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Full text of "Bullettino archeologico napoletano"

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NUOVA    SERIE 

PUBBLICATO  PER  CURA 

DEL  P.  RAFFAELE  GARRUCCI  D.  C.  D.  G« 
E  DI  GIULIO  MINERYINI 

te 
ACCADEMICI  ERCOLàmSI 


ANNO  PRIMO 

DAL    1    LUGLIO    1852  AL   30  CIUGNO    1853. 


NAPOLI 

DALLO  STABILIMENTO  TUOGBAUtO  DI  GILSEPPE  CATAMÌO 

Strada  Venlaylieri  M.  71.  ì.  P. 
i8o3 


PREFAZIONE 


IjiAMO  ormai  al  termine  del  primo  anno  del  bullettino  archeologico  napolitano  ,  e 
speriamo  di  aver  corrisposto,  per  quanto  era  possibile,  alla  espettazione  de' dotti, 
ed  alle  nostre  promesse  (1). 

La  relazione  de'  varii  scavi  seguiti  nel  Regno ,  e  segnatamente  di  quelli  di  Pom- 
pei ,  la  pubblicazione  d'  importantissimi  monumenti  epigrafici  ,  numismatici ,  e  di 
antichità  figurata ,  ci  forni  argomento  di  svariate  ricerche ,  ed  apri  un  vasto  campo 
di  studio  a  tutti  i  cultori  delle  archeologiche  e  filologiche  discipline. 

Noi  siamo  lieti  di  vedere  estendersi  di  giorno  in  giorno  il  numei'o  degli  asso- 
ciati regnicoli  ,  perchè  con  ciò  si  appalesa  non  essere  spenta  tra  noi  la  sacra  fiamma 
del  classico  sapere.  Basta  una  scintilla  per  ravvivarla  ,•  ed  a  noi  basta  la  idea  di 
concorrere  ad  un  sì  nobile  scopo  ,  per  non  tralasciare  1'  intrapreso  lavoro  (2). 


(1)  Riponiamo  in  nota  il  programma  delfa  nuova  serie  del  bul- 
lettino napolitano,  siccome  fu  da  noi  pubblicato  nel  mese  di  mag- 
gio del  passalo  anno  1852. 

«  Da  che  cessò  la  pubblicazione  del  bullettino  archeologico  napo- 
litano, il  quale  già  vide  la  luce  per  cura  del  non  mai  abbastanza 
rimpianto  Commend.  Francesco  Maria  Avellino,  era  desiderio  di  lutti 
i  cultori  degli  archeologici  studii,  che  ricominciasse  una  regolare 
notizia  degli  antichi  monumenti,  i  quali  sono  tratti  ogni  giorno  dal 
feracissimo  suolo  di  queste  nostre  regioni. 

Noi  non  mancammo  dal  canto  nostro  di  far  conoscere  o  con  sem* 
plici  descrizioni ,  o  con  incisioni  e  fac-simili ,  i  monumenti  o  di 
arte  o  di  epigralìa,  che  ci  fu  dato  di  osservare  :  ma  convenivamo  en- 
trambi nel  desiderio  dì  dar  fuori  una  periodica  pubblicazione,  nella 
quale  si  registrassero  le  nuove  scoperte  di  patrii  monumenti,  e  le 
novelle  ricerche  su'  medesimi  istituite  da'  dotti  nazionali  o  stranieri. 

Ricercando  fra  noi  un  vicendevole  concorso  alle  nostre  pubbli- 
cazioni ,  ci  avvedemmo  di  leggieri  che  sarebbe  più  utile  consiglio 
associarci  collo  scopo  comune ,  a  cui  egualmente  aspiravamo.  Sor- 
ge quindi  colle  nostre  forze  riunite  il  presente  bullettino,  che  noi 
intendiamo  sia  da  riputare  un  prosieguo  dell'  antico  ,  a  cui  tanta 
estimazione  procacciò  il  nome  illustre  dell'  Editore.  Se  non  che  noi 
dichiariamo  innanzi  tratto ,  che  non  ci  leghiamo  a  parlar  di  notizie 


nostre  soltanto,  ma  potranno  considerarsi  di  gradita  appendice  le  no- 
tizie siciliane,  e  quelle  delle  grandi  scoperte,  che  interessano  somma- 
mente r  archeologia ,  in  qualunque  punto  della  terra  abbiano  luogo. 

Un'  altra  classe  ,  del  tutto  estranea  all'  antico  bullettino  napolita- 
no ,  vien  costituita  dalle  antichità  cristiane ,  alle  quali  è  tanto  ri- 
volta oggidì  r  attenzione  dei  dotti.  Noi  toccheremo ,  ove  la  oppor- 
tunità se  ne  presenti ,  le  novità  di  archeologia  cristiana  de'  primi 
secoli,  e  le  discussioni,  alle  quali  esse  dar  possono  la  origine. 

Noi  abbiamo  fiducia  che  i  nostri  sforzi  per  la  diffusione  delle  no- 
vità archeologiche,  principalmente  del  nostro  paese,  sieno  bene 
accetti  al  collo  pubblico  in  Italia  e  fuori  :  e  ci  attendiamo  che  con- 
tinueranno a  dar  lustro  alla  presente  ptibblicazioue  que'  chiarissimi 
archeologi,  i  quali  già  parteciparono  alla  prima  le  loro  dotte  comu- 
nicazioni ed  osservazioni. 

Se  coli'  annunciare  continuamente  i  prodotti  della  passata  civiltì, 
varremo  a  tener  fra  noi  svegliato  1'  amore  delle  arti  e  dei  classici 
studii,  saremo  abbastanza  compensati  nella  nostra  intrapresa,  e  cre- 
deremo di  ricavare  il  più  bel  frutto  dalle  nostre  fatiche  ». 

(2)  In  fine  del  2.  anno  del  bullettino  sarà  dato  il  catalogo  degli 
associali  del  Regno,  i  quali  ajutando  co'  loro  mezzi  una  patria  pub- 
blicazione concorrono  al  lustro  del  proprio  paese,  e  sì  mostrano 
vaghi  de'  gentili  studii  dell'  archeologia. 


A  tal  pensiero  si  agglugne  il  benevolo  accoglimento  per  parte  flegli  archeologi 
nazionali  e  stranieri  ,  che  venne  a  coronar  la  nostra  opera.  Noi  non  rammente- 
remo le  miiversali  congratulazioni,  che  privatamente  ci  furon  fatte  da  tutta  l'Ita- 
lia ,  dalla  Germania  ,  e  dalla  Francia  :  ma  non  possiamo  non  esprimere  la  nostra 
gratitudine  per  coloro ,  che  manifestarono  al  pubblico  sensi  benigni  veiso  la  nuova 
serie  del  bullettino  archeologico  napolitano.  La  cwillà  cattolica  ,  il  bullettino  del- 
l' Istituto  di  corrispondenza  archeologica  ,  la  rivista  archeologica  di  Parigi ,  la  gaz- 
zella archeologica  di  Berlino ,  ed  altri  rinomati  giornali ,  compensarono  largamente 
di  cortesi  parole  le  nostre  letterarie  fatiche  :  e  noi  vogliamo  che  tutti  i  fautori  del 
nostro  halletlino  ,  fra'  quaU  primeggiano  i  nomi  illustri  di  un  Gerhard  ,  e  di  un 
Raoul-Rochette  ,  si  abbiano  una  pubblica  dichiarazione  della  nostra  riconoscenza. 

S'  abbiano  altresì  i  nostri  più  sinceri  ringraziamenti  quei  dotti ,  che  comincia- 
rono,  o  continuarono  ad  arricchire  la  nuova  serie  del  bullettino  colle  loro  comu- 
nicazioni. 

Ad  un  altro  essenzialissimo  dovere  mancar  non  possiamo  nel  por  termine  a 
questa  nostra  prefazione  :  ed  è  quello  di  attestare  altamente  la  protezione  al  bui- 
lettino  accordata  nel  nostro  paese. 

Le  numerose  associazioni  per  parte  delle  diverse  amministrazioni  dello  Stato, 
e  la  facoltà  di  pubblicare  a  quando  a  quando  gl'inediti  monumenti  del  real  mu- 
seo Borbonico  e  di  Pompei  ,  sono  il  risultamento  di  questa  benevola  protezione  : 
nella  quale  la  Reale  Accademia  Ercolanese  ,  a  cui  ci  facciamo  vanto  di  apparte- 
nere ,  ed  il  eh.  sig.  Principe  di  San  Giorgio  Spinelli  ,  direttore  del  Real  Museo 
Borbonico  e  Soprautendenle  generale  degli  scavi  del  Regno,  gareggiarono  con  gli  alti 
funzìonarii  ,  da'  quali  quelle  due  amministrazioni  dipendono. 

Saremmo  certamente  ingrati  ,  se  in  queste  pagine  risuonar  non  facessimo  il 
nome  dell'  Eccellentissimo  sig.  Principe  di  Bisignano  ,  Maggiordomo  Maggiore  di 
Sua  Maestà  e  Soprantendente  generale  della  Real  Casa;  e  quello  del  Commendatore 
Francesco  Scorza  ,  Direttore  del  Ministero  degli  affari  ecclesiastici  e  della  istru- 
zione   pubblica. 

Noi  riputiamo  questi  due  personaggi  i  principali  protettori  della  presente  pub- 
blicazione. E  se  non  siamo  disanimati  a  proseguir  T  intrapresa  col  medesimo  zelo, 
col  quale  la  cominciammo,  egU  è  perchè  nel  loro  favore  noi  speriamo  il  più  va- 
lido   appoggio  ,  ed  il  più  lusinghiero  incoraggiamento. 

Gii  Editori 
P.  Raffaele  Gabrlcci  d.c.d.g. 
Ginio  MiNEiiviNi. 


BUllETTIXO  ARCHEOLOGICO  IVAPOlITA^O. 


NUOVA    SERIE 


TV."  1. 


Luglio  1852. 


Descrizione  di  un  vaso  ruvese  del  Real  Museo  Borbonico.  —  Sulle  sigle  delle  iscrizioni  pompeiane  dipinte  a 
pennello ,  e  sidla  difficoltà  di  ben  Ira^'Crivere  dalle  pareli  i  caratteri  dipinti. 


Descrizione  di  un  vaso  ruvese  del  Real 
Museo  Borbonico. 

Tra' vasi  di  Ruvo  conservali  nel  Real  Museo  Bor- 
bonico trovasi  quello,  di  cui  intendiamo  dare  in  que- 
sti fogli  una  esalta  descrizione:  e  tanto  più  siamo  spinti 
a  farlo  sollecitamente  ,  perchè  da  più  tempo  è  desi- 
derala la  notizia  di  questo  monumento  da  uno  de'più 
dotti  illustratori  dell'antica  ceramografia;  dir  voglio 
dal  mio  egregio  collega  ed  amico  cav.  Odoardo  Ge- 
rhard. 

È  questa  ua'idria  a  tre  manichi,  di  altezza  pai.  1 
e  32  centesimi ,  con  figure  rosse  in  fondo  nero.  Sul 
lembo  esterno  dell'orlo  è  l'ornamento  di  ovoli:  sul 
collo  altro  giro  di  ovoli  più  grandi ,  da'  quali  pen- 
der si  mira  nel  mezzo  un  bianco  nastro  :  sulla  pan- 
cia è  la  rappresentazione,  sotto  la  quale  è  un  mean- 
dro, che  non  si  estende  al  di  là  della  stessa;  siccome 
in  altri  vasi  di  simil  forma  non  di  rado  s' incontra. 
Tutta  la  composizione  vien  costituita  da  un  doppio 
ordine  di  figure.  Neil'  ordine  inferiore  vedesi  nel  mez- 
zo un  imberbe  giovine  cinto  di  bianco  diadema,  con 
clamide  che  si  affibbia  sul  petto ,  e  breve  tunica  fre- 
giata di  stelle  e  di  svariati  ricami ,  e  co' piedi  muniti 
di  stivaletti  :  grandi  ali  si  spiegano  dietro  a'  suoi 
omeri.  Questo  giovine  è  quasi  di  fronte  movendosi 
alla  corsa  ,  e  sollevando  in  alto  il  capo.  Siede  paca- 
tamente sulle  sue  spalle  una  femminile  figura  con 
bianchi  radii  sul  capo ,  e  nastro  che  ne  lega  i  capel- 
li :  ha  essa  lungo  chitone  senza  maniche  :  colla  de- 
stra si  atliene  ad  un  braccio  del  suo  rapitore  disteso 
per  sostenerla  ,  e  colla  sinistra  tira  un  lembo  di  un 


peplo  che  a  lei  medesima  appartiene ,  e  che  mirasi 
in  parie  svolazzante.  A  destra  del  descritto  gruppo 
scorgesi  un  giovine  diademato  con  clamide  che  si  ran- 
noda sul  petto  ,  il  quale  fugge  veloce  a  destra  ele- 
vando la  dritta,  e  tenendo  colla  manca  il  doppio  gia- 
vellotto riverso.  Chiude  da  questo  medesimo  lato  la 
scena  Amore  diademato  e  coronato  sedente  a  destra, 
e  volgendosi  a  guardare  il  fuggitivo  giovine.  Dall'al- 
tro lato  del  gruppo,  eh' è  nel  centro,  vedesi  un  gial- 
lo candelabro  o  timialerio  presso  l' idolo  di  una  di- 
vinità ,  che  poggia  sopra  un  piedestallo.  Sì  il  piede- 
stallo che  r  idolo  sono  bianchi  con  tratti  di  giallo. 
L' arcaismo  dello  xoanon  è  sufficientemente  indicato 
dalle  gambe  poco  elegantemente  fra  loro  ravvicinate: 
[<y-x{\i\(jv{ji'\ji\tir\X'-j\a.  ^IxiWer  Acginet.  pag.  110),  e 
dalle  braccia  simmetricamente  elevate  d'  ambi  i  Iati 
(  x-'P=5  wctpccTSTafXJta/  Diod.  1 ,  98  ):  il  simulacro  ha 
sulla  testa  il  polos;  un  sottile  ampeconio  ricamato  eoa 
una  fascia  ,  che  lo  fregia ,  ed  il  rigonfio  petto  ne  ad- 
ditano senza  alcun  dubbio  il  sesso  muliebre.  Presso  è 
un  albero.  Vedesi  accorsa  all'  idolo  e  genuflessa  ab- 
bracciandolo colla  sinistra  una  donna  di  aspetto  gio- 
vanile con  ornata  slefane  ,  tunica  senza  maniche  ,  ed 
orlata  clamide.Anche  da  questo  lalo  termina  la  com- 
posizione corrispondendo  sotto  il  manico  un  giovine 
diademato,  con  clamide,  e  petaso  dietro  le  spalle,  che 
si  avanza  a  destra,  tenendo  pur  colla  sinistra  il  doppio 
giavellotto  riverso. 

Neil'  ordine  superiore  sono  due  sole  figure,  divise 
dall'ordine  inferiore  per  mezzo  di  bianche  linee  tor- 
tuose destinale  ad  indicare  una  montagna  (  vedi  il 
hdllM.  ardì,  napol.  an.  VI.  pag.  25  ,  e  ciò  che  di- 

1 


—  2  — 


clamo  nella  meruoi  ia  ììluslr.  di  un  vaso  ruv.  del  Real 
Mus.  Borì),  pag.  4.  e  8  ).  A  sinistra  di  chi  guarda 
scorgesi  un  giovine  diademato  e  coronato  ,  con  cla- 
mide e  doppio  giavellotto,  il  quale  in  precipitosa  fuga 
piega  il  destro  ginocchio  ,  e  stende  la  sinistra  gamba 
nascosta  in  parte  dalla  sinuosità  della  montagna  :  lo 
stesso  sporge  innanzi  la  destra  ,  volgendosi  a  guardare 
a  sinistra.  Dall'altro  lato  siede  a  destra  sulla  sua  cla- 
mide volgendosi  a  s.  un  giovine  coronato,  con  capelli 
in  particolar  modo  cadenti ,  il  quale  tiene  con  ambe 
le  mani  una  bianca  collana,  o  nastro. 

Non  esitiamo  a  riconoscere  nella  descritta  compo- 
sizione il  ratto  di  Oritia  eseguito  da  Borea  ,  che  già 
comparve  in  altri  vascularii  dipinti.  È  stato  osservato 
che  un  tal  soggetto  non  si  è  veduto  Onora  sopra  al- 
tra classe  di  monumenti  :  se  n'eccettui  la  celebre  cas- 
sa di  Cipselo ,  ove  però  vedevasi  figurato  in  modo 
particolare  (Pausan.  V,  19,  1  :  vedi  Welcker  nelle 
nouv.  annal.  de  V  Inslit.  tom.  II  pag.  379).  Tra'  piìi 
importanti  vasi  collo  stesso  soggetto  è  da  ricordare 
la  magnifica  anfora  di  Monaco  illustrata  dal  dott.  Sig. 
cav.  Welcker  {nouv.  annal.  t.  cit.  p.  358-396,  pi. 
22,  e  23  e  die  Giebelgi'uppen  in  Alle  Denkmdler  tom. 
1  p.  84  :  il  mio  chiarissimo  collega  comm.  Quaranta 
comunicò  alla  reale  Accademia  Ercolanese  alcune  os- 
servazioni sul  medesimo  monumento),  altri  vasi  della 
collezione  reale  di  Berlino  (Gerhard  Elr.  undKampan. 
Vasenb.  tav.  26  p.  38  ,  ed  Auserl.  ì'asenb.  Ili ,  152 
p.  8-15),  un  altro  di  Nola  (Gerhard  arch.  Zeilung. 
an.  Ili  tav.  31),  ed  altri  monumenti  ricordali  dal  cav. 
Welcker  nella  citata  sua  dissertazione;  cf.Mùiler  Hand- 
buch  §  401  p.  632  ed.  Welcker.  Un  altro  vaso  collo 
stesso  soggetto  fu  pure  pubblicalo  dal  eh.  Roulez(&MÌ- 
lel.  de  Bruxelles  VIlI,2p.  131).  Vogliamo  finalmente 
avvertire  che  la  stoviglia  volceiite  descritta  dal  de 
Witte  {calai.  Durand  a.  213)  trovasi  ora  nel  museo 
Britannico  ,  ed  è  descritta  da' Signori  Birch  e  New- 
ton neir  eccellente  catalogo  di  quel  gabinetto  da  essi 
recentemente  pubblicato  (a  catalogne  of  the  greek  and 
etruscan  vases  in  the  British  Museum  voi.  1 .  pag.  31 5 
n.  870  ).  In  tutti  gli  accennati  monumenti  la  figura 
di  Borea  vedesi  dello  stesso  modo  effigiata  come  sul 
nostro  vaso  ,  colla  corta  tunica  ,  colle  grandi  ali ,  e 


quasi  sempre  co'  calzari  :  1'  unica  differenza  è  che  in 
quelli  il  volto  di  Borea  è  ispido  per  nera  e  folta  bar- 
ba, mentre  nel  vaso  del  real  museo  l'osserviamo  im- 
berbe e  giovanile.  Ma  una  tale  circostanza  ,  oltre  che 
trova  il  confronto  nel  Borea  della  torre  de  venti  ia 
Atene  (Stuart  ant.  di  Atene  1,  21,  Millin  gal.  myth. 
tav.  LXXVII  f.  322),  riconosce  pure  la  spiegazione 
in  un'  altra  particolarità  ,  che  rende  ancor  più  pre- 
gevole il  vaso  del  real  museo.  Ne'  monumenti  finora 
comparsi  Borea  è  nell'atto  di  raggiugnere  Oritia  :  al- 
lora il  vento  del  Nord  è  nella  più  grande  agitazione  , 
ed  offre  la  più  feroce  ed  orrida  fisonomia;  ma  nel  va- 
so, di  cui  discorriamo,  dopo  aver  conseguito  lo  scopo, 
dopo  essersi  impadronito  della  sua  preda,  la  sua  forza 
ed  il  suo  furore  si  calma,  e  nell'imberbe  aspetto  pre- 
senta la  tranquilla  e  piacevole  fisonomia  di  uno  sposo. 
E  se  vogliamo  andare  alla  idea  fisica,  secondo  la  spie- 
gazione proposta  dal  cav.Welcker,  il  furioso  vento  del 
Settentrione  perseguita  la  lieve  auretta  delle  montagne, 
e  tutti  alterisce  e  spaventa,  fintantoché  non  si  congiun- 
ge con  essa ,  e  va  a  disperdere  il  suo  furore  equili- 
brando il  suo  formidabile  soffio  col  tenue  spirare  di 
quella.  Né  altrimenti  spiegheremmo  la  fisonomia  di 
Borea,  anche  ritenendo  la  intelligenza  data  al  mito 
di  Oritia  dal  comm.  Quaranta ,  il  quale  in  essa  rico- 
nosce una  divinità  di  natura  aquea  (  nella  citata  me- 
moria tuttavia  inedita  ).  In  conferma  della  quale  opi- 
nione potrebbe  osservarsi  che  'Opu'^via.  è  pure  il  no- 
me di  una  Nereide  presso  Omero  {II.  %  ,  48 )  :  dal 
che  si  desume  che  quella  denominazione  non  discon- 
viene ad  un  essere ,  che  ha  stretta  relazione  colle  ac- 
que. Questo  rapporto  nella  sposa  di  Borea  è  poi  e- 
spressamente  indicato  in  alcuni  monumenti,  ne' quali 
apparisce  l' idria  sfuggire  dalle  sue  mani  (  Tischbeia 
111,31  ;  Millin  galér.  mylhol.  LXXX,  314;  Gerhard 
e  Panofka  Neapels  ant.  Bildw.  p.  253  n.  1 684  :  del 
resto  vedi  ciò  che  osserva  il  Welcker  nouv.  annal.  t. 
II.  p.  374).  Il  Reinesio  pubblica  la  seguente  iscrizione: 
HORITHYAE 
L  •  BARBIVS  •  L  •  LIB 

TIIEOPOMPVS 

NAV  MERKAT 

V  ■  S 


—  3  - 


Egli  è  di  opinione  che  questo  navicularius  merkator 
facesse  un  voto  alla  Nereide  di  quel  nome  (  ci.  I  n. 
CLXX  p.  186).  Ma  io  non  so  persuadermi  che  tras- 
curate Io  principali  marine  divinità  l'Oceano ,  Nettu- 
no ,  Teli  ed  Anfitritc  ,  si  sciogliesse  un  voto  ad  una 
particolare  Nereide.  Io  penso  che  la  Orilia  della  rei- 
nesiana  iscrizione  sia  appunto  la  figlia  di  Eretteo  ,  la 
quale  bene  a  ragione  invocavasi  da  uno  speculatore 
che  esercitava  il  commercio  marittimo ,  come  la  spo- 
sa di  Borea ,  del  terribile  vento ,  produttore  de  più 
funesti  naufragii.  Abbenchè  la  nostra  pittura  non  tro- 
vi il  paragone  de' monunienti  ;  pure  è  quasi  nel  prin- 
cipale gruppo  descritta  da  Nonno  (  Dion.  XXXIX  , 
190),  allorché  questo  poeta  fa  dire  da  Eretico  a  Borea 
'IXio'CÓ»'  dì  yipo(.i(ii  yxixotrró'koy ,  ùnit^i  xouprjv 
'ÀT^ioct,  cV  'ìrxpoixotriv,  àn^pTrccav  apTro-yìS  a.òpa,i , 
E^OjUivrjV  àToaxTGv  àxtvTiTuj  aùiv  ui'jjo. 

Così  e  non  altrimenti  osserviamo  Orilia  sedere 
immobile  sul  forte  omero  del  suo  sposo  ;  mentre  le 
aure  la  trascinano  sulle  montagne  della  Tracia.  No- 
tevole è  poi  lo  svolazzante  peplo  di  Oritia,  che  gonfio 
dal  vento  fa  l'ufficio  di  vcla,e  che  perciò  confronta  con 
la  pittura  della  rapita  Europa  descritta  da  AchilleTazio, 
nella  quale  vedovasi  la  donzella  wffwsp  l^luj  nJ  ttittXm 
Xpouixivr\  (Lib.  1  cap.  1 .  Vedi  sopra  simili  panni  gon- 
fii  dal  vento  Avellino  nel  voi.  2°  delle  memorie  della 
reale  Accad.  Ercoìanese  pag.  251  ).  Ma  di  quale  di- 
vinità sarà  l'idolo,  che  mirasi  presso  l'avvenimento, 
ed  a  cui  già  si  offerivaa  profumi  :  come  viene  accen- 
nato dal  vicino  ùmiaterio'i  La  soluzione  di  questo  pro- 
blema ci  vien  data  da  un  classico  luogo  di  Piatone  messo 
in  confronto  con  un  altro  di  Pausania.Questo  periege- 
te,  dopo  aver  parlato  dell' Ilisso,  e  del  ratto  di  Orilia 
avvenuto  alla  riva  di  quel  fiume,  aggiugne  che  passato 
appena  l'ilisso  trovavasi  un  luogo  denominato  "Aypai, 
ed  il  santuario  della  Diana  Agrotera  (lib.  1  cap.  1 9,5-6). 
Questo  santuario  appunto  e  la  statua  di  quella  dea  io 
riconosco  nel  nostro  vaso  :  di\inità  a  cui  ben  convie- 
ne il  po/os,  e  che  essendo  uno  xoanon  nella  forma  delle 
pili  auliche  statue,  non  è  strano  che  veggasi  priva  di 
altri  particolari  attributi.  Questa  ,  che  riputar  si  po- 
trebbe una  probabile  conghiettura,  acquista  tutta  la 
forza  della  certezza  da  un  importantissimo  luogo  di 


Platone ,  ove  si  determina  con  precisione  il  silo,  ove 
r  antichità  supponeva  succeduto  quel  fatto.  Avverte 
il  filosofo  che  Borea  avca  rapilo  OriUa  non  già  alle 
rive  dell' Ilisso,  ove  trastullarsi  solevano  le  gentili 
donzelle,  ma  due  o  tre  stadii  più  abbasso,  sulla  via  che 
menava  al  tempio  della  Diana  Agrea  ,  la  quale  non 
è  certamente  diversa  dall'  Agrotera  :  ohx ,  òO.y.x  xa- 
rwòiv ,  6'(70)'  dv'  r\  rplcf.  srdòrx  ,  t]  Trpós  rò  tt,;  'A— 
yp'M%s  Sj*|3ocA  0,'xsy  :  e  soggiugne  che  in  quel  mede- 
simo silo  era  un  altare  di  Borea  (  p.  229  ,  B  ).  Non 
poteva  il  nostro  vaso  rinvenire  un  più  sicuro  confron- 
to :  ed  il  santuario  di  quella  dea  è  indicato  non  solo 
dal  timialerio  che  vedesi  innanzi  al  simulacro ,  ma 
altresì  dall'  albero  destinato  ad  indicare  il  sacro  bo- 
schetto (  à'Xffos  o  ri'ixivos  ) ,  che,  secondo  1'  uso  de'  re- 
moli tempi,  circondava  il  sacro  edifizio.  Fralle  tradi- 
zioni relative  al  mito  stesso  di  Orilia  avveneuna,  che 
mette  la  figlia  di  Eretico  in  rapporto  coli' idolo  di  una 
divinità.  Accennar  vogliamo  a  quel  che  narrava  Acu- 
silao  ,  che  la  donzella,  come  una  canefora,  era  stata 
mandata  a  far  sagrifizii  in  sull'Acropoli  alla  Minerva 
Poliade,  quando  Corea  celatamenterapilla(ap.  Schol. 
Odyss.  XIV,  533).  Ma  non  ci  sembra  che  nel  nostro 
monumento  siesi  figurato  un  idolo  di  Minerva,  né  ac- 
cennata la  esposta  tradizione:  in  fatti  manca  ad  Oritia 
la  cesta  indizio  di  una  canefora;  ed  in  quanto  alla  dea, 
osservo  che  a  Minerva  mal  converrebbe  il  po/os,  men- 
tre dall'  altro  lato  mancano  aflalto  tutti  gli  altri  sim- 
boli attribuiti  sempre  alla  dea  guerriera  ,  anche  ne' 
più  antichi  Palladii  (vedi  Miiller  ^andò.  p.  47  ed. 
Welcker).  Olirà  le  additate  ragioni,  ve  ne  ha  pure  un 
altra,  la  quale  appoggia  ed  illustra  la  nostra  spiegazione. 
I  tre  giovani  che  veggonsi  sperperati  e  fuggitivi  .essendo 
muniti  digiavcllotti, senza  dubbio  si  appalesano  per  cac- 
ciatori. Essi  si  danno  a  precipitosa  fuga  spaventali  dal 
furore  del  vento  aquilonare.  Ma  certamente  quei  cac- 
ciatori erano  intesi  ad  onorare  il  santuario  della  Diana 
Agrotera, quando  fu  in  quel  silo  messo  da  Borea  un  così 
fiero  scompiglio.  Sicché,  a  mio  giudizio,  non  poteva 
l'artista  in  miglior  modo  indicare  il  luogo  dell'avve- 
nimento ,  cioè  "'Aypoct ,  che  col  figurare  la  divinità 
protettrice  de'  cacciatori ,  ed  i  cacciatori  stessi  che 
lasciano  a  mezzo  i  cominciati  onori  del  cullo ,  per 


—  4  — 


fuggir  l'impeto  del  vento.  Rimane  a  dir  qualche  cosa 
delia  figura  femmiuile ,  la  quale  genuflessa  abbraccia 
l'idolo,  quasi  dimandando  soccorso  a  grave  sventu- 
ra. Già  nella  tradizione  di  Acusilao  si  parla  di  per- 
sone che  accompagnavano  la  figlia  di  EreKeo  (  rovs 
fX/TTOvraS  ^«1  ipwXxccovTxj  r-ty  -A'^ty  Scliol.  Odyss. 
XIV,  533  );  ma  la  stessa  narrazione  riportata  da  Pla- 
tone (vedi  il  luogo  cit.  )  può  richiamarsi  a  confronto 
del  nostro  vaso.  In  essa  si  racconta  che  Oritia  scher- 
zava con  Farmacia ,  allorché  fu  sorpresa  da  Borea  : 
e  Socrate  aggiugne  che  essendo  spenta  Oritia  dalla 
furia  del  vento  fu  detto  che  fosse  rapita  da  Borea. 
Comunque  sia  di  questa  spiegazione  del  filosofo  ate- 
niese; non  sarà  fuor  di  proposito  ravvisare  la  donzella 
Farmacia ,  la  quale  ricorre  alla  dea  locale  addolo- 
rala per  la  perdita  della  rapilti  compagna.  Questo  ma- 
nifesto dolore  della  figura  del  nostro  vaso  può  para- 
gonarsi con  la  spiegazione  di  Socrate;  e  farne  riferire 
il  soggetto,  di  che  ci  occupiamo,  a  funebre  intelligen- 
za ,  la  quale  non  esclude  la  fisica  idea  simboleggiata 
da  quel  mito.  In  altri  monumenti  si  vede  ancora  Ori- 
tia insieme  con  altre  compagne  allorché  fu  rapita  : 
così  in  un  vaso  del  Tischbein  (  HI ,  31  ) ,  in  altro  del 
real  museo  borbonico  (  Gerhard  e  Panofka  Neapels 
aniike  Bildwerhe  p.  2o3  n.  1684) ,  in  altro  del  Mil- 
lin  [peint.  de  ras.  II  pi.  5):  per  nulla  dire  de'  due 
monumenti  pubblicati  dal  cav.  Weicker  ne'  citati  nuo- 
vi annali  dell'Istituto,  ove  Oritia  è  aggruppata  con 
Erse  e  Pandroso:^:  dal  che  lo  stesso  dottissimo  ar- 
cheologo trae  la  intelligenza  fisica  del  mito. 

Due  altre  figure  richiamano  la  nostra  attenzione 
nel  vaso  del  real  museo.  Quella  dell'  Amore  sedente 
trova  la  piena  spiegazione  nella  scena  di  senso  eroti- 
co e  nuziale,  acni  assiste.  Più  interessante  è  l'altra  del 
giovine  sedente  sulla  montagna.  La  sua  pacatezza,  ed 
i  capelli  in  parlicolar  modo  cadenti  ci  danno  la  cer- 
tezza che  sia  in  esso  effigiala  la  deità  locale  della  mon- 
tagna, o  il  monte  stesso  personificalo.  Simili  genii 
locali  furono  altrove  riconosciuti  (  Museo  Capitol.  t. 
IV,  tav.  25:Pio-Clem.  IV,  40;  V,  10,  2o:Ra- 
oul-Rochelte  mon.  inéd.  pi.  7);  ed  il  monte  Partenio 
fu  dal  eh.  Cavedoni  credulo  figurarsi  in  un  antico 
calamajo  di  bronzo  con  lavori  di  argento,  ove  da  me 


erasi  lutt'allro  ravvisato  (vedi  lull.  ardi,  napol.  an. 
II  p.  54).  Noi  ci  fermiamo  alla  medesima  idea  per  la 
figura  sedente  del  nostro  vaso  :  o  che  creder  si  vo- 
glia la  coUiaa  sovrastante  airilisso,  o  piuttosto  il  mon- 
te Emo  della  Tracia,  ove  Borea  arresterà  il  suo  volo 
per  compire  le  sue  nozze  con  la  rapita  donzella  (Phe- 
recyd.  e  Simonid.  ap.  Schol  Apoll.  I  ,  211  ;  Apol- 
lon.  Rhod.  Argon.  I,  211-18).  La  personificazione 
deir£'mo  sotto  la  forma  di  un  giovine  cacciatore  com- 
parve in  monumenti  numismatici  {mus.Sandem.  27, 
269):  nel  nostro  vaso  ci  sembra  dalla  chioma  folta  e 
cadente  a  grandi  masse  indicata  la  nevosa  cima  di  quella 
montagna:  e  nella  collana  o  nastro,  che  tiene  la  stes- 
sa figura  con  ambe  le  mani,  riconosco  un  femminile 
ornamento  preparato  per  cingerne  le  tempia  o  la  gola 
della  novella  sposa,  qual  donativo  {xvoixxXuTrrripia.) 
conveniente  ad  una  simile  circostanza. 

MlNERVINI. 


Sulle  sigle  delle  iscrizioni  pompeiane  dipinte  apennel- 
lo ,  e  sulla  difficolta  di  ben  trascrivere  dalle  pareti  i 
caratteri  dipinti. 

Ove  le  iscrizioni  pompeiane  dipinte  a  pennello  sulle 
pareti  degli  edifizì  non  rinchiudessero  altra  difficoltà, 
che  quella  gravissima  d' interpretarne  le  tante  sigle  , 
sarebbero  argomento  ben  proporzionato  a  trattazione 
accademica.  Lo  stesso  dottassimo  Commendatore  Avel- 
Uno,  che  ha  il  più  gran  merito  in  sludii  siffatti,  aven- 
done sott"  occhio  una  di  esse ,  che  in  tre  righe  non  al- 
tro, che  una  sola  voce  rappresentava  interamente  scrit- 
ta, e  nel  resto  non  meno  di  dodici  lettere  divise  da  pun- 
ti, e  principio  ognuna  d'esse  di  nuovo  vocabolo,  non 
dubitò  di  asserire,  credere  se,  che  al  solo  Harduino  ba- 
sterebbe l' animo  di  dichiararle.  B.  N.  1 846  p.  50.  Sì 
manifesta  e  straordinaria  difficoltà  mi  pose  di  buon'  ora 
desiderio  di  fare  alcuna  scoperta  ,  e  poiché  a  (al  fi- 
ne non  v'era  altra  via,  che  quella  dei  confronti,  cer- 
cai studiosamente  di  raccogliere  dulie  pareti  pompe- 
iane quella  porzione  di  leggende  non  perite  ancora, 
lo  non  aveva  in  mia  mano  vcruua  collezione  anlece- 


—  5  — 


dente,  né  seppi  mai  clie  altri  l'avesse,  ed  al  mìo  sco- 
po non  avrebbero  giovato  per  fermo  le  iscrizioni  già 
pubblicate  in  libri  diversi,  dalie  quali  non  era  potu- 
to risultare  nulla  per  gli  altri,  e  forse  neppur  io  avrei 
potuto  trovarvi  qualche  elemento  di  soluzione.  Comin- 
ciai adunque  il  lavoro  da  capo,  trascrivendo  da  tutte 
le  pareti  le  leggende  fino  alle  più  svanite,  e  non  andò 
guari,  che  quella  intrapresa  mi  recò  in  mano  il  ban- 
dolo da  riuscire  alla  interpretazione  anche  di  quelle, 
che  si  eran  tenute  più  insolubili.  Questo  frutto  dei  miei 
studii  sulle  leggende  parietarie  pompeiane  non  ho  vo- 
luto che  stesse  ozioso  più  a  lungo,  e  comincio  in  que- 
sto mio  scritto  a  comunicarne  una  parte. 

Tutti  sanno,  che  i  programmi  pompeiani  veggonsi 
terminare  comunemente  o  iu  tre  lettere  divise  da  pun- 
ti 0  •  V  ■  F ,  od  in  una  cifra  equivalente ,  ma  che  fa- 
cilmente si  scioglie  in  esse.  Né  è  men  saputo  ,  che  la 
prima  interpretazione  data  si  trasse  dal  concetto,  che 
queste  fossero  voci  dei  clienti  agli  usci  dei  loro  patro- 
ni, dai  quali  implorassero  protezione,  e  favore.  Laon- 
de spiegaronle  Orat ,  ut  faveal.  Nacque  da  ciò  ,  che 
si  dessero  i  nomi  alle  case  ,  togliendoli  dalle  esterne 
pareti  di  esse;  onde  p.  e.  si  denominò  la  casa  di  Cus- 
pio  Pausa ,  la  Casa  di  Sallustio ,  quella  che  sulla  fac- 
cia esterna  mostrava  scritto  Pansam,  o  Sallustium.  Fu 
ancor  più  pernicioso ,  che  si  tenessero  per  duumviri, 
e  per  edili ,  quegli  uomini ,  i  quali  forse  non  lo  fu- 
rono che  nel  desiderio ,  o  nella  satira  dei  loro  con- 
cittadini. 

Il  vero  finalmente  apparve ,  quando  si  lesse  intero 
facialis  su  di  un  programma,  nel  quale  si  votava  per 
Aulo  Vettio  Fermo  ,  l' edilità ,  e  fu  avvertito  il  senso 
forense  dei  due  verbi  faccre  e  rogare,  nelle  pubblica- 
zioni antecedenti  malamente  tradotti  prega  e  fa. 

Pur  tuttavia  la  scoperta  non  giovò  che  all'  ultima 
cifra,  e  le  due  prime  se  non  nella  opinione,  per  cer- 
to col  fatto  rimasero  senza  alcun  sostegno  di  confron- 
to. Perocché  da  coloro,  che  hanno  seguito  a  dar  lo- 
ro il  significato  di  Orat  ut ,  non  si  allegò  mai  ve- 
run  esempio ,  che  ne  rassicurasse  ;  luttocché  il  eh. 
Rosini  credesse  di  aver  veduto  V  ut  in  una  delle  pri- 
me pareti.  Ma  quel  disegno  aggiunto  alle  disserlalio- 
nes  isagogkae  riscontrato  suU'origiuale  risulla  alquanto 


scorretto,  e  lo  è  segnatamente  nel  ROG  •  VT  •  F,  do- 
ve convien  leggere  ROGANT  •  Or  ne  avviene  caso 
assai  piacevole,  e  sommamente  onorifico  ai  primi  in- 
terpetri ,  i  quali  senza  verun  sussidio  di  ragguagli  era- 
no così  addentro  penetrati  nello  spirito  di  quelle  eni- 
gmatiche sigle  ,  che  la  presente  scoperta  non  dovrà 
recar  loro  altro  che  un  lieve  cambiamento.  Percor- 
rendo io  la  strada  che  va  dal  foro  ai  Teatri  lessi  già 
su  di  un  pilastro  tutta  la  formola  stesa  così  : 
MMARIVM 
AED  •  FACI 
ORO • VOS 
Adunque  le  tre  lettere  0  •  V  •  F  erano  intese  in  Pom- 
pei ORO  •  VOS  •  FACIATIS  ,  e  cosi  dovranno  quin- 
di interpretarsi  da  noi.  In  altri  dipinti  incontro  al- 
cuna parte  di  questa  formola,  e  se  ne  conferma  l'uso 
generale.  In  un  pilastro  leggo 
-       MA  •  HERENI 

V3I 

SERICVS  •  VOS 
in  altro 

NEPOTEM  IIVM 

ORO 
in  un  terzo 

M 

VjVmMBORVF 
(  gli  OR  dei  programmi  pubblicati  nel  voi.  1  del  R. 
Museo  Borbonico  provengono  facilmente  dall'  aver  così 
interpretalo  la  cifra  o  monogramma  delle  tre  lettere.  ) 
Il  terzo  vocabolo  si  à  in  questo  quarto  programma. 
N-VEI-"(VE7nort.) 
V  •  V  •  B  •  0  •  V .  CO 
AMATOR  •  VEST 
FACIAT  •  AED  •  M 
II  quale  vcdesi  già  pubblicalo  dal  prof.  Mommsen 
nel  suo  Untcrilaìischen  Dialecle  Taf.  XI.  29.  f.  4. 
con  molta  diversità. 

Passando  ora  più  innanzi  nella  proposta  interpreta- 
zione delle  sigle ,  nella  seconda  linea  del  programma 
di  N.  Veio  sette  lettere  V-V-B-0-V-CO  dimandano 
un  senso.  Tra  le  quali  tutlocchè  sia  spedito  darlo  to- 
sto  al  V  •  B  •  O  •  V  •  di  Vìnun.  Bomim.  Oro.  Vos ,  ri- 
mane nulla  dimeno  il  primo  V.  e  l'ultima  sillaba  CO, 


6  — 


a  cui  bisognerà  procurarlo.  Or  quanto  al  V  io  gli 
porrò  alialo  due  dipinti,  nel  primo  dei  quali  io  leggo 
XQV  I  D 

D-V-V  DIGNVS  EST  , 

e  nel  secondo 

L  .  AQVT 
DV.V. 

ove 

Nei  quali  il  V.  che  segue  al  D-  facilmente  si  spiega 
Duum  Virum.  Se  poi  il  V,  che  viene  appresso,  debba 
o  possa  interpetrarsi  QVINQVIENS ,  ovvero  QVIN- 
QVENNALEM,  io  non  decido:  certo  la  significazione 
appena  potrà  essere  altra  cosa  dalle  due  proposte. 

In  quest'ultimo  dipinto  riveggonsi  tre  sigle  O.V.C. 
che  vengono  opportune  al  confronto  di  O  •  V  •  CO  del 
prirao.Per  altro  il  senso  del  CO  non  par  meglio  definito. 

Cerco  io  tra  le  mie  schede,  e  ritrovo  NARTIV 

OCOL 

SECUND 

ed  inoltre;  LVELVRIIVVBOVCOLFDI 

Però  propongo  i)Orant.YosCOUegae.AMATO^, 
\ESTalis,  FACIa««s  AEDjVm  meritum.2)-Lucium  A- 
QVTm»H?DMMm.  \irum.  Y{quinquennalem)  Orat  \os 
Co?/e3a.3)-MARTIVm  Orat  COLlega  SECVNDws.  4)- 
Lucium  VEL  •  "VR*  •U.'W-Yirum.Bonum'Oral'Yos 

Collega  •  Facialis  DI 

In  altri  programmi  leggesi 
POSTV  •  •    •  ID 

IVLIVS  POLYBIVS  COLLEGA  FECIT 
(Guar.  Fasti  duumv.  p.  120.)  e 
L.  VERANIVM  HYPSAEVM 

EDTERTIOQVINQ 
CASELLIVM  •  MARCELLVM 
AEDOPTIMOSCOLLEGAS  (M.B.  t.  III.  p.  7.) 
A  compiere  la  trattazione  delle  sigle  ,  che  accom- 
pagnano i  nomi  dei  cercati  alle  magistrature  dai  voti 
dei  popolani  si  vorrebbe  certo ,  che  io  non  dimenti- 
cassi le  celebri  cinque  sigle  V  •  A  •  S  •  P  •  P,  intorno  al- 
le quali  caldamente  si  disputò  dall'Avellino  e  dal  Gua- 
rini.  Ma  poiché  un  mio  onorevole  Collega  ha  già 
disposto  di  farlo ,  io  ne  rimetto  a  lui  la  trattazione , 
contento  di  essere  il  secondo. 

Si  è  già  avvertito  da  altri,  che  non  di  rado  furono 


scritti  in  sigle  anche  i  nomi  delle  persone  richieste  a 
pubblici  offici. 

E  questo  è  verissimo  :  né  può  giudicarsi  strana  co- 
sa ,  essendo  appunto  il  costume  romano  di  votare  pei 
candidati ,  recandosi  ciascuno  ai  comizii  una  tavolet- 
ta colle  iniziali  del  candidato.  Risulta  ciò  da  un'  an- 
tica testimonianza,che  si  trae  da  un  luogo  dell'orazio- 
ne prò  domo  sua,  ove  si  dimostra  come  potesse  il  Pre- 
tore in  caso  di  aver  nomi  di  competitori  somiglianti 
nelle  iniziali  favorire  un  pretendente ,  assegnando  a 
lui  le  tavolette  di  alcun  altro.  /«,  dicesi  ivi,  ^ostea- 
quam  intellexil,  posse  se,  inlerversa  aedililate  a  L.Pisone 
consule  Praetorem  creari ,  si  modo  eadem  prima  litte- 
ra  competitorcm  habuisset  aliquem  ole.  Secondo  que- 
sta dottrina,  non  apparirà,  io  diceva,  strano,  che  anche 
in  Pompei  i  notissimi  pretendenti  si  designino  sulle 
pareti  colle  sole  iniziali.  Lo  furon  di  fatti  segnati  co- 
sì un  Caio  LoUio  Firmo,  un  Publio  Paquio  Proculo, 
un  Aulo  Vettio  Firmo,  un  Caio  Calvenzio  Sittio  Ma- 
gno ,  un  Lucio  Numisio  Raro ,  un  Lucio  Cecilio  Ca- 
pella  ,  un  Marco  Cerrinio  Vazia ,  un  Lucio  Ceio  Se- 
condo ,  un  Marco  Casellio  Marcello  ,  un  Marco  Sa- 
mellìo  Modesto ,  i  quali  mi  risultano  dai  confronti , 
che  son  venuto  facendo  sulle  mie  schede  fra  i  nomi 
dissimulati  in  sigle,  e  gli  interamente  scritti.  In  mez- 
zo ai  quali  studii  potei  facilmente  comprendere  qual 
senso  enigmatico  si  occultasse  nelle  dodici  sigle  ricor- 
date di  sopra ,  che  fecero  diffidare  anche  l'oculatissi- 
mo  Avellino,  sino  a  dichiararle  impossibili  a  spiegar- 
si ,  sicché ,  se  non  all'Harduino  a  ninno  avrebbe  po- 
tuto bastar  l'animo  di  riuscirvi.Quella  epigrafe  invano 
fu  cercata  da  me  sulla  strada  che  va  tra  il  tempio  di 
Venere,  e  la  basilica,  donde  si  era  trascritta  nel  Bull. 
Napol.  1846.  p.  50.  Riporterolla  dunque  da  quell'u- 
nico apografo  così  come  ivi  si  legge. 
PPPAV  G-- 
M  •  E  •  S  •  Q  •  M  •  • 
SVILIMEA  •  C 
Sotto  in  caratteri  neri 
O  •  V  •  F  •  SVILIMEA  •  ROG  •  CAI  •  • 

Io  vi  riconosco  due  duumviri  e  due  edili  da  cre- 
arsi, per  voto  di  Suihmea.  Chi  poi  siano  questi  lo  im- 
paro da  un  altra  epigrafe,  che  dal  medesimo  Avellino 


—  7  — 


di  onoranda  memoria  (rovo  riportata  nel  secondo  vo- 
lume dei  suoi  aurei  opuscoli  a  p.  225. 

P  •  PAQVIVM  PROCVLVM  li  •  VIR  •  VIRVM  B  ■  D  •  R  •  O-ft 

AVETTIVM FELICEMIIVIRV  BDROit'  DIGNI  SVNT 

C  ■  MAR  •  VM  ••■  MEPIDIVM  SABINVMAEDILESVASP  PO^  DIGNI 
S  •  •  SIT  •  ■  •  SIVS  •  DE  •  ALBATORE  •  ONESIMO  [SVMT 

Questo  illustre  programma  dicesi  ivi  segnato  sul 
muro  a  sinistra  della  bella  strada  pompeiana,  che  pia- 
ce a' nostri  moderni  indicatori  chiamar  di  Mercurio. 
Paragonando  ora  i  due  dipinti  scopresi  a  bella  prima 
l'intera  somiglianza  delle  iniziali,  e  delle  coppie.  Che 
se  v'è  qualche  diversità,  questa  facilmente  si  compo- 
ne ,  osservando  ;  come  nel  dipinto  enigmatico  furono 
segnati  alcuni  punti  dai  quali  si  dimostra,  che  non  fu 
creduto  intero  dal  trascrittore.  Neanche  il  secondo 
programma  fu  tutto  letto ,  e  nella  seconda,  terza ,  e 
quarta  linea  veggonsi  delle  lacune.  Così  ad  A.  Vettio 
manca  il  secondo  nome,  che  dai  programmi  pompe- 
iani conoscendosi  essere  stato  Caprasio ,  facilmente 
suppliremo  qui  AVETTIVM-  Caprasium.¥EUCEM, 
ed  emenderemo  là  il  lieve  scorso  del  G  per  C ,  dopo 
della  qual  sigla  dovea  seguire  ragionevolmente  l' F 
del  Felicem. 

Passando  alla  seconda  linea  l' M  •  E  •  S  •  Q  •  M  sarà 
M.  Epidium  Sabinum.  e  Q.  Marium  se  seguiamo  la 
lezione  del  primo ,  o  C.  Marium  se  del  secondo,  es- 
sendovi dell'  uno  e  dell*  altro  riscontri  ;  ma  ninno  di 
essi  due  ha  finora  cognome  sui  programmi,  onde  non 
può  sapersi  che  cosa  qui  vi  dovea  essere  scritto  :  la  ter- 
za e  la  quarta  linea  si  leggeranno  così:  SuHimea  Cu- 
pit  —  Oro  vos  facialis.  Suilimea  rogat.  Cai... 

Che  il  C  sia  ben  spiegato  Cupil  si  prova  con  altro 
programma  ,  ove  leggo-  •  VM  MAGNVM  AED 
F  -  -  •  CVPIO  •  0  -  V  •  F 
forse  SiltiYM  ,  ed  in  un  secondo  pubblicato  dall' A- 
'   vellino,  Opusc.  T.  II.  p.  2-26. 

A  -  VETTIVM  -  FIRMVM 
AED  -  V  -  B  •  0  V  -  F  -  FELIX  CVPIT 

Non  debbo  omettere  di  un  singoiar  dipinto  la  for- 
mola  inusitata. 

SVETTIVM  CERTVM 
CLODIVS  NYMPHODOTVS  •  CVPIDIS 

Ma  in  quello  fatto  incidere  nelle  diss.  Isagog.  Tab. 


o 


IV.  parmi  si  debba  colla  correzione  di  PRISCVM  ia 
TREBIVM  anche  emendare  il  Melellio  /in  METELLI- 
CF  ossia  Cupiunt.  Facile.  Nel  qual  ultimo  caso  se  altri 
vuole  interpretare  Metelli  cito  faciunl  col  confronto 
della  epigrafe  recentissima         M  •  CEIVM II  •  V  •  ID 

EPAGATVS  CITO 
ROG 
trascritta  nelle  relazioni  di  quegli  scavi ,  io  non  pos- 
so darvi  assenso;  perocché  essa  invece  va  letta 

CEIVM  •  II  VID 
EPAGATUS • GYLO 
ROG- 
(  Queir O  appartiene  a  leggenda  anteriore;  e  l'unico 
Ceio  che  si  conosce  nei  programmi  è  prenominato 
Lucio.  ) 

Della  non  comune  difficoltà  di  trascriver  bene 
anche  i  dipinti  potrei  recare  in  pruova  le  diversità  dei 
pochi, che  tuttora  possono  riscontrarsi  colle  copie  an- 
tecedenti ;  perocché  il  farlo  di  tulli  non  è  possibile  , 
siccome  o  cancellati  alTatto  ,  o  periti  cogli  inlonachi , 
sui  quali  erano  scritti.  Basterà  qui  per  altro  darne  un 
saggio  sulla  leggenda ,  che  ne  avvisa  perduta  un'  ur- 
na di  bronzo  ,  trascritta  dal  Wordsworth  e  pubbli- 
cata a  p.  26  dei  suoi  fac-simili. 

Legge  egli  Urna.  Aenia.  periit  de  tàberna 

Sei.  eam.  quis.  rctulerit  dabuntur 
HS  LXV  '  sei  furem 
dabilur.  duplum 
A  -  Vario 

10  invece  ho  letto 

VRNA-  AENIA  •  PEREIT  DE  TABERNA 
SEI  •  OVEI  RETTVLERIT  DABVNTVR 
HS  LXV  •  SEI  -  FVREM 
DABITVNDECVMwm 
lANVARIVS  •  QVI  -  hic  HA 
bilal  •  -  - 

11  Wordsworth  non  lascia  di  richiamare  al  confronic 
di  questo  elegante  manifesto  il  luogo  di  Petronio:  i*«er 
in  balneo  aberrami,  si  quis  eum  reddere  aut  commo- 
slrare  volueril ,  accipiet  nummos  mille.  Con  frasi  più 
analoghe  Properzio  nell'elegia  23  del  libro  3. 

Ergo  tam  doclae  nohis  PERIERE  tabellae. 
E  dopo  alcuni  versi 


8  — 


Qim  si  qi(ù  mih!  RETTVLERIT  donahilur  auro. 
Ed  è  notabile ,  che  un  tale  avviso  egli  commette  al 
suo  servo  di  proporre  su  di  alcuna  colonna. 
I  piier ,  et  ciliis  liaec  aliqua  propone  columna; 
Et  dominum  Esquiliis  scribe  HABITARE  tuum. 
Al  qual  proposito  noterò  di  passaggio  essere  que- 
sto esempio  assai  opportuno  ad  illustrare  le  cose  di- 
sputate dall'  onorevole  Signor  D.  Agostino  Gervasio 
nella  sua  memoria  sulla  iscrizione  dei  Luccei  di  Poz- 
zuoli ,  ove  nega  la  credula  classe  di  persone  addette 
a  scrivere  sulle  pubbliche  vie  programmi,  avvisi,  voti 
e  che  so  io. 

Parimenti  il  prof.  Mommsen,  abile  trascrittore,  co- 
piò da  un  pilastro  in  questa  via  medesima,  che  va  ai 
teatri,  un'  osca  leggenda,  che  in  altro  lavoro  io  retti- 
ficherò ;  ma  sopra  di  essa  legge  : 

Q  N  •  VAXII  XA         Taf.  XI.  2.  29.  f. 
Le  quali  non  parrà  affatto  credibile  a  veruno,  che 

debbansi  leggere  

CNVNIDIIIV- 
Leggo  riportato  nell'eccellente  Bulleltino  Archeo- 
logico Napol.  T.  Ili,  p.  2. 

M  •  HOLCONIVM  D  • 

OVF 
VERECVNDISSIMVM? 
La  qual  ultima  voce  ben  a  ragione  vedesi  ivi  con- 
trassegnata da  un  dubitativo?  lo  che  sempre  meglio 
dimostra  la  conosciuta  accortezza  dell'editore.  Peroc- 
ché ivi  è  scritto 

VERRIVS  •  SEC^^\DVS  •  ROG 
I  dotti  volumi  delle  antichità  di  Ercolano  danno 
incisa  in  vignetta  la  ripografia  di  strumenti  da  scrive- 
re ;  fra  questi  è  un  papiro  svolto  appena.  Il  pittore 
si  piacque  di  segnare  a  caratteri  tutta  quella  parte  di 
esso  ,  che  rappresentava  svolta  ,  e  molte  righe  di  ca- 
ratteri di  fatti  vi  ravvisano  gli  Editori,  che  definisco- 
no romani  da  qualche  lettera  che  vi  si  distingue.  Av- 
vertono di  poi  nella  nota  soUoposta  parer  loro,  che  nel 
primo  verso  si  legga  quisquis ,  nel  penultimo  maxima. 


e  nell'ultimo  cura.  (Voi.  II.  pitture  p.  328.)  ed  otti- 
mamente. Ma  a  volerla  legger  tutta  quella  colonna  di 
scrittura  troverassi  con  maraviglia  un  prezioso  esem- 
pio d'idiotismo  popolare,  che  con  quasi  perpetua  apo- 
cope toglie  alle  parole  l' ultima  lettera  consonante  ,  e 
pronunzia  p.  e.  ama, peria,  valla,  jmrci,  restante,  vaca. 
Cosi  popolarmente  il  pittore  e  con  caratteri  di  corsivo 
comune  alle  iscrizioni  graffite ,  rarissimo  alle  dipinte, 
va  scrivendo  due  buoni  disliei ,  che  verranno  a  far 
parie  delle  pochissime  poesie  lette  finora  nei  graffiti. 
Dice  adunque,  secondo  a  me  pare,  in  questa  maniera; 
vedi  la  nostra  tav.  I,  n.  1 . 
Quisquis 
ama  valia 
piiria  qui  p 

arci  amare  ^)  l)  (a  re  in  cifra) 

Ristantii  pii 
ria  quisqu 
is.  amarii 

voca  2)  2)  (  è  dubbio  se  vaca  o  vaca  deb- 

Fiilicìis  ^^  leggersi.  Anche  il  C  non  è 

adias.  lasl  chiaro,  ma  il  senso  ci  manoduce) 

piiri.  3)  lo.  3)  (leggo  perias  ,  e  credo  le  due 

Martia  ''"^^  ^^Sni  di  richiamo  ) 

siti.  vili, 
diinarii 
maxima 

cura  ferii  4)  *)  (  '«■  ''^  "^o"-  > 

e  disposti  in  righe  metriche 

Quisquis  amaft)  valia(t),  periaft)  qui  parci(t)  amare . 
BestantefmJ  periafij  quisquis  amare  vocaftj. 
Felices  adias ,  perias ,  o  Martia ,  si  te 
Vili  fsj  denarii  maxima  cura  ferii. 
Nei  passati  tempi  non  essendo  conosciute  le  ardue 
difficoltà  delle  leggende  graffile,  né  le  stranissime  for- 
me di  lettere  in  esse  usate,  non  si  tentò  più  avanti  una 
intera  lettura  ,  bastando  solo  d' aver  riconosciuto  in 
queir  aperto  volume  contenersi  uno  scritto  in  carat- 
teri romani ,  e  corsivi.  GARRuccr, 


P.  Raffaele  Garrucci  d.c.d.g. 
GiDLio  MiNERviM  —  Editori. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Catàneo. 


BILLETTIIVO  ARCHEOLOGICO  MPOlITAm 


NUO\A    SERIE 


jyo  2. 


Luglio  1852. 


Nuove  scoperte  in  Napoli ,  con  la  notizia  di  una  nuova  fratria. — Lamina  di  Amino.  — Iscrizioni 
di  Capua  (S.  Maria). — Iscrizione  cristiana  di  Pozzuoli. 


Nuove  scoperte  in  Napoli ,  con  la  notizia 
di  una  nuova  fratria. 

Nello  scavare  le  fondamenta  delle  fabbriche  perti- 
nenti al  conservatorio  di  S.  Filippo  e  Giacomo ,  ad 
oggetto  di  fortificarle  per  nuove  costruzioni,  s'imbat- 
terono gli  artefici,  a  sette  palmi  sotto  il  più  basso  li- 
vello di  queir  edifizio,  ia  alcuni  ruderi  ed  in  un  gran 
piedestallo  di  marmo.  A  poca  distanza  ,  ed  allo  stes- 
so livello  sopra  indicato ,  incontrossi  una  strada  la- 
stricata di  pietra  vesuviana,  che  forse  nou  apparten- 
ne a'  tempi  dell'  antica  Napoli ,  ma  fu  per  avventura 
rifatta  sulla  più  antica  strada  in  epoca  posteriore. 

I  ruderi ,  de'  quali  sopra  ho  parlato  e  che  solo  in 
parte  sono  visibili ,  per  essere  ingombri  dal  sopra- 
stante edifizio ,  sono  di  opera  reticolata  :  veggonsi 
due  muri,  che  costituiscono  un  angolo  all'estremità 
di  qualche  particolare  edifizio  ,  che  più  e  più  si  e- 
stendeva. 

Poco  lungi  da'  muri  medesimi  trovossi ,  ove  tut- 
tora esiste  ,  il  piedestallo  di  marmo ,  poggiato  sopra 
un  pavimento  di  breccia  rossa:  e  questa  circostanza 
unita  a  quella  di  essersi  ancora  rinvenute  alcune  la- 
stre di  bianco  marmo  ,  che  servirono  forse  di  rive- 
stimento a'  muri ,  ne  accresce  la  idea  della  sontuosi- 
tà dell'antico  edifizio.  Il  piedestallo  è  ben  cinque  pal- 
mi di  altezza:  vi  è  l' ornamento  di  una  semplice  cor- 
nice di  elegante  stile  ,  che  Io  fregia  nella  parte  supe- 
riore e  nella  inferiore;  e  solo  la  parte  posteriore,  che 
dista  alcuni  palmi  dal  muro  ,  è  perfettamente  liscia  ; 
nel  laterale  destro  della  pietra ,  circa  mezzo  palmo 
distante  dal  muro  ,  che  Io  costeggia  ,  è  scolpito  un 

ANNO    I. 


piccolo  disco  0  patera  con  umbilico  nel  mezzo  ;  l' al- 
tro laterale  non  è  visibile,  perchè  non  per  anco  sgom- 
bro dalle  fabbriche  vicine.  Nella  parte  anteriore  leg- 
gesi  una  greca  epigrafe,  intorno  alla  quale  è  1"  orna- 
mento di  una  gola  dritta.  La  larghezza ,  e  la  profon- 
dità della  pietra  è  senza  la  cornice  palmi  2  ed  8  de- 
cimi; colla  cornice  palmi  tre  ed  un  decimo. 

La  epigrafe ,  di  caratteri  di  bella  e  grandiosa  for- 
ma,  è  la  seguente  : 

AKAATAION- 
A  P  P  I  A  N  O  N 

T  n  A  T  O  N 

TON  •  ETEPrETHN 

KPHTONAAI 

I  punti  sono  triangolari,  ed  è  notevole  cheoegl'in- 
cavi  delle  lettere  veggonsi  in  alcuni  siti  tracce  del 
minio  ,  di  cui  era  stata  dipinta  tutta  la  iscrizione;  dei 
che  si  ha  ricordanza  in  altre  napolitane  iscrizioni. 

La  prima  cosa ,  e  la  principale ,  che  a  noi  si  pre- 
senta è  la  voce  Kpr)TovSct(;  nella  quale  parmiindubi- 
tato  doversi  ravvisare  una  fratria  napolitana,  che  aoa 
era  ancora  comparsa.  Il  finimento  della  stessa  è  si- 
mile a  quello  di  moltissimi  demi  attici  (Ross,  dieDe- 
men  von  Attica  colle  annotazioni  del  Meier  ,  Halle 
1846  pag.  110  e  seg.  ) ,  e  di  varie  altre  fratrie  già 
note  della  nostra  città.  Tra  queste  ultime  sono  gli 
Et'/ArjXsiSai ,  gli  Ei/voo-TSfSa/,  i  IlavyiXsfS'ai ,  o  Uoi.j- 
xXitho^i,  e  se  sono  da  ammettere  i  contrastati  Eutx-i- 
à«(  ;  a'  quali  vanno  aggiunti  i  Siujrrx.'Sv.t ,  messi  fuor 
di  dubbio  dalla  vera  lezione  assicurata  giàdalcomm. 
Avellino  sul  marmo  originale  ora  nel  real  museo 

borbonico  (v.  bullelt.  arch.  nap.  an.  I  p.  22  eseg.  ), 

2  ■«- 


—  10  — 


ed  i  nostri  Kpr-rov^*;.  Or  siccome  di  altre  fratrie,  così 
ancora  di  questa,  non  si  mostra  facile  la  derivazione: 
il  che  non  dovrà  parere  raaraviglioso  a  chi  conside- 
ra il  numero  sterminalo  de'  demi  Attici ,  fra'  quali 
moltissimi  ci  offrono  una  ignota  origine.  I  nostri  Crc- 
tondae,  paragonahili  per  lo  finimento  ad  altri  greci 
nomi  X«p6<^>c)*>,  'E-TTry-ixivóy^cts,  derivarono  per  avven- 
tura danno  sconosciuto  Cretone,  (o  Cratonc),  del  quale 
nulla  dicono  le  antiche  tradizioni;  giacché  non  saprem- 
mo pensare  a' Cretesi ,  tuttoché  siano  ben  conosciuti  i 
loro  slabilimenli  in  Siciha  e  nell'antica  Italia  (Hoeckh 
Kreta  voi.  2  pag.  372  e  segg.).  Egli  è  certo  che  cia- 
scuna fratria  aveva  un  particolare  edifizio ,  ove  riu- 
nivasi  pel  sacro  culto  e  pe'  conviti ,  principali  occu- 
pazioni de  fralori  :  questo  edifizio  dicevasi  appunto 
(Ppr,Tpsrov  (Ignarra  de  Phratriis  p.  63  e  170):  e  senza 
dubbio  le  diverse  memorie  messe  o  ad  uomini  bene- 
meriti ,  ovvero  a  divinità  dalle  differenti  fratrie,  col- 
locavansi  nell'  edifizio  proprio  di  ciascuna ,  che  nelle 
napolitaoe  iscrizioni  vien  chiamato  ancora  ^parpict. 
Per  tal  motivo  io  son  di  opiuione  che  l' edifizio ,  di 
cui  rimangono  i  ruderi  intorno  alla  iscrizione  de'Kpr,- 
TCvS«(  ,  sia  da  riputarsi  il  (pp-f]rpùov  di  questa  antica 
riunione:  e  solo  ci  duole  che  la  difficoltà  dello  sca- 
vo ,  ed  il  pericolo  delle  fabbriche  superiori  impedi- 
scano di  studiare  una  costruzione  ,  che  potrebbe  da- 
re una  esalta  idea  di  somiglianti  edifizii. 

I  Cretondae  nella  nostra  iscrizione  onorano  un  ma- 
sislrafo  romano  ,  che  dicono  loro  benefattore.  Non  è 
improbabile  che  questo  personaggio  frequentando 
Napoli ,  secondo  quel  che  dice  in  geneiale  Slrabone 
de'  Romani  aff/xsKCi  (^tXox,ujpov'yt ,  xct,]  ^wffiv  a.ùri>Si 
(lib.  V.  p.  378  cf.  Martorelli  de  reg.  ih.  edam.  p. 
436  e  seg.  ),  abbia  avuta  occasione  di  mostrar  la  sua 
benevolenza  a'componenti  di  quella  fratria.  Un  esem- 
pio perfettamente  simile  ci  si  presenta  dal  marmo  de- 
gli Artemisii  che  onorano  L.  Crepereo  Proculo  TON 
lAlON  EYEPI^ETHN;  nel  quale  occorre  ilfonfron- 
lo  delle  medesime  espressioni  adoperate  nel  nostro 
marmo  (fgnarra  de  Phratriis  p.  1 50).  Il  console,  cer- 
tamente suffetto,  M.  Claudio  Arriano,  che  dicesi  be- 
nefattore de'  Cretondae,  è  perfettamente  sconosciuto, 
anche  al  dottissimo  Borghesi ,  che  me  ne  ha  scritto 


ne"  seguenti  termini  »  Posso  assicurarla  che  L.  Clau- 
dio Arriano  è  sconosciuto  non  solo  fra  i  consoli,  che 
finora  hanno  trovato  luogo  ne' fasti ,  ma  anche  fra  i 
quasi  seicento  suffetti,  die  ho  raccolti  nelle  mie  sche- 
de. Ilo  praticato  pure  delle  ricerche  nelle  lapidi  e  ne- 
gli scrittori ,  ma  indarno  :  onde  ho  il  dispiacere  di 
doverle  dire,  che  né  della  sua  casa,  né  di  lui,  né  del 
tempo  iu  cui  visse  ho  alcuna  notizia  da  sommini- 
strarle ».  Non  abbiamo  dunque  alcun  ajuto  per  de- 
terminare l'epoca  precisa  del  monumento:  nondi- 
meno tenendo  conto  della  eleganza  de'  caratteri  della 
nostra  iscrizione  ,  non  che  delia  semplicità  dello  sti- 
le in  cui  vedesi  concepita  ,  mi  fo  a  conghietturare  , 
che  il  marmo  non  oltrepassi  l' epoca  degli  Antonini , 
alla  quale  appartengono  altresì  quasi  lutti  gli  allri 
marmi  napolitani  finora  conosciuti. 

Noi  abbiamo  reso  conto  di  questa  interessante  sco- 
perta in  una  particolare  memoria  letta  alla  reale  Ac- 
cademia Ercolanese  ,  nella  quale  presentammo  pure 
alcune  ricerche  sulle  fratrie  napolitane.  L' Accade- 
mia, a  nostra  istanza,  richiamò  su  questo  importan- 
te monumento  di  patria  aniichilà  l'attenzione  dell' Ec- 
cellentissimo sig.  Principe  di  Bisignano  Soprantenden- 
te  generale  della  Real  Casa  :  e  siamo  sicuri  che  il 
piedestallo  de'  Cretondae  si  vedrà  quanto  prima  col- 
locato nella  raccolta  epigrafica  del  Real  Museo  Bor-^ 
bonico,  della  quale  dovrà  riputarsi  uno  de'principali 
ornamenti. 

MiNBRVI.M. 


Lamina  di  Amino. 

PA  •  VI  •  PACVIES  •  MEDIS 
VESVNE    DVNOM   DED 
CACVMNIOSCETVR 

Se  gli  antichissimi  dialetti  italici  debbono  conchiu- 
dere  gli  argomenti  intorno  alle  origini  primitive  de- 
gli Italiani ,  come  è  ragionevole ,  ognun  può  vedere 
da  sé  quanto  importino  gli  sforzi,  che  pongono  i  dotti 
in  ispianare  l' intelligenza  dei  monumenti.  Non  può 
negarsi  che  da  qualche  lustro  siasi  mollo  progredito 


—  11  — 


in  questi  rccondili  sliidii ,  ma  sarebbe  ridicolo  il  so- 
stenere che  poco  resti  ad  investigare.  Gli  stessi  mo- 
numenti,  dai  quali  si  fa  originare  quella  qualunque 
dottrina ,  che  giuoco  forza  è  necessario  concedere  ai 
provetti  investigatoli ,  non  siam  poi  sicuri ,  clie  sia- 
no fedelmente  trascritti.  Spesso  le  copie  discordano 
sia  per  la  forma  delle  lettere  ,  sia  per  la  verità  della 
ortografia  ,  e  delle  parole,  sia  per  la  integrila  slessa, 
dovendosi  riportare  alla  diligenza  di  chi  non  conob- 
be nò  la  necessità  di  dubitare ,  ne  l' importanza  di 
certi  particolari,  che  son  palesi  a  coloro,  i  quali  do- 
minano nella  scienza  delle  investigazioni.  Quindi  vie- 
ne, che  vi  sia  mestieri  di  ritornar  sugli  stessi  monu- 
menti non  a  dilucidarli  soltanto,  che  sarebbe  conve- 
niente ,  ma  a  rettificarne  per  sino  la  prava  lezione. 
Noi  non  sappiamo  abbastanza  raccomandare  a  coloro, 
ì  quali  trovandosi  sopra  luogo  desiderano  proccurar- 
si  la  intelligenza  delle  patrie  memorie,  di  fornirci,  per 
quanto  è  in  loro  potere,  diligentissime  copie  di  (luei 
monumenti ,  che  vengono  alla  luce  ,  onde  non  siano 
mal  fondate  le  osservazioni ,  che  pur  ci  convien  fare 
intorno  ad  essi.  Darò  qui  intanto  principio  ad  una  se- 
rie di  monumenti  italici  primitivi ,  veduti  e  trascritti 
da  me  nei  viaggi  intrapresi  da  qualche  tempo  per  ogni 
parte  del  Regno,  onde  assicurare  con  esattezza  la  dif- 
flciìe  storia  dei  tempi  antichissimi ,  le  origini  dei  po- 
poli ,  e  la  topografia. 

Il  De  Sanctis  nel  suo  Amino  municipio  dei  Mar- 
si,  e  poscia  il  Romanelli  [Topogr.  T.  III.  p.  224)  di- 
mostrarono nella  moderna  Città  d'Antino  l'antico  mu- 
nicipio .4Hn'num  Marsorum,  ignoto  ai  precedenti  Geo- 
grafi ;  onde  venne  spontanea  la  correzione  di  Attina- 
tes  in  Antinates  al  luogo  di  Plinio  libro  III.  II.  N.  e, 
XM.  Il  sig.  D.  Francesco  Ferrante  di  primaria  ed 
illustre  famiglia,  uomo  commendevolissimo  per  dot- 
trina ,  aveva  somministrato  al  De  Sanctis  il  materiale 
per  quel  suo  lavoro ,  trascrivendo  esattamente  le  la- 
pidi di  Antino  ,  che  egli  veniva  raccogliendo  in  sua 
casa,  onde  profittò  eziandio  il  Romanelli,  che  ne  fa, 
come  era  dovere  onorevole  memoria.  Questo  scrit- 
tore mai  non  andò  in  Città  d' Antino,  né  dopo  di  lui 
alcun  altro  ,  onde  sarò  io  il  primo  ad  assicurare  la 
esattezza  del  Ferrante  veramente  maravigliosa  a  quei 


tempi  di  trascriver  lapidi.  Dobbiamo  ancora  a  lui  la 
notizia,  e  le  varie  copie  della  celebre  lamina,  di  che 
è  parola,  posseduta  tuttavia  dall'onorevole  ed  eru- 
ditissimo Sig.  D.  Antonio  Ferrante  figlio  ben  degno 
di  tal  padre  ,  che  l' ha  giustamente  carissima  ,  della 
quale  darò  il  facsimile  nella  tavola  III. 

Degli  illustratori  diversi ,  chi  più  chi  meno  ha 
progredito  nella  interpretazione  di  questa  arcaica  leg-. 
genda.  L'ultimo  il  prof.  Mommsen  si  arresta  al  DEI), 
fin  dove  dice  sicura  l'intelligenza,  più  oltre  non  ten- 
ta. È  poi  il  primo  ad  assegnare  questo  monumento 
alla  lingua  Volsca ,  nella  quale  si  conosceva  finora 
scritto  il  solo  bronzo  di  Velletri ,  togliendolo  cosi  sia 
agli  Osci  prescelti,  come  pare,  dal  p.  Secchi  {Descriz. 
d' alquanti  Etruschi  arredi  in  oro.  Roma  1846.  p. 
1.^.  Bull.  Archeol.  n.  1.  II.),  sia  ai  Marsi ,  ai  quali 
viene  comunemente  attribuito  da  altri.  La  ragione 
potissima  di  farlo  e  ,  di  avere  stabilito  ,  che  ove  gli 
Osci  aggiungono  al  prenome  e  nome  proprio  il  pre- 
nome del  padre,  per  esempio  Marcus  Pontius  Publii 
f fdiusj, ìYohci  invece  antepongono,  dic'egli,  il  pre- 
nome del  padre  al  nome  del  figlio,  così  :  Marcus  Pu- 
blii ffiliusj  Pontius.  La  quale  sua  dottrina  egli  va  ap- 
plicando alla  lamina  di  Antino  ,  ove  trova  Paquius 
Vibii  (filius)  Paccius ,  siccome  lo  aveva  trovato  pri- 
ma nella  lamina  di  Velletri.  Or  tutto  questo  nuovo 
metodo  di  assegnazione  suppone,  se  non  m'inganno, 
come  dimostrato ,  che  tanto  nella  lamina  di  Velletri 
i  nomi  Cosulies,  Tafames,  quanto  in  questa  di  Antino 
Pacuies  siano  indubitatamente  nominativi  singolari  ; 
onde  si  debba  necessariamente  conchiudere,  che  idue 
prenomi  non  riguardano  due  persone  di  uno  stesso 
nome ,  ma  una  sola ,  lo  che  parmi  arbitrario.  Che 
dovendosi  in  tali  materie  procedere  per  via  di  con- 
fronti ,  ed  essendo  ignorale  le  desinenze  volsche  con 
che  distinguevano  i  singolari  e  i  plurali ,  il  più  che 
ci  si  permette  è  di  ragguagliarle  ai  vicini  dialetti  del 
Lazio. 

Nei  quali  gli  esempi  per  fermo  dimostrerebbero , 
che  le  desinenze  in  lES  sono  anche,  auzi  più  ordina- 
riamente, delle  forme  plurali.  Lo  che  posto,  egli  è  ma- 
nifesto, che  la  teoria  dell'  uso  volsco  di  preporre  il 
prenome  del  padre  al  nome  della  gente,  uoa  tiene, 


—  12  — 


Certamenle  in  uno  scudetto  votivo  di  bronzo  del  Chir- 
cheriano  leggesi  SEX  •  Q  •  VESVIES  •  Q  •  SEX  •  F  • 
DD  ,  che  son  ciiiaro  i  due  Vesvii  Sesto,  e  Quinto,  fi- 
gliuoli di  un  Quinto  l'uno,  e  di  un  Sesto  l'altro,  che  do- 
nano Donum  danl  quel  piccolo  busto  di  Pallade  fer- 
mato ivi  sopra.  Da  un'  ara  trascrisse  il  dottor  Lupac- 
chini  quest'altra  leggenda,  e  la  regalò  all'Aulinori,  fra 
le  schede  del  quale  la  ho  trovata  con  questa  indicazio- 
ne, in  villa  Caesae  non  longe  ab  Amiterno  in  Domo  sa- 
cerdods  Curali  apnd  DD  De  Al  forno  exscripnt  Lupac- 
chini.  LP  MODIESCFHDDL-M  Cioè  Lucius  Pu- 
llius  Modies  Cai  filli  Hcrculi  Donum  Dederunt  Liben- 
tes  Merito.  Il  Borghesi  notò  nelle  Osservazioni  nu- 
mismaiiche  [iec.  VII.  p.  200.  Giorn.  Arcad.  Tom. 
12.)  il  L-  C  •  MEMMIES,  Lucius  Caius  Memmies  delle 
monete  familiari,  e  richiamò  a  tal  proposito  il  Q.M. 
Minucieis  Q.  F.  Rufeis  Cognoverunt  della  tavola  dei 
Velurii ,  e  dei  Genuati  (Grut.  204.)  ove  mostrasi  in- 
tero il  dittongo  EI  invece  del  semplice  E  delle  pri- 
Bìc.  Qui  stesso  a  Massa  dei  Marsi  Ire  fratelli  Eren- 
tiii  diconsi  P  •  T  •  SEX  •  IIERENNIEIS  ■  SEX  •  F ,  ed 
in  Sora  A -PVEPiTVLEIElS,  ambedue  egualmente 
fratelli.  Ciò  posto ,  chi  può  vietarmi  di  leggere  PAcvius 
\lbius  PACVIES  ,  e  nella  slessa  lamina  Veliterna  a 
maniera  di  esempio  E<en'ws.  SEcùts.  COSVTIES , 
MMns.  CMus.  TAFANIES?  Che  se  a  taluno  può  far 
«iiflicoltà  ,  che  neir  Aniinate  uno  dei  due  si  nomine- 
lebbe  ripetutamente  Paquio,  Paquius,  Paquius;  viea 
presto  a  rassicurarlo  questa  lapida  marsa  ,  letta  già 
in  Piscina  sul  Fucino  e  trasmessa  all'  Antinori 
IP  •  PACCIVS  •  PAC  •  F  •  DEMIO  •  MONVMENT 
EX  •  TESTAMENTO  FACTVMESTARBITRATV 

LIBERTORVM 
e  la  venosina  Q  -OVIVS  -OV  .  F.  Lupoli.  It.  Venus. 
p.  338. 

Conchiudo  adunque  ,  che  la  legge  della  colloca- 
zione dei  prenomi  non  ha  peranco  sostegno  alcuno 
sicuro.  Ai  due  Paquii  dassi  l'aggiunto  MEDIS  nome 
del  magistrato  presso  gli  Oschi ,  i  Vokchi  etc.  che  si 
era  veduto  finora  sui  monumenti  Oschi,  Volschi ,  e 
Lucani  come  altri  hanno  osservato  prima  di  me  ,  e 
r  ho  notato  ancor  io  nella  Iscrizione  Osca  Pompeia- 
C3.  Napoli  1851.  p.  lo.  Qui  però  ha  come  un  solo 


S  ,  così  un  D,  nel  che  gli  fa  buon  riscontro  la  forma 
plurale  non  accorciata  Medikeis  della  citata  lapida 
viaria  Pompeiana. 

Intorno  alla  VESVNE ,  lasciando  slare ,  che  alcu- 
ni r  bau  creduto  una  novella  città  marsa ,  egh  non  è 
chiaro  per  me  che  sia  proprio  la  Dea  Feronia,  sic- 
me  altri  vorrebbe.  Le  desinenze  in  NA  così  nelle  dee 
Vacuna ,  e  Fortuna,  come  nel  nome  della  sibilla  Al- 
huna  non  inducono  certo  allo  scambio  in  NIA,  né  io 
avrei  allro  che  conghietture  da  opporre  a  conghiel- 
lure  ,  onde  me  ne  rimango. 

Vesunae  Donum  Dederunt  è  il  significato  sicuro 
della  linea  seconda,  e  lo  scambio  dell'O  in  V  ricorda 
da  un  lato  FORTONA  per  Fortuna  inciso  in  un  ala 
di  bronzo  illustrala  dall'  Avellino.  [Bull.  Arch.  Nap. 
T.Vl.p.90),  e  l'eolismo  della  o  in  v,  di  chel'Ahrens 
De  Dial.  Aeol.  p.  97.  98. 

La  terza  linea  letta  così ,  come  è  nell'  originale  , 
dividesi  in  tre  parole  separate  da  punti  CA  •  CVM- 
NIOS  •  CETVR,  onde  il  CA  a  me  sembra  un  preno- 
me ,  e  CVMNIOS  il  nome  proprio  Cuminius,  o  Co- 
minius.  Lo  stesso   prenome  in  due  iniziali  occorre! 
nella  lamina  Veliterna  MA  •  CA  •  TAFANIES  ,  che: 
ho  spiegalo  più  sopra  Maius ,  Caius,  Tafanici  (Ta~- 
fanieij,encì  pompeiano  graffitoCA-RVSTlO-ACVST,, 
di  più  in  piedistallo  dei  Liguri  BebianiC A  MARTIO. 
SATVRNINO  [Mon.  Lig.  Baebian.  p.  30fol.),  inuna 
lapida  IserninaALFI  A  ■  CA  •  LHILARA  [fst'.  d' Iser- 
nia  p.  161.)  in  altra  pubblicata  dal  Cupero  CA  -TI- 
TIVS  •  SEDVLIVS  [Thes.  Poi.  T.  II.  col.  250).  Su' 
Cumnios  non  mi  trattengo,  non  facendo  mestieri  pro- 
vare con  esempi  lo  scambio  dell'  VS  finale  con  OS 
e  mi  rivolgo  al  terzo  vocabolo  che  termina  tutta  Ve- 
pigrafe ,  CETVR.  Se  i  due  Paquii ,  Paquio  ,  e  Vibi( 
hanno  fatto  un  dono  alla  Vesuna ,  sarà  questa  un 
lamina  votiva,  essendo  dimostrato  che  Donum  oDo 
noDedit  siaformola  conveniente  ai  sacri  donarli.  Ch 
vi  farà  qui  adunque  Caius  Cominius  ?  Quello  stesso 
che  nella  votiva  di  Trasacco  Salvio  Magio  figliuol  (f 
Stazio ,  e  Paccio  Anaiedio  figliuol  di  Stazio  QVEIS 
TORES.  L'iscrizione  è  pubblicata  del  Mommsen,  e 
darò  io  in  altro  luogo  interpretata.  Ora  importa 
confronto,  che  ne  viene  in  vero  assai  opportuno.  P« 


—  13  — 


rocche  dopo  il  VECOS  •  SVP'N  VICTORIE  SEINQ 

DONO  DEDET  che  chiude  la  forinola,  seguono  i  no- 
mi di  due  magistrali  QVEISTOHES.  Onde  io  mi  per- 
suado che  anche  ncU'  Aniinale  il  Caio  Cumioio  vi  stia 
allo  stesso  modo  ,  e  che  però  convenga  nel  CETVR 
cercare  un  significato  analogo  di  magistratura.  Che  se 
io  paragono  il  CETVR  al  Ce(!<«n'o,  che  par  si  dovesse 
arcaicamente  dir  CENTVR,  siccome  per  asserzion  di 
Pesto  conosciamo  ,  che  il  Decurio  dicevasi  Decur,  e 
tolto  la  N  ,  CETVR  ;  trovo  ,  che  nel!'  antica  Roma 
il  Centurione  era  la  stessa  persona  che  il  Curione , 
dichiaralo  da  Giovanni  Lido  essere  6  rùiy  li^w  iffov- 
TiffTTiS  (De  Maq.  I.  q.  cf.  Gervasio /scr.  (/<"<  Lucm  p. 
86.  seg.  E  senza  ciò ,  non  vedo  alcuna  difficoltà  di 
ammettere  una  magistratura  di  tal  nome  in  Anlino 
a  cui  fosse  annessa  la  cura  del  tempio  della  Vesuna, 
siccome  ai  Questori  del  santuario  della  Vittoria  sul 
Fucino.  Sia  poi  loro  commessa  solo  la  cura  delle 
cose  sacre  ,  o  nò,  io  non  decido  ,  né  se  dehbano  ri- 
putarsi eponimi  siccome  il  Fratriarco  (cf.  Meier  Gentil. 
Atl.  p.  11).  Nei  quah  due  casi  non  sorprenderà  un  no- 
minativo specialmente  dopo  il  confronto  dei  Queisto- 
res ,  ove  si  sarebbe  aspettalo  un  ablativo  ,  poiché 
oltre  a  ciò,  v'è  anche  da  citare  alcuni  frammenti  di 
fasti  municipali  edili  dal  Pighio  1'  uno  ,  (v.  Avellino 
Opusc.  T.  II.  p.  2o7),  e  dalRemondiniTallro,  (/s/or. 
Noi.  p.  43) ,  ove  i  consoli  si  leggono  in  nominativo, 
né  il  Borgesi  si  rimase  perciò  dall'opinare  nel  MCA- 
ESO  G A LLIVS  graffito  su  d'un  vasellino  romano  tra 
i  molti  scoperti  a  S.  Cesario  ,  nomi  di  consoli ,  per- 
chè gli  risultava  una  coppia  di  consoli  in  Nominati- 


vo. Laonde  tutta  la  leggenda  ,  che  io  non  credo  né 
Marsa ,  né  Osca,  né  Volsca,  ma  di  un  latino  parlalo 
fra  i  Marsi  in  Anlino  già  Municipio  Romano,  dovrà 
interpretarsi  cosi  : 

Paquius  Vibius  Pacvii  Meddices 
Vesunae  donum  dederunf. 
Caiits  Cominius  Centuria 

Garrcccj. 


Iscrizioni  di  Capua  fS.  Maria). 

Tra  le  scoperte  di  gran  momento  per  la  storia  di 
Capua  debbon  riporsi  due  iscrizioni ,  delle  quali  una 
copia  diligente  mi  recò  l'erudito  sig.  Abaie  D.  Santo 
Basliani ,  ottimo  mio  amico.  S.  Prisco  è  villaggio  ben 
accasato  due  miglia  di  là  da  S.  Maria  di  Capua  verso 
la  Tifata.  Ivi  alla  Croce  Santa,  e  propriamente  nel  ter- 
ritorio del  sig.  Bonaventura  Natale  d' iufra  gli  avanzi 
di  antiche  fabbriche  sepolte  un  dieci  palmi  sotterra  fu 
cavato  un  parallelepipedo  di  calcarea  tenera  con  leg- 
gende su  due  lati.  Al  conladino  parve  questa  troppo 
gran  mole  ,  e  da  suo  pari  la  spezzò  iu  cinque  parti  , 
onde  trasportarla  commodamenle  alla  sua  casa  in  S. 
Prisco.  I  pezzi  nondimeno  facilmente  si  ricompongo- 
no, con  qualche  perdila  di  lettere  nei  nomi;  è  peral- 
tro dispiacevole,  che  se  ne  sia  recentemente  smarrito 
uno,  onde  resta  oscuro  qual  monumento  i  maestri  del 
pago  avessero  costruito.  Eccone  la  doppia  leggenda. 
Dal  lato  più  stretto  dice  : 


NE-  FABER   •   M   •   FISIVS   C   •   F   •   M   •   VIBIVS       r 
SIVS   •   ST   •   F    •     M    •   BAIBILIVS    •   L    •   F   •   TI       HOSTIV 
CuneOS    ■   DVOS    •    IN   TEATRO    •    FACIENDOS    •    COI 
Dall'  altro  lato  che  é  il  più  largo. 

CM-  VS  •  CN  •  P 

MC/DELIVS  •  C  •  F. 

M  IIE-CIDIVS  •  M  •  F 

L  DECVMIVS  NF  STAR 


ALFIDIVSLFSTRAB 
MPANDIVS      ME 
P  OCTAVIVS  •  P  •  F 
C  CORNELIVS  C  F  SAP 

HEISC  •  MAGISTR  .  EX  •  PAGEI  •  SCITV   •  IN  •   SERVOM 

P  •  CORNELIO  •  LENTVLO  CN  AuYimO 


M  PONTIVS  M  L  S.\L 
A  OCRATIVSMLALEX 
CHOSfIVSMLHERM 
ARVBRIVSAFPRAEC 

IV.NONIS  ■  GAVR  ■  AB  TrVLE//// 

ORESTE  •  COS  M        M//// 


u  — 


Il  consolato  di  Publio  Cornelio  Lentulo,  ediGneo 
AuQdio  Oreste  ci  determinano  l'epoca  della  seconda 
iscrizione,  la  quale  è  posteriore  alla  prima  dicaralte- 
ri  più  vetusti.  Pare  anche  evidente  che  della  prima  sia 
pei  venula  a  noi  solo  la  seconda  metà,  nella  quale  leg- 
gansi  i  nomi  di  sei  Maestri,  i  quali  da  tutte  le  lapide 
dei  villaggi  posti  nel  teuimento  privato  dell'antica  Ca- 
pua  rileviamo  ,  che  furono  costantemente  dodici.  V. 
Borghesi  presso  il  FurlanettoLap.diEstep.  14. Adun- 
que questo  frammento  di  lapida  fu  già  tolto  da  un 
anteriore  edifizio,  che  ci  si  dichiara  nella  iscrizione  es- 
sere stalo  un  teatro,  onde  essere  convertito  ad  un  se- 
condo uso  probabilmente  sacro ,  perchè  relativo  al 
culto  di  Giunone.  Che  se  la  lapida  del  R.  Museo  illu- 
strata dal  Mazzocchi  presso  il  Daniele  (Xum.  Capuana 
p.  101.  se^g.)  ove  è  parola  di  una  rifazione  del  porti- 
co appartenente  al  teatro  del  j)aO'^'s  Hemdaneus ,  fu 
trovata  in  Recali ,  villaggio  discosto  dalla  moderna 
Caserta  un  miglio  e  mezzo  ,  egli  è  manifesto  ,  che  il 
teatro  di  che  ci  parla  questa  nuova  iscrizione  scoperta 
in  luogo  cosi  lontano  dal  primo,  sia  diverso  da  quello. 
Avremo  quindi  guadagnato  di  conoscere  meglio  la 
condizione  di  questi  paghi ,  ossia  villaggi  dell'  Agro 
Capuano,  nei  quali  tanta  mole  di  fabbriche  pubbliche 
aveva  trovato  luogo  nei  tempi  anche  più  remoti ,  e 
propriamente  in  quei  due  secoli  sesto  e  settimo  di 
Iloma  ,  nei  quali  si  condannavano  in  Roma  i  teatri  di 
pietra  come  inulili  e  perniciosi  ai  pubblici  costumi  (Epit. 
Liv.  Lib.  XLVIII).  Così  anche  gli  anfiteatri  furono  co- 
struiti prima  fuori ,  che  dentro  Roma  ,  ed  in  Capua 
slessa  r  anGleatro  ,  ed  il  teatro  veggiamo  essersi  tanto 
più  rccculi  di  quello  che  i  teatri  pagani.  Se  non  che 
questo  medesimo  lusso  pagano  dovea  risultare  dalle 
severe  misure  adottate  dalla  Repubblica  Romana  in- 
t  jrno  all'  antica  Capua  dopo  la  seconda  guerra  puni- 
ca ,  quando  ne  distrussero  ogni  autonomia,  riducen- 
dola a  prefettura,  (v.  Liv.  L.  XXVI.  e.  16),  e  con- 
servandone gli  edifizii  ut  essel  aliqua  aralorum  sedes  ! 
1  uuovi  padroni  dei  campi,  non  avendo  omai  più  ra- 
gione di  preferire  tal  città,  sul  terreno  loro  assegnato 
stabilirono  loro  dimora,  onde  in  breve  sorsero  i  pa- 
ghi, ed  in  questi  gii  edifizii  pubblici  destinati  al  culto, 
ed  alle  feste  popolari.  Avevamo  finora  conosciuto  un 


nome  di  pago  tolto  da  Ercole,  paguslhrculanem.na 
aldo  da  Giove ,  pagus  lovius,  onde  la  Venere  che  vi 
aveva  culto  traeva  il  suo  appellativo  di  Venere  Giovia. 
(Mominsen  Inscr.  Neap.  3561);  e  per  questo  nuovo 
pago  che  dà  alla  Giunone  l'aggiunto  GAVRana  ci  fa 
credere,  che  si  chiamasse  appunto  cosi,  pajtfsGoMrus, 
o  Gatiranus,  nome  non  nuovo  in  Campania,  ove  era 
celebre  il  nemorosus palmite  GawrMS  (Slat.  L.III.  carm. 
1.  V.  147).  1  Maestri  pagani  furono  tal  volta  soli  in- 
genui ,  tal  altra  liberti,  o  servi  :  unico  era  l'esempio 
delia  lapida  di  S.  Severo,  ove  si  leggano  sei  ingenui, 
e  sei  liberti,  e  questi  in  secondo  luogo,  siccome  fu  al- 
trove da  me  osservalo  in  proposito  di  un  antica  la- 
pida puteolana  (nel  Bull.  Nap.  T.  V.  p.  114).  Ma  il 
sig.  Mommseu  ha  giudicato  falsa  questa  lapide,  o  al- 
meno titulum  mihi  quidem  admodum  suspeclum ,  dice 
egli,  precipuamente  perchè  in  his  nunquam  recensenlur 
magistri ,  nisi  aut  ingenui,  aut  libertini  omnes,  contra 
in  hac  ingenui  sex  totidemque  libertini.  (Momm.  I.  N. 
3563  ).  A  toglierlo  da  tal  opinione ,  viene  bene  a 
proposilo  il  mio  titolo  di  S.  Prisco  con  nove  ingenui, 
e  tre  liberti ,  e  questi  ancora  seguiti  da  un  ingenuo. 
Il  Mazzocchi  aveva  divinato  da  suo  pari  che  nella  Gru- 
teriana  XXI ,  1 1  la  formola  EX  •  SITV  •  PAGI  do- 
vesse emendarsi  EX  •  SCITV  .  PAGI ,  dando  cosi 
alla  legge  dal  pago  Ercolaneo  l'appellazione  di  Pagi- 
scilo:  Ex  hac  vocula  SCIVIT,  die'  egli,  vides  non  ini- 
merito  legcm ,  qua  de  commentamur,  pagiscitum  posse 
appellari.  In  Legera  Pag.  Pagi  Hercul.  Comment.  p. 
103.  ap.  Daniele  N.  Cap.  I  ;  e  la  nuova  lapida  ci  dà  il 
Pagi  scito,  EX.  PAGEI  •  SCITV,  appunto  come  egli 
aveva  opinato.  Aggiugne  la  lapide,  che  tal  pagiscilo 
fu  fatto  IN.  SERVOM  •  IVNONIS  •  GAVRI  servi 
delle  deità  pagane  eran  tenuti  in  forza  della  loro  con- 
dizione a  sostenere  le  spese  dei  sacrifizii,  e  delle  feste, 
il  quale  non  fu  costume  solamente  greco  (v.  Cic.  Di- 
vin.  in  Ver.  e.  17,  ed  ivi  Grevio),  ma  diffuso  ancora 
fra  popoli  Italici.  In  Latino  dicevansi  perciò  Marlia' 
Ics  i  ministri  publici  Martis,  ei  dea  veteribus  instilutis 
religionibusque  Larinatium  comecrati  (Cic.  prò  Cluent. 
e.  15).  Può  presumersi  che  un  servo  giunonio  del 
pago  Gaurano  debba  essersi  fatto  reo  di  alcuna  tra- 
sgressione od  omissione ,  onde  ne  fosse  condannato 


—  15  — 


(lui  pago  ad  un  ammenda,  e  i  maestri  pagani  venisse- 
ro incaricali  a  spendere  quel  denaro  in  fabhriclie  di 
giunta  o  di  restauro  del  lem|)io  medesimo.  Ed  io  son 
certo ,  che  ciò  avremmo  dovuto  leggere  nell'  ultima 
parte  di  questa  linea,  se  ci  fosse  conservata. 

Le  lettere  AR  •  •  •  •TVLE  e  nella  seguente  i  due 
M  •••  M  daranno  luogo  a  conghictiure ,  fra  le  quali 
forse  potrebbe  pigliar  luogo  ARAM  (Am  inmon)Or- 
TVLER  EF  WOERVM  REF.  Le  due  ultime  lette- 
re della  prima  liuea  sono  logore  ,  e  lo  spazio  che  ri- 
mane dopo  di  questa  e  della  seguente  linea  potrebbe 
avei-  contenuto  le  lettere  ,  che  il  supplemento  richie- 
de. La  formola  apparisce  più  accorciata  del  solito  in 
HEISC  in  MAGISTR,  e  ciò  non  ostante  vi  fa  biso- 
gno di  occupare  anche  lo  spazio  che  rimaneva  allato 
al  COS.  Qui  non  veggo  però  alcun  richiamo ,  sicco  - 
me  gli  ho  notali  il  primo  in  altre  lapidi  del  medesimo 
stile,  (Iscriz.  di  Salerno  p,  5.)  la  quale  osservazione 
accetta  ora  il  sig.  Mommsen  nei  suoi  corrigenda  alle 
Inscr.  Neap.  p.  XXIV.  n.3561.  3564.  È  da  avverti- 
re che  come  il  pagiscito  imitava  il  plebiscito  roma- 
no ,  così  al  Senatus  consulto  ,  o  al  decreto  dei  decu- 
rioni municipale  corrispondeva  il  decrelum  pagano- 
rum  pagi ,  avendo  già  notato  il  Borghesi  presso  il 


Furi.  (Lap.  di  Esle  p.  16,17,)  che  ì  pagani  pagi  sono 
la  stessa  cosa,  che  i  magi^ilri  pagani.  Dal  consolato  di 
P.  Cornelio  Lenlulo  e  di  Cneo  Aufidio  Oreste,  che  ap- 
partiene al  683,  risulta,  che  lo  stato  dei  paghi  cam- 
pani si  conservò  eziandio  dopo  la  guerra  sociale  nel 
piede  di  prima ,  non  avendo  mutata  condizione  Ca- 
pua,  dopo  la  seconda  punica,  né  per  la  colonia  Grac- 
cana  del  621  che  bisogna  ammettere  col  Giovenazzi 
(Aveia  p.  83.  segg.  ),  né  per  la  posteriore  di  Siila. 

Garrucci. 


Iscrizione  cristiana  di  Pozzuoli. 

Da  pochi  giorni  soltanto iia  veduta  la  luce  in  Poz- 
zuoli la  seguente  epigrafe  cristiana  incisa  in  una  la- 
stra di  bianco  marmo,  e  rinvenuta  presso  un  sarcofa- 
go anche  di  marmo.  In  quanto  al  silo  del  ritrovamen- 
to ,  rilevo  dalle  notizie  fornitemi  essere  pieno  di  an- 
tichi sepolcri  più  o  meno  nobili  ed  ornati  :  la  quale 
osservazione  potrà  dar  luce  alla  migliore  intelligenza 
di  alcuni  punti  difficili  della  iscrizione.  Essa  dice 
cosi: 


C.  NONIVS.  FLAVIANVS 

PLVRIMIS  ANNIS  ORATIOMBVS  PETITVS  NATVS.  VIXIT  ANNO  VNO 

M.  XI.  IN  CVIVS  HONOREM  BASILICA  IIAEC  A  PARENTIBVS  ADQ VISITA 

CONTECTAQVE  EST  REQVIEVIT  IN  PACE.  XVIII.  KAL  lAN. 


Bellissimo  ed  elegantissimo  è  il  dettato  della  iscri- 
zione, abbenchè  si  appalesi,  anche  per  la  forma  de' ca- 
ratteri ,  del  quarto  o  quinto  secolo.  È  notevole  osser- 
vare il  prenome  di  Cajo  attribuito  a  Nonio  Flaviano; 
quantunque  non  sia  nuovo  ritrovarci  prenomi  segna- 
ti nelle  iscrizioni  di  epoca  posteriore.  Tutta  cristiana 
è  la  frase  ORATIONIBVS.  PETITVS:  essendo  trop- 
po noto  incontrarsi  sovente  oratio  ed  orationes  nel  si- 
gnificalo di  preghiera,  nella  versione  fatta  da  S.  Gi- 
rolamo de'  libri  Santi.  Tra*  molti ,  non  sarà  fuor  di 
proposilo  citarne  qui  alcuni  esempli  tratti  dal  Nuovo 
Testamento  —  Hoc  autem  genus  non  ejicitur  ni^  per 
orationem  d  jejunium  (  Mallli.  e.  XVII ,  20  )  —  ... 


in  oralione  et  jejunio  (Marc.  e.  IX,  28)  — Et  erat 
pernoclans  in  oralione  Dei  [Lue.  e.  VI ,  12)  — ...  et 
rum  flesmj  surrexisset  ab  oralione  (  Id.  e.  XXII , 
45.  )  —  Elia? oralione  oravit.  ut  nonplueret  su- 
per lerram  (  B.  lacobi  ep.  Cath.  e.  V,  17  ) —  Hi 
omnes  erani  persercrantes  unanimiler  in  oralione  (  Act. 
A  post.  1 ,  14  )  —  Ed  al  plurale  :  Orationes  tuae,  tt  e- 
Icemosynae  tuae  adscendcrunl  in  memoriam  in  con- 

speclu  Dei  (Act,  Apost.  e.  X ,  4) — ut  adjuve- 

lis  me  in  orationibtis  veslris  prò  meadDeum(PMÌ.  ad 
Roman,  ep.  e.  XV,  30):  ed  ora^toncs  sanc/onm  leg- 
giamo nell'Apocalisse  (e.  V,  8).  Né  mancano  gli  e- 
sempli  nelle  iscrizioni  cristiane:  cosi:  in  oralionis  (sic) 


—  16  — 


tuis  rogei  prò  nobii  è  nella  epigrafe  di  Gentiano(  Ma- 
rini Arvali  p.  362);  ed  oradonem  orate  prò  me  pecca- 
tore io  altra  iscrizione  presso  il  Muratori  (p.  MCML- 
XVIII  n.  4  ).  Segue  nella  iscrizione  di  Flaviano  -  IN 
CVIVS  HONOREM  BASILICA  HAEC  A  PAREN- 
TiBVS  ADQ VISITA  CONTECTAQVE  EST.  Per  ben 
coBìprendere  il  signiCcalo  dell'  intero  senso  ,  bisogna 
determinare  la  intelligenza  della  parola  BASILICA. 
Non  può  certamente  darsi  a  questa  voce  la  signiOca- 
zione  di  un  ampio  edifizio  desliuato  al  sacro  culto:  in 
fatti  strano  sarebbe  l'immaginare  che  una  vera  Basi- 
lica cristiana  fosse  in  quel  luogo  edificata  in  onore  del 
piccolo  Flaviano,  il  quale  non  essendo  un  martire  non 
poteva  meritare  una  simile  distinzione.  A  ciò  si  ag- 
giunga che  la  Basilica  della  nostra  iscrizione  non  di- 
cesi edificala,  ma  bensi  comperata  (^adgfiwsiìay)  da' geni- 
tori di  Flaviano.  Non  può  adimque  dinotare  un  tem- 
pio, che  era  possibile  acquistare  per  ridurlo  a  sepol- 
tura di  un  fanciuUino. 

Ne'  cimiteri  di  Roma  è  frequente  incontrare  umili 
tombe  di  privati ,  non  che  grandiosi  sarcofaghi  con 
bassirilievi  e  ricchissimi  fregi  (  vedi  Aringhi  Roma 
subterranea  )  ;  e  merita  una  particolare  menzione  il 
magniCco  sarcofago  marmoreo  di  Giunio  Basso  (Dio- 
nysius  vat.  Basii,  cryp.  mon.  tab.  LXXX  ;  Aringhi 
Moma  subt.  lib.  2.  e.  10  p.  275;  cf  Bottari  nelle 
spiegazioni  t.  l  p.  35  seg.).  Occorre  pure  nelle  iscri- 
zioni memoria  di  queste  sepolture  nelle  Basiliche.Cosi 
ritrovasi  : 

GAVDIOSA  DE 

POSITA  IN  BA 

SlUCA  DOMNI 

FELICIS  ANNORVN 

(Murator.  p.  MDCCCLXXVIII  n.  8). 

Ed  altrove.  . .  DEPOSITVS  IN  BASILICA  SAN- 

CTOR 

NASARI  ET  NABORIS  (  Id.  p.  MCMLVI  n  6  ). 

Cosi  in  altra  iscrizione  del  cimiterio  di  S.  Balbina 
leggiamo:  (Id.  p.  MCMLXX  n.  2). 


FELIX  FASTINIAN 
VSEMIT  SIBI  ET  VX 
ORI  SVAE  FELICITATI 
FELICI  FOSSORI 
IN  BALBIMS  BASILI 
CA  LOCVM  SVB  TE 
GLATA  SE  VIVVM 
In  questa  ultima  epigrafe  si  fa  menzione  del /bs^or, 
che  avea  l' ufficio  di  scavare  i  loculi  per  sopellire  i 
cadaveri ,  a  pattuita  mercede.  Vedi  altri  esempli  ia 
Aringhi  (  Roma  suht.  t.  II  p.  283  ) ,  in  Fabretti  (  p. 
739),  ed  in  lacuzio  [Bonusae  et  Mennae  Ut.  p.  45). 
Nella  nostra  iscrizione  non  dicesi  acquistato  unluogo 
nella  basilica,  ma  la  òasiV/ca  stessa  in  onor  del  defunto. 
Quindi  io  son  di  opinione  che  Bas//jca  sin  da  quel- 
r  epoca  ,  in  cui  la  nostra  epigrafe  fu  dettata  ,  indica- 
va un  sepolcro  o  sarcofago  appartenente  a  cimitero 
cristiano.  A  me  sembra  che  in  questo  medesimo  sen- 
so trovisi  adoperala  tal  voce  da  S.  Girolamo.  Il  san- 
to Dottore  {epist.  ad  Heliod.  XXXV  p.  272  t.  IV  e- 
dit.   Paris.  MDCCVI  )  facendo  le  lodi  di  Nepoziano 
monaco  e  presbitero  ,  dice  fra  le  altre  cose ,  «  Baii- 
licas  Ecclesiae,  et  Martyrum  conciliabula,  diversis  flo- 
ribus ,  et  arbormn  comis ,  vitiumque  pampinis  adum- 
bravil  ».  Poiché  troviamo  insieme  riuniti  i  sepolcri 
de'  Martiri  (  Martyrum  conciliabula  )  e  le  Basilicae  del- 
la chiesa ,  potrebbe  probabilmente  supporsi  che  S. 
Girolamo  alludesse  alle  tombe  annesse  alla  medesima 
chiesa.  Comunque  sia  di  questa  nostra  conghiettura , 
non  sarà  fuor  di  luogo  il  richiamare  che  in  epoca  po- 
steriore la  voce  medesima  trovasi  senza  dubbio  ado- 
perata per  edicola  sepolcrale:  per  modo  che  nella  leg- 
ge salica  è  scritto  ....qui  twnham  aut  porticidum  su- 
per hominem  mortuum  expoUaverit ...solicKs  5.  Siquis 
vero  Basilicam  super  kominem  mortuum  expoUaverit , 
30  solidis  culpabilis  judicabitur  (tit.  58  §.  3,  4,  5xf. 
Ducange  glossar,  med.  et  inf.  latinit,  Paris.  Didot 
1840  in  4"  tom.  1  v.  Basilica). 

(continua)  MiNERViffi. 


P.  Raffaele  Garrucci  d.c  d.g. 
Giulio  Minervini  —  Ediiori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catanbo. 


BUllETTIKO  ARCHEOLOGICO  MPOIITA^O. 


NUOVA    SERIE 


N.o  3. 


Agosto  1852. 


Tre  inedite  monete  di  A^apoli. — Tavola  aquaria  Venafrana. 


Tre  inedite  monete  di  Napoli. 

Non  fa  luogo  arrestarsi  a  magnificare  la  classica 
scoperta  ,  ed  originalissima  delle  tre  monete  napoli- 
tane  ,  che  qui  prendo  ad  illustrare.  Ciascuno  ama- 
tore delle  antichità ,  e  della  storia  patria ,  ciascun 
cultore  delle  arti  imitatrici  riconoscerà  in  questi  tre 
elegantissimi  gioielli ,  e  della  età  più  fiorente,  quanto 
si  debba  agli  studii  numismatici ,  fonte  ricchissimo 
di  archeologico  sapere.  Al  eh.  sig.  D.  Gennaio  Ric- 
cio possessore  di  questi  bei  monumenti  patrii  non 
debbo,  che  l'occasione  di  tanta  scoperta,  e  gliene  sarò 
sempre  perciò  riconoscente.  Sono  tre  emioboli  d'ar- 
gento ,  dei  quali  darò  qui  la  descrizione ,  e  i  disegni 
nella  tavola  aggiunta. 

1.  Protome  giovanile  rivolta  a  destra,  cinta  di  dia- 
dema ,  e  con  corno  sporgente  sulla  fronte,  intorno 
JEPE-OOJ 

][  Figura  di  donna  alala  ,  sedente  ,  con  ramo  nella 
sinistra  che  rivolgesi  indietro  guardando  in  allo  :  ac- 
canto vedesi  un'  idria  rovesciata  sul  suolo  ,  intorno  è 
scritto  [N]EOrOLlTlì[J]  v.  T.  IV.  n.  I. 

2.  Protome  simile  alla  descritta  nel  n.  1.  ed  in- 
torno gli  avanzi  della  leggenda  JEPEI . .  . 

j!  Figura  di  donna  sedente  non  diversamente  dalla 
descritta  al  n.  1.  v.  Tav.  IV.  n.  2. 

3.  Protome  femminile  rivolta  a  destra  con  accon- 
ciatura di  capelli  simile  a  quella,  che  vedesi  su  di  al- 
tre conosciute  monete  napolilane,  cumane,  e  terinesi 
intorno  NEOIIOAlTHi. 

J  Donna  alata  sedente  rivolta  a  sinistra,  v. Tav. IV. 
n.  3. 

Ayifo  I. 


Si  ha  dunque  nel  dritto  delle  due  prime  monete 
una  protome  di  giovane  diademato ,  a  cui  spunta  un 
corno  bovino  sulla  fronte ,  e  la  leggenda  completa 
JEPElGOJ.  Questa  risulta  dal  confronto  di  ambedue 
le  monete,  sulla  seconda  delle  quali  è  JEPEI...  man- 
cando il  resto ,  perchè  la  moneta  è  priva  del  campo 
da  quella  parte ,  ove  l' avrebbe  dovuto  recare  scolpi- 
to, e  sulla  prima  $EnE"0O$  ,  nella  quale  manca  l'I 
per  la  medesima  ragione. 

Stabilita  la  leggenda  ,  io  non  tardo  a  promulgar 
la  scoperta  ,  dich  arando  che  con  essa  ci  si  rivela  il 
patrio  fiume ,  il  Sebeto ,  e  vengo  alle  prove.  Che 
questa  leggenda  riguardi  tm  fiume ,  lo  dimostra  il 
costume  delle  città  d' Italia  ,  e  di  Sicilia  di  figurare 
sulle  loro  monete  le  teste  dei  loro  fiumi,  o  i  nomi  di 
essi  ,  e  talvolta  1'  uno  e  l'altro  insieme.  Leggesi  co- 
sì il  nome  del  Sele  e  dell'  His  sulle  monete  Pestane 
AAI3M,  e  FlIJ.se  ne  ravvisa  la  sola  protome  su  quel- 
le di  Pesto,  di  Cosenza,  di  Lao ,  di  Caulonia,  di  Noce- 
ra,  di  Metaponto;  e  l'uno  e l'allro  insieme  sulla  moneta 
di  Crotone,  di  Catania,  di  Agirlo,  di  SeIinunle(Eckhel 
Dod.  Mm.  T.  IV.  p.3 15. Avellino  Oj)Msc.T.I.p.l08. 
e  n.VII.  p.  144).  Or  qualsarà  questo  fiume  sulla  mo- 
neta dei  Napolitani,  se  non  è  il  Sebeto?  È  vero,  che 
questo  fiumicello  non  sonò  così  famoso  nell'anlichità, 
e  che  fu  celebrato  sol  dai  Poeti,  ed  ai  tempi  romani , 
onde  potò  ometterlo  Strabone,  scambiarlo  col  Clanim 
Licofrone  ;  ma  ciò  non  impediva  all'antica  superstizio- 
ne dei  nostri  avi  di  consecrargli  un  tempio,  nòdi  to- 
glierlo a  tipo  della  monetazione.  Perchè  dunque  si 
trova  nominato  qui  JEfEIGCJ  e  non  SHBHyoS? 
Pronunziarono  così  questo  nome  quei  primi ,  che  io 


•_18  - 


denominarono  ,  e  se  è  così ,  quando  ,  e  da  chi  venne 

poi  detto  sertiQos  ? 

Qui  io  invece  di  chiamare  ad  aiuto  le  lingue  india- 
ne, e  le  colonie  fenicie,  dando  luogo  a  ben  arbitrarie 
congetture  ,  piuttosto  confesso  di  non  saperlo  ;  e  mi 
limito  solo  a  dire  ,  che  ,  sembrandomi  averlo  dovuto 
i  Greci  nella  lingua  comune  scrivere ,  e  pronunziare 
ÌHBH0O5:  ,  tulio  ciò  in  che  dilTerisce  il  nome  ora 
scoperto  sulla  moneta ,  sia  dovuto  a  dialetto.  Che  in 
lingua  comune  si  fosse  sciitto  e  pronunzialo  così,  par- 
rai poterlo  dimostrare  dal  costante  uso  dei  poeti  di  al- 
lungarne le  sue  prime  sillabe  (  Virgii.VlI.  734.  Stat. 
Silv.  1.  263.  Columella  de  Cuìtii  Hort.  L.  10.  134. 
cet.),  e  dal  consenso  dei  uiij;liori  codici,  i  quali  ado- 
perano il  B  ,  ed  aspirano  il  T.  A  questi  consentono 
le  copie  della  celebre  lapida  di  Publio  Mevio  Eutico, 
il  quale  AEDICVLAM  •  RESTITVIT  •  SEBETIIO 
(  Mom.  Insct:  A'eap.  2443.  ove  nota  ,  che  i  soli  Fal- 
co, e  Giordano  riportano  SEBETO).  Adunque  ilsiu- 
golar  modo  di  scriver  JEPEOOJ  non  è  inverosimile, 
che  provenga  da  dialetto  :  la  quale  opinione  acquista 
maggior  forza  dal  considerare,  clic  anche  il  nome  NEO- 
PoHJ  con  che  comunemente  si  appella  Napoli  sulle 
monete  è  proprio  modo  del  dialetto  attico.  E  ciò  non 
ostante  si  nominò  ancora  NEAFTf  'HX,  polendo  solo  da 
questo  esser  derivato  il  NEHIloUlJ,  di  ionico  dialetto 
della  rarissima  moneta  illustrala  dall'Avellino  {Bull. 
Nap.  II.  tav.  II.  n.  12.).  Aggiugni,  che  tutto  questo 
conviene  pienamente  colla  tradizione,  dalla  quale  ap- 
prendiamo ,  che  in  Napoli  si  stabilirono  colonie  di- 
verse di  Calcidesi ,  di  lìretricsi,  di  Ateniesi ,  di  Pite- 
«•usani  (  Slrabone.  V.  4.  7.  ) ,  e  che  ricercando  fra  i 
dialetti  parlati  da  questi  coloni,  troviamo  di  falli  uno 
di  essi,  quello  di  Eubea,  onde  vennero  le  colonie  dei 
(Calcidesi ,  e  degli  Erelriesi ,  usare  lo  scambio  del  B 
in  n  ,  scrivendo  Plutarco  {Sijmb.  VI.  8,1.)  MaXicr-rcc 
TTV.'/ yj.Tv  roTi  A'to'/.zvaiv ,  àtri  rcv  B  r'o  IT  Xf'^w'- 
vois,  e  dell' II  in  Ei ,  secondo  che  lo  testificano  con- 
cordemente i  grammatici  (  Ahrens  de  Dial.  Boeot. 
%.  39,  2).  Onde  che,  se  il  Sebeto  era  qui  realmente 
pronunziato  i^UBIK-JOS  ,  avrebbero  essi  soli  potuto 
scambiarlo  in  StPtiQOS,  equivalente  per  (pici  tem- 
pi ,  in  che  la  vocale  H  non  era  dall'  alfabeto  dei  Clo- 


ni passata  nella  lingua  comune,a$EPEI30J;  siccome 
NEonoUTEj,  a  NEOnoUTHS. 

Se  quesl'  argomento  non  vale  ,  egli  ci  sarà  tolto  di 
ragionare  sul  vero  antico  nome  e  nazionale  del  Se- 
belo  fino  a  imovi  e  più  efficaci  riscontri.  Del  resto  io 
trovo  semprepiù  ragioni  da  confortarmi  nella  ipote- 
si :  perocché  così  mi  spiego,  in  assoluto  difetto  di  co- 
lonie doiiche  in  Napoli ,  la  desinenza  in  AS,  NEO- 
noAITAi  di  alcune  monete,  che  è  legge  di  dialetto 
Beotico  riconosciuta  dall'  Ahrens  (  Op.  cit.  §.  44.  2) 
il  quale  scrive;  In  declinatione  prima  in  universum 
Dorico  more  prò  vulgari  H  est  A.  L'  Eckhel  (  Sylloge 
p.  2)  e  l'Avellino  {Bull.  Nap.  1844.  41),  non  bene 
Io  riferivano  a  traccia  di  dorismo,  che  non  trovò  luo- 
go mai  fra  noi.  Lasciamo  tuli' altro.  La  novella  fra- 
tria dei  Cretondae  non  dovrebbe  bastare  ella  sola  a 
fare  te^limomo  della  Colonia  di  Eubea,  edelsuodia- 
lelio? 

il  sig.  Minervini ,  che  l' ha  scoperta  ed  illustrala 
(  V.  il  n.  2.  di  questo  Bull.  ) ,  mi  scusa  di  mostrare  , 
che  sia  nome  di  fratria.  Ma  questa  fratria  ,  siachè 
prendesse  il  nome  dal  condottiere  Kp/iTwv ,  o  KpTj- 
Twvòas,  siacliò  da  alcun  eroe  nazionale,  si  sarebbe  in 
sostanza  dato  un  nome,  che  recava  l'impronta  della 
primiera  origine  di  tal  parte  di  popolo.  Or  è  ben 
cerio ,  che  tali  patronimici  sono  per  lo  più  di  tipo 
Beotico  ,  siccome  notò  Eustazio ,  scrivendo  del  nome 
Pagonda:  n*yc<^voa.s,  CniJi%rtxio  rvino  Boìwt/w  x*- 
tÒl  tÒ  '"E7r«;x=(iwvSocs  ,  Kp£f'^v^oci  (  Proem.  Comm. 
Pind.  p.  13.  Schneidewin  )  ;  ai  quali  l' Ahrens  ag- 
giugne  dalle  iscrizioui  Beoliche  X'xpuivò'jn,  'Asaxp^óy- 
è%;,  e  forse  XoiM)[h]it.5  {de  Dial.  Boeot.  §.  48.  I  ). 

Bisogna  però  avvertire ,  che  questo  dialetto  non 
si  trovava  puro  in  Eubea  ,  come  in  Beozia  ;  perocché 
quell'isola  naturalmente  unita  alla  Beozia,  era  stata 
due  volle  occupata  ,  e  posseduta  dagli  Ateniesi ,  che 
vi  avevano  dedotte  colonie  ,  e  precisamente  in  quelle 
due  città  Calcide,  ed  Eretria  ;  onde  si  sa  essere  venuti 
coloni  in  Napoli.  L'essere  poi  usciti  dal  nalivo  paese 
per  collocarsi  in  terre  di  altro  dialetto,  dovea  in  quei 
primi  Icitipi  aver  generato  una  ancor  maggiore  inco- 
stanza di  forme  grammaticali;  onde  avviene  a  noi  di 
leggere  sulla  moneta  or  NEOllOAlTIIi;,  or  .\E(J- 


-19*- 


nOAITAS  con  un  misto  di  Attico ,  e  di  Beotico ,  e 
per  la  medesima  ragione  NEOIIOAI J ,  e  NEHIIO- 
HJ.  Con  questo  avviso  potrebbe  forse  sospettarsi  nel 
XpriTOY^oii  almeno  ii  T  in  vece  del  0  ,  (  se  l'O  per  ìì 
è  sbagb'o  dello  scarpellinn),  ovvero  la  II  in  luogo  del- 
l'A  ;  perchè  TpiTrouffi  oi  "\covii  rà.  Saff/a  ds  ■4'(Xà,  xa.) 
TX  \i/(Xà  eìs  Sao-/*,  dice  Favorino  (s.v.  X(S«n  cf.  Hort. 
Adoni  V.  ra.(^ujv,  Eustalh.  p.  468.  L.  3-2.),  ed  Aristi- 
de (  L.  2.  de  Musica  p.  92  ,  93.  ) ,  ri  'làs  tò  irrspiiv 
vTroffre\Xo(À.ivr\  rov  A,  xoi.ra.(pspsroi.i  Trpòs  rò  H,  non 
potendo  il  Kprirùjv  derivare  da  allro,  se  non  che  da 
Kp(xrcuì  ,  o  da  Kpr^Qujy.  Le  quali  osservazioni  parmi 
debbano  vieppiù  confermare  le  tradizioni  intorno  alle 
origini  Attiche  et  Euboiche  della  Colonia ,  rendendo 
non  ben  fondati  i  dubbii  del  Niebhur  ,  il  quale  ri- 
guardo agli  Ateniesi  avrebbe  voluto  commutare  colla 
momentanea  venuta  di  Dietimo  narrata  da  Timeo,  la 
positiva  notizia  di  Strabene,  che  pone  gli  Ateniesi  fia 
i  coloni  di  Napoli  (  Hist.  Romaine  trois.  ed.  T.  I.  p. 
221.  n.  479.  Golbery).  Slimo  adunque  ,  che  gli  A- 
teniesi  vi  venissero  misti  ai  Calcidesi  ed  Eretriesi ,  sic- 
come lo  erano  in  Calcide  ed  in  Eretria  ,  le  quali  due 
città  avevano  ricevuto  fra  le  loro  mura  colonie  da 
Atene. 

Dalla  leggenda  del  dritto  entro  nella  interpretazio- 
ne del  tipo.  La  giovanil  figura  cinta  di  diadema  ,  e 
con  corno  sporgente  sulla  fronte  basterebbe  da  sé  me- 
desima ,  senza  l'iscrizione,  per  essere  slimata  imagi- 
ne  di  un  fiume.  Ai  fiumi  che  si  figuravano  barbati , 
od  imbeibi,  davano  gli  Antichi  l'attributo  del  corno, 
avopj/w  'rvTri.o  fìot'xpocvos  (Sophocl.  Trachin.  1  1  ,  13. 
V.  Avellino  Opiisc.  T.  1.  p.l02  segg)  è  chiamato  da 
Sofocle  r  Acheloo. 

L'ha  il  Cralhis  sulla  moneta,  che  il  Fiorelli  atlri- 
^buìsce  ottimamente  a  Cosenza  [Monete  Ani.  Ined.  p.  1 5 
n.  14),  e  1  ha  ancora  il  Sagras,  che  io  stimo  rappre- 
sentarsi sulla  moneta  preziosa  di  Caulonia  pubblicala 
dall'  Avellino  [Bull.  Nap.  T.  VI.  tav.  IV.  20  ).  li  qual 
fiume  dovrà  riconoscersi  nel  sì  contrastato  tipo  delle 
monete  di  questa  città ,  poiché  la  figura  col  ramo 
nella  destra  è  parimenti  munita  di  corna  [Bull.  .\ap. 
T.  I.  tav.  Vili.  21),  siccome  quella  del  fiume  Hyp- 
sas  di  Selinunte.  Similmente  il  Laino  fu  cusi  effigialo 


(Bull.  Nap.  T.  I.  tav.  Vili.  15)  e  V  Aesarus  (Carelli, 
Tab.  CLXXXV.  .*>9),  ed  il  Casuenlus ,  ed  il  Sarnus , 
sebbene  questi  due  invece  delle  corna  di  loro  s'abbia- 
no le  arietine,  ma  l' intenzione  è  la  medesima  nei  Me- 
tapnntiai,  e  nei  Nucerini.  Ai  quali  viene  ora  aggiunta 
per  la  nostra  moneta ,  anche  la  graziosa  effigie  del 
Sebeto. 

Con  queste  vedute  speriamo,  che  siano  per  l'avve- 
nire meglio  intese,  e  disegnate  molle  di  quelle  mone- 
te, che  dovrebbero  riferire  tipi  simili  a  questi.  Manca- 
no perù  nelle  tavole  conosciute  del  corno,  che,  sebbene 
io  sia  persuaso  essersi  talvolta  omesso,  pure  non  arri- 
schierò  di  citarne  gli  esempii  prima  di  averli  riscon- 
trati sugli  originali.  Così,  per  citarne  alcuni,  io  sospetto 
l'abbia  Y  Aesarus  della  Carelliana  tavola  CLXXXV  . 
58,  e  forse  al  Sihr  di  qualche  pestana  con  questo  ri- 
scontro potrebbe  assicurarsi.  In  questo  novero  non 
fo  apparire  né  Salpi,  né  la  Metapontina  del  Carelli  (Tab. 
CLIX.  190),  perocché  in  ambedue  tengo  quella  pro- 
tome coronata  di  canna  o  salcio,  e  con  orecchie  e  cor- 
na faunine  rappresentato  il  suolo  paludoso. 

Grandissime  e  meravigliose  novità  siam  venuti  ri- 
levando nel  dritto  ,  ma  non  minori  pregi  noteremo 
nel  rovescio.  Imperocché  quivi  è  rappresentala  la  ri- 
nomata Sirena  Parlenope  che  aveva  in  Napoli  tutto 
insieme  sepolcro,  tempio,  ed  oracolo.  Un'altra  Sire- 
na vedevasi  figurare  sulle  monete  di  Velia,  la  Ligea, 
riconosciuta  dall'Avellino  [Opuac.  T.  1.  p.  185  scg.) 

Coloro  che  gli  si  opposero  anno  il  torlo  di  aver 
abbandonala  così  acconcia  spiegazione  per  tener  dietro 
al  debole  argomento,  che  loro  si  creava  dalla  epigrafe 
NIKA  ,  letta  più  recentemente  su  di  altra  moneta  di 
Terina  (  Raoul-Rochelle  jW^moiV.  Numi:im.  p.  ITti. 
n.  2  ) ,  dalla  quale  pareva  loro  convalidarsi  la  vecchia 
opinione  del  Liebe ,  e  del  Combe ,  che  definirono 
quella  figura  una  Vittoria.  Ma  l'Avellino  trovò  nella 
Sirena  Parlenope  ,  un  argomento  irrepugnabile,  rap- 
presentandosi questa  su  di  una  preziosa  monetina  na- 
politaua,  appunto  come  su  quella  di  Terina  la  Sirena 
Ligea  (In  Fr.  Carellii  nura.  descr.  adnotadonesp.  18, 
19.  De  attecdoto  Neapolilanorum  nwno.  ) 

11  disegno  di  quella  è  simile  iu  tutto  alla  terza  mo- 
neta ,  che  si  pubblica  nella  noslra  tavola  quarta  :  aia 


—  20  — 


la  protome ,  che  in  quella  è  di  un  Ercole  nella  no- 
stra invece  sembra  della  Sirena  Partenope  con  quella 
acconciatura  di  capo  ,  che  vedesi  in  altri  tipi  di  mag- 
gior modulo.  Nelle  altre  due  scorgesi  un'  idria  rove- 
sciata sul  terreno  accanto  alla  Sirena  ,  appunto  come 
sulle  monete  di  Terina.  La  tradizione  insegnava,  che 
Ligea  fu  sepolta  accanto  all'  Ocinaro  (  Licofr.  Alex. 
V.  729  ) ,  il  qual  fiume  vien  simboleggiato  dall'  urna 
rovescia ,  e  talvolta  anche  più  pienamente  dal  leonto- 
casma  ,  o  bocca  aperta  del  leone ,  che  manda  acqua 
nella  vasca  sottoposta,  ove  nuota  un'oca.  Similmente 
i  Napolitani  posero  l' urna  accanto  a  Partenope  ,  di 
cui  il  sepolcro  moslravasi  in  Napoli ,  ottov  ^iixwra.i 
fxvT,aa  Twv  Ss'pvw»'  l^'y^i  napG:)o'7rr,S  (Slrab.V.4.  7) 
vicino  al  Sebeto. 

Da  questa  dimostrazione  nasce,  che  la  maniera  te- 
nuta fra  noi  di  effigiar  la  Sirena,  era  di  figurarla  gio- 
vane donna  alata ,  e  non  un  composto  mostruoso  di 
uccello  e  di  donna.  E  però  quella  immagine  che  a 
lei  era  dedicata  in  Napoli  ricordata  da  Snida  ,  h  ~ri 
napSrvoTrr,? 'i^puroii  %-ifTfOi àyaXfjia  (Suida  V.  'Siipv), 
dovea  essere  operala  a  questo  modo  ,  e  non  come  se 
la  imaginarono  finora  i  palrii  scrittori  (v.  p.  e.  il  Ca- 
paccio Hist.  Nap.  1.  e.  5.) 

Per  la  qual  cosa  dobbiamo  con  noi  medesimi  con- 
gratularci ,  che  ci  vediamo  si  bene  levati  da  una  falsa 
credenza ,  in  che  ci  teneva  da  una  parte  la  totale 
mancanza  di  monumenti,  e  dall'altra  l'autorità  dei 
nostri  scrittori ,  e  saremo  anche  ammaestrali  di  qua 
a  riconoscere  in  qualche  o  bassorilievo ,  o  statua  , 
ritratta  la  Partenope ,  lo  che  nou  potrà  al  cerio  man- 
care in  avvenire. 

Ma  non  han  qui  ancor  fine  le  utilità  della  prege- 
volissima scopiMla.  La  Sirena  sulla  moneta  del  n.  1. 
ha  nella  sinistra  un  ramo,  il  qual  simbolo  veJesi  an- 
cora in  mano  a  Ligea ,  ed  in  sua  vece  uu  caduceo  , 
una  corona.  Or  sebbene  poirebhe  sembrare  ,  che  vi 
stia  a  significare  i  giuochi  napolitani ,  che  erano  an- 
nui e  solennissimi  in  onore  della  Partenope  (Licofro- 
ne  Alex.  732,  seg.  lahn  ad  Persii  Sai.  VL  61-74) 
non  dimeno  con  eguale  verosimiglianza  terrebbesi , 
•  he  vi  si  adoperino  come  segni  di  singolari  avveni- 
menli  pubblici,  a  che  certo  deve  riferirsi  il  caduceo, 


il  ramo,  le  bende,  e  la  corona  di  Ligea.  Donde  con- 
seguita, che  la  Partenope  prende  luogo  del  Genio 
della  città,  della  Ninfa  locale  Nympha  Sebethis  maire 
di  Ebaio.  Mesma  Ninfa  della  fonte  ,  che  le  diede  il 
nome ,  e  della  città,  che  dalla  fonte  medesima  pren- 
deva r  appellazione  ,  non  è  altrimenti  rappresentata 
che  Ligea  ,  e  Partenope  ,  alata  ,  e  con  corona  nella 
destra  (Fiorelli  Mon.  Ined.  Tav.  11.  15.  );  e  Ligea 
siede  talora  sul  ^('$pos,  come  appunto  il  àyjxos  di  Reg- 
gio ,  e  di  Taranto,  e  giuoca  alla  palla.  Onde  che,  da 
questo  lato  parmi  assai  vero  quanto  ne  ha  da  suo  pa- 
ri discorso  il  Rochelle  [Mem.  Namis.  p.  236  ,  ed  al- 
trove in  quella  dissertazione). 

Nelle  due  prime  monete  non  si  vede  alcun  uso  del- 
l'H,  essendo  scritto  NEonoUlTEJ,  e  SEUEIQOS  , 
nella  terza  è  invece  NEOIIOAITHS  con  paleografia 
meno  antica.  Appare  quindi  che  le  due  prime  prece- 
dono di  tempo  questa  terza.  L' alfabeto  Ionico ,  che 
aggiunse  alle  vocali  le  due  lunghe  IL  ed  O,  tuttocchè 
qua  e  là  fosse  comincialo  a  riceversi ,  ciò  non  ostan- 
te solo  nella  Olimpiade  94  (anno  di  roma  348) ,  fu 
in  Atene  adottato  nei  pubblici  monumenti.  Qui  in  I- 
talia  le  monete  di  Anassilao,chemorial280diRoma, 
portano  scritto  RECINON  ,  per  PHriNliN,  ma  le 
monete  di  Turio  fondala  al  306  di  Roma  ,  e  quelle 
di  Eraclea,  che  sorse  nel  320,  non  usano  se  non  l'al- 
fabeto Ionico.  E  comecché  non  sia  noto  quando  co- 
minciassero a  coniare  la  loro  moneta  queste  due  cit- 
tà ,  pure  non  sarebbe  verosimile  supporre,  che  se  ne 
slessero  molte  decine  di  anni  senza  batterla,  avendola 
allora  tutte  le  città  vicine,  e  sotleutrando  esse  a  Siri, 
e  Sibari ,  che  la  coniarono. 

Laonde  le  monete  napolitane  ,  che  ritengono  tut- 
tavia l'antico  alfabeto,  non  possono  slimarsi  molto  po- 
steriori all'  entrare  del  quarto  secolo  di  Roma  ;  nel- 
la qual  epoca  fioriva  da  per  tutto  l'arte  del  disegno. 

Così  da  una  piccola  monetina  rilevando  la  scienza 
numismatica  cose  tanto  recondite ,  ed  interessanti  le 
antichità  patrie,  ne  dimostra  con  novella  prova  quan- 
to meritantente  siasi  apprezzata  ,  e  coltivata  dai  lette- 
rati più  distinti  ;  e  sempre  più  ne  sprona  a  proccura- 
re ,  che  non  lasciamo  disperdere  il  frutto  degli  sludii 
filili  finora.  Certo,  che  se  alcun  monumento  mai  do- 


—  21  — 

vesfe  mctior  amore  di  questa  scienza  ,  lo  dovrebbe  Marlorclii,  e  sua  schiera  ,  alla  quale  non  pareva  ba- 

accendere  la  monetina  che  illustro,  donde  si  son  con-  slaute  la  difesa  del  Vetrano  [Sebcthì  Vindiciae  adv. 

fermale  la  prima  volta  le  oscure  tradizioni  patrie  delle  Marlorellium.  N'eap.  1767.),  inoltre  come  rappresen- 

colonie  primitive,  si  è  penetrato  anche  nell'indole  del  tarono  la  Partenope,  e  cento  altre  utilità  sonosi  tratte, 

dialetto  Calcidico  ed  Erelriese  ,  abbiamo  finalmente  che  i  lettori  a  lor  prò'  avranno  potuto  con  noi  venir 

assicurata  qual  era  la  effigie  sotto  la  quale  i  Na|)oli-  rilevando, 
tani  figurarono  il  piccol  Sebeto ,  il  nome  con  che  lo 
chiamarono  ,  francandoci  così  dai  molesti  dubbii  del  Garrccci. 


Tavola  aquaria  Venafrana. 

DECRETVM  •  IMP  •  CAESARIS  •  AVGVSTI  •  DE  •  AQVAE  •  DVCTV 

COL  •  COLONIAE  •  IVLIAE  •  VENAFRI  •  IMP  •  CAESARE  •  Vili- T  •  STATILIO  TAVRO  II  COS 
AQVAE  RIVOS  DVCTVS  QVI  IN  RVRA  COLOXORVM  LABVNTVR  DVVMVIRVM 

IVRI  •  D  •  PRAEFECTORVM  •  COLONIAE  •  PERMISSV  •  FLVANT  •  NE.MINEM  COLOXORVM 
5.VENAFRAN0RVM  •  VEL  QVI  COLONIAE  •  MVMCIPES  •  CADVCAM  •  DVCERE  •  PLACET 
II  •  VIR  •  QVATVORVIR  AQVAR  OSTIVM  IN  AQVAE  DVCTV  QVI  PER  MP-  IX  IN  OPPID 
VENAFRANORVM  TENDIT  APERIANT  •  COLONIS  VENAFRANIS  EIVE  QVI  COLONOR 
VENAFRANORVM  NOMINE  EROGARI  ADTRIBVI  ALIOVE  QVO  MODO  DARI  NON  PLACET 
QVI  •  RIVI  •  SPECVSSAEPTAPONTESPVTEILACVSQVEAQVAEDVCENDAEREFICIVNDAE 
lO.CAVSA  •  SVPRA  INFRAVE  •  LIBRAM  •  RECTEAEDIFICATISTRVCTI  SVXT  •  SIVE  QVOD 
ALIVT  •  OPVS  •  EIVS  •  AQVAE  •  DVCEXDAEREFICIVXDAE  CAVSA  SVPRA  INFRAVE  LIBRAM 
FACTVM  •  EST  VTI  QVIDQVIDEARVMRERVM  FACTVMEST  ITAE8SE  HABEREET  AQVA.S 
REFICEREREPONERERESTITVFRE  •  RESARCIRESEMELSAEPIVS  FISTVLAS  CANALES 
TVBOS  •  PONtiRE  •  APERTVRAM  •  COMMITTERE  •  SIVE  •  QVIDALIVTEIVS  AQVAE  DVCEN 
15.DAE  •  CAVSA- OPVS  ERIT- TACERE  EI  AGRO  DVM  QVI  LOG VS  AGER  INF VNDO  QVI 


Lezione  del  prof.  Mommsen  Bulica,  4840.  p.  43 ,  63.  Inscr.  Neapol.  n.  460/. 
/,  2.  videntur  scripù  fuisse  Ulteris  maioribus 


VENAFR  

LWìeralitate  imp.  Caesaris  AuguHi.     . 


eaQVE  AQVA 

QVI  RIVI ER  •  •  ATISIICA 

.     facìundae  re/iciuNDAe  •  cAVSA s 

opus  quod  FACTVM  EST  II»  .  usum  ciuf  AOVae 

lO.REFICERE  REPONERE  RESTITVERE  SARCIRE  •  SEMEL  •  SAEPIVS  YisltdXS  CANALES 
TVBOS    PONERE  A  •  C  •  •  V  •  •  mimAlTIERE  •  SIVE  QVID  ALIVT  EIVS  AQVAE  DVCEn 
DAE  CAVSA  OVus  eiit  .  faccre.  ius  sii  liceXtque  DVM  QVI  LOCVS  AGER  INcie  facti 


—  22  — 

0  SEIGNI    L  F   TER  MVLAE  DICITVR  ET  IN  FVNDO  QVl  L  •  POMPEI  M^F  TER  SVLLAE 
EST  ESSEVE  DICITVR  MACERIA  SAEPTVS  EST  PER  QVEM  LOCVM  SVBVE  QVO  LOCO 
SPECVS  EIVS  AQVAE  ITER  INIT  Ni  EA  MACERIA  PARSVE  QVAE  EIVS  MACERIAE 
AT  ITER  DIRVATVR  MOVEATVR  QVAM  SPECVS  REFICIVNDI  AVT  INSPICIVNDI  CAV 

20.SA  FAMILIA  AQVARIA  CAVERIT  QVOMINVS  EA  AQVA  IRE  FLVERE  DVCIVE  POSSIT 
QVO  VELINT  CVIVS  REI  CAVSA  DEXTRA  SINISTRAQVE  CIRCA  EVM  RlVOM  CIRCAQVE 
EAMMACERIAMQVAE  AQVAE  DVCENDAE CAVSA  FACTASVNT  OCTONOS  PEDES  AGRVM 
VACVVM  ESSE  PLACET  PER  QVEM  LOCVM  VENAFRANIS-  EIVE  OVI  VENAFRANORVM 
COLOXORVM  NOMINE  ITER  FACERE  EIVS  AQVAE  DVCENDAE  OPERVMVE  EIVS  AQVAE 

25.DVCTVS  FACIENDORVM  REFICIENDORVM  QVOD  EIVS  S  •  D  •  M  FIAT  IVS  SIT  LICEATQVE 
QVAEQVAE  AQVAE  EARVMCVIVS  FACIENDAE  REFICIENDAE  CAVSA  OPVS  ERVNT  QVO 
PROXVME  POTERITADVEHERE  ADFERREADPORTAREQVAEQVE  INDE  EXEMPTAERVNT 
QVAM  MAXIME  ARS  AGRI  DEXTRA  SINISTRAQVE  P  VII!  lACERE  DVM  OB  EAS  RES  DAMNI 
INFECTI  IVS  •  DARE  PROMITTATVR  EARVMQVE  RERVM  OMNIVM  ITA  EI  AGENDARVM 

30.IIV1RIS  VENAFRANIS  IVS  POTESTATEMQVE  ESSE  PLACET  DVM  NE  OB  ID  OPVS  FONS  MI 
NVCIORVM  CVIVS  AGRI  LOCIVE  PER  QVEM  AGRVM  LOCVMVE  EA  AQVA  IS  AQVAE 
DVCTVS  SE  FERT  INVIVS  FIAT  NEVE  Q  D  M  OPVS  MINVS  EX  AGRO  SVO  IN  PARTEM  AGRI 
QVAM  TRANSIRE  TRANSFERRE  TRANSVERTERE  RECTE  POSSIT  NE  VE  QVI EORVM  PERQVO 
RVM  AGROS  EA  AQVA  DVCITVR  EVM  AQVAE  DVCTVM  CORRVMPERE  ABDVCERE  AVER 

So.TERE  FACEREVE  QVOMINVS  EA  AQVA  IN  OPPIDVM  VENAFRANORVM  RECTE  DVCI 
FLVERE  POSSIT  LICEAT  

/•ueRINT-DETenores  damnum  vede  saremTVR  •  Wl  INEVNDO  QVI  L-  POMPEI  L.  f.   ter.  nAVITAE 
EST  ESSEVE  Bemt  factum  est.  fiatve  ALIL  •  S  •  SSE  PER  QVEM  LOCVMSVAVLQVORECTe 

lo. SPECVS  EIVS  AQVae  faclus.  est  familia  pubUc\  CERTA  PARSVIe  QVacI  EIVS  familiae  ne 
AlIIIr.  ad  eum  locum  accedant  QVAM  SPECVS  REFICIVNDI  AVT  mStaurandi 
causa.    Ne  quid  fiat  QVOMINVS  E  A  AQVA  IRE  FLVERE  duci  POS 
sii  ex  utraque  parte.  DEXTRA  SINISTRAQVE  CIRCA  EVM  RivoM  quae  aQuac 
ducendae  causa  muri  facti  specave  subter  RIS  ACTA  SVNT  OCTONOS  PEDES  AGRVM 

■ZO.vacuom  relinqui  placet,  ncque  ad  etim  LOCVM  VENAFRANIS  EIVE  QVI  VENAFRANORVM 
opiìidum  inhabitat  adire  accedere  nisi  EIVS  AQVAE  DVCENDAE  OPERVMVE  EIVS  AQVae 
duclus  catisa  viarumque  faciendarum  rf^ClENDARVM  QVOD  EIVS  SDMFIATIVS  SIT  LICEATQVE 
Quaecumque  eius  aquae  ducendae  viacve  FACIENDAE  REFICIENDAE  CAVSA  oPVS  ERVNTQVAj/i 
rem  ita  uli  s.  s.  e.  facere  licehit.  ADFERRI   ADPOHTARI   QVAEQVl   INDECVM  •  LM^)VN!? 

25.QV/S  attuìerit  tollere  ileB.  DEXTRA    SINISTRA  QVE  PVIII  FACERE  DVMOB  EAsRtS  DAMN 
j/m  inìuria  ne  ComìIITTATVR  EARVMQVE  RERVM  OMNIVM  ITA  /hf/endARVM 

ius  potestatemquc  esse  placet  ...  N     .     .      . 

NVC  .  .  Ne  CVIVS  AGRI  LOCiVft  peli  QVEM  AGRVM  LOCVMVE  EA  AQVA  it  fluit 
DVCtTVIr  (fommlVS  ITACMIVS  OB  ID  OPVS  MINVS  EX  AGRO  SVO  IN  PARTEM  AGRI 

30.QVAM  TrANSlRE  TRANSFERRE  coque  uti  RECTE  POSSIT  NEVE  CVI  EORVM  PER  QVO 
RVM  AGROS  EA  AQVA  DVCITVR  EVM  AQVAE  DVCTVM  CORRVMPERE  ABDVCERE  AVER 
TEBE  FACEREVE  QVO  MINVS  EA  AQVA  IN  OPPIDVM  VENAFRANORVM  RECTE  DVCI 
FLVERE  POSSIT  LICEAT  •   •  • 


—  23  - 

QVAEQVE  AQVA  IN  OPPIDVM  VENAFRANORVM  IT  FLVIT  DVCITVR  EAM  AQVAM 

DISTRIBVERE  DISCRIBERE  VENDVNDI  CAVSA  AVT  El  REI  VEGTIGAL  IiMPONERE  CONSTI 
TVER  E  II VIRO  II VIRlS  PRAEFEC  PR AEFECTiS  EI VS  COLONI AE  EX  M AIORIS  P ARTIS  DECVRI 

40.ONVM  DECRETO  QVOD  DECRETVM  ITA    FACTVM  ERIT   CVM  IN  DECVRIONIBVS  NON 
MINVS   QVAM  DVAE    PARTES  DECVRIONVM  ADFVERINT   LEGEVIQVE   EI    DICERE    EX 
DECRETO  DECVRIONVM  QVOD  ITA  VT    SVPKA  SCRIPTVMEST  DEC«ETVM  ERIT  IVS  PO 
TESTATEMQVE  ESSE  PLACET  DVMNE  EA  AOVAOVAEITADISTRIRVTADISCRIPTADEVEQVA 
ITA  DECRETVM  ERIT  ALITER  QVAM  FISTVLlS  PLVMBEIs  D  TABRIVO  P  LDVCATVR  NEV 

45.EAEriSTVLAEA\T  RlVOS  nIsI  SVB  TERRA  QVAE  TERRA  ITINERIS  VIAE  PVBLICAELIMI 
TISVE    ERIT  PONANTVR  CONLOCENTVR  NEVE  EA  AQVA  PER  LOCVM  PRIVATVM  IN 
VITO  EO  CVIVS  IS  LOCVS  ERIT  DVCATVR  QVAMQVE  LEGEII  EI  AQVAE  TVENDAE  OPc 
RIBVSVE   QVAE   EIVS  AQVAE  DVCTVS  VSVSVE  CAVSA  FACTA  SVNT  ERVNT  TVENDIS 
IN  DECRETO  QVOD  ITAVT  S  S  E  FACTVM  ERIT  DIXERIN 

50.ITA  •  CAVTVM  •  IVS  POTESTATEMQVE  ESSE  PLACET 

51  —  57.  superant  vestigia  literarum,  quibus  immorale  non  iuval 

NVNTIARE  •  •  AB  •  HVMO  TEM 

AGI  TVNC  ALIVT  ITER  FACTVM  AD  EAM  AQVAM  PRAETER  QVAM  FACIVNDAE  RE 

60.FICIVNDAE  CAVSA  QVIBVS  X  VENAFR.\N  OKDLNARIOS  PATRONOS  QVI  BONI 

DENT  OB  QVAS  CAVSAS  D  •  T  •  HS-  X-  DABVNT  IN  AER.VRIVM  QVAIVOUVIRVM  IVDIGIO 
DEQVE  XXIl  FISTVLlS  •  AQVAS  COLONIS  COLONIAE  VENAFRANAE  VACIVAS  AVT  CA 
DVCAS  QVAS  ADDICENT  QVOMINVS  REIECTIO  QVAM  COLONO  AVT  INCOLAE  FACERE 
UCEt.fiat.CXM  EO  QVI  EX  II AC  LEGE  ERIT  FACTVM  ITAVT  SVPRAS.E.DVM  ERINT  APVT  QVEM 

Co.AGlTVM  DATVM  ERIT  AGENT  EVM  QVI  INTER  CiVIS  ET  PEUEGRINOSIVSDICETIVDICIVM 


QVAEQVE  AQVA  IN  OPPIDVM  VENAFRANORVM  IT  FLViT  DVCITVR  EAM  AQVAM 

35.DISTRIBVERE  DLSCRIBERE  VENDVNDI  CAVSA  AVT  EIREI  VECTIGAL  IMPONERE  CONSTI 
TVERE  lì  VIRO  11  VlRlS  PRAEFECFRAEFECTiS  EIVS  COLONIAE  EX  MAIORIS  PARTIS  DECVRI 
ONVM  DECRIPTO  QVOD  DECRETVM  ITA  FACTVM  ERIT  CVM  IN  DECVRIONIBVS  NON 
MINVS  QVAM  DVAE  PARTES  DECVRIONVM  ADFVERINT  LEGEMQVE  EI  DICERE  EX 
DECRETO  DECVRIONVM  OVOD  ITA  VT  SVPRA  SCRIPTVM  EST  DECRETVM  ERIT  IVS  PO 

40.TESTATEM  VE  ESSE  PLACET  DVMNE  EA  AQVA  QVAE  ITA  DISTRIBVTA  DISCRIPTA  DEVEQVA 
ITA  DECRETVM  ERIT  ALITER  QVAM  FISTVLlS  PLVMBEIS  D  TABRIVO  PLDVGATVR  NEVe 
EAE  FISTVLAE  AVT  RlVOS  NISI  SVB  TERRA  QVAE  TERRA  ITiNERlS  VIAE  PVBLICAE  LlMt 
TiSVE  ERIT  PONANTVR  CONLOCENTVR  NEVE  EA  AQVA  PER  LOCVM  PRIVATVM  IN 
VITO  EO  CVIVS  IS  LOCVS  ERIT  DVCATVR  QVAMQVE  LEGEM  El  AQVAE  TVENDAE  Ope 

45.R1BVSVE  QVAe  cius  aquac  DVCTVS  VSVSVE  CAVSA  FACFA  SVNT  ERVNT  TVENDIS 

ex  maiori.  parùs  dccurionum  NDECRETO  QVOD  ITAVT  •  S  •  S  •  E  •  FACTVM  e,H. -DIXERI.^ 

eam  legem   rulam  finnam  q.  MOMO  •   •  si.  PLACEB- • 

48-6!.         qualtuordecim  versus  prorsus  evanidi. 

practorem  ad  qu^m 

C3./n  ias  /iunTAGENTcV-M  QVI  INTER  CIVES  ET  PEREGRINOS  IVS  DICET  iuDlClYm 


—  24  — 

RECIPERATORIVM  IN  SINGVLAS  RES  HS  X  REDDERE  TESTEBVS  QVI  DVMTAXAT  XDENVN 
TIANDIS  IVDICARI  PLACET  DVM  RECIPERATORVM  REIECTIO  INTER  EVM  QVI  AGET  ET 
EVM  OVOCVM  AGETVR  ITA  FIE<  uti  ex  lege  QVAE  DE  IVDICIS  PRIVATIS  LATA  EST 
LICEBIT  OPORTEBIT 

reciperatorium  noMINE  INQVEAS  RESHSX  REDDERE  TESTIBVSQVE  DVMTAXAT  XDENVN 
tielur  facerc  PLACET  DVM  RECIPerATORVM  REIECTIO  INTER  EVM  QVI  AGIT  ET 
60.EVM  QVOCVM  AGITVR  ITA  Fiat  neminus  fiant  quNAE  DE  PVBLICIS  PRIVATIS  BADIE 
UCEBIT  OPORTEBIT 

Descripsi  summo  labore  loco  iocommodo  ;  ncque  frustra  ilerum  conferetur  a  lectore  perito. 


Questo  monumento  pregevolissimo  non  viene  qui 
a  far  parte  del  nostro  buliettioo  ,  onde  essere  come 
merita  pienamente  illustrato.  Lo  scopo  precipuo  della 
nostra  pubblicazione  è  di  darne  un'esatta  ed  accurata 
trscrizione,  ed  una  tavola  (v.  Tav.  IL),  onde  appari- 
scano evidenti  le  fatiche  durale  per  tornarlo  a  novella 
vita. Del  resto  ci  atterremo  alle  leggi  del  foglio  presente, 
il  quale  non  può  darluogoa  voluminostrillustrazioni. 

Il  prof.  Mommsen  ci  dispensa  di  tessere  il  catalogo 
delle  diverse  volte ,  in  che  ha  egli  dato  a  luce  quan- 
do alcun  brano ,  quando  tutta  insieme  la  sua  lezione 
di  questo  prezioso  decreto.  Se  ne  legga  la  nota  nella 
recente  edizione  delle  Imcriptiones  NcapoUlanae  lati- 
nae.Lipsiae.'ISo2  p.  2'i3:  ma  non  ci  siamo  potuti  ri- 
fiutare di  ripetere  la  copia  di  lui,  e  i  suoi  supplementi 
ad  opportimo  confronto,  onde  non  sia  mestieri  ricor- 
darne le  discrepanze  nel  corso  della  illustrazione. 

La  pietra  sulla  quale  fu  fatto  scolpire  il  decreto 
Venafrano  è  travertino  alquanto  spugnoso  alto  pal- 
mi sette,  largo  quattro.  Fu  levala  di  mezzo  allerui- 
ne  di  un'antica  terra  ,  S.  Maria  Vecchia,  nel  IT'io  . 
con  altre  pietre  riquadrate  ,  che  dovevano  servire 
ù'imbasamento  ad  un  novello  abituro  digitante  Ire  so- 
le miglia  da  Venafro.  È  da  notarsi,  che  alle  falde  del 
monte  ,  ove  era  situato  quell'  antico  villaggio  ,  passa- 
va una  volta  l'acquidotlo  N'cniifiano,  e  se  ne  veggono 
tuttavia  gli  avanzi  ove  a  traforo ,  ove  a  costruzione 


per  tutta  la  costa.  Non  erano  quei  tempi  più  felici  dei 
nostri ,  nei  quali  si  fa  tanto  sperpero  di  monumenti 
antichi ,  pure  fu  conservata,  com'era,  la  parte  scrit- 
ta, collocandola  sulla  faccia  del  muro,  ma  a  traverso 
e  propriamente  sul  fianco  destro;  avvenne  altresì,  che 
ne  andasse  poca  parte  di  sotto  al  livello  del  suolo. 
Questa  novella  collocazione  non  deve  averle  recato 
alcun  logoro  ,  poiché  le  parti  consunte  suppongono 
il  travertino  messo  nella  sua  naturai  giacitura  ,  onde 
mi  par  probabile,  che  ciò  avvenisse  quando  era  al  s.uo 
posto ,  dal  passargli  accanto  la  via  pubblica,  ove  era 
sicuramente  collocato. 

Le  prove  fatte  dal  dotto  legale  sig.  D.  Cosmo  de 
L'Iris  di  leggerne,  e  trascriverne  una  qualunqe  parte 
sono  note  a  tutti,  ora  che  il  sig.  D.  Giuseppe  Melucci 
ne  ha  messo  a  stampa  1'  apografo.  Il  qual  mio  ottimo 
amico  si  è  troppo  gentilmente  espresso  a  mio  riguar- 
do, sperando  da  me  i  rilievi  inosservali  della  leggen- 
da ,  lo  che  ,  comunque  io  lo  sperassi ,  certo  credetti 
mio  dovere  rispondere  ad  invilo  di  tanta  cortesia. 

Tutta  la  tavola  costa  di  un  titolo ,  e  di  cinque  capì 
di  legge.  11  titolo  ne  insegna ,  che  (jueslo  è  un  de- 
creto dell'  Imperator  Cesare  Augusto  intorno  all'  ac- 
quidollo  dei  coloni  della  Colonia  Giulia  di  Venafro , 
emanato  l'anno  728  essendo  Consoli  Cesare  l'ottava 
volta  ,  e  Tik)  SUitilio  Tauro  la  seconda. 

fcontinunj  Garrccci. 


P.  Raffaele  Garrccci  n.c.n.r.. 
GiVLio  MiNERviM  —  Editori. 


Tipografa  di  Giuseppe  Cataxeo. 


BULLETTIAO  ARCHEOLOGICO  XAPOIJTWO. 

N  U  0  V  A    S  E  R  I  E 
iV."  4.  Agosto  1852. 


Notizia  deijli  sravi  di  Pompei  jìcr  l' anno  IS.'iO ,  e  sefjucnti. — Noiizic  di  alcune  IcrveroHe  antirltc  della  collezio- 
ne del  defunto  Francesco  Mongelli  in  Napoli. — hcrizione  cristiana  di  Pozzuoli,  continuazione  del  u.  2. — 
Tavola  aquaria  Venafrana:  continuazione  del  man.  precedente. 


Notizia  degli  scavi  di  Pompei  per  l'anno  1850 , 
e  seguenti. 

Gli  scavi ,  di  cui  parliamo  in  questo  primo  arti- 
colo ,  si  riferiscono  alla  grande  strada  che  dal  qua- 
drivio della  strada ,  che  conduce  alla  porla  di  Nola  , 
discende  verso  i  teatri.  Già  il  Comm.  Avellino  tenne 
ragionamento  di  quelli  eseguiti  da  varii  anni  nella 
medesima  strada  ,  dandone  notizia  nel  suo  bulleltino 
(  an.  II  p.  1.  e  seg.  an.  Ili  p.  1.  e  segg.  an.  Vp.  32 
segg.  an.  VI  p.  1 .  e  segg.  ).  Terminava  egli  la  sua 
relazione  colla  descrizione  non  compiuta  della  raa- 
ravigliosa  casa  di  M.  Lucrezio  ,  eh'  è  essa  sola  un 
ricco  museo  de'  più  interessane  dipinti  :  e  già  avea 
parlato  delle  parli  scoverle  sino  al  1847  delle  nu- 
merose botteghe ,  che  si  aprono  sui  marciapiedi  di 
quella  strada.  Nel  riprendersi  le  scavazioni  pompeja- 
ne  nel  1850  ,  dopo  che  furono  sospese  per  lo  spazio 
di  circa  un  anno  e  mezzo ,  si  continuò  a  sgombrar 
dalle  terre  gii  edifizii  situati  alla  parte  sinistra  della 
strada  ,  e  poi  altre  importanti  scoperte  si  fecero  nelle 
botteghe  che  seguono  alla  suddetta  casa  dilM.  Lucre- 
zio. Noi  ci  riserbiamo  in  altro  articolo  di  rannodare 
queste  posteriori  scoperte  a  quelle  già  note,  e  di  ter- 
'  minare  nel  tempo  slesso  la  descrizione  delia  casa  di 
M.  Lucrezio,  rimasta  incompiuta  per  la  inlerruzione 
del  bulleltino  napolitano.  Cominceremo  intanto  dal 
dar  la  descrizione  di  una  bottega  con  abitazione  an- 
nessa ,  la  quale  offre  due  distinte  aperture,  che  sono 
la  settima  e  l'oliava  dopo  quella  dell'androne  della 
suddetta  casa  di  M.Lucrezio.  Ora  è  distinta  da' numeri 
55  e  56  ,  per  un  lodevole  costume  da  poco  tempo 

AfOiO    I. 


introdotto  di  denotare  con  numeri  progressivi  tutte 
le  aperture  degli  edifizii  sulle  diflerenli  strade  di 
Pompei  :  la  qual  disposizione  è  dovuta  al  eh.  signor 
Principe  di  Sangiorgio  Spinelli ,  attuale  Sopranten- 
dente  generale  degli  scavi  del  Regno. 

La  soglia  della  bollega  ,  di  che  discorriamo  ,  è  di 
pietra  vesuviana  con  incavi  per  inserirvi  le  tavole 
della  chiusura  :  appajono  pure  i  segni  de' gangheri  e 
degli  antepagmcnta.  Il  pavimento  della  bottega  è  di  la- 
pillo nero  battuto.  Le  mura  sono  dii)inte  a  diversi  scom- 
parlimenli  di  rosso,  di  giallo  e  di  nero  con  varii  fre- 
gi :  nella  parte  inferiore  è  lo  zoccolo  nero  con  orna- 
mento di  verdi  piante.  Ne' due  muri  laterali  sono  due 
quadretti  conservali,  e  due  quasi  interamente  perduti: 
in  uno  a  sinistra  è  un  pavone,  in  altro  a  destra  è  un 
uccello,  che  si  prepara  a  beccare  alcune  frulla.  Nello 
stesso  muro  è  pratticato  un  piccolo  larario.  Al  diso- 
pra de'descritti  scompartimenti  continua  il  muro  bian- 
co con  fasce  di  differenti  colori,  e  con  rami  sospesi. 
In  uno  de' quadri  formati  da  quelle  fasce  vedesi  un 
vaso,  e  da  presso  un  piccolo  lirso  ;  in  ^Itro  un  cigno, 
e  varii  ornamenti,  tra' quali  due  candelabri  conglobi 
al  di  sopra.  Più  in  alto  apjiariscono  tracce  di  altro 
muro,  ove  si  veggono  dipinti  fogliami:  ma  non  osser- 
vandosi tracce  di  travatura,  è  molto  probabile  che  vi 
fosse  una  costruzione  tutta  di  legno,  che  costituiva  un 
ammezzato  ,  a  cui  si  ascendeva  per  una  scala  anche 
di  legno. 

Dalla  bottega  per  soglia  di  bianco  marmo  si  entra 
in  un'altra  piccola  stanza.  11  pavimento  è  di  o/)(tóji/</nj- 
num  con  rozzo  musaico  di  bianche  pictruzze  nel  mezzo. 

Le  pareti  sono  bianche,  con  scomparlinieutididif- 

4 


-26  - 


ffrenli  colori,  ornati  di  rabeschi,  maschere,  uccelli  e 
quadrupedi:  miransi  poi  sospesi  a  nastri  un  (impano, 
«na  piccola  cesta  semiaperta,  ed  altro  oggetto  incerto. 
Di  qua  e  di  là  ne'  due  laterali  muri  vedesi  una  figura 
barbala  ,  e  con  ampia  tunica  ,  che  con  ambe  le  mani 
tiene  sulla  testa  un  vaso  della  forma  del  canthatos. 
Nel  muro  a  destra  sono  effigiati  due  Amori  in  parte 
perduti .  ed  altrettanti  nel  muro  a  sinistra  uno  con 
patera  l'altro  eoo  lira,  e  tutti  con  clamide  svolazzante: 
siccome  altre  volte  comparve  l'Amore  con  lira  ne'di- 
pinti  pompejani  (  Ercolanesi  pillure  voi.  V.  tav.  37  ; 
Avellino  bullcd.  arch.  mpol.  an.  VI.  p.  42  e  43  ). 
Nella  parte  superiore  vi  sono  residui  di  ornati  di 
stucco  composti  di  una  fascia  piana  con  graziosi  fo- 
gliami, e  di  una  curva  con  palmette  e  caulicoli:  nello 
spazio  compreso  da  queste  due  linee  sono  dipinti  un 
ippocampo  e  due  delfini.  Nel  muro  che  divide  la  bot- 
tega da  questa  stanzetta  o  dielrobottega  è  prallicata 
una  piccola  finestra  per  guardare  nella  bottega  me- 
desima; un'altra  più  larga  finestra  è  pratlicata  nel 
muro  più  interno  ,  sulla  quale  è  una  gran  lastra  di 
bianco  marmo ,  con  una  giunta  di  travertino  rotta  in 
due  pezzi:  ed  in  queste  pietre  appariscono  i  segni  del- 
la chiusura.  Allato  a  questa  stanzetta  vi  è  un  pic- 
colo andito  che  la  costeggia:  non  vi  ha  alcun  segno  di 
chiusura,  il  pavimento  é  di  terra  battuta;  i  muri  nel- 
la parte  inferiore  sono  coverti  di  bianco  intonico  con 
rozzi  ornamenti ,  nella  parte  superiore  sono  affatto 
privi  d' inlonico  e  rozzi  ;  ove  finisce  l' intonico  ad  al- 
tezza poco  maggiore  di  un  uomo  veggonsi  molti  fori 
rotondi  per  inserirvi  tavole ,  per  servire  di  armadio. 
Segue  un  altro  grande  compreso  ,  che  può  riputarsi 
r  atrio  ,  con  pavimento  di  terra  battuta  ,  e  muri  di 
semplice  inlonico  bianco.  Al  suolo  sono  varii  pezzi 
di  pietra  vesuviana  ,  che  costituiscono  la  bocca  di  un 
pozzo  ;  e  varii  dolii  di  terracotta  ,  che  furono  rin- 
venuli  ri|:ioni  di  calce,  uno  de' quali  vedesi  fermato 
con  fabbrica.  Scorgesi  ancora  più  prossimo  al  muro  la- 
terale deslro  un  pogginolo  di  fabbrica  con  la  superficie 
superiore  coverta  di  mattoni  o  pezzi  di  tegole  ,  ed  a 
questo  pogginolo  si  ascende  mercè  uno  scalino  di  pie- 
tra di  Sarno.  Certamente  su  quel  rialto  era  messa  una 
scala  di  legno,  che  conduceva  all'ammezzato  supcrio- 


re, di  che  innanzi  dicemmo.  In  angolo  è  un  piccolo 
giltatojo  di  fabbrica,  ove  apparisce  il  foro  per  lo  scolo 
delle  acijne.  In  questo  medesimo  muro  a  destra  vi  è 
un'apertura  ,  che  dà  il  passaggio  in  un  silo,  di  cui 
diremo  tra  poco  :  e  più  in  alto  vedesi  un  ampio  in- 
cavo, con  tompagno  posteriore;  con  che  si  è  lasciato 
un  finestrino  più  piccolo  di  quel  eh'  era  in  origine. 
Il  descritto  compreso  fa  continuazione  a  sinistra  con 
allra  porzione  più  adorna  ,  senza  tracce  di  chiusura, 
e  solo  distinta  da  un  dente  che  fa  il  pavimento  ,  il 
quale  è  signino  con  varii  pezzi  di  marmo  a  musaico 
per  ornamento  :  i  muri  sono  coverti  di  bianco  in- 
tonico con  pochi  ornamenti ,  tra'  quali  alcuni  cigni. 
Noi  opiniamo  che  questa  stanza  servisse  di  Iriclinio. 
Dall'  atrio ,  come  sopra  descritto ,  si  ascende  mer- 
cè uno  scalino  di  pietra  vesuviana  in  varii  pezzi  misti 
ad  altri  pezzi  di  travertino,  in  un  pianerottolo  ove  si 
osserva  soglia  anche  di  pieira  vesuviana  con  tracce  di 
chiusura.  Da  uno  de'due  lati  si  eleva  il  muro,  dall'al- 
tro non  vi  è  muro  affatto  ;  sicché  doveva  esservi  un 
arniaggio  di  legno  per  applicarvi  la  chiusura.  11  pavi- 
mento di  questa  piccola  stanza  è  di  lapillo  battuto  eoa 
fregi  di  varii  marmi  a  musaico.  Nel  muro  a  sinistra , 
ove  si  scorge  zoccolo  giallo  con  piante  acquatiche ,  il 
fondo  dell'  inlonico  è  bianco  ,  ed  in  esso  scorgesi  di- 
pinto un  essere  virile  con  ali,  coda  e  gambe  di  augel- 
lo, che  tien  colla  destra  la  oenochoe ,  colla  sinistra  la 
patera,  e  dall'altra  parte  altro  simile  mostro,  che  tie- 
ne colla  mano  la  doppia  tibia.  Già  in  altre  pillure  pom- 
pejane  fu  osservalo  la  Sirena  maschio  e  l' Androsfinge; 
ed  una  se  ne  vede  pubblicata  nel  rea/ museo  borbonico 
collo  slesso  simbolo  della  doppia  tibia  (voi. VII  tav.  .52) 
assai  frequente  ne' monumenti  (vedi  mon.  ined.  dìBa- 
rane  t.  I  tav.  XII  fig.  2  p.  S9  e  seg.  ).  Del  resto  veg- 
gasi  su  questi  esseii  mostruosi  ciò  che  si  scrive  negli 
annaìi dell' htilulo  archeologico  TperVàimo  1836.  p.  60. 
Da  questo  medesimo  muro  per  soglia  di  travertino, 
ove  sono  tracce  di  chiusura ,  si  passa  in  un  cubicolo 
con  pavimento  di  lapillo  battuto,  ed  ove  sono  inca- 
strati per  ornamento  diversi  pezzi  di  marmo,  uno  più 
grande  rotondo,  ed  altri  più  piccoli  triangolarlo  rom- 
boidali. Lo  zoccolo  è  rosso ,  su'  muri  veggonsi  nel 
fondo  bianco  dipinti  Grifi,  cigni,  rabeschi  ed  altri  fre- 


—  27  - 


gi.  Tre  quadredi  ornavano  questo  cubicolo,  uno  dei 
quali  è  inleramente  perduto.  De'  due  conservali ,  il 
primo  rappresenta  il  giovinetto  Ganimede  volto  di 
schiena  e  nudo  sino  alle  cosce  sdrajato  sulla  sua  cla- 
mide, ed  immerso  nel  sonno,  poggiandosi  sul  sinistro 
braccio,  e  tenendo  la  destra  mano  al  capo:  in  allo  è 
r  aquila  ,  che  tiene  nel  becco  il  frigio  berretto  rapilo 
al  dormente  figlio  di  Laomedonle.  Fra  le  numerose 
rappresentanze  di  questo  mito,  delle  quali  si  vegga  il 
Miiller  (  Handbuch  %.  121  ,  n.  1  p.  !•>();  e  §  WM 
n.  6.  521.  edit.  Weicker),  e  quel  che  dicemmo  noi 
stessi  [bullell.  arch.  nap.  an.  V  p.  17  e  seg.  ) ,  non 
trovasi  giammai  figurato  Ganimede  immerso  nel  son- 
no. Due  allre  pitture  di  Pompei  ci  presentarono  il 
medesimo  soggetto,  ma  in  differente  modo  (  rea!  mus. 
Borì),  tom.  X  (av.  56,  e  tom.  toni.  XI  tav.  36  ).  Può 
credersi  che  il  lascivo  scherzo  dell'aquila  si  suppon- 
ga succeduto  nell'Olimpo;  mentre  il  già  rapito  gio- 
vinetto godeva  di  quel  profondo  sonno ,  al  quale  ac- 
cenna il  festevole  Luciano  (Deor.  dial.  4  verso  la  fi- 
ne ).  La  posizione  presso  a  poco  simile ,  e  l' orna- 
mento della  testa  ,  che  mollo  si  avvicina  ad  un  jtilco 
frigio ,  ci  fa  riferire  anche  a  Ganimede  uii:i  jiittura 
pompejana  ,  in  cui  fu  ravvisato  l'  Ermafrodito  (  real 
mus.  Bori).  I.  X.  tav.  5.^.  ). 

Nell'altro  quadretto  vedesi  Apollo  coronalo  seden- 
te sopra  rossa  clamide  ,  ed  appoggiandosi  ad  una 
gialla  lira,  di  cui  sono  visibili  le  sette  corde:  indietro 
è  figurata  una  montagna  ed  una  pianta.  In  questo  cu- 
bicolo si  vedono  alcune  basi  o  colonnelle  di  traver- 
tino ,  che  servirono  di  sostegno  a  statue  o  mense ,  e 
che  certamente  furono  ivi  trasportate  d'altrove.  Riu- 
scendo da  questo  cubicolo  nel  pianerottolo  innanzi  de- 
scritto trovasi  una  vasca  di  fonte  con  pavimenlo  di 
opus  signinum  adorno  di  rozzo  musaico  formato  da 
'  bianche  pieiruzze ,  e  da  differenti  pezzi  di  marmo. 
Intorno  a  questa  vasca  si  eleva  una  costruzione  di  f;ib- 
brica,  che  costituisce  superiormente  un  canale  desti- 
nato a  nutrir  dei  fiori:  il  piano  di  questo  canale  nella 
parte  corrispondente  verso  l'atrio  è  rivestilo  di  lastra 
di  bianco  marmo  infranta  in  varii  pezzi.  Nel  fondo 
della  vasca  osservasi  un  foro  per  lo  scolo  delle  acque, 
ed  altro  se  ne  osserva  di  lati.  Sul  fouJo  della  vasca 


era  situato  un  piccolo  phedesfallo  di  marmo  confor- 
malo a  tronco  di  albero  ,  e  sullo  slesso  vedevasi  pog- 
giare un  alalo  Amorino  anche  di  marmo.  In  conti- 
nuazione di  questa  vasca  vi  è  un  giardinetto  con  mu- 
ri graziosamente  dipiuli,  couìc  graziose  sono  le  dipin- 
ture, che  si  veggiono  presso  la  vasca.  Da  questo  giar- 
dino vi  è  lo  scolo  delle  acque  nella  vasca  medesima, 
mercè  un  piccolo  canale  di  fabbrica.  Lo  zoccolo  dei 
muri  è  giallo,  e  vi  sono  ripetute  varie  piante,  come 
sembra ,  di  seìmm  sempervirens.  Il  nmro  che  si  eleva 
presso  la  vasca  è  incavato  ad  arco  come  una  nicchia: 
e  sotto  di  questo  incavo  è  il  fondo  azzurro,  e  poi  tra 
una  copiosa  piantagione  di  fiori  mirasi  effigiala  una 
femminile  figura  (la  Ninfa  della  fontana )  di  bianco 
con  tratti  di  giallo  nelle  parli  in  ond)ra  :  questa  ha  il 
capo  coronato  di  foglie,  è  nuda  sino  all'ombelico,  e 
poi  coverta  da  bianca  tunica  ,  che  le  discende  insino 
a'  piedi  :  tiene  con  ambe  le  mani  un  piccolo  cratere 
di  fonte  ,  da  cui  vedesi  pollare  l'acqua.  In  direzione 
di  questa  acqua  dipinta  vi  è  un  piccolo  foro,  che  pas- 
sa a  traverso  della  descritta  figura,  e  donde  sgorgava 
un  vero  zampillo,  che  versavasi  nella  vera  vasca  sot- 
toposta. Nella  parte  interna  della  nicchia  sopra  descrit- 
ta sono  dipinte  varie  foglie  disposte  quasi  a  pergola- 
to ,  ed  altre  foglie  e  piante  sono  figurate  all'  esterno 
della  medesima  nicchia ,  con  varii  uccelli  che  vi  svo- 
lazzano. Si  appressa  alla  vasca  poggiando  su  di  un 
piedestallo  altra  figura  virile  ed  imherbe  tutta  nuda 
dipinta  pure  di  bianco  con  tratti  gialli  :  una  clamide 
gli  pende  dalle  spalle  :  colla  destra  tiene  una  clava 
abbassala  ,  e  gli  pende  alialo  un  oggetto  incerto  .  da 
cui ,  come  sembra  ,  miransi  sgorgare  alcuni  zampil- 
li di  acqua.  In  questo  medesimo  muro  ,  eh'  è  lutto 
rosso  nella  sua  parte  inferiore,  seguono  altri  fogliami 
ed  uccelli;  tra' quali  uno  ben  grande  ,  certamenle  e- 
solico ,  col  corpo  bleu ,  le  ali  rosseggiauti ,  le  gambe 
lunghe  e  rosse  ,  il  becco  egualmente  rosso  ,  breve  e 
adunco.  Vedesi  poi  altra  figura  .  che  par  di  Satiro , 
anche  di  bianco  ,  con  tratti  di  giallo  :  essa  è  barbata 
e  coronata:  poggiando  sopra  un  piedestallo  è  nell'at- 
to di  camminare  a  sinistra  suonando  la  dojqiia  ti- 
bia. Neil'  altro  muro  in  una  zona  inferiore  vedesi 
u!)  Tritone  giovauxie  ed  imberbe  eoa  iscoinposta  chio- 


-28  — 

ma  e  piccole  corna  sul  capo,  e  con  due  anlerioii  pordmo  l'avverdre  che  tulli  questi  dipinli  di  bianco 
branche  non  dissimih  da  quelle  dell'asmcus,  che  com-  la  Ninfa  nel  mezzo  della  vasca,  l'altra  vasca  sostenuta 
balle  con  altro  marino  mostro  a  lesta  di  pantera,  vi-  dalla  SGnge,  e  le  altre  campestri  divinità  furono  eflB- 
brando  conira  di  esso  il  suo  arco  :  e  già  si  veggono  giate  coli'  inlcndimenlo  di  figurare  statue  marmoree 
sul  corpo  del  mostro  conficcate  varie  saette.  Notiamo  erette  ad  ornamento  del  giardino.  Tanto  ci  viene  in- 
qui  di  passaggio  non  esser  nuova  la  particolarità  delle  dicalo  dal  colore  in  tulle  uguale  ,  anche  negli  acces- 
corna  attribuite  a'  Tritoni  ;  giacché  la  slessa  si  osserva  sorii ,  e  principalmente  dalla  vasca  sostenuta  dalla 
in  alcune  fi'nire  di  Tritoni  di  un' urna  di  terracotta  da  Sfinge  ,  che  dinota  certamente  ima  scoltura  ,  e  dalle 
noi  pubblicala  (  mon.  incd.  di  Barone  tav.  XIII  e  tre  difierenti  figure ,  che  si  appalesano  per  immagini 
XIV);  e  non  mancammo  in  (juella  occasione  di  richia-  di  statue  dal  poggiar  che  esse  fanno  sopra  piedestalli. 
mare  il  Pompeiano  dipinto  ,  di  che  ora  ragioniamo  :  I  varii  zampilli  e  le  differenti  vasche  alludono  a  que- 
vedi  la  pag.  69.  Nella  parie  superiore  del  medesimo  gli  scherzi  di  acque,  le  quali  formavano  uno  de' mag- 
muro,  il  cui  fondo  è  azzurro,  sono  dipinte  molle  pian-  glori  ornamenti  delle  antiche  abitazioni, 
le,  e  nel  mezzo  uua  vasca  di  color  rosino  sostenuta  Nell'ordine  superiore  vedesi  inlorno  figurata  una 
da  una  Sfinge  accovacciala,  la  quale  poggia  su  di  una  caccia  fra  molle  piante,  ch'escono  dal  suolo.  Una  fi- 
piccola  base.  Presso  la  vasca,  in  cui  è  figurala  l'acqua  gura  di  un  Erma  barbato  dinota  il  luogo  selvaggio  ; 
zampillante  ,  veggonsi  due  esotici  augelli  :  e  nell'alto  veggonsi  poi  due  cervi  spaventati  fra  due  orsi  ;  altri 
sono  sospese  da  un  pergolato  due  maschere  coronate  cervi  feriti  e  sanguinanti  sotto  i  denti  di  altri  feroci 
con  bende  pendenti ,  con  ciascuna  delle  quali  vedesi  animali ,  tra'  quali  parci  di  ravvisare  un  leone  :  altri 
aggruppalo  un  piccolo  pedo.  Al  suolo  veggonsi  due  cervi  inseguiti  da  pantere  :  un  toro  combattente  con 
altri  più  grandi  uccelli  con  lungo  becco,  e  piccolo  pen-  un  leone,  ed  altre  fiere  ora  in  parte  perdute, 
uacchio  sul  ca|)o  ;  i  quali  presentano  il  corpo  di  color  Riuscendo  al  pianerottolo,  che  costeggia  la  vasca, 
violetto  e  le  lunghe  e  sottili  gambe  di  rosso.  La  pie-  si  ha  dallo  slesso  l'ingresso  in  altro  cubicolo;  all'en- 
cola  vasca  dipinta  merita  di  essere  confrontala  con  Irata  erano  gli  antepagmenta,  per  applicarvi  la  chiu- 
l'allra  marmorea  vasca  di  fonte  rinvenuta  in  Pompei,  sura.    Il   pavimento  di  questo  cubicolo  è  di  lapillo 
sostenuta  da  Ire  Sfingi  anche  di  marmo,  poggianti  so-  battuto,  e  nel  mezzo  sono  incrustali  per  ornamento 
pra  ornata  base  (vedi  real  mus.  Borb.  vol.V.  t.  XLI).  alcuni  pezzi  di  marmo  e  di  travertino.  Lo  zoccolo  è 
Ci  sembra  ancora  degna  di  osservazione  la  vicinanza  rosso:  i  muri  sono  dipinti  a  scompartimenti  di  giallo, 
del  Tritone  e  della  Sfinge  nel  pompejano  dipinto  da  di  bianco  e  di  rosso  con  varii  fregi  e  rabeschi,  rami  ed 
noi  descritto,  dalla  quale  sempre  più  si  conferma  il  altri  ornamenti. Molti  piccoli  quadrelli  erano  sparsi  nel 
lunare  rapporto  di  entrandii  questi  esseri  milologici,  fondo  ,  de' quali  sei  sono  ora  visibili,  e  tutti  rappre- 
che  non  senza  una  qualche  particolare  ragione  creder  sentano  alcuni  vasi  variamente  disposti  sopra  di  un 
si  possono  insieme  figurali.  Nell'altro  muro  laterale  a  piano.  Due  quadrelli  con  figure  erano  nell'intero  ctt- 
sinistra  è  prallicala  nel  mezzo  una  grande  apertura  o  Vicolo.  Uno  di  essi  in  gran  parte  perduto  rappresenta 
finestra  senza  alcun  segno  di  chiusura,  e  poi  son  di-  la  porzione  superiore  di  un  imberbe  giovine,  col  ca- 
pinte  piante  ed  augelli,  tra' quali  è  notevole  una  ci-  pò  coverto  dell'elmo,  e  stringendo  l'asta  ,  il  quale 
vetta  che  si  precipita  in  basso  col  capo  all' ingiù.   In  si  osserva  in  concitato  movimento  a  sinistra  :  presso 
corrispondenza  di  cpieslo  animale  è  altra  satiresca  figu-  è  lo  scudo.  Potrebbe  in  questa  figura  ravvisarsi  Achil- 
ra  (Pan?)  nuda  virile  ed  ind)erbe  coronala  di  canne  che  le  che  preparasi  a  lasciare  la  regia  di  Licomede.  Il 
lien  colla  destra  forse  la  siringa,  colla  sinistra  il  pedo,  figlio  di  Peleo  sembra  abbastanza  determinato  dal- 
ed  è  in  alto  di  camminare  a  sinistra,  poggiando  pure  l'impeto  con  che  è  tratto  alle  armi:  Is  ^ì  rry  'ttol- 
su  di  un  piedestallo.  Pria  di  procedere  alla  descrizione  jOTrXi'o.v  cpixrpo^  (  Pbilostr.  jun.  ini.   1  ,  112);  sic- 
della  parie  supcriore  de'mcdesimi  muri;  crediamo  op-  come  si  riscontra  in  altri  monumenti  (Raoul-Ro- 


—  29  — 


chelle  mon.  ìimi.  lav.  XII  p.  G9),  e  scf;natamon(e 
nell'altro  quadro  pompejano  pubblicato  nel  rcal  mus. 
Borbonico  voi.  IX.  tav.  VI.  Neil'  altro  quadretto  ò 
dipinta  Leda  tutta  nuda  ,  se  non  che  una  {gialla  cla- 
mide le  si  avvolge  intorno  al  destro  ginorrbio  :  ha 
gialli  orecchini ,  i  polsi  sono  adorni  di  auree  arinil- 
le  ,  e  le  tibie  di  perisce) idi  :  un  peplo  di  color  vio- 
letto le  ricopre  il  dorso ,  ed  il  capo  è  circondato  di 
azzurro  nimbo.  La  sposa  di  Giove  siede  sopra  un  or- 
nato letto  ricoperto  di  azzurro  panneggio  con  alcune 
parti  di  rosso  ,  e  poggia  i  piedi  sopra  un  suppeda- 
neo. Ella  addimostrasi  quasi  sorpresa  osservando  il 
bianco  cigno  ,  eh'  è  già  nel  suo  seno.  lu  un  angolo 
del  quadro  mirasi  al  suolo  un  calato  rovesciato.  Mol- 
ti sono  i  munumenti  rappresentanti  1'  avventura  di 
Leda  col  cigno  ,  de'  quali ,  oltre  quello  clic  ne  dis- 
sero il  Mùller  Handhmli  §.  3oi  n.  4-,  ed  il  >yel- 
cker  nella  nuova  edizione  di  questa  opera  p.  "320  ; 
è  a  vedere  l'ampio  catalogo  distesone  dal  eh.  signor 
cav.  Bernardo  Kòhne  nella  sua  dissertazione  die  hci- 
den  groiimi  Silber-Gcfà'ife  dcs  KaificrUchcn  Mìacums 
der  Eicmilagc  zu  Si.  Peleisbnr(j  impressa  in  Pietro- 
burgo l'anno  1847.  p.  48  e  segg.  vedi  quel  che  di- 
ce sul  mito  stesso  di  Leda  p.  3  e  segg.  La  pittura 
Pompejana  venuta  recentemente  alla  luce  oiTre  la  par- 
ticolarità del  nimbo  intorno  al  capo  dell'amala  di 
Giove:  per  tal  circostanza  va  paragonata  alla  pittura 
scoverta  in  Gragnano  nella  quale  si  osserva  la  me- 
desima narlicolarità  ,  ed  ove  è  pure  un  ornato  iello 
presso  all'  avvenimento  (  Ercolanesi  Pilture  voi.  IH. 
tav.  10).  Avuto  riguardo  al  nimbo ,  gli  Ercolanesi 
furono  di  opinione  che  in  quel  dipinto  fosse  rappre- 
sentala una  divinità,  e  vi  rav\isarouo  Nemesi  piutto- 
sto che  Leda  p.  30.  Già  il  sig.  Kohne  si  oppose  a 
questa  idea  nella  citata  dissertazione  p.  7.  ;  e  noi  os- 
serviamo che  il  nimbo  poteva  ben  convenire  ad  una 
nortale,  che  per  la  sua  slrettissima  relazione  col  so- 
vrano dell'Olimpo  fu  falla  quasi  partecipe  dell'apo- 
teosi: vedi  sul  nimbo  le  cose  raccolte  dagli  slessi  Erco- 
lanesi v.  1.  delle  pillurc  p.  270,  e  v.  II.  p. (il  eseg. 
cf.  Schulz  bullcUirw  dell'Istituto  1841  p.  102  e  seg. 
Ora  il  nuovo  dipinto  di  Pompei  con  un'altra  partico- 
larità viene  a  dimostrare  che  trattisi  appunto  di  Leda, 


e  che  non  saremmo  autorizzati  a  pensare  a  Nemesi , 
so  non  quando  si  trovassero  a  costei  attribuiti  simboli 
tali  da  farla  con  certezza  distinguere  (vedi  Chr.Walz 
de  Nemesi  Graeeorum.  Tnbingae  MDCCCLIIj.  In  ipie- 
sta  nuova  pittura  vedesi  il  calalo  rovesciato ,  siccome 
in  altra  pompejana  pittura  (/?.  mus.  lìorb.  XII,  3^ ove 
presso  all'  aureo  calatisco  veggonsi  figurati  due  fusi. 
In  altro  dipinto  anche  di  Pompei  un  Amorino  porla 
via  il  calato  con  gomitoli  e  fusi  [op.  cit.  tom.  XIII , 
tav.  3).  A  proposito  della  prima  di  queste  due  pitture 
osserva  il  Corani.  Quaranta  farsi  allusione  a'  femmi- 
nili lavori,  a' quali  Leda  era  intenta,  disturbati  dal- 
l' arrivo  del  Cigno  :  e  potrebbe  anche  dirsi  interrotti 
dalle  novelle  idee,  alle  quali  si  rivolge  la  mente  della 
figliuola  di  Testio.  Or  queste  femminili  occupazioni 
mal  converrebbero  a  Nemesi ,  ma  piuttosto  riputarsi 
deggiono  proprie  di  donna  mortale.  Che  se  nel  nostro 
pompejano  quadro  Irovansi  riunite  le  due  parlieola- 
rilà  del  nimbo  e  del  calato,  sarà  necessario  il  conchiu- 
dere die  ci  si  offra  agli  sguardi  Leda,  e  non  la  tre- 
menda dea  puuitrice  delle  umane  malvaggità.  Sicché 
dir  dovremo  lo  slesso  della  pillura  di  Gragnano, nel- 
la quale  il  nimbo  non  può  avere  una  differente  intel- 
ligenza da  quella  che  presenta  nella  pittura  di  Pom- 
pei recentemente  scoperta.  Ci  piace  finaliiienle  di  os- 
servare che  anche  in  questa  casa ,  ove  in  due  sepa- 
rati cubicoli  vedonsi  eflìgiati  gli  amori  di  Giove  per 
Ganimede  e  per  Leda,  può  credersi  si  faccia  allusione 
alla  duplex  Venus  ,  siccome  fu  osservato  jter  questi 
due  soggetti  riuniti  nel  [)orlico  di  Tessalonica  (Stuart 
Ani.  of.  Athens  III.  oh.  9.  pi.  9.  II.  v.  Mueller //anc/- 
hueh%.  128.  n.  1.). 

Accanto  alla  descritta  bottega,  era  1' entrata  per  la 
casa  che  vi  si  riuniva  ,  con  un  sistema  frcijuenle  in 
Pompei ,  e  comune  a  tutte  le  botteghe  della  medesi- 
ma strada;  onde  non  esser  coslrelti  ad  entrare  ed  usci- 
re dalla  casa  per  un  sito  addetto  al  negozio.  L'apertu- 
ra esterna  verso  la  strada  non  mostra  alcun  indizio  di 
chiusura  ,  ed  era  un  vestibolo  scoperto  ,  del  che  vi 
è  qualche  altro  esempio  in  Pompei.  I  muri  laterali 
sono  rossi  e  senza  inlonico  per  alcuni  palmi  di  altez- 
za :  in  quello  a  sinistra  vedesi  sporgere  una  porzione 
di  pilastro  di  pietra  di  Sarno ,  e  uell"  altro  a  destra 


30  — 


appajono  molti  incavi  per  travi  o  tavole  :  sicché  an- 
che qui  dovea  essere  un  ammezzato  accessibile  per  via 
di  scale. 

Neil'  angolo  a  destra  di  questo  vestibolo  compari- 
sce al  suolo  la  bocca  di  uu  pozzo  ,  con  puteale  ,  che 
la  ricopre.  Nel  muro  di  fronte  all'  entrare  scorgesi 
in  allo  un'apertura  all'altezza  medesima  degl'incavi 
sopra  descritti  :  è  quindi  probabile  che  per  quella  si 
aveva  comunicazione  Ira  gli  ammezzali  inlerni ,  e  que- 
sto esteriore.  Dal  vestibolo  si  ha  l' adito  ad  altro  roz- 
zo andito  ,  ove  a  sinistra  vedesi  elevato  alquanto  dal 
suolo  un  muricciuolo  che  rinchiude  il  cesso:  allo 
stesso  Iato  è  un'  apertura  ,  per  la  quale  penetravasi 
neir  atrio  della  casa.  Segue  poi  in  continuazione  del 
vestibolo  la  cucina  ,  ov'  è  focolajo  in  gran  parte  di- 
strutto, ed  ove  fu  ritrovalo  un  ahenum  di  bronzo  so- 
pra un  braciere  di  ferro  ;  vedesi  finalmente  un  rialto 
presso  ad  un  piccolo  compreso,  che  serviva  probabil- 
menle  per  dispensa,  scorgendosi  ne' muri  i  buchi  per 
le  tavole  delle  scansie. 

Nello  spazio  prossimo  alla  cucina  vedesi  al  suolo 
una  sfogatola  de'  canali  sottoposti ,  con  bocca  di  tra- 
vertino :  nel  muro  poi  di  destra  entrando  nella  cu- 
cina vcdonsi  incavi  precedenti  a  posteriori  tompagni, 
ed  i  doccioni ,  che  discendono  lunghesso  il  muro  nei 
sottoposti  condotti.  Questa  parte  della  casa  era  estre- 
mamente rozza,  e  forse  Irovavasi  in  ricostruzione. 
fcontimiaj  Minervim. 


Notizia  di  alcune  terrecotte  antiche  della  collezione 
del  defunto  Francesco  Mon(jelli  in  Napoli. 

È  ben  risaputo  che  il  sig.  Francesco  Mongelii  pos- 
sedeva una  raccolta  non  ordinaria  di  antichi  monu- 
luenli ,  in  genere  di  medaglie  ,  di  vasi ,  di  bronzi ,  e 
di  terrecotte.  Dopo  la  sua  morte  avemmo  la  oppor- 
tunilà  di  proccurarci  i  disegni  di  alcuni  fra' principali 
pezzi  di  quella  collezione:  e  questi  inlendiamo  di  an- 
dar man  mano  pubblicando  nel  presente  buUetlino. 
Cominciamo  dalle  terrecotte,  delle  quali  presentiamo 
incise  alcune  nella  nostra  tavola  l ,  fig.  6  ,  7  ,  8,  iu 
grandezza  metà  dell'originale. 


Nella  fig.  6  vedesi  ritratto  un  piatto  lavorato  a  stam- 
pa con  molli  ornamenti;  su'quali  appariscono  in  molli 
punti  tracce  del  bianco,  di  che  erano  dipinti.  Non  è  la 
prima  volta  che  mi  sia  capitalo  di  osservare  simih  mo- 
numenti: anzi  diedi  altrove  notizia  di  due  altri  piatti  af- 
fatto identici  a  quello,  che  qui  pubblichiamo;  uno  de' 
quali  apparteneva  alla  raccolta  del  sig.  Giovanni  Jatta, 
e  l'altro  rinvenivasi  presso  il  negoziante  di  antichità  sig. 
Raffaele  Barone  :  vedi  il  huUell.  archeol.  nap.  an.  Ili 
p.  55  e  seg.  Parvemi  allora  di  scorgere  in  entrambi 
una  prominenza  nel  mezzo  quasi  emisferica,  ed  intor- 
no intorno  dodici  ovali  cavità  tramezzate  da  allrellan- 
te  teste  con  pileo  frigio,  presso  ciascuna  delle  quali  ap- 
pariscono le  ali ,  ed  in  cui  ci  parve  di  ravvisare  ap- 
punto il  dio  Limo ,  siccome  si  scorge  figuralo  in  altri 
monumenti  (cf.  Cavedoni  butlell.  dell' ist.  arch.  1841 
p.  112^,  //  quale  percorre  i  dodici  mesi  dell'  anno  ». 
La  maggior  conservazione  della  patera  del  sig.  Mon- 
gelii ci  porge  il  destro  di  rettificare  in  parte  la  rife- 
rita descrizione.  In  fatti  le  teste  col  pileo  non  sono 
munite  di  ale  ;  ma  offrono  a'  due  lali  due  altre  più 
piccole  teste  di  profilo  ,  volte  alla  media  ,  imberbi , 
e  senza  alcun  fregio  ovvero  ornamento ,  che  le  rico- 
pra: certamente  la  poca  conservazione  di  queste  late- 
rali testoline  me  le  fece  altra  volta  scambiar  colle  ali. 
Ora  ho  a  notare  che  un  simile  piatto  si  osserva  fralle 
terrecotte  del  real  museo  Borbonico,  ed  in  esso  ap- 
pajono pure  le  (re  leste,  come  in  questo  che  pubbli- 
chiamo. Una  tale  di^-ersità,  lungi  dall' escludere  la  in- 
telligenza lunare,  alla  quale  avevamo  pensato ,  a  noi 
sembra  che  maggiormente  la  confermi.  Veggendosi 
tre  leste  fra  loro  aggruppate  ,  e  dodici  volte  ripetu- 
te, tanto  più  ricorre  il  pensiero  alle  (re  fasi  della  Lu- 
na nel  giro  di  un  anno.  Altrove  noi  ravvisammo  una 
simile  relazione  delle  dodici  lune  co'serpeggianli  cir- 
ri di  una  testa  gorgonica  [tnon.  ined.  di  Raff.  Barone 
p.  10.  lav.  Il  fig.  2):  ed  altri,  benché  differenti,  rap- 
porti colle  rivoluzioni  lunari  furono  in  altri  monu- 
menti riconosciuti  dal  eh.  Panofka  [nius.  Blacas  pi. 
10  p.  p.  3:3  seg.),  e  da  altri  archeologi  [Lnynes  etud. 
numisin.  p.  51  ;  Miiiier  Orchomenos  p.-25G:  vedi  pu- 
re quel    che   dicemmo  noi  slessi  ne'  citali  ìtionum. 
ined.  di  Barone  p.   9  ,  e  27  ).  Nò  a  questo  ordia» 


—  31  — 


d'  ilice  disconviene  la  presenza  delle  ovali  cavità  , 
quando  si  consideri  la  peculiare  intelligenza  data  al- 
l'uovo nelle  mistiche  ed  orfiche  dottrine  (Plutarch.  II. 
symp.  Ili,  I  ,76;  Macrob.  Salumai,  lib.  VII,  16  ). 
Per  quel  che  spetta  alle  due  teste  di  profilo ,  che  co- 
steggiano la  media,  potrebbe  ancora  pensarsi  alle  ani- 
me, le  quali  si  aggirano  intorno  al  globo  lunare  (ve- 
di bullett.  arch.  napol.  an.  V.  p.  150).  Ma  di  queste 
ricerche  formeremo  argomento  di  più  ampia  discus- 
sione. 

Fig.  7.  In  questa  figurina  osserviamo  una  donna 
neir  alto  di  percuotere  il  timpano,  che  tien  solleva- 
lo colla  sinistra.  Nella  medesima  collezione  Mon- 
gelli  serbavasi  un'  altra  simile  figurina  ,  ma  di  più 
piccole  dimensioni ,  poggiante  sopra  una  base ,  che 
formava  continuazione  colla  figura  medesima.  Noi 
crediamo  che  questi  monumenti  si  riferiscano  al  cul- 
to di  Cibele;  e  traendone  argomento  dall'altra  terra- 
cotta, in  cui  si  scorge  la  piccola  base ,  siamo  di  opi- 
nione che  venga  effigiata  la  medesima  divinità ,  alla 
quale  non  disconviene  l'attitudine,  in  che  la  vedia- 
mo figurata. 

Finalmente  nella  figura  8  vedesi  la  parte  supe- 
riore di  un  alato  Amore  con  grappolo ,  che  mostra 
nel  volto  una  particolare  espressione  ;  mentre  le  pal- 
pebre abbassate  ci  additano  che  sia  immerso  nel  son- 
no. É  dispiacevole  che  sia  perduto  il  rimanente  di 
questa  figura  notevole  per  la  sua  grandezza.  Ignoria- 
mo poi  s«^  formasse  parte  di  qualche  gruppo,  o  fosse 
isolatamente  lavorata.  È  forse  da  ricordare  a  tal  pro- 
posito il  cosi  detto  Genio  alato  dionisiaco,  del  quale 
si  vegga  ciò  che  scrive  il  Creuzer  {Dionys.  p.  164). 
In  qualunque  modo,  il  nostro  Amore  va  nella  ca- 
tegoria de'  bacchici  Eroti  frequenti  negli  antichi  mo- 
numenti ;  e  nel  sonno  che  1' opprime  può  riconoscer- 
'    si  per  avventura  una  funebre  allusione. 

(continua)  ^  Minermni. 

Iscrizione  cristiana  di  Pozzuoli:  continuazione 
dell'  articolo  inserito  nel  num.  2. 

Or  dalla  iscrizione  di  Pozzuoli  sembra  abbastanza 
comprovalo  che  la  stessa  significazioueaver  dovette  la 


parola  basilica  in  tempi  più  antichi.  Né  parrà  stra- 
no il  modo  di  adoperar  questa  voce,  quando  si  consi- 
deri che  in  monumenti  pagani  le  voci  corrispondenti 
aedes,  ed  acdicula  trovansi  usate  a  dinotare  una  parte 
di  un  sepolcro,  o  l'intero  monumento  'Reines.  ci. VI, 
1 1 2;  XI,  109, 1 1 2:  adp.46:  Orelh  n.C;n,i:;08,i512, 
43 13). Né  debbo  omettere  che  dassi  talvolta  alla  tomba 
la  denominazione  di  ara:  IIOC-SEPVLCRVMSIVE- 
ARA  (Reines.  ci.  XVI,  68  cf.  Fabretii,  c.II,2:J6ove 
così  appellasi  un'  urna  sepolcrale).  Da  tutte  le  quali 
cose  mi  sembra  probabile  il  supporre  che  siccome  le 
tombe  pagane  prendevano  nomi  di  sacri  edifizii ,  per 
motivo  del  religioso  culto  prestalo  appo  loro  a' de- 
funti ,  così  nelle  idee  de'  Cristiani ,  secondo  le  quali 
non  minore  osservanza  si  accorda  alle  anime  de'  morti, 
l'edificio  che  li  contiene  prese  ancora  una  religiosa 
denominazione. 

Comunque  sia  di  queste  nostre  osservazioni,  è  chia- 
ro che  ì'honor,  di  che  è  menzione  nel  nostro  marmo, 
è  Yhonor  sepulturae  rammentato  sovente  nelle  iscrizio- 
ni, e  che  colla  semplice  parola  di  lionor  ci  viene  ad- 
ditato in  una  epigrafe  di  Roma  presso  il  Fabretti  (p. 
1  52,  22 1 ,  OreUi  tom.II  p.28i  n.  4400). La  iscrizione 
di  Flaviano  si  chiude  colla  ovvia  formola  REQVIEVIT 
IN  PACE,  che  in  molte  altre  iscrizioni  s'incontra. 
È  ben  conosciuto  che  la  formola  IN  PACE  è  tanto  co- 
mune ne'  monumenti  cristiani ,  che  fu  ritenuta  come 
indizio  certo  di  cristianesimo  dal  Mabillon  {de  cuìlu  san- 
clorum  ignol.  §.  VI  vct.  anal.  p.  557 ,  oeuvres  post. 
t.  1  p.  232),  dal  Morcelii  [op.  epigr.  voi.  Il  p.  77), 
dal  eh.  Cavedoni  [ragg.  critico  de'uwn.  delle  arti  cri- 
si, primitive.  Modena  1840  p.  33  e  34);  non  ostan- 
te le  contrarie  osservazioni  del  eh.  sig.  Raoul-Ro- 
chette  [meni,  de  l' Acad.  des  inscr.  ci  beli.  hiir.  t. 
XIII  p.  196.);  ed  ultimamente  il  eh.  de  Witte  la  ri- 
guardò pure  come  formola  cristiana  in  alcune  monete 
della  imperatrice  Salonina,  colla  epigrafe  AVGV^STA 
I.\  PACE  [mém.  sur  l'impér.  .Salunine  p.  37esegg.); 
della  quale  opinione  torneremo  a  |)arlare  in  altra  oc- 
casione. Solo  notiamo  che  la  formola  REQVIEVHT 
diiTerisce  nel  senso  dall'altra  REQVIESCIT  IN  PACE, 
la  quale  è  ancor  più  frequente.  Questa  si  riferisce  al- 
l' attuale  stato  del  defunto  ,  q^tiell'  allra  al  punto  didla 


—  32  — 


sua  morie:  l'una  vale  riposa  nella  pace  del  Sifjnore, 
l'allra  si  acchetò  in  pace  da'travagli  della  vita:  e  cor- 
risponde alle  allre  formole  più  coinuui,  in  pace  re- 
censii ,  in  pace  decessit ,  delle  quali  abbondano  tutte  le 
raccolte  di  cpigraG  cristiane. Sono  anche  infiniti  gli  e- 
seiupli  della  data  del  mese,  senza  che  si  determini  l'an- 
no (  Lupi  Severae  mari.  epil.  p.  7G  e  segg.  ove  par- 
la pure  delle  molte  date  consolari  in  epigrafi  cristia- 
ne )  ;  per  modo  che  non  accade  fermarsi  su  questo 
particolare. 

La  iscrizione ,  della  quale  brevemente  si  é  ragio- 
nato ,  dicesi  rin^■enuta  in  quel  silo  appunto  ove  si 
crede  fosse  aniicanienle  edificata  la  basilica  di  S.  Ste- 
fano. Su  questo  sacro  ediGzio  vedi  le  cose  notate  dal 
nostro  eh.  collega  sig.  Can.  Scherillo  (  gli  alti  del 
martirio  di  S.  Gennaro  sez.  2  e.  VI  ;  e  enciclopedia 
dell' ecclesiastico  voi.  IV  p.  913  e  seg.  nell' articolo 
Pozzuoli  da  lui  inserito  in  quella  raccolta),  il  quale 
ne  addila  l' area  e  la  estensione.  La  nostra  iscrizione 
confermar  potrebbe  la  determinazione  di  quel  sito , 
dovendo  senza  dubbio  riferirsi  a  cristiano  cimitero. 

MlNERVllNI. 


Tavola  aquaria  Vena  frana:  continuazione  del  num. 
precedente. 

Il  primo  articolo  regola  l' uso  del  corso  principa- 
le delle  acque  fuori  di  città.  11  secondo  dei  condotti 
subalterni.  Nel  terzo  si  dispone  della  manutenzione  , 
e  dei  lavori  da  eseguirsi  intorno  all' acquidoso ,  ed 
alle  fabbriche  annesse.  Col  quarto  prescrivesi  la  nor- 
ma da  tenere  nelle  dispense  delle  acque  dentro  la  cit- 
tà. Dopo  di  questo  articolo  è  una  lacuna  di  selle  righe 
di  lezione  disperata  ;  tuttavia  dagli  avanzi  di  questo  , 
se  non  sono  piuttosto  i  resti  di  un  sesio,  che  cominciava 
un  poco  più  sopra  delle  righe  da  me  trascritte,  rile- 
vasi, che  si  ordinavano  i  giudizii  di  usurpazione,  e  si 


sanzionavano  le  mulle  ai  contravventori.  Questi  argo- 
menti saranno  meglio  sviluppati  nel  commentario;  in- 
tanto (a  uopo  notare  come  da  questa  intera  lettura 
siasi  stabilito  il  vero  senso  di  quasi  tutto  il  decreto , 
determinandosene ,  ciò  che  importava  moltissimo  ,  il 
tempo  al  728  di  Roma. 

Chi  si  pone  solt'occhio  la  tavola,  che abbiam fatto 
disegnare  ,  s'accorgerà  presto  del  metodo  seguito  dal- 
l'antico  scarpelliuo  in  scolpirla.  11  carattere  in  tutte  le 
parli  è  augusteo ,  onde  si  dileguano  i  sospetti  di  chi 
ha  creduto  essere  questa  una  copia  antica  posteriore 
a  quell'aureo  secolo.  Generalmente  si  osserva  negli 
antichi  monumenti  di  lunga  scrittura  ,  che  le  ultime 
linee  si  serrano,  il  formato  delle  leltere  impicciolisce, 
lo  che  ne  fa  arguire  ordinariamente  poca  esaltezza 
neir  artefice  in  disporsi  la  materia  da  consegnare  alla 
pietra.  Questo  medesimo  vedesi  chiaramente  avvenu- 
to allo  scultore  del  decreto  Venafrano  ;  se  non  che  i 
due  primi  articoli  non  somigliano  punto  nò  al  riposo, 
né  alla  grandezza  nò  alla  buona  forma  delle  leltere , 
che  compongono  il  terzo,  uè  infine  alla  giusta  distan- 
za delie  righe;  e  quanto  allo  stare  in  perpendicolo,  i 
capiversi  se  ne  discostano  visibilmente ,  disordinando 
così  il  regolar  andamento ,  che  si  vede  poi  osservato 
in  tulio  il  resto  della  leggenda.  Lo  che  non  polendo 
spiegarsi  ragionevolmente  colle  leggi  ordinarie  del  me- 
todo ,  che  vediamo  tenersi  dagli  artefici  in  trattare 
queste  materie;  ci  fa  forza  riconoscervi  una  correzione 
adottata  posteriormcnle,  per  la  quale  lo  scultore  gio- 
vandosi dello  spazio  ,  come  meglio  poteva  ,  non  ha 
potuto  dare  alle  lettere ,  né  alle  linee  una  giusta  e 
proporzionala  disposizione. 


(continua) 


Garuucci. 


Ao/a.  — Alla  |)Dg.  18  col.  2.  lin.  1.  corr.  SIIRHGOS-  alla  p. 
21.  Tavola  aquaria  Yenafrana  linea  7.  leggi  NE  APERIANT"  ed 
alla  i>.  23.  linea  58.  DVCAN'T  TEM  •  ■  • 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.g. 
GirLio  MiNERviM  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaneo, 


BULIETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITAm 

NUOVA    SERIE 


N.o  5. 


Settembre  1852. 


Notizia  degli  scavi  di  Pompei  per  l' anno  1SH0  e  seguenti:  conlimiazione  dell'  articolo  inserito  nel  num.  prece- 
dente—  Osservazioni  intorno  al  nome  BASILICA  della  iscrizione  Puleolana  di  C.  Nonio  Flaviano Fram- 
mento d' iscrizione  presso  V  antico  teatro  di  Capua  :  con  osservazioni  del  conte  Borghesi.  —  Tavola  aquaria 
Venafrana  :  continuazione  del  num.  precedente. 


Notizia  degli  scavi  di  Pompei  per  l'  anno  ISoO  e 
seguenti:  continuazione  dell'  articolo  inserito  nel 
n.°  precedente. 

Segue  la  bottega  n.  60.  Questa  ha  soglia  di  pietra 
vesuviana ,  con  visibili  incavi  per  la  chiusura;  il  pa- 
vimento è  signino.  Le  mura  sono  ricoperte  di  bianco 
intonico,  e  vi  si  scorgono  in  giro  molti  buchi,  desti- 
nati forse  ad  inserirvi  le  assicelle  per  sostegno  di  ar- 
madii.  Nel  muro  di  fronte  vedesi  pratticato  un  pic- 
colo finestrino  ,  che  guarda  nella  dietrobotlega. 

A  questa  si  ha  l' adito  da  una  grande  apertura  , 
che  dovea  esser  chiusa  con  tavole  ,  e  da  un  piccolo 
andito  a  sinistra,  ove  non  apparisce  alcuna  traccia  di 
chiusura.  La  dietrobottega  è  ancor  essa  ricoperta  di 
rozzo  inlonico  bianco  :  nel  muro  laterale  destro  è 
aperto  un  finestrino  sul  vestibolo  della  casa  annessa 
alla  bottega  ;  un  altro  simile  finestrino  è  nel  muro 
posteriore ,  che  guarda  la  parte  interna  della  casa. 
Presso  al  medesimo  muro  veggonsi  quattro  scalini , 
uno  dei  quali  di  pietra  vesuviana  ,  ed  i  rimanenti 
di  pietra  di  Sarno;  i  quali  costituivano  un  insieme  con 
una  scala  di  legno,  per  accedere  agli  ammezzati  su- 
.periori.  Nella  medesima  dietrobottega  scorgesi  ora  un 
grosso  vaso  di  travertino  (  una  specie  di  mortaio  ),  ed 
altri  pezzi  della  medesima  pietra:  come  pure  varie 
anfore  e  grosse  tegole ,  ritrovate  forse  nello  stesso  sito. 

Segue  alla  bottega  il  veslibolo  della  casa ,  che  vi 
era  unita ,  sul  quale  come  dicemmo  guardasi  dalla 
dieirobodega  per  un  finestrino.  Questo  vestibolo  ,  o 
androBC  ,  ha  verso  la  strada  soglia  di  travertino  ,  in 

ANNO    I. 


cui  sono  le  tracce  della  chiusura.  I  due  laterali  muri 
dell'androne  sono  dipinti  a  scompartimenti  di  nero 
con  rosse  fasce  nella  parte  inferiore,  e  superiormente 
di  bianco  con  lince  anche  rosse.  L'abitazione  che  vi 
si  unisce  non  è  ancora  disotterala,  e  ne  daremo  ia 
seguito  la  descrizione,  quando  le  scavazioni  posteriori 
ce  ne  forniranno  il  mezzo.  Una  sola  stanza  intera- 
mente scoperta  è  ricchissima  di  dipinti ,  e  merita  di 
essere  sollecitamente  portata  alla  notizia  de'nostri  let- 
tori. 11  fondo  di  questo  cubicolo  è  giallo  ,  lo  zoccolo 
è  rosso  con  piccole  fascette  verdi ,  e  fregiato  di  verdi 
fogliami.  Ad  una  certa  altezza  dal  suolo  sono  orna- 
menti di  stucco  a  bassorilievo. 

Nelle  pareti  sono  alcune  bianche  fasce  con  serpeg- 
gianti rami,  ch'escono  da  graziosi  vaselli  della  forma 
del  canlharos,  alcuni  augellelti  beccano  fra  quei  ra- 
mi ,  e  presso  scorgesi  mezza  figura  virile  cou  sitala. 
Sotto  a  ciascuna  di  queste  fasce  sono  bellissimi  qu.i- 
dretli  di  paesaggio ,  con  edificii ,  e  figurine  che  vi 
stanno  dattorno,  in  differenti  posizioni. 

