbe la tomba in forma di edicola, presso la qua-
le seder si mira il cieco vate, è il monumento di Ome-
ro ; che molli gliene furono elevali dalle città , che
disputaronsi la gloria della sua nascita (Fabricio bibl.
gr. lib. II e. 1 , 5, 7.). Tal si fu tra gli altri il famo-
so Omereo di Smirne , di cui parla Cicerone [prò
Archia 8); e più distesamente Strabene , descriven-
dolo come un portico quadrato col tempio ed il si-
mulacro di Omero: q'oà rsrpcrywvos ì'x'^'Vffr/, yiM 'O-
fX7]gof, x%i goxvov (lib. XIV p. 646). Li altro celebre
sepolcro eretto in los veggasi il Nitsch (/t(S<. Homer.
fase. 1 pag, 1 26 e segg. ) , e ciò che scrive il dottis-
simo Weicker [Grab und Schule Homers in los nelle
sue Kleine Schriften voi. Ili pag. 284 e segg.). Io non
vo paragonare il tempietto del nostro vaso con questi
monumenti diversi, de' quali non ci rimane idea pre-
cisa. Mi sembra però indubitalo che quel monumento
sia un omerico sepolcro in allusione alla sua apoteo-
si , e perciò da paragonarsi col pompejano dipinto
più volte rammentalo di sopra , ove precisamente il
deificato poeta siede presso al suo monumento. E for-
se r omereo di Smirne olTrendo un tempio , ed una
statua , può ragionevolmente supporsi che la slatua
fosse fuori del tempio, non allrimenti che neduc di-
pinti , de' quali abbiamo fatta menzione,
fcontinuaj
Ml>ERVIXI.
P. Raffaele Gaurccci d.c.d.g.
Giulio Mi.neuvim —Editori.
Tipografìa di Giuseppe Cataneo,
BlllETTIXO ARCnEOLOGICO IVAPOLITAXO.
NUOVA SERIE
N." 15.
Febbraio 1853.
Dell' arma gladiatoria detta Galerls. — Di due trofei di armi scoperti in Pompei al 1161 nel Lcdus Gla-
DiATORics , e della Sica, o falcetta dei Treci. — Nuovi programmi pompeiani appartenenti a spettacoli
gladiatorii. — Tavola Venafrana , continuazione.
Dell'arma gladiatoria detta Gaiervs, coni, del n. lo.
Gioverà riporlarla qui a piacevole confronlo ( Maffei
Mus. Ver. p. CXXV'. 4), e perchè i contorni deliembo
vi sono figurali ad angolo redo , appunto come su i
graffili , nel che discordano dal bronzo borgiano, dai
tre scudi del R. Museo, e dalla pittura dell'anfiteatro.
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Il Maffei riconobbe le arnae , cultrum nempe et fU'
seinam, giusta le dottrine del Lipsio : aggiungo io ora
il galcrus , che qui si mostra della forma medesima ,
che sui monumenti da me prodotti. Cotal sorta di giuo-
co fu inventata , dicono , da Pittaco , che ne tolse la
idea dalla pesca, e però il suo arnese fu tutto pesca-
torio , cxiurj óyjivrixTi , Io chiama Strabone , ed Isi-
doro per cagione di quello stesso tridente, che Mar-
ziale beu dice aequoreus (1), fa il giuoco sacro a Nettu-
(I) Un tal nome AEQVOREVS appare scelto da un reziario di
PuzzuoU (B. iV. T. II. 97), e certu per la medesima ragione.
4.Y.Y0 /.
no, fugnahal Nepluno, trtdentis causa. Perciò sull'elmo
dell'avversario tratto tratto elevavano a modo di cre-
sta un pesce , e dicevano che a quello fendeva le in-
sidie il reziario, e non alMirmillone, con questa can-
tilena , Non te peto , piscem pelo : quid me fugis. Gal-:
/e?(l). Quindi ci si apre la intelligenza dei simboli
marini dell' altro scudo , ove il granchio può anche
alludere alla tenacità degli inviluppi della rete. Una
pugna, che abbisognava di grande agilità e prestezza
a schivare i colpi, e le insidie, onde ad Artemidoro
era presagio di una donna ^v-^xi, fugace, ^ di Gracco
reziario scriveva Giovenale tota fugit arena , ne mo-
stra il significato dei venti scolpili sul terzo scudetto (2),
Poi quanto all' Ercole, mi basti solo ricordare essere
a lui sacri i Giuochi Gladiatorii — Vejanius armis —
Herculis ad postem fìxis, lalel abditus agro (Ilorat.I.
ep. 1 ) , perchè si conchiuda essersi di già soddisfatto
all'assunto di pienamente illustrare l' uso di queste
armi e la specie di gladiatori, che le adoperavano, ed
il nome che si dava loro dagli antichi.
GARRCCa,
(1) Il Murtniilo, sorta di gladiatore, che combatteva col rezia-
rio, forse lo slesso che il Gatlus {et. Vitale op. di. p. 5<3), prò-
babiimente si fa derivare dal Mo'^uluXos di Oppiano , dello anche
Mo'puy§05 (Aldrov. de pisc. L. Il, 19),
(2) Il Cavedoni (Ragg. arch. degli scavi di Modena p. 27) col
Visconti ( M. P. C. T. IV, jTai'. agg. B. 1,1) riconosce nei putti
forniti di due alette sotto la gola genii bacchici, lo che non sa-
rcbbe qui strano: essendosi notale da me laute rappresentanze re-
lative a Bacco nelle armi pompeiane gladiatorie, che sarà stala la
divozione più cara del padroue di alcuna famitia.
lii
— 114 —
JDl due trofei di armi scoperti in Pompei al ^767 nel
LcDus Gladiatorius , e della Sica , o falcella dei
Treci.
Leggo nelle relazioni degli scavi pompeiani, che il
giorno 14 febraio 1767 furono scoperte due pitture
nella stanza tutta aperta verso il cortile del così detto
quartiere dei soldati: onde questa camera fu giudicata
essere il Corpo di guardia: indi il 7 marzo i due in-
tonachi furono staccati dalle pareli, e messi nella col-
lezione reale (v. la nostra Tav. VII, n. 13, 14).
Codeste pitture sono inedile tuttavia , né deve far
maraviglia, se eran tenute trofei d'armi militari, sog-
getto così ripetuto sui monumenti dell' antichità. Egli
è poi certo , che riconosciute quel che sono , un sin-
golare ed unico monumento delle armi diverse, ado-
perate negli spettacoli gladiatorii , non avrebber di-
morato sì lungamente ignote, ed inosservate. Ma que-
sta scoperta non poteva esser fatta cosi sola , senza
che si fosse passato immediatamente a riconoscere
nelle armi di bronzo scavate in questo ediGzio , armi
del ludo gladiatorio , e nell' ediGzio medesimo , non
j)iiì im foro, un portico di teatro, un quartiere di sol-
dati, ma un ludus gladiatorius; la qual cosa fu per
me disputata, e conchiusa in un articolo precedente.
Ora medesimo , e dopo che si è provato qual fosse
queir arma dei reziarii detta galerus , e se ne è pro-
dotta la forma , recherà non mediocre diletto il tro-
varne una nuova ed efficace conferma, apparendo an-
che in questi trofei congiunto al tridente ed al pugna-
le il galerus, e ad altre armi evidentemente gladiatorie.
Fra queste io tolgo ad illustrare una nuova ma-
niera di curvo pugnale, con che i Treci entravano a
combattere , che negli scarsissimi monumenti di tal
sorta gladiatori non si era notato sin ora. La falce ,
od ensis falcatus sul monumento di Prisco ( MafTei
Mas. Ver. 444,2), e di Antonio Exoco (Grut. 335,
5 ) , conviene col nome , che le dà Giovenale , ed è
vera falx, S,i^os ixri o^BóV (Arlcm. Onirocr. II, 33 ),
delta però thracia, perchè i Traci usavano di lai arma
6pax(XÒK ^i<^ l'Tnxa.ix'Trii . Di coltelli o spade ricurve
trovo menzione presso gli scrittori , e confronti sui
monumenti. La sica usata in Roma era un coltello
presso a poco come l'acinace dei Persiani, e le copi-
des degl'Indiani (v. Q.Curzio ^/cd!. Hagae Com. 1708,
14, 29, e la noia ivi apposta). Anche i Galli usarono
una spada che eaesim , non punctim ferirei , e perù
appellata xc/tti's ; ma Dionigi la dice vvipixiyxXT^ ( v.
Mai, T. IL p. 440 ), onde parmi ravvisarla su quella
classe delle monete della repubblica senza nome di
zecchiere , delle quali è conosciuto l' asse , il triente,
ed il vittorialo, e ne parlò il Capranesi in un suo ar-
ticolo {Med. Rom. Lied. p. 1,2, Ann. List. 1842,
Tav. d' agg. N , 1 ). Fra le falcette , copides , piegate
ad angolo ottuso, pongo quella figurata su di un piom-
bo , diversa alquanto di curvatura dalle copides de-
scritte da Curzio gladii leviter curvati, falcibus similes;
ha impugnatura , e paramanico , manca però di elsa
(Garrucci, Piombi an/ic/i«,Tav.III, 4). Questo coltello
assai dappresso rassomiglia le falcette pompeiane , che
piegano sulla metà della lama, ad angolo retto, né fi-
niscono in punta, ma in taglio tondeggiante. Queste io
non scopro solo sui due trofei, ma eziandio sulle pit-
ture , e sui graffili , onde ne svanisce ogni difficoltà.
Inoltre grazioso confronto ne viene da una vignetta del
T.IV dei Bronzil&x.XYl, p.77, (v. la nostra Tav. VII,
1 6) non intesa cosi dagli Ercolanesi , che credettero i
due genii combattere con le fiaccole, o con altri strumenti
(p. 360, n. 51 ). A parer mio, sono ivi figurati due
genietti che armati da gladiatori si esercitano alla pu-
gna rudibus , dei quali quello a destra ha la falcetta
del Trece, quello a sinistra la clava, rudis,e può rap-
presentare il Mirmillone. É poi colai pittura spiegata
a maraviglia dal paragone di un classico luogo di Sue-
tonio , ove narra che Caligola rudibus (1) secum ba-
tuentem ferrea sica confodil ( Suet. in Cai. 32 ) ; ed i
Mirmilloni per lo appunto solevano accoppiarsi coi
Treci.
Se questi genii fossero Eroti , potrebbero credersi
messi a rappresentare i primi tentativi di Amore ( de
Arte, ni):
Sic ubi praelusit , rudibus puer ille relictis
Spicula de pharelra promil acuta sua.
(1) Sudes li dice Giovenale (Sai. VI, 218), secondo alcuni co-
dici V. Jalin h. 1. Quein (palum) cavat adsiduis sudibus. Scbol.
hoc est ferulU in medUatione pugnandi.
— Ilo —
Da una pnrete pompeiana copiai un graffilo, ove il Tre-
ce è vinlo e prosdato dall'avversario. Hanno ambe-
due la lor leggenda sovrapposta ; quello a sinistra
legge SPICVLVS • NIIU V, quello a destra che è
TIRO
Trece APTONETVS P; la Wcella di questo (v.Tav.
LIBR XVI
VII, lo) si avvicina d'assai alla forma di quella figurala
sul piombo citato più innanzi. Altro graffito assai in-
strutlivo fu pubblicato dairAvellino(3/t'm.(/f/r^cf. Ere.
T. V. ) ; questo per colpa certo dell' artista , non dà
alcun arma a Prisco , ma sulla parete rilevasi chiaro
la falce , ed è ancor questa ad angolo pressocchè ret-
to. Parimenti sopra di altro intonaco è figurata un'
ahra coppia di gladiatori , colle sue leggende ... NV^S
IVLIANVS IV • IS • PRIMIGUNIVS IVLIANVS
XXIII IM ^^ , e Primigenio ha falcetta ad angolo ret-
to. Per tutti questi esempii non può cader dubbio che
r arma dipinta sul trofeo pompeiano del ludus g/a-
diatorius sia gladiatoria , e però dei Treci , Bpr'xss
'Trpwroi TV y.%\ov(ii\riV à'p7rr,v si'pov* Icttj oì fx^^x^ipx
xotfxvóXri (Clem. Alex. Slrom. I, 16); siccome tutte
le altre ivi dipinte , elmi a visiera , tridenti , galeri ,
e le lance altresì usatissime negli spettacoli , siccome
anche lo dimostrano non pochi graffiti , ed alcune
pitture , e lo aveva già insegnato Ovidio , ove nomi'
na l'asta del gladiatore Velite, scrivendo, [Ibis, v.45)
Ulque pelit jmmo plenum flavenlis arenae,
Nondum calfacli Velilis hasla sohtm.
Questo luogo fu così spiegato dal Salmasio ( de Re
Uilil. p, 1408. Th. G. tom. X ) molto prima del Maf--
fei, il quale in egual modo lo intende. Garrucci.
A'mouì programmi pompeiani apparlenenli a spettaco-
li gladiatorii.
Nelle relazioni degli scavi pompeiani leggonsi al-
cuni programmi gladiatorii molto rilevanti : gli into-
nachi sono ora periti , laonde da quelle benemerite
schede li leverò alla luce. Notasi adunque il 14 feb-
brjyo 1767 su di uoa colonna del quartiere dei sol-
dati [ìudiis gladìaloiius v. p. 98, seg. ) essersi letto
questo graffito
FAMILIA GLADIATORIA POMPON! 1 AVSTINI
Il 16 luglio si scoprì la entrala |)tiii(ij).ile di (pisslo
edilizio , e sulla parte esterna fu letto il giuino li
MALAET
TERTIOLE
poi in caratteri rozzi questo insigne programma :
AMPLIATI • Il • • • FAMIL • ce lAD • PVGN
PO RM^IS • VF A iSI ARS • EI • VEI • FR
aiiato.iesiro TOTIVS ORBIS DESIDERI VM
era «raflila
una lioir.ba MVN M . VBIQ.
h kg^nda! CVM POMPILO . M . FORTVXATO
Io conosco cincpie famiglie gladiatorie in Pompei.
La prima di Tib. Claudio Vero [Mas. Borb. T. XIII ,
5; Guarini Fasti Duumv. p. 37.) , la seconda di N.
Festo Amplialo determinato dall' Avellino (1) (.4»t
della Soc. Pont. T. Ili , p. 207 ) : la terza di N. Po-
pidio Rufo nota fino dalla pubblicazione delle Disserf.
Isagog, p. 62: la quarta di Pomponio Faustino rive-
lataci dal giornale degli scavi (14 Febr. 1667) , e la
quinta di A. Suellio Certo. Cerii hanno le relazioni
inserite nel T, 1 del Mus. Borb. p. 4, ma Certi è la
vera lezione, e così è scritto sulla nuova via, ove ora
si scava, nel programma SVETTIVMCERT V3I//CL0-
DIVS NYMPHODOTVS-CVPIDIS //y fCupidisfsi-
ine OratJ V(os) FfaciatisJ. Nella famiglia dei Popidii
è saputo un N. Popidio Ampliato, ma il Popidio che
ebbe famiglia gladiatoria si denomina Rufo.
Leggo adunque ed interpetro la prima iscrizione
così: Ampliati (forse triduo) Familia Gladiatoria Pu-
gnabit PofmpeisJ K. Mais Venatio, Sparsiones, et Vela
erunt, le quali ultime parole lesse ottimamente così il
sig. Fiorelli, dal quale ebbi comunicata la leggenda,
A conferma richiamo il programma di Ti. Claudio
(ì) Questo ciotto legge Fcsliut, che io non approvo. Paragonisi
il pompeiano M. Faustus Silo, e si comprenderà elio son due co-
gnomi, e vi si tralascia il nome gentile, che dovea essere Aquilio;
come mi risulta da un graffilo del medesimo corridoio , nel quale
leggesi M. AQVIL l'AVSTVS, e di sotto vedesi graffila una figura
rjutagnata, {irobabilmcnte ia luogo del soprannome Silo.
— 116 -
Vero .... fMaJrt Pompcis VenfatioJ fÀlhleJlae Spar-
siones qua dies patimtur erunlfMits. Bo/-6.T.XIII, 4),
e di Cn. Alleio Nigidio Maio Dcdicalione (ihcrmja-
rum. Muneris (1) Cn Allei Nigidi Mai Venatio,
Alhklae, Sparsiones, Vela erunt {M. B. T. Il, 6).
Segue la leggenda di Ampliato. Tolius Orbis De-
fiderium, Munfificujm Vbique , Cum Pompilo M.
(forse Pompilio M. L.) Forlunalo , e par sia perito il
nome Ampliato , AMPLIATVM , a cui queste ma-
gnifiche frasi riguardano. Tito fu detto Orbis Amor
('Auson. Caesar. Il, 2), e ^rfòs uTrayrojy ìqu/S (Suid.
ed Eutrop. VII. 6. ) , ed Amor ac deliciae generis
Immani ( Victor in Tito , Suelon. in Tit. e. I. ).
Il medesimo giornale trascrive dipoi dalla medesima
parete un altro programma, ove si avvisa che la fami-
glia gladiatoria di N. Popidio Rufo darà lo spettaco-
lo di una caccia il giorno 29 di Ottobre. Questo in-
tonaco fu staccato con altri pur gladiatorii , e si fe-
cero incidere in una tavola che è la IX delle Disserl.
Lagog. dal dotto Resini (v. il n. 1, 2, 4, 5,). Ma so-
pra tutte ha grande importanza questa che io traggo
dalle relazioni del giornale del 6 Agosto.
PRO SALVTE (teucre alle un palmo 1 /3)
CAESARIS • AVGV • • LIFF • AVRVMQVI (aHeon^e 3)
DEDICATIONEM • ARAE • AMENTIAE • GNEI • NIGIDI MAI
FLAMI CAESARISAVGVSTIPVGNPOMPEIS SINEVLLA DILATIONE
IIII • NON • IVL • VENATIO VELA ERVNT
Cotal leggenda parmi si possa interpretare, e sup-
plire a questo modo : Pro salute {Imperatoria) Cae-
saris Augusti Liberorumque feius, et oh) dedicatio-
nem. arae Amentiae Gnei Nigidi Mai flamifnisj Cae-
saris Augnili , Pugna (2) Pompeis sine ulta dtlalione,
mi Nonas lulias, Venatio, Vela erunt. Questa nuo-
va formola, stne ulla dì7a<ione, richiama naturalmen-
te al pensiero un' altra non meno singolare del pro-
gramma di Ti. Claudio Vero , qua dies patienlur. On-
de parmi il senso sia questo , che essendosi talvolta
tralasciata alcuna cosa promessa nel programma, con
dispiacere del popolo, Tiberio Claudio ne avverte che
•vi saranno le sparsiones , in quanto i giorni lo permet-
teranno. Qualche altra volta sarà pure accaduto, che
lo spettacolo stesso si differisse; per la qual cosa Am-
pliato a conciliarsi più favore ne promette , che lo
(1) Cosi la relazione , ma forse dovrà interpretarsi Munere S(um'
mó) col ragguaglio della epigrafe sovrapposta alle scene gladiato-
rie del sepolcro di Scauro Munere . . . Ampliati. P. F. Summo. II
P. F. s' interpreta dall' Avellino Q. F. ( Quinti filii ) , ma il Festo
Amplino ebbe prenome Numerio (V. Avell. negli o«i CiY. p. 207';
forse dovrà spiegarsi Pro Funere.
(2) Manca qui Familia Gladiatoria , onde non pub inlerprelar-
si Pugnabit siccome in altra simile (Avellino L. e. ). Pugna sarà
quindi nel subietto presente il sinonimo dello spelLicolo che dava-
no i gladiatori combattendo fra di loro, come Yenalio è la pugna
colle Ocre ( Cf. Arlcmid. II. 33 ).
queste due parole era-
no scritte in nero ed il»
forma più piccola
spettacolo si darà al giorno determinato, sene ulladi-
lalione. In altro programma edito dall'Avellino (Bii//.
Inslit. 1831, 12) si legge. PROSALVTE-DOMVS-
AVGGLPAR • •• QVO TEMPORE HABEBITSEI-
FEC • • • Ove parmi l'editore prometta le coppie dei
gladiatori , tostoche le avrà , quo tempore habebit.
Un flamine di Augusto , quando era egli ancor
vìvo , siccome non fa maraviglia altrove , così nean-
che deve recarla in Pompei , ove al 752 M. Holco-
nio Rufo dicesi Augusti Sacerdos [Mom. I. N. 2231),
e non molto dopo anche F/amm ^agfMs^i nella epigra-
fe scolpita su di un gradino del teatro pompeiano più
grande (/. N. 2232) nel suo quinto duumvirato, che
fu quinquennale.
Fuori delle conferme , che ne vengono all'uso gla-
diatorio di quest' edifizio dalle molle epigrafi di tal
genere , il programma di Nigidio Maio ci regala una
novità di culto , la Dea Amentia , alla quale egli de-
dicò un' ara , sollennizzandone cogli spettacoli gladia-
torii il giorno. Il poveruomo dovette persuadersi, ap-
pena guarito da un tal male, che questa divozione gli
avrebbe tenuto lontano da sua casa quella trista dia-
volessa , SociVovo. roivrry x^^-^^V roìi sx^-vrt , come
Luciano lasciò scritto (De Parasito 2J. E sia lodato Id-
dio , ed il Signor nostro Gesù Cristo , che da così so-
— 117 —
Icnni pazzie d'idolatrici culti ci La liberati , e tenia- se e fondamento di Verità: il negarlo iibhidienza sce-
minoci fermi alla pietra angolare , alla vera Chiesa ba- lus est Idulolalriae ! — Terzo programma.
cN ALLEI . MG IDI •
M . QVL\Q GL PAR XX • ET • EOR • SVPP ■ PVGN • POMPEIS • Vili • VII • VI • K • DIO
VENERIT . MAIO QVINQ FELICITER PAR III
Questo insigne programma è stalo trascritto da me
da una parete a destra delia via, che va verso la porta
detta di Nola , ove è dipinto. Lo Gneo Alleio Nigidio
Maio di questa epigrafe è quel medesimo , ciie diede
uno spettacolo il giorno , in che si aprirono le terme
pompeiane (1) , ed un altro per la salute di Augusto
e -per la dedicazione dell'ara posta alla Pazzia, come
sì rileva dal programma iiiuslrato or ora; da questo
terzo che è tuttavia in Pompei impariamo, cheNigi-
dio fu creato duumviro quinquennale , e che diede
perciò altro sontuoso spettacolo al popolo di venti paia
di gladiatori , coi sostituiti , che combatterono in Pom-
(I) La fabbricazione di questo Terme precede il 756, nel qua!
anno furono duumviri M. Staio Rufo , e Cn. Melisseo Apro, 1 quali
posero il Labrum nella stufa di delta Terme { /. iV. 2217 ),
Tavola aquaria venafrana , continuazione del n, ^0.
VTI . . . ITA ESSE HABERE. Oltre ad essere qui
sottinteso il liceat , che si legge di poi , è da notarsi
il senso di habere per debere , necesse esse , oportere ;
di che hannosi esempii anche nel Digesto: vedi p. e.
Laborare habeth. 13. §. l.ad legem Inliam de adult.
Mandare habet 1.43. Solut. matr. Operari habenl L.
10. §. 1. de poen.
RESARCIRE.In Cicerone è dubbio il resarcire{ad
Fam. 1. 9.), e Donato a quel luogo di Terenzio (^-
delph. 1. 2. 40.) Discidil vestem, resarcictur, ne av-
yerte, che re abundat. Ma la tavola Venafrana assi-
curerà questa voce anche meglio ai tempi dell' aurea
latinità. Il Senatusconsulto delia legge Quinzia toglie
in somigliante formola il re a resarcire, ordinando poi
così questi verbi: ID OMXE SARCIRE REFICERE
RESTITVERE AEDIFICARE POXERE DAMNAS
ESTO ( Front, pag. 222. ) , ma resarcire è in altri
luoghi del codice Teodosiauo , e nei frammenti del
Giustinianeo notali dal Dirksen ( Man. lur. s. v. ).
pei i giorni 23, 24, 23 di Novembre. L' iscrizione si
deve leggere , ed interprelare cosi: Cn. Allei Nigidii
Mai Quinquennalis Gladialorum paria viiiinli et eo-
rum siippositicii pìujnabunt Pompeiis Vili, VII, VI
K. Dicembres. Veneril , Maio Quinquennali Felicilcr,
par triduum. Dei gladiatori sostituiti è questo il pri-
mo monumento, che ci parli; i luoghi degli scrittori
sono slati già raccolti dal Lipsie, li PAR III parmi
si debba interpretare par tridimm, e veneril, riturni.
Venga di nuovo, coi buoni auguriiaMaioQuinfpjen-
nale , un triduo di spettacoli uguale a questo. Ricor-
do simile acclamazione Maio Principi Coloniae [elici-
ter del programma gladiatorio dipinto sulla esterna
parete delle Terme.
Garricci.
APERTVRAMCOMMITTERE. Non sarà certo nò
resarcire , né reficere il senso della nuova e singoiar
frase. Io lo ricerco neìY aperire parielem, ianuam.cii
aperire ricum, donde origina V aperto paride ed il ia-
nuam aperuil della legge ult. et pen. D. de Servitut.
praed. urban , e l' operial ricum aperlum , tei cantra
della L. 1. D. De rivis. §. 11. 11 vocabolo apertura
era noto finora solo nel fraseggio legale de re testa-
mentaria : onde avevamo apertura testamenti , tabu-
larum, codicillorum L.3. § 20 D. des.c. silan. L. 91.
§ 1. D. de excus. L. 86. §. 1. D. De Legai. 1. etc. :
e qui il Committere, est proprie insimul mittere ( Pe-
sti p. 41. Miiller) , secondo Paolo.
LOCVS AGER. Ponendoci sott' occhio le defini-
zioni di questi due vocaboli lasciate nei loro scrini da
Ulpiano , da Modestino , dal Fiorentino , e da altri ,
presto ci accorgeremo quanto sia giusto il linguaggio
della tavola. Il luogo è una capacità determinabile dal
localo, e V ager è un terrreiio, che si coltiva. Lascio
slare le distinzioni di ager, e fundus, di'llo quali con-
tendono Lorenzo Valla, il Florido, e l'anonimo difen-
— 118 -
sore presso il Dukero, credulo da lui Giovanni Capel-
lo ( de latin, jurisc. vel. pag. 63. segg. ): cerio che
qui il locus ager ponesi in fundo, onde confermasi la
sentenza del Dukero p. 78, Falsum esse, quod diclal
Laureìiliits Vaila fundiim mimis quiddam esse, quam
agrum, et agro contineri ; lo che il Dukero deduce
dall' uso promiscuo di ager e fundus. Similmente es-
sendosi detto EI • AGRO , è chiaro , che il LOCVS
è poi aggiunto ad AGER, quasi a togliere qualunque
interpretazione evasiva della legge. Poco appresso no-
minasi soltanto LOCVS , indicando il sito ove pas-
sava lo speco , per quem locum , subve quo loco spe-
cus eius aqiiae iter inìt; e nel cippo nominasi l' AGER
soltanto. AGER VACVVS RELICTVS EST. Ager,
Locus è piìj volte ripetuto nei frammenti della legge
Toria.
MACERIA SAEPTVS. Che fosse la maceria, e di
quante maniere si costruisse è noto da un luogo di Var-
rune {ìì. R. 1. 14. 4.): Quarlum fabrile sepimcntum
eU notifsimum , maceria ; huius species fere qualuor
i^nod sit e lapide, ut in agro Tuscidano , quod e lale-
ì ibus coclilibus , ut in agro Gcdlìco , quod e laleribus
crudis , ut in agro Sabino , quod e terra et lapillis
compositis in formis, ut in Hispania et agro Tarentino,
Le frasi ARBORES MACERIIS INCLVSAE e MA-
CEKIAE NE DEMOLIRENTVR, e MACERIA TOL-
LATVR ( Front, p. 227. 229. ) della legge Quinzia
riguardano le difese dei fondi, e non questa specie di
maceria, che saepit locum agrum per quem locum, sub-
ve quo loco , specics aquae iter init ; dalla quale sic-
come da termine doveasi misurare lo spazio otto pie»
di incolli lungo il corso dell'acquidotlo: CIRCA EAM
MACERiAM QVAE AQVAEDVCENDAECAVSA
FACTA.
ITER INIT. Si paragoni il constltuers iter della legge,
Siqua aqua nondum apparel, eius iter ductus constitui
non potest, (L. 21. D. Si servit. i/nrf/cefMr), e Fron-
tino art, 122. Iter aquae coarclatur. e e. 65 p. 1 75
Ductus publici itinera suspendant; e questo luogo della
lapida di Viterbo pubblicata dal ch.prof.Fr.OHolinel
Bull, di corr.Arch.an.l.p.l75. ET EMANCIPATIS
SIBI LOCIS ITINERIBVSQVE EIVS AQVAE A
POSSESSORIBVS SVI CVIVSQVE FVNDI PER
QVAE AQVA 5«BDVCTA EST PER LATITVDI-
NEM STRVCTVRIS PEDES SEX. Anche ai tempi
di Diocleziano ricorreva la stessa frase , siccoraa si
legge in lapida romana PERPVRGATIS FONTIVM
RIVIS ETITINERIBVS EORVMREFECTIS(Grut.
178,6, cf. De Rossi, Le prime raccolte d'antiche iscri-
zioni etc. Roma, 1852, estr. dal G. Arcad, tom.127,
128. p. 143).
IRE FLVERE DVCI , ed alla linea 35. 36. DV-
CI FLVERE, poi alla 37, IT FLVITDVCITVR. Si-
mili locuzioni incontransi nel Se, della legge Quinzia
IRE CADERE FLVERE PERVENIRE DVCI. La
differenza legale dei tre verbi sta nel modo con che
l'acqua percorre uno spazio, nel quale o va natural-
mente IT , o fluisce , cioè va con moto apparente ,
scorre , FLVIT , o vi è condotta DVCITVR.
DEXTRA SINISTRAQVE CIRCA EVM RIVOM
etc. E son le parole , che leggiamo ripetute nei cippi
venafrani , l' un dei quali ho copiato io medesimo al
Puzzillo piccolo villaggio , che pare abbia avuto il
nome dai pozzi dell' acquidollo ;
IVSSV • IMP • CAESARIS
AVGVSTI- CIRCA EVM
RlVOM • QVI • AQVAE
DVCENDAE • CAVSA
FACTVS • EST • OCTONOS
PED ' AGER • DEXTRA
SINISTRAQ • VACVVS
RELICTVS EST.
Il prof. Momm. che dice di averlo trascritto nella
masseria di Civita nuova , lo stima probabilmente re-
stituito in tempo posteriore , perchè gli fa maraviglia
il VACVVS in vece di VACVOS in lapide augustea.
Ma il carattere è appunto augusteo (p. 50.), e cogli
stessi I lunghi , che sulla lapide delle leggi : inoltre il
VACVVS ora si è letto in essa pietra nel VACWM'
ESSE • PLACET (1. 23.), II lodato prof, Momm. al-
lega a confronto di questa la legge Quinzia del 743,
ove per altro prescrivoqsj quindici piedi VTRAQVE
EX PARTE circa fontes et fornices et muros, ma cin-
que soltanto incolli circa rivos ^ui sub terra asenl, <t
— 119 —
apecus , ttUra urhem , et extra urhem intra continentia
aedifcia. Questa disposizione dei quìiulici piedi nella
nuova legge data da Costanlino nei 331 dlG.C.fuc-
stesa anche ai rivi: Practerea scire pos oporlcl,pcr quo-
rum praedia ductus commeant, ut dexlra, laevaque de
ij)sis formis quindecim pedibus intermissis arbores ha-
heant. 11 prof. Monim. repula legge degli acquidolti
privati quella che prescrive circa aquam late decempe-
des(L.30.D.de Servitut. praed. rustie); ma la misura
medesima trovasi di poi ordinata ancora da Teodosio
il giovane intorno all' acquidotlo Adriano. Sancimus
mìcum publicum aquarum mdlis intra dcceni pcdes
arboribus coarclari , sed ex utroque lalere decempedale
spatium integrum ilUbalumque servari (L. 5. Cod. de
Aquaeductu). Così dagli otto piedi dei tempi Augu-
stei si sarà passato in seguito ad altra più larga misu-
ra , finché Costantino la determinò ai i o piedi. Non
ci è rivelato nella tavola il metodo tenuto a procura-
re Io sgombro di que' sedici piedi ; ma riportandosi
ai tempi della colonia , è facile intendere qualmente
reipublicae utilitate ea spatia vindicarenlur ( Frontin.
§.128.).
PER QVEM LOCVM etc. A queste disposizioni
corrisponde un secondo Se. del medesimo anno 743,
nel quale si provvede alla maniera di rifare , asse-
gnando r ager vacuus agli artefici aquae ducendae re-
ficiundae causa , e per trasportarvi i materiali , che
dovean prendere dal luogo più vicino , QVO PRO-
XViME POTERI! , dice la tavola venafrana, VNDE
QVAEQVE EORVM PROXIME POSSINT la legge
Elia del 743. E ciò tanto a risparmio di spesa, quan-
to perchè si evitasse l'incoramodo al proprietario del
fondo; e per lo contrario nel caso esposto da Pompo-
nio, (L. 11. D.Communia praediorum tam Urb. quam
Rust. ) colui che ha il dritto di derivar l' acqua vici-
no al fondo altrui, lo ha ancora di rifare il condotto,
onde si dispone , ut spalium rclinqual doìninus fundi
dextra ae sinistra , né però si dice se di dieci piedi ,
o di quanto debba essere detto spazio ; per la qual
ragione Pomponio scrive, che Si prope tuum fundum
jus est indù rivo aquam ducere tacita haec iam sequun-
tur , ut adire , qua proxime jwssim , ad reficiendum
eum ego, fabrique mei, passim (L. 11. §. 1. D. Com-
munia praed. Cam Urb. quam rustie. ) Ma niuna re-
strizione di uso è nella legge Elia, dicendosi in gene-
rale : PER AtiROS PUIVATOKVM ITLNEHA AC-
TVS PATEKKNT (Front, p. 212).
Poiché ho parlato dello spazio colto, e dell'incollo
accanto al corsi d* acqua , parmi luogo dire alcuna
cosa intorno all'uso dello spazio colto. Era costume
romano di dare in appalto le opere pubbliche ai 3/an-
cipes , o Redemptores, e i dazii vectigaìia ordinati alla
rifazione , e mantenimento di esse, ed alle paghe de-
gli uffiziali addetti, e dei servi pubblici (Frontin. art.
96). Ritraevansi questi dall'affitto dei pascoli e degli
edifizii appartenenti alla cura delle acqueiEa conslaitt
ex villis aedificisvc quae sunt circa ductus, aut castella
aut munera, aut lacus {id. Art. 1 18); che cosi leggo il
corrotto exolidifficisse del codice cassinese, col Cor-
radino (Corradin. de Allio Sex. lui. Frontini locade-
speratissima.Venetiis. 1742. p. 23.). Aggiugne la leg-
■ge quinzia il diilto di pascere lierbam , fvnum secare
etc. ap. Front, p. 226. Fransi perciò ordinali i ter-
mini ut constarei, quae esscnt ad liocvecligal pcrtineii-
tia loca (Front, p. 204.); due di questi furono già co-
piati da altri , ed uno ne ho trascritto io medesimo
ai PuzzilU ( V. il nostro Bull. p. 53 ).
11 prof. Mommsen che ne dà un' altra lezione trat-
ta dal mss. de Utris e dal B. Inst. p. 48. , crede, che
appartenesse a qualche rivo derivante dall' acquidot-
lo, forse per uso di bagno, e che pagava dazio annuo
all' erario municipale, e però legge VECtigalis, j). 59.
Io ritengo Vectigal col confronto della iscrizione di
Castro, VECTIGAL BALNEARVM, e perché simili
cippi terminali veggo essersi ordinati da M. Aurelio
e L. Yero, propter controccrsias, quae inter mercatores
et mancipes ortae erant, uti fincm dcmonstrarenl v«-
cligali . . exigundo. Creili 3347.
ADVEHERE . ADFERRE . Advehi're adportare-
que ea quae ad rem opus essent, scrisse l]lpiano(L.1.
§. 6. D. De rivisj ; Quae ad refectionem ulilia essent
adportanli, sono parole di antica legge riferita da Ve-
nuleio (L. 4. D. De itin. acluq. prlv.) ; TOLLI-SVMI •
PORTARI,TOIXERENTVR • S\ MEREXTVR- EX-
PORTARENTVR sono frasi della legge Elia.
QVAEQVE INDE EXEMPTA eie. Riguardasi eoa
120 —
ciò a non ingombrare altro suolo, che gli otto piedi as*
segnali già all'acquidollo, e così Pomponio nel caso ri-
ferito più avanli: Spalium relinquat, quo dextra et si'
nislra leiram, limum, arenam, calcem iacere possim (L.
c.).Ouindi il SINE INIVRIA CVIVSQVAM della leg-
ge Elia, meglio determinasi col giudizio Damn* ni/e-
cli. Paragona (L.3.§.9.D.De rivis). De damno quoque
infeclo cavere cum lì ebere , minime dubilari oporlet.
DVM OB EAS RES DAiMNI INFECTI IVS BA-
RI PROMlTrATVR eie. Vuole la legge, che i de-
cemviri attendano, prima di venire ai lavori intorno
l'acquidotto, che si dia la cauzione de damno in fe-
do ; ius dari damni infccli. ( Cf. 1' editto del Pretore
L. 1. §. 38. D. de aqua coltidiana): Quandoque de
opere faciendo inlerdiclum eril damni in fedi caveriju'
hebo. Qui il jus dari parmi adoperalo nel senso equi-
valente ad adionem dare, dare alieni jus h. e. facul-^
talem agcndi, conlra me, ex damni in fedi fob dani-
tium quod limelurj.
DMI NE OB ID OPVS FONS MINVCIORVM . .
IXVIVS FIAT eie. I lavori di restauro da eseguirsi all'
occorrenza, ed il materiale di trasporto, e di esporto
avrebbe potuto ingombrare sì fattamente il suolo, che
non riuscisse di passare al fonte dei Minucii; però si
avverte qui, che lascino il passaggio a coloro, che van-
no al fonte dei Miuucii. Per quel luogo medesimo ,
ove era il fonte, passava l'acquidotto Venafrano, onde
ii prescrive qui, che debba prestargli la servitù del li-
bero passo, I fonti prendevano talvolta nome dai pa-?
droni; Cali fons, dice Feslo, ex quo aquq petronia in
Tiberini fluii, didus, quod in agro cujusdam fuerilCali
(p,4^).Miilll'r). Cosi nella lapida dell'acquidotto diVi-
twbo illustrala dai ch.sig.prof.Orioli: MVMMIVS-NI-
GER VALKRiVS VEGETVS COiXSVLAR AQVAM
SVAM VEGETIANAM QVAE NASCITVR • IN .
FVNDO ' ANTOMANO MAIORE P • IVLII • VAR-
ROMS CVM EO LOCO IN QYO IS FONS EST
E.M ANCIPATVS dXXll eie, FONTE NOVO, e PVR-
GATO FONTE è nella Lap, di Caracalla,(Orelli, 52,
cf. De Rossi, le prime raecolle elc.p.35), e IlHriJN
Bl% TON ArnrON EnoXETETXAS è la frase
del lesto Greco della lapida Ancirana (C. 1.4040, 19).
NEVE Q D M • OPVS MINVS etc. Riesce alquanto
oscura questa parte del secondo divieto. È chiaro ,
che il Iransire non può aggregarsi ai verbi di signifl-
cato attivo, che gli vengono appresso; però non resta
altro scampo che di costruire le parti così: Neve quis
rede possit dolo malo transferre (ransvertere opus ex
agro suo in parlem agri , minus quam Iransire possit,
ovvero più semplicemente cosi ; in parlem agri qtiam
(parlem) minus transire possit. Nel secondo caso sa-
rebbe il minus posposto al quam, ove nella lapida in-
vece lo precede. II senso è, parmi, che non è lecito a
veruno col pretesto di restaurar l'acquidotto condur-
lo per altra parte del suo agro. Nello stesso modo Ul-
piano. — Proinde elsi per alium locumvelil ducere, ini'
puneprohibelur, [cioè rerte, jMrf),(L.l,§l l.D.De rivi).
NEVE QVI • • CORRVMPERE- ABDVCEREA^
VERTERE. Il Corrumpere in materia aquaria è di voi-
gar uso. CANALES VETVSTATE CORRVPTOS ET
DISSIPATOS, ha la lapida Reatina dei Larzieni (Mu-
rai.478. 1 .). Nel frammento di lapida del museo Discari
edito dal eh. amico sig. Gervasio, [Iscr. dei Luccei, p.
16), si parla di MEATV, e CORRVPTIONE onde
l'acquaFVERAT POLLVTA. Frontino poi all'art. 120,
Opera veluslale corruHi;)un<ur, ed all'art. 122, Tedoria
faquaej corrumpunlur (Front, p. 214.) ; e nel Senat.
Cons. del 743, OPERA PVBLICA CORRVMPVN-
TVR" ed i'ywy°^S vO'X'rùuv Itsi à.pX.'^térrirosdtxipQx-
p/cTas è nella lapida Ancirana (C. 1,4040, n. 17). Ma
nella legge Quinzia : QVICVMQ VE • • FORAVERIT '
RVPERIT • PEIOREMVE FECERIT QVOMINVS
EAE AQVAE eie., e nella costituzione di Costantino
Ne earum radices fabricae formam corrumpant (L.l.
6. De aquaed). h'avertere è ripetuto nella legge degli
Augg, Arcadio ed Onorio dell'anno 401, intorno aU
r acquidotlo Augusto in Campania : Si quis ntealum
aquae ausus fueril avertere,
(continua)
Gaiirccci.
P. Raffaele Garrccci d.c.d.g,
GjLLio 3^l^ERVI.^^ —Editori,
Tipografa di Giuseppe Càtaneo.
BULIETTINO ARCHEOLOGICO MPOllTAm
NUOVA SERIE
TV." 16.
Febbraio 1853.
Monumenti atmani. Scoperte di S. A. R. il Conte di Siraai'ia , continuazione del n. H. — Di alcuni antichi
oggetti diversi provenienti dalla Magna Grecia, dalla Sicilia, e da Roma. Da lettera del eh. ab. D. Cele-
stino Cavedani al signor Giulio Minervini. — Descrizione di alcuni vasi dipinti del real museo Borbonico.
Monumenti aintani. Scoperte di S. A. R. il Conte di
Siracusa — Contin. del n. /4.
Nella nostra (avola Vili. n. 12 abbiamo creduto
opportuno presentare una pianta del sepolcro , ove
ebbe luogo un sì curioso ritrovamento, la quale dob-
biamo alla cortesia dell' egregio Architetto sig. Fau-
sto Niccolini. Vcggonsi in essa segnati i diversi cada-
veri in quel modo appunto come si offrirono agli sguar-
di di coloro, ch'entrarono nel sepolcro. Lo scheletro,
che vedesi sul lato opposto alla porta aveva presso la
persona disposti i sei vasi di vetro, de' quali sopra ho
accennato: due di questi vasi della forma di una tazza
sono rossi con moUi fiorellini di colore più chiaro in-
seriti nella stessa massa del vetro, che vagamente li ador-
nano; due sono interamente verdi con cerchietti rilevati
fra loro concentrici, ed appariscono di maravigliosa leg-
gerezza, e di accuratissimo lavoro; finalmente l'altra
coppia di vasi, alquanto più profondi de'precedenti, è
di vetro bianco , e solo internamente adorna di fiori
dipinti nella massa del vetro, di un genere che non è
nuovo negli antichi monumenti. Veggasi a tal propo-
silo il Winckelmann [Slor. dell'arte lib. le. li §.
24-33, t. 1 p. 75-90 ed. Prato), il Buonarroti [os-
servaz. istor. sopra ale. medagl. proem. p. XVI e p.
437, 495 ; e nella prefazione dell'opera oiserv. sopra
alcuni framm. di vasi ani. di vetro), e principalmen-
te la dotta discussione del Sig. Raoul-Rocbetle fpeint.
ani. inéd. p. 379 e segg.), il quale non omette di ri-
cordare le pitture nel vetro del genere di quelle, che
si osservano entro le due bianche tazze del nostro cu-
mano sepolcro (p. 382 e seg. Cf. Schuiz negli annali
ANSO I.
dell' Fst. 1839 p. 98). Su questo medesimo cadavere
fu ritrovala la monetina di bronzo di Diocleziano, della
quale di sopra facemmo menzione. Presso a'due cada-
veri dalle teste di cera vedevasi il vasetto ad uso di scri-
vere ( atramenlarium ) , ed i residui di una cassetta di
legno con ornamenti di bronzo, contenente varii og-
getti del mondo muliebre, Ira'quali due aghi crinali
di osso ; più alcuni pezzetli di terracotta dorata , for-
se parte di una funebre collana (vedi la nostra osser-
vazione nel bull. arch. «a^j. an. Vip. 85), e due pic-
colissimi vasellini di vetro delia forma del cantharo?,
A compiere la narrazione di quanto ci è riuscito di
raccogliere sulle circostanze di un tale scavamento,
avverto che accanto alle due immagini di cera furori
trovate varie assicelle di osso della lunghezza di un
palmo all' incirca , ma molto sottili , e senza lavoro
alcuno. Il Sig. Fiorelli , a cui non è sfuggita una ta-
le particolarità , crede che servissero già di sostegno
a tenie , o ville , ed anche a più larghe zone di tela ,
che in qualche modo i volli delle due immagini copri-
vano ( pag. 4. ). Vengo ora a dir qualche cosa di
queste medesime immagini , che più di tuli' altro ri-
chiamano la nostra attenzione. Antichissimo era fra'
Greci il costume di proccurarsi ritratti di perfetta so-
miglianza per mezzo d'immagini di cera. Col più
fucile metodo , che fornisca la plastica , si ricavava
dalla fisonomia slessa la forma in gesso , e poscia si
eseguiva in cera il ritratto , correggendone tutte le
piccole inesattezze , che potcano ritrovarsi nel gesso,
a discapilo della perfetta similitudine del volto. Ecco
le parole di Plinio : Huminis autem imaginem gypso
e facic ipsa primus omnium (Dibutades) expressit, ce-
10
— 122 -
raque in eam formam gypsi infusa emendare insliluit
Lysislratus Sicyonius, fraler Lysippi, de quo dixlmm
(Histor. nat. lib. XXXV e. XII segm. 44, voi. V p.
172 ed. Siliig). E si noti che Plinio non fa alcuna di-
stinzione ; per nnodo che può credersi adoperato quel
metodo anche per proccurarsi i ritratti delle persone
viventi. Di non dissimile lavorio erano le /majmes ce-
reae de'Romani, le quali custodivansi in armadi! di le-
gno , nelle ale dell' atrio della casa , donde trasvansi
fuori o nelle festività , o per accompagnare i funerali
che avvenivano nella famiglia: anzi ne assicura Polibio,
elle talora adattavansi al volto di particolari persone,
le quali seguendo il funebre convoglio davan quasi
r idea che fossero gli estinti richiamati a novella vita
per fare al defunto onorevole corteo (Veggansi su tutte
queste cose Kirchmanno de funer. lib. II cap. 7; Ro-
sin. aniiq. rom. lib. 1 cap. 19: Raoul-Rochette pem<.
ant. inéd. p. 335 e seg., 342 e seg.; Visconti prefaz.
al voi. VI del museo Pio-Ciem.; Avellino descriz. di
una casa poni. 1837 p. 21 e 22. ; Quatremere de
Quincy Jupiler Olympien p. 36 e 37 ). Alla medesi-
ma classe di ritratti appartengono senz' alcun dubbio,
le due protome di cera del cuniano sepolcro ; delle
quali il Sig. Fiorelli ha già pubblicata la virile nella
sua tav. 1 , che noi riprodurremo in più piccole di-
mensioni in una delle tavole seguenti. Resta però da
spiegare il fatto isolato della mancanza de' cranii , e
della sostituzione delle immagini ad essi. Il problema
sembra di dilTicile soluzione ; ed io mi accingo a dar-
ne una qualunque siasi dichiarazione (I).
In alcune quistioni si fanno notevoli passi per la ri-
cerca del vero, quando si procede eliminando quello
che non è possibile ; giacché riducendosi il giudizio
umano fra' limiti di que'soli casi, che non contrasta-
no con difficoltà insuperabili, si vede tostamente con-
dotto sulle tracce della verità , la quale talvolta spon-
taneamente si offre agli sguardi di chi la ricerca.
Io dunque comincerò dall' esaminar la possibilità
delle opinioni finora proposte, o che potrebbero pro-
porsi ; dopo di che metterò in veduta una mia con-
(1) Questa nostra dichiarazione fu comunicata alla reale accade-
mia Ercvlanese nella loruala de' IS del coireute.
ghieltura , della quale lascerò valutare a' dotti la pro-
babilità.
Il Sig. Fiorelli, nella citata recente pubblicazione,
pensò che il fatto non potesse altrimenti spiegarsi che
supponendo la inesistenza delle teste nel momento, in
cui tutti quei cadaveri furon sepolti. In conseguenza
da questa idea sospinto pensò ad una famiglia cristia-
na, la quale ne' tempi dell'ultima persecuzione meritò
1 palma del martirio.
Io non saprei facilmente accostarmi ad una tale in-
gegnosa opinione ; e me ne allontana principalmente
la perfetta mancanza di qualunque simbolo , che ri-
cordi il cristianesimo nella tomba cumana, della qua-
le ci occupiamo. So molto bene che non poche volte
ritrovaronsi monete d' imperadori ne' sepolcri de'Cri-
stiani fino ad un' epoca molto posteriore (Raoul-Ro-
chelle Irois, mém. sur les anliq. chréi. p. 224 segg. );
ma sarebbe strana cosa l' imaginare , che i parenti ,
gli amici, o icorreligionarii de' sepolti volessero ador-
narne la tomba con una moneta ritraente la effigie di
quel mostro, che U avea fatti martoriare ed uccidere.
A ciò si aggiunga, che se le monete e gli altri orna-
menti furono rinvenuti in sepolcri cristiani , dovreb-
bero sempre additarsi gli esempli pe' sepolcri de' marr
tiri. E dall' altro lato sembra impossibile l' imaginare
che non si fosse messo alcun istrumento di martirio^
verun segno di questa notevole onoranza della vita in
una tomba , ove ben quattro corpi si collocavano di
confessori della Fede: sembra del pari impossibile a
credere che raccor si potessero i corpi, e nessuno dei
cranii ad essi pertinenti. Se verun indizio di cristia-
nesimo , o di martirio ne facesse distinguere i corpi
de' generosi campioni della Fede, ben mille volte ne
disperderemmo all'aria le ceneri, ne getteremmo nel
fango le sante ossa : e ciò non poteva non essere pre-
veduto da que' zelanti amici o congiunti, che ebbero
il pensiero, col proprio pericolo, di seppellirli. É poi
conosciuto che i particolari prestavano i proprii fondi,
per la sepoltura de' martiri : recare i cadaveri nella
necropoli pagana sarebbe stato lo stesso che accrescere
il pericolo di essere scoperti e perseguitati: sarebbe stato
lo stesso che esporre i corpi de' martiri alle irriverenze
de' loro nemici , piuttosto che strapparli dalle loro
— 123 -
mani. Che se trovansl talvolta Cristiani sepolti in tombe orecchie della lesta di cera, di che discorriamo, sono
pagane, questi fatti devonsì riportare almeno al quarto tanto ampli, che può loro ben convenire l'iperbolico
secolo dell' era volgare , quando già la Chiesa aveva sinonimo di fcneslrae : e pare che dal medesimo luogo
ricevuta la pace , né più la infestavano le empie per- di Giovenale si ricavi l' uso di più fori ad un solo orec-
secuzioni. Se pare improbabile la ipotesi del Signor chio, dicendosi in aure fmeurae; la qual cosa potrebbe
Fiorelli: vediamo se regge ad una sana critica la sup- unicamente convenire ad uomo di orientali costumi;
posizione che si tratti di condannati a' quali fosse sta- Supposti Persiani o Alessandrini , si spiegherebbe
ta tronca la testa. Questo supplizio era molto comune ancora la sostituzione delle teste di cera : pe' secondi
neir antichità, specialmente nel caso di odii di parte, dal rammentare che immaginette di cera , benché
o di delitto di maestà. Frequentissimi sono gli esempì di diverso genere, furono pur rinvenute in tombe
raccolti dagli scrittori, fra' quali sene trovano parec- Alessandrine. In quanto a' Persiani , è importante il
chi, che ci offrono ora teste corrotte e quasi distrutte ricordare essere generale costume di quelle popola-
su pali , a cui furono alfisse; ora recate finanche in zioni ungere di cera i corpi de' loro cadaveri (v. sopra
lontani paesi, per esser mostrate a coloro che ne bra- p. 1 07). Se dunque non potettero adoperar questa prat-
mavano la morte (Vedi Gebhard ad Cornei. Nep. tica, per essere in qualunque modo distrutti o dissipati i
Alcib. p. 132 not. 7 ed. Lugd. Balav. 1728; e Dem- craniidiquei cadaveri, vi supplirono con teste di quella
pstero Elruria Reg. lib. II. e. LII. p. 216 seg.). Va- medesima materia formate, che apparir doveaall'ester-
gheggiando questa idea potrebbe ricordarsi che sotto no: vi aggiunsero gli occhi di vetro a compir laillu-
Diocleziano imperadore vi fu asprissima guerra contro sione, ricoprendo forse il capo di tiara, ed il corpo di
i Persiani e contro gli Alessandrini: e quindi non sa- altre vestimenla, delle quali non rimase alcuna traccia
rebbe strana cosa l'immaginare il supplizio subito da alla tarda posterità.
una famiglia di quelle regioni domiciliata per avven- Né si dica che la totale mancanza de' cranii all'epoca
tura in Cuma , per sospetto o per delitto di tentala della sepoltura avrebbe impedito di esprimere la fiso-
sedizione, nel maggiore accanimento dei Romani con- nomi a di quegli estinti; giacché potevano prendersi
tio la nazione a cui essa apparteneva. Varie ragioni da busti marmorei precedentemente scolpiti ; o tenersi
possono afforzare una simile conghiettura, varie op- in casa belli e formati , mentre erano in vita coloro
posizioni possono dileguarsi. Gli scheletri della tomba che n' erano rappresentati. È facile poi dileguare la
cumana potevano essere di Alessandrini o di Persiani? opposizione, che trar si potrebbe dal vedere con tutta
-Osservando diligentemente la testa di cera salvata dalla diligenza sepolti uomini condannati nel capo. Già le
distruzione, si scorgono ambe le orecchie forate, ab- romane leggi provano, che non dinegavasi loro la se-
benchè sia virile. Non nego già che gli orecchini fos- poltura. Dice Ulpiano : Corpora eorum qui capile la-
sero talvolta adoperati anche da' Romani, e da'Greci, mnanlur, cognatis ipsorumneganda non Sìtnt ; e sog^iu-
ma ritengo che un tale ornamento a tutte due le orec- gne: el nonnumquavi non permillilur , maxime maje-
chie è più conveniente a popoli asiatici ed orientali ; s(alis causa damnalorum (Dig. lib. XLVIH. tit.XXl V.
per modo che furono in uso appo di loro si fatlamente, 1. 1 ) : dal che viensi ad indicare che per solita regola
che da' fori delle orecchie venivano liconosciuii. si permetteva anche a* ribelli l'onor del sepolcro. Né
Così da entrambe le orecchie forate fu ravvisato diversamente il giureconsulto Paolo ne insegna; cor-
ner non greco quell'ApoUonide da Agasia presso Se- pora animadversorum quibuslihet petenlibus ad septd~
nofonle (àSa|3. lib. I. e. 1, 31). E così pure in epoca ttiram danda sunl (ibid. 1. 2. ). Ma più iniporlanle al
più recente dicea Giovenale : presente caso è un editto di Diocleziano, e di Massi-
Natus ad Euphratem, molles quod in aure fcneslrae miano del 290 , col quale venne permessa espressa-
Arguerinl (Sai. I. v. 104). ' menle la sepoltura ai cundannati : obnoTÌos crimimiìH
E si noli che i due fori praflicali in ciascuna delle due digno snppìicio siibjectos sepidturae tradì non velamus
\2\
( Cod. lib. Ili , lit. 44 1. 11 ). Per le quali cose non
dovrà sorprendere affatto , che persone , le quali su-
birono la pena capitale, anche per delitto di sedizione,
fossero state tranquillamente seppellite.
Qualunque sia il valore archeologico della esposta
conghiettura , non debbo tacere che molte difficoltà
storiche la rendono meno plausibile. Supposta proba-
bile la esistenza di una o più famiglie orientali in Cu-
nia , non altrimenti che nella vicina Pozzuoli ; riesce
oltremodo strano che da lor si tentasse una sedizione
nel tempo delle guerre de'Romani in Persia o in Ales-
sandria , per cui a ben quattro individui s' infliggesse
nello stesso tempo il supplizio. Non era già una po-
polazione intera , che sperar potesse la vittoria ; ma
si trattava di poche persone soggette al potente dominio
di Roma. E pure in questa ipotesi di un avvenimento
non provato, ed in certo modo improbabile, sarebbe
strana cosa la perdita totale de' quattro crani! ; spe-
cialmente trattandosi di persone di non grande impor-
tanza, e certamente tali che non richiede vasi la pre-
sentazione delle loro teste , per assicurarne la morte.
Se dunque non accontenta pienamente l'umano ra-
ziocinio la doppia ipotesi Uel martirio subito da Cristia-
ni, o della condanna inflitta a delinquenti, rimarrà ne-
cessariamente provalo che i cranii furono tolti a' cada-
veri per tutt'altra ragione, e probabilmente dopo la loro
sepoltura. Ma per quale motivo? Ecco quello appunto
che vengo brevemente a proporre. Fra i delirii della
gentilità , ve ne fu uno, che è un misto di stoltizia e
di empietà : dir voglio la magia. Fralle nefande ope-
razioni di coloro , che dedicavansi a' sortilegi! , eravi
anche quella di penetrare nelle tombe degli estinti , dì
tagliare a pezzi i cadaveri, per usarne a prò delle loro
vane ed irreligiose pratiche. Leggiamo in Apulejo: Sed
oppido formido caecas et inevitabiles lalebras magicae
disciplinae. Nani ne mortuorum quidem sepulcra luta
dicuntur: sed ex bwilis et rogis reliquiae quaedam, et
cadaverum praesegmina ad exiliahiles viventium for-
tuiias petunlur. Et cantatrices anus in ipso momento
choragii funehris praepeti celerilate alienam sepulturam
anlevortunt. [Melam. lib. II. 33, s.t.I.p.l39a. Oud.).
Lo stesso Apulejo descrive altrove una magica offici-
na : e fralle varie parti di cadaveri preparale all'eser-
cizio di quella superstiziosa follia, rammenta i duri
teschi d' infelici morti. Prìusque apparatu solilo in-
slruit feraìem o/Jicinam, omne genus aromatis, et igno-
rahiliter laminis lilteralis, et iufelìcivm Manivv
DURÀNTiBus cALVis: defletorum, sepultorum etiam ca~
daverum expositis mullis admodum memhris. Hic na-
res et digiti, iìlic carnosi davi pendentium: alibi truci-
datorum servatus cruor, et extorta denlibus ferarum
trunca calvaria (Ibid. 1. III. 34,s.p.20o s. Oud.) (I).
Racconta Giovanni Salisberiense che in Antiochia si
trovarono moltissime casse piene di teste umane, ser-
vite alle infami prattiche del mago Giuliano : In An-
tiochia quoque arcas in Palatio plurimas humanis ca-
pilibus plenas invenerunt, et demersa puteis innumera
corpora morluorum'[nugar. curici, lib. VIII e. XX):
ed altri esempli di violazione di sepolti cadaveri per
uso di magia si trovano in S. Girolamo ( in Daniel.
t. IV f. 497), in Porfirio [de abslin. ab animai, lib. II.
f. 33.) , in Stazio ( Theb. IV. 510 segg.), e nel citato
luogo di Lucano , il quale rammenta coloro che aiu-
tavano le empie operazioni
.... fidi scelerum, suelique ministri
Effractos circum tumulos, ac busta vagati eie.
( Phars. VI, 573 s. ). Queste operazioni tenebrose e
malvagge della magia danno a nostro giudizio la piùi
plausibile spiegazione del novello fatto archeologico.
E per verità una tomba ben vasta, con quattro cada-
veri, con lavori di vetro di una certa eleganza , non
contenendo alcun oggetto di valore, ci facea dubitare
che fosse stata perquisita anticamente da quella classe
di ladri degli antichi sepolcri, che ruixfiMpvxpi veni-
vano con greco nome appellati. Ora siamo persuasi
che altre piìi infami persone insieme colle teste de'se-
polti, rapirono tutto ciò che di prezioso era nella sup-
pellettile , o negli ornamenti conservati nel sepolcro.
Potrebbe immaginarsi , che quella sostituzione di
protomi di cera fosse stata fatta posteriormente (2), al-
(1) Noi abbiamo ritenuta la correzione del Lipsio , che ci sem-
bra la più ragionevole. Del resto il luogo di Apulejo soggetto in
tutte le sue parti a varie interpretazioni si spiega mirabilmente
col confronto di Lucano (Phars. VI, 507 segg. ); siccome mostre-
remo in altra occasione.
(2) Non ci sembra fondata la osservazione di Winckelmann (pierr.
de itoseli p. 217 n. 1315) sulle nias<;bt:re deposte ne' sepolcri in-
— 12:;
lorchè nel riporre i nuovi cadaveri, si avvidero della
brutta mutilazione de' due capi. Né dee parere mara-
viglioso che la medesima mutilazione subissero i nuovi
sepolti, potendosi esser presa di mira una particolare
famiglia per particolari superstizioni, le quali noi ri-
fiutiamo di andare indagando. Ovvero il sepolcro fu
violato, quando già i quattro cadaveri vi erano stati
riposti ; e fu scoperto il delitto nel sepellire qualche
servo, di che può giudicarsi esser le ceneri delle cinque
olle mortuarie disposte ne* diversi loculi in giro.
Questa spiegazione vien confermata da un'alira sco-
perta , ch'ebbe luogo non ha guari in altro cumano
sepolcro : vo dire di una di quelle laminetle di piombo
relative a magiche esecrazioni, le quali sotto il nome
di ;c«raS/ffs/s , e defixiones soa conosciute. Questa è
posseduta da S. E. il Cav. Tempie in Napoli , e fu
pubblicata dal Sig. Henzen , f annali dell' hi. 1846.
pag. 203. seg. ) poi riprodotta dal Franz ; ( nel corp.
inscr. gr. voi. III. p. 756 e seg.) ed io slesso vi feci
alcune osservazioni in altra pubblicazione fBall.arch.
nap. an. VI. p. 66 segg. Di simili laminette di piombo
ritrovate in sepolcri dell'Attica, vedi Boeckh e. inscr.
gr. n. 538, 539, e le cose da lui dette; non cheHein-
sio ad Ovid. amor. III., 7, 29). Da molte ragioni si
manifesta che questa laminetta di piombo appartiene
al secondo o terzo secolo dell' era cristiana ( Henzen
/. e. p. 214 ; Franz. /. e. ) ; cioè intorno a quell'epoca
appunto, in cui si trova il corrispondente fatto de' rapili
teschi da un altro cumano sepolcro. E certamente
questi due fatti del tempo medesimo e nella medesima
Cuma si danno una scambievole luce. Più antica è una
laminetta di piombo con imprecazioni ritrovala in que-
sti ultimi tempi ne' sepolcri romani della via latina ( v.
il eh. p. Marchi nella Civiltà CatloUcayUl, 243 seg.),
sulla quale il Sig. Cav. de Rossi ha fatto alcune dotte
osservazioni [bullett. dell' Ist. 1852 p. 20 e seg.). Or
questa lamina appartiene al piìi tardi all' ottavo secolo
di Roma (v. de Rossi Le. e Cavedoni nello stesso bul-
/f«inop.l35 e seg.). Si pruova quindi che queste ma-
gie per ra ezzo de'morti già si usavano in Roma in quei
iieme co' cadaveri. Del resto vedi su di cib il sig. Raoul-Roch«lt«
( Irois. meni, sur les ani. chr. p. 130 s.).
tempi. Si trae lo stesso da ciò che racconta Tacito di
Pisone; nella cui casa furono rinvenute simili incanta-
gioni : Et reperiebanlur solo ac parielihus erutae hii-
manorum corporum reliquine , carmina et devotiones ,
et nomen Germanici plumheis tabulis inscuiptum etc.
(Annal. II. , 69 : cf. Dione Cassio LVII. 18). Note-
volissimo è questo fatto, perchè non altrimenti che il
citato passaggio di Apulejo , ravvicina le tavolette di
piombo , alle violazioni de' sepolcri : come i due ri-
trovamenti cumani esser denno tra loro ravvicinati.
Ci sembra importante l' annunzio dato da' chiaris-
simi P. Secchi e cav. de Rossi del ritrovamento di
laminette di oro , o di altri men nobili metalli , con
iscrizioni, nella bocca di teschi di cadaveri, rinchiusi
in urne di terracotta [bullett. dell' Ist. IS^ì p. 151-s.).
E ci riserbiamo di farne il confronto co' monumenti
cumani quando ci sarà dato di averne una pili parti-
colareggiata notizia.
Queste poche cose ho creduto di dire sulla singo-
larità di un fallo così nuovo e curioso. In qiMlun(|ue
caso, abbiamo sotto gli sguardi il primo esempio dei
rilratti in cera, delle notissime imaijines ccreae, ed un
altro argomento delle superstiziose idee degli antichi ,
e di una delle loro empie follie nelle nostre regioni.
f continua J
MlNERVIM.
Di alcuni antichi oggetti diversi provenienti dalla Ma-
gna Grecia, dalla Sicilia, e da Roma. Da lettera
del eh. ab. D. Celestino Cavedoni al signor Giulio
Minervini.
Non saprei come meglio festeggiare un evento si
fausto e felice (la comparsa della nuova serie del bui-
lettino archeologico napolitano ) , che nel darle rag-
guaglio di alquanti oggetti antichi provenienti di re-
cente dal sempre ricco emporio del Regno delle due Si-
cilie, e recali in Modena mia, parte dall' ottimo nostro
Principe 1' Arciduca Francesco V d' Austria-Este ,
parte da un negoziante di anticaglie, e parte da altri.
Fra gli oggetti antichi , che S. A. R. riporlo dal
suo viaggio in codeste felici contrade , le accennerò
— 126 —
da prima un bello intaglio in piccola corniola di for-
ma ovale , rappresentante uno Sparviero posato so-
pr' esso un ramo di palma , con laurea nel becco , e
con lo pscent Egizio in sulla testa : sopra l' estremità
superiore del ramo di palma vedesi posata una far-
falla. Questa gemma probabilmente proverrà dalle
parti di Catania, ove suole trovarsi copia singolare
di antichità Egizie (Eckhel T. I , p. 204). Fra le me-
daglie riportate da S. A. R. primeggia un bellissimo
aureo di Cerone II, nel quale mi riesce nuova la spiga
accompagnata dalla lettera <t di retro alla testa di Pro-
serpina inghirlandata di due spighe fogliute. La figura,
che nel riverso guida la biga in tutta corsa , parmi
vestila di ampia e lunga tunica cinta , non alle reni ,
ma verso il petto (cf. Trésor de num. Rois Gr. PI. I, 9).
In un didrammo di Velia col simbolo della triquetra,
posta di mezzo alle lettere ^ I, ciascuno de' tre cal-
cagni di essa è fornito di ala (cf. Carelli, tab. CXXXIX,
42). In altro di Metaponto (cf. Carelli, tab. CLVII,
n. 130) da una parte è la solita spiga, con la scritta
META , e dall' altra una figura virile ignuda stante
di prospello, e riguardante a sinistra, con clava nella
d. inclinala in sull'omero , e con la s. applicata al-
l'anca , lenendo, come sembra, un arco sctlico. Pare
adunque così ritratto un simulacro d'Ercole, anzi che
di Teseo o d'altro eroe (cf. Carelli , op. e. p. 83 :
Avellino, It. vet. num. T. II , p. 13, n. 21 ). Fra le
venti monete di rame Sicule, riportate da S. A. R. ,
ve ne avea una piccolina col tipo del Cabiro od Er-
cole- Pateco Fenicio ripetuto nel riverso , con lettera
Fenicia che somiglia ad un O ( f. Ain ) ; e ciò mi
parve notevole perchè il eh. Raoul Rochelte f'A/ercM/e
A<syr. [>. 365-372) mostra dubitare , che in Sicilia
Irovinsi di colali monete di sede tullor controversa ,
restando in dubbio se spettino a Cossura , o alle Ra-
leari o ad Ebuso. V erano pure due assi romani di
bello stile Greco con la testa di Giano bifronte nel
litio e con laurea nel riverso , entro la quale a pena
resta qualche vestigio di lettere. Uno di essi, benché
logoro , pesa sette grammi , e l' altro oltrepassa di
poco i sei grammi : lo che torna iu conferma dell'av-
viso del eh. Borghesi (v. la mia Num. Bibl. p. 131-
132), che colali assi , del peso di un sicilico o sia
di un quarto d' oncia, fossero impressi io Sicilia dopo
r espulsione di Sesto Pompeio.
Colle monete di bronzo ben si connette una sta-
tuetta dello stesso metallo, alta otto centimetri, rap-
presentante ima donna vestita di lunga tunica , che a
pena le lascia scoverta la punta de' piedi calzali, con
cintura soll'esso le mammelle, e con manto che d' in
su l'omero s. le ricade dietro la schiena e la ricinge
tutta a mezzo la persona, andando coll'allra sua estre-
mità ad avvolgerle l' avanbraccio s. Ella ha nella
mano s. alquanto prolesa e supina un pomo , o globo
che dir si debba , e tiene la d. applicata al fianco in
alto di riposo o d' impero. Pare Venere vincitrice col
pomo , ovvero l' Eternità col globo in mano , come
congetturar si può dal riscontro de' tipi delle donne
Auguste de' tempi degli Antonini : e l'acconciatura
della chioma , raccolta in nodo nel vertice del capo,
assai somiglia a quella di Faustina seniore.
Fra gli oggetti di terra cotta basti pur ricordare
una bella testina di donna, alquanto inclinata a s. con
la chioma raccolta in nodo al di dietro ; ed un ma-
nico di anfora con la seguente marca impressa nella
parte sua superiore presso la bocca del vaso, in lettere
greche di bella forma che sembra appellare a' tempi
di Agatocle o di Cerone II :
EPI KAAAIKPA
TET-S (sic)
AÀAIOT
Fra le copiose epigrafi analoghe di figuline Sicule
riportate nel Corpus Inscr. Gr. (T. Ili, p. 67.O-680)
non trovo , che in altra si combini il nome del ma-
gistrato Caìlicrate col mese Daìio o sia Delio. Sarebbe
tornalo interessante conoscere la località, donde pro-
viene questo frammento di figulina Sicula; ma chi ac-
compagnava il Duca nostro nel suo viaggio non seppe
dirmi allro se non che forse fu acquistata a Pozzuoli.
Fra diverse anticaglie , che seco recava un certo
Coltellini di Cortona, proveniente da Napoli, mi par-
vero degne di qualche considerazione le seguenti. Due
spirali di filo piallo di bronzo , l' una a venticinque
giri, benché non integra, e l'altra pur rolla a giri
più larghi mn di minor numero. Pare che servir po-
tessero di armatura e riparo alla gamba ed al braccio
127 —
di un combattente, e segnatamente di un gladiatore;
sì che l'una forse dir si potrebbe manica e libialeViìl-
tra (cf. Henzen , Musiv. Burghes. p. 40, tab. I, IF,
VII: Marini, Arv. tav. a p, 165: Ercol. e Pompei,
Bronzi tav. 75 ), Un colatoio , ovvero mestola da
schiumare con un giro di forellini nella parte sua sco-
dellata , e con foro più largo nel centro. L'estremità
del manico , invece di ripiegarsi verso la parte infe-
riore, come nelle odierne mestole nostre , s' inflette
da un lato e prende forma come di chenisco. Anche
essa è di bronzo , o rame misto ad altro metallo (cf.
Minervini , Mon. ined. Barone , tav. XI : Ercol. e
Pompei , Bronzi tav. 68 ).
Ricorderò pure tre pezzetti d'ambra di colore co-
me di mele (cf. Plin. XXXVII, 12), ma ricoperti
di un' efflorescenza o tartaro bianchiccio. Uno di essi
è lavorato a foggia di piccolo clipeo macedonico , or-
nalo di un globetto di vetro incastrato nel centro; al-
tro ha figura come di pelta tracica ornata di foglia-
mi ; e r altro ha forma di piccolo priapo ( xl^oTov ) ,
cui stranamente è congiunto , ed inserto per mezzo
di un anello, lo scroto fatto di bronzo nerastro. Tutti
e tre questi pezzetti , e segnatamente l' ultimo , pare
servissero di amuleto, giacché, a detto di Plinio (H.
Nat. XXXVII , 12); succinum infaniibus adalligari
amuleli ratione prodesl ; urinae difficultalibus potum
adalli gatumque (prodesl).
Il pezzo più bello , seco recato da Napoli , che si
avesse il suddetto Coltellini, si è una statuetta fittile,
\uota neir interno , con foro nella base , e con altro
nella parte sua posteriore , fatto, come pare, perchè
meglio riescisse la cottura, e con tracce di colore rosso
in alcune parti. Essa dicesi trovata nelle vicinanze di
Pompei, non so con quanta probabilità. Rappresenta
un putto paffutello , alto circa un palmo, che stassi
mezzo accosciato, piegando fin quasi a terra il ginoc-
chio suo sinistro , tenendo un frutto , od altra cosa
tonda, nella mano sua d. posata sopra il ginocchio pur
d. ed abbracciando nel tempo stesso caramente colla
s. un cagnolino pomerano che tutto festoso , con la
coda attorcigliata, protende il muso verso il petto del
fantolino come in atto di leccare o succhiare la tenera
di lui mammelletta. 11 putto, del resto ignudo, ha un
piccolo manto, che gli ricade dietro le schiene e che
nelle sue due estremila resta sostenuto dalle braccia
del putto medesimo. O"fslo ha inoltre la corta chio-
ma ricinta da tenue tenia , o filo che sia , ed un giro
di globellini attorno al collo , che creder poirebbesi
di coralli : tanto più che , a detto di Plinio (II. Nat.
XXXII. 11), surculi fcuraliij , infantiae adaltiga-
ti, tulelam hahere creduntiir , ed il corallo nasceva
pure ante Neapolim Campaniae fibidj. Del resto ,
questa graziosa terracotta forse servì dì trastullo a
quel fantolino, e come cosa ad esso lui cara fu ripo-
sta con lui nel sepolcro ; e se fu appositamente fatta
per lui, può credersi che ne rappresenti le nati\ e
sembianze.
Da ultimo , per darle pur anche qualche novità
epigrafica, le trascrivo due epitafì, che diconsi di re-
cente scoperti negli scavi della Via Appìa , e che in
originale mi furono , fuor d' ogni mio merito, recati
da Roma in dono da mano gentile e cortese.
1.
A • IO •
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KAI CCMMI
KATA nAN
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MNHMIIC XAPIN
Stela di marmo alta 36 centimetri, larga 22 e pro-
fonda 9 , con largo foro rotondo verso la sommità ,
fatto per servirsene in altro uso, che ha guastate quasi
per intero le prime quattro righe. Le lettere sono di
bello e profondo intaglio , e per la forma sembrano
da riferirsi a' tempi degli Antonini. Supplendo le let-
tere perdute pare potersi intendere, che questo umile
cippo fu da L, lunio o lulìo Zosimo apposto al sepol-
cro di lunia o lulia Paeonopide , sita onoratissima
consorte, e in tutto onesta, per tramandarne lamemo-
ria ai posteri. Le lettere finali ni della i linea e l'H
finale della 5 , sono assai più piccole delle altre , e
così pure tutte quelle dell'ultima. In fine della penul-
— 128 —
lima è notevole la lineetta orizzontale , che verso la
estremila sua s'ingrossa un pochino e ripiegasi allo
ingiù , forse per riempiere un piccolo spazio rimasto
vuoto ( cf. Franz , El. epigr. Gr. p. 375 ). La scrit-
tura EnoHCeN per EIIOIHSEN trova riscontri ana-
loghi in altre iscrizioni Greche di Roma e suoi din-
torni (v. Corp. I. Gr. n. 6510, 6525, 6562, 6630).
I molti Giuli! e Giulie d'altri epitafli Greci di Roma
(Corp. I. Gr. n. 6573-6592) rendon più probabile
il supplimento IOi;XIOC di quello che l'altro lOuflOC.
2.
MESSIAE FELICVLAE
CONIVGI • R • M
IVLIVS • lANVARlVS
Parte superiore di una lapida di marmo, larga cen-
timetri 30 , ed alta 22 ; che nella sua primiera inte-
grila poteva essere alta il doppio ed anche più. Se
questa lapida ci fosse pervenuta integra , chi sa che
al disotto non ci si vedesse delineata una gattina, FE-
LICVLA , allusiva al nome della defunta , come in
quella di Calpurnia FELICLA riportata dal Fabretti
(Inscr. cap. Ili , n. 423, p. 187)?
Modena 26 dicembre 1852. C. Cavedoni.
Descrizione di alcuni vasi dipinti del real museo Bor-
bonico. Continuazione del n. li.
Certamente una simile statua di Omero vedeasi nel
portico alla destra del tempio de' Tolommei , come
assicura Luciano [Demost. encom. 1, 2); ove presta-
vasi ad essa un religioso cullo. Le figure, che fregia-
no la edicola nel vasodiCanosa,e che per esser lulte
<li bianco riputar si deggiono monocromi , o bassiri-
Iie> i , non disconvengono ad omerico monumento. In
fatti il vecchio sedente , sul capo del quale mirasi
sospeso un conico pileo , riputar si dee Ulisse ; ed il
giovine , che a lui si presenta con l' asta , giudicar si
potrebbe lo slesso Achille: i quali essendo i due prin-
cipali eroi della Iliade e della Odissea valgono suffi-
cientemente ad indicare que' due famosi poemi. Che
se alcuno dimandar volesse come mai si ritrovino fra
loro in rapporto que' due omerici eroi, ricorderò che
nelle Kt;7rg/« si riporta che Achille dopo la morte di
Tersile recossi in Lesbo per essere ivi purificalo dal-
l' Ilacese ( Phot. exc. ex cod. CCXXXIX et Prodi
Chreslom. ). Un' altra particolarità ci sembra degna
di considerazione nella omerica tomba; ed è l'orna-
mento ad onda , che ne fregia la base. Non negherò
che questo ornato, frequentemente adoperato ne' vasi
dipinti , aver potrebbe una generale intelligenza ; ma
nondimeno, a mio giudizio, offre una particolare ap-
plicazione ad Omero. Probabilmente farà allusione
al fiume ilfeies, presso del quale diceasi nato Omero,
e di cui faceasi quasi figliuolo nella mitica leggenda ;
per lo che venne denominalo Melesigene ( Hom. vita
cap. 3 ; Pausan. lib. VII e. 5 ; Himer. ed. XIII §.
3 1 ; Philostr. Vit. Soph. dedic. ; Lucian. Demosth.
enc. 9 : vedi ciò che scrive su questo nome il Lelrou-
ne negli annali dell' hi. 1845 pag. 309.). Questo
medesimo rapporto è varie volle indicato nelle me-
daglie , sulle quali al rovescio della lesta di Omero è
il fiume dichiarato dal proprio nome, e recando tal-
volta in mano la Ura (Eckhel doctr. l.IIp.385 e 560),
forse non senza allusione al fxsXos , simboleggiato da
queir istrumento. Per chiudere le nostre osservazioni
su questo primo vaso, noterò che l' apoteosi di Ome-
ro diversamente significata ed espressa in altri monu-
menti, nel nostro vaso di Canosa trovasi indicata al-
tresì dalla donna che a lui si appressa recando con
ambe le mani un vaso : o che questa sia intesa ad
onorare il cieco poeta con vaso da sagrifizio , o piut-
tosto che a lui presenti la divina bevanda dell'Elisio.
Comunque voglia interpretarsi questa particolarità,
ognun vede quale strettissimo rapporto esiste fra l'una
e l'altra faccia di questo importantissimo vaso.
MlNERVlNI.
P. Raffaele GAnnccci n.c.n.e.
GiDLio MfNEBViNi — Editwi.
Tipografia di Giuseppe Catàseo.
BILLKTJ
N.' 17.
ARCHEOLOGICO IVAPOLITA^O.
NUOVA SERIE
Marzo 18Ò3.
Monumento di arcliilctlura eintfica in Capila (S. Maria). — Il Peui-oikilu omerico in scpolno rumano. — Sulla
pretesa coppia di Consoli Q. Cecilio e M. Bennio. — Topografia delle spiagge di Baja graffila sopra due
vasi di vetro. — Osservazioni sullo slesso argomento.
Monumento di architcìiura etnisca in Capua
(S. Maria).
Il moniimenlo sepolcrale di Capua , dei quale fa
qui luogo discorrere , è non meno prezioso per inte-
grila, che maraviglioso di struttura. Sarà cosa di gran
rilevanza per la scienza, che dopo la scoperta di epi-
grafi etrusclie nel territorio Campano occupato e do-
minato dagli Etruschi, possa ora mostrarsi anche un
monumento di arte , e questo dello stile più arcaico,
a pienamente distruggere i dubbiì del Niebhur.
I monumenti che ci diano maggiori notizie del ge-
nere di architettura impiegata dagli Etruschi nella loro
Elruria sono i sepolcri , dai quali rilevasi che gli or-
dini sono i medesimi che presso i Greci. A queste
nozioni di greco artificio non aggiungono del loro se
non il comporre senza regola , in che ebbero tardi
imitatori in qualche modo anche i Romani. Quell'or»-
dine che nei trattati di architettura dicesi toscano ,
consiste di un dorico greco adattato agli usi ed alle
condizioni locali , siccome ha benissimo provato i|
Comm. Canina (Elr. Mariti, p, 133-158),
Non sono poi scarsi i monunjcnli di dorico stilo ,
ma rarissimi quelli, che possano attribuirsi senza tema
di errare a maniera ionica , onde nella sua Etruria
marittima testò citata il Canina appeqa uno ne allega,
e questo similissimo a greca struttura (p, 105, Tav,
CIX, 1 ). L'altro , che egli slima piìi recente, io non
credo ionico, sibbene composito, a più segni, ma par-
ticolarmente al capitello dell' altezza di due moduli ,
e formato di foglie d' acanto nella parte inferiore , e
di volute ioniche nella superiore (v. Tav. CIX, 7, 8).
ANNO l.
Stando dunque quest' ordine di decorazione così
povero e sprovvisto di esempi , grandissima impor-
tanza ne acquista il novello capuano monumento, e
vieppiù perchè di stile vetustissimo, e nei particolari
assai corretto.
Formasi adunque di un imbasamento a due alti
gradoni , sui quali son collocati in quadrato quattro
pilastri , che sorreggono immediatamente una cor-
nice , sulla parte media della quale si eleva un gros-
so plinto. Il di mezzo ai quattro pilastri è solida pie-
tra ; sulle otto faccie di questi sono scolpiti a rilie-
vo depresso le colonne ioniche coi loro capitelli , ed
abaco, ma senza base; ed il cornicione, o cimasa, co-
sta di due membri , il primo dei quali è decorato
di mutoli in piano , il secondo a questo sovrapposto
vi fa quasi da gocciolatoio, o più veramente vi tiene
il posto di quello ( v. la Tav. Vili n. 11.).
Non si conosce finora veruna colonna dorica nean-
che fra le greche antichissime, che rastremi una metà
del modulo, che si elevi tre soli moduli, ossia na
diametro e mezzo in altezza, E nondimeno su questo
lozzissimo fusto vedesi collocato uà capilello ionico
di quella maniera elegante che gli adoperati nel pic-
colo tempio di Minerva in Priene , ed in Atene , nei
quali con molta venustà l'inferior linea del canaletto,
che genera di poi le due volute , si curva e fa seno.
11 sepolcro tarquinlose detto di Tercenna ha pilastri
sui quali l'ordine dorico è applicalo parte con la pit-
tura , parte con lavoro di scarpello ( Canina op. cit.
Tav. LXXXXVII. ) , ed a Cere simili pilastri sono
scarpellati in forma di colonne con base e capitello
assai singolare , e di più hanno trabeazione fluita da
17
— 130 —
listelli, e divisa da (riglifi (Canina, ojj.cjV.Tav.LXVIl).
Buoni confronti ne danno ancora gli ipogei di Egilto,
e segnatamente a Tebe, e a Camak (Ann.Iìislit. IH37 j
F. 8). Precedono questi l'invenzione degli ordini, o
sono ad essi posteriori? Io li credo posteriori. La co-
lonna addossata al pilastro, ed in generale ad un edi-
lìzio è per me la ragione potissima della singolarità
parve che dovesse essere obbietlo di rilevanza. E ri-
voltomi alSig. Caruso, questi, dissi, dovrebbero esser
cinque spiedi , che così tutti mi darebbero , ciò che
io penso, il 7r£fX7ra^)3oXov descritto da Omero. A che,
ei rispose , cinque appunto sono gli spiedi trovati , e
gli altri quattro tosto mi recò , poiché così inasprt-
tatamenle li vedeva indovinati. Questi cinque spiedi
dei membri, del tozzo presso i popoli antichi, come ora son collocati Ira i monumenti rarissimi del Real
dello svelto presso i Romani (cf. MùUer, Manuel Museo. Il frutto che ne traggo io da sì bella scoperta,
d'ArchaeoI. §. 191 ). Il nuovo monumento capuano è di meglio assicurare quella parte che ebber gli Asia-
ritrae assai evidentemente dai pilastri degli ipogei nella tici nella origine di Cuma.
scelta dei membri , e nella immediata loro colloca- Quasi tutti gli antichi scrittori che padano della
zione. Perocché i denti sovrapposti all'abaco, o plinto prima fondazione di questa città la dicono Euboica ,
del capitello figurano i mutoli o panconcelli posti di la dicono Calcidese ; fra questi Tucidide L, VI. kJ-
lun"o e a traverso a mostra di sostenere la volta in |ay,s , tt,s Ik 'Ottizi'x XxXxi^txrt? ttoXsw?, e Livio L.
piano , ossia il soffitto. È costume etrusco osservato Vili. Cumani ab Chalcide Euboica originem trahunt,
anche dal Canina il sovrapporre a monumenti funebri e Dionigi d' Alicarnasso Ki^xriv rr,v h 'O-mxoli 'EX-
ora un globo , ora un grosso plinto , sul quale tal- Xr;u'c)y. 'irokiy, "E^ir^iùi f-, xx\ XrxXxihli fxT/o-av, e
volta si eleva un piccolo cono decorato di foglie di
acanto , di mistico significato ( v. Tav. CIX. fig. 5. cf.
Vermiglioli, Ani. Iscr. Perug. ed. sec. Voi. I, Tav. VI).
Qui dal mezzo del finimento che è sorretto dai quat-
tro pilastri sorge un dado, sul quale alcuna cosa una
volta doveano aver collocata , che a noi non è dato
Velleio , L. I. Chalcidenses Cumas in Italia condide-
runt , e Plinio , L. III. C. V. Cumae Clialcidensium ,
e Solino, C. Vili. Ab Euboeensibus conslilulae Cumae.
Così Virgilio , Ovidio , Lucano, Marziale, Stazio, ed
i commentatori loro ( Cluver. Itai antiq. L. IV , p.
1002 , seg. ). Solo Strabone , per quanto so , aggiu-
conoscere. Quello che imporla è di avere un monu- gne ai Calcidesi anche i Cumani di Asia ( L. V. C. 4,
mento Etrusco singolarissimo, e di un tal ionico non Kramer); Kvix-i\ Xoikxt^-'u/Y xcù KvixxtcoY 'Trxkxtórx-
osservato finora neanche nella Etruria , che si aper- rov xris\xx. A questa tradizione poi si attengono quegli
tamente imita le parti di una sezione degli ipogei tir-
reni , e questo nella celebratissima Capua.
Garrucci.
Il Peupobolo omerico in sepólcro cumano.
(V. Tav. Vili, n. 1,2)
A coloro che studiano nella storia patria dei tempi
antichi tornerà graditissima una scoperta novissima ,
scrittori, che le danno l'appellativo di Eolica, frai quali
Marciano di Eraclea è il solo ad asserire, che Trp orj-
pov V ol XxXxthTs xvM'xKJxYyEir' AhXiTi fPerieg.J.
Dal passo di Strabone citato qui avanti appar mani-
festo , che Ippocle non era un Cumano di Asia che
veniva sul naviglio calcidese a fondar la Euboica Cu-
ma , ma che con lui dovea navigare una colonia di
suoi Cumani. Psrocchè altrimenti pel solo Ippocle non
avrebbe Strabone potuto scrivere, che Cuma era stata
edificata da Calcidesi, e da Cumani. In tal modo me-
die tende a diradare le tenebre, in che paiono involte glio s'intende come ad Ippocle fosse ceduto il dritto
tuttora le prime origini di Cuma, la vetustissima tra di dare il nome alla novella città, essendo a parer mio
le colonie greche d'Italia. Ofi"riva a' miei sludiiilSig. quest'attribuzione più riputabile, che il capitanare la
D. Vincenzo Caruso alcune suppellettili antiche tro- spedizione. Da ciò conseguita , che i primi autori della
vate in quelle rinomate contrade. Era fra quelle uno colonica deduzione debbano riputarsi i Cumani di Asia,
spiedo di rame: io lo considerava attentamente, si mi che prima di venir qui, fermatisi per alcun tempo in
— 131 —
Calcide di Euboa, (rasscro seco anche i Calcidesi , ai
quali accadde che si allribiiissc di poi la spedizione
dagli scrittori, i quali considerarono Calcide siccome
il punto , onde si partì l' intero stuolo, che conduce-
va in Italia i novelli coloni.
Questo vero io scorgo anche noli' implicatissimo
luogo dell'Abbreviatore di Stefano Bizantino, il quale
pone una Cuma in Eubca, Tr/f^Tr-rr; ty.s Erp^/ct?, cer-
tamente perchè aveva letto in Stefano, Italicas Cumas
Euhoicam fChalcidkam) esse caloniam, siccome stima
il Meincke [Slephani Bizantini, quae super, ex recens,
Aug. 3Ieinekii, Berolini, 1819, p. 393), senza che
ivi si fosse narrato alcuna cosa dei Cuniani Euboici.
La spedizione asiatica in Cuma prende forza anche
dalla posteriore venuta dei Samii di Asia che si sta-
bilirono nel porto meridionale cumano detto prima
Dicaearchia, e di poi Putcoli. A questi gravissimi ar-
gomenti viene ad unirsi ora la rilevante scoperta del
Pempoholo , di cui si sa, per una preziosissima tradi-
zione ed assai antica conservataci dal dotto Euslazio,
che si fece già uso dai soli Cumani di Asia , mentre
nel tempo medesimo altrove i Greci adoperavano in-
vece il triobolo. Ecco le parole di Euslazio : ifctcrlv oJ
9raXa;ol Mi ol fxiv ^XXoi Tp/crlv s7rs;pov o/32>.or>, o\ X;-
•yo/vTO av 'rp/£'5(3oX«." \x6\oi o= e/ K.v\xouoi, Aldkiy.òv dì
ovroi l'Ovos, 'TT-jX'Truj^óXoiS ì^pw^ro. "Kffri di r\ rov
'7n\x'7fw[t6Xw Xs^is aJoXiPiT,, xarà xal ■yj ;\^pr,(r(j (^//("ad,
A , p. 258 , Politi ).
Se il pempobolo fosse tutt'allro, che un sacro stru^.
mento da sacriGzio, io non insisterei molto su tale ar-
gomento ; tuttocchè una somiglianza di costume dia
sempre mai ragionevole fondamento a coloro , che
disputano le origini dei popoli. Ma un'osservanza di
rito religioso non propagatasi afTatlo fuori della nazione
cumana di Asia , che si abbia ora un confronto negli
unici Cumani d'Italia per antica testimonianza di Stra^-
bone derivali dai primi, è per mio giudizio uudocu-e
mento di gran forza, e non indegno dei giudiziosi cul-
tori della scienza etnografica.
Era il pempoholo un istrumento composto di cinque
spiedi, che i pagani adoperavano nei sagrifizii ad ar-.
rostire le membra della vittima , che destinavansi al
coqvilo religioso. Invano cercherebbesi negli scoliasti
di Omero qual forma una tale supellettile si avesse ,
che niuno di loro ne vidde mai veruno. Ne parlano
quindi i più cauti attenendosi a formole vaghe, e che
dimostrano quella idea derivarla essi dagli usi dei tem-
pi, in che scrivono. Chiedetene adEustazio, dirà che
il pempobolo paro si possa assomigliare ai denti del
ventilabro, con che si spaglia il grano, ovvero a quei di
un tridente , nei quali si infilza ciò, che si deve cuo-
cere. Però generalmente i commentatori credettero
i cinque spiedi uniti ad un sol manico (Schol. Hom.J
tt/vT: op/XofS l'xovTcc Ix f;t/ÓcS X«;3t,S x^ccTw^xsvr]? Tp/cn-
voj/rWs fSrhol. Hom,J ; Tò ziijXTrui^ì'-JKov ^r.Xo? hyx'
Xiìov ri ixxy iipty.lv s?=vT«oaWyXov , xm , wi y.y ni
]^iujrivu\xivoi iÌ7ry\ , ztfsvTob'wpXov fEustalh. L. c.J. La
qual persuasione neanche aveva fondamento nelle tk-
PXct usate a loro dì , che o di legno , o di ferro non
furono mai unite ad un manico. Del vera e delle venta
trovasi menzione negli antichi , e Virgilio imitando
apertamente Omero scrive: Pinguiaque in ventbus
torrehimus exta colurnis (Georg. Il, 396J. Laonde
del prezioso pempobolo cumano intendiamo ora la vera
figura; e però concludiamo non esser uno strumento
a cinque punte, né a tre quello che veniva adoperato
nella cerimonia del sacriGzio , ma essere stato rito
cumano che gli spiedi a cinque a cinque si recassero
ad arrostire le carni , ove per altra mistica supersti-
ziope altri popoli a tre n tre divisi li adoperavano.
Garrccci.
Sulla pretesa coppia di Consoli Q. Cecilia e M.Bennio,
Le prime due linee del frammento di decreto mu^-
nicipale cumaqo pubblicato dal Marini, che comincia {
Q • CAECILIO
M • BENNIO
a • D ' VI ' EU) ' AVGVST ' IN ' CIIA
QVOD ' CN ' LVCCEIVS ' FILIVS ' V ' F'
QVID^DE'EA'REFIERI'PLAGERET eie.
sono state intese diversamento dai commentatori. Il
eh, socio Sig. Gervasio Ijeoe certo , che questi siano
132 —
i nomi gentillzii soltanto di que' Consoli, che avreb-
bero dovuto essere notali al principio del decreto
flscriz. dei Luccei pag- 9/ Ma essendo conosciuta
la coppia di Consoli, Q. Cecilio Metello e Lucilio
Longo , che maneggiavano i fasci in Agosto del 760,
egli si rimette al Borghesi , che chiarisca chi sia co-
desto M. Bennio Console nominato qui con Q. Cecilio
Metello, ed in quale anno possa stabilirsi il suo con-
solato (ivi , p. 12). Inerendo il Sig. Fiorelli alle os-
servazioni del Gervasio , giudica il M. Bennius del
decreto , Console al pari di Q. Cecilio , e forse suf-
fetto , come il Lucilius Longus del Calendario anii-
ternino; conghiettura quindi, che il suo cognome sia
Rufus, paragonandolo al M. Bennio Rufo , letto re-
centemente sopra un tubo di piombo scoperto a Cuma ;
e lo slima forse lo stesso personaggio consolare notato
sul decreto di Cuma (Monum. ant. cumani , puntata
prima , p. 2J. La qual conghiettura il mio collega
Sig. Miuervini ha giustaraonte dimostrato essere inam-
missibile (sopra, a p. 106) : perocché agli 8 di Agosto,
cioè due giorni prima dei dieci dello slesso mese, che
è l'epoca segnata sul decreto cumano, impariamo dal
Calendario amilernino , che Cecilio aveva a collega
Lucilio Longo fi. N. 5750^. Indi dalla scoperta del
piombo, che riferisce un M. Bennio Rufo , si confer-
ma nel sospetto che quel 0- Cecilio, e quel M. Ben-
nio messi in fronte della iscrizione dei Luccei non sia-
no già Consoli, ma Duumviri. A che oppone il Gerva-
sio, e l'ho da lui, che i decreti municipali e coloniali
non mancano mai della data cronologica romana, ossia
della coppia de' Consoli di quell'anno, in che fu scritto
il decreto , ai quali tratto tratto veggonsi aggiunti i
Duumviri, o i Qunltroviri eponimi; e però che qui
non può assolutamente pensarsi ad altro, che a Consoli.
Esposti così i pareri alimi fedelmente, entro a pro-
porre ciò, che ne pare a me. Io stimo non siasi ben
riflettuto , che v' era una facilissima via di accordo.
Ha ragione il Sig. Gervasio quando sostiene , che i
decreti non possono mancare della nota cronologica
proveniente dai fasti romani : certamente non ne man-
cano i decreti conosciuti. E certo altresì, che posto Q.
Cecilio del decreto cumano essere il Q. Cecilio Metello
eretico Silano Console del 760 , il M. Bennio non
può in verun modo stimarsi il sufTetlo di quel seme-
stre, in che sappiamo esserlo stato Lucilio Longo. Non
resta quindi agli autori di questa sentenza che di pen-
sare a sufiètli di altro anno ; cioè ad altro Q. Cecilio
il quale , perchè non possono cercarlo salendo, per
mancare al Cecilio del 760 la nota della iterazione dei
fasci , debbono supporre negli anni susseguenti. Alla
quale arbitraria ipolesi di una nuova coppia di sulTetti,
non suffraga neanche il M.Bennio, che si palesa aper-
tamente Cumano, sul piombo, di che ho detto avanti.
Da tali imbarazzi è agevole uscire , ammettendo
Q. Cecilio Metello, siccome Console, e rilegando M.
Bennio ai fasci coloniali. A che ottenere non richie-
desi altro , che vedere nella prima linea un avanzo
della data consolare e nella seconda quello dei magi-
strati coloniali , che nel caso nostro sarebbero i Du-
umviri cumani.
É questo anzi l'uso di altri monumenti, gli esempii
dei (piali è agevolissimo andar cercando nelle comuni
raccolte epigrafiche. Per esempio, la (avola ceretana
legge (Orel li, 3787):
LPVBLILIOCELSO II CCLODIOCRISPINO COS
MPONTIO CELSO DICTATOREC • SVETONIO CLAVDIANO AEDILB
Quella di Pozzuoli fL N. 2458; :
MPVLLIODVOVIR
MALLIO • CoS •
N
P
FVFIDIONF'
• RVTILIO • CN
nella quale precedono i Duumviri , siccome era ri-
chiesto dall'epoca della colonia, che comincia ivi la
leggenda.
Sia la terza la capuana di sei anni anteriore alla
cumana , la quale ho data corretta a p. 88 di questo
Bullettiuo : ivi è scritto :
P • SVLPICIO • QVIRIN • C . VALGIO • CoS
SEXPONTidIO • BASSO • M • IVNIO • CELERE - U VIR
Laonde si dovrà supplire nella cumana :
QCAECILIOMETELLO-LVCILIOLONGOCoS
M • BENNIO • RVFO • (.jui altro nome) IIVlR/s.
Che se taluno dubita essere insuflìcientc Io spazio a
— 133 -
contenere questi supplementi , lo rassicurerà il con-
siderare, che nella linea quinta la foruiola si leggeva
distesa ; QVID • DE • EA • RE • FIERI • PLACEUET
[ DE • EA • RE • ITA • CEXSVERVNT ] : però tanto
di luogo rimane , che al consolato e decurionato so-
vrapposto ne è abhastanza. Non sarà quindi più me-
stieri cercare luogo nei fasti a nuove paia di sufTctti ,
togliendo Cecilio dal suo, ed elevando M. Bennio cu-
mano ad una dignità , che mai non sostenne (1).
Garrucci.
Topografìa delle spiagge di Baja graffila sopra dm
vasi di vetro.
Circa l'anno 1822 dai ruderi d'un antico sepolcro
presso Piombino poco lungi dalle rovine di Populo-
nia venne in luce un vasetto di vetro a foggia di ca-
raffa , sul quale erano tutt' attorno rozzissimamente
graffite alcune prospettive di edifici , e sopra ciascu-
no parole che ne indicavano la natura ed il nome,
cioè STAGNV, OSTRIABIA,PALATIV,RIPA,PI-
LAE ; presso al collo del vaso era scritto in lettere
maggiori AMMA FELIX VIVAS. Ne fu tosto pub-
blicato il disegno dal celebre nostro Sestini fllhislr.
d'un vas^o antico di vetro ec. Firenze 1812), il quale
stimò quegli edifici spettare a Populonia , e forse ri-
tratti in quel vaso perchè destinalo al sepolcro di clii
gli aveva ristorali od anche costrutti dalie fondamen-
ta. Il IMiiller [Handbuch ed. 3. p. Vi7) giudicò cli'ivi
fosse piuttosto accennata una villa marittima, ed infine
testé il eh. Merklin (De vase vitreo Popidonien:^i bre-
vis di.<pulatio . Dorjiati 1831 ) tolse a dimostrare che
quel raro monumento riguarda la nostra Roma e ne
ritrae la ripa sinistra del Tevere verso l'Aventino ed
il Palatino. Io ho già dovuto in altro mio scritto [Le
prime raccolte d' antiche iscrizioni ec. p. 58 e segg. )
esaminare una parte soltanto incidente e secondaria
della dotta diciiiarazione del iMcrklio, ma poicliìr l'ar-
gomento ivi non mi consentì l' entrar anco nell' esa-
(1) Questo articolo del Garrucci mi dispensa dal pubblicarne un
altro, che aveva preparalo sostenendo appunto questa medesima
opinione; siccome comunicai allo stesso sig. Gcrvasio pochi giorni
dopo le mie osservazioni su" magistrali ctimani riferite a pag. 100
di questo buUellino. — ilincrvini.
me del principale assunto ch'egli tenta di stabilire,
m'accingo a farlo qui , dove è cosa opportunissima.
Veramente non si dee negare che alcuni indizi di
molto vaga e lusinghiera apparenza hanno indotto il
eh. autore in quella sua persuasione , ma senza toc-
care delle gravi difllcollà topografiche e monumenta-
li , che sarebbe facile opporgli, parmi che il vero sen-
so di que' rozzi disegni possa per altra via essere eoa
ogni certezza stabilito. Un vasetto similissimo a quello
di Populonia non solo nella forma ma benanco negli
ornati di prospettive , che sopra vi sono con pari roz-
zezza graffile, esiste in Roma nel Museo Borgiauo, ora
di Propaganda. Prima ch'entrasse in cotesto museo,
e poco dopo ch'era stato rinvenuto nel suburbano di
Roma lo die iu luce il Mamachi (.1/t/. Christ. I. p.
464) , ma e ne' disegni e peggio nelle lettere che \i
sono scritte , tanto deformalo , che ni allora né poi
punto nulla se ne potè intendere. Io l'ho allenlamente
letto e studiato e fatto ritrarrenell'annessatav. sotto il
num. 1. (v.tav.I.X.n.l). L'iscrizione che corre attorno
al collo del vaso lo ditnostra consecrato ad uso fune-
rario, MEMORIAE FELICISSIMAE FILIAE, le pa-
role scritte sopra gli edifici FAROS, STAGXU NE-
ronis, OSTRIARIA, STAGXU, SILVA, BAIAE, ci
avvisano che la prospettiva , se così può chiamarsi,
ivi effigiala ritrae edifici e luoghi delle famose spiag-
ge di Baja e di Pozzuoli. L' analogia di questo vaso
con l'altro, che nella stessa tavola è disegnalo sotto
il n. 2., salta agli occhi di chiunque si faccia a con-
fronlaili , tantoché non fa d' uopo parole e ragiona-
menti per dimostrare che l' uno dall' altro prendono
luce questi due monumenti topografici, e che in am-
bedue dobbiamo riconoscere una appena accennata e
compendiosa immagine d' un qualche lato del golfo
di Pozztioli.
Stabilito cosi il vero soggetto di queste due raris-
sime topografie io potrei tenermi pago di tanto, e la-
sciare ai dotti napoletani lo studio delle singole par-
li , e la cura di assegnate a ciascuno di que' nomi ed
edifici il vero e preciso lor sito. Ma poiché ipiel ipian-
lunqiie imperfello esame che senz'aver ras])ello dei
luoghi soli' occhio io jìosso pur fare de'parlieolaridi
colesti disegui topografici varrà se non a determinare
— 134
esatlamenle il sito o la forma dì ciascun edificio , al-
meno a sempre meglio confermare che veramenle qui
sono accennale le spiaggie di Baja , non voglio om-
mellere di tentare ancor questa dichiarazione.
E cominciando dal vasetto borgiano, a me sembra
che la serie de' luoghi indicativi sia a rovescio di quel-
lo che dovrebbe essere se ivi fosse effigiata la spiag-
gia coi suoi edifici veduta dal mare , laonde se pur
non è questo un errore dell' artista , errore facilissi-
mo a concepire in un graffito circolare, dovremo te-
nere che la scena sia immaginata dal lato di terra; ed
infatti quelle linee ondulale che costantemente ricor-
rono non dinanzi ma dietro gli edifici accennano se-
condo ogni apparenza le acque del mare. Il punto
certo e dal cjuale conviene partire è Baja , BAIAE,
presso il qual nome è effigiata una donna sedente leg-
germente vestita di sottilissima tunica , e nella destra
stringe due rami che a me sembran d' alloro , colla
sinistra leva in alto un bicchiere, o come ad altri sem-
bra un cestellino. Molti vcjrranno che in questa figu-
ra femminile sia personificata la stessa città di Baja;
io però inchinerei piuttosto a riconoscere in essa quel-
la Felicissima alla cui memoria il vasetto è consecra-
lo. Imperocché uell' altro in lutto similissimo vaso di
Populonia , il quale però per la sua iscrizione dedi-
catoria , ANIMA FELIX VIVAS , non pare a bella
posta creato per alcun uso funerario, non v' è traccia
d* una siffalta immagine , e questa non solo appare
soltanto in quello che appunto alla memoria d' una
defunta è dedicato, ma ne occupa il centro per modo
the le parole MEMORIAEFELICISSIMAEFILIAE
precisamente dal capo di quella figura partono ed a
quella ritornano, quando al contrario il nome BAIAE
è collocato in guisa che non le appartiene piìi che la
parola FAROS graffila dal lato opposto. Nò gli attri-
buti che l'artista ha prescelto ed assegnalo a cotesta
figura femminile mal si confanuo ad una defonta. Il
vasello è certamente lavoro di età assai tarda ( fra il
terzo ed il quarto secolo dell'era nostra) , e ne' mo-
numenti sepolcrali di questi anni le corone di allo-
ro , e le immagini de'defonli nell'atto di banchettare
e di propinare il vino , o qualsivoglia altro liquore ,
levando in allo una tazza o biccliiere , simboli della
vita beala delle anime pie , giusta le dottrine e de* fi-
losofi e de' mlsleri, sono cosa tanto ovvia e frequente
che non fa mestieri citarne gli esempi.
Movendo da Baja verso Pozzuoli , che questa co-
me ho accennato mi sembra la direzione che dobbia-
mo seguire nel tener dietro a questa scena topografi-
ca , dapprima è indicata una selva , SILVA. Io non
saprei qui ravvisare altro che la famosa selva virgi-
liana , la quale otlimameule risponde al luogo che è
Ira Baja ed il lago Lucrino, e quello d'Averno (V.
de Iorio Viaggio d'Enea ec. 2. ediz. p. 25, e segg.).
Vero è che Agrippa fé tagliare quella macchia (Slrab.
V. 4. 5. ) quando fu edificato il porlo Giulio , ma o
non tutta fu abbattuta (ed infatti Strabone parla del-
la selva soltanto che cingeva il lago d' Averno ) od il
nome le sopravvisse divenuto ogni dì più famoso pel
virgiliano viaggio d' Enea all' inferno, cui tutti sanno
quanto alta importanza fu data non solo durante il
medio evo , ma anche nella età piìi eulta dell'impe-
ro romano. Dopo la selva viene uno stagno, STAGNU,
accennalo con la prospettiva d' un edificio del quale
non saprei veramente ben dichiarare la natura e la
forma ; seguono immediatamente uno o più vivai dì
ostriche , OSTRIARIA , quindi un altro stagno effi-
gialo al tutto come il primo ed avente il nome di
STAGNU NERONIS. Qui la scena è identica con
quella del vaso di Populonia, tranne questa sola dif-
ferenza che l'edificio nel vaso romano chiamato ST.\-
GNU NERONIS , in quello è appellato PALATIU.
Degli oslrearia tanto celebrati nelle spiagge di Baja
e sopratutlo del Lucrino non fa d'uopo ch'io ragio-
ni, dopoché il Sestini ed il Merklin pienamente han-
no dichiarato la forma del vivajo e della macchina in
ambedue ì vasi egualmente effigiata. Gli stagni collo-
cali ai Iati delle os<rearje, secondo l'uno de' vasi sem-
brano due diversi, distinti l'uno col nonie di stagnum
Neronis , l'altro appellato Slagmnn per antonomasia.
Ma forse é più probabile l'immaginare che un solo
stagno ornalo luti' attorno dì grandiosi edifici e fa-
moso pe* suoi vivai di ostriche sia qui indicato ; e
corre tosto il pensiero allo stesso lago Lucrino , che
servì di slagno navale sotto Claudio ( Zac. Ann. XII,
56, ) , e debbe essere stato adornalo di nuovi edifici
— 133 —
e palazzi da Nerone , donde il nome di slagmim Ne-
roìùs, e l'indicazione del palatium ne'due nostri vasi.
Che se non sembrerà verisimile che al Iago Lucri-
no sia sialo fino al secolo terzo o quarto data anche
V appellazione di stagno Neroniano , di die non v' è
traccia negli antichi scrittori , converrà allora sup-
porre che Nerone abbia in queste spiagge non solo
edificato un palazzo , ma eziandio fornilolo d' uno
stagno 0 naumachia a bella posta creata. Lo che non
è certo incredibile in un principe clie immenso da-
naro profuse in fabbriche e pazze imprese tentale ap-
punto in questi luoghi (Tac. a. XV. il, Svet. in Ne-
rone 31 ) , e che sopralutto degli slagni arlificiaii era
sì vago, che in Roma non conlento di quello d'Agrip-
pa , e della naumachia valicano , de' quali fece lan-
t' uso , quel famosissimo stagno che da lui ebbe il no-
me costruì Ira il Celio ed il Viminale marh instai eh -
cumseptum aedificiis ad urbiuni specieni (Svet. 1. e).
E forse con questo stagno Neroniano di Baja ha stret-
ta relazione quella piscina della quale scrive Suelouio
che, inchoabat [Nero) piscinam a 3Iiseno ad Acernum
lacum , conteclam, porlicibusque conclusam, quo quid-
quid (olis Baiis calidanim essel convcrleretur [\. e).
Delle fabbriche Neroniane nelle spiagge di Baja du-
ravano ancora le rovine ed il nome ne' primi anni del
secolo quinlodecimo , quando le vide Ciriaco d' An-
cona e ne serbò memoria ne' suoi commentarii (Cy-
riaci Itin. ed. Mehus a p. 23 , Scalamonti Vita Cy-
riaci ap. Colucci An(. Picene XV. p. xcix ). Ed a
queste certamente alludono almeno in parte i regii
palazzi [fMfftXitoi dxrpui) ricordati da Giuseppe Fla-
vio fra le delizie e le magnificenze di Baja (Ani.
XVIIL 9. ).
Non è infine da lasciare inosservata l' appellazione
Palatium data a questi edifici Neroniani fuori di Ro-
ma ; che se comunissimi ne sono gli esempi dal se-
colo quarto in poi, non così se ne troveranno molli
nell'età precedente. Dove non ometterò di notare
che già il eh. D. Agostino Gervasìo aveva sospettata
r esistenza d' un Palatium o nella città o ne' dintorni
di Pozzuoli ( hcr. di Mawrzio p. 47. ) stimando che
da questa città sia stata trasferita in Napoli per orna-
mento di qualche palazzo la base onoraria di Placido
console del 342, che fa menzione d'una regione pa-
latina ;n\A veramente l'origine puteolana di questo
marmo è assai meno probabile di quello che fino ad
ora generalmente è sembralo agli eruditi (V. Momoi-
sen L N. 2G18, Minervini Nuove o$s. intorno la vo-
ce Decalrenses [>. 11. 12). Imperocché questi igno-
rano che ne' piimi anni del secolo XV, giaceva quel-
la base in Napoli sotterra nelle fondamenta d'una ca-
sa privata , in fundamenlis domus Ioannis Acossa, co-
me attesta un codice Barberiaiano contenente iscri-
zioni tratte dai libri di Ciriaco e di Benedetto Egio
Spolelino(f. 3G. V. il cenno che ne ho dato nel Bull,
dell' Ist. 1852. p. 133).
Dopo il palazzo e lo slagno neroniano seguono nel
primo de' vasi il FAROS , nel secondo la RIP.V e le
PILAE. In quanto al Faro sembra questo cfiigiatoiu
cpiella quasi porta che sorge assai dentro ac(pia, dove
forse per l' angustia dello spazio non seppe il rozzo
artista trovare il modo d'indicare i piani superiori
della forre eretta ad uso di fanale. Colesto Hiro è fa-
cilmente quello del porto Giulio del quale veggo se-
gnato con precisione il sito ed i ruderi nella pianta
del golfo di Pozzuoli pubblicata dal eh. de Iorio. Le pile
effigiate nel secondo vaso non sono altro evidentemen-
te che il molo traforato d'un porto , quali in parec-
chie antiche pitture e monumenti sonosi già più vol-
te vedute ; e gli archi e le colonne che l' adornano
hanno molta somiglianza con quelli che veggonsi in
un'antica pittura data in luce dal Bellori [Fragni,
vcstig. vct. Rom. p. 1.), nella quale il eh. Canina
[Archit. Ant. Sez. III. tav. CLXI) ravvisa non edi-
ficii della città di Roma , ma il porto e le celebri pile
di Pozzuoli. Veramente se le iscrizioni che in questa
pittura accompagnano gli edifici presso che tutte ci
conducono alla riva sinistra del Tevere sotto l'Aven-
tino ed il Palatino , la scena effigiatavi è al contrario
tutta marittima ed assai bene s' addice al porto di Poz-
zuoli. Io ponendo mente alle iscrizioni assegnai altra
volta [Le prime raccolte ec. l. e.) col Merkiiu questo
monumento topografico alla città di Roma , ora poi
debbo confessare assai più verisimile sembrarmi l'opi-
nione del eh. Canina, benché strano sembri il vedere
letteralmente riprodotta fuori di Roma una serie d'in-
— 136 —
d icaiioni topografiche spettanti alla regione subaven-
lina dell' eterna città.
La somiglianza adunque del porlo effigiato in que-
sto dipinto con quello del vaso di Populonia potrebbe
indurci più facilmente a riconoscere in questo il porlo
ed il celeberrimo opus pilarum di Pozzuoli , e forse
nell'arco monumentale disegnato all'ingresso del molo
quello clie Capitolino in Anlonino Pio ci narra esse-
re stato dedicalo ad Antonino Pio, come sul molo d'An-
cona fu eretto quello dedicato a Trajano. Ma quel
molo traforato può convenire non meno al porto ed
alle pile puteolane che al porto Giulio , il quale ha
tanto più stretta relazione cogli altri luoghi ed edifici
accennali ne' nostri vasi; il perchè io non ardisco fer-
mamente stabilirne il vero sito ed il nome. Anzi poi-
ché tutta cotesta scena topografica potrebbe per av-
ventura essere anco inlerpetrata seguendo la direzio-
ne contraria, partendo cioè daBaja verso Miseno, di
guisa che lo stagno i vivai ed il palazzo Neroniano
sieno tra que' due termini , dove notissima è la villa
che Nerone ebbe in Bauli , ed il faro e porto sieno
quelli di Miseno ( V. Garrucci CI. Praet. Misen. inscr.
p. 6. ) io aspetterò dai dotti Napoletani il giudizio che
assegni una certa e stabile sede agli edifici ed ai luo-
ghi della marina di Baja ritratti od accennati in que-
sti due pregevolissimi vetri.
G, B. DE Rossi.
Osservazioni intorno all' articolo precedente.
Ottimamente il eh. collega ed amico Sig. Cav. G.
B. de Rossi ha riferito al porto di Pozzuoli ed alla
marina di Baia i due vasi graffiti , di che dispula nel-
r articolo precedente. Approvo che riconosca nel la-
go Lucrino lo stagnum Neronis, e stimo che nello
stagnum seguente dopo sia indicato l' Averno , che
communieava col Lucrino , e questi due stagni credo
siano significati in quel passo di Giovenale , ove dice
(Sat. XII, 79, seg. Jahn):
Scd trunca puppe magister
Interiora petit haianae pervia cumbae
Tati slagna simis.
Se il Pratilli non fosse ben conosciuto, si potrebbe
credere a lui , che narra il ritrovamento di un vaso
simile a quello, che il Marnachi dice (rovaio da Mons.
Merano : Qaod non ita pridem reperit Jlluslrissimus
Silcester Meranus fOrig. Clirist. T. l. p. 464 not. ).
Del resto il Pratilli scrive così ( Via Appia p. 388):
« In uno di essi sepolcri (presso A rienzo) furono rin-
venute due carafine di vetro , in una delle quali che
è intera e serbasi dal dello Sig. Puoti veggonsi varie
figure di donne nude con tazza in mano sgraffiale alla
guisa de' cristalli di Boemia e alcune lettere intorno
sparse in qua e in là e fuor di riga che rendono più
malagevole il leggerle
BAIAE ME NTACCVSIAVANT... »
Il Pratilli pubblicava la sua Via Appia nel 174o ,
e quattro anni dopo veniva alla luce l'opera delle Ori-
gani e delle Antichità cristiane del Mamachi. Il Pra-
tilli avrà forse avuto una notizia della carafina di che
è parola, e per accrescere il numero dei suoi monu-
menti, inventò probabilmente che si era scoperta sulla
via di Arienzo. La leggenda non fu potuta rilevare né
dal Mamachi , né da altri letterali di allora , i quali
stettero paghi ad un mostro di lettura , che ne rese
disperata la intelligenza; imperciocché lessero OST*
AMBIA • S • V- SILVE • RAIAE invece di OSTRIA-
RIA • STAGNV • SILVA • BAIAE : la qual lezione
corretta la prima volta si deve all' eruditissimo colle-
ga sig. De Rossi , col quale ne facciamo perciò i de-
biti congratulamenti. Non fa quindi maraviglia che
nella copia del Pratilli se ne storpiasse vieppiù il te-
nore. In ogni modo sia questa una seconda carafina,
sia la medesima rinvenuta da Mons. Merani, non può
la iscrizione tuttoché pratilliana collocarsi perciò né
tra le sospette né tra le false, siccome ha fatto il Momm-
6cn(/. N. *561).
Garrucci.
Raffaele Garrucci d.c.d.g.
Giulio Mi>ervini — Editori.
Tipografia di Giuseppe Cata^eq.
BULIETTINO ARCHEOLOGICO MPOllTAXO.
NUOVA SERIE
TV.» 18.
Marzo 1853.
Scure di bronzo , con greca iscrizione. — Terracotta di Pozzuoli, — Notizia de' più recenti scavi di Pompei :
continuazione del n. /2. — Descrizione di un frammento di vaso dipinto conservato nel real museo Borbonico. —
Vaso dipinto con Ulisse akàistuoplex.
Scure di bronzo , con greca iscrizione.
Nella nostra tavola V. fig. 2 vcdesi ritratto un ferro
di scure con greca iscrizione , del peso di un rotolo,
rinvenuto parecchi anni addietro in alcuni ruderi an-
tichi presso S. Agata in provincia di Calabria Cite-
riore. Mi fu comunicata la notizia , ed un disegno di
questo prezioso monumento dal eh. Sig. Conte U.
Vito Capialbi di Monteleone , della cui amicizia mi
pregio. Mi faceva egli conoscere che il metallo è ri-
vestilo di una patina verde , e che saggiato con la li-
ma mostrasi internamente di flavo colore , che non si
assomiglia però a quello dell'oricalco; è forse bronzo
di particolare composizione. Il taglio è incapace a fen-
dere , portando la doppiezza di varie linee. Da una
delle due facce vedesi leggermente grafiSta una greca
iscrizione in arcaici caratteri, la quale va letta nel se-
guente modo :
TAS HEPA^; HIAPO^
EMI TAS EN HEAI
OI ©TNISKO
5; MEANEOE
KE OPTAMO
S Fepion
AEKATAN
La forma delle lettere diligentemente considerata si
trova corrispondente a quella di altre antichissime
iscrizioni. Si conferma poi dalla nostra epigrafe la os-
servazione, che nell'alfabeto ove l'I è serpeggiante ed
angoloso 5, il S è formato come un M, ed il M ha Ta-
sta «itrema a destra più breve delle allre. Si osservi la
Àf(NO I.
doppia forma del Kappa e del Koph , delie quali l.i
seconda trovasi adoperata innanzi le vocali Oed T, e
talvolta innanzi alle consonanti ; mentre la prima ve-
desi preposta a tulle le allre vocali. Non pochi esem-
pli di questa variabile ortografia furono citali dal cav.
Avellino a proposito dell'arcaica epigrafe segnala nel
vasellino cumano di Talaia , ove s'incontra i' uso si-
multaneo dell'una e dell'altra scrillura {Btdl. arch.
nap, an, II. pag. 21. segg. ). È anche notevole nella
scure , di che ragioniamo , 1' uso doli' aspirazione :
vedesi la densa innanzi ad HEPAS ed HIAPOS
indicata dal carattere II frequentissimo a comparirò
ne' più antichi vasi dipinti , e nelle più anliciie iscri-
zioni ; vedesi poi il digamma eolico innanzi alla sola
voce FEPK)ÌV, non trovandosi preposto ad altre vo-
cali non aspirale. Il 0 vedesi nella nostra epigrafe in-
dicato dal carattere O senza punto o lineetta nel mez-
zo , siccome è stato talvolta osservato nello antichis-
sime iscrizioni di Tera ( Corp. insor, gr. nuna. 1-20):
leggiamo dunque <àuyiffxoi nella terza linea , od ivi-
^riKi nella 4tto : ove non vi è dubbio che nell' asta
verticale con due puntini | ; vada ravvisato un K in
parte consumato e distrutto , ma che lascia veder tut-
tavia le estremità delle due aste messe ad angolo. Po-
trebbe dubitarsi se nella quinta linea debba ritener-
si la lezione OPTAMOS, o cangiarla inOP+AMOS,
il che porterebbe una notevole diversità nella intelli-
genza della iscrizione , come faremo tra poco rileva-
re. Fatte le esposte considerazioni , ci sarà dato di
leggere tutta la epigrafe nel seguente modo ;
18
— 138 —
Nel quale modo d' inlerprelare sorge il senso che
quella scure (Trà.ixi>i) era slata consacrata in un tem-
pio di Giunone da un tale Tinisco capo degli jEnV col
danaro di una decima di ciò che avea ricavalo da non
si sa quale raccolta. In una tale spiegazione riman-
gono però ignoti questi Erii , che esser dovrebbero
una parlicolare popolazione, della quale non ci è riu-
scito di rinvenire alcuna memoria. In questa ipotesi
potrebbe pensarsi che la epigrafe fosse metrica; giac-
ché considerando esclusa la voce SixoVccy , da tutto
ciò che precede sorgono due eguali versi con tale cor-
rispondenza di misura e di quantità , che facilmente
saremmo tratti a sostenere una simile opinione : al
che si aggiunga che non è nuovo 1' uso de' versi an-
che in antichissimi donarli.
Ove poi ritener si volesse la lezione propria del
monumento , abbandonando la proposta correzione,
e ponendo forse da banda la idea di metro, dovrem-
mo leggere la iscrizione in tal guisa :
Tàs ''HpaS Tocpos r)fji/ TaS Iv ttìÌIm-
QuuffxoS fAS àritòrixi 'Oprtxfxws Ip/wv oixxrur.
E si esprimerebbe che la dedicazione fu fatta da un
Tinisco figlio di Orlarne ( Oprotfxos , quasi "Oprwfjiw?,
per 'OpTctfxcrs) ; aggiugnendosi poi con quali danari,
ìpiouv ^uoiroLY, cioè dalla decima di ciò che si era ri-
cavato dalle lane, delle quali opportunamente s'in-
contra menzione nella citeriore Calabria. Comunque
sia di questa doppia intelligenza , certo si è dal con-
testo di tutta la iscrizione che si accenna ad un dop-
pio tempio di Giunone , uno de' quali esser dovea
nella pianura , ed altro probabilmente nella circo-
staate collina. Ci proponiamo d' investigare in altra
occasione a quale antica città corrisponder potesse la
moderna Sani' Agata ; se pure ci sarà conceduto di
entrare in qualche probabile conghiellura a così gran-
de lontananza di tempi. É evidente che la nostra scu-
re è un sacro donario : di fatti avendo il taglio così
ottuso , che non potea servire pe' sagritlzii , non po-
trà riputarsi altra cosa che un analhema. Tanto si
dinota altresì dalle parole r%s "llpas i'xpos yx) ; colle
quali meritano di paragonarsi in altri monumenti le
simili espressioni , dalle quali si addita la loro sacra
destinazione : così in un caduceo sacro ad Apollo si
legge lEPON TOT AlIOAAnNOS (Curtius antcd.
Delph. n. 40 p. 75 ) , ed in un donario di Atene
APTEMIAO^ lEPON {corp. insc. gr. n. 153 §.6).
Per lo che ci sembrerebbe assolutamente da seguir
la opinione del eh. Cavedoni, che nell'HAPON TO
Ano di una medaglia di Crotone ( Raoul-Rochetle
mém. de nu>n.p.34.n.l.pl,lll.n. 24. Avellino buìl.arch.
nap. an.IV p.46) propose di leggere H APON TOy A-
noiAONOs; {Bull.dl.aLU.Y p.59),se dal confronto di
un'altra medaglia pur di Crotone, colla epigrafe h»*
POS OAnoiNos, non ci si fornisse un argomento per
interpretare HAPON TO A ITOINON anche nella pri-
ma leggenda (Avellino bull. cit. an. VI pag. 91).
È conosciuto che spesse volte s' introduce a parlare
il monumento slesso, come nella scure di cui ragio-
niamo ; e noi ne citammo altrove non pochi esempli
( mori. ined. di Barone voi. 1 p. 57 ). Ora mi piace
di aggiugnereil notissimo TON A0ENE0E\ AOUOPf
EMI (Boeckh corp. inscr. gr. p. 49 n. 33: cf. ad. et
corrig. p. 888; Raoul-Rochette nel jour. des sao.
1825 p.475, e kltr. ò mo«s. 5c/iorftp.63s.sec ediz.),
e la conosciuta laminetta di argento rinvenuta in Po-
sidonia, ed or posseduta dal Sig. Conte del Balzo, ove
si legge la iscrizione TAS eEOTS HAIAOS EMI,
la quale certamente serviva a distinguere un sacro
donario (Avellino nel Rheinische Mus. 1833 voi. Ili
p. 582 ; Welcker ivi p. 584 e Kleine Schriflen voi.
Ili p. 237 seg. cf. Raoul-Rochelte mém. de l' Acad.
XIII. p. 576, e Minervini medaglie di Dalvon p. 13
not.2: ora si trova pubblicata nel corp.inscr.gr. tom.
Ili p. 713 n. 5778, ove per equivoco si dice la la-
minetta di oro ). Il nome del dedicante &uYt(Txoi in-
contra il confronto e la derivazione nel nome ©rvos
ricordalo da Ippocrate (p. 1238, D), del quale dee
riputarsi un diminutivo , non altrimenti che il <So-
ti'ujv rammentato da Diodoro [Exc. p. 495, 17, 19;
e 496,35). Riconosce pure la medesima formazione
l'altro nome ©tnccpxos , che occorre in un' Attica iscri-
zione (Franz ehm. epigr. gr. p. 193). Si conclude,
come innanzi vedemmo, la epigrafe col notarsi che
quella offerta erasi fatta col danaro di una sacra de-
— 139 -
cima. Frcquenlissime sono noli' aniichilà quelle de-
cime, le quali impiegavansi all'acquisto di qualsivo-
glia oggelto inserviente al sacro cullo, ed all'orna-
mento de' templi : e la nostra scure di bronzo è un'al-
tro esempio da aggiugnere a quelli o|)portunamcnte
citati dal Sig. Raoul-Rochette ( qiieslions de l'art p.
171 e segg. della edizione in 8 ). Sono particolar-
mente importanti per 1' attuale monumento quegli
esempli , ne' quali trovasi al genitivo additato quello
appunto , di che erasi offerta la decima. Così trovia-
mo presso Pausania che i Corcirei offrirono in Delfo
un toro di bronzo decima di ciò che aveano ricavato
da una pesca (r, ^-xo^rrj tt,? aypas — X, 9, 2); ed in
una antica iscrizione Nicla consacra ad Apollo la de-
cima del prodotto de' lavori del padre : 'ipywv dv 6
TTocTTip r,pyoiGxro Tr,v d£xa.'Trjv (Raoul-Rochelte lellr.
à MI. Schorn p. 371 per comunicazione del Sig. Ross).
Ora ognun vede quanto sia vicino il confronto col-
r lp/(f V òsxaVaK della nostra iscrizione. E la epigrafe
ultimamente citata è di particolare importanza per
molti punti di somiglianza con quella della scure : di
fatti è il monumento stesso che parla , si tratta pni e
di una dedicazione, ed è notevole che il nome del pa-
dre di >i'icia vien dopo all' àn^^-rixiv, e non segue im-
mediatamente il nome del figlio.
11 dialetto della iscrizione finora illustrata si appa-
lesa per dorico: a ciò persuadendo non solo l'oc ado-
perato sempre in luogo dell' r,; ma benanche TEMI ,
-/,iu.l , per lìix) , r (ìpT(X|txos per "Oprccfxoò' ( simile al
ras Aarws del decreto degli AmCzioni corp. inscr. gr.
n.l688; Ahrens de dial. Jor. append.p.484, che leg-
ge AaTÒs), e finalmente ì'ixpos per /spos, ch'è frequen-
tissimo nel dorico (Ahrens Le. p. 1 1 o), come si riscontra
pure assai spesso nelle iscrizioni beoliche ( Boeckh e.
inscr.gr.t.l p.720): e già sopra ne vedemmo altri esem-
])Ii nelle medaglie di Crotone. Questo dorismo è certa-
mente dovuto alle antichissime colonie doriche, che
si diffusero nella maggior parte della Magna Grecia;
e vedesi egualmente adoperato nella numismatica di
quella regione, e segnatamente da molle città della
Calabria, della Lucania, e de Brunii. Conchiuderò
queste brevi osservazioni coli' avvertire che la forma
delle lettere nella iscrizione finora da noi considerata
dovendo riferirsi al più antico alfabeto, dimostra che
ad epoca rimolissima conviene riportare (juesto pre-
gevole monumento. E pur degno di osservazione che
molle delle iscrizioni più auliche finora conservate
trovansi segnate un verso sotto 1' altro , senza che vi
si vegga adoperata la maniera |3oi;TTpopT,5òy , ovvero
lo scrivere da dritta a sinistra ( vedi il Franz elem.
ep. gr. cap. 1 p. 39 e segg.). Quel monumento, clic
merita di essere maggiormente per l'anlicbilà , e per
la provenienza, paragonato al nostro ferro di scure si
è la celebre iscrizione in bronzo ritrovata in Polica-
slro presso l'antica Petelia , la quale fu riportata ad
un' epoca che si distende fra la olimpiade quarante-
sima e la sessantesima (Franz. /. e. p. G2 , s.). Presso
a poco al medesimo tempo attribuir vogliamo la scure
dedicata da Tiuisco , la quale in questa ii>otesi dovrà
riferirsi a sei secoli incirca prima dell' era volgare.
Ml.NERVlNI.
Terracotta di Pozzuoli.
Nella nostra tavola IV fig. 13 vedesi pubblicata
della grandezza dell' originale un piccolo gruppo in
terracotta proveniente da Pozzuoli , e posseduto dal
negoziante di aniichilà sig. Raffaele Gargiulo. Consi-
derando allenlamenle l'augello, a cui si attiene il ri-
denle fanciullino, ricorre tosto il pensiero al pavone,
a cui ben conviene il pennacchio (Xo'^os, apea:'. Ari-
slot, de iùst. anim. lib. I. cap. I. p. 762 A, elib. II.
cap. 12. p. 787 A. Duval. , Plin. hist. nal. lib. XI.
cap. 37. , Aeliau. de animai lib. V. cap, 21 ), e la
forma del corpo in generale. Manca però del tutto la
occhiuta coda, la quale non può ravvisarsi certamen-
te in quei raggi, che veggonsi alle spalle del fanciullo.
Io credo che debba con questa particolarità confron-
tarsi una pressoché simile serie di raggi , che forma
quasi spalliera ad una femminile figura sedente su di
un capro, messa ad ornamento di un vaso del nmseo
di Odessa (Gerhard archacol. Zeitung, Oli. IS!)! tav.
XXXIV, 2 pag. 37.'S) : e sospetto che nella Icrracotla
puleolana ci si ponga sotto gli sguardi la favolosa Fé-
— 140 —
STES (forse figidua) in una latina iscrizione di Fi-
renze (Gori ima: Eli: t. I. p. C3 n. CLXXVII; cf.
Raoul -Rochelle lellr. à m. Schorn p. 394 sec. ediz.).
nice. La descrizione, che ce ne lasciarono gli anliclii,
conviene perfetlamenle all' augello, di cui favelliamo.
La grandezza maggiore di quella di un' aquila ; il pen-
nacchio sul capo , caputque phimeo apice cohoneslante,
come dice Plinio; e finalmenle il rosso colore, di cui Mi>ERViNf.
appariscono le tracce , allusivo al nome slesso della
Fenice, ci traggono ad una tale conclusione (vedi Sal-
masio ad Solinum p. 385 seg.; Joraard descr. del' È- Notizia de più recenti scavi di Pompei: continmzion*
gypl. Anliq. tom. L cap. 5, § 6 p. 29-31 ; Creuzer del n. U.
Symbolik toni. II. p. 1G3. segg. 3. ediz.). Sono poi
ben convenienti i raggi all' augello del Sole ( Herod.
lib. II, e. 73); e così di fatti apparisce la Fenice nelle
medaglie imperiali con un disco pieno di raggi intor-
no al capo: ( vedi una moneta di Trajano coniala sotto
Adriano descritta da Eckhel dodr. voi. VI. p. 441 ,
e pubblicata da Creuzer Sijmholik tom. II. tav. Vili,
num. 27. pag. 323, 3. ediz. ). La Fenice è notissi-
mo simbolo di eternità , e di apoteosi. Perciò fu so-
vente adoperata ne'funebri monumenti, anche da' Cri-
stiani , ad additare la immortalità , e la quasi deifi-
cazione de' defunti ; nella quale intelligenza conviene
presso a poco col simbolo dell' aquila e del pavone
( Raoul-Rochette deux. mf'in. stir les antiq. chretien-
nes p. 38 e segg. ). Sicché il nostro gruppo puteola-
no trovato in una tomba sarà destinato a significare
l'apoteosi di un fanciullo, che rapito innanzi tempo
alla vita mortale vien condotto ad una novella esisten-
za dal simbolico augello. Nel che è certamente da
paragonare alle romane medaglie , nelle quali vedesi
l'aquila o il pavone colle ali spiegate, e volanti verso
il cielo, per trasportarvi l'anima degl'imperatori o
delle imperatrici, e così compirne l'apoteosi.
La descritta terracotta, pregevole pel soggetto , lo
è ancora , perchè ci presenta un nuovo nome di ar-
tefice , che nella parte posteriore della base , ha la-
sciato di sé memoria colla epigrafe graffila sulla te-
nera argilla, pria di metterla al fuoco. Non saprei se
questo artista si appellasse IT^o^cXt,? , nome che più
volte si ritrova negli scrittori e ne'monumentk(llaoul-
Rochelte lettr. a m. le due de Luynes p. 31., e lellr.
à m. Schorn p. 95 sec. ediz. ), ovvero ITpo'xXo; cor-
rispondente al latino Proatìm. Comunque sia , non
può dirsi Io stesso Proculo, che è denominalo PLA-
Riuscendo nel peristilio per un' apertura praticala
a sinistra si va in altro peristilio meno nobile, di cui
daremo la descrizione insieme colle altre parli di questa
casa , quando sarà messa interamente allo scoperto.
Ora se n'è sospeso per alcun tempo lo scavo, perchè
si conservassero alcuni tetti rimasti intalti dopo la ca-
tastrofe pompejana. Sono questi tetti notevolissimi: e
ne dobbiamo la conservazione al metodo costantemente
seguito nelle presenti escavazioni, per le cure dell'at-
tuale Sopran tendente sig. Principe di Sangiorgio , e
deirarchitello Direttore sig. Gaetano Genovese. Con-
siste questo nel rimuovere a poco a poco le terre a
strali orizzontali, e non già a tagli verticali : cosicché
nulla potrà sfuggire alla osservazione del diligente ri-
cercatore. Questi tetti così conservati , mentre al di
sotto é l'edificio ripieno di lapillo, e di altri materiali,
insieme con altri fatti già prima ed ora piij recente-
mente raccolti, dar possono grandissima luce alla que-
stione del modo in cui fu sepolta la città di Pompei.
Noi rimandiamo ad altro articolo i particolari di una
tale discussione; ma sin da ora ci piace di annunziare
che questo novello fatto pruova alla evidenza che una
tremenda alluvione avvenir dovette ad accrescere i
danni della eruzione. Questa conclusione fu tratta
dallo stesso sig. Genovese , il quale ne fé oggetto di
particolare comunicazione alla reale Accademia delle
belle arti [\ediiì Rendiconto della r.acc.d. Belle arti an.
1 p. 67. seg.). Una novella applicazione presentavano a
fare i tetti pompejani: e questa consisteva in una par-
ticolare disposizione de'legoli, perché le acque più fa-
cilmente confluissero negli angoli. Si è colla oculare
ispezione dimostrato l'uso di alcuni embrici di parti-
colare forma conservali nel real museo Borbonico:
— 141 —
ed il lodalo arcìiitetlo dirodoro, informandone etfual-
menle 1' Accademia delle Belle arti , indicava l' iili-
je applicazione di quei tegoli pe'nosdi ledi , e ne fa-
ceva il primo saggio nel palagio degli Orsini , attual-
mente in restauro [Reml.cil.\).10). Daremo inseguito
il disegno de' tetti Pompejani , ed una particolare di-
chiarazione, perchè ognuno possa piofiltarc della no-
vella scoperta; confessando ancora una volta la utilità
di studiar gli antichi nelle arti. A compire la nar-
razione di ciò che si è finora scoperto nella strada ,
della quale discorriamo, avverto che il seguente n. 58
è una piccola hottega , di cui non è ancora disotter—
rato il pavimento: le pareti sono di semplice inlonico,
senza alcuna dipintura. Al pilastro seguente leggcsi la
iscrizione P.PAQVIVM.llVlR; che ci persuade forse
a correggere l' altro programma riferito di sopra P*
AONIVM. PROCVLVM , in P. PAQVIMI (vedi !a
p. 59 D. 6). Segue il n. 59 parimenti rozzo compre-
so senza intonico: all'ingresso vi è uno scalino di fab-
brica, ed a' Iati alcuni pezzi di ferro per la chiusura.
N. 61. Ingresso ad un edifizio non ancora disotter-
rato. N. 63. Rozza bottega, che comunica coli' edi-
fizio suddetto : vi è un piccolo e rozzo larario. N.6o.
Bottega anche rozza, con dietrobottega di grossolano
intonico e rozzamente dipinta. Nel muro di fronte è
la figura di un Bacco con tirso e canlharos, e presso
una pantera accovacciata ; a' due lati sono due dipinti
osceni.
Tornando al sinistro Iato della strada avvertiamo
che sul pilastro dopo il n. 43 si legge graffito il nome
APRILIVS presso ad un fallo parimenti graffilo. Se-
gue una serie di altre botteghe , cominciando dal n.
46 in poi, delle quali ci proponghiamo dire con mag-
giore particolarità , quando ne sarà fatto compiuta-
mente lo scavo. Avvertiamo per ora che nella bottega
segnata col n. 49 si veggono varie mete di piperno
da macinare : su' muri leggonsi graffili varii numeri
e la iscrizione
POSTIIRV . NON
OCTOBRIIS
In altra bottega, cerlamenle di mi piymcnlailus.
furono rinvenuti molti oggetti degni di considerazio-
ne ; e di essi già diede notizia il defunto cav. Guglielmo
Bechi , il quale ne parla in tal guisa : « Ecco gli og-
« getti che vi si son rinvenuti. 1. Una quantità di co-
« lor bianco purissimo, oggi dello bianco di argento.
« 2. Quattro pezzi di bianco emisferici con iscrizione
« fatta a stampiglia , impressa su di essi pezzi. Qne-
« sto bianco da noi dicesi bianco di piombo. 3. Terra
« gialla chiarissima. 4. Terra gialla chiara. Questa
« terra gialla si è trovata nel fondo di un' anfora me-
« scolata con una sostanza resinosa, che altro non può
« essere che gomma mastice ; il che proverebbe che
« gli antichi si servivano per glutine delle loro tinte,
« di questa gomma , come facciamo noi , se non nei
« quadri, almeno nelle tinture de' legni e masserizie.
« 5. Terra gialla scura di bellissimo tuono. 6. Smallo
« bleu. 7. Terra pavonazza chiarissima. 8. Terra pa-
« vonazza chiara bellissima. 9. Terra pavonazza scura.
« 10, Nero di fumo. 1 1. Gomma mastice in massa.
« 12. Gran pezzo di asfalto di oltima qualità. 13. Pece
« in gran quantità. 14. Una sostanza composta di varii
« ingredienti nei quali entra la pece e l'asfalto. 15.
« Una gran massa di luto fullonico. 16. Una quantità
« di pomici lavorale a forma di una mezza sfera , ima
« delle quali dentro un manubrio di bronzo. Oltre
« molti pesi , e varii mortai ad uso di pestare e ma-
« cinar droghe e colori.» [Vedi Memorie della Regale
Accademia Ercolanese voi. VII. Appendice p. 43 s. ).
11 Sig. Bechi non omette in questo luogo di osservare
quanta cura ponessero gli antichi nelle più piccole
cose, avvertendo particolarmente come quelle pomici
si lavoravano , dandosi loro la forma di una mezza sfera
di uniforme grandezza , proporzionata alla impugna-
tura della mano, e da ultimo si mettevano in un ma-
nubrio di bronzo concavo a guisa di piccola tazza ,
affiu di poterle meglio e con più forza maneggiare ,
ottenendo così una pressione eguale, senza il rischio
di stritolarle, premendole con la mano nuda (I. e.
p. 44). La iscrizione fatta a stampiglia su' pezzi di
biacca è .\TTIORVM ; e senza dubbio si riferisce ai
padroni della bottega, che facevano la industria de'co-
iori : ed è forse un esempio unico in Pompei della
precisa determinazione di coloro , che tenevano quel
142 —
negoziato. E cosi nella medesima strada abbiamo in-
contrata una casa, che può certamente denominarsi di
M. Lucrezio, ed una bottega, che può chiamarsi de-
gli Adii, dal nome di que fralelli o in qualunque
altro modo congiunti , che esercitavano in società
quella industria , contrassegnando la loro merce col
titolo della fabbrica.
Dopo il n. 66 si offre l'apertura di un vico in parte
disotterrato. Sul muro sinistro vedesi un dipinto , ed
una numerosa serie di programmi, che occupano una
lunga estensione. La pittura rappresenta due enormi
dragoni fra piante acquatiche : le loro aperte bocche
si dirigono verso un incavo eh e pratticato nel mezzo,
e destinalo a poggiarvi le offerte. Più in giù al di so-
pra di un ara dipinta vedesi effigiata una cesta con
varie offerte , fralle quali compariscono due pine , e
due altri frutti indeterminati.
Le iscrizioni, alle quali accenuiamo,sono le seguenti:
i) RVFV3I
poi in piccoli caratteri
2) HELVIVM SABINVM AED
ed in grandi caratteri
3) POPIDIVM- RVFVMIIVm DR-P'O'V'F
4) POPIDIVM RVFVM
b) P . PAQVIVM . PROCVLVM
UVIR ■ 1 • D INI
6) Q . MAR1V3I RVFVM aed • r • p • d
Seguono altre iscrizioni , che quando sarà prose-
gnito Io scavo, non mancheremo di riferire.
fconlinuaj
MlNEnVlNI,
Descrizione di un frammento di vaso diiunto conser^
vaio nel real museo Borbonico.
Tra'più preziosi monumenti ceramografici del real
M. Borbonico è certamente da riporre il frammento
di cratere proveniente daRuvo, rappresentante la Gi-
gantomacbìa. E però dispiacevole che di questo clas-
sico pezzo di antichità, tuttavia inedito, non si son date
finora che inesatte descrizioni. Di fatti non può con-
siderarsi come tale, che non lasci nulla a desiderare,
quella fattane dal eh. signor Consigliere Schulz negli
annali dell' hi. 1842 p. 67 e s. , abbenchè sia la più
estesa ; non essendo le altre che semplici notizie. Per-
ciò non tornerà discaro a' lettori del buUettino veder-
ne rettificata e compiuta la descrizione, alia quale fa-
remo seguire alcune brevi osservazioni. Le figure di
questo importante frammento son rosse in fondo ne-
ro : il disegno è quanto di meglio possa desiderarsi
in questa classe di monumenti : è da notare partico-
larmente che varii oggetti, e talvolta altresì le figure,
offrono le ombre oltre i semplici contorni. Una delle
due facce del vaso è assai più accuratamente dipinta
che r altra ; per modo che può ravvisarvisi l' opera
di due differenti artisti.
Comparisce da prima un mezzo cerchio, figurante
la volta celeste. Al di sotto di questa fascia veggon-
si alcuni de' figli della Terra salire per varie tortuose
linee graffite , messe ad indicar le montagne sovrap-
poste le une alle altre per ascendere al Cielo. Comin-
ciamo a descrivere le varie figure dalla destra de' ri-
guardanti. La prima è Gaea con doppia tunica sen-
za maniche e capelli pendenti : ella al solito è ve-
duta per metà, essendo l'altra mela inferiore profon-
dala nel suolo : con una mano spinge uno de' suoi fi-
gli tutto nudo e con pelle di pantera, il quale è nel-
l'atto di sollevare con grande sforzo un enorme sasso
al di sopra di quelle graffile tortuosità. Vien poi in
ordine alquanto superiore , ma più a sinistra, un' al-
tra figura, che tenendosi colla sinistra ad un petroso
masso della montagna, colla destra puntella una cor-
ta asta al sasso spinto dall' altra figura precedente-
mente descritta. Al di sotto ò un allro Gigante veduto
di schiena , che in forzalo movimento oppone colla
manca la pelle di pantera avvolta intorno al suo brac-
cio, e colla diritta è per vibrar, come sembra, nell'al-
to una scheggia de! monte: presso di lui è uno scudo
rovesciato coll'emblema di un Grifo prominente a ri-
lievo. Segue un altro Gigante pur con pelle di fiera
che si rannoda sul petto , il quale si curva per solle-
vare un grande masso. Al di sopra appajono solo in
— Ii3 —
parie due altre figure : di una si veggono soltanto le
gambe, e la mano dritta munita di martello con dop-
pia punta ; l'altra si mostra dall' ombelico in giù, ed
è adorna di clamide con fregio di meandro ad onda
nell'orlo; le braccia e le mani non compariscono af-
fallo. Nello spazio che rimane voto fra' cinipie perso-
naggi da noi descritti , giacciono sulla montagna una
scure , ed una breve picca.
L'ultima figura a sinistra che vedesi al di sotto del
cerchio , è Encelado ENKEAAAO^ con imberbe
volto, e quasi vinto dalla fatica e dalie ferite: egli ha
la galea, la spada nel fodero pendente al fianco, e Io
scudo con l'emblema di una lesta di fronte con lingua
prominente e zanne, e con lunghi raggi sporgenti nella
parte superiore e nella inferiore. All'interno dello scudo
è nel giro l'ornamento di un meandro ad onda, e poi
una pugna fra cinque figure, probabilmente un'altra
Gigantomachia: sono esse 1 . a destra figura nuda con
ginocchio al suolo, che tira l' arco (forse Alcide) - 2.
figura di schiena, e con pelle di fiera, nell'atto di
vibrare una pietra -3. Comparisce una semplice testa,
essendo il rimanente del corpo impedito dal braccio
di Encelado - 4. Figura con clamide caduta al suolo—
S. Figura virile con elmo e scudo , lanciando l'asta.
Tornando a destra al di sopra del circolo del cielo,
vedesi Hettos in un carro tratto a sinistra da quattro
cavalli, che appajono a metà essendo dal cerchio me-
desimo interrotti. Il dio ha clamide affibbiata sul petto
e svolazzante , corazza a squame , con ornamento di
meandro ad onda e gonnellino: presso la sua testa è
il disco del Sole bianco con tratti gialli, e circondato
di bianchi raggi. Al di sopra sono i residui di altra
quadriga , che va da sinistra a destra. Dal lato oppo-
sto , ed anche sopra della descritta zona , presso la
figura di Encelado, scorgesi anche interrotta in parte
dalla volta del cielo , una figura femminile , che si
avanza a manca sedente sul cavallo, vestita di tunica
^enza maniche e clamide. La parte superiore del corpo
e la testa non si vede, per essere il vaso infranto; ma
forse dee credersi Hemera, o l'Aurora. A questa me-
di'sima faccia del vaso sembra appartenere un piccolo
fiammonio con la testa di Minerva galeala , ed indi-
cala dalla epigrafe A'-^HNA.
Passando all'altra faccia, di cui dicemmo esser
meno accurato, benché non meno franco, il disegno,
osserviamo vedersi in alto alcune figure in grandissima
parte mancanti per la frattura del vaso; una con clami-
de, altra con nebride. Nell'ordine inferiore una femmi-
nile figura con semplice corona di edera e radii sul ca-
po, ha lunga tunica con fascia alla vita: colla destra è
nell'atto di vibrare una pietra; colla sinistra, a cui è so-
spesa una pelle eleva il tirso: presso la di lei lesta è la
iscrizione IlAlAlA, che noi prima abbiamo scoperta.
La precede un Sileno barbato, e con coda: ha questi il
capo munito di galea crislata e fatta a foggia di squa-
me ; stende pure il sinistro braccio a cui è sospesa una
pelle, e colla destra sfiinge una lunga pertica od asta
contro una figura virile nuda caduta al suolo, della qna-
le veggonsi le sole gambe,e parte dello scudo che aveva
a sua difesa. Presso la testa del Sileno b'ggesi EV....
Al suolo sorge una pianta con rami , che sembrano
di vite selvaggia , e pur da questo lato sono tortuose
linee graffite. Sotto è in giro un meandro. Poggia il
vaso sopra un piede staccato , che probabilmente vi
apparteneva. Su di questo è dipinta una murena , o
qualche marino mostro, non che un altro animale di
forme somiglianti a quelle del tonno, che tengono
ciascuno in bocca un piccolo pesciolino : e questa rap-
presentanza si ripete per ben due volte. Sotto è in i^'iro
un meandro ad onda.
Quelle linee ad arco , che limitano superiormente
la rappresentazione , sono giudicate indicar la volta
del cielo dal Gerhard fbiiU. dell' hi. 1810 p. 189;,
e dallo Schulz fbull. cit. 1842 p. 67 j. E noi ne fa-
cemmo altrove il paragone con una simile particolarità
osservata nel magnifico vaso di Ruvo , che pubbli-
cammo nel huUeltino archeologico napolilano (an. II.
tav. V. eVI. vedi la p. 107) , e che fu poi acquista-
to dal Sig. Barone di Lotzlìcck. Notevole è la ripeti-
zione di IMios che guida il suo carro, ed insieme del
disco del Sole , che comparisce pure nel citato vaso
di Ruvo. A me sembra che il carro del Sole interrotto
dalla volta celeste dia a divedere che si trovi dall'altro
emisfero , verso del quale più si dirige : e dello stesso
modo potremmo ravvisar nell'altro carro solo in parte
conservato la quadriga di Selene , che parimeali si
— 144
allonlana, mentre fa lo slesso l' Aurora che egual-
iiienle percorre sul cavallo l'opposlo emisfero. Farebbe
a ciò bellissimo confronto il luogo di Apollodoro, nel
quale si riporta che Giove comandò di non recar la
loro luce all' Aurora , al Sole , ed alia Luna : à.'jru-
'Trwy (JaAfiv 'Ho? T: xoCi SìXrjir, xoù 'HX/w (lib. Icap.
0 , 1 ). La figura di Elio è notevole per la squamosa
lorica coir ornamento di meandro ad onda: alla pri-
ma fa confronto Valerio Fiacco, che parla della lorica
del Soie (Argon. IV. v. 93 , 94J , alla seconda dan
luce i rapporti dell'astro del giorno colle marine onde,
e quando sorge dalle acque, e quando in esse si tuffa
(\edi ciò che dicemmo nel bull. arch. nap. an. V. p.
79-80 ). Passando alla pugna stessa avvertiamo che
il sollevar de' grandi massi trova il paragone di altri
monumenti; uè solo in rapporto de' Giganti, ma al-
tresì de' Centauri nelle rappresentazioni della loro
battaglia co'Lapiti, Ingegnosa è la determinazione che
la ilSig. Schulz delie tre figure che sono a sinistra in
ordine alquanto superiore , e che sono in gran parlo
mancanti. La figura da lui spiegata per Marte, che è
»iuella che puntella un corto giavellotto ad un sasso
solle>alo da un Gigante, può credersi nell' atto di
scuoterlo , perchè precipiti al basso. Il personaggio
col martello a doppia punta può credersi Vulcano ,
secondo la opinione dello stesso eh. Schulz, e l'altro
con orlala clamide può riputarsi Apollo, al quale non
altrimenti che al Sole, conviene il fregio del meandro
ad onda , essendone non diversa la intelligenza. La
figura di Minerva trovavasi per avventura non mollo
distante da Encelado , e certamente dal sinistro lato.
Intanto la epigrafe A0IINA viene a dimostrare che
non una sola iscrizione vedeasi sul vaso , come cre-
deva lo Schulz, richiamando l'altro colossale vaso del
real museo Borbonico con la sola epigrafe APTEMIS
graffita. Il frammento di Ruvo presenta certamente
▼arie iscrizioni dall' una e dall' altra faccia , ed altre
probabilmente se ne vedevano nelle parti mancanti.
In quanto poi alla voce APTEMIX dell' altro vaso ,
noi abbiamo non lieve sospetto che fosse una moderna
falsificazione, avuto riguardo alla cattiva forma dello
lettere , ed alla incertezza de' tratti.
fconlinmj Minebviri.
Vaso dipinto con Ulisse AKA.yruoPLEx.
Il d'Hankarville nella collezione di vasi(t. IL taT.
29 ediz. di Parigi ) ne pubblicò uno con rappresen-
tazione di grande importanza. Vedesi dipinta una na-
ve con entro due personaggi , uno de' quali è inteso
ad annodar 1 ' ancora , l' altro è appoggiato al remo.
Al disopra di questo è un augello volante , che ha
nel rostro un pesce rotondo con lunga coda rivolta
in giù. Sopra uno scoglio è una donna , che attende
il naviglio. Questo curioso monumento fu ripubbli-
calo dall' Inghirami [vasi ^«.t.II.tav.l 16, 1 17).ll ce-
lebre cav. Welcker vi riconobbe il soggetto di Ulisse
ucciso dal pesce Tpuyu/v nel giungere al porto , colla
nota denominazione di Ulisse akanthoplex. I partico-
lari di una tale spiegazione legger si possono nel bul-
lellino dell' istituto per l' anno 1 833 pag. 1 i 6 e seg.
Ora non tornerà discaro di vedere in questi fogli an-
nunzialo che il vaso , di cui è parola , è tultavia esi-
stente nella collezione de* signori Porcinari in Napoli.
Avendo noi avuto occasione di osservarlo , ci siamo
avveduti che esiste nel campo, al di sotto dell'augel-
lo una iscrizione, che pare sia sfuggita a' primi edito-
ri. La epigrafe è la seguente KO I MAPIi^, ku~
/xap/j, 0 k >wx*p/s ; giacché non sapremmo difiinire se
il terzo elemento sia I o M, vedendosi in quel sito una
piccola frattura. Quale influenza abbia una tale novità
sulla spiegazione del Welcker , e come debba inter-
pretarsi non ci è ancora sovvenuto al pensiero: ma
nel prossimo foglio del bulleltino ne daremo una qua-
lunque siasi dilucidazione , contenti per ora di rife-
rire il fatto , senza particolare comenlo.
MlNERVUri.
P. Raffaele Garrccci d.c.d.g.
GicLio MiNERviM — Editori.
Tipografia di Giuseppe Càtaheo.
BriLETTmO ARCHEOLOGICO IVAPOLITA^O.
NUOVA SERIE
^' 19. Aprile 1853.
Epoca in che fu costruito l' Anfiteatro pompeiano. — L' Ambulàtio e i Programmi popolari in Pompei.
Epoca in che fu costruito V Anfiteatro pompeiano.
Le fabbriche dejjli Anfilealri vennero in moda assai
tardi, essendo vecchissimo costume e generale in Ilalia
di erigere palchi di legno nelle piazze. Tal notizia ci
viene dal più competente giudice , che potea deside-
rarsi, io dico da Vilruvio, il quale neppure ci ha la-
sciato nei suoi dottissimi libri istruzione veruna intorno
alla costruzione di essi. La qual cosa unita al precetto
di far le piazze in Italia rettangole , e non quadrate
per r uso degli spettacoli, ci dimostra evidentemente
qual ragione egli avesse di non occuparsi di una fah-^
brica, l'uso della quale non era divulgato. Dice adun-
que Vilruvio : In Jtaìiae tirbibiis non eadem est ratione
faciemìum , ideo qiiod a maioribus consueludo tradita
est , gladiatoria munera in foro dari. fgllur circum spe-
ctacida spatioMora inlercohimnia dislribuantur. iMi-
tudo aulem ita ftniatur , ut ìongitudo in tres partes
cum divisa fu rit , ex his duae partes ei dentar : ila
enim erit oblonga eius formalin , et ad spectacidorum
raliom m utilis dispositio (V. 1 ),
Un lai uso ricorreva segnatamente in Eiruria, ciA
che gli Etruscómani non hanno avvertilo , e ce ne è
nobilissimo documento la pittura di un sepolcro di
Tarquinia ( Canina , Etr. Marìtt. Tav. LXXX V ) , pa-
ragonalo con un fatto ancor meno osservalo, ma che
ne dà non meno solenne conferma. Qual fosse il modo
di assistere agii spettacoli in Roma, prima della mela
del secondo secolo , lo descrive Livio, e Dionigi^ Dice
il primo ; Spectavere furcis duodenos ab terra spectacula
alta sustinentibus pedes {{ ,^?t): dice il secondo : 'Ec-rri»
TE? i^icóoovY Ì-k' Ixfii'uiv, Q-.firuiY spXi'vxii C7;tr,v«rs éot-
xiiixìviov {IH, p. 200, Sylb.). Della quale verilà slo-
rica ne vien garante la pittura citala di sopra ; nella
quale il popolo è appunto collocalo su i palchi sosle-
nuli da cavalietti presso a poco dodici piedi elevali
dal suolo. Che se la Eiruria , donde veniva a Roma
Tarquinio , avesse avuto Aniitealri , egli è fuor di
dubbio , che il vanlalo autore della massima cloaca ,
e del massimo circo avrebbe fallo edificare anche que-
sta mole nella nuova sua dimora. Intanto i Koniaiii
seguitarono a costruir Anfiteatri di legno fino a' tenq)i
di Augusto,
D'altra parte niun Anfiteatro è in Eiruria che possa
dirsi di costruzione eirusca : e quei luoghi ove se ne
riconosce qualcuno lo debbono sicuramente aver ri-
cevuto sotto il dominio dei Romani. Così Areliiim ,
Luna , Luca , Florentia , e Volalerrae che hanno .\n-
filealro , furono colonie romane, e lo fu Sulrium al-
tresì, dell'Anfilealro del quale il Comm. Canina di re-
cente ha dato il competente giudizio fEir. Murili, p.
73^, giustamente attribuendolo cogli allri ai Romani.
Liionde non vale il dire col Sig. Ab. Rucca ( Rcnd.
della .Snc. J{,Borb.Accad.Ercol.\)."ynj, che queste città
eran distrulle ai tempi romani , male inlerpretandj
i luoghi dei Classici, i quali debbono aver accennato
all' antica condizione eirusca di queste città : peroc-
ché ai tempi in che essi scrivevano erano in piedi, ed
in condizione di colonie romane.
Una tanta costruzione in legno, eseguita inoltre sì
di frequente , offriva di già un modello esalto a chi
volesse alzarne qualcuno in pielr.-ì : laonde quando i
tempi di pace permis<*ro ad Augusto di rivolgersi ad
abbellir Ruma , ei non mancò di suggerire a Statilio
19
146 —
Tauro il pensiere di fabbricare un Anfiteatro. Niuno
potrebbe asserire sinora se prima del secolo ottavo
alcun Anfiteatro di pietra si fosse altrove costruito
in Italia; che i monumenti superstiti nulla contengo-
no , affatto nulla , che ci obblighi a sorpassar questo
limite, lo non entro qui a trattar dell'architettura, né
della maniera di costruzione, né de' luoghi degli scrit-
tori, onde qualcuno si è lasciato bellamente trarre in
inganno : di tutto ciò ho disputato in due memorie
lette all' Accademia Ercolanese , ed in una disserta-
zione intorno ai frammenti dulia Iscrizione , che fu
una volta sulla porta d'ingresso dell'Anfiteatro pu-
teolano. Basti quindi asserire , che da tutto ciò nulla
si può dedurre, che ci faccia salire al di là del secolo
ottavo , ove manchi una testimonianza scritta e con-
temporanea, che ne determini l'età. Già dimostrai che
tutte le iscrizioni che parlano della costruzione degli
Anfiteatri conosciute finora , sia in Italia , sia fuori ,
tutte sono dei tempi dell' Impero.
Ora dopo di avere avvertito i lettori dello stato in
che è la questione intorno all' epoca degli Anfiteatri
in pietra , mi argomenterò per quanto è possibile di
determinare il tempo , in che fu costruito quello di
Pompei; e ciò dalla doppia iscrizione trovala su due
ingressi di esso rivolti a ponente e dalle otto , che si
leggono sul parapetto del podio ad oriente. Ecco il
tenore di quella , che è intera ; che all' altra manca
una piccola parte a sinistra :
C • QVINCTIVS • C • F • VALGVS
M • PORCI VS • M • F • DVo • VIR
QVINQ • COLOXIAI • HONORIS
CAVSSA • SPFXTACVLA • DE • SVA
PEO • FAC • COKR • ET • COLOXEIS
LOCVM • IN • PERPETVOM • DEDER
Le scolpite sul parapetto del podio a sinistra di chi
cnira dalia porla settentrionale leggono
davanti ul primo cuneo :
•MAO • PAG • AVG • F • S • PRO • LVD • EX DD (!)
(I) Lpggo: .Hagitlri Pagi Augutti Felicit Suburbani prò Ju-
dt< ex decreto Decuriunuin. TaluUiu* ( e non T. AlitUiiu sic-
davanti al secondo : ■
TATVLLIVS • C • F • CELER • HV • PRO • LVD • LV CVN F C EX DD
davanti al terzo :
LSAGINIVSIIVIRID PRLVLVEX D DCVN
e si ripete sulla parte interna :
L • SAGINIVS IIVIDPLLEXDDC
davanti ai tre cunei seguenti , l' una dopo l' altra :
N • IST ACIDI VS • N • F • CILIX • II VIRPROLVD-
LVM • A • AVDIVS • A • F • RVFVS • II • VIR • PRO-
LVD • P • CAESETIVS • SEX • F • CAPITO • IIVIR-
PRO • LVD • M • CANTRIVS • M • F- MARCELLVS-
II VIRPROLVDLVMCVNEOS IIIFC EXDD-
Non può esser dubbio, cheC. Quinzio e M, Porcio
siano i primi autori dell'Anfiteatro pompeiano , av-
visando la iscrizione , che i posti da sedere in gene-
rale essi gli hanno fatti costruire: Speclacula faciun-
da coeraverunt (-2). È poi ben naturale , che qui la
voce SPECTACVLA si abbia da intendere per l' in-
tero edifizio , il quale consiste appunto di posti da ve-
dere. Né presso i Greci ©sxrpov, od 'AixpiBixrpov valse
altra cosa che luogo da guardare ; onde S. Isidoro
visorium grammaticalmente lo interpretrò. Questi luo-
ghi, o posti da guardare, son divisi da maggiori e mi-
nori intramezzi di gradini , i maggiori seguendo la
forma ellittica dell' edifizio non vanno in linee paral-
lele , ma convergono dall' alto al basso ; e però i par-
timenli dei posti fra le due linee presero dalia mate-
rial figura nome di cunei. Qui M. Porcio e C. Quìu-
conie ha copiato erroneamente il Mommsen , /. iV. 22b2) Cai fiU
Celer Duumvir iuri dicundo prò ludorum iuminalìone [lì Momm.
interpreta, prò ludorum luminibutj cuneum faciundum curavit
ex decr. Decur. e cosi in seguilo.
(2) È uno sbaglio del Ziimpt , che la voce speclacula prende
qui per rappretentanta, quasi avesse trovato tpectacutum dare,
ovvero edere, « non tpectacula faciunda curare f y. Com.Eptgr.
p. 107, !«;.
— 147
zio non ci dicono già come gli aldi duumviri, o come
i Maestri del Pago Augusto di aver Aibbriralo uno ,
o più cunei , ma gli spetlacoìi. Dal (jual paragone ri-
sulta parmi anche più evidente il significalo che si
deve atlribuire alla voce SPE(]TACVLA. Lo che po-
sto , né i Duumviri , né i Maestri del Pago Angusto
potranno contendere loro la pi iorilà ; e però riinan
provato, che C. Quinzio, e M. Porcio siano i veri e
primi autori di questo ediGcio.