Nel  giallo  fondo  è  effigiato  un  pergolato  con  grap- 
poli pendenti,  e  nel  campo  sono  dipinte  varie  figure. 
Nel  muro  di  fronte  scorgonsi  due  Amori  con  clami- 
di svolazzanti;  uno  ha  la  patera  ,  l'altro  un  fascio  di 
verdi  foglie.  Nel  mezzo  è  un  quadro  notevole  pel  sog- 
getto. Un  giovine  ,  che  sembra  di  mesta  fisonomia  , 
con  azzurra  clamide  ,  e  calzari ,  e  col  capo  cinto  di 
corona  ,  siede  a  sinistra  poggiando  la  manca  sul  suo 
sedile ,  colla  destra  tiene  il  polso  di  una  donna  nuda 
fregiata  di  armille,  e  di  corona  radiata,  co'capelli  svo- 
lazzanti, e  con  peplo  che  la  ricopre  dalle  cosce  in  giù,  la 


—  34  — 


quale  si  allontana  a  sinistra   11  fondo  del  quadretto  è 
azzurro,  e  comparisce  ncH'indiclro  un  edifizio.  A  me 
sembra  die  ci  si  offra  allo  sguardo  Achille  mesto  , 
in  coìloiuio  colla  sua  madre  che  a  lui  promette  le 
armi  (  //.  S  v.  70  e  vegg.  )  Il  giovanile  aspetto  del 
scdonle  eroe,  e  la  tristezza  che  gli  appare  nel  volto, 
Len  si  convengono  all'amico  dell'ucciso  Patroclo  ,  e 
ben  corri  'pondono  al  confronto  de'  monumenti  (  ve- 
di Paus.  X,  31  ,  2:  Raoul-Rochelte  mon.  inéd.  pag. 
r.9  e  segg.  157 ,  277  not.  3,318:  Mincrviui  bull, 
ardi,  napol.  anno  IV  p.  63  e  vad  Jatta  p.   1 1 5). 
Né  a  questa  idea  si  oppone  la  corona  data  all'  eroe  ; 
giaecliè  in  una  patera  canosina  ,  appartenente  al  sig. 
Raffaele  Barone,  e  da  noi  pubblicala  [bull.  arch.  nap. 
an.  IV.  tav.ll.n.1,2)  vedesi  appunto  il  flgliuol  di  Pe- 
h) ,  attendendo  dalla  madre  le  armi,  col  capo  coro- 
nato di  foglie,  [bull.  cìl.  p.  64 ,  e  vasi  Jatta  p.  1 1 8): 
della  quale  particolarità  furono  da  noi  additale  varie 
ragioni.  L'aspetto  della  donna,  e  la  sua  nudità  è  ben 
conveniente  ad  una  delle  Nereidi ,  le  quali  o  allatto 
nude,  o  con  piccole  clamidi  svolazzanti  si  trovano  fl- 
gurate  ne'pompejani  dipinti  (vedi  real  mus.  B«rb.  voi. 
VI  tav.  XXXIV;  voi.  Vili  lav.  LV;  voi.  X  lav.  VII, 
XIX ,  XXXIV);  e  non  è  neppur  nuovo  l' ornamento 
delle  armille  e  della  corona  radiala,  che  si  trova  fre- 
quentemente ripetuto  nelle  Ogure  di  Nereidi  sopra  i 
vasi  dipinti  (  vedi  Minervini  collezione  Jatta  p.  106  e 
seg.  ;  Gerhard  apulische  Vasenbilder ,  tav.  VII,   ed 
altri  esempli).  Se  le  due  figure  possono  riferirsi  a  Te- 
li ed  Achille ,  il  modo  come  sono  fra  loro  aggruppa- 
le ci  sembra  evidentemente  determinarne  il  soggetto, 
siccome  fu  da  noi  ritenuto.  In  fatti  il  movimento  della 
dea,  che  è  sul  punto  di  rivolgersi  alla  partenza ,  di- 
nota che  ella  fece  al  giovane  eroe  una  visita  ;  e  l'atto 
del  giovane  di  trattenere  la  donna,  mentre  resta  tran- 
quillamente seduto,  accenna  a  filiale  affezione,  e  non 
già  ad  altro  affetto  ,  che  non  potrebbe  additarsi  dalla 
mesta  e  riposata  attitudine. 

Tulle  queste  particolarità  si  spiegano  interamente 
rolla  omerica  narrazione  :  e  pare  che  il  pittore  ,  con 
l'alto  del  rivolgersi  di  Teli  per  allontanarsi  dal  fi- 
glio ,  abbia  voluto  esprimere  ciò  che  si  legge  in 
Omero  : 


"Qs  ape.  tPtt'vV^cr affa  vc/Xiv  rpa7r=6'wos  k7o  (II.  X  V. 
138),  e  che  maravigliosamente  vi  sia  riuscito. 

Nel  muro  laterale  a  sinistra  vedesi  una  donna  se- 
minuda con  velo  svolazzante,  la  quale  tien  colla  de- 
stra un  azzurro  piattello ,  forse  di  vetro  ,  e  colla  si- 
nistra solleva  una  tenia. 

Nella  stessa  parete  scorgesi  in  un  quadrello  Endi- 
mione  dormente  sdrajato  sopra  di  un  poggio.  Il  gio- 
vine cacciatore  ha  stivaletti  e  clamide ,  e  tien  colla 
destra  il  doppio  giavellotto  riverso:  presso  è  un  bian- 
co cane  latrante  verso  Diana-Luna,  che  sopraggiunge 
dall'alto.  La  dea  ha  velata  tunica  rossa  ,  e  giallo  hima- 
tion  svolazzante  :  le  armille  a'  polsi ,  e  le  periscelidi 
compiono  il  suo  vestimento.  Sulla  di  lei  lesta  è  una 
bianca  luna  crescente ,  e  nel  mezzo  un  bianco  astro: 
i  capelli  ondeggiano  dietro  la  testa  :  colla  destra  sol- 
leva alquanto  Vhimalion  di  che  è  fregiala,  e  colla  si- 
nistra sostiene  un  piccolo  scettro.  E  ben  conosciuto 
che  molle  sono  le  rappresentazioni  relative  a  Selene 
che  va  a  trovare  Endimione:  sulle  quali  olirà  le  cose 
dette  dal  Mùller  Handbuch  §.  400  not.  2  p.  649 
ed.  Welcker,  è  da  vedere  una  lunga  discussione  pria- 
cipalmenle  su'bassirilievi  col  medesimo  soggetto  (Ger- 
hard ani.  Bildtverke  lav.  XXXVI-XL)  fatta  dal  eh.  pr. 
Jahn  aìxhàol.  Beilràge  p.  51-73.  Ne'  quali  ultimi 
monumenti  è  stalo  osservato  il  funebre  significato  di 
questo  mito ,  siccome  quello  di  Adone  con  Venere 
Libilina  (Gerhard  arch.  Zeitung  1849  p.  21 5  e  217). 
Questa  funebre  intelligenza  non  è  punto  applicabile 
a'dipinti  delle  pompeiane  case,  ne'  quali  piuttosto  può 
credersi  quel  mito  allusivo  al  sonno,  a  cui  si  davano  gli 
abitatori  de'  cubicoli  ove  si  vede  figuralo.  Fra  le  pit- 
ture Ercolanesi  trovasene  pubblicata  una  rappresen- 
tante Selene  con  Espero,  che  visita  Endimione  (Er- 
colanesi pitture  voi.  III.  tav.  3.  ove  nelle  illustra- 
zioni si  parla  dislesamente  delle  varie  tradizioni  re- 
lative al  medesimo  mito).  E  qui  osserviamo  che  ve- 
desi nel  canipo  una  piccola  luna  falcata  ,  la  quale 
tocca  quasi  la  testa  di  Endimione.  Questa  notevole 
particolarità  vedesi  in  tulio  omessa  nella  pubbUcazio- 
ne  del  real  museo  Borbonico  in  cui  la  pittura  medesi- 
ma è  riprodolla  voi.  IX  tav.  40.  Merita  dì  richiamar- 
si a  confronto  un  altro  pompeiano  dipinto  ,  che  or- 


35- 


nava  la  parete  di  un  cubicolo  :  in  esso  è  Endiniionc 
sdrajalo  con  lagobolos  e  cane;  manca  la  presenza  della 
dea,  ma  invece  vedesi  al  di  sopra  una  luna  falcala 
con  astro ,  che  fa  certamente  allusione  ad  Artenùs- 
Selene,  accompagnata  da  Hespcros  {Bull.  ardi.  nap. 
an.  V  p.  4).  Due  altre  pitture  trovansi  pur  pubblica- 
te ncir  opera  citata  del  real  mus.  Borbonico ,  le  quali 
fanno  bel  confronto  a  quella  di  cui  diamo  ora  la  de- 
scrizione. Nella  prima  (  voi.  XIV  tav.  3  )  comparisce 
Endimione  sdrajato  con  una  semplice  clamide  e  col 
doppio  giavellotto ,  mentre  la  dea  si  avanza  tenendo 
un  piccolo  flagello ,  e  col  capo  adorno  di  nimbo  a 
foggia  di  luna  falcala  :  la  precede  un  alato  putto  re- 
cando la  fiaccola  [Hesperos),  e  presso  Endimione  è  uu 
Cane  che  volgesi  a  guardare  la  dea. 

Il  flagello  corrisponde  al  piccolo  scettro  o  rhahdos 
del  nuovo  dipinto,  ed  entrambi  si  trovano  convenien- 
temente attribuiti  ad  una  divinità  della  luce ,  perchè 
spesso  queste  deità  soo  figurale  guidando  i  loro  carri, 
o  singolari  destrieri  (  vedi  molti  esempli  in  Gerhard 
Lichtgollheilen)  (1). 

È  ancora  più  importante  per  lo  confronto  della 
nuova  pittura  l'altro  quadro  pubblicato  nel  real  mus. 
borbonico  voi.  XIV  tav.  XIX.  In  esso  la  dea  tira  pu- 
re alquanto  colla  sinistra  lo  svolazzante  peplo ,  con 
un  gesto  già  riconosciuto  di  femminile  civetteria  (ve- 
di molli  esempli  da  noi  citali  vasi  di  Jalla  p.  22  e 
seg.);  colla  destra  invece  del  rìmbdos  tiene  una  fiacco- 
la (Diana  Phospìioros  o  Selene:  vedi  i  mon.  ined.  di 
Barone  p.  3,4.):  vedesi  pure  sulla  di  lei  testa  una  lu- 
na falcata  e  due  astri,  ne' quali  il  mio  eh.  collega  cav. 
Finali  riconosce  giustamente  Hesperos  e  Phosphoros. 
Nel  nuovo  dipinto  osservandosi  un  solo  astro  parmi 
indicarsi  Hesperos,  perché  riferibile  piuttosto  alla  not- 
te che  al  giorno.  Finalmente  la  più  notevole  coinci- 
'denza  de' due  dipinti  è  il  cane  latrante  verso  Selene; 
siccome  comparisce  pure  in  una  tazza  chiusina  pres- 
so Endimione .  che  attentamente  guarda  verso  il  cielo 
{buUelt.  dell'ht.  1840  p.  2).  In  questo  ultimo  niODU- 
menlo,  sepure  non  voglia  pensarsi  ad  altro  cacciatore 


(I)  Così  comparisce  Diana  che  scende  dal  cocchio  per  vbilare  En- 
dimion«  :  annali  dell' Itt   li!t49  p.  409. 


amante  di  Diana-Luna  (Vinet  rev.  arch.  an.  V  p.  469) 
lo  star  desio  di  Endimione  potrebbe  alludere  alla  tra- 
dizione riferita  dallo  scoliaste  di  Apollonio  Rodio:  che 
Endimione  era  creduto  il  primo  osservatore  de'  perio- 
di e  de' numeri  lunari  [Arg.  IV,  264  p.  161  Wcl- 
lavcr.  vedi  bullctt.  arch.  nap.  au.  IV  p.  121).  11 
latrar  del  cane  verso  la  Luna  ci  richiama  al  pensiero  i 
versi  di  Virgilio: 

....  visaeque  canes  ululare  per  itmbras 
Adcenlante  Dea  (Aen.  VI,  v.  255). 

Veggansi  pure  le  altre  relazioni  de'tani  con  Arie- 
mis-Hecate- Selene  da  noi  notale  nelle  novelle  diluci- 
dazioni sopra  un  chiodo  magico  p.  1 1  e  seg. 

Nella  terza  parete ,  eh'  è  rimpetto  a  quella  ove  è 
Achille  e  Teli ,  scorgesi  dipinto  un  Amorino  con  cla- 
mide svolazzante ,  che  tiene  con  ambe  le  mani  una 
cesta. 

Finalmente  nel  muro  laterale  destro  è  un  quadretto 
col  soggetto  di  Narcisso.  Il  figliuolo  di  Cefisso  adorno 
di  rossa  clamide  siede  a  destra  guardandosi  nella  sot- 
toposta fonte ,  mentre  tiene  colla  sinistra  un'asta  ri- 
versa. Presso  è  un  Amore  che  spegne  la  fiaccola  co- 
me Genio  della  morte.  Più  in  alto  è  una  Ninfa  semi- 
nuda sedendo  sopra  gialla  clamide,  la  quale  con  ao)- 
be  le  mani  presenta  al  giovine  una  funebre  corona. 

Non  vi  è  soggetto  ,  che  sia  più  frequentemente  ri- 
petuto nelle  pitture  murali  (Ercolanesi  pitture  V  28- 
31 ,  real  mtis.  Borb.  I,  4;  Wieseler  die  Nymphe  Ecko 
tav.  n.  3.  mus.  Borb.  II,  18;  XIV,  18):  ed  e  da 
rammentare  particolarmente  il  vaghissimo  dipinto  di 
Nocera,  ove  è  notevole  la  presenza  di  Eco,  col  7r\xyiv.i'- 
Xoì,  che  fu  dottamente  illustrato  dal  commen.  Avellino 
[bullett.  arch.  nap.  an.  Ili  pag.  33  e  seg  ;  Jahn  iiber 
einigeaufEros  und  Psyche  beziigl.  Kunslwerke  oc  Ber l- 
chte  der  Kon.  Sachs.  Gesellsch.  der  Wissensch.  1851  p. 
1 70  s.).  In  questa  composizione  vedesi  pure  un  .\more 
che  spegne  la  sua  fiaccola ,  in  funebre  senso ,  ed  in 
simile  significato  una  stele  con  vaso  al  disopra  ;  come 
nel  dipinto  pubblicato  nel  recU  mus.  borb.  tom.  II  lav. 
XVIII,  ed  in  altro  (Ercolanesi  pt«.  voi  V  tav.  28.  Sul 
senso  funebre  del  vaso  sulla  colonna  v.  Cavedoni 
Spie,  numism.  p.  50  n.  03,  e  ciò  che  dicemmo  noi 
stessi  nel  bull.  arch.  nap.  an.  VI.  p.  64).  Lo  stes- 


—  36  — 


so  mito  fu  ravvisato  io  un  vaso  dipinto  dal  medesimo 
Avellino  {buìl.  nap.  an.  II  tav.  Ili  pag.  57  e  scgg). 
La  parficolarità  dell'  Amore  cbe  spegne  la  fiaccola  si 
osserva  pure  ia  altra  pittura  murale  (Ercolauosi  pitt. 
voi.  V  tav.  28),  e  su  di  ciò  si  veggano  gli  Ercola- 
nesi  (p.  126  not.  h.  ).  Ma  chi  sarà  mai  la  donna 
che  presenta  a  Narcisso  la  funebre  corona?  Certamen- 
te non  può  giudicarsi  Eco  ,  che  in  tutl'  altra  posizio- 
ne comparisce  nella  pittura  di  Nocera  sopra  citata  , 
ed  in  altra  del  real  mas.  Borbonico  voi.  MI  tav.  IV 
cf.  Wieseler.  /.  e.  n.  2.  Piuttosto  è  da  paragonarsi  con 
questa  l'altra  figura  stante  presso  Narcisso  in  questo 
ultimo  dipinto,  e  più  ancora  la  figura  sedente  con  ur- 
na rovesciata,  ed  Amorino  sulla  spalla  che  vcdesi  nella 
pittura  sopra  citata  n.  3.  del  Wieseler  :  nella  quale 
può  ravvisarsi  la  Ninfa  della  fontana  ,  ove  il  giovine 
figlio  di  Liriope  va  a  compire  il  suo  destino. 

MiNERVlM. 


Osservazioni  intorno  al  /lome  BASILICA  della  iscri- 
zione Puteolana  di  C.  Nonio  Flaviano 

Il  Bingham,  e  tutti  coloro  che  con  lui  si  sforzano  di 
negare  l'antichissimo  uso  cristiano  di  sepcliir  in  alcu- 
na parte  delle  Basiliche  i  corpi  dei  confessori  non 
martiri  (  Orig.  Eccles.  T.  III.  L.  VIII.  e.  V.  §.  8. 
Halae  1727)  facendone  erroneamente  autori  i  monaci 
nei  secoli  di  decadenza,  citano ,  ma  non  interamente, 
il  passo  di  S.  Paolino,  che  chiaramente  lo  insegna; 
omettono  poi  le  altre  autorità ,  che  il  Muratori  da  suo 
pari  va  dimostrando  loro ,  nel  commento  ai  versi  del 
Saalo, 

Cellula  demuUis,quaeperlalera  undique  magnis 
Adposilae  leciti,  praehenl  secura  sepullis 
Hospilia. 
(S.  Paulin.  de  S.  Felice  nalal.  XI  v.  478  seg.  Ve- 
ronae  1736.  .Muratori  Disscrl.  XVII.  p.  838-842.). 
Or  queste  parti  interne  della  Basilica  Nolana,  che  il 
Santo  Vescovo  di  Noia  qui  chiama  Cellulac,  ed  al  v. 
.'i31  Cellae,  (cf  S.  Gregorio  di  Turs,  de  Gloria  Confes- 
sor, e.  evi.  Praesume ,  precamur ,  ut  caro  sancla  se~ 


pullurae  reddatur.  Et  sic  ab  ilUs  iniunclus,  aliare  in 
cellula  ipsa  sacralur  ),  altrove  nella  epistola  32.  a  Seve- 
ro, ove  descrive  la  basilica  costruita  da  se  a  Fondi  in 
onore  di  S.  Felice  Nolano,  le  dice  Cubicula  (p.  203. 
edMurat.):  Tolum  extra  conchani  basilicae  spali  um,  allo, 
et  lacunalo  culmine,  geminis  utrinque  porticibus  dila- 
tatur,  quibm  duplex  per  singulos  arcus  columnarum 
ardo  dirigitur.  Cubicula  intra  portlcus  quaterna  lon- 
gis  basilicae  lateribus  inserta ,  secrelis  orantiitm ,  vcl 
in  lege  Domini  medilanlium ,  praeterea  memoriis  reli- 
giosorum  ac  familiarium  accomodatos  ad  pacis  aeler- 
nac  requiem  locos  praebent.  È  poi  questo  il  nome  or- 
dinario che  loro  dà  Anastasio  Bibliotecario  ,  e  segna- 
tamente nella  vita  di  Leone  terzo  (p.  306  ed.  Fr. 
Bianchini.  Romae.  1718.):  Cubicula  inlra  Ecclesiam 
beati  Petri  Aposlolorum  Principis,  quae  nimia  vetu- 
state  marcuerant  eliam  (leggo  et  iam)  pene  ruiluraerant 
isdem  egregius  Praesul  a  fundamentis  firmissimum  po- 
nens  aedificium  in  meliorem  erexit  statum  (cf.  Murat. 
not.  ad  Episl.  32.  S.  Paulini  p.  912,  913.  ed.  cit.  e 
nella  Dissert.  XVII  p.  839.) 
Altra  appellazione  egualmente  solenne  in  Anastasio  è 
quella  di  0/a^on'a,  come  p.  e.  nella  vita  di  S.  Simma- 
co (p.  86  )  racconta ,  che  nella  basilica  diS.  Andrea 
da  lui  costrutta,  fecit  oralorium  S.  Thomac  apostoli,  ora- 
lorium  S.  Apollinaris,  oralorium  S.  Sosii,  e  nella  vita 
di  S.  Ilario  (p.  1Qi):Hic  fecit  oratoria  tria  inbaplisle- 
rio  constantiniano,  S.  Ioannis  Baplislae,  et  S.  Ioannis 
Ecangelistae  ,  et  S.  Crucis,  omnia  ex  argento  et  lapi- 
dibus  pretiosis.  Assai  bene  il  Muratori  paragonò  que- 
ste Cellulac ,  o  Cubicula ,  od  Oratoria  alle  moderne 
cappelle  delle  Chiese  Cattòliche.  Dopo  tutto  ciò ,  è 
ben  da  maravigliare,  come  i  descrittori  delle  antiche 
basiliche  comunemente  abbiano  finora  omesso  di  no- 
tare sì  rilevante  costume  di  cristiana  antichità:  e  molto 
più  ,  che  r  uso  di  seppellire  nelle  chiese  siasi  creduto 
di  tempi  più  vicini  a  noi,  e  però  riprovevole. 

Le  autorità  gravissime  qui  prodotte  ne  insegnano, 
che  in  molte  antiche  basiliche  fino  dal  quarto  secolo 
furono  costruite  apposite  cappelle  destinate  a  racco- 
gliervi i  fedeli  in  orazione ,  a  cantare  i  salmi ,  ed  a 
sepoltura  di  uomini  religiosi.  Inoltre,  che  in  queste 
medesime  cellae,  dette  oratoria,  e  cubicula,  furono  col- 


—  37  - 


locati  altari  (v.  il  luogo  di  S.  Gregorio  di  Turs  ad- 
dotto di  sopra),  e  che  ebbero  il  loro  titolo  da  alcun 
santo,  le  reliquie  del  quale  vi  doveaoo  avere  special 
culto.  Rivenendo  ora  alla  insigne  lapida  di  C.  Nonio 
Flaviano ,  in  cuius   honorem  basilica  hacc  adquisila , 
conlectaquc  est ,  come  leggcsi  ivi,  io  son  di  avviso, 
che  la  basilica,  di  che  è  quivi  parola,  non  sia  stata  al- 
tra cosa,  se  non  una  di  queste  cellette,  o  cubicula.  Di 
fatti  la  iscrizione  è  stata  scoperta  fra  le  ruine  dell'an- 
tica cattedrale  di  Pozzuoli ,  delta  Stefania  ,  che  non 
si  può  mai  supporre  comprala ,  e  ricoperta  dai  pa- 
renti di  Flaviano  per  consacrarla  a  sepolcro  del  te- 
nero corpicciuolo  di  lui.  In  quei  tempi ,  nei  quali  il 
culto  dei  confessori  aveva  nella  Chiesa  qualche  raris- 
simo esempio  ,  ed  in  persone  celebri  per  illustri  ed 
eroiche  azioni,  come  S.  Martino,  comparabili  perciò 
agli  esempii  lasciali  dai  martiri,  sarebbe  strano  imagi- 
nare,  che  ci  si  parli  nella  lapida  del  culto  di  un  fan- 
ciullino  morto  di  soli  23  mesi.  Anche  degli  sfessi 
fanciullini  in  odium  Clirisli  occtsos  sapientissimamente 
giudicò  il  gran  papa  Benedetto  XIV ,  non  convenir 
canonizzarli  per  la  novità,  siccome  bene  avverte  il  Can- 
cellieri (D/ssert.  epislol.  sopra  due  iscrizioni  delle  mar- 
tiri Simplicia  ed  Orsa,  pag.  53).  Adunque  se  la  Ste- 
fania non  fu  sacra  a  Flaviano,  e  se  Flaviano  vi  fu  di 
fallì  sepolto,  le  parole  Basilicahaec  non  potranno  giu- 
stamente riferirsi,  che  ad  una  parte  di  essa;  ed  in  que- 
sto caso  gli  esempii  allegati  di  sopra  mi  confortano  a 
sostenere ,  che  in  alcun  cubiculo  di  essa  compro  ,  e 
rifatto  da' suoi,  sia  sialo  riposto  l'innocente  corpo  di 
Flaviano.  Abbiamo  letto  più  sopra  ,  che  i  cubicoli 
della  basilica  di  S.  Pietro  nimia  velustale  marcuerant, 
et  iam  pene  peritura  etani,  che  pare  essere  il  caso  della 
nostra  basilica,  la  quale  ebbe  bisogno  di  essere  coper- 
ta. Chi  si  conosce  delle  antiche  basiliche,  avrà  rileva- 
to, che  spesso  i  tetti  delle  navi,  o  portici  laterali,  sono 
più  bassi  del  tetto  della  nave  di  mezzo,  e  però  ben  in- 
tenderà, come  essendo  in  buono  stato  tuttavia  la  Chie- 
sa ,  potevano  alcuni  cubicoli  aver  bisogno,  che  se  ne 
rifacesse  quella  porzione  di  letto,  che  mal  li  copriva. 
Io  preveggo,  che  a  molli  dei  lettori  l' unica  diflScoltà 
di  ammettere  questa  spiegazione  della  voce  Basilica 
potrebbe  essere  la  novità  dell'uso,  onde  a  questo  me- 


desnno  porterò  riparo,  togliendone  il  riscontro  da 
un  classico  luogo  di  S.  Girolamo,  del  quale  ha  fallo  uso 
anche  il  sig.  Minervini,  (v.  la  pag.  10.  di  questo  Bul- 
lell.  ),  che  dop„  le  cose  già  delle  .  pare  s' intenda  da 
sé  assai  bene.  Egli  chiama  Basilicas  Eccksiae  quelle  me- 
desime celle ,  <he  S.  Paolino  ha  dello  Cubicula  ,  ed 
Anastasio  anche  Oratoria. 

Il  passo  è  nella  leltera  sessagesima  (ed.  Vallarsi.  Ve- 
ronae  1734.  T.  I,p.  338)  scritta  l'anno  39C,  ove  loda 
il  santo  sacerdote  Nepoziano  della  cura  squisita,  e  so- 
lerle posta  in  mantener  nella,  ed  ornala  la  sua  Chiesa. 
Ivi  parlando  appunto  delle  Cappelle,  o  cubicoli,  od 
oratorii  di  essa  ,  da  lui  decorali ,  dà  loro  il  nome  di 
Basiliche:  Hoc  idem  possumm  et  de  isto  dicere,  qui  ba- 
silicas  Eccksiae,  et  marlyrumconciliabula,  diversis  (lo- 
ribusetarborum  comis ,  viliumque pampinis  adumbra- 
rit,ut  quidquid  placebat  in  Ecclesia,  lamdispositione, 
quam  visu ,  Presbiteri  laborem  et  sludium  testarelur. 
Adunque  i  santi  parenti  di  Flaviano  comprarono  I.. 
basilichetta,  e  la  coprirono,  per  dare  al  bealo  loro  fan- 
ciullino,  ottenuto  già  da  Dio  con  preghiere  di  lunghi 
anni,  e  che  con  umile  rassegnazione  vedevansi  tolto, 
onorala  sepoltura.  Altra  era  e  diversa  l'indole  delle 
Basilicac,  od  Oratoria,  fabbricale  fuori  di  ciltà  per 
sepoltura  (Murai.  Anecd.  Gr.  p.  260,  270.  Morcelli. 
Kal.  Consl.  T.  I.  p.  18S.),  e  delle  Basilicae,  o  Ba<i- 
liculae  descritte  dalCiampini,  {Vet.  monuw.  e.  XIX.  p. 
183  cf.  Zestermann  ,  die  Ant.  u.  d.  Chr.  Bas.  I.eips. 
I847.p.l68,4.)che  in  sostanza  rassomigliavano  ad  un 
Ciborium,  o  Con/'ess/o,  composte  di  un  altare,  o  sepol- 
cro, ovvero  dell'uno  e  dell'altro  insieme,  cioè  di  un 
altare  col  sepolcro  sottoposto,  e  coperte  da  un  fastigio 
o  cupolino  sorretto  da  quattro  colonne,  delle  quali  è 
evidente  donde  si  avessero  quel  nome  che  portano,  an- 
che nel  titolo  58  §.  3,4,5.  delle  leggi  saliche,  e  che  io 
non  credo,  non  essendo  questo  il  caso,  dover  citare  al 
confronio.Cosi  nelle  iscrizioni  pagane  trovasi  la  cella  se- 
polcrale detta  lalvolia  Principiola,  Pracloriolum,  Tem- 
plum  ,  la  qual  prima  voce  vedesi  appunto  adoperata 
in  un  frammento  di  lapida  puteolana  edila  la  prima 
volta  dal  Borghesi,  il  quale  dottissimo  com'è,  disperò 
poterne  determinare  il  signiticato  (v.  Sianislao  Viola 
Risposta  alle  osservazioni  eie.  Roma.  1849.  p.  89  ) 


-38  — 


PRINCIPIOLAM.  A  SOLO.  OMNI  sua  PECVNIA 
FECIT.  Queste  siogolari  appellazioni  ebbero  origi- 
ne eviden (emente  da  quella  forma  esterna  di  decora- 
zione architettonica,  che  procacciò  anche  alle  nicchie 
cinerarie  il  nome  di  aediculae,  e  che  avrà  facilmente 
indotto  cosi  S.  Girolamo,  come  l'autore  della  iscrizione 
puteolana,  e  certo  altri  a  noi  ignoti  di  quei  tempi,  a 
dare  il  nome  di  Basilica  ai  cubicoli,  o  cappelle,  fab- 
bricati sulle  pareti  laterali  delle  Chiese.  — Garrucci. 

Frammento  d'iscrizione  presso  l'antico  teatro  di 
Capua  :  con  osservazioni  del  Conte  Borghesi. 

Non  ha  molto  fu  quasi  interamente  scavato  in  S. 
Maria  un  antico  teatro  ,  del  quale  ci  proponiamo 
dare  un  più  esteso  ragguaglio  ,  e  forse  ancora  il 
disegno,  in  uno  de"  prossimi  fogli  del  hulleltino.  Tutti 
sanno  esser  nota  al  Pellegrino  ed  al  sommo  Maz- 
zocchi una  porzione  di  questo  magniCco  monumen- 
to, la  quale  sin  da  quel  tempo  sventuratamente  fu 
in  parte  distrutta  (  vedi  Mazzocchi  in  mut.  camp, 
amphit.  C.  Vili  )•  Ne  parla  pure  il  eh.  collega  Sig. 
Rucca  (Capua  Velere  p.  1 12):  ma  sembra  che  non  sicsi 
avuta  giammai  notizia  se  non  che  di  una  parte  de' porti- 
ci, e  del  recinto  esteriore  I  recenti  scavi  ci  danno  una 
più  chiara  idea  di  questo  nobilissimo  edifizio,  novello 
argomento  della  splendidezza  dell'  antica  Capua.  Il 
rivestimento  di  marmo  tuttora  visibile  in  alcuni  de' 
gradi,  frammenti  di  colonne  di  marmo  cipollino,  ed 
alcuni  pezzi  anche  di  marmo  con  ornati  e  fregi  di 
assai  fino  gusto,  sono  una  valida  dimostrazione  della 
magnificenza  dell'opera.  Riserbandoci  di  discorrerne 
degnamente  in  altro  articolo  ,  vogliamo  qui  riferire 
un  frumento  d' iscrizione  rinvenuto  presso  quel  me- 
desimo sito  ,  che  ci  venne  comunicato  dal  nostro 
egregio  amico  Sig.  Giovanni  Sideri.  Il  frammento  di- 
ce così  : 

M    AR    •  • 

M     FIL.  N    • 

M  ■  PRC    • • 

FAL    PV    •  • 

vicmio  •  •  • 

M  •  VICIRIV  ■  •  •   • 
ve    FRATR  •  •  • 


£  in  una  gran  pietra  di  marmo  di  larghezza  pai. 
2  e  3  decimi,  di  altezza  circa  parimi  tre:  i  pun- 
ti sono  triangolari ,  e  le  lettere  nella  prima  linea 
più  grandi  vanno  decrescendo  nelle  altre ,  serbandosi 
eguali  per  ogni  due  linee.  Tutta  la  iscrizione  è  cir- 
condata per  tre  lati  da  una  cornice.  Nel  lato  infe- 
riore la  cornice  era  interrotta  da  due  laterali  incavi, 
de'  quali  ora  uno  solo  è  visibile  per  la  frattura  del 
marmo. 

Piacerà  a'  nostri  lettori  conoscere  ciò  che  mi  ha 
scritto  solla  monca  epigrafe  il  dottissimo  Borghesi, 
a  cui  ne  diedi  comunicazione. 

«  Constando  dal  titolo  Vir  Clarissìraus ,  che  se- 
natoria fu  la  famiglia  cui  spelta  il  frammento,  potrà 
sospettarsi  con  qualche  fondamento  che  PVdenti  si 
abbia  da  supplire  nel  mozzato  cognome  di  quel  M. 
Arrio,  essendo  conosciuto  L.  Arrio  Pudente  console 
ordinario  con  M.  Gavio  Orfito  nel  918,  per  non 
far  conto  del  Q.  Arrius  Pudens  soldato  dei  vigili  al 
tempo  di  Caracalla  (Kellermann  VII.  p.  2.  26).  Ma 
quest'  Arrio  ostenta  insieme  l' altro  gentilizio  di  Vici- 
rio,  onde  potrebbe  nascer  dubbio  a  quale  delle  due 
case  veramente  appartenga ,  se  la  questione  non  ve- 
nisse decisa  dal  fratello  ,  che  si  chiama  apertamente 
M.  Vicirius.  Per  lo  che  si  avrà  da  dire ,  che  l' altro 
nome  di  Arrio  secondo  l'uso  famigliare  a  questi  tem- 
pi gli  provenisse  dalla  madre,  la  quale  doveva  essere 
anch'  essa  di  nobil  legnaggio  ,  se  questo  o  prima  o 
dopo  (  il  che  non  può  giudicarsi  se  non  da  chi  dalla 
forma  delle  lettere  può  argomentare  dell'età  del  fram- 
mento) pervenne  al  supremo  onore  dei  fasci.  Quindi 
se  la  famiglia  materna  secondo  la  mia  congettura  ado- 
perava il  prenome  di  Lucio,  riterrò  volentieri ,  che 
tanto  il  suo  prenome ,  quanto  le  note  geneologiche 
spettino  alla  casa  del  padre,  nella  quale  i!  fratello  ci 
addimostra  usitata  la  denominazione  di  Marco.  Anche 
la  gente  Viciria  non  lasciò  desiderare  il  suo  nome  ai 
fasti,  in  quelli  delle  ferie  Latine  (Arv.  p.  129)  segnan- 
dosi un'  anno  non  ancor  ben  determinato  con . . .  AE- 
CIO  . . .  MO,  e  con  . . .  VICIRIO  .  MARTIALICOS, 
che  furono  sufTefti  ai  tempi  di  Vespasiano  o  poco  do- 
po. Egregiamente  il  Marini  supplì  nei  nomi  del  pri- 
mo L.  MAECIO  PostuMO  ,  che  fu  un' Ar vale  men- 


—  39  — 


(ovato  nella  Tav.  XXII  dell'  anno  831 ,  sul  conio  del 
quale  si  avrebbe  ora  non  poco  da  aggiungere  :  ma 
non  posso  ugualmente  applaudirgli ,  (piando  in  ri- 
scontro del  secondo  cita  un  Q  .  VICRIVS  •  Q  •  L  • 
MARTIALIS  (p.  140  nota  33  )  maestro  di  uno  dei 
vici  di  Roma  uell' 889  (Grut,  p.  290  col.  3,  Mu- 
rai. 60i.  1 .)  essendo  che  la  gente  Vicria  fu  certamente 
diversa  dalla  Viciria,  come  dimostrano  le  molte  lapi- 
di ,  che  della  prima  ancor  ci  rimangono.  Avremmo 
anche  un'  altro  console  Vicerio  Alariano  collega  di 
L.  Maecio  Postumo ,  che  sarebbe  stato  surrogato  fra 
I'SjI  e  rSoG,  se  potesse  assicurarsi  che  la  gente  Vi- 
ceria  conosciuta  per  altre  pietre  fosse  slata  la  stessa 
che  la  Viciria  ;  e  molto  più  se  potesse  prestarsi  piena 
fede  alla  lapide  Spagnuola,  per  lo  meno  scorrettissi- 
ma, da  cui  proviene,  riferita  dal  Grutero  p.  321.  10, 
ed  accusata  di  falsità  dal  Maffei  A.  C.  L.  p.  319,  non 
sapendo  se  basti  a  difenderla  la  correzione  proposta 
dal  Marini  (Arv.  p.  1G4),  mentre  resta  sempre  so- 
spetto il  nome  dell'Imp.  Traiano,  il  quale  non  si  ve- 
de cosa  stia  a  fare  in  quel  luogo.  Del  resto  può  affer- 
marsi che  la  casa  dei  Vicini  fu  propria  di  codeste  re- 
gioni ,  perchè  a  riserva  di  due  liloletti  insignificanti 
dell' Etruria  (Murai.  869.  7,  e  1601.  3)  quanti  altri 
marmi  conosco  in  cui  si  fa  memoria  di  lei,  incomin- 
ciando dalla  notissima  Viciria  Archis  madre  del  Pro- 
console Nonio  Balbo ,  provengono  tutti  dal  regno  di 
Napoli,  0  almeno  da  paesi  limitrofi.» 

Ml.NEnVLNI. 


Tavola  aquaria  Venafrana  :  continuazione  del  num. 
precedente. 

Or  che  è  saputo  essere  questo  un  decreto  dettato 
da  Augusto,  non  avrà  più  luogo  la  dimanda,  se  deb- 
ba tenersi  come  lavoro  dei  decurioni  di  Venafro  ;  sì 
bene  resta  di  soddisfare  ad  una  ragionevole  questio- 
ne ,  che  ci  si  potrebbe  proporre  intorno  alla  natura 
del  dettalo  ,  se  debba  stimarsi  originale  ,  o  copia  di 
alcun  altro  anteriore,  e  se  trattalo  piano  e  completo, 
ovvero  un  estratto  di  articoli  da  un  corpo  di  leggi.  E 


quanto  al  primo  ,  non  ci  è  permesso  ignorare  esserci 
molto  innanzi  dettate  leggi  in  Roma  intorno  alla  con- 
dona e  distribuzione  delle  acque;  disposizioni  ante- 
riori ricorda  ancora  Frontino ,  ma  un  corpo  di  le^-^'i 
raccolte  dai  senafusconsuUi,  non  vien  citato  da  verjn 
antico  scrittore.  Anche  dopo  il  728  bisognando  a  Ro- 
ma rimettere  in  vigore  ,  o  determinar  meglio  ,  e  più 
propriamente,  le  ordinazioni  già  prescritte ,  si  usò  di 
proporre  in  senato  alla  sanzione  quando  una,  e  quan- 
do un'altra  disposizione.  Riguardo  al  secondo  que- 
sito, molto  ragionevolmente  si  terrà  che  questo  decreto 
sia  un  estratto  delle  migliori  leggi  romane,  e  ce  ne  dà 
argomento  un  luogo  di  Frontino  ,  ove  assicura  ,  che 
egli  non  trova  costituito  alcuna  cosa  intorno  alle  ac- 
que dei  municipii ,  ma  che  di  fatto  vi  si  teneva  una 
regola  uniforme  e  costante,  non  altrimenti  che  se  fos- 
sero state  fatte  le  leggi  da  ciò:  De  aquainpraediaso- 
cionim  data,  nihil  constitutum  inverno;  perinde  tamen 
obsei-vatur,  ac  iure  cautwn  (art.  109).  Or  questo  non 
poteva  altrimenti  acca  dere,  che  applicandovi  le  leggi 
romane  regolatrici  delle  acque,  e  degli  acquidolti. 
Però  in  questa  redazione  osservasi  talvolta  un  andar 
contorto,  e  sintassi  priva  dei  convenienti  suoi  membri, 
e  tal  altra  anche  difficile  a  scusarsi  d'errore,  siccome 
si  farà  vedere  a  suo  luogo. 

Eccone  intanto  la  intera  trascrizione  in  carattere 
minuscolo,  onde  agevolarne  la  lettura  anche  a  coloro, 
che  non  hanno  uso  di  ricavarla  dall'apografo. 

Decretum  Imp.  Caesaris  Augusti  de  Aquae  duclu 
I  Colonorum.  Coloniae.  luliae.  Venafri.  Imperatore. 
Caesare.  Octavum.  Tito.  Slatilio.  Tauro.  ilerv.m.  con- 
sulibus.  I 

i.  Aquae  rivos,  ductus,  qui  in  rura  colonorum  la- 
buntur,  Duumvirum  /  iuri  dicundo,  Praefectoruni  Co- 
loniae permissii  fluant  :  ncminem,  colonorum  /  vena- 
franorum,  vel  qui  Coloniae  municipes,  caducam  du- 
cere placet. 

2.  Duumviri,  Qualuorviri  Aquarum ,  o:,lium  in 
aquae  duclu,  qui  per  millia  paisuum  novem  in  oppi- 
dum  vcnafranorum  tendii ,  ne  aperiant  ;  colonis  ve- 
na franis,  cive  qui  colonorum/  venafranonm  nomine, 
erogari,  adtribui,  aliove  quo  modo  dari  non  placet. 

3.  Qui  rivi ,  specu$,  saepla,  fontes,  pulci,  hcusque, 


—  40 


aquae  ducendae,  refìcitindae  /causa,  supra  infraveli- 
bram,  recle  acdificali ,  structi  sunt ,  sive  quod /  aliut 
opus  eiiis  aquae  ducendae,  reficiundae  causa ,  supra  in- 
frave  libram,  /factum  est,  uli  quidquid  carum  rerum 
factum  est  ila  esse,  hahere,  et  aquas  /  rcpcerc,  repone- 
re,  restiluere,  rcsarcire ,  semel,  saepius,  /islulas,  cana- 
ìes ,  /  (ubos  ponere ,  aperluram  commiltcre ,  sive  quid 
aliul  eius  aquae  ducen/  dae  causa  opus  eril  facere  ei 
agro;  dum  qui  locus  ager  in  fundo,  qui  /  Quinti  Sci- 
(jnii  Ludi  fila  Terentina  Mulae  dicitur ,  el  in  fundo, 
qui  Ludi  Pompdi  Manii  fiìii  Terentina  Suììae  /  est , 
esseve  dicitur ,  maceria  saejìlus  est ,  per  quem  locum  , 
subve  quo  loco  /  specus  eius  aquae  iter  init,  ni  ea  ma- 
ceria, parsve  quae  eius  maceriae  /  al  iter  diruatur,  mo- 
vealur ,  quam  specus  reficiundi,  aul  inspiciandi  cau-  j 
sa  familia  aquaria  caverit ,  quo  minus  ea  aqua  ire , 
fluere,  ducive  possil  /  quo  velini  ;  cuius  rei  causa,  dex- 
ira ,  sinistraque  circa  eum  rivom,  circaque/  eam  ma- 
reriam ,  quae  aquae  ducendae  causa  facta  sunt ,  oclo- 
nos  pedes  agrum  /vacuum  esse  placet,  per  quem  locum 
venafranis ,  cive  qui  venafranorum  /  col onorum  no- 
mine, iter  facere  eius  aquae  ducendae,  operumque  eius 
aquae  /  ductus  fadendorwn  ,  refìcicndorum ,  quod  eius 
sine  dolo  malo  fiat,  iui  sii,  licealque  /  Quae  quae  aquae 
earum ,  cuius  facicndae ,  re/iciendae  causa  opus  erunl , 
quo  /  proxume  poterit ,  advehere ,  adferre ,  adporla- 
ìc,  quaeque  inde  exempla  erunl /  quam  maxime  ahs 
agri  dextra  ,  sinistraque  pedibus  odo  iacere  ;  dmn  ob 
eas  res  damni  I  infecli  ius  dari  promittatur ,  earum- 
que  rerum  omnium  ita  ei  agendarum  /  Duumviris  ve- 
nafranis  ius  poleslaleìnque  esse  placet  ;  dum  ne  ob  id 
opus  fons  Mi  I  nuciorum,  ctiius  agri,  locive,  ])€r  quem 
agrum,  locumve,  ea  aqua,  is  aquae  /  ductus  se  feri,  in- 
vius  fiat ,  neve  quis  dolo  malo  opus  minus  ex  agro  suo 
in  parlem  agri  /  quam  iransire ,  transferre,  Iransvertcre 
recle  possit  :  neve  qui  eorum ,  per  quo  /  rum  agros  ea 
aqua  ducitur,  eum  aquae  duclum  corrumpere,  abducc- 
r? ,  aver  lieve ,  facereve  quoniinus  ea  aqua  in  oppidian 
venafranorum  rccie  duci  fluere  possit,  liceat. 


4.  Quaeque  aqua  in  oppidum  venafranorum  it , 
fluii,  ducitur,  eam  aquam/  distribuere,  discribere  ven- 
dundi  causa,  aul  ci  rei  vectigal  imponere,  consti  /  tuere 
Duumviro,  Duumviris,  Praefeclo,  Praefeclis  eius  Co- 
loniae  ex  maioris  parlis  decufi/  onum  decreto ,  quod 
decretum  ila  factum  eril,  eum  in  decurionibus  non 
I  minus  quam  duae  partes  decurionum  adfuerint ,  le- 
gemque  ei  dicere  ex/  decreto  decurionum,  quod  ila  ut 
supra  scriptum  est ,  decretum  erit ,  ius ,  pò  /  testatemve 
esse  placet  ;  dum  ne  ea  aqua ,  quae  ita  distributa ,  di- 
scripla,  deve  qua/  ila  decretum  eril,  aliler  quam  fislu- 
lis  plumbcis  dumlaxal  ab  rivo  pedibus  quinqttagin- 
ta  ducatur  ;  neve  /  eae  fistulae,  aul  rivos,  nisi  sub  ter- 
ra ,  quae  terra  itineris  viae  publicae,  limi/  tisve  erit , 
ponantur,  conlocenlur  ;  neve  ea  aqua  per  locum priva- 
tum  invito  co ,  cuius  is  locus  eril ,  ducalur  ;  quamque 
legem  ei  aquae  tuendae,  ope  /  ribitsve,  quae  eius  aquae 
ductus ,  ususve  causa  facta  sunt,  erunt,  luendis, .  . .  in 
decreto ,  cpiod  ita,  ut  supra  scriptum  est ,  factum  erit, 
dixerinl  /  ila  caulum,  ius  polestalemque  esse  placet. 

nuntiare  .  .  ab  humo  ducanl  lem . . .  /  agi ,  tunc  aliut 
iter  factum  ad  eam  aquam  pruder  quam  faciundae , 
re  /  ficiundac  causa  quibus  venafran.  ordinarios  pa- 
tronos,  qui  boni  /  denl  :  ob  quas  causas  dum  taxat  se- 
slerlios  decem  mille  dabunt  in  aerarium,  qualuorvirum 
iudicio;/dcque  viginli  duabus  fislulis  aquas  colonis  co- 
loniae  venafranae  vacivas,  aul  ca  /  ducas ,  quas  addi- 
cent,  quominus  rcieclio,  quam  colono,  aul  incolae  face- 
re /licei  . . .  eum  eo  qui  ex  hac  lege  erit,  factum  ita,  ut 
supra  scriptum  est,  dum  crini  aptit  quem)  agilum  da- 
lum  eril ,  agcnl,  eum  ,  qui  inter  civis  et  peregrinos  ius 
dicet,  iudicium  I  reciperatorium  in  singulas  res  sester- 
lios  decem  mille  reddere,  testibus ,  qui  dum  taxat  de- 
cem, dcnun  /  tiandis,  iudicari placet; dum  reciperalorum 
reiedio  inter  eum  qui  aget,  el  /  eum  quoeum  agetur  ila 
fìeft  itti  ex  lege  qjuae  de  iudiciis  privatis  lata  est/li- 
ccbit,  oportebit. 

(continua)  Garrucci. 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.g. 
Giulio  Mi>ervini  —Editori. 


Tipografa  di  Giuseppe  Càtaneo. 


BllLETTINO  ARCHEOLOGICO  IVAPOLITWO. 


NUOVA    SERIE 


N.o  6. 


Settembre  1852. 


Due  Iscrizioni  fremane  di  Pennaluce.  —  Osservazioni  sulle  monete  di  Napoli  colla  proiome  del  Sebeto. 

Giunta  alle  osservazioni  sid  vaso  di  Oritia. 


Due  Iscrizioni  frentane  di  Pennaluce. 

Il  museo  del  Vaslo  formatosi  con  rara  generosità 
di  libere  e  gratuite  cessioni  dei  proprielarii  per  lode- 
volissimo  consiglio  del  sig.  D.  Luigi  Marcliesani,  au- 
tore ben  noto  di  un'accuratissima  storia  di  quella  Cit- 
tà ,  ha  di  recente  avuto  in  dono  due  rare  tavolette  di 
bronzo  dalle  terre  di  Pennaluce.  Sono  scritte  ambe- 
due in  carattere  sannitico,  ma  di  forma  non  comunis- 
sima,  e  di  dettato  importante  assai,  contenendo  quasi 
ogni  parola  una  novità.  Ecco  la  lettura,  e  la  interpre- 
tazione della  prima  (Tav.  III.  n.  2), 

DRR>«^liqRVB  -^RR)! 

18V«^mTBV.ÌiaHD 

TTBn«(]V^iH3>l 

Calavio  Osidio  (figliuol  di)  Gavio 
Vibio  Ottavio  ffigliuol  dì)  Ofdio 
Censori  anno  aperto .... 

Primo  pregio  di  questo  bronzo  è ,  che  da  esso  ci 
venga  tutto  intero  l'alfabeto  eccetto  la  W,  lo  che  cer- 
tamente  in  monumenti  di  sì  piccioia  mole  non  potrà 
.  spesso  accadere.  La  paleografia  qui  è  notevole  per 
la  seconda  forma  dell"  R  assai  rara  ,  per  la  maniera 
con  che  è  cavato  1'  8  ed  il  ^ ,  per  la  i  non  veduta  fi- 
nora ,  e  per  un  secondo  esempio  dei  due  li  legati  a 
traverso  H.  Il  primo  Censore  chiamasi  Caal.  Hiisi- 
diis.  Altro  nome  osco  che  cominci  colla  sillaba  Cai, 
non  può  aver  maggior  dritto  di  Calavio ,  Caluvìo ,  e 
Calinio  a,  compier  questa  voce.  Scelgo  Calavio  come 

JNNO    I. 


più  solenne,  ed  osservo,  che  in  ogni  caso,  egli  è  nuo- 
vo r  uso  che  se  ne  fa  qui  di  nome  personale.  Nella 
linea  seguente  vedremo  anche  Ofdio  ,  star  per  nome 
proprio  del  padre  di  Vibio  Ottavio.  Laonde  si  diman- 
derebbe giustamente,  se  i  popoli  italici  di  razza  san- 
nitica  abbiano  universalmente  usato  veri  prenomi , 
come  i  Romani;  cioè  nomi  distintivi  delle  persone  tra 
di  loro  di  forma,  e  di  uso  particolare;  o  non  piutto- 
sto abbiano  la  più  parte  portali  due  nomi,  togliendo- 
ne uno  dal  padre,  e  l'altro  a  scella.  Gli  esempii  dei 
creduti  prenomi  sono  ora  mulli|)licali  in  guisa  ,  che 
la  vincono  quasi  al  confronto  dei  nomi,  lo  che  parmi 
segno  manifesto  da  riconoscere  l' errore.  Confrontisi 
per  esempio  Pupdiis  Slenis  (  Mom.  die  Unter.  Dial. 
p.  189),  e  Stenis  Calinis{ìd.  p.  193)  Z.  Ilurliis 
Cm  (id.  174)  e  Cm  Babbiis  (id.  177),  Pc.  De.  Pe 
(id  p.  171.),  e  De  Slatiis  {id  173),  Dee.  Tre  (id. 
18.t),  Ni.  Pupd  (  18'0,  e  Tanas  Niumeriis  (173), 
Ocius  Calavius  (Liv.  IX.  26)  e  ^IDV  •  A  in  Pompei 
di  mia  lettura  (il  Mom.  Taf.  XI.  29  e  legge  3V«A) 
Percen  Gaaviis  (  Mom.  XV  )  e  Gaaviis  Hùsidiis  qui 
medesimo.  Quali  di  questi  debbano  riputarsi  preno- 
mi di  lor  natura ,  io  non  so  dirlo.  Per  lo  contrario 
nella  Italia  primitiva  non  mancano  esempii  di  questo 
costume ,  e  con  due  nomi  si  appellano  Metius  Fufe- 
tiìis  Albano,  ed  Octavius  Maìnilius  di  Tuscolo ,  Mo- 
dius  Fabidius  Sabino  di  Curi,  Tullius  HosliUmùìMc 
duUia  ,  Attius  Tullius  Re  Volsco,  Mamurius  Veturius 
nei  carmi  Saliari ,  Gellius  Egnatius,  e  Gellius  Staiius 
Sanniti,  Pontius  Cominius,  ed  Arcius  Navius  Roma- 
ni, Laevius  Cispius  di  Anagni,  Vavcius  Vitruiius  Ge- 
nerale di  Fondi ,  e  di  Piiverno,  Vettius  Messius  \'ol- 


42  — 


SCO  ,  Novim  Plauiius  forse  Latino  ,  Dindia  Macoì- 
nia  di  Palestina,  Egnalius  Mecennim  dei  tempi  stessi 
di  Romolo,  e  Mammins  Velurius  di  Numa,  Dionigi 
d'Alicaruasso  ne  insegna  a  riconoscere  nei  nomi  5e/-- 
vius,  Naevius,  e  Lucius  un  Trp'-.sriyopixòv  t'ycixx,  ed  in 
TuUius,  Auim,  e  Tarquiiùus  im  auyysyix'A,  x%)  ttcì- 
fTfuiwixrAv  (Dion.A.R.III  65).  Così  portava  due  nomi 
Miui  Ascanius  ed  Egciius  Tarquinius  figlio  di  Arum 
Tarqutnhis,  così  Meltius  Curtius.Cìò  non  ostante, Feste 
notò  elle  Talus  in  Latinorum  nominibus  pracnominis 
loco  faisse  videlur  (FestusQu.XVI.  I  .ed.Miiller.il  quale 
ricorda  opportunamente  il  TctXXos  Trpctvvos  di  Sabina 
compagno  di  Tazio  appresso  Dionigi  L.  II.  46),  il  Ma- 
mcrcus  Ira  gli  Osci  (  L.  XII.p.  1 30  Miiller),  ed  il  Manius 
in  Ariccia  (id.  s.  v,  cf.  Jahn  ad  Persii  Sai.  VL  p.  22o), 
Vanone  il  Crepuscus  di  Amiterno (L.  L.  VI.  7).  Pare 
quindi ,  che  si  debba  star  cauli  ad  ammettere  trai 
prenomi, quanti  nomi  si  veggono  tenerne  il  luogo;  per- 
chè v'  ebbe  un  altro  modo  di  denominarsi  trai  popo- 
li italici.  Onde  parmì  questo  costume  del  y.otviv  òycix% 
si  venisse  a  poco  a  poco  a  distendere ,  preudendo  il 
luogo  del  TrpoffYiyopixóv  più  vetusto. 

Questi  piccoli  schizzi  gettati  così,  come  si  suole  in 
articoli  di  questa  natura  ,  daranno  ,  spero  ,  luogo  a 
più  mature  considerazioni ,  onde  diminuire  i  pregiu- 
dizii  intorno  alla  regolarità  dei  nomi  e  prenomi  nella 
Jingua  segnatamente  Osca,  eSannitica.  Tornando  ora 
alia  nostra  tavola;  il  nome  Caal  leggesi  scritto  con  due 
R,  come  HnRRn  e  ill)l)IRRm  sulle  monete,  ^IDRR> 
qui  stesso,  e  nella  lapida  di  Nola  (Mom.  Unt.  Dial. 
p.  178.  ).  Aggiugnesi  poi  il  secondo  nome  Hosidio. 
Questa  gente  elevossi  in  Roma  sol  negli  ultimi  tempi 
della  Republica,  ricordando  Appiano  (B.C.  p.  613), 
e  Diodoro  (p.  498.  Vessel.)  un  //osidt»s  Ce^a  salvato 
dal  figlio  al  tempo  delle  proscrizioni  di  Siila ,  e  i  fa- 
.sti  consolari  il  Cneus  Hosidius  Gela  all'  801  consorte 
di  Lucio  Vagellio.  Potevasi  quindi  sospettare  la  sua 
origine  straniera,  ed  ora  ci  viene  un  buon  argomento 
da  riputarla  Sannitica  ,  e  Frentana.  Il  Vasto  ci  ha 
dato  alcuni  Osidii ,  un  Q.  Hoddio  Al. .  è  nella  rac- 
colta del  Momm.  (/.  N.  5268.  num.  86.)  un  C. 
Hosidio  C. . .  con  Ire  suoi  Uberli  ho  copiato  io  me- 
desimo nel  musco  del  Vasto  , 


V  C  HOSIDIO  C  •  • 

veTeran • • 
c  hosidivs  •  c  •  l- 
patrono  •  et  •  sir/ 
etchosidio  clisi 

IIOSIDIAE  0  FAVSTae 
In  altra  lapida  ricorre  la  memoria  di  un  altro  C. 
Hosidio  a  cui  una  Calavia  pone  il  monumento , 

D 
C  •  HOSI  •  • 
CALAVIA  •  • 
Ed  in  fine  son  ricordati  in  altra  pietra  (Ilosi)dio  Ne- 
pole  a  cui  il  figlio  Ti.  Hosidio  Massimo  ed  Hosidia 
Afiodisia   moglie   pongono  la   memoria   sepolcrale 
(Momm.  /.  A'^.  num.  5268).  Questo  Calavio  Hosidio 
era  figliuolo  di  Gavio,  il  qual  nome  leggesi  distesa- 
mente scritto  anclie  nella  lapida  di  Numsio  Erennio 
citata  più  sopra.  I  nomi  cominciano  a  significarsi  con 
parole  tronche,  e  finalmente  con  sigle,  quando  son 
passati  neir  uso  generale  a  farla  da  prenomi. 

La  mancanza  di  abbreviazioni,  e  di  sigle  dimostra 
generalmente  una  maggiore  antichità  del  monumento. 
Se  la  sigla  >  delle  monete  di  Papio  Mutilo  debba  in- 
terpretarsi, come  fa  il  Mommsen  Gavius,  io  non  de- 
finisco. Ben  parmi  non  esser  sicuro  affatto ,  che  Ca- 
ius  o  Gaius  come  si  legge  nei  cenotafii  Pisani  (  v.  le 
osservazioni  del  Noris  T.  IL  p.  183,  184,  MùUerad 
Fcslumi».  95  Osann, cxcurs.  /.  ad  Cic.  deRep.)&ia  l'e- 
quivalente di  Gavius,  specialmente  se  deve  tenersi 
maggior  conto  della  interpretazione  accennata  da  Plu- 
tarco [Quacsl.  Rom.c.SO),  e  bene  sviluppata  dal  Furia- 
netto  {Lap.  d'Eslepa^.  68),  che  della  etimologia  poco 
soddisfacente  dell'Autore  de  Nominibus,  che  tal  nome 
deriva  a  gaudio  Parenlum  (  L.  X.  Valerli  Maximi  ). 

Nella  seconda  linea  è  nominato  Vibio  Ottavio  fi- 
ghuol  di  Ofdio  ,  i  quali  nomi  crescono  di  mollo  la  . 
importanza  del  monumento.  Perocché  per  comincia- 
re da  Viibis,  chiunque  ha  letto  la  nota  posta  alla  pa- 
gina 25,  e  26  del  primo  fascicolo  del  Tempio  di  Iside, 
avrà  rilevato  quindi,  che  il  V  passato  nella  categoria, 
dei  prenomi  per  le  città  italiche  già  romane ,  non 
aveva  finora  verun  confronto,  che  ne  assicurasse  del- 
la interpretazione  Yihius ,  o  Vibus  proposta  già  dal 


^3  - 


Borghesi  [Suovi  Fram.  dì  Fasti  parte  l.p.  83.).  Che 
assai  bene  siasi  apposto  quel  sommo,  forse  Io  proverà 
questo  bronzo  :  almeno  rileveremo,  che  il  ì'iftus  del 
prof.  Mommsen  [Unler.  Dial.  p.  2G0)  non  può  aver 
luogo  fra  le  conghietture  felici.  Ma  nel  ^0H3  gua- 
dagnansi  ancora  due  altre  novità.  Perocché  i  due  II 
vi  son  congiunti  da  una  Irasversa  appunto  come  sul- 
la moneta  di  Alife  leggesi  AH8HA ,  e  1'  I  vedesi 
sormontato  da  un  punto  ì ,  che  niuno  in  altri  monu- 
menti aveva  sinora  fatto  rilevare.  A  determinare  il 
valore  di  tal  nuova  cifra  fa  duopo  rappresentarsi,  che 
naturalmente  il  nominativo  avrebbe  dovuto  finire  in 
^11 ,  alla  qual  forma  corrispondente  all'  IVS  dei  La- 
lini  vedesi  talvolta  sostituito  un  ^1 ,  siccome  qui  in 
Octavis.  Quindi  può  dedursi  che  doppia  ne  era  la  pro- 
nunzia in  es,  ed  in  is;  e  perchè  alcuno  non  stimi  que- 
sta ^I  un'imperfezione,  o  varietà  ortografica ,  ricor- 
do ,  che  queste  desinenze  in  ^1  ripetonsi  su  leggende 
latine ,  ove  non  può  esser  dubbio  il  suono  dell'  ^1 
osco.  Nella  mia  Storia  d'Isernia  a  p.  186  feci  uso  di 
questa  osservazione  citandone  gli  esempi  dai  vasellini 
di  S.  Cesario  trascritti  dal  Baldini  [sag.  deU'xicc.  Cor- 
ion. T.  I.  diss.  8),  al  quale  aggiusta  fede  il  Q.  CAE- 
CILIS,  l'HlMlNIS,  il  M.  SIICTILIS  ,  il  T.  TVSA- 
NIS  del  Chircheriano ,  copiali  da  me,  e  prima,  seb- 
bene non  esattamente,  dal  Lupi  {Epit.  S.  Severae  pa- 
gina 89,  93). 

Quanto  all'  I ,  alcuno  non  ha  notato  ancora  questa 
singolarità  paleografica  ,  tultocchè  non  sia  questo  il 
primo  monumento ,  che  la  mostri.  La  celebre  tavola 
di  Crecchie  ne  ha  di  quelli  che  somigliano  al  nostro 
fra  i  diversi,  a  cui  riunisce  un  punto  in  quell'alfabeto 
or  da  un  Iato,  or  da  due,  or  da  una  estremità,  or  da 
ambedue.  Nella  voce  J-nW  ,  in  irKEJ,  ENEi ,  in 
VI3A-l-n,  in  ^3liV|^,  se  ne  veggono  le  forme  non  me- 
'  no  di  sei,  e  sono  !•  i  !  ì*  I  •!•  degne  di  paragonarsi  alle 
dieci  forme  diverse  di  Y  riconosciute  nell'alfabeto  Li- 
cio.  Né  ciò  paia  strano;  peroccliè  anche  nella  pronun- 
zia romana  trovavano  i  Grammatici  non  meno  di  sei 
suoni  della  L  Prisciano  scrive,  (p. 559. Putsch.): /e<r 
vocales  quando  medìae  sunt  àlternos  inter  se  sonos  vi- 
dentur  confundere,  teste  Donato  ut  VIR,  OPTIMVS. 
Et  I  quidem  quando  poH  V  consonantem  loco  digam- 


ma fmictam  aeoìici  ponitur  brei'is  sequente  D ,  tei  M, 
vel  R,  rei  T,  rei  X,  ^onum  Y  Graecc  videlur  habere, 

ut  VIDEO,  1  /.»/,  vinns.  yirivM,  rix.  (cf. 

Vello  Longo  De  Orthogr.  22 IC).  Quintiliano  distin- 
gue la  I  lunga,  la  breve,  e  la  consonante,  ai  quali  cin- 
que suoni  aggiunge  il  suono  medio  tra  la  E ,  e  la  I  , 
quando  neque  E  j>lane  ,  ncque  I  auditur  (  Quint. 
//i,s/.  Orai.  L.  l.  cap.  IV.).  Quello,  che  non  mi  so 
spiegare  è ,  come  non  sia  stato  osservato  questo  se- 
gno ,  non  dico  già  nella  scrittura  della  pietra  di 
Crecfhio  ,  dove  mancò  solo  di  essere  inleso  ,  ma 
nella  gran  tavola  del  Giove  Libero  diFurfone  (Moni, 
num.  6011  ),  ove  non  meno  di  trentasei  I  veggon- 
si  sormontali  dai  punti  !  ben  degni  perciò  di  venire 
a  confronto  del  novello  bronzo  di  Penne ,  non  meno 
che  della  iscrizione  di  Fiume  da  tanto  tempo  trascrit- 
ta e  pubblicata  dal  p.  Zaccaria  [Instit,  Lapid.  L.  II. 
e.  XL  p.  281.  Venezia.) 

C  •  LiViO  •  C  •  F  •  SERG.   

CLEMENTI  •  MiL  •  COH  •  Vili 
PR  •  >  •  C  •  MARCI  •  GEMELLiXi 
LiViVS-OBSEQVESLiB 
VF- 
Al  bronzo  di  Penne  fa  buon  confronto  la  sannitica 
moneta  di  Hyrium ,  ove  l' Avellino  aveva  notato  un 
I  contrassegTiato  dal  punto  sottoposto  [in  Carelli  tah. 
p.  31.  Lipsiae  ed.  Caved.  ),  che  in  un  altro  esempla- 
re, tenuto  da  me  solt'occhio  ora  che  scrivo ,  è  invece 
notato  di  sopra  AHIQY.  Segue  al  prenome  ^iIIH3  il 
nome  ^DRTBV  con  novità  di  non  minore  impor- 
tanza. Perocché  trovo  la  prima  testimonianza  della 
gente  Octavia  fra  i  Sanniti  Frentani  che  si  sapeva  fi- 
nora Volsca  in  Velletri  (Suet.  Aug.  e.  1.  2),  Latina 
in  Frascati  (Liv.  1.  49  cf.  10,  41),  Etrusca  in  Pe- 
rugia (Vermiglioli.  Imcr.  Perug.  p.  7472,  182, 
267);  tra  i  quali  ultimi  ricorre  collo  scambio  del  >l  in 
a,  come  appunto  nella  nostra.  Lo  che  veggo  tornare 
a  buona  conferma  del  ^3IBaRHH ,  e  del  ^laiBROFJW 
(  Momm.  Unt.  Dial.  Taf.  XIII.  47  ) ,  da  me  in- 
terpretato Marcius  ,  Marcii  (  Osservaz.  intorno  ad 
una  Iscr.  Osca.  p.  6  ,  7).  Dopo  ì'Octavius  sison  sal- 
vati gli  avanzi  del  oome  paterno  ,  che  io  credo  Of- 
dius ,  e  me  ne  dà  l' unico  riscontro  la  lapida  di  Col- 


lellara  (Giovenazzi  Accia  XXXIV,  3  Momm.  I.  N. 
n.  5763  ) ,  nella  quale  è  L.  OFDIVS.  L.F.  PET.N. 
11  Giovenazzi  Io  ha  paragonato  il  primo  con  Ofidius, 
ed  Aufulius,  e  stimo  che  a  ragione  riguardo  al  pri- 
mo. So  che  altri  si  allontana  da  questa  opinione,  ma 
io  leggo  nella  lapida  forse  Puteolana  del  Museo  Spi- 
nelli : 

MVINICIVSML- 
GAHA 

MVINCIVSML. 
KAIETTANVS  VIXANXV 

MVINCIVSML  FELIX 
La  copia  del  Guarini,  e  quindi  del  Mommsen  (  n. 
3437)  malamente  trascrive  per  tutto  VINICIVS.  Pa- 
ragono il  Vestricio  di  un  anello  trovato  probabil- 
mente in  Capri  nel  1808,  T.  VESTRICI  APHNI, 
col  hVH>ll(]IT^33  del  cippo  Avellano ,  poi  Obdius 
con  OhiJius ,  Numsius  con  Numisius  ,  Caldius  con 
Calidius,  Vtcrius  con  Vicirius,  Decrius  con  Decirius, 
Cainius  (da  monumento  inedito)  con  Casinius,  e  mi 
parvero,  che  si  usava  talvolta  questa  sincope.  Qualche 
ripugnanza  sol  trovo  di  accomodarmi  a  creder  lo  stes- 
so Ofdius  ed  Ovidius ;  tullocchè  non  ignori  lo  scam- 
bio della  F  in  8,  che  sulla  moneta  di  Nocera  è  solenne, 
leggendosi  ^HVkl(BTR8R^fq  ,  ed  WVH(BTmR^R. 
Segue  il  piccolo  bronzo  a  regalarci  nella  parola 
QV^lH3)i  altre  novità  rilevantissime. 

Fino  alla  scoperta  della  colonnetta  di  Macchia  vi- 
cino ad  Agnone  [Bull.  Nap.  IV.  71),  il  i  era  occor- 
so solo  nelle  monete  della  guerra  Sociale ,  messovi 
però  in  segno  numerico,  siccome  lo  Y,  del  quale  non 
si  hanno  ancora  riscontri  d'uso  alfabetico.  Laonde  il 
Mommsen  dubitò  di  ammetterlo  nell'  alfabeto  usuale 
(  Bull.  Nap.  V.  p.  44  ) ,  non  bastando  a  farvelo  acco- 
gliere l'uso  che  ivi  se  ne  fa  di  sigla  prenominale,  sic- 
come ai  K  latino  ,  die'  egli ,  non  fu  sufficiente  servire 
al  prenome  Kaeso,  onde  entrasse  nei  dritti  di  lettera 
alfabetica  Latina.  Dunque  sicuri  finalmente  dell'indo- 
le di  questo  elemento,  vediamo  di  definirne  l'uso  pri- 
mitivo. Gli  alfabeti  danno  al  zeta  un  valore  di  sibilan- 
te ,  ma  non  di  doppia.  Questo  suono  non  mancò  agli 
Etruschi ,  non  ai  Greci  italioti ,  non  ai  Messapi ,  e  lo 
rilevo  ancora  nei  graffiti  sui  fondi  di  vasi  dei  sepolcri 


Campani ,  e  su  di  una  parete  pompeiana  ,  che  dici- 
frerò in  altro  luogo.  I  Romani,  a  giudizio  dei  Gram- 
matici, tardi  lo  adottarono,  ma  la  testimonianza  di 
Vello  Longo ,  che  lo  aveva  trovato  nei  carmi  Salia- 
ri ,  prova  che  l' alfabeto  con  che  erano  scritti ,  non 
era  ancora  Romano.  Da  questo  lato  la  questione  in- 
torno alla  origine  del  ^  non  riguarderebbe  più  la  for- 
ma materiale  dell'elemento,  sibbene  l'impiego  che  se 
ne  faceva  in  quei  primi  tempi. 

Se  Medenùus  fu  l'antico  nome  di  Mezmtius  (Pri- 
scian.  L.  1.  cap.  ult.  551.  Putsch.),  per  lo  contrario 
Giove  che  nell'antica  lingua  del  Lazio  fu  scritto  DIO- 
VE  (  Creili  n.  1287.  Bull.  InslH.  18l6.  p.  90.  Quin- 
til.  Inst.  Orai.  I.  e.  IV.  ) ,  in  un  singoiar  contrapeso 
di  telaro  del  Chircheriano  tuttavia  inedito  ,  è  ZIOVI. 
Nella  lingua  Arabica  è  un  suono  di  dentale  sibilante , 
che  potrebbe  dare  qualche  idea  della  pronunzia  del 
Zelha  primitivo  di  questi  popoli  italici  ;  non  è  un  S 
né  un  D  chiaro,  ma  un  suono  medio  tra  l'uno  e  l'al- 
tro (dtha).  A  dir  preciso  è  un  D  aspirato  ,  al  quale 
i  Sanniti  Frentani  aggiungono  1'  ^,  come  i  Greci  anti- 
chi, dopo  inventate  le  cifre  S  e  Y  scrivono  X^  e  0^. 
Adunque  QV^HB)!  è  lo  stesso  che  CENZOR,  sicco- 
me COJA.eCOZA,  MALIES  e  MALIEZA  sulle  mo- 
nete. La  lingua  Sannitica  fra  i  Lucani  pronunzia  CEN- 
STUR ,  tuttocchè  facciasi  grande  inpiego  del  Z  per  S 
in  parecchi  vocaboli  della  tavola  Bantina.  Ciascuno 
sarebbesi  aspettato  un  plurale  in  luogo  di  (lV^lH3)l 
come  ^I3)il^3m ,  nondimeno  la  forma  più  frequen- 
te di  questo  plurale  è  MEDIJ  pel  bronzo  di  Anti- 
no  ,  ^^IR^Sm  nella  lapida  Nolana  (  Momm.  Unt. 
Dial.  p.  178) ,  MEAAEIS  nella  Mamertina  (Mora. 
op.  cit.  p.  193.).  Dell'ultimo  vocabolo  di  tutta  la  leg- 
genda ci  è  rimasta  la  prima  parte  nelle  quattro  lettere 
TTRn.  Stando  al  paragone  di  ^H3TRn  sul  cippo  no- 
lano, il  senso  del  quale  non  può  esser  controverso ,  e 
di  hRHRTRn  del  bronzo  di  Agnone ,  parmi  assai 
verosimile,  che  il  nuovo  vocabolo  debba  avere  quel 
medesimo  senso  causativo,  corrispondente  alla  forma 
Hiphil  degli  Ebrei,  e  che  i  Latini  diedero  appunto  alla 
voce  Palare  {  =  facere  ut  quid  pateat) ,  Aperire.  Se 
altri  coll'esempio  di  Pelora  (=.qualuor=rirofoC)  osco 
slima  derivarlo  dal  greco  TrorTw  (  =  7raWw)  figo , 


—  45  — 


troverebbe  come  conforfar  la  sua  opinione  nel  dida- 
lorio  figere  ;  ma  nei  due  casi  tal  vocabolo  non  dovreb- 
be molto  allontanarsi  dalla  desinenza  plurale  in  ^H3, 
onde  a  parer  mio,  l' intera  voce  sarebbe  ^H3TTRn. 


Il  frammento  di  bronzo  del  u.  3.  T.  III.  scritto  da 
ambedue  le  facce  viene  dalle  stesse  terre  diPennaiii- 
ce.  Le  due  parole  intere ,  cliè  non  fa  luogo  tentare 
le  monche,  WW>I|-I  ed  ^3^QV  fanno  sospettare 
un  registro  di  paghi ,  o  villaggi  e  forse  anche  città. 
Acca,  Ursae  ed  Ursenhim,  queWa  tra  gì' Irpini,  queste 
nei  Brutti]  potrebbero  giovare  al  paragone. 

Garricci. 


Osservazioni  sulle  monete  di  Napoli  colla  protome 
del  Scbelo. 

È  veramente  classica  la  scoperta  del  mio  eh.  col- 
lega P.  Garrucci ,  il  quale  riconobbe  per  la  prima 
volta  il  nome  del  Sebeto  in  due  monetine  napoletane 
possedute  dal  signor  giudice  Riccio  ,  e  di  cui  trovasi 
la  descrizione  a  pag.  17  di  questo  bulletlino.  Nel  con- 
gratularmi con  lui  di  sì  fortunato  incontro,  mi  sia  le- 
cito aggiugnere  alcune  osservazioni  a  ciò  eh'  egli  dot- 
tamente ne  ha  scritto.  Il  mio  collega  conghietturando 
che  l'originario  nome  del  nostro  fiumicello  esser  dovea 
Sr,(3*]5)os  ,  stima  che  nella  forma  del  dialetto  beotico 
tramutossi  in  XriirH^os.  Opina  quindi  che  debbasi 
quella  denominazione  così  variata  alla  colonia  Euboica 
di  Calcidesi  e  di  Eretriesi ,  di  cui  parla  Slrabone  (V, 
4,7.).  Comincio  dall'osservare  con  lui,  che  il  nome  di 
%ri^r\^o5  non  trovasi  in  alcun  greco  scrittore;  e  soltanto 
negli  autori  latini  comparisce  quella  forma.  L' unico 
monumento  greco  ed  arcaico,  che  ci  presenti  il  nome 
'    del  Sebeto,è  appunto  la  moneta , di  cui  un  doppio  esem- 
plare si  possiede  dal  Sig.  Riccio.  Sicché  non  siamo 
autorizzati  a  supporre  una  forma  differente  in  tempi 
remoti  sol  perchè  in  tempi  posteriori  trovasi  adope- 
rata da  scrittori  latini.  La  somiglianza  del  suono  del 
7r  e  del  (3  fu  causa  talvolta  che  queste  due  lettere  si 
scambiassero  nella  pronunzia  anche  ne'  nomi  geogra- 
fici ,  ne'  medesimi  sili  a*  quali  le  denominazioni  ap- 


partennero. Ricorderò  a  tal  proposilo  le  monete  di 
Bizanzio,  nelle  quali  il  nome  della  città  e  indicalo  or 
dalle  lettere  ITT,  or  dalla  iscrizione  BTZAXTIiZ.N  , 
come  derivato  dall'eponimo  eroe  che  ITt'^xS  e  Br^aj 
venne  appellato  (Bekker  anecd.  t.  IH.  p.  1 1 86  ;  Chae- 
robosc.  in  T/icorfos.  p.  3fl)  (1).  Il  Sig.  Piiuler  facendo 
la  illustrazione  di  quelle  medaglie  (a;i«a/.  deli  hi. 
1 834  p.  207  seg.),  molti  altri  esempli  aggiugne  dello 
scambio  del  /3  col  tt,  i  quali  non  si  riferiscono  a  parti- 
colari dialetti:  p.  310.  E  volendo  citare  un  altro  esem- 
pio numismatico,  ricorderò  alcune  monete  di  .\mbra- 
cia  colla  epigrafe .\MriPAKmTA\(Eckliel(/oofr.II, 
162),  le  quali  furono  a  proposito  richiamate  dal  eh. 
Cavedoni  [spicil.  numism.  p.  38).  Né  son  da  tacere 
due  altri  esempli ,  che  ci  fornisce  la  numismatica  de' 
re  della  Caracene ,  il  primo  della  epigrafe  .VPTAriA... 
per  dinotare  Artahazo  (Visconti  icon.  gr.  voi.  Ili  p. 
263),  ed  il  secondo  EPTAITANOT  per  Artabano 
(Id.  ibid.  p.  269).  Oltra  questa  varietà  di  pronunzia, 
che  non  è  certamente  dovuta  a  dialetto ,  osservo  che 
i  latini  tramutarono  ancora  talvolta  il  ■tt  nel  loro  B 
anche  ne'  nomi  geografici  :  e  citerò  il  notissimo  ITy- 
^oùi  ,  a  cui  corrisponde  il  latino  Buxcnlum  ;  ed  a 
questo  potrebbero  ancora  aggiugnersi  altri  non  dissi- 
mili esempli.  Da  tutto  ciò  vogliamo  desumere  che  non 
può  dimostrarsi  essere  la  forma  Si^prjSos  originaria  e 
primitiva  del  nome  del  nostro  fiume,  anzi  ci  par  pro- 
babile r  opposto ,  cioè  che  Xri'Trsi^os  sia  la  più  an- 
tica denominazione.  Il  motivo  ,  che  ci  spinge  a  cosi 
pensare ,  si  è  che  la  voce  5rii3r|.'ìos  non  offre  alcuna 
greca  derivazione  (2)  ;  laddove  il  Xy]7nt!^oi  può  deri- 
varsi da  molte  voci ,  con  significazione  non  isconve- 
niente  alle  acque  (3).  Credo  utile  richiamare  a  con- 
fronto del  vocabolo  Xr\-7riiBo5  un'  altra  parola  ,  che 
leggesi  in  Esichio  :  dir  voglio  SaViSos ,  che  il  lessi- 
cografo dice  significare  un  particolar  sagrifizio  presso 


(I)  È  conosciuto  che  l'eroe  MtTxfios  die  nome  a' Melaponlini: 
(  Eckbel  doctr.  1  p.  15G).  Di  questa  varietà  di  MéVa/Jose  ìVh- 
Toaróvriov  vedi  il  Mazzocchi  ad  lab.  Heracl ,  p.  99. 

[ì)  Non  debbo  intanto  tacere  che  presso  Nonno  trovasi  il  nome 
%-nfìihs  attribuito  ad  un  Satiro  :  Dionys.  XXXII,  v.  22S. 

(3)  Non  parliamo  per  ora  di  queste  derivazioni,  sulle  quali  fare- 
mo altrove  una  particolare  discussione. 


—  46  — 


i  PaGi.  Noi  nulla  sappiamo  di  quel  sagrifizio  (Eugel 
Kyproi  t.  II  p.  163)  ;  ma  ravvisiamo  una  notevole  so- 
miglianza fra  quelle  due  parole,  alle  quali  dee  proba- 
bilmente attribuirsi  una  comune  derivazione  ,  ed  una 
simile  intelligenza.  Da  questo  qualunque  siasi  confron- 
to potrà  desumersi  che  S-n-^J/^o?  sia  dovuto  a  jouica 
o  attica  forma.piuttosto  che  a  beotica,  non  altrimenti 
che  il  NEHnoUlJ  di  altra  rarissima  medaglia,  ed  il 
NEonoUlTEJ  di  non  poche  altre  monete.  In  confer- 
ma dell' jonismo  o  atticismo  delle  monetine  del  Sig. 
Riccio  parmi  appunto  la  iscrizione  del  rovescio ,  ove 
si  legge  NEonc )HTE[^]  :  ed  avrebbe  dovuto  trovarsi 
^  EonoUTAS ,  quante  volte  fosse  stata  la  moneta 
coniata  sotto  la  influenza  del  beolico  dialetto  ,  sicco- 
me ne  avvertono  lo  stesso  Garrucci ,  ed  il  Cavedoni  ia 
Carelliitah.  p.  23  n  U-U. 

Sicché  le  monetine,  delle  quali  discorriamo,  sono, 
a  mio  giudizio,  dovute  alle  Attiche  colonie,  e  si  risen- 
tono di  puro  atticismo,  senza  mistione  di  altro  diffe- 
rente dialetto.  Comunque  sia  di  queste  nostre  osserva- 
zioni, che  sottomettiamo  al  giudizio  dello  stesso  nostro 
collega ,  a  noi  pare  che  le  monetine  di  Napoli  posse- 
dute dal  Sig.  Riccio  diano  luce  ad  un'  altra  quistione. 
A  tutti  è  noto  quanto  fu  scritto  sul  toro  a  volto  uma- 
no, che  appare  sulle  medaglie  della  Campania  e  della 
Sicilia  :  altri  rapportandolo  al  Bacco-Sole  (Ebone  de' 
Napolitani),  altri  ad  Acheloo,  o  ad  altro  dio  fluviale 
indigeno  (Echkel  dodr.  t.  I.  p.  129  e  segg.  ;  Avellino 
opuscoli  v.I  p.  81  e  seg.,  v.  II  p.  139  segg.;  e  bullcU, 
napol.  an.  VI  p.  oO  ;  Millingen  rccueil  de  quelq.  med. 
gr.  inéd.  pag.  8  e  seg.  ;  Mùller  Gotiing.  Gelh.  Anzci- 
gen  1829  p.  20oO  segg.  Handhuch  §.  403  not.  2  p. 
6.'i8  ed.  Welcker:  Slreber  negli  alti  dell'  Accademia 
di  Monaco  t.II;  Wieseler  in  Zeilschrifl  der  AUerlhumss- 
tviss.  1843  pag.  503  e  segg.  ;  de  Witle  rev.  numism. 
1840  p.  397  segg.  Letronne  journ.  des  sav.  1832  p. 
176-177,  Cavedoni  spicil.  numism.  p.  25  not.  33, 
Lajard,  nelle  mcin.  de  l'Ac.  des  inscr.  et  belLlctlr.  v.XV 
p.  98  ctc.  ).  Ora  le  nostre  medaglie,  che  ci  presentano 
le  forme  del  patrio  fiume  indicato  dal  suo  proprio  no- 
me, vengono  a  distruggere  la  idea  espressa  particolar- 
mente dal  Mùller  ,  che  un  dio  fluviatile  dovessse  rav- 
visarsi nel  toro  androprosopo.  11  Sebeto  e  non  già  altro 


fiume  trovasi  rammemorato  nella  numismatica  napoli- 
tana:  e  questo  è  rappresentato  come  altri  fiumi  di  a- 
spetto  giovanile  ed  imberbe ,  e  con  taurine  corna , 
non  già  come  toro  con  volto  senile  e  barbato.  La  no- 
tevole differenza  delle  due  immagini  ci  conduce  a  ri- 
conoscere la  diversità  delle  divinità  ,  che  si  vollero 
effigiare  (v.  Avellino  opusc.  t.  II  p.  168).  E  questo 
ci  sembra  un  altro  argomento  per  accedere  alla  opi- 
nione dell'  Eckhel  e  dell'  Avellino ,  che  il  Bacco  toro 
ravvisarono  nel  toro  androprosopo  (l).  Se  nel  ritto 
delle  medaglie  del  Sig.  Riccio  comparisce  seaz'  alcun 
dubbio  il  fiume  Sebeto ,  nel  rovescio  vedesi  effigiata 
la  Sirena  Partenope,  presso  un'urna  rovesciata.  È 
notevole  che  in  alcune  monete  diTerina  vedesi  la  Si- 
rena Ligea  coir  idria  sulle  gambe,  ed  in  rapporto  eoa 
un  fonte  (Avellino  opusc.  tom.  I  tav.  I  n.  6  vedi  pag. 
133  segg.).  Talvolta  è  seduta  presso  un'idria  (Carelli 
lab.  CLXXV  III  n.  28  e  30.  ). 

Non  farà  certamente  maraviglia  la  relazione  delle 
Sirene  colle  acque  (vedi  Ovid.  art.  amat.  Ili ,  311  : 
ed  i  miei  mon.  ined.  di  Barone  p.  60).  Ma  tanto  più 
si  rende  notevole,  quando  si  paragoni  un  classico  luo- 
go di  Licofrone,  che  mette  in  relazione  le  Sirene  Par- 
tenope, Leucosia,  e  Ligea  co'fiumit  presso  i  quali  fu- 
rono sepolte  [Cassand.  v.  712-37).  Già  il  commen- 
datore Avellino  vide  tutta  la  importanza  di  questo  pas- 
saggio ,  richiamandolo  a  confronto  delle  medaglie  di 
Terina  e  di  Napoli  col  tipo  delle  Sirene  {adnot.  in  Ca- 
rell.  p.  19).  Ora  le  monete  di  Napoli  del  Sig.  Riccio 
trovano  una  più  evidente  spiegazione  ;  giacché  l'urna 
rovesciata  allude  al  sepolcro  della  Sirena  in  vicinan- 
za delle  acque  ;  siccome  ha  notato  il  Garrucci  :  ed 
io  aggiungo  che  la  testa  del  Sebeto  ci  fa  conoscere  che 
le  sue  onde,  e  non  già  quelle  del  Clanio,  ne  bagnavano 
la  tomba;  giacché  ,  siccome  avverte  Slrabone,  anche 

(I)  Tra'varii  luoghi  relativi  al  Bacco  toro  è  notevole  la  cantile- 
na delle  donne  Elee  presso  Plutarco  quaest.  Graecae,  36  cf.  de  Isid. 
et  Osir.  ^'à  ,  sulla  quale  si  vegga  ciò  che  scrive  il  Sig.  Koester 
de  canlUenis  popul.  vet.  Graccor.  pag.  41  e  s.  È  degno  di  osser- 
vazione che  traile  antichità  di  Ninive  comparisce  il  toro  a  testa  uma- 
na barbata,  però  senza  le  taurine  corna,  ed  alato:  vedi  Layard  Kine- 
veh  and  ils  remains  C.  V  nella  tavola  di  fronte  alla  pag.  127 
del  1.  voi.  della  edizione  di  Londra  del  18t9.  In  questo  non  può 
non  ravvisarsi  una  solare  divinità  ;  e  ninno  penser<  bbe  ad  un  dio 
delle  acque. 


a'  suoi  terniìi  moslravasi  in  Napoli  il  nionumcùlo  di 
Partenopc  (1.  V,  4,  7;  vedi  Slat.  fylv.  1.  5,  3,  v.  104 
sog. ,  e  Plinio  lib.  Ili  e.  V).  Nò  valgono  le  contrarie 
osservazioni  del  IMarlorelli  [ih.  Calam.  p.  C80);  giac- 
ché il  fiume  rXavl?,  di  cui  parla  Licofrone,  esser  do- 
vrebbe presso  al  sepolcro  della  Sirena ,  il  che  non 
conviene  certamente  al  Cìanio.  Sicché,  a  mio  giudi- 
zio ,  nel  rXotvìs  di  Licofrone  dovrà  ravvisarsi  un  al- 
tro nome  del  Sebelo;  nome  significativo  del  pari  che 
Xrj'T-iJìos,  siccome  faremo  rilevare  in  altra  occasione. 
Per  la  occasione,  che  ce  ne  porge  il  dolio  articolo 
del  Garrucci ,  vogliamo  dire  alcuna  cosa  sugli  altri 
fiumi  ravvisali  nelle  medaglie.  Pria  di  ogni  altro  vo- 
gliamo osservare  che  1'  MIR  riconosciuto  in  una  me- 
daglia di  Posidonia  (Mionnel  $uffl.  toni.  I.  pag.  30G) 
pel  nome  del  fiume  "Is  (Lycophr.  Cms.  v.  724)  da 
Avellino  [hullelt.  ardi.  nap.  an.  I.  p.  24) ,  era  slato 
già  come  tale  ravvisato  dal  Barlhélemy  {mém.  des  in- 
scr.  et  hell.  lellr.  voi.  XLVII  p.  179-180).  E  l'esser- 
si in  una  medesima  opinione  incontrati  due  dottissimi 
numismatici  è  un  grande  argomento  della  probabilità 
della  loro  conghiettura.  Per  quanto  ci  persuade  la  spie  - 
gazione  del  Garrucci,  che  ravvisa  il  5a(/ras  nella  testa 
giovanile  con  piccolo  corno  di  una  rarissima  mone- 
ta di  Caulonia  (Avellino  huU.  Nap.  toni.  VI  tav.  IV, 
20  )  :  non  posso  però  aderire  alla  sua  conghiettura  , 
con  che  al  medesimo  vorrebbe  riferire  il  tanto  con- 
trastato tipo  di  quella  città ,  sul  quale  anche  noi  pre- 
sentammo una  particolare  opinione  (  bui.  arch.  nap. 
an.  IV.  pag.  133:  vedi  ciò  che  se  ne  dice  nell'a/c/i. 
Zeit.  del  Gerhard,  gennaio  1848  p.  208).  Il  nostro 
collega  fonda  la  sua  spiegazione  sopra  una  medaglia 
pubblicala  nel  bulletUno  arch.  napol.  an.  I  tav.  Vili 
n.  21  ,  ove  crede  di  ravvisar  le  corna  sul  capo  della 
figura  percotente  col  ramo;  ma  a  noi  sembra  che  sia 
la  chioma  in  parlicolar  modo  disposta  :  tanto  più  che 
in  tutte  le  altre  di  bellissima  conservazione  non  osta- 
ta mai  osservata  la  particolarità  delle  corna.  Né  poi, 
a  parer  mio,  potrebbe  rendersi  conto  delle  più  com- 
plicate composizioni ,  nelle  quali  si  trova  la  figura 
percotente. 

Parimenti  non  parmi  doversi  ritenere  come  effi- 
gie del  Sarno  la  testa  con  arielinc  corna,  visibile 


nelle  medaglie  di  Nuceria  '.  Friedlaender  oìÌì.  Mun~ 
zen  pag.  21  seg.  tav.  IV  .  .Alalgrado  le  osservazioni 
del  Millingen  {Comùl.  p.  198.),  noi  crediamo  che 
sia  da  preferire  la  opinione  di.Vvellino  {atti  della  soc. 
Pont.  v.  I.  p.  319,  Lai.  vel.  numism.  v.  I.  p.  101. 
opiisc.  voi.  I.  p.  94 ,  s.  ) ,  seguilo  dal  eh.  Cavedoni 
{bnlletlino  dell' hi.  1839  p.  138),  avuto  riguardo 
al  classico  luogo  di  Suetonio  (^?e  dar.  rhetor.  IV), 
che  non  ci  sembra  soggetto  a  dubbiezze.  Sarebbe  in 
fatti  nuovo  il  veder  corna  di  ariete,  e  non  già  di  toro, 
che  sono  quelle  allribuite  a'  fiumi  da  Strabene  (X  e. 
2  §.  19  t.  II  p.  300  Cramer),  da  Pesto  (lib.  XX. 
qu.  XVI,  6  p.  303MiiIlor;,  dalMacrobio  {Salurn.  V, 
IS),  da  Eustazio  [ad  Dionys.  perieg.  433),  e  da  altri 
(v.  il  Meursio  ad  Lycophr,  p.81).  Per  questo  medesi- 
mo motivo  non  credo  che  sia  un  fiume  effigiato  nelle 
medaglie  Melapontine.  La  testa  col  corno  arielino  vcdesi 
ora  barbala  ed  ora  giovanile  ed  imberbe  (Carelli  lab. 
CLIII  e  CLIX  n.  1G9).  Non  vi  ha  dubbio  che  nella 
lesta  barbala  debbasi  riconoscere  Giove  Ammone  (vedi 
Eckhel  doctr.  t.  I.  p.  15.},  e  Cavedoni  nelle  tavole  di 
Carelli  della  ediz.  di  Lipsia  p.  81  adn.  90-98):  sem- 
bra perciò  che  debba  ravvisarsi  nella  giovanile  ed  im- 
berbe 0  lo  slesso  Ammeuc  ,  o  jìiutloslo  il  di  lui  figlio 
Dioniso  (Diod.III, 72). Questa  particolarità  della  duplice 
tesla  barbala  ed  imberbe  con  corna  arieline  riscontrasi 
ancora  nella  numismatica  della  Cirenaica;  e  meritano 
di  essere  lette  a  tal  proposito  le  dotte  osservazioni  del 
eh.  Cavedoni  mon.ant.della  Ciren.p.21  e  31  seg:  ove 
però  non  troviamo  rammentale  le  medaglie  di  Meta- 
ponto. Un  notevole  confronto  a  questi  monumenti  nu- 
mismatici si  ha  da  due  vasellini  della  collezione  del  fu 
Giovanni  Jalla ,  de'  quali  non  sarà  discaro  leggere  in 
questi  fogli  la  descrizione.  Il  primo  rappresenta  a  ri- 
lievo una  testa  di  fosca  carnagione  con  capelli  e  barba 
nera,  ed  arietine  corna  di  nero  ,  rosse  ne'  margini. 
Sopra  si  eleva  un  vasetto  ad  un  sol  manico  ,  presso 
al  quale  è  l' ornamento  di  palmelte:  nella  parte  ante- 
riore è  dipinto  un  giovine  coronalo  con  clamide  e  cal- 
zari, che  siede  sopra  un  sasso  ,  tenendo  colla  destra 
una  patera  con  offerte.  Il  secondo  vasellino  rappre- 
senta a  rilievo  una  testa  giovanile  di  bianca  carna- 
cione  col  labbro  rosso  ,  e  co'  contorni  degli  occhi  e 


i8  - 


delle  allre  membra  disUnli  da  linee  di  fosco  colore: 
i  capelli  son  neri:  due  corna  di  ariete  anche  bianche 
sorgono  a'due  lati  del  capo.  Sopra  si  vede  il  becco  di 
una  ocnochoe,  che  compie  il  vaso.  Ecco  dunque  ripe- 
tuta neir  antica  ceramografia  la  duplice  forma  del 
personaggio  a  corna  di  ariete  :  e  non  può  dubitarsi 
che  sia  appunto  effigiato  Giove  Ammone  ,  ed  il  suo 
figlio  Dioniso  ;  delle  quali  divinila  era  già  penetrato 
il  culto  nelle  nostre  regioni.  E  l' allusione  funebre  di 
simili  vasi  non  manca  di  mistica  intelligenza,  doven- 
do attribuirsi  probabilmente  a'misterii  ed  alla  reli- 
gione di  Rea  ,  che  da  tempi  remoti  s' introdusse  fra 
quelle  popolazioni.  Sulle  divinità  che  han  relazione  con 
l'ariete  veggasi  un  dotto  articolo  del  Cav.  Gerhard  nel- 
Y  archdolog.  Zeit.  an.  Vili.  Febbr.  e  Marzo  1850  p. 
149  e  segg.,  ove  parla  pure  di  Ammone.  Sulla  si- 
gnificazione solare  dell'ariete  in  rapporto  ad  Ammo- 
ne vedi  pure  de  Guidobaldi  Alessandro  e  Bucefalo  p. 
194  e  seg.  Il  sig.  Lersch  ha  parlato  di  molti  greci  mo- 
numenti ove  è  rappresentato  Ammone  :  JarUkh.  d. 
Ver.  V.  Alterthumsfr.  in  ii/i.  voi.  IXtav.  IVp.  92-96. 

Ml.VERVIM. 


Giunta  alle  osservazioni  sul  vaso  di  Oritia. 


Alla  pag.  3  fu  da  noi  riferito  a  Diana  Agrea,  piut- 
tosto che  a  Pallade,  quell'idolo  arcaico,  che  scorge- 
si  presso  il  ratto  di  Oritia  nel  vaso  del  real  museo  da 
noi  illustrato.  Ora  ci  piace  di  dare  qualche  dilucida- 
zione su  quell'antico  xoanon  ,  sul  quale  assai  poco 
fermammo  la  nostra  attenzione.  Meglio  considerando 
io  osservo  che  la  particolarità  del  polos,  o  modio  po- 
trebbe convenire  a  Pallade,  Sono  a  tal  proposito  da 
richiamare  le  cose  dette  dal  Millingen(artc.  uned.  man. 
ser.  2  p.  13)  sulle  antiche  immagini  di  Minerva:  e 


segnatamente  su  quella  che  osservasi  in  una  delle  me- 
tope  del  Partenone  (Stuart,  Aiit.  of  Alhens  tom.  II. 
pi.  15  n.  4),  che  egli  opina  essere  probabilmente  il 
Palladio  miracoloso  acquistato  da  Demofonte ,  e  con- 
servato nel  tempio  di  Minerva  Poliade  suU'  Acropoli. 
Ed  in  quanto  all'  ornamento  della  testa ,  è  da  citar  la 
statua  di  M  nerva  Poliade  di  Erydirae  (Pausan.  lib. 
VII  cap.  5  ,  9) ,  la  quale  offriva  in  ambe  le  mani  una 
conocchia,  e  sul  capo  un  pileo  [TtJXov) ,  che  non  do- 
vea  esser  molto  dissimile  da  un  polos ,  o  modio  :  (  Ve- 
di Gerhard  prodrom.  mylh.  Kunslerklàr.  p.  120  seg., 
e  Minervenidole  p.  4  e  seg.  ).  Con  la  quale  immagi- 
ne ,  per  quel  che  risguarda  la  conocchia ,  potrebbe 
confrontarsi  la  Pallade  Iliade  delle  medaglie  (Cavedo- 
ni  spicil.  numism.  p.  152  n.  154):  se  pure  non  vo- 
glia riputarsi  invece  una  fiaccola  il  simbolo  da  lei  te- 
nuto ;  siccome  parve  all'  Eckhel  (  doclr.  (om.  II.  p. 
484  ) ,  e  ad  altri  :  vedi  Zannoni  galler.  di  Firenze  t. 
V  p.  182:  Minervini  mon.  ined.  di  Barone  p.  7.  Va- 
rie figure  arcaiche  di  Minerva  Poliade  son  conosciu- 
te, le  quali  presentano  sulla  testa  una  specie  di  po/os, 
e  nessun  altro  simbolo  che  il  Gorgoneo  sul  petto  (Ge- 
rhard Minervenid.  lav.  1  ).  Ma  più  vicino  è  il  confron- 
to di  un  vaso  della  racc<dta  Durand  (  Raoul-Roehette 
mon.  inéd.  pi.  LX  p.  322),  ove  comparisce  il  troja- 
no  Palladio  con  un  modio  sul  capo  perfettamente  si- 
mile a  quello  dell'idolo,  eh' è  presso  la  scena  di  Ori- 
tia. Comunque  sia  di  questi  confronti,  noi  non  abban- 
doniamo la  nostra  idea  sulla  significazione  dell'idolo, 
non  solo  per  la  mancanza  di  qualunque  altro  simbolo 
proprio  di  Pallade ,  ma  ancora  per  l' insieme  della 
composizione.  Queste  poche  cose  abbiamo  voluto  ag- 
giugnere ,  riserbando  alla  pubblicazione  del  monu- 
mento stesso  una  più  ampia  discussione ,  che  mal  si 
farebbe  senza  l'ajuto  di  un  disegno. 


Minervini. 


P.  Raffaele  Garrucci  d.c.d.g. 
GiDLio  Minervini  — Editori. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Cataxeo. 


BULLETTIIVO  ARCHEOLOGICO  IVAPOIITAXO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  7. 


Ottobre  1852. 


Descrizione  di  una  patera  antica  dipinta  ,  con  due  Eroi  eponimi  delle  attiche  tribù.  —  Iscrizione  di  ì'ena- 
fro.  —  Dichiarazioni  di  due  monete  di  Traiano,  l'una  Latina  e  l' altra  Greca.  —  Tavola  aquaria  Vena- 
frana,  continuazione  del  numero  5. 


Descrizione  di  una  patera  antica  dipinta,  con  due 
Eroi  eponimi  delle  attiche  tribù. 

Appartiene  alla  insigne  collezione  Santangelo  la 
bellissima  patera  pubblicata  ne'  numeri  4  e  5  della 
nostra  tavola  III  ;  e  noi  ne  dobbiamo  un  disegno  al- 
l'egregio  sig.  Cav.  D.  Michele,  che  di  altri  non  meno 
preziosi  monumenti  ci  permetterà  di  arricchire  la  pre- 
sente pubblicazione.  La  patera,  di  che  discorriamo , 
proviene  da  Canosa  ;  le  figure  ,  che  ne  fregiano  sola- 
mente il  coverchio,  son  rosse  in  fondo  nero,  ed  i  ca- 
ratteri sono  rossastri.  La  composizione  si  divide  in 
due  parti  relative  a  due  Eroi,  intorno  a' quali  si  veg- 
gono varie  figure  femminili.  Da  un  lato  è  Pandione 
UANAIfiN  imberbe  coronalo  di  mirto,  con  clami- 
de che  ne  ricopre  la  metà  infeiiore  del  corpo,  seden- 
te a  sinistra  sopra  un  rialto,  presso  al  quale  si  eleva 
la  mistica  pianta  ad  elice.  L'eroe  stende  il  destro 
braccio,  e  sull'  indice  poggia  un  augelletlo. 

Questo  Pandione  ,  che  vedesi  figurato  nella  nostra 
patera,  non  è  il  padre  di  Erettco,  e  capo  di  quella  re- 
gia stirpe  (marni.  Par.  lin.  Itela;  Apoiiod.  lib.  3 
cap.  14),  ma  sibbene  il  più  recente  Pandione  figlio 
di  Cecrope,  e  genitore  di  Progne  e  Fikuuela  (  .\pol- 
lod.  lib.  3  cap.  13.  marni.  Par.  lin.  16  e  17),  il 
quale  die  il  nome  alla  tribù  Paudionide  (  Pausan. 
lib.  I.  cap.  V.  3  e  4.  lib.  X,  e.  X,  1).  A  noi  sembra 
ben  determinalo  dall'augello  che  gli  poggia  sull'in- 
dice ,  che  a  noi  pare  un  usignuolo ,  e  che  fa  certa- 
mente allusione  alle  avventure  della  sua  casa ,  nella 
quale  ebbe  luogo  la  metamorfosi  in  quell'uccello 
(Roulez  nouvcll.  annui,  t.  11  p.  2G1  segg.).  Nel  no- 

ANXO    I. 


Siro  vaso  vedesi  l' attico  principe  assistito  da  tre  don- 
ne, le  quali  sono  vestite  di  doppia  tunica  ,  e  miransi 
in  variate  attitudini.  La  prima  col  capo  ornalo  di 
sphendone  alle  spalle  dell'  eroe  si  appressa  recando  un 
piattello  con  frutta:  l'altra,  senz' alcun  fregio  alla 
testa ,  è  di  fronte  a  Pandione ,  e  curva  abjuanlo  la 
persona  verso  di  lui  sollevando  il  sinistro  piede  sopra 
un  rialto;  fra  lei  e  l'Eroe  è  al  suolo  un  vaso  con  co- 
verchio: finalmente  la  terza  adorna  di  ampyx  volge 
la  testa  a  sinistra ,  recando  colla  sinistra  una  casset- 
ta ;  tra  lei  e  la  compagna  è  un'ara  a  foggia  di  capi- 
tello jonico ,  su  cui  arde  la  fiamma.  Veggonsi  nel 
campo  varie  iscrizioni ,  le  quali  non  corrispondono 
con  precisione  alla  situazione  delle  figure ,  presso  le 
quali  si  veggono  segnate.  Pare  che  quella  che  reca  la 
cassetta  sia  denominala  KATMEXH  l'allra,  eh' è  di 
fronte  a  Pandione ,  non  offre  alcuna  epigrafe  che  la 
dislingua  ;  ma  sembra  che  ad  essa  riferir  si  dcggia  il 
nome  EIIIXAPIS  KAAH  che  n'è  alquanto  discosto: 
in  questa  ipotesi ,  alla  donna  col  piattello  ripieno  di 
frutta  spetterebbe  la  denominazione  di  XI KOIIO  A  li. 
É  noto  che  questo  ultimo  nome  di  MK<  )n()AIS  com- 
parve in  un'  altro  vasculario  dipinto  (Raoul-Rochet- 
te  mon.  inéd.  pag.  11  )  ;  ma  più  volte  occorre  l'altro 
di  K  AT>IE\H  (v.  quel  che  dicemmo  di  (piosto  nome 
nel  bidlcllino  arch.  nap.  an.V  p.  27  e  28,  p.  81  e  seg. , 
e  pag.  87  :  parleremo  poi  più  ampiamente  di  un'  al- 
tra iinportanlissima  patera  della  medesima  collezio- 
ne Santangelo,  di  cui  abbiamo  data  altrove  una  sem- 
plice descrizione:  mon.  ined.  di  Barone  yol.l.p-'H). 
Comuncpie  sia  delle  denominazioni ,  che  si  veggono 
sparse  nel  campo,  o  che  siano  da  attribuirsi  alle  fem- 


—  -io  — 


minili  figure  presso  le  quali  si  veggono  segnale,  o  die 
accennino  ad  altro  ;  certa  cosa  è  che  quella  donna  la 
quale  reca  il  piatlello  va  paragonala  alla  figura  della 
ITANA.AIi.  I  Adi  altro  dipinto  da  noi  altrove  pubblicalo 
(lìono  dell' Accad.  Pont,  agli  scienz.  p.  81,  seg.),clie 
fu  da  noi  ravvicinala  alle  divinila  delle  slagioni.  L'ara 
ardente  ed  il  vaso  con  covercbio  accennano  per  av- 
ventura alla  duplice  mistica  pnrificazione  per  l'acqua 
e  pel  fuoco ,  clie  rendono  gì'  iiu'ziati  degni  della  feli- 
cità dell'  Elisio  ;  giacché  nel  vaso,  che  scorgesi  pres- 
so Pandione ,  non  saprei  ravvisare  un'  allusione  alla 
festa  X'-=^  islilnita  da  quell'  attico  principe  (Arisloph. 
Acharnes  961  ,  Eqit.  9o  ).  In  questa  nostra  maniera 
di  vedere  sarebbe  rappresentata  l' apoteosi  di  Pandio- 
ne, vedendosi  circondalo  da  figure  e  da  simboli,  che 
valgono  ad  indicarla.  E  qni  mi  piace  di  osservare  che  la 
iscrizione  EIIIXAPIS  KAAII  può  fare  allusione  alla 
X«p/s  che  s'identifica  talvolta  coli'  "Clpx:  tanto  più  se 
dovesse  riferirsi  alla  figura,  presso  la  quale  è  dipinta. 

È  da  notar  finalmente  ,  per  quanto  spella  a  que- 
sta prima  rappresentanza,  che  la  figura  di  RAVMEXE 
sarebbe  assai  bene  appropriala  al  soggetto,  se  dovesse 
in  essa  ravvisarsi  Proserpiua  ,  secondo  che  opinò  per 
altro  monumento  il  dottissimo  cav.  Welcker,  osser- 
vando che  nel  cullo  di  Ermione  il  re  degl'inferi  è 
detto  KXt'/xEvos  (Paus,  II,  XXXV,  ^):\odì  annali  del- 
l' ist.  184.")  p.  17C  e  segg.  In  tale  idea  la  infernale 
mistica  divinità  si  trova  quasi  fra'duc  soggetti,  a' quali 
prende  una  egual  parte ,  trattandosi  della  beatitudine 
di  due  aitici  Eroi. 

Nella  seconda  parte  della  patera  vedesi  l'Eroe  An- 
tioco ANTIoXo?  pur  coronato  di  mirto  ,  e  con  cla- 
mide avvolta  al  sinistro  braccio  ,  che  si  avvicina  alla 
Vittoria  NIKII  senza  le  ali ,  vestita  di  lunga  tunica , 
e  clamide ,  e  col  capo  fregiato  di  ornata  sphcndone , 
la  quale  siede  di  fronte  all'Ei-oe,  stendendo  colla  de- 
stra la  patera ,  da  cui  versa  il  liquore.  Presso  alla 
Vittoria  sorge  dal  suolo  una  pianta,  come  sembra,  di 
ulivo.  Alle  spaile  di  Antioco  è  una  femminile  figura 
la  quale  si  appressa  ad  un  timialerio ,  quasi  nell'alto 
di  prenderlo,  e  colla  sinistra  tiene  abbassata  una  co- 
rona di  ulivo.  Presso  di  lei  è  scritto  MTPPIMSKH 
KAAH. 


Non  può  esservi  alcun  dubbio  che  l'Antioco  della 
nostra  patera  sia  il  figlio  di  Ercole  e  di  Meda  figliuola 
di  Filante  (Apollod.  lib.  2  cap.  8,  3;  Diod.  Sic.  lib. 
IV.  cap.  37 .  1  ;  Pausan.  lib.  I.  e.  V.  ) ,  il  quale  va 
tra'  dieci  eponimi  eroi  delle  attiche  tribù  (  Paus.  /.  e. 
e  lib.  X,  e.  X,  1.).  Il  giovane  eroe  riceve  dalla  Vit- 
toria la  bevanda  del  trionfo  ,  mentre  altra  donna  si 
appressa  a  recare  una  corona  ,  all'  aspetto  di  un  ti- 
mialerio indizio  di  sagrifizio  e  di  apoteosi.  Frequente 
è  ne'monumcnti  la  Vittoria  senza  le  ali  (Miiller  Handb. 
§.  406.  noi.  2  pag.  666.  s.  ed  Welcker);  ma  la  no- 
stra ci  richiama  al  pensiero  il  tempio  della  ^ixri  x- 
TTTipoj  ,  eh'  era  ne'  Propilei  sull'  Acropoli  di  Atene 
(Paus.  lib.  1  e.  XXU.  4).  La  pianta  di  ulivo  poi  è  ben 
conveniente  all'Attica  del  pari  che  alla  figura  della 
Vittoria. 

Questo  nostro  monumento  riesce  importantissimo 
per  lo  confronto  di  una  delle  rappresentanze  del  ce- 
lebre vaso  di  ;\Iidias  (MiiUn  gal.  mijlk.  XCIV,  383  ; 
Ilankarvill.  I,  130  seg.;  Gerhard  negli  atli  della  Ac- 
cad. di  Berlino  lcS39).  Il  vedere  due  attici  Eroi  in- 
sieme riuniti  con  varie  simboliche  figure ,  parci  con- 
fermare la  opinione  del  sig.  doli.  Carlo  Teodoro  Pyl, 
il  quale  riconobbe  in  varie  figure  gli  aitici  Eroi  Ip- 
potoonle  ,  Antioco  ,  dimeno  ,  Oeneo  ,  e  Demofoon- 
te  ;  i  quali  ben  ravvicina  alle  fatiche  di  Ercole ,  ed 
alla  permanenza  di  Medea  nell'Attica  [de  Medeae 
[ab.  pari.  II  pag.  88  e  segg.  ).  Nel  vaso  di  Midias  le 
figure  degli  Eroi  si  collegano  con  le  avventure  di  un 
altro  eroe,  qual'è  Egeo,  e  stanno  ad  indizio  della  re- 
gione ,  non  allrimenti  che  le  statue  loro  vedevansi  col- 
locale nel  Tlioìos,  come  racconta  Pausania  (lib.  I.  e. 
V  ).  All'incontro  nella  patera  della  collezione  Santan- 
gelo  Pandione  ed  Antioco  stanno  in  tali  attitudini,  che 
accennano  alla  loro  apoteosi  ed  al  culto  loro  prestato 
dopo  la  morte.  Così  di  Pandione  narra  lo  stesso  Pausa- 
nia l'H'pw  ov  in  Megara,  e  gli  onori  renduligli  da'Mega- 
resi  (1.  1  e.  XLI,  6).  Vogliamo  finalmente  notare  che, 
se  n'  eccettui  la  statua  nel  Tkolos  di  cui  fa  menzione 
Pausania,  e  l'altra  eretta  nell'Acropoli,  di  cui  parla  lo 
stesso  scrittore  (1.  I  e.  V),  non  esistono  monumenti  che 
ci  pongano  sotto  gli  sguardi  la  figura  di  Pandione  ; 
resta  solo  il  vaso ,  di  cui  finora  ragionammo ,  a  mo- 


—  di- 


strarci il  figlio  (li  Cecropc  indicalo  dal  simbolico  au- 
gello ;  da  cui  potrebbe  forse  desumersi  clie  la  statua 
del  Tlwlos  fosse  della  medesima  jìarticolarità  insigni- 
ta, per  distinguerla  da  quelle  degli  altri  eponimi  Eroi. 
Intanto  non  sarà  fuor  di  luogo  l'osservare  che  la 
patera  di  Canosa  è  un  novello  esempio  dell'atticismo 
delle  appule  contrade,  del  quale  avemmo  più  volte 
la  occasione  di  parlare  ,  specialmente  pe'  monumenti 
ceramografici  provenienti  da  Ruvo. 

MlNERVIM. 


Iscrizione  di  Venafro. 

MAECI  •  FELICIS    VI 

AEOVITATE  •  MAGNIFICO 
BEVEVOLEXTIA  •  COLENDO 
ABSTINENTIA  •  CONTINENTIAQ 
MIRANDO  •  VIRTVTE  •  CONS 
TANTIAQVE  •  CONSPICVO 
MAECIO  •  FELICI     VI 
CIVITATIS  •  VENAFRANAE  •  DE 
FENSORI  •  ORDINIS  •  P0«         SO 
RI  •  POPVLIQVE   •  RECTORI 

PROViNCiAE  •  sa:\inìtivm 

INIVNCTIVAE  •  VICIS  •  MERITO 
OR  •  INSIGNI  A  •  ElVS  •  IN  •  |{EM 
PVRLICA3I  •  BENE  •  GESTA  •  1>;J 
OR  •  RECORDATIONEM  •  OMNIVM 
BENEFICIORVM  •  QVAE  •  A  •  IMA 
lORIRVS  •  ElVS  •  CI  VITATI  •  SVNT 
SI  PRAESTITA  •  ORDO  •  SPLENDiDIS  sic 
MVS  •  ET  VNIVERSVS  •  POPVLOS  sic 
VRBIS  •  VENAFRANAE  •  CONSTI 
TVIT  •  PATRONO 

Questo  importante  monumento  storico  era  cognito 
per  r  unica  pubblicazione  del  eli.  Colugno,  che  ne 
trasse  la  copia  dalle  schede  del  benemerito  De  Utris. 
Nella  mia  storia  d'isernij  ,  ove  facea  luogo  citarlo, 
m' ingegnai  rcllificarne  le  lezioni ,  perchè  non  aveva 


lino  allora  trovato,  ove  giacesse  il  monumento.  E  fu 
maraviglia ,  che  in  quel  giorno  medesimo  ,  quando 
avutone  un  sentore  dal  Ch.  sig.  Arcidiacono  Colugno 
mi  recava  a  dissotterrarlo,  nella  jiiazzelta  della  Cia- 
lallella  era  già  in  mano  di  uno  scarpellino  ,  che  rotta 
la  gran  base  in  due  pezzi,  e  fatto  già  saltare  per  aria 
lr(!  righe  della  leggenda ,  l' avrebbe  finita  tutta.  Fu 
fortuna  che  lo  scarpello  non  fosse  ancora  scorso  là , 
ove  era  j)iù  erronea  la  lezione  precedente  (  Cotugno, 
Mem.  di  Venafro  p.  200.  Momm.  /.  N.  n.  4620). 
Le  righe  perite  sono  la  13.  14.  lo.  Delle  altre  righe 
noterò  qui  gli  errori. 

1 .  Il  Momm.  scr.  FELICI,  e  rigetta  la  lezione  del 
de  Utris  V  •  I  •  ,  ha  però  ragione  il  de  L'tris  in  am- 
bedue i  luoghi.  —  2.  A  •  CIVITATE  •  il  Monun. 
malim  DIGNITATE.-4.  CONTENENDO,  il  Momm. 
malim  CONTINENTIAQ  •  ottimamente  —  7.  FELI- 
CIO  —  8  ,  9.  POSsesSORIS— 1 1 .  SAMNH  ADIN— 
12.  IVNCTIVAE  —  18.  PRAESTITA  —  19.  SI- 
MVS  .  e  POPVLVS ,  ma  de  L'tris  POPVLOS. 
Di  questa  insigne  iscrizione  ho  detto  alcuna  cosa  nel- 
la storia  sopraccennata,  ove  o|)ino,  che  Mecio  Felice 
forse  era  uno  di  quei  favoriti  da  Costanzo  ,  ai  quali 
egli  distribuiva  le  provincie  arbitrariamente ,  allar- 
gandone talvolta  anche  i  confini  ;  lo  che  è  aperta- 
mente detto  nelle  parole,  Provinciae  Samnilium  iniun~ 
cticae  vicis  merito.  Parvemi  poterlo  additare  in<-quel 
Felice  Notarlo ,  che  Giuliano  ributtò  dalla  magistra- 
tura degli  ullìzii,  a  cui  lo  proponeva  Costanzo.  Il  vo- 
cabolo POS  .  .  .  SORIS  è  pur  così  scritto,  nò  in 
mezzo  v'è  alcun  avanzo  di  lettere,  perchè  saltata  via 
la  scheggia  ,  che  le  conteneva.  Rimane  quindi ,  che 
sia  questa  voce  erroneamente  scolpita,  come  altre  qui 
slesso,  invece  di  PROVISORIS.  La  qual  voce  ha  al- 
tri esempi  (Minervini  Bidl-Sap.  a.V.  p.  66  agg.  Viscr. 
di  Rustico  presso  il  Gervasio  hcr.  di  Nap.  51).  E  ad 
oscitanza  del  (juadratario  debbono  attribuirsi  il  SI  del- 
lo SPLENDIDISSIMVS  scolpito  alla  linea  superiore 
accanto  al  PRAESTITA,  el  POPVLOS  per  POPV- 
LVS. Dalle  parole  ob  recordationem  omnium  hene- 
ficiorum  ,  quac  a  maiorihus  eiu^  civilati  suiti  prae- 
slita,  si  apprende  che  il  patronato  di  Venafro  era 
antico  in  famiglia  Mecia.  Quesf  onore,  siccome  già 


—  32  - 


notò  il  Reinesio,  a  Parentlhus  in  ìiheros  elnepotesde- 
rii-alus  est.  Così  i  Municipes  Clvililani ,  L.  Aradium 
Proculum  V.  CLiberos,  Poslcrosquc  cius,  Sibi,  Pos- 
terisque  suis,  Patronos  cooptaverunt  (Reiaes.  412.  39). 


Garrucci. 


Dichiarazioni  di  due  monete  di  Traiano,  luna  Latina 
e  l' altra  Greca. 

Fra'  molliplici  e  bei  (ipi  delle  monete  di  Traiano 
mi  giovi  considerarne  due,  finora  non  ben  dichiarali, 
per  quanto  io  mi  sappia  ;  l' uno  de'  quali  ne  melte 
sott'  occhio  la  piìi  meravigliosa  delle  imprese  di  quel 
valoroso  Augusto,  e  l' altra  uno  dei  gravi  difetti  che 
ne  oscurarono  le  virtù. 

niP  CAES  NEUVAE  TRAIANO  AVG  GER 
DAC  P  M  TRP  COS  V  P  P ,   Testa  laureata. 

)(  S  P  Q  R  OP TIMO  PRINCIPI ,  S  C ,  Figura 
virile  quasi  ignuda  con  manto  svolazzante  ,  che  le 
s' inarca  sovra  la  testa ,  e  con  pianta  palustre  nella  s. 
che  correndo  a  gran  passi  ha  raggiunto  una  figura 
feminile  pileata  fuggente  e  caduta  a  terra,  e  premen- 
dola col  d.  suo  ginocchio  in  sul  femorele  stringe  conia 
d.  la  gola.  /E  I. 

Nel  grandioso  tipo  di  questi  assai  comuni  sesterzi 
di  Traiano  1'  Eckhcl  (  T.  VI.  p.  418)  ravvisa  il  Da- 
nubio ,  che  opprime  la  Dacia ,  a  riguardo  dell'  aiuto 
prestato  da  quel  nobilissimo  fiume  ai  Romani  nel- 
1'  assoggettamento  della  Dacia ,  sostenendo  la  flotta 
Romana,  e  il  ponte  costruitovi  sopra  da  Traiano  me- 
desimo ;  ma  cotale  ragione  parmi  veramente  un  po' 
forzata  e  tratta  troppo  di  lontano.  La  vera  e  sponta- 
nea interpretazione  si  ha  da  Plinio  giuniore,  che  esor- 
tando Caninio  Rufo  a  celebrare  in  versi  Greci  le  me- 
ravigliose geste  di  Traiano  nella  guerra  Dacica,  scri- 
ve {L.  Vili,  epist.  4):  dices  immissa  terrìs  nova 
(lumina. 

Quella  grandiosa  figura  virile  pertanto  rappresenta 
uno  dei  fiumi  della  Dacia  ,  che  ,  costretto  dall'  opere 
de'  Romani  a  mutar  alveo ,  corre  ad  opprimere  e 
devastare  gli  accampamenti  e  le  terre  de'Daci.  E 


questo  stratagemma  parmi  assai  chiaramente  rappre- 
sentato in  quella  parte  della  colonna  Traiana  [Segm. 
XXI ,  XXII J  ,  ove  veggonsi  improvvisamente  som- 
mersi e  soffocati  fanti  e  cavalli  Daci  da  una  impetuo- 
sa e  larga  corrente  d' acqua  in  luogo  montano,  e  sel- 
voso. Mentre  che  i  Romani  stansi  in  sicuro  ed  incal- 
zano i  nemici ,  questi  in  gran  parte  veggonsi  travolti 
dall'  onde  insieme  co'  cavalli ,  greggie  ed  armenti  ;  e 
pochi  di  loro  rimasi  in  salvo  tentano  inutilmente  di 
salvare  i  compagni ,  o  sono  in  atto  di  piangere  alla 
vista  di  tanto  sterminio.  Nella  medaglia  la  figura  del 
Fiume,  in  atto  di  stringere  la  gola  alla  Dacia  fuggen- 
te e  prostrata,  con  tutta  proprietà  rappresenta  al  vi- 
vo il  caso  de' miseri  Daci  sommersi  e  soffocati  in 
quelle  acque.  Ella  preme  col  ginocchio  il  femore  della 
Dacia  da  sé  raggiunta;  e  per  simile  modo  Perseo  pre- 
me il  fianco  di  Medusa  caduta  a  terra,  in  un  dipinto 
parietario  Ercolanese  [Mas.  Borbon.  T.  XII,  tav.  48; 
cf.  Annali  dell'  Inst.  T.  XXllI ,  p.  770).  L'antico  ar- 
tefice ,  neir  ideare  ed  eseguire  il  sovra  descritto  bel 
tipo  delle  monete  di  Traiano  ,  probabilmente  venne 
ispirato  anche  dai  sublimi  versi  di  Omero  ,  ove  de- 
scrive il  fiume  Scaraandro,  che  impetuoso  segue  ed 
incalza  il  fuggente  Achille  [Iliad.  XXI,  24S.  segg.). 

ATTOKPNCP  TPAIANOC  APIC  KAlCCCBrCP 
AAK  ITAP  ,  Testa  laureata. 

][  IOTAlCU)\  TCON  KAl  AAOAIK€U).V,  TSP, 
Testa  feminile  velata  turrita,  con  grappolo  d'uva  che  le 
pende  in  suW  orecchio  e  la  guancia  destra.         JE.  I 

In  altre  simili  monete  di  Traiano,  impresse  in  Lao- 
dicea  della  Siria ,  manca  il  titolo  ITAP  o  nAP9  ,  e 
nel  rovescio  è  segnato  l'anno  B3P  dell'era  propria 
di  quella  città  [v.  Noris,  Epodi.  Syromac.  p.  2:58,  239. 
Eckhel,  T.  Ili,  p  518). 

Esse  spettano  agli  anni  di  Roma  807,868;  e  per- 
ciò ponno  sicuramente  dirsi  impresse  allor  che  Traia- 
no era  in  quelle  contrade  intento  alla  guerra  contra 
Cosroe  re  dei  Parti  ;  ed  amante  coni'  era  de'  buoni 
vini ,  non  avrà  per  certo  omesso  di  gustare  gli  squi- 
siti di  Laodicca. 

Nelle  monete  imperatorie  di  Laodicea  della  testa 
del  Genio  feminile  della  città  non  ostenta  il  simbolo 
di  quel  grappolo  d' uva  altro  che  in  quelle  di  Traia- 


—  53  — 


no ,  come  rilevo  da  parecchi  esemplari  del  Museo 
Estense,  che  ho  soli' occhio;  segno  evidenle,  che  Traia- 
no realmenle  dilcllavasi  delle  uve  e  de'  vini  Laoili- 
cei.  Non  trovo  avvertita  da  altri  la  notevole  parti- 
colarità del  giappolo  che  in  queste  monete  pende  in 
sulla  guancia  della  testa  di  Laodicea  e  ne  copre  tutto 
r  orecchio  ;  tranne  che  in  uno  dei  disegni  datine  dal 
Noris  v'  è  indizio  di  una  come  foglia  di  vite  (  /.  e. 
p.  239).  11  territorio  di  Laodicea  della  Siria,  e  spe- 
cialmente il  monte  ad  essa  sovrastante ,  era  sì  ferace 
di  buone  vigne,  che  somministrava  il  vino  agli  Ales- 
sandrini per  la  maggior  parte  (  Straho,  XVI,  p.  707. 
7o2  ).  Traiano  poi  era  sì  amante  de'  buoni  vini ,  che 
Dione  (  Hist.  LXVIIl.  1  )  ,  nel  commendarne  che  fa 
le  virtù  ,  non  potendo  dissimulare  cotale  suo  difetto , 
pure  lo  scusa  dicendo  ch'egli  non  s'inebbriava,  ben- 
ché bevesse  molto  [cf.  Sparlian.  in  Hadrianoo.  Vic- 
tor in  Cacsarib.  13).  Per  questa,  e  per  altra  vie  più 
grave  pecca  di  Traiano ,  cognominato  Ottimo,  escu- 
sata dallo  stesso  Dione ,  chiaro  si  pare  quanto  mai 
difettosa  e  limitata  di  per  se  sia  la  vantala  probità 
naturale. 

Gel.  Cavedoi. 

Tavola  aquaria  Vena  frana,  continuazione  del  n.  5. 

DECRETVM.  IMP.  CAESARIS.  AVGVSTI.  Non 

sarà  questione ,  se  debba  darsi  a  questa  tavola  nome 
di  Senalusconsullo,  di  Edillo,  di  Lcx,  leggendovisi  scrit- 
to Decrclum.  Anche  il  senato  dava  talvolta  i  suoi  de- 
creti, che  Elio  Gallo  credeva  essere  una  parte,  o  por- 
zione del  senalusconsullo  (  Pesto  L.  XIX.  in  Senalus 
Decreliim):  ma  decrelum  patrum  disse  Suetonio  la  leg- 
ge emanata  dal  Senato  intorno  al  primo  posto  da  dar- 
si ai  Senatori  negli  spettacoli  (  Aug.  e.  44  ),  e  decre- 
tum  patrum  in  vece  di  Senalus  consultum  bassi  nella 
L.  17.  D.  ad  municipal.  dello  ancora  decreta  senalus 
L.  32.  §.  24.  D.  de  don.  ini.  vir.  et  uxor.  Più  lardi 
invalse  il  costume  di  dar  questo  nome  alle  sentenze 
imperiali ,  e  così  Paulo  iulitolò  i  suoi  tre  libri  di  sen- 
tenze degli  Imperatori  ìihros  dccrctorum,  e  Teofilo  la 
stessa  iaterprctazione  loro  dà  trasportando  il  dccrcfwm 


nel  greco,  %7ró^x<jii  j:«?ji'>.;wi>  imtol^u  St'o  ixipùit  tcj.- 
p'  'Minò  Sixot^ofAj'iwv  \y.'^ii^'j\KÌyt\  (  ad  §.  6.  Instit.  de 
Iure  nat.  geni,  et  civ.) 

mi  AQVAE  •  DVCTV.  Che  nei  nu'gliori  (empi 
si  scrivesse  diviso  acpiac  dal  duclus  sospellolh  il  l'o- 
leni  (a  Frontino  p.  lo.  n.  l 't)  il  quale  stimolla  or- 
tografia ancora  di  Frontino;  satis  credibile fit, noluisse 
Frontinum  ex  dnahus  hisce  vocibus  aqua  et  duclus  u- 
nam  vocem  componcrc.  Osservò  invece ,  che  la  sola 
voce  aqua  gli  vale  a  dinotar  l'acquidotto.  Io  lo  incon- 
tro nelle  lapidi,  (  Grut.  176.  1.  Murai.  447.  1.),  e 
qui  stesso,  aquas  reficerc ,  resarcirc,  1.  13.  e  talvolta 
l'uno  e  l'altro,  secondo  lo  stile  dei  legali,  ea  aqua,  ii 
aquae  duclus  fluii  1.  31. 

COL  •  COLONIAE  ■  IVLIAE  •  VEXAFRI.  Colio 
stesso  appellativo  di  Colonia  Giulia  vien  denominato 
Venafro  sul  cippo  letto  da  me  ai  Puzzilli ,  casale  di- 
stante due  miglia  a  settentrione  di  Venafro. 
TECTIGAI 
COLCOLIV 
VEXAFRI 

Ultimamente  il  signor  Conte  Rorghesi  ha  stabilito 
perciò ,  e  per  la  testimonianza  di  Frontino  ,  che  dice 
a  Venafro  essere  stata  dedotta  una  colonia  dai  trium- 
viri (erroneamente  Vviri  dcduxerunl  nelle  edizioni), 
che  essa  fu  una  delle  colonie  collocate  da  Cesare  Ot- 
taviano, prima  di  aver  ricevuto  l'appellazione  di  Au- 
gusto ,  e  però  dette  solo  Giulie  (  Iscr.  Perug.  p.  6.  ). 
In  un  frammento  pur  Venafrano  leggesi , 


\MIVLAVG  VI 
AIDIAP.SFCID 
CAFACTVM    E 


(>) 


(1)  11  Mommson  ha  supplito  Wnafntm,  e  riferisce  l'AM  a  Colo- 
niMl.  A  me  senibia  assai  duro  P  inaudito  Wnafrum,  e  non  ve- 
dendo la  necessità  di  tenere,  che  sì  parli  della  Colonia,  propongo 
di  supplire  un  altro  edilìzio  pubblico  in  VenalVo  ,  il  quale  poteva 
avere  i  medesimi  appellativi  imperiali,  che  la  Colonia,  ed  inoltre 
un  aggiunto  venutogli  da  alcun  nobile  e  beni'nierito  cittadino,  il 
quale  vi  avesse  dipoi  operato  alcun  inipoLlaiUe  restauro  ,  o  rile- 
vanti aggiunzioni  ;  e  non  altrimenti  che  a  Napoli  la  Basilica  si 
chiamò  AVGus^a  ANMA.NA  (  Momm.  Inscr.  Keap.  n.  -2621),  cosi 
quella  qualunque  l'ubbrica  si  denominasse  in  Venafi'o  lVL»a  AV- 
Gusta  Wbiana.  Il  nome  dei  Vibii  leggesi  su  di  un  aluo  fram- 
mento Venafrano  appartenente  ancora  a  fabbriche  pubbliche,  e  chi 
sa  se  a  questa  medesima. 


u  — 


il  quale,  comunque  voglio  supplirsi,  dimostra  in  ogni 
modo  essersi  di  poi  al  lilolo  di  Giulia  unito  quello  di 
Au(jum,  ossia,  ehe  la  colonia  di  Venafro  fu  rinnovella- 
ta  (la  Augusto.  Ciò  per  altro  deve  essere  accaduto  do- 
po il  728 ,  nel  qual  anno  Venafro  porta  ancora  il 
solo  nome  di  Giulia,  siccome  apparisce  manifesto  dal 
titolo  del  decreto,  che  abbiamo  sottocchio.  Ed  invero 
una  nuova  assegnazione  fatta  da  Augusto  polevasi  de- 
durre in  qualche  modo  da  Frontino,  ove  scrive,  che 
s!(»i»>ia  montiumjure  templi  Iileac  ab  Augusto  sunt  cou' 
cessa  (così  leggo  in  vece  di  Dcae  creduto  dal  Momm- 
sen  forse  Dianac  Bull.  Instit.  1830.  p.  48.) ,  la  qual 
conghieltura  Ideae  è  stala  di  poi  rafTermata  dal  Lach- 
mann,  il  quale,  come  mi  scrive  il  Conte  Borghesi,  ha 
corretto,  appunto  così,  questo  luogo  sull'autorità  del 
codice  Palatino.  La  nuova  edizione  del  Lachmann  non 
.si  è  avuta  ancora  fra  noi. 

niP.  CAES.\RE  VIII.T.STATILIO.  TAVRO.II. 
COS.  Ciascuno  vede  di  quanta  importanza  sia  questa 
scojìerta,  che  ci  fa  assegnare  il  decreto  all'  anno  728 
di  Roma,  epoca  dalla  quale  bisognerà  partire  da  ora, 
per  corcare  le  basi  dei  posteriori  scnatusconsul li,  rac- 
colti da  Frontino  ,  il  più  antico  de'  quali  rimonta  al 
743.  Frontino  ignorava  quali  leggi  si  fossero  date 
mai  fuori  di  Roma  ai  Socii;  noi  scopriamo  nel  decre- 
to venafrano  di  Augusto,  che  le  leggi  anteriori  citale 
da  Frontino  eransi  già  applicale,  almeno  a  questa  co- 
lonia. Intendiamo  finalmente ,  perchè  non  si  trovano 
qui  tracce  dei  SCti  del  743,  nò  della  legge  Quinzia  del 
7V!Ì.Iuvcce  andreuio  in  seguilo  dimostrando  quali  ap- 
plicazioni siansi  posteriormente  venute  facendo  nelle 
leggi,  e  SCti  mancandoci  il  corpo  di  leggi  delle  quali 
tpiesto  decreto  sembra  essere  un  estratto. 

Art.  1.  Dell'  uso  de' corsi,  e  dell'acqua  caduca. 
Questo  primo  articolo  prescrive  1'  uso  delle  acque  nei 
terreni  fuori  di  città  ,  che  con  approprialo  vocabolo 
diconsi  RV'RA  dai  Giureconsulti ,  pei  quali  1'  acjer  si 
definisce  ;  loais  ruii  sine  aedi  fido  L.  21 1.  D.  deverb. 
niguif.  ,  ovvero  locus  sine  villa  L.  27.  1).  eod.  tit. 
Perlùchè  nelle  leggi  Toria  e  I\Iamilia  Icggonsi  uniti  i 
tre  vocaboli  AGER  ,  LOCVS  ,  AEDIFICIA  ,  e  qui 
slesso  troveremoLOCVS  AGFR  che  più  propriamen- 
te in  città  dicesi  area  L.2 11.1).  eod.  tit.  Cominciasi  con 


AQVAE.  RIVOS.  DVCTVS  che  non  è  tautologia.  Il 
proprio  vocabolo ,  che  comprende  tulle  le  maniere  di 
condotti  d'acqua  è  RIVVS.  il  DVCTVS,  o  DVCTIO 
non  significa  veruna  qualità  di  coudotli  ,  ma  solo  il 
convogliare  le  acque.  Perciò  Vilruvio  sciisse  :  Ductus 
aquae  fiunt  generibus  tribus  :  rivis  per  canales  structi- 
les ,  aut  fistulis  plumbeis ,  seu  tubulis  ficlilibus  (  L.  8. 
e.  6.  ed.  Marini  ).  Nei  SCti  recati  da  Frontino  bas- 
si costantemente  RIVVS,  SPECVS,  col  qual  secondo 
vocabolo  si  determinavano  i  rivi  coperti  o  sotterra- 
nei ,  0  sospesi  sugli  archi ,  o  traforanti  le  montagne, 
non  mai  DVCTVS,  Ciò  non  ostante  in  Frontino  me- 
desimo, e  nei  monumenti,  il  DVCTVS  prendesi  in  si- 
gnificato di  ficus,  e  così  ancora  nel  codice  Teodosiano 
XV.  Tit.  II.  L.  L.  Ove  corrisponde  precisamente  al 
RIVOS  della  simile  legge  Auguslea  del  terreno  incol- 
lo a'  lali  dell'  acquidotto. 

Non  meno  precisa  è  la  maniera  d' indicare  la  su- 
prema magistratura  della  Colonia  ,  sia  la  ordinaria 
col  proprio  nome  di  Duumviri  turi  dicundo  sia  la 
solita  surrogarsi  in  taluni  casi  col  nome  di  Praefe- 
eli ,  dalla  quale  dovevasi  avere  avuto  il  permesso , 
che  Augusto  conferma  con  questa  legge ,  togliendo 
insieme  ai  coloni ,  ed  ai  municipi  di  appropriarsi 
l'acqua,  che  soprabbondava  alle  erogazioni.  Poi  quanto 
alle  novelle  erogazioni ,  o  a[>palli,  ordinando,  che  si 
facessero  col  decreto  dei  decurioni ,  ai  quali  fossero 
tenuti  i  duumviri  di  sottoporre  la  domanda.  Suppone- 
si  r  acquidotto  di  già  costruito  ed  in  uso  prima  del 
nuovo  decreto ,  nel  (piale  vien  confermato  il  dritto 
della  dispensa  a  coloro  ,  che  lo  avevano  già  ottenuto 
sia  dai  duumviri ,  sia  dai  Prefetti  della  Colonia. 

Le  parole  neminem  coloiìorum  venafr.  vel  qui  colo- 
niae  muniiipes  rendono  vieppiù  sicuro,  che  dentro  le 
slesse  mura  abitavano  cittadini  romani  di  due  condizio- 
ni, coloni,  e  municipi;  e  però  che  Venafro  era  colonia 
e  municipio  al  tempo  medesimo.  Lo  slesso  può  dirsi 
dei  pompeiani  e  roloìii  di  Poni])ei,  o  come  dei  munici- 
pes,  et  coloni  di  Teramo  ha  di  iccenle  provato  il  eh.  sig. 
Ilenzen  [Uull.IuM.  lS."il.p.8'j,  173). ;Vlla legge  nemi- 
nem caducain  ducere  placet  fa  buon  riscontro  il  caput 
ma»K/a/w«ni  riferito  da  Frontino  (.1/7.  III.),  CADV- 
CA.M  NE.M1.\E.M  DVCERE  VOLO  di  data  posteriore. 


Art.  2.  Dei  corsi  nuovi.  II.  vìi:  Qualuonir.  aquar. 
oslium  in  aquae  ducili,  qui  per  m.  p.  IX  in  oppidiim 
venafranoruin  tendil  ne  aperìant  :  colonis  venafranis 
sive  qui  colonorum  venafranoruin  nomine  eroijari  al- 
tribui  aliove  quo  modo  dari  non  placet. 

Siccome  nella  legge  precedente  erasi  data  ogni  facol- 
tà ai  duumviri  delia  colonia  di  concedere  corsi  di  ac- 
que, cosi  in  questa  si  proibisce  di  aprire  alcuna  porta 
ai  fìanchi  dell' acquidollo  per  tulio  il  suo  cammino  di 
nove  miglia  ,  inoltre  togliesi  ora  ogni  drillo  di  dispen- 
sare ,  a  quei  che  saranno  incaricali  della  cura  delle 
acque  sia  duumviri,  sia  quallroviri.  Ed  era  veramen- 
te dannoso  così  1'  uno  ,  come  l' altro  :  ma  io  credo  , 
che  questi  due  articoli  siano  stali  o  tolalmenle  rifor- 
mati, o  modificali  in  qualche  lor  parte  :  mostrandosi 
apertamente  gran  diversità  nella  forma  calligrafica  di 
queste  linee,  paragonate  alle  seguenti.  Veggonsi  quin- 
di i  capiversi  del  primo  articolo  cominciare  irrego- 
larmente fuori  del  perpendicolo  segnato  dal  primo 
scultore  ;  le  lettere,  che  dovrebbero  essere  sul  prin- 
cipio meno  piccole,  che  in  seguilo,  ove  l'artefice  te- 
mendo non  gli  bastasse  lo  spazio  le  andò  impicciolen- 
do ,  e  stringendone  gli  spazii ,  invece  vi  sono  né  si 
grandi,  né  si  ben  formate,  e  ciò  neppur  costantemen- 
te ,  onde  bassi  un  più  manifesto  argomento  di  cor- 
rezione. Le  (piali  abrasioni ,  o  lilure  ,  hanno  più  in- 
fluito a  rendere  la  lettura  di  questa  parte  difficile ,  e 
dubbia. 

IIVIR.  QVATVORVIR.  AQVAR. Le  vestigie  della 
leggenda  anteriore  appaiono  qui,  e  poi,  manifeste. 
Il  prof.  .Momni.  lesse  LIB ,  e  difalti  le  prime  tre  let- 
tere IIV  non  se  ne  discoslano  gran  fatto  ,  anzi  colla 
V  assai  marcate  appariscono  le  tracce  della  B  ante- 
cedente. Cosi  alla  R  di  AQV^\R  risponde  un  M ,  ed 
alla  I  di  QVATVORVIR  un  E.  Ciò  non  ostante  so- 
,  no  sicuri  i  Duumviri  e  i  Quatuorviri  aquarii ,  che 
non  credo  cariche  conlemporaneamenle  sostenute , 
ma  prevedute  solo  nella  legge,  come  possibili  a  sur- 
rogarsi r  una  a  1'  altra.  Avevasi  già  un  sentore  dei 
Duumviri  aquae  pcrducendae  creati  in  Roma  ex  se- 
natusconsullo  al  483,  per  condurre  a  fine  la  costru- 
zione di  queir  acquidollo,  che  prendeva  l'acqua  dal- 
l'Auiene  vecchio  (Front.  Art.  CO.).  Un  confronto  an- 


che locale  si  trae  dal  duumvirato  i'rbis  Moeniundae, 
carica  sostenuta  da  Lucio  Acluzio. 

OSTIV.M.  Con  (piesto  nome  venne  indicato  propria- 
mente lo  sbocco  dei  fiimii  in  mileriaaquaria,  qui  ])er 
tanto  sembra  gli  si  conservi  il  generico  suo  significato 
di  porta,  e  che  aperire  oslium  valga  aprire  una  porta, 
e  non  altro.Vielasi  adunque  ai  magistrati  priimirii  delle 
ac(}ue  di  farlo,  ed  inoltre  d'ingerirsi  in  «lualunque 
modo  alla  erogazione  e  distribuzione  di  esse  sia  tra 
coloni ,  sia  a  chiunque  a  nome  dei  coloni  le  chiedes- 
se. I  duumviri  giusdicenti,  ovvero  i  prefelli,  nell'arli- 
colo  precedente  avevano  ricevuto  questa  incuniheuza 
per  le  acque  fluenti  nell'alveo  dell'  acquidollo.  Io 
Roma  si  variò:  Inierdum  enim  ab  aedilibua,  inlerdum 
a  censoribus  permissum.  invenio  dice  Eronliiio  Art.  915. 
Questa  facoltà  viene  ivi  negata  agli  appallulori ,  ed 
in  questo  articolo  si  vieta  ai  duumviri  o  (luallioviri 
addetti  alla  cura  delle  acijue  di  aprir  usci  sui  lati  del- 
l'acciuidolto,  e  in  (pialunijiie  maniera  distribuir  l'ac- 
qua. Nell'arliculo  (piarlo  vedremo  richiedersi  un  de- 
creto dei  Decurioui  a  maggioranza  di  voti  per  ogni 
novella  concessione. 

COLONIS.  eie.  Appare  anche  da  questo  luogo  la 
natura  dell' estrallo  ,  che  abbiamo  solt' occhio  ,  e  vi 
avrà  forse  influito  anche  la  nmlazione  introdotta  di 
poi,  perchè  non  fosse  troppo  limpido  il  senso,  né  sem- 
pre esatta  la  corrispondenza  dei  mendjii.  E  ben  chia- 
ro ,  che  altro  andamento  si  conveniva  a  legar  bene 
questa  seconda  parte  coi  membri  antecedenti.  È  proba- 
bile che  una  volta  vi  fosse  scritto  alcun  regolamento  in- 
torno all'acqua  fw^Hca,  di  che  nell'art,  l.e  nell'ultima 
parte  della  lapida  ricorre  la  menzir>neL. 02. Una  volta 
l'acqua  che  veniva  in  Roma  per  gli  acquidotti  era  de- 
stinata ai  publici  usi  ;  quindi  si  era  provislo  ,  che  ai 
privati  si  erogasse  l'acqua  quae  ex  lacu  liumum  acce- 
derei, che  sono  le  parole  della  legge  aulica  riferite  da 
Frontino  art.  91).  Quest'acqua  però  prese  il  nome  di  a- 
qua  caduca  e  cosi  la  chiama  VarroneR.R. III. 5. Intor- 
no all'uso  di  questa  leggiamo  essersi  di  poi  stabilito, 
che  a  niuno  si  erogasse  ,  so  non  a  chi  avesse  avu- 
to tal  concessiun  dal  Principe:  Caducam  neminemdu' 
cere  volo  ,  ni-i  cpti  meo  beneficio  aut  priorum  princi- 
pum  habcnl  ;Front.  Art.  Ili  ).  La  caduca  si  derivava 


56  — 


colle  fistole  o  tubi ,  e  però  dopo  assegnate  le  leggi  di 
dispensa  intorno  all'  acqua  dei  )/i /,  o  condotti  mag- 
giori ,  dovca  regolarnicule  prescriversi  alcuna  cosa 
intorno  ai  tubi  o  condotti  minori ,  nella  qual  legge 
\eniva  inclusa  anche  l'acqua  caduca,  che  dai  castelli 
si  erogava  per  mezzo  di  tubi. 

Art.  3.  Manutenzione  dell'  acquidotto.  Qui  rivi 
specus  saepla  fontes  pulei  lacusque  aqme  ducendae 
}yfciumìae  causa  e/c.  Trattandosi  in  questo  capo  della 
rifazione  dell'  acquidotto  ,  e  di  tutte  le  fabbriche  an- 
nesse, non  può  dubitarsi,  che  vi  debbono  essere 
nominate  tutte  quelle  ,  che  appartenevano  all'  acqui- 
dotto venafrano.  Non  fa  però  gran  peso  non  trovarsi 
aporta  menzione  né  dei  castelli ,  né  della  chiavica  ; 
potendosi  compensare  dal  vocabolo  lacus,  il  caslellum 
o  botte  di  dispensa,  e  dal  rivus  la  chiavica  immissaria 
detta  incile.  E  quanto  alla  sinonimia  del  lacus  e  ca- 
slellum viene  garante  Frontino  medesimo ,  il  quale 
nell'art.  94  spiega  le  parole  dell'antica  legge  ne  quis 
privalus  aliam  ducal,  quam  quae  ex  lacu  humum  ac~ 
cedil,  idesl  quae  ex  lacu  ahundavil,  eam  nos  caducam 
vocamus:  ed  all'art.  110.  ritornando  sulla  interpre- 
tazione della  voce  caduca  ha  scritto;  Aquac  quae  ca- 
ducae  wcantur ,  idesl  quae  aul  ex  castcUis  efjluunt 
ani  ex  manalionihus  fislularum:  e  si  ha  all'  art.  III. 
il  Mandalum  Principis  :  Caducam  neminem  ducere 
volo:nam  necesse  est  excaslellis  aliquam  partemaquae 
effluere.  Ma  il  vero  si  è  che  lacus  nell'antica  legge  fu 
detto  quel  recipiente  che  Vilruvio  ordina  si  costrui- 
sca castello  coniunclum  ,  e  cui  egli  dà  nome  di  rece- 
jUaculum,  donde  colla  solita  figura  trasportatosi  il  si- 
gnificalo dal  continente  al  contenuto ,  caslellum  e  la- 
cus diventarono  sinonimi.  Traevasi  dal  castello  per 
i  privati  col  mezzo  di  tubi  quel  superfluo  di  aqua , 
che  ex  lacu  humum  accederei.  Al  lacus  poi  erano  ap- 
plicate le  fUtulae ,  che  conducevano  l'acqua  ai  pub- 
blici usi.  E  forse  sotto  il  solo  nome  di  lacus  sarà  stala 
conqìresa  anche  la  piscina  limaria  ,  che  credo  indi- 


carsi in  un  frammento  di  legge  edito  dal  Marini.  Arv. 
p.  70  col  nome  di  lacuna,  e  che  sicuramente  è  tradotta 
puteus  in  un  luogo  di  Frontino  non  osservato.  Parla 
ivi  dell'  acqua  che  nilùl  aul  ìninimum  pluvia  inqui- 
nalur ,  si  pulei  exlrucli  obiecli  sunl.  cap.  89.  Il  Po- 
leni  è  tutto  in  darci  la  definizione  del  puteo  vitruvia- 
no  Vili.  7.  che  è  tuli'  altra  cosa  dal  significato  del 
luogo  ,  che  abbiamo  davanti.  Nel  senatusconsulto 
della  legge  Quintia  sono  nominati  distintamente  i  ca- 
stella, e  i  lacus  CASTELLA  LACVS  AQVARVM 
PVBLICARVM  QVAE  AD  VRBEM  DVCVNTVR 
Front,  pag.  221,  e  Frontino  medesimo  scrivendo  di 
Agrippa,  dice:  Habuit  et  familiam propriam  aquarum, 
quae  tueretur  ductus  atque  castella  et  lacus.  Art.  94.  e 
i  lacus  vi  sono  opposti  ai  tubi  concessi  a  privali;  Quid 
aquarum  puhlicis  operihus ,  quid  privatis  daretur,  nel 
medesimo  senso  però  in  che  lo  adoperò  Plinio  ricor- 
dando che  Agrippa  . . .  lacus  sepiingenlos  fedi  H.  N. 
XXXVI.  24. ,  e  Vilruvio  ove  discorre  delle  fìstulae 
in  omnes  lacus  et  salienles. 

E  credo  perciò  che  lo  stesso  senso  abbia  il  senatus- 
consulto riferito  da  Frontino  a  p.  119,  nel  quale  son 
nominati  i  castelli  dei  privati,  ove  si  accoglievano  le 
acque  concesse  in  comune  a  più  persone,  onde  di- 
stribuirsene di  là  per  mezzo  delle  fistole  la  porzio- 
ne competente  a  ciascuno  :  CASTELLA  PRIVATI 
FACERE  POSSENT  EX  QVIBVS  AQ VAM  DVCE- 
RENT  QVAM  EX  CASTELLO  COMMVNEM  AC- 
CEPISSENT.  In  breve  il  lacus  ebbe  fra  molti  sensi 
alcune  spiegazioni  proprie  nella  materia  degli  acque- 
dotti. E  significò  un  receplaculum ,  che  era  nel  ca- 
slellum ,  poi  anche  il  caslellum  dei  privati ,  che  era 
insieme  receplaculum.  C  antica  legge  lo  intende  nel 
proprio  senso  ,  Frontino  ,  Vilruvio,  Plinio  gli  fanno 
corrispondere  il  secondo  ;  e  Ulpiano  L.  3.  §.  3.  D. 
de  ri  vis:  si  aqua  in  unum  lacum  conducatur,  et  inde 
per  plures  ductus  ducatur. 

fcoìtlinua)  GARnucci, 


P.  Raffaele  Garrucci  d.c.d.g. 
Giulio  Mì.neuvim  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  CATAyEO. 


BILLKTTIIVO  ARCHEOLOGICO  IVAPOllTAm 


NUOVA    SERIE 


N.'  8. 


Ottobre  1852. 


Monela  inedita  di  Napoli,  che  ì-isolvc  la  quistione  del  (oro  androprosopo.  —  Notizia  de<jli  scavi  di  Pompei  : 
continuazione  dell'articolo  inserito  nel  num.  3. — Relazione  dei  nuovi  scavi  eseguiti  neW  Anfiteatro  Campa- 
no. — Giunta  all'  articolo  precedente. — Tavola  aquaria  Vena  frana ,  continuazione  del  num.  precedente. 


Moneta  inedita  di  Napoli ,  che  risolve  la  quistione  del 
toro  androprosopo. 

La  monetina  del  Sig.  Riccio  con  la  protome  del  Se- 
Leto  (  lav.  IV  n.  1,2),  della  quale  si  è  favellalo  di 
sopra,  (p.  17  segg.  e  p.  45  segg.),  cominciò  per  da- 
re una  prima  luce  sulla  quistione  del  toro  andropro- 
sopo. Veniva  quella  a  diràoslrarc  che  nel  mostro  non 
dovesse  ravvisarsi  im  dio  fluviale  indigeno,  come  sa- 
rebbe il  Sebeto.clie  soUo  altre  forme  ci  si  offriva  per 
la  prima  volla.  Noi  nel  trarre  una  (ale  conclusione 
ne  desumemmo  un  argomento  in  favore  della  opi- 
nione, che  nel  toro  a  volto  umano  riconobbe  il  Bacco 
Ebone  de'  Napolitani.  Ma  perchè  la  influenza  di  quel 
nuovo  fatto  archeologico  non  oscurasse  la  verità,  dando 
appoggio  e  sostegno  a  non  vera  congbietlura  ,  volle 
fortuna  che  ci  capitasse  alle  mani  un'altra  unica  me- 
daglia napolitana  ,  che  scioglie  la  quistione  in  favore 
dell'  Acheloo  ;  per  modo  che  non  potrà  più  muover- 
sene alcun  dubbio  per  l'avvenire.  Così  avremo  la 
sorte  di  aver  del  tutto  chiarita,  nelle  prime  pagine  del 
nostro  bullettino  ,  la  ricerca  del  toro  androprosopo  , 
con  irrecusabili  fatti. 

La  nuova  medaglia,  alta  quale  accenniamo,  è  pos- 
seduta dallo  stesso  sig.  giudice  Gennaro  Riccio,  a  cui 
appartenevano  le  monetine  del  Sebelo ,  le  quali  sono 
già  andate  ad  arricchire  il  gabinetto  numismatico  del 
real  museo  Borbonico.  Noi  non  tardammo  a  ravvi- 
sare tutta  la  importanza  di  un  si  pregevole  monumen- 
to: ed  il  eh.  possessore,  a  nostra  richiesta,  ce  ne  per- 
mise la  pubblicazione  (V.  lav.  IV.  n.  8). 

ANXO    I. 


Testa  di  Apollo  laureata  a  dritta ,  con  una  specie 
di  zazzera. 

)(  Mezzo  toro  a  volto  limano  nuotante  sopra  onde 
marine,  dalla  cui  aperta  bocca  esce  un  grosf'O  zampil- 
lo di  acqua  :  dietro  al  toro  una  lira,  sopra  NEOITO- 
AITE.  JE  5. 

Gettando  uno  sguardo  sul  tipo  del  rovescio  ,  sarà 
agevole  convincersi  che  il  toro  androprosopo  nuota 
fra  le  onde.  Prima  di  tutto  osserviamo  che  le  onde 
marine  sono  conformale  in  quella  guisa  che  frequen- 
tissimamente s' incontra  ne'  monumenti  di  o'mi  erne- 
re ,  siccome  avemmo  altrove  la  occasione  di  notare 
[bullett.arch.nap.an.W  p.5o.s.  e  vasi  latta  p.83.seg. 
109,  162);  ma  in  modo  particolare  son  da  rammen- 
tare le  medaglie  di  Taranto,  nelle  quali  sotto  al  delfino 
si  veggono  i  marini  flutti  in  simile  guisa  figurati.  La 
posizione  poi  del  toro  è  evidentemente  di  un  anima- 
le che  nuota  ;  a  tanto  accennando  le  gambe  piegate 
verso  il  corpo,  e  l'attitudine  della  lesta.  Or  nella  nu- 
mismatica delle  nostre  regioni  è  ovvio  di  ritrovare  il 
toro,  o  il  mezzo  toro  con  le  anteriori  zampe  ripiegale 
verso  il  corpo,  e  col  capo  abbassato,  ovvero  con  una 
sola  delle  zampe  anteriori  piegate.  Tali  posizioni  ac- 
cennano al  nuoto,  non  potendo  riportarsi  ne  al  mo- 
vimento di  procumbenle ,  né  a  quello  di  cozzante. 
Sicché  anche  negli  altri  numerosi  esemplari  ,  ove 
queir  atlitudine  s' incontra  ,  noi  potremo  senza  diffi- 
coltà riconoscere  il  toro  ;uidr(iproso|i()  nuotante  :  e 
solo  si  suppongono  le  onde ,  che  nella  monela  del 
Siij.  Riccio  sono  chiaramente  accennate.  Nondimeno 
son  traile  gambe  del  toro  non  poche  volte  simboli  al- 


—  o8  — 


lusivi  alle  acque  :  talora  un  delfino  ,  talora  altro  pe- 
sce ,  e  tal  altra  un  augello  acquatico.  La  effigie  del 
toro  nella  medaglia  del  Sig.  Riccio  aggiugoe  un'altra 
particolarità  ,  ed  è  lo  zampillo  ch'esce  dalla  sua  boc- 
ca. E  questa  ,  accoppiala  alle  onde  fra  le  quali  gal- 
leggia ,  mostrano  alla  oidenza  che  siasi  voluto  indi- 
care una  divinità  che  ha  strettissima  relazione  coU'e- 
lemento  dell'acqua.  È  pure  iudubilato  che  alla  intelli- 
genza di  questa  moneta  non  giova  la  particolar  nar- 
razione di  Nonno  {Diouyt.  hb.  XI,  v.  136.  segg.  ), 
richiamata  dall'illustre  Avellino  in  sostegno  della  sua 
opinione  a  spiegare  le  medaglie  di  Alonliain  (  opusc. 
voi.  1.  p.  90  segg.).  Indipenlenlemente  dalla  osser- 
vazione che  il  toro  di  Nonno  non  era  androprosopo, 
che  non  era  Io  stesso  Bacco ,  ma  una  immagine  del- 
l' agricoltura,  avvertiamo  che  esso  non  nuotava  nelle 
onde  come  nel  proprio  elemento  ,  ma  assetato  si  ab- 
beverava, e  poi  spargeva  sulla  terra  il  soprabbondan- 
te umore.  Il  confronto  è  onninamente  dissimile ,  e 
resterà  la  medaglia  del  Signor  Riccio  nella  sua  unica 
significazione,  senza  potersi  in  conto  alcuno  ripor- 
tare a  Bacco ,  o  ad  Eboue.  Dall'  altra  parte  è  trop- 
po vicino  il  confronto  della  medaglia  di  Napoli  con 
quella  di  Alonzio  per  giudicare  che  una  medesima 
divinità  sia  rappresentata  in  entrambe.  Sicché  un  es- 
sere slretlameute  collegato  colle  acque  dovrà  rav- 
visarsi nelle  monete  di  Alonzio,  come  in  tutta  la  nu- 
mismatica della  Sicilia.  Ciò  ritenuto,  noi  sin  da  que- 
sto momento  annunziamo  che  non  debba  ad  altro 
pensarsi  che  all'Acheloo,  secondo  la  opinione  di  molti 
dotti  archeologi,  e  principalmente  dell'Ignarra  ((ie  Pa- 
ìaestra  )  ;  siccome  faremo  notare  in  una  particolare 
memoria ,  che  ci  proponiamo  di  leggere  alla  reale 
Accademia  Ercolanese. 

Vogliamo  qui  unicamente  richiamare  un  impor- 
tantissimo luogo  di  Sofocle,  già  invocato  a  spiegarle 
monete  di  Alonzio;  nel  quale  il  tragico  ci  presenta 
r  Acheloo  che  fa  sgorgar  zampilli  dalla  sua  barba  : 
'Ex  di  d%<jy.hu  yzvii'oih'js 
Kpo(/vol  0/£pijX('v:vT0  xpryAioij  Tror^ù. 
Trachin.  v.  14,  15. 

Nò  alcun  dubbio  potrà  muoversi  sulla  identità  del 
personaggio  descritto  da  Sofocle  con  quello  delle  mo- 


nete di  Alonzio,  perchè  l'acqua  sgorgava  da'peli  della 
barba,  e  non  dalla  bocca  (Avellino  opusc.  t.  Ip.  116); 
giacché  non  giudichiamo  necessaria  la  identità  del 
sito,  da  cui  parte  l'acqua,  quando  e  1'  uno  e  l'altro 
ci  presentano  una  medesima  significazione.  Tornando 
alla  medaglia  del  Sig.  Riccio,  noi  crediamo  che  l'at- 
titudine di  nuotare  sia  propria  dell'  Acheloo ,  che  ri- 
conosce una  derivazione  non  dissimile  da  x^'^'Ì^j,  do- 
vendo l'a  considerarsi  come  aumentativo,  non  già  co- 
me privativo  :  e  perciò  la  Ura  X-'^^*^*'  >  può  riputarsi 
ancora  aggiunta  in  allusione  al  nome  della  divinità  , 
a  cui  si  trova  vicino. 

Questo  nostro  articolo  si  abbia  come  un  semplice 
annunzio  di  un  fatto  importantissimo  ;  ma  tratteremo 
eslesamente  tutta  la  quistione  del  toro  androprosopo 
nella  enunciata  memoria.  In  essa  discuteremo  d'oude 
sia  provenuta  la  forma  di  quel  mostro ,  che  si  è  fi- 
nanche incontrato  fralle  antichità  assirie  di  Nioive,  e 
che  dovrà  pure  in  quelle  riportarsi  all'  elemento  del- 
l' acqua  ,  vedendosi  ivi  altresì  il  leone  alato,  che  cer- 
tamente figura  la  ignea  natura  del  sole:  al  qual  du- 
plice fatto  non  fu  da  noi  messa  attenzione ,  quando 
esponemmo  altrove  una  diversa  idea  (  vedi  sopra  p. 
46  not.  1  ). 

.      MlNERVINI. 


Notizia  degli  scavi  di  Pompei  :  continuazione 
dell'articolo  inserito  nel  num.  5. 

Alcune  altre  aperture  si  sono  scoverte  in  continua- 
zione ;  ma  non  essendosi  internato  lo  scavo  da  questo 
lato  sinistro  della  strada,  ne  differiremo  la  descrizio- 
ne a  tempo  più  opportuno. 

Intanto  pria  di  passare  a  descrivere  gli  edificii  si- 
tuali al  lato  destro ,  non  tornerà  discaro  il  veder  ri- 
portati i  varii  programmi,  che  furono  letti  sull'ester- 
no de'pilastri  di  fabbrica  esposti  tanto  a  destra  quan- 
to a  sinistra  della  medesima  strada. 

1.  SVETTIVM  •  CERTVM 
CLODIVS  •  NYMPIIODOTVS  •  CVPIDIS 

•  •  Vr(mon.) 


59 


2.  P  •  VEDrV'M  •  N\THMIANVM 

AED  •  HILARIO  •  CVM  •  SVA  •  ROGAI 

3.  ALBVCIVM 

4.  L  ■  C  •  S  •  IIVIR  0^ 

....  ILIO 

5.  IVSTINVM 

AED  0/> 

6.  P  •  AONIVM 
PROCVLVM 

7.  PROCVLE     FRONTONI 
TVO  •  OFFICIVM  •  COMMODA 

8.  CN  •  HELVIVM  •  SABINVM 

ROG 
CAPRASIA  •  FAC 

9.  C  •  CALVENTIVM 

Il  •  V  •  I  •  D ROG 

10.  CN  •  HE  •  •  •  • 

11.  HOLCONIVM? 
PRISCVM  D  •  R-  P  •  II  •  •  • 

IVVENEM  •  FRVG 

12.  CEIVM  II  VIR 
HELVIVM  •  AED 

13.  CELSVM 

OVE 

14.  SECVNDVM 

AED 

15.  PANSAM  -AED  •  0^> 

Venendo  ora  alla  descrizione  degli  edificii ,  clie 
veggonsi  al  destro  lato  della  strada ,  comincerò  da 
quello ,  la  cui  apertura  è  segnata  col  num.  45,  che 
segue  immediatamente  alla  vasca  di  pozzo,  di  cui  già 
tenne  discorso  il  commendatore  Avellino.  Unum.  45 
è  una  bottega  non  ancora  interamente  scoverta  :  ve- 
desi  all'  estremo  verso  la  strada  un  poggiuolo  di  fab- 
'brica  rivestito  di  marmi  bianchi  o  di  varii  colori.  Se- 
gue altra  bottega  segnata  col  num.  47 ,  le  cui  pareti 
son  rozze,  con  varii  pogginoli  di  fabbrica,  che  si  ele- 
vano dal  suolo.  Vien  poi  altro  compreso  numero  50 
tuttora  ingombro  dalle  terre ,  di  cui  appariscono  an- 
cora i  rozzi  muri.  Segue  il  num.  51  ;  cioè  bottega 
con  abitazione  annessa  ,  la  quale  è  interamente  sco- 
vcrla  ;  e  perciò  ne  diamo  una  minuta  descrizione.  Al- 


l' ingresso  della  bottega  non  appaiiscono  tracce  della 
chiusura,  non  vedendosi  affatto  la  soglia;  e  puòsup- 
porsi  che  fosse  chiusa  da  un  tavolato.  Il  pavimento  è 
di  lapillo  battuto  con  ornamento  di  varie  bianche  pie- 
truzze. 

Le  pareti  son  bianche  con  fasce  rosse  per  orna- 
mento ,  e  festoni ,  che  vi  s' intrecciano. 

Nel  bianco  campo  si  veggono  sparsi  animali ,  e 
fruita  ;  una  mozza  melagranata  presso  ad  una  mela  ; 
un  piccolo  vasetto  con  ulive  e  presso  un  ramoscello 
di  ulivo;  un  cigno;  un  delfino;  una  melagranata  pres- 
so ad  un'arancia;  un  frutto  di  fico  d'India  due  noci, 
ed  una  coppia  di  fichi  secchi  [duplex  ficus). 

A  destra  della  bottega,  e  propriamente  nell'angolo 
esterno,  è  un  piccolo  chiuso  di  fabbrica  ,  aperto  sol- 
tanto dal  lato  interno  che  guarda  la  bottega  :  entro 
questo  chiuso  è  un  rialto  con  pendenza  verso  la  stra- 
da ,  che  serviva  di  gittatojo ,  vedendosi  pratticalo  un 
foro  che  menava  l'  acqua  all'esterno  sul  marciapiede. 
In  questa  bottega  vedesi  un  piccolo  mulino  di  pietra 
vesuviana ,  composto  della  mela  e  della  pila  perfetta- 
mente conservate.  Dalla  descritta  bottega  si  passa  alla 
dielrobottega  ,  mercè  un'  entrata  ,  in  cui  non  appajo- 
no  vestigia  della  chiusura.  Il  pavimento  è  parimenti 
di  lapillo  battuto  con  bianche  pietruzze  per  ornamen- 
to. Lo  zoccolo  è  rosso  con  ornato  di  bianche  linee 
verticali ,  e  le  pareli  son  gialle.  Nel  muro  d' ingresso 
è  una  finestra ,  che  guaida  nella  bottega;  e  nell'  altro 
muro  parallelo  è  altra  finestra  più  ampia.  Nell'ango- 
lo destro  ò  un  incavo  ,  la  cui  continuazione  costituir 
dovea  una  nicchia ,  per  uno  stipo  a  muro.  In  questo 
compreso  vedesi  ora  una  piccola  base  rotonda  di  tra- 
vertino in  parte  frammentata.  A  destra  della  dielro- 
bottega è  un  andito  che  introduce  nell' interno  del- 
l' abitazione  ,  e  nel  giardinetto  che  si  descriverà  :  non 
ha  traccia  di  chiusura  ;  il  pavimento  è  siynino  ,  e  le 
laterali  pareti  sono  ornate  a  fasce  verticali  allernan- 
tisi  di  bianco  e  di  nero. 

Questo  andito  in  continuazione  s'impiccolisce,  for- 
mandosi un  dente  a  sinistra,  e  sul  nuiio  a  sinistra  con- 
tinua lo  stesso  ornamento  di  fasce  bianche  e  nere.  A 
destra  vedesi  un  giltalojo  di  fabbrica ,  ed  al  di  sopra 
s' elevava  la  scala  di  legno ,  che  couduceva  a  qualche 


—  eo  — 


ammezzato  superiore,  e  di  cui  si  scorge  il  primo sca- 
liuo  (li  pietra  vesuviana.  La  porzione  di  muro  corri- 
spondente sotto  la  scala  è  di  semplice  intonico  bianco 
senza  dipintura  ;  il  rimanente  è  dipinto  a  fasce  bian- 
che e  nere. 

A  destra  è  un'apertura  che  conduce  ad  un  ampio 
compreso  ,  e  che  corrisponde  alle  spalle  della  dietro- 
bottega ,  della  quale  è  alquanto  maggiore.  Il  pavi- 
mento è  signino,  per  una  metà  ornato  di  bianche  pie- 
Iruzze ,  e  per  un'altra  metà  privo  di  tale  ornamento: 
ivi  è  un  (juadrato  limitato  da' quattro  lati  da  linee  di 
bianche  pielruzze ,  ed  internamente  fregialo  da  pezzi 
di  marmo  di  vani  colori.  A  destra  è  nel  muro  un  in- 
cavo ,  ed  altro  simile  incavo  a  sinistra  quasi  doppio 
del  primo;  entrambi  destinali  certamente  ad  inserirvi 
qualche  mòbile.  Lo  zoccolo  è  rosso  ,  interrotto  da 
bianche  e  gialle  linee,  e  da  ornamento  di  fogliami.  Le 
pareti  son  gialle ,  con  compartimenti  di  rosso  e  di 
verde,  e  con  bianchi  ornamenti.  Nel  fondo  giallo  mi- 
ransi  dipinti  due  pavoni,  ed  un  altro  augello,  ed  una 
pantera  corrente.  Neil'  ordine  superiore  sono  rami 
verdeggianti,  ed  altri  ornali,  tra  i  quali  apparisce  pu- 
re un  Grifo.  Due  soli  quadretti  fregiano  le  pareli , 
l'uno  e  l'altro  rappresentanti  pesci ,  gamberi,  ed  al- 
tre marine  produzioni. 

Da  questo  compreso  si  accede  ad  altro  locale ,  a 
cui  si  passa  ancora  dall'andito  o  corri dojo  sopra  de- 
scritto. Questo  locale  è  limitato  dalla  parte  posteriore 
del  giardino  ,  e  dalla  parte  anteriore  del  rimanente 
dell'  edificio  :  sembra  che  fosse  interamente  coverto  ; 
giacché  in  una  porzione  di  muro,  clie  si  eleva  verso 
il  giardino  ,  vedesi  in  alto  un  fineslrihQ  destinato  a 
darvi  luce.  Nel  pavimento  signino  apparisce  una  pic- 
cola sfogatoja  o  lume  del  canale  sottoposto  ,  coperta 
da  un  pezzo  di  marmo  lavoralo ,  ed  un  puleale  di 
travertino  con  ornato  di  cornice  e  dentelli ,  coperto 
da  un  pezzo  quadrato  di  travertino,  con  residui  del- 
l' anello  nella  parte  supcriore.  Questo  locale  esser 
dovea  quasi  interamente  chiuso  e  privo  di  luce  dalla 
parie  del  giardino  :  ove  forse  elevavasi  un  tavolato. 
Segue  il  giardino  ,  che  compie  1'  cdifizio  :  è  esso  co- 
steggialo da  due  soli  lati  da  un  canale  di  fabbrica  , 
nel  mezzo  di  cui  ù  nel  lato  anteriore  una  piccola  va- 


schetta con  doppio  condotto,  uno  de' quali  si  dirige 
verso  il  pozzo.  Le  pareli  che  circondano  il  giardino 
sono  di  semplice  infonico  biancastro  ,  e  rozze  nella 
parte  superiore.   In  un  muro  leggesi  graffito 
VIBIA  AMEIA. 

Alla  descritta  abitazione  succede  una  bottega  se- 
gnata col  n.  53.  Non  vi  è  traccia  di  chiusura  ,  e  le 
pareli  son  rozze  :  a  destra  era  una  scala  di  legno,  che 
menava  a  qualche  ammezzato  superiore;  ed  ora  ve- 
desi tuttora  il  pogginolo  o  grado  di  opus  signinum  , 
che  le  dava  cominciamenlo.  Nell'angolo  esterno  a  si- 
nistra è  una  costruzione  circolare  destinata  alla  custo- 
dia di  un  canale ,  che  sembra  condotto  di  acqua  ;  e 
presso  sopra  un  piccolo  rialto  di  fabbrica  vedonsi  i 
residui  di  una  cassa  di  ferro  di  non  molto  grandi  di- 
mensioni ,  ove  forse  il  padrone  della  bottega  serbava 
il  danaro  ritratto  dalla  sua  industria.  Uscendo  dalla 
d 'Scritta  bottega  sul  marciapiede  della  strada,  incon- 
trasi un  piccolo  poggio  di  pietra  di  Sarno  addossato 
al  pilastro  esterno.  Segue  una  importante  abitazione, 
il  cui  ingresso  è  segnato  col  n.  57.  Ha  questo  i  segni 
della  chiusura  sulla  soglia  di  pietra  vesuviana.  Precede 
il  solito  andito  o  prolhyron  :  il  pavimento  ne  è  signi- 
no, con  ornamento  di  bianche  pielruzze  simmetrica- 
mente disposte:  lo  zoccolo  è  nero  con  linee  bianche, 
e  gialli  ornali.  Le  pareli  son  gialle  ,  con  scomparti- 
menti di  nero ,  e  bianchi  ornamenti  :  a  sinistra  scor- 
gesi  nel  campo  un  caprio  corrente  in  parte  perduto. 
Da  questo  andito  si  passa  nell'  atrio  tuscanico ,  alla 
cui  entrata  non  si  veggono  tracce  ,di  chiusura  :  le  due 
pareti  laterali  dell'entrata  sono  adorne  di  linee  bian- 
che ,  gialle  e  rosse. 

Il  pavimento  dell'  atrio  è  di  opus  signinum ,  con 
pezzetti  di  bianco  marmo  ,  ed  altri  più  grandi  disse- 
minati a  maggiori  distanze. 

Nel  mezzo  vi  è  il  compluvio  nobilissimo  lutto  ri< 
vestilo  di  bianco  marmo,  con  cornice  nella  parte  in- 
terna ,  ove  si  vede  un  foro  per  lo  scolo  delle  acque. 
Sul  suolo  del  compluvio  vedesi  una  piccola  base  di 
marmo  adorna  di  grandi  foglie  di  acanto  a  bassori- 
lievo, sulla  quale  poggiava  una  vaschetta  di  marmo, 
da  cui  zampillava  l' acqua.  Nella  parie  posteriore  è 
un  pilastrino  di  fabbrica  rivestito  di  bianco  marmo , 


-CI  - 


destinalo  a  racihiuilere  un  condono  di  piombo  pro- 
veniente dalle  vicinanze  del  peristilio  :  sul  dello  pila- 
slrinu  sono  fabbricale  alcune  pietre  con  concliii'lie 
incastrale  ;  e  di  mezzo  sorge  il  condotto  ,  cbe  versa- 
vasi  nella  vaschetta  innanzi  accennala  per  animarne 
lo  zampillo.  Presso  al  compluvio  sono  due  sfogatoje 
de'  sottoposti  canali,  una  delle  quali  è  coverta  da  un 
pezzo  di  marmo  lavorato,  l'altra  è  priva  di  cover- 
chio.  Sul  descritto  pilastrino  poggia  un'ampia  mensa 
di  bianco  marmo,  cbe  è  pur  sostenuta  da  due  laterali 
sostegni  anche  di  marmo  di  bellissimo  lavorio ,  con 
scolture.  Sì  dall'uno  cbe  dall'altro  lato  si  ripetono 
le  medesime  scollure ,  o  i  medesimi  bassorilievi. 

Dalla  parte  che  guarda  l'ingresso  della  casa  vedesi 
la  metà  anteriore  di  un  alato  mostro ,  cbe  ha  lesta  di 
drago  con  lingua  prominente,  corna  di  capra,  e  zam- 
pe di  leone:  pare  che  siesi  voluto  figurare  la  Chime- 
ra. Nell'opposto  estremo  è  scolpita  la  metà  anteriore 
di  un  Grifo.  Al  lato  esterno  vedesi  a  bassorilievo  un 
corno  dell'  abbondanza  ripieno  di  frutta  e  di  altri  co- 
mestibili ,  e  presso  un  grosso  globu  con  due  fasce 
che  Io  cingono  fra  loro  incrociandosi.  AH'  interno  è 
un  grazioso  ramo  con  foglie  e  fiori.  Sulla  faccia  su- 
periore della  mensa  sono  scolpite  le  cifre  numeriche 
LXXIX.  Lo  zoccolo  dell'  atrio  è  nero  con  ornamenti 
di  giallo  e  di  rosso ,  non  che  di  piante,  e  di  gialle  te- 
ste gorgoniche.  Le  pareti  sono  gialle  con  scomparti- 
menti di  rosso  e  di  nero.  Ne'  muri ,  che  sono  al  dor- 
so dell'  ingresso ,  veggonsi  due  graziosi  candelabri  e 
svariati  rabeschi.  Nel  muro  di  fronte  si  ripele  due 
volte  r  ornamento  di  simili  candelabri ,  osservando- 
sene uno  più  conservato ,  cbe  ci  permette  di  offrir- 
ne la  descrizione  :  su  rosso  piedistallo  si  eleva  il  can- 
delabro di  rosso  con  gialli  rabeschi ,  di  mezzo  a  ca- 
pricciosa architettura  dello  sfesso  giallo  colore ,  sulla 
quale  torreggiano  due  ippocampi  parimenti  gialli.  Al 
di  sotto  vedesi  in  un  particolare  quadretto  dipinta  a 
chiaroscuro  in  campo  verdino  una  magnifica  testa  di 
Medusa ,  con  alette  alla  fronte.  Nel  muro  laterale  si- 
nistro vedonsi  in  campo  nero  varii  ornamenti  di  giallo 
di  verde  e  di  bianco ,  e  nel  mezzo  un  bellissimo  tri- 
pode di  giallo  ,  quasi  fosse  di  oro. 

Questo  sacro  arnese  presentasi  dalla  parte  più  n  d- 


bile  destinata  ad  essere  più  visibile.  Sopra  una  base  , 
ador  na  di  una  testa  a  rilievo  ,  si  elevano  i  tre  piedi , 
due  de'quali  sono  formati  a  foggia  di  colonne  con  le 
rispettive  basi ,  ed  i  corrispondenti  capitelli.  Quello, 
che  vedesi  dalla  parte  anteriore,  è  conformato  a  guisa 
di  erma  ,  cbe  si  eleva  egualmente  sopra  una  base ,  e 
termina  in  lesta  di  disinilà,  che  par  fenuninile,  eoa 
due  piccole  laleiaii  anse  a  poca  distanza  dal  collo  : 
siccome  comparisce  in  altre  simili  erme.  Al  di  sopra 
del  capo  di  questa  erma  si  scorge  un  fogliame ,  da 
cui  sorge  una  rotonda  prominenza  che  va  decrescendo 
superiormente  ;  e  nella  parte  più  alta  e  delicata  poi-- 
gia  la  coppa  del  tripode  fahcnumj. 

È  questo  ornato  di  fogliami ,  di  baccellature,  e  di 
una  gorgonica  testa  ;  e  più  sopra  presenta  un  fregio 
di  rosonciai ,  e  di  cinque  bianche  lire ,  che  figurano 
come  se  fossero  di  argento.  L'  apollinea  cetra  è  ben 
conveniente  a  questo  sacro  arnese  di  Apollo.  Al  di 
sopja  della  bocca  del  tripode  si  elevano  tre  statuette; 
la  media  con  lunga  tunica,  e  con  acconciatura  di  le- 
sta simile  a  quella  dell'erma  sottoposta  ,  afferra  con 
ambe  le  mani  due  enormi  serpenti  ravvolti  in  varie; 
spire;  le  altre  due  laterali  anche  vestite  di  tuniche  par 
che  pieghino  le  ginocchia  ,  e  ciascuna  di  esse  alTerri 
con  una  delle  sue  mani  uno  de' serpenti.  Due  cerchi 
ornati  di  prominenti  fiorellini  rinforzano  i  piedi  del 
tripode,  ed  altro  cerchio  sostiene  le  tre  figurine  spor- 
genti dalla  bocca  dell'a/tt'Hum,  le  quali  visi  attaccano. 
In  confronto  di  questo  dipinto  tripode  son  da  ricor- 
dare i  tripodi  descritti  da  Pausania ,  che  diconsi  so- 
stenuti da  varie  divinità  ;  tali  sono  Venere  ,  Artemi- 
nide ,  e  Proserpina  con  Cerere  (lih.  IV  e.  XIV  ,  2). 
Non  può  con  certezza  diffinirsi  chi  siano  quelle  tre 
femminili  figure  che  afferrano  serpenti  ;  giacché  non 
vorremmo  pensare  facilmente  alle  Furie,  alle  Gorgo- 
ni ,  0  ad  altri  esseri  di  simil  natura  :  ma  ove  ci  rie- 
sca d' illustrar  questa  particolarità  del  tripode  pom- 
pejano ,  non  mancheremo  di  comunicar  le  nostre  ri- 
cerche a'  lettori  del  bulleltino.  Sotto  al  candelabro  . 
nel  sito  corrispondente  allo  zoccolo ,  è  una  gialla  ce- 
sta pendente  da  un  nastrorsopra  vedesi  in  campo  ver- 
de una  bianca  pantera  punzecchiata  di  rosso ,  che  si 
ciba  di  qualche  cosa. 


—  62  — 


In  uno  de'  muri  dell'  atrio  vedonsi  graffite  varie 
lettere ,  o  il  principio  di  un  alfabeto 

B  A  B  C  D  li 
Altrove  si  legge 

POLICARPVS  FVGIT 
In  altro  sito  leggesi  anche  graffito  un  fallo,  ed  alcuni 
segni  incerti. 

Ma  è  più  importante  la  seguente  iscrizione  tracciata 
col  carbone  in  una  parte  dello  zoccolo  ,  la  quale  se 
non  interamente,  si  è  nella  massima  parte  conservata 
dopo  il  decorso  di  circa  diciotto  secoli  : 

POPAM .  AED .  ORO  .V  OS  ....  XXI  SALPIO 
Sarebbe  stato  assai  interessante  che  tutti  i  caratteri  si 
fossero  serbati.  Non  mi  è  riuscito  di  leggere  oltre  l'OS 
di  VOS  ,  ed  anche  il  XXI  non  è  scevro  da  dubbio. 
Tra  il  V  e  r  OS  non  mancano  lettere  ;  ma  l'  antico 
pompejano  ,  che  segnò  que' caratteri,  volle  rispettare 
un  giallo  ornamento ,  che  occupa  quel  posto  nello 
zoccolo  nero.  Intanto  è  questo  un  novello  esempio  per 
la  intelligenza  dell'  0  .  V  .  F ,  che  già  venne  dal  col- 
lega Garrucci  additata  per  ORO  VOS  FACIATIS  in- 
vece dell'  ORO  VT  ,  siccome  pria  si  leggeva  :  vedi 
pag.  5. 

Nel  muro  destro  dell'atrio  è  pratticato  un  piccolo 
finestrino.  In  questo  medesimo  muro  sono  due  aper- 
ture, che  conducono  a  due  cubicoli.  11  primo  ha  traccia 
di  chiusura  ,  con  soglia  di  pietra  vesuviana  :  il  pavi- 
mento è  signino  ,  i  muri  sono  di  semplice  intonico 
senza  dipinti.  Il  secondo  cubicolo  ha  pure  soglia  di 
pietra  vesuviana  :  il  pavimento  è  signino  ,  con  molti 
irregolari  pez2Ì  di  marmo  per  ornamento.  Lo  zoccolo 
è  rosso  ,  con  scompartimenti  di  verde  ,  e  con  orna- 
menti di  giallo,  e  verdi  fogliami  :  vedesi  pure  in  esso 
un  cigno  ed  altro  capriccioso  animale.  Le  pareti  son 
bianche  con  piccole  fasce  di  rosso ,  giallo  e  verde ,  e 
con  ornati  e  rabeschi.  Tra  questi  è  un  candelabro,  e 
capricciosa  architettura  sormontata  da  un  mostro  alato 
con  testa  di  drago  e  corna  ,  e  zampe  di  leone  ,  del 
tutto  somigliante  a  quella  specie  di  Chimera  scolpita 
nel  sostegno  della  mensa,  eh'  è  presso  al  compluvio  : 
vedesi  pure  una  cesta  semiaperta  ,  e  nel  campo  un 
pavone  e  varii  delfini.  Finalmente  sono  nello  stesso 
campo  dipinti  varii  Amorini  con  verdi  clamidi  svo- 


lazzanti ;  il  primo  reca  sulla  spalla  un  vaso  o  tino  : 
degli  altri  due  uno  è  nella  maggior  parte  mancante , 
neir  altro  è  presso  che  svanito  il  colore.  Nel  muro 
verso  il  peristilio  è  una  grande  finestra. 


(continuaj 


MlNERVIM. 


Relazione  dei  nuovi  scavi  eseguiti  nell'Anfiteatro 
Campano. 

Il  giorno  4  ottobre  1831  cominciarono  i  lavori 
dell'esterno  del  monumento  a  destra  dell'ingresso 
principale ,  per  l' ampiezza  di  numero  sei  arcate  ,  e 
così  inoltrandosi  internamente  si  sono  proseguiti  fino 
al  dì  6  aprile  1832. 

Diversi  oggetti  abbiamo  rinvenuti,  cioè  frammenti 
architettonici ,  e  di  statue  in  marmo,  una  moneta  di 
oro  dell'imperatore  Giustino,  diverse  di  bronzo,  un 
pezzo  di  osso  lavorato  con  cerchietti  incisi ,  forse  ma- 
nico di  gladio,  ed  una  gemma  di  lapislazuli  con  la  se- 
guente epigrafe  : 

Heiceci 
HAieor 

AHU) 

Giunti  alla  base  delle  colonne,  addossate  ai  pila- 
stri esterni,  nel  primo  e  secondo  portico,  vi  abbiamo 
rinvenuto  il  pavimento  lastricato  di  grandi  pietre  di 
travertino  di  figure  regolari ,  il  quale  giungendo  fino 
all'  esterno  del  monumento  ,  sporge  dal  plinto  delhJ 
basi  delle  anzidette  colonne  per  pai.  1  ,  63 ,  ove 
termina  con  un  gradino  dell'  altezza  di  pai.  0,  90. 
Da  tale  scalino  si  discende  in  un  piano ,  ugualmente 
lastricato  ,  scoverto  finora  per  la  larghezza  di  palmi 
19  dal  medesimo  gradino ,  nò  può  determinarsi  fin 
dove  giunga,  essendo  il  resto  coverto  di  terra. 

Trovandosi  detto  pavimento  mancante  in  alcuni 
giti  dei  massi ,  fui  spinto  a  voler  conoscere  la  gros- 
sezza delle  pietre  che  lo  compongono ,  ed  il  suolo 
sottoposto ,  quindi  avendo  fatto  scavare  nel  ponte  di 


—  C3  — 


un  masso  ni'  imbattei  in  una  costruzione  laterizia  sot- 
toposta al  pavimento ,  perlocliè  ordinai  ai  lavoratori 
di  allargare  ed  approfondire  detto  scavo,  e  riconobbi 
esservi  un  canale  di  accpia  ,  clie  percorre  esterna- 
mente l'ellissi  dell'Anfitealro  sotto  il  detto  pavimento. 
Il  detto  canale  si  discosta  dal  ponte  del  menzionato 
scalino  per  palmi  5,  è  profondo  palmi  4,  50,  è  lar- 
go palmi  2,  75,  ed  i  massi  cbe  Io  coprono  sono  spes- 
si palmi  2,25.  Avendolo  io  percorso  carponi  con  lu- 
me insieme  ad  un  muratore ,  giunti  alla  distanza  di 
palmi  50  dall'asse  maffgiore  trovai  un  altro  canale  di 
simile  costruzione  che  lo  traversa  :  di  questo  secondo 
canale  un  braccio  s'interna  nell'Anfiteatro  corrispon- 
dente sotto  al  quarto  arco  a  destra  dell'ingresso  mag- 
giore ,  ed  un  altro  braccio  si  prolunga  in  linea  retta 
del  primo  fuori  dell'Anfiteatro.  Il  primo  braccio  s'in- 
noltra  per  palmi  42  ed  il  secondo  per  circa  pai.  20  , 
nò  mi  fu  lecito  andare  oltre,  perchè  interrato. 

Ritornato  nel  sito  dell'  intersecazione  dei  canali ,  e 
fattomi  di  bel  nuovo  nel  primo  che  cinge  l'Anfiteatro, 
lo  percorsi  per  altri  pai.  282,  ove  similmente  la  terra 
lo  aveva  colmato.  Alla  distanza  di  palmi  230  dall'asse 
maggiore  mi  sembrò  nel  masso  che  covre  quel  sito 
del  canale  esservi  uno  sportello. 

Inoltre  è  da  notare  cbe  dal  piano  dei  due  indicati 
portici  esterni  si  passa  negli  aditi  di  comunicazione 
con  gli  altri  corridoi,  mercè  di  uno  scalino  alto  pal- 
mi 0,  90  anche  di  travertino.  In  questi  aditi ,  non  si 
trova  pavimento,  forse  perchè  di  marmo,  ed  in  altra 
epoca  tolto. 

La  scoperta  di  queste  importanti  particolarità  de- 
vesi  tutta  agli  attuali  scavi,  perchè  niuno  finora  aveva 
parlato  né  dello  scalino  esterno ,  né  dei  canali  sotto- 
posti ,  né  dell"  altro  gradino  degli  aditi.  Il  solo  Maz- 
zocchi alla  pagina  138  dell'opera  In  mulilum  Ampli. 
Camp,  tilul.  dice  che  egli  nulla  vide ,  ma  che  seppe 
da  un  lapicida  esservi  all'intorno  del  monumento  un 
lastricato  ed  uno  scalino. 

A  me  sembra  che  questi  due  canali  servissero  a 
deviare  le  acque  piòvane. 

Gli  scavi  attualmente  sospesi,  saranno  quanto  pri- 
ma riattivati  avendo  S.  M.  il  Re  N.  S.  oidinalo  di 


darsi  le  convenienti  disposizioni,  perchè  si  nobile  mo- 
numento sia  interamente  scoperto. 

L' Archiletlo 
Ulisse  Rizzi. 


Giunta  all'  articolo  precedente. 

Con  grandissimo  piacere  abbiamo  riferita  la  noli- 
zia  de' più  recenti  scavi  eseguiti  nell'anfiteatro  Cam- 
pano sotto  la  intelligente  direzione  dell'  egregio  ar- 
chitetto Sig.  Ulisse  Rizzi.  Noi  ci  attendiamo  che  pro- 
seguendo lo  scavo,  mercè  le  cure  del  chiarissimo  si". 
Principe  di  Sangiorgio  ,  tanto  impegnato  per  la  con- 
servazione di  ogni  sorta  di  antichi  monumenti ,  si 
venga  a  scoprire  quanto  prima  (piel  classico  edifizio 
in  tutte  le  sue  parli.  Sarà  allora  più  opportuno  deter- 
minare r  uso  di  quegli  acquidotti ,  che  al  Sig.  Rizzi 
sembrano  destinali  a  deviare  le  acque  piovane,  e  che 
altri  riporterebbe  forse  ad  altra  destinazione.  Riman- 
dando ad  altra  epoca  una  più  esatta  dichiarazione 
delle  novelle  scoperte,  vogliamo  soltanto  notare  che 
la  pietra  con  la  gnostica  iscrizione  sopra  riportata  tro- 
vasi già  collocata  nel  real  museo  Borbonico,  ove  ab- 
biamo potuto  riscontrarue  la  lezione  ;  e  ci  proponia- 
mo di  dirne  qualche  cosa  ia  altra  occasione. 

MlXEUVl.M. 


Tavola  aquaria  Venafrana  continuazione  del  numero 
precedente. 

Il  decreto  Venafrano  sembra  lo  abbia  nel  signifi- 
cato generale  di  recipiente  o  castello,  o  lago,  senza  di 
cbe  dovrebbe  ammettersi ,  o  una  legge ,  che  tra  le 
fabbriche  annesse  all' acquedotto  dimentica  di  nove- 
rare il  castellum  ,  oyvero  un  acciuidolto  ,  che  fosse 
privo  di  castellum,  delle  quali  due  ipotesi  non  so 
quale  sia  più  assurda. 

Oltre  dei  lacus,  o  castella,  è  necessario  ad  ogni  ac- 
quidotto  la  sua  chiavica  immissaria  destinata  alla  prc- 


—  64  - 


sa  delle  acque.  Questa  chiavica  ebbe  nome  di  incile, 
del  quale  nò  Viiruvio,  nò  Frontino  ha  parlalo  ;  ma 
Ulpiano  lo  definisce  locus  depressus  ad  latus  fluminis , 
ex  eo  diclus  quod  incidalur;  incidìlur  enim  vel  lapis , 
vcl  terra,  undc  primitm  aqua  ex  (lamine  agi  possit. 

Essendo  adunque  rivo  o  fossa  ancor  esso  ,  onde 
fossas  inciles  disse  Catone  (R.  R.  e.  155),  ed  Ulpiano 
prima  incilia ,  vel  principia  fossarum,  quibus  aquae 
ex  flamine  vel  ex  lacu ,  in  jìrinmm  rivum  pelli  solent 
(L.  1.  §  8.  D.  De  aqua  collidiana),  e  le  glosse  Inci- 
les ^ti/jpvyiì,  ^luipv^  Emissarium,e  ¥eslo,  Incilia ,  fos- 
sae  quae  in  viis  fiunt  ad  deducendam  aquam,  sive  de- 
rivationes  de  rivo  communi  faclae;  non  è  maraviglia 
che  sotto  il  general  nome  di  rivi  sia  compresa.  Ulpia- 
no giudicò  che  nel  rivos,  specus,  saepta  nominali  nel- 
r  editto  del  Pretore  potessero  venir  intese  anche  le 
fosse  e  i  pozzi:  sed  et  fossae  et  palei  hoc  interdicto  con- 
tinentur  1.  e.  §  2. 

SAEPTA  II  Vossio  ed  altri  opinarono  che  miglior 
ortografia  fosse  scrivere  questo  vocabolo  senza  ditton- 
go, dcducendolo  da  <TÌi,xo?,  ove  fosse  accaduto  lo  stesso 
scambio  del  x  in  p,  che  in  Xvxni  e  Lupus;  gli  si  op- 
pone la  tavola  Venafrana,  i  codici  piìi  antichi  (Osaa. 
in  Cic.  de  Rep.  pag.  88.) ,  e  un  buon  numero  di  la- 
pidi dei  migliori  tempi  (Noris  Cen.Pis.  p.  198.  T.  1 1). 
Quanto  al  significato,  equivale  il  sacjjfa  alle  nostre 
chiuse  ,  e  cosi  son  definiti  da  Ulpiano  :  saepta  sunt , 
quae  ad  incile  opponuntur  aquae  dcrivandae  compel- 
lendaeee  ex  flamine  causa,  sive  ea  lignea  sunt,  sive  la- 
pidea, sive  qualibet  alia  materia  sinl,  adconlinendam, 
transmiitcndamque  aquam  excogitata.E  di  questi  saepta 
nò  Vitruvio ,  nò  Frontino  hanno  parlato.  Sotto  nome 
di  FONTES  iulendonsi  lo  scaturigini  di  acqua  viva  (L. 
1 .  §.  4.  D.  de  Fonte):  questi  si  restaurano  [reficiuntur); 
nisi  enim  purgare  et  rcficere  fontcm  licueril ,  nullus 
tisiis  eius  eril  scrive  Ulpiano.  L  1.  p.  8.  D.  De  Fonte. 

P\nrEI.  All'esito  dell'aria  sono  destinati  gli  sfiatatoi, 
od  aperture,  per  le  quali  possa  esalar  quella  porzione 
di  essa,  che  l'acqua  trae  seco  nel  corpo,  ed  ingrossa 


continuamente  colla  evaporazione.  Ma  nei  rivi ,  ove 
l'acqua  trascorre  in  condotti  di  piombo,  od  in  (uhi  di 
creta  in  luogo  dello  sfiatatoio  o  puleus,  conveniva  al- 
zar pilastri  o  colonne,  alle  quali  univasi  e  con  essee- 
levavasi  quella  parte  di  fistula  destinata  a  far  sprigio- 
nare l'aria  raccolta;  e  perchè  l'altezza  della  sorgente 
non  obbligasse  punto  a  sboccar  fuori  dalla  apertura 
l'acqua,  si  aveva  cura  di  livellarne  le  altezze,  a  secon- 
da dei  capi ,  e  della  spinta  non  interrotta  nel  corso. 
Questa  sorte  di  sfiatatoi  avrebbe  potuto  appellarsi 
columnaria ,  ma  non  è  sicuro  che  siano  nominati  da 
Vitruvio  nel  luogo,  ove  i  manoscritti,  e  le  stampe  pri- 
mitive variano  tra  il  columnaria ,  e  le  colliquiaria.  Il 
Marini  ritiene  nel  testo  colliquiaria,  perchè  tiene  cer- 
to, che  nei  venlres,  o  sostruzioni  arcuate  fra  due  clivi 
non  è  possibile  aprire  uno  sfogatoio  ,  donde  die'  egli 
rifluirebbe  tutta  l' acqua  :  aqua  aflluerel  ex  his ,  cum 
ad  punctum ,  quod  libella  capids  fontis  inferius  esset, 
se  elevavisset  (Marini  ad  Vitr.  lib.  Vili.  e.  VI.  n. 
22.  ).  Ma  ciò  non  può  avvenire  ,  ove  lo  sfiatato- 
io, ed  anche  il  pozzo  si  elevi  al  livello  della  sorgente. 
La  colliquiaria  per  lo  contrario  intese  prò  quadam 
amplitudine ,  quae  danda  est  flstulis  in  ventre  (Marini 
L.  e  n.  20.  ).  Non  veggo  come  possano  vim  spiritus 
relaxare  non  dandogli  alcuno  sfogo  di  fuori  del  con- 
dotto. In  Pompei  vedesi  la  forma  delle  eolumnaria'm 
più  luoghi ,  sui  due  fianchi  delle  quali  sono  aperti  i 
canali  destinali  a  ricevere  e  contenere  il  tubo  di  piom- 
bo a  smaltimento  dell'aria,  ed  a  conservare  il  livello 
della  fonte  allitudincm  exortus  sui;  e  spesse  se  ne  veg- 
gono ,  essendosi  forse  avuto  davanti  quella  massima 
così  espressa  da  Plinio  :  Si  longiore  traclu  veniet,  s«- 
beat  crebro,  desccndalgue,  ìie  Ubramcnla  pereant, 

I  pozzi  lumina  delti  da  Plinio  ,  che  Vitruvio  pre- 
scrive doversi  cavare  alla  disianza  di  due  aclns,  putei 
intcr  duos  sinl  aclus  (Plin.  //.  N.  L.  XXXI.  31.)  os- 
sia duecento  quaranta  piedi,  arrivavano  fino  a  fior  di 
terra ,  adoperandosi  per  i  rivi  sotterranei  cuniculi. 
(continua)  Gaurdcci. 


P.  Raffaele  GAnnrr.ci  d.c.d.g. 
GiiLio  Mi.>Euvi.M  —Editori, 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtà^eo, 


BILLETTINO  ARCDEOLOGICO  AAPOLITAXO. 


NUOVA    SERIE 


N°  9. 


Kovemlji-c  18.32. 


Osservazioni  numismaticlic.  —  Dilla  Icijjje  dei  sclUiiiIddne  solidi  per  oyiii  libbra  —  Della  Gruma  o  sia  Fer- 
ramenlo  agrimensorio ,  figuralo  in  un  cippo  sepolcrale  d' Ivrea. — Notizia  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei  : 
conlinuazione  dell'  articolo  inserito  nel  num.  precedente. 


Osservazioni  namismaliche. 


i.  Protome  giovanile  laureala  a  s.,  davanli  leggen- 
da svanita. 

)(Delfino  a  s.  e  clava,  sopra  al  delfino  (;W  Ij^lHYOYR, 
di  sotto  ^ll>l>IRF];W)  (v.  Tav.  IV.  n.  i). 

É  celebre  questa  moneta  ,  per  la  difficoltà  incon- 
trata finora  a  leggerne  le  epigrafi  in  tutti  gli  esempla- 
ri. PuLldlconne  la  prima  il  eli.  Comm.  Avellino  (0- 
pusc.T.  II.  p.  l-27.Tav.V.fig.  6) ,  e  delle  tre  leggende 
potè  appena  ricavare  due  lettere  appartenenti  alia  ter- 
za ^'  ••  M  ,  onde  si  rimase  da  qualunque  commento. 
Poscia  da  altro  esemplare  riusci  a  trarre  intera  questa 
medesima  epigrafe ,  e  dandone  notizia  nel  forno  III. 
degli  Opuscoli  (Tav.  VII.  n.  3,  pag.  9'p)  scrisse;  (/«&- 
hio  pia,  non  rimane,  ch'essa  erpiicalga  in  lettere  lali~ 
ne  alla  voceMAKRHS;  pensò  quindi  attribuii  la  a  Mar- 
cina  città  tirrenica  ,  e  poi  Sannilica  sul  golfo  di  Sa- 
lerno. Dopo  dell'Avellino  il  Mommsen  ha  dato  il  suo 
parere  intorno  a  questa  leggenda  medesima  ,  e  dice 
così  ;  La  seconda  ,  come  ho  rironosciiilo  io  stesso  sugli 
originali,  è  ZmmRW  mom  ^lia>IRW  (presso  il  Fiorei- 
li ,  Ann.  di  Numism.  1,43). 

,  Le  nuove  cure  del  sig.  Friedlaender  intorno  alle  mo- 
nete osche ,  lasciano  quasi  intatto  questo  cam|)0  [die 
Ofkischen  il/unren. p.63).  «  Due  sono  le  iscrizioni  sul 
rovescio  di  questa  moneta  l'una  di  sopra,  l'altra  al  di 
sotto  del  delfino  volto  a  sinistra,  disopra  leggcsi  xW.W 
od  'ahuru,  di  sotto  'makdiis'  di  poi  una  clava»:  cosi  il 
Friedlaender.  Ma  non  è  da  omettere ,  che  su  questa  mo- 
neta medesima,  passala  ora  nel  Real  Museo  di  Berli- 

AM\-0    I. 


no,  era  slato  letto  >IHY>IYH,  come  a|)prendo,  dal  sig. 
Principe  di  S.  Giorgio.  La  qunl  lezione  lascia  poco  a  de- 
siderare al  confronto  della  mia,  cheè(?mi  )IHY(JYfsI. 
La  prima  lettera  è  chiaramente  R  cosi  in  (|uesta,  co- 
me nella  moneta  del  museo  Santangelo ,  veduta  pu- 
re dal  Friedlaender,  il  quale  per  altro  non  vi  ravvi- 
sa il  secondo  elemento  ivi  abbastanza  sicuro  Y.  Nella 
copia  del  eh.  Sig.  Principe  di  S.  Giorgio  sono  tutte 
le  linee  dell' R,  tranne  la  traversa  superiore,  ma  quel- 
la che  va  obliipia  a  congiungere  le  due  verticali  in- 
clina a  sinistra  H  ,  contro  l'ordinario  andamento;  il 
quale  sbaglio  vedesi  ivi  ripetuto  nell'HH  di  ^IDI'MRSJnI 
e  altrove.  L'  YR  dunque  è  assicurata  per  la  lettura 
dello  Spinelli,  e  per  i  due  esemplari,  il  mio,  e  quel- 
lo del  Museo  Santangelo.  La  terza  lettera  è  Q  facile  a 
scambiarsi  col  ^,  e  col  >l  in  una  moneta  un  pò  frusta, 
e  logora,  o  mal  coniata,  nel  resto  confrontano  le  due 
lezioni,  la  mia,  e  quella  del  eh.  Spinelli,  a  cui,  se 
piace,  possono  aggiugnersi  le  due  finali  HHI,  che  forse 
non  sono  del  tutto  svanite. 

Minor  discrepanza  è  intorno  alla  lezione  del  nome 
sottoposto  al  delfino,  ove  ricorre  la  stessa  ambiguità, 
e  lo  scambio  medesimo  della  lettera  )l ,  che  altri  leg- 
ge ^,  altri  Q.  Nel  mio  esemplare,  che  ho  tuttavia  sol- 
t' occhio,  è  sicuro  un  )l,  onde  legj;o  ill>l>IRRW,  TR 
è  raddoppiato,  siccome  in  HlflRRn,  in  ^JVHRRT) , 
e  parmi  assai  più  analogo  ai  conosciuti  nomi  gentili 
degli  Osci,  fra  i  quali  contansi  Paccius,  Occiui,  Vac- 
cius,  Laccius ,  oStlaccius,  inoltre  si  sa  che  .V'irras 
era  detta  un'osca  persona,  nelle  favole  Atellaue(Dio- 
med.  L.  III.  e.  de  gener.  poèm.) 

Accordandomi  poi  agevolmente  coi  Sigg.  Momm- 


—  C6  — 


sen  e  Friediaender  a  riputar  questo  vocabolo  un  no- 
me proprio,  forse  di  un  magistrato  supremo,  dichiaro 
che  per  me  la  moneta  non  è  più  di  dubbia  attribuzio- 
ne, ma  che  ne  entrano  in  pieno  possesso  gli  Aurun- 
ci ,  i  quali  battono  il  metallo  in  una  zecca  comune  , 
col  nome  della  nazione ,  siccome  i  Campani ,  i  Lu- 
cani ,  i  Vestini ,  i  Frenlani ,  e  in  qualche  modo  an- 
che i  Safinì  o  Sanniti  ai  tempi  della  guerra  Marsica. 
Negli  ultimi  tempi  il  territorio  di  questo  popolo  Au- 
runco  sembra  aver  avuto  per  conGne  i  due  fiumi ,  il 
Liri  ,  ed  il  Saone  fSamJ ,  almeno  aver  avuta  qui  la 
somma  di  lor  signoria ,  ove  contavansi  fra  le  città 
principali  Cales ,  Suessa ,  Minlurnae  ,  Vescia ,  Amo- 
fia ,  od  Aurunca.  Niebhur  intorno  alla  città  Aurun- 
ca,  che  risulta  dal  racconto  di  T.  Livio  (1.  8.  e.  15.) 
ha  opinato ,  che  lo  storico  romano  commette  lo  sba- 
glio di  credere  una  città  quella  Aurunca,  che  era  la 
nazione  Aurunca(//.iJ.L.V.p.234.Golb.).Più  appres- 
so nondimeno  ammette  la  città  detta  Ausona,  che  con 
Minturna,  e  con  Vescia  fu  occupata  a  tradimento  dai 
Romani  (p.323.cf.LivioL.IX.c.23).  Ma  una  città  ^w- 
runca  è  nominata  ancora  da  Festo  fexc.  Pauli  p.  18. 
Mùller  ):  A  quo  f Ausane)  condilam  fuisse  Auruncam  ur- 
bem  etiam  ferunt  ;  e  per  lo  contrario  il  medesimo  Nie- 
bhur ha  sostenuto  altrove  la  sinonimia  dei  due  nomi 
Aurunci  ed  Ausoni  {H.  R.L.l.p.QS,99),  come  di  Au~ 
$on ,  e  di  Aurun.  Sarebbe  mai  vero ,  che  la  città  di 
Aurunca  fosse  di  poi  detta  da  Livio  ausona.'' Nel  qual 
caso  l'unica  diflìcoltà  da  superare  sarebbe,  che  Livio 
racconta  della  prima  al  419,  moenia  antiqua  eorum , 
urbemque  ab  Sidicinis  delelam  (L.  Vili.  1  o)  ;  quando 
di  Ausona  al  440  dice ,  Ausona  et  Minlurnae  et  Ve- 
scia Urbes  erant  (L.  IX.  e.  23.)  Ma  fino  a  qual  se- 
gno sogliano  esser  vere  le  positive  notizie  di  distru- 
zioni siffatte ,  lo  dimostra  un  simile  racconto  intorno 
a  Cuulonia  distrutta  affatto  ,  secondo  Diodoro  ,  nel- 
l'anno  di  Roma  372  (BibUoth.  XIV.  lOG) ,  ma  che 
nondimeno  era  in  piedi  al  38o  per  Diodoro  medesi- 
mo (XV.  14.  cf.  Pausan.VI,  3,  .3),  siccome  ben  os- 
serva il  eh.  Sig.  Raoul-Rochette  (Meni.  deNumis.  no- 
te 2.  Paris.  1840).  Del  resto  non  par  certo  se  la  città 
Aurunra  ,  ovvero  la  nazione  degli  Aurunci  battesse 
la  moneta  ,  di  che  è  parola  ;  tuttocchè  io  inclini  a  cre- 


derla propriamente  di  Aurunca ,  quando  era  città  ca- 
pitale della  nazione,  prima  che  questa  si  separasse  in 
parziali  governi  ed  indipendenti ,  e  lo  era  certamente 
divisa  al  415  quando  Calvi  guerreggiava  da  sé  (Nie- 
bhur H.R.I.V.  234, 235  ),  siccome  me  lo  fa  arguire 
il  nome  Macciis,  che  pare  il  magistrato  supremo ,  ejus 
genlis  princeps  (  cf.  Sthennius  Meltius  (SamniliumJ  gen' 
vis princeps  (Festo  V.  Mamerlini.  p.  158.  Miill.  ). 

Sul  rovescio ,  e  dietro  la  prolome  di  Apollo  il  eh. 
Pr.  Spinelli  leggeva  gli  avanzi  AlN  di  leggenda ,  che 
nel  mio  esemplare  vedesi  cominciare  davanti  la  me- 
desima prolome  ,  sulla  quale  non  so  che  dirmi ,  pe- 
rocché non  mi  è  riuscito  assicurarne  la  lezione.  Par- 
mi  per  altro  che  cominci  con  un  YM. 

2.  Protome  di  Pallade  a  d.  coperta  di  elmo  attico 
coronato  di  ulivo ,  sotto  HVR 

)(  Toro  a  volto  umano  a  d.  sopra  ONAHMAH 
Ira  le  gambe  M  ,  davanti  una  cicogna  (  v.  Tav.  IV. 
n.  5.). 

3.  Protomc  femìnile  a  d.  con  tenia  intrecciata  fra 
i  capelli  )(  Toro  a  volto  umano  a  d.  sopra  AfTlANO 
(v.  Tav.  IV.  n.  6] ,  tra  le  gambe  una  serpe. 

11  prof.  Mommsen  ,  {Iscr.  Messap.  Roma.  1848. 
p.52.n.),  e  dietro  di  lui  il  Friediaender  (  Osk.  Miln. 
p.  34  )  hanno  citata  questa  moneta  ,  ed  il  primo,  che 
la  vide  nel  Museo  Santangelo  ,  notò  che  ne  aveva  par- 
lato r  Abeken  (MitteliL  p.  333,  n.  5  )  ;  ma  il  Fried- 
iaender ne  dà  anciie  la  leggenda  OHAnM.\H. 

I  disegni  per  altro  non  ne  sono  molto  esatti ,  pe- 
rocché neir  uccello  del  rovescio,  patentemente  cico- 
gna, hanno  fatto  sospettare  al  eh.  Cavedoni  uno  del- 
la specie  dei  Falconi,  [Medaglie  Osche  pag.  198. 
Bullett.  dell' Inslitul.  Roma.  1850).  Nell'unica  mo- 
neta del  Friediaender  (Tav.  V.  n.  2.  Campani,  op. 
cit.  ),  che  somiglia  pienamente  alla  mia,  legge  egli 
OHAnMA>: ,  ed  io  son  sicuro  ,  che  la  prima  lettera  , 
meglio  osservata  troverassi  un  H.  Di  sotto  alla  proto- 
me del  dritto  il  nome  HVR  pare  iniziale  di  alcun  ma- 
gistrato di  nazione  Campana.  Potrei  citare  a  conferma 
Strabone,  il  quale  nei  nomi  dei  demarchi  di  Napoli  di 
origine  Campana,  trovava  un  solido  argomento  della 
dominazione  straniera  in  questa  città  (V.4.7,),  se  te- 
nessi che  le  monete  colla  epigrafe  Rampano  siano  co- 


—  G7 


nialo  in  Napoli.  Fu  questa  la  sentenza  dell'Avellino  (  0- 
pwsc.T.II.p.  1C7),  che  fondava  la  sua  congellnra  sulle 
parole  di  Strabene,  dalle  quali  parevagli  potesse  dedut- 
si ,   che  i  Campani  accolti  in  Napoli  vi  esercitassero 
in  qualche  tempo  tutta  l'influenza  ,  apparendo  dai  fa- 
sti napolitani ,  che  vi  sostennero  eziandio  ma;;is(ratu- 
re.  Allegava  quindi  il  paragone  dei  Campani  in  Sici- 
lia,  i  quali  coniarono  moneta  in  Entella  col  nome  lo- 
ro, e  della  città  ENTEAAA5;  KAMnA\a\.  Qui  per 
altro  non  apparisce  veruna  traccia  di  dialetto  Osco,  e 
però  potrebbe  taluno  rivolgere  l'argomento  dell'Avel- 
lino contro  di  lui  iu  questo  modo:  Dal  fatto  sicuro  dei 
Campani  di  Entella  ,  si  apprende  ,  che  vi  usarono  in- 
vece della  propria,  la  lingua  Greca  del  paese,  e  però 
vedendosi  nelle  monete  dei  Campani  di  qua  un  dia- 
letto osco,  deve  piuttosto  riputarsi,  che  se  le  siano  co- 
niate fuori  ;  specialmente  perchè  non  ebber  certo  in 
Napoli  quel  dominio  ,  che  in  Eniella  soggiogata  da 
loro,  dimostrando  inoltre  i  nomi  campani  tra' ma- 
gistrati, che  Strabone  cita,  essersi  dai  Campani  di  Na- 
poli usata  lingua  greca  ,  e  confermandolo  la  celebre 
iscrizione  di  Ischia,  dei  Campani  Faccio  Nimsio ,  e 
Maio  Pacullo  ,  che  è  egualmente  scritta  in  greca  lin- 
gua. A  convalidare  da  questo  lato  la  opinione  del  eh. 
numismatico  napolitano  allegherò  il  confronto  dei  Cam- 
pani di  Regio,e  di  Messina, i  quali  scrivono  MEJJANO, 
e  RECINO  sulla  moneta:  pei  Messinesi  propose  già  il 
Cavedoni  [Spie,  tiumwn.  p.  28.n..38.  ),  di  riconoscer 
i  Mamertiui  di  Sicilia  padroni  di  Messina.  La  proto- 
me della  seconda  moneta  di  questo  popolo  qui  fatta 
incidere  parmi  potersi  ora  sicuramente  definire  col 
confronto  della  monetina  terza,  riconoscendovi  la  Si- 
rena Partenope  ,  come  sulle  Cumane,  donde  pare  imi- 
tato questo  tipo ,  dovrebbe  teneisi  ritratta  la  Sibilla 
di  Cuma.  Intorno  allo  scambio  nell'Osco  del  >l  in  B 
■veggasi  la  p.43  di  questo  bullett.  Dopo  tale  mutazione 
non  reca  maraviglia  la  mancanza  di  questa  aspirazione, 
che  forse  può  ben  paragonarsi  al  Calor  detto  "'AXwp 
a  KcttAwn'x  detta  AvXwvix ,  ove  sembra  invece,  che 
r  aspirato  siasi  convertito  in  K.  Intorno  all'  M  che  ve- 
desi  tra  le  gambe  del  toro ,  e  talvolta  scambia  il  po- 
sto colla  cicogna  ,  taluno  ha  creduto  che  si  dovesse 
congiungere  al  nome  leggendo  Campanom.  In  altri 


tempi  avrebbero  trovato  una  spiegazione  della  Cico- 
gna [TTiXxpyòi),  e  della  serpe ò'-fis  riportando  il  pri- 
mo simbolo  alle  tradizioni  intorno  ai  Pelasgi ,  ed  il 
secondo  agli  Opici  detti  cosi  dai  serpenti  ;  Servius. 
Aen.XU.y.l^O.  Capuemes  antea  Opki  appellati  sunl, 
quod  illic  plurimi  ahnndavere  serpenles;  ma  (jueste 
erudizieni  rassomigliano  molto  a  quelle  che  si  rica- 
vavano una  volta ,  e  pur  tuttavia  da  alcuni  si  cavano 
dalle  lingue  semitiche  ed  indiane. 