Ben parmi sicuro , che se gli altri non hanno il
merito di aver cominciata la fabbrica , lo abbiano di
averla aiutata , e condotta con loro a fine. Perocché
la costruzione dei sei cunei non ha sembianza adatto
di rifacimento , trovandosi l'un dopo l'altro dal solo
lato sinistro, ed opposto a quello, sulle due porte del
quale furono poste le due iscrizioni che dichiarano
Porcio e Oiù'iz'O autori della mole. Intendo quindi
la cosa così , che cominciata la fabbrica dai Duum-
viri lodati, e condotta avanti a proprie spese, corren-
do tuttavia il quinquennio della loro magistratura , i
Duumviri loro surrogali nei tre anni seguenti per
decreto dei decurioni avessero occupato il denaro so-
lito erogarsi nello entrare in carica in giuochi, e lu-
minarie, alla costruzione di un cuneo dell'Anfileatro,
La qual cosa i maestri del pago abbiano imitata fa-
cendo anch' essi il cuneo loro, secondo che era paruto
ai Decurioni.
Or i Maestri del pago Augusto non debbono essere
anteriori al 747 di Roma : perocché appunto in que-
st'anno Augusto rimise ai vecchi municipii , ed alle
colonie quel sussidio di veterani che avevano termi-
nato gli anni della milizia sotto i suoi auspicii [lUon.
Ancyr. Ili . 28 ).
U qual fatto spiega assai bene la formazione di un
Pago che tolse il nome di Augusto Felice, non poten-
dosi ammettere , che il cognome Felix fosse origi-
nario della colonia sjllana ; perocché per le ragioni
da me esposte altrove , è ora manifesto che né Siila
diede mai tal appellativo alle sue colonie ( onde ne
manca Pompei ) , né se ciò fosse, lo dovremmo tro-
vare in quel secondo luogo , che occupa.
Altra circostanza concorre egualmente ad aesicu-
rare meglio tal deduzione : ella è il sapersi per una
iscrizione pompeiana che appunto in quest'anno 747
furono creati nel Pago Augusto Felice i Ministri, MI-
Msim • PAGI • AVO • r i: L • svuvkbam • primi
( /. iV. 2-293 ) ; e perù anche i Maestri del Pago me-
desimo , essendo relative queste cariche, ed apparte-
nenti alla instituzione di un collegio medesimo. Laonde
si pare che nel collocarsi i veterani accanto al loro
paese nativo ricchi dei donativi imperiali decidessero
insieme di dar nome di Augusto al no>ello pago, ed
il culto vi stabilissero al Genio di Cesare, monumento
di religione inseparabile dalla riconoscenza pagana ,
e però inqwssibile a supporsi di epoca diversa da
quella , in che appellavano Augusto il lor pago.
Che se l'opera del cuneo costruito dai Maestri del
pago Augusto non può ragionevolmente separarsi dal
processo della fabbricazione primitiva dell'Anlilealro,
e questi non furono creali prima del 747 ; adunque
il coininciamento della fabbrica dell'Anlilealro Pom-
peiano non potrebbe precedere che di qualche anno
il 747 di Roma. Ma osservando, che il commodo del
Teatro coperto dato costruirsi per appallo dai Duumvi-
ri M. Porcio, e C. Quinzio, e la mole dell' Anfiteatro
cominciata nell'anno medesimo della loro Quinquen-
nalità ci obbligano a vedere un gran movimento ope-
rato in questa colonia , lo che polca solo prodursi
dalla nuova giunta di ricchi veterani , desiderosi di
agi , e pieni delle grandiose scene della magnificenza
romana, noi facilmente ci persuaderemo, che la ere-
zione di questo edifizio non può preceder l'islesso anno
quadragesiinosettimo dell'ottavo secolo di Roma.
Non fo qui verun caso , come di cosa superflua ,
che i Duumviri C. Quinzio , e M, Porcio diconsi
Quinquennali , carica , che secondo le buone osser-
vazioni del Zumpt {Comm. Epìgr. pag. 93), non
essendo anteriore al 725 , ci fa intendere viemeglio ,
che r Anfiteatro di Stalilio Tauro messo in piedi sia
dal 724 offriva già un tipo ai nuoyi dedotti, e ne ac-
cendeva loro anche più vivo il desiderio. Inoltre , se
il nuovo ordinamento di Augusto del 72o aveva sta-
bilito il nome e gli attributi del Magistrato Quiquen-
nale, già l' Anfiteatro non avrebbe preceduto quel-
l'anno, e però sarebbe sempre posteriore al romjuo
di Statilio,
— IVS -
Ad appressarci inolire all'anuo preciso della Quin-
qiieiMialilà de' Duumviri Quinzio e Porcio non ho
allro mezzo , che la paleografia ed ortografia della
isciizione , la quale sapendo dell' arcaico sta meglio
certo ai tempi di Augusto, che dopo. In questi cono-
scendosi , che regolarmente il censo ricorreva ogni
cinque anni, i soli anni di che si può Irar vantaggio,
sarebhero tra il 730 , e il 770.
Or avendo sopra dimostrato la ragionevolezza di
stimar posteriore al 747 la fabbrica dell' Anfiteatro ,
resterà più ristretto Io spazio tra quest' anno , ed il
770. Nel quale spazio io conosco due sole quinquen-
nalità certe , la prima del 708, in persona di M. 01-
conio Celere , e 1' altra del 732 nel duumvirato di
Aulo Clodio Fiacco , per la pompeiana tra le laser.
Ncap. n. 2378. Procede la prima dall'osservare, che
M. Olronio Celere nella prima lapida ove diccsi Duum-
viro Quinquennale designato aggiugnesi il sacerdozio
di Augusto ('), e nella seconda ove è detto Duumviro
Quinquennale è invece denominalo Sacerdote del Divo
Augusto ( ); lo che certo dimostra che egli era in carica
dopo il 19 Agosto del 707 , nel qual giorno furono
decretali ad Augusto gli onori divini. Mcn sicuro è il
terzo Quinquennale, non essendo conosciuto quale in-
tervallo legale dovesse passare tra l'una dignità e l'altra
nei municipiienelle colonie, e con qualileggi vi fosse
osservato. Solo può giustamente opinarsi, che .A. Clo-
dio Fiacco Duumviro per la terza volta nel 752 (/.
iV. 2378) , non guari prima dovesse aver sostenuto il
suo duumvirato secondo , che fu quinquennale, e
forse nel 747, al 748, che regolarmente può credersi
anno del censo. Esclusi adunque questi Ire anni , al
duumvirato quinquennale di M. Porcio e C. Quinzio
|iiob;ibilmenle restano le quinquennalità delle secon-
de metà del 752 , 757 , 762 , al 733 , 738 , 703 ;
nella qual epoca forza è, che sia stato costruito l'.Xn-
filealro pompeiano.
Garrucci.
(1) m ■ holcomo • celeri
d • v ■ i • d • qvinq • designato
avgvsti ■ sac.ekdoti
(2) M. Jloìcnnio CELERi
SACERDOn DlVi Augusti
],V1R • 1 D QVl.NQKcnnaK
L' Amdvlàtio e i Programmi popolari in Pompeti
Xeir aringa di Cicerone in difesa di P. Siila è un
luogo salito in celebrità presso gli scrittori delle cose
pompeiane , e presso gì' interpreti. Vi fu , dice, tra i
Pompeiani, e i novellamente dedotti in quella città un
dissidio, e questo durò molti anni. Essi non si accor-
davano intorno aW Ambulazione ed ai loro suffragi.
Pompeianorum colonorumque dissensio quum iam in-
velernssel , ac mullos annos esset exagitala . . . Pom-
peiani , qui de ambtilalione et de sulpagiis suis cum
colonis disscnsennU , [p. Si/Ila, e. 21 ). Qualche cri-
tico contro alla costante lezione dei codici manoscritti
pose amhilione per ambulatione , che il Grutero , il
Grevio, ed il Garaton difendono come vera, seguiti
dal Lemaire e dall' Orelli nelle recenti loro edizioni.
Intorno M' Ambuìalio il Lambino dice non saper, che
sia: Quid silii velil, nescio: ma il Grutero col Gugliel-
mo la interpretano Portico, e questo senso ritengono
il Rosini [Diss. Isag. p. 51. n. 20) , il Lemaire (ad
h. 1.). Lo Zumpt fComm. Epigr. pag. 408), dice ia
generale: Discordare coepitisc vetcrcs et noms Pompeia-
nos de pubìico aliquo aedi fido. Io giudicar non saprei
con loro, che qui sia lite e dissenso di un edifizio pu-
bìico , di un portico , del quale si disputasse vuoi la
proprietà vuoi l'uso fra i vecchi e novelli abitatori di'*
Pompei. La proprietà non poteva disputarsi tra i vin-
citori e i vinti , e l'uso nemmeno; perocché elevati
presto i Pompeiani a condizione uguale di cittadinanza,
in Pompei non erano più due popoli, ma un solo. Di
poi chi spiegherebbe questo singoiar caso, che la qui-
slione intorno all' AmbiUatio fosse nata insieme con
quella de su/fragiis .s»«s, e perdurata con essa mullos
annos, e poi finita col finir la controversia dei suffra-
gi, senza che fra l'una e l'altra fosse alcun rapporto.
Or se la questione dei suffragii richiamava (juella
dell' Ambulazione , dovrà questa aver un significato
relativo a quello dei suffragii; e da questo lato la cosa
par così ragionevole, che io son certo non sia per in-
contrare difficoltà veruna. Qualche opposizione che
potrebbe farsi da taluno per la novità del senso, non
parmi insuperabile a coloro , che sanno non ancora
essere ben intesi tutti i luoghi di Cicerone, nù' degli al-
— IW —
111 Ialini scrillori anche i |)iù li iti e vol;;;jri. Al qiial iolrodolla ivi da Siila. Dico facilmenle perchè i pri-
proposilo per addurne un esempio io ricorderò che in vali , che ne sono autori , hanno p<Jlulo usare in
Cicerone stesso i^iorossi il vero significalo del discus quei piimi lempi anche la linj^ua naturale del paese ;
[de Ora/. II, o , fino a lanto che non venne un passo
di M. .Aurelio ad insegnarlo [ad Fronton. IV, 6 . Non
mi rimarrò dunque per questo dal proporre qual in-
terpretazione io stimi conveniente alla piana e ragio-
nevole intelligenza di quel luogo.
e però ancor che sia certo che la lingua osca cessò,
ciò non impediva , che se ne facesse uso tra i Pom-
peiani , anzi che vi dominasse , prima che la lingua
dei coloni non vi fosse ahhaslanzj diffusa. Per lo
che parmi ancor probabile, che alcuni programmi
Imperocché io dico che essendo ivi discorso di suf- osclii siano contemporanei a certi latini prìmilÌNÌ ,
fragi , de siilf'ragiis suis , ì'Ambidalio può aver henis- non solo perchè scritti sullo stesso tufo e con carat-
àmo il senso forense del IlipjVxTOs dei (jreci. Or i lere di ben remota antichità , quanto perchè riferi-
Greci di Taranto dissero Uìuvxt-à quei luoghi di scono i nomi del medesimo candidato. Addurrò jwr
riunione, ove il popolo soleva trovarsi e passeg;;i indo esempio cjucsto singolarissimo da un pilastro a sinistra
discorrere degli affari politici , e brigare e conferire della via che dai teatri s\olta verso il foro ; il latino
sulle elezioni dei Magistrati Plut. in Pyirho, Mùller, dice :
Dor. II, p. 398 seg., Lorentz, de Ciiit. Tareitlin.[).
44 , 4 : non sarebbe strana cosa che i Pompeiani
trasportando in latino il greco IIi?/irxTo5 avessero
propriamente detto Ambidalio luoghi somiglianti di accanto al quale in un pilastro seguente dopo si leg-
riunione politica, che anzi il broglio medesimo, ossia gè in osco 'altrimenti il Mommsen, i'. D. taf. Xr :
MA • IIEREX • I
SERICVS VOS
le parlicoiaii assemblee, ove si formavano i partiti
pei candidati. Lo che se si ammette, le due quistioni
de ambuladune , e de suffragiis , si corrispouderanno
assai bene . risultando che i dissensi Ira i vecchi e i
novelli abitatori di Pompei erano intorno ai brogli ,
ed ai voli di quelli, perchè senza dubbio cercavano i
coloni di prevalere.
Applicando ora questa inlerprelazione della voce
Amhulalio, cosi ben difesa dall'analogia del senso, e
dalla ragionevolezza del costume, a quella jarte di
Pompei finora disolterrata parrà evidente , che in
luogo di ijortici, e di pubblici edifizii, le ambulazioni
venivano pralticale sulle maggiori strade. Qui veni-
va il Colono, ed il Pompeiano, qiii maneggiava il
candidalo . ijiii il capo di partilo per disporre in fa-
vore del tale o tal altro gli animi degli elettori. .\ tal
uopo , e secondo la ragione dei temjii , gli aderenli
proccuravano insinuare 1' opinion loro, e i desiderii,
scrivendo sulle pareli i nomi di coloro che essi cer-
cavano alle maiislralure. Queste dimostrazioni a cui
prendon parte anche le dorme, e coloro che non han-
no verun drillo di volare, sono si an'.iche in Pom-
pei , che facilmente precedono i tempi delia colonia
VI3-51HÌ-511IIIII
Che il candidalo qui proposto sia di nazione Pompeiano
me lo persuade il suo prenome Maio, e forse il pro-
gramma Ialino deve essere stalo scritto da alcun Osco.
Sarebbe pressocchè temerario voler indovinare la for-
mula usala dagli 0?ci , alla quale parmi si riferisca il
programma recalo qui sopra. Solo può slimarsi a ra-
;;ione che non dovesse irran fatto discoslarsi dalla ma-
niera Ialina , se la sigla numerica liii della linea se-
conda vale Qiindioiriro.
La formola latina quando è completa propone- il
nome del candidato, poi la magistratura a cui e cer-
cato, indi la persona che lo dimanda, e ciò colla frase
ordinaria Oro Vos Fariaiif, che spes>i>>iin') dissi nu-
lala mdle tre sigle OVF, o sciolte, od unite iu nioau-
gramma diedero luogo sino ad ora ad interpretaziuni
diverse. Tra queste la più falsa, proposta già nel Wie-
ner J.ihrbùcher XX. 14 , e poscia dall" Ocelli, leg-
geva: Omni Volunlate Facia.is Orelli, L'oli, ampi.
Iiìfcr. Latin, n. 3700 . 1 nostri letterati si discostaro-
no assai meno dal vero , siccome ho dimostrato in
— 150 —
altro articolo ( v. Bull. p. 4, segg.), nel quale pro-
dussi il primo la piena interpretazione di dette sigle.
I nomi degli aspiranti leggonsi commendati da frasi
onorevoli , tra le quali primeggia si , che se ne può
diie ordinario 1" uso , la lode di probità , di verecon-
dia , di merito verso la patria.
Fra questi appellativi , il V. B. , ossia Virum Bo-
num vi è solenne , siccome frase crcd'io solila ado-
perarsi a determinarne la condizione. Così almeno in
Roma si costumò, onde Seneca, Omnes candidatos Bo-
nos Viros dkimus (Ephl.òJ. Diconsi inoltre Dignissmi,
Probissimi, Verecundissimi, Digni Reipubìicae {^) ; altri
è lodato luvenis Integer (=) , Innocuus (') , Frugi (*) ,
Egregius. Adulescens (=) , altri Omni bono meritus («) ,
altri Civis bonus ('). Tra i nomi di coloro che si sotto-
scrivono leggonsi ancora quelli di alcuni corpi, di col-
legii, osodalizii, de' quali sappiamo, che molti ne era-
no in Pompei {Tacit.Ann.\lY,n).A. fraglie di artisti
credo , a classi di braccianti , e di gente di mestiere
appartengono gli Offeclores («) , il Perfusor {^) , i Pi-
stores ('») , gli Aurifices (") , i Pomarii ('-) , i Chiparii
(o CaepariiJ (") , i Lignarii Plostrarii («'*), i Salinien-
ses C), i Piscicapi ('^) , gli .4g(r*co/ae ('') , i Mulio-
nes (") , i Culinarii ("), i Saccarii (2»), i FuUones ("),
(I) e. g. M ■ HOLCONIVM ■ PRISCVM
VERECVNDISSIMVM .DUPOVF- DIGSISSIMVM
cioè Dignum. Jiei. Publicae. Oro. Vos. Faciads. Dignùsimum.
PAQVIVM • ET • CAPRASIVM
PROBISSIMOS DVIDOVF
cioè Duum Viros. Iure. Dicundo. Oro. Vos. Facialis.
(2)
(3)
■(*)
(5)
(6)
RVFVM II • VIRVM
IVVE.NEM INTEGRVM
L • POPIDIVM • SECV.NDVM
AED IVVENEM INNOCVM sic AETATIS D • R ■ P
CERDO FACIT
PRISCVM D • R • P • Il u
IVVENEM FRVGt
POPIDIVM SECVN///
EGREGIVM ADVLESCENTEM OVF
CN ■ HELVIVM SABINVM AEd
OMNI BONO MERITVM IVVENEM AE
D • R • P • 0 • V ■ F
Questo programma (6) è pubblicalo nel R. Museo Borbonico T. I.
p. 4. tulli gli altri che non hanno indicazione di altri editori, sono
copiali da me, e si pubblicano qui la prima \ulia.
(7) MILIVM MAIVM D ■ V ■ I • D
AVRELIVS CIVEM BONVM FAC
R. Mus. Borbon. T. I. 22; leggi ; ALLEIVM MAIVM etc.
(8) POSTYMIVM • PROCVLVM AED
OFFECIORES • ROG
B lU. Arch. Napol. T. Il, 6 ; letlo anche da me,
(9) ///II- VIR OVF wion,
EVUODE PERFVSOR ■ CVMTICVS///
OVF vvm
?eoondo mia lettura, ma altrimenti nel Bull, Arch. Nap. T. II, 3.
Ic^go cum Ticus.,.
(10) C ■ IVLIVM POLVBIVM ■ IIVIR ■ OVF mm
MVLTVM ■ PISTORES • ROGANT
Bill. Arch. Kap. T, Ili. 2; letto anche da me,
(ti) G • CV.Sl'IVM PAiYSAM /«P
AVRIFIGE.S VMVEI'.SI
liOG
Beai Musco Borbonico T. 1, 4; Wien. Jabrl», XX, 12 , Creili I.
S. 3700 , rimane ancora , e vi si legge chiaro 1' Aurifices.
(12) M • HOLCONIVM
PRISCVM • Il • VIR ■ 1 • D ■ POMARI VNIVERSI
CVM HELVIO VESTALE ROG
R, M, Borb. T. Ili, 8; l'ho letto ancor io.
(13) C • IVLIVM • POLVBIVM • li • VIR
CHIPARI • ROG
Guarini, Fasti Duumv. pag. 133. pare mollo probabile la corre-
zione di CHIPARI in CAEPARI.
(14) MAHCELLVM • AED • LIGNARI
PLOSTRARl • ROG • LASSI
CVM FABIO • ET • CRINIO • ET • CALVISIO
INFANTI05E ■ VBIQVE
Guarini, Fasti Duum, p. 130 forse CRINIO deve correggersi ia
LICINIO, 0 CerRINIO.
(15) M ■ CERRINIVM
AED • S.^LLMENSES
ROG
Diss. Isagog. Tav. VII.
(IC) POPIDIVM RVFVM AED
PISCICAPI FAC,//
Giorn. degli scavi, 1813. Wien. Jahr. XX, 12 indi l'Orelli, Insor.
Sei. 3700. Il Guarini Fasti Duum- p. 132 discorda dagli autecedenli.
(17) M • CASELLIVM • MARCELLVM
AED • AGRICOLAE • ROG
Guarini, Fasti Duum. p. 150.
(18) C • CVSPlVM PANSAM
AED MVLIONES VNIVERSI
AGATIIO • VAIO
Diss. Isagog. Tav. VII.
(19) L • PLOTIVM • ET • SVELLIVM
IIVIR • D ■ R • P • OVF CVLI.NARI • ROGANT
(20) A-VETTiVM aed
SACCARi noe
n. M. Borb. T. I. 22.
(21) LPOPDIVM AED
FVLLO ROG
Copiata dal sig. Minervini, e riveduta da me. Stimo, che il Fulio qui,
come il Gladialor, lo Sludio.ms ed il Pitlor abbiano il senso coir
lenivo, di FuUonet Universi, Studiosi ctfisfores l'ntversi rogant.
— IBI —
i Pilicrepi (55) , i Gladialores {^^) ; ai Collcgii i Toie-
rii (-^) , gì' Isiaci {-^). Inollre dimandano alla magi-
stratura gli Studiosi (26) , e i Pueri (-') , e i Discen-
tes (^') , coi maestri loro , e finalmente i Clientes (-').
È dubbio qual senso si abbiano i Dormiente^ ('"), egli
Emptores ("). In tutto questo novero non ho dato luo-
go al Furnacator , il qual vocabolo l' ha pur trovato
nei Lessici. Ma non deve recar maraviglia , quando
si avverte , che la iscrizione non dà verun sostegno
alla lezione del Rosini , e che invece di FVRNACA-
TOR io vi leggo altrimenti.
Gli scrittori dei programmi appongono! nomi loro,
e talvolta vi figura ancora chi ha preparata la parete,
imbiancandone quella parte, ove occorreva scrivere i
nuovi nomi dei candidati. Tutte le formole che ho po-
tuto raccogliere finora dalle pareli, e dalle pubblicazioni
anteriori sono ORO VOS FACIATIS (v. la p. 5 del no-
stro Bull.), ORO VOS, ORO, ROGAI. Roti ANT,
ROGAMVS, FACIT, FACIVNT, FACITE, FECIT,
FECERVNT, FAC FACIAS, F AC, ROGAI ET FA-
CIT , PETVNT , CVPIO , CVPIT . CVPIVM. CV-
PIENS FECIT, CVPlDIS«me(0)VF, MVLTVM RO-
GANT , e finalmente EX SENTENTIA, e IVDICIS.
AVG.
L'uso di scrivere sulle pareli i programmi non deve
confondersi col dritto del suffragio , proprio dei soli
cittadini. Essendo il suffragio riservalo ai comizii , e
r uso di scrivere pratlicalo a crescere i partiti , ogni
persona , senza aver voce attiva poteva dimostrare il
suo desiderio. Laonde finché la elezione alle magistra-
ture municipali fu in mano al popolo , lo scopo dei
programmi era di manifestare quali nazioni di perso-
ne cercassero il tal candidato. Ma quando dai comizii
passò ai decurioni il dritto di nominare alle magistra-
ture , questo popolo di Ceriti ai decurioni rivolse le
sue preghiere , e i voti. Nei quali due casi adoperan-
dosi indifferentemente da cittadini, e da gente di con-
dizion servile, o libertina il vocabolo ROGAI, io ne
deduco, che l' Orelli ( n. 370) mal si appose traspor-
tandolo, ei suffragium feri, se intendeva come altii
dopo di lui , che avesse un significato slrellamente fo-
rense. Non lo ha certo in Fabio Euporo il (juale rogai
alla carica di Edile M. Cerrinio Valia (Diss. Isag. I.
XI); poiché in altro programma, ove nomina alla me-
(22) A ■ VETTIVM FIRMVM
AEDGVFDRPOVF- PlLlCREPI FACITE
Diss. Isag. Tav. X : 1' ho riletta nel R. Museo Borb.
(23) P VEPIMVffi
CVSA ffLAD
II • V • I • d
(24) PAQVIVM DIO
VENERI • ROGANT
Diss. Isag. Tav. X. Quivi si legge ROG • VT • F, ma crroiiea-
menle, come ho avvertito nel Bull. Arch. >"a(). nuova serie, I, p. ii.
(25) CN ■ HELVIVM
SABINVM • AED man ISIACI
VNIVERSI • ROG
Diss. Isag. Tav. VII, riletta da me.
(26) C ■ IVLIVM POLYBIVM II VIR STVDIO.SVS ET PISTOR
Bull. Arch. Nap. T. II. p. 86, riletta da me.
(27) IVN.VM SIMPLICEM
AED-VASPPV-BDRP-OVF SEMA
CVM PVERIS ROG
Lo ha pubblicato l'Avellino, Opusc. T. Il, p. 22{, e più intero
la gazzella di Vienna W. J. XX, 12, donde 1' Orelli, 3700. La se-
conda linea s' interpreta : Aedilem. Votis. Augusti. Susceplis , 0
come altri , Solemnibus. Publice. Procurandif. Viritm. Bomim.
Dignum. Rei- Putilicae. Oro. Yos. Faciali* Sema. Ciim. Pueris.
Rogai.
(28) SABINVM ET • RVFVM /ED RP valentisds
C\M DISCESTES
SVOS ROG
R. M. Borb T. I, 4. Leggo /ED mon, poi D • R P: cf. SABI.W'M
AD DISCE.NTES ROGA.NT, CAPELLAM • D VIDO K VERNA CVM
D'-SCENTI : il primo riferito nel r.ipporlo del giornale degli scavi
1813, il secondo nel W. Jahr. e presso T Ordii 3700. Fa duopo
leggere nel primo AeD.
(2!>) M CV.SPiVM PANSAM
POLVBIVS .NATAL'S CL'E.NS ROG
ed altrove
P PAQVIVM PROCVLVM
II IVR I • D • THALAMVS CLIENS
(30) VATIAM • AED • ROGANT
MACERIO • DORMIENTES
VMVERSI • CVM
L • MArio ROGANT
Bull. Arch. Nap. T. IV, 4; 1' ho riletto, e vi ho aggiunto anche
la quarta linea.
(31) M ■ HOLCON I VM ■ PR ISC VM
C • GAVIVM • RVFVM II VIR
PHOEBVS ■ CVM • EMPTORIBVS
SVIS ■ ROGAT
Diss. Isag. XIII, W. larhr. XX, 12, Orelli d. 3700, rivisU da
me nel R. M. Borb.
— 152 —
decima magisirahira Cuspio Pansa, si dichiara Prìnceps
Liberiinortim (ib.T.XII). Tra un sessanta nomi di co-
loro, the rogant, pochissimi appellansi col nome di fa-
miglia, come p.e. Terenlius Neo, Calcpius Secai io, HeU
vius Vestalh, Clodius Nymphodolus, Verrius Sccundus,
Licinim lìomanus , Numisius lucundus , Julius Poly^
bim: tra questi con cognomi grecanici Neo, Ni/mphO"
dotus, Polybius, Euporus, gli altri col solo cognome,
greco anch' esso non di rado , Tyirannus , Pliilippm,
Aslylus, Canthus, Minca, Thalamus, Phoehus , Polhi-
nm, Poddo, Pelorus, Hermias, Nymphius, Ermlus, Se^
ma , Epagatus, Gj//o.Tenendo dietro a questa osserva-
zione, io intendo come fra i nomi di coloro, che desi-
derano il tale 0 il tal altro alla magistratura leggansi
sul serio anche quelli di donne, e dei fanciulli: Sui-
limea rag, lunia rag. Pallia rogai, Capiaùa rogai,
Hilario cum sua rogai, Iphigenia facil, Aniinida facit.
Fortunata cupit.Sema cum pueris, Verna cum discen-
tibus rogai ; mi spiego altresì lo scambio del rogai ,
coir orai , e col cupit, del faciatis eoi TWeaiis ( Re-
sini Tab.Xl,Z)iSji./.a(/.cf.LVCI FAVE, Bull.Nap.T.l,
lOj, vocaboli non forensi, siccome non lo sarebbe in
questo casolegitlimamenle il rogai.
Talvolta ai programmi leggonsi aggiunte delle a-
poslrofi, come p, e, Luci Fave, Uboni Vigula, Novice,
Cauto Fac; io le stimo indirizzale a coloro, che bro-
gliavano pei candidati , chiedendone ora il fa\ore, or
]a vigilanza. Inoltre parmi il Panem bonuin feri, ed il
Fer tunnum (cosi, credo per Feri Thynnnm), essere
ragioni che si pongono sotto occliio agli elettori, per-"
che a riguardo di questi servigi prestali sin a quel
tempo al pubblico vogliaijo conferire a tale aspirante
ia EdiUtà,
Insuperabili difficoltà per lo contrario incontrerei
a slimar lutti questi programmi provenire da capi di
parlilo, da elettori, che procaccino anche per questa
Aia il maggior favore che possono a' loro candidati ;
elle alla idea di un tal uso non rispondono afiiitto le
cundi/ioni delle leggende notate qui avanli.Noo i no-
mi di donne, non i grecanici, non i servili, ne final-
mente i Culinarii, ì Gladialorcs, per esempio, i quali
nel caso opposto avrebbero dovuto essere esclusi le-
galmente. A che poi avrebbe dovuto giovare tanto af-
fanno di scritture per cittadini, che erano ivi in istra-
da a contendere a viva voce , a proporre , a persua-
dere a subornare? In fine la singoiar formola EX
SENTENTIA SVEDI CLEMENTIS ne insegna, co-
me T. Suedio Clemente Tribuno incaricato straordi-
nario di Vespasiano alla verifica dei beni che appar-
tenevano alla colonia , e di quelli che spettavano ai
privati (/.Mn. 2314), essendosi limitato a far cono-
scere il suo parere per programma, non aveva alcun
dritto alla elezione, e però che non era decurione in
Pompei.
Così interpretala la voce Ambulalio meglio po-
tremo apprezzare il valore della correzione ambilio ,
alla quale inclinava eziandio 1' Ordii , scrivendo :
Quod neuliquam aspernandum ; mira enim est con~
iunciìo nescio cuius ambulalionis et siuffragiorum. Coti'
tra ex inscrìptionibus nuper Pompeiis effb^m docemur
etlam paulo ante oppidi ruinam fatai ein maximam de
duumviratu, de aedilitale fuisse iuter miseros iltos con->
cerlationem seu ambilionem (Orelli I. e. orat. prò.
Sylla). Avendo spiegata la vera natura dei progrom-
mi popolari, e data delle lor formole piena contezza,
e quella interpretazione , che mi era possibile , reste-
rebbe dar qui un Catalogo di tutti i programmi sco-
perti finora sulle pareti pompeiane, con brevi diluci-
dazioni, lo che ho fatto qui in parte citandone gli e-
scmpij opportuni ; il farlo di tutli è lavoro di altra
mole , e perù conviene rimetterlo ad una collezione
epigrafica , che intendo dare alla luce quanto prima,
nella quale avranno luogo le numerose iscrizioni
graffile, tanto desiderale dai dotti, e ragioqevolmente,
come vedrassi a suo tempo,
Garrucci.
P. Raffaele Oahiiucci n.c.n.o,
Giulio Mi>ekvi.m — Editori,
Tipografìa di Giuseppe Càtìheo.
BUILETTIIVO ARCHEOLOGICO NAPOLITANO.
NUOVA SERIE
N° 20.
Aprile 1853.
Poche 'fisservazioni sopra ìin vaso della collezione Jatta.— Notizia de' più recenti scavi di Pompei: continua-
zione del nmn. '18. — Lettera del eh. sig. Agostino Gervasio , al sig. Giulio Minervini.— Una spir()azione.
Poche osservazioni sopra un vaso della collezione Jatta.
Nella nostra tavola VI vedesi figurato uu' impor-
tante vaso della collezione Jatta in Ruvo , del quale
dobbiamo un lucido alla cortesia del sig. Teodoro
Avellino. Diflicile ne sembra la interpretazione; e noi
nel proporne una spiegazione intendiamo di sotto-
metterla al giudizio de' dotti, attendendone la confer-
ma, ovvero una più plausibile dicbiarazione. Gettan-
do uno sguardo alla vascularia rappresentanza, della
quale ci occupiamo , ed osservando al suolo le armi
di Ercole , ricorre tosto il pensiero a questo eroe ; e
certamente il soggetto , che abbiamo sotto gli occhi,
non può non avere una strettissima relazione col fi-
gliuolo di Alcmena. Diligentemente considerando tutte
le figure della nostra composizione, ci sembra evi-
dente che Alcide appunto debba ravvisarsi nel nudo
giovine coronato di foglie, e con clamide pendente al
sinistro braccio , il quale si appoggia colla destra a
lunga e nodosa clava. Tutte queste particolarità ben
convengono ad Ercole dopo la sua apoteosi , e si ci-
tano non pochi monumenti , ne' quali vedesi effigiato
senza la pelle di leone e con semplice clamide ( Mil-
lingen vases de Coghill Bari pi. XI , XXV; Gualtani
mon. ined. 1787 tav, XLVII ; cf. il eh. Braun negli
annali dell'Ist. 1836 p. lll,e p. 181): nondimeno
nel nostro vaso l'eroe è meglio determinato dalle sue
armi difensive ed offensive, che giacer si mirano al
suolo: vedi la pelle di leone, la formidiibile clava, ed
ivi presso l'arco ed il turcasso. È poi notevole che la
pesante e corta clava , di cui già sì avvalse 1' eroe
nelle sue gloriose imprese , scorgesi nella sua mano
cangiata in altra meno grave, che dà piuttosto la idea
/IJVJVO /.
di un nocchiuto bastone , e che meglio si addice al
divinizzalo figliuolo di Giove. Alla medesima idea di
apoteosi concorre la corona , che cinger si mira la
fronte di questa imberbe figura ; o che ravvisar vo-
gliamo una corona di alloro, o piuttosto una corona
di quercia, albero particolarmente ad Ercole consa-
crato, e sotto del quale acquistò dopo il rogo la im-
mortalità (Callim. lujmn. in Dian. v. 139. cf. Eckhel
doctr. num. tom. II, p, 106). La situazione di que-
sta figura , e lo star tra due guerrieri rivestili di tut-
te le loro armi in livello più elevato, ci richiama sen-
za alcun dubbio ad una epiphania di Alcide. Di fatti
se que' guerrieri si appalesano tuttavia nella mortai
vita , ed inlesi alle guerresche imprese , e se dall'al-
tro lato mostrasi Ercole sotto le forme dell'apoteosi,
non potrassi in altro modo spiegare la riunione dei
tre personaggi, se non che supponendo un'apparizio-
ne di chi prima peri a' due superstiti ; una venula
dall' Orco , per prender parte alle operazioni de' vi-
venti. A questo ci sembra accennar benanche la Fu-
ria sedente con serpenti nelle mani , e sulla fronte.
Essa figura la porta dell'Orco, presso cui sorger dovea
l'eroe, ancorché godente delle delizie dell'Elisio: e
mi ricorda quei versi di Virgilio : (Aen. VI, 333)
Tisiphoneque sedens palla succincta cruenta
Vestibulum exsomnis servat noctesquc diesfpte:
a'quali si aggiugne poco dopo. . . torvosquc sinistra
Intenlans angues ... v. ò7J, s. cf. v. 2S0, s.
Del resto possono in questa Furia riconoscersi altre
allusioni ed altra intelligenza, come diremo tra poco.
Se trattasi senza alcun dubbio di una apparizione
di Alcide a due guerrieri, come dalla sola analisi ar-
cheologica del monumento si fa manifesto , chi dire-
20
— Ib4 -
mo che sieno que'diie personaggi, a' quali il figlio di
Alcmena prende si grande interesse? Sembra che essi
sieno cLiaramenle dclerminali dal FilolMe di Sofocle.
Presentasi in questa tragedia il figliuol di Peante abban-
donalo a Lenno da'Greci, visitalo da Ulisse e da Neotto-
lemo perchè si recasse con loro in Troja insieme con
le armi di Ercole fatali per la distruzione di quella cit-
tà. Dopo molte pratiche dirette ad ottener tale scopo,
e dopo le querele di Filottete, la minacciala violenza
di Ulisse , e le persuasioni di Neottolemo apparisce
Alcide (v. 1409 — 1443), e consigUa a Filottete ed
a Neottolemo ad unirsi per la rovina di Troja ; quasi
fosse un uiessaggiero di Gioye: rà Ato? 'm^pr/ffouv fbov-
'>.iqx%rci (j'.i ( lilo), A questa idea richiama forse
r aquila col serpente fra gli artigli come animale di
Giove, valevole pure a simboleggiare il figliuolo dello
stesso dio , verso del quale dirige il suo volo. Col-
r ajulo della suddetta tragedia non sarà difficile rav-
visar nel barbato guerriero vestito in parte delle sue
armi il valoroso Filoliete , e nel giovine ed imber-
be Neottolemo figliuolo di x\chille, già munito delle
armi del suo padre , e molto somigliante allo stesso
Pelide, come trovasi in altri monumenti effigialo. Os-
servo soltanto che bene a ragione veggonsi in en-
trambi le armi per proìepsi indicate, affinchè meglio
si argomenti il carattere de' personaggi , e lo scopo
dell' apparizione.
Che se immaginar vogliamo propriamente la tra-
gedia di Sofocle aver dato origine al nostro vascula-
rio dipinto , sarebbe figurato il momento , in cui Er-
cole volge a Neottolemo queste parole :
Kaì croi ta-vr' , 'A^'^^ sws tìkvqv ,
IlctpriVjc'. Gt^TS -yàp Cu rovo' olnp a^eviiS
'EXiìv rò Tpo/its TTiòiov , oi/Q' ovros ffs^sv. ■
'AXX'ws y.iOin <jiny<j\x<A) cpi/XaWsTO)'
OiVcS cs y.'M nv To'ySs' ( 1433, ss. )
E a le pur dico queste cose , o figlio
D' Achille ; a te non mai senza costui
Prender fia dato la Trojana tèrra,
Né a lui senza di te ; ma quai feroci
Leoni insieme alla pastura usciti
Ajutatevi entrambi.
É notevole che il tragico fa dirigere unicamente il
discorso a Neottolemo ed a Filottete , ed in nessun
conto ad Ulisse , che potrebbe supporsi fosse ritirato
in disparte nel momento della epiphania. Comunque
sia, è certamente bene immaginato per la unità del
soggetto , che si pongano sotto gli sguardi que' due
soli personaggi , pe' quali il divinizzato eroe prende
interesse , e che sono da lui dichiarati necessarii alla
distruzione di Troja. Debbo non pertanto avvertire
che forse il pittore pose nelle mani di Minerva due a-
ste , per indicare che una fosse destinata a Filottete ,
e l'altra ad un altro guerriero, che non comparisce,
ma che non può certamente supporsi differente da
Ulisse : abbenchè potremmo anche dire , che la dea
ritiene una della due asle come propria armatura. E
risaputo che fu non poche volte incontrata la figura
di Pallade ne'monumenli senza l'elmo, e munita del-
la semplice egida : e fu osservalo esser questa la più
antica maniera di effigiare la dea ( vedi Henzen ne-
gli annali deh' ist. 1842 pag. 92 seg. ) ; sicché non
dovrà sembrare insolito e maraviglioso il costume di
Minerva nel monumento ruvese che illustriamo. La
presenza poi di Pallade ci sembra perfellaraente con-
veniente al soggetto del vaso : ella è la costante pro-
tettrice di Ulisse , e di Achille , e perciò ancora del
suo figliuolo Neottolemo; e per farci più da presso al
soggetto , è appunto Minerva che impedisce a Filot-
tete di saettare Ulisse e Diomede presso Quinto Smirneo
(lib. IX , v. 404) , e che dà loro propizio il vento
per recarsi da Lenno a Troja con felice navigazione
( ibid. 436 ). Né è da tralasciare che Minerva era in
Lenno venerata sotto il nome di Crise (Miiller presso
Gerhard Annali dell' Ist. 1836 p.291 ): e forse la sta-
tua della dea in Lenno presentava le forme che offre
sul nostro vaso , non avea lo scudo , e la testa avea
adorna di sphendone piuttosto che galeata. Conferma
questo nostro pensamento la statua eseguita da Fi-
dia pe' Lennii , la quale esser dovea secondo la par-
ticolare esigenza di quei popoli , e che certamente
presentar dovea forme più gentili e graziose che e-
roiche ; giacché venne appellata col nome di K*X-
X//xop(pos , epiteto che pur conviene alla Minerva del
vaso di Ruvo ( Bòttiger Andeutung. p. 85 : Gerhard
Prodromus p. 147 aot. 21 ).
— Io5 —
Noi dicemmo di sopra che la Furia po(ea fare al-
lusione alia venula di Ercole dal mondo inferiore;
ma se per alcuno si osservasse che il divinizzalo eroe
venir dovea dal cielo, giusta le espressioni medesime
di Sofocle:
É'^pxS 'Trfokiirun (v. 1413 s. )
rìmarrehhe a spiegare la intelligenza di quella figura.
Osservando che Alcide eccita i due guerrieri alle bat-
taglie, ed alla vendetta , non è fuor di luogo il sup-
porre che quella Furia o nella sua generale intelli-
genza , o come Erh, e Lys^a (Minervini j??o/ì. ined.
di Barone p. 102) presiede alle future stragi de'Tro-
jani, ed alle accanite pugne, che avran luogo fra poco,
ove l'opera di Filottete e di Neoltolemo farà tremende
pruove. La medesima signilicazione dovrà certamente
riconoscersi nel gruppo dell'aquila che rapisce ilser-
pente.Questa simbolica pugna richiamata da' poeti , e
frequentissima ne'monumenli,specialmente numisma-
tici ( Eckhel doctr. numor. v. tom. II. p. 87 e 323;
Raoul-Rochette journal des savants , 1841 p. 636;
Vinet negli annali dell' hi. 1 843 p. 202 e seg. ; vedi
ciò che dico io stesso nel hullet. archeol. napol. an.
III. p. 40) , ne conduce a pensare alla tremenda lot-
ta che si prepara fra' Greci ed i Trojani , nella quale
questi erano destinali a soccombere. Se tutte le figu-
re ed i simboli sono perfeltamenle spiegali nella com-
posizione finora considerata , riesce oltremodo ditlì-
cile intendere la presenza del carro , e dell' altra fi-
gura , che vi è da presso, non che del cagnolino che
solleva in allo la testa. Non polendo persuadermi co-
me quel cocchio possa ravvicinarsi a Lenno , ed a
guerrieri che navigando vi approdarono , non pre-
senterò la spiegazione di questa parte del vaso che
allontanandomi dal sito di quel primo avvenimenfa,
e trasportandomi col pensiero alle pianure di Troja.
Io penso che il pittore abbia voluto rappresentare il
compimento delle parole di Alcide, e lo scopo della
partenza di Filotlcle. II Frigio vestimento della figura
stante con tromba e giavellotto, ci richiama appun-
to a Troja ; e potrebbe con probabilità supporsi cbe
fosse indicata la personificazione di quella medesima
regione: il che crediamo appoggiato dalla quasi im-
mobilità che vi scorgi , e dalla mancanza pressoché
totale di azione. Certamente la figura è femminile; e
quando non volessimo in essa ravvisare la località ,
dovremmo dire che sia appartenente all' amazzonica
schiera; e sempre ci troveremmo guidati alla trojana
terra, ove quelle guerriere donne erano andate a com-
battere contro de'Greci ( llom. //.r.l84; Q.Smvrn.
lib. 1, 53 segg. ). E poi da ricordare che il tipo di
un' Amazzone ricorre nelle monete di moltissime cit-
tà della Frigia; probabilmente per accennare alla lo-
ro antichissima venuta in quella regione , a' tempi di
Priamo re di Troia ( Cavcdoni npicil. num. p. 229 ).
Comunque sia ; o che si rappresenti il silo , ovvero
un' Amazzone destinata egualmente ad indicare il
luogo della scena, la tromba eccitatrice delle battaglie,
ed il giavellotto palesano la intenzione dell' artista di
significare i combattimenti , a' quali interverranno i
due fieri leoni , secondo le espressioni di Sofocle. La
figura che mirasi nel carro non ci sembra doversi ri-
putare necessariamente femminile ; e quindi non pa-
re doversi in lei ravvisare un' Amazzone. Voglio,
intanto avvertire che l' oggetto da lei tenuto colla
destra non è già una bacchetta per guidare i caval-
li , ma sibbene un asta , alla quale non si è segnala
la punta, non altrimenti che nell'asta di Neoltolemo,
essendo r estremità superiore interrotta dagli ornali
del vaso, siccome spesso suole avvenire. Se la figura
del guerriero, eh' è nel cocchio, non dee necessaria-
mente riputarsi un' Amazzone , io dirò convenientis-
sima al soggetto la figura di Paride , che già si muo-
ve alla pugna , ove incontrar dovrà la morte pel
braccio di Filotlele. La prima predizione, che fa Er-
cole al figliuol di Peanle si è appunto quella che uc-
ciderebbe Paride colle sue saette :
n'/piv ix-.Y, ó's tw>^'ou"t(oS yyjiX'7jY ìpu,
To^oKT/ roTi ;!Xo7<ri voff^iiTi |2i'ot^. v, 1 'i26 , s.
Di questa morte favellano poi l'autore della picco-
la Iliade (Ilomer. p. 583, edif, Didot.) , Apollodoro
(III, 12, 6, 3, ), Q. Smirneo (post-hom. X, 235 segg.),
e Tzelze dopo di lui {po^t-hom. v. 590 segg.). Ed il
citato Apollodoro ricordando come Filottete fosse uno
de' pretendenti di Elena (III, 10, 8, 2), vien pure ad
additare un altro motivo della sua inimicizia con Pa-
— io6 —
ride , e quindi della sua vendelta. Ritenuto per Pa-
ride questo imberbe guerriero , sarebbe assai vicino
il rapporto colla principale rappresentanza del vaso ;
sarebbe additato il principio dell' adempimento della
predizione di Alcide. Paride, clic dalla sua magione
si muove alla pugna, è già prossimo ad essere ucciso
da Filollete, per mezzo di quell' arco medesimo, che
giace sulla terra di Lenno.priadi essere portato a Tro-
ja. A questa spiegazione trovar possiamo una confer-
ma in una particolar circostanza, che sembra dovuta
a speciale intenzione dell' artista. Sull'elmo del guer-
riero cb'è nel carro vedesi effigiato un serpente che
sostiene la cresta ; laddove l' elmo di Filottete offre
r ornamento di due ali. Ravvicinandosi una tale par-
ticolarità col simbolico gruppo dell'aquila stringente
fra gli artigli un serpente , parmi additata la vittoria
del greco eroe , simboleggialo dal volatile , sul gio-
vine figlio di Laomedonte, simboleggiato dal serpente.
L'armatura del guerriero, da noi determinato per Pa-
ride , è convenieutissima ad un frigio combattente.
Occorre nelle rappresentanze delle omeriche battaglie
di osserv^ir frequentemente i trojani guerrieri , e lo
stesso Paride , con armature somiglianti alle greche.
E per richiamare un confronto più vicino ricordo che
Omero descrive le armi di Paride presso a poco eguali
a quelle del nostro vaso : ( II. I' 330 segg. ). È pur
degno di attenzione che si raccoglie dalla narrazione
omerica , come fosse sottoposta al torace una tunica
(ibid. V. 359), non altrimenti che sul vaso di Ruvo ,
di cui stiamo discorrendo. Il cagnolino domestico, che
trovasi altre volte in compagnia delle donne (Miner-
vlni ijio». ined. di Barone p. 61 seg.), può accennare
alla mollezza del figlio di Laomedonte , che lascia le
delizie della sua casa , per avventurarsi ad una lotta,
che gli sarà fatale.
La opposizione, che potrebbe farsi a questa nostra
spiegazione sorge dalla supposizione di due diverse
rappresentanze considerate in siti lontani , mentre si
veggono nel monumento così vicine.
Questa vicinanza si spiega collo strettissimo rap-
porto che offrono le due scene fra loro. Così troviamo
frequentissimamente ne' sarcofagi diverse azioni con-
secutive messe l'una all'altra YÌcine, senza alcuna
sensibile distinzione. E per tacere di monumenti già
conosciuti, richiamiamo un sarcofago con bassirilievi
relativi al mito di Pclope, rinvenuto da parecchi an-
ni nelle vicinanze di Cuma , e che ci proponiamo di
pubblicare ; vi si vedono scolpite in continuazione tre
diverse azioni , il presentarsi di Pelope ad Enomao ,
la gara con lo stesso , ed il suo matrimonio con Ip-
podamia indicalo dal bacio. Né diversamente dee cre-
dersi del vaso di Cauosa colle funebri cerimonie in
onor di Patroclo, di cui dicemmo a p. 91 e segg. di
questo hullellino; giacché sono in esse indistintamen-
te figurati tutti quei riti , che ordinatamente ebbero
luogo, ed in tempi diversi. Possiamo pure aggiugnere
che nel nostro vaso di Ruvo la distinzione del suolo
è chiaramente additata dall' artista; giacché la disabi-
tata Lenno é figurata senza alcuno indizio di strade ,
laddove il duro suolo di Troja, ossia di una popolosa
città, è indicato da pietre messe insieme con una certa
regolarità , ed esattezza ; da dar la idea di un lastri-
cato qualunque.
Nulla aggiugniamo sul rovescio del vaso, che ab-
biamo riportato in piccole dimensioni nel num. 1 della
tav. VII ; giacché altro non si vede in esso che una
ovvia bacchica rappresentanza , sulla quale non oc-
corre di spender parole. Minervim.
Notizia de più recenli scavi di Pompei: coni, del n. 18.
Pria di proseguire la narrazione di ciò che novel-
lamente si è scavato nella medesima strada , non pos-
so mancar di avvertire che ci è riuscito di studiare
sotto miglior luce il programma riferito a p. 142 n.
5, avendone fermata la lezione nel seguente modo:
P. PAQVIVM. PROCVLVM
IIVIR. I. D. TH.\L.\ML'S. CLIENS.
Allo stesso lato sinistro della strada veggonsi altre
botteghe segnate co'n. 68, 70, 71, e 74. La bottega
n. 71 presenta all'esterno un banco di fabbrica rive-
stito di marmi di varii colori con rosoni ed altri gra-
ziosi disegni , che fanno un bellissimo effetto. Presso
al pilastro esteriore scorgesi una grande mela da mu-
lino di piperno , infranta in due pezzi.
La bottega n. 74 è nell' interno rivestita di rozzo
— lo7 —
ìntonico. Nel cantone sinistro vedesi un pogginolo di
fabbrica , per cui si ascendeva ad una scala, che me-
nava certamente ad un ammezzalo supcriore. Nel mu-
ro parallelo all' ingresso , a destra , sono rozzamente
dipinti due serpenti , che si cibano delle offerte mes-
se in una cesta egualmente dipinta in mezzo ad essi.
Da questa cesta sporgeva in fuori un mattone, ora in-
franto , per appoggiarvi forse la lucerna. Sul mede-
simo muro è prallicata un'aperlura , che mena ad
uno stanzino perfettamente chiuso da muri senz' al-
cuna apertura. Questo stanzino pare fosse destinato
ad uso di cucina , vedendosi un piccolo rialto , che
serviva da focolare : in un cantone sono due incavi
ne' muri , per inserirvi tavole ad uso di armadio.
Il giorno 13 correnle aprile ebbe luogo uno sca-
vo nella bottega n. 71 , alla presenza della gentile e
nobile coppia Duca e Duchessa de Luynes ; in segui-
to di superiore permesso. Intervenne allo scavo una
eletta compagnia di nazionali e stranieri particolar-
mente invitali. Ebbi io pure questo onore da parte del
lodato sig. Duca de Luynes, che al sapere dell'archeo-
logo riunisce la cortesia del vero gentiluomo. La sca-
vazione può riputarsi felice; giacché oltre una grossa
chiave di bronzo, certamente quella della grande por-
la della bottega , si rinvennne ancora un vaso di
bronzo , ed una gran quantità di monete anche di
bronzo molte delle quali essendo riconoscibili pote-
rono determinarsi per medaglie di varii imperadori
del primo secolo dell'era volgare; le altre essendo am-
massate con ossido , terra , e lapillo, saranno quanto
prima esaminate , per essere determinale e ricono-
sciute dal valente numismatico, che siede alla dire-
zione del real museo borbonico. Sono poi da citare
particolarmente nove monete di oro appartenenti agli
imperadori Vespasiano, Tito, e Domiziano. Le descrit-
te monete, che potranno essere in tutto un migliaio,
si conservavano in una cassa di legno quasi intera-
mente carbonizzata, con serratura di bronzo fermala
con grossi perni : eravi pure una fascia di bronzo , e
due piccole teste di Medusa dello stesso metallo ne
fregiavano 1' esterno. 11 vaso di bronzo ricordato di
sopra racchiudeva una particolare materia , che non
sapremmo con certezza determinare ; ma che sotto-
messa all'analisi chimica potrebbe farci indovinare di
qual genere fosse la industria del padrone della bottega.
Dal sito , di cui ragioniamo , gli scavi erano stati
da qualche mese trasportali [)Oco innanzi nella conti-
nuazione della medesima strada , coli' intendimento
di toglier poi di mezzo il terreno, e cosi riunire le due
vicine scavazioni. Nulla dir possiamo per ora degli
edificii che costeggiano il proseguimento della strada;
ma ci riserbiamo di parlarne, quando ne sarà più in-
ternato il disterro. Soltanto non vogliamo tralasciare
di riferire i numerosi programmi, che insieme col col-
lega Garrucci abbiamo studiati e letti sull'esterno de
muri, che sono verso la strada. Sono essi i seguenti.
1. SECVN
2. PRISCVM AED ( mon. )
D • R • P • O • V F
3. POPIDI
AED OVF ( VP mon.)
4. L • P • S •
. . . .80^
5. POPIDIVM. SECVNM
EGREGIVMADVLESCENTEMAEDOVF (VF m.)
6. . . GAVIVM IIOLCONIVM IlVlR
IVVENES • PROBOS 0/f>
7. M • CVSPIVM • PAXSAM
• • • POLYBIVS ■ NATALIS • CLIE.NS • ROG
8. M • PRISCVM • IlVlR • I • D
9. • • IDILIM in lettere grandissime.
10. A • VETTIVM •
FELICEM • AED • 0^^
li. L • P • S • il
v
1-2. L • P • S • AED
Pare che in queste sigle sì contengano i nomi di
Lucio Popìdio Secondo.
13. POPIDIVM
ET CVSPIVM IVVEXES • EGREG ■ • •
■ ■ OA
14. L • POPIDIVM • AED
FVLLO ROG
lo. CEIVM • lIVlR
IG. SECVNDVM
llVlR VASPPO/»
— 158 —
Questo programma era stalo già scrìtto di nero ,
poi coverto di bianco, e sul bianco si segnò quest'al-
tro col rosso , che quasi si compeaetra col primo.
17. CAPRASIVM
IIVIR O • V • F
Nel programma n. 1 6 vi sono le famose sigle V •
A • S • P * P , che io interpreto IIVIR Vrhis Aedi-
bus Sacris Privatis ProcuramUs, siccome ho sostenu-
to in una memoria letta alla reale accademia Ercola-
nese; e mi propongo di formarne argomento di un
particolare articolo di questo bulleltino.
18 CEIVM SECVADVM
ilVIR 0^
19. CVSPIVM SABINVM
In questa novella scavazione si è raccolta diligen-
temente la impronta di im' antica porta con varii ri-
quadri : e già per un felice pensiero dell' architetto
direttore sig. Genovese se n' è formato il gesso , che
sarà tra breve collocato nel real museo borbonico, e
che darà la idea precisa di quella parte dell'antica
chiusura di legno , che si è potuto conservare.
(coìUinua) Minervim. •
Lettera del eh. sig. Agostino Genasio , al sig. Giulio
Minenini.
Pregiatissimo collega ed amico
Aveva io pubblicato , come ella ben conosce , in
una delle Giunte alle mie Osservazioni sulla iscrizio-
»w Puleolana dei Luccei p. 79 ( nel toni. VII. degli
Alti della Reale Accademia Ercolanese p. 311.) l'epi-
grafe greca, che leggesi sottoposta ad una picciola base
di basalte Egiziano , esistente nel Real museo, e tro-
vata molli anni sono negli scavi Pompeiani. La quale
epigrafe credo utile di ricordare in lettere comuni :
I'««'oS 'Va'Xios 'H^a;(7T/Woff
ino? 'ìl^xiffriouv UprxrivG'a.5
roù 'TroXirit'fX'x.ros rù/y ^pv) wv
'Av/yr|X; A/i <l)p('y/ov
\^xZ, Ka./(7apoj (PapfXOt^Sl c-:(3affTr7
Icj m' ingegnai in quella Giunta dir poche parole per
illustrare l' epigrafe , e mi fermai ad esaminar bre-
vemente la data che in fine di essa si legge , e la spie-
gai per r anno 27 di Cesare nel mese Pharmuthi nella
giornata Augusta. Su tal giornata esposi l' opinione
del chiar. filologo Francese il Lctronne, il quale con
sottile ragionamento illustrando una iscrizione greca
del tempio di Tenlj ra in Egitto , s' impegnò a mo-
strare, che l'appellazione di ^iig^ustà alla giornata del
mese Thoth cui era apposta , indicasse il 27 Settem-
bre in cui ricadeva il natale di Augusto. Ma io riflet-
teva, che il calcolo del dotto filologo scbben potesse,
secondo la sua opinione , convenire alla giornata del
mese Thoth , che cominciava a' 29 agosto dell' anno
Romano, non era applicabile alla iscrizione Pompeia-
na , la quale indicava il mese Pharmuthi, che aveva
principio a' 27 di marzo. Io quindi sospettava , che
la giornata Augusta della nostra iscrizione potesse
corrispondere al sudetto giorno 27 di marzo primo
del mese Pharmuthi (v. la tavola de'mesi Egizii presso
il chiar. profess. L. Ideler Lehrhuch dcr chronologie
p. 182) , nella qual giornata dicevasi nel Calendario
Mafleiano Caesar Alexandriam recepii. Ma non ripo-
sando alTalto su quanto aveva scritto , nel far omag-
gio di un esemplare delle mie Osservazioni all'illu-
stre professore Augusto Boeckh Segretario perpetuo
della Reale Accademia di Berlino , nel quale pari
alla vasta e molta dottrina è la gentilezza , mi feci
ardito di pregarlo a volermi esser cortese de' suoi
divisamenti suW r,ixiq^x iisPotc-rr), che come diceva, non
raramente dopo l' indicazione dell' anno e del mese ,
trovasi apposta nelle iscrizioni greche di Egitto. Si ò
quell'illustre uomo compiaciuto di accogliere con la
solita bontà la mia preghiera, scrivendomi in una sua
umanissima lettera de' 7 novembre 1832 ciò che se-
gue « Quod scribis de explicalione 'fìnipai Ss/Jacrr,?,
quae in titulo Pompeiano, qucm in sccunda Commen-
tatione egregie tractasli , referlur in mensem Pliarmu-
lìii , dolendum est quod hic lilnlus fagli et Lelronnium
et Franzium, qui cum in Ilalicis momimenlis (Corp.
Inscript. Graec. lom. III. ^ omisit. Tua quidem expli-
calio docla et acuta est, nec tamen relicebo quod mihi
in jyensilanda Ime re in menlem venit. Elcnim non salis
demonstralum videlur in lilulo Tenlyris collocalo (Corp.
Imcr. graec. n. 47JoJ QwvSì SsiSacrrV) esse ad diem
— 139 —
XXVI. mensh Thoyih referendum, hoc eU ad natalem
ipsum Augmli ; midtoquc minus demonslralum esl in
fronte decreti Tib. luUi Alexandri f Corp. laser. Graec.
n. 49o7J (Pxtu^ì Z. 'louXrx '^i^xTrr^ siguif care nata-
lem Iidiae Augustae. Certe milii vidclur dles 'lotO.i'x
SEpxffTri pari iure aduniversam Iidiorumslirpem Iin-
peratoriam referri jwsse , et maxime ad Octavianum
Augiislum ipsum , itaut nihil aliud sii quam simplex
XspxffTri in aliis tilulis , nisi quod Galha Imperatore,
Tib. lulio Alexandro Praefeclo, de industriaadditum
fuit 'lovXioi,, quod lune non iam lulii imperabanl, dies
vero ille tion Imperatori cuivis , sed luliae stirpis Im-
peratori dicalus erat. Iam vero in fronte decreti illim,
quae scripta est dia 'louXrx. '^ijla.irrri , ea est mensis
Phaophi /.<» ()((/(Z si cujusque mensis TTpu/rr] Augu-
sto (dico Octavianum , qui et ipse luìius) dicala fue-
ril ? Sic slaluenli in tilulo Tenlyrile ©wl'^ '%if:ixT'rr\
erit mensis Tlioylh dies /.« el in Pompeiano ilidem
fpocpixov^] Xifjxffr-r] mensis Pharmoulhi diesi. Ita qui-
dem toìlerelur omnis difficultas. Video Franzium (Corp.
Inscr. Graec. lom. III. pag. 450. j mensis Tlioyih
diem /.""* vacare iTrwn'fxov Augusli , prorsus ut nunc
ipse conieci ; sed ille hoc fedi per incuriam non de in-
dustria. Nec imdlam tribuo meae conieclurae , sed ex-
peclandiim censeo dome plura reperienlur monumenta,
ex quibus fonasse aliquando veruni erui queal ». Or
r opinione qui espressa dal cliiar. professore, che per
modestia egli chiama congìtiellura , è si naturale , e
sì ben appoggiata , che senz* aspettar altri monumenti
che la confermino, son di credere sarà da oggi innanzi
ricevuta da' filologi. Ed io specialmente debbo esser
lieto , che intendendosi la giornata Augusta il primo
dì di ciascun mese, siccome ha stabilito il sig. Boeckh,
vien confermato ciò che aveva scritto con esitazione
esser la giornata iJj/Jairrri segnata nella iscrizione Pom-
])eiana , il 27 marzo eh' era il primo di del mese Egi-
zio Pharnuilhi; la qual giornata corrisponde appunto
giusta la concorde testimonianza de" Cronologi ( £■«-
ìdiel. D. N. V. toni. 4. pag. 41.) al di del comincia-
mento dell' Era .\ziaca , stabilita all' anno di Roma
724 a' 29 agosto , primo del mese Thoyth , quando
cioè Augusto espugnata Alessandria ridusse 1' Egitto
a Provincia Romana. E quindi ù ben naturale la in-
duzione , che da allora in poi ogni primo dì di cia-
scun mese presso gli Egizii divenisse eponimo, e per
breviloquenza venisse indicato colla semplice voce X'.-
^xffrT, Augusta.
Le sarei molto tenuto , signor collega , se volesse
aver la bontà d' inserire (jucsta mia lettera nel lìul-
leltino Archeologico Xapolitano, alla cui compilazione
ella attende di unita all' altro chiaris. nostro collega
P. Radacle Garrucci della Compagnia di Gesù , co-
me una giunta a quanto io dispulai nelle anzidette
mie Osservazioni sulla iscrizione del Real museo.
Le rinnovo intanto eie.
Di Casa li 0 aprile 1833. Agostino Geuvasio.
Una spiegazione.
Il dottissimo sig. Cav. Federico Golfi. Welcker ,
uno de' più illustri professori della Germania , e che
da più anni mi onora di particolare benevolenza, ha
dato in questi ultimi giorni notizia della napolilana
medaglia colla certa effigie dell' Acheloo, di cui ho
parlalo in questo bullellino p. 37. Vedi il bull, dell' hi.
di Corr.Arch. 1833 p.63 s. Egli dichiara che già gli
sembrava indubitabile doversi prendere quel mostro
simbolico non già per Bacco Ebone , ma bensì per
Acheloo; e che confermossi in tale idea, osservando
dieci anni or sono due medaglie di Alnniinm , rap-
presentanti r Acheloo con un zampillo di acijua che
gli sgorgava dall' aperta bocca. Su di ciò mi piace di
osservare che la nuova medaglia nnpolitaria ha tutta
la sua importanza nel dar luce alla tanto dibattuta
qmstione sul loro androproaopo. Le medaglie di .1-
lunlium, già conosciute sin dal tempo di Kckliel, ave-
vano formalo 1' apjìoggio di coloro che tenevano una
contraria sentenza; ed erano slate più vulle richiamale
in quella discussione. È appunto la iloppia circostan-
za dello zampillo che sgorga dalla l)or(;a, e delle on-
de nelle quali nuota il toro a volto uni. aio , che fer-
ma la natura di questo simbolico mostro.
In quanto alla lira , che si mira presso al mezzo
toro nella medaglia del sig. Riccio, crede il cav.
Welcker che accenni alle Sirene , figlie di Acheloo,
del cui numero è la stessa l'artenope; e riprende l'al-
lusione da me presentala della lira X-^-'^''' e del nu<j-
tare \;^'-'s-'>' alla figura stessa dell'Acheloo. Dopo di
che soggiugne queste parole , che da sì gran maestro
udirei con tutta la rassegnazione se credessi di meri-
tarle, ma che non lascerò senza spiegazione, perchè
contengono contro di me una ingiusta accusa : ed io
— 160 —
non posso tollerare che l'autorità di unWelckerdia
uua fulsa idea del mio metodo di studiare. « Mi di-
» spiace del resto di vedere che ilsig. Minervinico»-
» liiuia ad imitare un cerio sistema di allusioni e pa-
» ronomasie fondato su delle etimologie immaginarie
» e contrarie parimenti al genio della lingua greca
» ed al buon senso della nazione , un sistema che al
» solo suo inventore , il quale suole spargere tali ar-
» guzie in ogni pagina de' numerosi suoi scritti , pa-
» re che si possa perdonare come una cattiva abi-
» Indine , non più dipendente dal suo arbitrio, o co-
» me sarebbe un palpitamenlo di nervi dispiacevo-
y> le agli occhi d'altrui. Ma dirò con ingenuità quel
» che credo verissimo, non esservi cioè almeno nel-
» la mia patria fra cento lilologi e mitologi nemme-
» no uno che potrebbe approvare i hmis iiigenii di
» questo genere ». Prima di tutto comincio dal di-
chiarare che io non fo l'imitatore di alcuno, dis(ruto
sempre secondo la mia propria coscienza, e secondo
la mia debole dottrina; sino a contrastar le opinioni
de' sommi; e lo stesso cav. Weicker non ha sdegna-
to di entrar meco in archeologiche discussioni. Ma è
poi vero che io abbia il sistema di proporre queste
allusioni e paronomasie? Invito lo stesso dottissimo cri-
tico a svolgere con animo tranquillo le mie numerose
scritture; e durerà fatica a pescare in esse una decina
di queste paronomasie per lo più espresse in un sol
verso (il che pruova che vi attaccava la menoma im-
portanza ) , le quali voglio sperare che non troverà
tulle roitirarie al genio della lingua greca ed al buon
senso della nazione.
Attendendo una tale dimostrazione mi sia lecito di
notare che questo uso delle allusioni, e delle etimo-
logie, non è tanto raro in Germania quanto si potreb-
be argomentare dalle ultime parole del cav. Weicker.
Quasi tulli coloro che scrissero degli antichi miti ri-
corsero ad etimologie , talvolta stranissime , e spesso
certamente false ; perciocché essendo tra loro dilTe-
rentissime non possono essere tutte vere al medesi-
mo tempo. In fatti chi confronti le dotte ricerche dello
Schwenk e le aggiunte dell'illustre critico, quelle
del dottissimo Godofredo Hermann, e le altre del eh.
signor Forchammer, per lacere di non pochi altri li-
bri, rimarrà maravigliato dell'uso che può farsi della
fdologia dall'ingegno de' più valenli critici. Le allu-
sioni poi degli oggetti e simboli particolari a' nomi de'
personaggi mitici , e storici è tanto comune nell'an-
tichità , che non vi è archeologo il quale non si sia
trovato nel caso di ravvisarne. Traile infinite spiega-
zioni di questo genere proposte dal celebre numisma-
tico sig. ab. Cavedoni, ve ne sono certamente moltis-
sime che son da dichiarare evidenti: e la numismatica
specialmente ne fornisce numerosissimi esempli. Que-
sti simboli parianti ci offrono ogni sorta di allusioni;
e lo stesso cav. Weicker proclamò la verità di questo
archeologico fiitto, quando ridusse la idea dello tr^p/y-
y-iy al sinfonismo della parola della Sfinge {annali
dell' Tsl. iSi2 p.214). Fu allora che ne ricordò molti
esempli già osservati da altri, emolti ancoraneaggiunse.
Couchiuderò questa mia spiegazione colle gravi
parole dello slesso cav. Weicker, il quale nel suo
dottissimo libro Sylloge epigrammatum graecorum p.
133 nel riportare moltissime di queste allusioni, si
esprime in tal guisa « Fuit enim hicmos velerumsa-
» tis frequens, ut pbonetico allegoriae quodam gene-
» re, sicut in numis variisque aliis arlis operibus ila
» eliam in monumenlis sepulcralibus, et urbiuni et
» hominum nomina sub animalium, plantarumetre-
» rum quarucumque cum illis nomine forte conspi-
» rantium imaginibus quasi ante oculos ponerent ,
» quo illa melius visus adminiculo memoriae com-
» mendarent ».
Io nulla aggiungerò al sin qui detto. Credo però
di aver chiaramente dimostralo che a torto fui chia-
mato continuo imitatore dj un SM^cma,* mentre pochis-
sime volle ne feci l'applicazione. Del resto la mede-
sima autorità del celebre scrittore, e le sue numerose
produzioni dimostrano che lutti gli antichi miti sono
stali sin dall'antichità soggetti ad interpretazioni etimo-
logiche ; e che questo sistema è principalmente tenu-
to da'dotti filologi della Germania. In quanto poi alle
allusioni degli oggetti a' nomi de' personaggi , presso
i quali si trovano figurati, vale la medesima osserva-
zione , per confessione dello slesso cav. Weicker.
Io non voglio indagare quale sia stalo il motivo di
una critica così severa e cosi poco fondata da parte
di un uomo tanto rispettabile, che mi onora a quando
a quando della sua corrispondenza, e verso del quale
io serbo una specie di culto sin da che ebbi la fortu-
na di conoscerlo personalmente. Sappia però l'illustre
critico che questo sentimento non si è per nulla in me
rafl'reddato : e queste mie brevi |)arole valgano a di-
mostrarlo , perchè palesano il mio lisentimento nel
vedermi ini meritamente colpito da tale, da cui meno
me r attendeva.
MlNERVlM.
P. Raffaele Gaiihlcci n.c.n.r,.
GiL'Lio Mi.NEuviM — Editori,
Tijwgrafìa di Giuseppe Cataheo.
BUILETTINO ARCnEOlOGICO MPOLITAXO.
NUOVA SERIE
iV.« 21.
Aprile 18Ó3.
Scoperte cumane. — Teste di cera. — Vaso con epigrafe osca. Continuazione de' mtmeri 11 e IO. — Tacola aqua-
ria vena frana, cont. del num. io. — Questioni Pompeiane L del nome Pompei, 2. Topografìa del Vesuvio.
Scoperte dimane. — Teste di cera. Vaso con epigrafe
osca. Continuazione de' numeri li e 16.
Dopo la nostra discussione sulle teste di cera , e
sugli scheletri acefali ritrovati in una tomba cuniana,
non pochi lavori sullo stesso soggetto videro quasi con-
temporaneamente la luce, e l'uno dall'altro indipen-
dente. II dottissimo archeologo signor Raoul-Rochette
facendo un estratto di ciò che da me si era detto in
questo bulleitino, e stando imicsmente alla breve de-
scrizione inserita nel n. 14, presentò un sospetto che
quegli scheletri acefali esser potessero confessori della
Fede, che avesser subito il martirio. L'illustre scrittore
proponeva una tale opinione, senza conoscere che il
sig. Fiorelli Io avea preceduto nel sostenerla; e la pro-
poneva con quella saggia circospezione , che da cosi
dotto archeologo doveva aspettarsi. Egli richiamava
principalmente ad un accurato esame degli oggetti ,
che ornavano il sepolcro ; ben conoscendo, e dichia-
rando le gravi difficoltà che si opponevano a farci
pensare a martiri decollati. E poiché io aveva annuur-
ziata la esistenza dell' atramento in un vasetto cilin-
drico , rinvenuto presso uno de'cadaveri , il signor
Raoul-Rochette invitava a farne eseguire l'analisi chi-
mica, per mettere in chiaro, se mai si trattasse di un
deposito sanguigno (reme archéolog. an. IX p. 770
Io non ho tardalo ad appagare il giusto desiderio
del mio illustre amico .• ed avendo pregato il valente
chimico sig. Luigi del Grosso di sottoporre una por-
zione di quel deposito all'.analisi chimica, se n'ò otte-
nuto il risultamento che non è altro che una specie
A.ym I,
d' inchiostro. Il sig. del Grosso me ne indicava i com-
ponenti nel seguente modo: Gallato e tannato di ferro
sospesi nella viscosità di una allungala soluzione di gom-
ma arabica; con nero di fumo, che ha dovuto sciogliersi
nell'alcool. Ora l'analisi di quel deposito si sta ripeten-
do dal dotto prof. sig. Giovanni Guarini ; e non man-
cheremo di parteciparla a' nostri lettori , appena sari
compiuta. Intanto ci piace di avvertire che stando al-
l'analisi del sig. del Grosso, dovremo far risalire ad
epoca più antica la introduzione di un inchiostro, as-
sai simile a quello che si dice inventato nel XII se-
colo ( Géraud essai sur les livres pag. 48 e s. ).
Nel tempo medesimo che il sig. Raoul-Rochette,
occupavasi a dar conto della scoperta cumana il eh.
sig. ab. D. Celestino Cavedoni. Egli si oppone alla idea
di martirio, e sostiene trattarsi di semplice decapita-^
zione ; secondo la prima delle due opinioni da me
sviluppate nel num. 16 di questo bulletlino , che
coincide pure con quella del mio eh. collega ed ami-
co sig. Commendatore Quaranta, siccome diremo fra
poco. In una poscritta poi il Cavedoni f\i alcune nuo-
ve osservazioni in vista del citato mio secondo arti-
colo , da lui prima non conosciuto ; ed avverte che
nella uiia ipotesi non torni tanto facile il rendere
plausibile ragione del fatto della sostituzione delle te-
ste di cera in luogo de' cranj , che ritiene supporsi da
me ripetutamente derubali fmessaggiero di Modena
mim. 372, 14 marzo 18.13). Su di ciò mi piare di
notar di passaggio che io feci una doppia supposizio-
ne , o che fossero ripolutamenle derubali i eraiiii per
particolari superstizioni annesse a quella particolare
famiglia , o che la violazione fosse in un solo tempo
21
— 162 —
a\-\enu(a , e poscia avverlifa nel riporsi ne' loculi in
giro le varie olle di terracotta, alcune rivestite da un
altro recipiente di piombo, contenenti le reliquie e le
ceneri forse di servi della famiglia.
Ealrò a trattare la medesima quistione 11 eh. sig. de
Guidobaldi con una particolare pubblicazione ( /«-
torno ad una imagine cerea ed alcuni schelelri acefali
rinvemiti in Cuma, Napoli 1833 pag. 65 in 8), ac-
compagnandovi una litografia della testa riprodotta
dalla tavola del sig. Fiorelii, ma in più piccole di-
mensioni. Tralasciando le ricerche dell' autore sulle
immagini ceree presso gli antichi, e sull'uso del la ce-
ra, mi limito ad osservare che egli spiega il fatto della
mancanza de'cranii dal costume, che va ricavando da
varii luoghi di antichi scrittori, di staccare da' cada-
veri un membro , e forse la testa , per purificar la
famiglia.
Ultimamente il chiarissimo signor G. B. de Rossi
ha riferito un annunzio di questo ritrovamento , ed
ha cercato di darne una spiegazione. Egli ritiene la
mancanza delle teste provenire da capitale condanna;
e sol si ferma a dichiarare perchè si sostituirono im-
magHni di cera alle perdute teste. II sig. de Rossi lo at-
tribuisce al lito funebre della esposizione del cada-
vere, per lo quale doveva necessariamente adoperarsi
una immagine di cera, onde non presentarlo detur-
pato da quella mutilazione: e ricorda alcuni fatti del-
1 uso d'immagini ceree rammentato in simili occasioni
[Bullct. dell' lit. di corr. arch. anno 1833. pag. 60.
Intanto non posso tacere che sin dal decorso mese
di febbrajo fu lungamente discusso il problema nella
reale Accademia Ercolanese ; e nella stessa tornata,
nella quale comunicai le mie coughielture di sopra
riferite, il Segretario Perpetuo Commendatore Qua-
ranta espose le sue in una particolare memoria, svi-
luppando la ipotesi di semplice decapitazione, la qua-
le nella stessa adunanza fu da me presentata , ed è
slata poi ritenuta dal eh. Cavedoni , e dal de Rossi.
Da quel tempo il Commendatore Quaranta ha fatto
non poche letture sul medesimo argomento nella
slessa reale Accademia Ercolanese , prendendo a di-
saminare— 1. perchè gli schelelri cumaui olbjaao
la testa di cera — 2. se le teste sieno state recise dai
vivi o da* cadaveri — 3. perciiè ciò abbia potuto av-
venire— 4. se le immagini ceree sieno ritratti — 3. ia
che tempo sieno state eseguite ~0. con qual metodo
artistico — 7. se i condannati avessero potuto aver
sepoltura— 8. che tempo fosse passato tra una sentenza
capitale, e la sua esecuzione—O. finalmente di chi fos-
sero stati quegli scheletri. I risuUamenti di tutte que-
ste diverse ricerche si leggono in un opuscolo dello
slesso eh. nostro collega che ha per titolo : « Gli
scheletri cerocefali trovati in un antico sepolcro di Cli-
ma nel dicembre del 1832 — Napoh 1833 in 8. A
questa pubblicazione va unita una tavola litografica ,
la quale lascia alquanto a desiderare per la parte della
esecuzione. Posteriormente alla detta pubblicazione il
eh. collega comunicò all'Accademia altre osservazioni
so[)ra alcune particolarità di quel ritrovamento. Spie-
gò la esistenza dell' arena finissima , che fu rinve-
nuta al suolo, dicendo esser tanto quella che entra-
va nell'intonaco, e nella fabbrica della volta , quan-
to quella che era servita alla fabbrica ed all'intonaco
de' pogginoli , dove furono adagiati i cadaveri. Varie
conghietture ha presentato intorno quelle assicelle di
osso, trovate presso le teste di cera ; avvertendo che
potrebbero essere parte de' flabelli, usati per allonta-
nar le mosche dal cadavere mentre era esposto, come
veggonsi le spranghelte de'flabelli ne' vasi dipinti; ov-
vero essere incastrate per ornamento allo sgabelletto
che sorreggeva la testa del defunto, o a qualche cas-
sellina simile a quella depositata nella medesima tom-
ba: e queste assicelle sarebbero, secondo il dotto col-
lega, quelle chiamate secjmenta, crustae , le quali noa
solo erano d'osso e d'avorio, ma anche d'oro e d'ar-
gento, e persino di cristallo e di gemme. Finalmente
osserva che i due buchi all' orecchio della immagine
di cera non sieno fatti appositamente per inserirvi gli
orecchini, e crede che sieno dipendenti dalle ingiurie
del tempo.
Io non ho fatto che riferire sinora le opinioni dei
dotti, che scrissero sulla scoperta cumana. I loro dif-
ferenti lavori darebbero luogo ad ampia discussione;
ma i limiti del presente bullettino non comportano
che più lungamente ci tratlenghiamo a discuterne. Ci
163-
riserbiamo però di occuparcene , quanJo avrà luogo
la stampa della nostra memoria accademica.
Da ullinio vogliamo annunziare che la testa di cera
salvata dalla distruzione è già collocata nel real mu-
sco Borbonico, e propriamente a destra in una delie
sale , ove sono esposti i dipinti murali di Pompei ; e
clic l'Accademia Ercolanese ha diretto istanza allEc-
cellenlissimo sig. Principe di Bisignano , Maggiordo-
mo maggiore di S. M., e Soprantendente generale del-
la Real Casa , perchè dalla Reale Accademia delle
scienze si eseguisse la più esatta analisi chimica su
qualcuno de'framnienli dell'altra lesta , per venire in
chiaro della composizione di quelle immagini; nelle
quali predomina certamente la cera, ma insieme con
qualche altra sostanza, che un diligente chimico do-
vrà scientificamente rintracciare. Questa ricerca po-
trà illustrare la parte tecnica delle immagini ceree de-
gli antichi , e farci acquistare una idea precisa di
quello, che dagli antichi scrittori non fu ricordalo.
In seguito delle scavazioni precedentemente aiimm-
ziate , altre ne sono state eseguile con non minore u-
tililà per la scienza. La necropoli dell' antica Cuma
presenta varii ordini di sepolcri pertinenti a'tempide'
Romani, o de'Greci. Importanti monumenti sono ve-
nuti fuori da queste dilTerenli tombe : vetri , vasi di-
pinti, ori, bronzi, lavori di osso o di avorio, e final-
mente iscrizioni. Non mancheremo di dar la descri-
zione di lutti quelli fra gli enunciati oggetti , che in-
teressar possono i cultoii della scienza archeologica.
Per ora cominceremo dal riportare una importantis-
sima scoperta avvenuta in una tomba, che fu pure da
noi particolarmente esaminata. Alla profondità di cir-
ca dodici palmi dal suolo, ed all'altezza di circa al-
trettanti palmi dal livello del mare, è comparso questo
sepolcro di greca costruzione, e di forma così detta a
schiena. La tomba è formata di grandi massi di tufo ,
ed un enorme pezzo della medesima pietra ne richiu-
deva la entrala. È notevole che questa pietra destinala
a chiusura vedesi levigata nella parte interna, e rozza
nella esteriore. Presso all'apertura del sepolcro vedonsi
tre fasce dipinte ad arco di rosso di bianco e di nero.
Entrando nel sepolcro vedesi al suolo un rialto che
l'occupa nella massima parie: le pareli sono dipinte di
bianco , con zoccolo rosso ; e nel fondo bianco vedesi
una rossa fascia , ed in continuazione ne' diversi lati
del sepolcro il meandro ad onda dipinto di nero. Nel
muro parallelo all'entrata oltre il suddetto meandro,
0 la rossa fascia, scorgesi una grande palmella che
quasi tutto lo ingombra, dipinta di rosso, di giallo, e
di nero. Sul rialto sopra indicalo erano sparse reli(pn'e
di bruciale ossa , dal che evidentemente deduce> asi ,
essere slate i\i sepolte dopo il rogo. Uu sol vaso di
bronzo della forma del prochoos e molto vasellame di
argilla costituivano 1' ornamento di questo singolare
sepolcro. Erano le solite stoviglie di greco lavoro con
buona vernice , ma inferamente nere, e senza alcuna
dipintura di figure o di fregi : se non che ncH' orlo ,
presso a' manichi , e talvolta nel corpo del vaso scor-
gonsi graziose e conservalissime dorature , applicale
ora agli ovoli , ora ad un ramo di vile che circonda
intorno intorno il corpo del vaso , ed ora ad altri
svariati ornamenti. Tra questi vasi due ve ne sono
della medesima forma e della slessa grandezza, a duo
manichi , con larga bocca , collo esternamente liscio,
ed il rimanenle, fino ad un piccolo piede, scanalalo. In
uno de' due vedesi sul collo a grandi lettere doratela
seguente iscrizione osca , da un lato
e dall'altro
^vinv
:^II8V
È chiaro che queste due parole van Ielle in con-
tinuazione
• ^II8V ^v/inv
essendo i tre punti destinati ad indicare il finimento
della iscrizione; se pure non voglian supporsi messi a
distinzione delle due voci , nella quale ijtotesi legger
dovremmo ^v/lilV i^lISV. Onesta punteggiatura è
particolare , e nelle epigrafi osche finora conosciute non
s' incontra giammai : occorre bensì la divisione delle
parole distinta da due punti, come può vedersi presso
il eh. Mommsen funlvr. dial. f. Vili e IX;. I Ire punti
si veggono nelle poche iscrizioni in dialetto .Sabellico,
YO dire nella famosa lapida di Crecchio ( .Monunsoa
— IG4 —
tav. II), del quale prezioso monumenlo la Maestà del
Re ha ullimamente arricchilo il real museo Borboni-
co ; e così pure nella lapida di Cupra Montana (Mom-
msen tav. XVII ) , ed in quella di S. Omero pubbli-
cata dal cb. de Guidobaldi [Alessandro e Bucefalo p.
143 nota). Del resto è noto che i tre puntini a distin-
zione delle parole si trovano pure nelle epigrafi gre-
che : e ci asteniamo dal riferirne in questo luogo gli
esempli. Osservo che nella nostra iscrizione non si ve-
de alcuna traccia del punto su' due V. È certo che sul
vaso Cumano è segnato il nome del possessore, o piut-
tosto di colui che fu messo nel sepolcro , e che viene
indicato dal prenome Upils , e dal nome Ufiis, o vi-
ceversa. Questo uso di un doppio nome presso i po-
poli osci fu chiarito con copiosi esempli dal collega
Garrucci (vedi sopra p. 41. e seg.), a proposilo delle
iscrizioni frenlane di Pennaluce da lui pubblicate. Il
nome Upih a noi pare uno di quelli che cresce al ge-
nitivo ed al plurale, simile al nome Ji«/(fe, del quale
la recente lapida osca pompejana ci fece conoscere la
inflessione Mediceis , o che si voglia credere un geni-
tivo singolare, come piacque al eh. sig. Aufrecht , o
jìiuttosfo un nominativo plurale, come sembrò a me
e ad altri che ne ragionarono ( vedi le osservazioni del
collega Garrucci in questo bidleltino pag. 82). E cosi
pure sono da citare Pùmpaiians , che esce in Pùm-
paiianeis, ed il simigliante Aadirans, che non può in-
flettersi in modo diverso da Aadiraneis.
In questa ipotesi il genitivo di Upils sarebbe Vpi-
leis , e sembra corrispondere al latino Upilius, equi-
valente ad Opilius , con una ortografia , che trova
r appoggio ne' migliori codici di Virgilio , ove si leg-
ge iipilìo invece di opilio (ecl. X, ver. 19), e nel-
le annotazioni di Servio. Ritenuta dunque la lezione
senza punto su'dueV, non troviamo diflicoltà in quan-
to al primo nome: e pare che neppur se ne incontri
nel secondo ; perciocché il nome Ufiits non è mollo
dissimile dalla gente Ufclia, che leggesi in una iscri-
zione presso il Muratori ( p. MXXVII, 7). Osservo
poi che la stessa famiglia fu ravvisata dagli Ercola-
nesi nella impronta PVF di alcune lucerne puteolane
[lucerne p. 183 n. 4) , una delle quali fu pure dame
altrove pubblicata ( bull. arch. nap. an, II p. 139).
Ora nella esistenza della osca famiglia Ufìa, trasferita
in quelle vicinanze, potrebbe riconoscersi un confron-
to nelle accennate lucerne , ove ninno ci vieterà di
leggere P. Ufnis. Se per contrario supponiamo o-
messi per negligenza i punti su' due V , ci troviamo
colla più comune ortografia della gente Opilia; se pu-
re dir non si voglia che Upils equivalga al latino Ofi-
Uus , o O/fillius, che pur tra' prenomi Osci è annove-
rato da Livio (lib. IX, 7 t. II. p. 834. Drak. ).
L'altro nome Ufius sarebbe certamente Ofius, fami-
glia, che troviamo in una latina iscrizione di Aquino
(Mommsen inscr. regni neap. lai. n. 4346); che cor-
risponde per avventura al latino Oi/«s ricordato come
prenome della famiglia Ca/aiva dallo stesso Livio (/.e,
e l.XI.c.26.).Che poi la pronunzia dell'S fosse presso
gli Osci alquanto più dolce rilevasi ancora da quelle
voci nelle quali trovasi adoperata in luogo del B, tanto
vicino nella pronunzia al V latino: tali sono il Saftnim,
delle medaglie, e lo Slafianam della iscrizione viaria
pompejana , che qui particolarmente ricordiamo.
Abbiamo dunque che un Osco Upilius Ufius , o
se vuoisi Opilius O/ìus , fu nella Cumana tomba se-
polto. Intanto non dovrà parere maraviglioso che la
costruzione e gli ornamenti della tomba fossero se-
condo le idee de' Greci : e noi faremo brevemente ri-
levare alcune particolarità che crediamo più impor-
tanti. Prima d' ogni altro riesce di sommo interesse
r ornamento del nero meandro ad onda , e della o-
norme palmetta , che costituiscono l'unico dipinto
funebre delle interne pareti , per lo confronto che
sorge spontaneo colle pitture de' vasi greci , ove si
scorge frequentissimamente il meandro ad onda, eie
palmelte. Ora il monumento Cumano illustra ed ap-
poggia il funebre significalo di questi ornamenti; per
lo che noi crediamo sempre più che dal meandro ad
onda, non altrimenti che dagli ippocampi e dagli altri
marini mostri, si faccia allusione al passaggio delle a-
nime per l'Oceano onde giungere alle isole fortunate
ove possano godere di una novella esistenza ( Vedi
mon. ined. di Barone pag. 71. e dono deli' Accad.
Poni, agli Scienz. p. 81 e seg.). Se pure dir non vo-
gliamo che colle nere onde si volle nella tomba cu-
mana accennare all' Averno , ed a' fiumi dell' Orco ,
— 1G3 —
presso ì quali passar dovevano le anime de* defunti , meno ; ed abbemhè lo vediamo circondalo di oggellt
secondo le antiche credenze e che supponevansi lan- provenienli dalla greca civiltà , jtiire la dilTerenza del
to prossimi a qiie' medesimi sili, a'quali la necropoli costume di seppellire le bruciale ossa è yià un fatto
appartenne. Nulla diciamo perora sul si|^iiilicalo del- guadaj^nalo alla scienza.
la palmella, che merita forse ulteriore studio; ma do-
po r attuale scoperta cumana , chi |)otrebbc dubitare
che la sua intelligenza dee ricavai-si dal medesimo or-
dine di idee funebri; mentre la veggiamo formar so-
la l'ornamento di un sepolcro, dipinta di straordina-
ria grandezza ? Ci riserbiamo di discutere in allra oc-
casione questo argomento; conlenti per ora di accen-
nare la importanza della cumana scoperta.
Riesce pure interessante il vedere le stoviglie in-
teramente nere, e solo adorne di dorature. Questo
uso di fregiar di dorature i vasi dipinti fu osservalo
nell'Altica, e nell'Apulia ; e già molti esemph ne fu-
rono da noi ricordali [vasi di Jalla p, 34 e segg. ); i
quali si vanno moltiplicando alla giornata. I novelli
vasi provenienli dal cumano sepolcro vengono ad au-
mentar questi esempli, e ne estendono la località; co-
me poteva agevolmente prevedersi.
Del resto (piesta circostanza de' greci vasi collocati
nel sepolcro di un osco, incontra il paragone ne' se-
polcri di Elruria forniti di greco ^as(■llame. Ma co-
me dovrà spiegarsi la comparsa di un osco sepolto
nell'antica Guma, ed a qual epoca attribuirsi un tale
avvenimento? Oltre il commercio continuo di Cunia
con popoli osci, per modo che ebbe a dire Vellejo
Patercolo che la loro vicinanza ne avea cangiati i co-
stumi, osca mulavil vicinia (lib. 1 .e. 4), si sa che fu Cu-
ma in molle quistioni co'Campani, finché non ne diven-
ne la comjuisla. A noi pare die l' epoca del nostro
sepolcro non debba essere mollo distante dal 33 "i di
Roma , nel qual anno si trae da Livio che Cuma fu
presa da' Campani : Eodem anno , dice lo storico , a
Campanis Cumac , quam Gracci lum urhcm tenebant,
capiuntur (lib. IV e. 44.).
E si noli che la nazione de'Campani era surla dopo
La maggiore importanza slorica di questa scoper- la dominazione de'Sanniti, e che perciò Sanniti furono
ta , che annunziammo, si è la sepoltura di un osco quei che si impadronirono di Cuma. Non è dunque ila
personaggio in una tomba di Cuma. Osservo innanzi dubitare che qualche magistrato del popolo vincitore
tutto che il sepolcro palesandosi della medesima e- essendo venuto a morire verso quel tempo fosse sepolto
poca che i vicini sepolcri greci, vi si osserva però la nel silo, ove erasi trasferito ad abitare. Chi sa che non
parlicolarilà che in questo il cadavere era stalo bru- risalga ad epoca anche remota la denominazione di
ciato, laddove in quelli trovasi nella sua integrità se-
polto. Uà ciò possiamo desumere essere anche uso
degli Osci in que' tempi di bruciare i cadaveri de' loro
estinti. Ed ecco un'altra iuleressanle deduzione tratta
dalla novella scoperta. Finora non abbiamo rinvenuta
alcuna tomba , che potesse con certezza attribuirsi a-
gli Osci. Non sono ancora trovale le necropoli osche
de' popoli Sannilici : la necropoli osca di Capua non
è finora comparsa ; e finalmente non si è neppure ri-
Cumana di una delle porle di Capua , come si legge
in una latina iscrizione riferita dal Pratilli [via Appia
p. 300) , che non sappiamo perchè il eli. Mommsea
ponga traile false o sospette (p. 21 n. .333), se pure
non è pel solo nome dell' editore.
Vogliamo chiudere queste brevi osservazioni col-
r avvertire che d' oggi innanzi si dovranno allen-
tamcnle studiare i sepolcri di Cuma ; giacché sia-
mo persuasi che altre scoperte osche venir potranno
trovata quella dell'osca città di Pompei, che si potrà ad illustrare i costumi, specialmente fuuebii, de'po-
per avventura ricercare sotto i sepolcri romani , che
sono verso la porta e la strada Slabiana. Di fatti lui-
te le iscrizioni osche finora venute alla luce sono sa-
cre 0 pubbliche; non se ne addita alcuna, che si rife-
risca a sepolcro.
Un cerio sepolcro di un osco è un prezioso feno-
poli sannilici , che per la massima parte ci restano
Ignoti.
Ml.MÌRVLM.
— 166 —
Tavola aquarìa miafrana , continuazione del n, i5.
Articolo quarto. Della dispensa delle acque in città.
EAM AOVA>I DISTRIBVEUE DISCRIBEHE VEN-
DVNDI CAVSA. Clie senso si abbia il discribere kssi
cLiaro da Frontino. Parlane egli all' artic. 87. dopo
aver dello delle luci dei condotti che trasmettevano
l'acqua in Roma , e del loro numero: Hacc copia a-
qnarum ad hune modum dcfcribelalur, e nell'art. 98.
Primus M. Agrippa dcscripsil quid aquamni puhlicis
operibus, quid lacubus quid privaiisdarelur. Nei quali
due luoghi seguesi la ortografia, che pare approvarsi
anco dal Forcellini, ove dice: Discribopro describo scri-
bi volunt nonnuìli apud Cicer. deSened.c.S.elc.quolies
dislributionem ac divisionemnotat. Matteo Egizio spie-
gò il DISMOTA, se. de Bachan. colla inserzione ar-
caica della S , come in dusmomm in Casmena, in
Pocsnis etc. Assai più naturalmente parmi si possa
derivare dalla particella DIS , che tanti verbi com-
pone, ed a cui io credo debba riferirsi il diicribo della
tavola Venafrana ripetuto poscia anco in DISCRIPTA
della lin. 43 ; almeno per ciò che riguarda l' inten-
zione dello scriltore antico , che lo ha voluto adot-
tare ; ma nel caso presente , parmi , poter esservi
luogo all'una ed all'altra opinione. Quello che im-
I)orta è il vedere qual differenza facessero gli antichi
Ira le divisioni che esprimono col vocabolo distribiiere,
e le assegnazioni della grossezza della fistola , e del
luogo onde traeva l'acqua, che significano colla voce
di^cribcre. Più tardi descriplio si adoperò a significare
]a rata dei possessori delle acque per le rifazioni del-
l'acquidollo (L.7. C. de Aquaed.Ji Nemo eorum qui
jus aquac possidenl , quamcumque descriplionem su-
slineat; nam execrahile videlur,domoshuiusalmae ur-
bis aquam habcre venalcm. Queste divisioni ed asse-
gnazioni erano comprate dal pubblico, e i compratori
ne pagavano ogni anno la tassa assegnata. Ego J'uscu-
ìanis prò aqua Crahra, dice Cicerone, vecligal pen-
datn (Agr. 3. e. 2. in fin.). Che specie di contratto
sia questo Io ha dichiarato il prof, Momins. a p.o8,o9,
ove dimostra qual senso si abbia il ]'endundi seguilo
dal Vectigal. Era una vendita della ]>iù propriamente
aflìtlo. La facoltà di distribuire le acque, assegnarne
la misura , e fissarne il prezzo di affitto è lasciata ai
Duumviri o Prefetti della Colonia , che ne faranno
proposta in consiglio , quando saranno uniti i due
terzi dei decurioni ; ove fisseranno ancora le leggi ge-
nerali, e particolari della distribuzione, dell'assegna-
zione , e del dazio , lo che dicesi decernere , 1. 44 , e
legem dicere, 1. 41. Veggonsi poi adoperati due verbi
imponcre e consliluere, e non fuori di ragione : peroc-
ché consliluerc dinoia stabilire quel dazio , che poi si
impone , onde imponere suppone che siasi già consii-
tuito (cf. Cic. Agr. 2. 21. Plin. Paneg. 41. 37. Liv.
XXIX. e. 37. nei quali luoghi aWoslalucre, insliluere
vedi aggiunto costantemente nomim ).
UVIRO • IIVIRIS etc. Prevede qui la legge il caso
che un solo governasse senza collega, lo che accadde
talvolta in Roma, e lo conoscevamo già avvenuto nei
municipii; che però in due lapidi di Miniurna si legge
AEDILl-SOLO (1). Lo stesso polca accadere nel tem-
po in che governava un prefello , e forse anche nella
elezione medesima.
EX MAIORIS eie. Il Mommsen p. S8, ha già ad-
dotto il confronto dalle leggi del Digesto , ove si ri-
chiamano queste disposizioni.
DVM NE EA AQVA etc. Gran dissenso è Ira i
commentalori di Frontino, il quale nel e. 103 avreb-
be arrecalo in prova di un suo assunto la legge del
743 , che, stando ai termini in che ò riportala , non
solo noi conferma, ma invece gli si oppone. Stabili-
sce ivi Frontino , che non si permetta a veruno di
attaccare al bottino una fistula di piombo di maggior
luce , della erogazione del bollino a se concessa , o
ciò per tutti i primi cinquanta piedi di sua lunghezza.
Ciò essersi prescritto dal SC. che egli vi sottopone :
Ex scnatus consulto quod subiectum est, cavelur. Indi
noi Senatus, Consulto leggonsi queste parole: si esti-
malo dover decretare , che a ninno di coloro , che
avessero concessione di tradursi l'acqua dall' acqui-
dollo pubblico , fosso lecito Ira i cinquanta piedi di
distanza dal castello di divisiono apporre una fistula
più larga della quinaria : NE CVI EORVM QVIBVS
(I) Il Mommsi^n perslslc ancora opiiiamlo tlio il SOLO possa es-
sere un novello nuuiiclpio, Oi cui siasi smarriia affallo la traccia
( /. i>', p. 462 ).
— 167 —
AQVA DARETVR PVBLICA IVS ESSET INTRA
QVINOVAGINTA PEDES EIVS CASTELLI EX
QVO AQVAM DVCERENT LAXIOREM FISTV-
LAM SVBIICERE QVAM QVINABLVM. Or se al
743 dispose il Senato, che ninno oKencsse un fistola
dì lume maggiore della quinaria, dove è scrillo, die
i lumi delle fistole non siano maggiori nò minori dei
lumi di erogazione? lo che volea Frontino confermato
precisamente con questo SC. Forse il dilllcile proble-
ma si scioglierebbe , se potesse dimostrarsi , che la
voce QVINARIA qui non è tolta nel senso di parti-
colare misura, ma nel generale di unità di dispensa,
cosicché la Quinaria fosse sinonimo di fistola croga-
toria , alla quale si desse quel nome , siccome sareb-
besi potuto dir modulo. Allora QVAM QVIXARL\3I
sarebbe eguale a QVAM DATAM , ADTRIBVTAM
QVL\ARIAM, a QVAM DATAM ADTRIBVTAM
QVIXARIAE MEXSVRAM, a QVAM SVAM QVI-
NARIAM, e forse il SVAM sarà caduto dal testo per
somiglianza di cifra col vicino QVAM. Altrove Fron-
tino r usa : p. e. al e. 27 : Ex Caslcllo singuìi SV VM
MODVM RECIPIVNT, c.33. Respondcrc MODVLO
SV'O; e senza ciò, nell'art.So ha egli apertamente in-
segnato, che il modulus si scambiò di poi coWa fislula
quinaria: Poslea modulus venit appellalus quinario no-
mine. Paragoni ciascuno il e. 26. Ulendum csl suhstan-
tia quinariae, qui modulus d ccrlissinius ci maxime re-
ceptus est; ove lo slesso Poleui non lascia di annotare:
Idesl quinaria lanquam communi mcnsura. Or se può
dirsi , non si faccia il tubo di luce maggiore del suo
modulo , ossia della luce di erogazione , nulla vieta ,
che, sostituito il vocabolo quinaria al modulo, si dica,
non si faccia il tubo di luce maggiore di sua quinaria,
ossia della luce corrispondente. Dopo tale spiegazione
apparirà la legge Elia del 743 prevenuta come altro
dal precedente decreto Venafrano, intercedendovi solo
due varietà : la prima , che nel nuovo S. C. si deter-
mina , oltre alla distanza di 50 piedi, ancora la uni-
formità dei due moduli Verogatorius, e ì'acceplorius :
la seconda che ove nel nostro decreto si scrive AB •
RIVO , nel S. C. Eliano invece si dica , EIVS • CA-
STELLI • EX • QVO. La ragione di questa seconda
diversità ci è data da Frontino medesimo , il quale
osserva che nel 7'i.l per la prima volta fu detcrmi-
nato non permettersi di trarre acqua, se non rlai Ca-
stelli , perchè i rivi , e le fistole non si forassero , e
lacerassero nel corso tante volte, e. 100. In hoc Sc-
nalus consulto dignum adnolalionc est , cpiod uquam
nonnisi ex Caslcllo duci permillil , ne aul rici ani /ì-
slulac publicae frcqucnler lacercnlur. Il prof. Monnusen
dice, che « la legge Venafrana ò somigliante, ma noo
la stessa della romana , se pur non si suppone , che
fislula del decreto significhi la fislula quiuaria x-xr^
ì^oxV » : ma cosi non si spiegherà mai il controverso
luogo di F'rontino. Dopo i tempi di Frontino cmana-
ronsi altri decreti intorno al modo di erogazione. Nella
legge 1 , §. 41 , D. de aqua cottidiaua ; Pcrmittitur
aquam ex castello , vel ex rivo , vel ex quo alio loco
puhlico ducere ( Ulpian. ad Edict. ). Nel C. Tcod. de
aquaed. XV. 1. o. al 389 si restrinse il di\ieto alle
sole fistole : Aut ex castcllis aul ex ipsis formis iuhe-
mus elicere, ncque earum fislularum, quas nuilriccsvO'
card, cursum ac soliditalem allenlare. Il Gotlifrcdo spie-
ga in altro modo la forma (C.Theod.l.c.).In altra del
39o si concedono solo i castelli: Quicumquc ex aquac-
duclu magis quam ex caslellis aquac usum pulaveril dc-
rivandum, eliam id ctc. (C.Tlieod. de aquaed. XV. 6.).
Con tali annotazioni ho cercalo dicbiirare alcuni
luoghi più classici della tavola aqunria ^c^afralla.
Nou potendo commodamenle soddisfare a lutto ciò ,
che ancora me ne resterebbe a dire nei fogli di que-
st'anno, ne rimetto la trattazione al secondo volume
del nostro Bulletlino, quando mi rifuò sopra la le-
zione medesima di essa, nei luoghi, ove so che ve no
ha bisogno.
Garuccci.
Questioni pompeiane: Significato probabile del nome
Pompei.
Coloro che ci deducono POMPEI da 'Trqx.Trùov ,
greco vocabolo, spiegato da loro C))t/)o;-("o, errano gra-
vemente : perocché la piazza di coiiuncrcio i greci
dissero 'E/attodìov, e i latini Emporium , il qual voca-
bolo di solenne anpellazione, non si trova mai scam-
biato con 'Koix'Triì'-A, Gli Osci scrivono coslantenienle
RIIRnl+iVn, Pùmpaiia, e i codici di Straboue ll^x-
168 —
•Kyl-3., TJyi-rux, e U'MTr/x Tariamenfe 'V. IV, 8.
Kramer). Qaeslo diliir«>nfe geo^Tafo dice, che Pom-
pei era un luogo eeolrale di commercio d«rlle cillà vi-
dae , Ira le qnali Domina segnatamenleXob, Acerra
e Xocera : onde forse potrebbe probabilmeole dedarsi
tbe Pompei prima di riee> ere l'appellatilo onorevole
di città , fosse realmente un luogo di deposito delle
merci , che sol fiume Samo erano recate , e che m
BQolti pubblici edifiiii fossero edificati dalle >icine città
a riceverle , e conservarle. Se ciò par vero, io credo
assai verosimile , che il nome "K'jx-xìi'jt , debba de-
dursi dai pubblici edifizii ; trovando , che ToaTaor
Mgnifica 'Axrjxx x'Ai'Jt Degli antichi glossarii. In senso
non dissimile Manio Aquilio , o chi altro fu l' autore
della via che passava per ìiarctllianum, e metteva ad
eolumnam Bkerjn , nella celebre lapida di Polla, dice
di aver costruito il forum eie aedes puhlicm, FORVM
AIDISOVE POPLICAS HEIC FECEl : il qual con-
fronto rende assjii ragionevole il peasare che i Cam-
pani dalle ■TryxTT-Tx , aedu publicae, traessero il nome
della loro Pompei.
GABBUCa.
f . Tomografia dd Ve$utio.
Il Vesuvio a partir dalla sua eima , detta ora di
S^jmma, andava dichinando verso Pompei che gli se-
deva all' ultima radice su di una eollinella tufacea
inclinata ancor essa a mezzodì. >'el vasto cratere, ore
ora sorge il gran cono fumigante, erano sole vestigia
di aver arso una volta : però ceneri , e scorie , e po-
mici da per tulio , si nel concavo del cratere , che
all' estradosso e sulle più erte pendici. Dipoi comin-
ciavano i terreni vegetali, e tutto vi appariva vestilo
di ^ili e di alberi pomiferi, segnatamente di fichi , che
avevano celebrità. Queste notizie le dobbiamo a Slra-
booe, a Catone , a Varrone , i luoghi dei quali scrit-
tori 80O0 stali già allegali da altri. Nel 79 di Gesù
Cristo questo vulcano già spento , del quale si ave-
vano s^jIo va^be notizie che avesse arso allra volta, si
riapri nel cratere antico il condotto alle esalazioni
gazose , spingendo cosi per aria una massa enorme
di ceneri , di pietrucce calcinale, di frantumi d' ogni
maoiera , che elevandosi da quella roragnie a secon-
da dei venti gagliardissimi , che le spingevano abbon-
danti piov-vero intomo intomo , sepellcndo di sot-
to Ercolano, ed Oplunti, e coprendo molta parte noa
solo di Pompei e di Stabia col seno di mare che en-
trava tramezzo, ma ancora delle più rimote, Capri e
Miseno. Quella porzione di cenere, e di materie sco-
riacee, che ricadeva nel cratere antico, attorno alla
aperta voragine di esplosione, vi andò formando il co-
no che seguitò a fumigare, ed a mostrar gli acceodi-
menti gazosi molto tempo dappoi; scrivendo Minucio
Felice alla seconda metà del secolo secondo di Roma
erìstiana del Vesuvio , come dell' Etna : Siati ignet
Aelnae et Vesutii flagrant , nec erogarUttr (Miouc. io
OcUv. Lugd. 1709, p. 362 ).
Non è ancor bene esplorato quanta parie di mare
fra il Samo, e Stabia restò dalle pomici ingombralo:
sol si può dire , che il tratto di terra , ove sono sta-
ti scoperti sinora dodici alberi di nave, è distante dal
mare circa 230 tese , e tiene incontro Io scoglio di
Bivigliano , o pelra Herculis ( v. a p. 29 la relazione
inserita negli Annali civili del regno ) , e che nelle
campagne sottoposte alle colline di Lettere una con-
trada si chiama le marine, e che ivi ed altrove si
trovano conchiglie e reliquie di animali marini. È as-
sai verosimile, che il mare occupasse in questa parte
quasi tré moderne miglia ,• perocché Plinio confava a
suoi tempi nove miglia di distanza Irà Nocera e'I ma-
re: Ager nucerinm, et Villi milìia paxmum a mari,
ifiia Nueeria ; che fenno sei miglia e due quinte parti
della nostra misura ; ed ora , dirollo colle parole del
Cluverio. « a Scafali oppido ad yoceram deprehendi
millia passnum VI paolo amplins , et ab eadem Sca-
fali oppido ad mare et ostiam Sami ferme HI.» (Ital.
AnL p. 1187).
Garrtcct.
P. Raffaele Gabbccci d.cd.g.
GicLio Mi.vEBvi.M — Editori.
Tipografia di Giuseppe Cata-seo.
BlLlEimO ARCnEOlOGlCO IVAPOLITAXO.
N° 22.
NUOVA SERIE
Ma-do 1SÒ3.
Meilagìic ìnedile. — Ciiutta all' artiiolo precedente. — VafO Xoìano con la piujna di Ercole contro le Amazzoni.
Medaglie inedile.
1. ì'aletiiim. u Ad undici miglia da Brundisium
« al di là di'l fiume Pastium, cb'è il Paclium di Pli-
« nio, la tavola poutiiigeriana situa la città di Balenlium
« chiamala Valentia nell' itinerario gerosoliniilano.
« Non è da dubitare che questa città non sia la stessa,
« che il Valetiuni di 31cla, la cui enumerazione pro-
« cede coir ordine seguente (lib. II e. IV): lani in
« Calahria lirìindi^ium , Valeliam, Liipiae, IIijdru<.
« Plinio adottando l'itinerario inverso, dice: Ab llij-
« drunle .... Liipia , Jìalesium, Caelium, Bnindi-
« sium. Lai che si può conchiudere che questo Ba/c-
a sium è identico col )a/e/(i(j« di Mela , che Plinio
« assai di sovente trascrive »,
Questi dill'erenli testi di antichi scrittori raccolti e
fra loro confrontati da Cellario nella sua opera sulla
geografia antica (ed. Lipsiae 1701 pag. 800) forni-
scono il mezzo di classificar con certezza una meda-
glia molto interessante della mia collezione , della
quale ecco la descrizione :
^A®3AA1. Arione sedente a dritta Sìd delfino, e ve-
duto di schiena , stende il braccio dritto ed abbassa il
sinistro; più in yià un piccolo delfino nuotante a dritta.
^ ^A®3AAì. Luna crescente colle punte dirette ver-
so il suolo; sotto un ijlobctlo situato giusto nel centro
della medaglia; più in giù, un delfino nuotante in senso
inverso della luna. Fra la detta luna ed il delf)H) ìH,
A^. Didraramo di fabbrica aulica e barbara. ( Tav.
XI. Dum. 1 ).
Le collezioni di medaglie ne contenevano già alcune
di fabbrica tarantina della bella epoca dell'arte di oro
e di argento , con alcune leggende barbare in carat-
(eri greci , come sono VNVANIQ , dei quali non si
era tentata la spiegazione. Sarà forse oggimai più fa-
cile di raggiungerla, osservando che in epoca remota i
Mcssapii imitando i didrammi arcaici di Taranto face-
vano uso de' caratteri greci, ed adottavano il tipo del
Taras , che sulle medaglie di BrundisiumaìiButan-
tum , si trasfoiina in Arione tenente la sua lira , se-
condo la tradizione conservata da Erodoto (lib. I, e.
23). La leggenda greca FAAE9AI , retrograda, in
caratteri molto arcaici, essendo ripetuta al ritto ed al
rovescio non può lasciare alcun dubbio. Vi si osserva
il digammi, che nell'alfabeto osco-sannitico ha il
valore del V , del B o dell' F de' Latini. 11 0 impie-
gato in luogo del T o del 5! dimostra l' alterazione
della lingua greca presso i barbari ; e siamo colpi i
dalla rassomiglianza di queste due leggende con le
iscrizioni messapiche raccolte e pubblicate da poco ,
sia dal Sig. Monuusen , sia da' dotti collaboratori del
bullellino archeologico naiwlitano.
11 nostro didrauuno serve altresì a fissare diversi
punti di geografia e d' istoria. Esso determina il vero
nome aulico della citlà, che i geografi latini han chia-
mato Balenlium, Valentia, ì'aletium, Balesium. Ja-
letium è il vero nome, già riportalo da ^lela ; ed os-
servando la legge di permutabilità delle cònsonauli
della medesima natura. Balcsium sarebbe il nome che
più vi si accosterebbe.
ì'aletiuni era una città aulica; l'arcaismo del suo
tipo e della sua leggenda lo pruovano : il suo com-
meicio e la sua ricchezza sono egualmenle dimostrali
dalla esistenza medesima del suo didrauuno , forte
moneta per un paese che ha battuto pochissimi pezzi
di questo valore. In quanto al tipo del rovescio , la
23
170 —
luna crcsconle con un delfino richiama le medaglie di
Zande. La luna comparisce ancora sopra alcune me-
daglie di bronzo assai più recenti di Lucerla e di La-
rinum. Non può esser qui , come a Zancle, la pianta
di un porto in forma di falce, ornato di fortificazioni
sopra un Lello esemplare del museo britannico. Que-
sto medesimo simbolo, che s'incontra in Populonia,
in Tespie , sopra alcune medagliuzze di Atene, e so-
j)ra un doppio statere di Cizico , ove ricopre la testa
di Medusa, deve essere allusivo al cullo della Luna-
Ecate in Messapia sottomessa alla influenza greca. Il
globetto nel mezzo del rovescio sembra esser non altro
che il punto centrale del conio, come tanto spesso si
scorge sulle antiche monete. Qui non può aver cer-
tamente alcuna significazione relativa al valore del nu-
merario , che si trovi in un didrammo.
Non si saprebbe stabilir con precisione il senso delle
due leKcre siluale nel campo. H serve di aspirazione,
o di spirilo denso , sulle medaglie e sulle tavole di
Eraclea , come sopra numerosi vasi italioti. Per for-
mare un suono con l'aspirazione, bisogna che il di-
gamma seguente faccia l'uflizio del V latino, cioè a
dire della consonante V e della vocale U. Novella
pruova che la medaglia appartiene realmente a' Mes-
sapii e non già ad una colonia greca.
2. Sijbarìs. I didrammi di Sibari di stile arcaico ed
incusi non hanno offerto finora alcuna notevole varie-
tà. Le sole differenze, che vi si osservano, sono nella
posizione della leggenda , e nell' ornamento che ac-
compagna il toro fermo e respicienle indietro. Eckhel
attribuisce a Sibari un didrammo incuso , senza epi-
grafe, col tipo del toro , sul cui dorso posa un grillo
fdoctr. num. vel. p. I vol.Ipag. ÌQIJ; ma un esem-
plare di questa rara medaglia da me posseduto porta
per leggenda XM\ ali' esergo, da' due lati. Di ma-
niera che , senza aver veduto il didrammo descritto
da Eckhel, si può conghiellurare ch'egli ebbe in ve-
duta una moneta simile, di cui la leggenda o mancava
del tutto , 0 non era ben conservata.
11 didrammo , che noi qui pubblichiamo ( Tav. XI
n. 2), è di un tipo assai differente. Vi si vede un loro
cozzante a sinistra e guardando innanzi. La leggenda
BAP
y^j comincia all'esergo, e finisce nella parie inferiore
del campo. Al rovescio non vi è alcuna epigrafe; ma
il tipo del toro cozzante vi si riproduce in cavo a
dritta. Questa medaglia fa parte della mia raccolta.
11 tipo, del quale presentiamo la descrizione, è di
un lavoro arcaico e grossolano. Non può paragonarsi
co' conii incusi di Sibari , di stile più antico , la cui
esecuzione qualche volta assai accurata e delicata pa-
lesa un'arte pralticata da mani abili. Ma vi si vede la
transizione fra' medaglioni incusi ed il didrammo a
doppio rilievo della collezione S. Angelo , nel quale
si osserva dalle due facce un toro gradiente , di un
lavoro fermo e semplice al tempo stesso, che fa pre-
sagire il termine dello stile eginetico. Immediatamente
dopo questo didrammo , noi dobbiamo classificare
r altro didrammo della medesima collezione , in cui
si vede da un Iato Nettuno combattente ed un augello
volante innanzi a lui, dall'altro lato un toro gradiente,
assolutamente come sul didrammo di Posidonia del-
l'epoca intermediaria. Lo stile elegante di questa rara
medaglia, forse unica, si approssima ancora a quello
degli Egineli : nondimeno, il suo merito dee far sup-
porre che fosse del numero delle ultime monete bat-
tute da' Sibariti pria della distruzione della loro città;
e dobbiamo egualmente rimanere sorpresi che ad un'
epoca tanto remola, l'arte d'incidere i conii fosse già
pervenuta ad un tal grado di perfezione. É inutile di
ricordare che le piccole medaglie di Sibari col tipo
della testa di Minerva , ed al rovescio il toro rivol-
gendosi , o la testa del toro soltanto , appartengono
alla Sibari fabbricata sulle rive del Crathh, quindi ab-
bandonala poco prima della fondazione di Turio.
3. Syracusae. Allela nudo, stante, a sinistra, col
corpo inclinato in avanti, e servendoti della striglie per
togliere dalla sua gamba sinislralolio e la polvere della
palestra.
I^ 5^TPAK05;iON scritto sul giro di uno scudo ro-
tondo , convesso, veduto di faccia, ed ornato nel centro
di una testa di Medusa. A/. Della mia collezione (Tav,
XI. num. 3).
Non era slato ancora pubblicalo questo tipo raro e
curioso : io non ne conosco che due-esemplari.
La numismatica de' Siracusani è poco antica perle
monete di oro. Non vi è luogo a credere eh' essa ri-
salga al di là del tempo di Dionigi il giovine. Sotto il
— 171 —
rapporlo epigrafico la nostra dramìTia d' oro sembra
essere una delle più antiche batlule a Siracusa , poi-
ché vi si vede ancora Vomici oii invece deli' omega. II
lavoro della lesla di Medusa nel mezzo dello scudo è
forse un poco più recente di quello dell' atleta nel
litio , di cui r attitudine e le forme gracili ricordano
certe figure della palestra sugli scarabei etruschi : e
questa osservazione porla a credere che siasi ripro-
dotta su questa medaglia una statua celebre , proba-
bilmente di bronzo, lavorata da qualche scultore uscito
dalla scuola di Egina. L'insieme di questa figura mo-
stra che la statua, della quale, secondo noi, fu copia,
era molto più conforme alle vere regole dell' arte che
l'altra statua di atleta recentemente scoperta in Roma,
e conservata al Vaticano. Se ne avessi il tempo, e se
i mezzi di ricerca fossero a mia disposizione , mi sa-
rebbe probabilmente agevole di ritrovare, o nell'istoria
o nelle Verrine, qualche passo relativo a questa statua
Siracusana , di cui la nostra medaglia sembra consa-
crar la memoria. Non sarebbe impossibile che questa
figura avesse rappresentato un atleta siracusano vin-
citore ne' giuochi olimpici, ne' quali le quadrighe di
Siracusa ottennero sì di sovente il premio, che le loro
vittorie divennero il soggetto abituale de' rovesci sulle
monete di questa grande città.
4 , 5. Due medaglie puniche coniate in Sicilia.
La prima di queste medaglie è un tetradrammo, che
faceva parte altra volta della collezione Avellino. Ec-
cone la descrizione ;
.... OSION. Testa di donna a dritta, co' capelli
sollevati e ritenuti da una stephane.
J^. ì<^ii in caratteri punici. Figura che guida una
quadriga lenta a dritta: al di sojìra della leggenda ve-
siigii di una Vittoria , che corona i cavalli; all'esergo,
un grano d' orzo. (Tav. XI n. 4.).
Il tipo della seconda eh' è un didrammo , che ora
siccome la precedente, fa parte della mia collezione,
è il seguente ;
y»J£ in caratteri punici. Al disotto e fra' caratteri
punici KIB. Testa di donna a dritta, co' capelli cadenti
dietro il collo, e sollevati da un diadema. Intorno, Ire
delfini.
I^. Cane levriere a dritta fiutando a terra; al diso-
pra , teUa di donna a dritta simile a quella del ritto.
(Tav. XI. n. 5.).
Questi due pezzi bilingui sono di grandissima im-
portanza per lo studio della numismatica Cartaginese;
esse mostrano quale è la diUereuza fondamentale nella
forma ddV aleph e del tsadc punici, dilTercnza che
stabilisce d'altronde con evidenza la celebre iscri-
zione punica di Marsiglia. Esse fan venere , inoltre ,
che le due iscrizioni di tre lettere t{»i< e v'>i; , mal-
grado la loro grande rassomiglianza , si riferiscono a
città o a luoghi molto differenti.
Queste due medaglie sono delle confederazioni , o
le loro leggende sono traduzioni di nomi greci? Io
indicherò le difiìcollà di queste due quistioni , senza
pretendere di risolverle interamente malgrado lo stu-
dio già antico , al quale mi sono dato per rischiarare
questo punto della numismatica Siciliaua.
Il tetradrammo colla leggenda X'X , è il più an-
tico di questa serie numerosissima, che discende fino
ad un'epoca, in cui l'arte era divenuta negletta, sino
alla difformità , probabilmente in seguilo di contraf-
fazioni africane di questi bei pezzi, siciliani in origine,
e ne' quali sovente notasi un lavoro eguale , ed in
tutto somigliante a quello de' belli telradrammi di Si-
racusa. Qui lo stile della testa è largo , ma freddo e
severo. La leggenda greca , per quanto può veder-
si, porla un omicron in luogo dell' omcg'a, ed un N
paleografico. Al rovescio la quadriga è rapprescn la-
ta con l'andamento ed il doppio contorno de' cavalli,
che si riscontra sulle monete arcaiche di Sicilia. La
fabbrica di questa medaglia non si riporta intanto di-
rettamente ad alcuno de' telradrammi ordinarii di Si-
racusa , de' quali la serie arcaica è si numerosa e sì
ben conosciuta , di maniera che si potrebbe sospetta-
re che il nostro tetradrammo bilingue sarebbe stalo
battuto altrove piuttosto che in Siracusa.
Il mio dotto collega , Sig. de Saulcy, si è sforzalo
di dimostrare che sopra tutte le medaglie di Sicilia
colla leggenda 'f^'^^f si dovea leggere yjf Tsits,
che egli considera come il nome punico di Panormns.
Io stesso ho emessa la opinione che la leggenda x*t<,
assai differente secondo me dalla leggenda y^i' dino-
tava r isola di Sicilia ; ma questa discussione ci trar-
— 172-
rebbe troppo lungi ; io la tratterò di nuovo bentosto
io un lavoro speciale, in cui l'avviso del sig. de Saul-
cy ed il mio saranno esaminati , senza poter essere
forse sostenuti.
II didrammo , che io pubblico , pezzo inedito sic-
come il tetradrammo , viene in falli a rendere più
complicata questa difEcoItà , abbencliè vi getti pur
qualche luce. Il suo tipo è quello di Segesla ; esso
appartiene a quella confederazìoue di Sicani, civiliz-
zali da' Greci , i quali accettarono assai per tempo la
dominazione cartaginese , e le cui monete portavano
il più sovente un cane al rovescio di una testa di don-
na , come Molìja , Panonmis , Eryx. Si crede gene-
ralmente che la testa di donna , su queste medaglie ,
è quella della trojana Egesta , e che il cane rappre-
senti il fiume Criniso. Io penso che non bisogna ara-
mettere questa sjùegazione , in tulio ciò eh' essa pre-
senta di assoluto. In Segesta, la testa di donna è pro-
babilmente quella di Egesta; in Molya è quella della
donna , che fé conoscere ad Ercole la grotta , ove i
suoi buoi ru])ati erano stali nascosti da Erice.
Questa donna chiamata Molya diede il suo nome
fenicio alla città opulenta per sì lungo tempo occu-
pala da' Cartaginesi. In Eryx la testa femminile è
quella di Venere, eh' è rappresentala cornuta, come
Aslarte, sopra una piccola medaglia della mia colle-
zione. Non abbiamo alcuna tradizione mitologica per
determinare chi fosse la donna rappresentala sulle
monete greche di Panormus. Il tipo del cane dee avere
un senso più generale di quello di Criniso tesso com-
parisce sopra monete siciliane lontane da Segesta e dal
suo fiume ; qual si è Agyrium, e sopratlullo Adranus,
la cui divinila eponima era onorala in un tempio cu-
stodito e difeso da cani. Sopra alcuni medaglioni te-
Iradrammi di Segesta , due cani accompagnano un
cacciatore portante un pileo, ed a lui davanti un Ter-
mine ilifaliico. I didrammi di Segesta e di Molya rap-
presentano qualche volta un cane chelacera una testa
di cervo , e queste diverse composizioni sembrano
collegarsi al milo di Alleone , che si vede riprodotto
sopra una delle metope di Selinunle.
La leggenda del didrammo bilingue ofi're un dop-
pio interesse filologico. In primo luogo, vi si vedeiu
grossi caratteri punici il nome y»B , che comparisce
già sopra un obolo bilingue portante , da un lato ,
Nettuno sedente con la leggenda yj{ , e dall' altro
una figura di efebo nudo , montato sopra un toro a
volto umano con la leggenda II ANOPMOS. Ma,sul-
r obolo inciso da un greco le lettere puniche sono
scrille da sinistra a dritta, mentre che sul nostro di-
drammo la leggenda è di una correzione assoluta.
Al disotto de' caratteri punici , e quasi frammista
con essi, si legge la epigrafe HlB che non è slata giam-
mai più estesa ; giacché i tre delfini che nuotavano in-
torno la testa , e la leggenda punica chiudono intera-
mente il cerchio. Tutti i numismatici conoscono la
leggenda delle monete di argento di Segesta , che è al
più spesso, :SErESTAHlB drillo e retrogrado, qual- \
che volta i;ErESTAaiA , XErE^TASIE, SE-
rE2;TA3!I, SErE^TASlBAMI. Quesl' ultima leg-
genda , della quale Torremuzza diceva : « qui de bi-
sce lillcris e\p!icationem expectat Sibyllam adeat ,
aut hariohim», è stata ben compresa dal Sig. Raoul-
Rochetle. Questo mio dotto collega riconosceva nella
parola AMI il verbo EIMI sum, che si trova in se-
guito de' nomi proprii, ed esprimente la idea di pos-
sesso sopra vasi di terra colta , e sopra una piccola
lamina di argento pubblicala dal defunto Avellino.
Rimane ancora a spiegare quel che significa SlB.
Alcuni antiquarii vi hanno veduto una terminazione
barbara del plurale per SEFESTAIQN ; ma come
accordare questa terminazione con la leggenda EFE-
STAION che si trova qualche volta sull' altra faccia
della stessa medaglia? (Torremuzza t.LXilIn.3): co-
me ammettere che BlB sia una desinenza graramali-
cale , quando si ti-ova trasformato in ffilA sul magni-
fico tetradrammo della collezione di Torremuzza (lav.
LXII,n.2) , ed in SII e SIE sopra alcuni didrammi
della collezione di Duane? (Torremuzza lab. LXIII n.7
e 8). Queste tre lettere, di cui l' ultima varia qualche
volta, non possono esser segni di numerazione greca,
poiché due fra essi apparterrebbero alla serie delle uni-
tà , sulla piupparle delle varianti ; e perché in SU la de-
cina si troverebbe ripetuta due volle. KIB non può es-
ser neppure una parola punica , poiché le varianti ler-
minate da vocali non permettono di supporre la sop-
— 173
pressione di una consonante, qTial si è la i, e la per-
mutazione con una vocale qualunque , anche meno
con vocali variate A , I , E. Io non ho mai vedute le
varianti SIA, SIE, SII; ma come Torremuzza le cita
da esemplari della sua collezione, di quella di Duane,
e di altre , e non già da Goltzio , o da Paruta , dob-
biamo credere autentici gli esempli , che ci fornisce,
insistendo nel suo testo di un modo particolare sulle
singolarità di queste varianti.
Per starcene a quelle , che son fia le mani di tutti
i dotti, possiamo fare osservare che situato fra il no-
me SEFESTA, ed il verbo x\MI, la parola SlB, che
non può essere ne una terminazione del genitivo, né
un numero, deve essere un sostantivo e probabilmente
un nome proprio : il nostro didrammo bilingue con-
ferma questa opinione , non portando per tutta leg-
genda che la voce SlB. Se si considera ora che la
sillaba Si si trova seguita sovente da De qualche volta
da A , E, I, queste lettere variabili, corrispondendo
a lettere numerali , potrebbero indicare una cifra di
anni , o di valori monetarii , o un numero d'ordine
qualunque, che sarebbe variabile, come esse ; mentre
la sillaba Si resterebbe immutabile. Il numero d'or-
dine per gli anni non è amraessibile, perocché le me-
daglie più antiche portano SlB, laddove il bel telra-
drammo contemporaneo di Dionigi II, porta SIA. Che
sì tratti di numeri esprimenti valori monetarii non può
essere del pari accettato; mentre medaglie di moduli
e di pesi assai diversi, didrammi e dramme, portano i
medesimi caratteri SIB. Di maniera che A, E, I non
possono essere lettere numerali. Che se si suppone che
esse si applicano ad una classitìcazione di provincie ,
o piuttosto di città di una confederazione, nella quale
secondo il suo grado d'influenza, e d'autorità, lacitlà
chiamata Sì avrebbe occupato un posto indicato dalla
sua lettera numerale ; A il primo , E il quinto , I il
decimo , non s' incontrano simili difficoltà. Si cono-
scono almeno dodici città di Sicilia sottomesse a' Car-
taginesi , Solus , Ilimera , Thermae , Panormus, Se-
gesta , Eryx , Motya , Drepanum, Heraclia, Selinus,
Agrigentum , di cui Torremuzza ha pubblicata una
medaglia tetradramma bilingue (1) , Lipara , Cepha-
(1) Torremuzza 1. suppl. lab. 1. n. i. Questo pezzo interessante
locdium, senza parlare diLilybaeum ultimo asilo de'
Cartaginesi in Sicilia.
É dunque per l' ordine nella confederazione che
dovremo spiegare le lettere numerali, che terminano
la leggenda abituale di Scgcsta, urlila al nome Si pro-
babilmente quello di una città. Sarebbe l'orse teme-
rario di vedere nel SI una contrazione Sicana della
leggenda punica y»2: , Tsi per Tsils. Intanto sarebbe
questa la spiegazione pili semplice (piando si ricono-
scerebbe che le lettere B , A , E , I , sono numerali.
Io riserberò , tuttavia , questa ricerca per l' esteso
lavoro , che preparo sulle medaglie i)uni(he , e nel
quale spero di porre sotto gli occhi de' doKi una serie
di monumenti numismatici confrontati con le rifles-
sioni che essi possono suggerire.
Il Dccv de Lcy.NEs.
Giunta all' arlicolo preccilcnle.
Mi sia lecito di aggiugnere alcune osservazioni al
dotto articolo , che precede , alle quali lo stesso illu-
stre autore mi ha invitato ; principalmente mancando
de' libri e del tempo necessario, per istituire alcune
particolari ricerche, ad arricchir di confroali e di ci-
tazioni una scrittura dettala negli ultimi giorni della
sua dimora in Napoli , la quale dimostra tutto il sa-
pere e le vedute del dotto numismatico.
Ben si appose il eh. autore nel diflinire permessa-
pica la leggenda della moneta n. I. Solo avvertiamo
che fra i caratteri finora conosciuti nelle iscrizioni
messapiche non si è giammai incontrato l' I angoloso
ed il carattere S ritiene sempre la forza del % (Monun-
sen iscr. mes. negli annali dell' Ist. ISiS p. 07. seg.
ed imter. Dialek. p.47 seg.). Volendo tener presente
una tale avvertenza, dovremmo legger piuttosto FA-
AE0AS che FAAEeAI. Del resto la forma insolita
apparteneva all'arcivescovo di Palermo. Sveniuralaraente la leggenda
punica situala fra le branche del granchio ò inodiocrenienlc coiiata
sulla incisione , e non puossi conghii'ttnraro con vcrisiniiglianza ciò
che doveva significare. Questo leliadraniino dove essere di una
estrema rarità: io non ne conosco alcuno esemplare.
— 174
dfl ® ,e l'esser relrograda <u<(a la iscrizione, doven-
do farcela riportare ad epoca abbastanza remota, po-
trebbero appoggiare la lezione dell' autore. Per quel
che spetta all'attribuzione dell' a. , che riporta la me-
daglia al Vaìelium di Mela ( lib. II e. IV. ) , noterò
che nella medesima regione sono ricordate due diffe-
renti città di nome presso a poco somigliante. Vi è
una Alelium presso Gallipoli tra Nardo ed Ugento ,
distinta dal Valetium di Mela , altrimenti Valesium, o
Baleso tra Brindisi e Lecce. Sembra pure dimostrato
che r 'AXYJr/ov di Tolomnieo , 'AX7]ria di Strabone
(VI, 3, 6), 5a/e<mm della tavola peutingeriana (Man-
nert II, SO), corrisponda alia moderna Lizza o Aliz-
za , ove furono ritrovate non poche iscrizioni mes-
sapiche(Vedi Cataldi Alelio illustrata 1841 in 8 ;
Corcia topogr. tom. Ili p. 413 e 451 ; Mommsen
iscr. vies. nel cit. voi. degli annali 1848 p. 82 e 87;
e nnler. Dial. p. 57, e 60). Premesse le quali cose,
a qual delle due città diremo doversi attribuire la me-
daglia , di cui è parola : all' Alizza , ovvero a Baleso?
Io incUno a credere che debba piuttosto riportarsi al-
l' Alizza : e sono varii i molivi , che m' inducono a
sostenere una tale opinione. Non ignoro che qualche
messapica iscrizione fu rinvenuta nel sito, ove si cre-
de avere esistito l' antica Baleso ; ma l' Alizza ha da-
to fuori un maggior numero di tali epigrafi , il che
pruova l'uso esteso di quel dialetto in quel luogo: per
lo che non dovrebbe sembrare strano il vederlo ado-
perato in una medaglia ad indicare il nome di una
città. Or nelle iscrizioni di Lizza troviamo appunto
il digamma della medesima forma che nella interes-
sante medaglia del signor Duca de Luynes, troviamo
egualmente la parola retrograda ^ANOAS^AFIAA
(Mommsen unler.Dial.la\.l\. Lizza b.3); la qualeèla
sola che veggasi in quella posizione fra tutte le epigrafi
messapiche finora conosciute : ed ora bisognerà ag-
giungervi la leggenda della nostra medaglia , la quale
come avvertimmo di sopra , fa pur guadagnare al-
l'alfabeto messapico l'elemento ®, che non era anco-
ra comparso. E qui ci piace di avvertire , quel che fu
da noi pure altrove osservato, ciocche il dialetto mes-
sapico risentì immensamente la greca influenza non
solo per la forma de' caratteri , ma benanche pel fon-
do della sua grammatica {tnon.ined. di Barone voi. 1
p. 50, e 58). Noi non dubitiamo che questa verità si
vedrà di giorno in giorno confermata da nuovi ritro-
vamenti. La leggenda Az\H0AS, come da noi si ri-
tiene, è un genitivo, che suppone il nominativo A AH-
©A: ed è questo, secondo noi, il vero nome messapico
della città, che fu poi tramutato in 'AXyiri», ed Ale-
tium, parole che offrono una diversa derivazione. Così
fu da noi messo in chiaro il vero nome dell'altra mes-
sapica città di Gnalhia (rv*B/oc), la quale sotto la penna
degli scrittori di un'epoca posteriore greci o latini, erasi
cangiala in Gnalia, e finanche in Egnalia, 'Eyvocr/oc.
(Vedi bull, dell' ht. 1845. p. 44. Cf. Avellino bull
arch.nap. an.III. p.l29, Minervini mon. /net/, di .Bar.
tom. I p. 11. ). E si noti che la medesima varietà, e
lo stesso scambio ebbe luogo fra il T ed il 0. Che se
riterrassi la lezione AAEB Al proposta dal eh. autore,
il nome messapico della città dovrà riputarsi AAH-
&OX, o AAH0ON, e r A AH© AI sarà forse da giu-
dicarsi un genitivo, secondo la opinione del Mommsen,
e da paragonarsi al ITOTAAI, o IITAAAI di alcune
medaglie di Arpi, ed al BIAAI dell'altra medaglia da
me pubblicata in questo bullettino (p. 1 07.v.t.IV.n. 11).
Poche parole vogliamo aggiugnere sulle due inte-
ressanti monete con epigrafi fenicie ; giacché è qual-
che tempo che stiamo lavorando sulle medesime leg-
gende , e già proponemmo alcune osservazioni su que-
sta parte delia numismatica siciliana in una memoria
letta sin dal passato anno alla reale Accademia Erco-
lanese e tuttavia inedita, (vedi Gerhard arr/iao/. Anzei'
ger febr. 1853 p. 293). Cominciamo intanto dall'ap-
plaudirci che in quanto alla epigrafe SIB, o SIBA-
MI, senza che l'uno sapesse dell'altro, venimmo alla
medesima conclusione che si tratti forse di una confe-
derazione di Segesta con altra città denominata eoa
voce fenicia. Partendo dalle ricerche del sig. deSaul-
cy io mi persuasi che V^H fosse il nome punico di
Panormus , e la stessa iscrizione andai riconoscendo
in alcune altre monetine di varie collezioni , di cui
presentava i disegni. Richiamai in quella occasione un
confronto , che non vidi ricordato da altri nella pre-
sente discussione. Nei libro secondo de' Paralipomeni
(cap. XX) parlandosi delle vittorie di Giosafatle eoa-
1/0
tro gli Ammoniti , i Moabiti , ed altri popoli clic di-
consi de' Miiiei , riportasi la profezia di Jahaziel fi-
glio di Zaccaria. Questi per indicare ove si sarebbero
trovati i nemici del popolo di Dio, quasi por visione
li addita accampali sulle allure di Tsits y^i' . La volgala
dice Sìs , ed il greco AcrcrsiS ; ma allenendoci all' c-
braico , troveremo una identica denominazione geo-
grafica propriamente in (|uei sili, ne'tpiali la lingua fe-
nicia era usata, e nella quale non può non ravvisarsi la
medesima derivazione che nelle medaglie di Panormus.
Per tornare alla iscrizione KlB , o SIOA.MI delle
monete di Segesta , io feci poco conto delle varietà
notate dal Torrcmuzza , le quali non sono più com-
parse sotto gli occhi de' numismatici. Quindi veniva
nella conclusione che la iscrizione SlB era una ma-
niera abbreviata di dinotare la più lunga ed intera
SIBAMI. In questa supposizione ho proposta la con-
ghietlura che tutta la leggenda SiBAMI dinotasse la
Collina di Tsils, con una elisione della consonante fi-
nale , che ci sembra aramessibile in una parola com-
posta, per quanto poco plausibile la crederemmo, ove
fosse isolata e non dipendente da una voce seguente,
colla quale si colleghi. Questa nostra conghieltura dà
un appoggio alla spiegazione proposta dal mio eh.
collega P. Garrucci di un'altra leggenda fenicia in si-
cula medaglia, ove e'riconobbe IQ^li) [n^jnso Macha-
nal Scebam , e lo inlese per la parte dell' aniic» Pa-
lermo che venne chiamala "Axpx da Zonara [hist.br.
voi. VII I. 8 p. 29G ed. Ven.) da Polibio vxX%,'% (I,
38), e da Diodoro àpx'x/a. ( lib. XXIII, p. SOo Ves-
sel. ) : vedi 3Iinervini mon. iiied. di Barone voi. 1 p.
96. Nella ipolesi dunque che y>2f fosse il nome puni-
co di Panoimu^, poteva ben chiamaisi *Q5*ir ì'xxpx
della città , ed anche più breveminle indicarsi col
M in una medaglia coniata nel medesimo sito ; per
lo che non era necessario far precedere il nome di
tutta la intera città di Panormus. Queste nostre idee
ci sembrano confermale dalla importantissima meda-
glia, nella quale al fenicio Tsils si accoppia il SlBin
lettere greche , e questo in unione co' tipi di Segesta.
Si tratta forse anche (|ui di una federazione, trovandosi
r nllra cillà surticienenieule indicala da' tipi che le
appartengono: se pure non voglia dirsi che sia la mo-
neta appartenente alla sola Panormus , essendo ben
conosciuto che il tipo della testa di donna e del cane
si riscontra in una rara moneta di argento colla iscri-
zione ITA\()1\VK)ì: Kcklicl ilixir.mim.vct.l. 1 p.2.'}0}.
Ora che il sig. Duca de Luynes ha messa in chiaro li
distinzione Ira la epigrafe y>2C d'altra X'X, che leg-
gesi sopra una cerla moneta di Siracusa , potrà con
probabilità sostenersi clus il primo nome appartenga
a Panormus ed il secondo aSyracusae. Ma mi riserbo
di parlare più ampiamente di tali conghietture ed os-
servazioni, quando vedrà la luce la suddetta memoria
accademica. Attenderò le dotte ricerch»? del sig. Duca
de Lujnes , a cui sono dovule imporlanli pubblica-
zioni sulla numismatica fenicia , e che è nel caso di
spargere la più gran luce su questa difficilissima parte
dell' archeologia. Sull'appoggio di numerosi falli fra
loro diligenlomonle confrontali si renderà più agevole
lo studio e la discussione sulle monete puniche delia
Sicilia : e noi siamo sicuri che lo stesso chiarissimo
numismatico non mancherà di trarre le più probabili
conclusioni nell'esteso lavoro, di cui promelle la pub-
blicazione. MlMiUVlM.
Vaso Nolano con la pugna di Ercole contro
le Amazzoni.
Nella nostra tavola X n. 1,2,3 vedonsi figuralo
le due facce di un magnifico vaso nolano posseduto
dal sis. venerale Cella, alla cui cortesia ne dobbiamo
un lucido. Non può dubitarsi del soggetto della prin-
cipale rappresentanza. Alcide colla pelle di leone e
colla clava è alle prese con un'Amazzone, certamen-
te la regina di quelle donne guerriere, due delle qua-
li giacciono spente al suolo. É notevole lo scudo del-
l' Amazzone , che tuttavia combatte, dal quale scen-
der si mira un' appendice , come ricorre in allri mo-
numenti (vedi bull. ardi. nap. an. VI p. 23). Le due
compagne estinte mostrano in varie parti del corpo
le riportate ferite ; ed una di esse vedesi nell' alto di
appressar la sinistra mano al petto , da cui s|iiccia
tuttora il sangue. Non leuleremo delerminare quali
fossero queste Amazzoni nella mente dell'artista: noi
176 —
pensiamo che valgano a dinotar generalmente la
schiera di quelle comballenli superala e vinta. Ma
chi sarà quel guerriero , che sta dalla parte delle
Amazzoni, ed in difesa di colei che ancor sopravvive?
A noi senil)ra che debba riputarsi Marte, il dio delle
battaglie, che fu dalle tradizioni de' poeti riconosciu-
to per padre delle Amazzoni : è poi ben noto che
!\Iarte comparisce ancora come avversario di Ercole
per la difesa dell' altro suo figliuolo Cicno ( Gerhard
Aus. Gr.Vaseììh. tav. CXXII, CXXllI), abbenchèuoa
valga ad evitarne la morte : vedi pure ciò che dicem-
mo nel voi. VII delle memorie della regale accad. Er-
colanese p. 323.
11 nume della guerra porla sullo scudo la insegna
di una nera figurina io concitato movimento con ali
alla testa ed a' piedi. A noi pare doversi in essa rav-
visare uno di quegli esseri , che convengono a questa
fiera divinità , di cui erano riputali figliuoli : dir vo-
glio Dcimos e Phobos gemi muniti di triplicale ali ,
secondo la dotla discussione del Panofka('//»/2)o&or. —
Rom. Sludicn p. 245-261 : vedi pure Gerhard ge-
flihjehjc!il.\i.o). Che se si ammelte la osservazione del
eh. Braun suU' imberbe aspetto del Pliohos (Annali
dell' Li. 18'i0 p. 1G9 s. ) , questo demone appunto
sarebbe da ravvisare effigialo nello scudo di Marte.
Al che vuoisi aggiugnere che Phobos ci si presenta
da Omero accompagnando il suo padre Marte nelle
tremende battaglie ( //. N v. 298 seg. ).
Comunque sia ; l' ajulo del dio della guerra non
giova alla sua valorosa figliuola ; giacché Ercole è
quasi nel punto d'impadronirsi del bramato cinto. Di
fatti l'artista ha con tutta evidenza palesalo l'oggetto
della contesa col figurare il lebano eroe nell'attitudine
di avvicinar la sua mano al cinto dell'Amazzone, causa
di quella guerriera spedizione. Questo gesto signifi-
cativo mostra le risorse dell'arte aulica, che anche
trattando un particolare punto dell'avvenimento tifa
argomentare ciò che precedette, e quello^che ne verrà
in conseguenza. Fra le particolarità del vaso nolano,
di cui ragioniamo , vi è anche quella del nuovo no-
me HinnONIKE , che trovasi dato all' Amazzone ,
invece dell' altro d' 'IwokiJrri.
Noi parleremo più ampiamente di questa varietà
nella seconda parte archeologica della nostra mono-
grafia sulla spedizione di Ercole contro le Amazzoni,
di cui la prima parie filologica è stata nel passato anno
presentata alla Reale Accademia Ercolanese (1). In
essa torneremo a discorrere del nostro monumento
nolano , del quale peraltro non abbiamo voluto diffe-
rire la pubblicazione.
Presso alla figura di Ercole leggonsi le parole XAP-
MIAES KAAOX , e le medesime si ripetono presso
una figura di giovine guerriero combattente , che si
vede rappresentalo nell'allra faccia del vaso. Lo stes-
so nome si legge sopra un altro vaso anche di Nola
presso un alato demone in alto di combattere con scu-
do ed asta, che il eh. Schulz appella Amove fbullelt.
dell' ist. 1842 p. 13); ma che potrebbe riferirsi egual-
mente ad uno de' due genii della guerra, di cui sopra
dicemmo. Non vorrei giudicare se i due vasi possano
credersi provenienti dallo slesso Nolano sepolcro: nella
quale ipolesi potrebbe taluno pensare che fossero de-
stinati ad ornare la tomba del giovine Charmides , la
cui guerriera attitudine mostra eh' ei fosse addetto al
mestiere delle armi: e perciò se ne ripete ancora il no-
me presso la figura di Ercole, a cui si assomiglia per
la forza del combattere. Non debbo intanto tralasciar
di notare che queste denominazioni , le quali in di-
versi monumenti si atlribuiscono a figure di efebi ,
possono talvolta riputarsi allusive alle loro qualità ,
piuttosto che credersi destinale ad indicarne i nomi.
Così neir attuai circostanza il nome X.'x^ixl^rp , deri-
vato da Xapfjii^, è allusivo al carattere guerriero delle
figure, presso le quali si legge : ed in questa signifi-
cazione non disconviene neppure ad Alcide.
MlNERVJNI.
O Vedi Gcrtiard ÀrcMol. Anzeig. Felibr. 1853 p. 293. Di questa
parte della mia memoria ò inserito un estratto nel rendiconto della
Reale accad. Ercol.
P. Raffaele Gariiucci d.c.d.g.
GiCLio Mi.NEiivi.Ni - Edìlori.
Tijpografa di Giuseppe Catàneo.
BILIKTTIIVO ARCHEOLOGICO IVAPOLITA^O.
NUOVA SERIE
N.' 23.
Macffrio 1853.
CO
Notizia de più recenli scavi di Pompei: contimtazione del num. W. — Diaspro xanguiijm inci<o. — Sufifjello
in corniola di un C. Cecilio Metello Caprario. — Iscrizione di Campomarino, masseria del signor Carrera
in mezzo ad avanzi di villa antica. — Iscrizione Sannilica rinvenuta in S. Maria di Capua. Iscrizione
dipinta di Ardea , graffiti sui vasellini di S. Cesario, e su lamina di piombo romana.
Notizia de' più recenti scavi di Pompei: continuazione
del num. 20.
Avendo rivcdulc le nostre schede , portiamo una
notevole «iggiiinzione al programma da noi riferito a
pag. 157 D. 7. Esso dice in tal modo :
M . CVSPIVM . PANSAM
• ■ • POLYBIVSNATALISCLIENSCVM ISIaCIS ROG
Noi già conosciamo un altro somigliante program-
ma fatto da^VIsiaci a favore di Cn. Elvio Sabino (v.
sopra p.l51 n.25). Ora però riesce importante quello
di M. Cuspio Pansa; perchè trovasi vicinissimo al
tempio d' Lide , che è di pochi passi lontano dalla
strada, ove quella iscrizione è segnata. E qui mi piace
di aggiugncre un altro fatto, che trovasi in corrispon-
denza col suddelto programma ; ed è che in un edi-
Gcio situato quasi rimpetto al muro, su cui si leggeva,
furono rinvenuti due sistri uno di argento , e l' altro
di bronzo , il che pruova che gli abitanti di quelle
vicinanze erano dediti alla isiaca religione.
Noi non possiamo dare una specifii-ala notizia de'
vani edificii che costeggiano la strada , essendo tut-
tavia interrati nella loro interna parte. Non manche-
remo però di riportare al solito i programmi scritti
di rosso o di nero all'esterno delle mura , che ci è
riuscito di continuare a raccogliere.
Sono essi i seguenti ;
1. ALBVCIVM
2. IVM • PROCVL
3. POSTVMIVM
ANNO I.
4. SABINVM
5. M . HOLCONIVM
PRISCVM • AED • 0^
6. A • VETTIVM • FEL'^^"
AED • 1 0 1 • • • IVS • ROG
forse POPI DI VS • ROG •
7. Sotto questo numero riportiamo il più lungo
ed interessante , che sia comparso b que-
sto silo.
POSTVMIVM . A=°
SCR . INFAN no . INFRA
SCRIBENTE . PARENTE . II
ROG . PAQVIVM . PROCVL VM . d.i.d.d.r.p.
Questo programma, secondo noi, costa di tre parti :
nella prima si dice che Infanzione (nome non nuovo
ne'pompejani programmi: v. sopra pag. laOn. Il)
scrive il nome di Postumio candidalo per la edilità :
nella seconda parte si annunzia che il medesimo voto
facevasi da PARENTE, o che indicar si voglia il padre
d' Infanzione , ovvero un altro nome proprio : chiù-
desi finalmente la iscrizione colla petizione di entrambi
di ottener per duumviro Paquio Proculo.
In una delle pietre di tufo messe allo scoverlo si
veggono incavate le cifre XXI .
Sul muro di una stanza di uno degli edifizii è se-
gnato col pennello
P • ROMAN
e non sappiamo se debba in queste parole riconoscersi
fatta menzione del popolo Romano.
In questi ultimi giorni si é scavata una parte di uq
23
— 178 —
edifizio a sinistra della medesima via discendendo verso
la porla di Stabia. lu uno de'muri esterni è comparso
un cancello di ferro mollo ossidato, il quale era stato
anticamente richiuso, e muralo d'ambe le parli con fab-
brica. In questo ediGzio si è eseguilo lo scavo in una
specie di atrio , ed in due stanze vicine: l'inlonico è
mollo rozzo, e non possiamo formarci una chiara idea
del fabbricalo , se prima non si scopre del tulio. Di-
remo solo degli oggetti rinvenuti nelle parti scoperte,
mercè due scavazioni, la prima delle quali fu eseguita
il giorno 17 del corrente mese di maggio, e l'altra il
giorno 20 dello stesso mese.
Nella prima scavazione, alla quale accenniamo, fu-
rono rilrovali all'altezza di circa sei palmi dal suolo
alcuni oggetti di bronzo, di vetro, e di lerracotla,
olire i due sistri, de' quali dicemmo di sopra. In quanto
agli oggetti di bronzo , olire alcune parli della serra-
tura , comparvero una grande palina di palmi 2 V,
di diametro perfettamente conservala e di diligente
lavóro; una lucerna monolkna con manico fermiualo
da una delle estremità in testa di animale, come sem-
bra di cane, e dall'altra in una maschera silenica: un
manubrio di qualche cassetta che offre la forma di due
dita (pollici); in allusione al silo ove meller si doveva la
mano. Ricordo che in altro utensile pompejano ricorre
una simile allusione ; giacché appunto il manubrio è
conformato a foggia di due mani : ( vedi Avellino de-
scr. di una casa pompej. con capii, figurati p. 68 X
tav. IX n. 9 A; e quel che scrivo io stesso negli an-
nuii dell' ist. 1842 p. 84). Da ultimo non vo' tacere
di una moneta molto ossidala , con foro nel centro.
Una sola caraffina di vetro rotta nel fondo , di altezza
0,63 di palmo, richiama l'allenzione degli studiosi per
una materia nera, che vi si contiene, e che converrà
sottoporre all'analisi chimica. Non parlerò particolar-
mente di alcuni rozzi arnesi di terracotta; come sareb-
bero tre piattelli ricoperti di rossa vernice ed in parte
guasti, alcuni pignaltini a due manichi, uno de' quali
con coverchio, una tazzolina, ed un vaso della forma
òeWoleare: e passo subilo a dir qualche cosa della sca-
vazione seguila il giorno 20 di questo corrente mese
di maggio.
Questa ebbe luogo nella circostanza che recavasi a
visitar Pompei S, M. il Re Massimiliano di Baviera ,
il quale accompagnalo ed assistilo dall' attuale eh. di-
rettore del Real museo e soprantendente generale de-
gli scavi del Regno sig. principe di San Giorgio , si
trattenne per una intera giornata ad ammirare e stu-
diare le stupende reliquie dell'antica città; procuran-
dosi altresì al chiaro di luna, ed al fulgor delle Ilici il
più grandioso ed imponente spettacolo che offrir si
possa agli occhi de' riguardanti.
Alla presenza del regio Personaggio fu disterrato
sino al suolo quel medesimo atrio, e quelle stanze me-
desime , delle quali già prima erasi scavala la più
gran parte. Gli oggetti venuti fuora in questa occa-
sione saranno da noi enumerali colla medesima di-
stinzione delle varie materie di che sono formali. Fra
i bronzi comparirono alcune parli della serratura; ma
tre pezzi richiamarono maggiormente la nostra atten-
zione: sono essi, 1. un vaso, alto 0, 4j di palmo,
con bocca larga e ad un sol manico , il cui fondo si
vede anticamente saldato con piombo : il manico Qni-
sce inferiormente in una testa silenic-i : 2. una pantera
(di alt. 0,53 di pai.) con mammelle pendenti, che in-
nalza la zampa sinistra, e solleva in allo la testa: que-
sta graziosa statuetta di buon lavoro manca di base ,
e formava forse gruppo con una 3. slaluella di Bac-
co fanciullo, che solleva un corno potorio , la qua-
le però ha perduto le sue forme per la ossidazione.
Gli oggetti di vetro ritrovati nella stanza contigua a
quel che dicemmo atrio , offrono in sé poca impor-
tanza, ma meritano secondo noi molla considerazione
per un particolare motivo. Sono essi una piccola au-
forina in parte mancante , con entro un materiale
giallo da analizzarsi, e Ire tazzoline di differente gran-
dezza : è però notevole che queste sono talmente al-
terale dal fuoco, che dovettero subire un forte grado
di calore per ammollirsi, e fondersi in parte. Fra poca
faremo su questo fatto le nostre osservazioni. Un sol
fornello di ferro venne fuori in varii pezzi molto os-
sidati. Di marmo fu rinvenuto un peso di pietra di pa-
ragone , ed alcuni frammenti di due staluetle, che for-
mavano forse gruppo Ira loro, una delle quali lulta
nuda appare femminile, mentre l'altra è virile; anche
questi pezzi pare subissero la forza del fuoco essendo
— 179 -
in gran parte calcinali , e rodi in minuti frammenti ,
che son tra loro fortemente attaccali , per modo die
non potrebbero se non con grande difflcollà separarsi.
Traile cose |)iù rare a comparire in Pompei è un
piccolo vasellino di avorio senza coverchio , di cui
non sapremmo indicare la destinazione e l'uso.
Fralle lerrecoUe, oltre alcuni comuni utensili, me-
ritano di essere ricordate una maschera scenica, una
lucerna con l'ornamento di un ariete nella faccia su-
pcriore, e due statuette di rozzo stile; la prima, alta
0, 35 di palmo, rappresenta una figurina virile mu-
nita del bardocucullo ; l'altra , alta 0, 45 di palmo,
ritrae un uomo panneggiato con una specie di toga.
Finalmente son venuti fuora alcuni di qae' pezzi
cilindrici di osso forati, e con varii buchi, che Irova-
ronsi assai spesso in Pompei, ma de'quali non si è si-
nora conosciuta con certezza la destinazione.
A tutti i fatti sinora enunciali relalivamente alla
presenza del fuoco , che si manifesta in varii oggetti
rinvenuti in quel sito, se ne aggiugne un altro; ed è
l'annerimento in uno de" muri della stanza, ove que-
gli oggetti furono raccolti, prodotto certamente dal
fumo di un incendio. La fusione del vetro, la calci-
nazione del marmo , e la disorganizzazione di altre
materie , per effetto della fiamma , è forse dovuto a
pioggia d' infocato lapillo? Io noi credo: allrimenli
dovrebbero essere più frequenti le osservazioni di
simili trasformazioni. Io son dunque di parere che
questi eflelti sono dovuti a parziale incendio avvenuto
in quella stanza; e forse non sarebbe strano l'imma-
ginare che nel momento stesso della pompejana cata-
strofe, per negligenza , o per qualunque altra causa,
cominciò ad arder l'incendio in quel compreso, ridu-
cendo in dissoluzione e consumando una parte degli
oggetti m esso contenuti.
MlNERVlNI.
Diaspro sanguigno inciso.
Diaspro sanguigno antico con tre teste; la prima a
destra di Nerone , la seconda di Claudio , la terza di
Marco Claudio Marcello Console. ( Tav. XI. n. 6. ).
É scolpilo nei primi anni di Nerone, perocché egli
vi è rap|)resenlalo ass.ii giovane tra i 17 e i 20 anni,
quando non aveva tolto di rizzarsi i capelli sulla fronte.
Un suggello con le impronte di tre personaggi i più
celebri della famiglia Claudia , non può apparlenerc,
che alla famiglia medesima ; questa si estingue in Ne-
rone; adunque questo suggello non può essere stalo
in altre mani, che in quelle di Nerone. È notabile, che
le macchie sanguigne tutte cadono sul volto di Ne-
rone , quasi a funesto presagio del parricidio ! Non è
l'ultimo pregio di questa pietra, il presentare la prima
volta un ritratto di Marcello, che finora crasi veduto
solo sulla moneta di Marcellino suo discendente, ma
apj)ena traccialo , e mollo incerto.
Questa è la n)ia opinione intorno a tal singolarissimo
cimelio, che do qui abbozzata. So bene, che a taluno
è paruto l'intaglio di epoca più inoltrata ; ma non
credo dover recedere dal mio primo i;iudi/io, al (juale
dà tulio il conforto l' autorità di valenti artisti. Tra
questi io novero con lagione 1' espertissimo Sig. An-
drea Russo ; e fo notare, che i difetti non sono il ca-
none delle epoche.
Garrucci.
Suggello in corniola di un C.Cecilio MelelìoCaprario.
Di mano del gentilissimo amico Sig. Carlo Bonichi
mi proviene il suggello, che dò inriso nella Tav. XI.
a n. 7. Io lo credo di un C. Cecilio Metello Capra-
rio , se non del Console al 641, almeno d'altra per-
sona della medesima famiglia non mollo lontana da
tal anno. L'arcaismo delia leggenda C. METELl mi
porla appunto a quest'epoca , e perche io vi su[ipli-
sca il cognome secondo , me lo dimanda la \;jix*(pa,
simbolo parlante, come dicono. In simil guisa il cece
fu messo da M. Tullio in luogo del suo cognome Ci-
cero, in un'epigrafe votiva ; ed il eh. ab. Cavcdoniha
notato un ramo di spino essersi aggiunto al suggello
di Senlio, in riguardo appunto delle spine (^sen/f.<y,
colle quali ha analogia il nome Serdius.
Gariiccci.
_ 180 —
Iscrizione di Campomarino, tnasseiia del signor Carrera in mezzo ad avanzi di villa antica.
C • HELVIDIVS PRISGVS ARBITER
EX • COMPROMISSO • INTER • Q-
TILLIVM • ERYLLVM • PROC VR ATOREM
TILLI • SASSI • ET • M • BAQVIVM sic ■ AVLANIVM
5 ACTOREM • MVNICIPI • HISTO NIENSI VM
VTRISQVE • PRAESENTIBVS • IVRATVS • SENTENTIAM
DIXIT • IN • EA • VERSA • Q • INF • S • S •
CVMLIBELLVSVETVSABACTORIBVSHISTONIENSIBVS
PROLATVS • SIT • QVEM • DESIDERAVERAT • TILLIVS
10 SASSIVS • EXHIBERI • ET • IN • EO • SCRIPT VM • FVERIT
EORVM • LOCORVM • DE • QVIBVS • AGITVR • FA
CTAM • DEFINITIONEM • PER • Q • COELIVM • GAL
LVM M • IVNIO SILANO • L • NORBANO • BALBO
COS • VIII • K • MAIAS • INTER • P • VACCIVM • VITVLVM
15 AVCTOREM • HISTONIENSIVM • FVNDI • HERIANI
CI • ET • TITVM • LACCILLVM • PROAVCTOREM • TIL ('*'8^° ^^"''^'^cÌllvm)
LI • SASSI • FVNDI • VILLANIAE • IN • RE • PRAESENTI (leggo villani AC)
DE • CONTROVERSIA • FINIVM • ITA • VT • VTRISQVE
DOMINIS • TVM • FVNDORVM • PRAESENTIBVS
20 GALLVS • TERMINARET • VT • PRIMVM • PALVM
ERIGERET • A • QVERCV • PEDES • CIRCA • VNDEC
IM • ABESSET • AVTEM • PALVS • A • FOSSA • NEQVE
APPARETQVOT- PEDES SCRIPTIESSENT
PROPTER VETVSTATEM LIBELLI INTERRVPTI
25 IN • EA • PARTE • IN QVA • NVMERVS • PEDVM
SIC SCRITVS • VIDETVR • FVISSE • INTER • FOS
SAM • AVTEM • ET • PALVM • ITER • COMMVNEM sic
ESSET • CVIVSPROPRIETASSOLIVACCIVITVLI.ESSET
EX EO PALO EREGIONE AD FRAXINVMNOTATAM PAL
30 VMFIXVMESSEAGALLOETAB EOPALOE REGIONEAD
SVPERCIUVM VLTIMl LACVSSERRANIIN PARTEMSINISTERIO
. • AB • EODEM • GALLO
Un monumento epigrafico dei più importanti egual- il Cluverio opinò, che qui una volta fu Clitemia. Hi-
menlc fra la classe de' legali, e degli agrarii mi arriva slonium, Larinum, e Teanum Apulum sono le città
or ora dal mio chiarissimo amico Sig. D. Ambrogio antiche confinanti, per quanto finora se ne sa; però
Caraba : il quale erudito com'è, vi unì alcune sue ffts<onjMm ne dista il doppio delle altre. Farebbe quindi
osservazioni , di cui terrò conto in seguito. Campo- meraviglia che l' antico territorio istoniese fosse ilo
marino è terra abitata da circa un migliaio d' anime tant' oltre fino a valicare il Tiferno , che ne avrebbe
sulle rive dell'adriatico , e poco di qua dal Bifcrao : dovuto essere quasi naturai limile ; se la presenza del-
— 181
r actor municipi Histoniensium fosse argomenlo della
estensione di leiriforio. Ogni municipio potea posse-
dere qualche spazio di terreno sul territorio munici-
pale vicino, e lo ha ben notalo Igino fDc Lim. Con-
slit. p. iSSy); Quidam sunt agri, vel pascua, vel silvae
in regione a (errilorio coloniae divisa, reipublicae ter-
ritorio assignali, qui illim reipublicae dicentur, et erunt.
Di fatti P.Vaccio Vitulo dicesi Auclor Histoniemium,
che è quanto dire colui, dal quale è passato il dritto
di proprietà del fondo Eriano agl'Istoniesi, sia per do-
nazione , sia per vendita. Non si conosce a qual ter-
ritorio apparteneva il fondo Villano di Tillio Flac-
cillo, del quale egli aveva passalo il dominio a Tillio
Sassio, e però dìcesi proauclor, ossia pr'mo dante causa ,
secondo il linguaggio dei giuristi, al presente proprie-
tario Tillio Sassio. Comunque ciò sia, fu questione fra
Tillio Sassio ed il municipio Isloniese intorno ai con-
fini dei due fondi Eriano, e Villano. Tillio Sassio de-
legò il suo procuratore , il municipio HiUonium il
suo actor (cf D. SC. Trebell. L. 26 , 27 de procur.
L. 79 , de pollicit. L. 8) , i quali davanti a C. Elvi-
dio Prisco arbitro compromissario [cLD. de tutor. L.
4, de recepì, arbitr. L. 41 cf Suid. v.^coaTrpofxnrapio)'
(7rpo;cofX((7ap;ot), e le glosse), trattassero di comporre
le differenze. C. Elvidio Prisco alla presenza del pro-
curatore e dell' actor dato il giuramento , pronunziò
la sua sentenza , della quale non si conosce (inora ,
che la prolesi. In questa dice, che essendosi prodotto
il libello dagli aclores histonienses desiderato da Tillio
Sassio , e lettosi ivi , che ai 25 aprile 772, Q. Celio
Gallo pose i termini alla presenza di P. Vaccio Vitulo
autore del fondo Eriano , e di Tillio Flaccillo proau-
tore del fondo Villano, sopra luogo fin re praesenlij,
piantando Gallo il primo palo tramezzo la quercia ,
ed il fosso, cosicché dalla quercia fosse lontano piedi
, . . ; ma che questo numero di piedi non potea rile-
varsi dal libello , che si presentava , essenilo logoro
per vetustà appunto in quella parte ove quel numero
pareva dovesse essere scritto: che fra la fossa e '1 palo
correva la via comune ai due padroni , il suolo della
qual via spettava a Vaccio Vitulo : di più che proce-
dendo dal primo , Gallo aveva posto il secondo palo
accanto al frassino marcalo (notalamJ,(ì più avanti ne
aveva messo un terzo al sopracciglio , cioè alla parte
elevata di terra , che cingeva 1' ultimo lago Serrano
sulla sinistra Qui termina il frammento della
sentenza pronunziata da C. Elvidio Prisco , monu-
mento al certo pregevolissimo per ogni verso. Le an-
gustie del foglio non dan luogo a piene dilucidazioni,
e perù per tutto quello, che si potrebbe dire intorno
alla maniera tenuta dagli antichi di porre i termini ,
mi basterà ricordare un solo luogo di Siculo Fiacco,
de cond. agr. ove dice: Jli tamen finiuiitur lerminis,
et arhoribus nolatis, et antemlssis, et superciliis, et ve-
pribus, et vii$, et rivis, et /b.ss/s. In quibusdam reyio-
nibus palos prò lerminis ohservanl (p. 4. agg. 8 , ;j3,
Auct. de re agr. ed. Goiis). Dopo ciò fa luogo notare
il vocabolo proauclor , che non è nuovo , ma gene-
ralmente è stato trascuralo dai lessici. Leggesi la prima
volta nel papiro ravennate , che è tra i papiri diplo-
matici del Marini il XCIIl , e fu illustrato dal Malici
prima dì lui : ma né il Marini ci dice nulla intorno al
significato di questo vocabolo , se non che : « Sono i
Proauclori nominati eziandio ncil pap.CXXl» p.29o.