4.  Protome  femminile  coronata ,  con  pendenti ,  e 
collana  ,  rivolta  a  s. 

)(  Otto  guerrieri  con  le  punte  delle  spade  ignudo 
rivolte  verso  un  porchetto,  presso  al  ipiale  è  un  mi- 
nistro occupato,  come  pare,  a  tenerlo  fermo,  nel  cam- 
po una  insegna  ,  nell'  esergo  IIIIA. 

La  spiegazione ,  che  i  dotti  hanno  finora  proposta 
del  tipo  rappresentato  al  rovescio  di  questa  moneta  , 
è ,  che  quivi  otto  capi  dell'  armata  sannitica  confede- 
rati sacrificano  la  scrofa  dinnanzi  all'insegna  militare 
(  Cavedoni ,  Bull.  Napol.  T.  VI.  p.  74.  ).  Colle  quali 
parole  sembra  che  apertamente  alludano  al  rito  foe- 
(ìeris  faciundi  descrittori  da  Livio  (1 ,  24.  IX,  V>.  cf. 
Sveton.  in  Claud.  XXV.  ) ,  e  che  Virgilio  conqiendiò 
in  due  versi  (Vili,  041  ,  642): 

Armati  Jovis  ante  aram  ,  paleraaqur  lencnla , 
Stabant ,  et  eaesa  iunejehant  foedera  porca. 

Or  a  chi  bene  osserva  la  composizione  di  questa  ra|)- 
presentanza  ,  parrà  ,  se  mal  non  m' appongo ,  troppo 
diversa  da  quella  delle  monete,  che  si  assume  d'inter- 
pretare col  confronto  di  essa.  Quivi  trattasi  di  un  fe- 
ciale  ,  a  quo  porcus  ferialur ,  qui  leges  recilel ,  preca- 
tionem  adhibeal  ;  inoltre  il  sacrificio  preceder  dovea 
la  confederazione ,  che  facevasi  fia  i  quarti  della  vit- 
tima immolata.  Dei  quali  riti  è  evidente ,  che  ninno 
si  ravvisa  sulla  moneta  sannitica;  onde  realmente  non 
si  può  tenere  per  anco  spiegato  quel  tipo.  Forse  per 
quanto  ne  conosciamo  degli  antichi  rili  ,  si  rimarrà 
sempre  oscuro ,  e  dovremo  restar  paghi  a  dire ,  che 
si  tiatti  qui  di  un  giuramento  sulla  vittima,  che  sarà 
poi  sacrificata,  davanti  all'insegna,  e  non  del  rituale 
fnederis  feriendi.  Alla  quale  seconda  opinione  un  va- 
levole appoggio  par  ri  presti  il  celebre  passo  di  Cice- 
rone, citato  opportunamente  pi  ima  dall'  Eckhel ,  poi 


-  68  — 


«lai  Cavedoni,  in  cui  discorronilo  un*  alleanza  falla  dai 
Runiaui  coi  Sannili ,  non  parla  allrinienti  di  feciale , 
ma  solo  di  iiu  giovane  che  leneva  il  porchello  fde 
Iiìieitlìone  ii):  In  eo  foedcre ,  quoti  faclum  est  quon- 
dam cum  SamniUbus,  quidam  adoìescens  nohiìis  por- 
cam  suilinuil  iussu  Imperaloris.  Si  cerca  qui  da  Cice- 
rone ,  se  dalo  in  mano  ai  Sannili  1'  Imperatore ,  do- 
A  esse  il  Senato  consegnare  al  nemico  ancora  il  giovane, 
che  aveva  sostenuto  la  porchetta.  Nel  qual  caso  è  in- 
dubitato, che  si  sarebbe  a  più  ragione  dovuto  cercare 
del  feciale ,  e  di  qualunque  altro  più  immediato  nii- 
nislro  del  sacrificio ,  se  questi  fossero  stati  adoperati 
in  quella  cerimonia.  Adunque  fa  luogo  conchiudere, 
the  in  quel  cerimoniale  si  fé  a  meno  del  feciale.  Un 
altro  lume  ci  >icne  da  Servio  a  vie  meglio  intendere, 
the  r  Iniperator  Romano  fece  qui  l' alleanza  con  rito 
non  suo ,  ma  proprio  dei  Sannili.  Perocché  racconta 
quel  grammatico  ,  che  l' uso  del  feciale  era  instituito 
da  Numa,  e  che  in  Roma  slessa  prima  di  ciòusavasi 
di  ferire  col  ferro:  Nani  cum  ante  gladiis  con fgeretur, 
a  fccialibus  inventum ,  ut  silice  feriretur  (  Aen.  Vili. 
V.C  VI).  Secondo  questa  tradizione  non  veggo  alcuna 
difiìcollà  di  inlerpretare  la  cerimonia  rappresentala 
sulla  moneta,  siccome  dimostrazione  dell'antico  rito, 
con  che  i  capi  congiurino.  Sarebbero  quindi  figurati 
i  capi  dell'esercito  Sannitico  ,  che  gladiis  configunl 
porcam ,  quam  adoìescens  nohilis  suslinet.  A  maggior 
conferma  della  qual  interpretazione  ,  osservo ,  che 
Pitti  Cretese  in  quel  suo  racconto  della  guerra  tro- 
iana a  questo  rito  medesimo  dovea  aver  1'  occhio , 
quando  cosi  bene  ne  disegnò  anche  i  particolari  della 
rappresentanza  :  lasciando  scritto  ,  che  i  Greci ,  mu- 
cronibus  sanguine  (porci  marisj  oblilis,  adhibilis  etiam 
aUis  ad  eam  rem  necessariis,  inimicitias  sibi  cum  Pria- 
mo,  per  reìigioncm  conftrmanl  (de  B.  Troiano.  L.ij. 


Della  legge  dei  sctlanladue  solidi  per  ogni  libbra. 

»  Al  tempo  di  Augusto  si  coniarono  con  una  lib- 
bra d'oro  40  solidi,  ma  gradatamente  in  appresso  con 
la  stessa  quantità  se  ne  battè  un  maggior  numero , 
sino  che V.\LEMiMA>oI  co.y  IìNA  legge  oudinò, cue 


DA  UNA  LIDBRA  d'oRO  FOSSERO  COMATl  "t'I  SOLIDI  (Cod. 

X,  tit.  LXXII  (LXX),  §.  3,  dell' a.  307);  selle  mo- 
nete d'  oro  di  questo  imperatore  si  trovano  per 
LA  PRIMA  VOLTA  LE  LETTERE  OB.»  Cosi  il  Fricdlaen- 
der  in  un  estratto  dell'opera  die  Milnzen  Justinians- 
Berlin  18i3,  p.  72,  tav.  VI  in  8,  dettato  qui  in  Na- 
poli ,  e  tradotto  in  italiano  dal  sig.  Fiorelli ,  il  quale 
lo  ha  inserito  nei  suoi  Annali  di  Numismatica  (Voi.  1 . 
p.  78.  1846).  Nel  terzo  fascicolo  di  questo  medesi- 
mo volume  primo  a  pag.  201  comincia  una  descri- 
zione di  pesi  antichi  del  Museo  Chirchcriano  dettata 
da  me  (1) ,  avanti  alla  quale  il  sig.  Fiorelli  ha  messo 
un  suo  articolo  intorno  ad  un  exagium  solidi  deW'im- 
peratore  Onorio,  che  il  signor  Friedlaender  per  sba- 
glio mi  attribuisce.  In  questa  descrizione  a  p.  209  , 
210  entra  in  un  mio  parere  intorno  alla  proposizione 
del  Friedlaender  sopraccitata ,  che  si  può  brevemente 
esporre  cosi. 

Se  Valentiniano  I  ordinò  il  primo,  che  da  una  lib- 
bra d'oro  fossero  coniati  72  solidi,  ciò  non  potè  ac- 
cadere ,  che  col  diminuirsi  il  peso  gli  spezzali  della 
libbra  antica,  ovvero  coli' alterarsi  di  peso  di  questa  , 
restando  del  medesimo  peso  gli  spezzati  della  libbra  : 
ma  ninna  delle  due  cose  è  accaduta ,  adunque  non 
può  esser  vero  ,  che  Valentiniano  I  sia  l' autore  di 
una  nuova  legge ,  con  che  si  ordinasse  ,  che  da  una 
libbra  di  oro  fossero  coniati  72  solidi  Provasi  dipoi  la 
minore  in  questo  modo.  Che  non  siansi  alterati  di  peso 
i  solidi  è  manifesto ,  costando ,  che  dai  tempi  di  Co- 
stantino, a  quei  di  Leone,  i  solidi  d'oro  pesano  sulle 
bilance  grammi  quattro,  e  pochi  milligrammi  [chi- 
logrammi invece  di  milligrammi  è  uno  sbaglio)  ;  che 
non  siasi  alteralo  il  peso  della  libbra  costa  dal  cambione 
di  Zemarco  ivi  pubblicato  da  me  ,  e  nei  piombi  an- 
tichi (  tav.  V.  n.  4.  p.  60  ) ,  il  quale  essendo  appunto 
dei  tempi  di  Anastasio,  e  di  Zenone,  pesa  nondimeno 
gr.  309,50;  ai  quali  se  aggiungasi  la  foglia  d'argento, 
che  lo  rivestiva ,  ora  mancante ,  avrebbonsi  presso  a 
poco  i  325  ,  o  327  grammi ,  peso  normale  dell'  an- 
tica libbra.  Adunque  stando  le  cose  come  prima ,  non 

(I)  Occorrono  ivi  alcuni  errori  tipografici,  come  'AvoSo^o  inve- 
ce (li  AvaSo'xos,  Cartelli  per  Castelli,  (beri:.  Boni.)  per  (Iscrìz. 
Dom.  J ,  Borfli  per  Bot'9:/,  avyyh  per  ovyjix-  col. 


—  69  — 


può  essere  sfato  Valonfiiiiano  l' aulorc  di  tal  legge. 
Ora  clic  il  signor  Friwllaciuler  ha  stabilito,  che  la 
legge  (lei  72  solidi  per  libbra  data  sin  da  Costantino, 
non  sarà  mestieri  disputarne  più  oltre.  Invece  mani- 
festerò un  mio  desiderio.  Mio  piacere  sarebbe,  che  il 
eh.  numismatico  tenesse  conto  ancora  dell'  altra  os- 
servazione mia,  intorno  al  vero  senso  delle  parole  «u 
septuaginla  duos  solido^  libra  feratur  acceplo  fC.  Tlieod. 
XII,  tit.VI,  13.  cf.  Cod.X,  tit.  LXXII,  §.  5).  Pe- 
rocché siccome  in  questa  disposizione  non  si  fa  una 
nuova  legge,  ma  si  suppone  già  fatta,  così  nella ordi- 
nativa  di  Costantino  del  325  ,  Si  quis  soìidos  appen- 
dere volueril  altri  codi,  sex  (nel  cod.  septem)  soìidos 
qualernorum  scripulorum  nostris  vullibus  figiiratos  ad- 
jìcndat  prò  siiigidis  unciis  etc.  (Cod.  Theod.  XII,  tit. 
VII.  i.J,  evidentemente  si  parla  nella  medesima  sup- 
posizione. Troverà  quindi  il  eh.  numismatico ,  che 
giustamente  ha  egli  prodotta  la  moneta  di  Massimino 
Daza  del  312 ,  col  numero  LXXII;  quando  se  fosse 
vero ,  che  la  legge  fu  data  al  323  ,  non  si  potrebbe 
affatto  interpretare  quel  numero  LXXII  della  moneta 
di  Daza  anteriore  di  13  anni  al  consolato  di  Paolino 
e  Giuliano,  che  segnano  l'epoca  dell'ordine  emanato 
da  Costantino.  In  tal  modo  adottata  anche  questa  se- 
conda modifica,  non  si  dovrà,  che  ammettere  piena- 
mente la  sua  interpretazione  ,  siccome  verissima  ,  e 
dargli  quel  plauso ,  che  ha  ben  meritato  col  porsi  su 
questa  seconda  via  da  noi  indicata  alla  giusta  inter- 
pretazione delle  sigle  OB  ,  che  ricevono  validissima 
conferma  dall'insigne  libbra  di  Zemarco  con  NOB 
(  fiqxt'ctxxrx  OB  ). 

Gaurccci. 


Della  Grama  o  sia  Ferramento  agrimensorio , 
figurato  in  un  cippo  sepolcrale  d' Ivrea. 

L' undecima  fra  le  3i  antiche  lapidi  Eporediesi  di 
recente  pubblicale  ed  illustrale  dal  eh.  sig.  cav.  Co- 
stanzo Cazzerà  (Torino,  18o2)  mi  parve  degna  di 
speciale  considerazione  segnalamenle  per  riguardo  allo 
strumento  in  essa  delineato  (1),  che  senza  meno  vuol 
(1)  Vedi  la  nostra  tav.  V.  lig  3.-C(i  Mitori. 


riferirsi  alla  professione  di  L.  Ebutio  Fausto ,  che  vi 
s'intitola  MEXSOH.  Essa  è  come  segue: 

Fastigio  come  di  tempietto  con  parma  o  sia  clipeo 

sovrapposto  a  due  aste  decussate  aveitli  le  ca- 

spidi  volte  al  basso 

.  .  IB  •  CL AVDIA 
.  .  AEBVT1V.S  •  L  •  L 
AVSTVS  •  MENSOR 
VI    VIR  •  SIBI  •  ET 
ARRIAE  •  Q  •  L  •  AVCTAI 
VXORI  •  ET  •  SVIS  •  ET 
ZEPVRE  LIBERT 

V  F 

Seggio  come  curule ,  con  suppedaneo  sott'  efso. 

Due  fasci  di  verghe ,  forniti  ciascuno  della  sua 
scure. 

Asta  piantata  verticale  In  terra,  alla  qìiaìe  </  ad- 
dossa una  crociera  consiitente  di  due  regoli  de- 
cussati ,  forniti  ciascuno  verso  V  estremità  sua 
superiore  di  un  perpendicolo  o  sia  archipenzolo, 
formato  a  guisa  di  due  coni  riversi. 

Gli  accenti  od  apici  segnali  sopra  l'V  ne'  due  nomi 
AEBVTIVS  e  AVCTAI  ne  danno  buon  argomenti)  a 
credere,  che  questa  epigrafe  sepolcrale  non  sia  di  mollo 
posteriore  a'  tempi  di  Trajano  (cf.  Marini,  Fr.  Arv. 
p.  39,  709).  Il  clipeo  congiunto  alle  due  aslicciuoie 
decussale,  che  orna  il  timpano  del  cippo  o  sia  ara  se- 
polcrale ,  mostra  che  L.  Ebulio  Fausto ,  benché  li- 
berto di  condizione,  conseguisse  il  grado  di  cavaliere, 
o  che  avesse  da  qualche  Imperatore  l'EQVO  PVBLl- 
CO  (v.  Annali  delllnslit.  T.XVllI,  p.  12ì;.  11  seg- 
gio quasi  curule,  col  suo  suppedaneo  dis^iunlo,  eJ  ì 
due  fasci  fornili  di  scure  appellano  a  qualche  sua  ma- 
gistratura coloniale  o  municipale  (cf.  Marmi  Mod. 
p.  223-227.  3Ia(Tei,  Mas.  Vcron.  p.  CXVlI);e  se  si 
riferiscono  al  suo  ijVtmKo,  confortano  l'oiiinione,  che 

VI .  VIHI  in  (lualclie  luogo  ed  in  qualche  partiooiar 
circostanza  formassero  una  commissione  di  sei  decu- 
rioni destinali  nelle  colonie  ad  una  speciale  incom- 
benza (v.  Bull.  arch.  1839,  p.  02). 


70  — 


Siccome  il  seggio  ed  i  fasci  probabilmente  accen- 
nano al  titolo  di  VI .  VIRo  ,  così  l'ordegno  sculto  al 
disotto  parrai  da  riferirsi  alla  professione  di  MENSOR, 
che  indicala  cosi  assolutamente  suole  essere  quella  di 
aorimensore  (v.  Gervasio,  hertz.  Siponl.  p.  30  ) ,  che 
dLvasi  anche  MENSOR  MACHINARIVS,  in  riguar- 
do agli  ordegni  dell'arie  sua  ,  il  principale  de'  quali 
si  era  la  CROMA  ,  genus  machinolae  cuiusdam  ,  quo 
regiones  agri  cuiimute  cognosci  possunt  (Festus  s.  v.). 
La  voce  grotna  ,  a  parere  del  eh.  Biot  {Journal  des 
Savants  1849,  p.  245),  sembra  denotare  segnata- 
mente la  crociera  rettangolare  formata  dalle  due  linee 
di  traguardo  del  ferramcntum.  Essa  è  di  sovente  usata 
come  sinonima  di  questo  strumento ,  del  quale  for- 
mava in  effetti  la  parte  precipua.  11  ferramenlum,  do- 
vendo determinare  il  secondo  lato  di  un  angolo  retto 
orizzontale ,  dopo  che  il  primo  erasi  di  già  tracciato 
in  sul  terreno  da  misurare,  facea  d'uopo  ch'esso  avesse 
un  piano  di  traguardo ,  sia  continuato  o  disgiunto , 
quadrato  o  circolare,  avente  almeno  due  regoli  o  li- 
nee di  traguardo  intersecantisi  ad  angoli  retti  attorno 
ad  un  centro,  ed  un  sostegno  centrale,  da  conficcarsi 
in  sul  suolo,  che  potesse  rendersi  verticale  per  mezzo 
del  filo  a  piombo  :  nel  qual  caso  il  piano  dello  stru- 
mento o  si  congiungeva  con  l'asse  medesimo  per  modo 
che  potesse  girare  attorno  a  sé ,  oppure  si  applicava 
e  fermava  in  capo  ad  esso  per  mezzo  di  un  foro  e  di 
una  vile  (Biot,  1.  e.  p.  241).  Quest'ultimo  modo 
pare  fosse  il  più  comune  ed  usato  in  antico ,  poiché 
la  groma  o  sia  crociera  di  traguardo,  a  detto  d'Igino, 
era  disgiunta  dal  ferramento  (  Furlanelto,  Appena,  v, 
GROMA)  :  posilo  in  eodem  loco  ferramento,  GROMA 
Sìiperponalur,  Nel  nostro  monumento  pertanto  vedesi 
r  asse  o  sia  sostegno  del  ferramenlum  posto  ritto ,  e 
la  groìna ,  o  sia  piano  di  traguardo  ,  disgiunta  e  ap- 
poggiata all'asse  medesimo.  Questo  nell'imo  è  fornito 
dì  due  risalii  laterali  per  impedire ,  che  non  si  pro- 
fondi di  troppo  e  non  si  smuova  nel  conficcarla  in 
terra  ;  e  nel  sommo  mostra  un  pome  picciolino ,  che 
risulta  da  una  superficie  piana,  e  che  può  tenersi  pel 
capo  della  caviglia  o  vite,  che  serviva  a  fermarvi  so- 
pra la  crociera  di  traguardo  o  sia  la  groma,  che  real- 
mente mostra  avere  un  foro  centrale  fatto  per  pas- 


sarvi la  caviglia.  I  due  perpendicoli,  che  veggonsi  pen- 
dere verso  le  estremità  dei  due  regoli  della  crociera, 
servir  dovevano  a  mettere  verticale  il  sostegno  ed 
orizzontale  il  piano  della  crociera  o  sia  groma,  e  forse 
anche  per  traguardo.  Tanto  sembra  indicarsi  anche 
in  quel  ditbcile  passo  di  Frontino  (  cf.  Journ.  des  Sa- 
vants, 1849,  p.  149,  ii^i):  Ferramento  primo  uli, 
et  omnia  momenla  perpemo  dirigere ,  oculo  ex  omni- 
bus corniculis,  extensa  ponderibus  et  inter  se  comparata 
FILA,  seu  NERVIAS ,  ita  perspicere  donec proxi- 
mam ,  consumpto  alterius  visu ,  solam  inlueatur.  Non 
saprei  ben  dire,  se  le  rastreraature,  che  veggonsi  fatte 
nelle  parti  estreme  dei  due  regoli  decussali,  sianvi  per 
ragione  de'  traguardi ,  o  per  meglio  appendervi  le 
fila  de*  due  perpendicoli. 

L'  antico  marmorario  avrà  probabilmente  credulo 
meglio  di  rappresentare  il  ferramenlum  agrimensorio 
così  montato,  perchè  trovasse  troppa  diflìcollà  nel  fi- 
gurarlo montato  con  la  groma  a  suo  posto,  la  quale 
avrebbe  dovuto  stare  in  posizione  orizzontale  mentre 
che  il  suo  sostegno  tiene  la  verticale.  Altri  potrebbe 
oppormi,  che  i  due  regoli  da  me  creduti  costituire  la 
groma  non  s'incrocicchiano  ad  angoli  retti,  come  pur 
sarebbe  di  dovere  ;  ma  l' antico  scarpellino  ,  vedendo 
che  posti  essi  ad  angoli  retti  sarebbero  riesciti  di  troppo 
accosto  ai  due  fasci  de'  littori ,  forse  die  loro  perciò 
un  angolo  ottuso  dalla  parte  superiore,  oppure  può 
sospettarsi,  che  il  disegno  del  Bagnolo  in  questo  par- 
ticolare non  sia  del  tutto  fedele  al  marmo  originale 
ora  smarrito.  Ancora  lice  supporre,  che  i  due  regoli 
della  groma  fossero  congiunti  ed  impernati  per  modo 
che  potessero  accostarsi  e  congiungersi  quasi  in  uno, 
per  vie  maggiore  comodità  di  trasporto ,  e  che  nel- 
l'alto dell'operazione  agrimensoria  si  situassero  l'uno 
perpendicolare  all'altro  per  mezzo  di  segni  fatti  a  tal 
uopo,  e  con  l'applicazione  della  squadra  rettangolare. 

Il  perpendicolo  ,  che  pende  sospeso  per  mezzo  di 
un  filo  verso  l' estremità  di  ciascuno  de'  due  regoli , 
può  dare  ansa  a  sospettare,  che  questi  servissero  per 
l'operazione  detta  cultcllare  ad perpendiculum, sihene 
dichiarata  dal  eh.  Ilase  [Journ.  des  Savants  1849, 
p.  laO),  conforme  al  precetto  di  Frontino  :  o/^c<a 
ante  linea  ad  capitulum  perticae  aequalitcr  ad perpen-- 


—  71  — 


(Uculum  cullellare  debemus  (p.  33.  ed.  Lachmann): 
tanlo  jiiù  che  in  colale  supposto  le  rastrcmature  dei 
due  regoli  servilo  avrebbero  a  meglio  accostarli  e  con- 
giungerli come  in  uno  colle  parti  loro  estreme.  IMa  , 
senza  dire,  che  nel  monumento  del  nostro  MENSOR 
il  perpendicolo  è  alquanto  discosto  dal  capitulum  per- 
ticae ,  nel  detto  supposto  non  vedrebbesi  altrimenti 
per  qual  ragione  i  due  regoli  siano  così  congiimli  e 
s' intersechino  nel  bel  mezzo  ;  e  poi  in  colai  caso  l'asta 
piantala  ritta  riraarrebbesi  senza  significalo. 

Del  resto  ne"  quincunci  fusi  di  Lucerà  ricorre  una 
crociera  assai  simile  a  questa  del  monumento  Epore- 
diese ,  ma  consistente  di  due  regoli  assai  più  larghi , 
pedali  a  tulle  quattro  le  estremità,  che  s'intersecano 
ad  angoli  retti,  talora  con  foro  nel  centro  dell'inter- 
sezione ;  e  fu  detta  mola ,  stella  agraria  o  grama  da 
me  e  da  altri  (Ragguaglio  dell' ed.  delle  tav.  del  Ca- 
relli, tav.  XV.  cf.  Journ.  des  Savanti  1847,  p.  531  : 
Riccio ,  Mon.  di  Lucerà  p.  12).  Ora  peraltro  parmi 
più  verisimile,  che  la  crociera  ricorrente  ne'  quincunci 
di  Lucerà  indichi  una  fencstra  (cf.  Bottari, /?ojnasot- 
terr.  tav.  34),  che  dicevasi  anche  lumen,  e  che  per- 
ciò veniva  ad  essere  tipo  allusivo  al  nome  LOVCERI. 

Gel.  Cavedoni. 


Notizia  de' più  recenti  scavi  di  Pompei:  continuazio- 
ne dell'  articolo  inserito  nel  num.  precedente. 

A  sinistra  dell'androne  ed  alle  spalle  dell' atrio  so- 
no tre  piccole  stanzette.  Nella  prima  si  ha  l'accesso 
dall'  atrio  stesso  per  soglia  di  marmo ,  ove  si  scorgo- 
no tracce  della  chiusura.  11  pavimento  è  di  semplice 
calcina  ;  le  pareti  di  rozzo  intonico  bianco  con  vani 
buchi  per  inserirvi  tavole ,  e  presso  l'entrata  appari- 
scono macchie  di  ossido  di  ferro.  Pare  che  questo  stan- 
zino servisse  di  dispensa.  Vicino  a  questo  è  altro  pic- 
colo compreso  ,  a  cui  si  ha  pur  l' ingresso  dall'  atrio 
per  mezzo  di  uno  scalino  di  fabbrica  ;  il  pavimento  è 
parimenti  di  calcina  ,  le  pareti  di  bianco  e  rozzo  in- 
tonico.  Sembra  che  qui  fosse-prallicalo  il  domesti- 
co culto,  giacché  m' due  muri,  che  formano  angolo, 


sono  rozzamente  dipinti  i  due  soliti  serpenti  colle  te- 
ste convergenti  nell'angolo  presso  una  pianta;  e  sot- 
to di  esse  vedesi  un  ii'.c.-ivo  per  inserirvi  una  tavola 
onde  appoggiarvi  le  offerte.  Non  so  se  sia  un  fatto  ac- 
cidentale ,  o  se  a  quelle  ofTerle  si  abbia  relazione  il 
ritrovamento  di  varii  frammenti  di  gusci  di  uova  nel- 
r  incavo  sopra  accennalo ,  ove  furono  da  noi  veduti 
frammisti  alla  terra.  Dal  descritto  compreso  si  passa 
in  altro  più  ampio  senza  alcuna  traccia  di  soglia  ,  e 
fornito  dello  stesso  rozzo  intonico.  Molte  iscrizioni  o 
dipinte  o  gradile  si  veggono  su'  muri  di  questa  stan- 
zetta ,  che  prendca  luce  da  una  finestra  dalla  parte 
della  pubblica  strada.  Quelle  che  ci  è  riuscito  distu> 
diare  sono  le  seguenti ,  riserbandoci  di  riferire  in  al- 
tra occasione  le  altre ,  che  meritano  maggior  consi- 
derazione. 

Le  graffile  sono 

1.  QTHILLANIVS 

lANVARlVS. 

2.  APRILIS ,  e  presso  un  grosso  fallo  simbolo 
ben  conveniente  al  mese  in  cui  tutta  la  natura  fiorisce 
e  tende  alla  riproduzione. 

Sono  poi  scritte  col  pennello  di  rosso 

1.  Ci\F(NF)noH.) 

2.  APRIL 

3.  NVMMIANO  FELICITER. 

É  questo  probabilmente  quel  P.  VcdioNummiano 
raccomandalo  a'sulTragii  de' suoi  concittadini  in  un 
programma  letto  all'esterno  delia  strada ,  e  da  noi 
riferito  di  sopra  p.  59  n.  2. 

Più  importante  è  la  seguente  iscrizione  scritta  col 
carbone. 

SII  CVNDVS 
RIIGIMOM 
VIIU  TIINilT 
llILICrriIR 
In  quanto  alia  paleografia,  noteremo  il  solito  uso 
de' due  1  per  E  (1);  ma  vi  è  altresì  la  particolarità 

(1)  È  tanlo  frequente  questo  uso  ne'  graffiti  ponipejaui ,  neHe 
iscrizioni  ,  e  nelle  medaglie  ,  che  non  puossi  atlribiiire  a  ^arlico- 
larilii  di  pronuncia  gallica  in  una  iseriziunc  di  Gallia  ,  siccome  ave- 
va sosp'ollalo  il  eh.  Roulez  :  vet^i  il  giornale  V  Inslilut  is^l  p.  3^ 


—  72  — 


dell"  M  figurata  come  quattro  aste  :  della  qiial  forma 
dovrà  ragionare  il  eh.  collega  Garriicci,  dal  quale  fu 
])rima  ravvisata  l' M  in  questa  pompcjana  iscrizione. 
Solo  qui  vogliamo  notare  che  questo  alfabeto  lineare 
talvolta  presentava  l' N  formata  come  tre  aste  III  :  e 
meritano  di  essere  confrontate  le  medaglie  di  Saloni - 
na  colla  epigrafe  SALOXIXA  •  IN  •  PACE  ,  in  alcu- 
ne delle  quali  si  legge  SALONIIHA  IIII  PACE.  Del 
resto  nel  carbone  di  Pompei  si  avverte  la  duplice  for- 
ma deir  ]M ,  e  r  N  è  sempre  regolarmente  figuralo.  In 
quanto  alla  lingua,  è  pur  notevole  i\  regimomum,  cha 
non  dovrà  più  riportarsi  ad  epoca  bassa  ,  e  che  in- 
contra r  analogia  del  suo  finimento  in  palrimonium , 
nìatrimonium  ,  vadimonium  ,  ed  altre  simili  voci. 

Riuscendo  nell'  atrio ,  alla  sinistra  vedesi  un  altro 
rozzo  cubicolo  con  soglia  di  pipcruo ,  e  tracce  della 
cbiusuia  di  legno  colle  imposte  :  il  pavimento  è  di 
calce  ,  e  le  pareti  di  rozzo  inlonico  bi  anco  senza  or- 
namenti. Segue  da  questo  medesimo  lato  sinistro  un 
compreso  con  grande  apertura  suU'  atrio ,  da  cui  vi 
si  ascende  per  mezzo  di  uno  scalino  di  marmo  ,  sul 
quale  non  appariscono  tracce  di  chiusura.  11  pavimento 
è  signiuo  con  varie  pietruzze  di  marmo:  lo  zoccolo  è 
nero  con  verdi  piante  ed  augelli ,  ed  altri  ornati  :  le 
pareti  sono  a  vari!  scompartimenti  di  rosso,  di  giallo, 
e  di  bianco;  e  su  di  esse  sono  dipinti  gialli  candelabri, 
uno  de'  quali  interamente  conservalo  mostrasi  sor- 
montalo da  un"  alata  figura  ,  forse  dell'  Androsfinge. 

Si  osservano  pure  dipinte  sulle  pareli  medesime  fe- 
stoni ,  uccelli  domestici ,  l' Androsfinge  ,  capricciose 
arcbilelture ,  e  paese.  Vi  è  pralticala  una  finestra  nel 
muro  eh'  è  verso  il  peristilio. 

Non  ci  sembra  da  dubitare  che  in  questo  spazio  ul- 
timamente accennalo  debba  riconoscersi  un'  ala  del- 
l' atrio  (  Vitruv.  de  Archìt.  VI,  111,  4) ,  che  qui  si 
vede  unicamente  a  sinistra ,  abbenchò  in  altre  case 
pompeiane  si  scorgano  le  a/e  a' due  lati  dell'atrio  (vedi 
Avciriuo  (lese,  di  una  casa  pomjìei.  1837  p.  19.  Ra- 


oul-Rochette  maison  da  po'éie  Iragique  p.  9  pi.  1  n. 
6,  e  nel  journ.  des  sav.  1832  p.  233). 

Tutto  l'atrio,  compreso  l' ingresso  del  peristilio, 
è  dipinto  di  rosso.  Questo  ingresso  era  chiuso  da  por- 
te di  legno  che  si  fermavano  sopra  due  pezzi  di  bian- 
co marmo ,  i  quali  si  osservano  nelle  estremità ,  ove 
si  distendevano  le  imposte  anche  di  legno  :  la  parte 
media  della  soglia  è  simile  al  suolo  dell'atrio,  col  quale 
fa  quasi  continuazione.  Dalla  descritta  apertura  si  pas- 
sa nel  peristilio,  la  cui  parte  anteriore  serviva ,  forse 
come ,  di  lahlino.  Tutto  lo  spazio  che  circonda  il  pe- 
ristilio è  pavimentato  di  opera  signina ,  con  orna- 
mento a  musaico  di  quattro  bianche  pietruzze  mes- 
se intorno  ad  una  nera ,  che  ripetendosi  a  jnccole  di- 
stanze lo  rendono  quasi  adorno  di  fiorellini.  Si  veg- 
gono quattro  colonne  di  fronte  ,  e  tre  da'  lati  :  sono 
esse  dipinte  di  giallo  e  lisce  per  alcuni  palmi  dal  suo- 
lo ,  scanalate  e  rivestite  di  bianco  stucco  sino  alla  som- 
mità :  né  sì  ravvisano  tracce  di  capitello  a  tutte  le  al- 
tre colonne ,  meno  che  ad  una  della  quale  diremo  tra 
poco.  Presso  alla  seconda  delle  colonne  di  fronte  è 
un  puteale  di  travertino.  Nel  mezzo  de!  peristilio  è  il 
solito  giardinetto  con  canale  che  lo  circonda ,  e  colla 
comunicazione  al  pozzo  per  mezzo  di  particolare  con- 
dotto. Traile  quattro  colonne  di  fronte  è  un  altra  aper- 
tura per  menare  le  acque  ne'  canali  sottoposti  ;  ed  il 
canale  ,  che  si  dirige  verso  l' atrio  è  nel  suo  principio 
ricoverto  di  un  pezzo  di  ardesia.  Alla  estremità  de- 
stra del  giardino ,  in  direzione  della  colonna  laterale 
media  è  un  grande  pezzo  di  tufo ,  da  servir  di  sedile 
o  per  sostegno  di  qualche  oggetto.  Le  pareli  del  pe- 
ristilio hanno  zoccolo  nero  ,  con  linee  bianche  che 
l'intersecano  ,  e  che  miransi  dipinte  grossolanamente 
a  foggia  di  marmo  :  sopra  offrono  varii  scomparti- 
menti di  nero ,  di  rosso  e  di  giallo ,  e  tra  essi  scor- 
gonsi  non  poche  interessanti  figure. 


fconlinuaj 


MlNERVINI. 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.g. 
GiCLio  MiiNERViM  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catakeo. 


BllLEimO  ARCnEOLOfilCO  iWPOLlT  VAO. 


NUOVA    SERIE 


TV."   10. 


Novembre  I8ó2, 


Notizia  de  p/w  recenti  scavi  di  Powpei:  continuazione  del  num.  precedente. —  Iscrizioni  di  Scpino,  con  osser- 
servazioni  del  conte  Bartolomeo  Borcjhesi.  —  Osservazioni  intorno  a  due  iscrizioni ,  ed  agli  articoli  del 
Sebeto  di  questo  BuUettino.  —  Tavola  aquaria  Venafrana ,  continuazione  del  numero  S. 


Notizia  de' più  recenti  scavi  di  Pompei:  continuazio- 
ne del  mimerò  precedente. 

Nel  muro  ,  eh'  è  alle  spalle  dell'  atrio,  vedi  una  Vit- 
toria alala  con  scudo  ed  asta  volante  a  destra  ,  con 
tunica  rossocerulea  :  e  dopo  un  giallo  candelabro  con 
festoni  pendenti ,  scorgesi  una  femminile  figura  con 
verde  tunica  e  corona  ,  poggiante  sopra  una  base;  col- 
la destra  tiene  una  gialla  tenia  ,  colla  sinistra  un  pa- 
niere con  manico  superiore ,  ove  si  scorgono  verdi 
foglie. 

Nel  muro  a  destra  del  peristilio  si  osservano  varie 
singolari  figure.  La  prima  è  di  un  vecchio  barbato  , 
con  pallio  e  calzari ,  clie  si  avanza  a  destra  ,  tenendo 
fra  le  mani  la  lira:  è  qui  figurato  certamente  un  poe- 
ta ,  che  però  non  ci  sembra  facile  determinare  qual 
sia.  La  seconda  figura  è  conservata  nella  sua  parte  in- 
feriore ,  ed  apparisce  una  donna  quasi  danzando  o  vo- 
lando. La  terza  è  una  Baccante  tutta  panneggiata  ,  la 
quale  pare  intenta  pure  alla  danza  portando  il  tirso. 
La  quarta  è  altresì  una  donna ,  con  panno  che  ne  ri- 
copre la  metà  inferiore  del  corpo ,  e  che  fa  quasi  un 
arco  dietro  la  di  lei  testa  :  colla  destra  tiene  un  ramo. 
La  quinta  finalmente  è  un'  alata  figura  muliebre,  che 
sostiene  una  grande  cesta.  Anche  non  pochi  dipinti 
adornano  il  lato  sinistro  del  peristilio.  La  prima  figu- 
ra è  virile  ed  imberbe  :  tiene  colla  destra  un  ramu- 
scello  abbassato:  un  rosso  pallio  la  ricopre.  La  secon- 
da è  di  una  Vittoria  alala,  che  reca  un  Echetlon  ,  in 
allusione  a  vittoria  navale.  Veggonsi  poi  due  graziosi 
candelabri ,  uno  de'  quali  è  sormontato  da  un  An- 
drosfingc  ,  l' altro  da  un  cigno. 
iiJVJYO  /. 


Segue  Diana  con  succinta  tunica  bianca ,  e  ros- 
so imatio ,  e  adorna  di  orecchini  :  la  dea  comparisce 
di  fronte  ,  e  prende  colla  destra  una  saetta  dal  tur- 
casso che  le  sporge  dalla  spalla  ,  colla  sinistra  stende 
r  arco.  Dopo  un  altro  candelabro  sormontato  da  un 
cigno  ,  scorgesi  altra  femminile  divinità  ,  nella  quale 
potrebbe  ravvisarsi  Latona  :  ha  essa  una  lunga  tunica 
rossa,  e  verde  peplo  che  le  discende  dal  capo,  e  ch'el- 
la tira  alquanto  colla  destra  ;  mentre  tien  colla  man- 
ca un  lungo  scettro.  Dopo  un  altro  candelabro  sor- 
montato da  un  Androsfin  gè  ,  scorgesi  finalmente  un' 
altra  Vittoria  alata  con  giallo  panno  svolazzante,  clic 
reca  la  spada. 

Nel  muro  di  fronte  è  dipinta  una  Baccante  che 
cammina  a  sinistra  :  ha  lunga  tunica  gi.illa  e  scarpi-, 
colla  destra  tiene  una  verde  tenia ,  colla  sinistra  un 
tirso  ,  da  cui  pende  una  simile  tenia  dello  stesso  co- 
lore. In  un  ordine  superiore  ne'  due  muri  laterali  del 
peristilio  ,  veggonsi  al  di  sotto  di  una  cornice  di  stuc- 
co festoni ,  uccelli ,  teste  gorgoniclie  ,  ceste  pendenti 
da  nastri ,  caprii  correnti ,  rabeschi ,  ed  altri  orna- 
menti. È  notevole  che  le  colonne  del  peristilio  ,  an- 
che senza  i  capitelli ,  si  trovano  più  alle  dell'  ullinia 
colonna  a  sinistra  che  è  nell'  angolo  ,  e  sulla  quale  si 
appoggia  una  porzione  di  muro  ,  ove  sono  dipinti  uc- 
celli, delfini ,  ed  altri  ornati  diversi.  Nell'angolo  in- 
terno del  destro  lato  del  peristilio  è  una  rozza  nicchia 
con  Ire  scalini ,  di  cui  non  è  agevol  cosa  determina- 
re la  destinazione.  In  fondo  al  peristilio  sono  Ire  di- 
stinti compresi ,  a'  quali  si  ha  1"  adito  dal  peristilio 
stesso. 

Il  primo  compreso  più  ampio  degli  altri  due  ser- 
io 


7+  — 


\ivn  certamente  di  iriclinio.  La  soglia  è  ne'suoi  estre- 
mi munita  di  due  pezzi  di  pietra  vesuviana  per  fer- 
marvi le  imposte  ,  nel  mezzo  è  di  opera  signina  con 
bianche  pietruzze.  Il  pavimento  è  signino  con  varie 
bianche  pietruzze  e  pezzi  di  marmo  di  differenti  co- 
lori. Lo  zoccolo  è  rosso  con  varii  ornamenti,  fra' quali 
appajono  alcuni  cigni.  Le  pareti  sono  gialle  con  scom- 
partimenti di  nero.  Ora  si  veggono  due  quadretti  tut- 
tavia conservati  :  in  uno  è  figurato  un  bacchico  car- 
ro tiralo  da  pantere ,  e  sul  quale  si  veggiono  collo- 
cati varii  tirsi  :  nell'  altro  quadretto  vedesi  un  Amo- 
re stante  con  clamide ,  colla  destra  tiene  un  bastone 
colla  sinistra  una  lepre  ;  piìi  in  là  è  altro  Amore  se- 
di ute  sulla  clamide  in  atto  di  accomodarsi  la  grossa 
calzatura  conveniente  ad  un  cacciatore  :  presso  è  un 
cane  levriero  che  stende  la  testa.  Non  è  nuovo  il  ve- 
dere Amori  intenti  alla  caccia  (Mueller/Tajìdò.  §.  391 
not.  o  pag.  624  ed.  Welcker),  e  più  volte  ce  ne  han 
fornito  rappresentanze  le  pitture  pompejane  ed  Erco- 
lanesi  {pili,  di  Ercol.  t.  I  tav.  37,  II  tav.  43,  Vtav. 
59)  :  uè  poi  è  senza  un  motivo  la  caccia  del  lepre  in 
rapporto  coli' Amore;  giacché  è  ben  conosciuto  il 
senso  erotico  ed  afrodisiaco  di  quell'  animale. 

Sotto  del  descritto  quadretto  sono  dipinti  varii  or- 
namenti ,  frai  quali  è  pure  un  caprio.  In  una  bianca 
fascia  superiore  appajono  svariati  ornamenti  :  ora  te- 
nie pendenti ,  ora  maschere  sceniche: in  un  segmento 
di  cerchio  formato  da  duplice  cornice  di  stucco  sono 
varie  frutta  sopra  un  rialto ,  cioè  pere  e  melegra- 
nate  ,  e  presso  un  uccello  ,  forse  fiigiano  o  gallina  lur- 
chesca ,  che  si  prepara  a  beccarle.  Vedendosi  pralti- 
cata  una  grande  finestra  verso  il  peristilio,  può  a  que- 
sta stanza  appropriarsi  il  nome  di  tridinium  fene- 
stratum. 

A  destra  del  triclinio  è  altra  stanza  ,  che  può  ri- 
putarsi un'  exedra  o  sala  di  conversazione  ;  e  ad  essa 
si  entrava  pure  dal  peristilio ,  ma  non  offre  alcuna 
traccia  di  chiusura. 

Nel  silo  corrispondente  alla  soglia  il  pavimento  è 
di  opus  sifjnimim  con  meandro  a  musaico  di  bianche 
pietruzze,  a' due  lati  dell'ingresso  è  il  zoccolo  colo- 
rilo a  foggia  di  gialla  breccia,  e  poi  in  rossa  cornice  un 
tralcio  di  vigna  con  foglie  e  grappoli  pendenti,  ed  au- 


gelli che  vi  beccano, tra'quali  è  notevole  uno  somiglian- 
tissimo al  pavone  con  pennacchio  (Xoipob)  sul  capo,  e 
lunghissima  coda  portando  col  becco  un  giallo  serpen- 
tello; solo  è  notevole  per  la  picciolczza  del  suo  cor- 
po per  nulla  conveniente  al  pavone,  e  forse  deve  at- 
tribuirsi tale  particolarità  a  capriccio  dell'  artista.  Il 
pavimento  della  stanza  è  di  opera  signina  con  bian- 
che pietruzze ,  ed  altre  piìi  grandi  di  marmi  di  diffe- 
renti colori.  Lo  zoccolo  è  nero  con  varie  fasce  di  ros- 
so e  di  verde  ,  ove  si  mirano  foglie  pendenti .  rami, 
ed  altri  ornali.  Vi  si  osservano  varii  cigni  di  giallo, 
maschere  sospese ,  ed  una  coda  di  marino  mostro, 
forse  ippocampo©  altro  animale ,  di  cui  è  perduta  la 
parie  superiore.  Il  muro  laterale  destro  è  in  gran  parte 
caduto ,  e  mostrasi  a  scompartimenti  di  giallo  e  di 
verde  intramezzati  da  rosse  zone.  Nel  fondo  giallo  ve- 
desi un  disco  con  protome  femminile  ,  presso  di  cui 
si  vede  il  principio  della  rossa  clamide ,  ed  a  cui  era 
forse  accollala  altra  protome  virile  ora  quasi  intera- 
mente svanita.  Nel  muro  di  fronte  fra  scompartimenti 
di  giallo,  è  capricciosa  architettura  con  rabeschi  e 
marini  mostri  al  culmine  della  slessa  :  vedesi  poi  trai- 
le esili  colonne  da  un  lato  una  figura  virile  coronata 
di  foglie  ,  ed  altra  ne  dovea  essere  simmetricamente 
dall'  altro  lato  ,  ma  ora  è  perduta  ,  per  esser  caduto 
l'intonico. 

Nel  mezzo  di  questa  parete  è  un  quadretto  nel  fon- 
do giallo ,  che  fu  ritrovato  assai  deteriorato  nell'  alto 
dello  scavo.  Una  figura  virile  giovanile  ed  imberbe 
siede  a  sinistra  sulla  rossa  clamide  appoggiando  alla 
fronte  la  destra  ;  questa  si  volge  verso  una  donna,  che 
si  appressa  dalla  parte  di  dietro.  La  poca  conserva- 
zione di  questo  dipinto  ,  e  la  mancanza  degli  accesso- 
rii  ora  interamente  perduti  ci  fan  sospendere  ogni  giu- 
dizio sulla  interpretazione  ,  che  dar  se  ne  potrebbe. 
Intorno  al  quadrello  è  una  rossa  linea  che  ne  costi- 
tuisce quasi  la  cornice  ;  siccome  non  è  raro  osservare 
ne'  pompejani  dipinti. 

Nel  fondo  giallo  della  parete  sono  due  dischi ,  cia- 
scuno con  doppia  prolome  femminile  e  virile  insieme 
accollale.  Più  in  alto  sono  nel  medesimo  muro  figu- 
rali fra  capricciosi  rabeschi  due  piccoli  candelabri  a- 
lali.  Nel  muro  laterale  a  destra  osscrvansi  scomparti- 


menti  di  i^iallo  dislinli  da  rosse  (\isce  :  nel  mezzo  è  ca- 
pricciosa architeltura  con  colonne  spirali  a  yiiisa  di 
foglie  ravvolte,  verdi  linone,  e  poi  una  loggia  con 
pluteo,  come  sembra  ,  di  legno.  Presso  diipieslop/a- 
leo  vedesi  da  un  lato  mi  uomo  barbalo  con  bianca  cla- 
mide, che  spiega  con  ambe  le  mani  un  volume:  pres- 
so l'altro  cancello  ,  eh' è  dall'altro  lato  ,  è  una  fem- 
minile figura  coronata  di  foglie ,  con  rossa  tunica  sen- 
za maniche,  la  quale  tiene  colla  sinistra  la  cetra,  col- 
la dritta  l'aureo  plettro.  A  noi  pare  che  debba  in  que- 
sta figura  ravvisarsi  una  Musa.  Gioito  interessante  è 
il  soggetto  del  piccolo  quad.'O  ,  eh'  è  nel  mezzo  di 
questa  parete.  Un  giovine  lutto  nudo,  ma  con  clami- 
de rossa  cadente  fino  a' suoi  piedi;  cogli  occhi  di  fu- 
rore e  quasi  di  mania  ,  stringe  colla  destra  la  spa- 
da ,  colla  sinistra  il  fodero.  A'  suoi  piedi  è  cadu- 
ta in  ginocchio  una  donna  con  doppia  tunica  rossa, 
la  quale  stende  il  destro  braccio  al  giovine  ,  quasi  per 
allontanare  la  trista  sorte ,  che  la  minaccia  ;  mentre 
pone  al  petto  la  manca.  Vedonsi  al  suolo  le  ombre 
projettate  da  queste  due  figure.  Indietro  è  un  edifizio 
come  le  mura  di  una  città  ,  o  di  una  torre  ,  e  di  su 
la  stessa  veggonsi  sporgere  colla  metà  del  corpo  tre 
femminili  figure  che  assistono  al  terribile  avvenimento: 
una  distende  in  alto  il  destro  braccio  in  atto  di  spa- 
vento ,  mentre  un'  altra  stende  ambe  le  braccia  in 
basso  verso  l' adirato  giovine  ,  in  atto  di  dispera- 
zione e  di  compianto.  È  notevole  che  la  fisonomia 
della  donna  minacciata  non  è  giovanile.  Questa  par- 
ticolarità ci  persuade  a  riconoscere  nel  pompeja- 
no  quadro  Alcmeone,  che  si  prepara  ad  uccidere  la 
sua  madre  Erifile.  Di  fatti  non  può  pensarsi  al  sagri^ 
fizio  di  Polissena  fatto  da  Neottolemo  ,  giacché  man- 
cherebbe una  necessaria  circostanza  ,  qual'  è  il  sepol- 
cro di  Achille.  Né  ci  è  del  pari  lecito  volger  la  men- 
te ad  Oreste ,  che  pone  a  morte  la  sua  genitrice;  per- 
ciocché il  fatto  succeder  dovrebbe  nella  magione  di 
Agamennone  ,  e  non  già  sulla  pubblica  piazza;  ed  al- 
tri accessorii  esser  vi  dovrebbero,  che  in  altri  monu- 
menti appariscono  ,  e  che  mancano  aifalto  nel  pora- 
pejauo  dipinto.All'incontro  tutto  conviene  al  sempli- 
ce fatto  di  Alcmeone  uccisore  di  Erifile  dopo  la  spe- 
dizione degli  Epigoni,  il  quale  commise  il  tremendo  de- 


Jido  per  le  persuasioni  del  tradito  padre  Anfiarao  ,  e 
per  consiglio  dell'oracolo  (Diod.Sic.lib.IV.c.LXV,  e 
LXVI;  Apidlod.  lib.  Ili,  7,  ìì.  I;  Pausan.  Vili,  2V. 
ì;  Tluic.  hUl.  II,  e.  102;  Anacr.  od.  31;  Suet.  in 
Nerone  e.  39;  Lucian.  Nipwv  IO;  Plaut.  capi.  act.  3. 
se.  4.  v.  30  p.  113-1 1  ì  edit.  Avellin.  Philostr.  Apol- 
lon.  V.  lib.  IV,  38,  3,  e  VII,  2:i:  cf.  V.  Soph.  prooem. 
2,  ed  Iler.  XX,  33  (l)).Si  raccoglie  dalle  riferite  au- 
torità che  Alcmeone  da  lauti  nioti\i  sospinto,  a' quali 
ApoUodoro  aggiunge  il  sentimento  della  propria  ven- 
detta, commise  il  matricidio  (piasi  preso  ('a  furore;  e 
tutti  si  accordano  a  notare  la  insania  posteriore,  per 
la  (]uale  venne  paragonato  al  matricida  Oreste.  Queste 
tradizioni  spiegano  l'aspetto  quasi  maniaco  del  giovi- 
ne tebano ,  richiesto  ancora  dalle  esigenze  dell'arte, 
che  non  può  offrire  un  matricida  se  non  fuori  di  sé, 
e  con  espressione  di  pazzo  furore. 

Questa  nostra  spiegazione  ci  sembra  confermata  dal- 
le grosse  mura  ,  dall'alto  delle  quali  gridano  spaven- 
tate varie  figure  ,  quasi  per  impedire  l'orribile  allen- 
talo :  sono  esse  le  forti  mura,  e  le  torri  di  Tebe,  che 
ben  si  ratlrovano  effigiate ,  come  l' origine  della  sce- 
na ,  che  ci  si  offre  alla  vista  ;  giacché  la  presa  delia 
città  fu  causa  di  quella  morte.  Se  questa  nostra  spie- 
gazione è  fondala  ,  dovrà  nel  pompejano  dipinto  ri- 
conoscersi un  soggetto  tutto  nuovo,  presentandoci  per 
la  prima  volta  uno  de'più  famosi  malricidii  de' tempi 
eroici. 

In  altri  gialli  scompartimenti  erano  di  qua  e  di  là 
due  altri  dischi  con  duplice  testa  accollata,  uno,  cioè 
quello  a  sinistra,  é  perduto,  conservato  è  quello  a  de- 
stra, e  \i  si  scorge  una  prolomedi  Pane  con  orecchie 
caprine  che  suona  la  siringa,  e  presso  la  testa  di  una 
giovine  Ninfa  coronata  di  foglie:  forse  Siringa,  o  Eco. 

Più  in  su  sono  nel  campo  rami,  pavoni,  cigni,  pan- 
tere, e  nel  mezzo  un'  aquila  al  di  sopra  di  un  grosso 
globo. 

fconlinuaj  Mi.nervim. 

(1)  Sofocle  coniposo  una  irogeilia  ìiililolala  'AXx.uai'wv  ,  di  cui 
si  liaiino  pochi  fiammcnli ,  e  non  si  conosce  con  precisione  il  sog- 
getto :  certamente  però  si  riferiva  a  fatii  posteriori  al  matricidio, 
ma  che  però  n'erano  la  conseguenza:  vedi  il  Sig.  AhrcusSop/i. 
fr.  p.  304  segg.  nella  edizione  del  Sig.  Didol. 


—  76  — 


Lcrizioni  di  Sepino,  con  osservazioni  del  conte 
Barlolomeo  Borghesi. 

G  NERATIO  F\TI 
DIO  PRISCO 
FVFIDI  ATTICI 
C  V  Q    DES  FIL 
NERATI  PRISCI  COS 
NEPOTI  ACCI  IVLIA 
NI  COS  PRONEPOTI 
MVxNICIPES  SAEPI 
NATES 


questo  Gaio  Neralio  Fufidio  Prisco  non  appartenga  a 
quella  casa  direttamente.  I  nomi  del  padre  Fufidio  At- 
tico mettono  fuori  di  questione ,  che  egli  era  un  Fu- 
fidio. Convien  dire  adunque  che  come  molli  altri  pren- 
desse la  maggior  parte  dei  suoi  nomi  dalla  madre  , 
che  sarà  stata  una  figlia  del  console  L.  Neratio  Prisco, 
se  questi  era  suo  nonno.  Ma  quale  sarà  egli  dei  due , 
r  esistenza  dei  quali  mi  è  stata  manifestata  da  un'altro 
marmo ,  che  non  so  se  edito  ancora  ,  communicato- 
mi  dal  Mommsen  ,  che  me  lo  descriveva  di  grandi 
dimensioni  con  belle  lettere ,  e  veduto  da  lui  a  Sepi- 
no in  casa  del  Rettore  Brinni. 


A  questa  lapida  fa  da  compagna  una  seconda  del 
tutto  simile,  se  non  che  vedesi  dedicata  a  L.  Ncrazio 
Fufidio  Prisco  figlio  del  medesimo  Fufidio  Attico ,  e 
però  fratello  di  Caio.  Il  Mommsen  ha  inserita  soltan- 
to la  prima  nelle  Inscr.  Neap.  n.  4929.  La  mia  co- 
pia è  doì  ala  all'  egregio  sig.  D.  Bonifazio  Chiovitti , 
il  quale  nota  nelle  due  linee  4,  e  5  un  distacco  di  let- 
tere ,  originato  facilmente  da  corrosione  di  pietra  in- 
contrata dallo  scarpellino.  Trascrive  altresì  G.  il  pre- 
nome di  Nerazio.  11  eh.  Borghesi  me  ne  regalò  ,  to- 
sto che  n'  ebbe  da  me  comunicazione ,  una  interpre- 
tazione ,  che  io  darò  qui ,  ne  quid  profulurum  din 
laleat.  Avverto  soltanto,  che  la  opinione  del  eh.  sig. 
Conte,  che  questo  Fufidio  Prisco  abbia  tolto  il  primo 
nome  dalla  madre  ha  ricevuta  una  conferma  da  altra 
laj)ida  pur  di  Sepino,  dalla  quale  apparisce  che  C  Fu- 
fidio Attico  ebbe  per  moglie  una  Nerazia  Marullina 
(Momm.  /.  N.  n.  4928  ) ,  di  più  ci  si  è  confermato  , 
che  il  prenome  di  Fufidio  fu  Caio,  e  che  questi,  il 
quale  nella  nostra  lapida  dichiarasi  soltanto  questore 
designato ,  ottenne  di  poi  un  consolato ,  certamente 
sufielto. 

Ecco  le  osservazioni  del  eh.  Sig.  Conte  Borghesi. 

»  Benché  Ella  mi  si  mostrò  poco  soddisfatta  della 
scarsa  messe  epigrafica,  che  ha  raccolta  nella  sua  e- 
scursione  Apula,  io  però  sono  abbastanza  contento , 
che  mi  abbia  fruttato  la  lapide  consolare  di  Sepino. 
Da  altre  iscrizioni  avevamo  già  motivo  di  arguire  che 
la  gente  Neratia  fosse  originaria  di  quel  luogo,  il  che 
ora  si  conferma  dalla  nuova,  benché  mi  sembri,  che 


L  •  NERATIVS  •  L  •  F  •  Voi.  Priscus. 

PRAEF  •  AER  •  SAT  ■  COS  •  Leg.Aug.Pr.Pr.in 

PANNONIA  •  et 

L  •  NERATIVS  •  L  •  F  •  VOL  •  VRiscus  •  F.  Cos. 

VIIVIR  •  EPVL  •  LEG  •  AVG  •  PR  •  PR .  m   •  •  • 

INFERIORE  •  ET  •  PANNONIA 

I  supplementi  delle  due  prime  righe  sono  sicuri,  per- 
chè tolti  di  peso  da  un'altra  sua  iscrizione  onoraria, 
che  si  trova  ad  Allilia  vicino  aSepinu  nella  masseria 
di  Francesco  Magliori,  pubblicata  dal  Guarini  nell'  iter 
vagum  p.  31.  n.  10. ,  e  dal  Mommsen  nella  disserta- 
zione de  appariloribus  p.  4.  Per  determinare  l' età  di 
costoro  io  osservo ,  che  il  primo  Neratio  si  annunzia 
Legato  della  Pannonia  senza  dir  quale,  il  che  per  certo 
significa,  che  al  suo  tempo  era  ancora  una  sola.  Ora 
è  conosciuto  ,  che  quella  provincia  ,  la  quale  fu  con- 
solare fino  dalla  sua  prima  istituzione  negli  ultimi  anni 
di  Augusto,  non  fu  divisa  in  due  ,  cioè  in  Pannonia 
superiore ,  ed  inferiore  se  non  che  in  seguito  delle 
guerre  Daciche  di  Traiano.  Consta  per  una  parte  dai 
marmi  di  Q.  Glitio  Atilio  Agricola  (Murat.  p.  310), 
ch'ella  conservavasi  intera ,  quando  fu  governata  da  lui 
durante  la  prima  guerra .  in  cui  meritò  i  doni  mili- 
tari,  terminata  la  quale  nell' 856  impariamo  dall'un- 
decimo  diploma  del  Cardinali  che  accompagnò  a  Roma 
Traiano  ,  da  cui  nei  primi  giorni  dell'  anno  seguente 
gli  furono  concessi  i  secondi  fasci.  Dall'altro  lato  ciò 
testimonio  Sparziano  (Hadr.  e.  3.),  che  nell' 860  se 
n'  erano  già  formate  due  provincie ,  attestandoci  che 


/  / 


Adriano  comandò  la  legione  I.  Mincrvia  nella  seconda 
spedizione  ultimata  nell'SoS,  che  nell' 839  fu  fatto 
Pretore,  e  che  nell'anno  appresso  gli  fu  data  la  lega- 
zione della  Pannonia  inferiore  ,  finché  dopo  il  legale 
intervallo  di  tre  anni  dalla  pretura  ebbe  il  consolato 
neir  8G2.  Per  lo  che  se  il  più  antico  dei  due  Neratii 
ebbe  la  provincia  consolare  Cesarea  innanzi  la  divisione 
delle  Pannonie,  ed  anzi  prima  che  la  reggessero  Ser- 
viano  ed  Agricola,  io  terrò  per  fermo,  ch'egli  sia  il 
celebre  giurisconsulto ,  del  cui  consolalo  ci  fa  fede 
IPomponio  de  origine  iuris  §  ultimo ,  ed  a  cui  Venu- 
eio  Saturnino  nel  digesto  L.  48,  tit.  8,1.  8,  assegna 
per  coropaguo  Annio  Vero.  Non  ignoro  le  controversie 
dei  giuristi  sull'età  del  senatusconsulto  fatto  sotto  quei 
consoli,  che  il  Gravina  volle  ritardare  fino  all'impero 
dlM.  Aurelio,  e  che  altri  stabilì  sotto  Nerva,  altri  in- 
fine sotto  Domiziano.  La  questione  è  definita  dal  col- 
lega ,  il  quale  non  può  essere  se  non  che  l' avo  dell' 
Imp.  M.  Aurelio,  console  tre  volte,  atteso  che  il  bi- 
savo  non  fu  che  pretorio,  il  padre  inpraeluradcccssil 
(Capitolino  in  3Iarco  e.  1).  Ora  noi  sappiamo  che  l'avo 
fu  adscitus  inpalriciosaprincipibus  y^espasiano  el  Tito, 
dunque  non  piìi  tardi  dell'  832.  Dato ,  che  egli  fosse 
allora  per  lo  meno  senatore ,  avrà  avuta  l'età  conso- 
lare verso  la  metà  dell'  impero  di  Domiziano,  e  infatti 
quel  principe  circa  1'  845  (Dodwell  Annalcs  Slatiani 
p.  307)  proibì  che  si  facessero  più  eunuchi,  il  che  è 
appunto  il  soggetto  di  quel  senatusconsulto.  Tutto  ciò 
pienamente  si  accorda  colle  deduzioni,  che  ricaviamo 
da  questa  pietra. 

Passando  al  secondo  Neratio  innanzi  tutto  mi  con- 
vien  prevenire  chi  nella  frattura  PR....  invece  di  PIII- 
scus  volesse  supplire  PHOculus,  e  quindi  confonder- 
lo col  L.  Neratio  Proculo  della  Gruteriana  p.  412. 
4-,  il  quale  da  lei  apparisce  essere  stato  console  sulla 
fine  dell'impero  di  Antonino  Pio,  se  prima  daluxlt 
vexillaliones  in  Syriam  oh  bellum  Parlhicum  ,  che 
sospeso  per  qualche  tempo  scoppiò  finalmente  sotto  M. 
Aurelio.  Per  escludere  un  tale  supposto  basta  dire, 
che  quel  marmo  esiste  tuttavia  sulla  fontana  pubbli- 
ca di  Sepino ,  e  che  confrontato  di  nuovo  si  confer- 
ma che  r  onorato  tì  si  dichiara  Caii  Filiiis ,  ond'  è 
per  certo  un  personaggio  diverso  dal  nostro ,  che  si 


confessa  nato  da  un  Lucio.  Bensì  ammetto ,  che  an- 
ch' egli  sia  stato  della  stessa  famiglia ,  ed  anzi  sono 
anche  disposto  a  concedere ,  che  il  Caio  suo  |iaJre 
possa  essere  stato  un'altro  figlio  AA  giureconsulto, 
il  quale  pel  primo  abbia  introdotto  nella  casa  il  co- 
gnome di  Proculo.  Cosi  persuade  il  nome  di  Neralia 
Procula  o  Procilla  moglie  di  C.  Hclitio  l'iclà  e  ma- 
dre di  C.  BetitioPio(Guarini  Commeitl.  Xll^,  la  (pia- 
le dal  tempo  in  cui  visse  risultante  da  un'altra  lapi- 
de di  suo  figlio  (Grut.  441.5),  si  ha  a  credere  una 
sorella  del  console  Proculo.  Ritengo  dumpie  che  il 
nostro  Ludi  Filius  si  chiamasse  veramente  PRiscus, 
e  che  sia  il  primogenito  del  giureconsulto,  non  sa- 
pendo dare  altro  senso  ai  due  nominativi  di  questa  pie- 
tra ,  se  non  che  padre  e  figlio,  come  i  due  Scribonii 
Liboni  (De  Vita  Ani.  Ben.  p.  XX.  n.  14),  e  i  due 
Minici  Natali  (Saggiatore  Romano  anno  3,  quaderno 
V  p.  277)  abbiano  fatta  fare  qualche  opera  pubbli- 
ca ,  onde  se  non  manca  una  linea  successiva  ,  si  ab- 
bia almeno  da  supporre  sul  fine  dell'  ultima  un  FE- 
Cerunt  o  un  F.  C.  Nella  linea  superiore  si  è  perduto 
il  nome  di  una  delle  due  provincie ,  di  cui  fu  Lega- 
lo ,  non  rimanendo  se  non  che  la  qualifica  allribuila- 
le  d' inferiore.  Tre  furono  quelle  ,  che  cosi  si  distin- 
sero ,  cioè  la  Germania ,  la  Mesia  e  la  Pannonia,  ognu- 
na delle  quali  negli  ultimi  anni  di  Traiano  era  con- 
solare, per  cui  con  piena  confidenza  ho  suppIiloCOS 
nella  riga  precedente.  Quanlunque  non  abbia  altra  no- 
tizia di  costui ,  tullavolta  dal  tempo  del  consolato  del 
padre  può  dedursi ,  eh'  egli  abbia  avuta  la  medesima 
dignità  sulla  fine  dell'impero  di  Traiano,  o  sul  prin- 
cipio di  quello  di  Adriano,  sotto  cui  avrà  poi  ammi- 
nistrato le  due  Provincie  ,  delle  quali  si  fa  cenno.  Nò 
con  ciò  viene  a  suscitarsi  difficoltà  contro  l'altra  opi- 
nione esposta  qui  sopra ,  che  quando  fa  incisa  quel- 
la lapide  ,  vivesse  il  padre  tuttavia  ,  perchè  il  giure- 
consulto deve  esser  giunto  ad  una  rispettabile  età  sa- 
pendosi che  fu  uno  dei  giuristi ,  che  l' istesso  Adria- 
no in  Consilio  hnbuit  (  Sparziano  in  Ifadr.  e.  18). 

Fra  questi  due  consoli  omonimi  dovendosi  adun- 
que scegliere  il  nonno  di  Fulidio  Prisco  io  non  esito 
a  dichiararmi  pel  figlio ,  sembrandomi  che  la  miova 
lapide  non  possa  precedere  il  regno  degli  Antonini. 


—  78  — 


Fondo  un  falò  giudizio  sullo  prclcrizione  del  prono- 
me in  tutti  questi  personaggi ,  che  prima  uon  solevasi 
oniuieKere  almeno  sui  marmi ,  e  più  sul  titolo  di  C. 
V.  dato  al  padre  Fufidio  Attico ,  che  soltanto  a  que- 
sti tempi  comincia  a  comparire,  non  perchè  i  senato- 
ri non  lo  avessero  da  un  pezzo,  ma  perchè  per  l' ad- 
dietro reputavasi  superfluo  l'esprimerlo,  restando  sot- 
tinteso neir  indicazione  della  carica  senatoria  da  essi 
occupata.  Aggiungasi  il  modo  con  cui  si  annunziano 
i  dedicanti  MVNICIPES  SAEPLNATFS  ,  che  ricorre 
identico  nella  lapide  di  Neralio  Proculo,  il  che  som- 
ministra una  ragione  di  piiì  per  sospettare  che  queste 
due  pietre  siano  coeve.  Infatti  supponendo  che  la  mo- 
glie di  Attico  venisse  alla  luce  sui  primi  anni  di  A- 
driano  ,  nel  suo  lungo  impero  ,  e  nell'  altro  più  lun- 
go di  Antonino  Pio  siavrà  un  comodissimo  spazio  per 
distendervi  due  generazioni ,  tanto  più  che  il  figlio  di 
lei  apparisce  un  giovinetto  ,  che  non  avesse  ancor  toc- 
cato gli  onori ,  in  lui  non  lodandosi  che  la  sua  nobil- 
tà. La  gente  Fufidia  fu  poco  diffusa  ,  ed  è  ancor  me- 
no nota  ,  talché  non  conosco  di  essa  altro  magistrato 
se  non  che  L.  Fufidio  Pollione  console  ordinario  nel 
919,  che  per  la  sua  eia  può  benissimo  essere  stato  un 
altro  figlio  di  Fufidio  Attico ,  e  C.  Cerellio  Fufidio 
Pollilliano  Questore  di  M.  Aurelio  (Grut,  p.  379.7), 
in  cui  però  Fufidio  è  il  nome  proveniente  dalla  ma- 
dre,  non  dubitando  ch'egli  sia  nato  dal  G.  Cerellio 
Sabino  Legato  della  legione  XIII  Gemina  ,  e  da  Fufi- 
dia Pollitta  memorali  in  un  marmo  della  Transilva- 
nia.  Incerto  è  poi  se  Accio  Giuliano  sia  il  bisavo  pa- 
terno o  materno  del  nostro  giovine.  Egli  mi  è  del  tul- 
io sconosciuto ,  ed  anzi  della  stessa  sua  casa  nomina- 
tissima  al  cadere  della  repubblica  non  trovo  in  que- 
sti tempi  se  non  che  un  Accio  Sura  ,  che  però  vien 
detto  di  splendidi  natali ,  pel  quale  Plinio  giuniore  do- 
mandò la  pretura  a  Traiano  (L.9.ep.9)  ». 

Gaurucci. 

Osservazioni  intorno  a  due  iscrizioni ,  ed  arili  articoli 
del  Sebeto  di  questo  Bulkltino. 

L'iscrizione  di  s.  Prisco  illustrata  alla  p.  13  ,  seg. 
di  questo  bulletliuo  ,  è  ora  nel  R.  Musco ,  ove  aven- 


dola riletta  mi  sono  avveduto  ,  che  niente  manca  fra 
IIE  ed  IDIVS  della  lin.  3.  del  pagiscito ,  né  possono 
realmente  tenersi  per  estremità  di  un  C  quei  che  ivi 
sono  altrimenti  segni,  ma  non  di  scarpello.  Intorno  al- 
l'ultima parte  alla  linea  5,  e  7  leggo  più  correttamen- 
te. AE  ••  2  •  •  1TVLE///  M  •  •  e  -  '  •  •  '^  X///  onde  po- 
trebbe supplirsi  AER.  LXTVLEiJ  MVLTAM.  HS. 
X///  Aerano  intulerunt  mullam  sestertiorum  decein. . . 
E  questo  denaro  credo  prendesse  il  nome  di  aes  ?nu/- 
taticum,  di  che  si  fa  menzione  nella  lamina  di  Fermo, 
Orelli,  n.  3147  e  di  argentum  multae  siccome  par  si 
debba  tradurre  l' osco  aragctud  mullas. 

Nella  base  venafrana  edita  a  p.  51  è  occorso  per 
crror  tipografico  un  V  per  N  in  BENEV^OLENTIA. 
Al  V.  9, 10  il  POS  . .  SORIS  va  ben  supplito  Possfs- 
soris  ed  inleso  per  Tordo  possessor,  richiamando  il  luo- 
go ordini,  et  poisessoribus  cuimque  civiialis  del  Dig. 
2.  1.  de  decr.  ab  ord.  fac.  inteso  già  dal  Pancirolo 
de  magist.  viunic.  e.  1 .  in  questo  senso. 

Dopo  la  stupenda  scoperta  del  collega  sig.  Minervi- 
ni,  colla  quale  ha  fissalo  il  si  controverso  tipo  del  loro 
androprosopo  sulle  monete,  segnatamente  patrie,  gio- 
verà di  avvertire ,  che  oltre  alla  ragione  generale  del 
cullo  del  fiume  Acheloo  diffusissimo  per  tutto,  tòv 'A- 
XsXwOK  fxóvoy  dvMTxS  ày^^uiiroui  GVix[:i\lriXi  tih%y 
(Ephor.  presso  Macrob.  Salur.  V,  18),  due  altre  ne 
aveva  la  nostra  Partenope.  La  prima  si  è,  che  le  co- 
lonie dei  Calcidesi  prima  di  passare  in  Italia  dimora- 
rono nella  Tesprozia  ,  e  nell' Ambracia  siccome  collo 
Scaligero  ha  dimostrato  l'Ignarra  fdcBulhys.  p.  24i.), 
ove  era  solenne  quasi  come  nella  vicina  Acarnania  il 
cullo  di  Acheloo.  La  seconda  propria  dei  Partenopei 
è ,  che  Acheloo  era  padre  delle  Sirene ,  dette  però 
'Ax^Xwi'Sss  da  Apollonio  [Argon.  IV.  893),edaPau- 
sania  (IX,  34)  'Ax^Xw^t"  St'yctTs'oss.  L'accennata  di- 
mora degli  Euboici  in  paese  dorico  potrebbe  scusare 
r  opinione  di  coloro ,  che  la  desinenza  in  AX  del 
NsOTroX/rctS  di  alcune  monete  derivarono  da  dorico 
dialetto.  Perciò  ho  sostenuto ,  e  tuttavia  sostengo,  che 
in  Napoli  non  fu  mai  parlalo  il  puro  Atlico  dialetto, 
come  slima  il  mio  collega  ,  non  essendo  mai  venuta 
in  questa  città  veruna  colonia  direttamente  da  Alene, 
0  da  quelle  contrade.  Che  se  fu  mollo  ardila  eoo- 


—  79  — 


gliiolliira  il  volere  che  le  diversllà  della  voce  SE- 
PEieo^  dal  volgare  i:HBH0f)S  derivassero  da  Leo- 
tico  linguaggio ,  e  se  concessi  di  troppo  alla  autorità 
dell' Alirens,  nulladimeno  io  non  ho  mai  arrecato , 
come  altri  dice  ,  questo  argomento  per  pruova  ,  ma 
supposi ,  anzi  dimostrai  altronde  ben  noia  la  prove- 
nienza beotica  delle  colonie  Calcidesi.  Al  (piai  pro- 
posito facendo  io  forza  sul  nuovo  nome  di  fratria ,  i 
Crctondac,  d' indole  tutta  Beotica,  non  addussi,  che  i 
soli  esempì  allegati  dall' Ahrens,  ed  ora  a  più  valido 
sostegno  darò  loro  una  buona  giunta  ricavandoli  dalla 
dotta  opera  del  Keil,  il  quale  vi  ba  travaglialo  intor- 
no. Essi  sono  :  Facrxc^^aS ,  Aia.y untoti ,  (■^poiTcuvóct,? , 

rpuivhxi ,  Uii^JuD^xg,  "Xxip^t^y^'j^i ,  <P%i^u>vh%?  ,  Xou- 
prLy^'xi,  tutti  Beoti  (Keil,  Syll. Inscr,  Bocot. Nommcl. 
Boeol.  p.  205.  seg.  ). 

Garrccci. 


Tavola  aquaria  Venafrana  ,  conlinuazione  dd  n.  8. 

Questa  legge  vitruviana  io  riconosco  nei  cippi  noli 
per  le  pubblicazioni  del  Grutero,  e  del  Fabretti,  ove 
in  Glie  di  ciascuno  leggesi  P.  CCXL.  Eccone  alcuni. 


VIRG 
TI  ■  CLAVDIVS 
DnVSI  •  F  ■  CAESAR 
AVG  •  GERMANICVS 
PONTIFEX  •  MaXIMVS 
TRIBVMC.POTESTATIV 
COS  IH  ■  IMP  •  vili.  P.  P 
1.  P.  Cr.XL 

Grut.   176.  3.  Murat.     (  Grut.    176.  4  Orelli. 
442.  7.  Orelli  3319.  3320.) 


VIRO 
TI  •  CAESAR  •  AVG 
PONTIF  •  MAXIM 
TRIB  •  POT  ■  XXXVllI 
COS  •  V  •  IMP  •  Vili 
I 
P.  CCXL 


IVL  •  TEP  •  MAR 

• 

IVL  TEP  MAR 

IMP  •  CAESAR 

IMP  CAESCVR 

DIVI  •  F 

DIVI  F 

AVGVSTVS 

AVGVSTVS 

EX  •  se 

EX  se 

XXV 

IXIII 

PED  •  cCXL 

P  .  CCXL 

(Fabretti  col.  Tr. 

1737.) 

Questi  furono  per  altro  diversamcnlc  interpretali 
finora.  Il  Fabretti  li  tiTine  misure  del  iugcio  intro- 
dotte a  dinotare  la  lunghezza  degli  acquidotli:  l'nius 
jitgeii  mensura  me  inducil ,  ut  credam ,  veteres  illos 
aquarum  curatores  isto  modulo  loììgitudiiics  rivorum 
cuiusque  duclits  dimeliri  w/Z/os  fui^H'  (Fabretti.  op. 
eli.  col.  1738.).  L' Orelli  li  definisce,  cippi  jiKjcralcs 
ììiensurae  causa  conslituli  (  Orelli  Insc.  Lai.  p.  73  ad 
n.  3319.  20.).  Recentemente  il  prof.  Mommsen  ha 
scritto  «  lungo  gli  ac(piidu(li  romani  ncll'cporu  Aii- 
gustea  stavano  termini ,  che  indicavano  il  nome  del 
condotto  dell'acqua,  quello  dell'imperatore  che  pose  la 
pietra,  ed  il  numero  delle  jugera  pedum  CCXL,  che 
intercedevano  fra  il  luogo ,  dove  stava  il  cippo ,  e 
l'altro,  dove  l'acqua  veniva  distribuita.  Grut.  176. 
3.  3.  1019,  10.  Fabretti  inscr.  600,  o06  sq.  de 
aquis  p.  III.  sq.  28  (Momm.  Bull.  Insili.  18o0.  p.  49. 
n.  2.).  Il  vero  è,  che  (juesli  cip[)i  ci  stavano  ad  indi- 
care i  pozzi ,  ed  erano  segnati  |)erciò  di  doppia  nu- 
merazione ,  l'una  progressiva,  l'altra  costante.  Colla 
prima  veniva  indicato  il  pozzo  ,  colla  seconda  i  due 
aclus ,  ossia  i  dugento  quaranta  piedi  che  intercede- 
vano fra  l'mi  pozzo,  e  1"  altro. 

SVPRA  IXFRAVE  LIBRAM.  Che  la //&ra  sia  il  li- 
vello 0  pelo  dell'acqua  lo  ba  dichiarato  il  Polcni  nel- 
le note  a  Frontino  p.  61.  Art.  18.  ,  ove  dice  aquae 
omnes  diversa  in  urbcm  libra  proveniunt:  la  frase  me- 
desima con  che  qui  si  abbraccia  ogni  fabbrica  tanto  di 
sopra ,  quanto  di  sotto  al  pelo  dell'acqua  fluente,  leg- 
gesi ripetuta  nella  linea  11. 

AEDIFICATI  STRVCTI  SVXT.  Poiché  il  proprio 
scopo  di  acdlficare  è  fabbricar  di  pianta  ,  e  solo  im- 
propriamente si  estende  a  reslaurare,  rcficerc ,  il  (jual 
secondo  senso  vuole  Ulpiano  incluso  nel  sepukruni 
slne  dolo  malo  acdlficare  liceat,  scri\  endo  L.  1 .  §.  9. 
D.  De  mortuo  inferendo  ci  scpulchro  aedificando:  ^ie- 
diflcare  non  solum  qui  novum  opus  moliturinlclligcn- 
dus  est,  veruni  is  cptoque,  cptl  vidi  rcfircrc.  Però  l'esten- 
sore del  decreto  Venafrano  ad  evitar  ogni  equivoco  vi 
aggiugne  slrucll,  del  quale  il  significato  generale  è  di 
ordinare,  comporre,  e  quindi  di  reficere,  L.  l.§.  6. 
D.  De  rivis.  Refìccre  est  .  .  .  suhslrucre  .  .  aedifca- 
re  .  .  e  rispondono  cosi  i  due  verbi  alle  voci  duccn- 


—  80  — 


dae,  reficiundae  assai  bene.  La  legge  vicndafaqualclie 
tempo  dopo  la  costruzioue  dell' acquidotlo,  e  quando 
era  già  in  uso,  onde  si  ordina,  clie  tutte  le  costruzio- 
ni, e  lifazioni  fatte  nell'acquidotto  si  tengano  per  ben 
fatte,  non  alltinienti  che  le  concessioni  dei  rivi  e  con- 
dotti ottenute  prima  di  questa  nuova  legge  dai  duum- 
viri e  prefetti  della  Colonia  veggiamo  essersi  sanzio- 
nate da  Augusto  nel  primo  articolo  di  questo  decre- 
to. Adunque  si  ovàìna  ([uì,  itti  quklquid  factum  est,  ila 
esse,  halere  flìceat,  oporlealj. 

Quanto  all'avvenire,  son  decretate  parecchie  cose 
riguardanti  segnatamente  gli  accomodi  occorrenti ,  la 
somma  delle  quali  è ,  che  sia  lecito  per  la  rifazione 
dell'  acquidotlo ,  e  delle  fabbriche  annesse  di  operare 
sul  fondo  ove  passa  l' acquidotlo  medesinjo:  aquas  re- 
fìccre ,  rcponere ,  restiluere ,  resarcire ,  semel,  saepius; 
fistuìas ,  canales  ,  tuhos  ponere,  apcrluram  commitlere, 
sive  quid  aliud  eìus  aquae  ducendae  causa  opus  erit 
facere  ei  agro.  Che  la  maceria  costruita  sull'  acqui- 
dotlo niuno  altrimenti  rimuova  o  distrugga  se  non  a 
fine  di  ossei-vare  o  restaurare  l' acquidotlo  ,  e  ancora 
in  questi  casi  ninna  cosa  si  faccia ,  che  disturbi  ed 
impedisca  il  corso  delle  acque. — Dum  qui  locus  ager 
ìnaccria  saeptus  eU ,  per  quem  locum ,  siihve  quo  loco 
specus  eius  iter  inil,  ne  ea  maceria  parsue  quae  eius 
maceriae ,  aliler  (1)  diruatur,  mocealur,  quam  specus 
reficiundi,  aut  inspiciundi  causa,  etc.  Nomina  qui 
il  decreto  due  fondi  di  proprielarii  Venafrani ,  che  a- 
vevano  la  servitù  del  passaggio  dell'  acqua  ,  nei  qua- 
li a  fianco  del  rivo  erano  costruite  le  macerie ,  che 
ne  vietavano  l' accesso.  In  terzo  luogo  si  ordina  che 
ad  impedire  qualunque  usurpazione,  e  per  dar  com- 
modo al  trasporlo  dei  materiali ,  ed  agio  di  lavorare 


(1)  Il  ne  ...  aliter  in  luogo  di  NI  — ATITER  è  una  giusta  emen- 
dazione propostami  dalla  perspicacia  del  sig.  Henzen,  che  io  trovo 
ragionevolissima,  e  l' ammetto  pienamente,  tiiltocchò  niun  vestigio 
rimanga  sulla  lapida  che  dia  luogo  alla  emendazione,  essendo  af- 
fatto logore  in  quei  due  siti  le  lineucce  trasverse. 


ai  manovali ,  si  lascino  a  destra  e  a  sinistra  del  rivo 
e  della  maceria  otto  piedi  senza  coltura  :  Cuius  rei 
causa  dextra  sinistraque  circa  eum  rivom ,  circaque 
eam  maceriam,  quae  aquae  ducendae  causa  factasunt, 
octonos  pedes  agrum  vacuum  esse  placet ,  per  quem 
locum  venafranis,  eique  qui  venafranorum  famuli,  iter 
facere,  eìus  aquae  ducendae,  operumve  eius  aquae  du- 
ctus  faciendorum  reficiendorum  quod  eius  sine  dolo 
malo  fiat ,  jus  sit ,  liceatque  ,  quaeque  rei  faciendae 
refictendae  causa  opus  erunt  ,  quo  proxume  poterit 
advchere  adferre  adportare  quaeque  inde  exempla  erunt 
quam  maxime  abs  agri  dextra  sinistraque  pcdcs  Vili 
lacere  liceat.  E  la  osservanza  di  questi  ordini  viene 
messa  in  guardia  dei  Duumviri,  i  quali  prometteran- 
no di  tener  giudizio  de  damno  infecto.  —  Dum  oh  eas 
res  damni  infecti  ius  (lari  promitlatur ,  earumquc  re- 
rum omnium  ita  ei  agendarum  II  viris  Venafranis  ius 
potestatemque  esse  placet. 

Chiudesi  il  capo  con  tre  altre  avvertenze.  La  pri- 
ma è  ,  che  i  lavori  permessi  intorno  all'  acquidotlo 
non  debbono  impedire  l'accesso  al  fonte  dei  Minucii, 
il  quale  è  collocato  in  quel  fondo  ove  passa  1'  acqui- 
dotlo: Dum  ne  oh  id  opus  fons  Minuciorum  cuius  agri 
locive  per  quem  agrum  locumve  ea  aqua,  is  aquae  du- 
ctus  se  fert ,  invius  fiat. 

Che  in  secondo  luogo  niuno  muli  il  corso  dell'ac- 
quidollo  da  una  parte  all'  altra  del  suo  fondo ,  ove 
l'acqua  non  possa  fluire:  Neve  quìs  dolo  malo  opus  ex 
agro  suo  in  partem  agri  (ubi  nihilj  minus,  quam  tran- 
sire  fpossitj ,  transferre,  transvertere  recte  possit. 

Finalmente  che  niun  possessore  faccia  alcun  danno 
all'  acquidotlo  ,  o  altrove  ne  devii  il  corso  :  Neve  qui 
eorum,  per  quorum  agros  ea  aqua  ducilur,  eum  aquae 
ductum  corrumpcre,  abducere ,  avertere  facereve  quo- 
minus  ea  aqua  in  oppidum  venafranorum  recte  duci 
fiacre  possit. 


(  continua  J 


Garrccci. 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.g. 
GicLio  MiNERviM  — Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaneo. 


BILIETTIÌVO  ARCIIEOLOr.ICO  !V\rOIJTAIVO. 


NUOVA    SERIE 


TV.»  11. 


Dicembre  1852. 


Intorno  alla  lapida  viaria  osca  di  Pompei.  —  Iscrizioni  Etnische  graffile  sul  fondo  esterno  di  due  vasi  irocali 
in  sepolcri  campani. — Piombo  Siciliano. — Lapide  Capuana. 


Intorno  alla  lapida  viaria  osca  di  Pompei, 
nuoce  osservazioni. 


Nelle  mie  osservazioni  intorno  ad  una  i^criz.  osca 
(  Memorie  della  I(.  Acc.  Ercol.  voi.  7.  p.  22  appen- 
dice (1)  ),  dissi  di  seguire  una  lezione  diversa  da  quella , 
che  in  quel  momento  di  mia  lettura  si  aveva  soll'oc- 
chio  dagli  Accademici.  Ma  la  tavola  che  accompagna 
le  tre  dissertazioni  (j\Iem.  cit.  (in.)  ,  fu  fatta  incidere 
sopra  una  nuova  re\isione,  e  però  come  più  esatta  di- 
scorda in  alcune  cose  dalla  prima,  del  resto  neanche 
si  conforma  alla  lezione,  che  io  ritengo  nel  testo  della 
mia  illustrazione.  Omette  per  es.  alla  i.  lin.  il  punto 
dopo  WRHR ,  e  lo  aggiugne  al  V  di  WHRQTTHVn, 
inoltre  alla  lin.  6.  nega  1'  h  al  hfsDl.  Or  avendo  il  sig. 
Wentrup  pienamente  confermata  la  mia  lezione  in 
questi  ed  in  altri  luoghi  controversi  (Cu//. /ns^iV.  18.j2 
p.  1 60) ,  mi  sia  permesso  arrecar  qui ,  a  quel  primo 
mio  esemplare  una  sola  modiflca  in  cosa  non  osservata 
ancor  da  veruno.  Un  secondo  studio  intorno  alf  av- 
vanzo  della  prima  lettera  lin.  1.,  mi  ha  convinto,  che 
ella  ha  un  appendice  laterale  di  altra  linea  ,  appunto 
cosi  l-  ;  onde  mi  par  certo  ,  che  debba  interpretarsi 
m ,  od  H.  Prescelgo  intanto  la  W ,  perchè  me  lo  di- 
manda la  regolare  allineazione  dei  capiversi  osservata 
in  tutta  la  leggenda  ,  a  cui  soddisfare  non  bastereb- 
bero le  sole  due  linee  della  H. 


(1)  Intorno  alle  tre  memorie  sulla  epìgrafe  osca  stampate  in  que- 
slo  volume  voggaiisi  le  riviste  del  eh.  signor  Henzen  inserite  nel 
Bull,  dell'  Instit.  di  quesf  anno  a  pag.  87.  seg.  158.  seg. 
ANNO   1. 


Il  sig.  Wentrup  nulla  osserva  intorno  alla  tillinia 
lettera  della  lin.  1.  nella  (piale  io  veggo  gli  avanzi  di 
una  m  appunto  così ,  t-H.  L'  H  poi  adottata  da  altri 
non  avrebbe  dovuto  avere  le  due  prime  linee  verticali 
sì  virine  l'una  a  l'altra.  Inoltre  ei  tace  intorno  alia 
parola  ^H3TTRHHH3(HT  parte  della  (piale  finisce  la 
linea  seconda  ,  e  parte  vedesi  scol()ita  nella  terza.  Or 
io  leggo  klWBcHT,  e  non  trovo  luogo  al  primo  T,  se 
non  nella  linea  seguente  ^H3TT  che  iv  i  ('•  forza  sup- 
plire, mancandone  lo  spazio  materiale  nell'anlece- 
dente.  Intcjrno  alla  H  del  R>/1-R)i  «  il  signor  Wen- 
trup ,  dice  il  chiariss.  signor  Ilenzen  (1)  esprime  la 
sua  maraviglia,  che  il  Quaranta  nega  l'esistenza  del- 
l' i  in  Kaila,  mentre  quella  gli  appariva  bastantemen- 
te chiara ,  ed  anche  la  simmetria  dei  versi  indica  che 
qui  ci  deve  essere  una  lettera  ».  A  chi  opponesse  ve- 
dersi ivi  una  linea  obliqua,  che  non  potrebbe  richia- 
marsi in  verun  modo  a  formare  una  H ,  la  rpjale ,  si 
dice  ,  dovrebbe  avere  la  linea  aggiunta  orizontale  , 
e  non  obliqua ,  farei  osservare  esser  tal  questione  in- 
torno alla  obliquità  della  linea  aggimita  assai  secon- 
daria ,  apparendo  ivi  chiaro  anche  al  sig.  Wentrup 
la  h  ;  inoltre  avvertirei ,  che  queste  linee  non  sono 
sempre  orizontali ,  come  par  si  supponga  ,  essendo 
ajiertamente  oblique  e  rivolte  in  giti  ncUl^kHA/KH 
del  R.  Museo,  nel  WHRKT  di  molle  moiielc  dfl  Tia- 
no  Sidicino,  nel  NBOTHBaS  di  [yarecchi  nummi  Fren- 
tani ,  e  persino  nel  RACE  della  lapida  Terevcniinate 
di  Numerio  Bairio  tuttocchc;  scritta  con  carattere  lati- 
no. Quanto  poi  al  trovari^i  talora  rivolta  in  su  ,  non 
far  mestieri  di  andarne  a  cercare  esempi  altrove,  os- 
servandosi in  questa  medesima  lapida  viaria  anche  se- 
ti 


—  82 


conJo  la  (avola  incisa  nella  linea  8.  hHK.  Dopo  le 
quali  osservazioni  ripelerò  qui  la  primitiva  mia  let- 
(iira  (li  (ulta  la  iscrizione ,  prima  di  passare  a  dir 
(pialche  cosa  iatorno  alla  interpretazione  di  essa. 


//kH  •  ^IITHVn  //H//W  •  ^IITTVI^  •  ^ 
llv  VM3a3T  •  VMVl  •  >IR>I3  •  ^1  VWl- 
//'8RT^  •  mRQTTHVn  •  THR  •  ^H3T 
(]3n  •  TWTRHW3a3T  •  VhD  •  WRHF 

a3T  •  RURiiRnwvn  •  wi  •  v^twi-  •  > 

Vm.  •  TMR  •  111  •  >l3a3n  •  ^H3TTRHm3 
1-3  •  ^^R>i3  •  ^l-3ll)iUI-3":,W  •  ^h33Vl  •  R  V 
ROX)!:!^  •  VVt  •  RIDVI  •  RH  •  VW  •  ^^ 

^hBHRiRnwvn  •  ^i-a>ii-^3W  •  mia 

l\  •  ^H3^W  •  H35|Rmi?ll>iD3U3^ 
^HdTTRSVOn  •  ^1 VI51I-R  •  V5: 


Ora  fa  luogo  di  a^iugnere  alcune  osservazioni  in- 
torno alla  interpretazione  di  essa.  E  primieramente 
credo  ancor  io  ,  che  il  MccUceis  Pdmpaiianeis  debba 
essere  qui  un  genitivo  singolare ,  non  tanto  per  i 
confronti ,  che  lo  persuadono  ,  quanto  perchè  solo 
così  mi  si  toglie  il  singoiar  impiego  di  magistrali  di- 
versi adoperati  qual  ad  apporre  i  termini ,  ed  appro- 
vare, qual  ad  eseguire  quel  qualunijue  lavoro,  che  ci 
si  addita  nella  liu.  10;  quando  da  tutte  le  lapidi  fino- 
ra scoperte  rilevasi  che  i magistrati  medesimi,  o  parte 
di  essi  son  sempre  adoperati  a  presedere  al  lavoro  , 
e  quello  compiuto  ad  approvarlo. 

Troverebbesi  pertanto  in  tal  caso  superfluo  V  Ai- 
dilis  dell'  ultima  linea  ,  aspettandosi  qui  il  consueto 
iiidum  ,  cddum  prùfallens.  Ma  ancor  questo  potrebbe 
difendersi  col  non  dissimile  esempio  di  altra  lapida 
])ur  pompeiana  ,  ove  Vinicio  dicesi  Cuaisldr  Pùm- 
paiians,  e  di  qndsla  medesima  nostra  viaria,  ove  pure 
si  aggiugnc  al  Mediceis  il  Pilmpaiianés  non  richiesto 
afleillo  in  qualunque  senso  si  voglia  prendere  quel 
passi.i. 

In  secondo  luogo  avvertirò,  che  il  i'mssu  della  lin. 
4,  o  imu  della  9,  e  10,  che  io  interpretava  suo /«ss», 
or  mi  sembra  essere  ben  allr.i  co-a.  AI  qual  cangia- 


mento di  opinione  non  può  aver  certo  influito  il  pa- 
rere del  sig.  KirchofT,  nò  l'autorità  altrui,  più  di  una 
potentissima  ragione ,  che  mi  fa  avveduto  essere  la  \- 
del  V^Vh  vocale,  opde  non  posso  affatto  paragonarlo 
col  IVSSV  latino  d'indole  e  di  radice  al  lutto  diverso, 
lo  prendo  adunque  il  him  come  pronome  dimostrati- 
vo plurale  eiisu,  che  tolta  l'enclitica  u  proveniente 
forse  da  un  um,  che  così  intero  apparisce  nel  latino 
antico  in  Sed-um,  in  Pcr-um,  in  Donec-um,  mi  ri- 
mane ^Vh ,  facile  al  paragonare  dei  plurali  in  ^V  , 
come  ^Vn  fQueis,  Qacs ,  Quei)  ,  onde  i  latini  anti- 
chi EIS ,  EI ,  e  poscia  11.  Né  può  far  difficoltà  la 
mancanza  ,  del  punto  nel  primo  V,  perocché  ,  può 
esser  stalo  omesso  in  questa  lapida ,  ove  è  tralasciato 
altresì  in  ^H3^W,  ed  in  VhU.  Ammesse  queste  due 
modifiche  avrebbesi  una  più  soddisfacente  interpreta- 
zione di  tutta  la  lapida  a  questo  modo. 

M.  Sallim  .  M.  f.  N.  Ponlius  .  M.  f. 
Acdiles ,  hanc  viam  lerminavcrunt 
ad  ?  portam  ?  slabianam  perlicis  ? 
X.  ii(dcìn([m)  vlam  pompcianam  ter 
minacerunl  perlich  ?  II.  ad  ?  caci 
ìam  .  lovis  .  Milichiì  .  Has  vi 
as  .  el  viam  .  ioviam  .  et  .  decuvia 
rem  ?  magislratns  .  pompeiani 
ex  .  silice  .  stravenmt  .  li 
fdemquej  aediles  probaverunt. 

Passo  ora  ad  alcuni  particolari.  Ancor  io  la  prima 
volta  che  copiai  la  lapida  credetti  ravvisare  la  linea 
orizontale  disotto  alla  fi  di  WRaTTHVfl ,  e  l'altra 
che  sega  per  mezzo  le  due  verticali,  onde  il  sig.Wen- 
trup  ha  espresso  il  B  ,  ma  le  seconde  cure  mi  fecero 
invece  riconoscere  un  fi.  Comunque  ciò  sia  ,  parmi 
poter  paragonare  il  Pitoira  osco  colle  formazioni  delle 
voci  latine  intra,  extra,  ultra,  cantra,  dira,  nelle 
quali  la  sillaba  (ra  ha  origine  dal  tcra.  L' THR  credo 
piuttosto  A'r(=AD);  e  però  il  punirà  sembrami  an- 
cora d' inceito  significato. 

La  |)rima  sigla  W  e  la  H ,  mancano  tuttavia  di  e- 
scm[»ii  nelle  lapidi  osche.  Lo  che  dimostra  questa  iscri- 
zione "iù  recente.  Ilo  detto  che  la  H  manca  di  esera- 


83  - 


pio  ,  porcile  la  lapida  di  Tiìm'iiIo  aveva  scolpilo  NI, 
secondo  che  ho  avuto  occasione  di  verificailo  sui^li 
avanzi  dell' orij^inale.  Q limito  al  W il  .l/a/((s, ed il3/<- 
nius ,  Minalius  vi  hanno  più  dritto  dv\i\\  altri  prono- 
mi ,  siccome  più  frequenti.  Fa  senso  che  non  sia  fi- 
nora apparso  il  Mamcrcus ,  che  i  Graiuinatici  attesta- 
no essere  slato  in  uso  di  prenome  fra  gli  Osci.  Ilo  sti- 
mato alla  p.  5,  che  BHH  del  Irapezoforo  di  Pietrah- 
bondante  equivalesse  a  JtJarcm;  ora  panni  più  vero, 
che  sia  il  nome  Maccim  ciie  leggesi  nelle  monete  ()- 
sche  di  Aurunca  (1),  dopo  che  ho  avuto  occasione  di 
stahilire  1'  uso  antico  di  servirsi  di  nomi  di  famiglia 
in  luogo  di  prenomi  (v.  pag.  41,  42  di(piesto/yi///.). 
Perocché  è  ora  ben  sicuro  che  il  )1  si  cambiò  anche 
dagli  osci  in  B  per  gli  esempi  allegali  da  me  a  pag.  6. 
delle  osservazioni  intorno  a  questa  iscrizione  ,  e  per 
r^lDFTTBV  dell'ultima  lamina  di  Pennaluce ,  e  pel 
confronto  certo  del  3>  QBAHH  (tav.  I.  num.  1.  di  que- 
sto Bull.)  col  ^3IB(]RW  e  col  ^OIBAQAHH  di  due  laz- 
ze graffite  del  suolo  Campano,  e  pel  ON.\nM.\H  delle 
monete  (  v.  p.  G6.  di  questo  Bull.  ).  Cosi  Paccius  fu 
scritto  )in,  Dccius  )\^,  e  sarebbesi  potuto  scrivere  an- 
cora Bn ,  e  B5|. 

L' iscrizione  di  Bairio  va  letta  così 


NI  •  B.\mi  •  II  •  M  •  T  •  S  •  T  A  RAM 
KACE  •  AMANAFED  •  ESIDVM 
PROFATED 

Cioè  :  Nìumeriis  Bai)  ih  Herids  Meddix  Toulics 
Scnaleis  langinud  Aram  iacc  amanafed  •  esi- 
dum  profaled  (2). 

Numerio  Bairio  figliuol  di  Herio  magistrato  supre- 


(1)  Qiicslc  non  lianno  avuto  assegnazione  di  luogo  da  altri  Nu- 
niismalici;  ma  io  ne  ìm  pulililicata  una  alla  p.Go,66,  di  questo  Bull, 
ove  la  leggenda  /IH V (JlN  niutle  in  sicuro  I'  allribuzione  clic  ne 
ho  fatta  altra  volta  ad  Aurunca. 

(2)  L'interpretazione  delle  quattro  sigle  M  •  T  •  S  •  T  f u  data  dal 
sig.  Caraba ,  dal  quale  ne  ebbi  la  prima  copia,  e  parmi  giustissima. 
Egli  ancora  credette  di  emendare  1'  II  in  N ,  che  io  invece  ho  ri- 
tenuta col  trascrittore. 


mo  per  decreto  del  Senato  quest'ara  ha  chiusa  in  un 
recinto,  ed  egli  medesimo  ne  iia  appro\ato  il  lavoro. 

La  voce  ^3(13n  è  spiegata  da  me  per  anali);:iaalla 
perlica  romana.  «  11  sig.  .Viifrecht ,  dice  1'  Ilciizeii  . 
non  accetta  questa  spiegazione,  se  non  priclic  il  senso 
gli  sembra  richiedere  una  misura  longiltuliiiale ,  ar- 
bitrariamente chiamandola  perlica,  e  coiifrontando  la 
perecu  o.sca  colla  perca  umbra  delie  tavole  ("tigulìiiie  ». 
[Rull.  Inslit.  18:52.  p.  S!).)  Non  credo  inutile  osser- 
vare ,  come  sulla  etimologia  della  voce  latina  pertica 
nulla  si  è  detto  finora  di  soddisfacente  dai  grammati- 
ci. Io  considero  questa  voce  nella  i-elazioiie  colla  pf/ tu 
umbra  ,  come  Pandica  con  Panda.  E  se  perca  può 
essersi  detto  ancora  perla  ,  siccome  si  disse  Marca  , 
e  Maria  ,  avrebbesi  nella  voce  perca  la  radice  della 
perlica.  In  tutte  le  iptjtesi  Pcrec  è  tronco  ,  non  meno 
di  Per ,  ed  io  slimerei  che  la  intera  voce  con\  enieiite 
a  questo  luogo  sia  Perecai<. 

A  vie  maggiormente  escludere  la  falsa  idea  di  Pcdes, 
gioverà  oltre  alle  ragioni  addotte  produrre  tpiì  da  tiii 
graffilo  osco  pompeiano  i  Pcde^  !M  M  scritti  appiiiilo 
così,  00  00  qn.  Questo  monogrannno  manca  dell'  E  in- 
termedio, forse  all'osca,  ma  certo  come  il  P.D.  XXXII 
delle  lapidi  latine  ,  secondo  la  giusta  interpretazione 
del  sig.  Minervini  {Bull.  Nap.  lìl.  p.  54.1  V.  p.  l.'J.'i), 
confermata  da  un'  arcaica  di  Capua  tuttavia  inedita 
copiata  ivi  da  me ,  IX  ACRO  P.  II.  IN.  F.  P.  I). 
V.  Non  è  ben  provala,  evvero ,  la  natura  dittongica 
della  E  di  Cella ,  siccome  ritenendone  la  interpn'la- 
zione  confessa  l'Aufrecht,  ma  io  ipii  appello  ad  un 
fatto,  perocché  così  è  realmente  scritto  sulla  lapida.  E 
dico  inoltre,  che  ciò  trova  un  sostegno  in  Pùmpaiian^, 
in  Buvaiamid,  in  Suaei  f=SeiJ,  del  medesimo  dialet- 
to. Se  la  famiglia  Decuvia  fosse  qui  indicata,  io  non 
so  dirlo  ,  certo  Deccvia  come  Pacvia  equivale  a  Dec- 
cia,  Decia  e  credo  sia  la  maniera  più  semplice  di  in- 
terpretarlo. Degl'iman  Ba..anm  delle  monete  diXo- 
cera  Alfalcrna  non  si  è  per  anco  inteiprelato,  luttoc- 
chè  si  possa  tenere  col  confionto  di  Sarninei,  che  sia- 
no appellativi  del  municipio. 

La  più  opportuna  occasione  a  fermare  il  senso  gram- 
maticale di  Sercucidimadcn  pro\iene  parmi  da  alda 
lapida  pompeiana  ,  della  quale  soli  tré  frammenti  si 


—  84  — 


rinvennero.  La  vera  lezione  di  questa  è,  come  segue: 

TRW.n 

iqi-R 

j  1 1  iNk  W  3a3T 

TRn^vi-n^Haw'" 

Comunque  ne  sia  perita  una  gran  parte  ,  pure  ne 
resta  tanto  da  assicurarci,  che  vi  si  parla  di  Edili,  che 
questi  magistrali  hanno  segnali  i  termini,  ed  un'altra 
cosa  hanno  fatta  indicata  dal  verbo  che  determina  in 
^H3m.  Fermiamone  le  parli  :  la  prima  linea  conte- 
neva certo  i  nomi  de'  magistrati ,  che  dalla  linea  se- 
conda dichiaransi  Edili ,  adunque  erano  due,  P.  Ma- 

(ììs AUUlis  od  Aidiléis;  dopo  la  qual  voce  è 

naturai  cosa  che  venisse  nominato  l'obbietlo,  e  questo 
era  una  strada  :  perocché  nella  quarta  riga  ricorre  il 
nominativo  Vh3;  perchè  nella  terza  si  parla  di  un  la- 
voro viario  ,  qual  è  quello  di  determinar  la  larghez- 
za e  lunghezza  della  via  ed  il  suo  passaggio.  Il  voca- 
bolo ,  del  quale  rimangono  gli  avanzi ,  si  supplisce 
cosi  facilmente, come  sicuramente  ^H3TTìslHW3Q3T. 
11  professore  IMommsen  ,  che  legge  teremnai ,  (  Uni. 
D/a/.p.I82j,  non  ha  veduto,  che  dopo  l'asta  dritta  del 
preteso  h,  segue  una  seconda  Unea,  egualmente  ver- 
ticale ,  e  poi  una  base  d'altra  lettera,  che  manoduce 
alla  terza  persona  plurale  del  perfetto  leremnatlens. 
Dopo  la  qual  lezione  egli  è  facile  intravedere ,  che 
oltre  a  questo  ,  un  altro  lavoro  fu  eseguito  dagli  E- 
(lili ,  poiché  segue  al  primo  leremnatlens  un  secon- 
do verbo  egualmente  di  terza  persona  ,  e  preterito  ; 
questo  é  ^HBHH  i  ".  Alla  copia  del  Mommsen  manca- 
no i  due  avanzi  di  lettera  che  precedono  il  niens.  Il 
primo  si  vede  che  era  I ,  quindi  imens ,  ed  il  secondo 
potrebbe  essere  un  5|.  Se  mi  si  concede  il  N,  io  sup- 
j)lisco  qui  Screiicidimens.  Chi  me  lo  impedisce?  Già 
basta  solo  imens  per  dimostrare  fuori  di  via  coloro 
che  di\ìdono  la  parola.  Se  avess-mo  avuto  intero  Se- 
reucidimens  tutti  mi  avrebber  conceduta  la  radice  5c- 
rencidimo  ;  ora  perchè  questa  voce  nella  forma  Sereu- 
cidimaden  (1)  è  apparsa  prima,  non  parrà  forse  vc- 

(1)  Quand'anche  si  volosse  lenoro  TEN  preposizione  posposta,  non 
potrel)bo  spicgaiii  EN  SEREVCIDIMAD  VVI'SE.NS  JHf-ex}  SJ7ìCf /c- 
cerunt  ? 


ro,  né  verisimile,  che  sia  un  sol  verbo ,  siccome  pu- 
re lo  vuole  la  lapida.  Io  lascerò  ad  altri  sbranare  il 
vocabolo  ,  e  supplisco  la  lapida  a  modo  mio  così  : 


P.  MalifisJ 

Aidilis  '  (ecac  .  viamj.  .  .  . 
teremnallefns  .  hisu  .  sereuei) 
dimens  .  Viu  palfled  .  perec. 


P.  Malius 

Aediles  .  Piane  viam)  ?  .  .  .  . 
terminaverunl,  fheisque .  silicej 
straverunl.  Viapalfelperlicas. .). 

Generalmente  in  questa .  e  nella  piìi  recente  epi- 
grafe notasi  un  andamento  al  tutto  Ialino  e  dei  miglio- 
ri tempi  ;  lo  che  dimostra  l' indole  del  dialetto  facile  a 
pigliar  forma  migliore  su  di  una  lingua  affine ,  che 
contava  già  autori  di  stile,  e  di  più  ne  conferma  dello 
studio  ,  che  i  capi  delle  orde  Sannitiche  ponevano  in 
imparare  ,  e  dell'  uso  ordinario  ,  che  fra  loro  si  face- 
va della  lingua  latina  ,  secondo  la  preziosa  testimo- 
nianza di  Strabone  :  Iwi  àpx^fysras  (twv  ^xvyirÙoy  ) 
\ir\  vokù  'x^rfr%ri^%i  rr\  Axrlyt]  ^ioìXìxtoj  ,  comun- 
que in  mal  proposilo  cerchi  egli  servirsene,  a  prova- 
re l'origine  latina  della  voce  'Priynv  (L.  VI.  e.  I. §. 
6.  ed.  Kramer). 

Gaurucci. 


Iscrizioni  Elm^che  graffile  sul  fondo  esterno  di  due  vasi 
trovali  in  sepolcri  campani. 

»  On  ne  relrouve  pas ,  en  Campanie  ,  la  moindre 
trace  d'étrusque;  les  lettres  pourraint  Iromper,  mais, 
sans  exception  ,  tous  les  monuments  écrits  soni  os- 
ques ,  »  cosi  il  Niebhur  secondo  la  traduzione  del 
Golbery  (T.  1.  St.  Rom.  p.  109).  Ristoratori  delle 
tradizioni  vetuste  sui  popoli  Etruschi  di  Campania 
sorgono  ora  dal  fondo  dei  sepolcri  campani  quei  te- 


-   So  - 


sdaionii  di  scriKura  ,  e  di  lingua  invano  cercati  dal 
profondo  scrittore  della  storia  Romana  ed  Italica,  il 
prof.  Munimsen  primo  raccoglitore  di  giallid  etru- 
schi in  Campania  non  o:?òapertauienle  contradire  alle 
dottrine  del  Niebhur,  ma  tenne  una  via  di  mezzo,  sup- 
ponendo ,  che  appartenessero  questi  ad  Etruschi  si , 
ma  dedotti  qui  in  colonia  dai  Romani.  Questo  non  sa- 
rebbe accaduto  prima  del  518,  nel  qual  annosi  resero 
soggetta  la  Campania.  Da  questo  tempo  però  franche 
asserzioni  di  Livio  ci  assicurano  che  altri  coloni  non 
furono  dedotti  in  Campania  ,  che  Latini ,  e  Romani  ; 
né  parmi  si  possa  supporre  una  deduzione  di  Etru- 
schi, in  forza  della  quale  i  Romani  padroni  avrebbero 
messo  in  possesso  di  terreni  cosi  fecondi  gente  stra- 
niera ,  e  deditizia.  Né  il  paragone  dei  Liguri  dedotti 
nel  Taurasino  può  aver  luogo,  troppo  diversa  essendo 
la  condizione  di  sili  montuosi ,  e  tanto  salvatici ,  che 
neppure  ai  tempi  nostri  si  hanno  coloni ,  che  vi  vo- 
gliano travagliare  attorno  a  purgarli ,  e  fecondarli. 
Ciò  per  altro  che  più  ne  convince  è  il  vedere ,  che  i 
monumenti  etruschi  non  appartengono  ad  una  sola 
comunanza  ,  come  era  forza  che  fosse  ,  supposta  la 
colonia  ,  ma  sono  egualmente  diffusi  in  più  luoghi. 
Converrà  quindi  far  ritorno  alle  antiche  tradizioni , 
che  si  bene  si  accordano  alle  recenti  scoperte ,  onde 
resta  vendicata  l' asserzione  tanto  positiva  di  Polibio, 
che  gli  Etruschi  possedettero  il  tratto  di  terra  che  va 
tra  Capua  e  Nola,  tv.  TT-p]  KctTrtTjV  xa.)  Ìsu/Xr^v  ttì^ix 
(Ilht.  L.  11.  e.  17). 

Cefalone  Gergizio  (Gergilo  era  città  della  Frigia 
posta  sul  monte  Ida),  autore  assai  vetusto  TTccXaiòs 
TTcaf,  scrive  Dionigi  (L.  1.  Archaeol.  e.  72)  insegnò, 
che  Capua  fu  edificata  da  Romo  e  Romolo  ,  figli  di 
Enea  ;  Oro  lo  trascrive ,  e  l' autore  dell'  Etimologico 
da  quest'ultimo  (p.  490.  Sylb.  cf.  Diou.  Alic.  1.  37  ): 
KotTTyr]  TroXfS  'Ira>.ia.S,  r^v  Pwfxof,  xcù  Pw/xcXcsr/ol 
'Aitiiou  (cod.  'Afvitov)  ixrtffxy,  l'vS  (p>]!7(  Ks-P'xXtnv  ó 
Fipyrfiios.  ourous  "Hpo?. 

Se  Cefiilone  ebbe  compita  la  storia  dei  Frigi  al  più 
far^i  sulla  prima  metà  del  secolo  quarto  di  Roma , 
come  pare  al  Niebhur  fSt.  liom.  1.  2o7.  Gr)ll).) ,  ei 
scriveva  sui  primordii  della  invasione  Sannitica  in 
Campania ,  adunque  non  poteva  parlare  della  Capua 


romana.  Questa  tradizione  fu  certamente  indigena,  e 
vetustissima  ;  perocché  i  Sanniti  medesimi  occupata 
Capila  ,  e  trasformandola  di  lingua,  e  di  cosi  inno  ne 
vollero  consecrala  la  memoria  sulla  moneta  ,  facen- 
dovi rappresentare Telefo  padre  di  quella  Roma,  che 
tolta  in  moglie  da  Enea,  credevasi  aver  dato  il  nome 
alla  città  eterna  (l'iul.  in  llimuloc.  2.  Avrlliiio  JShIL 
Nap.  1.  12).  Cornelio  R.ilbo  a'  tenq)i  di  (jiiilio  lil'e- 
riva  al  Capi  troiano  parente  di  Enea  la  deduzione  di 
Capua  ,  i  quali  racconti ,  che  riescono  tulli  a  fare  di 
Cnpua  una  colonia  Troiana  ,  si  riducono  ficilmcnle 
a  questo  senso  ,  che  i  Tirreni  Pelasgi ,  i  (piali  abita- 
vano la  Frigia,  erano  della  medesima  nazione  dei  Tir- 
reni Pelasgi  ,  che  popolarono  di  loro  colonie  si  gran 
parte  d'Italia,  e  che  ahilarono  sulle  due  rive  del  Te- 
vere. Altri  autori  letti  da  Velleio  ne  confermano  l'ori- 
gine tirrenia ,  riportandone  la  fondazione  a  i8  anni 
prima  di  Roma  (Velleio  1 .  7.).  Tito  Livio,  Slrabono, 
ed  in  generale  gli  scrillori  del  secolo  di  Augusto ,  la 
dissero  fabbricata  dagli  Etriisci,  e  datole  il  nome  Vol- 
turno. Questo  nome  è  realmoule  di  Etrusca  origine, 
ed  il  Vormiglioli  Irà  le  iscrizioni  Perugine  ha  notala  la 
gens  ANaV0-\3ì  (p.  2()2.  203),  che  come  ANmU^Ì 
(Voluìnnius  )  cambia  l'O  in  E,  e  però  deve  tradursi 
Vollumius.  Ma  non  meno  Etrusco  apparisce  Capys , 
significando  in  quella  lingua  il  falcone,  e  coloro,  cut 
poìlices  pedtun  curvi  essent,  inalar  falconis  avis  (  Fesl. 
43.  Mùller  ,  Servius  ad  Acneid.  X.  v.  l'to.  cf.  Ca- 
pena  etrusca  città  adiettivo  di  Capi/s,  siccome  lo  è  la 
porla  Capena  che  mette  sulla  via  di  Capua;  cf.  i  nomi 
di  famiglia  Caponia ,  Capnvanla.  Vermiglioli ,  hcr. 
Perug.  IV.  189,  226,  2o3  ,  2oo).  Anche  Antioco 
disse  Capua  così  denominata  dai  Tirreni  (Strab.  v.  4. 
3).  Laonde  questa  tradizione  dovrà  spiegarsi  riferen- 
dola alle  colonie  di  Etrusci  in  varii  tempi  venute  a 
rinforzar  Capua ,  alcuna  delle  quali  le  a\  rà  eziandio 
cambiato  nome ,  se  non  é  piuttosto  vero ,  che  una 
citlà  (cf.  Strab.  v.  4.  Ovu/krwpyjs  ifxuiwixós  Ieri 
Tr7  TTxfo^vriv  TToXsi  |vP.-;T,?;i:(,u/vr),o  castello  Voltur- 
no sia  stalo  edificato  poco  lontano  da  Capua,  onde  si 
scambiasse  per  alcun  tempo  il  nome  Ira  loro,  siccome 
tra  Palaepolis,  e  NeapoU:^,  nelle  quali  due  vìllhpopo- 
lus  idem  hahilabat.  Da  ciò  risulla ,  che  la  prima  me- 


86  — 


moria  (li  Eiriisca  colonia,  dopo  la  prima  fondazione, 
deve  farsi  risalire  ai  229  ,  o  233  di  Roma  ,  quando 
alcuni  dicevano  fondata  Capua  dagli  Ehiisci ,  ed  in 
quest'epoca  appunto  Slrabone  parla  dej;li  Eirusci , 
rome  di  corsari  del  mar  Tirreno  (VI.  1.  S),  e  Dio- 
ni"i  racconta  di  un  esercito  di  Tiireni ,  di  Umbri ,  e 
di  Danni  disfatti  da  Aristodemo  (VII.  5.  cf.  Niebliur. 
II.  3 'io.  Golb.). 

La  seconda  apparterrebbe  al  283 ,  quando  gli  Stru- 
sci sottomiser  Roma,  secondo  la  ingenua  confessione 
di  Tacito,  deiUla  urbe  [H.  III.  lì),  la  qual  epoca 
prescelta  da  Catone ,  sta  colla  maggior  potenza  degli 
Etrusci,  i  quali  al  279  avevano  assediata  Cuma,  che 
se  ne  salvò  cogli  aiuti  di  (jeroiie. 

Nulladimeno  colla  occupazione  sannitica  dell'anno 
331  non  è  a  credere  che  in  Capua  si  spegnesse  ogni 
seme  di  Anniglie  Etrusche  in  Campania,  siccome  l'in- 
vasione di  Cuma  accaduta  tre  anni  dopo  non  valse  a 
cambiarle  il  greco  linguaggio  conservatosi  in  fiore  si- 
no ai  tempi  di  Slrabone,  ed  oltre,  come  dimostrano 
i  monumenti  i\i  trovati  posteriori  ad  Augusto.  Inol- 
tre gli  Etrusci  di  Nola  pare  s'abbiano  conservato  iloro 
dritti ,  perocché  accresciuti  di  una  colonia  Calcidese 
poterono  respingere  le  forze  Sanniticlie.  Le  terre  in- 
termedie certo  seguitarono  ad  essere  abitate  dagli  E- 
trusci;  in  sonnna  gli  Etrusci  si  mantennero  la  loro 
comune  ,  se  tanto  dopo  l' ingresso  nei  loro  domimi 
delle  orde  Samiiliche  ,  poterono  eziandio  batter  mo- 
neta col  loro  carattere  IDN0H ,  tuttoccbè  alquanto 
fuso  coir  Osco,  siccome  lo  appalesa  1' H  ,  e  forse  il 
do[ipii>  H  conosciuto  parimenti  nelle  monete  della 
guerra  sociale  coniate  da  Caio  Papio  Mutilo ,  con  la 
leggenda  l-inRm>. 

(jeneralnuiite  non  può  negarsi  l'influenza  Osca  in 
alcuni  grulliii  dei  vasi ,  che  debbono  riputarsi  appar- 
tenere a  Cnniglic  Etrusche ,  siccome  in  Etruria  nie- 
<lesima  notarono  i  dotti  e  grecismi,  e  latinismi,  e  qual- 
che greco  elemento  apparisce  ancor  (juì,  almeno  nella 
leggenda  3  HRaV  j^  (Momm.  V.  D.  Taf.  XIII.  5. 
ohe  sembra  //.  Ulsinius ,  siccome  parmi  evidente  il 
y.iO.ixvr, ,  (  à-)-}  frov  ZEpofXriov  Elym.  M.  s.  V.  ) ,  nella 
voce  RNB>W>  della  epigrafe  n.  4.  (tav.  cit.).  Pre- 
luessc  queste  osservazioni  a  dichiarazione  dell' argo- 


mento, entro  a  dilucidare  il  grafiìlo  novello  della  tazza 
Capuana  (t.I  n.  I).Leggesi  ivi  ll+^^g®3Rll  an^XHRW. 
11  \W  in  carattere  più  piccolo,  e  quasi  fuor  di  luogo 
mi  dimostra,  che  la  leggenda  i\i  debba  finire,  comin- 
cerò dunque  da  Maerce  il  commento. 

Né  il  vocabolo  ,  né  il  significalo  è  nuovo  in  Etru- 
sco. Il  suo  genitivo  Marces  ha  due  esempii  fra  le  iscri- 
zioni perugine;  il  primo  è  a  n.  184.  pag.  2i9.  del 
Vermiglioli  Hcli.  Marces.  Nari ,  il  secondo  a  pag. 
lo4  (2),  ma  che  il  dotto  Autore  non  riconobbe,  lo'- 
gliendo  l' M  di  Marces.  Àlenas.  Thuius  per  iniziale 
di  Mi  (sono).  Nel  nuovo  graffito  leggesi  col  dittongo 
Maerce ,  e  cosi  ancora  Prziacles ,  se  qui  non  è  piutto- 
sto un  errore ,  che  in  tal  genere  di  scrittura  non  fu 
possibile  correggere ,  e  però  convenne  sovrappor- 
re r  una  delle  due  lettere  ,  che  fanno  gruppo.  Il  dit- 
tongo ae  invece  di  e ,  è  particolar  dialetto  degli  0- 
sci,e  dei  Sanniti,  i  quali  scrivono /*i<myw/a/ìs,  e  Caila, 
e  Suai,  e  BùvaiaKùd,  ma  un  esempio  di  acperanoo 
era  occorso  finora ,  se  non  in  uno  scifo  del  museo 
Campana  con  SAIITVRNT  POCOLOM,  ed  in  un  graf- 
fito trascrii to  da  me  in  Pompei  Maiius.  Al  Marce,  o 
Maerce  fa  buon  riscontro  il  Marhies,  ed  il  Maraliieis 
di  altre  due  tazze  campane  ,  specialmente  ora  che  è 
ben  dimostrato  lo  scambio  del  e  in  h  si  nell' Etrusco, 
come  noli'  Osco  (  v.  le  mie  Oss.  intorno  l' iscr.  Osca 
di  Pompei.  Napoli  ISIil.  ,  e  questo  Bull.  p.  43.). 

Segue  Prziaetcs  in  genitivo,  onde  conviene  che  sia 
il  nome  del  padre  di  Marcio  ;  manca  poi  di  una  vocale 
tra  Vr  i}'\  z,  certamente  secondo  il  costume  etrusco, 
il  (piale  si  riconosce  ancora  nella  moneta  campana 
colla  leggenda  Irnthii  e  talvolta  Irnthd.  11  svi  si  scri- 
ve qui  colla  stessa  forma,  che  in  un  graffito  pompe- 
iano lk03BI^Ill5  ,  ed  in  quest'  altro  pur  campano  , 
che  il  prof.  IMonmisen  ha  dato  a  Tav.  XIU.  n.  4.  del- 
l'^'.!). mRRHB>W<»jgTli3q^l3TlR  rizleis.Veli' 
teis.  Cidcliina.  sim.  (il  Momm.  legge  Enleis  L.  e).  Al 
Prziaelcs  di  questa  lay/a  fa  riscontro  il  Pkelaunales 
di  altra  tazza  del  Museo  Chircheriano  (Tav.  1.  n.  4), 
che  mi  si  dice  trovala  a  Bomarzo  ,  ed  il  OIAPITA  , 
Thiapi(a,  di  una  terza  proveniente  forse  dalle  mede- 
sime terre  ,  i  quali  nomi  come  Phrcnlinnle  (Vermi- 
glioli /*(■/■.   Perni],  p.  319.  )  sembranmi  aver  forma 


—  87- 


patronimica.  L'  ultimo  vocabolo  \W  è  noto  per  più 
monumenti  (v.  Lanzi.  Saggio  de.  p.  422,  431,432, 
444 ,  445  ,  447,  463  ) ,  e  per  la  spiega/ione  datane 
dal  Lanzi ,  che  lo  paragonò  ali"  EMI ,  ELMIfiiecofv. 
Secchi  Descrizioìic  d'  alqiKUili  Etruschi  Arredi.  Ilonia. 
1846.  p.  9,  10.).  Gli  Osci  ritennero  coi  latini  ili)/, 
ed  io  sospetto  ,  die  iu  Cam[)ania  toj^liesscro  dal  vici- 
no dialetto  una  simile  forma  di  verbo  anche  gli  Etru- 
sci ,  che  l'abitavano  ,  e  lo  vorrei  riconoscere  nel  SI  M 
di  tre  graffili  campani ,  ove  a  più  segni  si  manifesta 
una  fusione  di  alfabeto ,  e  di  dialetto.  Il  primo  è 
mi^^^iXVHR)!  (Momm.  Taf.  XIII.  n.  ±),  b-^o  io 
Canuliea.  Sim,  il  secondo  non  dissimile  1-HRI3HITA31, 
Feìlinei.  sim,  ed  il  ferzo  citato  più  sopra  ì'izleis.  Ve- 
lileis.  Ctdfcjhua.  sim  (Momm.  n.  4.). 

In  quel  medesimo  sepolcro  ,  ove  fu  trovato  la  taz- 
za col  graffilo  sopraesposto  ,  era  nna  pcliicc  ornata  di 
due  rappresentanze  erotiche,  disotlo  al  piede  lessi  NVO 
(Tav.  I.  n.  3.  ) ,  che  sarà  forse  sigla  di  più  lungo  vo- 
cabolo ,  siccome  lo  CNA  in  tazza  del  Chircheriano 
(  Tav.  I.  n.  3  ).  È  per  me  incerto  se  il  XVO  sia  gre- 
co arcaico  ,  o>  vero  Etrusco  ,  nel  qnal  caso  la  terza 
lettera  O  cfpn'vniicbbe  ad  im  ^/i ,  ®  ,  la  quale  si  scri- 
ve in  (re  maniere,  anchesullamoneta/niz/uV,  or  pie- 
namente ®,  or  ®  e  finalmente  0  comeinOL\niTA. 


l 


Garrccci. 


Piombo  Siciliano. 


L' antica  Erice  ,  che  riceverà  Ira  breve  un'  insigne 
giunta  di  sue  monele  dallo  studio  di  due  nobili  e  cul- 
lissimi  giovani  Eiancesco  e  Ludovico  Iligilifi,  ha  mes- 
so  alla  luce  un  bollo  di  piombo,  assai  singolare,  per- 
chè segnalo  del  nome  di  un  proconsole  della  Sicilia, 
affatto  nuovo  ,  e  vie  maggiormente  perchè  questi  è 
quel  Giunio  Bleso  ,  nolo  negli  Annali  di  Tacito  ,  e 
neir  Istoria  di  Dione.  La  forma  del  bollo  è  nuova  an- 
che per  me  ,  che  ne  aveva  di  già  pubblicale  tulle  le 
varietà  a  me  noie  nei  Piombi  amichi  (Tav.  III.  13  , 
1  o — 21 ,  IV,  1  — 11  ).  Mostra  dunque  ad  un  canalet- 
to ,  che  lo  corre  iniorno ,  di  essere  stato  intromesso 


in  alctma  falda  di  panno,  e  quivi  conqìresso  fra  le 
staffe  della  tanaglia,  dalla  (piale  ha  ric(;vuta  l'impron- 
ta in  rilievo  del  nome  Q.  IVNIVS  I5LAESVS  l'IlO- 
COS.  Il  carallere  è  conNcnienlissimo  ai  Icnijii  nei 
quali  lioii  Giiinio ,  cioè  alla  seconda  mela  del  sec(jlo 
settimo  di  Roma.  Dal  suo  consolalo  suITcllo  ,  che  si 
pone  al  763  (Borghesi,  Saggiatore  T .  1.  p.  331  ), 
j>uò  prendersi  noihia  onde  determinare  anche  l'epoca 
dèi  suo  proconsolalo  di  Sicilia. 

Perocché  essendo  questa  carica  pretoria  ,  con\  ie- 
ne r  abbia  conseguila  prima  del  763 ,  in  che  fu  suf- 
fetlo.  E  poiché  era  legge  ai  teuq)i  di  /\u;:uslo,  che 
chi  era  slato  pretore  sortisse  la  [iro^inciadopocimpic 
anni ,  la  sua  gestione  di  (piella  magisliatura  non  si 
può  credere  di  molto  lontana  dall'  anno  ,  in  che  ma- 
neggiò i  fasci.  Di  lui  poclu!  altre  cose  si  raccontano, 
che  era  fratello  della  moglie  di  Lucio  Scio  Slrabone 
cavaliere  romano  ,  e  però  zio  malcrno  del  celebre  L. 
Elio  Sciano  (Tacit.  Ann.  HI.  3o  ),  e  che  al  767  go- 
vernava tre  legioni  in  Pannonia  ,  provincia  consola- 
re ,  le  quali  alla  morte  di  Augusto  gli  si  sollevaro- 
no (Dio,  LYII.  4.  facit.  Ann.  I.  lo),  che  dopo  fu 
mandato  proconsole  in  Africa,  (Tacit.  Ann.  III.  58) , 
la  qual  pro>incia,  secondo  le  leggi  in  vigore  sotto  Ti- 
berio, si  polca  conseguire  solo  dopo  dicci  anni  dall'e- 
sercizio del  consolalo. 

Il  più  antico  bollo  di  epocxi  certa ,  che  finora  io 
conosceva,  appartiene  ad  Antonino  Pio  (v.  Tav.  IV. 
n.  1.  ),  porla  di  sopra  l'impronta  dell' Imperalorc  e 
iniorno  la  leggenda  IMP  IIADIUAWS  AN(oiì//.VS 
PIVS  ,  nella  massa  del  piombo  veggonsi  aperti  i  due 
canaletti  della  cordicella  ,  per  la  quale  era  attaccato, 
e  che  lo  trapassava  per  mezzo. 

Questo  è  lo  stile  ordinalo  dei  bolli ,  e  ne  ho  altri 
riscontri  non  meno  rari  (  v.  Tav.  IV.  n.  2-1 1).  Pre- 
ziosissimo poi  stimo  il  bollo  malamente  letto  dal  Fi- 
coroni  ,  e  clu;  dalla  sua  c<jllezione  medesima  ora  con- 
servala nel  museo  ^'alicano  io  ritrassi ,  iu  foiuia  di 
tavoletta  con  ap[)iccaglia  ,  con  leggenda  da  ambedue 
i  lati.  Xella  faccia  più  nobile  è  scritto  : 


VER 

PIÙ 


COS,  sul  rovescio  OXXXIIX 


—  88  — 


Stimo  questa  coppia  di  Consoli  si  riferisca  ad  An- 
iiio  Vero  l'avo  di  Slarc' Aurelio,  ed  al  giureconsulto 
L.  Xerazio  Prisco,  i  quali  sufTetli  tennero  colai  ma- 
gislralura  circa  ]'845.  Sulla  interpretazione  poi  delle 
cifre  segnale  alla  parte  opposta  non  so  che  dirmi.  An- 
noterò solo  ,  che  dalle  pareti  Pompeiane  furono  tra- 
scritte dall' Avellino  simili  note  [Bull.  Napoì.  T.  Ili, 
81  ) ,  e  che  tra  i  miei  graffiti  pompeiani  ho  già  regi- 
strato questa  cifra  eXXXHj,  accanto  alla  quale  ORI- 
CIAII ,  voce  forse  esplicativa  dell'  O  ,  e  che  col  con- 
fronto di  Cauncac  (Cic.  de  Div.  1 1,  40.  Plin.H.N. 
XV.,  19) ,  e  di  Thchakac  (Fetr.  Sahjr.  p.  140,  Am- 
stel.  1GC9,  cf.  Loheck,  Paralip.  Gr.  Gr.  p.  316) 
può  significare  alcun  fruito  provvenienle  da  Oricum 
di  Epiro.  É  poi  noto  il  costume  di  segnar  sulle  anfore 
la  coppia  dei  consoli,  a  determinare  il  tempo,  in  che 
\i  si  riponeva  dentro  il  vino ,  e  però  l'O  della  tavo- 
letta mi  richiama  al  pensiero  il  luogo  di  Petronio  (5a- 
tyr.  1 14,  ed.  cil.):  AUatae  sunt  amphorae  vitreae  di- 
liyeììter  gypsalae ,  quorum  in  ccrvicibtis  piltacia  erant 
adfxa ,  cuni  hoc  Ululo ,  Falernuvi  Opimianum  anno~ 
rum  cenlum.  Altro  costume  fu  di  scrivere  sui  colli 
delle  anfore  i  consolali ,  e  ne  ha  dato  esempio  una 
pompeiana  col  consolato  di  Vespasiano  per  la  terza 
volta,  e  del  Figlio,  che  io  mi  son  ingegnato  di  deter- 
minare alle  Calende  di  Marzo  deir824  (Inlorno  alla 
leggenda  ì'espasiano  III.  el  Filio  C-s,  Napoli,  1841 
vedine  il  ragguaglio  del  eh.  sig.  Henzen  Bull.  Inslit. 
1852,  p.  95  seg.) ,  e  tolgo  questa  occasione  per  dare 
lulla  la  leggenda  ,  che  non  era  stata  ancor  veduta  da 
me ,  quando  ne  scrissi  sulla  relazione  altrui. 

SA?R 

XXI 

VESPASIANO  .  IH 

ET  .  FILIO  C  ^  S 

Altra  legg«'nda  di  epoca  piìi  vetusta  che  riferisce  i 
(xjnsoli  del  778  fu  pubblicata  dal  Guariui  (In  Cipp. 


Ose.  Ahell.  p.  56),  Cn.  Ie»TVLO  .  M  .  ASINIO  . 
COS  .  FVNDAN.  Riferiscono  poi  amendue  vini  fa- 
mosi, il  Sorrentino,  del  quale  ha  disputato,  dopo  altri, 
il  mio  eh.  amico  sig.  Bart.  Capasso  con  pari  giudizio 
ed  erudizione  (Mem.  Stor.  Arch.  della  Penis.  Sorren- 
mm,  Napoli  1846,  p.  64,  seg.  ) ,  ed  il  Fundano  detto 
ancora  Cecubo  (  Strab.  Ilorat.  Mart.  cf.  Ovid.  ex 
Ponto,  li.  Marlial ,  XIII. ,  ep.  115). 

Garrucci. 

Lapide  Capuana. 


sig.  Henzen  ha 


Nel  Bullettino  dell'  Instiluto  il  eh 
inserito  a  p.  138.  di  quesl'  anno  la  iscrizione  trovala 
non  ha  guari  in  S.  Maria  di  Capua ,  secondo  l' apo- 
grafo al  medesimo  dotto  comunicala  dal  signor  doti. 
F.  Wenlrup  ,  che  1'  ebbe  dal  eh.  Fiorelli.  Questa  co- 
pia ha  dato  luogo  ad  alcuni  dubbii  dell'  interprete,  ai 
quali  è  duopo  soddisfare,  pubblicandone  qui  una  co- 
pia corretta  di  mia  lettura. 


In  questi  due 
luoghi  v'è  posto 
solo  per  una  let- 
tera, però  sup- 
plisco CoS,eVR. 


///sVLFiUUQVlRlNCVALGiU  t// 

SEXPOnTiDIOBASSO  M  IVNIO  CELEREir  V  // 
SEX  ■  HELVIO   CFP-  TITIO  •  FALERNO  ■  AED 

PRAMMIVSPLCIIRESTVS 

NAVIGATOR  •  I  •  0  •  M 
Dalla  parte  opposta 

I  •  0  •  M 


Il  costume  di  determinar  l'epoca,  consegnando  sui 
marmi  il  nome  dei  magistrati  municipali ,  ha  pochi 
riscontri ,  come  notò  già  il  Borghesi  (pr.  il  Furlanet- 
to  ,  Lap.  d' Este  p.  13).  É  per  altro  ben  antico,  sic- 
come ho  fatto  vedere  alla  p.  12,  13,  di  questo  Bull, 
ai  quali  esempii  può  venirsi  ad  unire  l' ara  di  Alba 
dedicata  ad  Ercole ,  scorretta  nel  testo  adottato  dal 
Mommsen  (/.  N.  5613),  nella  quale  l'eponimo  è 
C  •  SALTORIVS  •  C  •  F. 

Garrucci. 


P.  Raffaele  Garrucci  d.c.b.g. 
Giulio  Mi.nervim  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catàneo. 


BILIJIITIXO  ARCHEOLOfilCO  iWPOLITAXO. 


NUOVA    SERIE 


A^.«  12. 


Dicembre  I8ò2, 


Nolizia  (le  più  rerciili  svaci  di  Pompei  :  coitlinuaziune  del  A'((//t.  prtcedeitte. — Deierizione  di  alcuni  rasi 
dipinti  del  real  museo  Borbonico. 


Notizia  de' pia  recenti  smr«  di  Pompei  :  continuazio- 
ne del  numero  IO. 

Anche  dal  peristilio  si  passa  Jn  altra  stanzetta, cb'è 
l'ultima  a  sinistra,  e  che  forse  avea  destinazione  po- 
co dissimile  dalla  precedente:  vi  si  ha  l'adito  perso- 
glia  di  piperno,  con  visibili  tracce  della  chiusura.  Il 
pavimento  è  signino  cou  pezzetti  di  marmo  dissemi- 
nati fra  mezzo  al  mattone.  Lo  zoccolo  è  rosso  con  ra- 
mi ,  piante  acquatiche ,  ed  altri  ornamenti.  Le  pareti 
sono  gialle,  e  vi  si  ammirano  capricciose  architetture 
e  graziosi  rabeschi.  Nel  muro  laterale  destro, l'archi- 
tettura si  ripete  eguale  due  volte.Sopra  svelte  colonne 
epilaslrinisieleva  un  ediOziocon  frontone  triangolare 
ottusissimo:  sopra  è  un  cornicione  dritto, ove  poggiano 
agli  estremi  due  Grifi, e  nel  mezzo  è  una  maschera  sce- 
nica femminile.  Più  su  si  eleva  altro  edifizio,  e  sopra 
iJi  cornicione  è  un  delfino.  Sotto  al  descritto  edifizio 
è  un  vaso  della  forma  della  oenochoe.  La  stessa  archi- 
tettura ,  siccome  avvertimmo  ,  si  ripete  una  seconda 
volta  ;  se  non  che  la  maschera  ofl're  uaa  specie  di 
benda  ,  che  ne  cinge  la  fronte. 

A'  due  lati  di  questa  architettura ,  sono  due  dischi 
con  protomi  ;  uno  è  inferamente  perduto  ,  l' altro  ci 
presenta  una  protome  imberbe  con  anelli  ad  ornamen- 
to delle  orecchie  ,  e  pileo  ricurvo  che  ne  ricovre  la 
testa  :  presso  è  un  piccolo  pedo  ,  o  bastone  ricurvo. 
È  forse  un  Paride  ,  o  piuttosto  un  Ganimede. 

Nel  mezzo  è  un  quadretto  molto  interessante  con- 
tornato da  iDssa  fascia, che  ne  figiira  quasi  la  cornice. 
Siede  a  destra  sopra  ornata  sedia ,  ove  apparisce  l'  or- 
namento di  un  Amorino ,  una  donna  vestita  di  rossa 
tunica,  poggiando  i  piedi  sopra  un  suppedaneo.  Col- 
^.V.YO   /. 


la  sinistra  tiene  l'asta,  e  colla  destra  è  nell'atto  di  a- 
iiimato  gestire  ,  per  accom[)agnar  «juasi  le  sue  parole. 
Innanzi  a  lei  vedesi  un  giovine  con  rossa  clamide,  che 
muovesi  ad  andare  a  destra,  mentre  si  volge  alla  don- 
na: è  notevole  che  ([ucsla  figura  apparisce  di  schit^na. 
Di  fronte  alla  medesima  donna  è  altro  giovine  pur  cou 
rossa  clamide  e  spada  al  fianco,  che  tien  colla  sinistra 
il  bastone  ;  mentre  appressa  la  destra  alla  bocca  in  at- 
to di  meditazione. 

Le  tre  figure  effigiale  nel  pompejano  dipinto  a  me 
sembra  che  si  riferiscano  ad  Oreste  e  Pilade  in  Tauri- 
de.  I  due  amici  stanno  alla  presenza  d'Ifigenia, che  già 
li  ha  riconosciuti. Non  sono  essi  colle  mani  legate  die- 
tro al  dorso,  come  nella  pittura  Ercolanese  (Ercolan. 
pitture  toni.  I  tav.  XII)  nel  bassorilievo  .\lbani  (Zoega 
Bassir.  II  ,LVI},  e  nell'interessante  vaso  della  colle- 
zione Santangelo(Raoul-Rochette  mon.  inèd.  pi.  XLI 
p.  201  seg.  );  perchè  ormai  ravvisati  per  (piel  che  s<j- 
no  pensano  al  modo  come  sottrarsi  al  furore  di  Toan- 
te.  Ecco  perchè  si  vedono  i  due  giovani  armafi  l' uno 
di  spada  l'altro  di  asta:  e  perchè  Oreste  sta  cogitabon- 
do ,  e  munito  di  bastone,  ad  indicare  le  sue  numero- 
se peregrinazioni.  In  quanto  alle  armi  tenute  da' due 
giovani  amici,  merita  di  essere  richiamata  in  confron- 
to la  pittura  pompejana  (  Real  mus.  borbonico  toni. 
IX  tav.  XXXIII  )  egregiamente  si)iegata  dal  mio  dolio 
amico sig.  cav.  Gerhard  [archaeologische  Zeitumj  18  59 
tav.  VII  p.  65  seg.  )  per  Pilade  ed  Oreste  presso  Ifi- 
genia ,  che  si  preparano  a  fuggire  ,  o  già  fuggiron  da 
Tauride  recando  secoloro  il  rapilo  Palladio  (  vedi  pu- 
re ciò  che  dicemmo  noi  slessi  nel  voi.  IV.  parte  1. 
p.  277  segg.  delle  memorie  della  reg.  accad.  Ercola- 
nese). Ora  è  notevole  che  entrambi  tengono  l'asta  ri- 

12 


—  90 


versa ,  ed  un  solo  di  essi  ha  la  spada ,  non  altrimenli 
che  sul  noido  dipiulo  si  osserva.  E  degno  di  allenzio- 
ne  che  la  figura  d'Ifigenia  lien  colla  destra  un'asta: 
una  tale  particolarilà  potrebbe  in  doppio  modo  spie- 
garsi ;  o  supponendo  eh'  ella  tiene  l' asta  del  diletto 
fialellojche  difalti  ne  apparisce  privo  alla  sua  presen- 
za ;  o  piuttosto  eh'  ella  si  vegga  munita  del  jeralico 
scettro  ,  non  altrimenti  che  sul  vaso  Santangelo  ,  di 
cui  fu  detto  di  sopra.  E  l'asta  tenuta  nel  nostro  dipin- 
to da  Ifigenia  non  sarà  senza  allusione  alle  parole  di 
Euripide ,  per  le  quali  Oreste  die  l' ultimo  segno  al- 
la sorella,  per  esser  da  lei  riconosciuto.  Egli  rammen- 
ta che  l'asta  di  Peinpp,  conservala  nelle  paterne  ca- 
se, era  nascosta  nella  stanza  d' Ifigenia  ( //j/i.  in  Tawr. 
823  segg.). Questo  rapporto  della  figliuola  di  Agamen- 
none ad  un'  asta  ,  potè  farle  attribuire  quel  simbolo  : 
senza  tradire  intanfo  il  soggetto  ;  potendo  infatti  ac- 
cennare o  all'  armatura  di  Oreste ,  o  al  sacerdotale 
scettro. 

Al  di  sopra  del  descritto  quadretto  fra  rabeschi  e 
capricciosa  architettura  vedi  un  pavone,ed  un  canlha- 
ros ,  da  cui  escono  rossi  rami. 

Il  muro  di  fronte ,  anche  di  giallo ,  va  distinto  in 
tre  zone ,  oltre  lo  zoccolo.  Nella  zona  inferiore  sono 
nel  fondo  giallo  a'  due  estremi  due  dischi  in  gran  par- 
te perduti  :  in  quello  a  destra  è  figurata  una  protome 
femminile  con  ornamento  alla  fronte  ;  nell'  altro  a  si- 
nistra è  protome  con  ali  alla  fronte, la  cui  carnagione 
essendo  più  fosca  si  addimostra  virile.  Chi  sa  che  in 
(juesti  due  dischi ,  che  possono  credersi  in  rapporto 
fra  loro ,  non  dobbiamo  ravvisare  le  teste  di  Glori  e 
di  Zeffiro  !  Segue  capricciosa  architettura  sormontata 
al  solito  da  Grifi  marini ,  se  pure  riputar  non  si  vo- 
gliano alati  dragoni.  Nel  muro  è  un  quadretto  con- 
tornato da  rossa  fascia,  quasi  da  piccola  cornice.  Sie- 
de all'  ombra  di  verde  albero  sopra  bianco  sedile  un 
giovine  con  rossa  clamide ,  e  volge  gli  occhi  in  alto 
a  contemplare  Diana-Luna,  che  a  lui  si  appressa  dal- 
l' alto  con  svolazzante  tmathion  di  rosso ,  sollevan- 
dolo alquanto  colla  destra  sul  suo  capo  fregiato  di  bi- 
corne luna.  La  guida  un  Amorino  in  parte  perdu- 
to ,  mentre  un  altro  Amorino  carezza  il  cane  del  cac- 
ciatore accovaccialo  ivi  presso.  Già  vedemmo  di  sopra 


altro  quadretto  con  somigliante  soggetto  (pag.  34  seg.). 
E  notevole  nel  pompejano  dipinto  lo  star  desto  dell'  a- 
mato  cacciatore:  il  che  potrebbe  spiegarsi.o  col  farci 
riportar  la  figura  del  giovine  ad  Orione ,  o  ad  altro 
amante  della  dea;  ovvero  allo  stesso  Endimione  nella 
sua  qualità  di  astronomo:  vedi  sopra  pag.  35.  La 
seconda  zona  ci  presenta  nel  mezzo  come  una  base  a- 
dorna  nella  parte  anteriore  nella  slessa  guisa  di  alcu- 
ne piccole  antefisse  rinvenute  in  Pompei  ed  altrove  , 
che  offrono  cioè  due  Grifi  volli  1'  uno  di  fronte  all'al- 
Iro ,  e  frammezzati  da  rabeschi  somiglianti  a  tre  vasi 
della  forma  del  canlharos.  Sopra  si  eleva  un  tempiet- 
to, e  nel  mezzo  è  figurala  la  terribile  egida  come  una 
breve  pelle  di  capra  sormontata  dalla  lesta  di  Medu- 
sa ,  e  circondala  nella  parte  superiore  da  otto  ser- 
penti. Questo  simbolo,  che  campeggia  isolato  solto  al 
tempietto  ,  accenna  al  cullo  dell'egioco  Giove,  o  del- 
l' egidarmata  Pallade  :  essendo  conveniente  ad  ambe 
quelle  divinità.  A'due  lati  del  tempio  è  capricciosa  ar- 
chitettura intrecciata  di  ceste  con  offerte, di  timpani  eoo 
bende  pendenti ,  di  cigni  con  ali  spiegale;  e  vi  si  os- 
servano ancora  varii  quadretti  con  marini  mostri  G- 
gurati  di  bianco.  Finalmente  la  terza  zona  vien  costi- 
tuita da  una  cornicetta  di  stucco  ,  e  da  una  porzione 
della  parete  simicircolare  limitata  nella  sua  parte  cur- 
va da  altra  cornicetta  dì  stucco  ,  e  dipinta  di  giallo  a 
foggia  di  grandi  tegole ,  che  costituiscono  un  tetto  in 
pendenza. 

Non  è  meno  interessante  il  muro  lalerale  sinistro, 
sul  quale  si  ripetono  le  pitture  come  nel  destro  ;  po- 
tendosi in  esso  considerare  una  doppia  zona ,  oltre  Io 
zoccolo.  Nella  prima  vedesi  la  stessa  architettura  co' 
Grifi  e  le  maschere ,  e  col  vaso  verde,  certamente  di 
bronzo ,  sotto  l' edifizio.  A'  due  lati  erano  due  [dischi 
con  protomi  ;  una  è  perduta,  perchè  caduto  l'intoni- 
co  ;  r  altra  ha  tutti  i  caratteri  di  un  ritratto,  e  la  co- 
rona di  edera  (  dodarum  hederae  praemia  frontium  ) 
lo  addita  per  qualche  famoso  poeta  dell'antichità. 
Ci  proponiamo  di  darne  altrove  un'  accurata  incisio- 
ne, per  determinarne,  se  sarà  possibile,  l'attribuzione. 
Nel  mezzo  è  un  quadretto  circondato  dalla  solita  rossa 
cornice.  Siede  a  sinistra  sulla  rossa  clamide  ,  gettata 
sopra  un  sedile,  un  giovine  imberbe  tutto  nudo  colla 


—  91  - 


spada  al  fiarK'o.Vedesi  a  lui  daccanto  mollemente  silra- 
jala  ed  abbracciandolo  sidla  sinistra  spalla  una  fem- 
minile Cj^ura  adorna  del  nimbo,  con  orecchini,  e  ros- 
so mantello ,  che  le  ricopre  la  parie  inferiore  del  cor- 
po, mentre  la  superiore  sino  alle  cosce  rimane  denu- 
data dal  giovine,  che  l'è  vicino,  il  quale  ha  solleva- 
to alquanto  un  lembo  del  mantello.  Presso  è  accovac- 
cialo un  cane  ;  ed  in  alto  sen  vien  volando  un  picco- 
Io  Amorino,  che  reca  con  ambe  le  mani  una  fiaccola. 
Indietro  sono  sassi  con  tracce  di  vegetazione. 

Non  può  esser  dubbio  che  in  questo  dipinto  sia  fi- 
gurato il  tanto  ripetuto  soggetto  di  Marte  e  Venere , 
che  sì  di  frequente  è  stato  incontrato  in  Pompei  (  Real 
mus.  Borb.  voi.  IX.  fav.  IX ,  e  X.  tav.  XL.  cf.  bul- 
lett.  arch.  napol.  an.  II.  p.  2 ,  ove  Marte  ha  la  bar- 
ba ,  ed  an.  Ili ,  p.  4  cf.  an.  IV  p.  43.  eie.  ).  E'  fre- 
quentissimo incontrar  Marte  giovine  ed  imberbe ,  o 
solo  è  notevole  nel  nostro  quadro  la  mancanza  della 
panoplia ,  veggendosi  al  fianco  del  dio  la  sola  spada. 
Venero  ci  si  presenta  col  nimbo ,  come  è  stato  osser- 
vato altre  volte  ora  azzurro,  ora  bianco  intorno  la  testa 
della  medesima  divinità  ,  attesa  la  sua  significazione 
lunare.o  in  qualunque  modo  astronomica  (  vedi  Schulz 
nel  bullett.  dell' ht.  1841  p.  102,  103  s.).  La  pre- 
senza del  cane  trova  il  suo  confronto  in  altro  dipinto 
pur  pompejano ,  molto  somigliante  a  questo  che  ora 
abbiamo  descritto  (vedi  real  mus.  Borb.  v.  I,t.XVlII). 
Noi  altra  volta  sospettammo  che  questo  dipinto  ,  ed 
altri  di  soggetto  presso  a  poco  simile,  dovessero  rife- 
rirsi agli  amori  di  Alessandro  e  Boxane  ;  e  pensava- 
mo che  il  cane  figurasse  il  fido  animale  del  Macedone 
denominato  ITsp/ras  (Plutarch.  Alex.  e.  61.  in  ima 
nostra  memoria  inedita  letta  alla  reale  Accademia  Er- 
colanese).  Ora  però  il  nimbo  dato  alla  femminile  fi- 
gura ,  che  la  determina  per  una  dea  ,  ci  persuade  a 
ritornare  alla  opinione  anticamente  seguita  ,  almeno 
per  quanto  concerne  questo  ultimo  quadro.  In  tale  i- 
dea  il  cane  dovrà  riferirsi  al  dio  della  guerra  ;  e  così 
pure  nella  novella  pittura,  che  riproduce  la  medesima 
scena.  Neil'  alalo  fanciullino,  che  vien  dall'alto  coU'ac- 
cesa  face  ad  illuminare  gli  amplessi  della  coppia  divi- 
na, se  poniamo  mente  al  simbolo  da  lui  recato,  dire- 
mo che  ci  si  presenti  la  figura  dell'Imeneo,  a  cui  spes- 


so la  fiaccola  si  trova  convenientemente  attribuita  (  A- 
vellino  nel  voi.  Ili  delle  tnemonc  della  reg.  Accad.  Er- 
colanese  p.  2o4  segg.  cf.  Mueller  Uandb.  §.  392  n. 
1  p.  628  ed.  Wi'Ickcr):  quantunque  non  sarebbi' del 
pari  disadatta  all'  Amore ,  die  hi  appressa  a  contem- 
plare il  suo  trionfo  suU'  indomabile  Marte  e  sulla  sua 
propria  genitrice. 

Neil'  ordine  superiore  della  parete  sono  gli  slessi 
ornamenti  come  nel  muro  di  froiilc ,  ma  jiiii  conser- 
vati; ed  appariscono  due  tempietti  poggianti  sopra 
graziosi  paesaggi  con  edifizii  ;  e  sotto  i  tempietli  me- 
desimi sono  due  vasi  delia  fomia  del  cantliaros,  con 
rossi  rami  che  ne  pendono  di  fuoii. 

Finalmente  nella  parete  parallela  al  quadro  di  Ar- 
lemis-Selene ,  vedesi  del  pari  capricciosa  archilettura 
sormontata  da  marino  mostro ,  ed  nn  disco  con  pro- 
tome femminile ,  che  ha  pure  i  caratteri  di  ritratto  , 
fregiata  di  orecchini,  e  di  rossa  tenia  circondata  la  fron- 
te e  la  gola.  La  parte  superiore  è  perfettamente  simi- 
le a  quella  del  muro  ,  che  l' è  di  rimpelto  ,  veden- 
dosi la  stessa  cornicetta  di  stucco ,  la  dipintura  a  te- 
gole, e  tutti  gli  altri  dipinti  descritti  di  sopra;  none- 
scluso  il  tempietto  e  l' egida  che  vi  è  di  sotto. 

E'  però  notevole  che  al  di  sopra  del  tempio  vedesi 
un'  aquila  sul  globo  ,  ornamento  che  si  ripete  in  alto 
nelle  altre  pareti  :  dal  che  ci  è  forse  dato  desumere , 
che  anche  l'egida  vada  riferita  più  a  Giove,  che  a  Mi- 
nerva nella  stanzetta ,  di  cui  abbiamo  data  la  descri- 
zione. 


fconiinuaj 


MlNERMXI. 


Descrizione  di  alcuni  msi  dipinti  del  real 
museo  Borbonico. 


Fra  le  piìi  pregevoli  cose ,  che  vennero  in  questi 
ultimi  giorni  ad  arricchire  il  Real  .Musco  Borbonico, 
sono  da  annoverare  tre  magnifici  vasi  provenienti  dagli 
scavamenti  di  Canosa;  e  di  questi  ci  sembra  importan- 
te dar  sollecilameale  notizia  nel  nostro  buUettino. 


92  - 


11  primo  vaso  è  un'anfora  a  mascheroni  di  allezza 
palmi  6  circa.  I  manichi  di  questa  colossale  e  maravi- 
yliosa  stoviglia  sono  fregiati  di  capricciosa  ramificazio- 
ne con  fiori  di  diverse  grandezze ,  e  vanno  a  termi- 
nar sulla  pancia  del  vaso  in  nere  teste  di  cigno  ;  co- 
me non  è  insolito  di  osservare  ne' vasi  dipinti  di  ap- 
|)ula  provenienza.  La  descritta  ramificazione  dalla 
parte  più  nobile  del  vaso  offre  nel  mezzo  due  eguali 
teste  di  fronte  prive  del  colio:  la  carnagione  n  è  bian- 
ca ,  gialli  i  capelli  ;  dimezzo  a' quali  spuntano  due 
bovine  corna  di  bianco.  L'oilo  del  vaso  nella  parte 
superiore  è  rosso;  al  lembo  si  osserva  una  piccola  fa- 
scia di  nero,  più  sotto  un  giro  di  ovoli,  poi  un  ramo 
con  foglie  e  fiori,  e  finalmente  un  bianco  meandro  ad 
onda.  Sul  collo  comparisce  prima  un  grazioso  orna- 
mento di  palmette  fra  loro  alternantisi  di  giallo  e  di 
rosso  in  campo  nero  ;  e  poi  una  importante  rappre- 
sentazione. A'  due  lati  è  la  solita  ramificazione ,  che 
tanto  frequentemente  si  vede  su'  vasi  dipinti  intorno 
alla  simbolica  testa:  nel  mezzo  sorger  si  mira  dal  suo- 
lo un  più  ampio  fiore ,  sulla  cui  aperta  corolla  è  ac- 
covacciala una  bianca  Sfinge  con  ali  spiegate,  ed  aven- 
te sul  capo  l'oinamento  di  un  modio  quasi  crenato,  o 
se  vuoisi  dir  meglio,  turrito.  A  destra  è  un  nudo  gio- 
vine colla  clamide ,  che  ritenuta  sotto  la  sinistra  a- 
scella  pende  in  giù  ,  dietro  le  spalle  ha  il  bianco  pe- 
taso  sospeso  ad  una  cordicella  :  colla  sinistra  tiene  la 
spada  tuttavia  entro  il  fodero ,  e  con  occhi  quasi  di 
spavento  innalza  verso  la  Sfinge  la  destra  elevando  l'in- 
dice ed  il  medio  :  ha  poi  le  gambe  incrociate  in  atto 
di  riposo.  Dall'altro  lato  della  Sfinge  è  una  Furia,  che 
pure  incrocia  le  gambe:  due  bianchi  serpentelli  le  sor- 
gono di  mezzo  a'  capelli ,  ed  ha  pure  bianchi  orec- 
ciiini.  Una  tunica  manicata  adorna  di  neri  puntini,  ed 
il  cui  estremo  lembo  è  fiegiato  di  gialli  cigni  ;  una 
doppia  fascia  ad  armacollo,  che  s'incrocia  sul  petto; 
e  gli  stivaletti  compiono  il  suo  vestimento:  ella  si  ap- 
poggia con  ambe  le  mani  ad  una  lunga  asta,  curvan- 
do alcun  poco  il  corpo  in  senso  opposto  al  sito ,  ove 
si  rattrova  la  Sfinge. 

Al  cominciar  della  pancia  è  un  giro  di  palmette  e 
caulicoli ,  interrotto  da' manichi:  e  poi  è  un  aerogi- 
ro di  ovoli. 


Sulla  pancia  è  una  interessantissima  rappresentan- 
za ,  composta  di  tre  ordini  di  figure.  Neil'  ordine  su- 
periore ,  vedi  nel  mezzo  una  tenda  sospesa  a  quattro 
eguali  sostegni  :  sotto  scorgesi  un  letto  bianco ,  con 
fascia  amaranto  nel  lato  visibile  ;  sul  letto  è  disteso 
un  materasso  ,  ed  alle  due  estremità  si  veggono  cu- 
scini. Siede  sul  letto  un  vecchio  con  bianco  crine,  rav- 
volto in  ampio  pallio  ,  che  si  appoggia  col  mento  so- 
pra un  lungo  bastone  bianco,  ch'è  tiene  con  ambe  le 
mani:  ha  pur  le  scarpe,  e  solleva  una  gamba  sull'al- 
tra, tenendo  fra  esse  la  sua  spada  eutro  il  fodero.  Pare 
che  questo  personaggio  rivolga  il  discorso  ad  altro 
vecchio  canuto  pur  con  pallio  e  calzari,  chesi  appog- 
gia col  corpo  al  suo  bianco  bastone ,  che  tiene  sotto 
la  sinistra  ascella;  e  stende  la  destra  verso  1' uomo  se- 
duto, quasi  entrando  con  lui  in  animato  discorso.  Fuo- 
ri della  tenda  vedi  a  sinistra  una  donna  con  lunga  tu- 
nica ,  che  incrocia  le  gambe  :  essa  ha  bianco  orna- 
mento fra' capelli,  collana,  armille,  e  calzari  di  bian- 
co: colla  destra  tira  alquanto  un  peplo,  che  le  discen- 
de dal  capo  ,  colla  sinistra  si  attiene  ad  uno  de'  soste- 
gni della  tenda  ;  a  cui  però  punto  non  si  rivolge.  El- 
la guarda  piuttosto  a  sinistra  verso  due  giovani, de 'quali 
il  primo  siede  sulla  sua  clamide ,  ha  la  spada  nel  fo- 
dero sospesa  ad  una  tracolla  ,  l' elmo  acuminato  die- 
tro le  spalle;  tenendo  colla  sinistra  l'ampio  scudo  di 
bianco ,  che  poggia  al  suolo:  colla  destra  si  attiene  al- 
l' asta.  Egli  si  rivolge  verso  1'  altro  giovine  stante"  a 
lui  da  presso  con  clamide  che  gli  avviluppa  il  corpo; 
questi  colla  sinistra  tiene  lo  scudo  ,  che  l'artista  ha 
figurato  dalla  parte  interna,  osservandosi  le  corregge 
per  imbracciarlo,  colla  destra  prende  l' asta  :  al  suolo 
è  il  suo  elmo  acuminato  con  correggiuola ,  ed  in  al- 
to fra  la  donna  ed  il  giovine  io  primo  luogo  descritto 
scorgesi  nel  campo  un  bianco  bucranio.  Dall'  altra  la- 
to della  tenda  sono  effigiate  tre  figure  di  di\inità.  La 
prima  è  Pallade  sedente  a  destra  :  la  dea  ha  orecchi- 
ni, collana,  e  sulla  lunga  tunica  si  distende  la  formi- 
dabile egida:  colla  destra  stringe  l'asta,  colla  sinistra 
il  giallo  scudo.  A  lei  di  fronte  sta  in  piedi  Mercurio 
con  clamide  e  calzari:  è  notevole  che  i  calzari  non  so- 
no alati ,  ed  il  capo  del  dio  non  è  ricoperto  da  peta- 
so,  ma  sil)bene  da  troppo  largo  elmo  poco  convcnieu- 


—  93  — 


■e  al  suo  capo;  snrà  1'  "'Al'ios  xi'\r,,  corno  allrihuloilel 
(liopsicoponipo:  colla  sinislra  abbassa  il  bianco  cadu- 
ceo ,  slcnde  la  deslra  colle  dila  aperte  favellando  eoa 
Pallade.  Cbiude  questo  primo  ordine  di  figure  Pan  tul- 
io nudo  con  piccole  corna  di  bianco  sporgenli  dal  ca- 
po: colla  deslra  tiene  una  clava  nodosa,  sosliluita  non 
poche  volle  al  pastorale  pedo ,  colla  sinistra  hi  si- 
ringa ;  ed  al  sinistro  braccio  è  sospesa  una  pelle  di 
fiera. 

Passiamo  ora  a  descrivere  le  figure  effigiate  nell'or- 
dine medio  di  questa  classica  rapprcsenlanza.Nel  mez- 
zo è  un  bianco  monumento  poco  sollevalo  dal  suolo, 
sulla  parte  anteriore  del  quale  è  scritto  a  rossi  caratteri 
IIATPOKAOTTAa'OS.Su  questa  specie  di  grado  ()2à- 
^pcv)  si  eleva  un'alta  pira  composta  di  ben  dodici  fi- 
la di  legna  regolarmente  ammassate,  alla  cui  parte  an- 
teriore veggonsi  appoggiati  due  gambali,  ed  uno  scu- 
do con  r  emblema  di  una  bianca  testa  di  fronte:  sullo 
scudo  si  veggono  alcune  rosse  macchie  di  versato 
sangue.  Sul  rogo  è  un  elmo  con  cresta  ,  e  con  due 
lunghe  penne;  più  un  giallo  torace,  privo  di  qualun- 
que ornamento,  ed  altro  più  adorno  torace  con  l'eni- 
hleraa  di  una  testa  di  fronte  ,  che  novellamente  si  ri- 
pete. Presso  al  rogo  un  prigioniero  frigio  è  inginoc- 
chialo sul  bianco  grado  colle  mani  legale  dietro  al 
dorso. 

Presso  di  questo  giovine  prigioniero  Achille  cogli 
occhi  di  furore  ed  in  concitalo  movimento  stringe  col- 
la d(>stra  la  spada  ,  alTerrando  colla  manca  i  capelli 
della  infelice  vittima:  il  figliuol  di  Teli  ha  la  clamide, 
ed  al  fianco  il  fodero  della  spada:  un'altra  spada  tut- 
tavia nel  fodero ,  ed  un  pileo  frigio  sono  giacenti  al 
suolo. 

Dal  medesimo  lato  sono  tre  altri  prigionieri  frigii 
seduli  in  diverse  posizioni,  e  colle  mani  legate  dietro 
il  dorso.  ITan  tutti  pilei  ricurvi,  anassiridi  con  svariati 
ornamenti ,  corte  tuniche  ,  e  clamidi ,  secondo  il  co- 
stume amazzonico  :  ed  umili  col  capo  chino  stanno 
attendendo  la  loro  sorte.  Dall'altro  lato  della  pira  è  al 
suolo  poggiata  una  gialla  oenochoe.  Si  appressa  poi  al 
rogo  un  personaggio  barbato  di  maestosa  fisonomia 
con  elmo  adorno  di  due  penne  e  di  cresta  ;  ha  il  pet- 
to armato  di  lorica ,  la  clamide  ed  i  calzari:  tien  col- 


la sinistra  la  lunga  asta,  e  colla  deslra  stende  una  pa- 
tera quasi  facendo  libazione  sul  rogo.  Segue  una  don- 
na con  lunga  timica  stretta  alla  cintura  da  una  fascia, 
ha  orecchini ,  collana  ,  e  duplice  arinilla  a' polsi:  un 
panno  le  discende  dal  capo  ,  ed  ella  lo  stringe  colla 
destra  sotto  il  mento.  Finalniente  chiude  questo  se- 
condo ordine  di  figure  un'  altra  donna ,  che  reca  il 
funebre  ventaglio,  ed  una  gialla  cesta,  ove  sono  for- 
se ri|»oste  le  bende ,  una  delle  quali  è  sospesa  al  de- 
stro braccio. 

Non  meno  interessante  è  il  ferzo  ed  inferiore  ordi- 
ne di  figure ,  che  si  riferisce  al  medesimo  soggetto. 
Fa  in  esso  principal  mostra  la  quadriga  di  Achilie,  al- 
la cui  parte  posteriore  è  legato  il  cadavere  di  Ettore. 
Vedesi  ritenere  i  destrieri  già  fermati  dopo  veloce  cor- 
so r  auriga  nel  consueto  costume;  cioè  con  corto  gon- 
nellino ritenuto  da  due  fasce  ad  armacollo. 

A  destra  è  un  giovine  guerriero  con  doppio  gia- 
vellotto ,  ed  elmo  acuminato  dietro  le  spalle ,  e  coi 
calzari ,  che  siede  a  destra  sulla  sua  clamide ,  tenen- 
do colla  sinislra  lo  scudo,  e  volgendosi  all'auriga, 
che  pure  a  lui  si  rivolge.  Dall'altro  lato  del  cocchio, 
e  presso  le  teste  de'  cavalli,  è  una  donna  con  lunga 
tunica  ,  armille  a' polsi,  collana,  orecchini,  e  biancbi 
ornamenti  Ira' capelli,  la  quale  versa  da  un  vaso  , 
della  forma  della  oenochoe,  il  liquore  in  largo  cratere 
sostenuto  da  tre  piedi  poggianti  su  di  una  base.  In  al- 
to è  sospeso  nel  campo  un  giallo  bucranio ,  simbolo 
di  sagrifizio.  Segue  allra  donna  similmente  vestila  , 
di  cui  risalta  la  mesta  attitudine ,  veggendosi  poggiar 
sulla  destra  palma  la  faccia.  Chiude  ila  questa  parte 
la  scena  un  altro  frigio  prigioniere,  vestilo  come  gli 
altri ,  se  non  che  non  ha  le  anassiridi;  e  quasi  pur  len- 
tamente si  muove  colle  mani  legate  dietro  al  dorso.  Ai 
suolo  è  una  piccola  pianta  ,  e  più  in  fuori  un  albero, 
a  cui  è  sospeso  uno  scudo  lunato  di  giallo  coli'  em- 
blema più  volte  ripetuto  di  una  testa  di  fronte. 

Pria  di  passare  alla  parte  men  nobile  di  questo  clas- 
sico monumento,  vogliamo  presentare  sulle  rappresen- 
tanze finora  descritte  alcune  brevi  osservazioni  (I). 

Al  primo  sguardo  non  può  dubitarsi  del  soggetto 

che  vien  figurato  in  questa  prima  faccia  del  vaso  :  è 

(1)  11  mio  eh.  collega  comm.  Quaranla  ha  Iella  una  breve  no- 


—  9i 


la  rappresentanza  de' funerali  di  Patroclo  giusta  lao- 
merica  narrazione  (11.  *  ,  ed  iì).  Cominciando  dal- 
l'ordine medio  di  fij,mre,  è  in  esso  rappresentata  la  pira 
di  Patroclo  ,  come  una  catasta  di  legna  tagliate  dalle 
selve  dell'  Ida  (11.  W,  117).    Presso  è  Achilie  che 
scanna  uno  de  prigionieri  Trojani  (  II.  *  20  segg.  175 
segg.  )  colle  sue  proprie  mani ,  mentre  altri  attendono 
la  loro  sorte.  Questa  medesin\a  scena  vedesi  figurata 
sulla  cista  mistica  prencstina  pubhiicata  dal  eh.  Sig. 
Raoul-Rochette  [mon.  inéd.  pi.  XX  pag.  90  segg.). 
In  questa  la  figura  di  Achille,  come  sul  nostro  vaso, 
vedesi  colla  corta  chioma  ;  che  già  fatta  ne  aveva  la 
offerta  al  fiume  Sperchio  (11  *  140  segg.).  Anche  il 
numero  de' prigionieri  preparali  al  sagrifizio  non  cor- 
risponde alia  omerica  narrazione;  ma  bene  ha  osserva- 
lo l'archeologo  francese  che  ciò  non  accenna  a  diversa 
tradizione  ,  ma  è  dovuto  alle  esigenze  dell'arte  ,  che 
tene  ha  diminuito  il  numero  di  tante  vittime,  le  quali 
dovcano  successivamente  essere  immolate  (/.c.p.92). 
La  pira  è  perfeltamenle  simile  nella  cista  a  quella  del 
vaso  di  Canosa.  Nella  tavola  iliaca  (n.68)  vedesi  d^ 
forma  piramidale,  come  non  è'infrcquente  ne'  monu- 
menti, segnatamente  di  origine  orientale:  e  vi  si  legge 
sotto  riATPOKAOT  KATSIS.Nel  nostro  vaso  la  pira 
si  eleva  sopra  un  bianco  grado,  eh'  è  indicato  dalla  iscri- 
zione nATPOKAOT  TA*OS.  Queste  parole  fanno 
certamente  allusione  al  sepolcro  di  Patroclo  ,  che  fu 
elevato  appunto  in  quel  sito  medesimo  ,  ove  fu  arso  il 
suo  rogo.  Lo  dice  espressamente  lo  stesso  Omero,  al- 
lorché narra  che  dopo  incendiata  la  pira  TGpvwffocvro 
§£  ffTfxa  QiixilXioL  Ti  7rpc|3aXo>"ro — k\ìJ^i  7rt/pr,v  (Il  ^. 
V.  2oB).  Sicché  nel  caso  supposto  dal  poeta  la  pira 
veniva  ad  identificarsi  col  sepolcro  di  Patroclo. 

E  forse  quel  grado,  su  cui  poggiava  il  rogo,  poteva 
appellarsi  rx-fos  voce  dinotante  un  qualunque  fune- 
bre monumento,  o  che  contenesse  il  corpo  del  defun- 
to o  che  noi  contenesse.  In  fatti  sembra  in  non  dissi- 
mile àgnificazione  adoperata  da  Euripide  ne*  versi  se- 
guenti ,  che  crediamo  opportuno  di  riferire  : 
IloXtV  Ti  ya'p  co»  xi(Tfxcv  ìv^rfjM  toc^uj , 
Socr.^'/~  t'  ik%ir,)  ccujjLv.  (JOY  xa.Ta.'jfìiiruj , 

ti7.ia  di  queslo  va^o  alla  reale  AccaJdnia  Erculanese,  ove  sostie- 
ne sulle  parlicolariU  delfe  rapprcseulauza  alcune  opinioni  diverse 
dalle  mie. 


S-y^7,s  ixiXltjffrf  k  'TTupàv  jlxkù/  as^SY. 
{Iphig.  in  Taur.  632.  ss.). 
Prima  di  tulio  il  tragico  distingue  il  ra^  dalla 
-TTvpcl  ;  e  poi  facendo  menzione  di  questa  dopo  di  quel- 
lo par  che  accenni  ad  una  costruzione  non  dissimile 
da  quella  figurala  sul  vaso ,  di  che  discorriamo.  Le 
armature  offerte  sul  rogo  incontrano  un  vicino  con- 
fronto nella  cista  prencstina  ,  ove  pur  si  veggono  una 
corazza  ,  un  elmo  e  due  scudi,  in  uno  de'  quali  si  os- 
serva benanche  l' emblema  di  una  gorgonica  testa,  che 
adorna  varie  delle  armi  nel  nostro  vaso.  E  qui  mi  pia- 
ce di  osservare  che  prohabilmenle  le  armi  offerte  sul 
rogo  appartengono  a'  vinti  nemici  ;  giacché  lo  scudo, 
che  quasi  un  trofeo  vedesi  sospeso  ali' albero  nell'or- 
dine inferiore,  per  la  sua  forma  quasi  lunata  non  par 
conveniente  a  Greci  guerrieri  ;  e  su  di  esso  si  osserva 
l'emblema  della  gorgonica  testa,  come  sulla  corazia 
e  sullo  scudo  che  fregiano  il  rogo ,  nel  nostro  vaso  ; 
e  come  sullo  scudo  che  pure  adorna  la  pira  nella  ci- 
sta prencstina.  Comunque  sia  di  ciò;  l'atto  di  Achil- 
le ,  che  scanna  il  frigio  prigione  innanzi  al  rogo , 
corrisponde  alla  omerica  espressione  TrpTrapoi^i  Tii- 
fT,s  (Il  ^.  v.  20.  segg.).  Pria  di  passare  a  dir  qualche 
cosa  delle  altre  particolarità  degne  di  osservazione 
nel  nostro  vaso  ,  vogliamo  notare  che  i  bucranii ,  i 
quali  compariscono  due  volle  nel  campo ,  possono 
accennare  o  a'  buoi  uccisi  nel  funebre  banchetto  (II. 
^.  V.  30  )  ;  o  agli  altri  buoi  sagrificati  ed  imposti  al 
rogo  stesso  di  Patroclo  (v.  166).  La  pira  tanto  nel 
vaso  di  Canosa  quanto  nella  cista  prencstina  non  arde, 
mentre  già  vi  si  era  appiccato  il  fuoco,  quando  il  sa- 
crifizio de'  prigionieri  avvenne.  Questa  mancanza  della 
fiamma  ricorda  ciò  che  narra  Omero  che  Achille  fu 
obbligato  a  pregare  i  venti  a  soffiar  sulla  pira,  perchè 
subilo  si  consumasse  (v.  192  segg.).  Il  cadavere  di 
Patroclo  non  apparisce ,  né  può  credersi  già  consu- 
mato dal  fuoco  ;  questa  particolarità  ,  osservata  nel- 
la più  volte  citata  cista  prencstina  ,  ci  darà  campo 
di  presentare  una  nostra  conghittura  sulla  rappresen- 
tanza che  vedesi  sul  collo  del  vaso.  Il  nobile  perso- 
naggio che  fa  libazioni  al  rogo  dee  riputarsi  Agamen- 
none ,  il  quale  prende  sì  gran  parie  in  tutta  quella 


-  9:ì  - 


lunebre  cerimonia  (Il  ■I'.  v.  110  segg. ).  Il  capo  de' 
Greci  guerrieri  fa  olTerle  in  vece  di  Achille,  oii  lui  si 
accoppia  in  quel  mesto  ufficio  versando  sulla  pira  il 
vino  ,  dopo  averne  riempila  la  palerà  dal  vaso  ,  che 
poggia  al  suolo.  Le  due  donne  accennano  alle  fune- 
bri cerimonie  già  eseguite  sul  cadavere  di  Patroclo , 
or  col  flabello  cacciandone  le  importune  mosche  (.In- 
nal.  ddt'ht.  1 843  i).30, 283  d.jour.dcs  Sacanls  1 842 
p.  228)  or  fregiando  il  feretro  di  funeree  bende.I  molli 
guerrieri  sedenti  coli'  elmo  beolico  sono  certamente  i 
Mirmidoni,  i  quali  dopo  aver  ricevuto  da  Achille  il  co- 
mando di  armarsi  per  accompagnar  l'escijuie  dell' a- 
niico  (II.  ^.  V.  4  e  seg.  129  e  seg.  ) ,  furono  poi  li- 
cenziati quando  si  venne  alla  erezione  della  pira  (v. 
1  o8  ).  Ecco  perchè  si  veggono  sedenti  e  quasi  in  ri- 
poso ,  abbenchè  rivestiti  delle  loro  armi.  Poco  lungi 
dal  sito  dell'  avvenimento  vedesi  un  cratere  ,  entro  il 
quale  una  donna  fa  cadere  il  liquido  umore  da  un 
Taso  ;  ed  è  figurato  probabilmente  con  esso  quel  gran 
tripode  che  Agamennone  a^ea  preparato  per  far  ter- 
gere Achille  dalle  brutture  del  nemico  sangue  ;  ma 
che  questi  toccar  non  volle  pria  di  mettere  Patroclo 
sul  rogo  (v.  34  segg.).  L'altra  donna  in  mesto  aggia- 
mento  creder  si  potrebbe  Briseide ,  la  quale  è  quella 
che  ci  si  offre  più  addolorata  e  gemente  per  la  ucci- 
sione di  Patroclo  (ll.T,282  seg.).  Si  compie  il  dramma 
col  carro  di  Achille  guidato  dal  fido  Automedontc,  che 
attende  AcJiille,  perchè  disfoghi  il  suo  sdegno  sul  morto 
uccisore  del  suo  diletto  compagno  ;  il  che  di  fatti  av- 
venne dopo  che  Patroclo  fu  sepolto  (II.  i^).  Restano 
finalmente  a  spiegare  i  due  canuti  vecchi,  che  miransì 
sotto  la  tenda  in  discorso.  A  me  sembra  che  sia  quella 
la  tenda  di  Nestore,  che  io  riconosco  nel  personaggio 
sedente  sul  letto  ;  e  l' altro  personaggio  è  certamente 
Fenice,  l'altro  vecchio  del  campo  de'Greci,  che  tanto 
interesse  prende  sempre  alle  avventure  di  Achille , 
come  suo  precettore  ed  amico  (II.  I,  447  segg, ,  T , 
311),  Anzi  non  senza  particolari  ragioni  si  veggono 
insieme  riuniti  que'  Greci  guerrieri,  che  furono  quasi 
cagione  della  sventura,  di  cui  geme  il  Pelide.  Di  fatti 
Agamennone  è  quegli  che  eccitando  lo  sdegno  di  A- 
chUle  fu  causa  che  Patroclo  combattesse  per  lui  :  Ne- 
store consigliò  a  Patroclo  di  prender  le  armi  dell'adi- 


rato compagno,  e  di  porsi  f,\U  lesta  delle  sue  schiere 
(II.  A,  044 segg.  ):  Fenice  pugnava  sotto  il  comando 
di  Patroclo  (11.  II,  190),  ed  Aulomedonte,  l'auriga 
di  Achille,  fu  (piegli  che  indDs.sù  le  armi  dello  stessj 
Patroclo  ,  allorché  questi  rivestiva  quelle  dell'  amico 
(II.  IT,  145  segg.).  Sono  dunque  nel  nostro  vaso 
ravvicinali  qne'  personaggi ,  che  piti  di  ipialunque 
altro,  bau  rappoilo  col  defunto,  e  con  chi  ne  piange 
la  morte. 

La  tenda  di  Nestore  poi  giuslamenle  si  vede  rap- 
presentata perchè  fu  appunto  in  essa  che  Patroclo  fu 
persuaso  a  combattere,  per  cui  incontrò  la  sua  fi:ie. 
La  donna  che  si  attiene  alla  Icnda  di  Nestore  ,  e  che 
perciò  si  appalesa  a  lui  pertinente ,  è  al  cerio  la  bella 
Ecamede ,  che  die  al  vecchio  il  figliuol  di  Teli  dal 
bottino  di  Tenedo  (II.  A,  024).  Non  sono  poi  di  po- 
ca importanza  le  tre  deità, che  si  scorgono  nella  parie 
più  alta  del  vaso.  La  figura  di  Minerva  comparisce 
ancora  nella  cista  prencslina  ;  ed  è  al  certo  con\  e- 
nienle  ad  una  rappresentanza  relativa  aJ  Achille  ,  di 
cui  è  la  protettrice  in  tutta  la  Iliade,  Della  figura  di 
Mercurio  diremo  fra  poco.  La  presenza  di  Pane,  ol- 
irà le  sue  note  relazioni  collo  stesso  Mercurio  (  llo- 
mer.  hymn.  18),  può  alludere  al  suo  nome  dì  xy.ri-Ji 
(Riessling  ad  Tbeocr.  EiJ>jl.  \,  14)  per  accennare  al 
sito  dell'avvenimento;  perchè  Achille  sul  lido  (  iV 
ùxrr^s  II.  ^,  125)  aveva  ordinata  la  pira  ed  il  se- 
polcro di  Patroclo, 

Dopo  queste  brevi  osservazioni  torno  all'esame  del 
collo  del  vaso,  che  a  mio  giudizio,  è  la  parte  più  in- 
teressante del  nostro  magnifico  monumento. 

La  Sfinge,  ed  il  giovane  che  l'è  vicino,  potrebbero 
a  prima  giunta  richiamare  il  pensiero  al  mito  di  Edipo. 
Non  ignoro  che  Edipo  vedesi  talvolta  combattendo 
colla  Sfinge,  e  perciò  munito  di  spada  (vedi  moìi. 
incd.  di  Barone  p,  45  seg.  )  ;  ma  sul  nostro  vaso  il 
personaggio  ch'è  presso  la  Sfinge  ha  la  spada  nel  fo- 
dero, è  mesto  nel  volto,  ed  è  in  quell'atto  di  riposo, 
che  non  conviene  a  chi  sta  eseguendo  una  difficile 
operazione.  D'  altra  parte  la  Sfinge  sorge  dal  simbo- 
lico fiore,  e  non  può  figurar  certamente  la  Sfinge  te- 
bana,  che  in  modo  più  semplice  vedrebbesi  effigiata. 
A  ciò  si  aggiunga  la  figura  della  Furia  ,  che  non  ha 


—  96  — 


upa  sufEcieule  spiegazione  nel  nii(o  di  Eilipo  (I).  Io 
riconosco  nei  nostro  dipiulo  un  soggetlo,  che  dà  con- 
ferma alle  idee  da  me  più  volle  annunziale  in  precedenti 
sciitlure.  Prima  d' ogni  altro  avverto  che  alla  Sfinge 
va  collcgata  una  significazione  lunare  :  e  non  mi  di- 
stenderò a  ripetere  le  rngioni  addotte  a  lungo  in  altra 
occasione(v.6i///.arf/t.nn;}.n.lV.p.l07seg.p.l21seg.). 
Solo  richiamerò  a  confronto  il  vaso  del  sig.  Barone , 
allora  ricordato  a  p.  lOS,  nel  quale  vedesi  una  simile 
figura  di  Sfinge  con  radii  sul  capo,  ch'esce  dalla  sim- 
holica  ramificazione.  Le  piccole  lacinie  sulla  covertura 
di  lesta  della  Sfinge  del  nostro  vaso  corrispondono 
nella  intelligenza  a'  radii  della  Sfinge  ,  eh'  è  nel  vaso 
di  Barone  ;  la  quale  essendo  sola  non  può  riportarsi 
al  mito  di  Edipo.  Or  la  intelligenza  lunare  si  riferma 
dulie  due  facce  con  piccole  corna  fra'  capelli ,  che  si 
trovano  quasi  allo  stesso  livello  ,  e  possono  farci  de- 
terminare per  regione  lunare  tutto  quello  spazio,  ove 
il  giovine  colla  spada  vedesi  effigialo.  Ciò  posto  ;  io 
giudico  che  quel  giovine  eroe ,  che  si  scorge  presso 
quella  Sfinge,  figuri  un'anima,  che  si  aggira  in  quel 
circolo,  ove  giunse  dopo  la  morie.  E  stato  non  poche 
volte  osservato  che  l'incrociar  delle  gambe  è  proprio 
delle  anime;  e  la  spada  nel  fodero ,  che  tiene  il  gio- 
vine colla  sinislra  ,  addila  la  inulililà  di  quell' arma 
dopo  il  corso  della  vita  mortale.  In  questo  ordine  di 
idee ,  assai  ben  si  ritrova  la  Furia  quasi  custode  del- 
l' Orco  :  così  a  noi  presenta  Marone  la  tremenda  Ti- 
sifone ,  la  quale 

Vcstibulum  exsomnis  servai  noctesque  diesque. 

(  Aen.  VI ,  533  seg.  ) 

E  la  posizione  della  Fuiia  appoggiata  all'asta  ben 

si  conviene  a  chi  sta  alla  guardia  di  un  sito  qualunque. 

Chi  sarà  dunque  quel  guerri«ro,  che  già  è  penetrato 

nell'Orco  ,  o  attende  il  momento  di  penetrarvi?  Noi 

(1)  Merita  non  pcrtaiUo  di  essere  qui  riconUito  un  luogo  della 
Oilissea,  ove  si  dice  ilie  Edipo  fu  lasciato  uè' dolori ,  a  lui  pro- 
dotti dalle  Furie  della  madie  (  \  279,  280) :  ed  un  altro  della  Ilia- 
de, ili  cui  si  narra  che  alcuni  greci  eroi ,  die  si  provarono  a"  fune- 
)jri' giuochi  di  ralroclo  ,  eransi  pria  provati  in  quelli  celebrati  in 
onore  di  Edipo  {  W,  079  seg  ). 


crediamo  che  sia  Io  stesso  Patroclo,  che  dopo  il  rogo 
potrà  esser  fatto  partecipe  della  felicità  dell'Elisio. 
Ecco  perchè  non  apparisce  il  corpo  sul  rogo  ;  men- 
tre si  è  figurato  sul  collo  del  vaso,  ed  in  quello  stato 
che  l'uomo  si  attende  dopo  la  morte.  Lo  slesso  Omero 
ha  data  l'idea  all'artista  di  figurare  in  quel  modo 
l'anima  di  Pa  Iroclo.  Racconta  il  poeta  come  il  Pelide 
crasi  addornrcntalo  ,  ed  a  lui  comparisce  in  sogno 
Patroclo  domandando  di  essere  sepolto ,  per  poter 
entrare  nell'  Orco  :  Qc/ivri  [xi  gVt/  Tax'^* ,  vuXxs 
'A'i^cio  ■TTspr^ffuj  (II.  ^.  v.  71),  da  cui  lo  tenevan  lon- 
tano le  anime  de'  morti.  Ecco  come  vedesi  in  stret- 
tissima relazione  il  soggetlo  del  collo  con  quello  della 
pira.  E  in  seguito  di  questa  che  Patroclo  è  fatto  ca- 
pace di  entrar  nell'Orco,  ed  ivi  godere  di  quella  de- 
stinazione ,  che  alle  anime  è  riserbata.  E  la  presenza 
di  Mercurio  fialle  divinità  protettrici  de' Greci,  ac- 
cenna colla  galea  plutonica  e  col  caduceo  alla  sua 
qualità  di  psicopompo ,  che  tanto  è  richiesta  dal  sog- 
getto. Queste  nostre  idee,  che  orasemplicemente  ac- 
cenniamo ,  saranno  meglio  sviluppale  ,  quando  sarà 
pubblicalo  il  monumento  stesso;  il  che  ci  auguriamo 
che  avvenga  al  più  presto ,  perchè  possano  più  facil- 
mente valutarsi  le  nostre  particolari  opinioni. 

Intanto  dalle  cose  dette  finora  sarà  facile  cosa  il 
convincersi  che  l' artista ,  il  quale  dipinse  il  vaso  di 
Canosa ,  lo  fece  sotto  la  influenza  delle  omeriche  poe- 
sie. Si  osservano  di  falli  in  esso  ritratte  le  più  minu- 
te particolarità  ,  che  fanno  a  que' sublimi  versi  il  più 
interessante  confronto.  Noi  non  sappiamo  abbastanza 
insistere  perchè  nella  maggior  parte  de'  casi  s' istitui- 
sca il  paragone  tra'  monumenti  e  gli  antichi  scritto- 
ri :  0  che  gli  artisti  s'imbevano  delle  narrazioni  de' 
poeti  ;  o  che  gli  artisti  ed  i  poeti  attingano  alla  me- 
desima fonte  di  popolari  tradizioni ,  è  fuor  di  dubbio 
che  le  due  classi  di  documenti  superstiti  si  danno  un 
vicendevole  ajulo.  Il  vaso  di  Canosa  da  noi  descritto 
valga  per  un  novello  argomento  di  quanto  abbiamo 
asserito. 

fcoìUinuaJ  MiNERvi.M. 


P.  Raffaele  Gariiccci  d.c.d.g. 
GicLio  MiXERViM  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


DILLKTTLAO  ARCHEOLOGICO  MPOlITAm 

NUOVA    SERIE 
iV."  13.  Gennaio  1853. 


Della  leggenda  nATPOKA<^)T  TA^o^;  su  di  un  vano  dipinto  di  Canosa. — //  LuDUS  Gladi atorivs  ,  ov- 
vero Convitto  dei  Gladiatori  in  Pompei. — Dell'  arma  gladiatoria  detta  Galervs. 


Della  leggenda  nATP<  )KA()T  TA*05;  su  di  un 
taso  dipinto  di  Canosa. 

Darò  il  mio  parere  intorno  al  senso  della  leggenda 
ITATPOKAOT  TA«I><)S  dipinta  sul  taglio  di  un  gran 
plinto  ,  che  fa  da  base  alla  pira  ,  ove  dovrà  abbru- 
ciarsi il  corpo  di  Patroclo.  Sta  a  sinistra  Agamennone 
preparato  a  versare  dalla  tazza  il  Ti'fji(3ox^'ov  x,-'9'^W-'-f 
come  con  tragico  fraseggio  chiama  Eschilo  quella  li- 
bazione che  solca  farsi  versando  or  vino ,  or  olio  sul 
corpo  del  defunto  (Aeschyl./s««e  a  Teòev.  1006. Her- 
mann), e  a  destra  Achille  che  scanna  i  prigionieri  Tro- 
iani, Tpuiujy  fxiyrx^i'ixwy  iiixi  l'jiòy^ovi  xf'-yjito'~  ììr'fóujv 
(Hom.  //.  Sf.  V.  173,  176).  Se  debbon  valere  le  no- 
tizie che  si  hanno  intorno  ai  funerali  dei  Greci  a  Troia, 
e  che  ci  vengono  da  Omero  ,  dal  quale  come  da  fonte 
perenne  si  fecondarono  di  poi  le  menti  dei  poeti  e 
degli  artisti ,  questa  è  una  rappresentanza  ,  che  ante- 
cede la  combustione  del  cadavero  di  Patroclo.  Ecco 
le  parole  del  Poeta  : 

Aw6i'yi%  oi  Tpwtov  fxiyx^i'ixuiv  t'i;*s  IcSXot'S 
XcnXxcj"  òriióujY,  x'xyjj.  §£  iPpsffl  iMrfliro  ipyx' 
'Ev  hi  TTupòi  ixivoS  TiXi  ff/oVipsov,  otppoc  iiii.oiro. 
{II.  ^.  V.  175  seg.  d.Odyss.  i^.  v.  65  seq.  Q.  Smirn, 
Parai.  IH,  v.  175,  Virgil.  Aen.  XI  cet).  Difatti  la 
pira  non  è  accesa ,  sulla  quale  se  non  vedesi  elevato 
il  cadavere  può  per  altro  supporsi  nel  mezzo  del  rf/- 
X«  Si'X;vov,  secondo  la  poetica  frase  di  Pindaro  (  Pith. 
3  ,  38  ,  Bergk  ),  e  sopra  il  suo  letto  funebre,  >Jxp? 
(//.  *  V.  171),  essendo  figurata  la  pira  dal  suo  mi- 
nor lato.  Ciò  posto  io  ragiono  così:  Quando  è  evi- 
dente che  r  artista  ci  ha  rappresentato  il  funus ,  egli 

ÀKNO   I. 


è  ancor  certo  che  la  leggenda  non  può  avere  altro 
senso  diverso  da  questo  :  adunque  il  TA<t02;  dovrà 
spiegarsi  funus ,  non  sepulcrum.  Che  poi  la  voce 
TA<I>Oi^  abbia  questo  signiGcato ,  si  rileva  da  più 
luoghi  di  antichi  scrittori ,  e  da  Omero  medesimo,  il 
quale  ,  ciò  che  è  molto  considerevole ,  nel  caso  pre- 
sente, in  questo  significato  appunto  secondo  gli  anti- 
chi prende  il  ra^os ,  scrivendo  (  //.  ^  v.  619) 

Tri  vt'v ,  xoLi  ffot  Tof'TO,  yspoy,  xiiixr,Xir>Y  ìcrou , 

na.rprjxXoio  t%^ov  \Ky^ix\\K\xiM%i'  oh  yàp  ìr'  dùròv 

"04'Si  Iv  'ApyiloKTi' 
e  nell'ultimo  verso  della  Iliade  (//.  Ci  v.  801) 

"Cls  oi'-y-s  àfxp/iTTOV  Ta-Pov  "E,xrops  'nr7ro^%noio. 

E  stato  già  notato  dai  dotti  il  proprio  senso  del 
verbo  ©aWjiv,  onde  derivò  che  fosse  adoperato  a  si- 
gnificare le  due  maniere  di  sepellire,  obruere  humo  , 
ed  igni  cremare,  QoiTrruv  X'^ov/(Eurip.  Suppl.  17), 
S%7rr-:iY  ■jrupt  (  Plut.  in  Rom.  Filostr.  Sen.  Imag.  II , 
30,  Aelian.  N.  A.  X,  22  cet).  Di  questo  secondo  si- 
gnificato del  verbo  S%7rrsiy  ha  fra  gli  altri  disputato 
r  Hemsterhuis  nelle  note  a  Senofonte  Efesio  (  p.  202 
seg.  )  ,  ed  il  lacobs  nell'  Antologia  Palatina  (  p.  44.j 
cf.  Filostrato  Seniore  Imag.  p.  100 ,  25  ,  e  p.  556, 
Weicker).  In  conseguenza  di  che  il  Creuzer  ha  os" 
servato,  che  «  cura  tam  late  pateret  vocabuli  vis ,  o- 
mnem  rilum  infuneribustractandis,  omnemquemor- 
tuorum  curam  indicans ,  factum  est ,  ut  corpora  di- 
cerentur  ©aWfffSxj ,  sepeliri ,  in  quibus  sola  crema- 
lio  locum  habuerat,  necdum  insecula  fuerathumalio, 
aut  in  hypogaeum  aliumve  locum  condendis  reliquiis 
destinatum  relalio  »  (ad  Ilerod.  V,  8  Baehr). 

Così  Erodoto  ÌTTScrav  ^ìiìxvr'-jvci  x'xro(.K%uiT%yri;, 

13 


OS- 


TI a>.XwS  yvr  xpr^avrss.  Allude  a  questo  doppio  si- 
gniGcalo  a  parer  mio  anche  la  risposta  che  dà  Ifige- 
nia ad  Oreste  presso  Euripide.  Perocché  avendo  Ore- 
ste dimandato  : 

Ta$oS  Ss  TToToi  lliif^i  \x  ,  oVav  9«vw  ; 
risponde  la  sorella  ,  che  il  fuoco  del  sacriCzio  ,  ed 
una  larga  fossa  saranno  il  suo  ralpoS" 

TTrp  Isp&v  fv^ov,  "XJ^ryixxr'  ivpouTroY  Tnrp'xs. 
(Eurip.  Iph.  in  Taur.  v.  624,625).  Dalle  quali  pre- 
messe spontaneamente  si  deduce  che  il  rr/Jfos  può  a- 
vere  il  significato  di  xoivrris  (I  ),  ed  analogamente  anche 
di  rogiis  ;  e  così  anche  le  glosse  di  Filosseno,  roipos, 
rogui  (2).  Io  però  slimo,  che  al  caso  nostro  sia  da  pre- 
ferirsi il  senso  di  funus,  che  ha  più  vicini  confronti  nei 
luoghi  addotti  di  Omero,  ed  inoltre  in  quello  di  Eu- 
ripide già  allegato  dal  eh.  collega  [Bull.  p.95).  Nel 
qual  luogo  distinguendosi  apertamente  la  Tt/pà  dal 
TCi^oi,  ed  aggiungendosi,  che  molla  ricchezza  di  ar- 
nesi si  porrà  sul  Tovpos,  h^riTou  rci^oj,  non  v'ha  pili 
dubhio  che  il  Ta'pos  non  sia,  né  possa  aver  significato 
di  xoivffH  [aclus  cremandi),  né  di  rogo,  -^ry^cc.  Esclu- 
desi  ancora  il  senso  di  sepolcro,  perocché  ivi  Ifigenia 
soggiugne ,  lavOf^  r'  sXmuj  (jmjjlx  ffòy  xarocfflisffw , 
vuol  dire ,  che  il  corpo  del  defonto  è  ancor  entro  la 
pira  ardente. 

Non  rimane  quindi  altro ,  che  il  senso  di  fumis , 
nel  quale  vien  compreso  complessivamente  ogni  rito 
di  sepellire  per  inumazione,  e  per  combustione.  Che 
poi  dal  senso  più  largo  siasi  devenuto  talvolta  ad  un  al- 
tro più  particolare,  lo  dimostra  il  significato  di  rc/^os 
per  epulum  ferale,  cena  funebre  (  //.  *,  29  Eustath. 
Odyss.  T.  309  cf.  Feith,  Ani.  Hom.  L.  I,  e.  XV), 
siccome  qui  Euripide  lo  toglie  pel  rogo  preparato  col 
cadavere  sul  suo  letto  ,  e  con  tulle  le  cose  preziose 
solite  farsi  abbruciare  col  defunto,  ed  Esthilo  pel  fu- 

(1)  Nella  tavola  iliaca  di  falli  si  legge  KAT^IS  ITATPOKAOT 
ni  la  rapprcsenlanza  è  gran  fallo  diversa  dalla  nostra.  Del  resto  in 
ambedue  si  scoprono  differenze  dal  racconto  di  Omero,  Dia  non  di- 
rei gib,  clic  la  pira  ancor  qui  è  spenta ,  essendo,  a  mio  giudizio, 
vano  r  andar  nrcando  le  tracce  delle  vampe  in  .soggetto  di  tal 
natura,  e  che  inoltre  ò  fatto  a  dimostrazione,  e  non  per  iscopo  ar- 
tistico, e  dippiii  in  bassorilievo. 

(2)  Il  conim.  Quaranta  logUe  io  questo  senso  il  TAOOS  IIA- 
TPOKAOr. 


nebre  apparecchio  del  cadavero ,  precedente  la  inu- 
mazione {I  sene  a  Tebe  1021  ,  Hermann),  come  io 
giudico.  Adunque  io  stimo  funus  sia  l'omerico  signi- 
ficalo di  Tx>Co5  nei  luoghi  allegati,  e  segnatamente  nel 
H'xrpóx.Xoio  roi^ou,  che  l'artista  se  non  m'inganuo 
sembra  aver  tolto  proprio  dallo  slesso  poeta. 

In  questo  caso  il  ro[^oi  sarebbe  precisamente  ado- 
perato per  r%^y\,  funus ,  il  qual  senso  gli  danno  an- 
che gli  antichi  presso  Eustazio  al  luogo  citato  (  //.  * 
618),  e  le  osservazioni  dei  dotti  lo  hanno  già  da  un 
pezzo  confermalo  (v.  Schweighaeuser  ad  Herodot.V, 
63)  ;  laonde  nATPOKAOT  TA<I>OS  io  inlerpetro  il 
funerale  di  Patroclo. 

Garrccct. 


Il  LuDVS  GiADiATonius,  ovvero  Convitto  dei  Gladia- 
lori  in  Pompei. 

Un  edifizio  è  in  Pompei  consistente  di  un  portico 
quadrato ,  attorno  al  quale  ricorre  una  doppia  fila  di 
camerette  in  due  piani,  e  si  va  ad  esso  immediatamente 
da  coloro ,  che  entrano  in  città  dalla  parte  dei  teatri, 
È  poi  facile  ravvisarlo  ,  perché  su  di  una  parete  si 
legge  scritto  a  buone  lettere  PORTICO  DEI  TEATRI. 
Questa  denominazione  pertanto  non  è  universalmente 
tenuta  dagU  scrittori  ,  trai  quali  taluni  1'  han  creduto 
un  Forum  (  v.  Gaetano  D' Ancora ,  Prospetto  storico' 
fisico  degli  scavi  di  Ercolano  e  di  Pompei,  Napoli  1 803 
p.  79) ,  e  questo  del  tempo  degli  Etrusci!  (Gius.  Ga- 
lanti, Napoli  e  Contorni ,  NapoU  1838  p.  335),  al- 
tri ,  e  sono  i  più ,  un  quartiere  di  soldati  Castrum , 
(Gli  Ercolanesi,  Bronzi  T.  II.  p.  416.  n.  40,  Mazois, 
ed  altri).  Andò  più  oltre  il  dotto  Monsign.  Rosini , 
opinando ,  che  fosse  un  quartiere  di  soldati  si,  ma  di 
marina:  In  cubiculis  circa  Porticum  Pompeianampo- 
sitis  militum  contubernium  fuisse  in  dubium  revocari 
ncquil ,  cum  ibidem  clypeos ,  ocreas ,  loricas,  galea» , 
gladios ,  invenerimus.  Ea  autem  arma  ad  classiario$ 
mililes  pertinuisse  argumento  sunt  anchorae ,  guberna- 
mla ,  tridentes  tum  in  armis  ipsis  insculpta ,  tum  in 
porticus  columnis  graphio  passim  ab  otiantibus  deli- 
ncata eie.  Igitur  Pompeiis  stationem  classiarii  mise' 


—  99  - 


nates  halchanl  etc.  (Dhscrt.  hagofj.  p.81).  Facendo- 
ci alla  disamina  delle  ragioni,  che  poterono delcrmi- 
nare  questi  autori  a  definizioni  sì  dille  reiili ,  stupire- 
mo a  riconoscere ,  come  un  molino  a  grano  ed  uu 
altro  ad  olio  quivi  rinvenuti  potessero  parere  argo- 
mento sulTicienfe  a  creder  questa  una  piazza  o  Foro 
nundinario;  e  come  a  ravvisarvi  un  portico  dei  Tea- 
tri bastasse  ad  altri  il  vedere ,  che  la  maggior  porla 
di  uno  d' essi  gli  corrispondeva  (  Fr.  De  Cesare  ,  Le 
più  belle  ruine  di  Pompei  descriue  misurate  e  disegnale, 
Napoli ,  1835  p.  78).  Miglior  fondamento  par  si  a- 
vessero  quelli,  l' opinione  dei  quali  è  poi  prevalsa  , 
i  quali  lo  dissero  quartiere  di  soldati  :  perocché  nelle 
stanze  che  corrono  intorno  al  portico  si  erano  final- 
mente trovati  non  meno  di  diciannove  elmi  di  bron- 
zo ,  di  sedici  gambali ,  e  poi  tre  scudi ,  un  parazo- 
nio ,  una  grossa  punta  di  lancia ,  tre  baltei ,  e  due 
braccialetti.  Che  se  ancor  essi  debbono  aver  torlo , 
come  dimostrerò  ,  pure  questo  non  risulta  da  altro  , 
se  non  perchè  non  considerarono  la  natura  di  quelle 
armi ,  donde  ne  avrebbero  facilmente  conosciuta  la 
diversa  destinazione.  In  questa  considerazione  volle  di 
poi  entrare  il  dotto  Rosini ,  ed  ottimamente,  ma  non 
tenne  parmi  una  giusta  via.  Perocché  in  luogo  di  e- 
saminare  qual  forma  di  armi  fosse  quella ,  ed  a  quale 
professione  o  condizion  di  persone  conveniente  ,  egli 
fé' caso  invece  delle  figure  emblematiche,  che  le  ador- 
nano. 

Laonde  fa  maraviglia  ,  come  stando  in  questi  dì- 
scorsi  ,  piuttosto  non  pensò  ad  armi  di  scenico  appa- 
ralo ,  essendo  assai  più  numerose  le  allusioni  al  dio 
della  comedia ,  che  non  son  quelle  al  dio  del  ma- 
re. In  somma ,  e  perchè  non  potrebbe  altri  soste- 
nere che  siano  armi  di  scenico  apparalo  quelle,  sul- 
le quali  son  figurati  termini  priapici ,  coi  sacrifican- 
ti a  quel  rustico  nume ,  ove  maschere  di  Fauni ,  e 
Sileno  yM%r%  'ttoiÙjy,  e  la  Baccante  ederifera,  e  i  tir- 
si colle  lor  ciste  ,  e  pelli  di  tigre ,  e  bende  mistiche  ? 
Poi  quella  ricchezza  é  profusion  di  ornati,  e  la  stessa 
mole  sfoggiata,  che  alle  rappresentanze  teatrali  sì  mi- 
rabilmente risponde  ,  e  fa  sì  opportunamente  risov- 
venire di  queir  apparalus  speclalio  descritta  da  Cice- 
rone nella  lellera  a  IMario  :  Armatura  varia  peditalus 


ci  cquitatus  in  aliqua  pugna ,  quac  popularem  admi- 
ralionem  hahuerunl  !  [ad  fa  ni.  \\l\.  l.).  L  quanto 
agli  strumenti  marini  rapprescii'ali  su  di  esse  ,  po- 
tiebbesi  notare,  che  ipielle  armi  sono  appena  Ire . 
due  mezzi  scudetti ,  ove  è  scolpito  uu  granchio  ,  un' 
ancora  ,  ed  un  tridente  ,  ed  un  elmo  ,  ove  due  soli 
delfini  son  figurali  ;  (piando  non  meno  di  selle  son 
quelle  ,  che  hanno  intere  bacchiche  rappresentanze  , 
Sileni,  Baccanti,  Priapi,  Satiri,  maschere  d'ogni  ma- 
niera ,  tirsi ,  ciste ,  nebridi ,  corone  di  ellera.  Per  la 
(jual  cosa  ,  se  il  simbolico  rappresentalo  delle  armi 
dovesse  condurci  in  tal  (juislione  a  ril('var  1'  uso  di 
esse,  io  non  veggo  ragionevole,  che  si  debbano  giu- 
dicare piutloslo  armi  di  marini ,  che  di  scenico  ap- 
paralo ,  specialmente  perchè  trovale  in  edifizio  si  con- 
tiguo ai  due  teatri.  Alle  ragioni  che  vi  ha  ornai  si  pa- 
tenti la  scena  sacra  a  Bacco  gioverebbe  ancora  la  pro- 
tome  di  Ercole  ,  che  in  più  d'  una  d' esse  è  figurala , 
e  la  slessa  "AIwciS  favola  non  meno  tragediabile,  di 
quella  dell'  Eroe  tebano. 

Non  pertanto  chi  ammettesse  queste  osservazioni 
non  si  troverebbe  meno  fuori  di  strada  ,  e  forse  tanto 
più  perniciosamente  ,  quanto  una  piacevole  illusione 
ve  lo  terrebbe  più  fermo. 

Perocché  a  voler  ben  giudicare  delle  armi  propo- 
ste ad  esame,  conviene  prima  di  ogni  altro  tener  conio 
della  forma  di  esse,  onde  propriamente  risulta  la  veri 
loro  destinazione.  E  ciò  cheavrebberdovulof;ir  tulli 
in  questo  caso,  sarebbe  stato,  pare  a  me,  il  notare, 
che  i  diciannove  elmi  trovali  qui  avevano  tulli  visiera, 
che  i  gamberuoli  erano  lavorali  a  coppie.  E  poiché 
gli  elmi  della  romana  milizia,  per  solenne  pruova  di 
una  infinita  serie  di  monumenti  figurali,  e  per  la  clas- 
sica testimonianza  di  Arriano  ,  giudice  autorevolissi- 
mo ,  NON  EBBERO  MAI  VISIERA  ;  Ti  xpxvn  ri 
ds  (Ji^^X*)*'  '^-TroiyxiiOi,  vpò  rrf  x'.^'xXr,?  xoà  róuv  7ra- 
puwY  7rpof:,i'il'kr,r%i  /xoW  (Arriani  Taclica  e.  48),  (  1  );  né 

(I)  Vedi  anche  il  Lipsie  {Mil.  Roin.  Ili,  5).  A  lui  vanamente  si 
oppone  1'  autore  della  nota  posta  a  p.  262  del  voi.  I.  Bronzi  (Ani. 
Ercol.  )  invocando  i  commentatori  di  Silio  (  C33 ,  h.  XIV),  o  i 
monumenti.  Perocché  né  Silio  dh  celate  agli  elmi  romani  in  quel 
luogo,  nò  Stazio,  che  parla  de' Greci,  nò  il  Fabrotti  che  cita  an- 
che erroneamente  Masisle  Persiano,  né  il  Monlftiucon  porta  ve- 
rmi monumcnlo ,  né  il  Cori  veruno.  Citano  Alcimo  Avito,  e  Clau- 


—  100  - 


i  Romani  usarono  mai  più  di  un  solo  gamberuolo  o 
Trp'jxyxixk,  secondo  Polibio,  maestro  non  men  com- 
petente del  primo  (Polib.  H.  R.  VI,  469.  Amstel. 
1670),  faceva  forza  concbiiidere  che  alla  romana 
milizia  né  tli  mare  ,  nò  di  terra  ,  quelle  armi  non  ap- 
partennero. 

Lasciando  stare  adunque  1'  argomento  dei  simboli 
siccome  non  meno  inefficaci  a  noi  di  quello  che  ab- 
biamo dimostralo  esserlo  ad  altri ,  entriamo  piutto- 
sto a  definire  l'uso  dell' edifizio  dalla  qualità  di  esse 
armi ,  che  in  tanta  copia  vi  fiiron  rinvenute  ,  poi  da 
altre  osservazioni  non  meno  opportune  ,  che  ci  ven- 
gon  somministrate  assai  ulilmenle  dal  giornale  di  que- 
gli scavi. 

Tolta  di  jiiezzo  la  romana  milizia  ,  per  l' invitta  te- 
stimonianza di  due  gravissimi  storici  Arriano,  e  Po- 
libio, non  resta  se  non  invocare  l'autorità  dei  monu- 
menti ,  che  nella  quislione  presente  abbiam  veduto 
essere  sì  d' accordo  cogli  scrittori.  Monumenti  adun- 
que che  diano  egualmente  elmi  con  le  visiere,  e  dop- 
pio gambale  ad  una  condizione  di  persone  io  non  co- 
nosco se  non  i  gladiatoria  Escludo  qui ,  come  ognu- 
no può  avvisarsi ,  l' alta  età  della  Grecia ,  che  non 
può  allegarsi  per  l'epoca  dei  monumenti  di  che  dispu- 
tiamo, escludo  per  la  ragione  medesima  la  celata,  che 
i  cavalieri  romani  usavano  negli  esercizii  loro  (Arrian. 
1.  e.  ).  Lungo  sarebbe  il  noverarli  tutti ,  e  basterà 
solo  richiamare  alla  memoria  le  tavole  aggiunte  al 
dotto  suo  lavoro  dal  eh.  sig.  Henzen  {Musaico  Bor- 
ghcsiano  ) ,  e  le  pitture  gladiatorie  dell'  anfiteatro  di 
Pompei,  e  gli  stucchi  del  Sepolcro  di  Umbricio  Scau- 
ro  (  Mazois  I ,  tav.  31 ,  IV.  tav.  47  ,  48.  cf.  gli  Er- 
colanesi  T.  Vili.  Lucerne  tav.  7.  )  a'  quali  posso  ag- 
giugnere  sin  da  ora  un  bassorilievo  di  molta  istru- 
zione ,  che  mi  son  fatto  disegnare  in  Venafro ,  sul 
quale  il  gladiatore  Blaslus  ha  visiera ,  e  gambale  dop- 
pio. Laonde  da  tanto  ragionevole  confronto  risulterà , 

diano.  Ma  questi  scrittori  non  descrivono  i  Romani  del  primo  secolo 
di  G.  C.  ;  ed  io  volentieri  concedo  che  venne  poscia  in  uso  nella  mi- 
lizia romana  il  (riSr^^cov  'Trcx^ix-rirafffj.oi  come  lo  dice  Niceta  ,  il 
quale  ne  ha  lasciala  ancora  la  più  esatta  descrizione  {l,de Àrchi- 
lupano  tf.  Scheffor  ad  Arriani  Taci.  p.  77.)  ;  e  che  io  anzi  ag- 
giungo alle  aulorilh  arrecate  dai  contradittori ,  ai  quali  aveva  pur 
risposto  Jo  Scbtffer  {  ad  Arriaai  lactica  p.  113,  Upsal,  1604). 


che  le  armi  trovate  nell'edfizio  pompeiano  detto  con 
niun  fondamento  quartiere  di  Soldati,  siano  veramen- 
te gladiatorie  ;  quindi  se  ne  possono  dedurre  due  con- 
seguenze ,  che  io  credo  di  grande  rilevanza  per  la 
scienza  ,  e  piij  segnatamente  per  noi  ai  quali  è  quasi 
affidata  Pompei ,  e  la  illustrazione  delle  cose  ivi  sco- 
perte. 

La  prima  è,  che  il  nostro  museo  possiede  una  col- 
lezione rarissima  ,  anzi  unica  di  armi  gladiatorie  di 
bronzo  ,  degna  di  essere  separala  dalle  greche  e  ro- 
mane panoplie,  colle  quali  veggonsi  per  l'antico  erro- 
re miste  e  confuse. 

Ma  la  seconda  anche  più  notevole ,  che  l*  Edifizio 
ove  furono  scoperte  queste  armi  in  tanto  numero ,  e 
distribuite  per  tutte  le  stanze  intorno ,  d' ora  innanzi 
debba  dirsi  appartenuto  ai  gladiatori,  ossia  un  LVDVS 
GLADI  ATORIVS.  Questo  medesimo  vero  alcuni  ave- 
vano pur  sospettalo  (  v.  Bechi ,  Museo  Borb.  voi.  V, 
XI,  De  Cesare  ,  le  più  belle  mine  di  Pompei,  p.  79), 
senza  efficacia  però  di  persuaderlo ,  e  di  farlo  comu- 
nemente accettare  ,  onde  è  perdurato  ,  e  perdura  tut- 
tavia l'erronea  denominazione  di  Quartiere  dei  Soldati. 

Del  ludus  gladiatorius  ha  parlato  da  suo  pari  Giu- 
sto Lipsio  [Salurn.  I,  1  ),  notando  segnatamente  l'an- 
gustia e  lo  squallore  delle  celle  con  alcuni  luoghi  di 
Quintiliano ,  che  lo  insegnano.  Corrisponde  di  fatti 
la  turpior  custodia  ed  il  sordidus  cellarum  situs,  cu- 
ius  ad  comparalioneni  ergastidum  leve  est ,  alla  stret- 
tezza delle  stanze  del  pompeiano  ludo.  Piacerà  quin- 
di di  riconoscere  ove  si  preparasse  la  famosa  sagina 
gladiatoria ,  in  quale  spazzo  erano  istruiti  dal  mae- 
stro di  scherma  (/a)u's<a,  doctor ,  magistcr) ,  cose  tutte 
che  hanno  ora  il  primo  riscontro  dopo  questa  note- 
vole scoperta  ,  per  la  quale  formam  gladialorii  ludi 
consideramus  ! 

Quella  stanza  più  larga  delle  altre,  ed  affatto  aper- 
ta verso  il  cortile  aveva  quattro  dipinti ,  che  scoperti 
il  14  Febraio  1767  furono  fatti  disegnare  dal  Mor- 
ghen  ,  e  poscia  il  7  Marzo  staccati  e  collocati  nel  Mu- 
seo: due  di  essi  sono  trofei  d'armi  gladiatorie  pre- 
ziosissimi per  la  grandezza  al  naturale ,  e  perchè  ci 
fanno  conoscere  alcune  speciali  forme  di  tali  armatu- 
re ,  delle  quali  darò  in  seguilo  una  illustrazione.  Fa- 


—  101  — 

Cile  è  ora  1'  iii(eiulcrc  1'  uso  dei  coppi  capaci  di  dieci  sopra  scolpito  in  rilievo  ,  un  limone ,  un'  ancora  ,  un 

persone,  e  i  quattro  sclu-lclri  essere  stali  diallrellanti  granchio ,  un  tridente  con  delfino ,  ed  una  luni;a  te- 

gladialori ,  tenuti  in  (|uel  ;;asligo.   Le  molle  iscrizio-  nia  rannodala  in  mezzo ,  con  estremità  a  svolazzo.  È 

ni  si  dentro  che  fuori  di  cpiesto  edilizio ,  e  le  armi  incisa  nelle  DUs.  hag.  Tav.  XV'II ,  al  basso ,  e  nel 

graffite  sulle  pareti  e  sulle  colonne  erano  quasi  tutte  Mmco  Borb.  T.  IV.  Tav.  XXIX  (\-.  Tav.  VII,  n.  2\ 

gladiatorie.  Non  era  in  quei  tempi  molta  perizia  di  La  seconda  fu  cavata  il  21  Fehraio  17(»7,  cfu  falla 

copiare  le  !eg;j;ende  parielarie  di  Pompei ,  ma  se  ne  poi  incidere  dal  Rosiui  [Dhs.  Isng.  lab.  XVII  in  mez- 

tenne  nondimeno  più  conio  di  ([nello ,   che  non  si  zo  a  due  altre  di  forma  diversa  ,  ma  u'unlmente  so- 

sarebhe  opinalo.  Certo  il  giornale  di  questi  scavi  ne  spese  ad  una  catenella  ,  con  tavoletta  sulla  quale  è 

trascrive  parecchi,  anzi  è  il  primo  a  copiare  graffili,  scritto  RET /SECVJNI),   ha  figura  quasi  di  canale 

e  ce  ne  dà  fino  dal  17G;j,e  quando  non  può  riuscir-  chiuso  da  un  lato  con  larga  falda  intorno  fino  allo 

vi,  ingenuamente  se  ne  scusa.  Ora  che  non  manche-  sbocco  (ivi,  n.  3).  Fu  raccolta  la  terza  di  mol'omag- 

rehbe  forse  a  qualcuno  l'animo  di  vincere  questa  dif-  gior  grandezza  della  j)rima  il  18  Aprile  del  medesimo 

ficoltà,  glinlonachi  son  periti,  e  convien  stare  a  quel-  anno,  fatta  incidere  ,  e  pubblicala  poi  nel  volume  IV 

le  poche  notizie ,  che  dal  giornale  ne  vengono  com-  del  Museo  Borbonico  Tav.  XXIX  n.  2.  In  questa  son 

municale.  figurati  tre  scudetti ,  in  quel  di  mezzo  si  rappresenta 

Passando  dalle  leggende  gladiatorie  dii)inte  (l)allo  un  busto  di  Ercole  armalo  di  dava ,  nei  due  laterali 
graffite,  egli  è  evidente  che  moltissime  ne  sono  perite,  due  protome  puerili  di  prospetto  con  alette,  che  loro 
se  può  Irarsene  giusto  argomento  dai  graffili,  chelut-  spuntano  dal  collo  (ivi,  n.  4). 
torà  si  conservano  in  uno  dei  corridoi  di  questa  fab-  Il  dotto  Rosini  osservando  che  due  di  esse  erano 
brica.  La  relazione  degli  sca\i  ne  avverte,  che  un  al-  marinis  embkmalis  omtsiae ,  fu  d'avviso,  che  fossero 
Irò  corridoio  era  pur  tutto  scritto,  ma  ora  l'intonaco  servite  una  volta  a  soldati  di  marina.  Ecco  le  sue  pa- 
delle pareli  di  esso  è  caduto.  Rimangono  ancora  molte  role  :  Esl  quoddam  armorum  genus  eruditis  adirne  i- 
nel  primo  ,  in  due  delle  quali  son  nominali  i  Curato-  gnolum,  quod  parvae  pellac  speciem  re  feri  uno  in  la- 
res,  in  tre  altre  leggonsi  liste  di  gladiatori  con  allato  a  lerc  armaiae ,  in  reli<piis  vero  rectac,  habclquc  infe- 
ciascun  nome  il  numero  delle  pugne.  Esse,  come  in-  rius  cavilatem  ,  qua  brachiis  e  cubito  humerum  tenux 
numerevoli  altre,  sono  tuttavia  o  ignote,  o  mal  trascrit-  apiari  commode  queat,  cuius  schema  marinis  emblema- 
te;  e  perù  assai  utilmente  al  proposilo,  ed  allo  scopo  tis  onuslum  nempc  cancro,  dclphino,  tridente,  ciuco  , 
del  presente  bullettino  credo  sarà  di  pubblicare,  oret-  et  anchora ,  cum  terrestri  miliiiae  ìnopportunnm  sit , 
tifieare  le  più  importanti ,  lo  che  per  non  estender  di  navali  percommodum  esse  poterai ,  cum  scilicet  mili- 
troppo  quest'articolo  diretto  a  stabilire  il  Ludus  già-  tes  pluteo  navis  protecti  bonam  corporis  parlemeatan- 
diatorius  di  Pompei,  riservo  ad  allra  trattazione.  tum  armatura  indigchant,  quae  humeros  et  caput  ob- 

Garrccci.  ducerei ,  inlerea  dum  iaculos  et  glandes  in  hosles  im- 

millerenl  [Diss.  hag.  p.  81).  Ampliò  di  poi  quesla 

Dell'  arma  gladiatoria  detta  Gàlervs.  attribuzione  il  Comm.  Quaranta,  scrivendo  :  Usavasi 

st  fatto  scudo  non  solo  dalla  gente  di  terra  ma  ezian- 

Tra  le  armi  scoperte  nella  escavazione  dell'edifizio,  dio  da  quella  di  mare  ,  al  che  alludono  il  tridente,  il 

ohe  in  altro  articolo  ho  dichiaralo  Convitto  di  Già-  delfino,  il  timone,  il  granchio  e  l'ancora  che  adornano 

diatori ,  se  ne  rinvennero  tre  di  forma  al  tutto  sin-  il  primo.  La  palma  e  la  corona  coi  lemnisci  di  cui  è 

gelare.  fregialo  lo  scudetto  che  pende  dalla  calenuzza  al  n.  5, 

La  prima  fu  scoperta  il  10  Gennaio  17G7,  e  porta  unitamente  alla  spada  ed  al  tridente,  fan  vedere  essere 

un  offerta  votiva  navale  (  Mus.  Borb.  voi.  IV ,  tav. 

(I)  Queste  con  altro  saranno  spiegato  da  me  iu  altro  articolo.  XXIX,  pag.  I,  2j. 


—  102  - 


Più  avanti  non  so  che  siasi  progredito.  Adunque 
gli  emblemi  e  i  simboli  marini  in  quest'arma,  e  sulle 
pareli  dell'edifizio  pompeiano  notate  dal  Rosini,  e  dal 
Quaranta ,  dovranno  essere  indizio  che  le  armi  ap- 
partengono a  soldati  di  marina?  Ma  e  dov'è  che  i  sol- 
dati romani  imbraccino  quest'arma?  eppur  gli  esem- 
pii in  fatto  di  armati  abbondano.  Le  due  colonne  la 
Traiana  di  Roma ,  e  la  Teodosiana  di  Costantinopoli 
basterebbero  sole.  Si  aggiungano  i  tanti  bassorilievi , 
i  trofei ,  le  pitture  ,  le  statue  nelle  quali  opere  tutte 
sì  varie  chi  mi  troverà  uno  scudo  somigliante  a!  no- 
stro? Inoltre  di  monumenti  che  rappresentano  soldati 
di  marina  non  manchiamo,  e  dai  cippi  sepolcrali  dei 
Classiarii  fino  alle  intere  composizioni  di  battaglie  na- 
vali, di  che  bastevoli  esempii  ci  vengono  dalle  pareti 
pompeiane,  mai  è  che  siasi  veduta  una  figura  di  scu- 
do disersa  dalla  ordinaria  della  milizia  terrestre.  I 
soldati  classiarii  che  combattevano  sulle  mezze  coperte 
assai  poco  potevano  esser  difesi  dal  parapetto,  sìccot 
me  apparisce  dal  bassorilievo  di  Palestrina  ora  nel  Va- 
ticano (Visconti,  e  Winckelmann  lo  hanno  pubblicalo, 
cf.  lo  SchelTero  De  M'd.  Nav.  add.  ade.  XXXIV,  2), 
e  ciò  ,  supposta  la  battaglia  guerreggiata  da  lontano 
colle  fionde,  cogli  archi,  e  coi  giavellotti,  e  colle  ba- 
lestre ,  che  è  scaramuccia.  3Ia  quando  si  viene  alle 
prese  ,  s'investe  ,  si  arrampigna  ,  e  la  nave  è  ferma- 
la, e  la  battaglia  si  fa  non  altrimenti  che  in  terrafer- 
ma ,  maniera  certo  ordinaria  degli  antichi,  io  chiedo 
qual  ragione  avrebbe  potuto  far  loro  adottare  il  mezzo 
scudetto  sulla  spalla  sinistra,  che  non  può  recarsi  da- 
vanti alla  difesa  del  capo,  e  della  vita,  che  lascia  sco- 
perta tulla  la  persona  ai  colpi  di  punta  e  di  taglio. 
Per  tutte  le  quali  ragioni,  e  per  l'autorità  dei  monu- 
menti, se  non  avessimo  altri  argomenti  positivi  ed  ef- 
ficacissimi dell'  uso  di  questi  scudi ,  si  sarebbe  dovuto 
per  fermo  abbandonar  questa  tra  le  conghielture  in- 
verisimili. 

Or  a\endo  io  in  altro  articolo  dimostralo,  che  il 
voluto  quartiere  dei  soldati  è  un  Ludus  gladiatorius, 
e  ciò  dalla  natura  degli  elmi  chiusi,  e  del  doppio  gam- 
bale, aggiugnerò  inoltre  anche  quest'arma  singolare, 
a  convalidar  la  mia  dimostrazione,  intorno  alla  quale 
proverò  con  i  monumenti ,  che  è  gladiatoria. 


Comincerò  dai  Pompeiani.  Quando  l' cscavazione 
dell'  anfiteatro  pompeiano  mise  a  luce  il  podio,  era 
questo  lutto  dipinto  a  bei  compartimenti  di  erme,  fra 
le  quali  erano  figurate  ben  intese  coppie  di  gladiato- 
ri,  e  di  fiere ,  ora  lutto  è  perito.  Restano  pertanto  i 
disegni  tratti  allora  dal  pittore  Marsigli  con  molla  ìq- 
lelligenza  di  arte.  l[  Mazois  ne  ha  pubblicata  la  mag- 
gior parte  ,  ma  è  pur  lulta\  ia  inedita  una  coppia  di 
gladiatori,  dipinta  fra  due  erme,  che  ne  terminano  il 
campo. 

Non  so  capire  perchè  l'intelligente  autore  di  quel- 
r  opera  li  volesse  omessi ,  essendo  essi  i  soli  fra  lutti 
quei  gladiatori  ivi  dipinti ,  che  potevano  dar  luogo  a 
dotte  ricerche,  ed  a  rilevanti  conclusioni.  Figurai» 
due  giovani  di  poca  barba  ,  e  l' un  d' essi  con  lunga 
chioma ,  nudi  della  persona  tranne  un  certo  gonnel- 
lino stretto  ai  fianchi  dal  balteo.  Mostrano  inoltre  di- 
fendersi la  sola  parte  bassa  dello  stinco  con  due  giri 
di  pelle  ,  dai  quali  procede  una  linguetta  che  sta  a 
guardia  del  dorso  del  piede,  armano  la  destra  di  spa- 
da ,  la  sinistra  di  lancia.  Tutto  il  braccio  sinistro  di 
amendue  è  guarnito  dalla  manica  gladiatoria ,  ed  un 
arnese  portano  adattato  suU'  omero  sinistro  ,  la  for- 
ma del  quale  ninno  mi  può  negare ,  non  sia  una  mc- 
deshua  cosa  collo  scudo,  di  che  qui  io  discorro,  (Tav. 
VII.  n.  5  ). 

Inoltre  in  una  lucerna  della  raccolta  illustrala  da- 
gli Ercolanesi  (Tav.XI)  è  figurato  un  gladiatore  arma- 
lo di  spada,  e  di  tridente,  che  sull'omero  sinistro  porta 
la  medesima  forma  di  arnese,  che  le  due  figure  pom- 
peiane (Tav.VlI  n.  10);  ed  altri  quattro  gladiatori  ar- 
mati parimenti  come  questo  conosco  io  tra  i  graffiti;  tre 
dei  quali  ho  cavati  a  dilucido  in  Pompei,  (ivi,  n.6.7.8) 
del  quarto  ho  tratta  copia  in  Roma  dalle  mine  degli 
edifizii  sottoposti  al  Palatino,  di  miglior  forma  ancora 
dei  pompeiani ,  e  con  epigrafe  sovrapposta ,  che  dice 
ANTIGONVS  LIRoo  ooCXII(ivi,n.9).  Altro  esempio 
mi  viene  da  un  bronzo  del  R.  Museo,  ove  è  figurato  uq 
gladiatore  che  investe  col  tridente,  anche  egli  ha  ma- 
nica e  scudo  somigliante,  manca  però  di  spada,  (ivi, 
n.  H).  Tolgo  il  duodecimo  da  una  lapida  della  colle- 
zione illustrata  dal  Gori  [Inscr.T.  III.  p.  99),  e  questo 
ha  gladio ,  e  tridente  nella  sioislra  mostrando  co  Ha 


—  103  — 


destra  la  rete  ,  ha  la  manica ,  e  scudo ,  e  di  più  una 
lunga  fune  gli  parie  dall' omero  sinistro,  e  gli  si  av- 
volge intorno  al  braccio  destro,  (ivi,  n.  12).  Final- 
mente anche  il  eh.  sig.  llenzen  notò  detto  arnese  nel 
Musaico  Borghesiano  (p.  44.),  e  ben  ce  1'  hanno  i  re- 
ziarii  pubblicati  dal  Marini  [Fi:  Arv.  p.  163),  seb- 
bene assai  mal  falto. 

Per  tutti  questi  monumenti,  ei  mi  pare  omai  messo 
fuor  di  dubbio  l'antico  uso  di  quest'arma,  e  però  io 
passo  ad  una  seconda  questione  intorno  al  genere  di 
gladiatori ,  che  se  ne  servivano. 

É  questa  discussione  assai  diflìcile  conoscendo  i 
dotti ,  che  le  descri^ioni  dei  varii  gladiatori  lasciateci 
dai  scrittori  di  rado  convengono  coi  monumenti;  pure 
sembra  che  si  possa  definire,  che  forse  tulli  i  monu- 
menti qui  recati  spettano  a  quel  genere  di  gladiatori 
che  si  dissero  Retiarii  (I).  e  combattevano  colla  fioci- 
na, o  tridente,  usavano  ancora  del  pugnale,  siccome  il 
Lipsìo  ben  osservò  (2),  allegandone  iu  prova  le  parole 
di  Valerio  Massimo  :  Reliarius  Iraieclum  gladio  Atc- 
ritim  inlercmil  (  C.  I.  De  somniis) ,  sebbene  Daza  ivi 
mostri  di  affidarsi  con  riguardo  a  quell'unico  luogo 
di  Valerio.  Che  poi  si  avesse  ragione  il  Lipsio  di  pre- 
star fede  a  quel  testo,  ce  lo  assicurava  già  il  musaico 
pubblicato  prima  dal  Winckelmann,  e  poi  dal  Marini 
[Fr.  Arv.  p.  165),  ove  Calcndione  reziario  che  com- 
batte colla  fascina  in  una  seconda  scena  sovrapposta  a 
questa ,  vedesi  invece  sedere  sul  pavimento,  ove  l' ha 
prosfrato  l'avversario,  e  stringere  un  pugnale  ad  estre- 
ma difesa ,  stando  per  terra  poco  discosto  il  tridente, 
che  egli  ha  perduto  nella  pugna,  ed  ora  un  nuovo  so- 
lidissimo argomento  ne  prestano  i  monumenti  da  me 
raccolti.  Laonde  io  immagino  che  il  primo  assalto  del 
reziario  consistesse  in  avventare  la  sua  rete  per  pi- 
gliarvi dentro  l' avversario  ;  ciò  seguito  ,  egli  doveva 
lavorar  di  tridente  per  ferirlo,  e  venendogli  meno  que- 
sto ,  stringerglisi  addosso  col  pugnale,  e  ferirlo.Que- 
st'ultimo  caso  risulla  dalracconlodi  Valerio  Massimo, 
Retiarius  compulso  Mirmillone  et  ahjeclo,  dum  jaccn- 

(1)  Soli  due  gladiatori  (Tav.  VII,  5)  hanno  lance  per  tridenti,  o 
questi  io  non  dclinisco  per  ora  a  qual  classe  appartengano. 

(2)  Cf.  MaCfei  AI.  V.  p.  125,  4,  Vitale,  la  binai  iiiscr,  L-  Àur. 
Comm  aetate  iiusilas  disscrt.  p.  57. 


lem  ferire  conatur  iraieclum  gladio  Alerium  inleremit 
[De  Somn.  VII,  8).  Che  poi  col  tridente  ferissero, 
aprendo  larghi  squarci  colle  Ire  sue  punte  lo  rilevo 
dalle  parole  di  Prudenzio  (  in  Symm.  1 1  ,  404  ) 
Speclant  aeratam  faciem ,  quam  crebra  (ridente 
Impacio  quatiant  haslilia,  saucius  et  quam 
Vulneribus  palulis  parlem  pcrfindal  arenae. 
Ma  quando  non  avessero  sapulo  inviluppar  l' avver- 
sario ,  egli  era  giuoco  forse  che  ne  schivassero  l'im- 
peto colla  fuga  ,  e  parmi  si  rilevi  da  Giovenale  (  V . 
13,14) 

Postquam  vibrata  pendenlia  rclia  dcxlra 
Nequicquam  effudil ,  nudum  ad  spcctacida  valium 
Erigit  et  loia  fugit  agnoscendm  arena. 
Tenevasi  poi  vinto  quel  reziario,  che  avesse  gettato 
via  il  tridente;  perocché  così  parmi  si  debba  interpre- 
tare Suetonio,  il  quale  va  d' accordo  colla  rap])resen- 
tanza  del  musaico  3Iassimi  citato  di  sopra:  Retiarii 
tunicati  quinque,  sine  ccrlamine  uUo ,  tolidem  secuto- 
ribus  succubucranl ,  cum  cecidi  iuhcrcnlur,  unus,  re- 
sumpfa  fascina  ,  omnes  viclores  inlercmil. 

I  miei  graffili  convengono  col  musaico  Massimi,  e 
colla  lucerna  degli  Ercolanesi  e  col  bronzo  Borgiano 
nella  movenza  del  reziario,  e  nell'uso  della  doppia  sua 
arma.  Egli  dovea  investire  col  Itidenle  non  altrimenti 
che  il  venator  col  venabolo  la  fiera.  Colla  sinistra  colla 
quale  reggeva  il  tridente  brandiva  inoltre  ancora  il 
pugnale,  della  qual  arma  manca  solo  il  reziario  Mas- 
simi ,  ed  il  bronzo  Borgiano  ,  nel  resto  pienamente 
convengono.  Perocché  tulli  hanno  nudamvullunì,ì>e€ 
galea  frontcm  abscondunt,  secondo  le  frasi  di  Giove- 
nale ,  tutti,  tranne  solo  il  musaico  Massimi,  se  è  ben 
copiato,  s'armano  il  braccio  sinistro  di  manica,  e 
questa  ,  come  quell'appendice  di  essa,  che  risalta  sul- 
r  omero  sinistro  ,  mostrano  tulli  egualmente  i  graf- 
fili ,  i  due  dipinti ,  il  musaico  ,  ove  è  malamente  fi- 
gurato dal  pittore  ,  e  '1  bronzo  Borgiano. 

Questo  arnese  impositus  humero  gladiatoris  ci  è  a 
suo  modo  cioè  assai  rozzamente  in(hcato  dallo  scolia- 
sla  di  Giovenale ,  il  qtiale  del  resto  ben  si  appone  a 
volercelo  far  ravvisare  nelle  parole  di  (pioilo  scritto- 
re ,  et  longo  iactelur  spira  galero  [  Sat.XiU.  v.  20S). 
Ivi  è  nolo  che  il  poeta  ci  desciivc  un  reziario  della 


—  104  — 


specie  dei  tunicali ,  poiché  solo  in  questo  iiiodo  si 
può  conciliare  queslo  luogo  con  Suetonio  (  Cai.  30), 
e  coi  monumenli,  togliendo  questi  la  tunica  ai  rezia- 
ri! ,  e  parlandone  lo  storico  ,  siccome  di  una  special 
lilà  in  quel  luogo. 

Non  può  quindi  esser  dubbio ,  che  il  longm  gale- 
na facesse  parte  della  panoplia  deireziarii,  ed  in  con- 
seguenza ,  che  questa  sia  proprio  lo  scudetto  posto 
sull'omero,  secondo  la  interpretazione  delio  scoliaste, 
jmposilus  liumero  gladiatoris ,  e  perchè  realmente  que- 
sto è  quasi  il  solo  arnese  dei  reziarii  a  cui  mancava  il 
suo  nome.  Ho  detto  quasi ,  perchè  resterebbe  a  spie- 
gare la  spira  ,  che  il  Satirico  unisce  in  quell'  oscuro 
passo  al  galero  (Vili ,  207 ,208): 

Credamus  lunicae ,  de  faucibus  aurea  cum  se 

Porrigat ,  et  longo  iaclclur  spira  galero. 

La  iulerpetrazione  che  alla  spira  dava  il  Lipsie,  pas- 
sala poi  nel  Yossio  ,  Dicilur  de  fasciis  galeri  sub  men- 
to siringi  solitis  (Etym.  s,  v.) ,  e  dal  Vossio  anche  nel 
Porcellini  (  Lex.  §•  2  ) ,  non  può  avere  più  luogo,  ora 
che  è  dimostrato  non  essere  il  galerus  un  pileo  senza 
faida,  siccome  si  giudicava  una  volta.  Le  parole  dello 
scoliaste,  huiusmodi  aliquid  quo  cilius sparsum funem 
vcl  iactatum  relium  colUgal  (pag.  302,  lahn) ,  intese 
per  la  spira  da  Ottavio  Ferrari  {Elecl.  11,  16) ,  ed 
ammesse  nello  stesso  senso  ora  dal  lahn  (L.  e.) ,  non 
dichiarano  che  cosa  fosse  la  spira,  ma  solo  dicono  che 
serviva  a  raccogliere  più  presto  sparsum  funem  el  m- 
clalum  relium.  Sembra  quindi  che  fosse  una  tal  sorta 
di  amcnlum  (i^/crXr,) ,  che  i  reziarii  portavano  ac- 
canto al  galero  fermo  ,  e  pendente  da  un  capo.  Onde 
si  spiegherebbe  facilmente  perchè  il  poeta  unisca  in- 
sieme spira  e  galero  ,  e  perchè  dica,  che  la  spira  bal- 
zi ,  si  agili ,  si  scola,  iaclelur.  Dovea  quindi  servire 
ad  attaccarvi  la  fune  della  rete ,  e  così  s' intende  aq- 
cora  come  giovasse  a  racco^Mere  sparsum  funem  et  ia-* 
clalum  relium.  Questa  spira  io  ravviserei  nella  correg- 
gia che  si  parte  dalla  spalla  sinistra  del  gladiatore  al 
n.  12  della  tav.  VII,  e  gli  passa  attraverso  del  petto 


congiungondosi  di  poi  alla  fune  della  rete  ,  che  egli 
sostiene  nella  destra.  Il  reziario  nell'  atto  di  lanciar  la 
rete  doveva  avvolgersela  intorno  al  braccio  ,  e  cotal 
maniera  di  servirsi  di  questa  correggia  le  potò  giusta- 
mente far  dare  il  nome  di  spira.  Il  reziario  Gracco 
postquam  vibrata  pendentia  relia  dextra  nequicquam 
effudit ,  fugge  per  lo  spazzo  dell'  arena  ,  ed  in  quella 
fuga  gli  balza  la  spira  pendente  dall'  omero. 

Dato  con  questi  ragguagli  la  propria  significazione 
anche  alla  spira  dei  reziarii  resta  che  entri  a  disputare 
i  simboli  dei  tre  galeri  Pompeiani,  E  già  la  via  è  pre- 
parala alla  interpretazione,  dopocchè  gli  ho  vendicati 
ai  reziari ,  le  armi  dei  quali  erano  la  fiocina  ed  il  gla- 
dio. Codesti  simboli  si  veggono  scolpiti  sul  più  piccolo 
di  tutti ,  certamente  dono  preparato  al  santuario  di 
qualche  nume  ,  forse  Nettuno  ,  al  quale  era  di  vola 
cotal  sorta  di  gladiatori ,  perchè  secondo  Isidoro,  Ne- 
pluno  pugnabal.  Inoltre  sul  prezioso  monumentino  è 
figurata  uua  palma,  ed  una  corona,  premii  ambedue 
solili  dispensarsi  ai  gladiatori  (1),  dippiù  avvi  una 
tavoletta  sospesa  dalla  catenuzza  medesima,  che  regge 
lo  scudetto ,  sopra  la  quale  ripetesi  la  medesima  pal- 
ma e  la  corona  ,  e  si  aggiugne  lo  scritto  RET  SE- 
CVNDI.  Questa  epigrafe,  che  ora  è  facilissimo  ed  ovvio 
di  spiegare  RET/ani  SECVNDI,  cioè  ài  Secondo  Re- 
ziario, aveva  già  una  volta  cagionata  la  spaventevole 
evocazione  di  Ire  maligni  cacodemoni  Rczio,  Relicio, 
e  Relinacio ,  che  sarebbero  stati  nomi  gentili  del  vo- 
tante. Fu  quest'arma  tenuta  così  propria  del  gladiatore 
Reziario ,  che  tal  figura  trovo  aver  data  gli  antichi 
alla  stele  sepolcrale  medesima  di  un  Generoso  Rezia- 
rio ,  dove  siccome  nella  nostra  armatura  pompeiana 
appaiono  scolpiti  dai  due  lati  il  tridente,  ed  il  pugnale, 
fcontinuaj  Garuucci. 

(1)  Lipsie  non  parla  se  non  Ji  palma,  però  la  corona  lo  era  al 
pari,  onde  TerhiUiano  (adv.  Grmst.),  Quantum  illi  et  cruorcs  el 
vibiccs  negolianlur  ,  intcndis;  coronas  scilicet,  el  gloriam  etc. 
e  Irai  monumenli  graffiti  parecchi  esempi!  ne  ho  raccolto.  Bi  pal- 
me e  corone  ci  parla  inoltre  una  gruteriana  (  Grut.  CXXXV,  4). 


P.  Raffaele  Garrccci  o.c.n.G. 
GiLLio  Mi.NEuvisx  —  Editori, 


Jipografìa  di  Giuseppe  Cataneo, 


BILIETTIXO  ARCHEOLOGICO  MPOllTAm 


NUOVA    SERIE 


N.o  14. 


Gennaio  1853. 


Monummli  ciimani.  Scoperte  di  S.  A.  R.  //  Conte  di  Siracusa.— Monete  inedite.— Descrizione  di  alcuni  vasi 
dipinti  del  real  nui^co  Jìorhonico.  Continuazione  del  n.  72. 


Monumenti  cmnani  -  Scoperte  di  S.  A.  R.  il  Conte  di 
Siracusa. 

S.  A.R.  il  Conte  di  Siracusa  D.  Leopoldo  di  Borbone, 
principe  dotato  di  sommo  gusto  nelle  belle  arti,  delle 
quali  è  pure  esimio  cultore ,  sul  cadere  dello  scorso 
anno  intraprese  una  ben  regolala  scavazione  nella  clas- 
sica terra  dell'antica  Cuma  :  la  quale  eseguila  sotto  la 
sua  intelligente  sorveglianza,  con  quella  religiosa  cu- 
ra, che  simili  intraprese  domandano,  ha  dato  il  risul- 
tamenlo  d' interessanti  scoperte.  La  scienza  archeolo- 
gica trova  già  ad  esercitarsi  sopra  nuovi  e  difficili  pro- 
blemi ,  che  richiedono  la  investigazione  de'  dotti.  Né 
si  arrestava  l' eccelso  Personaggio  alla  semplice  dire- 
zione dello  scavamento  :  che  volle  anche  ne  fosse  a 
tutti  gli  amatori  della  classica  antichità  communicata 
la  notizia,  mercè  un  apposito  giornale,  del  quale  affi- 
dava la  cura  al  eh.  signor  Giuseppe  Fiorelli  socio  cor- 
rispondente della  reale  Accademia  Ercolanese. 

Noi  da  questa  pubblicazione ,  della  quale  il  primo 
foglio  ha  già  veduta  la  luce  (l),e  dalle  nostre  proprie 
osservazioni,  che  avemmo  il  destro  di  fare  sugli  ori- 
ginali monumenti ,  per  alto  onore  a  noi  compartito 
dall'  illustre  Possessore,  daremo  prontamente  una  bre- 
ve descrizione  de' monumenti  Onora  rinvenuti.  E  così 
andremo  man  mano  parlando  degli  altri ,  de'  quali  si 
darà  dal  signor  Fiorelli  la  notizia ,  o  che  a  noi  me- 
desimi sarà  conceduto  di  osservare.  Due  sono  i  punti, 
su'  quali  finora  sono  stali  diretti  gli  scavi.  Il  primo  è 
poco  discosto  da'  ruderi  del  cosi  detto  tempio  de'  Gi- 
ganti (  0  tempio  di  Giove  Statore) ,  ove  la  culmina- 

(!)  Monutnenli  antichi  posseduti  da  Sua  Altezza  Reale  il  Conte  di 
Siracusa  —  Napoli  1853  in  J ,  presso  Alberto  Detken  editore. 

Ayiio  I. 


zione  del  suolo  dava  non  pochi  iudizii  di  antiche  fab- 
briche sepolte  dalle  terre. Eflettui lo  in  tal  sito  un  saggio 
di  scavazione,  è  cominciato  a  comparire  un  pubblico 
edifizio, fregiato  di  marmi.e  ricco  di  pregevoli  sculture , 
e  di  architettonici  lavori  di  elegante  stile.che  noi  repu- 
teremmo dell'  epoca  degli  Antonini.  Grandi  pezzi  di 
una  cornice  di  marmo ,  una  lunga  serie  di  colonne 
corintie  del  più  bel  marmo  cipollino,  alcune  intatte, 
alcune  frammentale  o  sfasciate ,  e  varie  statue  anche 
di  marmo, delle  quali  ci  proponiamo  dir  qualche  cosa 
in  altro  nostro  articolo,  ci  danno  chiaro  indizio  della 
esistenza  di  un  edifizio  pubblico,  di  cui  però  senza 
ulteriori  ricerche  ,  non  possiamo  formarci  una  idea 
precisa.  Lo  stato  deplorabile,  in  cui  il  monumento  ci 
è  pervenuto,  non  lascia  la  speranza  di  poterlo  intera- 
mente restaurare  :  e  la  scienza  dovrà  contentarsi  di 
più  o  meno  probabili  divinazioni, quando  tutto  il  cir- 
cuito ne  sarà  messo  all'aperto.  In  due  grandi  pezzi  di 
bianco  marmo,  parte  della  cornice,  si  è  letto  il  prin- 
cipio e  la  fine  di  una  iscrizione,  che  riesce  di  somma 
importanza  per  indagare  la  qualità  dell'edifizio,  a  cui 
era  sovrapposta.  Dice  essa  così  : 

LVCCE ETIS  .  S  .  P 

Se ,  come  speriamo  ,  ci  sarà  dato  di  ritrovare  i  pezzi 
iaterraedii ,  che  mancano  ,  sapremo  qual  fabbrica  fu 
costruita  o  accresciuta  da  un  Lucceio,  oda  variiLuc- 
cei  col  proprio  danaro;  giacche  non  dubitiamo  che 
nelle  sigle  S  .  P  .  debbasi  ravvisare  la  nota  formola 
Sua  Pecunia.  Si  è  raccolta  nello  stesso  luogo  una  pic- 
cola lastra  marmorea,  in  cui  è  scritto 

CN  .  LVCCEIVS  .  CN  .  F  .  GEMEL 
FRATER 

ed  i  frammenti  di  un'  altra 

14 


—  106  — 


LVCCEI .  . , 

A 

come  pure  una  fis(ula  di  piombo  col  marchio 
M  .  BENNI  .  RVFI 
Della  famiglia  Lucccia  ia  Pozzuoli  ha  parlato  lun- 
gamente il  cbiar.  signor  Gervasio,  sostenendo  che  fu 
essa  di  origine  romana  ,  e  forse  discendente  da  quel 
Gneo  Lucceio  amico  di  Bruto,  di  cui  parla  Cicerone 
[ad  Alt.  lib.  XYl.  cpsl.  5):  vedi  Gervasio  m<onio 
alla  iscr.  jmt.  de  Luccci  nel  voi.  7,  delle  memorie 
della  reg.  acc.  Ercol.  pag.  233  e  segg.  11  Sig.  Fio- 
relli  mette  in  dubbio  la  idea  dello  stesso  Sig.  Gervasio 
che  cioè  la  famiglia  dei  Luccei  da  Roma  si  fosse  tras- 
ferita in  Pozzuoli  op.  cil.  p.  2  45  ;  e  bene  a  ragione 
si  avvisa  che  fosse  piuttosto  trapiantata  in  Cuma,.ove 
taute  memorie  de'  Luccei  or  compariscono  ,  e  pub- 
blici edifizii  si  trovano  da  essi  costruiti.  11  signor  Fio- 
relli  paragona  al  M.  Bennius  Rufus  del  piombo  Cu- 
mano  il  M.  Bennio,  che  trovasi  insieme  con  Q.  Cecilio 
rammentato  nel  marmo  de'  Luccei  illustrato  dal  Sig. 
Gervasio.  Ammettendo  molto  interessante  questo  con- 
fronto,presento  alcune  osservazioni, facendone  rilevare 
la  maggiore  importanza.  È  assolutamente  impossibile 
che  il  M.  Bennio  fosse  Console  suffelto  insieme  con  Q. 
Cecilio  Metello  Cretico  Silano  nell'  anno  varroniano 
760,  e  7  dell'era  volgare;  imperciocché  questo  conso- 
lalo sarebbe  in  Agosto,  mentre  nello  slesso  mese  di  A- 
gosto  trovasi  nel  Calendario  Amiternino  un  altro  suf- 
felto ,  vale  a  dire  Lucilio  Longo  (Mommsen  inscr.  r. 
neap.  lai.  n.  5730).  Sicché  se  que'due  magistrati  fos- 
sero Consoli ,  esser  dovrebbero  entrambi  sulTetli  di 
un  altro  anno.  Or  la  scoperta  di  un  M.  Bennio  Rufo 
ne'  piombi  di  Cuma ,  dà  maggiore  appoggio  al  no- 
stro sospetto  che  quel  Q.  Cecilio ,  e  quel  M.  Bennio 
messi  in  fronte  della  iscrizione  de' Luccei  non  fossero 
Consoli ,  ma  duumviri.  Né  riuscirà  nuovo  il  vedere 
indicala  l' epoca  in  un  municipio  da  magistrati  mu- 
nicipali ,  piuttosto  che  da'  Consoli  di  Roma.  Talvolta 
li  troviamo  insieme  co'  Consoli ,  come  nella  lapida 
Capuana  di  P.  Rammio  Creslo  pubblicala  in  questo 
Bullettino  p.  88,  ove  si  ricordano  pure  gli  Edili.  Del 
resto  ha  osservato  il  dottissimo  Borghesi  che ,  quan- 
tunque di  rado,  trovasi  indicata  la  data  da' duumvi- 


ri da'  quatuorviri ,  o  da  altri  magistrati  municipali 
(v.  Furlanelto  lapidi  del  museo  di  Este  pag.  13).  Rie- 
sce adunque  probabile  che  il  Q.  Cecilio ,  ed  il  M. 
Bennio  siano  duumviri  Cumani ,  ora  principalmente 
che  uno  de'  due  trova  il  confronto  nel  M.  Bennio  del 
piombo  di  Cuma(l).  Sicché  ammessa  la  idea  che  que' 
magistrati  non  fossero  Consoli ,  ma  duumviri ,  resta 
indubitato  che  quel  marmo  de'  Luccei  proviene  da  Cu- 
ma e  non  da  Pozzuoli  (2) ,  e  che  va  ad  accrescere  le 
memorie  ora  venule  alla  luce  per  le  ricerche  di  S.  A. 
R.  il  Conte  di  Siracusa. 

Passo  alla  seconda  classica  scoperta ,  la  quale  ci 
presenta  una  novità  flnora  rimasta  senza  sufficiente 
spiegazione.  In  un  terreno  alquanto  discosto  dal  sito 
dello  scavo  sopra  descritto,  si  è  fatta  ricerca  di  tom- 
be romane.  Tralasciando  di  parlare  di  poco  interes- 
santi ritrovamenti,  dirò  solo  di  una  fra  le  suddette  tom- 
be, che  ha  offerto  la  novità  sopra  annunziata.  La  par- 
te superiore  di  questo  sepolcro,  quasi  tutta  di  costru- 
zione laterizia  ,  si  eleva  alquanto  fra  gli  altri  ;  la  in- 
feriore rimane  al  di  sotto  del  piano  della  strada  cir- 
ca pai.  12  napolitani.  Noi  ne  diamo  la  descrizione  qua- 
si colle  parole  medesime  del  signor  Fiorelli,  ch'ebbe 
tutto  r  agio  di  esaminarla.  Questa  cella ,  di  figura  ret- 
tangolare ed  a  volta  con  le  interne  pareti  ricoperte  di 
semplice  intonico  bianco  ordinario ,  oltre  i  soliti  lo- 
culi ed  una  rozza  cornice ,  sovra  cui  stavano  disposti 
diversi  unguentarii  di  argilla  ,  lucerne  ed  olle  ripiene 
di  ceneri  ed  ossa  ,  aveva  una  picciola  ed  angusta  por- 
ta fabbricata  con  grosse  tegole  ,  che  ne  vietavano  l'in- 
gresso. Inoltre  addossati  a  tre  delle  pareti  slavano  a 
guisa  di  triclinio  grandi  massi  di  fabbrica  ,  sovra  cia- 
scuno de' quali  era  sparsa  molta  cenere  o  arena  sotti- 
lissima ,  e  vi  si  adagiava  un  cadavere  ;  quello  a  sini- 
stra dell'  ingresso  ne  avea  però  due.  Erano  nella  tom- 
ba sei  vasetti  di  vetro  colorato  ,  un  vasetto  cilindrico, 
con  atramenlo  conservato  nel  fondo,  ed  altri  oggetti, 

(t)  Dimostrerò  in  alira  occasione  che  i  nomi  segnati  su'  condot- 
ti di  piombo  non  sono  riferibili  alle  officine ,  ma  sibbene  a'  padro- 
ni de'  differenti  canali  dì  acqua ,  i  cui  tronchi  percorrevano  fondi 
di  diversi  proprictarii.  Ecco  perdio  vi  si  leggono  i  nomi  de'  più 
ragguardevoli  personaggi,  ed  anche  lalvolla  degl' Imperatori. 

(-2)  Questa  ò  pure  la  opinione  del  sig.  Mommsen  inscr.  r.  neap. 
neir  indice  p.  4C2. 


—  107  — 


de' quali  parleremo  in  appresso.  Vi  si  Irovù  pure  una 
inouela  di  bronzo  di  Diocleziano.  Ninno  de' (piallro 
sclieleiri  aveva  il  cranio:  ma  due  di  essi,  quelli  giacenti 
a  sinistra  dello  ingresso,  avevano  le  intere  leste  di  cera 
con  tutto  il  collo,  gli  ocelli  di  vetro.  Non  può  giudi- 
carsi con  certezza,  se  gli  altri  scheletri  avessero  avuto 
simili  teste;  non  essendosene  trovata  alcuna  traccia  fra' 
residui  di  ossa,  e  di  cenere  ;  abbeneliè  in  essi  mancas- 
se poi  totalmente  il  cranio. 

Sua  Altezza  Reale ,  che  entrò  il  primo  nella  tom- 
ba ,  ben  si  avvide  che  delle  due  teste  l' una  fosse  vi- 
rile ,  e  l'altra  muliebre  ,  e  che  la  prima  stesse  un  po- 
co inchinata  verso  l' oriente  :  ma  per  quanta  diligen- 
za si  usasse  a  conservarle  entrambe ,  non  fu  possibile 
raccoglierne  intera  che  una  sola;  mentre  l'altra  ap- 
pena tocca  s'infranse  in  minutissimi  pezzi.  Invitato 
dall'illustie  possessore  ebl>i  l'agio  di  fare  le  mie  os- 
servazioni su  queste  fragili  teste  scampate  alla  mano 
distruggitrice  di  circa  sedici  secoli.  11  Comm.  Qua- 
ranta ,  mio  eh.  collega  ,  die  sollecitamente  notizia  di 
si  curiosa  scoperta  alla  reale  Accademia  Ercolanese, 
comunicando  le  sue  conghiellure  su  questo  nuovo 


)(  Protome  di  cavallo  a  destra  con  redina  sul  collo, 
intorno  la  epigrafe  •  •  lA  IH.H  lAAIS  Ae.  Vedi 
la  tav.  IV.  n.  9. 

2.  Gli  stessi  tipi.  Dalla  parte  del  leone  non  appa- 
risce alTatto  la  epigrafe,  dalla  parte  della  protome dr 
cavallo  si  legge  IAA19.  La  moneta  apparisce  più  pic- 
cola della  precedente.        Ae.  Vedi  tav.  IV.  n.  10. 

3.  Altro  esemplare  delia  medesima  grandezza.  Da 
un  lato  son  tracce  della  iscrizione  •  •  iAI  •  •  •  Dall'al- 
tro si  legge  lAAia         Ae.  Tav.  IV.  n.  11. 

4-.  Testa  imberbe  galeata  a  destra 

)(  Grappolo,  a  sinistra  APPANOY,  nel  campo  XA 
Ae.  Tav.  IV.  n.  12. 

Le  tre  monete  in  primo  luogo  descritte  sono  evi- 
dentemente le  stesse  ,  colla  differenza  sollanlo  della 
maggiore  o  minore  grandezza  ,  proveniente  forse  dal- 
l'essere nelle  due  più  piccole  consumato  alquanto  il 
giro.  Son  tutte  tre  notevoli  per  la  fabbrica  rozza  e  ne- 
gletta ,  che  non  crediamo  doversi  attribuire  a  greca 
arte  ,  ma  sibbene  ad  arte  epicoria  di  epoca  abbastan- 
za remota.  La  faccia,  che  a  noi  offre  il  leone,  in  una 
delle  tre  è  contrassegnata  dalla  epigrafe  ITAIT,  eh'  è 


fatto  archeologico.  Ed  ora  mi  gode  l'animo  di  annun-     certamente  retrograda  ,  e  ci  addita  il  nome  dell'  ap- 


ziare  che  l' eccelso  Scopritore  bramando  che  se  ne  i- 
stiluisse  lo  studio  da  tulli  gl'investigatori  delle  anti- 
chità ,  ha  fatto  dono  delle  due  teste  al  Real  Museo 
Borbonico,  ove  già  si  trovano,  ed  ove  saran  Ira  poco 
collocale  in  modo  da  potersi  esaminare  da'  dotti  e  da' 
curiosi.  Salvo  ad  entrare  in  più  minuti  particolari , 
mi  piace  per  ora  di  paragonare  il  costume  di  queste 
teste  di  cera  coli' uso  de' Persiani  e  degli  Sciti,  segui- 
to anche  talvolta  da' Greci,  di  covrir  di  cera  i  cada- 
veri de'  loro  morti ,  per  renderli  più  durevoli  (  Vedi 
Herod.  lib.  I,  e.  140 ,  et  lib.  IV,  e.  71  ;  Strab.  lib. 
XV.  p.  735  Gas.,  Cicer.  Tusc.  disp.  I,  45;  Cora, 
Nep.  Agesil.  in  fln.  Cf.  Brisson.  de  regno  Penar,  lib. 
IL  e.  CCLI). 

(continua)  Mimervini. 

Monete  inedile. 

1.  Leone  gradiente  a  sinistra  con  lingua  di  fuori , 
sotto  a' piedi  una  hnea ,  sopra  ITAlT 


pula  città  di  TIATI.  È  la  prima  volta  che  comparisce 
la  epigrafe  retrograda  nelle  monete  di  Tiali  ;  giacché 
vedesi  sempre  diritta  in  quelle  finora  conosciute (Mion- 
net  descr.  fom.  1.  p.  105  s.  ;  suppl.  tom.  1.  p.  218 
seg.  ;  Friediaender  oshischen  Milnzen  tav.  VI  e  VII; 
CareHi  lahulae  lab.  LXXXVII,  1-18;  cf.  p.  33  edit. 
Lipsiae  ).  Questa  particolarità  potrebbe,  a  nostro  giu- 
dizio ,  far  riportare  la  medaglia  ad  epoca  più  antica: 
ma  non  crediamo  che  possa  desumersene  un  argomen- 
to per  favorire  la  opinion  di  coloro  ,  che  attribuiron 
le  medaglie  colla  epigrafe  TIATI  a  Teale  de'  Marru- 
cini;  e  noi  senza  alcun  dubbio  riteniamo  simili  mo- 
nete di  appula  provenienza  ,  secondo  la  opinione  del 
Giovenazzi  e  dell'  Avellino  ,  invano  contrastala  da  al- 
tri (  Vedi  la  nostra  memoria  sulle  medaglie  di  Dalvon 
p.  7  not.  1 .  Si  legga  pure  il  sig.  Friediaender  oskisch. 
Miinzen  p.  47  e  scgg.  ;  ed  il  eh.  Mommsen  Vnleri- 
tal.  DialelU.  p.  301  ).  Che  se  taluno  ad  osca  ortogra- 
fia riferir  volesse  la  iscrizione  retrograda  ,  potrebbe 
in  ciò  trovar  qualche  appoggio  la  ingegnosa  con jhiel- 


—  108  - 


Inra  del  Mommsen  che  alla  stessa  Teafe  Appula  at- 
tribuisce origiue  Sannilica ,  non  altrimenti  die  alla 
Teate  de'Marrucini,  ed  a  Teano  Sidicino  (tscr.  messo;). 
]).  61  segg.  ).  Tornando  alla  nostra  medaglia ,  avver- 
tiamo che  il  lipo  del  leone  s'è  incontrato  nella  numi- 
smalica  di  Teate  (Carelli  tab.  LXXXVII  num.  9-10; 
Friediaender  (ah.  VII  n.  13);  sicché  non  merita  par- 
ticolar  considerazione. 

Se  la  nostra  moneta  si  appalesa  importantissima  per 
r  antica  e  rozza  fabbrica  ,  e  per  la  epigrafe  retrogra- 
da ,  acquista  però  maggiore  interesse ,  quando  se  ne 
pone  a  disamina  l' altra  faccia.  A  raggiungere  la  pie- 
na intelligenza  di  questo  lato  della  medaglia,  sarà  ne- 
cessario determinare  la  lunga  leggenda  ,  che  visi  os- 
serva. Paragonando  fra  loro  i  tre  esemplari,  non  può 
dubitarsi  che  la  prima  voce  va  letta  BIAAI.  Maggiori 
(lifEcollà  s' incontrano  nella  lettura  della  seconda  vo- 
ce ,  nella  quale  a  me  sembra  doversi  riconoscere  il 
nome  di  un'  altra  città  :  e  questa  dagli  elementi  tutto- 
ra esistenti  altra  non  potrà  essere  che  HARPAI  •  ■  • , 
ovvero  l-APPANOY  frdr.J.  Di  fatti  la  distanza ,  che 
intercede  fra  l'asta  dimezzata,  che  costituisce  il  quarto 
elemento  di  quella  parola ,  e  l' A  di  cui  rimangono 
iti  seguilo  le  tracce,  è  troppo  grande  per  non  farci  sup- 
j)orre  che  fosse  occupata  da  un'  altra  linea ,  la  quale 
non  dovea  passare  la  metà  della  linea  precedente.  Que- 
ste condizioni  ritrovansi  nella  sola  P  di  arcaica  for- 
ma ,  come  da  noi  venne  supplita.  Né  si  dica  un  osta- 
colo il  finimento  hARflAI  •  •  •  •  ;  imperciocché  noi  ri- 
leniamo che  il  resto  del  N  sia  rimaso  consunto  dal 
tempo  ,  non  altrimenti  che  l'asta  esteriore  delBèri- 
masa  perfettamente  disfrutta  nel  sito  corrispondente 
all'  altra  estremità  della  epigrafe,  ove  ognuno  legge- 
rebbe IAAIs;  ,  senza  il  confronto  delle  altre  due  me- 
daglie ,  che  ci  danno  chiaramente  BIAAl  frelr.J.  Ri- 
tenuto dunque  che  la  iscrizione  ci  fornisca  il  nome  di 
Arpi ,  se  ne  spiegano  assai  bene  tutte  le  particolarità, 
ili  rapporto  di  una  tale  attribuzione.  Prima  di  tutto 
nel  BIAAI  noi  riconosciamo  un  nome  di  magistrato 
in  dialetto  messapico  simile  al  ITOTAAI  di  altre  ar- 
pane  medaglie  (Mommsen  unleril.  Dial.  p.  80),  che 
in  altra  moneta  fu  letto  ancora  IlTAAAl  (  Reynier 
l)ri!d$  iV  une  coUeclion  de  medailles  p.  2G  ).  E  qui  os- 


servo che  forse  il  BIAAl  ha  una  origine  non  diversa 
dal  BllATAJ  della  iscrizione  di  Ostuni  (  Mommsen 
iscr  mess.  p.  80  e  86  ;  e  unleril.  Dial.  p.  74  ).  Non 
vogliamo  però  richiamare  a  confrontoii  nome  BI AIAS 
di  una  iscrizione  di  Oria  (Mommsen  uni.  Dial.  taf. 
Ili  Oria  n.  5  )  ;  abbeuchè  non  sappiamo  se  vada  in 
essa  letto  BIAlAS  ,  per  un  facilissimo  scambio  fra  il 
A  ed  il  A. 

Non  dee  poi  recar  maraviglia  quella  specie  di  di- 
gamma premesso  al  nome  di  Arpi  ;  giacché  una  si- 
mile aspirazione  trovasi  frequentemente  usata  da'po- 
poli  della  Messapia  ,  anche  nel  mezzo  delle  parole: 
senza  dire  che  può  attribuirsi  all'  arcaismo  della  epi- 
grafe ;  al  che  va  pur  riferita  la  circostanza  della  leg- 
genda retrograda  ,  e  delja  forma  del  R  (1) ,  cose  tut- 
te che  occorrono  non  di  rado  nella  numismatica  di 
Arpi  (  Avellino  opusc.  t.  Ili  tav.  7  fig.  4.  p.  98;  Mil- 
lingen  recueil  p.  17  tav.  Il  fig.  1  ;  Fiorelli  monche  med. 
tav.  I  n.4  p.  4;  Carelli  tab.  XC,  Sedit.  Lipsiae;  Rey- 
nier précis  d'une  co/Zect. p.26).  Né  è  da  omettere  la  me- 
daglia con  tipi  campani,  e  con  la  epigrafe  SONAH^A 
verificala  dal  cav.  Avellino  [opusc.  tom.  I  p.  151,11 
p.  27  ;  adnol.  in  Carell.  p.  8  );  checché  ne  dica  altri 
in  contrario  (Mommsen  iscr.  messap.  p.  52 noi.  l,ed 
Annali  dell'  Insl.  tom.  XX  p.  108).  Oltre  le  cose  fi- 
nora esposte  ,  ben  si  conviene  ad  Arpi  il  tipo  della 
protome  di  cavallo ,  comune  con  la  numismatica  di 
Ascoli,  avuto  riguardo  alla  sua  mitica  appellazione  di 
"ApyciS  (Wfov  (Strab.  geogr.  lib.  VI  pag.  283  in  f.; 
Plin.  h.  n.  hb.  Ili  eli;  Scrv.  ad  Virg.  Aen.  lib. 
Vili  V.  9  Klausen  Aeneas  und  die  Penai.  II  p.  1 173);  a 
cui  fa  confronto  il  tipo  del  cavallo  corrente  nelle  mone- 
te di  argento  (Eckhel  doclr.t.  1  p.  140;  num.  vel.  p.  29; 
Cavedoni  spicil.  num.  p.  15).  Se  tutte  le  considera- 
zioni ci  portano  a  determinar  per  arpana  questa  fac- 
cia della  medaglia  ,  di  che  sliam  ragionando  ;  altre 
non  meno  gravi  ci  vietano  di  supporre  che  fosse  nel- 
la lunga  leggenda  un  doppio  nome  di  magistrato ,  e 
che  perciò  la  moneta  fosse  da  attribuire  alla  sola  cit- 
tà di  Tiali.  In  questa  ipolesi  non  potrebbe  spiegarsi 


(I)  Il  Sig.  Mommson  soi^pt'lta  ncconnarsi  all'  alfabeto  mcssopico 
dal  U  in  monde  di  Arpi:  iscr.  mess.  p.  G5. 


—  100  — 


come  parole  in  messapico  dialedo  s'incontrino  in  Tea- 
no apulo  ,  nella  cui  nuniisnialica  non  ve  n  è  traccia 
finora  ,  ed  ove  non  c'è  dalo  por  argomenti  storici  di 
riconoscere  popoli  messapici.  Insolito  è  il  veder  nonif 
di  magistrati  nelle  medaglie  di  Teate  :  insolita  è  la 
mancanza  de' globuli ,  che  costituisce  una  principale 
particolarità  del  sistema  monetario  di  quella  città.  E 
quantunque  queste  due  ultime  opposizioni  poliebbe- 
ro  dileguarsi ,  supponendo  un  diverso  sistema  nella 
monetazione  di  epoca  più  aulica,  pure  resterebbe  (piel- 
]a  del  messapico  dialetto ,  die  a  noi  sembra  forlissi- 
ma  ;  senza  dire  che  l'unica  lezione  ammes-;il;ile  è  (juel- 
la  da  noi  proposta,  e  che  non  può  altra  riputarsi  pro- 
babile senza  un'  arbitraria  interpretazione. 

Sicché  per  tutte  le  ragioni  siamo  indotti  a  ricono- 
scere nel  bronzo,  di  che  favelliamo,  una  moneta  bat- 
tuta in  Arpi ,  col  nome  di  un  Arpano  magistrato  ,  e 
destinata  a  celebrare  un'alleanza  colla  vicina  Teale. 
Non  potrà  certamente  destar  maraviglia  una  federa- 
zione fra  due  popoli  vicini ,  che  da  epoca  antichissi- 
ma aver  doveano  fra  loro  strettissima  relazione.  Ed  ■ 
a  questo  proposito  mi  piace  di  ricordare  le  non  poche 
medaglie  di  Lucerà  ,  nelle  quali  vedcsi  1'  U  arcaico 
accoppiato  in  nesso  col  T:  ed  in  questa  unione  già  da 
molti  anni  addietro  il  mio  egregio  amico  Sig.  Onofrio 
Bonghi  riconobbe  una  federazione  tra  Luceria  e  Tea- 
te (vedi  Reynicr  prccis  d'une  colhct.  de  medailles  p. 
13  n.  3.).  Nella  quale  idea  incontrossi  non  ha  guari 
il  eh.  Fiorelli  fmon.  ined.  dell'  hai.  ant.  p.  2o).  sen- 
za che  avesse  in  mente  la  opinione  del  sig.  Bonghi. 
Anche  il  Sig.  Riccio  osserva  in  appoggio  di  questa 
attribuzione  cli'ei  possiede  una  medaglia  di  Tiali  con 
rU  nel  campo  a  dritta  della  civetta  [nion.  di  Lucei ia 
p.  21  ).  Debbo  non  pertanto  avvertire  che  l' Avelli- 
no, nel. pubblicare  simili  monetine  con  TU  non  pen- 
sa che  a  Lucerà  fsupp.  ad  hai.  vel.  niim.  p.  2o  ,  e 
real  mus.  Borh.  toni.  Ili  tav.  32  n.  Gj:  ed  il  eh.  Ca- 
vedoni  fu  di  parere  che  quelle  due  lettere  fossero  le 
iniziali  di  iva  romano  mngisiralo  come  Lucius  Teren- 
ìins ,  o  s'mi!».'  fliulkt.  ardi.  nap.  an.  IFp.  !  0.3).  Con- 
fesso che  l'aniìno  mio  inclina  più  alla  idea  della  fe- 
derazioBo;  ed  in  tale  caso  avremmo  un  altro  esem- 
pio di  alleanza  nella  medesima  Apulia ,  abbenchè  si 


tratti  di  epoca  posteriore.  Noi  ignoriamo  affatto  la  sto- 
ria di  Arpi  e  di  Teale  ne' più  remoti  tempi ,  e  non 
ne  sappiamo  ,  se  non  rpianto  si  collega  collt?  guerre 
sannitichc  sostenute  da' Roniam".  Gli  Apuli  nel  429 
stringono  amistà  co'  Romani  |)er  la  seconda  guerra 
contro  i  Sanniti  :  Lucani  aUjue  Apuli,  dice  Livio  qui- 
bus  genlibus  nihil  ad  eam  dinn  rum  Romano  poputo 
fuerat ,  in  fidcm  vcncrunl  (Lib.  Vili  e.  2!)).  E  se  po- 
steriormente parteggiano  pe' Sanniti  contro  i  Romani, 
egli  è  perchè  i  Sanniti  ne  avevano  occupate  non  pD- 
che  città ,  traile  quali  Teate  e  Luceria  (Id.  lib.  IX  e. 
2  e  13).  Questo  fu  certamente  il  motivo,  che  mosse 
gli  Arpani  ad  ajulare  i  Romani ,  e  rompere  ogni  al- 
leanza con  gli  Ajuili  :  Samnilium  magis  injuriis  et 
odio,  quam  beneficio  ìdlo  popidi  Romani  (lib.  IX  ,  e. 
13).  Non  può  dun(|ue  dedursi  dalla  ostilità  degli  .\r- 
pani  contro  gli  Apuli  nel  i33  alcun  argomento  con- 
tro una  loro  precedente  alleanza  co' popoli  di  Apulia, 
e  segnatamente  con  la  città  di  Teate.  Se  questa  fede- 
razione sorge  evidente  dalla  moneta  da  me  pubblica- 
ta ,  se  ne  potrà  ricavare  un  novello  argomento  a  so- 
stegno dell'attribuzione  a'  Teanenscs  Apidi  delle  me- 
daglie colla  iscrizione  Tiali  ;  giacché  quei  di  Ar|)i  me- 
glio avrebbero  fatta  allenza  con  una  città  della  vici- 
na Apulia  ,  che  con  alira  |tiù  lontana  de'  Marrucini. 
Poche  parole  aggiugniamo  sulla  monetina  di  Arpi 
riportata  nel  n.  12  della  nostra  tav.  IV',  che  appar- 
tiene al  collega  (jarrucei.  Lo  stile  n'è  bello  ;  i  tipi 
sono  già  conosciuti;  e  noi  abbiam  creduto  opportuno 
di  riferirla,  a  causa  del  nessodiAP  nella  epigrafe,  co- 
me pure  pel  nuovo  nome  di  magistrato  XApix>.r;; , 
XAp(^r,fjios ,  0  altro  di  simile  cominclamenlo. 

Ml.NERVIM. 


Descrizione  di  alcuni  vasi  dipinli  del  real  muaeo  Bor- 
bonico. Continuazione  del  n.  /2. 

Degna  di  non  poca  considerazione  si  mostra  pur 
r  altra  fiiccia  di  questa  stupenda  stoviglia.  L' orlo  è 
fiegiato  de'  medesimi  ornamenti ,  che  miransi  dall'al- 
tro la!o  ;  apparisce  egualmente  un  giro  di  ovoli ,  un 


—  no  - 


ramo  con  foglie  e  fiori ,  ed  un  altro  giro  di  marine 
onde.  Il  collo  ci  presenta  nella  parte  superiore  un  ra- 
mo di  edera  con  foglie  e  corimbi ,  nella  parte  inferio- 
re una  bacchica  scena.  Vedesi  nel  mezzo  un  giallo  la- 
bro, a  cui  si  appoggia  incrociando  le  gambe  un  gio- 
vine Satiro  con  cavallina  coda,  e  bianca  tenia  che  gli 
circonda  il  capo  :  colla  destra  tiene  la  patera  ,  da  cui 
sorgono  due  ramoscelli  ;  colla  sinistra  un  ramo,  a  cui 
è  sospesa  una  gialla  benda.  Presso  la  vasca  è  a  sini- 
stra una  donna  con  lunga  tunica  ,  ampyx,  e  calzari , 
che  tien  colla  destra  un  tirso  con  lunga  tenia  penden- 
te ,  e  colla  sinistra  un  timpano. 

Dall'  altro  Iato  della  vasca  sono  tre  figure:  un  gio- 
vine nudo,  con  bianca  tenia  che  ne  cinge  la  fronte, 
siede  sulla  sua  clamide,  e  tenendo  colla  destra  il  tir- 
so volgesi  indietro  a  guardare  verso  una  donna  vesti- 
ta come  la  precedentemente  descritta ,  e  fregiata  di 
femminili  ornamenti  ;  questa  cammina  a  destra,  e  tien 
colla  dritta  una  lunga  tenia ,  colla  sinistra  una  pate- 
ra da  cui  escono  due  ramuscelli.  Compie  la  scena  un 
giovine  Salirò  ,  con  coda  ,  tutto  nudo  ,  e  pur  cinto  di 
bianca  benda  :  egli  siede  a  sinistra  sopra  di  un  sasso, 
tenendo  colla  destra  un  giallo  cantharos ,  colla  man- 
ca il  tirso. 

Sul  cominciar  della  pancia  vedesi  un  ordine  di  pal- 
mette  e  caulicoli ,  e  più  in  giù  un  giro  di  ovoli.  Mi- 
rasi poi  una  complicata  rappresentazione  ,  distinta  in 
due  ordini  uno  superiore  e  l' altro  inferiore.  Nel  su- 
periore appare  in  mezzo  un  heroon  di  grandi  dimen- 
sioni ,  e  dipinto  di  bianco  misto  di  giallo  ;  è  questo 
sostenuto  da  due  joniche  colonne  di  sveltissime  pro- 
porzioni :  sopra  è  una  cornice  liscia  con  fastigio  trian- 
golare ornalo  ne'  tre  angoli  da  gialle  palmelte.  Nel 
basamento  è  una  linea  di  meandro  ad  onda,  e  poi  un 
plinto.  Figurano  sospese  al  soffitto  dell'  heroon  due 
gialle  ruote  ,  uno  scudo  rotondo,  ed  un  pileo  acumi- 
nato. Presso  la  edicola  sepolcrale  sono  effigiate  tre  fi- 
gure :  un  uomo  di  fresca  vecchiezza ,  inviluppalo  nel 
suo  mantello  ,  siede  sopra  sedia  a  spalliera,  poggian- 
do i  piedi  sopra  un  suppedaneo  ;  egli  poggia  la  sini- 
stra ad  un  rosso  bastone  ,  e  stende  la  destra ,  con  cui 
sostiene  una  patera.  A  lui  d'innanzi  presentasi  un 
giovine  con  clamide ,  che  si  attiene  ad  un'  asta  e  sten- 


de la  sinistra  verso  1'  uomo  sedente.  Finalmente  ve- 
desi un  giovinetto  di  più  piccole  dimensioni ,  che  re- 
ca la  ocnochoe.  Tutte  queste  figure  ,  ed  i  loro  abbi- 
gliamenti, come  pure  le  armi,  sono  dipinte  di  bianco; 
siccome  frequenlissimamente  n'è  dato  di  osservare  in 
somiglianti  ra|)prcsentazioni,  che  veggonsi  presso  le 
edicole  sepolcrali  ne' vasi  dipinti  (I).  A' due  lati  del- 
l'/leroon  son  molte  figure  con  dilferenli  simboli.  A 
destra  è  im  giovine  nudo  con  gialla  tenia  al  capo  se- 
dendo a  destra  sulla  sua  clamide  ,  ei  tiene  un  bastone 
e  la  patera,  da  cui  pende  una  gialla  tenia.  A  lui  din- 
nanzi è  una  donna  con  tunica  orlala ,  cui  si  sovrap- 
pone un  imatio ,  e  fregiala  di  ampyx  e  di  altri  fem- 
minili ornamenti ,  la  quale  eleva  colla  destra  un'am- 
pia corona  ,  colla  sinistra  il  flabello  :  sotto  è  nel  cam- 
po una  tenia.  Più  in  giù  è  un'  altra  donna  similmen- 
te vestita  ,  ma  la  tunica  non  è  orlata  :  questa  siede  a 
sinistra  volgendosi  a  destra  ;  colla  manca  tiene  una 
cassetta  aperta  ,  e  colla  destra  il  simbolico  cleis.  Si 
volge  costei  ad  un  giovine  con  clamide  e  corona,  che 
-  tien  colla  destra  un  festone ,  colla  sinistra  il  bastone: 
dietro  è  pur  nel  campo  sospesa  una  tenia.  Dall'  altro 
lato  dell'  heroon  son  pure  quattro  figure.   Sopra  vedi 
una  donna  con  vesti  simili  alla  precedente  ;  questa, 
tenendo  un  ramo  di  vite  e  cassa ,  volgesi  ad  un  gio- 
vine nudo  con  calzari ,  e  tenia  che  ne  circonda  la  te- 
sta, il  quale  siede  sulla  sua  clamide  tenendo  colla  si- 
nistra una  corona  con  tenia  che  ne  discende ,  e  colla 
destra  il  doppio  giavellotto.  Sotto  colle  spalle  rivolte 
a]l' heroon,  a  cui  è  vicino,  siede  un  maestoso  vecchio 
con  folta  chioma  e  barba,  ch'esser  doveano  in  origi- 
ne segnate  di  bianco  ;  questi  mostra  la  sola  apertura 
delle  ciglia  appalesandosi  cieco  ,  non  altrimenti  che 
nelle  immagini  del  tebano  Tiresia ,  ed  in  altre  figure, 
di  cui  si  addita  la  cecità  (vedi  Raoul-Rochette  leltr. 
arch.  p,  170:  vedi  pure  un  magnifico  esempio  nel  vaso 
di  Pisticci  da  me  pubblicalo  nel  bull.  arch.  nap.  an. 
1  p.  101  lav.  V).  L'ampio  pallio,  in  cui  si  ravvolge 
il  nostro  cieco  vegliardo,  ne  lascia  nudo  il  petto:  egli 

(1)  Sembra  probabile  che  siasi  con  questo  ùnico  colore  voluto 
figurare  bassirilievi  di  marmo  all'esterno  del  monuinenlo,  piutto- 
sto che  immagini  dipinte:  vedi  ciò  che  dicemmo  nel  bull,  arch- 
nap-  an.  Il  p.  95. 


—  HI  — 


siede  a  sinisira  incrociando  le  gambe  munite  di  calza- 
ri, e  tien  colla  destra  la  lira  poggiala  sulle  ginocchia, 
mentre  colla  sinisira  si  attiene  ad  un  lungo  bastone.  A 
lui  si  appressa  una  donna  recando  con  ambe  le  mani 
un  gran  vaso  a  due  manichi,  con  ornamenti  di  nero. 

Neil'  ordine  inferiore  si  scorgono  cinque  nudi  gio- 
vani :  il  primo  siede  a  destra  sulla  sua  clamide,  guar- 
dando a  sinistra  ,  si  appoggia  allo  scudo  .  e  tiene  il 
doppio  giavellotto.  Il  secondo  avvolto  nella  clamide 
solleva  alquanto  il  destro  piede ,  tenendo  il  doppio 
giavellotto  e  l' elmo  acuminato  :  il  terzo  siede  sulla 
clamide  appoggiandosi  allo  scudo ,  e  tiene  una  cas- 
setta con  tenia  pendente.  Il  quarto  stringe  l' asta  ;  e 
r  ultimo  ,  col  capo  circondato  di  gialla  benda  ,  tiene 
una  corona  ed  un  grappolo.  Sotto  è  in  giro  un  mean- 
dro. Sotto  a' manichi  sono  complicatissime  palmette; 
e  sul  piede  tutto  nero  è  un  ramo ,  che  par  di  lam- 
brusca. 

Farmi  che  tutte  le  figure ,  che  circondano  l' he- 
rooH ,  non  siano  già  intente  a  funebri  offerte  ,  sicco- 
me generalmente  si  credono.  Esse  si  veggono  mu- 
nite di  mistici  attributi ,  quali  sono  il  ramo  di  vite, 
il  grappolo,  lo  cleis ,  ]a  pyxis  ed  altrettali;  su' quali 
è  a  vedere  ciò  che  scrive  il  Millingen  negli  annali 
dell'  Ist.  1843  p.  91  e  segg.  A  che  dunque  alludono 
tutte  quelle  figure ,  non  solo  nel  nostro  vaso;  ma  an- 
che in  altri,  ove  tanto  spesso  si  ripetono  intorno  alle 
edicole  sepolcrali  ?  A  mio  giudizio  ,  non  possono  ge- 
neralmente riputarsi  immagini  di  uomini  viventi,  ma 
di  personaggi  trasferiti  ad  abitare  nel  regno  delle  om- 
bre. In  fatti  i  nudi  giovani  con  bastoni  or  sedenti ,  ed 
ora  incrociando  le  gambe,  le  gialle  tenie,  di  cui  so- 
vente cingono  il  capo,  menano  alla  idea  di  anime  pas- 
sate neir  Orco,  mercè  l'onor  del  sepolcro.  Ecco  per- 
chè si  mirano  intorno  ad  una  tomba  ,  che  ne  addita 
la  funebre  relazione  di  quelle  figure.  Così  spesso  veg- 
giamo  un  mitico  avvenimento  da  un  lato  ,  e  dall'  al- 
tro una  scena  del,  mondo  inferiore ,  che  più  o  me- 
no si  collega  con  quello.  Nel  nostro  vaso  da  un  lato 
miri  la  pira  di  Patroclo  ,  Achille  ed  i  Mirniidoni  ,  e 
molle  donne  che  assistono  a' funebri  ufficii  ;  dall'altro 
lato  è  una  tomba  ,  ed  efebi ,  e  donne,  e  guerrieri,  non 
già  nelle  altitudini  di  onorare  un  defualo  ,  ma  sibbe- 


ne  in  altre  posizioni  tutte  particolari ,  e  con  tali  sim- 
boli ,  che  accennano  al  riposo  della  vita  dopo  le  loro 
forti  e  virtuose  operazioni  :  e  non  sarà  fuor  di  propo- 
sito immaginare  che  siensi  fìguiali  da  questo  lato  nel- 
l'ordine inferiore  gli  stessi  omerici  eroi,  che  figurano 
in  parte  dall'altro,  gli  stessi  Mirmidoni,  che  ci  pre- 
sentano somiglianti  le  armature.  Ou<'sta  idea  che  trat- 
tisi di  eroi  imagiuali  nell'Orco,  dopo  la  iniziazione 
fatti  degni  de'  godimenti  dell'  Elisio  ,  si  conferma  per 
la  rappresentanza  del  collo  ;  la  quale  ci  offre  Satiri  in 
unione  di  Baccanti  ,  facendo  dionisiache  libazioni , 
presso  ad  una  vasca  simbolo  notissimo  di  purificazio- 
ne; cose  tutte  che  evidentemente  accennano  a'miste- 
rii  dionisiaci ,  tanto  divulgati ,  e  de'  quali  trovansi  si- 
cure allusioni  ne'  vasi  di  appula  provenienza. Fra  tutte 
le  figure  effigiate  intorno  aWheroon  la  piìi  notevole  è 
quella  del  cieco  vegliardo  sedente  colla  sua  lira  e  col 
suo  bastone.  Io  non  dubito  affatto  che  debbasi  in  essa 
ravvisare  Omero,  il  poeta  della  Iliade,  quello  stesso, 
che  ha  cantate  le  gesta  di  Patroclo ,  e  di  Achille  ,  e 
che  ha  narrato  colla  sua  sublime  poesia  i  funerali  rap- 
presentati nel  nostro  mirabile  monumento.  La  cecità , 
il  bastone  ,  e  la  lira  sufficientemente  lo  additano  pel 
celebre  Melesigene.  Credo  poi  che  lo  star  seduto  è 
proprio  di  chi  recita  versi  ;  mentre  questa  circostan- 
za è  avvertita  in  Omero  dallo  scrittor  della  sua  vita  , 
tutte  le  volte  che  ce  Io  presenta  nell'  alto  di  profferi- 
re i  suoi  carmi  (  Hom.  vii.  e.  9  ,  12  ,  15  ,  17 ,  19  ). 
Questa  osservazione  dà  luce  a  quello  che  fu  da  altri 
avvertito ,  che  l' attitudine  di  Omero  sedente  è  solita 
è  caratteristica.  Così  vedesi  nel  monumento  di  Arche- 
lao da  Priene  (Visconti  Pio-Clem.  tom.  1  tav.  B),  e 
tale  scorgeasi  la  statua  di  Omero  nel  tempio  erettogli 
da  Tolommeo  Filopalore  (  Aelian.  var.  hist.  lib.  XIII. 
cap.  22  ).  Né  è  da  tacere  che  pur  sedente  comparisce 
nelle  monete  di  Smirne,  di  Colofone  ,  diChio,  su  di 
che  leggasi  l'Eckhel  fdodr.  tom.  II  p.  541  e  segg.). 
E  citerò  da  ultimo  la  pompejana  pittura  rappresen- 
tante Omero  sedente  presso  una  funebre  stela  ,  se- 
condo la  bella  spiegazione  del  Coni m.  Avellino  fbidl. 
anh.  napol.  an.  IV  p.  96  seg.  ) ,  il  quale  non  trala- 
scia di  richiamare  altri  eseiii])li,  osservando  rilevarsi 
dalle  medaglie  che  pur  sedente  fosse  la  statua  del  poe- 


—  112  — 


la  ncU'Omcroo  di  Smirne,  di  cui  favella  Strabene 
(Lib.  XIV  p.  646  Casaub.  ).  E  qui  mi  piace  di  osser- 
var di  passaggio  cbe  le  lettere  graffile  3IOH<^)MI  pro- 
babilissimamente si  riferiscono  a  quel  pompejano  di- 
pinto ;  essendo  agevole  il  supporre  ,  die  qualcbe  an- 
tico abitatore  di  quella  casa  volle  notare  il  soggetto, 
e  rimase  a  mezzo  il  suo  scritto ,  che  avea  cominciato 
a  tracciare  MOfnitmeiiluniJ  HOMl(I)/).  Vedi  ciò  che 
dice  della  medesima  pittura  il  eh.  Cavedoni  fbuUelt. 
ardi,  napol.  an.  V  p.  57).  Tornando  al  vaso  di  Cano- 
sa  avvertiamo  che  assai  bene  si  attribuisce  al  nostro  0- 
mero  la  lira,  come  istrumento  conveniente  ad  un  poeta 
(Eckhel./.f.).  Così  nell'Odissea  Femio  preparandosi  a 
cantare,  prende  in  mano  la  cetra  per  accompagnar  la 
sua  voce  (Oc/.A  v.  1 50  seg.).  E  lo  stesso  Omero  colla 
lira  si  mostra  altresì  nella  pittura  pompejana  sopra  ri- 
cordata: abbenchè  più  sovente  abbia  in  mano  il  vo- 
lume ;  come  nel  vaso  di  argento  di  Ercolano  coli'  a- 
poteosi  di  Omero  (  Millingen  uncd.  mon.  II  tav.  XIII 
p.  23),  ed  in  altri  monumenti.  In  quanto  al  bastone, 
allude  alla  cecità  ed  alla  vecchiezza  del  vate,  del  pari 
che  alla  sua  vita  errante  e  vagabonda:  ed  è  perciò  che 
col  bastone  se  ne  vede  la  immagine  sulle  monete  au- 
tonome di  Smirne  (Eckhel  doclr.  lom.  II  p.  539);  né 
forse  ad  altro  signiflcato  accenna  l'asta  data  ad  Ome- 
ro in  altre  medaglie  della  medesima  città  battute  nei 
tempi  imperiali  (  Id.  ib.  p.  548). 

Ritenuto  dunque  che  nel  nostro  vaso  sia  figuralo 
Omero,  acquista  un  pregio  grandissimo  ;  giacché  è  il 
primo  esempio  del  ritratto  del  grande  epico  della  Gre- 
cia, che  si  osservi  su" vasi  dipinti  ;  e  forse  ancora  è  il  più 
antico  monumento  superstite,  che  cel  presenti.  Il  ri- 
tratto  di  Omero,  sino  da'lempi  di  Plinio,  era  riputato 
bn  desiderio  più  che  una  realtà:  pariunlque  deskleria 
non  traditi  vidliis ,  sicut  in  Homero  evenit  (  Hist.  nat, 
lib. XXXV §  2).  Debbo  non  pertanto  avvertire  cbe  la 
fisonomia  di  Omero  nel  nostro  vaso  molto  si  assomi- 
glia a' ritratti  omerici  riportali  dal  Visconti  [Icon.gr. 
voi,  1  init.  )  ;  e  bisogna  conchiudere  che  vi  fosse  un 


tipo  ideale  mollo  antico ,  da  cui  trassero  gli  artisti  po- 
steriori. E  chi  sa  che  non  si  avvicinasse  al  nostro  per 
le  fattezze  del  volto  quell' antichissima  immagine,  che 
Smicito  Ateniese  avea  dedicala  in  Olimpia  (Pausan. 
V,  20).  Vedi  pure  su' ritratti  di  Omero  Miiller //and- 
hucìi  §  420  n.  4  p.  730  Welcker.  Se  almeno  le  figu- 
re di  giovani  guerrieri  collocali  sotto  l' hcroon  creder 
si  deggiono  anime  fatte  partecipi  della  immortalità, 
lo  stesso  dovrà  giudicarsi  del  medesimo  Omero,  che 
ha  raggiunto  la  sua  apoteosi  ;  e  quindi  ben  si  rattro- 
va  in  compagnia  di  personaggi  che  cominciarono  una 
novella  esistenza  nel  mondo  inferiore,  lo  sono  di  opi- 
nione cbe  la  tomba  in  forma  di  edicola,  presso  la  qua- 
le seder  si  mira  il  cieco  vate,  è  il  monumento  di  Ome- 
ro ;  che  molli  gliene  furono  elevali  dalle  città  ,  che 
disputaronsi  la  gloria  della  sua  nascita  (Fabricio  bibl. 
gr.  lib.  II  e.  1 ,  5,  7.).  Tal  si  fu  tra  gli  altri  il  famo- 
so Omereo  di  Smirne ,  di  cui  parla  Cicerone  [prò 
Archia  8);  e  più  distesamente  Strabene ,  descriven- 
dolo come  un  portico  quadrato  col  tempio  ed  il  si- 
mulacro di  Omero:  q'oà  rsrpcrywvos  ì'x'^'Vffr/,  yiM  'O- 
fX7]gof,  x%i  goxvov  (lib.  XIV  p.  646).  Li  altro  celebre 
sepolcro  eretto  in  los  veggasi  il  Nitsch  (/t(S<.  Homer. 
fase.  1  pag,  1 26  e  segg.  ) ,  e  ciò  che  scrive  il  dottis- 
simo Weicker  [Grab  und  Schule  Homers  in  los  nelle 
sue  Kleine  Schriften  voi.  Ili  pag.  284  e  segg.).  Io  non 
vo  paragonare  il  tempietto  del  nostro  vaso  con  questi 
monumenti  diversi,  de' quali  non  ci  rimane  idea  pre- 
cisa. Mi  sembra  però  indubitalo  che  quel  monumento 
sia  un  omerico  sepolcro  in  allusione  alla  sua  apoteo- 
si ,  e  perciò  da  paragonarsi  col  pompejano  dipinto 
più  volte  rammentalo  di  sopra  ,  ove  precisamente  il 
deificato  poeta  siede  presso  al  suo  monumento.  E  for- 
se r  omereo  di  Smirne  olTrendo  un  tempio  ,  ed  una 
statua  ,  può  ragionevolmente  supporsi  che  la  slatua 
fosse  fuori  del  tempio,  non  allrimenti  che  neduc di- 
pinti ,  de' quali  abbiamo  fatta  menzione, 


fcontinuaj 


Ml>ERVIXI. 


P.  Raffaele  Gaurccci  d.c.d.g. 
Giulio  Mi.neuvim  —Editori. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Cataneo, 


BlllETTIXO  ARCnEOLOGICO  IVAPOLITAXO. 


NUOVA    SERIE 


N."  15. 


Febbraio  1853. 


Dell'  arma  gladiatoria  detta  Galerls.  —  Di  due  trofei  di  armi  scoperti  in  Pompei  al  1161  nel  Lcdus  Gla- 
DiATORics  ,  e  della  Sica,  o  falcetta  dei  Treci. — Nuovi  programmi  pompeiani  appartenenti  a  spettacoli 
gladiatorii. — Tavola  Venafrana  ,  continuazione. 


Dell'arma  gladiatoria  detta  Gaiervs,  coni,  del  n.  lo. 

Gioverà  riporlarla  qui  a  piacevole  confronlo  (  Maffei 
Mus.  Ver.  p.  CXXV'.  4),  e  perchè i contorni deliembo 
vi  sono  figurali  ad  angolo  redo ,  appunto  come  su  i 
graffili ,  nel  che  discordano  dal  bronzo  borgiano,  dai 
tre  scudi  del  R.  Museo,  e  dalla  pittura  dell'anfiteatro. 


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PVGNAVTVR 

1 

Il  Maffei  riconobbe  le  arnae ,  cultrum  nempe  et  fU' 
seinam,  giusta  le  dottrine  del  Lipsio  :  aggiungo  io  ora 
il  galcrus ,  che  qui  si  mostra  della  forma  medesima , 
che  sui  monumenti  da  me  prodotti.  Cotal  sorta  di  giuo- 
co fu  inventata  ,  dicono  ,  da  Pittaco  ,  che  ne  tolse  la 
idea  dalla  pesca,  e  però  il  suo  arnese  fu  tutto  pesca- 
torio  ,  cxiurj  óyjivrixTi ,  Io  chiama  Strabone ,  ed  Isi- 
doro per  cagione  di  quello  stesso  tridente,  che  Mar- 
ziale beu  dice  aequoreus  (1),  fa  il  giuoco  sacro  a  Nettu- 

(I)  Un  tal  nome  AEQVOREVS  appare  scelto  da  un  reziario  di 
PuzzuoU  (B.  iV.  T.  II.  97),  e  certu  per  la  medesima  ragione. 
4.Y.Y0   /. 


no,  fugnahal  Nepluno,  trtdentis  causa. Perciò  sull'elmo 
dell'avversario  tratto  tratto  elevavano  a  modo  di  cre- 
sta un  pesce ,  e  dicevano  che  a  quello  fendeva  le  in- 
sidie il  reziario,  e  non  alMirmillone,  con  questa  can- 
tilena ,  Non  te  peto ,  piscem  pelo  :  quid  me  fugis.  Gal-: 
/e?(l).  Quindi  ci  si  apre  la  intelligenza  dei  simboli 
marini  dell'  altro  scudo ,  ove  il  granchio  può  anche 
alludere  alla  tenacità  degli  inviluppi  della  rete.  Una 
pugna,  che  abbisognava  di  grande  agilità  e  prestezza 
a  schivare  i  colpi,  e  le  insidie,  onde  ad  Artemidoro 
era  presagio  di  una  donna  ^v-^xi,  fugace, ^  di  Gracco 
reziario  scriveva  Giovenale  tota  fugit  arena ,  ne  mo- 
stra il  significato  dei  venti  scolpili  sul  terzo  scudetto  (2), 
Poi  quanto  all'  Ercole,  mi  basti  solo  ricordare  essere 
a  lui  sacri  i  Giuochi  Gladiatorii  —  Vejanius  armis  — 
Herculis  ad  postem  fìxis,  lalel  abditus  agro  (Ilorat.I. 
ep.  1  ) ,  perchè  si  conchiuda  essersi  di  già  soddisfatto 
all'assunto  di  pienamente  illustrare  l' uso  di  queste 
armi  e  la  specie  di  gladiatori,  che  le  adoperavano,  ed 
il  nome  che  si  dava  loro  dagli  antichi. 

GARRCCa, 


(1)  Il  Murtniilo,  sorta  di  gladiatore,  che  combatteva  col  rezia- 
rio, forse  lo  slesso  che  il  Gatlus  {et.  Vitale  op.  di.  p.  5<3),  prò- 
babiimente  si  fa  derivare  dal  Mo'^uluXos  di  Oppiano ,  dello  anche 
Mo'puy§05  (Aldrov.  de  pisc.  L.  Il,  19), 

(2)  Il  Cavedoni  (Ragg.  arch.  degli  scavi  di  Modena  p.  27)  col 
Visconti  (  M.  P.  C.  T.  IV,  jTai'.  agg.  B.  1,1)  riconosce  nei  putti 
forniti  di  due  alette  sotto  la  gola  genii  bacchici,  lo  che  non  sa- 
rcbbe  qui  strano:  essendosi  notale  da  me  laute  rappresentanze  re- 
lative a  Bacco  nelle  armi  pompeiane  gladiatorie,  che  sarà  stala  la 
divozione  più  cara  del  padroue  di  alcuna  famitia. 

lii 


—  114  — 


JDl  due  trofei  di  armi  scoperti  in  Pompei  al  ^767  nel 
LcDus  Gladiatorius  ,  e  della  Sica  ,  o  falcella  dei 
Treci. 

Leggo  nelle  relazioni  degli  scavi  pompeiani,  che  il 
giorno  14  febraio  1767  furono  scoperte  due  pitture 
nella  stanza  tutta  aperta  verso  il  cortile  del  così  detto 
quartiere  dei  soldati:  onde  questa  camera  fu  giudicata 
essere  il  Corpo  di  guardia:  indi  il  7  marzo  i  due  in- 
tonachi furono  staccati  dalle  pareli,  e  messi  nella  col- 
lezione reale  (v.  la  nostra  Tav.  VII,  n.  13,  14). 

Codeste  pitture  sono  inedile  tuttavia  ,  né  deve  far 
maraviglia,  se  eran  tenute  trofei  d'armi  militari,  sog- 
getto così  ripetuto  sui  monumenti  dell'  antichità.  Egli 
è  poi  certo  ,  che  riconosciute  quel  che  sono  ,  un  sin- 
golare ed  unico  monumento  delle  armi  diverse,  ado- 
perate negli  spettacoli  gladiatorii ,  non  avrebber  di- 
morato sì  lungamente  ignote,  ed  inosservate.  Ma  que- 
sta scoperta  non  poteva  esser  fatta  cosi  sola ,  senza 
che  si  fosse  passato  immediatamente  a  riconoscere 
nelle  armi  di  bronzo  scavate  in  questo  ediGzio ,  armi 
del  ludo  gladiatorio  ,  e  nell'  ediGzio  medesimo  ,  non 
j)iiì  im  foro,  un  portico  di  teatro,  un  quartiere  di  sol- 
dati,  ma  un  ludus  gladiatorius;  la  qual  cosa  fu  per 
me  disputata,  e  conchiusa  in  un  articolo  precedente. 
Ora  medesimo ,  e  dopo  che  si  è  provato  qual  fosse 
queir  arma  dei  reziarii  detta  galerus  ,  e  se  ne  è  pro- 
dotta la  forma  ,  recherà  non  mediocre  diletto  il  tro- 
varne una  nuova  ed  efficace  conferma,  apparendo  an- 
che in  questi  trofei  congiunto  al  tridente  ed  al  pugna- 
le il  galerus,  e  ad  altre  armi  evidentemente  gladiatorie. 
Fra  queste  io  tolgo  ad  illustrare  una  nuova  ma- 
niera di  curvo  pugnale,  con  che  i  Treci  entravano  a 
combattere ,  che  negli  scarsissimi  monumenti  di  tal 
sorta  gladiatori  non  si  era  notato  sin  ora.  La  falce , 
od  ensis  falcatus  sul  monumento  di  Prisco  (  MafTei 
Mas.  Ver.  444,2),  e  di  Antonio  Exoco  (Grut.  335, 
5  ) ,  conviene  col  nome ,  che  le  dà  Giovenale ,  ed  è 
vera  falx,  S,i^os  ixri  o^BóV  (Arlcm.  Onirocr.  II,  33  ), 
delta  però  thracia,  perchè  i  Traci  usavano  di  lai  arma 
6pax(XÒK  ^i<^  l'Tnxa.ix'Trii .  Di  coltelli  o  spade  ricurve 
trovo  menzione  presso  gli  scrittori ,  e  confronti  sui 
monumenti.  La  sica  usata  in  Roma  era  un  coltello 


presso  a  poco  come  l'acinace  dei  Persiani,  e  le  copi- 
des  degl'Indiani  (v.  Q.Curzio  ^/cd!.  Hagae  Com.  1708, 
14,  29,  e  la  noia  ivi  apposta).  Anche  i  Galli  usarono 
una  spada  che  eaesim ,  non  punctim  ferirei ,  e  perù 
appellata  xc/tti's  ;  ma  Dionigi  la  dice  vvipixiyxXT^  (  v. 
Mai,  T.  IL  p.  440  ),  onde  parmi  ravvisarla  su  quella 
classe  delle  monete  della  repubblica  senza  nome  di 
zecchiere  ,  delle  quali  è  conosciuto  l' asse ,  il  triente, 
ed  il  vittorialo,  e  ne  parlò  il  Capranesi  in  un  suo  ar- 
ticolo {Med.  Rom.  Lied.  p.  1,2,  Ann.  List.  1842, 
Tav.  d'  agg.  N  ,  1  ).  Fra  le  falcette ,  copides ,  piegate 
ad  angolo  ottuso,  pongo  quella  figurata  su  di  un  piom- 
bo ,  diversa  alquanto  di  curvatura  dalle  copides  de- 
scritte da  Curzio  gladii  leviter  curvati,  falcibus  similes; 
ha  impugnatura  ,  e  paramanico  ,  manca  però  di  elsa 
(Garrucci,  Piombi  an/ic/i«,Tav.III,  4).  Questo  coltello 
assai  dappresso  rassomiglia  le  falcette  pompeiane ,  che 
piegano  sulla  metà  della  lama,  ad  angolo  retto,  né  fi- 
niscono in  punta,  ma  in  taglio  tondeggiante.  Queste  io 
non  scopro  solo  sui  due  trofei,  ma  eziandio  sulle  pit- 
ture ,  e  sui  graffili ,  onde  ne  svanisce  ogni  difficoltà. 
Inoltre  grazioso  confronto  ne  viene  da  una  vignetta  del 
T.IV  dei  Bronzil&x.XYl,  p.77,  (v.  la  nostra  Tav. VII, 
1 6)  non  intesa  cosi  dagli  Ercolanesi ,  che  credettero  i 
due  genii  combattere  con  le  fiaccole,  o  con  altri  strumenti 
(p.  360,  n.  51  ).  A  parer  mio,  sono  ivi  figurati  due 
genietti  che  armati  da  gladiatori  si  esercitano  alla  pu- 
gna rudibus ,  dei  quali  quello  a  destra  ha  la  falcetta 
del  Trece,  quello  a  sinistra  la  clava,  rudis,e  può  rap- 
presentare il  Mirmillone.  É  poi  colai  pittura  spiegata 
a  maraviglia  dal  paragone  di  un  classico  luogo  di  Sue- 
tonio  ,  ove  narra  che  Caligola  rudibus  (1)  secum  ba- 
tuentem  ferrea  sica  confodil  (  Suet.  in  Cai.  32  )  ;  ed  i 
Mirmilloni  per  lo  appunto  solevano  accoppiarsi  coi 
Treci. 

Se  questi  genii  fossero  Eroti ,  potrebbero  credersi 
messi  a  rappresentare  i  primi  tentativi  di  Amore  (  de 
Arte,  ni): 

Sic  ubi  praelusit ,  rudibus  puer  ille  relictis 
Spicula  de  pharelra  promil  acuta  sua. 

(1)  Sudes  li  dice  Giovenale  (Sai.  VI,  218),  secondo  alcuni  co- 
dici V.  Jalin  h.  1.  Quein  (palum)  cavat  adsiduis  sudibus.  Scbol. 
hoc  est  ferulU  in  medUatione  pugnandi. 


—  Ilo   — 


Da  una  pnrete  pompeiana  copiai  un  graffilo,  ove  il  Tre- 
ce  è  vinlo  e  prosdato  dall'avversario.  Hanno  ambe- 
due la  lor  leggenda  sovrapposta  ;  quello  a  sinistra 

legge     SPICVLVS  •  NIIU  V,  quello  a  destra  che  è 
TIRO 

Trece     APTONETVS  P;  la  Wcella  di  questo  (v.Tav. 

LIBR  XVI 
VII,  lo)  si  avvicina  d'assai  alla  forma  di  quella  figurala 
sul  piombo  citato  più  innanzi.  Altro  graffito  assai  in- 
strutlivo  fu  pubblicato  dairAvellino(3/t'm.(/f/r^cf. Ere. 
T.  V.  )  ;  questo  per  colpa  certo  dell'  artista  ,  non  dà 
alcun  arma  a  Prisco ,  ma  sulla  parete  rilevasi  chiaro 
la  falce ,  ed  è  ancor  questa  ad  angolo  pressocchè  ret- 
to. Parimenti  sopra  di  altro  intonaco  è  figurata  un' 
ahra  coppia  di  gladiatori ,  colle  sue  leggende ...  NV^S 
IVLIANVS  IV  •  IS  •     PRIMIGUNIVS  IVLIANVS 

XXIII  IM  ^^ ,  e  Primigenio  ha  falcetta  ad  angolo  ret- 
to. Per  tutti  questi  esempii  non  può  cader  dubbio  che 
r  arma  dipinta  sul  trofeo  pompeiano  del  ludus  g/a- 
diatorius  sia  gladiatoria  ,  e  però  dei  Treci ,  Bpr'xss 
'Trpwroi  TV  y.%\ov(ii\riV  à'p7rr,v  si'pov*  Icttj  oì  fx^^x^ipx 
xotfxvóXri  (Clem.  Alex.  Slrom.  I,  16);  siccome  tutte 
le  altre  ivi  dipinte  ,  elmi  a  visiera  ,  tridenti ,  galeri , 
e  le  lance  altresì  usatissime  negli  spettacoli ,  siccome 
anche  lo  dimostrano  non  pochi  graffiti ,  ed  alcune 
pitture ,  e  lo  aveva  già  insegnato  Ovidio  ,  ove  nomi' 
na  l'asta  del  gladiatore  Velite,  scrivendo,  [Ibis,  v.45) 
Ulque  pelit  jmmo  plenum  flavenlis  arenae, 
Nondum  calfacli  Velilis  hasla  sohtm. 
Questo  luogo  fu  così  spiegato  dal  Salmasio  (  de  Re 
Uilil.  p,  1408.  Th.  G.  tom.  X  )  molto  prima  del  Maf-- 
fei,  il  quale  in  egual  modo  lo  intende.     Garrucci. 


A'mouì  programmi  pompeiani  apparlenenli  a  spettaco- 
li gladiatorii. 

Nelle  relazioni  degli  scavi  pompeiani  leggonsi  al- 
cuni programmi  gladiatorii  molto  rilevanti  :  gli  into- 
nachi sono  ora  periti ,  laonde  da  quelle  benemerite 
schede  li  leverò  alla  luce.  Notasi  adunque  il  14  feb- 
brjyo  1767  su  di  uoa  colonna  del  quartiere  dei  sol- 


dati [ìudiis  gladìaloiius  v.  p.  98,  seg.  )  essersi  letto 
questo  graffito 

FAMILIA  GLADIATORIA  POMPON!  1 AVSTINI 
Il   16  luglio  si  scoprì  la  entrala  |)tiii(ij).ile  di  (pisslo 
edilizio ,  e  sulla  parte  esterna  fu  letto  il  giuino  li 

MALAET 

TERTIOLE 
poi  in  caratteri  rozzi  questo  insigne  programma  : 

AMPLIATI  •  Il  •  •  •  FAMIL  •  ce  lAD  •  PVGN 
PO     RM^IS  •  VF   A  iSI  ARS  •  EI  •  VEI  •  FR 


aiiato.iesiro  TOTIVS  ORBIS  DESIDERI VM 

era    «raflila 

una  lioir.ba  MVN M  .  VBIQ. 

h  kg^nda!  CVM  POMPILO  .  M .  FORTVXATO 


Io  conosco  cincpie  famiglie  gladiatorie  in  Pompei. 
La  prima  di  Tib.  Claudio  Vero  [Mas.  Borb.  T.  XIII , 
5;  Guarini  Fasti  Duumv.  p.  37.) ,  la  seconda  di  N. 
Festo  Amplialo  determinato  dall' Avellino  (1)  (.4»t 
della  Soc.  Pont.  T.  Ili ,  p.  207  )  :  la  terza  di  N.  Po- 
pidio  Rufo  nota  fino  dalla  pubblicazione  delle  Disserf. 
Isagog,  p.  62:  la  quarta  di  Pomponio  Faustino  rive- 
lataci dal  giornale  degli  scavi  (14  Febr.  1667) ,  e  la 
quinta  di  A.  Suellio  Certo.  Cerii  hanno  le  relazioni 
inserite  nel  T,  1  del  Mus.  Borb.  p.  4,  ma  Certi  è  la 
vera  lezione,  e  così  è  scritto  sulla  nuova  via,  ove  ora 
si  scava, nel  programma  SVETTIVMCERT V3I//CL0- 
DIVS  NYMPHODOTVS-CVPIDIS  //y  fCupidisfsi- 
ine  OratJ  V(os)  FfaciatisJ.  Nella  famiglia  dei  Popidii 
è  saputo  un  N.  Popidio  Ampliato,  ma  il  Popidio  che 
ebbe  famiglia  gladiatoria  si  denomina  Rufo. 

Leggo  adunque  ed  interpetro  la  prima  iscrizione 
così:  Ampliati  (forse  triduo)  Familia  Gladiatoria  Pu- 
gnabit  PofmpeisJ  K.  Mais  Venatio,  Sparsiones,  et  Vela 
erunt,  le  quali  ultime  parole  lesse  ottimamente  così  il 
sig.  Fiorelli,  dal  quale  ebbi  comunicata  la  leggenda, 
A  conferma  richiamo  il  programma  di  Ti.  Claudio 

(ì)  Questo  ciotto  legge  Fcsliut,  che  io  non  approvo.  Paragonisi 
il  pompeiano  M.  Faustus  Silo,  e  si  comprenderà  elio  son  due  co- 
gnomi, e  vi  si  tralascia  il  nome  gentile,  che  dovea  essere  Aquilio; 
come  mi  risulta  da  un  graffilo  del  medesimo  corridoio ,  nel  quale 
leggesi  M.  AQVIL  l'AVSTVS,  e  di  sotto  vedesi  graffila  una  figura 
rjutagnata,  {irobabilmcnte  ia  luogo  del  soprannome  Silo. 


—  116  - 


Vero ....  fMaJrt  Pompcis  VenfatioJ  fÀlhleJlae  Spar- 
siones  qua  dies  patimtur  erunlfMits.  Bo/-6.T.XIII,  4), 
e  di  Cn.  Alleio  Nigidio  Maio  Dcdicalione  (ihcrmja- 

rum.  Muneris  (1)  Cn  Allei  Nigidi  Mai Venatio, 

Alhklae,  Sparsiones,  Vela  erunt  {M.  B.  T.  Il,  6). 

Segue  la  leggenda  di  Ampliato.  Tolius  Orbis  De- 
fiderium,  Munfificujm  Vbique ,  Cum  Pompilo  M. 
(forse  Pompilio  M.  L.)  Forlunalo ,  e  par  sia  perito  il 
nome  Ampliato  ,  AMPLIATVM  ,  a  cui  queste  ma- 
gnifiche frasi  riguardano.  Tito  fu  detto  Orbis  Amor 
('Auson.  Caesar.  Il,  2),  e  ^rfòs  uTrayrojy  ìqu/S  (Suid. 


ed  Eutrop.  VII.  6.  ) ,  ed  Amor  ac  deliciae  generis 
Immani  (  Victor  in  Tito  ,  Suelon.  in  Tit.  e.  I.  ). 

Il  medesimo  giornale  trascrive  dipoi  dalla  medesima 
parete  un  altro  programma,  ove  si  avvisa  che  la  fami- 
glia gladiatoria  di  N.  Popidio  Rufo  darà  lo  spettaco- 
lo di  una  caccia  il  giorno  29  di  Ottobre.  Questo  in- 
tonaco fu  staccato  con  altri  pur  gladiatorii ,  e  si  fe- 
cero incidere  in  una  tavola  che  è  la  IX  delle  Disserl. 
Lagog.  dal  dotto  Resini  (v.  il  n.  1,  2,  4,  5,).  Ma  so- 
pra tutte  ha  grande  importanza  questa  che  io  traggo 
dalle  relazioni  del  giornale  del  6  Agosto. 


PRO    SALVTE  (teucre  alle  un  palmo  1  /3) 

CAESARIS  •  AVGV  •  •  LIFF  •  AVRVMQVI  (aHeon^e  3) 

DEDICATIONEM  •  ARAE  •  AMENTIAE  •  GNEI  •  NIGIDI  MAI 

FLAMI CAESARISAVGVSTIPVGNPOMPEIS  SINEVLLA  DILATIONE 

IIII  •  NON  •  IVL  •  VENATIO  VELA  ERVNT 


Cotal  leggenda  parmi  si  possa  interpretare,  e  sup- 
plire a  questo  modo  :  Pro  salute  {Imperatoria)  Cae- 
saris  Augusti  Liberorumque  feius,  et  oh)  dedicatio- 
nem.  arae  Amentiae  Gnei  Nigidi  Mai  flamifnisj  Cae- 
saris  Augnili ,  Pugna  (2)  Pompeis  sine  ulta  dtlalione, 
mi  Nonas  lulias,  Venatio,  Vela  erunt.  Questa  nuo- 
va formola,  stne  ulla  dì7a<ione,  richiama  naturalmen- 
te al  pensiero  un'  altra  non  meno  singolare  del  pro- 
gramma di  Ti.  Claudio  Vero ,  qua  dies  patienlur.  On- 
de parmi  il  senso  sia  questo ,  che  essendosi  talvolta 
tralasciata  alcuna  cosa  promessa  nel  programma,  con 
dispiacere  del  popolo,  Tiberio  Claudio  ne  avverte  che 
•vi  saranno  le  sparsiones ,  in  quanto  i  giorni  lo  permet- 
teranno. Qualche  altra  volta  sarà  pure  accaduto,  che 
lo  spettacolo  stesso  si  differisse;  per  la  qual  cosa  Am- 
pliato a  conciliarsi  più  favore  ne  promette ,  che  lo 

(1)  Cosi  la  relazione ,  ma  forse  dovrà  interpretarsi  Munere  S(um' 
mó)  col  ragguaglio  della  epigrafe  sovrapposta  alle  scene  gladiato- 
rie del  sepolcro  di  Scauro  Munere . . .  Ampliati.  P.  F.  Summo.  II 
P.  F.  s' interpreta  dall'  Avellino  Q.  F.  (  Quinti  filii  ) ,  ma  il  Festo 
Amplino  ebbe  prenome  Numerio  (V.  Avell.  negli  o«i  CiY.  p.  207'; 
forse  dovrà  spiegarsi  Pro  Funere. 

(2)  Manca  qui  Familia  Gladiatoria  ,  onde  non  pub  inlerprelar- 
si  Pugnabit  siccome  in  altra  simile  (Avellino  L.  e.  ).  Pugna  sarà 
quindi  nel  subietto  presente  il  sinonimo  dello  spelLicolo  che  dava- 
no i  gladiatori  combattendo  fra  di  loro,  come  Yenalio  è  la  pugna 
colle  Ocre  (  Cf.  Arlcmid.  II.  33  ). 


queste  due  parole  era- 
no scritte  in  nero  ed  il» 
forma  più  piccola 

spettacolo  si  darà  al  giorno  determinato,  sene  ulladi- 
lalione.  In  altro  programma  edito  dall'Avellino  (Bii//. 
Inslit.  1831,  12)  si  legge.  PROSALVTE-DOMVS- 
AVGGLPAR  •  ••  QVO  TEMPORE  HABEBITSEI- 
FEC  •  •  •  Ove  parmi  l'editore  prometta  le  coppie  dei 
gladiatori ,  tostoche  le  avrà  ,  quo  tempore  habebit. 

Un  flamine  di  Augusto ,  quando  era  egli  ancor 
vìvo ,  siccome  non  fa  maraviglia  altrove ,  così  nean- 
che deve  recarla  in  Pompei ,  ove  al  752  M.  Holco- 
nio  Rufo  dicesi  Augusti  Sacerdos [Mom.  I.  N.  2231), 
e  non  molto  dopo  anche  F/amm  ^agfMs^i  nella  epigra- 
fe scolpita  su  di  un  gradino  del  teatro  pompeiano  più 
grande  (/.  N.  2232)  nel  suo  quinto  duumvirato,  che 
fu  quinquennale. 

Fuori  delle  conferme ,  che  ne  vengono  all'uso  gla- 
diatorio di  quest' edifizio  dalle  molle  epigrafi  di  tal 
genere ,  il  programma  di  Nigidio  Maio  ci  regala  una 
novità  di  culto ,  la  Dea  Amentia ,  alla  quale  egli  de- 
dicò un'  ara ,  sollennizzandone  cogli  spettacoli  gladia- 
torii il  giorno.  Il  poveruomo  dovette  persuadersi,  ap- 
pena guarito  da  un  tal  male,  che  questa  divozione  gli 
avrebbe  tenuto  lontano  da  sua  casa  quella  trista  dia- 
volessa ,  SociVovo.  roivrry  x^^-^^V  roìi  sx^-vrt ,  come 
Luciano  lasciò  scritto  (De  Parasito  2J.  E  sia  lodato  Id- 
dio ,  ed  il  Signor  nostro  Gesù  Cristo ,  che  da  così  so- 


—  117  — 


Icnni  pazzie  d'idolatrici  culti  ci  La  liberati ,  e  tenia-     se  e  fondamento  di  Verità:  il  negarlo  iibhidienza  sce- 
minoci fermi  alla  pietra  angolare  ,  alla  vera  Chiesa  ba-     lus  est  Idulolalriae  !  —  Terzo  programma. 

cN  ALLEI .  MG  IDI  • 

M .  QVL\Q  GL  PAR  XX  •  ET  •  EOR  •  SVPP  ■  PVGN  •  POMPEIS  •  Vili  •  VII  •  VI  •  K  •  DIO 
VENERIT .  MAIO  QVINQ  FELICITER  PAR  III 


Questo  insigne  programma  è  stalo  trascritto  da  me 
da  una  parete  a  destra  delia  via,  che  va  verso  la  porta 
detta  di  Nola ,  ove  è  dipinto.  Lo  Gneo  Alleio  Nigidio 
Maio  di  questa  epigrafe  è  quel  medesimo ,  ciie  diede 
uno  spettacolo  il  giorno ,  in  che  si  aprirono  le  terme 
pompeiane  (1) ,  ed  un  altro  per  la  salute  di  Augusto 
e -per  la  dedicazione  dell'ara  posta  alla  Pazzia,  come 
sì  rileva  dal  programma  iiiuslrato  or  ora;  da  questo 
terzo  che  è  tuttavia  in  Pompei  impariamo,  cheNigi- 
dio  fu  creato  duumviro  quinquennale  ,  e  che  diede 
perciò  altro  sontuoso  spettacolo  al  popolo  di  venti  paia 
di  gladiatori ,  coi  sostituiti ,  che  combatterono  in  Pom- 

(I)  La  fabbricazione  di  questo  Terme  precede  il  756,  nel  qua! 
anno  furono  duumviri  M.  Staio  Rufo ,  e  Cn.  Melisseo  Apro,  1  quali 
posero  il  Labrum  nella  stufa  di  delta  Terme  { /.  iV.  2217  ), 

Tavola  aquaria  venafrana ,  continuazione  del  n,  ^0. 

VTI . . .  ITA  ESSE  HABERE.  Oltre  ad  essere  qui 
sottinteso  il  liceat ,  che  si  legge  di  poi ,  è  da  notarsi 
il  senso  di  habere  per  debere ,  necesse  esse ,  oportere  ; 
di  che  hannosi  esempii  anche  nel  Digesto:  vedi  p.  e. 
Laborare  habeth.  13.  §.  l.ad  legem  Inliam  de  adult. 
Mandare  habet  1.43.  Solut.  matr.  Operari  habenl  L. 
10.  §.  1.  de  poen. 

RESARCIRE.In  Cicerone  è  dubbio  il  resarcire{ad 
Fam.  1.  9.),  e  Donato  a  quel  luogo  di  Terenzio  (^- 
delph.  1.  2.  40.)  Discidil  vestem,  resarcictur,  ne  av- 
yerte,  che  re  abundat.  Ma  la  tavola  Venafrana  assi- 
curerà questa  voce  anche  meglio  ai  tempi  dell'  aurea 
latinità.  Il  Senatusconsulto  delia  legge  Quinzia  toglie 
in  somigliante  formola  il  re  a  resarcire,  ordinando  poi 
così  questi  verbi:  ID  OMXE  SARCIRE  REFICERE 
RESTITVERE  AEDIFICARE  POXERE  DAMNAS 
ESTO  (  Front,  pag.  222.  ) ,  ma  resarcire  è  in  altri 
luoghi  del  codice  Teodosiauo ,  e  nei  frammenti  del 
Giustinianeo  notali  dal  Dirksen  (  Man.  lur.  s.  v.  ). 


pei  i  giorni  23,  24,  23  di  Novembre.  L' iscrizione  si 
deve  leggere  ,  ed  interprelare  cosi:  Cn.  Allei Nigidii 
Mai  Quinquennalis  Gladialorum  paria  viiiinli  et  eo- 
rum  siippositicii  pìujnabunt  Pompeiis  Vili,  VII,  VI 
K.  Dicembres.  Veneril ,  Maio  Quinquennali  Felicilcr, 
par  triduum.  Dei  gladiatori  sostituiti  è  questo  il  pri- 
mo monumento,  che  ci  parli;  i  luoghi  degli  scrittori 
sono  slati  già  raccolti  dal  Lipsie,  li  PAR  III  parmi 
si  debba  interpretare  par  tridimm,  e  veneril,  riturni. 
Venga  di  nuovo,  coi  buoni  auguriiaMaioQuinfpjen- 
nale ,  un  triduo  di  spettacoli  uguale  a  questo.  Ricor- 
do simile  acclamazione  Maio  Principi  Coloniae  [elici- 
ter  del  programma  gladiatorio  dipinto  sulla  esterna 
parete  delle  Terme. 

Garricci. 

APERTVRAMCOMMITTERE.  Non  sarà  certo  nò 
resarcire ,  né  reficere  il  senso  della  nuova  e  singoiar 
frase.  Io  lo  ricerco  neìY  aperire  parielem,  ianuam.cii 
aperire  ricum,  donde  origina  V aperto  paride  ed  il  ia- 
nuam  aperuil  della  legge  ult.  et  pen.  D.  de  Servitut. 
praed.  urban ,  e  l' operial  ricum  aperlum ,  tei  cantra 
della  L.  1.  D.  De  rivis.  §.  11.  11  vocabolo  apertura 
era  noto  finora  solo  nel  fraseggio  legale  de  re  testa- 
mentaria :  onde  avevamo  apertura  testamenti ,  tabu- 
larum,  codicillorum  L.3.  §  20  D.  des.c.  silan.  L.  91. 
§  1.  D.  de  excus.  L.  86.  §.  1.  D.  De  Legai.  1.  etc.  : 
e  qui  il  Committere,  est  proprie  insimul  mittere  (  Pe- 
sti p.  41.  Miiller) ,  secondo  Paolo. 

LOCVS  AGER.  Ponendoci  sott' occhio  le  defini- 
zioni di  questi  due  vocaboli  lasciate  nei  loro  scrini  da 
Ulpiano  ,  da  Modestino  ,  dal  Fiorentino  ,  e  da  altri , 
presto  ci  accorgeremo  quanto  sia  giusto  il  linguaggio 
della  tavola.  Il  luogo  è  una  capacità  determinabile  dal 
localo,  e  V ager  è  un  terrreiio,  che  si  coltiva.  Lascio 
slare  le  distinzioni  di  ager,  e  fundus,  di'llo  quali  con- 
tendono Lorenzo  Valla,  il  Florido,  e  l'anonimo  difen- 


—  118  - 


sore  presso  il  Dukero,  credulo  da  lui  Giovanni  Capel- 
lo (  de  latin,  jurisc.  vel.  pag.  63.  segg.  ):  cerio  che 
qui  il  locus  ager  ponesi  in  fundo,  onde  confermasi  la 
sentenza  del  Dukero  p.  78,  Falsum  esse,  quod  diclal 
Laureìiliits  Vaila  fundiim  mimis  quiddam  esse,  quam 
agrum,  et  agro  contineri  ;  lo  che  il  Dukero  deduce 
dall'  uso  promiscuo  di  ager  e  fundus.  Similmente  es- 
sendosi detto  EI  •  AGRO ,  è  chiaro  ,  che  il  LOCVS 
è  poi  aggiunto  ad  AGER,  quasi  a  togliere  qualunque 
interpretazione  evasiva  della  legge.  Poco  appresso  no- 
minasi soltanto  LOCVS  ,  indicando  il  sito  ove  pas- 
sava lo  speco  ,  per  quem  locum ,  subve  quo  loco  spe- 
cus  eius  aqiiae  iter  inìt;  e  nel  cippo  nominasi  l' AGER 
soltanto.  AGER  VACVVS  RELICTVS  EST.  Ager, 
Locus  è  piìj  volte  ripetuto  nei  frammenti  della  legge 
Toria. 

MACERIA  SAEPTVS.  Che  fosse  la  maceria,  e  di 
quante  maniere  si  costruisse  è  noto  da  un  luogo  di  Var- 
rune  {ìì.  R.  1.  14.  4.):  Quarlum  fabrile  sepimcntum 
eU  notifsimum ,  maceria  ;  huius  species  fere  qualuor 
i^nod  sit  e  lapide,  ut  in  agro  Tuscidano ,  quod  e  lale- 
ì  ibus  coclilibus ,  ut  in  agro  Gcdlìco ,  quod  e  laleribus 
crudis ,  ut  in  agro  Sabino ,  quod  e  terra  et  lapillis 
compositis  in  formis,  ut  in  Hispania  et  agro  Tarentino, 
Le  frasi  ARBORES  MACERIIS  INCLVSAE  e  MA- 
CEKIAE  NE  DEMOLIRENTVR,  e  MACERIA  TOL- 
LATVR  (  Front,  p.  227.  229.  )  della  legge  Quinzia 
riguardano  le  difese  dei  fondi,  e  non  questa  specie  di 
maceria,  che  saepit  locum  agrum  per  quem  locum,  sub- 
ve quo  loco ,  specics  aquae  iter  init  ;  dalla  quale  sic- 
come da  termine  doveasi  misurare  lo  spazio  otto  pie» 
di  incolli  lungo  il  corso  dell'acquidotlo:  CIRCA  EAM 
MACERiAM  QVAE  AQVAEDVCENDAECAVSA 
FACTA. 

ITER  INIT. Si  paragoni  il  constltuers  iter  della  legge, 
Siqua  aqua  nondum  apparel,  eius  iter  ductus  constitui 
non  potest,  (L.  21.  D.  Si  servit.  i/nrf/cefMr),  e  Fron- 
tino art,  122.  Iter  aquae  coarclatur.  e  e.  65  p.  1  75 
Ductus  publici  itinera  suspendant;  e  questo  luogo  della 
lapida  di  Viterbo  pubblicata  dal  ch.prof.Fr.OHolinel 
Bull,  di  corr.Arch.an.l.p.l75.  ET  EMANCIPATIS 
SIBI  LOCIS  ITINERIBVSQVE  EIVS  AQVAE  A 
POSSESSORIBVS    SVI  CVIVSQVE  FVNDI  PER 


QVAE  AQVA  5«BDVCTA  EST  PER  LATITVDI- 
NEM  STRVCTVRIS  PEDES  SEX.  Anche  ai  tempi 
di  Diocleziano  ricorreva  la  stessa  frase  ,  siccoraa  si 
legge  in  lapida  romana  PERPVRGATIS  FONTIVM 
RIVIS  ETITINERIBVS  EORVMREFECTIS(Grut. 
178,6,  cf.  De  Rossi,  Le  prime  raccolte  d'antiche  iscri- 
zioni etc.  Roma,  1852,  estr.  dal  G.  Arcad,  tom.127, 
128.  p.  143). 

IRE  FLVERE  DVCI ,  ed  alla  linea  35.  36.  DV- 
CI  FLVERE,  poi  alla  37,  IT  FLVITDVCITVR.  Si- 
mili locuzioni  incontransi  nel  Se,  della  legge  Quinzia 
IRE  CADERE  FLVERE  PERVENIRE  DVCI.  La 
differenza  legale  dei  tre  verbi  sta  nel  modo  con  che 
l'acqua  percorre  uno  spazio,  nel  quale  o  va  natural- 
mente IT  ,  o  fluisce ,  cioè  va  con  moto  apparente , 
scorre ,  FLVIT  ,  o  vi  è  condotta  DVCITVR. 

DEXTRA  SINISTRAQVE  CIRCA  EVM  RIVOM 
etc.  E  son  le  parole ,  che  leggiamo  ripetute  nei  cippi 
venafrani ,  l' un  dei  quali  ho  copiato  io  medesimo  al 
Puzzillo  piccolo  villaggio ,  che  pare  abbia  avuto  il 
nome  dai  pozzi  dell'  acquidollo  ; 

IVSSV  •  IMP  •  CAESARIS 
AVGVSTI- CIRCA  EVM 
RlVOM  •  QVI  •  AQVAE 
DVCENDAE • CAVSA 
FACTVS  •  EST  •  OCTONOS 
PED ' AGER • DEXTRA 
SINISTRAQ  •  VACVVS 
RELICTVS  EST. 

Il  prof.  Momm.  che  dice  di  averlo  trascritto  nella 
masseria  di  Civita  nuova  ,  lo  stima  probabilmente  re- 
stituito in  tempo  posteriore ,  perchè  gli  fa  maraviglia 
il  VACVVS  in  vece  di  VACVOS  in  lapide  augustea. 
Ma  il  carattere  è  appunto  augusteo  (p.  50.),  e  cogli 
stessi  I  lunghi ,  che  sulla  lapide  delle  leggi  :  inoltre  il 
VACVVS  ora  si  è  letto  in  essa  pietra  nel  VACWM' 
ESSE  •  PLACET  (1.  23.),  II  lodato  prof,  Momm.  al- 
lega a  confronto  di  questa  la  legge  Quinzia  del  743, 
ove  per  altro  prescrivoqsj  quindici  piedi  VTRAQVE 
EX  PARTE  circa  fontes  et  fornices  et  muros,  ma  cin- 
que soltanto  incolli  circa  rivos  ^ui  sub  terra  asenl,  <t 


—  119  — 


apecus ,  ttUra  urhem ,  et  extra  urhem  intra  continentia 
aedifcia.  Questa  disposizione  dei  quìiulici  piedi  nella 
nuova  legge  data  da  Costanlino  nei  331  dlG.C.fuc- 
stesa  anche  ai  rivi:  Practerea  scire  pos  oporlcl,pcr  quo- 
rum praedia  ductus  commeant,  ut  dexlra,  laevaque  de 
ij)sis  formis  quindecim  pedibus  intermissis  arbores  ha- 
heant.  11  prof.  Monim.  repula  legge  degli  acquidolti 
privati  quella  che  prescrive  circa  aquam  late  decempe- 
des(L.30.D.de  Servitut.  praed.  rustie);  ma  la  misura 
medesima  trovasi  di  poi  ordinata  ancora  da  Teodosio 
il  giovane  intorno  all'  acquidotlo  Adriano.  Sancimus 
mìcum  publicum  aquarum  mdlis  intra  dcceni  pcdes 
arboribus  coarclari ,  sed  ex  utroque  lalere  decempedale 
spatium  integrum  ilUbalumque  servari  (L.  5.  Cod.  de 
Aquaeductu).  Così  dagli  otto  piedi  dei  tempi  Augu- 
stei  si  sarà  passato  in  seguito  ad  altra  più  larga  misu- 
ra ,  finché  Costantino  la  determinò  ai  i  o  piedi.  Non 
ci  è  rivelato  nella  tavola  il  metodo  tenuto  a  procura- 
re Io  sgombro  di  que'  sedici  piedi  ;  ma  riportandosi 
ai  tempi  della  colonia ,  è  facile  intendere  qualmente 
reipublicae  utilitate  ea  spatia  vindicarenlur  (  Frontin. 
§.128.). 

PER  QVEM  LOCVM  etc.  A  queste  disposizioni 
corrisponde  un  secondo  Se.  del  medesimo  anno  743, 
nel  quale  si  provvede  alla  maniera  di  rifare  ,  asse- 
gnando r  ager  vacuus  agli  artefici  aquae  ducendae  re- 
ficiundae  causa ,  e  per  trasportarvi  i  materiali ,  che 
dovean  prendere  dal  luogo  più  vicino  ,  QVO  PRO- 
XViME  POTERI! ,  dice  la  tavola  venafrana,  VNDE 
QVAEQVE  EORVM  PROXIME  POSSINT  la  legge 
Elia  del  743.  E  ciò  tanto  a  risparmio  di  spesa,  quan- 
to perchè  si  evitasse  l'incoramodo  al  proprietario  del 
fondo;  e  per  lo  contrario  nel  caso  esposto  da  Pompo- 
nio, (L.  11. D.Communia  praediorum  tam  Urb.  quam 
Rust.  )  colui  che  ha  il  dritto  di  derivar  l' acqua  vici- 
no al  fondo  altrui,  lo  ha  ancora  di  rifare  il  condotto, 
onde  si  dispone  ,  ut  spalium  rclinqual  doìninus  fundi 
dextra  ae  sinistra ,  né  però  si  dice  se  di  dieci  piedi , 
o  di  quanto  debba  essere  detto  spazio  ;  per  la  qual 
ragione  Pomponio  scrive,  che  Si  prope  tuum  fundum 
jus  est  indù  rivo  aquam  ducere  tacita  haec  iam  sequun- 
tur ,  ut  adire ,  qua  proxime  jwssim ,  ad  reficiendum 
eum  ego,  fabrique  mei,  passim  (L.  11.  §.  1.  D.  Com- 


munia  praed.  Cam  Urb.  quam  rustie.  )  Ma  niuna  re- 
strizione di  uso  è  nella  legge  Elia,  dicendosi  in  gene- 
rale :  PER  AtiROS  PUIVATOKVM  ITLNEHA  AC- 
TVS  PATEKKNT  (Front,  p.  212). 

Poiché  ho  parlato  dello  spazio  colto,  e  dell'incollo 
accanto  al  corsi  d*  acqua  ,  parmi  luogo  dire  alcuna 
cosa  intorno  all'uso  dello  spazio  colto.  Era  costume 
romano  di  dare  in  appalto  le  opere  pubbliche  ai  3/an- 
cipes ,  o  Redemptores,  e  i  dazii  vectigaìia  ordinati  alla 
rifazione ,  e  mantenimento  di  esse,  ed  alle  paghe  de- 
gli uffiziali  addetti,  e  dei  servi  pubblici  (Frontin.  art. 
96).  Ritraevansi  questi  dall'affitto  dei  pascoli  e  degli 
edifizii  appartenenti  alla  cura  delle  acqueiEa  conslaitt 
ex  villis  aedificisvc  quae  sunt  circa  ductus,  aut  castella 
aut  munera,  aut  lacus  {id.  Art.  1 18);  che  cosi  leggo  il 
corrotto  exolidifficisse  del  codice  cassinese,  col  Cor- 
radino  (Corradin.  de  Allio  Sex.  lui.  Frontini  locade- 
speratissima.Venetiis.  1742.  p.  23.).  Aggiugne  la  leg- 
■ge  quinzia  il  diilto  di  pascere  lierbam  ,  fvnum  secare 
etc.  ap.  Front,  p.  226.  Fransi  perciò  ordinali  i  ter- 
mini ut  constarei,  quae  esscnt  ad  liocvecligal pcrtineii- 
tia  loca  (Front,  p.  204.);  due  di  questi  furono  già  co- 
piati da  altri ,  ed  uno  ne  ho  trascritto  io  medesimo 
ai  PuzzilU  (  V.  il  nostro  Bull.  p.  53  ). 

11  prof.  Mommsen  che  ne  dà  un'  altra  lezione  trat- 
ta dal  mss.  de  Utris  e  dal  B.  Inst.  p.  48. ,  crede,  che 
appartenesse  a  qualche  rivo  derivante  dall'  acquidot- 
lo, forse  per  uso  di  bagno,  e  che  pagava  dazio  annuo 
all'  erario  municipale,  e  però  legge  VECtigalis,  j).  59. 
Io  ritengo  Vectigal  col  confronto  della  iscrizione  di 
Castro,  VECTIGAL  BALNEARVM,  e  perché  simili 
cippi  terminali  veggo  essersi  ordinati  da  M.  Aurelio 
e  L.  Yero,  propter  controccrsias,  quae  inter  mercatores 
et  mancipes  ortae  erant,  uti  fincm  dcmonstrarenl  v«- 
cligali . .  exigundo.  Creili  3347. 

ADVEHERE  .  ADFERRE  .  Advehi're  adportare- 
que  ea  quae  ad  rem  opus  essent,  scrisse  l]lpiano(L.1. 
§.  6.  D.  De  rivisj  ;  Quae  ad  refectionem  ulilia  essent 
adportanli,  sono  parole  di  antica  legge  riferita  da  Ve- 
nuleio  (L.  4.  D.  De  itin.  acluq.  prlv.)  ;  TOLLI-SVMI  • 
PORTARI,TOIXERENTVR  •  S\  MEREXTVR- EX- 
PORTARENTVR  sono  frasi  della  legge  Elia. 

QVAEQVE  INDE  EXEMPTA  eie.  Riguardasi  eoa 


120  — 


ciò  a  non  ingombrare  altro  suolo,  che  gli  otto  piedi  as* 
segnali  già  all'acquidollo,  e  così  Pomponio  nel  caso  ri- 
ferito più  avanli:  Spalium  relinquat,  quo  dextra  et  si' 
nislra  leiram,  limum,  arenam,  calcem  iacere  possim  (L. 
c.).Ouindi  il  SINE  INIVRIA  CVIVSQVAM  della  leg- 
ge Elia,  meglio  determinasi  col  giudizio  Damn*  ni/e- 
cli.  Paragona  (L.3.§.9.D.De  rivis).  De  damno  quoque 
infeclo  cavere  cum  lì ebere ,  minime  dubilari  oporlet. 

DVM  OB  EAS  RES  DAiMNI  INFECTI  IVS  BA- 
RI PROMlTrATVR  eie.  Vuole  la  legge,  che  i  de- 
cemviri attendano,  prima  di  venire  ai  lavori  intorno 
l'acquidotto,  che  si  dia  la  cauzione  de  damno  in  fe- 
do ;  ius  dari  damni  infccli.  (  Cf.  1'  editto  del  Pretore 
L.  1.  §.  38.  D.  de  aqua  coltidiana):  Quandoque  de 
opere  faciendo  inlerdiclum  eril  damni  in  fedi  caveriju' 
hebo.  Qui  il  jus  dari  parmi  adoperalo  nel  senso  equi- 
valente ad  adionem  dare,  dare  alieni  jus  h.  e.  facul-^ 
talem  agcndi,  conlra  me,  ex  damni  in  fedi  fob  dani- 
tium  quod  limelurj. 

DMI  NE  OB  ID  OPVS  FONS  MINVCIORVM . . 
IXVIVS  FIAT  eie.  I  lavori  di  restauro  da  eseguirsi  all' 
occorrenza,  ed  il  materiale  di  trasporto,  e  di  esporto 
avrebbe  potuto  ingombrare  sì  fattamente  il  suolo,  che 
non  riuscisse  di  passare  al  fonte  dei  Minucii;  però  si 
avverte  qui,  che  lascino  il  passaggio  a  coloro,  che  van- 
no al  fonte  dei  Miuucii.  Per  quel  luogo  medesimo , 
ove  era  il  fonte,  passava  l'acquidotto  Venafrano,  onde 
ii  prescrive  qui,  che  debba  prestargli  la  servitù  del  li- 
bero passo,  I  fonti  prendevano  talvolta  nome  dai  pa-? 
droni;  Cali  fons,  dice  Feslo,  ex  quo  aquq  petronia  in 
Tiberini  fluii,  didus, quod  in  agro  cujusdam  fuerilCali 
(p,4^).Miilll'r).  Cosi  nella  lapida  dell'acquidotto  diVi- 
twbo illustrala  dai  ch.sig.prof.Orioli: MVMMIVS-NI- 
GER  VALKRiVS  VEGETVS  COiXSVLAR  AQVAM 
SVAM  VEGETIANAM  QVAE  NASCITVR  •  IN  . 
FVNDO  '  ANTOMANO  MAIORE  P  •  IVLII  •  VAR- 
ROMS  CVM  EO  LOCO  IN  QYO  IS  FONS  EST 
E.M  ANCIPATVS  dXXll  eie,  FONTE  NOVO,  e  PVR- 
GATO  FONTE  è  nella  Lap,  di  Caracalla,(Orelli,  52, 
cf.  De  Rossi,  le  prime  raecolle  elc.p.35),  e  IlHriJN 


Bl%   TON  ArnrON  EnoXETETXAS  è  la  frase 
del  lesto  Greco  della  lapida  Ancirana  (C. 1.4040, 19). 

NEVE  Q  D  M  •  OPVS  MINVS  etc.  Riesce  alquanto 
oscura  questa  parte  del  secondo  divieto.  È  chiaro , 
che  il  Iransire  non  può  aggregarsi  ai  verbi  di  signifl- 
cato  attivo,  che  gli  vengono  appresso;  però  non  resta 
altro  scampo  che  di  costruire  le  parti  così:  Neve  quis 
rede  possit  dolo  malo  transferre  (ransvertere  opus  ex 
agro  suo  in  parlem  agri ,  minus  quam  Iransire  possit, 
ovvero  più  semplicemente  cosi  ;  in  parlem  agri  qtiam 
(parlem)  minus  transire  possit.  Nel  secondo  caso  sa- 
rebbe il  minus  posposto  al  quam,  ove  nella  lapida  in- 
vece lo  precede.  II  senso  è,  parmi,  che  non  è  lecito  a 
veruno  col  pretesto  di  restaurar  l'acquidotto  condur- 
lo per  altra  parte  del  suo  agro.  Nello  stesso  modo  Ul- 
piano. — Proinde  elsi  per  alium  locumvelil  ducere,  ini' 
puneprohibelur, [cioè  rerte,  jMrf),(L.l,§l  l.D.De  rivi). 

NEVE  QVI  •  •  CORRVMPERE-  ABDVCEREA^ 
VERTERE. Il  Corrumpere  in  materia  aquaria  è  di  voi- 
gar  uso.  CANALES  VETVSTATE  CORRVPTOS  ET 
DISSIPATOS,  ha  la  lapida  Reatina  dei  Larzieni  (Mu- 
rai.478.  1 .).  Nel  frammento  di  lapida  del  museo  Discari 
edito  dal  eh.  amico  sig.  Gervasio,  [Iscr.  dei  Luccei,  p. 
16),  si  parla  di  MEATV,  e  CORRVPTIONE  onde 
l'acquaFVERAT  POLLVTA. Frontino  poi  all'art.  120, 
Opera  veluslale  corruHi;)un<ur,  ed  all'art.  122,  Tedoria 
faquaej  corrumpunlur  (Front,  p.  214.)  ;  e  nel  Senat. 
Cons.  del  743,  OPERA  PVBLICA  CORRVMPVN- 
TVR"  ed  i'ywy°^S  vO'X'rùuv  Itsi  à.pX.'^térrirosdtxipQx- 
p/cTas  è  nella  lapida  Ancirana  (C.  1,4040,  n.  17).  Ma 
nella  legge  Quinzia  :  QVICVMQ VE  •  •  FORAVERIT  ' 
RVPERIT  •  PEIOREMVE  FECERIT  QVOMINVS 
EAE  AQVAE  eie.,  e  nella  costituzione  di  Costantino 
Ne  earum  radices  fabricae  formam  corrumpant  (L.l. 
6.  De  aquaed).  h'avertere  è  ripetuto  nella  legge  degli 
Augg,  Arcadio  ed  Onorio  dell'anno  401,  intorno  aU 
r  acquidotlo  Augusto  in  Campania  :  Si  quis  ntealum 
aquae  ausus  fueril  avertere, 


(continua) 


Gaiirccci. 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.g, 
GjLLio  3^l^ERVI.^^  —Editori, 


Tipografa  di  Giuseppe  Càtaneo. 


BULIETTINO  ARCHEOLOGICO  MPOllTAm 


NUOVA    SERIE 


TV."  16. 


Febbraio  1853. 


Monumenti  atmani.  Scoperte  di  S.  A.  R.  il  Conte  di  Siraai'ia ,  continuazione  del  n.  H.  —  Di  alcuni  antichi 
oggetti  diversi  provenienti  dalla  Magna  Grecia,  dalla  Sicilia,  e  da  Roma.  Da  lettera  del  eh.  ab.  D.  Cele- 
stino Cavedani  al  signor  Giulio  Minervini.  —  Descrizione  di  alcuni  vasi  dipinti  del  real  museo  Borbonico. 


Monumenti  aintani.  Scoperte  di  S.  A.  R.  il  Conte  di 
Siracusa —  Contin.  del  n.  /4. 

Nella  nostra  (avola  Vili.  n.  12  abbiamo  creduto 
opportuno  presentare  una  pianta  del  sepolcro ,  ove 
ebbe  luogo  un  sì  curioso  ritrovamento,  la  quale  dob- 
biamo alla  cortesia  dell'  egregio  Architetto  sig.  Fau- 
sto Niccolini.  Vcggonsi  in  essa  segnati  i  diversi  cada- 
veri in  quel  modo  appunto  come  si  offrirono  agli  sguar- 
di di  coloro,  ch'entrarono  nel  sepolcro. Lo  scheletro, 
che  vedesi  sul  lato  opposto  alla  porta  aveva  presso  la 
persona  disposti  i  sei  vasi  di  vetro,  de'  quali  sopra  ho 
accennato:  due  di  questi  vasi  della  forma  di  una  tazza 
sono  rossi  con  moUi  fiorellini  di  colore  più  chiaro  in- 
seriti nella  stessa  massa  del  vetro, che  vagamente  li  ador- 
nano; due  sono  interamente  verdi  con  cerchietti  rilevati 
fra  loro  concentrici, ed  appariscono  di  maravigliosa  leg- 
gerezza, e  di  accuratissimo  lavoro;  finalmente  l'altra 
coppia  di  vasi,  alquanto  più  profondi  de'precedenti,  è 
di  vetro  bianco ,  e  solo  internamente  adorna  di  fiori 
dipinti  nella  massa  del  vetro,  di  un  genere  che  non  è 
nuovo  negli  antichi  monumenti.  Veggasi  a  tal  propo- 
silo il  Winckelmann  [Slor.  dell'arte  lib.  le.  li  §. 
24-33,  t.  1  p.  75-90  ed.  Prato),  il  Buonarroti  [os- 
servaz.  istor.  sopra  ale.  medagl.  proem.  p.  XVI  e  p. 
437,  495  ;  e  nella  prefazione  dell'opera  oiserv.  sopra 
alcuni  framm.  di  vasi  ani.  di  vetro),  e  principalmen- 
te la  dotta  discussione  del  Sig.  Raoul-Rocbetle  fpeint. 
ani.  inéd.  p.  379  e  segg.),  il  quale  non  omette  di  ri- 
cordare le  pitture  nel  vetro  del  genere  di  quelle,  che 
si  osservano  entro  le  due  bianche  tazze  del  nostro  cu- 
mano  sepolcro  (p.  382  e  seg.  Cf.  Schuiz  negli  annali 

ANSO    I. 


dell'  Fst.  1839  p.  98).  Su  questo  medesimo  cadavere 
fu  ritrovala  la  monetina  di  bronzo  di  Diocleziano,  della 
quale  di  sopra  facemmo  menzione.  Presso  a'due  cada- 
veri dalle  teste  di  cera  vedevasi  il  vasetto  ad  uso  di  scri- 
vere (  atramenlarium  ) ,  ed  i  residui  di  una  cassetta  di 
legno  con  ornamenti  di  bronzo,  contenente varii og- 
getti del  mondo  muliebre,  Ira'quali  due  aghi  crinali 
di  osso  ;  più  alcuni  pezzetli  di  terracotta  dorata ,  for- 
se parte  di  una  funebre  collana  (vedi  la  nostra  osser- 
vazione nel  bull.  arch.  «a^j.  an.  Vip.  85),  e  due  pic- 
colissimi vasellini  di  vetro  delia  forma  del  cantharo?, 
A  compiere  la  narrazione  di  quanto  ci  è  riuscito  di 
raccogliere  sulle  circostanze  di  un  tale  scavamento, 
avverto  che  accanto  alle  due  immagini  di  cera  furori 
trovate  varie  assicelle  di  osso  della  lunghezza  di  un 
palmo  all' incirca  ,  ma  molto  sottili ,  e  senza  lavoro 
alcuno.  Il  Sig.  Fiorelli ,  a  cui  non  è  sfuggita  una  ta- 
le particolarità  ,  crede  che  servissero  già  di  sostegno 
a  tenie ,  o  ville ,  ed  anche  a  più  larghe  zone  di  tela  , 
che  in  qualche  modo  i  volli  delle  due  immagini  copri- 
vano (  pag.  4.  ).   Vengo  ora  a  dir  qualche  cosa  di 
queste  medesime  immagini ,  che  più  di  tuli'  altro  ri- 
chiamano la  nostra  attenzione.  Antichissimo  era  fra' 
Greci  il  costume  di  proccurarsi  ritratti  di  perfetta  so- 
miglianza per  mezzo  d'immagini  di  cera.  Col  più 
fucile  metodo ,  che  fornisca  la  plastica  ,  si  ricavava 
dalla  fisonomia  slessa  la  forma  in  gesso ,  e  poscia  si 
eseguiva  in  cera  il  ritratto ,  correggendone  tutte  le 
piccole  inesattezze  ,  che  potcano  ritrovarsi  nel  gesso, 
a  discapilo  della  perfetta  similitudine  del  volto.  Ecco 
le  parole  di  Plinio  :  Huminis  autem  imaginem  gypso 
e  facic  ipsa  primus  omnium  (Dibutades)  expressit,  ce- 

10 


—   122  - 


raque  in  eam  formam  gypsi  infusa  emendare  insliluit 
Lysislratus  Sicyonius,  fraler  Lysippi,  de  quo  dixlmm 
(Histor.  nat.  lib.  XXXV  e.  XII  segm.  44,  voi.  V  p. 
172  ed.  Siliig).  E  si  noti  che  Plinio  non  fa  alcuna  di- 
stinzione ;  per  nnodo  che  può  credersi  adoperato  quel 
metodo  anche  per  proccurarsi  i  ritratti  delle  persone 
viventi.  Di  non  dissimile  lavorio  erano  le /majmes  ce- 
reae  de'Romani,  le  quali  custodivansi  in  armadi!  di  le- 
gno ,  nelle  ale  dell'  atrio  della  casa ,  donde  trasvansi 
fuori  o  nelle  festività ,  o  per  accompagnare  i  funerali 
che  avvenivano  nella  famiglia:  anzi  ne  assicura  Polibio, 
elle  talora  adattavansi  al  volto  di  particolari  persone, 
le  quali  seguendo  il  funebre  convoglio  davan  quasi 
r  idea  che  fossero  gli  estinti  richiamati  a  novella  vita 
per  fare  al  defunto  onorevole  corteo  (Veggansi  su  tutte 
queste  cose  Kirchmanno  de  funer.  lib.  II  cap.  7;  Ro- 
sin.  aniiq.  rom.  lib.  1  cap.  19:  Raoul-Rochette  pem<. 
ant.  inéd.  p.  335  e  seg.,  342  e  seg.;  Visconti  prefaz. 
al  voi.  VI  del  museo  Pio-Ciem.;  Avellino  descriz.  di 
una  casa  poni.  1837  p.  21  e  22.  ;  Quatremere  de 
Quincy  Jupiler  Olympien  p.  36  e  37  ).  Alla  medesi- 
ma classe  di  ritratti  appartengono  senz' alcun  dubbio, 
le  due  protome  di  cera  del  cuniano  sepolcro  ;  delle 
quali  il  Sig.  Fiorelli  ha  già  pubblicata  la  virile  nella 
sua  tav.  1 ,  che  noi  riprodurremo  in  più  piccole  di- 
mensioni in  una  delle  tavole  seguenti.  Resta  però  da 
spiegare  il  fatto  isolato  della  mancanza  de'  cranii ,  e 
della  sostituzione  delle  immagini  ad  essi.  Il  problema 
sembra  di  dilTicile  soluzione  ;  ed  io  mi  accingo  a  dar- 
ne una  qualunque  siasi  dichiarazione  (I). 

In  alcune  quistioni  si  fanno  notevoli  passi  per  la  ri- 
cerca del  vero,  quando  si  procede  eliminando  quello 
che  non  è  possibile  ;  giacché  riducendosi  il  giudizio 
umano  fra' limiti  di  que'soli  casi,  che  non  contrasta- 
no con  difficoltà  insuperabili,  si  vede  tostamente  con- 
dotto sulle  tracce  della  verità  ,  la  quale  talvolta  spon- 
taneamente si  offre  agli  sguardi  di  chi  la  ricerca. 

Io  dunque  comincerò  dall'  esaminar  la  possibilità 
delle  opinioni  finora  proposte,  o  che  potrebbero  pro- 
porsi ;  dopo  di  che  metterò  in  veduta  una  mia  con- 


(1)  Questa  nostra  dichiarazione  fu  comunicata  alla  reale  accade- 
mia Ercvlanese  nella  loruala  de'  IS  del  coireute. 


ghieltura  ,  della  quale  lascerò  valutare  a' dotti  la  pro- 
babilità. 

Il  Sig.  Fiorelli,  nella  citata  recente  pubblicazione, 
pensò  che  il  fatto  non  potesse  altrimenti  spiegarsi  che 
supponendo  la  inesistenza  delle  teste  nel  momento,  in 
cui  tutti  quei  cadaveri  furon  sepolti.  In  conseguenza 
da  questa  idea  sospinto  pensò  ad  una  famiglia  cristia- 
na, la  quale  ne' tempi  dell'ultima  persecuzione  meritò 
1    palma  del  martirio. 

Io  non  saprei  facilmente  accostarmi  ad  una  tale  in- 
gegnosa opinione  ;  e  me  ne  allontana  principalmente 
la  perfetta  mancanza  di  qualunque  simbolo  ,  che  ri- 
cordi il  cristianesimo  nella  tomba  cumana,  della  qua- 
le ci  occupiamo.  So  molto  bene  che  non  poche  volte 
ritrovaronsi  monete  d' imperadori  ne'  sepolcri  de'Cri- 
stiani  fino  ad  un'  epoca  molto  posteriore  (Raoul-Ro- 
chelle  Irois,  mém.  sur  les  anliq.  chréi.  p.  224  segg.  ); 
ma  sarebbe  strana  cosa  l' imaginare  ,  che  i  parenti , 
gli  amici,  o  icorreligionarii  de' sepolti  volessero  ador- 
narne la  tomba  con  una  moneta  ritraente  la  effigie  di 
quel  mostro,  che  U  avea  fatti  martoriare  ed  uccidere. 
A  ciò  si  aggiunga,  che  se  le  monete  e  gli  altri  orna- 
menti furono  rinvenuti  in  sepolcri  cristiani ,  dovreb- 
bero sempre  additarsi  gli  esempli  pe'  sepolcri  de'  marr 
tiri.  E  dall'  altro  lato  sembra  impossibile  l' imaginare 
che  non  si  fosse  messo  alcun  istrumento  di  martirio^ 
verun  segno  di  questa  notevole  onoranza  della  vita  in 
una  tomba  ,  ove  ben  quattro  corpi  si  collocavano  di 
confessori  della  Fede:  sembra  del  pari  impossibile  a 
credere  che  raccor  si  potessero  i  corpi,  e  nessuno  dei 
cranii  ad  essi  pertinenti.  Se  verun  indizio  di  cristia- 
nesimo ,  o  di  martirio  ne  facesse  distinguere  i  corpi 
de'  generosi  campioni  della  Fede,  ben  mille  volte  ne 
disperderemmo  all'aria  le  ceneri,  ne  getteremmo  nel 
fango  le  sante  ossa  :  e  ciò  non  poteva  non  essere  pre- 
veduto da  que'  zelanti  amici  o  congiunti,  che  ebbero 
il  pensiero,  col  proprio  pericolo,  di  seppellirli.  É  poi 
conosciuto  che  i  particolari  prestavano  i  proprii  fondi, 
per  la  sepoltura  de'  martiri  :  recare  i  cadaveri  nella 
necropoli  pagana  sarebbe  stato  lo  stesso  che  accrescere 
il  pericolo  di  essere  scoperti  e  perseguitati:  sarebbe  stato 
lo  stesso  che  esporre  i  corpi  de'  martiri  alle  irriverenze 
de'  loro  nemici ,  piuttosto  che  strapparli  dalle  loro 


—  123  - 

mani.  Che  se  trovansl  talvolta  Cristiani  sepolti  in  tombe     orecchie  della  lesta  di  cera,  di  che  discorriamo,  sono 

pagane,  questi  fatti  devonsì  riportare  almeno  al  quarto     tanto  ampli,  che  può  loro  ben  convenire  l'iperbolico 

secolo  dell'  era  volgare ,  quando  già  la  Chiesa  aveva     sinonimo  di  fcneslrae  :  e  pare  che  dal  medesimo  luogo 

ricevuta  la  pace  ,  né  più  la  infestavano  le  empie  per-     di  Giovenale  si  ricavi  l' uso  di  più  fori  ad  un  solo  orec- 

secuzioni.  Se  pare  improbabile  la  ipotesi  del  Signor     chio,  dicendosi  in  aure  fmeurae;  la  qual  cosa  potrebbe 

Fiorelli:  vediamo  se  regge  ad  una  sana  critica  la  sup-     unicamente  convenire  ad  uomo  di  orientali  costumi; 

posizione  che  si  tratti  di  condannati  a' quali  fosse  sta-         Supposti  Persiani  o  Alessandrini  ,  si  spiegherebbe 

ta  tronca  la  testa.  Questo  supplizio  era  molto  comune     ancora  la  sostituzione  delle  teste  di  cera  :  pe'  secondi 

neir  antichità,  specialmente  nel  caso  di  odii  di  parte,     dal  rammentare  che  immaginette  di  cera  ,  benché 

o  di  delitto  di  maestà.  Frequentissimi  sono  gli  esempì     di  diverso  genere,  furono  pur  rinvenute  in  tombe 

raccolti  dagli  scrittori,  fra'  quali  sene  trovano parec-     Alessandrine.  In  quanto  a'  Persiani ,  è  importante  il 

chi,  che  ci  offrono  ora  teste  corrotte  e  quasi  distrutte     ricordare  essere  generale  costume  di  quelle  popola- 

su  pali ,  a  cui  furono  alfisse;  ora  recate  finanche  in     zioni  ungere  di  cera  i  corpi  de' loro  cadaveri  (v.  sopra 

lontani  paesi,  per  esser  mostrate  a  coloro  che  ne  bra-     p.  1 07).  Se  dunque  non  potettero  adoperar  questa  prat- 

mavano  la  morte  (Vedi  Gebhard  ad  Cornei.  Nep.     tica,  per  essere  in  qualunque  modo  distrutti  o  dissipati  i 

Alcib.  p.  132  not.  7  ed.  Lugd.  Balav.  1728;  e  Dem-     craniidiquei  cadaveri,  vi  supplirono  con  teste  di  quella 

pstero  Elruria  Reg.  lib.  II.  e.  LII.  p.  216  seg.).  Va-     medesima  materia  formate,  che  apparir  doveaall'ester- 

gheggiando  questa  idea  potrebbe  ricordarsi  che  sotto     no:  vi  aggiunsero  gli  occhi  di  vetro  a  compir  laillu- 

Diocleziano  imperadore  vi  fu  asprissima  guerra  contro     sione,  ricoprendo  forse  il  capo  di  tiara,  ed  il  corpo  di 

i  Persiani  e  contro  gli  Alessandrini:  e  quindi  non  sa-     altre  vestimenla,  delle  quali  non  rimase  alcuna  traccia 

rebbe  strana  cosa  l'immaginare  il  supplizio  subito  da     alla  tarda  posterità. 

una  famiglia  di  quelle  regioni  domiciliata  per  avven-         Né  si  dica  che  la  totale  mancanza  de'  cranii  all'epoca 
tura  in  Cuma  ,  per  sospetto  o  per  delitto  di  tentala     della  sepoltura  avrebbe  impedito  di  esprimere  la  fiso- 
sedizione,  nel  maggiore  accanimento  dei  Romani  con-     nomi  a  di  quegli  estinti;  giacché  potevano  prendersi 
tio  la  nazione  a  cui  essa  apparteneva.  Varie  ragioni     da  busti  marmorei  precedentemente  scolpiti  ;  o  tenersi 
possono  afforzare  una  simile  conghiettura,  varie  op-     in  casa  belli  e  formati ,  mentre  erano  in  vita  coloro 
posizioni  possono  dileguarsi.  Gli  scheletri  della  tomba     che  n'  erano  rappresentati.  È  facile  poi  dileguare  la 
cumana  potevano  essere  di  Alessandrini  o  di  Persiani?     opposizione,  che  trar  si  potrebbe  dal  vedere  con  tutta 
-Osservando  diligentemente  la  testa  di  cera  salvata  dalla     diligenza  sepolti  uomini  condannati  nel  capo.  Già  le 
distruzione,  si  scorgono  ambe  le  orecchie  forate,  ab-     romane  leggi  provano,  che  non  dinegavasi  loro  la  se- 
benchè  sia  virile.  Non  nego  già  che  gli  orecchini  fos-     poltura.  Dice  Ulpiano  :  Corpora  eorum  qui  capile  la- 
sero talvolta  adoperati  anche  da' Romani,  e  da'Greci,     mnanlur,  cognatis  ipsorumneganda  non  Sìtnt  ;  e  sog^iu- 
ma  ritengo  che  un  tale  ornamento  a  tutte  due  le  orec-     gne:  el  nonnumquavi  non  permillilur ,  maxime  maje- 
chie  è  più  conveniente  a  popoli  asiatici  ed  orientali  ;     s(alis  causa  damnalorum  (Dig.  lib.  XLVIH.  tit.XXl  V. 
per  modo  che  furono  in  uso  appo  di  loro  si  fatlamente,     1. 1  )  :  dal  che  viensi  ad  indicare  che  per  solita  regola 
che  da' fori  delle  orecchie  venivano  liconosciuii.  si  permetteva  anche  a*  ribelli  l'onor  del  sepolcro.  Né 

Così  da  entrambe  le  orecchie  forate  fu  ravvisato  diversamente  il  giureconsulto  Paolo  ne  insegna;  cor- 
ner non  greco  quell'ApoUonide  da  Agasia  presso  Se-  pora  animadversorum  quibuslihet  petenlibus  ad  septd~ 
nofonle  (àSa|3.  lib.  I.  e.  1,  31).  E  così  pure  in  epoca  ttiram  danda  sunl  (ibid.  1.  2.  ).  Ma  più  iniporlanle  al 
più  recente  dicea  Giovenale  :  presente  caso  è  un  editto  di  Diocleziano,  e  di  Massi- 

Natus  ad  Euphratem,  molles  quod  in  aure  fcneslrae     miano  del  290  ,  col  quale  venne  permessa  espressa- 
Arguerinl  (Sai.  I.  v.  104).  '  menle  la  sepoltura  ai  cundannati  :  obnoTÌos  crimimiìH 

E  si  noli  che  i  due  fori  praflicali  in  ciascuna  delle  due     digno  snppìicio  siibjectos  sepidturae  tradì  non  velamus 


\2\ 


(  Cod.  lib.  Ili ,  lit.  44  1.  11  ).  Per  le  quali  cose  non 
dovrà  sorprendere  affatto  ,  che  persone ,  le  quali  su- 
birono la  pena  capitale,  anche  per  delitto  di  sedizione, 
fossero  state  tranquillamente  seppellite. 

Qualunque  sia  il  valore  archeologico  della  esposta 
conghiettura  ,  non  debbo  tacere  che  molte  difficoltà 
storiche  la  rendono  meno  plausibile.  Supposta  proba- 
bile la  esistenza  di  una  o  più  famiglie  orientali  in  Cu- 
nia  ,  non  altrimenti  che  nella  vicina  Pozzuoli  ;  riesce 
oltremodo  strano  che  da  lor  si  tentasse  una  sedizione 
nel  tempo  delle  guerre  de'Romani  in  Persia  o  in  Ales- 
sandria ,  per  cui  a  ben  quattro  individui  s' infliggesse 
nello  stesso  tempo  il  supplizio.  Non  era  già  una  po- 
polazione intera  ,  che  sperar  potesse  la  vittoria  ;  ma 
si  trattava  di  poche  persone  soggette  al  potente  dominio 
di  Roma.  E  pure  in  questa  ipotesi  di  un  avvenimento 
non  provato,  ed  in  certo  modo  improbabile,  sarebbe 
strana  cosa  la  perdita  totale  de'  quattro  crani!  ;  spe- 
cialmente trattandosi  di  persone  di  non  grande  impor- 
tanza, e  certamente  tali  che  non  richiede  vasi  la  pre- 
sentazione delle  loro  teste ,  per  assicurarne  la  morte. 

Se  dunque  non  accontenta  pienamente  l'umano  ra- 
ziocinio la  doppia  ipotesi  Uel  martirio  subito  da  Cristia- 
ni, o  della  condanna  inflitta  a  delinquenti,  rimarrà  ne- 
cessariamente provalo  che  i  cranii  furono  tolti  a' cada- 
veri per  tutt'altra  ragione,  e  probabilmente  dopo  la  loro 
sepoltura.  Ma  per  quale  motivo?  Ecco  quello  appunto 
che  vengo  brevemente  a  proporre.  Fra  i  delirii  della 
gentilità  ,  ve  ne  fu  uno,  che  è  un  misto  di  stoltizia  e 
di  empietà  :  dir  voglio  la  magia.  Fralle  nefande  ope- 
razioni di  coloro ,  che  dedicavansi  a'  sortilegi!  ,  eravi 
anche  quella  di  penetrare  nelle  tombe  degli  estinti ,  dì 
tagliare  a  pezzi  i  cadaveri,  per  usarne  a  prò  delle  loro 
vane  ed  irreligiose  pratiche.  Leggiamo  in  Apulejo:  Sed 
oppido  formido  caecas  et  inevitabiles  lalebras  magicae 
disciplinae.  Nani  ne  mortuorum  quidem  sepulcra  luta 
dicuntur:  sed  ex  bwilis  et  rogis  reliquiae  quaedam,  et 
cadaverum  praesegmina  ad  exiliahiles  viventium  for- 
tuiias  petunlur.  Et  cantatrices  anus  in  ipso  momento 
choragii  funehris  praepeti  celerilate  alienam  sepulturam 
anlevortunt.  [Melam.  lib.  II.  33,  s.t.I.p.l39a.  Oud.). 
Lo  stesso  Apulejo  descrive  altrove  una  magica  offici- 
na :  e  fralle  varie  parti  di  cadaveri  preparale  all'eser- 


cizio di  quella  superstiziosa  follia,  rammenta  i  duri 
teschi  d' infelici  morti.  Prìusque  apparatu  solilo  in- 
slruit  feraìem  o/Jicinam,  omne  genus  aromatis,  et  igno- 
rahiliter  laminis  lilteralis,  et  iufelìcivm  Manivv 
DURÀNTiBus  cALVis:  defletorum,  sepultorum  etiam  ca~ 
daverum  expositis  mullis  admodum  memhris.  Hic  na- 
res  et  digiti,  iìlic  carnosi  davi  pendentium:  alibi  truci- 
datorum  servatus  cruor,  et  extorta  denlibus  ferarum 
trunca  calvaria  (Ibid.  1.  III.  34,s.p.20o  s.  Oud.)  (I). 
Racconta  Giovanni  Salisberiense  che  in  Antiochia  si 
trovarono  moltissime  casse  piene  di  teste  umane,  ser- 
vite alle  infami  prattiche  del  mago  Giuliano  :  In  An- 
tiochia quoque  arcas  in  Palatio  plurimas  humanis  ca- 
pilibus  plenas  invenerunt,  et  demersa  puteis  innumera 
corpora  morluorum'[nugar.  curici,  lib.  VIII  e.  XX): 
ed  altri  esempli  di  violazione  di  sepolti  cadaveri  per 
uso  di  magia  si  trovano  in  S.  Girolamo  (  in  Daniel. 
t.  IV  f.  497),  in  Porfirio  [de  abslin.  ab  animai,  lib.  II. 
f.  33.) ,  in  Stazio  (  Theb.  IV.  510  segg.),  e  nel  citato 
luogo  di  Lucano ,  il  quale  rammenta  coloro  che  aiu- 
tavano le  empie  operazioni 

....  fidi  scelerum,  suelique  ministri 
Effractos  circum  tumulos,  ac  busta  vagati  eie. 
(  Phars.  VI,  573  s.  ).  Queste  operazioni  tenebrose  e 
malvagge  della  magia  danno  a  nostro  giudizio  la  piùi 
plausibile  spiegazione  del  novello  fatto  archeologico. 
E  per  verità  una  tomba  ben  vasta,  con  quattro  cada- 
veri, con  lavori  di  vetro  di  una  certa  eleganza ,  non 
contenendo  alcun  oggetto  di  valore,  ci  facea  dubitare 
che  fosse  stata  perquisita  anticamente  da  quella  classe 
di  ladri  degli  antichi  sepolcri,  che  ruixfiMpvxpi  veni- 
vano con  greco  nome  appellati.  Ora  siamo  persuasi 
che  altre  piìi  infami  persone  insieme  colle  teste  de'se- 
polti,  rapirono  tutto  ciò  che  di  prezioso  era  nella  sup- 
pellettile ,  o  negli  ornamenti  conservati  nel  sepolcro. 
Potrebbe  immaginarsi ,  che  quella  sostituzione  di 
protomi  di  cera  fosse  stata  fatta  posteriormente  (2),  al- 

(1)  Noi  abbiamo  ritenuta  la  correzione  del  Lipsio  ,  che  ci  sem- 
bra la  più  ragionevole.  Del  resto  il  luogo  di  Apulejo  soggetto  in 
tutte  le  sue  parti  a  varie  interpretazioni  si  spiega  mirabilmente 
col  confronto  di  Lucano  (Phars.  VI,  507  segg. );  siccome  mostre- 
remo in  altra  occasione. 

(2)  Non  ci  sembra  fondata  la  osservazione  di  Winckelmann  (pierr. 
de  itoseli  p.  217  n.  1315)  sulle  nias<;bt:re  deposte  ne'  sepolcri  in- 


—  12:; 


lorchè  nel  riporre  i  nuovi  cadaveri,  si  avvidero  della 
brutta  mutilazione  de'  due  capi.  Né  dee  parere  mara- 
viglioso  che  la  medesima  mutilazione  subissero  i  nuovi 
sepolti,  potendosi  esser  presa  di  mira  una  particolare 
famiglia  per  particolari  superstizioni,  le  quali  noi  ri- 
fiutiamo di  andare  indagando.  Ovvero  il  sepolcro  fu 
violato,  quando  già  i  quattro  cadaveri  vi  erano  stati 
riposti  ;  e  fu  scoperto  il  delitto  nel  sepellire  qualche 
servo,  di  che  può  giudicarsi  esser  le  ceneri  delle  cinque 
olle  mortuarie  disposte  ne*  diversi  loculi  in  giro. 

Questa  spiegazione  vien  confermata  da  un'alira  sco- 
perta ,  ch'ebbe  luogo  non  ha  guari  in  altro  cumano 
sepolcro  :  vo  dire  di  una  di  quelle  laminetle  di  piombo 
relative  a  magiche  esecrazioni,  le  quali  sotto  il  nome 
di  ;c«raS/ffs/s ,  e  defixiones  soa  conosciute.  Questa  è 
posseduta  da  S.  E.  il  Cav.  Tempie  in  Napoli ,  e  fu 
pubblicata  dal  Sig.  Henzen  ,  f  annali  dell'  hi.  1846. 
pag.  203.  seg.  )  poi  riprodotta  dal  Franz  ;  (  nel  corp. 
inscr.  gr.  voi.  III.  p.  756  e  seg.)  ed  io  slesso  vi  feci 
alcune  osservazioni  in  altra  pubblicazione  fBall.arch. 
nap.  an.  VI.  p.  66  segg.  Di  simili  laminette  di  piombo 
ritrovate  in  sepolcri  dell'Attica,  vedi  Boeckh  e.  inscr. 
gr.  n.  538,  539,  e  le  cose  da  lui  dette;  non  cheHein- 
sio  ad  Ovid.  amor.  III.,  7,  29).  Da  molte  ragioni  si 
manifesta  che  questa  laminetta  di  piombo  appartiene 
al  secondo  o  terzo  secolo  dell'  era  cristiana  (  Henzen 
/.  e.  p.  214  ;  Franz.  /.  e.  )  ;  cioè  intorno  a  quell'epoca 
appunto,  in  cui  si  trova  il  corrispondente  fatto  de'  rapili 
teschi  da  un  altro  cumano  sepolcro.  E  certamente 
questi  due  fatti  del  tempo  medesimo  e  nella  medesima 
Cuma  si  danno  una  scambievole  luce.  Più  antica  è  una 
laminetta  di  piombo  con  imprecazioni  ritrovala  in  que- 
sti ultimi  tempi  ne'  sepolcri  romani  della  via  latina  (  v. 
il  eh.  p.  Marchi  nella  Civiltà  CatloUcayUl,  243  seg.), 
sulla  quale  il  Sig.  Cav.  de  Rossi  ha  fatto  alcune  dotte 
osservazioni  [bullett.  dell'  Ist.  1852  p.  20  e  seg.).  Or 
questa  lamina  appartiene  al  piìi  tardi  all' ottavo  secolo 
di  Roma  (v.  de  Rossi  Le.  e  Cavedoni  nello  stesso  bul- 
/f«inop.l35  e  seg.).  Si  pruova  quindi  che  queste  ma- 
gie per  ra  ezzo  de'morti  già  si  usavano  in  Roma  in  quei 

iieme  co'  cadaveri.  Del  resto  vedi  su  di  cib  il  sig.  Raoul-Roch«lt« 
(  Irois.  meni,  sur  les  ani.  chr.  p.  130  s.). 


tempi.  Si  trae  lo  stesso  da  ciò  che  racconta  Tacito  di 
Pisone;  nella  cui  casa  furono  rinvenute  simili  incanta- 
gioni :  Et  reperiebanlur  solo  ac  parielihus  erutae  hii- 
manorum  corporum  reliquine ,  carmina  et  devotiones , 
et  nomen  Germanici  plumheis  tabulis  inscuiptum  etc. 
(Annal.  II.  ,  69  :  cf.  Dione  Cassio  LVII.  18).  Note- 
volissimo è  questo  fatto,  perchè  non  altrimenti  che  il 
citato  passaggio  di  Apulejo ,  ravvicina  le  tavolette  di 
piombo ,  alle  violazioni  de'  sepolcri  :  come  i  due  ri- 
trovamenti cumani  esser  denno  tra  loro  ravvicinati. 

Ci  sembra  importante  l' annunzio  dato  da'  chiaris- 
simi P.  Secchi  e  cav.  de  Rossi  del  ritrovamento  di 
laminette  di  oro  ,  o  di  altri  men  nobili  metalli ,  con 
iscrizioni,  nella  bocca  di  teschi  di  cadaveri,  rinchiusi 
in  urne  di  terracotta  [bullett.  dell' Ist.  IS^ì  p.  151-s.). 
E  ci  riserbiamo  di  farne  il  confronto  co'  monumenti 
cumani  quando  ci  sarà  dato  di  averne  una  pili  parti- 
colareggiata notizia. 

Queste  poche  cose  ho  creduto  di  dire  sulla  singo- 
larità di  un  fallo  così  nuovo  e  curioso.  In  qiMlun(|ue 
caso,  abbiamo  sotto  gli  sguardi  il  primo  esempio  dei 
rilratti  in  cera,  delle  notissime  imaijines  ccreae, ed  un 
altro  argomento  delle  superstiziose  idee  degli  antichi , 
e  di  una  delle  loro  empie  follie  nelle  nostre  regioni. 


f  continua  J 


MlNERVIM. 


Di  alcuni  antichi  oggetti  diversi  provenienti  dalla  Ma- 
gna Grecia,  dalla  Sicilia,  e  da  Roma.  Da  lettera 
del  eh.  ab.  D.  Celestino  Cavedoni  al  signor  Giulio 
Minervini. 

Non  saprei  come  meglio  festeggiare  un  evento  si 
fausto  e  felice  (la  comparsa  della  nuova  serie  del  bui- 
lettino  archeologico  napolitano  ) ,  che  nel  darle  rag- 
guaglio di  alquanti  oggetti  antichi  provenienti  di  re- 
cente dal  sempre  ricco  emporio  del  Regno  delle  due  Si- 
cilie, e  recali  in  Modena  mia,  parte  dall' ottimo  nostro 
Principe  1'  Arciduca  Francesco  V  d' Austria-Este , 
parte  da  un  negoziante  di  anticaglie,  e  parte  da  altri. 
Fra  gli  oggetti  antichi ,  che  S.  A.  R.  riporlo  dal 
suo  viaggio  in  codeste  felici  contrade  ,  le  accennerò 


—  126  — 


da  prima  un  bello  intaglio  in  piccola  corniola  di  for- 
ma ovale  ,  rappresentante  uno  Sparviero  posato  so- 
pr'  esso  un  ramo  di  palma  ,  con  laurea  nel  becco ,  e 
con  lo  pscent  Egizio  in  sulla  testa  :  sopra  l' estremità 
superiore  del  ramo  di  palma  vedesi  posata  una  far- 
falla. Questa  gemma  probabilmente  proverrà  dalle 
parti  di  Catania,  ove  suole  trovarsi  copia  singolare 
di  antichità  Egizie  (Eckhel  T.  I ,  p.  204).  Fra  le  me- 
daglie riportate  da  S.  A.  R.  primeggia  un  bellissimo 
aureo  di  Cerone  II,  nel  quale  mi  riesce  nuova  la  spiga 
accompagnata  dalla  lettera  <t  di  retro  alla  testa  di  Pro- 
serpina  inghirlandata  di  due  spighe  fogliute.  La  figura, 
che  nel  riverso  guida  la  biga  in  tutta  corsa ,  parmi 
vestila  di  ampia  e  lunga  tunica  cinta  ,  non  alle  reni , 
ma  verso  il  petto  (cf.  Trésor  de  num.  Rois  Gr.  PI.  I,  9). 
In  un  didrammo  di  Velia  col  simbolo  della  triquetra, 
posta  di  mezzo  alle  lettere  ^  I,  ciascuno  de' tre  cal- 
cagni di  essa  è  fornito  di  ala  (cf.  Carelli,  tab.  CXXXIX, 
42).  In  altro  di  Metaponto  (cf.  Carelli,  tab.  CLVII, 
n.  130)  da  una  parte  è  la  solita  spiga,  con  la  scritta 
META  ,  e  dall'  altra  una  figura  virile  ignuda  stante 
di  prospello,  e  riguardante  a  sinistra,  con  clava  nella 
d.  inclinala  in  sull'omero  ,  e  con  la  s.  applicata  al- 
l'anca ,  lenendo,  come  sembra,  un  arco  sctlico.  Pare 
adunque  così  ritratto  un  simulacro  d'Ercole,  anzi  che 
di  Teseo  o  d'altro  eroe  (cf.  Carelli ,  op.  e.  p.  83  : 
Avellino,  It.  vet.  num.  T.  II ,  p.  13,  n.  21  ).  Fra  le 
venti  monete  di  rame  Sicule,  riportate  da  S.  A.  R.  , 
ve  ne  avea  una  piccolina  col  tipo  del  Cabiro  od  Er- 
cole- Pateco  Fenicio  ripetuto  nel  riverso  ,  con  lettera 
Fenicia  che  somiglia  ad  un  O  (  f.  Ain  )  ;  e  ciò  mi 
parve  notevole  perchè  il  eh.  Raoul  Rochelte  f'A/ercM/e 
A<syr.  [>.  365-372)  mostra  dubitare  ,  che  in  Sicilia 
Irovinsi  di  colali  monete  di  sede  tullor  controversa  , 
restando  in  dubbio  se  spettino  a  Cossura  ,  o  alle  Ra- 
leari  o  ad  Ebuso.  V  erano  pure  due  assi  romani  di 
bello  stile  Greco  con  la  testa  di  Giano  bifronte  nel 
litio  e  con  laurea  nel  riverso  ,  entro  la  quale  a  pena 
resta  qualche  vestigio  di  lettere.  Uno  di  essi,  benché 
logoro ,  pesa  sette  grammi ,  e  l' altro  oltrepassa  di 
poco  i  sei  grammi  :  lo  che  torna  iu  conferma  dell'av- 
viso del  eh.  Borghesi  (v.  la  mia  Num.  Bibl.  p.  131- 
132),  che  colali  assi ,  del  peso  di  un  sicilico  o  sia 


di  un  quarto  d' oncia,  fossero  impressi  io  Sicilia  dopo 
r  espulsione  di  Sesto  Pompeio. 

Colle  monete  di  bronzo  ben  si  connette  una  sta- 
tuetta dello  stesso  metallo,  alta  otto  centimetri,  rap- 
presentante ima  donna  vestita  di  lunga  tunica  ,  che  a 
pena  le  lascia  scoverta  la  punta  de'  piedi  calzali,  con 
cintura  soll'esso  le  mammelle,  e  con  manto  che  d' in 
su  l'omero  s.  le  ricade  dietro  la  schiena  e  la  ricinge 
tutta  a  mezzo  la  persona,  andando  coll'allra  sua  estre- 
mità ad  avvolgerle  l' avanbraccio  s.  Ella  ha  nella 
mano  s.  alquanto  prolesa  e  supina  un  pomo ,  o  globo 
che  dir  si  debba ,  e  tiene  la  d.  applicata  al  fianco  in 
alto  di  riposo  o  d' impero.  Pare  Venere  vincitrice  col 
pomo ,  ovvero  l' Eternità  col  globo  in  mano ,  come 
congetturar  si  può  dal  riscontro  de'  tipi  delle  donne 
Auguste  de'  tempi  degli  Antonini  :  e  l'acconciatura 
della  chioma ,  raccolta  in  nodo  nel  vertice  del  capo, 
assai  somiglia  a  quella  di  Faustina  seniore. 

Fra  gli  oggetti  di  terra  cotta  basti  pur  ricordare 
una  bella  testina  di  donna,  alquanto  inclinata  a  s.  con 
la  chioma  raccolta  in  nodo  al  di  dietro  ;  ed  un  ma- 
nico di  anfora  con  la  seguente  marca  impressa  nella 
parte  sua  superiore  presso  la  bocca  del  vaso,  in  lettere 
greche  di  bella  forma  che  sembra  appellare  a'  tempi 
di  Agatocle  o  di  Cerone  II  : 

EPI  KAAAIKPA 

TET-S  (sic) 

AÀAIOT 

Fra  le  copiose  epigrafi  analoghe  di  figuline  Sicule 
riportate  nel  Corpus  Inscr.  Gr.  (T.  Ili,  p.  67.O-680) 
non  trovo  ,  che  in  altra  si  combini  il  nome  del  ma- 
gistrato Caìlicrate  col  mese  Daìio  o  sia  Delio.  Sarebbe 
tornalo  interessante  conoscere  la  località,  donde  pro- 
viene questo  frammento  di  figulina  Sicula;  ma  chi  ac- 
compagnava il  Duca  nostro  nel  suo  viaggio  non  seppe 
dirmi  allro  se  non  che  forse  fu  acquistata  a  Pozzuoli. 

Fra  diverse  anticaglie  ,  che  seco  recava  un  certo 
Coltellini  di  Cortona,  proveniente  da  Napoli,  mi  par- 
vero degne  di  qualche  considerazione  le  seguenti.  Due 
spirali  di  filo  piallo  di  bronzo ,  l' una  a  venticinque 
giri,  benché  non  integra,  e  l'altra  pur  rolla  a  giri 
più  larghi  mn  di  minor  numero.  Pare  che  servir  po- 
tessero di  armatura  e  riparo  alla  gamba  ed  al  braccio 


127  — 


di  un  combattente,  e  segnatamente  di  un  gladiatore; 
sì  che  l'una  forse  dir  si  potrebbe  manica  e  libialeViìl- 
tra  (cf.  Henzen ,  Musiv.  Burghes.  p.  40,  tab.  I,  IF, 
VII:  Marini,  Arv.  tav.  a  p,  165:  Ercol.  e  Pompei, 
Bronzi  tav.  75  ),  Un  colatoio  ,  ovvero  mestola  da 
schiumare  con  un  giro  di  forellini  nella  parte  sua  sco- 
dellata ,  e  con  foro  più  largo  nel  centro.  L'estremità 
del  manico ,  invece  di  ripiegarsi  verso  la  parte  infe- 
riore, come  nelle  odierne  mestole  nostre  ,  s' inflette 
da  un  lato  e  prende  forma  come  di  chenisco.  Anche 
essa  è  di  bronzo  ,  o  rame  misto  ad  altro  metallo  (cf. 
Minervini ,  Mon.  ined.  Barone ,  tav.  XI  :  Ercol.  e 
Pompei ,  Bronzi  tav.  68  ). 

Ricorderò  pure  tre  pezzetti  d'ambra  di  colore  co- 
me di  mele  (cf.  Plin.  XXXVII,  12),  ma  ricoperti 
di  un'  efflorescenza  o  tartaro  bianchiccio.  Uno  di  essi 
è  lavorato  a  foggia  di  piccolo  clipeo  macedonico ,  or- 
nalo di  un  globetto  di  vetro  incastrato  nel  centro;  al- 
tro ha  figura  come  di  pelta  tracica  ornata  di  foglia- 
mi ;  e  r  altro  ha  forma  di  piccolo  priapo  (  xl^oTov  ) , 
cui  stranamente  è  congiunto  ,  ed  inserto  per  mezzo 
di  un  anello,  lo  scroto  fatto  di  bronzo  nerastro.  Tutti 
e  tre  questi  pezzetti ,  e  segnatamente  l' ultimo  ,  pare 
servissero  di  amuleto,  giacché,  a  detto  di  Plinio  (H. 
Nat.  XXXVII ,  12);  succinum  infaniibus  adalligari 
amuleli  ratione  prodesl  ;  urinae  difficultalibus  potum 
adalli gatumque  (prodesl). 

Il  pezzo  più  bello ,  seco  recato  da  Napoli ,  che  si 
avesse  il  suddetto  Coltellini,  si  è  una  statuetta  fittile, 
\uota  neir  interno  ,  con  foro  nella  base  ,  e  con  altro 
nella  parte  sua  posteriore ,  fatto,  come  pare,  perchè 
meglio  riescisse  la  cottura,  e  con  tracce  di  colore  rosso 
in  alcune  parti.  Essa  dicesi  trovata  nelle  vicinanze  di 
Pompei,  non  so  con  quanta  probabilità.  Rappresenta 
un  putto  paffutello ,  alto  circa  un  palmo,  che  stassi 
mezzo  accosciato,  piegando  fin  quasi  a  terra  il  ginoc- 
chio suo  sinistro  ,  tenendo  un  frutto  ,  od  altra  cosa 
tonda,  nella  mano  sua  d.  posata  sopra  il  ginocchio  pur 
d.  ed  abbracciando  nel  tempo  stesso  caramente  colla 
s.  un  cagnolino  pomerano  che  tutto  festoso  ,  con  la 
coda  attorcigliata,  protende  il  muso  verso  il  petto  del 
fantolino  come  in  atto  di  leccare  o  succhiare  la  tenera 
di  lui  mammelletta.  11  putto,  del  resto  ignudo,  ha  un 


piccolo  manto,  che  gli  ricade  dietro  le  schiene  e  che 
nelle  sue  due  estremila  resta  sostenuto  dalle  braccia 
del  putto  medesimo.  O"fslo  ha  inoltre  la  corta  chio- 
ma ricinta  da  tenue  tenia  ,  o  filo  che  sia ,  ed  un  giro 
di  globellini  attorno  al  collo  ,  che  creder  poirebbesi 
di  coralli  :  tanto  più  che  ,  a  detto  di  Plinio  (II.  Nat. 
XXXII.   11),  surculi  fcuraliij  ,  infantiae  adaltiga- 
ti,  tulelam  hahere  creduntiir ,  ed  il  corallo  nasceva 
pure  ante  Neapolim  Campaniae  fibidj.  Del  resto , 
questa  graziosa  terracotta  forse  servì  dì  trastullo  a 
quel  fantolino,  e  come  cosa  ad  esso  lui  cara  fu  ripo- 
sta con  lui  nel  sepolcro  ;  e  se  fu  appositamente  fatta 
per  lui,  può  credersi  che  ne  rappresenti  le  nati\ e 
sembianze. 

Da  ultimo ,  per  darle  pur  anche  qualche  novità 
epigrafica,  le  trascrivo  due  epitafì,  che  diconsi  di  re- 
cente scoperti  negli  scavi  della  Via  Appìa ,  e  che  in 
originale  mi  furono ,  fuor  d' ogni  mio  merito,  recati 
da  Roma  in  dono  da  mano  gentile  e  cortese. 


1. 


A  •  IO  • 
Z  •  •  • 
10-  • 

nAiu) 


•loc 
•  oc 

•  A 

NOm 


TIIT€IMIU)TAT" 
CT.MBIU) 

KAI  CCMMI 

KATA  nAN 

€nOIIC€N- 
MNHMIIC  XAPIN 
Stela  di  marmo  alta  36  centimetri,  larga  22  e  pro- 
fonda 9  ,  con  largo  foro  rotondo  verso  la  sommità  , 
fatto  per  servirsene  in  altro  uso,  che  ha  guastate  quasi 
per  intero  le  prime  quattro  righe.  Le  lettere  sono  di 
bello  e  profondo  intaglio  ,  e  per  la  forma  sembrano 
da  riferirsi  a'  tempi  degli  Antonini.  Supplendo  le  let- 
tere perdute  pare  potersi  intendere,  che  questo  umile 
cippo  fu  da  L,  lunio  o  lulìo  Zosimo  apposto  al  sepol- 
cro di  lunia  o  lulia  Paeonopide ,  sita  onoratissima 
consorte,  e  in  tutto  onesta,  per  tramandarne  lamemo- 
ria  ai  posteri.  Le  lettere  finali  ni  della  i  linea  e  l'H 
finale  della  5  ,  sono  assai  più  piccole  delle  altre ,  e 
così  pure  tutte  quelle  dell'ultima.  In  fine  della  penul- 


—  128  — 


lima  è  notevole  la  lineetta  orizzontale ,  che  verso  la 
estremila  sua  s'ingrossa  un  pochino  e  ripiegasi  allo 
ingiù ,  forse  per  riempiere  un  piccolo  spazio  rimasto 
vuoto  (  cf.  Franz ,  El.  epigr.  Gr.  p.  375  ).  La  scrit- 
tura EnoHCeN  per  EIIOIHSEN  trova  riscontri  ana- 
loghi in  altre  iscrizioni  Greche  di  Roma  e  suoi  din- 
torni (v.  Corp.  I.  Gr.  n.  6510,  6525,  6562,  6630). 
I  molti  Giuli!  e  Giulie  d'altri  epitafli  Greci  di  Roma 
(Corp.  I.  Gr.  n.  6573-6592)  rendon  più  probabile 
il  supplimento  IOi;XIOC  di  quello  che  l'altro  lOuflOC. 
2. 

MESSIAE  FELICVLAE 
CONIVGI  •  R  •  M 

IVLIVS  •  lANVARlVS 


Parte  superiore  di  una  lapida  di  marmo,  larga  cen- 
timetri 30  ,  ed  alta  22  ;  che  nella  sua  primiera  inte- 
grila poteva  essere  alta  il  doppio  ed  anche  più.  Se 
questa  lapida  ci  fosse  pervenuta  integra  ,  chi  sa  che 
al  disotto  non  ci  si  vedesse  delineata  una  gattina,  FE- 
LICVLA  ,  allusiva  al  nome  della  defunta  ,  come  in 
quella  di  Calpurnia  FELICLA  riportata  dal  Fabretti 
(Inscr.  cap.  Ili ,  n.  423,  p.  187)? 

Modena  26  dicembre  1852.         C.  Cavedoni. 

Descrizione  di  alcuni  vasi  dipinti  del  real  museo  Bor- 
bonico. Continuazione  del  n.  li. 

Certamente  una  simile  statua  di  Omero  vedeasi  nel 
portico  alla  destra  del  tempio  de'  Tolommei ,  come 
assicura  Luciano  [Demost.  encom.  1,  2);  ove  presta- 
vasi  ad  essa  un  religioso  cullo.  Le  figure,  che  fregia- 
no la  edicola  nel  vasodiCanosa,e  che  per  esser  lulte 
<li  bianco  riputar  si  deggiono  monocromi ,  o  bassiri- 
Iie>  i ,  non  disconvengono  ad  omerico  monumento.  In 
fatti  il  vecchio  sedente ,  sul  capo  del  quale  mirasi 
sospeso  un  conico  pileo ,  riputar  si  dee  Ulisse  ;  ed  il 
giovine ,  che  a  lui  si  presenta  con  l' asta  ,  giudicar  si 


potrebbe  lo  slesso  Achille:  i  quali  essendo  i  due  prin- 
cipali eroi  della  Iliade  e  della  Odissea  valgono  suffi- 
cientemente ad  indicare  que'  due  famosi  poemi.  Che 
se  alcuno  dimandar  volesse  come  mai  si  ritrovino  fra 
loro  in  rapporto  que'  due  omerici  eroi,  ricorderò  che 
nelle  Kt;7rg/«  si  riporta  che  Achille  dopo  la  morte  di 
Tersile  recossi  in  Lesbo  per  essere  ivi  purificalo  dal- 
l' Ilacese  (  Phot.  exc.  ex  cod.  CCXXXIX  et  Prodi 
Chreslom.  ).  Un'  altra  particolarità  ci  sembra  degna 
di  considerazione  nella  omerica  tomba;  ed  è  l'orna- 
mento ad  onda ,  che  ne  fregia  la  base.  Non  negherò 
che  questo  ornato,  frequentemente  adoperato  ne' vasi 
dipinti  ,  aver  potrebbe  una  generale  intelligenza  ;  ma 
nondimeno,  a  mio  giudizio,  offre  una  particolare  ap- 
plicazione ad  Omero.  Probabilmente  farà  allusione 
al  fiume  ilfeies,  presso  del  quale  diceasi  nato  Omero, 
e  di  cui  faceasi  quasi  figliuolo  nella  mitica  leggenda  ; 
per  lo  che  venne  denominalo  Melesigene  (  Hom.  vita 
cap.  3  ;  Pausan.  lib.  VII  e.  5  ;  Himer.  ed.  XIII  §. 
3 1  ;  Philostr.  Vit.  Soph.  dedic.  ;  Lucian.  Demosth. 
enc.  9  :  vedi  ciò  che  scrive  su  questo  nome  il  Lelrou- 
ne  negli  annali  dell' hi.  1845  pag.  309.).  Questo 
medesimo  rapporto  è  varie  volle  indicato  nelle  me- 
daglie ,  sulle  quali  al  rovescio  della  lesta  di  Omero  è 
il  fiume  dichiarato  dal  proprio  nome,  e  recando  tal- 
volta in  mano  la  Ura  (Eckhel  doctr.  l.IIp.385  e  560), 
forse  non  senza  allusione  al  fxsXos ,  simboleggiato  da 
queir  istrumento.  Per  chiudere  le  nostre  osservazioni 
su  questo  primo  vaso,  noterò  che  l' apoteosi  di  Ome- 
ro diversamente  significata  ed  espressa  in  altri  monu- 
menti, nel  nostro  vaso  di  Canosa  trovasi  indicata  al- 
tresì dalla  donna  che  a  lui  si  appressa  recando  con 
ambe  le  mani  un  vaso  :  o  che  questa  sia  intesa  ad 
onorare  il  cieco  poeta  con  vaso  da  sagrifizio ,  o  piut- 
tosto che  a  lui  presenti  la  divina  bevanda  dell'Elisio. 
Comunque  voglia  interpretarsi  questa  particolarità, 
ognun  vede  quale  strettissimo  rapporto  esiste  fra  l'una 
e  l'altra  faccia  di  questo  importantissimo  vaso. 

MlNERVlNI. 


P.  Raffaele  GAnnccci  n.c.n.e. 
GiDLio  MfNEBViNi  —  Editwi. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catàseo. 


BILLKTJ 


N.'  17. 


ARCHEOLOGICO  IVAPOLITA^O. 

NUOVA    SERIE 

Marzo  18Ò3. 


Monumento  di  arcliilctlura  eintfica  in  Capila  (S.  Maria). — Il  Peui-oikilu  omerico  in  scpolno  rumano. — Sulla 
pretesa  coppia  di  Consoli  Q.  Cecilio  e  M.  Bennio.  —  Topografia  delle  spiagge  di  Baja  graffila  sopra  due 
vasi  di  vetro.  —  Osservazioni  sullo  slesso  argomento. 


Monumento  di  architcìiura  etnisca  in  Capua 
(S.  Maria). 

Il  moniimenlo  sepolcrale  di  Capua  ,  dei  quale  fa 
qui  luogo  discorrere ,  è  non  meno  prezioso  per  inte- 
grila, che  maraviglioso  di  struttura.  Sarà  cosa  di  gran 
rilevanza  per  la  scienza,  che  dopo  la  scoperta  di  epi- 
grafi etrusclie  nel  territorio  Campano  occupato  e  do- 
minato dagli  Etruschi,  possa  ora  mostrarsi  anche  un 
monumento  di  arte ,  e  questo  dello  stile  più  arcaico, 
a  pienamente  distruggere  i  dubbiì  del  Niebhur. 

I  monumenti  che  ci  diano  maggiori  notizie  del  ge- 
nere di  architettura  impiegata  dagli  Etruschi  nella  loro 
Elruria  sono  i  sepolcri ,  dai  quali  rilevasi  che  gli  or- 
dini sono  i  medesimi  che  presso  i  Greci.  A  queste 
nozioni  di  greco  artificio  non  aggiungono  del  loro  se 
non  il  comporre  senza  regola  ,  in  che  ebbero  tardi 
imitatori  in  qualche  modo  anche  i  Romani.  Quell'or»- 
dine  che  nei  trattati  di  architettura  dicesi  toscano , 
consiste  di  un  dorico  greco  adattato  agli  usi  ed  alle 
condizioni  locali ,  siccome  ha  benissimo  provato  i| 
Comm.  Canina  (Elr.  Mariti,  p,  133-158), 

Non  sono  poi  scarsi  i  monunjcnli  di  dorico  stilo , 
ma  rarissimi  quelli,  che  possano  attribuirsi  senza  tema 
di  errare  a  maniera  ionica ,  onde  nella  sua  Etruria 
marittima  testò  citata  il  Canina  appeqa  uno  ne  allega, 
e  questo  similissimo  a  greca  struttura  (p,  105,  Tav, 
CIX,  1  ).  L'altro ,  che  egli  slima  piìi  recente,  io  non 
credo  ionico,  sibbene  composito,  a  più  segni,  ma  par- 
ticolarmente al  capitello  dell'  altezza  di  due  moduli , 
e  formato  di  foglie  d' acanto  nella  parte  inferiore  ,  e 
di  volute  ioniche  nella  superiore  (v.  Tav.  CIX,  7,  8). 

ANNO  l. 


Stando  dunque  quest'  ordine  di  decorazione  così 
povero  e  sprovvisto  di  esempi ,  grandissima  impor- 
tanza ne  acquista  il  novello  capuano  monumento,  e 
vieppiù  perchè  di  stile  vetustissimo,  e  nei  particolari 
assai  corretto. 

Formasi  adunque  di  un  imbasamento  a  due  alti 
gradoni ,  sui  quali  son  collocati  in  quadrato  quattro 
pilastri  ,  che  sorreggono  immediatamente  una  cor- 
nice ,  sulla  parte  media  della  quale  si  eleva  un  gros- 
so plinto.  Il  di  mezzo  ai  quattro  pilastri  è  solida  pie- 
tra ;  sulle  otto  faccie  di  questi  sono  scolpiti  a  rilie- 
vo depresso  le  colonne  ioniche  coi  loro  capitelli ,  ed 
abaco,  ma  senza  base;  ed  il  cornicione,  o  cimasa,  co- 
sta di  due  membri ,  il  primo  dei  quali  è  decorato 
di  mutoli  in  piano  ,  il  secondo  a  questo  sovrapposto 
vi  fa  quasi  da  gocciolatoio,  o  più  veramente  vi  tiene 
il  posto  di  quello  (  v.  la  Tav.   Vili  n.  11.). 

Non  si  conosce  finora  veruna  colonna  dorica  nean- 
che fra  le  greche  antichissime,  che  rastremi  una  metà 
del  modulo,  che  si  elevi  tre  soli  moduli,  ossia  na 
diametro  e  mezzo  in  altezza,  E  nondimeno  su  questo 
lozzissimo  fusto  vedesi  collocato  uà  capilello  ionico 
di  quella  maniera  elegante  che  gli  adoperati  nel  pic- 
colo tempio  di  Minerva  in  Priene ,  ed  in  Atene  ,  nei 
quali  con  molta  venustà  l'inferior  linea  del  canaletto, 
che  genera  di  poi  le  due  volute ,  si  curva  e  fa  seno. 
11  sepolcro  tarquinlose  detto  di  Tercenna  ha  pilastri 
sui  quali  l'ordine  dorico  è  applicalo  parte  con  la  pit- 
tura ,  parte  con  lavoro  di  scarpello  (  Canina  op.  cit. 
Tav.  LXXXXVII.  ) ,  ed  a  Cere  simili  pilastri  sono 
scarpellati  in  forma  di  colonne  con  base  e  capitello 
assai  singolare ,  e  di  più  hanno  trabeazione  fluita  da 

17 


—  130  — 


listelli,  e  divisa  da  (riglifi (Canina,  ojj.cjV.Tav.LXVIl). 
Buoni  confronti  ne  danno  ancora  gli  ipogei  di  Egilto, 
e  segnatamente  a  Tebe,  e  a  Camak  (Ann.Iìislit.  IH37 j 
F.  8).  Precedono  questi  l'invenzione  degli  ordini,  o 
sono  ad  essi  posteriori?  Io  li  credo  posteriori.  La  co- 
lonna addossata  al  pilastro,  ed  in  generale  ad  un  edi- 
lìzio è  per  me  la  ragione  potissima  della  singolarità 


parve  che  dovesse  essere  obbietlo  di  rilevanza.  E  ri- 
voltomi alSig.  Caruso,  questi,  dissi,  dovrebbero  esser 
cinque  spiedi ,  che  così  tutti  mi  darebbero  ,  ciò  che 
io  penso,  il  7r£fX7ra^)3oXov  descritto  da  Omero.  A  che, 
ei  rispose  ,  cinque  appunto  sono  gli  spiedi  trovati ,  e 
gli  altri  quattro  tosto  mi  recò ,  poiché  così  inasprt- 
tatamenle  li  vedeva  indovinati.  Questi  cinque  spiedi 


dei  membri,  del  tozzo  presso  i  popoli  antichi,  come  ora  son  collocati  Ira  i  monumenti  rarissimi  del  Real 

dello  svelto  presso  i  Romani  (cf.  MùUer,  Manuel  Museo.  Il  frutto  che  ne  traggo  io  da  sì  bella  scoperta, 

d'ArchaeoI.  §.  191  ).  Il  nuovo  monumento  capuano  è  di  meglio  assicurare  quella  parte  che  ebber  gli  Asia- 

ritrae  assai  evidentemente  dai  pilastri  degli  ipogei  nella  tici  nella  origine  di  Cuma. 

scelta  dei  membri ,  e  nella  immediata  loro  colloca-         Quasi  tutti  gli  antichi  scrittori  che  padano  della 

zione.  Perocché  i  denti  sovrapposti  all'abaco,  o  plinto  prima  fondazione  di  questa  città  la  dicono  Euboica  , 

del  capitello  figurano  i  mutoli  o  panconcelli  posti  di  la  dicono  Calcidese  ;  fra  questi  Tucidide  L,  VI.  kJ- 

lun"o  e  a  traverso  a  mostra  di  sostenere  la  volta  in  |ay,s ,  tt,s  Ik  'Ottizi'x  XxXxi^txrt?  ttoXsw?,  e  Livio  L. 

piano ,  ossia  il  soffitto.  È  costume  etrusco  osservato  Vili.  Cumani  ab  Chalcide  Euboica  originem  trahunt, 

anche  dal  Canina  il  sovrapporre  a  monumenti  funebri  e  Dionigi  d' Alicarnasso  Ki^xriv  rr,v  h  'O-mxoli  'EX- 

ora  un  globo  ,  ora  un  grosso  plinto  ,  sul  quale  tal-  Xr;u'c)y.  'irokiy,  "E^ir^iùi  f-,  xx\  XrxXxihli  fxT/o-av,  e 


volta  si  eleva  un  piccolo  cono  decorato  di  foglie  di 
acanto  ,  di  mistico  significato  (  v.  Tav.  CIX.  fig.  5.  cf. 
Vermiglioli,  Ani.  Iscr.  Perug.  ed.  sec.  Voi.  I,  Tav.  VI). 
Qui  dal  mezzo  del  finimento  che  è  sorretto  dai  quat- 
tro pilastri  sorge  un  dado,  sul  quale  alcuna  cosa  una 
volta  doveano  aver  collocata  ,  che  a  noi  non  è  dato 


Velleio ,  L.  I.  Chalcidenses  Cumas  in  Italia  condide- 
runt ,  e  Plinio ,  L.  III.  C.  V.  Cumae  Clialcidensium , 
e  Solino,  C.  Vili.  Ab  Euboeensibus  conslilulae  Cumae. 
Così  Virgilio ,  Ovidio  ,  Lucano,  Marziale,  Stazio,  ed 
i  commentatori  loro  (  Cluver.  Itai  antiq.  L.  IV ,  p. 
1002  ,  seg.  ).  Solo  Strabone  ,  per  quanto  so  ,  aggiu- 


conoscere.  Quello  che  imporla  è  di  avere  un  monu-  gne  ai  Calcidesi  anche  i  Cumani  di  Asia  (  L.  V.  C.  4, 
mento  Etrusco  singolarissimo,  e  di  un  tal  ionico  non  Kramer);  Kvix-i\  Xoikxt^-'u/Y  xcù  KvixxtcoY  'Trxkxtórx- 
osservato  finora  neanche  nella  Etruria  ,  che  si  aper-     rov  xris\xx.  A  questa  tradizione  poi  si  attengono  quegli 


tamente  imita  le  parti  di  una  sezione  degli  ipogei  tir- 
reni ,  e  questo  nella  celebratissima  Capua. 

Garrucci. 

Il  Peupobolo  omerico  in  sepólcro  cumano. 

(V.  Tav.  Vili,  n.  1,2) 

A  coloro  che  studiano  nella  storia  patria  dei  tempi 
antichi  tornerà  graditissima  una  scoperta  novissima  , 


scrittori,  che  le  danno  l'appellativo  di  Eolica,  frai  quali 
Marciano  di  Eraclea  è  il  solo  ad  asserire,  che  Trp orj- 
pov  V  ol  XxXxthTs  xvM'xKJxYyEir'  AhXiTi  fPerieg.J. 
Dal  passo  di  Strabone  citato  qui  avanti  appar  mani- 
festo ,  che  Ippocle  non  era  un  Cumano  di  Asia  che 
veniva  sul  naviglio  calcidese  a  fondar  la  Euboica  Cu- 
ma ,  ma  che  con  lui  dovea  navigare  una  colonia  di 
suoi  Cumani.  Psrocchè  altrimenti  pel  solo  Ippocle  non 
avrebbe  Strabone  potuto  scrivere,  che  Cuma  era  stata 
edificata  da  Calcidesi,  e  da  Cumani.  In  tal  modo  me- 


die tende  a  diradare  le  tenebre,  in  che  paiono  involte  glio  s'intende  come  ad  Ippocle  fosse  ceduto  il  dritto 

tuttora  le  prime  origini  di  Cuma,  la  vetustissima  tra  di  dare  il  nome  alla  novella  città,  essendo  a  parer  mio 

le  colonie  greche  d'Italia.  Ofi"riva  a' miei  sludiiilSig.  quest'attribuzione  più  riputabile,  che  il  capitanare  la 

D.  Vincenzo  Caruso  alcune  suppellettili  antiche  tro-  spedizione.  Da  ciò  conseguita ,  che  i  primi  autori  della 

vate  in  quelle  rinomate  contrade.  Era  fra  quelle  uno  colonica  deduzione  debbano  riputarsi  i  Cumani  di  Asia, 

spiedo  di  rame:  io  lo  considerava  attentamente,  si  mi  che  prima  di  venir  qui,  fermatisi  per  alcun  tempo  in 


—  131  — 


Calcide  di  Euboa,  (rasscro  seco  anche  i  Calcidesi ,  ai 
quali  accadde  che  si  allribiiissc  di  poi  la  spedizione 
dagli  scrittori,  i  quali  considerarono  Calcide  siccome 
il  punto  ,  onde  si  partì  l' intero  stuolo,  che  conduce- 
va in  Italia  i  novelli  coloni. 

Questo  vero  io  scorgo  anche  noli'  implicatissimo 
luogo  dell'Abbreviatore  di  Stefano  Bizantino,  il  quale 
pone  una  Cuma  in  Eubca,  Tr/f^Tr-rr;  ty.s  Erp^/ct?,  cer- 
tamente perchè  aveva  letto  in  Stefano,  Italicas  Cumas 
Euhoicam  fChalcidkam)  esse  caloniam,  siccome  stima 
il  Meincke  [Slephani  Bizantini,  quae super,  ex  recens, 
Aug.  3Ieinekii,  Berolini,  1819,  p.  393),  senza  che 
ivi  si  fosse  narrato  alcuna  cosa  dei  Cuniani  Euboici. 
La  spedizione  asiatica  in  Cuma  prende  forza  anche 
dalla  posteriore  venuta  dei  Samii  di  Asia  che  si  sta- 
bilirono nel  porto  meridionale  cumano  detto  prima 
Dicaearchia,  e  di  poi  Putcoli.  A  questi  gravissimi  ar- 
gomenti viene  ad  unirsi  ora  la  rilevante  scoperta  del 
Pempoholo ,  di  cui  si  sa,  per  una  preziosissima  tradi- 
zione ed  assai  antica  conservataci  dal  dotto  Euslazio, 
che  si  fece  già  uso  dai  soli  Cumani  di  Asia  ,  mentre 
nel  tempo  medesimo  altrove  i  Greci  adoperavano  in- 
vece il  triobolo.  Ecco  le  parole  di  Euslazio  :  ifctcrlv  oJ 
9raXa;ol  Mi  ol  fxiv  ^XXoi  Tp/crlv  s7rs;pov  o/32>.or>,  o\  X;- 
•yo/vTO  av  'rp/£'5(3oX«."  \x6\oi  o=  e/  K.v\xouoi,  Aldkiy.òv  dì 
ovroi  l'Ovos,  'TT-jX'Truj^óXoiS  ì^pw^ro.  "Kffri  di  r\  rov 
'7n\x'7fw[t6Xw  Xs^is  aJoXiPiT,,  xarà  xal  ■yj  ;\^pr,(r(j  (^//("ad, 
A  ,  p.  258  ,  Politi  ). 

Se  il  pempobolo  fosse  tutt'allro,  che  un  sacro  stru^. 
mento  da  sacriGzio,  io  non  insisterei  molto  su  tale  ar- 
gomento ;  tuttocchè  una  somiglianza  di  costume  dia 
sempre  mai  ragionevole  fondamento  a  coloro ,  che 
disputano  le  origini  dei  popoli.  Ma  un'osservanza  di 
rito  religioso  non  propagatasi  afTatlo  fuori  della  nazione 
cumana  di  Asia  ,  che  si  abbia  ora  un  confronto  negli 
unici  Cumani  d'Italia  per  antica  testimonianza  di  Stra^- 
bone  derivali  dai  primi,  è  per  mio  giudizio  uudocu-e 
mento  di  gran  forza,  e  non  indegno  dei  giudiziosi  cul- 
tori della  scienza  etnografica. 

Era  il  pempoholo  un  istrumento  composto  di  cinque 
spiedi,  che  i  pagani  adoperavano  nei  sagrifizii  ad  ar-. 
rostire  le  membra  della  vittima  ,  che  destinavansi  al 
coqvilo  religioso.  Invano  cercherebbesi  negli  scoliasti 


di  Omero  qual  forma  una  tale  supellettile  si  avesse , 
che  niuno  di  loro  ne  vidde  mai  veruno.  Ne  parlano 
quindi  i  più  cauti  attenendosi  a  formole  vaghe,  e  che 
dimostrano  quella  idea  derivarla  essi  dagli  usi  dei  tem- 
pi, in  che  scrivono.  Chiedetene  adEustazio,  dirà  che 
il  pempobolo  paro  si  possa  assomigliare  ai  denti  del 
ventilabro,  con  che  si  spaglia  il  grano,  ovvero  a  quei  di 
un  tridente ,  nei  quali  si  infilza  ciò,  che  si  deve  cuo- 
cere.   Però  generalmente  i  commentatori  credettero 
i  cinque  spiedi  uniti  ad  un  sol  manico  (Schol.  Hom.J 
tt/vT:  op/XofS  l'xovTcc  Ix  f;t/ÓcS  X«;3t,S  x^ccTw^xsvr]?  Tp/cn- 
voj/rWs  fSrhol.  Hom,J  ;  Tò  ziijXTrui^ì'-JKov  ^r.Xo?  hyx' 
Xiìov  ri  ixxy iipty.lv  s?=vT«oaWyXov ,  xm  ,  wi  y.y  ni 
]^iujrivu\xivoi  iÌ7ry\ ,  ztfsvTob'wpXov  fEustalh.  L.  c.J.  La 
qual  persuasione  neanche  aveva  fondamento  nelle  tk- 
PXct  usate  a  loro  dì ,  che  o  di  legno ,  o  di  ferro  non 
furono  mai  unite  ad  un  manico.  Del  vera  e  delle  venta 
trovasi  menzione  negli  antichi ,  e  Virgilio  imitando 
apertamente  Omero  scrive:  Pinguiaque  in  ventbus 
torrehimus  exta  colurnis  (Georg.  Il,  396J.  Laonde 
del  prezioso  pempobolo  cumano  intendiamo  ora  la  vera 
figura;  e  però  concludiamo  non  esser  uno  strumento 
a  cinque  punte,  né  a  tre  quello  che  veniva  adoperato 
nella  cerimonia  del  sacriGzio ,  ma  essere  stato  rito 
cumano  che  gli  spiedi  a  cinque  a  cinque  si  recassero 
ad  arrostire  le  carni ,  ove  per  altra  mistica  supersti- 
ziope  altri  popoli  a  tre  n  tre  divisi  li  adoperavano. 

Garrccci. 

Sulla  pretesa  coppia  di  Consoli  Q.  Cecilia  e  M.Bennio, 

Le  prime  due  linee  del  frammento  di  decreto  mu^- 
nicipale  cumaqo  pubblicato  dal  Marini,  che  comincia  { 

Q  •  CAECILIO 
M  •  BENNIO 
a  •  D  '  VI  '  EU)  '  AVGVST  '  IN  '  CIIA 
QVOD  '  CN  '  LVCCEIVS  '  FILIVS  '  V  '  F' 
QVID^DE'EA'REFIERI'PLAGERET  eie. 

sono  state  intese  diversamento  dai  commentatori.  Il 
eh,  socio  Sig.  Gervasio  Ijeoe  certo ,  che  questi  siano 


132  — 


i  nomi  gentillzii  soltanto  di  que'  Consoli,  che  avreb- 
bero dovuto  essere  notali  al  principio  del  decreto 
flscriz.  dei  Luccei  pag-  9/  Ma  essendo  conosciuta 
la  coppia  di  Consoli,  Q.  Cecilio  Metello  e  Lucilio 
Longo  ,  che  maneggiavano  i  fasci  in  Agosto  del  760, 
egli  si  rimette  al  Borghesi ,  che  chiarisca  chi  sia  co- 
desto M.  Bennio  Console  nominato  qui  con  Q.  Cecilio 
Metello,  ed  in  quale  anno  possa  stabilirsi  il  suo  con- 
solato (ivi ,  p.  12).  Inerendo  il  Sig.  Fiorelli  alle  os- 
servazioni del  Gervasio ,  giudica  il  M.  Bennius  del 
decreto  ,  Console  al  pari  di  Q.  Cecilio  ,  e  forse  suf- 
fetto ,  come  il  Lucilius  Longus  del  Calendario  anii- 
ternino;  conghiettura  quindi,  che  il  suo  cognome  sia 
Rufus,  paragonandolo  al  M.  Bennio  Rufo ,  letto  re- 
centemente sopra  un  tubo  di  piombo  scoperto  a  Cuma  ; 
e  lo  slima  forse  lo  stesso  personaggio  consolare  notato 
sul  decreto  di  Cuma  (Monum.  ant.  cumani ,  puntata 
prima  ,  p.  2J.  La  qual  conghiettura  il  mio  collega 
Sig.  Miuervini  ha  giustaraonte  dimostrato  essere  inam- 
missibile (sopra,  a  p.  106)  :  perocché  agli  8  di  Agosto, 
cioè  due  giorni  prima  dei  dieci  dello  slesso  mese,  che 
è  l'epoca  segnata  sul  decreto  cumano,  impariamo  dal 
Calendario  amilernino  ,  che  Cecilio  aveva  a  collega 
Lucilio  Longo  fi.  N.  5750^.  Indi  dalla  scoperta  del 
piombo,  che  riferisce  un  M.  Bennio  Rufo ,  si  confer- 
ma nel  sospetto  che  quel  0-  Cecilio,  e  quel  M.  Ben- 
nio messi  in  fronte  della  iscrizione  dei  Luccei  non  sia- 
no già  Consoli,  ma  Duumviri.  A  che  oppone  il  Gerva- 
sio, e  l'ho  da  lui,  che  i  decreti  municipali  e  coloniali 
non  mancano  mai  della  data  cronologica  romana,  ossia 
della  coppia  de'  Consoli  di  quell'anno,  in  che  fu  scritto 
il  decreto ,  ai  quali  tratto  tratto  veggonsi  aggiunti  i 
Duumviri,  o  i  Qunltroviri  eponimi;  e  però  che  qui 
non  può  assolutamente  pensarsi  ad  altro,  che  a  Consoli. 
Esposti  così  i  pareri  alimi  fedelmente,  entro  a  pro- 
porre ciò,  che  ne  pare  a  me.  Io  stimo  non  siasi  ben 
riflettuto  ,  che  v'  era  una  facilissima  via  di  accordo. 
Ha  ragione  il  Sig.  Gervasio  quando  sostiene  ,  che  i 
decreti  non  possono  mancare  della  nota  cronologica 
proveniente  dai  fasti  romani  :  certamente  non  ne  man- 
cano i  decreti  conosciuti.  E  certo  altresì,  che  posto  Q. 
Cecilio  del  decreto  cumano  essere  il  Q. Cecilio  Metello 
eretico  Silano  Console  del  760 ,  il  M.  Bennio  non 


può  in  verun  modo  stimarsi  il  sufTetlo  di  quel  seme- 
stre, in  che  sappiamo  esserlo  stato  Lucilio  Longo.  Non 
resta  quindi  agli  autori  di  questa  sentenza  che  di  pen- 
sare a  sufiètli  di  altro  anno  ;  cioè  ad  altro  Q.  Cecilio 
il  quale ,  perchè  non  possono  cercarlo  salendo,  per 
mancare  al  Cecilio  del  760  la  nota  della  iterazione  dei 
fasci ,  debbono  supporre  negli  anni  susseguenti.  Alla 
quale  arbitraria  ipolesi  di  una  nuova  coppia  di  sulTetti, 
non  suffraga  neanche  il  M.Bennio,  che  si  palesa  aper- 
tamente Cumano,  sul  piombo,  di  che  ho  detto  avanti. 
Da  tali  imbarazzi  è  agevole  uscire ,  ammettendo 
Q.  Cecilio  Metello,  siccome  Console,  e  rilegando  M. 
Bennio  ai  fasci  coloniali.  A  che  ottenere  non  richie- 
desi  altro ,  che  vedere  nella  prima  linea  un  avanzo 
della  data  consolare  e  nella  seconda  quello  dei  magi- 
strati coloniali ,  che  nel  caso  nostro  sarebbero  i  Du- 
umviri cumani. 

É  questo  anzi  l'uso  di  altri  monumenti,  gli  esempii 
dei  (piali  è  agevolissimo  andar  cercando  nelle  comuni 
raccolte  epigrafiche.  Per  esempio,  la  (avola  ceretana 
legge  (Orel li,  3787): 

LPVBLILIOCELSO II CCLODIOCRISPINO  COS 

MPONTIO  CELSO  DICTATOREC  •  SVETONIO  CLAVDIANO  AEDILB 

Quella  di  Pozzuoli  fL  N.  2458;  : 

MPVLLIODVOVIR 
MALLIO  •  CoS  • 


N 
P 


FVFIDIONF' 
•  RVTILIO  •  CN 


nella  quale  precedono  i  Duumviri ,  siccome  era  ri- 
chiesto dall'epoca  della  colonia,  che  comincia  ivi  la 
leggenda. 