Or dicendosi ivi ; A me meaque patrotìa auclores et
proauclores bona oplimo maximo et iuconcwiso iure
possessum est (corr. aucloribus et proaucloribus); ap- '
par manifesto che qui il prò del proauclor non ha
senso diverso da quello, che dà il prò al proavus, al
proìocer , al proemptor ( 1 ) ; ed in conseguenza , che
vien tolto nel medesimo significalo, in che si prende
nel nostro monumento diCampomarino. 11 C. Elvidio
Prisco pare al eh. Caraba « forse il genero del celebre
Trasea Pelo , e celebre anch' egli , che visse sino ai
tempi di Vespasiano (Tacit. Ann. XII, 10. Ilist. IV,
1 ). Costui avrà tenuto parentela in questa 4. regione
d'Italia , se fu sua figlia Helvidia Priscilla moglie di
Vetlio Marcello procuratore degli Augusti Teatino ,
come dall' inscrizione presso Mommsen [1. N , num.
5311). Un arbitro in controversia di latifondi, come
nel caso presente , non poteva esser persona di poco
nome. Di Vetlio Marcello parla Plinio [H. N. II. S3),
e come questi era procuratore di Nerone, il figlio lo
(1) Il Mulini, che nolo il primo la slngolarilà di questa voce,
prolesla di noji sapere che voglia sigiiUieare ( I papiri dipluina-
tici, p. 253, tiO)).
— 182 —
sarà sialo di Tito e Domiziano, auguslorum della pie-
tra tealina. Sembra verisimile che Elvidio sia sialo in-
caricalo di questo arbitramenlo prima de'suoi impieghi
e disgrazie , poiché per le sue virtìi e studii forse era
già illustre. Soa tentalo a crederlo di questi luoghi
nativo , giacché in Vasto abbiamo lapidi della fami-
glia Ilelvidia , e sarebbe propriamente teatino come
il genero , se nel lesto corrotto di Tacito invece di
Helvidius Priscus regione Italiae Tarracinae munici'
fio potesse leggersi Teatino ».
Giustamente è avvertito dal eh. mio amico il biso-
gno di emendare il corrotto passo di Tacito , e ben
osserva , che ora può farsi , per l'aiuto , che ne dà
il prezioso monumento di Campo Marino. Leggesi in
Tacito : Helvidius Priscus, regione Italiae, Terracinae
municipio, Cluvio patre, qui ordinem primipili duxis-
sci eie. ( H. IV , 5 ). Molte cose osservano i commen-
tatori, che ognuno può leggere da se, maio ricordo,
coi Lipsio, che i codici danno queste principali varianti
della voce Tarracinae; il valicano legge Tarentium, il
farnesiano Tarcnlinae , le antiche edizioni J'arenùno.
Poi osservo col Ciuverio, che i menanti ordinariamente
corruppero i Frenlani in Ferentani : Genlis (Frenla-
nae) nomen in plerinque anctorum exemplaribus ex-
scriplores corrupcrunl in Ferentani; respicientes haud
dubie Celebris in Lalio opidi vocabulum Ferentinum
(II. Ant. 1206). Inoltre se Elvidio Prisco era figlio
di un primopiio , come poteva il padre essersi chia-
mato eluvio? Adunque anche in questa parte del te-
sto fa mestieri introdurre una giusta emendazione.
Me ne dà poi l'agio il municipio Cluviineì Frentani,
conosciuto per una lapida trascritta da me in Lancia-
no, e prima anche dal Mommsen (i).iV.o293), ove si
legge C. Attio Crescente AEDANXANIETCLVVIS;
sulle quali basi emendo così il passo di Tacito ://e/ot-
dius Priscus, regione Italiae frentana, municipio Clu-
viis, patre, qui ordinem pmmipili duxisset. NelWo Mar-
cello e primis equestris ordinis [PWn. H. N. XVII, 38),
non era genero indegno ad Elvidio ancor esso di ori-
gine equestre ; né il dirsi Vellio Procurator Augusto-
rum ci obbliga a vedere due Augusti regnanti, e però
a respingerlo dopo il 913 , perché può aver taciuto
nel marmo teatino i nomi degli imperatori e. g. Divi
Vespasiani el divi Titi (cf. /. N. 1991), e scritto più
compendiariamente solo Augustorum ; onde parmi
vera l'osservazione del eh. Caraba , che la Elvidia
Priscilla figliuola di Gaio, moglie di Vellio Marcello,
sia per l'appunto la figlia del celebre Stoico.
Garrccci.
Iscrizione Sannitica rinvenuta in S. Maria di Capua.
Il benemerito Sig. D. Vincenzo Caruso, che mi ha
dato altre volte gradita occasione di commendamela
gentilezza verso di me , e l' amore ai buoni studii ,
offre ora un nuovo argomento a comprovare la sin-
cerità delle Iodi , che gli tributiamo. Ricevo ora da
lui per inserire nel nostro Bullellioo(tav. XML n.2.)
il singolarissimo frammento opistografo di terracotta
proveniente dall'antica Capua, colle leggende
NOVN III B^VWRq i||
VWFJq Ifti ADVN 3.5.
Il lavoro sicuramente sannilico delle due slampe è
prezioso pel confronto, che si può fare con altre opere,
e segnatamente colle monete ; tra le quali una ha il
cinghiale della forma medesima di questo. La proto-
me gaieafa a tre fall, e con collana al collo, traente
dall'etrusco, più che dal greco, ci mette forse davanti
la figura di alcuna celebre divinila etrusca della quale
era rimasto il culto in Capua. Considerando il cogno-
me lovia dato alla Foius di una epigrafe appartenente
ad un villaggio romano dell'agro di Capua, si direbbe
che alcun' altra divinità abbia avuto lo slesso cognome,
o che la Vcnus armata si rappresenti in queslo tipo
(Laet. 1 , 20 , Quint. II , 4 , Auson. ep. 42 , 43 ).
A me pare che un Cluazio forse sacerdote
della Giovia abbia fallo alcun dono al pub-
blico ( cf. SrjfXOff/ow ,=ó wpsàv Ipya^SffSoK Suid. ).
Garrucci.
Iscrizione dipinta di Ardea , graffiti sui vasellitii
diS. Cesario, e su lamina di piombo romana.
Presso il Sig. Gio, Ballista Guidi in Boma vidi il
frammento di vaso scavato ad Ardea, intorno al collo
— 183 -
del quale era dipinto a color bianco il frammento di
iscrizione, che io dò a Tav. IV, nel quale non è mollo
notabile l'AMIILIAI per Familiae, cosa , che senza
ricorrere al Ì31-HFJ8 dogli Osci ( Festus , p. 86 , ed.
Miilier), può spiegarsi coll'uso antico romano , di che
si è detto molto, e da molli (cf. VEA, MOMÌMEN-
TVM, NAVEBOS , SOLEDAS, MERETO, SEiMOL,
SIDE, MEiXERVA, VELLA, VECOS , v. Voss. de
art. gram. pag. 58) : ma riesce di grande interesse il
conoscere ora qual fosse la paleografia dei Kutuli.
Non ho mai approvato la maniera tenuta da altri di
giudicare di questo genere di scrittura, che io chiamo
lineare. Da per tutto i popoli italici usano di un alfa-
beto proprio, diverso d'indole dal quadrato romano;
se lo diciamo corsivo, dovrassi convenire che i mo-
numenti italici scritti con esso, siano scritti in corsivo;
e ciò anche a dispetto del senso medesimo di quel
vocabolo, che ripugna essere adoperato a definire una
ben intesa, e regolarissima forma di lettere, ledi cui
linee conservano perfetta quadratura, punto non infe-
riore al più elegante quadrato romano. A voler osti-
narsi nell'errore non resterebbe se non di sostenere,
che i popoli italici hanno dipoi regolarizzato il corsi-
vo ; opinione paradossa , che assume ciò , che dovea
dimostrare , essere cioè ogni carattere non romano
il corsivo di quello. Se il corsivo di sua natura « tende
di necessità ad eliminare al possibile gli angoli retti ,
ed a lasciare sospese ed incompiute le curve » , siccome
ha ottimamente detto il eh. collega Cav. de Rossi (Bull,
dell' Instit. 1851 , 24) , produrrà quindi linee ton-
deggianti, ed imperfette, invece delle angolose e per-
fette; ed è ciò verissimo, confermandosene l'assioma
colla esperienza tanto sui monumenti orientali, segna-
tamente fenicii , quanto sui romani medesimi. Così
avrebbero origine le lettere d, m, v, e, p, r, l, s, evi-
dentemente corsive; ma la lUI, la III, la II, la I', la li
dovrebbero avere a parer mio, una origine diversa. Del
resto non voglio andar molto avanti, e mi arresto alla
sola II, ritenuta dagli Osci, dai Marsi, dai Veslini, dai
Marruccinijdai Sanniti, dai Rutuli sui monumenli ro-
mani di epoca certa, che datano dalla metà del secolo
quinto, ai quali sono di poco anteriori le monete fuse.
Prima di quest'epoca si parla dagli scrittori di carattere
etrusco C di greco , cioè di un alfabeto non proprio
della nazione romana (cf. le cose dette a p. Vl.diqìie-
sto bull.).Poco monta, se prima o dopo il terzo secolo
Roma si creasse il suo alfabeto, che ritenne costante-
mente di poi ; quello che importa assai è di ricono-
scere, che colla dominazione romana, il lor costume
e la loro letteratura andarono essi a poco a poco dif-
fondendo tra i popoli italici. Ilo fatto già notare altra
volta sull'autorità di Strabene, lo studio che ponevano
i capi delle orde sanniticbe nel linguaggio romano.
Queste cose, che la strettezza dei fogli mi permette
appena di accennare, coglierò il destro di trattare altra
volta più dilTusamente. D,i tal preludio però ben può
rilevarsi fin da ora che cosa io slimi delle leggende ,
che altri tiene corsive romane, ed io corsive sì, quando
lo sono, ma corsive di un carattere diverso dal roma-
no,indipendente da esso, e forse anche anteriore. Perciò
non ripongo affatto fra le corsive le lettere delia leg-
genda ardeatiua, né quelle dei graffili dei 49 vasellini
di S. Cesario a tav. XII, ma le credo tutte provenire
da un primitivo alfabeto italico, che restò in uso pri-
vato, forse anche presso i I{omani, dopo che vi fu in-
trodotto pei monumenti il così detto quadralo roma-
no. L' avanzo della leggenda , credo possa supplirsi ;
.... DrOMO ■ l'AMIILIAI • 1)0X0 Yrnam dal.
Intorno poi alla lamina di piombo incisa a t.XlII.n.
1. su di una copia a lucido, che io medesimo mi son
cavalo in Roma, per concessione del eh. p. Marchi,
onde inserirla nel bulleltino a vantaggio degli sludi pr-
leografici, dirò solo, che non veggo verun errore nei
quattro nomi, due di uomini, due di donne, che ter-
minano la leggenda , tranne il popolare idiotismo di
sopprimere 1' M nei due ultimi; Commendo libi Ven-
nonia Ilermiona ult odio sit eie. Così sopra: D/iepa/?/'
Rhodinc tibei commendo ut odio sii M. Licinio Fausto.
I due nomi di uomini sono messi in caso accusativo ,
come quelli delle donne, raccomandali a Plutone, co-
me quelle , affinchè mortui sibi essent gli uni e le altre
a vicenda (cf. Plaut. Cisl. acf. 3. v. 15): onde dimo-
strasi il senso erotico della formola. L'alfabeto incli-
na al corsivo italico , ed otiimi coiu''ronti me ne danno
i graffiti pompeiani, dei quali so desiderarsi da molli
la pubblicazione : ma non spero poterli dare in questo
— 184 —
Builelliuo. Qui invece oltre alla lamina eli piombo, ho
riputato dover dare alla luce i 49 graffili traili dai va-
sellini di S. Cesario, secondo mia lellura, disegnati dal
valente artista romano Silvestro Bossi colla mia dire-
ziono. Il Baldini e'I Lupi, in mano ai quali pervennero
quasi tulle queste singolarissime stoviglie, stamparono
le leggende il primo nelle dissertazioni cortonesi (Tom.
II, Dissert. 8, p.l55 seg.), il secondo nel celebre suo
commentario sulla lapida di Santa Severa Martire (p.
8G s.). Niuno sa quei del Baldini ove sian finiti, tranne
forse quell'uno, che Clemente Cardinali scrive di aver
presso di se ( Iscr. Veli terne p. 232 Efem. di Roma
n. 1 18) , con leggenda VESI'ICIA • PR/ESP, che
dal Baldini è riferita colla sola difl'erenza di ^P in
luogo di PR ; gli editi dal nostro p. Lupi erano pres-
so il Vettori , il Ficoroni , nel Chircheriano , ed al-
trove. Cinquanta sono quelli che ha tuttavia il museo
Chircheriano dei quali io pubblico i soli quaranta-
nove Ialini, omesso il greco, che è nel Lupi a p. 89,
n. 6. Ecco la mia lezione (1) :
4. Aimiliai. a. d. II f. non. fé. , 2. Alfeìios. Luei.
a. d. XII. e. no(v)em., 5. A. Aelei. a. d.VI. non. mar-
ìias., 4. C. Baioni k. mais., 5. L. Caiidlim. a. d. VI.
k. quifnjciilis. , 6. Q. Caecilis. a. d. VII. idus. no. ,
7. L. Canlulius. Mamerti. fedi., S. Carlilia. a. d. IX.
k. mai., 9. M. Cfojeliio. M. L. a. d. II. k.DiicfemJbr.,
40. D. Claudi. M. L. Philocralia. a. d. III. k. nofvejm-
h[r.], 14. a. d, X. k. ian. Cu. Cor., i%. Dercina IfuJ-
ranalaria. idibus. novemhr., 43. Demetrim. p.k.iun.,
H. Felix. PelicfiiJ. sfervmj. p. k. fé. M. CaesfoniusJ.
Ga1[l]us (fedi) , 45. Porlunalia. Martfija. Plolica. ,
46. C. Gali. a. d. XII. k. mar. , 47. G. Genuo. a. d.
VII. et. iu, , 48. Himinis. TerefnliiJ. a. d. XIII. k.
majas., 49. Ilira. a. d. XII. k. od., 20. P. H. Cor.,
2i, lunia. C. f. a. d. IX. k. n(o)vem., 22. M. Inni,
a. d. XI. k. Sep., 23. P. hard C. L. Hil(ari). a. d.
VII. k. decem. pferiilj XV. kal. , 24. P. lunii. pr.
(1) La stella, che accompagna alcune leggende della tavola, in-
lìicì essersi ridotte quelle iscrizioni alla metà dell' originale.
k. odo., 25. Lic(i)nia. a. d. k. mariias., 26. P. Li'
gurius. a. d. IV. nonas. apr. , 21. Lida. a. d. VI.
n. 0., 28. C. Lurius. pr. eid. dee., 29. Lulatia. a. d.
IV. k. 0. ifnjvan. , 30. C. Lulalio. Q. l. , 51. P.
Maed. a. d. XVIII. k. fé., 32. A. Minali. A. L. no-
nis. novfejm., 33. A. Minuci. a. d. IV. eidu., 34. C.
Pacci. C. L. Salvi, pr. non. ian. , 35. Papiri. a[n].
d. iiidus. diiciifmjhris. , 36. Paullae. Sslviae., 37. P.
Percenni. a. d. Vili. eid. od., 38. [Qjufijn. Poponi,
a. d. ini. k. mar. , 39. Prolarcus. PubflidiJ. p. k.
f , 40. P. PublicfiJ M. L. Proliim(i)., 44. M. Siicli-
lis. a. d. VII. k. n., 42. a. d. IV. iiid. dee. M. Sem-
proni. L.f. ler(enlina). osi{u'\a.., 43. Tilinia. a. d. VII.
k, mar. , 44. Q. Tilini. a. d. IX. k. iun. , 45. T.
Tusanis. a. d. III. e. o. , 46. C. Valeri. C. L. Bar-
naes. a. d. X. k. dee. , 47. L. Valerim. Spin[l]her. a.
d. k. II. iun., 48. M. Vergulei. a. d. VI. eid. mar. ,
49. a. d. IIX. k. ap. Vinuleiai.
Non bastando il foglio ai commenti , che sarebbero
necessarii , mi limiterò solo a notare , che nel nome
Porlunalia debbono riconoscersi le feste in onore di
Portuno , celebrale in Roma ai 17 di agosto; e però
che questo è il giorno , in che morì Marlia Plotica.
Nei nomi in IS riconosco un idiotismo, del quale ho
detto altrove ( cf. la pag. 43 di questo bull. ) ; in al-
cune voci , come Gali , Hira noto arcaismo della
consonante semplice , come in altre la e per i , V ai
per ae, ì'ei per i. In fine avverto essere antichissimo
l'uso di scrivere li. Kal invece di pr. Kal (n. 9, e 47
ove è posposto al K ) , contro a ciò , che ha stimato
il Vaassen fAnimad ad. fast. sacr. p. 228 ) , e dopo
lui anche il Merkel ( ad Oddii fast. LVIII ) i quali
reputano caepisse Theodosii aelale , in cuins novellis
observatus fille mosj est.
Intorno poi alla paleografia , ed a certi grecismi,
come CVN nato a parer mio dal Ko'iVros, ne rimet-
to la trattazione a tempo migliore,
Garrucci.
P. Raffaele Garrucci n.c.n.o.
GiOLio MiSERViNi — Editori.
Tipografia di Giuseppe Càtaneq,
BriLETTIXO ARCHEOLOGICO ÌVAPOIITAIVO.
NUOVA SERIE
N° 24.
Giugno 18Ó3
Notizia de pia recenli scavi di Pomjici — Tdli pompeiani conservati— Strada e porta Stahiana. Conliniiazione
del num. precedente. — Teste di cera in sepolcro cumano. Lettera del eh. si(j. Comm. Bernardo Quaranta al
stg. Giulio Minervini. — Bassorilievo Capuano, ora nel Beai Musco Borbonico. — Patera capuana colla fìijura
di Pelope. — Morte di .iiace Tdamonio in va^o nolano. — Ossi amichi. Pietra incisa ddsig. ducadl I.ui/nes.
Notizia de' più recenti scavi di Pompei — Tetti pom-
pejani conservati — Strada e porta Stahiaìia. Con-
tinuazione del n. precedente.
Altri programmi furono da noi trascrilli sui muri
esterni degli edificii nella medesima strada. Sono essi
i seguenti —
1. POSTVMIVM
AEDO/^
2. MAGNYM
DV fmon.J. 0. D. R. P.
Questo programma è notevole per la sigia DV in
monogramma , e per la formola abbreviala oro inve-
ce dell' altra più comune ed eslesa oro vos faciatis.
3. GAVIVM
4. CAPRASIVM
AED 0^'^
5. CEIVM. SECVNDViM IIVIR OA»
PAPID 0^
Dovremo forse qui riconoscere il nome di Papi-
dius.
6. M. HOLCONIVM. II. V. I. D
L. CEIV.M. SECVNDVM II. VIR.
PASSARATVS. NEC. SL\E. MAENIANO
ROG.
Il nome Passaralus quasi Pasaratus sembra di gre-
ca derivazione. Curioso è l'aggiunto nec sine maenia-
no, la cui iulelligenza dopo il correre di tanti secoli
ci è ignota. In fatti non possiamo indovinare a quale
particolarità di quello sporto o balcone si volle allu-
dere dallo scrittore del programma. Avvertiamo so-
lamenle la ortografia MAEMAXO , la quale è un
novello confronto a quei monumenti epigrafici , che
ce la presentano : tra questi è da citare la tav. XXIII
arvale presso il Clarini p. CXXX Cf. Orelli n. 2337,
ove si ripete più volte la medesima ortografia , ed
una sola volta MEXIAXO senza il dittongo , forse
per negligenza del quadratario. De' maeniana esi-
stenti in Pompei ed Ercolano vedi le cose dette dal-
l'Avellino nel suo hnllct. ardi, napol. an. 1 . p. 2, e 2 1 .
Noi parlammo di sopra p. 140 du' tetti pompeiani
conservati presso il secondo peristilio di una casa, di
di cui presentammo la descrizione. Ora diamo nella
nostra tavola XiV il disegno di questi tetti eseguilo
quando erano meglio conservali , che noi dobbiamo
alla cortesia dell'egregio ingegnere direttore degli sca-
vi di Pompei sig. Gaetano Genovese (1). Noi presen-
tammo alcune osservazioni su questi pompeiani telli
alla R. Accad. Ercolanese, le quali vedranno quando
che sia la luce negli alli di quel dotto consesso; ma
intanto crediamo far cosa grata a' lettori del bullelti-
no , mellendo sotto i loro sguardi un disegno di quei
tetti; dal quale apparisce la disposizione de' tegoli con-
fluenti , per modo che gli uomini dell' arte trar ne
potranno profitto per applicarli alle moderne costru-
zioni.
Abbiamo segnato con lettere le particolarità de' tetti
pompeiani. Sono esse —
A. Tegolo rovescio tagliato
B. Simile più piccolo
(1) La pane segnala piùlcggermemeoraèinicramentcperduu.
2+
— 186 —
C. Tegolo confluente
D. Simile sovrapposto
E. Coppo con auiefissa. É da osservare che questo non
fu certamente scello per un particolare ornamento ;
non trovandosi in silo da fare una conveniente com-
parsa.
e. Tegoli simili a quello segnato in A.
d. Mezzo coppo con antefissa.
Sotto in. 1,2,3 veggonsi tre particolari tegoli
con apertura per dar luce a' siti sottoposti i quali non
sono ancora scoperti.
Finalmente il num. 4 ci presenta anche sotto una
scala pili grande un tegolo confluente; perchè meglio
se ne osservi la conformazione.
Ci resta a parlare in ultimo luogo di una scavazio-
ne precedentemente eseguita , e di cui già si diede in
parte notizia negli atti della regale accademia Ercola-
nese ( memorie voi. VII. Appendice pag. le 39 , e
seg.). Noi presentiamo per la prima volta la pianta di
quello scavo , che ci venne gentilmente fornita dal Cav.
Guglielmo Bechi , di cui deploriamo la perdita re-
cente. All'estremo meridionale della città di Pompei,
e poco più in giù dell' attuale scavo, fu pratticala nel
1831 una scavazione , ad oggetto di verificare il cir-
cuito delle mura. Questa ricerca fu coronata dal più
felice successo ; perciocché venne fuori una porta di
vetusta costruzione , eh' è quella appunto di cui pre-
sentiamo il disegno nella tav. Vili. fig. 10. Forti mu-
ra , composte di grandi massi rettangolari di pietra
di Sarno, si elevano a' due lati della porta; e fra que-
ste mura passa una pubhlica via lastricata di pietra
vesuviana (1) di mediocre ampiezza , con marciapie-
de da un lato solo. Nella pubblica strada , di cui di-
cemmo , poco lungi dalla porta scorgesi una vasca di
pozzo (8) con ornamento di una grande lesta di Me-
dusa a bassissimo rilievo , con buco pel getto dell'ac-
qua : i inuricciuoli della fontana , e la suddetta testa
gorKonica sono di tufo.
Non parlerò della porzione di strada, che si allarga
posteriormente alla descritta vasca, e cheèUmitatada
un muro di opus incerlum , perciochè la scavazione
non è tanto avanzata da poterne adeguatamente discor-
rere. Nel n. (3, 3) era l'antica porla, che richiudeva
da quel lato la entrata della città; nel n. (4, 4) sono
indicati i cuscinetti di piperno de' grossi cardini , dei
quali rimangono le tracce. Su' medesimi laterali massi
di piperno appaiono gì' incavi per inserirvi le grandi
imposte della porta. Poco dopo la chiusura si allarga
alquanto la strada , e di qua e di là si veggono le so-
lite opere di fortificazione, il terrapieno (6, G) limitato
da doppia muraglia (7,7). Al detto terrapieno si ascen-
de mercè una scala co' gradini di pietra di Sarno se-
gnata nella pianta, alla quale conduce una piccola erta
lastricata di massi di piperno. Il marciapiede (2,2),
ch'è da un lato solo della strada, è fortificato damassi
di piperno , e su di esso veggonsi alcune costruzioni
di fabbrica laterizia , traile quali una bottega con
banco esteriore adorno di marmi di differenti colori,
del che altri esempli furono poi riscontrati nel pro-
lungamento della medesima strada , ove atlualmeute
si sta scavando. Sopra uno de' pilastri fu letto il pro^
gramma , già altrove pubblicato
PANSAM AED
^ CEIVM. II. V. I. D
^ EPAGATVS. GYLO
ROG
Sullo stesso marciapiede , prima che la strada si
restringa novellamente, è nel muro pratticalo un in-"-
cavo, una specie di edicola rivestita di rozzo intonico.
Vedcsi in essa graffila leggermente una iscrizione di
dubbia lettura ; della quale daremo il fac-simile con
qualche nostra osservazione.
Una porzione della fabbrica , che costeggia i due
terrapieni, è di opera incerta , ma tutto il rimanente
della costruzione si compone di grandi massi rettan-
golari di pietra di Sarno. Prima di restringersi novel-
lamente la strada dalla parie opposta al marciapiede
vedesi impiantata nel suolo una pietra di travertino
(n.5), ove è scolpita la famosa iscrizione viaria osca,
sulla quale si fecero particolari ricerche dalla reale ac-
cademia Ercolanese, e poi da altri stranieri scrittori.
Vedi l'appendice al voi. VII delle memorie, e ciò che
fu scritto più sopra dal collega Garrucci pag. 81 ,
e seg.
La iscrizione è stala già riportata nella pagina 182, a
difTereuzadi alcune piccolissime varietà di lezione, delle
— 1S7 —
quali non è qui il luogo di discorrere : e mi propon-
go di far su di essa alcune novelle osservazioni, olire
quello che ne scrissi nella diala appendice de \o\. VII
delle memorie pag. 1 , e seg.
Non risulla dalla figura quanlo spazio rimane a ri-
trovare l'esterno limile delle mura, colle quali finisce
la porla, essendo sospeso l'ullcriore taglio del terreno.
Debbo però alla gentilezza dell' attuale ingegnere
Direttore sig. Genovese la notizia, che essendosi a mia
richiesta pratticato un cunicolo dal punto oveesislela
iscrizione osca fiuo all'angolo estremo da quel lato, si
è ritrovata la lunghezza di pai. 18, 50. Non so quanto
questa notizia possa influire alla retta intelligenza di
alcuni luoghi della suddetta iscrizione.
Qualunque sia la diversità delle opinioni sopra al-
cuni punii difilcili di questo interessante monumento,
certo è però che se ne deduce la denominazione di
Stabiana conveniente alla porla finora descritta, e forse
ancora quella di via Stabiana alla strada che alla porta
medesima fa continuazione.
Di tuli' altro mi riserbo di parlare a tempo più op-
portuno.
MlSERVlNI.
Teste di cera in sepolcro cumano. Lederà del eh. sig.
Comm. Bernardo Quaranta al sig. Giidio Minervini.
Chiarissimo amico e collega
Discorrendo Ella nel pregiatissimo suo Bulletlino
i miei lavori intorno alla singolare scoperta degH sche-
letri cumani cerocefali , annunziò essersene da me il
primo parlato nella reale accademia Ercolanese fin
dagli 11 del passato gennaio. Indi fecesi ad enumerare
i varii problemi da me risoluti intorno alle teste di cera
ad essi scheletri appiccate, e poi aggiungeva come avessi
sviluppata la decapitazione di quegl'infelici.Per chiarire
intanto questa espressione e far conoscere ad un tem-
po ai lettori del suo eruditissimo giornale la mia opi-
nione qualunque ella siasi , egli è d' uopo che io Le
ricordi, come in quel giorno io m'intrattenni sul /"ti-
nu$ imaginarium , sul funus larvatum , e sulle imma-
gini ceree dc'Romani, mostrando cosa non ancora da
nissuno avvertita, cioè, che l'origine se ne dovesse ri-
petere dagli Egizi. E, senza parlar di altri punti clic
concernevano a quelle ceree leste da me discorsi nelle
susseguenti tornate , feci in quella de' 1 o febbraio ,
vedere come le teste di cera non potendo essere che
ornamento de' busti , servir dovettero al pari di ogni
altra funebre pompa a consolare i vivi nell'onore che
prestavano a' morti nel tempo della esposizione e del-
l'esequie, nascondendone la decollazione e togliendo
agli spettatori l'orrore che loro avrebbero cagionato
i cadaveri acefali.
Parvemi dunque che a quei cadaveri probabilmente
fossero mancate le teste, perchè riconosciuti alle ve-
sti , e raccolti in un campo di battaglia , dove furon
tronche e disperse, e che, quivi trovali fossero stati a
maggiore strazio anche decapitati. Inoltre credelti che
quei corpi potessero essere stati di condannati odi as-
sassinali , le cui leste furono portate altrove come in
trionfo, o inviale all' autore della condanna o duU'as-
sassinamenlo , che voleva co' propri occhi assicurar-
sene. Inoltre potettero essere persone , cui si erano a
tradimento amputate le teste e surrogatevi (juelle di
cera, perchè collocate sopra alto letto e non vedute da
vicino si fosse dato a credere, essere quelle vere sem-
bianze di uomini che si erano da sé stessi avvelenati
per evitar la mano infame del carnefice, fingendosi sco-
perto qualche grave delitto di cui dicevansi falsamente
colpevoli. Viceversa potettero essere uomini , cui si
erano amputate le teste per opera di chi voleva oc-
cultare di avergli avvelenali , e fingerli vittime di un
assassinio, non saputosi né da chi commesso, né come.
Perciocché sebbene a celare l' avvelenamento bastasse
d'impiastricciare a quei cadaveri i volti, pure ciò non
dava al reo sufficiente sicurezza per non temere di es-
sere scoperto, e riuscivagli piìi sicuro il farli trovare
decapitati. Ma non credetti per nulla che questi scheletri
cerocefali potessero essere di Martii i , e ne addussi mol-
te ragioni, e due soprattutlo che mi |)arvero irrepu-
gnabili. Primamenle perchè le cumane teste di cera a-
vevano gli occhi aperti; e se a' cadaveri pagani apri-
vansi gli occhi prima che divenissero cenere, con gli
occhi chiusi , a giu'sa di dormienti discendevano nella
tomba i cadaveri de'cristiani ; perchè per essi la morte
— 188-
non era distruzione ma sonno, ed i sepolcri appella-
vansi cimilori, che è come un dir (/o/'hhVo)(7. Seconda-
mente perchè in un sepolcro pagano , dove , come in
quello di Cunia, si conservavano le ceneri degli idola-
tri , sarebbe stato nefando sacrilegio ne' primi secoli
della Chiesa , il chiuderv i i corpi de' Santi. E ben lo
seppe il Vescovo delle Asturie Marziale , che fu depo-
sto dalla sacra dignità sua per aver consentito che i
congiunti suoi fossero in genlilesca tomba sotterrati.
In quanto poi alla condizione di cotesti scheletri ,
io li crcdelli individui della stessa cospicua famiglia ;
e i due giacenti su lo stesso poggiuolo una coppia
spenta nel più tenero amore , sia di madre e di figlio,
sia di sposo e sposa, o se vogliasi di fratello e sorella,
che i parenti, per usanza sì cara agli antichi, univano
nella tomba come vivi lo erano stati nell' affetto. Né
parvemi inverisimile , che nel leggiadro giovane , di
cui la ceroplaslica ci serbò le sembianze entro il cu-
mano sepolcro , la bellezza della mente dovesse pa-
reggiare quella del corpo. 11 calamajo trovatogli vi-
P!oTA — Per nulla lacere ài quanto fu dello Onora sulle ceree leste,
di cui è parola nella lettera del eh. Quaranta, mi piace di annun-
ziare che r allro mio egregio collega sig. cav. Finali in una memoria
letta nel giorno 2 del corrente mese di giugno alla reale accademia
Ercolanese , esaminando diligentemenle la testa di cera che si è con-
servata , ha cercalo di dimostrare che la medesima sia stala gellaia
sull'uomo vivo , notando la vivacilà delle parli , gli angoli sporgenti ,
i sottosquadri, le narici atteggiate a prolungala aspirazione, e profon-
damente forate. L' amore ha ricliianialo il nolo luogo di Plinio relativo
alla introduzione de' ritratti in cera , da noi riportalo a pag. 121 e s. ;
e paragonando il processo traccialo dal latino scrittore con quello che
auualmenle si usa nel far le immagini ceree sull' uomo vivo , sostiene
che non allrimenli sia stata gettala la immagine cerea cuniana.
Ritenendo poi il cav. Finali che il mi* nnaffì'mtm presso i Romani
si restringeva alla sola aristocrazia la quale si avvaleva delle ceree leste
per conservar, come vive , le immagini degli antenati , e per servir-
sene ne'funeraU onde celare qualunque mutilazione o bruttura; ne
deduce che tali lesle dovevan seguire la destinazione de' cadaveri
Slessi sia la combustione sia la tumulazione : il che crede confermato
dalla presenza delle ceree imagini ritrovale sugli acefali scli<:lelri Cu-
mani da lui riputali appartenere ad una nobile famiglia. Stima l'autore
Bassorilievo Capuano, ora nel Real Musco Borbonico.
Nella nostra tavola V figura 19 vedesi pubblicato
in piccole dimensioni un bassonlievoinlcrracolla(l),
(i) Le vere dimensioni di questo moaumento sono le seguenti: ai-
uzza p. 2, t; e larg. pai. I, 7.
cino ben ci mostra essersi dedicato alle lettere , dove
si sarà segnalato qual satirico mordace, 0 si avrà gua-
dagnato vuoi corona di vate , vuoi palma di oratore,
0 fama di filosofo. E forse la squisita dottrina , per cui
dall' un de' lati mercava il misero gloria immortale ,
dall'altra lo avrà ftitto trasviare dal retto, e cadere in
capitale delitto di cui ebbe ad espiar la pena; se pure
non vogliam dire, che del suo splendido ingegno siasi
servita la nera calunnia per balestrar lui e l' infelice
famiglia nell* estrema sventura.
Questa fu la opinione, come Ella e i nostri Colle-
ghi ben sanno, manifestata da me pubblicamente alla
accademia Ercolanese, e già messa a stampa, quando
non per anco nissun giornale Italiano aveva recato
gli avvisi de' dotti intorno a quella insigne scoperta ,
molli de' quali non hanno disapprovalo le mie con-
ghietlure.
Gradisca intanto efc.
CoMM. Bernardo Qcaranta.
che i due muniti di ceree teste sicno di un padrone e di una padrona,
e gli altri di due servi , lutti e quattro dannali nel capo o per abbrac-
cialo Crislianesimo o per politiche vicende; e che nell'uno e nell'altro
caso non poteva esservi un mezzo più spedito e sicuro a conservare le
identiche care sembianze di que' congiunti che si perdevano, se non
quello di far gitlare le inunagini ceree, mentre essi erano vivi, nelle
angustie del tempo fra la condanna e la esecuzione : questa ultima
conghieltura già fu prima manifestala dal comm. Quaranta.
In questi ultimi giorni ha pur veduta la luce in Napoli un opuscolo
del eh. sig. ab. Salvadore Pisano-Verdino , intiloìaio sugli scheletri
cumani ccroccfali scoverti nel cader del 18SS, riflessioni.— JiapoTi
Ì8S3 pag. 31 in 8. L'autore sostiene che le teste fossero state lolla
dalla tomba cumana per trasferirsi nel sepolcro gentilizio lontano dal
silo del primo sepellimenlo, trattandosi di stranieri ; e che perciò si
sostituirono immagini ceree per formare un fumis imaginarium.
Del resto l' autore non esclude una seconda spiegazione , cioè il ra-
pimento de' cranii per uso magico : ed in tal caso giudica essere state
surrogate le teste per le slesse magiche superstizioni.
Tulle queste opinioni saranno più ailenlamenle esaminate e discus-
se, quando vedrà la luce la nostra memoria accademica.
MlIifRYLM.
che formava parte della collezione del Sig. giudice
Gennaro Riccio ( alla cui cortesia ne dovemmo un di-
segno), ed ora vedesi collocalo nel R. M. Borbonico,
per lo qualefuconaltreimportantiterrecolte di quella
raccolta ullimaraenlc acquistato. Questo bassorilievo,
ed un altro perfettamente simile , di cui non rimaQ>
isa-
gono che pochi frammenli, fregiavano due lati di un
greco sepolcro dell' aulica Capua. Veggonsi iu essi
tracce di colori, e principalmente nel campo, che os-
servasi dipinto di verde. Lo stile del monumento è
arcaico, ma vi si scorge non poco valore di arie e di
esecuzione. A primo aspetto si riconosce il solicello
della rappresentazione : ed è Perseo, che recide la te-
sta alata ed anguicrinila della Gorgone assistito ed
ajutato dalla proteggitrice Minerva, la quale gU mo-
stra quel capo riflesso nel luccicante scudo.
E notevole come Perseo si vegga qui figuralo con
un semplice diadema e senza la galea ; ed è poi mu-
nito di clamide e di alali calzari. 11 gesto di stendere
il braccio a cui si avvolge la clamide , è stato notalo
come proprio di chi comballe : ed in confronlo di varii
esempli , che ne furono addotti dal eh. Jahn f Vascii-
bilder lav. 4. e Penlheus und die Mainaden.]). 9. nof.
16) , son citali i luoghi di Pacuvio ffr. 16. Herm.)
Currum liquit , chlamyde contorta astu chipcat Ira-
chiuni ; e principalmente l' altro di Petronio : Intorto
àrea brachium pallio , composui ad praeliamhim gm-
dum (Satyr. 80). È questo appunto il movimento di
Perseo nella terracotta capuana che illustriamo. Fanno
poi alla scena ottimo confronto le tradizioni diApol-
lodoro (lib. II. e. 4. ) , e di Luciano fdial. mar. XIV,
2.) , che narrano l'ajulo prestato da Minerva all'eroe,
e parlano dello scudo da lei tenuto perchè guardasse
la immagine della sua nemica nell'atlo di eseguire la
pericolosa impresa. Ed in particolar modo il descrit-
tivo sofista di Samosata in tal guisa si esprime: Mi-
nerva presentando lo scudo gli mostrò quasi in uno
specchio a veder la immagine di Medusa. Perseo affer-
rando colla sinistra la chioma, e guardando la imma-
gine ( hopwY ^'ìi Tyy ilxórx) , e lenendo colla destra la
harpe, troncò la di lei testa, e se ne volò via prima che
le sorelle si destassero. In questa descrizione tutto si
confronta colla terracotta del Real Museo ; e solo in
ciò ne differisce che Perseo non afferra i capelli della
Gorgone, ma usa del suo braccio sinistro a difesa mi
punto dell' attacco. Quel che ci sembra mollo bene
inteso dall'artista capuano si è il monmento di Perseo
neir affìggere attentamente lo sguardo nell'elevato scu-
do, per riuscire nella esecuzione della difficile impresa.
Si sa che quoslaparlicolirità dell'avventura di Per-
seo , e la difesa di .Minerva , e lo scudo in cui si ri-
fletteva la immagine furono in altri monumenti ritratti
(Mailer Ilandb. §. 414, n. 3. pag. 70 V. ed. Wel-
cUer). Non richiamo qui quelle altre rappresentazioni,
nelle quali o conij)arisce -Aliuerva mostrando a Perseo
una dipinta immagine di Medusa, ovvero scorgesi lo
slesso eroe , che fa veder nelle ac(|uc ad Andromeda
la gorgonica testa: delle quali ebbi già la occasione di
parlare in due differenti memorie lette alla Reale Ac-
cademia Ercolanese.
La parlicolaiità , che nella terracolla Capuana ri-
chiama maggiormente 1' attenzione dell' archeologo ,
si è la enorme grandezza delia gorgonica lesta , in
proporzione delle intere due figure di Perseo e di Mi-
nerva. Questa smisurata grandezza del mostro non
trova, come a me sembra , un confronlo nelle tradi-
zioni , o nei monumenti. Volendo darne una spiega-
zione nella terracotta, di che ci occupiamo, ricordar
potremmo la lunare intelligenza della Gorgone; per
lo che potè dall'artista eflìgiarsi in quella ampiezza,
per dinotare l'apparente estensione di quell'astro. Ov-
vero ebbe la intenzione di mettere particolarmente in
veduta la testa di Medusa nella sua lunare sigtiifica-
zione; mentre le due figure, che la costeggiano, sono
destinate a richiamare il fatto mitologico , che restar
fece isolato quel capo, senza che debbano considerarsi
insieme aggruppate in una giusta ed artistica compo-
sizione. Questa nostra osservazione è confermata al-
tresì da due altre : la prima si è cbescAolessero tutte
le figure considerarsi tra loro in artistico rapporto ,
trattandosi dell' alto medesimo della decapitazione ,
comparir dovrebbe una porzione del corpo di Me-
dusa ; ma nella terracotta di Capua vedesi il capo iso-
lato, e già spiccato dal busto che più non appare. La
seconda è che la testa ripetuta sullo scudo mostrasi
sfornita delle ali, e mancante di quei superiori orna-
menti, che compariscono in quella di Medusa : il che
non vuoisi attribuire a grave negligenza dell' artista ;
ed altronde sarebbe ricercato il dire che si riferisse al
grado sotto il quale la luce riflette sullo scudo , che
fa disperdere in esso una parie dell'oggetto, che vi si
dipinge.
190 —
La più semplice idea è die volle appunto signifi-
carsi che le figure erano messe in allusione di un fallo
precedenlemenle succeduto : per lo che non solo ba-
sta\a, ma era anche richiesto, che la gorgonica testa
si segnasse in modo alquanto diflerenlc da quella che
colpiva principalmente la vista, ed alla quale richiamar
si voleva tutta l'attenzione. Sicché sembra dimostralo
che le due figure non sono che in mitica relazione col
gorgoueo : ed è perciò che la loro sproporzionata gran-
dezza non deve arrestarci, né farci stabilire delle teo-
rie, alle quali quella circostanza non può dare alcun
luogo.
Molto interessante ci sembra il simbolo del fior di
loto sulla testa di Medusa ; ed a ben comprenderlo noi
crediamo che debbano richiamarsi due distinte idee:
la prima si è che il fior di loto è simbolo della natura
umida v^^oyovtxòv (TrtfJLÙov ; perciò trovasi assegnato
ad Iside ed a Ganga ( Vedi Creuzer Symbolik t. II. p.
4i e 229 , 3a ediz.). Or non può dubitarsi che alla
Luna atlribuivasi appunto la idea della parte umida
della natura (v. ciò che dicemmo nel buU.arch.nap. an.
IV. p.l07 s. 121 e s.). Perciò io son di opinione che
il lolo messo in rapporto colla gorgonica testa valga ad
esprimerne la lunare intelligenza , non altrimenti che
nelle figure d' Iside, la quale divinità ha del pari lunare
significazione. Ma non è questo il luogo opportuno per
più eslese ricerche, secondo che un tale argomento ci
sembra di richiedere.
Chiudiamo queste brevi osservazioni coU'avvertire
come la triplicata lesta con lingua sporgente, la quale
scorgesi inferiormente alternata da palmette, può ac-
cennare alle tre Gorgoni; non senza rapporto alla tri-
plice fase della Luna.
Tutte queste lunari allusioni ognun vede come siano
convenienti all' ornamento di un sepolcro : e noi qui
non ripeteremo le cose già precedentemente da noi
sviluppate in altri lavori : solo ci sia lecito di avver-
tire , che quelle idee veggonsi confermate dal pre-
sente monumento , nel quale si scorge pure il fiore
del loto , che siccome fu da altri notalo , simboleggiò
le speranze dopo la >ila mortale ( Creuzer SymhoUk
voi. IL p. 4o e 229 , 3a ediz. ).
MlNERVlM.
Palerà Capuana colla figura di Pelopc.
La interessante rappresentazione , che vedesi da
noi pubblicata al numero 8 della tavola XI, fregiala
parte interna di una patera rinvenuta in un sepol-
cro di S. Maria di Cajìua , e che fu da noi osservata
presso il sig. Rafliiele Barone. Lo stile n' è arcaico ,
e le figure sono nere in fondo giallognolo , co' con-
torni graffiti, e con varie parti di amaranto, che sono
nella nostra tavola indicate da macchie. Vedesi un gio-
vinelto il quale tien per le redini due alati cavalH, uno
de' quali è maschio e l'altro femmina. In questo gio-
vine io ravviso Pelope, il quale riceve da Nettuno gli
alati corsieri per la sua gara con Enomao , giusta la
classica tradizione di Pindaro {Olymp. I. v. 109 seg.
Bergk ) :
y-ioy fps^ov
e continua
. . . TÒy ix-y àyxyJkuiY ^ìQS
'ihojxiv S/ppov ti x.^vdioy Tmplaly r' òi.K%{X'xyr(/S
Un giovinetto eroe, tale apparendo dalla sua lunga
chioma , che tiene appunto due alali e saltellanti de-
strieri sembrami non potersi ad altro riferire che a
Pelope, il quale pieno di giovanile baldanza preparasi
ad aspirare alla mano d' Ippodaraia. Due soli sono i
cavalli e non quattro : e pare che sia secondo il modo
più antico di trattare un tal soggetto, siccome fu os-
servato dal Voss {Aatisymhoìik lì. p. 4 iT) e dal Rath-
geber [Allffem. Encyclop. s. v. Olympieion p. 214).
Non manca infatti il confronto de' monumenti; per-
ciocché troviamo ricordato da Pausania che nella cassa
di Cipselo Pelope contrastar si vedea con Enomao in
una biga di alali cavalli (Paus. V, 17 , 7 : v. Jahn
Ardi. Aufs. p. 6-7). Né questo costume fu tralasciato
dagli artisti di un'epoca posleriore, giacché fra molti
esempli di quadrighe , troviamo però che con bighe
succede la contesa nel famoso vaso coi funerali di Ar-
chemoro, che si conserva nel Real Museo Borbonico :
vedi pure i nostri mon. ined. di Barone tom. I. p. 32.
Su' cavalli di Pelope cf. de Wilte ( calai, élr. p. 30
u. 1 ), Kilschl [annal. dell' hi. 1840 p. 172), Raoul-
Rochetle ( journ. des sac. 1837 p. 492), e ciò che
ho scritto nel bull. arch. nap. an. VI p. 58 dell'antica
serie. Una notevole particolarità , a nostro giudizio ,
si è quella che uno de' cavalli é maschio e l'altro fem-
mina: il che potrebbe riferirsi ad una tradizione, che
non ci è pervenuta. Forse si volle con ciò alludere
all'oggetto della futura corsa, che riguardava un'amo-
rosa gara ; forse esprimer si volle la maggiore velocità
— 191 —
proccurala con una biga di dilTerente sosso. Di simili
bighe promiscue si ha l'esempio nell' antichità; e mi
contenterò di citare quella di che fausolMcnelao presso
Omero, ne' funebri giuochi della corsa in onor di Pa-
troclo, nella quale congiunse la trojana giumenta Eie
col suo corridore Podargo(II. 4/29o s.). Il veslimenlo
del giovine eroe nel nostro vaso conviene perfellanienle
a Pelope, come quello che si accosta nel coslunie agii
usi delle asiatiche regioni. Questo nostro vasellino di-
mostra , se non m'inganno, essere probabile la opi-
nione contemporaneamente sostenuta da me (Inill. iKip.
an. VI. p. S-'i-seg. ) , e dal eh. Gargallo [(innal. dell' ls(.
18i9 p. 145 e segg.), che il giovine con due cavalli
indicato dall'epiteto ITAEXSinnoS in altra bellis-
sima patera anche di Capua, valse a figurare lo stesso
Pelope. Il nuovo confronto , in cui apparisce certa-
mente Pelope con due alati cavalli , dà un appoggio
a questa nostra spiegazione , dimostrando men vera
l'altra del eh. Braun, il quale non volle altro ravvi-
sarvi, che un semplice soggetto palestrico(a/ì)m/.cì<,
del 1849 p. 154 segg.).
MlXERVIM.
31orle di Aiace Tclamonio in vaso nolano.
Il bel vasellino nolano a figure rosse in fondo nero,
di cui presentiamo la incisione a lav. X n. 4 , 5 , G,
appartiene al sig. RalTaele Barone, che ci permise di
farne trarre il disegno. Da uno de 'due lati vedi Ajace
Telamonio, che stando in ginocchio preparasi a darsi
la morte precipitandosi sul ferro impiantalo col ma-
nico al suolo: dall'altro lato sono le armi da lui ab-
bandonate nella sua tenda traile quali è notevole il fo-
dero della spada, che seco ha recata per valersene ad
effeltuire il suicidio.
Il eh. sig. Raoul-Rocbelte nel pubblicare un altro
vaso col medesimo soggetto , ma di stile etrusco, ri-
chiamò le varie tradizioni , che fanno confronto a
queir azione; ed osservò giustamente farsi allusione a
quelle mitiche narrazioni , che portavano Ajace in-
vulnerabile in ogni altra parte del corpo eccetto l'ascella
(Piudar. Islhm. VI, 75; Aesch. Fragni, ex Tlir.
154, 155 ed. Dubner; cf. Eustath. ad How. 995,
I ; Schol. Soph. Aj. 824; Lycophr. v. 405). Osserva
pure che la invenzione degli sgozzati montoni e del
furore di Ajace appartiene ad epoca posteriore ; per
lo che non si vede giammai ne' monumenti di alta an-
tichità , e solo comparisce in alcune pietre incise di
recente lavoro {Annali dell' Ist. 1834 p. 272 eseg.).
II vasellino nolano, di cui ora parliamo, è il secondo
monumento che ci ponga solt' occhio la morte del Sa-
laminio eroe in quel modo appunto, che era forse in-
dicato da Eschilo, ma che certamente ritrovasi pres-
so Sofocle [iwW Ajace). Il sig. Raoul-Rochette richia-
mò in confronto le parole K'M^'Ai''o:!^xiTy%yro7rip-.Trru-
Xrp di Sofocle [Aj. 899=882 Lobeck), le quali sono
di fatti pienamente intese col paragone de'moiunuenti.
Vot;lio aggiugrier soltanto the ailre espressioni di So-
focle si riportano alla medesima inlclligenzi; e (piando
Ajace dice: ó \ùy <rZ'xyivi hrr/^-.s \\ . 815 = 801 Lo-
beck) ; e ([uando Tecmessa desume dall' aspetto del-
l' ucciso , che si avea data da se stesso la morte :
Arròs vp'li ccvrov òr}.ov. 'Ev y%p ol x-'^o;)
[Aj. 90(J, s.=889, s. Lobeck.)
A me sembra che i tragici ebbero una grandissima
influenza in (piesle vascularie pittin-e: e forse non è
una sicura conclusione che in Eschilo non si mettes-
se in veduta il furore di Ajace, e la strage da lui fatta
de' bestiami, sol perchè dall'esame de' monumenti ri-
sulta non vedersi in essi alcuna allusione allo scannato
gregge.Imperciocchè ponendoci gliartisli sotto gli occhi
la morte di Ajace isolata da (piahuKpie altra precedente
azione, non era punto necessario richiamar la presenza
dell'ucciso bestiame. Questa considerazione ha maggior
vaglia in rapporto del nostro monumento, il cui stilo
non ci offre un remolo arcaismo: e lo stesso dir si
potrebbe del vaso pubblicato dal signor Raoul-Ro-
chette; ne' quali due monumenti può credersi ubbia
avuta influenza la tragedia di Sofocle, come quella che
pone sotto gli sguardi la morte dell'eroe, laddove
nelle Thrcssac di Eschilo probabilmente se ne faceva
un semplice racconto. Paragonando i due vasi fra loro,
si riconoscerà a primo colpo d'occhio la superiorità
dell'artista greco del vaso nolano sull'altro del vaso
pubblicato dal sig. Raoul-Rochelte. Indipendentemente
dalle forme più accuratamente disegnate, a me sem-
bra che l'azione stessa sia piìi acconciamente condot-
ta , presentandoci non già un cadavere trafitto dalla
sua spada , ma un uomo in tutto l'orgoglio del suo
spirito , che sta per giltarsi sul preparato ferro. E
forse lo stesso Sofocle ispirò una simigliante azione.
Di fatti al veder l'eroe di Salamiaa colle apertebrac-
cia , chi non direbbe che sia nel momento d' invoca-
re fieramente e Giove e Mercurio , e le Erinni , il
Sole , la morte , e le regioni slesse , che furono testi-
moni della sua vergogna? Chi non rammenterebbe
le parole , che a lui pone in bocca il tragico ateniese
iu quella sua sorprendente scena? (v. 8I5-SC5).
MlSERVrNI.
— 192
Ossi aniklti — Pietra incisa del sig. duca
de Luynes.
In un sepolcro ciimano di romana costruzione fu-
rono rinvenutigli oggetti da noi pubblicali, della gran-
dezza degli originali , ne' numeri 3 , G, 7, 8, 9 della
nostra tavola Vili. Il n. C comprende Ire pietruzze
emisferiche di tre differenli colori, cioè bianco, rosso,
e nero; i rimanenti nimieri ritraggono oggetti di osso.
Tutte le accennale cose erano collocate sopra una fa-
scia di tufo sporgente circa un palmo da' muri interni
della tomba. Delle pietruzze emisfericbe eravi un certo
numero in ognuno de' tre indicati colori: lutti gli al-
tri oggetti di osso erano unici , se n'eccettui il n. 3,
die per ben tre volle si ripeteva. Vedevansi poi nello
stesso sito due dadi da giuoco fiali) , ed una rettan-
golare laminelta di osso rotta in varii punti, che non
abbiamo giudicalo opportuno di pubblicare. Potreb-
be credersi con molta probabililà che i pezzi di osso
3, 7, 8 insieme cx)n la laminetla ultimamente accen-
nata costituissero una piccola cassetta destinata a con-
tenere oggetti di poca mole : della quale i n. 7 ed 8
sarebbero i due laterali in parte consumali dal tempo,
la reitaugolare laminelta il fondo , e la immaginetta
del n. 3 varrebbe ad ornare e rinforzarci quattro an-
goli del casseltino, unendosi poi lutti i pezzi a formar
quell' arnese mercè fogliette di legno , che dal tempo
€ dalla umidità furono perfeltamcnle distrutte. La con-
formazione dei pezzi simili al n. 3 sembra prestarsi
ad una tal conghiettura; giacché veggonsi internamente
forati , e nella parte posteiiore evvi un incavo pratti-
calo probabilmente ad oggetto di collegarli fra loro,
e co' lati della cassetta per mezzo di aslicciuole di le-
gno. A questa idea conduce 1' altro simigliante pezzo
di meuo accurato lavoro da noi riportato sotto il num.
4 , e che è slato egualmente rinvenuto con altri Ire
della stessa forma e della stessa grandezza in allra
loml)a romana della medesima località. Riscontran-
dosi dunque il numero di quattro eguali figuline in-
sieme ritrovate, può desumersene una dimostrazione
del probabile uso di esse , cioè di aver servito per
ornamento a (jualtro angoli di una cassetta, non con-
servala dopo il correr di secoli, perchè di più fragile
materia. Non voglio intanto mancar di avvertire che
simili pezzi si riirovarono in altre tombe romane di
Cuma; ed uno se ne vede pubblicato dal eh. Fio-
relli [inon. citmani tav. H. n. 6). Le pietruzze emi-
sferiche di differenti colori , che veggo pur dallo
stesso Fiorelli pubblicate (lav. cil. num. o) , e che in
gran numero ancora vennero fuori da altri sepolcri .
a me pare siano da riputarsi inservienti al giuoco de*
calcali o lalrunculi; alla quale idea conduce altresì la
dilTerenza dei colori , che trovasi notata dagli antichi
( PoUux on. lib. IX. cap. 7. Ovid. Trist. II , 477 ).
Cosi Marziale (lib. XIV ep. 17): Calcuìus hic gemino
discolor hosle perii : e non altrimenti si legge nel poe-
metto in lode di Risone v. 182: Ut niveus 7iigros,nunc
et niger aUigel albos. Sidonio Apollinare ricorda tahu-
lam calcidis stratam bicoloribus {episl.\lU,i2y, ed è
anche rammentato il bianco ed il rosso: Decertanique
simul candidus atque rubeus ( Anlh. lat. Ili , 76 ) ; ed
altrove: A'amgwe ade acquali concurril rimem a/6o(ibid.
ep. 78: vedi il Wernsdorf al v. 182 del poemetto in
lode di Pisone nel voi. Hip. 258 de'poelaelat. minor.
ediz. di Lemaire, e l'excursus IV. nel medesimo voL
III p. 284 e segg. ). Questa mia conghiettura trovasi
appoggiala dalla circostanza che questi da me creduli
lalrunculi erano riuniti a' dadi o tali, e quindi mostra-
vansi di analoga destinazione. Né ci sembra da omet-
tere che r oggetto riportato sotto il n. 9 , e rinvenu-
to con gli altri inservienti a giuochi, mi pareva po-
tersi riferire a quel vallo, di cui è menzione nel citato
poemetto in lode di Pisone , v. 90 e segg.
. ... hic ad nutjora movelur ,
Ut cilus et [racla prorumpat in agmina mandra,
Clausaque dcjecto populatur moenia vallo.
Non saprei giudicare quai movimenti si additassero dal
latino poeta; ma certamente questo i'a//o da lui ricor-
dato fa interessante confronto coH'osso cumano, perti-
nente ad un giuoco, che si mostra appunto conformato
a foggia di merli, o vogliam dire di vallo. Può credersi
probabilmente che il casseltino fosse destinato a con-
servare gli oggetti da giuocare,dir voglio i dadi e le pie-
truzze. Con questa occasione venendoci fatto di osser-
vare una graziosa incisione in ametista presso il eh. sig.
duca de Luynes rappresentante due giuocalori ad un
tavoliere [abacus, tabida Imoria), ottenemmo dalla sua
cortesia il permesso di pubblicarla ; ed è appunta
quella che vedesi al n. 5 della citata Tav. Vili. Lo
spazio mi manca per entrare in una più ampia espo-
sizione delle cose finora toccale , e specialmente per
dare una qualche dilucidazione del pregevole intaglio
del sig. duca di Luynes. Mi è perciò necessario dif-
ferirne la trattazione al secondo anno del bulletlino.
MlNERVmi.
P. Raffaele Garrucci d.c.d.g.
Giulio Mi.nekvlm — Editori.
Tipografa di Giuseppe Càtakeo.
— 193
INDICE DEGLI ARTICOLI.
Descrizione di un vaso ruvcse del Rea! Museo
Borbonico 1
Sulle sigle delle iscrizioni pompejane dipinte a
pennello, e sulla difiìcoUà di ben trascrivere
dalle pareli i caratteri dipinti 4
Nuove scoperte in Napoli , con la notizia di una
nuova fratria. . 9
Lamina di Anlino 10
Iscrizioni di Capua ( S. Maria ) . . . , . 13
Iscrizione cristiana di Pozzuoli 15
Continuazione 31
Tre inedite monete di Napoli 17
Tavola aquaria venafrana 21
Continuazione 32
Id 39
Id 53
Id 63
Id 79
Id 117
Id. 166
Notizia degli scavi di Pompei per l'anno 1850
e seguenti 25
Continuazione 33
Id 58
Id. . . 71
Id 73
Id 89
Id 140
Id 156
Id 177
Id 185
Notizia di alcune lerrecotte anticbe della colle-
zione del defunto Francesco Mongelli in Nap. . 30
Osservazioni intorno al nome Basilica della iscri-
zione puteolana di C. Nonio Flaviano. . . 36
Frammento d' iscrizione presso 1' antico teatro
di Capua : con osservazioni del Conte Bor-
ghesi 38
Due iscrizioni frentane di Pennaluce. . . . 41
Osservazioni sulle monete di Napoli colla pro-
tome del Sebelo 4:;
Giunta alle osservazioni sul vaso di Oritia . . 48
Descrizione di una patera antica dipinta, con due
Eroi eponimi delle attiche tribù .... 49
Iscrizione di Venafro "il
Dichiarazioni di due monete di Trajano , 1' una
Latina e r altra Greca 52
Moneta incdila di Napoli, che risolve la quistione
del loro androprosopo 57
Relazione dei nuovi scavi eseguiti nell' anfitea-
tro Campano 62
Giunta all'articolo precedente 63
Osservazioni numismatiche 65
Della legge de' setlanladue solidi per ogni libbra. 68
Della Croma o sia ferramento agrimensorio, fi-
gurato in un cippo sepolcrale d' Ivrea. . . bis
Iscrizioni di Sepino, con osservazioni del Conte
Borghesi 76
Osservazioni intorno a due iscrizioni, ed agli ar-
ticoli sul Sehelo di questo bulletlino ... 78
Intorno alla lapida viaria osca di Pompei, nuove
osservazioni 81
Iscrizioni ctrusche graffite sul fondo esterno di
vasi trovati in sepolcri campani 84
Piombo Siciliano 87
Lapide Capuana 88
Descrizione di alcuni vasi dipinti del Real Mu-
sco Borbonico 91
Continuazione 109
Continuazione 128
Della leggenda nATPOKAOT TA*OS su di un
vaso dipinto di Canosa 97
Il LVDVS GLADIA TORIVS , ovvero convillo
dei gladiatori in Pompei 98
Dell'arma gladiatoria detta CALER VS. . .101
Continuazione 113
Monumenti Cumani- Scoperte di S.A.R. il Conle
di Siracusa 105
Continuazione .121
Id 161
— 194 —
123
129
130
Monete inedite ; .... 107
Di due Irofei di armi scoperli in Pompei al 1767
nel htdus gladiatorius, e della Sica o falcetta
de' Treci 114.
Nuovi programmi pompejani appartenenti a spet-
tacoli gladiatori! 115
Di alcuni antichi oggetti diversi provenienti dalla
Magna Grecia , dalla Sicilia, e da Roma. Da
Lettera del eh. ab. D. Celestino Cavedoni al
Sig. Giulio Minervini
Monumento di Architettura etrusca in Capua
(S. Maria)
Il Pempobolo omerico in sepolcro Cumano . .
Sulla pretesa coppia di Consoli Q. Cecilio e M.
Bennio 131
Topografia delle spiagge diBaja graffila sopra due
vasi di vetro 133
Osservazioni intorno all'articolo precedente. . 136
Scure di bronzo con greca iscrizione . . .137
Terracotta di Pozzuoli 139
Descrizione di un frammento di vaso dipinto con-
servato nel Rea! Museo Borbonico. . , .142
Vaso dipinto con Ulisse Akanthoplex. . . .144
Epoca in che fu costruito l'Anfiteatro puteolano. 145
L'Amhulatio, e i programmi popolari in Pompei. 1 48
Poche osservazioni sopra un vaso della collezione
Jatta 153
Lettera del eh. Sig. Agostino Gervasio al Sig.
Giulio Minervini 158
Una spiegazione 159
Questioni pompejane. 1 . Significato probabile
del nome Pompei 167
2. Topografia del Vesuvio 168
Medaglie inedite 169
Giunta all' articolo precedente 173
Vaso nolano con la pugna di Ercole contro le
Amazzoni 175
Diaspro sanguigno inciso . 179
Suggello in corniola di un C. Cecilio Metello
Caprario 179
Iscrizione di Campomarino , masseria del Sig.
Carrera in mezzo ad avanzi di villa antica. . 180
Iscrizione Sannitica rinvenuta in S. Maria di
Capua 18*2
Iscrizione dipinta di Ardea, graffiti sui vasellini
di S. Cesario e su lamina di piombo romana. 182
Teste di cera in sepolcro cumano — Lettera del
eh. sig. Coram. Bernardo Quaranta al signor
Giulio Minervini . . . . . . . ,187
Nota di Minervini 188
Bassorilievo capuano, ora nel real museo Bor-
bonico 188
Patera capuana colla figura di Pelope . . .190
Morte di Ajace Telamonio in vaso nolano . .191
Ossi antichi - pietra incisa del signor duca di
Luynes 192
NOMI DI COLORO CHE HAN FORNITO ARTICOLI AL BULLETTINO.
Borgheù (conte Bartolommeo ). 38, 76.
Cavedoni {ah. D. Celes(ino). 52, 69, 125.
Catruca ( P. Raffaele). 4, 10, 13, 17, 21, 32, 36,
39, 41, 51, 53, 63, 65, 68, 76, 78, 79, 81,
84. 87. 88, 97, 98. 101, 113, 114, 115, 117,
129. 130, 131, 136, 145, 148, 166, 167, 168,
179. 180, 182.
Gervasio (Agostino). 158.
Luynes (il duca di). 169.
Minervini (Giulio). 1,9, 15, 25, 31, 33, 45, 48,
49, 57, 58, 63, 71. 73, 89, 91, 105, 107, 109,
121, 128, 137, 139, 140, 142, 144, 153, 158,
159, 173, 175, 177, 185, 188,190,191,192.
Quaranta (Corom. Bernardo). 187.
/{tzzj (Ulisse). 62.
de Rossi {Q.B.). iZ3.
~ I9o —
INDICE DELLE TAVOLE.
Tav. I.
Tav. il
Tav. ih.
Tav. IV.
Tav. V.
Tav. vi.
Tav. vii.
Fig. 1 . Dipinto pompojano, di cui si parla
a pag. 8.
Fig. 2, 3, 4., .^. Graffiti sodo il piede di Tav. Vili,
vasi , di cui si dice a pag. 84 e scgg.
Fig. 6, 7, 8. Terrecotte , di cui si parla
a pag. 30 e seg.
Tavola aquaria venafrana , di cui si ra-
giona a pag. 21, 32, 39, 53, 63, 79,
117, 166.
Fig. 1 . Lamina di Antino , di cui si dice
a pag. 1 0 e segg.
Fig. 2, 3. Iscrizioni di Pennaluce, di cui
si parla a pag. 41 e segg.
Fig. 4, 5. Patera dipinta del museo San-
tangelo spiegata a pag. 49 e segg.
Fig. 1 , 2, 3. Monete di Napoli illustrate
a pag. 17 e seg., 45 e seg., 78 e seg.
Fig. 4, 5, 6, 7. Monete diverse dicliia- Tav. IX.
rate a pag. 63 e segg. Tav. X.
Fig. 8. Moneta di Napoli coli' Acheloo ,
di cui si parla a p. 57 e s., 78, e 1 59.
Fig. 9, 1 0, 1 1 , 12. Monete , di cui si ra-
giona a pag. 107 e segg.
Fig. 13, 14. Terracotta di Pozzuoli, di Tav. XI.
cui si dice a pag. 139.
Fig. 1 . Bassorilievo in terracotta di Ca-
pua , di cui si dice a pag. 188.
Fig. 2. Scure di bronzo con greca iscri-
zione di cui si parla a pag. 137 e seg.
Fig. 3. Croma o ferramento agriraenso-
rio , di cui si dice a pag. 69 e segg.
Fig. l.Vaso dipinto spiegato a p. 153es. Tav. XIL
Fig. 2. Frammento d'iscrizione di Ardea,
di cui si ragiona a pag. 1 83.
Fig. 1 . Forma e rovescio del vaso dipinto Tav. XIII.
pubblicato nella Tav. VI.
Fig. 2, 3, 4, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 13,
14, 15, 16. Dipinti , graffili , e bassi-
rilievi pompejani , a' quali si accenna Tav. XIV.
a pag. 98 e segg, e pag. 113 e segg.
Fig. 1 1 . Statuetta bortriana di bronco, del
R. M. Borbonico, di cui si ilice a p. 102.
Fig. 1 , 2. Una delle aste del pcmpobolo
cumano dichiarato a pag. 1 30 e seg.
Fig. 3, 4, 7, 8, 9. Ossi lavorati , de' quali
si parla a pag. 192.
Fig. 3. Pietra incisa del Sig. Duca de Luy-
nes , di cui si ragiona a pag. 1 92.
Fig. 6. Piccoli pezzi di pietra, descritti a
pag. 192.
Fig. 1 0. Strada e porta Slabiana di Pom-
pei , di cui si ragiona a pag. 1 86.
Fig. 11. Sepolcro etrusco di Capua , di
cui è detto a pag. 1 29 e seg.
Fig. 12. Tomba cumana, ove furono ri-
trovate le teste di cera; v. pag. 106,
121 e seg., e 161.
Vasi di vetro istoriati, illustrati a p, 1 33 e s.
Fig. I, 2, 3. Vaso dipinto di Nola con
Ercole e le Amazzoni, di cui si parla a
pag. 125 e seg.
Fig. 4, 5, 6. Vaso nolano con Ajace , di
cur si ragiona a pag. 191.
Fig. 1-5. .Medaglie diverse dichiarate a
pag. 169 e segg.
Fig. 6. Diaspro sanguigno intagliato, di cui
si parla a pag. 179.
Fig. 7. Suggello in corniola spiegato a pag.
179.
Fig. 8. Vaso dipinto con Pelope , di cui
si ragiona a pag. 1 90.
Fig. 1-49. Iscrizioni graffite su' vaselliui
di S. Cesario , di cui si ragiona a pag.
183 e seg.
Fig. 1 . Lamina di piombo, cui si accenna
a pag. 183.
Fig. 2. Mattone con bassirilicvi, ed iscri-
zioni Sannitiche a pag. 182.
Tetti pompejani conservali; v. pag. 140,
e 183 e seg.
— 196 —
ERRATA
CORRIGE
Pag.
2 col. 2 Un. 3o-36
13 1
i6 1.
18 2-
• 14
-18
- 1
21 tav. aq. ven. 7
23 ib. S8
34. 1 17
39 1 11
40 2 26
42 1 r. 3
58 -1 — -12
61 2 31-32
71 2 18
93 1 14-15
94 2 40
95 1 23-24
123 — 1 39
124 1 41
133 2 22
134 1 31
138 1 20
144 2 27-28
156 1 18e33
158 2 ultima
159 1^ 17
160 2 21
164 — 2 15
176 2 23
184 2 1
Ib. « 4
Ib. « 5
Ib. ^— « 7
86 seg.
che era possibile etc,
JEnElOOJ
APERIANT
TEM
di foglie.
L. Maecio Postumo
decem mille
Mamurins
Alontium
Artemioide
THILLANIVS
conghittura
aggiamento
ava|3.
p. 1395 Oud.
FELICISSIMAE
Idem
*Hpas
ko/f;i«p(S , o kouxfxapis
Laomedonte
Idem
quarucumque
1. XI e. 26
Xap/XYi
k. martias
C. Lulatio
Mam. a. d. XVTIf
pr,
si sopprima — Gerhard e Panofka
Neapels ant. .Bt7dtc.p.253 0,1684
86 seg. ).
che non era possibile etc.
SHBH©o:S cf. la pag. 32 nota.
NE APERIANT cf. pag. 32 nota.
DVCANT TEM cf. pag. 32 nota.
di foglie ( senza punto )
L. Marcio Postumo
decies mille
Mamurim,
Alunlium.
Artemide.
THYLLANIVS
Pa^poK
conghiettura
atteggiamento
àvaj3.
139, s. Oud.
FELICISSIME
Idem.
"Hpas
Kouxxfii , o Ko^xccp/S
Priamo
Idem
quarumcumque
1. IX e. 26.
k. maritai Vili
C. Lutali
Maeci a. d. XVll
BULLETTINO
iiIE(SiaiE®IL®(&II(S® KiiIP®ILaffAM®
BULLITIIiO iRdHGOlOdiy ilPOLITHO
NUOVA SERIE
PUBBLICATO PER CURA
DI GIULIO MINERVINI
ÀCCàDEUICO EnCOLÀimSE
SEGRETARIO PERPETUO DELL' ACCADEMIA PONTANIANA ; SOCIO DI ONORE DELLA REALE ACCADEMIA
DI ARCnEOLOGIA DI MADRID ; CORRISPONDENTE DELL' ISTITUTO DI FRANCIA , ACCADEMIA DELLE
ISCRIZIONI E BELLE LETTERE; DELLA REALE ACCADEHIA DELLE SCIENZE, E DELLA SOCIETÀ AO-
CHEOLOGICA DI BERLINO ; DELL' ISTITUTO DI CORRISPONDENZA ARCHEOLOGICA ; DELLA PONTIFICIA
ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOGIA ; DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO ; DELLA
RKALB ACCADEMIA DI BELLE ARTI DELLA SOCIETÀ REALE BORBONICA ; DELLA SOCIETÀ FRANCESE
FER LA C0NSIÌHVA210NE DE'MONCMENTI ISTORICI: E DI ALTRE SOCIETÀ SCIENTIFICHE E LETTERARIE.
ANNO SECONDO
VAL 1 LUGLIO 18S3 AL 30 GIl'GNO Ì8S4.
NAPOLI
DALLO STABILIMENTO TIPOGRAFICO DI GIUSEPPE CATANEO
Strada Yentaglieri N. 71. S. P.
1851
BUllETTINO ARCnEOLOGICO IVAPOLITAXO.
NUOVA SERIE
N." 2.3. (1. dell'arinoli.)
Luglio I8ò.'}.
Questioni pompeiane. — 3. Topografia del terreno, ove fu la Città di Pompei. — ■'i. Il tribunale della Ifasiiira
quando, e da chi costruito. — 5. L Angmleum, la euria degli Augustales, il Clialcidicum, V aedcs l'ortunae
Auguslae 6. I due Teatri. — 7. Dell' edif zio detto Triibiis , e tW/a foce CùniI)enDÌi'is. — 8. Tempio di Mer-
curio e Maia. — 9. Si è rinvenuto finora alcuna cosa di Cristiana credenza in Pompei?
5. Topografia del terreno, ove fu la Citili di Pompei.
E strana cosa il volere , che Pompei fosse una volta
sulle rive del mare : se Strabene medesimo , clic Ila
scritto di Ercolano, 'HpoWXsiOv izxnir^iry -'a r\y Oa-
\f.Tt'x\ òixp'xv iX^*'j •li Pompei per lo contrario ci
avverte con Plinio che quell' emporio fTr/v.-nv, di No-
la, di Nocera e di Acerra, era posto accanto al Qume
Sarno, adluente Sarno amne (Plin. H. N. IH, S), sul
quale le venivano recale le merci di fuori, ed al quale
ella affidava le sue; come può slimarsi mai che fosse
collocata sulle spiagge del mare? 0 vogliamo noi sup-
porre che i Pompeiani con l'opporlunilà di un porto
sul mare, volessero invece Iraflìcare sul fiume , che
non riceveva se non le minori barche , e con quello
stento che contro corrente? Ricordo che per simil
caso l'imperalor Claudio fece un porto sul mare ad
Ostia , che ne era lontana ben tre miglia ( v. gli an-
notatori all'Ottavio di Minucio Felice p. 15. Lugd.
Bai. 1709. e Cluverio It. Ant. pag. 871 , segg. ).
Inollre l'antica via, che da Capua metteva a Nocera,
le passava davanti; e buone vestigia di antichi edifizii
diconsi veduti da altri su quel terreno appunto, che
stranamente si è da taluni detto essere stato mare pri-
ma dell' ultima ruina di Pompei. Assai bene il Ro-
sini colloca qui le saline pompeiane ( p. 30 Diss. I-
sag.), ma non credo lodevole il senso, che ci dà del-
la voce Maritima, o dei luoghi dei classici, che sera-
brano collocarla sul mare (ibid. p. 28.). Dopo il Sar-
no però la maremma face\ a seno, sicché potè scrivere
Plinio il giovane, che slaudo Plinio suo zio in Stabia,
era diviso da Pompei per un seno di mare, che vi cor-
rea tramezzo: Stabiis erat, diremptus sinu medio; nam
sensim circumactis curvatisquc Utloribus mare infun-
dilur (L. Vi, ep. 16); e ne fan fede gli spessi alberi
di nave , che si vanno scavando di trailo in trailo nel
fondo Mcssigna ( vedi la relazione negli annali ci> ili
di Napoli anno 1835 , 27. segg. cf. Capasso , Meni.
Storico-Arch. della penis. Sorrent. p. 6.). II suolo di
oggi è elevato un trentacinque palmi napolitani sull'an-
tico più basso , lo che ci fa appena intendere, che es-
sa era fabbricata una volta al ridosso di una collina ,
e sul pendio in declivio.
Garrccci.
4. Il tribunale della Basilica quando, e da chi costruito .
Dall'opera laboriosa del sig.Mommsen, Inscr. Regni
Neap. latinae, traggo la iscrizione segnata a n. 2202
per illustrarla convenientemente alia sua importanza,
ed alle cose pompeiane. In prima trovo non poche ine-
sattezze da emendare: dicesi « litl.palm.Rep.Pompcis
in basilica». Ma ad imaginarne un restauro è sopra
ogni altro necessario conoscere la vera dimensione del!e
lettere ; e però non è detto bene di (ulta la leggenda
che è litteris palmarihus : poiché la piinia linea ha let-
tere la metà più grandi delle quattro linee seguenti.
Alla POTEST • T nolo, che i T si elevano sulle altre
lettere, che l'I non si vede affatto sulla pietra, ove ap-
pena si scorge il principio della linea trasversale so-
prapposla. e l'apice della lettera sottoposta, dal quale
non si può in modo veruno argomentare se la linea che
manca era verticale od obliqua. Dapo il C.\P del fram-
meulo seguente non v'ò spazio liscio, ma invece l'in^
1
2
tero avanzo Ji linea dritta verticale della lettera se-
guente. ]i P della lin. 4- manca dell' asta sua verti-
cale. Nell'ultimo frammento 1' 1 dopo SOC è un chia-
ro L un pò logoro ncU' asta orizzontale , nò SOC è
scritto, ma SOG. Lascio alcune minuzie, che occor-
rerebhc notare , ed avverto , che la iscrizione non
ha cornice afilUto, come ha disegnato il Mommsen ,
e che un altro frammento di questa medesima iscri-
zione ha egli trascritto senza avvedersene , collocan-
dolo fra i marmi Originis incerlae , a num. 16 , AV
IB, PO; altri tre poi ha trascurato affatto. Tra questi
sono i due che egli cava dalie relazioni manoscritte ,
e che de])hono rcltiCcarsi secondo la lezione, che ne do
qui; ma il terzo ed ultimo avanzo dei dieci frammen-
ti di tutta la iscrizione, che ci sono rimasti , e non è
stato notato neanche dal giornale degli scavi , contiene
i resti del cVM Suis. Questa uarrazioncina , che io
ho dovuto stenderò così a minuto pel bisogno che ve
ne era di giustiflcare i miei supplementi ha anche l'u-
tilità di far senqM'c meglio intendere quanto si è ancora
lungi dall' avere una esalta trascrizione delle nostre
lapidi.
Stabiliti i pezzi , che ci sono pervenuti della inte-
ra lapida , e ridotti il più esattamente che si poteva
alla vera lezione , giovi ora coli' aiuto della scienza
epigrafica venire a determinarne il senso. Egli è in
primo luogo indubitato , che tutta la iscrizione con-
sistette una volta di cinque lince, la prima delle qua-
li, che ha lettere il doppio più grandi delle altre quat-
tro ci si appalesa destinata a contenere alcune onore-
voli appellazioni di Augusto.
Rilevasi facilmente Aug , e Ponlif; per altro non
può di qua determinarsi , se questo Pontificato è il
massimo, lo che dovrebbe risultare dalle potestà tri-
bunizie, che dal solo avanzo che spetta all'ultima ci-
fra numerica non può affatto rilevarsi. Essendo a-
dunque l' uno e l'altro incerto egualmente non resta
che di rivolgersi alle altre righe della leggenda, e ad
altri argomenti, cercan.do, se quindi può trarsi alcun
vantaggio. La terza , e la quarta riga par certo do-
vessero contenere i nomi di coloro, che avevano spe-
so a costruire ed ornare quel qualunque edifizio, che
poscia mi argomenterò di determinare. Questi sono
evidentemente in caso retto, dimostrandolo l' IDEM ,
e'I contesto intero. Dippiù nei tré frammenti a destra
veggonsi gli avanzi della S, e però si capisce che tra
il nome e'I cognome non intercedeva nò la L, nèlaF
precedute dalla sigla del prenome, a segno della con-
dizione loro civile, o libertina. Quindi rileviamo, che
nell'ultima linea dovea essere scritto IDEMQ • CV3I,
e non IDEMQVE-CVM , con che lo spazio delle due
linee sovrapposte si allungiicrcbbe di troppo per un
ordinario nome gentile. Aggiugni che dai confronti
locali è più che probabile , doversi nella hnoa im-
mediala supplire CAPRASIVS il CAPI dell' avan-
zo ; per lo quale lo spazio sarebbe opportuno , e
supposto IDEMQVE assai più largo e tale da rende-
re improbabile il supplemento. Da tutto ciò nasce ,
che i frammenti si debbano ravvicinare in modo, che
ci resti lo spazio da tanfo ragionevoli osservazioni ri-
chiesto. È ancor necessario far notare che i secondi
nomi cominciano appunto di sotto alle parole TRIB
POTEST, le quali non potendo essere segmte, se non
dal consolato, e alla fine da un P P ( Paler Palriae),
già ne insegnano ad avvertire, che siamo alla seconda
metà della epigrafe, e però che quattro soli possono
essere i nomi di coloro , che questa opera de sua pe-
cunia fecerunt. Ravvicinati convenientemente alle os-
servazioni fatte i maggiori frammenti , e considerato
lo spazio, che richiede la scrittura dei due nomi a si-
nistra si può in generale esser certi, che 1' enigma
dell'andamento di tutta l'epigrafe è sciolto , e che le
parti componenti sono cinque linee di scrittura , nel-
le due prime delle quali si fa la dedica all'Augusto,
nelle due seguenti si appongono i nomi dei quattro ,
che neir ultima linea ci insegnano di aver costruito ,
e fornito della suppellettile alcuna cosa, di più resone
pubblico r uso , che è il senso della voce dedicarunt.
Ma tutte queste notizie acquisiate alla storia hanno
ancora vaghi confini cronologici , non potendosi da
ninna delle operazioni già fatte determinare l'Augu-
sto, se Ottaviano o Tiberio, nei titoli che gli spettano.
È vero, che il Mommsen ha definito tulio ciò, asse-
gnando al monumento il 732/5 ; ma ciò non può
valere ora , che la esatta lettura della epigrafe ha fat-
to svanire quella unità, cheegliincaulamealedà,sic-
corno Ii'Ka e (rascriKa da sl- , POTEST. I. Non può
poi prcsiiincrsi, che questa unità fusse periti, per dan-
no sofferto dal marmo ; perocché è ben chiaro dal
colorito iiiiiforinc di tutto questo lato, che è slata ap-
jiuiilo così trovata nel primo scavo. Tenterò io dini-
que una nuova via , cercando di a\ vicinare al possi-
bile questo monumento al tempo , in che potè essere
collocato nella Basilica ponqieiana. E primieramente
fo notare die i quattro autori dell' o])era hanno altri
confionli nelle lapidi pompeiane che ricordano la\oii
fatti da ministri di Augusto (cf. I.N. n. 2261, 2-202,
2200, 2270) e che lo stesso numero ci proviene dalle
lapidi, ove sono ricordati i ministri del pn;;o Augusto
Felice (cf. /. N. n. 2293), e i ministri della Fortu-
na Augusta (cf. /. N. 2223, 2225-, 2220). Inoltre
che tre di loro vi appariscono apertamente liberti , o
di condizione libertina Pili S • SOG • L • ,
L • IS • • • 0 , CAPI • • • • S • DIOGI • • • • laon-
de avuto anche riguardo alle altre tavole, ove sono
nominati soli liberti , libertini , o servi, assai verosi-
milmente si faià a conchindcre , che la persona • • •
TUO fosse della condizione medesima di liberto. Ciò
posto, è naturai cosa , che io metta a riscontro con
questo avanzo • • • • THO un nome della stossa de-
sinenza di allro monumento pompeiano, e ciò , che
è più, scoperto nella Basilica medesima : questo è P.
STALLIVS -AGATHO, il quale essendo MINISTER
al 729 donò non si sa qual cosa, D'D, a questo edifizio.
Se tutte le probabilità sono a favore di costui , io con-
chiudo , che è assai ragionevole il riferire ai tempi di
Augusto questo monumento. Perocché soggiugncn-
dosi cbe quel lavoro , qualunque si fosse , offerto da
P. Stallio Agatone al 729 erasi rinnovato al 750 ,
senza che ivi si faccia veruna menzione di lui , uopo
è dedurne , che egli fosse già morto , che , lui vivo ,
non altri, ma egli medesimo lo avrebbe certamente rin-
novato. Abbiamo adunque quasi circoscritto il tempo
della lapida, dippiù escluso il pensiere di alcun figlio
di lui , che sarebbe slato cittadino , siccome regolar-
mente richiedevasi , e non di condizione libertina ;
resta ora che ne diamo il supplemento secondo i tem-
pi. Supponendo la lapida datare dal 732 al 7.')2 non
può supplirsi che PONTIFICI , avendo dimostrato
l'Eckhel, che solo da (piest'anno 7.'J2 Augusto assun-
se il Pontiticato Massimo (l)oclr. Xum.Vet.Vol.VT.p.
107): varieranno altresì le acclamazioni imperiali,
che davanti alle potestà tribuniciedoveano essere scol-
pite, non anniiettendo altro su|iplemcnto lutto lo spazio
a sinistra. 15en si avverta pei ò , che per 1' uniti tut-
tavia esistente davanti al COS non può i\i collocarsi
altra potestà tribunicia, che quella, il numero di cui
teimini in unità. So poi auoIsì il moiiiniicnto posle-
liore al 7.'J2, può allora suloammoltcr.ii dopo iK^OS
XIII la novella appellazione di Padre della Patria data
ad Augusto dal Senato e dal p.opolo romano nel detto
7.">2 ( Kckhel op. cil. p. 1 12). Darò qui a modo di e-
sempio il mio sujiplemento:
IMP • CAESARI • D • F • AVO • PONTIFICI
IMP • Vili • TKID • POTEST • VI • COS • XI.
L'avanzo della linea trasversale, che vedesi nel fram-
mento ES/ ne stringe a scriver 1) non DIVI ; colla
quale voce tutto distesa ci dilungheremmo di molto
da quello spazio che pel confronto del frammento I •
COS ragionevolmente possiamo supporre anche fra-
mezzo al numero delle acclamazioni imperiali, edalla
voce TRIB • Venendo ora ai supplementi dei nomi ,
pel primo ho già stabilito di riconoscei-e P • STAL-
LIVS • AGATHO , quanto al secondo , che è pale-
semente di greca origine, ma volto in nome di fimi-
glia all'uso romano, siccome L • EV.MACIIiVS I-\-
SCVS (/. .V. 2270), Q. THVLL.WIVS lAXVA-
RIVS (il nostro Bull. p. 71), è forse unPIIILOXIVS ;
il nome del patrono SOG finora non può completarsi
se non col SOGELLIA • ¥X\Sla della Vonosina '/.
N. 800) , di lezione non ancora ben assicurata dallo
stesso editore.
Seguono gli avanzi LN / )) : il cognome mi par
NASO , che io leggo in graffilo pompeiano darM a
Fadio , FADIVS NASSO (così); Intorno all'ultimo
parmi essermi ben apposto a stimarlo CAPRASIVS •
DIOGENES • Rimane or solo l'ultima linea, che mi
comincia da un N , e però io son certo , che il suo
supplemento è TRIBVN • , avverlendo che questi
frammenti furono scoperti nella Basilica, ove è il Tri-
_4 -
hunal di costruzione assai diversa dallo siile greco e
puro del gionico e corinzio di tutto l'edifizio, diversa
ancora pel materiale impiegato, che è marmo, men-
tre nella Basilica i capitelli sono operali in tufo vul-
canico , e i fusti in mattone ricoperto di stucco. Ma
il conoscere l' epoca di una parte così nobile dell' in-
tero ediflzio, che già da sé dava segni certi di prove-
nire da altra mano , devesi ornai alla retta interpre-
tazione della lapida , che si può tenere essersi collo-
cala una volta sul fregio dell' architrave , che era so-
])rappos(o alle colonne del rr/òu/ioZ; e dare quindi un
buon fondamento di restauro a sì gentile edifizio pom-
peiano.
I quattro liberti non paghi di avere costruito il tri-
bunale , r ornarono ancora della suppellettile richie-
sta dall' uso , e ciò signiGcarono colle voci CVM •
SVIS • ÒììNamenlis. Ciò premesso , l' intero supple-
mento immaginato da me , potrebbe esporsi così :
IMP • CAESARI • D • FAVGPOTsTlFICI
IMP • YIIII • TRIBPOTESTVi COS ÌX
P • STaLLIVS • AGAThO PHILONIVS? SOGL-^
L?FADIVSL?LNASOCAPRASIVSDIOGENES
TRIBVN • D • SPFlDEMQCVMSVlS ÙRNDED
Garrucci.
5. V Augusteum, la curia degli Augustales, il Cltulci-
dicum, V aedes Forlunae Augmtae.
Nò polca mancare un Auguslmmaì Pompeiani, che
.ul Augusto ancor vivo aveano eretto are , e creato
Sacerdote, e Flamine. Che fosse cominciato ad ono-
rarsi Augusto con sacritìzii , e voti prima di costru-
irsi un tempio, od una cappella, par chiaro ; peroc-
ché vediamo il culto di lui congiunto a quello di
Mercurio e di Maia. Così nell'Asia il cullo di Milri-
date , e di Aitalo , ed in Egitto di Tolomeo si uni a
quello di Dioniso ( C /. p. 419, e u. 4893). Fuori
di tal supposizione non è agevole dar ragione dei MI-
nislri Augusti, Mercurii , Maine, delti prima o so-
lamente Ministri , o Ministri Mercurii , Maiae sulle
lapidi pompeiane. Secondo ciò la memoria piìi antica
che si avrebbe dei Ministri Augusti sale al 732, alla
qual epoca dovea essere di già costruito V Augusteum.
Questi ministri erano creali dai decurioni , e messi
al seguito degli edili , incaricali della solennità dei
Voti publici per la salute dell' Augusto regnante , dai
quali venivano ingiunte loro delle spese in opere di
culto , od anche pubbliche , dopo 1' approvazione del
consiglio decurionale , siccome e' insegnano le lapidi
pompeiane. Non avendo trovato monumento poste-
riore al 752 , nel quale si possano riconoscere mi-
nistri di Mercurio , e di Maia , siamo condotti a cre-
dere , che i ministri pubblici tolti dal culto di Mer-
curio e di Maia fossero destinali a quello di Augusto ;
altrimenti dovremmo dire, che invece di chiamarsi Mi-
nistri di Augusto , di Mercurio , e di Maia , amas-
sero meglio di appellarsi soltanto Ministri di Augusto,
la quale interpretazione, che pare delsig. Mommsen,
(/. N. p. 461 col. 3) , poco sodisfa ; non vedendosi
la ragione di sopprimere costantemente il nome di
Mercurio e di Maia, che troviamo pur congiunto con
quel di Augusto almeno una sola volta, se erano essi
tuttavia deputali ad onorare sì l'uno, che gli altri due
numi più antichi.
Verso i tempi medesimi , che ci danno i Ministri
Augusti, i Saccrdoles, e i Flamines, vediamo costru-
irsi in Pompei il tempio della Fortuna Augusta , e'I
grandioso edilizio dedicato alla Pietà della Concordia
Augusta dalla sacerdotessa Eumachia , ed io lo reco
tutto al nuovo movimento impresso nella Colonia a
rabbellirsi dal supplemento dei veterani , che si fab-
bricarono il pago Augusto Felice Suburbano al 747,
dalla qual' e[)oca data la costruzione dei due Teatri ,
e dell' Anfiteatro , siccome ho dimostrato più avanti
(an. I. p. 145 s. ). Pare quindi che siasi accesa una
gara tra i vecchi e i nuo> i coloni di abbellire la ciltà
di nuovi e splendidi edifizii, la più parte dei quali por-
tassero in fronte il nome dell'Imperatore, e fossero
destinali a crescerne l'idolatrico cullo. Tra questi mo-
numenti pubblici prese il suo posto anche 1' Augu~
— 5 -
sieum, del quale ho qui intrapreso di mostrare l'esi-
stenza , e di determinarne la fabbrica.
Io dico adunque , che l' edifìzio detto finora tem-
pio di Quirino sia stato invece un Aiigufleiiin : e ne
prendo le prove dall'ara, che vi è collocata nel mezzo.
Essa è pubblicata nel voi. VI. a tav. LVII. del R.
Museo Borbonico; ivi pure se ne legge la interpreta-
zione data dal eh. sig. Cav. Pinati. Nella fionle si
vede scolpito un sacrifizio di un loro : e già il sacer-
dote pone r incenso sul fuoco, ove si consumano le
offerte , intanto che il ministro col maglio s avanza ,
tenendo per la fune la vittima. Or se un sacrifizio
hosdae maioris ci potrebbe condurre il pensiero ad un
Giove (v. il Marini Fr. Arv. p. 4G) , ad un Apollo
(Plut. IMarcel. cf. Homeri II. 1, -'lO, Virg. Aen. Ili ,
119), ad un Nettuno (Virg.l.c), e che so io: la parte
opposta dell'ara per buona ventura ci toglie d'imba-
razzo, determinando ottimamente l'alto personaggio
a cui si prepara questo sacrifizio. Di chi sia simbolo
la corona di quercia fra due lauri udiamolo da Ovi-
dio (Metani. 1, 562), che dice:
Postibus aitguslis eaclcm fidissima custos
Ante fores slahis, mediamque lueberc quercum.
(cf. Ovid. IV Fast, 933, Trist. Ili, 1. 39, Plin. II.
N. XV, 30): e Dione scrive: xcù yàp toVì TàsSaipvocs
TTpò rwv fixiTiyjiwY cuvrou TrportQsffS'xi , x%\ rò ròv
(TTiy'xvoy TÒy opciiov V7r\p oivrwY ctpràcrScti ì^^Ti^iij^y]
(LUI, 16, Reimar. cf. Mou. Aucyr. C. I. col VI,
lin. 17. segg. ). E qui il eh. collega Minervini sot-
tentra opportunamente a dimostrare con altro esem-
pio essere la vidima maior appunto quella , che gli
Augustali sacrificavano ad Augusto [Jiaìl. Nap. HI,
103,); laonde altro non rimane che di riconoscere
quivi un sacrificio fatto ad Augusto, e per conse-
guenza un'ara sacra al cullo di lui. In un edifizio
d'indole già molto apertamente sacra, se io trovo una
iscrizione, un donarlo, comincio a studiarmi di rile-
vare quindi, se è possibile, l'antica destinazione del
santuario : ma quando vi trovo l' ara alla quale si fa
il sacrifizio , e sopra di essa scolpili gli emblemi che
mi pongono davanti Augusto, non ho affatto più luo-
go di dubitare, che esso non sia un ^M^?<stfuȓ, ossia
una cappella oonsecrata al genio maggiore che adu-
lassero i pazzi pagani coi loro incensi , e colle loro
vittime. Sarebbe qui pregio della scoperta di dichia-
rare la condizione del sacerdote, che offre l'incenso,
e poi abbrucerà le carni del loro al divo Augusto: è
egli il Flamen Aiujmti , o il Saccrdos Augusti , o più
veramente 1' Edile incaricato dei voti publici per la
salute dell' Inqieratore ? Credo sia invece scolpila la
cerimonia della consecrazione, e che il sacrifizio vi è
operato dal Pontifex. Ne prendo argomenti) dal lituo
augurale, che è scolpito sul lato sinistro col manlele,
e l'acerra thuris; il quale slrumenlo era essenziale al-
la cerimonia della scelta e della determinazione di un
luogo, ove avesse ad erigersi un santuario pagano. A
tal superstizione riferisco i fuor di squadra nella po-
sizione di questo edifizio. Se ai Duumviri, e agli E-
dili erano accordali due littori , come ha dimostrato
Lipsio ( Elect. 1, 23), non è certo che gii Augusta-
li nelle funzioni del loro grado ne avessero uno , co-
me stima il eh. Cavedoni (7)«ss. sui littori, Mem. di
Relig. Stor. Lett. Modena voi. VI). Altrove mi sono
argomentato dimostrare il contrario coi momnnenli,
che portano scolpifi due fasci , o due littori coi loro
fasci, e sono consecrali alla memoria di alcun seviro
Augustale (Stor. d'Isernia, p. 124, 12!i). La slessa
cosa vediamo qui, ove se è vero, come ho opinato ,
che sacrifica il Pontifex la prima volta nel giorno
della dedicazione, sarà ancora dimostrato, che a que-
sto capo del sacerdozio municipale si concedevano nelle
sue funzioni i due Ultori. Polrebbe per allio sembrar
egualmente probabile, che tal cerimonia fosse aflidala
ad uno degli Edili V"A-S P-P, Votls Augusto Solem-
nibus Publice Procurandis. Più lar<li furono creati gli
Augustaìes, e questi ebbero la loro curia o plwlrium,
che io sfinio essere quell'edifizio, cheèal fianco deslro
dell' arco sacro a Nerone ; e ne credo ottimo indizio
il triclinio destinato alle cpìdae ed alle i-isceroliones.
In esso venivano onoiati di cullo lutti i personaggi
della famiglia imperiale, tenendovi però il primo po-
sto Augusto , al cui lato deslro abbiamo trovata la
statua di Livia in abito di sncerdolessa di lui , ed al
sinistro Druso il figlio. Stando alle osservazioni gi.ì
esposte intorno alle antiche escavazioni pralticate ia
— 6 —
Pompei sin dai primi tempi, ed al poco dì materiale,
che dovea aver ingombrato questa parte elevata del-
la città , sono persuaso, ciie altre statue doveano es-
sere collocale sui basamenti , dei quali è rimasta
qualche traccia, a cui corrispondono di numero an-
che le dodici camerette , nelle quali doveano essere
riposte le sacre suppellettili appartenenti al culto.
molto utile a' suoi interessi credette Eumachia fi-
gliuola di L. Eumachio , e madre di M. Numistrio
Frontone , sacerdotessa publica, erigere un Calcidico
dedicandolo alla Pietà della Concordia Augusta, e si-
milmente M. Tullio un altro tempio eresse alla For-
tuna Augusta. M. Numistrio Frontone figlio di Eu-
machia fu duumviro nel 73o, e M. Tullio aveva retto
il duumvirato la terza volta , quando costruì il tem-
pio già detto , al ministero del quale stabili sotto la
dipendenza del magistrato, e con proprie leggi un col-
legio , del quale ufficiarono i primi nel 737 , sicco-
me si ha da una lapide trovata ivi , col consolato dì
Silio, e di Saturnino (/. N. 2223).
Gakrccci.
6. J due Teatri.
È vero, che da* racconti di Pausania, di Plutarco,
di Snida, e dalle parole di Vilruvio risulta, che \'0-
(leum era un t&'ttos ^sccr postar fi coperto da un letto ;
ma ciò non era poi bastante a dichiarare Odei tutti i
teatri coperti, come si è fatto finora. Per tanto ninno
di coloro , che ci descrivono i teatri degli antichi ha
sapulo trarre ancora fruito da un noto passo dì Ter-
tulliano, donde, se mi ;.ppongo, può dimostrarsi, che
l'usanza di costruire i teatri coperti era diflusa pei mu-
nicipìi e per le colonie, a fine di avere all'inverno, ove
commodamente assistere alle rappresentanze. Video et
Thcatra, nec singula satis esse, ncc ìiiida: nams ne vel
hicme voluplas impudica frigeret, primi Lacedaemonii
odium pacnulam Itidis eoccogitaverunt (Tertul.^;;o?or/.c.
VI).I1 qual luogo comunque corrotto in parie (1), pure
(1) È giocoso il commento di llavercanip M'odiutn pacnulam,
eh' egli coir aiiloriià di un sol codice corregge odium paenulae ,
imagìnando, che Tertulliano « eleganler odium paenulae dicit prò
assai chiaramente c'insegna, che fu costume di coprire
i teatri, ne hieme voluplas impudica frigerel: cioè che
ai tempi di Settimio Severo si rappresentava sì nei teatri
coperti , come nei teatri senza tetto , né volte : e che
questi teatri coperti non erano tenuti per feste di mu-
sica , né per concerti delle rappresentanze , siccome
gli Odei presso i Greci (Suid. in Lex. v. 'mÌiTov, Schol.
Arisloph. in Vesp. v. 1109, ed. Diibner), cui l'in-
dole stessa delle musicali esercitazioni richiedeva, che
fossero coperti. Io non negherò per tutto questo che
i primi teatri coperti siano slati appunto gli Odei, la
origine dei quali Vilruvio fa risalire a Temistocle, e
la più parte degli storici a Pericle; ma credo l'uso di
rappresentarsi d'inverno accennato da Tertulliano as-
sai più conforme al genio romano , che non mostrò
mai tanta inclinazione alla musica, come il greco. La
iscrizione del Teatro scoperto ci dice che M. Artorio
ne fu l'architelto, e che i due Olconii Rufo, e Celere
costruirono col loro denaro CRYPTAM, TRIBVNA-
LIA , TIIEATUVM.
A coloro che leggono questa lapida nasce sponta-
neamente desiderio di intendere, che cosa sia la cry-
pla , e i tribunalia qui ricordati : perocché se queste
sono parli del medesimo edifizio , siccome dei Iribu-
nalia s'intende da sé, col semplice confronto di ciò ,
che ne scrive Vilruvio ( L. V, e. VII) , e ì commen-
paenula odiosa, et quìa gravis materia crassa et pondere, et quia
nova romanis inoribus (Comment. ad hunc loc.j. A toglier di
mezzo il ridicolo basta rillellere , che odium in mano ai copisti
equivale ad Odium ( 'iJhuwv ) Odiorum, Odeorum Risulta quindi
colla ragionevole interpretazione del passo un confronto ben pre-
gevole e decisivo alla voce pacnula nel senso di 'ìpt-\,i; mpixXi-
vris, xai xuTuvr-fig, iixinv xai fxijj.'rifi.a Trjs (JatTiXix^s tfxr/vris
(Plnlarch. in Pericle, Paus. in Att. 20, 31, Siebelis). Non entro
qui garante di Tertulliano che attribuisce ai Lacedemoni ciò, che
altri agli Ateniesi, la prima costruzione degli Odei, più che altri
non faccia di Vilruvio, che dice Temistocle, e non Pericle il pri-
mo costruttore di essi; solo dico, che con taln correzione deH'odmn»
io vedo chiaro il senso di Tertulliano. Non siete paghi, die' egli ai
pagani , di un solo teatro nelle città vostre , ne fabbricate due ,
UDO nudum, l'altro non nudum, ma tectum: perocché i Lacede-
moni i primi inventarono i teatri coperti, Odeorum pacnulam lu-
dis cxcogilaverunl (cf. TECTVM PORTICVS CVM SVIS COLV-
MNIS ET PAENVL • DVARVS ET ■ OPERE ■ TECTORIO in lapida
di Aosta, Creili /. Lai. 3284). Stazio colla medesima frase che
Tertulliano , ha scritto : Et geminam molem nudi tectique Thea-
tri (Silv. ni, V, 91 ;.
— 7
taloii di Siictonio ( in Aiig. -ì 4 ) , e della cnjpla , col
paragone dei luoghi , ove è lolla nel senso di cryplo-
jmrlìcus, come in Sucfoiiio stesso (Suet. inCalig. 58),
e ncU'edifizio di Eumacliia ([ili in Pompei ; so (|ueslc,
dico , sono parli del medesimo odili/io , perchè non
era sufficiente il solo vocaholo TIIEATRVM? Vera-
mente senio anch' io la difficoltà di uu fraseggio tanto
singolare , osservo per altro , che in un' epigrafe si-
milmente pompeiana, si legge CIIALCIUICVM, CllY-
PTAM, PORTIGVS nominarsi insieme, memhra an-
ch' essi di un solo edifizio. Or quando la fai)brica di
Eumachia è un Cluilciilicum , e questo composto di
non allro, che della crypla,e dei j'oilims, che valeva
il dire, che essa ha fatto costruire la cnjpta e iporii-
cus col Chalcidicum ? non bastava di aver detto Citai-
cidicum? Che se si vuole averla qui descritta per ])rtr-
tes, nominando Clialcidicum, Cnjpiam, Porlicus; non
si dovrà adunque condannare gli Olconii, i quali pa-
rimenti hanno scritto, Theatrum, Cnjptam, Trihuna-
lia. Credo perciò che Tliealrum sia il nome dell' edi-
fizio, e mi par men male di scusare una verbosilà forse
non inopportuna a mettere meglio in veduta le utilità
di fabbriche costruite coi migliori commodi possibili,
che di slimare con altri il r/(a/c/(/<VHm parie della fab-
brica. A slimarlo nome di un edilizio concorrono le
iscrizioni , ove si nomina tra le fabbriche costruile il
Clialcidicum cwn suis oniameniis ( v. la mia storia d'I-
sernia p. 91) e Curiam et coniinens ci Chalcidicum
dell' Index rerum geslarum di Augusto. Garrucci.
7. Dell' edifizia detto Triibùs, e rfe//a voce Cùmbenniùs.
I dotti , che quasi imiversalmenle ora convengono
intorno alla interpretazione delle epigrali osche , non
hanno determinato ancor nulla del significato delle
voci Triibùs, e Cùmbenniùs. Dirò quel che me ne
sembra. Pompei , come il reslo della nazione osca si
reggeva a Repubblica verso gli ullimi tempi. È da un
pezzo , che vado osservando Ira gli Osci , e i Greci ,
segnatamente Dori , grandi analogie. Io credo , che
per loro costituzione il popolo si dividesse in tribìi ,
che queste presedessero alle decisioni successivamente
nel corso dell' anno. Per conseguenza io scorgo nel
nome Cilmhcnniù^ il nome della tribù , che decreta
r impiego del denaro lasciato alla Repubblica da Adi-
rano , siccome in altro raonuinenlo pur pompeiano
Tiiinpararrith è a parer mio nome di allra Iribù. Se
Vcrcia si è bene spiegalo Rcspublica, e Scnatiìs equi-
vale al Ialino Scnatus, ci non resta allro ripiego, che
(pieslo per spiegare che cosa sia il Cùmbenniùs, e '1
Trimbaracciùi^, che decretano in cose piibbliclic.
La trcbùs osca io credo nome del luogo , ove era
convocala la tribù , e veggo nel pilastrino di pietra ,
coi gradini collocato rimpello alla porta di questo edi-
fizio il basamento del pulpito , finito certamente e
coperto di sopra da opera di legno , ove 1' oratore
proponeva all'assemblea, che di sotto ai portici Io
ascollava. GAriRccci.
8. Tempio di Mercurio e Maia.
Se Mercurio e Maia ebbero ministri in Pompei, non
doveva loro mancare un tempio : ma dove lo cerche-
remo? Ninno per quanto so, vi ha finora pensalo,
e mollo meno , che il tempio di Mercurio e di Maia
potesse riputarsi quello , che comunemente credo-
no di Venere, e che sfa sulla sinistra del foro , dopo
la basilica. Ma che questo debba stimarsi , me lo fa
credere un enorme |3aXavGC, che io ritrovo in un an-
golo della cella a sinistra. Di monumenti antichi che
ricordino il cullo congiunto di Mercurio e Maia io
non ne conosco fuori di Pompei cIì(> uno , il Calen-
dario Venosino. Al "ionio sedici di MaL^^io si Ie"f'e
XVII • FMERGVR iMAIAE (il Merkel corregge ID-
M* p.L.); e l'Oielli ha torto di avere interpretato 1/er-
curii Mariae ffìliij nalalii {Coli, hifcr. Lnt. p.il'i.T.
II. ) ; né avveri!, che nel mese appunto di Magjzio si
sacrificò a Mercurio ed a Maia come ne avvisa Ma-
crobio; Hoc mense mercalores omnes Maiac pariter
Mercurioqiic sacrifìcant [Sidurn. 1, e. 12. cf. Meikel
ad Ovid. fast. CLXXXII. ). Dal qual passo diiMacio-
bio avremo imparalo ancora la ragione potissima di
un culto cosi singolare in Pompei.
Che cosa fosse Pompei una volli! prima di meritare
la denominazione e i dritti di città, 1' ho accennalo fin
da principio ragionando della probabile significazione
— 8 —
del nome sulla scorta di Strabene. Posto adunque,
ohe questo fosse un luogo centrale di commercio,
egli è ancora spiegato per l' autorità di Macrobio co-
me vi fosse celebre il culto di Mercurio e di Maia;
alle quali due divinità i Mercalores, per lo appunto
raccomandavano la buona riuscita dei loro trafGchi.
Della dea Maia non ci parla finora verun monu-
mento , ma né di Mercurio, se non le iscrizioni, che
abbiamo dei ministri di ambedue : ma se la dea Maia
è la stessa cosa, che la Dea Terra, siccome opinava-
no alcuni con Labeone : A/finnant quidam , quihus
Cornelìus Laheo consenih , liane Maiam, cui mense
maio res divina celehralur , (erram esse ; e se le sigle
T. D. V. S. di una lapida votiva trovata appunto in
questo tempio molto probabilmente sì spiegano Tel-
luri Deae, Voto Soluto, avremo un argomento di
più in conferma, che questo è il tempio di Mercurio,
e di Maia , Biòóv ffVfxfìoMoov , cioè onorati allo slesso
altare , e coi medesimi sacrificii. Garrccci.
9. Si è rinvenuto finora alcuna cosa di cristiana
credenza in Pompei ?
A dar una giusta risposta a tal domanda conver-
rebbe aver atteso a tutto ciò che si è finora disotter-
rato in Pompei : ma niun può rispondere delie sco-
perte antecedenti, cioè di tutti i particolari , fino alle
iscrizioni graffite si numerose in tutte le pareti, la cui
impoilanza è stata finora con tanto danno quasi del
tutto inavvertita. Manca l'esame delle suppellettili, delle
quali molla parte è ammassala nei magazzini, manca
la lettura del giornale degli scavi , donde si potrebbe
almeno avere una imperfetta descrizione di essi. Non
v'ha poi un esalto registro di tutte le leggende parie-
tarie dipinte a pennello , che non basterebbe neanche
di aver copiale dai primi intonachi ; costando a me
per esperienza , che caduti questi , altre epigrafi sot-
toposte sono venute a luce , non copiate affatto da ve-
runo prima di me , e lo ha dimostrato anche la sco-
perta, che vi ho fatta dell'intera leggenda ORO VOS
FACIATIS , e posso aggiungere , che tutta quasi
quella via mi ha dato leggende nuove, e di non me-
diocre utilità , siccome appare da quel frutto che ne
ho tratto nell'articolo intorno aWAmhulazione di Pom-
pei. Dopo tale protesta , dico , che io son ben sicuro
esservi stati Cristiani in Pompei, siccome non poteva
mancarvi un numero di Ebrei in luogo si centrale di
commercio. Preveggo ancora, che si potrà avere più
luce in tale quistione, quando perverrassi alle parti
della città più ignobili, e verso il Sarno, ove, avreb-
ber dovuto abitare gU Ebrei, ai quali gli Apostoli re-
cavano ordinariamente la buona novella, e per loro
mezzo anche ai proseliti, onde si propagava fra gentili
la notizia della redenzione. Ilo letto su di una parete
in lettere greche alcuni nomi evidentemente orientali,
ed asiatici si, che possono convenire anche ad Ebre',
come Meroah: ed Ebrei credo indicati nella voce VER-
PVS , che leggesi in un programma rLOLLIV'M D..
VERPVS ROGAI, che confronto ad un'epigrafe di-
pinta: lAMDOCVI FELICES VEaPI(cf.Iuven. Sat.
XIV, V. 99, 104 e lo scoliaste. Marziale VII, ep. 8t
XI, ep. 93. ) ; e paragono al fullo , allo studiosus, al
pislor, che, come ho detto più avanti, hanno la forza
di plurale. Attenderemo adunque che gli scavi si ri-
volgano a quelle ultime parti di Pompei per vedere,
se questa conghiettura è felice.
Una lucerna , che gli Ercolanesi dicono scoperta
in Pompei nel giorno ultimo di gennaio del 1756
{Antichità di Ercolano p. 2191) e il giornale uffiziale
agli 11 gennaio di quest'anno ( Fiorelli , Docum. O-
rigin. degli scavi di Pompei voi. 1 col. 50) , è cri-
stiana senz' alcun dubbio, ma del quarto secolo; onde
non fa luogo recarla a soluzione del quesito. Gli Er-
colanesi , che non si avvidero dell' epoca , diedero
una dichiarazione poco esatta, fliilluaudo tra* le croci
cristiane , e le cosi delle croci ansate degli Egiziani ,
colle quali non è da cercarsi confronto in quesie nostre
terre. Deve esser quindi riposta tra le suppellettili dei
cavatori del secoloquarto; che siccome abbiamo di so*-
pra avvertito , in tutti i tempi cercarono Pompei.
Garkucci.
P. Raffakle Garrccci d.c.d.g.
Giuuo MiNEKViM — Editori,
Tipografia di Giuseppe Cutaneo,
BULLETimO ARCnEOLOfilCO MPOLITA^O.
NUOVA SERIE
iV." 26. (2. dell' anno IL)
Luglio 1853.
Notizia de più racemi scavi di Pompei — Sul vaso di 67/sse Acanlhoplex: da lettera del eh. sig. cav. Wtìchcr
al sig. Giulio Minervini. — Giunta all'articolo precedente. — Delle Monete attribuite a Palatium, o Pala-
cium della Sabina, o dell' Umbria che dir si voglia.
Notizia de' pili recenti scavi di Pompei.
Cominciamo dal riferire i differenli programmi
scrini all' esterno de' muri degli edifizii esposti alla
strada , che mena alla porta Slabiana ; ove si prose-
gue con alacrità la scavazione.
Sono essi i seguenti :
1 . P • VED • • • • Forse ha relazione al P. Vedio
Nummiano, di cui è menzione in altri programmi nella
medesima strada (v. questo bull. an. I.p. S9 e 71).
2. PAQVIVM
. 3. SILLIVM
MAGNVM II V • I
D 0^
4. HOLCONIVM
IIV I • D • LIGNARI
IVVENEM • EGREG
Non è la prima volta che la corporazione de' Ugnarli
si vegga raccomandare qualche personaggio al suf-
fragio degli elettori : così troviamo i lignari plostrari,
che domandano alla edilità .Varce/Zo in altro program-
ma da molto tempo conosciuto (cf. questo ballettino
an. I. p. 150). Il programma di Olconio è segnato
di nero; ma vedesi frammisto all'altro seguente scritto
di rosso , ed anche in parte perduto :
5. POSTVMIVM
POPIDIVM • AED • CVM
ROG
Più importante si è una iscrizione , che leggesi dir
piota di rosso sulla tegola sottoposta ad uno di quei
falli di terracotta , che non poche volte ritrovammo
AANO 11.
presso le abitazioni pompeiane. Il fallo è abassorilie
vo dipinto di rosso in campo azzurro.
La epigrafe è la seguente
VBI • ME • IVVAT • ASIDO
Notevole è la ortografìa di quest'ultima voce, nella
quale io riconosco adoperala una sola sibilante invece
di due. Certamente lo scrittore pompeiano segnò A-
SIDO invece di ASSIDO. Non è raro trovar nelle
iscrizioni una sola consonante in luogo di due ; il che
dovrà per avventura attribuirsi a particolare pronun-
zia : e propriamente 1' S incontrasi mancante non una
volta sola nel nome SVCE.SVS , ed in altre simili
voci. È stalo notato da' grammatici che il verbo ad-
sido in se contiene il significato di movimento, quasi
di correre a trattenersi. Questa intelligenza appunto
va mollo hene applicata alla pompejana iscrizione, la
quale, a mio giudizio, messa in raj)porloconunpria-
pico simbolo, dimostra che si accenni ad una casa di
dissolutezza; e ci porge un valido argomento per giu-
dicare il fallo presso alcune delle ponipejane case es-
sere destinato ad indicare lo sconcio e turpe costume
di quelle abitazioni.
Volendosi dalla Direzione degli Scavi pratticareun
taglio per incanalare le acque a poca distanza dalla
porta Slabiana , si è incontrata una lava vulcanica.
Questo strato di lava vesuviana è sottopo.slo all' an-
tica strada Slabiana circa palmi quattro, i quali sono
occupati da un masso di terra , sul quale si distende
il lastricato. Si è finora verificala 1' altezza di questo
strato vulcanico sino a palmi cinque e mezzo , ma
non si è pervenuto a misurarne tutta la profondità.
Sin da molto tempo addietro si ha notizia di simili
10 —
strati di pietra nera vetrificata ; ed io mi contenterò
di citare la notizia comunicata all' architetto Aviano
da Francesco Antonio Picchiatti, e riportata dal Bian-
chini ( ist. univ. p. 246 seg. ). Queste tracce di anti-
che eruzioni , precedenti alla catastrofe pompejana ,
ci additano donde fosse tratto il materiale delie tante
vie lastricate da pietra vesuviana , della quale in tem-
pi remoti aver dovettero i Pompejani le cave nel re-
cioto stesso della città. La eruzione , alla quale è do-
vuto lo strato di lava novellamente scoperto , prece-
dette la ricostruzione delia strada di Stabia, alla quale
si trova immediatamente sottoposta. Non saprei se fosse
appunto quella la circostanza, in cui fu necessario rifare
la strada Slabiana, la Pompejana, la Giovia, e quell'al-
tra che coll'inesplicalo \ocaho\o Dekkviarim viene nella
famosa lapida viaria osca denominata. La rifazione di
ben quattro strade non potrà probabilmente attribuirsi
che ad un particolare avvenimento il quale le abbia
danneggiate. Tal sarebbe una vulcanica eruzione, con
tronchi di lava , che rendano le vie impraticabili. In
questa ipotesi , ove ad alcuno sembrasse plausibile ,
si vedrebbe forse confermata la mia spiegazione deli'
ultima parte della citata epigrafe osca , in quanto alla
restaurazione delle strade fdenuupsemj , e non già alla
primitiva costruzione fuupsemj : alla quale idea fum-
mo allora condotti , per credere poco probabile la
formazione di tutto un novello sistema di strade, trac-
ciato ed eseguito contemporaneamente e sotto i me-
desimi edili.
Comunque sia di queste nostre vedute, che abbiamo
sviluppate in una memoria letta alla Reale Accademia
Ercolanese sopra queste più recenti scavazioni ; pas-
siamo a dar la notizia di un più interessante ritrova-
mento , che ebbe luogo verso gli ultimi giorni dello
scorso mese di giugno. Proseguendosi il disterro al
principio di una strada perpendicolare alla Stabiana, e
che sembra far continuazione con l'altra pubblica via,
che discende dal Foro civile, furono rinvenuti due pie-
distalli ad una certa distanza fra loro , ed addossati a
due pilastri di mattoni, su' quali si veggono le tracce
de' soliti programmi scritti di rosso. Presso uno di
essi scorgesi la terra rimossa, per modo che si appa-
lesa essere stata in quel silo anticamente frugala. Di
fatti sul piedestallo di fabbrica , spogh'ato delle lastre
di marmo, che in origine lo rivestivano , non si vede
la statua , la quale certamente vi poggiava ; e solo si
è fra le terre raccolta in quelle vicinanze una testa mu-
liebre di mediocre lavoro che appartenne per avven-
tura alla statua del piedestallo , già precedentemente
sottratta. Più interessante è l' altro piedestallo , mo-
strandosi perfettamente conservato. É questo rivestito
da lastre di bianco marmo. La parte superiore è co-
stituita da un più grosso pezzo di marmo con scor-
niciature : ed a questo si sovrappone un dado egual-
mente di marmo , ma di più piccole dimensioni, sul
quale poggiava una statua colossale della medesima
pietra , alla circa otto palmi, che fu rinvenuta abbat-
tuta sotto grandi massi di lufodiNocera.La parte an-
teriore del piedestallo, volta verso il Foro , presenta
una latina iscrizione, della quale parleremo fra poco.
La statua , della quale ho detto , è di mollo accu-
rato lavoro: soltanto la testa, separatamente eseguita
sin dall'antico, mostra minor sapere artistico, e mi-
nor diligenza , che lutto il rimanente della scultura ;
e lo stesso ci sembra delle braccia, delle quali il dritto
è saldato sulla spalla con perno di ferro , ed il sini-
stro nel gomito. Una delle gambe è addossata ad un
forte tronco di albero di marmo, da cui parte un più
sottile ramo a sostegno altresì dell'altra gamba. Il si-
nistro braccio è abbassato, e vedesi nella mano al dito
anulare un grosso anello senza particolare suggello. Il
destro braccio è sollevato ; manca però la mano, per
modo che ci lascia nella incrtezza se avesse qualche
armatura, o altro oggetto qualunque: non disperiamo
però di veder quanto prima compiuta per questa parte
la statua , proseguendosi in quel sito lo scavo ; giac-
che è pur venuto fuori il lobo dell'orecchio sinistro,
che fu posteriormente ritrovato : se pure non sia av-
venuto che quella mano fu anticamente ritrovata ,
quando frugossi la terra circostante all' altro piede-
stallo, siccome innanzi dicemmo. Assai complicalo è
il vestimento di questo personaggio. Vedesi una tuni-
ca sottoposta ad una lorica fregiata di svariali orna-
menti, e finalmente una specie di clamide sospesa ar-
tisticamente alle braccia : i calzari compiono l' abbi-
giiamento.
— 11
I fregi della lorica sono degni di particolare atten-
zione : nel sito corrispondente agli omeri è scolpilo a
bassorilievo un fulmine d'ambi i lati: dalla parte po-
steriore due lacinie vengono a congiugnersi al torace
per mezzo di un doppio nastro : uno de' quali è fer-
mato ad un anello pendente alla lacinia stessa, e l'altro
ad una lesta di leone sporgente dal torace. Nel mezzo
del petto è ima grande testa di Medusa con lingua pro-
minente , e con un nodo di due serpenti die si avvi-
ticchiano sotto il mento. Più indù veggousi due alati
mostri (Grifi) con teste di pantera da cui sporgono
grandi corna, e con corpo di leone, i quali sollevano
simmetricamente una zampa sopra una specie di can-
delabretto , che offre in cima una fiammella accesa.
Sotto è una capricciosa ramificazione , al cui mezzo
è sottoposta una grande palmetta. AU'esIrcmo infe-
riore della corazza pender si mira un triplice ordine
di fimbrie a forma di squame : in ognuna di queste
scorgonsi diverse scollure a bassorilievo. Nel primo
ordine appajono fra loro alternate tre leste virili e
barbate e quattro teste muliebri: le prime sopraslanno
ad una palmella rovesciata, le cui foglie si mostrano
concave nella parte superiore, e convesse nella infe-
riore; le altre, cioè le muliebri, stanno al di sopra pa-
rimenti di palmette rovesciate, le cui foglie hanno la
opposta conformazione. Delle due squame estreme ,
che conqjiono il numero di nove , quella a sinistra è
liscia senza alcuna scoltura, quella a destra presenta
una testa femminile di fronte.
Nel secondo ordine costituito egualmenle di nove
squame, vcggonsi fra loro alternati due diversi orna-
menti : il primo è formato di due teste di montone
rivolte ad opposte direzioni , ed al di sotto fra esse
nna palmetta: questo si ripete tre volte: il secondo si
compone di due teste di elefante similmente disposte
in contrarie direzioni , e di una palmetta: questo ri-
pelesi quattro volte. Le due estreme lacinie non ci
offrono che una sola testa di montone di più grandi
dimensioni.
Il terzo ordine di squame solo in parie visibile non
presenta che una specie di caulicolo più volle ripe-
tuto. Dalla premessa descrizione, nella mancanza di un
esalto disegno , potrà di leggieri rilevarsi la impor-
tanza della novella statua. Ma di un'altra particolarità
far deggio menzione ; ed è che in tulio il lavoro veg-
gonsi tuttavia le tracce de' colori, i quali erano ancor
più visibili al momento della scoperta: ed è utile ser-
barne diligente memoria , perchè non islarà mollo e
si perderà qualunque vestigio di dipintura all' azione
dell'aria atmosferica.
La testa mostrasi di un uomo di avanzala età alle
rughe incavate nel marmo fralle ciglia e presso le
tempia ; ma oltre a questo lavoro di scultore , se ne
accresceva lo spicco col colore de' capelli in gran parte
conservato , dell'iride, e delle ciglia, che si veggon'j
ancora. Mi è stalo riferito che nel momenlo dello scavo,
a cui assisteva il eh. signor Principe di San Giorgio,
era talmente visibile la lìnta della carnagione sul volto,
nelle braccia, nelle gambe, che dava quasi la idea di
un uomo vivente [ùultosto che di una statua. La tu-
nica sottoposta è bianca, ma orlata di un giallo mean-
dro, con Hneetta ripetuta nel mezzo di ogni suo com-
partimento dipinta di azzurro: questo meandro è quasi
interamente distrullo. Poche tracce restano del rosso
colore che tutta risaltar faceva la clamide ; ma assai
più della nera tinta de' calzari. Sulla corazza non è
vestigio alcuno di colori. Il tronco al suolo era dipinto
di verde , che ora più non appare.
Sicché la nostra pompejana statua è un altro no-
tevole esempio della scoltura policroma, che sappiamo
essersi dagli antichi adoperata.
Il costume di dipingere le auliche statue fu in tempi
remoti pratlicato da' Greci. Platone ricorda ol tols
(xv^fi%\r%ì ypoiJ^OYrsi ( de Rep. IV p. 420 ) : Plutarco
rammenta essere in Atene iyay^jLxrwY syxcti'ffrai ,
xix] xpfo'"''''^'' •«'*' fiy.'^iìi [de Glor. Aihen. § VI, t.
Ili , p. 93 ed. Hutlen. ) ; e che la medesima pratlica
si esercitasse in Roma rilevasi da una greca iscrizione
di un certo Afrodisio, che vien detto xy %Xix'ji.r ot^oiqs
iyxrnLiffry,i (Weicker Syll. ep. gr. p. 163). Né diver-
samente intender si dee dell' opera prestata da Nicla
alle marmoree statue di Prassitele.
Non pochi monumenti vennero a confermar questo
fatto, e già molte discussioni ebbero luogo a tal pro-
posito ; alle quali presero parte il Winckelmann . il
Visconti, Quatremère de Quiucy , il Muller , l' Her-
— là —
mano, il Raoul-Roclietfe, ed altri sino al sig. Giorgio
Scharf, che ne ragionò ultimamenle nel Miiseum of
Qassical Aniiquilks, che vede la luce in Londra per
le cure del signor Eduardo Falkener.
Mi piace qui soltanto di osservare che le scavazioni
di Ercolano e di Pompei ci fornirono i più belli esem-
pli di un tal costume. La Palladc Promachos di Er-
colano conserva ancora le tracce della dipintura ; eia
famosa statua di Diana della medesima provenienza
offriva agli occhi di Winckelmann e de' suoi contem-
poranei dorature e colori nella carnagione, nella chio-
ma, e nelle vesti. Non meno fertili di simili ritrova-
menti furono le scavazioni pompejane; e siamo sicuri
che diligentemente esaminandosi gli oggetti al mo-
mento in cui sono scoperti non tarderanno a molti-
plicarsi gli esempli della scultura policroma , anche
nelle statue di marmo.
La celebre statua d' Iside offre in molti punti le
tracce di doratura , siccome venne osservato dal no-
stro collega cav. Finali ; e probabilmente era in ori-
gine dipinta. Tutti ricordiamo le statuette venute fuori
nel 1845 dallo scavo pratlicato alla presenza degli
scienziati italiani : mostravansi esse di marmo di|)into.
Ora la statua colossale novellamente scoperta è un al-
tro notevolissimo esempio del costume , a cui accen-
niamo , neir epoca Augustea.
Senza fermarmi piìi oltre su di una particolarità ,
che non riesce nuova a' cultori dell' archeologia , ri-
sponderò ad una domanda che sorge spontanea dopo
il fin qui detto : chi fu mai il personaggio rappresen-
tato nella statua pompejana ?
Basta a darne piena contezza la iscrizione , che si
legge in fronte al piedistallo , eh' è la seguente
M . HOLCONIO . M . F . RVFO •
TRIB . MIL . A . POPVL . IT . VIR . I . D . V
QVINQ . ITER •
AVGVSTl . GAESARIS . SACERD •
PATRONO . COLONIAE
ladini, costruì insieme con Olconio Celere il teatro sco-
perto. Nella citata dissertazione da me letta alla Reale
Accademia Ercolanese, ho raccoltele varie memorie,
che ci restano di questo benemerito magistrato: e col
confronto delle varie iscrizioni , nelle quali è nomi-
nato, ho stabilito che l'epoca in cui fu messa ad DI'-:
conio la statua, fu di parecchi anni posteriore al 752^
e non potè probabilmente oltrepassare il 767. >
È certamente in allusione al grado militare di 01-:
conio, che vedesi la sua mimagine rappresent;ita sotto;
le militari divise, abbenchè in eroica armatura. L'a-;
nello era forse in origine dipinto ad oro ; giacché è
risaputo che dalla differenza del più nobile metallo ,
distinguevansi i tribuni dal resto de' soldati (Slewech.
ad Vegel. 1. 2 cap. 7 p. 77). La ricca corazza, di che
vedesi adorno il magistrato pompejano , e che offre
ornamenti molto somiglianti ad altre loriche distaine
imperatorie, dovrà attribuirsi alle eroiche forme, sotto
le quali fu Olconio effigiato. E la diversità dello stile,
osservabilissima fra la testa e le braccia , e tutto il
rimanente della statua , potrebbe farci pensare che
fosse stata in onore di Olconio eretta una statua pre-
cedentemente lavorala da greco scalpello , e rappre-
sentante un personaggio diverso , forse greco ; a cui
fu sostituita la testa di colui , che volevasi onorare.
Ma di queste cose , e delle varie magistrature di Ol-
conio , e specialmente del titolo (rib. a populo , par-
leremo nella suddetta memoria accademica ; non es-
sendo questo il luogo di lunghe discussioni.
Quello che vogliamo soltanto aggiugnere si è che
que' grandi massi di tufo diNocera additano aver esi-:
stilo in quel luogo una particolare costruzione, della
quale speriamo in seguilo di ulterioii scavazioni poter
fra breve annunziare Io scoprimento.
fconiinuaj Mineuvini.
Sul vaso di Ulisse Acanlhoplex : da lettera del eh.
Sig. cav. Wclckcr al Sig. Giulio Minervini.
I punti sono triangolari.
Abbiamo dunque la statua di quel M. Olconio Rufo,
A quale fra le altre largizioni prodigale a' suoi concia
É interessante quel che mi scrive sopra un vaso
pubblicato già dal d' Hancarville ed ultimamente da
me nel terzo volume dei miei Monumenti antichi
13 —
(p. 489), e credulo da me Irasportato in Ingliilleira
colla seconda collezione Haniilloiiiana, che lia formalo
il fondamento di quella , ora dispersa , di Tommaso
Hope in Londra. Dice che « ora ba vedalo queslo vaso,
e poiché era lulto ricoverlo di vernice, ne fece togliere
questo inulile velo ed ha esaminalo diligcnlemcnle il
dipinto ». Fece poi la scoperta di nomi ascrilli alle (re
figure, e sono KAJM . . PIX presso il navigante col re-
mo, che io ho nominato Ulisse Acanthopkx ; presso il
compagno con l'ancora la epigrafe AAlMOii e final-
mente presso la donna sullo scoglio nf)\TlA. Quanto
a quell'oggetto della forma di pastinaca (rpc^wv), os-
serva « che è costituito di lince graffile in una parti-
colare maniera e non da tratti di pittura ». Quel che
m'importa è che la pastinaca esiste sul vaso come nel
disegno , datone dal d' Ilancarville , ed esiste senza
dubbio nella bocca di un uccello , volante appunto
sopra la testa del da me credulo Ulisse , perchè Ella
ne avrebbe fatta menzione , se fosse allrimenle. La
pastinaca in bocca di un uccello, sopra la testa di un
navigante è la cosa caratteristica in questa pittura, da
cui dipende tutta la spiegazione. Ora che sia fatta col
pennello o in graffilo , questo non fa dilTerenza , e si
sarà preferita quest'altra maniera, perchè in linee
graffile si poteva esprimere più distintamente e più
durevolmente un oggetto di quella forma e di quella
piccolezza. Ella vuol sapere da me , se que' nomi
appoggino la mia spiegazione, e domandala mia opi-
nione sulle conseguenze di questa novità e sulla spie-
gazione della scena, messa in rapporto colle iscrizioni.
Non esito io a dire di si , che il Kcii/.;xofts è lo stesso
deWAcanlhopkx, e che quel nuovo nome conferma la
conghietlura fatta da me, venti anni sono. Ma volgendo
il foglio della Sua lettera , ho veduto che quell' idea
che mi venne nel leggerne la prima pagina , fu con-
cepita pure da Lei. Le sue parole sono queste : « I
nomi delle figure sono significativi , non proprii ; e
forse il KAMOPIi; quasi KAMMOPIS allude alla
violenta morte di Ulisse ». Non mi resta dunque altro
che di aggiugnere parecchi argomenti in conferma di
questa sua opinione.
E prima di tuli' allro voglio osservare che KAM-
MOPIS , eolla liquida doppia in mezzo , si può ri-
guardare come autentico , in quanto Ella mclle due
ptmli , rappresentanti due lettere mancanti, KAM..»
Pli). Kot/x.u'^P'S come sia diventato cognome di Ulisse,
non è oscuro. Leggiamo nell'Odissea che lo chiamano
così Telemaco, xìTtoy-ròv x«';i/xopov (II, 3ai), e nel-
r incontro stesso Calipso, KafA.aop; iAr\ ixoi Ìt'Iy^oC^^
St'fio ( V , 1 00 ) , Leucotea , K%ix:xr,[.s , tiVts rot
wh UoTiiòoLcoY X. r. X (V,339), l'ombra della sua
madre, ùj ixoi r-xvoy s'j.ór, '!np\ 'Tt'Mrwy x'/txixopi ^w-.
Twv (XI,.215) , e Minerva, T/Vr' a.ur' lypTjiffj/s ,
'Try.yTcoY ttì;/ zouxiaoùì ^corù/y (XX, 33). Non è dub-
bia la significazione del composto ;fctTaV<>fo? (.\rcad.
de accenl. p. 71 ,28) , xv.rix'-.po?, mutalo in xxaix-jpos
(Hesych. xacrfAopo?, ^u(Trr\yos), contratto in xo/x.'xopos,
come xxrx ix\y in xà!xix)y nella Odissea (XX, 2). Dalla
voce ixoTfv., presa in senso buono si fa yjxfxozos, òCixoic,o;,
privo di fortuna , ed al contrario xxraix'-jf-^s significa
soggetto alla mala sorte, come xxrxtxsixTrros , xxrcx'-
f^ox^sf, xxrxi'ijiixo?, o piuttosto infelice, col rinforza-
mento della preposizione , come in x%rixy^u/Xoi, x(x.~
TaX«|3po; , xxriffxyos , xr/nuos , x(».roCìr\koi , xxrx-
^pvjxoi, e molli altri vocaboli simili: e sbagliano i Gram-
malici che derivano da x%;£Or, come lo Scoliaste di Ni-
candro [Alcxijjharm. 41 xxxoj (xo^m iyxifujv usandosi
il vocabolo in quel luogo in senso attivo), e come pare
anche lo Scoliaste di Omero [Odys.Y, 1 60), ed Ilesichio
(v. x-xixix'jQ^i e xxjxixofiMy). L'epiteto Omerico di Ulisse,
a tulli nolo e presente , per la mutazione dell'ultima sil-
laba ha preso il carattere di cognome fisso. La termina-
zione in li , frequentissima nei nomi contraili come
Avjis, \v<jici.s , Ay/f, 'Ayix?, usitata anche invece di
4, come ópxs, opK§, e invecedir)?, come in A/avo' ^a-
qti, "AttìXXh (in una iscrizione di Alene, pubblicala
dairOsannp. 330), non di rado occorre anche accanto
a quella in oì. Esempi ne sono MoXttos e MokTrii ,
AxiXTTos e AxixTTii , <I>opxos e <ì>ópixii (il poeta Sira-
cusano), 'A^x^^afxos e in una medaglia di Mililene
'Apx/5ocfx;s (Mionnet III p. 200, Denkscbr. derMùu-
chner Akad. 1813 p. 40).
Se poi Le sembrasse cosa strana o capriccio singo-
lare che si sia ricercalo un nuovo nome da commu-
tarsi col vecchio e comune di Ulisse , dirò che deve
essere stata piuttosto usanza assaifrequcnlefrai pittori
— 14 —
di servirsi , invece dei nomi propri degli Eroi ed Id-
dìi , di epiteti o cognomi caratteristici , non troppo
comuni, sempre con rapporto stretto all' atto ed al
momeuto rappresentato. Ho raccolto degli esempi di
questo costume, presi tutti da vasi dipinti, nel volume
già citato dei miei Monumenti antichi p. 331,e sono
'A'>Jci'iJi7.xos, scritto sopra di Ercole combattente con
Apolline e sopra di Teseo vincitore di Procruste, K«X-
"kt'xs e KocXXi^TjO'SL'ì , per indicare le stesso Teseo ,
rinomalo per la sua beltà, Kv.Xmttoì e KaX/vpogct per
Erifile, U'xyciu^' per Argo, p. 376 "Aygfosper Tideo,
p. 323 MrjXxoS ed 'AXxos per Marsia ed Apolline.
Cbe se vuol riflettere adesso sulla pittura in quislione,
osserverà che 1' epitelo di y.%ixfxops non poteva mai
essere diretto piìi a posta ad Ulisse che nel momento
in cui , dopo le ultime sue avventure, arrivato final-
mente salvo alla sponda dell' isola sua nativa , suc-
combe, come se fosse al colpo di una punta di strale,
al pungiglione di un pesce, che lo ferisce nel cascare
dalla bocca di un uccello altivolante.
11 secondo nome IIONTIA è chiaramente quello di
una dea marina qualunque , come Nettuno è detto ó
nótTios da Pindaro, come il Glauco di Antedone avea
il cognome di Ponlio. Questa dea deve considerarsi co-
me la prolettrice dell'eroe; e il motivo di apporla non
può essere stato altro per l'artista che di far risorgere
di più la sciagura straordinaria di Ulisse, che salvato
dai perigli del mare ed avvicinato al lido stesso , è
destinato a trapassare in un modo inaudito , unico ,
affinchè sia adempito un vetusto oracolo oscuro. Questi
due nomi essendo chiari ed indubitabili , suppongo
che anche il terzo nome della terza persona rappre-
sentala, quello del compagno che getta l'ancora, ab-
bia la sua significazione. Ma non indovino cosa voglia
dire AAIMOS , e non sono certo , se queste lettere
siano veramente da leggersi sul vaso.
Resta una difiìcollà che non è sfuggita alla Sua at-
tenzione , una circostanza strana sì, ma che con è di
natura a travolgere l' insieme della spiegazione. Sono
imberbi i due naviganti entrambi , forniti per altro
del 7r/>.(ov , che anch' esso come insegna di Ulisse, è
tanto raro nei vasi dipinti quanto è frequente in altre
c)à$»i di monumenti. Quella barba liscia fa una ecce-
zione più rara ancora e che sorprende più nell'Ulisse
Acanthoplex che non farebbe in diverse altre scene
che rappresentano Ulisse. Se sia nascosta in questa
particolarità qualche intenzione speziale , di questo
forse si potrebbe giudicare, se ci fosse conservata una
delle tragedie che trattarono degli ultimi fatti di Ulis-
se , più romanzeschi dell' antica poesia epica ; o nel
manco di riflessione dell'artista di un'epoca posteriore,
che imitava delle pitture di una migliore età.
Cav. Welcker.
Giunta all' ariicolo precedente.
I lettori del buUettino ricordano che il vaso, di cui
è parola nell' articolo del dottissimo Sig. cav. Wel-
cker, è lo stesso che dissi ritrovarsi ora in potere dei
Signori Porcinari in Napoli (vedi bull. areh. nap. an.
1 p. 144). Allorché ne diedi quella prima notizia,
non aveva ancora ripulito il vaso dalla vernice , che
tutto lo ricopriva : perciò non mi venne fatto di leg-i
gere che una sola delle iscrizioni. Posteriormente ho
potuto rettificare quella stessa iscrizione, e leggere le
altre due comparse presso le rimanenti figure: e sono
appunto tali quali si leggono nell' articolo del cav.
Welcker. Solo in quanto alla terza AAIM05^ , della
quale il sommo uomo sembra dubitare, posso accer-
tare che da me ripetutamente osservala non presenta
altre forme che quelle sopra riferile. Cbe se vogliamo
supporre errata la parola AAIMO^ ne' due primi ele-
menti ( ed è ben conosciuto che simili sbagli non sono
rari nelle iscrizioni de' vasi dipinti ) può con proba-
bilità ritenersi che volle a quel mariuajo attribuirsi il
nome significativo AAlM02v. Così tutte le figure sa-
rebbero denominate da un epiteto conveniente al sog-
getto cfligiato nel vaso. Sottopongo questa mia con-
ghiettura al giudizio dello stesso dottissimo cavalier
Welcker.
MlXERVINI.
— IS —
Delle Monete attribuile a Palalìtim, o Palachtm della
Sabina , o dell' Umbria cìie dir si voglia.
II disegno e la descrizione della monela, clieil Sc-
slini attribuiva da prima a Palantia della Spagna , e
poscia col Sanclemente egli restituì a Pahuium delia
Sabina , ovvero dell' Umbria , e cbe trovasi or ripro-
dotta nelle tavole del Carelli (lab. XIl, SJ , voglionsi
rettificare giusta il seguente tratto di una lettera del
eh. Borgliesi al signor Gennarelli , die la pubblicò
nella sua dissertazione della Moneta primitiva dell' I-
talia antica (p. 33-36).
« La medaglia , cbe ora sì attribuisce al Palacium
dei Sabini , o degli Umbri cbe sia , è di rame e di
grandezza 4 '/, della scala del Mionnet , e grossa e
gruppila , quale suole essere quella cbe il Capranesi
ha ora restituito a Caiatia f Annali dell' Insl. T. XII,
tav. agg. P, 5.J. Mostra da un lato la testa di Vulca-
no rivolta a dritta , coperta del solito pileo , dietro
cui sporgono le tanaglie , senza leggenda. Campeggia
dall' altro una maschera di fronte , senza collo , con
ampia bocca aperta , da ciascun lato della quale na-
scono due grandi ale , cbe finiscono in un riccio, con
due tenie serpeggianti, che si annodano sotto il mento.
L'epigrafe è disposta in giro, ma con lettera dalla
parte esterna. — La medaglia , cbe io ne ho conser-
vatissima , mostra apertamente S, PALACINV. Fer-
matane per tal modo finalmente la lezione , ella ne
conformerà la fatta aggiudicazione; giacché la termi-
nazione PALACINV è identica colle vicine AQ VINO,
AISERNINO , CAIATINO , e simili , salva la sosti-
tuzione all' O , che gli Umbri non avevano , dell' V
con cui lo rimpiazzavano » (I).
Uff anno appresso il lodato signor Conte Borghesi
mi favoriva la descrizione di un' altra moneta di Pa-
lacium, posseduta in allora dalla chiara memoria del
Millingen , con gentile sua lettera in data de' 21 Di-
cembre del 1843. « La medaglia di Palalium (son
sue parole) , di cui il Millingen mandommi un zolfo,
è di rame , e della stessa grandezza dell'altra cono-
- (1) PALACINV potrebbe anche credersi cos» scritto in vece di
PALACINVS, siccome aLBINV per ALBINVS ne' denari» di D. Bruto
fv. Ca\edoni, Sagffio, p. 173, Wìt. 86},
scinta , ma un poco meno grossa. Mostra nel diritto,
senza epigrafe , una testa di donna a destra , cbe di-
reste di Roma , avendo la stessa fisonomia , lo stesso
monile di perle , ed essendo anch' essa galcata , se
troppo diversa non fosse la forma dell' elmo. La vi-
siera sendira terminare in una lesta di aquila , o di
altro uccello ; ed il fianco , invece di avere la solita
ala , è tutto occupato da un grifo accosciato ed alato.
Nel rovescio entro una corona Icggesi per traverso ,
come neir onciale di Ostilio Tubulo (Morelli, famil.
Ilosiilia, n. 5.J, chiarissimamente f^AU; e cosi sol-
tanto vi ha Ietto il Millingen ; ma esanu'uandolo at-
tentamente con una buona lente , vi trovo lo spazio,
e come parmi anche le vestigia di due righe, che po-
trebberò ben dire .iki-.-^- Suppongo che tarderà po-
co a pubblicarla con altre sue , scrivendomi di aver
fatto venire da Roma un disegnatore a tal uopo ».
Lo stesso 31illingen , in data de' G Giugno 1843 ,
scriveami da Firenze : « La mia medaglia di Palantia
(sic) non ha che le lettere P.AU dentro una corona ,
ma la testa pare essere quella di un animale chimerico,
del carattere di quella veduta di prospetto sulla mo-
neta Sestiniana. Questi simboli mostruosi si vedono
sulle monete di Signia , e sulle consolari e le fami-
gliari Romane ». Egli inviavami nello stesso tempo
il disegno , che qui diamo (t. I, fig. 1 .) di quella sua
rara moneta, segnalo col num. 13, probabilmente
perchè era quosta la tredicesima delle 30 medaglie
auliche , eh' egli stava allora preparando per la stam-
pa; e fin dal di 12 Maggio del detto anno mi avea
scritto : « sto ora proparando un saggio di circa 30
monete Greche inedite , ove sono delle cose mollo
rare ; e che farò stampare a Londra. I rami erano
già pronti fino dall'anno passato; ma non sono rima-
sto contento dei torchi di Parigi ». La morte sua, av-
venuta non mollo dopo, ne privò di quell'ultimo pre-
gevole suo lavoro ; e chi sa mai che avvenisse delle
tavole e della illustrazione di quelle insigni 30 sue
medaglie ? Sembra peraltro, che il dotto numografo
Inglese negli ubimi anni dell' avanzala sua età avesse
perduto alcun poco della primiera sua perspicacia e
accuratezza ; e ch'egli per mero abbaglio, fors' anche
-16-^
della visla affievolita , non riescisse a leggere intera
l'epigrafe, e confondesse la protome d'augello, ov-
vero di drago alato , che sovrasta all' elmo della testa
feminile galeata nel ritto della nuova sua moneta di
Palaciiiin con la maschera alata del riverso dell'altra
moneta della città medesima edita un cinquant' anni
prima dal Sestini.
Ora mi giovi proporre alcuni riscontri e conghiet-
ture intorno alle sovra descritte rare e curiose meda-
glie. Il Sesliui indicò un luogo classico di Dionisio
d' Alicarnasso fAul. Rom. I, 4-i) , che attenendosi ai
libri delle antichità di Varrone, pone Palalium, Ua.-
XoVfOK , fra le città primitive degli Aborigini , verso
i gioghi degli Apennini , alla distanza di 25 stadii da
Reale della Sabina. E con lui consuona Varrone stesso
scrivendo intorno all'origine del colle Palatino di Ro-
ma (L. L. V, 53): tcrtiae rcgionh (collh) Palalium,
quod Palanùeis ciini Eaandro venerimi, ani quod Pa-
latini Aborigines ex agro Reatino , qui appcilatur Pa-
ìatium , ibi consederunt. Analogo si è il nome di
VHRiRn di un bronzo osco delle vicinanze di Lan-
ciano, che a parere del eh. Mommsen fUnlerltal.
dial. p. 469, taf. VIH, 1 ) parrebbe lo stesso che il
Pallammi della tavola Peutingeriana, situato Ira An-
xanum ed Hislonium.
11 ritto della prima delle due monete di Palacium
confronta con quello di una rarissima monetuccia di
rame attribuita dal Seguin alle famiglie Romane Sla-
tia e Trcbonia fcf. Morelli, fam. Slatia, n. II. J. Il
tipo della testa del dio del fuoco Vulcano, riferir po-
trebbesi ai monti Ceraunii della Sabina (Dionys. Ila-
lic. Ani. Rom. I, H) , ovvero a qualche terreno ar-
dente di quelle montuose contrade , giacché rcpm/ur
apud auclorcs, in agro Sabino et Sidicino unctum fla-
grare lapidem {P\ia. II, 111 ).
La maschera a bocca spalancala, fornita di tenie ,
e talora con pedo pastorale o tirso al disotto (Sestini,
Deicr. num. vel. p. ^J , sembra appellare alle feste
paganiche agresti solile celebrarsi da' prischi abitatori
di quelle contrade (Virgil. Georg. II, 385):
Necnon Ausonii, Troia gens missa, coloni
Versibus incomlis ludunl risuque soluto ,
Oraqiie corticibus sumunt horrenda cavalis ,
Et te. Bacche, vocant, per carmina laela, tibique
Oscilla ex alla suspendunl mollia pinu.
La larva della moneta Palacina, di aspetto orrendo ,
forse è fornita di tenie per mostrare che andava so-
spesa ai rami di un pino o d'altro arbore. La parti-
colarità poi delle ale attorcigliate all' insù , di che è
ella fornita , non saprei ben dire , se alluder possa a
quell'arbore dell'India , la cui foglia alas avium imi^
tatur , e che avea nome faìa fPlin. XII. l'i). Né fa-
rebbe in ciò diflicoltà la distanza grande dell' India
dalla Sabina , sapendosi come la umile città Caspcrula
della Sabina dicevasi a Baclris nomina ducens[Sì\ias,
Vili, 416: cf. Servius ad Aen. Vili. 638J.
La galea della testa feminile in sul ritto dell' altra
moneta di Palacium , riguardando al disegno , che
me ne trasmise il Millingen , mi parve ornata nel
sommo di una protome di dragone alato , che pro-
tenda il capo con bocca aperta , in atto di metter ter-
rore coir irato suo sibilo: e cotale attributo convenir
potrebbe si a Roma come a Pallade fcf. Eckhel, (.VII.
p. 320 J. La corona poi di quercia glandifera , con
entro il nome PAUACINV, probabilmente vuoisi ri-
ferire alle origini Arcadiche de' prmii abitatori sì del
Palalium di Roma come dell' agro Realino di simil
nome fWavro, L. L. V, 53 J ; poiché gli Arcadi pri-
mitivi in ispccie dicevansi ghiandivori, (i%koi.rr](^xyof
('Pausan. Vili, 42, 4) , e dal loro Pallanleum cre-
devasi denominato quello di Roma e della Sabina
(^Virgil. Aen. Vili , SiJ. QueWa corona peraltro ,
consistente di due rami di quercia forniti delle loro
ghiande , può tuli' insieme accennare alla fertilità dei
monti della Sabina , che oltre le uve e le olive da-
vano grande copia di ghiande , (òctXa.vóy fi ix^iptt
■TToWV (Strab. V, 228).
C. Cavudoni.
P. Raffaele GAnnncci d.c.d.g.
Giulio Minervim — Editori.
Tipografia di Giuseppe Catànbo.
BILIETTINO ARCHEOLOGICO NAPOLITANO.
NUOVA SERIE
iV." 27. (3. deiranno II.)
Agosto 1853.
Cullo della Venere in Pompei. — Come fu inlerrala Pompei. — Escamzioni di tempi diversi in Pompei. — // P trsi-
lypoN di Mezia Edom mi lago Sabatino. — Giunta all'articolo il tribunale della Baailicapompeiana (piando,
e da chi costruito. — Sul programma pompeiano di Giulia Felice. — Osservazioni all' articolo precedente.
Culto della Venere in Pompei.
Se le colonie prendevano talvolta un appellativo
dalla divinila, che aveva ivi maggior culto, ecosìSa-
lona denominossi Martia , (Orelli 218), e Squillace
Minervia (id. 13C); la Venere dovrà dirsi la princi-
pal dea dei Pompeiani, perocché Pompei prende da
lei l'appellazione di COLonia VENe?'i« COKnelia.
Toglie poi il secondo nome dal dittatore, o dal nipo-
te P. Cornelio Siila, che fu incaricalo da lui della de-
duzione, come i Ligures trasportati nel territorio tau-
rasino dai Consoli Cornelio, e Bebio, si denominaro-
no Ligures Corneliani et Baehiani ( v. le mie monu-
menta Reip. Lig. Baeb.), e Narbone si soprannominò
Marcius da L. Marcio Re (Zumpt, Camm. Epigr.
p. 313).
Non si può asserire, se questa Venus ottenesse il
primo culto tra i Pompeiani ancora oschi , o se vi
fosse consecrata dalla colonia militare di Siila: comun-
que ciò sia , ella vi fu onorata sotto l'appellativo di
Venus Phjsica, e così singolare, e tanto celebre, che
indi ne ottenne il sopranomc di Pompeiana, col qual
solo distintivo caratteristico vedesi iu Pompei mede-
sima talvolta indicala , senza l' altro aggiunto.
Leggesi così detta nella epigrafe a pennello solfo
un dipinto gladiatorio alle spalle del tempio suo me-
desimo, ABIAVENERE POMPEIIANAIRATAM-
QVI • HOC • LAESAERIT pubblicata da altri , ma
che io qui ripeto sulla mia lezione, ed in una grafTi-
ta sulla parete a destra della vielta , che è tramezzo ai
due teatri ed esce sulla strada , che va alla porta sta-
biana. L' ha pubblicata il sig. Fiorelli nel proemio
A.syo li.
alle illustrazioni del giornale degli Scavi di Pompei
a p. VII , e ne ho data la mia lezione ancor io nelle
Iscrizioni Antiche di Salerno p. 1 8. Se è cosi , ben
polca dirsi Pompi-i Veneris sedes, siccome Ercolano,
locus hcrculeo nomine danis, da IMnrziale (IV, \\). Il
qual classico luogo non trovo che alcun commenta-
tore 6nora , nò altro scrittore delle cose pompeiane
abbia preso in questo suo verissimo senso. Tulli ci di-
cono, come il Rosini, che quel ]\'neris sedcs è inteso
da Marziale de tota orientali plaga amocnissimaquam
Veneris sedem Martialis rite appeUat (Diss.Isag.p.OS);
ove ciò fosse, Pompei non avrebbe meritato neanche
un lamento fra le dolorose noie del patetico epigram-
ma , ove pur si piange Ercolano :
Hic est pampineis viridis modo Vesvius umbris :
Presserai ime madidos nobili? uva laeus.
Haec iuga, quam Nisae colles plus lìncehusamavit:
Hoc nuper Satyri monte dcdcre choros.
Haec Veneris sedcs , Lacedaemonc gratior illi ;
Hic locus Hercuko nomine clarus erat.
Cuncta iaccnt flnmmis et tristi mersa favilla ,
Nec superi vellenl hoc licuisse sibi.
Alla Venere Preside di Pompei non polca manca-
re nò tempio , né sacerdotessa , né devoli consacrati
al cullo di lei. Il tempio mi par certo sia quello, che
è a capo del forum , nel luogo più elevalo , e lo ar-
gomento dal posto medesimo, dove è costruito. Che,
se ho ben provalo essere la Venere Fisica la prima-
ria deità fra gì' Iddìi adorati nella pagana Pompei;
non può ragionevolmenle tenersi che cedesse altrui
il primo seggio , neanche al padre Giove. A questo
altri die quel monumento , ma, oltre alle ragioni al-
3
— 18 —
legate , ninno ha rappresentalo finora a se medesi-
mo , che gli ordini di architettura sono il ionico , ed
il corinzio , alla maestà di tal nume non appropriali.
La sacerdotessa poi , ed i Vencrii , e le Veneriac mi
provengono dalle epigrafi scolpite in marmo, dipinte,
o grafBle sulle pareli.
Garrucci.
Come fu interrala Pompei.
La narrazione del nuovo incendio di questo Vul-
cano e le circostanze dell' interrimenlo di quelle cillà,
che erano poste alloruo alle sue radici dalla parte di
mezzo giorno, e di ponente, sono note a tulli i lettori
delle due epistole , la decima sesta, e la vigesima, che
Plinio scrive a Tacito (libro sesto). Contro di una te-
stimonianza così autentica, che viene inoltre corrobo-
rata da tutti gli scrittori, che parlano di questo avve-
nimento , levossi già Carmine Lippi , ed in un libro
che divulgò nel 1816 col titolo «fu il fuoco o l'acqua
che sotterrò Pompei ed Ercolano » sostenne la sco-
perta, che Pompei era stata sepolta e sotterrala da un'
alluvione.
La condanna dell'Accademia, che lo aveva sentilo
dispulare su tale obiello per sei anni, non tolse, chela
opinione di Lippi avesse seguaci anche non volgari. Ma
se le ragioni del Lippi e de' suoi aderenti sono quel-
le, che allega il eh. sig. prof. Scacchi in una disserta-
zioncella inserita già dall'Avellino al 1843 nel suo
Bullellino Archeologico p. 42, segg. , io stupisco col
sig. professore e della durala , e del seguito ; stupisco
altresì , che senza nuove ragioni vi abbia ancora chi
tenga col Lippi.
Perocché senza essere uè gran geologo, né gran fi-
sico , ognuno sa distinguere i terreni di alluvione da
uno strato di lapillo, nella composizione del quale non
entra aflìilto alcuno di quegli elementi, che sono altri-
menti indispensabili alla natura degli strati alluvionali.
Inoltre per qiial legge il lorrenie impetuoso , che si
finge calato dal Vesuvio, sarebbe salilo sulla collina,
ove sedeva Pompei , portando avanti a se la materia
che occorreva a tale effetto , senza dilatarsi , ed em-
pire i bassi fondi pei quali necessariamente dovea pas-
sare ? ( Veggasi ciò che osserva il Rosini Diss. Isag.
p. 71 in fine).
Tulli sanno distinguere i depositi delle correnti ra-
pide da quelli , che vengon prodotti dal corso tran-
quillo ; questi sono sempre orizzontali, per lo contrario
i primi sogliono avere una struttura di accumoli suc-
cessivi a maniera di scarpa , originali da rughe tras-
versali che si van facendo sui fondi, per gli ostacoli
che oppongono i materiali diversi , che trasporta seco
la corrente. La doppia stratificazione di lapillo , e di
cenere addosso alle mura di Pompei , è in posizione
assai obliqua, ed a seconda dell'andamento della col-
lina sottoposta : onde si domanda, come un'alluvione
può recar seco queste due materie, depositandole l'una
sopra dell' altra senza confonderle , ed impastarle in
una sola massa fangosa ; nella quale torbiera ogni ra-
gione dimostra, che le pomici avrebbero dovuto pren-
dere il posto superiore come disgregale, e galleggianti,
sapendosi, che anche i sassi di gran mole sono sospe-
si sui torrenti fangosi. Dipoi , niuna corrente può
produrre quel grado d' inclinazione che hanno i due
strati: inoltre , la giacitura dei piani inclinati suppor-
rebbe la valle , che passa Ira mezzo il Vesuvio , e la
collinetta di Pompei, sott'acqua , e le ceneri ed il la-
pillo non più provenieutidal Vesuvio, ma invece dalla
cima della collinetta pompeiana ; nel qual unico caso
le materie che si precipitano a piedi dei colli tagliati
a picco e percossi dalle acque sogliono pigliare una
superficie inclinata , sebbene con base assai larga.
Gli avversarli invece suppongono, che un torrente
rovinosamente calando dal Vesuvio possa passare sul
piano 0 valletta, che giace tra le radici del monte, e
la collinetta ove è Pompei ; che possa salire detta col-
liuella trasportando seco quell'enorme materiale; che
quivi respinta la corrente impetuosa dall'ostacolo delle
mura faccia il suo deposito nel senso inclinato della
collina, e prima di lapillo, poi di cenere sopra di esso;
mentre il pelo superiore dell'acqua con esso i lapilli
vincendo l' altezza della muraglia entra ad inondar
Pompei, e sepellirlo nel lapillo che porta seco; sup-
posizioni come ognuno vede assai strane e prodigiose,
siccome tulle affatto contrarie alle leggi le più certe,
ed immutabili di fisica , di geologia, e di idraulica, e
— 19 —
con tanta evidenza , che non fa luogo di spendervi ove era Stabia , non alirinientl clic sogliono le grandi-
più tempo attorno. ni , e le nevi , su quei (lancili e fra quelle spaccature
Adunque venendo in quella vece a dimostrare, come si elevarono ad un' altezza smisurata di oltre a ([ua-
possa essere accaduto tutto ciò, che pur vediamo, ranta piedi; di mano in mano cadendo sopra Stabia,
fa piacere , che le mie esperienze si abbiano nel rac- e Pompei vi crebbero in modo da accecare le uscite
conto di Plinio una scorta , e dirò di più , una stoiica dalle stanze negli atrii : Scd area ex qua diacta adì-
spiegazione. Tutte le piogge cadano verlicalmonle, e balur ita iam cincre viLvlisque pumicibus opiilclasur-
solo si obliquano dalla forza dei venti : non sarebbe rexerat , ul si lomjior in cubiculo mora esset , exilus
quindi da cercare nò lapilli nò cenere, nò scorie fuori negaretur (Plin. L. e). Sub dio rursus, quamquam le-
del perimetro , a che può naturalmente distendersi viitm cresorumque pumicum casus metucbalur, ccrci-
perdendo la forza d'impulso quel materiale, che dal calia capilibus imposila linicis comtringunl ; idmuni-
cratere venne spinto in aria in forma di colonna. Nii- mcntum adcersus decidenlia fuil. Le mura di Pompei
bes oriebalur, dice Plinio, cujus simililudinem et far- ri\olle al Vesuvio, e tutto quel pendio di collina veg-
mam non alia magis arbor , quam pinus expresserit. gonsi in prima coperte di uno strato obliquo di po-
Nam longissimo vchu truncoclatainallum,quibmdam mici, portale là a rompere loro contro dalla forza
ramis difjundcbalur ; credo quia recenti spiritu cvecla, del vento; e però dall'andamento del luOj:o hanno
deinde senescente co destituta , aut etiam pondere suo preso questa inclinazione.
vieta, in lalitudincm cvanescebat (ep. XVI). Or nella Alquanto più tardi e dopo levalo il sole di (picslo
spaventosa eruzione del 79 spirava un vento gagliar- secondo giorno cessala la caduta della pomice , a cui
dissimo, siccome riferisce Plinio, e il più opportuno andava mista ancora molla cenere: Plin. Iam na-
a chi da Miseno faceva vela incontro a quella parte vibus cinis inciderai quo propius accederei calidior et
del nostro cratere, ove un tempo fu Stabia, ora è dcnsior; iam pumiccs etiam, nigrique, et ambusli , et
Castellamare , contrario poi a chi voleva tenere un fracti igne lapides : la bocca aperta dal vulcano co-
cammino opposto: (Pomponius) sarcinas contulcral in miuciò ad eruttare immense colonne di cenere che
naves certus fugae, si conlrarius ventus resedisset , quo trasportate egualmente dal vento elevarono un secon-
tmcavuncidusmeussecundissimofcratJinveclus{\.c.){l). do strato d'interrimento sopra le città di Pompei e
Perlocchè quel primo giorno la normale direzione di Stabia , e poiché venivano in nuvoli calde , e pre-
delle materie eruttate era sopra Pompei e Slabia , e gne di eleltricilà, e di sviluppi gizosi, che Plinio chia-
sopra il piccolo seno di mare, luoghi tutti posti a maflammacflammarumquepraenunciusodorsulphuris
mezzodì del monte Vesuvio. (l. e.) , il zio ne fu sulfocalo sul lido di Slabia, ed iu
Le prime materie sollevate in alto dalla esplosione Pompei si appiccò fuoco alla più parte delle case. K
del Vulcano furono senza dubbio le pomici; perocché frequentissimo ora !o scoprir segni di abbruciamenlo
queste come tutte le materie pomicee e scoriacee esi- sulle pareti, ove i mo!)i!i di legno avvampando, vc-
slevano di già sul cratere, siccome prodotto di fusio- diamo i gialli delle stanze cangiarsi ad altezze diverse,
ni mollo anteriori, e facilmente sottomarine, ope- ed in figure assai varie, in quel colore appunto, che sj
rate dal fuoco. Cosi di falli il primo strato che può ottiene ancor da noi dd giallo coli' opera del fuoco,
riferirsi a questa eruzione è composto tutto di pomici, e che si chiama però nelle officine, giallo abbrucialo.
di piccoli frammenti di calcarea, di ciottoli trachitici. Le travi , le porle, gli stipili prendono forma di car-
e di conglobali di materie terrose, escoriacee. Quesli bone abbruciandosi lenlamcule di sotto alla mole del
immensi ammassi sospinti violenlemcnie in allo, ed;d lapillo , e delle ceneri.
vento in gran parte diretti verso le roccie opposte, Queste cose accadevano in Pompei ed iu Slabia, e
quelli che non avevano potuto camparsi colla fugavi
(I) Malamente si appone U Resini a sliotórlo >cmo meridionale > , . . „,,(![•„.,.,,; ,i,,: „., „ ,K_
( Disseri. isag p. 7ì ) furouo spenti dalle cfala/iom solloiaali un ^az, e aa
20 —
gli inccndii : ma iu Ercolano che era posta a ponente
del Vi'suvio pochi sono gli scheletri , perchè il pri-
irio giorno la più parte dei cittadini potè sottrarsi a
Innta ruina. I! giorno seguente dopo levalo il sole con-
vien dire , che mutasse il vento , poiché conta Pli-
nio , che immensi nuvoli di cenere si avvanzavano
contro r isola di Capri , e sopra Miseuo : Ab altero
latore nuhes atra elhorrenda ignei spiritm, tortisvibra-
ti^que discursibus rupia in longas flammarum figuras
dchiscebal , fttlguribiis illae el simiks et inaiores erant:
uec midlo post illa nubcs descendere in terras, operire
ìnaria ; cinxerat Capreas ci absconderal , Miseni quod
procnrrit , absttderat. lam cinis, adirne lamen rariis,
re:<picio , dema caligo lergis imminebal, quae nos , tor-
rentis modo infusa tcrrae , sequcbatur : nox non qualis
itiunis et nuhila, sed qualis in locis clausis luminc ex-
tincto. Pauluhtm illuxit , quod non dies nobis, sed ad-
ventanlis ignis indicium vidchalur. Et ignis quidem lon-
gius suhslilit , lenebrae rursus , cinis rursus mullus et
gravis : lume identidem assurgentes excutiebamus, operli
alioqui , atque etiam oblisi pondere essemus : tandem
illa caligo tenuata in fumum nebulamve decessit [ji.
20 >. Tanta copia di cenere spinta fin sopra Miscno e
Capri piovve assai più abbondante sopra Ercolano, e
tutta la sepellì accumulandovi sopra un banco altissi-
mo di 84 a 120 palmi, dal Teatro verso il mare, ove
la piccola città dechinava.
Cogli incendii vulcanici o poco dopo sogliono ca-
dCTe pioggie copiose di acqua , e l'autunno di questo
anno declinava ornai all'inverno {Diss. Isag. ep. 67).
Inoltre il vento di scirocco levatosi il secondo giorno
ne indurrebbe a crederlo: ma Plinio nulla ne scrive,
anzi pare che ne persuada del contrario. Perocché
raccontando della morte del zio dice, che i servi
trovarono il corpo di lui al giorno lerao della sua
morte il'Iaesum , opertumque nt fuerat indutus: Ubi
dies reddilms, is ab eo quem novissime vid'Cral l-erlius,
corpus inventum esl integrum , illa<;sum , operlwinque
ut fuerat indutus: habitus corporis quiescenti quam
defuncto similior (ep, 16); lo che ben s'intende, non
essendo in quella spiaggia caduta che poca cenere,
quando sopra Pompei tanto più vicina al luogo della
esplosione appena cinque palmi ne veggiamo.
Or supposta una procelia diluviosa, «.-gli è indubi-
tato, che tanta quantità di pomici disgregate e leggie-
re , trasportata giù dai luoghi in pendio, avrebbe do-
vuto tutto involgere e coprire il corpo di Plinio , e
forse anche trasportarlo, e almeno scomporlo, (pian-
do invece fu trovato integrum, illaesum, opertumque
ed habitu corporis quiescenti similior.
Parmi quindi che quei primi giorni passassero senza
pioggia ; cosi ebbe agio l' incendio di carbonizzare ii
legno ove si era appreso , e sopravvenendo la piog-
gia, sarehbesi per fermo in alcun luogo spento, onde
ora dovrebbe essere facile il trovare indizii di tal ge-
nere. Per lo contrario , dovunque si va cavando , di
sotto al lapillo e fin sopra il pavimento nelle parti più
basse della città appare carbone.
Che la più parte dei tetti e delle impalcature fos-
sero comprese dall'incendio lo dimostrano i segni
quasi generali del fuoco. Rari di fatti sono quei tetti
che si trovino tuttavia al loro posto : ma perchè vi
perdurassero fu mestieri che gli strali di lapillo , e
di cenere penetrassero nelle case, e si elevassero riem-
piendo tutto il vuoto fin di sotto al tetto ; e ciò com-
pirono poscia le piogge. Queste trasportarono qua il
lapillo , là le ceneri , e l' uno e l' altro insieme con-
fusi svariatamente , ove , e come loro si apriva l'adi-
to, e più nelle parti della città situate in declivio, non
bastando certo nelle parti elevate e poste in piano la
copia del lapillo nò della cenere caduta ad invadere
e coprire fino ai tetti le case. Il Rosini riferisce che
il lapillo in Pompei, certo in quei luoghi che non
sono in declivio, sale fino ai nove palmi, e sopra del
lapillo per altri cinque palmi la cenere: ma con 14
palmi di cenere e di lapillo non si arriva a coprire le
case neanche di un sol piano. Ben parmi di poi av-
venuto che rivolgendosi a novella coltivazione tutto
quei suolo , i coloni venissero demolendo a poco a
poco gì' ingombri delle pareli sorgenti fuori del pia-
no; onde accade, che sol tenui avanzi degli apparta-
menti superiori s' incontrano.
Garrccci.
Escavazioni di tempi diversi in Pompei.
Quanta parte di Pompei , ed in che tempo si ster-
rò prima del 1748 non può dirsi con sicurezza. Dalle
— 21 —
notizie che diligenlemonle ne raccolse il eli. Caslaldi,
{Della Reale Accademia Ercolanese , p. 2o scg. ) ri-
sulta , che almeno il forum cogli edilìzii pubblici cir-
circostanti , e così l'anQteatro e i due (eatri fosse ri-
masto sempre semisepollo , e perciò ivi gli scavi si
fossero operali dagl'investigatori di lutti i tempi. Una
nuova conferma mi proviene dall' aver letto non ha
guari sul basso di un pilastro di tufo davanti alla ba-
silica l'anno 1673 dipinto, certo ad indicar l' epoca
della escavazione eseguita su quel terreno. Il sapersi
che il canale di Sarno passa poco discosto da questo
sito non prova uno scavo sopra terra , essendo ivi ri-
messo in uso un' antico acquidoso , e non fabbricato
un nuovo.
I Pompeiani, dei quali io credo che poco numero
sopravvanzasse all' eccidio della città , essendo man-
cata loro la via di mare (Plin. ep. XVI, VI), e tro-
vando difficilissimo Io scampo alle vicine città di Er-
colano , di Nola , e di Nocera , avranno ancor essi
tentato qualche scavo sulle privale lor case. Poscia
altri cavatori veggiamo essersi traforati nei secoli se-
guenti per cunicoli spesso mal falli , onde vi ebbero
a lasciar la vita. Questi scheletri bisogna assai ben di-
stinguere dai morti nel primo interrimento, con le su-
pellettili trovai* loro accanto : la qual «osa tuttocchè
assai importante, con^ien dolersi che siasi trascurala
nei metodi di scavo tenuti fin ora. Di recente videsi
un mnro di partimento di casa privala foralo, ed uno
scheleti'o ivi j)resso sepolto col capo in giù , e dopo
lui altri sei ; i quali furono mauifestamenle cavatoli
interrati dallo scoscendimento delle disciolte materie.
Ira le quali si aprivano la cava , e che essi non ebbcr
r accorgimento di sostenere con tavole. Sembra per
altro, che gli strati di cenere e di lapillo sconvolti, ed
ammassali non siano quel sicuro indizio , che altri
crede, di scavamenti anteriori, sebbene comunemenle
lo stimi ancor io ; perochè ha da tenersi davanti, ciò
che ho fatto rilevare più sopra , che alcune case al-
meno, e delle poste sui piani inclinati possono essere
state interrale fino al soffitto dulie acque [Movule così
iÌB quell'inverno medesimo, come nei segueulL
Gakrdcci.
// PàvsiLrpos di Mezia Edone mi lago Sabalino.
Il Fabretli alla pag. 7.')0, n. 573 diede in luce uni
iscrizione indicante il Pausilijpoii, d' una colai Ml'/Ij
Edone liberta , e ne accennò il sito colle sole parole
ad D. Marciaiìi, chiesa clic ninno certo saprebbe in-
dovinare in qual parte di mondo si stia. Donde av-
venne che il Furlanelto, tolto quel monumento in conln
d'epitaffio sepolcrale , stimò die ivi Pausilijpon valesst-
quanlo luogo di pausa o riposo, cioè sepolcro ; e que-
sto senso deiraccenuata voce segnò nel suo lessico, al
preteso epitaffio di Mezia Edone unicamente affidalo.
Ma il nostro Nibby di eh. memoria lutto percorren-
do ed indagando l' agro romano s' imbattè nel mar-
mo di che ragiono, e il vide murato nella fronte della
chiesa de' SS. Marco, Marciano e Libwato poco oltre
Bracciano ; e poscia divulgatolo ( Analisi della cart.i
de' dintorni di Roma , I, 32G ) , senza sapere dell' e-
dizione del Fabretti, né della interpretazione del Fur-
lanelto , propose la sua affermando indicare quel ti-
tolo una villa chiamata col nome di Pausihjpon per
la singolare amenità del sito ritraente quasi le deliziose
colline di Posilipo e le sottoposte spiagge del golfo
Napoletano. La quale verissima interpretazione pia-
cemi confermare con alcune poche notizie di monu-
menti a cotesta villa spettanti , donde apprenderemo
anche l'età in che fu editicata , e sarà sbandilo per
sempre da' latini lessici il senso non \ ero assegnalo »
quel nome geografico^
Chi trasversata la terra di Bracciano discende verso
la via che eosteggia l'amcuissimo lago Sabatino, fatto
appena un miglio vede aprirsi a sinistra UQ augusta
viottolo il quale serba tuttora visibili in mille parti le
reliquie dell' antico lastricato , e conduce al sommo
d' una collina , donde la vista di tutto l'ampio cratere
del lago rende un'immagine olire ogni credere viva
e ridente del dolce aspetto de'golfi di Napoli e di Poz-
zuoli. Quivi sorge la chiesa già da me ricordala, opera
del secolo nono o decimo dell'era nostra; ed in essa
e tuli' attorno tanti sono gli avanzi d' antichi niarnii e
d'edifici, che l'Olstenio ( Adnot. Geogr. p. 4i) volle
riconoscervi il silo dell' antichissima Sabate città forse
al tutto scomparsa fin dall' età più remota e lontana.
— 22 —
Ma quelle reliquie spellano ad edifici e monumenti
de'lempi romani ed imperiali, e l' accennata iscrizio-
ne murala in fronte alla chiesa, che io qui trascriverò
dalla mia copia più esatta delle precedenti , ci dà un
avviso non fallace dell' essere stata questa una villa
della prima età dell' impero.
P AVSILYPON
METTIAE • T • L • HEDONÉI
Ed infatti oltreché la natura del luogo non può me-
glio rispondere al nome Pausilypon additatoci dalla
iscrizione , e di per se ci manifesta che quel marmo
ivi è per così dire in sua casa , non da lontana parte
a queir altezza trasferito , la bellissima forma delle
lettere , che anche il Nihby riconobbe propria degli
anni de' primi Cesari , e la desinenza del nome greco
HEDONEI coir accento sulla E , nome non mascliile
come stimò il Nibby ma cognorùc di Mezia posto nella
desinenza greca del casodalivo, sono tutte circostanze
che a capello convengono cogli altri avanzi di marmi
scritti , che in quel luogo medesimo io ho veduto ed
esauiinalo. Imperocché il maggiore altare é formato
da un" antica mensa nella quale lungo la fascia della
grossezza dell' istcsso marmo in bellissime ed alle let-
tere è scritto :
GERMANICO • CAESARI ■ TI • AVO • F •
e nel pavimento della chiesa medesima in altro fram-
ntenlo di marmo si legge :
GERManifo • Caesari
TI • Aug ■ [ilio
Y)l\i ■ Aug • [[)
Y. tra i molti frammenti di lastre marmoree similis-
sime a queste due , che vcggonsi o adoperate nella
••ostruzione della chiesa e degli adiacenli edifici , o
sparse qua e là nella \iu;na eh" è attorno all' isìcssa
chiesa , donde in questi ultimi anni tornarono in luce,
in lettere di pari forma e bellezza si legge :
(1) Questo frammento è anchÈ recato dal Nibby 1. e. p. 326, il
quale perì) nella secoLda liroa cadde in errore scrivendo IVcaes f
1.
DRVSO CAESARI • Ti • axig • f
2 3
PRI
TIAC
Questi titoli similissimi Ira loro anche nella forma e
mole delle pietre sulle quali sono incisi , e spettanti ,
almeno tre , ai figliuoli di Tiberio Augusto , alcuni
adoperati fin dal piti remoto medio evo nella fabbrica
del sacro edificio e tulli adunati sulla cima d'un alto
colle di difficilissimo accesso ci forzano a riconoscere
che in quella velia medesima e non altrove ebbero la
loro sede primitiva . Laonde poiché il titolo del Pau-
silypon di Mezia Edone non meno all'amenità ed al-
l' aspetto del deliziosissimo sito, che agli anni dell' im-
pero de' primi Cesari esattamente risponde, converrà
stabilire che cotesta villa fu costruita imperante Tibe-
rio, ed ai figliuoli di lui ivi furono dedicale statue e
titoli onorarli. Ed infatti quand' anche la nostra E-
done , liberta facoltosissima , non abbia avuto veruna
personale dipendenza dalla famiglia e casa de'Cesari,
non perciò strani o nuovi potranno sembrare gli onori
nella villa di lei consecrati ai Cesari Druso e Germa-
nico. Che oltre all' adulazione o spontanea o forzata
la quale giammai non venne meno verso i Cesari vi-
venti , qui abbiamo due monumenli dedicati a Ger-
manico ; nò v' ha chi non ricordi quale e quanto ac-
ceso fu r amore d' ogni ordine di cittadini verso di
lui , e quanto singolare il lutto per la sua morte , ed
il cullo anche con pubblici e privati monumenli at-
testalo alla memoria ed al nome di lui ( v. Foggini
Fasti p. 133). Per le quali considerazioni il titolo de-
dicato a Druso il giuniore polrà sembrare frutto di
mera adulazione a Tiberio , uffiiiclié al figliuolo na-
turale di lui non fossero del tulio negati quegli onori
che con tanta pompa e spontaneità d' affetti erano falli
all'adoltiso.
Slabilita così coir aiulo di que le poche lacere epi-
grafi la vera esistenza e l' età del Pausilypon di Mezia
Edonc, nuli' altro mi resta ad aggiungere fuorché la
copia di uu raejchiuissimo brano d'iscrizione di belle
— 23 —
e minute ledere , che ho vedalo noli' antico ipogeo
della chiesa affisso al fondo d'un lociilolto o niccliia
creata , come sembrami, per collocare una o più lu-
cerne ; e ne sono visibili soltanto le lettere seguenti ;
forse l'una o l'altra tuttora superstite è nascosta die-
tro i marmi coi quali è posta in costruzione.
ou
AGELENTLN • •• •
SASSVLANVS
SASSVLANVS
NVNDINESI
QYIRVS DIEBVS • I • • • •
Sembra un frammento di latercolo di nomi proprii,
invero assai strani e forse fino ad ora inauditi , non
saprei a qual corpo o novero di persone spettante ; e
non pare che abbia rispetto veruno alla villa , della
quale ho tolto a ragionare.
G. B. DE Rossi.
Giunta all' arlkolo il tribunale della Basilica pompe-
iana quando, e da chi costruito.
Siccome in tutto l' articolo , che riguarda il sup-
plemento ai dieci frammenti della lapida trovata nella
Basilica pompeiana , non si è data la lezione completa
di essi , così ho creduto doverlo fare con più profitto
nel disegno aggiunto alla tav. I. di quest' anno : indi
risulta, che la prima linea è di caratteri guast la metà
più grandi di quelli delle due linee seguenti ,"e che
i pezzi lasciano uno spazio maggiore di quello , che
non aveva potuto rilevare dal primo disegno. Lasciai
per altro la cosa in tale condizione , che può ricevere
ora il suo perfezionamento dall' aggiunta che qui sot-
topongo ; donde risulla , che il tribunale probabil-
mente fu costruito sugli ultimi anni di Augusto tra il
762 e'! 76i. Il PP. che comincia la seconda linea si
è dispulalo quel posto insolito a cagione della esatta
disposizione della leggenda ; gli altri supplementi di-
fendono la loro convenienza , e maggiore probabilità
quanto basta.
Garrccci.
Sid programma pompeiano di Giulia Felice.
Il programma di locazione di una parte dei predii
di Giulia Felice , scoperto in Pompei il giorno 8 feb-
braio 1756 ( Gior. degli scavi toni. I, par. I, col. 41
■ì-1) , termina con le lettere S. Q. D. L. E. N. C ,
che dal ilosini , rifiutala la interpeirazione del Win-
ckelmann fSi Quis Dominam Loci Eius Non Co/jno-
veritj, furono spiegate: Si Quis Domi Lenocinium
Exerceat Ne Conducito , ovvero Si quis Damnatum
Lenocinium Exerceat Ne Conducilo [Dissert. isag. parf.
I, cap. 10, pag. G3-0.j). A me sembra, che per duo
ragioni debbasi rigettare anche questo supplemento
del Rosini, nonché la emendazione del Guarini (Fas((
duitìnv. p. 199), .S7 Qucm Dcccat Localio Eorum Nos
Convcnitó, sfornita di autorità classiche e di confronti.
La prima si è, che parlandosi nel programma della
locazione di un venerium, non avrebbero dovuto es-
serne esclusi i lenones, contro i quali sebbene trovisi
l'epitome di una costituzione dell' imperatore Leone,
che incomincia Mti^jIs •jropvojJoffzsiVtt; roù Xonrov x.
r. \. ( Cod. , lib. XI, lit. XLI, § 7), pure non esiste
alcuna legge più antica , che loro inibisse di locare
un' abitazione , quando i poeti esponevanli sulle scene
alla derisione del popolo, al pari de'servi fraudolenti,
de' padroni avari , de' parassiti, e delle cortigiane. Che
se la pubblica morale considerava i lenoni , procaci,
impudenti , e sentina di ogni vizio, slerquiliniumpu-
blicum {Plàvt. Pers. act. Ili, se. Ili, v. 3 scg. ),
non è per questo eh' essi non esistessero ; e chi locava
un grande edifizio ad uso di vcnerio , dovea ben es-
ser conscio , che abitatori di quel luogo sarebbero
stati lenoni e meretrici: onde strana riusciva la esclu-
sione dei primi , se avesse voluto indicarsi colle siglo
finali del programma.
Altra ragione valevole ad eliminare la interpeira-
zione del Rosini si è, che dovendo quelle lettere con-
tenere una formola giuridica , la quale fosse a tutti
nota , o di facile intelligenza , <'he seguiva il i)allo
della locazione quinquennale, ANNOSCOM'iX VOS-
QVINQVE , essa o dovea rinchiudere la spiegazione
di tal patto in cui stabilivasi il termine dello affitto, o
apportarvi una qualsivoglia modifica. Se fosse slalu
^24--
solilo d'indicarsi nella posm/)<to le persone alle quali
intcrdicevasi dui padrone del fondo la locazione, certo
che neir altro programma dell' INSVLA • ARRIANA-
POLLL\.NA [Mazois, Ruin. de Pomp. par. II, pag.
101 ) , in cui non si esponevano ai pubblico bagni né
venerii , se ne sarebbe fatta menzione , e con più
dritto , non trattandosi di luoghi destinati ad ogni ma-
niera di turpitudini.
Pei- le quali cose sonora i indotto a supplire quel-
]' ultimo verso della epigrafe pompeiana :
Si • Quinquennium • Dccurrerit ■ Locatio • Erit -Nudo-
[Consensu
trovando appoggio a questa conghiettura nello spirito
delle antiche leggi romane , e nelle seguenti parole
del Digesto : Qui ad certuni (cmpus conducil , finito
quoque tempore colonus est; inleUigilur enitndominus,
quum palitur coìomim in fundo esse, ex integro locare;
et huiusmodi contractus ncque verba, ncque scripturam
uliquc desideranl , scd NVDO CONSENSV convale-
scunt (lib.XlX, tit.ll, § 14). Giuseppe Fiorelli.
Osservazioni intorno all' articolo precedente.
In un articolo dettato da me iutorno alle sigle delle
iscrizioni pompeiane dipinte , che si legge a p. 4 seg.
del primo volume di questo Bulletlino non volli dare
il parer mio intorno ai due tuttocchè celebri versi V.
A.S.P.P, e S.Q.D.L.E.N.C rimettendo la trattazione
del primo al mio collega sig. Minervini , che sapevo
disposto di farlo, e tacendomi affatto sul secondo, per-
chè non aveva nulla di certo da dire. Il sig. Fiorelli
ha ora intrapreso di trattare questo argomento , e ne
disputa qui avanti ; e poiché è questa una materia
nella quale sono entrato io, parmi sia desso un invilo
a dire alcuna cosa sudi questa nuova interpretazione.
U Rosini era tale ingegno , da ponderar bene le
materie prese a trattare ; onde non so che altri abbia
notato in quel suo dotto volume , che lavorò sul ma-
teriale del Mazzocchi a nome dell' Accademia , osci-
tanze , 0 giudizi! immaluri. Riuscirebbe ancor più
sorprendente l'accusa distranezza, con che parmi tac- •
ciarsi dal sig. Fiorelli l'interpretazione delle sigle 9.
Q. D. L. E. N. C , per la quale resterebbero a cre-
der suo esclusi i lenoni dall' affitto del Venerium. Si
quis domi lenocinium exerceat ne conducilo. Parmi in-
vece che risulta precisamente il contrario da ciò che il
Rosini ha scritto in quel luogo accennato dal Fiorelli,
p. 63 col, a, « Quo iaterdicto lenonibus et meretri-
eulis velitum erat , ne PRAETER VENERIVM ali-
qua ex illis tabernis ad ganeas parandas ahulerenlur,
quas unice venaliliis , mercatoribusque addictas vo-
lebant. » Non escluse aduncpie i Icnones dalla loca^
zione del Venerium ; ma invece intese, comunque sei
facesse , di escluderli dall' affilio delle soie tabernae ,
pergulae , cenacukt. Pare quindi che la ragione di eli-
minare la interpretazione del Rosini ci viene piuttosto
dall'arbitraria separazione, che egli fa dell'affitto del
balncum , venerium , dall'affitto delle altre abitazioni ,
di che non ha verun motivo neanche per la interpre-
tazione da lui medesimo proposta. L'altra ragione con
che il Fiorelli tende ad eliminare la interpretazione del
Rosini pare a me non meno conghielturale della rosi-
niana: essendo egualmenle incerto se quelle sigle deb-
bano contenere una formola giuridica, o altra cosa. Co-
munque ciò sia, dobbiamo molta lode al sig. Fiorelli,
che per questa sua nuova interpretazione con assai mi-
glior senno proposta, da una strana ipotesi c'introduca
nel campo di una dotta e giudiziosa conghiettura. La
spiegazione delle sigle inventala dal Winckelmann eb-
be seguace anche l'OreHi, il quale credette che il pro-
gramma seguente, che comincia A'SVETTIVM'VE-
RVM AED scritto di sotto a quello della locazione ne
fosse un seguito; e così tennesi ad interpretare 1' A.
di questo, Adeat (4323); nel che per fermo gli avreb-
be dato un apparente sostegno il programma ora per-
duto dell' Insula Arriana Polliana , dal quale trasse
il Guarini l'opinion sua , leggendosi in quello; Con-
ductor convenilo primum Cn. Allei. Nigidi. Mai. ser:
il Romanelli ha GN. ALIFI NIGIDI MAI erronea-f
mente. Garrccci.
P. Raffaele GAnnucci d.c.d.c.
Giulio Minervini — Editori.
Tipografia di Giuseppe Càtàneo.
BUILETTI^O ARCHEOLOGICO IVAPOLllMO.
NUOVA SERIE
N° 28. (4. deir anno II.)
Agosto 1853.
Nolizia de più recenti scavi di Pompei. Conlinuazione del nwn. 26. — Osservazioni sopra un dipinto pompe-
iano.— Nolizia di alcune iscrizioni messapiche.
Nolizia de' più recenti scaci di Pompei (I). Conlinua-
zione del num. 26.
In questi iillimi giorni si è proseguito lo scavo alla
parte esterna della porla Stabiana. Noi parleremo di-
stesamente delle particolarità osservabili in questo
estremo della cillà di Pompei , quando i lavori di
scavazione saranno sufficienlemenle progrediti , per
])Oterne presentare uua distinta idea. Non possiamo
però tacere sin da ora di una interessantissima scoper-
ta, che ebbe luogo in quel medesimo sito. Uscendo dalla
porta di Slabia appare alla sinistra il principio di una
strada obbliqua , e presso al muro che la limila , e
che forma parte delle opere circostanti alla suddetta
porta , vedesi impiantata nel suolo alquanto obbli-
quamente una lastra di marmo di circa tre palmi di
altezza. La posizione di questa lapidaèdacontiontare
precisamente colla lapida viaria osca recentemente
scoperta , la quale ritrovasi a pochi passi distante.
Nella parte anteriore di questa novella pietra leg-
gesi la seguente iscrizione :
L • AVIANIVS • L • F • MEN •
FLACCVS • PONTIANVS •
Q • SPEDIYS • Q • F • MEN •
FIRMVS • II • VIRI • I • D • VIAM •
A • MILLIARIO • AD • CiSlARIOS •
QVA • TeRRIToKIVM • EST •
POMPEI ANORVM • SVA •
PEC MVNIERVNT •
( 1 ) Queste notizie sono state da me comunicate alla reale acca-
ilcmìa Ercolanese.
iJVJVO II.
La prima cosa a notare in questa nuova epigrafe
pompejana , si è che essa ci presenta i nomi di due
duumviri finora non conosciuti: sono essi L. Avia-
nio Fiacco Pontiano , e O Spedio Firmo. Apparten-
nero entrambi alla tribù Menenia , alla quale , sic-
come è noto, furono ascritti i Pompcjani. Sappiamo
poi dalia nuova iscrizione che quei duumviri forti-
ficarono col proprio danaro la strada che si estendeva
fuori la cillà di Pompei a milliario ad cisiarios , qua
territorium esl Pompejanorum. Il tnilliariam di cui
si parla non è certamente la lastia di marmo novel-
lamente scoperta; ma una colonna, che ritrovar si
dovrà al termine della strada, della quale è comparso
il cominciamento. I cisiarii trovavansi intorno la porta
di Stabia , pronti ad affittare per pattuita mercede i
loro carri da trasporto a' passaggieri che il richiedes-
sero. Noi non parliamo distesamente del cisium; ma
osserviamo che dulie cose raccolte dallo Schcfler ri-
levasi essere un veloce cocchio destinalo al trasporlo
degli uomini da un sito ad un altro fde re Vehic. lib. II.
cap. XVIII). E poiché questo era principalmente ne-
cessario per trasferirsi da un paese ad un altro, esser
dovea consuetudine che questi cocchieri fcisiariij si
disponessero presso le porte della città , e così pure
presso la porta di Slabia in Pompei; siccome ci viene
indicato dalla presente iscrizione. In appoggio di que-
sta nostra osservazione merita di essere richiamata un'
altra iscrizione di Calvi, che si conserva nel Real Mu-
seo Borbonico, ove è menzione de' ye'smri j (sic) /lortae
Stellalinac ( Mommsen inscr. r. Neap. lai. p. 206 n.
3953).
Né riesce meno interessante 1' altra notizia della
nuova epigrafe pompejana che cioè dalla porla di
4
— 26 —
Stabia , ove si raccoglievano i carrozzieri , sino alla
colonnella o miUiario, estendevasi il territorio di Pom-
pei : qua tenilorium est Pompejanorum. E ben cono-
sciuta la signiflcazione della voce lerrilorium, qua-
lunque riputar se ne debba la vera etimologia. A noi
ne fornisce chiara idea il giureconsulto Pomponio :
Territoìium est universitas agrorum intra fines cujus-
que civilalis (Dig. lib. L tit. XVI leg. 239 §. 8 ; ove
si veggano i commentarli de' giureconsulti). Seguen-
do dunque la traccia della strada nuovamente com-
parsa potremmo venire a conoscere fin dove si esten-
deva da questo meridionale lato di Pompei il teni-
mcnto della città , e quindi ancora la giurisdizione
de' pompejani magistrali.
Tornando alle scavazioni della strada stabiana, os-
servo che la nuova via diretta verso il Foro non po-
teva essere accessibile che da'seli pedoni; impercioc-
ché sarebbero stati impediti i carri dal marciapiede ,
che vedesi in conlinuazione e non interrotto nel sito
ove si apre la strada. Riesce ora possibile cominciare a
dar di questa una idea, dopo le più recenti scavazioni.
A' due lati si eleva una serie di pilastii di opera late-
rizia , che lasciano in mezzo uno spazio lastricato di
pietra vesuviana , e largo trenta palmi. Questi pila-
stri lasciano d'ambi i lati una stradella di pochi palmi
limitata da' muri degUedifizii che la costeggiano. Sono
linora comparsi quattro degli enunciati pilastri , a
ciascuno de' quali vedesi addossato un piedestallo di
fabbrica simile in grandezza a quello della statua di
Olconio , il quale soltanto è conservato , siccome di-
cemmo , anche nel suo rivestimento di marmo. Gli
altri tre sono interamente spogliali, e privi delle sta-
tue , che in origine dovevano eievarvisi. La slralifi-
cazione delle terre mostra che il silo non sia stato
modernamente frugato , ma forse spoglialo dagli an-
tichi medesimi , o che si trovasse in restaurazione al
tempo della catastrofe pompcjana. Annunzio intanto
con piacere che le nostre predizioni si sono verificale,
essendosi rinvenuti tutti i pezzi mancanti della statua
di Olconio, non esclusa la mano destra, la quale però
è priva di un dito. La posizione di questa mano, ed un
leggiero incavo appositamente pratticalo presso la pal-
ma , mostrano che Io scultore aveva fralle dita col-
locata un' asta , o altro oggetto , che non si è però
finora ritrovato. Noi speriamo di poter dare quando
che sia un disegno di questo interessantissimo scavo.
Presso ad uno de' pilastri , e propriamente a quello
opposto alla statua di Olconio, sono stali rinvenuti tre
scheletri umani, ed ivi presso quello di un fedel cane,
che aveva subita la medesima sorte de' suoi infelici
padroni. Uno degli scheletri aveva due piccoli anelli
di oro all' ossicciuolo di un dito, de' quali il più grande
adorno di piccolo smeraldo.
Un altro scheletro offriva pure l' ornamento di un
grosso anello di argento , e di altro tutto rivestito di
ossido di ferro, intorno alla falange di un dito. Vicino
a quei disgraziati , come sovente si verifica , furono
rinvenute non poche monete di argento, e di bronzo,
in parte fra loro ammassate , in parte rese poco ri-
conoscibili dall' ossidazione : e potrà farsene 1' attri-
buzione, quando saranno liberate dall'ossido, che le
ricopre, mercè i melodi conosciuti. Dal veder questa
famiglia in quel sito ricoverata, potrebbe desumersi
che quello spazio fosse munito di coverlura ; ma non
vorremmo su di ciò azzardare alcuna conghiettura ,
priachè il compimento della scavazione non ce ne for-
nisca l'appoggio.
Grande è slata in questi ultimi giorni la messe dei
programmi scritti col pennello su' muri esterni degli
edifìzii : noi li riporteremo al solito con un numero
d' ordine progressivo.
1. PANSAM
AED • SABINVS • RO • • •
2. Q • P • P . IVVENEM
AED • 0<^ D • R • P
SABINVS • ROG • COPO
Nelle sigle Q • P • P • è facile ravvisare Qitinlo
Postumio Proculo, il quale ricorre nel seguente n. 1 1 .
Notevole è la ortografia della voce COPO , la quale
ritrovasi pure nella iscrizione d' Isernia edita da .\vel-
lino {bull. ardi. najì. an. VI tav. I.n.4. v. la p.9l ),
e sulla quale si vegga ciò che scrive il collega Gar-
rucci (storia d' Isernia pag. 140. J
— 27 —
3. C • IVLIVM
AED • D • R
4. SERENVM . AED
5. KVSTIVM DO
VOLYbium
P
C. Q • POSTVMIVM • MODESTVM
C . CALVENTIVM • SITTIVM
VM • ilVlR • 0^
Questo programma ci fa comprendere l' altro che se-
gue,
ove sono con sigle indicali i medesimi nomi.
7. C • C • S • M • li VIR • 0<*>
SABINVS • ROGAI
E evidente che siano gli stessi Cajo Calvenlto , e
Sillìo Magno; il quale secondo nome rilevasi dall'al-
tro programma riportalo di sopra pag. 9 n. 3, ove
in luogo di Sillium Magnum dee leggersi egualmen-
te Sitlium.
8 SABINVM
9. CAIVM • RVFVM
TlV • I • D • 0 • V ■ F
10. C • IVLIVM POLYBIVM • ET • M
LVCRETIVM • FRONTONEM . . .
11. Q • POSTVMIVM • PROCVLVM • SCR
Nuova formola, indicante forse scribite.
13. CVSPIVM • PANSAM
AED • LIGNARI • VMVERSI
Già vedemmo in questa medesima località gli stes-
si lignarii domandare per duumviro Olconio Prisco
( vedi sopra pag. 9. n. 4): in quanto alla voce uni-
versi che segue, s'incontra io altri programmi; così
auri/ìces universi, pomarii tmiversi, muliones universi,
Isiaci universi , dormicnles universi. Vedi l' articolo
del collega Garrucci nel 1. anno di questo bulleuino
p. 1 50 e seg. E poi da notare che lo slesso Caspio
Pansa era desiderato da altre corporazioni cioè dagli
orefici, e da'mulattieri; giacché appunto a lui si rife-
riscono i programmi, a'quali abbiamo accennato.
14. PANSAM AED
O- VF
15. FAVSTINVM AED
SABINVS • ROG
16. FVSCVM AED ( mon. ) OA
17. Sul fronfc di unedifizio non ancora scava-
to, che si scorge adorno di una cornice poggiante so-
pra due pilastrini di pietra di Nocera, si legge in
grandi lettere scritte di rosso
P • FVR • li • V • VB fmon.J • 0 • VF fmon.J
In questo sciogliendo i due nessi VB, VF è facile ri-
conoscere: P. Furiuin Daimi. virum bonum oro vos
faciatis.
18. Abbiamo riserbalo in questo luogo alcuni
altri interessanti programmi, che leggonsi sopra un
pilastro di mattoni , che limila il vicolo costeggianle
lo spazio, ove era la statua di Olconio.
IIOLCONIVM uv'^Td
19. Bellissimo è quest'altro che vi si legge più
sotto, e che equivale ad una durevole iscrizione:
Dlli'EST.
M • EPIDIVM • SABINVM • D • I • DIC
DEFENSOREM • COLONIAE • EX • SENTENTIÀ • SVEDI • CLEMENTIS • SANCTÌ • IVDICIS
CONSENSV • ORDINIS • OBMERITA ElVS ETPROBITATEMDIGNVMREIPVBLICAEFACIAT
SABINVS • DISSIGNATOR • CVM • PLAVSV • FACIT
Questo Epidio Sabino insieme con C. Mario tro- tevole programma pubblicato da Avellino ( opusc.
vasi richiesto per Edile V. A. S. P. P. in altro no- voi. II p. 225 ). Richiamiamo ralteuzìone de' nostri
— 28
lettori sopra i due accenti segnati in fine delle voci
setitenlia e sancii; i quali con altro esempio dimostra-
no che sin d'allora se n'era introdotto l'uso. Magnifi-
cile sono le lodi che si danno ad Epidio; e noi ci ri-
serbiamo di dir qualche cosa sulle formole , che si
adoperano ad esprimerle. Ricorre di nuovo la frase
ex senlenlia seguita dal nome stesso di Suedio Cle-
mente, siccome in altro programma (vedi questo 6»//.
ann. I. p. 152). È indubitato che TORDO , di cui
qui si ragiona, sia Yordo Decitnonum. Non saprei se il
Faciat credersi deggia abbreviato in luogo di facialis,
o piuttosto si riferisca all'orcio, che precede, nel qual
caso si vedrebbe confermata la opinione , che attri-
buisce al decurionale consesso la nomina de' magi-
strali. Vedi le cose dette dal collega Garrucci in que-
sto bullettino (an. 1. pag. 148. e segg. ). Chiudesi il
programma col sufTragio dello scrittore Sabino , che
dicesi dissignalor. È chiaro che questo Sabino era un
dedgnator persona addetta a'ieatri per regolarne l'or-
dine materiale, e per badare alla disposizione del po-
polo che vi accorreva. Tunto rilevasi dal giureconsullo
Uipiano, il quale paragona i dcngnatores a' flpccfisvry.)
de'Greci, e li annovera fra coloro che esercitavano un
ministerio (Dig. lib Ili lit. II § l).Vedi gli annotatori
a questo luogo, non che ad Orazio (ej)?s(.iib.I,7, v.6)
ed a Plauto [Poeìml. prol. v.19 s.). Da'quali confronti
si desume essere altresì uno di questi impiegati il rf«s-
signalor scaenarius della gruleiiana CXXX, G. (cf.
Fabrelti e. IV. pag. 202, Orelli num. 934); ove è
da notare la medesima ortografia che si osserva nel
nostro programma, non altrimenti che nell'altra gru-
feriana ( DCXXV, 1 1; Orelli n. .3212), ove si parla
di uno Stalilio ■praeco idem disfignaloi: Sembra che
da questa ultima iscrizione si ricavi non essere tanto
nobile l'ijfficio di designa(ore, siccome parve ad alcu-
no, giacché era esercilalo da un banditore. E se il no-
stro Sabino è lo stesso che diccsi COPO ncll'allro pro-
gramma sopra riferito , si conferma tanto piìi la poca
dignità di un incarico, che poleva affidarsi ad un betto-
liere.Non è, a nostro giudizio, senza allusione alia scena
ed alle cose teatrali raj;giuntocw7H/)/aMsudi questo Sa-
bino , il quale ricorda cerLimente le espressioni che si
riferivano sovente all'esercizio del suo ministero.
Tra'varii oggetti di poca importanza rinvenuti io
varii siti di questi ultimi scavi noteremo particolar-
mente quattro bronzi , che richiamarono maggior-
mente la nostra attenzione. 11 primo si è un' ampulla
olearia mancante del collo , avente a' due lati due
ane'Ietli sporgenti destinati a ricevere la catenella per
tenerla sospesa ; e di questa rimane alcuna traccia :
e poiché vicino ad essa ritrovaronsi alcune slrigili , può
credersi che una o tulle erano con quella accoppiate, '
e pendenti dalla medesima catenella , meritando così
il nome di xijstrokcylhos.
Il secondo bronzelto figura un piccolo teschio uma-
no, colle vertebre , e porzione del busto , ed è note-
vole che le vertebre si legano con quella parte del
busto con una specie di cerniera , che ne produce la
mobilila. Questo piccolo monumentino viene ad ac-
crescere il numero delle rare rappresentazioni di sche-
letri umani : e per quella sua mobilità è da parago-
nare allo scheletro di argento recato nel convito di
Trimalcione, al riferir di Petronio [Satyr. p. 31 ed.
Baudelot).
Finalmente sul marciapiede all'ingresso di una
bottega , non ancora disollerrata , messa rimpetto al
pilastro , ove è il riferito interessante programma di
Epidio Sabino, si sono ritrovate due statuette, la pri-
ma è alta 25 centesimi di palmo , e rappresenta un
giovinetto sdrajato , adorno di clamide , nell' atto di
sollevare la destra mano , colla quale tener dovea
qualche cosa , che non sapremmo indovinare.
La seconda statuetta alla 0. 9 di palmo rappresen-
ta un -Mercurio nudo in atto di camminare ; ha la cla-
m de congiunta con una fibula presso al petto, e che
discende dietro le spalle : colla destra tiene In borsa ,
colla sinistra è in atto di stringere qualche simbolo ,
forse il caduceo, che però non si è ritrovato. I piedi
sono nudi. Dall'alato petaso sorgono due falli, e tre
altri furono ritrovati vicino, i quali compirono l' or-
namento di quella divinità: in falli due sorger dovea-
no dalle tempia , ove sono pratticali due foi i per in-
trodurveli; non può con certezza determinarsi ove
fosse collocalo il terzo. A meno che dir non si vo-
glia che questo Mercurio formasse gruppo con l'ali ra
staluelta, la quale elevava forse colla destra quelter'^
— 29 —
20 simbolo. Sul corpo del dio è attaccala dall' ossido
una catenella frammentala , alcuni pezzi della quale
erano ivi presso distaccali. Altra più grande ed intrec-
ciata di varii Gli di bronzo pendeva da un grande anel-
lo , ed altre simili catenelle intrecciale ma più piccole
partivano da un altro anello di minore diametro. In
quel medesimo sito furono rinvenuii otto campanelli
di bronzo, cinque presso a poco simili, e gli altri tre
di differenti grandezze. Vedendosi alla estremità di
ciascuno de' falli una prominenza come un anelletlo
per sospendere qualche cosa, è chiaro che fossero tutte
destinale a tener sospesi quei cinque campanelli simi-
li, non volendo determinare da qual parte pendessero
gli altri tre. A formarsi una idea di questo singolare
bronzo bisogna richiamare a confronto altri singola-
rissimi bronzi anticamente ritrovati in Ercolano, Sta-
bia, e Pompei, i quali trovansi pubblicali ne' volumi
di Ercolano. E prima di tulio a comprendere il con-
gegno delle catenuzze, alle quali esser doveva sospesa
la statua , basta rivolgere Io sguardo alle tavole L ,
LI, LII del volume delle /wccrwc; né meglio potrebbe
descriversi quella della tav. L di quel che fanno gli
Ercolanesi; pensile è la seconda (lucerna) per mezzo
di Ire calenuzze, che Ititle si uniscono per mezzo di un
anelktlo ; donde se ne diparte una sola lerminanle in
un più {jrande anello (p. 231). Così e non altrimenti
immaginar dobbiamo la nostra pensile statuetta. In
quanlo al soggetto medesimo sono da confrontare le
tav. XCV e segg. del 2. volume de' Bronzi , ove si
veggono somiglianti falliche rappresentazioni con
campanelli pendenti: e principalmente il Mercurio
della lav. XCVI scavato in Ercolano, il quale peral-
tro è di mostruose proporzioni; mentre il nuovo Mer-
curio pompejniio , abbenchè molto ossidato special-
mente nel viso , dee riputarsi di pregevole lavoro.
Non entriamo in una più eslesa dichiarazione della
convenienza del fallo a Mercurio , e della intelligen-
za ed uso de' campanelli ; sulle quali cose favellaro-
ne lungamente i dotti Ercolanesi nel citato volume
de' bronzi pag. 389 e segg. Non vogliamo intanto de-
cidere se il nostro fallico Mercurio fosse messo ad in-
dizio di abbdudania e di commercio presso una bot-
tega , ovvero a sconcio richiamo di dissolutezza : il
che potremo allora soltanto verificare , quando sarà
eseguito Io scavo di quel compreso , alla cui entrata
fu rinvenuta la statuetta. Noi ci attendiamo le più ac-
curate indagini dalla diligenza dell'attuale ingegnere,
sig. Genovese, il (piale ci fa ricordare i tempi de' La
Vega per la cura e Io zelo che adopera nelle pompe-
Jane scavazioni. A questa diligenza dobbiamo l'aver
potuto raccogliere due altri programmi, ed altre no-
tizie , delle quali diremo in altro nostro articolo. Il
sig. Genovese si avvide che sopra due grandi massi
di tufo di Nocera pertinenti allo spazio ove fu la sta-
tua di Olconio erano tracce di lettere, e riserbandoli
accuratamente m'invitò a Hirne lo studio. Lessi so-
pra uno
P • PAQVIVM • D • I • D •
Sull'altro, seguiva ad un nome illegibile
FOUEXSliS • ROG •
E la prima volta che troviamo i foremes richiedere
qualche personaggio alle magistrature in Pompei. É
poi notevole che si ritrovi una tale ozione sulla via
appunto, che mena al Foro: la qnal cosa può con^
durre ad altre cousegucnze , delle quali ci proponiamo
tener ragionamentr» in altra occasione. Non vogliamo
tralasciare di notare che i descritti due massi presen-
tano moltiplici strali d' intonico, vedendosi ne' sotto-
posti tracce di pitture e d'iscrizioni : delle quali dare-
mo notizia , allorché ci riuscirà di rilevare alcuna
cosa di certo.
(continua) Minervini.
Osservazioni sopra un dipinto pompejano.
Magnifico e veramente grandioso è il disegno di
queir importante dipinto, rappresentante un bacchico
trofeo, il quale fregia tuttora una delle pareti del fn-
clinio della casa di Marco Lucrezio in Pompei. Ve-
desi esso precisamente nel muro parallelo a quello ,
ov'era rajipresenlato Sileno col piccolo B.icco datti in
un carro di buoi , e circondati da allre bacchiche
figure.
Il quadro , a cui accenniamo , bene a ragione è
detto da un celebre aixheolu'^o pezzo capitale dell' an^
tica pittura: e solo è da dolere clie non ci sia perve-
— 30 —
nulo in quello sta(o di conservazione , che sarebbe
desiderevole per tulli gli amatori dell'arte antica (1).
Le figure di questo maraviglioso dipinto sono di
grandezza naturale: ed è osservabile che nell'eseguire
questo bellissimo quadro, non si è fatto uso general-
mente che di due soli colori, diversificati nelle varie
gradazioni delle loro tinte ; cioè a dire del rosso e
dell' azzurro : se n' eccettui qualche piccola porzione
(li verde adoperalo nelle vesti, come pure ad indicare
Jc foglie , e principalmcnle quelle del tirso.
Celiando un rapido sguardo sulla scena , che ci si
presenta , non tarderemo a convincerci che si tratta
della commemorazione di un baccliico trionfo.
Vedesi nel mezzo un trofeo , a pie del quale è un
prigioniero colle mani legate dietro al dorso, il quale
in mesta fisonomia siede sopra alcune armature. Una
figura coronata di ellera , e vestila di lunga tunica
manicata si appressa al trofeo recando con ambe le
mani uno scudo fregiato nel giro di marine onde, per
sospenderlo allo slesso. La segue un Satiro coronato
di canne , e con lunghissimo tirso , a cui è sospesa
una rossa tenia.
Dall' altro lato del trofeo è allra figura , che par
virile , coronata di edera , la quale è nell'alto di so-
(I) Vogliamo alludere al Sig. naoul-Roclielle, il quale usa di quelle
espressioni nel journal des Savans 1852 p. 296. Sollanlo non pos-
siamo trallencrci dall' esaminare alcune troppo severe parole , per le
quali si altribuisce il deperimento di questo prezioso dipinto alla negli-
genza di chi lo lasciò sopra luogo, invece di trasportarlo nel real mu-
seo Borbonico, e questa negligenza si appone ad un uomo la cui me-
moria mi è cara , ed 6 rispettata da tutti gli ama'.ori della classica an-
tichità : dir voglio al Commendator Francesco Maria Avellino. Io non
disconvengo che sia necessario far trasportare sollecitamente nel rcal
museo Borbonico i dipinti di qualche pregio , i quali rimanendo sopra
luogo o presto o lardi van soggetti alla distrazione. Osservo solo che
nel caso attuale , il quadro , di cui 6 parola , poco fu danneggialo
dalla sua primitiva comparsa. In fatti appena qualche mese dopo, il cav.
Panofka descrivendo i diversi quadri di quel triclinio, gii annunziava
che questo del trofeo era il più scolorato di tulli bullett. dell'lst. di
corr. arch. 1817 p. 135). Ciò serva a liberarci dal rimorso di aver ca-
gionalo un notevole danno alla nostra pittura, la quale ebbe piuttosto
a soffrire dalla mano consumatrice de'secoli. Del resto, se Avellino non
fece trasportare in Napoli le dipinte pareti della casa di M.Lucrezio, fu
solo perchè non n'ebbe il potere per le circostanze [>articolari di allora,
il libero esercizio dilla sua carica rimase per alcuni anni sospeso: e
quando poi sul cader ilell'anno 1 8 19 riprese allivamenle le sue funzioni,
non fu che por prepararsi alla lìcra morie , la quale ne' primi giorni
del seguente anno lo colse.
sfenere uno scudo , sulla cui superficie l'alata Vitto- "
ria segna qualche cosa in commemorazione del seguito
trionfo.
Già varii archeologi parlarono di questo prezioso
dipinto. Tulli concordemente pensarono Irallarsi di
una vittoria di Bacco, ma non furono però conformi
nel determinarla. Gli archeologi napoletani opina-
rono che ci si ponesse sotto gli sguardi la vittoria in-
diana di Bacco. (Vedi Panofka nel buUclt. dell' ht.
arch. 1847. pag. 184 ). Il cav. Panofka, non senza
toccare la medesima conghiettura , espose da prima
la idea che dovesse il trofeo riportarsi alla conquista
di Spagna fatta da Bacco [bullettino cit. 1847. pag.
135-s.). Posteriormente Io slesso chiarissimo archeo-
logo rifiutò la sua precedente opinione, e ravvisò nel
ponipejano dipinto la vittoria di Argeo re di Mace-
donia su'Taulanlii; per la quale venne alle macedo-
niche donzelle il nome di Mimalloni, secondo una re-
condita Iradiz'one riferita da Polieno [slrateg. IV, 1).
Il Commendatore Avellino, nel dar la descrizione di
quel triclinio , riportò tutte le diverse spiegazioni ,
senza seguirne direttamente alcuna [bull. arch. nap.
anno VI. pag. 20). Finalmente il signor Raoul-Ro-
chelle sostenne brevenienle la medesima spiegazione
già fra noi rilenuta , vai dire che quel trofeo sia re-
lativo alla vittoria di Dioniso nelle Indie [journal des
Savants 1852 p. 296 e seg. ).
Prima di esporre ciò che a noi sembra di queste
varie spiegazioni , mi sia lecito di osservare che in
tutte si suppose essere una Baccanle la figura coro-
nala di edera, e vestita di lunga tunica. Molte ragioni
dipartir mi fanno da una tale idea. Ho esaminato più
volte ncir originale la maestosa e grave fisonomia di
quella figura : e la espressione particolare del suo
volto, non che la disposizione de' capelli, che mal
converrebbe ad una donna , mi fanno assolutamente
pensare trattarsi di una figura virile. Questa mia per-
suasione tanto più si conferma , quando si ponga a
confronto la figura certamente femminile della Vitto-
ria. La diversità della chioma , e la maggiore biau-
cliezza della carnagione risaltano troppo al paragone
per attribuir le due figure al medesimo sesso : né è
da tralasciare che la Vittoria offre l'ornameulo degli
— 31 —
orecchini, nicnlre questo manca alla creduta Menade, proposito mi piace di ricordare alcune monete di Nt-
Queste ragioni esteriori sono afTorzate da un' altra caea di Bitinia , nelle quali vcdosi appunto la figura
di maggior rilievo , la quale mette fondamento nelle di Bacco nel medesimo costume, e sotto le medesime
leggi della buona composizione. Se una vittoria volle forme, che nel quadro, di cui stiamo ragionando:
nel nostro quadro accennarsi, potrebbe farsi a meno se non che il dio por si vede il piede sopra una testa
della presenza del vincitore, il quale all'aspetto de' di elefante. Questa parlicolurilà fu egregiamente spie-
vinti si goda la gloria del trionfo? Io noi credo: o gata dal eh. Cavedoni come allusiva alla fondazione
perciò son di opinione che quella maestosa figura , stessa della cillà, la quale fu da Bacco medesimo ap-
certamente virile, benché adorna di femminili vesti- pollata A^/caca dopo la indiana villori.i : 'Iv^ciJi''voyf>ijrà
menta, e fregiata di bacchici attributi, dinoti lo stesso v/xy,v , al dir di Nonno ( Dioniji^. lib. XVI v. 403 ). Jl
Dioniso inlento a costruire il trofeo della sua vittoria, poi notevole che anche in alcuna di queste monete fu
Non dovrà poi risvegliare per la novità maraviglia la figura di Bacco creduta femminile; ed è dovuto al
una figura di Dioniso in lunga veste : frequenti ne sono citato numismatico di Modena l'averne rettificata l'at-
gli esempli segnatamente sui vasi dipinti; e non ci tribuzione: (Vedi un dotto articolo del Cavedoni negli
fermiamo a citarli. Richiamo finalmente l'attenzione annali di numismalica del eh. Fiorelli voi. I p. 86 e
sopra un'altra particolarità, che sempre più mi per- seg. e la tav. Ili fìg. 9 ). É poi noto che nella mede-
suade a farmi ritenere per Bacco la pretesa Menade: sima pompej:ina casa di M. Lucrezio comparve un
ed è che il tirso sostenuto dal Satiro, per la sua spro- altro dipinto ritraente una figura di Bacco somiglian-
porzionata grandezza mostra non essere appartenente tissima a quelle delle monete di Nicea, colle quali il
a quella meno elevata figura : deve dunque dineces- eh. Avellino ne fece dipoi il paragone [hidletl. arch.
sita attribuirsi quel simbolo al maestoso personaggio, nap. an. VI p. 7 e 17). Seinbraci degno di osserva-
a cui il Satiro fa quasi da ministro. Non possiamo per- zione che nel quadro del trofeo ad indicare il seguito
ciò supporre che si tratti di una semplice Menade , trionfo vedesi invece della elefantina testa la Vittoria
ma di fatti dovremo ravvisare lo stesso Dioniso, ser- stessa , la quale può fare allusione al nome di Nicea.
vito da uno della schiera de suoi seguaci. Che se il possessore della pompejana casa volle al-
Per mettere fuor di dubbio questa nostra attribu- trove effigiare un Bacco, che comparisce unicamente
zione aggiungiamo un'ultima considerazione. Lapre- come tipo della città di Nicea, potrà desumersene un
tesa Baccante è di statura alquanto più grande, messa argomento per supporre relazioni di carica o di com-
a confronto con tutte le altre figure che la circonda- mercio con quella regione: per lo che poteva Lucre-
DO. Questa sproporzionata grandezza tanto più con- zio compiacersi di figurare sopra una delle pareti della
venir non potrebbe ad una donna, quando altro non sua casa la fondazione di quella stessa città. Il eh. Pa-
fosse che una mortale: ma se in quel personaggio nofka trova difficoltà a credere rappresentata l'indiana
ravviseremo un dio, sparisce qualunque difficoltà ; vittoria, osservando che nelle armi do' vinti non com-
essendo cominie canone dell'arte antica di effigiare parisce alcuno indizio d'indiani costumi. Questa osser-
di più vantaggiose proporzioni le figure divine. vazione ha per me poco appoggio ; perciocché potò
Ritenuta dunque indubitata la presenza di Bacco l'antico artista, nel formare il trofeo, costituirlo di
nel pompejano dipinto, cade di per se la seconda quelle armi, che più frequentemente presentavansi ai
spiegazione del Panofka, contro la quale altre difficoltà suoi sguardi. É poi noto che nello miliche pugne, sì
furono da altri elevate. Traile vittorie di Bacco io credo nelle relazioni de' poeti che negli antichi monumenti,
pure debba prescegliersi quella indiana, dopo lepre- non è raro scorgere adoperate da popoli barbari le
messe osservazioni. A ciò m'induce l'asiatico vesti- medesime armi otTensivc e difensive, che furono in
mento del nume, e la sua lunga bassaride, la quale uso appo i Greci. E nel caso presente una più certa
particolarmente conviene all' indico Dioniso. Ed a tal determinazione de' vinti era pure inutile, quando erasi
— 32-
fanto bene distinta colle forme dell' indico Bacco la
fijj'ura del Aincilore.
In maggiore sostegno della premessa spiegazione
mi pai- che venga un cognome di Bacco , dir voglio
quello di tìpi'x,uj2os (TriumphusJ: giacché se ne attri-
buisce la origine alle spoglie recale da Dioniso dopo
l'indiana spedizione (Diod. Sic. lib. IV cap. V). Sic-
ché un trofeo formato dallo stesso Bacco non può ri-
ferirsi che alle medesime gloriose imprese , per le
quali si disse introdotto il primo uso del trionfo colle
spoglie de' vinti nemici.
Tutte queste ragioni mi fanno credere meno pro-
babile una coughiellura , che mi era sovvenuti alla
mente, per rimuovere la difllcollà messa innanzi dal
eh. Panofka.
Io aveva pensato alla vittoria di Bacco su' domi-
natori delle Beotiche città, ed alla fondazione di Eleu-
tcre: (Diod. Sic. lib. IV cap. II exir. Vedi ciò che
scrive il dottissimo Lobeckh Aglaophamus p. 661 ed
il Bolle redi, sur le culle de Bacchus tom. Ili p. 280
e segg. e 331 e segg. ). Ma queste tradizioni messe
in rapporto del pompeiano dipinto non trovano quella
spontanea applicazione , che si richiede per abbrac-
ciare un' archeologica conghiettura.
Resterò dunque nella idea che il soggetto sia allu-
sivo alla indiana vittoria di Bacco, e forse ancora alla
fondazione di Nicea.
Mi riserbo di presentare piiì estese ricerche in altro
mio lavoro ; perciocché la brevità è essenzialmente
richiesta nella presente pubblicazione. Minervini.
Notizia di alcune iscrizioni messapiche.
Debbo alla gentilezza del mio egregio amico sig.
Ciro Moscbitli (i) la notizia di alcune iscrizioni mes-
(i) n sig. Meschini è autore di im volgarizzamenlo delle istorie
romane ài B. G. Nicbuhr , fallo sulla iraduzione fianccse del sig.
Golbéry ed impresso in Napoli in ire volumi in 8. pe' tipi di Gae-
tano Nobile 18t6 segg. Noi raccomandiamo a' leiiori del 6ul(c/<»?io
r acquisto di (juesla versione, nella quale, oltre alcune noie del tra-
duttore, vedesi pure una caria della Ilalìa antica, la quale nelle e-
dizioni tedesca e francese manca\ a , mentre si rende utUissinii» per
I a intelligenza della prima parte dell' opera.
sapiche , le quali ora più non esistono , ma si leggo-
no in un antico manoscritto nella casa di D. Vittorio
Ptioli di Lecce. Non sono in esso riconosciute per e-
pigraQ messapiche , ma lo scrittore D. Scipione de
Blonti annunzia averle ritrovate su di un antico muro
della città di Lecce. Sono esse le seguenti:
1) AOKIIII KOIII HArARATl
2) TAKRATAKRnnAIKI
3] OIKOROIHI RiriAS M()R.')AS
È risaputo che finora una sola iscrizione di Lecce
era conosciuta, la quale pur da un antico manoscritto
trovasi pubblicata dal Mommsen ( Unleril. Dial. pag.
59. Taf. IV). È importante adunque il vedere arric-
chita quella medesima località di tre altre iscrizioni.
Leggiamo la prima dividendo le parole in tal guisa:
Azxi]rt Kch haTrapotr; , ovvero
Aoxi\'i KoH l-ayctpaT/
giacché rimane per noi dubbioso, se il terzo elemento
della terza voce deggia riputarsi un F ovvero un P.
Nessuna di queste voci incontra il paragone in al-
tre messapiche iscrizioni ; giacché il Kol-i non è da
confrontare affatto col K>.&1-; della iscrizione di Vaste:
osservo solo che quella specie di digamma premesso
alla parola hayapoiT/ non è nuovo nella ortografia dì
quel dialetto ; siccome ci venne fatto di osservare nel
primo anno di questo bullellino pag. 108.
La seconda iscrizione sembra poco esattamente ri-
copiata , e non sapremmo in qual modo divider si
debbano i vocaboli , che la compongono.
Forse potremmo supporre che la decima lettera fos-
se un IH ; nel qual caso si leggerebbe la iscrizione
Ta.xpa, To-xpi}-! "ttchixi
In questa seconda iscrizione , come nella terza ,
neppure abbiamo il confionlo di parole simili nelle
poche iscrizioni messapiche finora conosciute. La terza
dice così Oiy.opot\-t piyias fx-opoas
Non abbiamo ancora elementi bastevoli di confronto
per venire a probabili conclusioni sulla intelligenza
di queste novelle epigrafi di Lecce. Saremo perciò
contenti di riportarle, rimandandone a miglior tempo
la conghietturale interpretazione. Minervini.
P. Raffaele Garrccci d.c.d.o.
Giulio Mi.nekvi.m — Editori,
Tipografia di Giuseppe Catàkeo.
BtllETTIKO ARCHEOLOGICO NAPOLITAÌVO.
NUOVA SERIE
iV.« 29. (5. deir anno II.)
Settembre 1853.
Bollo consolare. — Sugli avanzi di antiche costruzioni orizonlali e poligone , che sono sottoposte alla chiesa
Cattedrale di Ferentino. — Scrizioni latine.
Bollo consolare.
Il sig. Felice Marlclli trovò agli SfafToli , paese dui
Cicolano posto fra Capradosso 1' antica Clileinia , e
Fianiignano un Bollo di tegolo con questa leggenda
circolare
\ p
'^.
cos
D I
che nel mio recente viaggio ofieniii di copiare dalla
gentilezza dei coltissimi figli di lui. La mia divinazione
fu ì'ICulina (sic) SOSJcniana ^ìarciTErcnlii Orici tis
VRÌYcrniana. PAKTo COSule (l),che trasmisi al eli.
sig. Conte Borgliesi, dui (juale ricevo la illustrazione,
clic io qui sottopongo , a comune vantaggio.
)i Ella mi era ignota, ma £c fu rinvenuta nel Cico-
lano ( intendo nel territorio di Cicoli nell' Abruzzo
ulteriore ) spetterà ad un paese dell'antica Sabina, e
jiiù lardi della Valeria , non molto lontano per con-
seguenza da Roma, onde potremo giovarci degli esem-
pi moltiplici, che ci offrono i bolli Romani. Convengo
pertanto con lei , che il FIC o FIG SOST indichi il
nome della fornace da cui deri\i , ch'Ella su|)plisce
Fltiulina SOSteniana.eSOSTENiiS difalti fu un co-
gnome libertino, siccome ci mostra ilTAVHlSCVS •
(1) La linea dio è davanti a PRIF non ha vcrun ratio orlzon-
lale , ed è aliiuanio curva , onde io la tenni per imo dei segni so-
lili inconliais' nelle ligurne.
AXKO 11.
SOSTENIS- GERMANICI CAESARIS Liberti SER-
VOS del Muratori p. 922. 42. Qualcuno potrà forse
osservare, che i nomi delle figuline piuttosto che da
un cognome provengono per l'ordinario da un gen-
tilizio , ma poco fastidio per ciò ci prenderemo po-
tendo facilmente sostituirsi la gente Soslenia cognita
per un'altra lapide dello slesso Muratori 17'i7. Ij.
Convengo pure che nelle tre sigle susseguenti M ''E O
stiano nascosti i nomi del fiondo , o del proprietario
della fornace, per esempio Maici TEienlii Onesimi,
fre<juenle essendo di vederli cosi compendiali in al-
tre terre colle. Tutto il resto appartiene per me al
consolalo che ne segna la data. La successiva iniziale
astata, ch'Ella m'indicò come non ben determinala ,
dovrebbe essere un T, ossia il prenome di Tito Pri—
fcrnio Peto console sufTelto, che quantunque non re-
gistralo nei fasti , non è tutlavolla sconosciuto. Am-
metlo anch'io che questa ca=a abbia desunta la sua
denominazione dell' antica città di Prifernum notata
v.'A\n tavola Peulingeriana come distante dodici miglia
da Aniiterno. Due Senatori di questa famiglia sono
ricordali fra i molli Patroni di certi Corporali , pro-
babilmente i Lenuncularii Ostiensi , dei quali ci ha
serbalo l'elenco una gran tavola dell'anno 893 presso
il Grntero p. 126. L'uno è il padre che per la sua
anzianità vi è segnalo pel primo, e che si appella T •
PRIFERNIVS • SEX • FIL • PAETVS • ROSLV WS •
GEMINVS, di cui torna la ricordanza in tm' altra ta-
vola del 905 (Grut. 1077. 1). L'altro è il figlio che
vi è detto parimenti T • PRIFERNIVS -TE- PAE-
TVS . ROSIANVS . GEMINVS • Filim , di cui pure
si ba nuova memoria, coli' aggiimla della tribii Qui-
rina frequentissima ad Amiieruo , in un frammento
— 34-
di anno incerto , ma però dell'impero di Antonino Pio,
riferito dal Doni ci. IX. n. 6, e che io vidi in Roma
molti anni sono presso il Vescovali. Non dubito cte
il primo sia il Rosianus Gemìnus Quaestore di Plinio
nel suo consolato dell' 833 , da cui viene raccoman-
dalo a Traiano coll'epistola 16 del libro X. Né osta
se per tal modo nel 903 avrà avuto l'età di 77 anni,
perchè a quel tempo doveva essere molto vecchio ,
se lino dall' 893 aveva già un figlio per lo meno in
età senatoria. Quindi non saprei decidere a quale dei
due spetti il rescritto di Adriano a Rosiano Gemino
memoralo da Papiniano nel Digesto L. 48. 5. 6. Mag-
giori notizie si hanno del secondo in grazia di una la-
pide del suo genero Paclumeio Clemente, scoperta a
Gostantina nella Numidia fino dal 1841 , di cui in
Roma si ebbe subito copia, e ch'è poi slata pubblica-
ta più tardi ne\[' Exploration de l' Algerie ta\ . 133.
2. Qui la trascrivo per risparmiarle l'incommodo di
ricercarla.
P • PAGTVMEIO /^ P £^ F
QViR 0 CLEMENTI
X VIRVM STLITIBVS • IVDIGAND
QVAEST • LEG • ROSIANI ■ GEMINI
SOCERI • SVI • PROCOS • IN ACHAIA
TRIB • PEEC • FETIALI • LEGATO • DIVI
HADRIANI . ATHENIS • THESPIIS
PLATEIS • ITEM • IN THESSALIA
PRAETORI • VRBANO • LEGATO
DIVI HADRIANI . AD RATIONES
CI VITATI VM • SYRIAE • PVTANDAS
LEGATO • EIVSDEM • IN CIUCIA
CONSVLI • LEGATO IN CILICIA
IMP • ANTONINI • AVG • LEG • ROSIANI
GEMINI • PROCOS IN AFRICA
PATRONO • i/auntaNIARViM
D D P • P
Non può dubitarsi che questo Proconsole dell'Afri-
ca sia il figlio Rosiano pel confronto di una base tro-
vata in un cimitero cristiano di Roma, e riportata dal
Marangoni negli Atti di S. Vittorino p. 130, dal Mu-
ratori p. 2026. 5, e dal Marini Arv. p. 799 che at-
Iribuivala a G. Ducenio Gemino , in cui dicesi Titi
Filius
T ' PrlfeimO • T . F
Quir . Paelo • i?oSIANO • GEMINO
Cos • Leg • Aug • /'ROCOS
Prov ' ^FRICAE
CEIVS
INVS
ENTI
Farà meraviglia a taluno come costoro piuttosto
che Priferni Peli si chiamassero più volgarmente
Rosiani Gemini , ma parmi che la ragione ce ne sia
resa dalla finale di uno di questi nomi , per cui sia
lecito di supporre che il padre nato da un Sesto Ro-
sio Gemino fosse adottato da un T. Prifernio Peto ,
e per tal modo addivenisse T. Prifernio Pelo Rosiano
Gemino. La rarità, o piuttosto la singolarità di que-
sto gentilizio, la corrispondenza dei tempi, e la vici-
nanza dei luoghi mi danno argomento di credere che
r adottante sia nominato in quest'altra iscrizione,
che io ho più correttamente dalle Schede dell' Ama-
duzzi, il quale la vide sulla facciata della casa dei si-
gnori Solidali a Conligliano vicino a Rieti, che si re-
puta r antica Cutilia.
T • PRIFERNIO
P • F • QVI • PAETO
MEMMIO • APOLLINARI
mi • iVR • Die • QVINQ • MAG • IV
PRAEF • con • III • BREVC • TRIB • LEG • X
GEM • PRAEF • ALAE • I • ASTVRVM . DONIS
DONATO • EXPED • DAC • AB • IMP
TRAIANO • BASTA • PVRA • VEXILLO
CORONA • MVRALI • PROC • PROVINC •
SICIL • PROC • PROV • LVSITAN
PROC • XX HER • PROC • PROV • TiRAC
PROC • PROV • NORICAE
P • MEMMIVS • P • F • QVI
APOLLINARIS
PATRI • PIISSIMO
— 35 -
È evidente dai nomi del fi-lioPMEMMIVSPublii Fi-
lius che anche il genitore si chiamò realmente P.IMeni-
inio Apollinare, onde resta che il T- PRIFEKNIVS*
PAETVS gli sia provenuto dalla famiglia della madre.
Posto tutto ciò, è ora conosciuto generalmente, ed io
ne ho recalo esempi altre volle, che in simili casi molti
adottati seguitarono ad essere più comunemente chia-
mati cogli antichi loro nomi natalizi, mentre negli adi
solenni come sarebbero i fasti consolari do\eltero u-
sare i nomi legali ch'erano quelli dell'adottante. Ma se
il secondo Rosiano fu Proconsule deli' Africa sarà cer-
tissimo, ch'egli deve aver occupato precedenlcmenle il
seggio consolare, ed anzi dalla lapide di Costantinase
ne viene a conoscere presso a poco il tempo. Da essa
apparisce che Paclumeio era Legato di Adriano nella
Cilicia, quando anch' egli fu promosso al consolato,
scaduto dal quale tornò nella stessa Cilicia a compie-
re la sua legazione sotto Antonino, dopo di che segui
il suocero come suo Legato nell' Africa. Da ciò si
comprenderebbe abbastanza, ch'egli deve avere avuto
i fasci o sull'estremo dell'impero del primo, o sul
primo principio di quello del successore, ancorché il
diploma del Vespremio ( Cardinali Dipi. XVII ) non
ce ne avesse dato l'anno preciso, insegnandoci che in
compagnia di M. Vindio Vero egli li amministrava
XVI • K • IVL della TR ■ POT • XXII di Adriano,
cioè l'anno 891 negli ultimi giorni di quell'Imperatore
morto |X)co dopo ai 10 di luglio. Chi ha preteso di
correggere quella data cambiandola in XVII o in XXI
per la falsa ragione che Adriano non toccò la XXII
podestà, non ha conosciuta la nuova maniera di con-
tarle introdotta da quel principe , e seguita dai suc-
cessori, manifestata dalle nuove scoperte come ho ri-
petutamente avvertito, ed è stato ultimamente smen-
tilo dal Cav.de' Rossi (Prime raccolte di antiche iscri-
zioni n. 33) , provando che indarno si è voluto sol-
lecitare la lezione TRIB. POT. XXII anche nella sua
iscrizione sepolcrale all'ingresso della mole Adriana.
Da quest'ordine delle sue cariche ne consegue , che
Pactumeio può tutto al più aver tardalo ancora tre
anni dopo i fasci a recarsi nell' Africa , il che porte-
rebbe il proconsolato di Rosiano all'^Oi. Dati adun-
que i soliti dodici 0 tredici anni d'intervallo fra la
provincia e il consolato ne viene , che questi deve
averlo conseguito circa l'SSI, poco più, poco meno.
E questa età è veramente oppnriunissima per essere
assegnala al nostro bollo , perch;"; fu veramente sotto
Adriano che si diUuse il cosluine di segnare sulle fi-
guline la data dell'anno. Del resto non è nuovo di ve-
der comparire in esse anche i sufTetti, e molto meno
di trovarvi citato un console solo , ed anzi se questa
tegola fu fabbricata sui confini della Sabina , e se la
famiglia di Prifernio fu di quei luoghi, si troverà fa-
cilmente il motivo , per cui si preferisse di marcarla
col consolato di un compatriolta. » Borghesi.
GAnRCCCi.
Sugli avanzi di auliche coslruzioni orizonlaìi e poli-
gone , che sono sottoposte alla chiesa Cattedrale di
Ferentino.
L' articolo del cav. Bunsen « Antichi Stabilimenti
italici» Ann. Instit. T. VI, 99-145 merita di essere
rivocato ad esame in parecchi punti: io toglierò a di-
sputare un passo, acni non diede equivalente risposta
il Petit-Radel ivi p. 330 provocato da lui. Comince-
rò dal riferire le parole del Bunsen come le espone il
lodalo Pelil-Radel. «Porla Ferenti no testimonio chiaro
avervi fabbricato i Romani nel tempo della republica
un muro poligono , che finisce in quadrato dai fon-
damenti, e non diverso dagli altri saggi di mura che
ivi si scorgono. Da questo fatto sono lontano di voler
dedurre essere di questo tempo le mura intere di Fe-
rentino , ma solamente avere i Romani , anche in
tempi assai posteriori , adottato in quei paesi siffatlo
sistema di fabbricare laddove si trattava di reggere UQ
terrapieno. » A questo fatto delle mura di Ferentino,
che suol essere un Achille ancor oggi risponde il Pe-
tit-Radel, concedendo al Bunsen, che il muro del ba-
stione ove è scolpila l'iscrizione di M. LoUio ed A.
Irzio è realmente romano, non essendo affatto veruna
parie di esso lavorata a stile detto ciclopico (p. 352,
353). La qua! risposta non parmi nò adequala nò vera.
Perocché r iscrizione è ripetuta su due fianchi; e certo
— Be-
ai Iato occidentale il muro sottoposto alla costruzione
romana non ha disposizione di pietre presso che per-
fettamente orizontali siccome veggonsi nel lato meri-
dionale, ma di stile onninamente a poligoni irregolari.
Inoltre in quella stessa faccia , ove il muro romano
pianta su questa pietra di struttura quasi orizontale ,
non mancano avanzi di ciclopico a questa sottoposti ,
onde risulta , che la costruzione orizontale è una ri-
fazione di tempo diverso. Né questo è l' unico esem-
pio , « fra quei che ne potrei citare piacemi scegliere
il muro ciclopico di Agnoue che ho recentemente e-
saminato coi coltissimi signori Cremonese, ove si ri-
conosce una rifazione posteriore di una parte di esso,
ricostrutta appunto suU' andamento orizontale, sicco-
me in quello di Ferentino.
Veniamo ora alla iscrizione, la quale se ben si esa-
mini , scioglie la quistione in una maniera onnina-
mente decisiva. Perocché Aulo Irzio, e Marco Lollio
dicono in essa di aver alzalo il fondamento , le mura
e le volte della fabbrica esistente tuttora. Questa leg-
genda è incisa a bei caratteri in una fascia che corre
siri due vasti lati dell' intero recinto. Da l' un fianco
è scritto in una sola linea così :
AHiriTìVSÀ r M LOLLIVS CF CES FVNDAMENTAMVROSQVEAFSOLO FACIVNDA • COERA-
VER • EIDEMQVE • PROBAVERE IN TERRAMFVNDAMEXTVMESTPEDESALTVMXXXIII IN-
TERRAM AD • IDEM • EXEMPLVM • QVOD • SVPRA • TERRAM • SILICI (I)
leggesi dall' altro fianco :
AHIRTIVSAF-MLOLLIVSCFCES FVNDAMENTAMVROSQVEAFSOLO FACIVNDA COERA-
VERE EIDEMQVE PROBAVEREINTERRAMFVNDAMENTVMESTPEDESALTVMXXXIIIIN
TERRAMADIDEMEXEMPLVMQVODSVPRA TERRA- • -(qui è stata aperta una finestra ad arco,
che ne ha tolto l'ultima lettera M).
Inoltre sull' architrave di una porta , che intromette nell' ìmbasamento , si legge :
M • LOLLIVS • C • F • A • HIRTIVS • A • F • FVNDA
FACIVNDA COERAVERVNTEIDEMQVEPROBA VERE (2)
e sull'architrave di altra porta, ma interna, e a destra della precedente
A • HIRTIVS • A • F • M • LOLLIVS • C • F ■ CES • FVNDAMEI^Ta
FORNICES • FACIVNDA • COERAVERE • EIDEMQVE
PROBAVERE (3)
Per non errare coi precedenti tenni necessario pren- epigrafe costruiti dai censori Irzio e Lollio. Questo
der le misure dei Irentalre piedi che diconsi nella scandaglio dovea giovare ad escludere la porzione dì
(1) Apiano p. CLIX, Gml. CLXV, 3 ex libro quodani ms. ante
annos 70, ivi dallo Smel. Candidi-Dioiiigi, Viaggi pel Lazio, p. li.
Kunsen , aunali dull' Insiit. voi. VI. p. 14i. Il pi-imo nome manca allo
Smcl, alla Dionigi, ed al Uiinsen , non però alla mia copia. HIR-
CIVS ms E .SOLO Smel, Dionigi. AE Buns. COER.VVE Buns. EI-
DlCMl}- ms. .Smel. INTEKKa ms. EST SCILICET ms. indi il Fuila-
netlo nel Lessico v. funUamentum, e gli Ercol. nel fascicolo 1. del
Tempio d'Iside, p. i3, ai quali pare non sia venula in mano la edi-
/i medella Dionigi, né del Bimsen. Il eh. de Rossi porla opinione,
cbe dall' apografo del Poggio si propagasse poi nelle copie niaiio-
scrille il nome del primo Censore, tollocchè mal Ielle HIPPIVS,
ma ai Icnipi del Gruferò invisibile ; ora per altro è ancor leggibile,
siccome anche prima di me lo ha provato l'edizione litografica delle
Iscr. di Ferenliiio dedicala alla sanlilà di Gregorio XVI. p. V.
(2) Amadiizzi Auccd. Liner, voi. II. 466 n. !■{. Il Bunsen a p.
ìil del voi VI. Annali dell' In.stit. a iscrizione , credo , non ancora
pubblicala ».
(3) Grut. CLXVII , 1 ex sch. Ursini, che dividono male le righe
1. FV.NDAMENTA 2. FOIINICIS Grut. ET ■ KORiNlCES Buns. COE-
RAVEUV •■■ Buns. EIDEMQ. Crul,
— 37 —
muro di coslruzione diversa. Trovai adunque l' al-
tezza totale del muro di palmi 62 ed once sette di
misura napolilana decimale. Cliiaramcnle appariva
che non fu tutta questa parete alzata dai censori Ir-
zio e Lollio, perocché essi determinavano il loro la-
voro a 33 piedi romani , e i treulatre piedi romani
antichi, secondo i migliori calcoli che si possono isti-
tuire sul più sicuro campione di antico piede romano
proposto recentemente dal marchese Marini, danno
trentasei palmi napolitani decimali ed once tre, e vuol
dire, elle il piede romano antico esattamente corri-
sponde alle undici once di misura napolitana. Era
dunque forza che dai sessaiitadue palmi napolitani ed
once sette , che avrebhero dato piedi antichi romani
cinquantasette), se ne sottraessero 2'(, per avere quei
Ireutatre piedi , di che parlava l' iscrizione. Avendo
ciò fatto , e calala una corda di treulatre piedi ro-
mam' , a conlare dalla iscrizione in giù , il piombino
die appunto su quella paiie del muro , ove finiva la
costruzione a grossi parallelepipedi, e cominciava l'al-
tra a piccole pietre di taglio quadrato, che era l'o-
pera de* Censori. Tale esperienza di fatti, che faceva
tacere i parliti, ne guidava naturalmente a determinare
in qual senso si fosse scritto dai Censori FVNDA-
MENTA MVROSQVE , e poi FVNDAMENTVM
EST. PEDES. ALTVMXXXllI. Perocché leggendosi
in queste prime iscrizioni, ed ancora nelle due sovrap-
poste alle due porle l'interna , e l'esterna, lo slesso
plurale FVNDAMENTA, deve conchiudersi, che tulio
r imbasamenlo con questa voce fu indicalo , e per lo
contrario , che la voce FVNDAMENTVM con la de-
terminazione dei 33 piedi non riguardi se non 1' unico
lato meridionale , scandaglialo da me. Non temo poi
veruna opposizione dalla leggenda medesima ripetuta
sul fianco occidentale col medesimo numero di piedi,
sebbene ivi l' imbasamenlo di coslruzione censoria so-
vrapposto a'poligoni sia di pochi palmi soltanto; peroc-
ché è evidente, che fu riportala l'iscrizione anche
su questo lato per renderla presente a coloro che di
qua salivano, mentre la parte opposta reslava troppo
in alto, e forse anche in sito non frequentato. Nei due
architravi si ricordano ancora i FORNICES , ossia
le volte degli archi tuttora esistenti, che occorrevano
a livellare il piano superiore, il quale volendosi avere
su di un'alta cima in scosceso declivio aveva richiesto
l'opera delle sostruzioni o fondamenti descritti.
Meditando di più sullo stile severo di questa nobile
epigrafe possiamo ricavare che la voce TF^^RRA qui
ripetuta sia posta a significare il pian terreno sul quale
ergesi il muro. Perocché se il Fuìtdammlitm in ter-
ram è alto treulatre piedi, e questi finiscono appunto
al piano ottenuto per le sostruzioni , e se aggiugnesi
di poi che questa fabbrica sottoposta è della stessa
pietra che quella la quale é SVPRA TERRAM, evi-
dentemente questa terra qui indicala dev'esser il ri-
piano posto tra mezzo alli Irenlalre piedi del Funda-
mentutn in lerram, e al nuiro che comincerà appunto
ad elevarsi mpra lerram. La qual circostanza studia-
tamente aggiunsero i due Censori per far decidere a
colpo d'occhio qual era la fdibrica da loro costruita
distinguendola da quell' imbasamento più vetusto, del
quale non polca dirsi egualiiieiile che fosse formalo
ad idem cvemplitm del muro, né del fondamento sot-
toposto. Finalmente la voluta distinzione del funda-
mcntum in (erra e fundamenlum in lerram , ( Furia-
netto Less. V. fundamenlum, Ercolanesi, Tempio d'I-
side pag. 43, noia 2.) ossia del fondamento scoperto
e del fondamento solterraneo sparisce affatto , ed in-
vece a questo suo significalo dovremo sostituire le
frasi in lerram e supra lerram ; e perché in verità la
epigrafe niente altro c'insogna se non che IN TERRAM
FV.XDAMENTVM EST PEDES ALTVM XXXIII,
ciò che abbiam veduto in che maniera si avveri, es-
sendo onninamente scoperte delle fondazioni per lutti
i loro trentalre piedi, e perché la fabbrica supra ler-
ram dicesi fatta della slessa pietra e della medesima
struttura di quella cheirt<crra?n, ossia del fondamento
di soslruzione. Onde che la iscrizione mi significa in
questo modo. Aulo Irzio figliuol di Aulo, Marco Lollio
figliuol di Caio Censori hanno procuralo si costruissero
le fondamenta e i muri dal suolo, egli stessi ne hanno
approvato il lavoro. Il fondamento sottoposto al pian
terreno è alto trentatre piedi , ed è di pietra e della
stessa struttura che il sovrapposto al detto pian ter-
reno. Nello stesso modo convenendo ora fabbricare
un muro intorno ad una città che sia piantata su di
— 38 -
una collina, bisogna che se ne pigli la costruzione su
pel declivio portandolo a maniera di sostruzione al
livello richiesto, perchè quindi incominci ad elevarsi
il muro di cinta. Se anche a noi occorresse descrivere
un tal lavoro, non altrimenti diremmo di aver elevale
le fondamenta o sostruzioni sino al pian terreno dal
quale dovrebbe cominciare la fabbrica del muro, os-
sia che il fondamento sottoposto a quel terreno o spia-
nato che si ottiene empiendo il vacuo della soslruzione
al declivio del colle con cementi , è alto ad esempio
palmi trenta , e della struttura medesima di quello
che è sopra detto livello : in terram fundainenlum est
jyedes altum Irìginla ; in terram ad idem excmplum
quod siipra lerram silici. Perocché nei due casi la terra
non può essere altro se non che il luogo ripianato o
pian terreno , ad ottenere il quale si sono gittate le
sostruzioni , sulle quali si potesse elevare normal-
mente il muro richiesto. Avvertirò infine che il fun-
damenlum non è diverso in sostanza da un muro ,
anzi, che un muro costruito per sostruzione o per ini-
basamento prende il nome di fundamentum, e che es-
sendo fabbricato o sulle vecchie costruzioni , o sulla
pietra viva della roccia, non potrà mai rettamente ap-
pellarsi sotterraneo , se non è dentro terra.
Non sarà fuor di luogo, poiché ho assunto di spie-
gare tutta l'epigrafe, che soggiunga qualche cosa in-
torno ai due magistrati, che ci si dicono incaricati di
questo lavoro. Quando con la seconda copia Gruteria-
na ricavata dalle schede dell'Uràino, ebbesi COS invece
di CES l'Almeloveen ritenneli per coppia di consoli,
e ad Aulo Irzio, che non si accordava coli' autorità ir-
refragabile della iscrizione posta al ponte fabricio, so-
stituì Q. Lepido figliuol di Manio(l), ma egli non av-
vertì inoltre che gli occorreva di cambiare non meno
arbitrariamente il prenome del padre di LoIIio, il quale
nella epigrafe romana si manifesta figliuol di un Mar-
co, quando il LoIIio di Ferentino si dice figliuol di un
Caio. Tutta la difilcollà , che tra i faslografi eccitò le
contese notate dall'Orelli (Coll.Inscr.Lat.n.589), na-
sceva dal non trovare i due nomi tra magistrali che
avessero in Roma sostenuto la censura nel medesimo
(1) Marco avevano le copie di questa leggenJa fino a noi; ma
il mio eh. amico Cav. de lìossi no ha dala di recente la vera le-
zione ( Le prime racculle eie. p. 02 ).
tempo , siccome dalla parete di Ferentino apprende- «
vano; ma, per quanto io so, neppure ai di nostri si è
ancora potuto una tal opinione ragionevolmente pro-
porre. Non si era mai credulo doversi in Aulo Irzio,
ed in M. LoIIio riconoscere magistrati municipali, lo
che era per mio parere il solo modo di trovare una
soluzione alle difficoltà fortissime che inconlravansi a
volerli di famiglie romane , e contemporaneamente
eletti a sostener la censura. La famiglia dei Lollii non
era a Roma così nuova né sì poco diffusa che non avesse
da qualche pezzo adottato già un cognome ; e sulla
moneta conoscesi M. LoUio figlio di un Marco di co-
gnome Palicano questore al G92, E quando ad Aulo
Irzio, prima di lui che fti pretore nel 708 non v'ha
memoria di romana famiglia, onde egli uscisse a reg-
gere la pretura e poscia il consolato.
Adunque non conoscendosi alcun M. LoIIio figliuol
di Caio nella famiglia dei Palicani e dei tempi di Ir-
zio , né trovandosi di costui memoria tra le fami-
glie romane , io ho fondato sospetto che siano pro-
venienti da Municipii , donde in questi ultimi tempi
della romana repubblica e dopo le guerre sillane non
mancano memorie d' uomini eziandio saliti alle mag-
giori cariche di Roma di municipale provenienza. Ho
recentemente fatto conoscere nella storia d' Isernia
Marco Nonio Gallo, onorato del titolo d'Imperator su
di una base iserniua, essere quel desso che soggettò i
Treviii e quella porzione di Germani che abitavano
le ripe trasrenane vicine e ne ottenne il trionfo. Il pa-
dre di lui Caio Nonio fu quatlroviro quinquennale nel
municipio d' Isernia , e Sesto Appuleio ornato anche
del titolo diinpeiator che salì in Roma alla mnggior
curule egualmente da quel municipio ebbe la sua ori-
gine. Stimo perciò che Aulo Irzio e M. LoIIio dopo
la censura municipale entrassero in Roma nella car-
riera degli onori, che ad Aulo Irzio toccasse di ma-
neggiare i fasci , che il Marco LoIIio di questo mo-
numento sia il padre del console del 733, al figliuolo
del quale, siccome ha ben dimostrato il Noris, Orazio
scrisse le due epistole ove gli ricorda il rus pater-'
num (I). Grande sostegno intanto riceve la mia opi-
(1) Il Ziinipt non si accorderebbe con me in tutta questa discus-
sione, lipiitaiido egli i due Censori di Ferculiao anlcriori alla guer-
ra inar.ìica Comm. Epigr. p. 77.
— 39-
nione della famiglia Irzia in Ferentino nel monumento
di una Irzia liberta di Aulo, ed è l'unico che ricordi
questa famiglia nelle vaste raccolte del Grutero(Grut.
978. 7) e del Muratori (Murat. 1332. 9).
HIRTIA AL
AGATHOCLIAE così
MONVMENTVM
FECIT SIBI ET
C EPPIOTF PVB
VIRO SVVO cosi
Gravissime difficoltà si sarebbero incontrate in altri
tempi a concedermi quanto ho premesso, per la men-
zione della carica di Censori di che veggonsi ornali
Lollio ed Irzio : ai giorni nostri però la cosa è molto
ben dimostrala, e più monumenti possono citarsi nei
quali sono memorati i Censores , i Qainq. Gens. Poi.
nelle colonie e nei municipi!, (cf. Liv. L. XXIX. e.
1 5. Cenmm agi ex formula ab Ilomaim cemoribm
data, refcrmiuc Romam ab iiiralk censoribus colonia-
ruiJi-c.37. Deffrcììlibm coloniarum censoribus censum).
Basterà qui ricordare P. Lucilio Gamala IIVIR CEN-
SORI AE FOT in Ostia (Orelli 3882) e L. Belilieno
Vaaro che gli Alali ini CENSOREM FECERE BIS
(Id.3892) , e Decimo Cotlio Fiacco GENS in Avel-
lino (Id. 389o), e quel L. Laberio Optato ORN.\-
MEXTIS CENSOR • HONORATVS in Vibone Va-
lenza in proposito del quale il Conte Borghesi parlò
di questa carica , e con un' altra pur di Monteleone
confermonne la dottrina l'Abate Furianetto nella pre-
fazione alle sue Lapidi patavine (p. XXIV). Anche il
eh. Jahn nelle note al v. 28 , 29 della Sai. IIL di
Persio
Stemmate quod lusco ramum millesime ducis
Censoremve tuum vel quod trabeale salutes
ha osservato alludersi qui ai municipiorum quinquen,'
nales , qui censuram agebanl e censores vocabantur; ed
opportunamente richiama le cose dette dal Savigny
dal Rechis, dal Dirksen, e lo avea notato nelle tavole
di Eraclea anche il Mazzocchi , tuttoché non ci ar-
rechi in prova altre lapidi che quelle sole in cui è
memoria del magistrato quinquennale , ottimamente
per altro da lui paragonato ai Censori di Roma (Tab.
Ileracl. 40ì>). Ma i più bei confronti alla epigrafe
CES
Ferentinate ci vengono da due Lapidi l'una di Tivoli
edita dal Muratori (7J)1 , 6) ove si nominano
TVL • TVLLIVS TVL F P • SERTORIVS
P • F • CENSORES
e da una seconda , la provenienza della quale è dal
Gualtieri indicata ove fu Siliari una volta (n. 393. cf.
Fabr. 241 n. 615 Momm. I. N. G9.); e dice:
P • MAGIVS • P • F
Q • MINVCIVS • L • F
BASILICAM FAC
CVR • DE • SEN • SENT
Fu questa intanto dal dotto Morcelli trattala con
troppa cautela e con aperto timore di chiaramente
defluirli per Censori municipali « Par istud Censorura
in Pighii fastis frustra quaesivi; nec Magiam gentcm
habent nummi Thesauri Morelliani : nolim tamen in-
scriptionem tamquam commenlitiam reiicias. Magios
plures apud Grulerum invcnies ut Censores hisiUr-
banos habes vel ex ignotis vel ex sufTeclis esse potue-
runt (ad inscr. CCXXIII) (I) ».
Garrccci.
Iscrizioni Ialine.
Ricevo or ora una copia di un' epigrafe di recen-
te scoverta nel fondo pulcolano della sig. Duchessa
di Caprigliano , detto Campana , e trascrittami accu-
ratamente dal coltissimo sig. Abate D. Sante Bastiani.
È un' ara sepolcrale con gotto al lato sinistro , e pa-
tera al lato destro , in fronte alla quale con bei ca-
ratteri si legge :
1. DM
IVLIAE • CRISPINAE
C • C • POMPONII
PONTVS • VXORI
OBSEQVENTISSIMAE
CAPITOLINVS
MATRI
PIISSIMAE
(I) Queste cose furono da me scrino prima che arrivasse fra noi
il dolio libro del Zuiiipt Comm. t'pigr., ove è la disserlazicne di
lui de Quinquainalibus dm tratta questo tema.
— 40 —
Un lulim CreUpinus erede di Mamonio Basso E- Prael. Mls. monum. Neapolì, 18o2. n. 1 92.) ; qiieslì
giziano , il quale niililù sulla trireme Polluce, è nella forse ebbe alcun vincolo di parentela con Giulia Cri-
mia raccolta dei marmi della flotta di]Wiseno(v. C/asszs spina nominala in questa lapida.
2. vrjiAivo COSMVS • TEST Amcito US • tot
MACELLVM • EXORNARI • IVSSIT • FISIA • Serena ? wa/er
SVPPLETA • VICESIMA • CONSVMMAVIT • IDQVc nomine
FILI • SVI • EXORNATHm • dedicadt
Questa epìgrafe mi proviene da certe schede , che
Lo ritrovato nel piccolo museo dei BR. PP. di S.
Pietro a Cesarano. Non sarebbe facile determinarne
la patria , ma poiché quelle schede contengono quasi
sole iscrizioni di^lecZanM»», diC. Delizio Pio (Momm.
/. -Y. 190) , di C. Nerazio Proculo (Momm. 1 136) ,
di Eggius Felix? (Momm. 1203, nel cognome FÉ VS,
che le schede mie leggono FELES, riconoscerei FE-
LIX), e Analmente quella di Rabiria Bebia , della
quale si ha una copia assai diversa nel Lupoli (Momm.
1181):
RABIRIAE • BAE
BIAE • COMVGI
TIIESEVS • • •
COL • AECLANE
B • IM • P
può ragionevolmente tenersi , che la lapida di Staio
appartenga al medesimo municipio. Di falli in Belano
era già nota la gente Stala per la lapide di Numerius
Siaius Rcmisms liberto ( /. A^. 1240). Nuova è la
fiase, ma non nuova la dottrina del cinque per cento
sui legati e sulle eredità. Ne ha discorso colla solila
doltiiua il eh. nostro collega sig. Gervasio , il quale
ottimamente richiama il SIN E DEDVCTIONE VI-
CESIMAE della lapida Venosina (/«m. Messili, p.
8 , n. ) ; Fisia però supplì del suo la vigesiina che
andava per legge al fisco dal legato del figlio , e ter-
minata la fabbrica della piazza di comeslibili , po-
scia a nome del figlio JDQVrE • NOMINE •] FILI •
SVI- EX0RNAT[VMDEDICAV1TJ. (che co^ì leggo
e supplisco quest'ultima parte della leggenda), fornì
la piazza delle suppellettili , che le erano necessarie,
detti oniamcnla , ornadones, '7rp%o<rixr,ao(,rcn. [Mafiei
Mus. Veron. XL), e l'apri al pubblico. Di questo
senso della voce ornai»fH/«jH ho detto nella mia storia
d' Isernìa a p. 94 , in proposilo appunto di un 3Ia~
ceìium, che L. Abollio Destro fccil CVM OUNA-
MENTIS SVIS. Onesti vengono detti AERAMENTA
in una singoiar lapida di Sepino ( (juarini , II. Vag.
Mansio 1, 29), e si può confrontare .Mi.crobio, che
parlando dei tempii dice : Ornamenta sìint clijpci, co-
ronac, el huiuscemodi donaria, neque enim ornamenia
dedicanliir eo tempore quo tempia sacrantur fSaturn,
III, 12, cf. Gronov. allo Pseud. di Plauto, I, 101 ,
109). Laonde anche nel linguaggio gladiatorio oniare
vale dar la corona , la palma , la rudis al gladiatore.
Simile faccrc le reputalo, alque illud facitis, uhi eos
qui beslias strenue inlerfecerinl popolo poslulanle or-
natis, et manumiititis , scrive Frontone a M. .\urelio
(II, 1 ). Il senso di exornare è spiegato anche nella
bella epigrafe salernitana di T. Tettieuo Felice, che
legò cinquanlaniila sesterzii ad exornandam aedem
Pomonis, dalla qual somma dieesi ivi: factum est fa-
sligium inauralum, podium, pavimenta m'irmorea, o-
pus Ipctorium ( v. le mie lllw^lrazioni di alcune iscr.
ant. di Salerno, Napoli, 18ij|, p. 17.). Lascio libero
di supplire N , o V il prenome di Staio , ed ho dato
il cognome Serena a Fisia , perchè la Fisia Serena è
famiglia illustre nella vicina Nola (v. Gervasio Iscr,
di Napoli , p. 56).
f continua)
Garruccj.
P. Raffaele Garrlcci n.c.n.c.
Giulio Mineuvi.m — Editori.
Tipografia di Giuseppe Catanbq,
BULLETTI^O ARCHEOLOGICO MPOLITAI\0.
NUOVA SERIE
N.o 30. (G. dell' anno II.)
Scltenihre I8ò3.
Brevi osservazioni sopra vn hassorilievo cumano. — Di un denario di Famiglia inccrla, comuncmcnle attribui-
to a Giulio Cesare , che vuoisi resliluire a L. Cornelio Siila. — Sul Vero ter consule nella epigrafe di
Urso Togato: lettera del eh. sig. A. Gervasio al sig. Giulio Minervini , con osservazioni del eh. sig. Conte
B. Borghesi. — Notizia di due iscrizioni messapichc. — Notizia di una iscrizione puleolana. —Descrizione di
alcuni vasi dipinti del real museo Borbonico. Conlimiazione del n. IG.
Brevi osservazioni sopra un hassorilievo cumano.
Nella nostra (avola I di questo secondo anno del
Bulletlino fig. 2 , abbiamo pubblicato iu piccole di-
mensioni la faccia anteriore di un antico sarcofago
scavato parecchi anni fa nel territorio dell'antica Cu-
ma. Appartiene esso al Signor Eugenio Martorclli
in Napoli, il quale me ne ha gentilmente permessa la
pubblicazione. Li grandezza del monumento è palmi
8 per 2,25: lo stile ed il lavoro è certamente romano,
come si desume pure dall' architettura che vi si os-
serva ; ed in varie parti , e principalmente nelle teste
delle figure, può giudicarsi negletto e trascurato anzi
che no. La complicata rappresentazione , che adorna
la parte anteriore del sarcofago, può considerarsi di-
stinta in tre differenti scene. La prima ci offre agli
sguardi l'arrivo di Pelope alla magione di Enomao
per chiedergli di entrare in lizza per lo consegui-
mento d' Ippodamia. Sono notevoli le due teste so-
spese in alto ad un arco della casa di Enomao , che
appare in lontananza. Sono esse destinate ad indicare
i tronchi capi degli altri giovani infelici , i quali ri-
cercando prima di Pelope la mano d' Ippodamia fu-
rono dal padre di costei trucidali ed offerti ad atroce
spettacolo a chi osasse attentarsi a contrastar con lui
per l'avvenire. Questa particolarità, che si osserva al-
tresì in un magnifico vaso pubblicato negh Annali
dell' Istilulo 1840 tav. d'agg. N-0, fu sufficientemen-
te illustrala dal dottissimo pr. Rilschl (cit. voi. degli
Annali p.l8l not. 1.). Nel giovine col pileo ricurvo
ÀNKO II.
ed armato di spada dee riconoscersi Pelope , il quale
non ancora è venuto alla presenza del re. Questa no-
stra attribuzione si rende sicura dal considerare che
dello stesso modo armato di spada scorgesi Pelope
nella seconda scena posteriore della corsa .della quale
diremo tra poco. L' altro giovine similmente vestito
è uno de' compagni di Pelope , che reca ad Enomao
una lettera per parie del giovine figlio diTanlaio, di-
mandando ospitalità, e forse ancora le nozze d'Ippo-
damia. In altri monumenti vcggiamo Pelope recarsi
alla impresa insieme con altri compagni (vedi Bruno
negli Annali dell' Ist. 1846 p. 177, s.. Man. dell' Isl.
voi. IV tav. XXX : vedi pure ciò che ho scritto nel
Ball. Arch. nap. an. VI p. 64 e seg.). Il principe di
Elide contrassegnato dal regio diadema ascolla con
fiero viso le proposte di quel messaggiero. É notevole
che delle figure, le quali assistono il re , una ne ap-
poggia il pesante scettro, per liberarlo dall'incomodo
di sostenerlo.
La seconda scena esprime il momento della puni-
zione di Enomao , e della vittoria di Pelope. Vedi
l'auriga Mirtilo cercare di far risorgere i cavalli pre-
cipitati al suolo per la scossa del rovesciato cocchio ,
mentre il vecchio re di Elide caduto bocconi a terra
apparisce aver già subito l' estremo fato. Due figure
una barbata e l'altra imberbe munite di corti giavel-
lotti mostrano co' loro alti di spavento e di maravi-
glia di appartenere al seguilo di Enomao. Pelope in-
tanto , correndo precipitosamente i cavalli, cerca di
raffrenarli tirando le redini colla sinistra , ed innalza
6
42 —
colla destra la sferza vol-^cnJosi indietro , quasi per
proclauiare il suo trionfo. Le redini gli cingono il
corpo , e così pure ad Enomao ; per modo che può
supporsi che lo scultore accennasse ad una tradizione
diversa sul modo tenuto da Mirlilo per far precipitare
il suo padrone ; ed era forse quello di farlo saltar
fuori del cocchio tirando violentemente le redini da
cui era cinto : ma valga ciò per semplice conghiettu-
ra. Chiudono la scena due altre figure cioè un giovine
che dà fiato alla tromba, ed altro che tiene la palma
e la corona, prossimo a Pelope quasi nell' alto d'ira-
porgli sul capo questo ultimo simbolo di vittoria.
Farmi che queste due figure sieno ancora prese dalle
idee romane , e più secondo le abitudini del circo ,
che secondo quelle della palestra. Il suono della trom-
ba è comune nelle rappresentanze di pugne e di con-
tese. Vedesi nelle pugne amazzoniche il trombettiere,
o in altre scene di battaglie : e nel citato vaso pub-
blicato tra' monumenti inediti dell' Isiiluto , uno dei
compagni di Pelope stesso ha la tromba per animarlo
col suono nel momento della corsa. Degna di partico-
lare attenzione è la figura seminuda giacente al suolo,
e che sembra in mesto atteggiamento. Io riconosco in
essa il fiume Cladeo sboccante nell' Alfeo ( Mueller
Dor. II, p. 458segg.), o se piuttosto si vuole l'Istmo,
che era il termine della corsa, secondo Diodoro (lib.
IV. cap. 73.), Tzetze (ad Lycophr. v. 15G.), e lo
Scoliaste di Apollonio Rodio (ad I, 752), il quale
così si esprime : Tr^o-xiiro %\ a-vroii K>.ao£wS Trora-
fxòj à:psrr;p/cc, 'l<y'Ùfxòi Sì tÒ ripixoi,. Ecco perchè si
stabilisce da Pausania il sepolcro di Enomao passato
il fiume Cladeo (lib. VI cap. 21 ). Ben si comprende
poi perchè il patrio fiume mostrar si deggia addolo-
rato per la perdita del dominatore di Elide e di Pisa.
La terza ed ultima scena ci presenta Pelope che
abbraccia Ippodamia baciandola nella bocca, simbolo
di'l suo conjugio. Questo atto è frequente ne' gruppi
di Amore e Psiche , ne'quali va ravvisata una simile
intelligenza (Minervini mon. ined. diBarone pag. 13
e segg.). Or considerando il procedimento di tutte le
«cene , di che finora dicemmo , troveremo che sono
io tal guisa fra loro continuate e connesse che ben si
addicono ad ornameato di un sarcofago. Pelope figura
la destinazione dell'uomo, il quale nella prima parte
del sarcofago si prepara alla contesa , nella seconda
riporta la vittoria simboleggiata dalla palma e dalla
corona , e finalmente nell' ultima consegue il premio
del suo trionfo. Queste scene sono in evidente allu-
sione al corso della mortai vita ed al seguito de' go-
dimenti dell'Elisio: secondo le grossolane e materiali
idee dell' antichità.
Minervini.
Di un denario di Famiglia incerta , comunemenle al-
Iribuilo a Giulio Cesare, che vuoisi restiluire a L.
Cornelio Siila.
Il Patino aggiunse alla gente Giulia un denario sfug-
gito a Fulvio Orsino, probabilmente perchè raro anzi
che no , che è come segue :
Testa fcminile ornata di stefane gemmata , d' orec-
chini e di monile , con una ciocca di capelli cadente in
sulla cervice.
)( Diceras , o sia cornucopia gemino , avvinto da
larga benda lemniscata , e fìniente in testa d' animale
a lunghe orecchie : Q dal lato sinistro Arg.
Venendo dal Patino fino al eh. Riccio , i nummo-
grafi lo allogarono nella gente Giulia , e lo credettero
impresso nel 708 da un Questore di Giulio Cesare ;
tranne il eh. Borghesi, che nel 1827 lo reputava im-
presso in Siracusa dai Cesariani Curione e Pollione
[v. Sestini, Serie cons. Fon<a»ia, p. 64), ma che, dopo
avere sapulo che non mancò nel ripostino di Frasca-
rolo , e che perciò mostrasi impresso prima del 682,
lo riteneva non bene allogato finora, del pari che l'al-
tro denario col cornucopia semplice, e l'asse semioa-
ciale corrispondente , non aventi altra epigrafe che
l'EX S-C (v. Riccio p. 105). Nel 1829 io lo de-
scrissi fra que' di Famiglie incerte , e troppo legger-
mente congetturai, che spettar potesse alla Hercnnia
(Saggio p. 77-78, Ì9SJ. Ora , pel riscontro del se-
guente insigne aureo del museo di Parigi , e d' altri
nummi Romani, parmi poterlo allogare decisamente
nella gente Cornelia.
— .13 -
Testa fcmtiiìle ornala di slcfane, di pendenli e di
monile, con quattro ciocche di capelli pendenli in sulla
cervice.
Jf Cornucopia gemino avvinto da larga hendalem-
niscata, e lettera Q dal lato sinistro Oro.
II bel primo indizio di qiieslo insigne , e forse u-
nico , aureo Romano consolare mi venne dal dolio
Leironne , il quale ragionando degli aurei di L. Siila
che nel peso loro variano Ira i 201 e 204 grani pa-
rigini , e che perciò sono nummi da 9 V2 scrupoli ,
soggiunge di averne Irovalo uno nella famiglia Giulia
f Marcelli lab. J, WIÌJ ; lo che, a parer suo, [irove-
rebbe che Lucullo non fu il solo che improntasse per
Siila di colali pezzi da 9 '/. scrupoli ( Conddér. sur
V évaluat. p. li-J. Egli in ciò prese abbaglio, seguen-
do la falsa allribuzione de' numografi , ma nel tempo
slesso ne diede lume sufficiente per metterci nella retta
via. I cb. Lenormant, padre e figlio, ne diedero poi
ripetutamente il disegno del sovra lodato aureo (Re-
vue num. 1839, p. 310-343 : et 18:;2 p. 208 , PI.
VII, n. -ÌJ , con qualche nuova utile notizia, benché
entrambi si dilungassero afliitlo dal vero nell' asse-
gnarne r età e la sede sua propria. 11 jirimo ne atte-
sta, che il Mionnel ebbe ravvicinato al denario d'ar-
gento il nuovo medaglioucino d' oro ; che questo è di
lavoro rimarchevole e di autenticità incontrastabile ;
e che pesa 203 grani parigini (Revue num. 1839,
p. 341;.
L'aureo ed il denario in questione s[)ettano senza
dubbio ad uno slesso magistrato e ad una medesima
officina ; poiché la maniera della fabbrica è la stessa
in tulli e due , ed i tipi sono idenlici, tranne che nell'
aureo la lesta feminile del ritto mostra tre 0 quattro
ciocche cadenti in sul collo , laddove nel denario , di
dimensione assai minore, vedesene espressa una sola.
Se pertanto ci riesca provare, che l'aureo spelta a L.
Siila , con ciò stesso sarà dimostrato the ad esso lui
spetta eziandio il denario finora incerto e non allogalo.
Che poi l'aureo sia di L. Siila, e non d'altri, ne lo
persuade segnatamente la ragione del peso, che si dal
Leironne e si dal Lenormant trovasi determinalo in
203 grani parigini corrispondenti a 9 V2 scrupoli
rcmaui antichi ; e d' altra parte consta che gli aurei
certi di Siila pesano per appunto 9 '/., scrupoli ( Liy
Ironne l. e), e che riguardo al peso essi Hinno fami-
glia da sé, per fede anche del eh. Borghesi (v. Me-
morie numism. Buina, lS'i7, p. 33 j. Anch'io posso
altustare , che l'auieo di Siila insignito de' tipi di Ve-
nere Vincitrice con Cupido e del gemino trofeo, che
è nel r. museo Estense, pesa granuni lO.G.'JO preci-
si , ossia 9 Vi scrupoli ; laddove l'aureo di Pompeo
l\Iagno con la quadriga trionfale, del Pontificio museo
di Bologna, pesa grammi 9.000 precisi, 0 sia 8 scru-
poli , siccome quello del museo di Parigi (Letronne
l.c.J.
Ma per attribuire a Siila l' aureo col doppio cor-
nucopia , e colla lesta di Venere, e quindi anche il
corrispondente denario d'argento, vale inoltre l'os-
servazione , che prima del 082 di Roma non v'ha al-
tro esempio di aurei di colai peso impressi co' tipi i-
denlici del corris|)ondente denario d' argento ; e che
L. Siila ne impresse per Io meno altri due , quello
cioè in cui s'intitola L. SVLLA IMPER • ITERV.M
co' tipi di Venere Vitlrice e de' due trofei , e l'allro
impresso dal suo proqueslore L. Manlio con la testa
di Roma e con la quadriga trionfale di L. SVLLA •
IMP, che Irovansi si in oro come in argento (^Riccio,
Cornelia a. 34-59^. Da ultimo vuoisi osservare, che
la maniera della fabbrica e dello stile nell'aureo, enei
denario col doppio cornucopia , a bastante confronta
con quella dell'aureo e del denario del gemino trofeo;
tranne che in questi il lavoro appare eseguito in fretta
e trascurato assai. Del resto il denario col semplice
cornucopia e l' EX S • C , ricordato di sopra , mo-
strasi impresso in Roma alquanto prima di quello col
gemino cornucopia e col Q, che pare improntato iu
Grecia da un Quaestor di L. Siila.
C. Cavedoni.
Sul VEito TER CONSVLE nella epìgrafe di Ubso Toga'
To : lettera del eh. sig. A. Gervasio al sig. G. Mi-
nervini, con osservazioni del eh. Conte B. Borghesi.
Pregiatissimo amico e collega
Nella mia dissertazione di recente pubblicala , sic-
come le è nolo , nella parte 2. del voi. IV. p. 293
— 44 —
desìi Atti della Reale Accademia Ercolmesc, intorno
al monumento sepolcrale di Cavia Marciana , uscito
in luce in Pozzuoli nel 1817 , ho riportata la celebre
iscrizione metrica di Vrso Togato da molti illustrata
secondo la copia che parverai più esatta , riferita dal
Morcelli ( De Styl. latin, inscript, p. 277. ediz. del
Giunchi). In della iscrizione Urso si dà il vanto di
aver il primo giuocato con la palla di vetro , e di a-
vcr superalo in tale giuoco lutt' i suoi predecessori ,
ma dice ch'era slato più vol'.e superalo dal suo patrono
Vero ter Coìisiile. Senza citare il Velsero ed altri, che
dap[>rima si occuparono della illustrazione di questa
iscrizione , dirò soltanto , che 'I Torrigi attribuì quel
Vero ter Comule all' Imperatore M. Aurelio ; l' Ama-
duzzi , che pure scrisse sullo stesso monumento nel-
ì'Ei.isloì.ad Philipp.Valenlium inserita nel voi. XXI.
della Nuova Raccolta Calogerana , si contentò di no-
tare gli sbagli cronologici del Torrigi, e tutto si versò
nella illustrazione del giuoco colia palla di vetro : il
Morcelli in fine affermò che il Vero nominalo nella
iscrizione medesima fosse L. Vero console per la terza
volta neir anno 920 di Roma. Sembrandomi troppo
arduo il pensare che Urso Togalo volesse alludere
nel monumento in discorso a L. Vero collega di M.
Aurelio noli' impero di Roma, tralasciai di parlare
di questa iiarlicolarità nella mia dissertazione , aven-
do per allro riportato il monumento medesimo per
luti' altro oggetto che per illustrarlo compiutamente.
Volendo non pertanto sapere il netto su di tal punto
mi rivolsi al eh. sig. Conte B. Borghesi chiedendone
l'oracolo, ed egli con l'usata cortesia , pregio non
dubbio de' grandi uomini qual egli è , ha accolte le
mie premure comunicandomi le sue dotte osservazioni
sul subbielto , con sua umanissima lettera de' 9 gen-
naio ultimo. Io prego la di lei bontà a renderle note
nel Jiulletiiw) Anhcolo'jico , ch'ella con tanta utilità
di' nostri sludii sta pubblicando di unita al nostro eh.
collega il P. Raffaele (ìarrucci della C. di G. , essendo
quelle osservazioni dirette a chiarire il personaggio cui
allude Urso Togato in({uel suo singolare monumento.
Ecco le osservazioni del Borghesi.
» Ella desidera sapere se il Verus ter Comul della
lapida di Urso Togato sia o non sia l' Imperatore L,
Vero. Confesso di esser poco in istalo di rispondere
improvisamente al quesito , sì perchè non ho mai a-
vuto occasione di studiare di proposito quest' iscri-
zione, come perchè manco di alcuni degli autori che
ne hanno trattato , e segnatamente perchè non ho qui
la dissertazione con cui fu illustrata dall' Amaduzzi
inserita da prima nel tom. XXI della seconda colle-
zione Calogerana, e quindi ristampata altre due volle.
Ciò non ostante non le tacerò confidenzialmente ciò
che mi sembra poterne pensare su due piedi, a solo
oggetto di metterla in diffidenza sulle opinioni correnti,
ed invogliarla a prenderle in maggior considerazione.
Il Torrigi l'aggiudicò a I\I. xVurclio , e in tale suppo-
sto converrebbe tenere , che la pietra fosse stala in-
cisa nei primi due mesi del 914 , in cui ebbe i terzi
fasci , perchè al principio di Marzo dello stesso anno
in cui salì al trono cambiò il cognome di Vero in
quello di Antonino. Sfuggì questa obbiezione al Mor-
celli, assegnandola invece al suo imperiale collega L.
Vero. Ma se ho da parlarle sinceramente non mi sod-
disfa né l'uno né l'altro. Quando mai si è veduto de-
signarsi un' Augusto col solo numero de' .suoi conso-
lati , e con un numero di più a cui non era inter-
detto ad alcun Consolare di giungere? Per me adun-
que qui non si parla se non che di un privato , di
cui queir Urso fu liberto. E veramente non manca
un' altro Vero Console anch' egli ordinario la terza
volta in compagnia di Eggio Ambibulo nell' 879 ,
cioè il M. Annio Vero avolo dell' Imperatore M. Au-
relio. Convengo che s'incontrerebbe un ostacolo in-
sormontabile per pensare a costui, se sussistesse appa-
rir dalla lapide che quando Urso fu vinto dal suo pa-
drone, questi già godesse del triplicato onore. In una
memoria sulla famiglia dei Neratii , che uscirà nel
prossimo volume degli Annali Archeologici [ì) , ho
dovuto chiamare ai conti l'età di questo Annio ; e dopo
aver mostralo coU'aulorilà di Capitolino (in Marc. I.)
che fu ascritto fra i patrizi! da Vespasiano e da Tito
non più tardi dell' 827, ho tenuto che giunto all'eia
Consolare di 32 anni compiti o poco più (2), fosse da
(1) È siala già ora pubblicata nel voi. XXIV de' cilati annali 1832,
ove riscontrisi la p. 17. Gervasio.
{t) Quesl' età fu dulerminala da Augusto Dioa. lib. Lll, 20.
— 45 —
prima suffello nell' anno 830 in compagnia di L. Ncra-
(io Prisco, e che morisse poi quasi nonagenario circa
1' 891. Stando adunque a questi conti nell' 879 egli
avrebbe avuto presso a poco 7a anni , olà per certo
non più conveniente per giocare alla palla. Per me
però il ter Consul non serve se non die ad identifi-
car la persona , ne ha alcun rapporto coli' epoca
della vittoria , il che mi sembra indicarsi dai conte-
sto. Urso si protesta già vecchio (juando fu incisa la
lapide. Ora (jual merito sarebbe slato del supposto
L. Vero , il quale nel 920 aveva 36 anni e mori di
38, se trovandosi nel maggior vigore della vita avesse
riportato la palma di un avversario snervato dall'età?
Altrettanto ricavo dalla sua esposizione di essere al
popolo in concetto di aver superato tuli' i suoi ante-
cessori , ma che ora vedendosi vicino al sepolcro vuol
dire verha vera , confessando che per altro egli era
stato vinto non una ma più volte dal suo padrone.
Con ciò il vincitore non viene egli compreso fra gli
antecessori? Questi certami per altro saranno stati pri-
vati, se restarono occulti al pubblico e ciò starà bene,
perchè negl' imperii di Nerva , di Trajano , e di A-
driano un Consolare non si sarebbe tanto avvilito di
mischiarsi fra la turba dei giocatori nelle Terme di
Tito e di Trajano. Ciò posto non sarebbe più impe-
dito che il Vero di Urso potesse anch' essere il Con-
sole dell' 879. Ella ne giudicherà, contando pur qual-
che cosa anche gli apici che abbondano nella lapide,
e che al tempo degli Augusti fratelli erano ormai pas-
sati fuori di uso ».
Fin qui il Borghesi.
Le rinnovo intanto i sensi della mia sincera stima
ed amicizia.
Dice la prima
TaATOKAJ MfMETEOJ
Frequenti sono nelle messapiche voci i fmiinenti in
TOllAJ. Così troviamo 0:oTOj;a> in iscrizioni di Brin-
disi e di Ostuni , che non dovrà essere diverso dal
tìiOToppsj di una iscrizione di Ccglie ; né in altra ca-
tegoria va messo il K'xkxro^y.s del caduceo di Taranto.
e più vicino perchè identico è il nome IWxr'^yx? in
epigrafe di Leuca , ed in altra della stessa Ceglie , che
vedesi ancora declinalo in flXaroppil-i in una iscri-
zione di Fasano.
La nostra epigrafe
IIXaTopcts Mj/-ì«T£CS
avvicinasi più alla greca declinazione, denotando forse
il nome del sepolto
Platoras Mimctac fdim
Noi già altrove notammo la maggiore o minore in-
fluenza del greco linguaggio sul messapico dialetto ;
a proposito della iscrizione
T«|3apa AccjxccrpaS
corrispondente al rccfiapcc Aa/x'^rp/a più volle ripetuto.
La seconda iscrizione di Ceglie tuttavia inedita ,
della quale diamo qui la notizia , consiste di una sola
parola la prima che s' incontri principiante coli' N nel
messapico dialetto :
NEKAJ^IHI
Sulla quale nulla diremo di preciso , meno che ci
sembra ancora un nome proprio. Ci si fa sperare la
comunicazione di non poche altre iscrizioni messa-
piche ; e noi ci affretteremo di pubblicarle, per age-
volare Io studio di quel dialetto finora mancante di
elementi tali , che diano suflìcienle appoggio a severe
conclusioni.
Agostino Gervasio.
MmEBviM.
Notizia di due iscrizioni messapiche.
Non spiacerà a' nostri lettori veder qui riportate
Notizia di una iscrizione puteolana.
Tra le varie iscrizioni recentemente acquistate pel
due altre iscrizioni messapiche provenienti da Ceglie, real museo Borbonico , delle quali diremo in un par-
ie quali mi furono comunicate dal sig. Feliciano A- ticolare articolo , v' è la seguente , la quale è incisa
dami. in un' ampia lastra di marmo rinvenuta in Pozzuoli
— 46 —
sulla via Campana , e che per alcune specialità meri-
la (li essere pubblicata.
D • M
IVLIAE • GEMELLAE • COIVGI
SANCTISSIMAE • ET • INCOMPARABILI
QVAE • VIXIT • ANN • XXXII • WES • V
PEPERIT • XVllI • riIILADELPHVS
MARITVS M EREMI
TH\ CHN • SFYXHN • AICON • AAAHCCT
É notevole cbe questa Giulia Gemella, abbenchè mor-
ia nella giovine età di Irentadue anni e cinque mesi,
partorì ben diciotlo volte; della quale maravigliosa
fecondità volle il marito conservare particolare me-
moria. A ciò aj)puiilo alluder volle col greco verso,
cbe chiude la epigrafe
esprimendo che i secoli futuri parlerebbero di una
donna cotanto feconda.
La presente iscrizione ci fornisce uu altro esempio
delle epigrafl bilingui , le quali di quando in quando
vengon fuori dalla medesima località , o da altri siti
della Campania. N"i ne ricordammo alcune nel primo
anno dell'aulica serie del bidlclliiio napoìitauo \ìa^. io
provenienti da Napoli ; ed altra di Pozzuoli ne pub-
blicammo nel 1. \o]ume de monumenliinediti di Ba-
rone p. 40. e s. lav. IX fig. 3. La greca conclusione
della epigrafe può farci conghietturare che il marito
di Gemella fosse greco, al che ci persuade benanche il
suo nome Pliiladelphus, eh' è pur di greca derivazione.
E non sarebbe strano l'immaginare che fosse uno di
quei Tirii, il cui slabilimenlo in Pozzuoli ci viene ad-
ditato da due iscrizioni , una da me prima pubblica-
la , e r altra già anticamente conosciuta. (Vedi i miei
nwn. ined. di Barone t. I. pag. 40 e seg. e appendi-
ce p. Vii, e seg. ).
Frequente è la ortografia coiiigi e meaes per con ju-
gi e menses, colla soppressione dell' n, né ci ferme-
remo a dirne alcuna cosa. Vogliamo solo in quanto
al greco, avvertire che è a notare essersi adoperati il
Ce r 6 lunati , come pure l' U), che si accoppia con
quei caratteri , i quali appartengono ad epoca non
troppo remola. Per Io cbe crediamo doversi la no-
Ira epigrafe riportare almeno al cadere del primo
secolo dell' era cristiana.
Ml.NERVlNI.
Descrizione di alcuni vasi dipinti del rcal museo Bor-
bonico. Continuazione del n. 46.
Noi cominciammo nel passato anno a dar la noti-
zia di tre magnifici vasi di Canosa recentemente in-
trodotti nel real Museo , e del primo tra essi presen-
tammo già la descrizione , ed alcune brevi dilucida-
zioni. Ora continueremo a discorrere degli altri due,
i quah e pe' soggetti , e per lo stile del disegno, rie-
scono non meno interessanti del primo. Sono entram-
bi della medesima forma così detta a tromba , e della
medesima altezza di palmi quattro incirca.
Ecco la minuta descrizione del primo.
All' esterno della bocca del vaso è l'ornamento di
un ramo di vile con grappoli pendenti: sul collo veg-
gonsi palmctte, ovoli, meandro ad onda, e fiori. Sotto
i due manichi è fregio di complicate palmette. SuU'in-
grandirsi del collo e sulla pancia del vaso scorgonsi
dalle due facce due diflerenli ordini di rappresenta-
zioni. Sono esse inferiormente limitate da altre rap-
presentazioni , le quali si estendono in giro facendo
con'inuazione.
Sul collo. Protome femminile di fronte , con par-
ticolare covertura di testa fregiata di radii, sorge dal
simbolico fiore circondato da complicate ramificazio-
ni. A' due lati sono due Eroti alati ed androgini vo-
lanti in contrarie direzioni : entrambi hanno orna-
mento di puntini sul corpo , e periscelidi ; entrambi
recano con una mano la corona, con l'altra la patera.
Sulla pancia. Comparisce nel mezzo un toro di
bianco e di giallo , il quale sollevando la coda si ab-
bassa piegando il ginocchio della sinistra zampa an-
terioic. È su di lui a cavalcioni Amore alalo con ìsva-
riati ornamenti, alcuni de' quali sembrano accennare
alla sua androgina natura : poggia questi sul dorso
— 47 —
dell' animale la manca, ed eleva la destra spingendolo
a curvarsi ancbe più al suolo. Innanzi è una {giovine
donzella riccamente vestila , la quale blandisce con
ambe le mani il mansueto animale , verso di quello
abbassandosi , quasi vogliosa di scberzare con esso.
In alto vola un altro Amore, clic presenta con ambe
le mani una svolazzante tenia. Altre figure cominono
da' due lati la scena. Dietro la donzella avvene un'al-
tra , cbe solleva colla destra il giovanile trastullo della
sfera. Finalmente un vecchio con bianchi capelli ve-
stito di corta tunica ed imalio , calzato di stivaletti ,
e col pelaso dietro le spalle, si appoggia con ambe le
mani al giallo bastone, osservando quel che succede
sotto i suoi sguardi. In allo vola una colomba, recan-
do fralle unghie una corona. Dietro al toro sono tre
altre donzelle; la prima reca colla sinistra la sfera, e
solleva verso il loro colla destra una corona: la secon-
da lascia svolazzare il peplo ad arco sulla sua testa ,
ha rossi calzari , e colla sinistra tiene un timpano :
la terza si appressa portando parimenti la sfera.
Non può dubitarsi che si rappresenti in modo as-
sai leggiadro il ratto di Europa; ma faremo tra breve
alcune particolari osservazioni.
Dall'altra faccia del vaso vedonsi altresì svariati or-
namenti, palmelle, meandro ad onda, fiori, ovoli. Ove
s' ingrossa il collo verso la pancia vedi una prolome
femminile con orecchini e collana di giallo , il capo
adorno di rosso pileo ricurvo fregiato di gialli punti-
ni: sorge egualmente dal simbolico fiore con circo-
stanti ramificazioni ; e due Eroti , che pur sembrano
androgini , sono d' ambi i lati verso la stessa rivolti :
uno reca la patera e la corona , l' altro la patera ed
un balsamario.
Sulla pancia. Siede a sinistra sopra di un sasso
Giove coronato di lauro o di quercia , colla clamide
che covre la metà inferiore del corpo , e co' calzari :
colla destra sostiene la patera , colla sinistra si ap-
poggia allo scettro sormontato da un'aquila. Lo pre-
cede una quadriga tratta da veloci corsieri , guidali
da un dio alato ed adulto, il quale tenendo colla de-
stra l'asta, colla sinistra le redini, è nell'alto di vol-
gersi a Giove quasi per ascoltarne i comandi. Sulle
teste de' cavalli sono nel campo quattro aslri. Precede
la quadriga in leggiero movimento ^Icrcmio lenendo
la clamide, il pelaso, e gli alali calzari: colla sinistra
tiene il caduceo uscente in punta di lancia, ed un ra-
mo di palma. Il dio prende colla destra uno de' ca-
valli presso al morso , e volgesi indietro , quasi per
guidarne i passi. Al suolo si veggono varii fiori. Com-
parisce poi un Panisco con corna, orecchie, e gambe
caprine , che tiene il pedo e la siringa. Finalmente
appoggiandosi ad un sasso è Pane con clamide incro-
ciando le gand)e : la sua giovenile figura è quella che
suole apparire ne' vasi di Puglia : ha il capo corona-
to, e spuntar si mirano dalla fronte due piccole corna:
colla sinistra ha la patera , colla destra il pedo.
Al di sotto delle due descritte rappresentazioni ve-
desi in una particolare fascia una bianca protome fem-
minile di fronte con gialli capelli , cinta della solila
ramificazione.
Più in giù è una complicata rappresentazione , la
quale si estende per tutto il giro del vaso , e che de-
scriviamo particolarmente :
(1 .) Giovine coronato sedente a d. sulla sua clamide,
colla d. tiene il bastone , colla s. la patera : volgesi
ad una (2.) Donna assisa quasi di fronte ; ha tunica ,
mantello , ed altri femminili ornamenti : questa pre-
senta al giovine una corona , e lien colla sinistra un'
ombrella aperta , con ornamento sujieriore. Traile
due descritte figure vola una bianca colomba , por-
tando fralle unghie una gialla tenia. (3.) Segue una
donna sedente a destra: colla sinistra innalza lo spec-
chio , colla destra tiene lo cteis; al suolo è un bal-
samario. (4.) Di fronte le si appressa Amore adulto
ed androgino, che presenta colla d. la patera, e tiene
colla s. un ramuscello : solleva il destro piede sopra
un rialto. Traile due figure è in alto un ramo a fog-
gia di pergola. (3.) Donna sedente a s. colia destra
innalza lo specchio , colla sinistra un timpano , vol-
gendosi a destra verso un (6.) Giovine nudo e coro-
nato sedente a sinistra sulla sua clamide, colia sini-
stra ha un festone. (7.) Segue altra donna camminan-
te a d. , che colla dritta ha una corona, colia manca
una cesta ricolma di offerte: vi si ravvisano due me-
logranatc, due grappoli, e nel mezzo un oggetto pi-
ramidale : di sotto alla cesta pendono due gialle tenie.
— 48 —
(8.) Donna sedente a sinisira sopra una specie di cu-
scino o sacco, tiene colla destra un'oca o cigno sulle
sue cosce , e colla sinistra un unguentario : volgesi a
destra verso (9.) Amore adulto ed alato sedente a si-
uistra sopra di un sasso, il (juale tiene colla destra una
cassetta aperta. Sono iu allo alcune foglie di edera ,
ed al suolo alcune piautoline. (10.) Donna la quale
curvandosi a destra solleva il sinistro piò sopra un
rialto: eleva colla destra lo specchio, e tiene colla si-
ni'-.tra la sfera: volgesi questa ad (11 .) altra donna
sedente a sinistra sopra di un masso: tiene colla destra
una patera con tre globetti, colla sinistra un ramo da
cui pende un doppio grappolo. (12.) Donna che cam-
mina veloce a sinistra volgendosi ad. : tiene colla de-
stra il flabello , colla sinistra una cassetta con bian-
chi globetti al di sopra , e sospesa al sinistro polso
una corona. (13.) Donna sedente a d. sopra di un
sasso, suona colla sinistra il trigomim, che dalla par-
te anteriore è limitato dalla figura di una cicogna.
(14.) Amore adulto stante a d. e volto a s. , tiene colla
dc'stra una corona con tenia pendente , colla sinistra
una patera con tenia al di sotto. Al suolo è un fiore.
II prezioso monumento , che abbiamo finora de-
scritto , è stato illustrato dal mio eh. collega comm.
Quaranta, il quale ha letto sullo stesso una memoria
alla reale accad<niiia Ercolanese. Riconoscendo nella
prima rappresentazione il soggetto di Giove tramutato
in loro , che preparasi a rapire Europa , osserva co-
me questa regia donzella veggendo accostarlesi con
tanta mansuetudine il robusto quadrupede , ne fa le
più alte meraviglie ; e come l' Amorino , che le svo-
lazza a fianco par che l'induca ad accarezzare il loro,
a palpeggiarlo, ed a scherzare con esso sino al punto,
che allettata da quell' apparente docilità , si persua-
derà a sedergli sul dorso: cose delle quali, come os-
serva il comm. Quaranta , ammirasi un pastore, che
ha il pelaso dietro le spalle , e che si appoggia a ri-
curvo bastone. L'istantanea apparizione del torce
assai bene indicata dalla sorpresa di Europa , e dalle
movenze delle altre cinque giovani compagne, che si
trovano con esso lei. Due di loro hanno , al pari di
Europa , una palla di cuoio dipinta a strisce, la quale
serviva di trastullo non pure a' fanciulli , ma anche
alle donzelle , giacche in Ovidio , tra' munera graia
pucllis si annoverano anche le ptciaep/ae, corrispon-
denti alle tx^%7py.i TrotxtXx) di Dione Crisostomo. Nella
seconda faccia del monumento comparisce un Giove
sedente , il quale sta parlando con un Amore assiso
sopra una quadriga, cui va innanzi il Cillenio in alto
di avviarsi verso una grotta poco lontana , eh' è ap-
punto quella delle nozze d* Europa. La quale inten-
zione dell'artista si fa chiara dalla grossa palma, che
ha in mano insieme col caduceo; pianta che non solo
potrebbe indicare la vittoria ottenuta per gì' intrighi
dell'astuto figliuol di Maja , ma considerarsi ancora
qual simbolo geografico di Sidone, dove quegli erasi
condotto , per favorire i desiderii di Giove. È da os-
servare intanto che il Satiro ed il Panisco, che si veg-
gono innanzi alla grotta , ci fanno arguire , questa
scena essere tratta da qualche satirico dramma. Tutte
le figure della inferiore rappresentazione alludono ,
secondo il nostro dotto collega, a festa di nozze. Som-
ma è in questa creta (dice il Quaranta) la espressione
delle figure , invariabile la squisitezza del disegno ,
con che son tratteggiale ; ed io non temo di asserire
che per la grazia e la venustà diche ridondano, sene
pregerebbe non pure l'Albano, ma lo slesso Raffaello.
Fin qui il chiarissimo collega in una breve notizia ,
che mi ha fornita della sua spiegazione. Mi sia lecito
ora far seguire alcune mie poche osservazioni.
fcondnuaj
MlNERVlNI.
P. Raffaele Garrccci d.c.d.g.
Giono MiNERviNi — Editori.
Tipografia di Giuseppe Catàneo.
BlLlEimO ARCHEOLOGICO IN VPOLITA^O.
NUOVA SERIE
N.' 3ì. (7. dell' anno IL)
Ottobre 1853.
Nolizia de' più recenli scavi di Pompei. Continuazione del n. 28. — // nuovo programma pompeiano di M. E-
pidio Sabino. — Iscrizione Sorrentina dedicata a Fausta, con osservazioni del Conte B. Borghesi. — Osser-
vazioni intorno all'articolo del sig. de Rossi sul Pavsilypon di Mettia Edone. — Iscrizioni latine.
Notizia de' più recenli scavi di Pompei. Conlinuaz
del num. 2S,
itone
Ora che si è proseguito sufllcientemenle lo scavo
nel silo, ove fu rinvenuta la statua di Oiconio, riesce
facile formarsene una idea esalta. La nuova via, come
fu da noi avvertilo, mena quasi direltamentealForo,
e dalla strada Slabiana, presso la quale prende comin»
ciamenlo, era accessibile da soli pedoni. A' due lati vi
è il solito marciapiede , sul quale si elevano i pilastri
degli edifici, checosteggianola via. Dalla parte interna
del marciapiede sono due pilastri da un Iato , e due
dall'altro, a ciascuno de' quali vedesi addossato un pie-
distallo di fabbrica ; siccome fu da noi detto innanzi
(pag. 26). Ora soltanto osserviamo che di questi in-
terni pilastri con le vicine statue non ve ne furono che
quattro , giacché essendo proseguito il disterro , si
scfjrge che viene subito interrotto l'ordine di questi
secondi pilastri. Dalle più recenli scavazioni ci siamo
ancora pienamente convinti che le altre tre statue, oIt
tre quella di Oiconio , non che il marmoreo rivesti-
mento de' tre piedistalli, furono anticamente rapiti ;
giacché, ad eccezione di quella testa muliebre da noi
precedentemente accennata, niente altro é venuto fuori
da quelle vicinanze.
Tornando a' pilastri esposti sul marciapiede, noterò
che a destra se ne veggono finora sei , tutti composti
di grandi pezzi di tufo di Nocera. A sinistra ne sono
fino a questo momento comparsi otto , alcuni della
medesima costruzione , dir voglio di grandi massi di
tufo; altri di opera laterizia. Dall' una e dall'altra parte
molli di quei pilastri sono crollati: e noi ne additeremo
AfiUO II.
le particolarità , quando le progredite scavazioni ci
avran porto il destro di favellare degli edificii, de' quali
sono essi il limite.
Intanto riportiamo i programmi segnati col pennello,
letti nella porzione di strada scoverla Onoggi,
1. Sul quarto pilastro a sinistra,
LG- SECVNDVM
IIVIR'IDOVFVERETADIVTOR
ROGANT
Non ci sembra da dubitare che sia qui desiderato
per duumviro L, Ceio Secondo , del quale fan pure
menzione altri programmi della vicina strada Stabiana.
Tra essi è notevole quello da noi riportato nel 1 .o anno
di questo buUettino p. 185, n.6, ove è una curiosa al-
lusione espressa dalle parole NEC SINE MAENIANO.
Nel nuovo programma le due voci Ver. et Adjutor uoi
crediamo sieno due nomi proprii Verus ed Adjutor ;
essendo risaputo che quest' ultimo cognome trovasi non
di rado nelle iscrizioni (v. Mommsen inscr. R. neap.
lai. 633, 1468. 1727, 2532. 3599, 4005, 4040.
6655 bis, 6769, 6834,),
2. Sul quinto pilastro a sjnistr^.
E • C • SECVNDVM
II • VIR • I • D • 0 • V • F • • • •
Dopo la nota formola seguono tracce di un nome
illegibile. Si riferisce allo slesso L, Ceio Secondo,
3. CASELLIVM
FVSCVS • ROG-
— so —
■i. Sul sesto pilastro a sinistra.
M • HOLCOMV.M • PRISCVM
II vm -D ■ R- PO V • F'
5. Sul secondo a sinistra.
M • VESVIVM • II ■ V
\B
OF.
Sono notevoli in questo programma, nella parola
Vesvium, i nessi del V con E, dell'V collM che incon-
treremo di nuovo tra poco; come pure la sigla VB ,
che trovammo altresì nell'altro programma di L. Furio
riferito di sopra p. 27 n. 17. Nuovo ci sembra il modo
di segnare la nota formola oro los facialis col mono-
gramma VF entro un cerchio più grande.
6. Sul medesimo pilastro
X ■ HERENXIV.M
7. Tra il quarto ed il quinto pilastro era un'aper-
tura, che venne poi anticamente chiusa con fabbrica:
al di sopra della primitiva apertura vedevasi una cor-
nice con ornamenti di stucco , ora crollala , e sul
fronte leggesi di rosso
C ■ NVMDIVM IIV-
Vi si osserva il medesimo monogramma dell' V
collM.
8. Sul quinto pilastro a sinistra
VETTIVM
9. VEDIV.M • AED
.SESTIVS ■ pnOC\XV5 • ROG
10. C.\SELLIV.M • AED
Abbiamo letto ancora alcune parole graffite , e ta-
lora profondamente incise con una punta acuta in al-
cuni de' grandi pezzi di tufo di Xoccra adoperali alla
costruzione. Cosi in uno che è messo nel pilastro se-
condo a sinistra leggesi
NARCISVS
più sotto
IVC\7s"DVS , e poi
PETR
In altro pezzo di tufo del medesimo pilastro
VIVE
VALE ( LE monogr. )
In un pezzo di tufo del quarto pilastro
CEIVS
Possiamo ora annunziare che tutta la strada Sta-
biana è quasi interamente scoverta, e ci riserbiamo di
darne una generale idea in altro articolo, ove diremo
pure delle particolarità della porta di Stabia. Sopra
una delle esterne pareti si vede il seguente program-
ma, che omettemmo di trascrivere, o piuttosto è com-
parso posteriormente dopo che è saltato via lo strato
d' intonico che lo ricopriva.
Q • POSin^I • PROCVL\*M • AED
CERIALIS? ROG • CLIEXS
Pare che sia per errore dello scrittore POSTIVM
in vece di POSTVMIV.M, essendo noto per altri pro-
grammi il Q. Poslumio Proculo : se pure non voglia
credersi una particolare abbreviazione di quel nome.
Questo programma ci fornisce un terzo esempio di
clienù in Pompei , avendone noi medesimi riferiti gli
altri due di Proculo (anno I. p. 142 e lo6) , e di
M. Cuspio Pausa (ibid. p. 157 e 177).
Poco abbiamo a dire degli oggetti ultimamente sca-
vati. Solo non dobbiamo passare sotto silenzio il ri-
trovamento di una ornata cassa in una bottega segnata
col num. 109.
Era questa fregiata di ornamenti di bronzo svaria-
tissimi rivestili di argento. Tra questi varii ornamenti,
i quali non possiamo renderci esatta ragione come
fossero situati intorno la cassa , per essersi tutti ritro-
vati staccati , ve ne sono alcuni degni di particolare
attenzione. Sopra uno a forma di disco vedesi il ri-
vestimento di argento , e sullo stesso a bassorilievo è
figurato il nolo gruppo delle tre Grazie nude, che si
tengono fra loro abbracciate.
Sopra altro simile disco di argento è figurata la te-
sta di Mercurio a s. senz' altro attributo ad eccezione
del petaso, ed è di uno stile molto somigliante a quellq
di alcuni sestanti romani. Sopra un altro è la testa di
Bacco coronato di edera : e finalmente in un altro è
una testa di fronte con corona di raggi, probabilmente
di Apollo , 0 del Sole. Altri ornali rappresentavano
fogliami , ed uccelli; e di questi crediamo inutile dare
una particolare descrizione.
— 51 —
Slrada dell' anfìtealro. Le nuove scavazioni dirette
a rendere più agevole la traccia , che dal cosi detto
tempio di Esculapio conduce all'anfiteatro, hanmesso
allo scoverto alcuni programmi dipinti col pennello
sulla superficie esterna de' muri.
Sono essi i seguenti.
1. VERVS • INNOCES • 0<^ • AED
PAPILIO
2. 0 ■ POSTVMIVM • PROCVLVM
AED • O^ • SEXTILIVS • VERVS • FACIT
3. SERGIVS • VENVSTVS
OA
fconlinuaj
MlNERVINI.
// nuovo programma pompeiano di M. Epidio Salino.
Neil' articolo intorno all' Amhulatio , e ai program-
mi popolari in Pompei inserito nel Bullettino An. I.
p. 148 seg., io dimostrai che il rogai scambiato con
orat, cupit, petit, facit non può avere comunemente
un significato strettamente legale, perchè molti di co-
loro che lo adoperano dovevano essere legalmente
esclusi dai comizii , e perchè incontrasi anche in quei
programmi che sono posteriori di tempo alla cessa-
zione dei comizii; la quale credesi avvenuta dopo-
ché Tiberio trasportò i comizii e campo ad palres [Tn'
cit. An. I. la.).
È però necessario dare uno sviluppo maggiore a
questa seconda ragione; perocché il Zumpt la tiene
cosa provatissima ut et rei natura docel , et intelligi-
tur ex tcstimoniis certissimi^ (Comm. Epigr, p. 61).
Ma quali siano questi testimonii certissimi egli non
dice , e altronde gli Autori di questa sentenza sem-
brano fidarsi al solo passo di Tacito or allegalo ; e
così il Lipsie: Tiberius primus animis Quiritum fra-
clis ius omne sibi et senatui sinnsit , populi mdlo loco;
quod Tacilus his verbis voluit ; comitia e campo ad pa-
tres iranslala • ' ex co tempore expers su/pagionim
populus (Excurs. ad Tacit. 1, lo. E).
Costa per altro che i comizii non cessarono , né
sotto Tiberio , né dopo ; e che i raccomandati dal
principe al Senato , siccome quei quattro candidati ,
che egli concesse al Senato di proporre, erano infine
nei comizii rispettivi designati ma senza ripulsa , né
broglio: sine repulsa et amliitu designandos (Tacit.
1. e. (1)) : di modo che, siccome ottimamente osser-
va Dione , un simulacro soltanto degli ant chi comi-
zii era rimasto ; óuffri ìv slxón ^oxùv y/yvscQx; ( Dio.
LVIII , 20 ). Variò pertanto la condizione di questi ,
sotto i principi seguenti ; che se a Caligola non riu-
sci di ricondurre il popolo lungamente disvezzato a
prender parte attiva nelle elezioni dei magistrati (Dio.
LIX, e. 20); sappiamo nulla dimeno, che sotto Tra-
jano procurrebanl. omnes cum suis candidatis , multa
agmina in medio , multique circuii et indecora confu-
sio : onde convenne al Senato rivocare in uso la legge
Cassia tabcllaria (Plin. Epist. Ili, 20): Omnes comi'
tiorum die tabcllas postulaverunt (2).
Or se in Roma il popolo non fu mai onninamente
escluso dalla elezione dei magistrati , e se almeno ap-
parentemente dava il suo voto nei comizii (3) , non
si avranno più alcuna ragione coloro , i quali sosten-
gono che suir esempio di Roma s' iutroducesse nei
municipi! e nelle colonie , che escluso il popolo , i
soli decurioni s' incaricassero della elezione, che poi
offrissero all' approvazione del popolo. Io invece son
di credere non solo l' esercizio dei comizii essere per-
durato fuori di Roma, ma ancora l'autorità, e la liber-
tà sua al certo maggiore di quella, che era in Roma.
Perocché laddove tutta la immediata influenza del
(1) II Lipsio stima, die le parole ne plurcs quam quatuor can^
didatos commendarci si debbano riforiro a Tibciio, ma pare in-
vece , che Tiberio al senato concedesse questa iiroposta , scriven-
do Tacilo, che senutus ìargitionibus ac precibus sordidis exso-
lutus , libens tenuit, moderante Tiberio, ne plures qiiam qua-
fuor candidatos commendarci, sine repulsa et ambitu designan-
dos. I. e. Se prima di ciò potissima arbitrio principis fiebaut ,
come (Xileva poi dir Tacilo che il Senato concesse a Tiberio di no-
minare alle magistrature non più di quattro candidati, dopo cho
Tiberio stesso aveva costituito il Senato arbitro delle elezioni in
vece del popolo?
(2) Questa legge taJjellarLi io riconosco adottala nei munlcipil
e nelle colonie , e me ne danno argomento due lapidi di Calvi , ove
apparisce la frase LOCO DATO S. C. PER TABELLAM (Cervasio
Iscr. Mess. p. 36, Momm. I. N. 39o0 , 3051). Quindi risulta evi,
dentemente V uso dei comizii popolari per le città fuori di Roma.
(3) Ricordo il motto di L. Galba riferito da Quintiliano; sicpt'
tis tamquam Cacsaris candidatui.
— 52 —
Principe , e le raccomandazioni introdotte da Giulio
(Suet. in Iul.XLI),e talvolta ancora gli espressi voleri
in Roma sempre diminuivano , e soventi volte impe-
divano del lutto la libera votazione , i cittadini nelle
piccole republicliette municipali e coloniali non ave-
vano a temere se non della potenza di alcuna famiglia,
(he tutto al più colle largizioni e coi brogli si potea
comprare i voti , non mai però coli' assoluto coman-
do ( cf. Plin. Ep. III. 20 in Cne. Smt quidem ciincta
sub uniiis arhitrio etc. ).
Non essendo adunque passato, mai esclusivamente
nò in Roma ne altrove il dritto di nominare alle ca-
riclie dal popolo al senato, ne conseguita che i pro-
grammi popolari di Pompei possono appartenere in
tutti i tempi sì ai cittadini elettori, che alle classi della
plebe non considerate nelle liste censorie dei votanti.
Resta quindi saldo quanto ho proposto intorno al senso
non strettamente forense della voce rogai ; ma il nuo-
vo programma pompeiano , pubblicato dal collega
Minervini ( pag. 27. ) , che stando alle teorie del
Zumpt e dei predecessori non potrebbe avere una
spiegazione ragionevole , ora prenderà assai bene il
suo posto nella serie dei programmi (1).
Erasi conosciuto assai prima , che M. Epidio Sa-
bino apparteneva agli ultimi anni di Pompei, essendo
nolo il programma, che lo cercava al duumvirato in
maniera assai più concisa , per giudizio del medesimo
Suedio Clemente incaricato straordinario di Vespa-
siano alla verifica dei beni fondi che appartenevano
alla republica di Pompei , ed ai particolari possessori.
Leggesi quel programma pubblicato dal Guarini Fa'
sii duum. p. loo.
M • EPIDIVM • SABINVM
EX SENTENTIASVEDI CLEMENTIS
D • V • I • D
Il nuovo programma più ampio e magnifico di-
cendo 37. Epidium Sabinum, defensorem Coloniae ,
(I) Nella memoria da me Iella alla reale Accademia Ercolanese
su queste ultime scoperte ho presentato io pure le difficoltU che
offre il nuo\o programma alla opiaione, che toglie a' comizii la no-
mina du' niagisiiaii. minervini.
ex senlenlia Suedi Clemeniìs sancii ludicis , consemu
Ordinis, ob merila eius et probilatem, dignum Reipu-
hlicae , faciatis duumvirum Iure dicundo e insegna a-
pertamente , che al popolo si raccomanda un tal per-
sonaggio , il quale ha già il voto concorde dei decu-
rioni , e di Suedio Clemente uomo d' incorrotto giu-
dizio. In questi tempi medesimi P. Paquio Procolo
fu fatto duumviro dal suffragio universale dei Pom-
peiani, siccome imparo da un programma, che mi co-
piai tempo fa da una parete dell'Anfiteatro, che dice:
P • PAQVIVM • PROCVLVM • n™ i » » « ••
ViMVERSI • POMPEIANI • FeCERVNT
E riesce di una nuova conferma alle cose già dì-
sputate intorno al suffragio del popolo. Questo P. Pa-
quio era chiesto alla magistratura primaria con A.
Veltio Caprasio Felice in due altri programmi , nei
quali si votava l' edilità per M. Epidio Sabino , e Q.
Mario Rufo (Avell. Opusc. voi. 2, pag. 225, Bull.
Arch. 1846, pag. 50 (1).). Intorno al senso che deve
darsi alla formola Ex senlenlia mi rimetto a quanto
ne ho scritto nel primo voi. di questo Bull. ap. 152.
Ma quanto a IVDICIS AVG NERONIS soggiunto al
nome di Q. Elio Magno sul muro esterno sinistro
della Basilica , giudico che sia un raro esempio di can-
didato del principe municipale , e ricordo la formola
di Giulio : Commendo vobis illum et illum ut vestro
suffragio suam dlgnilalem lencanl (Suet. lui. XLI), e
i luoghi simili nel panegirico di Plinio a Traiano, e.
XCII. Tuo iudicio Consules facli, tua voce renunliati
sumus: ul idem honoribus noslris suffragator in Curia,
in campo declaralor exisleres (cf.c.LXXI eiusd. paneg.).
Se Sabino era dissignalor , sarà stato ancora elet-
tore; perocché l'esclusione dal decurionato di coloro
che dissignationem facerent (Tab. Ileracl. e. V, 20,
p. 415) ben li suppone cittadini di pieno dritto. Que-
sta ortografia DISSIGNATOR viene in conferma di
(1) Questo secondo programma composto di una serie di sigle fu
interpretalo da me nel nuovo Bull. Nap. A. l. p. 6.: le correzioni
ivi introdotte per conghiellura sono di già assicurale dalla riappa-
rizione dell" intonaco ora collocalo nel R. Museo. Di che ho deUO
nelle questioni pompeiane p. Vili. Napoli, 1853.
— B3 —
quanto ne scrìsse 11 Mazzoccliì {Tab. Herach p,4l6)
provandola la miglior maniera di scrivere questo vo-
cabolo (v. le cose osservate nell' an. I. di questo Bull,
pag. 166.).
Garrccci.
Iscrizione Sorrenlina dedicala a Fausta , con osserva-
zioni del Conte B. Borghesi.
» Importante iscrizione fu scoverla dal signor dot-
tor Bruno in mezzo alla piazza di Sorrento posta in
onore di Fausta moglie di Costantino madrigna ed ac-
cusatrice di Crispo : vedesi però in essa cancellato il
nome ed i titoli di eonjuge e di madre , che Fausta
portava, lasciandosi i nomi del marito e de' figliuoli :
la qual cancellazione seguir dovè al supplizio , cui
Fausta stessa fu dannala ». Così l'Avellino nel Bull.
Arch. Nap. 1846. pag. 109. Poscia a pag. 120 vien
riferita la lapida come fu trascritta dal cb. Brunn coi
supplementi che a quell'apografo aggiunse il Borghe-
si , cosi :
PIISSIMAE • AC • VENERAVI
LI D • N • Faustae AVO
coniugi VICTORIS • AVG
CONSTANTINI matri
DDD NNft
CONSTANTINI
CONSTANTI Et ConslAMs
Ivi si opina dal relatore , essere questa una miglior
copia di (lucila stessa clic fu creduta di Elena; ma la
iscrizione di S. Elcna fu copiata ancora da me, e l'ho
pubblicata tra le Iscrizioni antiche di Salerno a pag.
20, e quella di Fausta la darò qui secondo la mia
lezione , che se non si accorda con quella del signor
Brunn , ciò non nasce se non dalla difficoltà inerente
sempre alla retta trascrizione degli antichi marmi; on-
de da tanti ancor sommi, e sì di frequente viene im-
plorala la indulgenza dei meno prallici : che i vera-
mente esercitati ncll' arte non ne prendono scandalo;
conoscendo che in questo fatto a niuno è dato andar
esente da errori (.Marini, I papiri diplomatici, [tnf.).
Lessi adunque così :
PIISSIMAE AC VENERAVI
LI • D • N . FAVSTAK • AVG
vXO-ìil • D • N • MAXIMI
VICTORIS • AVG
CONSTANTINI • • • • proc
rEaiV.lcl • DDD NNN
?:()NSTaMS CONSTANTINI
cT CONSTANTI • BAEA (costj,
TISSIMORVM AC [clic
ium CaesaliYM OR
do et populus Surrentinorum ■
Sulla quale nobilissima epigrafe scrissi già al Bor-
ghesi , esponendo alcune mie difiìcol(à inforno all'e-
poca , che convenisse assegnare alla lapida, ed egli si
compiacque rispondere così : » S. !\Iarino 8 maggio
1831. « Sono importanti le osservazioni da Lei falle
a Sorrento sulla lapida di Fausta , sulla quale vedesi
abraso ancora il nome di un Cesare , eh' Ella crede
essere quello di Costante. Ilo veduto un altro esem-
pio a Tivoli , ove il nome di Costante è stalo scar-
pellato dalla Muraloriana p.463, 9, in modo però da
esser rimasto leggibile. Tengo per certo che ciò sia
avvenuto nel 350 per comando di Magnenzio, e me
ne viene somministratala prova dalla Gruteriana 400.
1 , da cui risulla , che anche la statua che Costante aveva
fatto inalzare al suo prefello del pretorio e favorito
Eugenio , di cui parla Libanio ncll' oraz. 9 era stata
rimossa , e che fu poi ricollocata nel foro Trajano
per comando di Costanzo. E da essa apparisce pure
che la memoria di Costante era siala rislabilita, onde
gli vien dato il lilolo di Divo. Fu dunque incisa pri-
ma del 3oO r iscrizione di Sorrento , in cui il nome
di Cesare abraso non può essere se non che quello
di Costante, se Fausta vi si dice Procrealrix di tre prin-
cini DDD. NNN , che debbono essere tre Cesari pel
titolo che loro si attribuisce di BEATISSIMORVM.
Rimane ora la questione, se questa lapide fu dedicata
— 54 —
a Fausta ancora vivente , o a Fausta già fatta morire
fino dal 3'2G , o jjochissimo dopo. Fortissime mi sera-
brano le ragioni eh' Ella adduce in favore del secon-
do avviso , mostrando che quella lapide non può es-
sere anteriore al 333 , in cui Costante fu salutato Ce-
sare, ed anzi né meno al 333 , in cui il padregli as-
segnò iu sua porzione l'Italia, unico motivo sufficiente
per cui in questo paese potè il suo nome essere ante-
posto a quello dei fratelli maggiori. A lutto ciò ag-
giungerò il titolo di VENERAVILI che leviendato,
e che ho già accennato convenire ai trapassati. Si ri-
sponderà che durante la vita di Costantino è assai duro
ad immaginarsi , che alcuno fosse sì ardito da cele-
brare pubblicamente la di lei memoria , e che dopo
la di lui morte i suoi figh uon si sarebbero più detti
Cesari , ma Augusti. E pure si ha un' intervallo , iu
cui si può collocare la presente lapide, schivando tutte
queste obbiezioni. Tempo fa illustrando l' iscrizione
della porta di Fano DIVO • AVGVSTO • PIO -CON-
STANTINOPATRIDOMINORVM feci avvertire che
quantunque Costantino morisse ai 22 Maggio del 337,
furono però differiti i suoi funerali fino all' arrivo dei
figli assentì , e frattanto gli atti pubblici furono spe-
diti a nome dell'Augusto defonto, per cui Eusebio ci
dice eh' egli seguitò a regnare anche dopo morte. Su
di che veggasi precipuamente il Valesio nelle note ad
Eusebio p. 25i, ed il Pagi all'anno 337. §. 4. Ida-
zio attesta precisamente che i suoi tre figli non furono
dichiarati Augusti se non che ai 9 Settembre dello stes-
so anno. Infatti ncli' iscrizione di Fano appartenente
a quesl' interstizio non vengono essi qualificati Augu-
sti , ma in termini generali si dice che Costantino fu
PATER • DOMIXOKVM ; e PATER • PRINCIPVM-
MAXI.MOHVM vien chiamalo nella coetanea di Ma-
diliano riferita dall' Eckhel T. 8. p. 21. Ecco dun-
que uno spazio di quasi quattro mesi , in cui senza
timore dello sdegno di Costantino si potè sperare d' in-
graziarsi presso i Cesari suoi figli , onorando la me-
moria della comune loro genitrice. Ma in questo caso
sì domanderà quando fu abraso il nome di Fausta ? t!,
da supporsi che lo fosse contemporaneamente acpiello
del fi;;lio, ricordando ch'ella era di proscritta ricor-
danza fin da quando fu uccisa per ordine del marito.
L' unico ostacolo che prevedo in questa opinione si è
quello che nel marmo non si fa alcun cenno che Co-
stantino fosse allora defonto. Ma primieramente chi
ci assicura che questo cenno non si trovasse nelle let-
tere incerte, che sussieguono il suo nome, per esempio
MEMoriae VENcrandae, come nelle sue medaglie, o
anche MeM. FELicis, ammettendo la lezione, che le
è sembrato di ricavarne. Dipoi non mancano esempi,
nei quali anche dopo l' apoteosi si trovano memorati
gli Augusti colle sole loro qualifiche imperiali , om-
metteudo quella di divo.
Il Tillemont direbbe che la nostra lapide fu opera
di un Cristiano , il quale aborriva questo titolo gen-
tilesco. Comunque sia, certo è che quest'unica diffi-
coltà è troppo lieve in proporzione delle altre che vie-
tano di stabihre l'età di questa lapide sia prima della
morte di Fausta sia di quella di Costantino». — Conte
Borghesi ».
G.VRRCCCI.
Osservazioni intorno all' articolo del sig. de Rossi sul
Pavsilypon di Mctlia Edone.
Il mio eh. amico nel suo dotto ed elegante articolo
sul Pausilipo di Mettia Edone ( v. sopra p. 22 ) tiene
HEDONÉI posto nella greca desinenza del caso dativo,
Sarebbe mai possibile riconoscervi un genitivo? Credo
veramente , che sì. Se fosse scritto IIEDONÉIS tro-
verebbe un confronto tra i graffili pompeiani, in uno
dei quali DADOMENE declina il genitivo nelle due
maniere seguenti DADOMENES , DADOMENEIS;
nella qual desinenza in EIS sta per mio avviso l' HE-
DONÉI della lapida di Mettia. Quando queste osser-
vazioni si ammettano, non potrà dispiacer tanto che io
abbia giudicato il POMONIS di lapida salernitana es-
sere precisamente genitivo di POMONE in vece di
POMONEIS come DADOMENEIS (v. le mie Illu-
si razioni di alcune lapidi di Salerno , Napoli, 1831 r
p. 17, 18). Ma ad HEDONÉI manca l'S finale: dif-
firollà, che non preme più di quello che faccia HE-
DONAE in luogo di HEDONAS, HEDONAIS, UE-
— 55 —
DONAES. Del resto non è per me allrimcnti ancor
certo che il Pausilipo fosse propriamente di Mcttia
Edone , e non piuttosto consecrato alla memoria di
Metlia Edone da alcuno dei suoi amici, o congiunti.
I nomi Agelentinm, Sassulanm, \undincsis potreb-
bero ritenersi siccome patronimici aggiunti a nomi
ora perduti di persone native p. e. di AgeìeiUum , di
Sassula , di Nundìnae , che ben possono essere stali
nomi di villaggi.
Garrccci.
Iscrizione latine, continuaz. dcWarl. inserito a p. 59.
Altre iscrizioni puteolane mi vengono comunicate
dal eh. sig. Can. Scherillo.
4. C • IVLIVS • AMPIIIO
FENESTRA • D
LUCILIO LUCILIAE
PHiLOCYRO • SYMPHER
LUCILIAE
ET • NAINI • SE- VIVO- D
ET TEIIPETUO
jaio Giulio Anfione Fenesira diede il luogo da sep-
pellirsi a Filociro , Sinferusa , Naide , ancor vivo, e
diello ancora a Perpetuo. I tre primi ottennero la li-
bertà , e però aggiunsero il proprio nome, Perpetuo
venne aggiunto dipoi , e quindi vedesi scritto in ca-
rattere più piccolo.
5. DIS • MAI///
TMESEO • ET SY/// sic
EXCOLLEGIOSALV/
FAMILIAE VALER/
Guadagnasi un nuovo Collegio detto della Salute, o
Salutare, contrassegnato ancora dal nome della /ai/»'-
lia Valeria, che lo aveva costituito. Un CoUegium
Salu'.are si nomina in un marmo di Coimbra ( Ord-
ii, 2415).
Il senso di exornare è spiegato anche nella bella
epigrafe Salernitana di T. Tetticno Felice , che legò
cinquantamila scsterzii ad exornandam aedem Pomo-
ììis, dalla qual somma dicesi ivi: factum eU fastigium
inauralum, podium, pavimenta marmorea, opus ledo-
rium ( v. le mie Illnslrazioni di alcune iscr. ani. di
Salerno, Napoli, 1831, p. 17).
C. Pontius • ProscrlVS • PAVLINVS
Iun-V-C-Concham-poì\ FYRETICAM
nimia vcT\SJ\TE
eollap SAM FON
ti restituii
Frammento puteolano, comunicatomi dal cliiariss.
signor Fiorelli. Sospetto che sia Pontius Proserius
Paulinus Iunior V. C. il quale Concham p. e. porfij-
rcticam vetustale collapsam fonti reslitait. Neil' altra
lapida pur puteolana questo Consolare della Cam-
pania dicesi restawalor opcrum publicorum Moimn.
2508
7. L FONTEIVS • FLAVIANV5
H-\.RVSPEX • AVGG • CC
PONTIFEX • DICTATOR
ALBAN • MAG • PYBLICVS
HARVSPICV3I • ordì
NI HARVSPICVM • LX DD
Il nostro Sirmondo die al Gulhero la prima copia di
questa lapida e dal Gulhero (L. I. devet lur. Ponti f
e. 3) la trasse il Reincsio, /?omoc A. 460o e/fo.<sam (p.
3G0 Synt. XIII), ma non determinò il luogo ov'era.
Laonde mancando agi" interpreti il modo di assicurare
i loro dubbii , alcune correzioni eransi introdotte dal
Reincsio , altre adottate dal MafTci , altre suggerite
dall' Ilagenbuck , altre dall' Ordii. Vuole per esem-
pio il Reinesio , che il CC si cambi in NN. Fuit in
saxo AVGG N\ . idcft , Angustorum PCY. L'Ordii
invece approva , che il .Maffei lo abbia omesso. Omit-
lit illud CC Rcincfli ci rode , pulo : eicnim ortum vi-
dctur ex AVGG ( Ordii , hcr. Lat. 2293 ).
A dissipare tante incertezze è tornato a luce il bel
monumento , scoperto da me in villa Breuda , seb-
— 56 —
bene rotto io due parti , e mancante di alquante let-
tere , che io vi ho supplite in corsivo dal primo esal-
tissimo apografo del Sirmondo. Il CC si spiegherà
ducenarius , il DD Dono dcdh , essendo questa una
base , che doveva sostenere il donarlo offerto da Lu-
cio Fonteio.
S. T • ANNIVS • T • F • RVFVS
L • SEPTIMIVS • SA • F • DENTIO
LANNIVSTFGRITTO- NAGISR
EX • PAGI • D • SCAINA • FAC • COIR
TANNIVS T FRVFVSLvlnntMsTFGRITTO
PROBAVERVNT
Nella villa S. Giovanni di Prezza , casale ora di-
strutto, è venuta a luce nel 1852. Il dott. Brunnl'ha
copiata di recente e me ne ha enunciato il primo la
notizia. La copia che ne do qui mi è stata trasmessa
dal sig. Arciprete di Prezza. Debbo al medesimo que-
st' altra importante al pari , e forse ancora piti.
9. L • HERENNIVS • C • F • RVFO
MAGISTER • PAGI • H • DVCTVM
AQVAR • CORFINII CD- FAC
CVRAVIT
Conoscevamo da altra lapida conservata ora in Ca-
stel Vecchio subequo che l' acquidollo di Corfinio fu
restaurato dai Corfiniesi , ora impariamo che L. E-
rennio Rufone maestro del pago H. che forse è Er-
colano , lo fé costruire C. D. Consensu Decurionum.
Questo acquidotto pare quindi diverso da un altro ,
di che si dichiara autore C. Alfio in una lapida ri-
putata falsa dalMonimsenn. 835, perchè proveniente
dal 3Iartelli, e perchè nomina C. Alfio ed Erennio
i quali nomi ricorrono in altra corfioiese 5363. Io la
reputo verissima , siccome sono tutte quelle , che il
Martelli dice copiate ( ossia storpiale ) da se , e che
non cava da libri. Siccome il L. Erennio Rufone di-
cesi figliuol di Caio al pari del L. Erennio Rufo della
lapida di Corfinio citata qui sopra , così può ragio-
nevolmente conchiudersì che appartenessero ad un
sol ceppo. Altro è 1' Erennio Corfioiese della lapida
riferita dal Martelli, il quale costruì l' acquidotto, che
prendeva l' acqua dall' Aterno. A questo appartengo-
no gli avanzi di speco , che vanno dall' A terno verso
Viltorito , al primo il traforo, che dà passaggio alle
acque del lago detto Acquaviva.
Il Camini ( della regia Strada etc. p. 33 , a ) cre-
dette , che quest' acqua fosse convogliata dall' Alerno;
ma il lago Acquaviva non comunica con questo fiume.
10. Q • OCTAVIO • L • F
SAGITTAEQVINQII
PAGVS • BOEDINVS
Nel luogo vicino a Castel Vecchio subequo , detto
Maerano fu l'antico Supemequum: il Foro di questa
città è dimostrato dalle iscrizioni pubbliche poste dai
pagani a loro patroni. Qui un nuovo pago Boedino
drizza questo piedistallo a Q. Ottavio Sagitta quin-
quennale la seconda volta.
11. NOVIA • D • L
DELPIS • FEI
LEI • POSIERVrf
A Lecinaro paesetto vicino a Gagliano , e però a
Castel Vecchio suhequo si è scoperta recentemente
questa lapida arcaica , della quale ho l' apografo ri-
cevuto dalla nota bontà del eh. mio amico sig. Leo-
sini di Aquila.
Gakrccci.
P. Raffaele Garrccci d.c.d.g.
Giulio Minervini — Editori.
Tipografia di Giuseppe Catjneo.
BtlLETimO ARCDEOIOGICO MPOIITAIVO.
NUOVA SERIE
NP 32. (8. deir anno II.)
Ottobre 1853.
Dichiarazione della fjjiira 1. (av. II. di questo secondo anno del Bullcllino. — Descrizione di alcuni vasi di-
pinti del real musco Borbonico. Continuazione del n. 50.
Dichiarazione della figura /. tav. II. di questo secondo
anno del Bullettino.
Noi già parlammo a lungo di-l covercliio di patera
figurato nella nostra tavola seconda, e rinvenuto nelle
vicinanze di Fasano , sito dell'antica Gnalhia (bull,
arch. nap. an.V. p.81 e seg.). Ora abbiamo creduto
opportuno farne la pubblicazione; e non intendiamo
di ripetere tutte le cose precedentemente dispulale ,
alle quali rimandiamo i lettori del presente bullettino.
Avvertiamo solo generalmente die noi credemmo di
ravvisare una riunione di marine Ninfe, alcune delle
quali si veggono indicale da' loro nomi. Tali sono
'AXiri, firj(roi.ir„ Ky.vfMvri, e IT% ...*), nella quale
ultima voce pensai ascondersi il nome di IlaiÓTrr,, o
Tlot-tTil^ctri. Riportai i due calati alla medesima intelli-
genza , come in allusione a divinità filatrici ; alla quale
classe appartengono pure le Nereidi. Quanto all' a-
zione rappresentata nel dipinto, che pubblichiamo, a
noi sembrò di rilevare che tutte queste marine Ninfe ci
si offrano nelle caverne del mare, intente ad abbellir-
si. E soggiungemmo le seguenti brevi osservazioni.
» Pare che due tra esse riscuotano le cure di tutte
le altre; queste sono Halia , e l'altra il cui nome è
dubbio. Per quel che concerne ad Halia, la mag-
giore osservanza , colla quale è trattata , può spie-
garsi co' particolari amori di Nettuno da lei meritati.
In quanto alla incerta figura, a cui si avvicina l'A-
more offrendole una corona , a noi sembra che abbia
voluto r artista esprimerne le sacre nozze. A lei d'in-
torno si veggono Nesea e Clymene. Ove poi ci pia-
cesse di legger nel dubbio nome Ilk<yi^xW , trove-
rò jimo una stretta relazione con Clymene , giacché
ANNO II.
riporta Igino , che costei insieme col Sole procreò
Pasifae ( fab. 1 50 ). Sicché potrebbero nel nostro vaso
rammentarsi i preparativi del matrimonio di Pasifae
con Minosse : a' quali assiste la stessa madre della
sposa , ed altre marine compagne. In tale ipotesi il
nome slesso di Pasifae ben si connette coli' Amore ,
secondo la derivazione che fu data dell'identico epi-
teto di Venere (Aristot. de mirab. ause. e. i4o. II.