Sia  la  terza  la  capuana  di  sei  anni  anteriore  alla 
cumana ,  la  quale  ho  data  corretta  a  p.  88  di  questo 
Bullettiuo  :  ivi  è  scritto  : 

P  •  SVLPICIO  •  QVIRIN  •  C  .  VALGIO  •  CoS 

SEXPONTidIO •  BASSO  •  M •  IVNIO •  CELERE  -  U  VIR 

Laonde  si  dovrà  supplire  nella  cumana  : 

QCAECILIOMETELLO-LVCILIOLONGOCoS 

M  •  BENNIO  •  RVFO  •  (.jui  altro  nome)  IIVlR/s. 
Che  se  taluno  dubita  essere  insuflìcientc  Io  spazio  a 


—  133  - 


contenere  questi  supplementi ,  lo  rassicurerà  il  con- 
siderare, che  nella  linea  quinta  la  foruiola  si  leggeva 
distesa  ;  QVID  •  DE  •  EA  •  RE  •  FIERI  •  PLACEUET 
[  DE  •  EA  •  RE  •  ITA  •  CEXSVERVNT  ]  :  però  tanto 
di  luogo  rimane ,  che  al  consolato  e  decurionato  so- 
vrapposto ne  è  abhastanza.  Non  sarà  quindi  più  me- 
stieri cercare  luogo  nei  fasti  a  nuove  paia  di  sufTctti , 
togliendo  Cecilio  dal  suo,  ed  elevando  M.  Bennio  cu- 
mano  ad  una  dignità ,  che  mai  non  sostenne  (1). 

Garrucci. 

Topografìa  delle  spiagge  di  Baja  graffila  sopra  dm 
vasi  di  vetro. 

Circa  l'anno  1822  dai  ruderi  d'un  antico  sepolcro 
presso  Piombino  poco  lungi  dalle  rovine  di  Populo- 
nia  venne  in  luce  un  vasetto  di  vetro  a  foggia  di  ca- 
raffa ,  sul  quale  erano  tutt'  attorno  rozzissimamente 
graffite  alcune  prospettive  di  edifici ,  e  sopra  ciascu- 
no parole  che  ne  indicavano  la  natura  ed  il  nome, 
cioè  STAGNV,  OSTRIABIA,PALATIV,RIPA,PI- 
LAE  ;  presso  al  collo  del  vaso  era  scritto  in  lettere 
maggiori  AMMA  FELIX  VIVAS.  Ne  fu  tosto  pub- 
blicato il  disegno  dal  celebre  nostro  Sestini  fllhislr. 
d'un  vas^o  antico  di  vetro  ec.  Firenze  1812),  il  quale 
stimò  quegli  edifici  spettare  a  Populonia ,  e  forse  ri- 
tratti in  quel  vaso  perchè  destinalo  al  sepolcro  di  clii 
gli  aveva  ristorali  od  anche  costrutti  dalie  fondamen- 
ta. Il  IMiiller  [Handbuch  ed.  3.  p.  Vi7)  giudicò  cli'ivi 
fosse  piuttosto  accennata  una  villa  marittima,  ed  infine 
testé  il  eh.  Merklin  (De  vase  vitreo  Popidonien:^i  bre- 
vis  di.<pulatio .  Dorjiati  1831  )  tolse  a  dimostrare  che 
quel  raro  monumento  riguarda  la  nostra  Roma  e  ne 
ritrae  la  ripa  sinistra  del  Tevere  verso  l'Aventino  ed 
il  Palatino.  Io  ho  già  dovuto  in  altro  mio  scritto  [Le 
prime  raccolte  d' antiche  iscrizioni  ec.  p.  58  e  segg.  ) 
esaminare  una  parte  soltanto  incidente  e  secondaria 
della  dotta  diciiiarazione  del  iMcrklio,  ma  poicliìr  l'ar- 
gomento ivi  non  mi  consentì  l' entrar  anco  nell'  esa- 

(1)  Questo  articolo  del  Garrucci  mi  dispensa  dal  pubblicarne  un 
altro,  che  aveva  preparalo  sostenendo  appunto  questa  medesima 
opinione;  siccome  comunicai  allo  stesso  sig.  Gcrvasio  pochi  giorni 
dopo  le  mie  osservazioni  su"  magistrali  ctimani  riferite  a  pag.  100 
di  questo  buUellino. — ilincrvini. 


me  del  principale  assunto  ch'egli  tenta  di  stabilire, 
m'accingo  a  farlo  qui ,  dove  è  cosa  opportunissima. 
Veramente  non  si  dee  negare  che  alcuni  indizi  di 
molto  vaga  e  lusinghiera  apparenza  hanno  indotto  il 
eh.  autore  in  quella  sua  persuasione ,  ma  senza  toc- 
care delle  gravi  difllcollà  topografiche  e  monumenta- 
li ,  che  sarebbe  facile  opporgli,  parmi  che  il  vero  sen- 
so di  que' rozzi  disegni  possa  per  altra  via  essere  eoa 
ogni  certezza  stabilito.  Un  vasetto  similissimo  a  quello 
di  Populonia  non  solo  nella  forma  ma  benanco  negli 
ornati  di  prospettive ,  che  sopra  vi  sono  con  pari  roz- 
zezza graffile,  esiste  in  Roma  nel  Museo  Borgiauo,  ora 
di  Propaganda.  Prima  ch'entrasse  in  cotesto  museo, 
e  poco  dopo  ch'era  stato  rinvenuto  nel  suburbano  di 
Roma  lo  die  iu  luce  il  Mamachi  (.1/t/.  Christ.  I.  p. 
464) ,  ma  e  ne' disegni  e  peggio  nelle  lettere  che  \i 
sono  scritte ,  tanto  deformalo ,  che  ni  allora  né  poi 
punto  nulla  se  ne  potè  intendere.  Io  l'ho  allenlamente 
letto  e  studiato  e  fatto  ritrarrenell'annessatav.  sotto  il 
num.  1.  (v.tav.I.X.n.l). L'iscrizione  che  corre  attorno 
al  collo  del  vaso  lo  ditnostra  consecrato  ad  uso  fune- 
rario, MEMORIAE  FELICISSIMAE  FILIAE,  le  pa- 
role scritte  sopra  gli  edifici  FAROS,  STAGXU  NE- 
ronis,  OSTRIARIA,  STAGXU,  SILVA,  BAIAE,  ci 
avvisano  che  la  prospettiva  ,  se  così  può  chiamarsi, 
ivi  effigiala  ritrae  edifici  e  luoghi  delle  famose  spiag- 
ge di  Baja  e  di  Pozzuoli.  L' analogia  di  questo  vaso 
con  l'altro,  che  nella  stessa  tavola  è  disegnalo  sotto 
il  n.  2.,  salta  agli  occhi  di  chiunque  si  faccia  a  con- 
fronlaili  ,  tantoché  non  fa  d' uopo  parole  e  ragiona- 
menti per  dimostrare  che  l' uno  dall'  altro  prendono 
luce  questi  due  monumenti  topografici,  e  che  in  am- 
bedue dobbiamo  riconoscere  una  appena  accennata  e 
compendiosa  immagine  d'  un  qualche  lato  del  golfo 
di  Pozztioli. 

Stabilito  cosi  il  vero  soggetto  di  queste  due  raris- 
sime topografie  io  potrei  tenermi  pago  di  tanto,  e  la- 
sciare ai  dotti  napoletani  lo  studio  delle  singole  par- 
li ,  e  la  cura  di  assegnate  a  ciascuno  di  que' nomi  ed 
edifici  il  vero  e  preciso  lor  sito.  Ma  poiché  ipiel  ipian- 
lunqiie  imperfello  esame  che  senz'aver  ras])ello  dei 
luoghi  soli' occhio  io  jìosso  pur  fare  de'parlieolaridi 
colesti  disegui  topografici  varrà  se  non  a  determinare 


—  134 


esatlamenle  il  sito  o  la  forma  dì  ciascun  edificio ,  al- 
meno a  sempre  meglio  confermare  che  veramenle  qui 
sono  accennale  le  spiaggie  di  Baja  ,  non  voglio  om- 
mellere  di  tentare  ancor  questa  dichiarazione. 

E  cominciando  dal  vasetto  borgiano,  a  me  sembra 
che  la  serie  de' luoghi  indicativi  sia  a  rovescio  di  quel- 
lo che  dovrebbe  essere  se  ivi  fosse  effigiata  la  spiag- 
gia coi  suoi  edifici  veduta  dal  mare  ,  laonde  se  pur 
non  è  questo  un  errore  dell'  artista  ,  errore  facilissi- 
mo a  concepire  in  un  graffito  circolare,  dovremo  te- 
nere che  la  scena  sia  immaginata  dal  lato  di  terra;  ed 
infatti  quelle  linee  ondulale  che  costantemente  ricor- 
rono non  dinanzi  ma  dietro  gli  edifici  accennano  se- 
condo ogni  apparenza  le  acque  del  mare.  Il  punto 
certo  e  dal  cjuale  conviene  partire  è  Baja  ,  BAIAE, 
presso  il  qual  nome  è  effigiata  una  donna  sedente  leg- 
germente vestita  di  sottilissima  tunica ,  e  nella  destra 
stringe  due  rami  che  a  me  sembran  d' alloro ,  colla 
sinistra  leva  in  alto  un  bicchiere,  o  come  ad  altri  sem- 
bra un  cestellino.  Molti  vcjrranno  che  in  questa  figu- 
ra femminile  sia  personificata  la  stessa  città  di  Baja; 
io  però  inchinerei  piuttosto  a  riconoscere  in  essa  quel- 
la Felicissima  alla  cui  memoria  il  vasetto  è  consecra- 
lo.  Imperocché  uell'  altro  in  lutto  similissimo  vaso  di 
Populonia  ,  il  quale  però  per  la  sua  iscrizione  dedi- 
catoria ,  ANIMA  FELIX  VIVAS  ,  non  pare  a  bella 
posta  creato  per  alcun  uso  funerario,  non  v'  è  traccia 
d*  una  siffalta  immagine ,  e  questa  non  solo  appare 
soltanto  in  quello  che  appunto  alla  memoria  d' una 
defunta  è  dedicato,  ma  ne  occupa  il  centro  per  modo 
the  le  parole  MEMORIAEFELICISSIMAEFILIAE 
precisamente  dal  capo  di  quella  figura  partono  ed  a 
quella  ritornano,  quando  al  contrario  il  nome  BAIAE 
è  collocato  in  guisa  che  non  le  appartiene  piìi  che  la 
parola  FAROS  graffila  dal  lato  opposto.  Nò  gli  attri- 
buti che  l'artista  ha  prescelto  ed  assegnalo  a  cotesta 
figura  femminile  mal  si  confanuo  ad  una  defonta.  Il 
vasello  è  certamente  lavoro  di  età  assai  tarda  (  fra  il 
terzo  ed  il  quarto  secolo  dell'era  nostra) ,  e  ne' mo- 
numenti sepolcrali  di  questi  anni  le  corone  di  allo- 
ro ,  e  le  immagini  de'defonli  nell'atto  di  banchettare 
e  di  propinare  il  vino  ,  o  qualsivoglia  altro  liquore  , 
levando  in  allo  una  tazza  o  biccliiere ,  simboli  della 


vita  beala  delle  anime  pie ,  giusta  le  dottrine  e  de*  fi- 
losofi e  de'  mlsleri,  sono  cosa  tanto  ovvia  e  frequente 
che  non  fa  mestieri  citarne  gli  esempi. 

Movendo  da  Baja  verso  Pozzuoli ,  che  questa  co- 
me ho  accennato  mi  sembra  la  direzione  che  dobbia- 
mo seguire  nel  tener  dietro  a  questa  scena  topografi- 
ca ,  dapprima  è  indicata  una  selva ,  SILVA.  Io  non 
saprei  qui  ravvisare  altro  che  la  famosa  selva  virgi- 
liana ,  la  quale  otlimameule  risponde  al  luogo  che  è 
Ira  Baja  ed  il  lago  Lucrino,  e  quello  d'Averno  (V. 
de  Iorio  Viaggio  d'Enea  ec.  2.  ediz.  p.  25,  e  segg.). 
Vero  è  che  Agrippa  fé  tagliare  quella  macchia  (Slrab. 
V.  4.  5.  )  quando  fu  edificato  il  porlo  Giulio ,  ma  o 
non  tutta  fu  abbattuta  (ed  infatti  Strabone  parla  del- 
la selva  soltanto  che  cingeva  il  lago  d' Averno  )  od  il 
nome  le  sopravvisse  divenuto  ogni  dì  più  famoso  pel 
virgiliano  viaggio  d' Enea  all'  inferno,  cui  tutti  sanno 
quanto  alta  importanza  fu  data  non  solo  durante  il 
medio  evo  ,  ma  anche  nella  età  piìi  eulta  dell'impe- 
ro romano.  Dopo  la  selva  viene  uno  stagno,  STAGNU, 
accennalo  con  la  prospettiva  d'  un  edificio  del  quale 
non  saprei  veramente  ben  dichiarare  la  natura  e  la 
forma  ;  seguono  immediatamente  uno  o  più  vivai  dì 
ostriche  ,  OSTRIARIA  ,  quindi  un  altro  stagno  effi- 
gialo al  tutto  come  il  primo  ed  avente  il  nome  di 
STAGNU  NERONIS.  Qui  la  scena  è  identica  con 
quella  del  vaso  di  Populonia,  tranne  questa  sola  dif- 
ferenza  che  l'edificio  nel  vaso  romano  chiamato  ST.\- 
GNU  NERONIS  ,  in  quello  è  appellato  PALATIU. 
Degli  oslrearia  tanto  celebrati  nelle  spiagge  di  Baja 
e  sopratutlo  del  Lucrino  non  fa  d'uopo  ch'io  ragio- 
ni, dopoché  il  Sestini  ed  il  Merklin  pienamente  han- 
no dichiarato  la  forma  del  vivajo  e  della  macchina  in 
ambedue  ì  vasi  egualmente  effigiata.  Gli  stagni  collo- 
cali ai  Iati  delle  os<rearje,  secondo  l'uno  de' vasi  sem- 
brano due  diversi,  distinti  l'uno  col  nonie  di  stagnum 
Neronis ,  l'altro  appellato  Slagmnn  per  antonomasia. 
Ma  forse  é  più  probabile  l'immaginare  che  un  solo 
stagno  ornalo  luti'  attorno  dì  grandiosi  edifici  e  fa- 
moso pe*  suoi  vivai  di  ostriche  sia  qui  indicato  ;  e 
corre  tosto  il  pensiero  allo  stesso  lago  Lucrino ,  che 
servì  di  slagno  navale  sotto  Claudio  (  Zac.  Ann.  XII, 
56,  ) ,  e  debbe  essere  stato  adornalo  di  nuovi  edifici 


—  133  — 


e  palazzi  da  Nerone ,  donde  il  nome  di  slagmim  Ne- 
roìùs,  e  l'indicazione  del  palatium  ne'due  nostri  vasi. 

Che  se  non  sembrerà  verisimile  che  al  Iago  Lucri- 
no sia  sialo  fino  al  secolo  terzo  o  quarto  data  anche 
V  appellazione  di  stagno  Neroniano  ,  di  die  non  v'  è 
traccia  negli  antichi  scrittori  ,  converrà  allora  sup- 
porre che  Nerone  abbia  in  queste  spiagge  non  solo 
edificato  un  palazzo ,  ma  eziandio  fornilolo  d' uno 
stagno  0  naumachia  a  bella  posta  creata.  Lo  che  non 
è  certo  incredibile  in  un  principe  clie  immenso  da- 
naro profuse  in  fabbriche  e  pazze  imprese  tentale  ap- 
punto in  questi  luoghi  (Tac.  a.  XV.  il,  Svet.  in  Ne- 
rone 31  ) ,  e  che  sopralutto  degli  slagni  arlificiaii  era 
sì  vago,  che  in  Roma  non  conlento  di  quello  d'Agrip- 
pa  ,  e  della  naumachia  valicano ,  de'  quali  fece  lan- 
t' uso  ,  quel  famosissimo  stagno  che  da  lui  ebbe  il  no- 
me costruì  Ira  il  Celio  ed  il  Viminale  marh  instai  eh - 
cumseptum  aedificiis  ad  urbiuni  specieni  (Svet.  1.  e). 
E  forse  con  questo  stagno  Neroniano  di  Baja  ha  stret- 
ta relazione  quella  piscina  della  quale  scrive  Suelouio 
che,  inchoabat  [Nero)  piscinam a 3Iiseno  ad  Acernum 
lacum  ,  conteclam,  porlicibusque  conclusam,  quo  quid- 
quid  (olis  Baiis  calidanim  essel  convcrleretur  [\.  e). 
Delle  fabbriche  Neroniane  nelle  spiagge  di  Baja  du- 
ravano ancora  le  rovine  ed  il  nome  ne' primi  anni  del 
secolo  quinlodecimo ,  quando  le  vide  Ciriaco  d' An- 
cona e  ne  serbò  memoria  ne' suoi  commentarii  (Cy- 
riaci  Itin.  ed.  Mehus  a  p.  23 ,  Scalamonti  Vita  Cy- 
riaci  ap.  Colucci  An(.  Picene  XV.  p.  xcix  ).  Ed  a 
queste  certamente  alludono  almeno  in  parte  i  regii 
palazzi  [fMfftXitoi  dxrpui)  ricordati  da  Giuseppe  Fla- 
vio fra  le  delizie  e  le  magnificenze  di  Baja  (Ani. 
XVIIL  9.  ). 

Non  è  infine  da  lasciare  inosservata  l' appellazione 
Palatium  data  a  questi  edifici  Neroniani  fuori  di  Ro- 
ma ;  che  se  comunissimi  ne  sono  gli  esempi  dal  se- 
colo quarto  in  poi,  non  così  se  ne  troveranno  molli 
nell'età  precedente.  Dove  non  ometterò  di  notare 
che  già  il  eh.  D.  Agostino  Gervasìo  aveva  sospettata 
r  esistenza  d' un  Palatium  o  nella  città  o  ne'  dintorni 
di  Pozzuoli  (  hcr.  di  Mawrzio  p.  47.  )  stimando  che 
da  questa  città  sia  stata  trasferita  in  Napoli  per  orna- 
mento di  qualche  palazzo  la  base  onoraria  di  Placido 


console  del  342,  che  fa  menzione  d'una  regione  pa- 
latina ;n\A  veramente  l'origine  puteolana  di  questo 
marmo  è  assai  meno  probabile  di  quello  che  fino  ad 
ora  generalmente  è  sembralo  agli  eruditi  (V.  Momoi- 
sen  L  N.  2G18,  Minervini  Nuove  o$s.  intorno  la  vo- 
ce Decalrenses  [>.  11.  12).  Imperocché  questi  igno- 
rano che  ne'  piimi  anni  del  secolo  XV,  giaceva  quel- 
la base  in  Napoli  sotterra  nelle  fondamenta  d'una  ca- 
sa privata  ,  in  fundamenlis  domus  Ioannis  Acossa,  co- 
me attesta  un  codice  Barberiaiano  contenente  iscri- 
zioni tratte  dai  libri  di  Ciriaco  e  di  Benedetto  Egio 
Spolelino(f.  3G.  V.  il  cenno  che  ne  ho  dato  nel  Bull, 
dell' Ist.  1852.  p.  133). 

Dopo  il  palazzo  e  lo  slagno  neroniano  seguono  nel 
primo  de'  vasi  il  FAROS ,  nel  secondo  la  RIP.V  e  le 
PILAE.  In  quanto  al  Faro  sembra  questo  cfiigiatoiu 
cpiella  quasi  porta  che  sorge  assai  dentro  ac(pia,  dove 
forse  per  l' angustia  dello  spazio  non  seppe  il  rozzo 
artista  trovare  il  modo  d'indicare  i  piani  superiori 
della  forre  eretta  ad  uso  di  fanale.  Colesto  Hiro  è  fa- 
cilmente quello  del  porto  Giulio  del  quale  veggo  se- 
gnato con  precisione  il  sito  ed  i  ruderi  nella  pianta 
del  golfo  di  Pozzuoli  pubblicata  dal  eh.  de  Iorio.  Le  pile 
effigiate  nel  secondo  vaso  non  sono  altro  evidentemen- 
te che  il  molo  traforato  d'un  porto ,  quali  in  parec- 
chie antiche  pitture  e  monumenti  sonosi  già  più  vol- 
te vedute  ;  e  gli  archi  e  le  colonne  che  l'  adornano 
hanno  molta  somiglianza  con  quelli  che  veggonsi  in 
un'antica  pittura  data  in  luce  dal  Bellori  [Fragni, 
vcstig.  vct.  Rom.  p.  1.),  nella  quale  il  eh.  Canina 
[Archit.  Ant.  Sez.  III.  tav.  CLXI)  ravvisa  non  edi- 
ficii  della  città  di  Roma ,  ma  il  porto  e  le  celebri  pile 
di  Pozzuoli.  Veramente  se  le  iscrizioni  che  in  questa 
pittura  accompagnano  gli  edifici  presso  che  tutte  ci 
conducono  alla  riva  sinistra  del  Tevere  sotto  l'Aven- 
tino ed  il  Palatino  ,  la  scena  effigiatavi  è  al  contrario 
tutta  marittima  ed  assai  bene  s' addice  al  porto  di  Poz- 
zuoli. Io  ponendo  mente  alle  iscrizioni  assegnai  altra 
volta  [Le  prime  raccolte  ec.  l.  e.)  col  Merkiiu  questo 
monumento  topografico  alla  città  di  Roma  ,  ora  poi 
debbo  confessare  assai  più  verisimile  sembrarmi  l'opi- 
nione del  eh.  Canina,  benché  strano  sembri  il  vedere 
letteralmente  riprodotta  fuori  di  Roma  una  serie  d'in- 


—  136  — 


d  icaiioni  topografiche  spettanti  alla  regione  subaven- 
lina  dell'  eterna  città. 

La  somiglianza  adunque  del  porlo  effigiato  in  que- 
sto dipinto  con  quello  del  vaso  di  Populonia  potrebbe 
indurci  più  facilmente  a  riconoscere  in  questo  il  porlo 
ed  il  celeberrimo  opus  pilarum  di  Pozzuoli ,  e  forse 
nell'arco  monumentale  disegnato  all'ingresso  del  molo 
quello  clie  Capitolino  in  Anlonino  Pio  ci  narra  esse- 
re stato  dedicalo  ad  Antonino  Pio,  come  sul  molo  d'An- 
cona fu  eretto  quello  dedicato  a  Trajano.  Ma  quel 
molo  traforato  può  convenire  non  meno  al  porto  ed 
alle  pile  puteolane  che  al  porto  Giulio ,  il  quale  ha 
tanto  più  stretta  relazione  cogli  altri  luoghi  ed  edifici 
accennali  ne'  nostri  vasi;  il  perchè  io  non  ardisco  fer- 
mamente stabilirne  il  vero  sito  ed  il  nome.  Anzi  poi- 
ché tutta  cotesta  scena  topografica  potrebbe  per  av- 
ventura essere  anco  inlerpetrata  seguendo  la  direzio- 
ne contraria,  partendo  cioè  daBaja  verso  Miseno,  di 
guisa  che  lo  stagno  i  vivai  ed  il  palazzo  Neroniano 
sieno  tra  que'  due  termini ,  dove  notissima  è  la  villa 
che  Nerone  ebbe  in  Bauli ,  ed  il  faro  e  porto  sieno 
quelli  di  Miseno  (  V.  Garrucci  CI.  Praet.  Misen.  inscr. 
p.  6.  )  io  aspetterò  dai  dotti  Napoletani  il  giudizio  che 
assegni  una  certa  e  stabile  sede  agli  edifici  ed  ai  luo- 
ghi della  marina  di  Baja  ritratti  od  accennati  in  que- 
sti due  pregevolissimi  vetri. 

G,  B.  DE  Rossi. 

Osservazioni  intorno  all'  articolo  precedente. 

Ottimamente  il  eh.  collega  ed  amico  Sig.  Cav.  G. 
B.  de  Rossi  ha  riferito  al  porto  di  Pozzuoli  ed  alla 
marina  di  Baia  i  due  vasi  graffiti ,  di  che  dispula  nel- 
r  articolo  precedente.  Approvo  che  riconosca  nel  la- 
go Lucrino  lo  stagnum  Neronis,  e  stimo  che  nello 
stagnum  seguente  dopo  sia  indicato  l' Averno ,  che 
communieava  col  Lucrino ,  e  questi  due  stagni  credo 
siano  significati  in  quel  passo  di  Giovenale ,  ove  dice 
(Sat.  XII,  79,  seg.  Jahn): 


Scd  trunca  puppe  magister 
Interiora  petit  haianae  pervia  cumbae 
Tati  slagna  simis. 
Se  il  Pratilli  non  fosse  ben  conosciuto,  si  potrebbe 
credere  a  lui ,  che  narra  il  ritrovamento  di  un  vaso 
simile  a  quello,  che  il  Marnachi  dice  (rovaio  da  Mons. 
Merano  :  Qaod  non  ita  pridem  reperit  Jlluslrissimus 
Silcester  Meranus  fOrig.  Clirist.  T.  l.  p.  464  not.  ). 
Del  resto  il  Pratilli  scrive  così  (  Via  Appia  p.  388): 
«  In  uno  di  essi  sepolcri  (presso  A rienzo)  furono  rin- 
venute due  carafine  di  vetro  ,  in  una  delle  quali  che 
è  intera  e  serbasi  dal  dello  Sig.  Puoti  veggonsi  varie 
figure  di  donne  nude  con  tazza  in  mano  sgraffiale  alla 
guisa  de' cristalli  di  Boemia  e  alcune  lettere  intorno 
sparse  in  qua  e  in  là  e  fuor  di  riga  che  rendono  più 
malagevole  il  leggerle 

BAIAE  ME NTACCVSIAVANT...  » 

Il  Pratilli  pubblicava  la  sua  Via  Appia  nel  174o  , 
e  quattro  anni  dopo  veniva  alla  luce  l'opera  delle  Ori- 
gani e  delle  Antichità  cristiane  del  Mamachi.  Il  Pra- 
tilli avrà  forse  avuto  una  notizia  della  carafina  di  che 
è  parola,  e  per  accrescere  il  numero  dei  suoi  monu- 
menti, inventò  probabilmente  che  si  era  scoperta  sulla 
via  di  Arienzo.  La  leggenda  non  fu  potuta  rilevare  né 
dal  Mamachi ,  né  da  altri  letterali  di  allora  ,  i  quali 
stettero  paghi  ad  un  mostro  di  lettura  ,  che  ne  rese 
disperata  la  intelligenza;  imperciocché  lessero  OST* 
AMBIA  •  S  •  V-  SILVE  •  RAIAE  invece  di  OSTRIA- 
RIA  •  STAGNV  •  SILVA  •  BAIAE  :  la  qual  lezione 
corretta  la  prima  volta  si  deve  all' eruditissimo  colle- 
ga sig.  De  Rossi ,  col  quale  ne  facciamo  perciò  i  de- 
biti congratulamenti.  Non  fa  quindi  maraviglia  che 
nella  copia  del  Pratilli  se  ne  storpiasse  vieppiù  il  te- 
nore. In  ogni  modo  sia  questa  una  seconda  carafina, 
sia  la  medesima  rinvenuta  da  Mons.  Merani,  non  può 
la  iscrizione  tuttoché  pratilliana  collocarsi  perciò  né 

tra  le  sospette  né  tra  le  false,  siccome  ha  fatto  il  Momm- 
6cn(/.  N.  *561). 

Garrucci. 


Raffaele  Garrucci  d.c.d.g. 
Giulio  Mi>ervini  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cata^eq. 


BULIETTINO  ARCHEOLOGICO  MPOllTAXO. 


NUOVA    SERIE 


TV.»  18. 


Marzo  1853. 


Scure  di  bronzo  ,  con  greca  iscrizione.  —  Terracotta  di  Pozzuoli,  —  Notizia  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei  : 
continuazione  del  n.  /2. — Descrizione  di  un  frammento  di  vaso  dipinto  conservato  nel  real  museo  Borbonico. — 
Vaso  dipinto  con  Ulisse  akàistuoplex. 


Scure  di  bronzo ,  con  greca  iscrizione. 

Nella  nostra  tavola  V.  fig.  2  vcdesi  ritratto  un  ferro 
di  scure  con  greca  iscrizione ,  del  peso  di  un  rotolo, 
rinvenuto  parecchi  anni  addietro  in  alcuni  ruderi  an- 
tichi presso  S.  Agata  in  provincia  di  Calabria  Cite- 
riore. Mi  fu  comunicata  la  notizia  ,  ed  un  disegno  di 
questo  prezioso  monumento  dal  eh.  Sig.  Conte  U. 
Vito  Capialbi  di  Monteleone ,  della  cui  amicizia  mi 
pregio.  Mi  faceva  egli  conoscere  che  il  metallo  è  ri- 
vestilo di  una  patina  verde ,  e  che  saggiato  con  la  li- 
ma mostrasi  internamente  di  flavo  colore ,  che  non  si 
assomiglia  però  a  quello  dell'oricalco;  è  forse  bronzo 
di  particolare  composizione.  Il  taglio  è  incapace  a  fen- 
dere ,  portando  la  doppiezza  di  varie  linee.  Da  una 
delle  due  facce  vedesi  leggermente  grafiSta  una  greca 
iscrizione  in  arcaici  caratteri,  la  quale  va  letta  nel  se- 
guente modo  : 

TAS  HEPA^;  HIAPO^ 

EMI  TAS  EN  HEAI 

OI  ©TNISKO 

5;  MEANEOE 

KE  OPTAMO 

S  Fepion 
AEKATAN 

La  forma  delle  lettere  diligentemente  considerata  si 
trova  corrispondente  a  quella  di  altre  antichissime 
iscrizioni.  Si  conferma  poi  dalla  nostra  epigrafe  la  os- 
servazione, che  nell'alfabeto  ove  l'I  è  serpeggiante  ed 
angoloso  5,  il  S  è  formato  come  un  M,  ed  il  M  ha  Ta- 
sta «itrema  a  destra  più  breve  delle  allre.  Si  osservi  la 

Àf(NO    I. 


doppia  forma  del  Kappa  e  del  Koph ,  delie  quali  l.i 
seconda  trovasi  adoperata  innanzi  le  vocali  Oed  T,  e 
talvolta  innanzi  alle  consonanti  ;  mentre  la  prima  ve- 
desi preposta  a  tulle  le  allre  vocali.  Non  pochi  esem- 
pli di  questa  variabile  ortografia  furono  citali  dal  cav. 
Avellino  a  proposito  dell'arcaica  epigrafe  segnala  nel 
vasellino  cumano  di  Talaia  ,  ove  s'incontra  i'  uso  si- 
multaneo dell'una  e  dell'altra  scrillura  {Btdl.  arch. 
nap,  an,  II.  pag.  21.  segg.  ).  È  anche  notevole  nella 
scure  ,  di  che  ragioniamo  ,  1'  uso  doli'  aspirazione  : 
vedesi  la  densa  innanzi  ad  HEPAS  ed  HIAPOS 
indicata  dal  carattere  II  frequentissimo  a  comparirò 
ne' più  antichi  vasi  dipinti ,  e  nelle  più  anliciie  iscri- 
zioni ;  vedesi  poi  il  digamma  eolico  innanzi  alla  sola 
voce  FEPK)ÌV,  non  trovandosi  preposto  ad  altre  vo- 
cali non  aspirale.  Il  0  vedesi  nella  nostra  epigrafe  in- 
dicato dal  carattere  O  senza  punto  o  lineetta  nel  mez- 
zo ,  siccome  è  stato  talvolta  osservato  nello  antichis- 
sime iscrizioni  di  Tera  (  Corp.  insor,  gr.  nuna.  1-20): 
leggiamo  dunque  <àuyiffxoi  nella  terza  linea ,  od  ivi- 
^riKi  nella  4tto  :  ove  non  vi  è  dubbio  che  nell'  asta 
verticale  con  due  puntini  |  ;  vada  ravvisato  un  K  in 
parte  consumato  e  distrutto  ,  ma  che  lascia  veder  tut- 
tavia le  estremità  delle  due  aste  messe  ad  angolo.  Po- 
trebbe dubitarsi  se  nella  quinta  linea  debba  ritener- 
si la  lezione  OPTAMOS,  o  cangiarla  inOP+AMOS, 
il  che  porterebbe  una  notevole  diversità  nella  intelli- 
genza della  iscrizione  ,  come  faremo  tra  poco  rileva- 
re. Fatte  le  esposte  considerazioni ,  ci  sarà  dato  di 
leggere  tutta  la  epigrafe  nel  seguente  modo  ; 

18 


—  138  — 


Nel  quale  modo  d' inlerprelare  sorge  il  senso  che 
quella  scure  (Trà.ixi>i)  era  slata  consacrata  in  un  tem- 
pio di  Giunone  da  un  tale  Tinisco  capo  degli  jEnV  col 
danaro  di  una  decima  di  ciò  che  avea  ricavalo  da  non 
si  sa  quale  raccolta.  In  una  tale  spiegazione  riman- 
gono però  ignoti  questi  Erii ,  che  esser  dovrebbero 
una  parlicolare  popolazione,  della  quale  non  ci  è  riu- 
scito di  rinvenire  alcuna  memoria.  In  questa  ipotesi 
potrebbe  pensarsi  che  la  epigrafe  fosse  metrica;  giac- 
ché considerando  esclusa  la  voce  SixoVccy ,  da  tutto 
ciò  che  precede  sorgono  due  eguali  versi  con  tale  cor- 
rispondenza di  misura  e  di  quantità  ,  che  facilmente 
saremmo  tratti  a  sostenere  una  simile  opinione  :  al 
che  si  aggiunga  che  non  è  nuovo  1'  uso  de'  versi  an- 
che in  antichissimi  donarli. 

Ove  poi  ritener  si  volesse  la  lezione  propria  del 
monumento  ,  abbandonando  la  proposta  correzione, 
e  ponendo  forse  da  banda  la  idea  di  metro,  dovrem- 
mo leggere  la  iscrizione  in  tal  guisa  : 

Tàs  ''HpaS  Tocpos  r)fji/  TaS  Iv  ttìÌIm- 

QuuffxoS  fAS  àritòrixi  'Oprtxfxws  Ip/wv  oixxrur. 

E  si  esprimerebbe  che  la  dedicazione  fu  fatta  da  un 
Tinisco  figlio  di  Orlarne  (  Oprotfxos ,  quasi  "Oprwfjiw?, 
per  'OpTctfxcrs)  ;  aggiugnendosi  poi  con  quali  danari, 
ìpiouv  ^uoiroLY,  cioè  dalla  decima  di  ciò  che  si  era  ri- 
cavato dalle  lane,  delle  quali  opportunamente  s'in- 
contra menzione  nella  citeriore  Calabria.  Comunque 
sia  di  questa  doppia  intelligenza ,  certo  si  è  dal  con- 
testo di  tutta  la  iscrizione  che  si  accenna  ad  un  dop- 
pio tempio  di  Giunone ,  uno  de'  quali  esser  dovea 
nella  pianura  ,  ed  altro  probabilmente  nella  circo- 
staate  collina.  Ci  proponiamo  d' investigare  in  altra 
occasione  a  quale  antica  città  corrisponder  potesse  la 
moderna  Sani'  Agata  ;  se  pure  ci  sarà  conceduto  di 
entrare  in  qualche  probabile  conghiellura  a  così  gran- 
de lontananza  di  tempi.  É  evidente  che  la  nostra  scu- 
re è  un  sacro  donario  :  di  fatti  avendo  il  taglio  così 
ottuso  ,  che  non  potea  servire  pe'  sagritlzii ,  non  po- 
trà riputarsi  altra  cosa  che  un  analhema.  Tanto  si 
dinota  altresì  dalle  parole  r%s  "llpas  i'xpos  yx)  ;  colle 
quali  meritano  di  paragonarsi  in  altri  monumenti  le 


simili  espressioni ,  dalle  quali  si  addita  la  loro  sacra 
destinazione  :  così  in  un  caduceo  sacro  ad  Apollo  si 
legge  lEPON  TOT  AlIOAAnNOS  (Curtius  antcd. 
Delph.  n.  40  p.  75  ) ,  ed  in  un  donario  di  Atene 
APTEMIAO^  lEPON  {corp.  insc.  gr.  n.  153 §.6). 
Per  lo  che  ci  sembrerebbe  assolutamente  da  seguir 
la  opinione  del  eh.  Cavedoni,  che  nell'HAPON  TO 
Ano  di  una  medaglia  di  Crotone  (  Raoul-Rochetle 
mém.  de nu>n.p.34.n.l.pl,lll.n. 24. Avellino  buìl.arch. 
nap.  an.IV  p.46)  propose  di  leggere  H APON  TOy  A- 
noiAONOs;  {Bull.dl.aLU.Y  p.59),se  dal  confronto  di 
un'altra  medaglia  pur  di  Crotone,  colla  epigrafe  h»* 
POS  OAnoiNos,  non  ci  si  fornisse  un  argomento  per 
interpretare  HAPON  TO  A ITOINON  anche  nella  pri- 
ma leggenda  (Avellino  bull.  cit.  an.  VI  pag.  91). 
È  conosciuto  che  spesse  volte  s' introduce  a  parlare 
il  monumento  slesso,  come  nella  scure  di  cui  ragio- 
niamo ;  e  noi  ne  citammo  altrove  non  pochi  esempli 
(  mori.  ined.  di  Barone  voi.  1  p.  57  ).  Ora  mi  piace 
di  aggiugnereil  notissimo  TON  A0ENE0E\  AOUOPf 
EMI  (Boeckh  corp.  inscr.  gr.  p.  49  n.  33:  cf.  ad.  et 
corrig.  p.  888;  Raoul-Rochette  nel  jour.  des  sao. 
1825  p.475,  e  kltr.  ò  mo«s.  5c/iorftp.63s.sec  ediz.), 
e  la  conosciuta  laminetta  di  argento  rinvenuta  in  Po- 
sidonia,  ed  or  posseduta  dal  Sig.  Conte  del  Balzo,  ove 
si  legge  la  iscrizione  TAS  eEOTS  HAIAOS  EMI, 
la  quale  certamente  serviva  a  distinguere  un  sacro 
donario  (Avellino  nel  Rheinische  Mus.  1833  voi.  Ili 
p.  582  ;  Welcker  ivi  p.  584  e  Kleine  Schriflen  voi. 
Ili  p.  237  seg.  cf.  Raoul-Rochelte  mém.  de  l' Acad. 
XIII. p.  576,  e  Minervini  medaglie  di  Dalvon  p.  13 
not.2:  ora  si  trova  pubblicata  nel  corp.inscr.gr.  tom. 
Ili  p.  713  n.  5778,  ove  per  equivoco  si  dice  la  la- 
minetta di  oro  ).  Il  nome  del  dedicante  &uYt(Txoi  in- 
contra il  confronto  e  la  derivazione  nel  nome  ©rvos 
ricordalo  da  Ippocrate  (p.  1238,  D),  del  quale  dee 
riputarsi  un  diminutivo ,  non  altrimenti  che  il  <So- 
ti'ujv  rammentato  da  Diodoro  [Exc.  p.  495,  17,  19; 
e  496,35).  Riconosce  pure  la  medesima  formazione 
l'altro  nome  ©tnccpxos ,  che  occorre  in  un'  Attica  iscri- 
zione (Franz  ehm.  epigr.  gr.  p.  193).  Si  conclude, 
come  innanzi  vedemmo,  la  epigrafe  col  notarsi  che 
quella  offerta  erasi  fatta  col  danaro  di  una  sacra  de- 


—  139  - 


cima.  Frcquenlissime  sono  noli'  aniichilà  quelle  de- 
cime, le  quali  impiegavansi  all'acquisto  di  qualsivo- 
glia oggelto  inserviente  al  sacro  cullo,  ed  all'orna- 
mento de'  templi  :  e  la  nostra  scure  di  bronzo  è  un'al- 
tro esempio  da  aggiugnere  a  quelli  o|)portunamcnte 
citati  dal  Sig.  Raoul-Rochette  (  qiieslions  de  l'art  p. 
171  e  segg.  della  edizione  in  8  ).  Sono  particolar- 
mente importanti  per  1'  attuale  monumento  quegli 
esempli ,  ne'  quali  trovasi  al  genitivo  additato  quello 
appunto  ,  di  che  erasi  offerta  la  decima.  Così  trovia- 
mo presso  Pausania  che  i  Corcirei  offrirono  in  Delfo 
un  toro  di  bronzo  decima  di  ciò  che  aveano  ricavato 
da  una  pesca  (r,  ^-xo^rrj  tt,?  aypas — X,  9,  2);  ed  in 
una  antica  iscrizione  Nicla  consacra  ad  Apollo  la  de- 
cima del  prodotto  de'  lavori  del  padre  :  'ipywv  dv  6 
TTocTTip  r,pyoiGxro  Tr,v  d£xa.'Trjv  (Raoul-Rochelte  lellr. 
à  MI.  Schorn  p.  371  per  comunicazione  del  Sig.  Ross). 
Ora  ognun  vede  quanto  sia  vicino  il  confronto  col- 
r  lp/(f V  òsxaVaK  della  nostra  iscrizione.  E  la  epigrafe 
ultimamente  citata  è  di  particolare  importanza  per 
molti  punti  di  somiglianza  con  quella  della  scure  :  di 
fatti  è  il  monumento  stesso  che  parla ,  si  tratta  pni  e 
di  una  dedicazione,  ed  è  notevole  che  il  nome  del  pa- 
dre di  >i'icia  vien  dopo  all'  àn^^-rixiv,  e  non  segue  im- 
mediatamente il  nome  del  figlio. 

11  dialetto  della  iscrizione  finora  illustrata  si  appa- 
lesa per  dorico:  a  ciò  persuadendo  non  solo  l'oc  ado- 
perato sempre  in  luogo  dell' r,;  ma  benanche  TEMI  , 
-/,iu.l  ,  per  lìix) ,  r  (ìpT(X|txos  per  "Oprccfxoò'  (  simile  al 
ras  Aarws  del  decreto  degli  AmCzioni  corp.  inscr.  gr. 
n.l688;  Ahrens  de  dial.  Jor.  append.p.484,  che  leg- 
ge AaTÒs),  e  finalmente  ì'ixpos  per /spos,  ch'è  frequen- 
tissimo nel  dorico  (Ahrens  Le.  p.  1 1  o),  come  si  riscontra 
pure  assai  spesso  nelle  iscrizioni  beoliche  (  Boeckh  e. 
inscr.gr.t.l  p.720):  e  già  sopra  ne  vedemmo  altri  esem- 
])Ii  nelle  medaglie  di  Crotone.  Questo  dorismo  è  certa- 
mente dovuto  alle  antichissime  colonie  doriche,  che 
si  diffusero  nella  maggior  parte  della  Magna  Grecia; 
e  vedesi  egualmente  adoperato  nella  numismatica  di 
quella  regione,  e  segnatamente  da  molle  città  della 
Calabria,  della  Lucania,  e  de  Brunii.  Conchiuderò 
queste  brevi  osservazioni  coli'  avvertire  che  la  forma 
delle  lettere  nella  iscrizione  finora  da  noi  considerata 


dovendo  riferirsi  al  più  antico  alfabeto,  dimostra  che 
ad  epoca  rimolissima  conviene  riportare  (juesto  pre- 
gevole monumento.  E  pur  degno  di  osservazione  che 
molle  delle  iscrizioni  più  auliche  finora  conservate 
trovansi  segnate  un  verso  sotto  1'  altro ,  senza  che  vi 
si  vegga  adoperata  la  maniera  |3oi;TTpopT,5òy ,  ovvero 
lo  scrivere  da  dritta  a  sinistra  (  vedi  il  Franz  elem. 
ep.  gr.  cap.  1  p.  39  e  segg.).  Quel  monumento,  clic 
merita  di  essere  maggiormente  per  l'anlicbilà ,  e  per 
la  provenienza,  paragonato  al  nostro  ferro  di  scure  si 
è  la  celebre  iscrizione  in  bronzo  ritrovata  in  Polica- 
slro  presso  l'antica  Petelia ,  la  quale  fu  riportata  ad 
un'  epoca  che  si  distende  fra  la  olimpiade  quarante- 
sima e  la  sessantesima  (Franz.  /.  e.  p.  G2  ,  s.).  Presso 
a  poco  al  medesimo  tempo  attribuir  vogliamo  la  scure 
dedicata  da  Tiuisco  ,  la  quale  in  questa  ii>otesi  dovrà 
riferirsi  a  sei  secoli  incirca  prima  dell'  era  volgare. 

Ml.NERVlNI. 


Terracotta  di  Pozzuoli. 

Nella  nostra  tavola  IV  fig.  13  vedesi  pubblicata 
della  grandezza  dell'  originale  un  piccolo  gruppo  in 
terracotta  proveniente  da  Pozzuoli ,  e  posseduto  dal 
negoziante  di  aniichilà  sig.  Raffaele  Gargiulo.  Consi- 
derando allenlamenle  l'augello,  a  cui  si  attiene  il  ri- 
denle  fanciullino,  ricorre  tosto  il  pensiero  al  pavone, 
a  cui  ben  conviene  il  pennacchio  (Xo'^os,  apea:'.  Ari- 
slot,  de  iùst.  anim.  lib.  I.  cap.  I.  p.  762  A,  elib.  II. 
cap.   12.  p.  787  A.  Duval. ,  Plin.  hist.  nal.  lib.  XI. 
cap.  37.  ,  Aeliau.  de  animai  lib.  V.  cap,  21  ),  e  la 
forma  del  corpo  in  generale.  Manca  però  del  tutto  la 
occhiuta  coda,  la  quale  non  può  ravvisarsi  certamen- 
te in  quei  raggi,  che  veggonsi  alle  spalle  del  fanciullo. 
Io  credo  che  debba  con  questa  particolarità  confron- 
tarsi una  pressoché  simile  serie  di  raggi  ,  che  forma 
quasi  spalliera  ad  una  femminile  figura  sedente  su  di 
un  capro,  messa  ad  ornamento  di  un  vaso  del  nmseo 
di  Odessa  (Gerhard  archacol.  Zeitung,  Oli.  IS!)!  tav. 
XXXIV,  2  pag.  37.'S)  :  e  sospetto  che  nella  Icrracotla 
puleolana  ci  si  ponga  sotto  gli  sguardi  la  favolosa  Fé- 


—  140  — 


STES  (forse  figidua)  in  una  latina  iscrizione  di  Fi- 
renze (Gori  ima:  Eli:  t.  I.  p.  C3  n.  CLXXVII;  cf. 
Raoul -Rochelle  lellr.  à  m.  Schorn  p.  394  sec.  ediz.). 


nice.  La  descrizione,  che  ce  ne  lasciarono  gli  anliclii, 
conviene  perfetlamenle  all'  augello,  di  cui  favelliamo. 
La  grandezza  maggiore  di  quella  di  un'  aquila  ;  il  pen- 
nacchio sul  capo ,  caputque  phimeo  apice  cohoneslante, 

come  dice  Plinio;  e  finalmenle  il  rosso  colore,  di  cui  Mi>ERViNf. 

appariscono  le  tracce ,  allusivo  al  nome  slesso  della 
Fenice,  ci  traggono  ad  una  tale  conclusione  (vedi  Sal- 

masio  ad  Solinum  p.  385  seg.;  Joraard  descr.  del' È-    Notizia  de  più  recenti  scavi  di  Pompei:  continmzion* 
gypl.  Anliq.  tom.  L  cap.  5,  §  6  p.  29-31  ;  Creuzer         del  n.  U. 


Symbolik  toni.  II.  p.  1G3.  segg.  3.  ediz.).  Sono  poi 
ben  convenienti  i  raggi  all'  augello  del  Sole  (  Herod. 
lib.  II,  e.  73);  e  così  di  fatti  apparisce  la  Fenice  nelle 
medaglie  imperiali  con  un  disco  pieno  di  raggi  intor- 
no al  capo:  (  vedi  una  moneta  di  Trajano  coniala  sotto 
Adriano  descritta  da  Eckhel  dodr.  voi.  VI.  p.  441  , 
e  pubblicata  da  Creuzer  Sijmholik  tom.  II.  tav.  Vili, 
num.  27.  pag.  323,  3.  ediz.  ).  La  Fenice  è  notissi- 
mo simbolo  di  eternità ,  e  di  apoteosi.  Perciò  fu  so- 
vente adoperata  ne'funebri  monumenti,  anche  da' Cri- 
stiani ,  ad  additare  la  immortalità  ,  e  la  quasi  deifi- 
cazione de'  defunti  ;  nella  quale  intelligenza  conviene 
presso  a  poco  col  simbolo  dell'  aquila  e  del  pavone 
(  Raoul-Rochette  deux.  mf'in.  stir  les  antiq.  chretien- 
nes  p.  38  e  segg.  ).  Sicché  il  nostro  gruppo  puteola- 
no  trovato  in  una  tomba  sarà  destinato  a  significare 
l'apoteosi  di  un  fanciullo,  che  rapito  innanzi  tempo 
alla  vita  mortale  vien  condotto  ad  una  novella  esisten- 
za dal  simbolico  augello.  Nel  che  è  certamente  da 
paragonare  alle  romane  medaglie ,  nelle  quali  vedesi 
l'aquila  o  il  pavone  colle  ali  spiegate,  e  volanti  verso 
il  cielo,  per  trasportarvi  l'anima  degl'imperatori  o 
delle  imperatrici,  e  così  compirne  l'apoteosi. 

La  descritta  terracotta,  pregevole  pel  soggetto  ,  lo 
è  ancora ,  perchè  ci  presenta  un  nuovo  nome  di  ar- 
tefice ,  che  nella  parte  posteriore  della  base ,  ha  la- 
sciato di  sé  memoria  colla  epigrafe  graffila  sulla  te- 
nera argilla,  pria  di  metterla  al  fuoco.  Non  saprei  se 
questo  artista  si  appellasse  IT^o^cXt,?  ,  nome  che  più 
volte  si  ritrova  negli  scrittori  e  ne'monumentk(llaoul- 
Rochelte  lettr.  a  m.  le  due  de  Luynes  p.  31.,  e  lellr. 
à  m.  Schorn  p.  95  sec.  ediz.  ),  ovvero  ITpo'xXo;  cor- 
rispondente al  latino  Proatìm.  Comunque  sia  ,  non 
può  dirsi  Io  stesso  Proculo,  che  è  denominalo  PLA- 


Riuscendo  nel  peristilio  per  un'  apertura  praticala 
a  sinistra  si  va  in  altro  peristilio  meno  nobile,  di  cui 
daremo  la  descrizione  insieme  colle  altre  parli  di  questa 
casa  ,  quando  sarà  messa  interamente  allo  scoperto. 
Ora  se  n'è  sospeso  per  alcun  tempo  lo  scavo,  perchè 
si  conservassero  alcuni  tetti  rimasti  intalti  dopo  la  ca- 
tastrofe pompejana.  Sono  questi  tetti  notevolissimi:  e 
ne  dobbiamo  la  conservazione  al  metodo  costantemente 
seguito  nelle  presenti  escavazioni,  per  le  cure  dell'at- 
tuale Sopran tendente  sig.  Principe  di  Sangiorgio ,  e 
deirarchitello  Direttore  sig.  Gaetano  Genovese.  Con- 
siste questo  nel  rimuovere  a  poco  a  poco  le  terre  a 
strali  orizzontali,  e  non  già  a  tagli  verticali  :  cosicché 
nulla  potrà  sfuggire  alla  osservazione  del  diligente  ri- 
cercatore. Questi  tetti  così  conservati ,  mentre  al  di 
sotto  é  l'edificio  ripieno  di  lapillo,  e  di  altri  materiali, 
insieme  con  altri  fatti  già  prima  ed  ora  piij  recente- 
mente raccolti,  dar  possono  grandissima  luce  alla  que- 
stione del  modo  in  cui  fu  sepolta  la  città  di  Pompei. 
Noi  rimandiamo  ad  altro  articolo  i  particolari  di  una 
tale  discussione;  ma  sin  da  ora  ci  piace  di  annunziare 
che  questo  novello  fatto  pruova  alla  evidenza  che  una 
tremenda  alluvione  avvenir  dovette  ad  accrescere  i 
danni   della  eruzione.  Questa  conclusione  fu   tratta 
dallo  stesso  sig.  Genovese  ,  il  quale  ne  fé  oggetto  di 
particolare  comunicazione  alla  reale  Accademia  delle 
belle  arti  [\ediiì  Rendiconto  della  r.acc.d.  Belle  arti  an. 
1  p. 67. seg.). Una  novella  applicazione  presentavano  a 
fare  i  tetti  pompejani:  e  questa  consisteva  in  una  par- 
ticolare disposizione  de'legoli,  perché  le  acque  più  fa- 
cilmente confluissero  negli  angoli.  Si  è  colla  oculare 
ispezione  dimostrato  l'uso  di  alcuni  embrici  di  parti- 
colare forma  conservali  nel  real  museo  Borbonico: 


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ed  il  lodalo  arcìiitetlo  dirodoro,  informandone  etfual- 
menle  1'  Accademia  delle  Belle  arti ,  indicava  l' iili- 
je  applicazione  di  quei  tegoli  pe'nosdi  ledi  ,  e  ne  fa- 
ceva il  primo  saggio  nel  palagio  degli  Orsini ,  attual- 
mente in  restauro  [Reml.cil.\).10).  Daremo  inseguito 
il  disegno  de'  tetti  Pompejani ,  ed  una  particolare  di- 
chiarazione, perchè  ognuno  possa  piofiltarc  della  no- 
vella scoperta;  confessando  ancora  una  volta  la  utilità 
di  studiar  gli  antichi  nelle  arti.  A  compire  la  nar- 
razione di  ciò  che  si  è  finora  scoperto  nella  strada , 
della  quale  discorriamo,  avverto  che  il  seguente  n.  58 
è  una  piccola  hottega ,  di  cui  non  è  ancora  disotter— 
rato  il  pavimento:  le  pareti  sono  di  semplice  inlonico, 
senza  alcuna  dipintura.  Al  pilastro  seguente  leggcsi  la 
iscrizione  P.PAQVIVM.llVlR;  che  ci  persuade  forse 
a  correggere  l' altro  programma  riferito  di  sopra  P* 
AONIVM.  PROCVLVM ,  in  P.  PAQVIMI  (vedi  !a 
p.  59  D.  6).  Segue  il  n.  59  parimenti  rozzo  compre- 
so senza  intonico:  all'ingresso  vi  è  uno  scalino  di  fab- 
brica, ed  a' Iati  alcuni  pezzi  di  ferro  per  la  chiusura. 
N.  61.  Ingresso  ad  un  edifizio  non  ancora  disotter- 
rato. N.  63.  Rozza  bottega,  che  comunica  coli' edi- 
fizio suddetto  :  vi  è  un  piccolo  e  rozzo  larario.  N.6o. 
Bottega  anche  rozza,  con  dietrobottega  di  grossolano 
intonico  e  rozzamente  dipinta.  Nel  muro  di  fronte  è 
la  figura  di  un  Bacco  con  tirso  e  canlharos,  e  presso 
una  pantera  accovacciata  ;  a'  due  lati  sono  due  dipinti 
osceni. 

Tornando  al  sinistro  Iato  della  strada  avvertiamo 
che  sul  pilastro  dopo  il  n.  43  si  legge  graffito  il  nome 
APRILIVS  presso  ad  un  fallo  parimenti  graffilo.  Se- 
gue una  serie  di  altre  botteghe  ,  cominciando  dal  n. 
46  in  poi,  delle  quali  ci  proponghiamo  dire  con  mag- 
giore particolarità  ,  quando  ne  sarà  fatto  compiuta- 
mente lo  scavo.  Avvertiamo  per  ora  che  nella  bottega 
segnata  col  n.  49  si  veggono  varie  mete  di  piperno 
da  macinare  :  su'  muri  leggonsi  graffili  varii  numeri 
e  la  iscrizione 

POSTIIRV  .  NON 
OCTOBRIIS 

In  altra   bottega,  cerlamenle  di  mi  piymcnlailus. 


furono  rinvenuti  molti  oggetti  degni  di  considerazio- 
ne ;  e  di  essi  già  diede  notizia  il  defunto  cav.  Guglielmo 
Bechi ,  il  quale  ne  parla  in  tal  guisa  :  «  Ecco  gli  og- 
«  getti  che  vi  si  son  rinvenuti.  1.  Una  quantità  di  co- 
«  lor  bianco  purissimo,  oggi  dello  bianco  di  argento. 
«  2.  Quattro  pezzi  di  bianco  emisferici  con  iscrizione 
«  fatta  a  stampiglia ,  impressa  su  di  essi  pezzi.  Qne- 
«  sto  bianco  da  noi  dicesi  bianco  di  piombo.  3. Terra 
«  gialla  chiarissima.  4.  Terra  gialla  chiara.  Questa 
«  terra  gialla  si  è  trovata  nel  fondo  di  un' anfora  me- 
«  scolata  con  una  sostanza  resinosa,  che  altro  non  può 
«  essere  che  gomma  mastice  ;  il  che  proverebbe  che 
«  gli  antichi  si  servivano  per  glutine  delle  loro  tinte, 
«  di  questa  gomma ,  come  facciamo  noi ,  se  non  nei 
«  quadri,  almeno  nelle  tinture  de' legni  e  masserizie. 
«  5.  Terra  gialla  scura  di  bellissimo  tuono.  6.  Smallo 
«  bleu.  7.  Terra  pavonazza  chiarissima.  8.  Terra  pa- 
«  vonazza  chiara  bellissima.  9.  Terra  pavonazza  scura. 
«  10,  Nero  di  fumo.  1 1.  Gomma  mastice  in  massa. 
«  12.  Gran  pezzo  di  asfalto  di  oltima  qualità.  13.  Pece 
«  in  gran  quantità.  14.  Una  sostanza  composta  di  varii 
«  ingredienti  nei  quali  entra  la  pece  e  l'asfalto.  15. 
«  Una  gran  massa  di  luto  fullonico.  16.  Una  quantità 
«  di  pomici  lavorale  a  forma  di  una  mezza  sfera  ,  ima 
«  delle  quali  dentro  un  manubrio  di  bronzo.  Oltre 
«  molti  pesi ,  e  varii  mortai  ad  uso  di  pestare  e  ma- 
«  cinar  droghe  e  colori.»  [Vedi  Memorie  della  Regale 
Accademia  Ercolanese  voi.  VII.  Appendice  p.  43  s.  ). 
11  Sig.  Bechi  non  omette  in  questo  luogo  di  osservare 
quanta  cura  ponessero  gli  antichi  nelle  più  piccole 
cose,  avvertendo  particolarmente  come  quelle  pomici 
si  lavoravano ,  dandosi  loro  la  forma  di  una  mezza  sfera 
di  uniforme  grandezza  ,  proporzionata  alla  impugna- 
tura della  mano,  e  da  ultimo  si  mettevano  in  un  ma- 
nubrio di  bronzo  concavo  a  guisa  di  piccola  tazza  , 
affiu  di  poterle  meglio  e  con  più  forza  maneggiare  , 
ottenendo  così  una  pressione  eguale,  senza  il  rischio 
di  stritolarle,  premendole  con  la  mano  nuda  (I.  e. 
p.  44).  La  iscrizione  fatta  a  stampiglia  su'  pezzi  di 
biacca  è  .\TTIORVM  ;  e  senza  dubbio  si  riferisce  ai 
padroni  della  bottega,  che  facevano  la  industria  de'co- 
iori  :  ed  è  forse  un  esempio  unico  in  Pompei  della 
precisa  determinazione  di  coloro ,  che  tenevano  quel 


142  — 


negoziato.  E  cosi  nella  medesima  strada  abbiamo  in- 
contrata una  casa,  che  può  certamente  denominarsi  di 
M.  Lucrezio,  ed  una  bottega,  che  può  chiamarsi  de- 
gli Adii,  dal  nome  di  que  fralelli  o  in  qualunque 
altro  modo  congiunti  ,  che  esercitavano  in  società 
quella  industria  ,  contrassegnando  la  loro  merce  col 
titolo  della  fabbrica. 

Dopo  il  n.  66  si  offre  l'apertura  di  un  vico  in  parte 
disotterrato.  Sul  muro  sinistro  vedesi  un  dipinto ,  ed 
una  numerosa  serie  di  programmi,  che  occupano  una 
lunga  estensione.  La  pittura  rappresenta  due  enormi 
dragoni  fra  piante  acquatiche  :  le  loro  aperte  bocche 
si  dirigono  verso  un  incavo  eh  e  pratticato  nel  mezzo, 
e  destinalo  a  poggiarvi  le  offerte.  Più  in  giù  al  di  so- 
pra di  un  ara  dipinta  vedesi  effigiata  una  cesta  con 
varie  offerte  ,  fralle  quali  compariscono  due  pine  ,  e 
due  altri  frutti  indeterminati. 

Le  iscrizioni, alle  quali  accenuiamo,sono  le  seguenti: 

i)  RVFV3I 
poi  in  piccoli  caratteri 

2)  HELVIVM  SABINVM  AED 

ed  in  grandi  caratteri 

3)  POPIDIVM-  RVFVMIIVm  DR-P'O'V'F 

4)  POPIDIVM  RVFVM 

b)  P  .  PAQVIVM  .  PROCVLVM 

UVIR  ■  1  •  D INI 

6)  Q  .  MAR1V3I  RVFVM  aed  •  r  •  p  •  d 

Seguono  altre  iscrizioni ,  che  quando  sarà  prose- 
gnito  Io  scavo,  non  mancheremo  di  riferire. 


fconlinuaj 


MlNEnVlNI, 


Descrizione  di  un  frammento  di  vaso  diiunto  conser^ 
vaio  nel  real  museo  Borbonico. 

Tra'più  preziosi  monumenti  ceramografici  del  real 
M.  Borbonico  è  certamente  da  riporre  il  frammento 
di  cratere  proveniente  daRuvo,  rappresentante  la  Gi- 
gantomacbìa.  E  però  dispiacevole  che  di  questo  clas- 


sico pezzo  di  antichità,  tuttavia  inedito,  non  si  son  date 
finora  che  inesatte  descrizioni.  Di  fatti  non  può  con- 
siderarsi come  tale,  che  non  lasci  nulla  a  desiderare, 
quella  fattane  dal  eh.  signor  Consigliere  Schulz  negli 
annali  dell'  hi.  1842  p.  67  e  s. ,  abbenchè  sia  la  più 
estesa  ;  non  essendo  le  altre  che  semplici  notizie.  Per- 
ciò non  tornerà  discaro  a'  lettori  del  buUettino  veder- 
ne rettificata  e  compiuta  la  descrizione,  alia  quale  fa- 
remo seguire  alcune  brevi  osservazioni.  Le  figure  di 
questo  importante  frammento  son  rosse  in  fondo  ne- 
ro :  il  disegno  è  quanto  di  meglio  possa  desiderarsi 
in  questa  classe  di  monumenti  :  è  da  notare  partico- 
larmente che  varii  oggetti,  e  talvolta  altresì  le  figure, 
offrono  le  ombre  oltre  i  semplici  contorni.  Una  delle 
due  facce  del  vaso  è  assai  più  accuratamente  dipinta 
che  r  altra  ;  per  modo  che  può  ravvisarvisi  l' opera 
di  due  differenti  artisti. 

Comparisce  da  prima  un  mezzo  cerchio,  figurante 
la  volta  celeste.  Al  di  sotto  di  questa  fascia  veggon- 
si  alcuni  de'  figli  della  Terra  salire  per  varie  tortuose 
linee  graffite ,  messe  ad  indicar  le  montagne  sovrap- 
poste le  une  alle  altre  per  ascendere  al  Cielo.  Comin- 
ciamo a  descrivere  le  varie  figure  dalla  destra  de' ri- 
guardanti. La  prima  è  Gaea  con  doppia  tunica  sen- 
za maniche  e  capelli  pendenti  :  ella  al  solito  è  ve- 
duta per  metà,  essendo  l'altra  mela  inferiore  profon- 
dala nel  suolo  :  con  una  mano  spinge  uno  de'  suoi  fi- 
gli tutto  nudo  e  con  pelle  di  pantera,  il  quale  è  nel- 
l'atto di  sollevare  con  grande  sforzo  un  enorme  sasso 
al  di  sopra  di  quelle  graffile  tortuosità.  Vien  poi  in 
ordine  alquanto  superiore  ,  ma  più  a  sinistra,  un'  al- 
tra figura,  che  tenendosi  colla  sinistra  ad  un  petroso 
masso  della  montagna,  colla  destra  puntella  una  cor- 
ta asta  al  sasso  spinto  dall'  altra  figura  precedente- 
mente descritta.  Al  di  sotto  ò  un  allro  Gigante  veduto 
di  schiena ,  che  in  forzalo  movimento  oppone  colla 
manca  la  pelle  di  pantera  avvolta  intorno  al  suo  brac- 
cio, e  colla  diritta  è  per  vibrar,  come  sembra,  nell'al- 
to una  scheggia  de!  monte:  presso  di  lui  è  uno  scudo 
rovesciato  coll'emblema  di  un  Grifo  prominente  a  ri- 
lievo. Segue  un  altro  Gigante  pur  con  pelle  di  fiera 
che  si  rannoda  sul  petto ,  il  quale  si  curva  per  solle- 
vare un  grande  masso.  Al  di  sopra  appajono  solo  in 


—  Ii3  — 


parie  due  altre  figure  :  di  una  si  veggono  soltanto  le 
gambe,  e  la  mano  dritta  munita  di  martello  con  dop- 
pia punta  ;  l'altra  si  mostra  dall' ombelico  in  giù,  ed 
è  adorna  di  clamide  con  fregio  di  meandro  ad  onda 
nell'orlo;  le  braccia  e  le  mani  non  compariscono  af- 
fallo.  Nello  spazio  che  rimane  voto  fra'  cinipie  perso- 
naggi da  noi  descritti ,  giacciono  sulla  montagna  una 
scure  ,  ed  una  breve  picca. 

L'ultima  figura  a  sinistra  che  vedesi  al  di  sotto  del 
cerchio  ,  è  Encelado  ENKEAAAO^  con  imberbe 
volto,  e  quasi  vinto  dalla  fatica  e  dalie  ferite:  egli  ha 
la  galea,  la  spada  nel  fodero  pendente  al  fianco,  e  Io 
scudo  con  l'emblema  di  una  lesta  di  fronte  con  lingua 
prominente  e  zanne,  e  con  lunghi  raggi  sporgenti  nella 
parte  superiore  e  nella  inferiore.  All'interno  dello  scudo 
è  nel  giro  l'ornamento  di  un  meandro  ad  onda,  e  poi 
una  pugna  fra  cinque  figure,  probabilmente  un'altra 
Gigantomachia:  sono  esse  1 .  a  destra  figura  nuda  con 
ginocchio  al  suolo,  che  tira  l' arco  (forse  Alcide)  -  2. 
figura  di  schiena,  e  con  pelle  di  fiera,  nell'atto  di 
vibrare  una  pietra -3.  Comparisce  una  semplice  testa, 
essendo  il  rimanente  del  corpo  impedito  dal  braccio 
di  Encelado  -  4.  Figura  con  clamide  caduta  al  suolo— 
S.  Figura  virile  con  elmo  e  scudo  ,  lanciando  l'asta. 

Tornando  a  destra  al  di  sopra  del  circolo  del  cielo, 
vedesi  Hettos  in  un  carro  tratto  a  sinistra  da  quattro 
cavalli,  che  appajono  a  metà  essendo  dal  cerchio  me- 
desimo interrotti.  Il  dio  ha  clamide  affibbiata  sul  petto 
e  svolazzante ,  corazza  a  squame  ,  con  ornamento  di 
meandro  ad  onda  e  gonnellino:  presso  la  sua  testa  è 
il  disco  del  Sole  bianco  con  tratti  gialli,  e  circondato 
di  bianchi  raggi.  Al  di  sopra  sono  i  residui  di  altra 
quadriga ,  che  va  da  sinistra  a  destra.  Dal  lato  oppo- 
sto ,  ed  anche  sopra  della  descritta  zona  ,  presso  la 
figura  di  Encelado,  scorgesi  anche  interrotta  in  parte 
dalla  volta  del  cielo ,  una  figura  femminile ,  che  si 
avanza  a  manca  sedente  sul  cavallo,  vestita  di  tunica 
^enza  maniche  e  clamide.  La  parte  superiore  del  corpo 
e  la  testa  non  si  vede,  per  essere  il  vaso  infranto;  ma 
forse  dee  credersi  Hemera,  o  l'Aurora.  A  questa  me- 
di'sima  faccia  del  vaso  sembra  appartenere  un  piccolo 
fiammonio  con  la  testa  di  Minerva  galeala ,  ed  indi- 
cala dalla  epigrafe  A'-^HNA. 


Passando  all'altra  faccia,  di  cui  dicemmo  esser 
meno  accurato,  benché  non  meno  franco,  il  disegno, 
osserviamo  vedersi  in  alto  alcune  figure  in  grandissima 
parte  mancanti  per  la  frattura  del  vaso;  una  con  clami- 
de, altra  con  nebride.  Nell'ordine  inferiore  una  femmi- 
nile figura  con  semplice  corona  di  edera  e  radii  sul  ca- 
po, ha  lunga  tunica  con  fascia  alla  vita:  colla  destra  è 
nell'atto  di  vibrare  una  pietra;  colla  sinistra,  a  cui  è  so- 
spesa una  pelle  eleva  il  tirso:  presso  la  di  lei  lesta  è  la 
iscrizione  IlAlAlA,  che  noi  prima  abbiamo  scoperta. 
La  precede  un  Sileno  barbato,  e  con  coda:  ha  questi  il 
capo  munito  di  galea  crislata  e  fatta  a  foggia  di  squa- 
me ;  stende  pure  il  sinistro  braccio  a  cui  è  sospesa  una 
pelle,  e  colla  destra  sfiinge  una  lunga  pertica  od  asta 
contro  una  figura  virile  nuda  caduta  al  suolo, della  qna- 
le  veggonsi  le  sole  gambe,e  parte  dello  scudo  che  aveva 
a  sua  difesa.  Presso  la  testa  del  Sileno  b'ggesi  EV.... 
Al  suolo  sorge  una  pianta  con  rami ,  che  sembrano 
di  vite  selvaggia ,  e  pur  da  questo  lato  sono  tortuose 
linee  graffite.  Sotto  è  in  giro  un  meandro.  Poggia  il 
vaso  sopra  un  piede  staccato  ,  che  probabilmente  vi 
apparteneva.  Su  di  questo  è  dipinta  una  murena  ,  o 
qualche  marino  mostro,  non  che  un  altro  animale  di 
forme  somiglianti  a  quelle  del  tonno,  che  tengono 
ciascuno  in  bocca  un  piccolo  pesciolino  :  e  questa  rap- 
presentanza si  ripete  per  ben  due  volte.  Sotto  è  in  i^'iro 
un  meandro  ad  onda. 

Quelle  linee  ad  arco  ,  che  limitano  superiormente 
la  rappresentazione  ,  sono  giudicate  indicar  la  volta 
del  cielo  dal  Gerhard  fbiiU.  dell' hi.  1810  p.  189;, 
e  dallo  Schulz  fbull.  cit.  1842  p.  67  j.  E  noi  ne  fa- 
cemmo altrove  il  paragone  con  una  simile  particolarità 
osservata  nel  magnifico  vaso  di  Ruvo  ,  che  pubbli- 
cammo nel  huUeltino  archeologico  napolilano  (an.  II. 
tav.  V.  eVI.  vedi  la  p.  107) ,  e  che  fu  poi  acquista- 
to dal  Sig.  Barone  di  Lotzlìcck.  Notevole  è  la  ripeti- 
zione di  IMios  che  guida  il  suo  carro,  ed  insieme  del 
disco  del  Sole ,  che  comparisce  pure  nel  citato  vaso 
di  Ruvo.  A  me  sembra  che  il  carro  del  Sole  interrotto 
dalla  volta  celeste  dia  a  divedere  che  si  trovi  dall'altro 
emisfero  ,  verso  del  quale  più  si  dirige  :  e  dello  stesso 
modo  potremmo  ravvisar  nell'altro  carro  solo  in  parte 
conservato  la  quadriga  di  Selene ,  che  parimeali  si 


—  144 


allonlana,  mentre  fa  lo  slesso  l' Aurora  che  egual- 
iiienle  percorre  sul  cavallo  l'opposlo  emisfero.  Farebbe 
a  ciò  bellissimo  confronto  il  luogo  di  Apollodoro,  nel 
quale  si  riporta  che  Giove  comandò  di  non  recar  la 
loro  luce  all'  Aurora  ,  al  Sole  ,  ed  alia  Luna  :  à.'jru- 
'Trwy  (JaAfiv  'Ho?  T:  xoCi  SìXrjir,  xoù  'HX/w  (lib.  Icap. 
0  ,  1  ).  La  figura  di  Elio  è  notevole  per  la  squamosa 
lorica  coir  ornamento  di  meandro  ad  onda:  alla  pri- 
ma fa  confronto  Valerio  Fiacco,  che  parla  della  lorica 
del  Soie  (Argon.  IV.  v.  93 ,  94J ,  alla  seconda  dan 
luce  i  rapporti  dell'astro  del  giorno  colle  marine  onde, 
e  quando  sorge  dalle  acque,  e  quando  in  esse  si  tuffa 
(\edi  ciò  che  dicemmo  nel  bull.  arch.  nap.  an.  V.  p. 
79-80  ).  Passando  alla  pugna  stessa  avvertiamo  che 
il  sollevar  de'  grandi  massi  trova  il  paragone  di  altri 
monumenti;  uè  solo  in  rapporto  de'  Giganti,  ma  al- 
tresì de'  Centauri  nelle  rappresentazioni  della  loro 
battaglia  co'Lapiti,  Ingegnosa  è  la  determinazione  che 
la  ilSig.  Schulz  delie  tre  figure  che  sono  a  sinistra  in 
ordine  alquanto  superiore  ,  e  che  sono  in  gran  parlo 
mancanti.  La  figura  da  lui  spiegata  per  Marte,  che  è 
»iuella  che  puntella  un  corto  giavellotto  ad  un  sasso 
solle>alo  da  un  Gigante,  può  credersi  nell' atto  di 
scuoterlo ,  perchè  precipiti  al  basso.  Il  personaggio 
col  martello  a  doppia  punta  può  credersi  Vulcano  , 
secondo  la  opinione  dello  stesso  eh.  Schulz,  e  l'altro 
con  orlala  clamide  può  riputarsi  Apollo,  al  quale  non 
altrimenti  che  al  Sole,  conviene  il  fregio  del  meandro 
ad  onda ,  essendone  non  diversa  la  intelligenza.  La 
figura  di  Minerva  trovavasi  per  avventura  non  mollo 
distante  da  Encelado  ,  e  certamente  dal  sinistro  lato. 
Intanto  la  epigrafe  A0IINA  viene  a  dimostrare  che 
non  una  sola  iscrizione  vedeasi  sul  vaso ,  come  cre- 
deva lo  Schulz,  richiamando  l'altro  colossale  vaso  del 
real  museo  Borbonico  con  la  sola  epigrafe  APTEMIS 
graffita.  Il  frammento  di  Ruvo  presenta  certamente 
▼arie  iscrizioni  dall'  una  e  dall'  altra  faccia  ,  ed  altre 
probabilmente  se  ne  vedevano  nelle  parti  mancanti. 
In  quanto  poi  alla  voce  APTEMIX  dell'  altro  vaso  , 


noi  abbiamo  non  lieve  sospetto  che  fosse  una  moderna 
falsificazione,  avuto  riguardo  alla  cattiva  forma  dello 
lettere ,  ed  alla  incertezza  de'  tratti. 

fconlinmj  Minebviri. 


Vaso  dipinto  con  Ulisse  AKA.yruoPLEx. 

Il  d'Hankarville  nella  collezione  di  vasi(t.  IL  taT. 
29  ediz.  di  Parigi  )  ne  pubblicò  uno  con  rappresen- 
tazione di  grande  importanza.  Vedesi  dipinta  una  na- 
ve con  entro  due  personaggi  ,  uno  de'  quali  è  inteso 
ad  annodar  1  '  ancora ,  l' altro  è  appoggiato  al  remo. 
Al  disopra  di  questo  è  un  augello  volante ,  che  ha 
nel  rostro  un  pesce  rotondo  con  lunga  coda  rivolta 
in  giù.  Sopra  uno  scoglio  è  una  donna  ,  che  attende 
il  naviglio.  Questo  curioso  monumento  fu  ripubbli- 
calo dall'  Inghirami  [vasi  ^«.t.II.tav.l  16,  1 17).ll  ce- 
lebre cav.  Welcker  vi  riconobbe  il  soggetto  di  Ulisse 
ucciso  dal  pesce  Tpuyu/v  nel  giungere  al  porto ,  colla 
nota  denominazione  di  Ulisse  akanthoplex.  I  partico- 
lari di  una  tale  spiegazione  legger  si  possono  nel  bul- 
lellino  dell'  istituto  per  l' anno  1 833  pag.  1  i  6  e  seg. 
Ora  non  tornerà  discaro  di  vedere  in  questi  fogli  an- 
nunzialo che  il  vaso ,  di  cui  è  parola  ,  è  tultavia  esi- 
stente nella  collezione  de*  signori  Porcinari  in  Napoli. 
Avendo  noi  avuto  occasione  di  osservarlo  ,  ci  siamo 
avveduti  che  esiste  nel  campo,  al  di  sotto  dell'augel- 
lo una  iscrizione,  che  pare  sia  sfuggita  a' primi  edito- 
ri. La  epigrafe  è  la  seguente  KO  I  MAPIi^,  ku~ 
/xap/j,  0  k  >wx*p/s  ;  giacché  non  sapremmo  difiinire  se 
il  terzo  elemento  sia  I  o  M,  vedendosi  in  quel  sito  una 
piccola  frattura.  Quale  influenza  abbia  una  tale  novità 
sulla  spiegazione  del  Welcker ,  e  come  debba  inter- 
pretarsi non  ci  è  ancora  sovvenuto  al  pensiero:  ma 
nel  prossimo  foglio  del  bulleltino  ne  daremo  una  qua- 
lunque siasi  dilucidazione  ,  contenti  per  ora  di  rife- 
rire il  fatto ,  senza  particolare  comenlo. 

MlNERVUri. 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.g. 
GicLio  MiNERviM  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaheo. 


BriLETTmO  ARCHEOLOGICO  IVAPOLITA^O. 

NUOVA    SERIE 
^'  19.  Aprile  1853. 


Epoca  in  che  fu  costruito  l' Anfiteatro  pompeiano.  — L'  Ambulàtio  e  i  Programmi  popolari  in  Pompei. 


Epoca  in  che  fu  costruito  V  Anfiteatro  pompeiano. 

Le  fabbriche  dejjli  Anfilealri  vennero  in  moda  assai 
tardi,  essendo  vecchissimo  costume  e  generale  in  Ilalia 
di  erigere  palchi  di  legno  nelle  piazze.  Tal  notizia  ci 
viene  dal  più  competente  giudice ,  che  potea  deside- 
rarsi, io  dico  da  Vilruvio,  il  quale  neppure  ci  ha  la- 
sciato nei  suoi  dottissimi  libri  istruzione  veruna  intorno 
alla  costruzione  di  essi.  La  qual  cosa  unita  al  precetto 
di  far  le  piazze  in  Italia  rettangole ,  e  non  quadrate 
per  r  uso  degli  spettacoli,  ci  dimostra  evidentemente 
qual  ragione  egli  avesse  di  non  occuparsi  di  una  fah-^ 
brica,  l'uso  della  quale  non  era  divulgato.  Dice  adun- 
que Vilruvio  :  In  Jtaìiae  tirbibiis  non  eadem  est  ratione 
faciemìum  ,  ideo  qiiod  a  maioribus  consueludo  tradita 
est ,  gladiatoria  munera  in  foro  dari.  fgllur  circum  spe- 
ctacida  spatioMora  inlercohimnia  dislribuantur.  iMi- 
tudo  aulem  ita  ftniatur ,  ut  ìongitudo  in  tres  partes 
cum  divisa  fu  rit ,  ex  his  duae  partes  ei  dentar  :  ila 
enim  erit  oblonga  eius  formalin  ,  et  ad  spectacidorum 
raliom  m  utilis  dispositio  (V.  1  ), 

Un  lai  uso  ricorreva  segnatamente  in  Eiruria,  ciA 
che  gli  Etruscómani  non  hanno  avvertilo ,  e  ce  ne  è 
nobilissimo  documento  la  pittura  di  un  sepolcro  di 
Tarquinia  (  Canina  ,  Etr.  Marìtt.  Tav.  LXXX V  ) ,  pa- 
ragonalo con  un  fatto  ancor  meno  osservalo,  ma  che 
ne  dà  non  meno  solenne  conferma.  Qual  fosse  il  modo 
di  assistere  agii  spettacoli  in  Roma,  prima  della  mela 
del  secondo  secolo  ,  lo  descrive  Livio,  e  Dionigi^  Dice 
il  primo  ;  Spectavere  furcis  duodenos  ab  terra  spectacula 
alta  sustinentibus pedes  {{ ,^?t):  dice  il  secondo  :  'Ec-rri» 
TE?  i^icóoovY  Ì-k'  Ixfii'uiv,  Q-.firuiY  spXi'vxii  C7;tr,v«rs éot- 


xiiixìviov  {IH,  p.  200,  Sylb.).  Della  quale  verilà  slo- 
rica ne  vien  garante  la  pittura  citala  di  sopra  ;  nella 
quale  il  popolo  è  appunto  collocalo  su  i  palchi  sosle- 
nuli  da  cavalietti  presso  a  poco  dodici  piedi  elevali 
dal  suolo.  Che  se  la  Eiruria  ,  donde  veniva  a  Roma 
Tarquinio ,  avesse  avuto  Aniitealri ,  egli  è  fuor  di 
dubbio  ,  che  il  vanlalo  autore  della  massima  cloaca  , 
e  del  massimo  circo  avrebbe  fallo  edificare  anche  que- 
sta mole  nella  nuova  sua  dimora.  Intanto  i  Koniaiii 
seguitarono  a  costruir  Anfiteatri  di  legno  fino  a' tenq)i 
di  Augusto, 

D'altra  parte  niun  Anfiteatro  è  in  Eiruria  che  possa 
dirsi  di  costruzione  eirusca  :  e  quei  luoghi  ove  se  ne 
riconosce  qualcuno  lo  debbono  sicuramente  aver  ri- 
cevuto sotto  il  dominio  dei  Romani.  Così  Areliiim , 
Luna ,  Luca ,  Florentia ,  e  Volalerrae  che  hanno  .\n- 
filealro ,  furono  colonie  romane,  e  lo  fu  Sulrium  al- 
tresì, dell'Anfilealro  del  quale  il  Comm.  Canina  di  re- 
cente ha  dato  il  competente  giudizio  fEir.  Murili,  p. 
73^,  giustamente  attribuendolo  cogli  allri  ai  Romani. 
Liionde  non  vale  il  dire  col  Sig.  Ab.  Rucca  (  Rcnd. 
della  .Snc.  J{,Borb.Accad.Ercol.\)."ynj, che  queste  città 
eran  distrulle  ai  tempi  romani ,  male  inlerpretandj 
i  luoghi  dei  Classici,  i  quali  debbono  aver  accennato 
all'  antica  condizione  eirusca  di  queste  città  :  peroc- 
ché ai  tempi  in  che  essi  scrivevano  erano  in  piedi,  ed 
in  condizione  di  colonie  romane. 

Una  tanta  costruzione  in  legno,  eseguita  inoltre  sì 
di  frequente ,  offriva  di  già  un  modello  esalto  a  chi 
volesse  alzarne  qualcuno  in  pielr.-ì  :  laonde  quando  i 
tempi  di  pace  permis<*ro  ad  Augusto  di  rivolgersi  ad 
abbellir  Ruma ,  ei  non  mancò  di  suggerire  a  Statilio 

19 


146  — 


Tauro  il  pensiere  di  fabbricare  un  Anfiteatro.  Niuno 
potrebbe  asserire  sinora  se  prima  del  secolo  ottavo 
alcun  Anfiteatro  di  pietra  si  fosse  altrove  costruito 
in  Italia;  che  i  monumenti  superstiti  nulla  contengo- 
no ,  affatto  nulla  ,  che  ci  obblighi  a  sorpassar  questo 
limite,  lo  non  entro  qui  a  trattar  dell'architettura,  né 
della  maniera  di  costruzione,  né  de'  luoghi  degli  scrit- 
tori, onde  qualcuno  si  è  lasciato  bellamente  trarre  in 
inganno  :  di  tutto  ciò  ho  disputato  in  due  memorie 
lette  all'  Accademia  Ercolanese  ,  ed  in  una  disserta- 
zione intorno  ai  frammenti  dulia  Iscrizione ,  che  fu 
una  volta  sulla  porta  d'ingresso  dell'Anfiteatro  pu- 
teolano.  Basti  quindi  asserire ,  che  da  tutto  ciò  nulla 
si  può  dedurre,  che  ci  faccia  salire  al  di  là  del  secolo 
ottavo  ,  ove  manchi  una  testimonianza  scritta  e  con- 
temporanea, che  ne  determini  l'età.  Già  dimostrai  che 
tutte  le  iscrizioni  che  parlano  della  costruzione  degli 
Anfiteatri  conosciute  finora  ,  sia  in  Italia  ,  sia  fuori , 
tutte  sono  dei  tempi  dell'  Impero. 

Ora  dopo  di  avere  avvertito  i  lettori  dello  stato  in 
che  è  la  questione  intorno  all'  epoca  degli  Anfiteatri 
in  pietra  ,  mi  argomenterò  per  quanto  è  possibile  di 
determinare  il  tempo  ,  in  che  fu  costruito  quello  di 
Pompei;  e  ciò  dalla  doppia  iscrizione  trovala  su  due 
ingressi  di  esso  rivolti  a  ponente  e  dalle  otto ,  che  si 
leggono  sul  parapetto  del  podio  ad  oriente.  Ecco  il 
tenore  di  quella  ,  che  è  intera  ;  che  all'  altra  manca 
una  piccola  parte  a  sinistra  : 

C  •  QVINCTIVS  •  C  •  F  •  VALGVS 

M  •  PORCI VS  •  M  •  F  •  DVo  •  VIR 

QVINQ  •  COLOXIAI  •  HONORIS 

CAVSSA  •  SPFXTACVLA  •  DE  •  SVA 

PEO  •  FAC  •  COKR  •  ET  •  COLOXEIS 

LOCVM  •  IN  •  PERPETVOM  •  DEDER 

Le  scolpite  sul  parapetto  del  podio  a  sinistra  di  chi 
cnira  dalia  porla  settentrionale  leggono 
davanti  ul  primo  cuneo  : 

•MAO  •  PAG  •  AVG  •  F  •  S  •  PRO  •  LVD  •  EX  DD  (!) 

(I)  Lpggo:   .Hagitlri  Pagi  Augutti  Felicit  Suburbani  prò  Ju- 
dt<  ex  decreto  Decuriunuin.  TaluUiu*  (  e  non  T.  AlitUiiu  sic- 


davanti  al  secondo  :     ■ 

TATVLLIVS  •  C  •  F  •  CELER  •  HV  •  PRO  •  LVD  •  LV  CVN  F  C  EX  DD 

davanti  al  terzo  : 

LSAGINIVSIIVIRID  PRLVLVEX  D  DCVN 

e  si  ripete  sulla  parte  interna  : 

L •  SAGINIVS   IIVIDPLLEXDDC 

davanti  ai  tre  cunei  seguenti ,  l' una  dopo  l' altra  : 

N  •  IST  ACIDI  VS  •  N  •  F  •  CILIX  •  II  VIRPROLVD- 
LVM  •  A  •  AVDIVS  •  A  •  F  •  RVFVS  •  II  •  VIR  •  PRO- 
LVD  •  P  •  CAESETIVS  •  SEX  •  F  •  CAPITO  •  IIVIR- 
PRO  •  LVD  •  M  •  CANTRIVS  •  M  •  F-  MARCELLVS- 
II  VIRPROLVDLVMCVNEOS  IIIFC  EXDD- 

Non  può  esser  dubbio,  cheC.  Quinzio  e  M,  Porcio 
siano  i  primi  autori  dell'Anfiteatro  pompeiano ,  av- 
visando la  iscrizione ,  che  i  posti  da  sedere  in  gene- 
rale essi  gli  hanno  fatti  costruire:  Speclacula faciun- 
da  coeraverunt  (-2).  È  poi  ben  naturale ,  che  qui  la 
voce  SPECTACVLA  si  abbia  da  intendere  per  l' in- 
tero edifizio ,  il  quale  consiste  appunto  di  posti  da  ve- 
dere. Né  presso  i  Greci  ©sxrpov,  od  'AixpiBixrpov  valse 
altra  cosa  che  luogo  da  guardare  ;  onde  S.  Isidoro 
visorium  grammaticalmente  lo  interpretrò.  Questi  luo- 
ghi, o  posti  da  guardare,  son  divisi  da  maggiori  e  mi- 
nori intramezzi  di  gradini ,  i  maggiori  seguendo  la 
forma  ellittica  dell' edifizio  non  vanno  in  linee  paral- 
lele ,  ma  convergono  dall'  alto  al  basso  ;  e  però  i  par- 
timenli  dei  posti  fra  le  due  linee  presero  dalia  mate- 
rial figura  nome  di  cunei.  Qui  M.  Porcio  e  C.  Quìu- 


conie  ha  copiato  erroneamente  il  Mommsen ,  /.  iV.  22b2)  Cai  fiU 
Celer  Duumvir  iuri  dicundo  prò  ludorum  iuminalìone  [lì  Momm. 
interpreta,  prò  ludorum  luminibutj  cuneum  faciundum  curavit 
ex  decr.  Decur.  e  cosi  in  seguilo. 

(2)  È  uno  sbaglio  del  Ziimpt ,  che  la  voce  speclacula  prende 
qui  per  rappretentanta,  quasi  avesse  trovato  tpectacutum  dare, 
ovvero  edere,  «  non  tpectacula  faciunda  curare  f  y.  Com.Eptgr. 
p.  107,  !«;. 


—  147 


zio  non  ci  dicono  già  come  gli  aldi  duumviri,  o  come 
i  Maestri  del  Pago  Augusto  di  aver  Aibbriralo  uno , 
o  più  cunei ,  ma  gli  spetlacoìi.  Dal  (jual  paragone  ri- 
sulta parmi  anche  più  evidente  il  significalo  che  si 
deve  atlribuire  alla  voce  SPE(]TACVLA.  Lo  che  po- 
sto ,  né  i  Duumviri ,  né  i  Maestri  del  Pago  Angusto 
potranno  contendere  loro  la  pi  iorilà  ;  e  però  riinan 
provato,  che  C.  Quinzio,  e  M.  Porcio  siano  i  veri  e 
primi  autori  di  questo  ediGcio. 

Ben  parmi  sicuro ,  che  se  gli  altri  non  hanno  il 
merito  di  aver  cominciata  la  fabbrica  ,  lo  abbiano  di 
averla  aiutata ,  e  condotta  con  loro  a  fine.  Perocché 
la  costruzione  dei  sei  cunei  non  ha  sembianza  adatto 
di  rifacimento  ,  trovandosi  l'un  dopo  l'altro  dal  solo 
lato  sinistro,  ed  opposto  a  quello,  sulle  due  porte  del 
quale  furono  poste  le  due  iscrizioni  che  dichiarano 
Porcio  e  Oiù'iz'O  autori  della  mole.  Intendo  quindi 
la  cosa  così ,  che  cominciata  la  fabbrica  dai  Duum- 
viri lodati,  e  condotta  avanti  a  proprie  spese,  corren- 
do tuttavia  il  quinquennio  della  loro  magistratura ,  i 
Duumviri  loro  surrogali  nei  tre  anni  seguenti  per 
decreto  dei  decurioni  avessero  occupato  il  denaro  so- 
lito erogarsi  nello  entrare  in  carica  in  giuochi,  e  lu- 
minarie, alla  costruzione  di  un  cuneo  dell'Anfileatro, 
La  qual  cosa  i  maestri  del  pago  abbiano  imitata  fa- 
cendo anch'  essi  il  cuneo  loro,  secondo  che  era  paruto 
ai  Decurioni. 

Or  i  Maestri  del  pago  Augusto  non  debbono  essere 
anteriori  al  747  di  Roma  :  perocché  appunto  in  que- 
st'anno  Augusto  rimise  ai  vecchi  municipii ,  ed  alle 
colonie  quel  sussidio  di  veterani  che  avevano  termi- 
nato gli  anni  della  milizia  sotto  i  suoi  auspicii  [lUon. 
Ancyr.  Ili .  28  ). 

U  qual  fatto  spiega  assai  bene  la  formazione  di  un 
Pago  che  tolse  il  nome  di  Augusto  Felice,  non  poten- 
dosi ammettere ,  che  il  cognome  Felix  fosse  origi- 
nario della  colonia  sjllana  ;  perocché  per  le  ragioni 
da  me  esposte  altrove  ,  è  ora  manifesto  che  né  Siila 
diede  mai  tal  appellativo  alle  sue  colonie  (  onde  ne 
manca  Pompei  ) ,  né  se  ciò  fosse,  lo  dovremmo  tro- 
vare in  quel  secondo  luogo ,  che  occupa. 

Altra  circostanza  concorre  egualmente  ad  aesicu- 
rare  meglio  tal  deduzione  :  ella  è  il  sapersi  per  una 


iscrizione  pompeiana  che  appunto  in  quest'anno  747 
furono  creati  nel  Pago  Augusto  Felice  i  Ministri,  MI- 

Msim  •  PAGI  •  AVO  •  r  i:  L  •  svuvkbam  •  primi 

(  /.  iV.  2-293  )  ;  e  perù  anche  i  Maestri  del  Pago  me- 
desimo ,  essendo  relative  queste  cariche,  ed  apparte- 
nenti alla  instituzione  di  un  collegio  medesimo.  Laonde 
si  pare  che  nel  collocarsi  i  veterani  accanto  al  loro 
paese  nativo  ricchi  dei  donativi  imperiali  decidessero 
insieme  di  dar  nome  di  Augusto  al  no>ello  pago,  ed 
il  culto  vi  stabilissero  al  Genio  di  Cesare,  monumento 
di  religione  inseparabile  dalla  riconoscenza  pagana  , 
e  però  inqwssibile  a  supporsi  di  epoca  diversa  da 
quella  ,  in  che  appellavano  Augusto  il  lor  pago. 

Che  se  l'opera  del  cuneo  costruito  dai  Maestri  del 
pago  Augusto  non  può  ragionevolmente  separarsi  dal 
processo  della  fabbricazione  primitiva  dell'Anlilealro, 
e  questi  non  furono  creali  prima  del  747  ;  adunque 
il  coininciamento  della  fabbrica  dell'Anlilealro  Pom- 
peiano non  potrebbe  precedere  che  di  qualche  anno 
il  747  di  Roma.  Ma  osservando,  che  il  commodo  del 
Teatro  coperto  dato  costruirsi  per  appallo  dai  Duumvi- 
ri M. Porcio,  e  C.  Quinzio,  e  la  mole  dell' Anfiteatro 
cominciata  nell'anno  medesimo  della  loro  Quinquen- 
nalità ci  obbligano  a  vedere  un  gran  movimento  ope- 
rato in  questa  colonia  ,  lo  che  polca  solo  prodursi 
dalla  nuova  giunta  di  ricchi  veterani ,  desiderosi  di 
agi ,  e  pieni  delle  grandiose  scene  della  magnificenza 
romana,  noi  facilmente  ci  persuaderemo,  che  la  ere- 
zione di  questo  edifizio  non  può  preceder  l'islesso  anno 
quadragesiinosettimo  dell'ottavo  secolo  di  Roma. 

Non  fo  qui  verun  caso  ,  come  di  cosa  superflua  , 
che  i  Duumviri  C.  Quinzio ,  e  M,  Porcio  diconsi 
Quinquennali ,  carica ,  che  secondo  le  buone  osser- 
vazioni del  Zumpt  {Comm.  Epìgr.  pag.  93),  non 
essendo  anteriore  al  725  ,  ci  fa  intendere  viemeglio , 
che  r  Anfiteatro  di  Stalilio  Tauro  messo  in  piedi  sia 
dal  724  offriva  già  un  tipo  ai  nuoyi  dedotti,  e  ne  ac- 
cendeva loro  anche  più  vivo  il  desiderio.  Inoltre ,  se 
il  nuovo  ordinamento  di  Augusto  del  72o  aveva  sta- 
bilito il  nome  e  gli  attributi  del  Magistrato  Quiquen- 
nale,  già  l' Anfiteatro  non  avrebbe  preceduto  quel- 
l'anno, e  però  sarebbe  sempre  posteriore  al  romjuo 
di  Statilio, 


—  IVS  - 


Ad  appressarci  inolire  all'anuo  preciso  della  Quin- 
qiieiMialilà  de'  Duumviri  Quinzio  e  Porcio  non  ho 
allro  mezzo ,  che  la  paleografia  ed  ortografia  della 
isciizione  ,  la  quale  sapendo  dell'  arcaico  sta  meglio 
certo  ai  tempi  di  Augusto,  che  dopo.  In  questi  cono- 
scendosi ,  che  regolarmente  il  censo  ricorreva  ogni 
cinque  anni,  i  soli  anni  di  che  si  può  Irar  vantaggio, 
sarebhero  tra  il  730 ,  e  il  770. 

Or  avendo  sopra  dimostrato  la  ragionevolezza  di 
stimar  posteriore  al  747  la  fabbrica  dell'  Anfiteatro  , 
resterà  più  ristretto  Io  spazio  tra  quest'  anno ,  ed  il 
770.  Nel  quale  spazio  io  conosco  due  sole  quinquen- 
nalità certe ,  la  prima  del  708,  in  persona  di  M.  01- 
conio  Celere ,  e  1'  altra  del  732  nel  duumvirato  di 
Aulo  Clodio  Fiacco ,  per  la  pompeiana  tra  le  laser. 
Ncap.  n.  2378.  Procede  la  prima  dall'osservare,  che 
M.  Olronio  Celere  nella  prima  lapida  ove  diccsi  Duum- 
viro Quinquennale  designato  aggiugnesi  il  sacerdozio 
di  Augusto  ('),  e  nella  seconda  ove  è  detto  Duumviro 
Quinquennale  è  invece  denominalo  Sacerdote  del  Divo 
Augusto  (  );  lo  che  certo  dimostra  che  egli  era  in  carica 
dopo  il  19  Agosto  del  707  ,  nel  qual  giorno  furono 
decretali  ad  Augusto  gli  onori  divini.  Mcn  sicuro  è  il 
terzo  Quinquennale,  non  essendo  conosciuto  quale  in- 
tervallo legale  dovesse  passare  tra  l'una  dignità  e  l'altra 
nei  municipiienelle  colonie,  e  con  qualileggi  vi  fosse 
osservato.  Solo  può  giustamente  opinarsi,  che  .A.  Clo- 
dio Fiacco  Duumviro  per  la  terza  volta  nel  752  (/. 
iV.  2378) ,  non  guari  prima  dovesse  aver  sostenuto  il 
suo  duumvirato  secondo ,  che  fu  quinquennale,  e 
forse  nel  747,  al  748,  che  regolarmente  può  credersi 
anno  del  censo.  Esclusi  adunque  questi  Ire  anni ,  al 
duumvirato  quinquennale  di  M.  Porcio  e  C.  Quinzio 
|iiob;ibilmenle  restano  le  quinquennalità  delle  secon- 
de metà  del  752  ,  757  ,  762  ,  al  733  ,  738  ,  703  ; 
nella  qual  epoca  forza  è,  che  sia  stato  costruito  l'.Xn- 
filealro  pompeiano. 

Garrucci. 

(1)  m  ■  holcomo  •  celeri 

d  •  v  ■  i  •  d  •  qvinq  •  designato 
avgvsti  ■  sac.ekdoti 

(2)  M.  Jloìcnnio  CELERi 
SACERDOn    DlVi    Augusti 
],V1R  •  1    D    QVl.NQKcnnaK 


L'  Amdvlàtio  e  i  Programmi  popolari  in  Pompeti 

Xeir  aringa  di  Cicerone  in  difesa  di  P.  Siila  è  un 
luogo  salito  in  celebrità  presso  gli  scrittori  delle  cose 
pompeiane ,  e  presso  gì'  interpreti.  Vi  fu  ,  dice,  tra  i 
Pompeiani,  e  i  novellamente  dedotti  in  quella  città  un 
dissidio,  e  questo  durò  molti  anni.  Essi  non  si  accor- 
davano intorno  aW  Ambulazione  ed  ai  loro  suffragi. 
Pompeianorum  colonorumque  dissensio  quum  iam  in- 
velernssel ,  ac  mullos  annos  esset  exagitala  .  .  .  Pom- 
peiani ,  qui  de  ambtilalione  et  de  sulpagiis  suis  cum 
colonis  disscnsennU ,  [p.  Si/Ila,  e.  21  ).  Qualche  cri- 
tico contro  alla  costante  lezione  dei  codici  manoscritti 
pose  amhilione  per  ambulatione ,  che  il  Grutero ,  il 
Grevio,  ed  il  Garaton  difendono  come  vera,  seguiti 
dal  Lemaire  e  dall'  Orelli  nelle  recenti  loro  edizioni. 
Intorno  M' Ambuìalio  il  Lambino  dice  non  saper,  che 
sia:  Quid  silii  velil,  nescio:  ma  il  Grutero  col  Gugliel- 
mo la  interpretano  Portico,  e  questo  senso  ritengono 
il  Rosini  [Diss.  Isag.  p.  51.  n.  20) ,  il  Lemaire  (ad 
h.  1.).  Lo  Zumpt  fComm.  Epigr.  pag.  408),  dice  ia 
generale:  Discordare  coepitisc  vetcrcs  et  noms  Pompeia- 
nos  de  pubìico  aliquo  aedi  fido.  Io  giudicar  non  saprei 
con  loro,  che  qui  sia  lite  e  dissenso  di  un  edifizio  pu- 
bìico ,  di  un  portico ,  del  quale  si  disputasse  vuoi  la 
proprietà  vuoi  l'uso  fra  i  vecchi  e  novelli  abitatori  di'* 
Pompei.  La  proprietà  non  poteva  disputarsi  tra  i  vin- 
citori e  i  vinti ,  e  l'uso  nemmeno;  perocché  elevati 
presto  i  Pompeiani  a  condizione  uguale  di  cittadinanza, 
in  Pompei  non  erano  più  due  popoli,  ma  un  solo.  Di 
poi  chi  spiegherebbe  questo  singoiar  caso,  che  la  qui- 
slione  intorno  all'  AmbiUatio  fosse  nata  insieme  con 
quella  de  su/fragiis  .s»«s,  e  perdurata  con  essa  mullos 
annos,  e  poi  finita  col  finir  la  controversia  dei  suffra- 
gi, senza  che  fra  l'una  e  l'altra  fosse  alcun  rapporto. 

Or  se  la  questione  dei  suffragii  richiamava  (juella 
dell'  Ambulazione  ,  dovrà  questa  aver  un  significato 
relativo  a  quello  dei  suffragii;  e  da  questo  lato  la  cosa 
par  così  ragionevole,  che  io  son  certo  non  sia  per  in- 
contrare difficoltà  veruna.  Qualche  opposizione  che 
potrebbe  farsi  da  taluno  per  la  novità  del  senso,  non 
parmi  insuperabile  a  coloro  ,  che  sanno  non  ancora 
essere  ben  intesi  tutti  i  luoghi  di  Cicerone,  nù' degli  al- 


—  IW  — 


111  Ialini  scrillori  anche  i  |)iù  li  iti  e  vol;;;jri.  Al  qiial  iolrodolla  ivi  da  Siila.  Dico  facilmenle  perchè  i  pri- 
proposilo  per  addurne  un  esempio  io  ricorderò  che  in  vali  ,  che  ne  sono  autori ,  hanno  p<Jlulo  usare  in 
Cicerone  stesso  i^iorossi  il  vero  significalo  del  discus     quei  piimi  lempi  anche  la  linj^ua  naturale  del  paese  ; 


[de  Ora/. II,  o  ,  fino  a  lanto  che  non  venne  un  passo 
di  M.  .Aurelio  ad  insegnarlo  [ad  Fronton.  IV,  6  .  Non 
mi  rimarrò  dunque  per  questo  dal  proporre  qual  in- 
terpretazione io  stimi  conveniente  alla  piana  e  ragio- 
nevole intelligenza  di  quel  luogo. 


e  però  ancor  che  sia  certo  che  la  lingua  osca  cessò, 
ciò  non  impediva ,  che  se  ne  facesse  uso  tra  i  Pom- 
peiani ,  anzi  che  vi  dominasse ,  prima  che  la  lingua 
dei  coloni  non  vi  fosse  ahhaslanzj  diffusa.  Per  lo 
che  parmi  ancor  probabile,  che  alcuni  programmi 


Imperocché  io  dico  che  essendo  ivi  discorso  di  suf-  osclii  siano  contemporanei  a  certi  latini  prìmilÌNÌ  , 

fragi ,  de  siilf'ragiis  suis ,  ì'Ambidalio  può  aver  henis-  non  solo  perchè  scritti  sullo  stesso  tufo  e  con  carat- 

àmo  il   senso  forense  del  IlipjVxTOs  dei  (jreci.  Or  i  lere  di  ben  remota  antichità  ,  quanto  perchè  riferi- 

Greci  di  Taranto  dissero  Uìuvxt-à  quei  luoghi  di  scono  i  nomi  del  medesimo  candidato.  Addurrò  jwr 

riunione,  ove  il  popolo  soleva  trovarsi  e  passeg;;i  indo  esempio  cjucsto  singolarissimo  da  un  pilastro  a  sinistra 

discorrere  degli  affari  politici ,  e  brigare  e  conferire  della  via  che  dai  teatri  s\olta  verso  il  foro  ;  il  latino 

sulle  elezioni  dei  Magistrati   Plut.  in  Pyirho,  Mùller,  dice  : 
Dor.  II,  p.  398  seg.,  Lorentz,  de  Ciiit.  Tareitlin.[). 
44  ,   4    :  non  sarebbe  strana   cosa  che  i  Pompeiani 
trasportando  in  latino  il  greco  IIi?/irxTo5  avessero 

propriamente  detto  Ambidalio  luoghi  somiglianti  di  accanto  al  quale  in  un  pilastro  seguente  dopo  si  leg- 

riunione  politica,  che  anzi  il  broglio  medesimo,  ossia  gè  in  osco  'altrimenti  il  Mommsen,  i'.  D.  taf.  Xr  : 


MA  •  IIEREX  •  I 
SERICVS  VOS 


le  parlicoiaii  assemblee,  ove  si  formavano  i  partiti 
pei  candidati.  Lo  che  se  si  ammette,  le  due  quistioni 
de  ambuladune ,  e  de  suffragiis ,  si  corrispouderanno 
assai  bene  .  risultando  che  i  dissensi  Ira  i  vecchi  e  i 
novelli  abitatori  di  Pompei  erano  intorno  ai  brogli , 
ed  ai  voli  di  quelli,  perchè  senza  dubbio  cercavano  i 
coloni  di  prevalere. 

Applicando  ora  questa  inlerprelazione  della  voce 
Amhulalio,  cosi  ben  difesa  dall'analogia  del  senso,  e 
dalla  ragionevolezza  del  costume,  a  quella  jarte  di 
Pompei  finora  disolterrata  parrà  evidente  ,  che  in 
luogo  di  ijortici,  e  di  pubblici  edifizii,  le  ambulazioni 
venivano  pralticale  sulle  maggiori  strade.  Qui  veni- 
va il  Colono,  ed  il  Pompeiano,  qiii  maneggiava  il 
candidalo  .  ijiii  il  capo  di  partilo  per  disporre  in  fa- 
vore del  tale  o  tal  altro  gli  animi  degli  elettori.  .\  tal 
uopo ,  e  secondo  la  ragione  dei  temjii ,  gli  aderenli 
proccuravano  insinuare  1'  opinion  loro,  e  i  desiderii, 
scrivendo  sulle  pareli  i  nomi  di  coloro  che  essi  cer- 
cavano alle  maiislralure.  Queste  dimostrazioni  a  cui 
prendon  parte  anche  le  dorme,  e  coloro  che  non  han- 
no verun  drillo  di  volare,  sono  si  an'.iche  in  Pom- 
pei ,  che  facilmente  precedono  i  tempi  delia  colonia 


VI3-51HÌ-511IIIII 

Che  il  candidalo  qui  proposto  sia  di  nazione  Pompeiano 
me  lo  persuade  il  suo  prenome  Maio,  e  forse  il  pro- 
gramma Ialino  deve  essere  stalo  scritto  da  alcun  Osco. 
Sarebbe  pressocchè  temerario  voler  indovinare  la  for- 
mula usala  dagli  0?ci ,  alla  quale  parmi  si  riferisca  il 
programma  recalo  qui  sopra.  Solo  può  slimarsi  a  ra- 
;;ione  che  non  dovesse  irran  fatto  discoslarsi  dalla  ma- 
niera  Ialina  ,  se  la  sigla  numerica  liii  della  linea  se- 
conda vale  Qiindioiriro. 

La  formola  latina  quando  è  completa  propone-  il 
nome  del  candidato,  poi  la  magistratura  a  cui  e  cer- 
cato, indi  la  persona  che  lo  dimanda,  e  ciò  colla  frase 
ordinaria  Oro  Vos  Fariaiif,  che  spes>i>>iin')  dissi  nu- 
lala  mdle  tre  sigle  OVF,  o  sciolte,  od  unite  iu  nioau- 
gramma  diedero  luogo  sino  ad  ora  ad  interpretaziuni 
diverse.  Tra  queste  la  più  falsa,  proposta  già  nel  Wie- 
ner J.ihrbùcher  XX.  14  ,  e  poscia  dall"  Ocelli,  leg- 
geva: Omni  Volunlate  Facia.is  Orelli,  L'oli,  ampi. 
Iiìfcr.  Latin,  n.  3700  . 1  nostri  letterati  si  discostaro- 
no assai  meno  dal  vero  ,  siccome  ho  dimostrato  in 


—  150  — 


altro  articolo  (  v.  Bull.  p.  4,  segg.),  nel  quale  pro- 
dussi il  primo  la  piena  interpretazione  di  dette  sigle. 
I  nomi  degli  aspiranti  leggonsi  commendati  da  frasi 
onorevoli ,  tra  le  quali  primeggia  si ,  che  se  ne  può 
diie  ordinario  1"  uso  ,  la  lode  di  probità ,  di  verecon- 
dia ,  di  merito  verso  la  patria. 

Fra  questi  appellativi ,  il  V.  B. ,  ossia  Virum  Bo- 
num  vi  è  solenne  ,  siccome  frase  crcd'io  solila  ado- 
perarsi a  determinarne  la  condizione.  Così  almeno  in 
Roma  si  costumò,  onde  Seneca,  Omnes  candidatos  Bo- 
nos  Viros  dkimus  (Ephl.òJ.  Diconsi  inoltre  Dignissmi, 
Probissimi,  Verecundissimi,  Digni  Reipubìicae  {^)  ;  altri 


è  lodato  luvenis  Integer  (=) ,  Innocuus  (') ,  Frugi  (*) , 
Egregius.  Adulescens  (=) ,  altri  Omni  bono  meritus  («) , 
altri  Civis  bonus  (').  Tra  i  nomi  di  coloro  che  si  sotto- 
scrivono leggonsi  ancora  quelli  di  alcuni  corpi,  di  col- 
legii,  osodalizii,  de'  quali  sappiamo,  che  molti  ne  era- 
no in  Pompei  {Tacit.Ann.\lY,n).A.  fraglie  di  artisti 
credo  ,  a  classi  di  braccianti ,  e  di  gente  di  mestiere 
appartengono  gli  Offeclores  («) ,  il  Perfusor  {^) ,  i  Pi- 
stores  ('») ,  gli  Aurifices  (") ,  i  Pomarii  ('-) ,  i  Chiparii 
(o  CaepariiJ  (") ,  i  Lignarii  Plostrarii  («'*),  i  Salinien- 
ses  C),  i  Piscicapi  ('^) ,  gli  .4g(r*co/ae  ('') ,  i  Mulio- 
nes  (") ,  i  Culinarii  ("),  i  Saccarii  (2»),  i  FuUones  ("), 


(I)        e.  g.    M  ■  HOLCONIVM  ■  PRISCVM 

VERECVNDISSIMVM  .DUPOVF-  DIGSISSIMVM 
cioè  Dignum.  Jiei.  Publicae.  Oro.  Vos.  Faciads.  Dignùsimum. 

PAQVIVM  •  ET  •  CAPRASIVM 

PROBISSIMOS    DVIDOVF 
cioè  Duum  Viros.  Iure.  Dicundo.  Oro.  Vos.  Facialis. 


(2) 
(3) 

■(*) 
(5) 
(6) 


RVFVM    II  •  VIRVM 

IVVE.NEM  INTEGRVM 

L  •  POPIDIVM  •  SECV.NDVM 

AED  IVVENEM  INNOCVM  sic  AETATIS  D  •  R  ■  P 
CERDO  FACIT 

PRISCVM  D  •  R  •  P  •  Il  u 

IVVENEM  FRVGt 

POPIDIVM  SECVN/// 

EGREGIVM  ADVLESCENTEM  OVF 

CN  ■  HELVIVM  SABINVM  AEd 

OMNI  BONO  MERITVM  IVVENEM  AE 
D  •  R  •  P  •  0  •  V  ■  F 
Questo  programma  (6)  è  pubblicalo  nel  R.  Museo  Borbonico  T.  I. 
p.  4.  tulli  gli  altri  che  non  hanno  indicazione  di  altri  editori,  sono 
copiali  da  me,  e  si  pubblicano  qui  la  prima  \ulia. 

(7)  MILIVM  MAIVM  D  ■  V  ■  I  •  D 
AVRELIVS  CIVEM  BONVM  FAC 

R.  Mus.  Borbon.  T.  I.  22;  leggi  ;  ALLEIVM  MAIVM  etc. 

(8)  POSTYMIVM  •  PROCVLVM  AED 

OFFECIORES •  ROG 
B  lU.  Arch.  Napol.  T.  Il,  6  ;  letlo  anche  da  me, 

(9)  ///II- VIR  OVF  wion, 

EVUODE  PERFVSOR  ■  CVMTICVS/// 
OVF  vvm 
?eoondo  mia  lettura,  ma  altrimenti  nel  Bull,  Arch.  Nap.  T.  II,  3. 
Ic^go  cum  Ticus.,. 

(10)  C  ■  IVLIVM  POLVBIVM  ■  IIVIR  ■  OVF  mm 
MVLTVM  ■  PISTORES  •  ROGANT 

Bill.  Arch.  Kap.  T,  Ili.  2;  letto  anche  da  me, 
(ti)  G  •  CV.Sl'IVM  PAiYSAM  /«P 

AVRIFIGE.S  VMVEI'.SI 
liOG 
Beai  Musco  Borbonico  T.  1,  4;  Wien.  Jabrl»,  XX,  12 ,  Creili  I. 


S.  3700  ,  rimane  ancora ,  e  vi  si  legge  chiaro  1'  Aurifices. 

(12)  M  •  HOLCONIVM 

PRISCVM  •  Il  •  VIR  ■  1  •  D  ■  POMARI  VNIVERSI 
CVM  HELVIO  VESTALE  ROG 
R,  M,  Borb.  T.  Ili,  8;  l'ho  letto  ancor  io. 

(13)  C  •  IVLIVM  •  POLVBIVM  •  li  •  VIR 

CHIPARI  •  ROG 
Guarini,  Fasti  Duumv.  pag.  133.  pare  mollo  probabile  la  corre- 
zione di  CHIPARI  in  CAEPARI. 

(14)  MAHCELLVM  •  AED  •  LIGNARI 
PLOSTRARl  •  ROG  •  LASSI 

CVM  FABIO  •  ET  •  CRINIO  •  ET  •  CALVISIO 
INFANTI05E  ■  VBIQVE 
Guarini,  Fasti  Duum,  p.  130  forse  CRINIO  deve  correggersi  ia 
LICINIO,  0  CerRINIO. 

(15)  M  ■  CERRINIVM 
AED  •  S.^LLMENSES 

ROG 
Diss.  Isagog.  Tav.  VII. 
(IC)  POPIDIVM  RVFVM  AED 

PISCICAPI  FAC,// 
Giorn.  degli  scavi,  1813.  Wien.  Jahr.  XX,  12  indi  l'Orelli,  Insor. 
Sei.  3700.  Il  Guarini  Fasti  Duum-  p.  132  discorda  dagli  autecedenli. 

(17)  M  •  CASELLIVM  •  MARCELLVM 
AED  •  AGRICOLAE  •  ROG 

Guarini,  Fasti  Duum.  p.  150. 

(18)  C  •  CVSPlVM  PANSAM 
AED  MVLIONES  VNIVERSI 

AGATIIO  •  VAIO 
Diss.  Isagog.  Tav.  VII. 

(19)  L  •  PLOTIVM  •  ET  •  SVELLIVM 

IIVIR  •  D  ■  R  •  P  •  OVF  CVLI.NARI  •  ROGANT 

(20)  A-VETTiVM    aed 

SACCARi  noe 
n.  M.  Borb.  T.  I.  22. 

(21)  LPOPDIVM  AED 

FVLLO  ROG 
Copiata  dal  sig.  Minervini,  e  riveduta  da  me.  Stimo,  che  il  Fulio  qui, 
come  il  Gladialor,  lo  Sludio.ms  ed  il  Pitlor  abbiano  il  senso  coir 
lenivo,  di  FuUonet  Universi,  Studiosi  ctfisfores  l'ntversi  rogant. 


—  IBI  — 


i  Pilicrepi  (55) ,  i  Gladialores  {^^)  ;  ai  Collcgii  i  Toie- 
rii  (-^) ,  gì'  Isiaci  {-^).  Inollre  dimandano  alla  magi- 
stratura gli  Studiosi  (26) ,  e  i  Pueri  (-') ,  e  i  Discen- 
tes  (^') ,  coi  maestri  loro  ,  e  finalmente  i  Clientes  (-'). 
È  dubbio  qual  senso  si  abbiano  i  Dormiente^  ('"),  egli 
Emptores  (").  In  tutto  questo  novero  non  ho  dato  luo- 
go al  Furnacator ,  il  qual  vocabolo  l' ha  pur  trovato 
nei  Lessici.  Ma  non  deve  recar  maraviglia  ,  quando 
si  avverte ,  che  la  iscrizione  non  dà  verun  sostegno 
alla  lezione  del  Rosini ,  e  che  invece  di  FVRNACA- 
TOR  io  vi  leggo  altrimenti. 

Gli  scrittori  dei  programmi  appongono!  nomi  loro, 
e  talvolta  vi  figura  ancora  chi  ha  preparata  la  parete, 
imbiancandone  quella  parte,  ove  occorreva  scrivere  i 
nuovi  nomi  dei  candidati.  Tutte  le  formole  che  ho  po- 
tuto raccogliere  finora  dalle  pareli, e  dalle  pubblicazioni 
anteriori  sono  ORO  VOS  FACIATIS  (v.  la  p.  5  del  no- 
stro Bull.),  ORO  VOS,  ORO,  ROGAI.  Roti ANT, 
ROGAMVS,  FACIT,  FACIVNT,  FACITE,  FECIT, 
FECERVNT,  FAC  FACIAS,  F AC,  ROGAI  ET  FA- 
CIT ,  PETVNT  ,  CVPIO  ,  CVPIT  .  CVPIVM.  CV- 
PIENS  FECIT,  CVPlDIS«me(0)VF,  MVLTVM  RO- 


GANT ,  e  finalmente  EX  SENTENTIA,  e  IVDICIS. 
AVG. 

L'uso  di  scrivere  sulle  pareli  i  programmi  non  deve 
confondersi  col  dritto  del  suffragio  ,  proprio  dei  soli 
cittadini.  Essendo  il  suffragio  riservalo  ai  comizii ,  e 
r  uso  di  scrivere  pratlicalo  a  crescere  i  partiti ,  ogni 
persona ,  senza  aver  voce  attiva  poteva  dimostrare  il 
suo  desiderio.  Laonde  finché  la  elezione  alle  magistra- 
ture municipali  fu  in  mano  al  popolo ,  lo  scopo  dei 
programmi  era  di  manifestare  quali  nazioni  di  perso- 
ne cercassero  il  tal  candidato.  Ma  quando  dai  comizii 
passò  ai  decurioni  il  dritto  di  nominare  alle  magistra- 
ture ,  questo  popolo  di  Ceriti  ai  decurioni  rivolse  le 
sue  preghiere ,  e  i  voti.  Nei  quali  due  casi  adoperan- 
dosi indifferentemente  da  cittadini,  e  da  gente  di  con- 
dizion  servile,  o  libertina  il  vocabolo  ROGAI,  io  ne 
deduco,  che  l' Orelli  (  n.  370)  mal  si  appose  traspor- 
tandolo, ei  suffragium  feri,  se  intendeva  come  altii 
dopo  di  lui ,  che  avesse  un  significato  slrellamente  fo- 
rense. Non  lo  ha  certo  in  Fabio  Euporo  il  (juale  rogai 
alla  carica  di  Edile  M.  Cerrinio  Valia  (Diss.  Isag.  I. 
XI);  poiché  in  altro  programma,  ove  nomina  alla  me- 


(22)  A  ■  VETTIVM  FIRMVM 
AEDGVFDRPOVF-  PlLlCREPI  FACITE 

Diss.  Isag.  Tav.  X  :  1'  ho  riletta  nel  R.  Museo  Borb. 

(23)  P  VEPIMVffi 

CVSA  ffLAD 
II  •  V  •  I  •  d 

(24)  PAQVIVM    DIO 
VENERI • ROGANT 

Diss.  Isag.   Tav.   X.   Quivi  si  legge  ROG  •  VT  •  F,  ma  crroiiea- 
menle,  come  ho  avvertito  nel  Bull.  Arch.  >"a().  nuova  serie,  I,  p.  ii. 

(25)  CN  ■  HELVIVM 
SABINVM  •  AED  man  ISIACI 

VNIVERSI  •  ROG 
Diss.  Isag.  Tav.  VII,  riletta  da  me. 

(26)  C  ■  IVLIVM  POLYBIVM  II  VIR  STVDIO.SVS  ET  PISTOR 
Bull.  Arch.  Nap.  T.  II.  p.  86,  riletta  da  me. 

(27)  IVN.VM  SIMPLICEM 
AED-VASPPV-BDRP-OVF   SEMA 

CVM  PVERIS  ROG 
Lo  ha  pubblicato  l'Avellino,  Opusc.  T.  Il,  p.  22{,  e  più  intero 
la  gazzella  di  Vienna  W.  J.  XX,  12,  donde  1' Orelli,  3700.  La  se- 
conda linea  s' interpreta  :  Aedilem.  Votis.  Augusti.  Susceplis  ,  0 
come  altri ,  Solemnibus.  Publice.  Procurandif.  Viritm.  Bomim. 
Dignum.  Rei-  Putilicae.  Oro.  Yos.  Faciali*  Sema.  Ciim.  Pueris. 
Rogai. 


(28)  SABINVM  ET  •  RVFVM  /ED  RP        valentisds 

C\M  DISCESTES 
SVOS  ROG 

R.  M.  Borb  T.  I,  4.  Leggo  /ED  mon,  poi  D  •  R  P:  cf.  SABI.W'M 
AD  DISCE.NTES  ROGA.NT,  CAPELLAM  •  D  VIDO  K  VERNA  CVM 
D'-SCENTI  :  il  primo  riferito  nel  r.ipporlo  del  giornale  degli  scavi 
1813,  il  secondo  nel  W.  Jahr.  e  presso  T  Ordii  3700.  Fa  duopo 
leggere  nel  primo  AeD. 
(2!>)  M  CV.SPiVM  PANSAM 

POLVBIVS  .NATAL'S  CL'E.NS  ROG 
ed  altrove 

P  PAQVIVM  PROCVLVM 

II  IVR  I  •  D  •  THALAMVS  CLIENS 

(30)  VATIAM  •  AED  •  ROGANT 
MACERIO  •  DORMIENTES 
VMVERSI  •  CVM 

L  •  MArio        ROGANT 
Bull.  Arch.  Nap.  T.  IV,  4;  1'  ho  riletto,  e  vi  ho  aggiunto  anche 
la  quarta  linea. 

(31)  M  ■  HOLCON I VM  ■  PR ISC VM 
C  •  GAVIVM  •  RVFVM  II  VIR 
PHOEBVS  ■  CVM  •  EMPTORIBVS 

SVIS  ■  ROGAT 
Diss.   Isag.  XIII,  W.  larhr.  XX,  12,  Orelli  d.  3700,  rivisU  da 
me  nel  R.  M.  Borb. 


—  152  — 


decima  magisirahira  Cuspio  Pansa,  si  dichiara  Prìnceps 
Liberiinortim  (ib.T.XII).  Tra  un  sessanta  nomi  di  co- 
loro, the  rogant,  pochissimi  appellansi  col  nome  di  fa- 
miglia, come  p.e.  Terenlius  Neo,  Calcpius  Secai  io,  HeU 
vius  Vestalh,  Clodius  Nymphodolus,  Verrius  Sccundus, 
Licinim  lìomanus ,  Numisius  lucundus ,  Julius  Poly^ 
bim:  tra  questi  con  cognomi  grecanici  Neo,  Ni/mphO" 
dotus,  Polybius,  Euporus,  gli  altri  col  solo  cognome, 
greco  anch'  esso  non  di  rado ,  Tyirannus ,  Pliilippm, 
Aslylus,  Canthus,  Minca,  Thalamus,  Phoehus ,  Polhi- 
nm,  Poddo,  Pelorus,  Hermias,  Nymphius,  Ermlus,  Se^ 
ma ,  Epagatus,  Gj//o.Tenendo  dietro  a  questa  osserva- 
zione, io  intendo  come  fra  i  nomi  di  coloro,  che  desi- 
derano il  tale  0  il  tal  altro  alla  magistratura  leggansi 
sul  serio  anche  quelli  di  donne,  e  dei  fanciulli:  Sui- 
limea  rag,  lunia  rag.  Pallia  rogai,  Capiaùa  rogai, 
Hilario  cum  sua  rogai,  Iphigenia  facil,  Aniinida  facit. 
Fortunata  cupit.Sema  cum  pueris,  Verna  cum  discen- 
tibus  rogai  ;  mi  spiego  altresì  lo  scambio  del  rogai  , 
coir  orai ,  e  col  cupit,  del  faciatis  eoi  TWeaiis  (  Re- 
sini Tab.Xl,Z)iSji./.a(/.cf.LVCI  FAVE,  Bull.Nap.T.l, 
lOj,  vocaboli  non  forensi,  siccome  non  lo  sarebbe  in 
questo  casolegitlimamenle  il  rogai. 

Talvolta  ai  programmi  leggonsi  aggiunte  delle  a- 
poslrofi,  come  p,  e,  Luci  Fave,  Uboni  Vigula,  Novice, 
Cauto  Fac;  io  le  stimo  indirizzale  a  coloro,  che  bro- 
gliavano pei  candidati ,  chiedendone  ora  il  fa\ore,  or 
]a  vigilanza.  Inoltre  parmi  il  Panem  bonuin  feri,  ed  il 
Fer  tunnum  (cosi,  credo  per  Feri  Thynnnm),  essere 
ragioni  che  si  pongono  sotto  occliio  agli  elettori,  per-" 
che  a  riguardo  di  questi  servigi  prestali  sin  a  quel 
tempo  al  pubblico  vogliaijo  conferire  a  tale  aspirante 
ia  EdiUtà, 

Insuperabili  difficoltà  per  lo  contrario  incontrerei 
a  slimar  lutti  questi  programmi  provenire  da  capi  di 
parlilo,  da  elettori,  che  procaccino  anche  per  questa 
Aia  il  maggior  favore  che  possono  a'  loro  candidati  ; 
elle  alla  idea  di  un  tal  uso  non  rispondono  afiiitto  le 
cundi/ioni  delle  leggende  notate  qui  avanli.Noo  i  no- 


mi di  donne,  non  i  grecanici,  non  i  servili,  ne  final- 
mente i  Culinarii,  ì  Gladialorcs,  per  esempio,  i  quali 
nel  caso  opposto  avrebbero  dovuto  essere  esclusi  le- 
galmente. A  che  poi  avrebbe  dovuto  giovare  tanto  af- 
fanno di  scritture  per  cittadini,  che  erano  ivi  in  istra- 
da a  contendere  a  viva  voce  ,  a  proporre ,  a  persua- 
dere a  subornare?  In  fine  la  singoiar  formola  EX 
SENTENTIA  SVEDI  CLEMENTIS  ne  insegna,  co- 
me T.  Suedio  Clemente  Tribuno  incaricato  straordi- 
nario di  Vespasiano  alla  verifica  dei  beni  che  appar- 
tenevano alla  colonia  ,  e  di  quelli  che  spettavano  ai 
privati  (/.Mn.  2314),  essendosi  limitato  a  far  cono- 
scere il  suo  parere  per  programma,  non  aveva  alcun 
dritto  alla  elezione,  e  però  che  non  era  decurione  in 
Pompei. 

Così  interpretala  la  voce  Ambulalio  meglio  po- 
tremo apprezzare  il  valore  della  correzione  ambilio  , 
alla  quale  inclinava  eziandio  1'  Ordii  ,  scrivendo  : 
Quod  neuliquam  aspernandum  ;  mira  enim  est  con~ 
iunciìo  nescio  cuius  ambulalionis  et  siuffragiorum.  Coti' 
tra  ex  inscrìptionibus  nuper  Pompeiis  effb^m  docemur 
etlam  paulo  ante  oppidi  ruinam  fatai ein  maximam  de 
duumviratu,  de  aedilitale  fuisse  iuter  miseros  iltos  con-> 
cerlationem  seu  ambilionem  (Orelli  I.  e.  orat.  prò. 
Sylla).  Avendo  spiegata  la  vera  natura  dei  progrom- 
mi popolari,  e  data  delle  lor  formole  piena  contezza, 
e  quella  interpretazione ,  che  mi  era  possibile ,  reste- 
rebbe dar  qui  un  Catalogo  di  tutti  i  programmi  sco- 
perti finora  sulle  pareti  pompeiane,  con  brevi  diluci- 
dazioni, lo  che  ho  fatto  qui  in  parte  citandone  gli  e- 
scmpij  opportuni  ;  il  farlo  di  tutli  è  lavoro  di  altra 
mole  ,  e  perù  conviene  rimetterlo  ad  una  collezione 
epigrafica ,  che  intendo  dare  alla  luce  quanto  prima, 
nella  quale  avranno  luogo  le  numerose  iscrizioni 
graffile,  tanto  desiderale  dai  dotti,  e  ragioqevolmente, 
come  vedrassi  a  suo  tempo, 

Garrucci. 


P.  Raffaele  Oahiiucci  n.c.n.o, 
Giulio  Mi>ekvi.m  —  Editori, 


Tipografìa  di  Giuseppe  Càtìheo. 


BUILETTIIVO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N°  20. 


Aprile  1853. 


Poche  'fisservazioni  sopra  ìin  vaso  della  collezione  Jatta.— Notizia  de' più  recenti  scavi  di  Pompei:  continua- 
zione del  nmn.  '18. — Lettera  del  eh.  sig.  Agostino  Gervasio ,  al  sig.  Giulio  Minervini.—  Una  spir()azione. 


Poche  osservazioni  sopra  un  vaso  della  collezione  Jatta. 

Nella  nostra  tavola  VI  vedesi  figurato  uu'  impor- 
tante vaso  della  collezione  Jatta  in  Ruvo  ,  del  quale 
dobbiamo  un  lucido  alla  cortesia  del  sig.  Teodoro 
Avellino.  Diflicile  ne  sembra  la  interpretazione;  e  noi 
nel  proporne  una  spiegazione  intendiamo  di  sotto- 
metterla al  giudizio  de' dotti,  attendendone  la  confer- 
ma, ovvero  una  più  plausibile  dicbiarazione.  Gettan- 
do uno  sguardo  alla  vascularia  rappresentanza,  della 
quale  ci  occupiamo  ,  ed  osservando  al  suolo  le  armi 
di  Ercole ,  ricorre  tosto  il  pensiero  a  questo  eroe  ;  e 
certamente  il  soggetto ,  che  abbiamo  sotto  gli  occhi, 
non  può  non  avere  una  strettissima  relazione  col  fi- 
gliuolo di  Alcmena.  Diligentemente  considerando  tutte 
le  figure  della  nostra  composizione,  ci  sembra  evi- 
dente che  Alcide  appunto  debba  ravvisarsi  nel  nudo 
giovine  coronato  di  foglie,  e  con  clamide  pendente  al 
sinistro  braccio  ,  il  quale  si  appoggia  colla  destra  a 
lunga  e  nodosa  clava.  Tutte  queste  particolarità  ben 
convengono  ad  Ercole  dopo  la  sua  apoteosi ,  e  si  ci- 
tano non  pochi  monumenti ,  ne'  quali  vedesi  effigiato 
senza  la  pelle  di  leone  e  con  semplice  clamide  (  Mil- 
lingen  vases  de  Coghill  Bari  pi.  XI ,  XXV;  Gualtani 
mon.  ined.  1787  tav,  XLVII  ;  cf.  il  eh.  Braun  negli 
annali  dell'Ist.  1836  p.  lll,e  p.  181):  nondimeno 
nel  nostro  vaso  l'eroe  è  meglio  determinato  dalle  sue 
armi  difensive  ed  offensive,  che  giacer  si  mirano  al 
suolo:  vedi  la  pelle  di  leone,  la  formidiibile  clava,  ed 
ivi  presso  l'arco  ed  il  turcasso.  È  poi  notevole  che  la 
pesante  e  corta  clava ,  di  cui  già  sì  avvalse  1'  eroe 
nelle  sue  gloriose  imprese ,  scorgesi  nella  sua  mano 
cangiata  in  altra  meno  grave,  che  dà  piuttosto   la  idea 

/IJVJVO   /. 


di  un  nocchiuto  bastone ,  e  che  meglio  si  addice  al 
divinizzalo  figliuolo  di  Giove.  Alla  medesima  idea  di 
apoteosi  concorre  la  corona  ,  che  cinger  si  mira  la 
fronte  di  questa  imberbe  figura  ;  o  che  ravvisar  vo- 
gliamo una  corona  di  alloro,  o  piuttosto  una  corona 
di  quercia,  albero  particolarmente  ad  Ercole  consa- 
crato, e  sotto  del  quale  acquistò  dopo  il  rogo  la  im- 
mortalità (Callim.  lujmn.  in  Dian.  v.  139.  cf.  Eckhel 
doctr.  num.  tom.  II,  p,  106).  La  situazione  di  que- 
sta figura ,  e  lo  star  tra  due  guerrieri  rivestili  di  tut- 
te le  loro  armi  in  livello  più  elevato,  ci  richiama  sen- 
za alcun  dubbio  ad  una  epiphania  di  Alcide.  Di  fatti 
se  que' guerrieri  si  appalesano  tuttavia  nella  mortai 
vita  ,  ed  inlesi  alle  guerresche  imprese  ,  e  se  dall'al- 
tro lato  mostrasi  Ercole  sotto  le  forme  dell'apoteosi, 
non  potrassi  in  altro  modo  spiegare  la  riunione  dei 
tre  personaggi,  se  non  che  supponendo  un'apparizio- 
ne di  chi  prima  peri  a'  due  superstiti  ;  una  venula 
dall'  Orco  ,  per  prender  parte  alle  operazioni  de'  vi- 
venti. A  questo  ci  sembra  accennar  benanche  la  Fu- 
ria sedente  con  serpenti  nelle  mani ,  e  sulla  fronte. 
Essa  figura  la  porta  dell'Orco,  presso  cui  sorger  dovea 
l'eroe,  ancorché  godente  delle  delizie  dell'Elisio:  e 
mi  ricorda  quei  versi  di  Virgilio  :  (Aen.  VI,  333) 
Tisiphoneque  sedens  palla  succincta  cruenta 
Vestibulum  exsomnis  servat  noctesquc  diesfpte: 
a'quali  si  aggiugne  poco  dopo.  .  .  torvosquc  sinistra 
Intenlans  angues ...  v.  ò7J,  s.  cf.  v.  2S0,  s. 
Del  resto  possono  in  questa  Furia  riconoscersi  altre 
allusioni  ed  altra  intelligenza,  come  diremo  tra  poco. 
Se  trattasi  senza  alcun  dubbio  di  una  apparizione 
di  Alcide  a  due  guerrieri,  come  dalla  sola  analisi  ar- 
cheologica del  monumento  si  fa  manifesto ,  chi  dire- 

20 


—  Ib4  - 


mo  che  sieno  que'diie  personaggi,  a' quali  il  figlio  di 
Alcmena  prende  si  grande  interesse?  Sembra  che  essi 
sieno  cLiaramenle  dclerminali  dal  FilolMe  di  Sofocle. 
Presentasi  in  questa  tragedia  il  figliuol  di  Peante  abban- 
donalo a  Lenno  da'Greci, visitalo  da  Ulisse  e  da  Neotto- 
lemo  perchè  si  recasse  con  loro  in  Troja  insieme  con 
le  armi  di  Ercole  fatali  per  la  distruzione  di  quella  cit- 
tà. Dopo  molte  pratiche  dirette  ad  ottener  tale  scopo, 
e  dopo  le  querele  di  Filottete,  la  minacciala  violenza 
di  Ulisse ,  e  le  persuasioni  di  Neottolemo  apparisce 
Alcide  (v.  1409 —  1443),  e  consigUa  a  Filottete  ed 
a  Neottolemo  ad  unirsi  per  la  rovina  di  Troja  ;  quasi 
fosse  un  uiessaggiero  di  Gioye:  rà  Ato?  'm^pr/ffouv  fbov- 
'>.iqx%rci  (j'.i  (  lilo),  A  questa  idea  richiama  forse 
r  aquila  col  serpente  fra  gli  artigli  come  animale  di 
Giove,  valevole  pure  a  simboleggiare  il  figliuolo  dello 
stesso  dio  ,  verso  del  quale  dirige  il  suo  volo.  Col- 
r  ajulo  della  suddetta  tragedia  non  sarà  difficile  rav- 
visar nel  barbato  guerriero  vestito  in  parte  delle  sue 
armi  il  valoroso  Filoliete ,  e  nel  giovine  ed  imber- 
be Neottolemo  figliuolo  di  x\chille,  già  munito  delle 
armi  del  suo  padre  ,  e  molto  somigliante  allo  stesso 
Pelide,  come  trovasi  in  altri  monumenti  effigialo.  Os- 
servo soltanto  che  bene  a  ragione  veggonsi  in  en- 
trambi le  armi  per  proìepsi  indicate,  affinchè  meglio 
si  argomenti  il  carattere  de'  personaggi ,  e  lo  scopo 
dell'  apparizione. 

Che  se  immaginar  vogliamo  propriamente  la  tra- 
gedia di  Sofocle  aver  dato  origine  al  nostro  vascula- 
rio  dipinto ,  sarebbe  figurato  il  momento ,  in  cui  Er- 
cole volge  a  Neottolemo  queste  parole  : 

Kaì  croi  ta-vr' ,  'A^'^^  sws  tìkvqv  , 
IlctpriVjc'.  Gt^TS  -yàp  Cu  rovo'  olnp  a^eviiS 
'EXiìv  rò  Tpo/its  TTiòiov ,  oi/Q'  ovros  ffs^sv.  ■ 
'AXX'ws  y.iOin  <jiny<j\x<A)  cpi/XaWsTO)' 
OiVcS  cs  y.'M  nv  To'ySs'  (  1433,  ss.  ) 
E  a  le  pur  dico  queste  cose ,  o  figlio 
D' Achille  ;  a  te  non  mai  senza  costui 
Prender  fia  dato  la  Trojana  tèrra, 
Né  a  lui  senza  di  te  ;  ma  quai  feroci 
Leoni  insieme  alla  pastura  usciti 
Ajutatevi  entrambi. 
É  notevole  che  il  tragico  fa  dirigere  unicamente  il 


discorso  a  Neottolemo  ed  a  Filottete ,  ed  in  nessun 
conto  ad  Ulisse  ,  che  potrebbe  supporsi  fosse  ritirato 
in  disparte  nel  momento  della  epiphania.  Comunque 
sia,  è  certamente  bene  immaginato  per  la  unità  del 
soggetto  ,  che  si  pongano  sotto  gli  sguardi  que'  due 
soli  personaggi ,  pe'  quali  il  divinizzato  eroe  prende 
interesse ,  e  che  sono  da  lui  dichiarati  necessarii  alla 
distruzione  di  Troja.  Debbo  non  pertanto  avvertire 
che  forse  il  pittore  pose  nelle  mani  di  Minerva  due  a- 
ste  ,  per  indicare  che  una  fosse  destinata  a  Filottete , 
e  l'altra  ad  un  altro  guerriero,  che  non  comparisce, 
ma  che  non  può  certamente  supporsi  differente  da 
Ulisse  :  abbenchè  potremmo  anche  dire  ,  che  la  dea 
ritiene  una  della  due  asle  come  propria  armatura.  E 
risaputo  che  fu  non  poche  volte  incontrata  la  figura 
di  Pallade  ne'monumenli  senza  l'elmo,  e  munita  del- 
la semplice  egida  :  e  fu  osservalo  esser  questa  la  più 
antica  maniera  di  effigiare  la  dea  (  vedi  Henzen  ne- 
gli  annali  deh'  ist.  1842  pag.  92  seg.  )  ;  sicché  non 
dovrà  sembrare  insolito  e  maraviglioso  il  costume  di 
Minerva  nel  monumento  ruvese  che  illustriamo.   La 
presenza  poi  di  Pallade  ci  sembra  perfellaraente  con- 
veniente al  soggetto  del  vaso  :  ella  è  la  costante  pro- 
tettrice di  Ulisse ,  e  di  Achille  ,  e  perciò  ancora  del 
suo  figliuolo  Neottolemo;  e  per  farci  più  da  presso  al 
soggetto ,  è  appunto  Minerva  che  impedisce  a  Filot- 
tete di  saettare  Ulisse  e  Diomede  presso  Quinto  Smirneo 
(lib.  IX  ,  v.  404) ,  e  che  dà  loro  propizio  il  vento 
per  recarsi  da  Lenno  a  Troja  con  felice  navigazione 
(  ibid.  436  ).  Né  è  da  tralasciare  che  Minerva  era  in 
Lenno  venerata  sotto  il  nome  di  Crise  (Miiller  presso 
Gerhard  Annali  dell' Ist.  1836  p.291  ):  e  forse  la  sta- 
tua della  dea  in  Lenno  presentava  le  forme  che  offre 
sul  nostro  vaso  ,  non  avea  lo  scudo  ,  e  la  testa  avea 
adorna  di  sphendone  piuttosto  che  galeata.  Conferma 
questo  nostro  pensamento  la  statua  eseguita  da  Fi- 
dia pe'  Lennii ,  la  quale  esser  dovea  secondo  la  par- 
ticolare esigenza  di  quei  popoli ,  e  che  certamente 
presentar  dovea  forme  più  gentili  e  graziose  che  e- 
roiche  ;  giacché  venne  appellata  col  nome  di  K*X- 
X//xop(pos  ,  epiteto  che  pur  conviene  alla  Minerva  del 
vaso  di  Ruvo  (  Bòttiger  Andeutung.  p.  85  :  Gerhard 
Prodromus  p.  147  aot.  21  ). 


—  Io5  — 


Noi  dicemmo  di  sopra  che  la  Furia  po(ea  fare  al- 
lusione alia  venula  di  Ercole  dal  mondo  inferiore; 
ma  se  per  alcuno  si  osservasse  che  il  divinizzalo  eroe 
venir  dovea  dal  cielo,  giusta  le  espressioni  medesime 
di  Sofocle: 

É'^pxS  'Trfokiirun  (v.  1413  s.  ) 
rìmarrehhe  a  spiegare  la  intelligenza  di  quella  figura. 
Osservando  che  Alcide  eccita  i  due  guerrieri  alle  bat- 
taglie, ed  alla  vendetta  ,  non  è  fuor  di  luogo  il  sup- 
porre che  quella  Furia  o  nella  sua  generale  intelli- 
genza ,  o  come  Erh,  e  Lys^a  (Minervini  j??o/ì.  ined. 
di  Barone  p.  102)  presiede  alle  future  stragi  de'Tro- 
jani,  ed  alle  accanite  pugne, che  avran  luogo  fra  poco, 
ove  l'opera  di  Filottete  e  di  Neoltolemo  farà  tremende 
pruove.  La  medesima  signilicazione  dovrà  certamente 
riconoscersi  nel  gruppo  dell'aquila  che  rapisce  ilser- 
pente.Questa  simbolica  pugna  richiamata  da'  poeti ,  e 
frequentissima  ne'monumenli,specialmente  numisma- 
tici (  Eckhel  doctr.  numor.  v.  tom.  II.  p.  87  e  323; 
Raoul-Rochette  journal  des  savants ,  1841  p.  636; 
Vinet  negli  annali  dell' hi.  1 843  p.  202  e  seg.  ;  vedi 
ciò  che  dico  io  stesso  nel  hullet.  archeol.  napol.  an. 
III.  p.  40) ,  ne  conduce  a  pensare  alla  tremenda  lot- 
ta che  si  prepara  fra'  Greci  ed  i  Trojani ,  nella  quale 
questi  erano  destinali  a  soccombere.  Se  tutte  le  figu- 
re ed  i  simboli  sono  perfeltamenle  spiegali  nella  com- 
posizione finora  considerata  ,  riesce  oltremodo  ditlì- 
cile  intendere  la  presenza  del  carro ,  e  dell'  altra  fi- 
gura ,  che  vi  è  da  presso,  non  che  del  cagnolino  che 
solleva  in  allo  la  testa.  Non  polendo  persuadermi  co- 
me quel  cocchio  possa  ravvicinarsi  a  Lenno ,  ed  a 
guerrieri  che  navigando  vi  approdarono  ,  non  pre- 
senterò la  spiegazione  di  questa  parte  del  vaso  che 
allontanandomi  dal  sito  di  quel  primo  avvenimenfa, 
e  trasportandomi  col  pensiero  alle  pianure  di  Troja. 
Io  penso  che  il  pittore  abbia  voluto  rappresentare  il 
compimento  delle  parole  di  Alcide,  e  lo  scopo  della 
partenza  di  Filotlcle.  II  Frigio  vestimento  della  figura 
stante  con  tromba  e  giavellotto,  ci  richiama  appun- 
to a  Troja  ;  e  potrebbe  con  probabilità  supporsi  cbe 
fosse  indicata  la  personificazione  di  quella  medesima 
regione:  il  che  crediamo  appoggiato  dalla  quasi  im- 


mobilità che  vi  scorgi ,  e  dalla  mancanza  pressoché 
totale  di  azione.  Certamente  la  figura  è  femminile;  e 
quando  non  volessimo  in  essa  ravvisare  la  località  , 
dovremmo  dire  che  sia  appartenente  all'  amazzonica 
schiera;  e  sempre  ci  troveremmo  guidati  alla  trojana 
terra,  ove  quelle  guerriere  donne  erano  andate  a  com- 
battere contro  de'Greci  (  llom.  //.r.l84;  Q.Smvrn. 
lib.  1,  53  segg.  ).  E  poi  da  ricordare  che  il  tipo  di 
un'  Amazzone  ricorre  nelle  monete  di  moltissime  cit- 
tà della  Frigia;  probabilmente  per  accennare  alla  lo- 
ro antichissima  venuta  in  quella  regione  ,  a'  tempi  di 
Priamo  re  di  Troia  (  Cavcdoni  npicil.  num.  p.  229  ). 
Comunque  sia  ;  o  che  si  rappresenti  il  silo  ,  ovvero 
un'  Amazzone  destinata  egualmente   ad  indicare  il 
luogo  della  scena,  la  tromba  eccitatrice  delle  battaglie, 
ed  il  giavellotto  palesano  la  intenzione  dell' artista  di 
significare  i  combattimenti  ,  a'  quali  interverranno  i 
due  fieri  leoni ,  secondo  le  espressioni  di  Sofocle.  La 
figura  che  mirasi  nel  carro  non  ci  sembra  doversi  ri- 
putare necessariamente  femminile  ;  e  quindi  non  pa- 
re doversi  in  lei  ravvisare  un'  Amazzone.   Voglio, 
intanto  avvertire  che  l' oggetto  da  lei  tenuto  colla 
destra  non  è  già  una  bacchetta  per  guidare  i  caval- 
li ,  ma  sibbene  un  asta  ,  alla  quale  non  si  è  segnala 
la  punta, non  altrimenti  che  nell'asta  di  Neoltolemo, 
essendo  r  estremità  superiore  interrotta  dagli  ornali 
del  vaso,  siccome  spesso  suole  avvenire.  Se  la  figura 
del  guerriero,  eh' è  nel  cocchio,  non  dee  necessaria- 
mente riputarsi  un'  Amazzone  ,  io  dirò  convenientis- 
sima  al  soggetto  la  figura  di  Paride  ,  che  già  si  muo- 
ve alla  pugna ,  ove  incontrar  dovrà  la  morte  pel 
braccio  di  Filotlele.  La  prima  predizione,  che  fa  Er- 
cole al  figliuol  di  Peanle  si  è  appunto  quella  che  uc- 
ciderebbe Paride  colle  sue  saette  : 

n'/piv  ix-.Y,  ó's  tw>^'ou"t(oS  yyjiX'7jY  ìpu, 
To^oKT/  roTi  ;!Xo7<ri  voff^iiTi  |2i'ot^.  v,  1  'i26  ,  s. 
Di  questa  morte  favellano  poi  l'autore  della  picco- 
la Iliade  (Ilomer.  p.  583,  edif,  Didot.) ,  Apollodoro 
(III,  12,  6,  3,  ),  Q.  Smirneo  (post-hom.  X,  235  segg.), 
e  Tzelze  dopo  di  lui  {po^t-hom.  v.  590  segg.).  Ed  il 
citato  Apollodoro  ricordando  come  Filottete  fosse  uno 
de' pretendenti  di  Elena  (III,  10,  8,  2),  vien  pure  ad 
additare  un  altro  motivo  della  sua  inimicizia  con  Pa- 


—  io6  — 


ride  ,  e  quindi  della  sua  vendelta.  Ritenuto  per  Pa- 
ride questo  imberbe  guerriero  ,  sarebbe  assai  vicino 
il  rapporto  colla  principale  rappresentanza  del  vaso  ; 
sarebbe  additato  il  principio  dell'  adempimento  della 
predizione  di  Alcide.  Paride,  clic  dalla  sua  magione 
si  muove  alla  pugna, è  già  prossimo  ad  essere  ucciso 
da  Filollete,  per  mezzo  di  quell'  arco  medesimo,  che 
giace  sulla  terra  di  Lenno.priadi  essere  portato  a  Tro- 
ja.  A  questa  spiegazione  trovar  possiamo  una  confer- 
ma in  una  particolar  circostanza,  che  sembra  dovuta 
a  speciale  intenzione  dell'  artista.  Sull'elmo  del  guer- 
riero cb'è  nel  carro  vedesi  effigiato  un  serpente  che 
sostiene  la  cresta  ;  laddove  l' elmo  di  Filottete  offre 
r  ornamento  di  due  ali.  Ravvicinandosi  una  tale  par- 
ticolarità col  simbolico  gruppo  dell'aquila  stringente 
fra  gli  artigli  un  serpente ,  parmi  additata  la  vittoria 
del  greco  eroe  ,  simboleggialo  dal  volatile  ,  sul  gio- 
vine figlio  di  Laomedonte, simboleggiato  dal  serpente. 
L'armatura  del  guerriero,  da  noi  determinato  per  Pa- 
ride ,  è  convenieutissima  ad  un  frigio  combattente. 
Occorre  nelle  rappresentanze  delle  omeriche  battaglie 
di  osserv^ir  frequentemente  i  trojani  guerrieri  ,  e  lo 
stesso  Paride  ,  con  armature  somiglianti  alle  greche. 
E  per  richiamare  un  confronto  più  vicino  ricordo  che 
Omero  descrive  le  armi  di  Paride  presso  a  poco  eguali 
a  quelle  del  nostro  vaso  :  (  II.  I'  330  segg.  ).  È  pur 
degno  di  attenzione  che  si  raccoglie  dalla  narrazione 
omerica  ,    come  fosse  sottoposta  al  torace  una  tunica 
(ibid.  V.  359),  non  altrimenti  che  sul  vaso  di  Ruvo , 
di  cui  stiamo  discorrendo.  Il  cagnolino  domestico,  che 
trovasi  altre  volte  in  compagnia  delle  donne  (Miner- 
vlni  ijio».  ined.  di  Barone  p.  61  seg.),  può  accennare 
alla  mollezza  del  figlio  di  Laomedonte ,  che  lascia  le 
delizie  della  sua  casa  ,  per  avventurarsi  ad  una  lotta, 
che  gli  sarà  fatale. 

La  opposizione,  che  potrebbe  farsi  a  questa  nostra 
spiegazione  sorge  dalla  supposizione  di  due  diverse 
rappresentanze  considerate  in  siti  lontani ,  mentre  si 
veggono  nel  monumento  così  vicine. 

Questa  vicinanza  si  spiega  collo  strettissimo  rap- 
porto che  offrono  le  due  scene  fra  loro.  Così  troviamo 
frequentissimamente  ne' sarcofagi  diverse  azioni  con- 
secutive messe  l'una  all'altra  YÌcine,  senza  alcuna 


sensibile  distinzione.  E  per  tacere  di  monumenti  già 
conosciuti,  richiamiamo  un  sarcofago  con  bassirilievi 
relativi  al  mito  di  Pclope,  rinvenuto  da  parecchi  an- 
ni nelle  vicinanze  di  Cuma ,  e  che  ci  proponiamo  di 
pubblicare  ;  vi  si  vedono  scolpite  in  continuazione  tre 
diverse  azioni ,  il  presentarsi  di  Pelope  ad  Enomao  , 
la  gara  con  lo  stesso  ,  ed  il  suo  matrimonio  con  Ip- 
podamia  indicalo  dal  bacio.  Né  diversamente  dee  cre- 
dersi del  vaso  di  Cauosa  colle  funebri  cerimonie  in 
onor  di  Patroclo,  di  cui  dicemmo  a  p.  91  e  segg.  di 
questo  hullellino;  giacché  sono  in  esse  indistintamen- 
te figurati  tutti  quei  riti ,  che  ordinatamente  ebbero 
luogo,  ed  in  tempi  diversi.  Possiamo  pure  aggiugnere 
che  nel  nostro  vaso  di  Ruvo  la  distinzione  del  suolo 
è  chiaramente  additata  dall'  artista;  giacché  la  disabi- 
tata Lenno  é  figurata  senza  alcuno  indizio  di  strade  , 
laddove  il  duro  suolo  di  Troja,  ossia  di  una  popolosa 
città,  è  indicato  da  pietre  messe  insieme  con  una  certa 
regolarità  ,  ed  esattezza  ;  da  dar  la  idea  di  un  lastri- 
cato qualunque. 

Nulla  aggiugniamo  sul  rovescio  del  vaso,  che  ab- 
biamo riportato  in  piccole  dimensioni  nel  num.  1  della 
tav.  VII  ;  giacché  altro  non  si  vede  in  esso  che  una 
ovvia  bacchica  rappresentanza  ,  sulla  quale  non  oc- 
corre di  spender  parole.  Minervim. 

Notizia  de  più  recenli  scavi  di  Pompei:  coni,  del  n.  18. 

Pria  di  proseguire  la  narrazione  di  ciò  che  novel- 
lamente si  è  scavato  nella  medesima  strada  ,  non  pos- 
so mancar  di  avvertire  che  ci  è  riuscito  di  studiare 
sotto  miglior  luce  il  programma  riferito  a  p.  142  n. 
5,  avendone  fermata  la  lezione  nel  seguente  modo: 
P.  PAQVIVM.  PROCVLVM 

IIVIR.  I.  D.  TH.\L.\ML'S.  CLIENS. 

Allo  stesso  lato  sinistro  della  strada  veggonsi  altre 
botteghe  segnate  co'n.  68,  70,  71,  e  74.  La  bottega 
n.  71  presenta  all'esterno  un  banco  di  fabbrica  rive- 
stito di  marmi  di  varii  colori  con  rosoni  ed  altri  gra- 
ziosi disegni ,  che  fanno  un  bellissimo  effetto.  Presso 
al  pilastro  esteriore  scorgesi  una  grande  mela  da  mu- 
lino di  piperno  ,  infranta  in  due  pezzi. 

La  bottega  n.  74  è  nell'  interno  rivestita  di  rozzo 


—  lo7  — 


ìntonico.  Nel  cantone  sinistro  vedesi  un  pogginolo  di 
fabbrica  ,  per  cui  si  ascendeva  ad  una  scala,  che  me- 
nava certamente  ad  un  ammezzalo  supcriore.  Nel  mu- 
ro parallelo  all'  ingresso  ,  a  destra  ,  sono  rozzamente 
dipinti  due  serpenti ,  che  si  cibano  delle  offerte  mes- 
se in  una  cesta  egualmente  dipinta  in  mezzo  ad  essi. 
Da  questa  cesta  sporgeva  in  fuori  un  mattone,  ora  in- 
franto ,  per  appoggiarvi  forse  la  lucerna.  Sul  mede- 
simo muro  è  prallicata  un'aperlura  ,  che  mena  ad 
uno  stanzino  perfettamente  chiuso  da  muri  senz'  al- 
cuna apertura.  Questo  stanzino  pare  fosse  destinato 
ad  uso  di  cucina ,  vedendosi  un  piccolo  rialto ,  che 
serviva  da  focolare  :  in  un  cantone  sono  due  incavi 
ne'  muri ,  per  inserirvi  tavole  ad  uso  di  armadio. 

Il  giorno  13  correnle  aprile  ebbe  luogo  uno  sca- 
vo nella  bottega  n.  71  ,  alla  presenza  della  gentile  e 
nobile  coppia  Duca  e  Duchessa  de  Luynes  ;  in  segui- 
to di  superiore  permesso.  Intervenne  allo  scavo  una 
eletta  compagnia  di  nazionali  e  stranieri  particolar- 
mente invitali.  Ebbi  io  pure  questo  onore  da  parte  del 
lodato  sig.  Duca  de  Luynes,  che  al  sapere  dell'archeo- 
logo riunisce  la  cortesia  del  vero  gentiluomo.  La  sca- 
vazione può  riputarsi  felice;  giacché  oltre  una  grossa 
chiave  di  bronzo,  certamente  quella  della  grande  por- 
la della  bottega ,  si  rinvennne  ancora  un  vaso  di 
bronzo ,  ed  una  gran  quantità  di  monete  anche  di 
bronzo  molte  delle  quali  essendo  riconoscibili  pote- 
rono determinarsi  per  medaglie  di  varii  imperadori 
del  primo  secolo  dell'era  volgare;  le  altre  essendo  am- 
massate con  ossido  ,  terra  ,  e  lapillo,  saranno  quanto 
prima  esaminate  ,  per  essere  determinale  e  ricono- 
sciute dal  valente  numismatico,  che  siede  alla  dire- 
zione del  real  museo  borbonico.  Sono  poi  da  citare 
particolarmente  nove  monete  di  oro  appartenenti  agli 
imperadori  Vespasiano,  Tito,  e  Domiziano.  Le  descrit- 
te monete,  che  potranno  essere  in  tutto  un  migliaio, 
si  conservavano  in  una  cassa  di  legno  quasi  intera- 
mente carbonizzata,  con  serratura  di  bronzo  fermala 
con  grossi  perni  :  eravi  pure  una  fascia  di  bronzo ,  e 
due  piccole  teste  di  Medusa  dello  stesso  metallo  ne 
fregiavano  1'  esterno.  11  vaso  di  bronzo  ricordato  di 
sopra  racchiudeva  una  particolare  materia  ,  che  non 
sapremmo  con  certezza  determinare  ;  ma  che  sotto- 


messa all'analisi  chimica  potrebbe  farci  indovinare  di 
qual  genere  fosse  la  industria  del  padrone  della  bottega. 
Dal  sito  ,  di  cui  ragioniamo ,  gli  scavi  erano  stati 
da  qualche  mese  trasportali  [)Oco  innanzi  nella  conti- 
nuazione della  medesima  strada ,  coli'  intendimento 
di  toglier  poi  di  mezzo  il  terreno,  e  cosi  riunire  le  due 
vicine  scavazioni.  Nulla  dir  possiamo  per  ora  degli 
edificii  che  costeggiano  il  proseguimento  della  strada; 
ma  ci  riserbiamo  di  parlarne,  quando  ne  sarà  più  in- 
ternato il  disterro.  Soltanto  non  vogliamo  tralasciare 
di  riferire  i  numerosi  programmi,  che  insieme  col  col- 
lega Garrucci  abbiamo  studiati  e  letti  sull'esterno  de 
muri,  che  sono  verso  la  strada.  Sono  essi  i  seguenti. 

1.  SECVN 

2.  PRISCVM  AED  (  mon.  ) 
D  •  R  •  P  •  O  •  V    F 

3.  POPIDI 

AED  OVF  (  VP  mon.) 

4.  L  •  P  •  S  • 

.  .  .  .80^ 

5.  POPIDIVM.  SECVNM 
EGREGIVMADVLESCENTEMAEDOVF  (VF  m.) 

6.  .  .     GAVIVM  IIOLCONIVM  IlVlR 

IVVENES  •  PROBOS  0/f> 

7.  M  •  CVSPIVM  •  PAXSAM 

•  •  •  POLYBIVS  ■  NATALIS  •  CLIE.NS  •  ROG 

8.     M  •  PRISCVM  •  IlVlR  •  I  •  D 

9.  •  •  IDILIM  in  lettere  grandissime. 

10.  A  •  VETTIVM  • 
FELICEM  •  AED  •  0^^ 

li.     L  •  P  •  S  •  il 

v 

1-2.  L  •  P  •  S  •  AED 
Pare  che  in  queste  sigle  sì  contengano  i  nomi  di 
Lucio  Popìdio  Secondo. 

13.  POPIDIVM 

ET  CVSPIVM  IVVEXES  •  EGREG  ■  •  • 
■  ■    OA 

14.  L  •  POPIDIVM  •  AED 
FVLLO  ROG 

lo.     CEIVM  •  lIVlR 
IG.     SECVNDVM 

llVlR    VASPPO/» 


—  158  — 


Questo  programma  era  stalo  già  scrìtto  di  nero , 
poi  coverto  di  bianco,  e  sul  bianco  si  segnò  quest'al- 
tro col  rosso ,  che  quasi  si  compeaetra  col  primo. 
17.  CAPRASIVM 
IIVIR  O  •  V  •  F 
Nel  programma  n.  1 6  vi  sono  le  famose  sigle  V  • 
A  •  S  •  P  *  P  ,  che  io  interpreto  IIVIR  Vrhis  Aedi- 
bus  Sacris  Privatis  ProcuramUs,  siccome  ho  sostenu- 
to in  una  memoria  letta  alla  reale  accademia  Ercola- 
nese;  e  mi  propongo  di  formarne  argomento  di  un 
particolare  articolo  di  questo  bulleltino. 

18     CEIVM  SECVADVM 

ilVIR  0^ 
19.     CVSPIVM  SABINVM 
In  questa  novella  scavazione  si  è  raccolta  diligen- 
temente la  impronta  di  im'  antica  porta  con  varii  ri- 
quadri :  e  già  per  un  felice  pensiero   dell'  architetto 
direttore  sig.  Genovese  se  n'  è  formato  il  gesso ,  che 
sarà  tra  breve  collocato  nel  real  museo  borbonico,  e 
che  darà  la  idea  precisa  di  quella  parte  dell'antica 
chiusura  di  legno ,  che  si  è  potuto  conservare. 
(coìUinua)  Minervim.  • 

Lettera  del  eh.  sig.  Agostino  Genasio ,  al  sig.  Giulio 
Minenini. 


Pregiatissimo  collega  ed  amico 


Aveva  io  pubblicato  ,  come  ella  ben  conosce  ,  in 
una  delle  Giunte  alle  mie  Osservazioni  sulla  iscrizio- 
»w  Puleolana  dei  Luccei  p.  79  (  nel  toni.  VII.  degli 
Alti  della  Reale  Accademia  Ercolanese  p.  311.)  l'epi- 
grafe greca,  che  leggesi  sottoposta  ad  una  picciola  base 
di  basalte  Egiziano ,  esistente  nel  Real  museo,  e  tro- 
vata molli  anni  sono  negli  scavi  Pompeiani.  La  quale 
epigrafe  credo  utile  di  ricordare  in  lettere  comuni  : 
I'««'oS  'Va'Xios  'H^a;(7T/Woff 

ino?  'ìl^xiffriouv  UprxrivG'a.5 

roù  'TroXirit'fX'x.ros  rù/y  ^pv)  wv 

'Av/yr|X;  A/i  <l)p('y/ov 

\^xZ,  Ka./(7apoj  (PapfXOt^Sl  c-:(3affTr7 
Icj  m' ingegnai  in  quella  Giunta  dir  poche  parole  per 
illustrare  l' epigrafe ,  e  mi  fermai  ad  esaminar  bre- 


vemente la  data  che  in  fine  di  essa  si  legge ,  e  la  spie- 
gai per  r  anno  27  di  Cesare  nel  mese  Pharmuthi  nella 
giornata  Augusta.  Su  tal  giornata  esposi  l' opinione 
del  chiar.  filologo  Francese  il  Lctronne,  il  quale  con 
sottile  ragionamento  illustrando  una  iscrizione  greca 
del  tempio  di  Tenlj  ra  in  Egitto  ,  s' impegnò  a  mo- 
strare, che  l'appellazione  di  ^iig^ustà  alla  giornata  del 
mese  Thoth  cui  era  apposta ,  indicasse  il  27  Settem- 
bre in  cui  ricadeva  il  natale  di  Augusto.  Ma  io  riflet- 
teva, che  il  calcolo  del  dotto  filologo  scbben  potesse, 
secondo  la  sua  opinione  ,  convenire  alla  giornata  del 
mese  Thoth  ,  che  cominciava  a'  29  agosto  dell'  anno 
Romano,  non  era  applicabile  alla  iscrizione  Pompeia- 
na ,  la  quale  indicava  il  mese  Pharmuthi,  che  aveva 
principio  a'  27  di  marzo.  Io  quindi  sospettava  ,  che 
la  giornata  Augusta  della  nostra  iscrizione  potesse 
corrispondere  al  sudetto  giorno  27  di  marzo  primo 
del  mese  Pharmuthi  (v.  la  tavola  de'mesi  Egizii  presso 
il  chiar.  profess.  L.  Ideler  Lehrhuch  dcr  chronologie 
p.  182)  ,  nella  qual  giornata  dicevasi  nel  Calendario 
Mafleiano  Caesar  Alexandriam  recepii.  Ma  non  ripo- 
sando alTalto  su  quanto  aveva  scritto ,  nel  far  omag- 
gio di  un  esemplare  delle  mie  Osservazioni  all'illu- 
stre professore  Augusto  Boeckh  Segretario  perpetuo 
della  Reale  Accademia  di  Berlino ,  nel  quale  pari 
alla  vasta  e  molta  dottrina  è  la  gentilezza ,  mi  feci 
ardito  di  pregarlo  a  volermi  esser  cortese  de'  suoi 
divisamenti  suW  r,ixiq^x  iisPotc-rr),  che  come  diceva,  non 
raramente  dopo  l' indicazione  dell'  anno  e  del  mese , 
trovasi  apposta  nelle  iscrizioni  greche  di  Egitto.  Si  ò 
quell'illustre  uomo  compiaciuto  di  accogliere  con  la 
solita  bontà  la  mia  preghiera,  scrivendomi  in  una  sua 
umanissima  lettera  de' 7  novembre  1832  ciò  che  se- 
gue «  Quod  scribis  de  explicalione  'fìnipai  Ss/Jacrr,?, 
quae  in  titulo  Pompeiano,  qucm  in  sccunda  Commen- 
tatione  egregie  tractasli ,  referlur  in  mensem  Pliarmu- 
lìii ,  dolendum  est  quod  hic  lilnlus  fagli  et  Lelronnium 
et  Franzium,  qui  cum  in  Ilalicis  momimenlis  (Corp. 
Inscript.  Graec.  lom.  III. ^  omisit.  Tua  quidem  expli- 
calio  docla  et  acuta  est,  nec  tamen  relicebo  quod  mihi 
in  jyensilanda  Ime  re  in  menlem  venit.  Elcnim  non  salis 
demonstralum  videlur  in  lilulo  Tenlyris  collocalo  (Corp. 
Imcr.  graec.  n.  47JoJ  QwvSì  SsiSacrrV)  esse  ad  diem 


—  139  — 


XXVI.  mensh  Thoyih  referendum,  hoc  eU  ad  natalem 
ipsum  Augmli  ;  midtoquc  minus  demonslralum  esl  in 
fronte  decreti  Tib.  luUi  Alexandri  f Corp.  laser.  Graec. 
n.  49o7J  (Pxtu^ì  Z.  'louXrx  '^i^xTrr^  siguif  care  nata- 
lem  Iidiae  Augustae.  Certe  milii  vidclur  dles  'lotO.i'x 
SEpxffTri  pari  iure  aduniversam  Iidiorumslirpem  Iin- 
peratoriam  referri  jwsse ,  et  maxime  ad  Octavianum 
Augiislum  ipsum ,  itaut  nihil  aliud  sii  quam  simplex 
XspxffTri  in  aliis  tilulis ,  nisi  quod  Galha  Imperatore, 
Tib.  lulio  Alexandro  Praefeclo,  de industriaadditum 
fuit  'lovXioi,,  quod  lune  non  iam  lulii  imperabanl,  dies 
vero  ille  tion  Imperatori  cuivis ,  sed  luliae  stirpis  Im- 
peratori dicalus  erat.  Iam  vero  in  fronte  decreti  illim, 
quae  scripta  est  dia  'louXrx.  '^ijla.irrri ,  ea  est  mensis 
Phaophi  /.<»  ()((/(Z  si  cujusque  mensis  TTpu/rr]  Augu- 
sto (dico  Octavianum ,  qui  et  ipse  luìius)  dicala  fue- 
ril  ?  Sic  slaluenli  in  tilulo  Tenlyrile  ©wl'^  '%if:ixT'rr\ 
erit  mensis  Tlioylh  dies  /.«  el  in  Pompeiano  ilidem 
fpocpixov^]  Xifjxffr-r]  mensis  Pharmoulhi diesi.  Ita qui- 
dem  toìlerelur  omnis  difficultas.  Video  Franzium  (Corp. 
Inscr.  Graec.  lom.  III.  pag.  450.  j  mensis  Tlioyih 
diem  /.""*  vacare  iTrwn'fxov  Augusli ,  prorsus  ut  nunc 
ipse  conieci  ;  sed  ille  hoc  fedi  per  incuriam  non  de  in- 
dustria. Nec  imdlam  tribuo  meae  conieclurae ,  sed  ex- 
peclandiim  censeo  dome  plura  reperienlur  monumenta, 
ex  quibus  fonasse  aliquando  veruni  erui  queal  ».  Or 
r  opinione  qui  espressa  dal  cliiar.  professore,  che  per 
modestia  egli  chiama  congìtiellura ,  è  si  naturale ,  e 
sì  ben  appoggiata  ,  che  senz*  aspettar  altri  monumenti 
che  la  confermino,  son  di  credere  sarà  da  oggi  innanzi 
ricevuta  da' filologi.  Ed  io  specialmente  debbo  esser 
lieto ,  che  intendendosi  la  giornata  Augusta  il  primo 
dì  di  ciascun  mese,  siccome  ha  stabilito  il  sig.  Boeckh, 
vien  confermato  ciò  che  aveva  scritto  con  esitazione 
esser  la  giornata  iJj/Jairrri  segnata  nella  iscrizione  Pom- 
])eiana  ,  il  27  marzo  eh'  era  il  primo  di  del  mese  Egi- 
zio Pharnuilhi;  la  qual  giornata  corrisponde  appunto 
giusta  la  concorde  testimonianza  de"  Cronologi  (  £■«- 
ìdiel.  D.  N.  V.  toni.  4.  pag.  41.)  al  di  del  comincia- 
mento  dell'  Era  .\ziaca  ,  stabilita  all'  anno  di  Roma 
724  a'  29  agosto  ,  primo  del  mese  Thoyth  ,  quando 
cioè  Augusto  espugnata  Alessandria  ridusse  1'  Egitto 
a  Provincia  Romana.  E  quindi  ù  ben  naturale  la  in- 


duzione ,  che  da  allora  in  poi  ogni  primo  dì  di  cia- 
scun mese  presso  gli  Egizii  divenisse  eponimo,  e  per 
breviloquenza  venisse  indicato  colla  semplice  voce  X'.- 
^xffrT,  Augusta. 

Le  sarei  molto  tenuto  ,  signor  collega  ,  se  volesse 
aver  la  bontà  d' inserire  (jucsta  mia  lettera  nel  lìul- 
leltino  Archeologico  Xapolitano,  alla  cui  compilazione 
ella  attende  di  unita  all'  altro  chiaris.  nostro  collega 
P.  Radacle  Garrucci  della  Compagnia  di  Gesù ,  co- 
me una  giunta  a  quanto  io  dispulai  nelle  anzidette 
mie  Osservazioni  sulla  iscrizione  del  Real  museo. 

Le  rinnovo  intanto  eie. 
Di  Casa  li  0  aprile  1833.         Agostino  Geuvasio. 

Una  spiegazione. 

Il  dottissimo  sig.  Cav.  Federico  Golfi.  Welcker  , 
uno  de'  più  illustri  professori  della  Germania  ,  e  che 
da  più  anni  mi  onora  di  particolare  benevolenza,  ha 
dato  in  questi  ultimi  giorni  notizia  della  napolilana 
medaglia  colla  certa  effigie  dell' Acheloo,  di  cui  ho 
parlalo  in  questo  bullellino  p. 37. Vedi  il  bull,  dell' hi. 
di  Corr.Arch.  1833  p.63  s.  Egli  dichiara  che  già  gli 
sembrava  indubitabile  doversi  prendere  quel  mostro 
simbolico  non  già  per  Bacco  Ebone  ,  ma  bensì  per 
Acheloo;  e  che  confermossi  in  tale  idea,  osservando 
dieci  anni  or  sono  due  medaglie  di  Alnniinm ,  rap- 
presentanti r  Acheloo  con  un  zampillo  di  acijua  che 
gli  sgorgava  dall'  aperta  bocca.  Su  di  ciò  mi  piace  di 
osservare  che  la  nuova  medaglia  nnpolitaria  ha  tutta 
la  sua  importanza  nel  dar  luce  alla  tanto  dibattuta 
qmstione  sul  loro  androproaopo.  Le  medaglie  di  .1- 
lunlium,  già  conosciute  sin  dal  tempo  di  Kckliel,  ave- 
vano formalo  1'  apjìoggio  di  coloro  che  tenevano  una 
contraria  sentenza;  ed  erano  slate  più  vulle  richiamale 
in  quella  discussione.  È  appunto  la  iloppia  circostan- 
za dello  zampillo  che  sgorga  dalla  l)or(;a,  e  delle  on- 
de nelle  quali  nuota  il  toro  a  volto  uni. aio ,  che  fer- 
ma la  natura  di  questo  simbolico  mostro. 

In  quanto  alla  lira  ,  che  si  mira  presso  al  mezzo 
toro  nella  medaglia  del  sig.  Riccio,  crede  il  cav. 
Welcker  che  accenni  alle  Sirene ,  figlie  di  Acheloo, 
del  cui  numero  è  la  stessa  l'artenope;  e  riprende  l'al- 
lusione da  me  presentala  della  lira  X-^-'^'''  e  del  nu<j- 
tare  \;^'-'s-'>'  alla  figura  stessa  dell'Acheloo.  Dopo  di 
che  soggiugne  queste  parole ,  che  da  sì  gran  maestro 
udirei  con  tutta  la  rassegnazione  se  credessi  di  meri- 
tarle, ma  che  non  lascerò  senza  spiegazione,  perchè 
contengono  contro  di  me  una  ingiusta  accusa  :  ed  io 


—  160  — 


non  posso  tollerare  che  l'autorità  di  unWelckerdia 
uua  fulsa  idea  del  mio  metodo  di  studiare.  «  Mi  di- 
»  spiace  del  resto  di  vedere  che  ilsig.  Minervinico»- 
»  liiuia  ad  imitare  un  cerio  sistema  di  allusioni  e  pa- 
»  ronomasie  fondato  su  delle  etimologie  immaginarie 
»  e  contrarie  parimenti  al  genio  della  lingua  greca 
»  ed  al  buon  senso  della  nazione  ,  un  sistema  che  al 
»  solo  suo  inventore ,  il  quale  suole  spargere  tali  ar- 
»  guzie  in  ogni  pagina  de' numerosi  suoi  scritti ,  pa- 
»  re  che  si  possa  perdonare  come  una  cattiva  abi- 
»  Indine ,  non  più  dipendente  dal  suo  arbitrio,  o  co- 
»  me  sarebbe  un  palpitamenlo  di  nervi  dispiacevo- 
y>  le  agli  occhi  d'altrui.  Ma  dirò  con  ingenuità  quel 
»  che  credo  verissimo,  non  esservi  cioè  almeno  nel- 
»  la  mia  patria  fra  cento  lilologi  e  mitologi  nemme- 
»  no  uno  che  potrebbe  approvare  i  hmis  iiigenii  di 
»  questo  genere  ».  Prima  di  tutto  comincio  dal  di- 
chiarare che  io  non  fo  l'imitatore  di  alcuno,  dis(ruto 
sempre  secondo  la  mia  propria  coscienza,  e  secondo 
la  mia  debole  dottrina;  sino  a  contrastar  le  opinioni 
de' sommi;  e  lo  stesso  cav.  Weicker  non  ha  sdegna- 
to di  entrar  meco  in  archeologiche  discussioni.  Ma  è 
poi  vero  che  io  abbia  il  sistema  di  proporre  queste 
allusioni  e  paronomasie?  Invito  lo  stesso  dottissimo  cri- 
tico a  svolgere  con  animo  tranquillo  le  mie  numerose 
scritture;  e  durerà  fatica  a  pescare  in  esse  una  decina 
di  queste  paronomasie  per  lo  più  espresse  in  un  sol 
verso  (il  che  pruova  che  vi  attaccava  la  menoma  im- 
portanza ) ,  le  quali  voglio  sperare  che  non  troverà 
tulle  roitirarie  al  genio  della  lingua  greca  ed  al  buon 
senso  della  nazione. 

Attendendo  una  tale  dimostrazione  mi  sia  lecito  di 
notare  che  questo  uso  delle  allusioni,  e  delle  etimo- 
logie, non  è  tanto  raro  in  Germania  quanto  si  potreb- 
be argomentare  dalle  ultime  parole  del  cav.  Weicker. 
Quasi  tulli  coloro  che  scrissero  degli  antichi  miti  ri- 
corsero ad  etimologie  ,  talvolta  stranissime  ,  e  spesso 
certamente  false  ;  perciocché  essendo  tra  loro  dilTe- 
rentissime  non  possono  essere  tutte  vere  al  medesi- 
mo tempo.  In  fatti  chi  confronti  le  dotte  ricerche  dello 
Schwenk  e  le  aggiunte  dell'illustre  critico,  quelle 
del  dottissimo  Godofredo  Hermann,  e  le  altre  del  eh. 
signor  Forchammer,  per  lacere  di  non  pochi  altri  li- 
bri, rimarrà  maravigliato  dell'uso  che  può  farsi  della 
fdologia  dall'ingegno  de' più  valenli  critici.  Le  allu- 
sioni poi  degli  oggetti  e  simboli  particolari  a' nomi  de' 
personaggi  mitici ,  e  storici  è  tanto  comune  nell'an- 
tichità ,  che  non  vi  è  archeologo  il  quale  non  si  sia 


trovato  nel  caso  di  ravvisarne.  Traile  infinite  spiega- 
zioni di  questo  genere  proposte  dal  celebre  numisma- 
tico sig.  ab.  Cavedoni,  ve  ne  sono  certamente  moltis- 
sime che  son  da  dichiarare  evidenti:  e  la  numismatica 
specialmente  ne  fornisce  numerosissimi  esempli.  Que- 
sti simboli  parianti  ci  offrono  ogni  sorta  di  allusioni; 
e  lo  stesso  cav. Weicker  proclamò  la  verità  di  questo 
archeologico  fiitto,  quando  ridusse  la  idea  dello  tr^p/y- 
y-iy  al  sinfonismo  della  parola  della  Sfinge  {annali 
dell' Tsl. iSi2  p.214).  Fu  allora  che  ne  ricordò  molti 
esempli  già  osservati  da  altri, emolti ancoraneaggiunse. 

Couchiuderò  questa  mia  spiegazione  colle  gravi 
parole  dello  slesso  cav.  Weicker,  il  quale  nel  suo 
dottissimo  libro  Sylloge  epigrammatum  graecorum  p. 
133  nel  riportare  moltissime  di  queste  allusioni,  si 
esprime  in  tal  guisa  «  Fuit  enim  hicmos  velerumsa- 
»  tis  frequens,  ut  pbonetico  allegoriae  quodam  gene- 
»  re,  sicut  in  numis  variisque  aliis  arlis  operibus  ila 
»  eliam  in  monumenlis  sepulcralibus,  et  urbiuni  et 
»  hominum  nomina  sub  animalium,  plantarumetre- 
»  rum  quarucumque  cum  illis  nomine  forte  conspi- 
»  rantium  imaginibus  quasi  ante  oculos  ponerent  , 
»  quo  illa  melius  visus  adminiculo  memoriae  com- 
»  mendarent  ». 

Io  nulla  aggiungerò  al  sin  qui  detto.  Credo  però 
di  aver  chiaramente  dimostralo  che  a  torto  fui  chia- 
mato continuo  imitatore  dj  un  SM^cma,*  mentre  pochis- 
sime volle  ne  feci  l'applicazione. Del  resto  la  mede- 
sima autorità  del  celebre  scrittore,  e  le  sue  numerose 
produzioni  dimostrano  che  lutti  gli  antichi  miti  sono 
stali  sin  dall'antichità  soggetti  ad  interpretazioni  etimo- 
logiche ;  e  che  questo  sistema  è  principalmente  tenu- 
to da'dotti  filologi  della  Germania.  In  quanto  poi  alle 
allusioni  degli  oggetti  a' nomi  de' personaggi ,  presso 
i  quali  si  trovano  figurati,  vale  la  medesima  osserva- 
zione ,  per  confessione  dello  slesso  cav.  Weicker. 

Io  non  voglio  indagare  quale  sia  stalo  il  motivo  di 
una  critica  così  severa  e  cosi  poco  fondata  da  parte 
di  un  uomo  tanto  rispettabile,  che  mi  onora  a  quando 
a  quando  della  sua  corrispondenza,  e  verso  del  quale 
io  serbo  una  specie  di  culto  sin  da  che  ebbi  la  fortu- 
na di  conoscerlo  personalmente.  Sappia  però  l'illustre 
critico  che  questo  sentimento  non  si  è  per  nulla  in  me 
rafl'reddato  :  e  queste  mie  brevi  |)arole  valgano  a  di- 
mostrarlo ,  perchè  palesano  il  mio  lisentimento  nel 
vedermi  ini  meritamente  colpito  da  tale,  da  cui  meno 
me  r  attendeva. 

MlNERVlM. 


P.  Raffaele  Gaiihlcci  n.c.n.r,. 
GiL'Lio  Mi.NEuviM  —  Editori, 


Tijwgrafìa  di  Giuseppe  Cataheo. 


BUILETTINO  ARCnEOlOGICO  MPOLITAXO. 

NUOVA    SERIE 


iV.«  21. 


Aprile  18Ó3. 


Scoperte  cumane. — Teste  di  cera. — Vaso  con  epigrafe  osca.  Continuazione  de' mtmeri  11  e  IO. — Tacola  aqua- 
ria  vena  frana,  cont.  del  num.  io.  — Questioni  Pompeiane  L  del  nome  Pompei,  2.  Topografìa  del  Vesuvio. 


Scoperte  dimane.  —  Teste  di  cera.  Vaso  con  epigrafe 
osca.  Continuazione  de'  numeri  li  e  16. 

Dopo  la  nostra  discussione  sulle  teste  di  cera ,  e 
sugli  scheletri  acefali  ritrovati  in  una  tomba  cuniana, 
non  pochi  lavori  sullo  stesso  soggetto  videro  quasi  con- 
temporaneamente la  luce,  e  l'uno  dall'altro  indipen- 
dente. II  dottissimo  archeologo  signor  Raoul-Rochette 
facendo  un  estratto  di  ciò  che  da  me  si  era  detto  in 
questo  bulleitino,  e  stando  imicsmente  alla  breve  de- 
scrizione inserita  nel  n.  14,  presentò  un  sospetto  che 
quegli  scheletri  acefali  esser  potessero  confessori  della 
Fede,  che  avesser  subito  il  martirio.  L'illustre  scrittore 
proponeva  una  tale  opinione,  senza  conoscere  che  il 
sig.  Fiorelli  Io  avea  preceduto  nel  sostenerla;  e  la  pro- 
poneva con  quella  saggia  circospezione  ,  che  da  cosi 
dotto  archeologo  doveva  aspettarsi.  Egli  richiamava 
principalmente  ad  un  accurato  esame  degli  oggetti , 
che  ornavano  il  sepolcro  ;  ben  conoscendo,  e  dichia- 
rando le  gravi  difficoltà  che  si  opponevano  a  farci 
pensare  a  martiri  decollati.  E  poiché  io  aveva  annuur- 
ziata  la  esistenza  dell'  atramento  in  un  vasetto  cilin- 
drico ,  rinvenuto  presso  uno  de'cadaveri ,  il  signor 
Raoul-Rochette  invitava  a  farne  eseguire  l'analisi  chi- 
mica, per  mettere  in  chiaro,  se  mai  si  trattasse  di  un 
deposito  sanguigno  (reme  archéolog.  an.  IX  p.  770 

Io  non  ho  tardalo  ad  appagare  il  giusto  desiderio 
del  mio  illustre  amico  .•  ed  avendo  pregato  il  valente 
chimico  sig.  Luigi  del  Grosso  di  sottoporre  una  por- 
zione di  quel  deposito  all'.analisi  chimica,  se  n'ò  otte- 
nuto il  risultamento  che  non  è  altro  che  una  specie 
A.ym  I, 


d' inchiostro.  Il  sig.  del  Grosso  me  ne  indicava  i  com- 
ponenti nel  seguente  modo:  Gallato  e  tannato  di  ferro 
sospesi  nella  viscosità  di  una  allungala  soluzione  di  gom- 
ma arabica;  con  nero  di  fumo,  che  ha  dovuto  sciogliersi 
nell'alcool.  Ora  l'analisi  di  quel  deposito  si  sta  ripeten- 
do dal  dotto  prof.  sig.  Giovanni  Guarini  ;  e  non  man- 
cheremo di  parteciparla  a'  nostri  lettori ,  appena  sari 
compiuta.  Intanto  ci  piace  di  avvertire  che  stando  al- 
l'analisi  del  sig.  del  Grosso,  dovremo  far  risalire  ad 
epoca  più  antica  la  introduzione  di  un  inchiostro,  as- 
sai simile  a  quello  che  si  dice  inventato  nel  XII  se- 
colo (  Géraud  essai  sur  les  livres  pag.  48  e  s.  ). 

Nel  tempo  medesimo  che  il  sig.  Raoul-Rochette, 
occupavasi  a  dar  conto  della  scoperta  cumana  il  eh. 
sig.  ab.  D.  Celestino  Cavedoni.  Egli  si  oppone  alla  idea 
di  martirio,  e  sostiene  trattarsi  di  semplice  decapita-^ 
zione  ;  secondo  la  prima  delle  due  opinioni  da  me 
sviluppate  nel  num.  16  di  questo  bulletlino ,  che 
coincide  pure  con  quella  del  mio  eh.  collega  ed  ami- 
co sig.  Commendatore  Quaranta,  siccome  diremo  fra 
poco.  In  una  poscritta  poi  il  Cavedoni  f\i  alcune  nuo- 
ve osservazioni  in  vista  del  citato  mio  secondo  arti- 
colo ,  da  lui  prima  non  conosciuto  ;  ed  avverte  che 
nella  uiia  ipotesi  non  torni  tanto  facile  il  rendere 
plausibile  ragione  del  fatto  della  sostituzione  delle  te- 
ste di  cera  in  luogo  de'  cranj  ,  che  ritiene  supporsi  da 
me  ripetutamente  derubali  fmessaggiero  di  Modena 
mim.  372,  14  marzo  18.13).  Su  di  ciò  mi  piare  di 
notar  di  passaggio  che  io  feci  una  doppia  supposizio- 
ne ,  o  che  fossero  ripolutamenle  derubali  i  eraiiii  per 
particolari  superstizioni  annesse  a  quella  particolare 
famiglia  ,  o  che  la  violazione  fosse  in  un  solo  tempo 

21 


—  162  — 


a\-\enu(a ,  e  poscia  avverlifa  nel  riporsi  ne' loculi  in 
giro  le  varie  olle  di  terracotta,  alcune  rivestite  da  un 
altro  recipiente  di  piombo,  contenenti  le  reliquie  e  le 
ceneri  forse  di  servi  della  famiglia. 

Ealrò  a  trattare  la  medesima  quistione  11  eh.  sig.  de 
Guidobaldi  con  una  particolare  pubblicazione  (  /«- 
torno  ad  una  imagine  cerea  ed  alcuni  schelelri  acefali 
rinvemiti  in  Cuma,  Napoli  1833  pag.  65  in  8),  ac- 
compagnandovi una  litografia  della  testa  riprodotta 
dalla  tavola  del  sig.  Fiorelii,  ma  in  più  piccole  di- 
mensioni. Tralasciando  le  ricerche  dell'  autore  sulle 
immagini  ceree  presso  gli  antichi,  e  sull'uso  del  la  ce- 
ra, mi  limito  ad  osservare  che  egli  spiega  il  fatto  della 
mancanza  de'cranii  dal  costume,  che  va  ricavando  da 
varii  luoghi  di  antichi  scrittori,  di  staccare  da' cada- 
veri un  membro ,  e  forse  la  testa ,  per  purificar  la 
famiglia. 

Ultimamente  il  chiarissimo  signor  G.  B.  de  Rossi 
ha  riferito  un  annunzio  di  questo  ritrovamento  ,  ed 
ha  cercato  di  darne  una  spiegazione.  Egli  ritiene  la 
mancanza  delle  teste  provenire  da  capitale  condanna; 
e  sol  si  ferma  a  dichiarare  perchè  si  sostituirono  im- 
magHni  di  cera  alle  perdute  teste.  II  sig.  de  Rossi  lo  at- 
tribuisce al  lito  funebre  della  esposizione  del  cada- 
vere, per  lo  quale  doveva  necessariamente  adoperarsi 
una  immagine  di  cera,  onde  non  presentarlo  detur- 
pato da  quella  mutilazione:  e  ricorda  alcuni  fatti  del- 
1  uso  d'immagini  ceree  rammentato  in  simili  occasioni 
[Bullct.  dell'  lit.  di  corr.  arch.  anno  1833.  pag.  60. 

Intanto  non  posso  tacere  che  sin  dal  decorso  mese 
di  febbrajo  fu  lungamente  discusso  il  problema  nella 
reale  Accademia  Ercolanese  ;  e  nella  stessa  tornata, 
nella  quale  comunicai  le  mie  coughielture  di  sopra 
riferite,  il  Segretario  Perpetuo  Commendatore  Qua- 
ranta espose  le  sue  in  una  particolare  memoria,  svi- 
luppando la  ipotesi  di  semplice  decapitazione,  la  qua- 
le nella  stessa  adunanza  fu  da  me  presentata  ,  ed  è 
slata  poi  ritenuta  dal  eh.  Cavedoni ,  e  dal  de  Rossi. 
Da  quel  tempo  il  Commendatore  Quaranta  ha  fatto 
non  poche  letture  sul  medesimo  argomento  nella 
slessa  reale  Accademia  Ercolanese ,  prendendo  a  di- 
saminare—  1.  perchè  gli  schelelri  cumaui  olbjaao 


la  testa  di  cera  —  2.  se  le  teste  sieno  state  recise  dai 
vivi  o  da*  cadaveri  —  3.  perciiè  ciò  abbia  potuto  av- 
venire— 4.  se  le  immagini  ceree  sieno  ritratti — 3.  ia 
che  tempo  sieno  state  eseguite  ~0.  con  qual  metodo 
artistico  —  7.  se  i  condannati  avessero  potuto  aver 
sepoltura— 8.  che  tempo  fosse  passato  tra  una  sentenza 
capitale,  e  la  sua  esecuzione—O.  finalmente  di  chi  fos- 
sero stati  quegli  scheletri.  I  risuUamenti  di  tutte  que- 
ste diverse  ricerche  si  leggono  in  un  opuscolo  dello 
slesso  eh.  nostro  collega  che  ha  per  titolo  :  «  Gli 
scheletri  cerocefali  trovati  in  un  antico  sepolcro  di  Cli- 
ma nel  dicembre  del  1832  — Napoh  1833  in  8.  A 
questa  pubblicazione  va  unita  una  tavola  litografica , 
la  quale  lascia  alquanto  a  desiderare  per  la  parte  della 
esecuzione.  Posteriormente  alla  detta  pubblicazione  il 
eh.  collega  comunicò  all'Accademia  altre  osservazioni 
so[)ra  alcune  particolarità  di  quel  ritrovamento.  Spie- 
gò la  esistenza  dell'  arena  finissima ,  che  fu  rinve- 
nuta al  suolo,  dicendo  esser  tanto  quella  che  entra- 
va nell'intonaco,  e  nella  fabbrica  della  volta  ,  quan- 
to quella  che  era  servita  alla  fabbrica  ed  all'intonaco 
de'  pogginoli ,  dove  furono  adagiati  i  cadaveri.  Varie 
conghietture  ha  presentato  intorno  quelle  assicelle  di 
osso,  trovate  presso  le  teste  di  cera  ;  avvertendo  che 
potrebbero  essere  parte  de' flabelli,  usati  per  allonta- 
nar le  mosche  dal  cadavere  mentre  era  esposto,  come 
veggonsi  le  spranghelte  de'flabelli  ne' vasi  dipinti;  ov- 
vero essere  incastrate  per  ornamento  allo  sgabelletto 
che  sorreggeva  la  testa  del  defunto,  o  a  qualche  cas- 
sellina  simile  a  quella  depositata  nella  medesima  tom- 
ba: e  queste  assicelle  sarebbero,  secondo  il  dotto  col- 
lega, quelle  chiamate  secjmenta,  crustae ,  le  quali  noa 
solo  erano  d'osso  e  d'avorio,  ma  anche  d'oro  e  d'ar- 
gento, e  persino  di  cristallo  e  di  gemme.  Finalmente 
osserva  che  i  due  buchi  all'  orecchio  della  immagine 
di  cera  non  sieno  fatti  appositamente  per  inserirvi  gli 
orecchini,  e  crede  che  sieno  dipendenti  dalle  ingiurie 
del  tempo. 

Io  non  ho  fatto  che  riferire  sinora  le  opinioni  dei 
dotti,  che  scrissero  sulla  scoperta  cumana.  I  loro  dif- 
ferenti lavori  darebbero  luogo  ad  ampia  discussione; 
ma  i  limiti  del  presente  bullettino  non  comportano 
che  più  lungamente  ci  tratlenghiamo  a  discuterne.  Ci 


163- 


riserbiamo  però  di  occuparcene ,  quanJo  avrà  luogo 
la  stampa  della  nostra  memoria  accademica. 

Da  ullinio  vogliamo  annunziare  che  la  testa  di  cera 
salvata  dalla  distruzione  è  già  collocata  nel  real  mu- 
sco Borbonico,  e  propriamente  a  destra  in  una  delie 
sale ,  ove  sono  esposti  i  dipinti  murali  di  Pompei  ;  e 
clic  l'Accademia  Ercolanese  ha  diretto  istanza  allEc- 
cellenlissimo  sig.  Principe  di  Bisignano  ,  Maggiordo- 
mo maggiore  di  S.  M.,  e  Soprantendente  generale  del- 
la Real  Casa ,  perchè  dalla  Reale  Accademia  delle 
scienze  si  eseguisse  la  più  esatta  analisi  chimica  su 
qualcuno  de'framnienli  dell'altra  lesta ,  per  venire  in 
chiaro  della  composizione  di  quelle  immagini;  nelle 
quali  predomina  certamente  la  cera,  ma  insieme  con 
qualche  altra  sostanza,  che  un  diligente  chimico  do- 
vrà scientificamente  rintracciare.  Questa  ricerca  po- 
trà illustrare  la  parte  tecnica  delle  immagini  ceree  de- 
gli antichi ,  e  farci  acquistare  una  idea  precisa  di 
quello,  che  dagli  antichi  scrittori  non  fu  ricordalo. 

In  seguito  delle  scavazioni  precedentemente  aiimm- 
ziate  ,  altre  ne  sono  state  eseguile  con  non  minore  u- 
tililà  per  la  scienza.  La  necropoli  dell'  antica  Cuma 
presenta  varii  ordini  di  sepolcri  pertinenti  a'tempide' 
Romani,  o  de'Greci.  Importanti  monumenti  sono  ve- 
nuti fuori  da  queste  dilTerenli  tombe  :  vetri ,  vasi  di- 
pinti, ori,  bronzi,  lavori  di  osso  o  di  avorio,  e  final- 
mente iscrizioni.  Non  mancheremo  di  dar  la  descri- 
zione di  lutti  quelli  fra  gli  enunciati  oggetti ,  che  in- 
teressar possono  i  cultoii  della  scienza  archeologica. 
Per  ora  cominceremo  dal  riportare  una  importantis- 
sima scoperta  avvenuta  in  una  tomba,  che  fu  pure  da 
noi  particolarmente  esaminata.  Alla  profondità  di  cir- 
ca dodici  palmi  dal  suolo,  ed  all'altezza  di  circa  al- 
trettanti palmi  dal  livello  del  mare,  è  comparso  questo 
sepolcro  di  greca  costruzione,  e  di  forma  così  detta  a 
schiena.  La  tomba  è  formata  di  grandi  massi  di  tufo , 
ed  un  enorme  pezzo  della  medesima  pietra  ne  richiu- 
deva la  entrala.  È  notevole  che  questa  pietra  destinala 
a  chiusura  vedesi  levigata  nella  parte  interna,  e  rozza 
nella  esteriore.  Presso  all'apertura  del  sepolcro  vedonsi 
tre  fasce  dipinte  ad  arco  di  rosso  di  bianco  e  di  nero. 
Entrando  nel  sepolcro  vedesi  al  suolo  un  rialto  che 
l'occupa  nella  massima  parie:  le  pareli  sono  dipinte  di 


bianco ,  con  zoccolo  rosso  ;  e  nel  fondo  bianco  vedesi 
una  rossa  fascia ,  ed  in  continuazione  ne'  diversi  lati 
del  sepolcro  il  meandro  ad  onda  dipinto  di  nero.  Nel 
muro  parallelo  all'entrata  oltre  il  suddetto  meandro, 
0  la  rossa  fascia,  scorgesi  una  grande  palmella  che 
quasi  tutto  lo  ingombra,  dipinta  di  rosso,  di  giallo,  e 
di  nero.  Sul  rialto  sopra  indicalo  erano  sparse  reli(pn'e 
di  bruciale  ossa  ,  dal  che  evidentemente  deduce>  asi , 
essere  slate  i\i  sepolte  dopo  il  rogo.  Uu  sol  vaso  di 
bronzo  della  forma  del  prochoos  e  molto  vasellame  di 
argilla  costituivano  1'  ornamento  di  questo  singolare 
sepolcro.  Erano  le  solite  stoviglie  di  greco  lavoro  con 
buona  vernice  ,  ma  inferamente  nere,  e  senza  alcuna 
dipintura  di  figure  o  di  fregi  :  se  non  che  ncH'  orlo  , 
presso  a' manichi ,  e  talvolta  nel  corpo  del  vaso  scor- 
gonsi  graziose  e  conservalissime  dorature  ,  applicale 
ora  agli  ovoli ,  ora  ad  un  ramo  di  vile  che  circonda 
intorno  intorno  il  corpo  del  vaso ,  ed  ora  ad  altri 
svariati  ornamenti.  Tra  questi  vasi  due  ve  ne  sono 
della  medesima  forma  e  della  slessa  grandezza,  a  duo 
manichi ,  con  larga  bocca  ,  collo  esternamente  liscio, 
ed  il  rimanenle,  fino  ad  un  piccolo  piede,  scanalalo.  In 
uno  de' due  vedesi  sul  collo  a  grandi  lettere  doratela 
seguente  iscrizione  osca  ,  da  un  lato 


e  dall'altro 


^vinv 

:^II8V 


È  chiaro  che  queste  due  parole  van  Ielle  in  con- 
tinuazione 

•  ^II8V    ^v/inv 

essendo  i  tre  punti  destinati  ad  indicare  il  finimento 
della  iscrizione;  se  pure  non  voglian supporsi messi  a 
distinzione  delle  due  voci ,  nella  quale  ijtotesi  legger 
dovremmo  ^v/lilV  i^lISV.  Onesta  punteggiatura  è 
particolare ,  e  nelle  epigrafi  osche  finora  conosciute  non 
s' incontra  giammai  :  occorre  bensì  la  divisione  delle 
parole  distinta  da  due  punti,  come  può  vedersi  presso 
il  eh.  Mommsen  funlvr.  dial.  f.  Vili  e  IX;.  I  Ire  punti 
si  veggono  nelle  poche  iscrizioni  in  dialetto  .Sabellico, 
YO  dire  nella  famosa  lapida  di  Crecchio  (  .Monunsoa 


—  IG4  — 


tav.  II),  del  quale  prezioso  monumenlo  la  Maestà  del 
Re  ha  ullimamente  arricchilo  il  real  museo  Borboni- 
co ;  e  così  pure  nella  lapida  di  Cupra  Montana  (Mom- 
msen  tav.  XVII  ) ,  ed  in  quella  di  S.  Omero  pubbli- 
cata dal  cb.  de  Guidobaldi  [Alessandro  e  Bucefalo  p. 
143  nota).  Del  resto  è  noto  che i  tre  puntini  a  distin- 
zione delle  parole  si  trovano  pure  nelle  epigrafi  gre- 
che :  e  ci  asteniamo  dal  riferirne  in  questo  luogo  gli 
esempli.  Osservo  che  nella  nostra  iscrizione  non  si  ve- 
de alcuna  traccia  del  punto  su' due  V.  È  certo  che  sul 
vaso  Cumano  è  segnato  il  nome  del  possessore,  o  piut- 
tosto di  colui  che  fu  messo  nel  sepolcro ,  e  che  viene 
indicato  dal  prenome  Upils ,  e  dal  nome  Ufiis,  o  vi- 
ceversa. Questo  uso  di  un  doppio  nome  presso  i  po- 
poli osci  fu  chiarito  con  copiosi  esempli  dal  collega 
Garrucci  (vedi  sopra  p.  41.  e  seg.),  a  proposilo  delle 
iscrizioni  frenlane  di  Pennaluce  da  lui  pubblicate.  Il 
nome  Upih  a  noi  pare  uno  di  quelli  che  cresce  al  ge- 
nitivo ed  al  plurale,  simile  al  nome  Ji«/(fe,  del  quale 
la  recente  lapida  osca  pompejana  ci  fece  conoscere  la 
inflessione  Mediceis ,  o  che  si  voglia  credere  un  geni- 
tivo singolare,  come  piacque  al  eh.  sig.  Aufrecht ,  o 
jìiuttosfo  un  nominativo  plurale,  come  sembrò  a  me 
e  ad  altri  che  ne  ragionarono  (  vedi  le  osservazioni  del 
collega  Garrucci  in  questo  bidleltino  pag.  82).  E  cosi 
pure  sono  da  citare  Pùmpaiians ,  che  esce  in  Pùm- 
paiianeis,  ed  il  simigliante  Aadirans,  che  non  può  in- 
flettersi in  modo  diverso  da  Aadiraneis. 

In  questa  ipotesi  il  genitivo  di  Upils  sarebbe  Vpi- 
leis ,  e  sembra  corrispondere  al  latino  Upilius,  equi- 
valente ad  Opilius ,  con  una  ortografia ,  che  trova 
r  appoggio  ne'  migliori  codici  di  Virgilio ,  ove  si  leg- 
ge iipilìo  invece  di  opilio  (ecl.  X,  ver.  19),  e  nel- 
le annotazioni  di  Servio.  Ritenuta  dunque  la  lezione 
senza  punto  su'dueV,  non  troviamo  diflicoltà  in  quan- 
to al  primo  nome:  e  pare  che  neppur  se  ne  incontri 
nel  secondo  ;  perciocché  il  nome  Ufiits  non  è  mollo 
dissimile  dalla  gente  Ufclia,  che  leggesi  in  una  iscri- 
zione presso  il  Muratori  (  p.  MXXVII,  7).  Osservo 
poi  che  la  stessa  famiglia  fu  ravvisata  dagli  Ercola- 
nesi  nella  impronta  PVF  di  alcune  lucerne  puteolane 
[lucerne  p.  183  n.  4) ,  una  delle  quali  fu  pure  dame 
altrove  pubblicata  (  bull.  arch.  nap.  an,  II  p.  139). 


Ora  nella  esistenza  della  osca  famiglia  Ufìa,  trasferita 
in  quelle  vicinanze,  potrebbe  riconoscersi  un  confron- 
to nelle  accennate  lucerne ,  ove  ninno  ci  vieterà  di 
leggere  P.  Ufnis.  Se  per  contrario  supponiamo  o- 
messi  per  negligenza  i  punti  su'  due  V  ,  ci  troviamo 
colla  più  comune  ortografia  della  gente  Opilia;  se  pu- 
re dir  non  si  voglia  che  Upils  equivalga  al  latino  Ofi- 
Uus ,  o  O/fillius,  che  pur  tra'  prenomi  Osci  è  annove- 
rato da  Livio  (lib.  IX,  7  t.  II.  p.  834.  Drak.  ). 

L'altro  nome  Ufius  sarebbe  certamente  Ofius,  fami- 
glia, che  troviamo  in  una  latina  iscrizione  di  Aquino 
(Mommsen  inscr.  regni  neap.  lai.  n.  4346);  che  cor- 
risponde per  avventura  al  latino  Oi/«s  ricordato  come 
prenome  della  famiglia  Ca/aiva  dallo  stesso  Livio  (/.e, 
e  l.XI.c.26.).Che  poi  la  pronunzia  dell'S  fosse  presso 
gli  Osci  alquanto  più  dolce  rilevasi  ancora  da  quelle 
voci  nelle  quali  trovasi  adoperata  in  luogo  del  B,  tanto 
vicino  nella  pronunzia  al  V  latino:  tali  sono  il  Saftnim, 
delle  medaglie,  e  lo  Slafianam  della  iscrizione  viaria 
pompejana  ,  che  qui  particolarmente  ricordiamo. 

Abbiamo  dunque  che  un  Osco  Upilius  Ufius ,  o 
se  vuoisi  Opilius  O/ìus ,  fu  nella  Cumana  tomba  se- 
polto. Intanto  non  dovrà  parere  maraviglioso  che  la 
costruzione  e  gli  ornamenti  della  tomba  fossero  se- 
condo le  idee  de'  Greci  :  e  noi  faremo  brevemente  ri- 
levare alcune  particolarità  che  crediamo  più  impor- 
tanti. Prima  d' ogni  altro  riesce  di  sommo  interesse 
r  ornamento  del  nero  meandro  ad  onda  ,  e  della  o- 
norme  palmetta ,  che  costituiscono  l'unico  dipinto 
funebre  delle  interne  pareti ,  per  lo  confronto  che 
sorge  spontaneo  colle  pitture  de'  vasi  greci ,  ove  si 
scorge  frequentissimamente  il  meandro  ad  onda,  eie 
palmelte.  Ora  il  monumento  Cumano  illustra  ed  ap- 
poggia il  funebre  significalo  di  questi  ornamenti;  per 
lo  che  noi  crediamo  sempre  più  che  dal  meandro  ad 
onda,  non  altrimenti  che  dagli  ippocampi  e  dagli  altri 
marini  mostri,  si  faccia  allusione  al  passaggio  delle  a- 
nime  per  l'Oceano  onde  giungere  alle  isole  fortunate 
ove  possano  godere  di  una  novella  esistenza  (  Vedi 
mon.  ined.  di  Barone  pag.  71.  e  dono  deli'  Accad. 
Poni,  agli  Scienz.  p.  81  e  seg.).  Se  pure  dir  non  vo- 
gliamo che  colle  nere  onde  si  volle  nella  tomba  cu- 
mana accennare  all'  Averno  ,  ed  a'  fiumi  dell'  Orco , 


—  1G3  — 


presso  ì  quali  passar  dovevano  le  anime  de*  defunti ,  meno  ;  ed  abbemhè  lo  vediamo  circondalo  di  oggellt 

secondo  le  antiche  credenze  e  che  supponevansi  lan-  provenienli  dalla  greca  civiltà ,  jtiire  la  dilTerenza  del 

to  prossimi  a  qiie'  medesimi  sili,  a'quali  la  necropoli  costume  di  seppellire  le  bruciale  ossa  è  yià  un  fatto 

appartenne.  Nulla  diciamo  perora  sul si|^iiilicalo del-  guadaj^nalo  alla  scienza. 


la  palmella,  che  merita  forse  ulteriore  studio;  ma  do- 
po r  attuale  scoperta  cumana ,  chi  |)otrebbc  dubitare 
che  la  sua  intelligenza  dee  ricavai-si  dal  medesimo  or- 
dine di  idee  funebri;  mentre  la  veggiamo  formar  so- 
la l'ornamento  di  un  sepolcro,  dipinta  di  straordina- 
ria grandezza  ?  Ci  riserbiamo  di  discutere  in  allra  oc- 
casione questo  argomento;  conlenti  per  ora  di  accen- 
nare la  importanza  della  cumana  scoperta. 

Riesce  pure  interessante  il  vedere  le  stoviglie  in- 
teramente nere,  e  solo  adorne  di  dorature.  Questo 
uso  di  fregiar  di  dorature  i  vasi  dipinti  fu  osservalo 
nell'Altica,  e  nell'Apulia  ;  e  già  molti  esemph  ne  fu- 
rono da  noi  ricordali  [vasi  di  Jalla  p,  34  e  segg.  );  i 
quali  si  vanno  moltiplicando  alla  giornata.  I  novelli 
vasi  provenienli  dal  cumano  sepolcro  vengono  ad  au- 
mentar questi  esempli,  e  ne  estendono  la  località;  co- 
me poteva  agevolmente  prevedersi. 


Del  resto  (piesta  circostanza  de' greci  vasi  collocati 
nel  sepolcro  di  un  osco,  incontra  il  paragone  ne'  se- 
polcri di  Elruria  forniti  di  greco  ^as(■llame.  Ma  co- 
me dovrà  spiegarsi  la  comparsa  di  un  osco  sepolto 
nell'antica  Guma,  ed  a  qual  epoca  attribuirsi  un  tale 
avvenimento?  Oltre  il  commercio  continuo  di  Cunia 
con  popoli  osci,  per  modo  che  ebbe  a  dire  Vellejo 
Patercolo  che  la  loro  vicinanza  ne  avea  cangiati  i  co- 
stumi, osca  mulavil  vicinia  (lib.  1  .e. 4),  si  sa  che  fu  Cu- 
ma  in  molle  quistioni  co'Campani,  finché  non  ne  diven- 
ne la  comjuisla.  A  noi  pare  die  l' epoca  del  nostro 
sepolcro  non  debba  essere  mollo  distante  dal  33 "i  di 
Roma  ,  nel  qual  anno  si  trae  da  Livio  che  Cuma  fu 
presa  da'  Campani  :  Eodem  anno  ,  dice  lo  storico  ,  a 
Campanis  Cumac ,  quam  Gracci  lum  urhcm  tenebant, 
capiuntur  (lib.  IV  e.  44.). 

E  si  noli  che  la  nazione  de'Campani  era  surla  dopo 


La  maggiore  importanza  slorica  di  questa  scoper-  la  dominazione  de'Sanniti,  e  che  perciò  Sanniti  furono 

ta  ,  che  annunziammo,  si  è  la  sepoltura  di  un  osco  quei  che  si  impadronirono  di  Cuma.  Non  è  dunque  ila 

personaggio  in  una  tomba  di  Cuma.  Osservo  innanzi  dubitare  che  qualche  magistrato  del  popolo  vincitore 

tutto  che  il  sepolcro  palesandosi  della  medesima  e-  essendo  venuto  a  morire  verso  quel  tempo  fosse  sepolto 

poca  che  i  vicini  sepolcri  greci,  vi  si  osserva  però  la  nel  silo,  ove  erasi  trasferito  ad  abitare.  Chi  sa  che  non 

parlicolarilà  che  in  questo  il  cadavere  era  stalo  bru-  risalga  ad  epoca  anche  remota  la  denominazione  di 


ciato,  laddove  in  quelli  trovasi  nella  sua  integrità  se- 
polto. Uà  ciò  possiamo  desumere  essere  anche  uso 
degli  Osci  in  que' tempi  di  bruciare  i  cadaveri  de' loro 
estinti.  Ed  ecco  un'altra  iuleressanle  deduzione  tratta 
dalla  novella  scoperta.  Finora  non  abbiamo  rinvenuta 
alcuna  tomba ,  che  potesse  con  certezza  attribuirsi  a- 
gli  Osci.  Non  sono  ancora  trovale  le  necropoli  osche 
de'  popoli  Sannilici  :  la  necropoli  osca  di  Capua  non 
è  finora  comparsa  ;  e  finalmente  non  si  è  neppure  ri- 


Cumana  di  una  delle  porle  di  Capua  ,  come  si  legge 
in  una  latina  iscrizione  riferita  dal  Pratilli  [via  Appia 
p.  300) ,  che  non  sappiamo  perchè  il  eli.  Mommsea 
ponga  traile  false  o  sospette  (p.  21  n.  .333),  se  pure 
non  è  pel  solo  nome  dell'  editore. 

Vogliamo  chiudere  queste  brevi  osservazioni  col- 
r  avvertire  che  d'  oggi  innanzi  si  dovranno  allen- 
tamcnle  studiare  i  sepolcri  di  Cuma  ;  giacché  sia- 
mo persuasi  che  altre  scoperte  osche  venir  potranno 


trovata  quella  dell'osca  città  di  Pompei,  che  si  potrà     ad  illustrare  i  costumi,  specialmente  fuuebii,  de'po- 


per  avventura  ricercare  sotto  i  sepolcri  romani  ,  che 
sono  verso  la  porta  e  la  strada  Slabiana.  Di  fatti  lui- 
te  le  iscrizioni  osche  finora  venute  alla  luce  sono  sa- 
cre 0  pubbliche;  non  se  ne  addita  alcuna,  che  si  rife- 
risca a  sepolcro. 

Un  cerio  sepolcro  di  un  osco  è  un  prezioso  feno- 


poli  sannilici ,  che  per  la  massima  parte  ci  restano 


Ignoti. 


Ml.MÌRVLM. 


—  166  — 


Tavola  aquarìa  miafrana ,  continuazione  del  n,  i5. 

Articolo  quarto.  Della  dispensa  delle  acque  in  città. 
EAM  AOVA>I  DISTRIBVEUE  DISCRIBEHE  VEN- 
DVNDI  CAVSA.  Clie  senso  si  abbia  il  discribere  kssi 
cLiaro  da  Frontino.  Parlane  egli  all'  artic.  87.  dopo 
aver  dello  delle  luci  dei  condotti  che  trasmettevano 
l'acqua  in  Roma  ,  e  del  loro  numero:  Hacc  copia  a- 
qnarum  ad  hune  modum  dcfcribelalur,  e  nell'art.  98. 
Primus  M.  Agrippa  dcscripsil  quid  aquamni  puhlicis 
operibus,  quid  lacubus  quid  privaiisdarelur.  Nei  quali 
due  luoghi  seguesi  la  ortografia,  che  pare  approvarsi 
anco  dal  Forcellini,  ove  dice:  Discribopro  describo  scri- 
bi volunt  nonnuìli  apud  Cicer.  deSened.c.S.elc.quolies 
dislributionem  ac  divisionemnotat.  Matteo  Egizio  spie- 
gò il  DISMOTA,  se.  de  Bachan.  colla  inserzione  ar- 
caica della  S ,  come  in  dusmomm  in  Casmena,  in 
Pocsnis  etc.  Assai  più  naturalmente  parmi  si  possa 
derivare  dalla  particella  DIS ,  che  tanti  verbi  com- 
pone, ed  a  cui  io  credo  debba  riferirsi  il  diicribo  della 
tavola  Venafrana  ripetuto  poscia  anco  in  DISCRIPTA 
della  lin.  43  ;  almeno  per  ciò  che  riguarda  l' inten- 
zione dello  scriltore  antico ,  che  lo  ha  voluto  adot- 
tare ;  ma  nel  caso  presente ,  parmi ,  poter  esservi 
luogo  all'una  ed  all'altra  opinione.  Quello  che  im- 
I)orta  è  il  vedere  qual  differenza  facessero  gli  antichi 
Ira  le  divisioni  che  esprimono  col  vocabolo  distribiiere, 
e  le  assegnazioni  della  grossezza  della  fistola ,  e  del 
luogo  onde  traeva  l'acqua,  che  significano  colla  voce 
di^cribcre.  Più  tardi  descriplio  si  adoperò  a  significare 
]a  rata  dei  possessori  delle  acque  per  le  rifazioni  del- 
l'acquidollo  (L.7.  C.  de  Aquaed.Ji  Nemo  eorum  qui 
jus  aquac  possidenl ,  quamcumque  descriplionem  su- 
slineat;  nam  execrahile  videlur,domoshuiusalmae ur- 
bis aquam  habcre  venalcm.  Queste  divisioni  ed  asse- 
gnazioni erano  comprate  dal  pubblico,  e i  compratori 
ne  pagavano  ogni  anno  la  tassa  assegnata.  Ego  J'uscu- 
ìanis  prò  aqua  Crahra,  dice  Cicerone,  vecligal  pen- 
datn  (Agr.  3.  e.  2.  in  fin.).  Che  specie  di  contratto 
sia  questo  Io  ha  dichiarato  il  prof,  Momins.  a  p.o8,o9, 
ove  dimostra  qual  senso  si  abbia  il  ]'endundi  seguilo 
dal  Vectigal.  Era  una  vendita  della  ]>iù  propriamente 
aflìtlo.  La  facoltà  di  distribuire  le  acque,  assegnarne 


la  misura  ,  e  fissarne  il  prezzo  di  affitto  è  lasciata  ai 
Duumviri  o  Prefetti  della  Colonia  ,  che  ne  faranno 
proposta  in  consiglio  ,  quando  saranno  uniti  i  due 
terzi  dei  decurioni  ;  ove  fisseranno  ancora  le  leggi  ge- 
nerali, e  particolari  della  distribuzione,  dell'assegna- 
zione ,  e  del  dazio ,  lo  che  dicesi  decernere ,  1.  44 ,  e 
legem  dicere,  1.  41.  Veggonsi  poi  adoperati  due  verbi 
imponcre  e  consliluere,  e  non  fuori  di  ragione  :  peroc- 
ché consliluerc  dinoia  stabilire  quel  dazio ,  che  poi  si 
impone ,  onde  imponere  suppone  che  siasi  già  consii- 
tuito  (cf.  Cic.  Agr.  2.  21.  Plin.  Paneg.  41.  37.  Liv. 
XXIX.  e.  37.  nei  quali  luoghi  aWoslalucre,  insliluere 
vedi  aggiunto  costantemente  nomim  ). 

UVIRO  •  IIVIRIS  etc.  Prevede  qui  la  legge  il  caso 
che  un  solo  governasse  senza  collega,  lo  che  accadde 
talvolta  in  Roma,  e  lo  conoscevamo  già  avvenuto  nei 
municipii;  che  però  in  due  lapidi  di  Miniurna  si  legge 
AEDILl-SOLO  (1).  Lo  stesso  polca  accadere  nel  tem- 
po in  che  governava  un  prefello ,  e  forse  anche  nella 
elezione  medesima. 

EX  MAIORIS  eie.  Il  Mommsen  p.  S8,  ha  già  ad- 
dotto il  confronto  dalle  leggi  del  Digesto ,  ove  si  ri- 
chiamano queste  disposizioni. 

DVM  NE  EA  AQVA  etc.  Gran  dissenso  è  Ira  i 
commentalori  di  Frontino,  il  quale  nel  e.  103  avreb- 
be arrecalo  in  prova  di  un  suo  assunto  la  legge  del 
743  ,  che,  stando  ai  termini  in  che  ò  riportala  ,  non 
solo  noi  conferma,  ma  invece  gli  si  oppone.  Stabili- 
sce ivi  Frontino ,  che  non  si  permetta  a  veruno  di 
attaccare  al  bottino  una  fistula  di  piombo  di  maggior 
luce ,  della  erogazione  del  bollino  a  se  concessa  ,  o 
ciò  per  tutti  i  primi  cinquanta  piedi  di  sua  lunghezza. 
Ciò  essersi  prescritto  dal  SC.  che  egli  vi  sottopone  : 
Ex  scnatus  consulto  quod  subiectum  est,  cavelur.  Indi 
noi  Senatus, Consulto  leggonsi  queste  parole:  si  esti- 
malo dover  decretare  ,  che  a  ninno  di  coloro  ,  che 
avessero  concessione  di  tradursi  l'acqua  dall' acqui- 
dollo pubblico  ,  fosso  lecito  Ira  i  cinquanta  piedi  di 
distanza  dal  castello  di  divisiono  apporre  una  fistula 
più  larga  della  quinaria  :  NE  CVI  EORVM  QVIBVS 

(I)  Il  Mommsi^n  perslslc  ancora  opiiiamlo  tlio  il  SOLO  possa  es- 
sere un  novello  nuuiiclpio,  Oi  cui  siasi  smarriia  affallo  la  traccia 
(  /.  i>',  p.  462  ). 


—  167  — 


AQVA  DARETVR  PVBLICA  IVS  ESSET  INTRA 
QVINOVAGINTA  PEDES  EIVS  CASTELLI  EX 
QVO  AQVAM  DVCERENT  LAXIOREM  FISTV- 
LAM  SVBIICERE  QVAM  QVINABLVM.  Or  se  al 

743  dispose  il  Senato,  che  ninno  oKencsse  un  fistola 
dì  lume  maggiore  della  quinaria,  dove  è  scrillo,  die 
i  lumi  delle  fistole  non  siano  maggiori  nò  minori  dei 
lumi  di  erogazione?  lo  che  volea  Frontino  confermato 
precisamente  con  questo  SC.  Forse  il  dilllcile  proble- 
ma si  scioglierebbe  ,  se  potesse  dimostrarsi ,  che  la 
voce  QVINARIA  qui  non  è  tolta  nel  senso  di  parti- 
colare misura,  ma  nel  generale  di  unità  di  dispensa, 
cosicché  la  Quinaria  fosse  sinonimo  di  fistola  croga- 
toria ,  alla  quale  si  desse  quel  nome ,  siccome  sareb- 
besi  potuto  dir  modulo.  Allora  QVAM  QVIXARL\3I 
sarebbe  eguale  a  QVAM  DATAM ,  ADTRIBVTAM 
QVL\ARIAM,  a  QVAM  DATAM  ADTRIBVTAM 
QVIXARIAE  MEXSVRAM,  a  QVAM  SVAM  QVI- 
NARIAM,  e  forse  il  SVAM  sarà  caduto  dal  testo  per 
somiglianza  di  cifra  col  vicino  QVAM.  Altrove  Fron- 
tino r  usa  :  p.  e.  al  e.  27  :  Ex  Caslcllo  singuìi  SV VM 
MODVM  RECIPIVNT,  c.33.  Respondcrc  MODVLO 
SV'O;  e  senza  ciò,  nell'art.So  ha  egli  apertamente  in- 
segnato, che  il  modulus  si  scambiò  di  poi  coWa  fislula 
quinaria:  Poslea  modulus  venit  appellalus  quinario  no- 
mine. Paragoni  ciascuno  il  e. 26.  Ulendum  csl  suhstan- 
tia  quinariae,  qui  modulus  d  ccrlissinius  ci  maxime  re- 
ceptus  est;  ove  lo  slesso  Poleui  non  lascia  di  annotare: 
Idesl  quinaria  lanquam  communi  mcnsura.  Or  se  può 
dirsi ,  non  si  faccia  il  tubo  di  luce  maggiore  del  suo 
modulo  ,  ossia  della  luce  di  erogazione  ,  nulla  vieta  , 
che,  sostituito  il  vocabolo  quinaria  al  modulo,  si  dica, 
non  si  faccia  il  tubo  di  luce  maggiore  di  sua  quinaria, 
ossia  della  luce  corrispondente.  Dopo  tale  spiegazione 
apparirà  la  legge  Elia  del  743  prevenuta  come  altro 
dal  precedente  decreto  Venafrano,  intercedendovi  solo 
due  varietà  :  la  prima ,  che  nel  nuovo  S.  C.  si  deter- 
mina ,  oltre  alla  distanza  di  50  piedi,  ancora  la  uni- 
formità dei  due  moduli  Verogatorius,  e  ì'acceplorius  : 
la  seconda  che  ove  nel  nostro  decreto  si  scrive  AB  • 
RIVO ,  nel  S.  C.  Eliano  invece  si  dica  ,  EIVS  •  CA- 
STELLI •  EX  •  QVO.  La  ragione  di  questa  seconda 
diversità  ci  è  data  da  Frontino  medesimo ,  il  quale 


osserva  che  nel  7'i.l  per  la  prima  volta  fu  detcrmi- 
nato non  permettersi  di  trarre  acqua,  se  non  rlai  Ca- 
stelli ,  perchè  i  rivi ,  e  le  fistole  non  si  forassero ,  e 
lacerassero  nel  corso  tante  volte,  e.  100.  In  hoc  Sc- 
nalus  consulto  dignum  adnolalionc  est ,  cpiod  uquam 
nonnisi  ex  Caslcllo  duci  permillil ,  ne  aul  rici  ani  /ì- 
slulac publicae  frcqucnler  lacercnlur.  Il  prof.  Monnusen 
dice,  che  «  la  legge  Venafrana  ò  somigliante,  ma  noo 
la  stessa  della  romana  ,  se  pur  non  si  suppone  ,  che 
fislula  del  decreto  significhi  la  fislula  quiuaria  x-xr^ 
ì^oxV  »  :  ma  cosi  non  si  spiegherà  mai  il  controverso 
luogo  di  F'rontino.  Dopo  i  tempi  di  Frontino  cmana- 
ronsi  altri  decreti  intorno  al  modo  di  erogazione.  Nella 
legge   1  ,  §.  41  ,  D.  de  aqua  cottidiaua  ;  Pcrmittitur 
aquam  ex  castello ,  vel  ex  rivo ,  vel  ex  quo  alio  loco 
puhlico  ducere  (  Ulpian.  ad  Edict.  ).  Nel  C.  Tcod.  de 
aquaed.  XV.  1.   o.  al  389  si  restrinse  il  di\ieto  alle 
sole  fistole  :  Aut  ex  castcllis  aul  ex  ipsis  formis  iuhe- 
mus  elicere,  ncque  earum  fislularum,  quas  nuilriccsvO' 
card,  cursum ac soliditalem  allenlare.  Il  Gotlifrcdo  spie- 
ga in  altro  modo  la  forma  (C.Theod.l.c.).In  altra  del 
39o  si  concedono  solo  i  castelli:  Quicumquc  ex  aquac- 
duclu  magis  quam  ex  caslellis  aquac  usum pulaveril  dc- 
rivandum,  eliam  id  ctc.  (C.Tlieod.  de  aquaed. XV. 6.). 
Con  tali  annotazioni  ho  cercalo  dicbiirare  alcuni 
luoghi   più  classici  della  tavola  aqunria  ^c^afralla. 
Nou  potendo  commodamenle  soddisfare  a  lutto  ciò , 
che  ancora  me  ne  resterebbe  a  dire  nei  fogli  di  que- 
st'anno,  ne  rimetto  la  trattazione  al  secondo  volume 
del  nostro  Bulletlino,  quando  mi  rifuò  sopra  la  le- 
zione medesima  di  essa,  nei  luoghi,  ove  so  che  ve  no 


ha  bisogno. 


Garuccci. 


Questioni  pompeiane:  Significato  probabile  del  nome 
Pompei. 

Coloro  che  ci  deducono  POMPEI  da  'Trqx.Trùov , 
greco  vocabolo,  spiegato  da  loro  C))t/)o;-("o,  errano  gra- 
vemente :  perocché  la  piazza  di  coiiuncrcio  i  greci 
dissero  'E/attodìov,  e  i  latini  Emporium ,  il  qual  voca- 
bolo di  solenne  anpellazione,  non  si  trova  mai  scam- 
biato con  'Koix'Triì'-A,  Gli  Osci  scrivono  coslantenienle 
RIIRnl+iVn,  Pùmpaiia,  e  i  codici  di  Straboue  ll^x- 


168  — 


•Kyl-3.,  TJyi-rux,  e  U'MTr/x  Tariamenfe  'V.  IV,  8. 
Kramer).  Qaeslo  diliir«>nfe  geo^Tafo  dice,  che  Pom- 
pei era  un  luogo  eeolrale  di  commercio  d«rlle  cillà  vi- 
dae ,  Ira  le  qnali  Domina  segnatamenleXob,  Acerra 
e  Xocera  :  onde  forse  potrebbe  probabilmeole  dedarsi 
tbe  Pompei  prima  di  riee>  ere  l'appellatilo  onorevole 
di  città ,  fosse  realmente  un  luogo  di  deposito  delle 
merci ,  che  sol  fiume  Samo  erano  recate ,  e  che  m 
BQolti  pubblici  edifiiii  fossero  edificati  dalle  >icine  città 
a  riceverle ,  e  conservarle.  Se  ciò  par  vero,  io  credo 
assai  verosimile  ,  che  il  nome  "K'jx-xìi'jt ,  debba  de- 
dursi  dai  pubblici  edifizii  ;  trovando ,  che  ToaTaor 
Mgnifica  'Axrjxx  x'Ai'Jt  Degli  antichi  glossarii.  In  senso 
non  dissimile  Manio  Aquilio ,  o  chi  altro  fu  l' autore 
della  via  che  passava  per  ìiarctllianum,  e  metteva  ad 
eolumnam  Bkerjn  ,  nella  celebre  lapida  di  Polla,  dice 
di  aver  costruito  il  forum  eie  aedes puhlicm,  FORVM 
AIDISOVE  POPLICAS  HEIC  FECEl  :  il  qual  con- 
fronto rende  assjii  ragionevole  il  peasare  che  i  Cam- 
pani dalle  ■TryxTT-Tx ,  aedu  publicae,  traessero  il  nome 
della  loro  Pompei. 

GABBUCa. 

f .  Tomografia  dd  Ve$utio. 

Il  Vesuvio  a  partir  dalla  sua  eima ,  detta  ora  di 
S^jmma,  andava  dichinando  verso  Pompei  che  gli  se- 
deva all'  ultima  radice  su  di  una  eollinella  tufacea 
inclinata  ancor  essa  a  mezzodì.  >'el  vasto  cratere,  ore 
ora  sorge  il  gran  cono  fumigante,  erano  sole  vestigia 
di  aver  arso  una  volta  :  però  ceneri  ,  e  scorie ,  e  po- 
mici da  per  tulio ,  si  nel  concavo  del  cratere ,  che 
all'  estradosso  e  sulle  più  erte  pendici.  Dipoi  comin- 
ciavano i  terreni  vegetali,  e  tutto  vi  appariva  vestilo 
di  ^ili  e  di  alberi  pomiferi,  segnatamente  di  fichi ,  che 
avevano  celebrità.  Queste  notizie  le  dobbiamo  a  Slra- 
booe,  a  Catone ,  a  Varrone ,  i  luoghi  dei  quali  scrit- 
tori 80O0  stali  già  allegali  da  altri.  Nel  79  di  Gesù 
Cristo  questo  vulcano  già  spento ,  del  quale  si  ave- 
vano s^jIo  va^be  notizie  che  avesse  arso  allra  volta,  si 


riapri  nel  cratere  antico  il  condotto  alle  esalazioni 
gazose ,  spingendo  cosi  per  aria  una  massa  enorme 
di  ceneri ,  di  pietrucce  calcinale,  di  frantumi  d'  ogni 
maoiera ,  che  elevandosi  da  quella  roragnie  a  secon- 
da dei  venti  gagliardissimi ,  che  le  spingevano  abbon- 
danti piov-vero  intomo  intomo  ,  sepellcndo  di  sot- 
to Ercolano,  ed  Oplunti,  e  coprendo  molta  parte  noa 
solo  di  Pompei  e  di  Stabia  col  seno  di  mare  che  en- 
trava tramezzo,  ma  ancora  delle  più  rimote,  Capri  e 
Miseno.  Quella  porzione  di  cenere,  e  di  materie  sco- 
riacee, che  ricadeva  nel  cratere  antico,  attorno  alla 
aperta  voragine  di  esplosione,  vi  andò  formando  il  co- 
no che  seguitò  a  fumigare,  ed  a  mostrar  gli  acceodi- 
menti  gazosi  molto  tempo  dappoi;  scrivendo Minucio 
Felice  alla  seconda  metà  del  secolo  secondo  di  Roma 
erìstiana  del  Vesuvio ,  come  dell'  Etna  :  Siati  ignet 
Aelnae  et  Vesutii  flagrant ,  nec  erogarUttr  (Miouc.  io 
OcUv.  Lugd.  1709,  p.  362  ). 

Non  è  ancor  bene  esplorato  quanta  parie  di  mare 
fra  il  Samo,  e  Stabia  restò  dalle  pomici  ingombralo: 
sol  si  può  dire ,  che  il  tratto  di  terra  ,  ove  sono  sta- 
ti scoperti  sinora  dodici  alberi  di  nave,  è  distante  dal 
mare  circa  230  tese ,  e  tiene  incontro  Io  scoglio  di 
Bivigliano ,  o  pelra  Herculis  (  v.  a  p.  29  la  relazione 
inserita  negli  Annali  civili  del  regno  ) ,  e  che  nelle 
campagne  sottoposte  alle  colline  di  Lettere  una  con- 
trada si  chiama  le  marine,  e  che  ivi  ed  altrove  si 
trovano  conchiglie  e  reliquie  di  animali  marini.  È  as- 
sai verosimile,  che  il  mare  occupasse  in  questa  parte 
quasi  tré  moderne  miglia  ,•  perocché  Plinio  confava  a 
suoi  tempi  nove  miglia  di  distanza  Irà  Nocera  e'I  ma- 
re: Ager  nucerinm,  et  Villi  milìia  paxmum  a  mari, 
ifiia  Nueeria  ;  che  fenno  sei  miglia  e  due  quinte  parti 
della  nostra  misura  ;  ed  ora  ,  dirollo  colle  parole  del 
Cluverio.  «  a  Scafali  oppido  ad  yoceram  deprehendi 
millia  passnum  VI  paolo  amplins ,  et  ab  eadem  Sca- 
fali oppido  ad  mare  et  ostiam  Sami  ferme  HI.»  (Ital. 
AnL  p.  1187). 

Garrtcct. 


P.  Raffaele  Gabbccci  d.cd.g. 
GicLio  Mi.vEBvi.M  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cata-seo. 


BlLlEimO  ARCnEOlOGlCO  IVAPOLITAXO. 


N°  22. 


NUOVA    SERIE 


Ma-do  1SÒ3. 


Meilagìic  ìnedile. — Ciiutta  all'  artiiolo  precedente.  —  VafO  Xoìano  con  la  piujna  di  Ercole  contro  le  Amazzoni. 


Medaglie  inedile. 

1.  ì'aletiiim.  u  Ad  undici  miglia  da  Brundisium 
«  al  di  là  di'l  fiume  Pastium,  cb'è  il  Paclium  di  Pli- 
«  nio,  la  tavola  poutiiigeriana  situa  la  città  di  Balenlium 
«  chiamala  Valentia  nell'  itinerario  gerosoliniilano. 
«  Non  è  da  dubitare  che  questa  città  non  sia  la  stessa, 
«  che  il  Valetiuni  di  31cla,  la  cui  enumerazione  pro- 
«  cede  coir  ordine  seguente  (lib.  II  e.  IV):  lani  in 
«  Calahria  lirìindi^ium ,  Valeliam,  Liipiae,  IIijdru<. 
«  Plinio  adottando  l'itinerario  inverso,  dice:  Ab  llij- 
«  drunle  ....  Liipia  ,  Jìalesium,  Caelium,  Bnindi- 
«  sium.  Lai  che  si  può  conchiudere  che  questo  Ba/c- 
a  sium  è  identico  col  )a/e/(i(j«  di  Mela  ,  che  Plinio 
«  assai  di  sovente  trascrive  », 

Questi  dill'erenli  testi  di  antichi  scrittori  raccolti  e 
fra  loro  confrontati  da  Cellario  nella  sua  opera  sulla 
geografia  antica  (ed.  Lipsiae  1701  pag.  800)  forni- 
scono il  mezzo  di  classificar  con  certezza  una  meda- 
glia molto  interessante  della  mia  collezione  ,  della 
quale  ecco  la  descrizione  : 

^A®3AA1.  Arione  sedente  a  dritta  Sìd  delfino,  e  ve- 
duto di  schiena ,  stende  il  braccio  dritto  ed  abbassa  il 
sinistro;  più  in  yià  un  piccolo  delfino  nuotante  a  dritta. 
^  ^A®3AAì.  Luna  crescente  colle  punte  dirette  ver- 
so il  suolo;  sotto  un  ijlobctlo  situato  giusto  nel  centro 
della  medaglia;  più  in  giù,  un  delfino  nuotante  in  senso 
inverso  della  luna.  Fra  la  detta  luna  ed  il  delf)H)  ìH, 
A^.  Didraramo  di  fabbrica  aulica  e  barbara.  (  Tav. 
XI.  Dum.  1  ). 

Le  collezioni  di  medaglie  ne  contenevano  già  alcune 
di  fabbrica  tarantina  della  bella  epoca  dell'arte  di  oro 
e  di  argento ,  con  alcune  leggende  barbare  in  carat- 


(eri  greci ,  come  sono  VNVANIQ  ,  dei  quali  non  si 
era  tentata  la  spiegazione.  Sarà  forse  oggimai  più  fa- 
cile di  raggiungerla,  osservando  che  in  epoca  remota  i 
Mcssapii  imitando  i  didrammi  arcaici  di  Taranto  face- 
vano uso  de'  caratteri  greci,  ed  adottavano  il  tipo  del 
Taras ,  che  sulle  medaglie  di  BrundisiumaìiButan- 
tum  ,  si  trasfoiina  in  Arione  tenente  la  sua  lira  ,  se- 
condo la  tradizione  conservata  da  Erodoto  (lib.  I,  e. 
23).  La  leggenda  greca  FAAE9AI ,  retrograda,  in 
caratteri  molto  arcaici,  essendo  ripetuta  al  ritto  ed  al 
rovescio  non  può  lasciare  alcun  dubbio.  Vi  si  osserva 
il  digammi,  che  nell'alfabeto  osco-sannitico  ha  il 
valore  del  V  ,  del  B  o  dell'  F  de'  Latini.  11  0  impie- 
gato in  luogo  del  T  o  del  5!  dimostra  l' alterazione 
della  lingua  greca  presso  i  barbari  ;  e  siamo  colpi  i 
dalla  rassomiglianza  di  queste  due  leggende  con  le 
iscrizioni  messapiche  raccolte  e  pubblicate  da  poco  , 
sia  dal  Sig.  Monuusen ,  sia  da'  dotti  collaboratori  del 
bullellino  archeologico  naiwlitano. 

11  nostro  didrauuno  serve  altresì  a  fissare  diversi 
punti  di  geografia  e  d' istoria.  Esso  determina  il  vero 
nome  aulico  della  citlà,  che  i  geografi  latini  han  chia- 
mato Balenlium,  Valentia,  ì'aletium,  Balesium.  Ja- 
letium  è  il  vero  nome,  già  riportalo  da  ^lela  ;  ed  os- 
servando la  legge  di  permutabilità  delle  cònsonauli 
della  medesima  natura.  Balcsium  sarebbe  il  nome  che 
più  vi  si  accosterebbe. 

ì'aletiuni  era  una  città  aulica;  l'arcaismo  del  suo 
tipo  e  della  sua  leggenda  lo  pruovano  :  il  suo  com- 
meicio  e  la  sua  ricchezza  sono egualmenle dimostrali 
dalla  esistenza  medesima  del  suo  didrauuno  ,  forte 
moneta  per  un  paese  che  ha  battuto  pochissimi  pezzi 
di  questo  valore.  In  quanto  al  tipo  del  rovescio ,  la 

23 


170  — 


luna  crcsconle  con  un  delfino  richiama  le  medaglie  di 
Zande.  La  luna  comparisce  ancora  sopra  alcune  me- 
daglie di  bronzo  assai  più  recenti  di  Lucerla  e  di  La- 
rinum.  Non  può  esser  qui ,  come  a  Zancle,  la  pianta 
di  un  porto  in  forma  di  falce,  ornato  di  fortificazioni 
sopra  un  Lello  esemplare  del  museo  britannico.  Que- 
sto medesimo  simbolo,  che  s'incontra  in  Populonia, 
in  Tespie ,  sopra  alcune  medagliuzze  di  Atene,  e  so- 
j)ra  un  doppio  statere  di  Cizico  ,  ove  ricopre  la  testa 
di  Medusa,  deve  essere  allusivo  al  cullo  della  Luna- 
Ecate  in  Messapia  sottomessa  alla  influenza  greca.  Il 
globetto  nel  mezzo  del  rovescio  sembra  esser  non  altro 
che  il  punto  centrale  del  conio,  come  tanto  spesso  si 
scorge  sulle  antiche  monete.  Qui  non  può  aver  cer- 
tamente alcuna  significazione  relativa  al  valore  del  nu- 
merario ,  che  si  trovi  in  un  didrammo. 

Non  si  saprebbe  stabilir  con  precisione  il  senso  delle 
due  leKcre  siluale  nel  campo.  H  serve  di  aspirazione, 
o  di  spirilo  denso  ,  sulle  medaglie  e  sulle  tavole  di 
Eraclea ,  come  sopra  numerosi  vasi  italioti.  Per  for- 
mare un  suono  con  l'aspirazione,  bisogna  che  il  di- 
gamma seguente  faccia  l'uflizio  del  V  latino,  cioè  a 
dire  della  consonante  V  e  della  vocale  U.  Novella 
pruova  che  la  medaglia  appartiene  realmente  a'  Mes- 
sapii  e  non  già  ad  una  colonia  greca. 

2.  Sijbarìs.  I  didrammi  di  Sibari  di  stile  arcaico  ed 
incusi  non  hanno  offerto  finora  alcuna  notevole  varie- 
tà. Le  sole  differenze,  che  vi  si  osservano,  sono  nella 
posizione  della  leggenda  ,  e  nell'  ornamento  che  ac- 
compagna il  toro  fermo  e  respicienle  indietro.  Eckhel 
attribuisce  a  Sibari  un  didrammo  incuso ,  senza  epi- 
grafe, col  tipo  del  toro ,  sul  cui  dorso  posa  un  grillo 
fdoctr.  num.  vel.  p.  I  vol.Ipag.  ÌQIJ;  ma  un  esem- 
plare di  questa  rara  medaglia  da  me  posseduto  porta 
per  leggenda  XM\  ali' esergo,  da'  due  lati.  Di  ma- 
niera che ,  senza  aver  veduto  il  didrammo  descritto 
da  Eckhel,  si  può  conghiellurare  ch'egli  ebbe  in  ve- 
duta una  moneta  simile,  di  cui  la  leggenda  o  mancava 
del  tutto  ,  0  non  era  ben  conservata. 

11  didrammo  ,  che  noi  qui  pubblichiamo  (  Tav.  XI 
n.  2),  è  di  un  tipo  assai  differente.  Vi  si  vede  un  loro 
cozzante  a  sinistra  e  guardando  innanzi.  La  leggenda 


BAP 


y^j  comincia  all'esergo,  e  finisce  nella  parie  inferiore 


del  campo.  Al  rovescio  non  vi  è  alcuna  epigrafe;  ma 
il  tipo  del  toro  cozzante  vi  si  riproduce  in  cavo  a 
dritta.  Questa  medaglia  fa  parte  della  mia  raccolta. 

11  tipo,  del  quale  presentiamo  la  descrizione,  è  di 
un  lavoro  arcaico  e  grossolano.  Non  può  paragonarsi 
co'  conii  incusi  di  Sibari ,  di  stile  più  antico  ,  la  cui 
esecuzione  qualche  volta  assai  accurata  e  delicata  pa- 
lesa un'arte  pralticata  da  mani  abili.  Ma  vi  si  vede  la 
transizione  fra'  medaglioni  incusi  ed  il  didrammo  a 
doppio  rilievo  della  collezione  S.  Angelo ,  nel  quale 
si  osserva  dalle  due  facce  un  toro  gradiente  ,  di  un 
lavoro  fermo  e  semplice  al  tempo  stesso,  che  fa  pre- 
sagire il  termine  dello  stile  eginetico.  Immediatamente 
dopo  questo  didrammo  ,  noi  dobbiamo  classificare 
r  altro  didrammo  della  medesima  collezione ,  in  cui 
si  vede  da  un  Iato  Nettuno  combattente  ed  un  augello 
volante  innanzi  a  lui,  dall'altro  lato  un  toro  gradiente, 
assolutamente  come  sul  didrammo  di  Posidonia  del- 
l'epoca intermediaria.  Lo  stile  elegante  di  questa  rara 
medaglia,  forse  unica,  si  approssima  ancora  a  quello 
degli  Egineli  :  nondimeno,  il  suo  merito  dee  far  sup- 
porre che  fosse  del  numero  delle  ultime  monete  bat- 
tute da' Sibariti  pria  della  distruzione  della  loro  città; 
e  dobbiamo  egualmente  rimanere  sorpresi  che  ad  un' 
epoca  tanto  remola,  l'arte  d'incidere  i  conii  fosse  già 
pervenuta  ad  un  tal  grado  di  perfezione.  É  inutile  di 
ricordare  che  le  piccole  medaglie  di  Sibari  col  tipo 
della  testa  di  Minerva ,  ed  al  rovescio  il  toro  rivol- 
gendosi ,  o  la  testa  del  toro  soltanto ,  appartengono 
alla  Sibari  fabbricata  sulle  rive  del  Crathh,  quindi  ab- 
bandonala poco  prima  della  fondazione  di  Turio. 

3.  Syracusae.  Allela  nudo,  stante,  a  sinistra,  col 
corpo  inclinato  in  avanti,  e  servendoti  della  striglie  per 
togliere  dalla  sua  gamba  sinislralolio  e  la  polvere  della 
palestra. 

I^  5^TPAK05;iON  scritto  sul  giro  di  uno  scudo  ro- 
tondo ,  convesso,  veduto  di  faccia,  ed  ornato  nel  centro 
di  una  testa  di  Medusa.  A/.  Della  mia  collezione  (Tav, 
XI.  num.  3). 

Non  era  slato  ancora  pubblicalo  questo  tipo  raro  e 
curioso  :  io  non  ne  conosco  che  due-esemplari. 

La  numismatica  de' Siracusani  è  poco  antica  perle 
monete  di  oro.  Non  vi  è  luogo  a  credere  eh'  essa  ri- 
salga al  di  là  del  tempo  di  Dionigi  il  giovine.  Sotto  il 


—  171  — 


rapporlo  epigrafico  la  nostra  dramìTia  d' oro  sembra 
essere  una  delle  più  antiche  batlule  a  Siracusa  ,  poi- 
ché vi  si  vede  ancora  Vomici  oii  invece  deli'  omega.  II 
lavoro  della  lesla  di  Medusa  nel  mezzo  dello  scudo  è 
forse  un  poco  più  recente  di  quello  dell'  atleta  nel 
litio  ,  di  cui  r  attitudine  e  le  forme  gracili  ricordano 
certe  figure  della  palestra  sugli  scarabei  etruschi  :  e 
questa  osservazione  porla  a  credere  che  siasi  ripro- 
dotta su  questa  medaglia  una  statua  celebre  ,  proba- 
bilmente di  bronzo,  lavorata  da  qualche  scultore  uscito 
dalla  scuola  di  Egina.  L'insieme  di  questa  figura  mo- 
stra che  la  statua,  della  quale,  secondo  noi,  fu  copia, 
era  molto  più  conforme  alle  vere  regole  dell' arte  che 
l'altra  statua  di  atleta  recentemente  scoperta  in  Roma, 
e  conservata  al  Vaticano.  Se  ne  avessi  il  tempo,  e  se 
i  mezzi  di  ricerca  fossero  a  mia  disposizione  ,  mi  sa- 
rebbe probabilmente  agevole  di  ritrovare,  o  nell'istoria 
o  nelle  Verrine,  qualche  passo  relativo  a  questa  statua 
Siracusana ,  di  cui  la  nostra  medaglia  sembra  consa- 
crar la  memoria.  Non  sarebbe  impossibile  che  questa 
figura  avesse  rappresentato  un  atleta  siracusano  vin- 
citore ne'  giuochi  olimpici,  ne'  quali  le  quadrighe  di 
Siracusa  ottennero  sì  di  sovente  il  premio,  che  le  loro 
vittorie  divennero  il  soggetto  abituale  de' rovesci  sulle 
monete  di  questa  grande  città. 

4 ,  5.  Due  medaglie  puniche  coniate  in  Sicilia. 

La  prima  di  queste  medaglie  è  un  tetradrammo,  che 
faceva  parte  altra  volta  della  collezione  Avellino.  Ec- 
cone la  descrizione  ; 

....  OSION.  Testa  di  donna  a  dritta,  co'  capelli 
sollevati  e  ritenuti  da  una  stephane. 

J^.  ì<^ii  in  caratteri  punici.  Figura  che  guida  una 
quadriga  lenta  a  dritta:  al  di  sojìra  della  leggenda  ve- 
siigii  di  una  Vittoria ,  che  corona  i  cavalli;  all'esergo, 
un  grano  d' orzo.  (Tav.  XI  n.  4.). 

Il  tipo  della  seconda  eh'  è  un  didrammo ,  che  ora 
siccome  la  precedente,  fa  parte  della  mia  collezione, 
è  il  seguente  ; 

y»J£  in  caratteri  punici.  Al  disotto  e  fra'  caratteri 
punici  KIB.  Testa  di  donna  a  dritta,  co'  capelli  cadenti 
dietro  il  collo,  e  sollevati  da  un  diadema.  Intorno,  Ire 
delfini. 

I^.  Cane  levriere  a  dritta  fiutando  a  terra;  al  diso- 


pra ,  teUa  di  donna  a  dritta  simile  a  quella  del  ritto. 
(Tav.  XI.  n.  5.). 

Questi  due  pezzi  bilingui  sono  di  grandissima  im- 
portanza per  lo  studio  della  numismatica  Cartaginese; 
esse  mostrano  quale  è  la  diUereuza  fondamentale  nella 
forma  ddV aleph  e  del  tsadc  punici,  dilTercnza  che 
stabilisce  d'altronde  con  evidenza  la  celebre  iscri- 
zione punica  di  Marsiglia.  Esse  fan  venere  ,  inoltre  , 
che  le  due  iscrizioni  di  tre  lettere  t{»i<  e  v'>i; ,  mal- 
grado la  loro  grande  rassomiglianza ,  si  riferiscono  a 
città  o  a  luoghi  molto  differenti. 

Queste  due  medaglie  sono  delle  confederazioni ,  o 
le  loro  leggende  sono  traduzioni  di  nomi  greci?  Io 
indicherò  le  difiìcollà  di  queste  due  quistioni ,  senza 
pretendere  di  risolverle  interamente  malgrado  lo  stu- 
dio già  antico ,  al  quale  mi  sono  dato  per  rischiarare 
questo  punto  della  numismatica  Siciliaua. 

Il  tetradrammo  colla  leggenda  X'X  ,  è  il  più  an- 
tico di  questa  serie  numerosissima,  che  discende  fino 
ad  un'epoca,  in  cui  l'arte  era  divenuta  negletta,  sino 
alla  difformità  ,  probabilmente  in  seguilo  di  contraf- 
fazioni africane  di  questi  bei  pezzi,  siciliani  in  origine, 
e  ne'  quali  sovente  notasi  un  lavoro  eguale ,  ed  in 
tutto  somigliante  a  quello  de'  belli  telradrammi  di  Si- 
racusa. Qui  lo  stile  della  testa  è  largo  ,  ma  freddo  e 
severo.  La  leggenda  greca  ,  per  quanto  può  veder- 
si,  porla  un  omicron  in  luogo  dell' omcg'a,  ed  un  N 
paleografico.  Al  rovescio  la  quadriga  è  rapprescn  la- 
ta con  l'andamento  ed  il  doppio  contorno  de' cavalli, 
che  si  riscontra  sulle  monete  arcaiche  di  Sicilia.  La 
fabbrica  di  questa  medaglia  non  si  riporta  intanto  di- 
rettamente ad  alcuno  de'  telradrammi  ordinarii  di  Si- 
racusa ,  de' quali  la  serie  arcaica  è  si  numerosa  e  sì 
ben  conosciuta  ,  di  maniera  che  si  potrebbe  sospetta- 
re che  il  nostro  tetradrammo  bilingue  sarebbe  stalo 
battuto  altrove  piuttosto  che  in  Siracusa. 

Il  mio  dotto  collega ,  Sig.  de  Saulcy,  si  è  sforzalo 
di  dimostrare  che  sopra  tutte  le  medaglie  di  Sicilia 
colla  leggenda  'f^'^^f  si  dovea  leggere  yjf  Tsits, 
che  egli  considera  come  il  nome  punico  di  Panormns. 
Io  stesso  ho  emessa  la  opinione  che  la  leggenda  x*t<, 
assai  differente  secondo  me  dalla  leggenda  y^i'  dino- 
tava r  isola  di  Sicilia  ;  ma  questa  discussione  ci  trar- 


—  172- 


rebbe  troppo  lungi  ;  io  la  tratterò  di  nuovo  bentosto 
io  un  lavoro  speciale,  in  cui  l'avviso  del  sig.  de  Saul- 
cy  ed  il  mio  saranno  esaminati ,  senza  poter  essere 
forse  sostenuti. 

II  didrammo ,  che  io  pubblico ,  pezzo  inedito  sic- 
come il  tetradrammo ,  viene  in  falli  a  rendere  più 
complicata  questa  difEcoItà ,  abbencliè  vi  getti  pur 
qualche  luce.  Il  suo  tipo  è  quello  di  Segesla  ;  esso 
appartiene  a  quella  confederazìoue  di  Sicani,  civiliz- 
zali da'  Greci ,  i  quali  accettarono  assai  per  tempo  la 
dominazione  cartaginese ,  e  le  cui  monete  portavano 
il  più  sovente  un  cane  al  rovescio  di  una  testa  di  don- 
na ,  come  Molìja ,  Panonmis ,  Eryx.  Si  crede  gene- 
ralmente che  la  testa  di  donna ,  su  queste  medaglie , 
è  quella  della  trojana  Egesta  ,  e  che  il  cane  rappre- 
senti il  fiume  Criniso.  Io  penso  che  non  bisogna  ara- 
mettere  questa  sjùegazione ,  in  tulio  ciò  eh'  essa  pre- 
senta di  assoluto.  In  Segesta,  la  testa  di  donna  è  pro- 
babilmente quella  di  Egesta;  in  Molya  è  quella  della 
donna ,  che  fé  conoscere  ad  Ercole  la  grotta  ,  ove  i 
suoi  buoi  ru])ati  erano  stali  nascosti  da  Erice. 

Questa  donna  chiamata  Molya  diede  il  suo  nome 
fenicio  alla  città  opulenta  per  sì  lungo  tempo  occu- 
pala da'  Cartaginesi.  In  Eryx  la  testa  femminile  è 
quella  di  Venere,  eh' è  rappresentala  cornuta,  come 
Aslarte,  sopra  una  piccola  medaglia  della  mia  colle- 
zione. Non  abbiamo  alcuna  tradizione  mitologica  per 
determinare  chi  fosse  la  donna  rappresentala  sulle 
monete  greche  di  Panormus.  Il  tipo  del  cane  dee  avere 
un  senso  più  generale  di  quello  di  Criniso  tesso  com- 
parisce sopra  monete  siciliane  lontane  da  Segesta  e  dal 
suo  fiume  ;  qual  si  è  Agyrium,  e  sopratlullo  Adranus, 
la  cui  divinila  eponima  era  onorala  in  un  tempio  cu- 
stodito e  difeso  da  cani.  Sopra  alcuni  medaglioni  te- 
Iradrammi  di  Segesta ,  due  cani  accompagnano  un 
cacciatore  portante  un  pileo,  ed  a  lui  davanti  un  Ter- 
mine ilifaliico.  I  didrammi  di  Segesta  e  di  Molya  rap- 
presentano qualche  volta  un  cane  chelacera  una  testa 
di  cervo ,  e  queste  diverse  composizioni  sembrano 
collegarsi  al  milo  di  Alleone ,  che  si  vede  riprodotto 
sopra  una  delle  metope  di  Selinunle. 

La  leggenda  del  didrammo  bilingue  ofi're  un  dop- 
pio interesse  filologico.  In  primo  luogo,  vi  si  vedeiu 


grossi  caratteri  punici  il  nome  y»B  ,  che  comparisce 
già  sopra  un  obolo  bilingue  portante ,  da  un  lato , 
Nettuno  sedente  con  la  leggenda  yj{ ,  e  dall'  altro 
una  figura  di  efebo  nudo ,  montato  sopra  un  toro  a 
volto  umano  con  la  leggenda  II ANOPMOS.  Ma,sul- 
r  obolo  inciso  da  un  greco  le  lettere  puniche  sono 
scrille  da  sinistra  a  dritta,  mentre  che  sul  nostro  di- 
drammo la  leggenda  è  di  una  correzione  assoluta. 

Al  disotto  de'  caratteri  punici ,  e  quasi  frammista 
con  essi,  si  legge  la  epigrafe  HlB  che  non  è  slata  giam- 
mai più  estesa  ;  giacché  i  tre  delfini  che  nuotavano  in- 
torno la  testa ,  e  la  leggenda  punica  chiudono  intera- 
mente il  cerchio.  Tutti  i  numismatici  conoscono  la 
leggenda  delle  monete  di  argento  di  Segesta ,  che  è  al 
più  spesso,  :SErESTAHlB  drillo  e  retrogrado,  qual-  \ 
che  volta  i;ErESTAaiA ,  XErE^TASIE,  SE- 
rE2;TA3!I,  SErE^TASlBAMI.  Quesl'  ultima  leg- 
genda ,  della  quale  Torremuzza  diceva  :  «  qui  de  bi- 
sce lillcris  e\p!icationem  expectat  Sibyllam  adeat  , 
aut  hariohim»,  è  stata  ben  compresa  dal  Sig.  Raoul- 
Rochetle.  Questo  mio  dotto  collega  riconosceva  nella 
parola  AMI  il  verbo  EIMI  sum,  che  si  trova  in  se- 
guito de'  nomi  proprii,  ed  esprimente  la  idea  di  pos- 
sesso sopra  vasi  di  terra  colta ,  e  sopra  una  piccola 
lamina  di  argento  pubblicala  dal  defunto  Avellino. 

Rimane  ancora  a  spiegare  quel  che  significa  SlB. 
Alcuni  antiquarii  vi  hanno  veduto  una  terminazione 
barbara  del  plurale  per  SEFESTAIQN  ;  ma  come 
accordare  questa  terminazione  con  la  leggenda  EFE- 
STAION  che  si  trova  qualche  volta  sull' altra  faccia 
della  stessa  medaglia?  (Torremuzza  t.LXilIn.3):  co- 
me ammettere  che  BlB  sia  una  desinenza  graramali- 
cale ,  quando  si  ti-ova  trasformato  in  ffilA  sul  magni- 
fico tetradrammo  della  collezione  di  Torremuzza  (lav. 
LXII,n.2) ,  ed  in  SII  e  SIE  sopra  alcuni  didrammi 
della  collezione  di  Duane?  (Torremuzza  lab. LXIII  n.7 
e  8).  Queste  tre  lettere,  di  cui  l' ultima  varia  qualche 
volta,  non  possono  esser  segni  di  numerazione  greca, 
poiché  due  fra  essi  apparterrebbero  alla  serie  delle  uni- 
tà ,  sulla  piupparle  delle  varianti  ;  e  perché  in  SU  la  de- 
cina si  troverebbe  ripetuta  due  volle.  KIB  non  può  es- 
ser neppure  una  parola  punica ,  poiché  le  varianti  ler- 
minate  da  vocali  non  permettono  di  supporre  la  sop- 


—  173 


pressione  di  una  consonante,  qTial  si  è  la  i,  e  la  per- 
mutazione con  una  vocale  qualunque  ,  anche  meno 
con  vocali  variate  A  ,  I ,  E.  Io  non  ho  mai  vedute  le 
varianti  SIA,  SIE,  SII;  ma  come  Torremuzza  le  cita 
da  esemplari  della  sua  collezione,  di  quella  di  Duane, 
e  di  altre ,  e  non  già  da  Goltzio ,  o  da  Paruta  ,  dob- 
biamo credere  autentici  gli  esempli ,  che  ci  fornisce, 
insistendo  nel  suo  testo  di  un  modo  particolare  sulle 
singolarità  di  queste  varianti. 

Per  starcene  a  quelle ,  che  son  fia  le  mani  di  tutti 
i  dotti,  possiamo  fare  osservare  che  situato  fra  il  no- 
me SEFESTA,  ed  il  verbo  x\MI,  la  parola  SlB,  che 
non  può  essere  ne  una  terminazione  del  genitivo,  né 
un  numero,  deve  essere  un  sostantivo  e  probabilmente 
un  nome  proprio  :  il  nostro  didrammo  bilingue  con- 
ferma questa  opinione  ,  non  portando  per  tutta  leg- 
genda che  la  voce  SlB.  Se  si  considera  ora  che  la 
sillaba  Si  si  trova  seguita  sovente  da  De  qualche  volta 
da  A  ,  E,  I,  queste  lettere  variabili,  corrispondendo 
a  lettere  numerali ,  potrebbero  indicare  una  cifra  di 
anni ,  o  di  valori  monetarii ,  o  un  numero  d'ordine 
qualunque,  che  sarebbe  variabile,  come  esse  ;  mentre 
la  sillaba  Si  resterebbe  immutabile.  Il  numero  d'or- 
dine per  gli  anni  non  è  amraessibile,  perocché  le  me- 
daglie più  antiche  portano  SlB,  laddove  il  bel  telra- 
drammo  contemporaneo  di  Dionigi  II,  porta  SIA.  Che 
sì  tratti  di  numeri  esprimenti  valori  monetarii  non  può 
essere  del  pari  accettato;  mentre  medaglie  di  moduli 
e  di  pesi  assai  diversi,  didrammi  e  dramme,  portano  i 
medesimi  caratteri  SIB.  Di  maniera  che  A,  E,  I  non 
possono  essere  lettere  numerali.  Che  se  si  suppone  che 
esse  si  applicano  ad  una  classitìcazione  di  provincie  , 
o  piuttosto  di  città  di  una  confederazione,  nella  quale 
secondo  il  suo  grado  d'influenza,  e  d'autorità,  lacitlà 
chiamata  Sì  avrebbe  occupato  un  posto  indicato  dalla 
sua  lettera  numerale  ;  A  il  primo  ,  E  il  quinto ,  I  il 
decimo  ,  non  s' incontrano  simili  difficoltà.  Si  cono- 
scono almeno  dodici  città  di  Sicilia  sottomesse  a'  Car- 
taginesi ,  Solus  ,  Ilimera  ,  Thermae  ,  Panormus,  Se- 
gesta  ,  Eryx  ,  Motya  ,  Drepanum,  Heraclia,  Selinus, 
Agrigentum  ,  di  cui  Torremuzza  ha  pubblicata  una 
medaglia  tetradramma  bilingue  (1) ,  Lipara ,  Cepha- 

(1)  Torremuzza  1.  suppl.  lab.  1.  n.  i.  Questo  pezzo  interessante 


locdium,  senza  parlare  diLilybaeum  ultimo  asilo  de' 
Cartaginesi  in  Sicilia. 

É  dunque  per  l' ordine  nella  confederazione  che 
dovremo  spiegare  le  lettere  numerali,  che  terminano 
la  leggenda  abituale  di  Scgcsta,  urlila  al  nome  Si  pro- 
babilmente quello  di  una  città.  Sarebbe  l'orse  teme- 
rario di  vedere  nel  SI  una  contrazione  Sicana  della 
leggenda  punica  y»2: ,  Tsi  per  Tsils.  Intanto  sarebbe 
questa  la  spiegazione  pili  semplice  (piando  si  ricono- 
scerebbe che  le  lettere  B  ,  A  ,  E  ,  I ,  sono  numerali. 

Io  riserberò  ,  tuttavia  ,  questa  ricerca  per  l' esteso 
lavoro  ,  che  preparo  sulle  medaglie  i)uni(he ,  e  nel 
quale  spero  di  porre  sotto  gli  occhi  de'  doKi  una  serie 
di  monumenti  numismatici  confrontati  con  le  rifles- 
sioni che  essi  possono  suggerire. 

Il  Dccv  de  Lcy.NEs. 


Giunta  all'  arlicolo  preccilcnle. 

Mi  sia  lecito  di  aggiugnere  alcune  osservazioni  al 
dotto  articolo ,  che  precede ,  alle  quali  lo  stesso  illu- 
stre autore  mi  ha  invitato  ;  principalmente  mancando 
de' libri  e  del  tempo  necessario,  per  istituire  alcune 
particolari  ricerche,  ad  arricchir  di  confroali  e  di  ci- 
tazioni una  scrittura  dettala  negli  ultimi  giorni  della 
sua  dimora  in  Napoli ,  la  quale  dimostra  tutto  il  sa- 
pere e  le  vedute  del  dotto  numismatico. 

Ben  si  appose  il  eh.  autore  nel  diflinire  permessa- 
pica  la  leggenda  della  moneta  n.  I.  Solo  avvertiamo 
che  fra  i  caratteri  finora  conosciuti  nelle  iscrizioni 
messapiche  non  si  è  giammai  incontrato  l'  I  angoloso 
ed  il  carattere  S  ritiene  sempre  la  forza  del  %  (Monun- 
sen  iscr.  mes.  negli  annali  dell'  Ist.  ISiS  p.  07.  seg. 
ed  imter.  Dialek.  p.47  seg.).  Volendo  tener  presente 
una  tale  avvertenza,  dovremmo  legger  piuttosto  FA- 
AE0AS  che  FAAEeAI.  Del  resto  la  forma  insolita 


apparteneva  all'arcivescovo  di  Palermo.  Sveniuralaraente  la  leggenda 
punica  situala  fra  le  branche  del  granchio  ò  inodiocrenienlc  coiiata 
sulla  incisione ,  e  non  puossi  conghii'ttnraro  con  vcrisiniiglianza  ciò 
che  doveva  significare.  Questo  leliadraniino  dove  essere  di  una 
estrema  rarità:  io  non  ne  conosco  alcuno  esemplare. 


—  174 


dfl  ®  ,e  l'esser  relrograda  <u<(a  la  iscrizione,  doven- 
do farcela  riportare  ad  epoca  abbastanza  remota,  po- 
trebbero appoggiare  la  lezione  dell' autore.  Per  quel 
che  spetta  all'attribuzione  dell' a. ,  che  riporta  la  me- 
daglia al  Vaìelium  di  Mela  (  lib.  II  e.  IV.  ) ,  noterò 
che  nella  medesima  regione  sono  ricordate  due  diffe- 
renti città  di  nome  presso  a  poco  somigliante.  Vi  è 
una  Alelium  presso  Gallipoli  tra  Nardo  ed  Ugento , 
distinta  dal  Valetium  di  Mela  ,  altrimenti  Valesium,  o 
Baleso  tra  Brindisi  e  Lecce.  Sembra  pure  dimostrato 
che  r  'AXYJr/ov  di  Tolomnieo ,  'AX7]ria  di  Strabone 
(VI,  3,  6),  5a/e<mm  della  tavola  peutingeriana  (Man- 
nert  II,  SO),  corrisponda  alia  moderna  Lizza  o  Aliz- 
za ,  ove  furono  ritrovate  non  poche  iscrizioni  mes- 
sapiche(Vedi  Cataldi  Alelio  illustrata  1841  in  8  ; 
Corcia  topogr.  tom.  Ili  p.  413  e  451  ;  Mommsen 
iscr.  vies.  nel  cit.  voi.  degli  annali  1848  p.  82  e  87; 
e  nnler.  Dial.  p.  57,  e  60).  Premesse  le  quali  cose, 
a  qual  delle  due  città  diremo  doversi  attribuire  la  me- 
daglia ,  di  cui  è  parola  :  all'  Alizza ,  ovvero  a  Baleso? 
Io  incUno  a  credere  che  debba  piuttosto  riportarsi  al- 
l' Alizza  :  e  sono  varii  i  molivi ,  che  m' inducono  a 
sostenere  una  tale  opinione.  Non  ignoro  che  qualche 
messapica  iscrizione  fu  rinvenuta  nel  sito,  ove  si  cre- 
de avere  esistito  l' antica  Baleso  ;  ma  l' Alizza  ha  da- 
to fuori  un  maggior  numero  di  tali  epigrafi  ,  il  che 
pruova  l'uso  esteso  di  quel  dialetto  in  quel  luogo:  per 
lo  che  non  dovrebbe  sembrare  strano  il  vederlo  ado- 
perato in  una  medaglia  ad  indicare  il  nome  di  una 
città.  Or  nelle  iscrizioni  di  Lizza  troviamo  appunto 
il  digamma  della  medesima  forma  che  nella  interes- 
sante medaglia  del  signor  Duca  de  Luynes,  troviamo 
egualmente   la  parola  retrograda  ^ANOAS^AFIAA 
(Mommsen  unler.Dial.la\.l\. Lizza  b.3);  la  qualeèla 
sola  che  veggasi  in  quella  posizione  fra  tutte  le  epigrafi 
messapiche  finora  conosciute  :  ed  ora  bisognerà  ag- 
giungervi la  leggenda  della  nostra  medaglia  ,  la  quale 
come  avvertimmo  di  sopra ,  fa  pur  guadagnare  al- 
l'alfabeto messapico  l'elemento  ®,  che  non  era  anco- 
ra comparso.  E  qui  ci  piace  di  avvertire  ,  quel  che  fu 
da  noi  pure  altrove  osservato,  ciocche  il  dialetto  mes- 
sapico risentì  immensamente  la  greca  influenza  non 
solo  per  la  forma  de'  caratteri ,  ma  benanche  pel  fon- 


do della  sua  grammatica  {tnon.ined.  di  Barone  voi.  1 
p.  50,  e  58).  Noi  non  dubitiamo  che  questa  verità  si 
vedrà  di  giorno  in  giorno  confermata  da  nuovi  ritro- 
vamenti. La  leggenda  Az\H0AS,  come  da  noi  si  ri- 
tiene, è  un  genitivo,  che  suppone  il  nominativo  A  AH- 
©A:  ed  è  questo,  secondo  noi,  il  vero  nome  messapico 
della  città,  che  fu  poi  tramutato  in  'AXyiri»,  ed  Ale- 
tium,  parole  che  offrono  una  diversa  derivazione.  Così 
fu  da  noi  messo  in  chiaro  il  vero  nome  dell'altra  mes- 
sapica città  di  Gnalhia  (rv*B/oc),  la  quale  sotto  la  penna 
degli  scrittori  di  un'epoca  posteriore  greci  o  latini,  erasi 
cangiala  in  Gnalia,  e  finanche  in  Egnalia,  'Eyvocr/oc. 
(Vedi  bull,  dell' ht.  1845.  p.  44.  Cf.  Avellino  bull 
arch.nap.  an.III.  p.l29,  Minervini  mon. /net/,  di  .Bar. 
tom.  I  p.  11.  ).  E  si  noti  che  la  medesima  varietà,  e 
lo  stesso  scambio  ebbe  luogo  fra  il  T  ed  il  0.  Che  se 
riterrassi  la  lezione  AAEB Al  proposta  dal  eh.  autore, 
il  nome  messapico  della  città  dovrà  riputarsi  AAH- 
&OX,  o  AAH0ON,  e  r  A  AH©  AI  sarà  forse  da  giu- 
dicarsi un  genitivo,  secondo  la  opinione  del  Mommsen, 
e  da  paragonarsi  al  ITOTAAI,  o  IITAAAI  di  alcune 
medaglie  di  Arpi,  ed  al  BIAAI  dell'altra  medaglia  da 
me  pubblicata  in  questo  bullettino  (p.  1 07.v.t.IV.n.  11). 
Poche  parole  vogliamo  aggiugnere  sulle  due  inte- 
ressanti monete  con  epigrafi  fenicie  ;  giacché  è  qual- 
che tempo  che  stiamo  lavorando  sulle  medesime  leg- 
gende ,  e  già  proponemmo  alcune  osservazioni  su  que- 
sta parte  delia  numismatica  siciliana  in  una  memoria 
letta  sin  dal  passato  anno  alla  reale  Accademia  Erco- 
lanese  e  tuttavia  inedita,  (vedi  Gerhard  arr/iao/.  Anzei' 
ger  febr.  1853  p.  293).  Cominciamo  intanto  dall'ap- 
plaudirci  che  in  quanto  alla  epigrafe  SIB,  o  SIBA- 
MI,  senza  che  l'uno  sapesse  dell'altro,  venimmo  alla 
medesima  conclusione  che  si  tratti  forse  di  una  confe- 
derazione di  Segesta  con  altra  città  denominata  eoa 
voce  fenicia.  Partendo  dalle  ricerche  del  sig.  deSaul- 
cy  io  mi  persuasi  che  V^H  fosse  il  nome  punico  di 
Panormus ,  e  la  stessa  iscrizione  andai  riconoscendo 
in  alcune  altre  monetine  di  varie  collezioni ,  di  cui 
presentava  i  disegni.  Richiamai  in  quella  occasione  un 
confronto ,  che  non  vidi  ricordato  da  altri  nella  pre- 
sente discussione.  Nei  libro  secondo  de' Paralipomeni 
(cap.  XX)  parlandosi  delle  vittorie  di  Giosafatle  eoa- 


1/0    


tro  gli  Ammoniti ,  i  Moabiti ,  ed  altri  popoli  clic  di- 
consi  de'  Miiiei ,  riportasi  la  profezia  di  Jahaziel  fi- 
glio di  Zaccaria.  Questi  per  indicare  ove  si  sarebbero 
trovati  i  nemici  del  popolo  di  Dio,  quasi  por  visione 
li  addita  accampali  sulle  allure  di  Tsits  y^i' .  La  volgala 
dice  Sìs ,  ed  il  greco  AcrcrsiS  ;  ma  allenendoci  all'  c- 
braico  ,  troveremo  una  identica  denominazione  geo- 
grafica propriamente  in  (|uei  sili,  ne'tpiali  la  lingua  fe- 
nicia era  usata,  e  nella  quale  non  può  non  ravvisarsi  la 
medesima  derivazione  che  nelle  medaglie  di  Panormus. 
Per  tornare  alla  iscrizione  KlB  ,  o  SIOA.MI  delle 
monete  di  Segesta ,  io  feci  poco  conto  delle  varietà 
notate  dal  Torrcmuzza ,  le  quali  non  sono  più  com- 
parse sotto  gli  occhi  de'  numismatici.  Quindi  veniva 
nella  conclusione  che  la  iscrizione  SlB  era  una  ma- 
niera abbreviata  di  dinotare  la  più  lunga  ed  intera 
SIBAMI.  In  questa  supposizione  ho  proposta  la  con- 
ghietlura  che  tutta  la  leggenda  SiBAMI  dinotasse  la 
Collina  di  Tsils,  con  una  elisione  della  consonante  fi- 
nale ,  che  ci  sembra  aramessibile  in  una  parola  com- 
posta, per  quanto  poco  plausibile  la  crederemmo,  ove 
fosse  isolata  e  non  dipendente  da  una  voce  seguente, 
colla  quale  si  colleghi.  Questa  nostra  conghieltura  dà 
un  appoggio  alla  spiegazione  proposta  dal  mio  eh. 
collega  P.  Garrucci  di  un'altra  leggenda  fenicia  in si- 
cula  medaglia,  ove  e'riconobbe  IQ^li)  [n^jnso  Macha- 
nal  Scebam ,  e  lo  inlese  per  la  parte  dell'  aniic»  Pa- 
lermo che  venne  chiamala  "Axpx  da  Zonara  [hist.br. 
voi.  VII  I.  8  p.  29G  ed.  Ven.)  da  Polibio  vxX%,'%  (I, 
38),  e  da  Diodoro  àpx'x/a.  (  lib.  XXIII,  p.  SOo  Ves- 
sel.  )  :  vedi  3Iinervini  mon.  iiied.  di  Barone  voi.  1  p. 
96.  Nella  ipolesi  dunque  che  y>2f  fosse  il  nome  puni- 
co di  Panoimu^,  poteva  ben  chiamaisi  *Q5*ir  ì'xxpx 
della  città ,  ed  anche  più  breveminle  indicarsi  col 
M  in  una  medaglia  coniata  nel  medesimo  sito  ;  per 
lo  che  non  era  necessario  far  precedere  il  nome  di 
tutta  la  intera  città  di  Panormus.  Queste  nostre  idee 
ci  sembrano  confermale  dalla  importantissima  meda- 
glia, nella  quale  al  fenicio  Tsils  si  accoppia  il  SlBin 
lettere  greche ,  e  questo  in  unione  co' tipi  di  Segesta. 
Si  tratta  forse  anche  (|ui  di  una  federazione,  trovandosi 
r  nllra  cillà  surticienenieule  indicala  da'  tipi  che  le 
appartengono:  se  pure  non  voglia  dirsi  che  sia  la  mo- 


neta appartenente  alla  sola  Panormus ,  essendo  ben 
conosciuto  che  il  tipo  della  testa  di  donna  e  del  cane 
si  riscontra  in  una  rara  moneta  di  argento  colla  iscri- 
zione ITA\()1\VK)ì:  Kcklicl  ilixir.mim.vct.l.  1  p.2.'}0}. 
Ora  che  il  sig.  Duca  de  Luynes  ha  messa  in  chiaro  li 
distinzione  Ira  la  epigrafe  y>2C  d'altra  X'X,  che  leg- 
gesi  sopra  una  cerla  moneta  di  Siracusa ,  potrà  con 
probabilità  sostenersi  clus  il  primo  nome  appartenga 
a  Panormus  ed  il  secondo  aSyracusae.  Ma  mi  riserbo 
di  parlare  più  ampiamente  di  tali  conghietture  ed  os- 
servazioni, quando  vedrà  la  luce  la  suddetta  memoria 
accademica.  Attenderò  le  dotte  ricerch»?  del  sig.  Duca 
de  Lujnes ,  a  cui  sono  dovule  imporlanli  pubblica- 
zioni sulla  numismatica  fenicia ,  e  che  è  nel  caso  di 
spargere  la  più  gran  luce  su  questa  difficilissima  parte 
dell'  archeologia.  Sull'appoggio  di  numerosi  falli  fra 
loro  diligenlomonle  confrontali  si  renderà  più  agevole 
lo  studio  e  la  discussione  sulle  monete  puniche  delia 
Sicilia  :  e  noi  siamo  sicuri  che  lo  stesso  chiarissimo 
numismatico  non  mancherà  di  trarre  le  più  probabili 
conclusioni  nell'esteso  lavoro,  di  cui  promelle  la  pub- 
blicazione. MlMiUVlM. 


Vaso  Nolano  con  la  pugna  di  Ercole  contro 
le  Amazzoni. 

Nella  nostra  tavola  X  n.  1,2,3  vedonsi  figuralo 
le  due  facce  di  un  magnifico  vaso  nolano  posseduto 
dal  sis.  venerale  Cella,  alla  cui  cortesia  ne  dobbiamo 
un  lucido.  Non  può  dubitarsi  del  soggetto  della  prin- 
cipale rappresentanza.  Alcide  colla  pelle  di  leone  e 
colla  clava  è  alle  prese  con  un'Amazzone,  certamen- 
te la  regina  di  quelle  donne  guerriere,  due  delle  qua- 
li giacciono  spente  al  suolo.  É  notevole  lo  scudo  del- 
l' Amazzone ,  che  tuttavia  combatte,  dal  quale  scen- 
der si  mira  un'  appendice ,  come  ricorre  in  allri  mo- 
numenti (vedi  bull.  ardi.  nap.  an.  VI  p.  23).  Le  due 
compagne  estinte  mostrano  in  varie  parti  del  corpo 
le  riportate  ferite  ;  ed  una  di  esse  vedesi  nell'  alto  di 
appressar  la  sinistra  mano  al  petto ,  da  cui  s|iiccia 
tuttora  il  sangue.  Non  leuleremo  delerminare  quali 
fossero  queste  Amazzoni  nella  mente  dell'artista:  noi 


176  — 


pensiamo  che  valgano  a  dinotar  generalmente  la 
schiera  di  quelle  comballenli  superala  e  vinta.  Ma 
chi  sarà  quel  guerriero ,  che  sta  dalla  parte  delle 
Amazzoni,  ed  in  difesa  di  colei  che  ancor  sopravvive? 
A  noi  senil)ra  che  debba  riputarsi  Marte,  il  dio  delle 
battaglie,  che  fu  dalle  tradizioni  de' poeti  riconosciu- 
to per  padre  delle  Amazzoni  :  è  poi  ben  noto  che 
!\Iarte  comparisce  ancora  come  avversario  di  Ercole 
per  la  difesa  dell'  altro  suo  figliuolo  Cicno  (  Gerhard 
Aus.  Gr.Vaseììh.  tav.  CXXII,  CXXllI),  abbenchèuoa 
valga  ad  evitarne  la  morte  :  vedi  pure  ciò  che  dicem- 
mo nel  voi.  VII  delle  memorie  della  regale  accad.  Er- 
colanese  p.  323. 

11  nume  della  guerra  porla  sullo  scudo  la  insegna 
di  una  nera  figurina  io  concitato  movimento  con  ali 
alla  testa  ed  a'  piedi.  A  noi  pare  doversi  in  essa  rav- 
visare uno  di  quegli  esseri ,  che  convengono  a  questa 
fiera  divinità ,  di  cui  erano  riputali  figliuoli  :  dir  vo- 
glio Dcimos  e  Phobos  gemi  muniti  di  triplicale  ali , 
secondo  la  dotla  discussione  del  Panofka('//»/2)o&or. — 
Rom.  Sludicn  p.  245-261  :  vedi  pure  Gerhard  ge- 
flihjehjc!il.\i.o).  Che  se  si  ammelte  la  osservazione  del 
eh.  Braun  suU'  imberbe  aspetto  del  Pliohos  (Annali 
dell' Li.  18'i0  p.  1G9  s.  ) ,  questo  demone  appunto 
sarebbe  da  ravvisare  effigialo  nello  scudo  di  Marte. 
Al  che  vuoisi  aggiugnere  che  Phobos  ci  si  presenta 
da  Omero  accompagnando  il  suo  padre  Marte  nelle 
tremende  battaglie  (  //.  N  v.  298  seg.  ). 

Comunque  sia  ;  l' ajulo  del  dio  della  guerra  non 
giova  alla  sua  valorosa  figliuola  ;  giacché  Ercole  è 
quasi  nel  punto  d'impadronirsi  del  bramato  cinto.  Di 
fatti  l'artista  ha  con  tutta  evidenza  palesalo  l'oggetto 
della  contesa  col  figurare  il  lebano  eroe  nell'attitudine 
di  avvicinar  la  sua  mano  al  cinto  dell'Amazzone,  causa 
di  quella  guerriera  spedizione.  Questo  gesto  signifi- 
cativo mostra  le  risorse  dell'arte  aulica,  che  anche 
trattando  un  particolare  punto  dell'avvenimento  tifa 
argomentare  ciò  che  precedette,  e  quello^che  ne  verrà 
in  conseguenza.  Fra  le  particolarità  del  vaso  nolano, 
di  cui  ragioniamo ,  vi  è  anche  quella  del  nuovo  no- 


me HinnONIKE  ,  che  trovasi  dato  all'  Amazzone  , 
invece  dell'  altro  d'  'IwokiJrri. 

Noi  parleremo  più  ampiamente  di  questa  varietà 
nella  seconda  parte  archeologica  della  nostra  mono- 
grafia sulla  spedizione  di  Ercole  contro  le  Amazzoni, 
di  cui  la  prima  parie  filologica  è  stata  nel  passato  anno 
presentata  alla  Reale  Accademia  Ercolanese  (1).  In 
essa  torneremo  a  discorrere  del  nostro  monumento 
nolano  ,  del  quale  peraltro  non  abbiamo  voluto  diffe- 
rire la  pubblicazione. 

Presso  alla  figura  di  Ercole  leggonsi  le  parole  XAP- 
MIAES  KAAOX  ,  e  le  medesime  si  ripetono  presso 
una  figura  di  giovine  guerriero  combattente ,  che  si 
vede  rappresentalo  nell'allra  faccia  del  vaso.  Lo  stes- 
so nome  si  legge  sopra  un  altro  vaso  anche  di  Nola 
presso  un  alato  demone  in  alto  di  combattere  con  scu- 
do ed  asta,  che  il  eh.  Schulz  appella  Amove  fbullelt. 
dell'  ist.  1842  p.  13);  ma  che  potrebbe  riferirsi  egual- 
mente ad  uno  de' due  genii  della  guerra,  di  cui  sopra 
dicemmo.  Non  vorrei  giudicare  se  i  due  vasi  possano 
credersi  provenienti  dallo  slesso  Nolano  sepolcro:  nella 
quale  ipolesi  potrebbe  taluno  pensare  che  fossero  de- 
stinati ad  ornare  la  tomba  del  giovine  Charmides ,  la 
cui  guerriera  attitudine  mostra  eh'  ei  fosse  addetto  al 
mestiere  delle  armi:  e  perciò  se  ne  ripete  ancora  il  no- 
me presso  la  figura  di  Ercole,  a  cui  si  assomiglia  per 
la  forza  del  combattere.  Non  debbo  intanto  tralasciar 
di  notare  che  queste  denominazioni ,  le  quali  in  di- 
versi monumenti  si  atlribuiscono  a  figure  di  efebi , 
possono  talvolta  riputarsi  allusive  alle  loro  qualità  , 
piuttosto  che  credersi  destinale  ad  indicarne  i  nomi. 
Così  neir  attuai  circostanza  il  nome  X.'x^ixl^rp ,  deri- 
vato da  Xapfjii^,  è  allusivo  al  carattere  guerriero  delle 
figure,  presso  le  quali  si  legge  :  ed  in  questa  signifi- 
cazione non  disconviene  neppure  ad  Alcide. 

MlNERVJNI. 


O  Vedi  Gcrtiard  ÀrcMol.  Anzeig.  Felibr.  1853  p.  293.  Di  questa 
parte  della  mia  memoria  ò  inserito  un  estratto  nel  rendiconto  della 
Reale  accad.  Ercol. 


P.  Raffaele  Gariiucci  d.c.d.g. 
GiCLio  Mi.NEiivi.Ni  -  Edìlori. 


Tijpografa  di  Giuseppe  Catàneo. 


BILIKTTIIVO  ARCHEOLOGICO  IVAPOLITA^O. 


NUOVA    SERIE 


N.'  23. 


Macffrio  1853. 

CO 


Notizia  de  più  recenli  scavi  di  Pompei:  contimtazione  del  num.  W.  — Diaspro  xanguiijm  inci<o.  —  Sufifjello 
in  corniola  di  un  C.  Cecilio  Metello  Caprario.  —  Iscrizione  di  Campomarino,  masseria  del  signor  Carrera 

in  mezzo  ad  avanzi  di  villa  antica.  —  Iscrizione  Sannilica  rinvenuta  in  S.  Maria  di  Capua. Iscrizione 

dipinta  di  Ardea ,  graffiti  sui  vasellini  di  S.  Cesario,  e  su  lamina  di  piombo  romana. 


Notizia  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei:  continuazione 
del  num.  20. 

Avendo  rivcdulc  le  nostre  schede  ,  portiamo  una 
notevole  «iggiiinzione  al  programma  da  noi  riferito  a 
pag.  157  D.  7.  Esso  dice  in  tal  modo  : 

M  .  CVSPIVM  .  PANSAM 

•  ■  •  POLYBIVSNATALISCLIENSCVM  ISIaCIS  ROG 

Noi  già  conosciamo  un  altro  somigliante  program- 
ma fatto  da^VIsiaci  a  favore  di  Cn.  Elvio  Sabino  (v. 
sopra  p.l51  n.25).  Ora  però  riesce  importante  quello 
di  M.  Cuspio  Pansa;  perchè  trovasi  vicinissimo  al 
tempio  d' Lide  ,  che  è  di  pochi  passi  lontano  dalla 
strada,  ove  quella  iscrizione  è  segnata.  E  qui  mi  piace 
di  aggiugncre  un  altro  fatto,  che  trovasi  in  corrispon- 
denza col  suddelto  programma  ;  ed  è  che  in  un  edi- 
Gcio  situato  quasi  rimpetto  al  muro,  su  cui  si  leggeva, 
furono  rinvenuti  due  sistri  uno  di  argento  ,  e  l' altro 
di  bronzo ,  il  che  pruova  che  gli  abitanti  di  quelle 
vicinanze  erano  dediti  alla  isiaca  religione. 

Noi  non  possiamo  dare  una  specifii-ala  notizia  de' 
vani  edificii  che  costeggiano  la  strada ,  essendo  tut- 
tavia interrati  nella  loro  interna  parte.  Non  manche- 
remo però  di  riportare  al  solito  i  programmi  scritti 
di  rosso  o  di  nero  all'esterno  delle  mura  ,  che  ci  è 
riuscito  di  continuare  a  raccogliere. 
Sono  essi  i  seguenti  ; 

1.  ALBVCIVM 

2. IVM  •  PROCVL 

3.  POSTVMIVM 

ANNO   I. 


4.  SABINVM 

5.  M  .  HOLCONIVM 
PRISCVM  •  AED  •  0^ 

6.  A  •  VETTIVM  •  FEL'^^" 
AED  •  1 0 1  •  •  •  IVS  •  ROG 

forse  POPI  DI  VS  •  ROG  • 

7.  Sotto  questo  numero  riportiamo  il  più  lungo 

ed  interessante ,  che  sia  comparso  b  que- 
sto silo. 

POSTVMIVM  .  A=° 

SCR  .  INFAN  no  .  INFRA 

SCRIBENTE  .  PARENTE  .  II 

ROG .  PAQVIVM .  PROCVL VM .  d.i.d.d.r.p. 

Questo  programma,  secondo  noi,  costa  di  tre  parti  : 
nella  prima  si  dice  che  Infanzione  (nome  non  nuovo 
ne'pompejani  programmi:  v.  sopra  pag.  laOn.  Il) 
scrive  il  nome  di  Postumio  candidalo  per  la  edilità  : 
nella  seconda  parte  si  annunzia  che  il  medesimo  voto 
facevasi  da  PARENTE,  o  che  indicar  si  voglia  il  padre 
d' Infanzione  ,  ovvero  un  altro  nome  proprio  :  chiù- 
desi  finalmente  la  iscrizione  colla  petizione  di  entrambi 
di  ottener  per  duumviro  Paquio  Proculo. 

In  una  delle  pietre  di  tufo  messe  allo  scoverlo  si 
veggono  incavate  le  cifre  XXI  . 

Sul  muro  di  una  stanza  di  uno  degli  edifizii  è  se- 
gnato col  pennello 
P • ROMAN 
e  non  sappiamo  se  debba  in  queste  parole  riconoscersi 
fatta  menzione  del  popolo  Romano. 

In  questi  ultimi  giorni  si  é  scavata  una  parte  di  uq 

23 


—  178  — 


edifizio  a  sinistra  della  medesima  via  discendendo  verso 
la  porla  di  Stabia.  lu  uno  de'muri  esterni  è  comparso 
un  cancello  di  ferro  mollo  ossidato,  il  quale  era  stato 
anticamente  richiuso,  e  muralo  d'ambe  le  parli  con  fab- 
brica. In  questo  ediGzio  si  è  eseguilo  lo  scavo  in  una 
specie  di  atrio ,  ed  in  due  stanze  vicine:  l'inlonico  è 
mollo  rozzo,  e  non  possiamo  formarci  una  chiara  idea 
del  fabbricalo ,  se  prima  non  si  scopre  del  tulio.  Di- 
remo solo  degli  oggetti  rinvenuti  nelle  parti  scoperte, 
mercè  due  scavazioni,  la  prima  delle  quali  fu  eseguita 
il  giorno  17  del  corrente  mese  di  maggio,  e  l'altra  il 
giorno  20  dello  stesso  mese. 

Nella  prima  scavazione,  alla  quale  accenniamo,  fu- 
rono rilrovali  all'altezza  di  circa  sei  palmi  dal  suolo 
alcuni  oggetti  di  bronzo,  di  vetro,  e  di  lerracotla, 
olire  i  due  sistri,  de'  quali  dicemmo  di  sopra.  In  quanto 
agli  oggetti  di  bronzo ,  olire  alcune  parli  della  serra- 
tura ,  comparvero  una  grande  palina  di  palmi  2  V, 
di  diametro  perfettamente  conservala  e  di  diligente 
lavóro;  una  lucerna  monolkna  con  manico fermiualo 
da  una  delle  estremità  in  testa  di  animale,  come  sem- 
bra di  cane,  e  dall'altra  in  una  maschera  silenica:  un 
manubrio  di  qualche  cassetta  che  offre  la  forma  di  due 
dita  (pollici);  in  allusione  al  silo  ove  meller  si  doveva  la 
mano.  Ricordo  che  in  altro  utensile  pompejano  ricorre 
una  simile  allusione  ;  giacché  appunto  il  manubrio  è 
conformato  a  foggia  di  due  mani  :  (  vedi  Avellino  de- 
scr.  di  una  casa  pompej.  con  capii,  figurati  p.  68  X 
tav.  IX  n.  9  A;  e  quel  che  scrivo  io  stesso  negli  an- 
nuii dell' ist.  1842  p.  84).  Da  ultimo  non  vo'  tacere 
di  una  moneta  molto  ossidala  ,  con  foro  nel  centro. 
Una  sola  caraffina  di  vetro  rotta  nel  fondo ,  di  altezza 
0,63  di  palmo,  richiama  l'allenzione  degli  studiosi  per 
una  materia  nera,  che  vi  si  contiene,  e  che  converrà 
sottoporre  all'analisi  chimica.  Non  parlerò  particolar- 
mente di  alcuni  rozzi  arnesi  di  terracotta;  come  sareb- 
bero tre  piattelli  ricoperti  di  rossa  vernice  ed  in  parte 
guasti,  alcuni  pignaltini  a  due  manichi,  uno  de' quali 
con  coverchio,  una  tazzolina,  ed  un  vaso  della  forma 
òeWoleare:  e  passo  subilo  a  dir  qualche  cosa  della  sca- 
vazione seguila  il  giorno  20  di  questo  corrente  mese 
di  maggio. 

Questa  ebbe  luogo  nella  circostanza  che  recavasi  a 


visitar  Pompei  S,  M.  il  Re  Massimiliano  di  Baviera  , 
il  quale  accompagnalo  ed  assistilo  dall' attuale  eh.  di- 
rettore del  Real  museo  e  soprantendente  generale  de- 
gli scavi  del  Regno  sig.  principe  di  San  Giorgio  ,  si 
trattenne  per  una  intera  giornata  ad  ammirare  e  stu- 
diare le  stupende  reliquie  dell'antica  città;  procuran- 
dosi altresì  al  chiaro  di  luna,  ed  al  fulgor  delle  Ilici  il 
più  grandioso  ed  imponente  spettacolo  che  offrir  si 
possa  agli  occhi  de'  riguardanti. 

Alla  presenza  del  regio  Personaggio  fu  disterrato 
sino  al  suolo  quel  medesimo  atrio,  e  quelle  stanze  me- 
desime ,  delle  quali  già  prima  erasi  scavala  la  più 
gran  parte.  Gli  oggetti  venuti  fuora  in  questa  occa- 
sione saranno  da  noi  enumerali  colla  medesima  di- 
stinzione delle  varie  materie  di  che  sono  formali.  Fra 
i  bronzi  comparirono  alcune  parli  della  serratura;  ma 
tre  pezzi  richiamarono  maggiormente  la  nostra  atten- 
zione: sono  essi,  1.  un  vaso,  alto  0,  4j  di  palmo, 
con  bocca  larga  e  ad  un  sol  manico ,  il  cui  fondo  si 
vede  anticamente  saldato  con  piombo  :  il  manico  Qni- 
sce  inferiormente  in  una  testa  silenic-i  :  2.  una  pantera 
(di  alt.  0,53  di  pai.)  con  mammelle  pendenti,  che  in- 
nalza la  zampa  sinistra,  e  solleva  in  allo  la  testa:  que- 
sta graziosa  statuetta  di  buon  lavoro  manca  di  base , 
e  formava  forse  gruppo  con  una  3.  slaluella  di  Bac- 
co fanciullo,  che  solleva  un  corno  potorio  ,  la  qua- 
le però  ha  perduto  le  sue  forme  per  la  ossidazione. 
Gli  oggetti  di  vetro  ritrovati  nella  stanza  contigua  a 
quel  che  dicemmo  atrio  ,  offrono  in  sé  poca  impor- 
tanza, ma  meritano  secondo  noi  molla  considerazione 
per  un  particolare  motivo.  Sono  essi  una  piccola  au- 
forina  in  parte  mancante ,  con  entro  un  materiale 
giallo  da  analizzarsi,  e  Ire  tazzoline  di  differente  gran- 
dezza :  è  però  notevole  che  queste  sono  talmente  al- 
terale dal  fuoco,  che  dovettero  subire  un  forte  grado 
di  calore  per  ammollirsi,  e  fondersi  in  parte.  Fra  poca 
faremo  su  questo  fatto  le  nostre  osservazioni.  Un  sol 
fornello  di  ferro  venne  fuori  in  varii  pezzi  molto  os- 
sidati. Di  marmo  fu  rinvenuto  un  peso  di  pietra  di  pa- 
ragone ,  ed  alcuni  frammenti  di  due  staluetle,  che  for- 
mavano forse  gruppo  Ira  loro,  una  delle  quali  lulta 
nuda  appare  femminile,  mentre  l'altra  è  virile;  anche 
questi  pezzi  pare  subissero  la  forza  del  fuoco  essendo 


—  179  - 


in  gran  parte  calcinali ,  e  rodi  in  minuti  frammenti , 
che  son  tra  loro  fortemente  attaccali ,  per  modo  die 
non  potrebbero  se  non  con  grande  difflcollà  separarsi. 

Traile  cose  |)iù  rare  a  comparire  in  Pompei  è  un 
piccolo  vasellino  di  avorio  senza  coverchio  ,  di  cui 
non  sapremmo  indicare  la  destinazione  e  l'uso. 

Fralle  lerrecoUe,  oltre  alcuni  comuni  utensili,  me- 
ritano di  essere  ricordate  una  maschera  scenica,  una 
lucerna  con  l'ornamento  di  un  ariete  nella  faccia  su- 
pcriore,  e  due  statuette  di  rozzo  stile;  la  prima,  alta 
0,  35  di  palmo,  rappresenta  una  figurina  virile  mu- 
nita del  bardocucullo ;  l'altra  ,  alta  0,  45  di  palmo, 
ritrae  un  uomo  panneggiato  con  una  specie  di  toga. 

Finalmente  son  venuti  fuora  alcuni  di  qae' pezzi 
cilindrici  di  osso  forati,  e  con  varii  buchi,  che  Irova- 
ronsi  assai  spesso  in  Pompei,  ma  de'quali  non  si  è  si- 
nora conosciuta  con  certezza  la  destinazione. 

A  tutti  i  fatti  sinora  enunciali  relalivamente  alla 
presenza  del  fuoco ,  che  si  manifesta  in  varii  oggetti 
rinvenuti  in  quel  sito,  se  ne  aggiugne  un  altro;  ed  è 
l'annerimento  in  uno  de"  muri  della  stanza,  ove  que- 
gli oggetti  furono  raccolti,  prodotto  certamente  dal 
fumo  di  un  incendio.  La  fusione  del  vetro,  la  calci- 
nazione del  marmo ,  e  la  disorganizzazione  di  altre 
materie ,  per  effetto  della  fiamma  ,  è  forse  dovuto  a 
pioggia  d'  infocato  lapillo?  Io  noi  credo:  allrimenli 
dovrebbero  essere  più  frequenti  le  osservazioni  di 
simili  trasformazioni.  Io  son  dunque  di  parere  che 
questi  eflelti  sono  dovuti  a  parziale  incendio  avvenuto 
in  quella  stanza;  e  forse  non  sarebbe  strano  l'imma- 
ginare che  nel  momento  stesso  della  pompejana  cata- 
strofe, per  negligenza ,  o  per  qualunque  altra  causa, 
cominciò  ad  arder  l'incendio  in  quel  compreso,  ridu- 
cendo in  dissoluzione  e  consumando  una  parte  degli 


oggetti  m  esso  contenuti. 


MlNERVlNI. 


Diaspro  sanguigno  inciso. 

Diaspro  sanguigno  antico  con  tre  teste;  la  prima  a 
destra  di  Nerone ,  la  seconda  di  Claudio ,  la  terza  di 
Marco  Claudio  Marcello  Console.  (  Tav.  XI.  n.  6.  ). 


É  scolpilo  nei  primi  anni  di  Nerone,  perocché  egli 
vi  è  rap|)resenlalo  ass.ii  giovane  tra  i  17  e  i  20 anni, 
quando  non  aveva  tolto  di  rizzarsi  i  capelli  sulla  fronte. 
Un  suggello  con  le  impronte  di  tre  personaggi  i  più 
celebri  della  famiglia  Claudia ,  non  può  apparlenerc, 
che  alla  famiglia  medesima  ;  questa  si  estingue  in  Ne- 
rone; adunque  questo  suggello  non  può  essere  stalo 
in  altre  mani,  che  in  quelle  di  Nerone.  È  notabile,  che 
le  macchie  sanguigne  tutte  cadono  sul  volto  di  Ne- 
rone ,  quasi  a  funesto  presagio  del  parricidio  !  Non  è 
l'ultimo  pregio  di  questa  pietra,  il  presentare  la  prima 
volta  un  ritratto  di  Marcello,  che  finora  crasi  veduto 
solo  sulla  moneta  di  Marcellino  suo  discendente,  ma 
apj)ena  traccialo  ,  e  mollo  incerto. 

Questa  è  la  n)ia  opinione  intorno  a  tal  singolarissimo 
cimelio,  che  do  qui  abbozzata.  So  bene,  che  a  taluno 
è  paruto  l'intaglio  di  epoca  più  inoltrata  ;  ma  non 
credo  dover  recedere  dal  mio  primo  i;iudi/io,  al  (juale 
dà  tulio  il  conforto  l' autorità  di  valenti  artisti.  Tra 
questi  io  novero  con  lagione  1'  espertissimo  Sig.  An- 
drea Russo  ;  e  fo  notare,  che  i  difetti  non  sono  il  ca- 
none delle  epoche. 

Garrucci. 


Suggello  in  corniola  di  un  C.Cecilio  MelelìoCaprario. 

Di  mano  del  gentilissimo  amico  Sig.  Carlo  Bonichi 
mi  proviene  il  suggello,  che  dò  inriso  nella  Tav.  XI. 
a  n.  7.  Io  lo  credo  di  un  C.  Cecilio  Metello  Capra- 
rio  ,  se  non  del  Console  al  641,  almeno  d'altra  per- 
sona della  medesima  famiglia  non  mollo  lontana  da 
tal  anno.  L'arcaismo  delia  leggenda  C.  METELl  mi 
porla  appunto  a  quest'epoca  ,  e  perche  io  vi  su[ipli- 
sca  il  cognome  secondo  ,  me  lo  dimanda  la  \;jix*(pa, 
simbolo  parlante,  come  dicono.  In  simil  guisa  il  cece 
fu  messo  da  M.  Tullio  in  luogo  del  suo  cognome  Ci- 
cero, in  un'epigrafe  votiva  ;  ed  il  eh.  ab.  Cavcdoniha 
notato  un  ramo  di  spino  essersi  aggiunto  al  suggello 
di  Senlio,  in  riguardo  appunto  delle  spine  (^sen/f.<y, 
colle  quali  ha  analogia  il  nome  Serdius. 

Gariiccci. 


_  180  — 
Iscrizione  di  Campomarino,  tnasseiia  del  signor  Carrera  in  mezzo  ad  avanzi  di  villa  antica. 

C  •  HELVIDIVS  PRISGVS  ARBITER 

EX  •  COMPROMISSO  •  INTER  •  Q- 
TILLIVM  •  ERYLLVM  •  PROC  VR  ATOREM 
TILLI  •  SASSI  •  ET  •  M  •  BAQVIVM  sic  ■  AVLANIVM 
5  ACTOREM  •  MVNICIPI  •  HISTO  NIENSI VM 
VTRISQVE  •  PRAESENTIBVS  •  IVRATVS  •  SENTENTIAM 
DIXIT  •  IN  •  EA  •  VERSA  •  Q  •  INF  •  S  •  S  • 
CVMLIBELLVSVETVSABACTORIBVSHISTONIENSIBVS 
PROLATVS  •  SIT  •  QVEM  •  DESIDERAVERAT  •  TILLIVS 

10  SASSIVS  •  EXHIBERI  •  ET  •  IN  •  EO  •  SCRIPT  VM  •  FVERIT 
EORVM  •  LOCORVM  •  DE  •  QVIBVS  •  AGITVR  •  FA 
CTAM  •  DEFINITIONEM  •  PER  •  Q  •  COELIVM  •  GAL 
LVM  M  •  IVNIO  SILANO  •  L  •  NORBANO  •  BALBO 
COS  •  VIII  •  K  •  MAIAS  •  INTER  •  P  •  VACCIVM  •  VITVLVM 

15  AVCTOREM    •    HISTONIENSIVM    •    FVNDI    •   HERIANI 

CI  •  ET  •  TITVM  •  LACCILLVM  •  PROAVCTOREM  •  TIL         ('*'8^°  ^^"''^'^cÌllvm) 
LI  •  SASSI  •  FVNDI  •  VILLANIAE  •  IN  •  RE  •  PRAESENTI         (leggo  villani  AC) 
DE  •  CONTROVERSIA  •  FINIVM  •  ITA  •  VT  •  VTRISQVE 
DOMINIS     •     TVM     •     FVNDORVM     •     PRAESENTIBVS 

20  GALLVS  •  TERMINARET  •  VT  •  PRIMVM  •  PALVM 
ERIGERET  •  A  •  QVERCV  •  PEDES  •  CIRCA  •  VNDEC 
IM  •  ABESSET  •  AVTEM  •  PALVS  •  A  •  FOSSA  •  NEQVE 
APPARETQVOT- PEDES  SCRIPTIESSENT 
PROPTER     VETVSTATEM    LIBELLI    INTERRVPTI 

25  IN    •   EA    •  PARTE    •   IN   QVA    •    NVMERVS    •   PEDVM 

SIC   SCRITVS    •    VIDETVR    •    FVISSE    •    INTER    •    FOS 
SAM  •  AVTEM  •  ET  •  PALVM  •  ITER  •  COMMVNEM  sic 
ESSET  •  CVIVSPROPRIETASSOLIVACCIVITVLI.ESSET 
EX  EO  PALO  EREGIONE  AD  FRAXINVMNOTATAM  PAL 

30  VMFIXVMESSEAGALLOETAB  EOPALOE  REGIONEAD 
SVPERCIUVM  VLTIMl  LACVSSERRANIIN  PARTEMSINISTERIO 
.     • AB  •  EODEM  •  GALLO 

Un  monumento  epigrafico  dei  più  importanti  egual-  il  Cluverio  opinò,  che  qui  una  volta  fu  Clitemia.  Hi- 

menlc  fra  la  classe  de'  legali,  e  degli  agrarii  mi  arriva  slonium,  Larinum,  e  Teanum  Apulum  sono  le  città 

or  ora  dal  mio  chiarissimo  amico  Sig.  D.  Ambrogio  antiche  confinanti,  per  quanto  finora  se  ne  sa;  però 

Caraba  :  il  quale  erudito  com'è,  vi  unì  alcune  sue  ffts<onjMm  ne  dista  il  doppio  delle  altre.  Farebbe  quindi 

osservazioni ,  di  cui  terrò  conto  in  seguito.  Campo-  meraviglia  che  l' antico  territorio  istoniese  fosse  ilo 

marino  è  terra  abitata  da  circa  un  migliaio  d'  anime  tant'  oltre  fino  a  valicare  il  Tiferno ,  che  ne  avrebbe 

sulle  rive  dell'adriatico ,  e  poco  di  qua  dal  Bifcrao  :  dovuto  essere  quasi  naturai  limile  ;  se  la  presenza  del- 


—  181 


r  actor  municipi  Histoniensium  fosse  argomenlo  della 
estensione  di  leiriforio.  Ogni  municipio  potea  posse- 
dere qualche  spazio  di  terreno  sul  territorio  munici- 
pale vicino,  e  lo  ha  ben  notalo  Igino  fDc  Lim.  Con- 
slit.  p.  iSSy);  Quidam  sunt  agri,  vel  pascua,  vel  silvae 
in  regione  a  (errilorio  coloniae  divisa,  reipublicae  ter- 
ritorio assignali,  qui  illim  reipublicae  dicentur,  et  erunt. 
Di  fatti  P.Vaccio  Vitulo  dicesi  Auclor  Histoniemium, 
che  è  quanto  dire  colui,  dal  quale  è  passato  il  dritto 
di  proprietà  del  fondo  Eriano  agl'Istoniesi,  sia  per  do- 
nazione ,  sia  per  vendita.  Non  si  conosce  a  qual  ter- 
ritorio apparteneva  il  fondo  Villano  di  Tillio  Flac- 
cillo,  del  quale  egli  aveva  passalo  il  dominio  a  Tillio 
Sassio,  e  però  dìcesi  proauclor,  ossia  pr'mo  dante  causa , 
secondo  il  linguaggio  dei  giuristi,  al  presente  proprie- 
tario Tillio  Sassio.  Comunque  ciò  sia,  fu  questione  fra 
Tillio  Sassio  ed  il  municipio  Isloniese  intorno  ai  con- 
fini dei  due  fondi  Eriano,  e  Villano.  Tillio  Sassio  de- 
legò il  suo  procuratore ,  il  municipio  HiUonium  il 
suo  actor  (cf  D.  SC.  Trebell.  L.  26  ,  27  de  procur. 
L.  79  ,  de  pollicit.  L.  8) ,  i  quali  davanti  a  C.  Elvi- 
dio  Prisco  arbitro  compromissario  [cLD.  de  tutor.  L. 
4,  de  recepì,  arbitr.  L.  41  cf  Suid.  v.^coaTrpofxnrapio)' 
(7rpo;cofX((7ap;ot),  e  le  glosse),  trattassero  di  comporre 
le  differenze.  C.  Elvidio  Prisco  alla  presenza  del  pro- 
curatore e  dell'  actor  dato  il  giuramento  ,  pronunziò 
la  sua  sentenza  ,  della  quale  non  si  conosce  (inora  , 
che  la  prolesi.  In  questa  dice,  che  essendosi  prodotto 
il  libello  dagli  aclores  histonienses  desiderato  da  Tillio 
Sassio  ,  e  lettosi  ivi ,  che  ai  25  aprile  772,  Q.  Celio 
Gallo  pose  i  termini  alla  presenza  di  P.  Vaccio  Vitulo 
autore  del  fondo  Eriano ,  e  di  Tillio  Flaccillo  proau- 
tore del  fondo  Villano,  sopra  luogo  fin  re  praesenlij, 
piantando  Gallo  il  primo  palo  tramezzo  la  quercia  , 
ed  il  fosso,  cosicché  dalla  quercia  fosse  lontano  piedi 
,  .  .  ;  ma  che  questo  numero  di  piedi  non  potea  rile- 
varsi dal  libello  ,  che  si  presentava  ,  essenilo  logoro 
per  vetustà  appunto  in  quella  parte  ove  quel  numero 
pareva  dovesse  essere  scritto:  che  fra  la  fossa  e '1  palo 
correva  la  via  comune  ai  due  padroni ,  il  suolo  della 
qual  via  spettava  a  Vaccio  Vitulo  :  di  più  che  proce- 
dendo dal  primo ,  Gallo  aveva  posto  il  secondo  palo 
accanto  al  frassino  marcalo  (notalamJ,(ì  più  avanti  ne 


aveva  messo  un  terzo  al  sopracciglio  ,  cioè  alla  parte 
elevata  di  terra  ,  che  cingeva  1'  ultimo  lago  Serrano 

sulla  sinistra Qui  termina  il  frammento  della 

sentenza  pronunziata  da  C.  Elvidio  Prisco ,  monu- 
mento al  certo  pregevolissimo  per  ogni  verso.  Le  an- 
gustie del  foglio  non  dan  luogo  a  piene  dilucidazioni, 
e  perù  per  tutto  quello,  che  si  potrebbe  dire  intorno 
alla  maniera  tenuta  dagli  antichi  di  porre  i  termini , 
mi  basterà  ricordare  un  solo  luogo  di  Siculo  Fiacco, 
de  cond.  agr.  ove  dice:  Jli  tamen  finiuiitur  lerminis, 
et  arhoribus  nolatis,  et  antemlssis,  et  superciliis,  et  ve- 
pribus,  et  vii$,  et  rivis,  et  /b.ss/s.  In  quibusdam  reyio- 
nibus  palos  prò  lerminis  ohservanl  (p.  4.  agg.  8  ,  ;j3, 
Auct.  de  re  agr.  ed.  Goiis).  Dopo  ciò  fa  luogo  notare 
il  vocabolo  proauclor ,  che  non  è  nuovo ,  ma  gene- 
ralmente è  stato  trascuralo  dai  lessici.  Leggesi  la  prima 
volta  nel  papiro  ravennate ,  che  è  tra  i  papiri  diplo- 
matici del  Marini  il  XCIIl ,  e  fu  illustrato  dal  Malici 
prima  dì  lui  :  ma  né  il  Marini  ci  dice  nulla  intorno  al 
significato  di  questo  vocabolo  ,  se  non  che  :  «  Sono  i 
Proauclori  nominati  eziandio  ncil  pap.CXXl»  p.29o. 
Or  dicendosi  ivi  ;  A  me  meaque  patrotìa  auclores  et 
proauclores  bona  oplimo  maximo  et  iuconcwiso  iure 
possessum  est  (corr.  aucloribus  et  proaucloribus);  ap-  ' 
par  manifesto  che  qui  il  prò  del  proauclor  non  ha 
senso  diverso  da  quello,  che  dà  il  prò  al  proavus,  al 
proìocer ,  al  proemptor  (  1  )  ;  ed  in  conseguenza  ,  che 
vien  tolto  nel  medesimo  significalo,  in  che  si  prende 
nel  nostro  monumento  diCampomarino.  11 C.  Elvidio 
Prisco  pare  al  eh.  Caraba  «  forse  il  genero  del  celebre 
Trasea  Pelo  ,  e  celebre  anch'  egli ,  che  visse  sino  ai 
tempi  di  Vespasiano  (Tacit.  Ann.  XII,  10.  Ilist.  IV, 
1  ).  Costui  avrà  tenuto  parentela  in  questa  4.  regione 
d'Italia  ,  se  fu  sua  figlia  Helvidia  Priscilla  moglie  di 
Vetlio  Marcello  procuratore  degli  Augusti  Teatino  , 
come  dall'  inscrizione  presso  Mommsen  [1.  N ,  num. 
5311).  Un  arbitro  in  controversia  di  latifondi,  come 
nel  caso  presente ,  non  poteva  esser  persona  di  poco 
nome.  Di  Vetlio  Marcello  parla  Plinio  [H.  N.  II.  S3), 
e  come  questi  era  procuratore  di  Nerone,  il  figlio  lo 

(1)  Il  Mulini,  che  nolo  il  primo  la  slngolarilà  di  questa  voce, 
prolesla  di  noji  sapere  che  voglia  sigiiUieare  (  I  papiri  dipluina- 
tici,  p.  253,  tiO)). 


—  182  — 


sarà  sialo  di  Tito  e  Domiziano,  auguslorum  della  pie- 
tra tealina.  Sembra  verisimile  che  Elvidio  sia  sialo  in- 
caricalo di  questo  arbitramenlo  prima  de'suoi  impieghi 
e  disgrazie ,  poiché  per  le  sue  virtìi  e  studii  forse  era 
già  illustre.  Soa  tentalo  a  crederlo  di  questi  luoghi 
nativo  ,  giacché  in  Vasto  abbiamo  lapidi  della  fami- 
glia Ilelvidia  ,  e  sarebbe  propriamente  teatino  come 
il  genero ,  se  nel  lesto  corrotto  di  Tacito  invece  di 
Helvidius  Priscus  regione  Italiae  Tarracinae  munici' 
fio  potesse  leggersi  Teatino  ». 

Giustamente  è  avvertito  dal  eh.  mio  amico  il  biso- 
gno di  emendare  il  corrotto  passo  di  Tacito ,  e  ben 
osserva  ,  che  ora  può  farsi ,  per  l'aiuto  ,  che  ne  dà 
il  prezioso  monumento  di  Campo  Marino.  Leggesi  in 
Tacito  :  Helvidius  Priscus,  regione  Italiae,  Terracinae 
municipio,  Cluvio  patre,  qui  ordinem  primipili  duxis- 
sci  eie.  (  H.  IV ,  5  ).  Molte  cose  osservano  i  commen- 
tatori, che  ognuno  può  leggere  da  se,  maio  ricordo, 
coi  Lipsio,  che  i  codici  danno  queste  principali  varianti 
della  voce  Tarracinae;  il  valicano  legge  Tarentium,  il 
farnesiano  Tarcnlinae ,  le  antiche  edizioni  J'arenùno. 
Poi  osservo  col  Ciuverio,  che  i  menanti  ordinariamente 
corruppero  i  Frenlani  in  Ferentani  :  Genlis  (Frenla- 
nae)  nomen  in  plerinque  anctorum  exemplaribus  ex- 
scriplores  corrupcrunl  in  Ferentani;  respicientes  haud 
dubie  Celebris  in  Lalio  opidi  vocabulum  Ferentinum 
(II.  Ant.  1206).  Inoltre  se  Elvidio  Prisco  era  figlio 
di  un  primopiio ,  come  poteva  il  padre  essersi  chia- 
mato eluvio?  Adunque  anche  in  questa  parte  del  te- 
sto fa  mestieri  introdurre  una  giusta  emendazione. 
Me  ne  dà  poi  l'agio  il  municipio  Cluviineì  Frentani, 
conosciuto  per  una  lapida  trascritta  da  me  in  Lancia- 
no, e  prima  anche  dal  Mommsen  (i).iV.o293),  ove  si 
legge  C.  Attio  Crescente  AEDANXANIETCLVVIS; 
sulle  quali  basi  emendo  così  il  passo  di  Tacito ://e/ot- 
dius  Priscus,  regione  Italiae  frentana,  municipio  Clu- 
viis,  patre,  qui  ordinem  pmmipili  duxisset. NelWo  Mar- 
cello e  primis  equestris  ordinis  [PWn.  H.  N.  XVII,  38), 
non  era  genero  indegno  ad  Elvidio  ancor  esso  di  ori- 
gine equestre  ;  né  il  dirsi  Vellio  Procurator  Augusto- 
rum  ci  obbliga  a  vedere  due  Augusti  regnanti,  e  però 
a  respingerlo  dopo  il  913  ,  perché  può  aver  taciuto 
nel  marmo  teatino  i  nomi  degli  imperatori  e.  g.  Divi 


Vespasiani  el  divi  Titi  (cf.  /.  N.  1991),  e  scritto  più 
compendiariamente  solo  Augustorum  ;  onde  parmi 
vera  l'osservazione  del  eh.  Caraba ,  che  la  Elvidia 
Priscilla  figliuola  di  Gaio,  moglie  di  Vellio  Marcello, 
sia  per  l'appunto  la  figlia  del  celebre  Stoico. 

Garrccci. 

Iscrizione  Sannitica  rinvenuta  in  S.  Maria  di  Capua. 

Il  benemerito  Sig.  D.  Vincenzo  Caruso,  che  mi  ha 
dato  altre  volte  gradita  occasione  di  commendamela 
gentilezza  verso  di  me  ,  e  l' amore  ai  buoni  studii , 
offre  ora  un  nuovo  argomento  a  comprovare  la  sin- 
cerità delle  Iodi ,  che  gli  tributiamo.  Ricevo  ora  da 
lui  per  inserire  nel  nostro  Bullellioo(tav.  XML  n.2.) 
il  singolarissimo  frammento  opistografo  di  terracotta 
proveniente  dall'antica  Capua,  colle  leggende 

NOVN     III  B^VWRq     i|| 

VWFJq     Ifti  ADVN     3.5. 

Il  lavoro  sicuramente  sannilico  delle  due  slampe  è 
prezioso  pel  confronto,  che  si  può  fare  con  altre  opere, 
e  segnatamente  colle  monete  ;  tra  le  quali  una  ha  il 
cinghiale  della  forma  medesima  di  questo.  La  proto- 
me gaieafa  a  tre  fall,  e  con  collana  al  collo,  traente 
dall'etrusco,  più  che  dal  greco,  ci  mette  forse  davanti 
la  figura  di  alcuna  celebre  divinila  etrusca  della  quale 
era  rimasto  il  culto  in  Capua.  Considerando  il  cogno- 
me lovia  dato  alla  Foius  di  una  epigrafe  appartenente 
ad  un  villaggio  romano  dell'agro  di  Capua,  si  direbbe 
che  alcun' altra  divinità  abbia  avuto  lo  slesso  cognome, 
o  che  la  Vcnus  armata  si  rappresenti  in  queslo  tipo 
(Laet.  1 ,  20  ,  Quint.  II ,  4  ,  Auson.  ep.  42  ,  43  ). 

A  me  pare  che  un  Cluazio forse  sacerdote 

della  Giovia abbia  fallo  alcun  dono  al  pub- 
blico (  cf.  SrjfXOff/ow  ,=ó  wpsàv  Ipya^SffSoK  Suid.  ). 

Garrucci. 

Iscrizione  dipinta  di  Ardea ,  graffiti  sui  vasellitii 
diS.  Cesario,  e  su  lamina  di  piombo  romana. 

Presso  il  Sig.  Gio,  Ballista  Guidi  in  Boma  vidi  il 
frammento  di  vaso  scavato  ad  Ardea,  intorno  al  collo 


—  183  - 


del  quale  era  dipinto  a  color  bianco  il  frammento  di 
iscrizione,  che  io  dò  a  Tav.  IV,  nel  quale  non  è  mollo 
notabile  l'AMIILIAI  per  Familiae,  cosa ,  che  senza 
ricorrere  al  Ì31-HFJ8  dogli  Osci  (  Festus ,  p.  86 ,  ed. 
Miilier),  può  spiegarsi  coll'uso  antico  romano ,  di  che 
si  è  detto  molto,  e  da  molli  (cf.  VEA,  MOMÌMEN- 
TVM,  NAVEBOS ,  SOLEDAS,  MERETO,  SEiMOL, 
SIDE,  MEiXERVA,  VELLA,  VECOS ,  v.  Voss.  de 
art.  gram.  pag.  58)  :  ma  riesce  di  grande  interesse  il 
conoscere  ora  qual  fosse  la  paleografia  dei  Kutuli. 

Non  ho  mai  approvato  la  maniera  tenuta  da  altri  di 
giudicare  di  questo  genere  di  scrittura,  che  io  chiamo 
lineare.  Da  per  tutto  i  popoli  italici  usano  di  un  alfa- 
beto proprio,  diverso  d'indole  dal  quadrato  romano; 
se  lo  diciamo  corsivo,  dovrassi  convenire  che  i  mo- 
numenti italici  scritti  con  esso,  siano  scritti  in  corsivo; 
e  ciò  anche  a  dispetto  del  senso  medesimo  di  quel 
vocabolo,  che  ripugna  essere  adoperato  a  definire  una 
ben  intesa,  e  regolarissima  forma  di  lettere,  ledi  cui 
linee  conservano  perfetta  quadratura,  punto  non  infe- 
riore al  più  elegante  quadrato  romano.  A  voler  osti- 
narsi nell'errore  non  resterebbe  se  non  di  sostenere, 
che  i  popoli  italici  hanno  dipoi  regolarizzato  il  corsi- 
vo ;  opinione  paradossa ,  che  assume  ciò  ,  che  dovea 
dimostrare ,  essere  cioè  ogni  carattere  non  romano 
il  corsivo  di  quello.  Se  il  corsivo  di  sua  natura  «  tende 
di  necessità  ad  eliminare  al  possibile  gli  angoli  retti , 
ed  a  lasciare  sospese  ed  incompiute  le  curve  »  ,  siccome 
ha  ottimamente  detto  il  eh.  collega  Cav.  de  Rossi  (Bull, 
dell'  Instit.  1851  ,  24) ,  produrrà  quindi  linee  ton- 
deggianti, ed  imperfette,  invece  delle  angolose  e  per- 
fette; ed  è  ciò  verissimo,  confermandosene  l'assioma 
colla  esperienza  tanto  sui  monumenti  orientali,  segna- 
tamente fenicii ,  quanto  sui  romani  medesimi.  Così 
avrebbero  origine  le  lettere  d,  m,  v,  e,  p,  r,  l,  s,  evi- 
dentemente corsive;  ma  la  lUI,  la  III,  la  II,  la  I',  la  li 
dovrebbero  avere  a  parer  mio,  una  origine  diversa. Del 
resto  non  voglio  andar  molto  avanti,  e  mi  arresto  alla 
sola  II,  ritenuta  dagli  Osci,  dai  Marsi,  dai  Veslini,  dai 
Marruccinijdai  Sanniti,  dai  Rutuli  sui  monumenli  ro- 
mani di  epoca  certa,  che  datano  dalla  metà  del  secolo 
quinto,  ai  quali  sono  di  poco  anteriori  le  monete  fuse. 
Prima  di  quest'epoca  si  parla  dagli  scrittori  di  carattere 


etrusco  C  di  greco ,  cioè  di  un  alfabeto  non  proprio 
della  nazione  romana  (cf.  le  cose  dette  a  p.  Vl.diqìie- 
sto  bull.).Poco  monta,  se  prima  o  dopo  il  terzo  secolo 
Roma  si  creasse  il  suo  alfabeto,  che  ritenne  costante- 
mente di  poi  ;  quello  che  importa  assai  è  di  ricono- 
scere, che  colla  dominazione  romana,  il  lor  costume 
e  la  loro  letteratura  andarono  essi  a  poco  a  poco  dif- 
fondendo tra  i  popoli  italici.  Ilo  fatto  già  notare  altra 
volta  sull'autorità  di  Strabene,  lo  studio  che  ponevano 
i  capi  delle  orde  sanniticbe  nel  linguaggio  romano. 

Queste  cose,  che  la  strettezza  dei  fogli  mi  permette 
appena  di  accennare,  coglierò  il  destro  di  trattare  altra 
volta  più  dilTusamente.  D,i  tal  preludio  però  ben  può 
rilevarsi  fin  da  ora  che  cosa  io  slimi  delle  leggende  , 
che  altri  tiene  corsive  romane,  ed  io  corsive  sì,  quando 
lo  sono,  ma  corsive  di  un  carattere  diverso  dal  roma- 
no,indipendente  da  esso,  e  forse  anche  anteriore. Perciò 
non  ripongo  affatto  fra  le  corsive  le  lettere  delia  leg- 
genda ardeatiua,  né  quelle  dei  graffili  dei  49  vasellini 
di  S.  Cesario  a  tav.  XII,  ma  le  credo  tutte  provenire 
da  un  primitivo  alfabeto  italico,  che  restò  in  uso  pri- 
vato, forse  anche  presso  i  I{omani,  dopo  che  vi  fu  in- 
trodotto pei  monumenti  il  così  detto  quadralo  roma- 
no. L' avanzo  della  leggenda  ,  credo  possa  supplirsi  ; 
....  DrOMO  ■  l'AMIILIAI  •  1)0X0  Yrnam  dal. 

Intorno  poi  alla  lamina  di  piombo  incisa  a  t.XlII.n. 
1.  su  di  una  copia  a  lucido,  che  io  medesimo  mi  son 
cavalo  in  Roma,  per  concessione  del  eh.  p.  Marchi, 
onde  inserirla  nel  bulleltino  a  vantaggio  degli  sludi  pr- 
leografici,  dirò  solo,  che  non  veggo  verun  errore  nei 
quattro  nomi,  due  di  uomini,  due  di  donne,  che  ter- 
minano la  leggenda  ,  tranne  il  popolare  idiotismo  di 
sopprimere  1' M  nei  due  ultimi;  Commendo  libi  Ven- 
nonia  Ilermiona  ult  odio  sit  eie.  Così  sopra:  D/iepa/?/' 
Rhodinc  tibei  commendo  ut  odio  sii  M.  Licinio  Fausto. 
I  due  nomi  di  uomini  sono  messi  in  caso  accusativo , 
come  quelli  delle  donne,  raccomandali  a  Plutone,  co- 
me quelle  ,  affinchè  mortui  sibi  essent  gli  uni  e  le  altre 
a  vicenda  (cf.  Plaut.  Cisl.  acf.  3.  v.  15):  onde  dimo- 
strasi il  senso  erotico  della  formola.  L'alfabeto  incli- 
na al  corsivo  italico  ,  ed  otiimi  coiu''ronti  me  ne  danno 
i  graffiti  pompeiani,  dei  quali  so  desiderarsi  da  molli 
la  pubblicazione  :  ma  non  spero  poterli  dare  in  questo 


—  184  — 


Builelliuo.  Qui  invece  oltre  alla  lamina  eli  piombo,  ho 
riputato  dover  dare  alla  luce  i  49  graffili  traili  dai  va- 
sellini  di  S.  Cesario,  secondo  mia  lellura,  disegnati  dal 
valente  artista  romano  Silvestro  Bossi  colla  mia  dire- 
ziono. Il  Baldini  e'I  Lupi,  in  mano  ai  quali  pervennero 
quasi  tulle  queste  singolarissime  stoviglie,  stamparono 
le  leggende  il  primo  nelle  dissertazioni  cortonesi  (Tom. 
II,  Dissert.  8,  p.l55  seg.),  il  secondo  nel  celebre  suo 
commentario  sulla  lapida  di  Santa  Severa  Martire  (p. 
8G  s.).  Niuno  sa  quei  del  Baldini  ove  sian  finiti,  tranne 
forse  quell'uno,  che  Clemente  Cardinali  scrive  di  aver 
presso  di  se  (  Iscr.  Veli  terne  p.  232  Efem.  di  Roma 
n.  1 18) ,  con  leggenda  VESI'ICIA  •  PR/ESP,  che 
dal  Baldini  è  riferita  colla  sola  difl'erenza  di  ^P  in 
luogo  di  PR  ;  gli  editi  dal  nostro  p.  Lupi  erano  pres- 
so il  Vettori ,  il  Ficoroni ,  nel  Chircheriano  ,  ed  al- 
trove. Cinquanta  sono  quelli  che  ha  tuttavia  il  museo 
Chircheriano  dei  quali  io  pubblico  i  soli  quaranta- 
nove  Ialini,  omesso  il  greco,  che  è  nel  Lupi  a  p.  89, 
n.  6.  Ecco  la  mia  lezione  (1)  : 

4.  Aimiliai.  a.  d.  II f.  non.  fé. ,  2.  Alfeìios.  Luei. 
a.  d.  XII.  e.  no(v)em.,  5.  A.  Aelei.  a.  d.VI.  non.  mar- 
ìias.,  4.  C.  Baioni  k.  mais.,  5.  L.  Caiidlim.  a.  d.  VI. 
k.  quifnjciilis. ,  6.  Q.  Caecilis.  a.  d.  VII.  idus.  no.  , 
7.  L.  Canlulius.  Mamerti.  fedi.,  S.  Carlilia.  a.  d.  IX. 
k.  mai., 9.  M.  Cfojeliio.  M.  L.  a.  d.  II.  k.DiicfemJbr., 
40.  D.  Claudi.  M.  L.  Philocralia.  a.  d.  III.  k.  nofvejm- 
h[r.],  14.  a.  d,  X.  k.  ian.  Cu.  Cor.,  i%.  Dercina  IfuJ- 
ranalaria.  idibus.  novemhr.,  43.  Demetrim.  p.k.iun., 
H.  Felix.  PelicfiiJ.  sfervmj.  p.  k.  fé.  M.  CaesfoniusJ. 
Ga1[l]us  (fedi) ,  45.  Porlunalia.  Martfija.  Plolica. , 
46.  C.  Gali.  a.  d.  XII.  k.  mar. ,  47.  G.  Genuo.  a.  d. 
VII.  et.  iu,  ,  48.  Himinis.  TerefnliiJ.  a.  d.  XIII.  k. 
majas.,  49.  Ilira.  a.  d.  XII.  k.  od.,  20.  P.  H.  Cor., 
2i,  lunia.  C.  f.  a.  d.  IX.  k.  n(o)vem.,  22.  M.  Inni, 
a.  d.  XI.  k.  Sep.,  23.  P.  hard  C.  L.  Hil(ari).  a.  d. 
VII.  k.  decem.  pferiilj  XV.  kal. ,  24.  P.  lunii.  pr. 

(1)  La  stella,  che  accompagna  alcune  leggende  della  tavola,  in- 
lìicì  essersi  ridotte  quelle  iscrizioni  alla  metà  dell'  originale. 


k.  odo.,  25.  Lic(i)nia.  a.  d.  k.  mariias.,  26.  P.  Li' 
gurius.  a.  d.  IV.  nonas.  apr. ,  21.  Lida.  a.  d.  VI. 
n.  0.,  28.  C.  Lurius.  pr.  eid.  dee.,  29.  Lulatia.  a.  d. 
IV.  k.  0.  ifnjvan. ,  30.  C.  Lulalio.  Q.  l. ,  51.  P. 
Maed.  a.  d.  XVIII.  k.  fé.,  32.  A.  Minali.  A.  L.  no- 
nis.  novfejm.,  33.  A.  Minuci.  a.  d.  IV.  eidu.,  34.  C. 
Pacci.  C.  L.  Salvi,  pr.  non.  ian. ,  35.  Papiri.  a[n]. 
d.  iiidus.  diiciifmjhris. ,  36.  Paullae.  Sslviae.,  37.  P. 
Percenni.  a.  d.  Vili.  eid.  od.,  38.  [Qjufijn.  Poponi, 
a.  d.  ini.  k.  mar. ,  39.  Prolarcus.  PubflidiJ.  p.  k. 
f ,  40.  P.  PublicfiJ  M.  L.  Proliim(i).,  44.  M.  Siicli- 
lis.  a.  d.  VII.  k.  n.,  42.  a.  d.  IV.  iiid.  dee.  M.  Sem- 
proni.  L.f.  ler(enlina).  osi{u'\a..,  43.  Tilinia.  a.  d.  VII. 
k,  mar. ,  44.  Q.  Tilini.  a.  d.  IX.  k.  iun. ,  45.  T. 
Tusanis.  a.  d.  III.  e.  o. ,  46.  C.  Valeri.  C.  L.  Bar- 
naes.  a.  d.  X.  k.  dee. ,  47.  L.  Valerim.  Spin[l]her.  a. 
d.  k.  II.  iun.,  48.  M.  Vergulei.  a.  d.  VI.  eid.  mar.  , 
49.  a.  d.  IIX.  k.  ap.  Vinuleiai. 

Non  bastando  il  foglio  ai  commenti ,  che  sarebbero 
necessarii ,  mi  limiterò  solo  a  notare ,  che  nel  nome 
Porlunalia  debbono  riconoscersi  le  feste  in  onore  di 
Portuno ,  celebrale  in  Roma  ai  17  di  agosto;  e  però 
che  questo  è  il  giorno ,  in  che  morì  Marlia  Plotica. 
Nei  nomi  in  IS  riconosco  un  idiotismo,  del  quale  ho 
detto  altrove  (  cf.  la  pag.  43  di  questo  bull.  )  ;  in  al- 
cune voci ,  come  Gali ,  Hira  noto  arcaismo  della 
consonante  semplice  ,  come  in  altre  la  e  per  i ,  V  ai 
per  ae,  ì'ei  per  i.  In  fine  avverto  essere  antichissimo 
l'uso  di  scrivere  li.  Kal  invece  di  pr.  Kal  (n.  9,  e 47 
ove  è  posposto  al  K  ) ,  contro  a  ciò  ,  che  ha  stimato 
il  Vaassen  fAnimad  ad.  fast.  sacr.  p.  228  ) ,  e  dopo 
lui  anche  il  Merkel  (  ad  Oddii  fast.  LVIII  )  i  quali 
reputano  caepisse  Theodosii  aelale ,  in  cuins  novellis 
observatus  fille  mosj  est. 

Intorno  poi  alla  paleografia  ,  ed  a  certi  grecismi, 
come  CVN  nato  a  parer  mio  dal  Ko'iVros,  ne  rimet- 
to la  trattazione  a  tempo  migliore, 

Garrucci. 


P.  Raffaele  Garrucci  n.c.n.o. 
GiOLio  MiSERViNi  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaneq, 


BriLETTIXO  ARCHEOLOGICO  ÌVAPOIITAIVO. 


NUOVA    SERIE 


N°  24. 


Giugno  18Ó3 


Notizia  de  pia  recenli  scavi  di  Pomjici — Tdli  pompeiani  conservati— Strada  e  porta  Stahiana.  Conliniiazione 
del  num.  precedente. — Teste  di  cera  in  sepolcro  cumano.  Lettera  del  eh.  si(j.  Comm.  Bernardo  Quaranta  al 
stg.  Giulio  Minervini. — Bassorilievo  Capuano,  ora  nel  Beai  Musco  Borbonico. — Patera  capuana  colla  fìijura 
di  Pelope. — Morte  di  .iiace  Tdamonio  in  va^o  nolano.  —  Ossi  amichi.  Pietra  incisa  ddsig.  ducadl  I.ui/nes. 


Notizia  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei  —  Tetti  pom- 
pejani  conservati  —  Strada  e  porta  Stahiaìia.  Con- 
tinuazione del  n.  precedente. 

Altri  programmi  furono  da  noi  trascrilli  sui  muri 
esterni  degli  edificii  nella  medesima  strada.  Sono  essi 
i  seguenti  — 

1.  POSTVMIVM 

AEDO/^ 

2.  MAGNYM 

DV  fmon.J.  0.  D.  R.  P. 
Questo  programma  è  notevole  per  la  sigia  DV  in 
monogramma  ,  e  per  la  formola  abbreviala  oro  inve- 
ce dell'  altra  più  comune  ed  eslesa  oro  vos  faciatis. 

3.  GAVIVM 

4.  CAPRASIVM 

AED  0^'^ 

5.  CEIVM.  SECVNDViM  IIVIR  OA» 

PAPID  0^ 
Dovremo  forse  qui  riconoscere  il  nome  di  Papi- 
dius. 

6.  M.  HOLCONIVM.  II.  V.  I.  D 

L.  CEIV.M.  SECVNDVM  II.  VIR. 
PASSARATVS.  NEC.  SL\E.  MAENIANO 

ROG. 
Il  nome  Passaralus  quasi  Pasaratus  sembra  di  gre- 
ca derivazione.  Curioso  è  l'aggiunto  nec  sine  maenia- 
no,  la  cui  iulelligenza  dopo  il  correre  di  tanti  secoli 
ci  è  ignota.  In  fatti  non  possiamo  indovinare  a  quale 
particolarità  di  quello  sporto  o  balcone  si  volle  allu- 
dere dallo  scrittore  del  programma.  Avvertiamo  so- 


lamenle  la  ortografia  MAEMAXO  ,  la  quale  è  un 
novello  confronto  a  quei  monumenti  epigrafici ,  che 
ce  la  presentano  :  tra  questi  è  da  citare  la  tav.  XXIII 
arvale  presso  il  Clarini  p.  CXXX  Cf.  Orelli  n.  2337, 
ove  si  ripete  più  volte  la  medesima  ortografia ,  ed 
una  sola  volta  MEXIAXO  senza  il  dittongo  ,  forse 
per  negligenza  del  quadratario.  De'  maeniana  esi- 
stenti in  Pompei  ed  Ercolano  vedi  le  cose  dette  dal- 
l'Avellino nel  suo  hnllct.  ardi,  napol.  an.  1 .  p.  2,  e  2 1 . 

Noi  parlammo  di  sopra  p.  140  du' tetti  pompeiani 
conservati  presso  il  secondo  peristilio  di  una  casa,  di 
di  cui  presentammo  la  descrizione.  Ora  diamo  nella 
nostra  tavola  XiV  il  disegno  di  questi  tetti  eseguilo 
quando  erano  meglio  conservali ,  che  noi  dobbiamo 
alla  cortesia  dell'egregio  ingegnere  direttore  degli  sca- 
vi di  Pompei  sig.  Gaetano  Genovese  (1).  Noi  presen- 
tammo alcune  osservazioni  su  questi  pompeiani  telli 
alla  R.  Accad.  Ercolanese,  le  quali  vedranno  quando 
che  sia  la  luce  negli  alli  di  quel  dotto  consesso;  ma 
intanto  crediamo  far  cosa  grata  a' lettori  del  bullelti- 
no  ,  mellendo  sotto  i  loro  sguardi  un  disegno  di  quei 
tetti;  dal  quale  apparisce  la  disposizione  de' tegoli  con- 
fluenti ,  per  modo  che  gli  uomini  dell'  arte  trar  ne 
potranno  profitto  per  applicarli  alle  moderne  costru- 
zioni. 

Abbiamo  segnato  con  lettere  le  particolarità  de' tetti 
pompeiani.  Sono  esse  — 

A.  Tegolo  rovescio  tagliato 

B.  Simile  più  piccolo 


(1)  La  pane  segnala  piùlcggermemeoraèinicramentcperduu. 

2+ 


—  186  — 


C.  Tegolo  confluente 

D.  Simile  sovrapposto 

E.  Coppo  con  auiefissa.  É  da  osservare  che  questo  non 
fu  certamente  scello  per  un  particolare  ornamento  ; 
non  trovandosi  in  silo  da  fare  una  conveniente  com- 
parsa. 

e.  Tegoli  simili  a  quello  segnato  in  A. 
d.  Mezzo  coppo  con  antefissa. 

Sotto  in.  1,2,3  veggonsi  tre  particolari  tegoli 
con  apertura  per  dar  luce  a'  siti  sottoposti  i  quali  non 
sono  ancora  scoperti. 

Finalmente  il  num.  4  ci  presenta  anche  sotto  una 
scala  pili  grande  un  tegolo  confluente;  perchè  meglio 
se  ne  osservi  la  conformazione. 

Ci  resta  a  parlare  in  ultimo  luogo  di  una  scavazio- 
ne precedentemente  eseguita  ,  e  di  cui  già  si  diede  in 
parte  notizia  negli  atti  della  regale  accademia  Ercola- 
nese  (  memorie  voi.  VII.  Appendice  pag.  le  39  ,  e 
seg.).  Noi  presentiamo  per  la  prima  volta  la  pianta  di 
quello  scavo ,  che  ci  venne  gentilmente  fornita  dal  Cav. 
Guglielmo  Bechi ,  di  cui  deploriamo  la  perdita  re- 
cente. All'estremo  meridionale  della  città  di  Pompei, 
e  poco  più  in  giù  dell'  attuale  scavo,  fu  pratticala  nel 
1831  una  scavazione  ,  ad  oggetto  di  verificare  il  cir- 
cuito delle  mura.  Questa  ricerca  fu  coronata  dal  più 
felice  successo  ;  perciocché  venne  fuori  una  porta  di 
vetusta  costruzione ,  eh'  è  quella  appunto  di  cui  pre- 
sentiamo il  disegno  nella  tav.  Vili.  fig.  10.  Forti  mu- 
ra ,  composte  di  grandi  massi  rettangolari  di  pietra 
di  Sarno,  si  elevano  a' due  lati  della  porta;  e  fra  que- 
ste mura  passa  una  pubhlica  via  lastricata  di  pietra 
vesuviana  (1)  di  mediocre  ampiezza  ,  con  marciapie- 
de da  un  lato  solo.  Nella  pubblica  strada  ,  di  cui  di- 
cemmo ,  poco  lungi  dalla  porta  scorgesi  una  vasca  di 
pozzo  (8)  con  ornamento  di  una  grande  lesta  di  Me- 
dusa a  bassissimo  rilievo  ,  con  buco  pel  getto  dell'ac- 
qua :  i  inuricciuoli  della  fontana  ,  e  la  suddetta  testa 
gorKonica  sono  di  tufo. 

Non  parlerò  della  porzione  di  strada,  che  si  allarga 
posteriormente  alla  descritta  vasca,  e  cheèUmitatada 
un  muro  di  opus  incerlum  ,  perciochè  la  scavazione 
non  è  tanto  avanzata  da  poterne  adeguatamente  discor- 
rere. Nel  n.  (3,  3)  era  l'antica  porla,  che  richiudeva 


da  quel  lato  la  entrata  della  città;  nel  n.  (4,  4)  sono 
indicati  i  cuscinetti  di  piperno  de'  grossi  cardini ,  dei 
quali  rimangono  le  tracce.  Su'  medesimi  laterali  massi 
di  piperno  appaiono  gì'  incavi  per  inserirvi  le  grandi 
imposte  della  porta.  Poco  dopo  la  chiusura  si  allarga 
alquanto  la  strada ,  e  di  qua  e  di  là  si  veggono  le  so- 
lite opere  di  fortificazione,  il  terrapieno  (6, G)  limitato 
da  doppia  muraglia  (7,7).  Al  detto  terrapieno  si  ascen- 
de mercè  una  scala  co' gradini  di  pietra  di  Sarno  se- 
gnata nella  pianta,  alla  quale  conduce  una  piccola  erta 
lastricata  di  massi  di  piperno.  Il  marciapiede  (2,2), 
ch'è  da  un  lato  solo  della  strada,  è  fortificato  damassi 
di  piperno ,  e  su  di  esso  veggonsi  alcune  costruzioni 
di  fabbrica  laterizia  ,  traile  quali  una  bottega  con 
banco  esteriore  adorno  di  marmi  di  differenti  colori, 
del  che  altri  esempli  furono  poi  riscontrati  nel  pro- 
lungamento della  medesima  strada  ,  ove  atlualmeute 
si  sta  scavando.  Sopra  uno  de'  pilastri  fu  letto  il  pro^ 
gramma  ,  già  altrove  pubblicato 
PANSAM  AED 

^    CEIVM.  II.  V.  I.  D 

^    EPAGATVS.  GYLO 
ROG 

Sullo  stesso  marciapiede ,  prima  che  la  strada  si 
restringa  novellamente,  è  nel  muro  pratticalo  un  in-"- 
cavo,  una  specie  di  edicola  rivestita  di  rozzo  intonico. 
Vedcsi  in  essa  graffila  leggermente  una  iscrizione  di 
dubbia  lettura  ;  della  quale  daremo  il  fac-simile  con 
qualche  nostra  osservazione. 

Una  porzione  della  fabbrica ,  che  costeggia  i  due 
terrapieni,  è  di  opera  incerta  ,  ma  tutto  il  rimanente 
della  costruzione  si  compone  di  grandi  massi  rettan- 
golari di  pietra  di  Sarno.  Prima  di  restringersi  novel- 
lamente la  strada  dalla  parie  opposta  al  marciapiede 
vedesi  impiantata  nel  suolo  una  pietra  di  travertino 
(n.5),  ove  è  scolpita  la  famosa  iscrizione  viaria  osca, 
sulla  quale  si  fecero  particolari  ricerche  dalla  reale  ac- 
cademia Ercolanese,  e  poi  da  altri  stranieri  scrittori. 
Vedi  l'appendice  al  voi.  VII  delle  memorie,  e  ciò  che 
fu  scritto  più  sopra  dal  collega  Garrucci  pag.  81  , 
e  seg. 

La  iscrizione  è  stala  già  riportata  nella  pagina  182,  a 
difTereuzadi  alcune  piccolissime  varietà  di  lezione,  delle 


—  1S7  — 


quali  non  è  qui  il  luogo  di  discorrere  :  e  mi  propon- 
go di  far  su  di  essa  alcune  novelle  osservazioni,  olire 
quello  che  ne  scrissi  nella  diala  appendice  de  \o\.  VII 
delle  memorie  pag.  1 ,  e  seg. 

Non  risulla  dalla  figura  quanlo  spazio  rimane  a  ri- 
trovare l'esterno  limile  delle  mura,  colle  quali  finisce 
la  porla,  essendo  sospeso  l'ullcriore  taglio  del  terreno. 

Debbo  però  alla  gentilezza  dell'  attuale  ingegnere 
Direttore  sig.  Genovese  la  notizia,  che  essendosi  a  mia 
richiesta  pratticato  un  cunicolo  dal  punto  oveesislela 
iscrizione  osca  fiuo  all'angolo  estremo  da  quel  lato,  si 
è  ritrovata  la  lunghezza  di  pai.  18,  50.  Non  so  quanto 
questa  notizia  possa  influire  alla  retta  intelligenza  di 
alcuni  luoghi  della  suddetta  iscrizione. 

Qualunque  sia  la  diversità  delle  opinioni  sopra  al- 
cuni punii  difilcili  di  questo  interessante  monumento, 
certo  è  però  che  se  ne  deduce  la  denominazione  di 
Stabiana  conveniente  alla  porla  finora  descritta,  e  forse 
ancora  quella  di  via  Stabiana  alla  strada  che  alla  porta 
medesima  fa  continuazione. 

Di  tuli' altro  mi  riserbo  di  parlare  a  tempo  più  op- 
portuno. 

MlSERVlNI. 

Teste  di  cera  in  sepolcro  cumano.  Lederà  del  eh.  sig. 
Comm.  Bernardo  Quaranta  al  sig.  Giidio  Minervini. 

Chiarissimo  amico  e  collega 

Discorrendo  Ella  nel  pregiatissimo  suo  Bulletlino 
i  miei  lavori  intorno  alla  singolare  scoperta  degH  sche- 
letri cumani  cerocefali ,  annunziò  essersene  da  me  il 
primo  parlato  nella  reale  accademia  Ercolanese  fin 
dagli  11  del  passato  gennaio.  Indi  fecesi  ad  enumerare 
i  varii  problemi  da  me  risoluti  intorno  alle  teste  di  cera 
ad  essi  scheletri  appiccate, e  poi  aggiungeva  come  avessi 
sviluppata  la  decapitazione  di  quegl'infelici.Per  chiarire 
intanto  questa  espressione  e  far  conoscere  ad  un  tem- 
po ai  lettori  del  suo  eruditissimo  giornale  la  mia  opi- 
nione qualunque  ella  siasi ,  egli  è  d'  uopo  che  io  Le 
ricordi,  come  in  quel  giorno  io  m'intrattenni  sul /"ti- 
nu$  imaginarium ,  sul  funus  larvatum ,  e  sulle  imma- 
gini ceree  dc'Romani,  mostrando  cosa  non  ancora  da 


nissuno  avvertita,  cioè,  che  l'origine  se  ne  dovesse  ri- 
petere dagli  Egizi.  E,  senza  parlar  di  altri  punti  clic 
concernevano  a  quelle  ceree  leste  da  me  discorsi  nelle 
susseguenti  tornate  ,  feci  in  quella  de'  1  o  febbraio  , 
vedere  come  le  teste  di  cera  non  potendo  essere  che 
ornamento  de'  busti ,  servir  dovettero  al  pari  di  ogni 
altra  funebre  pompa  a  consolare  i  vivi  nell'onore  che 
prestavano  a' morti  nel  tempo  della  esposizione  e  del- 
l'esequie,  nascondendone  la  decollazione  e  togliendo 
agli  spettatori  l'orrore  che  loro  avrebbero  cagionato 
i  cadaveri  acefali. 

Parvemi  dunque  che  a  quei  cadaveri  probabilmente 
fossero  mancate  le  teste,  perchè  riconosciuti  alle  ve- 
sti ,  e  raccolti  in  un  campo  di  battaglia  ,  dove  furon 
tronche  e  disperse,  e  che,  quivi  trovali  fossero  stati  a 
maggiore  strazio  anche  decapitati.  Inoltre  credelti  che 
quei  corpi  potessero  essere  stati  di  condannati  odi  as- 
sassinali ,  le  cui  leste  furono  portate  altrove  come  in 
trionfo,  o  inviale  all'  autore  della  condanna  o  duU'as- 
sassinamenlo  ,  che  voleva  co'  propri  occhi  assicurar- 
sene. Inoltre  potettero  essere  persone ,  cui  si  erano  a 
tradimento  amputate  le  teste  e  surrogatevi  (juelle  di 
cera,  perchè  collocate  sopra  alto  letto  e  non  vedute  da 
vicino  si  fosse  dato  a  credere,  essere  quelle  vere  sem- 
bianze di  uomini  che  si  erano  da  sé  stessi  avvelenati 
per  evitar  la  mano  infame  del  carnefice,  fingendosi  sco- 
perto qualche  grave  delitto  di  cui  dicevansi  falsamente 
colpevoli.  Viceversa  potettero  essere  uomini ,  cui  si 
erano  amputate  le  teste  per  opera  di  chi  voleva  oc- 
cultare di  avergli  avvelenali ,  e  fingerli  vittime  di  un 
assassinio,  non  saputosi  né  da  chi  commesso,  né  come. 
Perciocché  sebbene  a  celare  l' avvelenamento  bastasse 
d'impiastricciare  a  quei  cadaveri  i  volti,  pure  ciò  non 
dava  al  reo  sufficiente  sicurezza  per  non  temere  di  es- 
sere scoperto,  e  riuscivagli  piìi  sicuro  il  farli  trovare 
decapitati. Ma  non  credetti  per  nulla  che  questi  scheletri 
cerocefali  potessero  essere  di  Martii  i ,  e  ne  addussi  mol- 
te ragioni,  e  due  soprattutlo  che  mi  |)arvero  irrepu- 
gnabili. Primamenle  perchè  le  cumane  teste  di  cera  a- 
vevano  gli  occhi  aperti;  e  se  a' cadaveri  pagani  apri- 
vansi  gli  occhi  prima  che  divenissero  cenere,  con  gli 
occhi  chiusi ,  a  giu'sa  di  dormienti  discendevano  nella 
tomba  i  cadaveri  de'cristiani  ;  perchè  per  essi  la  morte 


—  188- 


non  era  distruzione  ma  sonno,  ed  i  sepolcri  appella- 
vansi  cimilori,  che  è  come  un  dir  (/o/'hhVo)(7.  Seconda- 
mente perchè  in  un  sepolcro  pagano ,  dove ,  come  in 
quello  di  Cunia,  si  conservavano  le  ceneri  degli  idola- 
tri ,  sarebbe  stato  nefando  sacrilegio  ne'  primi  secoli 
della  Chiesa  ,  il  chiuderv  i  i  corpi  de'  Santi.  E  ben  lo 
seppe  il  Vescovo  delle  Asturie  Marziale ,  che  fu  depo- 
sto dalla  sacra  dignità  sua  per  aver  consentito  che  i 
congiunti  suoi  fossero  in  genlilesca  tomba  sotterrati. 
In  quanto  poi  alla  condizione  di  cotesti  scheletri  , 
io  li  crcdelli  individui  della  stessa  cospicua  famiglia  ; 
e  i  due  giacenti  su  lo  stesso  poggiuolo  una  coppia 
spenta  nel  più  tenero  amore  ,  sia  di  madre  e  di  figlio, 
sia  di  sposo  e  sposa,  o  se  vogliasi  di  fratello  e  sorella, 
che  i  parenti,  per  usanza  sì  cara  agli  antichi,  univano 
nella  tomba  come  vivi  lo  erano  stati  nell'  affetto.  Né 
parvemi  inverisimile  ,  che  nel  leggiadro  giovane  ,  di 
cui  la  ceroplaslica  ci  serbò  le  sembianze  entro  il  cu- 
mano  sepolcro ,  la  bellezza  della  mente  dovesse  pa- 
reggiare quella  del  corpo.  11  calamajo  trovatogli  vi- 

P!oTA — Per  nulla  lacere  ài  quanto  fu  dello  Onora  sulle  ceree  leste, 
di  cui  è  parola  nella  lettera  del  eh.  Quaranta,  mi  piace  di  annun- 
ziare che  r  allro  mio  egregio  collega  sig.  cav.  Finali  in  una  memoria 
letta  nel  giorno  2  del  corrente  mese  di  giugno  alla  reale  accademia 
Ercolanese ,  esaminando  diligentemenle  la  testa  di  cera  che  si  è  con- 
servata ,  ha  cercalo  di  dimostrare  che  la  medesima  sia  stala  gellaia 
sull'uomo  vivo ,  notando  la  vivacilà  delle  parli ,  gli  angoli  sporgenti , 
i  sottosquadri,  le  narici  atteggiate  a  prolungala  aspirazione,  e  profon- 
damente forate.  L'  amore  ha  ricliianialo  il  nolo  luogo  di  Plinio  relativo 
alla  introduzione  de'  ritratti  in  cera  ,  da  noi  riportalo  a  pag.  121  e  s.  ; 
e  paragonando  il  processo  traccialo  dal  latino  scrittore  con  quello  che 
auualmenle  si  usa  nel  far  le  immagini  ceree  sull'  uomo  vivo  ,  sostiene 
che  non  allrimenli  sia  stata  gettala  la  immagine  cerea  cuniana. 

Ritenendo  poi  il  cav.  Finali  che  il  mi*  nnaffì'mtm  presso  i  Romani 
si  restringeva  alla  sola  aristocrazia  la  quale  si  avvaleva  delle  ceree  leste 
per  conservar,  come  vive ,  le  immagini  degli  antenati ,  e  per  servir- 
sene ne'funeraU  onde  celare  qualunque  mutilazione  o  bruttura;  ne 
deduce  che  tali  lesle  dovevan  seguire  la  destinazione  de'  cadaveri 
Slessi  sia  la  combustione  sia  la  tumulazione  :  il  che  crede  confermato 
dalla  presenza  delle  ceree  imagini  ritrovale  sugli  acefali  scli<:lelri  Cu- 
mani  da  lui  riputali  appartenere  ad  una  nobile  famiglia.  Stima  l'autore 

Bassorilievo  Capuano,  ora  nel  Real  Musco  Borbonico. 

Nella  nostra  tavola  V  figura  19  vedesi  pubblicato 
in  piccole  dimensioni  un  bassonlievoinlcrracolla(l), 

(i)  Le  vere  dimensioni  di  questo  moaumento  sono  le  seguenti:  ai- 
uzza  p.  2,  t;  e  larg.  pai.  I,  7. 


cino  ben  ci  mostra  essersi  dedicato  alle  lettere  ,  dove 
si  sarà  segnalato  qual  satirico  mordace,  0  si  avrà  gua- 
dagnato vuoi  corona  di  vate ,  vuoi  palma  di  oratore, 
0  fama  di  filosofo.  E  forse  la  squisita  dottrina ,  per  cui 
dall'  un  de'  lati  mercava  il  misero  gloria  immortale  , 
dall'altra  lo  avrà  ftitto  trasviare  dal  retto,  e  cadere  in 
capitale  delitto  di  cui  ebbe  ad  espiar  la  pena;  se  pure 
non  vogliam  dire,  che  del  suo  splendido  ingegno  siasi 
servita  la  nera  calunnia  per  balestrar  lui  e  l' infelice 
famiglia  nell*  estrema  sventura. 

Questa  fu  la  opinione,  come  Ella  e  i  nostri  Colle- 
ghi ben  sanno,  manifestata  da  me  pubblicamente  alla 
accademia  Ercolanese,  e  già  messa  a  stampa,  quando 
non  per  anco  nissun  giornale  Italiano  aveva  recato 
gli  avvisi  de'  dotti  intorno  a  quella  insigne  scoperta  , 
molli  de'  quali  non  hanno  disapprovalo  le  mie  con- 
ghietlure. 

Gradisca  intanto  efc. 

CoMM.  Bernardo  Qcaranta. 

che  i  due  muniti  di  ceree  teste  sicno  di  un  padrone  e  di  una  padrona, 
e  gli  altri  di  due  servi ,  lutti  e  quattro  dannali  nel  capo  o  per  abbrac- 
cialo Crislianesimo  o  per  politiche  vicende;  e  che  nell'uno  e  nell'altro 
caso  non  poteva  esservi  un  mezzo  più  spedito  e  sicuro  a  conservare  le 
identiche  care  sembianze  di  que' congiunti  che  si  perdevano,  se  non 
quello  di  far  gitlare  le  inunagini  ceree,  mentre  essi  erano  vivi,  nelle 
angustie  del  tempo  fra  la  condanna  e  la  esecuzione  :  questa  ultima 
conghieltura  già  fu  prima  manifestala  dal  comm.  Quaranta. 

In  questi  ultimi  giorni  ha  pur  veduta  la  luce  in  Napoli  un  opuscolo 
del  eh.  sig.  ab.  Salvadore  Pisano-Verdino ,  intiloìaio  sugli  scheletri 
cumani  ccroccfali  scoverti  nel  cader  del  18SS,  riflessioni.— JiapoTi 
Ì8S3  pag.  31  in  8.  L'autore  sostiene  che  le  teste  fossero  state  lolla 
dalla  tomba  cumana  per  trasferirsi  nel  sepolcro  gentilizio  lontano  dal 
silo  del  primo  sepellimenlo,  trattandosi  di  stranieri  ;  e  che  perciò  si 
sostituirono  immagini  ceree  per  formare  un  fumis  imaginarium. 

Del  resto  l' autore  non  esclude  una  seconda  spiegazione ,  cioè  il  ra- 
pimento de'  cranii  per  uso  magico  :  ed  in  tal  caso  giudica  essere  state 
surrogate  le  teste  per  le  slesse  magiche  superstizioni. 

Tulle  queste  opinioni  saranno  più  ailenlamenle  esaminate  e  discus- 
se, quando  vedrà  la  luce  la  nostra  memoria  accademica. 

MlIifRYLM. 

che  formava  parte  della  collezione  del  Sig.  giudice 
Gennaro  Riccio  (  alla  cui  cortesia  ne  dovemmo  un  di- 
segno), ed  ora  vedesi  collocalo  nel  R.  M.  Borbonico, 
per  lo  qualefuconaltreimportantiterrecolte  di  quella 
raccolta  ullimaraenlc  acquistato.  Questo  bassorilievo, 
ed  un  altro  perfettamente  simile ,  di  cui  non  rimaQ> 


isa- 


gono che  pochi  frammenli,  fregiavano  due  lati  di  un 
greco  sepolcro  dell'  aulica  Capua.  Veggonsi  iu  essi 
tracce  di  colori,  e  principalmente  nel  campo,  che  os- 
servasi dipinto  di  verde.  Lo  stile  del  monumento  è 
arcaico,  ma  vi  si  scorge  non  poco  valore  di  arie  e  di 
esecuzione.  A  primo  aspetto  si  riconosce  il  solicello 
della  rappresentazione  :  ed  è  Perseo,  che  recide  la  te- 
sta alata  ed  anguicrinila  della  Gorgone  assistito  ed 
ajutato  dalla  proteggitrice  Minerva,  la  quale  gU  mo- 
stra quel  capo  riflesso  nel  luccicante  scudo. 

E  notevole  come  Perseo  si  vegga  qui  figuralo  con 
un  semplice  diadema  e  senza  la  galea  ;  ed  è  poi  mu- 
nito di  clamide  e  di  alali  calzari.  11  gesto  di  stendere 
il  braccio  a  cui  si  avvolge  la  clamide ,  è  stato  notalo 
come  proprio  di  chi  comballe  :  ed  in  confronlo  di  varii 
esempli ,  che  ne  furono  addotti  dal  eh.  Jahn  f  Vascii- 
bilder  lav.  4.  e  Penlheus  und  die  Mainaden.]).  9.  nof. 
16) ,  son  citali  i  luoghi  di  Pacuvio  ffr.  16.  Herm.) 
Currum  liquit ,  chlamyde  contorta  astu  chipcat  Ira- 
chiuni  ;  e  principalmente  l' altro  di  Petronio  :  Intorto 
àrea  brachium  pallio ,  composui  ad  praeliamhim  gm- 
dum  (Satyr.  80).  È  questo  appunto  il  movimento  di 
Perseo  nella  terracotta  capuana  che  illustriamo.  Fanno 
poi  alla  scena  ottimo  confronto  le  tradizioni  diApol- 
lodoro  (lib.  II.  e.  4.  ) ,  e  di  Luciano  fdial.  mar.  XIV, 
2.) ,  che  narrano  l'ajulo  prestato  da  Minerva  all'eroe, 
e  parlano  dello  scudo  da  lei  tenuto  perchè  guardasse 
la  immagine  della  sua  nemica  nell'atlo  di  eseguire  la 
pericolosa  impresa.  Ed  in  particolar  modo  il  descrit- 
tivo sofista  di  Samosata  in  tal  guisa  si  esprime:  Mi- 
nerva presentando  lo  scudo  gli  mostrò  quasi  in  uno 
specchio  a  veder  la  immagine  di  Medusa.  Perseo  affer- 
rando colla  sinistra  la  chioma,  e  guardando  la  imma- 
gine ( hopwY  ^'ìi  Tyy  ilxórx) ,  e  lenendo  colla  destra  la 
harpe,  troncò  la  di  lei  testa,  e  se  ne  volò  via  prima  che 
le  sorelle  si  destassero.  In  questa  descrizione  tutto  si 
confronta  colla  terracotta  del  Real  Museo  ;  e  solo  in 
ciò  ne  differisce  che  Perseo  non  afferra  i  capelli  della 
Gorgone,  ma  usa  del  suo  braccio  sinistro  a  difesa  mi 
punto  dell'  attacco.  Quel  che  ci  sembra  mollo  bene 
inteso  dall'artista  capuano  si  è  il  monmento  di  Perseo 
neir  affìggere  attentamente  lo  sguardo  nell'elevato  scu- 
do, per  riuscire  nella  esecuzione  della  difficile  impresa. 


Si  sa  che  quoslaparlicolirità  dell'avventura  di  Per- 
seo ,  e  la  difesa  di  .Minerva ,  e  lo  scudo  in  cui  si  ri- 
fletteva la  immagine  furono  in  altri  monumenti  ritratti 
(Mailer  Ilandb.  §.  414,  n.  3.  pag.  70 V.  ed.  Wel- 
cUer).  Non  richiamo  qui  quelle  altre  rappresentazioni, 
nelle  quali  o  conij)arisce  -Aliuerva  mostrando  a  Perseo 
una  dipinta  immagine  di  Medusa,  ovvero  scorgesi  lo 
slesso  eroe ,  che  fa  veder  nelle  ac(|uc  ad  Andromeda 
la  gorgonica  testa:  delle  quali  ebbi  già  la  occasione  di 
parlare  in  due  differenti  memorie  lette  alla  Reale  Ac- 
cademia Ercolanese. 

La  parlicolaiità  ,  che  nella  terracolla  Capuana  ri- 
chiama maggiormente  1'  attenzione  dell'  archeologo , 
si  è  la  enorme  grandezza  delia  gorgonica  lesta ,  in 
proporzione  delle  intere  due  figure  di  Perseo  e  di  Mi- 
nerva. Questa  smisurata  grandezza  del  mostro  non 
trova,  come  a  me  sembra  ,  un  confronlo  nelle  tradi- 
zioni ,  o  nei  monumenti.  Volendo  darne  una  spiega- 
zione nella  terracotta,  di  che  ci  occupiamo,  ricordar 
potremmo  la  lunare  intelligenza  della  Gorgone;  per 
lo  che  potè  dall'artista  eflìgiarsi  in  quella  ampiezza, 
per  dinotare  l'apparente  estensione  di  quell'astro.  Ov- 
vero ebbe  la  intenzione  di  mettere  particolarmente  in 
veduta  la  testa  di  Medusa  nella  sua  lunare  sigtiifica- 
zione;  mentre  le  due  figure,  che  la  costeggiano,  sono 
destinate  a  richiamare  il  fatto  mitologico  ,  che  restar 
fece  isolato  quel  capo,  senza  che  debbano  considerarsi 
insieme  aggruppate  in  una  giusta  ed  artistica  compo- 
sizione. Questa  nostra  osservazione  è  confermata  al- 
tresì da  due  altre  :  la  prima  si  è  cbescAolessero  tutte 
le  figure  considerarsi  tra  loro  in  artistico  rapporto , 
trattandosi  dell'  alto  medesimo  della  decapitazione , 
comparir  dovrebbe  una  porzione  del  corpo  di  Me- 
dusa ;  ma  nella  terracotta  di  Capua  vedesi  il  capo  iso- 
lato, e  già  spiccato  dal  busto  che  più  non  appare.  La 
seconda  è  che  la  testa  ripetuta  sullo  scudo  mostrasi 
sfornita  delle  ali,  e  mancante  di  quei  superiori  orna- 
menti, che  compariscono  in  quella  di  Medusa  :  il  che 
non  vuoisi  attribuire  a  grave  negligenza  dell'  artista  ; 
ed  altronde  sarebbe  ricercato  il  dire  che  si  riferisse  al 
grado  sotto  il  quale  la  luce  riflette  sullo  scudo ,  che 
fa  disperdere  in  esso  una  parie  dell'oggetto,  che  vi  si 
dipinge. 


190  — 


La  più  semplice  idea  è  die  volle  appunto  signifi- 
carsi che  le  figure  erano  messe  in  allusione  di  un  fallo 
precedenlemenle  succeduto  :  per  lo  che  non  solo  ba- 
sta\a,  ma  era  anche  richiesto,  che  la  gorgonica  testa 
si  segnasse  in  modo  alquanto  diflerenlc  da  quella  che 
colpiva  principalmente  la  vista,  ed  alla  quale  richiamar 
si  voleva  tutta  l'attenzione.  Sicché  sembra  dimostralo 
che  le  due  figure  non  sono  che  in  mitica  relazione  col 
gorgoueo  :  ed  è  perciò  che  la  loro  sproporzionata  gran- 
dezza non  deve  arrestarci,  né  farci  stabilire  delle  teo- 
rie, alle  quali  quella  circostanza  non  può  dare  alcun 
luogo. 

Molto  interessante  ci  sembra  il  simbolo  del  fior  di 
loto  sulla  testa  di  Medusa  ;  ed  a  ben  comprenderlo  noi 
crediamo  che  debbano  richiamarsi  due  distinte  idee: 
la  prima  si  è  che  il  fior  di  loto  è  simbolo  della  natura 
umida  v^^oyovtxòv  (TrtfJLÙov  ;  perciò  trovasi  assegnato 
ad  Iside  ed  a  Ganga  (  Vedi  Creuzer  Symbolik  t.  II.  p. 
4i  e  229  ,  3a  ediz.).  Or  non  può  dubitarsi  che  alla 
Luna  atlribuivasi  appunto  la  idea  della  parte  umida 
della  natura  (v.  ciò  che  dicemmo  nel  buU.arch.nap.  an. 
IV.  p.l07  s.  121  e  s.).  Perciò  io  son  di  opinione  che 
il  lolo  messo  in  rapporto  colla  gorgonica  testa  valga  ad 
esprimerne  la  lunare  intelligenza ,  non  altrimenti  che 
nelle  figure  d' Iside,  la  quale  divinità  ha  del  pari  lunare 
significazione.  Ma  non  è  questo  il  luogo  opportuno  per 
più  eslese  ricerche,  secondo  che  un  tale  argomento  ci 
sembra  di  richiedere. 

Chiudiamo  queste  brevi  osservazioni  coU'avvertire 
come  la  triplicata  lesta  con  lingua  sporgente,  la  quale 
scorgesi  inferiormente  alternata  da  palmette,  può  ac- 
cennare alle  tre  Gorgoni;  non  senza  rapporto  alla  tri- 
plice fase  della  Luna. 

Tutte  queste  lunari  allusioni  ognun  vede  come  siano 
convenienti  all'  ornamento  di  un  sepolcro  :  e  noi  qui 
non  ripeteremo  le  cose  già  precedentemente  da  noi 
sviluppate  in  altri  lavori  :  solo  ci  sia  lecito  di  avver- 
tire ,  che  quelle  idee  veggonsi  confermate  dal  pre- 
sente monumento  ,  nel  quale  si  scorge  pure  il  fiore 
del  loto ,  che  siccome  fu  da  altri  notalo  ,  simboleggiò 
le  speranze  dopo  la  >ila  mortale  (  Creuzer  SymhoUk 
voi.  IL  p.  4o  e  229  ,  3a  ediz.  ). 

MlNERVlM. 


Palerà  Capuana  colla  figura  di  Pelopc. 

La  interessante  rappresentazione  ,  che  vedesi  da 
noi  pubblicata  al  numero  8  della  tavola  XI,  fregiala 
parte  interna  di  una  patera  rinvenuta  in  un  sepol- 
cro di  S.  Maria  di  Cajìua ,  e  che  fu  da  noi  osservata 
presso  il  sig.  Rafliiele  Barone.  Lo  stile  n'  è  arcaico  , 
e  le  figure  sono  nere  in  fondo  giallognolo  ,  co'  con- 
torni graffiti,  e  con  varie  parti  di  amaranto,  che  sono 
nella  nostra  tavola  indicate  da  macchie.  Vedesi  un  gio- 
vinelto  il  quale  tien  per  le  redini  due  alati  cavalH,  uno 
de'  quali  è  maschio  e  l'altro  femmina.  In  questo  gio- 
vine io  ravviso  Pelope,  il  quale  riceve  da  Nettuno  gli 
alati  corsieri  per  la  sua  gara  con  Enomao ,  giusta  la 
classica  tradizione  di  Pindaro  {Olymp.  I.  v.  109 seg. 
Bergk  )  : 

y-ioy  fps^ov 
e  continua 

.  .  .  TÒy  ix-y  àyxyJkuiY  ^ìQS 

'ihojxiv  S/ppov  ti  x.^vdioy  Tmplaly  r' òi.K%{X'xyr(/S 

Un  giovinetto  eroe,  tale  apparendo  dalla  sua  lunga 
chioma  ,  che  tiene  appunto  due  alali  e  saltellanti  de- 
strieri sembrami  non  potersi  ad  altro  riferire  che  a 
Pelope,  il  quale  pieno  di  giovanile  baldanza  preparasi 
ad  aspirare  alla  mano  d' Ippodaraia.  Due  soli  sono  i 
cavalli  e  non  quattro  :  e  pare  che  sia  secondo  il  modo 
più  antico  di  trattare  un  tal  soggetto,  siccome  fu  os- 
servato dal  Voss  {Aatisymhoìik  lì.  p.  4 iT)  e  dal  Rath- 
geber  [Allffem.  Encyclop.  s.  v.  Olympieion  p.  214). 
Non  manca  infatti  il  confronto  de'  monumenti;  per- 
ciocché troviamo  ricordato  da  Pausania  che  nella  cassa 
di  Cipselo  Pelope  contrastar  si  vedea  con  Enomao  in 
una  biga  di  alali  cavalli  (Paus.  V,  17  ,  7  :  v.  Jahn 
Ardi.  Aufs.  p.  6-7).  Né  questo  costume  fu  tralasciato 
dagli  artisti  di  un'epoca  posleriore,  giacché  fra  molti 
esempli  di  quadrighe  ,  troviamo  però  che  con  bighe 
succede  la  contesa  nel  famoso  vaso  coi  funerali  di  Ar- 
chemoro, che  si  conserva  nel  Real  Museo  Borbonico  : 
vedi  pure  i  nostri  mon.  ined.  di  Barone  tom.  I.  p.  32. 
Su'  cavalli  di  Pelope  cf.  de  Wilte  (  calai,  élr.  p.  30 
u.  1  ),  Kilschl  [annal.  dell' hi.  1840  p.  172),  Raoul- 
Rochetle  (  journ.  des  sac.  1837  p.  492),  e  ciò  che 
ho  scritto  nel  bull.  arch.  nap.  an.  VI  p.  58  dell'antica 
serie.  Una  notevole  particolarità  ,  a  nostro  giudizio , 
si  è  quella  che  uno  de' cavalli  é  maschio  e  l'altro  fem- 
mina: il  che  potrebbe  riferirsi  ad  una  tradizione,  che 
non  ci  è  pervenuta.  Forse  si  volle  con  ciò  alludere 
all'oggetto  della  futura  corsa,  che  riguardava  un'amo- 
rosa gara  ;  forse  esprimer  si  volle  la  maggiore  velocità 


—  191    — 


proccurala  con  una  biga  di  dilTerente  sosso.  Di  simili 
bighe  promiscue  si  ha  l'esempio  nell'  antichità;  e  mi 
contenterò  di  citare  quella  di  che  fausolMcnelao  presso 
Omero,  ne'  funebri  giuochi  della  corsa  in  onor  di  Pa- 
troclo, nella  quale  congiunse  la  trojana  giumenta  Eie 
col  suo  corridore  Podargo(II.  4/29o  s.).  Il  veslimenlo 
del  giovine  eroe  nel  nostro  vaso  conviene  perfellanienle 
a  Pelope,  come  quello  che  si  accosta  nel  coslunie  agii 
usi  delle  asiatiche  regioni.  Questo  nostro  vasellino  di- 
mostra ,  se  non  m'inganno,  essere  probabile  la  opi- 
nione contemporaneamente  sostenuta  da  me  (Inill.  iKip. 
an.  VI.  p.  S-'i-seg.  ) ,  e  dal  eh.  Gargallo  [(innal.  dell' ls(. 
18i9  p.  145  e  segg.),  che  il  giovine  con  due  cavalli 
indicato  dall'epiteto  ITAEXSinnoS  in  altra  bellis- 
sima patera  anche  di  Capua,  valse  a  figurare  lo  stesso 
Pelope.  Il  nuovo  confronto  ,  in  cui  apparisce  certa- 
mente Pelope  con  due  alati  cavalli ,  dà  un  appoggio 
a  questa  nostra  spiegazione  ,  dimostrando  men  vera 
l'altra  del  eh.  Braun,  il  quale  non  volle  altro  ravvi- 
sarvi, che  un  semplice  soggetto  palestrico(a/ì)m/.cì<, 
del  1849  p.  154  segg.). 

MlXERVIM. 

31orle  di  Aiace  Tclamonio  in  vaso  nolano. 

Il  bel  vasellino  nolano  a  figure  rosse  in  fondo  nero, 
di  cui  presentiamo  la  incisione  a  lav.  X  n.  4  ,  5  ,  G, 
appartiene  al  sig.  RalTaele  Barone,  che  ci  permise  di 
farne  trarre  il  disegno.  Da  uno  de 'due  lati  vedi  Ajace 
Telamonio,  che  stando  in  ginocchio  preparasi  a  darsi 
la  morte  precipitandosi  sul  ferro  impiantalo  col  ma- 
nico al  suolo:  dall'altro  lato  sono  le  armi  da  lui  ab- 
bandonate nella  sua  tenda  traile  quali  è  notevole  il  fo- 
dero della  spada,  che  seco  ha  recata  per  valersene  ad 
effeltuire  il  suicidio. 

Il  eh.  sig.  Raoul-Rocbelte  nel  pubblicare  un  altro 
vaso  col  medesimo  soggetto  ,  ma  di  stile  etrusco,  ri- 
chiamò le  varie  tradizioni ,  che  fanno  confronto  a 
queir  azione;  ed  osservò  giustamente  farsi  allusione  a 
quelle  mitiche  narrazioni ,  che  portavano  Ajace  in- 
vulnerabile in  ogni  altra  parte  del  corpo  eccetto  l'ascella 
(Piudar.  Islhm.  VI,  75;  Aesch.  Fragni,  ex  Tlir. 
154,  155  ed.  Dubner;  cf.  Eustath.  ad  How.  995, 

I  ;  Schol.  Soph.  Aj.  824;  Lycophr.  v.  405).  Osserva 
pure  che  la  invenzione  degli  sgozzati  montoni  e  del 
furore  di  Ajace  appartiene  ad  epoca  posteriore  ;  per 
lo  che  non  si  vede  giammai  ne' monumenti  di  alta  an- 
tichità ,  e  solo  comparisce  in  alcune  pietre  incise  di 
recente  lavoro  {Annali  dell' Ist.  1834  p.  272  eseg.). 

II  vasellino  nolano,  di  cui  ora  parliamo,  è  il  secondo 
monumento  che  ci  ponga  solt'  occhio  la  morte  del  Sa- 


laminio  eroe  in  quel  modo  appunto,  che  era  forse  in- 
dicato da  Eschilo,  ma  che  certamente  ritrovasi  pres- 
so Sofocle  [iwW  Ajace).  Il  sig.  Raoul-Rochette  richia- 
mò in  confronto  le  parole  K'M^'Ai''o:!^xiTy%yro7rip-.Trru- 
Xrp  di  Sofocle  [Aj.  899=882  Lobeck),  le  quali  sono 
di  fatti  pienamente  intese  col  paragone  de'moiunuenti. 
Vot;lio  aggiugrier  soltanto  the  ailre  espressioni  di  So- 
focle si  riportano  alla  medesima  inlclligenzi;  e  (piando 
Ajace  dice:  ó  \ùy  <rZ'xyivi  hrr/^-.s  \\ .  815  =  801  Lo- 
beck) ;  e  ([uando  Tecmessa  desume  dall'  aspetto  del- 
l' ucciso  ,  che  si  avea  data  da  se  stesso  la  morte  : 

Arròs  vp'li  ccvrov  òr}.ov.  'Ev  y%p  ol  x-'^o;) 

[Aj.  90(J,  s.=889,  s.  Lobeck.) 

A  me  sembra  che  i  tragici  ebbero  una  grandissima 
influenza  in  (piesle  vascularie  pittin-e:  e  forse  non  è 
una  sicura  conclusione  che  in  Eschilo  non  si  mettes- 
se in  veduta  il  furore  di  Ajace,  e  la  strage  da  lui  fatta 
de' bestiami,  sol  perchè  dall'esame  de' monumenti  ri- 
sulta non  vedersi  in  essi  alcuna  allusione  allo  scannato 
gregge.Imperciocchè  ponendoci  gliartisli  sotto  gli  occhi 
la  morte  di  Ajace  isolata  da  (piahuKpie  altra  precedente 
azione,  non  era  punto  necessario  richiamar  la  presenza 
dell'ucciso  bestiame.  Questa  considerazione  ha  maggior 
vaglia  in  rapporto  del  nostro  monumento,  il  cui  stilo 
non  ci  offre  un  remolo  arcaismo:  e  lo  stesso  dir  si 
potrebbe  del  vaso  pubblicato  dal  signor  Raoul-Ro- 
chette; ne'  quali  due  monumenti  può  credersi  ubbia 
avuta  influenza  la  tragedia  di  Sofocle,  come  quella  che 
pone  sotto  gli  sguardi  la  morte  dell'eroe,  laddove 
nelle  Thrcssac  di  Eschilo  probabilmente  se  ne  faceva 
un  semplice  racconto.  Paragonando  i  due  vasi  fra  loro, 
si  riconoscerà  a  primo  colpo  d'occhio  la  superiorità 
dell'artista  greco  del  vaso  nolano  sull'altro  del  vaso 
pubblicato  dal  sig.  Raoul-Rochelte.  Indipendentemente 
dalle  forme  più  accuratamente  disegnate,  a  me  sem- 
bra che  l'azione  stessa  sia  piìi  acconciamente  condot- 
ta ,  presentandoci  non  già  un  cadavere  trafitto  dalla 
sua  spada  ,  ma  un  uomo  in  tutto  l'orgoglio  del  suo 
spirito ,  che  sta  per  giltarsi  sul  preparato  ferro.  E 
forse  lo  stesso  Sofocle  ispirò  una  simigliante  azione. 
Di  fatti  al  veder  l'eroe  di  Salamiaa  colle apertebrac- 
cia  ,  chi  non  direbbe  che  sia  nel  momento  d' invoca- 
re fieramente  e  Giove  e  Mercurio ,  e  le  Erinni ,  il 
Sole  ,  la  morte ,  e  le  regioni  slesse  ,  che  furono  testi- 
moni della  sua  vergogna?  Chi  non  rammenterebbe 
le  parole ,  che  a  lui  pone  in  bocca  il  tragico  ateniese 
iu  quella  sua  sorprendente  scena?  (v.  8I5-SC5). 

MlSERVrNI. 


—  192 


Ossi  aniklti  —  Pietra  incisa  del  sig.  duca 
de  Luynes. 

In  un  sepolcro  ciimano  di  romana  costruzione  fu- 
rono rinvenutigli  oggetti  da  noi  pubblicali,  della  gran- 
dezza degli  originali ,  ne'  numeri  3 ,  G,  7,  8,  9  della 
nostra  tavola  Vili.  Il  n.  C  comprende  Ire  pietruzze 
emisferiche  di  tre  differenli  colori,  cioè  bianco,  rosso, 
e  nero;  i  rimanenti  nimieri  ritraggono  oggetti  di  osso. 
Tutte  le  accennale  cose  erano  collocate  sopra  una  fa- 
scia di  tufo  sporgente  circa  un  palmo  da' muri  interni 
della  tomba.  Delle  pietruzze  emisfericbe  eravi  un  certo 
numero  in  ognuno  de' tre  indicati  colori:  lutti  gli  al- 
tri oggetti  di  osso  erano  unici ,  se  n'eccettui  il  n.  3, 
die  per  ben  tre  volle  si  ripeteva.  Vedevansi  poi  nello 
stesso  sito  due  dadi  da  giuoco  fiali)  ,  ed  una  rettan- 
golare laminelta  di  osso  rotta  in  varii  punti,  che  non 
abbiamo  giudicalo  opportuno  di  pubblicare.  Potreb- 
be credersi  con  molta  probabililà  che  i  pezzi  di  osso 

3,  7,  8  insieme  cx)n  la  laminetla  ultimamente  accen- 
nata costituissero  una  piccola  cassetta  destinata  a  con- 
tenere oggetti  di  poca  mole  :  della  quale  i  n.  7  ed  8 
sarebbero  i  due  laterali  in  parte  consumali  dal  tempo, 
la  reitaugolare  laminelta  il  fondo ,  e  la  immaginetta 
del  n.  3  varrebbe  ad  ornare  e  rinforzarci  quattro  an- 
goli del  casseltino,  unendosi  poi  lutti  i  pezzi  a  formar 
quell'  arnese  mercè  fogliette  di  legno ,  che  dal  tempo 
€  dalla  umidità  furono  perfeltamcnle  distrutte.  La  con- 
formazione dei  pezzi  simili  al  n.  3  sembra  prestarsi 
ad  una  tal  conghiettura;  giacché  veggonsi  internamente 
forati ,  e  nella  parte  posteiiore  evvi  un  incavo  pratti- 
calo  probabilmente  ad  oggetto  di  collegarli  fra  loro, 
e  co' lati  della  cassetta  per  mezzo  di  aslicciuole  di  le- 
gno. A  questa  idea  conduce  1'  altro  simigliante  pezzo 
di  meuo  accurato  lavoro  da  noi  riportato  sotto  il  num. 

4 ,  e  che  è  slato  egualmente  rinvenuto  con  altri  Ire 
della  stessa  forma  e  della  stessa  grandezza  in  allra 
loml)a  romana  della  medesima  località.  Riscontran- 
dosi dunque  il  numero  di  quattro  eguali  figuline  in- 
sieme ritrovate,  può  desumersene  una  dimostrazione 
del  probabile  uso  di  esse  ,  cioè  di  aver  servito  per 
ornamento  a  (jualtro  angoli  di  una  cassetta,  non  con- 
servala dopo  il  correr  di  secoli,  perchè  di  più  fragile 
materia.  Non  voglio  intanto  mancar  di  avvertire  che 
simili  pezzi  si  riirovarono  in  altre  tombe  romane  di 
Cuma;  ed  uno  se  ne  vede  pubblicato  dal  eh.  Fio- 
relli  [inon.  citmani  tav.  H.  n.  6).  Le  pietruzze  emi- 
sferiche di   differenti  colori  ,  che  veggo  pur  dallo 


stesso  Fiorelli  pubblicate  (lav.  cil.  num.  o) ,  e  che  in 
gran  numero  ancora  vennero  fuori  da  altri  sepolcri . 
a  me  pare  siano  da  riputarsi  inservienti  al  giuoco  de* 
calcali  o  lalrunculi;  alla  quale  idea  conduce  altresì  la 
dilTerenza  dei  colori ,  che  trovasi  notata  dagli  antichi 
(  PoUux  on.  lib.  IX.  cap.  7.  Ovid.  Trist.  II ,  477  ). 
Cosi  Marziale  (lib.  XIV  ep.  17):  Calcuìus  hic  gemino 
discolor  hosle  perii  :  e  non  altrimenti  si  legge  nel  poe- 
metto in  lode  di  Risone  v.  182:  Ut  niveus  7iigros,nunc 
et  niger  aUigel  albos.  Sidonio  Apollinare  ricorda  tahu- 
lam  calcidis  stratam  bicoloribus  {episl.\lU,i2y,  ed  è 
anche  rammentato  il  bianco  ed  il  rosso:  Decertanique 
simul  candidus  atque  rubeus  (  Anlh.  lat.  Ili ,  76  )  ;  ed 
altrove:  A'amgwe  ade  acquali  concurril  rimem  a/6o(ibid. 
ep.  78:  vedi  il  Wernsdorf  al  v.  182  del  poemetto  in 
lode  di  Pisone  nel  voi.  Hip.  258  de'poelaelat.  minor. 
ediz.  di  Lemaire,  e  l'excursus  IV.  nel  medesimo  voL 
III  p.  284  e  segg.  ).  Questa  mia  conghiettura  trovasi 
appoggiala  dalla  circostanza  che  questi  da  me  creduli 
lalrunculi  erano  riuniti  a'  dadi  o  tali,  e  quindi  mostra- 
vansi  di  analoga  destinazione.  Né  ci  sembra  da  omet- 
tere che  r  oggetto  riportato  sotto  il  n.  9  ,  e  rinvenu- 
to con  gli  altri  inservienti  a  giuochi,  mi  pareva  po- 
tersi riferire  a  quel  vallo,  di  cui  è  menzione  nel  citato 
poemetto  in  lode  di  Pisone  ,  v.  90  e  segg. 
.  ...  hic  ad  nutjora  movelur , 
Ut  cilus  et  [racla  prorumpat  in  agmina  mandra, 
Clausaque  dcjecto  populatur  moenia  vallo. 
Non  saprei  giudicare  quai  movimenti  si  additassero  dal 
latino  poeta;  ma  certamente  questo  i'a//o  da  lui  ricor- 
dato fa  interessante  confronto  coH'osso  cumano,  perti- 
nente ad  un  giuoco,  che  si  mostra  appunto  conformato 
a  foggia  di  merli,  o  vogliam  dire  di  vallo.  Può  credersi 
probabilmente  che  il  casseltino  fosse  destinato  a  con- 
servare gli  oggetti  da  giuocare,dir  voglio  i  dadi  e  le  pie- 
truzze. Con  questa  occasione  venendoci  fatto  di  osser- 
vare una  graziosa  incisione  in  ametista  presso  il  eh.  sig. 
duca  de  Luynes  rappresentante  due  giuocalori  ad  un 
tavoliere  [abacus,  tabida  Imoria),  ottenemmo  dalla  sua 
cortesia  il  permesso  di  pubblicarla  ;  ed  è  appunta 
quella  che  vedesi  al  n.  5  della  citata  Tav.  Vili.  Lo 
spazio  mi  manca  per  entrare  in  una  più  ampia  espo- 
sizione delle  cose  finora  toccale ,  e  specialmente  per 
dare  una  qualche  dilucidazione  del  pregevole  intaglio 
del  sig.  duca  di  Luynes.  Mi  è  perciò  necessario  dif- 
ferirne la  trattazione  al  secondo  anno  del  bulletlino. 

MlNERVmi. 


P.  Raffaele  Garrucci  d.c.d.g. 
Giulio  Mi.nekvlm  —  Editori. 


Tipografa  di  Giuseppe  Càtakeo. 


—  193 


INDICE  DEGLI  ARTICOLI. 


Descrizione  di  un  vaso  ruvcse  del  Rea!  Museo 

Borbonico 1 

Sulle  sigle  delle  iscrizioni  pompejane  dipinte  a 
pennello,  e  sulla  difiìcoUà  di  ben  trascrivere 

dalle  pareli  i  caratteri  dipinti 4 

Nuove  scoperte  in  Napoli ,  con  la  notizia  di  una 

nuova  fratria. .  9 

Lamina  di  Anlino 10 

Iscrizioni  di  Capua  (  S.  Maria  )    .     .     .     ,     .  13 

Iscrizione  cristiana  di  Pozzuoli 15 

Continuazione 31 

Tre  inedite  monete  di  Napoli 17 

Tavola  aquaria  venafrana 21 

Continuazione 32 

Id 39 

Id 53 

Id 63 

Id 79 

Id 117 

Id. 166 

Notizia  degli  scavi  di  Pompei  per  l'anno  1850 

e  seguenti 25 

Continuazione 33 

Id 58 

Id.    .     . 71 

Id 73 

Id 89 

Id 140 

Id 156 

Id 177 

Id 185 

Notizia  di  alcune  lerrecotte  anticbe  della  colle- 
zione del  defunto  Francesco  Mongelli  in  Nap. .  30 
Osservazioni  intorno  al  nome  Basilica  della  iscri- 
zione puteolana  di  C.  Nonio  Flaviano.  .  .  36 
Frammento  d'  iscrizione  presso  1'  antico  teatro 
di  Capua  :  con  osservazioni  del  Conte  Bor- 
ghesi    38 

Due  iscrizioni  frentane  di  Pennaluce.     .     .     .  41 
Osservazioni  sulle  monete  di  Napoli  colla  pro- 


tome del  Sebelo 4:; 

Giunta  alle  osservazioni  sul  vaso  di  Oritia  .     .  48 
Descrizione  di  una  patera  antica  dipinta,  con  due 

Eroi  eponimi  delle  attiche  tribù   ....  49 

Iscrizione  di  Venafro "il 

Dichiarazioni  di  due  monete  di  Trajano  ,  1'  una 

Latina  e  r  altra  Greca 52 

Moneta  incdila  di  Napoli,  che  risolve  la  quistione 

del  loro  androprosopo 57 

Relazione  dei  nuovi  scavi  eseguiti  nell'  anfitea- 
tro Campano 62 

Giunta  all'articolo  precedente 63 

Osservazioni  numismatiche 65 

Della  legge  de'  setlanladue  solidi  per  ogni  libbra.  68 
Della  Croma  o  sia  ferramento  agrimensorio,  fi- 
gurato in  un  cippo  sepolcrale  d' Ivrea.    .     .  bis 
Iscrizioni  di  Sepino,  con  osservazioni  del  Conte 

Borghesi 76 

Osservazioni  intorno  a  due  iscrizioni,  ed  agli  ar- 
ticoli sul  Sehelo  di  questo  bulletlino  ...  78 
Intorno  alla  lapida  viaria  osca  di  Pompei,  nuove 

osservazioni 81 

Iscrizioni  ctrusche  graffite  sul  fondo  esterno  di 

vasi  trovati  in  sepolcri  campani 84 

Piombo  Siciliano 87 

Lapide  Capuana 88 

Descrizione  di  alcuni  vasi  dipinti  del  Real  Mu- 
sco Borbonico 91 

Continuazione 109 

Continuazione 128 

Della  leggenda  nATPOKAOT  TA*OS  su  di  un 

vaso  dipinto  di  Canosa 97 

Il  LVDVS  GLADIA TORIVS  ,  ovvero  convillo 

dei  gladiatori  in  Pompei 98 

Dell'arma  gladiatoria  detta  CALER VS.     .     .101 

Continuazione 113 

Monumenti  Cumani- Scoperte  di  S.A.R.  il  Conle 

di  Siracusa 105 

Continuazione .121 

Id 161 


—  194  — 


123 

129 
130 


Monete  inedite ;     ....  107 

Di  due  Irofei  di  armi  scoperli  in  Pompei  al  1767 
nel  htdus  gladiatorius,  e  della  Sica  o  falcetta 

de'  Treci 114. 

Nuovi  programmi  pompejani  appartenenti  a  spet- 
tacoli gladiatori! 115 

Di  alcuni  antichi  oggetti  diversi  provenienti  dalla 
Magna  Grecia  ,  dalla  Sicilia,  e  da  Roma.  Da 
Lettera  del  eh.  ab.  D.  Celestino  Cavedoni  al 

Sig.  Giulio  Minervini 

Monumento  di  Architettura  etrusca  in  Capua 

(S.  Maria) 

Il  Pempobolo  omerico  in  sepolcro  Cumano .     . 
Sulla  pretesa  coppia  di  Consoli  Q.  Cecilio  e  M. 

Bennio 131 

Topografia  delle  spiagge  diBaja  graffila  sopra  due 

vasi  di  vetro 133 

Osservazioni  intorno  all'articolo  precedente.     .   136 
Scure  di  bronzo  con  greca  iscrizione     .     .     .137 

Terracotta  di  Pozzuoli 139 

Descrizione  di  un  frammento  di  vaso  dipinto  con- 
servato nel  Rea!  Museo  Borbonico.  .  ,  .142 
Vaso  dipinto  con  Ulisse  Akanthoplex.  .  .  .144 
Epoca  in  che  fu  costruito  l'Anfiteatro  puteolano.  145 
L'Amhulatio,  e  i  programmi  popolari  in  Pompei.  1 48 
Poche  osservazioni  sopra  un  vaso  della  collezione 

Jatta 153 

Lettera  del  eh.  Sig.  Agostino  Gervasio  al  Sig. 


Giulio  Minervini 158 

Una  spiegazione 159 

Questioni  pompejane.   1 .  Significato  probabile 

del  nome  Pompei 167 

2.  Topografia  del  Vesuvio 168 

Medaglie  inedite 169 

Giunta  all' articolo  precedente 173 

Vaso  nolano  con  la  pugna  di  Ercole  contro  le 

Amazzoni 175 

Diaspro  sanguigno  inciso  . 179 

Suggello  in  corniola  di  un  C.  Cecilio  Metello 

Caprario 179 

Iscrizione  di  Campomarino ,  masseria  del  Sig. 

Carrera  in  mezzo  ad  avanzi  di  villa  antica.   .   180 
Iscrizione  Sannitica  rinvenuta  in  S.  Maria  di 

Capua 18*2 

Iscrizione  dipinta  di  Ardea,  graffiti  sui  vasellini 

di  S.  Cesario  e  su  lamina  di  piombo  romana.    182 
Teste  di  cera  in  sepolcro  cumano — Lettera  del 

eh.  sig.  Coram.  Bernardo  Quaranta  al  signor 

Giulio  Minervini     .     .     .     .     .     .     .     ,187 

Nota  di  Minervini 188 

Bassorilievo  capuano,  ora  nel  real  museo  Bor- 
bonico    188 

Patera  capuana  colla  figura  di  Pelope  .  .  .190 
Morte  di  Ajace  Telamonio  in  vaso  nolano  .  .191 
Ossi  antichi  -  pietra  incisa  del  signor  duca  di 

Luynes 192 


NOMI  DI  COLORO  CHE  HAN  FORNITO  ARTICOLI  AL  BULLETTINO. 


Borgheù  (conte  Bartolommeo ).  38,  76. 

Cavedoni  {ah.  D.  Celes(ino).  52,  69,  125. 

Catruca  (  P.  Raffaele).  4,  10,  13,  17,  21,  32,  36, 
39,  41,  51,  53,  63,  65,  68,  76,  78,  79,  81, 
84.  87.  88,  97,  98.  101,  113,  114,  115,  117, 
129.  130,  131,  136,  145,  148, 166, 167, 168, 
179.  180,  182. 

Gervasio  (Agostino).  158. 


Luynes  (il  duca  di).  169. 

Minervini  (Giulio).  1,9,  15,  25,  31,  33,  45,  48, 
49,  57,  58,  63,  71.  73,  89,  91, 105, 107,  109, 
121,  128,  137,  139,  140,  142, 144, 153,  158, 
159,  173,  175,  177,  185,  188,190,191,192. 

Quaranta  (Corom.  Bernardo).  187. 

/{tzzj  (Ulisse).  62. 

de  Rossi  {Q.B.).  iZ3. 


~  I9o  — 


INDICE  DELLE  TAVOLE. 


Tav.  I. 


Tav. il 


Tav.  ih. 


Tav.  IV. 


Tav.  V. 


Tav.  vi. 


Tav.  vii. 


Fig.  1 .  Dipinto  pompojano,  di  cui  si  parla 
a  pag.  8. 

Fig.  2,  3,  4.,  .^.  Graffiti  sodo  il  piede  di     Tav.  Vili, 
vasi ,  di  cui  si  dice  a  pag.  84  e  scgg. 

Fig.  6,  7,  8.  Terrecotte ,  di  cui  si  parla 
a  pag.  30  e  seg. 

Tavola  aquaria  venafrana ,  di  cui  si  ra- 
giona a  pag.  21,  32,  39,  53,  63,  79, 
117,  166. 

Fig.  1 .  Lamina  di  Antino ,  di  cui  si  dice 
a  pag.  1 0  e  segg. 

Fig.  2,  3.  Iscrizioni  di  Pennaluce,  di  cui 
si  parla  a  pag.  41  e  segg. 

Fig.  4,  5.  Patera  dipinta  del  museo  San- 
tangelo  spiegata  a  pag.  49  e  segg. 

Fig.  1 ,  2,  3.  Monete  di  Napoli  illustrate 
a  pag.  17  e  seg.,  45  e  seg.,  78  e  seg. 

Fig.  4,  5,  6,  7.  Monete  diverse  dicliia-    Tav.  IX. 
rate  a  pag.  63  e  segg.  Tav.  X. 

Fig.  8.  Moneta  di  Napoli  coli' Acheloo , 
di  cui  si  parla  a  p.  57  e  s.,  78,  e  1 59. 

Fig.  9,  1 0,  1 1 ,  12.  Monete ,  di  cui  si  ra- 
giona a  pag.  107  e  segg. 

Fig.   13,  14.  Terracotta  di  Pozzuoli,  di    Tav.  XI. 
cui  si  dice  a  pag.  139. 

Fig.  1 .  Bassorilievo  in  terracotta  di  Ca- 
pua  ,  di  cui  si  dice  a  pag.  188. 

Fig.  2.  Scure  di  bronzo  con  greca  iscri- 
zione di  cui  si  parla  a  pag.  137  e  seg. 

Fig.  3.  Croma  o  ferramento  agriraenso- 
rio ,  di  cui  si  dice  a  pag.  69  e  segg. 

Fig.  l.Vaso  dipinto  spiegato  a  p.  153es.     Tav.  XIL 

Fig.  2.  Frammento  d'iscrizione  di  Ardea, 
di  cui  si  ragiona  a  pag.  1 83. 

Fig.  1 .  Forma  e  rovescio  del  vaso  dipinto     Tav.  XIII. 
pubblicato  nella  Tav.  VI. 

Fig.  2,  3,  4,  3,  6,  7,  8,  9,  10,  12, 13, 
14,  15,  16.  Dipinti ,  graffili ,  e  bassi- 
rilievi  pompejani ,  a'  quali  si  accenna     Tav.  XIV. 
a  pag.  98  e  segg,  e  pag.  113  e  segg. 


Fig.  1 1 .  Statuetta  bortriana  di  bronco,  del 
R.  M.  Borbonico,  di  cui  si  ilice  a  p.  102. 

Fig.  1 ,  2.  Una  delle  aste  del  pcmpobolo 
cumano  dichiarato  a  pag.  1 30  e  seg. 

Fig.  3,  4, 7,  8,  9.  Ossi  lavorati ,  de'  quali 
si  parla  a  pag.  192. 

Fig.  3.  Pietra  incisa  del  Sig.  Duca  de  Luy- 
nes  ,  di  cui  si  ragiona  a  pag.  1 92. 

Fig.  6.  Piccoli  pezzi  di  pietra,  descritti  a 
pag.  192. 

Fig.  1 0.  Strada  e  porta  Slabiana  di  Pom- 
pei ,  di  cui  si  ragiona  a  pag.  1 86. 

Fig.  11.  Sepolcro  etrusco  di  Capua  ,  di 
cui  è  detto  a  pag.   1 29  e  seg. 

Fig.  12.  Tomba  cumana,  ove  furono  ri- 
trovate le  teste  di  cera;  v.  pag.  106, 
121  e  seg.,  e  161. 

Vasi  di  vetro  istoriati,  illustrati  a  p,  1 33  e  s. 

Fig.  I,  2,  3.  Vaso  dipinto  di  Nola  con 
Ercole  e  le  Amazzoni,  di  cui  si  parla  a 
pag.  125  e  seg. 

Fig.  4,  5,  6.  Vaso  nolano  con  Ajace ,  di 
cur  si  ragiona  a  pag.  191. 

Fig.  1-5.  .Medaglie  diverse  dichiarate  a 
pag.  169  e  segg. 

Fig.  6.  Diaspro  sanguigno  intagliato,  di  cui 
si  parla  a  pag.  179. 

Fig.  7.  Suggello  in  corniola  spiegato  a  pag. 
179. 

Fig.  8.  Vaso  dipinto  con  Pelope ,  di  cui 
si  ragiona  a  pag.  1 90. 

Fig.  1-49.  Iscrizioni  graffite  su' vaselliui 
di  S.  Cesario ,  di  cui  si  ragiona  a  pag. 
183  e  seg. 

Fig.  1 .  Lamina  di  piombo,  cui  si  accenna 
a  pag.  183. 

Fig.  2.  Mattone  con  bassirilicvi,  ed  iscri- 
zioni Sannitiche  a  pag.  182. 

Tetti  pompejani  conservali;  v.  pag.  140, 
e  183  e  seg. 


—  196  — 


ERRATA 


CORRIGE 


Pag. 


2  col.  2  Un.  3o-36 


13 1 

i6 1. 

18 2- 


•  14 
-18 
-  1 


21  tav.  aq.  ven.  7 

23     ib.     S8 

34. 1 17 

39 1 11 

40 2 26 

42 1 r.  3 

58 -1 — -12 

61 2 31-32 

71 2 18 

93 1 14-15 

94 2 40 

95 1 23-24 

123  —  1 39 

124 1 41 

133 2 22 

134 1 31 

138 1 20 

144 2 27-28 

156 1 18e33 

158 2 ultima 

159 1^ 17 

160 2 21 

164  —  2 15 

176 2 23 

184 2 1 

Ib.   « 4 

Ib.   « 5 

Ib.   ^—  « 7 


86  seg. 

che  era  possibile  etc, 

JEnElOOJ 

APERIANT 

TEM 

di  foglie. 

L.  Maecio  Postumo 

decem  mille 

Mamurins 

Alontium 

Artemioide 

THILLANIVS 

conghittura 

aggiamento 

ava|3. 

p.  1395  Oud. 

FELICISSIMAE 

Idem 

*Hpas 

ko/f;i«p(S ,  o  kouxfxapis 

Laomedonte 

Idem 

quarucumque 

1.  XI  e.  26 

Xap/XYi 

k.  martias 

C.  Lulatio 

Mam.  a.  d.  XVTIf 

pr, 


si  sopprima —  Gerhard  e  Panofka 

Neapels  ant.  .Bt7dtc.p.253  0,1684 

86  seg.  ). 

che  non  era  possibile  etc. 

SHBH©o:S  cf.  la  pag.  32  nota. 

NE  APERIANT  cf.  pag.  32  nota. 

DVCANT  TEM  cf.  pag.  32  nota. 

di  foglie  (  senza  punto  ) 

L.  Marcio  Postumo 

decies  mille 

Mamurim, 

Alunlium. 

Artemide. 

THYLLANIVS 

Pa^poK 

conghiettura 

atteggiamento 

àvaj3. 

139,  s.  Oud. 

FELICISSIME 

Idem. 

"Hpas 

Kouxxfii ,  o  Ko^xccp/S 

Priamo 

Idem 

quarumcumque 
1.  IX  e.  26. 

k.  maritai  Vili 

C.  Lutali 

Maeci  a.  d.  XVll 


BULLETTINO 


iiIE(SiaiE®IL®(&II(S®  KiiIP®ILaffAM® 


BULLITIIiO  iRdHGOlOdiy  ilPOLITHO 

NUOVA  SERIE 

PUBBLICATO  PER  CURA 

DI   GIULIO   MINERVINI 

ÀCCàDEUICO  EnCOLÀimSE 


SEGRETARIO  PERPETUO  DELL'  ACCADEMIA  PONTANIANA  ;  SOCIO  DI  ONORE  DELLA  REALE  ACCADEMIA 
DI  ARCnEOLOGIA  DI  MADRID  ;  CORRISPONDENTE  DELL'  ISTITUTO  DI  FRANCIA  ,  ACCADEMIA  DELLE 
ISCRIZIONI  E  BELLE  LETTERE;  DELLA  REALE  ACCADEHIA  DELLE  SCIENZE,  E  DELLA  SOCIETÀ  AO- 
CHEOLOGICA  DI  BERLINO  ;  DELL'  ISTITUTO  DI  CORRISPONDENZA  ARCHEOLOGICA  ;  DELLA  PONTIFICIA 
ACCADEMIA  ROMANA  DI  ARCHEOLOGIA  ;  DELLA  REALE  ACCADEMIA  DELLE  SCIENZE  DI  TORINO  ;  DELLA 
RKALB  ACCADEMIA  DI  BELLE  ARTI  DELLA  SOCIETÀ  REALE  BORBONICA  ;  DELLA  SOCIETÀ  FRANCESE 
FER  LA  C0NSIÌHVA210NE  DE'MONCMENTI  ISTORICI:  E  DI  ALTRE  SOCIETÀ  SCIENTIFICHE  E  LETTERARIE. 


ANNO  SECONDO 

VAL  1  LUGLIO   18S3  AL  30  GIl'GNO  Ì8S4. 


NAPOLI 

DALLO  STABILIMENTO  TIPOGRAFICO  DI  GIUSEPPE  CATANEO 

Strada  Yentaglieri  N.  71.  S.  P. 
1851 


BUllETTINO  ARCnEOLOGICO  IVAPOLITAXO. 

NUOVA    SERIE 


N."  2.3.     (1.  dell'arinoli.) 


Luglio  I8ò.'}. 


Questioni  pompeiane. — 3.  Topografia  del  terreno,  ove  fu  la  Città  di  Pompei.  — ■'i.  Il  tribunale  della  Ifasiiira 
quando,  e  da  chi  costruito. — 5.  L Angmleum,  la  euria  degli  Augustales,  il  Clialcidicum,  V aedcs l'ortunae 
Auguslae 6.  I  due  Teatri.  — 7.  Dell'  edif zio  detto  Triibiis  ,  e  tW/a  foce  CùniI)enDÌi'is. — 8.  Tempio  di  Mer- 
curio e  Maia.  — 9.  Si  è  rinvenuto  finora  alcuna  cosa  di  Cristiana  credenza  in  Pompei? 


5.  Topografia  del  terreno,  ove  fu  la  Citili  di  Pompei. 

E  strana  cosa  il  volere  ,  che  Pompei  fosse  una  volta 
sulle  rive  del  mare  :  se  Strabene  medesimo ,  clic  Ila 
scritto  di  Ercolano,  'HpoWXsiOv  izxnir^iry  -'a  r\y  Oa- 
\f.Tt'x\  òixp'xv  iX^*'j  •li  Pompei  per  lo  contrario  ci 
avverte  con  Plinio  che  quell' emporio  fTr/v.-nv,  di  No- 
la, di  Nocera  e  di  Acerra,  era  posto  accanto  al  Qume 
Sarno,  adluente  Sarno  amne  (Plin.  H.  N.  IH,  S),  sul 
quale  le  venivano  recale  le  merci  di  fuori,  ed  al  quale 
ella  affidava  le  sue;  come  può  slimarsi  mai  che  fosse 
collocata  sulle  spiagge  del  mare?  0  vogliamo  noi  sup- 
porre che  i  Pompeiani  con  l'opporlunilà  di  un  porto 
sul  mare,  volessero  invece  Iraflìcare  sul  fiume  ,  che 
non  riceveva  se  non  le  minori  barche  ,  e  con  quello 
stento  che  contro  corrente?  Ricordo  che  per  simil 
caso  l'imperalor  Claudio  fece  un  porto  sul  mare  ad 
Ostia  ,  che  ne  era  lontana  ben  tre  miglia  (  v.  gli  an- 
notatori all'Ottavio  di  Minucio  Felice  p.  15.  Lugd. 
Bai.  1709.  e  Cluverio  It.  Ant.  pag.  871  ,  segg.  ). 
Inollre  l'antica  via,  che  da  Capua  metteva  a  Nocera, 
le  passava  davanti;  e  buone  vestigia  di  antichi  edifizii 
diconsi  veduti  da  altri  su  quel  terreno  appunto,  che 
stranamente  si  è  da  taluni  detto  essere  stato  mare  pri- 
ma dell'  ultima  ruina  di  Pompei.  Assai  bene  il  Ro- 
sini  colloca  qui  le  saline  pompeiane  (  p.  30  Diss.  I- 
sag.),  ma  non  credo  lodevole  il  senso,  che  ci  dà  del- 
la voce  Maritima,  o  dei  luoghi  dei  classici,  che  sera- 
brano  collocarla  sul  mare  (ibid.  p.  28.).  Dopo  il  Sar- 
no però  la  maremma  face\  a  seno,  sicché  potè  scrivere 
Plinio  il  giovane,  che  slaudo  Plinio  suo  zio  in  Stabia, 
era  diviso  da  Pompei  per  un  seno  di  mare,  che  vi  cor- 


rea  tramezzo:  Stabiis  erat,  diremptus  sinu  medio;  nam 
sensim  circumactis  curvatisquc  Utloribus  mare  infun- 
dilur  (L.  Vi,  ep.  16);  e  ne  fan  fede  gli  spessi  alberi 
di  nave ,  che  si  vanno  scavando  di  trailo  in  trailo  nel 
fondo  Mcssigna  (  vedi  la  relazione  negli  annali  ci>  ili 
di  Napoli  anno  1835  ,  27.  segg.  cf.  Capasso ,  Meni. 
Storico-Arch.  della  penis.  Sorrent.  p.  6.).  II  suolo  di 
oggi  è  elevato  un  trentacinque  palmi  napolitani  sull'an- 
tico più  basso ,  lo  che  ci  fa  appena  intendere,  che  es- 
sa era  fabbricata  una  volta  al  ridosso  di  una  collina , 
e  sul  pendio  in  declivio. 

Garrccci. 

4.  Il  tribunale  della  Basilica  quando,  e  da  chi  costruito . 

Dall'opera  laboriosa  del  sig.Mommsen,  Inscr. Regni 
Neap.  latinae,  traggo  la  iscrizione  segnata  a  n.  2202 
per  illustrarla  convenientemente  alia  sua  importanza, 
ed  alle  cose  pompeiane.  In  prima  trovo  non  poche  ine- 
sattezze da  emendare:  dicesi  «  litl.palm.Rep.Pompcis 
in  basilica».  Ma  ad  imaginarne  un  restauro  è  sopra 
ogni  altro  necessario  conoscere  la  vera  dimensione  del!e 
lettere  ;  e  però  non  è  detto  bene  di  (ulta  la  leggenda 
che  è  litteris  palmarihus :  poiché  la  piinia  linea  ha  let- 
tere la  metà  più  grandi  delle  quattro  linee  seguenti. 
Alla  POTEST  •  T  nolo,  che  i  T  si  elevano  sulle  altre 
lettere,  che  l'I  non  si  vede  affatto  sulla  pietra,  ove  ap- 
pena si  scorge  il  principio  della  linea  trasversale  so- 
prapposla.  e  l'apice  della  lettera  sottoposta,  dal  quale 
non  si  può  in  modo  veruno  argomentare  se  la  linea  che 
manca  era  verticale  od  obliqua.  Dapo  il  C.\P  del  fram- 
meulo  seguente  non  v'ò  spazio  liscio,  ma  invece  l'in^ 

1 


2 


tero  avanzo  Ji  linea  dritta  verticale  della  lettera  se- 
guente. ]i  P  della  lin.  4- manca  dell' asta  sua  verti- 
cale. Nell'ultimo  frammento  1' 1  dopo  SOC  è  un  chia- 
ro L  un  pò  logoro  ncU'  asta  orizzontale ,  nò  SOC  è 
scritto,  ma  SOG.  Lascio  alcune  minuzie,  che  occor- 
rerebhc  notare  ,  ed  avverto  ,  che  la  iscrizione  non 
ha  cornice  afilUto,  come  ha  disegnato  il  Mommsen  , 
e  che  un  altro  frammento  di  questa  medesima  iscri- 
zione ha  egli  trascritto  senza  avvedersene  ,  collocan- 
dolo fra  i  marmi  Originis  incerlae ,  a  num.  16  ,  AV 
IB,  PO;  altri  tre  poi  ha  trascurato  affatto.  Tra  questi 
sono  i  due  che  egli  cava  dalie  relazioni  manoscritte  , 
e  che  de])hono  rcltiCcarsi  secondo  la  lezione,  che  ne  do 
qui;  ma  il  terzo  ed  ultimo  avanzo  dei  dieci  frammen- 
ti di  tutta  la  iscrizione,  che  ci  sono  rimasti ,  e  non  è 
stato  notato  neanche  dal  giornale  degli  scavi ,  contiene 
i  resti  del  cVM  Suis.  Questa  uarrazioncina  ,  che  io 
ho  dovuto  stenderò  così  a  minuto  pel  bisogno  che  ve 
ne  era  di  giustiflcare  i  miei  supplementi  ha  anche  l'u- 
tilità di  far  senqM'c  meglio  intendere  quanto  si  è  ancora 
lungi  dall'  avere  una  esalta  trascrizione  delle  nostre 
lapidi. 

Stabiliti  i  pezzi ,  che  ci  sono  pervenuti  della  inte- 
ra lapida  ,  e  ridotti  il  più  esattamente  che  si  poteva 
alla  vera  lezione  ,  giovi  ora  coli'  aiuto  della  scienza 
epigrafica  venire  a  determinarne  il  senso.  Egli  è  in 
primo  luogo  indubitato  ,  che  tutta  la  iscrizione  con- 
sistette una  volta  di  cinque  lince,  la  prima  delle  qua- 
li, che  ha  lettere  il  doppio  più  grandi  delle  altre  quat- 
tro ci  si  appalesa  destinata  a  contenere  alcune  onore- 
voli appellazioni  di  Augusto. 

Rilevasi  facilmente  Aug ,  e  Ponlif;  per  altro  non 
può  di  qua  determinarsi  ,  se  questo  Pontificato  è  il 
massimo,  lo  che  dovrebbe  risultare  dalle  potestà  tri- 
bunizie, che  dal  solo  avanzo  che  spetta  all'ultima  ci- 
fra numerica  non  può  affatto  rilevarsi.  Essendo  a- 
dunque  l'  uno  e  l'altro  incerto  egualmente  non  resta 
che  di  rivolgersi  alle  altre  righe  della  leggenda,  e  ad 
altri  argomenti,  cercan.do,  se  quindi  può  trarsi  alcun 
vantaggio.  La  terza  ,  e  la  quarta  riga  par  certo  do- 
vessero contenere  i  nomi  di  coloro,  che  avevano  spe- 
so a  costruire  ed  ornare  quel  qualunque  edifizio,  che 
poscia  mi  argomenterò  di  determinare.  Questi  sono 


evidentemente  in  caso  retto,  dimostrandolo  l' IDEM  , 
e'I  contesto  intero.  Dippiù  nei  tré  frammenti  a  destra 
veggonsi  gli  avanzi  della  S,  e  però  si  capisce  che  tra 
il  nome  e'I  cognome  non  intercedeva  nò  la  L,  nèlaF 
precedute  dalla  sigla  del  prenome,  a  segno  della  con- 
dizione loro  civile,  o  libertina.  Quindi  rileviamo,  che 
nell'ultima  linea  dovea  essere  scritto  IDEMQ  •  CV3I, 
e  non  IDEMQVE-CVM ,  con  che  lo  spazio  delle  due 
linee  sovrapposte  si  allungiicrcbbe  di  troppo  per  un 
ordinario  nome  gentile.  Aggiugni  che  dai  confronti 
locali  è  più  che  probabile ,  doversi  nella  hnoa  im- 
mediala supplire  CAPRASIVS  il  CAPI  dell'  avan- 
zo ;  per  lo  quale  lo  spazio  sarebbe  opportuno  ,  e 
supposto  IDEMQVE  assai  più  largo  e  tale  da  rende- 
re improbabile  il  supplemento.  Da  tutto  ciò  nasce  , 
che  i  frammenti  si  debbano  ravvicinare  in  modo,  che 
ci  resti  lo  spazio  da  tanfo  ragionevoli  osservazioni  ri- 
chiesto. È  ancor  necessario  far  notare  che  i  secondi 
nomi  cominciano  appunto  di  sotto  alle  parole  TRIB 
POTEST,  le  quali  non  potendo  essere  segmte,  se  non 
dal  consolato,  e  alla  fine  da  un  P  P  (  Paler  Palriae), 
già  ne  insegnano  ad  avvertire,  che  siamo  alla  seconda 
metà  della  epigrafe,  e  però  che  quattro  soli  possono 
essere  i  nomi  di  coloro  ,  che  questa  opera  de  sua  pe- 
cunia fecerunt.  Ravvicinati  convenientemente  alle  os- 
servazioni fatte  i  maggiori  frammenti ,  e  considerato 
lo  spazio,  che  richiede  la  scrittura  dei  due  nomi  a  si- 
nistra si  può  in  generale  esser  certi,  che  1'  enigma 
dell'andamento  di  tutta  l'epigrafe  è  sciolto ,  e  che  le 
parti  componenti  sono  cinque  linee  di  scrittura  ,  nel- 
le due  prime  delle  quali  si  fa  la  dedica  all'Augusto, 
nelle  due  seguenti  si  appongono  i  nomi  dei  quattro  , 
che  neir  ultima  linea  ci  insegnano  di  aver  costruito  , 
e  fornito  della  suppellettile  alcuna  cosa,  di  più  resone 
pubblico  r  uso  ,  che  è  il  senso  della  voce  dedicarunt. 
Ma  tutte  queste  notizie  acquisiate  alla  storia  hanno 
ancora  vaghi  confini  cronologici ,  non  potendosi  da 
ninna  delle  operazioni  già  fatte  determinare  l'Augu- 
sto, se  Ottaviano  o  Tiberio,  nei  titoli  che  gli  spettano. 
È  vero,  che  il  Mommsen  ha  definito  tulio  ciò,  asse- 
gnando al  monumento  il  732/5  ;  ma  ciò  non  può 
valere  ora  ,  che  la  esatta  lettura  della  epigrafe  ha  fat- 
to svanire  quella  unità,  cheegliincaulamealedà,sic- 


corno  Ii'Ka  e  (rascriKa  da  sl-  ,  POTEST.  I.  Non  può 
poi  prcsiiincrsi,  che  questa  unità  fusse  periti,  per  dan- 
no sofferto  dal  marmo  ;  perocché  è  ben  chiaro  dal 
colorito  iiiiiforinc  di  tutto  questo  lato,  che  è  slata  ap- 
jiuiilo  così  trovata  nel  primo  scavo.  Tenterò  io  dini- 
que  una  nuova  via  ,  cercando  di  a\  vicinare  al  possi- 
bile questo  monumento  al  tempo ,  in  che  potè  essere 
collocato  nella  Basilica  ponqieiana.  E  primieramente 
fo  notare  die  i  quattro  autori  dell' o])era  hanno  altri 
confionli  nelle  lapidi  pompeiane  che  ricordano la\oii 
fatti  da  ministri  di  Augusto  (cf.  I.N.  n.  2261,  2-202, 
2200,  2270)  e  che  lo  stesso  numero  ci  proviene  dalle 
lapidi,  ove  sono  ricordati  i  ministri  del  pn;;o  Augusto 
Felice  (cf.  /.  N.  n.  2293),  e  i  ministri  della  Fortu- 
na Augusta  (cf.  /.  N.  2223,  2225-,  2220).  Inoltre 
che  tre  di  loro  vi  appariscono  apertamente  liberti  ,  o 

di  condizione  libertina  Pili S  •  SOG  •  L  •  , 

L  •  IS  •  •  •  0  ,  CAPI  •  •  •  •  S  •  DIOGI  •  •  •  •  laon- 
de avuto  anche  riguardo  alle  altre  tavole,  ove  sono 
nominati  soli  liberti ,  libertini ,  o  servi,  assai  verosi- 
milmente si  faià  a  conchindcre ,  che  la  persona  •  •  • 
TUO  fosse  della  condizione  medesima  di  liberto.  Ciò 
posto,  è  naturai  cosa  ,  che  io  metta  a  riscontro  con 
questo  avanzo  •  •  •  •  THO  un  nome  della  stossa  de- 
sinenza di  allro  monumento  pompeiano,  e  ciò ,  che 
è  più,  scoperto  nella  Basilica  medesima  :  questo  è  P. 
STALLIVS  -AGATHO,  il  quale  essendo  MINISTER 
al  729  donò  non  si  sa  qual  cosa,  D'D,  a  questo  edifizio. 
Se  tutte  le  probabilità  sono  a  favore  di  costui ,  io  con- 
chiudo ,  che  è  assai  ragionevole  il  riferire  ai  tempi  di 
Augusto  questo  monumento.  Perocché  soggiugncn- 
dosi  cbe  quel  lavoro  ,  qualunque  si  fosse  ,  offerto  da 
P.  Stallio  Agatone  al  729  erasi  rinnovato  al  750  , 
senza  che  ivi  si  faccia  veruna  menzione  di  lui ,  uopo 
è  dedurne  ,  che  egli  fosse  già  morto ,  che  ,  lui  vivo , 
non  altri,  ma  egli  medesimo  lo  avrebbe  certamente  rin- 
novato. Abbiamo  adunque  quasi  circoscritto  il  tempo 
della  lapida,  dippiù  escluso  il  pensiere  di  alcun  figlio 
di  lui ,  che  sarebbe  slato  cittadino ,  siccome  regolar- 
mente richiedevasi ,  e  non  di  condizione  libertina  ; 
resta  ora  che  ne  diamo  il  supplemento  secondo  i  tem- 
pi. Supponendo  la  lapida  datare  dal  732  al  7.')2  non 
può  supplirsi  che  PONTIFICI ,  avendo  dimostrato 


l'Eckhel,  che  solo  da  (piest'anno  7.'J2  Augusto  assun- 
se il  Pontiticato  Massimo  (l)oclr.  Xum.Vet.Vol.VT.p. 
107):  varieranno  altresì  le  acclamazioni  imperiali, 
che  davanti  alle  potestà  tribuniciedoveano  essere  scol- 
pite, non  anniiettendo  altro  su|iplemcnto  lutto  lo  spazio 
a  sinistra.  15en  si  avverta  pei  ò  ,  che  per  1'  uniti  tut- 
tavia esistente  davanti  al  COS  non  può  i\i  collocarsi 
altra  potestà  tribunicia,  che  quella,  il  numero  di  cui 
teimini  in  unità.  So  poi  auoIsì  il  moiiiniicnto  posle- 
liore  al  7.'J2,  può  allora  suloammoltcr.ii  dopo  iK^OS 
XIII  la  novella  appellazione  di  Padre  della  Patria  data 
ad  Augusto  dal  Senato  e  dal  p.opolo  romano  nel  detto 
7.">2  (  Kckhel  op.  cil.  p.  1 12).  Darò  qui  a  modo  di  e- 
sempio  il  mio  sujiplemento: 

IMP  •  CAESARI  •  D  •  F  •  AVO  •  PONTIFICI 
IMP  •  Vili  •  TKID  •  POTEST  •  VI  •  COS  •  XI. 

L'avanzo  della  linea  trasversale,  che  vedesi  nel  fram- 
mento ES/  ne  stringe  a  scriver  1)  non  DIVI  ;  colla 
quale  voce  tutto  distesa  ci  dilungheremmo  di  molto 
da  quello  spazio  che  pel  confronto  del  frammento  I  • 
COS  ragionevolmente  possiamo  supporre  anche  fra- 
mezzo  al  numero  delle  acclamazioni  imperiali,  edalla 
voce  TRIB  •  Venendo  ora  ai  supplementi  dei  nomi , 
pel  primo  ho  già  stabilito  di  riconoscei-e  P  •  STAL- 
LIVS •  AGATHO  ,  quanto  al  secondo  ,  che  è  pale- 
semente di  greca  origine,  ma  volto  in  nome  di  fimi- 
glia  all'uso  romano,  siccome  L  •  EV.MACIIiVS  I-\- 
SCVS  (/.  .V.  2270),  Q.  THVLL.WIVS  lAXVA- 
RIVS  (il  nostro  Bull.  p.  71),  è  forse  unPIIILOXIVS  ; 
il  nome  del  patrono  SOG  finora  non  può  completarsi 
se  non  col  SOGELLIA  •  ¥X\Sla  della  Vonosina  '/. 
N.  800) ,  di  lezione  non  ancora  ben  assicurata  dallo 
stesso  editore. 