Lyd. de mens. p. 214 ed. Roether) ». Non voglio
omettere di ricordare che il dottissimo Avellino di o-
noranda memoria, nel monco nome n A • • • II pensò
potersi ad egual dritto supplire Il%rpoy''r^ nome di
un'altra Nereide , come venne osservato dal Wal-
ckenaer [animadv. ad Ammonium lib. III. cap. I. ).
Vedi il cit. anno V. del bullettino p. 1 o 1 . Applau-
dendomi da una parte che quel sommo uomo appro\ ò
la mia attribuzione delle varie figure a diverse ninfe
del mare , mi sia lecito di escludere la possibilità del
supplimenlo IIATPONOII, che non mi sembra con-
sentita dallo spazio , il quale non comporta più di
quattro lettere. E lo stesso dir si dovrebbe dell'altro
supplimenlo nA<&lH, come denominazione di Afio-
dite , per la opposta ragione che lo spazio , che in-
tercede fra l'A e IH, è capiente di più di due lettere.
MlNERVI.M.
Descrizione di alcuni vasi dipinti del real museo Bor-
bonico. Continuazione del num. 30.
Per cominciare le nostre osservazioni dalla scena
ov' è il toro , avvertiamo che Europa sta con allre
compagne scherzando ( Trct/^orcct ) ; siccome dicono le
tradizioni , quando a lei si presenta il toro. Cosi Lu-
8
— S8 —
ciano {dial mar. XV); ed Esiodo, pressoio Sco-
liaste di Omero : h timi Xui/i'Tjvt [nr-x yvix^i'J, ciy>ìr\
rXy%yJyov<rxv (fr. CXLIX ap.Schol.Ven. ad n.IM,192);
e così pure Mosco nel suo bellissimo idillio (JB(troj)av.
28 e s.). Perciò veggiamo nel nostro vaso il suolo tutto
smaltalo di svariali fiori (1). Lo scherzo della s/tm è
poi convenienlissimo a' fanciulli ed alle donzelie ; e me-
ritano di esser lette a tal proposito le cose dottamente
raccolte dal eh. sig. Raoul-Rociietle [choix de peint.
pag. 191 ), il quale illustra pure la formazione della
cr^x7fa TTOiy.i'ky] , quali compariscono sul nostro vaso.
Una delle donzelle reca il timpano : ed a me sembra
che questo simbolo vada riferito al culto della dea
Siria , piuttosto che a bacciiica intelligenza : essendo
ben risaputo che il timpano è proprio di quella reli-
gione; né mancar poteva in una scena, che ha luogo
nella Fenicia per tutte le tradizioni. Bellissimo è il
loro macchialo di bianco e di flavo colore: per la sua
mansuetudine ci ricorda la descrizione fattane da Lu-
ciano , il quale però ce io dipinge tutto bianco : X-.u-
y/i ti yàp v ÌKpif:,ùi? xoù r% xi:ciro. svxa.iX7rr,i , xxt
Tu |3).Vl^* n'>t^-f°5 [diaì. mar. XV. ). Ma più che al-
cun altra narrazione , è degna di richiamarsi a con-
fronto quella di Mosco (cil. idill. Europa). Il poeta
dice che il toro era flavo , con una macchia bianca
sulla fronte [xvxXo? àpy('ipioj) (v. 84 s.): e già ab-
biamo una corrispondenza col monumento di Canosa;
sebbene in questo veggasi il bianco frammisto al flavo
in tutto il corpo del trasformalo dio. Il gruppo di Eu-
ropa col loro non può esser meglio accennato di quel
che fi» Mosco ; e si direbbe che l' artista ed il poeta
attinsero alle medesime fonti. Di fatii il poeta ci pre-
senta Europa , che blandisce l'animale, e lo abbrac-
cia ( v. 9'j).
D' altra parte l'alto del toro di piegar le ginocchia
è descritto espressamente da Mosco (v. 99. s. ).
wxXccrs di Trpò vodoTiv, ìoì^xtro o EvpuJTniYiY
«.l'Xi'y' l7no'Tp5>4/aS, xnì ol vXoì.tv oìixyu; rùtroY,
E lo slesso intendeva Seneca con quei versi:
(1) In una nicJaglia imperiale di Tiro vedesi Europa raccoglien-
do fiori, e presso il loro: Eckbcl doct. num. vct. Ili, 389.
Fronte mine torva iKtulam juvencus
Virginum stravil sua terga Judo.
Ilippol. 302, s.
Queste tradizioni ed il nostro monumento di Ca-
nosa danno il mezzo di riportare alla stessa favola di
Europa un'altro vaso del Passeri { pict. Etr. invase,
tab. 11.^ , che non sappiamo essere stato ad essa ri-
ferito finora da alcuno. Vedesi una donzella che ac-
carezza un toro, appressando la mano alla bocca, forse
in queir atto descritto da Mosco di toglier dalle lab-
bra la spuma ( v. 95, s. ) :
. . . . Kal Tifi'x'x Xi'P^ff'»' «.(PpoK
IIoWòv uTfò <7'ro\xoiruiy i.init.ópyYU'ro ....
Il toro è fermo ed immobile, senza piegare ancora le
ginocchia. Un'altra donna con corti capelli si volge
impaurila , ed esser potrebbe una delle compagne di
Europa, o piulloslo la nutrice, che si spaventa del pe-
riglio a cui si espone la imprudente giovinetta. A de-
terminar meglio il soggetto, veggonsi nel!' ordine su-
periore Giove collo scettro , e la patera allusiva al suo
sacro conjugio; e dall'altra parte Afrodite con Eros,
divinila ben convenienti ad una scena di amore. Que-
sto vaso non è ricordato tra' monumenti relativi ad
Europa nel manuale di archeologia del Miiller, nep-
pure nella ultima edizione del celebre cav. Welcker
(§. 351 n. 4p. 520).
Tornando al vaso di Canosa , osserviamo che la
figura di vecchio con bianchi capelli determinato dal
conim. Quaranta per un pastore, che guarda sorpreso
l'avvenimento, a me sembra piuttosto un pedagogo,
destinato a prender cura delle donzelle , e principal-
mente di Europa. 11 suo corto vestire , il pileo , gli
stivaletti , ed il ricurvo bastone (Jahn nell'arca. Zeit.
del cav. Gerhard 18'i7 p. 35 , 10; Raoul-Rochelte
mon. incd. pag. 306 , 2 , ciwix de peinl. pag. 265)
sono solilo costume di questa classe di servili per-
sonaggi (Visconti Pio-Ckm. lom. IV. pag. 126, e-
diz. di Milano del 1 8 1 9 ) , i quali tanto frequente-
mente compariscono in compagnia di giovinetti, e
talvolta ancor di fanciulle. Basta rammentare i mo-
— ,j9 —
numenli rilraenti hi morie de' fi^li di Ni()be(vcdi
Avellino bull. arch. naput. an. I. p. 109), il celebre
vaso del nostro real museo co'fuQerali di Archemoro,
ed altri non pochi monumenti. Vedi quel che dicem-
mo noi stessi bull. ardi. nap. an. V. p. 'JO.
L' antichità ci fornisce non rara menzione di pe-
dagoghi di fimciulle. Così nelle P/iomjssae di Euripide
s'introduce il jn'dagocjo a parlar con Antigone, di cui
è messo a custodia , od è appunto un vecchio servo
{ Phoetiiss. V. 88. segg. ). Né questo costume fu di-
verso presso i Romani , come può rilevarsi dalla nar-
razione di Valerio Massimo (lib. 6 cap. l),edal;5ae-
dagogus cruciarius di Cal|)uruio Fiacco. Veggasi pure
il eh. Jahn iwW Anhacolog . Znliuig del cav. Gerhard
1847 p.83 s. , ed il P) 1 de Mcdeac fabula part. II p.79.
Il veslimenlo succinto , e la poco nobile fisonomia di
questo vecchio non ci fymio pensare alTutto al padre di
Europa Fenice, o Agenore; il cjuale d'altra parte mal
si troverebbe presente alla scena del ratto della sua
figlia. È pur notevole che il padre di Europa trovasi
in modo diverso figuralo in un bellissimo rhyton di
Nola, ove il eh. de Wide riconobbe le sorelle di lei
che si presentano al padre dopo il rapimento della
sorella {calai. Magnoncour n. 1 00; cf. Weicker nelle
nouv. armai. der/fts<i^M<. iom.II.p.SSo.). Gli Amori,
che leggiadramente circondano il gruppo nel vaso di
Canosa, trovano un confronto nella festevole descrizio-
ne di Luciano, il quale nel momento di traghedar per
le onde ci offre il toro circondalo da Amori portando
fiaccole , e cantando l'imeneo ( d'tal. mar. XV. ). La
donzella che corona il toro , e 1' Amore che reca tra
lo stesso ed Europa una tenia , alludono senza meno
alla vittoria di Giove , ed al suo vicino matrimonio
colla figlia di Agenore. Bellissimo è il pensiero dell'ar-
tista di figurare una colomba tenendo fralle unghie
un monile. Le colombe trovansi spesso in relazione con
Giove. Omero racconta come quel volatile reca a Giove
l'ambrosia ( Odyss. M, v. 63) ; e chi non conosce le
colombe Dodonee, e la loro relazione con Giove? Non
parrà dunque strano che quel mansueto augello sia
stato Irascello dal padre dei Numi a recare alla sua
uuova sposa il donativo di nozze y.;oi.x%Xv7r'7-i'pi%. E
può con probabilità giudicarsi che il pittore del vaso di
Canosa abbia voluto effigiare (ralle unghie della co-
lomba il monile lavoralo da Vulcano, dato da Gio\c
ad Europa, ch'era quello slesso di cui Cadmo fc poscia
presente ad Armonia (Pherecjd./za^m. 45 ap. Apol-
lod. lib. Ili, e. IV, 2).
l'assanilo all'altra faccia del vaso, non pare da du-
bitare, che siesi in essa significato il termine del viag-
gio di Giove: e nel masso alquanto ricurvo ben rico-
nosce il eh. Oii-T'ant'i l'antro ove si compiranno le
sacre nozze ; o che dir si voglia il Aiy.r%7zy y^vr^cv ,
ove il toro guidò la sua preda , secondo il più volle
cilalo Luciano (1. e. ) , o qualunque altra spelonca.
Non credo però che il giovine Pan valga ad indicare
esser trailo il dipinto da un salirico dramma. Panni
piuttosto che sia destinato a dimostrare la località.
Ricordo pria di tutto che varie volte troviamo le spe-
lonche sacre a quel dio. Così gli Ateniesi dedicano a
Pane un antro dopo una felice battaglia (Lucim. (ii-or.
dial. XXII, 3) , e Pausania ci fa sapere che 1' antro
Concio fu sacro alla medesima divinità (lib.X c.32,7).
Ma non voglio tralasciare uni idea, che dar potrebbe
una perfetta ragione della presenza di Pane nella sce-
na , che illustriamo. Sappiamo da Pausania che gli
Arcadi sostenevano essere stato Giove educato in Cre-
tea sul monte Liceo, e non già nell'isola di Creta
(lib. X. e. 38, 2). Non è dunque improbabile il sup-
porre che le medesime tradizioni arcadiche riferivano
a quel sito il ratto di Europa , distaccandosi dalle
narrazioni de' Crelesi. In tale ipotesi , ove il pittore
del nostro vaso avesse seguito le suddette arcadiche
tradizioni, ben si comprende perchè avrebbe figuralo
il dio dell' Arcadia presso l' antro , ove sarà traspor-
tala la figlia di Agenore.
Finalmente nella quadriga guidata dall'Amore, e
preceduta da Mercurio io riconosco il cocchio dell'a-
poteosi , che seguirà il divino connubio di Giove con
Europa. Così vedesi talvolta Mercurio precedere il
cocchio ove è (ratio Ercole nel raggiugnere l'apo-
teosi. Ma di queste particolarità ci riserbiamo di par-
lare più ampiamente in altra occasione.
Passiamo ora a dar la descrizione d.-l terzo vaso ,
che non la cede per importanza agli allri due pre-
cedentemente descritti. All' esterno della bocca è un
— co-
bi anco ramo con fiori , sotto i manichi appajono
complicale palmette. Sul collo da un lato palmette ,
ovoli , fiori, ed altri ornamenti. Ove si allarga il
collo del vaso , al cominciar della pancia è una lesta
femminile ,.chc sorge dal simbolico fiore , non altri-
menti che neir altro vaso , col quale forma pariglia ;
se non che non ha radii , ed offre presso la fronte
nel mezzo un piccolo ornamento di bianco. A' due
lati sono pure due Eroti alati ed androgini , uno dei
quali ha la patera, l'altro la patera, ed altro oggetto
con tenie peudenli. Dopo un ramo con fiori , vedesi
sulla pancia la più importante rappresentazione.
Scorgesi in un carro tirato a destra da enormi ser-
penti una giovine donna con capelli scarmigliali : ha
le armille ed altri femminili ornamenti , e la tunica
cinta da bianca fascetta , e fregiata anteriormente di
una larga lista che giunge sino al lembo inferiore ,
costituita da nere lince fra loro intrecciate da formare
spazietli romboidali, e intramezzate da gialli puntini.
Questa fuggente donna liene colla sinistra le redini ,
colle quali guida i dragoni , e colla destra un peplo,
svolazzante sopra il suo capo. Poco lungi dalle ruote
del cocchio è al suol caduto bocconi un fanciullino,
ed ivi presso è una spada nuda. Segue il cocchio un
gio\inc clamidato sopra veloce cavallo, ch'è nell'atto
di vibrar colla destra un corto giavellotto: al fianco è
la spada nel fodero. Vien poi un altro guerriero con
la spada pendente allato, ha scudo, asta, ed elmo acu-
minato ; e cammina veloce a destra : nel campo verso
la sua testa è un astro, rinalmonle si vede altro gio-
vine nudo con semplice clamide , il quale reca sotto il
destro braccio un giavellotto , ed altri due ne porta
colla sinistra. Al suolo sono indicate pietre, ed isolili
puntini sotlo i piedi delie figure. Innanzi al carro de'
serpenti si prcscnla di fronte una imberbe figura , a-
venle intorno alla sua testa un largo nimbo composto
di una linea rossa tra due bianche, e tutte frammiste
al nero del campo. Una succinta tunica manicata, or-
nata di varii punliiii, e di gialle oche nel lembo infe-
riore, una pelle di fiera annodala sul petto, ove s'in-
crocia una doppia tracolla, e gli stivaletti formano il
suo abbigliamento. Questa figura eleva colla destra la
spada, e colla sinistra una fiaccola accesa. Tra lei ed il
carro è nel campo un astro. Chiude da questo lato la
scena una figura femminile con lunga tunica, e clami-
de, armille, collana, e bianchi calzari, adorna del me-
desimo nimbo: siede sul cavallo, che volgesi correndo
veloce a destra , e lira alquanto colla destra 1' ampe-
conio sulla spalla. Al suolo è un fiore.
Sulla opposta faccia del vaso ; sul collo sono simili
ornamenti; poi simile testa femminile uscente dal sim-
bolico fiore con ramificazioni d'ambi i lati, e due Eroti
alati e sedenti, che appressano una mano a'capelli della
femminile testa, e lengon con l' altra le ramificazioni
ad elice. Sulla pancia è una batlagha fra Greci ed A-
mazzoni divisa in tre gruppi. Vedi nel primo gruppo
un imberbe guerriero con bianco elmo e clamide , il
quale ha raggiunto un' Amazzone vestita di corta tu-
nica , clamide, pelle di fiera annodata sul petto, e sti-
valetti: egli stringe colla destra il ferro, e colla sinistra
afferra pe'capelli l'Amazzone caduta sulle ginocchia ,
la quale, in atto di spavento, colla sinistra, ove tiene
imbracciata la pelta, cerca di allontanar da' capelli la
mano del nemico , e stende verso di lui la destra
chiedendo pietà : al suolo è la scure eia tiara: si veg-
gono in alto nel campo due bianchi astri.
Nel secondo gruppo è un guerriero con bianco el-
mo, clamide, e spada al fianco, il quale oppone colla
sinistra lo scudo , e spinge colla destra l' asta contro
un'Amazzone a cavallo, che tiene colla sinistra le
redini e due giavellolli, e vibra colla destra un altro
giavellotto. Questa ha tiara, corto gonnellino ritenuto
da una cintura e da una semplice tracolla, le anassi-
ridi , ed i calzari : il petto e le braccia sono nude :
svolazza dietro le spalle una clamide , che si annoda
sul petto. Tra' due combattenti è al suol caduta estinta
un'alira Amazzone con tiara, anassiridi di rosso fosco
con gialli ornamenti, e succinta tunica adorna di neri
puntini : anche due astri sono in alto nel campo.
Segue il terzo ed ultimo gruppo. È nel mezzo un
guerriero con clamide , e spada pendente ; colla de-
stra ha spinto l'asta nel petto di un'Amazzone, colla
sinistra solleva 1' ampio scudo : l' Amazzone intanto
con rossa tiara , turcasso , anassiridi , e corta tunica,
colla sinistra ha afferrato lo scudo del nemico , per
lasciarlo privo di difesa, e colla destra cerca di asse-
— Gì -
stargli nn fiero colpo di scuro. Iiilanlodalln parie op-
posta un' allra Amazzone innalza con ambe le mani
la scure per dare al guerriero un terribile fendente.
Sorgono dal suolo varii fiori.
Al di sotto delle due ra])presentazioni vedesi in
giro una linea di marine ])roduzioni, conchiglie, pe-
sci , delfini , una seppia , ed altri animali.
Finalmente al di sotto è pure in giro una serie di
figure, delle quali diamo una breve descrizione.
(I) Amore alato adulto ed androgino con nastro
che lega il crobilos , corona , orecchini , collana, ar-
niille ed episfirii, colla destra tiene un timpano, colla
sinistra presenta una patera. (2) Donna sedente a s. so-
pra un sasso: ha questa corona radiala , oltre i soliti
femminili ornamenti ; colla d. tiene per un filo un bian-
co augelletto , colla sin. una cassetta con manubrio
superiore, ornata in giro di bianche figurine ne' suoi
lati. Sopra è nel campo una gialla tenia simmetrica-
mente sospesa. (3) Giovine nudo, con semplice clami-
de, e coronato di gialla corona , incrociando le gambe
si appoggia ad un bianco labro, eh' è dietro di lui ,
colla s. tiene una patera , colla d. un bianco uccello ;
e volgesi presentando quasi la patera ad (4) una donna
con ampyx sedente a s. sopra giallo sedile senza spal-
liera, la quale stende la d. a prender la patera. In alto è
un ramo simmetricamente disposto, (o) Segue Amore,
alato ed adulto con femminili ornamenti. Colla d. ha
una cesta, colla s. una tenia, sopra è nel campo una
sfera , dal suolo sorge una pianta. (6) Dopo un fio-
rellino, cli'è nel campo, vedesi una donna con ampyx,
che corre veloce a d. volgendosi indietro : colla d.
tiene un ampio fiore , colla sinistra una cesta con
bianca offerta. (7) Donna sedente a d. sopra di un mas-
so: ha pure corona radiata, colla d. tiene una corona
con tenia pendente, colla s. una chiusa cassetta. Sulla
sua testa è un ramo simmetricamente disposto. (8) Al-
tra donna con clamide cammina a d. volgendosi addie-
tro: presenta alla donna sed. uno specchio, colla s. tie-
ne una cassetta aperta, e dalla mano pende una tenia.
Nel campo è una bianca foglia di edera. (9) Giovine
nudo coronato, con clamide, colla d. fa un gesto verso
una donna sedente, colla sin. tiene una gialla corona, ed
appoggia il corpo ad un giallo bastone. (10) La donna
siede sopra ornalo sgabello, ed ha Y ampyx: colla d.
solleva l'ombrello aperto, con giglio alla ])unla. Sulla
sua testa \ola un uccello bianco, recando fralle un-
ghie una gialla tenia. (11) Donna con clamide ed am-
pyx: solleva alquanto il d. piò, e volge la testa a d.
colla d. tiene lo clcig, colla s. un timpano. (12) Donna
sedente a s. sopra un capitello jonico, con parto del fu-
sto strialo: ha \'ampyx,c la clamide, tiene colla destra
un mostruoso fiore , colla sin. una corona : in allo è
nel campo una foglia di edera. (13) Giovine nudo co-
ronato con clamide incrociando le gambe si appoggia
ad una piccola slele , colla d. tiene una patera con
tenia pendente, colla sinistra lo striglie: sopra la pa-
tera è nel campo una corona, (li) Donna che corre
veloce a d. colla d. tiene un grappolo, colla s. una
cassetta , con ornamenti superiori , e sotto ne pendo
una tenia. In allo sono nel campo un altro grappolo
e due fogle di edera. (I.'i) Ultima figura è una donna
col cecrifalo e \' imatio, sedente a sinistra sopra di un
sasso: stende la destra verso la precedente, e colla si-
nistra tiene il flabello.
Si ravvisa a primo colpo d'occhio il soggetto della
più interessante rappresentanza del descritto vaso; ed è
Medea che fugge in un carro tratto da serpenti dopo la
strage de' propri! figli. Il comm. Quaranta, che ne pre-
sentò pure una breve illuslrazionc alla reale Accademia
Ercolanese, mi ha fornito un estratto della sua spie-
gazione , che è come segue e L' altro vaso rappre-
senta Medea , che dopo uccisi i figli , fugge sopra un
carro tirato da serpenti , por cui obbesi il nome di
Anyuilia. Innanzi al carro sta una Furia, che con una
mano le mostra il pugnale , con che ha compiuto
l'orribile misfatto, e coli' allra le apprcscnla la face ;
ad indicare i rimorsi , che deve a lei recare l'aversi
insozzale le mani nel sangue de' figli. Di essi nondi-
meno un solo ne vediamo boccone giacersi dietro il
carro , e dell' età che avrebbe fanciullo decenne.
L'altro potrebbe supporsi coperto dal carro stesso.
Ma non sarebbe ardimento il supporre che il pittore
avesse seguita una tradizione , che assegnava a Medea
un sol figlio : perchè siccome da' mitologi si variò nei
nomi e nel sesso de' figli di Medea, cosi fecesi anche
nel numero. Chi li chiama Mermero e Fere , come
— 62
fanno Pausania ed Apollodoro ; chi Mermero e Terele,
come Igino e lo scoliaste di Euripide. Tre ne nomina
Diodoro, cioè Tessalo, ed Alcimeno gemelli, e Tisan-
dro; Ellanico-di Lesbo vi aggiunse Polisseno, intanto
' Do '
che Cinetone da Sparta dice che chiamavansi Medo ed
Eliojiide». Fin qui il eli. Quaranta: noi soggiungiamo
alcune altre osservazioni nostre. La maga ci è presentata
sotto il costume ellenico, e niente altro si collega colla
sua barbarica origine, se non che la fascia o lista di
ornati a losanga che fregia la tunica, la quale si con-
fronta con simiglianti fregi , che spesso si osservano
sulle Amazzoni ( vedi sul vario costume di Medea ciò
che scrive il Jahn Arch. Aufs. p. 185-6, ed il sig.
llaoul-Rochette choix de pcinl. de Pomp. pag. 264 ;
cf. Avellino milo di Tato nelle mem. della r. accad.
Ercol. voi. IV p. L p. 83. seg. ). Ella è tratta in un
carro di enormi dragoni , secondo la tradizione di
Euripide [Med. 1321), e di Seneca ( 3/ed. 1022);
che servir le dovea per sottrarsi al furore de' suoi
persecutori. Cosi presso Euripide dice Medea a Gia-
sone : (1320s.)
X-'P' " °^ •^a.ucitì trori.
TOiovò' o'-^r),aa Ka.ri;/ji "HX/os Tt(f.rr!^
oi'SwuiY tjxTy, sgvfxa 7roXs|i>n«s X^pos.
E presso Seneca ( 1 022 s. ) :
Sic fucjcre soleo: paddi in caehim via.
Sqiiammosa gemini rolla serpenles jugo
Summissa praebent : recipe jam nalos parens.
Varii sono i monumenti, ne' quali comparisce la
barbara madre tratta da' serpenti , su' quali è da leg-
gere la dotta discussione del sig. Pyl ( Medeae fabula
p. 7.^ seg. ) , e ciò che scrisse contem])oraneamenfe
il sig. Raoul-Rochette ( choix de pcinlures de Pomp.
p. 21 o ). Tra questi monumenti è da riferire una ler-
racolla del signor Gargiulo , sulla quale il eh. Viuet
scrisse alcune importanti osservazioni, facendo il con-
fronto di Medea con Cerere [rcv. aìxh. an. II. p. 3.'j.'>
ssg. ). Nel vaso che illustriamo 3Icdea nell'alto del
fuggire ha gettalo al suo marito uno de' figli , che si
vede al suolo presso le ruote del carro. Questa par-
licolarità mostra che il pittore si è diparlilo dalla nar-
razione di Euripide , per la quale Medea reca con se
i corpi de' trucidati figliuoli , per seppellirli nel lem-
pio della Giunone Acrea. Piuttosto si è attenuto alle
tradizioni seguite da Seneca , ne' versi citati : recipe
jam nalos parens. Nelle quali parole non direi già che
Medea concede al padre la consolazione di seppellirli.
Nelle parole precedenti di Giasone non vi è alcuna trac-
cia di simile domanda, e ne' due tragici la situazione
è affatto differente. Sicché le parole di Medea non
sono di sollievo ma della piìi truce crudeltà , quasi
dicesse ora finahnenie li resiiluisco i figli; cioè dopo
di averli uccisi. E questo potrebbe attribuirsi ad un
duplice sentimento , o di spiegare la sua ferocia col
tristo spettacolo degli scannali fanciulli , ovvero per
rilardare in quel modo i passi de' suoi persecutori ;
del che il mito di Medea ci offre altro esempio nella
fiera strage del suo fralello Absirto.
È notevole che un solo de' figli comparisce nel no-
stro vaso, laddove tutte le tradizioni parlano di due
morti. Nondimeno vi sono varii monumenti , che a
questa particolarità fanno riscontro. Ed in prima è
da citare un frammento di bassorilievo, ove si scor-
ge Medea recando con una mano il corpo di un uc-
ciso fanciullo (Gori inscr. Elr. HI, 1. tav. 13: cf.
Journal des Sav. 1834 p. 76). II sig. Pyl molto in-
gegnosamente sospetta che faccia quel frammento con-
tinuazione con altro bassorilievo del museo Pio-Cle-
mentino (Visconti VII, 16), dal quale sia stato per
qualche circostanza staccato ( Med. fab. p. 75. s. ) ;
e così dimostra non poter rappresentare la fuga di
Medea , dopo la strage di Absirto, secondo la opi-
nione del Gori, alla quale allre non poche difficoltà
si oppongono. Ora il nuovo monumento di Canosa
pruova la verità di questa dimostrazione , offrendoci
appunto un solo de' figli , come nel citato bassorilie-
vo; e con tali parlicolarità , che non può dubitarsi
del suo soggetto. Sicché , come osserva pure il Qua-
ranta , o dovrà dirsi che per artistiche ragioni si è vo-
luto nascondere il corpo dell'allro giovinetto, o piut-
tosto che vi fossero tradizioni, uollc quali un solo fi-
glio supponevasi estinto. Né dovrebbe sorprendere nel
nostro monumento che ciò si trovi in opposizione di
Euripide; giacché vi é pure l'altra sicura divergenza
che presso il tragico Medea ritiene i cadaveri de' suoi
— 03 —
figli , e nel vaso ha gettalo verso il niarilo il corpic- confionfo di un lai monumento col vaso di Cuma
duolo esanime, che mirasi al suolo. per nn p.Trlicoliire motivo: ed è che in entrambi i fi-
In conferma della uccisione di un solo de' figli, mi gli di Medea non app^ijono in età infantile, ma quasi
piace di citare un importante vaso di Cuma , dovuto adolescenti ; laddove nei vasi di Canosa , tanto ia
alle medesime scavazioni, di cui dicemmo nel 1 anno quello che illustriamo, quanto nell'altro pubblicalo
de! presente huUeltino. Vedesi in esso Medea non già d;d Millin si sono seguile le forme della più lenera
in baibarico vestimento, e con tiara sid capo , ma età. L'idolo del vaso di (fumaci sembra senza dubbio
quella sua origine è indicata soltanto dalle strette ma- di Apollo.
niche della sua tunica fregiale di neri ornamenti. Ella Tornando al vaso di Canosa del real museo Ror-
slringe la spada nell'alto di uccidere un giovinetto, bonico , domandiamo a noi stessi chi siano quei Ire
che indarno si è rifugiato presso l'idolo di una divi- personaggi , clic inseguono la fuggente. L' astro che
nità, che mirasi al di sopra di una colonnetta soprap- vedesi presso la testa di uno di loro non deve farci
posta ad un piedestallo. Questa divinità negligente- pensare necessariamente a'Dioscuri ; giacché di simili
mente figurata è virile , e tiene con una mano un astri si scorgono anche altrove , e varie volle pure
ramo che si biforca , coli' altra la patera. La scena al rovescio, ov'è la battaglia amazzonica. Senza dub-
succede sotto un edifizio indicalo da due bianche co- bio noi dobbiamo riconoscere i due che erano mag-
lonne. Rimettendo ad altro tempo una più esalta no- giormente impegnali alla vendetta , Giasone , ed Ip-
tizia di questo monumento, mi piace di notare che le potè il fratello di Glauce, già barbaramente uccisa da
due colonne accennano alla reale magione di Corinto, Medea. Forse non sarà strana cosa l'immaginare che
ove avvenne il delitto. La particolarità del ricorrere sia Ippole il giovine a cavallo nell' allo di lanciare il
che fa il giovinetto ad una divinità , si ripete altre giavellotto. E risaputo che questo personaggio com-
volte. Cosi in una gemma del museo di Berlino (Tol- parisce non poche volle in altri monumenti, mo-
cken Calai, p. 271. IV, 2, ìo2) i fanciulli fuggono strando sommo aiTcllo per la sorella; è poi in allu-
presso di un'ara vicino ad una colonna sormontala sione al suo nome ch'egli cavalca un cavallo, mentre
da un Tritone. Ed il sig. Pyl ci fa conoscere che in gli altri due guerrieri vengono a piedi. Nò deve far
altra gemma del cav. Gerhard, i figli di Medea rifug- maraviglia la sua posizione di sdegno e di veiidella,
gilisi presso ad un'ara tengono colle mani alcuni ra- laddove Giasone e l'altro compagno si mostrano meno
mi fhiceleriaj quasi per implorare la compassione veloci al ferire: giacché Ippole nuli' allro avendo a
della madre. Il medesimo intendimento dee ricono- sperare si eccita a subila ira alla presenza della sua
scersi nel magnifico vaso di Canosa (Millin lomh. de nemica; mentre Giasone ha qualche cosa che lo ri-
Canosa pi. VII. pag. 32), ove il giovinetto è sagri- tiene, e ne richiama l'allenzione, cioè la presenza del
ficaio sopra di un'ara. Anche in questo monumento figlio ucciso, che la paterna pietà gli persuade di rac-
pare che un solo figlio si supponga trafitto ; giacché cogliere e seppellire.
l'altro é sottrailo da un giovine armalo di doppio Molto importante è la figura, la quale presentasi
giavellollo, dalle cui mani non sarà certamente rapi- innanzi al carro di Medea tenendo la face e la spada.
to. Un'altro vaso che ci presenta egualmente l'ara. Il suo vcstimcnlo , e la situazione in cui si ritrova, la
sulla quale Medea trucida i suoi figli, è quello di fab- rendono assai somigliante alla figura di una Furia ,
brica campana posseduto dal sig. Raoul-Rochelle , e ovvero alla personificazione della /^y.ssa, odi altro es-
da lui non ha guari pubblicalo [choix de pcinl. pag. sere di egual natura. Noi già discorremmo più volle
277: vedine la spiegazione pag. 209 e seg.: era stalo di tali figure e nel buìlettino anheoìo(jìco napolitano
già descritto dal eh. Jahn aeW arch. Zcilmg del Gè- (an. V. p. 76 e seg.) , e ne monumenli inedili del
rhard 1847. pag. 38.). In questo sono due i figli, sig. Barone (voi. I. p. 102 e seg. ). Rappresenta una
che subiscono la crudel sorte. È però interessante il tale figura la punizione inflitta a' niisfalli di Medea dal
— 64 —
furore medesimo da cui è presa, e che la conduce a
bubire la vcndelfa che le sovrasta. E ricordiamo a tal
proposito le medesime espressioni di Euripide, ch'e-
gli mette in bocca a Giasone [Med. 1389, s. )
'AXXci<j' Eptvvi oXsTiiS Tixyujìf
Sopra il vaso di Canosa presso alla figura di Me-
dea che uccide il suo figlio vedesi preparato il carro,
e dentro di esso un Demone indicato dalla particolare
iscrizione OI^TPO^ ; che certamente è la personifi-
cazione di una eccessiva passione, siccome sostenne
acconciamente il Millin ( io^rò. de Canosa pag. 33. e
se"-.); e dopo di lui il Jahn {Arch. Zeilung. 1847.
pag. 40) , il Vy\{Med. fab. p. 81-82), ed ultima-
mente ancora il sig. Raoul-Rochette ( choix de pcint.
\n". 275 noi. 2) , il quale aveva pria sostenuta una
diversa opinione. É notevole il nimbo che circonda il
capo di questo personaggio. Incontra non pertanto il
confronto con una figura di simile significato pur colla
fiaccola, ed uno siimolo (poy-TrXrl) invece della spa-
da; simbolo che le corrisponde nella intelligenza (1).
Questa figura comparisce come una divinità punitrice
del furioso Licurgo, in un vaso del real museo Bor-
bonico pubblicato già dal Millingen (vascs grecs pi.
I-II ). Ora è degno di osservazione che è tutta cir-
condata da un circolo luminoso simile al nimbo della
figura di Canosa , e quel eh' è più, esternamente fre-
giata di radii. Il signor Roulez non ebbe alcuna diffi-
coltà di avvertire che sia espressa Iride che fa l' uffi-
cio di Furia , e che accidentalmente s' identifica ad
Eris {annali dell' hi. 1845. p. 121, s.). Io non fui
lontano dall' accogliere questa spiegazione, anche per-
chè presentandoci Euripide la stessa Iride guidando
la personificata Lyssa ( Herc. fur. 822. segg. ) , non
sarebbe strano il supporre che debba talvolta la stessa
dea ravvisarsi come apportatrice dell' ira e dello sde-
gno ( V. bull. arch. nap. an. V. p. 77. e mon. ined.
di Bar. voi. I. p. 102). Ora però che il novello vaso
(I) La spada nel nuovo vaso di Canosa , non ù gii quella con
che Mwloa ha commesso il misfatto; giacché quel ferro si vede
presso 1' estinto fanciullo.
di Canosa ci presenta una divinità , che per le sue
forme, e pel suo vestimento non potrà riferirsi ad I-
ride, e nondimeno ha circondata la testa del nimbo ;
cominciamo a dubitare di quella attribuzione del sig.
Roulez, e crediamo che anche nel vaso del Millingen
possa riconoscersi un Demone somigliante ad una
Furia. Resta a spiegare 1' ultimo personaggio di don-
na pur col capo cinto da nimbo, e cavalcante a destra
sopra veloce cavallo. Simile figura comparisce non
poche volte ne' vasi dipinti (Panofka mus. Blacas pi.
XVII. Raoul-Rochette mon. inéd. pi. LXXIII p. 5 :
mon- deirist. II. tav. 30-32, annali voi. VIII. pag.
104 s. : cf. Gerhard Liclhgollh. tav. I. n. 2 , e tav.
II. num. 1-3): e gli archeologi convengono nel de-
nominarla Selene. Noi non ci diparliamo da questo
sentimento , sebbene potrebbe credersi dello slesso
modo effigiata l'Aurora. Un'ultima osservazione far
ci piace ; ed è che al rovescio della rappresentazione
di Medea è una battaglia amazzonica : ed ecco un se-
condo esempio della riunione di questi due soggetti ;
giacché neir altro vaso di sopra accennato posseduto
dal sig. Raoul-Rochette vedesi egualmente una pugna
di Amazzoni dall'altra faccia: e bene osserva il dotto
archeologo francese che quel ravvicinamento valga
ad indicare la origine di Medea legata alla razza asia-
tica di quelle donne guerriere [choix depetnt. p. 269
not. 4. ).
Anche sotto queste due fiere rappresentazioni si
vede una scena da noi descritta non dissomigliante da
quella riunione di figure, che scorgesi sotto il vaso di
Europa. Da ciò si dimostra che in nessuno de'due vasi
possono fare allusione a nuziali idee; perciocché se
queste creder si poteano convenire al soggetto di Eu-
ropa , non cosi possono riputarsi acconce a quelli di
Medea dopo la strage de' figli, o delle Amazzoni com-
battenti. Io non lascio perciò di considerare simili
riunioni di personaggi come rappresentazioni misti-
che e funebri ; né mi sarà necessario ripetere le cose
da me osservale sopra tali soggetti, su'quali più volte
mi è accaduto di dover ragionare. Minervini.
P. Raffaele Garrccci d.c.d.g.
Giulio Minervini — Editori.
Tipografìa di Giuseppe Càtaneo.
BlllEimO ARCHEOLOGICO NAPOLITANO.
NUOVA SERIE
iV." 33. (9. dell' anno II.)
Novembre 1853.
Notizia de'pù recenti scavi di Pompei. Continnnzinne del mim. 51.
Notizia de' più recenti scavi di Pompei. Continuazio-
ne del man. 51.
La Direzione degli scivi saggiamente era occupala
a render più agevole la traccia , che dal così detto
tempio di Esculapio conduce all'anfiteatro. Si pen-
sava insieme ad impedire lo slamamento delle terre
cbe si elevano ai due lati , quando una piccola frana
a sinistra quasi al principiar della sliada mise all' a-
perto alcuni ruderi , ove pria nessuna traccia ne ap-
pariva all' esterno.
L' ingegnere Direttore fu sollecito a rivolgere le
sue cure a quel sito , e presane autorizzazione dal
eh. Sopranteiidenfe sig. Principe di San Giorgio, co-
minciò ad eseguire un regolare scavo.
Io non parlerò delle parti finora disotterrale dell'e-
difizio, riserbandomi di farlo a miglior tempo, quando
sarà tutto messo allo scoverto; solo accennerò che si
tratta di un edifizio privato, di cui è venuta fuori por-
zione del peristilio , e delle stanze che gli stanno vi-
cino. Le novità, sulle quali richiamo l'attenzione dei
lettori del huUcllino, sono una statua di bronzo , rin-
venuta presso una colonna angolare del peristilio , e
due magnifici dipinti, che fregiar si veggono due mu-
ri di una stanza che può riputarsi il tiiclinio.
La statua di bronzo , di cui parlo , è alta ben cin-
que palmi e sei decimi , oltre la base su cui poggia,
la quale compie l' altezza di palmi sei. Rappresenta
essa un giovinetto di bellissime proporzioni. La sua
leggiadrissima testa è cinta da un cordone, sul quale
s' intrecciano i capelli tanto nella parte anteriore che
nella posteriore; e dall'uno e dall' altro lato sono due
ricci cadenti quasi simmetricamente sul petto e sulle
spalle. 11 sopracciglio è indicato da finissimi incavi ,
e la congiuntiva , e l' iride, e la pupilla sono diilinle
da paste vitree di svariati colori. Questo giovine tutto
nudo, lenendosi sulle gambe in una semplice e natu-
rale posatura , ha la destra abbassala colla quale tien
mollemente il plettro , e nella palma delia sinistra
mano, che solleva alquanto, vedesi un pezzo di bronzo
forato, e con due laterali fori, destinali cerlamenle a
contenere un oggetto , che fu distrutto dallo ingiurie
del tempo. A! veder che quel pezzo di melallo nono
stretto dalla mano, la quale semplicemente lo tocca,
siamo tratti a conchiudere che probabilmente la lira,
forse di legno, vi si congiungeva; in un modo presso
a poco simile alla statuetta pompejuna di Apollo (r.
min. Borì), tom. II. tav. 2.3. ), nella quale le dita sono
fralle corde nell' atto di toccarne i concenti. Questo
appunto si verifica nella nuova statua pompejana , la
quale, a dinotar che il personaggio sia inteso a udirei
tuoni dell' istrumenlo, mostra il capo dolcemente in-
clinalo da quella parte.
La base della statua è circolare, ed ornata di ovoli
al lenrl)0 esteriore.
Bellissimo è il lavoro di questo importante pezzo
dell' antica scultura : le estremità sono assai bene in-
tese ed accuratamente finite, ma in guisa che chiara-
mente si appalesa il sapere artistico, da cui provenne
l'opera che illustriamo. Io non dubito di attribuirò
questa elegante scultura, che spira la semplicità delle
più antiche opere dellarte, ad un greco artista. Il plet-
tro e la lira, che certamente vedevasidiiH'altra parto,
ci danno un valido argomento per dichiarare ima sta-
tua di Apollo il nuovo bronzo pompcjano. Ma vi si
ai^aiusne ancora un" altra particolarità, che mette fuor
di dubbio una tale attribuzione.
Accennar vogliamo alla copiosa chioma , con duo
9
— 66
ricci pendenli d' ambi i lati presso le guance in sulle
spalle. Qucsla particolarilà è propria e carallerislica
del dio àxip(jsxóixr,s, iùx.'^irrfi, inlonsus, crinilus ; sic-
come è coslantemonle chiamato Apollo da' poeti. Io
dovrei dispensarmi dal dar qualiuifjnc dilucidazione
su questo punto ; giacché è stalo egregiamente trat-
talo si per la parte archeologica che per la filologica
dall' illustre archeologo sig. comm. Raoul-Rochetle ,
con grande copia di scelta erudizione [qucsùons de
l' lùsloire de l'ari p. 1 93 e s. della ediz. in 'i . La me-
desima idea avea già prima sostenuta il celebre Miil-
ler Tlandb. §. 360 n. 3. vedi la pag. 543 nella ediz.
del Welcker ). Nondimeno citerò quei luoghi , die
più si confanno all'opportuno confronto della statua
pompejann. Traile varie immagini di Apollo descritte
da Cristodoro, ve ne ha due le quali esser dovcano
somigliantissime a questa di recente scoperta.
Ili quanto alla prima, egli si esprime in tal guisa:
UXóxxixos yà-p l'X(| =7rjc)sò'pofX£V a/|UO(S
'A/xIoT/poic ( v. 284 ).
Parla poi della seconda più lungamente, fermandosi
a discorrere della lunga sua chioma:
EOcy 'xz:f,(j-xqxyiY ''EyMTOv iìsiy , s/oov àoiorf
Kc/pavov, ÌTixr,roi(ji xiz%(j[/.iy(jv oiySysffi x*'Ty)?'
Ei'x: T^? à/xporspoiffi y.ó;xriS ixiixspiqxivoY u/ixoiS
Bó^r^vxov 7.ùroiXiy.roy (v. 2G6-2G8).
Più interessante nella presente occasione è questo
luogo di Cristodoro , nel quale dassi ad Apollo il du-
plice epitelo di a;£:pT:X'';Ar,b e 'io(c)-7,s;£0(p7.vo?;che veg-
gonsi entrambi accennali nella pompeiana statua, ove
insieme colla folta chioma vedesi atlribuito al dio il
plettro , e senza dubbio ancora anticamente la cetra.
Nò diversamente accennano a qucsla caratteristica
di Apollo, Callimaco, che poelieaincnlc diceva che i
lungi» capelli del dio ondeggianti sulla spalla pareano
dis'.illare la panacea {ILjmn. in Apoll. v. 39);cd A-
pollonio Rodio , che descrive i leggiadri ricci scen-
denti di qua e di là presso le gole :
• • X{'''''^^^' ^= 'TTcì.pwxujy ix'xnp^i
TÌ'ko'>Qxo\ (iorguó-vri? iTrsppwc/vTO xiévri
[Arg. II. Gli. scgg. )
Tralasciando altri non pochi passaggi di antichi
scrittoli, mi piace di riportare alcune parole di Apu-
lejo , nelle quali si fa pure allusione alla giovanile fre-
schezza delle immagini Apollinee, e questa fa bellis-
simo confronto al nuovo bronzo di Pompei.
Apollo (l intonsus , ci genis gratus , et torpore gla-
hcUus; e poco appresso: crines ejus .... antevenluli et
propendali ( Florid. §. 3. t. II. pi 703 edit. Delph.).
È inutile poi di ricordare i numerosissimi monu-
menti di arte , che ci offrono figure di Apollo colla
chioma largamente disposta. Veder si potranno citali
in gran parte dallo slesso archeologo francese, il quale
attribuisce le forme di alcune ad una imitazione del
celebre Apollo Filesio di Slilcfo lavoro di Canaco (op.
eit. p. 196 s. : su questo Apollo vedi pure la recen-
tissima opera del Brunn Gesch. dcr Griech. Kmsller,
tom. I. p.77 e s.). Noi non faremo un tal paragone;
perciocché lo stile più svelto ed elegante della nostra
statua, e la diversità de' simboli che in quell'antica
immagine si ravvisavano, ci vietano d'istituire un si-
mile riscontro.
Voglio intanto osservare che quel nodo di capelli,
che vedesi frequentemente sulla fronte nelle statue di
Apollo del più avanzalo stile, come nel famoso mar-
mo di Belvedere , sembra formato appunto da' ricci
pendenti sulle gote : il che è perfettamente visibile
nella citata statuetta pompejana , ove si scorge evi-
dentemente il garo di quei capelli uscenti di sotto ad
un legame , che cinge la fronte. Sicché cpiel nodo è
identico a' ricci nelle statue di Apollo ; e 1' una ac-
conciatura esclude 1' altra.
Chiuderò queste brevi osservazioni contentandomi
di asserire che lo studio delle antiche arti ha fallo un
bell'acquisto nell'Apollo pompejano , che verrà fra
breve a far di se bella mostra nella ricchissima colle-
zione de' bronzi del rcal museo Borbonico. Alcuno
de' nostri artisti ha trovalo qualche difetto nella statua,
di cui parliamo : ma è per me indubitato che questi
prelesi difetti provengono da qualche piccola schiac-
ciatura subita dal metallo in alcuni sili. Mi riserbo
di parlare più dislesamente di queste osservazioni ,
quando sarà pubblicata la statua : essendo fuor di
luogo qualunque artistica ricerca, senza che si abbia
solto gli sguardi un esatto disegno del monumento.
Primo dìjiinto del Didinio. — Questo bellissimo
— G7 —
quadro, dell' altezza di palmi 8, benché mancante
nella parte superiore, che disiiraziatanieiile è crolla-
ta , e di larghezza palmi sci , ci oiTrc uno de' più ri-
petuti soggetti dell' antica megalografia , riferibile al
mito di Bacco ed Arianna.
Traile varie classi di monumenti concernenti al me-
desimo mito , ordinati pria dal Boettiger ( Armine ) ,
e poscia più compiutanicnle dal sig. Uaoul-Rocbelle
[choix de peint. de Pomp. p. 30 segg. ) , vi ha (juella
che ci presenta ancora il nostro dipinto, cioè Arian-
na contemplala nel suo sonno da Bacco , e dal suo
tiaso.
La sposa di Teseo vedesi immersa nel sonno sdra-
iata al suolo sopra un giallo panno : ella è volta di
schiena, per modo che rimane visibile la sola parte
posteriore del suo corpo ; e la fisonomia si asconde
del tutto, apparendo unicamente l'occipite, e porzione
di una guancia. Ella poggia la sua testa e parte del
corpo sulle ginocchia di un imberbe personaggio, co-
ronato di verdi foglie , e vestito di azzurra tunica ,
che tiene colla sinistra un piccolo vaso , e colla de-
stra un oggetto quasi interamente perduto. Intanto un
alalo Amorino con rossa clamide solleva con ambe
le mani il rosso panneggio, di che Arianna era co-
perta ; mentre poco più indietro si appressa il giovine
Dioniso , con due piccole corna sporgenti dal capo
coronato di ellera. Il suo abbigliamento è coslituito
da una corta tunica di color violaceo , a cui si so-
vrappone una pelle di fiera; eia tunica e la pelle sono
strette alla vita del dio mercè una cintura. Una verde
clamide svolazza dietro la persona : i piedi sono mu-
niti di brevi calzari : stringe colla destra una piccola
asta , forse il principio di un tirso , stende alquanto
la sinistra , ove al dito anulare presenta l' ornamento
di un aureo anello con in mezzo una rossa pietra.
Neil' indietro appariscono le varie sinuosità di una
montagna , traile quali si veggono due dilTerenti or-
dini di figure. Nel primo, più vicino alla dormente
Arianna, è un Satiretto coronalo di canne, che si ap-
pressa recando colla sinistra un ricurvo bastone. Se-
gue un gruppo , ripetuto in altri monumenti ; dir vo-
glio il vecchio Sileno con bianca barba, il quale colla
sinistra tiene il tirso, e stende il destro braccio , che
vien preso con ambe le mani da un Satiro curvo colla
personn, il (piale gii presta l'ufficio dì tirarlo e soste-
nerlo per quelle dirupate balze.
Non molto lungi dal descritto gruppo vedi un Pa-
ne di fosca carnagione , con orecchie e corna capri-
ne , coronato di canne , e vestilo di pelle , che solle-
va la sinistra guardando verso la donna in allo di ma-
raviglia.
Più in allo scorgonsi fra' greppi le teste di tre altre
figure ; una guarda in giù facendosi solecchio colla
sinistra , la media , che par virile , suona la doppia
tibia, e l'ultima appare coronata di foglie.
Finalmente anche fra' sassi vedesi in parte im Sali-
tiretto , che guarda in giù ; e nel campo a distanza
maggiore vedonsi effigiate tracce di vegetazione. Non
può muoversi dubbio che il pittore del pompejano
quadro abbia figurato il monte Drios nell' isola di
Nasso, presso del quale si finse succeduto quel milico
avvenimento (Dlod. Sic. lib. V, 21. cf. K,ioul-Ilo-
chetle cìioix de peint. p. 53-3 i ). Noi non ci ferme-
remo né a richiamare i confronti del gruppo del Si-
leno sostenuto dal Satiro per la scoscesa cima della
montagna ; né di ([uelle figure di Satiri npofcnpcvonles,
la cui significazione fu già additata dal Bòttiger (.4-
riadne p. 8o , e 99 , 22. ) , dal Zoega ( fìassir. t. II.
lav. LXXVII pag. loo, 2. ) , e da altri ( Raoul-Ro-
chette ehoix de peint. p. SO noi. G. ). Queste circo-
stanze, che compariscono sovente ne' monumenti an-
tichi del medesimo soggetto, furono sufficientemente
illustrale da' dotti archeologi, che ci precedellero(l).
Dirò solamente che tutto il dipinto merita di essere
paragonalo all'altro dipinto pur pompejano illustrato
pria dal eh. comm. Quaranta ( R. Mas. Borb. voi.
XUI. tav. VI. : è pubblicato dal sig. R loul-Rochelto
choix de peint. pi. 3. ), e poscia da allri. Dilalli ve-
desi in esso un simile gruppo di Arianna in grembo
di un'alata figura, vedesi Dioniso, r.\more che sol-
leva il panno, ed un simile gruppo di Sileno soste-
nuto dal Satiro : e solo vi si osserva un numero mag»
(1) Sono degni di moKa consìdoMzione i lavori del Boclllger
Ariadnc, del Kaoul-Hocliellc chui.r de peinl. p. 21 o seg. e pag.
73 e seg., non che le belle osservazioni del Jalm Tlieseus-Ariattne,
insilile nell" Àrchaologische Jìeiiragc pag. 2iil-21W.
— 68 —
giore di figure del bacchico tiaso, che assistono a quella
scena di amore.
Io mi limiterò adunque ad alcune particolari av-
vertenze, alle quali dà luogo il nuovo monumento.
Comincio dall' osservare che Arianna vedesi di
schiena , laddove in moltissime altre rappresentanze
comparisce in diverso punto effigiata. Questa diffe-
renza, che ci richiama al pensiero le varie figure del-
l' Ermafrodito dormente , fu per avventura trascelta
dall'artista, o per variare le più comuni composizioni,
o per esercitarsi a ritrarre alcune parti del femminile
corpo piuttosto che altre. Mi piace intanto di ricor-
dare che in una simile pompa bacchica vedesi pari-
menti di schiena la dormente Arianna: accennar vo-
glio al bassorilievo Albani pubblicato dal Zoega(Bas-
sir. tav. LXXVn,p. 157. ), ove questo dotto Uane-
se-riconobbe l'Ermafrodito. Ma a noi sembra esser
più acconcio il parere di coloro che pensarono ivi fi-
gurarsi Arianna : perciocché è chiaro che vi sia uno
stretto rapporto traile due estreme figure di quella
scultura. Nella quale vedi da una parte Dioniso , e
dopo molti personaggi appartenenti al suo tiaso, vedi
Arianna addormentata.
Ora il pompejano dipinto, nel quale cosi prossima
alla sdrajala donna scorgesi Bacco, mette fuor di dub-
bio l'attribuzione di Arianna anche nel bassorilievo
Albani; contro la spiegazione del Zoega.
La seconda particolarità , che per altro ripetesi in
altri monumenti, è la imberbe ed alata figura , sulle
cui ginocchia Arianna appoggia il suo capo. Una si-
mile figura incontrossi nel celebre quadro di ZeflBro
e Glori, ora nel real museo Borbonico, che eccitò le
cure della reale Accademia Ercolanese (1), e de' dotti
stranieri. Ed è noto che or l'Imeneo, or Bacco india-
no, or Pasitea, ora il Sonno o Ipno(v. gli annait del-
l' Ist. 1830 p. 352-362), or la Stagione ( Welcker
buUell. 1832 p.l88 s.) vi si volle riconoscere. Devesi
confessare che il Sig. Raoul-Rochelte il primo vide
la vera significazione di quella figura, quantunque la
sua spiegazione di tutto il dipinto mi sembri alloaìa-
(1) Vedine le varie illusirazioni nel secondo volume delle me-
morie della suddetta Accademia.
narsi dalla verità. Egli sostenne che ravvisar ^'^ si do-
vesse la personificazione del Sonno; e sol perchè a lui
appariva di femminili fattezze, opinò ch'esser potesse
Pasitea la moglie del Sonno ( mon. inéd. p. 38 ). Fu
dato al sig. comm. Quaranta di rettificare la spiega-
zione del dotto archeologo francese , confernàandola
con molte altre ragioni [mem. della r. Accad. Ercol.
voi. 2. p. 324 segg. ). E quando comparve alla luce
l'altro Pompejano dipinto di Bacco ed Arianna da noi
sopra accennato, lo stesso chiarissimo collega, nell'ap-
poggiare viemaggiormente la sua opinione , diede la
più esatta dilucidazione de' simboli tenuti da Ipno ,
cioè del piccolo vasetto, e del ramo, che noi ricono-
sciamo appunto nel perduto oggetto del novello di-
piato pompojano. (Vedi le illustrazioni alla tav. VI del
XIII voi. del real mus. Borbonico). È senza dubbio il
recipiente , ove contiensi il leteo licore , che Ipno co-
sperge col ramo sulle persone, che intende d'immer-
ger nel sonno. Così Virgilio [Aen. lib. V v. 500 s. )
Ecce deus ramum lelliaeo rore madentem ,
Vique soporatum stygia , super utraque qxmssal
Tempora, cunctantique nulanlia lumina solvit.
Così ancora Stazio [Theh. lib. II v. 143 e lib. V
V. 147), e Silio Itahco ( Lib. X v. 352 ) rammen-
tano il corno, ove contenevasi 1' umor di Lete , ed il
ramo con che il Sonno lo va spruzzando. Questi ed
altri simili luoghi furono richiamati dal dotto Hlu-
stratore, che venne in ciò Seguilo dal Raoul-Rochet-
te [choix de peint. p. 54 seg. ), e dal Jahn {archaeol.
Beilrdge p. 291 e segg,); i quali aggiunsero le loro
osservazioni.
Se non che il primo continua a sostenere che la fi-
gura sia femminile, e che debba in essa riconoscersi
Pasitea.
Oltra la osservazione che sorge dalla totale man-
canza di tutti i femminili ornamenti, che sarebbe pur
maravigliosa in tante ripetizioni di quel personaggio ;
oltra le cose già da altri opposte a quella attribuzio-
ne (Jahn /. e. ), mi piace di avvertire che un luogo
di Nonno, richiamato dall'archeologo francese in ap-
poggio della sua conghiettura , par che pruovi piut-
tosto il contrario.
Di fatti r autore delle dionisiache finge che Bacco
— 69 —
scorgendo la dormenle Arianna , comincia a crederla
la Grazia Pasitea ( Lib. XLVII, v. 280. ); dal che il
sig. Raoul-Rochette deduce che venne al poeta quella
idea da qualche opera d'arte, ove raetteasi vicino ad
Arianna la consorte di Ipno.
Noi diremo piuttosto : se Arianna è paragonata a
Pasitea, non può esser costei la figura alata visibile
ne' monumenti; perciocché le sue forme esteriori , le
sue ali, e lo stesso vestimento mal convengono a que-
sta rassomiglianza.
Riterrò dunque che sia il Sonno stesso , il quale
rattrovasi presso l'abbandonata sposa di Teseo, e non
già Pasitea.
Tutti coloro che scrissero finora di queste rappre-
sentanze non richiamarono adatto in dilucidazione al-
cun luogo di antico poeta, nel quale si vedesse il per-
sonificato Ipno in relazione con Arianna.
E pure varii luoghi esistono nel medesimo Nonno.
E noi siamo lieti di produrli a dilucidazione della
presente quistione.
Arianna stessa dolendosi della partenza di Teseo ,
ne parla più volte come di un personaggio : e quando
dice che dolce a lei era venuto , finché Teseo fu in
Nasso :
"TttkoS Ifxo) y\uxvs r^^iv, "cu? yXuxvi mx-'^^^^i'^-'^'^
(Lib. XLVII v. 320).
Ove è notevole che lo stesso epiteto si dà ad Ipno ed
a Teseo, opponendosi la venuta dell'uno alla partenza
dell'altro.
E poco innanzi si lagna che altresì il caro Ipno e-
rale divenuto nemico:
ili ìixi xxt (p/Xos "TttvoS àyxpffiOS (Ib. V. 336).
E finalmente allo stesso dio comincia a rivolgere il
suo discorso ( v. 3.i5 ).
Ma le più importanti espressioni adoperate dal poe-
ta son quelle che pone in bocca a Dioniso , quando
al vedere l'addormentata Arianna pensa che fosse Pa-
sitea; le quali precedono di alcuni versi il luogo ac-
cennato dal Sig. Raoul-Rochette.
Il maravigliato Bacco pensa che sia la Grazia , la
quale si sposa all'ingannatore Ipno.
WS SvXoiVTi XapJS vf/x^psi'sTcc/ "TTrvro (Ih. V. 278).
Questa immagine, che rassomiglia Arianna a Pasi-
tea in rapporto col personificalo Ipno , è quella ap-
punto di tutti i nostri monumenti. E con maggiore
sicurezza diremo che il panopolitano scrittore ebbe pre-
sente qualche identico gruppo, allorché dettava i suoi
versi.
Riesce alquanto dubbioso se nella pittura descrilfa
da Filostrato {im. I, XV) vi fosse la figura del Sonno. Il
sig. Raoul-Rochette [choix de peint, p. 54 not, 4) ha
creduto desumere una tal cosa dalle parole del Sofista:
ó'px x%) rry 'A§r/c)>r)v, fxocXXov S: rw "T^rvox. Ma visi
oppone il Jahn , osservando che Filostrato paragona
piuttosto la stessa Arianna alla immagine di un sonno
leggero {arch. Jicilr. p. 287 not. 89.). Nel che non
saprei accostarmi alla opinione del dotto Alemanno.
Di fatti nel principio della sua descrizione Filostralo
ci presenta Arianna , la quale Iv ix%\%xi>j xùran no
v-TrvM, Non pare dunque, che potesse rassomigliarla
allo slesso Sonno nel seguito del suo ragionamento.
Noi incliniamo a ritenere il sentimento del sig. Raoul-
Rochette; siccome faremo rilevare ancora più innanzi.
Brevi osservazioni facciamo sulla figura di Bacco,
la quale apparisce colla tenue crocotla , e con sopra
una pelle di fiera probabilmente leonina, non che co'
coturni. Questo abbigliamento ci fa rammentare la sce-
na di Aristofane, ove Ercole ride di una simile vesti-
tura di Bacco: ( Ran. v. 45 e seg. )
'Wk' oùx ohi il'ix' ÙTToclirpoii riv yzXuJY ,
'Opwv "kioyrìfy iv] x^oxu/riÀi xinjnyry.
T/s 6 voì/i"; Ti'xoiio^vos XM poTTocXov ^wyjXSsrTi»';
ove nota lo scoliaste : Atoyv(7i%xòy (pópr)a« 6 x^oìhw—
ròi ( Vedi il Ferrarlo de re vcsl. lib. 3 cap. 20. ).
Certamente questo costume deriva dalla Frigia e
dalla Lidia : quindi crocotae phrygiae sono chiamate
da Apulejo : e trovasi un costume quasi simile attri-
buito all'Ercole Lido, siccome avemmo U occasione
di notare in una nostra memoria letta alla reale Ac-
cademia Ercolauese, illustrando alcuni pompi jani di-
pinti, ove comparisce Ercole presso di Omfale. (Vedi
pure Raoul-Rochette clioix de peint. tav.XlX p. 24.'J
u. 4 il quale ha pubblicato uno di questi dipinti: vedi
pure Hcrc. assyr. et phénic. p. 2'iO ).
L'altra particolaiità nella figura del nostro Bacco
è lo sporger delle taurine corna dalla sua lìonle. La
— 70 —
convenienza di questo a((ribu(o sorge da molli luoghi
di aniiclii scrinali , e da' nionumcnli. Veggasi il Rol-
le ( reclienh. sur le culi, ile Bacchm. lom. 1 p. 177-
179), l'Eckhel [Jocli: toni. 1 p. 136 e seg.) , ilKoe-
sler [de cani. vcl. graec. p. 41 s.), i\Mù]\cr{Handb.
§. 383, 9 pag. 598 ed. Welcker) , il Moser [Non-
ni Dionys. libri sex pag. 198 segg. ) , ed altri che ne
favellarono.
Vogliamo soltanto osservare che nella pittura de-
scrilla da Filostralo il dio vedovasi pur munito di
corna , presentandosi ad Arianna. Così dice il Sofista
die ben contrassegnavalo la corona che ne cingeva la
fronte , 7t%i xb^/.s vTrix<^u6<xiyos twy x^aro^^wy [Imag,
1, XV). Riesce adunque piacevole vederne il confron-
to nel nuovo dij)!nlo pompcjano : che è il primo mo-
numento superstite dell'antica pittura, che ci presenti
una tale immagine di Dioniso.
Se la nostra pittura offre molli punti di somiglian-
za con quella descritta da Filostrato, anche nella figura
di Bacco, può trarscne un novello argomento per so-
stenere che anche in quella vi fosse la figura del Sonno:
secondo la osservazione del sig. Raoul-Rochette.
Secondo dipinto del Triclinio. Questo è di grandez-
za presso a poco simile all'altro precedentemente de-
scritto.
Vedesi a destra un uomo barbato e diademato con
lunga tunica manicata , purpurea clamide , e rossi
calzari: questi siede sopra un sedile , su cui è distesa
una gialla pelle , e pone i piedi sopra di un suppeda-
neo , appoggiandosi con ambe le mani ad un bastone.
Vedesi sulle sue cosce la spada nel fodero. Presso la
sua persona è un giovine guerriero con bianca cla-
mide , che tiene l' asta e lo scudo : al suolo è un vaso
di bronro ad un sol manico, da cui pende una rossa
tenia. Più in là è una piccola ara quadrata sopra una
base o sodo, con ornamento di un verde ramo, e so-
pra è forse acceso profumo da cui s'innaha il vapore:
pre&>;o la base dell' aroUa è un' accesa fiaccola rove-
sciata. All'altra estrenu'tà del quadro, ed al medesimo
livello, vej'gonsi due imberbi giovani nudi culle mani
legate dietro il dorso , e già coronati pel sagrifizio ;
uno di essi ha gialla la clamide, l'altro Iha rossa. Li
segue quasi conduceudoli una figura imberbe e coro-
nata , con giallo manto che ne ricopre la festa , re-
cando due aste. Nel mezzo del quadro vedesi uno
spazio più elevato , a cui si ascende per alcuni bian-
chi scalini. Su questa elevata costruzione o tempio è
una figura femminile con ampio panneggio , la cui
testa è perduta, per esser caduto il muro: ella stende
il sinistro braccio.
Indietro a questa figura vedesi in fondo un rosso
panneggio. Dietro all' uomo sedente scorgesi un pi-
lastro ornato di festone , e con erba verde nella parte
superiore : più in là è un tronco di albero. Il campo
della parete è bianco.
È facile ravvisare la generale significazione del de-
scritto dipinto , nel quale niuno tarderà a ricono-
scere Oreste e Pilade in Tauride. Veggonsi i due gio-
vani colle mani legate dietro il dorso e già coronati
pel sagrifizio, come nella pittura di Ercolano (Er-
colanesi piti, vol.l.'tav. XII) , ed in altri monumenti
(vedi questo hullettino an. 1. p. 89). Neil' uomo bar-
bato e sedente con barbarico vestimento ben si rav-
visa Toante (Eurip. Iph. in Taur. v. 31 ) assistito da
uno de' suoi seguaci (oTraS^I/v Eurip. v. 1208) , che
ne sostiene l' asta e lo scudo : e presso lo stesso Euri-
pide si fa menzione dell' asta del re di Tauride ( v.
1326). Il più elevato edifizio , a cui si ascende per
alcuni bianchi scalini, è certamente il tempio della dea ,
che il tragico ci dipinge elevato dal suolo, quando fa
dire ad Oreste .... Trórspx òcJixr/ru/v 7rfO(7afjil3ao'£(S
h!òr\ffóix'.<TS^ci; (v. 97-98). Ed Ovidio parlando dello
stesso edifizio ce lo presenta sì alto , che bisognava
ascendervi per quaranta scalini [de Poni. lib. III,eI.
II. V. 50).
Sul tempio , o piuttosto all'ingresso, è Ifigenia, la
cui figura in parte perduta ci vieta di osservare , se
già tenesse fralle mani la immagine di Diana. Sembrami
però che nel rosso panneggio, che si scorge indietro,
ravvisar possiamo uno di quei peripetasmi de' quali
era frequente l'uso negli anticlii sacrari! , e co' quali
ricoprir si solcano le immagini delle divinila ( Lobcck
Afjlaophamus p. 50, 57, e 59: Raoul-Rocbelte ?no/».
inéd. p. 185: Boettiger klcine 5(7in/'Moni.IIIp. 455,
ed opusc. lai. pag. 395 : cf. bullet. arch. nap. prima
serie , an. II p. 45 segg. ).
— 71
Vodosi poi l'ara, sulla quale l'acceso fuoco dà fu-
mo, il vaso (Ielle libazioni tiello da Eurijìlde x=p'^)
essenziale per quel sagriHzio (vedi la citala tragedia
V. 5i-, 58, 2U, 215 , 335, 412, s. G2I, s.G'iS,
1190; cf. Ovid. de Poni. 1. Ili ci. II v. 73). Queste
osservazioui concernono le dilTeieuti figure di (juel
dipinto; ma da un più esatto confronto della tragedia
di Euripide veniamo a conoscere , che l' artista si è
strellanicnte attenuto alla narrazione del tragico, pre-
scegliendo un particolare punto dell'azione.
Non ci si presenta già il momento della prima pre-
sentazione de' due amici ad Ifigenia , come nel vaso
Santangelo ( Raoul-Rocliette mon. inéd, lav. XLI pag.
201. seg. ). E certamente, se nel nostro dipintosi
trattasse di quel momento accennato pure da Euri-
pide (v.456, s.), non si dovrebbero veder già coronati
pel sagrifizio. Noi crediamo che il pittore abbia scelto
il momento , in cui la sacerdotessa ha già consigliato
che Pilade ed Oreste fossero nuovamente legati Si-
fffiò. ToTi t,{yot<ji 7r(^óijr}:i (v. 1204), il che venne ese-
guito da uno de' ministri (1205): che è quello ap-
punto , che li conduce nel pompejano quadro. Ella
avea prescritto a Toantc di rimanere fuori del tempio
all'ingresso (v. 1 1 CO), ed ivi attendere alla purifi-
cazione del sacro luogo con un'accesa fiaccola:
I])h. Xl' 0: \j.ivu>v avrov Trpò \^j.('jy rr, )òit'j
Th. Ti xp^/^* oftf ;
• Iph. a-jviCov irv^rfio fXiVxSpov.
Bellissimo è il confronto col nostro dipinto, in cui
apparisce appunto il re di Tauridc presso all'ara ove
è acceso il fuoco, ed ove appajono vicino la fiaccola
ed il vaso della purificazione. La sacerdotessa intanto
pensa a portar via l'idolo di Diana, ed a tentare la fuga.
L" uomo che guida i due giovani reca due aste ,
per dinotare che einno stale loro tolte le armature :
e su queste armi vedi quel che dicemmo nel primo
anno di questo hulleltino (p. 89). Sembra perciò che
nel nuovo quadro pompejano ci si presenti la prepa-
razione alla catastrofe : le vittime fuori del tempio ,
perchè se ne allontanino viemaggiormente ; la sacer-
dotessa pronta a portar via quel che dovea essere la
salute del suo fratello ; e Toanle destinato a slare a
bada , perchè gli possa sfuggir la sua preda.
Per la occasione che se ne porgo, vogliamo fare al-
une nostre osservazioni sopra altri monumenti riferiti
al medesimo soggetto. Nel vaso della collezione San-
tangelo bene a ragione il sig. Raoul- Pochette osserva
che gli Sciti che tengono i legali stranieri sono mini-
stri : di fatti Eurijiide parla de' ministri del tenqtio
(v. G24, 723, e 1205) (I). in quanto all' uomo ar-
mato , creduto lo stesso Toantc dall' archeologo fran-
cese , io penso debba riconoscersi uno de' 'npo^i'y.v.xiS
rauìmenlati espressamente dal tragico ( v. 1027.).
Nella pittura Ercolanese sopra citata è degno di os-
servazione che le ancelle di Ifigenia sono effigiale in
greco costume. Di questa circostanza lo stesso Euripi-
de dà piena spiegazione , il (juale parla delle ancelle
date dal re ad Ifigenia (v.G3, s.); e poco dopo ci offre
il coro composto di ministre del tempio, le (piali si ap-
palesano per greche (v. 1 55) : come si raccoglie pure
dal fine della tragedia , quando lor si concede da
Toanle la libertà.
Le principali nostre osservazioni cadono sopra un
bellissimo vaso pubblicalo dal sig. Raoiil-Rocheltc
[mon. im'd. pi. XL.), e dal cav. Panol'ka (ra^. /^oar-
talès pi. 7), e da entrambi riferito al mito di Oreste.
Rappresenta esso un uomo barbalo perfeltamenle nu-
do , tenuto strellamenle da IMercurio , e da un altro
personaggio barbato armato di corazza e di asta. Ad
una delle due eslremilà è una femminile figura se-
dente con pejilo che le ricopre la testa , e con una
swcie di corona, in atteggiamcnlo di considerazione;
all'altra estremità e Pallade, che tien la mano sopra
una alata mola , quasi ragionando con Mercurio. Il
sig. Raoul-Roclielte credette di ravvisarvi Oreste pre-
sentalo ad Ifigenia in Tauride ( p. 212). I\Ia a' dire
il vero, molle ragioni mi fanno allontanare da una
tale spiegazione. Indi|)cndentemenie dalla osservazione
che la presenza di Mercurio non è troppo bene giu-
stificata , che non si dà conto della figura di Pallade
e della ruota alala , a me spm!)ra che un gravissimo
ostacolo sia la mancanza di Pilade. Sarebbe slato un
errore di composizione il sopprimere un così inte-
ressante personaggio. E tanto più riuscirebbe mara-
(1) Lo stesso riscontro vale per la pittura di Ercolano.
— 72 —
viglioso che avendo il pittor del vaso seguilo Euripi-
de nelY Andromaca per la scena del rovescio, ritraen-
te Oresle in Delfi, che uccide Neotlolemo, se ne fosse
poi lotalmenic disgiunto per la piima rappresentanza.
Nò più mi persuade la opinione del eh. Panofka ,
il quale vede Oresle trasportato innanzi all' Areopago
colla presenza di Uice(v. pureA/i6(*ì.mus.an.II.p.452
s.): opinione, la rpiale fu rileuuta in certo modo pro-
haliiled.ilMiiller, che la riporta (//a«f/6. §.410 n. 2.
p.T 1 9 c(l.Wtlckcr). Olirà le ragioni allegale in contra-
rio dalsig. Raoul-Uochetle , io osservo che ammessa
quella interpretazione, vedrebbonsi nel vaso quelle fi-
gure e quei sindjoli, che meno dovrebbero esservi, e
non già quelli, che più richiederebbe il soggetto.
Io" propongo una spiegazione totalmente diver-
sa , che intendo di sottomettere al giudizio degli ar-
cheologi. A me sembra Prometeo tenuto e guidato
al supplizio da Mercurio e dal Potere ( KpaV&s ) alla
])rescnza di Temi sua madre , e della sua prolettrice
Minerva. Questa maniera di figurare il soggetto di
Prometeo si vede in questo solo monumento ( vedi
Mùller Handb. §. 396 n. 2. pag. 637. Welcker; e
Jahn arch. Bciliàge p. 138, e seg. 169s., 226 seg.);
ma si adalla perfellamenle alle idee dell' anlichilà. 11
(ìgliuol di Giapeto vcdesi afTalto nudo e barbato, come
nel vaso edito dal eh. Jahn {arch. Bear. lav. VIII.)^
Mercurio , come ministro ( roy rov rvqdyvov rcu
>Lv ìidxoyoY Aesch. Prom. 942), è incaricato die-
geguire la vendetta di Giove, insieme con un altro
personaggio , a cui ho dato la denominazione di Po-
tere KfocTos, che al medesimo ufficio vedesi destinalo
presso Eschilo {Promelh. 1-87). Né panni discon-
venire la miniare armatura , il virile aspetto, e 1' asta
a quel satellite di Giove, che sotto un dato modo di
vedere può assimilarsi a Marte. La presenza di Te-
mide si spiega dalla sua relazione con Prometeo : essa
gli avca pur predetto la punizione, a cui sarebhesi espo-
sto (Aesch. Proni. 209 s. , 873 , s. 1091 ). E quel
vestimento e quella posizione del sedere ben si addice
ad una fatidica .divinità , che secondo il medesimo
Eschilo tenne il delfico oracolo {Eumen. v. 2-4) , e
che dello slesso modo vedesi figurala in un bel vaso
dipinto dotlamenle illustrato dal eh. cav. Gerhard
(0 ahd der Tkfmisin 4). Pallade poi, come consigliera
ed aiulalrice del Titano (Lucian. P/om. 3), trovasi a
lui vicino, nel momento della sua punizione; ed essa
e Temide non valgono a liberarlo dalle mani de' se-
guaci di Giove.
Questa nostra spiegazione trova un mirabile appog-
gio in una tradizione serbataci da Servio ( ad Virg.
ed. VI V. 42). Promcthem, lapeti et Chjmtnes flUus,
posi faclos a se ìiomines, dicitur auxilio Minervae cae-
lutn ascentlisse, ci adliibila ferula ( 1 ) ad rolam Soli^ ,
ignem furatus, quem hominihm indicavit. E poco ap-
presso : Ipmm eliam Promellieum per Mercurium in
monte Caucaso religaverunl ad saxum eie.
In questa tradizione comparisce Mercurio come e-
secutore della vendetta degli Dei , e Pallade come au-
siliatrice dell'allentato di Prometeo. Perciò si applica
mirabilmente al vasculario dipinto, diche favelliamo,
ove Pallade stessa tiene la mano su di un'alata ruota ;
certamente la ruota del Sole , come simbolo del mi-
sfatto di Prometeo , da cui fu eccitata la collera delle
altre divinità. E qui mi piace di osservare che lo stesso
significato solare aver dee il zuxXoi fjixyrixòi ( Broen-
sted voìj. el redi. da.ns la Grece pag. 116-118) del
tripode, che pur qualche volta vedesi alato (Gerhard
Lidugolllieilen tav. I. n. 3).
Da tulle le quali osservazioni sorge spontaneo il rap-
porto fralle due facce del vaso ; giacché l'una e l'altra
si riferiscono a Delfi, o a personaggi, che hanno eoa
quel silo uno strellissimo rapporto. Così la ruota dei
Sole identica al xiJxXos del delfico tripode: e princi-
palmente la figura di Temi, che tenne pure il delfico
oracolo in tempi remoli , come ci fa sapere Eschilo
[Eum. v. 1-2), il quale in questo luogo la dice fi-
glia della Terra; mentre altrove la identifica co Ila stes-
sa ( Promelh. 209-210 ). E torse il mito primitivo del
Titano avea la sua relazione propriamente in Delfo ,
ove stabilendosi il centro della terra in corrispondenza
dell' omphalos , poteva accennarsi alla origine de" figli
della Terra. Né far dee alcuna impressione il rapporto
di Prometeo alle gelate regioni della Scizia ed al Cau-
caso; perciocché questo si riferisce al sito della sua
punizione, che lo stesso Eschilo chiama il confine della
terra [Prom. v.l). All'incontro nel nostro vaso si ac-
cennerehbe invece al principio della partenza , che si
suppone per avventura succeduto in Delfo; ove la loca-
lità non poteva esser meglio indicala che dalla fatidica
Temide , e dalla ruota del Sole, la quale in tempi po-
steriori andò forse a fregiare il tripode di Apollo.
Queste nostre idee brevemente sviluppale saranno
forse il germe di più estese ricerche , le quali non
sono confacenti a' limili della presente pubblicazione.
(continua)
Ml>ERVI>I.
(I) Cosi dee leggersi e non /"acuto , come rilevasi pure dal com-
inerflarlo di Oliinpiodoro al Fedone di Platone , ove si nomina la
fnula y-if^^fil, in cui Piomeleo prese il fuoco. Vedi 1' arlieolo
del Cousin ucl journ. des Savanls 1835 p. 139-110.
Giulio Mknervini — Editore.
Tipografia di Giuseppe Càtaheo.
BlllETTINO ARCHEOLOGICO MPOLITWO.
NUOVA SERIE
A^.o 34. (10. dell' anno II.)
Novembre 1853.
Notizia di una latina iscrizione di San Germano. — Ddl' aria di Baia. — liccislonc della lapida di Campo
Marino. — Del Palatium e dello slagnum di Mamea in Baia.-- hcrizioni Ialine, continuazione del n. 'jl.
Notizia di una latina iscrizione di San Germano. Noi ne ricevemmo prima una copia inesatta , the
non ci attentammo di pubblicare , diffidando di non
Non ha guari fu rinvenuta, alle vicinanze di S. Ger- poche lezioni. Ora però ci è lecito darne la pubbli-
mano in un podere poco sopra all' anfiteatro, una base cazione sulla revisione fattane sul marmo originale dal
con questa iscrizione, la quale è certamente tra le più eh. Garrucci.
interessanti che fossero ritrovate nel medesimo sito. Essa dice cosi :
10
15
G • PAGGI • FELIGIS
G PAGGIO FELiCI PAT OMMB IIOXOUIB ETHONERI sic
BVSVE FVXCTO FILIO G PAGGI FILIGIS PATRON
GOLONIAE • CASIN • GVIVS • INMEXSIS BENE
FICUS PATRIA GOGNOSGITVR GVMVLATAvGVR i
RPNOST GVIVS PROVISIONE SEMPER FILIGTeR
GVVERNATICVR • ET • INSTA VRATORI • AEDIVM sic
PVBLIGARVM • GVIVS • OPERA ET • SOLLIGITV
DINE.M IMPENDIIS QVE PROPRIIS POST sic
SERIEM ANXORVM THERME NOVIAXT sic
NOBIS IX VSV SVXT RESTITVTAE OBIIIS'' sic
OMXIBVS • LABORIBVS EIVS QVOS GIR
CA PATRIAM GIVESQVE SVOS EXIBVIT sic
DIGNO • PATRONO VNIVERSVS
POPVLVS GOLONIAE CASINATI
VM VNA GVM LIBERIS NOSTRIS
S T A T V A M MARMOREA»! E R I G E N
DAM DIONE CENSVIMVS
Prima d' ogni altro avvertiamo che non pochi er-
rori di ortografia , ed anliptosi si osservano nella la-
pida di Gasino , che sono forse in parie dovuti alia
negligenza del quadratario.
ANNO li.
Tra' primi va noverato IIONERIBVSVE per O-
NERIBVS(lin. 1-2), FILIGIS per FELIGIS (lin.2),
FILIGTER per FELICITER (lin. 6), GVVERXATI
per GVBERXATI col solito scambio del B e del V
^ 10
— 74 —
(lin. 7), TIIERME NOVIAXE per TIIERMAE NO-
VIANAE (lin. 10) EXIBVIT per EXHIBVIT (lin.
1 3 ). Non noterò il G per C del prenome Cajo , che
varie volle occorre nelle iscrizioni. L' JM sovercliia
nella parola SOLLICITVDIXEM (lin. 8-9), e T OB
HIS in luogo Ji PRO IIIS (lin. 11 ), possono alUi-
buirsi ancora a sbaglio del lapicida. Sicché la iscri-
zione, ridotta alla sua corretta lezione, è la seguente.
C. Pacai Fdich
C. Pnccio Felici palrono omnibus honoribus ci one-
ribus f anelo, /ìlio C. Facci Felici.^, jyalrono coloniae
Casinatium, cuius inmensis bene ficiis patria cognosci-
tur cumulala : curatori rclpuhlicae no^trac, cuius pro-
visione semper feliciler gubcrnali : curatori et inslau-
ratori aedium piihlicarum , cuius opera et solliciludine
impendiisque propriisposl seriem annorum thermae No-
vianae nobis in usti sunl reslilulac : prò his omnibus
laboribiis eius, quo' circa palriam civescpie suos exhibuit,
digno patrono iiniversus populus coloniae Casinatium
una cum Uberis noslris slaluammarmoreamerigcndam
digne censiiimus.
appellazione ihcrmae Nocianae. Non so poi perchè il
eh. Mommsen avesse ritolto a Casino la epigrafe di
Marco Sentio Crispino , ove è pur menzione delle
terme (Clarini ari", toni. 1. p. XLI), attribuendola
ad Inlcramna Urinate ( n. 1 209 e 723 ì ) : laddove i
nostri scrittori vi riconobbero una memoria delle ter-
me di Casino (Corcia Jojjojr.tom.I.p.423). La nuova
iscrizione di Faccio Felice non solo presenta un con-
fronto a quella commemorazione ; ma offre pure ta-
lune frasi somiglianti a quelle, che leggonsi nel mar-
mo di Sentio. Tali sono omnibus honoribus , orAo et
universus populus, ob merita et laborcs eius. Sembra
che le terme di Casino prendessero quel nome di No-
viane da qualche Novio, che ne fu per avventura il
costruttore. Ci proponiamo di fare ulteriori ricerche
sulla iscrizione di S. Germano, della quale non ab-
biamo voluto differire più oltre la pubblicazione : e
solo da ultimo avvertiamo che la forma de' caratteri,
non che la poca concisione dell'epigrafe, e le espres-
sioni, che vi si contengono, ci fanno attribuire il mo-
numento al quarto secolo circa dell'era volgare.
MlNLRVlNI.
Ricorre la stessa frase omnibus oneribus et honori-
bwi funclo in aire epigrafi ; come in quella di Gneo
Slennio (Orelli 3716, Gervasìo ùcr. di Mavorzio p.
29, Mommsen imcr. r. n. n. 3ì)'i9). Senza discor-
rere delle altre espressioni della lapida di Casino, mi
piace di osservare che la j^rovisio , di cui è menzione
nella linea 6, corrisponde all'onoriOco titolo àiprod-
sor , che leggesi in altri marmi ( Minervini bull. nap.
an. V. p. 66: Gervasio iscr. di Nap. p. 51: Garrucci
bull. nap. n. s. anno I. p. 51).
Grandi sono le lodi, che si danno da' Casinati al be-
nemerito magistrato C. Faccio Felice: ed è veramente
enfatica la esi)ressione titiiversus populus coloniae Ca-
dnalium vna cum Uberis noslris; la quale conqjren-
de , a mio giudizio , tulli gli ordini della colonia ,
ed accenna ad una concione, nella quale venne a Fac-
cio decretato l' onore della statua. Interessante riesce
pure la nuova iscrizione per la memoria delle terme
di Casino, le (|uali sono denominale con particolare
Dell' aria di Baia ( 1 ).
Per esaminare in qual tempo cessasse d'essere sa-
lubre r aria di Baia , lasciati da parte i tempi d' Au-
gusto, e degl'immediati imperatori, quando tanto era
celebrata da' poeti , e dagli altri scrittori , li seguire-
mo ne' secoli posteriori , e vedremo fino a qual tempo
se ne trovino monumenti. Gli abbiamo nel secolo III,
quando dice Lampridio che 1' imperatore Alessan-
dro Severo , estremamente rispettoso e pio verso sua
madre Mammea , in matrem Mammaeam unìce pius,
le fabbricò nel territorio Baiano un palazzo con un
Iago , in Baiano palatium cum slagno , quod Mam-
maeae nomine hodieque censetur, dice Lampridio. Fecit
et alia in Baiano, soggiugne, opere magnifica in hono-
(1) Questa disseriazione è traila da un MS. del p. Giovanni An-
drcs della Comp. di Gesù, che ò nella Biblioteca secreta del Col-
legio Romano; mi 6 siala comunicala dal p. Garrucci.— i' editore.
o
rem afpnium suonnn ci stagna stupenda admisso mari.
Or Severo, principo serioc circospetlo, a%rel)|jeeretli
tanti edifizi per fomentare lo stravizzo e la dissolutezza
pur troppo freqiieule nelle delizie Baiane , massima-
mente dove ceicava di prestare riverenza a sua ma-
dre donna savissima , e in età poco eonlaeente a diver-
timenti , e non mai per procurare alla madre , a' pa-
renti, alle persone a lui care il beneficio d'un'aria sa-
lubre ed amena ? Per tutto il secolo IV ci sommini-
strano testimonianze di tale salubrità Marciano Ca-
pella , Claudiano, Sidonio Apollinare , e molli altri.
Noi ci atterremo soltanto alle lettere di Simmaco,
perchè ci presentano delle particolarità che fanno più
al nostro intento.
In esso leggiamo , che egli possedeva una villa in
Bauli , la quale, dice, cum diutius visUur plus ama-
tur , e che 1' invaj;liiva a tal segno , che gli bisogna-
la abbandonarla falvulla per timore di non trop-
po attaccarvisi , e guardare con fastidio tutte l' altre :
me/MS fui t , ne si lìaulorum inoìevisset affeclio , cete-
ra visenda dispUcercnl (cap. I. lib. I.). Altra ne a-
veva in Baia, della quale anche suo figlio sembra che
fosse molto parziale ( lib. VII. ep. XXV. ). Agorio
Pretestato aveva anch' egli in Baia la sua villa , dove
portavasi levandi animi causa , e quando in quell' a-
meno ozio trovavasi, si dimenticava persino di scrivere
a' suoi; come ghene fa Simmaco amichevole rinifro-
vero : te tenuti ( dal non iscrivergli ) Baiani olii ne-
gligenlia ( lib. I. cap. LXII. ). Altra ne possedeva il
suo amico Decio , dove viveva con lucullano splen-
dore , e u' era sì innamoralo , che recava meraviglia
gè talor poteva lasciarla. Successisli in famam Lueullì,
quo magis mirar ad alia le nonnumquam posse iransi-
re (lib. VII. cap. XXXIII). A questa villa l'invitava
Decio a passare l' eslate ; ma egli che si trovava già
nella sua di Palestrina non sa risolversi ad accettare
r invito : Animum sollicilas meum Campani lilloris
commemorali one ; sed nohis quoc^ue in Praenestino rure
degentibus non minus voluptatum suppelil. Sinl licei
plures hominum sentcntiae , qui maritimis montana
poslponunt , ego tamen vilandis aestibus magis indico
mmorosa, cniam cidiu aperta conyrucre (cap. XXXV).
Kon era però contrario all' estate delle spiagge Cam-
pane, Egli stesso sciive una \olla a Fiavi^mosuufia-
lello , che conlava di passarsi lielamentc l'estate: In-
ter Campanìae terminos maior pars aestalisagitahitur
( lib. II. cap. XX.XII ). Da questi passi di Simmaco ,
lasciandone ancora molti altri, dove parla sempre con
ugual lode delle spiagge Campane , si vede palese-
mente che alla fine del IV secolo, ed al princi|iio del
V tenevasi ancora in pregio l'amenità , e la salubrità
delie ville Baiane.
Tanti signori Romani avevano in Baia le loro ville,
le frequentavano non solo i giovinotli che amavano
il diveitimento e il bel tempo, ma i magistrati ezian-
dio, gli uomini assennati, i più rispettabili personaggi,
che cercavano un onesto sollievo, e un ozio tranquil-
lo , e vi stavano nella stagione più pericolosa per pas-
sare con minore slento i rigori estivi : prove tutte ,
che anche a quei tempi veniva stimalo quel soggiorno
come dolce e salubre ; sebbene , sia detto a lode di
Napoli , il soggiorno di Baia era di più allegria e di-
vertimento, il cielo di Napoli godeva la fama di mag-
giore salubrità, come scrive lo stesso Simmaco a suo
figlio. Erasi egli da Buia appena portalo a Napoli ,
quando ricevè da suo figlio lettera perchè si trovasse
in Baia al suo arrivo; nos in advcnlum luum Baiisre-
sidcre iussisli ; e gli rispose il padre eh' era più facile
ch'egli passasse fino a Napoli: amìcos enim, nonBa-
ias desiderasti, nisi forte ilio luxuriae sinu tralieris.Co-
milahimur te , si eo redire malueris, quamvis regionis
istius solum salubriiis et pares copiae sint 'lib. VII.
cap. XXIV). Più chiara testimonianza della sanila di
Baia abbiamo dal princi[)io del sesto secolo in una li-
cenza che il re Alalarico accorda ad un ufTiziale Pri-
migeviuio, che slava poco bene in salute, di portarsi
a Baia senza discapilo del suo militare emolumento.
Pcrge igitur , gli dice , ad amoenos recessus; perge ad
solem , ut ita dixerim, clariorem, ubi saìubrilate aeris
temperata terris blandior esl natura. E dopo molte al-
tre lodi di Baia , delle sue acque , e de' suoi contor-
ni , conchiude : Baianis liltoribus niliil palesi esse
praestanlius, ttbi conlingit et dukissimis deliciis,et
impreliabili muncre sanitatis cxpleri. Fruere igitur
bonis nihilominus expetitis. Nostris beneficiis ad tua
emohimenta pervenies. Baianis remediisconsequererem
— 76 —
miutis (Cassiod. Var. Hb. IX. cap. XI.)- Poslerior- longo a se ilìnem spatto disiunclae sunl, nec peccatis
mente eziandio vediamo seguitare la celebrità della facientihis (forse le guerre e le sevizie e barbarie ia
Campagna, e di Baia ; poicliè Cassiodoro, scrivendo esse fatte) tanta populi multitudo est, ut singuhs, sicut
nell'anno o30 a provinciali d'Istria, non sa dar mag-
gior lode al loro paese, cbe paragonandolo alla Cam-
pagna, ed a Biii:i; quae non immerito Ravennae Cam-
pania dicilur , urbis rcgiac cella penaria , voluptuosa
nimis, et deliciosa diyressio fruitur in seplenlrione pro-
gressa cadi admiranda temperie. Ilabel et quaedam ,
non ahsurde dixerim, Baias suas. Sicché Gno all'anno
538 abbiamo ancora monumenti dell'amenità, e sa-
lubrità delle spiagge Baiane.
Ma questi a mia notizia sono gli ultimi. Dopo quel
tempo non leggonsi che guerre , e battaglie , distru-
zioni, incendii, devastazioni, e rovine. Verso la metà
di quel secolo incominciarono le guerre fra i Greci, e
i Gotti , fra Belisario , e Totila : e occupando i Gotti
la città , e le spiagge vicine a Napoli , e venendo a
sbarcarvi le armate Greche della Sicilia , si comuni-
cava per tutta quella marina il terrore, la desolazio-
ne , e la fuga. Negli atti di S. Giuliana riportati da'
Bollandisti si dice che il corpo della santa era posto
olim fuit, habere debeanl sacerdoles ( lib. II. cap. XLV
alias XXXI). Semhra però nondimeno, che non ostante
l'incominciata spopolazione, non risentissero ancora
que' luoghi particolar danno nella salubrità. Perchè
per riparare le sofferte rovine si pensò a fabbricare un
nuovo paese, e il vescovo Benenalo ne raccolse il da-
naro, e vi attese alla fabbricazione. Anzi alcuni vole-
vano, che gli fosse avanzato del danaro , e che egli lo
ritenesse presso di se ; ed avendolo di ciò accusato a
S. Gregorio , il santo papa ne commise Y esame ad
Antcmio suddiacono Napolitano, il quale dalle diver-
se commissioni impostegli dal S. Padre sembra che
fosse come Nunzio della S. Sede, anziché, come molti
pensano, un semplice agente e rettore de'beni tempo-
rali della Chiesa romana in queste parti. Pervenit ad
nos , gli scrive nell' anno 599 , quondam Benenatum
Misenalem, Episcopum prò conslrucndo illic castro so-
lidos accepisse. Et quia pars eorum solidorum apud
eum dicitur remansisse , expcrientia tua sublili inda-
in una terra presso a Pozzuolo, ma chepoi nn)?ime)Ue gationc perquirat (lib. IX. cap. LI. al. XXXIII). Or
ethnica ferilate [cioè i Gotti, verso l'anno 568), ac-
ciocché tale tesoro non fosse profanato, sia trasportalo
a Cuma , ne talis tantusque thesaurus dehonenarclur
iranslatum est corpus eius in civitalem Cumanam. Cu-
ma città difesa da muri, e munita di maggiori rinforzi
si manteneva più sicura, ed illesa, ma i piccioli paesi
circonvicini erano continuamente vessali , e in gran
parte restavano abbandonati.
E in fatti verso la fine di quel secolo, nell' anno
592, essendo morto Desiderio vescovo di Cuma, scrisse
il PonteGce S. Gregorio a Benenato vescovo di Miseno,
che si portasse a visitare quella Chiesa, e provvedesse
ad una nomina canonica del successore ; ma poi in
altra lettera gli ordinò diversamente, che unisse in
uno i due vescovati , e eh' egli slesso prendesse il pos-
sesso d' ambedue , e gli dà per ragione le vicinanze
delle due Chiese, e ciò che qui è da osservarsi, ildi-
minuimcnlo della popolazione. Et temporis qualitas ,
et vicinila^ noi locorum invitat , ut Cumanam, atque
Misenam unire debcamus Ecclesias; quoniam ex non
una raccolta di denaro , da fabbricare in sì breve tempo
un castello , e da avanzarne ancor qualche somma ,
prova un' abbondanza, e agiatezza di que' paesi , che
ricorda ancora l'antico lusso, e splendore; e fa cre-
dere che non si dolessero quegli abitanti dell' insalu-
brità dell'aria, quando pensavano a fabbricare nuovi
castelli, e nuove popolazioni. L' unione stessa di due
vescovati ordinata allora da S. Gregorio non durò
molto tempo , e forse alla morte di Benenato , o del
suo successore , si nominarono di nuovo due diversi
vescovi per l'una, e per l'altra chiesa; poiché nell'
anno 647 si legge sottoscritto in un concilio romano
sotto Martino I un Barbato vescovo di Cuma, mentre
Massimo era vescovo di Miseno , e fino nel 683 ve-
diamo nella chiesa Misenate un Agnello, quando reg-
geva la Cumana il vescovo Pietro , di cui si legge in
queir anno la sottoscrizione all' epistola del Papa A-
gatone. Dopo il quale tempo non vedesi più vescovo
di Miseno , sebbene quello di Cuma seguitò fino al
principio del secolo XIII, quando fu interamente di-
— 77-
strutla dagli stessi Napolitani quella città , diventala
asilo di forestieri fuorusciti, e nido di ladri e di mal-
fattori. Intanto le devastazioni, e le stragi seguivano
da pertulto , e la fierezza de* Longobardi portava lo
sterminio a tutto il paese. Cnm Loììijnhardorum feriia^,
si dice nogl'alti di S. Antonio di Sorrcnlo, o/Hfi/a/i'cc
Campaniae oppiJa siicceuderel , fcrroque dcvastaret.
Del Longobardo Gilulfo Duca di Benevento dice Paolo
Diacono : cum omni virlute Campaniam vcnil incen-
dia , et depraedationes faciens ( De gest. Longob. lib.
VL e. XXVII ). Cuma più volte attaccata da' Lon-
gobardi fu finalmente occupata con molto danno nel
secolo ottavo, quando era papa Gregorio II. Omianum
etiam castnim, dice Anastasio Bibliotecario nella vita
di questo papa, ipso fuerat tempore a Longohardis pa-
cis dolo pervasum. E il papa per liberarlo adoperò
presso i Longobardi esortazioni, e preghiere, promes-
se e miuaccie, e ogni sorta di persuasioni; ma essendo
tutte rimaste vane, si unì con Giovanni Duca di Na-
poli, e l'aiutò con sessanta libbre d'oro, perchè con-
corresse a liberare quella città, come alla fine felice-
mente vi riuscì , benché non senza grande strage de'
Longobarbi e della città. Cuma, e Napoli, al dire di
Procopio, erano le sole città che fossero cinte di muri,
e però poterono durare più lungamente; le altre città
più piccole e meno forti, le piccole terre e paesi in-
difesi, cedevano ai nemici assalii e spesso venivano di-
strutti e atterrati. Patria, piccola città di quelle con-
trade, al tempo delle guerre del Principe Arichis o Au-
(jisto, verso la fine del secolo ottavo, fu devastata , e
cum civitas Palriensìs depopidala essct , dice Rulperto
prete, il vescovo di Napoh Stefano trasportò le reli-
quie di Santa Fortunata alla chiesa di S. Gaudioso di
Napoli da lui fondala.
Il paese chiamato Lucullano , che comunemente
credevasi fosse nel castello dell' Ovo, ma che il i^laz-
zocchi, appoggiato a molli passi di scrittori ecclesiastici,
ha poi voluto collocar fra la Grotta e Pozzuolo , in
quelle parti propriamente che si chiamano Bagnuoìì
circa le terms di S. Germano presso il lago d'Agnano,
dicendo anzi Agnanum ipsum lacum ad silum Lucullani
praecipue jìcrtinuisse , questo Lucullano venne nel se-
guente secolo parimente disfatto , e come quivi ser-
bavasi il corpo di S. Severino, la pietà de' Napolitani
si fece premura di trasferire nella lor chiesa (juel sa-
cro tesoro, come ci racconta Giovanni Diacono. .Mi-
seno , città più riguardevole , venne in varie riprese
devastata da' Longobardi , e poi finalmente alTallo e-
sterminata da' Saraceni : e parimenti i divoti fedeli
ebbero la religiosa cura del corpo di S. Sosio per
molti secoli conservato in Miseno, e fu di poi trasfe-
rito a Napoli , come ugualmente descrive Giovanni
Diacono. Cosi le ossa de' santi martiri ci ricordano l'in-
felicità di que' secoli, e ci attcstano la distruzione fatta
da' Longobardi e da' Saraceni di Patria , di Miseno ,
di Lucullano, e de' paesi circonvicini; mentre che tutti
gli scrittori posteriori concorrono a confermare tali
stragi degli uni, e degli altri. Dicono de' Longobardi
che atterravano case e incendiavano paesi, ediSicar-
do in particolare ci narrano che apriva le sepolture ,
e disotterrava ciò che invitava la sua rapacità. Ma de'
Saraceni tutti convengono in asserire che vennero a
recare l' ultimo guasto. U Villani ( cron. cap. LII. )
lasciò scritto che i Saraceni discesero alla marina di
Napoli, e discorrendo per tutto il paese vicino, distrus-
sero tutta la regione , cioè la ciltà , le terre , e i luoghi
deboli. E più generalmente, e più al nostro proposito
Erchemberlo , scrittore di quei tempi e di que' luo-
ghi ci accerta, che dopo i danni cagionati da' Longo-
bardi, vennero i Saraceni a recarvi l'ultimo struggi-
mento : Inter liaec Saraceni totani supradictam terram
crudeliter laniabant , ita ul desolala terra cultoribus ,
stirpibus et vcpribus repleta faliscat. In vece d' uomini
che coltivassero que' terreni, vi abitavano serpi ed in-
setti malefici che gì" infettavano ; ai salutari fuochi , e
agli odorosi profumi succedevanopuzzolenli vapori, e
maligne esalazioni , e invece delle soavi ed odorifere
piante, de' gentili e fruttiferi alberi, de' deliziosi giar-
dini che abbellivano quelle terre, e ricreavano l'aria,
vi allignavano bronchi e vepri , boscaglie, macchie,
e spineti. Or un paese così abbandonalo e inselvati-
chito doveva divenire insalubre, le zolfoiose esalazio-
ni di quel terreno, i puzzolenti vapori di quelle acque
stagnanti senza corso, e senza agitazione, come l'ave-
vano prima, inceppali in quelle boscaglie impregnava-
no r aria , e d' amena e salubre eh' era stata per tanti
— 78 -
secoli, la rendevano pestilenziale. Servio nel libro III
dell' Eneide conienlando ciò che dice Virgilio del lago
Averno, lo spiega cosi : Sane lacus Avcrnus aule sil-
varum densitate sic amhìehalur , ut exhalans inde per
angustias aquae sulphureae odor gravissimus supervo-
litantes aves necaret: ioide et Avernm diclm est quasi
aopvcs. Quam rem Augiistus Caesar inlelligens, dese-
ais silvis, ex pestilentibus amoena reddidit.
Or al contrario, per la medesima ragione dell'esa-
lazione e vaporosità emanata da qiie' terreni e laghi
sulfurei, s'infetta l'aria, e perduta la popolazione, ri-
tornate le selve e boscaglie, di ameni e sani sono di-
ventati que' luoghi insalubri e pestilenziali. Onde dalle
guerre de' Longobardi , e de' Saraceni , dalie deva-
stazioni , e stragi dagli uni e dagli altri cagionate a
tutti que' luoghi, credo potersi ripetere la depravazio-
ne e il corrompimento dell' aria di Baia, e che quei
tempi di desolazione, i secoli nono , e decimo e se-
guenti possano fondatamente considerarsi laverà epo-
ca, in cui cessasse d'essere salubre. E a cosi pensare
mi conferma il sentimento del Petrarca, il primo scrit-
tore di mia notizia, che dopo Simmaco, e Cassiodoro
e gli autori di sopra da noi citati, abbia scritto di Baia
e dell'amenità di que' luoghi.
Scrive egli da Napoli a Giovanni Colonna , e gli
racconta una gita che fece per visitare Baia e tutti quei
preziosi avanzi della grandezza romana , e gli accenna
l'opinione in cui allora si era dell'insalubrità di quel-
r aria , ossia dell' infezione in tempo di stale. Baias
ego, dice, clarissimis viris Ioanne Barrili et Barbato me
comiiantibus , vidi: nulla mihi dics laetior ... vidinius
illuni hybernis mensibus pcramoenum simun, quem sol
aestivus, nisi fatlor, infestai. Nihil enim praeter opi-
nionem habeo; numqnam cnim me hic aestas reperit
( famil. ep. IV. lib. V. ). Onde si vede quale opinio-
ne avevasì a que' tempi dell' aria di Baia, aria infetta
da soli estivi, aria insalubre, che appariva lieta eda-
mena ne' mesi d' inverno, ma che non poteva , come
ne' tempi antichi, respirarsi liberamente nell'estate. Se
dunque dal fin qui detto si osserva che il soggiorno
di Baia al principio del sesto secolo era ancor pre-
giatissimo per le delizie del luogo e per la salubrità
dell' aria , che alla fine di quel secolo ed al principio
del settimo incominciava bensì a spopolarsi , ma non
ancora se ne considerava l'aria insalubre, che nell'
ottavo secolo, e nel nono non si parla che d'incendi,
desertazioni, e rovine , che nel decimo si presentava
tutto quel terreno come abbandonato da' coltivatori ,
e che rcndevasi oppresso da bronchi e vepri, e che io
somma di tutti que' secoli non ci si parano avanti che
abbandonamenli e desolazioni, e che poi il Petrarca
nel secolo XIV ci parla di quel seno per comune o-
pinione riputato insalubre, e come luogo d'aria in-
festata da' soli estivi, quale è poi seguitata a riputarsi
finora , parmi che possiamo con qualche fondamento
pensare , che appunto ne' secoli nono, e decimo ces-
sasse d'essere salubre l'aria di Baia.
Questa infezione dell'aria quale era nel secolo XIV
sembra che sia di poi costantemente continuata, con-
tinuando sempre la medesima spopolazione.
Il Biondo nel secolo XV, e nel principio del XIV
Leandro Alberti ci descrivono lungamente tutti quei '
paesi, che minutamente per vari giorni esaminarono,
e quanto lodano la grandiosità degli avanzi degli an-
tichi edifizi , la bellezza delle vedute, l' amenità delle
situazioni , altrettanto ne piangono l' abbandono e la
deserzione. Il Guicciardini più positivamente ci descri-
ve neir anno 1498 nel libro terzo della sua storiagli
effetti della cattiva aria di Baia e di quel littoralefino
a Pozzuolo ; perchè dice che scacciati da Napoh per
opera di Gonsalvo Cordova i Francesi , questi furono
condotti a Baia, simulando Ferdinando di volergli la-
sciar partire, dove sotto colore che non fossero a ordine
i legni per imbarcargli , furono sopratlenuti tanto, che
sparsi tra Baia, e Pozzuolo per la mal aria , e per
molle incomodità cominciarono a infermarsi talmente,
che Montpensiei'i morì, e del resto della sua gente ch'e-
rano più di cinquemila, ne mancarono tanti , che ap-
pena se ne condussero cinquecento salvi in Francia.
Per lo contrario fa meraviglia che al tempo mede-
simo il Pontano scrive con tanto trasporto in sì ripe-
tute poesie a sì diverse persone cantando lodi di Baia.
Qui il p, Andres si ferma a dimostrare che i versi
del Pontano, lungi dal riferirsi alla salubrità dell'aria
di Baia, non altro provano se non che V uso de bagni
di Baia a queir epoca , ed i pericolosi divertimenti the
— 79-
provcnivano ilal concorso di moìia gente in quc siti.
Poi prosegue :
Ma r uso (le bagni soguilava anche al tempo del
Petrarca: e quando per comune opinione era riputata
infetta quell'aria, i bagni erano frerpientati dn'piÌMi-
cini. Vidi rupes, dice, undique li(pinrcm saluherriniiim
stillantes, el cimciis olim morhorum gemribus omnipa-
rentis naiurae numera adhihita post mrdicorum inci-
diam, ut memoranl, confusa baìnca, ad cpiae (amen nunc
ctiam finilimis urhibus ingcns omnis sexus aelatisquc
concursus est. Ancor dopo il tempo del Fontano è sa-
puto r uso de' bagni, perchè il Capaccio al principio
del secolo XVII dice che i medici al suo tempo ordi-
navano i bagni di Baia, sebbene soggiunge, ch'egli
non gli ha veduti profittare ad alcuno. Medici hoc
tempore ... cum nihil reliqui liabeanl medendis corpo-
ribus, vel cum rcipsa ìgnorent quo morbi genere aegri
sint a/fecti, ad aquas Baianas cos rejiciunl, quas ne-
mini unquam prodesse cognovi.
Ma il portarsi di alcuni ai bagni al tempo del Pe-
trarca , e del Fontano , e ancora mollo di poi , non
pruova la salubrità dell' aria , né ha potuto riparare
la vaghezza de' signori non dico Romani , ma né an-
che de' più vicini Napolitani a riedificare que' paesi ,
ed a cercare di formare in que' luoghi anche villeg-
giature, come le avevano gli antichi. Leandro Alberti,
che pochi anni dopo il Fontano nel 1 326 visitò per più
giorni distintamente que' luoghi, e ne descrive minu-
tamente tutti i rimasugh dell' antichità, ne piange da
per tutto le rovine , e la desolazione , non dà mai il
menomo cenno ne di pensieri di riedificazione , nò di
miglioramento dell' aria. Tanti scrittori Napolitani
hanno scritto lungamente di que' paesi , e nessuno ci
dà argomento di poter credere che al tempo del Fon-
tano vi si respirasse un' aria migliore.
Onde possiamo dire che non più servono a provare
la salubrità di Baia ne'tempi moderni gli scherzi poetici
del Fontano , che gli epistolari di Cicerone la sua in-
salubrità negli antichi, e conchiudere che l'aria di Baia
salutevole per tanti secoli cessò d' esserlo nel nono ,
nel decimo, né più ha riacquistala la sua lodata sa-
lubrità.
p. Giovanni Andres d.c.d.g.
lietisione della lapida di Campo Marino.
11 mio eh. amico sig. D. Luigi Marchesani, non^'-
nato in questi fogli altre volte, ne invia ora una esalfa
revisione della lapida di Campo Marino [tulililicata da
me sull'apografo comunicato d il eh. C:iraba(Vedi
questo bidl. un. l. p. 1 80 ). Le dilT^-renze che ne ri-
sultano sono. lu tutta la iscrizione la lettera Tcomu-
oemente si eleva sulle altre. Nel v. 2. legge CON-
PllOMISSO- - il V. 3. finisce in PROCVìVaTO- il
v.4. comincia REM- e legge assolutamente PAQV'IV.M
la voce VTRISQVE è divisa tra il verso 3. e 6. V-
TRISQ • - In fine del 6. l'M è assai più piccola delle
altre lettere-v. 8. IIISTONIENSIV.'U- v, 10. La pie-
tra è rolla in due parli a traverso , onde son perife
alcune parti di lettere nelle linee IO, li, 12, 13, che
per altro son ben supplite nel primo apografo- v. 16.
legge CIET • TIT V 1 A L ACCILLAM : onde resta
confermata HERIANICI , e sorge una TlTVJIAm
FLACCILLAIM, che è la Proauctor di Tillio Sassio.
-V. 17. VELLANIAE corretto, e confermato -v. 21.
PIGEREI in luogo di ERIGEREI. - Questa revi-
sione ritiene APFAREF al v. 18, SCRIIVS al 26,
COMMVNEM al 27. lulta la leggenda è chiusa da
cornice, e la linea 32 è scritta su di essa in caratteri
più piccoli. Riportasi qui soltanto • • • M ERECIAM
FALVM AB EODEM GALLO, e par che la seconda
parte di tutta 1' iscrizione fosse parimenti chiusa in
cornice : onde io mi persuado, che colla voce GALLO
debba esser finito interamente il senso del periodo ,
ossia del documento estratto dal libello , nel quale si
era registrato l'atto della prima limitazione. Appari-
scono finalmente i punti in fine dei versi 2 , 7 , 9 >
10, 13, 17, 18, 20, 27, 28.
Gaurccci.
Del Palatium e dello stagnum di 31amca in Baia.
Nelle mie osservazioni intorno all' articolo del cav.
de Rossi ho dato ad alcuni versi di Giovenale un sen-
so, che nel conlesto non può ammettere (bullett. an.
L p. 136). Or dichiarando questo sbaglio son con-
tento di compensarlo in ammenda cou uu passo di Lam-
— 80-
priJio citalo dall' Antlres nella sua disseriazione « sul-
r aria di Baia » , dal quale ci viene spiegato il PA-
LACI V e lo STAGNV della carafina di vetro illustrata
dal de Rossi. Dice Lampridio, che Severo Alessandro
in 3Ialrcm unice plus in Baiano le fabbricò un Pala-
tìum cum slagno, qiiod Mammaeae nomine ìtodieque
ccnselur. L'altro stagnum notato sulla carafina potreb-
be essere uno di quei tanti, che Lampridio dice essersi
da lui fatti per i suoi congiunti slagna stupenda ad-
misso mari. Sarà dunque ivi il Palalium Mamaeae,e
lo stagnum, inoltre un altro stagnum che non hanno
che fare né col lago d'Agnano, né col Lucrino o coli'
Averno , né colla palude Acherusia. Garrucci.
Iscrizioni latine, continuazione del n. 51.
11. PARIES • LATERIG
COMMVMS • SOLVM
INTERDVOS PARIETES
IVLI • GELSI
Fu scoperta agli albereti di S. Vittorino , e tra-
sportata dipoi in S. Vittorino , ove ne trasse copia il
lodato mio amico sig. Leosini. Nell'ultimo viaggio
r ho riveduta ancor io , riconoscendo esattissimo al
solito r apografo del Leosini. Sul paries communis v.
fa 1. 52. §. 13. D. prò socio, e la 1. 4. D. de Ser-
vilute locata etc.
12. LARIB • D • D • ROMANO
MORE • DEDICATA
Frammento di ara trascrittomi dal prelodato sig.
Leosini.
13. DIVINAE • INDOLI
AC VENEUANDAE
PROSAPIA E D\ FL
IVLIO CKIS//// BEA
T I S S I M 0 AC
NOBILISSIMO
C A E S iV R I
NONIVS VERVS
ve CORR APVLIAE
ET CALABRIAE
Appartiene all' antica Eclano questo slngolar mo-
numento, che mi son copiato fuori di Mirabella , ed
è da riporre tra le rarissime memorie di questo prin-
cipe ( v. le mie Iscrizioni antiche di Salerno p. 21 s. ).
14. ORBEM TERRAE
ROMANO NOMIN
I SVBIVGANTI
DOMINO NOSTRO
FÉ CONSTANTIO PIO
FELICIS IMPER
AVG AVG
ANNIVS ANTIO
CIIVS VP- CORR
MI ■ ETAL • SEiNA
VS
Avea dunque ragione il Guarini quando scriveva
cippum aeclanensem adirne extare Aeclani , ibi se eum
ad fastidium usque lecliuisse, tilulum Musei Borbonici
ah hoc dicersum esse. Il sig. Mommsen noi credette ,
ma ora potrà contestarlo il sig. Brunn , che dopo di
me lo ha copiato in Mirabella davanti al palazzo Ferri
accanto allo spedale. A scioglier l'enimma dei due
piedistalli riferenti lo stesso titolo con solo la differen-
za che il nostro é intero , ed inoltre è sbagliato in più
di un luogo terminando collo strano MIETAL- SE-
MA VS, io mi persuado , che quando fu necessario
rimuovere il primo piedestallo perchè rotto, per so-
slituirvene uno intero , si dovette ordinare allo scar-
pellino , che vi copiasse in questo secondo la iscrizione
del primo , e che costui lo eseguisse così material-
mente , siccome vediamo, interpretando male gli a-
vanzi di apVL , e commettendo lo sbaglio di FÉ per
FL alla Un. 5, di FELICIS IMPER per FELICI SEM-
PER alla 6 , e tralasciando la C del GAL nella 1 0 ;
ove pure trasportò il SEM in SEMA per una casual
linea che si vede nell'M di quella prima, siccome
feci notare anche al Brunn, e non sapendo poi sup-
plire per devot davanti all' VS della linea 1 1 .
Garrucci.
GiCLio Mi.NERVi.M — Editore.
Tipografia di Giuseppe Càtaneo.
BUllETimO ARCHEOIOCICO MPOIITAXO.
NUOVA SERIE
N." 35. (11. dell'anno IL) Dicembre 1853.
■ -
Fotografia in Pompei. — Iscrizioni Pompeiane. — Vaso della collezione Jatla in Ravo ; spiegazione della tav.
IV. del 2. anno del bidletlino. — Iscrizioni latine.
Fotografia in Pompei. Accademia Ercolanesc, una serie di preziosi disej?ni,
i quali saranno sovente da riputarsi come originali.
Il perfezionamenlo, a cui si sonoda pocotempori- Qncsle riproduzioni pertanto non impediranno che
dolli i processi fotograOci,e specialmente la facilità di de'più interessanti dipinti si facciano o i disegni a con-
ottenere sulla carta i disegni degli oggetti, delle fabbri- torni, o i lucidi a colori da'valenti disegnatori di Foni-
che, e delle pitture, ha dato all'attuale eh. direttore del pei. Allorché sia conceduto dalla permanenza de' nio-
Real Museo e Soprantendeote Generale degli scavi di numenti , non può dubitarsi che il rendere in modo
antichità sig. principe di S. Giorgio, la felicissima idea esatto e ricercato la varietà delle tinte sia un lavoro di
di applicar la fotografia a riprodurre colla massima sol- somma importanza per tutti i riguardi. Comuni|ue
lecitudine le antichità della sepolta Pompei, le quali si sia; noi rileniamo che l'applicazione della fotogr.iha
mostrano giornalmente alla luce del sole. Per quanta alle scavazioni pompejane debba giudicarsi una inte-
diligenza si usi a conservarci cadenti ruderi, per quanto ressanlissima novità, che dovrà non poco allegrare i
studio si ponga a scavare a strali orizzontali ed in un cultori dell'archeologia. Quando se n'è fatto uso per
piano alquanto esteso, riusciva assolutamente impossi- aver delle vedute ritraenti l'insieme di una quantità di
bile conservare almeno alla scienza le parti su[)eriori edifìzii , non poteva prodursi agli sludii un qualun-
degli edifizii , che essendo quasi tutti crollanti si mo- que profitto; ma ora che quel processo è adoperato
strano incapaci di qualunque sostegno. Talvolta un in- per ottenere le riproduzioni di tutte le particolarità
teressante di|)ìn(o rimase distrutto col cader del muro, degne di essere studiate in ogni parte diciascimoedi-
sul quale vedevasi effigialo ; e sovente avemmo a de- fizio, non può negarsene la somma utilità. Perciò cre-
plorare la perdila dc'quadretti di paesaggi, odi svariati demmo nostro dovere il darne sollecita conoscenza
ornamenti, che trascurali da prima per eseguire i più a'Iettori del presente Imllellino , non solo perchè essi
importanti dipinti, non si prestarono iu seguito ades- gioissero di questa novella introduzione, ma allre>i per-
sere esattamente ritratti. Ma d'oggi innanzi non pò- che fosse tributala la meritata lode all'attuale Sopran-
trassi più verificare una simile perdita; percioccliè l'ani- tendente degli scavi, ed all' Eccel lentissimo sig. Prin-
miiiistrazionc della Beai Casa ha già curato l'acquisto cipe di Bisignano , a cui è commessa l'alta direzione
di un buono apparecchio fotografico , ed è slato già di questo importante ramo delle patrie antichità , i
affidalo l'incarico di prendere i disegni all'egregio in- quali non lasciano di promuovere i mezzi più oppor-
gegnere locale di Pompei sig. Campanella. Noi siamo tuni per rendere profittevoli agli archeologici sludii ì
sicuri che la diligenza di ipieslo solerte impie;;ato non maravigliosi tesori, che in tulli i giorni vengono fuori
farà perdere allo studio de'dolli alcuna di quelle par- dal suolo di queste beale couliade , che nierilano di
ticolaiità , le quali poche ore dopo la loro scoverla essere denominate la patria dell'archeologia,
alle volte svaniscimo : ed in tal modo sarà presentato
alle ricerche degli eruditi, e segualamenle della reale MiNtiMM.
àm.\u 11. 1 1
— 82
Iscrizioni Pompeiane.
Le pareti delle case pompeiane ci hanno conser-
valo parecchie leggende quale a carbone, quale a graf-
fito, ed in svariate forme di carattere , di che alcuna
cosa si conosce per le dotte pubblicazioni dell' Avel-
lino, e del Miuervini nel Bullettino Archeologico Na-
politano. Queste, che verrò qui esponendo e diluci-
dando, comparvero nella escavazione del Settembre
1849 su due pareli di una stanzina terrena posta a
destra di chi va, alla porta nolana poco prima di ar-
rivare alla via, che va alla porta stabiaua di recente
scoperta. L'intonaco, su cui erano scritte, cadde pochi
giorni dopo ; onde non se ne ha verun' altra copia ,
che questa. Io le verrò dichiarando per ordine, e co-
mincio dalla più curiosa.
l\h immaginetla N
in un cerchio INAIA
IL LA DUE SATV
ORA SECV
Vili NON AV
Vedi la nostra tavola Vili n. 1.
Era ella tracciata col carbone , maniera che sape-
vamo di già essersi usala dagli antichi , perlocchè so-
glionsi citare le parole di Plauto: Impleantur meae fo-
res elogiorum carbonibus. Un secondo esempio fu già
allegato dal Tiolz nelle note ad Hermann Hugo [De
prima scribendi orig. p. 79 ) , che lo trovò nell' epi-
gramma 61 del L. XII di Marziale, ove al v. 9 dice:
Qui carbone rudi pulrique creta scribil carmina : ed
un terzo ci proverrebbe da Catullo, se Martin de Roa
ha ben corretto quel passo ove leggevasi , namque
tolius vobis frontem tabernae scipionibus scribam , in-
•roducendosi titionibus in luogo di scipionibus (de
Roa, Singul. locorum ac rerum L. VI. p. 196). La
qual correzione del de Roa piacque anchcaRudgero
Hermanno , che la riporta nelle noie critiche al glos-
sario petroniano (Pelron. Arbitr. Amslel. 1069, Bour-
delol). Il Doering (ad Calulli Carni. 37, 10), ed il
Bothe ( Plaut. Mere. Il, 3, 74) credono, che debba
interpretarsi praeuslis scipionibus, bacillis semiuslis.
Anche Orazio fu menzione del carbone per dipingere
sulle pareti le pugno gladiatorie (li, 7, 96 segg. ) :
Qui peeeas minus alque ego eum Fulvi, Rutuhiqut,
Aul Placideiani contento popìiie miror
Praelia rubrica pietà aut carbone , velut si
Recera pitgnent, ferianl, vitentque movenles
Arma viri.
Nuo'vo è il diminutivo luvenilla, che potrebbe ri-
putarsi il nome della fanciullina al pari di Dignilla
Feslilla, Domililla, Gralilla, Nepotilla ed altri, ovvero
essere nume appellativo nel semplice significalo di jw-
pa , pupilla, ( lo scambio del iuvenis col puer e vice-
versa è slato dimostrato da allri ) , ed in questo caso
r epigrafe procederebbe alla maniera di quella , che
si legge in Petronio : Piane interpellavit sallationisli-
bidinem actuarius , qui tamquam urbis acta recilavit.
VII Kal. Scxtiles in pracdio cumano quod est Trimal-
chionis nati sunt pueri XXX puellae XL ; dal quale
opporl unissimo esempio il luvenilla nata die salumi
ora sccunda vespertina UH Non. Aug. non differisce
in verun modo.
Le note cronologiche, come ognun vede, non sono
sufficienli a determinare l'anno di sua nascila, man-
cando la nolizia della luna corrente, ma si può con-
ghiellurare che non si allontani mollo dalla ultima
ruiua di Pompei, dovendosi tenere scritta la leggenda
dopo il 746, nel quale il mese sestile si chiamò Au-
gusto. Quanto alla ortografia , che è generalmente
corretta nei graffili pompeiani, osservasi in questo di-
pinto un solo V nel IVENILLA , che vi fa anche le
veci del V consonante. Così IVENTVS scrivevasi ai
tempi stessi di Augusto, e VIVNT per VIVVNT. Chi
ne cerca gli esempii, anche dei buoni tempi, li troverà
raccolti dal Marini , e ne ho dello alcuna cosa ancor
io nella storia d'Isernia. Più curioso, e non osservato
è il costume di adoperare la doppia II nella voce DUE
e non invece della E, che si ritiene maniera osca dai
dotti, ma della semplice I vocale. Leggesi cosi scritto
POMPEIIANA nella leggenda pompeiana ABIAT
VENERE POMPEIIANA IRATAM QVI HOC LAE-
•SAERIT, in M. MAIIVS AR graffilo nell'anfiteatro
pompeiano, in ESVREIIS ET ME CELAS di ghian-
da missile del Chircheriano , in LI)- INO EN VHS
QVI AD SVBFRAGIA DESCENDVNT di lamina
inedita delio slesso Museo. Nel peristilio di Pompei,
— 83 -
• che ho altrove dimostrato essere il ludus gìadiatoriut alfabeti aveva di già copiati , Irai quali importa la co-
(v. questo Bullell. an.I.p.98 s.) lessi ARMATVKIIS, noscenza di due impressi sulla calce ancor fresca.Veg-
che taluno forse amerà meglio di richiamare all'osci- gonsi sottoposti l'uno all'altro in duo ri"he colla sin-
smo della E per 1, siccome in PVGNABIIT di graffito golnrilà the il secondi^ va da destra a sinistra appunto
letto già dal comm. Avellino. tome 1" use o. In ambedue gli 'ev|.i>.ò> e i iTyi^ sono
Seguiva nella stessa parete il nome di un tal Natale lunati, e V Ùjijlìjx è della forma riputata corsiva. Nel
scritto con alfabeto misto (tav.VIII.n.2) NATALIOC, secondo v'è dippiù da osservare, che l'antico scrittore,
nel quale alla greca desinenza, ed al C lunato vedesi provatosi ad un esperimento Inlln tnio>o |ier lui di ri-
congiunto l'L latino. Leggevasi appresso latinamente voltare a sinistra la forma delle lettere, non vi riusci
(tav.YIH.n.3) NATALIS, e(lav.VIII.u.i)NA'rALYS pienamente. Perocché tranne il B, la E, lo H e 1 C,
proveniente da corrotta pronunzia , o forse da scor- lasciò rivolti a destri il V, lo Z, il K, e di i)iii invertì
rezione dello scribente , come in altro luogo lessi l'ordine di qualcuna, collorando il I dopo il K,e IO
MARTALIS certo per MAUTIALIS. Seguiva con lei- dopo il li, e dimenticò adatto il I*. La figura dell'UJ
tere assai più grandi (tav.VIII.n.5) SV.WIS e sotto- riputata corsiva vedesi qui in un alfabeto regolarissi-
posto il numero XV, poi un fallo graffito, e disotto nio e quadrato. E siccome può supporsi ragionevol-
(fav.VlIl.n.O) niNYTOS con lettere greche, ma 1' S menie autore di questo graffilo qualche giovane, che lo
finale di corsivo latino. Vedevasi dipoi ben disegnata apprendesse alla scuola, avremo anche rilevato quali
una tromha ricurva di quella medesima figura che nei esempii si proponessero nelle scuole pompeiane dai
monumenti antichi, ed in Ponqiei stesso osservasi già grammatici che v'insegnavano il greco, ed inoltre una
suir intonaco dipinto del podio dell'anfiteatro in mano curiosa conferma dell'anlirbilà di nn uso osservalo an-
ad un cuniicen dei giuochi gladialorii. Disotto a que-
sta tromba (lav.VIlI.n.T) IIQVILLVS colla ortogra-
fia della li per E, che fa bel riscontro al /in-ai ///a no-
tato di sopra. Ambedue queste voci vengono ad ar-
ricchire la lingua latina , the par si pincesse di due
forme in VLVS ed in ILLVS , la prima delle quali
significò in origine derivazione di vocahcdo, siccome
vedesi in Aequiinh($ , in Saliculus, in Apulus.'m Pac-
che ai tempi di S. Girolamo, il quale, come ben os-
serva il eh. .\h. Cavedoni , ricorda , che , apud nos
Graecum aìphahelum nsquead novissimam litleramper
ordinem Icfjitttr, hoc esl ALPHA, BETA el celerà, u<que
ad li; riusumque, proplcr meiì)oìiainparvHlorum,^o^
lemus leclionis ordiitem invcrlere (Comm. in lerem. e.
XXV', 26): e forse la trasposizione di qualche lettera
potrà essere accaduta per l'uso medesimo, che si aveva,
dicidus: appresso usurpossi comunemente nel senso che ipse iuler se ardo ci ebrc lurbalur (Ep. GVII, \.).
diminutivo, che ebbe quindi due uscite: cosi Procidus
e Procillus (il Procillus ha nuovo esempio tra i gniffiti
nella leggenda PHOCILLVS ET lACINTVS PRIN
APVLEi), Nepolulus trova il Nepolìllus in una lapida
diFrigento edita dal Guarini (Comment. Xli. p.27),
il Lupuhis guadagna Lupillus per una iscrizione da me
copiata in Vinchiaturo presso Campobasso. Lascio di
paragonare Calulus e Catillus, Regulus e Regillus, O-
ricula ed OricUla, Vasculum e Vascillum, Furcula e
Furcilla.Oscuhtm ed Oscillum.Crusculum cCruscillum,
Tusndus e Tuscillus, Pitpidus e Pupillus, Curculum e
Corcillum, e cento altri più ovvii. Conteneva lo stesso
intonaco una parte di alfabeto greco, che ci siècon-
Difatli fra le iscrizioni greche copiate da me, che
son ben numerose coH'C e col C hitialo vedesi intro-
dotto r 00 di questa stessa forma. Il signor Franz ha
scritto che queste lettere sian passale nell'alfabeto <pia-
drato ex scriplura cursivae simili {E\om. Epigr. Graec.
p. 232), e ne ha citati gli esempii più antichi dai pa-
piri, e dai monumenti di Egitto, Nei papiri di Erco-
lano vedesi il C e € lunati col piccolo 00. Se facesse
ancora uopo alcun argomento per provar spuria l'è»
pigrafe di Ercolano , di cui si tenne tanto conto dai
letterati e per tanto tenq)o , dovrebbe esser queslo ,
che si ricava dai graffili in greca lingua, che ci assi-
curano del vero alfabelo usato in queste città greche
servato, e procede dall' A al A (tav. VllLn.8). Altri nei primi tempi dell'impero,
— 8i -
Nella opposta parete, oKre due graffiti rapprcsen-
lanli un cavallo ed una protome giovanile, leggevasi
ripetuto (tav.VIH.n.9) DADOMENEIS, (tav.VIU.n.
10) DADOMENES CV, poi (tav VllI.n.1 1) MNCTOC
mancante della €, e gl'inconiinciamenli di parole ((av.
VIlI.n.l2) AIA, (tav.VIU.n. 13) CPMI, ft.VIII.n.U)
KHP H, (tav. Vili. n. 15) APRA, (tav. VIII. n. 16)
NAYR , e quattro lettere del greco alfabeto disposte
in due righe che vanno da destra a sinistra tuttocchè
ivo Ite a destra ( tav. Vili. n. 17. ) B A. In tutte
(lueste leggende scoprcsi un misto di alfabeti greco e
latino, lo che trova altri esempii nelle iscrizioni delle
case pompeiane. 11 nome Diulomeneis o Dadomencs
sembra equivalere ad una forma di greco genitivo, es-
sendo anche altrove TEI adoperato per E siccome
nella voce AL///XSander AMPlTlElATRum. Chi ne
cerca la ragione , la dimandi a Prisciano che scrive :
Sunt affines E coirepta sice producla cum EI diphthon-
go , qua veleres Ialini ulebanlur ubique loco I longae.
Dadomenes adunque cognome grecanico, avendo la sua
radice in c)ac)o'v, confermerebbe l'uso di trascurare il
lr7)r% muto nello scrivere e nella pronunzia passata
dai Greci ai Latini, i quali ritennero dai primi così il
Dadumemis come il Dadurlius. È una singolarità la
desinenza della seconda in ES, né, per quanto so, altro
esempio più antico se ne era citato finora , se non 1'
ABELES, e neppur sicuro si, che altri non vi sospet-
tasse un genitivo della terza (Bull. Inst. 1844, p. IG.3).
E poi chiaramente della seconda CO.MPSES di una
lapida chiusina (Bull. Inst. 1833, p.49), ma più con-
cludente al nostro proposito l'ARMATVRIIS di pom-
peiano graffito, nel quale non vedi un nome greco, che
ritiene la nativa desinenza nel latino , ma un nome
puramente latino, che veste desinenza greca. Laqual
forma di genitivo erasi così propagata, che l' S vedesì
aggiunto ancora ai nomi latinamente terminati in AE,
come in MIWAES di epigrafe ben antica, appartenen-
do al 741 (Orelli, 2SG3j, ed ai medesimi tempi au-
gustei in OCREAES del Chircheriano , in AEQVf-
TIAES, in CORNEEIAES, in COMIXIAES, in IV-
LIAES di lapidi, o grafliti; o bolli pompeiani, e così
in una Chircheriana 1' una e l'altra desinenza si con-
giunge nei nomi di Alia Sinda, /««oni/ SINDIIS .\.-
IIAIIS / SYMIiSTOR / CIIL.VTOK.
Ammessa una volta la desinenza ES al genitivo, fu «
agevole passare ad una sua modifica in EIS, e scrivere
U.VDOMENEIS: perché finnlmonle, come da un no-
minativo in A si deriva il genitivo in AI (AE), così
(/a un nominativo in E può derivarsi un genitivo in
EI. Ma di ciò ho detto altrove, ed attendo di sentire
ciò che ad altri ne parrà , siccome di ci^, che scrissi
intorno al POMONIS della lapida salernitana di Tet-
lieno Felice, opinando, che tal voce non sia un plu-
rale indicante secondo alcuni le dee Pomone, che non
leggonsi in verun altro antico monumento o scrittore,
secondo altri i Festoni significato , che manca egual-
mente di confronto, oltre al ripugnare all'intelligenza
della epigrafe, e ciò che è gravissimo , alla legge te-
stamentaria del legato, nel quale Teltieno determinava
l'uso del denaro al podio, ai pavimenti di marmo, all'
intonaco , ed al fastigio doralo. Invece credo che sia
messo in luogo di POMONES ( PO.MONEIS) greca-
mente appunto come Dadomenes , DMlomeneiì,-.
Seguivano sulla parete (tav.VIU.n. 18) CALANI-
KIIX, (tav.VIU.n. 19) IIIOC NIIVOS , (lav.VIII.n.
20) CAIIIVS, (tav. Vili. n. 21) AIOC. Dal Cala-
ytxry (1) in luogo di KxWiviar^v intendesi qual fosse
la corruzione del greco linguaggio nelle terre degli
Osci ( cf. r Anonim. delle Ephem. Claudii Thusci :
'OTTix^y !P'xt]y ovo|txxT6r|>*i vore , s'i rj? x%t oTrixi^uv ,
X'x] Mi tÒ ttXt.OoS ò^pixi^iiv, ri fiixp^xpt^uv ol 'Irx-
Xc/ X/ys^Tiv. Perciò un cattivo scrittore in greca lin-
gua chiamavasi Opico. Epistolam mairi luae scripsi ,
quae mea impudenlia est, graece, scrive a M. Aurelio
Cornelio Frontone , tu prior lege, et si quis insil bar-
barismus.. corrige. ..nolo enim me mater tua ut opictim
condemnel (Fronto ad M. Aurei. L. II. 1): e M.Au-
relio a lui sugU stessi sensi, ^jrraeca/iierafuraaòsum;
igilur parce me opicum animanlem ad graecam scri-
ptuinm pcrpukrunt homines,ul Caecilius ail, incolumi
inscientia (op. cit. ep. 9). I due nomi IIIOC MIVOS
appartengono ad un solo , siccome si argomenta dall'
essere slati scritti unitamente, lo che non si \ede ne-
gli altri nomi che stanno da se. Di "Hi'ob, se deve cre-
dersi nome di famigha, ha raccolti gli esenqn il th.
sig. .Minervini.e'l sig. ab. Cavedoni (Bull. Napol.lV.
(lì Negli specchi flijlc tombe elrusche. Ercole è comunemente
appollaio CALA.M(.E.
— 83 —
■ p.Sl.V. p.Gfl), ai quali aggimifjo nn C- ITEIVSPRl-
I\1VS trovato in Porlogallo dui Miiiilor (Ordii ;i0'i7).
In Pompei sarcbbo nuovo, perocciiè CNIIKIVMSA-
BINVM proviene da una fiilsa lezione , essendo ivi
siecome in tredici e più pro^^raninii , coiiia'i da me
dalle pareli pompeiane, roslanleniente C\ HtlLVIVM
SABIW.M. Il Oiiarini ne ha già correKo lo sl)a;ilio
nei suoi Fasli duumvirali a p. 120. Taluni hanno di-
chiarato osco il nome ElVS , ma gli esempi allegali
sono in greca lingua, e si sa che ad Apollo saetlalore
diessi l'epilelo y'iio;, che l'climologico inlerprela ro^u-
Tr^s , rrJijiX'ii , ovvero sTraivos ( Etymol. RI. v. oìiyos).
11 NHVOS parmi invece corrisponda al Ialino NAE-
VVS, ed essere cognome di Eiìis. Dopo quesle parole
leggevasi a desira CAIIIVS , parmi CAEIVS e(]ui-
valente a CEIVS nel dialetto pompeiano, secondo ciò,
che ho di sopra osservalo. AlOC può credersi greco
"Aibs , e non allrimenii che Eiuì nome anche di fa-
miglia , che scrivesi lalvolla con aspirata AlIIA ; e
ne ho dali gli esempi nelle iscrizioni d' Isernia.
Sulla parete della stanza , che intromette a quest'
ultima escavazione, ed appartiene alla casa medesima
erano già da più anni altre leggende , che io qui sog-
giungo, perchè valgono a farci intendere meglio da
quali padroni, e di che ci vii coltura, fosse abilala. Que-
ste osservazioni mulliplicate possono (e chi ne dubila?)
giovare mirabilmente a risolvere quislioni più inlri-
cate di einografla, che rilevano assai più degli studii
paleografici , e lapidarii.
Nella prima leggenda (tav.VIII.n.22) troviamo il
primo esempio di un greco latinizzante; lo che ci viene
mollo bene a proposilo per rilevare che un greco
nato vi abilava. ETrspacrros, siccome A'bnjus(lav.VIlI
n.23), Clumenus (lav.Vni.n.2'i-), ed \ix7nori-i\ (tav.
VIII n.25) sono nomi proprii. Ad un K^os (t. Vin.n.2C)
in dialetto Knii, onde il vocativo Kòi e per iotacismo
K/>:(, mandasi un imprecazione in due lingue e in due
alfabe'.i K(v=i to^X; ni. 11 ropXòì è messo per Ti/?XÒ^ ,
appunto come Dadomme per Dadmnene. Due altre
parole leggonsi di poi lasciale mozze 7rpyxr,^|/ (tav.
VIII.n.27), ed Vndccumus, (lav,VllI.n.28), ed è no-
tabile r arcaismo coskialemente osservato in questa
cnsa in SepUunas, Dccumus , Clumenm, ed Undecu-
HMC!, siccome il mancar della N in Kx'>.-Ì'x.?. L'uso
del V arcaico nelle voci venule dui greco è assai raro
in Pompei, ove horaccollounaC/t/Hiciir, un .ì/«i;ìiìuj,
un Polucarpus, un Surus. L' ultima leggenda in mal
formalo corsivo pare debba inlerprelarsi /i/iyims.lius
( (av. Vili. nnm. 29.), e se è da riferirsi al ciclo
eroico, accenna ad .\iace Oileo, del (piale i poeti par-
lano nel senso medesimo. Virgilio nomina Noxani
Aiacia Oiìei (Aen. I. 41), ed Orazio ricorila Tmpiam
Aiacis ralcm ( E|). I, od. 10), che essendo detto fi-
guralamenle (|)er Ilvpallage) in luogo di Fmini Aia-
cis ralem, ci mostra la erudizione del giovinetto pom-
peiano che lo sciisse. Delle migliori poesie Ialine di
Virgilio, di Ovidio, di Properzio si eran trovali finora
alcuni esempii , alili ne ho raccolto ancor io, e son
folli dalla Eneide e dalla Bucolica. Sopra di un peso
m pietra Irovossi scolpito PO.\-XX , e quesla ortc-
grafia non ha volgari esempli in Pompei, siccome co-
munemente si oj)iua, perocché mi sono occorsi sinora
ATIACRITA, che sembra scritto per Adiacrita, e CA-
UlIDV^M che sta per Cliarilum.
Garrucci.
Taso della collezione Jalla in Ravo; spiegazione di-lln
tav. IV del iJ. anno del bullellino.
Noi gi<à nel primo anno di queslo bulieilioo ( tav.
X) pubblicammo un bellissimo vaso nolano, rappre-
sentante la pugna di Ercole colle Amazzoni , con al-
cune particolarilà, che richiamavano l' attenzione de-
fili archeologi. Non meno inleressante riesce il vaso,
che abbiamo dato nella tav. IV di queslo secondo anno,
abbenchè di epoca più recente, e di fabbrica a[)pula.
Appartiene esso alla insigne raccolta de' signori Jat'.a
di Ruvo, la quale tuttavia si conserva intatta a decoro
di quella famiglia, e di quella celebre regione che dio
fuori tanti preziosi monumenti , i quali bastano a co-
stituire un ricchissimo museo.
Ci riserbiamo di entrare in più minuta discussione
sul bellissimo monumento , di che stiamo ragionan-
do , allorché sarà da noi pubblicala la uostra mono-
— 86 —
grafìa sopra Ercole e le Amazzoni , della quale spe-
riam di compir la lettura nel vegnente anno alla reale
Accademia Ercolanese. Ora ci contenteremo di darne
una brevissima dichiarazione.
Non ci sembra da dubitare che i due ordini di fi-
gure appartengono ad una medesima composizione ,
la (in.nle presenta cinque distinti gruppi di combatten-
ti. Nell'ordine superiore vedesi Ercole ,. il quale in-
nalza la nodosa clava, per abbattere sotto i suoi colpi
la regina delle Amazzoni Ippolita; mentre nel medesi-
mo ordmc, e nell'inferiore, quattro degli eroi, che lo
accompagnarono a quella spedizione , veggonsi alle
prese con altre guerriere donzelle. A noi sembra si-
curo che sia rappresentala la pugna avvenuta al Ter-
modonte , quando Alcide ivi recossi per ottenere il
cinto da Ippolita , siccome eragli stato commesso da
Eurisleo. Le diverse tradizioni parlano di molti com-
pagni di Alcide : esse ricordano Jolao , Teseo , Tela- I
mone, Autolieo, Slenelo, Peleo, ed ;incbe toltigli Ar-
gonauti : è a queste narrazioni che si riferisce la pit-
tura del nostro vaso di Ruvo.
Nella prima parte di quella nostra monografia, noi
distinguemmo le tradizioni che parlano della morte
d' Ippolita da quelle altre che non fanno morire la re-
gina delle Amazzoni , le quali forse prendono origine
da' versi del poeta Agia di Trezcne, che rivestì di pa-
tetiche circostanze l'Amazzonica spedizione di Alcide.
Queste due classi di tradizioni trovano il loro con-
fronto ne' monumenti : e nel nostro è tale l' accani-
mento di Alcide nel percuotere colla tremenda sua
clava , che non sembra da dubitare esser la sua infe-
lice nemica prossima a cadere estinta a'piedi del vin-
citore. Sarebbe forse una troppo minuziosa ricerca ,
ove indagar si volessero i varii greci eroi che nel vaso
di Ruvo costituiscono l'armata di Alcide. Nondimeno,
ricordando una osservazione da noi f;itta , cioè the
quando si parla della morte d' Ippolita , si dice pur
Meianippe uccisa da Telamone (Schol. Pind. adA^eni.
od. IH. p. 274, Tzetz. ad Lycophr. 1327-1329), po-
tremmo probabilmente supporre che il gruppo più
prossimo ad Alcide sia appunto quello di Melanip-
pe e di Telamone. É ben conveniente che vcggasi Me-
liinippe combattere dal cavallo ; ed è parimenti se-
condo le idee dell' antichità che Telamone sia più vi-
cino ad Alcide , come quello che non distaccossi dal
fianco del figlio di Giove anche nella spedizione di
Troja , come si raccoglie dal notissimo luogo di Pin-
daro (Nein. III, 61-63 ). Ed a questo proposito mi
piace di osservare che non ha nessun dato di certezza
la opinione secondo la quale fu conghietturato chela
famosa statua detta il Gladiator combattente figuri Te-
lamone, che combatte con Melanippe. Che sia un guer-
riero a piedi, che combatte con altro a cavallo, sem-
bra probabilissimo , come han pensalo dopo l' Heyne
[Sawmlung antiquar. Aufsàize II p. 229 e s.), molli
altri archeologi , i quali veggonsi citati dal Millin
[mon. inéd. p. 371 e s.). Sembra anche probabile che
fosse di un'Amazzone la figura, che star dovea a ca-
vallo ; ma perchè dire il guerriero Telamone, e l'A-
mazzone Melanippe , e non piuttosto Teseo ed Ippo-
ita? La quale idea dovrebbe persuadere anche più
dopo il confronto del vaso Pourtalès. Al che si ag-
giunga che una particolare circostanza della spedizio-
ne di Ercole contro le Amazzoni non si presta ad
una perfetta composizione artistica : laddove il com-
battimento di Teseo coli' Amazzone Ippolita nell'At-
tica è un soggetto acconciamente scelto, e pienamente
determinato, da supporre che siasi voluto effigiare in
quel maraviglioso lavoro. Sul gladiator combattente
veggasi pure il dottissimo Welckcr ( Kunslmus. zu
Bonn p. 35 e seg.)
Tornando al vaso de'Signori Jalta non andrò inve-
stigando , se al guerriero coli' emblema di un astro
sullo scudo, possa darsi la denominazione di Teseo,
eroe a cui non mancano solari rapporti. E solo mi
piace di osservare che racconta .-Apollonio Rodio ciie
Stendo fu ferito da un dardo nelli pugna contro le
Amazzoni; il quale fu poi causa della sua morte (.4/ji.
II, 913-916 ). Ora il solo guerriero, che si vede nel
momento di esser saettato, è quello che scorgesi nel-
l'ordine inferiore pugnar coll'Amazzone adorna di tu-
nica stellata. Sicché non sarebbe fuor di proposito im-
maginare che Slenelo appunto dovesse in quell'eroe
ravvisarsi. Del resto l'Amazzone saettatrice è frequente
altresì nelle rappresentazioni della pugna di Teseo con-
tro Ippolita nell'Attica, e noi già dimostrammo avere
— 87 —
in quelle scene una diffcrenle significazione; giacché ci
parve di riconoscervi la sacltalrice Molpadia : e non
crediamo dover qui riferire le ragioni che a questa
conclusione ci condussero (vedi il hiUcU. ardi, napo-
litano del cav. Avellino an. I p. 70 e seg. ). Voglia-
mo ancora notare che la figura dell'Amazzone saet-
tante, nel vaso di che stiamo favellando, è mollo si-
mile per Io sforzo della sua posizione all' Amazzone
AEINOMAXII del vaso illustrato dal Visconti, sulla
quale son da leggere i dodi confronti citali da quello
insigne archeologo (vedi Panofka ca?>. Pourlal. p. 12).
Senza dar molto peso alle nostre conghietlure sulla
determinazione di alcune delle figure messe in com-
posizione nel vasculario dipinto di Ruvo, mi piace di
osservare che l'Amazzone a cavallo suonando la trom-
ba [luba dircela) vale a dinotar l'incitamento alla bat-
taglia solito a darsi col suono di quel rimbombante
islrumento. E ben conosciuto clie in somiglianti sce-
ne di contese e di pugne è frequente osservare lu me-
desima particolarità, e noi avemmo l'occasione di farne
l'avvertenza in questo stesso bulletlino [Y . sopra la
pag. 42).
Non entrerò a discorrere particolarmente delle va-
rie parti dello scitico costume delle Amazzoni.
Già lo slesso Visconti ne parlò dollamcnte nella
citata dissertazione fcah. Pourlal. p.lO, 11), dopo le
osservazioni del Boetliger [Vasenycmàld. Ili p. 173
segg.): altre osservazioni pur lesse alla reale Accade-
mia Ercolanese il eh. Sig. Comm. Quaranta , ed ora
ne ha pur ragionato di nuovo il eh. Sig. cav. Schulz
illustrando il magnifico vaso delie Amazzoni del real
museo Borbonico da lui splendidamente pubblicato
a colori (die Amazonen-Vase von Ruvo, pag. o e 6
Leipzig 1851 ). Soltanto non possiamo rilcuerci dal
fare qualche breve considerazione su' differenti em-
blemi che fregiano le amazzoniche pclte. Nell'ordine
inferiore l' Amazzone, che ha la tunica stellala , pre-
senta il lunato scudo adorno di un leone in contesa
con un cinghiale, ed intorno dodici stelle. Senza met-
ter da parte 1' astronomico significalo di questi orna-
menti, che ci sembra evidente anche nell'antagonismo
del lione , solare animale , col cinghiale simbolo in-
vernale (We'cker negli eiunali dell' hi. ìSii p.222);
è chiaro che quella contesa faccia allusione general-
mente alle feroci battaglie, allequah prendevano parte
le guerriere del Termodonte. Probabilmente lo stesso
simbolico gruppo vedesi pure sulla pelta dell'Amaz-
zone , che pugna con Ercole nell' ordine superiore ,
sebbene il cinghiale non apparisca nascosto dal braccio
d'Ippolita: ma quel eh' è più singolare è il vedere sul
medesimo scudo i due galli, che tra loro si azzuffano.
È ben conosciuto che da tempi remoti si facevano
presso i popoli greci queste gare di galli; or privata-
mente, ed or pubblicamente. Così furono istiluite pub-
bliche zuffe di galli in Atene ed in Pergamo; cosi pure
in Roma in tempi posteriori. Noi non ci arrestiamo a
citare le classiche autorità su questo particolare ; per-
ciocché sono stale tulle acconciamente raccolte da al-
tri, e segnatamente dal eh. Sig. Roulez (Milanges de
jìhilolog., d'iùsloire el d'antiqu. fase. IH, 1). Lo stesso
scrittore va ricordando varii monumenti che ci pre-
sentano un combattimento di galli: t;«li sono il bellis-
simo musaico scoverto nella casa così detta del Fauno
in Pom\ìCìfl)ullcll. deU'isl. 1836 p. 8) (1); un basso-
rilievo sepolcrale del Louvre (Visconti e Clarac descr.
des ant. du mus. roy. p. 107 n. 392); le medaglie di
Dardamis (Mionnet dcscr. voi. II p.654), e di Ophry-
nium (Id. sup. vol.V. p..^J78); varie pietre incise della
reale collezione di Berlino (Tòlken Gcmmemammlunij
p.3o2, n.82, 83; p.4I8 u.233,230, 237); un va.o
dipinto del museo imperiale di Vienna (Miiller/fant?-
buch §. 423 n. 3 p. 742 ed. Welcker); diverse pa-
tere volcenli (Gerhard rtJìKa/. dell' tal. 1831 p. l.'>8
n. 482; Berìins ani. Bildw. 1, p. 197 n. 023;;fralle
quali una da lui stesso osservala (2), e principalmente
un'altra di cui fa la pubblicazione. Un ultimo interes-
sante lavoro sul combattimento de'galli flluhncnhiim-
pfcj devesi al mio dottissimo amico signor professore
Jahn, il quale presenta pregevoli osservazioni su que-
sta classe di monumenti , aumenlandone ancora la e-
numerazione fAirltànl. licilrayc p. '137 e se^;. '. Non
trovo però dagli altri archeologi rammiritato il bel
musaico della collezione Santangelo, il quale è ceita-
(1) Ora pubblicale dal Ziihn Wand. 11, 50.
(2) È noi museo Gregoriano 11, 5, I . La descrizione del Roulez
ni rila di essere rellilicala; vedi Jabn arch BcUrage p U\ noi. i7.
— 88 —
mente un pezzo assai nolevole per arte , e che ci pro-
poniamo quando che sia di pubblicare.
Ora il nostro vaso di Ruvo viene ad accrescere il
numero de'monumenti che ritraggono pugne di galli;
se non che si dimostra la rappresentazione la più in-
teressante finora comparsa, perchè fregia un militare
ornamento di una pugna appartenente a tempi eroici;
laddove tutti gli altri monumenti finora conosciuti
alludono sempre a soggetti della vita comune , o a
funebre significato. Nel nostro vaso la pugna de' galli
sopra un militare arnese può accennare al fervore
delle battaglie ; e poiché i simboli degli scudi espri-
mono frequentemente qualche particolare idea o al-
lusione, non potendo questa altrimenti spiegarsi, vie-
ne ad esser confermato quel che da altri archeologi
fu sostenuto , che la presenza de' galli potesse accen-
nare allepalestrichegare(Gerhardanna/. dell' ht. \83l
p.l58 n. 482, Braun annal cil. 1840 p. 170). Non
voglio intanto tralasciare di fare un'altra avvertenza ;
ed è che il gallo è attributo di Marte "Apio, vìottÓs
(Aristoph. Av. v.834 seg. cf. ivi lo Scoliaste , e Lu-
ciano Somn. seu Gallus e. 3); sicché in simile allusio-
ne può esser considerato come emblema di uno scudo;
e forse ancora in particolare relazione con l'Amaz-
zone Ippolita, la quale per tutte le tradizioni era ri-
putala figliuola dello stesso Marte. Di altre osserva-
zioni , alle quali può dar luogo la nostra vascularia
pittura, ci riserbiamo di dire altrove più estesamente.
MjNERVlJil.
hcrizioni latine.
Il signor Nicrola Falcone ci forni le copie di alcu-
ne beri/ioni da lui medesimo osservale in CaUio Ma-
gno, tenimeato di 5. Bartolomeo in Caldo, provincia
di Capitanala; e poiché ci permise gentilmente di farne
la pubblicazione (1), non sarà discaro il vederle in
I; Il signor Falcone publilicherà di nuovo queste Ire iscrizioni
ni'lla sua niosogialia di S. liarlolonieo in Caldo, che formerà pailu
jlr-l lìeijno delle Due Sicilie descritto ed illustrato; alla quale
rai.'rolla Ila giii roniilo altri suoi lavori.
questi fogU. La prima è molto corrosa, e fatte alcune
lievi correzioni alla lezione del sig. Falcone, dice cosi:
1.
D • M •
AMMIAE • PRI •
MIGENIAE • • F
ILIAE • [vis.] AN
XXXV • MENS • X
AMMIA • SABINA
[mater?] B- M- F
Se dopo il nome di Primigenia supponiamo esi-
stesse già il prenome del padre, resterebbe dubbioso
se nell'ultima linea fosse in origine mater, ovvero ma~
tri. Io inclino a ritenere nel modo da me supplito.
2.
D • M
C • BAEBIO
AVTILLO
C • BAEBIVS
APER • PAT
RI- PIENTIS
SIMO B • M •
F
Questa iscrizione fu pubblicata dal Garrucci [Li-
guri Bebiani p. 42), e riprodotta dal Mommsen (/«-
sor, r. neap. lai. n. 5819). È notevole che nella co-
pia del Garrucci , seguita dal Mommsen , osservasi
una divisione alquanto diversa delle righe. È pur da
avvertire essere un manifesto equivoco nella ubica-
zione a Castro Maggio prope Aquilam.
Non so poi quanto si deggia approvare la conghiet-
tura dello stesso eh. Mommsen , che vorrebbe cor-
reggere in RVFILLO la voce AVTILLO.
3.
M • VILLIVS
M- F- VEL
SPERATVS
OB • IIONOR
0 • Q
L • D D D
Sembra inedita questa , che dicesi perfettamente
conservata; ed è de' buoni tempi. Interessante ci sem-
bra la menzione della quinquennalità di questo M.
Villio, per la quale fu fatto degno di ottenere il luo-
go della sua sepoltura per decreto de' decurioni: cosa
non insolita pe' magistrali municipali. Minehvini*
GiLuio Mi>ERviM — Editore.
Tiflografia di Givsuppk Catàumo.
DllLETTIM ARCHI OLOfiSCO iVVrOLlTAXO.
NUOVA SERIE
iV.» 36. (12. deiranno II.) Dicembre 18.VJ.
Osservazioni del eh. ab. D. Celestino Cavedani al I. anno del presente hulleltino. — Notizia di una tavoletta
calrolatoria romana. — Giunta all' articolo precedente. — Iscrizioni latine. Continuazione del n. precedente.
Osservazioni del eh. ab. D. Celestino Cavcdoni
al y. anno del presente bidlettino.
Scavi di Pompei. L'Amore con lira(p. 26) trova
il suo risooniro anche ne' denarii di L. lulio Cesare
(v. il mio Saijfiio p. Mìo, e V Appendice p. 1I2). Si-
milmente la Ninfa seminuda lencnleconamI)e le ma-
ni un cratere di fonte si scambia luce confronlata eoa
simile figura ricorrente in molle monete di Samo (v.
Spicil. num. p. 181), ove probabilmente vuoisi ri-
couo cere Leucoiheae fons ( Plin.\.'ò7:cf. Lobcck A-
ylaoph. p. 1 186). — Il Trilone con piccole corna sul ca-
po, e con due antcriuii branche non dissimili da quelle
dell' astacus (p. 28), dà luce al tipo di una medaglia
di Adriano con l' epigrafe P • M • TU • P • COS • III
allorno ad una figura virile barbata seminuda adagia-
ta, tenente nella d. un' ancora, per lo più riversa, e
che con la s. sorreggesi il capo appoggiando il gomi-
to ad un delfino capovolto. L' Eckhel ( Calai. Mus.
Caes. n. 439) vi ravvisa un Fiume per ragion delle
corna; ma quelle che parvero a lui co/oa, in un esem-
plare che ho solt' occhio, sono manifestamente due
chele 0 sia granceole di paguro ; onde parmi senza
meno imagine dell'Oceano (cf. Viscon:i Op. var. P.
II. p. 344. Etkhel Sijllo(je lah.W. o).— La bianca lu-
na crescente, con bianco astro nel mezzo, sovrastante
al eapo di Diana che si accosta al dormente Endimio-
ne (p. 34), mostra ad evidenza, che la luna con astro
nel mezzo, che ne' denarii di L. Fiturio Sabino so-
vrasta al capo della \ ergine Tarpeia , indica l' ora not-
turna (e. saggio p. \SV), e non già il sole e la luna,
come parve all' Eckhel. Il rhabdos del dijiinlo Pom-
peiano, posto in mano della dea, ha il suo riscontro
ANNO II.
nella verga, colla quale la Notte od altra ministra di
Diana slessa sta per destare il dormienle Siila in-l ra-
rissimo denario di L. Emilio Buca. -Notevole mi par-
ve la particolarità degli anelli ad ornamento delie-orec-
chie di Paride o Ganimede che sia (p. 89), si in riguar-
do alla statua di Achille oruato di orecchini in Sigeo
della Troade (Servius ad Aen. I. 34. Terlullian. de
pali. 4.), come perchè nella ricca serie delle monete
di fiimiglie Romane non trovo altro esempio d'orec-
chini a foggia di anelli ornati di peri e o gemme, se non
che in un denario di M. Plelorio Cestiano.
Programmi Pompeiani. Nel programma della pu-
gna gladiatoria di Gneo Mgidio Maio (p. 1 16) prefe-
rirei di leggere: PRO SALVIE Tibcrii CAESARIS
AVGV.*»?'/. Liberorurnque eius et ob DEDICATIO-
NEM ARAE fLEMEMIAE. Per ima parte consta
come Tiberio in sul principio del suo impero alTellava
singolare clemenza, e ne fanno fede anche lo copiose
monete col clipeo e l' imagine della Clemenza dedica-
tagli dal Senato (Eckhel T.\'I. p. {81: cf. Annali arch.
T. XXIII, p. 226); e d' altra parte pare cosa troppo
strana e qua-i incredibile, che altri offrir potesse uno
spettacolo lutto insieme per la salute della casa Au-
gusta e per la dedicazione dell' ara della (Zemenza. An-.
cora vuoisi osservare , che , se gli apologisti di no-
stra Santa Religione trovato avessero qualche esem-
pio di sconcio e ridevole cullo, non ne avrebbero di
certo risparmiato il dovuto rimprovero a' Gemili. Del
resto, chi trascrisse quel programma nel 1767. (pian-
do i confronti erano lauto più scarsi, potè prendere
abbaglio nel leggere AMENTI.\E, del pari che nel
LIFF. AVRV.MQVl della linea precedente. Gneo\i,
gidio Maio potò essere FLAMEN Ti. CAESARIS.
Vi
— 90 -
AVGVSTI, vivente questo, del pari clieL. CAELws
CLE.Mf)ìs FLAmen TI. CAESARIS ricordato nelle
monete di Pesto col tipo dell' apice Flaminale ( Ca-
reilii lab.CXXXV, 94 cf. Orelli n. 3874).— Nel pro-
gramma che chiede SABINV.VIET. RVFVM ED. RP
forse dee leggersi (p. 151, n. 28; cf. p. 150, n. 6)
Aediles D. R. P. poiché ne' denarii di P. Sulpicio
Galba ricorre si l'abbreviatura AE. CVR come l'al-
tra AED.CVR.— Unome PASSERATVS(p.l85, n.
6), anzi che di greca derivazione , può credersi po-
sto per PASSARATVS, siccome PASSARIiWS per
PASSERINVS, oppure dedotto da Passarjae ( V. Por-
cellini s. l'.)
Vasi dipinii Lo svolazzante peplo di Oritia , nel
vaso ruvese del R. Musco Borbonico, che gonGo dal
vento fa 1' ufficio di vela, e che perciò confronta con
la pittura della rapita Europa descritta da Achille Ta-
zio (L.I, ci), nella quale vedevasi la donzella MSTtip
lirrlio Tuj 'niitXuj x,fMiJiiyr], come bene avverte il dotto
editore (p. 3), confronta altresì col tipo allusivo delle
monete d' HUllaea, del genio cioè feminile della cillà
sedente sopra una prora di nave, cui serve di vela il
manto di lei gonfiato dal vento (Eckhel T.II, p. 325).
Cotali figure ponno dirsi veUficantes vcsie sua ( Plin.
XXXi'I, 4, 17). Riguardo all'amo personificato in
monete diNicopoli e di Filippopoli (p. 4) veggasi an-
che la Revue numitmalHiue [An. Vili. p. 17-25: cf.
fJionnet Suppì. T.II, pi. Ili, 7) — La figura feminile
posta alle spalle dell' eroe attico Antioco, denominata
MYPPINIXKH (p. 50), forse tiene nella s. una coro-
na ixvppiYTfi che farebbe spontanea allusione al proprio
suo nome(cf.Cavcdoni, spicil. num. p. 158^1. — Le qua-
drighe del Sole e della Luna, che insieme con l'Au-
rora sembrano allontanarsi nel momento della Gigan-
tomachia (p. 143-144), scambiansi luce col denario
di Cn. Cornelio Sisenna rappresentante Giove in (jua-
driga veloce in atto di fulminare un Gigante angui-
pede, con la testa del Sole, la Luna falcata e due stelle
nell'area superiore. Anche la particolarità del mean-
dro ad onda , relativo al sorgere del Sole dall' onde
marine, ha il suo riscontro nel denario di .\. Manlio
col Sole oriente in quadriga di prospetto, che mostra
sorgere dall'onde del mare, e non già fra nuvole co-
me parve al eh. Riccio (A/a»//a n. 1- ) — II bel vasel-
Hno Nolano rappresentante il suicidio di Aiace Tela-
monio [p. 191) vuoisi confrontare con le belle mo-
nete di Salamina aventi nel riverso lo scudo di Aiace
medesimo, simile allo scudo beolico, insieme col fa-
tale suo gladio posto sopr'esso lo scudo o da lato al
medesimo [cf. Bull. ardi. 1835, p. 18C-188). Lo
scudo pare di forma beotica anche nel vaso nolano. —
Riguardo all'insigne vaso della collezione Jatta ( p.
153-156, tav. VI), siccome il eh. editore lascia mo-
destamente luogo ad altra dichiarazione, così mi giovi
proporne una diversa dalla sua , sottomettendola al
discreto e benigno di lui giudizio. Nella figura pre-
cipua del giovine ignudo coronato di fronde , e con
clamide pendente dal s. braccio, il quale si appoggia
colla d. a lunga e nodosa clava, invece di Ercole dei-
ficato, parmi potersi ravvisare il giovine Teseo, emulo
del valore e delle glorie di Ercole medesimo. Le armi
d' Ercole , che veggonsi giacenti al suolo dinanzi il
vigoroso giovine, verisimilmente accennano alla irre-
quieta emulazione , che le gloriose imprese dell'eroe
tebano desiavano e mantenevano nel fervido petto del
figliuolo di Egeo, nelle cui vene pure dicevasi scor-
rere il sangue della stirpe d' Ercole. Dopo eh' egli
ebbe ricuperato il gladio paterno , incontrandosi in
que' che avean conosciuto di persona Ercole , e che
ne celebravano le imprese, gli accadeva lo stesso che
poscia avvenne a Temistocle. Siccome questi solca
dire, che il trofeo di Milziade non lo lasciava dormir
quietamente; così Teseo, ammirando il valore di Er-
cole , ne sognava di notte le geste, e fra giorno sen-
tivdsi trasportato da emulazione di esso e meditava
simili imprese (Plut. in Thes. 6, 7: cf. Isocral. En-
com. Helcnae: Diodor. IV, 59). La lunga e sottile
clava (assai diversa da quella d' Ercole giacente al
suolo) , alla quale appoggiasi Teseo colla destra, sarà
la xopvyr\ di Perifele, che egli, dopo avere ucciso quel
ladrone, si appropriò, e che divenne suo distintivo,
del pari che la spoglia del leone per Ercole ( Plut. m
Thes. 8). Lo scudo di Teseo vedcsi insignito di simile
clava in un vaso dipinto edito dal eh. Millingen («ned.
mon. I, 19). I due guerrieri, l' uno imberbe e l'altro
barbalo, stanti da lato a Teseo, ponno indicare l'è-
91 —
serci(o Aleniese , che Teseo medesimo raccolse , ap-
pena inlese l'invasione delle Amazzoni nell'Attica ,
e lo guidò contra esse (Diodor. IV 28). Pallade stante
con due aste, una per mano, come in atto di conse-
gnarne una al principale de' due guerrieri, sarà per
mostrare eh' essi moveansi per la dilTicile pugna pieni
di fidanza nell'aiuto della dea tutelare di Atene. L'a-
quila tenente im serpe fra gli artigli e volante verso
loro, mostra che avessero avuto felice augurio e che
pugnato avrebbero sotto gli auspici! si del som tuo
Giove come della belligera di lui figliuola. Teseo per-
lanlo sembra in atto d' incoraggiare con piena fiducia
nel soccorso divino l'esercito da sé raccolto. L'arrivo
delle Amazzoni vedesi bene espresso nella Amazzone
stante con asta nella s. e con tromba nella d. come
pronta a dare il segnale della pugna, e nella regina
delle Amazzoni, che armata anch'essa di lancia e di
galea e lorica , standosi sopra il suo carro tratto da
due cavalli , figurati di fronte, volge fiera lo sguardo
verso Teseo e i suoi compagni. La galea e la lorica ,
alla maniera greca, data alla regina delle Amazzoni,
r.c3rre anche in allri dipinti vascularii non dubbii
( Sliiller Handbuch §. 417, 2: Millingen nnccl. mon.