Seguono  gli  avanzi  LN  /  ))  :  il  cognome  mi  par 
NASO ,  che  io  leggo  in  graffilo  pompeiano  darM  a 
Fadio  ,  FADIVS  NASSO  (così);  Intorno  all'ultimo 
parmi  essermi  ben  apposto  a  stimarlo  CAPRASIVS  • 
DIOGENES  •  Rimane  or  solo  l'ultima  linea,  che  mi 
comincia  da  un  N  ,  e  però  io  son  certo  ,  che  il  suo 
supplemento  è  TRIBVN  •  ,  avverlendo  che  questi 
frammenti  furono  scoperti  nella  Basilica,  ove  è  il  Tri- 


_4  - 


hunal  di  costruzione  assai  diversa  dallo  siile  greco  e 
puro  del  gionico  e  corinzio  di  tutto  l'edifizio,  diversa 
ancora  pel  materiale  impiegato,  che  è  marmo,  men- 
tre nella  Basilica  i  capitelli  sono  operali  in  tufo  vul- 
canico ,  e  i  fusti  in  mattone  ricoperto  di  stucco.  Ma 
il  conoscere  l' epoca  di  una  parte  così  nobile  dell'  in- 
tero ediflzio,  che  già  da  sé  dava  segni  certi  di  prove- 
nire da  altra  mano  ,  devesi  ornai  alla  retta  interpre- 
tazione della  lapida  ,  che  si  può  tenere  essersi  collo- 
cala una  volta  sul  fregio  dell'  architrave ,  che  era  so- 
])rappos(o  alle  colonne  del  rr/òu/ioZ;  e  dare  quindi  un 
buon  fondamento  di  restauro  a  sì  gentile  edifizio  pom- 
peiano. 

I  quattro  liberti  non  paghi  di  avere  costruito  il  tri- 
bunale ,  r  ornarono  ancora  della  suppellettile  richie- 
sta dall'  uso ,  e  ciò  signiGcarono  colle  voci  CVM  • 
SVIS  •  ÒììNamenlis.  Ciò  premesso  ,  l' intero  supple- 
mento immaginato  da  me  ,  potrebbe  esporsi  così  : 

IMP  •  CAESARI  •  D  •  FAVGPOTsTlFICI 

IMP  •  YIIII  •    TRIBPOTESTVi COS ÌX 
P  •  STaLLIVS  •  AGAThO  PHILONIVS?  SOGL-^ 
L?FADIVSL?LNASOCAPRASIVSDIOGENES 
TRIBVN  •  D  •  SPFlDEMQCVMSVlS  ÙRNDED 

Garrucci. 


5.  V  Augusteum,  la  curia  degli  Augustales,  il  Cltulci- 
dicum,  V  aedes  Forlunae  Augmtae. 


Nò  polca  mancare  un  Auguslmmaì  Pompeiani,  che 
.ul  Augusto  ancor  vivo  aveano  eretto  are ,  e  creato 
Sacerdote,  e  Flamine.  Che  fosse  cominciato  ad  ono- 
rarsi Augusto  con  sacritìzii ,  e  voti  prima  di  costru- 
irsi un  tempio,  od  una  cappella,  par  chiaro  ;  peroc- 
ché vediamo  il  culto  di  lui  congiunto  a  quello  di 
Mercurio  e  di  Maia.  Così  nell'Asia  il  cullo  di  Milri- 
date  ,  e  di  Aitalo  ,  ed  in  Egitto  di  Tolomeo  si  uni  a 
quello  di  Dioniso  (  C  /.  p.  419,  e  u.  4893).  Fuori 


di  tal  supposizione  non  è  agevole  dar  ragione  dei  MI- 
nislri  Augusti,  Mercurii ,  Maine,  delti  prima  o  so- 
lamente Ministri ,  o  Ministri  Mercurii ,  Maiae  sulle 
lapidi  pompeiane.  Secondo  ciò  la  memoria  piìi  antica 
che  si  avrebbe  dei  Ministri  Augusti  sale  al  732,  alla 
qual  epoca  dovea  essere  di  già  costruito  V Augusteum. 
Questi  ministri  erano  creali  dai  decurioni ,  e  messi 
al  seguito  degli  edili ,  incaricali  della  solennità  dei 
Voti  publici  per  la  salute  dell'  Augusto  regnante ,  dai 
quali  venivano  ingiunte  loro  delle  spese  in  opere  di 
culto  ,  od  anche  pubbliche  ,  dopo  1'  approvazione  del 
consiglio  decurionale  ,  siccome  e'  insegnano  le  lapidi 
pompeiane.  Non  avendo  trovato  monumento  poste- 
riore al  752  ,  nel  quale  si  possano  riconoscere  mi- 
nistri di  Mercurio  ,  e  di  Maia  ,  siamo  condotti  a  cre- 
dere ,  che  i  ministri  pubblici  tolti  dal  culto  di  Mer- 
curio e  di  Maia  fossero  destinali  a  quello  di  Augusto  ; 
altrimenti  dovremmo  dire,  che  invece  di  chiamarsi  Mi- 
nistri di  Augusto  ,  di  Mercurio  ,  e  di  Maia  ,  amas- 
sero meglio  di  appellarsi  soltanto  Ministri  di  Augusto, 
la  quale  interpretazione,  che  pare  delsig.  Mommsen, 
(/.  N.  p.  461  col.  3) ,  poco  sodisfa  ;  non  vedendosi 
la  ragione  di  sopprimere  costantemente  il  nome  di 
Mercurio  e  di  Maia,  che  troviamo  pur  congiunto  con 
quel  di  Augusto  almeno  una  sola  volta,  se  erano  essi 
tuttavia  deputali  ad  onorare  sì  l'uno,  che  gli  altri  due 
numi  più  antichi. 

Verso  i  tempi  medesimi ,  che  ci  danno  i  Ministri 
Augusti,  i  Saccrdoles,  e  i  Flamines,  vediamo  costru- 
irsi in  Pompei  il  tempio  della  Fortuna  Augusta  ,  e'I 
grandioso  edilizio  dedicato  alla  Pietà  della  Concordia 
Augusta  dalla  sacerdotessa  Eumachia  ,  ed  io  lo  reco 
tutto  al  nuovo  movimento  impresso  nella  Colonia  a 
rabbellirsi  dal  supplemento  dei  veterani ,  che  si  fab- 
bricarono il  pago  Augusto  Felice  Suburbano  al  747, 
dalla  qual'  e[)oca  data  la  costruzione  dei  due  Teatri , 
e  dell'  Anfiteatro  ,  siccome  ho  dimostrato  più  avanti 
(an.  I.  p.  145  s.  ).  Pare  quindi  che  siasi  accesa  una 
gara  tra  i  vecchi  e  i  nuo>  i  coloni  di  abbellire  la  ciltà 
di  nuovi  e  splendidi  edifizii,  la  più  parte  dei  quali  por- 
tassero in  fronte  il  nome  dell'Imperatore,  e  fossero 
destinali  a  crescerne  l'idolatrico  cullo.  Tra  questi  mo- 
numenti pubblici  prese  il  suo  posto  anche  1'  Augu~ 


—  5  - 


sieum,  del  quale  ho  qui  intrapreso  di  mostrare  l'esi- 
stenza ,  e  di  determinarne  la  fabbrica. 

Io  dico  adunque  ,  che  l'  edifìzio  detto  finora  tem- 
pio di  Quirino  sia  stato  invece  un  Aiigufleiiin  :  e  ne 
prendo  le  prove  dall'ara,  che  vi  è  collocata  nel  mezzo. 
Essa  è  pubblicata  nel  voi.  VI.  a  tav.  LVII.  del  R. 
Museo  Borbonico;  ivi  pure  se  ne  legge  la  interpreta- 
zione data  dal  eh.  sig.  Cav.  Pinati.  Nella  fionle  si 
vede  scolpito  un  sacrifizio  di  un  loro  :  e  già  il  sacer- 
dote pone  r  incenso  sul  fuoco,  ove  si  consumano  le 
offerte  ,  intanto  che  il  ministro  col  maglio  s  avanza  , 
tenendo  per  la  fune  la  vittima.  Or  se  un  sacrifizio 
hosdae  maioris  ci  potrebbe  condurre  il  pensiero  ad  un 
Giove  (v.  il  Marini  Fr.  Arv.  p.  4G)  ,  ad  un  Apollo 
(Plut.  IMarcel.  cf.  Homeri  II.  1,  -'lO,  Virg.  Aen.  Ili , 
119),  ad  un  Nettuno  (Virg.l.c),  e  che  so  io:  la  parte 
opposta  dell'ara  per  buona  ventura  ci  toglie  d'imba- 
razzo, determinando  ottimamente  l'alto  personaggio 
a  cui  si  prepara  questo  sacrifizio.  Di  chi  sia  simbolo 
la  corona  di  quercia  fra  due  lauri  udiamolo  da  Ovi- 
dio (Metani.  1,  562),  che  dice: 

Postibus  aitguslis  eaclcm  fidissima  custos 
Ante  fores  slahis,  mediamque  lueberc  quercum. 

(cf.  Ovid.  IV  Fast,  933,  Trist.  Ili,  1.  39,  Plin.  II. 
N.  XV,  30):  e  Dione  scrive:  xcù  yàp  toVì  TàsSaipvocs 
TTpò  rwv  fixiTiyjiwY  cuvrou  TrportQsffS'xi ,  x%\  rò  ròv 
(TTiy'xvoy  TÒy  opciiov  V7r\p  oivrwY  ctpràcrScti  ì^^Ti^iij^y] 
(LUI,  16,  Reimar.  cf.  Mou.  Aucyr.  C.  I.  col  VI, 
lin.  17.  segg.  ).  E  qui  il  eh.  collega  Minervini  sot- 
tentra opportunamente  a  dimostrare  con  altro  esem- 
pio essere  la  vidima  maior  appunto  quella  ,  che  gli 
Augustali  sacrificavano  ad  Augusto  [Jiaìl.  Nap.  HI, 
103,);  laonde  altro  non  rimane  che  di  riconoscere 
quivi  un  sacrificio  fatto  ad  Augusto,  e  per  conse- 
guenza un'ara  sacra  al  cullo  di  lui.  In  un  edifizio 
d'indole  già  molto  apertamente  sacra,  se  io  trovo  una 
iscrizione,  un  donarlo,  comincio  a  studiarmi  di  rile- 
vare quindi,  se  è  possibile,  l'antica  destinazione  del 
santuario  :  ma  quando  vi  trovo  l' ara  alla  quale  si  fa 
il  sacrifizio ,  e  sopra  di  essa  scolpili  gli  emblemi  che 
mi  pongono  davanti  Augusto,  non  ho  affatto  più  luo- 
go di  dubitare,  che  esso  non  sia  un  ^M^?<stfuȓ,  ossia 


una  cappella  oonsecrata  al  genio  maggiore  che  adu- 
lassero i  pazzi  pagani  coi  loro  incensi  ,  e  colle  loro 
vittime.  Sarebbe  qui  pregio  della  scoperta  di  dichia- 
rare la  condizione  del  sacerdote,  che  offre  l'incenso, 
e  poi  abbrucerà  le  carni  del  loro  al  divo  Augusto:  è 
egli  il  Flamen  Aiujmti ,  o  il  Saccrdos  Augusti ,  o  più 
veramente  1'  Edile  incaricato  dei  voti  publici  per  la 
salute  dell'  Inqieratore  ?  Credo  sia  invece  scolpila  la 
cerimonia  della  consecrazione,  e  che  il  sacrifizio  vi  è 
operato  dal  Pontifex.  Ne  prendo  argomenti)  dal  lituo 
augurale,  che  è  scolpito  sul  lato  sinistro  col  manlele, 
e  l'acerra  thuris;  il  quale  slrumenlo  era  essenziale  al- 
la cerimonia  della  scelta  e  della  determinazione  di  un 
luogo,  ove  avesse  ad  erigersi  un  santuario  pagano.  A 
tal  superstizione  riferisco  i  fuor  di  squadra  nella  po- 
sizione di  questo  edifizio.  Se  ai  Duumviri,  e  agli  E- 
dili  erano  accordali  due  littori ,  come  ha  dimostrato 
Lipsio  (  Elect.  1,  23),  non  è  certo  che  gii  Augusta- 
li nelle  funzioni  del  loro  grado  ne  avessero  uno ,  co- 
me stima  il  eh.  Cavedoni  (7)«ss.  sui  littori,  Mem.  di 
Relig.  Stor.  Lett.  Modena  voi.  VI).  Altrove  mi  sono 
argomentato  dimostrare  il  contrario  coi  momnnenli, 
che  portano  scolpifi  due  fasci  ,  o  due  littori  coi  loro 
fasci,  e  sono  consecrali  alla  memoria  di  alcun  seviro 
Augustale  (Stor.  d'Isernia,  p.  124,  12!i).  La  slessa 
cosa  vediamo  qui,  ove  se  è  vero,  come  ho  opinato  , 
che  sacrifica  il  Pontifex  la  prima  volta  nel  giorno 
della  dedicazione,  sarà  ancora  dimostrato,  che  a  que- 
sto capo  del  sacerdozio  municipale  si  concedevano  nelle 
sue  funzioni  i  due  Ultori.  Polrebbe  per  allio sembrar 
egualmente  probabile,  che  tal  cerimonia  fosse  aflidala 
ad  uno  degli  Edili  V"A-S  P-P,  Votls  Augusto  Solem- 
nibus  Publice  Procurandis.  Più  lar<li  furono  creati  gli 
Augustaìes,  e  questi  ebbero  la  loro  curia  o  plwlrium, 
che  io  sfinio  essere  quell'edifizio,  cheèal  fianco  deslro 
dell'  arco  sacro  a  Nerone  ;  e  ne  credo  ottimo  indizio 
il  triclinio  destinato  alle  cpìdae  ed  alle  i-isceroliones. 
In  esso  venivano  onoiati  di  cullo  lutti  i  personaggi 
della  famiglia  imperiale,  tenendovi  però  il  primo  po- 
sto Augusto  ,  al  cui  lato  deslro  abbiamo  trovata  la 
statua  di  Livia  in  abito  di  sncerdolessa  di  lui  ,  ed  al 
sinistro  Druso  il  figlio.  Stando  alle  osservazioni  gi.ì 
esposte  intorno  alle  antiche  escavazioni  pralticate  ia 


—  6  — 


Pompei  sin  dai  primi  tempi,  ed  al  poco  dì  materiale, 
che  dovea  aver  ingombrato  questa  parte  elevata  del- 
la città ,  sono  persuaso,  ciie  altre  statue  doveano  es- 
sere collocale  sui  basamenti  ,  dei  quali  è  rimasta 
qualche  traccia,  a  cui  corrispondono  di  numero  an- 
che le  dodici  camerette  ,  nelle  quali  doveano  essere 
riposte  le  sacre  suppellettili  appartenenti  al  culto. 

molto  utile  a' suoi  interessi  credette  Eumachia  fi- 
gliuola di  L.  Eumachio  ,  e  madre  di  M.  Numistrio 
Frontone ,  sacerdotessa  publica,  erigere  un  Calcidico 
dedicandolo  alla  Pietà  della  Concordia  Augusta,  e  si- 
milmente M.  Tullio  un  altro  tempio  eresse  alla  For- 
tuna Augusta.  M.  Numistrio  Frontone  figlio  di  Eu- 
machia fu  duumviro  nel  73o,  e  M.  Tullio  aveva  retto 
il  duumvirato  la  terza  volta ,  quando  costruì  il  tem- 
pio già  detto  ,  al  ministero  del  quale  stabili  sotto  la 
dipendenza  del  magistrato,  e  con  proprie  leggi  un  col- 
legio ,  del  quale  ufficiarono  i  primi  nel  737 ,  sicco- 
me si  ha  da  una  lapide  trovata  ivi ,  col  consolato  dì 
Silio,  e  di  Saturnino  (/.  N.  2223). 

Gakrccci. 


6.  J  due  Teatri. 

È  vero,  che  da* racconti  di  Pausania,  di  Plutarco, 
di  Snida,  e  dalle  parole  di  Vilruvio  risulta,  che  \'0- 
(leum  era  un  t&'ttos  ^sccr  postar  fi  coperto  da  un  letto  ; 
ma  ciò  non  era  poi  bastante  a  dichiarare  Odei  tutti  i 
teatri  coperti,  come  si  è  fatto  finora.  Per  tanto  ninno 
di  coloro ,  che  ci  descrivono  i  teatri  degli  antichi  ha 
sapulo  trarre  ancora  fruito  da  un  noto  passo  dì  Ter- 
tulliano, donde,  se  mi  ;.ppongo,  può  dimostrarsi,  che 
l'usanza  di  costruire  i  teatri  coperti  era  diflusa  pei  mu- 
nicipìi  e  per  le  colonie,  a  fine  di  avere  all'inverno,  ove 
commodamente  assistere  alle  rappresentanze.  Video  et 
Thcatra,  nec  singula  satis  esse,  ncc  ìiiida:  nams  ne  vel 
hicme  voluplas  impudica  frigeret,  primi  Lacedaemonii 
odium  pacnulam  Itidis  eoccogitaverunt  (Tertul.^;;o?or/.c. 
VI).I1  qual  luogo  comunque  corrotto  in  parie  (1),  pure 

(1)  È  giocoso  il  commento  di  llavercanip  M'odiutn  pacnulam, 
eh'  egli  coir  aiiloriià  di  un  sol  codice  corregge  odium  paenulae , 
imagìnando,  che  Tertulliano  «  eleganler  odium  paenulae  dicit  prò 


assai  chiaramente  c'insegna,  che  fu  costume  di  coprire 
i  teatri,  ne  hieme  voluplas  impudica  frigerel:  cioè  che 
ai  tempi  di  Settimio  Severo  si  rappresentava  sì  nei  teatri 
coperti ,  come  nei  teatri  senza  tetto  ,  né  volte  :  e  che 
questi  teatri  coperti  non  erano  tenuti  per  feste  di  mu- 
sica ,  né  per  concerti  delle  rappresentanze  ,  siccome 
gli  Odei  presso  i  Greci  (Suid.  in  Lex.  v.  'mÌiTov,  Schol. 
Arisloph.  in  Vesp.  v.  1109,  ed.  Diibner),  cui  l'in- 
dole stessa  delle  musicali  esercitazioni  richiedeva,  che 
fossero  coperti.  Io  non  negherò  per  tutto  questo  che 
i  primi  teatri  coperti  siano  slati  appunto  gli  Odei,  la 
origine  dei  quali  Vilruvio  fa  risalire  a  Temistocle,  e 
la  più  parte  degli  storici  a  Pericle;  ma  credo  l'uso  di 
rappresentarsi  d'inverno  accennato  da  Tertulliano  as- 
sai più  conforme  al  genio  romano  ,  che  non  mostrò 
mai  tanta  inclinazione  alla  musica,  come  il  greco.  La 
iscrizione  del  Teatro  scoperto  ci  dice  che  M.  Artorio 
ne  fu  l'architelto,  e  che  i  due  Olconii  Rufo,  e  Celere 
costruirono  col  loro  denaro  CRYPTAM,  TRIBVNA- 
LIA ,  TIIEATUVM. 

A  coloro  che  leggono  questa  lapida  nasce  sponta- 
neamente desiderio  di  intendere,  che  cosa  sia  la  cry- 
pla ,  e  i  tribunalia  qui  ricordati  :  perocché  se  queste 
sono  parli  del  medesimo  edifizio  ,  siccome  dei  Iribu- 
nalia  s'intende  da  sé,  col  semplice  confronto  di  ciò  , 
che  ne  scrive  Vilruvio  (  L.  V,  e.  VII) ,  e  ì  commen- 

paenula  odiosa,  et  quìa  gravis  materia  crassa  et  pondere,  et  quia 
nova  romanis  inoribus  (Comment.  ad  hunc  loc.j.  A  toglier  di 
mezzo  il  ridicolo  basta  rillellere  ,  che  odium  in  mano  ai  copisti 
equivale  ad  Odium  (  'iJhuwv  )  Odiorum,  Odeorum  Risulta  quindi 
colla  ragionevole  interpretazione  del  passo  un  confronto  ben  pre- 
gevole e  decisivo  alla  voce  pacnula  nel  senso  di  'ìpt-\,i;  mpixXi- 
vris,  xai  xuTuvr-fig,  iixinv  xai  fxijj.'rifi.a  Trjs  (JatTiXix^s  tfxr/vris 
(Plnlarch.  in  Pericle,  Paus.  in  Att.  20,  31,  Siebelis).  Non  entro 
qui  garante  di  Tertulliano  che  attribuisce  ai  Lacedemoni  ciò,  che 
altri  agli  Ateniesi,  la  prima  costruzione  degli  Odei,  più  che  altri 
non  faccia  di  Vilruvio,  che  dice  Temistocle,  e  non  Pericle  il  pri- 
mo costruttore  di  essi;  solo  dico,  che  con  taln  correzione  deH'odmn» 
io  vedo  chiaro  il  senso  di  Tertulliano.  Non  siete  paghi,  die' egli  ai 
pagani ,  di  un  solo  teatro  nelle  città  vostre ,  ne  fabbricate  due , 
UDO  nudum,  l'altro  non  nudum,  ma  tectum:  perocché  i  Lacede- 
moni i  primi  inventarono  i  teatri  coperti,  Odeorum  pacnulam  lu- 
dis  cxcogilaverunl  (cf.  TECTVM  PORTICVS  CVM  SVIS  COLV- 
MNIS  ET  PAENVL  •  DVARVS  ET  ■  OPERE  ■  TECTORIO  in  lapida 
di  Aosta,  Creili  /.  Lai.  3284).  Stazio  colla  medesima  frase  che 
Tertulliano ,  ha  scritto  :  Et  geminam  molem  nudi  tectique  Thea- 
tri  (Silv.  ni,  V,  91  ;. 


—  7 

taloii  di  Siictonio  ( in  Aiig.  -ì 4 ) ,  e  della  cnjpla ,  col 
paragone  dei  luoghi ,  ove  è  lolla  nel  senso  di  cryplo- 
jmrlìcus,  come  in  Sucfoiiio  stesso  (Suet.  inCalig.  58), 
e  ncU'edifizio  di  Eumacliia  ([ili  in  Pompei  ;  so  (|ueslc, 
dico  ,  sono  parli  del  medesimo  odili/io  ,  perchè  non 
era  sufficiente  il  solo  vocaholo  TIIEATRVM?  Vera- 
mente senio  anch'  io  la  difficoltà  di  uu  fraseggio  tanto 
singolare  ,  osservo  per  altro  ,  che  in  un'  epigrafe  si- 
milmente pompeiana,  si  legge  CIIALCIUICVM,  CllY- 
PTAM,  PORTIGVS  nominarsi  insieme,  memhra  an- 
ch' essi  di  un  solo  edifizio.  Or  quando  la  fai)brica  di 
Eumachia  è  un  Cluilciilicum ,  e  questo  composto  di 
non  allro,  che  della  crypla,e  dei  j'oilims,  che  valeva 
il  dire,  che  essa  ha  fatto  costruire  la  cnjpta  e  iporii- 
cus  col  Chalcidicum  ?  non  bastava  di  aver  detto  Citai- 
cidicum?  Che  se  si  vuole  averla  qui  descritta  per  ])rtr- 
tes,  nominando  Clialcidicum,  Cnjpiam,  Porlicus;  non 
si  dovrà  adunque  condannare  gli  Olconii,  i  quali  pa- 
rimenti hanno  scritto,  Theatrum,  Cnjptam,  Trihuna- 
lia.  Credo  perciò  che  Tliealrum  sia  il  nome  dell' edi- 
fizio,  e  mi  par  men  male  di  scusare  una  verbosilà  forse 
non  inopportuna  a  mettere  meglio  in  veduta  le  utilità 
di  fabbriche  costruite  coi  migliori  commodi  possibili, 
che  di  slimare  con  altri  il  r/(a/c/(/<VHm  parie  della  fab- 
brica. A  slimarlo  nome  di  un  edilizio  concorrono  le 
iscrizioni ,  ove  si  nomina  tra  le  fabbriche  costruile  il 
Clialcidicum  cwn  suis  oniameniis  (  v.  la  mia  storia  d'I- 
sernia  p.  91)  e  Curiam  et  coniinens  ci  Chalcidicum 
dell'  Index  rerum  geslarum  di  Augusto.      Garrucci. 

7.  Dell' edifizia  detto  Triibùs,  e  rfe//a  voce  Cùmbenniùs. 

I  dotti ,  che  quasi  imiversalmenle  ora  convengono 
intorno  alla  interpretazione  delle  epigrali  osche  ,  non 
hanno  determinato  ancor  nulla  del  significato  delle 
voci  Triibùs,  e  Cùmbenniùs.  Dirò  quel  che  me  ne 
sembra.  Pompei ,  come  il  reslo  della  nazione  osca  si 
reggeva  a  Repubblica  verso  gli  ullimi  tempi.  È  da  un 
pezzo ,  che  vado  osservando  Ira  gli  Osci ,  e  i  Greci , 
segnatamente  Dori ,  grandi  analogie.  Io  credo ,  che 
per  loro  costituzione  il  popolo  si  dividesse  in  tribìi , 
che  queste  presedessero  alle  decisioni  successivamente 
nel  corso  dell'  anno.  Per  conseguenza  io  scorgo  nel 


nome  Cilmhcnniù^  il  nome  della  tribù  ,  che  decreta 
r  impiego  del  denaro  lasciato  alla  Repubblica  da  Adi- 
rano ,  siccome  in  altro  raonuinenlo  pur  pompeiano 
Tiiinpararrith  è  a  parer  mio  nome  di  allra  Iribù.  Se 
Vcrcia  si  è  bene  spiegalo  Rcspublica,  e  Scnatiìs  equi- 
vale al  Ialino  Scnatus,  ci  non  resta  allro  ripiego,  che 
(pieslo  per  spiegare  che  cosa  sia  il  Cùmbenniùs,  e  '1 
Trimbaracciùi^,  che  decretano  in  cose  piibbliclic. 

La  trcbùs  osca  io  credo  nome  del  luogo  ,  ove  era 
convocala  la  tribù  ,  e  veggo  nel  pilastrino  di  pietra  , 
coi  gradini  collocato  rimpello  alla  porta  di  questo  edi- 
fizio  il  basamento  del  pulpito ,  finito  certamente  e 
coperto  di  sopra  da  opera  di  legno ,  ove  1'  oratore 
proponeva  all'assemblea,  che  di  sotto  ai  portici  Io 
ascollava.  GAriRccci. 

8.  Tempio  di  Mercurio  e  Maia. 

Se  Mercurio  e  Maia  ebbero  ministri  in  Pompei,  non 
doveva  loro  mancare  un  tempio  :  ma  dove  lo  cerche- 
remo? Ninno  per  quanto  so,  vi  ha  finora  pensalo, 
e  mollo  meno  ,  che  il  tempio  di  Mercurio  e  di  Maia 
potesse  riputarsi  quello ,  che  comunemente  credo- 
no di  Venere,  e  che  sfa  sulla  sinistra  del  foro ,  dopo 
la  basilica.  Ma  che  questo  debba  stimarsi ,  me  lo  fa 
credere  un  enorme  |3aXavGC,  che  io  ritrovo  in  un  an- 
golo della  cella  a  sinistra.  Di  monumenti  antichi  che 
ricordino  il  cullo  congiunto  di  Mercurio  e  Maia  io 
non  ne  conosco  fuori  di  Pompei  cIì(>  uno  ,  il  Calen- 
dario Venosino.  Al  "ionio  sedici  di  MaL^^io  si  Ie"f'e 
XVII  •  FMERGVR  iMAIAE  (il  Merkel  corregge  ID- 
M*  p.L.);  e  l'Oielli  ha  torto  di  avere  interpretato  1/er- 
curii Mariae  ffìliij  nalalii  {Coli,  hifcr.  Lnt.  p.il'i.T. 
II.  )  ;  né  avveri!,  che  nel  mese  appunto  di  Magjzio  si 
sacrificò  a  Mercurio  ed  a  Maia  come  ne  avvisa  Ma- 
crobio;  Hoc  mense  mercalores  omnes  Maiac  pariter 
Mercurioqiic  sacrifìcant  [Sidurn.  1,  e.  12.  cf.  Meikel 
ad  Ovid.  fast.  CLXXXII.  ).  Dal  qual  passo  diiMacio- 
bio  avremo  imparalo  ancora  la  ragione  potissima  di 
un  culto  cosi  singolare  in  Pompei. 

Che  cosa  fosse  Pompei  una  volli!  prima  di  meritare 
la  denominazione  e  i  dritti  di  città,  1' ho  accennalo  fin 
da  principio  ragionando  della  probabile  significazione 


—  8  — 


del  nome  sulla  scorta  di  Strabene.  Posto  adunque, 
ohe  questo  fosse  un  luogo  centrale  di  commercio, 
egli  è  ancora  spiegato  per  l' autorità  di  Macrobio  co- 
me vi  fosse  celebre  il  culto  di  Mercurio  e  di  Maia; 
alle  quali  due  divinità  i  Mercalores,  per  lo  appunto 
raccomandavano  la  buona  riuscita  dei  loro  trafGchi. 
Della  dea  Maia  non  ci  parla  finora  verun  monu- 
mento ,  ma  né  di  Mercurio,  se  non  le  iscrizioni,  che 
abbiamo  dei  ministri  di  ambedue  :  ma  se  la  dea  Maia 
è  la  stessa  cosa,  che  la  Dea  Terra,  siccome  opinava- 
no alcuni  con  Labeone  :  A/finnant  quidam ,  quihus 
Cornelìus  Laheo  consenih ,  liane  Maiam,  cui  mense 
maio  res  divina  celehralur ,  (erram  esse  ;  e  se  le  sigle 
T.  D.  V.  S.  di  una  lapida  votiva  trovata  appunto  in 
questo  tempio  molto  probabilmente  sì  spiegano  Tel- 
luri Deae,  Voto  Soluto,  avremo  un  argomento  di 
più  in  conferma,  che  questo  è  il  tempio  di  Mercurio, 
e  di  Maia ,  Biòóv  ffVfxfìoMoov ,  cioè  onorati  allo  slesso 
altare ,  e  coi  medesimi  sacrificii.  Garrccci. 

9.  Si  è  rinvenuto  finora  alcuna  cosa  di  cristiana 
credenza  in  Pompei  ? 

A  dar  una  giusta  risposta  a  tal  domanda  conver- 
rebbe aver  atteso  a  tutto  ciò  che  si  è  finora  disotter- 
rato in  Pompei  :  ma  niun  può  rispondere  delie  sco- 
perte antecedenti,  cioè  di  tutti  i  particolari ,  fino  alle 
iscrizioni  graffite  si  numerose  in  tutte  le  pareti,  la  cui 
impoilanza  è  stata  finora  con  tanto  danno  quasi  del 
tutto  inavvertita. Manca  l'esame  delle  suppellettili, delle 
quali  molla  parte  è  ammassala  nei  magazzini,  manca 
la  lettura  del  giornale  degli  scavi ,  donde  si  potrebbe 
almeno  avere  una  imperfetta  descrizione  di  essi.  Non 
v'ha  poi  un  esalto  registro  di  tutte  le  leggende  parie- 
tarie  dipinte  a  pennello ,  che  non  basterebbe  neanche 
di  aver  copiale  dai  primi  intonachi  ;  costando  a  me 
per  esperienza  ,  che  caduti  questi ,  altre  epigrafi  sot- 
toposte sono  venute  a  luce  ,  non  copiate  affatto  da  ve- 
runo prima  di  me ,  e  lo  ha  dimostrato  anche  la  sco- 
perta, che  vi  ho  fatta  dell'intera  leggenda  ORO  VOS 


FACIATIS  ,  e  posso  aggiungere  ,  che  tutta  quasi 
quella  via  mi  ha  dato  leggende  nuove,  e  di  non  me- 
diocre utilità  ,  siccome  appare  da  quel  frutto  che  ne 
ho  tratto  nell'articolo  intorno  aWAmhulazione  di  Pom- 
pei. Dopo  tale  protesta ,  dico ,  che  io  son  ben  sicuro 
esservi  stati  Cristiani  in  Pompei,  siccome  non  poteva 
mancarvi  un  numero  di  Ebrei  in  luogo  si  centrale  di 
commercio.  Preveggo  ancora,  che  si  potrà  avere  più 
luce  in  tale  quistione,  quando  perverrassi  alle  parti 
della  città  più  ignobili,  e  verso  il  Sarno,  ove,  avreb- 
ber  dovuto  abitare  gU  Ebrei,  ai  quali  gli  Apostoli  re- 
cavano ordinariamente  la  buona  novella,  e  per  loro 
mezzo  anche  ai  proseliti,  onde  si  propagava  fra  gentili 
la  notizia  della  redenzione.  Ilo  letto  su  di  una  parete 
in  lettere  greche  alcuni  nomi  evidentemente  orientali, 
ed  asiatici  si,  che  possono  convenire  anche  ad  Ebre', 
come  Meroah:  ed  Ebrei  credo  indicati  nella  voce  VER- 
PVS  ,  che  leggesi  in  un  programma  rLOLLIV'M  D.. 
VERPVS ROGAI,  che  confronto  ad  un'epigrafe  di- 
pinta: lAMDOCVI  FELICES  VEaPI(cf.Iuven.  Sat. 
XIV,  V.  99,  104  e  lo  scoliaste.  Marziale  VII,  ep.  8t 
XI,  ep.  93.  )  ;  e  paragono  al  fullo ,  allo  studiosus,  al 
pislor,  che,  come  ho  detto  più  avanti,  hanno  la  forza 
di  plurale.  Attenderemo  adunque  che  gli  scavi  si  ri- 
volgano a  quelle  ultime  parti  di  Pompei  per  vedere, 
se  questa  conghiettura  è  felice. 

Una  lucerna ,  che  gli  Ercolanesi  dicono  scoperta 
in  Pompei  nel  giorno  ultimo  di  gennaio  del  1756 
{Antichità  di  Ercolano  p.  2191)  e  il  giornale  uffiziale 
agli  11  gennaio  di  quest'anno ( Fiorelli ,  Docum.  O- 
rigin.  degli  scavi  di  Pompei  voi.  1  col.  50) ,  è  cri- 
stiana senz'  alcun  dubbio,  ma  del  quarto  secolo;  onde 
non  fa  luogo  recarla  a  soluzione  del  quesito.  Gli  Er- 
colanesi ,  che  non  si  avvidero  dell'  epoca  ,  diedero 
una  dichiarazione  poco  esatta,  fliilluaudo  tra* le  croci 
cristiane  ,  e  le  cosi  delle  croci  ansate  degli  Egiziani , 
colle  quali  non  è  da  cercarsi  confronto  in  quesie  nostre 
terre.  Deve  esser  quindi  riposta  tra  le  suppellettili  dei 
cavatori  del  secoloquarto;  che  siccome  abbiamo  di  so*- 

pra  avvertito  ,  in  tutti  i  tempi  cercarono  Pompei. 

Garkucci. 


P.  Raffakle  Garrccci  d.c.d.g. 
Giuuo  MiNEKViM  —  Editori, 


Tipografia  di  Giuseppe  Cutaneo, 


BULLETimO  ARCnEOLOfilCO  MPOLITA^O. 


NUOVA    SERIE 


iV."  26.     (2.  dell'  anno  IL) 


Luglio  1853. 


Notizia  de  più  racemi  scavi  di  Pompei — Sul  vaso  di  67/sse  Acanlhoplex:  da  lettera  del  eh.  sig.  cav.  Wtìchcr 
al  sig.  Giulio  Minervini.  —  Giunta  all'articolo  precedente. — Delle  Monete  attribuite  a  Palatium,  o  Pala- 
cium  della  Sabina,  o  dell'  Umbria  che  dir  si  voglia. 


Notizia  de'  pili  recenti  scavi  di  Pompei. 

Cominciamo  dal  riferire  i  differenli  programmi 
scrini  all'  esterno  de'  muri  degli  edifizii  esposti  alla 
strada ,  che  mena  alla  porta  Slabiana  ;  ove  si  prose- 
gue con  alacrità  la  scavazione. 

Sono  essi  i  seguenti  : 

1 .  P  •  VED  •  •  •  •  Forse  ha  relazione  al  P.  Vedio 
Nummiano,  di  cui  è  menzione  in  altri  programmi  nella 
medesima  strada  (v.  questo  bull.  an.  I.p.  S9  e  71). 

2.  PAQVIVM 
.    3.  SILLIVM 

MAGNVM  II  V  •  I 
D  0^ 
4.  HOLCONIVM 

IIV     I  •  D  •  LIGNARI 


IVVENEM  •  EGREG 

Non  è  la  prima  volta  che  la  corporazione  de'  Ugnarli 
si  vegga  raccomandare  qualche  personaggio  al  suf- 
fragio degli  elettori  :  così  troviamo  i  lignari plostrari, 
che  domandano  alla  edilità  .Varce/Zo  in  altro  program- 
ma da  molto  tempo  conosciuto  (cf.  questo  ballettino 
an.  I.  p.  150).  Il  programma  di  Olconio  è  segnato 
di  nero;  ma  vedesi  frammisto  all'altro  seguente  scritto 
di  rosso  ,  ed  anche  in  parte  perduto  : 

5.  POSTVMIVM 

POPIDIVM  •  AED  •  CVM 
ROG 

Più  importante  si  è  una  iscrizione  ,  che  leggesi  dir 
piota  di  rosso  sulla  tegola  sottoposta  ad  uno  di  quei 
falli  di  terracotta  ,  che  non  poche  volte  ritrovammo 

AANO    11. 


presso  le  abitazioni  pompeiane.  Il  fallo  è  abassorilie 
vo  dipinto  di  rosso  in  campo  azzurro. 

La  epigrafe  è  la  seguente 

VBI  •  ME  •  IVVAT  •  ASIDO 
Notevole  è  la  ortografìa  di  quest'ultima  voce,  nella 
quale  io  riconosco  adoperala  una  sola  sibilante  invece 
di  due.  Certamente  lo  scrittore  pompeiano  segnò  A- 
SIDO  invece  di  ASSIDO.  Non  è  raro  trovar  nelle 
iscrizioni  una  sola  consonante  in  luogo  di  due  ;  il  che 
dovrà  per  avventura  attribuirsi  a  particolare  pronun- 
zia :  e  propriamente  1'  S  incontrasi  mancante  non  una 
volta  sola  nel  nome  SVCE.SVS ,  ed  in  altre  simili 
voci.  È  stalo  notato  da' grammatici  che  il  verbo  ad- 
sido  in  se  contiene  il  significato  di  movimento,  quasi 
di  correre  a  trattenersi.  Questa  intelligenza  appunto 
va  mollo  hene  applicata  alla  pompejana  iscrizione,  la 
quale,  a  mio  giudizio,  messa  in  raj)porloconunpria- 
pico  simbolo,  dimostra  che  si  accenni  ad  una  casa  di 
dissolutezza;  e  ci  porge  un  valido  argomento  per  giu- 
dicare il  fallo  presso  alcune  delle  ponipejane  case  es- 
sere destinato  ad  indicare  lo  sconcio  e  turpe  costume 
di  quelle  abitazioni. 

Volendosi  dalla  Direzione  degli  Scavi  pratticareun 
taglio  per  incanalare  le  acque  a  poca  distanza  dalla 
porta  Slabiana ,  si  è  incontrata  una  lava  vulcanica. 
Questo  strato  di  lava  vesuviana  è  sottopo.slo  all'  an- 
tica strada  Slabiana  circa  palmi  quattro,  i  quali  sono 
occupati  da  un  masso  di  terra  ,  sul  quale  si  distende 
il  lastricato.  Si  è  finora  verificala  1'  altezza  di  questo 
strato  vulcanico  sino  a  palmi  cinque  e  mezzo ,  ma 
non  si  è  pervenuto  a  misurarne  tutta  la  profondità. 
Sin  da  molto  tempo  addietro  si  ha  notizia  di  simili 


10  — 


strati  di  pietra  nera  vetrificata  ;  ed  io  mi  contenterò 
di  citare  la  notizia  comunicata  all'  architetto  Aviano 
da  Francesco  Antonio  Picchiatti,  e  riportata  dal  Bian- 
chini (  ist.  univ.  p.  246  seg.  ).  Queste  tracce  di  anti- 
che eruzioni ,  precedenti  alla  catastrofe  pompejana  , 
ci  additano  donde  fosse  tratto  il  materiale  delie  tante 
vie  lastricate  da  pietra  vesuviana  ,  della  quale  in  tem- 
pi remoti  aver  dovettero  i  Pompejani  le  cave  nel  re- 
cioto stesso  della  città.  La  eruzione ,  alla  quale  è  do- 
vuto lo  strato  di  lava  novellamente  scoperto  ,  prece- 
dette la  ricostruzione  delia  strada  di  Stabia,  alla  quale 
si  trova  immediatamente  sottoposta.  Non  saprei  se  fosse 
appunto  quella  la  circostanza,  in  cui  fu  necessario  rifare 
la  strada  Slabiana,  la  Pompejana,  la  Giovia,  e  quell'al- 
tra che  coll'inesplicalo  \ocaho\o  Dekkviarim  viene  nella 
famosa  lapida  viaria  osca  denominata.  La  rifazione  di 
ben  quattro  strade  non  potrà  probabilmente  attribuirsi 
che  ad  un  particolare  avvenimento  il  quale  le  abbia 
danneggiate.  Tal  sarebbe  una  vulcanica  eruzione,  con 
tronchi  di  lava  ,  che  rendano  le  vie  impraticabili.  In 
questa  ipotesi ,  ove  ad  alcuno  sembrasse  plausibile  , 
si  vedrebbe  forse  confermata  la  mia  spiegazione  deli' 
ultima  parte  della  citata  epigrafe  osca  ,  in  quanto  alla 
restaurazione  delle  strade  fdenuupsemj ,  e  non  già  alla 
primitiva  costruzione  fuupsemj  :  alla  quale  idea  fum- 
mo allora  condotti ,  per  credere  poco  probabile  la 
formazione  di  tutto  un  novello  sistema  di  strade,  trac- 
ciato ed  eseguito  contemporaneamente  e  sotto  i  me- 
desimi edili. 

Comunque  sia  di  queste  nostre  vedute,  che  abbiamo 
sviluppate  in  una  memoria  letta  alla  Reale  Accademia 
Ercolanese  sopra  queste  più  recenti  scavazioni  ;  pas- 
siamo a  dar  la  notizia  di  un  più  interessante  ritrova- 
mento ,  che  ebbe  luogo  verso  gli  ultimi  giorni  dello 
scorso  mese  di  giugno.  Proseguendosi  il  disterro  al 
principio  di  una  strada  perpendicolare  alla  Stabiana,  e 
che  sembra  far  continuazione  con  l'altra  pubblica  via, 
che  discende  dal  Foro  civile,  furono  rinvenuti  due  pie- 
distalli ad  una  certa  distanza  fra  loro  ,  ed  addossati  a 
due  pilastri  di  mattoni,  su' quali  si  veggono  le  tracce 
de'  soliti  programmi  scritti  di  rosso.  Presso  uno  di 
essi  scorgesi  la  terra  rimossa,  per  modo  che  si  appa- 
lesa essere  stata  in  quel  silo  anticamente  frugala.  Di 


fatti  sul  piedestallo  di  fabbrica  ,  spogh'ato  delle  lastre 
di  marmo,  che  in  origine  lo  rivestivano ,  non  si  vede 
la  statua ,  la  quale  certamente  vi  poggiava  ;  e  solo  si 
è  fra  le  terre  raccolta  in  quelle  vicinanze  una  testa  mu- 
liebre di  mediocre  lavoro  che  appartenne  per  avven- 
tura alla  statua  del  piedestallo  ,  già  precedentemente 
sottratta.  Più  interessante  è  l' altro  piedestallo ,  mo- 
strandosi perfettamente  conservato.  É  questo  rivestito 
da  lastre  di  bianco  marmo.  La  parte  superiore  è  co- 
stituita da  un  più  grosso  pezzo  di  marmo  con  scor- 
niciature :  ed  a  questo  si  sovrappone  un  dado  egual- 
mente di  marmo ,  ma  di  più  piccole  dimensioni,  sul 
quale  poggiava  una  statua  colossale  della  medesima 
pietra  ,  alla  circa  otto  palmi,  che  fu  rinvenuta  abbat- 
tuta sotto  grandi  massi  di  lufodiNocera.La  parte  an- 
teriore del  piedestallo,  volta  verso  il  Foro  ,  presenta 
una  latina  iscrizione,  della  quale  parleremo  fra  poco. 
La  statua  ,  della  quale  ho  detto  ,  è  di  mollo  accu- 
rato lavoro:  soltanto  la  testa,  separatamente  eseguita 
sin  dall'antico,  mostra  minor  sapere  artistico,  e  mi- 
nor diligenza  ,  che  lutto  il  rimanente  della  scultura  ; 
e  lo  stesso  ci  sembra  delle  braccia,  delle  quali  il  dritto 
è  saldato  sulla  spalla  con  perno  di  ferro ,  ed  il  sini- 
stro nel  gomito.  Una  delle  gambe  è  addossata  ad  un 
forte  tronco  di  albero  di  marmo,  da  cui  parte  un  più 
sottile  ramo  a  sostegno  altresì  dell'altra  gamba.  Il  si- 
nistro braccio  è  abbassato,  e  vedesi  nella  mano  al  dito 
anulare  un  grosso  anello  senza  particolare  suggello.  Il 
destro  braccio  è  sollevato  ;  manca  però  la  mano,  per 
modo  che  ci  lascia  nella  incrtezza  se  avesse  qualche 
armatura,  o  altro  oggetto  qualunque: non  disperiamo 
però  di  veder  quanto  prima  compiuta  per  questa  parte 
la  statua ,  proseguendosi  in  quel  sito  lo  scavo  ;  giac- 
che è  pur  venuto  fuori  il  lobo  dell'orecchio  sinistro, 
che  fu  posteriormente  ritrovato  :  se  pure  non  sia  av- 
venuto che  quella  mano  fu  anticamente  ritrovata  , 
quando  frugossi  la  terra  circostante  all' altro  piede- 
stallo, siccome  innanzi  dicemmo.  Assai  complicalo  è 
il  vestimento  di  questo  personaggio.  Vedesi  una  tuni- 
ca sottoposta  ad  una  lorica  fregiata  di  svariali  orna- 
menti, e  finalmente  una  specie  di  clamide  sospesa  ar- 
tisticamente alle  braccia  :  i  calzari  compiono  l'  abbi- 
giiamento. 


— 11 


I  fregi  della  lorica  sono  degni  di  particolare  atten- 
zione :  nel  sito  corrispondente  agli  omeri  è  scolpilo  a 
bassorilievo  un  fulmine  d'ambi  i  lati:  dalla  parte  po- 
steriore due  lacinie  vengono  a  congiugnersi  al  torace 
per  mezzo  di  un  doppio  nastro  :  uno  de'  quali  è  fer- 
mato ad  un  anello  pendente  alla  lacinia  stessa,  e  l'altro 
ad  una  lesta  di  leone  sporgente  dal  torace.  Nel  mezzo 
del  petto  è  ima  grande  testa  di  Medusa  con  lingua  pro- 
minente ,  e  con  un  nodo  di  due  serpenti  die  si  avvi- 
ticchiano sotto  il  mento.  Più  indù  veggousi  due  alati 
mostri  (Grifi)  con  teste  di  pantera  da  cui  sporgono 
grandi  corna,  e  con  corpo  di  leone,  i  quali  sollevano 
simmetricamente  una  zampa  sopra  una  specie  di  can- 
delabretto  ,  che  offre  in  cima  una  fiammella  accesa. 
Sotto  è  una  capricciosa  ramificazione ,  al  cui  mezzo 
è  sottoposta  una  grande  palmetta.  AU'esIrcmo  infe- 
riore della  corazza  pender  si  mira  un  triplice  ordine 
di  fimbrie  a  forma  di  squame  :  in  ognuna  di  queste 
scorgonsi  diverse  scollure  a  bassorilievo.  Nel  primo 
ordine  appajono  fra  loro  alternate  tre  leste  virili  e 
barbate  e  quattro  teste  muliebri:  le  prime  sopraslanno 
ad  una  palmella  rovesciata,  le  cui  foglie  si  mostrano 
concave  nella  parte  superiore,  e  convesse  nella  infe- 
riore; le  altre,  cioè  le  muliebri,  stanno  al  di  sopra  pa- 
rimenti di  palmette  rovesciate,  le  cui  foglie  hanno  la 
opposta  conformazione.  Delle  due  squame  estreme  , 
che  conqjiono  il  numero  di  nove ,  quella  a  sinistra  è 
liscia  senza  alcuna  scoltura,  quella  a  destra  presenta 
una  testa  femminile  di  fronte. 

Nel  secondo  ordine  costituito  egualmenle  di  nove 
squame,  vcggonsi  fra  loro  alternati  due  diversi  orna- 
menti :  il  primo  è  formato  di  due  teste  di  montone 
rivolte  ad  opposte  direzioni ,  ed  al  di  sotto  fra  esse 
nna  palmetta:  questo  si  ripete  tre  volte:  il  secondo  si 
compone  di  due  teste  di  elefante  similmente  disposte 
in  contrarie  direzioni  ,  e  di  una  palmetta:  questo  ri- 
pelesi  quattro  volte.  Le  due  estreme  lacinie  non  ci 
offrono  che  una  sola  testa  di  montone  di  più  grandi 
dimensioni. 

Il  terzo  ordine  di  squame  solo  in  parie  visibile  non 
presenta  che  una  specie  di  caulicolo  più  volle  ripe- 
tuto. Dalla  premessa  descrizione,  nella  mancanza  di  un 
esalto  disegno  ,  potrà  di  leggieri  rilevarsi  la  impor- 


tanza della  novella  statua.  Ma  di  un'altra  particolarità 
far  deggio  menzione  ;  ed  è  che  in  tulio  il  lavoro  veg- 
gonsi  tuttavia  le  tracce  de' colori,  i  quali  erano  ancor 
più  visibili  al  momento  della  scoperta:  ed  è  utile  ser- 
barne diligente  memoria ,  perchè  non  islarà  mollo  e 
si  perderà  qualunque  vestigio  di  dipintura  all'  azione 
dell'aria  atmosferica. 

La  testa  mostrasi  di  un  uomo  di  avanzala  età  alle 
rughe  incavate  nel  marmo  fralle  ciglia  e  presso  le 
tempia  ;  ma  oltre  a  questo  lavoro  di  scultore  ,  se  ne 
accresceva  lo  spicco  col  colore  de'  capelli  in  gran  parte 
conservato  ,  dell'iride,  e  delle  ciglia,  che  si  veggon'j 
ancora.  Mi  è  stalo  riferito  che  nel  momenlo  dello  scavo, 
a  cui  assisteva  il  eh.  signor  Principe  di  San  Giorgio, 
era  talmente  visibile  la  lìnta  della  carnagione  sul  volto, 
nelle  braccia,  nelle  gambe,  che  dava  quasi  la  idea  di 
un  uomo  vivente  [ùultosto  che  di  una  statua.  La  tu- 
nica sottoposta  è  bianca,  ma  orlata  di  un  giallo  mean- 
dro, con  Hneetta  ripetuta  nel  mezzo  di  ogni  suo  com- 
partimento dipinta  di  azzurro:  questo  meandro  è  quasi 
interamente  distrullo.  Poche  tracce  restano  del  rosso 
colore  che  tutta  risaltar  faceva  la  clamide  ;  ma  assai 
più  della  nera  tinta  de'  calzari.  Sulla  corazza  non  è 
vestigio  alcuno  di  colori.  Il  tronco  al  suolo  era  dipinto 
di  verde ,  che  ora  più  non  appare. 

Sicché  la  nostra  pompejana  statua  è  un  altro  no- 
tevole esempio  della  scoltura  policroma,  che  sappiamo 
essersi  dagli  antichi  adoperata. 

Il  costume  di  dipingere  le  auliche  statue  fu  in  tempi 
remoti  pratlicato  da'  Greci.  Platone  ricorda  ol  tols 
(xv^fi%\r%ì  ypoiJ^OYrsi  (  de  Rep.  IV  p.  420  )  :  Plutarco 
rammenta  essere  in  Atene  iyay^jLxrwY  syxcti'ffrai , 
xix]  xpfo'"''''^''  •«'*'  fiy.'^iìi  [de  Glor.  Aihen.  §  VI,  t. 
Ili ,  p.  93  ed.  Hutlen.  )  ;  e  che  la  medesima  pratlica 
si  esercitasse  in  Roma  rilevasi  da  una  greca  iscrizione 
di  un  certo  Afrodisio,  che  vien  detto  xy %Xix'ji.r ot^oiqs 
iyxrnLiffry,i  (Weicker  Syll.  ep.  gr.  p.  163).  Né  diver- 
samente intender  si  dee  dell'  opera  prestata  da  Nicla 
alle  marmoree  statue  di  Prassitele. 

Non  pochi  monumenti  vennero  a  confermar  questo 
fatto,  e  già  molte  discussioni  ebbero  luogo  a  tal  pro- 
posito ;  alle  quali  presero  parte  il  Winckelmann  .  il 
Visconti,  Quatremère  de  Quiucy ,  il  Muller ,  l' Her- 


—  là  — 


mano,  il  Raoul-Roclietfe,  ed  altri  sino  al  sig.  Giorgio 
Scharf,  che  ne  ragionò  ultimamenle  nel  Miiseum  of 
Qassical  Aniiquilks,  che  vede  la  luce  in  Londra  per 
le  cure  del  signor  Eduardo  Falkener. 

Mi  piace  qui  soltanto  di  osservare  che  le  scavazioni 
di  Ercolano  e  di  Pompei  ci  fornirono  i  più  belli  esem- 
pli di  un  tal  costume.  La  Palladc  Promachos  di  Er- 
colano conserva  ancora  le  tracce  della  dipintura  ;  eia 
famosa  statua  di  Diana  della  medesima  provenienza 
offriva  agli  occhi  di  Winckelmann  e  de'  suoi  contem- 
poranei dorature  e  colori  nella  carnagione,  nella  chio- 
ma, e  nelle  vesti.  Non  meno  fertili  di  simili  ritrova- 
menti furono  le  scavazioni  pompejane;  e  siamo  sicuri 
che  diligentemente  esaminandosi  gli  oggetti  al  mo- 
mento in  cui  sono  scoperti  non  tarderanno  a  molti- 
plicarsi gli  esempli  della  scultura  policroma  ,  anche 
nelle  statue  di  marmo. 

La  celebre  statua  d' Iside  offre  in  molti  punti  le 
tracce  di  doratura  ,  siccome  venne  osservato  dal  no- 
stro collega  cav.  Finali  ;  e  probabilmente  era  in  ori- 
gine dipinta.  Tutti  ricordiamo  le  statuette  venute  fuori 
nel  1845  dallo  scavo  pratlicato  alla  presenza  degli 
scienziati  italiani  :  mostravansi  esse  di  marmo  di|)into. 
Ora  la  statua  colossale  novellamente  scoperta  è  un  al- 
tro notevolissimo  esempio  del  costume  ,  a  cui  accen- 
niamo ,  neir  epoca  Augustea. 

Senza  fermarmi  piìi  oltre  su  di  una  particolarità  , 
che  non  riesce  nuova  a'  cultori  dell'  archeologia  ,  ri- 
sponderò ad  una  domanda  che  sorge  spontanea  dopo 
il  fin  qui  detto  :  chi  fu  mai  il  personaggio  rappresen- 
tato nella  statua  pompejana  ? 

Basta  a  darne  piena  contezza  la  iscrizione ,  che  si 
legge  in  fronte  al  piedistallo  ,  eh'  è  la  seguente 

M  .  HOLCONIO  .  M  .  F  .  RVFO  • 
TRIB  .  MIL  .  A  .  POPVL  .  IT .  VIR  .  I  .  D  .  V 
QVINQ  .  ITER  • 
AVGVSTl  .  GAESARIS  .  SACERD  • 
PATRONO  .  COLONIAE 


ladini,  costruì  insieme  con  Olconio  Celere  il  teatro  sco- 
perto. Nella  citata  dissertazione  da  me  letta  alla  Reale 
Accademia  Ercolanese,  ho  raccoltele  varie  memorie, 
che  ci  restano  di  questo  benemerito  magistrato:  e  col 
confronto  delle  varie  iscrizioni ,  nelle  quali  è  nomi- 
nato, ho  stabilito  che  l'epoca  in  cui  fu  messa  ad  DI'-: 
conio  la  statua,  fu  di  parecchi  anni  posteriore  al  752^ 
e  non  potè  probabilmente  oltrepassare  il  767.  > 

È  certamente  in  allusione  al  grado  militare  di  01-: 
conio,  che  vedesi  la  sua  mimagine  rappresent;ita  sotto; 
le  militari  divise,  abbenchè  in  eroica  armatura.  L'a-; 
nello  era  forse  in  origine  dipinto  ad  oro  ;  giacché  è 
risaputo  che  dalla  differenza  del  più  nobile  metallo  , 
distinguevansi  i  tribuni  dal  resto  de' soldati  (Slewech. 
ad  Vegel.  1.  2  cap.  7  p.  77).  La  ricca  corazza,  di  che 
vedesi  adorno  il  magistrato  pompejano  ,  e  che  offre 
ornamenti  molto  somiglianti  ad  altre  loriche  distaine 
imperatorie,  dovrà  attribuirsi  alle  eroiche  forme,  sotto 
le  quali  fu  Olconio  effigiato.  E  la  diversità  dello  stile, 
osservabilissima  fra  la  testa  e  le  braccia ,  e  tutto  il 
rimanente  della  statua  ,  potrebbe  farci  pensare  che 
fosse  stata  in  onore  di  Olconio  eretta  una  statua  pre- 
cedentemente lavorala  da  greco  scalpello  ,  e  rappre- 
sentante un  personaggio  diverso ,  forse  greco  ;  a  cui 
fu  sostituita  la  testa  di  colui ,  che  volevasi  onorare. 
Ma  di  queste  cose ,  e  delle  varie  magistrature  di  Ol- 
conio ,  e  specialmente  del  titolo  (rib.  a  populo ,  par- 
leremo nella  suddetta  memoria  accademica  ;  non  es- 
sendo questo  il  luogo  di  lunghe  discussioni. 

Quello  che  vogliamo  soltanto  aggiugnere  si  è  che 
que' grandi  massi  di  tufo  diNocera  additano  aver  esi-: 
stilo  in  quel  luogo  una  particolare  costruzione,  della 
quale  speriamo  in  seguilo  di  ulterioii  scavazioni  poter 
fra  breve  annunziare  Io  scoprimento. 

fconiinuaj  Mineuvini. 


Sul  vaso  di  Ulisse  Acanlhoplex  :  da  lettera  del  eh. 
Sig.  cav.  Wclckcr  al  Sig.  Giulio  Minervini. 


I  punti  sono  triangolari. 
Abbiamo  dunque  la  statua  di  quel  M.  Olconio  Rufo, 
A  quale  fra  le  altre  largizioni  prodigale  a' suoi  concia 


É  interessante  quel  che  mi  scrive  sopra  un  vaso 
pubblicato  già  dal  d'  Hancarville  ed  ultimamente  da 
me  nel  terzo  volume  dei  miei  Monumenti  antichi 


13  — 


(p.  489),  e  credulo  da  me  Irasportato  in  Ingliilleira 
colla  seconda  collezione  Haniilloiiiana,  che  lia  formalo 
il  fondamento  di  quella  ,  ora  dispersa  ,  di  Tommaso 
Hope  in  Londra.  Dice  che  «  ora  ba  vedalo  queslo  vaso, 
e  poiché  era  lulto  ricoverlo  di  vernice,  ne  fece  togliere 
questo  inulile  velo  ed  ha  esaminalo  diligcnlemcnle  il 
dipinto  ».  Fece  poi  la  scoperta  di  nomi  ascrilli  alle  (re 
figure,  e  sono  KAJM .  .  PIX  presso  il  navigante  col  re- 
mo, che  io  ho  nominato  Ulisse  Acanthopkx  ;  presso  il 
compagno  con  l'ancora  la  epigrafe  AAlMOii  e  final- 
mente presso  la  donna  sullo  scoglio  nf)\TlA.  Quanto 
a  quell'oggetto  della  forma  di  pastinaca  (rpc^wv),  os- 
serva «  che  è  costituito  di  lince  graffile  in  una  parti- 
colare maniera  e  non  da  tratti  di  pittura  ».  Quel  che 
m'importa  è  che  la  pastinaca  esiste  sul  vaso  come  nel 
disegno  ,  datone  dal  d' Ilancarville  ,  ed  esiste  senza 
dubbio  nella  bocca  di  un  uccello  ,  volante  appunto 
sopra  la  testa  del  da  me  credulo  Ulisse ,  perchè  Ella 
ne  avrebbe  fatta  menzione ,  se  fosse  allrimenle.  La 
pastinaca  in  bocca  di  un  uccello,  sopra  la  testa  di  un 
navigante  è  la  cosa  caratteristica  in  questa  pittura,  da 
cui  dipende  tutta  la  spiegazione.  Ora  che  sia  fatta  col 
pennello  o  in  graffilo ,  questo  non  fa  dilTerenza ,  e  si 
sarà  preferita  quest'altra  maniera,  perchè  in  linee 
graffile  si  poteva  esprimere  più  distintamente  e  più 
durevolmente  un  oggetto  di  quella  forma  e  di  quella 
piccolezza.  Ella  vuol  sapere  da  me ,  se  que'  nomi 
appoggino  la  mia  spiegazione,  e  domandala  mia  opi- 
nione sulle  conseguenze  di  questa  novità  e  sulla  spie- 
gazione della  scena,  messa  in  rapporto  colle  iscrizioni. 
Non  esito  io  a  dire  di  si ,  che  il  Kcii/.;xofts  è  lo  stesso 
deWAcanlhopkx,  e  che  quel  nuovo  nome  conferma  la 
conghietlura  fatta  da  me,  venti  anni  sono.  Ma  volgendo 
il  foglio  della  Sua  lettera  ,  ho  veduto  che  quell'  idea 
che  mi  venne  nel  leggerne  la  prima  pagina  ,  fu  con- 
cepita pure  da  Lei.  Le  sue  parole  sono  queste  :  «  I 
nomi  delle  figure  sono  significativi ,  non  proprii  ;  e 
forse  il  KAMOPIi;  quasi  KAMMOPIS  allude  alla 
violenta  morte  di  Ulisse  ».  Non  mi  resta  dunque  altro 
che  di  aggiugnere  parecchi  argomenti  in  conferma  di 
questa  sua  opinione. 

E  prima  di  tuli'  allro  voglio  osservare  che  KAM- 
MOPIS  ,   eolla  liquida  doppia  in  mezzo ,  si  può  ri- 


guardare come  autentico  ,  in  quanto  Ella  mclle  due 
ptmli ,  rappresentanti  due  lettere  mancanti,  KAM..» 
Pli).  Kot/x.u'^P'S  come  sia  diventato  cognome  di  Ulisse, 
non  è  oscuro.  Leggiamo  nell'Odissea  che  lo  chiamano 
così  Telemaco,  xìTtoy-ròv  x«';i/xopov  (II,  3ai),  e  nel- 
r  incontro  stesso  Calipso,  KafA.aop;  iAr\  ixoi  Ìt'Iy^oC^^ 
St'fio  (  V  ,  1 00  ) ,  Leucotea  ,  K%ix:xr,[.s ,  tiVts  rot 
wh  UoTiiòoLcoY  X.  r.  X  (V,339),  l'ombra  della  sua 
madre,  ùj  ixoi  r-xvoy  s'j.ór,  '!np\  'Tt'Mrwy  x'/txixopi  ^w-. 
Twv  (XI,.215)  ,  e  Minerva,  T/Vr'  a.ur'  lypTjiffj/s  , 
'Try.yTcoY  ttì;/  zouxiaoùì  ^corù/y  (XX,  33).  Non  è  dub- 
bia la  significazione  del  composto  ;fctTaV<>fo?  (.\rcad. 
de  accenl.  p.  71 ,28) ,  xv.rix'-.po?,  mutalo  in  xxaix-jpos 
(Hesych.  xacrfAopo?,  ^u(Trr\yos),  contratto  in  xo/x.'xopos, 
come  xxrx  ix\y  in  xà!xix)y  nella  Odissea  (XX,  2).  Dalla 
voce  ixoTfv.,  presa  in  senso  buono  si  fa  yjxfxozos,  òCixoic,o;, 
privo  di  fortuna ,  ed  al  contrario  xxraix'-jf-^s  significa 
soggetto  alla  mala  sorte,  come  xxrxtxsixTrros ,  xxrcx'- 
f^ox^sf,  xxrxi'ijiixo?,  o  piuttosto  infelice,  col  rinforza- 
mento  della  preposizione ,  come  in  x%rixy^u/Xoi,  x(x.~ 
TaX«|3po; ,  xxriffxyos ,  xr/nuos  ,  x(».roCìr\koi ,  xxrx- 
^pvjxoi,  e  molli  altri  vocaboli  simili:  e  sbagliano  i  Gram- 
malici  che  derivano  da  x%;£Or,  come  lo  Scoliaste  di  Ni- 
candro  [Alcxijjharm.  41  xxxoj  (xo^m  iyxifujv  usandosi 
il  vocabolo  in  quel  luogo  in  senso  attivo),  e  come  pare 
anche  lo  Scoliaste  di  Omero  [Odys.Y,  1 60),  ed  Ilesichio 
(v.  x-xixix'jQ^i  e  xxjxixofiMy).  L'epiteto  Omerico  di  Ulisse, 
a  tulli  nolo  e  presente ,  per  la  mutazione  dell'ultima  sil- 
laba ha  preso  il  carattere  di  cognome  fisso.  La  termina- 
zione in  li  ,  frequentissima  nei  nomi  contraili  come 
Avjis,  \v<jici.s ,  Ay/f,  'Ayix?,  usitata  anche  invece  di 
4,  come  ópxs,  opK§,  e  invecedir)?,  come  in  A/avo' ^a- 
qti,  "AttìXXh  (in  una  iscrizione  di  Alene,  pubblicala 
dairOsannp.  330),  non  di  rado  occorre  anche  accanto 
a  quella  in  oì.  Esempi  ne  sono  MoXttos  e  MokTrii , 
AxiXTTos  e  AxixTTii ,  <I>opxos  e  <ì>ópixii  (il  poeta  Sira- 
cusano), 'A^x^^afxos  e  in  una  medaglia  di  Mililene 
'Apx/5ocfx;s  (Mionnet  III  p.  200,  Denkscbr.  derMùu- 
chner  Akad.  1813  p.  40). 

Se  poi  Le  sembrasse  cosa  strana  o  capriccio  singo- 
lare che  si  sia  ricercalo  un  nuovo  nome  da  commu- 
tarsi col  vecchio  e  comune  di  Ulisse  ,  dirò  che  deve 
essere  stata  piuttosto  usanza  assaifrequcnlefrai  pittori 


—  14  — 


di  servirsi ,  invece  dei  nomi  propri  degli  Eroi  ed  Id- 
dìi ,  di  epiteti  o  cognomi  caratteristici ,  non  troppo 
comuni,  sempre  con  rapporto  stretto  all' atto  ed  al 
momeuto  rappresentato.  Ho  raccolto  degli  esempi  di 
questo  costume,  presi  tutti  da  vasi  dipinti,  nel  volume 
già  citato  dei  miei  Monumenti  antichi  p.  331,e  sono 
'A'>Jci'iJi7.xos,  scritto  sopra  di  Ercole  combattente  con 
Apolline  e  sopra  di  Teseo  vincitore  di  Procruste,  K«X- 
"kt'xs  e  KocXXi^TjO'SL'ì  ,  per  indicare  le  stesso  Teseo  , 
rinomalo  per  la  sua  beltà,  Kv.Xmttoì  e  KaX/vpogct  per 
Erifile,  U'xyciu^'  per  Argo,  p.  376  "Aygfosper  Tideo, 
p.  323  MrjXxoS  ed  'AXxos  per  Marsia  ed  Apolline. 
Cbe  se  vuol  riflettere  adesso  sulla  pittura  in  quislione, 
osserverà  che  1'  epitelo  di  y.%ixfxops  non  poteva  mai 
essere  diretto  piìi  a  posta  ad  Ulisse  che  nel  momento 
in  cui ,  dopo  le  ultime  sue  avventure,  arrivato  final- 
mente salvo  alla  sponda  dell'  isola  sua  nativa  ,  suc- 
combe,  come  se  fosse  al  colpo  di  una  punta  di  strale, 
al  pungiglione  di  un  pesce,  che  lo  ferisce  nel  cascare 
dalla  bocca  di  un  uccello  altivolante. 

11  secondo  nome  IIONTIA  è  chiaramente  quello  di 
una  dea  marina  qualunque  ,  come  Nettuno  è  detto  ó 
nótTios  da  Pindaro,  come  il  Glauco  di  Antedone  avea 
il  cognome  di  Ponlio.  Questa  dea  deve  considerarsi  co- 
me la  prolettrice  dell'eroe;  e  il  motivo  di  apporla  non 
può  essere  stato  altro  per  l'artista  che  di  far  risorgere 
di  più  la  sciagura  straordinaria  di  Ulisse,  che  salvato 
dai  perigli  del  mare  ed  avvicinato  al  lido  stesso ,  è 
destinato  a  trapassare  in  un  modo  inaudito  ,  unico  , 
affinchè  sia  adempito  un  vetusto  oracolo  oscuro.  Questi 
due  nomi  essendo  chiari  ed  indubitabili ,  suppongo 
che  anche  il  terzo  nome  della  terza  persona  rappre- 
sentala, quello  del  compagno  che  getta  l'ancora,  ab- 
bia la  sua  significazione.  Ma  non  indovino  cosa  voglia 
dire  AAIMOS  ,  e  non  sono  certo  ,  se  queste  lettere 
siano  veramente  da  leggersi  sul  vaso. 

Resta  una  difiìcollà  che  non  è  sfuggita  alla  Sua  at- 
tenzione ,  una  circostanza  strana  sì,  ma  che  con  è  di 
natura  a  travolgere  l' insieme  della  spiegazione.  Sono 
imberbi  i  due  naviganti  entrambi ,  forniti  per  altro 
del  7r/>.(ov  ,  che  anch'  esso  come  insegna  di  Ulisse,  è 
tanto  raro  nei  vasi  dipinti  quanto  è  frequente  in  altre 
c)à$»i  di  monumenti.  Quella  barba  liscia  fa  una  ecce- 


zione più  rara  ancora  e  che  sorprende  più  nell'Ulisse 
Acanthoplex  che  non  farebbe  in  diverse  altre  scene 
che  rappresentano  Ulisse.  Se  sia  nascosta  in  questa 
particolarità  qualche  intenzione  speziale  ,  di  questo 
forse  si  potrebbe  giudicare,  se  ci  fosse  conservata  una 
delle  tragedie  che  trattarono  degli  ultimi  fatti  di  Ulis- 
se ,  più  romanzeschi  dell'  antica  poesia  epica  ;  o  nel 
manco  di  riflessione  dell'artista  di  un'epoca  posteriore, 
che  imitava  delle  pitture  di  una  migliore  età. 

Cav.  Welcker. 


Giunta  all'  ariicolo  precedente. 


I  lettori  del  buUettino  ricordano  che  il  vaso,  di  cui 
è  parola  nell'  articolo  del  dottissimo  Sig.  cav.  Wel- 
cker, è  lo  stesso  che  dissi  ritrovarsi  ora  in  potere  dei 
Signori  Porcinari  in  Napoli  (vedi  bull.  areh.  nap.  an. 
1  p.  144).  Allorché  ne  diedi  quella  prima  notizia, 
non  aveva  ancora  ripulito  il  vaso  dalla  vernice ,  che 
tutto  lo  ricopriva  :  perciò  non  mi  venne  fatto  di  leg-i 
gere  che  una  sola  delle  iscrizioni.  Posteriormente  ho 
potuto  rettificare  quella  stessa  iscrizione,  e  leggere  le 
altre  due  comparse  presso  le  rimanenti  figure:  e  sono 
appunto  tali  quali  si  leggono  nell'  articolo  del  cav. 
Welcker.  Solo  in  quanto  alla  terza  AAIM05^ ,  della 
quale  il  sommo  uomo  sembra  dubitare,  posso  accer- 
tare che  da  me  ripetutamente  osservala  non  presenta 
altre  forme  che  quelle  sopra  riferile.  Cbe  se  vogliamo 
supporre  errata  la  parola  AAIMO^  ne'  due  primi  ele- 
menti (  ed  è  ben  conosciuto  che  simili  sbagli  non  sono 
rari  nelle  iscrizioni  de'  vasi  dipinti  )  può  con  proba- 
bilità ritenersi  che  volle  a  quel  mariuajo  attribuirsi  il 
nome  significativo  AAlM02v.  Così  tutte  le  figure  sa- 
rebbero denominate  da  un  epiteto  conveniente  al  sog- 
getto cfligiato  nel  vaso.  Sottopongo  questa  mia  con- 
ghiettura  al  giudizio  dello  stesso  dottissimo  cavalier 
Welcker. 

MlXERVINI. 


—  IS  — 


Delle  Monete  attribuile  a  Palalìtim,  o  Palachtm  della 
Sabina ,  o  dell'  Umbria  cìie  dir  si  voglia. 

II  disegno  e  la  descrizione  della  monela,  clieil  Sc- 
slini  attribuiva  da  prima  a  Palantia  della  Spagna ,  e 
poscia  col  Sanclemente  egli  restituì  a  Pahuium  delia 
Sabina  ,  ovvero  dell'  Umbria  ,  e  cbe  trovasi  or  ripro- 
dotta nelle  tavole  del  Carelli  (lab.  XIl,  SJ  ,  voglionsi 
rettificare  giusta  il  seguente  tratto  di  una  lettera  del 
eh.  Borgliesi  al  signor  Gennarelli ,  die  la  pubblicò 
nella  sua  dissertazione  della  Moneta  primitiva  dell'  I- 
talia  antica  (p.  33-36). 

«  La  medaglia  ,  cbe  ora  sì  attribuisce  al  Palacium 
dei  Sabini ,  o  degli  Umbri  cbe  sia  ,  è  di  rame  e  di 
grandezza  4  '/,  della  scala  del  Mionnet ,  e  grossa  e 
gruppila  ,  quale  suole  essere  quella  cbe  il  Capranesi 
ha  ora  restituito  a  Caiatia  f  Annali  dell'  Insl.  T.  XII, 
tav.  agg.  P,  5.J.  Mostra  da  un  lato  la  testa  di  Vulca- 
no rivolta  a  dritta ,  coperta  del  solito  pileo  ,  dietro 
cui  sporgono  le  tanaglie  ,  senza  leggenda.  Campeggia 
dall'  altro  una  maschera  di  fronte ,  senza  collo  ,  con 
ampia  bocca  aperta  ,  da  ciascun  lato  della  quale  na- 
scono due  grandi  ale  ,  cbe  finiscono  in  un  riccio,  con 
due  tenie  serpeggianti,  che  si  annodano  sotto  il  mento. 
L'epigrafe  è  disposta  in  giro,  ma  con  lettera  dalla 
parte  esterna.  —  La  medaglia  ,  cbe  io  ne  ho  conser- 
vatissima  ,  mostra  apertamente  S,  PALACINV.  Fer- 
matane per  tal  modo  finalmente  la  lezione ,  ella  ne 
conformerà  la  fatta  aggiudicazione;  giacché  la  termi- 
nazione PALACINV  è  identica  colle  vicine  AQ VINO, 
AISERNINO  ,  CAIATINO  ,  e  simili ,  salva  la  sosti- 
tuzione all'  O  ,  che  gli  Umbri  non  avevano  ,  dell'  V 
con  cui  lo  rimpiazzavano  »  (I). 

Uff  anno  appresso  il  lodato  signor  Conte  Borghesi 
mi  favoriva  la  descrizione  di  un'  altra  moneta  di  Pa- 
lacium, posseduta  in  allora  dalla  chiara  memoria  del 
Millingen  ,  con  gentile  sua  lettera  in  data  de' 21  Di- 
cembre del  1843.  «  La  medaglia  di  Palalium  (son 
sue  parole) ,  di  cui  il  Millingen  mandommi  un  zolfo, 
è  di  rame ,  e  della  stessa  grandezza  dell'altra  cono- 

-  (1)  PALACINV  potrebbe  anche  credersi  cos»  scritto  in  vece  di 
PALACINVS,  siccome  aLBINV  per  ALBINVS  ne' denari»  di  D.  Bruto 
fv.  Ca\edoni,  Sagffio,  p.  173,  Wìt.  86}, 


scinta  ,  ma  un  poco  meno  grossa.  Mostra  nel  diritto, 
senza  epigrafe  ,  una  testa  di  donna  a  destra ,  cbe  di- 
reste di  Roma  ,  avendo  la  stessa  fisonomia ,  lo  stesso 
monile  di  perle ,  ed  essendo  anch'  essa  galcata ,  se 
troppo  diversa  non  fosse  la  forma  dell'  elmo.  La  vi- 
siera sendira  terminare  in  una  lesta  di  aquila  ,  o  di 
altro  uccello  ;  ed  il  fianco  ,  invece  di  avere  la  solita 
ala  ,  è  tutto  occupato  da  un  grifo  accosciato  ed  alato. 
Nel  rovescio  entro  una  corona  Icggesi  per  traverso , 
come  neir  onciale  di  Ostilio  Tubulo  (Morelli,  famil. 
Ilosiilia,  n.  5.J,  chiarissimamente  f^AU;  e  cosi  sol- 
tanto vi  ha  Ietto  il  Millingen  ;  ma  esanu'uandolo  at- 
tentamente con  una  buona  lente ,  vi  trovo  lo  spazio, 
e  come  parmi  anche  le  vestigia  di  due  righe,  che  po- 

trebberò  ben  dire  .iki-.-^-  Suppongo  che  tarderà  po- 
co a  pubblicarla  con  altre  sue ,  scrivendomi  di  aver 
fatto  venire  da  Roma  un  disegnatore  a  tal  uopo  ». 

Lo  stesso  31illingen  ,  in  data  de'  G  Giugno  1843  , 
scriveami  da  Firenze  :  «  La  mia  medaglia  di  Palantia 
(sic)  non  ha  che  le  lettere  P.AU  dentro  una  corona , 
ma  la  testa  pare  essere  quella  di  un  animale  chimerico, 
del  carattere  di  quella  veduta  di  prospetto  sulla  mo- 
neta Sestiniana.  Questi  simboli  mostruosi  si  vedono 
sulle  monete  di  Signia  ,  e  sulle  consolari  e  le  fami- 
gliari Romane  ».  Egli  inviavami  nello  stesso  tempo 
il  disegno ,  che  qui  diamo  (t.  I,  fig.  1 .)  di  quella  sua 
rara  moneta,  segnalo  col  num.  13,  probabilmente 
perchè  era  quosta  la  tredicesima  delle  30  medaglie 
auliche  ,  eh'  egli  stava  allora  preparando  per  la  stam- 
pa; e  fin  dal  di  12  Maggio  del  detto  anno  mi  avea 
scritto  :  «  sto  ora  proparando  un  saggio  di  circa  30 
monete  Greche  inedite  ,  ove  sono  delle  cose  mollo 
rare  ;  e  che  farò  stampare  a  Londra.  I  rami  erano 
già  pronti  fino  dall'anno  passato;  ma  non  sono  rima- 
sto contento  dei  torchi  di  Parigi  ».  La  morte  sua,  av- 
venuta non  mollo  dopo,  ne  privò  di  quell'ultimo  pre- 
gevole suo  lavoro  ;  e  chi  sa  mai  che  avvenisse  delle 
tavole  e  della  illustrazione  di  quelle  insigni  30  sue 
medaglie  ?  Sembra  peraltro,  che  il  dotto  numografo 
Inglese  negli  ubimi  anni  dell'  avanzala  sua  età  avesse 
perduto  alcun  poco  della  primiera  sua  perspicacia  e 
accuratezza  ;  e  ch'egli  per  mero  abbaglio,  fors' anche 


-16-^ 


della  visla  affievolita ,  non  riescisse  a  leggere  intera 
l'epigrafe,  e  confondesse  la  protome  d'augello,  ov- 
vero di  drago  alato  ,  che  sovrasta  all' elmo  della  testa 
feminile  galeata  nel  ritto  della  nuova  sua  moneta  di 
Palaciiiin  con  la  maschera  alata  del  riverso  dell'altra 
moneta  della  città  medesima  edita  un  cinquant'  anni 
prima  dal  Sestini. 

Ora  mi  giovi  proporre  alcuni  riscontri  e  conghiet- 
ture  intorno  alle  sovra  descritte  rare  e  curiose  meda- 
glie. Il  Sesliui  indicò  un  luogo  classico  di  Dionisio 
d' Alicarnasso  fAul.  Rom.  I,  4-i) ,  che  attenendosi  ai 
libri  delle  antichità  di  Varrone,  pone  Palalium,  Ua.- 
XoVfOK ,  fra  le  città  primitive  degli  Aborigini ,  verso 
i  gioghi  degli  Apennini ,  alla  distanza  di  25  stadii  da 
Reale  della  Sabina.  E  con  lui  consuona  Varrone  stesso 
scrivendo  intorno  all'origine  del  colle  Palatino  di  Ro- 
ma (L.  L.  V,  53):  tcrtiae  rcgionh  (collh)  Palalium, 
quod  Palanùeis  ciini  Eaandro  venerimi,  ani  quod  Pa- 
latini Aborigines  ex  agro  Reatino  ,  qui  appcilatur  Pa- 
ìatium ,  ibi  consederunt.  Analogo  si  è  il  nome  di 
VHRiRn  di  un  bronzo  osco  delle  vicinanze  di  Lan- 
ciano,  che  a  parere  del  eh.  Mommsen  fUnlerltal. 
dial.  p.  469,  taf.  VIH,  1  )  parrebbe  lo  stesso  che  il 
Pallammi  della  tavola  Peutingeriana,  situato  Ira  An- 
xanum  ed  Hislonium. 

11  ritto  della  prima  delle  due  monete  di  Palacium 
confronta  con  quello  di  una  rarissima  monetuccia  di 
rame  attribuita  dal  Seguin  alle  famiglie  Romane  Sla- 
tia  e  Trcbonia  fcf.  Morelli,  fam.  Slatia,  n.  II.  J.  Il 
tipo  della  testa  del  dio  del  fuoco  Vulcano,  riferir  po- 
trebbesi  ai  monti  Ceraunii  della  Sabina  (Dionys.  Ila- 
lic.  Ani.  Rom.  I,  H) ,  ovvero  a  qualche  terreno  ar- 
dente di  quelle  montuose  contrade  ,  giacché  rcpm/ur 
apud  auclorcs,  in  agro  Sabino  et  Sidicino  unctum  fla- 
grare lapidem  {P\ia.  II,  111  ). 

La  maschera  a  bocca  spalancala,  fornita  di  tenie  , 
e  talora  con  pedo  pastorale  o  tirso  al  disotto  (Sestini, 
Deicr.  num.  vel.  p.  ^J ,  sembra  appellare  alle  feste 
paganiche  agresti  solile  celebrarsi  da'  prischi  abitatori 
di  quelle  contrade  (Virgil.  Georg.  II,  385): 


Necnon  Ausonii,  Troia  gens  missa,  coloni 
Versibus  incomlis  ludunl  risuque  soluto , 
Oraqiie  corticibus  sumunt  horrenda  cavalis , 
Et  te.  Bacche,  vocant,  per  carmina  laela,  tibique 
Oscilla  ex  alla  suspendunl  mollia  pinu. 

La  larva  della  moneta  Palacina,  di  aspetto  orrendo  , 
forse  è  fornita  di  tenie  per  mostrare  che  andava  so- 
spesa ai  rami  di  un  pino  o  d'altro  arbore.  La  parti- 
colarità poi  delle  ale  attorcigliate  all'  insù  ,  di  che  è 
ella  fornita  ,  non  saprei  ben  dire ,  se  alluder  possa  a 
quell'arbore  dell'India  ,  la  cui  foglia  alas avium imi^ 
tatur ,  e  che  avea  nome  faìa  fPlin.  XII.  l'i).  Né  fa- 
rebbe in  ciò  diflicoltà  la  distanza  grande  dell'  India 
dalla  Sabina  ,  sapendosi  come  la  umile  città  Caspcrula 
della  Sabina  dicevasi  a  Baclris nomina ducens[Sì\ias, 
Vili,  416:  cf.  Servius  ad  Aen.  Vili.  638J. 

La  galea  della  testa  feminile  in  sul  ritto  dell'  altra 
moneta  di  Palacium ,  riguardando  al  disegno ,  che 
me  ne  trasmise  il  Millingen  ,  mi  parve  ornata  nel 
sommo  di  una  protome  di  dragone  alato  ,  che  pro- 
tenda il  capo  con  bocca  aperta ,  in  atto  di  metter  ter- 
rore coir  irato  suo  sibilo:  e  cotale  attributo  convenir 
potrebbe  si  a  Roma  come  a  Pallade  fcf.  Eckhel,  (.VII. 
p.  320 J.  La  corona  poi  di  quercia  glandifera  ,  con 
entro  il  nome  PAUACINV,  probabilmente  vuoisi  ri- 
ferire alle  origini  Arcadiche  de'  prmii  abitatori  sì  del 
Palalium  di  Roma  come  dell'  agro  Realino  di  simil 
nome  fWavro,  L.  L.  V,  53 J  ;  poiché  gli  Arcadi  pri- 
mitivi in  ispccie  dicevansi  ghiandivori,  (i%koi.rr](^xyof 
('Pausan.  Vili,  42,  4) ,  e  dal  loro  Pallanleum  cre- 
devasi  denominato  quello  di  Roma  e  della  Sabina 
(^Virgil.  Aen.  Vili ,  SiJ.  QueWa  corona  peraltro , 
consistente  di  due  rami  di  quercia  forniti  delle  loro 
ghiande  ,  può  tuli' insieme  accennare  alla  fertilità  dei 
monti  della  Sabina  ,  che  oltre  le  uve  e  le  olive  da- 
vano grande  copia  di  ghiande ,  (òctXa.vóy  fi  ix^iptt 
■TToWV  (Strab.  V,  228). 

C.  Cavudoni. 


P.  Raffaele  GAnnncci  d.c.d.g. 
Giulio  Minervim  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catànbo. 


BILIETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


iV."  27.     (3.  deiranno  II.) 


Agosto  1853. 


Cullo  della  Venere  in  Pompei. — Come  fu  inlerrala  Pompei.  — Escamzioni  di  tempi  diversi  in  Pompei. — //  P  trsi- 
lypoN  di  Mezia  Edom  mi  lago  Sabatino.  — Giunta  all'articolo  il  tribunale  della  Baailicapompeiana  (piando, 
e  da  chi  costruito. — Sul  programma  pompeiano  di  Giulia  Felice. — Osservazioni  all'  articolo  precedente. 


Culto  della  Venere  in  Pompei. 

Se  le  colonie  prendevano  talvolta  un  appellativo 
dalla  divinila,  che  aveva  ivi  maggior  culto,  ecosìSa- 
lona  denominossi  Martia ,  (Orelli  218),  e  Squillace 
Minervia  (id.  13C);  la  Venere  dovrà  dirsi  la  princi- 
pal  dea  dei  Pompeiani,  perocché  Pompei  prende  da 
lei  l'appellazione  di  COLonia  VENe?'i«  COKnelia. 
Toglie  poi  il  secondo  nome  dal  dittatore,  o  dal  nipo- 
te P.  Cornelio  Siila,  che  fu  incaricalo  da  lui  della  de- 
duzione, come  i  Ligures  trasportati  nel  territorio  tau- 
rasino  dai  Consoli  Cornelio,  e  Bebio,  si  denominaro- 
no Ligures  Corneliani  et  Baehiani  (  v.  le  mie  monu- 
menta Reip.  Lig.  Baeb.),  e  Narbone  si  soprannominò 
Marcius  da  L.  Marcio  Re  (Zumpt,  Camm.  Epigr. 
p.  313). 

Non  si  può  asserire,  se  questa  Venus  ottenesse  il 
primo  culto  tra  i  Pompeiani  ancora  oschi ,  o  se  vi 
fosse  consecrata  dalla  colonia  militare  di  Siila:  comun- 
que ciò  sia  ,  ella  vi  fu  onorata  sotto  l'appellativo  di 
Venus  Phjsica,  e  così  singolare,  e  tanto  celebre,  che 
indi  ne  ottenne  il  sopranomc  di  Pompeiana,  col  qual 
solo  distintivo  caratteristico  vedesi  iu  Pompei  mede- 
sima talvolta  indicala  ,  senza  l' altro  aggiunto. 

Leggesi  così  detta  nella  epigrafe  a  pennello  solfo 
un  dipinto  gladiatorio  alle  spalle  del  tempio  suo  me- 
desimo, ABIAVENERE  POMPEIIANAIRATAM- 
QVI  •  HOC  •  LAESAERIT  pubblicata  da  altri ,  ma 
che  io  qui  ripeto  sulla  mia  lezione,  ed  in  una  grafTi- 
ta  sulla  parete  a  destra  della  vielta ,  che  è  tramezzo  ai 
due  teatri  ed  esce  sulla  strada ,  che  va  alla  porta  sta- 
biana.  L'  ha  pubblicata  il  sig.  Fiorelli  nel  proemio 
A.syo  li. 


alle  illustrazioni  del  giornale  degli  Scavi  di  Pompei 
a  p.  VII ,  e  ne  ho  data  la  mia  lezione  ancor  io  nelle 
Iscrizioni  Antiche  di  Salerno  p.  1 8.  Se  è  cosi  ,  ben 
polca  dirsi  Pompi-i  Veneris  sedes,  siccome  Ercolano, 
locus  hcrculeo  nomine  danis,  da  IMnrziale  (IV,  \\).  Il 
qual  classico  luogo  non  trovo  che  alcun  commenta- 
tore 6nora  ,  nò  altro  scrittore  delle  cose  pompeiane 
abbia  preso  in  questo  suo  verissimo  senso.  Tulli  ci  di- 
cono, come  il  Rosini,  che  quel  ]\'neris  sedcs  è  inteso 
da  Marziale  de  tota  orientali  plaga  amocnissimaquam 
Veneris  sedem  Martialis  rite  appeUat  (Diss.Isag.p.OS); 
ove  ciò  fosse,  Pompei  non  avrebbe  meritato  neanche 
un  lamento  fra  le  dolorose  noie  del  patetico  epigram- 
ma ,  ove  pur  si  piange  Ercolano  : 

Hic  est  pampineis  viridis  modo  Vesvius  umbris  : 
Presserai  ime  madidos  nobili?  uva  laeus. 

Haec  iuga,  quam  Nisae  colles  plus  lìncehusamavit: 
Hoc  nuper  Satyri  monte  dcdcre  choros. 

Haec  Veneris  sedcs ,  Lacedaemonc  gratior  illi  ; 
Hic  locus  Hercuko  nomine  clarus  erat. 

Cuncta  iaccnt  flnmmis  et  tristi  mersa  favilla , 
Nec  superi  vellenl  hoc  licuisse  sibi. 

Alla  Venere  Preside  di  Pompei  non  polca  manca- 
re nò  tempio ,  né  sacerdotessa  ,  né  devoli  consacrati 
al  cullo  di  lei.  Il  tempio  mi  par  certo  sia  quello,  che 
è  a  capo  del  forum  ,  nel  luogo  più  elevalo  ,  e  lo  ar- 
gomento dal  posto  medesimo,  dove  è  costruito.  Che, 
se  ho  ben  provalo  essere  la  Venere  Fisica  la  prima- 
ria deità  fra  gì'  Iddìi  adorati  nella  pagana  Pompei; 
non  può  ragionevolmenle  tenersi  che  cedesse  altrui 
il  primo  seggio  ,  neanche  al  padre  Giove.  A  questo 
altri  die  quel  monumento ,  ma,  oltre  alle  ragioni  al- 

3 


—  18  — 


legate  ,  ninno  ha  rappresentalo  finora  a  se  medesi- 
mo ,  che  gli  ordini  di  architettura  sono  il  ionico  ,  ed 
il  corinzio  ,  alla  maestà  di  tal  nume  non  appropriali. 
La  sacerdotessa  poi ,  ed  i  Vencrii ,  e  le  Veneriac  mi 
provengono  dalle  epigrafi  scolpite  in  marmo,  dipinte, 
o  grafBle  sulle  pareli. 

Garrucci. 

Come  fu  interrala  Pompei. 

La  narrazione  del  nuovo  incendio  di  questo  Vul- 
cano e  le  circostanze  dell' interrimenlo  di  quelle  cillà, 
che  erano  poste  alloruo  alle  sue  radici  dalla  parte  di 
mezzo  giorno,  e  di  ponente,  sono  note  a  tulli  i  lettori 
delle  due  epistole  ,  la  decima  sesta,  e  la  vigesima,  che 
Plinio  scrive  a  Tacito  (libro  sesto).  Contro  di  una  te- 
stimonianza così  autentica,  che  viene  inoltre  corrobo- 
rata da  tutti  gli  scrittori,  che  parlano  di  questo  avve- 
nimento ,  levossi  già  Carmine  Lippi ,  ed  in  un  libro 
che  divulgò  nel  1816  col  titolo  «fu  il  fuoco  o  l'acqua 
che  sotterrò  Pompei  ed  Ercolano  »  sostenne  la  sco- 
perta, che  Pompei  era  stata  sepolta  e  sotterrala  da  un' 
alluvione. 

La  condanna  dell'Accademia,  che  lo  aveva  sentilo 
dispulare  su  tale  obiello  per  sei  anni,  non  tolse,  chela 
opinione  di  Lippi  avesse  seguaci  anche  non  volgari.  Ma 
se  le  ragioni  del  Lippi  e  de'  suoi  aderenti  sono  quel- 
le, che  allega  il  eh.  sig.  prof.  Scacchi  in  una  disserta- 
zioncella  inserita  già  dall'Avellino  al  1843  nel  suo 
Bullellino  Archeologico  p.  42,  segg.  ,  io  stupisco  col 
sig.  professore  e  della  durala ,  e  del  seguito  ;  stupisco 
altresì ,  che  senza  nuove  ragioni  vi  abbia  ancora  chi 
tenga  col  Lippi. 

Perocché  senza  essere  uè  gran  geologo,  né  gran  fi- 
sico ,  ognuno  sa  distinguere  i  terreni  di  alluvione  da 
uno  strato  di  lapillo,  nella  composizione  del  quale  non 
entra  aflìilto  alcuno  di  quegli  elementi,  che  sono  altri- 
menti indispensabili  alla  natura  degli  strati  alluvionali. 
Inoltre  per  qiial  legge  il  lorrenie  impetuoso ,  che  si 
finge  calato  dal  Vesuvio,  sarebbe  salilo  sulla  collina, 
ove  sedeva  Pompei ,  portando  avanti  a  se  la  materia 
che  occorreva  a  tale  effetto ,  senza  dilatarsi ,  ed  em- 
pire i  bassi  fondi  pei  quali  necessariamente  dovea  pas- 


sare ?  (  Veggasi  ciò  che  osserva  il  Rosini  Diss.  Isag. 
p.  71  in  fine). 

Tulli  sanno  distinguere  i  depositi  delle  correnti  ra- 
pide da  quelli ,  che  vengon  prodotti  dal  corso  tran- 
quillo ;  questi  sono  sempre  orizzontali,  per  lo  contrario 
i  primi  sogliono  avere  una  struttura  di  accumoli  suc- 
cessivi a  maniera  di  scarpa  ,  originali  da  rughe  tras- 
versali che  si  van  facendo  sui  fondi,  per  gli  ostacoli 
che  oppongono  i  materiali  diversi ,  che  trasporta  seco 
la  corrente.  La  doppia  stratificazione  di  lapillo ,  e  di 
cenere  addosso  alle  mura  di  Pompei ,  è  in  posizione 
assai  obliqua,  ed  a  seconda  dell'andamento  della  col- 
lina sottoposta  :  onde  si  domanda,  come  un'alluvione 
può  recar  seco  queste  due  materie,  depositandole  l'una 
sopra  dell'  altra  senza  confonderle  ,  ed  impastarle  in 
una  sola  massa  fangosa  ;  nella  quale  torbiera  ogni  ra- 
gione dimostra,  che  le  pomici  avrebbero  dovuto  pren- 
dere il  posto  superiore  come  disgregale,  e  galleggianti, 
sapendosi,  che  anche  i  sassi  di  gran  mole  sono  sospe- 
si sui  torrenti  fangosi.  Dipoi  ,  niuna  corrente  può 
produrre  quel  grado  d' inclinazione  che  hanno  i  due 
strati:  inoltre ,  la  giacitura  dei  piani  inclinati  suppor- 
rebbe la  valle  ,  che  passa  Ira  mezzo  il  Vesuvio  ,  e  la 
collinetta  di  Pompei,  sott'acqua  ,  e  le  ceneri  ed  il  la- 
pillo non  più  provenieutidal  Vesuvio,  ma  invece  dalla 
cima  della  collinetta  pompeiana  ;  nel  qual  unico  caso 
le  materie  che  si  precipitano  a  piedi  dei  colli  tagliati 
a  picco  e  percossi  dalle  acque  sogliono  pigliare  una 
superficie  inclinata  ,  sebbene  con  base  assai  larga. 

Gli  avversarli  invece  suppongono,  che  un  torrente 
rovinosamente  calando  dal  Vesuvio  possa  passare  sul 
piano  0  valletta,  che  giace  tra  le  radici  del  monte,  e 
la  collinetta  ove  è  Pompei  ;  che  possa  salire  detta  col- 
liuella  trasportando  seco  quell'enorme  materiale;  che 
quivi  respinta  la  corrente  impetuosa  dall'ostacolo  delle 
mura  faccia  il  suo  deposito  nel  senso  inclinato  della 
collina,  e  prima  di  lapillo,  poi  di  cenere  sopra  di  esso; 
mentre  il  pelo  superiore  dell'acqua  con  esso  i  lapilli 
vincendo  l' altezza  della  muraglia  entra  ad  inondar 
Pompei,  e  sepellirlo  nel  lapillo  che  porta  seco;  sup- 
posizioni come  ognuno  vede  assai  strane  e  prodigiose, 
siccome  tulle  affatto  contrarie  alle  leggi  le  più  certe, 
ed  immutabili  di  fisica  ,  di  geologia,  e  di  idraulica,  e 


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con  tanta  evidenza  ,  che  non  fa  luogo  di  spendervi  ove  era  Stabia ,  non  alirinientl  clic  sogliono  le  grandi- 

più  tempo  attorno.  ni ,  e  le  nevi ,  su  quei  (lancili  e  fra  quelle  spaccature 

Adunque  venendo  in  quella  vece  a  dimostrare,  come  si  elevarono  ad  un'  altezza  smisurata  di  oltre  a  ([ua- 

possa  essere  accaduto  tutto  ciò,  che  pur  vediamo,  ranta  piedi;  di  mano  in  mano  cadendo  sopra  Stabia, 

fa  piacere ,  che  le  mie  esperienze  si  abbiano  nel  rac-  e  Pompei  vi  crebbero  in  modo  da  accecare  le  uscite 

conto  di  Plinio  una  scorta ,  e  dirò  di  più  ,  una  stoiica  dalle  stanze  negli  atrii  :  Scd  area  ex  qua  diacta  adì- 

spiegazione.  Tutte  le  piogge  cadano  verlicalmonle,  e  balur  ita  iam  cincre  viLvlisque  pumicibus  opiilclasur- 

solo  si  obliquano  dalla  forza  dei  venti  :  non  sarebbe  rexerat ,  ul  si  lomjior  in  cubiculo  mora  esset ,  exilus 

quindi  da  cercare  nò  lapilli  nò  cenere,  nò  scorie  fuori  negaretur  (Plin.  L.  e).  Sub  dio  rursus,  quamquam  le- 

del  perimetro ,  a  che  può  naturalmente  distendersi  viitm  cresorumque  pumicum  casus  metucbalur,  ccrci- 

perdendo  la  forza  d'impulso  quel  materiale,  che  dal  calia  capilibus  imposila  linicis  comtringunl ;  idmuni- 

cratere  venne  spinto  in  aria  in  forma  di  colonna.  Nii-  mcntum  adcersus  decidenlia  fuil.  Le  mura  di  Pompei 

bes  oriebalur,  dice  Plinio,  cujus  simililudinem  et  far-  ri\olle  al  Vesuvio,  e  tutto  quel  pendio  di  collina  veg- 

mam  non  alia  magis  arbor ,  quam  pinus  expresserit.  gonsi  in  prima  coperte  di  uno  strato  obliquo  di  po- 

Nam  longissimo  vchu  truncoclatainallum,quibmdam  mici,  portale  là  a  rompere  loro  contro  dalla  forza 

ramis  difjundcbalur ;  credo  quia  recenti  spiritu  cvecla,  del  vento;  e  però  dall'andamento  del  luOj:o  hanno 

deinde  senescente  co  destituta  ,  aut  etiam  pondere  suo  preso  questa  inclinazione. 

vieta,  in  lalitudincm  cvanescebat  (ep.  XVI).  Or  nella  Alquanto  più  tardi  e  dopo  levalo  il  sole  di  (picslo 
spaventosa  eruzione  del  79  spirava  un  vento  gagliar-  secondo  giorno  cessala  la  caduta  della  pomice  ,  a  cui 
dissimo,  siccome  riferisce  Plinio,  e  il  più  opportuno  andava  mista  ancora  molla  cenere:  Plin.  Iam  na- 
a  chi  da  Miseno  faceva  vela  incontro  a  quella  parte  vibus  cinis  inciderai  quo  propius  accederei  calidior  et 
del  nostro  cratere,  ove  un  tempo  fu  Stabia,  ora  è  dcnsior;  iam  pumiccs  etiam,  nigrique,  et  ambusli ,  et 
Castellamare ,  contrario  poi  a  chi  voleva  tenere  un  fracti  igne  lapides  :  la  bocca  aperta  dal  vulcano  co- 
cammino  opposto:  (Pomponius)  sarcinas  contulcral  in  miuciò  ad  eruttare  immense  colonne  di  cenere  che 
naves  certus  fugae,  si  conlrarius  ventus  resedisset ,  quo  trasportate  egualmente  dal  vento  elevarono  un  secon- 
tmcavuncidusmeussecundissimofcratJinveclus{\.c.){l).  do  strato  d'interrimento  sopra  le  città  di  Pompei  e 
Perlocchè  quel  primo  giorno  la  normale  direzione  di  Stabia  ,  e  poiché  venivano  in  nuvoli  calde  ,  e  pre- 
delle materie  eruttate  era  sopra  Pompei  e  Slabia  ,  e  gne  di  eleltricilà,  e  di  sviluppi  gizosi,  che  Plinio  chia- 
sopra  il  piccolo  seno  di  mare,  luoghi  tutti  posti  a  maflammacflammarumquepraenunciusodorsulphuris 
mezzodì  del  monte  Vesuvio.  (l.  e.) ,  il  zio  ne  fu  sulfocalo  sul  lido  di  Slabia,  ed  iu 
Le  prime  materie  sollevate  in  alto  dalla  esplosione  Pompei  si  appiccò  fuoco  alla  più  parte  delle  case.  K 
del  Vulcano  furono  senza  dubbio  le  pomici;  perocché  frequentissimo  ora  !o  scoprir  segni  di  abbruciamenlo 
queste  come  tutte  le  materie  pomicee  e  scoriacee esi-  sulle  pareti,  ove  i  mo!)i!i  di  legno  avvampando,  vc- 
slevano  di  già  sul  cratere,  siccome  prodotto  di  fusio-  diamo  i  gialli  delle  stanze  cangiarsi  ad  altezze  diverse, 
ni  mollo  anteriori,  e  facilmente  sottomarine,  ope-  ed  in  figure  assai  varie,  in  quel  colore  appunto,  che  sj 
rate  dal  fuoco.  Cosi  di  falli  il  primo  strato  che  può  ottiene  ancor  da  noi  dd  giallo  coli' opera  del  fuoco, 
riferirsi  a  questa  eruzione  è  composto  tutto  di  pomici,  e  che  si  chiama  però  nelle  officine,  giallo  abbrucialo. 
di  piccoli  frammenti  di  calcarea,  di  ciottoli  trachitici.  Le  travi ,  le  porle,  gli  stipili  prendono  forma  di  car- 
e  di  conglobali  di  materie  terrose,  escoriacee.  Quesli  bone  abbruciandosi  lenlamcule  di  sotto  alla  mole  del 
immensi  ammassi  sospinti  violenlemcnie  in  allo,  ed;d  lapillo  ,  e  delle  ceneri. 

vento  in  gran  parte  diretti  verso  le  roccie  opposte,  Queste  cose  accadevano  in  Pompei  ed  iu  Slabia,  e 

quelli  che  non  avevano  potuto  camparsi  colla  fugavi 

(I)  Malamente  si  appone  U  Resini  a  sliotórlo  >cmo  meridionale  >                                         ,     .      .  „,,(![•„.,.,,;  ,i,,:  „.,   „  ,K_ 

(  Disseri.  isag  p.  7ì  )  furouo  spenti  dalle  cfala/iom  solloiaali  un  ^az,  e  aa 


20  — 


gli  inccndii  :  ma  iu  Ercolano  che  era  posta  a  ponente 
del  Vi'suvio  pochi  sono  gli  scheletri ,  perchè  il  pri- 
irio  giorno  la  più  parte  dei  cittadini  potè  sottrarsi  a 
Innta  ruina.  I!  giorno  seguente  dopo  levalo  il  sole  con- 
vien  dire ,  che  mutasse  il  vento ,  poiché  conta  Pli- 
nio ,  che  immensi  nuvoli  di  cenere  si  avvanzavano 
contro  r  isola  di  Capri ,  e  sopra  Miseuo  :  Ab  altero 
latore  nuhes  atra  elhorrenda  ignei  spiritm,  tortisvibra- 
ti^que  discursibus  rupia  in  longas  flammarum  figuras 
dchiscebal ,  fttlguribiis  illae  el  simiks  et  inaiores  erant: 
uec  midlo  post  illa  nubcs  descendere  in  terras,  operire 
ìnaria  ;  cinxerat  Capreas  ci  absconderal ,  Miseni  quod 
procnrrit ,  absttderat.  lam  cinis,  adirne  lamen  rariis, 
re:<picio ,  dema  caligo  lergis  imminebal,  quae  nos ,  tor- 
rentis  modo  infusa  tcrrae ,  sequcbatur  :  nox  non  qualis 
itiunis  et  nuhila,  sed  qualis  in  locis  clausis  luminc  ex- 
tincto.  Pauluhtm  illuxit ,  quod  non  dies  nobis,  sed  ad- 
ventanlis  ignis  indicium  vidchalur.  Et  ignis  quidem  lon- 
gius  suhslilit ,  lenebrae  rursus ,  cinis  rursus  mullus  et 
gravis  :  lume  identidem  assurgentes  excutiebamus,  operli 
alioqui ,  atque  etiam  oblisi  pondere  essemus  :  tandem 
illa  caligo  tenuata  in  fumum  nebulamve  decessit  [ji. 
20  >.  Tanta  copia  di  cenere  spinta  fin  sopra  Miscno  e 
Capri  piovve  assai  più  abbondante  sopra  Ercolano,  e 
tutta  la  sepellì  accumulandovi  sopra  un  banco  altissi- 
mo di  84  a  120  palmi,  dal  Teatro  verso  il  mare,  ove 
la  piccola  città  dechinava. 

Cogli  incendii  vulcanici  o  poco  dopo  sogliono  ca- 
dCTe  pioggie  copiose  di  acqua  ,  e  l'autunno  di  questo 
anno  declinava  ornai  all'inverno  {Diss.  Isag.  ep.  67). 
Inoltre  il  vento  di  scirocco  levatosi  il  secondo  giorno 
ne  indurrebbe  a  crederlo:  ma  Plinio  nulla  ne  scrive, 
anzi  pare  che  ne  persuada  del  contrario.  Perocché 
raccontando  della  morte  del  zio  dice,  che  i  servi 
trovarono  il  corpo  di  lui  al  giorno  lerao  della  sua 
morte  il'Iaesum ,  opertumque  nt  fuerat  indutus:  Ubi 
dies  reddilms,  is  ab  eo  quem  novissime  vid'Cral  l-erlius, 
corpus  inventum  esl  integrum ,  illa<;sum ,  operlwinque 
ut  fuerat  indutus:  habitus  corporis  quiescenti  quam 
defuncto  similior  (ep,  16);  lo  che  ben  s'intende,  non 
essendo  in  quella  spiaggia  caduta  che  poca  cenere, 
quando  sopra  Pompei  tanto  più  vicina  al  luogo  della 
esplosione  appena  cinque  palmi  ne  veggiamo. 

Or  supposta  una  procelia  diluviosa,  «.-gli  è  indubi- 


tato, che  tanta  quantità  di  pomici  disgregate  e  leggie- 
re ,  trasportata  giù  dai  luoghi  in  pendio,  avrebbe  do- 
vuto tutto  involgere  e  coprire  il  corpo  di  Plinio ,  e 
forse  anche  trasportarlo,  e  almeno  scomporlo,  (pian- 
do invece  fu  trovato  integrum,  illaesum,  opertumque 
ed  habitu  corporis  quiescenti  similior. 

Parmi  quindi  che  quei  primi  giorni  passassero  senza 
pioggia  ;  cosi  ebbe  agio  l' incendio  di  carbonizzare  ii 
legno  ove  si  era  appreso ,  e  sopravvenendo  la  piog- 
gia, sarehbesi  per  fermo  in  alcun  luogo  spento,  onde 
ora  dovrebbe  essere  facile  il  trovare  indizii  di  tal  ge- 
nere. Per  lo  contrario  ,  dovunque  si  va  cavando  ,  di 
sotto  al  lapillo  e  fin  sopra  il  pavimento  nelle  parti  più 
basse  della  città  appare  carbone. 

Che  la  più  parte  dei  tetti  e  delle  impalcature  fos- 
sero comprese  dall'incendio  lo  dimostrano  i  segni 
quasi  generali  del  fuoco.  Rari  di  fatti  sono  quei  tetti 
che  si  trovino  tuttavia  al  loro  posto  :  ma  perchè  vi 
perdurassero  fu  mestieri  che  gli  strali  di  lapillo ,  e 
di  cenere  penetrassero  nelle  case,  e  si  elevassero  riem- 
piendo tutto  il  vuoto  fin  di  sotto  al  tetto  ;  e  ciò  com- 
pirono poscia  le  piogge.  Queste  trasportarono  qua  il 
lapillo  ,  là  le  ceneri ,  e  l' uno  e  l' altro  insieme  con- 
fusi svariatamente  ,  ove  ,  e  come  loro  si  apriva  l'adi- 
to, e  più  nelle  parti  della  città  situate  in  declivio,  non 
bastando  certo  nelle  parti  elevate  e  poste  in  piano  la 
copia  del  lapillo  nò  della  cenere  caduta  ad  invadere 
e  coprire  fino  ai  tetti  le  case.  Il  Rosini  riferisce  che 
il  lapillo  in  Pompei,  certo  in  quei  luoghi  che  non 
sono  in  declivio,  sale  fino  ai  nove  palmi,  e  sopra  del 
lapillo  per  altri  cinque  palmi  la  cenere:  ma  con  14 
palmi  di  cenere  e  di  lapillo  non  si  arriva  a  coprire  le 
case  neanche  di  un  sol  piano.  Ben  parmi  di  poi  av- 
venuto che  rivolgendosi  a  novella  coltivazione  tutto 
quei  suolo ,  i  coloni  venissero  demolendo  a  poco  a 
poco  gì'  ingombri  delle  pareli  sorgenti  fuori  del  pia- 
no; onde  accade,  che  sol  tenui  avanzi  degli  apparta- 
menti superiori  s' incontrano. 

Garrccci. 

Escavazioni  di  tempi  diversi  in  Pompei. 

Quanta  parte  di  Pompei ,  ed  in  che  tempo  si  ster- 
rò prima  del  1748  non  può  dirsi  con  sicurezza.  Dalle 


—  21  — 


notizie  che  diligenlemonle  ne  raccolse  il  eli.  Caslaldi, 
{Della  Reale  Accademia  Ercolanese  ,  p.  2o  scg.  )  ri- 
sulta ,  che  almeno  il  forum  cogli  edilìzii  pubblici  cir- 
circostanti ,  e  così  l'anQteatro  e  i  due  (eatri  fosse  ri- 
masto sempre  semisepollo ,  e  perciò  ivi  gli  scavi  si 
fossero  operali  dagl'investigatori  di  lutti i  tempi.  Una 
nuova  conferma  mi  proviene  dall'  aver  letto  non  ha 
guari  sul  basso  di  un  pilastro  di  tufo  davanti  alla  ba- 
silica l'anno  1673  dipinto,  certo  ad  indicar  l' epoca 
della  escavazione  eseguita  su  quel  terreno.  Il  sapersi 
che  il  canale  di  Sarno  passa  poco  discosto  da  questo 
sito  non  prova  uno  scavo  sopra  terra  ,  essendo  ivi  ri- 
messo in  uso  un'  antico  acquidoso ,  e  non  fabbricato 
un  nuovo. 

I  Pompeiani,  dei  quali  io  credo  che  poco  numero 
sopravvanzasse  all'  eccidio  della  città  ,  essendo  man- 
cata loro  la  via  di  mare  (Plin.  ep.  XVI,  VI),  e  tro- 
vando difficilissimo  Io  scampo  alle  vicine  città  di  Er- 
colano  ,  di  Nola  ,  e  di  Nocera  ,  avranno  ancor  essi 
tentato  qualche  scavo  sulle  privale  lor  case.  Poscia 
altri  cavatori  veggiamo  essersi  traforati  nei  secoli  se- 
guenti per  cunicoli  spesso  mal  falli ,  onde  vi  ebbero 
a  lasciar  la  vita.  Questi  scheletri  bisogna  assai  ben  di- 
stinguere dai  morti  nel  primo  interrimento,  con  le  su- 
pellettili  trovai*  loro  accanto  :  la  qual  «osa  tuttocchè 
assai  importante,  con^ien  dolersi  che  siasi  trascurala 
nei  metodi  di  scavo  tenuti  fin  ora.  Di  recente  videsi 
un  mnro  di  partimento  di  casa  privala  foralo,  ed  uno 
scheleti'o  ivi  j)resso  sepolto  col  capo  in  giù  ,  e  dopo 
lui  altri  sei  ;  i  quali  furono  mauifestamenle  cavatoli 
interrati  dallo  scoscendimento  delle  disciolte  materie. 
Ira  le  quali  si  aprivano  la  cava  ,  e  che  essi  non  ebbcr 
r  accorgimento  di  sostenere  con  tavole.  Sembra  per 
altro,  che  gli  strati  di  cenere  e  di  lapillo  sconvolti,  ed 
ammassali  non  siano  quel  sicuro  indizio ,  che  altri 
crede,  di  scavamenti  anteriori,  sebbene  comunemenle 
lo  stimi  ancor  io  ;  perochè  ha  da  tenersi  davanti,  ciò 
che  ho  fatto  rilevare  più  sopra  ,  che  alcune  case  al- 
meno, e  delle  poste  sui  piani  inclinati  possono  essere 
state  interrale  fino  al  soffitto  dulie  acque  [Movule  così 
iÌB  quell'inverno  medesimo,  come  nei  segueulL 

Gakrdcci. 


//  PàvsiLrpos  di  Mezia  Edone  mi  lago  Sabalino. 

Il  Fabretli  alla  pag.  7.')0,  n.  573  diede  in  luce  uni 
iscrizione  indicante  il  Pausilijpoii,  d'  una  colai  Ml'/Ij 
Edone  liberta  ,  e  ne  accennò  il  sito  colle  sole  parole 
ad  D.  Marciaiìi,  chiesa  clic  ninno  certo  saprebbe  in- 
dovinare in  qual  parte  di  mondo  si  stia.  Donde  av- 
venne che  il  Furlanelto, tolto  quel  monumento  in  conln 
d'epitaffio  sepolcrale ,  stimò  die  ivi  Pausilijpon  valesst- 
quanlo  luogo  di  pausa  o  riposo,  cioè  sepolcro  ;  e  que- 
sto senso  deiraccenuata  voce  segnò  nel  suo  lessico,  al 
preteso  epitaffio  di  Mezia  Edone  unicamente  affidalo. 
Ma  il  nostro  Nibby  di  eh.  memoria  lutto  percorren- 
do ed  indagando  l' agro  romano  s' imbattè  nel  mar- 
mo di  che  ragiono,  e  il  vide  murato  nella  fronte  della 
chiesa  de'  SS.  Marco,  Marciano  e  Libwato  poco  oltre 
Bracciano  ;  e  poscia  divulgatolo  (  Analisi  della  cart.i 
de'  dintorni  di  Roma  ,  I,  32G  ) ,  senza  sapere  dell'  e- 
dizione  del  Fabretti,  né  della  interpretazione  del  Fur- 
lanelto ,  propose  la  sua  affermando  indicare  quel  ti- 
tolo una  villa  chiamata  col  nome  di  Pausihjpon  per 
la  singolare  amenità  del  sito  ritraente  quasi  le  deliziose 
colline  di  Posilipo  e  le  sottoposte  spiagge  del  golfo 
Napoletano.  La  quale  verissima  interpretazione  pia- 
cemi  confermare  con  alcune  poche  notizie  di  monu- 
menti a  cotesta  villa  spettanti ,  donde  apprenderemo 
anche  l'età  in  che  fu  editicata  ,  e  sarà  sbandilo  per 
sempre  da'  latini  lessici  il  senso  non  \  ero  assegnalo  » 
quel  nome  geografico^ 

Chi  trasversata  la  terra  di  Bracciano  discende  verso 
la  via  che  eosteggia  l'amcuissimo  lago  Sabatino,  fatto 
appena  un  miglio  vede  aprirsi  a  sinistra  UQ  augusta 
viottolo  il  quale  serba  tuttora  visibili  in  mille  parti  le 
reliquie  dell'  antico  lastricato  ,  e  conduce  al  sommo 
d'  una  collina  ,  donde  la  vista  di  tutto  l'ampio  cratere 
del  lago  rende  un'immagine  olire  ogni  credere  viva 
e  ridente  del  dolce  aspetto  de'golfi  di  Napoli  e  di  Poz- 
zuoli. Quivi  sorge  la  chiesa  già  da  me  ricordala,  opera 
del  secolo  nono  o  decimo  dell'era  nostra;  ed  in  essa 
e  tuli' attorno  tanti  sono  gli  avanzi  d' antichi  niarnii  e 
d'edifici,  che  l'Olstenio  (  Adnot.  Geogr.  p.  4i) volle 
riconoscervi  il  silo  dell'  antichissima  Sabate  città  forse 
al  tutto  scomparsa  fin  dall'  età  più  remota  e  lontana. 


—  22  — 


Ma  quelle  reliquie  spellano  ad  edifici  e  monumenti 
de'lempi  romani  ed  imperiali,  e  l' accennata  iscrizio- 
ne murala  in  fronte  alla  chiesa,  che  io  qui  trascriverò 
dalla  mia  copia  più  esatta  delle  precedenti ,  ci  dà  un 
avviso  non  fallace  dell'  essere  stata  questa  una  villa 
della  prima  età  dell'  impero. 

P AVSILYPON 
METTIAE  •  T  •  L  •  HEDONÉI 

Ed  infatti  oltreché  la  natura  del  luogo  non  può  me- 
glio rispondere  al  nome  Pausilypon  additatoci  dalla 
iscrizione ,  e  di  per  se  ci  manifesta  che  quel  marmo 
ivi  è  per  così  dire  in  sua  casa ,  non  da  lontana  parte 
a  queir  altezza  trasferito ,  la  bellissima  forma  delle 
lettere  ,  che  anche  il  Nihby  riconobbe  propria  degli 
anni  de'  primi  Cesari ,  e  la  desinenza  del  nome  greco 
HEDONEI  coir  accento  sulla  E  ,  nome  non  mascliile 
come  stimò  il  Nibby  ma  cognorùc  di  Mezia  posto  nella 
desinenza  greca  del  casodalivo,  sono  tutte  circostanze 
che  a  capello  convengono  cogli  altri  avanzi  di  marmi 
scritti ,  che  in  quel  luogo  medesimo  io  ho  veduto  ed 
esauiinalo.  Imperocché  il  maggiore  altare  é  formato 
da  un"  antica  mensa  nella  quale  lungo  la  fascia  della 
grossezza  dell' istcsso  marmo  in  bellissime  ed  alle  let- 
tere è  scritto  : 

GERMANICO  •  CAESARI  ■  TI  •  AVO  •  F  • 

e  nel  pavimento  della  chiesa  medesima  in  altro  fram- 
ntenlo  di  marmo  si  legge  : 

GERManifo  •  Caesari 
TI  •  Aug  ■  [ilio 
Y)l\i  ■  Aug  •  [[) 

Y.  tra  i  molti  frammenti  di  lastre  marmoree  similis- 
sime  a  queste  due  ,  che  vcggonsi  o  adoperate  nella 
••ostruzione  della  chiesa  e  degli  adiacenli  edifici ,  o 
sparse  qua  e  là  nella  \iu;na  eh"  è  attorno  all' isìcssa 
chiesa  ,  donde  in  questi  ultimi  anni  tornarono  in  luce, 
in  lettere  di  pari  forma  e  bellezza  si  legge  : 

(1)  Questo  frammento  è  anchÈ  recato  dal  Nibby  1.  e.  p.  326,  il 
quale  perì)  nella  secoLda  liroa  cadde  in  errore  scrivendo  IVcaes  f 


1. 

DRVSO  CAESARI  •  Ti  •  axig  •  f 
2  3 


PRI 


TIAC 


Questi  titoli  similissimi  Ira  loro  anche  nella  forma  e 
mole  delle  pietre  sulle  quali  sono  incisi ,  e  spettanti , 
almeno  tre  ,  ai  figliuoli  di  Tiberio  Augusto  ,  alcuni 
adoperati  fin  dal  piti  remoto  medio  evo  nella  fabbrica 
del  sacro  edificio  e  tulli  adunati  sulla  cima  d'un  alto 
colle  di  difficilissimo  accesso  ci  forzano  a  riconoscere 
che  in  quella  velia  medesima  e  non  altrove  ebbero  la 
loro  sede  primitiva .  Laonde  poiché  il  titolo  del  Pau- 
silypon  di  Mezia  Edone  non  meno  all'amenità  ed  al- 
l' aspetto  del  deliziosissimo  sito,  che  agli  anni  dell'  im- 
pero de'  primi  Cesari  esattamente  risponde,  converrà 
stabilire  che  cotesta  villa  fu  costruita  imperante  Tibe- 
rio, ed  ai  figliuoli  di  lui  ivi  furono  dedicale  statue  e 
titoli  onorarli.  Ed  infatti  quand'  anche  la  nostra  E- 
done  ,  liberta  facoltosissima  ,  non  abbia  avuto  veruna 
personale  dipendenza  dalla  famiglia  e  casa  de'Cesari, 
non  perciò  strani  o  nuovi  potranno  sembrare  gli  onori 
nella  villa  di  lei  consecrati  ai  Cesari  Druso  e  Germa- 
nico. Che  oltre  all'  adulazione  o  spontanea  o  forzata 
la  quale  giammai  non  venne  meno  verso  i  Cesari  vi- 
venti ,  qui  abbiamo  due  monumenli  dedicati  a  Ger- 
manico ;  nò  v'  ha  chi  non  ricordi  quale  e  quanto  ac- 
ceso fu  r  amore  d' ogni  ordine  di  cittadini  verso  di 
lui ,  e  quanto  singolare  il  lutto  per  la  sua  morte ,  ed 
il  cullo  anche  con  pubblici  e  privati  monumenli  at- 
testalo alla  memoria  ed  al  nome  di  lui  (  v.  Foggini 
Fasti  p.  133).  Per  le  quali  considerazioni  il  titolo  de- 
dicato a  Druso  il  giuniore  polrà  sembrare  frutto  di 
mera  adulazione  a  Tiberio  ,  uffiiiclié  al  figliuolo  na- 
turale di  lui  non  fossero  del  tulio  negati  quegli  onori 
che  con  tanta  pompa  e  spontaneità  d' affetti  erano  falli 
all'adoltiso. 

Slabilita  così  coir  aiulo  di  que  le  poche  lacere  epi- 
grafi la  vera  esistenza  e  l' età  del  Pausilypon  di  Mezia 
Edonc,  nuli' altro  mi  resta  ad  aggiungere  fuorché  la 
copia  di  uu  raejchiuissimo  brano  d'iscrizione  di  belle 


—  23  — 


e  minute  ledere ,  che  ho  vedalo  noli'  antico  ipogeo 
della  chiesa  affisso  al  fondo  d'un  lociilolto  o  niccliia 
creata ,  come  sembrami,  per  collocare  una  o  più  lu- 
cerne ;  e  ne  sono  visibili  soltanto  le  lettere  seguenti  ; 
forse  l'una  o  l'altra  tuttora  superstite  è  nascosta  die- 
tro i  marmi  coi  quali  è  posta  in  costruzione. 

ou 

AGELENTLN  •  ••  • 

SASSVLANVS  

SASSVLANVS  

NVNDINESI 

QYIRVS  DIEBVS  •  I  •  •  •  • 

Sembra  un  frammento  di  latercolo  di  nomi  proprii, 
invero  assai  strani  e  forse  fino  ad  ora  inauditi ,  non 
saprei  a  qual  corpo  o  novero  di  persone  spettante  ;  e 
non  pare  che  abbia  rispetto  veruno  alla  villa  ,  della 
quale  ho  tolto  a  ragionare. 

G.  B.  DE  Rossi. 


Giunta  all'  arlkolo  il  tribunale  della  Basilica  pompe- 
iana quando,  e  da  chi  costruito. 

Siccome  in  tutto  l' articolo ,  che  riguarda  il  sup- 
plemento ai  dieci  frammenti  della  lapida  trovata  nella 
Basilica  pompeiana  ,  non  si  è  data  la  lezione  completa 
di  essi ,  così  ho  creduto  doverlo  fare  con  più  profitto 
nel  disegno  aggiunto  alla  tav.  I.  di  quest'  anno  :  indi 
risulta,  che  la  prima  linea  è  di  caratteri  guast  la  metà 
più  grandi  di  quelli  delle  due  linee  seguenti  ,"e  che 
i  pezzi  lasciano  uno  spazio  maggiore  di  quello  ,  che 
non  aveva  potuto  rilevare  dal  primo  disegno.  Lasciai 
per  altro  la  cosa  in  tale  condizione  ,  che  può  ricevere 
ora  il  suo  perfezionamento  dall'  aggiunta  che  qui  sot- 
topongo ;  donde  risulla  ,  che  il  tribunale  probabil- 
mente fu  costruito  sugli  ultimi  anni  di  Augusto  tra  il 
762  e'!  76i.  Il  PP.  che  comincia  la  seconda  linea  si 
è  dispulalo  quel  posto  insolito  a  cagione  della  esatta 
disposizione  della  leggenda  ;  gli  altri  supplementi  di- 
fendono la  loro  convenienza  ,  e  maggiore  probabilità 
quanto  basta. 

Garrccci. 


Sid  programma  pompeiano  di  Giulia  Felice. 

Il  programma  di  locazione  di  una  parte  dei  predii 
di  Giulia  Felice  ,  scoperto  in  Pompei  il  giorno  8  feb- 
braio 1756  (  Gior.  degli  scavi  toni.  I,  par.  I,  col.  41 
■ì-1)  ,  termina  con  le  lettere  S.  Q.  D.  L.  E.  N.  C  , 
che  dal  ilosini ,  rifiutala  la  interpeirazione  del  Win- 
ckelmann  fSi  Quis  Dominam  Loci  Eius  Non  Co/jno- 
veritj,  furono  spiegate:  Si  Quis  Domi  Lenocinium 
Exerceat  Ne  Conducito ,  ovvero  Si  quis  Damnatum 
Lenocinium  Exerceat  Ne  Conducilo  [Dissert.  isag.  parf. 
I,  cap.  10,  pag.  G3-0.j).  A  me  sembra,  che  per  duo 
ragioni  debbasi  rigettare  anche  questo  supplemento 
del  Rosini,  nonché  la  emendazione  del  Guarini  (Fas(( 
duitìnv.  p.  199),  .S7  Qucm  Dcccat  Localio  Eorum  Nos 
Convcnitó,  sfornita  di  autorità  classiche  e  di  confronti. 

La  prima  si  è,  che  parlandosi  nel  programma  della 
locazione  di  un  venerium,  non  avrebbero  dovuto  es- 
serne esclusi  i  lenones,  contro  i  quali  sebbene  trovisi 
l'epitome  di  una  costituzione  dell' imperatore  Leone, 
che  incomincia  Mti^jIs  •jropvojJoffzsiVtt;  roù  Xonrov  x. 
r.  \.  (  Cod. ,  lib.  XI,  lit.  XLI,  §  7),  pure  non  esiste 
alcuna  legge  più  antica  ,  che  loro  inibisse  di  locare 
un'  abitazione  ,  quando  i  poeti  esponevanli  sulle  scene 
alla  derisione  del  popolo,  al  pari de'servi fraudolenti, 
de'  padroni  avari ,  de'  parassiti,  e  delle  cortigiane.  Che 
se  la  pubblica  morale  considerava  i  lenoni ,  procaci, 
impudenti ,  e  sentina  di  ogni  vizio,  slerquiliniumpu- 
blicum  {Plàvt.  Pers.  act.  Ili,  se.  Ili,  v.  3  scg.  ), 
non  è  per  questo  eh'  essi  non  esistessero  ;  e  chi  locava 
un  grande  edifizio  ad  uso  di  vcnerio ,  dovea  ben  es- 
ser conscio ,  che  abitatori  di  quel  luogo  sarebbero 
stati  lenoni  e  meretrici:  onde  strana  riusciva  la  esclu- 
sione dei  primi ,  se  avesse  voluto  indicarsi  colle  siglo 
finali  del  programma. 

Altra  ragione  valevole  ad  eliminare  la  interpeira- 
zione del  Rosini  si  è,  che  dovendo  quelle  lettere  con- 
tenere una  formola  giuridica  ,  la  quale  fosse  a  tutti 
nota  ,  o  di  facile  intelligenza ,  <'he  seguiva  il  i)allo 
della  locazione  quinquennale,  ANNOSCOM'iX  VOS- 
QVINQVE  ,  essa  o  dovea  rinchiudere  la  spiegazione 
di  tal  patto  in  cui  stabilivasi  il  termine  dello  affitto,  o 
apportarvi  una  qualsivoglia  modifica.  Se  fosse  slalu 


^24-- 


solilo  d'indicarsi  nella  posm/)<to  le  persone  alle  quali 
intcrdicevasi  dui  padrone  del  fondo  la  locazione,  certo 
che  neir  altro  programma  dell' INSVLA  •  ARRIANA- 
POLLL\.NA  [Mazois,  Ruin.  de  Pomp.  par.  II,  pag. 
101  ) ,  in  cui  non  si  esponevano  ai  pubblico  bagni  né 
venerii ,  se  ne  sarebbe  fatta  menzione  ,  e  con  più 
dritto  ,  non  trattandosi  di  luoghi  destinati  ad  ogni  ma- 
niera di  turpitudini. 

Pei-  le  quali  cose  sonora  i  indotto  a  supplire  quel- 
]'  ultimo  verso  della  epigrafe  pompeiana  : 
Si  •  Quinquennium  •  Dccurrerit  ■  Locatio  •  Erit  -Nudo- 

[Consensu 
trovando  appoggio  a  questa  conghiettura  nello  spirito 
delle  antiche  leggi  romane  ,  e  nelle  seguenti  parole 
del  Digesto  :  Qui  ad  certuni  (cmpus  conducil ,  finito 
quoque  tempore  colonus  est;  inleUigilur enitndominus, 
quum  palitur  coìomim  in  fundo  esse,  ex  integro  locare; 
et  huiusmodi  contractus  ncque  verba,  ncque  scripturam 
uliquc  desideranl ,  scd  NVDO  CONSENSV  convale- 
scunt  (lib.XlX,  tit.ll,  §  14).         Giuseppe  Fiorelli. 

Osservazioni  intorno  all'  articolo  precedente. 

In  un  articolo  dettato  da  me  iutorno  alle  sigle  delle 
iscrizioni  pompeiane  dipinte  ,  che  si  legge  a  p.  4  seg. 
del  primo  volume  di  questo  Bulletlino  non  volli  dare 
il  parer  mio  intorno  ai  due  tuttocchè  celebri  versi  V. 
A.S.P.P,  e  S.Q.D.L.E.N.C  rimettendo  la  trattazione 
del  primo  al  mio  collega  sig.  Minervini ,  che  sapevo 
disposto  di  farlo,  e  tacendomi  affatto  sul  secondo,  per- 
chè non  aveva  nulla  di  certo  da  dire.  Il  sig.  Fiorelli 
ha  ora  intrapreso  di  trattare  questo  argomento ,  e  ne 
disputa  qui  avanti  ;  e  poiché  è  questa  una  materia 
nella  quale  sono  entrato  io,  parmi  sia  desso  un  invilo 
a  dire  alcuna  cosa  sudi  questa  nuova  interpretazione. 

U  Rosini  era  tale  ingegno  ,  da  ponderar  bene  le 
materie  prese  a  trattare  ;  onde  non  so  che  altri  abbia 
notato  in  quel  suo  dotto  volume  ,  che  lavorò  sul  ma- 
teriale del  Mazzocchi  a  nome  dell'  Accademia  ,  osci- 
tanze ,  0  giudizi!  immaluri.  Riuscirebbe  ancor  più 


sorprendente  l'accusa  distranezza,  con  che  parmi  tac-  • 
ciarsi  dal  sig.  Fiorelli  l'interpretazione  delle  sigle  9. 
Q.  D.  L.  E.  N.  C ,  per  la  quale  resterebbero  a  cre- 
der suo  esclusi  i  lenoni  dall'  affitto  del  Venerium.  Si 
quis  domi  lenocinium  exerceat  ne  conducilo.  Parmi  in- 
vece che  risulta  precisamente  il  contrario  da  ciò  che  il 
Rosini  ha  scritto  in  quel  luogo  accennato  dal  Fiorelli, 
p.  63  col,  a,  «  Quo  iaterdicto  lenonibus  et  meretri- 
eulis  velitum  erat ,  ne  PRAETER  VENERIVM  ali- 
qua  ex  illis  tabernis  ad  ganeas  parandas  ahulerenlur, 
quas  unice  venaliliis ,  mercatoribusque  addictas  vo- 
lebant.  »  Non  escluse  aduncpie  i  Icnones  dalla  loca^ 
zione  del  Venerium  ;  ma  invece  intese,  comunque  sei 
facesse  ,  di  escluderli  dall'  affilio  delle  soie  tabernae  , 
pergulae ,  cenacukt.  Pare  quindi  che  la  ragione  di  eli- 
minare la  interpretazione  del  Rosini  ci  viene  piuttosto 
dall'arbitraria  separazione,  che  egli  fa  dell'affitto  del 
balncum ,  venerium ,  dall'affitto  delle  altre  abitazioni , 
di  che  non  ha  verun  motivo  neanche  per  la  interpre- 
tazione da  lui  medesimo  proposta.  L'altra  ragione  con 
che  il  Fiorelli  tende  ad  eliminare  la  interpretazione  del 
Rosini  pare  a  me  non  meno  conghielturale  della  rosi- 
niana:  essendo  egualmenle  incerto  se  quelle  sigle  deb- 
bano contenere  una  formola  giuridica,  o  altra  cosa.  Co- 
munque ciò  sia,  dobbiamo  molta  lode  al  sig.  Fiorelli, 
che  per  questa  sua  nuova  interpretazione  con  assai  mi- 
glior senno  proposta,  da  una  strana  ipotesi  c'introduca 
nel  campo  di  una  dotta  e  giudiziosa  conghiettura.  La 
spiegazione  delle  sigle  inventala  dal  Winckelmann  eb- 
be seguace  anche  l'OreHi,  il  quale  credette  che  il  pro- 
gramma seguente,  che  comincia  A'SVETTIVM'VE- 
RVM  AED  scritto  di  sotto  a  quello  della  locazione  ne 
fosse  un  seguito;  e  così  tennesi  ad  interpretare  1' A. 
di  questo,  Adeat  (4323);  nel  che  per  fermo  gli  avreb- 
be dato  un  apparente  sostegno  il  programma  ora  per- 
duto dell'  Insula  Arriana  Polliana ,  dal  quale  trasse 
il  Guarini  l'opinion  sua  ,  leggendosi  in  quello;  Con- 
ductor  convenilo  primum  Cn.  Allei.  Nigidi.  Mai.  ser: 
il  Romanelli  ha  GN.  ALIFI  NIGIDI  MAI  erronea-f 
mente.  Garrccci. 


P.  Raffaele  GAnnucci  d.c.d.c. 
Giulio  Minervini  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtàneo. 


BUILETTI^O  ARCHEOLOGICO  IVAPOLllMO. 


NUOVA    SERIE 


N°  28.     (4.  deir  anno  II.) 


Agosto  1853. 


Nolizia  de  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Conlinuazione  del  nwn.  26.  —  Osservazioni  sopra  un  dipinto  pompe- 
iano.— Nolizia  di  alcune  iscrizioni  messapiche. 


Nolizia  de' più  recenti  scaci  di  Pompei  (I).  Conlinua- 
zione del  num.  26. 

In  questi  iillimi  giorni  si  è  proseguito  lo  scavo  alla 
parte  esterna  della  porla  Stabiana.  Noi  parleremo  di- 
stesamente delle  particolarità  osservabili  in  questo 
estremo  della  cillà  di  Pompei ,  quando  i  lavori  di 
scavazione  saranno  sufficienlemenle  progrediti ,  per 
])Oterne  presentare  uua  distinta  idea.  Non  possiamo 
però  tacere  sin  da  ora  di  una  interessantissima  scoper- 
ta, che  ebbe  luogo  in  quel  medesimo  sito. Uscendo  dalla 
porta  di  Slabia  appare  alla  sinistra  il  principio  di  una 
strada  obbliqua  ,  e  presso  al  muro  che  la  limila ,  e 
che  forma  parte  delle  opere  circostanti  alla  suddetta 
porta ,  vedesi  impiantata  nel  suolo  alquanto  obbli- 
quamente  una  lastra  di  marmo  di  circa  tre  palmi  di 
altezza.  La  posizione  di  questa  lapidaèdacontiontare 
precisamente  colla  lapida  viaria  osca  recentemente 
scoperta ,  la  quale  ritrovasi  a  pochi  passi  distante. 

Nella  parte  anteriore  di  questa  novella  pietra  leg- 
gesi  la  seguente  iscrizione  : 

L  •  AVIANIVS  •  L  •  F  •  MEN  • 

FLACCVS  •  PONTIANVS  • 

Q  •  SPEDIYS  •  Q  •  F  •  MEN  • 

FIRMVS  •  II  •  VIRI  •  I  •  D  •  VIAM  • 

A  •  MILLIARIO  •  AD  •  CiSlARIOS  • 

QVA  •  TeRRIToKIVM  •  EST  • 

POMPEI ANORVM  •  SVA  • 

PEC  MVNIERVNT  • 


(  1  )  Queste  notizie  sono  state  da  me  comunicate  alla  reale  acca- 
ilcmìa  Ercolanese. 

iJVJVO    II. 


La  prima  cosa  a  notare  in  questa  nuova  epigrafe 
pompejana  ,  si  è  che  essa  ci  presenta  i  nomi  di  due 
duumviri  finora  non  conosciuti:  sono  essi  L.  Avia- 
nio  Fiacco  Pontiano ,  e  O  Spedio  Firmo.  Apparten- 
nero entrambi  alla  tribù  Menenia  ,  alla  quale  ,  sic- 
come è  noto,  furono  ascritti  i  Pompcjani.  Sappiamo 
poi  dalia  nuova  iscrizione  che  quei  duumviri  forti- 
ficarono col  proprio  danaro  la  strada  che  si  estendeva 
fuori  la  cillà  di  Pompei  a  milliario  ad  cisiarios ,  qua 
territorium  esl  Pompejanorum.  Il  tnilliariam  di  cui 
si  parla  non  è  certamente  la  lastia  di  marmo  novel- 
lamente scoperta;  ma  una  colonna,  che  ritrovar  si 
dovrà  al  termine  della  strada,  della  quale  è  comparso 
il  cominciamento.  I  cisiarii  trovavansi  intorno  la  porta 
di  Stabia  ,  pronti  ad  affittare  per  pattuita  mercede  i 
loro  carri  da  trasporto  a'  passaggieri  che  il  richiedes- 
sero. Noi  non  parliamo  distesamente  del  cisium;  ma 
osserviamo  che  dulie  cose  raccolte  dallo  Schcfler  ri- 
levasi essere  un  veloce  cocchio  destinalo  al  trasporlo 
degli  uomini  da  un  sito  ad  un  altro  fde  re  Vehic.  lib.  II. 
cap.  XVIII).  E  poiché  questo  era  principalmente  ne- 
cessario per  trasferirsi  da  un  paese  ad  un  altro,  esser 
dovea  consuetudine  che  questi  cocchieri  fcisiariij  si 
disponessero  presso  le  porte  della  città  ,  e  così  pure 
presso  la  porta  di  Slabia  in  Pompei;  siccome  ci  viene 
indicato  dalla  presente  iscrizione.  In  appoggio  di  que- 
sta nostra  osservazione  merita  di  essere  richiamata  un' 
altra  iscrizione  di  Calvi,  che  si  conserva  nel  Real  Mu- 
seo Borbonico,  ove  è  menzione  de' ye'smri j  (sic) /lortae 
Stellalinac  (  Mommsen  inscr.  r.  Neap.  lai.  p.  206  n. 
3953). 

Né  riesce  meno  interessante  1'  altra  notizia  della 

nuova  epigrafe  pompejana  che  cioè  dalla  porla  di 

4 


—  26  — 


Stabia  ,  ove  si  raccoglievano  i  carrozzieri ,  sino  alla 
colonnella  o  miUiario,  estendevasi  il  territorio  di  Pom- 
pei :  qua  tenilorium  est  Pompejanorum.  E  ben  cono- 
sciuta la  signiflcazione  della  voce  lerrilorium,  qua- 
lunque riputar  se  ne  debba  la  vera  etimologia.  A  noi 
ne  fornisce  chiara  idea  il  giureconsulto  Pomponio  : 
Territoìium  est  universitas  agrorum  intra  fines  cujus- 
que  civilalis  (Dig.  lib.  L  tit.  XVI  leg.  239  §.  8  ;  ove 
si  veggano  i  commentarli  de'  giureconsulti).  Seguen- 
do dunque  la  traccia  della  strada  nuovamente  com- 
parsa potremmo  venire  a  conoscere  fin  dove  si  esten- 
deva da  questo  meridionale  lato  di  Pompei  il  teni- 
mcnto  della  città  ,  e  quindi  ancora  la  giurisdizione 
de'  pompejani  magistrali. 

Tornando  alle  scavazioni  della  strada  stabiana,  os- 
servo che  la  nuova  via  diretta  verso  il  Foro  non  po- 
teva essere  accessibile  che  da'seli  pedoni;  impercioc- 
ché sarebbero  stati  impediti  i  carri  dal  marciapiede , 
che  vedesi  in  conlinuazione  e  non  interrotto  nel  sito 
ove  si  apre  la  strada.  Riesce  ora  possibile  cominciare  a 
dar  di  questa  una  idea,  dopo  le  più  recenti  scavazioni. 
A'  due  lati  si  eleva  una  serie  di  pilastii  di  opera  late- 
rizia ,  che  lasciano  in  mezzo  uno  spazio  lastricato  di 
pietra  vesuviana  ,  e  largo  trenta  palmi.  Questi  pila- 
stri lasciano  d'ambi  i  lati  una  stradella  di  pochi  palmi 
limitata  da' muri  degUedifizii  che  la  costeggiano.  Sono 
linora  comparsi  quattro  degli  enunciati  pilastri ,  a 
ciascuno  de'  quali  vedesi  addossato  un  piedestallo  di 
fabbrica  simile  in  grandezza  a  quello  della  statua  di 
Olconio ,  il  quale  soltanto  è  conservato ,  siccome  di- 
cemmo ,  anche  nel  suo  rivestimento  di  marmo.  Gli 
altri  tre  sono  interamente  spogliali,  e  privi  delle  sta- 
tue ,  che  in  origine  dovevano  eievarvisi.  La  slralifi- 
cazione  delle  terre  mostra  che  il  silo  non  sia  stato 
modernamente  frugato  ,  ma  forse  spoglialo  dagli  an- 
tichi medesimi ,  o  che  si  trovasse  in  restaurazione  al 
tempo  della  catastrofe  pompcjana.  Annunzio  intanto 
con  piacere  che  le  nostre  predizioni  si  sono  verificale, 
essendosi  rinvenuti  tutti  i  pezzi  mancanti  della  statua 
di  Olconio,  non  esclusa  la  mano  destra,  la  quale  però 
è  priva  di  un  dito.  La  posizione  di  questa  mano,  ed  un 
leggiero  incavo  appositamente  pratticalo  presso  la  pal- 
ma ,    mostrano  che  Io  scultore  aveva  fralle  dita  col- 


locata un'  asta  ,  o  altro  oggetto  ,  che  non  si  è  però 
finora  ritrovato.  Noi  speriamo  di  poter  dare  quando 
che  sia  un  disegno  di  questo  interessantissimo  scavo. 
Presso  ad  uno  de'  pilastri ,  e  propriamente  a  quello 
opposto  alla  statua  di  Olconio,  sono  stali  rinvenuti  tre 
scheletri  umani,  ed  ivi  presso  quello  di  un  fedel  cane, 
che  aveva  subita  la  medesima  sorte  de'  suoi  infelici 
padroni.  Uno  degli  scheletri  aveva  due  piccoli  anelli 
di  oro  all'  ossicciuolo  di  un  dito,  de'  quali  il  più  grande 
adorno  di  piccolo  smeraldo. 

Un  altro  scheletro  offriva  pure  l' ornamento  di  un 
grosso  anello  di  argento ,  e  di  altro  tutto  rivestito  di 
ossido  di  ferro,  intorno  alla  falange  di  un  dito.  Vicino 
a  quei  disgraziati ,  come  sovente  si  verifica  ,  furono 
rinvenute  non  poche  monete  di  argento,  e  di  bronzo, 
in  parte  fra  loro  ammassate ,  in  parte  rese  poco  ri- 
conoscibili dall'  ossidazione  :  e  potrà  farsene  1'  attri- 
buzione, quando  saranno  liberate  dall'ossido,  che  le 
ricopre,  mercè  i  melodi  conosciuti.  Dal  veder  questa 
famiglia  in  quel  sito  ricoverata,  potrebbe  desumersi 
che  quello  spazio  fosse  munito  di  coverlura  ;  ma  non 
vorremmo  su  di  ciò  azzardare  alcuna  conghiettura  , 
priachè  il  compimento  della  scavazione  non  ce  ne  for- 
nisca l'appoggio. 

Grande  è  slata  in  questi  ultimi  giorni  la  messe  dei 
programmi  scritti  col  pennello  su' muri  esterni  degli 
edifìzii  :  noi  li  riporteremo  al  solito  con  un  numero 
d'  ordine  progressivo. 


1.  PANSAM 

AED  •  SABINVS  •  RO  •  •  • 

2.  Q  •  P  •  P  .  IVVENEM 
AED  •  0<^  D  •  R  •  P 
SABINVS  •  ROG  •  COPO 

Nelle  sigle  Q  •  P  •  P  •  è  facile  ravvisare  Qitinlo 
Postumio  Proculo,  il  quale  ricorre  nel  seguente  n.  1 1 . 
Notevole  è  la  ortografia  della  voce  COPO  ,  la  quale 
ritrovasi  pure  nella  iscrizione  d' Isernia  edita  da  .\vel- 
lino  {bull.  ardi.  najì.  an.  VI  tav.  I.n.4.  v.  la  p.9l  ), 
e  sulla  quale  si  vegga  ciò  che  scrive  il  collega  Gar- 
rucci  (storia  d' Isernia  pag.  140.  J 


—  27  — 


3.  C  •  IVLIVM 
AED  •  D  •  R 

4.  SERENVM  .  AED 

5.  KVSTIVM     DO 


VOLYbium 
P 


C.  Q  •  POSTVMIVM  •  MODESTVM 
C  .  CALVENTIVM  •  SITTIVM 

VM  •  ilVlR  •  0^ 

Questo  programma  ci  fa  comprendere  l' altro  che  se- 
gue, 


ove  sono  con  sigle  indicali  i  medesimi  nomi. 


7.  C  •  C  •  S  •  M  •  li  VIR  •  0<*> 
SABINVS  •  ROGAI 

E  evidente  che  siano  gli  stessi  Cajo  Calvenlto ,  e 
Sillìo  Magno;  il  quale  secondo  nome  rilevasi  dall'al- 
tro programma  riportalo  di  sopra  pag.  9  n.  3,  ove 
in  luogo  di  Sillium  Magnum  dee  leggersi  egualmen- 
te Sitlium. 

8 SABINVM 

9.  CAIVM  •  RVFVM 

TlV  •  I  •  D  •  0  •  V  ■  F 

10.  C  •  IVLIVM  POLYBIVM  •  ET  •  M 
LVCRETIVM  •  FRONTONEM  .  .  . 

11.  Q  •  POSTVMIVM  •  PROCVLVM  •  SCR 

Nuova  formola,  indicante  forse  scribite. 

13.  CVSPIVM  •  PANSAM 
AED  •  LIGNARI  •  VMVERSI 

Già  vedemmo  in  questa  medesima  località  gli  stes- 
si lignarii  domandare  per  duumviro  Olconio  Prisco 
(  vedi  sopra  pag.  9.  n.  4):  in  quanto  alla  voce  uni- 


versi che  segue,  s'incontra  io  altri  programmi;  così 
auri/ìces  universi,  pomarii  tmiversi,  muliones  universi, 
Isiaci  universi ,  dormicnles  universi.  Vedi  l' articolo 
del  collega  Garrucci  nel  1.  anno  di  questo  bulleuino 
p.  1 50  e  seg.  E  poi  da  notare  che  lo  slesso  Caspio 
Pansa  era  desiderato  da  altre  corporazioni  cioè  dagli 
orefici,  e  da'mulattieri;  giacché  appunto  a  lui  si  rife- 
riscono i  programmi,  a'quali  abbiamo  accennato. 

14.  PANSAM  AED 
O-  VF 

15.  FAVSTINVM  AED 
SABINVS  •  ROG 

16.  FVSCVM  AED  (  mon.  )  OA 

17.  Sul  fronfc  di  unedifizio  non  ancora  scava- 
to, che  si  scorge  adorno  di  una  cornice  poggiante  so- 
pra due  pilastrini  di  pietra  di  Nocera,  si  legge  in 
grandi  lettere  scritte  di  rosso 

P  •  FVR  •  li  •  V  •  VB  fmon.J  •  0  •  VF  fmon.J 

In  questo  sciogliendo  i  due  nessi  VB,  VF  è  facile  ri- 
conoscere: P.  Furiuin  Daimi.  virum  bonum  oro  vos 
faciatis. 

18.  Abbiamo  riserbalo  in  questo  luogo  alcuni 
altri  interessanti  programmi,  che  leggonsi  sopra  un 
pilastro  di  mattoni ,  che  limila  il  vicolo  costeggianle 
lo  spazio,  ove  era  la  statua  di  Olconio. 


IIOLCONIVM    uv'^Td 


19.  Bellissimo  è  quest'altro  che  vi  si  legge  più 
sotto,  e  che  equivale  ad  una  durevole  iscrizione: 


Dlli'EST. 


M  •  EPIDIVM  •  SABINVM  •  D  •  I  •  DIC 
DEFENSOREM  •  COLONIAE  •  EX  •  SENTENTIÀ  •  SVEDI  •  CLEMENTIS  •  SANCTÌ  •  IVDICIS 
CONSENSV  •  ORDINIS  •  OBMERITA    ElVS   ETPROBITATEMDIGNVMREIPVBLICAEFACIAT 
SABINVS  •  DISSIGNATOR  •  CVM  •  PLAVSV  •  FACIT 


Questo  Epidio  Sabino  insieme  con  C.  Mario  tro-     tevole  programma  pubblicato  da  Avellino  (  opusc. 
vasi  richiesto  per  Edile  V.  A.  S.  P.  P.  in  altro  no-     voi.  II  p.  225  ).  Richiamiamo  ralteuzìone  de' nostri 


—  28 


lettori  sopra  i  due  accenti  segnati  in  fine  delle  voci 
setitenlia  e  sancii;  i  quali  con  altro  esempio  dimostra- 
no che  sin  d'allora  se  n'era  introdotto  l'uso.  Magnifi- 
cile sono  le  lodi  che  si  danno  ad  Epidio;  e  noi  ci  ri- 
serbiamo di  dir  qualche  cosa  sulle  formole  ,  che  si 
adoperano  ad  esprimerle.  Ricorre  di  nuovo  la  frase 
ex  senlenlia  seguita  dal  nome  stesso  di  Suedio  Cle- 
mente,  siccome  in  altro  programma  (vedi  questo  6»//. 
ann.  I.  p.  152).  È  indubitato  che  TORDO  ,  di  cui 
qui  si  ragiona,  sia  Yordo  Decitnonum.  Non  saprei  se  il 
Faciat  credersi  deggia  abbreviato  in  luogo  di  facialis, 
o  piuttosto  si  riferisca  all'orcio,  che  precede,  nel  qual 
caso  si  vedrebbe  confermata  la  opinione ,  che  attri- 
buisce al  decurionale  consesso  la  nomina  de'  magi- 
strali. Vedi  le  cose  dette  dal  collega  Garrucci  in  que- 
sto bullettino  (an.  1.  pag.  148.  e  segg.  ).  Chiudesi  il 
programma  col  sufTragio  dello  scrittore  Sabino ,  che 
dicesi  dissignalor.  È  chiaro  che  questo  Sabino  era  un 
dedgnator  persona  addetta  a'ieatri  per  regolarne  l'or- 
dine materiale,  e  per  badare  alla  disposizione  del  po- 
polo che  vi  accorreva.  Tunto  rilevasi  dal  giureconsullo 
Uipiano,  il  quale  paragona  i  dcngnatores  a'  flpccfisvry.) 
de'Greci,  e  li  annovera  fra  coloro  che  esercitavano  un 
ministerio  (Dig.  lib  Ili  lit.  II  §  l).Vedi  gli  annotatori 
a  questo  luogo,  non  che  ad  Orazio  (ej)?s(.iib.I,7,  v.6) 
ed  a  Plauto  [Poeìml.  prol.  v.19  s.).  Da'quali  confronti 
si  desume  essere  altresì  uno  di  questi  impiegati  il  rf«s- 
signalor  scaenarius  della  gruleiiana  CXXX,  G.  (cf. 
Fabrelti  e.  IV.  pag.  202,  Orelli  num.  934);  ove  è 
da  notare  la  medesima  ortografia  che  si  osserva  nel 
nostro  programma,  non  altrimenti  che  nell'altra  gru- 
feriana  (  DCXXV,  1 1;  Orelli  n.  .3212),  ove  si  parla 
di  uno  Stalilio  ■praeco  idem  disfignaloi:  Sembra  che 
da  questa  ultima  iscrizione  si  ricavi  non  essere  tanto 
nobile  l'ijfficio  di  designa(ore,  siccome  parve  ad  alcu- 
no, giacché  era  esercilalo  da  un  banditore.  E  se  il  no- 
stro Sabino  è  lo  stesso  che  diccsi  COPO  ncll'allro  pro- 
gramma sopra  riferito ,  si  conferma  tanto  piìi  la  poca 
dignità  di  un  incarico,  che  poleva  affidarsi  ad  un  betto- 
liere.Non  è,  a  nostro  giudizio,  senza  allusione  alia  scena 
ed  alle  cose  teatrali  raj;giuntocw7H/)/aMsudi  questo  Sa- 
bino ,  il  quale  ricorda  cerLimente  le  espressioni  che  si 
riferivano  sovente  all'esercizio  del  suo  ministero. 


Tra'varii  oggetti  di  poca  importanza  rinvenuti  io 
varii  siti  di  questi  ultimi  scavi  noteremo  particolar- 
mente quattro  bronzi ,  che  richiamarono  maggior- 
mente la  nostra  attenzione.  11  primo  si  è  un'  ampulla 
olearia  mancante  del  collo ,  avente  a'  due  lati  due 
ane'Ietli  sporgenti  destinati  a  ricevere  la  catenella  per 
tenerla  sospesa  ;  e  di  questa  rimane  alcuna  traccia  : 
e  poiché  vicino  ad  essa  ritrovaronsi  alcune  slrigili ,  può 
credersi  che  una  o  tulle  erano  con  quella  accoppiate,  ' 
e  pendenti  dalla  medesima  catenella  ,  meritando  così 
il  nome  di  xijstrokcylhos. 

Il  secondo  bronzelto  figura  un  piccolo  teschio  uma- 
no, colle  vertebre  ,  e  porzione  del  busto ,  ed  è  note- 
vole che  le  vertebre  si  legano  con  quella  parte  del 
busto  con  una  specie  di  cerniera  ,  che  ne  produce  la 
mobilila.  Questo  piccolo  monumentino  viene  ad  ac- 
crescere il  numero  delle  rare  rappresentazioni  di  sche- 
letri umani  :  e  per  quella  sua  mobilità  è  da  parago- 
nare allo  scheletro  di  argento  recato  nel  convito  di 
Trimalcione,  al  riferir  di  Petronio  [Satyr.  p.  31  ed. 
Baudelot). 

Finalmente  sul  marciapiede  all'ingresso  di  una 
bottega  ,  non  ancora  disollerrata  ,  messa  rimpetto  al 
pilastro  ,  ove  è  il  riferito  interessante  programma  di 
Epidio  Sabino,  si  sono  ritrovate  due  statuette,  la  pri- 
ma è  alta  25  centesimi  di  palmo ,  e  rappresenta  un 
giovinetto  sdrajato  ,  adorno  di  clamide ,  nell'  atto  di 
sollevare  la  destra  mano ,  colla  quale  tener  dovea 
qualche  cosa  ,  che  non  sapremmo  indovinare. 

La  seconda  statuetta  alla  0.  9  di  palmo  rappresen- 
ta un  -Mercurio  nudo  in  atto  di  camminare  ;  ha  la  cla- 
m  de  congiunta  con  una  fibula  presso  al  petto,  e  che 
discende  dietro  le  spalle  :  colla  destra  tiene  In  borsa , 
colla  sinistra  è  in  atto  di  stringere  qualche  simbolo  , 
forse  il  caduceo,  che  però  non  si  è  ritrovato.  I  piedi 
sono  nudi.  Dall'alato  petaso  sorgono  due  falli,  e  tre 
altri  furono  ritrovati  vicino,  i  quali  compirono  l' or- 
namento di  quella  divinità:  in  falli  due  sorger  dovea- 
no  dalle  tempia  ,  ove  sono  pratticali  due  foi  i  per  in- 
trodurveli;  non  può  con  certezza  determinarsi  ove 
fosse  collocalo  il  terzo.  A  meno  che  dir  non  si  vo- 
glia che  questo  Mercurio  formasse  gruppo  con  l'ali ra 
staluelta,  la  quale  elevava  forse  colla  destra  quelter'^ 


—  29  — 


20  simbolo.  Sul  corpo  del  dio  è  attaccala  dall'  ossido 
una  catenella  frammentala ,  alcuni  pezzi  della  quale 
erano  ivi  presso  distaccali.  Altra  più  grande  ed  intrec- 
ciata di  varii  Gli  di  bronzo  pendeva  da  un  grande  anel- 
lo ,  ed  altre  simili  catenelle  intrecciale  ma  più  piccole 
partivano  da  un  altro  anello  di  minore  diametro.  In 
quel  medesimo  sito  furono  rinvenuii  otto  campanelli 
di  bronzo,  cinque  presso  a  poco  simili,  e  gli  altri  tre 
di  differenti  grandezze.  Vedendosi  alla  estremità  di 
ciascuno  de'  falli  una  prominenza  come  un  anelletlo 
per  sospendere  qualche  cosa,  è  chiaro  che  fossero  tutte 
destinale  a  tener  sospesi  quei  cinque  campanelli  simi- 
li, non  volendo  determinare  da  qual  parte  pendessero 
gli  altri  tre.  A  formarsi  una  idea  di  questo  singolare 
bronzo  bisogna  richiamare  a  confronto  altri  singola- 
rissimi bronzi  anticamente  ritrovati  in  Ercolano,  Sta- 
bia,  e  Pompei,  i  quali  trovansi  pubblicali  ne' volumi 
di  Ercolano.  E  prima  di  tulio  a  comprendere  il  con- 
gegno delle  catenuzze,  alle  quali  esser  doveva  sospesa 
la  statua  ,  basta  rivolgere  Io  sguardo  alle  tavole  L , 
LI,  LII  del  volume  delle /wccrwc;  né  meglio  potrebbe 
descriversi  quella  della  tav.  L  di  quel  che  fanno  gli 
Ercolanesi;  pensile  è  la  seconda  (lucerna)  per  mezzo 
di  Ire  calenuzze,  che  Ititle  si  uniscono  per  mezzo  di  un 
anelktlo  ;  donde  se  ne  diparte  una  sola  lerminanle  in 
un  più  {jrande  anello  (p.  231).  Così  e  non  altrimenti 
immaginar  dobbiamo  la  nostra  pensile  statuetta.  In 
quanlo  al  soggetto  medesimo  sono  da  confrontare  le 
tav.  XCV  e  segg.  del  2.  volume  de'  Bronzi ,  ove  si 
veggono  somiglianti  falliche  rappresentazioni  con 
campanelli  pendenti:  e  principalmente  il  Mercurio 
della  lav.  XCVI  scavato  in  Ercolano,  il  quale  peral- 
tro è  di  mostruose  proporzioni;  mentre  il  nuovo  Mer- 
curio pompejniio  ,  abbenchè  molto  ossidato  special- 
mente nel  viso ,  dee  riputarsi  di  pregevole  lavoro. 
Non  entriamo  in  una  più  eslesa  dichiarazione  della 
convenienza  del  fallo  a  Mercurio  ,  e  della  intelligen- 
za ed  uso  de'  campanelli  ;  sulle  quali  cose  favellaro- 
ne  lungamente  i  dotti  Ercolanesi  nel  citato  volume 
de'  bronzi  pag.  389  e  segg.  Non  vogliamo  intanto  de- 
cidere se  il  nostro  fallico  Mercurio  fosse  messo  ad  in- 
dizio di  abbdudania  e  di  commercio  presso  una  bot- 
tega ,  ovvero  a  sconcio  richiamo  di  dissolutezza  :  il 


che  potremo  allora  soltanto  verificare  ,  quando  sarà 
eseguito  Io  scavo  di  quel  compreso  ,  alla  cui  entrata 
fu  rinvenuta  la  statuetta.  Noi  ci  attendiamo  le  più  ac- 
curate indagini  dalla  diligenza  dell'attuale  ingegnere, 
sig.  Genovese,  il  (piale  ci  fa  ricordare  i  tempi  de'  La 
Vega  per  la  cura  e  Io  zelo  che  adopera  nelle  pompe- 
Jane  scavazioni.  A  questa  diligenza  dobbiamo  l'aver 
potuto  raccogliere  due  altri  programmi,  ed  altre  no- 
tizie ,  delle  quali  diremo  in  altro  nostro  articolo.  Il 
sig.  Genovese  si  avvide  che  sopra  due  grandi  massi 
di  tufo  di  Nocera  pertinenti  allo  spazio  ove  fu  la  sta- 
tua di  Olconio  erano  tracce  di  lettere,  e  riserbandoli 
accuratamente  m'invitò  a  Hirne  lo  studio.  Lessi  so- 
pra uno 

P  •  PAQVIVM  •  D  •  I  •  D  • 
Sull'altro,  seguiva  ad  un  nome  illegibile 
FOUEXSliS  •  ROG  • 
E  la  prima  volta  che  troviamo  i  foremes  richiedere 
qualche  personaggio  alle  magistrature  in  Pompei.  É 
poi  notevole  che  si  ritrovi  una  tale  ozione  sulla  via 
appunto,  che  mena  al  Foro:  la  qnal  cosa  può  con^ 
durre  ad  altre  cousegucnze ,  delle  quali  ci  proponiamo 
tener  ragionamentr»  in  altra  occasione.  Non  vogliamo 
tralasciare  di  notare  che  i  descritti  due  massi  presen- 
tano moltiplici  strali  d' intonico,  vedendosi  ne' sotto- 
posti tracce  di  pitture  e  d'iscrizioni  :  delle  quali  dare- 
mo notizia ,  allorché  ci  riuscirà  di  rilevare  alcuna 
cosa  di  certo. 

(continua)  Minervini. 

Osservazioni  sopra  un  dipinto  pompejano. 

Magnifico  e  veramente  grandioso  è  il  disegno  di 
queir  importante  dipinto,  rappresentante  un  bacchico 
trofeo,  il  quale  fregia  tuttora  una  delle  pareti  del  fn- 
clinio  della  casa  di  Marco  Lucrezio  in  Pompei.  Ve- 
desi  esso  precisamente  nel  muro  parallelo  a  quello  , 
ov'era  rajipresenlato  Sileno  col  piccolo  B.icco  datti  in 
un  carro  di  buoi ,  e  circondati  da  allre  bacchiche 
figure. 

Il  quadro  ,  a  cui  accenniamo ,  bene  a  ragione  è 
detto  da  un  celebre  aixheolu'^o  pezzo  capitale  dell' an^ 
tica  pittura:  e  solo  è  da  dolere  clie  non  ci  sia  perve- 


—  30  — 


nulo  in  quello  sta(o  di  conservazione ,  che  sarebbe 
desiderevole  per  tulli  gli  amatori  dell'arte  antica  (1). 

Le  figure  di  questo  maraviglioso  dipinto  sono  di 
grandezza  naturale:  ed  è  osservabile  che  nell'eseguire 
questo  bellissimo  quadro,  non  si  è  fatto  uso  general- 
mente che  di  due  soli  colori,  diversificati  nelle  varie 
gradazioni  delle  loro  tinte  ;  cioè  a  dire  del  rosso  e 
dell'  azzurro  :  se  n'  eccettui  qualche  piccola  porzione 
(li  verde  adoperalo  nelle  vesti,  come  pure  ad  indicare 
Jc  foglie ,  e  principalmcnle  quelle  del  tirso. 

Celiando  un  rapido  sguardo  sulla  scena  ,  che  ci  si 
presenta ,  non  tarderemo  a  convincerci  che  si  tratta 
della  commemorazione  di  un  baccliico  trionfo. 

Vedesi  nel  mezzo  un  trofeo ,  a  pie  del  quale  è  un 
prigioniero  colle  mani  legate  dietro  al  dorso,  il  quale 
in  mesta  fisonomia  siede  sopra  alcune  armature.  Una 
figura  coronata  di  ellera  ,  e  vestila  di  lunga  tunica 
manicata  si  appressa  al  trofeo  recando  con  ambe  le 
mani  uno  scudo  fregiato  nel  giro  di  marine  onde,  per 
sospenderlo  allo  slesso.  La  segue  un  Satiro  coronato 
di  canne ,  e  con  lunghissimo  tirso ,  a  cui  è  sospesa 
una  rossa  tenia. 

Dall'  altro  lato  del  trofeo  è  allra  figura  ,  che  par 
virile ,  coronata  di  edera ,  la  quale  è  nell'alto  di  so- 

(I)  Vogliamo  alludere  al  Sig.  naoul-Roclielle,  il  quale  usa  di  quelle 
espressioni  nel  journal  des  Savans  1852  p.  296.  Sollanlo  non  pos- 
siamo trallencrci  dall'  esaminare  alcune  troppo  severe  parole ,  per  le 
quali  si  altribuisce  il  deperimento  di  questo  prezioso  dipinto  alla  negli- 
genza di  chi  lo  lasciò  sopra  luogo,  invece  di  trasportarlo  nel  real  mu- 
seo Borbonico,  e  questa  negligenza  si  appone  ad  un  uomo  la  cui  me- 
moria mi  è  cara ,  ed  6  rispettata  da  tutti  gli  ama'.ori  della  classica  an- 
tichità :  dir  voglio  al  Commendator  Francesco  Maria  Avellino.  Io  non 
disconvengo  che  sia  necessario  far  trasportare  sollecitamente  nel  rcal 
museo  Borbonico  i  dipinti  di  qualche  pregio  ,  i  quali  rimanendo  sopra 
luogo  o  presto  o  lardi  van  soggetti  alla  distrazione.  Osservo  solo  che 
nel  caso  attuale ,  il  quadro ,  di  cui  6  parola ,  poco  fu  danneggialo 
dalla  sua  primitiva  comparsa.  In  fatti  appena  qualche  mese  dopo,  il  cav. 
Panofka  descrivendo  i  diversi  quadri  di  quel  triclinio,  gii  annunziava 
che  questo  del  trofeo  era  il  più  scolorato  di  tulli  bullett.  dell'lst.  di 
corr.  arch.  1817  p.  135).  Ciò  serva  a  liberarci  dal  rimorso  di  aver  ca- 
gionalo un  notevole  danno  alla  nostra  pittura,  la  quale  ebbe  piuttosto 
a  soffrire  dalla  mano  consumatrice  de'secoli.  Del  resto,  se  Avellino  non 
fece  trasportare  in  Napoli  le  dipinte  pareti  della  casa  di  M.Lucrezio,  fu 
solo  perchè  non  n'ebbe  il  potere  per  le  circostanze  [>articolari  di  allora, 
il  libero  esercizio  dilla  sua  carica  rimase  per  alcuni  anni  sospeso:  e 
quando  poi  sul  cader  ilell'anno  1 8 19  riprese  allivamenle  le  sue  funzioni, 
non  fu  che  por  prepararsi  alla  lìcra  morie ,  la  quale  ne'  primi  giorni 
del  seguente  anno  lo  colse. 


sfenere  uno  scudo ,  sulla  cui  superficie  l'alata  Vitto-  " 
ria  segna  qualche  cosa  in  commemorazione  del  seguito 
trionfo. 

Già  varii  archeologi  parlarono  di  questo  prezioso 
dipinto.  Tulli  concordemente  pensarono  Irallarsi  di 
una  vittoria  di  Bacco,  ma  non  furono  però  conformi 
nel  determinarla.  Gli  archeologi  napoletani  opina- 
rono che  ci  si  ponesse  sotto  gli  sguardi  la  vittoria  in- 
diana di  Bacco.  (Vedi  Panofka  nel  buUclt.  dell' ht. 
arch.  1847.  pag.  184  ).  Il  cav.  Panofka,  non  senza 
toccare  la  medesima  conghiettura  ,  espose  da  prima 
la  idea  che  dovesse  il  trofeo  riportarsi  alla  conquista 
di  Spagna  fatta  da  Bacco  [bullettino  cit.  1847.  pag. 
135-s.).  Posteriormente  Io  slesso  chiarissimo  archeo- 
logo rifiutò  la  sua  precedente  opinione,  e  ravvisò  nel 
ponipejano  dipinto  la  vittoria  di  Argeo  re  di  Mace- 
donia su'Taulanlii;  per  la  quale  venne  alle  macedo- 
niche donzelle  il  nome  di  Mimalloni,  secondo  una  re- 
condita Iradiz'one  riferita  da  Polieno  [slrateg.  IV,  1). 
Il  Commendatore  Avellino,  nel  dar  la  descrizione  di 
quel  triclinio ,  riportò  tutte  le  diverse  spiegazioni , 
senza  seguirne  direttamente  alcuna  [bull.  arch.  nap. 
anno  VI.  pag.  20).  Finalmente  il  signor  Raoul-Ro- 
chelle  sostenne  brevenienle  la  medesima  spiegazione 
già  fra  noi  rilenuta  ,  vai  dire  che  quel  trofeo  sia  re- 
lativo alla  vittoria  di  Dioniso  nelle  Indie  [journal  des 
Savants  1852  p.  296  e  seg.  ). 

Prima  di  esporre  ciò  che  a  noi  sembra  di  queste 
varie  spiegazioni ,  mi  sia  lecito  di  osservare  che  in 
tutte  si  suppose  essere  una  Baccanle  la  figura  coro- 
nala di  edera,  e  vestita  di  lunga  tunica.  Molte  ragioni 
dipartir  mi  fanno  da  una  tale  idea.  Ho  esaminato  più 
volte  ncir  originale  la  maestosa  e  grave  fisonomia  di 
quella  figura  :  e  la  espressione  particolare  del  suo 
volto,  non  che  la  disposizione  de'  capelli,  che  mal 
converrebbe  ad  una  donna ,  mi  fanno  assolutamente 
pensare  trattarsi  di  una  figura  virile.  Questa  mia  per- 
suasione tanto  più  si  conferma ,  quando  si  ponga  a 
confronto  la  figura  certamente  femminile  della  Vitto- 
ria. La  diversità  della  chioma  ,  e  la  maggiore  biau- 
cliezza  della  carnagione  risaltano  troppo  al  paragone 
per  attribuir  le  due  figure  al  medesimo  sesso  :  né  è 
da  tralasciare  che  la  Vittoria  offre  l'ornameulo  degli 


—  31  — 

orecchini,  nicnlre  questo  manca  alla  creduta  Menade,  proposito  mi  piace  di  ricordare  alcune  monete  di  Nt- 
Queste  ragioni  esteriori  sono  afTorzate  da  un'  altra  caea  di  Bitinia  ,  nelle  quali  vcdosi  appunto  la  figura 
di  maggior  rilievo  ,  la  quale  mette  fondamento  nelle  di  Bacco  nel  medesimo  costume,  e  sotto  le  medesime 
leggi  della  buona  composizione.  Se  una  vittoria  volle  forme,  che  nel  quadro,  di  cui  stiamo  ragionando: 
nel  nostro  quadro  accennarsi,  potrebbe  farsi  a  meno  se  non  che  il  dio  por  si  vede  il  piede  sopra  una  testa 
della  presenza  del  vincitore,  il  quale  all'aspetto  de'  di  elefante.  Questa  parlicolurilà  fu  egregiamente  spie- 
vinti  si  goda  la  gloria  del  trionfo?  Io  noi  credo:  o  gata  dal  eh.  Cavedoni  come  allusiva  alla  fondazione 
perciò  son  di  opinione  che  quella  maestosa  figura  ,  stessa  della  cillà,  la  quale  fu  da  Bacco  medesimo  ap- 
certamente  virile,  benché  adorna  di  femminili  vesti-  pollata  A^/caca  dopo  la  indiana  villori.i  :  'Iv^ciJi''voyf>ijrà 
menta,  e  fregiata  di  bacchici  attributi,  dinoti  lo  stesso  v/xy,v ,  al  dir  di  Nonno  (  Dioniji^.  lib.  XVI  v.  403  ).  Jl 
Dioniso  inlento  a  costruire  il  trofeo  della  sua  vittoria,  poi  notevole  che  anche  in  alcuna  di  queste  monete  fu 
Non  dovrà  poi  risvegliare  per  la  novità  maraviglia  la  figura  di  Bacco  creduta  femminile;  ed  è  dovuto  al 
una  figura  di  Dioniso  in  lunga  veste  :  frequenti  ne  sono  citato  numismatico  di  Modena  l'averne  rettificata  l'at- 
gli  esempli  segnatamente  sui  vasi  dipinti;  e  non  ci  tribuzione:  (Vedi  un  dotto  articolo  del  Cavedoni  negli 
fermiamo  a  citarli.  Richiamo  finalmente  l'attenzione  annali  di  numismalica  del  eh.  Fiorelli  voi.  I  p.  86  e 
sopra  un'altra  particolarità,  che  sempre  più  mi  per-  seg.  e  la  tav.  Ili  fìg.  9  ).  É  poi  noto  che  nella  mede- 
suade  a  farmi  ritenere  per  Bacco  la  pretesa  Menade:  sima  pompej:ina  casa  di  M.  Lucrezio  comparve  un 
ed  è  che  il  tirso  sostenuto  dal  Satiro,  per  la  sua  spro-  altro  dipinto  ritraente  una  figura  di  Bacco  somiglian- 
porzionata  grandezza  mostra  non  essere  appartenente  tissima  a  quelle  delle  monete  di  Nicea,  colle  quali  il 
a  quella  meno  elevata  figura  :  deve  dunque  dineces-  eh.  Avellino  ne  fece  dipoi  il  paragone  [hidletl.  arch. 
sita  attribuirsi  quel  simbolo  al  maestoso  personaggio,  nap.  an.  VI  p.  7  e  17).  Seinbraci  degno  di  osserva- 
a  cui  il  Satiro  fa  quasi  da  ministro.  Non  possiamo  per-  zione  che  nel  quadro  del  trofeo  ad  indicare  il  seguito 
ciò  supporre  che  si  tratti  di  una  semplice  Menade  ,  trionfo  vedesi  invece  della  elefantina  testa  la  Vittoria 
ma  di  fatti  dovremo  ravvisare  lo  stesso  Dioniso,  ser-  stessa ,  la  quale  può  fare  allusione  al  nome  di  Nicea. 
vito  da  uno  della  schiera  de  suoi  seguaci.  Che  se  il  possessore  della  pompejana  casa  volle  al- 
Per  mettere  fuor  di  dubbio  questa  nostra  attribu-  trove  effigiare  un  Bacco,  che  comparisce  unicamente 
zione  aggiungiamo  un'ultima  considerazione.  Lapre-  come  tipo  della  città  di  Nicea,  potrà  desumersene  un 
tesa  Baccante  è  di  statura  alquanto  più  grande,  messa  argomento  per  supporre  relazioni  di  carica  o  di  com- 
a  confronto  con  tutte  le  altre  figure  che  la  circonda-  mercio  con  quella  regione:  per  lo  che  poteva  Lucre- 
DO.  Questa  sproporzionata  grandezza  tanto  più  con-  zio  compiacersi  di  figurare  sopra  una  delle  pareti  della 
venir  non  potrebbe  ad  una  donna,  quando  altro  non  sua  casa  la  fondazione  di  quella  stessa  città.  Il  eh.  Pa- 
fosse  che  una  mortale:  ma  se  in  quel  personaggio  nofka  trova  difficoltà  a  credere  rappresentata  l'indiana 
ravviseremo  un  dio,  sparisce  qualunque  difficoltà  ;  vittoria,  osservando  che  nelle  armi  do' vinti  non  com- 
essendo  cominie  canone  dell'arte  antica  di  effigiare  parisce  alcuno  indizio  d'indiani  costumi.  Questa  osser- 
di  più  vantaggiose  proporzioni  le  figure  divine.  vazione  ha  per  me  poco  appoggio  ;  perciocché  potò 
Ritenuta  dunque  indubitata  la  presenza  di  Bacco  l'antico  artista,  nel  formare  il  trofeo,  costituirlo  di 
nel  pompejano  dipinto,  cade  di  per  se  la  seconda  quelle  armi,  che  più  frequentemente  presentavansi ai 
spiegazione  del  Panofka,  contro  la  quale  altre  difficoltà  suoi  sguardi.  É  poi  noto  che  nello  miliche  pugne,  sì 
furono  da  altri  elevate.  Traile  vittorie  di  Bacco  io  credo  nelle  relazioni  de'  poeti  che  negli  antichi  monumenti, 
pure  debba  prescegliersi  quella  indiana,  dopo  lepre-  non  è  raro  scorgere  adoperate  da  popoli  barbari  le 
messe  osservazioni.  A  ciò  m'induce  l'asiatico  vesti-  medesime  armi  otTensivc  e  difensive,  che  furono  in 
mento  del  nume,  e  la  sua  lunga  bassaride,  la  quale  uso  appo  i  Greci.  E  nel  caso  presente  una  più  certa 
particolarmente  conviene  all'  indico  Dioniso.  Ed  a  tal  determinazione  de'  vinti  era  pure  inutile,  quando  erasi 


—  32- 


fanto  bene  distinta  colle  forme  dell'  indico  Bacco  la 
fijj'ura  del  Aincilore. 

In  maggiore  sostegno  della  premessa  spiegazione 
mi  pai-  che  venga  un  cognome  di  Bacco ,  dir  voglio 
quello  di  tìpi'x,uj2os  (TriumphusJ:  giacché  se  ne  attri- 
buisce la  origine  alle  spoglie  recale  da  Dioniso  dopo 
l'indiana  spedizione  (Diod.  Sic.  lib.  IV  cap.  V).  Sic- 
ché un  trofeo  formato  dallo  stesso  Bacco  non  può  ri- 
ferirsi che  alle  medesime  gloriose  imprese  ,  per  le 
quali  si  disse  introdotto  il  primo  uso  del  trionfo  colle 
spoglie  de'  vinti  nemici. 

Tutte  queste  ragioni  mi  fanno  credere  meno  pro- 
babile una  coughiellura ,  che  mi  era  sovvenuti  alla 
mente,  per  rimuovere  la  difllcollà  messa  innanzi  dal 
eh.  Panofka. 

Io  aveva  pensato  alla  vittoria  di  Bacco  su'  domi- 
natori delle  Beotiche  città,  ed  alla  fondazione  di  Eleu- 
tcre:  (Diod.  Sic.  lib.  IV  cap.  II  exir.  Vedi  ciò  che 
scrive  il  dottissimo  Lobeckh  Aglaophamus  p.  661  ed 
il  Bolle  redi,  sur  le  culle  de  Bacchus  tom.  Ili  p.  280 
e  segg.  e  331  e  segg.  ).  Ma  queste  tradizioni  messe 
in  rapporto  del  pompeiano  dipinto  non  trovano  quella 
spontanea  applicazione ,  che  si  richiede  per  abbrac- 
ciare un'  archeologica  conghiettura. 

Resterò  dunque  nella  idea  che  il  soggetto  sia  allu- 
sivo alla  indiana  vittoria  di  Bacco,  e  forse  ancora  alla 
fondazione  di  Nicea. 

Mi  riserbo  di  presentare  piiì  estese  ricerche  in  altro 
mio  lavoro  ;  perciocché  la  brevità  è  essenzialmente 
richiesta  nella  presente  pubblicazione.       Minervini. 

Notizia  di  alcune  iscrizioni  messapiche. 

Debbo  alla  gentilezza  del  mio  egregio  amico  sig. 
Ciro  Moscbitli  (i)  la  notizia  di  alcune  iscrizioni  mes- 

(i)  n  sig.  Meschini  è  autore  di  im  volgarizzamenlo  delle  istorie 
romane  ài  B.  G.  Nicbuhr ,  fallo  sulla  iraduzione  fianccse  del  sig. 
Golbéry  ed  impresso  in  Napoli  in  ire  volumi  in  8.  pe' tipi  di  Gae- 
tano Nobile  18t6  segg.  Noi  raccomandiamo  a' leiiori  del  6ul(c/<»?io 
r  acquisto  di  (juesla  versione,  nella  quale,  oltre  alcune  noie  del  tra- 
duttore, vedesi  pure  una  caria  della  Ilalìa  antica,  la  quale  nelle  e- 
dizioni  tedesca  e  francese  manca\  a ,  mentre  si  rende  utUissinii»  per 
I  a  intelligenza  della  prima  parte  dell'  opera. 


sapiche  ,  le  quali  ora  più  non  esistono  ,  ma  si  leggo- 
no in  un  antico  manoscritto  nella  casa  di  D.  Vittorio 
Ptioli  di  Lecce.  Non  sono  in  esso  riconosciute  per  e- 
pigraQ  messapiche ,  ma  lo  scrittore  D.  Scipione  de 
Blonti  annunzia  averle  ritrovate  su  di  un  antico  muro 
della  città  di  Lecce.         Sono  esse  le  seguenti: 

1)  AOKIIII  KOIII  HArARATl 

2)  TAKRATAKRnnAIKI 

3]     OIKOROIHI  RiriAS  M()R.')AS 

È  risaputo  che  finora  una  sola  iscrizione  di  Lecce 
era  conosciuta,  la  quale  pur  da  un  antico  manoscritto 
trovasi  pubblicata  dal  Mommsen  (  Unleril.  Dial.  pag. 
59.  Taf.  IV).  È  importante  adunque  il  vedere  arric- 
chita quella  medesima  località  di  tre  altre  iscrizioni. 
Leggiamo  la  prima  dividendo  le  parole  in  tal  guisa: 
Azxi]rt  Kch  haTrapotr; ,  ovvero 
Aoxi\'i  KoH  l-ayctpaT/ 
giacché  rimane  per  noi  dubbioso,  se  il  terzo  elemento 
della  terza  voce  deggia  riputarsi  un  F  ovvero  un  P. 

Nessuna  di  queste  voci  incontra  il  paragone  in  al- 
tre messapiche  iscrizioni  ;  giacché  il  Kol-i  non  è  da 
confrontare  affatto  col  K>.&1-;  della  iscrizione  di  Vaste: 
osservo  solo  che  quella  specie  di  digamma  premesso 
alla  parola  hayapoiT/  non  è  nuovo  nella  ortografia  dì 
quel  dialetto  ;  siccome  ci  venne  fatto  di  osservare  nel 
primo  anno  di  questo  bullellino  pag.  108. 

La  seconda  iscrizione  sembra  poco  esattamente  ri- 
copiata ,  e  non  sapremmo  in  qual  modo  divider  si 
debbano  i  vocaboli ,  che  la  compongono. 

Forse  potremmo  supporre  che  la  decima  lettera  fos- 
se un  IH  ;  nel  qual  caso  si  leggerebbe  la  iscrizione 
Ta.xpa,  To-xpi}-!  "ttchixi 

In  questa  seconda  iscrizione ,  come  nella  terza , 
neppure  abbiamo  il  confionlo  di  parole  simili  nelle 
poche  iscrizioni  messapiche  finora  conosciute.  La  terza 
dice  così  Oiy.opot\-t  piyias  fx-opoas 

Non  abbiamo  ancora  elementi  bastevoli  di  confronto 
per  venire  a  probabili  conclusioni  sulla  intelligenza 
di  queste  novelle  epigrafi  di  Lecce.  Saremo  perciò 
contenti  di  riportarle,  rimandandone  a  miglior  tempo 
la  conghietturale  interpretazione.  Minervini. 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.o. 
Giulio  Mi.nekvi.m  —  Editori, 


Tipografia  di  Giuseppe  Catàkeo. 


BtllETTIKO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITAÌVO. 


NUOVA    SERIE 


iV.«  29.     (5.  deir  anno  II.) 


Settembre  1853. 


Bollo  consolare.  —  Sugli  avanzi  di  antiche  costruzioni  orizonlali  e  poligone ,  che  sono  sottoposte  alla  chiesa 
Cattedrale  di  Ferentino. — Scrizioni  latine. 


Bollo  consolare. 

Il  sig.  Felice  Marlclli  trovò  agli  SfafToli ,  paese  dui 
Cicolano  posto  fra  Capradosso  1'  antica  Clileinia  ,  e 
Fianiignano  un  Bollo  di  tegolo  con  questa  leggenda 
circolare 


\  p 

'^. 

cos 

D  I 


che  nel  mio  recente  viaggio  ofieniii  di  copiare  dalla 
gentilezza  dei  coltissimi  figli  di  lui.  La  mia  divinazione 
fu  ì'ICulina  (sic)  SOSJcniana  ^ìarciTErcnlii Orici  tis 
VRÌYcrniana.  PAKTo  COSule  (l),che  trasmisi  al  eli. 
sig.  Conte  Borgliesi,  dui  (juale  ricevo  la  illustrazione, 
clic  io  qui  sottopongo  ,  a  comune  vantaggio. 

)i  Ella  mi  era  ignota,  ma  £c  fu  rinvenuta  nel  Cico- 
lano (  intendo  nel  territorio  di  Cicoli  nell'  Abruzzo 
ulteriore  )  spetterà  ad  un  paese  dell'antica  Sabina,  e 
jiiù  lardi  della  Valeria  ,  non  molto  lontano  per  con- 
seguenza da  Roma,  onde  potremo  giovarci  degli  esem- 
pi moltiplici,  che  ci  offrono  i  bolli  Romani.  Convengo 
pertanto  con  lei ,  che  il  FIC  o  FIG  SOST  indichi  il 
nome  della  fornace  da  cui  deri\i ,  ch'Ella  su|)plisce 
Fltiulina  SOSteniana.eSOSTENiiS  difalti  fu  un  co- 
gnome libertino,  siccome  ci  mostra  ilTAVHlSCVS  • 

(1)  La  linea  dio  è  davanti  a  PRIF  non  ha  vcrun    ratio  orlzon- 
lale ,  ed  è  aliiuanio  curva ,  onde  io  la  tenni  per  imo  dei  segni  so- 
lili inconliais'  nelle  ligurne. 
AXKO   11. 


SOSTENIS- GERMANICI  CAESARIS  Liberti SER- 

VOS  del  Muratori  p.  922.  42.  Qualcuno  potrà  forse 
osservare,  che  i  nomi  delle  figuline  piuttosto  che  da 
un  cognome  provengono  per  l'ordinario  da  un  gen- 
tilizio ,  ma  poco  fastidio  per  ciò  ci  prenderemo  po- 
tendo facilmente  sostituirsi  la  gente  Soslenia  cognita 
per  un'altra  lapide  dello  slesso  Muratori  17'i7.  Ij. 
Convengo  pure  che  nelle  tre  sigle  susseguenti  M ''E  O 
stiano  nascosti  i  nomi  del  fiondo ,  o  del  proprietario 
della  fornace,  per  esempio  Maici  TEienlii  Onesimi, 
fre<juenle  essendo  di  vederli  cosi  compendiali  in  al- 
tre terre  colle.  Tutto  il  resto  appartiene  per  me  al 
consolalo  che  ne  segna  la  data.  La  successiva  iniziale 
astata,  ch'Ella  m'indicò  come  non  ben  determinala  , 
dovrebbe  essere  un  T,  ossia  il  prenome  di  Tito  Pri— 
fcrnio  Peto  console  sufTelto,  che  quantunque  non  re- 
gistralo nei  fasti ,  non  è  tutlavolla  sconosciuto.  Am- 
metlo  anch'io  che  questa  ca=a  abbia  desunta  la  sua 
denominazione  dell'  antica  città  di  Prifernum  notata 
v.'A\n  tavola  Peulingeriana  come  distante  dodici  miglia 
da  Aniiterno.  Due  Senatori  di  questa  famiglia  sono 
ricordali  fra  i  molli  Patroni  di  certi  Corporali ,  pro- 
babilmente i  Lenuncularii  Ostiensi ,  dei  quali  ci  ha 
serbalo  l'elenco  una  gran  tavola  dell'anno  893  presso 
il  Grntero  p.  126.  L'uno  è  il  padre  che  per  la  sua 
anzianità  vi  è  segnalo  pel  primo,  e  che  si  appella  T  • 
PRIFERNIVS  •  SEX  •  FIL  •  PAETVS  •  ROSLV WS  • 
GEMINVS,  di  cui  torna  la  ricordanza  in  tm'  altra  ta- 
vola del  905  (Grut.  1077.  1).  L'altro  è  il  figlio  che 
vi  è  detto  parimenti  T  •  PRIFERNIVS  -TE-  PAE- 
TVS .  ROSIANVS  .  GEMINVS  •  Filim  ,  di  cui  pure 
si  ba  nuova  memoria,  coli'  aggiimla  della  tribii  Qui- 
rina  frequentissima  ad  Amiieruo ,  in  un  frammento 


—  34- 


di  anno  incerto ,  ma  però  dell'impero  di  Antonino  Pio, 
riferito  dal  Doni  ci.  IX.  n.  6,  e  che  io  vidi  in  Roma 
molti  anni  sono  presso  il  Vescovali.  Non  dubito  cte 
il  primo  sia  il  Rosianus  Gemìnus  Quaestore  di  Plinio 
nel  suo  consolato  dell'  833 ,  da  cui  viene  raccoman- 
dalo a  Traiano  coll'epistola  16  del  libro  X.  Né  osta 
se  per  tal  modo  nel 903  avrà  avuto  l'età  di  77  anni, 
perchè  a  quel  tempo  doveva  essere  molto  vecchio  , 
se  lino  dall'  893  aveva  già  un  figlio  per  lo  meno  in 
età  senatoria.  Quindi  non  saprei  decidere  a  quale  dei 
due  spetti  il  rescritto  di  Adriano  a  Rosiano  Gemino 
memoralo  da  Papiniano  nel  Digesto  L.  48.  5.  6.  Mag- 
giori notizie  si  hanno  del  secondo  in  grazia  di  una  la- 
pide del  suo  genero  Paclumeio  Clemente,  scoperta  a 
Gostantina  nella  Numidia  fino  dal  1841  ,  di  cui  in 
Roma  si  ebbe  subito  copia,  e  ch'è  poi  slata  pubblica- 
ta più  tardi  ne\[' Exploration  de  l' Algerie  ta\ .  133. 
2.  Qui  la  trascrivo  per  risparmiarle  l'incommodo  di 
ricercarla. 

P  •  PAGTVMEIO  /^  P  £^  F 

QViR  0  CLEMENTI 

X  VIRVM     STLITIBVS  •  IVDIGAND 

QVAEST  •  LEG  •  ROSIANI  ■  GEMINI 

SOCERI  •  SVI  •  PROCOS  •  IN  ACHAIA 

TRIB  •  PEEC  •  FETIALI  •  LEGATO  •  DIVI 

HADRIANI  .  ATHENIS  •  THESPIIS 

PLATEIS  •  ITEM  •  IN  THESSALIA 

PRAETORI  •  VRBANO  •  LEGATO 

DIVI  HADRIANI  .  AD  RATIONES 

CI  VITATI  VM  •  SYRIAE  •  PVTANDAS 

LEGATO  •  EIVSDEM  •  IN  CIUCIA 

CONSVLI  •  LEGATO  IN  CILICIA 

IMP  •  ANTONINI  •  AVG  •  LEG  •  ROSIANI 

GEMINI  •  PROCOS     IN  AFRICA 

PATRONO  •  i/auntaNIARViM 
D    D  P  •  P 

Non  può  dubitarsi  che  questo  Proconsole  dell'Afri- 
ca sia  il  figlio  Rosiano  pel  confronto  di  una  base  tro- 
vata in  un  cimitero  cristiano  di  Roma,  e  riportata  dal 
Marangoni  negli  Atti  di  S.  Vittorino  p.  130,  dal  Mu- 


ratori p.  2026.  5,  e  dal  Marini  Arv.  p.  799  che  at- 
Iribuivala  a  G.  Ducenio  Gemino ,  in  cui  dicesi  Titi 
Filius 

T  '  PrlfeimO  •  T  .  F 

Quir  .  Paelo  •  i?oSIANO  •  GEMINO 

Cos  •  Leg  •  Aug  •  /'ROCOS 

Prov  '  ^FRICAE 

CEIVS 

INVS 

ENTI 

Farà  meraviglia  a  taluno  come  costoro  piuttosto 
che  Priferni  Peli  si  chiamassero  più  volgarmente 
Rosiani  Gemini ,  ma  parmi  che  la  ragione  ce  ne  sia 
resa  dalla  finale  di  uno  di  questi  nomi ,  per  cui  sia 
lecito  di  supporre  che  il  padre  nato  da  un  Sesto  Ro- 
sio  Gemino  fosse  adottato  da  un  T.  Prifernio  Peto  , 
e  per  tal  modo  addivenisse  T.  Prifernio  Pelo  Rosiano 
Gemino.  La  rarità,  o  piuttosto  la  singolarità  di  que- 
sto gentilizio,  la  corrispondenza  dei  tempi,  e  la  vici- 
nanza dei  luoghi  mi  danno  argomento  di  credere  che 
r adottante  sia  nominato  in  quest'altra  iscrizione, 
che  io  ho  più  correttamente  dalle  Schede  dell'  Ama- 
duzzi,  il  quale  la  vide  sulla  facciata  della  casa  dei  si- 
gnori Solidali  a  Conligliano  vicino  a  Rieti,  che  si  re- 
puta r  antica  Cutilia. 

T  •  PRIFERNIO 

P  •  F  •  QVI  •  PAETO 

MEMMIO  •  APOLLINARI 

mi  •  iVR  •  Die  •  QVINQ  •  MAG  •  IV 

PRAEF  •  con  •  III  •  BREVC  •  TRIB  •  LEG  •  X 

GEM  •  PRAEF  •  ALAE  •  I  •  ASTVRVM  .  DONIS 

DONATO  •  EXPED  •  DAC  •  AB  •  IMP 

TRAIANO  •  BASTA  •  PVRA  •  VEXILLO 

CORONA  •  MVRALI  •  PROC  •  PROVINC  • 

SICIL  •  PROC  •  PROV  •  LVSITAN 

PROC  •  XX  HER  •  PROC  •  PROV  •  TiRAC 

PROC  •  PROV  •  NORICAE 

P  •  MEMMIVS  •  P  •  F  •  QVI 

APOLLINARIS 

PATRI  •  PIISSIMO 


—  35  - 


È  evidente  dai  nomi  del  fi-lioPMEMMIVSPublii  Fi- 
lius  che  anche  il  genitore  si  chiamò  realmente  P.IMeni- 
inio  Apollinare,  onde  resta  che  il  T-  PRIFEKNIVS* 
PAETVS  gli  sia  provenuto  dalla  famiglia  della  madre. 
Posto  tutto  ciò,  è  ora  conosciuto  generalmente,  ed  io 
ne  ho  recalo  esempi  altre  volle,  che  in  simili  casi  molti 
adottati  seguitarono  ad  essere  più  comunemente  chia- 
mati cogli  antichi  loro  nomi  natalizi,  mentre  negli  adi 
solenni  come  sarebbero  i  fasti  consolari  do\eltero  u- 
sare  i  nomi  legali  ch'erano  quelli  dell'adottante.  Ma  se 
il  secondo  Rosiano  fu  Proconsule  deli' Africa  sarà  cer- 
tissimo, ch'egli  deve  aver  occupato  precedenlcmenle  il 
seggio  consolare,  ed  anzi  dalla  lapide  di  Costantinase 
ne  viene  a  conoscere  presso  a  poco  il  tempo.  Da  essa 
apparisce  che  Paclumeio  era  Legato  di  Adriano  nella 
Cilicia,  quando  anch' egli  fu  promosso  al  consolato, 
scaduto  dal  quale  tornò  nella  stessa  Cilicia  a  compie- 
re la  sua  legazione  sotto  Antonino,  dopo  di  che  segui 
il  suocero  come  suo  Legato  nell'  Africa.  Da  ciò  si 
comprenderebbe  abbastanza,  ch'egli  deve  avere  avuto 
i  fasci  o  sull'estremo  dell'impero  del  primo,  o  sul 
primo  principio  di  quello  del  successore,  ancorché  il 
diploma  del  Vespremio  (  Cardinali  Dipi.  XVII  )  non 
ce  ne  avesse  dato  l'anno  preciso,  insegnandoci  che  in 
compagnia  di  M.  Vindio  Vero  egli  li  amministrava 
XVI  •  K  •  IVL  della  TR  ■  POT  •  XXII  di  Adriano, 
cioè  l'anno  891  negli  ultimi  giorni  di  quell'Imperatore 
morto  |X)co  dopo  ai  10  di  luglio.  Chi  ha  preteso  di 
correggere  quella  data  cambiandola  in  XVII  o  in  XXI 
per  la  falsa  ragione  che  Adriano  non  toccò  la  XXII 
podestà,  non  ha  conosciuta  la  nuova  maniera  di  con- 
tarle introdotta  da  quel  principe ,  e  seguita  dai  suc- 
cessori, manifestata  dalle  nuove  scoperte  come  ho  ri- 
petutamente avvertito,  ed  è  stato  ultimamente  smen- 
tilo dal  Cav.de' Rossi  (Prime  raccolte  di  antiche  iscri- 
zioni n.  33) ,  provando  che  indarno  si  è  voluto  sol- 
lecitare la  lezione  TRIB.  POT.  XXII  anche  nella  sua 
iscrizione  sepolcrale  all'ingresso  della  mole  Adriana. 
Da  quest'ordine  delle  sue  cariche  ne  consegue  ,  che 
Pactumeio  può  tutto  al  più  aver  tardalo  ancora  tre 
anni  dopo  i  fasci  a  recarsi  nell'  Africa ,  il  che  porte- 
rebbe il  proconsolato  di  Rosiano  all'^Oi.  Dati  adun- 
que i  soliti  dodici  0  tredici  anni  d'intervallo  fra  la 


provincia  e  il  consolato  ne  viene ,  che  questi  deve 
averlo  conseguito  circa  l'SSI,  poco  più,  poco  meno. 
E  questa  età  è  veramente  oppnriunissima  per  essere 
assegnala  al  nostro  bollo ,  perch;";  fu  veramente  sotto 
Adriano  che  si  diUuse  il  cosluine  di  segnare  sulle  fi- 
guline la  data  dell'anno.  Del  resto  non  è  nuovo  di  ve- 
der comparire  in  esse  anche  i  sufTetti,  e  molto  meno 
di  trovarvi  citato  un  console  solo ,  ed  anzi  se  questa 
tegola  fu  fabbricata  sui  confini  della  Sabina  ,  e  se  la 
famiglia  di  Prifernio  fu  di  quei  luoghi,  si  troverà  fa- 
cilmente il  motivo ,  per  cui  si  preferisse  di  marcarla 
col  consolato  di  un  compatriolta.  »  Borghesi. 

GAnRCCCi. 


Sugli  avanzi  di  auliche  coslruzioni  orizonlaìi  e  poli- 
gone ,  che  sono  sottoposte  alla  chiesa  Cattedrale  di 
Ferentino. 

L' articolo  del  cav.  Bunsen  «  Antichi  Stabilimenti 
italici»  Ann.  Instit.  T.  VI,  99-145  merita  di  essere 
rivocato  ad  esame  in  parecchi  punti:  io  toglierò  a  di- 
sputare un  passo,  acni  non  diede  equivalente  risposta 
il  Petit-Radel  ivi  p.  330  provocato  da  lui.  Comince- 
rò dal  riferire  le  parole  del  Bunsen  come  le  espone  il 
lodalo  Pelil-Radel.  «Porla  Ferenti  no  testimonio  chiaro 
avervi  fabbricato  i  Romani  nel  tempo  della  republica 
un  muro  poligono ,  che  finisce  in  quadrato  dai  fon- 
damenti, e  non  diverso  dagli  altri  saggi  di  mura  che 
ivi  si  scorgono.  Da  questo  fatto  sono  lontano  di  voler 
dedurre  essere  di  questo  tempo  le  mura  intere  di  Fe- 
rentino ,  ma  solamente  avere  i  Romani ,  anche  in 
tempi  assai  posteriori ,  adottato  in  quei  paesi  siffatlo 
sistema  di  fabbricare  laddove  si  trattava  di  reggere  UQ 
terrapieno.  »  A  questo  fatto  delle  mura  di  Ferentino, 
che  suol  essere  un  Achille  ancor  oggi  risponde  il  Pe- 
tit-Radel, concedendo  al  Bunsen,  che  il  muro  del  ba- 
stione ove  è  scolpila  l'iscrizione  di  M.  LoUio  ed  A. 
Irzio  è  realmente  romano,  non  essendo  affatto  veruna 
parie  di  esso  lavorata  a  stile  detto  ciclopico  (p.  352, 
353).  La  qua!  risposta  non  parmi  nò  adequala  nò  vera. 
Perocché  r  iscrizione  è  ripetuta  su  due  fianchi;  e  certo 


—  Be- 


ai Iato  occidentale  il  muro  sottoposto  alla  costruzione 
romana  non  ha  disposizione  di  pietre  presso  che  per- 
fettamente orizontali  siccome  veggonsi  nel  lato  meri- 
dionale, ma  di  stile  onninamente  a  poligoni  irregolari. 
Inoltre  in  quella  stessa  faccia  ,  ove  il  muro  romano 
pianta  su  questa  pietra  di  struttura  quasi  orizontale  , 
non  mancano  avanzi  di  ciclopico  a  questa  sottoposti , 
onde  risulta  ,  che  la  costruzione  orizontale  è  una  ri- 
fazione di  tempo  diverso.  Né  questo  è  l' unico  esem- 
pio ,  «  fra  quei  che  ne  potrei  citare  piacemi  scegliere 
il  muro  ciclopico  di  Agnoue  che  ho  recentemente  e- 
saminato  coi  coltissimi  signori  Cremonese,  ove  si  ri- 


conosce una  rifazione  posteriore  di  una  parte  di  esso, 
ricostrutta  appunto  suU'  andamento  orizontale,  sicco- 
me in  quello  di  Ferentino. 

Veniamo  ora  alla  iscrizione,  la  quale  se  ben  si  esa- 
mini ,  scioglie  la  quistione  in  una  maniera  onnina- 
mente decisiva.  Perocché  Aulo  Irzio,  e  Marco  Lollio 
dicono  in  essa  di  aver  alzalo  il  fondamento ,  le  mura 
e  le  volte  della  fabbrica  esistente  tuttora.  Questa  leg- 
genda è  incisa  a  bei  caratteri  in  una  fascia  che  corre 
siri  due  vasti  lati  dell'  intero  recinto.  Da  l' un  fianco 
è  scritto  in  una  sola  linea  così  : 


AHiriTìVSÀ  r  M  LOLLIVS  CF  CES  FVNDAMENTAMVROSQVEAFSOLO  FACIVNDA  •  COERA- 
VER  •  EIDEMQVE  •  PROBAVERE  IN  TERRAMFVNDAMEXTVMESTPEDESALTVMXXXIII  IN- 
TERRAM  AD  •  IDEM  •  EXEMPLVM  •  QVOD  •  SVPRA  •  TERRAM  •  SILICI  (I) 

leggesi  dall'  altro  fianco  : 

AHIRTIVSAF-MLOLLIVSCFCES  FVNDAMENTAMVROSQVEAFSOLO  FACIVNDA  COERA- 
VERE  EIDEMQVE  PROBAVEREINTERRAMFVNDAMENTVMESTPEDESALTVMXXXIIIIN 
TERRAMADIDEMEXEMPLVMQVODSVPRA  TERRA-  •  -(qui  è  stata  aperta  una  finestra  ad  arco, 

che  ne  ha  tolto  l'ultima  lettera  M). 

Inoltre  sull'  architrave  di  una  porta  ,  che  intromette  nell'  ìmbasamento  ,  si  legge  : 

M  •  LOLLIVS  •  C  •  F  •  A  •  HIRTIVS  •  A  •  F  •  FVNDA 
FACIVNDA  COERAVERVNTEIDEMQVEPROBA  VERE  (2) 

e  sull'architrave  di  altra  porta,  ma  interna,  e  a  destra  della  precedente 

A  •  HIRTIVS  •  A  •  F  •  M  •  LOLLIVS  •  C  •  F  ■  CES  •  FVNDAMEI^Ta 
FORNICES  •  FACIVNDA  •  COERAVERE  •  EIDEMQVE 
PROBAVERE  (3) 

Per  non  errare  coi  precedenti  tenni  necessario  pren-     epigrafe  costruiti  dai  censori  Irzio  e  Lollio.  Questo 
der  le  misure  dei  Irentalre  piedi  che  diconsi  nella     scandaglio  dovea  giovare  ad  escludere  la  porzione  dì 


(1)  Apiano  p.  CLIX,  Gml.  CLXV,  3  ex  libro  quodani  ms.  ante 
annos  70,  ivi  dallo  Smel.  Candidi-Dioiiigi,  Viaggi  pel  Lazio,  p.  li. 
Kunsen  ,  aunali  dull'  Insiit.  voi.  VI.  p.  14i.  Il  pi-imo  nome  manca  allo 
Smcl,  alla  Dionigi,  ed  al  Uiinsen ,  non  però  alla  mia  copia.  HIR- 
CIVS  ms  E  .SOLO  Smel,  Dionigi.  AE  Buns.  COER.VVE  Buns.  EI- 
DlCMl}-  ms.  .Smel.  INTEKKa  ms.  EST  SCILICET  ms.  indi  il  Fuila- 
netlo  nel  Lessico  v.  funUamentum,  e  gli  Ercol.  nel  fascicolo  1.  del 
Tempio  d'Iside,  p.  i3,  ai  quali  pare  non  sia  venula  in  mano  la  edi- 
/i  medella  Dionigi,  né  del  Bimsen.  Il  eh.  de  Rossi  porla  opinione, 
cbe  dall'  apografo  del  Poggio  si  propagasse  poi  nelle  copie  niaiio- 


scrille  il  nome  del  primo  Censore,  tollocchè  mal  Ielle  HIPPIVS, 
ma  ai  Icnipi  del  Gruferò  invisibile  ;  ora  per  altro  è  ancor  leggibile, 
siccome  anche  prima  di  me  lo  ha  provato  l'edizione  litografica  delle 
Iscr.  di  Ferenliiio  dedicala  alla  sanlilà  di  Gregorio  XVI.  p.  V. 

(2)  Amadiizzi  Auccd.  Liner,  voi.  II.  466  n.  !■{.  Il  Bunsen  a  p. 
ìil  del  voi  VI.  Annali  dell' In.stit.  a  iscrizione ,  credo ,  non  ancora 
pubblicala  ». 

(3)  Grut.  CLXVII ,  1  ex  sch.  Ursini,  che  dividono  male  le  righe 
1.  FV.NDAMENTA  2.  FOIINICIS  Grut.  ET  ■  KORiNlCES  Buns.  COE- 
RAVEUV  •■■  Buns.  EIDEMQ.  Crul, 


—  37  — 


muro  di  coslruzione  diversa.  Trovai  adunque  l' al- 
tezza totale  del  muro  di  palmi  62  ed  once  sette  di 
misura  napolilana  decimale.  Cliiaramcnle  appariva 
che  non  fu  tutta  questa  parete  alzata  dai  censori  Ir- 
zio  e  Lollio,  perocché  essi  determinavano  il  loro  la- 
voro a  33  piedi  romani ,  e  i  treulatre  piedi  romani 
antichi,  secondo  i  migliori  calcoli  che  si  possono  isti- 
tuire sul  più  sicuro  campione  di  antico  piede  romano 
proposto  recentemente  dal  marchese  Marini,  danno 
trentasei  palmi  napolitani  decimali  ed  once  tre,  e  vuol 
dire,  elle  il  piede  romano  antico  esattamente  corri- 
sponde alle  undici  once  di  misura  napolitana.  Era 
dunque  forza  che  dai  sessaiitadue  palmi  napolitani  ed 
once  sette ,  che  avrebhero  dato  piedi  antichi  romani 
cinquantasette),  se  ne  sottraessero  2'(,  per  avere  quei 
Ireutatre  piedi ,  di  che  parlava  l' iscrizione.  Avendo 
ciò  fatto ,  e  calala  una  corda  di  treulatre  piedi  ro- 
mam' ,  a  conlare  dalla  iscrizione  in  giù  ,  il  piombino 
die  appunto  su  quella  paiie  del  muro  ,  ove  finiva  la 
costruzione  a  grossi  parallelepipedi,  e  cominciava  l'al- 
tra a  piccole  pietre  di  taglio  quadrato,  che  era  l'o- 
pera de* Censori.  Tale  esperienza  di  fatti,  che  faceva 
tacere  i  parliti,  ne  guidava  naturalmente  a  determinare 
in  qual  senso  si  fosse  scritto  dai  Censori  FVNDA- 
MENTA  MVROSQVE  ,  e  poi  FVNDAMENTVM 
EST.  PEDES.  ALTVMXXXllI.  Perocché  leggendosi 
in  queste  prime  iscrizioni,  ed  ancora  nelle  due  sovrap- 
poste alle  due  porle  l'interna  ,  e  l'esterna,  lo  slesso 
plurale  FVNDAMENTA,  deve  conchiudersi,  che  tulio 
r  imbasamenlo  con  questa  voce  fu  indicalo  ,  e  per  lo 
contrario  ,  che  la  voce  FVNDAMENTVM  con  la  de- 
terminazione dei  33  piedi  non  riguardi  se  non  1'  unico 
lato  meridionale ,  scandaglialo  da  me.  Non  temo  poi 
veruna  opposizione  dalla  leggenda  medesima  ripetuta 
sul  fianco  occidentale  col  medesimo  numero  di  piedi, 
sebbene  ivi  l' imbasamenlo  di  coslruzione  censoria  so- 
vrapposto a'poligoni  sia  di  pochi  palmi  soltanto;  peroc- 
ché è  evidente,  che  fu  riportala  l'iscrizione  anche 
su  questo  lato  per  renderla  presente  a  coloro  che  di 
qua  salivano,  mentre  la  parte  opposta  reslava  troppo 
in  alto,  e  forse  anche  in  sito  non  frequentato.  Nei  due 
architravi  si  ricordano  ancora  i  FORNICES  ,  ossia 
le  volte  degli  archi  tuttora  esistenti,  che  occorrevano 


a  livellare  il  piano  superiore,  il  quale  volendosi  avere 
su  di  un'alta  cima  in  scosceso  declivio  aveva  richiesto 
l'opera  delle  sostruzioni  o  fondamenti  descritti. 