I, 38, 39: cf. Mon. ined. dell'Imi. II, 13, 30, 47,
48). Del resto, Teseo con le Amazzoni è subbietlo
assai frequente ne' vasi appuli ( Annali ardi. T. Ili ,
p. 152); ed il dislinlivo della clava, e della clamide
eh' egli porta pendente dal braccio s. co.me Ercole la
spoglia del leone, troppo bene gli si addicano pe' ri-
scontri di sopra accennali, e pel detto aulico riguar-
dante lui (Plut. HI Tlies. 29): aXXos cvros 'HpxKXrf.
Anzi trovasi inoltre insignito altresì della spoglia leo-
nina , del pari che Ercole in una moneta di Nicea
della Bilinia (Mioiinet, Sujqiì. n. S78) , in liguardo
al soggiorno ch'ei fece con Antiope in que' dinlorni
(Plut. ni Tlies. 2G ). Avvertirò da ultimo, che il
suolo lastricalo, ed il cane, che p:»re della razza do-
mestica di que' che appeltavansi Melilaei ( v. Bidl.
ardi. l8o3 p. 142) , e che sembra latrare alla vista
dello stranio vestire delle Amazzoni, mostrano forse
che que te nel primo impelo sono di già entrale nelle
vie della popolosa Atene: e l'Eutnenlde, che vedesi
sedente in allo dal lato opposto, può indicare che gli
Ateniesi furono respinti dalle Amazzoni fin verso il
sacrario delle Eumenidi , ixix,oi rr7/y EiVjx'Wv, sic-
come la presenza di Pallade può significare che gli
Ateniesi si mossero ivo rix).>.a^('w(PI. in 77ics. 27).
NiimisnuUica. Xenpolis Campaniac. Dubito che sia
corso errore in quelle parole (p. 18): andie il nome
NEoPoUlJ con die cumiutemenle ni appdla Napoli
sulle monele, è proprio modo del di(drllo attico ; \)'>'Khè
credo che nelle monete di N.ipoli ben Ielle non ricor-
ra che NEAnJUl^ «; NEIIPOUIJ, laddove e conver-
so costante si è in esse il derivalo NEoIlOAITHs; ,
non già NEAnOAITUi; , checché ne dica il dotto
Franz (C, I. Gr. T. Ili, p. 71. -J); e ciò conforn\ealla
preclara osservazione del Letionne [Ree. deslnscr.de
r Eijyple T. II. p. 48-o0 ) , la quale peraltro lascia
luogo a qualche rara eccezione ( cf. Rangabé , Ani.
Ilellen. T. I. p. 302). Del resto la desinenza in Ai;,
NEonoAITAi:, di alcune monete di Napoli (p. 18,
45 , 46 ) , era stata avvertila per eolismo anche da
me (Carcllii num. descript, p. 23, n. 14).— Nell'ai ra
insigne nuova moneta di Napoli col mezzo toro an-
droprosopo ( nel quale il eh. Minervini ha si felice-
mente ravvisato l'Acheloo), parmi doversi leggere
NEOnoAITHi, anzi che NEOnOAITEi;(l)(p.57);
poiché la moneta di rame pare posteriore alla intro-
duzione della vocale lunga II nella Magna Grecia. La
ragione poi della presenza dell' Acheloo in moneta di
Napoli ripetuta dal eh. p. Garrucci dalla dimora che
fecero le colonie Calcidesi nella Tesprozia e nell' Am-
bracia , prima di passare in Italia ( p. 78 ), si conva-
lida di mollo pel riscontro dell' Acheloo medesimo in
monele di Metaponto d'origine EtolicaoCaonia 'Mil-
lingen, consid. p. 23|. — Lo scambio dell' II al K nelle
rare monete con IIAMITANO, invece di KAMn ANO
(p. 65-67), ripeter polrcbbesifors'anchedall'influen-
(1) Io riporu.i NEOnOAITE, perchè appariva nella monela
qualche traccia dell' E : non dissi che fosse la epigrafe NKOllO-
AVTEX- Del reslo ricordo che in allro esemplare di bronzo si
legge NEOnOAITEHN ; e ciò basta a sostenere la nii.i lezione
(Carcllii tob. p. 28 n 307 j. Un altro esemplare posseduto dal eh.
sig. Principe di San Giorgio offre la epigrafe • EOnOAITfin ,
ed un altro cnnservali<siiiio dello stesso eh. numismalioo pri?<nia
la leggenda inlatla NKOII • AI'l'p; ' DcM)0 alla cortesia di I lo-
dato sig- Prinei|ie un di^egll0 di (luesle due monele, che pul)bli-
cberò in una delle prossime tavole.— i' fdifóie.
— 92-
za detili Etruschi della Campania, giacché anche nei
monumenli dell' Etruria centrale 1' II equivale a C o
K (v. Lanzi, Saggio T. I. p. 272).
Tealrs Appuli. Che le monete con la scritta TI ATI,
o ITAIT ( p. 107) spellino agli Appuli , anzi che a
Teale de'Marrucini, confermasi pel riscontro dell'a-
naloga desinenza delle monete di LOVCERI ( v. Ca-
relli num. Iteli Dc.sTC. p. 33). Il leone gradienle della
nuova moneta de'Teati par riferirsi al culto d' Ercole
(Carellii tah. LXX.XVIII, 9, 10). Del resto, non o-
slante il dissenso del eh. Minervini ( p. 109), io per-
sisto nel primiero mio avviso, che le monete con TU,
anzi che a Teale e Lucerà, spettino ad un magistrato
Romano ; e ciò segnatamente perchè il nesso TU, del
pari che gli altri analoghi MT, MP,cfors'ancheUB,
non che le duplici sigle L T, C M, ricorrono in vit-
toriali vetusti e in altre monete d' argento Romane
(Borghesi, Decad. XVII, oss. 1, 3), che peraltro, al-
meno in parte, forse furono improntate nell'Appulia,
durante la guerra di Annihale.
Valelium f?J. A primo appello lessi anch'io EA-
AE0AS, del pari che il eh. SJinervini, anziché F.\-
AE0AI (p. 109, 173), anche pel riscontro del ^
simile delle monete arcaiche di T.\RAJ. Anzi sospet-
tai pure, che la moneta possa spellare a Taranto , e
che FAAEeAX sia il nome .dell' eroe *AaANTOS
fondatore di Taranto stessa, alquanto mutato per ra-
gion di dialetto e per influenza de' ÌMcssapii o d'altri
harhari , siccome METABO nelle monete de' Mela-
pontini. In tale supposto le due sigle ìM prender po-
trehbonsi per iniziali di Ta^ot? e di FctXotv^oj. 11 glo-
betlo posto al disotto della luna falcata , che al eh.
editore parve non altro che il punto centrale del co-
nio (pag. 70) , si connette senza dubbio con la luna
medesima, come allra volta avvertii (B((//.arc/i.l845
p. 183), congetturando che sia goccia di rugiada, in
riguardo ad Eise della figlia della Luna : ma potrebbe
aucbe credersi perla ingenerata ex lunari aspergine
(.\mmian. XXIII, 83: cf. Olivae lohan. Monuni. I-
siac. Romae, 1719, lab. unica).
Jleraclm Lucaniae. 11 eh. P. Garrucci (p. 20), as-
serendo che liraciea non fece uso se non che dell'al-
fabeto Ionico , mostra avere dimenticate le piccole
monete d' argento di quella clllà con l' epigrafe UE ,
che si allernn con 1' altra HiPAKAHiaN (Carellii
lab. CLXII). — Non so poi comprendere com'egli po-
tesse scrivere ( p. 179) , che il riIraModiM. Claudio
3IarceIlo, l' espugnatore di Siracusa, che vcdesi nella
moneta di Marcellino suo discendente, sia appena trac-
ciato e motto incerto; poiché parmi anzi molto espres-
sivo, e probabilmente ricavato dal volto istesso di Mar-
cello defunto, del pari che quello del maggiore Scipio-
ne Africano, come arguire si può dalle forme scarnie
di ambedue que' volti (cf. Mùller, Handbuch^A'ìi).
Epigrafia. La voce Basilica, nell'epistola diS. Gi-
rolamo, fu intesa in significalo di cappella, o edicola,
delle Chiese Cristiane anche dal Forcellini(/>ea;jf.La/.
s. V.), del pari che dal lodato P. Garrucci (p. 37). —
Nella tavola aqu.iria Venafrana (p. 40) le sigle II.S •
X- parmi debbansi spiegare seslerliùm deccm millia ,
anzi che !:eslerlios decem mille (1). In essa notevole mi
parve il nome Q • SEIGNII, probabilmente oriondo
da Signia, nelle cui monete leg^esi parimente SEIG
(Carellii, lab. X, IO, 1 I). — L'iscrizione freiitana di
Pennaluce ( p. 41-43) torna opportuna anche per
l'illustrazione delle monete di CII(3SIDI-C-FGETA-
IIIVIR, impresse verso la fine del secolo VII di Ro-
ma. Nella più ovvia di esse la tesla di Diana, olire la
stefaue, vedesi ornata di raggi inflessi nel modo stesso
che nel dipinto Pompeiano [Mus. Borhon. t. X,tav.
20). La singolarità paleografica dell'I sormontato da
un punto, era stala avvertita anche dal eh. Borghesi
in una figulina Velleiate di belle lellcre col bollo M*
ALFiSlE {Annali arch. T. XII, p. 241, n. 30: cf.
ALBIW BRVTI-F, nel mio5a(?<//op.l73, nota86).
L'opinione del eh. Mommsen (p. 44), che al K La-
tino non fosse sufficiente servire al prenome Kaeso ,
onde entrasse nei diritti di lettera alfabetica Latina ,
vuoisi rettificare col riscontro dei denariidi L. Cassio
Ceiciano , ne'(]uali trovan-i accopjiiale le due lettere
Latine K) (M.— Ncll'cpilafiodi AEBVTIVS MENSOR
(p. C9) lin. 3 leggasi FAVSTVS ; ed a p. 70 , lin.
18, leggasi « cosi smontato ». — La soppressione del-
l'E in lapidi Osche e Latine nelle voci P D, per Pe-
(I; Vedi per altro le correzioni , ove fu IcUo seslerliot deciet
tniUe p. 196.— r Editore.
- 93
' Des (p. S:3 ) , Ila il suo risconlro anche ne' denarii rila pailicolarc allcnzione nna |iicrola appfn.li.o, la
Romani vcliisli della gente Ouinctia con SX-Q, cioè quale in ambi si leva sopra il manico, una delle (juaii
Se\-Quinctii. — il pugnale curvo, o sia gladio infles-
so, gladialorio, si lione illustralo dal eli. P. Garriicci
(p. \\ì), panni ricorra anche fra' simltoli corrcialivi
de' denarii di'lla genie Pania ( Moi'cilii n. o2), ove
sono due gladii inflessi, l'uno a mezzo la lama , e
l'altro inflesso d;ie volle. Armi gladialoric, ciò;"- .s/coc
di semplice e di doppia curva'ura, semlnanu pari-
mente quelle che servono di simboli correlativi in un
denario della gente Roscia ( Morellii n. 39: cf. llen-
zen Musii\ Jhmjhes. lab. VII, p. M). — Allor che de-
scrissi ( p. 1 2C ) r ansa di una diola greca insignita
è foggiala a guisa deirc.sO<'mj<rt(W(/(Vo/)o//icf, e servir
doveva per tener ])iù fermo fra le mani il vaso ».
Terre-colle. Col piallo ornato di un giro di XII le-
ste tululate e accompagnale ciascuna da due minori
che le riguardano (p. 30), vuoisi confrontare il sin-
golare tipo di XIV , o XI , od Vili leste disposte in
uno o due giri concentrici in alcune mon.-le diTarn
(v. il mio Sjikil. ììum. p. 209). — Anche la terr.icoll.i
Capuana con Perseo che recide, o presenta a Minerva
la testa di Medusa , per le particolarilà dell' imagine
riflessa, e per le apposle palmelle , può riscontrarsi
dell'epigrafe EHI KAAAIKPATETS AAAIOT, io con alcuni specchi Etruschi (Gerhard /«/. 121-124).
non conosceva peranche i dotli scritti dello Sloddarf,
dello Sfephani e del Franz ( Praef. ad Io/. ///. Corp.
I. Gr. ) , pe' quali ora consla che colali lìguline spel-
lano ad officine di Rodi , donde dilYDiidevansi i;i Si-
cilia, in Italia, e per altre contrade, segnatamente in
Alessandria di Egitto , ove il lodalo Staddart ne ri-
trovò una simile alla nostra suddetta , con di più la
lesta del Sole radiata. Egli è d'avviso, che le più au-
liche, fra colali epigrafi figulinarie rimontino ad un
300 anni innanzi l' era nostra ; e godo (h non essermi
dilungalo dal parere di lui riportando la noiira ai tem-
pi di Agatocle o di Cerone li. In paiecchie altre ri-
corre il simbolo di un fiore, che dai sovra lodati dotli
Del resto, mi giovi qui\i avvertire, che la slaluelta
Capuana rappresentanie un personaggio vestilo stante,
con tiara frigia in testa , e con chiave in sulla spalla
(Raoul-Rochelle, Journ. des Savanls, 18o3,p. 4SI),
si scambia luce confrontata con le parole di Callimaco
[in Cerer. v.4;j): x'xrui}xv.ol7.y oìx,- x\%ìdx,c con le
analoghe del profeta Isaia (cap. XXII, 22) :<;(/a6j c'a-
vem doinm David super humerum eius. C. Cavedo.m.
Nolizia di una tavoìeKa caìcolaloria romana.
Marco Velsero in una sua dei la Marzo l'iOl
mandava al Lijisio il disegno di una tavoletta di l:ron-
\ien detto balaustium , ma che parmi aver compro- zo, che egli ben intendeva essere servita agli an'ichi
vaio doversi dire fiore di rosa, poSìcv, allusivo al nome
dell'isola Rodi ( 5/jifì7. nwn. pag. 19o). Quelle col
simbolo di una bipenne forse spettano a Tenedo ; ed
a Bizanzio le altre che Irovansi insignite di nomi epo-
nimi feminili ( Franz, Praef. ad T. III. C. I. Gr. p.
y:cf. Eckhel T. II, 31).
Bronzi. Il manubrio di qualche cassetta, scoperto
a Pompei (p. 178), che olire la forma di due diii pol-
lici, in allusione al silo ove metter si doveva la ma-
per computare. Ne scrisse anche al Camerario ai IS
Agoslo dello stesso anno , e la spiegò al modo me-
desimo, notando per altro siccome opinione altrui
quanto gli asseriva intorno all' uso delle bolletle fcla-
viculi umhellalij. Da questa seconda sua leìlera risulta
che «gli aveva già spiegalo il senso e l'uso delle cifre
S, 3, z , poste in capo dei tre alveoli ades!ra,sudi
che aveva scritto nel marzo al Lipsio : de akeoUs S,
T, z , parum liquel,ne(piec,ontìnu<^umadhuc recleas-
no , ha bel risconlro ne' due più belli fra' molti vasi sequor (Epist. ad Viros illusiresp. 820 Oj)p. \orind).
nielallici e filtili, che, un dodici anni fa, si scopersero li382). Di falli nei suoi Monumenta peregrina finiii
riposti entro un profondo pozzo a Serravalle nell'agro di stamparsi prima che avesse egli scritto al Carne-
Bolognese in confine col Modenese (v. Gazzeltapri- rario (opp. cit. p. 842), egli ne adduce una compilila
vii. di Ihlofjna, n. 14, addì 1 Febbraio 1841). Il in'erpretazione, e ci loda la somma erudiziom- del
Prof. Bianconi nel darne relazione avvertiva che « me- Barouio, il quale gli aveva suggerito quelle bollette,
— 94
o clavtcuU essersi chiamali aerae, od aera dagli anii-
cbi, allegando il luogo di Lucili» (Nonio e. I. 29), e
di Cicerone nell Ortensio (Non. e. 3).
11 Gruferò di poi trasportò tutto questo passo del
Velsero nel suo Corpus a pag. CCXXIV, rilenendone
compiulamenle la interpretazione; né altro vi aggiun-
se di poi il lìiancliini nella sua Hisloria Universale a
p. 207, fuoiiliè il facile confronto dell'uso divulgalo
presso i Cinesi di una tavoletta assai simile alla cal-
colatoria antica romana.
Dal Velsero a noi sono scorsi 230 anni , né per
quanto so verun' altra tavoletta era stata scoperta. È
quindi assai importante il mostrar qui un disegno di
cimelio sì raro (Tav.lV.n.2.) venutomi davanti agli
occhi mentre studiava la insigne raccolta di bronzi
antichi del sig. Carlo Bonichi, invitatovi dall'egregio
possessore con quella gentilezza e squisita urbanità
che tanto lo distingue. Della mia inlerpreta/ione venne
garante dipoi la tavoletta medesima , quando pulila
dalla ruggine nel luogo da me indicalo dimostrò chiari
e sicuri i numeri, che io aveva aflerniato dovervi es-
sere incisi.
Una delle singolarità per altro , che dislingue la
tavoletta nostra dall'altra descritta dal V^elseroè,che
qui i numeri, come p. e. sui pesi talvolta, e sulle
stoviglie antiche vi sono scolpili non a linee regolari ,
ma a puntini assai piccoli, che io ho procurato far
disegnare esaltamenle dal valente artista sig. Bossi ,
al quale non ho mancato di mia direzione. E dico
ciò, per assicurar quanto posso la verità delle ultime
cifre a sinistra, che sono di forma assai nuova, e sin-
golare.
Procedendo ora alla interpretazione avvertirò che
delle quaran'acinquc bollette od acrae, quante ne conia
la tavoletta pubblicata dal Velsero, una sola ne rimane,
le allre ho riputato utile di supplirle a suo luogo per
ispianar vieppiù l'intelligenza di ciò che son per dire.
La tavoletta calcolatoria addizionale si divide in nove
alveoli inferiori, ed in otto superiori. Il primo alveo-
lo a destra , che nella tavoletta Velseriana é diviso, e
fornii tre minori alveoli , qui è uno e della mis'ira
medesima dei seguenti. Essendo destinato alle fra-
zioni dell' oncia , che sono la senioncia , il sicilico ,
la seslula , è chiaro poter servire all' uso nell' uno e,
nell'altro modo. Perocché è certo che una sola bol-
letta può servire alla semoncia , una sola al sicilico ,
ossia alla quarta parte dell'oncia, che due sicilici si se-
gnano già colla mezz' oncia , e tre sicilici si segnano
egualmente con una semoncia ed un sicilico. Ma le
seslule avcvan bisogno di due bollette; perocché tre
sestule già equivalgono alla semoncia , e quattro o
cinque sestule si ponno avere colla semoncia e le due
bollette ossia seslule. Comprende cosi il primo alveolo
le tre cifre il S (^se»u',sj semoncia , il 3 sjct/ico la quarta
d' oncia , e la z duella o sexlula , la sesta parte del-
l'oncia.
Passiamo all'alveolo secondo. Componesi questo di
cinque bollette , e vi corrisponde di sopra il piccolo
alveolo con una sola bolletta mobile. Se i segni esa-
minati ora sono le frazioni dell'oncia , la cifra posta
sopra a questo alveolo ci dimostra che qui sono no-
tate le once: perciò, stando alla divisione romana del-
l'.asse in dodici once, hanno dovuto porre in questo
alveolo una bolletta di più che negh altri , i quali
con'engono numeri decimali. È poi a sapere, che la
bolletta degli alveoli superiori vale il numero di più
della somma delle bollette sottoposte: così, se le bol-
lette sottoposte sono quattro , la bolletta superiore
varrà cinque, e qui ove le bollette sono cinque la su-
periore varrà sei : onde unite insieme daranno il nu-
mero undici, fino al quale deve solo servire quest'al-
veolo ; poiché le dodici once sono già l' asse , e però
conviene abbassare al loro posto le bollette delle on-
ce, ed elevare la bolletta dell' alveolo seguente che
vale l'asse, ossia l'unità di misura. Nove assi soltanto
si segneranno in questi alveoli, ma se gli assi son dieci,
si avrà da segnai li con una sola bolletta, che vale la
decina nell'alveolo , il quale ha di sopra la cifra X;
così facilmente s'intende, che il numero seguente vale
cento , poi segue il mille. Pervenuti al qual numero
il confronto solo e l'analogia ci potrebbero togliere
dall'imbarazzo, nel quale ci mettono queste tre cifre
destinale a significare i diecimila , i centomila , e i
milioni. Dico l'analogia, perocché vediamo procederr
si nei numeri precedenti d^iil' unità alla decina , e da
questa al centinaio; e quanto al confronto, la tavola
— 95 —
Velseriana dà la cifra del diecimila e del centomila , tale argomcnlo: conviene adunque fare un'aggiunta
e se vuoisi anche del milione con figure già conosciu- a ciò che ne ho detto ivi.
le , e vulgate. A queste io intendo come possa acco- Il si;r. Vincent ricorda ben a proposito di un ahacu^
starsi l'ultima cifra della nostra tavoletta sotto un pa- ateniese ( v. la fig. ;\ della nostra tav. VI ) scopcrlo
ragone colla cifra IXI della Velseriana , a cui la no- sull'Acropoli di Alene , (piello che puhhiicò già il
stra si accosta in modo da far credere che consistesse Grulero, adottando ancor egli le giustissime osserva-
di due C in luogo delle ! appunto a (piesto modo CX^. zioni del Velsero: ma ci fa sapere, clic un altro aha-
AUa qual cifra manca il segno di molliplicazioneche cns romano è descrido dal du iMolind a ji.i;;. 23 del
manca egualmente nella Velseriana, essendo la forma Cahim-t de Sainle-licnéviève (1). Fu priuioil Lelron-
completa del milione un X chiusa fra tre linee 1X1, ne, che suggerì al Uangabè l'uso calcolatorio diquesla
siccome apparisce nella tavola Veleiate, e sen'èavu- (avola greca, e ne spiegò assai retlanienie le cifre nu-
lo recentemente un buon riscontro nei cilindri di Vi- meriche; ma quanto all'uso, egli delegonne la iliuslra-
carello pubblicali dal eh. p. Marchi. zione al sig. Vincent {lievue V, 306), che insellila in
Ma quanto alla cifra esprimente il centomila, io questo volume medesimo a p. 401 s. Col si'^. Vincent
confesso di non conoscere alliilto confronto veruno, convengo anch'io, che il bottone situato nella parte
Meno difficile sarebbe paragonare la cifra del diecimi- sU])eriore dei dicci alveoli ^alga cirKiue unità ; laonde
la con le già note cebo ,,\^, se riliensi che le diver- dobbiamo convenire anche in questo, che le cifre nu-
genze di questa debbano riputarsi imperfezioni dello meriche segnale a tre lali della tavola debbano dislri-
artista , risultando a congiugnere i punii una figura buirsi parte al di sopra parte al di sotto della linea ,
per vero dire poco regolare. Perocché capisco an- che divide egualmente i dieci alveoli. Cosi le figure T
eh' io, che alla fine l'elevazione o l'abassamento della X II A h esprimenti la scala decupla son desliuale a
linea trasversa non muta gran fallo l'indole della ci- figurar di sotto, mentre le altre figure, segnale con P
fra , avendosi egual valore il 'h , ed il -^^ a significar semplice o moltiplicato, evidentemenle appai tengono
mille; ma a voler diecimila dovremmo avere un se- alla parte superiore, restando le quattro frazioni I C
gno di moltiplicazione, che se è la linea I, il cui va- T X (obolo, semiobolo, terzo d'obolo, chalco ) as-
lore a mulliplicare è ben noto , vorremmo sapere in segnale ai quattro alveoli a destra dell'abaco. l'erloc-
tal caso perchè non si è figuralo il diecimila in questa che chiaro risulta, che questi segni numerici non
maniera IL : che se la uuilà I è qui segno soltanto di sono qui ad altro uso siali scolpili , che a rilenerno
addizione della metà, cosicché la base della cifra sia la memoria, lasciando, che l'applicazione agli alveoli
Ido=5000, che raddoppiata IIjo= 10000, avrem- si facesse secondo il volgarissimo uso, chenoniucon-
mo allora guadagnato di imparare una nuova maniera trava veruna diflìcoltà, mentre i Romani invece se-
di segno addizionale per verità fino ad ora ignoto. Se gnarono su i rispelti\i alveoli il valore della cifra,
il centomila ebbe la volgar sua forma nella maniera Qui il Vincent crede che la progressione numerica
già nota , sarà da tenersi una variante compendiata dell'abaco greco vada fino al decimo ordine delle uni-
quella della nostra tavoletta , che ottiene con la sua là, e che rappresenti il 1,000, 000, 000, mentre il
figura lo stesso effetlo. Questo prezioso monumeniino romano non va oltre al settimo , rappresentando il
è ora entralo ad accrescere le importanti suppellettili milione 1 ,000, 000. Ma io non convengo. Perocché
del Ch'rcheriano. Garrlcci. osservo, che tra le cifre scolpile nolasi anche il T ben
interpretato dal Letronne Talento. Questa figura ne
Giunta all' articolo precedente.
(I) Ho esaminato qnoslo prezioso monumento, che conserva quasi
Ile le bullclto .li rispotli\
..no gran cosa diOronli dal
sero Iratiato dell' abacus, quando scrissi 1' ariicolo su portale nella lav. v; n. 5.
Mi era ignoto che i eh. Letronne, e Vincent aves- """^ '" """*-■"%•!' '''^''"^ì '1''"^^' "^"' *^'«"='''= "' '''" ""."
sono gran cosa diDi>ronli dall abaco Velsenano: esse sono quelle n-
— 96 -
richiama na(ura1uien!e l'idea, che dopo il 5,000 co-
niinciassero le progressioni per lalenli , essendo un
talento altico uguale a 6,000 dramme. Perlocchè io
imagino una progressione decimale cominciala con le
dramme e finita con i lalenti, e si bene corrisponde
alla romana . che finisce egualmente al milione , es-
scrnl) porsuajo che i Romani copiassero la loio dalla
jjreca. Per olkner ciò io non ho bisogno d'altro che
di accrescere di una bolletta 1' ultimo alveolo ; così
aggiunte alle c'nque bollette (^=500,000) la cifra su-
periore e(|uivalenfe alle cinque unità, si poteva con-
tare il milione, luttocchè non si potesse usare il me-
desimo alveolo per la decina dei milioni, perlaquale
può valere il romano: lo che, come ognun vede, è poco
danno. Ho quindi preso cura di formare una figura,
nolla quale ho supplito i numeri e le bollette , onde
ne riuscisse più facile l'intelligenza (v. Tav.VIn. 4).
Garrccci.
Iscrizioni Ialine. Continuazione del nitm. precedente.
4.
Non abbiamo potuto conoscere finora la provenien-
za della seguente iscrizione, la quale forma la parte
anleriore di un' urna sepolcrale.
SEVEUVS . M . SEI .
VARANI . SERV • S
VIXIT . ANNOS . Ili
SERENVS . M ' SEI
VARANI . DISPENSAI (AT mon.)
ET • ANTIIVSA • FILIO
La iscrizione è adorna di una piccola cornice : ai
due lati vedasi una prominenza a guisa di scure cir-
condata pure dalia medesima cornice : nel mezzo della
qnale prominenza è l' ornamento di un fiore , ed ivi
presso sono quattro uccelli, due da un lato e due dal-
l' altro, che beccano qualche cosa.
É evidente che tanto il figlio 5ewro quanto il padre
Sereno, che dicesi di'<pensalor, erano servi di IH. Seio
Varano. Notevole ci sembra l' orlografia SERV » S
per SERVVS ; imperciocché se talvolta soppriraesi
uno de' due V messi tra loro vicini, ciò avviene quando
siegue un' altra vocale, il nome Anthusa è uno di
quelli di greca terminazione come Plecusa , Lanlha-
nusa , ed altri moltissimi; de' quali già avemmo oc-
casione di discorrere in altro nostro articolo ( buUel.
arc/i. Ma/), an. II. p.66 e 134). Vedine un'altro esempio
presso il eh. sig. Gervasio (tscm. di Lesina p. 68).
5.
BABIDIA • C • L • PSYCHARlMm
VIXIT • ANN • XVI
LAFRIA • Q • L • PIIILVMINA
VIXIT ANN XXVI
C ■ BABIDiVS • C • L • NIGER
SORORI • ET • VXORI • FECIT
Questa iscrizione è tuttavia in provincia di Princi-
pato Ulteriore, circondario di .1/on/ecaiuo, luogo detto
Tre Santi. Ci venne comunicala dal sig. Nicola Fal-
cone , il quale già ne ha fatta la pubblicazione nella
sua monografia del circondario di Monlecalvo inserita
nella raccolta intitolata // Regno delle due Sicilie de-
scritto ed illustralo , che si pubblica per le cure del
sig. Filippo Girelli: trovasi ivi nel voi. VII pag. 13.
E poiché la suddetta raccolta non è molto divulgala
fra gli archeologi , abbiam riputato convenevole ri-
produr le epigrafe in questi fogli.
Nello PSYCIIARI va riconosciuto il noto diminu-
tivo PSYCHARImi» corrispond nle al Ialino animw/fl.
La ortografia Pliilumina occorre in non poche altre
iscrizioni. Non ricordiamo di avere altrove veduta la
gente Lafria , la quale ci ricorda In Diana Laphria
mentovata da Pausania ( IV, 31, 7 et VII , 18, 8) ,
e di cui è memoria nelle antiche medaglie di Patrae
( Eckhel docl. num. vel. tom. II p. 237; cf. Cavedoni
Spicil. num, p. 90-9 1 ). Non voglio intanto lacere
trovarsi la gente Lafaria in uni epigrafe Gruferiana
( p. MI n. 2 ) : e potrebbe sospettarsi che la gente La~
fria e Lafaria non fossero Ira loro dissimili , per la
soppressione di alcune vocali ne' nomi proprii , che
fu talvolta osservata. Minervijìi.
Giulio iMinebvini — Editore.
Tipografa di Giuseppe Catàneo.
BUllETTmO AUCnEOlOGICO MPOLITAAO.
NUOVA SERIE
N.o 37. (13. deiranno IL) Gennaio 1851
Descrizione di un vaso dipinto del Real Museo Borhonico. — Iscrizioni ladnc. Conlinuazione del u. precedente.
Dessrizione di un vaso dipinto, ora nel Real Museo
Borbonico,
Alle vicinanze di Piediinonle d'Alife furono rinve-
nute alcune (onibe , delle quali non abbiamo avulo
finora esatte nolizie. In queste tombe vedevansi alcuni
vasi di minore importanza , tra' quali ne apparivano
simili per lavoro a quelli trovati nella sannilica tomba
di Cuma , di che termi discorso nel primo anno di
questo buUetlino (pag. 163). Io intendo di quei vasi
interamente neri con dorature, che li fregiano in va-
rie parti. Uno di questi vasi è slato da poco twnpo
acquistato pel Real Musco Borbonico, ove già vcdesi
collocato. Ma il più interessante pezzo di quella me-
desima provenienza è un bel vaso istorialo , che pur
si vede nel Real Museo, e di cui diamo in questi fo-
gli una breve dilucidazione. È questo della forma così
delta eampana ; le figure sono rosse in fondo nero :
r altezza è circa due palmi. All' esterno della bocca
è un ramo ; sotto i manichi palmette.
Sono nella principale faccia due ordini di figure.
In alto e nel mezzo siede sopra l'alalo suo carro Trit-
tolemo tutto nudo , poggiando sulla sua clamide : i
ctìpelli pendono in varii ricci sul petto , il capo ap-
pare coronato di mirto : colla sinistra si alliene allo
scettro, che finisce superiormente in fior di loto o di
melogranato, colla destra solleva due spighe. Innanzi
è Proserpina con ampyx adorno di bianche foglie, o-
recchini. collana e duplice armilla di bianco; ha lunga
tunica cinta nella vita , e con orlo superiore ed infe-
riore adorno di una duplice linea di meandro ad onda:
sovrapponsi alla tunica un piccolo peplo , di cui la
dea solleva una parte sulla destra spalla , colla sini-
stra sostiene una lunga face , di cui non apparisce la
fiamma. Nella parte posteriore è altra divinila (Cerere)
dello stesso modo vestita , ma colla testa adorna di
fphcndone, e coronala di mirto: ella si avanza alle
spalle di Trillolemo abbassando il destro braccio , e
colla sinistra tenendo Io scettro terminante della guisa
medesima che quello di Trillolemo.
Nell'ordine inferiore sono quattro divinità. Sollo
la figura di Cerere è Apollo lutto nudo, col capo co-
ronalo di alloro ; colla destra si appoggia ad un lungo
ramo di lauro , sotto a' suoi piedi è segnata una tor-
tuosa linea di bianco, che mostra segni di vegetazio-
ne. Sotto la figura di Trillolemo è un gruppo di
Bacco e di Pane, entrambi di più piccole dimensioni
che le altre figure. Bacco di aspetto assai giovanile ,
coronalo di edera , con larga tenia , i cui due estre-
mi scendono d' ambi i lati sul petto , siede sulla sua
clamide a sinistra volgendosi a guardare a destra verso
la figura di Apollo: colla destra solleva il canlharos,
colla sinistra tiene un pannocchiulo tirso. A lui din-
nanzi si appressa un Satirelto con orecchi caprini ,
piccole corna sul capo, e coda cavallina: questi [)One
il sinistro ginocchio sopra un rialto che si eleva in-
nanzi a Dioniso, e curvasi verso di luì presentandogli
qualche oggetto in un piattello , forse un grappolo
d' uva.
Compie la scena in un piano medio , e presso la
figura di Proserpina , Mercurio pur coronato di fo-
glie , col petaso dietro le spalle , colla clamide sotto
la sinistra ascella . In quale clamide vedesi orlala di
un meandro ad onda. Il dio solleva in alto il caduceo,
e si curva verso di un albero , di cui sono tagliati i
rami , e da' cui pi incipali tronclìi recisi uscir si veg-
gono de' ramuscclli con foglie. In alto è un simbolo,
che comparisce varie volte presso la figura di .Mercu-
13
— 98 —
rio (1) , e di cui presenliarao la forma nella nostra gnificazione di aW/^i-is e to'xoj (l) , e dalla considera-
tav. VII fig. 7. SoKo è un meandro.
Al rovescio è una ovvia rappresentazione. Veggonsi
quattro nudi palestriti in varii mo\iinenli:unodiessi
sembra fuggire da due altri , i quali sollevano il si-
nistro braccio, ed è Della sua fuga impedito dal quar-
to, che stende il destro braccio: tutti sono diademati.
Al suolo si veggono un poggiuolo , ed una mela.
Nella principale faccia il disegno è piuttosto accu-
rato : in alcuni sili il campo si vede rosso per la va-
rietà della cottura : ed ò da osservare che su quel rosso
del campo veggonsi alcune cose segnate di nero, co-
me sono i puntini destinati ad indicare il suolo sotto
le figure dell' ordine superiore ; essendo caduto il
bianco , che vi si ravvisava in origine.
11 vaso, che abbiamo finora descritto, ci sembra dare
una piena conferma alle cose da noi dotte altrove varii
anni addietro sopra un altro simile monumento. Dir
voglio del magnifico vaso di Armento colle divinità
delle Tesmoforie. ( Vedi il buìlclt. ardi. nap. del eh.
Avellino an. I p. 5i e seg. ). Ma qui, oltre le osser-
vazioni falle in quella occasione, altre ci si presentano
da questa importante rappresentazione , che ci pone
sotto gli sguardi due introduzioni , alle quali l'anti-
chità attaccava una grandissima importanza, e che si
riferiscono entrambe a' misteri! : sono esse la semina
del frumento, e la piantagione delia vite. Cosi nell'or-
dine superiore primeggia Tritlolemo come uno de' be-
nefattori della umanità, nell'ordine inferiore si scorge
Dioniso come propagatore della vigna. Insieme con
questi due gralissirai effetti della coltura vedesi Apol-
lo, la diviuilà solare per eccellenza, che co'suoi bene-
fici raggi promuove e protegge ogni sorta di vegeta-
zione ; vedi ancora Mercurio , il Mercurio de' miste-
rii, che vien detto da Aristofane to'a<os {Thesmoph. v.
9o4 e segg. ). Dal ravvisare il Mercurio delle Tesmo-
forie nel citato vaso di Armento abbracciato ad una
side , io lo credetti cosi effigiato siccome il dio dei
confini ; per indicare quando Hermes cominciò a pre-
sedere alle campagne. Trassi questa mia conghiettura
dalla derivazione stessa di vqxcs, dalla identità di si-
(1} Noi abliiamo riputalo questo simbolo il segno astronomico
Oi Mercuiio, Ci proponiamo di Jiscorrerne in un particolare articolo,
zione che quando cominciò la semina del frumento, e
s'introdusse l'agricoltura, dovette appunto pensarsi
alla distinzione de' campi: or nella ricordanza di questo
benefizio accordato all'umanità, s'introduce la divinità
de' confini, l'Hermes nomios, o terminale. Fanno a tal
proposito le parole di Servio (ad Aen. IV, v. 58) ,
parlando di Cerere Tesmofora « Leges ipsa dicilur m-
venisse. Nam et sacra ipstus Tliesmophoria vocantur.
Scd hoc ideo flngitur , quia ante inventum frumenlum
a Cerere passim homines sine lege vagahanlur: quae fe-
ritas inlerrupla est invento usu frumentorum, poslquam
EX AGRORU.il DIVISIONE Hata sunt iiira ». Queste no-
stre idee trovano un compiuto appoggio nel nuovo
vaso AUifano , ove Mercurio si curva verso l' albero
spogliato de' suoi rami, e de' tronchi, e che perciò in
questo stalo fa l'ufficio di un confine. Il Mercurio che
abbraccia una slele, o che cerca di attenersi ad un nudo
tronco , non può avere che la medesima evidente si-
gnificazione del dio terminale, nel momento, in cui si
riveste di questa proprietà. Questa doppia foggia di
rappresentare Io stesso dio corrisponde a' versi di Ti-
bullo (lib. 1 el 1 Y. 11).
Nam venerar, seu stipes habet, deserlus in agris,
Seu velus in trivio florida seria lapis.
Ove è da notare che alle campagne è creduto più
adatto il tronco [stipes) : e questa circostanza altresì
pruova la idea filosofica, che ha presedulo alla forma-
zione del nostro vasculario dipinto in tulle le sue parli.
Al citato luogo di Tibullo fa bel riscontro quel
che dice Lattanzio, il quale parlando del dio Termine
si esprime colle seguenti parole: Qui non tantum lapis,
sed etiam stipes interdum est ( div. iuslit. lib. 1 , 20 ,
37). Erra però senza dubbio quando sostiene che il
dio Termine faccia allusione alla pietra divorata da
Saturno , come evidentemente dimostra il eh. Carlo
Federigo Hermann ( de Terminis eorumque religione
apud Graecos p. 20, s. not. 81 Gotlingae 1846). Del
resto a chiarire come anche gli alberi fossero adoprati
(1) Vedi sull'analogo significato di ^s^l.'s e Bufixòs colla idea
di stabilità il douissimo Pigbio Themis àea p. 62 e 84 e seg. ,
il quale illustra un erma muliebre appartenente al cardioal Carpe-
gna , a cui dìf U aoms di Temi.
— 99 -
come conGne, non sarà fuor di luogo richiamnrc ciò
che dice Siculo Fiacco (de cond. aaror.J: Hi tamen /?-
niuntur tcrminis et AnBORims notatis, et antemissis,
et superciliis, et vepribm, et viis, et rivis, et fossìs. In
quibusdam regionibus palos prò termìnis observant (p.
4. agg. 8, 53 Auct. de re agr. ed. Goes).Veggasi pu-
re Ovidio Fastor. II, G'i2. Ed altro notevolissimo
confronto si ha nella bellissima iscrizione di Campo-
marino, pubblicata dal eh. Garrucci noi primo anno
di questo buUetlino p. 180, ove trattasi appunto di
confini, ed ove sono notooli le seguenti espressioni:
vt primum pahim erignel a QYEiìcr pedes circa unde-
cim V. W-2^, ad FRÀXixrii notalam palutn fxum esse
V. 29-30. Abbenclià questi esempli non apparten-
gano che ad antichità romana, pure non può dubi-
tarsi che presso i Greci aver doveano luogo le mede-
sime cose, le quali sono nella natura delle umane i-
stiluzioni. E certamente nella origine della di\Ì5Ìoiic
de' campi, era pur più probabile che si seguissero i
naturali confini, quali sono gli alberi , piuttosto che
gli artefatti. Da lutto ciò vogliamo inferirne che il Mer-
curio del nostro vaso dee ritenersi come un dio Ter-
minale; e siamo quindi autorizzati a giudicarlo sicco-
me un appoggio grandissimo alle idee da noi pr*ce-
deniemenfe sviluppate.
E qui vogliamo avvertire, che il dottissimo Zoega
attribuì la religione degli ermi al solo Mercurio ter-
minale [de or. et iisu obeliscor. p, 209 e segg. ). Alla
quale idea si oppose il mio dottissimo amico sig. cav.
Gerhard, contrastando la ragione di (pieìla forma di
divinità messa in campo dall' illnstre danese, il quale
l'attribuiva alla imperizia degli artisti (p. 217). Vedi
Gerhard de religione Hermarum pag. 4 et segg.
Egli invece riferisce la religione degli f)'.*?u' al culto
delle divinità di Samotracia, e propriamente al Mer-
curio fal'iico de' Pelasgi , ed a quelle dei!à che collo
stesso hanno stretta relazione (vedi la sud. memoria).
All'opposto il eh. Hermann, contrastando la idea che
attribuisce agli ermi un generale fallico significato
{d« Terminis eor. rei. ap. Graecos p. 22), li crede de-
nominati appunto da .Mercurio , ed in relazione con
lo stesso come dio terminale [ibid. p. 18, 20); anzi
sostiene che forse la più antica iutroduzione degU ermi
è quella che servi a distinguere le private possessioni
(Ibid. p. 13, e sog. ). Le quali osservazioni rientrano
appunto nelle idee del Zoega, e fanno a proposito nella
presente discussione. Non voglio intanto omettere di
avvertire che bene a ragione il Gerhard dichiarava
falso il motivo della scelta d.l!a forma dogli ermi ,
attribuito alla imperizia degli artisti. Evvi però un
altro motivo diverso , che nondimeno appoggia mi-
rabilmente la teoria del Zoega. Questo motivo è for-
nito appunto dal vaso di Armento , di cni sopra di-
cemmo , nonché dal nuovo vaso di Alife. La forma
degli ermi è dovuta alla idea di una stelo, a cui tiensi
abbracciata , o vicina la divinità de' confini. Supposto
che questa divinità sia in parte nascosa dalla pietra,
o dall'albero a cui sta vicina, ne verrà la forma del-
l'erma. Ne'va:i , ove la presenza della divinila pro-
tettrice de' confini doveva particolarnionte addiian-i ,
veJesi essa distinta dalla colonna o dall'albero termi-
nale: non così negli altri numerosi monumenti di u-
so, ne' quali la desidercvole facilità di lavoro , e la
necessità di occupare il minore spazio possibile, per-
suadeva a preferire quella forma ad un gruppo. L'an-
tichità ci fornisce altri esempli di queste riunioni di
divinità agli oggetti a' quali si riferiscono. Tali sono il
Giove ed il Dioniso hh.i^po] presso i Greci, de' quali
ci resta qualche rara rappresentazione ( vedi i miei
monumenli inedili di Barone voi. 1 p. 63 e segg. ) ,
ove si veggono figurar appunto come protomi o busti
alla cima di alberi. E probabilmente era dello stesso
modo effigii'la la Elena Dendriti» de' Rodii (Ptolem.
Ileph. IV, b, Phot. bìbl. 190 p. 247 cf. Jahn arch.
Bcitr. p.32o, ed i miei ìnon. inod. append. p.X). Cosi
pure il Dionysos Siijloi, o Bacco colonna , venne figurato
come una testa al di sopra di una colonna, e qualche
volta ancora di un palo , rivestito di una clamide ;
siccome ci venne fatto di osservare pubblicando un
insigne monumento del sig. Raffaele Barone (vedi i
mici man. incd. voi. 1 tav. VII , e la pag. 34 e seg.
Veggasi pure il recentissimo lavoro del eh. cav. Pa-
nofka Dionysos tind die Tìujaden tav. I fig. 1, tav. II.
fig. t e 2, e la png. 33 e segg.).
Per non dipartirci da queste idee del Mercurio Ter-
minale, in rapporto col vaso di Alife, osserviamo fi-
— 100
nalmente che al rovescio vedesi. una scena del gin-
nasio, ove figura la mela, al(ra forma di un limile
di pielra, a cui presedeva lo slesso Mercurio.
Volendo ora dir qualche cosa sulle particolari fi-
gure della principale rappresentanza del nostro mo-
numento, potrehhe da alcuno darsi la denominazione
di Ecate e di Cerere alle due femminili figure, che
veggonsi presso Triltolemo , fondalo sul paragone di
altri monumenti, ove di quelle due divinità vedosi la
prima munita di scettro , e la seconda delle fiaccole
{mon.incd. dell'ht. voi. I. f. IV, annali v. 1 p.26i s.
Tischbein fom. IV tav. Vili cf. Roulez mélang. fase.
HI, 4 p. 2 e seg ; e ciò che ho scritto nell'antica se-
rie del bull. arch. napol. an. 1 p. 15). Ma nella figura
colla fiaccola io inclino a ravvisar piuttosto Proser-
pina; giacché in altri monumenti questa divinila scor-
gesi ancor essa colla fiaccola, siccome osservammo noi
slessi in un vaso del Tischbein (toin. IV tav. Vili ve-
di il cit. bull. l. e. ). Sarebbe dunque nel nostro vaso
Triltolemo fra Cerere e Proserpina Iljpff/pxa-c-a , o
<&£f£^«crxj siccome viene denominata in un magnifico
vaso agrigentino ( bulled. 1. e): il che ci sembra me-
glio adattato al soggetto. A ciò si aggiunga che la face
pienamente si addice ad una divinità, il cui nome può
accennare particolarmente alla luce , derivandosi dui
verbo ^aw, (Lobeck pathol. l. gr. p. 40).
E qui piacemi di osservare potersi ne' monumenti
relativi a Triltolemo riconoscere e distinguere la fi-
gura di Proserpina da quella di Ecate: ed è, a nostro
giudizio, nolevolfe la dìHerenza.
Ecate è quella , che reca due fiaccole ; Proserpina
quella, che ne porta una sola. Esser dovea nell'anti-
cbità lipo particolare ad Ecale una figura con dop-
pia fiaccola, se Aristofane ebbe a dire di quella par-
lando :
AiVL'poui à.y:XOUiTot. X'jiixTrx^ai
'Oè,v'rclro(.iv x.-ipì'i' (Ran. 1361/
Sarà quindi probabile la nostra distinzione , la quale
non ci sembra contraddella da alcun monumento re-
lativo allo slesso mito di Triltolemo. Per lo che credia-
mo anche noi che riconoscer si deggia Ecate nella fi-
gura con doppia face , la quale precede Demeler nel
naagaifico vaso cumano pubblicalo n«l citato bulkuiiio
del cav. Avellino (an. I tav. II) , giusta la interpreta-
zione del eh. Schulz [bidlelt. dell' Ist. 1842 p. 9).
In quanto al carro di Triltolemo, che vedesi sem-
plicemente alato , senza esser tratto da serpenti , in-
contra il confronto di varii monumenti , tra' quali il
vaso della collezione Pizzatipubblicato dal eh. Roulez
(mélang. 1. e. pag. 3. ove si citano varii monumenti
not. Ì3). Questo vaso merita di esser paragonalo con
quello di Alife, anche per la figura di Triltolemo, a
cui molto si assomiglia per lo scettro, per l'abbiglia-
mento, e per la corona che ne cinge la fronte. Solo
è notevole la differenza che nel vaso Pizzali feroe re-
ca in mano una patera , come in altri monumenti in
un vaso del real museo di Berlino (Panofka wims. Bar-
toìd. p. 133 seg. cf. Gerhard Berlins anlike Bildw.
p. 2o9). Lo scettro, che vedesi varie volle attribuito
a Triltolemo, pare voglia alludere alla sua destinazio-
ne di civilizzatore della umanità : e poiché la civiltà
penetra ne' popoli per mezzo della parola e si rafferma
per mezzo delle leggi , ben conviene all' attico eroe
quel simbolo, che accenna appunto a queste due idee;
per lo che costituisce il distintivo de' re, e degli ora-
tori, e quindi di tutti coloro, che han bisogno di ri-
chiamare r attenzione degli ascoltanti. Vedi la delta
memoria del sig. C. F. Hermann de sceplri regii an-
tiquitale et on'^me-Gottingae 1851; cf. principalmente
la pag. 13-14.
- MiJiERVINI.
liciizioni Ialine, continuazione del n. precedente.
Pria di passare ad altra iscrizione , noterò che i
Latini ebbero il nome proprio yl«imu/a, come si legge
in un programma di Pompei ( bullet. arch. nap. aat.
ser. an. I, p.lO n. 11). Or quantunque il dottissimo
Avellino tenesse quel nome come allusivo ed epigram-
matico {bull. cit. an. IV, p. 50); pure io opino che
sia un vero nome simile al greco Psycharium: e que-
sto è pure il sentimento del eh. Garrucci (bull. nap.
nuova ser. an. I. p. 152).
— 101 —
HMSSEFC
P • SALLVVIVS • P • F • RVFVS • ET
M • SALLVVIVS • P • F • COGITATVS
P • SALLVVIO • P • F • RVFO • PATRI • ET
SALLVVIAI • P • L • ITALIAI • MATRI
WEMORES • PIETATIS • FILII • PARENTIBVS
Questa iscrizione proviene dal medesimo silo che
la precedente, e trovasi pur pubblicala nel citato luo-
go, interessante ci sembra la formola messa nel prin-
cipio , la quale è da interpretarsi certamente : hoc
monumentum sive sepulcrum est faciendum curanvU
eie. Le prime cinque sigle sono spiegate dalla grute-
riana (p. DGCCLXXIX n. 6; cf. Snieth. fol. CXLI,
num. 1), ed incontrano il confronto in altre iscrizio-
ni; come in quella dell' Augustale iu Miseno 31. An-
tonio lanuario, già da me pubblicata ( bull. ardi. nap.
L serie an. IV. p. 17 e seg.), ed acquistata pel real
museo Borbonico. Per tornare alla epigrafe de' Sali u-
vii , osservo doversi riputare de' buoni tempi; ed è
anche notevole il dittongo AI per AE nel nome della
madre Salluviai Italiai. Questa donna , addivenuta
forse la moglie del suo padrone P. Salluvio padre ,
portava nella origine un nome geografico. É sfato
osservato dal eh. ab. Cavedoni trovarsi non poche
volte cognomi geografici, e ne raccolse non pochi e-
sempli ( monum. amico sepolcr. ora tornalo a luce in
Modena p. 6 e s. cf. indicai. Mod. an. 2 n. 16), do-
po le osservazioni del dottissimo Borghesi (»u(Ofo t/('yj/.
mil. di Tr. Decio pag. 68-70 cf. Cardinali dipi. mil.
p. 23; e iscr. y^eliterne p.l70). Lo stesso eh. Cavedo-
ni altri esempli andò ricavando non ha guari dalle
iscrizioni cristiane, ove ci sembrano evidenti f'rar/^iia-
glio crii, del discorso sopra le iscr. cristiane antiche del
Piemonte del eh. sig. Cav. Costanzo Cazzerà p. 19 }:
e bene a ragione fa la medesima avvertenza il mio
dotto collega signor Gervasio pel cognome Puteolano
attribuito a personaggi di Pozzuoli ( iscriz. di Cavia
Marciana pag. 1 1 e seg.). A questa medesima classe
di nomi geografici appartiene la nostra SaUuvia Ita-
, Ha. Del resto in varie altre epigrafi delle nostre regioni
occorre lo stesso nome : co^i rilrn\ ianio una Pvmpo-
ìiia Ilitalia in iscrizione di Brindisi ( noe. Fiorent.
178i, 390, Mommsen j'/iSfr. r. npa/>. lai. num. 'ììd),
una Pelronia Italia presso Piedimoutc di AtHe (Trutta
ani. allif. p. 210; Mommsen n. 4789), una Valeria
Italia in epigrafe del nostro real museo (Muratori j).
JIDCV, 1 ; Mommsen n. 7126), e finalmwite una
llalia nelle catacombe di S. Gennaro (de Jorio Ca-
lac. p. 80; Mommsen n. 3303 ).
Tralasciando alcune varietà di lezioni di altre iscri-
zioni, nascenti dalla nuova lettura del sig. Falcone ,
dirò ch'egli ne riferisce una inedita proveniente da
Casalbore Comune dello slesso circondario di Monle-
calvo {loc. cil. p. 17). Essa dice così:
D- M-
M. ALLIVS
MARCELLVS
MAXIME
COIVGI
BMF-
8.
BOVIAE- L- L- ARBVSCVLAE
È in una ampia lastra di marmo, proveniente dalle
vicinanze di Pozzuoli. Ora è posseduta dal sig. Raf-
faele Barone negoziante di antichità: e lo slesso ab-
biamo a dire , sì per riguardo al possessore che alla
provenienza, delie due altre iscrizioni seguenti. Il no-
me della gente Bovia , ed il cognome Arbuscula sono
abbastanza frequenti nelle lapide , perchè citar .se ne
debbano gli esempli.
9.
M- S-
-la NVARIVS • SE , VIVO FeC •
et ■ lAWARIAE ■ COIVG • SVAE
IIVNC • CVBICVLVM •
et • IIB • LIBERT • LIBERTABVSQ-
suis • MASVRI • SOLO • PERÌ'E
tuo ■ ERIT SVMMA- DIES • ET
(EMPVS •
— 102 —
Questo marmo è alquanto frammentato a sinistra,
e vi ricorre intorno una cornice. Noi crediamo che
pochissime lettere vi manchino, e sieno quelle appunto
che vi abbiamo sapplite. Sembra che nella prima li-
nea manchi lo spazio per un D., per formare la noia
formola D. M. S. Sarebbe dunque da ritenere il solo
M, cioè Manibus Sacrum. Questa particolarità incontra
qualche confronto , come nella iscri/.inae del museo
Veronese (MalTei ;n U.S. Feron. 141, 1), riprodotta dal-
rOrelIi (n. 4441). La ortograBa coiufji per coniugi è
comunissima, ed antica. Cosi lo dice espressamente Ap-
pulojo grammatico pubblicato dal eh. Mai (p. 133) :
Coiux dira n in ulraque Pjl'aha repurilur apudanli-
qiios; il qual luogo è citato a proposilo dal dottissimo
Cavedoni {dichiar. degli ant. marmi moden. p. 273,
s.). Nella nostra iscrizione troveremo pure un altro
esempio della omissione dell' N innanzi ad S nella voce
masuri per man.mri: del che si hanno influiti esempli
nelle antiche lapidi, siccome potrà di leggieri persua-
dersi chi svolge appena gl'indici grammaticali delle
principali raccolte epigrafiche. La frequenza di questa
ortografia ce la fa attribuire a particolare pronuncia la-
tina piuttosto che ad influenza di greco parlare ; seb-
bene potrebbe forse sostenersi che questa influenza ebbe
luogo ne' pochi casi, ne' quali vedesi il finimento in is
come nelle parole agis per agens, discis per discens,
secondo la opinione ultimamente emessa dal eh. sig,
Gervasio (iscriz. riguard. il Macello di Pozzuoli f Ai
e s. ). Nondinleno anche in questi pochi casi potrebbe
taluno sospettare che non sieno state abbastanza se-r
gnale le traverse dell' E nella sillaba finale. La voce
cubiculum fu non poche volte adoperata ad indicare
il sepolcro ( Muratori p. DXLIV , 1 ; DCCCXC , 6 ;
MCCCX, 1 ; MCCCLXXI, 5: Fea framm. Consolari
p. 89 ) : né ciò dee sembrare maraviglioso , quando
si consideri esswe adoperate , ad indicare il riposo
della tomba, le espressioni /tp/cc«?ja((Orellin.4485,
4486 : vedi le effemeridi letterarie di Royna t. XIIL
p. 92 ). In quanto a) pronome hunc , che mal si coir
lega con cubiculum, è i)oto incontrarsi sovente simili
discordanze nelle lapide ; e per tacer di moltissimi ri^
gcoDlri , che sarebbe facile accumulare, mi basterà di
citare \ hunc momimenlxim (Marini Arvali pag, 343;
Lupoli il. Venm. p. 287; Creili n.4428: cf. Momm- '
sen n. 6916), che contiene la identica particolarità.
Non è poi strano il supporre che si usasse anche cw-
hiculus in genere mascolino , giusta 1' avvertenza di
Curio Fortunaziano (art. rhetor. lib. 3. p. 71. rhet.
Latin, del Capperonaier ) : Romani vernacula pluri~
ma et neutra multa masculino genere potius enuntiant
et hunc thcatrum et hunc prodigium. Co^ilro\ASìhunc
coUcgium nella Orelliana (n. 4123), e non poche
volte collegius ( Murat. pag. CLXII , 3 ; DXXV , 2 ;
DCLII, 2; cf. Creili n. 4101: Amaduzzi anecd. rom.
tom- 3 p, 466, 9 ; Gori inscr. Elrur. t. 3 pag. 18;
Cimaglia ant. venus, p. 194). Traile lapidi, ove que-
sta voce si legge , va messa quella di Mavorzio Lol-
liano , come ha dimostrato il eh. sig. Gervasio cella
illustrazione di quella epigrafe (vedi alla pag. 4 U
dotta annotazione 4: cf. Mommsen n. 2'i02, il quale
dice di aver letto colligeus). Tornando alla iscrizione
del sig. Barone, avvertiamo ch'essa termina con una
grave sentenza , di cui non troviamo il riscontro ia
altra iscrizione: mannin solo perpetuo erti summa dies
et tempus. Esprime senza dubbio lanuario , metten-
dosi in vita quella memoria , che per coloro i quali
erano destinati a rimanere perpetuamenle sotterra »er-
rehbe l estremo giorno. E forse nella conclusion* lo
scrittore tenne presente quel noto verso di Virgilio
[Acneid. II, v. 324) Venil summa dies, et inelucta-
hile tempus.
10.
D pT M /
M • CALVIO OPPILI
OM • QVIVIXIT ANMS
Vili • CALVIA • CALLI
TVCHE • FRATRI
PVLCISSIMO
FECIT pT
Sulle foglie di edera messe per semplice distinzione
nelle iscrizioni greche e latine vedi quel che ho detto
io stesso in altro lavoro {ant. lap. napol. di Tettia
Casta p.6, s.). Il cognome O/Jllio è simile al Tracalio,
all' OjJlatio de programmi pompeiani , ed al Luerio
103 —
(li una iscrizione forse puteolana riferita dal sig. Gcr-
vasio , a proposito d' illustrare il simile cognome di
Epaphrio in una iscrizione di Lesina [ani. iscr. di Le-
sina p. 20, e 34 noi. 1 , ove si parla di questi ipoco-
ristiei, citandosi pure il Marini Arvaìi p. 250 seg. ).
A noi piace di aggiugnere Xlnfantio fornitoci da' pro-
grammi pompcjani (Guarini (asli duumv. p. loO),
uno de' quali uscito da poco tempo alla luce fu da
noi riferito in questo medesimo biillettino (an. I. p.
177). Sono egualmente da ricordare il Quintio di
una iscrizione edita dal eh. Avellino (ftit//. arch.nap.
an. I. pag. 8), ed il Maceria di un programma pora-
pejano ( bidl. cil. an. IV p. 4).
già in altre lapide (1) , si faccia soltanto nel nome di
Vcrria. Il cognome EtUychini ci offre uno di quei fi-
nimenti femminili che ora in eds ora in enjs ed inis
veggonsi uscire al genitivo. Ricliiaraiamo a confronto
il nome Eleutheris, cifc legsesi al terzo caso KI-EV-
TIIEUliNE ia una iscrizione del real museo IJoiIjo-
nico proveniente da Marano [bull, arch, nap. an. Ili
p. 94 Mommscu n. 3032).
13.
DM
TAG AEN AE
VIX • AN
XXI
11.
Non è sicura la provenienza di questa, e delle altre
molte iscrizioni che seguono : soltanto possiamo assi-
curare che esse appartengono a Pozzuoli , Cuma ,
Baja , ed altri siti vicini.
DIS • MAN
C , AVIANI
EPAGATUI
AVGVST
CVMIS
Questa iscrizione ci presenta il nuovo augustale di
Cuma C. Avianio Epagalo, da aggiugnersi a' due fi-
nora conosciuti dalle iscrizioni (Mommsen n. 2120,
e 2579 ; la quale ultima iscrizione è nel real museo
Borbonico).
12,
D M
VER • RI • AE . EVTYCHI
NI • VIXIT • AN • XXXV
DIEBVS • VI
EVNVS • CONIVGI
t. notevole che la divisione nelle sillabe, osservala
Le A dell' insolito nome Tagaenae sembrano prive
della traversa.
14.
D • M
L • LOLLIO
EPAPHRODITIANO
15.
A • OFILLIVS
STAPIIYLVS
VlXIT • ANN • XXV
16.
D • M
AVRELIVS • ROMA
NIO • QVI • VIXIT • ANN
XV • M • IIII • AVRELIA
AERAIS • FILIO • SVO
B • M • F •
ACIL • PRIMVS PAT
Il cognome Romanio va nella stessa categoria di
quelli notati sotto il num. IO. Il cognome PRl.MVS
offre il finimento VS in nesso.
(1) Vedine vari! esempli citali da noi jIitotc nel bull, archto-
logiso nap- di Avellino ao. VI p. -44.
— 104 —
17.
SVETTIAE FAVSTAE
18.
FAVSTA • LONGINI
SIBI • ET . PELORIDI • FIL
V • ANN • V
Questa Fausta era moglie di Longino : essendo
quello il modo d'indicare una tale relazione nelle la-
pide e nelle medaglie. È alquanto strana la maniera
di esprimersi SIBI • ET • PELORIDI • FILmc, nel
metlere una memoria alla defunta figliuola ; di cui si
dice che visse soli cinque anni : a meno che non vo-
glia dirsi che l' affettuosa madre volle additare il suo
dolore per quella perdita , quasi accennasse di avere
a sé stessa preparato il sepolcro.
19.
D • M
C • MARCVS (sic) • GEMELLI
NVS • C • MARCO (sic.) • GEMEL
LINO • ALVMNO • QVI • VIX
ANNIS • XXII • ME • mi • B • M • F
Qufesta iscrizione ci sembra interessante perchè ci
offre il prenome Marcus adoperato forse come nome.
Noi sappiamo essersi adoperati in tal modo alcuni pre-
nomi, come Cahis, Numerius etc. ; ma vedesi almeno
in essi il finimento in ius. Questo è stato certamente
il motivo , per lo quale il Furlanetto ammise unica-
mente esser passato il prenome Marcus ad usarsi come
cognome ( Lexic. Forcell. v. Marcua). Debbo pertanto
ayverlire che anche da altri esempli potrebbe taluno
essnere autorizzato a crederlo nome di gente. Infatti due
iscrizioni Muratoriane ci forniscono due altri esempli
di questa particolarità. Troviamo in una un Q. Mar-
cus, Italicus (p. DXXVIII, 2), nell'altra un C. Marcus
Paulus ( pag. MCXXIX, 9 ). Questi esempli trovansi
assai bene illustrati dalla novella iscrizione , nella
quale non può affatto supporsi un nesso dell'I coll'V;
giacché Icggcsi poi chiaramente al dativo C-MARCO.
Potrebbe unicamente ricorrersi alla supposizione di
un doppio cognome colla soppressione del nome; e
questo sembra confermato da una epigrafe romana*
pubblicata da' chiar. signori Marchese Melchiorri e
Commendatore Visconti nella Sìlloge d' iscrizioni ari'
tiche inedile da loro inserita nelle effemeridi letter. di
Roma: la suddetta iscrizione leggesi a pag. 105 del
toni. XIII sotto il n. ClIII. Troviamo in essa un Q.
Quadratus Marcus fratello di un Q. Marcus Rueus.
Or può dedursene che il cognome comune fosse Mar-
cus , e che ognuno di loro si avesse altro cognome
Quadralus , Rueus ; secondo le famiglie colle quali
erasi imparentato. Non deggio però tralasciare di av-
vertire che il Marcus potrebbe supporsi il nome della
gente, e Quadratus e Rueus i cognomi ; essendo bea
risaputo che nelle iscrizioui non è raro trovare il co-
gnome premesso al nome. Del resto , come innanzi
avvertimmo , è frequente il cognome Marcus nella i-
scrizioni : e per parlar solo delle nostre regioni , il
eh. Mommsen ne riporta sette esempli (n. 302, 352,
1333, 1677, 3364, 3536, 6310 (139)). Da questi
però vorrei togliere il n. 352 riferito da una iscri-
zione di Saponara letta dallo stesso eh. editore ; giac-
ché parmi che veggasi in essa usata come prenome.
La iscrizione è la seguente :
D • M
MARCO PAT L
ET ARRIA MAT
FILIO • BENEM
ERENTI FECIT QV
VIX • ANNIS XVIII
Nella seconda linea dovendosi leggere Marco pater
Lucius, vedesi notata la diversità de' prenomi: non si
legge poi né il nome né il cognome ; perchè proba-
bilmente appartennero alla stessa gente Arria. Erano
dunque uu Marco Arrio, ed un Lucio Arrio; e quia-
di non dee pensarsi ad uso di cognome.
Tornando alla iscrizione, che ora pubblichiamo,,
nulla diremo della voce ALVMNO , rimandando a
ciò che ne scrissero il Fabretti (e. V p. 349-354),
ed il MorcelH {de slyl. inscr. I, p. 167).
MlKERVINI.
Qivuo MiNERYi.M — Editore.
Tipografia di Giuseppe Catàneo.
BlLLETTmO ARCIIFOLOfiICO MPOLUWO.
NUOVA SERIE
N.' 38. (14. deiranno II.)
Gennaio 1854.
Notizia di alcune lerrccolle antiche ddla collezione del defunto Francesco Mongelli in Sapoli. Continuazione
dell' artic. inserito nel I. anno di questo buUettino p. 30.— liiblinijrafia.-- Iscrizioni latine. Continuazione.
Notizia di alcune terrecotle antiche della collezione del
defunto Francesco 31ongelli in Napoli. Continua-
zione dell' artic. inserito nel I. anno di ffiesto bul-
Icltino pag. 30.
Nella favola seconda di questo secondo anno del
buUettino furono per noi pubblicali i disegni di due
altri notevoli pezzi della raccolta Mongelli; ed ora dar
uè vogliamo una breve dilucidazione, che pur troppo
lungo tempo fu da noi rilardata ( I ).
Vedesi sotto il n. 3 una piccola ara di larghezza
palmo 1,5, di altezza 7 decimi di palmo , che noi
abbiamo riprodotta di più piccole dimensioni. Nella
parte anteriore è a bassorilievo una quadriga di fron-
te , sulla quale scorgesi Pallade , senza alcun altro
distintivo al di fuori della galea. Dicesi il monumento
trovato in Agrigento; ed il defunto possessore ne pub-
blicò una poco esatta litografìa : il che ci ba spinto a
farne una novella pubblicazione.
La rappresentazione sopra descritta è di stile ar-
caico e secco : e la quadriga, specialmente per la for-
ma de' cavalli, merita di essere paragonata ad alcune
pitture di vasi di piìi antica fabbrica ; tra' quali ci piace
di richiamarne uno posseduto dall' illustre sig. Duca
de Luynes, che ne fece egli stesso la pubblicazione:
ove si scorge appunto una quadriga di fronte fdescr.
de quefq. vas. peints pi. Vili cf. deWiffe calai. Ma-
gnoncourp. 27). Notevole è la semplicità del cocchio,
che manca assolutamente àcìVantyx; e forse dee cre-
dersi piuttosto indicato, che compiutamente effigiato.
Difficile sarebbe l'indagare se l'artista abbia voluto
(1) Dopo la nostra pubblicazione ne fu fatto 1' acquisto pel rea!
museo Borbonico.
ÀftNO li.
figurar la dea (ratta in quadriga per alcuna delle av-
venture che a lei si riferiscono , ovvero quale ajuta-
trice di qualche eroe. Potrebbe supporsi ciie si ac-
cennasse alia pugna co' Giganti, alla quale prese parte
anche Pallade. Né dee far maraviglia la mancanza
dell' avversario ; perciocché è ben risaputo che nel-
l'arie antica non è nuovo il veder tralascialo un per-
sonaggio, quando dagli altri presentati in uu qualche
monumento , viene a spiegarsi l' azione , che si bra-
ma indicare (1). Varie rappresentanze di Gigantoma-
cbie, nelle quali non sono i nomici dcll'Oliinpo, veg-
gousi ricordale dal Sig. Kaoul-Ilorliello fjourn. des
savants 1841 p. 650). E nella medesima Agrigento,
patria della nostra terracotta , fu rinvenuta una insi-
gne patera, ora nel real museo di Monaco, nella quale
si osserva la medesima particolaiità (Fngbirami intl.
di vasi fitt. tom. Ili pag. 140 seg. tav. 282-283).
Noi andiamo a questa idea, perchè ci sembra che in
quel celebre mito , piti die in qualunque altro , era
conveniente presentar nella quadriga la dea guerriera.
Soltanto é da avvertire che il cocchio è fermo: o che
s'immagini un istante prima di muoTersi allacors.i, o
appena giunto dopo lunga e faticosa \\a. Comunque
sia, noi non vorremmo con certezza determinare l'uso
di questa terracotta ; ma se riputar si debba un' ara ,
o la base di altro oggetto qualunque, lo lasceremo de-
cidere a coloro, rfie più si dilettano di congbietlure.
Mollo interessante è la figurina da noi riportala la
mela dell'originale sotto il n.4 della nostra t. II. Rap-
presenta essa una donna seduta sul gallo, da cui è tra-
sportata. Questo piccolo gruppo è slato recentemente
(1) Vedi pure i miei mon. intd. di barone p. H9.
— 106
acquistalo dal rcal museo Boibonico: ed io ne conosco
iiu altro somigliante , cbe ci presenta il gallo volto a
sinistra, laddove in questo da noi pubblicato l'uccello
è rivolto a destra. A bene intendere questo raro e pre-
gevole monumento, ricordo cbe il gallo è un augello,
il quale lia stretta relazione col nascer del giorno , e
colla luce. Vedi su di ciò le classicbe autorità raccolte
dal Bocbart {Hlcrozoic. lib. I. e. XVII p. 120-121),
da! Liudeubrogio ( ad Ccnsorinum de die nal. cap.
AXIV p. 12G), dal Baderò (ad Marlial. lib, IX ep.
70 ) , dal lungermanno (ad Polluc. I, 71 noi. 70 p.
46 ed. Henisleibuis), dall' Heinsio [leclion. Tlieocrit.
e. 12), e per tacer di altri, dal Barlolino [de luce a-
nimalium p. 222 seg. ), il quale alla cresta del gallo
mostra essersi pure attribuito una specie di splendore.
Essendo indubitata una tale relazione del gallo col
sorger del giorno , e coli' Aurora , noi crediamo fi-
gurarsi appunto Hemera o Y Aurora nelle due terre-
cotte , di cui ragioniamo. In conferma della nostra at-
tribuzione ci piace di ricordare le medaglie d'Hlmera
di Sicilia , ove da prima l' immortale Eckbel vide la
relazione del tipo del gallo, 1' uccello del giorno [rìffi
■fi'ji/pxs, o lixip'xi), col nome stesso della città {doclr,
num. vet. toni. I. pag. 212): ed assai a proposito il
dottissimo Cavedoni citò il frammento di Simonide
appo Ateneo (lib, IX p, 374), ove il gallo è detto
lixr^ópwioi [spie. num. p. 27). La quale osservazione
confermasi dalla lezione di un codice di Ateneo, ove
si legge Yj/xjpoipwvos, cbe il eli. Bergk riduce in afxs-
(.ó^ujvoì , per restituire la voce alla forma dialettica
[poelae lyr. gr. p. 771 Simon, fr. 81 ). Del resto av-
vertiamo che il sommo Isacco Casaubono aveva già
osservalo doversi leggere Y/x-pópwvos dici minlius [a-
nimad. in Aihen. pag. 646), A confronto tanto della
sicula medaglia quanto de' nostri monumcnli fanno
assai bene alcuni altri luoghi di antichi scrittori, che
non sarà inopportuno andar qui ricordando. Trovia-
mo presso Plinio, parlando appunto del gallo: diem-
QUE venienlem nunciant cantu (lib. X r. 21), le quali
espressioni corrispondono a quella di ■fifxsj.ól^cAiyoi a-
d'jperata da Simouidc. Nò diversamente favella Isi-
dtiro , dicendo: quorum vox diei ostendit praeconium
{etym. e. òO tom. I , p. 118 edil. Matril.). Pohbio
dice che siccome le trombe in tempo di guerra, cosi
i galli nella pace risvegliano chi dorme rcv opSpov
( lib. XII, 26, 1 ) : ora è ben risaputo che l'òp^pos è
il far del giorno, o l'aurora. Più importante si è un
luogo di Platone: ì^ipyur^xt V; Trpòs 'HMÉPAN,-ri^*i
àXixrpuóycoy 'xhóyruJY ( Sympos. in fine ) ; Luciano fa
dire al gallo nel suo gajo dialogo : yy^ixcov 7 àp outoS
ò.\'iVÒ-'7r'j.T'Ji fxoi '7rporji'>Mvyouijrf 'HMEPAS [gall.l),
e fìnalmeute Plutarco dice che il gallo IwSivv l'tts-
t/}.ujijiy wprj.y [de Pyth. arac. XI p, 400 C), Da tutti
i quali confronti ci sembra assai probabile che nelle
nostre terrecqtle sia effigiala la dea del giorno, quella
stessa che richiama alle medesime idee risvegliate dal
crestato augello, su cui si vede assisa, percorrendo il
suo cammino. Non posso tralasciare di discorrere in
questo luogo di un allro monumento , che riesce di
particolare importanza paragonato con quello delreal
museo. Trattasi appunto di un'altra terracotta del mu-
seo di Karlsruhe , rappresentante un giovinetto con
frigio vestimento seduto sopra di un gallo, e tenendo
fralle mani un altro gallo proporzionato alla sua per-
sona. Il eh. Gerhard, nel darnenotizia, opinò che po-
tesse pensarsi a Pliosphoros (Archaeol. Zeilung 1851
Archàol. Anzeiger p, 29), Per quanto è da reputare
ingegnosa una tale spiegazione, e conveniente alle me-
desime idee da noi sviluppate pel gruppo del real mu-
seo Borbonico, pure non ricordiamo alcun filologico
confronto, che metta il gallo in relazione con Fosforo.
A ciò si aggiunga che le stesse forme di quella divi-
nità non corrispondono appieno a quelle, che furono
attribuite all'astro foriero del giorno. Il eh, dottore
sig. Cristiano Walz di Tubinga, nel pubbhcare il detto
monumento [ilher der Polychroinic der anliken Scul-
ptur, Tubingen, 1853 tav. Il n. 1), esprime un'altra
idea ; cioè che fosse un uomo , il quale cavalca su
di un gallo verso il tempio di Esculipio , per recare
ivi la sua offerta [mem. cil. p. 10 not. 23) (I), Non
sapremmo affatto seguire la opinione del sig. Walz.
Essa trova la opposizione nella enorme grandezza del
gallo paragonala a quella dell' uomo , la quale per-
suade a ricorrere ad altre idee mitiche e simboliche,
(1) Es isl ein Genesener, welcher auf einem Haho zum Tempi'l
des Awculapius a-itel, uin duri sein O^ifer zu briiigen.
— 107 —
fuori delle quali riesce iniprohnliilc ogni inlerprcla-
zione, che dar si voglia de' nostri inonunicnli.
Gettando uno sguardo al frigio giovinetto, che lieo
fralie mani iin gallo , ricorre tosto il pensiero a Ga-
nimede , la cui reiezione col ^;illo è slata "ià suffi-
cicntemcnte provata principalmente coll'ajuto de' mo-
numenti ( vedi Panufka Archàol. Zcitung del cav.
Gerhard voi. I pag. 55 (I); Minervini nel bullcltino
archco!. di Avellino an. V p. 18; ^■Aìn Arclidol. liei-
trttgc p. 27-28 , ove perù non si richiamano i vaiii
monunieiili da me accennati, non potendo esser per-
venuta al eh. autore la mia pulihlicazione). Ciò non
ostante, manca la spiega/ione dell'enorme gallo su cui
è assiso: se pure non voglia ritenersi come simbolo
erotico. Ma osservando le figurine muliebri , siamo
(ratti a pensare che dobbiamo stabilirci nello stesso
ordine d'idee, e fermarci ad una interpretazione sim-
bolica, relativa alle astronomiche divinità.
Comincio ^all'osservare che il vestimento frigio od
asiatico della figura assisa sul gallo, potrebbe richia-
marne a divinità di origine orientale. La cjualc ipotesi
è favorita dalla presenza del gallo , a cui fu data la
denominazione di Uspcixòi c^vii; ed opinavano alcuni
che ne fosse il motivo la origine persiana di quell' uc-
cello (Ateneo lib. XIV p. 655): vedi su questa de-
nominazione il Brissonio {de regno Penar, lib. II, e.
238). Ahbenchè altre derivazioni si fossero presen-
tate (Salmasio exerc. pUnianac p. 612, h-C)(2); pure
è sufficiente che fralie varie tradizioni messe in cam-
po a spiegar quel nome, fossevi anche quella, che at-
tribuiva al gallo una origine orientale , per credere
queir animale ben conveniente ad una orientale di-
vinità. Tale infatti si addimostra la figurina di Karls-
ruhe : ed è opportuno di rammentare che le divinità
astronomiche negli orientali monumenti di quel me-
desimo modo miransi effigiate ( vedi Raoul-Hochette
li) Non intendiamo pa-ò di seguile il suo parere pe' bassirilievi
di Xanthus.
(2) Noa saprei se fu da alcuno presentala la derivazione da ciò
che narra Eliano; cioè che gli Ateniesi, dopo la ^illoria contro i
Persiani a' tempi di Teraislocle , promulgarono una legge che in
un giorno dell' anno si offrissero nel teatro pugno di galli ( llist.
anim. lib. 2 cap. 28)- Farmi probabile che da quell'epoca potò
il gallo chiamarsi lUj^cri/.òs.
Jlercule as<itjr. ci jihntlr. pag. 185 et alibi passim).
Sarà quindi probabile cttiigliiellura il ravvisare il .Sole
nella terracotta , di che favelliamo. Tutti i luoghi da
noi accennali appoggiano la nostra spiega/ione; per-
ciocché in tutti si allude al nascer del sole , a cui ha
relazione il canio del gallo. Ma del gallo come sacro
al Sole parlano molti antichi scrittori : Vedi Jamblico
{vii. Pi/lhag. cap. XXVll, pag. 136), Eliodoro (lib.
1. Acthiup. cap. 3. ) , Snida ( sub llc'Jxy. ) , ed
altri. E voglio notare che già l'arte erasi impadro-
nita di questo simbolo come Apollineo ; cosi Pausa-
nia riconosce in un'opera d'arte Idomeneo dall'em-
blema del gallo , che ne fregiava lo scudo , quasi al-
ludesse alla parentela dell'eroe col dio della luce (lib.
V. e. 25, 10) (1) ; e Plutarco ricorda una statua di
A[)ollo, tenente sulla mano un gallo {de Pglh. orac.
XII. p. 400 C. ). Né ad allra idea accenna lo scher-
zoso Luciano, quando fa dire al gallo che l'anima sua
era volata da Apollo {in gali. 16) (2). Non sarà a-
dnnque fuor di luogo il supporre una solare divinila
nella nostra statuetta, che rappresenla ajipunto una
figura col gallo fra le mani.
In seguito delle cose finora discorse non voglio tra-
lasciar di proporre un' altra conghiettiira , alla quale
maggiormente inclina l'animo mio : ed è che nella sta-
luelta del museo di Kalsruhe riconoscer si debba il
dio Luno , o Mese, che va per la sua via trasportato
dal simbolico animale, E ben risaputo che questa di-
vinila presenta appunto il frigio ed orientale costume:
e son da vedere a tal proposilo il Cavcdoni ( btdlell.
dell' hi. 18il pag. 112), il sig. de Longpérier {mé-
daille d'or de Dynnmis rclne de Poni. cf. pag. 6 ) , il
comm. Avellino ( niemor. della r. Accad. Ercolanese
(1) Questo medesimo luogo è richiamato d;d sig. Onglleirao Er-
rico Fuchs per provare una delle intelligenze delle insegne degli
scudi, neir interessante dissertazione (le raliunc qmim rctercs ar-
tiflces, in inirnis vasorum pietores, in cUpeis imaginihus cxor-
namtis «rf/)v6i/ni«/.-Goltiiigao MUClXLU in 8, p. 17; e più lun-
gamente parla il.:l gallo p. 42, s., ove però non si distende a favel-
lare della significazione solare di (jucsto uccello. Ci riseibiamo di
esaminare iu altra occasione alcune opinioni sostenute dal signor
Fuchs.
^2) È notevole che nelle scene mitriache vedcsi pure il gallo ,
certamente pe' suoi solari rapporti : vedi Hyde de rei. lel. Penar.
p. Ili, e 112- Si richiami anche qui il TltfiTir.is ò'.ns.
— 108 —
voi. V p. 286 e seg. ), il sig. Raoiil-Rocliefte [Her-
cule assyr. el ■phénic. pag. 183. n. 1.), ed aldi. Vedi
pure pure quel che ho detto nel hullctl. archeologico
napoUlano an. Ili p. 55 e seg; e nuova serie toni. I,
pag. 30. La numismatica ci fornisce un rapporto del
gallo con questa divinità: così ritrovasi presso a' piedi
del dio in medaglie di Antiochi.'» di Pisidia ( Eckhcl
doctr. num. vct. t. Ili p. 19), ed in quelle di Parlais
della Licaonia ( Id. ih. pag. 3i. Lo slesso Eckhel ne
feccia puhblicazione Sylloge tah. V n. 11. v. p. 53,
senza dar la spiegazione di quel simbolo ). Queste me-
daglie ( i ), ed il piccolo gruppo di Kalsruhe, sono spie-
gali da quel che riferiscono Diogene Laerzio, e lani-
Llico. Dice il primo : vXixrpvóvoi fxy\ aTrrsff^}*! Xw-
y.où , . . . 'r('~ fAr,v; ìffrì hps . . <ri^,x%i\ii yap -ras
Mf'j.i (lih. Vili, segni. 34. p. 517); ed il secondo:
\xr))\ ^V: 'XXixrpuóva. Xiuxir Ixitrf ')'àp, y.rxì hpos
rov My]vòs, ^lò xoà <r-f\ix%mvaiv wpw [vii. Pylh. lih. I,
cap. 28 p. 87), ed altrove: àXixrpuór/. Tf/^s ixìv txy\
3t'r Mr/( yàp x%i r,Xiw yjj.^iscicTjr'xt (lib. Il ^'yrnl». 18
p. 146). Ora avvertiamo die lo stesso sig. Walz nota
che il gallo nella statuetta da lui pubblicata è bianco.
Non dee poi sembrare maraviglioso che lo stesso
augello sia sacro al Sole ed al Mese , quando si con-
sideri che il mese solare richiama alle idee medesime
dell' astro del giorno ; giacche il Mese stesso rappre-
senta una parie del corso del Sole. In un antico ca-
lendario vedesi il mese di Gennajo col gallo (Graevii
thesaur. aniiq. rom. voi. Vili p. 96); e noi crediamo
che sievi messo come un indizio del principio dell'anno
solare : per lo che il Gennajo è da riputare il mese
per eccellenza, a cui spetta particolarmente quel sim-
bolo (vedi pure il Creuzcr Symbolih lem. IH p. 616
seg. della 3. ediz. ). Un'ultima osservazione crediamo
di fare in questo luogo, ed è che nell'oracolo di A-
pollo Ciarlo riferito da Lusobio [praepar. evang. ]ih.
3 p. 123 ), del dio Mese si favella in tal guisa:
'Hors x%] yvxrii Trrj'/.vx^ifos r^vrx. yw\xujv.
Questa proprietà, che si attribuisce al dio, corrispon-
de al costume del gallo , che quasi regge la notte e
l'aurora, col far sentir la sua voce nelle ore notturne
(ly Vcggasi pure ciò clic osserva il Janaelli UntOiin. hermcix. in
liierogr. crypi. p. 200 seg.
e nel nascer del giorno. Di questo doppio canto del
gallo ha parlato lungamente il Bochart {Hieroz. 1. e.
p. 121 ) : ed io mi contenterò di citare le parole di
Isidoro; quorum vox dici ostendil praeconium, quando
el mesonyctiiis a/Jlatiis fil {elym. e. 30 pag. 118 t. I,
edit. Malril.). Non sarà dunque improbabile la nostra
con^hiellura, secondo la quale ravvisiamo nella sta-
tuella di Kailsruhe un'astronomica divinità , o il Sole
sotto forme asiatiche ed orientali, ovvero piuttosto il
mese solare degli antichi, o b'arnace, che collo stesso
Sole aveva strettissima analogia (Raoul-Rochctte Her-
cule assyr. et pìiènic. p. 228 e seg.).
MlNERVlxM.
BIBLIOGRAFIA
Nolicc sur les foutlles de Capone par M. Raoul-Ro-
chelte — articles exlrails du journal des Savanls. Pa-
ris imprimerle imperiale MDCCCLIII.
L'illustre autore di questi articoli, colla occasione
di ragionare delle più recenti scoperte avvenute nel
sito dell'antica Capua , presenta alcune ricerche su
questa famosa città, e favella eziandio di molli mo-
numenti anticamente conosciuti , senza tralasciare la
importante discussione della numismatica capuana.
Noi daremo un breve sunto di questo interessante la-
voro , che si aggira sopra palrii monumenti, e nel
quale si trovano alcune notizie di fatto non ancora
per altri pubblicate.
Il Sig. Raoul-Rochelte consacra il primo articolo
alle ricerche sulla città di Capua considerata nelle
principali epoche della sua storia.
Egli osserva essere ben risaputo che fa d'uopo di-
stinguere tre principali periodi nella storia di quella
insigne città ; il periodo etrusco , il sanuitico , ed il
romano. Avverte che da alcuni non volle considerarsi
l'elemento greco nella civilizzazione di Capua , lad-*
dove è questo dimosiralo dalla maggior parie de mo-
numenti di quella provenienza. L' autore ritiene la
tradizione che attribuiva la fondazione di Capua ad
— 109 —
una colonia clrusca , staLilìlasi in quella parte della
contrada occupata allora dagli Opici od Oici, ed ap-
pellata in seguito Campania, verso l' anno iT innanzi
la fondazione di Roma , o verso l' anno 800 prima
della nostra era : quindi lo stabilimento di un impero
etrusco di dodici città, delle quali Capua era la prin-
cipale. Crede ancora abbastanza fondala la nozione die
la città eradagli Etruschi chiamata ì'ull nrnum, non n\-
Irimenti che il fiume Vulturnus, sulle sponde del quale
era edificata: come narra Tito Livio. Si oppone però a
ciò che lo stesso Livio atL-rma essersi nomala Capua
dopo la invasione sannitica l'anno di Koma 332, dal
condottiere de' Sanniti Capi L'aulore dalle non po-
che città vicine a Capua, alle quali l'anlichità altri-
buiva una origine pelasgica, deduce che anche in Ca-
pua recarunsi in tempi remotissimi i popoli Pelasgi o
Tirreni, prima dell'epoca dello slabilimeulo delle co-
lonie elleniche: seguendo in ciò il parere del Niebhur.
Egli osserva che forse a questa nozione si collega la
tradizione , che atlribuiva la fondazione di Capua ad un
Trojano Capi congiunto di Enea: tradizione ricordata
da antichissimi scrittori, e celebrala da' romani poeti,
A sostener la relazione fia la origine greca di Capua
ed il nome del trojano Capi, l'autore richiama un im-
portante luogo di Svetonio. Racconta lo storico che
inviata una colonia romana a Capua, poco innanzi la
morte di Giulio Cesare, i nuovi coloni nello scavare
le terre s'imballerono in sepolcri ov'erano vasi di an-
tica fabbrica [vawulorHm opteris antiqui ); ed in una
tomba creduta di Capi fondatore di Capua, si rinven-
ne una tavola di bronzo con lettere e caratteri greci:
laìjula acnca in monumento in quo dicebalur Capys
condilor Capuae , sepullu'i, inventa est, conM'iipla lil-
teris verhisque graecis (in lui. Caes. §. LXXXI ).
L"a. osserva bene a proposito che il fatto de' coloni
di Giulio Cesare non è dissimile da quello che si è ri-
prodotto a nostri giorni, co' lavori della regia strada
ferrata di Caserta. In fitli moltissimi vasi di greca fab-
brica sono ora usciti alla luce; e questi medesimi do-
vettero esser trovali da' romani coloni. Il Sig. Raoul-
Rochette aggiunge che il nome di Capua è essenzial-
mente greco ; e ne cita varii confronli : tra' quali il
XA*OAINI di una medaglia di Napoli pubblicala da
Pinder {mim. ant. inai. (ab. I. n. 9. pag. 37. ). Su
di che crediamo iioslro obbligo di avvertire die que-
sta iscrizione non h.i mai esistito: e la medi;;lia csa-
niiuata e pubblicata dal Sig. Pinder è un conio mo-
derno eseguito in Napoli sotto la occupazione mililare
francese: la intera epigrafe era B.\SIAIi,i;\ XA-
POAIMf, la quale è in parte useila fuori del conio
neir esemplare , che venne disgraziatamente sotto gli
occhi del Sig. Pinder, Noi siamo sorpresi come l' a-
bile numismatico prendesse per antico un conio mo-
derno fatto ad imitazione dell' antico ; e «juel di' é piò,
quind) già doveva insospettirlo la epigrafe , che egli
non sapeva spiegare: mira niiidiasimi liuius nnmini
epigrapliL' omncm expilicatum fuyil. .\ltbianio giudicalo
utile fare una (ale avvertenza , afliiidiè oggiinai non
entri più nel dominio della scienza un monumenlo
fittizio, potendo intervenire ad altri quel eh' è acca-
duto all'insigne archeologo francese, di fid.ir cioè sul-
l'autorità del 5ig. PinJer, traendo appoggio alle pro-
prie ricerche: sebbene le osservazioni del Sig. Raoul-
Roehelle sul nome di Capua , ed i greci confronti da
lui citali, sono sufficienti , anche iudipendeatemenle
dalla pretesa medaglia di Napoli.
Il Sig. R. R. deduce altresì la realtà isto; ica della
tradizione che atlribuiva ad un Trojano Capi la fon-
dazione di Capua , dalla monetina di questa città , il
cui tipo principale è la testa di un eroe col pileo fri-
gio: in esso egli riconosce quel frigio condoltiero in-
sieme col Cavedoni ( spie. man. pag. 1 '«• , vedi piii e
Avellino Bull. anh. nap. Ioni. I pag. 72). Bisogna
dunque ammettere un' epoca primitiva , nella (piale
Sreci coloni misti aiili Osci, oii;;inariial)itatori di Ca-
pua , apportarono i germi dd'a cÌNÌIizzazione greca.
Con questa occasione l' a. parla delle relazioni di Ca-
pua con Clima, addivenute maggiori versogli annidi
Roma 230 a 2.'iO ; che spicgansi dal p<Tdomin.i'Ue
elemenlo ellenico di Capua. Tulio sendìia greco in
Capua a cominciar dalla religione (1). Greche sono
(I) Ossona r a. clie Capua ossor dnvpii.i b sfcii- principale <lel
cullo Jionisiaco , per Io quale inlimlolKKi in Roma tu emanato il
C('lL'l)rc siniatocoiisullo de Sacìiunalibus. td a (pirslo proposito vo-
gliamo relliticare un doppio equivoco, incili è caduto La famosa
tavola di bronzo contenente quel senatoconaulto non fu Irovaui nella
Puglia presso Bari, come asserisce 1' autore, ma sibbene a Tiriolo
— no -
le divinità tlie avevano ivi i loro Icmpli, e che furono
imj)ronliile eziandio sulle sanniliche monete : e greca
arte si ric-oiioscc in tulli i monumenti finora scoperti
della civilizzazione di Capua , con una specie di roz-
zezza proveniente dall'influenza dell' elemento osco.
La. osserva che la dominazione elrusca non ci ha for-
mio quasi alcuna testimonianza della sua esistenza: il
che fece mettere in dubhio al Niehuhr il fatto della do-
minazione etrusca in Capua e nella Campania. Egli ri-
corda i numerosi luoghi degli antichi scrittori, da'quali
quel fatto è dimostrato alla evidenza: e lo illustra di
«uovo col nome Vidiunìum, nel quale ravvisa una e-
trusca fisonomia. Al che si aggiunge il nome di Tifala,
eh' è pur quello di una curia latina : e la esistenza di
famiglie etrusche, che si leggono sotto la forma Ialina
nelle iscrizioni romane di Capua, Non sarebbe quindi
una valevole ragione quella messa innanzi dal Nie-
buhr, che non sono slate mai ritrovate iscrizioni e-
Irusche nel suolo di Capua. L' a. osserva eh' egli farà
conoscere monumenti di siile puramente etrusco nel
corso del suo lavoro , che daranno la pruova delle
sloriche tradizioni , ingiustamente rifiutate dal Nie-
huhr. Ora noi siamo nel caso di osservare che final-
mente il dubbio del dotto scrittore alemanno resta di-
legualo dalle più recenti scoperte. Infatti caratteri e-
Jruschi uscirono finalmente su' monumenti Capuani ;
e già in questo bulletlino trovansene alcuni pubblicali
dal eh. P. Garrucci ( an. I. tav. I o. 1 ved. pag. 84
e seg. ). Né allrimenli dee pensarsi della iscrizione
nella quale i caratteri ed i finimenti sono indubitata-'
niente etruschi (vedi an. II tav. Vn. 3 ; non per anco
p' è slata data la illuslrazione ). E nel corso delle no-
stre pubblicazioni daremo altri monumenti della mas-
sima importanza figurali e scritti , che vengono di
giorno in giorno dalle più recenti scavazioni di Ca-
pua. Anzi noi opiniamo che gli ultimi ricercatori so-
circondario della seconda Calabria ulteriore. Ed in qiianlo al prin-
cipale illuslralore di quel documento, Malico Fgizio, non saprem-
mo d" onde abbia rilevalo V a. esser questo un nome assunto dal
napolitano antiquario Corelli. Non può dubitarsi cho il vero nome
di quel dollg fu Matteo Egizio : nò la alcuna osservazione in con-
trario U) stesso Saxio cilato dal Sig. Raoul-Roclietle {oiwmast. l. i
p. 123 scg. ),
nosi imbattuti nella linea delle (omhe etrusche , per
modo che si moltiplicheranno alla giornata i falli, in.
dimostrazione delle storiche narrazioni. Noi non man-
cheremo di raccogliere le più esalte notizie su que-
ste importantissime scoperte, e per via o di semphce
descrizione, ovvero di esatte pubblicazioni, ne faremo
partecipi i lettori del presente buUeltino.
Tornando al lavoro del Sig. R. R. egli dice che il
periodo sannilico neppure ha lascialo tracce della sua
esistenza ; perciocché la leggenda IHR'A delle meda-
glie apparliene agli Osci non a' Sanniti (I), i tipison
greci, e le divisioni della moneta sono romane. Ma vi
sono però alcuni monumenti di lavoro sannilico, appar-
tenenti a Capua, de'quah parlerà in seguito (2). I San-
niti occuparono Capua i22 anni prima dell' era vol-
gare, e tre anni dopo occuparono Cuma. (Vedi pure
quel che dicemmo in questo hullellino additando un
fallo in pruova della occupazione Sannilica di Cuma
an. I p, 165). Da quel momento apparisce un nuovo
popolo nella storia; edé quello de' Campani, Kct,a7rx-
vqL II Sig. Raoul-Rochetle distingue l' etimologia del
più antico nome di Capua, dal più moderno di Cam-'
pani : riconoscendo nel primo tracce di grecismo , e
nel secondo la derivazione dai radicale campus, che
appartiene alla lingua degli Osci , e dei Latini. Su di
ciò faremo in seguilo alcune osservazioni.
Il dottissimo autore non ha citalo affatto il libro del
eh. Corcia Storia delle due Sicilie, ove si parla di Capua
nel vol.2 p. 53 e s. Il Sig. Corcia si restringe alle origini
greche, e poco crede agli Etruschi di Capua; sebbene
ora ne sia vittoriosamenle provata la esistenza da mo-
numenti di ogni genere, e principalmente dalle iscri-
zioni etrusche , che sono in essi visibili. Lo scrittore
francese segue nelle sue ricerche il filo delle tradizio»
ni non iscompagnalo dalla guida certissima dell'ar-
cheologia, È appunto con questo metodo che può darsi
non poca luce nelle difficili ricerche dell'antica etno-
grafia ; laddove una discussione guidala da preconcette
()) Non saprei come far si possa una tale distinzione, mentre i
popoli osci non ebbero altra orìgine che i sannilici.
(2) Già nel presente bufletlino se ne trovano con caratteri osci
0 sannitici: Vedi an. 1. tav. XII. e an. II. tav. V: e nelle lavoU
seguenti ne daremo altri di primaria importanza,
— ili —
opinioni non darà mai que' risullamcnli positivi , de'
(^uali può esser solo conlenlo uno spirilo dotato di
solida dottrina e di critica luminosa.
Nel secondo articolo il eh. autore comincia a par-
lare delle scoverte archeologiche operate sul suolo di
quella celebre città. Ricorda i monumenti di un'epo-
ca posteriore , il magnifico anfilealro, il teatro, il cir-
co, il cripto- portico, V apodytcrium , il calabolon , gli
archi di trionfo : deplorando Io sialo di distruzione ,
a cui si trovano oggi ridotti. Crede poi che fra' tem-
pli di Gapua ve ne furono molti, che si riferivano al-
l' epoca etrusca , e che non furono se non restaurali
da' Romani.
Comincia dal ritenere in Capua la esistenza di uà
Campidoglio, o tempio sacro a Giove ; non che della
triade delle divinità Capitoline Giove, Minerva, e Dia-
na: il che pruova col nolo bassorilievo di Capua (Ma-
zochi in mut. Camp, ampli, tit. lab. I p. 178), e colle
statue di Diana e di Minerva rinvenute presso la torre
di S. Erasmo, che sembra essere ciò che rimane del
tempio di Giove Capitolino (Rucca Cap.vet. p.66-G7).
In questa riunione di divinità riconosce l' a. una in-
fluenza etrusca : e nella stessa triade etrusca ravvisa un
punto della religione degli Assirii recata inltalia dalla
emigrazione de' Tirreni; del che si riserba di svilup-
par le pruove. Parla in seguito dell' altro tempio di
Giove Ti fatino, anche in gran parte distrutto (Rucca
Cap. vel. p. 89-94 ) : non che di quello della Diana
Tifatina, sul quale vcdesi ora la Chiesa di S. Michele
Arcangelo, detta 5. Angelo in Formis (Rucca op. cit.
pag. 77-89 ). Egli riporta una importante iscrizione
(Mommsen n. 3565), fermandosi a rilevarne il flo-
rido stalo di Capua etrusca e sannitica, anche nel 653
di Roma , quando già trovavasi nella oppressione , e
neir abbassamento delia sua grandezza. Lo stesso de-
duce da altre iscrizioni di epoca presso a poco eguale;
traile quali quella che ha relazione alla l'enus lovia
(Mommsen n, 3561 ), ch'egli crede denominata dal
■vicino pagus lovius ( vedi pure ciò che fu detto nel
primo anno di questo bullettino p. 187),
In quanto al tempio di Cerere, 1' a. raccoglie tulle
le notizie concernenti un edifizio cosi denominalo dai
nostri palrii scrittori (Rucca op, cit. p. 71-72); ma
ne ragiona con prudente diibilazione, por non essere
stali mai pubblicali i mouiinienli, che vi appartenne-
ro. Lo stesso diirasi did tempio di Castore e Polluce,
riconosciuto nel sito denominalo S. /.eurto , presso la
chiesa parrocchiale di S. Era.<mo ( Rucca op. cit. p.
67-68); come pure del teni|)io di Venere ravvisalo
presso il mercato ( Rucca op. cit. p. 67. ).
(Continua)
MlNERVlM.
Iscrizioni latine. Continuazione del n. precedente.
20,
Bis MANIB
SACRVM
COCCEIAE ■ > L ■ GLAPIIYRAE
C • VALERIVS • PHILOCLES
Il segno > invece del più comune 5 dimostra vera
la opinione di alcuni dotti epigrafisti, che riconobbero
in esso un indizio che sia raddoppiato il nome prece-
dente ; 0 il nome del padre nelle iscrizioni greche, o
quello delle patronae nelle iscrizioni Ialine. Vedi il
dollissimo Bòckh {corp. inscr. gr. l. I p. 613-614),
il Franz {elem. ep. gr. p. 374), edilCavedoni(»ius.
del Calajo p. 8 1 noi. 66). Né valgono contro di una
tale opinione i dubbii del eh. Vurhmiio [lap. patav.
p. 480 cf. p. 157), a cui rispose lo slesso Cavedoni
nel hullelt. dell' Ist. 1848 p. 1 12. Un' altra iscrizione
del real museo Borbonico, ove si vede l' elemento >
invece del 5, è riferita dal eh. sig. GcrMmo dscr. dei
Luccei p. 10-11). Così la nostra tìlafira era liberta
di una Cocceia,
21.
D ' M
OTACILIAE • APOLLO
MAE • MARCELLAE
QVAE • VIXIT • A\ • XL • M • IH •
L • LOLLIYS • SEVERVS • CO
IVGI • RARISSIMAE • ET
INCONPARABILl FECIT
— 112 —
Nola la ortografia {nconparabili; ch'è pur frequente
nelle iscrizioni.
22.
GRAMA • VENERIA • / LIB
23.
D • M
FL • ANTONIAE • SAN
CTAE • FEiMINAE • EV
RESIVS • CONIVGI • ET
FILI • MAIRI • INCOM
PARABILI • OVAE • VIXIT
ANXXLVIIMVIIIDXVIII
B • M • F
24.
D *M
M • ANTEIO • PRISCO
NATIONE • ITAL\ S • QVI
VJXITANNISXXXV M V
DIEB • XVIII • IVLIA ■ FELI
CITAS • COIVGI INCONPARA
BILI • SVO • B • M • F
Questo Marco Anteio Prisco addita ampiamente la
regione, a cui apparteneva. Talvolta vi si soggiugneva
altresì la particolare città nativa : così in altra iscri-
zione del real museo Borbonico si aggiunge DOMV
KOL- , ( Guarini comm. VIII. p. 87 ; Mommsen n.
2717 : cf. Garrucci ci. praet. Miseri, p. 82, n. 254).
Probabilmente il nostro Anteio era un soldato ; essen-»
do proprio delle lapide relative a militari, l' additare
la patria del defunto.
24.
A ' F B ' M
D / M
CEPIO POLYCLETO
QVI BIXIT • ANNIS
XX VI ' M VDIEBVS
XXIII METTIA '
CANDIDA • COIVX
BMFCVMQVO
VIXIT • ANNiS XV '
Manca il dittongo nel nome Caepio ; e questo ac-
coppiato al hixit per vixk mostra che la iscrizione
attribuirsi deggia ad epoca piuttosto bassa. Notevoli
sono le sigle in principio, le quali forse furono messe
dopo , non essendovi alla flne lo spazio sufficiente a
contenerle. A me sembra che deggiano interpretarsi
Amico Fedi Bene Merenli (cf. Orelli n. 172, 3919,
4170).
26,
' D ' M '
M • AVREL • MAXI
MO • VET • AVG • N
QVI • VIX • ANNIS
XLVII • PETTIA • CRE
NVSA • COIVGI • CVM
QVExM- VIXIT AN XVm B M F-
Non saprei a quale Augusto si accenni dicendosi
Veleranus Augusti Nostri. 11 cognome Crenusa è uno
di quelli di greca derivazione , de quali fu detto di
sopra pag. 96 num. 4. Notiamo il cum quem v. 6-7
come una di quelle anliptosi , che furono sovente os-
servate negli antichi monumenti epigrafici , e sulle
quali non accade fermarsi.
27.
D • M •
LVCILLAE • CONIVGI • Q •
VIXIT • ANN ■ XL V M • V •
DIES • VIRI • VITALIS • BAVDI
CONIS • F • M • F
Questa iscrizione offre la particolarità che tutte le
abbreviazioni sono indicate con una lineetta superio-
re. Il nome del padre di Vitale è cei'tamente barbaro
e non romano.
(Continua)
MlNERVItfl.
GiDLlo MiNERViNi — Editore.
Tipografia di Giuseppe Cataneo.
BllLETTlXO ARCHEOLOGICO IVAI»OL1TA\0.
NUOVA SERIE
TV." 39. (15. deiranno II.) Febbraio ISÓÌ.
La ■partenza di Amfiarao: in vaso dipinto.— Troilo-Europa : in vaso dipinto di Capita.
La partenza di Amfmrao, in vano dipinto.
È già qualche tempo che osservammo presso il
negoziante di aiUichilà sig. Raffaele Barone un im-
portanfe vaso dipinto di appula fabbrica , del quale
diamo ora la descrizione, riserbandoci di farne a mi-
glior tempo la pubblicazione.
Anfora a mascheroni di circa palmi 3, 5 di altez-
za. I manichi d' ambe le facce presentano nel mezzo
due bianche tesle femminili di fronte , e finiscono in
nere tesle di cigno sul cominciar della pancia. Nella
principale faccia del vaso vedi sul colio ovoli ed altri
svariati ornamenti: non che una testa femminile eoa
bianco pileo ricurvo , che sorge dal simbolico fiore,
con laterali ramificazioni. A' due lati veggonsi due
mostri alati con corpo e testa di pantera, ma muniti
di lunghe corna; ne' quali possono ravvisarsi due Grifi,
non altrimenti che ne' simili mostri che veggonsi in
non pochi monumenti pompejani , come nella mensa
di marmo, e ne' dipinti delle pareti nella casa da' tetti
conservati alla strada Stabiana , e come nella lorica
della statua di Olconio (an. I. p. 61, s. (1), e an. II.
p.tl). Sulla pancia del vaso vedi una importante rap-
presentanza formala di due ordini di figure. Nell'or-
dine superiore vedi Mercurio col petaso dietro le spal-
le, avente la clamide, gli alati calzari, ed il caduceo:
il dio si appoggia ad un albero senza foglie, e dipinto
di bianco, incrociando le gambe: in alto è unbucra-
nio di bianco. A noi sembra che anche qui ci si offra
un novello esempio della divinità de' confini, secondo
le idee che avemmo la occasione di sviluppare più so-
pra in questi medesimi fogli (pag. 98, s.). Segue Mi-
(1) In questo moslro noi inclinavamo a riconoscere una specie
(li Chimera.
àSNO II.
nerva sedente, con elmo, asta, ed egida sul petto ; e
presso è lo scudo : la dea volge la testa e la sinistra
a Mercurio , quasi con lui ragionando : nel campo è
in alto una patera. FinalnienleviHlesi.Xpullo coronato
di alloro, e con un ramo della medesima pianta , il
quale siede a destra sulla sua clamide , scherzando
colla sinistra con un bianco cigno, che gli si appressa.
Nell'ordine inferiore è un guerriero barbalo, cla-
midato , con bianco elmo e bianca lorica , sopra un
cocchio tratto da quattro cavalli : egli tiene colla si-
nistra Io scudo e l'asta, e cinge al fianco la spada. I
cavalli sono guidali da una giovanile ed imberbe fi-
gura, col capo licoperlo di bianca galea. Il carro è
nel momento della partenza; come si addila dal lento
muoversi de' cavalli , e da una figura giovanile con
doppio giavellotto , e clamide , che tiene ancora la
mano sul collo di uno de' destrieri, palpeggiandolo,
nell'atto che il carro è per andar via ed allontanarsi.
Il guerriero barbato eh' è nel cocchio volgesi indietro
nell'atto della partenza, allontanando colla destra due
giovinetti di assai fresca età , e con clamidi; il primo
de' quali solleva ambe le mani verso di lui, quasi cer-
cando di prenderne la destra , ed il più lontano in-
nalza la sinistra alla fronte in atteggiamento di dolore,
e colla destra abbassata tiene la patera. In un piano
alquanto superiore vedesi la figura del pedagogo, con
bianca barba, e col solito veslinienlo, cioè j)ileo die-
tro le spalle, succinta tunica, slivalelti, e bastone, il
quale ancora si duole sollevando alla fronte la man-
ca. Finalmente, quasi in mezzo di questa scena di do-
mestico lutto, si vede la figura femminile di un demone
alato , con corta tunica , clamide, e stivaletti , e con
serpentelli che le sorgono dalla testa, la quale eleva
colla destra la fiaccola , e lieo colla sinistra la spada
15
— 114 —
nel fodero. In allo è nel campo un pileo acuminato
di bianco , e presso allo stesso una spada nel fodero
messa di traverso.
Nella faccia men nobile di questo interessante vaso,
vedi sul collo una testa femminile di profilo fralle so-
lile ramificazioni, e piìi; ovoli, meandro ad onda, ed
altri ornamenti. Sulla pancia è una grande stele di
bianco sopra un gran piedestallo : la stele finisce su-
periormente in un fastigio triangolare adomo di bian-
che palmette , ed è cinta nel mezzo da una nera ben-
da. Intorno sono cinque figure tre virili , e due fem-
minili, con varii simboli ed offerte, rami, cassette, fla-
belli, patere, fiori, e grappoli. Nella principale rap-
presentazione del descritto monumento noi riconoscia-
mo la partenza di Amfiarao per la guerra di Tebe, che
a lui esser doveva cagione di morte. Già non pochi
monumenti si conoscono, che sieno riferiti al mede-
simo soggetto ; de' quali si legge un catalogo quasi
compiuto neir ultima edizione del Miiller fatta dal
dottissimo Weicker {Handb. § 412 not. 3p. 691), e
su' quali son da leggere le dotte discussioni del Rou-
lez {Annali dell' Ist. 1843 p. 206 e seg. ) , del Jahn
[ardi. Aufss. p. 115, seg.) , e più recentemente del-
l' Overbeck ( Gallerie heroischer Bildwerke der alien
Kunst voi. I. Braunschweig 1853 p. 91-106). Nel
nostro vaso sono però alcune particolarità , che mi
sembrano degnissime di attenzione. Trattandosi di una
dipartita, in tutti i monumenti apparisce il momento
del muoversi ; e questo, come innanzi avvertimmo ,
nel vaso del Sig. Barone è assai bene indicato dal gio-
vine guerriero , che palpeggia tuttavia qualcuno de'
cavalli; nel quale non vorremmo ravvisare alcun de-
terminato eroe, ma piuttosto uno del seguilo dell'Ar-
givo indovino. Già è sul cocchio l'auriga Datone, in-
lento a guidare i destrieri , non altrimenti che sugli
altri monumenti, cominciando dalla cassa di Cipselo,
ove però vedevasi munito di un'asta (Pausan. V, 17,
4 ). 11 cocchiere di Amfiarao vedesi altra volta im-
berbe, e munito dell'elmo; laddove il guerriero stesso
apparisce sempre barbato. Questa avvertenza ci fae-
sitare a ritenere per indubitata la spiegazione data dal
dottissimo Weicker del bassorilievo deirOropo(mort.
dell' Ist. voi. IV tav. 5: Overbeck op. cil. atl. tav. VI
n. 6), e del famoso monocromo di Ercolano (Annali
dell' Ist. 1 844 lav. d' agg. E ; Zahn ornam. und. Ge^
mdlde aus Pompeji, Herculanum, und Slahiae-Zwe'ite
Folge-Taf. I ; Overbeck op. cil. tav. VI. n. 7 ) , il
quale li riferiva al momento in cui la quadriga di Am-
fiarao è inghiottita dall'aperta terra [annal. dell' Ist.
1844 p. 166 e s. : cf. Io stesso Weicker Denkmàler
II. p. 172 segg., ed il eh. Overbeck op. cil. p. 145
a 147). Ora il monocromo di Ercolano vedesi ri-
prodotto nel real museo Borbonico voi. XlVt. XLVII
con la illustrazione del mio eh. collega sig. cav. Fi-
nati , il quale vi ravvisa Achille nella sua quadriga.
In lutti gli altri monumenti Amfiarao si divide dalla
moglie Erifile (1) ; abbenchè non manchino i figli ia
alcuni. Così nella cassa di Cipselo appariva Alcmeone
nudo , ed il piccolo Amfiloco fralle braccia di una
vecchia donna (Pausan. V, 17, 4). In un vasodella
collezione Candelori vedesi un solo fanciullo , che
stende le mani al minaccioso padre , mentre Erifile
pur dello stesso modo si presenta da lungi (Micali
mon. tned. per servire alla Storia et. tav. XCV; Over-
beck tav. Ili n. 5 ). In un altro arcaico vaso di Caere
compariscono tre figli, due de' quali in braccio a donne
{ìnus. gregor. II, 42, 2, a; Overbeck tav. Ili n. 6);
ma uno più grandetto degli altri sembra attendere alle
parole del suo genitore. Ricordo finalmente due vasi
del museo Britannico riferiti alla partenza di Ettore
nel catalogo di quella insigne collezione ( n. 452 , 2 ;
en. 524), ma che noi riportiamo pure al mito di Am-
fiarao, secondo la opinione del eh. Overbeck (o/).ci7.p.
90, e 99): io essi comparisce pure qualcuno de' figli.
Nel vaso del sig. Barone sono due i giovanetti fi-
gliuoli ; e non tarderemo a ravvisare in essi i due più
conosciuti Alcmeone ed Amfiloco , il primo de' quali
si appressa più al suo genitore, mentre V altro pone
la mano alla testa in segno di cordoglio , tenendo la
(I) Ricordiamo principalmente il notissimo vaso dell' arcivescovo
di Taranto pubblicato da molti, ed ora dal sig. Overbeck {op. cit.
lav. III. n. 7) per avvertire che non siamo persuasi dalle sue ra-
gioni ( ivi p. 05 not. 10 ) ad abbandonare la nostra opinione sulla
iscrizione KAAIOOPA di quel monumento, che fu da noi riferita
ad uno de' cavalli, piuttosto che alla stessa Erilile : nella quale ci
vedemmo con piacere approvali dal dollissimo Jahn ( arch. A»ft*-
pag. 139, e seg. ).
~ 115 —
palerà simbolo di sagrificio , e di preghiera. La sce-
na'dell' appulo vaso è meglio intesa di tutte le altre;
giacché manca la presenza di Erifile : il che ci sem-
bra essenzialmente richiesto dalle leggi di una buo-
na composizione trattandosi del vaticinio delia mor-
te di Amfiarao , e della commissione di vendicarla
col sangue della madre. ( Vedi ciò che dicemmo in
questo bullettino an. I. pag. 75 , ove parlammo di
una pittura pompejana ritraente il matricidio di Al-
cmeone). Nel vaso Candelori il futuro matricida sten-
de all'adirato padre le mani, come su quello del sig.
Barone ; ivi perù il padre non traggo minaccioso la
spada , ma parla piuttosto del funesto avvenire rifiu-
tando le infantili carezze del suo figliuolo. Questa è
la causa del duolo dell' altro figho Amfiloco , e del
pedagogo , che vedesi alquanto discosto , sulla cui
significazione non può aflatto dubitarsi : vedi le os-
servazioni nostre sopra simili figure in questo secon-
do volume del buUellino pag. 58. Intanto il vaso di
Barone pruova che sia pure da ravvisare il pedagogo
nel vecchio del vaso della raccolta Candelori , ove il
eh. Roulez {annali dell' Istituto 1843 pag. 210), se-
guito dal eh. Overbeck (op. cil. p. 93 not. 6), vide
piuttosto il padre di Amfiarao Oicle : ma noi siamo
della opinione del Jahn {arch. Aufss. pag. 155 ), il
quale pensò appunto al pedagogo. Ora è notevole che
lo stesso gesto di dolore si scorge in questa figura so-
pra entrambi i monumenti. La età dei figli di Am-
fiarao neir appulo vaso che illustriamo non è tanto
infantile come apparisce in altri monumenti : e ciò è
pili secondo le tradizioni, che parlano dell'incita-
mento alla vendetta dato dal padre al fanciullo Al-
cmeone. Così dice Eustazio : 'Ay.xixy-tujyt Ittstoc^sv ,
óvorav r,(3r,(Tyi ( Odyss. XI v. 326 pag. 422). Bene
avverte il sig. Roulez che per tal motivo presenta-
vasi quel fanciullo tutto nudo sulla cassa di Cipselo
[annal. cil. p. 214 not. 2), non altrimenti che vedesi
sul nostro vaso; ma noi aggiungiamo eh' esser do vea
figurato altresì in una eia capace di comprendere le
predizioni ed i lamenti paterni.
Mollo interessante è nella scena , di che ragionia-
mo , r intervento di un demone simile ad una Furia.
Noi favellammo sovente di questi esseri terribili , e
principalmente in questo medesimo huUetlino parlan-
do di una somigliante figura con la spada e la fiac-
cola , la quale precede la infanticida Medea ( v. sopra
p.63-Ci)in altro vasculario dipinto. Nim posso intan-
to tacere che nel famoso vaso di Dario, da noi sopra
descritto, una simile figura con due fiaccole è denomi-
nala a parer nostro A FIATA (v. laseg. p. 130 e 132).
Per lo che non sarebbe strano l'immaginare chesiesi
anche qui figurato quello stesso demone, sotto le me-
desime forme : e questa idea converrebbe assai bene
alla intelligenza che ci sembra doversi attribuire a
quella figura. Pare che quesla , o Lyssa o Apule che
sia, comparisca come quel demone che spingerà Al-
cmeoue alla uccisione della madre. Perciò tiene una
spada entro il fodero ; la quale esser dee destinata a
compire il matricidio, quando quel giovinetto sarà ca-
pace di brandire le armi ; è a lui che quell' infausto
demone presenterà quel ferro, allorché verrà il leilipo
di consumare l'orribile attentato. Alla stessa idea al-
ludono l'elmo acuminato e la spada sospesi nel campo:
richiamando all' epoca in cui il figlio di Amfiarao
prenderà le armi, per recarsi alla spedizione degli E-
pigoni.
Le divinità che si trovano nell'ordine superiore ben
si riportano al fatto che succede sulla terra; ma prin-
cipalmente la figura di Apollo è essenzialmente li-
chiesta, come il dio protettore di Amfiarao, e per lo
quale l' eroe nella sua qualità di vaticinalore , aveva
uno speciale cullo. (Vedi ciò che ho detto altrove nel
bulletl. arch. nap. an. II pag. 94 dell' antica serie).
Poche parole aggiungiamo sulla rappresentazione
del collo, alla quale non disconviene la lunare signi-
ficazione. Cosi nella testa con bianco pileo ricurvo non
potrà non riconoscersi la lunare divinità Diana , alla
quale trovansi talvolta attribuiti i Grifi (vedi le cose
dottamente notate dal cav. Welckor negli aii/iaZ/Jf/-
l'ist. 1830 p. 73 e s. ). Ed in conferma ed illustra-
zione del lunare rapporto del Grifo, ed insieme della
testa pileala del nostro vaso, osservo che sul collo di
un'altro vaso a soggetto funebre .-«pparleneule allo
stesso negoziante di antichità sig. Barone , vedesi la
intera figura di Diana con simile berretto, e con suc-
cinto vestire, nulla diverso da quello delle .Vmazzoni,
— 116 —
cavalcante un Grifo. Queste varie rappresentanze fra
loro nivvioinale non valgono che a confermarci sem-
pre più sulla significazione lunare delle teste uscenti
dal simbolico flore nel collo di tanti vasi dipìnti , i
quali sono, a nostro giudizio, di funebre destinazione.
Ed a questo proposito mi piace di notare che talvolta
sul collo de' vasi può riconoscersi in queste teste una
significazione particolare. Già il cav. Gerhard ebbe oc-
casione di leggere sopra una di quelle protomela iscri-
zione AXIO...,che da lui fu interpretala per l'Axio-
ccrsa de'misterii, la quale però rientra nelle idee lu-
nari, siccome avemmo la occasione di notare in altro
nostro lavoro (mon. ìned. di Barone tom. t p. 70).
Ora sul collo di un altro vaso di proprietà dello stesso
sig. Barone vedcsi una testa di fronte originariamente
bianca con gialli capelli; ha il capo adorno di una raì-
lella ed il collo fregiato di bianco monile: sorge pure
dal simbolo Core con ramificazioni ad elice , ove si
scorgono altri fiori. Più sopra è un ramo di edera che
si estende in giro. Sulla testa da noi descritta leggesi
graffita la parola AVDA. Se si pon mente alla bac-
chica relazione additata dal ramo di edera, non si po-
trà dubitare che questa Aura, come viene quella fem-
minil protome denominala , sia la sposa del Tebano
Dioniso, che fu madre del mistico Jacco. Io mi riser-
bo di sviluppare in altra occasione le conseguenze non
solo archeologiche, ma pure mitologiche di questo no-
vello fatto, che sembra favorire ancorale mieprecedenti
osservazioni. Per ora sarò contento di annunziarlo.
Tornando al vaso di Amfiarao , avverto che nella
faccia men pincipale presenta una slele sepolcrale, con
figure all' intorno. Senza pretendere che in questa fu-
nebre rappresentanza si alluda alla tomba dell'Argivo
eroe, ove discese per quella malaugurata spedizione,
noto soltanto che spesso védesi un vaso sopra una
slele ad indizio di sepolcro. Vedi Cavedoni buìlelt.
dell'isl. di corr. arch. 1847 p. 78, e sull. arch. nap.
ani. serie an. V p. 57: cf. Ritschl ann.delilst. 1840
p. 192 segg. Fiorelli ann. di numism. tav. Ili n. 1,
e quel che dico io stesso nell'antica serie del bull,
nap. an. VI pag. 64. Il nostro vaso offre sulla stele
vn ornamento non troppo comune, qual si è un fa-
stigio triangolare, che più spesso troviamo poggiante
sopra due colonne in una estesa serie di edicole se-
polcrali eflBgiate ne* vasi, segnatamente di PugUa.
MlNERVINl.
Trailo — Europa: in vaso dipinto di Capua.
Il piccolo vaso da noi pubblicalo nella nostra tav.
VII n. 1, 2, 3 appartiene all'architetto sig. Vincenzo
Caruso di S. Maria, il quale gentilmente ha permesso
che trar me ne facessi un disegno. Fu ritrovato il mo-
numento nel sito dell'antica Capua (i), e le figure sono
di nero in fondo giallognolo. Le due rappresentazioni
sono, come ognun vede, rozzissime ; e non meritano
alcuna considerazione dal lato dell' arte.
Nondimeno abbiamo creduto opportuno di farne
la pubblicazione , anche per la riunione di due sog-
getti mitologici non comuni , specialmente ne' vasi
di quella località. É evidente che nella prima faccia,
ove si vede ima donna sdrajata sopra di un toro in
rapidissima corsa, debba riconoscersi Europa rapila
da Giove nella più semplice composizione. Difatti non
vi è argomento per pensare ad una Baccante sul toro
Dionisiaco ; mancando qualunque bacchico simbolo.
L' altro quadro del rovescio ci pone sotto gli occhi
un giovinetto nudo a cavallo, che si appressa ad una
fonte indicata da una testa di leone che versa acqua in
una sottoposta vasca. Dopo i lavori del car. Welcker
{Zeilschrift far die AUerthumswiisenschafl 1850 n. 4
e segg. e n. 13 seg. ed Annali dell' hi. di corr. arch.
1830 p. 66 segg.), del Jahn (nella sua monografia
Telephos und Troilos Kiel 1841 in 8 p. 70 e segg.),
e dell' Overbeck {Gallerie heroischer Bildwerke der al-
ien Kunst voi. 1 pag. 338-366) non si farà alcuna
difficoltà a ritenere il nostro giovinetto cavaliere per
Troilo, il quale si appressa alla fonte, ove trovò la sua
morte per le mani di Achille. Solo è da osservare che
anche qui la scena è compendiata, non vedendosi affatto
la figura dell' uccisore , né di quegli altri personaggi
che scorgonsi in altri monumenti. Minervini.
(1) Neil» occasione di eseguirsi la regia strada ferrala di Caserta.
GjuLio Mi.NERViM — Editore.
Tipografia di Giuseppe Catìneo.
BIILETT1\0 ARCIIEOLOfilCO A APOLITWO.
NUOVA SERIE
iV." 40. (16. deiranno IL)
Febbraio l8ói.
Notizia defiù recenti scavi di Pompei. Continuazione del n. 53. — Di due iscrizione osclic. — Bibliografia.
Notizia de' più recenti scavi d'i Pompei.
Continuazione del man. 55.
Poco inleressanli scavazioni ebbero luogo in al-
cune bolteghe della slrada Slabiana ; ed anclie poco
si è proseguito Io sgombramento della casa, ove fu
rinvenuta la bella statua di Apollo da noi sopra de-
scritta (p. 05 e seg. ). Riserbandoci di dar la descri-
zione di questa casa , quando sarà messa allo sco-
perto , dirò da prima di alcuni oggetti venuti fuora
dalle parli già liberate dalle terre. Nel triclinio di
questo privalo edifizio , di cui più sopra descrivem-
mo le belle pitture che ne ornavano le pareti , una
delle quali è stala già collocata nel real museo Ror-
Lonico (1), furono rinvenuti all'altezza di circa palmi
4 dal pavimento varii pezzi di osso lavorati a foggia
di zampe di leone , un pomo egualmente di osso ,
ed un frammento rettangolare con ornaraenli inci-
si , ed altri frammenti diversi : non che una testa
barbata con orecchie caprine , e coronata di para-
pini e grappoli di uva. Si aggiugne il ritrovamento
di un pezzo cilindrico di bronzo. Tutti i descritti og-
getti appartennero certamente a' finimenti di un mo-
bile probabilmente di legno , che per questo motivo
(1) Noi annunziammo il nosiro dubbio se Ifigenia tenesse in mano
I» immagine della dea : ora possiamo asserire che essendo il di-
pinlo meglio ripuliio, sono comparse le tracce del taurico Palladio
nelle mani della sacerdotessa ; e (juesto appDrisce di piccole dimen-
sioni , non altrimenti che nel dipinto della casa di Castore e Pol-
luce, sul quale vedi le cose da noi delle nella nostra Memoria sul
vaso con OAOBiriO^ voi. IV parte I p. 277, seg. delle memo-
Tit della reale Accademia Ercolanese.
J.VAO //.
non si è fino a noi conservato. E noi incliniamo a
credere ciie si trattasse di un letto, ove potesse talu-
no star comodamente sdrajalo , pel particolare uso
di quella stanza.
Presso r entrala antica della casa medesima , si
sono ritrovate le parti della serratura; e nell' atrio,
olire due monete di bronzo ed un pezzetto di pasta
vitrea , si è rinvenuta una piccola ara di marmo ,
nel cui giro sono espressi a bassorilievo due Amo-
rini , che sostengono un festone , due uccelli che si
beccano , due palme incrocicchiale , ed una oeno-
choe. Noi non ci fermeremo su tpiesla abitazione,
attendendo che possa interamente studiarsi e descri-
versi.
Non pochi oggetti sono stati raccolti nello sgom-
brar dalle terre la bottega a destra della medesima
strada Stabiana , segnata col num. 110. Noi credia-
mo utile cosa farne la enumerazione; giacché da que-
sti dati di fatto può probabilmente dedursi la industria
esercitata nelle varie botteghe pompejanc. Gli oggetti
di bronzo ivi ritrovati sono una patera, ed una conca
in parte rotte e mancanti ; una pentola con manico e
coverchio, il quale è sostenuto da una catenella ; un
altro vaso da cucina (tridla) in parte frammenlato ;
un manico di patera terminalo a maschera muliebre ;
un gran manico , forse di secchia ; un vasellino ci-
lindrico con ferro aderente , che può giudicarsi un
calamajo ; due frammenti di forme di pasticceria (tJ-
•ìroi) a guisa di conchiglie ; quattro fibule ; ventisette
anelli di diversa grandezza ; una moneta molto ossi-
data; e varie parli di serraliira ; non che alcuni pic-
coli fregi per ornamento di qualche mobile. Sono slati
18
_ 118 -
ancora raccolli alcuni arnesi di ferro: due scalpelli;
un'accetta; tre porzioni di una specie di ronciglio;
due pezzi di catena ; ed alcune parti di serratura :
quattro pesi di piombo con manichi di ferro; un peso
circolare di pietra ; alcuni vasi rozzi e di uso di ler-
racolla, fra' quali noterò una lazzolina con vernice
rossa ; una lucerna ad un sol lume ; un peso di pic-
cole dimensioni ; ed un frammento con una mutila
leggenda. Una sola bottiglia di vetro fu ritrovata ; e
molli noccioletli di pasta vitrea al num. di 190.
Non saprei indovinar la destinazione di un curio-
so oggetto; cioè un osso di animale, con anello im-
pernato ad una delle estremità : se pure non voglia-
mo supporre che fosse tenuto sospeso per qualche
idea superstiziosa. Tra tutti questi oggetti della sua
domestica vita, è pur comparso lo scheletro dell'in-
felice pompejano, che fu collo dalla morte nella sua
casa, senza poter sottrarsi al terribile flagello da cui
venne colpito.
In un' altra bottega a sinistra della suddetta strada
segnala col n. 108 , non furono altre cose raccolte,
se non che una oldaja di bronzo anticamente sal-
data del diametro di 8 decimi di palmo; un'anfora di
terracotta ; e la parie inferiore di una lesta di vec-
chio con barba.
Dall'altra bottega num. 112 furono tratte un'an-
fora di terracotta, una tazza, ed un frammento di
embrice colla nota fabbrica di Domizio Alessandro
DOMITIALEXAN.
La bottega n. 114 ha dato fuori i seguenti ogget-
ti: una lucerna di bronzo a due lumi con due ma-
schere di leone ne'due lati maggiori, e con catenelle,
parte aderenti alla lucerna, e parte rotte, di lunghez-
za 0, 78 di palmo ; una piccola campanella di ferro
priva di battente; uncoltello, col manico di osso bian-
co ; ed alcuni frammenti di vetro. Vedovasi poi lo
scheletro del fedel cane lasciato a custodia della bot-
tega nel momento del disastro.
Nella bottega n. 116 , fu raccolto un vasellino di
bronzo co' manichi dissaldati , una striglie , ed una
borchia dello stesso metallo ; non che un piccolo spil-
lo di osso lungo 0, 33 di palmo , destinalo forse ad
uso di sluzzica-orecchi {auriscalpium).
Più ricco era il proprietario della bottega segnata '
col n. 90.
Si è in essa raccolto un piccolo anello di argento ;
ed una bella lucerna di bronzo a due lumi: vedonsi
a' due lati due lori , e vi si legano due laterali cate-
nelle, all'estremo di una delle quali pende una tabella
ansata con la epigrafe incisa
DIVNI
PROQVLI
indicante il nome del possessore D. Giunio Proculo, il
quale era pure probabilmente il padrone della bottega.
Pochi vasi di bronzo; due campanelle; una piccola
borchia; tre basette; alcune parli della serratura ap-
partenenti ad un mobile , ed avanzi di guarnizione
dello slesso mobile intagliata e rivestita di argento,
uno scudo di serratura circolare , due monete , una
fascia dello slesso metallo furono raccolli nel medesi-
mo silo. Compivano la scoperta sette noccioletli di ue-
tro ; ed alcuni oggetti di terracotta, cioè una lucerna
ad un lume, una piccola ara, una bottiglia, due pesi,
e 18 anfore.
(continua) Minervini.
Di due iscrizioni osche.
Fra gli oggetti, che erano conservali ne' magazzini
del real museo Borbonico, e che sono stati già collo-
cati nelle varie collezioni di questo insigne stabili-
mento , abbiamo ultimamente osservato due nuove
iscrizioni osche graffile sopra due grandi pezzi di
terra cotta (l).
La prima non contiene che una sola parola, e dice :
^. h a N I V I D
Questa parola Vilineis è senza dubbio un genitivo
del nome proprio Viliniis, che non è ancora com-
parso nelle iscrizioni di questo dialetto. Del resto il
nome Vilinius, o Velinius, del quale non ricordiamo
alcuno esempio, ci rammenta la tribù Velina da cui
fu per avventura derivalo, o col cui nome riconobbe
una origine comune.
La seconda iscrizione è più irregolarmente trac-
(1) Di queste due iscrizioni abbiamo dato notizia alla reale Ac-
cademia Ercolanese.
— 119 —
ciata e sembra appar(onere a caraltcro corsivo. Vc-
ào^ì questa disposta in due linee, e sullo stesso mat-
tone è graffito uu ornamento composto di una linea
verticale troncata in un punto medio da due altre li-
nee che s'incrocicchiano, e di due altre linee più bre-
vi messe ad angolo verso la estremila inferiore della
linea verticale, costituendone quasi la base. La iscri-
zione dice così :
=ig^nY
In quanto a' caratteri, noterò che l'aspirazione in-
vece della solita forma B presenta quattro linee oriz-
zontali, e le due verticali sporgono alquanto in fuori
nelle loro estremità inferiori: la forma del Q si allontana
alquanto dalla più comune, offrendo l'aspetto di un ^
greco ; il che ci sembra forse dovuto alla incertezza
della mano nel tracciare la epigrafe : e lo stesso dee
dirsi per avventura degli V, che forse per lo medesi-
mo motivo appariscono somigliantissimi ad un Y. Del
resto la medesima forma dell'V osservasi pure in altre
osche iscrizioni : come nel dimezzato ^3T]TR8YR[n
della mutila iscrizione riportata nella nostra tavola
V n. 4, ove ricorre pure una non dissimile forma
dell'*-]. Ed entrambe queste lettere sono usate nel cip-
po Abellano (Mommsen unlerit. Dialek. tav. VI ) , e
nel frammento di Macchia pubblicato dal de Vita
{anlìq. Benev. tom. 1 app. p. LXI: cf. Mommsenuti-
ier. Dial. tav. Vili n. 12.)
Il nome Heirens a me sembra corrispondere al la-
tino Herennius , e quindi essere una forma diversa
di Heirennis, la qual voce fu riscontrata in una iscri-
zione di Nola (Guarini comm. XI p. 30; Raoul-Ro-
chette moti, inéd pi. LXIIl; Lepsius n. 18 lab. XXIV;
Mommsen tav. Vili n. lo p. 178. Comparisce pure lo
slesso nome sotto la forma //ciVencm in un frammento
pubblicalo dal eh. Mommsen tav. Vili n. 3cf. p.l70;
ed Hcrenni: vedi Garrucci nel nuovo bull. nap. an. I
p.l49 n.5). Questa opinione può fondarsi al presente
sopra alcuni altri esempli, che furono da me citati in
altra occasione. Nomi somiglianti sono l' Aadiraiis,
della iscrizione di Pompei, e 1' Upih della iscrizione
di Cuma, (vedi quel che dicemmo nel presente bul-
lellino an. 1 p. lOi), e finalmente il lYnac/ts della i-
scrizione di Capua , che non sembra dissimile dal
Viiniliiis della epigrafe pompejana di Adiranio ( vedi
sopra p. 138). L'Aa(liran<:, Yl'iiih, il r/iinf/is, 17/ei-
rens sono particolari desinenze di quei nomi , che ne
costituivano quasi un' abbreviata pronunzia ; ma non
significavano però meno .If/i/a/iiiis, l'pilius, Vini-
C(i(S, Ilcrcnniuii.
Alla voce Frm, che segue, non saprei qual signi-
ficazione debba attribuirsi; e se esprima altro nomeia
rapporto con Erennio, ovvero piuttosto un sustanlivo
retto dal verbo seguente. Mi contenterò di attendere
su di ciò leconghietturede'dotti. Osservo soltanto che
nella nota iscrizione di Rocca Aspramonte occorre il
cognome Frunlcr (Mommsen unter. Dial. tav. l.\ n. 8
pag. Ili s.), che sembra essere di non diversa de-
rivazione dal nostro Frus o Fruns per la ovvia sop-
pressione dell' n (cf. CETUR per CEXTUR Garrucci
bull. nap. an. l pag. 13): e sono forse entrambi di
analoga derivazione al latino cognome : Fronlo. Se
pure non voglia ricordarsi che frus e fros fu antica-
mente il retto di frundls o froiuUs (Charis. I, iOa\
Si chiude la nostra iscrizione colla nota vocel3^nY
fedi; ove però non si legge propriamente upsed col
solito finimento, ma upseF, o upsee: ma non vorrem-
mo su di ciò fondare alcuna grammaticale osserva-
zione ; giacché ha potuto lo scrittore non terminare i
suoi caratteri, e quindi omettere la ^finale, che dalla
buona ortografia veniva richiesta.
Sembra evidente ciie in questa seconda lastra di
lerra cotta, parte di un grande mattone, si fosse dal
fabbricante segnato il suo nome: Herennius Fronsfecil.
MlNEUVlM.
BIBLIOGRAFIA
Nolice sur les fouilles de Capone par M. Raonl-Ro-
chelle. Continuazione del n. 58 pag. ///.
I templi di Marte e della Fortuna in Capua men-
zionati da Tito Livio (XXVII, XXIII ; cf. ih. XI) non
lasciarono traccia della loro esistenza.
Lo slesso dee dirsi del tempio di Nettuno conosciuto
per una iscrizione Ialina ( Momnison n. 3.")S-') ). La.
— 120 —
si ferma alquanto a discorrere del tempio di Mercu-
rio , ricordato da una sospetta iscrizione del Pratilli,
e da costui ravvisato in alcuni ruderi nel villaggio di
S. Erasmo, da' quali venne fuori una statua di quella
divinità. In questa occasione 1' autore , come in altre
Biolte, difende alquanto il Pratilli da' violenti attacchi
de'critici, principalmente per la parte epigrafica. Su di
che ci piace di osservare che questo nostro concittadino
pur troppo autorizza i sospetti elevali contro di lui :
e tante volte è stato trovato in fallo, che bisogna star
molto guardingo a valersi delle iscrizioni da lui riferi-
te, le quali furono di sovente interpolate e corrotte con
la franchezza di un abitualo falsario. Il Sig. Raoul-
Koc!ì^?tte chiude la enumerazione di questi diversi
templi capuani colla menzione del tempio della Vit-
toria , presso Cicerone ( de divin. 1 , 43 ) , del quale
però non esiste alcun vestigio. Ricorda poi il famoso
tempio di Ercole , di cui sono interamente spariti i
nobili ruderi , che già si vedevano nel XVI secolo.
Prima di passar oltre credo opportuno di osservare
che il Sig. Raoul-Rochette avverte , come vedemmo
di sopra , p. Ili, che i monumenti finora accennati
si riferivano in gran parte a Capua etrusca e sanniti-
ca , e che non furono se non restaurali e mantenuti
da Capua Romana. Se questa idea del dottissimo au-
tore si riterrà come una semplice conghiettura, potrà
alla stessa accordarsi un maggiore o minor grado di
probabilità. Certo si è che i monumenti, de' quali ap-
pajono ancora i ruderi , appartengono ad epoca ro-
mana ; e non vi sono dimostrazioni molto convincenti
per crederli costruiti o rifatti sopra edifizii di epoca
anteriore.
L' a. chiude il secondo articolo col ricordare alcuni
mausolei romani ; come sono quello situato vicino
Santa Maria , a sinistra della via Appia , e quasi toc-
cante r antica porta Albana, il quale è conosciuto sotto
il nome di Carceri vecchie : Y altro al destro lato della
via Appia , poco distante dal villaggio delle Curti, e
denominato la Conocchia : e finalmente un terzo si-
tuato circa due miglia distante da Santa Maria, presso
al villaggio di Casapulla. Finalmente non tralascia di
rammentare un ipogeo in questi ultimi anni rinvenuto
in un fondo de' Signori Pattorelli , e da costoro reli-
giosamente conservato. Con questa occasione l'a. de-
plora la distruzione di un piccolo tempio antico, che
(per relazione del signor Gennaro Riccio) dice essere
stato scoperto in quel medesimo sito, con tutto il suo
rivestimento di marmi preziosi, e di cui non rimane
più alcun vestigio. Aggiunge che la medesima sorte
toccò ad una immensa fabbrica di terre cotte , sco-
perta alle vicinanze di questo tempio. La più grande
quantità di queste terrecolte figura una dea che tiene
uno 0 due bamboli, a' quali dà latte. L'a. si ferma
a parlare di queste statuette , richiamando le simili
rinvenute a Pesto , e paragonandole con altre di la-
voro fenicio ritrovate in Cipro sul sito dell' antica /-
dalion. Dal che deduce che sia la Terra la quale nu-
trisce gli uomini ; e che questo tipo sia tratto da un'
arte asiatica. Darò alcune nozioni di fatto dj me rac-
colte su questo monumento, quando riferirò del terzo
articolo del chiarissimo archeologo, ove ne torna a di-
scorrere.
L'Autore parla in questo terzo articolo delle tombe
più antiche , le quaU sin dal passato secolo videro la
luce in Capua: e ricorda da prima quelle scoperte
sotto gli occhi dell'Inglese Hamilton, il quale tanta
cura prendeva degli antichi monumenti. Il sig. Raoul-
Rochette osserva che simili antichità spettano all' e-
poca etrusca di Capua; sebbene non diremmo dovuto
ad arte etrusca il famoso vaso della caccia del cinghiale
venuto fuori dalle medesime scavazioni (Hankarville
t. I pi. I-IV p. 1 53 segg. ) , che lo stesso autore di-
chiara appartenere ad arte corintia, proveniente dalla
emigrazione di Demarato di Corinto in Etruria.I la- '
vori di greci artisti, ancorché eseguiti sotto la etrusca
dominazione , non mi pare che possano perdere la
qualifica di greci.
(continua)
MlNERVINI.
Giulio Minervini — Editore.
Tipografa di Giuseppe Cataxeo.
BILLETTIXO AISCIIEOLOGICO MPOLITAm
NUOVA SERIE
iV.« 41. (17. deiranno IL)
Marzo 18Ó4.
Monde diverse della collezione Mongelli Moneta di Eracle i del real musco Borbon
irò.
Monete diverse della collezione Mongelli. — Monete di
Eraclea del real museo Borbonico.
Dopo la morie di Francesco Mongelli , la raccolla
di anliche medaglie da lui possodula andò in varie
mani dispersa. Infanlo mi venne fallo di osservare
presso gli eredi del defunto una serie di disegni di
monete eseguili dal sig. Andrea Russo: e poiché vidi
che Ira molle cose ovvie e comuni eranvcne alcune
di non lieve importanza, chiesi ed ottenni lacilmenle
il possesso di quei disegni. Ora ne presento in parte la
pubblicazione ne' numeri 1, 2, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 1 i,
12, 13, 14, e 19 della lav. IX. Prima di parlar bre-
vemente di queste difterenli medaglie, credo oppor-
tuno di fare una generale dichiarazione, che non es-
sendo quei disegni eseguili sotto i miei occhi , non
posso garentirne la esattezza , se non avuto riguardo
alla solila diligenza del sig. Russo : ed avrò io slesso
la occasione di presentar qualche dubbio sulle leg-
gende di alcune delle medaglie , essendo noto che le
iscrizioni sono più facilmente ravvisale dagli archeo-
logi che dagli artisti.
1 . Testa gorgontca di fronte
)( Testa di loro di fronte, intorno sei glohelii. Ae.
(raod. 10 scala di Riccio).
Probabilmente questa moneta, che dal disegno ad-
dimostrasi grave e pesante , appartiene alle divisioni
degli assi italici: e dee riputarsi un semisse; giacché
ì due glohelii , che veggonsi da ciascuno do' due lati
della testa del toro, sembrano segno di valore, e non
già indizio d'infule pendenli rozzamente figurate. Non
voglio con certezza determinare l'attribuzione di que-
sta medaglia. Solo ricordo che traile divisioni degli
assi italici incontrasi la moneta de' r(;siòii,eproprja-
ÀM^O II.
mente il sestante con la lesta di loro e la luna crescente
(mus. Kircher. d. IV lav. Ili B, 1 cf. Carelli l.ib. XXX
n. 4, e Cavedoni ad h. l. p. 8); ma non corrisponde
nò per la fabbrica nò per la grandezza, t pur risa-
puto che lo stesso tipo al rovescio di una lesta giova-
nile ed imberbe riscontrasi nel quadrante di Fermo
(Vermiglioli opusc. tom. IV p. 8'ò e seg. Aesgr. Kir-
cher. p. 28 ci. II lav. IV B f. 8: Mommsen rom/sc/ie
Miinziccsen p. 141, che ne riporta il disegno ivi a p.
110). Ma ripelo che mi astengo da qualunque parli-
colare determinazione, non avendo potuto esaminare
l'originale, per isludiarne almeno la fabbrica.
2. Testa gorgonica di fronte
)( Due globelti. Ac. 9.
Non ci sembra da dubitare che questa medaglia ap-
partenga a Camarina di Sicilia: essendo solito il lipo
della testa gorgonica, e conoscendosi il semisse ed il
quadrante anepigrafi. Ci sembra nuovo il sestante in
questo medesimo sistema; giacché non ricordiamo se
non che quello con la civetta , e la epigrafe KA.MA
al rovescio ( v. Mionnel dcscr. I p. 223-224 ).
3. Tefta gorgonica di fronte
)( Palma , in giro epigrafe fenicia. Ar. 5-H.
Questa monetina è la stessa la quale è stata pub-
blicala da altri , ed uliimamcnle dal dotto Gesenius ,
che ne fé l'attribuzione a Molye della Sicilia ( vedi la
lav. 39 n. XII A, B). Tutti gli esemplari , de' quali
ci è riuscito veder la pubblicazione, e tulli quelli che
abbiamo noi slessi esaminati , offrono la particolarità
della lingua prominente dalla bocca della gorgonica
testa : e forse era cosi pure nell' esemplare del signor
Mongelli, ma la pica conservazione in quella parte
della moneta impedi che fosse agevolmente ravvisalo.
La spiegazione del Gesenius (j). 297) è siala ammessa
17
— 122
dal eh. Movers (das Phoenlzhche Allerthum Ioni. II
pag. 334 e seg. ) : e pare che la leggenda fenicia sia
infatti da interpretare assolu(ainen(e S1UJ3 , siccome
egh ha fallo. Negli esemplari, a' qu.ili si riporta il Ge-
senius le lettere sono disposte in una linea , laddove
nella nostra monetina sono collocate in giro ; ed è pur
notevole in essa la forma àeW Aleph finale, che si ac-
costa molto alla penultima delle forme più antiche
esibite nella tavola alfabetica del detto Geseniiis. Sup-
pongo che quei segni , i quah si veggono oltre le
quattro lettere, componenti la iscrizione nella meda-
glia del sig. Mongclli, fossero piccole rosioni del me-
tallo prese dal disegnatore per particolari elementi.
Ciò si rileva non solo dalle altre pubblicazioni , ma
ancora dalle medaglie che ho potuto osservare, e spe-
cialmente da un esemplare con epigrafe conservatis-
sima posseduto dal eh. sig. Principe di San Giorgio;
ove è pur da notare che la iscrizione è parimenti di-
sposta in giro, e non già in una sola linea.
6. Testa di Apollo laureala a s., innanzi la epigra-
fe EIHMAN
)( Leone stante a d., sopra il penlalfa, sotto lali^
nea de piedi APIIANON Ae. 9—
7. Testa di Diana con turcasso sulla spalla a d.
innanzi la epigrafe APIIAN
)( Fulmine, sopra e sotto in due linee ..t Ae. 6-
La prima di queste medaglie fu pubblicata nelle
tavole del CareUi, colla iscrizione EPHMAN (Carelli
lab. XCI n. 12, vedi la pag. 18 della ed. di Lipsia),
ed anche prima sin dal 1821 ne aveva fatto conosce-
re un altro esemplare il Sestini ( Descriz. di alcune
med. greche del mus. part. di S. A. R. Mons. Cri-
stiano Fed. principe ered. di Danimarca pag. 1 e 2
tav. I num. 3 ) , leggendovi EYMAN. Nella moneta
del Mongelli manca la lira dietro la testa di Apollo ;
la quale (1) comparisce in un esemplare conservatis-
simo della collezione Sanlangelo, ove è pur sicura la
leggenda EIHMAN , che ne resta quindi pienamente
conosciuta , e fermata , dopo le dubbiezze di lezione
(v. Avellino suppl. ad Ital. vet. n. pag. 24 n. 33, e
(I) Vedevasi pure la lira in altro del museo Zurlo descritto dal-
r Avellino {opuic l. Il p. 62).
Mommsen unler. Dialek. p. 93 , 94). Del resto non
dovrebbe sorprendere una varietà di lezione per im-
perizia dell'artista, e ne fornimmo r esempio colle me-
daglie dell'antica Dalvon, ove il nome di magistrato
ora si legge MINATK , ora AAIHATS in esemplari
di ottima conservazione (vedi la nostra memoria su//e
medaglie dell'antica Dahon nelle mem. della reg. ac-
cad. Ercol. tom. IV part. 2 p. 272 e s.). Non vi ha
dubbio che anche nel nostro EIHMAN vada ravvisato
il nome niessapico di un magistrato, quali ne furono
riscontrati sulle medaglie di Arpi (v. le nostre osser-
vazioni nel I anno di questo buUettino p. 108). Nulla
diciamo sul simbolo del pentagono, o penlalfa, di cui
ci esleudommo a discoriere in altro nostro lavoro
( novelle dilucid. sopra un ani. chiodo mag. p. 23 e
seg. : a p. 24 richiamammo pure la moneta di Arpi).
E sui difTerenti tipi veggasi pure nel citato luogo il
Sestini. L'altra monetina fu pubblicata dall'Avellino
{opusc. t. II p. 128 tav. V fig. 7) , il quale vi lesse
egualmente ElhMAN: noi abbiamo credulo di ripub-
blicarla per offrire un confronto all'altra medaglia di
modulo maggiore. E qui osservo che lo stesso nome
di magistrato si scrive ora EIHMAN ora EIWMAN :
e parci che i due caratteri H ed h sieno da ritenere
siccome aventi la medesima forza. Potrebbe da taluno
pensarsi ad aspirazione, la quale ne' popoli messapici
s' incontra non di rado anche nel mezzo delle parole.
E la numismatica ce ne fornisce l' esempio nelle mo-
nete di Ascoli colla epigrafe AThTSKA ( Millingen
considér. p. 154-155, e supplem. pi. II n. 15 p. 9 :
Friedlaender die oskische Miinzen tav. VII 1 , 2, 3, 4
p. 54-56, Mommsen unter. Dialek. p. 201 e 204),
sulle quali son da leggere le cose ultimamente osser-
vate dal Uaoul-Rochette [journ. des Savants 1854
pag. 298 e seg. ). E sulle aspirazioni nel mezzo delle
parole è da vedere ciò che scrive il eh. Osann {Syl-
loge inscr. pag. 72). Ma è noto ritrovarsi il digamma
fra due vocali , mentre nell' EIHMAN vedesi l' aspi-
razione precedere una consonante. Da ciò deduciamo
che il segno o aspirazione h, H abbia il valore di un
V: il che si conferma dalla lezione del Sestini, s'ella
è ben verificata. Di falli l'IiTMAN' (forse EvixoiyrtS
0 altro simile nome) sarebbe la scrittura e la pronunzia
— 123 —
greca dello stesso magistrato EIHIAN ( Eiufji.ot.Yr ti ) ,
come pronunziavasi per avventura nel messapico dia-
letto: e di magistrati scrini ora alla maniera de' Greci
ora a quella de'Messapi, uon è nuovo nelle appulc
medaglie l' incontrare il riscontro.
8. Testa di Mercurio imberbe col petaso alato a <ì.
)( Clava giacente, sopra un globelto e KA , sotto
un altro globelto e NT. Ae. 0+
9. Testa di Ercole coverta della pelle di leone a d.
)( Clava giacente, sopra KA fra due globetli, sotto
NT anche fra due globetli. A e. 8
La seconda di queste due medaglie è già conosciuta
per la descrizione , che ne fu fatta dal Sestiui ( Leu.
di cont. Ili p. 22 e 23 ) di un esemplare posseduto
dal Bianconi , il quale ne fece poi la pubblicazione
{calai, num. vet. p. 20 ta;irll, n. 1 ). Un altro esem-
plare capitò nelle mani del eh. Riccio , che lo riferì
nel suo repertorio numismatico p. 41. Perfettamente
inedito è il sestante da noi pubblicalo per la prima
volta. In quanto al tipo della clava, ricordo che altra
monetina di bronzo col medesimo rovescio , e colla
epigrafe KA fu pubblicata da Avellino [opusc. t. II.
tav. V fig. 8 ) , il quale ne fa sapere che nel regio
medagliere di Napoli è altra simile moneta di Canosa,
ov'egli leggeva KAAT in due linee, interpretandoli
AT per un nome di magistrato (/. e. p. 129). Il eh.
Fiorelii nella occasione di presentare il disegno di al-
tra monetina con testa galeala , e clava , propose di
legger piuttosto KANT, fondato sul trienle del Bian-
coni [osservaz. sopra lai. mon. rare pag. 6 n. 10 v.
tav. II fig. 5 ). Comunque l' Avellino non abbia ac-
cettata una tale correzione [bullelt. ardi. nap. an. II
pag. 96), pure a noi sembra ora sicura , special-
mente dopo la ripetizione de' varii esemplari del trien-
te, e la comparsa del sestante, che ci presentano co-
stantemente intorno la clava la leggenda KANT. Il
Seslini attribuisce i tipi erculei all' esser Diomede fon-
datore della città discendente dagli Eraclidi ; nel che
fu seguito dal Fiorelii fll. citi. ). E non so perchè il
eh. Corcia abbia rifiutato questa più semplice idea ,
per abbracciarne un'altra poco probabile, derivante
da una supposta confusione di tradizioni {Slor. delle
due Sicilii tom. Ili p. 342). La maggiore importan-
za, che presentano le due monete da noi pubblicate,
si è la divisione dell'asse canosino, di cui apparisce il
Iriente ed il sestante. Potrebbe questa indicazione di
peso attribuirsi alla romana iniluenza ; essendosi, spe-
cialmente pel sestante, adottala la lesta di .Mercurio,
solito tipo de' sestanti romani. Comunque sia, questi
due spezzati dell'asse Canosino ci sembrano dar pure
un appoggio all'attribuzione di tutta una serie di mo-
nete colla epigrafe KOM.\, e le iniziali KA, o CA,
alla stessa Canosa : del che pare non si dubiti più da'
nuniografi (vedi Riccio le monete delle fam. romane
p. 2G4 sec. ediz. e rrperlor. numìsm. note, pag. 9 e
seg. cf. Avellino nel t«//. arc/j. napol. an. Ili p. IC).
10. Testa giovanile ed imberbe con piteo conico a d.
)( Due aquile, sotto la epigrafe rVA^A Ae. 7Vs.
1 1. Testa barbata laureala a d. , dietro tre stelle
){ Aquila sid fulmine, sotto I"PA , innanzi KPII
Ae. 6—
12. Conchiglia Pectcn
)( Fulmine giacente, sopra una stella, sollo TPA
Ae. G-f-.
13. Conchiglia Pectcn
)( Aquila dietro TP A, innanzi una stella Ae. 5-|-
Sono conosciute non poche di queste appule me-
dagliuzze dalle descrizioni, e dalle pubblicazioni dui
numismatici: ne' quali i tipi dell'aquila, del fulmine,
del pecten sono fra loro variamente combinali. Vedi
Mionnet descr. t. I p. 1 00 e suppl. 1. 1 p. 3a ì, s. , Ca-
relli t.ib. p. 65 edil. Lips. , Riccio jyy^cr/. iìt(»i(.';Hi. p.
')8. La medaglia del nostro n. 12 fu pubblicata già
dal Seslini [Lclt. num. tom. V. p. 5), e non ha guari
dal eh. Fiorelii [nwnele ined. tav. II. n. 3 pag. 1 1-
12); sebbene sembri quell'esemplare di dilVerente
fiibbrica. Non troviamo né descritto uè pubblicalo da
alcuno il nostro n. 10. Ma fortunatamente sono tulle
le difficoltà sulla sua esistenza dileguate da un .diro e-
semplare in questi ultimi giorni acquistalo dal eh. sig.
principe di S. Giorgio. In esso benché di mediocre
conservazione , sono itorfi-ltamenle visibili e la lesta
pileala, e la epigrafe l't'ASA. È nolo che dopo la
impossibile attribuzione di queste monetine a Gravi-
scae, il Millingen propose da prima Craslus della
Japigia [recueil de quelq. med.inéd. p. 19), e poscia
— 124 —
Grata nome eh' egli credeva proprio di CallipoUs
[considér. p. 146), e così si ritenevano ancora da
non pochi numismatici ; sebbene la grave difEcoItà
mossa dall'Avellino conira una tale opinione ( 6u//.
arch. nap. an. I p. 130) facesse tuttavia a' più con-
siderati dichiarar per incerte queste medaglie. Ora la
nuova iscrizione l'PASA mentre da un lato dimo-
stra la falsità di tutte le precedenti attribuzioni, pruo-
và dall'altro l'esistenza di una incerta città o dell'an-
tica Calabria , o dell' Apulia denominata Graxa , la
quale avuto riguardo a' tipi del pecten , e del delfino
si manifesta una città marittima e liltorale. Nella te-
sta imberbe del ritto sarà da riconoscer forse un Vul-
cano, e la rosione della moneta dietro la lesta , in-
dicata pur nel disegno , impedì di osservare il for-
cep$, che per avventura eravi effigiato. Non vorrei
facilmente pensare ad Ulisse, sebbene questo eroe in
altri monumenti apparisca parimenti giovanile ed im-
Lerbe (v. sopra p. 14. e le cose da me osservate in-
torno ad un vaso ruvese nelle mcm. della reg. acc. Er-
colan. tom. IV part. I p.2G0, 262,281). Comunque
sia, ci sembra dubbiosa l'attribuzione fatta dal sig.
Raoul-Roehelle a Cuma e ad Ulisse di alcune mone-
tile di bronzo (mon. inéd. p.253; cf. p.2il, 3), nelle
quali il eh. Fiorelli vide Glauco invece dell' Itacese
{Annal. di numism. t. I lav.lll n. 7,8 p. 186-189).
E gli argomenti opposti d.il eh. sig. Principe di San
Giorgio [memorie numismat. 1854 p. 31 ) sono tali
che sembrano escludere la possibilità di una medaglia
di bronzo in Cuma: sebbene il dotto archeologo fran-
cese non abbia per ciò abbandonata la sua idea [Journ.
dessav. 1854 p. 307 not. 3). Un ultima osservazione
aggiungo sulle monetine di Graxa, ed è che veggonsi
in esse adoperati ora i globetti, ora gli astri ad indi-
carne il valore: e questo sistema corrisponde a quel
che venne osservalo nella numismatica di non poche
città; traile quali mi contenterò di citare noW Apulia
medesima Caetium, e Venusia , che pur della doppia
indicazione di peso fan mostra nelle loro medaglie.
14. Abbiamo pubblicata questa medaglia, perchè
offrirebbe notevoli particolarità , se potesse attribuirsi ,
a' Brunii ; siccome accenna la leggenda ' • ETTI • •
Ma non possiamo tacere i nostri dubbii sulla epigrafe,
ponendo mente alla identità de' tipi con quelli di una
comune moneta della Beotia (Mionnet mppl. t. IH p.
507 n. 36 da Hunter tab. XllI Cg. 13); della quale
osservammo presso il lodato signor principe di San
Giorgio un esemplare di fabbrica perfettamente simile
a quello da noi pubblicato (I). Per lo che si rende
probabile lo scambio del • -IfiT- • • in • -ETTI- • • ;
trattandosi di una iscrizione poco conservata.
19. Non dubitiamo che questa medaglia apparten-
ga alla Sicilia , ove sono frequenti i tipi del toro a
volto umano, e della testa imberbe. Anche qui può
credersi errala la epigrafe lEPA. E noi , non man-
cando di offrire allo studio de'dotli il disegno, ci aste-
niamo dall' accumular conghielture ; attendendo no-
velli confronti, che chiariscano meglio l'attribuzione
di questa medaglia.
Medaglia di Eraclea , nel real museo Borbonico.
Nel chiudere questo articolo mi sia lecito di retti-
6care una nozione di fatto. Io notai che la medaglia
di Eraclea pubblicata sotto il num. 18 della lav. IX
mancasse alla collezione del real Museo Borbonico
(p. 142). Ora debbo dichiarare che ho verificato la
esistenza nel real museo di questo interessante pezzo,
dal catalogo del regio medagliere del eh. Avellino ,
ove la trovo descritta nel seguente modo.
Heraclea Lucaniac ? Figura viriliis nuda sm. saxo
insidens, cui pellis /co/ii'.s imposita, dexlra caniharum
sinistra clavam • • • EIÌ2N
)( Aegis, in qua caput muliebre dm. laureatum cri-
nibus retro collectis Ar. 2.
MlNERVINI.
(1) Prendo questa occasione per rendere pubbliche grazie al eh.
signor princpe di San Giorgio per Ij gentilezza che non tralasciò
mai di usarmi , perniilii'nd(.nii ili sludiiiro le antiche medaglie della
sua raccolta, che va di giorno ìu giorno aumentando con novelli
acquisti.
GiDLro MiNEuviNi — Editore.
Tipografia di Giuseppe Cataneo.
BlILlETTI\0 ARCnEOlOCICO MPOLITA^O.
NUOVA SERIE
iV.« 42. (18. dell' anno IL) Marzo 1851
Patera del museo Sanlangelo Poche parole sopra uno specchio amico di Crotone.
relativo a' teatri coperti.
■ Luogo di Tertulliano
Patera del museo Santangelo.
Nella figura 1 della tavola VI di questo anno del
bullettino vedasi una patera della celebre collezione
Santangelo, proveniente dalle scavazioni dell'antica
Gnalhia , interessantissima per la rappresentazione ,
e per l' eleganza e la finezza della fabbrica e della e-
secuzione. Noi già altra volta presentammo alcune di-
lucidazioni su questo bel monumento, per la notizia
che avemmo delle sole iscrizioni messe al disopra
delle differenti figure {bulletl. arch. nap. an. V pag.
27, 28 ). Posteriormente ci fu dato di offrirne una
breve descrizione, per confronto ad alcuni vascularii
dipinti di Nola , uno dei quali fu pure da noi pub-
blicalo ( mon. ant. ined. di Barone p. 73 e segg. ).
In tutti questi monumenti vedesi Venere circondata
da femminili figure. Altra volta fu da me descritla
una non dissimile patera , nella quale la figura prin-
cipale aggruppata coli' Amore vcdevasi indicata dalla
mutila iscrizione nA"'H, che venne da me inter-
pretala nAcr<;pa.H ( bull. arch. nap. an. V p. 82). E
nel pubblicarla in seguito in questa nuova serie del
bullettino ( an II. tav. II fig. 1 ), esclusi la possibihià
del supplimento IlAipiH , che richiamar poteva alla
medesima Afrodile (v. sopra pag. .'')7). Ora per ve-
rità , o che ritener si voglia il supplimento nA<I>IH
o IIAXI^AH, ci sembra probabile che la figura ag-
gruppala coir Amore possa riputarsi la stessa Vene-
re : e non mancammo di farne altrove la osservazio-
ne , avvertendo che la Clymene aver doveva con Ve-
nere particolari relazioni , se a lei da presso la veg-
giamo egualmente nella patera del museo Sanlange-
lo , di cui diamo ora la incisione {bullen. cil. an. V
p. 83 not. 1 ). Al che si aggiunga che ritenuta la
Clymene per la conosciuta Nereide, non dovea parere
strano il rapporto fra le abitatrici delle onde e la
dea che dalle marine spume sorgeva. È notevole che
presso la figura di Venere vedesi nella nostra palerà,
non altriraenli che in quella di sopra accennala , un
calato: e due altri ne compariscono presso l'KTNO-
MlA e l'APMoMA.Noi riputammo esscrqueslo ar-
nese delle Nereidi, come conveniente a divinila fila-
trici ; ma sembra che nel vaso del museo Santangelo
non sia punto applicabile una tale intelligenza. E pro-
babilmente dovranno i calali in somiglianti scene cre-
dersi destinati ad accogliere oggetti di femminili or-
namenti. Grazioso è l'atto con che Afrodite tiene colla
sinistra mano l'Amore, non allrimenli che vedesi in
un bellissimo vaso Nolano del real museo Borbonico
{real mus. Borbon. tora. I tav. XXXV). Intorno a
questo principale gruppo sono cinque femminili fi-
gure, e noi daremo sopra ciascuna di esse alcune par-
ticolari dilucidazioni.
La prima che si presenti alle nostre ricerche è la
K>a'/a/vr| , nella quale ove sia ravvisala la Nereide per
le ragioni che furono da noi esposte [bull. nap. an.
V p. 8-2 e 83 ) , non si troverebbe disconvenire alla
scena, che abbiamo sotto gli sguardi. Questa figura, ol-
tre un indeterminato oggetto di abbigliamento che tie-
ne colla destra , che potrebbe non pertanto riputarsi
un calatisco rovesciato, eleva poi colla sinistra un vaso
ricoperto. Il vaso tenuto da Clymene può per avven-
tura giudicarsi da taluno un recipiente di acqua per
lavarsi (kttty.p). È ben conosciuto che il tergere le più
piccole brutture del corpo fu riputalo ognora una
necessità della bellezza. E basta a tal proposilo citare
quei mi tiii lavacri , che usarono le tre dee pria di
comparire al famoso giudizio di Paride, procurando
— 126 —
di meritare per tal modo il premio della bellezza (vedi
le cose da noi osservale sopra un magnifico vaso di
Pisticci , che ci presenta il lavarsi di Pallade bullelt.
arch. nap. an. I p. 103). Né diversamente fu da noi
inteso un simile vaso, che vedesi al suolo in una scena
di xxWovifffxói figurata sopra una patera del museo
Jalfa {huU. cit. an. V tav. I p. 26 ). Questa intelli-
genza acquatica non isconverrebbe adunaNereide, il
cui nome stesso, quasi proveniente da xXv^oo, prestasi
spontaneamente alla significazione di abluzione , e di
purificazione. Nel qual senso disse il tragico , ©cc-
Xaccrct xX'Xii TroVrot TÒ.viòpui'TruiY xxxx (Eurip. Ijìh.
T. 1193).
Ma facendo un più attento esame del simbolico
recipiente tenuto dalla Clymene, sorge la idea che
esso non sia chiuso, ma contenga invece taluni oggetti,
de' quali quello che più sporge al di sopra offre la
forma del muliebre xrùs. Questa notevole particola-
rità attribuisce alla patera di Fasano una religiosa e
mistica intelligenza. È noto in fatti come un tal sim-
bolo fosse adoperato ne' misteri! , e come vi si recas-
sero intorno quelle focacce, che (xvXKoì venivano de-
nominate : nelle quali cerimonie più che al lascivo
scherzo di lambe pare si alludesse alla universale ge-
nerazione ( Creuzer Symholik tom. IV p. 376 seg. 3.
ediz. ). Dopo queste considerazioni la figura di Cly-
mene nel nostro vaso effigiata potrebbe favorire la
spiegazione datane in rapporto ad altri monumenti dal
dottissimo Weicker, il quale la identifica colla stessa
Proserpina {anìiaìi dell' hi. 1845 p. 176 seg.). Ed
ognun vede quanto la presenza della dea de' misteri
innalzerebbe la significazione di tutta questa simboli-
ca rappresentanza.
La seconda figura di questo importante dipinto è
1' 'Apfxov/ot. Tra Venere ed Armonia esistono rapporti
mitologici : essendo ella nella teogonia esiodea figlia
di Marte e di Afrodite (v. 937). E poiché il suo
nome che vien da àpixó<^-ty , esprime la ben disposta
acconciatura, ben le si attribuisce il simbolo della cas-
setta conlenente i femminili giojelli, i quali ben si ag-
giustano sopra un' avvenente persona. E se si richia-
mano le tradizioni , nelle quali ricordasi il suo fa-
moso monile, ravvisar si potrebbe un rapporto fralie
gioje da lei recale e le narrazioni che la concernono.
In quanto all' EvxXsix , sappiamo eh' ella si ebbe
neir Attica un particolare culto ( Paus. I , 14, ó ) :
ma non credo che avesse rapporto al celebre nome
dell' Artemis Eukleia venerata specialmente da' Beoti
(Plut. Arisi, e. 20). Probabilmente nell'Attica, come
sul nostro vaso , non indicò quella voce che la per-
sonificazione della gloria , e della nobiltà. E tanto
più siamo di ciò convinti , quando ricordiamo che
la Eucleia era in Atene onorata insieme colla Euno-
mia ; incontrandosi in una iscrizione un sacerdote
Eì'xXu'cti xx] Ei'vofxiccs (Boeckh e. inscr. gr. tom. I p.
364 n. 238 ). Questo confronto é pur di particolare
interesse pel nostro vaso , nel quale veggonsi le due
medesime personificazioni fra loro vicine. Del resto
il simbolo della corona , come insegna di vittoria e
d'immortalità , ben si è messa nelle mani della Eu-
cleia, che fa quasi l'ufficio della Nike (1). Nel no-
stro vaso r Eunomia tien pure un calatisco rovescia-
to , ed un balsamario. Egli é ben conosciuto che lo
stesso nome si ebbe una delle Ore (Hesiod. Theog.
v. 902: Pind. 01. IX. v. 17, XIII, v. 6 : Orph.
h. XLII , 2 : Apollod. lib. I , e. IH , 1 , 2) , e che
fu così appellata la madre delle Grazie negli orfici
inni ( LIX , 2 ; v. Lobeck Aglaoph. p. 398 ). Que-
ste nozioni son certamente sufficienti a spiegar la stret-
ta relazione con Venere e colla scena del nostro va-
so , e danno pur sufficiente spiegazione del simbolo
dell' unguentario ; essendo gli odorosi unguenti desti-
nati ad accrescer le grazie di una vaga persona. Quindi
è che noi troviamo Peilho detta spiratile unguenli
nell'Antologia, fxv fÓTrvovS {Aaih. Palat. XII, 93, 1):
e presso Eustazio -t] fAygoxsiV^wv x*P'S (opwsc. p. 181,
4). È pur da ricordare che Alcmane diceva fra loro
sorelle Peilho , la Forliina, e la Eunomia, e tutte fi-
glie di Promelheia ( fr. 45 Schneid. v. Plutarch. de
forlil. Rom. 4. pag. 318, A): sebbene sembri una
particolare idea di questo filosofo poeta. Passo all'ul-
tima figura , che vien denominata IIANNTKIS cer-
(1) Di un aliro vaso , ove Peilho è aggruppata colla Eucleia vedi
Chrislie upon Etrusc. vas. 13, Raoul-Rochelle mon. inéd. lav.VIII,
2 p. 40 s. de Wiiie e Lenormant élite dei mon. cèramogr. lom. II
p. 68;Jahn.PciYAop. 26.
— 127 —
(aniente per ITANNTXIlS, per un solito scambio della
muta coU'aspirata. Io spiegai già questa tlgura per la
notturna veglia (bull. t. V. p. 28) : ed il sig. Raoul-
Rochette ba ricordato a proposito la mistica veglia de'
Greci, ed il Pervigilium de' Romani, citando un altro
vaso da lui posseduto , ove una Baccante è indicata
dalla iscrizione PANTIJ; [nolice sur les fouilles de Ca-
pone p. 57). Egli sfesso nel pubblicare quel monu-
mento, inlerpetrò la epigrafe ITANNTXIi; {lettr. arch.
pi. II. p. 132): e quantunque una differente lezione
abbia ritenuto il eh. Jahn {Vasenbilder tav. II p. 15,
10) , pure ci sembra da preferire la interpretazione
dell'archeologo francese; pensando appunto alle not-
turne orgie di Bacco: per le quali Sofocle diceva delle
Baccanti :
cut (Ti ixxirófxiyxt vxvyvxot xopjt'ofcri (Antig. 1 1 52).
Il signor Raoul-Rocbette nulla aggiunse a spiega-
zione dell'augello chevedesi nel vaso de' signori San-
tangelo presso di questa figura: e si contentò di chia-
marlo una cicogna , siccome io stesso aveva fatto. In-
tanto sembra evidente che l'augello ripetuto in tre
diversi monumenti , messo costantemente presso di
una figura , debba essere destinato a simboleggiarla.
E ci si offre spontaneo Yìpcu^ièi, uccello del genere
delle Diomedee , che mollo somiglia ad una cicogna
(Suid. h. V. ), per modo che Aristotele ha credulo
oppurtuno di farne la distinzione {Hist. anim. VIII,
3 ). I Latini lo dissero Ardea (Plin. X, 60). Ora ci è
rimasta presso Esichio una importantissima notizia ;
ed è che Vlpw^iòs , che egli appella uccello sacro di
Giunone, aveva l'altra denominazione di NtxTaiWos,
o aquila notturna (Hesych. h. v.). Ognun vede co-
me la notturna cicogna ben si rattrova vicino alla
simbolica Pannichide; la quale si troverà conveniente
ancor essa a Venere, sol che si ricordi il pervigilium
Veneris: ove si supponga che non senza una particola-
re ragione venne quel titolo adottato dall'incerto poeta,
da cui fu composto quel carme.
Date queste particolari dichiarazioni sulle differenti
figure della patera di Fasano;in quanto alla generale
composizione, possiamo in varii modi considerarne il
soggetto. Nella più semplice intelligenza vedi V^enere,
la dea delle Grazie e dell'Amore, circondala da figu-
re, alcune delle quali ben si collegano con lei in mito-
logici rapporti: cosi laXcrcide Climcne, l'Armonia, e
l'Eunomia. Non può dirsi lo stesso dcirfKr/ea, e delia
Pannychis , le quali sono particolari personificazioni
non disdicevoli alla compagnia di Afrodile, ma nep-
pure con essa mitologicamente in rapporto. Tulle
queste figure sembrano unicamente intente a femmi-
nili adornamenti: ma non pertanto la loro riunione
può riputarsi di più alla intelligenza. Di falli la mi-
stica Pannychis alludendo alle iniziazioni, la ^Knomia
in tutte le sue significazioni, la EuUcia o la gloria
delle belle azioni , l' Armonia che racchiude le idee
più sublimi e leggiadre , e finalmente la Clymene co-
me dea della purificazione ovvero nella intelligenza
di Persephone , costituiscono insieme con Venero un
complesso di divinità , che promettono all' uomo la
più fortunata esistenza ; o che si consideri nel giro
della vita mortale, o che si volga il pensiero alia de-
stinazione delle anime dopo la morte. In altro bellis-
simo vaso di Atene vedesi una simile riunion(! ; nella
quale comparisce Afrodite , Cleopatra , ( che io giu-
dico una personificazione simile aWa Eucleia], la Pae-
dia, 0 la dea de" giovanili trastulli, V Eunomia, YEu-
daemonia, e la dea della persuasione Peitho (Sta-
ckelberg Grdb. dcr Hdlen. 29: vedi ciò che scrive il
Jahn Peitho die Goetlin der Ucberred. p. 27 ed Arch.
Beitriige p. 214segg. ). Il nostro vaso di Fasano sem-
bra dare una spiegazione più alta anche dell' attico
vasellino da noi ricordato. E queste idee vengono
pur confermate da ciò che dicemmo del vaso di Ruvo
col giovine Polictes , al quale nessuno vorrà negare
una funebre e mistica intelligenza ( vedi dono agli
Scienz. del VII. fO()(/r(;>!SO p. 81 e seg. ebuUett.arch.
nap. an. V. pag. \ìi e segg. ). Noi ben conosciamo
che non pochi archeologi considerano nel modo più
semplice, direi quasi anacreontico, la maggior parte
di simili rappresentazioni; ma , a mio giudizio, an-
che quando si mostrano scene di una apparente sem-
plicità , riesce di ravvisarvi un senso funebre e reli-
gioso. Io non voglio distendermi su questo particola-
re ; ma mi propongo di porre a disamina , sotto un
tal punto di vista , tutti i monumenti di questo ge-
nere : e forse i soggetti della vita comune non troppo
■— 128-^
facilmente si vedranno effigiali ne' vasi. Così nella riu-
nione di divinila , che abbiamo nella patera di Fa-
sano , non comparisce alcun personaggio mortale , a
cui quelle si riferiscano. Dal che può dedursi che il
loro signiflcato è generale , e comune per tutta la u-
manità.
tanza è chiusa da varii fregi. Ciò basterà qui ad ac-
compagnare la tavola; della quale darò dipoi la con-
veniente spiegazione, quando potrò pubblicare il di-
segno della statuetta di Cipro.
P. R. Garrccci.
MlNERVIM.
Poche parole sopra uno specchio antico di Crotone.
I lunghi studii falli finora intorno alla mitologia
greca ci hanno obbligalo di cercare in Asia le origini
del cullo idolatrico , e le forme tipiche così del sim-
bolismo , come delle personificazioni. Le nuove sco-
perte, che si van facendo cosi Ira i Persiani che tra i
Medi ed Assiri, pajono contestarlo ogni giorno meglio:
io certo son convinto, che i Greci dovettero ricevere
un grande impulsò dai monumenti e dalle dottrine
asiatiche all'ampio sviluppo della lor favola cosmica,
ed alle creazioni artistiche. Lo specchio inciso nella
tav. Ili ne viene ora a riprodurre la Venere sotto quel-
r abito, e con quegli attribuii medesimi, che offre una
statuetta in pietra calcarea recentemenle portata qui (in
Parigi) dall'isola di Cipro , e che è entrata a far parie del
museo imperiale. Io ritornerò suU' argomento, quan-
do potrò dare un disegno di questa ; ora mi basti av-
vertire, che la staluetla di Cipro, e '1 piede dello spec-
chio di Crotone sono due copie del medesimo tipo
perfettamente identiche fra di loro. Lo specchio tro-
vato da qualche tempo in un sepolcro di Crotone in
Calabria si compone di quattro pezzi la base, il piede,
il disco, e la Sfinge: le mezze lunette, che prendono
in mezzo da due parli opposte il disco, servono a strin-
gerlo con l'ajulo di un filo di ferro , che passavasi pei
corrispondenti occhielli di qua e di là. Nel rovescio
del disco è graffila una figura gorgonica alata, che strin-
ge colle due mani due serpi: due galli si veggono al
basso in alto di corrersi incontro ; tutta la rappresen-
Luogo di Tertulliano relativo a' (eatri coperti.
Il eh. Garrucci nel parlare de' teatri pompejani, a
proposito del tealro coperto , citò il seguente luogo
di Tertulliano: Video et Thealra, nec singula satis esse,
nec nuda : nam, ne vel hieme voluplas impudica frigeret,
primi Lacedaemonii odium paenulam ludis excogitave~
runt ( Apolog. e. VII ). Egli ne diede una ingegnosa
spiegazione, quasi odtMHi si trovasse ne'codici in luogo
di odiorum ovvero odeorum (vedi sopra p. 6not. 1).
Ammettendo la intelligenza dell' odràm per odeum, non
vorrei nulla cangiare , ma ritenerlo siccome il caso
retto dal verbo excogilaverurU. Così avremmo il senso
piano primi Lacedaemonii excogitaverunt odium pae-
nulam ludis , nel quale paenulam ludis è caso di ap-
posizione ; siccome dicono i grammatici. Nel vivace
stile di Tertulliano ben si paragona l' odeo ad un man-
tello , che ricoprendo la nudità del teatro offriva a
tulli coloro i quali prendean parte alle drammatiche
rappresentanze f ludis J una difesa dal freddo : sicché
la jìacnula trovasi in relazione col natia e col frigeret
che precedono.
Con questa occasione vogliamo notare che una
nuova pubblicazione de' pompejani teatri ebbe luogo
in questi ultimi tempi nella importante opera del mio
chiarissimo amico pr. Wieseler di Gottinga Thealer-
gebdude und Denkmàkr des Buhnenwesens bei den
Griechen und Rómern-Goltingen 1851 in fol. tav. I.
cf. pag. 12 e seg.
MlNERVINI.
GiDLio MlNERVINI — Editore.
Tipografia di Giuseppe Catàueo.
BI'LLETT1I\0 ARCHEOLOGICO ^APOLITAm
NUOVA SERIE
N." 43. (19. dcirannoll.)
Aprile ISM.
Scavi d'i Canosa. Descrizione di un vasculario dipinto tratto da' Persiam di Escìiilo. — Epigrafe greca di E-
zant. — Nuovi confronti di Ilcziarii armati di tridente e di pugnale. — Iscrizioni latine. Contin. del n. 38.
Scavi di Canosa. Descrizione di un vasculario dipinto
trailo da' Persiani di Eschilo.
È già no(o a chicchessia come le scavazioni prat-
tlcate nel fcrlile suolo dell' appula città di Canosa fu-
rono ne' passati tempi produttive d'insigni monumen-
ti. Alcuni anni addietro nel fondo del Sig. Vito La-
grasla fu scoperto un magnifico sepolcreto , notevole
non solo pe' pregevoli oggetti rinvenuti nelle varie
tombe , che lo formavano , ma benanche per alcune
particolarità architettoniche , le quali meritavano di
richiamare l'attenzione dell'archeologo. Di queste in-
teressanti scoperte fu data una breve notizia nel tomo
XX degli annali dell' Istituto di corrispondenza ar-
cheologica di Roma ; e non ha guari una troppo esa-
gerata relazione ndV Ateneo di Londra, e nella Gaz-
zetta di Augusta. (Vedi quel che fu da noi breve-
mente osservato nel bidlcttino dell'lsl. 1853 p. Ili).
Infanto quella scavazione irregolarmente intrapresa
da particolari, rimase per varie circostanze interrotta,
anzi in parte novellamente ricoperta. Per lo che ci
gode r animo di annunziare che in questi ultimi mesi
quel fondo di Lagrasta richiamò l'attenzione della
soprantendenza degli scavi : e non possiamo astenerci
dal dare le meritale lodi all' eccellentissimo sig. Prin-
cipe di Bisignano , ed al eh. signor principe di San
Giorgio , eh' ebbero il nobile pensiero di guadagnare
alla scienza la intera notizia di quella Canosina ne-
cropoli : la quale , in seguito di regolari lavori ese-
guiti sotto la direzione dell' ingegnere Carlo Bonucci,
non tarderà a presentarsi tutta intera agli studii de'
dotti. Noi ci proponiamo di raccogliere le più esatte
ANNO II.
notizie su questa importante ricerca : e non ne de-
frauderemo i lettori del presente buUeltino.
Ricordiamo pure che in altro punto diverso fu da
qualche tempo pratticata un' altra scavazione , e che
da una tomba della stessa Canosa vennero fuori quei
tre vasi da noi descritti in questi fogli (anno I. pag.
91, 109, 128; anno li. p. 46, o7), e che sono uno
de' preziosi ornamenti del real museo Borbonico. Or
da questo medesimo punto , e probabilmente dalhj
stesso sepolcro, uscirono altri vasi dell.imassima im-
portanza. Vedesi in uno Andromeda esposta al ma-
rino mostro , e Perseo nell' atto di ucciderlo: in altro
non mirasi che un soggetto funebre e sepolcrale. Ma
il principale, che ha richiamata l'attenzione della reale
Accademia Ercolanese per due memorie quivi lettela
prima dal Commendator Quaranta e l' altra da me la
stessa mattina del ì corrente aprile, merita che sia co-
nosciuto sollecitamente mercè una esatta descrizione.
È questo di grandezza colossale, non meno di pal-
mi sei meno un quarto ; e presenta quattro differenti
rappresentazioni. Scorgesi sul collo una complicala
battaglia di Greci e di Amazzoni, di un lato; dall'al-
tro una scena dionisiaca. Sulla pancia , da una delle
due facce mirasi Bellerofonte sul Pegaso che pugna
contro la Chimera , coli' assistenza delle due protet-
trici divinità Nettuno e Minerva : dall'altra faccia del
vaso è effigiata l' importantissima scena argomento
principale di questa nostra notizia.
Tutta la rappresentazione dividesi in un triplice or-
dine di figure. Neil' ordine inferiore vedesi in mezzo
un uomo barbato avvolto in largo mantello, il quale
poggiando i piedi sopra uno sgabello siede innanzi ad
19
— 130 —
iin,i tavola , sulla quale sono dipinle di nero le se-
guenti lettere , situale a rovescio, perchè sieno visi-
bili a dritto alla persona, eh' è presso la tavola. Sono
esse MYHAPoCT
Quel personaggio solleva colla sinistra un dittico aper-
to, dove nella pagina superiore è scritto TA"H, e nella
inferiore TAAN , ove noi leggiamo TAAANTA • H ;
mentre raccoglie colla destra varie gialle monete sparse
sulla tavola, quasi facendone la numerazione. È no-
tevole che anche quella seconda iscrizione è segnata
sottosopra, perchè possa leggersi dalla figura, che tiene
il dittico. Alle spalle di questa appare un uomo in a-
sialico costume , il quale , curvando un ginocchio in
allo di reverenza, offre tre patere messe l' una sull'al-
tra. Innanzi è un altro uomo in asiatico vestimento ,
che presenta un gran sacco ripieno e legalo alla bocca.
Chiudono da questa parte la scena tre muliebri flgure
con amazzonico vestimento , le quali piegando un gi-
nocchio rivolgonsi al principale personaggio , eh' è
nel centro.
Nell'ordine medio di figure vedi nel mezzo il re Da-
rio, disliuto dal suo nome AAPEI05J, col capo adorno
della crestata cirbasia, e con lungo vestinìento asiati-
co: tenendo colla destra lo scettro , e colla sinistra la
spada nel fodero. Il persiano monarca siede sopra or-
nalo trono, poggiando i piedi su di uno sgabello. Fra-
gli ornamenti del trono sono notevoli due statuette
rappresentanti alate figurine, che ne fregiano la spal-
li'era ; non altrimenti che scorgesi in altri simili mo-
numenti , e fra questi nel celebre vaso di Atlante re,
di cui fece la pubblicazione il mio eh. collega ed a-
mico sig. cav. Gerhard.
Dietro al trono è uno de' custodi del principe con
tiara curva , ed in asiatico costume : colla sinistra
siringe un giavellotto, colla destra poggia sulla spalla
uno spadone , quasi nell' allo di far sentinella.
Innanzi al re è una figura \irile con clamide, che
tutta la inviluppa , e col capo covorlo di pileo conico:
poggia i piedi sopra una piccola base , nella cui parte
anteriore è la iscrizione IIEPSAI.
Chiudono da' due lati questa seconda rappresen-
tanza quattro barbati personaggi , tutti nel medesimo
asiatico vestire , tutti tenendo una specie di scettro ;
hanno il capo scoverto , e sono intenti a parlare col
gesto detto dagli archeologi infesto pollice, il quale
ne' vasi di Puglia esprime il momento di animata di-
scussione.
Non meno importante è il terzo e superiore ordi-
ne di figure , nel quale si offrono a' nostri sguardi le
Olimpiche divinità. Prima a sinistra è Diana, col suo
turcasso e col simbolo di una cervella che l' è da pres-
so: la dea siede, del pari che un' allra deità femminile
che siegue , alla quale il pittore ha dato l'attributo di
un cigno, e che noi riteniamo per Venere. Vedesi poi
il padre de' Numi Giove col fulmine accanto: egli sie-
de a sinistra volgendosi alquanto a destra verso la per-
sonificata Grecia hEAAAS , la quale ci si presenta
siccome una maestosa matrona adoma di tutti i fem-
minili ornamenti, e col capo coronalo di foglie: il suo
vestimento si compone di una tunica e di un peplo,
che le discendedalla testa. Osservi poscia Minerva con
galea ed egida sul petto , la quale appoggia la destra
sull'omero della Grecia , in segno di protezione e di
appartenenza. Due altre figure compiono questa ma-
gnifica composizione: la prima alata, con serpenti che
le sorgono dalla testa, offre quel succinto vestire, che
frequentemente ci fu dato di osservare nelle Furie, o
negli altri demoni ministri dell' ira e della vendetta di
Giove. Questa figura nel nostro vaso è denominata A-
IlA'" essendo perdute le ultime lettere di quella pa-
rola; ma io non tardai a riconoscere in essa la tre-
menda AITATA di Giove. Ella rivolgesi verso Mi-
nerva tenendo colle mani due fiaccole accese. La se-
conda ed ultima figura rappresenta la personificazione
dell Asia, additata dal suo nome A^IA, la quale ac-
coppia i femminili fregi alla corona turrita propria
delle immagini delle regioni ; ed è nell' atto di sedere
volgendosi e distendendo il destro braccio verso ^cH'
Apale , che la precede.
Tra IVIiiierva e la Grecia è nel campo un astro:
fra l'Asia e l'Apate è pur nel campo uu bucranio df
bianco.
Non sarà discaro annunziar brevemente le varie
opinioni emesse ad illustrazione di questo classico mo-
numento.
Il vaso nella varietà delle sue rappresentanze è con-
— 131 —
siJeralo dal coni. Quaranta come tante pagine di una
bellissima epopea dove egli crede rappresentarsi la
guerra di Dario padre di Serse co'Greci ; e vanno così
ordinale. La prima (a parere del nostro dolio col-
lega) ci presenta l'Asia (AiJIA), la quale par che in-
cili una donna che le sta innanzi alala ed aiignicri-
nila, con due Caccole in mano, con sopravi la mutila
leggenda AITA"", a muovere verso la Grecia (HEA-
AA5^), che vedutasi così minacciata ricorre a Giove
ed a Minerva. Nel secondo ordine evvi Dario (AA-
PEIOS) sedente con altre figure. Nel terzo un per-
sonaggio sia ad esigere i tributi necessarii alla guerra
in patere e darici d'oro. Compimento della rappre-
sentanza è la zuffa di alcuni guerrieri , Greci forse e
Persiani (1), dipinti sulla parte più eminente del va-
so, cioè sul collo. Vedendovi poi nel rovescio Belle-
rofonle domatore della Chimera, il Quaranta ne trae
che questo vaso sia stalo nobilissimo dono fatto a
qualche giovane guerriero augurandogli che potesse
difendere la patria collo stesso valore de' prodi rap-
presentali su quella creta, ovvero un premio di qual-
che eroe, la cui spada aveva rinnovati i prodigi della
mitologia e della storia, liluslrale brevemente le figu-
re del dipinto, il Quaranta \iene all'iscrizione mu-
tila dell'AlIA"", che forma, secondo lui, la parte più
difficile della spiegazione del monumento. Egli cre-
dette da prima che potesse supplirsi AllATH pren-
dendola nel senso di ATFI , e vedervi una personifi-
cazione della guerra sempre apportatrice di danno e
sterminio, o nel senso proprio dell' //(gfanno , che ne
forma uno de'principali elementi, quell'AtlATH die
tanta parte ebbe nella sconfitta del figliuolo d' Istaspe,
e che viene espressamente mentovala da Eschilo di-
cente : Ao>.c/xy|Tiv o ' Avdrtxv 0iov tis àvr^p i^nxròs
à\v'i,'A ; ma diverse ragioni , da lui riputate fortis-
sime, gli fecero abbandonare questa opinione: la pri-
ma trassela 1' a. dalla postura di questa donna , la
quale se rappresentasse V Inganno fatto all'Asia, do-
vrebbe (a suo giudizio) essere all'Asia rivolta favellando
con lei, come la Nemea che parla con Giove nel gran
(t) Noi le diffiuimmo per Amazzoni. Sarà da chiarir questo fatto
da un più accurato esame del raonumenlo originale del quale si
coi che il comm. Quaranta avemmo Delìzia, senza che T uno sa-
pesse nulla dell' altio.— i' Editore.
vaso dell* Archemoro, ovvero dovrebbe essere collo-
cala dopo r Asia , o almeno trovarsi dietro alle suo
spalle, onde additaici espressamente, che per la mal-
vagia ingannevoi forza rappresentala in (luella figura,
l'Asia si fosse indotta a guerreggiar con la Grecia.
Qui invece (osserva il Quaranta) non l'Asia, ma la
Grecia sarebbe la iiij;annata; perchè l' AITATI! non
all'Asia ma alla Grecia è rivolta, né poi l'Inganno
potrebbe mostrarsi per donna nemica con fiaccole in
mano e serpi in fronle , giacché la sua essenza è ap-
punto quella di celar sé stessa e coprire il suo reo
intendimento nella insidiosa blandizia di mentile voci,
come lo insegna lo slesso Eschilo :|ìiXo'^pc4;vyৠca/-
vot'cr* rò TrpòJroY Trxpxyst |3^otÓv lìs ■x^xv^xroi., ttÓ^ìy
ovx é^iy innp ù)%roY iXv^ccvT'x, Ol'^;». La (]uale con-
ghiellura si tramula pel Commeudator Quaranta in
certezza , quando nel vaso di Teieo vede 1' AITATH
rappresentata da sem])lice donna con gesto animalo
indurre in altri la persuasione di un' opera dannosa.
Questa figura dunque, pel mio dolio collega, è colei
che chiama a battaglia tutta l'Asia e tutta l'Europa; è
colei che spegnerà la rabbia di sua sete nel sangue di
migliaia e mighaia di valorosi; è colei che dipi incipio
ad una strage per cui sparirà dal mondo una delle più
potenti monarchie ; è la Nunzia della disfida, come do-
vette essere indicato nella parola comincianteda ATIA,
e che il Quaranta supplisce AIIAri'EAlA , promet-
tendo di ulteriormente dilucidar quella parola nella
prossima tornala. Quanto alle altre lellere , dopo al-
cune osservazioni paleografiche , egli nota che quelle
sopra la tavola indicano per dramme e talenti il debi-
to che doveasi pagare airesattorde'tribuli da una pro-
vincia , e che era scritto sopra una ^t^^ùi'pot,, e quelle
nel dittico, ch'egli legge TA-H e TAAN, la quantità
che si doveva dal portatore del sacco, o anche la quie-
tanza che a costui il regio esattore voleva rilasciare.
Otto giorni dopo Quaranta mantenne la fede data all'
Accademia , e dopo confermalo ciò che prima avea
dello cioè , che l' AITATA di Eschilo non poteva a-
ver luogo in questo vaso, fece di copiose osservazioni
tanto sulla voce AIlArrEAlA quanto sulla maniera
in cui è rappresentala , sostenendo che tutto cospira
a vedervi rappresentata la Disfida minaccevole.
— 132 _
Nella memoria , da me leda alla reale Accademia
Ei celanese, ho riferito l'inferiore ordine di Ggure al
pagamento de'varii tribuli istiliiili da Dario figlio d'I-
slaspe , riconoscendo tulle le varietà di quei balzelli
in numerario valutato a talenti, come si raccoglie dal
dittico , che fa bel confronto alia narrazione di Ero-
doto , in patere di oro , in prestazioni alimentari in-
dicale dal sacco che per le sue grandi dimensioni a
me sembra ripieno di frumento , e finalmente in of-
ferte d' individui umani quali sono le tre donzelle in
amazzonico vestimento, umilmente genuflesse: ho pure
notato che sembrando tutti quei tributarii appartene-
re alla regione de' Colchi , ed a' paesi abitati dalle A-
mazzoni , veniva ad additarsi per essi gli estremi con-
fini della persiana monarchia ; e la slessa idea ho cre-
duto di rilevare dal fallo di Bellerofonle in contro-
posto della pugna amazzonica , eh' è sul collo , ri-
chiamandoci ad una regione eslesa dalla Licia al paese
de' Colchi, equindi alla indicazione de' confini fra 'quali
e?ercilavasi il dominio del re de' Persiani ; ho avver-
lito come nelle cifre segnale sulla tavola messa innanzi
al Satrapo esattore debbonsi riconoscere cifre nume-
riche coU'ordine progressivo decimale M X (1) TI A IT,
e nelle rimanenti lettere 0 < T o le varie divisioni
dell'obolo, ovvero i segni dell'obolo, della dramma,
e del talento : e quindi nella tavola dovrà ravvisarsi
lina vera tavola calcolaloria per i conteggi , e la ri-
duzione delle monete.
Nell'ordine medio di figure ho creduto rappresen-
tarsi Dario primo, figlio d'Islaspe, assiso a consiglio in
mezzo a' suoi Satrapi, per qualche importante risolu-
zione: non sènza notare come dall'insieme di tulio il
dipinto ricorre la mente a' consigli di guerra imma-
j;inali da Dario contro la Grecia , che gli fruttarono
la rolla di Maratona; ovvero a' preparativi eh' egli
faceva per vendicarsi di quella sconfina, quando venne
a morte. Io non pertanto ho ojìinato che il dipinto di
Canosa sia trailo dalla tragedia di Ivc'hilo intitolata ì
Persiani : e che quella contesa fra 1' A ia e la Grecia,
]tresentataci nell'ordine superiore, alluda alla tremenda
disfatta dell'orgoglioso Serse. E richi;iraando tutti i
(1) I carauere Y d^I senso di un X arcaico s' incontra nelle i-
scrizioni (deHa Magna Greti i: vedi Franz ctcm epigr. jr. p. 2U.
luoghi del tragico, che fanno interessante confronto al
vaso di Canosa, mi è sembrato rilevarsene la evidenza
di quella mia conghiettura. Nella tragedia, come nel
vaso , vedi la guerra fra l'Asia e la Grecia ; vedi questa
ultima regione protetta dalle divinità, ed in partico-
lare da Pallade: vedi V Apale di Giove, la quale ac-
cecò r asiatica nazione guidandola alla sua rovina , e
poi sen fugge lasciandola nel fatale disinganno dopo
la fiera sconfitta.
Nella tragedia , come nel vaso , scorgi il contro-
posto di quella lugubre scena , nella felicità di Dario
presentato in tutta la forza del suo potere, ed in tutta
la magnificenza delle sue ricchezze.
In conferma di questa nostra idea si aggiunga, che
in altra ipotesi rimarrebbe senza spiegazione quella
giovanile figura messa sopra un piedestallo, e che non
entra afTatto nel rimanente della composizione. Chi
non ravviserà in essa il nunzio della tragedia di E-
schilo , che tutta in se comprende la idea delle nar-
rale disavventure? E tanfo più questa figura dee cre-
dersi rappresentare quel dramma , quando si consi-
dera che sulla base ove poggia è scritto il titolo della
tragedia ITEPSAI , come appunto venne da Eschilo
denominata. Sicché per tal modo l' artista volle anche
materialmente indicare d'onde avea tratta l'idea del
suo bellissimo dipinto. Ove non si ricorresse al sog-
getto di una tragica rappresentanza, sarebbe pure ine-
splicabile come un greco artista avesse effigialo una
scena storica relativa a' Persiani, ed ove i soli Persiani
figurano; non potrebbe comprendersi perchè ci met-
tesse sotto gli sguardi la potenza di Dario piuttosto
che il \alore di quegli insigni capitani greci, che fiac-
carono r orgoglio dell' asiatico principe.
Rimettendo alla pubblicazione della memoria la e-
stcsa esjìosizione delle cose finora hrevemenle discor-
se , e la illustrazione di tutte le particolarità della de-
scritta composizione , non posso tralasciar di notare
che mi son fermalo a ragionar ioW'Apalc, mostrando
la convenienza delle sue forme e de' suoi attributi, la
sua vera significazione, e quali sieno i molivi pe'quali
lo stesso demone si trovi diversamente figuralo nel
vaso di Tereo.
Nel chiudere questo articolo mi piace di annunziare
~ 133 -
che questo magnifico vaso, ed altri di non lieve im-
porlauza saranno quanto prima collocati nel roal mu-
seo Borbonico, mercè le cure del lodalo sig. Bonucci,
che per superiore incarico ne sta Iraltaudo l' acqui-
sto (1). Per tal modo si accrescerà la gloria del no-
stro Augusto Monarca, e di chi ne seconda le nobili
mire, vedendosi di giorno in giorno tanto bellamente
aumenlati quegli stupendi tesori , i quali formeranno
sempre l' ammirazione e l' invidia degli stranieri.
Wl.NERVlNI.
Dell'anno preciso, e dello <^critlorc dì una Lettera gre-
ca dell'Imperatore L.Si-iùiìiio Severo ai magistrati,
al senato ed al popolo degli Ezanili, che leggesi in-
cisa in un maruìo antico di quella città della Frigia.
A parer del eh. Franz ( Corp. I. Gr. n. 3837 ,
Addenda p. 1063-1006), Aezanitae a. u. e. 931 p.
Chr. 198, in honorem Caracallae consorlis tribuniciae
polestalis diem festum celchrandum decreverunl. Exin
decretum per legationem ìniscrtint ad Imperalorem pa-
trem, qui his litteris respondet. Ex nummis Septimius
Secerus eo anno, quo Caracallam in consoriium im-
perii adminislrandi assumpsit, tribuniciae potestalis VI,
consul li, Imperator X fuil. Ilaque vs. 9 vitia irre-
pserunl sice lapicidae, si ve transcribenti imputanda.
Nel verso 9 il dotto Lebas lesse ATIMAPXIKHS
ESoTSiAS Tor AttokpAtqp to h rnA-
TOS TO B ; che il Franz credette doversi rimutare
come segue : orifxap\^/;cy,S l^ofcr/as to [^] , OLÒroxpd-
roop rò [/] uTTcnros rò )3 : ma pare veramente trojipo
il supporre avvenuti due gravi scambii in una sola li-
nea, ed in cosa di sommo rilievo, che riciiiamar do-
veva a particolare attenzione si l' antico incisore, e sì
il dotto trascrittore moderno. A me pare , che tutto
ben si concordi nel semplice supposto, che invece di
(I) Dubbiamo alla gentilezza del sig Bonucci l'aver potuto os-
servare alcuni de" più inleressanti pezzi di questa inara\igliosa slo-
\lglia; e possiamo alleslare che oltre la importanza archeologica,
merita tutta la considerazione anche sotto il rapporto dell' arte e
dello sUI'-, che si addimostra bello ed accurato.
TO r legger si debba To E ; e nulla di più facile ,
che un E, consunto nella parte sua inferiore, prenda
apparenza di un V. Ora nell'anno 197 Severo intito-
lavasi per appimlo TKIBVN- POTEST- V- COS- II-
IMP- Vili ; ed il maggior suo figliuolo appellavasi
M- AVll- ANTONLWS CAESAR, PRINCKPS IV-
VEMVTIS, DESTINATVS IMPKKATOK (lùkhel,
T. VII, p. 173,200); alle quali appellazioni ben cor-
rispondono le parole della lettera dell' Imperatore :
Itti ri"" ròy uiòv ij.O'j M'xpxoY Aùprikrjy 'AvrouMTi'JV
ÌTnllxi'yiiv xyx^T]' rvx,^, twv tt,s ipx.'^fi IXTrthcov xxì
nrxx^xi fxìrà. tou Trocrpòs. Caracalla, fin dal pre-
cedente anno 190, era stato dichiaralo Caesar ed ap-
pellalo M. Aurelius Anloninus iu Viminacio dal jìa-
dre suo SevtTO; enei presente anno, dopo la vittoria
riportata sopra Albino, egli Caesarem Bussianum fi-
lium suum a senalu appellari iussit, decretis impera-
toriis insignibus ( Sparlian. in Scver. 10 , 1 4 ). Il ti-
tolo d'DIPEIlATOR DESTINATVS, festeggiato da
parecchie città ( Gruler. p. 191, 3: 267, 8, 9: 300,
col. 2: Murai. p. 1088, 2: Orelli, ti. 432 , 923), e
le imperatoria insignia, decretale dal Senato a Cara-
calla, ben bastar potevano perchè il padre suo dir
potesse lui riroix,^%i ixirx roù irxrpi.
Per l'opposito, nell'opinione del Franz, che in
quelle parole inlese accennata la partecipazione della
Tribunicia Potestà , ed il titolo di Augusto dato da
Severo al maggiore suo figliuolo, oltre l'inconvenien-
le di dover supporre errate ben due note numeriche
nella linea 9, ve n'ha altro vie maggiore; di suppor-
re cioè, che gli Ezaniti festeggiassero nel 198 la pro-
mozione di Caracalla assunto dal padre al consorzio
dell'Imperio, senza curarsi degli onori dovuti a Gela,
fatto Caesar Princeps luventutis nel tempo stesso che
Caracalla Auguslus, nella state cioè del ridetto anno
198 {Echhcl 17/,;). 176, 200: cf. Borghesi nelGior.
Arcadico T. XLVI, p. 179). A detto di Sparziauo
fin Geta 5: in Sever. 16), post Parihicum bdlumpa-
ter, ctim ingenti gloria (loreret, Bassiano partieipe ini-
jterii appellalo, Geta quoque Caesaris nomen accepit. Se
le feste pertanto istituite dagli Ezaniti riguardassero Ca-
racalla dichiaralo Augusto, e fallo partecipe della Tri-
bunicia Podestà, senza dire che dopo i uaaii MipxoY
134 —
A('pT)).ioy 'AyrùuymoY aspeUerebbesi il nuovo titolo
2s(3*(rTÓ), (roverebbcsi in un con lui ricordato il fra-
tello suo Gela Caesar Princeps luvenlutis.
Le felici imprese, x%rujp>ìujixiy%, di Severo, perle
quali gli Ezaniti rallegraronsi con esso lui , saranno
la presa di Bizanzio dopo Ire anni di assedio , avve-
nuta nel 196, e l'insigne vittoria da lui riportala so-
pra Albino nel 197, probabilmente pocbi mesi prima
cbe fosse dettata la lettera sua agli Ezanili. Della pre-
sa di Bizanzio egli ebbe tale e tanto gaudio, che non
si tenne di darne egli stesso l'annunzio alle sue mili-
zie in Mcsopotamia ( Dio LXXIV, 14), ove fin dal-
l'anno 195 erasi guadagnato i titoli ài Arabico Ailia-
benìco [Echhel, T. VII, p. 172), ch'ei prende nell'in-
titolazione della sua lettera agli Ezaniti,
Pregio poi singolarissimo di quella iscrizione di E-
zani , non rilevato dal eh. Franz , si è d' averci tra-
mandato un saggio delio stile del sofista Antipatro ,
nativo di Gerapoli della Frigia, cotanto lodato da Fi-
lostrato (Vii. Sophist. //, 24). Antipatro scrisse la
storia di Severo, fu maestro de' due di lui figliuoli ,
scrittore per le Lettere Greche dell'Imperatore, rot.Ti
iòxGiXii'oti iTfKyrokdùi ÌTrtra-x.^ùs ; e n'ebbe in rimu-
nerazione anche l'alto onore de' fasci suffetti. Egli, a
dello di Filoslrato, seppe congiungere insieme uno stile
splendido e degno della maestà imperiale, e nello stesso
tempo semplice ed ingenuo, quale si conviene al det-
tato epistolare, segnatamente per l'uso che fece della
figura àst'vSsrov: le quali due proprietà parrai si ri-
scontrino entrambe nella Lettera da esso lui scritta a
nome di Severo Augusto agli Ezaniti : la prima cioè
nella prima parte di detta Epistola, e l'altra nella se-
conda, ove torna piìi volle la figura dell' asyndelon.
C. Cavedoni.
Nuovi confronti di Reziarii armati di tridente
e di pugnale.
Venutami qui (in Parigi) alle mani la RcmeArchéo-
logtque ho trovalo che in alcuni articoli si era già par-
lato di Reziarii , e delle armi usate da questa sorta di
gladiatori ; la quale incidenza m' impone di ritornare
sul mio lema. Il sig. Letronne cita il musaico pubbli-
cato dal Lysons, nel quale sono figurati dei Reziarii ag-
mali insieme di fiocina, e di pugnale (/JeuMcV, 563 v.
anche lo Chabouillet ivi VIII,4 15); egli però lo ha de-
finito un dimacherus, lo che se fosse vero, tal sorta di
gladiatori non dovrebbe appellarsi col nome di i?e^m-
rii su quei monumenti ove loro si dà il tridente, ed il
pugnale. Lo Chabouillet dà un piccolobronzoap.il
del voi. cil. , e ben lo definisce Reziario : questo però
ha solo la fiocina e non il pugnale né il galerus. Ma il
sig. Longpérier uno ne produce a p. 198 del voi. VI
da una stele funebre trasportata già da Salonichi al
museo delle monete ; del quale egli non ci dà la figu-
ra, ma la descrizione, onde apprendiamo che si mo-
stra armato di tridente nella sinistra, e di pugnale nella
destra. La figura Ey^Pparr)? è alquanto maltrattata, ma
non credo , che avesse portato mai il mezzo scudetto
suir omero sinistro , non apparendo ivi verun risalto
nel luogo ove copriva colla sua parte concava il del-
toide, siccome ho potuto verificare io stesso. L' illu-
stratore vede nella sinistra un pugnale, ove lo Cha-
bouillet voi. cit. p. 417 dice esser logoro, e imagina
invece il fdel, ossia la rete: io non vedo l'uno né l'al-
tro, ma stimo che vi sia figurala una palma, e pre-
cisamente la lemniscalus (I). In questa vece sostituire-
mo il bassorilievo del sig. Gough, il quale, siccome
descrive il sig, Leemans , ha tridente e pugnale ( IX
Rcvue, pag. 419). Altri due egualmente armali soa
tratti da due lerrecotte l'una trovata aNimègue, l'al-
fl) È notabile ciò che scrive Apuleio de OrthogT. p. 130 ediz.
Mai Romae, 1823. Lemniscalus dicitur sexta gladiatoris palma:
Tilinius: Gladiator mi gloria quoius lemniscalus meridionaria,
nam crii haec seplima laurus. Turpilius in Thrasilione. Nemo
unquam vidit ebrium ire interdiu , neqxte turbam facete neque
fores exurcre aut feslra al vos cacci qui pcrpauci ad temnisca-
lum pcrvenitis, nunquam eam transilitis. Alla noli/.ia del grani-
niaticu fo seguire due mùnucncnii : il priniu è nella Licia del Fel-
lows, ove è ritrailo un gladiatore con accanto sei corone ed una
palma : le slesse sei corone si scorgono sulla lapida di Eufrate del
Museo Imperiale, e però io non tardo a dichiarar palma quella che
egli stringe colla sinistra insieme alla mazza del tridente. La palma
si concedeva al gladiatore colla corona di lauro ad ogni vittoria;
però la sesia palma vuol dire la sesta vittoria. Tìtinio però dice
nani erit lutee seplima laurus; e sul monumento alle sei corone
simbolo delle sei vittorie è aggiunta una sola palma, che è iudizii)
della lemnitcatut.
— 135 —
' tra ad Arcnlsburgh (ivi, pi. 183, n. 3, 5). La de-
stipazionc dei mezzi sciidelli è stata ben spiegata dal
eh. Longpéricr, lochè vale assai a confermare quanto
ne ho detto, come anche il senso del REI SECVNDl,
e l'uso gladiatorio di varie armi di bronzo situale fra
le armi militari nel Real Museo Borbonico. Egli perù
non discende ad applicare il nome galerm a questo
mezzo scudo , nò a dichiarare un ludus quell' edilizio
pompeiano, che die a noi quel tesoro. Quanto al SE-
CVNDl però della iscrizione citala, sebbcue siamo d'
accordo in riGutare la spiegazione del II ET., proposta
nel real museo Borbonico , debbo confessare che non
veggo di poter convenire col dotto interprete. Io ci
vedo il nome del gladiatore, e non il grado di seciin-
dus palus , pel quale manca ogni confronto , special-
mente perchè si è rifiutata dai dotti la spiegazione che
si dava già alla voce SEGVXDARVM.
Giova qui di conoscere che uno degli elmi gladia-
torii, regalato già dal nostro Re al museo della Mal-
maison, passò quindi al gabinetto del sig. Conte Pour-
talès Gorgier, e che il Dubois ne ha pubblicato la fi-
gura [Descripl. des Antiq. da cahin. etc. pag. 109,
110), donde lo ripete il Longpérier Vili, 325 a con-
fronto di una statuetta di avorio in abito die' egli di
Mirmillone , ma che io senza alcun dubbio dico di
Trece, siccome non stimo lesta di gallo fornita di bar-
gigU quella, in che termina la cresta di detto elmo ,
ma invece di Grifo. Sullo scudo della statuetta , che
ho veduta per gentil favor del sig. Longpérier , leg-
gesi *(>Vi\ALV(i)\N()C.
Intorno ai Reziarii è più di proposito l'articolo del
sig. Chabouillet (Vili , 405). Ottimamente egli giu-
dica i reziarii tunicati una eccezione , ma parmi non
ben si apponga nel giudizio che dà della Sjrira , opi-
nando fosse una benda, che il gladiatore avvolgeva
intorno alla testa. Lascia indi di render conto del ga-
Icrus (nous ne pouvons rendre compie), che egli de-
finisce une épaulière,unebandaulière['p.M9), e (\U3n-
lo ai reziarii del musaico del Lysons , dice aver essi
deux grandes ailes (p.410). Il Lelronne vi vedeva un
2)lastron ou épauloire à défendre la tòte (V,563), ed a
p. 564, on le dirait en peau de rhinocéros. Coerente-
I mente il Longpérier ( VI, 194) la chiama pelile far-
ge quadriìalère fxée sur /'('yjrtiJc j/nwr^^ a guardia della
lesta. Ma il sig. Leenians impiega due buone pagine
a persuadere, che il longus (/a/c/MS del reziario è una
parrucca , une sorte de bonnet ou de calotte de cuir
( Revue IX, p. 77, 78 ) , su di che non fa luogo di-
scorrere a lungo , essendo dimostrato ora che il j/a-
krus è il mezzo scudo.
Per tanto giovi sapere , che il Cori aveva scritto
( laser, voi. Ili, 102 ): Parmulam laliorc parte post
Intmeros suspensam facile crcdcrem: ed il eh. sig. Ilen-
zen nel Mus. Borghes. a p. 44. , ci aveva sospettato la
spongia reliariorum memorata da Tertulliano. Un al-
tro Reziario armato insieme di tridente e di spada ci
vien descritto dalJansen (.Vws. Lug. Bai. //i,scr.p.30),
dandone l' iscrizione, nella quale egli è ajìpcllalo A-
nOAAi^NIOC , e dicesi aver riportalo 48 vittorie
NCIKAC MH. llsig. Leemans ne dà ancora il disegno
[Revue IX, pi. 183,1), ove per altro non apparisce il
pugnale. Ma ivi a parer mio quel che pare ala destra
è il galeriis , e 1' ala sinistra è la tela ove egli tenea
chiusa la rete, che svolazza. Questa tela si vede anche
nel reziario di Gori.
Egli è forza di aggiungere ai monumenti citali , o
prodotti da me, una mia figurina in osso, dono del be-
nemerito sig. Cav. Bonichi , che rappresenta un re-
ziario in piena armatura , e verrà gratissimo ai dotti
che ho lodati qui sopra , e per coloro generalmente
che hanno soli' occhio la tavola VII del I. anno del
Bulletlino ben ricca di confronti di tal genere d' ar-
matura gladiatoria , di che come vedo , sono assai
poco forniti i musei pubblici (v. tav. IX fig. 20,21).
Apparisce questa fornita di galero, tridente, e pugna-
le. Nudo è il capo , e difeso il braccio sinistro dalla
manica. Ma l'assenza della rete anche in questa figu-
ra , che non può dirsi di averla lanciata poslguani
pendentia rctia dejctra nequicquam e/fudil, perchè non
è combattente siccome altre figure, ma sta ferma sot-
t'armi, dimostra a parer mio che gli artisti trascura-
rono di rappresentarla , forse ancora perchè non era
visibile , avendo s. Isidoro scritto che fcrebat occulte
rete (Origin. XV1II,54), facilmente ad imitazione del
celebre avversario di Frinone.
Garhccci.
— 136-
Iscrìzionì latine. Continuazione del n. 38.
28.
PAGGIO • LVGIANO • SGRIBAE
QVI VIXIT ANNIS • XL ■ III • D • XXVI
UOMINI • INCONPARABILI . FILI • eivs
ET • CONIVX • B • M • FF
gli fu riportato un altro insolito diminutivo lueniUa
in una iscrizione tracciata col carbone in una pompe-
jana parete: vedi sopra p. 82, ove si riferiscono allri
più comuni diminutivi femminili. La epigrafe di Vo-
lunilla fu letta dal suddetto mio collega, in un sepol-
cro a S. Vito sulla medesima via Campana scritta col
pennello suH'intonico sotto la nicchietta o loculo, che
altre volte contenne l'olla colle ceneri della fanciulla.
Il nome di Faccio è assai frequente nella Campa-
nia : su di che vedi le cose notate dal eh. Sig. Raoul-
Rochetle ( leltr. à mons. Schorn p. 337 sec. ediz, ) ,
e quel che ho scritto io medesimo ( lapida di Tenia
Casta pag. 61 not, 2 ).
29.
D ■ M ■
A • FRAVCIVS • GARPVS • SIRI
ET • FRAVCIAE ■ CYRILLAE
CONIVGI
LIBERTIS • LIBERTABVSQ
POSTERISQ
EORVM
Questa iscrizione è notevole per la singolarità del
nome FRAVCIVS, che sembra di greca origine. Mi
fu comunicata insieme, colle allre che seguono, dal mio
egregio collega Sig. Canonico Scherillo , coli' avver-
tenza di essere slata rinvenuta in Pozzuoli sulla via
Campana.
30.
VOLVNILLA LIBERTA HIC SITA EST
Ci sembra nuovo il diminutivo Vohmilla, che può
credersi derivato dal nome Volumnius. In questi fo-
31.
D . M
OCTABIA • SEGVNDA
MOGTABIOSECVNDO
QVI • BIXIT . ANNIS
li • MESIBVS • X
DIEBVS • XIIII
MATERISCAELESTA
B • M • F
La iscrizione è di epoca non mollo remola, come
dimostrasi dal B per V, dal mesibus per mensibus, e
dalla erronea ortografia scaelesla : se pure questi modi
non vogliansi attribuire a tracce di grecismo. L'iscae-
lesta non è dissimile dall' Ispcs, Istephanus, etc. di al-
tre iscrizioni , coli' aggiunta di un / avanti l' s impu-
ra per eufonia: siccome non è infrequente oggidì pres-
so gl'Italiani. La significazione d' infelix, in cui è a-
doperata la voce iscaelesla, è già nota per gli antichi
scrittori: e nello stesso senso è usato sceleratus negli
scrittori e ne' monumenti epigrafici , dicendosi nello
slesso modo Mater sce/cra<a in iscrizioni presso ilRei-
nesio ( ci. 12 n. 122 ), e presso il Fabretli ( p. 137
n. 631). Veggasi pure il Furlanettov. Sceleratus^ i.
(Continua)
MlNERVlNI.
Giulio Minervim — Editore.
Tipografìa di Giuseppe Cataheo.
BUllETTIINO ARCHEOLOGICO NAPOIITAIVO.
NUOVA SERIE
N.^ 44. (20. doir anno II.)
Aprile I8ói.
Vaso di hrnìtzo rinoeìiulo nel silo dell'antica Capita. — Sopra alnine monde di Eraclea. Leltcra del eh. Sig.
Raoul- Jloehel le all' Editore del presente hullellino. — Osservazioni dell' Editore del bullettino. — Memoria
deUa imperatrice Salonina in S. Maria.
Vaso di bronzo rinvenuto nel sito dell' antica Capua.
Nella nostra (avola VII fig. 4 veJcsi pubblicalo un
imporlanlissimo vaso di bronzo rinvenulo nel silo
dell' antica Capua : sono a' due lati due manichi , i
quali ofTroiio l' ornamento di due mascheroni di ar-
caico stile: il lembo esteriore dell'orlo è graziosamente
adorno di ovoli e di globetli : Gnalmente nella parte
interna è graffita una lunga iscrizione, della quale di-
remo tra poco. Dobbiamo la comunicazione di que-
sto insigne monumento alla gentilezza dell'attuai pos-
sessore sig. Cav. Bonichi di Roma, il quale ci ha pure
trasmessi i disegni che noi pubblichiamo (I).
La principale importanza del nostro bronzo dee
senza dubbio riconoscersi nella epigrafe , di cui ri-
portiamo il facsimile nel n.6 della suddetta tav.VII (2).
A primo aspetto ognuno direbbe etrusca quella iscri-
zione , a volerla considerare dal lato de'caratteri; ma
poiché se n' è fatta la lettura, si riconosce evidente-
mente appartenere al linguaggio degli Osci. Essa è re-
trograda , e va letta nel seguente modo, dando a cia-
scuno elemento il valore che gli compete :
Vinuchs Veneliis aeraciam deded Venilei Vinicii.
Alla fine è un segno somigliante ad un V; ma noi
crediamo che debba ritenersi siccome messo ad indi-
care il finimento della iscrizione ; senza che possa at-
tribuirsegli alcun particolare valore.
Prima di dir qualche cosa sul significato della no-
stra epigrafe, non ometterò di notare che varie iscri-
zioni osche Irovaiisi segnate eoo caratteri etruschi, per
modo che il eh. Mommsen ne fa una particolare ca-
tegoria ( Etrmkisclie Jnschrifien im oskiuhen Spracti-
(jcbiet: vedi unteritalischen Dialekte pag. 313 eseg.).
È notevole che quasi tutte queste iscrizioni osche iu
caratteri etruschi appartengono a Santagata de' Goti ,
ovvero a Nola ; mentre di alcune non si conosce la
provenienza, ma probabilmente debbono riferirsi alle
medesime, od a. prossime località. È pur da avvertire
che sono tutte segnate sopra vasi dipinti a nero , che
possono riportarsi ad un'epoca abbastanza remota, pro-
babilmente alla stessa epoca del nostro vaso di bronzo.
Queste avvertenze ci serviranno Ira poco a spie-
gare talune particolarità del prezioso monumento ca-
puano di che stiamo ragionando.
Il nome Vinuchs corrisponde al latino Viniciiis o
Vinucius, che pure in questa seconda forma riscon-
trasi in una iscrizione di Venosa (Mommsen inscr. r.
neap. lai. n. 697, 1. 17 ), ed in altra di Benevento
( id. ibid. n. 1798 ). Il genitivo osco sarebbe Vinu-
ceis, non altrimenti che il med/Aieis proveniente dal no-
me medix ; come si legge nella iscrizione pompejana
della porta di Stabia(l) (v. quel che ho detto in que-
sto bullettino an. I p. 164, ove ho parlato di simili
genitivi : cf. Garrucci ibid. an. I. pag. 82; e Kirch-
buff(ias Stadlrecht von Bantia p. 12). Un nome della
(1) L altezza è circa palmi due; il diametro della bocca è di un (1) Io non sodo ancora persuaso che io quesU iscrizione il me-
palmo. dtkcis sia un genitivo ; ma parrai piulloslo un nominativo piuralt,
(2) Sotto il n. 4, vedi la forma del vaso ; ed il n. 5 esprime co- eiccome sostenni nella illustrazione di quel monumento: vedi le
me si osservi la iscrizione nella pane imerna presso la bocca. memorie della reg. accad. Ercolanese voi. VII appendico pag. H.
JNtlO li. ^y
— 138
medesima declinazione fu da noi riportato in questi
medesimi fogli ; ed è YUpils scritto a lettere dorate ia
un vaso sannitico di Cuma: vedi il luogo sopra cita-
to. Intanto farò notare che nella nuova iscrizione del
vaso capuano leggesi il dativo Vinicìi, che io non
credo dissimile dal nome Vinuclis, e sta per Vinucei:
presentandoci un argomento che gli Oschi non altri-
menti che i Latini scambiarono in questa , come in
altre voci .l'Vcon l'I. E lo stesso nome si legge nella
pompejana iscrizione osca di Adirano , ove è il que-
store V. Viinikiis [Mommsea imi. Dial.p, 183): seb-
bene si vegga in una forma differente.
Segue l'altro nome Veneliìs, che dinota Venelius o
Veiìilius ; e di fatti non è dissimile dal seguente Vc~
nilci della nostra medesima iscrizione. Noi troviamo
in epigrafi latine il nome Verclius uella vicina Nula
(Mommsen inscr. r. n. lai. n, 2044); e lo stesso no-
me con finimento osco vedesi scritto di caratteri etru-
schi in una tazza del real musco di Berlino (Mommsen
unler. Dial. p.3i6). E qui mi piace di avvertire che
probabilmente la gente FeiiiV/a dee riputarsi di origine
etrusca; perciocché nelle italiche tradizioni troviamo
rammentala una Venilia madre di Turno ( Virg.^en.
X, 73), ed un'altra ninfa delio slesso nome madre
di Canente (Ovid. mei. XIV, 834). Segue nella e-
pigrafe del capuano vaso aeraciam deded. E poiché
nelle iscrizioni etrusche non comparisce giammai l'e-
lemento equivalente al d, anche qui troviamo la for-
ma del T , che ci darebbe la pronuncia Idei. Ma è
chiaro doversi ravvisare l'osco verbo deded , che oc-
corre in varie iscrizioni osche di Pompei ( Mommsen
unler. Dial. XXIV p. 183; XX. p. 180; e XXVI p.
184); e che rinviensi pure nel più antico linguaggio
de' Latini , siccome si raccoglie dalla iscrizione di Sci-
pione Barbato, e da altri monumenti. La parola ae-
raciam crediamo facile d'inierprelare dall'oggetto me-
desimo, sul quale si legge la iscrizione. Trattasi di un
vaso di bronzo; e pare evidente che questo significato
debba darsi alla voce aeraciar, come derivata da aes.
Ricordiamo che acraccus è un addieltivo , cui si at-
tribuisce la intelligenza di acran'us, o attinente a bron-
zo: sicché, ove supponiamo la ellissi di un sostantivo
dinotante vaso, ovvero una generale parola come rcs,
avremo nell' aeracia il significalo di vaso di bronzo ,
ovvero generalmente di oggetto di bronzo. Dalle qua-
li considerazioni ricaveremo il senso preciso della no-
stia iscrizione , eh' è come segue : Vimictus Venelius
vas aeneum dedit Venilio Vinicio. E qui notiamo di
passaggio come la nostra iscrizione ci fornisca un al-
tro argomento per conchiudere doversi trarre dal la-
tino antico le basi di qualunque interpretazione dell'
osco linguaggio; il che sembra ormai riconosciuto da
tulli coloro , che coscienziosamente si rivolsero allo
studio di quel dialetto. L'altra osservazione, che sor-
ge spontanea dalla nostra epigrafe , si é che trovan-
do un Vinucio Venelio che fa un dono ad un Venilio
Vinicio, potremmo probabilmente dedurne un appog-
gio alla teoria sostenuta con copiosi esempli dal eh.
Garrucci ; che cioè gli Osci adoperassero sovente un
doppio nome {hullelt. an. L pag. 41. e segg. ). Sa-
rebbe infatti straordinario il supporre che i due per-
sonaggi indicati nella iscrizione di Capua avessero un
prenome simile in entrambi al nome dell' allro , e vi-
ceversa. Comunque sia di ciò ; a noi sembra che il
monumento del Sig. Bonichi sia di grandissima luce
alle ricerche sullo stalo dell' antica Capua. Il lavoro
arcaico del monumento sembra appartenere a Greco
arlefice , piuttosto che ad Eslrusco. D'altra parte os-
servammo di sopra che i caratteri della iscrizione so-
no etruschi, e probabilmente di etrusca derivazione
la gente Venilia rammemorala nella epigrafe apparte-
nente all' idioma degli Osci o Sanniti. Avremo dun-
que ritrovalo nel nostro monumento un compendio
delle vicende di quell' antica città ; una indicazione di
fatto dello popolazioni, le quali tennero stanza in quella
regione; dir vogliamo gli Etruschi, i Greci, ed i San-
niti. E uoi siamo di credere che questo vaso appar-
tenga a' primi tempi della occupazione Sannilica di
Capila , quando durava tuttora la influenza etrusca
nella scrittura, la quale dovette poi cedere a quella
di'' nuovi padroni. Non altrimenti io do spiegazione
delle altre iscrizioni osche in caratteri etruschi, delle
quali ho parlato di sopra, che provennero da Nola e
da' sili vicini. Ci additano esse la precedente occupa-
zione etrusca, la quale esercita la sua influenza alme-
no pe'cai.tlerisu nuovi dominatori. La nazione San-
— 139
nilica vitloriosa per la forza delle armi non era in-
Dfjnzi nelle arli, e ricorrer dovelle da prima ad arte-
fici greci ed etruschi , quando volesse fare eseguire
alcun monumento. Ecco perchè trovansi tracce di c-
truscismo e di grecismo anche nelle opere di arte ese-
guite sotto la sannilica dominazione; e queste non solo
in Capua , ma altresì in altri paesi della Campania.
Queste osservazioni mi pajono legitimamenle rica-
vate dall'insigne monumento del Sig. Bonichi: e sa-
rebbe difficile dare una più facile spiegazione di quel
miscuglio di cose pertinenti a tre popoli diversi. Il
supporre una colonia etrusca de' Romani nella Cam-
pania non può trovare alcuno appoggio, non solo
per le ragioni addotte in contrario dal eh. Garrucci
( bulletl. an. 1 p. 85 ), ma anche dalla fabbrica del
nostro vaso, che non può spettare ad epoca si bassa,
cioè a tempo posteriore all'anno di Roma 518.
Vogliamo fare un'ultima avvertenza, ed è che il
nostro vaso di Capua si manifesta essere un dono fat-
to da Vinucio Venelio a Venilio Vinicio tuttora viven-
te. L' averlo ritrovato in una tomba pruova che quel-
r oggetto caro all' estinto fu messo a lui dappresso
nella sepoltura.
Dicesi ritrovato nella medesima tomba unvasellino
tuttodì nero (I), al cui esterno leggesi la iscrizione da
noi pubblicata sono il num. 8 della sud. tav. VII. È
questa parimenti in caratteri etrusci, e dovrà leggersi
Maraeus , o piuttosto Maragus , che è forse un ge-
nitivo.
MlNERVINI.
Soft a alcune monete di Eraclea. Lettera del eh. Sig.
Raoul-Rochette all' Editore del presente hillettino.
Mon digne ami et savant confrère ,
Un de mes amis de Naples m' écrivait, en date du
26 novembre dernier, pour me faire connaitre la dé-
couverte , qui venait de se faire à Métaponte , d' une
médaille d' Héraclée, qui paraissait nouvelle et extra-
ordinaire , au point qu'il avait été inlerdit à celai qu
(1) Questo vasellino è posseduto dallo stesso Sig. Cav. B^rncbi,
che me ns ba data la comuoicazioDe.
on en avait rendu dépositairc , d'en laisser prendre ,
soit une empreinte , soit un dessin , afin quelle pùt
arrivcr vierge enfre lesmainsdel'acquéreur. En voici
la descripliun. Ielle que me la donuait l'auteur de la
lettre , dans ses termos mèmes, que je transciis fiJè-
lement :
« Didramma di Eraclea. Dritto; Ercole seduto su
« di un masso e sulla pelle di leone, ha la clava poco
« discosta; un vase di premio è nella sua mano dritta,
« e col braccio sinistro è in atto di riposo , intorno :
« HPAKAEION. Rovescio; Testa di giovane donna
« coronata di oli\o; intorno a lei è spiegata circolar-
« mente l' egida , la cui bella frangia è formata da
« graziosi intrecci di serpenti. Così la moneta ha tre
« piani , quello della testa , dell'egida, e del campo.
« Lo stile dell'Ercole è d' un carattere robusto e per-
« fezionalo, ed annunzia il pi incipio delia bell'epoca,
« il tipo della Dea è del piìi ingenuo e grazioso ar-
« calco, come, presso a poco, le teste primitive delle
« medaglie di Napoli , Velia, Terina ; ma d'un gusto
« più bello e grazioso. Le due facce sembrano offrirci
« due scuole , due epoche, e due artisti diversi , ma
« che si danno la mano. Un tipo ricorda le tradizioni
« d' un' arte più antica , e i cui monumenti sono ra-
« rissimi e poco conosciuti ; 1' altro presenta la ma-
« niera di Fidia e delle Metope del Partenone. La
« giovane Deità è una Ninfa locale finora ignota , op-
« pure una Minerva d' un ideale proprio della Ma-
« gna Grecia, anzi d'Eraclea, anteriore a quello sta-
« bilito dalla scuola Atcniese?Questa medaglia è quindi
« unica , e forma essa sola un' intera epoca di arte e
« di civiltà politica e religiosa contemporanea alla fon-
« dazione d'Eraclea, e anteriore a' tempi delle sue
« conosciute e magnifiche medaglie (I) ».
Sans m' arrèter pour le moment aux expressions
de la lettre , qui concernent le style de 1' art , et qui
se ressentent un peu d'un enthousiasme , facile , du
reste, à concevoir et à justifier, je dirai d'abord que
la description de la médaille , dans l'un et l'autre ty-
pe , est suffisamment exacte. Le type principal offre
bien une téle de déesse jeune, coifféeen cheveux, d'un
(1) V«di la nostra Ut. IX n. 18. — L' fiWore. ^
— 140
caractère virginal. Cefte téle est placéesurlVjide.qui
remplit presque tout le champ de la médaille, d'une
manière qui est en effet sans exemple daus tonte la
nuniismalique grecque , et qui doit tenir à quelque
inlention parliculière ; et , à uq pareil sigoe , cette
téle ne peut èlre méconnue pour celle de Minerve. Il
faut dono écarter la supposition A'aaeNijmphelocale,
à la quelle \ ègide , attiibut essentiel de Minerve , ne
saurait convenir à aucun titrc ; et il faut de plus re-
connaìtre , à la eouronne d'olivier, et au caractère de
la lète , la Minerve Parlhenos , daus une de ses plus
charmanles images, (elles que le modèle avait pu en
ètre efieclué par un art attique. Quant au type du re-
yers, il n'est pas doutcux, qu' il nereprésente ffercu/e
assis, dans une attiludc de rcpos, la maio gauche non-
clialamment posée sur sa massue placée près de lui ,
et, dans la niain droite élenJue, non un vase de prix ,
comme le dit 1' auteur de la lettre, mais le scyphus ,
cu le vase à hoire, de la forme parliculière ài/ercw/c,
tei qu'on le lui voit eflectivement à la niain sur de
nombreuses médailles d'argent, de Crotone , des mo-
dules de didrachme et de Iridrachme (1), et sur une
monnaie de bronze , de Tarenle (2) , où l' ou peut
croire que le graveur de la monnaie avait en vue le
célèbre Iltrcule colossal de Lysippe, erige sur la place
publique de Tarenle (3) ; et l'on trouvera tout nalu-
rel que ce type, qui rappelail un des principaux mo-
numens de la mélropole , ail élé reproduil sur une
médaille à'Héraclée, ville voisine et colonie de Taren-
le, ainsi que j'ai déja eu l'occasion d'en faire l'obser-
vation (4).
Maintenant que l'intelligence de la médaille est éta-
blie, d'après la descriplion mème qui m'enétaildon-
née , faut-il y voir un monument aussi nouveau et
aussi rare qu'il l'a pam à l'aufeurdela lettre? Je dois
dire qu'il commetlait à cet égard une assez grave cr-
reur; car celle médaille était dojìuis long lemps con-
nue et publiée. J'en Os menlion(.1), précisément pour
(1) Fr. Carell. Num. ilal. vel. lab. CLXXXIV, n. 31, 32, 33,
34, 35, 38.
(2) Idem, tWd. tab. CXIX, n. .iOO, 401.
(3) Nicel. de Stat. Constantin. e. 5, p. 12, ed. Wilken.
(4) Uémoir. de Numismat. et d'Antiquité, p. 147, 2.
(5; Jfourn. det Savants, févncr 1831, p. 101, 2.
expliquer le caractère jeune et virginal de la lète de '
Minerve , dans nos marbres d' Olympie (i) , et je.la
citai, d'après deux exemplaires, les seuls quejecon-
nusse encore, de cette belle médaille, run,delacol-
lection de M. le due de Luynes, l'aulre , de celle de
M. Dupré ; et depuis , j'ai publié la première de ces
médailles (2), que son noble possesseur a comprise
lui-méme dans son choix de médailles grecques (3). Je
n'ignorais alors que ce précieux monument numisma-
tique se voyait déja , mais deOguré par un dessin in-
fidèle, au poinl d'en èlre devenuméconnaissable, dans
le Recueil du P. Magoan (4). Mais depuis , de nou-
veaux exemplaires de celle belle médaille onl étéac-
quis à la science, sans que la connaissance en ait pé-
nélré, à ce qu'il parait, parmi vos anliquaires duro-
yaume de Naples. Millingen en possédail un , qu'il a
publié dans son supplément (3) , à 1' appui des obser-
vations que le monument lui avait déja suggérées (6);
el j'ajoute que celle médaille exisle aussi dans ma
coUection , en un exemplaire, un peu faligué par la
circulation antique, mais, du reste, encore en Irès
bon état. Vous en jugerez, mon digneami,parrem-
preinte que je joins à cette lettre , et vous pourrez
complèter les deux types, dans ce qu'ils peuvent avoir
de défeclueux sur ma médaille , au moyen de l' era-
preinle de celle de m. Dupré. Maintenant, vous pou-
vez aussi juger si une médaille , signalée de tant de
manière , depuis plus de vingt ans , et connue dans
(1) K. OU. Moller, Monum. de l'Ari antique, 1. Pari. pi. XXX,
n. 129. J'ai toujours été siipris qu'Olt. Miiller, suivi par d'aulre»
anliquaires , n'ait voulu voir dans celle déesse jeune , assise , la
téle eoiffée d'un casque, le sein couvert de l'ègide, qu'une Déesse,
probablement appartcnant à une certaine contrée, délermination
si vague, au lieu d'y reconnailie lUinerve assise, contemplanl les
exploils à'Berculc, comme on la voil, assise aussi, dans une scène
seniblable, sur lanl de vases peints, d'ancien slyle.
(2) nronum. inéd. Odysséide, p. 337, vignelte, n. 10, el p. 308,
2. 3"ai rappelé celle publication dans mes Mévwir. de Numismat.
p. 147, 2.
(3) Planche HI, n. 3.
(4) Miscellan. Kumism. t. IV, tab. 23, fig. IH.
(5) Supplém. aux ConMdérations Florence, 1844 pi. I, n. 5, p.7.
(6) Considerai, sur la numism. de Vane. Hai. pag. 112-113.
Millingen regardait ce didrachme comme jusqxCà présent inédit ;
en quoi il se irouipaiv, puisque je l'avais publié dix ans aupa-
ravanl,
— 141 -^
au moìns cinq exemplaires (1) , devalt parai(rc si nou-
Tfille , que l'apparition de l'exemplaire de Métaponte
fùt considérée corame une sorte de merveille numi-
smalique ; et , si j'insiste sur cette observalion , c'est
que je dois croire que le sentimenl de surprise qu'clle
a excilé, a é(é à peu près general parmi vos antiquai-
res. La médaille manque, en effet, dans le i?c;)crtono
Numismatico de M. Gennaro Riccio ; ce qui semble
bien indiquer qu'elle n'est pas encore connue dans le
royaume de Naples, d'où elle eslpourlantoriginaire.
Mais ce n'est pas pour celle seulereclification, as-
sez peu importanle en elle-mème, que j'ai vouluap-
peler votre allention sur celle belle médaille, en vous
mellanl à mème d'en publier , dans volre excellenl
journal, un dessin qui la rcndra familière à voscom-
patrioles , corame elle ménte de Tètre ; c'est encore
pour une circonslance qui n'a pas élé signaléejusqu'
ici, Les exemplaires que j'enaisouslamain, permet-
tent en effel d'y remarquer deus variétés, dans le lype
de VHercuIe assis. Ainsi, l'exemplaire de Métaponte,
aussi bien que celui de la collcction de M. Duprc et
le mien , monlrenl Hercuìe tenanl son scypìius de la
main droite, tandis que, sur l'exemplaire de M. le due
de Luynes et sur celui de Millingen , le dieu tieni sa
main droite étcndue, la paume tournée vcrs la terre.
C'est là sans conlredit une variante assez importante,
que je m'explique par la liberlé doni usaient les gra-
veurs des monnaies antiques, lorsqu'ils prenaient pour
type quelque statue célèbre. C'est bien en efiet le mè-
me monument, et sans doute, commeje l'ai suppose,
r Hercule colossal de Lysippe qui a servi de modèle
pour r Hercule de nos médailles , dans les deux ma-
nières de le représenter; et c'est bien probablement
aussi le mème artiste qui a exécuté les deux types.
Mais il ne s'est fait aucun scrupule d'en varier légè-
rement l'attilude, en suppriraant, dans l'un de ces ty-
pes, le vase à boire qu'il avait admis dans l'autre; et
ce trait d' une liberto , ordinaire sans doute à cette
(1; Je De parie ici que des exemplaires qui me soni connus.
Mais je serais surpris si la médaille ne se Iroiivail pas dans la ri-
che colleclion de mm. Santangelo; et je prend la liberlé d'en a-
dresser ici la questioa à mon hooorable ami, Don MicUelc.
classe d'artisles , ne saurait prouver qu'il ait eu sous
les yeux deux slatucs dilTérenlcs.
Quant au slyle de l'art anquel appartienncnt nos
médailles, je ne saurais, jel'avoue, partager l'opinion
de l'auteur de la lettre , bien qu'elle soit cerlaine-
menl ingénieuse, et exprimée d'une manière brillante.
Mais la téle de la Minerve, bien que d'un caractère
toul à fait neuf pour lajeunesse, la pureléet lagrace,
ainsi que je Tuvais remarqué, n'a rien, à mon avis ,
du slyle arcliaique des tètcs de ferames , des médail-
les de Naples, de Vèlie et de Terina. La figure i' Her-
cule du revers n'appartieni pas davantage à l'école de
Pbidias, s'il est vrai, corame je l'ai suppose , que ce
soit VHcrcule de Lysippe (jui ait servi de modèle h
l'artiste. Je ne puis voir non plus, dans les dcMo; ^i//)es
de nos médailles , deux écoles, deux époques, ni deux
artisles qui se donnenl la main, corame le fait l'auteur
de la lettre. J'y vois un seul et mèrae monument
numismalique, ouvrage d'im seul et mème artiste ,
d'une epoque qui ne tieni plus auxtraditionsdu slyle
arcbai'que, la mème epoque, qui produisit les belles
médailles A'Heraclée, où la téle de Minerve, type Con-
stant de ces médailles de tout module, est toujours cas-
quée, landisque, sur la nolre, par une exceplion uni-
que, elle est nue et placée sur Yégide. Getto exceplion
peutavoir eu lieu, à raison d'unmolif parliculicr, de
la célébration d'une fète, ou de tonte autre circon-
slance, soit religieuse, soit polilique; maisjenetrou-
ve pas dans la fabrique et dans le slyle , la raison de
Vanlériorité que l'auteur de la lettre y a découverle.
Loin delà; la legende: HPAKAEIillV, n'offre, dans la
forme des caractères, aucun sigue d'archaisrae ; elle
ressemble, sous le rapport paléograpbique, à la plu-
part des inscriptions gravées sur les beaux médailles
(T Héraclée; et c'est là, vous en conviendrez, mon di-
gne ami, un des indices les plus sùrs d'après lesquels
on puisse se guider, dans la délermination chronolo-
gique des monuments numismatiques.
Millingen a fait connaitre, à l'occasion de cette mé-
daille, une autre monnaie d'Héraclée, aussi d'argent,
et du plus petit module, qui offre, d'un coté, la mè-
me téle de Minerve nue et placée sur V ègide, de l'au-
tre, un vase, de forme de cantharus, et deux globules.
— 142 —
sani legende (I); cede médaille , du cabinet de l'au-
teur, élait inedite. J'en possedè une autre , pareille-
ment inédi(e, et méme unique, à ma connaissance, dont
je vous envoie l'emprcinte , afln que vous puissiez la
publier, à la suite du didrachme (v. tav. IX. n. 15).
Cette obole d'argent, d'une fabrique charmante, a pour
type principal la mème téle de Minerve nue ut placce sur
V ègide (2), et, au revers, les arrtxes d'Hcrcule.Varcel
la massue, sans legende. Il n'est pas douteux que ces
deux oboles d'un style et d'une fabrique semblables,
ii'apparlienneul à la mènie epoque que le didrachme,
et que leur émission , si remarquable par le mème
type de la téle de Minerve, n'ait été determinée par les
mèmes molifs. C'est là sans contredit une particulari-
té numismatique neuve et curiense, qui ajoute beau-
coup d'intérèt à cette classe toule particulière de mé-
dailles à'Héraclée, composée jusqu'ici du didrachme
et des deux oboles. Je n'ai pas besoin de dire que
l'indication de ces deux peliles médailles manque aussi
dans le Repertorio numismatico de M. Gennaro Riccio.
Agréez, mon digne ami et savant confrère, l'assu-
rance de mes sentiments tout dévoués.
Raoul-Rocbette.
Osservazioni dell' Editore del hdletlino alla tenera
precedente.
Ringraziando il mio dottissimo collega ed amico Sig.
Raoul-Rochette per la importante comunicazione for-
nitami colla lettera precedente , mi sia lecito fare
(1) Suppìém. aux Considérations eie. pi. 1, n. 6, p. C.
(2) Sans vouloir élablir de comparaisoii enlre notre didrachme
A'Béraclée el les monnaies de villes du Pont, (elles que Cabira,
Chabacta, Comana, Laodicée, Amisus et Amaslris, qui ont tou-
tes pour type principal, l'ègide ornée au ceiilre d'une tele de Me-
duse, reuiplissanl à peu près loul le champ de la médaille, je
dois pourlant signaler cel emploi numismalique de Végide , fait
sur des monnaies, conleinporalnes de Milhridate , el devenu fami-
lier aux peuples de l'Ilalie centrale, ainsi qu'on en a un excmple
dans le lombeau des Volumnil, Vormiglioli, il Sepolcro dei Volunni
Perugia, 18i2, 4, lav. Il; voy. au sujel de ce symbole , mes ob-
servaiions dans le Journ. des Savants, octobre 1813, pag. 606.
L'emplùi de fégide, comme lype numismatique, avail été d'aiUeurs
connu des Greca de la belle epoque, lénioin la jolie médaille d'or
de Syracuse!, dont la face du revers est remplie presque loute
calière par Végide, disposée circulairement, comme sur notre mé-
daille à'Béraclée, Torremuzza, Siciliae veler. Nummi, lab. LXVllI,
n. 19, 20.
sulla stessa qualche breve osservazione. L' illustre ar-
cheologo, richiamando le pubblicazioni già fatte , di
quel raro didramma di Eraclea , vuol dedurre dalle
espressioni della lettera da lui riferite , e da altre ra-
gioni diverse, che la medaglia fosse sconosciuta agli
antiquarii napoletani. Su di che debbo osservare, che
appena se ne parlò fra noi, fu ricordata la pubblica-
zione del Millingen e quella del Sig. duca di Luynes,
da quei numismatici ed archeologi , che sogliono te-
nersi al corrente della scienza, i quali sono pochi pres-
so tutte le nazioni. E certamente, ove alcun di costo-
ro ne avesse tenuto ragionamento, non avrebbe omes-
so di rammentare la pubblicazione fattane prima d'o-
gni altro dal Sig. Raoul-Rochette.
Né alcuna pruova può ricavarsi iu contrario dal non
vedersi riportata la medaglia nel repertorio numisma-
tico del Sig. Riccio; giacché questa opera si risente
alquanto della fretta con che venne pubblicata: e sia-
mo sicuri che il eh. autore in una novella edizione, piìi
lentamente eseguita, farebbe sparire le imperfezioni che
vi si scorgono. Del resto non deve far maraviglia che
r autor della lettera ritenesse come inedita una meda-
glia molto rara , e che non esiste in Napoli in alcuna
privala o pubblica collezione ; se Io stesso insigne nu-
mismatico Sig. Millingen la pubblicò come inedita ,
non tenendo presente la primiera pubblicazione del-
l'archeologo francese, il quale ora ha giustamente ri-
vendicata la sua priorità. Intanto la rarità della mone-
ta è avvertita dallo stesso Sig. Raoul-Rochelte, il qua-
le in un suo precedente lavoro si esprimeva in tal gui-
sa : dont les exemplaires sont si rares fmém. de nu-
mism. et d'antiq. pag. 147 not. 2); ed ora non pos-
sono ricordarsene più di cinque esemplari, de' quali,
la maggior parte di mediocre conservazione. Questa
rarità vieppiù si rileva dal veder che manca alle più
ricche collezioni numismatiche del nostro paese, come
sono quelle del real museo Rorbonico , e de' Signori
Santangelo. E ciò spiega e giustiflca l' entusiasmo del-
l'autor della lettera, tanto più che trattavasidi un e-
semplare di bellissima fabbrica e di perfetta conser-
vazione. Ora la medaglia rinvenuta a Metaponto è
posseduta dal Sig. Raffaele Barone, ed è questa ap-
punto che noi abbiamo credulo opportuno di pub-
— 143 —
blicare, piuttosto che le altre meno conservate, le
quali erano pure già conosciute per altre pubblica-
zioni. Col nuovo esemplare che noi diamo inciso nel
num. 18 della nostra tavola IX, crediamo di far co-
sa giata a' numismatici, i quali formar non potevansi
la vera idea di questa interessante medaglia dalle an-
tecedenli pubblicazioni. Di falli ora sollanloci è dato
di ammirare la bellezza del lavoro del didramma di
Eraclea ; ora sollanlo vi si mostrano certe particolari-
tà, che negli altri esemplari non erano affallo visibili.
E qui mi permeilo di osservare che la distinzione
fra le due varielà del tipo del rovescio, ove Ercole
or si vegga collo scifo ed ora semplicemente colla
mano dislesa, non mi sembra sufDcienlemenle auto-
rizzala.
Il sig. Raoul-Rochelle desume questa varietà di li-
po dalla medaglia del Sig. Duca di Luynes e da quel-
la del Millingen. Ma a noi sembra che la poca con-
servazione di quegli esemplari abbia fallo quasi spari-
re lo scifo dalla mano di Alcide , e non già che non
sievi slato scolpilo giammai. La medesima posizione in
tutti gli esemplari finora conosciuti non può non con-
durci a pensare che debba riconoscersi in essi l'azione
stessa effigiala. Tanlo più siamo di ciò convinti, quan-
do consideriamo che le tracce dello scifo apparir deb-
bono senza alcun dubbio nell'esemplare posseduto dal
Sig. Duca di Luynes , giacché lo slesso Raoul-Ro-
chelle riporloUo nella mano di Ercole , quando ne
fece la prima pubblicazione [mon. incd. pag. 3.37 vi-
gnetta n. 10). Riterremo dunque identico il tipo del
rovescio in tulli gli esemplari finora conosciuti : e così
sarà distrutta una difficollà alla ingegnosa e probabi-
lissima opinione dell'archeologo francese, che sia tratto
quel tipo dalla famosa statua colossale di Lisippo, e-
relta sulla pubblica piazza di Taranto.
In quaiìto alla monetina del Sig. Raoul-Rochetle
da noi pubblicata al n. 15 della suddetta tavola IX ,
avvertiamo che essa non è unica, sebbene sia del più
elegante lavoro. Due altri esemplari ne avevamo os-
servati nella insigne raccolta Santangelo, e dobbiamo
alla cortesia del cav. D. Michele la facoltà di pubbli-
carne i disegni ne' n. 16 e 17 della medesima tavola.
La bellezza di queste monetine , e specialmente di
quella posseduta dal Sig. Raoul-Rochelle, non sarà
sufficientemente ritraila da una incisione , quanto si
voglia diligente ed accurata.
Sulle monetine della collezione Santangelo appari-
scono cinque globelti , e forse allrellanli ve n' erano
in origine anche nell' esemplare del Sig. Raoul-Ro-
chelle, ove ora non se ne veggono che due soli.
L' altra monetina pubblicala dal Millingen con la
testa di Pallade nell' egida, ed al rovescio la diota ,
non fu ignota all'Avellino, che la descrisse sotto Ta-
ranto , prendendo per marine onde i serpenti ( luil.
vet. iiìnn. Sìippl. p. 41 n. 820), né al Carelli, il quale
la collocò pure fralle Tarantine (lab. CXVIII n. 3 i2:
vedi ora la pag. 01 num. 73."j nella ediz. di Lipsia).
Dopo il confronto della grande moneta di Eraclea non
è però da dubitare che a queste piccole medagliuzze
assegnar si deggia la medesima attribuzione; siccome
fecero il Millingen ed il Raoul-Rochelle.
Noi seguiamo perfettamente l'archeologo francese
nel ritenere per Minerva la testa femminile del ritto;
ed oltre i confronti da lui citati per le simili forme di
quella divinità, non sono neppure da tralasciare le
pitture de' vasi, tra le quaU ne fu da noi pubblicata
una nella tav. VI. del 1. anno di questo buUellino :
vedi la pag. 134. Ivi ricordammo la Minerva esegui-
ta da Fidia pe' Lennii, la quale probabilmente aveva
forme gentili e graziose piuttosto che eroiche e guer-
riere , per lo che era appellala colla denominazione
di Ka.yJki'xop^'JS.
In quanto allo stile ed all'epoca di lutti questi im-
portanti monumenti numismatici , ci proponiamo di
presentar qualche particolare avvertenza in altra occa-
sione; dichiarando sin da questo momento che essi ap-
partengono ad una delle più belle epoche dell' arte ,
e che a ben considerarne il lavoro, non possono attri-
buirsi i due tipi del didramma, che ad un solo artista.
MliNERVlM.
Memoria della imperatrice Salonina in S. Maria.
In questi ultimi giorni di Aprile nel restaurare un
compreso messo alle spalle della chiesa di S. Agostino
distante uu terzo di miglio da S. Maria, e poco lungi
— 144 ~
dall'arco di Capua, s'imballerono i muratori ne'rude-
ri di un antico* edifizio. Io ebbi la occasione di osser-
var questi ruderi, in compagnia de' miei eh. colleghi
componenti la commissione di antichità e belle arti.
Miste ad altra più moderna costruzione , ed in parte
da quella ricoperte, apparivano tracce delle antiche
pareti, sulle quali vedesi conservato l'intonico. Nello
stato attuale nulla può diffinirsi sulla costruzione an-
tica, la quale è pressoché tutta nascosta dalle più re-
centi fabbriche. Quel che richiamò particolarmen-
te la nostra attenzione è un pavimento , che hbera-
to dalle terre che il ricoprivano , si addimostrava
ornato di lastre di marmo di svariati colori , ed ele-
gantemente disposte in guisa da formare differenti la-
vori. Questo pavimento fu in altra epoca grossamente
restaurato con pezzi di marmo bianco di irregolare
figura, tra'quali appariscono taluni frammenti d'iscri-
zioni, ove sol poche lettere sono visibili. Non possia-
mo però trattenerci dal riferire un frammento di epi-
grafe concernente alla imperatrice Salonina messo e-
gualmenle in opera su quel pavimento.
Esso dice così :
CONIVGID N IMP-
GALLIENI • AVG
ed è il Gnimento della lapida , la quale è una lastra
di marmo fregiata intorno intorno da una piccola cor-
nice.
Sono assai rare fra noi le memorie della detta im-
peratrice; e forse non potrà additarsene altra, se non
che una colonnetta rinvenuta in Alina, ove si legge
CORNELIAE
SALO!\INAE
AVG
non lascia di esser dubbiosa (Mommsen inscr. r. neap.
lat. n. 4543 ). Sicché la nostra epigrafe sarebbe la
sola certa relativa a quell'Augusta in tutto il regno di
Napoli. Potrebbe supporsi che questa lapida avesse
relazione al monumento antico, presso del quale si è
ritrovata : ma dopo tante mutazioni nulla oseremmo
asserire di certo. È però fuori di dubbio che quella
lastra di marmo appartenne ad un edifizio, o al pie-
destallo di una statua eretta in onore di quella im-
peratrice.
In questi ultimi tempi si è sostenuto che la mo-
glie di Gallieno è stata cristiana , principalmente dal
mio eh. amico Sig. Cav. de Witte,con due differenti
lavori, il primo intitolato mémoire sur l'impéralrice
Salonine Bruxelles. 1832 , inserito nel voi. XX del-
le memorie della reale Accademia del Belgio ; il se-
condo de quelques Impérairices Romaines avant Con-
stanlin Paris 1853 in 4. estratto dal tom. III. delle
mélanges d' archeologie. Abbenchè applaudiamo vo-
lentieri all' ingegno ed alla dottrina del eh. autore,
pure confessiamo di non essere rimasti pienamente
convinti delle sue dimostrazioni, le quali vanno sog-
gette a non poche difficoltà.
Ma non è qui il luogo di entrare in questa discus-
sione : bastandoci di aver segnalato una nuova me-
moria di Salonina le cui particolari relazioni colla
Campania non sono da noi conosciute. Ricordiamo
soltanto che quando per intercessione di quella Au-
gusta fu conceduto al filosofo Plotino di stabilire una
città col regime della repubblica di Platone, che ap-
pellar si dovea Platonopolis, il sito trascelto a tale og-
getto fu appunto la Campania (vedi Porfirio vit. Pla-
tini XII. ed. Creuzer) : sebbene da questo fatto nulla
vogliamo dedurre a speciale illustrazione del nuovo
monumento.
MlNERVINI.
secondo la lezione del Dionigia , la qaale per altro
Giulio Minervini — Editore.
Tipografia di Giuseppe Càtàueo.
BUlLETTmO ARCnEOLOGICO MPOLITANO.
NUOVA SERIE
A^.M5. (21. deiranno II.) Maggio 1854.
Notizia de più recenti scavi di Pompei. Continuazione del n. 40. — Epoca del consolare della Campania Valerio
Ermonio Massimo — Lettera del eh. sig. A. Gercasio all' editore del presente ballettino, con osservazioni del
Conte Borghesi. — Iscrizioni latine. Continuazione del n. 45.
Notizia de' più recenti scavi di Pompei.
Continuazione del n. 40.
Riserbandomi di parlare degli oggetti ritrovali in
altre bottegiie della strada Stabiana ; ragionerò por
ora di un pubblico ediGzio ivi esistente ed in parte
scavalo, di cui speriamo vedere al più presto finito il
disgombro. Si tratta di altre terme pompejane : cosa
che doveva facilmente attendersi in una città cosi
ricca e popolosa , come fu l'antica Pompei , al cui
uso certamente non poteva esser bastevole l' edificio
delle terme finora conosciuto. Noi crediamo impor-
tante dar la notizia di ciò che fino a questo mo-
mento si è scoperto de' nuovi bagni, esposti appunto
alla stessa strada di Stabia , la quale è stata feconda
di sì interessanti ritrovamenti.
A sinistra discendendo per quella via s' incontra
un'apertura , o il fronte di un edifizio , con due la-
terali pilastrini di tufo di Nocera , e sopra una sem-
plice cornice. Questa entrata , segnata ora col num.
72, metteva in un gran corridojo colle mura ricoper-
te d'intouico, il quale è ancora interrato. Dopo pochi
palmi dall'entrata, è nel muro laterale sinistro prat-
ticata una grande apertura , che mette in un vasto e
rozzo compreso , non ancora del tutto disotlerrato.
Nel muro laterale sinistro di questo compreso vedesi
sporgere un masso di fabbrica di tufo e mattoni, del
quale è incerta la destinazione. A questo compreso si
accede pur dalla strada , mercè una grande apertura
segnata ora col n. 73. Da quel medesimo compreso
si accedeva , per altra apertura nel muro laterale si»
nistro , ad una piccola e rozza stanza , ancora pres-
soché tutta ricoperta dalle terre: ed alla strada è prat-
ijcata una finestra per darvi luce, Dopo alcuni palmi
4f>N0 II.
vedesi il marciapiede interrotto da un corpo avanzalo
di fabbrica, formato in parte di mattoni, che si esten-
de nel suo lato più breve per circa otto palmi. Su
questa sporgenza di otto palmi è prallicala un'aper-
tura segnata col num. 7o , la quale conduce ad un
vasto corridojo ; e questo prendeva luce dalla strada
mercè un'ampia finestra rettangolare, munita forse in
origine di cancellata di ferro, la quale però attualmente
non apparisce.
Verso la strada era anticamente un' altro ingresso
ornato di architettura simile all' ingresso num. 72 ;
ma questo fu da' medesimi Pompejani murato per
le posteriori esigenze : ed è quello, ove fu da noi letto
il programma P • FVR • II • V • VB • (mon.) O •
VF • (mon.). Molte aperture si veggono, le quali
servivano a dar lume e ventilazione all' interno del-
l'edilìzio: sono esse due finestrine , e due altre fine-
stre rettangolari , le quali si veggono ancora munite
di cancellate di ferro in gran parte ossidate e distrutte.
Sul marciapiede è un masso di fabbrica costruito di
tufo e mattoni , che sporge un cinque palmi all' in-
circa. Non sapremmo se offra nel mezzo una cavità
rettangolare, e se avesse alla base comunicazione con
conserve di acqua, o con canali sottoposti: il che po-
trebbe farcela prendere per una cisterna addetta al-
l' uso delle Terme. Sarà questo chiarito dalle ulte-
riori scavazioni. Poco prima di giungere all' angolo
della strada, appare la entrata segnata col num. 85 ,
da cui si penetra nella parte principale dell' edifizio,
la quale non è ancora libera dalle terre. La prima
stanza è una specie di corridojo rettangolare, nel cui
giro è un sedile di fabbrica non ancora interamente
scoverto: e vedesi al disopra di questo sedile una fa-
spia di rosso, quasi uao zoccolo, e tutto il rimanente
21
1Ì6
de' muri è ricoperto di bianco iutonlco. Dal muro la-
terale destro, mercè una piccola apertura, si discende
in un lungo corridojo, quello stesso a cui si aveva ori-
ginariamenle l'ingresso dalla strada, che come innanzi
avvertimmo , fu posteriormente murato ; e da questa
parte ancora si discendeva, mercè una rozza scala di
scalini bassi ma larghi. Il descritto corridojo è coperto
a volta mollo alta, e nel muro sinistro vedesi fabbricalo
un fornello : i muri sono rozzi. Non essendo ancora
disotterrato in tutta la sua lunghezza, non può giudicarsi
se avesse comunicazione col corpo avanzato da noi so-
pra descritto, siccome pare probabile; non costituendo
che uu lato del medesimo edifizio. Riuscendo nella
stanza col sedile precedentemente descritta , è nel muro
di fronte praticata una grande apertura, la quale in-
troduce in una vasta e spaziosa sala , di cui restano
a scopirsi circa tre palmi per giungere al pavimento:
è questa larga palmi 27,5 , e lunga palmi 43. Aveva
la coverlura a volta , la quale ora è nella massima
parte caduta. Vedesi questa sala divisa in tre diffe-
renti zone mercè due archi paralleli alla volta, i quali
5ono in parie conservati. Intorno si eleva dal suolo
un sedile simile a quello della stanza precedente, ri-
vcslito nella sua superficie superiore di opera signina:
al di sopra di questo sedile è lo zoccolo rosso , e poi
tutto il rimanente di bianco intonico , vedevasi la
.parte più elevata adorna di stucchi di buono stile ,
benché di meno accurato lavoro. Nel muro opposto
all' entrata vedonsi alcune figure in varii scomparti-
menti formati di capricciosi e graziosissimi rabeschi
ed architettonici ornamenti. Nel muro, al di sopra di
un fabbricalo con due aperture visibili , e figurando
forse un indietro , appaiisce la metà inferiore di una
figura nuda presso alla delfica cortina fregiata di te-
nie intrecciate (ofx^aXòs rsraina/ia/cos). A' due lati in
due quadri sono due Amorini, che guidano un delfi-
no ; e più esternamente due figure virili nude sopra
un piedestallo, vedute di profilo, ciascuna delle quali
tiene colla destra un piattello con frulli, e tira alquanto
la clamide colla sinistra. La parte più elevala di que-
sti stucchi è quasi interamente rosao caduta. La volta
della prima zona è ornata di diversi rosoni collocati
in varii scompartimenti , o casscttcni : e svariati or-
namenti fregiano pure i due archi che distinguono la
sala. Ove comincia la curvatura degli archi , e della
volta, ricorre una linea di paimette e caulicoli , che
si estende per lutto il circuito della stanza. La secon-
da zona presenta a sinistra cinque di quelle niccJiie
rettangolari, che compariscono pure nella sala corri^
spondente delle altre terme porapejane , le quali qui
veggonsi collocate sopra di un cornicione quasi ad al-
tezza d' uomo sporgente dal muro ; ed a destra è un'
apertura, che dà l'ingresso in altre parli dell'edifizio,
siccome diremo.
La parte conservala della volta offre a sinistra tre
rosoni alternali da due Amorini con clamidi svolaz-
zanti; e più sopra cinque rosoni in tanti diversi scom-
partimenti: tutto il resto è perduto, come pure la parte
destra che interamente crollata.
La terza zona della sala offre d'ambi i lati le stesse
nicchie rettangolari sopra un cornicione sporgente
dal muro : quattro se ne veggono a sinistra cinque a
destra. Gli ornali di questa terza ed ultima zona sono
anche più interessanti. Nel muro a sinistra , ove co-
mincia la curvatura della volta, veggonsi unicamente
conservati due ordini di cassettoni , o scompartimenti
multilinei: nel primo ordine vedi tre scompartimenti
con un semplice trofeo di armi composto di due scu-
di e di due giavellotti; questi si alternano con due al-
tri scompartimenti, ove sono donne seminude danzanti
con simboli incerti: nel secondo ordine miransi del
pari cinque scompartimenti ; nel primo è un Satiro
con nebride e corona, il quale in agitato movimento
tien colla destra un corno potorio, o rhyton, e solle-
va colla sinistra una cesta con fiori e frutta , nel se-
condo è un trofeo d' armi composto di alcuni giavel-
lotti, di una bipenne, di un parazonio, e di varii scu-
di, fra' quali ve n'ha uno coU'emblema di uno scor-
pione (1); nel terzo è una figura virile in parte per-
duta ; nel quarto altro trofeo di armi presso a poco
simile al precedente, a cui vi si aggiugne pure un ma-
rino simbolo , simile all' ornamento superiore di una
prora ; finalmente nel quinto vedi la parte inferiore
d'una figura virile, essendo la superiore perduta. Al
(1) Di questo embletn.i vedi il sig. Fuchs de ratione qnam vel.
arlif. eie. iix cUpeis imag. cxorn. adiiibuerint pag. 2y-30.
— 147 —
lalo destro della volta appariscono io parte tre ordini
di cassettoni , con variati bassirilievi. Nel primo or-
dine sono cinque scompartimenti, tre de' quali presen-
tano gli stessi trofei, che. miransi dall'altro lato, com-
posti di scudi e giavellotti ; gli altri due ci offrono il
primo una figura incerta con clamide svolazzante che
è nell'atto di suonar la cetra, ed il secondo un Satiro
cbe tiene colla destra un'asticciuola o tirso, colla si-
nistra una seccliia. Nel secondo ordine sono ora visi-
bili tre soli de' cinque scompartimenti, cbe vi erano
in origine : nel primo è una donna coronala di fiori ,
e colla metà superiore del corpo nuda, la(jualein un
peplo, ch'ella distende con ambe le mani, tiene molli
fiori , volgendo la testa a sinistra.
Non ci sembra da dubitare che sia da ravvisare in
questo bassorilievo una Flora , tutta adorna di fiori
nel capo e nel grembo. Nel secondo scompartimento
è pure un trofeo di armi simile a quello dell'altro la-
to, non eccettuato lo scudo con l'emblema dello scor-
pione. Nel terzo scompartimento vi è porzione di una
figura nuda, che sembra di Amore, essendo il rima-
nente perduto. Nel terzo ordine altro non apparisce
cbe un solo scompartimento con un trofeo composto
di un elmo con paragnatidi, di scudi, giavellotti, e vi
appare ancora lo stesso ornamento della prora.
Nel muro di fronte alla entrata di questa sala ve-
dasi praticato un arco più ristretto, che dà l'ingresso
ad una sala meno ampia, e solo in parte scoperta,
della quale diremo tra poco. Nello stesso muro di
fronte veggonsi non pochi lavori di stucco, alcuni de'
quali benissimo conservati, e non vi è che pochissima
simmetria. Fra graziosi scompartimenti di svelte e
capricciose architetture miransi alcune figure: più in
alto è una alata Vittoria con lunga tunica , la quale
sostiene un panneggio : più sotto è un Amore alalo
e con clamide , che sospende ad una capricciosa co-
lónna un festone tenendo colla sinistra una tenia svo-
lazzante. Segue una specie di tempietto sormontato
da un disco, coH'ornamento di un bucranio con tenie
pendenti; e sotto vi si vede un Satiro nudo con nebri-
de, poggiante sopra un piedestallo , e tenendo colla
destra Io scudo, colla sinistra un piattello con frutta.
Sopra l'arco, che dà ingresso alla seconda stanza, vtdi
un uomo nudo barbalo , sedente quasi sdrajato a si-
nistra sulla sua clamide. In questa figura , la più vi-
sibile di tutte le altre, abbenchè manchi di qualunque
simbolo , parmi doversi riconoscere una divinità flu-
viatile o marina.
Dall'altro lato è un panneggio disteso nell'alto; e
poi più giù un altro Amorino , che sospende ad una
porzione di un capriccioso edificio un festone , ed ha
pure colla manca una tenia svolazzante, come l'Amore
di sopra descritto, col quale fa simmehia, trovandosi
alle due estremità di quella parete. Pria di terminar
la descrizione di questa prima sala , fa d uopo notare
cbe nella faccia esterna del primo arco, alla parte si-
nistra, vedesi una figura di donna alala, seminuda, e
quasi sedente, ricoperta nella metà inferiore del corpo
da un tenue panno , la quale prende colla destra uu
fogliame, colla sinistra una curva a guisa di voluta,
in che finisce la coda di un delfino. Questa figura è
mancante nella sua parte superiore. Nella opposta
faccia di questo medesimo arco apparisce una simile
figura interamente nuda, e più sollevata, che tiene e-
gualmente un simile fogliame, ed un simiglianle del-
fino: non si veggono le ali.
Due altre simili figure , ma ricoperte in parte da
un panno , come la prima , ornano le due facce del
secondo arco: con questa differenza che in parte man-
cante è quella delia faccia esterna , e conservatissima
l'altra della opposta, apparendo assai bene le ali. In
tutte queste alate donne, messe in rapporto di'l mari-
no simbolo del delfino, pare doversi riconoscere \it-
torie navali , al che accennano per avventura i trofei
sopra descritti, in alcuni de' quali si veggono altresì
simboli marittimi. Sembra che altre quattro Villorie
somiglianti fregiar dovessero le facce degli archi al
destro lato della sala ; ma ora non se ne vede alcuna
traccia, essendo caduto il muro o gli sliicclii.
Più accurati e graziosi sono gli ornamenti della più
piccola sala , che viene in conlinuazionc : le pareti
sono rosse, distinte da fasce ed ornati di varii colori.
La volta adorna di stucchi colorati merita una parti-
colare considerazione , e doveva in antico presentare
un effetto maraviglioso : è un complesso di cerchi, e
di figure ottagone composte di segmenti di cerchio
— 148 —
concavi all'eslerno: i cerchi offrono diversi ornamea li
«Ji nero, di giallo, e di rosso; e nel fondo azzurro si
vede in ognuno qualche figura a bassorilievo. Così
parimenti gli ottagoni presentano intorno una fascia
rossa , limitata da due regoletti di colore più chiaro,
e nel fondo oscuro è osservabile un bassorilievo di
bianco stucco. Tutti quei cerchi ed ottagoni sono fra
loro intrecciati e congiunti mercè di fasce azzurre o
rosse ; e tutto è lapezzato di fiori , che in antico of-
frir dovevano una mirabile vivacità: come rilevasi da
alcuni più conservati. Nelle figure ettagone o circo-
lari si osservano conchiglie, delfini, augelli acquatici,
aquile tenenti una benda fra gli artigli e col becco ,
cervi fuggenti , Amorini ora volti di schiena , ora
curvi innanzi , varii marini mostri or con testa di a-
riete, ora con testa di drago, gamberi, ed altri sog-
getti incerti per essere roso o caduto lo stucco. Tra
queste figurine di più piccole dimensioni ve ne ha due
inferamente di bianco , una a destra e l' altra a sini-
stra , che occupano uno spazio maggiore. A destra
vedi una figura femminile seminuda e coronata , la
quale tira alquanto la veste sulla destra spalla, e tien
con la sinistra un disco u scudo , sul quale appare
una immaginetta. A sinistra è un'altra figura egual-
mente muliebre seminuda con panno svolazzante , la
quale tiene colla sinistra un cesto pieno di frutti o
fiori. Questa trovasi in corrispondenza dell' altra so-
pra descritta, e ne agguaglia pur la grandezza. I fregi
finora enumerali si riferiscono ad una porzione di
questa sala ; giacché il rimanente vedesi tuttora in-
gombro dalle terre. Ed è notevo e osservare nel taglio
delle medesime terre perfeltamenle visiltile una di-
stinta stratificazione del lapillo ; la quale , a nostro
giudizio , dimostra la lenta e regolare azione delle
acque. A sinistra poco dopo la entrata è pratlicata un'
altra apertura, che conduce ad altra accessione dell'e-
difizio finora non conosciutp.
Riuscendo alla più amj ia sala precedente , giova
avvertire che l'apertura nel n.uro laterale destro, di
cui dicemmo, conduce, mercè uno scalino di pietra ve-
suviana, ad altro compreso parimenti a volta, e presso
a poco della medesima grandezza , e ornato di stuc-
chi in gran parie distrutti : anche questo è tuttavia
ingombro dalle terre. Nel lato più corto vedesi a bas-
sorilievo di stucco una capricciosa architettura cop
fogliami e rabeschi, fra' riquadri di questi ornamenti
si scorgono alcune figure quasi interamente perdute.
Traile più conservate comparisce un uomo nudo bar-
bato con clamide , veduto di schiena , il quale siede
leggendo in un volume: ed altra figura col pallio filo-
sofico, che sembra ancora intento a leggere in un li-
bro aperto. Non può darsi delle altre figure alcuna idea
precisa. Ricorre sotto una fascia con bassirilievi , la
quale si estende altresì al Iato più lungo , e che solo
in parte è scoperto. Nel lato corto veggonsi ora cin-
que prore di nave in parte consumate : in origine ve
n'erano sei, tre da un lato e tre dall'altro in contra-
rie direzioni ; e nel mezzo eravi forse un altro orna-
mento ora affatto distrutto.
Nel lato lungo della sala , se ne veggono quattro
volte a destra , ed alcune altre a sinistra ; e di queste
non si conosce il numero , per essere interrotto lo
scavo. Ogni mezza trireme è circondala da una spe-
cie di cornice. Dopo la prima prora conservata vedesi
un piccolo candelabro , messo quasi a sostegno della
volta : dopo la seconda trireme è una figura in abito
frigio , che sostiene egualmente colla testa e colla
sinistra la curvatura della volta; poi un altro cande-
labro, che fa l'uffizio medesimo: dopo la quarta nave
è una figura femminile di fronte con doppia tunica ,
e la più lunga inferiormente ristretta, ravvicinandosi
i piedi , come nelle arcaiche statue : questa sostiene
pure colla testa il soffitto , e fa lo stesso colla destra
sollevata. Poi viene un altro riquadro , e nel mezzo
in vece della prora vi è un Tritone con barba a guisa
di foglie , e con corona di marine alghe : le lunghe
zanche di questo mostro delle acque sono conformate
a guisa di tortuosi fogliami. Dietro le spalle svolazza
un leggiero panno , conformato pure a guisa di fo-
glie : colla destra tiene la lunga buccina, che appressa
alla bocca sonando , colla sinistra il remo. Dopo di
questo vedesi altra figura femminile con gambe rav-
vicinale simile all'altra innanzi descritta, la quale so-
stiene la volta , poi altra trireme , altro candelabro ,
e finalmente altra nave , ove finisce lo scavo. Note-
voli ci sembrano in questo giro di triremi sottoposte
— 140 —
alla vol(a le figure o gli oggoUi che le disllnguono ,
le quali fanno 1' ufficio di Cariatidi ; e questo si asse-
gna a figure femminili , o virili di asiatico costume ,
a candelabri ec.
Esse ci ricordano i Telamoni destinali a sostegno
nelle altre tenne di Pompei. E questa specie di orna-
menti esser doveva comune in simili circostanze. Per
compire la relazione di quanto concerne a questo cdi-
fizio, fa d'uopo notare che esso estendevasi non poco
dal lato della strada , ove fu rinvenuta la statua di
Olconio , e di cui ragionammo di sopra (pag. 49).
Questo può ragionevolmente desumersi da una par-
ticolarità interessante ; ed è che apparisce pure da
quel Iato un' altra entrala , che offre il medesimo
fronte degli altri messi alla strada Slabiana composto
di due pilastrini di tufo di Nocera con cornice supe-
riore. Anche qui vedesi l'apertura posteriormente
murala dagli antichi (p. 30). La medesima architet-
tura fa certamente supporre che si riferisca alla stessa
fabbrica ; e ciò fa comprendere quanto fosse ampia
ed estesa. Intanto dall' osservare che queste più an-
tiche entrale erano anticamente murate , si desume
che l'edifizio dovette in parte crollare, e fu in tempi
posteriori restaurato ; il che apparisce altresì da al-
cuni pezzi di fabbrica di diversa costruzione surro-
gata in varii punii delle mura. Abbiamo voluto dare
una pronta notizia di questa interessante scoperta ;
ma ci asteniamo da qualunque confronto colle altre
terme , e specialmente con le altre della stessa Pom-
pei, se prima non se ne compia la scavazione. Potrà
da essa probabilmente ricavarsi quando e per opera
di chi venne costruito quell'edifizio, che a noi sembra
appartenere ad un'epoca anteriore a quella degli altri
bagni di Pompei.
Noi facciamo voti perchè sì disgombri dalle terre
tutto questo inmienso fabbricato; e solo ci duole che
Don ci sia pervenuto in un lodevole stato di conser-
vazione.
Scavo iaiorno alle mura.
La città di Pompei è in comunicazione co' vicini
terreni de* privati : riesciva perciò interessante che se
ne procacciasse Io isolamento, la qual cosa può pro-
curare unicamente la dovuta custodia a quello inte-
ressanti rovine. Benché il circuito delle mura fosse
generalmente conosciuto , ptirc era in alcuni punii
incerta la limitazione di esse; e certamente sarà dj
chicchessia riputalo necessario ritrovare tutta quanta
è l'antica confinazione della città. A queste due idee
ponendo monte l'attuale amministrazione degli scavi
ha disposto che lo sgombramcnto delle terre seguisse
intorno alle mura che cingevano la città di Pompei,
e quasi tutte le operazioni si sono ridotte a questo
solo lavoro. Sono slate principiale le ricerche fuori
la porta di Nola ; e già alcune importanti scoperte eb-
bero luogo. Di falli si è ritrovato che all'esterno delle
mura è costruito rozzamente un piede o grado, dopo
del quale viene il terreno. Sopra di questo grado , e
nella terra vicina sono stale rinvenute m<<llissime olle
di terracotta conlenenti ossa bruciale : anche talora si
trovano sepolte nella semplice terra le reliquie delle
bruciale ossa , senza alcun recipiente che le racchiu-
da. È notevole che in ognuna delle suddette olle
vedesi una monda accompagnare i residui dell'adu-
sto cadavere : e dobbiamo avvertire che le moneto
finora raccolle in quel sito si estendono da' tempi ul-
timi di Pompeo sino agli ultimi tempi di Tiberio, es-
sendosi rinvenuta la medaglia di Pompeo col bifroiile
e la epigrafe MAGNVS PIVS; l' altra con DIVVS
AVGVSTVS , e PROVIDENTIA , e finalmente altre
di Tiberio con menzione della sua Iribunicia potestà
bene innoltrata. Dulie quali monete potrebbe concbiu-
dersi che l'epoca di quel sepolcreto non possa farsi
discendere oltre i tempi di Tiberio. La esistenza di un
sepolcreto cosi umile e meschino fuori diun'allra
porta di Pompei è un fatto notabilissimo, e che me-
rita di essere studiato. Noi ci attendiamo che le ulte-
riori scavazioni ci forniranno altri elementi j)er darne
una particolare illustrazione; e cercheremo di sogm're
a tale oggetto tutte le simili scoperte le quali avran
luogo intorno le mura di Pompei , e non manche-
remo di darne in questi fogli sollecitamente la notizia.
Debbo finalmente osservare che ìcAerme, ed il se-
polcreto sopra descritti furono con molto interesse
esaminati dalla reale Accademia Ercola lese in una
sua ultima escursione archeologica in Pompei , ove
di quando in quando si reca a studiar le nobili mine
della sepolta città.
{Contìnua) Minervini.
— 150-
Epoca del consolare della Campania Valerio Ermonio
Alassimo — Lettera del eh. sig. A. Gervasio all'editore
del presente bulktlino, con osservazioni del Conte
Borghesi.
Pregiatissimo Amico e Collega ;
Ricorderà che nella mia dissertazione di recente
pubblicata su talune iscrizioni relative al Macello del-
l'antica Pozzuoli (Ani della R. Accademia Ercola-
uese tom. VII. ) io fui incerto nel fissare l' epoca del
Consolare della Campania Valerio Ermonio Massimo
nominato in due di quelle iscrizioni oltre il frammento
riportato dal Guasco , le quali iscrizioni indicavano
di aver egli fatte costruire opere per guarentire l'edi-
lizio del Macello dalla violenza delle onde del mare
tempestoso , che lambivano i due suoi lati destro e
sinistro ; opere che nella terza iscrizione diconsi de-
dicate da un Fabio Pasifilo sotto gì' Imperatori Teo-
dosio , Arcadio , ed Onorio. Sul quale argomento io
non addussi altro che congetture tratte dalle sottoscri-
zioni e direzioni di alcune leggi del Codice Teodosia-
Do. Ma avendo fatto omaggio di quella mia disserta-
zione all'illustre nostro collega il ConleB. Borghesi,
si è egli compiaciuto con umanissima sua lettera dei
14 di questo mese di maggio , commuaicarmi le sue
dotte osservazioni sull' epoca di quelle iscrizioni che
io la prego ad utilità de' cultori de' nostri studii , di
jubblicare nel suo importante BuUetlino , come ap-
jiendice a quanto fu da me scritto suU' obbictU> me-
desimo.
Cosi il Borghesi.
» Riguardo alle iscrizioni di Pozzuoli trovo trop-
po aperta l' identità de' lavori che si dicono costruiti
alle ripe del Macello , per non credere che in tutte
tre si faccia sempre menzione dei medesimi , e d' al-
tra parte queste iscrizioni sono manifestamente di un'
epoca troppo vicina per supporre che così presto tor-
nasse il bisogno di ripeterle. Tengo adunque che que-
ste opere fossero incominciate e compite dal [Consolare
della Campania) Valerio Ermonio Massimo , ma po-
scia dedicate da Fabio Pasifilo. Or la lapida di que-
si' ultimo porta seco una data certa, quando nomina
come Augusti Teodosio , Arcadio , ed Onorio. Ella
non può essere posteriore al 17 gennajo del 395 {tra
volgare) , iu cui Teodosio mori a Milano , né ante-
riore al 20 novembre 393 , in cui Onorio fu pro-
clamato Augusto dal faàre [Teodoóio], secondo la mi-
gliore opinione. Non ignoro che altri anticipano il
secondo avvenimento ai 10 gennnjo dello slesso anno:
ma una tale controversia poco importa nel caso pre-
sente , perchè fin dal 392 Eugenio aveva già invasa
tutta l'Italia, e Teodosio non associò Onorio all'Im-
pero se non quando, dopo aver rotta ogni trattativa di
accomodamento coirusurpatore(£«g'en<o),si preparava
alla guerra contro di lui. Da tutto ciò ne deriva che
questi principi di Oriente non poterono nel numero
di tre essere riconosciuti come Augusti in Pozzuoli ,
se non dopo il 6 settembre 394 , in cui Eugenio fu
vinto ed ucciso; e ne consegue pure, che T età di
quel marmo resta circoscritta tra'l settembre di quel-
r anno , e '1 susseguente gennajo. È chiaro pertanto,
che Pasifilo, al quale si vede affidato lo strano inca-
rico di esercente le funzioni di ambedue le Prefetture,
senz' essere litolare di alcuna , fu il primo ufiziale
mandato da Teodosio in Roma subito dopo la vitto-
ria ad oggetto di rimpiazzare i due Prefetti del tiranno
che sappiamo essere slati Nicomaco Flaviano il padre,
Prefetto del Pretorio , e Nicomaco Flaviano il figlio.
Prefetto della Città, finché al primo fu surrogalo De-
stro, al secondo Basilio. Sui due Prefetti di Eugenio
Ella potrà riscontrare la bella dissertazione del Cav.
de Rossi nel tom. XXI. degli Annali Archeologici
dell'Istituto (1). Dietro ciò parmi naturalissimo che
anche il Consolare della Campania avesse seguito le
parti del tiranno [Eugenio), e che Pasifilo dovesse darvi
una scorsa per provvedere all'amministrazione della
Provincia , nella quale congiuntura celebrasse la de-
(1 ) Quando scrissi la mia dissertazione, io igoorava quella del eh.
Cav. de Rossi sulla iscrizione del Console Flaviano Nicomaco, e
mi tu noia soltanto ne' principii dello scorso anno , quando il lo-
dalo sig. Cavaliere che mi onora di sua amicizia , si compiacque
mandarmi^ne in dono un esemplare estratto dal tom. XXI. degli
Annali dell' IslUuto Archeologico di Roma. Se l' avessi avuto
quando s'imprimeva la sudella mia dissertazione , io avrei cena-
mente profittato di quanto egli discorre de' Consoli nominati dal
tiranno Eugenio a p. 22 segg. della dissert, cìul». — AGenasi».
— 151 -^
dicazione dei lavori eseguiti a Pozzuoli, a cui giù non
mancasse se non cbe questa cerimonia. lufalli egli
non dice di averli fatti fare , che naturaimeute non
ne avrebbe avuto il tempo, ma soltanto di averli de-
dicali , al che era di avanzo un giorno. Non però
stimo per questo che Massimo sia stalo il Consolare
immediatamente precedente a Pasifilo , perchè anzi
il trovar rispettato il suo nome , e le sue memorie ,
mi dà un'indizio ch'egli non fosse compreso Irai ri-
belli che furono poscia condannati. Per altro mi fa
senso la novità in questi tempi di veder da lui citali
in genere gì' Imperatori senza precisarli. Laonde vò
sospettando, che Massimo seguitasse a presedere alla
Campania mentre si trattava ancora di pace fra Teo-
dosio ed Eugenio , talché in una lapida Romana dei
23 dicembre 393 (I) si veggono ancora congiunti i
loro nomi, e quindi ricordasse gl'Imperatori in plu-
rale, ma che titubasse nel dichiararsi in favore piut-
tosto dell'uno che dell'altro, per cui scegliesse il par-
tito di non nominare alcuno de' conlendenli. Natu-
ralmente una tale titubanza avrà portato che Eugenio
lo rimpiazzasse con un altro a se più devolo , e que-
sti sarà stalo l'involto poco dopo nella sua disgrazia.»
Fin qui il dotto scrittore.
Le rinnovo intanto ec.
Agostino Gervasio.
Iscrtzioni Ialine. Conlinuazìone del n. 44.
l'ornamento di una piccola cornice. L'abbiamo recen-
temente osservala presso il Sig. RalTuele Barone che
tuttavia la possiede.
E ben eonosciuto che le Fata non sono altra cosa
che le Parche, per modo che sono da' Intitii scrittori
e ne' monumenti ricordate le irta Fa^a. Vedi Avellino
nel buìlclt. anh. Nap. an. II pag. 18 e 23: Horkel
bullel. deìV hi. di corr. ardi. 18ii pag. 4 e segg. ;
Scliulz negli annali del 1839 p. 118; cf. un dottis-
simo lavoro del Sig. Clausen inserito nel (;(onia/c del-
lo Zimmcrmann an. I8iO n. 27 e seg. , e quel che
dico io slesso nel ballcll. arch. di Avellino an. II p.
4-3 e s. Bella è la espressione: Fa^a suum petierediem,
che è certamente un emistichio. Non è dissimile ciò
che si legge in altra metrica iscrizione : Debita cuni
Falis veneril hora tribm {OveWì nmn. 1777 il qua-
le cita Procopio Golii. ! , 23 ): ove si parla dell' ora
delle Parche non già del giorno. Questo è però in al-
tre iscrizioni, come in quella di Policastro, che si chiu-
de con un distico, il cui primo verso è il seguente :
Si non ante diem crudelia Fala fuissenl ( Mommsen
inscr. r. neap. lai. num. 82 ). La nostra iscrizione ,
dopo avere annunziato chele Parche domandarono il
giorno lor dovuto , osserva che era chiuso in quella
tomba colui che quel giorno aveva resliluito , ed era
Filadelfo servo di Sestio Cerinto , che ebbe dal suo
padrone l'incarico di spenditore. Ognun vede quanto
nella nostra epigrafe la giustezza del pensiero corri-
sponda alla eleganza delle espressioni.
32.
33.
FATA, SVVM PETIERE ' DIEM
QVI'REDDIDIT
HIC • SITVS • EST • PIIILADELPHVS
SEXSTI CERINTHI ■ DISPENS
VIXIT ' ANN XXXV.
Questa iscrizione , proveniente da Pozzuoli o dai
siti vicini, è in una lastra di marmo, ed offre intorno
(I) Presso il Reincsio ^ynl. Inscripl. p. 1021: coiifionia il Sir-
raondo io not. ad Sidon, Apollin<fr- p. 126 edit. 2. Parit 1652 io 4,
Fu già pubblicata una iscrizione sepolcrale messa
ad un L. Anleslio Celere dalla Jladre Pomponia Eu-
tiehia ( Mommsen inscr. r. neap. lai. n. 3328 ). Ora
essendoci riuscito di osservarla co' nostri proprii oc-
chi , notiamo le seguenti varietà di lezione. Alla lin.
3 Icggesi chiaramente ANTESTIOenon ANTISTIO,
come era nella precedente pubblicazione. Nella lin.
4 è chiaramente AN • XVIII e non già XIIII. Quel
che più importa di sapere è che al rovescio si legge
quest' altra iscrizione , della quale non si era data fi-
nora la notizia.
152 —
DI • M
L • ANTESTIVS • CELER
VETRA • POMPONIAE
ANTESTIAE • CONIVGI
SVAECARISSIMAEB M F
ETSIBI ETSVPERIS SVIS
Notisi il B per V. Noi interpretiamo le ultime si-
gle vix pater filio ptentissimo fedi : e ci sembra che
Asclepiade si consideri quasi non essere stato padre,
per aver perduto ia così tenera età l' amato Garpi-
niano.
36.
Questo Antestio Celere è detto Vetra , nella qual
voce noi riconosciamo un' abbreviazione di Vetranus
per Veleranus; come ricorre in altre iscrizioni (Gar-
rucci CI. pr. Mis. n. 59 cf. l'appendice). La epigrafe
invece di chiudersi colla nota formola sibi posterisque
suis, ci offre sibi et superis suis ; dal che si desume che
Celere intendeva di porre quella memoria a' suoi magi-
giori, piuttosto che a' suoi discendenti. Questa seconda
iscrizione, messa in rapporto coU'altra già pubblicala,
dimostra che Pomponia aveva perduto il suo Cglio ,
allorché il marito le pose quella memoria, valendosi
della medesima lapida adoperala nella prima occasione.
34.
La iscrizione di Salonina da noi riferita di sopra
p. 144 si legga con una piccola aggiunta in tal guisa:
. . . AVG • • •
CONIVGI • D • N • IMP
GALLIENI • AVG
L'AVG della prima linea, di cui rimangono le trac-
ce, è riferibile al titolo di Salonina medesima , il cui
nome doveva precedere quello del suo marito.
35.
D. M.
CARPINIANO
BIXIT AN li • ME
mi • L • IVLIVS ASC
LEPIADES BIX PR •
FI PIENI FECI!
D. M.
L • METT • L • F • PA
TIENI • IREBV
LARIAE Q • F IVS
TAE • PARENI • OP
TIMIS • F • L • FEG
Dobbiamo una esalta copia di questa iscrizione al-
l' egregio sig. Cav. Giosuè de Agostini Tontoli pos-
sessore della celebre tavola alimenlaria de' Liguri Be-
biani, il quale mi assicura essere stata rinvenuta nel-
r ambito del lenimento dell' antica Bebiano , o nella
moderna Circello. Non vi è di notevole che il nome
di Trebularia , il quale a noi sembra proveniente da
Trebula, e perciò va nella categoria de'nomi derivali da
città, de' quali dicemmo alcuna cosa di sopra p. 101.
Nelle sigle finali F. L. FEC riconosceremo o ^/ms
lugens fecit ; ovvero filius Lucius fecit, se non vuoisi
supporre che quell'amoroso figliuolo nasconder volle
interamente il suo nome.
37.
D. M.
IVLIAE PRIMIGENIAE
VIXII • ANN • II • MENS • VI
DIEB • Villi
HERMIS ' HYENE FILIAE • CARISSIMAE
La copia di questa epigrafe ci venne comunicata dal
coltissimo sig. Abate Sante Basliani, che la trascrisse
in Pozzuoli, ove fu rinvenuta sulla via Campana. Se
non vi è rosione nell' ultima linea, sono notevoli i due
nomi Hermis ed Hyene data ad una sola persona.
(continua) Minervini.
Giglio Ml^BRVI^il — Editore.
Tipografia di Giuseppe Càtaheo,
BUILETTINO ARCHEOLOGICO IVAPOLITAÌNO.
NUOVA SERIE
N." 46. (22. deir anno II.)
Magoio 1851.
A^MOve osservazioni intorno alla topografia puteoìana graffila in un vasetto di Populonia. — Bibliografia.
Cavedoni ragguaglio de' precipui ripostigli etc— Kaoul-Rochelte fouilles de Capoue.
Nuove osservazioni intorno alla topografia putcolana
graffata in un vasetto di Populonia.
Quando affermai che il vasello vitreo di Populonia
ci presenta all'incirca quella scena mt-desima, chelcg-
germenle variata veggiamo nel similissimo vasetto
borgiano da me divulgato (1), parvemi affermare una
cosa tanto di per se manifesta ed evidente, e tale sem-
brata anche a quanti dotti amici aveano posto a con-
fronto que' due graffili, che mi tenni per disobbligalo
dall'entrare in uno inutile svolgimento di prove a con-
ferma della mia asserzione. Ora il eh. sig. Mercklin
in una noterella latina testé divulgata (2) toglie a di-
fendere la sua sentenza , che nel vasetto cioè di Po-
pulonia sia effigiata la regione subaventina di Roma ;
ed a questo One concede veramente, che nel vetro
borgiano è rappresentato il golfo di Baja, ma nega
che identica o simile sia la scena graffila su quello di
Populonia. E questa sua negazione principalmente ap-
poggia e sostiene colla indicazione di una ripa, se-
gnata su quest' ultimo vaso e non nel borgiano: della
ripa io non ragionai; e non avrei infatti potuto, a giu-
dizio del dotto avversario, trovare la via di collocai la
nel golfo di Baja e di Pozzuoli; quando è manifesto
che uua siffatta appellazione s' addice non ad una spiag-
gia marittima, ma ad una sponda di fiume. La quale
obbiezzione mossami contro io m' accingo tosto a di-
struggere, perchè ora veramente m'avveggo, che fi-
datomi all' analogia manifesta di due monumenti non
mi curai d'esaminare cotesta difficoltà; per losciogli-
(1) Vedi il tomo l. del Bullellino p. 133 con l'annessa tavola IX.
(2) Nel primo fascicolo della nuova serie di pubblicazioni dell' I-
stiluto di Corrispondeaia Archeologica.
Àfi.'iu II.
mento della quale non solo sarà tolto anco quest'osta
colo all'accettazione della mia sentenza, ma l' obbiez-
zione medesima si convertirà in uua novella ed assai
splendida prova della topografia putcolona in ambe-
due que' vasi effigiata.
E dapprima che gli edifici tracciati sul vasetto di
Populonia non sieno romani, oltre alle prove topo-
grafiche che si potrebbono mettere in campo, lo di-
mostra la natura delle pile che vi sono effigiate ; le
quali chiunque porrà a confronto con le antiche pit-
ture, che ritraggono scene e prospettive di porti ma-
rittimi (1), e con le vestigia che ce ne rimangono so-
pratutlo nel golfo di Pozzuoli, riconoscerà tosto a
queste conformi, e non potere in guisa veruna rap-
presentare un ponte interrotto d' un fiume, .\dunque
non solo l'analogia de' graffili del vetro di Populonia
con quelli del vasetto borgiano e" induce a cercare l'ar-
gomento nelle spiagge di Baj.ie di Pozzuoli, ma anco
l'indole medesima e la natura della scena ivi effigiata
di per se sola appare cosa tutta marittima. Resta però
a vedere, come possa conciliarsi l'indicazione d' una
ripa con le prossime pile d' un porto di mare. E la
cosa è facilissima, se appunto al porto di Pozzuoli vol-
geremo le nostre ricerche. Che se le iscrizioni di quella
città ci forniscono le memorie e la storia delle cele-
berrime pile del suo porlo, le memorie anco e la sto-
ria ci tramandano della sua ripa. Eccole quali le ha
trascritto dai marmi originali il eh. Mommsen (I. \.
2500, 2309, 2310). PRO FELICITATE DOMINO-
RVM -AVO VSTORVM— NOSTRORVM - RIPAM
APARTE SINISTRAMACELLI—IACTISMOLIBVS
PROPTER INCVRSIONE— INGRVENTIV.M PRO-
(V, V. Pitture d'Ercglano II, 55; Geli, Pomp. Acm> lav. 57.
22
— 154 —
CELLARVM — VALERIVS HERMONIVS MAXI-
MVS ve— CONS CAMPINCOAVIT ADQVE PER-
FECIT : e senza recare in mezzo la seconda , che è
gemella a quesla, cangiate soltanto le parole RIPAM
A PARTE SINISTRA in queste altre RIPAM A PAR-
TE DEXTRA passo tosto alla terza: PROBEATITV-
DINE TEMPOR VM — FELICITATEMQ VE PVBLI-
CI STATVS • IMP — D D • D • N • N • N THEODO-
SI • ARCADI ET HONOR — PERENNI VM • AVGV-
STORVM — RIPAMMACELLI DEXTRA LEBA-
QVE — ADGRATIAM • SPLENDOREMQVE — CI-
VITATIS PVTEOLANAE INSTRVCTVM (sic) —
DEDICAVIT • FABIVS • PASIPHILVS • V • C —
AGIS • VICEM PRAEFECTORVM PRAETORIO—
ET'VRBI. In queste iscrizioni adunque non solo ab-
biamo una irrepugnabile lestimoniauza dell'avere esi-
stito in Pozzuoli una ripa, cioè a dire un grandioso
argine, a destra e sinistra del macello ; ma anco l' età
io che la grande opera fu intrapresa e compiuta indi
apprendiamo. Che il consolare della Campania Va-
lerio Ermonio Massimo è veramente un personaggio,
del quale, per quanto ora ricordo, altri monumenti
o memorie non ci sono pervenute; ma la sua duplice
iscrizione è senza fallo dettato del secolo quarto ; e
quella di Fabio PasiGlo posta a memoria della dedi-
cazione di quella n^a medesima, che il consolare Mas-
simo avea incoata e compiuta, dimostra l'età di que-
st'impresa non poter risalire oltre agli anni dell'im-
pero di Valenti niano giuniore o Teodosio. Perocché
questo è veramente l'unico cenno, che l'antichità ci ha
tramandato della vicaria prefettura amministrata da
Fabio Pasifilo; ma pure egli è facilissimo il determi-
narne l'anno preciso (1).
L' iscrizione fu posta sotto gli augusti Teodosio,
Arcadio ed Onorio, e l'ordine di questi nomi dimostra,
che Teodosio è non certamente il giuniore, ma il se-
niore. Ora costui mori nel 17 Gennaio del 393, ed
avea innalzalo il figliuolo Onorio a collega dell'impe-
ro nell'anno 393. Ma da quest'anno fino al settembre
del 394 tutta l'Italia fu in balia del tiranno Eugenio ;
(1) Leggansi Io identiche conclusioni tratte nello stesso tempo
dal doiiissimo Borghesi, e da noi pubblicale nel precedente foglio
del bullettiuo,— i' Editore.
e le due prefetture, del Pretorio cioè e di Roma, fa -
rono tenute a nome, non di Teodosio, ma d'Eugenio
dai due Nicomachi padre e figliuolo, come ampia*-
mente ho dimostrato nella memoria, che su quest'ar-
gomento ho divulgato negli ^mia/*' dell'istituto di cor-
risp. arch. anno 1849.
Adunque Fabio Pasifilo non potè reggere l'Italia e
Roma a nome di Teodosio, Arcadio ed Onorio prima
del settembre del 394 ; e nel gennaio seguente già il
primo di quegli augusti era defunto. Che anzi questa
dimostrazione cronologica illustra in pari tempo e
conferma la storia, i fasti degli urbani prefetti, e la
straordinaria potestà commessa a Fabio Pasifilo. Im-
perocché la formola viccs agens praefectonim ec. non
indica già la notissima ed ordinaria giurisdizione d'un
vicario del prefetto , ma una singolare ed estraordi-
naria potestà ; come rilevasi dalle seguenti parole di
Cledonio grammatico: ille cui vices niandantur propler
ahscnliam praefeclorum, non vicarius, sed VICES A-
GENS, non praefedurae, sed PRAEFECTORVM di-
cilur tantum: e l'essere qui congiunte nella persona
medesima la giurisdizione de' prefetti del pretorio
d'Italia e della città di Roma conferma la singolarità
e la natura eccezionale e provvisoria di cotesta carica.
Ora appunto negli ultimi mesi dell'anno 394 una ca-
gione straordinarissima fé vacare i seggi di quelle due
prefetture, vogho dire la soUenne sconfitta d'Eugenio
per le armi di Teodosio il grande.
Il vincitore adunque, ricuperata appena l'Italia,
nominò Fabio Pasifilo luogotenente, o come direbbesi
oggi, commissario straordinario , a tenere momenta-
neamente le veci de' due prefetti ribelli; del qual fatto
quest'unica epigrafe puteolana ci fa testimonianza (1).
Questa notizia della ìipa di Pozzuoli e dell'anno pre-
ciso in che fu dedicala è d' un singolare ajulo a stabi-
lire e svolgere la dichiarazione dei graffiti del vetro
borgiano assai più compiutamente , eh' io non feci
quando la prima volta trattai quest'argomento; e per-
ciò colgo volontieri l'occasione portami dal dotto sig.
(1) Non è questo il luogo di cercare chi fosse cotesto Fabio Pa-
sifilo, ma veggasi intanto quello che de' Pasifili del secolo IV scrisse
il Borghesi nella Dichiarazione d' una lapida grttteriana negli
Atti dell' accad. di Torino, tomo XXXVIK.
~ 15S —
Mercklin per condurre quasi a termine la <ra((azionc
alia in quella parie, che rimase allora incerta ed im-
perfetta.
Imperocché stabilito come certissimo che la topo-
grafia accennala ne' graffili de' due vasetti ritrae luna
o l'altra parte della marina di B:ija, lasciai in sospeso
il giudizio sopra al dubbio se il vetro Populoniese
propriamente il porto di Pozzuoli (lo che sembravami
più verisimile) , o quello ch'ebbe nome di porto Giu-
lio ci ponga solt' occhio. Oggi è tolta questa incertez-
za , ed acquista la scienza nostra il non leggero van-
taggio dell'avere una rozza sì, ma indubitata, delinci-
zione del celeberrimo porlo puleolano. Perocché le
tre indicazioni di luoghi e d' edifici 1' uno all' al-
tro contigui PAL.\TIVM, RIPA, PILAE rispondono
tutte esattamente ad altrettanti luoghi ed edifici notis-
simi ed assai famosi in Pozzuoli, e tutti dalle iscrizioni
di questa città più o meno frequentemente nominali.
Delie pilae, cioè del celebre molo del porto, non ac-
cade far parola, che tutti sanno, e già l'altra volta
accennai, quanto fossero celebri e nominate in Poz-
zuoli; della ripa ho pur ora trattato innanzi e dichiarato
le memorie epigrafiche; resta il palalium, intorno al
quale se io medesimo messi nella mia prima tratta-
zione alcun dubbio, ora nuovi studi ed un migliore
esame m' hanno insegnalo a deporlo. La notizia d'un
palalium in Pozzuoli o ne' contorni ci era fornita da
una base con titolo onorario, conservata in Napoli fin
dal secolo XV e nominante la regione palatina ; la
quale base dopo il eh. Gervasio anco il Mommsencd
il Minervini opinavano essere stata trasferita a Napoli
da Pozzuoli. Io posi in quislionc la verità d'un sif-
fatto trasferimento , e perciò dell' origine puleolana
del marmo, perchè in un codice barberino stimalo
contenere esemplari epigrafici tratti da quelli di Ci-
riaco d' Ancona e di Benedetto Egio spolctino è cote-
sla base indicata in fundamenlii domus Ioannis Acos-
sa\ lo che io interpretava quasi Ciriaco l' avesse vista
sotterra nelle fondamenta d' una casa privata di Na-
poli. Oggi ho riconosciuto essere falsissimo il titolo
premesso, forse nello scorso secolo, al codice barberino,
quasi direttamente scenda da Ciriaco e dall' Egio; e
contenere quel manoscritto null'allro, che una lacera
ed imperfetta copia della silloge di Fra Giocondo (1).
Nella quale è veramente trascritto il titolo onorario
di che ragiono coH'indicazione: Neapoli in fundamcn-
iis domus Ioannis Acossa (al. Aiossa) nobiìis Capuani {-l);
ma Fra Giocondo colle parole in fundamentis , che
mille volle adopera ne' titoletti premessi alle iscrizio-
ni, non intende già le sotterranee fondamenta, sibbe-
ne l'imbasamento degli edifici. Niuna difficoltà adun-
que od ombra di dubbio può nascere da quel cenno
de' codici del secolo XV contro l'opinione de' dotti
napoletani e stranieri, i quali vollero che di Pozzuoli
a Napoli fosse stato trasferito quel marmo, perchè
servisse, come mille altri, all'ornato di qualc'ne pri-
vala abitazione o palazzo di nobile famiglia. Che anzi
agli indizii, i quali nell'animo loro insinuarono que-
sta persuasione, aggiungendo orala voce PALATI VAI
scritta a lito della R1P.\ e P1L.\E nel nostro vaso,
avremo poco meno che una compiuta dimostrazione
della verità di quella congettura.
Stabilito così il soggetto della scena topografica del
vetro di Populonia , parmi che anco l' eia in che fu
lavorato riceva molta luce dalle notizie e dalla storia,
che ho accennalo della ripa puteolana. Perocché se
fu questa non ristorata o dedicata, ma tncoaia e com-
piuta tutta negli ultimi anni del secolo quarto, non
può al merito di più antica età pretendere il nostro
vaso; se pure non si volesse supporre, che anco uà'
altra ripa, così appellata per antonomasia, abbia ivi
preesistito a quella di die il consolare Massimo munì
a destra ed a sinistra il macello. Ma la rozza arte de'
graffiti di questi vetri così bene s' addice agli uliimi
anni del secolo quarto, che non veggo ragione veruna
d'appigliarmi a supposizioni e congetture arbitrarie,
anziché accettare quella data, che le allegale iscrizio-
ni prescrivono.
E qui potrei posar la penna, se non m'invitasse allo
scioglimento d'un' altra obbiezione quel cenno che dà
il eh. Mercklin, di neanche volere, che alla ripa suba-
ventina sia tolta la pittura data in luce dal Bellori; la
quale io, dietro la scorta del eh. comm. Canina, sli-
(!) V. I fasti municipali di VcDwa restituiti alla sincera lezione p 2J.
(2) Cod. Magliabecch. XXVIII, 5 p. 140, b; Marciano Lai. XIV,
171 p 107. Borgiano p. liti
— 136 —
mai rappresentasse un porlo di mare, e facilmente una
scena della marina di Baja. E veramente la sola evi-
denza dell' aspetto marittimo di quella prospettiva, e
dell'essere molo d'un porto, non ponte diCume,ro-
pus pilarum ivi effigiato , potè indurmi ad abbrac-
ciare la sentenza contraria a quella del Mercklin; pe-
rocché questa avevo io dapprima pubblicamente ac-
cettata per vera. Ed infatti il soggetto di quella pit-
tura è così manifesto, che il Falconieri (I), il quale
ne vide l'originale, e solo ce ne ha additalo l'età, che
stima contemporanea incirca all'impero di Costantino,
ed il luogo ove fu rinvenuta, cioè alcune pareti d'un
edificio dentro Roma aventi l'aspello di bagni, non si
lasciò trarre in inganno dalle iscrizioni FORVS BOA-
RIVS, FORVS OLITORIVS ec ; ma riconobbe tosto
essere ivi ritratto un porto di mare. Le quali iscri-
zioni e gli annessi disegni di edifici e di monument»
se fossero anco più, che veramente uon sono, con-
cordi con parecchie parti delle regioni oliava e nona
dell'elerna città, pure non sarebbe questa una singo-
larità, che dovesse sembrare stranissima fuori di Ro-
ma, e tale da sforzarci contro l'aspetto evidente della
pittura a cercarne il soggetto nelle sponde del Tevere.
Perocché le città non solo d'Italia, ma anco delle pro-
vince oltramontane ed oltramarine ne' secoli sopra-
tulto tardi dell'impero, usarono, quale più quale me-
no, sludiosamente imitare e riprodurre alcuni più ce-
lebri edifici e luoghi e nomi della capitale: così, a ca-
gion d'esempio, Rimini ebbe i suoi vici denominali A-
ventino, Germalo, e Velabro (2); Benevento la regione
Esquilina (Mommsen I. N. 1419); Lione e Kassel(a-
vi(as Ma(lìacorum) il monte Vaticano (Orelli 2322;
4983); ed il Campidoglio fu imitato in grandissimo
numero di città, come appare per la menzione, che
ne veniamo sovente incontrando ne' monumenti e me-
morie, che tornano in luce da luoghi disparatissimi;
tantoché ai Campidogli già da gran tempo assai noli
non solo in Costantinopoli, Cartagine, Narbona (3),
ed allrettali maggiori metropoli, ma anco in Verona,
(1) Episl. od Heinsium, !d Burmanni SylI. epìsl. lom. V. p. 527.
(2) V. Tonini, Rimini avanti l'era volgare p. 211 e segg.
(3, Golhoficd. ad Cod Thr-od. XI, 1. 34; XIV, 9, 3, XV, 1, 53;
Sidon. Apollin carni, 123, v. 4i.
Capua , e Benevento ( I ) , possiamo ora aggiungere
quelli di Falena, d' Istonio, di Marruvio de' Marsi e
perfino di Timegad {Tliamugas) nell'Africa (2). I fori
poi, come necessari! ad ogni anco mediocre città, fu-
rono dovunque più o meno numerosi; e niuna mara-
viglia se, tra per lo studio d'imitare la Capitale, e Ira
per la natura medesima de' varii usi a' quali erano de-
stinati, ebbero non meno in Roma che fuori le ap-
pellazioni di olilorio, boario, pecuario, vinario ec. Così,
a cagion d'esempio, se notissimi sono in Roma per gli
scrittori e per i monumenti i fori pecuario e vinario (3),
notissimi anco sono in altre città , e segnatamente in
Ostia , in Atina , ed in Falerio (4). E del pari co-
muni , massime alle città commerciali e marittime ,
dovettero essere gli edifici destinali all'uso di ìiorrea.
Adunque le Ire iscrizioni HORREA , FORVS OLI-
TORIVS, FORVS BOARIVS (così lesse il Falconieri),
singolarmente prese nulla hanno in se , che come a
Roma cosi anco a qualsivoglia altra città dell'impero
non possa convenire; e la riunione o il ravvicinamento
di que' fori e di quegli edifici potrà al sommo fornirci
un nuovo esempio di quello studio d' imitazione, che
ho dimostralo nelle opere pubbliche delle colonie o
de' municipi.
Ma la stessa collocazione di que' fori, e di quante
altre fabbriche sono ritraile nella pittura del Bellori
vieta il cercarne l'argomento nella ripa subavenlina.
Perocché è cosa notissima il foto olitorio essere stalo
non lungi dal circo Flaminio a sinistra del ponte pa-
latino e del foro boario, e nella pittura è collocalo alla
destra ; al contrario gli orrei , ossia fondachi , sono
quivi a sinistra , e le memorie topografiche di Roma
ce li additano a destra tra 1' Aventino ed il monte
Testacelo. Né gli altri edifici e prospettive della pit-
tura s' addicono punto alle ripe del Tevere. Delle
terme di Faustina (BAL-FAVSTINAES), delle acque
(1) Maff. M. V. p. 107; Svelon. in Tib. 40. el de illustr. gramm. 9.
(2) Morcelll, de siilo p. 452; de Minicis, Ann. delPlst. 1839 p.
49; Mommsen, /. iV. 5242, 5501 ; de Wilte, Mém. sur T impératrice
Salonine, Bruxelles 1852 p. 31.
'3) V. Preller, die Rcgionen p. 226; ed i documenti che pel foro
vinario di Roma ho allegalo nel Bulletl. dell' Ist. an. 1853 p. 41.
(4) V. Morcelli, e de Minicis. II. ce. , e Mommsen I. IS. 123
(cf. ind. p. 401); -4558
— 157 —
pensili (AQVAE PENSILES), e del portico di Ncttu-
no<P01{TEX NEPTVNl (1)) nulla posso diro, per-
chè sono denominazioni ignote alla romana topogra-
fia di queste regioni; ma se anco volessi immaginare
che il portico di Nettuno, collocato qui presso un tem-
pio d'Apollo (T. APOLIMS), spetti al tempio di Net-
tuno, che insieme a quello d' Apollo stava nel circo
Flaminio, avremo sempre la medesima opposizione di
luogo ; che cotesto circo era precisamente dal lato
opposto a quello nel quale appajono gli accennati
templi nella pittura. Dirà forse taluno che l'artista
per errore ha invertito l'ordine della scena tramutan-
do in tutta la prospettiva la parte destra nella sinistra?
Ma in tal caso, salvo il Iraslocamento delle due parli,
tutto del rimanente dovrebhe rispondere al preteso
soggetto della ripa subavenlina. E pure se tolgausi
quelle tre o quattro iscrizioni, che hanno qualche rap-
porto colle regioni ottava e nona di Roma , e dalle
quali anch'io mi lasciai dapprima trarre in inganno ,
nuli' altro v'ha in cotesto affresco, che possa comun-
que richiamarci a memoria una scena ritratta dal suo-
lo romano. L' isoletta , che è di fronte alla ripa dove
sono questi edifici, non è congiunta alla medesima con
verun ponte; non può adunque essere l' isola Tiberi-
na ; anzi le è evidentemente addossato un molo , che
chiude l'altro lato del porto. De' templi e degli edifici,
che sappiamo essere stali lungo la sponda del Tevere
Ira il circo Flaminio, il Foro Boario e l'Aventino, e de'
quali parecchi erano tuttora superstiti nel secolo XV,
altri lo sono ancor oggi , non v' è traccia od ombra
in questo disegno. Infine 1' acqua circonda pressoché
da ogni lato la terra ferma, in guisa da mostrare fino
all'evidenza, che questa se non è tutt'un'isola, è però
una lingua sporgente dentro un seno di mare. Cosi
da qualunque lato togliamo a considerare e disami-
nare il monumento, torna sempre manifesta la verità
dell'interpretazione, che ne han dato concordemente
il Falconieri che la vide nell'originale, ed il Canina,
die ne studiò l' unica copia pervenuta in sino a noi ,
quella cioè del Bellori.
G. B. DE Rossi.
(1) Cosi leggono concordemente il Falconieri, ed il Bellori; e saia
questo forse il solo esempio della voce porlex, in luogo ili poTtic\i$.
BIBLIOGRAFIA
Ragguaglio storico archeologico de precipui riponigli
antichi di medaglie consolari e di famiglie romane
d' argento, pel riscontro de' quali viensi a definire o
limitare reta d' altronde incerta di molte di (juelte,
e che può servire anche di repertorio delle medaglie
medesime — Modena per gli eredi Soliani tipografi
rea/i— 1834 pag. 291 in 8.
Questo insigne lavoro è opera del eh. numismati-
co di Modena prof, D. Celestino Cavedoni , il quale
ne fa la dedica al celebre Sig. Conle Bartolomeo Bor-
ghesi , come a colui, cui son dovute importantissime
osservazioni sulla stessa materia.
In una dotta prefazione l' autore mostra come que-
ste diligenti ricerche sulle nied,tglie di argento con-
solari si debbono unicamente agi' Italiani, i quali fu-
rono i primi a rivolgere la loro attenzione a questi ri-
trovamenti di simili medaglie, che tanta luce valsero
a dare per islabilire probabilmente l'epoca della loro
coniazione. Figurano fra essi il Can. Giandomenico
Berloli , il p. Zaccaria , il prof. Fibppo Schiassi , il
Cav. Zannoni, il prof. Bianconi, Pietro Borghesi: ed
in modo particolare e distinto Bartolomeo Borghesi ,
e lo sfesso eh. autore, il primo de' quali colla disser-
tazione intorno alla gente Arria, e colle famose decadi
numismatiche, il secondo col saggio di osservazioni sulle
medaglie di famiglie romane, coli' appendice al Saggio,
e con altri numerosi lavori fecero nel maggior mudo
progredire lo studio di questa parte della numismatica ;
la quale può dirsi veramente nata e cresciuta nelle loro
mani. Ora il dotto autore raccoglie quasi sotto un sol
punto di vista tulle le sparse notizie, ricerche ed osser-
vazioni, formandone un insieme raaraviglioso, e quasi
una dottrina di quella classe di antiche niodaglie.
L'a. divide tulla l'opera in tre articoli. 11 primo
contiene la indicazione del ritrovamento de' principali
ripostigli antichi di medaglie consolari e di famiglie
romane, e dell'eia probabile del loro nascondimento.
Egli ne considera dicci, de' quali si hanno più parti-
colari notizie: sono essi I. il ripostiglio di Fiesole 2.
di Monte Codrnzzo, 3. di Roncofreddo, i. di /vasca-
— 188
rolo, 5. di Cadriano, 6. di S. Cemio, 7. di S. Nic-
colò di Villola, 8. di Colkcchio, 9. di S. Anna, 10.
di S. Bartolomeo in SasiO Forte. Parla Bnalmente di
altri venlidue ripostigli, non pochi de' quali apparten-
gono al reame di Napoli ; ma di questi non si hanno
che scarse ed inesatte notizie.
Nel secondo articolo è un elenco comparativo delle
monete, che si rinvennero, o potevano rinvenirsi nei
sovra indicali dieci ripostigli antichi. In questo elenco
l'a. dà in nota molte nuove osservazioni sopra non
poche delle medaglie, di cui riporta la descrizione.
L' articolo terzo contiene osservazioni storiche cro-
nologiche sopra l'età precisa, od approssimativa di
non poche medaglie di famiglie romane , che si ar-
guisce dal riscontro degli antichi ripostigli di quelle,
e da altri sussidi. In queste dotte ricerche 1' a. con-
sidera i tipi primitivi, le epigraB e la paleografia , le
lettere i numeri ed i simholi varianti , il peso decre-
scente, il riscontro de' corrispondenti Vitloriali, Qui-
narii e Seslerzii, la varietà della fabbrica, l'uso delle
monete serrate, la diversilà dell'arte e dello stile, gli
accessorii, le contraflazioni, i riscontri di altri monu-
menti e scrittori antichi , i Collegi de' Triumviri e di
altri magistrati monetali , finalmente le leggi annali
per le varie magistrature.
Seguono le osservazioni sull' epoca probabile ed
approssimativa delle medaglie , in sei differenti pa-
ragrafi.
§. I. Dell' età approssimativa , e talor definita , di
alquante monete impresse dall' anno 600 all' anno
668, che tutte si rinvennero nel ripostiglio di Fiesole,
non poche delle quali furono riportale a tempi più
tardi.
§. II. Degli autori e degli anni quasi precisi delle
monete mancale a Fiesole e trovatesi poi a Monte Co-
druzzo, le quali per ciò stesso voglionsi credere im-
presse nel quinquennio decorso dall'anno 668 al 673.
§. 111. Degli autori e degli anni precisi , oppure
approssimativi , delle monete mancate a Monte Co-
druzzo trovatesi a Roncofreddo ed a Frascarolo , le
quali perciò voglionsi reputare impresse nel decennio
decorso dal 673 al 682.
§. IV. Degli autori , e degli anni precisi , oppure
approssimativi, delle monete che mancarono ne' ripO'i
stigli di Roncofreddo e di Frascarolo, nonché ne' due
anteriori di Fiesole e di Monte Codruzzo , e che si
rinvennero in quelli di Cadriano e di S. Cesario , le
quali perciò stesso, e per altre ragioni, voglionsi re-
putare impresse nell' intervallo di tempo decorso dal-
l' anno 682 al 703.
§. V. Degli autori , e degli anni precisi , oppure
approssimativi , delle monete che mancarono ne' ri-
postigli di Cadriano , e di S. Cesario , non che negli
altri anteriori, e che si rinvennero in quelli di Villola,
di Collecchio , di S. Anna , e di Sassoforte , le quali
perciò stesso, e per altre ragioni , voglionsi reputare
impresse nel settennio decorso dal principio del 703
fin verso la fine del 711.
§. VI. Di alcune monete del tempo del Triumvi-
rato , che mancarono ne' detti ripostigli , e che polca
dubitarsi che fossero in parte anteriori a quell'epoca.
Si chiude il lavoro con due supplementi : il primo
è relativo a'triumviri monetali ed allri magistrati, che
impressero moneta d' argento sotlo Augusto; il secon-
do tratta delle monete consolari e di famiglie impresse
dall'anno Varroniano 485 , fino al 604 , o sia dai
primordii della moneta romana d' argento fino al prin-
cipio della terza guerra punica. Da ultimo alle giunte
e correzioni seguono gì" indici opportuni necessarii in
un'opera di questa fatta.
Io non fo che annunziare semplicemente un libro
di primaria importanza, dalla cui letlura ho tratto il
più grande profitto, e che mi sembra superiore ad ogni
lode. Basti peraltro , a dare una idea del vantaggio
procaccialo da questo novello lavoro dell' illustre nu-
mismatico di Modena riportare un brano di lettera
dell'insigne Borghesi, che vedesi pubblicato nel Jtfes-
saggiero modenese. « Ciò non ostante posso dire fino
» da quest'ora, che mi sembra un lavoro classico, il
» quale formerà epoca presso lull'i cultori della Nu-
» mismatica delle Famiglie, siccome quello, che ren-
» de presso che inutili gli scrini de' vecchi antiqu?irj
» che ne hanno trattato sostituendo basi più solide
» alle capricciose , su cui fondarono i loro ragiona-
n menti. Prescindendo dalle nuove opinioni , che vi
» sono esposte, egli ha il sommo merito diaverrac-
— 159 —
» colto e coordinato tutto ciò che di meglio si è detto
» in questo secolo, e ch'era disseminato in mille ar-
» titoli, in parte controversi, e generalmente pochis-
» simo conosciuti ». Noi facciamo voti perchè il dotto
archeologo di Modena, lun"! dall' aver dato V estremo
suo lavoro numismatico , come si esprime nella sua
dedica , viva ancora lunghi anni a benefizio della
scienza da luì coltivata con tanta gloria sua e dell' I-
lalia, la quale non può non riputarlo uno de' più pri-
vilegiati suoi figli.
MlNERVINI.
Nolìce sur Ics fouilles de Capone par M. Raoul-Ro-
chelle. Continuazione del n. 58 pag. IH.
Le pili numerose scoverte avvennero in questi ul-
timi tempi nella occasione di tracciarsi la linea della
regia strada ferrala da Napoli a Capua; e l'autore di-
chiara di fermarsi a discorrere particolarmente de'
monumenti che furono tratti da quelle scavazioni,
anche perchè gli archeologi napolitani non si occupa-
rono affatto a ragionarne. Su di che mi permetto
di osservare che de' più interessanti monumenti tro-
vasi già la notizia nell' antica serie del buUetlino ar-
cheologico napolitano, e nel primo volume de'wio-
numenli inediti del sig. Barone , da me pubblicato ;
per modo che nel quarto e quinto articolo il dottis-
simo autore cita sovente quelle precedenti notizie e
pubblicazioni , aggiugnendo le sue nuove osserva-
zioni: e lo stesso dee dirsi della nuova serie del bui-
lettino napolitano , ove si trovano notizie e disegni
relativi a monumenti dell' antica Capua.
L'a distingue sepolcri della popolazione primitiva
che dice tagliati nel tufo, sepolcri greci, sepolcri ro-
mani, e finalmente tombe cristiane. Sudi ciò fa d'uo-
po avvertire eh' egli fu tratto in equivoco da poco
esatte indicazioni; perciocché tutto il lenimento diS.
Maria è affatto privo di tufo, e se si trovano le più
antiche tombe formate di pezzi di tufo, questo Iraevasi
dal suolo di S. Angelo alle falde del Tifata: sicché ci
limiteremo a distinguere le tombe più o meno aoticlie
dell'epoca greco-etrusca, le tombe romane, e le cri-
stiane. A queste aggiungiamo le sanniliche, delle quali
parleremo fra breve in un particolare articolo.
Il sig. Raoul-Rochelte fa menzione di varie maniere
di tombe. Alcune sono costruite di grandi pezzi ret-
tangolari di tufo, messi insieme senza cemento: la loro
forma è un quadrilatero più o nieno allungato, ed il
tetto ora è piano, ora triangolare, che dicono volgar-
mente a schiena. Altre, secondo l'a., sono formate di
grandi mattoni , qualche volta ornali di bassirilievi
nell'interno, e di aniefisse nelle pareli esteriori. L'a.
cita , in quanto a' bassirilievi , il Perseo neW atto di
troncar la testa a Medusa da me pubblicato nel pri-
mo anno di questo buUetlino (tav.V n. 1 ed illustrato
a p. 188, s. ), che ora trovasi collocato nel real museo
Borbonico; non che una pugna di uomini armali a
piedi ed a cavallo, della raccolta del sig. Riccio, nella
quale egli riconosce il solo monumento autentico del-
l'arte nazionale de' Sanniti. Noi terremo dalla presente
ricerca sopra Capua questo ultimo monumento; per-
chè sappiamo che fu tratto da una scavazione prat-
ticata nell'antica Cales ora Calci. Sospendiamo poi il
nostro giudizio sulla esistenza di tombe con bassiri-
lievi ed aniefisse, di cui dobbiamo anche noi la noti-
zia al sig. Riccio, non allrimenli che il sig. Raoul-
Rochette; perciocché il sig. Vincenzo Caruso di S.
Maria, mollo versalo nella conoscenza de'monumenli
della sua patria, mi ha su questo particolare comuni-
cate alcune sue osservazioni di fatto in opposizione a
quelle del sig. Riccio, le quali non increscerà di vedere
qui riportale originalmente: « È falso che siensialcu-
» ne volle ritrovati sepolcri di mattoni con bassiri-
» lievi ; 1 perchè per quanti io ne avessi scavali , o
» veduto scavare da altri, non mai mi si è presentato
» un fallo simile; 2 perchè io conosco il silo dove fu
» rinvenuta in pezzi la tegola rappresentante Perseo,
» poco lontano dall' Anfiteatro , ed a due palmi di
» profondità dalla terra ne furono rinvenuti i pezzi an-
» tecedenlemente rotti da un colono , senza che me-
» noma traccia di sepolcro, o di altri mattoni vi com-
» parisse; 3 perchè arlislicamenfe si vede ricorrere la
» cornice con ovoli solamente alla parie superiore e
» non intorno intorno, come avrebbe dovuto essere,
» se si avesse voluto situarlo , come nella tavola del
» sig. Raoul-Rocbetle, nella quale ipotesi non sareb-
» bero slati necessari i buchi pe' perni di bronzo, che
» soflcnevano tali fregi.
— 160 -
» Lo slesso dovrà dirsi delle anlefisse il di cui uso
« è defÌQilo, senz'aleuti dubbio , pel canale che die-
» tre di esse sempre si ritrova ».
Il sig. Raoul-Rochetle parla di sepolcri di marmo
di un'epoca più recente ; di quelli formati di semplici
tegole senza alcuno ornamento ; e di altri scavati nella
terra vergine e ricoperti da un solo matlone. Final-
mente ragiona di alcuni sepolcri osservati dal signor
Biccio , adomi di pitture nelle interne pareti , che si
dicono frugati a tempo de' Romani. Noi avremo la
occasione di parlare di simili tombe dipinte, che sono
da riportare a' tempi sannilici.
L' autore, dopo generali idee su' sepolcri di Ca-
pua, favella di alcuni degni di particolare attenzione,
de' quali noi non ripeleremo le descrizioni. Soltanto
mi fermerò alquanto sopra due monumenti più inte-
ressanti, de' quali si ragiona in 6ne di questo terzo ar-
ticolo. Il primo è un sepolcro, dice l'a. , che 7ion la-
scerà disgraziatamenlc nella scienza , se non la debole
traccia che io ne tramanderò. Per relazione del signor
Sideri , Ispettore delle antichità per la provincia di
Terra di Lavoro, era questo monumento costruito di
grandi massi di tufo , il basamento n' era cinto di
raodanalure di elegante carattere , ed era adorno al-
l'esterno di figure di donne tenenti de" fanciulli nelle
loro braccia, di stile arcaico, ed eseguite nella stessa
materia. L'a. deplora a ragione che non abbiamo po-
tuto formarci finora l' idea ne di quelle sculture , né
dell" edificio che n' era fregiato. Egli dubita se fosse
Io stesso da lui innanzi citato , e dichiarato per un
tempio: essendo egualmente scavato nel villaggio delle
Curii per opera della famiglia Paltorelli. Noi possia-
mo francamente asserire che non si tratta di due di-
stinti edificii ma di un solo, e che sembra indubitato
non potersi riputare una tomba. Del resto per dare
una speranza agli amatori delle anlichità , e princi-
palmente all' insigne archeologo francese , di potere
una volta venire in una più esatta cognizione di quel-
r importante nionumenlo , sarà opportuno che io ri-
porti per esteso quel che me ne ha scritto il signor
Caruso , a cui ne feci la interrogazione sulla esposi-
zione datane dal signor Raoul-Rochette. » È ben coX ,
» nosciuto, egli dice, il luogo del monumento, per*
» che sullo stesso sito si conservano ammonticcliiati
» e capovolti i tufi , che lo componevano , nonché
» tutte le figure scolpite anche sul tufo, le quali rap-
» presentano donne sedule tenendo sulle braccia da
» uno fino a cinque putti : e l' essersi un tale monu<
» mento sconnesso , non fu che effetto di panico ti-
» more, che invase il proprietario, tenendo per certa
» la perdita del fondo , dietro la denuncia dell* inte-
» ressante monumento. Io eh' ebbi la fortuna di po-
» terlo osservare pochi giorni appresso che fu sco-
» perto , posso assicurare , non avervi osservato aU
» cuna traccia di marmo. Il proprietario poi asserisce
» avere con tanta diligenza tolti d'opera i grandi tufi,
» di che si componeva l' edifizio, che volendo si po-
» Irebbe tutto rimettere nello stato in cui fu riove-
» nuto. E debbo a miglior dichiarazione aggiugnere
» che avendo finora parlato di monumento , non ho
» inteso che fosse intatto ; mentre dovendo questo in
» origine esser molto elevalo fuori terra , tutta la
» parte superiore fu in tempi remoti distrutta e la
» parte di esso , a tempi nostri ritrovala , fu il solo
» basamento , che elevavasi dall'antico livello su cui
» fu costruito circa palmi 11. Dalle innumerabili ter-
» recotte rinvenute in varii fossi, e pochi palmi lon-
» tano dal descritto monumento , potranno i dotti
» arguire che cosa fosse quell' edifizio. Quasi tutta la
» collezione di terrecotte del Sig. Riccio fu ivi rin-
» venuta, e principalmente i gruppi , le statuette, e
» le antefisse : quelle del Sig. Malerazzo , e la gran
» collezione del Sig. Casanova , acquistata poi dal
» Gargiulo , furono in questo medesimo sito rinve-
» nule. Io slesso son possessore di un centinajo di
» pezzi non dispregevoli. Né è da tacersi sul propo-
» sito , che la sola sospensione degli scavi ha impe-
» dito che seguitassero ad uscire alla luce altre ler-
» recolte, mentre intorno intorno a' fossi tuttora aperti
» se ne scorgono ammonticchiate » .
(continua)
MiNBRVINI.
GioK-fO Mi.NEBviNi — Editore.
Tipografìa di Giuseppe Càtahbo.
BUILETTIIVO ARCUEOLOGICO NAPOLITANO.
NUOVA SERIE
iV." 47. (23. dell' anno II.)
Maculo 1854.
Di un nuovo ambulacro scoperto nel Cimitero di S. Caterina presso Chiusi. — Iscrizioni in caratteri e dialetti
italici. — Giunta all' articolo precedente. — Iscrizione gra/fìta sotto il piede di un vaso.
Di un nuovo ambulacro scoperto nel Cimitero di S.
Caterina presso Chiusi.
Nell'adunanza dell' Istituto archeologico, tenutasi
in Roma li 21 Gennaro del 1833, fu preso in consi-
derazione il mio Ragguaglio di un nuovo antico Ci-
mitero Cristiano scopertosi nel 1 848 nel colle di S.
Caterina presso Chiusi ; e venne promosso qualche
dubbio riguardo alla origine e pertinenza Cristiana
di quel Cimitero, conchiudendo peraltro il rapporto
con le parole seguenti [Bull. arch. 1853 p.51): «con
tutto ciò gli adunati non roostraronsi scettici in quanto
alla supposta sussistenza di un nuovo Cimitero Cri-
stiano Chiusino ; ma siccome la scoperta sarebbe di
grande importanza, cosi fu esternato l'unanime deside-
rio di vederla confermata con nuove prove più strin-
genti, atte a levare qualunque dubbio potessero ecci-
tare le difficoltà or ora esposte». Ora mi gode l'animo
di poter annunciare , che le recenti scoperte falle in
queir ipogeo ne prestano per appunto le desiderale
nuove prove più stringenti ed alle a cessare ogni dub-
bio e difficoltà. Nel sovra lodalo rapporto del dotto con-
sesso dell' Inslituto archeologico la voce DEPOSITIO,
che sino ad ora non si rinvenne in verun monumeiito
pagano, fu riconosciuta per indizio alquanto positivo
di Cristianità; ma si dolevano que' dotti, che questa
voce non ricorra che solo in una delle dodici in al-
lora cognite epigrafi dell'ipogeo di S. Caterina, men-
tre che poi in dieci di essa ricorrono le sigle D M pa-
gane d'origine (1). Il eh. Monsignor Barlolini, nella
(1) Della frequenza delle sigle DM nelle iscrizioni cristiane vedi
Raoul-Roclietlc sur les antiq. Chrét. dcs Calao, nelle mem. dell'
Accad. delle iscrizioni e bilie ledere wiìì. XIII p. 176 e segg. , ed
il eh. mse journ. dcs Savanfi Ì8'M p. i^3-43i.—l' Editvre.
AN.yo II.
sua Dissertazione intorno a quel cimitero, letta alla
Pontificia accademia Romana di Archeologia li 10
di Luglio del 1852, e poscia stampala con qualche
giunta negli atti dell' Accademia stessa verso la fine
del 1853, ne diede un nuovo epitafio del Cimitero
di S. Caterina con in fronte la Cristiana formola
DEPOSITIO, come segue :
DEP
PHELO
NICEN
TIXKAL
MAIAS
Ora, in sulla fine di Maggio del corrente anno
Monsignore Claudio Samuelli Vescovo di Montepul-
ciano cortesemente mi trasmise due lettere a lui
scritte da Monsignore Antonio Mazzetti Vicario ge-
nerale di Chiusi, colle quali gli dà notizia dello sco-
primento di un nuovo ambulacro di quel Cimitero,
fattosi nella scorsa primavera, che pone come il sug-
gello di autenlicilà all' origine e pertinenza Cristiana
del ridetto ipogeo Chiusino del colle di S. Caterina.
Il lodato Monsignor Mazzetti, a dì 14 di aprile
scriveva quanto segue all' illustrissimo e reverendissi-
mo Monsignor Claudio Samuelli Vescovo di Monte-
pulciano. « Avendo scoperto una nuova strada nelle
Catacombe di S. Caterina, aspettava di averla visitala
tutta per darle riscontro, nel caso che avessi trovalo
cose interessanti; ma per mala sorte questa è stala ri-
frugata fino ab antico da VandaU , supponendolo se-
polcro di Gentili; ed hanno spezzalo le tegole che co-
privano i loculi, messe sottosopra le ossa, molte dell*)
quali abbiamo trovate frammiste alla terra della stra-
23
— 162 —
da, con vani pezzi di ampolle tinte di sangue, e due
vaselli che avean servito parimente a contener san-
gue, e con una lucerna, nella quale è figurata una
colomba avente nel becco un ramuscello ed in sul
capo una Croce. V'era ancora una lapide di marmo
con questa iscrizione :
D / M
CAESIA BENEBOLA
OVE VIXIT ANNIS XLIV
ETMESESIIIIETCVMM
ARITO SVO ANNIS XX
Vili ET MESES IIIIDIES
XXI BMP PATER CON
FILIS • III IDVS MAI
AS DEP:
Lo stesso Monsignor Mazzetti, a di 30 Aprile, da-
va al lodato Monsignor Samuelli più distinto raggua-
glio della nuova scoperta, scrivendogli come segue :
« Il nuovo ambulacro, recentemente scoperto, è si-
tuato presso la porta d'ingresso, a mano destra. Esso
attualmente è lungo braccia 19, e largo 2 3/4, con
doppi sepolcri arcuati da ambe le parti, uno in fon-
do, e varii loculi sul suolo, come nel rimanente del
Ciraiterio. 1 sepolcri arcuali sono in numero di dieci
nell'interno, ed altri due erano all'esterno; il che mo-
stra essere sialo più lungo l'ambulacro; ma per es-
sersi consumalo il terreno, sono cadute le volte, e ri-
masti i sepolcri quasi allo scoperto. Dodici sono le
lucerne intere ritrovale nel dello ambulacro , tutte,
secondo il solilo, di terra cotta, la maggior parte con
la Croce decussala nel fondo ; ma in una di esse v'è
al disopra una Colomba in bassorilievo (non però di
bella forma, nò colorita), la quale tiene un ramuscello
nel becco, ed in sul capo una Croce di questa forma -{-.
In quanto all'Iscrizione, i caratteri di questa sono an-
che più belli di quelli delle altre ritrovale in detto
Cimitero, come anche la lapide è più grande di tutte
le altre ».
Oh quanto preziosa si è questa lapida , e la lucer-
na altresì ! Da prima fra le dodici Iscrizioni del Ci-
mitero di S. Caterina una sola moslravasi decisamente
Cristiana per ragion della voce DEPOSITIO ; ma crea-
vano non leggiera difficoltà le sigle D M poste in prin-
cipio di dieci di esse. Monsignor Barlolini (p. 26) ne
aggiunse altra con la formola Cristiana DEPosetJO in
principio: ed ora ne abbiamo una terza , la quale fi-
nendo colla Cristiana DEPosilio, ed avendo nel som-
mo le sigle D M, evidentemente ne dimostra, che i
primitivi Fedeli Chiusini usarono quelle sigle unica-
mente come solenne ed inveterato indizio di epigrafe
sepolcrale. In questa, novamente venuta a luce, an-
che il nome BENEBOLAE, e lo scambio stesso del
B al V, è tutto proprio degli epitafi Cristiani: e lo
stesso dicasi del CON posto per CVM. La nostra buona
Cesia Benevola , avendo vissuto anni XLIV e mesi li II,
ed avendo passati anni XXVIII, mesi IIII e giorni
XXI col marito suo , dovette disposarsi in età d' anni
XVI meno giorni XXI, ch'era l'eia media consueta delle
nozze delle antiche fanciulle Cristiane. A lei bene-
merente fu fatto il sepolcro , e appostovi l' epitafio,
dal padre e da' figliuoli , senza che siavi nominalo il
marito, che verisimilmente sarà premorto ad essa.
La lucerna poi insignita del simbolo della Colomba
tenente un ramuscello nel becco, anche per ciò solo
sarebbe evidentemente Cristiana, non essendovi forse
altro simbolo che più di frequente ricorra negli an-
tichi epitafi Cristiani, che questo della Colomba, la
quale tornò a Noè nunzia di pace dopo il Diluvio u-
niversale : ma il sacrosanto segno della Croce , so-
vrapposta al capo di lei, toglie di mezzo ogni ombra
di dubbio, sì che il contraddire più oltre sarebbe pro-
pio un volere impugnare la verità conosciuta. La detta
particolarità della Croce sovrapposta al capo della in-
nocente e pacifica Colomba forse è nuova, o almeno
assai rara ; ma pure mollo propria ed espressiva. Ne*
monumenti Cristiani antichi la Colomba ricorre qual
simbolo de' Fedeli, degli Apostoli, e di Cristo Signor
nostro altresì , e vien detta divina pacis praeco (Ter-
tullian. adv. Valent. e. 2: cf. Bottari , Roma sotlerr.
TJ, p.H7) : e la Croce posta sopra il suo capo può ri-
cordare Cristo medesimo, detto dall' Apostolo (ad Co-
loSS. I, W) PÀCIFICÀNS PER SANGUtNEU CRUCIS EWS
sive quae in terris, sive quae in caelis sunt.
La nuova iscrizione di Cesia Benevola eoa le sigle
— 163-
D M in capo, e con hEPosilio in fine, conforta l'av-
V'so del eh. cav. de Rossi, che i più anticiii Cristiani
di Chiusi , o forsi anche di tutta l' Etruria , abbiano
per qualche tempo conservata la formola D M. d'ori-
gine pagana, sia per ignoranza, sia per altra ragione,
come solenne principio d'ogni lapide funeraria {Bull,
arch. 1853, p. 50). Di lapidi Cristiane colla ridetta
formola, trovate nell'antica Etruria, egli, in quell'a-
dunanza, non seppe ricordarsi che di tre o quattro
esempi, neanche assai certi: ora quel numero cresce
di molto per le ripetute scoperte fattesi nell' ipogeo
di S. Caterina. 11 lodalo sig. cavaliere, nel maggio
dello scorso anno 1853, gentilmente mi partecipava
la seguente pregevolissima iscrizioneCristiana di Vol-
terra, tratta da una scheda, che gli pare di mano del
Lanzi, nella Vaticana, ove dicesi trovata in Volterra
l'anno 1803 nel disfare una casa.
D. M.
INGENIOSAE
QVAE VIXIT ANNIS
III • M V • DIES • XXI FI
DE • PERCEPII MESO
RVM VII • AVR • rOIlTV
NATVS • PATER FIUAE
Forse vuol dire , che la fanciullina Ingcniosa ri-
cevette il Battesimo nella tenera età di VII mesi. Del
resto, neir iscrizione di Volterra il caso retto FLO-
RIANES riscontrato col dativo FLORIANENI mostra
che cotali vezzeggiativi inflettevansi come Spes, Spe-
nis. Speni; di ciie chiara si pare anche la formazione
della voce nostra poetica sviene posta in vece di spevie^
C. Cavedoni.
— Do M» -«-
MVRTIVS VERINVS • PA
TER M VRTIE • VERINE . ET
MVRTIE FLORIANENI
FILIABVS • MALEMERENT
IBVS • CRVDELIS PATER • TIT
VLVM . ISCRIPSIT • VERINA
PERCEPII • M • X • VICXIT • AN
NOSXIIMENSESVFL
ORIANES • PERCEPII • M • XII.
fsicj VICX • IT • ANNIS Vili • M • IIIIN
NOCENTES ACCEPERVNT
• -VOPATRE OVODEDEBVERANT
B La parola percepii ( soggiunge il lodato sig. de
Rossi), non potendo qui alludere, se non erro, ai mi-
steri mitriaci, ed al taurobolio, ne' quali non v'ha,
credo, esempio che fossero iniziali gì' infanti , dovrà
essere intesa de' misteri , ossia Sacramenti Cristiani ,
nel qual senso è solenne e notissima formola » .
E tanto si conferma pel riscontro della formola
piena FIDE PERCEPII di un'iscrizione de'suburbii
di Napoli, ora nel R. Museo Borbonico (sep. col. 16),
che il eh. Rtommsen {fnscr. R.N. n. 3160cf. p. 468)
dubitava non fosse Cristiana, forse non per altra ra-
gione che deU'inlitolazìone D. M. Essa dice:
Iscrizioni in caratteri e dialetti italici.
Comprende la tavola quinla selle monumenti scritti
nei primitivi dialetti italici delia più alta importanza.
1 . Il primo, offertomi dal più volte lodalo mio amico
sig. Vincenzo Caruso, non è più intero dell'allro appar-
tenente al medesimo possessore , che già fu spiegalo
in questa nuova serie an. I p. 182. È veramente a do-
lersi che le due leggende assai incomplete non forni-
scano un dato sufBciente alla spiegazione dei basso-
rilievi che le accompagnano. Gioverà per tanto notare
il pilco frigio della novella figura, e quell' acconcia-
tura di capo che dislingue segnatamente le Veneri
della miglior arte greca. Manca però ogni ornamento
di collana , e di pendenti, il perchè io inclino a cre-
derla figura virile , non ostante la discriminatura dei
capelli, e la lor massa e l'aggrupparsi dietro alla nuca
feminilmcnte. Ma chi sarà il rappresentato? Dirò per
conghiellura che preferirei Capys ad Ali lido , o al
frigio Atti, ed al lelefo; perchè una tradizione molto
oscura accenna, per altro assai apertamente , agli a-
mori di Capys colla Luna, ossia colla Venera Frigia.
Ecco le parole : Fondere subieclo PhliJis componimus
ossa-Grata magis terrae quam tibi luna Capys (Ordii
4832). Lascio stare qui la trattazione di cosa tanto
— 164 —
dubbia , e mi rivolgo ai frammenti di leggenda , che
sono tracciali a stecca sul medesimo. Questi hanno
ancora sofferto dalla mano dell' uomo , essendo tutti
segnati da più o meno profonde sgraffiature , che ne
rendono incerta la lezione a primo colpo. Ho fatto
disegnare il tutto secondo la mia maniera di vedere,
e spero di avere indovinato. È singolare l'impiego di
un punto in luogo delia traversa, a quel che ne pare,
sulla N , trovandosi ripetuto poi nella seconda linea
nei due il*. 11 V^II8 e '1V^33 sembrano corrispon-
dere a Fesonius e Vesonius nomi gentili oschi o san-
nitici.
2. Un vasellino alto un palmo a Ggure rosse in
campo nero porta di sotto al piede in nero dipinta la
voce l-YriH, che ricorda un artista cumano in forza
del dialetto nel quale è scritta. Potrebbe del resto leg-
gersi vyir\, senza incontrar le difficoltà della trasfor-
mazione di vyii'% in t/yi'r), ed allora le si concederebbe
un senso equivalente ad vyixly.ty , come se in latino
si scrivesse Sanum, senz' altra giunta, o Felicem, o
Faustum.
3, Sebbene si conoscessero più graffiti di Campa-
nia in lingua e carattere etrusco, niuno se ne poteva
dimostrare di origine Capuana. Nel primo volume di
questa nuova serie ne diedi già alla luce uno, e m'ar-
gomentai di cavarne tutte quelle conseguenze storiche
che leggo essersi adottate dal eh. sig. Raoul-Rochette
nella recente sua opera sugli scavi di Capua (Notice
«ur les fouilles de Capoue p. 53, 54: cf. il mio arti-
colo BuU.Arch.Nap. an.I p.84,87). Ad onta di tutte
le mie posteriori ricerche io non conosco altro graf-
fito etrusco di Capua antica ; e sarebbe il presente
assai più pregevole , se potesse dimostrarsi sicuramen-
te capuano : ma il venditore si è costantemente rifiu-
tato a dichiararne la provenienza. Dalle circostanze
per altro si può fondatamente sospettare che appar-
tenga a Cuma, e però a Capua etrusca che la domi-
nava, essendo apparso in vendita nel tempo appunto
che si eseguivano gli scavi nella necropoli di Cuma.
Taluno si maraviglierà che io non abbia qui ricor-
data la iscrizione che il sig. Raoul-Rochette ha re-
centemente pubblicata, a p. 70, capuana ancoressa,
ed etrusca, secondo il dotto editore, che si esprime io
questo luogo cosi: « Mais l' acteur de notre terre cuite
» doit élre plutòt reconnu pour étrusque que pojir
» osque , d' après les lettres étrusques , qui soni tra»
» cées sur la base où il est assis , e que je reproduis
» ici fidèlement sous la forme et dans la disposition qu'
» elles présentent » : VNE/
Ma cesserà la maraviglia quando si consideri che
la iscrizione dell'illustre archeologo è invece tutta
greca, e non dice altro se non, ciò che assai bene ha
compreso il sig. Raoul-Rochette, quell'uomo o Sileno
che sia t^/7 aì^o/w as fxaXacrffsiK* vvit l'ipXa, od l'SXa,
di che ci lascia in dubbio il calco , ma senza danno
del senso : avendo scritto nel suo lessico Fozio l'(pX(x ,
ri fSXoc, IjaaXaffcrs (cf. Suid. s. v. àva^Xatrxo/* àvo-
^\'Xy fXsyoy TÒ fxoiXoimiv rò aì^oTov ). Il metaforico
senso di uns od vyyts è usurpato da Lucrezio , ed al-
cun che di analogo trovano i dotti nell' uso del verbo
àpùw presso Sofocle in Oedip. In conseguenza di che
quella oscenità resta tutta a carico dei Greci, e sene
debbono assolvere questa volta gli Oschi, e gli Etruschi.
La novella leggenda è in possesso del gentilissimo
mio amico signor cav. Carlo Bonichi , dalla benevo-
lenza del quale mi fu concesso di farne la pubbli-
cazione. Non presenta veruna difficollà di senso ,
essendo ben chiaro che 3IRA)i^ 3;>aaWAm \W sia:
Ego sum Mamercus Asclaeus. Il Mamercus vi è im-
piegato come prenome , e dà luce al 3^(13RI-H dell'
altra tazza, che io interpretai Marcus. In questo però
non v' ha dubbio che la voce non sia Mamercus , e
qui ci porta naturalmente ad una deduzione di grande
importanza. È noto che Mamercus era prenome osco
o sannitico : lo attestano gli antichi grammatici , e lo
confermano le scoperte dei nostri tempi. Fra tanta
selva di nomi che sinora ci han dato le tombe etru-
sche mai è che siasi veduto un Mamercus. Ma l' al-
fabeto è certamente etrusco. Il nome gentile Asclaius
ha grande analogia con Ascia od Asclas forma accor-
ciata dal greco Asclepiodorus. Prima di passare ad al-
tro argomento voglio dar luogo ad una pregevolissi-
ma testimonianza di Pesto, che nel tempo medesimo
conferma le origini etrusche di Capua , e dà validis-
simo coaforto alla opinione di già da me emessa neil'
— 165 —
altro articolo sovraci(a(o (an.Ip.8S), ove credetti dal-
l'cnalogia del nome gli Etruschi di Capua essere una
colonia venuta appunto dalla Capua o Capena di E-
truria. I Romani difaltì chiamarono porta Capena
quella che conduceva sulla via di Capua : onde sem-
bra che Capena sia un derivato addiettivo siccome
Suessa e Suessanum , Cales e Calenum, ed altri somi-
glianti. La testimonianza, di che parlo , è a p. 343
del Pesto di Mùller : Stellatina tribus dieta non a
campo eo, qui in Campania est, sed eo qui prope ab-
est ab urbe Capena, ex quo Tusci profecli SleWalinum
ìllum campum appellaverunt. Secondo questa tradi-
zione , Capena Etrusca avrebbe avuto il suo campo
Stellate, e gli Etrusci di Capena colonizzati sul Vol-
turno avrebbero dato il nome medesimo alla nuova
città Capii ed al campo vicino , costume ben cono-
sciuto siccome proprio specialmente delle tribù itali-
che per altri esempi. Dopo le memorie del eh. sig.
Raoul-Rochette sono ancora il primo a giovarmi e a
produrre questo luogo veramente classico che servirà
perù di compenso alla omissione di che il prelodato
sig. R. R. mi condanna a p. 43, che nel riferire agli
Etruschi il singolarissimo sepolcro capuano da me
pubblicato (bull. nap. an. I p. 129, 130), non abbia
pensato di riportarlo ad un'origine asiatica. Io per
altro non poteva citare gli unici monumenti di Ninive
allegati qui dal sig. Raoul-Rochetle dall'opera del sig.
Layard, Nineveh t. II, pi. 114 , che non si era sino
allora veduta in Napoli. Procedo ora ai tre franamenti
sannitici.
N. 4, 5, 6, leggesi il primo
IH I
• • • ^HOR • • •
• • • TNOYO-
È agevole supplire l' ultima voce ^HTTRSVOTI , e
però d' intendere che la lapide riguarda un monu-
mento approvato dal magistrato municipale. Non è
qui opportuno di entrare nella discussione intorno alla
sannitica comune, alla quale apparteneva questo luo-
go ; ma non posso omettere di notare che questo ter-
ritorio al presente di Barrea , paese posto sulla riva
del Sangro fra Atina e Castel di Sangro (nomino le
città più note), non è molto lontano dalla valle di
Cornino : altrove tratterò questo soggetto ampiamente.
Rimontando in su occorre A^^33n con non ordina-
ria ridondanza di lettere : se fosse lecito allegherei al
confronto il mV.\T^3n di Pietrabbondante , colla-
zionato da me sulla pietra originale. Dirò a tal pro-
posito, che convengo pienamente col sig. Mommsen
nella lettura , ma vorrei che questa voce significasse
r edifizio fatto costruire , invece di riputarlo nomo
accorciato di persona. A mio avviso le due lapidi
sono due porzioni di una medesima leggenda , che
formava il zoforo del frontone , e doveva presso a
poco essere disposto cosi :
mRVlVl+iV.\T^3n?l| IR (qui forse altro nome di magistrato)|(lRA)IA-^IITRR"n?A
Cioè L. Statius L. f.
Clarus .... Aediles
Pestlom faciundum curaverunt.
Il vocabolo della linea superiore può supplirsi , se
non erro, ^l-30R^. Non tento però gli altri due fram-
menti , che son troppo frusti (1) : in compenso pro-
durrò qui emendata la pompeiana della quale il Momm-
sen diede la lezione che ne ebbe d' altrui mano e ca-
(1) Non si omeua intanto di aggiugnere quest'altro esempio del-
l' P a quei clie ho addotto illuslraodo la moueta degli Auruaci
Aa. I. pag 65.
pacilà (Bull. Nap. V, 45). É assai prezioso monu»
mento così restituito alla sua integrità col frammento
che è tuttavia nei magazzini del R. Museo (1).
a \my-R3[)i
^K3H i)iRaRnm[iaT
5B88 RHRmRR-HI^H[RT
Maius Purius (Farina) Mai fdius quaestor, Tritn-
(1) Si tralasciano i nessi non potendo riprodursi colla slampa.
L' autore ignora che il fiammeuto si è liunilo al pezzo più grande.—
L Eclitore,
^ 166 —
paracinii dea-e(o , saepsil. Così vedesi resliluito alla
lingua osca il vero nome del Trimparacinius , che io
sospettai essere quello della tribù, presso la quale ri-
sedeva la votazione in questo mese nel quale fu de-
cretato il lavoro qui indicato.
N. 7. La chiesa dedicata a S. Pelino in Pentima
(Corfinium) è un tesoro per le molte iscrizioni e fram-
menti di esse adoperati a costruirne le pareti. Molti
hanno copiato le più conservate, e le più visibili, ta-
luno ha scoperto ancora delle sepellite per metà, ma
la presente tuttoché chiara , e collocala in un can-
tone , non era stala veduta da veruno. È intanto per
luio avviso di un' importanza solenne, rivelandoci l'uso
dell' alfabeto Sabino ( così è chiamato ) tra i Peligni,
e nella capitale medesima di questo popolo , in Cor~
finium. Io mi gioverò di questa scoperta per mani-
festare il mio sentimento intorno all' altro alfabeto
detto Sannitico. Alcuni dei dotti più recenti, che sti-
mo abbiano esaminato gli alfabeti italici con cogni-
2Ìone di causa , tengono « che l' alfabeto Sannitico
derivi dagli Etrusei Tirreni per mezzo degli Umbri »:
in questo senso se non erro hanno scritto i sigg. Au-
frecht e Kirchoff, l'opera dei quali non ho qui alla
mano. Io cercai indarno monumenti di carattere san-
nitico al Nord del Sangro ; né altri ne ha finora pro-
dotto prima di me.
É poi indubitato , che , se l' alfabeto sannitico a-
vesse avuto la sua sorgente fra gli Umbri , se ne a-
vrebbero delle tracce su tutto il passaggio delle tribù
di questo ceppo, f monumenti di carattere sannitico
hanno per confine Barrea , Nocera Alfaterna e Pen-
naluce. La sola parte della regione Frentana , che è
compresa fra il Biferno e'I Sangro, si serve di questo
carattere, il Larinate scrive il suo sannitico in carat-
tere latino. Quando l'impero dei Sanniti fu costituito,
essi communicavano con l'Adriatico per mezzo dell a
regione Frentana testé descritta , e che faceva però
parte interessante del loro dominio: è in questo senso,
che Strabone ha detto i Frentani di razza sannitica :
ciò che in un senso più largo sarebbe evidentemente
falso. Non prima di questa epoca si può essere adot-
tato il carattere , che si ristringe appunto fra questi
termini territoriali, lasciando ancora il larinate difuorl.
Adunque il loro alfabeto dovrà derivarsi da quel luo- *
go appunto, nel quale essi lo trovarono in uso, da^a
Capua etrusca. Se ora si paragonino i monumenti e-
trusci della Campania coli' alfabeto che sogliamo dire
Osco e Sannitico, non può negarsi nel quasi corsivo
di quelli una naturai disposizione ad essere modelli
del nuovo quadrato. Io ho già fatto questo confronto,
e mi par assai chiaro ; lascio che altri se ne convinca
a propria esperienza.
Neil' alfabeto che si vuol denominare sabino, 1' 0
è in pieno uso, mentre manca nell'osco, nel sannitico,
e ncir Umbro, siccome derivati dall' Etrusco , che noa
lo ammette. Intanto Io ha al pari del Volsco , del La-
tino , del Rutulo , il Vestine , il Peligno ( in monu-
mento unico finora, e di mia proprietà), il Marso,il
Marruccino, ed il Frentano Larinate, che sono tribù
sabine non meno dei Sanniti, e degli Oschi. Né man-
cava al dialetto sannitico il suono della 0, se furonq
costretti a servirsi di un V per indicarlo.
11 nuovo monumento del carattere detto Sabino
scoperto in uso tra i Peligni ci rivela, che era l'alfa-
beto in uso delle popolazioni comprese fra il Tronto
e'I Sangro prima che fosse invalso il Latino recatoci
dalla dominazione o dal commercio dei Romani. Que-
sti popoli lo impararono sicuramente dai Greci, enei
tempi in che si usava la scrittura serpeggiante , alla
maniera che osservarono di poi i popoli settentrio-
nali nei loro monumenti runici. I Sanniti invece ri-
tennero di scrivere da destra a sinistra coli' uso degli
Etrusei (altra caratteristica di derivazione). Col tempo
assegnato alla origine dell'alfabeto Italico usato al Nord
dei Frentani, concorda benissimo ancor la forma delle
lettere , e della ortografia , e dei segni grammatici.
Queste idee , che io communico così in succinto ai
dotti , sono credo sufficienti a dichiarare la mia sen-
tenza, e le ragioni che ho di sostenerla. Attenderò di
conoscere come saranno ricevute.
Sulla voce 05 l-^O che ne ha dato l'occasione,
non occorre insistere : il senso ne è a me ignoto come
forse lo sarà ad altri. Conviene intanto avvertire che
ella è scolpila su di una pietra calcarea, la quale aveva
la forma di piramide tronca , siccome si dimostra da
un dei lati che conserva l'antica figura. L'altro lato
— 167 —
fu messo in appiombo quando si volle collocare la
pietra al caDlooe ove ora sia.
P. R. Garrucci.
Giunta all' articolo precedente.
Avendo fatte alcune osservazioni sopra diversi mo-
numenti della nostra tav. V illustrati dal eh. Garruc-
ci , crediamo opportuno di comunicarli qui breve-
mente.
I. Avemmo occasione di studiare questo monu-
mento, e ne ricavammo anche noi la lezione ritenuta
nella tavola. Traendo argomento poi dall'altra simile
colonnetta di terracotta pubblicata nel 1" anno del
BuUettino tav. XIII n. 2, parmi che dovremmo an-
che qui vedere effigiala una divinità , e questa me-
desima rammemorata nella iscrizione. Intanto nella
terracotta precedentemente pubblicata a me pareva di
ravvisare una protome galeala , ed essere quella di
Minerva. Né mi parrebbe strano che questa dea si
appellasse lovia , come quella che per le greche Ira-
dizioni, tanto divulgate in tutta l'Italia, era uscila dal
cervello stesso di Giove. Tornando all' ultimo monu-
mento, io vado in esso rinfracciando le forme ed il
nome di una divinità: e la ritrovo in fatti nell'ultimo
•••y^3ì della epigrafe , ove riconosco la Feronia ri-
nomatissima, la quale, secondo Dionisio, era assimi-
lata a Proserpina e quindi ad una lunare divinila (lib.
III cap.32). Non può dunque il pileo disconvenire alla
Feronia dopo la premessa osservazione. E qui avverto
che parlicolarmenle questa divinila poteva essere in
Gapua venerata, s'egli è probabile che gli Etruschi di
Capua provennero dalla Capua o Capena di Elruria ;
mentre sappiamo che appunto nell'agro Capenale eravi
uno de boschi di Feronia ( Virgil. Aen.. VII , 800 ;
Liv. XXVII, 4.). Or questa menzione della Fcro~
nia nel territorio Capuano fa bel riscontro a quella
opinione del eh. Garrucci. Del resto è nolo che Fe-
ronia era una divinità de' Sabini, da' quali l'ebbero i
Romani ( Varr. L. L. Y , 10): e che ne' monumenti
in dialetto Marrucino viene appellala Vesuna. Forse i
Sabini slessi la presero dagli Etruschi. ( Vedi Miillcr
Etrusk. 1 , 302 ; II , Go scgg. Klausen Acneas nnd
die Penaien II , 1 149 scgg. cf. Gerhard prodrom. p.
100 seg. , ed uber. die Gollheil. der Etrusk. a. 72 e
78; Mommscn negh annali deli hiiiuto 1840 pag.
98 seg; e unterital. Diakk. pag. 3;il e seg.). lu qua-
lunque modo possiamo riputarci fortunali di aver co-
nosciute le forme della Feronia, almeno come si ve-
nerava in Capua : il che senza la nostra terracotta ci
sarebbe ignolo. Nelle medaglie della Petronia vedia-
mo un'altra forma di questa divinità (veggansi le cose
notale dal Cavedoni append. al sagcjio not. 167, e dal
Borghesi osserv. numism. XIII, .^j); ma da ciò non si
dimostra che non fosse altrimenti rappresentata da po-
polazioni ed in epoche diverse. Del resto il ;)«7eodelU
nostra Feronia ci ricorda che era essa presso i Ro-
mani la dea de' liberti, i quali nel suo tempio raso ca-
pile pileum liherlalis accipiebant (Serv. ad Virg. Aen.
Vili, 564). Nelle due hnee che precedono la voce
della divinità sono forse i nomi di più dedicanti : e
forse si volle con una diversa ortografia distinguere il
nome di Feronio o Fcsonio da quello della dea Vesu-
na, a cui si faceva la offerta.
2. In confronto di questa voce YriA Salus parmi
doversi richiamare 1' altra patera sotto il cui piede
vedesi graffito il penlalfa pitagorico; della quale veg-
gasi quel che ho dello nell'antica serie del hulkllino
an. V p. 22.
3. Nella leggenda Mi Mamerce Asciale non vorrei
intendere siim Mamercus Asclaeus; ma piuttosto 5wm
Mamerco Asclaeo. Questa formola è comune presso gli
Etruschi (Lanzi toni. II p. 320 sec. ediz. ; Mommsen
unterit. Dialck. png. 18), e presso gU altri popoli an-
tichi (vedi Raoul-Rochetle Icttr. à M. Schorn 2 ediz.
p. 65 e seg. cf. Minervini mon. incd. di Barone fa^.
57); per modo che non può scambiarsi con altra.
Solo avvertiamo esser frequente al genitivo; ma non
è al certo strana col dativo. Ed è appunto il terzo
caso che noi riconosciamo nel Maìnerce Asciale piallo»
sto che il primo, il quale non sembraci troppo bene
adattato alla natura del monumento. Sulla provenienza
del quale possiamo asserire di aver preso sicure inda-
gini , e di aver rilevato che appartiene al territorio di
^168 -
S. Maria , e per conseguenza all' antica Capila (Vedi
sopra pag. 110). Ci piace ora di aggiungere che le
due terrecolle della dea lovia e della Feronia , non
che la patera di Mamerco sono state acquistate pel
real M. Borbonico; ove possiamo ben dire trovarsi col-
locali i più preziosi monumenti del Sannitico dialetto.
6. Mollo interessante ci sembra questo frammento,
nel quale io leggo ^IIBRHH cioè Maciis, essendo mes-
so fuor di dubbio l'uso del B per >i dalle osservazio-
ni del eh. Garrucci (vedi questo buUeltino. an. I. p.
43 e iscriz. osca pomp. pag. 6,7). Non sappiamo poi
perchè questo nostro dotto amico non abbia colla
nuova iscrizione paragonata la moneta da lui attri-
buita agli Aurunci , ove riconobbe il nome di magi-
strato Maccius ^IDDlRRm (cf. an. I pag. 65 tav. IV.
n. 4). 11 nome Macius del nostro frammento ci sem-
bra un bel confronto al Maccius delle monete ; non
altrimenti che Pacìus è lo stesso nome di Paccius
( Mommsen unler. Dialekten p. 284 ). Siamo poi au-
torizzati a ritener per intera la voce Maciis dal consi-
derare che non conosciamo finora nell'osco linguaggio
alcuna parola, a cui convenir possa quel finimento.
MlNEKVINI.
Iscrizione grafia sotto il piede di un vaso.
Sotto il piede di un piccolo vasellino a due mani-
chi, tutto di nero, posseduto dal sig. Raffaele Barone,
leggemmo graffila la seguente iscrizione
che sia uno sbaglio in luogo di xoC^ix. Cosi trovia-
mo rVAA invece di TVAAA ( de Wilte calai. Mar
gnonc. 35), ed TPIAS per TAPIAS presso il Le-
Ironne. Non saprei se il P che precede dinoti il nu-
mero de' vasi, ed il AH il valore in dramme , come
occorre in altri esempli ; e come sembra doversi in-
terpretare il PEAPoI • AAA riportato nell' antica
serie del buUetlino napolitano ( an. II tav. I, b cf. p.
23 ) ; cioè 5 elpi 30 dramme : e come si rinviene al-
tresì A KTAQEA (de VV^itte cai. Beugnot. 22), ed in
un vaso di Monaco IH AHRV ; come riporta il mio
chiarissimo amico sig. prof. Jahn (1) in un suo ulti-
mo dotto lavoro [iiber cine Vasenbild, welches ein
Topferei vorstelU ne' Berichte des Kon. Sàchs. Gesell-
sch. der Wissenschaf. 1854 p. 27 e seg.). Trovasi in
questo scritto un catalogo delle iscrizioni relative ai
nomi de' vasi o a' loro prezzi che veggonsi in simil
modo graffite ( pag. 37 , 38 ). Ma debbo notare che
se ne omettono alcune da me riportate nell'antica se-
rie del buUeltino ( an. V, pag. 22 ) , fralle quali vi è
pure la più interessante, ove ricordansi la MEFAAAI
UOAoi.Yi7rrr\pis , come venne da noi interpretato. Il
segno che si frappone fra il numero Ali e l'altro se-
guente AAA, sembra messo per dinotare altri vasi, o
indizio di altra somma (sopra altri segni di distinzione
in simili graffiti vedi ciò che ho dello nell' an/tca serie
del buUeltino an. Ili pag. 72). Intanto, se ravvisiamo
nella prima indicazione PKAAIA AH che cinque ca-
dii valessero dodici dramme , sarebbe da ricordare il
luogo di Aristofane {Pace 1201), ove un xo^osè va-
lutato per tre dramme, cioè per un prezzo poco dis-
simile da quello additalo nel nostro graffito.
PKAAPA AII^^AAA
È chiaro doversi riconoscere il nome di un dato nu-
mero di vasi , che qui si chiamano xctSpa : ma pare
MlNERVINI.
(1) Vogliamo con piacere annunziare che questo illustre archeo-
logo darà fuori tra breve il desideratissimo catalogo de' vasi del
real museo di Monaco; compiendosi cosi una mia antica brama
{ vedi vasi di Jatta , parte 1. pag. 95 ) per opera di un dotto e
diligentissimo scrittore, che nulla lascerà a desiderare.
GioLio MlNERVINI — Editore.
Tipografia di Giuseppe Càtìhso
BUllETTIÌVO Ar.CnEOLOGICO MPOIITAKO.
NUOVA SERIE
N." 48. (24. dcir anno II.)
Giugno 1854.
Monumenti di Canosa. Vaso di Dario. Altro col mito di Perseo e di Andromeda. Oggetti di oro. Simulati
monete. — Di alcune monete di Napoli. — Giunone Antheia. — Iscrizioni latine.
Monumenti di Canosa-Vaso dì Dario-Altro col mito
di Perseo e di Andromeda.-Oggetti di oro. -Simu-
late monete.
Noi parlammo di sopra del magnifico vaso di Ca-
nosa , che sostenemmo esser IraKoda' Persiani di E-
schilo; e ne preseulammo la descrizione sopra altrui
relazione , senza che avessimo ancora veduto quel
classico monumento. Ora però che questo pezzo pre-
zioso , insieme con non pochi allri vasi e monumen-
ti di diverso genere della medesima provenienza , è
venuto ad accrescere ornamento al real museo Bor-
bonico , mi è stato conceduto di farne l'esame: e mi
affretto a rettificare in alcuni punii la descrizione
datane precedentemente (pag. 129. segg. ). Nel di-
pinto della faccia men principale fralle divinità ajuta-
Irici di Bellerofonte vedesi pure Apollo e Pane. Molti
compagni assistono l'eroe nella sua pugna contro la
Chimera , come in altri monumenti , e segnatamente
in un vasculario dipinlo pubblicato fra' monumenti ine-
diti dell' Istituto (ioni. II. (av. L. vedi annali 1837
pag. 242 , e seg.) , che mollo si accosta a quello del
Canosino vaso. In questi compagni in asiatico vesti-
mento noi riconosciamo i Solirai già debellati da Bel-
lerofonte, i quali assistono il loro vincitore in una po-
steriore impresa. E questa è appunto la opinione svi-
luppata dal mio chiarissimo collega signor Teodoro
Avellino in una dotta memoria sul mito di Bellero-
fonte in rapporto colla Chimera, da lui letta alla reale
Accademia Ercolanese , e parie di una monografia
sul mito di quell'eroe, a cui sta lavorando.
la quanto all'altra più nobile faccia del vaso di
Canosa , è indubitato che sul collo è una complicata
battaglia di Greci ed Amazzoni, e non già di Persiani:
ÀJS.yo II.
come si addita con sicurezza dal femminino sesso de-
gli Asiatici combattenti. La principale rappresentanza
offre nell'ordine superiore un idolo muliebre di bian-
co con orecchini, collana, e corona radiala, il quale
termina inferiormente a guisa di erma. Innanzi è una
bianca ara ; e sopra questa siede l' Asia tenendo con
una mano lo scettro, mentre tira colla destra 1' am-
peconio presso l'omero corrispondente: e non disten-
de affatto il braccio verso l'alato demone che le sta
innanzi. Questo, che per noi altro esser non può che
YApale, giacché lo spazio che resta dopo l'AIIA" non
può contenere più di due o tre lettere, ha in vece di
clamide una pelle di fiera , che si annoda sul petto :
esso sta in piedi senza alcun movimento, e sottrae ambe
le faci dngli sguardi dell'Asia. Sotto la figura di Pallade
è al suolo aggruppato l'arco ed il turcasso. Presso di
Giove è un' alata Vittoria di piccole dimensioni , la
quale addita al padre degli dei la Grecia, a cui è de-
stinato il trionfo. La figura innanzi descritta come una
Venere col cigno , è senza dubbio virile; e dee ripu-
tarsi un Apollo simboleggiato non solo da! suo solito
augello , ma benanche dall' arco e dal turcasso , che
gli sono a' piedi. La cacciatrice Diana siede sopra un
cervo di proporzionata grandezza, e vicino a lei è un
cane nell" atto di fiutare al suolo.
In quanto all'ordine medio di figure , due de' Sa-
trapi hanno una semplice clamide: due offrono il capo
ricoperto da tiara , ed un solo è privo di questo or-
namento. Un solo personaggio distante dal re dei
Persiani ha come questo lo scettro, mentre gli altri
consiglieri non hanno che semplici bastoni. Una figura
fu totalmente omessa nella prima descrizione : ed è
quella di un vecchio con bianca barba, tunica mani-
cata , e mantello il quale si china poggiandosi al ri-
24
— 170
curvo bastone : ed è notevole che questa figura non
prende parie al consiglio , ma stende il braccio verso
lo scellralo personaggio, il quale è in volto assai me-
sto e dolente. Lo stesso dee dirsi del personaggio
messo sopra una base, il quale ha pure la tunica ma-
nicata , il mantello ed il bastone ricurvo , non che
lunghi calzari. Ed è particolarmente da avvertire, che
vcggendosi la base inferiore alla estremità del regio
trono , evidente ci sembra per le leggi delia prospet-
tiva , che questa figura atteggiata ad animato discor-
so, non favelli col re, né co' personaggi che gli fanno
corona, a' quali tutti volge invece le spalle.
Finalmente nel terzo ed inferiore ordine di figure
pare che tutti i tributari! sieno di femminili forme.
Tre si mostrano in ginocchio in vari^'-^ attitudini di
preghiera e di desolazione. Efifettivamente la grande
ampiezza del sacco conferma il nostro sospetto , che
volle indicarsi un recipiente di frumento e non di da-
naro : il che pare dimostrato anche dalla circostanza
che r esattore sta già numerando il riscosso tributo ,
mentre gli si reca una novella offerta diversa da quella,
di cui si sta occupando , veggendosi il sacco ancora
chiuso e legalo. È pur da avvertire che l'esattore ha
una semplice clamide, e non è fregiato di altri orna-
menti. Osservando attentamente il dittico si vede che
le due iscrizioni che vi sono segnate TA : H
TAAN
non fanno tra loro continuazione ; e forse esprimono
due diverse indicazioni di tributi, definiti amendue a
talenti TAXAvra. H , e TAXavra N : non essendo i
due punti ed il ^ che meri segni di distinzione.
Posso sin da ora asserire che l' esame del monu-
mento originale non ha fatto che confermarmi nella
mia primitiva idea, che cioè si trattasse di un soggetto
ricavato dalla tragedia di Eschilo. Mi restano a dare
alcune nuove dilucidazioni, ed in particolare sulle fi-
gure , delle quali ignorava la esistenza prima di ve-
dere il monumento : e lo farò in una seconda memo-
ria , che ho preparata per la reale Accademia Erco-
lanese, e della quale darò notizia in questi fogli. In-
tinto mi fo un dovere di avvertire che il eh. Comm.
Quaranta fin da' principi! di questo mese, appena ve-
duto il vaso, ha già rettificato nell'Accademia Erco-
lanese gli errori originali dalla descrizione ricevuta-
ne, ed ha modificato la sua spiegazione. Dopo quella
ispezione è per lui indubitalo che nel collo della
faccia principale sia dipinta una pugna di Greci e di
Amazzoni, siccome ugualmente che sotto il collo sia
a lato di Giove una Vittoria , e la figura che parla
con Diana non una Venere ma un Apollo. Nel se-
condo ordine poi vede un Dario in mezzo ai suoi
consiglieri, tutti seduti semicircolarmente, ed in mez-
zo , e propriamente innanzi a Dario , un plinto in
cui resta ancora del color giallo, con sopravi un uo-
mo stante , che pel pileo che ha in testa diverso dalle
tiare di tutti gli altri , e pel bastone al disopra ricurvo
il Com. Quaranta crede certamente un greco. « Ora
» (osserva il Quaranta) se per la spada che tien Dario in
» mano e per la figura anguicrinita della Guerra con-
» dotta al disopra è evidente che Dario ascolti uncou-
» siglio di guerra, e se fu legge dei Persiani, al diredi
» Eliano, che chi era chiamato a dar consigli al re, ciò
» facesse stando sopra un plinto d'oro ; è evidente che
» l'uomo che qui sta sul plinto, ancorgiallo in parte, sia
» Cariderao. Poiché egli è il solo Greco ricordato dalla
» storia per aver dato un consiglio di guerra ad un
» Dario , e questi non fu che Dario Codomano , di
» cui nel vaso riconosco la somiglianza col Dario da
» me scoperto nel musaico pompejano. E nel vero
» rifuggitosi Caridemo alla corte di quel monarca
» per sottrarsi all'ira di Alessandro, suggerì a Dario di
» affidare a lui il comando dell'esercito persiano contro
» il macedone. Ma Ocsalre, l'altro persiano sceltrato,
» che tra consiglieri accenna con la mano a Dario suo
» fratello , avendo gridato che Caridemo si offriva
» capitano per tradirlo ai Greci ; Caridemo se ne adirò
» fino al punto di svillaneggiare i Persiani e lo slesso
» re il quale perciò gli tolse la vita. Però veggiamo
» qui Caridemo, il quale accusalo d'infame delitto men-
» tre sul plinto dava al re un salutare consiglio, alza
» verso di lui ingiuriosamente la destra, e con occhi
» biechi, e colla faccia anche verso lui diretta, vólgegli
» con disprezzo le spalle per discender dal plinto ».
Le ragioni di questa spiegazione sono esposte in cin-
que memorie già lette alla r. Acc. Ercol., che saranno
seguile ben presto da altre. In esse propone pure l'a.
di supplir l'AITA colle voci AlIApx*) o AIIApcr/f.
Noi con vogliamo entrare in una polemica , che
— 171
senza la pubblicazione del monumento sarebbe inu-
tile ed inopporluna ; e rimandiamo qualunque osscr-
iazione all'epoca in cui vedrà la luce la noslra illu-
strazione , accompagnata dalle tavole : il che seguirà
negli alti della suddetta reale Accademia Ercolanese.
Non pochi alili monumenti facevano compagnia al
classico vaso di Dario, e questi sono stati egualmente
collocati nel real museo Borbonico. Debbo però ri-
chiamare particolarmente l'attenzione sopra l'altro
bellissimo vaso , relativo a Perseo ed Andromeda ,
del quale accennammo di sopra , e che merita senza
dubbio che se ne dia una distinta descrizione.
La forma di questo importante vaso è quella del-
la volgarmente ad incensiere con due laterali mani-
chi variamente serpeggianti , e fregiati di meandro
ad onda. Gli ornati del collo sono da una delle facce
ovoli, ornamento a squame, meandro quadralo, radii
discendenti di rosso in campo nero, baccellature dipin-
te sino al cominciar della pancia , ov' è una linea Ji
fiori, con piccole bacche che vi si frappongono; dall'
altra faccia, ovoli, ornamento a squame con varietà di
colori , di bianco , di nero, di rosso e di giallo , una
linea di fiorellini, radii discendenti di bianco in campo
nero, e finalmente testa femminile di bianco, che sor-
ge dal simbolico fiore con laterali ramificazioni: e tutto
è limitato nella parte inferiore da una linea di palmette.
Da questa faccia, ov' è sul collo la protome muliebre,
e che dee riputarsi la principale, vedesi la rappresen-
tanza seguente.
È nel mezzo una donzella nobilmente abbigliata
con larga stefane, tunica , mantello , ed altri femmi-
nili ornamenti, la quale poggia sopra uno sgabello,
ed ha ambe le braccia inchiodate a due alberi privi
di rami, mercè due piastre fissate su' tronchi : al suolo
è uno specchio. Alla destra è una femminile figura in
avanzata età, in barbarico vestimento, con rossa mitra,
ornala tunica e mantello, la quale mesta si china al-
quanto in avanti lenendo colla destra un bianco ba-
stone ricurvo. Segue un giovine con bianca tiara , a-
nassirìdi , e succinta tunica , il quale oppresso dalla
tristezza rivolge quasi gli sguardi. Vedi finalmente un'
ultima figura femminile, con lunghi capelli pendenli
sulle spalle , che nasconde entro il suo mantello la
faccia. Sono in alto sospese nel campo una cassetta ,
un balsamario, uno specchio, ed una sfera. Dall'altro
lato della legala giovine sono due meste donzello: una
siede sopra un'idria rovesciata, appoggiando al dorso
della destra la faccia, mostrando il c'aj)© in parte ri-
coperto dal suo mantello; l' altra con eorti capelli si
avanza lenendo con ambe le mani un'ombrella: in
allo è pure una sfera. Questa rappresentazione è li-
mitata dalle palmette che sono effigiate sotto i mani-
chi del vaso ; ed inferiormente scorgesi in giro una
fascia di marine produzioni , che si estende per tutta
la circonferenza del vaso: mirasi in questa effigiato un
aslacus, una conchiglia bivalve, una conchiglia tur-
binata , un delfino , una razza o rpuyùjy , altri due
pesci ed una seppia. Più sotto è un' altra linea di fi-
gure, che occupa egualmente tutto il giro del vaso ,
e che si collega col soggetto innanzi descritto.
Vedesi Perseo con rossa galea alala, sulla cui parte
anteriore è la bianca testa della Gorgone: l'eroe ha
la clamide e gli alati calzari , e stringe colla destra
l'harpe, di cui pende il fodero al fianco. Egli è alle
prese col fiero mostro, che ha già ferito in più parti,
onde sgorgar si vede il sangue , mentre l' avversario
cerca di addentarlo , circondandolo colle sue spire.
In alto vola un alalo Amorino , nell' atto d' imporgli
una corona: presso al mostro è un pesce ed una con-
chiglia. Intorno sono varie Nereidi , delle quali dia-
mo la descrizione cominciando a destra. La prima
.siede sopra un ippocampo rivolto a destra, e volgesi
a guardar la pugna, facendosi solecchio. La seconda
poggiata ad una enorme seppia guarda pure stenden-
do il braccio verso il gruppo di Perseo e del mostro:
sotto è un gambero, in allo cuna colomba , che vola
recando una tenia. La terza Nereide siede in tranquil-
la posizione sopra un marino mostro poco dissimile
da quello che combatte: e presenta la notevole par-
ticolarità che uno de' piedi è coverto da bianco cal-
zare, l'altro è nudo ; mentre vedesi galleggiar traile
acque l'altro calzare uscito dal di lei piede : sotto è
una conchiglia, in alto è un astro. La quarta Ninfa
dell' Oceano va pure a destra sopra una grandissima
seppia, tenendo la sfera: innanzi sono una seppia, ed
altra marina produzione. La quinta finalmente siede
— 172 —
«opra un delfiuo, e stoiiJe verso dì Perseo la mano.
Dal Ilio opposto a (niello ov'è la giovine legata ,
è nell'ordine superiore una baccbica scena , limitata
pure dalle palmelte che sono sotto i manichi del vaso.
Il giovine Dioniso diademato siede sulla sua cla-
mide con tirso e patera, da cui pende una tenia. In-
dietro è una Baccante con tirso, che gli offre una co-
rona; ed un Satiro diademato con tirso e secchia. In-
nanzi è Amore alato che gli presenta pure un serto ;
ed una donna con tirso e timpano vestita di lunga tu-
nica orlala e manicata, e col capo coperto dal cecrifalo.
Iq una memoria da me let(a alla reale Accademia
Ercolanese ho presentala la illustrazione di questo
vaso, dichiarando le varie particolarità della rappre-
sentanza , ed istituendo gli opportuni confronti coi
monumenti e colle tradizioni. Neil' ordine superiore
ho riconosciuto la madre di Andromeda Cassiopea ,
che si avvicina in grave mestizia alla figlia prossima
ad esser vittima del fatai mostro. Ella si appressa te-
nendo il bastone , dato altre volte a femminili figu-
re (1). Dietro a lei è Fineo lo sposo di Andromeda
addolorato per la perdita della sua sposa ; o temen-
done unicamente la morte, ovvero in aspettativa del-
l' impresa di Perseo, il cui buon risultamento avrebbe
a lui rapito il maritaggio di Andromeda, ch'egli non
aveva sapulo difendere.
11 dolore , in cui si veggono immerse tutte le fi-
gure che circondano la infelice donzella, ricorda che
la città ove accadde quel fatto , fu denominala &prj-
yiA/^rx, come narra l'anonimo scrittore delle antichità
Costantinopolitane , il quale riferisce il fatto ad Ico-
nio (Banduri tmper. orient. Ioni. I. pag. 103, vedi
anliq. costaìilin. 302-303). Senza riportare altre os-
servazioni , che saranno pubblicale alla stampa della
mia memoria , noterò che mi è sembrala una inte-
ressante particolarità la scarpa caduta alla Nereide
nelle onde. È nolo che l' Etiopia , a cui si riporta il
(1) Veggasi ciò che ho dello ne' mon. incd. di Barone [om. i.
pag 47 : ove parlo di Giocasla col bastone. Ora ini piace di aggiu-
gnere che, non oslaiite le varie opposizioni del Sig. lìrunn a quella
mia spiegazione del vaso di Edipo colla Sfinge { bullclt. dell' Isl.
1831 p.llO, e 181)3 p. 69, s), è stala essa ritenuta dal eh. Overbeck
nella sua interessante opera Gallerie heroische Bildwerke der fl(-
n Sunti voi. 1 Mfdi pag. 19 e p. 38 e seg.
mito della figlia di Cefeo, era una contrada della Pa-
lestina o della Siria , di cui loppe ed Ascalon erano
le principali città : e quindi un sito molto vicino alla
Tolemaide. Ora appunto poco distante dalla Toleraaide
era il luogo marittimo denominato Saiidalion. Sicché
giudico probabile che a questa località si volle accen-
nare dall' artista dui nostro vaso col sandalion di Am-
filrile , o di Teli , caduto nelle acque , che inonda-
rono r Etiopia. Cosi troviamo data una simile deno-
minazione ad un particolare silo della Laconia dal
calzare di Elena ivi caduto xttÒ rov ttjS 'EX/vy]S cock-
^%>Jrju sKTridóvros (Plol. Hephest. p. 23 ed. Roulez).
Un'ultima osservazione riproduciamo: ed è chela
presenza di Fineo nel vaso di Andromeda dà un no-
vello appoggio alla nostra spiegazione del vaso di Da-
rio, che pensammo fosse tratto da' Persm/u' di Eschilo.
Di falli è nolo che questo tragico aveva composto il
Fineo, che formava parte dell'insieme di drammati-
che rappresentanze, portante il nome di Optrai. Sic-
ché ci sembra probabile che l'artista di Canosa prese
a trattare due soggetti della tetralogia di Eschilo, ri-
cordando ì Persiani ed il Fineo. Che se questo ravvi-
cinamento sarà giudicalo probabile , avremo un ar-
gomento per indovinare il soggetto del Fineo di E-
schilo.che va riferito alla sua rivalità con Perseo, ed
agl'infelici tentativi di lui contro l'eroe, da cui i Per-
siani riconoscevano la origine. Il comm. Quaranta ha
letto pure una memoria su questo monumento.
Fra gli oggetti venuti al real museo insieme coi
due vasi, e che diconsi ritrovali nello slesso sepolcreto
di Canosa, ricordiamo un grazioso fulmine di oro ,
ed un anello anche di oro elegantemente lavorato, con
la pietra di radice di smeraldo ligata pure in òro ,
con la particolarità che è questa separala dal castone,
ove si fermava mercè due mollette anche di oro , le
quali al presente han perduto la loro elasticità. Nella
parte inferiore della legatura di oro della pietra é un
incavo, ed altro ve n'ha pure nella base del castone,
per modo che si lascia uno spazio sufficiente o per
serbare qualche ricordo, o anche per tenervi all'uopo
preparato il veleno.
Questi ultimi oggetti veggonsi ora collocali nella
raccolta degli oggetti preziosi del real museo. Debbo
— 173 —
parlare da ultimo di due altri pregevolissimi monu-
menti venuti pure dalle tombe di Canosa, e de' quali
La mformato, con una sua memoria, la reale Accademia
Ercolaneseilch. Presidente Sig. Priuci|)0 di San Gior-
gio. Il dotto numismatico le appella siiimlale monete,
singolarissime per lo speciale modo della loro fiUtura.
Sono esse composte di due laminette d'oro, alle quali
furono applicati i tipi col cesello o con uno stampo.
Eccone la descrizione :
1. Testa di donna volta a sinistra , cinta di foglie
arundinacee ; dietro 0OTPIA
)( Toro in alto di cozzare a sinistra; sopra IIAP:
nel campo un fulmine forse, o un ramuscello (mod.
4--|- della scala di Mionnet: pesa acini 13 ).
2. Testa imberbe galeata a sinistra : sul Iato della
galea Scilla
)( Toro cozzante a sinistra ; sopra SAn : nel campo
un delfino, (mod. 3 — di Mionnet : pesa acini 8).
L'a. avverte come i tipi indicano abbastanza la pa-
tria di queste simulate monete , le quali certamente
appartengono alla lucana città di Turio. 11 che vien
confermalo dalla leggenda 0OTPIA, la quale ci pre-
senta il nome della Ninfa della scaturigine Tiiria, vi-
cino alla quale fu edificala la omonima città, e che
trovasi ricordala in una rara medaglia di rame della
medesima località. Osserva poi doversi per varie ra-
gioni riconoscere un nome di magistrato nella leg-
genda nAP di ambedue le monete , le quali certa-
mente non furono destinate ad essere in commercio,
ma fatte a quel modo per un oggetto parlicolare e
privato. Alle quali osservazioni aggiunta l'altra di
essere state trovale in una tomba, ne trae la. lacon-
ghiettura che queste due medagliuzze furono lavorate
ad imitazione delle vere monete di Turio, segnandovi
in entrambe il nome IIAP, o per indicare il nome e la
patria del sepolto, ovvero per additarne insieme la ma-
gistratura in Turio sostenuta , che gli dava la facoltà
di segnare il suo nome sulle monete di quella città.
Dalle cose dette finora si fa chiaro ad ognuno quanto
preziosi acquisti abbia fatti il real museo Borbonico
co' nuovi monumenti di Canosa. Del che sieno ren-
dule le meritate Iodi a tutti coloro, che adoperarono
le loro cure per venire a così importante risultamento.
MlNERVIM.
Di alcune monete di Napoli.
1. Testa di Apollo laureata a d.
)( Parte anteriore del loro a volto umano in atto
di nuotare a d. : sulla spalla un astro a quattro rag-
gi: epigrafe "OnOAITEa Ae. 8-|-(l). (Tav.lXn.4).
2. La stessa testa coi capelli ondeggianti dietro la
nuca
)( Lo stesso rovescio : epigrafe
NEOn
3Tn Ae. 8— (Tav. IX n. 5).
Le monete innanzi descritte sono quelle , delle
quali dicemmo nella nota alla pag. 91 di cpiesto an-
no del bulleltino. Esse appartengono al eh. sig. prin-
cipe di San Giorgio , ed altre simili colla medesima
iscrizione si veggono paiimcnli in altre raccolte (2).
Intanto ci piace di avveilire che l'atto del nuotare è
visibilissimo altresì in queste medaglie da noi pub-
blicale : il che dì bel riscontro alla importante meda-
glia colla certa effigie dell' Acheloo versando acqua
dalla bocca, e nuotando fralle onde (vedi questo 6a/-
lellìno an. 1 tav. IV n. 8 cf. la pag. 57 seg. ). Ora
vogliamo aggiungere che questo raro cimelio trovasi
già collocalo nel real museo Borbonico, per lo quale
se n'è fallo l'acquisto. Non ha guari ne ha riprodotta
la incisione il eh. sig. cav. Gerhard (Ardi. Zcitung
18o3 tav. LVIIl n. 16: cf. Denkm. und Forschun-
gen pag. 119). E non saprei perchè il signor Ra-
oul-llochelle non ne abbia fatto menzione nel p u'iare
delle ultime scoperte numismatiche relative alla no-
stra bella Partenope ( vedi un dotto articolo inserito
nel Journal des savauts ISjÌ- pag. 310, ove ragiona
di Napoli ) : laddove il Cavedoni ne fece il maggior
caso, parlandone in questo medesimo buìleltino: [vedi
sopra pag. 91 ). Noi facemmo in altra occasione l'av-
vertenza che traile antichità di Ninive comparisce il
toro a testa umana barbala , però senza le taurine
corna ed alato (Layard Ninevch and ÌH remains e. V
tavola di fronte alla pag. 127 del 1. voi. ediz. di
Londra 1819): aggiugueuda doversi ravvisare in
(1) Sngiiinmo la ssala eh' è nella lav. Il annessa al repertori»
numismatico del signor Kiccio.
i2) Il signor Riccio parla puro di medaglie di rame colla epi-
grafe NEOIIOAITEJ; : rrpertor. numism. pag. 27.
— 174 —
quel mostro una solare divinila. Ora, dopo più ma-
tura riflessione , dubitiamo di una tale conclusione :
confessando io pari tempo che il dio a duplice natura
non è slato abbastanza studialo nelle idee orientali.
II monumento riportato dal Layard non è il solo, che
ci dimostri quel tipo provenire da popoli asiatici ed
orientali. Già si conosce che simili tori a volto uma-
no erano alla entrata delle porte dell' edificio di Khor-
sabad ( de Longpérier nolice des monum. expos. dans
la galér. d' antiq. assyriennes ^ag. 17, 18.). In al-
cune monete comparisce lo slesso tipo ; ed una ne
fu descritta dal Mionnet {descr. tom. IH. pag. 670
n. 688), un'altra pubblicata fralle incerte della rac-
colta Hunteriana ( Mus. Ilunter. lab. 66. n. XXVI),
riprodotta da Raoul-Rochelte ( Mém. sur. la croix an-
sée pi. II. n. 13) e dai Gerhard (iiber die Kunst der
Phonicier tav.lll. n.20), e finalmente una terza edita
dal signor FelloWs, che ne fé in Licia l'acquisto [an
Account of Discoveries in Lycia pi. 37 n.7. p.455) ,
e che giustamente dalla epigrafe KOP l'attribuisce a'
KoL^xkXiTs di Slrabone (XIII, 631), contrada che nel
licio dialetto vedesi sopra altre monete denominata KO-
r'AAAE,Coj)a//e.VediRaoul-Rochette mem.cit. p.63-
64. In altra medaglia , tra quelle già allribuite a Ca-
marina, poi dal sig. Raoul-Rochetle a Maralhus deWa
Teaicia {Croix ansée p.70es.), ed ullimamenle a31a-
7'ium città di Cipro dal eh. sig. Duca deLuynes(nM-
mismal. el inscripl. cyprioles p. 36-38: se ne pubblica-
no Ire lav.VII, n. 2,3,4) (1), vedesi un mezzo toro a
\ollo umano, e sopra il busto di un dio a doppia fac-
cia barbala, e con quattro ali, che tiene nelle sue mani
un globo ( vedi pui e de Witte nouvell. annal. de Vlnst.
Archéol. t. II p.296, 2). L'attribuzione del sig. Duca
de Luynes ci sembra meglio fondata anche per la dif-
ferenza dello stile che osservasi iu queste medaglie
(1) Prendiamo questa occasione per manifestare tnlla la nostra
stima per questo recente lavoro, che dobbiamo alla gentilezza
dell' illustre autore , nel quale egli ha fatto molle interessanti ri-
cerche, attribuendo a Cipro non poche medaglie messe Dnoia fralle
incerte della Cilicia. E mi piace di notare che ultimamente il sig.
Lajard, uomo molto versalo nello studio de" monumcnii orienlali,
ne fece le meritate lodi nella sua dotta e diligente opera rechcr-
chet tur le culle du cyprcs pyramidnl che: Ics peupics civiliscs
de r antiguilé pag. 28, 29, Paris 18li4 in 4, che posseggo per
dono del chiarissimo autore.
con epigrafe greca messe a confronto colle medaglie ,
di Marathus determinate da fenicia iscrizione ( Gese-
nius script, ling. phoenic. monom. tab. 55, V.).
Comunque sia però, la rappresentazione appartie-
ne alle idee degli Assiri e de' Fenieii , e lo stesso si-
gnor duca de Luynes non è di differente opinione: né
pensa diversamente il eh. Gerhard , che riproduce
quel tipo nella sua dotta memoria sull' arte de' Feni-
eii {ilber die Kunst der Phonicier. tav. III. n. 23 p.
31 ) Non voglio intanto mancar di notare, che la
numismatica di Cipro ci offre il toro a volto umano
barbato , e respiciente indietro somigliante perciò al
tipo delle medaglie di Laus ( Luynes op. cit. tav. VI.
num. 2. ): ma non sapremmo seguire la idea, già da
altri presentata ed ora di nuovo proposta dal dolio
numismatico, che sia ni;! toro androprosopo figurato
il Giove amante di Europa (op. cit. pag. 33 ). A noi
sembra che guardando l'insieme de' monumenti , nei
quali ci si offre quel mostro, non può ricorrersi che
ad un mito relativo ad esseri cosmogonici. E segna-
tamente per la figura doppia poggiante sul mezzo to-
ro, nella medaglia di Marathuso Manmn, questa è la
idea del cav. Gerhard ( Flugelgestalt. Taf. 1 , 3-5 ) ,
e del Raoul-Rochetle [croix ansée p. 71).
Questa medaglia intanto ci sembra di un particolare
interesse per la ricerca del toro androprosopo: di fatti
in essa si avvicina più al tipo adottato da' Greci mo-
strandosi privo di ali, e, quel ch'èpiù, in tale posizio-
ne, che deve riputarsi nuotante. Questa ultima parti-
colarità ci sembra favorire la natura acquatica di quel
mostro messo in rapporto di una divinità cosmogo-
nica, o che dir si voglia il dio Tempo de' Feaicii, (San-
choniat. apud Eiiseb. praep. evang. lib. I e. 10), ovvero
il Sole, che s'identifica con quello. Nel qual senso il
Bifronte si addimostra ancor esso di origine asiatica
e di significazione solare, non altrimenti che il Giano
de' Romani (>edi le nostre osservazioni nel buU.arch.
nap. an. IH. p. 73 e seg.) (1). Ma non vogliamo che
accennare in tal luogo queste idee, le quali meritano
una più ampia ricerca.
(1) Ci riseihiamo di valutare se un simile mostro si ravvisa in
alcimi cilindri babilonesi pubblicati dal Haoul-Uochette Ucrc. at-
syr. ci plténic tav. VII, il quale vi scorgeva tuit' altro p. 130 e s.
173 —
L'illustre arclieologo francese Raoul-Rocliellc parla
pure delle insigni mondine colla protome del Sebeto
e la Sirena sedente (bullcl. ardi. nap. an. 1 tav. IV
n. 1,2; real nnis. Borbonico toni. XV tav. XLIV n.
1, 2; Gerhard ardi. ZeilungOn. I8S3 tav. LVill n.
14 e 15, pag. 118 segg.): e presenta la idea che il
nome SEnEI0O2^ fosse un nome indigeno ritrovato
dalle greche colonie , che per sé lo adottarono ; non
allrimenti che il Clanis , il Liris , il Sarnos [journ.
des Savanls 1854 pag. 310 not. 4 e 5). Comunque
una tale idea merili tutta la considerazione , pure non
può negarsi che in quei soli casi saremmo autorizzali
a ricorrere assolutamente a locale linguaggio , nei
quali sfugge affatto una greca derivazione. Ora ciò
non si veriflca nella presente circostanza. Per verità
non credo derivarsi il nome del Sebeto nella guisa
adoperata dal mio chiarissimo collega signor Comm.
Quaranta ( Vedi memorie della reg. Accademia Erco-
lanese voi. VI pag. 586 e segg. ). Egli dopo aver ri-
tenuto che XiTTiil^os sia il più antico nome del no-
stro fiume , anteriore di molli secoli a quello di X=-
fìvi^os , richiama il Xsfòt^os di alcuni greci gramma-
tici, fermandolo come intermedio fra quelle due altre
denominazioni. Ed in quanto alla etimologia, osserva
non esservi nel greco liuguaggio parole che comin-
cino da %r>ilò, e sostiene provenir quel nome da ff^pw,
che dichiara della medesima stirpe con (r;(y«;(I), traw,
(t/w , CiiM , fjauj , e Slw : dal che trae che il nostro
cheto e placido fiumicello aveva nome dall' impelo
delle sue acque , le quali in epoca più antica esser
dovettero rigogliose e superbe non men che quelle
del Tevere a Roma.
Noi ci asteniamo per ora dal proporre le varie dif-
ficoltà filologiche, alle quali dà luogo la opinione del
mio dotto collega: ed a traverso delle quali ci troviamo
condotti alla conclusione che il Sebeto era impetuoso,
e non così placido, come ora si mostra a'noslri sguar-
di. Da quel che venne osservato dal eh. autore, e che
anche noi avevamo avvertito, non esister nel greco al-
cuna parola principiante da (rv)(3, noi deducemmo in-
(I) Vedi su questo verbo le osservazioni del signor Ebel nella
Zeilschrift far vcrgkichende Sprachforschung de" sig. Aufrcclil
e Kulm, Berlino 18u2 p. 300 e segg.
vece , che bisognava ricorrere a quelle che da (TVitt
hanno cominciamento , le quali si riducono a cTTjWa*
e suoi derivati. Questo metodo - 1 . Corrisponde alla
primitiva voce i;r,7r;/.Uos-2. Salva la quantità della
prima vocale-3. Non rimula gli elementi della com-
posizione-4. E finalmente ci fa ritrovare una intel-
ligenza, che ben si addice alla tranquillità del nostro
fiumicello. Secondo noi, la derivazione di i;y)7r.=(>Jo« è
dal verbo <yr{7r(v , nel quale è la significazione di pu~
trefare proprio delle acque basse e stagnanti. Ora in
questo caso trovasi, e trovar si doveva il Sebeto, per la
natura stessa del suolo, sul quale; scorre. Noi non di-
sconveniamo dall'idea clic il Sebeto aulicamente si e-
slendesse in un più ampio letto ; ma solo leniamo per
indubitato che quanto più largo occupava le nostre pa-
ludi, tanto più basso e stagnante doveva mostrarsi. Né
questa proprietà è insolita nelle accjue fluenti ; e ci con-
tentiamo di citare le acque del Sarno, che presso Sca-
fati dilargandosi ed abbassandosi diventano finanche
micidiali alla salute di quegli abitanti. La natura non
cangia : e le piccole colline de' contorni di Napoli non
possono, a nostro giudizio , produrre impetuosi tor-
renti , come inlerviene alla città de' Sette Colli , ove
si distende il violentissimo Tevere. Al che si aggiun-
ga, che s'è vero essere affatto svanito il Sebeto, do-
vendo forse riputarsi un diverso fiumicello quello a cui
dassi ora un tal nome, verrebbe a dimostrarsi da ciò
la parvità delle sue onde , e la poca profondità del
suo letto , che collo scorrer de' secoli fu interamente
colmalo.
Queste idee , che ora semplicemente annunziamo,
saranno da noi più ampiamente distese in una nostra
dissertazione, che ci proponiamo di leggere alla reale
Accademia Ercolanesc,
MlNERVI.NI.
Giunone Antea.
Pausania racconta che in Argo, alla destra del tem-
pio di Latona , vedevasi un sacello dedicato a Giu-
none Antheia: rrf o; ''HpaS i \xriir-i\i 'Av'ìj/xs Ìtt)
roZ Ufoì) rrf Ay\rov<i h ^st.ix" (lib. II cap. XXII, 1).
I chiarissimi signori Lenormaut e de Wilte {éli(edes
_ 176 -
monutn. céramograph. tom. I p. 82) furono di opi-
nione che quella denominazione fosse da spiegare colla
nascila di Marte avvenuta per mezzo di un fiore, se-
condo la singolare narrazione di Ovidio [Faslor. lib.
V, 229 e seg. ). Non La guari sostenne la medesima
idea il eh. sig. de Longpérier, credendo di ravvisare
la Giunone Anlea in due vasculari dipiati da lui pub-
blicali [Junon Anthéa, Paris, 1849 in 8). A me sem-
bra che questi due monumenli non possano riferirsi
alla regina degli dei, non apparendo né i consueli or-
namenti di Giunone, né la dignilà della sua persona.
Al che si aggiunga che l'azione della dea non corri-
sponde a quella additata dallo slesso Ovidio nel luo-
go medesimo che forma la base della spiegazione.
Presso il Ialino poeta non è già la consorte di Giove,
la quale va in traccia del mirabile fiore, ma questo è
a lei presentato da Flora. Sicché manca l'appoggio
della tradizione stessa, a cui bisogna ricorrere. Il sig.
de Longpérier ha scorto tutte le difBcollà che si op-
ponevano a quella sua ingegnosa conghiellura ; ma
non mi pare che le abbia dileguate in maniera sod-
disfacente. Ma quella tradizione Ovidiana ignota as-
solutamente a" Greci , e che forma parte de' miti ro-
mani, dee riputarsi per avventura la origine del nome
di Antea [l)? Noi noi crediamo : e piuttosto ci sem-
bra doversi ricavarne la spiegazione da quelle narra-
zioni, che troviamo chiaramente esposte da' greci scrit-
tori, e, quel eh' è più, riportale alla medesima con-
trada, ove si eresse il tempietto additalo da Pausania,
Nella mia memoria sul mito di Ercole che succhia il
latte di Giunone inserita nel tomo VI delle memorie
della reale Accademia Ercolanese p. 3 1 7 e seg. , ho
dimostrato le relazioni di Giunone col fiore del giglio,
e per quel che dice Clemente Alessandrino ( paedag.
2 pag. 78) , e por la narrazione de Geoponici , che
attribuisce la nascita di quel fiore al latte di Giunone
(1) Noi facciamo la osservazione clic ammessa la verità di qvie-
s(o supposto , e la giustczz,t della fallica sigoiGcazione del fiore ,
avvertita dal sig. de Longpérier , ci parrebbe in qualunque caso
doversi ricorrere al giglio , come quello a cui tal signilìcazione
mirabilmenle conviene : vedi la mia yncntoria sull'Ercole poppan-
te nel voi. VI delle mem. dell' Accad. Ercolanese p. 327 e seg.
caduto al suolo nell'allattamento di Ercole : «vl^os rò
Toì/ xplyov ÒlìÙuixì (lib. XI e. XIX p. 522 edit. Ni-
clas ). Ora è ben risaputo che tutto il mito di Giu-
none, che dà latle al Alcide si riferisce ad Argo. Sic-
ché la Giunone Argiva , messa in rapporto eoa un
fiore , dà una plausibile spiegazione del nome della
dea in quel sacello venerata. Ed il vaso di Basilicata
da me pubblicalo ed illustrato nella suddetta memo-
ria dà pieno appog;^io e confronto a quelle tradizioni.
È poi notevole che la slefane di Giunone, nel vaso
a cui accenniamo , è parimenti ornata di palmette ;
come in non poche monete ritraenti la Giunone Ar-
giva. Una tale particolarità non parmi che possa ri-
portarsi a quello stesso nome di Aulheia ; siccome fu
da altri opinalo ( vedi Luynes étud. numism. p. 22 e
25 ; e de Longpérier mem. cit. p. 12). La qual cosa
ci piace di vedere osservala altresì dal Raoul-Rochet-
(e , il quale peraltro nulla avvertiva in contrario al
rapporto Ira quel nome della dea e la tradizione 0-
vidiuna [Journal des Savants 1842 pag. 212, seg. ).
MUJEKVINI.
Iscrizioni laliine. Continuazione del n. 45.
38.
CASCELLIAE
AGRIPPINAE
Fu ritrovata nel medesimo sepolcro ove comparve
r altra epigrafe di Oliavi© Secondo, riferila di sopra:
pag. 136. Egualmente a noi comunicata dal Can.
Scherillo,
39.
D. M.
SEX • CASTRICIO • FELICI
PONTIA LVPVLA
WATER • FILIO • PUS
SIMO • FEcrr • VI
xir A XXIX
M VI • D • XII
Comunicalaci dello stesso Canonico Scherillo ; ri-
trovala in un sepolcro a Campania.
(continua) Minbrvini.
Giglio Mixervim — Editore.
Tipografia di Civsbpps Càtànbo,
BULLETTIXO ARCHEOLOGICO IVAPOLITA\0.
NUOVA SERIE
N." 49. (25. deir anno IL)
Giuirno \Sòì.
ZI
Toìnbe e piltiire Sannitiche di Capua.
Tombe e pidure Sannitiche di Capua.
Non ha guari essendosi fatte alcune scavazioni in
Santa Maria di Capua in due dinerenli siti poco di-
stanti dall' anfiteatro , importantissimi monumenti ne
\enner fuora : comparvero alcune tombe, delle quali
non furono conservati che pochi, benché interessanti
frammenti. Un solo sepolcro a'nostri sguardi mostra-
Tasi intero , ed è tuttavia conservato. Queste tombe
erano formate di grandi massi di tufo messi insieme
senza cemento , e da quella eh" è rimasta intatta può
dedursi che terminavano superiormente restringen-
dosi ad angolo ; la qual forma , non infrequente ad
osservarsi nelle tombe greche , dicesi volgarmente a
schiena. Le interne pareti erano rivestite di uno stra-
to di calce spenta (I) di grossezza circa una linea ,
sul quale vedevansi svariali dipìnti. In seguito della
relazione , che da prima fu fatta di queste scoperte
[Poliorauìa pilloresco an. XV p. tlO, 135, s. ,
158), avevamo rivolto anche noi il pensiero agli
Etruschi, ed in questo senso annunziammo di sopra
essersi rinvenuta una serie di tombe etrusche nel silo
dell'antica Capua (p. 1 10). Ma non tardammo ad
abbandonar questa idea , quando ci fu dato di osser-
vare co' nostri proprii occhi le tombe , e le pitture
che le fregiavamo : e venimmo tantosto nella opinio-
ne che quei sepolcri fossero dell' epoca sannilica , e
che le pilture appartenessero egualmente ad arte san-
nilica. Pochissimi monumenti conosciamo finora, che
altriburr si possano con certezza ai popoli Sannitici :
(1) Ciò ha potuto verificarsi, raccogliendosi un pezzetto di calce
in una accidentale scheggiatura del tufo, ove vedovasi in moggior
grossezza introdotto.
Anno II.
e, se n'eccettui i monumenti numismatici, ne' quali
pur di sovente si osservano caratteri di greca arte ,
non potranno por avventura additarsene altri se non
che le due teriecotte di Capua con iscrizioni Sanni-
tiche pubblicate in questo medesimo bulleltino (an.
I tav. XllI n. 2 ; ed an. II lav. V n. 1 ); il vaso di
bronzo con epigrafe osca in caratteri etruschi , an-
che ivi pubblicato (an. II. lav. VII n. 4); e forse
ancora la celebre urna di Novio Plauzio, conoscinla
sotto il nome di Cista Ficoroniana, la quale secondo
il parere di un insigne archeologo , fu opera di un
artista Capuano (Raoul-Rochette fouilles de Capone
pag. 63 ). Ma bisogna pur confessare che tutti que-
sti monumenti sono altresì probabilmente il prodotto
di arte graca (1): e quindi rimarranno forse per la
scienza , quasi unici monumenti sannitici , dovuti al-
l'arte di quella nazione, le sole medaglie della guerra
Marsica , le quali presentano senz' alcun dubbi» uu
carattere proprio e particolare (2).
Lo stesso mi sembra di riconoscere nelle pitture
delle tombe Capuane, le quali tengono di uno stile
proprio , che non può riferirsi né all' arcaico etru-
sco 0 greco, né al greco più elegante o di tem[)i po-
steriori. Non dito già che non vi si scorga alcuna
traccia di grecismo, specialmente per la parte orna-
tiva ; ma ciò non dee far maraviglia , trattandosi di
un paese, ove la comunanza de" Greci, e le remini-
scenze delle opere del greco ingegno dovevano ne-
(1) Cosi ci sembra da ravvisare nelle lerrecotie sopr» mentova-
te , né diversamente opinammo del vaso di bronzo : vedi sopra
pag. 138. In quanto alla cista di Ficoioiii vedi il eh. Jahn die Fi-
coronische Cista p. 4C. e scgg.
(2) Sulla i)Ochezza de' monumenti Sannitici vedi quel che dice
il Miceli Storia degli ani. iinpolt Hai. i- I p- 267 seg. 2. cdiz.
25
— 178-
cessariameule esercitare una non lieve influeuza sui
lavori degl' indigeni artisti.
Olirà queste ragioni fondale sul sentimento dell'ar-
te , altre ne venivano in appoggio di quanto asse-
risco.
Dall' epoca di queste ultime scavazioni data bensì
la scoperta di monumenti scritti in lingua sannilica :
tale si è il vaso di bronzo sopra citato, uscito certa-
mente da un sepolcro;tali sono quelle iscrizioni etru-
sche , che presentano nomi sannitici (come il ila-
merco ed il Marco di due patere: cf. la pag. 164.).
Dalle tombe medesime sono comparsi alcuni di quei
vasi tulli dipinti di nero con ornamenti dorati, o con
semplicissimi ornamenti di giallo. Questi, a mio giu-
dizio, esser dovevano predilelli da' Sanniti: e mi con-
tento di citare l'unico sepolcro Sannilico di Cuma,
ove non altro vasellame si conteneva ( Bulleltino an.
I pag. 163); sebbene non vi si scorgessero le pareti
ornale di figure , ma unicamente fregiale di sempli-
cissime pitture, quali sono il meandro ad onda, ed
una grande palmella.
Da tutte queste ragioni, e da altre, che ci riuscirà
di rilevare dal confronto dello stesso sepolcro di Cu-
ma da noi accennato colla tomba Capuana tuttavia
esistente, noi ci crediamo autorizzati a ritenere per
opere de' Campani Sanniti i monumenti , dei quali ci
prepariamo a discorrere piìj particolarmente in que-
sto articolo.
Nella nostra tavola X abbiamo pubblicato una fi-
gura (alt. pai. 6, 1 ) residuo di una tomba: e questa
è posseduta dai signori Vetta proprietarii di S. Maria,
alla cui gentilezza dobbiamo il permesso di pubbli-
carlo. Era questa figura dipinta sopra due grandi
pezzi di tufo , che costituivano la parete opposta al-
l'entrata, essendo le allre pareti dipinte solamente di
bianco. Al suolo vedevansi pochi vasi tutti di nero ,
e la cenere residuo della combustione. È spiacevole
che la parte inferiore di quel personaggio sedente sia
quasi interamente distrutta: non rimanendone che una
porzione del giallo trono ove siede. Apparisce una
figura \irilc con barba grigia , e con la testa circon-
dala di gialla tenia, di sotto alla quale escono presso
le tempia due ramuscelli forse di ulivo o di lauro.
Una bianca tunica, a cui si sovrappone un mantello •
anche bianco , costituisce l' abbigliamento di questo
personaggio. Al dito anulare della sinistra mano ha
l'anello, e colla destra si appoggia ad un nodoso scet-
tro 0 bastone. Presso alla testa è sospesa un' ampia
corona di rosso, da cui sporger si mirano alcune fo-
glie indeterminate. Tutta la figura è limitata da una
triplice fascia nera , bianca , e rossa , che restringen-
dosi nella parte superiore andava forse a terminare in
arco acuto. Pare che quel personaggio sia appunto il
sepolto, e che debba in esso riconoscersi un sacerdo-
te, o Cupencus de' Sabini (Serv. ad Aen. XII, 539).
Avverto solamente che gli Osci usar dovevano l' a-
nello ; giacché dice Pesto ; ungulum , Oscorum lin-
gua significai amdum: Paul, in exc. h. v. cf. Plin.
nat. Imi. lib. XXXIII, Gap. 1. La particolarità più
interessante è il segno che fregia in mezzo al pello
la tunica del personaggio sedente. Il sig. Raoul-Ro-
chette sostenne esser questa una delle forme della così
delta croce ansata, alla quale generalmente si attri-
buisce la significazione di vita [Cìiam])o\ViOX) précis du
syst. hiérogl. 2 edit. tableau gén. des sign. n. 277 p.
32, e diclion. égi/pt. p. 329, § 389: vedi pure gli
annali dell' hi. archeologico tom. V pag. 180). Egli
sviluppò questa idea in una memoria intesa appunto
alla spiegazione della croce ansala {sur la croix ansée
ou sur le signe qui y ressemble , considérée principale-
meni dans Ics rapporls avec le symbole égyptien sur des
monuments élrusques et asiatiques. Paris MDCCCXL VI:
è inserita nel tom. XVI parte lì delle memorie dell'
Accad. delle iscrizioni e Belle lettere p. 285-382).
Dalle dotte ricerche dell'archeologo francese si desu-
me che quel simbolo di vita e di apoteosi venne ado-
perato nei monumenti etruschi ed asiatici, e perfino
in quelli del primitivo cristianesimo. Io mi limiterò
a ricordare che appunto ne' monumenti cristiani scor-
gesi un segno perfettamente simile a quello, di che è
fregiato il personaggio della capuana pittura ; e che
lo stesso si osserva talvolta su' vasi dipinti , nelle me-
daglie di Gaza della Palestina , e quel eh' è più come
principale tipo nel rovescio delle primitive monete di
Corinto e di Siracusa (Kaoul-Rochelle mém. cit. p.
21, cf. tav. In. 15 a 23). E debbo dichiarare sem-
— 179 —
bramii molto probabile la spiegazione dalane dalsig.
RaouI-RocbeUe, che \i scorgeva la forma fenicia del
T, sempre colla iulelligenza di vita e di apoteosi.
Non voglio infanto mancar di notare che il dottis-
simo Leironnc ebbe ])iù volte la occasione di parlare
della croce ansala e nella sua memoria ma/^/vawj^jJOiu'
servir à l'Itisi, du Clirist. pag. 92, inserita nel voi. X
delle memorie dell' Accad. delle iscr. e belle lettere p.
199, ed in altro lavoro della medesima raccolta toni.
XVI part. 2 p. 23C-284 pubblicalo pure negli an-
nali dell' ht. 1843 p. 115-143; e finalmente nelle
osservazioni da lui presentate nella reviM arch. voi.
II p. 663 e scgg.
Il eh. sig. Lajard sostenne che la croce ansala come
simbolo di vila non era che una abbreviala e lineare
maniera di figurare il mihr persiano, nel quale egli il
primo ravvisò effigiala la triade divina ( mém. de l'A-
cad. des inscr. et belles lettr. tom. XVII part. I p. 348-
3T8 ; ed annali dell' ht. 1843 p. 13-37). Noi siamo
non poco colpiti dalle ragioni presentate in contrario
a questa ingegnosa idea dallo stesso Raoul-Rochette
nella sua memoria sull'Ercole assiro e fenicio [append.
A pag. 377). E ci sembra probabile il ritenere quel
segno come il Tau fenicio, nella sua idea di vila fu-
tura e d' immortalila : opinione ritenuta pure dal sig.
Toelken {Verzeichniss dcr ani. Steine d. Kònigl. Preuss.
Gemmens. n. 167 p. 36-37), e fondala sopra varii
luoghi della Bibbia , e di scrittori profani. In questa
sola idea può riportarsi ad una medesima significazione
il segno delle medaglie di Gaza ( Mionnet descr. l. V
p. 535 n. 108-109 : Raoul-Rochette /?e/cassi/r.lav.
IX u. 7), di Corinto, di Siracusa, che comparisce
pure in alcuni vasi di Tliera ( Raoul-Rochette l. e.
tav. IX n. 8a e 8b), in alcuni frammenti di vasi di
fabbrica primitiva rinvenuti a Cuma (Id. ib. n. 9) ,
e che si vede sul petto del nostro personaggio seden-
te nella sannilica pittura di Capua. E certamenle
una non piccola relazione fra' due segni potrebbe ri-
conoscersi traendone argomento dal nostro dipinto ,
al quale mirabilmente contiene un simbolo di apo-
teosi e d'immortalità. Or questo simbolo messo ad or-
namento sul petto ci richiama che il nodo del man-
tello vedesi configurato a foggia di croce ansata sul
petto di Ormuzd in un bassorilievo di Jakht-i-bonan
( Ker Porler Travels voi. II pi. 60: cf. Lajard mpm.
citée, p. 364). IS'è diversamente pensiamo in quanto
alla grande corona messa in alto presso al personag-
gio sedente, essendo questa simbolo notissimo d'im-
mortalità tanto nelle idee de' Greci, quanto in quelle
de' popoli asiatici ed orientali ( vedi le dulie osser-
vazioni del eh. Lajard note sur l' emplui du cercle on
de la couronne etc. nel nouv. journ. asi'at. aoùt 1833
t. XVI p. 174 e 173).
Comunque sia di ciò, non vogliamo nulla dedurre
per ora intorno la origine di quel segno, che non sap-
piamo neppure se sia dovuto alla influenza elrusca ,
e se in Eiruria venne sotto la forma usata ne' monu-
menti coriutii inlrodolto dalla colonia di Demarato.
Mancano forse ancora i dati per una probabile solu-
zione di questi difliiili problemi.
Avverto intanto che noi avevamo innanzi dedotto
dalla tomba sannilica di Cuma, che solevano quei po-
poli bruciare i loro cadaveri: alla quale conclusione
viene un novello appoggio da' sepolcri di Capua.
Passo alla tav. XI , nella quale tre dislinli fram-
menti si osservano di altre pitture , le quali sono in
parte mancanti e sconservate. Esse appartengono al
sig. Vincenzo Caruso , a cui dobbiamo la facoltà di
farne eseguire gli accurati disegni. Furono esse tratte
da tre diflerenti sepolcri, e tutte fregiavano la parete
opposta alla entrala della tomba; essendo gli altri muri
di bianco, non altrimenti che nel sepolcro preceden-
temente descritto. Questa particolarità ben (jualtro
volte ripetuta può credersi costituire uno speciale co-
stume ; per lo quale cffigiavasi la sola figura dell' e-
stinlo sulla estrema parete del monumento. La prima
pittura dunque (alt. pai. 1, 3) ci mostra la parte su-
periore di un giovine con bianca tunica fregiata di
rossi ornamenti , che tien colla sinistra una gialla a-
sticciuola da cui pende un oggetto incerto , quasi un
sacco o piuttosto una rete. Non sapremmo a che vo-
glia alludere quell'arnese, del quale ignoriamo la de-
stinazione. Dirò che aveva pensato a' rc//an7 ; ma non
è provato che questa varietà di gladiatori possa in
Capua riportarsi ad epoca tanto remola , quanto è
quella a cui spetta il sepolcro: nel quale furono pure
ritrovati' alcuni vasi fittili tutti dipinti di nero.
La seconda pittura (alt. pai. 3, 4) ci offre un gio-
— 180 —
^ine guerriero cavalcando un corrente cavallo, con
galea gialla con paragnatidi ed aletle, nella cui cima
sporgono a' due lati due gialle corna, e nel mezzo uu
bianco pennacchio colla estremità superiore di rosso,
È pur notevole che il corno eh' è a destra offre la va-
rietà di una piccola zona azzurra. Il cavaliere ha pur
gialla corazza squamala, e lien colia sinistra un ampio
scudo di bianco ornato di neri globelti. Il cavallo è
bianco tendente al rosso, la briglia e le redini sono di
rosso fosco, e gli ornamenti gialli nel mezzo circondati
da una fascia azzurra. Notevolissima è la forma della
galea di questa figura. Non è nuovo veder delle penne
come fregio degli elmi: il che fu osservato non solo pe'
Greci ( Olenin ohserval. sur ime noie de l'ouvrage in-
tilulé pcint. de vas. ant. p. 60 ed 87 cf. la tav. III.
n. 25, 26, e 27); ma ancora pe' Romani (Borghesi
dee. mtmism. I oss. 4; Cavedoni nel bull. a>xh. nap.
di Avellino an. IV pag. 43). Vedi ciò che scrivono
i signori Visconti e Guattani nel Museo Cliiaramonti
pag. 29 alla tav. II; e quel che dico io stesso 6u//e/<.
arch. nap. an. IV pag. 1 1.3, e vasi Jalta pag. 1 13 e
seg. Ora aggiungo che vedesi pure una sola penna nel
mezzo quasi un pennacchio in una statuetta di bronzo
pubblicata dal Caylus ( recucii tom. VI pag. 92 pi.
XXIX fig. Ili), e riprodotta dall' Olenin (op. cil.tà\.
III. n. 1 ): e che i gladiatori denominali 5amm?es so-
levano portare lo stesso ornamento, come ne assicura
Varrone (/. /.Il, 1 1 ) , e come si pruova da' pinni-
rapi di Giovenale ( III, 1 oO ), e coli' aiuto de' monu-
menti (vedi Hcnzen expUcalio musivi in villa Burghe-
siana asservali pag. 39). Vero è che Livio non parla
di penne ma di cresta, nel descrivere l' armatura dei
soldati Sanniti ( lib. IX cap. 40 ) ; pure è certo che
facessero uso eziandio di quell' altro ornamento , non
allrimenli che i Greci, i quali l'uno e l'altro adope-
rarono a fregiarne la galea : e ne Iragghiamo argo-
mento dalle monete della guerra Marsica, ove appa-
jono talvolta delle piccole penne (Carell. lab. CCI ,
n. 21 ; e CCII n. 26: Fricdiaender Osfc. il/tónsm tav.
IX. n. 9 , 10). A confronto poi di una sola penna ,
sebbene messa ad un sol lato dell' elmo , è da citare
il bassorilievo gladiatorio pubblicalo nel sudetlo im-
portante lavoro del eh. Henzen tavola VI, tratto da'
mon. dell' ist. pel 1842 tavola XXXVIII: veggausi gli '
annali di quell'anno pag. 12 segg. L'altra notev/Dle
particolarità della galea sono le due corna bovine
che sporgono d'ambi i lati. È ben risaputo che un
simile ornamento di caprine corna fregiar soleva la
galea de' re di Macedonia. Ciò si rileva da Plutarco
( in Pyrrho p. 389), e da Livio (lib. XXVII, e. 33),
e quel eh' è più da' monumenti numismatici (Eckhel
doclr. num. tom. II. p. 124 e s. ). Anzi l' Eckhel ne
attribuisce la origine al mito dello slesso Carano, che
prese Edessa guidato dalle capre: il che fu pure opi-
nato, sebbene con particolari considerazioni, dal eh.
Cavedoni [Spidl. num. p. 53). Silio Italico {Panie.
I, 1 4 ; XV 682 ) parla pure di galee adorne di corna
arietine ; ma ciò avveniva forse pel particolare cullo
degli Africani verso il Giove Ani mone (Eckhel doctr.
num. vet. tom. IH. pag. 234). Altri popoli usarono
covertura di testa con corna di bue: tali sono i Traci
dell'Asia, i Galli, e gli Etiopi: siccome osservaro-
no il Vossio (de idotol. lib. I. cap. 27), il Lipsio [de
milit. rom. lib. 3. dial. V. et analecla ) , e principal-
mente lo Spanheim ( de usu et praest. numism. tom.
I pag. 399). Tra tutti come più vicino confronto colla
galea del nostro dipinto richiamiamo quel che dice
Erodoto de' Traci Asiatici, i quali portavano elmi di
bronzo con corna bovine dello stesso metallo (lib.
VII cap. 76). Così e non altrimenti creder si deg-
giono di metallo e la galea e le corna che veggiamo
attribuite al cavaliere del Sannitico dipinto : e sarà
pure degno di attenzione il confronto con un costu-
me asiatico, che vedesi riprodotto nelle nostre regio-
ni (1). Avverto finalmente che in un arcaico monu-
mento rappresentante una scena di sagrifizio , due
guerrieri , che ne formano parte , presentano come
due corna bovine sulle loro galee ( Dempslero Etrur.
rcgalis, tom. I tav. LXXVIII). Né mi sembra da at-
tendere la osservazione fatta dal Buonarroti, che po-
tesse credersi una cresta messa di traverso (pag. 46).
Intanto non sarà fuor di luogo l'osservare che sem-
(1) la un coverchio di una piccola urna di marmo di epoca non
mollo antica vedesi fralle altre armature un elmo con corna. Vedi
Gcrvasìo iscriz. de Luccci pag. «8 e nelle mcmor. dilla regale
Acc- Ercolanese lom. VII pag. 320.
— 181 -
Lra l'ornamenlo delle bovino corna ronvonionlissimo
'ì' popoli Sannili ; avuto riguardo all'italico toro, di
cui è tanto frequente 1' uso nelle medaglie della guer-
ra Marsica, con manifesta allusione al nome stesso d'
ITALIA o VITELIV. Vedi Avellino Ilal. vct. num.
tom. I. p. 20 ; Mérimée rev. niimism. tom. X p. 93-
94; Cavedoni ad Carellii lab. HCll n. Zi pag. 117.
Richiamo da ultimo l'attenzione sulle alette che sono
a' due lati della galea, le quali per essere dello stesso
colore debbono ancora riputarsi metallico ornamento.
Questa osservazione, aggiunta all'altra che la galea
di Pallade , o di Roma, nelle medaglie romane è
quasi sempre alala (I) (il che dal eh. Cavedoni si at-
tribuisce alla spoglia di un grifo messa adornamento:
ragguaglio deprecip. r/posi/j// pag. 43 net. 28) prova
non essere le ali unicamente proprie della galea plu-
tonica. 11 che fu non ha guari sostenuto dal mio dotto
amico sig. pr. Carlo Federico Hermann in una sua
recente disiettazione [die Hadeskappe — Gottinga 1833
in 8), della quale tornerò a discorrere in altra occa-
sione. Lo scudo ampio tenuto dal nostro soldato cor-
risponde presso a poco alla descrizione che Livio ci
ha lascialo dello scudo Sannitico (lib. IX e. 40). Ed
in generale le metalliche armi della nostra pittura ci
ricordano le armature di bronzo de' Sanniti , delle
quali parla Plinio (n. li. lib. XXXIV, 7). Comunque
sia di ciò , il guerriero trasportato dal veloce cavallo
può accennare al passaggio delle anime dopo la morte,
secondo la osservazione fatta da molti dotti archeolo-
gi, che furono da noi altrove ricordati (vedi il ?/!(//c//.
arch. nap. di Avellino an. VI p. 14). Sebbene questa
osservazione non escluda l' altra che siesi figurato in
tal modo per dinotare che il defunto appartenne alia
equestre milizia. Nel sepolcro adorno del descritto di-
pinto erano due soli vasi, un'olla di terracotta ordi-
naria ripiena di cenere ( altro esempio di combustio-
ne) , ed un'idria a tre manichi tutta di nero con or-
namento di gialle palmette sul collo ripiena di bru-
(1) Pare che ad imitazione delle medaglie romane debba attri-
buirsi la galea alata delle monete della guerra Marsica : Carelli
tab. CCIl n. 28-31, Friedlacnder Osk. Munzen lav. IX n. 4, 7, 8,
e tav. X n. 21. Intanto la nostra pittura tanto più antica dimostra
essere 1' ornamento delle ali adoperato nella galea iadipondcnie-
Mienie da fiualsivoglia imitazione.
ciate ossa : oravi pure un anello di bronzo, e la punta
di una lancia di ferro , ove comparisce ancora parte
del legno che ne forma\ a l' asta. È noto che questa
armatura fu adoperata da'soldati Sannili (Micali Sto-
ria degli ani. pop. ilal. tom. IL p. 317, 318): e
può dal nostro sepolcro desumersi che l'anello di
bronzo fosse pure loro non insolilo ornamento.
Di stile alquanto jùt'i accurato è la terza pittura della
nostra tav. XI, la quale è pure in parte perduta (alt. pai.
4, 8 ). Notevole è la covcrtura della lesta di nero eoa
rossi ornamenti, la quale si assomiglia assai meglio ad
una orientale mitra che ad un greco cccrifalo:\a collana
è segnata di giallo ; la larga fascia adorna di una rossa
lista, e di nero meandro ad onda , i rossi ornamenti
della gialla tunica , ed il purpureo mantello condu-
cono pure alla idea di asiatici costumi. La cassetta che
sostiene colla sinistra, e lo s[)eccliio che solleva colla
destra, sono di vicinissimo confronto alle simboliche
e mistiche figure de' vasi dipinti , le quali veggonsi
frequentissimamente collo specchio e colla cassetta.
La tomba, a cui apparteneva questa pittura, moslra-
vasi anticamente violata , veggendosi in un angolo
frammenti di patere e d' altri vasi neri misti ad ossa
non bruciate : fralle terre raccolte fu ritrovato un a-
nellino di oro con la impressione di un leone cor-
rente , solo fregio sfuggito per avventura agli spo-
glialori della tomba.
Noterò da ultimo che in questi dipinti si distingue
assai bene la carnagione delle figure virili da quella
delle femnìinili, vedendosi nelle prime una tinta molto
rossa e scura, quasi bianca nelle seconde. Il che rien-
tra in un sistema assai comune all' antichità nella ese-
cuzione delle pitture murali di epoche e di paesi dif-
ferenlissimi.
Passiamo ora alla descrizione della tomba conserva-
ta, la quale è in un fondo de' Signori Velia, messo alla
parie meridionale dell' anfiteatro ed a poca distanza
da questo magnifico ediCzio: il qual sito è appunto lo
stesso da cui furono traile alcune delle pitture innanzi
descritte. Noi abbiamo presentato nella nostra tav. XV
la pianta, il profilo, e la eleva/ione del sepolcro, che
dobbiamo alla cortesia dell'architetto sig. Vincenzo
Caruso, il quale uon rifiuta fatica o cura , quando si
— 182 —
(ralla della illiislrazione de' monumenti della sua pa-
tria. Nella figura 4, eseguita senza una particolare
scala, abbiamo presentalo due cose, sulle quali me-
ritava di essere richiamata l'allenzione de'nostri lettori.
La prima si è la entrala della tomba, la quale veniva
rinchiusa da due altri massi di tufo rettangolari, non
altrimenti che la tomba sannitica di Cuma. L'altra os-
servazione concerne un irregolare buco pratlicato a
forza nella parte superiore della tomba: dal quale per
altro non vorremmo conchiudere che fosse stala po-
steriormente frugata, giacché non è di tale ampiezza
da permettere di penetrare nel sepolcro ad uomo di
regolare grandezza. Dalla figura terza si ricava la no-
tizia della forma del sepolcro, e delle sue dimensioni,
giusta la scala messa di sotto alla figura 2, che dalla
medesima è regolala , e che ci offre la pianta del fu-
nebre edifizio. Si rileva dalla stessa che nella tom-
ba eranvi due come letti mortuarii sollevali alquan-
to dal suolo , ed una cassa di tufo senza coperchio ,
ripiena di terra , e di varii vasi infranti. Sopra cia-
scuno di quei letti , e nella cassa vedevasi adagiato
un cadavere. Anche qui osserviamo che l'uso di ele-
var dal suolo una specie di grado, su cui deporre l'e-
stinto, vedevasi ugualmente nella più volte citata san-
nitica tomba di Cuma : e questo confronto dà un no-
vello appoggio a quel che abbiamo sin dal principio
asserito , trattarsi di sannitiche sepolture. Molti vasi
furono ritrovati sopra una piccola cornice che cir-
condava la tomba quasi ad altezza d'uomo, sulle tre
edicole di cui diremo fra poco, ed intorno a' cada-
veri. Noi li abbiamo tulli presentati nella nostra ta-
vola XU. I numeri 1 e 2 ci presentano un vaso di-
pinto tutto di nero a tre manichi, con fregi dorali, il
solo che fosse in questo sito rinvenuto, e che è da
paragonarsi col simile vasellame della sannitica tomba
di Cuma , a cui questa nostra sembra corrispondere
presso a poco per l'epoca. I numeri 9, 10, 11, 12,
13, 14, 15, 16 ci presentano vasi greci dipinti o
tutti di nero, o con semplici ornamenti di nero in
fondo rosso, e viceversa. È evidente che il lavoro di
questi svariati vasellini non è di epoca molto remota,
ma sembra appartenere appunto a quel secolo in cui
avvenne la sannitica dominazione di Capua. I nu-
meri S, 6, 7, 8 sono vasi più o meno grandi di ala-
bastro, e molti altri ve n' erano pur frammentati, ch^
non riputammo utile di far disegnare. Finalmente i
n. 3 e 4 ci presentano due vasi rozzi di terracotta ,
che abbiamo scelli tra' molti che ne comparvero. Que-
sti ultimi specialmente, anche per gli altri sepolcri
accennali di sopra , dimostrano , a nostro giudizio ,
non trattarsi della tomba di un greco, non essendo
proprio di quella elegante nazione il lavorare ed il
depositar ne' sepolcri così rozzo vasellame. Ma la se-
vera, e poco culla genie de' Sanniti, non è maravi-
glia che fregiasse i cadaveri nelle tombe deposti di
quegli ineleganti arnesi di proprio uso e di proprio
lavoro, accompagnandoli non pertanto col greco va-
sellame tuttora in uso a quei tempi. Così e non al-
trimenti intendiamo questa varietà di monumenti ; non
volendo supporre che il sepolcro, pria destinato ad un
greco , fosse in 'epoca posteriore occupalo da cada-
veri di un' altra nazione. Ed il sanuitico sepolcro di
Cuma, tutto ripieno di stoviglie di greco lavoro, vale
a dar piena conferma alle nostre conghietture.
Quello che maggiormente interessa in questo se-
polcro sono i dipinti che ne fregiano le interne pa-
reti. A noi sembra che principalmente la parte or-
nativa sia dipendente da greca arte: e basterebbe per
convincersene avvertire che l' ornamento che più si
ripete è appunto quello che si scorge nel greco vasel-
lino di particolare forma , di cui abbiamo dato il di-
segno sotto il n. 9 della nostra tav. XII. Del resto non
può dubitarsi che i Sanniti Campani profittarono nelle
loro arti delle opere dei greci artisti , che vedevano
tuttodì sotto i loro sguardi. Noi ci asteniamo perora
dal far gli opportuni riscontri della dipinta architettura
delia tomba di Capua , e precisamente delle joniche
colonne, le quali offrono un vicino confronto alle co-
lonne del sepolcreto di Canosa, di cui saranno quanto
prima pubblicati idisegni.Vogliamo soltanto avvertire
che gli ovoli ricorrenti intorno intorno nella cornice
sporgente in cima de' dipinti , e visibili presso ai ca-
pitelli delle colonne , essendo nella maggior parte di
bianco presentanole ombre nella parte media indicale
or di nero, ed or di rosso colore: con questo sistema
che vedesi una sola volta adoperalo il rosso dopo due
— 1S3 —
ovoli ombreggiali di nero. Queste ed allre osserva-
2Ìoni su' colori di questi arcliilcttonici fregi saranno da
rilevare per gli opportuni confronti dell' arcliilottura
policroma degli antichi : e non è qui il luogo di fer-
marsi a ragionarne dislesamenle.
Nel mezzo della parete laterale destra è un incavo,
ed intorno evvi un dipinto a guisa di edicola. Nel
fondo di quella nicchia non si osserva alcuna cosa di-
pinta, e solo nel lato sinistro vedesi un colombo se-
gnato a semplici tratti di nero, che reca fralle unghie
una rossa tenia : di un altro simile uccello scorgonsi
le tracce sul lato sinistro della medesima edicola (vedi
quel primo uccello tav. XV n. 5 ). Vedesi appressare
alla edicola una figura femminile , molto sconserva-
ta, la quale apparisce tutta inviluppata in un ampio
panno. Rappresenta questa certamente un' ombra : e
poiché molti vasellini erano situati sulla edicola, po-
trebbe per alcuno congbietturarsi ch'ella si approssimi
alle funebri offerte per lei preparate. Dall' altra parte
della edicola vedi un personaggio calvo e barbato ,
vestito di bianca tunica ornata di rosse fasce , ed a
cui si soprappone un bianco mantello. Sembra un
costume poco dissimile da quello del sedente perso-
naggio figurato nella nostra tav. X : e ci ricorda la
descrizione che di un simile yestimenlo ci ha lascialo
Apulejo : Hahchal indiUui ad corpus tunicam inleru-
lam tenuissimo lexlu . . hahebat amiciui paltium can-
didum, quod superne circumjecerat [Florid. e. 9). La
espressione del suo volto, e la posizione stessa in che
si presenta avvolto nel pallio, sembrano additarci trat-
tarsi di un magistrato (Meddix) , o di un oratore. In
quanto poi all'acconcia maniera di tener la sua veste,
i Greci la dicevano xorj\xiuji àvccXafxPaKSfv t^y Iff-^Jf,-
Tcc. Su di che, tanto per la parte degli antichi scrit-
tori quanto de' monumenti che vi fanno riscontro , è
da vedere il eh. C. F. Hermann {Lehrbuch dcrGric-
diischen Anliquitalen voi. Ili p. 93 e 93). Difficile ci
sembra dare una soddisfacente dilucidazione dell' og-
getto spiegato a lui d'innanzi, in quattro serpeggianti
liste di rosso, i cui estremi ornamenti sono neri. Dal
considerare l'estremità inferiore acuta, che par de-
stinata ad entrare in qualche foro pratticato probabil-
mente all'altra estremità, potrebbe dedursi che questo
arnese fosse una larga fascia da avvolgersi a' lombi ,
e fermarsi mediante quella specie di borchia: la quale
particolarità di costume unita al resto dell' abbiglia-
mento , ed alla maniera in cui lutto il personaggio è
dipinto, sempre più ci confermano appartenere questo
monumento a' popoli Sanniti Campani, ed esserne do-
vute le pitture ad indigeni artisti.
Facciam seguire per ordine il dipinto della parete
più corta, la quale corrisponde rimpetlo alla entrala
della tomba (tav. XV). Veggonsi in essa i medesimi
ornamenti che nelle altre pareti, e nel mezzo una e-
dicola abjuanlo variamente ornala da quelle visibili
ne' muri laterali. A destra ed a sinistra di questa edi-
cola sono i due simbolici augelli riportati a' n. 7 , 6
della sudetta tav. XV , i quali recano traile unghie
purpuree bende , forse premii d' iniziazione. La gio-
vanile figura che sola comparisce da questo lato , è
vestila di bianco, ha giallo monile ed armille dello
slesso colore. La chioma è mollo simile a quella della
femminile lesta delle più comuni medaglie de' Beoti,
ed eleva colla sinistra la oenochoe gialla , colla parie
inferiore di rosso, innalza colla destra una rossa co-
rona , quasi mettendosi in rapporto col virile perso-
naggio innanzi descritto , a cui forse presenta quegli
oggetti come premio, e simbolo d'immortalità.
Vengo alla ulliraa parete (t.XIV), ove scorgi del pari
una edicola, con simili ornamenti non esclusi i simbo-
lici augelli, di cui rimangono tracce. Rappresentasi in
questa parete una giovine danzatrice, intenta al ballo,
al suono di una tibicine. La bianca veste della dan-
zatrice è ritenuta da una rossa cintura, e da due quasi
tracolle fra loro incrociale; la quale usanza di mo-
strar nudo il petto riscontrasi in altre sallatrieio gio-
coliere ravvisate in vasi dipinti, principalmente dell'
antica Gnathia (vedi quel che dicemmo nel 6»//. a/r/i.
nap. di Avellino an. V p. 97 e seg. , e luon. di Ba-
rone aa. I p. 16 e s. (1) ). l crotali sembrano di me-
tallo, essendo dipinti di giallo : e forse altro non sono
che i x^<'rx\% ■x^ctXxov di Euripide ( Cycì. 20i cf.
Martial. XI, IG, 4 ) , o ricordano la x^ucoxprxXoì
CTTra^^aXyi dell'Antologia [anlli. palai. V, 271, 1 f; v.
(1) Ivi notammo il senso funebre e talvolia baccbico di queste
danze.
— 184 —
il eh. Jahn ne Berìchte dcr Kon. Sachs. Gesellschafl
der Wissemchaft. 1851 pag. 169). Il panno che di-
scende dalie spalle è rosso , e così pure quella parti-
colare coverlura di testa, a cui ne trovammo perfet-
tamente simili in alcune danzatrici di un vaso di Fa-
sano (Gnalhia) posseduto dal sig. Raffaele Barone: ed
ahbiamo credalo opportuno di riportarne in confronto
il disegno al disotto della parete ; senza per altro ad-
ditare qual nome convenga a quell'ornamento (1). La
sonatrice di tibia ha alla testa una bianca covertura
con rosse linee tra loro intersegantisi, e sembra quella
specie di cecrifaio , che fu da' Latini denominato re-
liculum ; la sua bianca tunica con gialle maniche , e
con svariali ornamenti di rosso ci richiamano il pen-
siero alle costumanze di Lidia, le quali furono per
avventura trasferite dalle colonie de' Tirreni Lidi in
Capua (vedi quel che dicemmo ne' mon. ined. di Ba~
rone pag. 132) e nelle altre regioni ove stanziarono
gli Etruschi. Vedi Raoul-Rochette Hercule assyr. et
phénic. p.5. Queste danze, o altre dilettevoli occupa-
zioni, che tanto spesso veggiamo ripetersi anche nelle
pitture delle tombe di Etruria , alludono per avven-
tura a' diletti che si promettono a' defunti, ovvero ac-
cennano a quei piaceri, de' quali essi godevano nella
vita , 0 finalmente riputar si danno mistiche danze.
In qualunque modo intender si voglia la cosa , cre-
diamo utile di fare un' ultima osservazione, ed è che
tre letti morluarii appajono nel sepolcro , ed un si-
mile numero di funebri edicole veggonsi pratlicate
nelle pareti del monumento: è quindi probabile che
ognuna di esse si riferisse ad uno de'sepolti cadaveri. Ri-
manghiamo però nel dubbio se le figure de' tre sepolti
siano da ravvisare nel barbato personaggio, nella don-
zella colla corona ed il prochoos, e nella danzatrice :
ovvero piuttosto nella donna tutta avviluppata nel suo
mantello. Non sarebbe però strana cosa il supporre ,
che nella cassa mortuaria fossero adagiali due cada-
(1) In un celebre sepolcro di Tarquinii veggonsi le danzairici
pure con bianche vesti, e cecrifaio, e con simile panno penderne
sulle i-palle di color verde: Micjli monum per senile alla storia
lav. LXVllI.
veri. Nella quale ipotesi sarebbe una coppia di ma-
rito e moglie , e sopra que' letti due donzelle appar-
tenenti alla medesima famiglia. Un' ultima osserva-
zione sorge spontanea dalle cose finora esposte. Nel
sepolcro, ov'era il dipinto della donna con la cassetta
e lo specchio , certamente di un personaggio mulie-
bre, furono rinvenute ossa non bruciate : e così del
pari tre cadaveri adagiati nella tomba, ove tre fem-
minili figure vedevansi effigiate. AH' opposto in lutti
i sepolcri appartenenti a virili personaggi ritrovaronsi
ceneri o bruciate ossa : così nel sannitico sepolcro di
Cuma ; così negli altri di Capua : e se non potemmo
raccoglier lo stesso in quanto alla tomba tuttora con-
servata, sarà forse dipeso da un po' di negligenza nell'
osservarla, che non fece ricercar le ceneri del quarto
cadavere in quella sepoltura deposto. Questa osser-
vazione di fatto può farci per avventura conchiudere
che fosse uso de' Sanniti bruciarci cadaveri degli uo-
mini e non delle donne : del qual costume dovrà ri-
cercarsi d' ogginnanzi la dimostrazione nelle ulteriori
scavazioni , le quali saran eoa maggiore diligenza
pratticate in quel medesimo sito. E cosi poniamo ter-
mine a questa breve notizia di una delle più interes-
santi scoverte, che abbiano avuto luogo in questi ul-
timi tempi.
La importanza de' quali monumenti richiede un più
esteso lavoro: e noi ci proponiamo di presentarlo in
altra differente pubblicazione, nella quale intendiamo
di produrre i dipinti co' loro colori , unico mezzo di
offrirne una idea che possa giudicarsi pienamente a-
deguata e sufficiente.
Non possiamo chiudere la presente relazione senza
far noto che questi nuovi tesori archeologici , insie-
me con altri della medesima provenienza, verrantra
poco ad aggiunger lustro e decoro al real museo Bor-
bonico. Sarebbe vana cosa far rilevare anche in que-
sta occasione quanta gloria siesi meritata da coloro ,
a' quali è commessa la cura delle antichità: solo dirò
ch'essi acquistano ogni giorno più dritto alla pubblica
estimazione.
Mh\EKVlM.
GiCLio MixERviM — Editore.
Tipografia di Giuseppe Cata:ieo.
BUllETIIXO A85CMEOLOGICO MPOLITAÌSO.
NUOVA SERIE
N.o ÒO. (26. dell' anno II.)
Giugno 1854.
Notice sur Ics fouilles de Capone pur M. lÌAouL-RocnETTE. Continuazione e fine.
BIBLIOGRAFIA
Nolice sur Ics fouilles de Capone par M. Raoid-Ro-
chelte. Continuazione del n. 46 pag. 'IGO.
Senza entrare in minuta discussione su queste no-
tizie del Sig. Caruso, ho voluto per ora annunziarle,
riserbandomi di presentare alcune parlicolari idee, in
altra occasione ; e specialmente quando mi riuscisse
dì osservare qualcuna di quelle scolture , e la situa-
zione delle fosse ripiene di terrecotte , relativamente
al pavimento dello edifizio , che esser dee superstite
ancora dopo le ingiurie de' secoli, e che noi riteniamo
per un tempio. Intanto sarà utile avvertire che anche
le terrecotte sannilicbe da noi pubblicate (an. I. tav.
XUI , e an. II. tav. V ) vennero fuori da' fossi sopra
citali: il che pruova che almeno durava il cullo a quel
tempio prestato, anche sotto la sannitica dominazione.
L' altro monumento , certamente sepolcrale , sul
qu.ile il dotto autore fa alcune nuove osservazioni, è
quella tomba pubblicata in questo òw/Zea/Hoan. I tav.
Vili n.l 1, colla illustrazione del eh. Garrucci, ivi p.
129-130. A He osservazioni de! primo illustratore, che
riconobbe in quel sepolcro un monumento di architet-
tura Elrusca , il sig. Raoul- Roclielle aggiunge varii
confronti con monumenti asiatici, dai quili deduce che
il monumento di Capua appartenga ad un'alta epoca
dell'antichità etrusca ; notando the il carattere asiatico
in esso si ravvisa non solo dalla forma generale della
tomba, che presenta l'aspetto di una piramide tronca
a tre piani, ma altresì duU' uso dull'ordinejonico sotto
la sua forma più semplice , e nella sua funebre ap-
plicazione. Queste osservazioni del chiarissimo autore
ci sembrano degne della massima considerazione, per-
ANUU II.
che illustrano la origine asiatica delle arti Etrusche ;
il che sorge senza dubbio dalle tradizioni e dalle ri-
cerche dell'archeologia comparata.
Nel suo quarto articolo l'autore s'introduce a par-
lare de'principali oggetti di antichità forniti dalle tombe
di Capua, dell'epoca etrusca; eli considera in Ire classi
distinte : I. vasi di argilla dipinti — 2. vasi ed oggetti
di bronzo figurati — 3. figurine ebassirilievi di terra-
cotta. In quanto a' vasi, avverte l'a. osservarsi in essi
una maniera greca arcaica, unita ad uno stile e ad uua
fabbrica particolare, che indicano un'arte locale. Cita
a tal proposito la bellissima patera dionisiaca della
collezione Sautangelo; della quale ci proponiamo dir
qualche cosa in questi fogli , allorché ne daremo la
incisione. Richiama egualmente 1' altra patera di Evcr-
gide rappresentante Pelope domalordi cavalli, da mo
descritta nel bullell. arch. nap. an. VI p. 35 e seg,?,
vedi pure mon. ined. di Barone lom. I. p. 117, e
pubblicata dal eh. sig. Cav. Gargallo-Grimaldi [an-
nali dell' f si. arch. tom. XXI tav. d'agg. IJ. p. 1 ia-
loi). Egli osserva che probabilmente il fabbricante
Ei'crgide era di Nola stabilito forse nella etrusca città
di Capua : e vede nella faccia ov' è il giovine Plexip-
pos la imagine generale di un esercizio equestre , ri»
vestita di un tipo eroico nella persona di Pelope ; os-
servando che ne' cavalli non debbano riconoscersi i
divini desti ieri di Nettuno. Noi fummo invece di una
differente opinione ; e questa ci parve confermata da
un altro vasellino anche di Capua , di cui parlammo
nel I. anno di questo hulleltino pag. 190; del quale
però il nostro autore non richiamai! confronto. Nel!'
altra faccia del vaso riconosce 1' a. i solili esercizii
della palestra : e rilenendo che il fiore tenuto da uno
de' hrabeuli sia la specie di acanto denominilo da' Greci
20
186
e da' Romani pacdcros, spiega con ciò la scelta del sog-
getto di Pelope, le cui relazioni con Nettuno non era-
no punto dissomiglianti a' rapporti nella palestra fra
gli uomini e gli efebi: le quali osservazioni sono dovute
in gran parte allo stesso eh. Gargallo-Grimaldi. In
quanto alle due Sfingi che chiudono le due rappre-
sentazioni , e nelle quali ravvisa l'a. una funebre in-
telligenza, crede che siane dovuto il tipo e la idea a'
ninnumenli dell'arte asiatica : secondo le cose da lui
altrove esposte [journ.des Savanls 1830 p. 86-92)-
Da ulliino ricorda esistere nel Museo britannico una
patera volcente collo slesso soggetto di un giovine
eroe nudo fra due cavalli , egualmente denominato
PUE-l-JirrOJ (Birch in Archaeologia voi. XXXI p.
263 e seg. ) : ed osserva la comunicazione di vasi di-
pinti , di una fabbrica contemporanea , fralle due e-
trusche città Vulci e Capua: dal che trae una pruova
indiretta della origine elrusca di Capua.
L'altro importante vaso, sul quale richiama l'at-
tenzione de' lettori, è l'anfora nolana da me pubbli-
cata con la nascila di Bacco appellalo AIOS ^POS da
una faccia, e dall'altra Minerva, un toro, ed Ercole
( man. tned. di Barone tav. I pag. 1-7 ed appendice
pag. I-IV ). In quanto alla prima faccia del vaso , il
sig. Raoul-Rochetle segue interamente la mia illu-
strazione : e solo aggiunge la considerazione che in
un importante vaso Corintio da lui pubblicato (f'/io/x
de peinl. de Pomp. p. 73 vign. n. V) vedesi il giovi-
ne Bacco uscir colla n)elà del corpo dalla coscia di
Giove : e che ora il noslro vaso di Capua , del pari
anteriore ad Euripide, ci mostra un indizio di rela-
zioni di arte e di credenza fra Corinto e Capua, che
richiamano Io stabilimento del corintio Demarato in
Eiruria, e danno un appoggio alla origine elrusca di
Capua. In quanto all'altra faccia del vaso, egli non
vede nel toro se non che l' animale simbolico di Mi-
nerva, nella sua qualità di dea Luna: del chesipro-
|)one tenere più ampio discorso in altro lavoro. L'al-
tro monumento di cui favella l'autore è il frammento
di vaso brucialo , di cui fu da me data in prima la
descrizione (ìnon. ani. ined. di Barone p. 38), rap-
presenlante un bacchico soggetto, col nome del fab-
bricante Pisloxenos, e del pittore Epicletos. Dal tro-
var questi medesimi fabbricante ed arti sta in vasi di ,
Caere, di Videi, e di Canino, io desumeva relazioni
di commercio fra quelle città dell' E Iruria e Cap'ua ;
e r autore aggiunge trarsi da ciò un' altra pruova in-
diretta della origine elrusca di Capua.
Dopo di ciò il signor Raoul-Rochette parla delle
pruove dirette dell' eiruscismo di Capua, e della Cam-
pania. Ricorda da prima le varie patere di Nola e di
Sani' Àgata de Goti con iscrizioni osche in caratteri
etruschi , opponendosi alla idea del eh. Mommsen ,
che immaginava una colonia elrusca formala da' Ro-
mani. L'a. ammettendo invece la tradizione di una
Eiruria Campana, non trova difficoltà a ravvisare la
influenza elrusca in queste iscrizioni graffile sopra
vasi di Nola e di Sant'Agata de' secoli 5. e 6. di Ro-
ma. Richiama in seguito l'allra patera di Capua con
iscrizione elrusca pubblicata dal eh. Garrucci {bidl.
nap. n. s. an. I lav. I n. 2 p. 84-87), e l'allra con
le lettere NVO ( bull. cil. tav. I n. 3 p. 87 ) , nelle
quali ravvisa egli pure epigrafe elrusca piuttosto che
greca: e da queste deduce una evidente dimostrazione
delia origine elrusca di Capua. Noi ci riportiamo su
questa ricerca a quel che avemmo la occasione di os-
servare pili volte (vedi sopra p. 110, 138 e seg. ,
e 177) : e solo aggiungiamo che non ci sembra pro-
babile il supporre che alcuni de' vasi con caratteri
etruschi discendano sino al sesto secolo di Roma.
Anzi dall' arte appunto del vaso di bronzo posseduto
dall'egregio signor cav. Bonichi(l), noi traemmo
lutt' altre conclusioni , che escludono affatlo la idea
di una colonia elrusca proposta dal eh. Momm-
sen. Per quel che concerne la epigrafe NVO , noi
non vorremmo ravvisare in essa alcuna traccia di c-
trusco ; ma parci piuttosto uno di quei nomi di vasi,
che trovansi frequentemente segnali sotto il piede delle
antiche stoviglie seguiti spesso da un numero , e tal-
(1) Prendiamo questa occasione per annunziare che il sig. Bo-
nichi è possessore di una ragguardevole collezione di duemila e
più medaglie imperiali ne' Ire metalli, la quale offre la più perfetta
conservazione ne' pezzi di maggior rarilh , e specialmente ne' me-
daglioni , che ascendono al numero di cencinquanta. Egli ci ha
permesso di pubblicare alcuni conlor;iiali inediti, de' quali ci ha fa-
vorito i zolfi : e che formeranno, a Dio piacendo, parie delle pub-
blicazioni del terzo anno di questo bulletlino.
187 —
volta ancora dal prezzo. Qucsla nostra idea è fa-
vorita da due simili iscrizioni , che Icggonsi sotto il
piede di due vasi del museo Britannico: dice la prima
ISIVAAAA (Birch e NeAvton Calaloyue n. 646* pi.
B), e la seconda NVE {Ibid. n. 788* pi. B: cf. de
Witte calai. Durand num. 121, e Gerhard auser/es.
Vasenb. tav. LXIV). È dunque evidente che il NV"
abbreviazione di una qualche particolare forma di
vaso, di cui non sapremmo indagare il nome, vedesi
seguilo ora dalla cifra numerica E, ora dall'altra
AAAA , ora finalmente da 0. Tornando alla enu-
merazione de' vasi più interessanti scoperti in Capua,
il sig. Raoul-Rochette ricorda la piccola anfora no-
lana con l'Aurora fra Cefalo e Titono, da me pub-
blicata ed illustrata [mon. ani. ined. di Barone tav.
IV p. 19-27) , riportandosi a quel che da me ne fu
detto. E sono compiaciuto che il dotto archeologo
entri pienamente nella mia idea ritenendo per Titono
il giovine appellalo KAAAIMAXO^ in altro bellis-
simo vaso di Cuma edito da Avellino ( buUell. ardi,
nap. an. I. tav. I. pag. 5 e 35) : la quale intelligen-
za era stata rifiutata dal eh. Brunn (vedi i cit. nion.
ined. pag. 21. e append. pag. IV). Finalmente 1' a.
richiama altri vasi da lui osservati presso il nego-
ziante di antichità signor Raffaele Barone , e che già
in altro tempo eccitarono la mia attenzione. Tale si è
r idria colla pugna de' Centauri e de' Lapiti ( buìletl.
arch. nap. an. VI p. 22-23); l'altro vaso colle Eglie
di Pelia {ib. tom. VI pag. 53-55); un'anfora pana-
tenaica (ib. pag. 55); ed infine un' idria rappresen-
tante Venere con due donne edue Amori(jnon. {ned.
di Barone tav. XV p. 73). L'a. si ferma con questa
occasione a discorrere alquanto di un simile vaso delia
collezione Sanlangelo , del quale abbiamo poco in-
nanzi particolarmente ragionato ( p. 125 e seg. ).
Nel quinto articolo il sig. Raoul-Rochelìe comin-
cia a favellare de' vasi di bronw con figure od or-
namenti graffiti : e forma oggetto di particolare di-
scussione la magnifica urna di bronzo posseduta dal
signor Barone, che dichiara monumento di prim'or-
dine per tutt' i riguardi , e che come tale fu da me
pubblicato ( ne' man. ined. dell' Isiil. t. V tav. XXV.
annal. t. XXIII p. 36-59, e poi ne' mon. ani. ined.
di Barone tav. A. B p. 117-135). L'a. osserva che
oltre la patera del Plexippos, e l'anforina delia na-
scila di Bacco , erano nello stesso sepolcro altri vas
dipinti, fra' quali un rhijlon a testa di .ti icic, ora pos-
seduto dal sig. Biardot , ed alcuni frammenti di vasi
di argento. Per maggiore esattezza avverto che col
vaso di bronzo fu rinvenuta l' idria panalenaica men-
tovata di sopra , e non già 1' anforina del Ajos ^ù>; ,
la quale era con altri oggetti in un piccolo sepolcretto
di tufo: siccome ce n'è stata fornita la indicazione
dall'egregio sig. Vincenzo Caruso. 11 signor Raoul-
Rochette se ne riporta in generale alla illustrazione
che fu da me presentata di quel classico monumento:
e solo aggiunge alcune avvertenze , che noi qui bre-
vemente ricordiamo. Osserva da prima che 1' altro
vaso di bronzo descritto dal Winckelmanu (5/or. dell'
arte 111, 3, § 6) è certamente Capuano, e stima pro-
babile che le tre figure equestri , che ne fregiavano
la parte superiore, fossero parimenti di Amazzoni. In
quanto al gruppo, eh' è sul coverchio del novello
vaso di bronzo, fralle due opinioni da me proposte,
sceglie quella, per la quale riconobbi Proserpina ra-
pita da Plutone. Per quel che spetta a' monumenli
relalivi al mito di Caco, l' a. ricorda un vaso esistente
in Arles nel IX secolo , di cui si parla in un poema
di quel tempo ( Theodulph. Paraenes. ed ludices ap.
Sirmond. oper. var. t. Il pag. 1032). Mi piace qui
rotar di passaggio che non poche interessanti notizie
sul mito nr.edesimo, e sulle sue conseguenze , e sopra
varii monumenti che vi hanno rapporto, si leggono
nella dotta dissertazione del mio eh. amico cav. de
Rossi [' ara massima ed il leinpio d' Ercole nel Foro
Boario Roma 1854 in 8. estralla dalle opere dell'I-
stituto archeologico di Roma. Il sig. Raoul-Rochetle
avverte che il lavoro del vaso di bronzo del signor
Barone appartiene ad un' antica scuola greca stabilita
nella stessa Capua, la quale aver poteva principii co-
muni colle scuole greche contemporanee di Alene ,
di Egina , di Corinto, e d' Argo; e ne stabilisce l'e-
poca a 500 anni circa innanzi la nostra era. E rivol-
gendo il pensiero alla cista di Ficor-jni , presenta la
conghiettura che il Novio Plauiio, il quale esegui in
Roma quel moDumenlo , fosse un artista di Capua , ♦
_ 183 —
ove si lavorava il bronzo dalla più remota antichilà.
Vedi pure Cavedoni ripostigli p. 181. Quel che mi
sembra da notare in questa parti; del lavoro del dotto
archeologo francese , è l'equivoco che potrebbe sor-
gere dalle sue espressioni , colle quali appella il no-
vello vaso di bronzo un pezzo di scultura elrusca, ed
altrove un momimcnlo dell' alta amichila etrusca , e
quando osserva che Varie di lavorare il metallo era
in Capua coltivala neW alta antichità etrusca. Questa
apparente contraddizione va facilmente conciliata ,
quando si pon mente che l'a. giudica il nostro vaso
di bronzo prodotto di greca arte nell'epoca della e-
trusca dominazione di Capua : la quale idea coincide
con quella da me precedentemente sviluppata.
11 sig. Raoul-Rochette passa a discorrere delle ter-
recolte venute fuori in gran numero dal suolo di Ca-
pua. Noi già ne dicemmo alcuna cosa di sopra colle
parole del sig. Caruso (p. 160); e poco innanzi av-
vertimmo come le varie terrecotte rinvenute ne' fossi
circostanti al monumento, o tempio, di proprietà de'
signori Pallorelli, appartengono ad epoche differenti,
cominciando dall'arcaico stile e dalle rappresentanze
di divinità asiatiche ed orientali , e continuando sino
alle figurine dell'epoca sannitica. L'a. comincia dal
ricordare la importantissima terracotta del sig. Ric-
cio , ora nel real museo Borbonico , rappresentante
una divinità femminile che tiene con ambe le mani
una pantera: e ricordando i varii monumenti ove si-
mili rappresentazioni si veggono, provenienti per lo
più dal suolo di Elruria , osserva essere quelle ori-
ginate da un' arte asiatica. Rammenta che Pausania
vide sulla cassa di Cipselo figurata una simile dea a-
lata , e tenente con la destra una pantera colla sini-
stra un leone , che il pcriegele appella Diana ( V ,
XIV, 1 ) : ma il sig. Raoul-Rochette riportandosi alle
idee asiatiche, crede che in tutta questa serie di mo-
numenti debba ravvisarsi la Dea Natura asiatica, la
quale in certo modo va paragonata con l' Artemide
de' Greci, nella sua più alta intelligenza.
Tralasciamo di esporre le cose osservate dall'a. so-
pra un' altra terracotta del sig. Riccio , acquistata pel
real museo Borbonico, e rappresentante l' Ercole a-
sìatico che doma due leoDÌ; giacché questo ialeres-
sante pezzo, mollo frammentato, non proviene dalle •
capuane scavazioni : siccome abbiamo appreso dallo
stesso eh. possessore. Pria di passar oltre avvertiamo
che colle femminili deità finora ranmientate merita
di essere paragonato il bellissimo specchio di Crotone
pubblicato nella lav. Ili di questo anno del bulletli-
no. Un costume, presso a poco simile a quello della
terracotta di Capua, si accoppia al simbolo delle due
pantere : se non che non sono esse tenute dalla divi-
nità, ma poggiale sulle sue spalle. Questo interessante
pezzo di antichilà , il quale per le relazioni di Cro-
tone con Corinto, mostrasi appartenente all' arte Co-
rintia , è da confrontarsi assolutamente colla dea fi-
gurata sulla cassa di Cipselo , e creduta Artemis da
Pausania. Il Garrucci vede nello specchio la Vene-
re , sotlo le medesime forme , che offre una statuet-
ta ritrovala in Cipro : ma forse quell' asiatica divini-
tà va meglio riportata alla Diana de' Greci , non al-
trimenti che la Egizia Iside , la quale aveva egual-
mente la intelligenza della Dea Natura, Ed a questa
significazione conduce per avventura la Sfinge , la
quale fregia la parte superiore dello specchio : senza
dire che l' oggetto tenuto dalla dea con la destra so-
miglia ad un frullo di loto, che al medesimo ordine
d'idee si riporta. In qualunque modo il demone graf-
fito nella parte concava dello specchio non ci sembra
una semplice figura gorgonica ; ma piuttosto uno di
quegli esseri malefici dall'antichità riputali eccitatori
delle contese e delle risse, o che denominar si voglia
Eris , o Lyssa. E questa significazione è certamente
messa fuor di dubbio dalla rappresentazione de' due
galli pugnaci , che si corrono incontro : singolarissi-
mo soggetto in un monumento di questo genere , e
di cosi alta antichità. Vedi le cose da noi raccolte su'
monumenti che ritraggono pugne di galli in questo
bullettino pag. 87-88.
Ma ciò sia detto di passaggio , e ritorniamo al la-
voro del sig. Raoul-Rochette. Egli ricorda un'altra
statuetta di terracotta rappresentante un personaggio
stante, e vestito, con tiara frigia sul capo, e portante
una chiave sulla spalla : la quale ultima particolarità
attribuisce a reminiscenze d' idee orientali. Richia-
ma poi alcune lerrecolle oscene della raccolta del sig.
— 180
Riccio! la prima rappresenta un sedente Sileno, che
11 signor Raoul-Rochelte crede un istrione ; e presso
leggesi una epigrafe da lui riputata etrusca , la quale
il eh. Garrucci interpretò come greca in questi me-
desimi fogli (pag. 1G4). In quanto alla seconda , ri-
traente un gruppo di una donna e di un Panisco ,
dirò di averne osservate altre copie tratte dalla me-
desima forma ; ed una n' esiste nella famosa collezio-
ne de' signori Santangelo. Parla in seguito 1' a. delle
più ripetute statuette, che ci offrono una dea , che dà
latte ad uno o a due putti: e noi aggiugniamo le grandi
figure a rilievo, che nel tempio de' signori Pattorelli,
presentavano sino a cinque bamboli fralle braccia (vedi
sopra p. 160). E già vedemmo che l'a. ravvisa in
questa divinità la stessa Dea Natura orientale , rap-
presentata ne' suoi rapporti colla T'erra, o colla Cerere
Kourotrophos de' Greci.
Chiude r a. questo articolo col far rilevare la si-
militudine di un ornalo , che si scorge in una bellis-
sima antefissa di Capua , da lui posseduta , con altri
osservati in tombe di Caere e di IaiIcì ; e quel eh' è
più, in un oggetto di avorio venuto fuori dagli scavi
di Ninive. Consiste esso in due cartocci disposti in
senso contrario, e sormontati da una palmetla. L'au-
tore attacca la più grande importanza a questa simi-
litudine in un' architettonica decorazione, nella quale
non può immaginarsi la identità provenire da una
medesima idea naturale, che si manifesti sotto la me-
desima forma ; ma dovrà invece pensarsi al passaggio
di quel tipo, inventato dagli Assirii, in Etruria , ove fu
certamente importato. Lo spazio ci manca per di-
scorrere della immensa varietà di terrecotte tratte dal
monumento de' signori Pattorelli; ma non posso ta-
cere di una forma di non piccole dimensioni, già pos-
seduta da' signori Malerazzo di Santa Maria , ed ora
con altri pezzi acquistata pel real museo Borbonico.
Rappresenta essa un Pateco di arcaico stile : e noi
siamo sicuri che l' illustre archeologo francese ne a-
vrebbe fatto gran caso , per far rilevare il passaggio
delle idee asiatiche ed orientali nell' antica Capua , e
per estendere le ricerche da lui precedentemente e-
sposte su quella particolare forma del culto, in altro
suo eruditissimo lavoro : Ilercule assyr. et phénicien
pag. 329-37 'K
L' a. destina gli ultimi due articoli alla numisma-
tica di Capua. Noi lo seguiremo brevemcnlt! in tjiie-
sla ultima rilevante ricerca. Comincia dall' avvertire
generalmente che le medaglie di Capua non sono co-
muni , come asserì f lisamente il Mionnet , ma tutte
presentano una niaggioic o minore rarità : cosa pur
troppo nota a lutti gli aniiquarii napolitani.
11 sig. Raoul-Uoclielle dislingue tre serie di meda-
glie coniate in Capua— 1) serie greca — 2) serie san-
nitica — 3) serie romana.
La prima si compone di medaglie di argento de*
moduli del Iridrammo , e del didrammo , di antica e
bella fabbrica greca, che offrono ora la testa di Mi-
nerva galeata, ora la testa di donna nuda, ed al ro-
vescio il toro a volto umano, colla epigrafe KAM-
nANO, KAnnANO, ONAnMA>l,oKAniL\NOi;,
or dritta or retrograda. Bisogna aggiugncre le altre
varietà AHnANO (1), ed HAMnANO, delle quali
il nostro autore parla in altro luogo del suo lavoro.
Egli osserva che lo siile di queste medaglie è greco,
greci ne sono eziandio i tipi ; e che esse si collegauo
alla serie di A'ix/jo/i, ed a quella di Clima, di un'epoca
vicinissima all'anno di Roma 335, in cui questa ul-
tima città fu occupata da' Sanniti. Dalla epigrafe si
trae che appartengono al popolo de' Campani : e so\o
è a ricercare chi siano questi Campani se Greci o
Sanniti, se di Napoli, di Capua, o di altra città. L'a.
osserva che la epigrafe è assolutamente greca, si per
la forma de' suoi caratteri , che per la sua termina-
zione : e che non presenta alcuna relazione alla lin-
gua degli Osci. Per lo che si maraviglia che il signor
Friedlaender abbia riporlate le medaglie de" Campani
fralle monete osche. Per verità io credo che bene a
ragione il signor Friedlaender operò in quel modo ;
giacché nella epigrafe in quistione si ravvisano tracce
del sannitico dialetto, specialmente nella forma IIAM-
(1) Il sig. Raoul-Rochelte ( p. 77 noi. 1) nega la esistenza della
medaglia di Arpi con lipi campani, e colla epigrafe iO^^-^H^lA ,
riscontrala dal eh. Avellino, lo me ne riporlo a quel che dissi nel
bull. ardi. nap. n. s. an. I pag. 108; aggiungendo che altri c-
sempli venuli posteriormente in conferma sembrano appoggiar quel
fallo, siccome fu non ha guari osservalo dal eh. Caveduni bullcll.
dell' isl. archeol. 1853 pag. 125. Il eh. Monimsen contrasta di
nuovo la leggenda dell' Avellino nel suo recente lavoro Uber dot
rOmischc SlUnzwcscn p.80. Veggasi olile des mon. céram. p.4l, s.
— 190 —
PANO; giusta le osservazioni del eh. numismatico di
Berlino [oskische Miinzen p. 36), e del eh. Garrucci
(bull. arch. nap. an. I p. 66-67) (1): e Io stesso sig.
Raoul-Rochette vi riconosce una più grande influen-
za dell' elemento osco , traendo dalle lettere HYR che
fosse quella medaglia battuta in Hyrina. La quale o-
pinione ci sembra meno probabile di quella del Gar-
rucci, che vi riconobbe un nome di magistrato.
Dopo di ciò l'a. passa a rassegna le varie opinioni
circa il popolo, al quale appartengono le medaglie de'
Campani.
Rifiuta le sentenze dell' Eckhel , e degli altri che
le riportano agli abitatori di Capua (Pellerin addii, p.
18; Eckhel docir. num. tom. I. pag. 108; Lenor-
mant e de Wilte élite des monutn. céramogr. intr. p.
41, s; Mommsen unterit. Dial. p. 104-105); dell'A-
nellino, che le attribuiva a'Greci abitatori della Cara-
pania, ovvero a' Campani in Napoli trasferiti (jnonwm.
ined. p. 1-2 tav. I, 1 ; opusc. tom. II p. 27 e 167) ;
del Friediaender il quale pensò ai Campani stabiliti
in Ischia (2) (die oskische Miinzen p. 34) ; e del Fio-
relli , che le credè battute in Hyrina ( osserv. sopra
talune mon. rare p. 3 ). E conchiude che le meda-
glie , di cui è parola , sono state coniale in Capua ,
nei primi tempi che seguirono l'occupazione di que-
sta città fatta da' Sanniti Campani , e eh' esse furono
la moneta comune di questo popolo costituito io corpo
di nazione ( come dice Diodoro: Karà ixìv rry 'Iro.-
Xi'y.v rò P}>oJ rcoy KxfXTravwK (Tuvidry]. XII , 31 ) , e
non già la moneta propria di Capua considerata co-
me città osca. Noi confessiamo che questa maniera
d' intendere ci sembra fondata nella storica narrazio-
ne di Diodoro, e ne' dati archeologici concernenti le
( 1 ) 11 Cavedoni pensò inyece ad influenza etrusca: v. sopra p. CI -92.
(2) Con quesla occasione Raoul-Rochetle libera la greca iscrizione
d' Ischia, che ha dato causa a questa opinione, dalla taccia di so-
lecismo appostagli dal eh. Mommsen ( unter. Dialek. e. XXXIX p.
197-198 ), e si contenta di riconoscervi qualche impropriel!» di liu.
guaggio. Per verità le due cose notate dal Mommsen non mi sem-
brano affatto di'gne di riprensione. Noi non sappiamo se 1' àvi-
3riXav si riferisca a qualche parlicolar dedicazione. Ed in quanto
all' à'pi^avTss , crediamo che dinoli una carica innanzi sostenuta ,
e non già tuttavia esistente, non altrimenti che ci offrono simili
aorisli le iscrizioni napoliiane , io alcune delle quali leggesi pure
r ifi,otvrrx ( corp imcr. gr. o. 5790, 5790, 5797 ).
medaglie in quistione: ed avvertiamo che già da gran
tempo interpetrammo i Campani di Livio, ove parla
della Sannitica occupazione di Cuma (lib. IV, e. 44),
non già de'soli cittadini di Capua, ma della gente de'
Sanniti Campani, che aveva in essa la principale sua
sede : vedi questo bullettino an. I p. 16o.
Dopo questa interessante discussione l'a. comin-
cia a parlare delle monete osche , che son tutte di
bronzo, ad eccezione di una sola di argento ; della
quale nota la somma rarità , riducendo a quattro gli
esemplari Gnora conosciuti. E qui vogliamo avvertire
che r esemplare del duca di Noja , ora nel real mu-
seo Borbonico , non è diverso da quello già posse-
duto dal can. de Jorio ; e che i due della collezione
Santangelo sono di perfetta conservazione. Ora un
quinto esemplare , rinvenuto , come si crede, in Pu-
glia , foderalo e di conservazione piuttosto lodevole ,
trovasi nelle mani del negoziante di antichità sig. Raf-
faele Barone.
L' a. stabilisce la coniazione della moneta osca di
Capua a' tempi della prima guerra Sannitica, ricono-
scendo nella divisione duodecimale dell' asse la in-
fluenza del sistema monetale de' Romani socii ed aiu-
tatori delia città contro 1' aggressione de' Sanniti del
Sannio: ne fissa poi il termine alla presa della ribelle
Capua fatta da'Roraani medesimi nella seconda guerra
punica. Onde si avrebbe il limile di circa un secolo
fra gli anni 415 e 542 di Roma. Queste conclusioni
e le osservazioni the aggiunge l'a. sulla duplice di-
visione dell'asse di Capua , e sulle sue posteriori di-
minuzioni, meritano una più diligente ricerca; e noi
ci proponiamo di sottomettere le sue idee a pììi am-
pia discussioue, che non comportano i limili del pre-
sente esiratlo.
Nel settimo ed uìiimo articolo l'a. parla de' tipi
delle monete osc'ne di Capua , cominciando dalle le-
ste di conosciute divinità; come del Giove Capitolino,
della Diana Tifaiina, di Giunone, di Cerere, di Mi-
nerva, di Apollo, e di ^^rcole. Richiama particolar-
mente r ettenzionc sulla testa femminile ornata di co-
rona turrita e del fulmine : e ravvisa in essa il Genio
della città T^X"^ rrf toXswS , incontrandosi col eh.
Cavedoni [bull. arch. nap. an. II. p. 103), ed aggiu-
— 191 —
gnendo la dimoslrazione clie esisteva un (empio della
Fortuna in Capua (Liv. XXVII, 23), la quale crede
vt'nerata sotto il titolo di publicuni Numcn Capuae
(v. epigr. apud Mommscn inscr. regni neap. lat. n.
3386). Tra gli esempli, copiosamente citati dal dotto
autore, non vediamo quello pertinente alla stessa Cam-
pania; ed è un conlorniato colla Fortuna di Napoli
turrita ed alata e colla epigrafe nAPtìEXonH pub-
blicato darSanclemenli (tom. I p. 123 e seg.): a cui
fa bel riscontro la iscrizione di !M. Mario Epilleto ,
che dedica qualche cosa THITTXHI NEAnoAEfiS
{corp. imcr. gr. n. 5792). Vedi Avellino nel bull.
arch. nap. an. I p. 40.
La seconda ricerca concerne la lesta eroica imberbe,
che vedesi nel rilto di due tipi , cioè di Telefo allat-
talo dalla cerva, e del trofeo. L'a. stabilisce che qnel-
r ornamento di lesta non può riputarsi altro che la
tiara frigia ; e riconosce la testa di Capi mitico fon-
datore della città, secondo la primitiva opinione dello
stesso eh. Cavedoni {spie. nutn. p. li).
Sul tipo della confederazione osserva l' a. doversi
riportare ad un' alleanza fra Capua e Roma , all' e-
poca della prima guerra Sannitica. Riporta il tipo
della Diana in biga veloce a' pubblici giuochi cele-
brali in onore di Diana Tifatina. Spiega i due tipi re-
lativi alla Vittoria, colla esistenza in Capua di un tem-
pio di questa divinila. In quanto ai rovesci , o sono
simboli delle divinila figurate nel ritto, o danno luo-
go a particolari interpretazioni. Per quel che concerne
r elefante al rovescio della testa di Diana , 1' autore
in appoggio delle allusioni solari e lunari ravvisate
dagli archeologi napolitani , richiama un importante
luogo di Pausnnia , che vide una testa di elefante nel
tempio di Diana presso Capua (V, XII, I). Non per-
tanto si mostra inchinevole a seguir la opinione del
Cavedoni che riportava quel tipo al soggiorno di An-
nibale in questa città (spie. num. p. 14,21 ). Si di-
stende a discorrere più lungamente del tipo del leone
tenente colla sinistra zampa sollevalo un giavellotto:
e richiamando gli opportuni confronti specialmente
numismatici, lo dichiara allusivo ad Ercole come dio
Solare, e quindi all' Ercole assiro non già all' Ercole
greco. Con questa occasione attribuisce a Capua il
bellissimo asse del musco Chirkeriano (tav. XI n. 1
p. Gì e 67) collo stesso tipo al rovescio di un bu-
sto di cavallo; sebbene il eh. Cavedoni non ha guari
lo attribuiva a Luccria (Carelli num. vel. hai. tav.
XLIII, 2 p. 11 ). Il tipo del Cerbero si riporta dal-
l'a. all'oracolo de' morti di Cuma , essendo tra Ca-
pua e quella città le più strette relazioni: cosi era
stato inteso il simile tipo della medesima Cuma (Mil-
lingen Sylloge pi. I n. 4. p. 10-11): e l'a. richiama
assai a proposilo un classico luogo diScimnodiChio,
ove un simile oracolo in Tesprozia è detto KlìPBE-
PION' vTroXr^óviov h^ytìTov (v. 249-uO ed. Meincke
cf. Comment. crit. p. 17-18). Ed avvertiamo che
nel sannitico sepolcro di Cuma le nere onde furono
pur da noi spiegate colle tradizioni locali , adottate
per avventura da' dominatori Sanniti nel fregiare le
loro tombe ( i»u//. arch. nap. n. s. an I p. 16i-16o).
Più difficile è il tipo de' due simulacri, ch'egli ri-
tiene appunto per due idoli eguali a foggia di un bu-
sto piramidale, ricoperti ciascuno da un velo, e sor-
montati da una tenia svolazzante. Crede l'a. che que-
sti idoli presentino una origine asiatica ed orientale;
ed osserva che appunto nel culto di molle regioni
s' incontra la dualità di simulacri identici : come va
notando dagli antichi scrittori e da' monumenti. Egli
richiama alla idea generale di questa dualità , che
nelle divinila fenicie accenna alla doppia natura ma-
lefica e salutare: senza determinare la peculiare for-
ma degl'idoli figurati sulle monete di Capua.
Parl.i finalmente l'a. della medaglia di bronzo con
la testa di una Baccante nel ritto , e nel rovescio un
leone, o piuttosto una pantera , che tiene colla sini-
stra zampa un bastone , ovvero un tirso , appoggiato
sulla sua spalla: colla epigrafe CAP, CAn,e talvolta
CAI, come in un esemplare pubblicato dalCaprane-
si. Egli non dubita doversi attribuire a Capua questa
medaglia, ed a Caialia quella del Capranesi: secondo
le opinioni generalmente ricevute. Con questa occa-
sione l'a. crede di riirovare un confronto alla cele-
bre medaglia di oro della guerra sociale, per dimo-
strarne r autenticità : ed attacca di /jassionc gli archeo-
logi napolitani per averla giudicata falsa o sospetta.
Una simile accusa si legge nell'opera del sig. Fried-
laender [die osk. .ìfiinzen p. 71). Ma pare che la fac-
ciano a torto; giacché molle ragioni danno grave so-
spetto di falsità. La medaglia fu in epoca remota os-
servata da' numismatici na|)oliiani , e trovala falsa..
Alla pubblicazione che ne fu falla si elevarono novelli
— 192 —
sospelli e dal eh. Fiorelli [annali dìnumism. an. I p.
122), e da me {bull. ardi. nap. an.VIp. 47), nonché
dal eh. Kiccio [reperlor. numism. p. 2-3). Questi so-
spetti parevano giustificati dalla dichiarazione di falsità
nello stesso catalogo del museo Thomas ( p. 6 ), ove
era passata la medaglia. Sicché ragioni scientifiLhe, e
non altro , diressero il giudizio degli archeologi na-
politani a dubitare dell' autenticità di quel pezzo: e
sappiamo che anche ora il dottissimo Cavedoni non è
scevro da simile dubitazione [bull. deWIsl. IS^2 p.30).
Non vi è chi più di me faccia stima della couoscenza
prattica de'numismalici francesi, e particolarmente
del eh. sig. duca de Luynes ; ma mi permetteranno
che io n'equilibri il giudizio cogli occhi non meno
esercitali di alcuni archeologi napolitani, i quali vi-
dero la moneta nelle mani del dottor Nott. Sarei
troppo superbo se volessi decidere tra queste rispet-
tabili auloriià: e lascerò al tempo ed alle nuove sco-
perte la soluzione di una quislione, che finora debbo
tuttavia dichiarar sussislenle. Chiude il sig. Raoul-
Rochette il suo interessante lavoro eoli' accennar bre-
vemente la opinione che le monete di ftibbrica caìn-
pana con le iscrizioni ROM.\ e ROMANO , furono
tulle coniate in Capua : secondo la comune opinione
degli archeologi napolitani. La quale non ci sembra
distrutta dalla recente scoperta del deposilo di Vica-
rello , come vorrebbe il eh. I'. Mnrchi nel riferire
quell'importantissimo riirovamenlo [La sllpe tribu-
tala alle divinila delle acque ApolUnari p. {3eseg.).
Così diamo fermine a questo breve estratto, nel quale
non ci fu dato di entrare ne' più mimili particolari,
né di presentare quelle speciali nostre idee, che ri-
chiedevano più ampia esposizione. Avrei voluto rin-
graziar pubblicamente l'illustre autore per la corie-
sia colla quale in tutto questo lavoro ha citalo con
encomio le mie aicheologiche produzioni : avrei vo-
luto a lui medesimo proporre alcuni dubbii ed alcune
osservazioni. Ma la morie lia troncato una vita così
utile alla scienza, a me ha rapilo un amico: ed io
non posso in questo luogo che rendergli una lieve
testimonianza della mia siiicerissima slima. Non fuv\i
archeologo più laborioso di Raoul-Rocuette: le sue
inaumerabili produzioni lo attestano. Sin da quando
l'opera delle colonie greche gli apriva in giovanissima
età le porle dell' Islilulo , egli non inlermise la pub-
blicazione di libri utili ed importanti. Cullore dell'ar-
cheologia in lutta la sua estensione, raccolse nelle varie
branche di questa difficilissima scienza, meritali trionfi.
La critica più fiera , che non ne risparmiò in vita la
splendida fama, s'inchinerà rispettosa all'onorala ce-
nere dell'estinto. Nessuno potrà rapirgli il vanto di una ,
estesa dottrina archeologica, di una diligente e vasta
erudizione , di uno zelo insuperabile , del più accfso
desiderio per la ricerca del vero, di quella lucidità e
chiarezza di esposizione, che non di rado si desidera
negli eruditi. Propugnatore della migliore scuola ar-
cheologica nella sua patria, se ne fece sempre libero
e severo campione , affrontando impassibile lo sde-
gno degli avversarli.
La Francia sentirà la perdila di un uomo, che ha
lascialo onorevoli tracce ovunque ha rivolto le sue
cure, L'Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere è
rimasa priva di un dottissimo socio : l'Accademia delle
Belle Arti ha perduto il suo segrelario, di cui la in-
telligenza ed il gusto agguagliavano la elegante parola
e la solida eloquenza: a\ Journal dsssavanlsè mancalo
uno de' più ragguardevoli collaboralori: è mancnla alla
Riblioleca Imperiale la voce dell' illustre professore
di archeologia. Noi sappiamo che Raoul-Rochette
ha lascia'.o a tulle queste scienlificlie amministrazioni
produzioni inedile del suo impegno. Resterà a'suoi dolti
colleghi, a'suoi concittadini la cura di farne la pubbli-
cazione. Ma non sarà nien vero che uìccnJo alla luce
quelle archeologiche ricerche , ci mostreranno the
l'uome insigne, ancorché freddo cadavere, vive anco-
ra la vita della scienza. E questa vita gli è riserbala
immortale nell'imparziale giudizio della posterità.
Il presente buUeltino , a cui aveva appena comia-
ciato a fornire qualche lavoro, ha perduto assni pre-
sto il suo novello collaboratore.
La costante benevolenza di quest'uomo rispeltabile
verso di me , e 1" alliva corrisj)ond.;nza tra n )i man-
tenuta per lo spazio di quattro lustri mi rende mea
tollerabile il dolore della sua diparlila.
A conforlo del mio cordoglio mi resta pertanto il
suo rilratto, che fu a lui pegno di filiiie affetto, e che
e"li slesso colle sue mani mi offriva quasi memoria per
me di slima e di amicizia: mi resta I immenso numero
de' volumi da lui pubblicali, d;''qi ili volle farmi gra-
zioso dono ; deposilo di vasta doUrina , di svariala e
piena erudizione , indispensabile tesoro per tutti gli
studiosi dell' archeologica scienza.
Non s'ingannava l'imparcggiibile defunto, se pen-
sò che queste memorie mi svelenerebbero ognor vi-
va la sua rimembranza. Ed io son sicuro che quan-
do neir esporre i suoi estremi voleri dichiarava mo-
deslamenle di non bramar sulla tomba c'iie le preci
della Chiesa, ed il comiiianlo de^li amici, a me volse
un particolare pensiero, e si consolò forse di una la-
grima , che vide spuntar sul mio ciglio. Mimervi-m.
Giulio Mi.nervi.m — Editore.
Tipografia di Giuseppe Cataneo.
— 193
INDICE DEGLI ARTICOLI.
Questioni Pompejane
3. TopograGa del terreno , ove fu la città di Pom-
pei " 1
4. Il tribunale della Basilica quando e da cLi co-
struito 1
Giunta al detto articolo 23
5. L' Augusteum, la curia degli Augustalcs , il
Chalcidicum , l' aedes Fortunae Augustac . 4
6. I due Teatri 6
7. Dell' edifìzio detto Triibus, e della voce Cùm-
benniiis 7
8. Tempio di Mercurio e Maia 7
9. Si è rinvenuto finora alcuna cosa di cristiana
credenza in Pompei? 8
Notizia de' più recenli scavi di Pompei ... 9
Continuazione 25
Id 49
Id 65
Id 117
Id 145
Sul vaso di Ulisse Acanlhoplex , da lettera del
eh. sig. cav. Welcker al sig. Giulio Minervini. 12
Giunta all' articolo precedente 14
Delle monete attribuite a Palatium, oPalacium
della Sabina , o dell' Umbria che dir si voglia. 1 5
Culto della Venere in Pompei 17
Come fu interrata Pompei 18
Escavazioni di tempi diversi in Pompei ... 20
Il Pausi irpoN di Mezia Edonc sul lago Sabatino, 2 1
Osservazioni intorno all' articolo precedente . 54
Sul programmi pompejnno dì Giulia Felice . 23
Osservazioni intorno all' articolo precedente . 24
Osservazioni sopra un dipinto pompejaao . . 29
Notizia di alcune iscrizioni messapiche ... 32
Bollo consolare 33
Sugli avanzi di antiche costruzioni orizzontali e
poligone, che sono sottoposte alla chiesa Cat-
tedrale di Ferentino 35
Iscrizioni latine 39
Id. . 35
Id 80
Id SS
Id 90
Id 100
Id Ili
Id 136
Id lol
Id 176
Brevi osservazioni sopra un bassorilievo cumano 4 1
Di un denario di Famiglia incerta, comunemen-
te attribuito a Giulio Cesare, che vuoisi re-
stituire a L. Cornelio Siila 42
Sul Vero ter Conscie nella epigrafe di Unso
Togato — lettera del eh. sig. A. Gervasio al
sig. G. Minervini , con osservazioni del eh.
conte B. Borghesi 43
Notizia di due iscrizioni messapiche. ... 43
Notizia di una iscrizione puteolana V5
Descrizione di alcuni vasi dipinti del real museo
Borbonico 46
Continuazione 37
Il nuovo programma pompejano di M. Epidio
Sabino 31
Iscrizione sorrentina dedicata a Fausta, con os-
servazioni del conte B. Borghesi .... 53
Dichiarazione della figura I tav. II di questo se-
condo anno del Bulleltino 37
Notizia di una latina iscrizione di S. Germano. 73
Dell' aria di Baja 74
Revisione della lapida di Campo Marino . . 79
Del Palatium e delio stagnum di Mamea in Baja 79
Fotografia in Pompei SI
Iscrizioni pompejane 82
Vaso della collezione Jalla in Ruvo .... 83
Osservazioni del eh. ab. D. Celestino Cavedoni
al 1 anno del presente bulleltino. ... SO
Notizia di una tavoletta calcolatoria romana . 93
Giunta all' articolo precedente 03
Descrizione di un vaso dipinto ora nel real mu-
seo Borbonico 97
— 194
Notizia di alcune terrecoUe antiche della colle-
zione del defunto Francesco Mongelli in Na-
poli 103
Bibliografia — Nolice sur les fouilles de Capoue
par M. Raoul-Rochette 108
Continuazione 119
Id 159
Id 183
La partenza di Anfiarao in vaso dipinto. . .113
Troilo — Europa: in vaso dipinto di Gapua. . 116
Di due iscrizioni osche 118
Monete diverse della collezione Mongelli— Mo-
neta di Eraclea del real museo Borbonico . 121
Patera del museo Santangelo 123
Poche parole sopra uno specchio aulico di Cro-
tone 128
Luogo di Tertulliano relativo a' teatri coperti. 128
Scavi di Canosa. Descrizione di un vasculario
dipinto tratto da' Persiani di Eschilo. , , 129
Dell'anno preciso , e dello scrittore di una let-
tera greca dell' Imp. L. Settimio Severo ai
magistrati, al senato ed al popolo degli Eza»
niti , che leggesi incisa in un marmo antico
di quella città della Frigia 133
Nuovi confronti di Rezjarii armati di tridente e
di pugnale 134
Vaso di bronzo rinvenuto nel sito dell'antica
Capua 137
Sopra alcune monete di Eraclea — Lettera del
eh. sig. Raoul-Rochette all'Editore del pre-
sente buUeltino I3f&
Osservazioni dell'Editore del buUetlino alla let-
tera precedente 142
Memorie della imperatrice Salonina in S. Maria. 143
Epoca del consolare della Campania Valerio
Ermonio Massimo. Lettera del eh. sig. A.
Gervasio all' Editore del presente bullettioo ,
con osservazioni del conte Borghesi . . .145
Nuove osservazioni intorno alla topogra6a pu-
teolana graffila in un vasetto di Populonia . 153
Bibliografia -^ ( Gavedoni ) Ragguaglio storico
archeologico de' precipui ripostogli antichi di
medaglie consolari e di famiglie romane d'ar-
gento etc. — Modena 1834 in 8 157
Un nuovo ambulacro scoperto nel cimitero di
S. Caterina presso Chiusi 161
Iscrizioni in caratteri e dialetti itaUci . . .163
Giunta all' articolo precedente 167
Iscrizione graffila sotto il piede di un vaso . .168
Monumenti di Canosa. Vaso di Dario. Altro col
mito di Perseo e di Andromeda. Oggetti di
oro. Simulate monete 169
Di alcune monete di Napoli 173
Giunone Antea 175
Tombe e pitture Sannitiche di Capua . . . 177
NOMI DI COLORO CHE HAN FORNITO ARTICOLI AL BOLLETTINO.
Andres (p. Giovanni d.c.d.G. ) 74,
Cavedani (ab. D. Celestino) 13, 42, 89, 133, 160.
Fiorelli ( Giuseppe ) 23.
Garrucci ( p. Raffaele d.c.d.G.) 1 , 4, 6, 7, 8, 17,
18,20,23, 24, 33, 33, 39, 51, 53, 34, 55,
79, 80, 82. 93, 128, 134, 163.
<ìenasio (Agostino) 43, ioO.
Al inenini {Giulio) 9, 14, 23, 29, 32, 40,45,46,
49, 57, 63, 73, 81, 85, 88, 96, 97,100, 103,
108, 111. 113. 116, 117. 118, 119, 121. 125,
129, 136, 137. 142, 143. 143, 151, 157, 159,
167. 168. 169. 173, 175. 176, 177, 185.
Raoul- Rochelle {si§.) 139.
de Rossi (cav, G, B.) 21, 133,
Wekker (cav. Federico Gott. ) 12,
— 195 —
INDICE DELLE TAVOLE.
Tav. I. Fig. 1. Moneta di bronzo illustrata apag.
15 e segg.
Fig. 2. Bassorilievo di Guma, di cui si parla
a pag. 41.
Fig. 3. Iscrizione pompejana, di cui si ra-
giona a pag. 1 e segg. e pag. 23.
Tav. II. Fig. 1 e 2. Patera di Fasano, di cui si dice
a pag. 57.
Fig. 3 e 4. Terrecotte della raccolta Mon-
gelli illustrate a pag. 105 e segg.
Tav. III. Specchio antico di Crotone, di cui si parla
a pag. 128 e 188.
Tav. IV. Vaso della collezione Jatta, illustrato a pag.
83 e segg.
Tav. V. Iscrizioni in caratteri e dialetti italici , di
cui si dice a pag. 163 e segg. e 167.
Tav. VI. Fig. 1. Vaso della collezione Sanlangelo
illustrato a pag. 125 e segg.
Fig. 2, 3, 4, Tabelle calcolalorie romana
e greche, di cui si favella a p. 93 e seg.
Tav. VII. Fig. 1, 2, 3. Vasetto di S. Maria dichia-
rato a pag. 116.
Fig. 4, 5, 6. Vaso di bronzo con epigrafe
sannitica , di cui si ragiona a pag. 1 37
e segg.
Fig. 7. Simbolo di Mercurio richiamato a
pag. 98.
Fig. 8. Iscrizione di una patera , di cui si
dà notizia a pag. 139.
Tav. Vili. Iscrizioni pompejane illustrate a pag. 82
e se^ff.
Tav. IX. Fig. 1° 2, 3,6,7,8,9,10,11,12,13,
19, Monete della raccolta Mongelli il-
lustrate a pag. 221 e segg.
Fig. 4, 5. Monete di Napoli, di cui si parla
a pag. 91 e 173.
Fig. 15, 16, 17, 18. Monete di Eraclea,
di cui si ragiona a pag. 139 e seg. 142
e seg. e 124.
Fig. 20 e 21. Statuetta di osso dichiarata
a pag. 135.
Tav. X. Pittura di una tomba sannitica di Capua , di
cui si parla a pag. 178 e seg.
Tav. XI. Altre pitture sanoiticbe di Capua , di cui
si dice a pag. 179 e segg.
Tav. XII. Oggetti trovati in una tomba sannitica di
Capua descritti a pag. 182.
Tav. XIII, XIV, XV. Pitture della medesima tomba,
di cui si ragiona a pag. 181 e segg.
— 196 —
ERRATA
CORRIGE
Pag. 3 col. 1 lin. penull.
2 1
10
12
5 1 27
9 1 11
13 2 9
16 1 18
81 1 3
107-
109-
119-
144-
130-
159-
192-
-1 34
-2n. 1 4
.2 36
-2 3
-1 23 s.
-l^ 9
-1 13
-2 25
dal 732 al 752
da quest'anno 752
al 752
nel dello
a.vTuiy
SILLIVM
rsxyov sixóv
Euandro
DADOMENEIS
DADOMENES
ApiTTiOTiri
plelores
perdoniinante
sopra
tom. VII
n. 38 p. IH
r uome
dal 732 al 742
da quest' anno 742
al 742
nel
CCyTcòv
SITTIVM(cf. pag. 27n. 6, 7).
'TiXVOY lixòv
Evandro
DADOMENES
DADOMENEIS
'AlXVKT'Tiri
piclores
predominanle
qui appresso
si legga la iscrizione come alla p. 152,
tom. VI
n. 40 p. 119
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