Meditando  di  più  sullo  stile  severo  di  questa  nobile 
epigrafe  possiamo  ricavare  che  la  voce  TF^^RRA  qui 
ripetuta  sia  posta  a  significare  il  pian  terreno  sul  quale 
ergesi  il  muro.  Perocché  se  il  Fuìtdammlitm  in  ter- 
ram  è  alto  treulatre  piedi,  e  questi  finiscono  appunto 
al  piano  ottenuto  per  le  sostruzioni ,  e  se  aggiugnesi 
di  poi  che  questa  fabbrica  sottoposta  è  della  stessa 
pietra  che  quella  la  quale  é  SVPRA  TERRAM,  evi- 
dentemente questa  terra  qui  indicala  dev'esser  il  ri- 
piano posto  tra  mezzo  alli  Irenlalre  piedi  del  Funda- 
mentutn  in  lerram,  e  al  nuiro  che  comincerà  appunto 
ad  elevarsi  mpra  lerram.  La  qual  circostanza  studia- 
tamente aggiunsero  i  due  Censori  per  far  decidere  a 
colpo  d'occhio  qual  era  la  fdibrica  da  loro  costruita 
distinguendola  da  quell' imbasamento  più  vetusto,  del 
quale  non  polca  dirsi  egualiiieiile  che  fosse  formalo 
ad  idem  cvemplitm  del  muro,  né  del  fondamento  sot- 
toposto. Finalmente  la  voluta  distinzione  del  funda- 
mcntum  in  (erra  e  fundamenlum  in  lerram ,  (  Furia- 
netto  Less.  V.  fundamenlum,  Ercolanesi,  Tempio  d'I- 
side pag.  43,  noia  2.)  ossia  del  fondamento  scoperto 
e  del  fondamento  solterraneo  sparisce  affatto ,  ed  in- 
vece a  questo  suo  significalo  dovremo  sostituire  le 
frasi  in  lerram  e  supra  lerram  ;  e  perché  in  verità  la 
epigrafe  niente  altro  c'insogna  se  non  che  IN  TERRAM 
FV.XDAMENTVM  EST  PEDES  ALTVM  XXXIII, 
ciò  che  abbiam  veduto  in  che  maniera  si  avveri,  es- 
sendo onninamente  scoperte  delle  fondazioni  per  lutti 
i  loro  trentalre  piedi,  e  perché  la  fabbrica  supra  ler- 
ram dicesi  fatta  della  slessa  pietra  e  della  medesima 
struttura  di  quella  cheirt<crra?n,  ossia  del  fondamento 
di  soslruzione.  Onde  che  la  iscrizione  mi  significa  in 
questo  modo.  Aulo  Irzio  figliuol  di  Aulo,  Marco  Lollio 
figliuol  di  Caio  Censori  hanno  procuralo  si  costruissero 
le  fondamenta  e  i  muri  dal  suolo,  egli  stessi  ne  hanno 
approvato  il  lavoro.  Il  fondamento  sottoposto  al  pian 
terreno  è  alto  trentatre  piedi ,  ed  è  di  pietra  e  della 
stessa  struttura  che  il  sovrapposto  al  detto  pian  ter- 
reno. Nello  stesso  modo  convenendo  ora  fabbricare 
un  muro  intorno  ad  una  città  che  sia  piantata  su  di 


—  38  - 


una  collina,  bisogna  che  se  ne  pigli  la  costruzione  su 
pel  declivio  portandolo  a  maniera  di  sostruzione  al 
livello  richiesto,  perchè  quindi  incominci  ad  elevarsi 
il  muro  di  cinta.  Se  anche  a  noi  occorresse  descrivere 
un  tal  lavoro,  non  altrimenti  diremmo  di  aver  elevale 
le  fondamenta  o  sostruzioni  sino  al  pian  terreno  dal 
quale  dovrebbe  cominciare  la  fabbrica  del  muro,  os- 
sia che  il  fondamento  sottoposto  a  quel  terreno  o  spia- 
nato che  si  ottiene  empiendo  il  vacuo  della  soslruzione 
al  declivio  del  colle  con  cementi ,  è  alto  ad  esempio 
palmi  trenta ,  e  della  struttura  medesima  di  quello 
che  è  sopra  detto  livello  :  in  terram  fundainenlum  est 
jyedes  altum  Irìginla  ;  in  terram  ad  idem  excmplum 
quod  siipra  lerram  silici.  Perocché  nei  due  casi  la  terra 
non  può  essere  altro  se  non  che  il  luogo  ripianato  o 
pian  terreno ,  ad  ottenere  il  quale  si  sono  gittate  le 
sostruzioni ,  sulle  quali  si  potesse  elevare  normal- 
mente il  muro  richiesto.  Avvertirò  infine  che  il  fun- 
damenlum  non  è  diverso  in  sostanza  da  un  muro , 
anzi,  che  un  muro  costruito  per  sostruzione  o  per  ini- 
basamento  prende  il  nome  di  fundamentum,  e  che  es- 
sendo fabbricato  o  sulle  vecchie  costruzioni ,  o  sulla 
pietra  viva  della  roccia,  non  potrà  mai  rettamente  ap- 
pellarsi sotterraneo ,  se  non  è  dentro  terra. 

Non  sarà  fuor  di  luogo,  poiché  ho  assunto  di  spie- 
gare tutta  l'epigrafe,  che  soggiunga  qualche  cosa  in- 
torno ai  due  magistrati,  che  ci  si  dicono  incaricati  di 
questo  lavoro.  Quando  con  la  seconda  copia  Gruteria- 
na  ricavata  dalle  schede  dell'Uràino,  ebbesi  COS  invece 
di  CES  l'Almeloveen  ritenneli  per  coppia  di  consoli, 
e  ad  Aulo  Irzio,  che  non  si  accordava  coli' autorità  ir- 
refragabile della  iscrizione  posta  al  ponte  fabricio,  so- 
stituì Q.  Lepido  figliuol  di  Manio(l),  ma  egli  non  av- 
vertì inoltre  che  gli  occorreva  di  cambiare  non  meno 
arbitrariamente  il  prenome  del  padre  di  LoIIio,  il  quale 
nella  epigrafe  romana  si  manifesta  figliuol  di  un  Mar- 
co, quando  il  LoIIio  di  Ferentino  si  dice  figliuol  di  un 
Caio.  Tutta  la  difilcollà  ,  che  tra  i  faslografi  eccitò  le 
contese  notate  dall'Orelli  (Coll.Inscr.Lat.n.589),  na- 
sceva dal  non  trovare  i  due  nomi  tra  magistrali  che 
avessero  in  Roma  sostenuto  la  censura  nel  medesimo 

(1)  Marco  avevano  le  copie  di  questa  leggenJa  fino  a  noi;  ma 
il  mio  eh.  amico  Cav.  de  lìossi  no  ha  dala  di  recente  la  vera  le- 
zione (  Le  prime  racculle  eie.  p.  02  ). 


tempo  ,  siccome  dalla  parete  di  Ferentino  apprende-  « 
vano;  ma,  per  quanto  io  so,  neppure  ai  di  nostri  si  è 
ancora  potuto  una  tal  opinione  ragionevolmente  pro- 
porre. Non  si  era  mai  credulo  doversi  in  Aulo  Irzio, 
ed  in  M.  LoIIio  riconoscere  magistrati  municipali,  lo 
che  era  per  mio  parere  il  solo  modo  di  trovare  una 
soluzione  alle  difficoltà  fortissime  che  inconlravansi  a 
volerli  di  famiglie  romane  ,  e  contemporaneamente 
eletti  a  sostener  la  censura.  La  famiglia  dei  Lollii  non 
era  a  Roma  così  nuova  né  sì  poco  diffusa  che  non  avesse 
da  qualche  pezzo  adottato  già  un  cognome  ;  e  sulla 
moneta  conoscesi  M.  LoUio  figlio  di  un  Marco  di  co- 
gnome Palicano  questore  al  G92,  E  quando  ad  Aulo 
Irzio,  prima  di  lui  che  fti  pretore  nel  708  non  v'ha 
memoria  di  romana  famiglia,  onde  egli  uscisse  a  reg- 
gere la  pretura  e  poscia  il  consolato. 

Adunque  non  conoscendosi  alcun  M.  LoIIio  figliuol 
di  Caio  nella  famiglia  dei  Palicani  e  dei  tempi  di  Ir- 
zio ,  né  trovandosi  di  costui  memoria  tra  le  fami- 
glie romane  ,  io  ho  fondato  sospetto  che  siano  pro- 
venienti da  Municipii ,  donde  in  questi  ultimi  tempi 
della  romana  repubblica  e  dopo  le  guerre  sillane  non 
mancano  memorie  d' uomini  eziandio  saliti  alle  mag- 
giori cariche  di  Roma  di  municipale  provenienza.  Ho 
recentemente  fatto  conoscere  nella  storia  d' Isernia 
Marco  Nonio  Gallo,  onorato  del  titolo  d'Imperator  su 
di  una  base  iserniua,  essere  quel  desso  che  soggettò i 
Treviii  e  quella  porzione  di  Germani  che  abitavano 
le  ripe  trasrenane  vicine  e  ne  ottenne  il  trionfo.  Il  pa- 
dre di  lui  Caio  Nonio  fu  quatlroviro  quinquennale  nel 
municipio  d' Isernia ,  e  Sesto  Appuleio  ornato  anche 
del  titolo  diinpeiator  che  salì  in  Roma  alla  mnggior 
curule  egualmente  da  quel  municipio  ebbe  la  sua  ori- 
gine. Stimo  perciò  che  Aulo  Irzio  e  M.  LoIIio  dopo 
la  censura  municipale  entrassero  in  Roma  nella  car- 
riera degli  onori,  che  ad  Aulo  Irzio  toccasse  di  ma- 
neggiare i  fasci ,  che  il  Marco  LoIIio  di  questo  mo- 
numento sia  il  padre  del  console  del  733,  al  figliuolo 
del  quale,  siccome  ha  ben  dimostrato  il  Noris,  Orazio 
scrisse  le  due  epistole  ove  gli  ricorda  il  rus  pater-' 
num  (I).  Grande  sostegno  intanto  riceve  la  mia  opi- 

(1)  Il  Ziinipt  non  si  accorderebbe  con  me  in  tutta  questa  discus- 
sione, lipiitaiido  egli  i  due  Censori  di  Ferculiao  anlcriori  alla  guer- 
ra inar.ìica  Comm.  Epigr.  p.  77. 


—  39- 


nione  della  famiglia  Irzia  in  Ferentino  nel  monumento 
di  una  Irzia  liberta  di  Aulo,  ed  è  l'unico  che  ricordi 
questa  famiglia  nelle  vaste  raccolte  del  Grutero(Grut. 
978.  7)  e  del  Muratori  (Murat.  1332.  9). 
HIRTIA    AL 

AGATHOCLIAE    così 

MONVMENTVM 

FECIT  SIBI  ET 

C  EPPIOTF  PVB 
VIRO  SVVO  cosi 
Gravissime  difficoltà  si  sarebbero  incontrate  in  altri 
tempi  a  concedermi  quanto  ho  premesso,  per  la  men- 
zione della  carica  di  Censori  di  che  veggonsi  ornali 
Lollio  ed  Irzio  :  ai  giorni  nostri  però  la  cosa  è  molto 
ben  dimostrala,  e  più  monumenti  possono  citarsi  nei 
quali  sono  memorati  i  Censores ,  i  Qainq.  Gens.  Poi. 
nelle  colonie  e  nei  municipi!,  (cf.  Liv.  L.  XXIX.  e. 
1 5.  Cenmm  agi  ex  formula  ab  Ilomaim  cemoribm 
data,  refcrmiuc  Romam  ab  iiiralk  censoribus  colonia- 
ruiJi-c.37.  Deffrcììlibm  coloniarum  censoribus  censum). 
Basterà  qui  ricordare  P.  Lucilio  Gamala  IIVIR  CEN- 
SORI AE  FOT  in  Ostia  (Orelli  3882)  e  L.  Belilieno 
Vaaro  che  gli  Alali  ini  CENSOREM  FECERE  BIS 
(Id.3892) ,  e  Decimo  Cotlio  Fiacco  GENS  in  Avel- 
lino (Id.  389o),  e  quel  L.  Laberio  Optato  ORN.\- 
MEXTIS  CENSOR  •  HONORATVS  in  Vibone  Va- 
lenza in  proposito  del  quale  il  Conte  Borghesi  parlò 
di  questa  carica ,  e  con  un'  altra  pur  di  Monteleone 
confermonne  la  dottrina  l'Abate  Furianetto  nella  pre- 
fazione alle  sue  Lapidi  patavine  (p.  XXIV).  Anche  il 
eh.  Jahn  nelle  note  al  v.  28 ,  29  della  Sai.  IIL  di 
Persio 

Stemmate  quod  lusco  ramum  millesime  ducis 
Censoremve  tuum  vel  quod  trabeale  salutes 
ha  osservato  alludersi  qui  ai  municipiorum  quinquen,' 
nales ,  qui  censuram  agebanl  e  censores  vocabantur;  ed 
opportunamente  richiama  le  cose  dette  dal  Savigny 
dal  Rechis,  dal  Dirksen,  e  lo  avea  notato  nelle  tavole 
di  Eraclea  anche  il  Mazzocchi ,  tuttoché  non  ci  ar- 
rechi in  prova  altre  lapidi  che  quelle  sole  in  cui  è 
memoria  del  magistrato  quinquennale  ,  ottimamente 
per  altro  da  lui  paragonato  ai  Censori  di  Roma  (Tab. 
Ileracl.  40ì>).  Ma  i  più  bei  confronti  alla  epigrafe 


CES 


Ferentinate  ci  vengono  da  due  Lapidi  l'una  di  Tivoli 
edita  dal  Muratori  (7J)1  ,  6)  ove  si  nominano 
TVL  •  TVLLIVS     TVL  F    P  •  SERTORIVS 
P  •  F  •  CENSORES 
e  da  una  seconda ,  la  provenienza  della  quale  è  dal 
Gualtieri  indicata  ove  fu  Siliari  una  volta  (n.  393.  cf. 
Fabr.  241  n.  615  Momm.  I.  N.  G9.);  e  dice: 
P  •  MAGIVS  •  P  •  F 
Q  •  MINVCIVS  •  L  •  F 
BASILICAM  FAC 
CVR  •  DE  •  SEN  •  SENT 
Fu  questa  intanto  dal  dotto  Morcelli  trattala  con 
troppa  cautela  e  con  aperto  timore  di  chiaramente 
defluirli  per  Censori  municipali  «  Par  istud  Censorura 
in  Pighii  fastis  frustra  quaesivi;  nec  Magiam  gentcm 
habent  nummi  Thesauri  Morelliani  :  nolim  tamen  in- 
scriptionem  tamquam  commenlitiam  reiicias.  Magios 
plures  apud  Grulerum  invcnies  ut  Censores  hisiUr- 
banos  habes  vel  ex  ignotis  vel  ex  sufTeclis  esse  potue- 
runt  (ad  inscr.  CCXXIII)  (I)  ». 

Garrccci. 

Iscrizioni  Ialine. 

Ricevo  or  ora  una  copia  di  un'  epigrafe  di  recen- 
te scoverta  nel  fondo  pulcolano  della  sig.  Duchessa 
di  Caprigliano  ,  detto  Campana  ,  e  trascrittami  accu- 
ratamente dal  coltissimo  sig.  Abate  D.  Sante  Bastiani. 
È  un'  ara  sepolcrale  con  gotto  al  lato  sinistro  ,  e  pa- 
tera al  lato  destro ,  in  fronte  alla  quale  con  bei  ca- 
ratteri si  legge  : 

1.  DM 

IVLIAE  •  CRISPINAE 

C  •  C  •  POMPONII 

PONTVS  •  VXORI 

OBSEQVENTISSIMAE 

CAPITOLINVS 

MATRI 

PIISSIMAE 

(I)  Queste  cose  furono  da  me  scrino  prima  che  arrivasse  fra  noi 
il  dolio  libro  del  Zuiiipt  Comm.  t'pigr.,  ove  è  la  disserlazicne  di 
lui  de  Quinquainalibus  dm  tratta  questo  tema. 


—  40  — 

Un  lulim  CreUpinus  erede  di  Mamonio  Basso  E-  Prael.  Mls.  monum.  Neapolì,  18o2.  n.  1 92.) ;  qiieslì 
giziano  ,  il  quale  niililù  sulla  trireme  Polluce,  è  nella  forse  ebbe  alcun  vincolo  di  parentela  con  Giulia  Cri- 
mia  raccolta  dei  marmi  della  flotta  di]Wiseno(v.  C/asszs     spina  nominala  in  questa  lapida. 

2.  vrjiAivo  COSMVS  •  TEST Amcito  US  •  tot 

MACELLVM  •  EXORNARI  •  IVSSIT  •  FISIA  •  Serena  ?  wa/er 
SVPPLETA  •  VICESIMA  •  CONSVMMAVIT  •  IDQVc  nomine 
FILI  •  SVI  •  EXORNATHm  •  dedicadt 


Questa  epìgrafe  mi  proviene  da  certe  schede  ,  che 
Lo  ritrovato  nel  piccolo  museo  dei  BR.  PP.  di  S. 
Pietro  a  Cesarano.  Non  sarebbe  facile  determinarne 
la  patria ,  ma  poiché  quelle  schede  contengono  quasi 
sole  iscrizioni  di^lecZanM»»,  diC.  Delizio  Pio  (Momm. 
/.  -Y.  190) ,  di  C.  Nerazio  Proculo  (Momm.  1 136) , 
di  Eggius  Felix?  (Momm.  1203,  nel  cognome  FÉ VS, 
che  le  schede  mie  leggono  FELES,  riconoscerei  FE- 
LIX), e  Analmente  quella  di  Rabiria  Bebia  ,  della 
quale  si  ha  una  copia  assai  diversa  nel  Lupoli  (Momm. 
1181): 

RABIRIAE  •  BAE 

BIAE  •  COMVGI 

TIIESEVS  •  •  • 

COL  •  AECLANE 
B  •  IM  •  P 
può  ragionevolmente  tenersi ,  che  la  lapida  di  Staio 
appartenga  al  medesimo  municipio.  Di  falli  in  Belano 
era  già  nota  la  gente  Stala  per  la  lapide  di  Numerius 
Siaius  Rcmisms  liberto  ( /.  A^.  1240).  Nuova  è  la 
fiase,  ma  non  nuova  la  dottrina  del  cinque  per  cento 
sui  legati  e  sulle  eredità.  Ne  ha  discorso  colla  solila 
doltiiua  il  eh.  nostro  collega  sig.  Gervasio  ,  il  quale 
ottimamente  richiama  il  SIN  E  DEDVCTIONE  VI- 
CESIMAE  della  lapida  Venosina  (/«m.  Messili,  p. 
8 ,  n.  )  ;  Fisia  però  supplì  del  suo  la  vigesiina  che 
andava  per  legge  al  fisco  dal  legato  del  figlio  ,  e  ter- 
minata la  fabbrica  della  piazza  di  comeslibili ,  po- 
scia a  nome  del  figlio  JDQVrE  •  NOMINE  •]  FILI  • 
SVI-  EX0RNAT[VMDEDICAV1TJ.  (che  co^ì leggo 
e  supplisco  quest'ultima  parte  della  leggenda),  fornì 


la  piazza  delle  suppellettili ,  che  le  erano  necessarie, 
detti  oniamcnla  ,  ornadones, '7rp%o<rixr,ao(,rcn.  [Mafiei 
Mus.    Veron.  XL),  e  l'apri  al  pubblico.  Di  questo 
senso  della  voce  ornai»fH/«jH  ho  detto  nella  mia  storia 
d' Isernìa  a  p.  94 ,  in  proposilo  appunto  di  un  3Ia~ 
ceìium,  che  L.   Abollio  Destro  fccil  CVM  OUNA- 
MENTIS  SVIS.  Onesti  vengono  detti  AERAMENTA 
in  una  singoiar  lapida  di  Sepino  (  (juarini ,  II.  Vag. 
Mansio  1,  29),  e  si  può  confrontare  .Mi.crobio,  che 
parlando  dei  tempii  dice  :  Ornamenta  sìint  clijpci,  co- 
ronac,  el  huiuscemodi  donaria,  neque  enim  ornamenia 
dedicanliir  eo  tempore  quo  tempia  sacrantur  fSaturn, 
III,  12,  cf.  Gronov.  allo  Pseud.  di  Plauto,  I,  101  , 
109).  Laonde  anche  nel  linguaggio  gladiatorio  oniare 
vale  dar  la  corona  ,  la  palma  ,  la  rudis  al  gladiatore. 
Simile  faccrc  le  reputalo,  alque  illud  facitis,  uhi  eos 
qui  beslias  strenue  inlerfecerinl  popolo  poslulanle  or- 
natis,  et  manumiititis ,  scrive  Frontone  a  M.  .\urelio 
(II,  1  ).   Il  senso  di  exornare  è  spiegato  anche  nella 
bella  epigrafe  salernitana  di  T.  Tettieuo  Felice,  che 
legò  cinquanlaniila  sesterzii  ad  exornandam  aedem 
Pomonis,  dalla  qual  somma  dieesi  ivi:  factum  est  fa- 
sligium  inauralum,  podium,  pavimenta  m'irmorea,  o- 
pus  Ipctorium  (  v.  le  mie  lllw^lrazioni  di  alcune  iscr. 
ant.  di  Salerno,  Napoli,  18ij|,  p.  17.).  Lascio  libero 
di  supplire  N  ,  o  V  il  prenome  di  Staio  ,  ed  ho  dato 
il  cognome  Serena  a  Fisia  ,  perchè  la  Fisia  Serena  è 
famiglia  illustre  nella  vicina  Nola  (v.  Gervasio  Iscr, 
di  Napoli ,  p.  56). 


f continua) 


Garruccj. 


P.  Raffaele  Garrlcci  n.c.n.c. 
Giulio  Mineuvi.m  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catanbq, 


BULLETTI^O  ARCHEOLOGICO  MPOLITAI\0. 


NUOVA    SERIE 


N.o  30.     (G.  dell'  anno  II.) 


Scltenihre   I8ò3. 


Brevi  osservazioni  sopra  vn  hassorilievo  cumano. — Di  un  denario  di  Famiglia  inccrla,  comuncmcnle  attribui- 
to a  Giulio  Cesare ,  che  vuoisi  resliluire  a  L.  Cornelio  Siila.  —  Sul  Vero  ter  consule  nella  epigrafe  di 
Urso  Togato:  lettera  del  eh.  sig.  A.  Gervasio  al  sig.  Giulio  Minervini ,  con  osservazioni  del  eh.  sig.  Conte 
B.  Borghesi.  — Notizia  di  due  iscrizioni  messapichc. — Notizia  di  una  iscrizione  puleolana.  —Descrizione  di 
alcuni  vasi  dipinti  del  real  museo  Borbonico.  Conlimiazione  del  n.  IG. 


Brevi  osservazioni  sopra  un  hassorilievo  cumano. 

Nella  nostra  (avola  I  di  questo  secondo  anno  del 
Bulletlino  fig.  2  ,  abbiamo  pubblicato  iu  piccole  di- 
mensioni la  faccia  anteriore  di  un  antico  sarcofago 
scavato  parecchi  anni  fa  nel  territorio  dell'antica  Cu- 
ma.  Appartiene  esso  al  Signor  Eugenio  Martorclli 
in  Napoli,  il  quale  me  ne  ha  gentilmente  permessa  la 
pubblicazione.  Li  grandezza  del  monumento  è  palmi 
8  per  2,25:  lo  stile  ed  il  lavoro  è  certamente  romano, 
come  si  desume  pure  dall'  architettura  che  vi  si  os- 
serva ;  ed  in  varie  parti ,  e  principalmente  nelle  teste 
delle  figure,  può  giudicarsi  negletto  e  trascurato  anzi 
che  no.  La  complicata  rappresentazione  ,  che  adorna 
la  parte  anteriore  del  sarcofago,  può  considerarsi  di- 
stinta in  tre  differenti  scene.  La  prima  ci  offre  agli 
sguardi  l'arrivo  di  Pelope  alla  magione  di  Enomao 
per  chiedergli  di  entrare  in  lizza  per  lo  consegui- 
mento d'  Ippodamia.  Sono  notevoli  le  due  teste  so- 
spese in  alto  ad  un  arco  della  casa  di  Enomao ,  che 
appare  in  lontananza.  Sono  esse  destinate  ad  indicare 
i  tronchi  capi  degli  altri  giovani  infelici ,  i  quali  ri- 
cercando prima  di  Pelope  la  mano  d' Ippodamia  fu- 
rono dal  padre  di  costei  trucidali  ed  offerti  ad  atroce 
spettacolo  a  chi  osasse  attentarsi  a  contrastar  con  lui 
per  l'avvenire.  Questa  particolarità,  che  si  osserva  al- 
tresì in  un  magnifico  vaso  pubblicato  negh  Annali 
dell' Istilulo  1840  tav.  d'agg.  N-0,  fu  sufficientemen- 
te illustrala  dal  dottissimo  pr.  Rilschl  (cit.  voi.  degli 
Annali  p.l8l  not.  1.).  Nel  giovine  col  pileo  ricurvo 

ÀNKO  II. 


ed  armato  di  spada  dee  riconoscersi  Pelope ,  il  quale 
non  ancora  è  venuto  alla  presenza  del  re.  Questa  no- 
stra attribuzione  si  rende  sicura  dal  considerare  che 
dello  stesso  modo  armato  di  spada  scorgesi  Pelope 
nella  seconda  scena  posteriore  della  corsa  .della  quale 
diremo  tra  poco.  L' altro  giovine  similmente  vestito 
è  uno  de'  compagni  di  Pelope ,  che  reca  ad  Enomao 
una  lettera  per  parie  del  giovine  figlio  diTanlaio,  di- 
mandando ospitalità,  e  forse  ancora  le  nozze  d'Ippo- 
damia.  In  altri  monumenti  vcggiamo  Pelope  recarsi 
alla  impresa  insieme  con  altri  compagni  (vedi  Bruno 
negli  Annali  dell' Ist.  1846  p.  177,  s..  Man.  dell' Isl. 
voi.  IV  tav.  XXX  :  vedi  pure  ciò  che  ho  scritto  nel 
Ball.  Arch.  nap.  an.  VI  p.  64  e  seg.).  Il  principe  di 
Elide  contrassegnato  dal  regio  diadema  ascolla  con 
fiero  viso  le  proposte  di  quel  messaggiero.  É  notevole 
che  delle  figure,  le  quali  assistono  il  re ,  una  ne  ap- 
poggia il  pesante  scettro,  per  liberarlo  dall'incomodo 
di  sostenerlo. 

La  seconda  scena  esprime  il  momento  della  puni- 
zione di  Enomao ,  e  della  vittoria  di  Pelope.  Vedi 
l'auriga  Mirtilo  cercare  di  far  risorgere  i  cavalli  pre- 
cipitati al  suolo  per  la  scossa  del  rovesciato  cocchio , 
mentre  il  vecchio  re  di  Elide  caduto  bocconi  a  terra 
apparisce  aver  già  subito  l' estremo  fato.  Due  figure 
una  barbata  e  l'altra  imberbe  munite  di  corti  giavel- 
lotti mostrano  co'  loro  alti  di  spavento  e  di  maravi- 
glia di  appartenere  al  seguilo  di  Enomao.  Pelope  in- 
tanto ,  correndo  precipitosamente  i  cavalli,  cerca  di 

raffrenarli  tirando  le  redini  colla  sinistra  ,  ed  innalza 

6 


42  — 


colla  destra  la  sferza  vol-^cnJosi  indietro  ,  quasi  per 
proclauiare  il  suo  trionfo.   Le  redini  gli  cingono  il 
corpo  ,  e  così  pure  ad  Enomao  ;  per  modo  che  può 
supporsi  che  lo  scultore  accennasse  ad  una  tradizione 
diversa  sul  modo  tenuto  da  Mirlilo  per  far  precipitare 
il  suo  padrone  ;  ed  era  forse  quello  di  farlo  saltar 
fuori  del  cocchio  tirando  violentemente  le  redini  da 
cui  era  cinto  :  ma  valga  ciò  per  semplice  conghiettu- 
ra.  Chiudono  la  scena  due  altre  figure  cioè  un  giovine 
che  dà  fiato  alla  tromba,  ed  altro  che  tiene  la  palma 
e  la  corona,  prossimo  a  Pelope  quasi  nell'  alto  d'ira- 
porgli  sul  capo  questo  ultimo  simbolo  di  vittoria. 
Farmi  che  queste  due  figure  sieno  ancora  prese  dalle 
idee  romane  ,  e  più  secondo  le  abitudini  del  circo , 
che  secondo  quelle  della  palestra.  Il  suono  della  trom- 
ba è  comune  nelle  rappresentanze  di  pugne  e  di  con- 
tese. Vedesi  nelle  pugne  amazzoniche  il  trombettiere, 
o  in  altre  scene  di  battaglie  :  e  nel  citato  vaso  pub- 
blicato tra'  monumenti  inediti  dell'  Isiiluto ,  uno  dei 
compagni  di  Pelope  stesso  ha  la  tromba  per  animarlo 
col  suono  nel  momento  della  corsa.  Degna  di  partico- 
lare attenzione  è  la  figura  seminuda  giacente  al  suolo, 
e  che  sembra  in  mesto  atteggiamento.  Io  riconosco  in 
essa  il  fiume  Cladeo  sboccante  nell'  Alfeo  (  Mueller 
Dor.  II,  p.  458segg.),  o  se  piuttosto  si  vuole  l'Istmo, 
che  era  il  termine  della  corsa,  secondo  Diodoro  (lib. 
IV.  cap.  73.),  Tzetze  (ad  Lycophr.  v.  15G.),  e  lo 
Scoliaste  di  Apollonio  Rodio  (ad  I,  752),  il  quale 
così  si  esprime  :  Tr^o-xiiro  %\  a-vroii  K>.ao£wS  Trora- 
fxòj  à:psrr;p/cc,  'l<y'Ùfxòi  Sì  tÒ  ripixoi,.  Ecco  perchè  si 
stabilisce  da  Pausania  il  sepolcro  di  Enomao  passato 
il  fiume  Cladeo  (lib.  VI  cap.  21  ).  Ben  si  comprende 
poi  perchè  il  patrio  fiume  mostrar  si  deggia  addolo- 
rato per  la  perdita  del  dominatore  di  Elide  e  di  Pisa. 
La  terza  ed  ultima  scena  ci  presenta  Pelope  che 
abbraccia  Ippodamia  baciandola  nella  bocca,  simbolo 
di'l  suo  conjugio.  Questo  atto  è  frequente  ne'  gruppi 
di  Amore  e  Psiche  ,  ne'quali  va  ravvisata  una  simile 
intelligenza  (Minervini  mon.  ined.  diBarone  pag.  13 
e  segg.).  Or  considerando  il  procedimento  di  tutte  le 
«cene ,  di  che  finora  dicemmo  ,  troveremo  che  sono 
io  tal  guisa  fra  loro  continuate  e  connesse  che  ben  si 
addicono  ad  ornameato  di  un  sarcofago.  Pelope  figura 


la  destinazione  dell'uomo,  il  quale  nella  prima  parte 
del  sarcofago  si  prepara  alla  contesa  ,  nella  seconda 
riporta  la  vittoria  simboleggiata  dalla  palma  e  dalla 
corona ,  e  finalmente  nell'  ultima  consegue  il  premio 
del  suo  trionfo.  Queste  scene  sono  in  evidente  allu- 
sione al  corso  della  mortai  vita  ed  al  seguito  de'  go- 
dimenti dell'Elisio:  secondo  le  grossolane  e  materiali 
idee  dell'  antichità. 

Minervini. 


Di  un  denario  di  Famiglia  incerta ,  comunemenle  al- 
Iribuilo  a  Giulio  Cesare,  che  vuoisi  restiluire  a  L. 
Cornelio  Siila. 

Il  Patino  aggiunse  alla  gente  Giulia  un  denario  sfug- 
gito a  Fulvio  Orsino,  probabilmente  perchè  raro  anzi 
che  no  ,  che  è  come  segue  : 

Testa  fcminile  ornata  di  stefane  gemmata ,  d' orec- 
chini e  di  monile ,  con  una  ciocca  di  capelli  cadente  in 
sulla  cervice. 

)(  Diceras ,  o  sia  cornucopia  gemino ,  avvinto  da 
larga  benda  lemniscata ,  e  fìniente  in  testa  d' animale 
a  lunghe  orecchie  :  Q  dal  lato  sinistro Arg. 

Venendo  dal  Patino  fino  al  eh.  Riccio ,  i  nummo- 
grafi  lo  allogarono  nella  gente  Giulia ,  e  lo  credettero 
impresso  nel  708  da  un  Questore  di  Giulio  Cesare  ; 
tranne  il  eh.  Borghesi,  che  nel  1827  lo  reputava  im- 
presso in  Siracusa  dai  Cesariani  Curione  e  Pollione 
[v.  Sestini,  Serie  cons.  Fon<a»ia,  p.  64),  ma  che,  dopo 
avere  sapulo  che  non  mancò  nel  ripostino  di  Frasca- 
rolo  ,  e  che  perciò  mostrasi  impresso  prima  del  682, 
lo  riteneva  non  bene  allogato  finora,  del  pari  che  l'al- 
tro denario  col  cornucopia  semplice,  e  l'asse  semioa- 
ciale  corrispondente ,  non  aventi  altra  epigrafe  che 
l'EX  S-C  (v.  Riccio  p.  105).  Nel  1829  io  lo  de- 
scrissi fra  que'  di  Famiglie  incerte ,  e  troppo  legger- 
mente congetturai,  che  spettar  potesse  alla  Hercnnia 
(Saggio  p.  77-78,  Ì9SJ.  Ora ,  pel  riscontro  del  se- 
guente insigne  aureo  del  museo  di  Parigi ,  e  d' altri 
nummi  Romani,  parmi  poterlo  allogare  decisamente 
nella  gente  Cornelia. 


—  .13  - 


Testa  fcmtiiìle  ornala  di  slcfane,  di  pendenli  e  di 
monile,  con  quattro  ciocche  di  capelli  pendenli  in  sulla 
cervice. 

Jf  Cornucopia  gemino  avvinto  da  larga  hendalem- 
niscata,  e  lettera  Q  dal  lato  sinistro Oro. 

II  bel  primo  indizio  di  qiieslo  insigne ,  e  forse  u- 
nico ,  aureo  Romano  consolare  mi  venne  dal  dolio 
Leironne  ,  il  quale  ragionando  degli  aurei  di  L.  Siila 
che  nel  peso  loro  variano  Ira  i  201  e  204  grani  pa- 
rigini ,  e  che  perciò  sono  nummi  da  9  V2  scrupoli , 
soggiunge  di  averne  Irovalo  uno  nella  famiglia  Giulia 
f  Marcelli  lab.  J,  WIÌJ  ;  lo  che,  a  parer  suo,  [irove- 
rebbe  che  Lucullo  non  fu  il  solo  che  improntasse  per 
Siila  di  colali  pezzi  da  9  '/.  scrupoli  (  Conddér.  sur 
V  évaluat.  p.  li-J.  Egli  in  ciò  prese  abbaglio,  seguen- 
do la  falsa  allribuzione  de'  numografi  ,  ma  nel  tempo 
slesso  ne  diede  lume  sufficiente  per  metterci  nella  retta 
via.  I  cb.  Lenormant,  padre  e  figlio,  ne  diedero  poi 
ripetutamente  il  disegno  del  sovra  lodato  aureo  (Re- 
vue  num.  1839,  p.  310-343  :  et  18:;2  p.  208  ,  PI. 
VII,  n.  -ÌJ  ,  con  qualche  nuova  utile  notizia,  benché 
entrambi  si  dilungassero  afliitlo  dal  vero  nell'  asse- 
gnarne r  età  e  la  sede  sua  propria.  11  jirimo  ne  atte- 
sta, che  il  Mionnel  ebbe  ravvicinato  al  denario  d'ar- 
gento il  nuovo  medaglioucino  d'  oro  ;  che  questo  è  di 
lavoro  rimarchevole  e  di  autenticità  incontrastabile  ; 
e  che  pesa  203  grani  parigini  (Revue  num.  1839, 
p.  341;. 

L'aureo  ed  il  denario  in  questione  s[)ettano  senza 
dubbio  ad  uno  slesso  magistrato  e  ad  una  medesima 
officina  ;  poiché  la  maniera  della  fabbrica  è  la  stessa 
in  tulli  e  due  ,  ed  i  tipi  sono  idenlici,  tranne  che  nell' 
aureo  la  lesta  feminile  del  ritto  mostra  tre  0  quattro 
ciocche  cadenti  in  sul  collo ,  laddove  nel  denario ,  di 
dimensione  assai  minore,  vedesene  espressa  una  sola. 
Se  pertanto  ci  riesca  provare,  che  l'aureo  spelta  a L. 
Siila  ,  con  ciò  stesso  sarà  dimostrato  the  ad  esso  lui 
spetta  eziandio  il  denario  finora  incerto  e  non  allogalo. 
Che  poi  l'aureo  sia  di  L.  Siila,  e  non  d'altri,  ne  lo 
persuade  segnatamente  la  ragione  del  peso,  che  si  dal 
Leironne  e  si  dal  Lenormant  trovasi  determinalo  in 
203  grani  parigini  corrispondenti  a  9  V2  scrupoli 
rcmaui  antichi  ;  e  d' altra  parte  consta  che  gli  aurei 


certi  di  Siila  pesano  per  appunto  9  '/.,  scrupoli  ( Liy 
Ironne  l.  e),  e  che  riguardo  al  peso  essi  Hinno  fami- 
glia da  sé,  per  fede  anche  del  eh.  Borghesi  (v.  Me- 
morie numism.  Buina,  lS'i7,  p.  33 j.  Anch'io  posso 
altustare  ,  che  l'auieo  di  Siila  insignito  de' tipi  di  Ve- 
nere Vincitrice  con  Cupido  e  del  gemino  trofeo,  che 
è  nel  r.  museo  Estense,  pesa  granuni  lO.G.'JO  preci- 
si ,  ossia  9  Vi  scrupoli  ;  laddove  l'aureo  di  Pompeo 
l\Iagno  con  la  quadriga  trionfale,  del  Pontificio  museo 
di  Bologna,  pesa  grammi  9.000  precisi,  0  sia  8  scru- 
poli ,  siccome  quello  del  museo  di  Parigi  (Letronne 
l.c.J. 

Ma  per  attribuire  a  Siila  l' aureo  col  doppio  cor- 
nucopia ,  e  colla  lesta  di  Venere,  e  quindi  anche  il 
corrispondente  denario  d'argento,  vale  inoltre  l'os- 
servazione ,  che  prima  del  082  di  Roma  non  v'ha  al- 
tro esempio  di  aurei  di  colai  peso  impressi  co' tipi  i- 
denlici  del  corris|)ondente  denario  d' argento  ;  e  che 
L.  Siila  ne  impresse  per  Io  meno  altri  due ,  quello 
cioè  in  cui  s'intitola  L.  SVLLA  IMPER  •  ITERV.M 
co' tipi  di  Venere  Vitlrice  e  de' due  trofei ,  e  l'allro 
impresso  dal  suo  proqueslore  L.  Manlio  con  la  testa 
di  Roma  e  con  la  quadriga  trionfale  di  L.  SVLLA  • 
IMP,  che  Irovansi  si  in  oro  come  in  argento  (^Riccio, 
Cornelia  a.  34-59^.  Da  ultimo  vuoisi  osservare,  che 
la  maniera  della  fabbrica  e  dello  stile  nell'aureo,  enei 
denario  col  doppio  cornucopia  ,  a  bastante  confronta 
con  quella  dell'aureo  e  del  denario  del  gemino  trofeo; 
tranne  che  in  questi  il  lavoro  appare  eseguito  in  fretta 
e  trascurato  assai.  Del  resto  il  denario  col  semplice 
cornucopia  e  l' EX  S  •  C ,  ricordato  di  sopra  ,  mo- 
strasi impresso  in  Roma  alquanto  prima  di  quello  col 
gemino  cornucopia  e  col  Q,  che  pare  improntato  iu 
Grecia  da  un  Quaestor  di  L.  Siila. 

C.  Cavedoni. 

Sul  VEito  TER  CONSVLE  nella  epìgrafe  di  Ubso  Toga' 
To  :  lettera  del  eh.  sig.  A.  Gervasio  al  sig.  G.  Mi- 
nervini,  con  osservazioni  del  eh.  Conte  B.  Borghesi. 

Pregiatissimo  amico  e  collega 
Nella  mia  dissertazione  di  recente  pubblicala ,  sic- 
come le  è  nolo ,  nella  parte  2.  del  voi.  IV.  p.  293 


—  44  — 


desìi  Atti  della  Reale  Accademia  Ercolmesc,  intorno 
al  monumento  sepolcrale  di  Cavia  Marciana  ,  uscito 
in  luce  in  Pozzuoli  nel  1817  ,  ho  riportata  la  celebre 
iscrizione  metrica  di  Vrso  Togato  da  molti  illustrata 
secondo  la  copia  che  parverai  più  esatta  ,  riferita  dal 
Morcelli  (  De  Styl.  latin,  inscript,  p.  277.  ediz.  del 
Giunchi).  In  della  iscrizione  Urso  si  dà  il  vanto  di 
aver  il  primo  giuocato  con  la  palla  di  vetro ,  e  di  a- 
vcr  superalo  in  tale  giuoco  lutt'  i  suoi  predecessori , 
ma  dice  ch'era  slato  più  vol'.e  superalo  dal  suo  patrono 
Vero  ter  Coìisiile.  Senza  citare  il  Velsero  ed  altri,  che 
dap[>rima  si  occuparono  della  illustrazione  di  questa 
iscrizione  ,  dirò  soltanto  ,  che  'I  Torrigi  attribuì  quel 
Vero  ter  Comule  all'  Imperatore  M.  Aurelio  ;  l' Ama- 
duzzi ,  che  pure  scrisse  sullo  stesso  monumento  nel- 
ì'Ei.isloì.ad  Philipp.Valenlium  inserita  nel  voi.  XXI. 
della  Nuova  Raccolta  Calogerana ,  si  contentò  di  no- 
tare gli  sbagli  cronologici  del  Torrigi,  e  tutto  si  versò 
nella  illustrazione  del  giuoco  colia  palla  di  vetro  :  il 
Morcelli  in  fine  affermò  che  il  Vero  nominalo  nella 
iscrizione  medesima  fosse  L.  Vero  console  per  la  terza 
volta  neir  anno  920  di  Roma.  Sembrandomi  troppo 
arduo  il  pensare  che  Urso  Togalo  volesse  alludere 
nel  monumento  in  discorso  a  L.  Vero  collega  di  M. 
Aurelio  noli' impero  di  Roma,  tralasciai  di  parlare 
di  questa  iiarlicolarità  nella  mia  dissertazione ,  aven- 
do per  allro  riportato  il  monumento  medesimo  per 
luti' altro  oggetto  che  per  illustrarlo  compiutamente. 
Volendo  non  pertanto  sapere  il  netto  su  di  tal  punto 
mi  rivolsi  al  eh.  sig.  Conte  B.  Borghesi  chiedendone 
l'oracolo,  ed  egli  con  l'usata  cortesia ,  pregio  non 
dubbio  de'  grandi  uomini  qual  egli  è  ,  ha  accolte  le 
mie  premure  comunicandomi  le  sue  dotte  osservazioni 
sul  subbielto  ,  con  sua  umanissima  lettera  de'  9  gen- 
naio ultimo.  Io  prego  la  di  lei  bontà  a  renderle  note 
nel  Jiulletiiw)  Anhcolo'jico ,  ch'ella  con  tanta  utilità 
di' nostri  sludii  sta  pubblicando  di  unita  al  nostro  eh. 
collega  il  P.  Raffaele  (ìarrucci  della  C.  di  G. ,  essendo 
quelle  osservazioni  dirette  a  chiarire  il  personaggio  cui 
allude  Urso  Togato  in({uel  suo  singolare  monumento. 

Ecco  le  osservazioni  del  Borghesi. 

»  Ella  desidera  sapere  se  il  Verus  ter  Comul  della 
lapida  di  Urso  Togato  sia  o  non  sia  l' Imperatore  L, 


Vero.  Confesso  di  esser  poco  in  istalo  di  rispondere 
improvisamente  al  quesito  ,  sì  perchè  non  ho  mai  a- 
vuto  occasione  di  studiare  di  proposito  quest' iscri- 
zione, come  perchè  manco  di  alcuni  degli  autori  che 
ne  hanno  trattato  ,  e  segnatamente  perchè  non  ho  qui 
la  dissertazione  con  cui  fu  illustrata  dall'  Amaduzzi 
inserita  da  prima  nel  tom.  XXI  della  seconda  colle- 
zione Calogerana,  e  quindi  ristampata  altre  due  volle. 
Ciò  non  ostante  non  le  tacerò  confidenzialmente  ciò 
che  mi  sembra  poterne  pensare  su  due  piedi,  a  solo 
oggetto  di  metterla  in  diffidenza  sulle  opinioni  correnti, 
ed  invogliarla  a  prenderle  in  maggior  considerazione. 
Il  Torrigi  l'aggiudicò  a  I\I.  xVurclio  ,  e  in  tale  suppo- 
sto converrebbe  tenere ,  che  la  pietra  fosse  stala  in- 
cisa nei  primi  due  mesi  del  914 ,  in  cui  ebbe  i  terzi 
fasci ,  perchè  al  principio  di  Marzo  dello  stesso  anno 
in  cui  salì  al  trono  cambiò  il  cognome  di  Vero  in 
quello  di  Antonino.  Sfuggì  questa  obbiezione  al  Mor- 
celli, assegnandola  invece  al  suo  imperiale  collega  L. 
Vero.  Ma  se  ho  da  parlarle  sinceramente  non  mi  sod- 
disfa né  l'uno  né  l'altro.  Quando  mai  si  è  veduto  de- 
signarsi un'  Augusto  col  solo  numero  de' .suoi  conso- 
lati ,  e  con  un  numero  di  più  a  cui  non  era  inter- 
detto ad  alcun  Consolare  di  giungere?  Per  me  adun- 
que qui  non  si  parla  se  non  che  di  un  privato ,  di 
cui  queir  Urso  fu  liberto.  E  veramente  non  manca 
un'  altro  Vero  Console  anch'  egli  ordinario  la  terza 
volta  in  compagnia  di  Eggio  Ambibulo  nell'  879  , 
cioè  il  M.  Annio  Vero  avolo  dell'  Imperatore  M.  Au- 
relio. Convengo  che  s'incontrerebbe  un  ostacolo  in- 
sormontabile per  pensare  a  costui,  se  sussistesse  appa- 
rir dalla  lapide  che  quando  Urso  fu  vinto  dal  suo  pa- 
drone, questi  già  godesse  del  triplicato  onore.  In  una 
memoria  sulla  famiglia  dei  Neratii ,  che  uscirà  nel 
prossimo  volume  degli  Annali  Archeologici  [ì) ,  ho 
dovuto  chiamare  ai  conti  l'età  di  questo  Annio  ;  e  dopo 
aver  mostralo  coU'aulorilà  di  Capitolino  (in  Marc.  I.) 
che  fu  ascritto  fra  i  patrizi!  da  Vespasiano  e  da  Tito 
non  più  tardi  dell' 827,  ho  tenuto  che  giunto  all'eia 
Consolare  di  32  anni  compiti  o  poco  più  (2),  fosse  da 

(1)  È  siala  già  ora  pubblicata  nel  voi.  XXIV  de'  cilati  annali  1832, 
ove  riscontrisi  la  p.  17.  Gervasio. 
{t)  Quesl'  età  fu  dulerminala  da  Augusto  Dioa.  lib.  Lll,  20. 


—  45  — 


prima  suffello  nell'  anno  830  in  compagnia  di  L.  Ncra- 
(io  Prisco,  e  che  morisse  poi  quasi  nonagenario  circa 
1'  891.  Stando  adunque  a  questi  conti  nell'  879  egli 
avrebbe  avuto  presso  a  poco  7a  anni ,  olà  per  certo 
non  più  conveniente  per  giocare  alla  palla.  Per  me 
però  il  ter  Consul  non  serve  se  non  die  ad  identifi- 
car la  persona ,  ne  ha  alcun  rapporto  coli'  epoca 
della  vittoria ,  il  che  mi  sembra  indicarsi  dai  conte- 
sto. Urso  si  protesta  già  vecchio  (juando  fu  incisa  la 
lapide.  Ora  (jual  merito  sarebbe  slato  del  supposto 
L.  Vero  ,  il  quale  nel  920  aveva  36  anni  e  mori  di 
38,  se  trovandosi  nel  maggior  vigore  della  vita  avesse 
riportato  la  palma  di  un  avversario  snervato  dall'età? 
Altrettanto  ricavo  dalla  sua  esposizione  di  essere  al 
popolo  in  concetto  di  aver  superato  tuli'  i  suoi  ante- 
cessori ,  ma  che  ora  vedendosi  vicino  al  sepolcro  vuol 
dire  verha  vera ,  confessando  che  per  altro  egli  era 
stato  vinto  non  una  ma  più  volte  dal  suo  padrone. 
Con  ciò  il  vincitore  non  viene  egli  compreso  fra  gli 
antecessori?  Questi  certami  per  altro  saranno  stati  pri- 
vati, se  restarono  occulti  al  pubblico  e  ciò  starà  bene, 
perchè  negl'  imperii  di  Nerva  ,  di  Trajano  ,  e  di  A- 
driano  un  Consolare  non  si  sarebbe  tanto  avvilito  di 
mischiarsi  fra  la  turba  dei  giocatori  nelle  Terme  di 
Tito  e  di  Trajano.  Ciò  posto  non  sarebbe  più  impe- 
dito che  il  Vero  di  Urso  potesse  anch'  essere  il  Con- 
sole dell' 879.  Ella  ne  giudicherà,  contando  pur  qual- 
che cosa  anche  gli  apici  che  abbondano  nella  lapide, 
e  che  al  tempo  degli  Augusti  fratelli  erano  ormai  pas- 
sati fuori  di  uso  ». 

Fin  qui  il  Borghesi. 
Le  rinnovo  intanto  i  sensi  della  mia  sincera  stima 
ed  amicizia. 


Dice  la  prima 

TaATOKAJ  MfMETEOJ 
Frequenti  sono  nelle  messapiche  voci  i  fmiinenti  in 
TOllAJ.  Così  troviamo  0:oTOj;a>  in  iscrizioni  di  Brin- 
disi e  di  Ostuni ,  che  non  dovrà  essere  diverso  dal 
tìiOToppsj  di  una  iscrizione  di  Ccglie  ;  né  in  altra  ca- 
tegoria va  messo  il  K'xkxro^y.s  del  caduceo  di  Taranto. 
e  più  vicino  perchè  identico  è  il  nome  IWxr'^yx?  in 
epigrafe  di  Leuca  ,  ed  in  altra  della  stessa  Ceglie ,  che 
vedesi  ancora  declinalo  in  flXaroppil-i  in  una  iscri- 
zione di  Fasano. 
La  nostra  epigrafe 

IIXaTopcts  Mj/-ì«T£CS 
avvicinasi  più  alla  greca  declinazione,  denotando  forse 
il  nome  del  sepolto 

Platoras  Mimctac  fdim 
Noi  già  altrove  notammo  la  maggiore  o  minore  in- 
fluenza del  greco  linguaggio  sul  messapico  dialetto  ; 
a  proposito  della  iscrizione 

T«|3apa  AccjxccrpaS 
corrispondente  al  rccfiapcc  Aa/x'^rp/a  più  volle  ripetuto. 
La  seconda  iscrizione  di  Ceglie  tuttavia  inedita , 
della  quale  diamo  qui  la  notizia  ,  consiste  di  una  sola 
parola  la  prima  che  s' incontri  principiante  coli'  N  nel 
messapico  dialetto  : 

NEKAJ^IHI 
Sulla  quale  nulla  diremo  di  preciso ,  meno  che  ci 
sembra  ancora  un  nome  proprio.  Ci  si  fa  sperare  la 
comunicazione  di  non  poche  altre  iscrizioni  messa- 
piche  ;  e  noi  ci  affretteremo  di  pubblicarle,  per  age- 
volare Io  studio  di  quel  dialetto  finora  mancante  di 
elementi  tali ,  che  diano  suflìcienle  appoggio  a  severe 
conclusioni. 


Agostino  Gervasio. 


MmEBviM. 


Notizia  di  due  iscrizioni  messapiche. 
Non  spiacerà  a'  nostri  lettori  veder  qui  riportate 


Notizia  di  una  iscrizione  puteolana. 


Tra  le  varie  iscrizioni  recentemente  acquistate  pel 
due  altre  iscrizioni  messapiche  provenienti  da  Ceglie,  real  museo  Borbonico  ,  delle  quali  diremo  in  un  par- 
ie quali  mi  furono  comunicate  dal  sig.  Feliciano  A-  ticolare  articolo  ,  v'  è  la  seguente  ,  la  quale  è  incisa 
dami.  in  un'  ampia  lastra  di  marmo  rinvenuta  in  Pozzuoli 


—  46  — 


sulla  via  Campana  ,  e  che  per  alcune  specialità  meri- 
la  (li  essere  pubblicata. 

D  •  M 

IVLIAE  •  GEMELLAE  •  COIVGI 

SANCTISSIMAE  •  ET  •  INCOMPARABILI 

QVAE  •  VIXIT  •  ANN  •  XXXII  •  WES  •  V 

PEPERIT  •  XVllI  •  riIILADELPHVS 

MARITVS     M  EREMI 

TH\  CHN  •  SFYXHN  •  AICON  •  AAAHCCT 

É  notevole  cbe  questa  Giulia  Gemella,  abbenchè  mor- 
ia nella  giovine  età  di  Irentadue  anni  e  cinque  mesi, 
partorì  ben  diciotlo  volte;  della  quale  maravigliosa 
fecondità  volle  il  marito  conservare  particolare  me- 
moria. A  ciò  aj)puiilo  alluder  volle  col  greco  verso, 
cbe  chiude  la  epigrafe 

esprimendo  che  i  secoli  futuri  parlerebbero  di  una 
donna  cotanto  feconda. 

La  presente  iscrizione  ci  fornisce  uu  altro  esempio 
delle  epigrafl  bilingui ,  le  quali  di  quando  in  quando 
vengon  fuori  dalla  medesima  località ,  o  da  altri  siti 
della  Campania.  N"i  ne  ricordammo  alcune  nel  primo 
anno  dell'aulica  serie  del  bidlclliiio  napoìitauo  \ìa^.  io 
provenienti  da  Napoli  ;  ed  altra  di  Pozzuoli  ne  pub- 
blicammo nel  1.  \o]ume  de  monumenliinediti  di  Ba- 
rone p.  40.  e  s.  lav.  IX  fig.  3.  La  greca  conclusione 
della  epigrafe  può  farci  conghietturare  che  il  marito 
di  Gemella  fosse  greco,  al  che  ci  persuade  benanche  il 
suo  nome  Pliiladelphus,  eh'  è  pur  di  greca  derivazione. 
E  non  sarebbe  strano  l'immaginare  che  fosse  uno  di 
quei  Tirii,  il  cui  slabilimenlo  in  Pozzuoli  ci  viene  ad- 
ditato da  due  iscrizioni ,  una  da  me  prima  pubblica- 
la ,  e  r  altra  già  anticamente  conosciuta.  (Vedi  i  miei 
nwn.  ined.  di  Barone  t.  I.  pag.  40  e  seg.  e  appendi- 
ce p.  Vii,  e  seg.  ). 

Frequente  è  la  ortografia  coiiigi  e  meaes  per  con ju- 
gi  e  menses,  colla  soppressione  dell' n,  né  ci  ferme- 
remo a  dirne  alcuna  cosa.  Vogliamo  solo  in  quanto 
al  greco,  avvertire  che  è  a  notare  essersi  adoperati  il 
Ce  r  6  lunati ,  come  pure  l' U),  che  si  accoppia  con 


quei  caratteri ,  i  quali  appartengono  ad  epoca  non 
troppo  remola.  Per  Io  cbe  crediamo  doversi  la  no- 
Ira  epigrafe  riportare  almeno  al  cadere  del  primo 
secolo  dell'  era  cristiana. 

Ml.NERVlNI. 


Descrizione  di  alcuni  vasi  dipinti  del  rcal  museo  Bor- 
bonico. Continuazione  del  n.  46. 

Noi  cominciammo  nel  passato  anno  a  dar  la  noti- 
zia di  tre  magnifici  vasi  di  Canosa  recentemente  in- 
trodotti nel  real  Museo ,  e  del  primo  tra  essi  presen- 
tammo già  la  descrizione  ,  ed  alcune  brevi  dilucida- 
zioni. Ora  continueremo  a  discorrere  degli  altri  due, 
i  quah  e  pe' soggetti ,  e  per  lo  stile  del  disegno,  rie- 
scono non  meno  interessanti  del  primo.  Sono  entram- 
bi della  medesima  forma  così  detta  a  tromba ,  e  della 
medesima  altezza  di  palmi  quattro  incirca. 

Ecco  la  minuta  descrizione  del  primo. 

All' esterno  della  bocca  del  vaso  è  l'ornamento  di 
un  ramo  di  vile  con  grappoli  pendenti:  sul  collo  veg- 
gonsi  palmctte,  ovoli,  meandro  ad  onda,  e  fiori.  Sotto 
i  due  manichi  è  fregio  di  complicate  palmette.  SuU'in- 
grandirsi  del  collo  e  sulla  pancia  del  vaso  scorgonsi 
dalle  due  facce  due  diflerenli  ordini  di  rappresenta- 
zioni. Sono  esse  inferiormente  limitate  da  altre  rap- 
presentazioni ,  le  quali  si  estendono  in  giro  facendo 
con'inuazione. 

Sul  collo.  Protome  femminile  di  fronte ,  con  par- 
ticolare covertura  di  testa  fregiata  di  radii,  sorge  dal 
simbolico  fiore  circondato  da  complicate  ramificazio- 
ni. A'  due  lati  sono  due  Eroti  alati  ed  androgini  vo- 
lanti in  contrarie  direzioni  :  entrambi  hanno  orna- 
mento di  puntini  sul  corpo  ,  e  periscelidi  ;  entrambi 
recano  con  una  mano  la  corona,  con  l'altra  la  patera. 

Sulla  pancia.  Comparisce  nel  mezzo  un  toro  di 
bianco  e  di  giallo ,  il  quale  sollevando  la  coda  si  ab- 
bassa piegando  il  ginocchio  della  sinistra  zampa  an- 
terioic.  È  su  di  lui  a  cavalcioni  Amore  alalo  con  ìsva- 
riati  ornamenti,  alcuni  de' quali  sembrano  accennare 
alla  sua  androgina  natura  :  poggia  questi  sul  dorso 


—  47  — 


dell' animale  la  manca,  ed  eleva  la  destra  spingendolo 
a  curvarsi  ancbe  più  al  suolo.  Innanzi  è  una  {giovine 
donzella  riccamente  vestila  ,  la  quale  blandisce  con 
ambe  le  mani  il  mansueto  animale ,  verso  di  quello 
abbassandosi  ,  quasi  vogliosa  di  scberzare  con  esso. 
In  alto  vola  un  altro  Amore,  clic  presenta  con  ambe 
le  mani  una  svolazzante  tenia.  Altre  figure  cominono 
da' due  lati  la  scena.  Dietro  la  donzella  avvene  un'al- 
tra ,  cbe  solleva  colla  destra  il  giovanile  trastullo  della 
sfera.  Finalmente  un  vecchio  con  bianchi  capelli  ve- 
stito di  corta  tunica  ed  imalio  ,  calzato  di  stivaletti , 
e  col  pelaso  dietro  le  spalle,  si  appoggia  con  ambe  le 
mani  al  giallo  bastone,  osservando  quel  che  succede 
sotto  i  suoi  sguardi.  In  allo  vola  una  colomba,  recan- 
do fralle  unghie  una  corona.  Dietro  al  toro  sono  tre 
altre  donzelle;  la  prima  reca  colla  sinistra  la  sfera,  e 
solleva  verso  il  loro  colla  destra  una  corona:  la  secon- 
da lascia  svolazzare  il  peplo  ad  arco  sulla  sua  testa , 
ha  rossi  calzari ,  e  colla  sinistra  tiene  un  timpano  : 
la  terza  si  appressa  portando  parimenti  la  sfera. 

Non  può  dubitarsi  che  si  rappresenti  in  modo  as- 
sai leggiadro  il  ratto  di  Europa;  ma  faremo  tra  breve 
alcune  particolari  osservazioni. 

Dall'altra  faccia  del  vaso  vedonsi  altresì  svariati  or- 
namenti, palmelle,  meandro  ad  onda,  fiori,  ovoli.  Ove 
s' ingrossa  il  collo  verso  la  pancia  vedi  una  prolome 
femminile  con  orecchini  e  collana  di  giallo ,  il  capo 
adorno  di  rosso  pileo  ricurvo  fregiato  di  gialli  punti- 
ni: sorge  egualmente  dal  simbolico  fiore  con  circo- 
stanti ramificazioni  ;  e  due  Eroti ,  che  pur  sembrano 
androgini ,  sono  d' ambi  i  lati  verso  la  stessa  rivolti  : 
uno  reca  la  patera  e  la  corona ,  l' altro  la  patera  ed 
un  balsamario. 

Sulla  pancia.  Siede  a  sinistra  sopra  di  un  sasso 
Giove  coronato  di  lauro  o  di  quercia ,  colla  clamide 
che  covre  la  metà  inferiore  del  corpo  ,  e  co'  calzari  : 
colla  destra  sostiene  la  patera  ,  colla  sinistra  si  ap- 
poggia allo  scettro  sormontato  da  un'aquila.  Lo  pre- 
cede una  quadriga  tratta  da  veloci  corsieri ,  guidali 
da  un  dio  alato  ed  adulto,  il  quale  tenendo  colla  de- 
stra l'asta,  colla  sinistra  le  redini,  è  nell'alto  di  vol- 
gersi a  Giove  quasi  per  ascoltarne  i  comandi.  Sulle 
teste  de' cavalli  sono  nel  campo  quattro  aslri.  Precede 


la  quadriga  in  leggiero  movimento  ^Icrcmio  lenendo 
la  clamide,  il  pelaso,  e  gli  alali  calzari:  colla  sinistra 
tiene  il  caduceo  uscente  in  punta  di  lancia,  ed  un  ra- 
mo di  palma.  Il  dio  prende  colla  destra  uno  de'  ca- 
valli presso  al  morso  ,  e  volgesi  indietro  ,  quasi  per 
guidarne  i  passi.  Al  suolo  si  veggono  varii  fiori.  Com- 
parisce poi  un  Panisco  con  corna,  orecchie,  e  gambe 
caprine ,  che  tiene  il  pedo  e  la  siringa.  Finalmente 
appoggiandosi  ad  un  sasso  è  Pane  con  clamide  incro- 
ciando le  gand)e  :  la  sua  giovenile  figura  è  quella  che 
suole  apparire  ne'  vasi  di  Puglia  :  ha  il  capo  corona- 
to, e  spuntar  si  mirano  dalla  fronte  due  piccole  corna: 
colla  sinistra  ha  la  patera  ,  colla  destra  il  pedo. 

Al  di  sotto  delle  due  descritte  rappresentazioni  ve- 
desi  in  una  particolare  fascia  una  bianca  protome  fem- 
minile di  fronte  con  gialli  capelli ,  cinta  della  solila 
ramificazione. 

Più  in  giù  è  una  complicata  rappresentazione  ,  la 
quale  si  estende  per  tutto  il  giro  del  vaso ,  e  che  de- 
scriviamo particolarmente  : 

(1 .)  Giovine  coronato  sedente  a  d.  sulla  sua  clamide, 
colla  d.  tiene  il  bastone ,  colla  s.  la  patera  :  volgesi 
ad  una  (2.)  Donna  assisa  quasi  di  fronte  ;  ha  tunica , 
mantello  ,  ed  altri  femminili  ornamenti  :  questa  pre- 
senta al  giovine  una  corona  ,  e  lien  colla  sinistra  un' 
ombrella  aperta  ,  con  ornamento  sujieriore.  Traile 
due  descritte  figure  vola  una  bianca  colomba  ,  por- 
tando fralle  unghie  una  gialla  tenia.  (3.)  Segue  una 
donna  sedente  a  destra:  colla  sinistra  innalza  lo  spec- 
chio ,  colla  destra  tiene  lo  cteis;  al  suolo  è  un  bal- 
samario. (4.)  Di  fronte  le  si  appressa  Amore  adulto 
ed  androgino,  che  presenta  colla  d.  la  patera,  e  tiene 
colla  s.  un  ramuscello  :  solleva  il  destro  piede  sopra 
un  rialto.  Traile  due  figure  è  in  alto  un  ramo  a  fog- 
gia di  pergola.  (3.)  Donna  sedente  a  s.  colia  destra 
innalza  lo  specchio  ,  colla  sinistra  un  timpano  ,  vol- 
gendosi a  destra  verso  un  (6.)  Giovine  nudo  e  coro- 
nato sedente  a  sinistra  sulla  sua  clamide,  colia  sini- 
stra ha  un  festone.  (7.)  Segue  altra  donna  camminan- 
te a  d. ,  che  colla  dritta  ha  una  corona,  colia  manca 
una  cesta  ricolma  di  offerte:  vi  si  ravvisano  due  me- 
logranatc,  due  grappoli,  e  nel  mezzo  un  oggetto  pi- 
ramidale :  di  sotto  alla  cesta  pendono  due  gialle  tenie. 


—  48  — 


(8.)  Donna  sedente  a  sinisira  sopra  una  specie  di  cu- 
scino o  sacco,  tiene  colla  destra  un'oca  o  cigno  sulle 
sue  cosce ,  e  colla  sinistra  un  unguentario  :  volgesi  a 
destra  verso  (9.)  Amore  adulto  ed  alato  sedente  a  si- 
uistra  sopra  di  un  sasso,  il  (juale  tiene  colla  destra  una 
cassetta  aperta.  Sono  iu  allo  alcune  foglie  di  edera  , 
ed  al  suolo  alcune  piautoline.  (10.)  Donna  la  quale 
curvandosi  a  destra  solleva  il  sinistro  piò  sopra  un 
rialto:  eleva  colla  destra  lo  specchio,  e  tiene  colla  si- 
ni'-.tra  la  sfera:  volgesi  questa  ad  (11 .)  altra  donna 
sedente  a  sinistra  sopra  di  un  masso:  tiene  colla  destra 
una  patera  con  tre  globetti,  colla  sinistra  un  ramo  da 
cui  pende  un  doppio  grappolo.  (12.)  Donna  che  cam- 
mina veloce  a  sinistra  volgendosi  ad.  :  tiene  colla  de- 
stra il  flabello  ,  colla  sinistra  una  cassetta  con  bian- 
chi globetti  al  di  sopra  ,  e  sospesa  al  sinistro  polso 
una  corona.  (13.)  Donna  sedente  a  d.  sopra  di  un 
sasso,  suona  colla  sinistra  il  trigomim,  che  dalla  par- 
te anteriore  è  limitato  dalla  figura  di  una  cicogna. 
(14.)  Amore  adulto  stante  a  d.  e  volto  a  s. ,  tiene  colla 
dc'stra  una  corona  con  tenia  pendente  ,  colla  sinistra 
una  patera  con  tenia  al  di  sotto.  Al  suolo  è  un  fiore. 
II  prezioso  monumento  ,  che  abbiamo  finora  de- 
scritto ,  è  stato  illustrato  dal  mio  eh.  collega  comm. 
Quaranta,  il  quale  ha  letto  sullo  stesso  una  memoria 
alla  reale  accad<niiia  Ercolanese.  Riconoscendo  nella 
prima  rappresentazione  il  soggetto  di  Giove  tramutato 
in  loro  ,  che  preparasi  a  rapire  Europa ,  osserva  co- 
me questa  regia  donzella  veggendo  accostarlesi  con 
tanta  mansuetudine  il  robusto  quadrupede  ,  ne  fa  le 
più  alte  meraviglie  ;  e  come  l' Amorino  ,  che  le  svo- 
lazza a  fianco  par  che  l'induca  ad  accarezzare  il  loro, 
a  palpeggiarlo,  ed  a  scherzare  con  esso  sino  al  punto, 
che  allettata  da  quell'  apparente  docilità  ,  si  persua- 
derà a  sedergli  sul  dorso:  cose  delle  quali,  come  os- 
serva il  comm.  Quaranta  ,  ammirasi  un  pastore,  che 
ha  il  pelaso  dietro  le  spalle  ,  e  che  si  appoggia  a  ri- 


curvo bastone.  L'istantanea  apparizione  del  torce 
assai  bene  indicata  dalla  sorpresa  di  Europa ,  e  dalle 
movenze  delle  altre  cinque  giovani  compagne,  che  si 
trovano  con  esso  lei.  Due  di  loro  hanno  ,  al  pari  di 
Europa  ,  una  palla  di  cuoio  dipinta  a  strisce,  la  quale 
serviva  di  trastullo  non  pure  a'  fanciulli ,  ma  anche 
alle  donzelle  ,  giacche  in  Ovidio  ,  tra'  munera  graia 
pucllis  si  annoverano  anche  le  ptciaep/ae,  corrispon- 
denti alle  tx^%7py.i  TrotxtXx)  di  Dione  Crisostomo.  Nella 
seconda  faccia  del  monumento  comparisce  un  Giove 
sedente  ,  il  quale  sta  parlando  con  un  Amore  assiso 
sopra  una  quadriga,  cui  va  innanzi  il  Cillenio  in  alto 
di  avviarsi  verso  una  grotta  poco  lontana  ,  eh'  è  ap- 
punto quella  delle  nozze  d*  Europa.  La  quale  inten- 
zione dell'artista  si  fa  chiara  dalla  grossa  palma,  che 
ha  in  mano  insieme  col  caduceo;  pianta  che  non  solo 
potrebbe  indicare  la  vittoria  ottenuta  per  gì'  intrighi 
dell'astuto  figliuol  di  Maja  ,  ma  considerarsi  ancora 
qual  simbolo  geografico  di  Sidone,  dove  quegli  erasi 
condotto ,  per  favorire  i  desiderii  di  Giove.  È  da  os- 
servare intanto  che  il  Satiro  ed  il  Panisco,  che  si  veg- 
gono innanzi  alla  grotta ,  ci  fanno  arguire ,  questa 
scena  essere  tratta  da  qualche  satirico  dramma.  Tutte 
le  figure  della  inferiore  rappresentazione  alludono  , 
secondo  il  nostro  dotto  collega,  a  festa  di  nozze.  Som- 
ma è  in  questa  creta  (dice  il  Quaranta)  la  espressione 
delle  figure  ,  invariabile  la  squisitezza  del  disegno  , 
con  che  son  tratteggiale  ;  ed  io  non  temo  di  asserire 
che  per  la  grazia  e  la  venustà  diche  ridondano, sene 
pregerebbe  non  pure  l'Albano,  ma  lo  slesso  Raffaello. 
Fin  qui  il  chiarissimo  collega  in  una  breve  notizia , 
che  mi  ha  fornita  della  sua  spiegazione.  Mi  sia  lecito 
ora  far  seguire  alcune  mie  poche  osservazioni. 


fcondnuaj 


MlNERVlNI. 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.g. 
Giono  MiNERviNi  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catàneo. 


BlLlEimO  ARCHEOLOGICO  IN  VPOLITA^O. 


NUOVA    SERIE 


N.'  3ì.     (7.  dell' anno  IL) 


Ottobre  1853. 


Nolizia  de' più  recenli  scavi  di  Pompei.  Continuazione  del  n.  28. — //  nuovo  programma  pompeiano  di  M.  E- 
pidio  Sabino.  —  Iscrizione  Sorrentina  dedicata  a  Fausta,  con  osservazioni  del  Conte  B.  Borghesi.  —  Osser- 
vazioni intorno  all'articolo  del  sig.  de  Rossi  sul  Pavsilypon  di  Mettia  Edone. — Iscrizioni  latine. 


Notizia  de' più  recenli  scavi  di  Pompei.  Conlinuaz 
del  num.  2S, 


itone 


Ora  che  si  è  proseguito  sufllcientemenle  lo  scavo 
nel  silo,  ove  fu  rinvenuta  la  statua  di  Oiconio,  riesce 
facile  formarsene  una  idea  esalta.  La  nuova  via,  come 
fu  da  noi  avvertilo,  mena  quasi  direltamentealForo, 
e  dalla  strada  Slabiana,  presso  la  quale  prende  comin» 
ciamenlo,  era  accessibile  da  soli  pedoni.  A' due  lati  vi 
è  il  solito  marciapiede  ,  sul  quale  si  elevano  i  pilastri 
degli  edifici,  checosteggianola  via.  Dalla  parte  interna 
del  marciapiede  sono  due  pilastri  da  un  Iato ,  e  due 
dall'altro,  a  ciascuno  de' quali  vedesi  addossato  un  pie- 
distallo di  fabbrica  ;  siccome  fu  da  noi  detto  innanzi 
(pag.  26).  Ora  soltanto  osserviamo  che  di  questi  in- 
terni pilastri  con  le  vicine  statue  non  ve  ne  furono  che 
quattro ,  giacché  essendo  proseguito  il  disterro ,  si 
scfjrge  che  viene  subito  interrotto  l'ordine  di  questi 
secondi  pilastri.  Dalle  più  recenli  scavazioni  ci  siamo 
ancora  pienamente  convinti  che  le  altre  tre  statue,  oIt 
tre  quella  di  Oiconio ,  non  che  il  marmoreo  rivesti- 
mento de' tre  piedistalli,  furono  anticamente  rapiti  ; 
giacché,  ad  eccezione  di  quella  testa  muliebre  da  noi 
precedentemente  accennata,  niente  altro  é  venuto  fuori 
da  quelle  vicinanze. 

Tornando  a'  pilastri  esposti  sul  marciapiede,  noterò 
che  a  destra  se  ne  veggono  finora  sei ,  tutti  composti 
di  grandi  pezzi  di  tufo  di  Nocera.  A  sinistra  ne  sono 
fino  a  questo  momento  comparsi  otto ,  alcuni  della 
medesima  costruzione  ,  dir  voglio  di  grandi  massi  di 
tufo;  altri  di  opera  laterizia.  Dall'  una  e  dall'altra  parte 
molli  di  quei  pilastri  sono  crollati:  e  noi  ne  additeremo 

AfiUO    II. 


le  particolarità ,  quando  le  progredite  scavazioni  ci 
avran  porto  il  destro  di  favellare  degli  edificii,  de'  quali 
sono  essi  il  limite. 

Intanto  riportiamo  i  programmi  segnati  col  pennello, 
letti  nella  porzione  di  strada  scoverla  Onoggi, 

1.  Sul  quarto  pilastro  a  sinistra, 

LG- SECVNDVM 

IIVIR'IDOVFVERETADIVTOR 

ROGANT 

Non  ci  sembra  da  dubitare  che  sia  qui  desiderato 
per  duumviro  L,  Ceio  Secondo ,  del  quale  fan  pure 
menzione  altri  programmi  della  vicina  strada  Stabiana. 
Tra  essi  è  notevole  quello  da  noi  riportato  nel  1  .o  anno 
di  questo  buUettino  p.  185,  n.6,  ove  è  una  curiosa  al- 
lusione espressa  dalle  parole  NEC  SINE  MAENIANO. 
Nel  nuovo  programma  le  due  voci  Ver.  et  Adjutor  uoi 
crediamo  sieno  due  nomi  proprii  Verus  ed  Adjutor  ; 
essendo  risaputo  che  quest'  ultimo  cognome  trovasi  non 
di  rado  nelle  iscrizioni  (v.  Mommsen  inscr.  R.  neap. 
lai.  633,  1468.  1727,  2532.  3599,  4005,  4040. 
6655  bis,  6769,  6834,), 

2.  Sul  quinto  pilastro  a  sjnistr^. 

E  •  C • SECVNDVM 

II  •  VIR  •  I  •  D  •  0  •  V  •  F     •     •     •     • 

Dopo  la  nota  formola  seguono  tracce  di  un  nome 
illegibile.  Si  riferisce  allo  slesso  L,  Ceio  Secondo, 

3.  CASELLIVM 
FVSCVS  •  ROG- 


—  so  — 


■i.  Sul  sesto  pilastro  a  sinistra. 
M  •  HOLCOMV.M  •  PRISCVM 
II  vm  -D  ■  R-  PO    V  •  F' 

5.  Sul  secondo  a  sinistra. 
M  •  VESVIVM  •  II  ■  V 


\B 


OF. 


Sono  notevoli  in  questo  programma,  nella  parola 
Vesvium,  i  nessi  del  V  con  E,  dell'V  collM  che  incon- 
treremo di  nuovo  tra  poco;  come  pure  la  sigla  VB  , 
che  trovammo  altresì  nell'altro  programma  di  L.  Furio 
riferito  di  sopra  p.  27  n.  17.  Nuovo  ci  sembra  il  modo 
di  segnare  la  nota  formola  oro  los  facialis  col  mono- 
gramma VF  entro  un  cerchio  più  grande. 

6.  Sul  medesimo  pilastro 

X  ■  HERENXIV.M 

7.  Tra  il  quarto  ed  il  quinto  pilastro  era  un'aper- 
tura, che  venne  poi  anticamente  chiusa  con  fabbrica: 
al  di  sopra  della  primitiva  apertura  vedevasi  una  cor- 
nice con  ornamenti  di  stucco ,  ora  crollala ,  e  sul 
fronte  leggesi  di  rosso 

C  ■  NVMDIVM  IIV- 
Vi  si  osserva  il  medesimo  monogramma  dell'  V 
collM. 

8.  Sul  quinto  pilastro  a  sinistra 
VETTIVM 

9.  VEDIV.M  •  AED 

.SESTIVS  ■  pnOC\XV5  •  ROG 

10.  C.\SELLIV.M  •  AED 

Abbiamo  letto  ancora  alcune  parole  graffite ,  e  ta- 
lora profondamente  incise  con  una  punta  acuta  in  al- 
cuni de'  grandi  pezzi  di  tufo  di  Xoccra  adoperali  alla 
costruzione.  Cosi  in  uno  che  è  messo  nel  pilastro  se- 
condo a  sinistra  leggesi 

NARCISVS 
più  sotto 

IVC\7s"DVS  ,  e  poi 

PETR 

In  altro  pezzo  di  tufo  del  medesimo  pilastro 

VIVE 

VALE    (  LE  monogr.  ) 


In  un  pezzo  di  tufo  del  quarto  pilastro 
CEIVS 

Possiamo  ora  annunziare  che  tutta  la  strada  Sta- 
biana  è  quasi  interamente  scoverta,  e  ci  riserbiamo  di 
darne  una  generale  idea  in  altro  articolo,  ove  diremo 
pure  delle  particolarità  della  porta  di  Stabia.  Sopra 
una  delle  esterne  pareti  si  vede  il  seguente  program- 
ma, che  omettemmo  di  trascrivere,  o  piuttosto  è  com- 
parso posteriormente  dopo  che  è  saltato  via  lo  strato 
d' intonico  che  lo  ricopriva. 

Q  •  POSin^I  •  PROCVL\*M  •  AED 
CERIALIS?  ROG  •  CLIEXS 

Pare  che  sia  per  errore  dello  scrittore  POSTIVM 
in  vece  di  POSTVMIV.M,  essendo  noto  per  altri  pro- 
grammi il  Q.  Poslumio  Proculo  :  se  pure  non  voglia 
credersi  una  particolare  abbreviazione  di  quel  nome. 
Questo  programma  ci  fornisce  un  terzo  esempio  di 
clienù  in  Pompei ,  avendone  noi  medesimi  riferiti  gli 
altri  due  di  Proculo  (anno  I.  p.  142  e  lo6) ,  e  di 
M.  Cuspio  Pausa  (ibid.  p.  157  e  177). 

Poco  abbiamo  a  dire  degli  oggetti  ultimamente  sca- 
vati. Solo  non  dobbiamo  passare  sotto  silenzio  il  ri- 
trovamento di  una  ornata  cassa  in  una  bottega  segnata 
col  num.  109. 

Era  questa  fregiata  di  ornamenti  di  bronzo  svaria- 
tissimi  rivestili  di  argento.  Tra  questi  varii  ornamenti, 
i  quali  non  possiamo  renderci  esatta  ragione  come 
fossero  situati  intorno  la  cassa  ,  per  essersi  tutti  ritro- 
vati staccati ,  ve  ne  sono  alcuni  degni  di  particolare 
attenzione.  Sopra  uno  a  forma  di  disco  vedesi  il  ri- 
vestimento di  argento  ,  e  sullo  stesso  a  bassorilievo  è 
figurato  il  nolo  gruppo  delle  tre  Grazie  nude,  che  si 
tengono  fra  loro  abbracciate. 

Sopra  altro  simile  disco  di  argento  è  figurata  la  te- 
sta di  Mercurio  a  s.  senz'  altro  attributo  ad  eccezione 
del  petaso,  ed  è  di  uno  stile  molto  somigliante  a  quellq 
di  alcuni  sestanti  romani.  Sopra  un  altro  è  la  testa  di 
Bacco  coronato  di  edera  :  e  finalmente  in  un  altro  è 
una  testa  di  fronte  con  corona  di  raggi,  probabilmente 
di  Apollo ,  0  del  Sole.  Altri  ornali  rappresentavano 
fogliami ,  ed  uccelli;  e  di  questi  crediamo  inutile  dare 
una  particolare  descrizione. 


—  51  — 


Slrada  dell'  anfìtealro.  Le  nuove  scavazioni  dirette 
a  rendere  più  agevole  la  traccia ,  che  dal  cosi  detto 
tempio  di  Esculapio  conduce  all'anfiteatro,  hanmesso 
allo  scoverto  alcuni  programmi  dipinti  col  pennello 
sulla  superficie  esterna  de'  muri. 

Sono  essi  i  seguenti. 

1.  VERVS  •  INNOCES  •  0<^  •  AED 
PAPILIO 

2.  0  ■  POSTVMIVM  •  PROCVLVM 

AED  •  O^  •  SEXTILIVS  •  VERVS  •  FACIT 

3.  SERGIVS  •  VENVSTVS 

OA 


fconlinuaj 


MlNERVINI. 


//  nuovo  programma  pompeiano  di  M.  Epidio  Salino. 

Neil'  articolo  intorno  all'  Amhulatio ,  e  ai  program- 
mi popolari  in  Pompei  inserito  nel  Bullettino  An.  I. 
p.  148  seg.,  io  dimostrai  che  il  rogai  scambiato  con 
orat,  cupit,  petit,  facit  non  può  avere  comunemente 
un  significato  strettamente  legale,  perchè  molti  di  co- 
loro che  lo  adoperano  dovevano  essere  legalmente 
esclusi  dai  comizii ,  e  perchè  incontrasi  anche  in  quei 
programmi  che  sono  posteriori  di  tempo  alla  cessa- 
zione dei  comizii;  la  quale  credesi  avvenuta  dopo- 
ché Tiberio  trasportò  i  comizii  e  campo  ad  palres  [Tn' 
cit.  An.  I.  la.). 

È  però  necessario  dare  uno  sviluppo  maggiore  a 
questa  seconda  ragione;  perocché  il  Zumpt  la  tiene 
cosa  provatissima  ut  et  rei  natura  docel ,  et  intelligi- 
tur  ex  tcstimoniis  certissimi^  (Comm.  Epigr,  p.  61). 
Ma  quali  siano  questi  testimonii  certissimi  egli  non 
dice  ,  e  altronde  gli  Autori  di  questa  sentenza  sem- 
brano fidarsi  al  solo  passo  di  Tacito  or  allegalo  ;  e 
così  il  Lipsie:  Tiberius  primus  animis  Quiritum  fra- 
clis  ius  omne  sibi  et  senatui  sinnsit ,  populi  mdlo  loco; 
quod  Tacilus  his  verbis  voluit  ;  comitia  e  campo  ad pa- 
tres  iranslala  •  '  ex  co  tempore  expers  su/pagionim 
populus  (Excurs.  ad  Tacit.  1,  lo.  E). 

Costa  per  altro  che  i  comizii  non  cessarono ,  né 
sotto  Tiberio ,  né  dopo  ;  e  che  i  raccomandati  dal 


principe  al  Senato  ,  siccome  quei  quattro  candidati , 
che  egli  concesse  al  Senato  di  proporre,  erano  infine 
nei  comizii  rispettivi  designati  ma  senza  ripulsa  ,  né 
broglio:  sine  repulsa  et  amliitu  designandos  (Tacit. 
1.  e.  (1))  :  di  modo  che,  siccome  ottimamente  osser- 
va Dione  ,  un  simulacro  soltanto  degli  ant  chi  comi- 
zii era  rimasto  ;  óuffri  ìv  slxón  ^oxùv  y/yvscQx;  (  Dio. 
LVIII ,  20  ).  Variò  pertanto  la  condizione  di  questi , 
sotto  i  principi  seguenti  ;  che  se  a  Caligola  non  riu- 
sci di  ricondurre  il  popolo  lungamente  disvezzato  a 
prender  parte  attiva  nelle  elezioni  dei  magistrati  (Dio. 
LIX,  e.  20);  sappiamo  nulla  dimeno,  che  sotto  Tra- 
jano  procurrebanl.  omnes  cum  suis  candidatis ,  multa 
agmina  in  medio ,  multique  circuii  et  indecora  confu- 
sio  :  onde  convenne  al  Senato  rivocare  in  uso  la  legge 
Cassia  tabcllaria  (Plin.  Epist.  Ili,  20):  Omnes  comi' 
tiorum  die  tabcllas  postulaverunt  (2). 

Or  se  in  Roma  il  popolo  non  fu  mai  onninamente 
escluso  dalla  elezione  dei  magistrati ,  e  se  almeno  ap- 
parentemente dava  il  suo  voto  nei  comizii  (3) ,  non 
si  avranno  più  alcuna  ragione  coloro  ,  i  quali  sosten- 
gono che  suir  esempio  di  Roma  s' iutroducesse  nei 
municipi!  e  nelle  colonie ,  che  escluso  il  popolo ,  i 
soli  decurioni  s' incaricassero  della  elezione,  che  poi 
offrissero  all'  approvazione  del  popolo.  Io  invece  son 
di  credere  non  solo  l' esercizio  dei  comizii  essere  per- 
durato fuori  di  Roma,  ma  ancora  l'autorità,  e  la  liber- 
tà sua  al  certo  maggiore  di  quella,  che  era  in  Roma. 
Perocché  laddove  tutta  la  immediata  influenza  del 

(1)  II  Lipsio  stima,  die  le  parole  ne  plurcs  quam  quatuor  can^ 
didatos  commendarci  si  debbano  riforiro  a  Tibciio,  ma  pare  in- 
vece ,  che  Tiberio  al  senato  concedesse  questa  iiroposta ,  scriven- 
do Tacilo,  che  senutus  ìargitionibus  ac  precibus  sordidis  exso- 
lutus ,  libens  tenuit,  moderante  Tiberio,  ne  plures  qiiam  qua- 
fuor  candidatos  commendarci,  sine  repulsa  et  ambitu  designan- 
dos. I.  e.  Se  prima  di  ciò  potissima  arbitrio  principis  fiebaut , 
come  (Xileva  poi  dir  Tacilo  che  il  Senato  concesse  a  Tiberio  di  no- 
minare alle  magistrature  non  più  di  quattro  candidati,  dopo  cho 
Tiberio  stesso  aveva  costituito  il  Senato  arbitro  delle  elezioni  in 
vece  del  popolo? 

(2)  Questa  legge  taJjellarLi  io  riconosco  adottala  nei  munlcipil 
e  nelle  colonie ,  e  me  ne  danno  argomento  due  lapidi  di  Calvi ,  ove 
apparisce  la  frase  LOCO  DATO  S.  C.  PER  TABELLAM  (Cervasio 
Iscr.  Mess.  p.  36,  Momm.  I.  N.  39o0 ,  3051).  Quindi  risulta  evi, 
dentemente  V  uso  dei  comizii  popolari  per  le  città  fuori  di  Roma. 

(3)  Ricordo  il  motto  di  L.  Galba  riferito  da  Quintiliano;  sicpt' 
tis  tamquam  Cacsaris  candidatui. 


—  52  — 


Principe  ,  e  le  raccomandazioni  introdotte  da  Giulio 
(Suet.  in  Iul.XLI),e  talvolta  ancora  gli  espressi  voleri 
in  Roma  sempre  diminuivano  ,  e  soventi  volte  impe- 
divano del  lutto  la  libera  votazione ,  i  cittadini  nelle 
piccole  republicliette  municipali  e  coloniali  non  ave- 
vano a  temere  se  non  della  potenza  di  alcuna  famiglia, 
(he  tutto  al  più  colle  largizioni  e  coi  brogli  si  potea 
comprare  i  voti ,  non  mai  però  coli'  assoluto  coman- 
do (  cf.  Plin.  Ep.  III.  20  in  Cne.  Smt  quidem  ciincta 
sub  uniiis  arhitrio  etc.  ). 

Non  essendo  adunque  passato,  mai  esclusivamente 
nò  in  Roma  ne  altrove  il  dritto  di  nominare  alle  ca- 
riclie  dal  popolo  al  senato,  ne  conseguita  che  i  pro- 
grammi popolari  di  Pompei  possono  appartenere  in 
tutti  i  tempi  sì  ai  cittadini  elettori,  che  alle  classi  della 
plebe  non  considerate  nelle  liste  censorie  dei  votanti. 
Resta  quindi  saldo  quanto  ho  proposto  intorno  al  senso 
non  strettamente  forense  della  voce  rogai  ;  ma  il  nuo- 
vo programma  pompeiano ,  pubblicato  dal  collega 
Minervini  (  pag.  27.  ) ,  che  stando  alle  teorie  del 
Zumpt  e  dei  predecessori  non  potrebbe  avere  una 
spiegazione  ragionevole  ,  ora  prenderà  assai  bene  il 
suo  posto  nella  serie  dei  programmi  (1). 

Erasi  conosciuto  assai  prima  ,  che  M.  Epidio  Sa- 
bino apparteneva  agli  ultimi  anni  di  Pompei,  essendo 
nolo  il  programma,  che  lo  cercava  al  duumvirato  in 
maniera  assai  più  concisa  ,  per  giudizio  del  medesimo 
Suedio  Clemente  incaricato  straordinario  di  Vespa- 
siano alla  verifica  dei  beni  fondi  che  appartenevano 
alla  republica  di  Pompei ,  ed  ai  particolari  possessori. 
Leggesi  quel  programma  pubblicato  dal  Guarini  Fa' 
sii  duum.  p.  loo. 

M  •  EPIDIVM  •  SABINVM 
EX  SENTENTIASVEDI  CLEMENTIS 
D  •  V  •  I  •  D 

Il  nuovo  programma  più  ampio  e  magnifico  di- 
cendo 37.  Epidium  Sabinum,  defensorem  Coloniae , 


(I)  Nella  memoria  da  me  Iella  alla  reale  Accademia  Ercolanese 
su  queste  ultime  scoperte  ho  presentato  io  pure  le  difficoltU  che 
offre  il  nuo\o  programma  alla  opiaione,  che  toglie  a'  comizii  la  no- 
mina du'  niagisiiaii.  minervini. 


ex  senlenlia  Suedi  Clemeniìs  sancii  ludicis ,  consemu 
Ordinis,  ob  merila  eius  et  probilatem,  dignum  Reipu- 
hlicae ,  faciatis  duumvirum  Iure  dicundo  e  insegna  a- 
pertamente ,  che  al  popolo  si  raccomanda  un  tal  per- 
sonaggio ,  il  quale  ha  già  il  voto  concorde  dei  decu- 
rioni ,  e  di  Suedio  Clemente  uomo  d' incorrotto  giu- 
dizio. In  questi  tempi  medesimi  P.  Paquio  Procolo 
fu  fatto  duumviro  dal  suffragio  universale  dei  Pom- 
peiani, siccome  imparo  da  un  programma,  che  mi  co- 
piai tempo  fa  da  una  parete  dell'Anfiteatro,  che  dice: 

P  •  PAQVIVM  •  PROCVLVM  •  n™  i  »  »  «  •• 
ViMVERSI  •  POMPEIANI  •  FeCERVNT 

E  riesce  di  una  nuova  conferma  alle  cose  già  dì- 
sputate  intorno  al  suffragio  del  popolo.  Questo  P.  Pa- 
quio era  chiesto  alla  magistratura  primaria  con  A. 
Veltio  Caprasio  Felice  in  due  altri  programmi ,  nei 
quali  si  votava  l' edilità  per  M.  Epidio  Sabino ,  e  Q. 
Mario  Rufo  (Avell.  Opusc.  voi.  2,  pag.  225,  Bull. 
Arch.  1846,  pag.  50  (1).).  Intorno  al  senso  che  deve 
darsi  alla  formola  Ex  senlenlia  mi  rimetto  a  quanto 
ne  ho  scritto  nel  primo  voi.  di  questo  Bull.  ap.  152. 
Ma  quanto  a  IVDICIS  AVG  NERONIS  soggiunto  al 
nome  di  Q.  Elio  Magno  sul  muro  esterno  sinistro 
della  Basilica  ,  giudico  che  sia  un  raro  esempio  di  can- 
didato del  principe  municipale  ,  e  ricordo  la  formola 
di  Giulio  :  Commendo  vobis  illum  et  illum  ut  vestro 
suffragio  suam  dlgnilalem  lencanl  (Suet.  lui.  XLI),  e 
i  luoghi  simili  nel  panegirico  di  Plinio  a  Traiano,  e. 
XCII.  Tuo  iudicio  Consules  facli,  tua  voce  renunliati 
sumus:  ul  idem  honoribus  noslris  suffragator  in  Curia, 
in  campo  declaralor  exisleres  (cf.c.LXXI  eiusd.  paneg.). 

Se  Sabino  era  dissignalor ,  sarà  stato  ancora  elet- 
tore; perocché  l'esclusione  dal  decurionato  di  coloro 
che  dissignationem  facerent  (Tab.  Ileracl.  e.  V,  20, 
p.  415)  ben  li  suppone  cittadini  di  pieno  dritto.  Que- 
sta ortografia  DISSIGNATOR  viene  in  conferma  di 


(1)  Questo  secondo  programma  composto  di  una  serie  di  sigle  fu 
interpretalo  da  me  nel  nuovo  Bull.  Nap.  A.  l.  p.  6.:  le  correzioni 
ivi  introdotte  per  conghiellura  sono  di  già  assicurale  dalla  riappa- 
rizione dell"  intonaco  ora  collocalo  nel  R.  Museo.  Di  che  ho  deUO 
nelle  questioni  pompeiane  p.  Vili.  Napoli,  1853. 


—  B3  — 


quanto  ne  scrìsse  11  Mazzoccliì  {Tab.  Herach  p,4l6) 
provandola  la  miglior  maniera  di  scrivere  questo  vo- 
cabolo (v.  le  cose  osservate  nell'  an.  I.  di  questo  Bull, 
pag.  166.). 

Garrccci. 


Iscrizione  Sorrenlina  dedicala  a  Fausta ,  con  osserva- 
zioni del  Conte  B.  Borghesi. 

»  Importante  iscrizione  fu  scoverla  dal  signor  dot- 
tor Bruno  in  mezzo  alla  piazza  di  Sorrento  posta  in 
onore  di  Fausta  moglie  di  Costantino  madrigna  ed  ac- 
cusatrice  di  Crispo  :  vedesi  però  in  essa  cancellato  il 
nome  ed  i  titoli  di  eonjuge  e  di  madre ,  che  Fausta 
portava,  lasciandosi  i  nomi  del  marito  e  de'  figliuoli  : 
la  qual  cancellazione  seguir  dovè  al  supplizio ,  cui 
Fausta  stessa  fu  dannala  ».  Così  l'Avellino  nel  Bull. 
Arch.  Nap.  1846.  pag.  109.  Poscia  a  pag.  120  vien 
riferita  la  lapida  come  fu  trascritta  dal  cb.  Brunn  coi 
supplementi  che  a  quell'apografo  aggiunse  il  Borghe- 
si ,  cosi  : 

PIISSIMAE  •  AC  •  VENERAVI 
LI  D  •  N  •  Faustae  AVO 
coniugi  VICTORIS  •  AVG 
CONSTANTINI  matri 

DDD  NNft 

CONSTANTINI 
CONSTANTI  Et  ConslAMs 


Ivi  si  opina  dal  relatore  ,  essere  questa  una  miglior 
copia  di  (lucila  stessa  clic  fu  creduta  di  Elena;  ma  la 
iscrizione  di  S.  Elcna  fu  copiata  ancora  da  me,  e  l'ho 
pubblicata  tra  le  Iscrizioni  antiche  di  Salerno  a  pag. 
20,  e  quella  di  Fausta  la  darò  qui  secondo  la  mia 
lezione ,  che  se  non  si  accorda  con  quella  del  signor 
Brunn  ,  ciò  non  nasce  se  non  dalla  difficoltà  inerente 
sempre  alla  retta  trascrizione  degli  antichi  marmi;  on- 
de da  tanti  ancor  sommi,  e  sì  di  frequente  viene  im- 
plorala la  indulgenza  dei  meno  prallici  :  che  i  vera- 


mente esercitati  ncll'  arte  non  ne  prendono  scandalo; 
conoscendo  che  in  questo  fatto  a  niuno  è  dato  andar 
esente  da  errori  (.Marini,  I papiri  diplomatici,  [tnf.). 
Lessi  adunque  così  : 

PIISSIMAE  AC  VENERAVI 

LI  •  D  •  N  .  FAVSTAK  •  AVG 

vXO-ìil  •  D  •  N  •  MAXIMI 

VICTORIS  •  AVG 

CONSTANTINI  •  •  •  •  proc 

rEaiV.lcl  •  DDD  NNN 

?:()NSTaMS  CONSTANTINI 

cT  CONSTANTI  •  BAEA         (costj, 

TISSIMORVM  AC  [clic 

ium  CaesaliYM  OR 

do  et  populus  Surrentinorum    ■ 

Sulla  quale  nobilissima  epigrafe  scrissi  già  al  Bor- 
ghesi ,  esponendo  alcune  mie  difiìcol(à  inforno  all'e- 
poca ,  che  convenisse  assegnare  alla  lapida,  ed  egli  si 
compiacque  rispondere  così  :  »  S.  !\Iarino  8  maggio 
1831.  «  Sono  importanti  le  osservazioni  da  Lei  falle 
a  Sorrento  sulla  lapida  di  Fausta ,  sulla  quale  vedesi 
abraso  ancora  il  nome  di  un  Cesare  ,  eh'  Ella  crede 
essere  quello  di  Costante.  Ilo  veduto  un  altro  esem- 
pio a  Tivoli ,  ove  il  nome  di  Costante  è  stalo  scar- 
pellato  dalla  Muraloriana  p.463,  9,  in  modo  però  da 
esser  rimasto  leggibile.  Tengo  per  certo  che  ciò  sia 
avvenuto  nel  350  per  comando  di  Magnenzio,  e  me 
ne  viene  somministratala  prova  dalla  Gruteriana  400. 
1 ,  da  cui  risulla ,  che  anche  la  statua  che  Costante  aveva 
fatto  inalzare  al  suo  prefello  del  pretorio  e  favorito 
Eugenio ,  di  cui  parla  Libanio  ncll'  oraz.  9  era  stata 
rimossa ,  e  che  fu  poi  ricollocata  nel  foro  Trajano 
per  comando  di  Costanzo.  E  da  essa  apparisce  pure 
che  la  memoria  di  Costante  era  siala  rislabilita,  onde 
gli  vien  dato  il  lilolo  di  Divo.  Fu  dunque  incisa  pri- 
ma del  3oO  r  iscrizione  di  Sorrento ,  in  cui  il  nome 
di  Cesare  abraso  non  può  essere  se  non  che  quello 
di  Costante,  se  Fausta  vi  si  dice  Procrealrix  di  tre  prin- 
cini  DDD.  NNN ,  che  debbono  essere  tre  Cesari  pel 
titolo  che  loro  si  attribuisce  di  BEATISSIMORVM. 
Rimane  ora  la  questione,  se  questa  lapide  fu  dedicata 


—  54  — 


a  Fausta  ancora  vivente ,  o  a  Fausta  già  fatta  morire 
fino  dal  3'2G  ,  o  jjochissimo  dopo.  Fortissime  mi  sera- 
brano  le  ragioni  eh'  Ella  adduce  in  favore  del  secon- 
do avviso ,  mostrando  che  quella  lapide  non  può  es- 
sere anteriore  al  333  ,  in  cui  Costante  fu  salutato  Ce- 
sare, ed  anzi  né  meno  al  333  ,  in  cui  il padregli  as- 
segnò iu  sua  porzione  l'Italia,  unico  motivo  sufficiente 
per  cui  in  questo  paese  potè  il  suo  nome  essere  ante- 
posto a  quello  dei  fratelli  maggiori.  A  lutto  ciò  ag- 
giungerò il  titolo  di  VENERAVILI  che  leviendato, 
e  che  ho  già  accennato  convenire  ai  trapassati.  Si  ri- 
sponderà che  durante  la  vita  di  Costantino  è  assai  duro 
ad  immaginarsi ,  che  alcuno  fosse  sì  ardito  da  cele- 
brare pubblicamente  la  di  lei  memoria  ,  e  che  dopo 
la  di  lui  morte  i  suoi  figh  uon  si  sarebbero  più  detti 
Cesari ,  ma  Augusti.  E  pure  si  ha  un'  intervallo  ,  iu 
cui  si  può  collocare  la  presente  lapide,  schivando  tutte 
queste  obbiezioni.  Tempo  fa  illustrando  l' iscrizione 
della  porta  di  Fano  DIVO  •  AVGVSTO  •  PIO  -CON- 
STANTINOPATRIDOMINORVM  feci  avvertire  che 
quantunque  Costantino  morisse  ai  22  Maggio  del  337, 
furono  però  differiti  i  suoi  funerali  fino  all'  arrivo  dei 
figli  assentì ,  e  frattanto  gli  atti  pubblici  furono  spe- 
diti a  nome  dell'Augusto  defonto,  per  cui  Eusebio  ci 
dice  eh'  egli  seguitò  a  regnare  anche  dopo  morte.  Su 
di  che  veggasi  precipuamente  il  Valesio  nelle  note  ad 
Eusebio  p.  25i,  ed  il  Pagi  all'anno  337.  §.  4.  Ida- 
zio  attesta  precisamente  che  i  suoi  tre  figli  non  furono 
dichiarati  Augusti  se  non  che  ai  9  Settembre  dello  stes- 
so anno.  Infatti  ncli'  iscrizione  di  Fano  appartenente 
a  quesl'  interstizio  non  vengono  essi  qualificati  Augu- 
sti ,  ma  in  termini  generali  si  dice  che  Costantino  fu 
PATER  •  DOMIXOKVM  ;  e  PATER  •  PRINCIPVM- 
MAXI.MOHVM  vien  chiamalo  nella  coetanea  di  Ma- 
diliano  riferita  dall' Eckhel  T.  8.  p.  21.  Ecco  dun- 
que uno  spazio  di  quasi  quattro  mesi ,  in  cui  senza 
timore  dello  sdegno  di  Costantino  si  potè  sperare  d' in- 
graziarsi presso  i  Cesari  suoi  figli ,  onorando  la  me- 
moria della  comune  loro  genitrice.  Ma  in  questo  caso 
sì  domanderà  quando  fu  abraso  il  nome  di  Fausta  ?  t!, 
da  supporsi  che  lo  fosse  contemporaneamente  acpiello 
del  fi;;lio,  ricordando  ch'ella  era  di  proscritta  ricor- 
danza fin  da  quando  fu  uccisa  per  ordine  del  marito. 


L' unico  ostacolo  che  prevedo  in  questa  opinione  si  è 
quello  che  nel  marmo  non  si  fa  alcun  cenno  che  Co- 
stantino fosse  allora  defonto.  Ma  primieramente  chi 
ci  assicura  che  questo  cenno  non  si  trovasse  nelle  let- 
tere incerte,  che  sussieguono  il  suo  nome,  per  esempio 
MEMoriae  VENcrandae,  come  nelle  sue  medaglie,  o 
anche  MeM.  FELicis,  ammettendo  la  lezione,  che  le 
è  sembrato  di  ricavarne.  Dipoi  non  mancano  esempi, 
nei  quali  anche  dopo  l' apoteosi  si  trovano  memorati 
gli  Augusti  colle  sole  loro  qualifiche  imperiali ,  om- 
metteudo  quella  di  divo. 

Il  Tillemont  direbbe  che  la  nostra  lapide  fu  opera 
di  un  Cristiano ,  il  quale  aborriva  questo  titolo  gen- 
tilesco. Comunque  sia,  certo  è  che  quest'unica  diffi- 
coltà è  troppo  lieve  in  proporzione  delle  altre  che  vie- 
tano di  stabihre  l'età  di  questa  lapide  sia  prima  della 
morte  di  Fausta  sia  di  quella  di  Costantino». — Conte 
Borghesi  ». 

G.VRRCCCI. 


Osservazioni  intorno  all'  articolo  del  sig.  de  Rossi  sul 
Pavsilypon  di  Mctlia  Edone. 

Il  mio  eh.  amico  nel  suo  dotto  ed  elegante  articolo 
sul  Pausilipo  di  Mettia  Edone  (  v.  sopra  p.  22  )  tiene 
HEDONÉI  posto  nella  greca  desinenza  del  caso  dativo, 
Sarebbe  mai  possibile  riconoscervi  un  genitivo?  Credo 
veramente ,  che  sì.  Se  fosse  scritto  IIEDONÉIS  tro- 
verebbe un  confronto  tra  i  graffili  pompeiani,  in  uno 
dei  quali  DADOMENE  declina  il  genitivo  nelle  due 
maniere  seguenti  DADOMENES  ,  DADOMENEIS; 
nella  qual  desinenza  in  EIS  sta  per  mio  avviso  l' HE- 
DONÉI della  lapida  di  Mettia.  Quando  queste  osser- 
vazioni si  ammettano,  non  potrà  dispiacer  tanto  che  io 
abbia  giudicato  il  POMONIS  di  lapida  salernitana  es- 
sere precisamente  genitivo  di  POMONE  in  vece  di 
POMONEIS  come  DADOMENEIS  (v.  le  mie  Illu- 
si razioni  di  alcune  lapidi  di  Salerno  ,  Napoli,  1831  r 
p.  17,  18).  Ma  ad  HEDONÉI  manca  l'S  finale:  dif- 
firollà,  che  non  preme  più  di  quello  che  faccia  HE- 
DONAE  in  luogo  di  HEDONAS,  HEDONAIS,  UE- 


—  55  — 


DONAES.  Del  resto  non  è  per  me  allrimcnti  ancor 
certo  che  il  Pausilipo  fosse  propriamente  di  Mcttia 
Edone ,  e  non  piuttosto  consecrato  alla  memoria  di 
Metlia  Edone  da  alcuno  dei  suoi  amici,  o  congiunti. 
I  nomi  Agelentinm,  Sassulanm,  \undincsis  potreb- 
bero ritenersi  siccome  patronimici  aggiunti  a  nomi 
ora  perduti  di  persone  native  p.  e.  di  AgeìeiUum ,  di 
Sassula ,  di  Nundìnae ,  che  ben  possono  essere  stali 


nomi  di  villaggi. 


Garrccci. 


Iscrizione  latine,  continuaz.  dcWarl.  inserito  a  p.  59. 

Altre  iscrizioni  puteolane  mi  vengono  comunicate 
dal  eh.  sig.  Can.  Scherillo. 


4.      C  •  IVLIVS  •  AMPIIIO 
FENESTRA  •  D 

LUCILIO  LUCILIAE 

PHiLOCYRO  •  SYMPHER 

LUCILIAE 

ET  •  NAINI  •  SE- VIVO- D 

ET  TEIIPETUO 

jaio  Giulio  Anfione  Fenesira  diede  il  luogo  da  sep- 
pellirsi a  Filociro  ,  Sinferusa ,  Naide  ,  ancor  vivo,  e 
diello  ancora  a  Perpetuo.  I  tre  primi  ottennero  la  li- 
bertà ,  e  però  aggiunsero  il  proprio  nome,  Perpetuo 
venne  aggiunto  dipoi ,  e  quindi  vedesi  scritto  in  ca- 
rattere più  piccolo. 

5.      DIS  •  MAI/// 

TMESEO  •  ET  SY///  sic 
EXCOLLEGIOSALV/ 
FAMILIAE  VALER/ 

Guadagnasi  un  nuovo  Collegio  detto  della  Salute,  o 
Salutare,  contrassegnato  ancora  dal  nome  della /ai/»'- 
lia  Valeria,  che  lo  aveva  costituito.  Un  CoUegium 
Salu'.are  si  nomina  in  un  marmo  di  Coimbra  (  Ord- 
ii,  2415). 

Il  senso  di  exornare  è  spiegato  anche  nella  bella 
epigrafe  Salernitana  di  T.  Tetticno  Felice  ,  che  legò 


cinquantamila  scsterzii  ad  exornandam  aedem  Pomo- 
ììis,  dalla  qual  somma  dicesi  ivi:  factum eU  fastigium 
inauralum,  podium,  pavimenta  marmorea,  opus  ledo- 
rium  (  v.  le  mie  Illnslrazioni  di  alcune  iscr.  ani.  di 
Salerno,  Napoli,  1831,  p.  17). 

C.      Pontius  •  ProscrlVS  •  PAVLINVS 
Iun-V-C-Concham-poì\  FYRETICAM 
nimia  vcT\SJ\TE 
eollap  SAM  FON 
ti  restituii 

Frammento  puteolano,  comunicatomi  dal  cliiariss. 
signor  Fiorelli.  Sospetto  che  sia  Pontius  Proserius 
Paulinus  Iunior  V.  C.  il  quale  Concham  p.  e.  porfij- 
rcticam  vetustale  collapsam  fonti  reslitait.  Neil'  altra 
lapida  pur  puteolana  questo  Consolare  della  Cam- 
pania dicesi  restawalor  opcrum  publicorum  Moimn. 
2508 

7.     L  FONTEIVS  •  FLAVIANV5 

H-\.RVSPEX  •  AVGG  •  CC 
PONTIFEX  •  DICTATOR 
ALBAN  •  MAG  •  PYBLICVS 
HARVSPICV3I  •  ordì 
NI  HARVSPICVM  •  LX  DD 

Il  nostro  Sirmondo  die  al  Gulhero  la  prima  copia  di 
questa  lapida  e  dal  Gulhero  (L.  I.  devet  lur.  Ponti f 
e.  3)  la  trasse  il  Reincsio, /?omoc  A.  460o  e/fo.<sam  (p. 
3G0  Synt.  XIII),  ma  non  determinò  il  luogo  ov'era. 
Laonde  mancando  agi"  interpreti  il  modo  di  assicurare 
i  loro  dubbii ,  alcune  correzioni  eransi  introdotte  dal 
Reincsio ,  altre  adottate  dal  MafTci ,  altre  suggerite 
dall'  Ilagenbuck  ,  altre  dall'  Ordii.  Vuole  per  esem- 
pio il  Reinesio  ,  che  il  CC  si  cambi  in  NN.  Fuit  in 
saxo  AVGG  N\ .  idcft ,  Angustorum  PCY.  L'Ordii 
invece  approva  ,  che  il  .Maffei  lo  abbia  omesso.  Omit- 
lit  illud  CC  Rcincfli  ci  rode ,  pulo  :  eicnim  ortum  vi- 
dctur  ex  AVGG  (  Ordii ,  hcr.  Lat.  2293  ). 

A  dissipare  tante  incertezze  è  tornato  a  luce  il  bel 
monumento ,  scoperto  da  me  in  villa  Breuda  ,  seb- 


—  56  — 


bene  rotto  io  due  parti ,  e  mancante  di  alquante  let- 
tere ,  che  io  vi  ho  supplite  in  corsivo  dal  primo  esal- 
tissimo apografo  del  Sirmondo.  Il  CC  si  spiegherà 
ducenarius ,  il  DD  Dono  dcdh ,  essendo  questa  una 
base ,  che  doveva  sostenere  il  donarlo  offerto  da  Lu- 
cio Fonteio. 

S.   T  •  ANNIVS  •  T  •  F  •  RVFVS 
L  •  SEPTIMIVS  •  SA  •  F  •  DENTIO 
LANNIVSTFGRITTO-  NAGISR 
EX  •  PAGI  •  D  •  SCAINA  •  FAC  •  COIR 
TANNIVS  T  FRVFVSLvlnntMsTFGRITTO 
PROBAVERVNT 

Nella  villa  S.  Giovanni  di  Prezza ,  casale  ora  di- 
strutto, è  venuta  a  luce  nel  1852.  Il  dott.  Brunnl'ha 
copiata  di  recente  e  me  ne  ha  enunciato  il  primo  la 
notizia.  La  copia  che  ne  do  qui  mi  è  stata  trasmessa 
dal  sig.  Arciprete  di  Prezza.  Debbo  al  medesimo  que- 
st'  altra  importante  al  pari ,  e  forse  ancora  piti. 

9.  L  •  HERENNIVS  •  C  •  F  •  RVFO 
MAGISTER  •  PAGI  •  H  •  DVCTVM 
AQVAR  •  CORFINII    CD-  FAC 
CVRAVIT 

Conoscevamo  da  altra  lapida  conservata  ora  in  Ca- 
stel Vecchio  subequo  che  l' acquidollo  di  Corfinio  fu 
restaurato  dai  Corfiniesi ,  ora  impariamo  che  L.  E- 
rennio  Rufone  maestro  del  pago  H.  che  forse  è  Er- 
colano  ,  lo  fé  costruire  C.  D.  Consensu  Decurionum. 
Questo  acquidotto  pare  quindi  diverso  da  un  altro  , 
di  che  si  dichiara  autore  C.  Alfio  in  una  lapida  ri- 
putata falsa  dalMonimsenn.  835,  perchè  proveniente 
dal  3Iartelli,  e  perchè  nomina  C.  Alfio  ed  Erennio 
i  quali  nomi  ricorrono  in  altra  corfioiese  5363.  Io  la 
reputo  verissima  ,  siccome  sono  tutte  quelle  ,  che  il 


Martelli  dice  copiate  (  ossia  storpiale  )  da  se ,  e  che 
non  cava  da  libri.  Siccome  il  L.  Erennio  Rufone  di- 
cesi figliuol  di  Caio  al  pari  del  L.  Erennio  Rufo  della 
lapida  di  Corfinio  citata  qui  sopra ,  così  può  ragio- 
nevolmente conchiudersì  che  appartenessero  ad  un 
sol  ceppo.  Altro  è  1'  Erennio  Corfioiese  della  lapida 
riferita  dal  Martelli,  il  quale  costruì  l' acquidotto,  che 
prendeva  l' acqua  dall'  Aterno.  A  questo  appartengo- 
no gli  avanzi  di  speco  ,  che  vanno  dall'  A  terno  verso 
Viltorito  ,  al  primo  il  traforo,  che  dà  passaggio  alle 
acque  del  lago  detto  Acquaviva. 

Il  Camini  (  della  regia  Strada  etc.  p.  33  ,  a  )  cre- 
dette ,  che  quest'  acqua  fosse  convogliata  dall'  Alerno; 
ma  il  lago  Acquaviva  non  comunica  con  questo  fiume. 

10.  Q  •  OCTAVIO  •  L  •  F 
SAGITTAEQVINQII 
PAGVS  •  BOEDINVS 

Nel  luogo  vicino  a  Castel  Vecchio  subequo ,  detto 
Maerano  fu  l'antico  Supemequum:  il  Foro  di  questa 
città  è  dimostrato  dalle  iscrizioni  pubbliche  poste  dai 
pagani  a  loro  patroni.  Qui  un  nuovo  pago  Boedino 
drizza  questo  piedistallo  a  Q.  Ottavio  Sagitta  quin- 
quennale la  seconda  volta. 

11.  NOVIA  •  D  •  L 
DELPIS  •  FEI 
LEI  •  POSIERVrf 

A  Lecinaro  paesetto  vicino  a  Gagliano ,  e  però  a 
Castel  Vecchio  suhequo  si  è  scoperta  recentemente 
questa  lapida  arcaica  ,  della  quale  ho  l' apografo  ri- 
cevuto dalla  nota  bontà  del  eh.  mio  amico  sig.  Leo- 
sini  di  Aquila. 

Gakrccci. 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.g. 
Giulio  Minervini  —  Editori. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catjneo. 


BtlLETimO  ARCDEOIOGICO  MPOIITAIVO. 


NUOVA    SERIE 


NP  32.     (8.  deir  anno  II.) 


Ottobre  1853. 


Dichiarazione  della  fjjiira  1.  (av.  II.  di  questo  secondo  anno  del  Bullcllino.  —  Descrizione  di  alcuni  vasi  di- 
pinti del  real  musco  Borbonico.  Continuazione  del  n.  50. 


Dichiarazione  della  figura  /.  tav.  II.  di  questo  secondo 
anno  del  Bullettino. 

Noi  già  parlammo  a  lungo  di-l  covercliio  di  patera 
figurato  nella  nostra  tavola  seconda,  e  rinvenuto  nelle 
vicinanze  di  Fasano ,  sito  dell'antica  Gnalhia  (bull, 
arch.  nap.  an.V.  p.81  e  seg.).  Ora  abbiamo  creduto 
opportuno  farne  la  pubblicazione;  e  non  intendiamo 
di  ripetere  tutte  le  cose  precedentemente  dispulale , 
alle  quali  rimandiamo  i  lettori  del  presente  bullettino. 
Avvertiamo  solo  generalmente  die  noi  credemmo  di 
ravvisare  una  riunione  di  marine  Ninfe,  alcune  delle 
quali  si  veggono  indicale  da'  loro  nomi.  Tali  sono 
'AXiri,  firj(roi.ir„  Ky.vfMvri,  e  IT%  ...*),  nella  quale 
ultima  voce  pensai  ascondersi  il  nome  di  IlaiÓTrr,,  o 
Tlot-tTil^ctri.  Riportai  i  due  calati  alla  medesima  intelli- 
genza ,  come  in  allusione  a  divinità  filatrici  ;  alla  quale 
classe  appartengono  pure  le  Nereidi.  Quanto  all'  a- 
zione  rappresentata  nel  dipinto,  che  pubblichiamo,  a 
noi  sembrò  di  rilevare  che  tutte  queste  marine  Ninfe  ci 
si  offrano  nelle  caverne  del  mare,  intente  ad  abbellir- 
si. E  soggiungemmo  le  seguenti  brevi  osservazioni. 

»  Pare  che  due  tra  esse  riscuotano  le  cure  di  tutte 
le  altre;  queste  sono  Halia ,  e  l'altra  il  cui  nome  è 
dubbio.  Per  quel  che  concerne  ad  Halia,  la  mag- 
giore osservanza  ,  colla  quale  è  trattata  ,  può  spie- 
garsi co'  particolari  amori  di  Nettuno  da  lei  meritati. 
In  quanto  alla  incerta  figura,  a  cui  si  avvicina  l'A- 
more offrendole  una  corona ,  a  noi  sembra  che  abbia 
voluto  r  artista  esprimerne  le  sacre  nozze.  A  lei  d'in- 
torno si  veggono  Nesea  e  Clymene.  Ove  poi  ci  pia- 
cesse di  legger  nel  dubbio  nome  Ilk<yi^xW ,  trove- 
rò jimo  una  stretta  relazione  con  Clymene ,  giacché 

ANNO  II. 


riporta  Igino ,  che  costei  insieme  col  Sole  procreò 
Pasifae  (  fab.  1 50  ).  Sicché  potrebbero  nel  nostro  vaso 
rammentarsi  i  preparativi  del  matrimonio  di  Pasifae 
con  Minosse  :  a'  quali  assiste  la  stessa  madre  della 
sposa ,  ed  altre  marine  compagne.  In  tale  ipotesi  il 
nome  slesso  di  Pasifae  ben  si  connette  coli'  Amore  , 
secondo  la  derivazione  che  fu  data  dell'identico  epi- 
teto di  Venere  (Aristot.  de  mirab.  ause.  e.  i4o.  II. 
Lyd.  de  mens.  p.  214  ed.  Roether)  ».  Non  voglio 
omettere  di  ricordare  che  il  dottissimo  Avellino  di  o- 
noranda  memoria,  nel  monco  nome  n A  •  •  •  II  pensò 
potersi  ad  egual  dritto  supplire  Il%rpoy''r^  nome  di 
un'altra  Nereide ,  come  venne  osservato  dal  Wal- 
ckenaer  [animadv.  ad  Ammonium  lib.  III.  cap.  I.  ). 
Vedi  il  cit.  anno  V.  del  bullettino  p.  1  o  1 .  Applau- 
dendomi da  una  parte  che  quel  sommo  uomo  appro\  ò 
la  mia  attribuzione  delle  varie  figure  a  diverse  ninfe 
del  mare ,  mi  sia  lecito  di  escludere  la  possibilità  del 
supplimenlo  IIATPONOII,  che  non  mi  sembra  con- 
sentita dallo  spazio ,  il  quale  non  comporta  più  di 
quattro  lettere.  E  lo  stesso  dir  si  dovrebbe  dell'altro 
supplimenlo  nA<&lH,  come  denominazione  di  Afio- 
dite  ,  per  la  opposta  ragione  che  lo  spazio  ,  che  in- 
tercede fra  l'A  e  IH,  è  capiente  di  più  di  due  lettere. 

MlNERVI.M. 

Descrizione  di  alcuni  vasi  dipinti  del  real  museo  Bor- 
bonico. Continuazione  del  num.  30. 

Per  cominciare  le  nostre  osservazioni  dalla  scena 
ov'  è  il  toro  ,  avvertiamo  che  Europa  sta  con  allre 
compagne  scherzando  (  Trct/^orcct  )  ;  siccome  dicono  le 
tradizioni ,  quando  a  lei  si  presenta  il  toro.  Cosi  Lu- 

8 


—  S8  — 


ciano  {dial  mar.  XV);  ed  Esiodo,  pressoio  Sco- 
liaste di  Omero  :  h  timi  Xui/i'Tjvt  [nr-x  yvix^i'J,  ciy>ìr\ 
rXy%yJyov<rxv  (fr.  CXLIX  ap.Schol.Ven.  ad  n.IM,192); 
e  così  pure  Mosco  nel  suo  bellissimo  idillio  (JB(troj)av. 
28  e  s.).  Perciò  veggiamo  nel  nostro  vaso  il  suolo  tutto 
smaltalo  di  svariali  fiori  (1).  Lo  scherzo  della  s/tm  è 
poi  convenienlissimo  a' fanciulli  ed  alle  donzelie  ;  e  me- 
ritano di  esser  lette  a  tal  proposito  le  cose  dottamente 
raccolte  dal  eh.  sig.  Raoul-Rociietle  [choix  de  peint. 
pag.  191  ),  il  quale  illustra  pure  la  formazione  della 
cr^x7fa  TTOiy.i'ky] ,  quali  compariscono  sul  nostro  vaso. 
Una  delle  donzelle  reca  il  timpano  :  ed  a  me  sembra 
che  questo  simbolo  vada  riferito  al  culto  della  dea 
Siria  ,  piuttosto  che  a  bacciiica  intelligenza  :  essendo 
ben  risaputo  che  il  timpano  è  proprio  di  quella  reli- 
gione; né  mancar  poteva  in  una  scena,  che  ha  luogo 
nella  Fenicia  per  tutte  le  tradizioni.  Bellissimo  è  il 
loro  macchialo  di  bianco  e  di  flavo  colore:  per  la  sua 
mansuetudine  ci  ricorda  la  descrizione  fattane  da  Lu- 
ciano ,  il  quale  però  ce  io  dipinge  tutto  bianco  :  X-.u- 
y/i  ti  yàp  v  ÌKpif:,ùi?  xoù  r%  xi:ciro.  svxa.iX7rr,i ,  xxt 
Tu  |3).Vl^*  n'>t^-f°5  [diaì.  mar.  XV.  ).  Ma  più  che  al- 
cun altra  narrazione ,  è  degna  di  richiamarsi  a  con- 
fronto quella  di  Mosco  (cil.  idill.  Europa).  Il  poeta 
dice  che  il  toro  era  flavo ,  con  una  macchia  bianca 
sulla  fronte  [xvxXo?  àpy('ipioj)  (v.  84  s.):  e  già  ab- 
biamo una  corrispondenza  col  monumento  di  Canosa; 
sebbene  in  questo  veggasi  il  bianco  frammisto  al  flavo 
in  tutto  il  corpo  del  trasformalo  dio.  Il  gruppo  di  Eu- 
ropa col  loro  non  può  esser  meglio  accennato  di  quel 
che  fi»  Mosco  ;  e  si  direbbe  che  l' artista  ed  il  poeta 
attinsero  alle  medesime  fonti.  Di  fatii  il  poeta  ci  pre- 
senta Europa  ,  che  blandisce  l'animale,  e  lo  abbrac- 
cia (  v.  9'j). 

D' altra  parte  l'alto  del  toro  di  piegar  le  ginocchia 
è  descritto  espressamente  da  Mosco  (v.  99.  s.  ). 

wxXccrs  di  Trpò  vodoTiv,  ìoì^xtro  o  EvpuJTniYiY 
«.l'Xi'y'  l7no'Tp5>4/aS,  xnì  ol  vXoì.tv  oìixyu;  rùtroY, 

E  lo  slesso  intendeva  Seneca  con  quei  versi: 

(1)  In  una  nicJaglia  imperiale  di  Tiro  vedesi  Europa  raccoglien- 
do fiori,  e  presso  il  loro:  Eckbcl  doct.  num.  vct.  Ili,  389. 


Fronte  mine  torva  iKtulam  juvencus 
Virginum  stravil  sua  terga  Judo. 

Ilippol.  302,  s. 

Queste  tradizioni  ed  il  nostro  monumento  di  Ca- 
nosa danno  il  mezzo  di  riportare  alla  stessa  favola  di 
Europa  un'altro  vaso  del  Passeri  { pict.  Etr.  invase, 
tab.  11.^  ,  che  non  sappiamo  essere  stato  ad  essa  ri- 
ferito finora  da  alcuno.  Vedesi  una  donzella  che  ac- 
carezza un  toro,  appressando  la  mano  alla  bocca,  forse 
in  queir  atto  descritto  da  Mosco  di  toglier  dalle  lab- 
bra la  spuma  (  v.  95,  s.  )  : 

.     .     .      .     Kal  Tifi'x'x  Xi'P^ff'»'  «.(PpoK 
IIoWòv  uTfò  <7'ro\xoiruiy  i.init.ópyYU'ro  .... 

Il  toro  è  fermo  ed  immobile,  senza  piegare  ancora  le 
ginocchia.  Un'altra  donna  con  corti  capelli  si  volge 
impaurila ,  ed  esser  potrebbe  una  delle  compagne  di 
Europa,  o  piulloslo  la  nutrice,  che  si  spaventa  del  pe- 
riglio a  cui  si  espone  la  imprudente  giovinetta.  A  de- 
terminar meglio  il  soggetto,  veggonsi  nel!'  ordine  su- 
periore Giove  collo  scettro  ,  e  la  patera  allusiva  al  suo 
sacro  conjugio;  e  dall'altra  parte  Afrodite  con  Eros, 
divinila  ben  convenienti  ad  una  scena  di  amore.  Que- 
sto vaso  non  è  ricordato  tra'  monumenti  relativi  ad 
Europa  nel  manuale  di  archeologia  del  Miiller,  nep- 
pure nella  ultima  edizione  del  celebre  cav.  Welcker 
(§.  351  n.  4p.  520). 

Tornando  al  vaso  di  Canosa  ,  osserviamo  che  la 
figura  di  vecchio  con  bianchi  capelli  determinato  dal 
conim.  Quaranta  per  un  pastore,  che  guarda  sorpreso 
l'avvenimento,  a  me  sembra  piuttosto  un  pedagogo, 
destinato  a  prender  cura  delle  donzelle ,  e  principal- 
mente di  Europa.  11  suo  corto  vestire  ,  il  pileo  ,  gli 
stivaletti ,  ed  il  ricurvo  bastone  (Jahn  nell'arca.  Zeit. 
del  cav.  Gerhard  18'i7  p.  35  ,  10;  Raoul-Rochelte 
mon.  incd.  pag.  306  ,  2  ,  ciwix  de  peinl.  pag.  265) 
sono  solilo  costume  di  questa  classe  di  servili  per- 
sonaggi (Visconti  Pio-Ckm.  lom.  IV.  pag.  126,  e- 
diz.  di  Milano  del  1 8 1 9  ) ,  i  quali  tanto  frequente- 
mente compariscono  in  compagnia  di  giovinetti,  e 
talvolta  ancor  di  fanciulle.  Basta  rammentare  i  mo- 


—  ,j9  — 


numenli  rilraenti  hi  morie  de' fi^li  di  Ni()be(vcdi 
Avellino  bull.  arch.  naput.  an.  I.  p.  109),  il  celebre 
vaso  del  nostro  real  museo  co'fuQerali  di  Archemoro, 
ed  altri  non  pochi  monumenti.  Vedi  quel  che  dicem- 
mo noi  stessi  bull.  ardi.  nap.  an.  V.  p.  'JO. 

L' antichità  ci  fornisce  non  rara  menzione  di  pe- 
dagoghi di  fimciulle.  Così  nelle  P/iomjssae  di  Euripide 
s'introduce  il  jn'dagocjo  a  parlar  con  Antigone,  di  cui 
è  messo  a  custodia  ,  od  è  appunto  un  vecchio  servo 
{  Phoetiiss.  V.  88.  segg.  ).  Né  questo  costume  fu  di- 
verso presso  i  Romani ,  come  può  rilevarsi  dalla  nar- 
razione di  Valerio  Massimo  (lib.  6  cap.  l),edal;5ae- 
dagogus  cruciarius  di  Cal|)uruio  Fiacco.  Veggasi  pure 
il  eh.  Jahn  iwW Anhacolog .  Znliuig  del  cav.  Gerhard 
1847  p.83  s. ,  ed  il  P)  1  de  Mcdeac  fabula  part.  II  p.79. 
Il  veslimenlo  succinto ,  e  la  poco  nobile  fisonomia  di 
questo  vecchio  non  ci  fymio  pensare  alTutto  al  padre  di 
Europa  Fenice,  o  Agenore;  il  cjuale  d'altra  parte  mal 
si  troverebbe  presente  alla  scena  del  ratto  della  sua 
figlia.  È  pur  notevole  che  il  padre  di  Europa  trovasi 
in  modo  diverso  figuralo  in  un  bellissimo  rhyton  di 
Nola,  ove  il  eh.  de  Wide  riconobbe  le  sorelle  di  lei 
che  si  presentano  al  padre  dopo  il  rapimento  della 
sorella  {calai.  Magnoncour  n.  1 00;  cf.  Weicker  nelle 
nouv.  armai.  der/fts<i^M<.  iom.II.p.SSo.).  Gli  Amori, 
che  leggiadramente  circondano  il  gruppo  nel  vaso  di 
Canosa,  trovano  un  confronto  nella  festevole  descrizio- 
ne di  Luciano,  il  quale  nel  momento  di  traghedar  per 
le  onde  ci  offre  il  toro  circondalo  da  Amori  portando 
fiaccole  ,  e  cantando  l'imeneo  (  d'tal.  mar.  XV.  ).  La 
donzella  che  corona  il  toro ,  e  1'  Amore  che  reca  tra 
lo  stesso  ed  Europa  una  tenia  ,  alludono  senza  meno 
alla  vittoria  di  Giove ,  ed  al  suo  vicino  matrimonio 
colla  figlia  di  Agenore.  Bellissimo  è  il  pensiero  dell'ar- 
tista di  figurare  una  colomba  tenendo  fralle  unghie 
un  monile.  Le  colombe  trovansi  spesso  in  relazione  con 
Giove.  Omero  racconta  come  quel  volatile  reca  a  Giove 
l'ambrosia  (  Odyss.  M,  v.  63)  ;  e  chi  non  conosce  le 
colombe  Dodonee,  e  la  loro  relazione  con  Giove?  Non 
parrà  dunque  strano  che  quel  mansueto  augello  sia 
stato  Irascello  dal  padre  dei  Numi  a  recare  alla  sua 
uuova  sposa  il  donativo  di  nozze  y.;oi.x%Xv7r'7-i'pi%.  E 
può  con  probabilità  giudicarsi  che  il  pittore  del  vaso  di 


Canosa  abbia  voluto  effigiare  (ralle  unghie  della  co- 
lomba il  monile  lavoralo  da  Vulcano,  dato  da  Gio\c 
ad  Europa,  ch'era  quello  slesso  di  cui  Cadmo  fc  poscia 
presente  ad  Armonia  (Pherecjd./za^m.  45  ap.  Apol- 
lod.  lib.  Ili,  e.  IV,  2). 

l'assanilo  all'altra  faccia  del  vaso,  non  pare  da  du- 
bitare, che  siesi  in  essa  significato  il  termine  del  viag- 
gio di  Giove:  e  nel  masso  alquanto  ricurvo  ben  rico- 
nosce il  eh.  Oii-T'ant'i  l'antro  ove  si  compiranno  le 
sacre  nozze  ;  o  che  dir  si  voglia  il  Aiy.r%7zy  y^vr^cv , 
ove  il  toro  guidò  la  sua  preda  ,  secondo  il  più  volle 
cilalo  Luciano  (1.  e.  ) ,  o  qualunque  altra  spelonca. 
Non  credo  però  che  il  giovine  Pan  valga  ad  indicare 
esser  trailo  il  dipinto  da  un  salirico  dramma.  Panni 
piuttosto  che  sia  destinato  a  dimostrare  la  località. 
Ricordo  pria  di  tutto  che  varie  volte  troviamo  le  spe- 
lonche sacre  a  quel  dio.  Così  gli  Ateniesi  dedicano  a 
Pane  un  antro  dopo  una  felice  battaglia  (Lucim.  (ii-or. 
dial.  XXII,  3) ,  e  Pausania  ci  fa  sapere  che  1'  antro 
Concio  fu  sacro  alla  medesima  divinità  (lib.X  c.32,7). 
Ma  non  voglio  tralasciare  uni  idea,  che  dar  potrebbe 
una  perfetta  ragione  della  presenza  di  Pane  nella  sce- 
na ,  che  illustriamo.  Sappiamo  da  Pausania  che  gli 
Arcadi  sostenevano  essere  stato  Giove  educato  in  Cre- 
tea  sul  monte  Liceo,  e  non  già  nell'isola  di  Creta 
(lib.  X.  e.  38,  2).  Non  è  dunque  improbabile  il  sup- 
porre che  le  medesime  tradizioni  arcadiche  riferivano 
a  quel  sito  il  ratto  di  Europa ,  distaccandosi  dalle 
narrazioni  de'  Crelesi.  In  tale  ipotesi ,  ove  il  pittore 
del  nostro  vaso  avesse  seguito  le  suddette  arcadiche 
tradizioni,  ben  si  comprende  perchè  avrebbe  figuralo 
il  dio  dell'  Arcadia  presso  l' antro  ,  ove  sarà  traspor- 
tala la  figlia  di  Agenore. 

Finalmente  nella  quadriga  guidata  dall'Amore,  e 
preceduta  da  Mercurio  io  riconosco  il  cocchio  dell'a- 
poteosi ,  che  seguirà  il  divino  connubio  di  Giove  con 
Europa.  Così  vedesi  talvolta  Mercurio  precedere  il 
cocchio  ove  è  (ratio  Ercole  nel  raggiugnere  l'apo- 
teosi. Ma  di  queste  particolarità  ci  riserbiamo  di  par- 
lare più  ampiamente  in  altra  occasione. 

Passiamo  ora  a  dar  la  descrizione  d.-l  terzo  vaso , 
che  non  la  cede  per  importanza  agli  allri  due  pre- 
cedentemente descritti.  All'  esterno  della  bocca  è  un 


—  co- 


bi anco  ramo  con  fiori  ,  sotto  i  manichi  appajono 
complicale  palmette.  Sul  collo  da  un  lato  palmette  , 
ovoli  ,  fiori,  ed  altri  ornamenti.  Ove  si  allarga  il 
collo  del  vaso ,  al  cominciar  della  pancia  è  una  lesta 
femminile  ,.chc  sorge  dal  simbolico  fiore  ,  non  altri- 
menti che  neir  altro  vaso  ,  col  quale  forma  pariglia  ; 
se  non  che  non  ha  radii ,  ed  offre  presso  la  fronte 
nel  mezzo  un  piccolo  ornamento  di  bianco.  A'  due 
lati  sono  pure  due  Eroti  alati  ed  androgini ,  uno  dei 
quali  ha  la  patera,  l'altro  la  patera,  ed  altro  oggetto 
con  tenie  peudenli.  Dopo  un  ramo  con  fiori ,  vedesi 
sulla  pancia  la  più  importante  rappresentazione. 

Scorgesi  in  un  carro  tirato  a  destra  da  enormi  ser- 
penti una  giovine  donna  con  capelli  scarmigliali  :  ha 
le  armille  ed  altri  femminili  ornamenti ,  e  la  tunica 
cinta  da  bianca  fascetta  ,  e  fregiata  anteriormente  di 
una  larga  lista  che  giunge  sino  al  lembo  inferiore , 
costituita  da  nere  lince  fra  loro  intrecciate  da  formare 
spazietli  romboidali,  e  intramezzate  da  gialli  puntini. 
Questa  fuggente  donna  liene  colla  sinistra  le  redini , 
colle  quali  guida  i  dragoni ,  e  colla  destra  un  peplo, 
svolazzante  sopra  il  suo  capo.  Poco  lungi  dalle  ruote 
del  cocchio  è  al  suol  caduto  bocconi  un  fanciullino, 
ed  ivi  presso  è  una  spada  nuda.  Segue  il  cocchio  un 
gio\inc  clamidato  sopra  veloce  cavallo,  ch'è  nell'atto 
di  vibrar  colla  destra  un  corto  giavellotto:  al  fianco  è 
la  spada  nel  fodero.  Vien  poi  un  altro  guerriero  con 
la  spada  pendente  allato,  ha  scudo,  asta,  ed  elmo  acu- 
minato ;  e  cammina  veloce  a  destra  :  nel  campo  verso 
la  sua  testa  è  un  astro,  rinalmonle  si  vede  altro  gio- 
vine nudo  con  semplice  clamide ,  il  quale  reca  sotto  il 
destro  braccio  un  giavellotto ,  ed  altri  due  ne  porta 
colla  sinistra.  Al  suolo  sono  indicate  pietre,  ed  isolili 
puntini  sotlo  i  piedi  delie  figure.  Innanzi  al  carro  de' 
serpenti  si  prcscnla  di  fronte  una  imberbe  figura ,  a- 
venle  intorno  alla  sua  testa  un  largo  nimbo  composto 
di  una  linea  rossa  tra  due  bianche,  e  tutte  frammiste 
al  nero  del  campo.  Una  succinta  tunica  manicata,  or- 
nata di  varii  punliiii,  e  di  gialle  oche  nel  lembo  infe- 
riore, una  pelle  di  fiera  annodala  sul  petto,  ove  s'in- 
crocia una  doppia  tracolla,  e  gli  stivaletti  formano  il 
suo  abbigliamento.  Questa  figura  eleva  colla  destra  la 
spada,  e  colla  sinistra  una  fiaccola  accesa.  Tra  lei  ed  il 


carro  è  nel  campo  un  astro.  Chiude  da  questo  lato  la 
scena  una  figura  femminile  con  lunga  tunica,  e  clami- 
de, armille,  collana,  e  bianchi  calzari,  adorna  del  me- 
desimo nimbo:  siede  sul  cavallo,  che  volgesi  correndo 
veloce  a  destra  ,  e  lira  alquanto  colla  destra  1'  ampe- 
conio  sulla  spalla.  Al  suolo  è  un  fiore. 

Sulla  opposta  faccia  del  vaso  ;  sul  collo  sono  simili 
ornamenti;  poi  simile  testa  femminile  uscente  dal  sim- 
bolico fiore  con  ramificazioni  d'ambi  i  lati,  e  due  Eroti 
alati  e  sedenti,  che  appressano  una  mano  a'capelli  della 
femminile  testa,  e  lengon  con  l' altra  le  ramificazioni 
ad  elice.  Sulla  pancia  è  una  batlagha  fra  Greci  ed  A- 
mazzoni  divisa  in  tre  gruppi.  Vedi  nel  primo  gruppo 
un  imberbe  guerriero  con  bianco  elmo  e  clamide  ,  il 
quale  ha  raggiunto  un'  Amazzone  vestita  di  corta  tu- 
nica ,  clamide,  pelle  di  fiera  annodata  sul  petto,  e  sti- 
valetti: egli  stringe  colla  destra  il  ferro,  e  colla  sinistra 
afferra  pe'capelli  l'Amazzone  caduta  sulle  ginocchia  , 
la  quale,  in  atto  di  spavento,  colla  sinistra,  ove  tiene 
imbracciata  la  pelta,  cerca  di  allontanar  da'  capelli  la 
mano  del  nemico ,  e  stende  verso  di  lui  la  destra 
chiedendo  pietà  :  al  suolo  è  la  scure  eia  tiara:  si  veg- 
gono in  alto  nel  campo  due  bianchi  astri. 

Nel  secondo  gruppo  è  un  guerriero  con  bianco  el- 
mo, clamide,  e  spada  al  fianco,  il  quale  oppone  colla 
sinistra  lo  scudo ,  e  spinge  colla  destra  l' asta  contro 
un'Amazzone  a  cavallo,  che  tiene  colla  sinistra  le 
redini  e  due  giavellolli,  e  vibra  colla  destra  un  altro 
giavellotto.  Questa  ha  tiara,  corto  gonnellino  ritenuto 
da  una  cintura  e  da  una  semplice  tracolla,  le  anassi- 
ridi ,  ed  i  calzari  :  il  petto  e  le  braccia  sono  nude  : 
svolazza  dietro  le  spalle  una  clamide  ,  che  si  annoda 
sul  petto.  Tra'  due  combattenti  è  al  suol  caduta  estinta 
un'alira  Amazzone  con  tiara,  anassiridi  di  rosso  fosco 
con  gialli  ornamenti,  e  succinta  tunica  adorna  di  neri 
puntini  :  anche  due  astri  sono  in  alto  nel  campo. 

Segue  il  terzo  ed  ultimo  gruppo.  È  nel  mezzo  un 
guerriero  con  clamide ,  e  spada  pendente  ;  colla  de- 
stra ha  spinto  l'asta  nel  petto  di  un'Amazzone,  colla 
sinistra  solleva  1'  ampio  scudo  :  l' Amazzone  intanto 
con  rossa  tiara  ,  turcasso  ,  anassiridi ,  e  corta  tunica, 
colla  sinistra  ha  afferrato  lo  scudo  del  nemico  ,  per 
lasciarlo  privo  di  difesa,  e  colla  destra  cerca  di  asse- 


—  Gì  - 


stargli  nn  fiero  colpo  di  scuro.  Iiilanlodalln  parie  op- 
posta un'  allra  Amazzone  innalza  con  ambe  le  mani 
la  scure  per  dare  al  guerriero  un  terribile  fendente. 
Sorgono  dal  suolo  varii  fiori. 

Al  di  sotto  delle  due  ra])presentazioni  vedesi  in 
giro  una  linea  di  marine  ])roduzioni,  conchiglie,  pe- 
sci ,  delfini ,  una  seppia ,  ed  altri  animali. 

Finalmente  al  di  sotto  è  pure  in  giro  una  serie  di 
figure,  delle  quali  diamo  una  breve  descrizione. 

(I)  Amore  alato  adulto  ed  androgino  con  nastro 
che  lega  il  crobilos ,  corona ,  orecchini ,  collana,  ar- 
niille  ed  episfirii,  colla  destra  tiene  un  timpano,  colla 
sinistra  presenta  una  patera.  (2)  Donna  sedente  a  s.  so- 
pra un  sasso:  ha  questa  corona  radiala  ,  oltre  i  soliti 
femminili  ornamenti  ;  colla  d.  tiene  per  un  filo  un  bian- 
co augelletto  ,  colla  sin.  una  cassetta  con  manubrio 
superiore,  ornata  in  giro  di  bianche  figurine  ne'  suoi 
lati.  Sopra  è  nel  campo  una  gialla  tenia  simmetrica- 
mente sospesa.  (3)  Giovine  nudo,  con  semplice  clami- 
de, e  coronato  di  gialla  corona ,  incrociando  le  gambe 
si  appoggia  ad  un  bianco  labro,  eh' è  dietro  di  lui , 
colla  s.  tiene  una  patera ,  colla  d.  un  bianco  uccello  ; 
e  volgesi  presentando  quasi  la  patera  ad  (4)  una  donna 
con  ampyx  sedente  a  s.  sopra  giallo  sedile  senza  spal- 
liera, la  quale  stende  la  d.  a  prender  la  patera.  In  alto  è 
un  ramo  simmetricamente  disposto,  (o)  Segue  Amore, 
alato  ed  adulto  con  femminili  ornamenti.  Colla  d.  ha 
una  cesta,  colla  s.  una  tenia,  sopra  è  nel  campo  una 
sfera  ,  dal  suolo  sorge  una  pianta.  (6)  Dopo  un  fio- 
rellino, cli'è  nel  campo,  vedesi  una  donna  con  ampyx, 
che  corre  veloce  a  d.  volgendosi  indietro  :  colla  d. 
tiene  un  ampio  fiore ,  colla  sinistra  una  cesta  con 
bianca  offerta.  (7)  Donna  sedente  a  d.  sopra  di  un  mas- 
so: ha  pure  corona  radiata,  colla  d.  tiene  una  corona 
con  tenia  pendente,  colla  s.  una  chiusa  cassetta.  Sulla 
sua  testa  è  un  ramo  simmetricamente  disposto.  (8)  Al- 
tra donna  con  clamide  cammina  a  d.  volgendosi  addie- 
tro: presenta  alla  donna  sed.  uno  specchio,  colla  s.  tie- 
ne una  cassetta  aperta,  e  dalla  mano  pende  una  tenia. 
Nel  campo  è  una  bianca  foglia  di  edera.  (9)  Giovine 
nudo  coronato,  con  clamide,  colla  d.  fa  un  gesto  verso 
una  donna  sedente,  colla  sin.  tiene  una  gialla  corona,  ed 
appoggia  il  corpo  ad  un  giallo  bastone.  (10)  La  donna 


siede  sopra  ornalo  sgabello,  ed  ha  Y ampyx:  colla d. 
solleva  l'ombrello  aperto,  con  giglio  alla  ])unla.  Sulla 
sua  testa  \ola  un  uccello  bianco,  recando  fralle  un- 
ghie una  gialla  tenia.  (11)  Donna  con  clamide  ed  am- 
pyx:  solleva  alquanto  il  d.  piò,  e  volge  la  testa  a  d. 
colla  d.  tiene  lo  clcig,  colla  s.  un  timpano.  (12)  Donna 
sedente  a  s.  sopra  un  capitello  jonico,  con  parto  del  fu- 
sto strialo:  ha  \'ampyx,c  la  clamide,  tiene  colla  destra 
un  mostruoso  fiore ,  colla  sin.  una  corona  :  in  allo  è 
nel  campo  una  foglia  di  edera.  (13)  Giovine  nudo  co- 
ronato con  clamide  incrociando  le  gambe  si  appoggia 
ad  una  piccola  slele ,  colla  d.  tiene  una  patera  con 
tenia  pendente,  colla  sinistra  lo  striglie:  sopra  la  pa- 
tera è  nel  campo  una  corona,  (li)  Donna  che  corre 
veloce  a  d.  colla  d.  tiene  un  grappolo,  colla  s.  una 
cassetta  ,  con  ornamenti  superiori ,  e  sotto  ne  pendo 
una  tenia.  In  allo  sono  nel  campo  un  altro  grappolo 
e  due  fogle  di  edera.  (I.'i)  Ultima  figura  è  una  donna 
col  cecrifalo  e  \'  imatio,  sedente  a  sinistra  sopra  di  un 
sasso:  stende  la  destra  verso  la  precedente,  e  colla  si- 
nistra tiene  il  flabello. 

Si  ravvisa  a  primo  colpo  d'occhio  il  soggetto  della 
più  interessante  rappresentanza  del  descritto  vaso;  ed  è 
Medea  che  fugge  in  un  carro  tratto  da  serpenti  dopo  la 
strage  de' propri!  figli.  Il  comm.  Quaranta,  che  ne  pre- 
sentò pure  una  breve  illuslrazionc  alla  reale  Accademia 
Ercolanese,  mi  ha  fornito  un  estratto  della  sua  spie- 
gazione ,  che  è  come  segue  e  L' altro  vaso  rappre- 
senta Medea  ,  che  dopo  uccisi  i  figli ,  fugge  sopra  un 
carro  tirato  da  serpenti ,  por  cui  obbesi  il  nome  di 
Anyuilia.  Innanzi  al  carro  sta  una  Furia,  che  con  una 
mano  le  mostra  il  pugnale  ,  con  che  ha  compiuto 
l'orribile  misfatto,  e  coli' allra  le  apprcscnla  la  face  ; 
ad  indicare  i  rimorsi ,  che  deve  a  lei  recare  l'aversi 
insozzale  le  mani  nel  sangue  de'  figli.  Di  essi  nondi- 
meno un  solo  ne  vediamo  boccone  giacersi  dietro  il 
carro  ,  e  dell'  età  che  avrebbe  fanciullo  decenne. 
L'altro  potrebbe  supporsi  coperto  dal  carro  stesso. 
Ma  non  sarebbe  ardimento  il  supporre  che  il  pittore 
avesse  seguita  una  tradizione  ,  che  assegnava  a  Medea 
un  sol  figlio  :  perchè  siccome  da'  mitologi  si  variò  nei 
nomi  e  nel  sesso  de' figli  di  Medea,  cosi  fecesi  anche 
nel  numero.  Chi  li  chiama  Mermero  e  Fere  ,  come 


—  62 


fanno  Pausania  ed  Apollodoro  ;  chi  Mermero  e  Terele, 
come  Igino  e  lo  scoliaste  di  Euripide.  Tre  ne  nomina 
Diodoro,  cioè  Tessalo,  ed  Alcimeno gemelli,  e Tisan- 
dro;  Ellanico-di  Lesbo  vi  aggiunse Polisseno,  intanto 

'  Do  ' 

che  Cinetone  da  Sparta  dice  che  chiamavansi  Medo  ed 
Eliojiide».  Fin  qui  il  eli.  Quaranta:  noi  soggiungiamo 
alcune  altre  osservazioni  nostre.  La  maga  ci  è  presentata 
sotto  il  costume  ellenico,  e  niente  altro  si  collega  colla 
sua  barbarica  origine,  se  non  che  la  fascia  o  lista  di 
ornati  a  losanga  che  fregia  la  tunica,  la  quale  si  con- 
fronta con  simiglianti  fregi ,  che  spesso  si  osservano 
sulle  Amazzoni  (  vedi  sul  vario  costume  di  Medea  ciò 
che  scrive  il  Jahn  Arch.  Aufs.  p.  185-6,  ed  il  sig. 
llaoul-Rochette  choix  de  pcinl.  de  Pomp.  pag.  264  ; 
cf.  Avellino  milo  di  Tato  nelle  mem.  della  r.  accad. 
Ercol.  voi.  IV  p.  L  p.  83.  seg.  ).  Ella  è  tratta  in  un 
carro  di  enormi  dragoni ,  secondo  la  tradizione  di 
Euripide  [Med.  1321),  e  di  Seneca  (  3/ed.  1022); 
che  servir  le  dovea  per  sottrarsi  al  furore  de'  suoi 
persecutori.  Cosi  presso  Euripide  dice  Medea  a  Gia- 
sone :  (1320s.) 

X-'P'  "  °^  •^a.ucitì  trori. 

TOiovò' o'-^r),aa  Ka.ri;/ji  "HX/os  Tt(f.rr!^ 
oi'SwuiY  tjxTy,  sgvfxa  7roXs|i>n«s  X^pos. 
E  presso  Seneca  (  1 022  s.  )  : 

Sic  fucjcre  soleo:  paddi  in  caehim  via. 
Sqiiammosa  gemini  rolla  serpenles  jugo 
Summissa  praebent  :  recipe  jam  nalos  parens. 

Varii  sono  i  monumenti,  ne' quali  comparisce  la 
barbara  madre  tratta  da'  serpenti ,  su'  quali  è  da  leg- 
gere la  dotta  discussione  del  sig.  Pyl  (  Medeae  fabula 
p.  7.^  seg.  ) ,  e  ciò  che  scrisse  contem])oraneamenfe 
il  sig.  Raoul-Rochette  (  choix  de  pcinlures  de  Pomp. 
p.  21  o  ).  Tra  questi  monumenti  è  da  riferire  una  ler- 
racolla  del  signor  Gargiulo ,  sulla  quale  il  eh.  Viuet 
scrisse  alcune  importanti  osservazioni,  facendo  il  con- 
fronto di  Medea  con  Cerere  [rcv.  aìxh.  an.  II.  p.  3.'j.'> 
ssg.  ).  Nel  vaso  che  illustriamo  3Icdea  nell'alto  del 
fuggire  ha  gettalo  al  suo  marito  uno  de' figli ,  che  si 
vede  al  suolo  presso  le  ruote  del  carro.  Questa  par- 
licolarità  mostra  che  il  pittore  si  è  diparlilo  dalla  nar- 
razione di  Euripide ,  per  la  quale  Medea  reca  con  se 


i  corpi  de'  trucidati  figliuoli ,  per  seppellirli  nel  lem- 
pio  della  Giunone  Acrea.  Piuttosto  si  è  attenuto  alle 
tradizioni  seguite  da  Seneca  ,  ne'  versi  citati  :  recipe 
jam  nalos  parens.  Nelle  quali  parole  non  direi  già  che 
Medea  concede  al  padre  la  consolazione  di  seppellirli. 
Nelle  parole  precedenti  di  Giasone  non  vi  è  alcuna  trac- 
cia di  simile  domanda,  e  ne' due  tragici  la  situazione 
è  affatto  differente.  Sicché  le  parole  di  Medea  non 
sono  di  sollievo  ma  della  piìi  truce  crudeltà ,  quasi 
dicesse  ora  finahnenie  li  resiiluisco  i  figli;  cioè  dopo 
di  averli  uccisi.  E  questo  potrebbe  attribuirsi  ad  un 
duplice  sentimento  ,  o  di  spiegare  la  sua  ferocia  col 
tristo  spettacolo  degli  scannali  fanciulli ,  ovvero  per 
rilardare  in  quel  modo  i  passi  de'  suoi  persecutori  ; 
del  che  il  mito  di  Medea  ci  offre  altro  esempio  nella 
fiera  strage  del  suo  fralello  Absirto. 

È  notevole  che  un  solo  de'  figli  comparisce  nel  no- 
stro vaso,  laddove  tutte  le  tradizioni  parlano  di  due 
morti.  Nondimeno  vi  sono  varii  monumenti ,  che  a 
questa  particolarità  fanno  riscontro.  Ed  in  prima  è 
da  citare  un  frammento  di  bassorilievo,  ove  si  scor- 
ge Medea  recando  con  una  mano  il  corpo  di  un  uc- 
ciso fanciullo  (Gori  inscr.  Elr.  HI,  1.  tav.  13:  cf. 
Journal  des  Sav.  1834  p.  76).  II  sig.  Pyl  molto  in- 
gegnosamente sospetta  che  faccia  quel  frammento  con- 
tinuazione con  altro  bassorilievo  del  museo  Pio-Cle- 
mentino  (Visconti  VII,  16),  dal  quale  sia  stato  per 
qualche  circostanza  staccato  (  Med.  fab.  p.  75.  s.  )  ; 
e  così  dimostra  non  poter  rappresentare  la  fuga  di 
Medea  ,  dopo  la  strage  di  Absirto,  secondo  la  opi- 
nione del  Gori,  alla  quale  allre  non  poche  difficoltà 
si  oppongono.  Ora  il  nuovo  monumento  di  Canosa 
pruova  la  verità  di  questa  dimostrazione ,  offrendoci 
appunto  un  solo  de'  figli ,  come  nel  citato  bassorilie- 
vo; e  con  tali  parlicolarità  ,  che  non  può  dubitarsi 
del  suo  soggetto.  Sicché ,  come  osserva  pure  il  Qua- 
ranta ,  o  dovrà  dirsi  che  per  artistiche  ragioni  si  è  vo- 
luto nascondere  il  corpo  dell'allro  giovinetto,  o piut- 
tosto che  vi  fossero  tradizioni,  uollc  quali  un  solo  fi- 
glio supponevasi  estinto.  Né  dovrebbe  sorprendere  nel 
nostro  monumento  che  ciò  si  trovi  in  opposizione  di 
Euripide;  giacché  vi  é  pure  l'altra  sicura  divergenza 
che  presso  il  tragico  Medea  ritiene  i  cadaveri  de'  suoi 


—  03  — 


figli ,  e  nel  vaso  ha  gettalo  verso  il  niarilo  il  corpic-  confionfo  di  un  lai  monumento  col  vaso  di  Cuma 
duolo  esanime,  che  mirasi  al  suolo.  per  nn  p.Trlicoliire  motivo:  ed  è  che  in  entrambi  i fi- 
In  conferma  della  uccisione  di  un  solo  de' figli,  mi  gli  di  Medea  non  app^ijono  in  età  infantile,  ma  quasi 
piace  di  citare  un  importante  vaso  di  Cuma  ,  dovuto  adolescenti  ;  laddove  nei  vasi  di  Canosa  ,  tanto  ia 
alle  medesime  scavazioni,  di  cui  dicemmo  nel  1  anno  quello  che  illustriamo,  quanto  nell'altro  pubblicalo 
de!  presente  huUeltino.  Vedesi  in  esso  Medea  non  già  d;d  Millin  si  sono  seguile  le  forme  della  più  lenera 
in  baibarico  vestimento,  e  con  tiara  sid  capo  ,  ma  età.  L'idolo  del  vaso  di  (fumaci  sembra  senza  dubbio 
quella  sua  origine  è  indicata  soltanto  dalle  strette  ma-  di  Apollo. 

niche  della  sua  tunica  fregiale  di  neri  ornamenti.  Ella  Tornando  al  vaso  di  Canosa  del  real  museo  Ror- 

slringe  la  spada  nell'alto  di  uccidere  un  giovinetto,  bonico  ,   domandiamo  a  noi  stessi  chi  siano  quei  Ire 

che  indarno  si  è  rifugiato  presso  l'idolo  di  una  divi-  personaggi ,  clic  inseguono  la  fuggente.  L'  astro  che 

nità,  che  mirasi  al  di  sopra  di  una  colonnetta  soprap-  vedesi  presso  la  testa  di  uno  di  loro  non  deve  farci 

posta  ad  un  piedestallo.  Questa  divinità  negligente-  pensare  necessariamente  a'Dioscuri  ;  giacché  di  simili 

mente  figurata  è  virile ,  e  tiene  con  una  mano  un  astri  si  scorgono  anche  altrove ,  e  varie  volle  pure 

ramo  che  si  biforca  ,  coli' altra  la  patera.  La  scena  al  rovescio,  ov'è  la  battaglia  amazzonica.  Senza  dub- 

succede  sotto  un  edifizio  indicalo  da  due  bianche  co-  bio  noi  dobbiamo  riconoscere  i  due  che  erano  mag- 

lonne.  Rimettendo  ad  altro  tempo  una  più  esalta  no-  giormente  impegnali  alla  vendetta  ,  Giasone  ,  ed  Ip- 

tizia  di  questo  monumento,  mi  piace  di  notare  che  le  potè  il  fratello  di  Glauce,  già  barbaramente  uccisa  da 

due  colonne  accennano  alla  reale  magione  di  Corinto,  Medea.  Forse  non  sarà  strana  cosa  l'immaginare  che 

ove  avvenne  il  delitto.  La  particolarità  del  ricorrere  sia  Ippole  il  giovine  a  cavallo  nell'  allo  di  lanciare  il 

che  fa  il  giovinetto  ad  una  divinità ,  si  ripete  altre  giavellotto.  E  risaputo  che  questo  personaggio  com- 

volte.  Cosi  in  una  gemma  del  museo  di  Berlino  (Tol-  parisce  non  poche  volle  in  altri  monumenti,  mo- 

cken  Calai,  p.  271.  IV,  2,  ìo2)  i  fanciulli  fuggono  strando  sommo  aiTcllo  per  la  sorella;  è  poi  in  allu- 

presso  di  un'ara  vicino  ad  una  colonna  sormontala  sione  al  suo  nome  ch'egli  cavalca  un  cavallo,  mentre 

da  un  Tritone.  Ed  il  sig.  Pyl  ci  fa  conoscere  che  in  gli  altri  due  guerrieri  vengono  a  piedi.  Nò  deve  far 

altra  gemma  del  cav.  Gerhard,  i  figli  di  Medea  rifug-  maraviglia  la  sua  posizione  di  sdegno  e  di  veiidella, 

gilisi  presso  ad  un'ara  tengono  colle  mani  alcuni  ra-  laddove  Giasone  e  l'altro  compagno  si  mostrano  meno 

mi  fhiceleriaj  quasi  per  implorare  la  compassione  veloci  al  ferire:  giacché  Ippole  nuli' allro  avendo  a 

della  madre.  Il  medesimo  intendimento  dee  ricono-  sperare  si  eccita  a  subila  ira  alla  presenza  della  sua 

scersi  nel  magnifico  vaso  di  Canosa  (Millin  lomh.  de  nemica;  mentre  Giasone  ha  qualche  cosa  che  lo  ri- 

Canosa  pi.  VII.  pag.  32),  ove  il  giovinetto  è  sagri-  tiene,  e  ne  richiama  l'allenzione,  cioè  la  presenza  del 

ficaio  sopra  di  un'ara.  Anche  in  questo  monumento  figlio  ucciso,  che  la  paterna  pietà  gli  persuade  di  rac- 

pare  che  un  solo  figlio  si  supponga  trafitto  ;  giacché  cogliere  e  seppellire. 

l'altro  é  sottrailo  da  un  giovine  armalo  di  doppio  Molto  importante  è  la  figura,  la  quale  presentasi 

giavellollo,  dalle  cui  mani  non  sarà  certamente  rapi-  innanzi  al  carro  di  Medea  tenendo  la  face  e  la  spada. 

to.  Un'altro  vaso  che  ci  presenta  egualmente  l'ara.  Il  suo  vcstimcnlo  ,  e  la  situazione  in  cui  si  ritrova,  la 

sulla  quale  Medea  trucida  i  suoi  figli,  è  quello  di  fab-  rendono  assai  somigliante  alla  figura  di  una  Furia  , 

brica  campana  posseduto  dal  sig.  Raoul-Rochelle  ,  e  ovvero  alla  personificazione  della  /^y.ssa,  odi  altro  es- 

da  lui  non  ha  guari  pubblicalo  [choix  de  pcinl.  pag.  sere  di  egual  natura.  Noi  già  discorremmo  più  volle 

277:  vedine  la  spiegazione  pag.  209  e  seg.:  era  stalo  di  tali  figure  e  nel  buìlettino  anheoìo(jìco  napolitano 

già  descritto  dal  eh.  Jahn  aeW arch.  Zcilmg  del  Gè-  (an.  V.  p.  76  e  seg.)  ,  e  ne  monumenli  inedili  del 

rhard   1847.  pag.  38.).  In  questo  sono  due  i  figli,  sig.  Barone  (voi.  I.  p.  102  e  seg.  ).  Rappresenta  una 

che  subiscono  la  crudel  sorte.  È  però  interessante  il  tale  figura  la  punizione  inflitta  a'  niisfalli  di  Medea  dal 


—  64  — 


furore  medesimo  da  cui  è  presa,  e  che  la  conduce  a 
bubire  la  vcndelfa  che  le  sovrasta.  E  ricordiamo  a  tal 
proposito  le  medesime  espressioni  di  Euripide,  ch'e- 
gli mette  in  bocca  a  Giasone  [Med.  1389,  s.  ) 
'AXXci<j'  Eptvvi  oXsTiiS  Tixyujìf 

Sopra  il  vaso  di  Canosa  presso  alla  figura  di  Me- 
dea che  uccide  il  suo  figlio  vedesi  preparato  il  carro, 
e  dentro  di  esso  un  Demone  indicato  dalla  particolare 
iscrizione  OI^TPO^  ;  che  certamente  è  la  personifi- 
cazione di  una  eccessiva  passione,  siccome  sostenne 
acconciamente  il  Millin  (  io^rò.  de  Canosa  pag.  33.  e 
se"-.);  e  dopo  di  lui  il  Jahn  {Arch.  Zeilung.  1847. 
pag.  40) ,  il  Vy\{Med.  fab.  p.  81-82),  ed  ultima- 
mente ancora  il  sig.  Raoul-Rochette  (  choix  de  pcint. 
\n".  275  noi.  2) ,  il  quale  aveva  pria  sostenuta  una 
diversa  opinione.  É  notevole  il  nimbo  che  circonda  il 
capo  di  questo  personaggio.  Incontra  non  pertanto  il 
confronto  con  una  figura  di  simile  significato  pur  colla 
fiaccola,  ed  uno  siimolo  (poy-TrXrl)  invece  della  spa- 
da; simbolo  che  le  corrisponde  nella  intelligenza  (1). 
Questa  figura  comparisce  come  una  divinità  punitrice 
del  furioso  Licurgo,  in  un  vaso  del  real  museo  Bor- 
bonico pubblicato  già  dal  Millingen  (vascs  grecs  pi. 
I-II  ).  Ora  è  degno  di  osservazione  che  è  tutta  cir- 
condata da  un  circolo  luminoso  simile  al  nimbo  della 
figura  di  Canosa  ,  e  quel  eh' è  più,  esternamente  fre- 
giata di  radii.  Il  signor  Roulez  non  ebbe  alcuna  diffi- 
coltà di  avvertire  che  sia  espressa  Iride  che  fa  l' uffi- 
cio di  Furia  ,  e  che  accidentalmente  s' identifica  ad 
Eris  {annali  dell'  hi.  1845.  p.  121,  s.).  Io  non  fui 
lontano  dall' accogliere  questa  spiegazione,  anche  per- 
chè presentandoci  Euripide  la  stessa  Iride  guidando 
la  personificata  Lyssa  (  Herc.  fur.  822.  segg.  ) ,  non 
sarebbe  strano  il  supporre  che  debba  talvolta  la  stessa 
dea  ravvisarsi  come  apportatrice  dell'  ira  e  dello  sde- 
gno (  V.  bull.  arch.  nap.  an.  V.  p.  77.  e  mon.  ined. 
di  Bar.  voi.  I.  p.  102).  Ora  però  che  il  novello  vaso 

(I)  La  spada  nel  nuovo  vaso  di  Canosa ,  non  ù  gii  quella  con 
che  Mwloa  ha  commesso  il  misfatto;  giacché  quel  ferro  si  vede 
presso  1'  estinto  fanciullo. 


di  Canosa  ci  presenta  una  divinità  ,  che  per  le  sue 
forme,  e  pel  suo  vestimento  non  potrà  riferirsi  ad  I- 
ride,  e  nondimeno  ha  circondata  la  testa  del  nimbo  ; 
cominciamo  a  dubitare  di  quella  attribuzione  del  sig. 
Roulez,  e  crediamo  che  anche  nel  vaso  del  Millingen 
possa  riconoscersi  un  Demone  somigliante  ad  una 
Furia.  Resta  a  spiegare  1'  ultimo  personaggio  di  don- 
na pur  col  capo  cinto  da  nimbo,  e  cavalcante  a  destra 
sopra  veloce  cavallo.  Simile  figura  comparisce  non 
poche  volte  ne' vasi  dipinti  (Panofka  mus.  Blacas  pi. 
XVII.  Raoul-Rochette  mon.  inéd.  pi.  LXXIII  p.  5  : 
mon-  deirist.  II.  tav.  30-32,  annali  voi.  VIII.  pag. 
104  s.  :  cf.  Gerhard  Liclhgollh.  tav.  I.  n.  2 ,  e  tav. 
II.  num.  1-3):  e  gli  archeologi  convengono  nel  de- 
nominarla Selene.  Noi  non  ci  diparliamo  da  questo 
sentimento ,  sebbene  potrebbe  credersi  dello  slesso 
modo  effigiata  l'Aurora.  Un'ultima  osservazione  far 
ci  piace  ;  ed  è  che  al  rovescio  della  rappresentazione 
di  Medea  è  una  battaglia  amazzonica  :  ed  ecco  un  se- 
condo esempio  della  riunione  di  questi  due  soggetti  ; 
giacché  neir  altro  vaso  di  sopra  accennato  posseduto 
dal  sig.  Raoul-Rochette  vedesi  egualmente  una  pugna 
di  Amazzoni  dall'altra  faccia:  e  bene  osserva  il  dotto 
archeologo  francese  che  quel  ravvicinamento  valga 
ad  indicare  la  origine  di  Medea  legata  alla  razza  asia- 
tica di  quelle  donne  guerriere  [choix  depetnt.  p.  269 
not.  4.  ). 

Anche  sotto  queste  due  fiere  rappresentazioni  si 
vede  una  scena  da  noi  descritta  non  dissomigliante  da 
quella  riunione  di  figure,  che  scorgesi  sotto  il  vaso  di 
Europa.  Da  ciò  si  dimostra  che  in  nessuno  de'due  vasi 
possono  fare  allusione  a  nuziali  idee;  perciocché  se 
queste  creder  si  poteano  convenire  al  soggetto  di  Eu- 
ropa ,  non  cosi  possono  riputarsi  acconce  a  quelli  di 
Medea  dopo  la  strage  de' figli,  o  delle  Amazzoni  com- 
battenti. Io  non  lascio  perciò  di  considerare  simili 
riunioni  di  personaggi  come  rappresentazioni  misti- 
che e  funebri  ;  né  mi  sarà  necessario  ripetere  le  cose 
da  me  osservale  sopra  tali  soggetti,  su'quali  più  volte 
mi  è  accaduto  di  dover  ragionare.         Minervini. 


P.  Raffaele  Garrccci  d.c.d.g. 
Giulio  Minervini  —  Editori. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Càtaneo. 


BlllEimO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


iV."  33.     (9.  dell'  anno  II.) 


Novembre  1853. 


Notizia  de'pù  recenti  scavi  di  Pompei.  Continnnzinne  del  mim.  51. 


Notizia  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Continuazio- 
ne del  man.  51. 

La  Direzione  degli  scivi  saggiamente  era  occupala 
a  render  più  agevole  la  traccia  ,  che  dal  così  detto 
tempio  di  Esculapio  conduce  all'anfiteatro.  Si  pen- 
sava insieme  ad  impedire  lo  slamamento  delle  terre 
cbe  si  elevano  ai  due  lati ,  quando  una  piccola  frana 
a  sinistra  quasi  al  principiar  della  sliada  mise  all'  a- 
perto  alcuni  ruderi ,  ove  pria  nessuna  traccia  ne  ap- 
pariva all'  esterno. 

L' ingegnere  Direttore  fu  sollecito  a  rivolgere  le 
sue  cure  a  quel  sito ,  e  presane  autorizzazione  dal 
eh.  Sopranteiidenfe  sig.  Principe  di  San  Giorgio,  co- 
minciò ad  eseguire  un  regolare  scavo. 

Io  non  parlerò  delle  parti  finora  disotterrale  dell'e- 
difizio,  riserbandomi  di  farlo  a  miglior  tempo,  quando 
sarà  tutto  messo  allo  scoverto;  solo  accennerò  che  si 
tratta  di  un  edifizio  privato,  di  cui  è  venuta  fuori  por- 
zione del  peristilio  ,  e  delle  stanze  che  gli  stanno  vi- 
cino. Le  novità,  sulle  quali  richiamo  l'attenzione  dei 
lettori  del  huUcllino,  sono  una  statua  di  bronzo ,  rin- 
venuta presso  una  colonna  angolare  del  peristilio  ,  e 
due  magnifici  dipinti,  che  fregiar  si  veggono  due  mu- 
ri di  una  stanza  che  può  riputarsi  il  tiiclinio. 

La  statua  di  bronzo ,  di  cui  parlo ,  è  alta  ben  cin- 
que palmi  e  sei  decimi ,  oltre  la  base  su  cui  poggia, 
la  quale  compie  l' altezza  di  palmi  sei.  Rappresenta 
essa  un  giovinetto  di  bellissime  proporzioni.  La  sua 
leggiadrissima  testa  è  cinta  da  un  cordone,  sul  quale 
s' intrecciano  i  capelli  tanto  nella  parte  anteriore  che 
nella  posteriore;  e  dall'uno  e  dall' altro  lato  sono  due 
ricci  cadenti  quasi  simmetricamente  sul  petto  e  sulle 
spalle.  11  sopracciglio  è  indicato  da  finissimi  incavi , 


e  la  congiuntiva ,  e  l' iride,  e  la  pupilla  sono  diilinle 
da  paste  vitree  di  svariati  colori.  Questo  giovine  tutto 
nudo,  lenendosi  sulle  gambe  in  una  semplice  e  natu- 
rale posatura ,  ha  la  destra  abbassala  colla  quale  tien 
mollemente  il  plettro  ,  e  nella  palma  delia  sinistra 
mano,  che  solleva  alquanto,  vedesi  un  pezzo  di  bronzo 
forato,  e  con  due  laterali  fori,  destinali  cerlamenle  a 
contenere  un  oggetto  ,  che  fu  distrutto  dallo  ingiurie 
del  tempo.  A!  veder  che  quel  pezzo  di  melallo  nono 
stretto  dalla  mano,  la  quale  semplicemente  lo  tocca, 
siamo  tratti  a  conchiudere  che  probabilmente  la  lira, 
forse  di  legno,  vi  si  congiungeva;  in  un  modo  presso 
a  poco  simile  alla  statuetta  pompejuna  di  Apollo  (r. 
min.  Borì),  tom.  II.  tav.  2.3.  ),  nella  quale  le  dita  sono 
fralle  corde  nell'  atto  di  toccarne  i  concenti.  Questo 
appunto  si  verifica  nella  nuova  statua  pompejana  ,  la 
quale,  a  dinotar  che  il  personaggio  sia  inteso  a  udirei 
tuoni  dell'  istrumenlo,  mostra  il  capo  dolcemente  in- 
clinalo da  quella  parte. 

La  base  della  statua  è  circolare,  ed  ornata  di  ovoli 
al  lenrl)0  esteriore. 

Bellissimo  è  il  lavoro  di  questo  importante  pezzo 
dell'  antica  scultura  :  le  estremità  sono  assai  bene  in- 
tese ed  accuratamente  finite,  ma  in  guisa  che  chiara- 
mente si  appalesa  il  sapere  artistico,  da  cui  provenne 
l'opera  che  illustriamo.  Io  non  dubito  di  attribuirò 
questa  elegante  scultura,  che  spira  la  semplicità  delle 
più  antiche  opere  dellarte,  ad  un  greco  artista.  Il  plet- 
tro e  la  lira,  che  certamente  vedevasidiiH'altra  parto, 
ci  danno  un  valido  argomento  per  dichiarare  ima  sta- 
tua di  Apollo  il  nuovo  bronzo  pompcjano.  Ma  vi  si 
ai^aiusne  ancora  un"  altra  particolarità,  che  mette  fuor 
di  dubbio  una  tale  attribuzione. 

Accennar  vogliamo  alla  copiosa  chioma  ,  con  duo 

9 


—  66 


ricci  pendenli  d' ambi  i  lati  presso  le  guance  in  sulle 
spalle.  Qucsla  particolarilà  è  propria  e  carallerislica 
del  dio  àxip(jsxóixr,s,  iùx.'^irrfi,  inlonsus,  crinilus  ;  sic- 
come è  coslantemonle  chiamato  Apollo  da'  poeti.  Io 
dovrei  dispensarmi  dal  dar  qualiuifjnc  dilucidazione 
su  questo  punto  ;  giacché  è  stalo  egregiamente  trat- 
talo si  per  la  parte  archeologica  che  per  la  filologica 
dall' illustre  archeologo  sig.  comm.  Raoul-Rochetle , 
con  grande  copia  di  scelta  erudizione  [qucsùons  de 
l' lùsloire  de  l'ari  p.  1 93  e  s.  della  ediz.  in  'i .  La  me- 
desima idea  avea  già  prima  sostenuta  il  celebre  Miil- 
ler  Tlandb.  §.  360  n.  3.  vedi  la  pag.  543  nella  ediz. 
del  Welcker  ).  Nondimeno  citerò  quei  luoghi ,  die 
più  si  confanno  all'opportuno  confronto  della  statua 
pompejann.  Traile  varie  immagini  di  Apollo  descritte 
da  Cristodoro,  ve  ne  ha  due  le  quali  esser  dovcano 
somigliantissime  a  questa  di  recente  scoperta. 

Ili  quanto  alla  prima,  egli  si  esprime  in  tal  guisa: 
UXóxxixos  yà-p  l'X(|  =7rjc)sò'pofX£V  a/|UO(S 
'A/xIoT/poic  (  v.  284  ). 

Parla  poi  della  seconda  più  lungamente,  fermandosi 
a  discorrere  della  lunga  sua  chioma: 

EOcy  'xz:f,(j-xqxyiY  ''EyMTOv  iìsiy  ,  s/oov  àoiorf 
Kc/pavov,  ÌTixr,roi(ji  xiz%(j[/.iy(jv  oiySysffi  x*'Ty)?' 
Ei'x:  T^?  à/xporspoiffi  y.ó;xriS  ixiixspiqxivoY  u/ixoiS 
Bó^r^vxov  7.ùroiXiy.roy  (v.  2G6-2G8). 
Più  interessante  nella  presente  occasione  è  questo 
luogo  di  Cristodoro ,  nel  quale  dassi  ad  Apollo  il  du- 
plice epitelo  di  a;£:pT:X'';Ar,b  e 'io(c)-7,s;£0(p7.vo?;che  veg- 
gonsi  entrambi  accennali  nella  pompeiana  statua,  ove 
insieme  colla  folta  chioma  vedesi  atlribuito  al  dio  il 
plettro  ,  e  senza  dubbio  ancora  anticamente  la  cetra. 
Nò  diversamente  accennano  a  qucsla  caratteristica 
di  Apollo,  Callimaco,  che  poelieaincnlc  diceva  che  i 
lungi»  capelli  del  dio  ondeggianti  sulla  spalla  pareano 
dis'.illare  la  panacea  {ILjmn.  in  Apoll.  v.  39);cd  A- 
pollonio  Rodio ,  che  descrive  i  leggiadri  ricci  scen- 
denti di  qua  e  di  là  presso  le  gole  : 

•   •  X{'''''^^^'  ^=  'TTcì.pwxujy  ix'xnp^i 
TÌ'ko'>Qxo\  (iorguó-vri?  iTrsppwc/vTO  xiévri 
[Arg.  II.  Gli.  scgg.  ) 
Tralasciando  altri  non  pochi  passaggi  di  antichi 
scrittoli,  mi  piace  di  riportare  alcune  parole  di  Apu- 


lejo  ,  nelle  quali  si  fa  pure  allusione  alla  giovanile  fre- 
schezza delle  immagini  Apollinee,  e  questa  fa  bellis- 
simo confronto  al  nuovo  bronzo  di  Pompei. 

Apollo  (l  intonsus ,  ci  genis  gratus ,  et  torpore  gla- 
hcUus;  e  poco  appresso:  crines  ejus  ....  antevenluli  et 
propendali  (  Florid.  §.  3.  t.  II.  pi  703  edit.  Delph.). 

È  inutile  poi  di  ricordare  i  numerosissimi  monu- 
menti di  arte  ,  che  ci  offrono  figure  di  Apollo  colla 
chioma  largamente  disposta.  Veder  si  potranno  citali 
in  gran  parte  dallo  slesso  archeologo  francese,  il  quale 
attribuisce  le  forme  di  alcune  ad  una  imitazione  del 
celebre  Apollo  Filesio  di  Slilcfo  lavoro  di  Canaco  (op. 
eit.  p.  196  s.  :  su  questo  Apollo  vedi  pure  la  recen- 
tissima opera  del  Brunn  Gesch.  dcr  Griech.  Kmsller, 
tom.  I.  p.77  e  s.).  Noi  non  faremo  un  tal  paragone; 
perciocché  lo  stile  più  svelto  ed  elegante  della  nostra 
statua,  e  la  diversità  de' simboli  che  in  quell'antica 
immagine  si  ravvisavano,  ci  vietano  d'istituire  un  si- 
mile riscontro. 

Voglio  intanto  osservare  che  quel  nodo  di  capelli, 
che  vedesi  frequentemente  sulla  fronte  nelle  statue  di 
Apollo  del  più  avanzalo  stile,  come  nel  famoso  mar- 
mo di  Belvedere  ,  sembra  formato  appunto  da'  ricci 
pendenti  sulle  gote  :  il  che  è  perfettamente  visibile 
nella  citata  statuetta  pompejana  ,  ove  si  scorge  evi- 
dentemente il  garo  di  quei  capelli  uscenti  di  sotto  ad 
un  legame ,  che  cinge  la  fronte.  Sicché  cpiel  nodo  è 
identico  a'  ricci  nelle  statue  di  Apollo  ;  e  1'  una  ac- 
conciatura esclude  1'  altra. 

Chiuderò  queste  brevi  osservazioni  contentandomi 
di  asserire  che  lo  studio  delle  antiche  arti  ha  fallo  un 
bell'acquisto  nell'Apollo  pompejano ,  che  verrà  fra 
breve  a  far  di  se  bella  mostra  nella  ricchissima  colle- 
zione de'  bronzi  del  rcal  museo  Borbonico.  Alcuno 
de'  nostri  artisti  ha  trovalo  qualche  difetto  nella  statua, 
di  cui  parliamo  :  ma  è  per  me  indubitato  che  questi 
prelesi  difetti  provengono  da  qualche  piccola  schiac- 
ciatura subita  dal  metallo  in  alcuni  sili.  Mi  riserbo 
di  parlare  più  dislesamente  di  queste  osservazioni , 
quando  sarà  pubblicata  la  statua  :  essendo  fuor  di 
luogo  qualunque  artistica  ricerca,  senza  che  si  abbia 
solto  gli  sguardi  un  esatto  disegno  del  monumento. 

Primo  dìjiinto  del  Didinio.  —  Questo  bellissimo 


—  G7  — 


quadro,  dell' altezza  di  palmi  8,  benché  mancante 
nella  parte  superiore,  che  disiiraziatanieiile  è  crolla- 
ta ,  e  di  larghezza  palmi  sci ,  ci  oiTrc  uno  de'  più  ri- 
petuti soggetti  dell'  antica  megalografia  ,  riferibile  al 
mito  di  Bacco  ed  Arianna. 

Traile  varie  classi  di  monumenti  concernenti  al  me- 
desimo mito  ,  ordinati  pria  dal  Boettiger  (  Armine  ) , 
e  poscia  più  compiutanicnle  dal  sig.  Uaoul-Rocbelle 
[choix  de  peint.  de  Pomp.  p.  30  segg.  ) ,  vi  ha  (juella 
che  ci  presenta  ancora  il  nostro  dipinto,  cioè  Arian- 
na contemplala  nel  suo  sonno  da  Bacco  ,  e  dal  suo 
tiaso. 

La  sposa  di  Teseo  vedesi  immersa  nel  sonno  sdra- 
iata al  suolo  sopra  un  giallo  panno  :  ella  è  volta  di 
schiena,  per  modo  che  rimane  visibile  la  sola  parte 
posteriore  del  suo  corpo  ;  e  la  fisonomia  si  asconde 
del  tutto,  apparendo  unicamente  l'occipite,  e  porzione 
di  una  guancia.  Ella  poggia  la  sua  testa  e  parte  del 
corpo  sulle  ginocchia  di  un  imberbe  personaggio,  co- 
ronato di  verdi  foglie  ,  e  vestito  di  azzurra  tunica  , 
che  tiene  colla  sinistra  un  piccolo  vaso ,  e  colla  de- 
stra un  oggetto  quasi  interamente  perduto.  Intanto  un 
alalo  Amorino  con  rossa  clamide  solleva  con  ambe 
le  mani  il  rosso  panneggio,  di  che  Arianna  era  co- 
perta ;  mentre  poco  più  indietro  si  appressa  il  giovine 
Dioniso ,  con  due  piccole  corna  sporgenti  dal  capo 
coronato  di  ellera.  Il  suo  abbigliamento  è  coslituito 
da  una  corta  tunica  di  color  violaceo ,  a  cui  si  so- 
vrappone una  pelle  di  fiera;  eia  tunica  e  la  pelle  sono 
strette  alla  vita  del  dio  mercè  una  cintura.  Una  verde 
clamide  svolazza  dietro  la  persona  :  i  piedi  sono  mu- 
niti di  brevi  calzari  :  stringe  colla  destra  una  piccola 
asta ,  forse  il  principio  di  un  tirso ,  stende  alquanto 
la  sinistra ,  ove  al  dito  anulare  presenta  l' ornamento 
di  un  aureo  anello  con  in  mezzo  una  rossa  pietra. 

Neil' indietro  appariscono  le  varie  sinuosità  di  una 
montagna  ,  traile  quali  si  veggono  due  dilTerenti  or- 
dini di  figure.  Nel  primo,  più  vicino  alla  dormente 
Arianna,  è  un  Satiretto  coronalo  di  canne,  che  si  ap- 
pressa recando  colla  sinistra  un  ricurvo  bastone.  Se- 
gue un  gruppo  ,  ripetuto  in  altri  monumenti  ;  dir  vo- 
glio il  vecchio  Sileno  con  bianca  barba,  il  quale  colla 
sinistra  tiene  il  tirso,  e  stende  il  destro  braccio  ,  che 


vien  preso  con  ambe  le  mani  da  un  Satiro  curvo  colla 
personn,  il  (piale  gii  presta  l'ufficio  dì  tirarlo  e  soste- 
nerlo per  quelle  dirupate  balze. 

Non  molto  lungi  dal  descritto  gruppo  vedi  un  Pa- 
ne di  fosca  carnagione  ,  con  orecchie  e  corna  capri- 
ne ,  coronato  di  canne ,  e  vestilo  di  pelle ,  che  solle- 
va la  sinistra  guardando  verso  la  donna  in  allo  di  ma- 
raviglia. 

Più  in  allo  scorgonsi  fra' greppi  le  teste  di  tre  altre 
figure  ;  una  guarda  in  giù  facendosi  solecchio  colla 
sinistra  ,  la  media  ,  che  par  virile  ,  suona  la  doppia 
tibia,  e  l'ultima  appare  coronata  di  foglie. 

Finalmente  anche  fra'  sassi  vedesi  in  parte  im  Sali- 
tiretto  ,  che  guarda  in  giù  ;  e  nel  campo  a  distanza 
maggiore  vedonsi  effigiate  tracce  di  vegetazione.  Non 
può  muoversi  dubbio  che  il  pittore  del  pompejano 
quadro  abbia  figurato  il  monte  Drios  nell'  isola  di 
Nasso,  presso  del  quale  si  finse  succeduto  quel  milico 
avvenimento  (Dlod.  Sic.  lib.  V,  21.  cf.  K,ioul-Ilo- 
chetle  cìioix  de  peint.  p.  53-3 i  ).  Noi  non  ci  ferme- 
remo né  a  richiamare  i  confronti  del  gruppo  del  Si- 
leno sostenuto  dal  Satiro  per  la  scoscesa  cima  della 
montagna  ;  né  di  ([uelle  figure  di  Satiri  npofcnpcvonles, 
la  cui  significazione  fu  già  additata  dal  Bòttiger  (.4- 
riadne  p.  8o  ,  e  99 ,  22.  ) ,  dal  Zoega  (  fìassir.  t.  II. 
lav.  LXXVII  pag.  loo,  2.  ) ,  e  da  altri  (  Raoul-Ro- 
chette  ehoix  de  peint.  p.  SO  noi.  G.  ).  Queste  circo- 
stanze, che  compariscono  sovente  ne' monumenti  an- 
tichi del  medesimo  soggetto,  furono  sufficientemente 
illustrale  da' dotti  archeologi,  che  ci  precedellero(l). 
Dirò  solamente  che  tutto  il  dipinto  merita  di  essere 
paragonalo  all'altro  dipinto  pur  pompejano  illustrato 
pria  dal  eh.  comm.  Quaranta  (  R.  Mas.  Borb.  voi. 
XUI.  tav.  VI.  :  è  pubblicato  dal  sig.  R  loul-Rochelto 
choix  de  peint.  pi.  3.  ),  e  poscia  da  allri.  Dilalli  ve- 
desi in  esso  un  simile  gruppo  di  Arianna  in  grembo 
di  un'alata  figura,  vedesi  Dioniso,  r.\more  che  sol- 
leva il  panno,  ed  un  simile  gruppo  di  Sileno  soste- 
nuto dal  Satiro  :  e  solo  vi  si  osserva  un  numero  mag» 

(1)  Sono  degni  di  moKa  consìdoMzione  i  lavori  del  Boclllger 
Ariadnc,  del  Kaoul-Hocliellc  chui.r  de  peinl.  p.  21  o  seg.  e  pag. 
73  e  seg.,  non  che  le  belle  osservazioni  del  Jalm  Tlieseus-Ariattne, 
insilile  nell"  Àrchaologische  Jìeiiragc  pag.  2iil-21W. 


—  68  — 


giore  di  figure  del  bacchico  tiaso,  che  assistono  a  quella 
scena  di  amore. 

Io  mi  limiterò  adunque  ad  alcune  particolari  av- 
vertenze, alle  quali  dà  luogo  il  nuovo  monumento. 

Comincio  dall'  osservare  che  Arianna  vedesi  di 
schiena  ,  laddove  in  moltissime  altre  rappresentanze 
comparisce  in  diverso  punto  effigiata.  Questa  diffe- 
renza, che  ci  richiama  al  pensiero  le  varie  figure  del- 
l' Ermafrodito  dormente  ,  fu  per  avventura  trascelta 
dall'artista,  o  per  variare  le  più  comuni  composizioni, 
o  per  esercitarsi  a  ritrarre  alcune  parti  del  femminile 
corpo  piuttosto  che  altre.  Mi  piace  intanto  di  ricor- 
dare che  in  una  simile  pompa  bacchica  vedesi  pari- 
menti di  schiena  la  dormente  Arianna:  accennar  vo- 
glio al  bassorilievo  Albani  pubblicato  dal  Zoega(Bas- 
sir.  tav.  LXXVn,p.  157.  ),  ove  questo  dotto  Uane- 
se-riconobbe  l'Ermafrodito.  Ma  a  noi  sembra  esser 
più  acconcio  il  parere  di  coloro  che  pensarono  ivi  fi- 
gurarsi Arianna  :  perciocché  è  chiaro  che  vi  sia  uno 
stretto  rapporto  traile  due  estreme  figure  di  quella 
scultura.  Nella  quale  vedi  da  una  parte  Dioniso ,  e 
dopo  molti  personaggi  appartenenti  al  suo  tiaso,  vedi 
Arianna  addormentata. 

Ora  il  pompejano  dipinto,  nel  quale  cosi  prossima 
alla  sdrajala  donna  scorgesi  Bacco,  mette  fuor  di  dub- 
bio l'attribuzione  di  Arianna  anche  nel  bassorilievo 
Albani;  contro  la  spiegazione  del  Zoega. 

La  seconda  particolarità ,  che  per  altro  ripetesi  in 
altri  monumenti,  è  la  imberbe  ed  alata  figura  ,  sulle 
cui  ginocchia  Arianna  appoggia  il  suo  capo.  Una  si- 
mile figura  incontrossi  nel  celebre  quadro  di  ZeflBro 
e  Glori,  ora  nel  real  museo  Borbonico,  che  eccitò  le 
cure  della  reale  Accademia  Ercolanese  (1),  e  de' dotti 
stranieri.  Ed  è  noto  che  or  l'Imeneo,  or  Bacco  india- 
no, or  Pasitea,  ora  il  Sonno  o  Ipno(v.  gli  annait  del- 
l' Ist.  1830  p.  352-362),  or  la  Stagione  (  Welcker 
buUell.  1832  p.l88  s.)  vi  si  volle  riconoscere.  Devesi 
confessare  che  il  Sig.  Raoul-Rochelte  il  primo  vide 
la  vera  significazione  di  quella  figura,  quantunque  la 
sua  spiegazione  di  tutto  il  dipinto  mi  sembri  alloaìa- 


(1)  Vedine  le  varie  illusirazioni  nel  secondo  volume   delle  me- 
morie della  suddetta  Accademia. 


narsi  dalla  verità.  Egli  sostenne  che  ravvisar  ^'^  si  do- 
vesse la  personificazione  del  Sonno;  e  sol  perchè  a  lui 
appariva  di  femminili  fattezze,  opinò  ch'esser  potesse 
Pasitea  la  moglie  del  Sonno  (  mon.  inéd.  p.  38  ).  Fu 
dato  al  sig.  comm.  Quaranta  di  rettificare  la  spiega- 
zione del  dotto  archeologo  francese ,  confernàandola 
con  molte  altre  ragioni  [mem.  della  r.  Accad.  Ercol. 
voi.  2.  p.  324  segg.  ).  E  quando  comparve  alla  luce 
l'altro  Pompejano  dipinto  di  Bacco  ed  Arianna  da  noi 
sopra  accennato,  lo  stesso  chiarissimo  collega,  nell'ap- 
poggiare  viemaggiormente  la  sua  opinione  ,  diede  la 
più  esatta  dilucidazione  de'  simboli  tenuti  da  Ipno , 
cioè  del  piccolo  vasetto,  e  del  ramo,  che  noi  ricono- 
sciamo appunto  nel  perduto  oggetto  del  novello  di- 
piato pompojano.  (Vedi  le  illustrazioni  alla  tav.  VI  del 
XIII  voi.  del  real  mus.  Borbonico).  È  senza  dubbio  il 
recipiente ,  ove  contiensi  il  leteo  licore ,  che  Ipno  co- 
sperge col  ramo  sulle  persone,  che  intende  d'immer- 
ger nel  sonno.  Così  Virgilio  [Aen.  lib.  V  v.  500  s.  ) 

Ecce  deus  ramum  lelliaeo  rore  madentem , 

Vique  soporatum  stygia ,  super  utraque  qxmssal 

Tempora,  cunctantique  nulanlia  lumina  solvit. 

Così  ancora  Stazio  [Theh.  lib.  II  v.  143  e  lib.  V 
V.  147),  e  Silio  Itahco  (  Lib.  X  v.  352  )  rammen- 
tano il  corno,  ove  contenevasi  1'  umor  di  Lete  ,  ed  il 
ramo  con  che  il  Sonno  lo  va  spruzzando.  Questi  ed 
altri  simili  luoghi  furono  richiamati  dal  dotto  Hlu- 
stratore,  che  venne  in  ciò  Seguilo  dal  Raoul-Rochet- 
te  [choix  de  peint.  p.  54  seg. ),  e  dal  Jahn  {archaeol. 
Beilrdge  p.  291  e  segg,);  i  quali  aggiunsero  le  loro 
osservazioni. 

Se  non  che  il  primo  continua  a  sostenere  che  la  fi- 
gura sia  femminile,  e  che  debba  in  essa  riconoscersi 
Pasitea. 

Oltra  la  osservazione  che  sorge  dalla  totale  man- 
canza di  tutti  i  femminili  ornamenti,  che  sarebbe  pur 
maravigliosa  in  tante  ripetizioni  di  quel  personaggio  ; 
oltra  le  cose  già  da  altri  opposte  a  quella  attribuzio- 
ne (Jahn  /.  e.  ),  mi  piace  di  avvertire  che  un  luogo 
di  Nonno,  richiamato  dall'archeologo  francese  in  ap- 
poggio della  sua  conghiettura  ,  par  che  pruovi  piut- 
tosto il  contrario. 

Di  fatti  r  autore  delle  dionisiache  finge  che  Bacco 


—  69  — 


scorgendo  la  dormenle  Arianna  ,  comincia  a  crederla 
la  Grazia  Pasitea  (  Lib.  XLVII,  v.  280.  );  dal  che  il 
sig.  Raoul-Rochette  deduce  che  venne  al  poeta  quella 
idea  da  qualche  opera  d'arte,  ove  raetteasi  vicino  ad 
Arianna  la  consorte  di  Ipno. 

Noi  diremo  piuttosto  :  se  Arianna  è  paragonata  a 
Pasitea,  non  può  esser  costei  la  figura  alata  visibile 
ne'  monumenti;  perciocché  le  sue  forme  esteriori ,  le 
sue  ali,  e  lo  stesso  vestimento  mal  convengono  a  que- 
sta rassomiglianza. 

Riterrò  dunque  che  sia  il  Sonno  stesso  ,  il  quale 
rattrovasi  presso  l'abbandonata  sposa  di  Teseo,  e  non 
già  Pasitea. 

Tutti  coloro  che  scrissero  finora  di  queste  rappre- 
sentanze non  richiamarono  adatto  in  dilucidazione  al- 
cun luogo  di  antico  poeta,  nel  quale  si  vedesse  il  per- 
sonificato Ipno  in  relazione  con  Arianna. 

E  pure  varii  luoghi  esistono  nel  medesimo  Nonno. 
E  noi  siamo  lieti  di  produrli  a  dilucidazione  della 
presente  quistione. 

Arianna  stessa  dolendosi  della  partenza  di  Teseo  , 

ne  parla  più  volte  come  di  un  personaggio  :  e  quando 

dice  che  dolce  a  lei  era  venuto  ,  finché  Teseo  fu  in 

Nasso  : 

"TttkoS  Ifxo)  y\uxvs  r^^iv,  "cu?  yXuxvi  mx-'^^^^i'^-'^'^ 

(Lib.  XLVII  v.  320). 
Ove  è  notevole  che  lo  stesso  epiteto  si  dà  ad  Ipno  ed 
a  Teseo,  opponendosi  la  venuta  dell'uno  alla  partenza 
dell'altro. 

E  poco  innanzi  si  lagna  che  altresì  il  caro  Ipno  e- 
rale  divenuto  nemico: 

ili  ìixi  xxt  (p/Xos  "TttvoS  àyxpffiOS  (Ib.  V.  336). 

E  finalmente  allo  stesso  dio  comincia  a  rivolgere  il 
suo  discorso  (  v.  3.i5  ). 

Ma  le  più  importanti  espressioni  adoperate  dal  poe- 
ta son  quelle  che  pone  in  bocca  a  Dioniso ,  quando 
al  vedere  l'addormentata  Arianna  pensa  che  fosse  Pa- 
sitea; le  quali  precedono  di  alcuni  versi  il  luogo  ac- 
cennato dal  Sig.  Raoul-Rochette. 

Il  maravigliato  Bacco  pensa  che  sia  la  Grazia ,  la 
quale  si  sposa  all'ingannatore  Ipno. 
WS  SvXoiVTi  XapJS  vf/x^psi'sTcc/  "TTrvro  (Ih.  V.  278). 

Questa  immagine,  che  rassomiglia  Arianna  a  Pasi- 


tea in  rapporto  col  personificalo  Ipno  ,  è  quella  ap- 
punto di  tutti  i  nostri  monumenti.  E  con  maggiore 
sicurezza  diremo  che  il  panopolitano  scrittore  ebbe  pre- 
sente qualche  identico  gruppo,  allorché  dettava  i  suoi 
versi. 

Riesce  alquanto  dubbioso  se  nella  pittura  descrilfa 
da  Filostrato  {im.  I,  XV)  vi  fosse  la  figura  del  Sonno.  Il 
sig.  Raoul-Rochette  [choix  de  peint,  p.  54  not,  4)  ha 
creduto  desumere  una  tal  cosa  dalle  parole  del  Sofista: 
ó'px  x%)  rry  'A§r/c)>r)v,  fxocXXov  S: rw  "T^rvox.  Ma  visi 
oppone  il  Jahn  ,  osservando  che  Filostrato  paragona 
piuttosto  la  stessa  Arianna  alla  immagine  di  un  sonno 
leggero  {arch.  Jicilr.  p.  287 not.  89.).  Nel  che  non 
saprei  accostarmi  alla  opinione  del  dotto  Alemanno. 
Di  fatti  nel  principio  della  sua  descrizione  Filostralo 
ci  presenta  Arianna  ,  la  quale  Iv  ix%\%xi>j  xùran  no 
v-TrvM,  Non  pare  dunque,  che  potesse  rassomigliarla 
allo  slesso  Sonno  nel  seguito  del  suo  ragionamento. 
Noi  incliniamo  a  ritenere  il  sentimento  del  sig.  Raoul- 
Rochette;  siccome  faremo  rilevare  ancora  più  innanzi. 

Brevi  osservazioni  facciamo  sulla  figura  di  Bacco, 
la  quale  apparisce  colla  tenue  crocotla  ,  e  con  sopra 
una  pelle  di  fiera  probabilmente  leonina,  non  che  co' 
coturni.  Questo  abbigliamento  ci  fa  rammentare  la  sce- 
na di  Aristofane,  ove  Ercole  ride  di  una  simile  vesti- 
tura di  Bacco:  (  Ran.  v.  45  e  seg.  ) 

'Wk'  oùx  ohi  il'ix'  ÙTToclirpoii  riv  yzXuJY , 

'Opwv  "kioyrìfy  iv]  x^oxu/riÀi  xinjnyry. 

T/s  6  voì/i";  Ti'xoiio^vos  XM  poTTocXov  ^wyjXSsrTi»'; 
ove  nota  lo  scoliaste  :  Atoyv(7i%xòy  (pópr)a«  6  x^oìhw— 
ròi  (  Vedi  il  Ferrarlo  de  re  vcsl.  lib.  3  cap.  20.  ). 

Certamente  questo  costume  deriva  dalla  Frigia  e 
dalla  Lidia  :  quindi  crocotae  phrygiae  sono  chiamate 
da  Apulejo  :  e  trovasi  un  costume  quasi  simile  attri- 
buito all'Ercole  Lido,  siccome  avemmo  U  occasione 
di  notare  in  una  nostra  memoria  letta  alla  reale  Ac- 
cademia Ercolauese,  illustrando  alcuni  pompi  jani  di- 
pinti, ove  comparisce  Ercole  presso  di  Omfale.  (Vedi 
pure  Raoul-Rochette  clioix  de  peint.  tav.XlX  p.  24.'J 
u.  4  il  quale  ha  pubblicato  uno  di  questi  dipinti:  vedi 
pure  Hcrc.  assyr.  et  phénic.  p.  2'iO  ). 

L'altra  particolaiità  nella  figura  del  nostro  Bacco 
è  lo  sporger  delle  taurine  corna  dalla  sua  lìonle.  La 


—  70  — 


convenienza  di  questo  a((ribu(o  sorge  da  molli  luoghi 
di  aniiclii  scrinali ,  e  da' nionumcnli.  Veggasi  il  Rol- 
le  (  reclienh.  sur  le  culi,  ile  Bacchm.  lom.  1  p.  177- 
179),  l'Eckhel  [Jocli:  toni.  1  p.  136  e  seg.) ,  ilKoe- 
sler  [de  cani.  vcl.  graec.  p.  41  s.),  i\Mù]\cr{Handb. 
§.  383,  9  pag.  598  ed.  Welcker)  ,  il  Moser  [Non- 
ni Dionys.  libri  sex  pag.  198  segg.  ) ,  ed  altri  che  ne 
favellarono. 

Vogliamo  soltanto  osservare  che  nella  pittura  de- 
scrilla  da  Filostralo  il  dio  vedovasi  pur  munito  di 
corna ,  presentandosi  ad  Arianna.  Così  dice  il  Sofista 
die  ben  contrassegnavalo  la  corona  che  ne  cingeva  la 
fronte  ,  7t%i  xb^/.s  vTrix<^u6<xiyos  twy  x^aro^^wy  [Imag, 
1,  XV).  Riesce  adunque  piacevole  vederne  il  confron- 
to nel  nuovo  dij)!nlo  pompcjano  :  che  è  il  primo  mo- 
numento superstite  dell'antica  pittura,  che  ci  presenti 
una  tale  immagine  di  Dioniso. 

Se  la  nostra  pittura  offre  molli  punti  di  somiglian- 
za con  quella  descritta  da  Filostrato,  anche  nella  figura 
di  Bacco,  può  trarscne  un  novello  argomento  per  so- 
stenere che  anche  in  quella  vi  fosse  la  figura  del  Sonno: 
secondo  la  osservazione  del  sig.  Raoul-Rochette. 

Secondo  dipinto  del  Triclinio.  Questo  è  di  grandez- 
za presso  a  poco  simile  all'altro  precedentemente  de- 
scritto. 

Vedesi  a  destra  un  uomo  barbato  e  diademato  con 
lunga  tunica  manicata  ,  purpurea  clamide  ,  e  rossi 
calzari:  questi  siede  sopra  un  sedile ,  su  cui  è  distesa 
una  gialla  pelle  ,  e  pone  i  piedi  sopra  di  un  suppeda- 
neo ,  appoggiandosi  con  ambe  le  mani  ad  un  bastone. 
Vedesi  sulle  sue  cosce  la  spada  nel  fodero.  Presso  la 
sua  persona  è  un  giovine  guerriero  con  bianca  cla- 
mide ,  che  tiene  l' asta  e  lo  scudo  :  al  suolo  è  un  vaso 
di  bronro  ad  un  sol  manico,  da  cui  pende  una  rossa 
tenia.  Più  in  là  è  una  piccola  ara  quadrata  sopra  una 
base  o  sodo,  con  ornamento  di  un  verde  ramo,  e  so- 
pra è  forse  acceso  profumo  da  cui  s'innaha  il  vapore: 
pre&>;o  la  base  dell' aroUa  è  un' accesa  fiaccola  rove- 
sciata. All'altra  estrenu'tà  del  quadro,  ed  al  medesimo 
livello,  vej'gonsi  due  imberbi  giovani  nudi  culle  mani 
legate  dietro  il  dorso  ,  e  già  coronati  pel  sagrifizio  ; 
uno  di  essi  ha  gialla  la  clamide,  l'altro  Iha  rossa.  Li 
segue  quasi  conduceudoli  una  figura  imberbe  e  coro- 


nata ,  con  giallo  manto  che  ne  ricopre  la  festa ,  re- 
cando due  aste.  Nel  mezzo  del  quadro  vedesi  uno 
spazio  più  elevato ,  a  cui  si  ascende  per  alcuni  bian- 
chi scalini.  Su  questa  elevata  costruzione  o  tempio  è 
una  figura  femminile  con  ampio  panneggio ,  la  cui 
testa  è  perduta,  per  esser  caduto  il  muro:  ella  stende 
il  sinistro  braccio. 

Indietro  a  questa  figura  vedesi  in  fondo  un  rosso 
panneggio.  Dietro  all'  uomo  sedente  scorgesi  un  pi- 
lastro ornato  di  festone  ,  e  con  erba  verde  nella  parte 
superiore  :  più  in  là  è  un  tronco  di  albero.  Il  campo 
della  parete  è  bianco. 

È  facile  ravvisare  la  generale  significazione  del  de- 
scritto dipinto ,  nel  quale  niuno  tarderà  a  ricono- 
scere Oreste  e  Pilade  in  Tauride.  Veggonsi  i  due  gio- 
vani colle  mani  legate  dietro  il  dorso  e  già  coronati 
pel  sagrifizio,  come  nella  pittura  di  Ercolano  (Er- 
colanesi  piti,  vol.l.'tav.  XII) ,  ed  in  altri  monumenti 
(vedi  questo  hullettino  an.  1.  p.  89).  Neil'  uomo  bar- 
bato e  sedente  con  barbarico  vestimento  ben  si  rav- 
visa Toante  (Eurip.  Iph.  in  Taur.  v.  31  )  assistito  da 
uno  de' suoi  seguaci  (oTraS^I/v  Eurip.  v.  1208)  ,  che 
ne  sostiene  l' asta  e  lo  scudo  :  e  presso  lo  stesso  Euri- 
pide si  fa  menzione  dell'  asta  del  re  di  Tauride  (  v. 
1326).  Il  più  elevato  edifizio  ,  a  cui  si  ascende  per 
alcuni  bianchi  scalini,  è  certamente  il  tempio  della  dea , 
che  il  tragico  ci  dipinge  elevato  dal  suolo,  quando  fa 
dire  ad  Oreste  ....  Trórspx  òcJixr/ru/v  7rfO(7afjil3ao'£(S 
h!òr\ffóix'.<TS^ci;  (v.  97-98).  Ed  Ovidio  parlando  dello 
stesso  edifizio  ce  lo  presenta  sì  alto  ,  che  bisognava 
ascendervi  per  quaranta  scalini  [de  Poni.  lib.  III,eI. 
II.  V.  50). 

Sul  tempio ,  o  piuttosto  all'ingresso,  è  Ifigenia,  la 
cui  figura  in  parte  perduta  ci  vieta  di  osservare  ,  se 
già  tenesse  fralle  mani  la  immagine  di  Diana.  Sembrami 
però  che  nel  rosso  panneggio,  che  si  scorge  indietro, 
ravvisar  possiamo  uno  di  quei  peripetasmi  de' quali 
era  frequente  l'uso  negli  anticlii  sacrari! ,  e  co' quali 
ricoprir  si  solcano  le  immagini  delle  divinila  (  Lobcck 
Afjlaophamus  p.  50,  57,  e  59:  Raoul-Rocbelte  ?no/». 
inéd.  p.  185:  Boettiger  klcine  5(7in/'Moni.IIIp.  455, 
ed  opusc.  lai.  pag.  395  :  cf.  bullet.  arch.  nap.  prima 
serie  ,  an.  II  p.  45  segg.  ). 


—  71 


Vodosi  poi  l'ara,  sulla  quale  l'acceso  fuoco  dà  fu- 
mo, il  vaso  (Ielle  libazioni  tiello  da  Eurijìlde  x=p'^) 
essenziale  per  quel  sagriHzio  (vedi  la  citala  tragedia 
V.  5i-,  58,  2U,  215  ,  335,  412,  s.  G2I,  s.G'iS, 
1190;  cf.  Ovid.  de  Poni.  1.  Ili  ci.  II  v.  73).  Queste 
osservazioui  concernono  le  dilTeieuti  figure  di  (juel 
dipinto;  ma  da  un  più  esatto  confronto  della  tragedia 
di  Euripide  veniamo  a  conoscere ,  che  l' artista  si  è 
strellanicnte  attenuto  alla  narrazione  del  tragico,  pre- 
scegliendo un  particolare  punto  dell'azione. 

Non  ci  si  presenta  già  il  momento  della  prima  pre- 
sentazione de'  due  amici  ad  Ifigenia ,  come  nel  vaso 
Santangelo  (  Raoul-Rocliette  mon.  inéd,  lav.  XLI  pag. 
201.  seg. ).  E  certamente,  se  nel  nostro  dipintosi 
trattasse  di  quel  momento  accennato  pure  da  Euri- 
pide (v.456,  s.),  non  si  dovrebbero  veder  già  coronati 
pel  sagrifizio.  Noi  crediamo  che  il  pittore  abbia  scelto 
il  momento  ,  in  cui  la  sacerdotessa  ha  già  consigliato 
che  Pilade  ed  Oreste  fossero  nuovamente  legati  Si- 
fffiò.  ToTi  t,{yot<ji  7r(^óijr}:i  (v.  1204),  il  che  venne  ese- 
guito da  uno  de'  ministri  (1205):  che  è  quello  ap- 
punto ,  che  li  conduce  nel  pompejano  quadro.  Ella 
avea  prescritto  a  Toantc  di  rimanere  fuori  del  tempio 
all'ingresso  (v.  1 1 CO),  ed  ivi  attendere  alla  purifi- 
cazione del  sacro  luogo  con  un'accesa  fiaccola: 
I])h.  Xl'  0:  \j.ivu>v  avrov  Trpò  \^j.('jy  rr,  )òit'j 

Th.  Ti  xp^/^*  oftf  ; 
•  Iph.   a-jviCov  irv^rfio  fXiVxSpov. 

Bellissimo  è  il  confronto  col  nostro  dipinto,  in  cui 
apparisce  appunto  il  re  di  Tauridc  presso  all'ara  ove 
è  acceso  il  fuoco,  ed  ove  appajono  vicino  la  fiaccola 
ed  il  vaso  della  purificazione.  La  sacerdotessa  intanto 
pensa  a  portar  via  l'idolo  di  Diana,  ed  a  tentare  la  fuga. 

L"  uomo  che  guida  i  due  giovani  reca  due  aste , 
per  dinotare  che  einno  stale  loro  tolte  le  armature  : 
e  su  queste  armi  vedi  quel  che  dicemmo  nel  primo 
anno  di  questo  hulleltino  (p.  89).  Sembra  perciò  che 
nel  nuovo  quadro  pompejano  ci  si  presenti  la  prepa- 
razione alla  catastrofe  :  le  vittime  fuori  del  tempio  , 
perchè  se  ne  allontanino  viemaggiormente  ;  la  sacer- 
dotessa pronta  a  portar  via  quel  che  dovea  essere  la 
salute  del  suo  fratello  ;  e  Toanle  destinato  a  slare  a 
bada  ,  perchè  gli  possa  sfuggir  la  sua  preda. 


Per  la  occasione  che  se  ne  porgo,  vogliamo  fare  al- 
une  nostre  osservazioni  sopra  altri  monumenti  riferiti 
al  medesimo  soggetto.  Nel  vaso  della  collezione  San- 
tangelo bene  a  ragione  il  sig.  Raoul- Pochette  osserva 
che  gli  Sciti  che  tengono  i  legali  stranieri  sono  mini- 
stri :  di  fatti  Eurijiide  parla  de' ministri  del  tenqtio 
(v.  G24,  723,  e  1205)  (I).  in  quanto  all' uomo  ar- 
mato ,  creduto  lo  stesso  Toantc  dall'  archeologo  fran- 
cese ,  io  penso  debba  riconoscersi  uno  de'  'npo^i'y.v.xiS 
rauìmenlati  espressamente  dal  tragico  (  v.  1027.). 
Nella  pittura  Ercolanese  sopra  citata  è  degno  di  os- 
servazione che  le  ancelle  di  Ifigenia  sono  effigiale  in 
greco  costume.  Di  questa  circostanza  lo  stesso  Euripi- 
de dà  piena  spiegazione ,  il  (juale  parla  delle  ancelle 
date  dal  re  ad  Ifigenia  (v.G3,  s.);  e  poco  dopo  ci  offre 
il  coro  composto  di  ministre  del  tempio,  le  (piali  si  ap- 
palesano per  greche  (v.  1 55)  :  come  si  raccoglie  pure 
dal  fine  della  tragedia  ,  quando  lor  si  concede  da 
Toanle  la  libertà. 

Le  principali  nostre  osservazioni  cadono  sopra  un 
bellissimo  vaso  pubblicalo  dal  sig.  Raoiil-Rocheltc 
[mon.  im'd.  pi.  XL.),  e  dal  cav.  Panol'ka (ra^. /^oar- 
talès  pi.  7),  e  da  entrambi  riferito  al  mito  di  Oreste. 
Rappresenta  esso  un  uomo  barbalo  perfeltamenle  nu- 
do ,  tenuto  strellamenle  da  IMercurio ,  e  da  un  altro 
personaggio  barbato  armato  di  corazza  e  di  asta.  Ad 
una  delle  due  eslremilà  è  una  femminile  figura  se- 
dente con  pejilo  che  le  ricopre  la  testa ,  e  con  una 
swcie  di  corona,  in  atteggiamcnlo  di  considerazione; 
all'altra  estremità  e  Pallade,  che  tien  la  mano  sopra 
una  alata  mola  ,  quasi  ragionando  con  Mercurio.  Il 
sig.  Raoul-Roclielte  credette  di  ravvisarvi  Oreste  pre- 
sentalo ad  Ifigenia  in  Tauride  (  p.  212).  I\Ia  a' dire 
il  vero,  molle  ragioni  mi  fanno  allontanare  da  una 
tale  spiegazione.  Indi|)cndentemenie  dalla  osservazione 
che  la  presenza  di  Mercurio  non  è  troppo  bene  giu- 
stificata ,  che  non  si  dà  conto  della  figura  di  Pallade 
e  della  ruota  alala  ,  a  me  spm!)ra  che  un  gravissimo 
ostacolo  sia  la  mancanza  di  Pilade.  Sarebbe  slato  un 
errore  di  composizione  il  sopprimere  un  così  inte- 
ressante personaggio.  E  tanto  più  riuscirebbe  mara- 

(1)  Lo  stesso  riscontro  vale  per  la  pittura  di  Ercolano. 


—  72  — 


viglioso  che  avendo  il  pittor  del  vaso  seguilo  Euripi- 
de  nelY  Andromaca  per  la  scena  del  rovescio,  ritraen- 
te Oresle  in  Delfi,  che  uccide  Neotlolemo,  se  ne  fosse 
poi  lotalmenic  disgiunto  per  la  piima  rappresentanza. 

Nò  più  mi  persuade  la  opinione  del  eh.  Panofka  , 
il  quale  vede  Oresle  trasportato  innanzi  all' Areopago 
colla  presenza  di  Uice(v.  pureA/i6(*ì.mus.an.II.p.452 
s.):  opinione,  la  rpiale  fu  rileuuta  in  certo  modo  pro- 
haliiled.ilMiiller,  che  la  riporta  (//a«f/6.  §.410  n.  2. 
p.T  1 9  c(l.Wtlckcr).  Olirà  le  ragioni  allegale  in  contra- 
rio dalsig.  Raoul-Uochetle  ,  io  osservo  che  ammessa 
quella  interpretazione,  vedrebbonsi  nel  vaso  quelle  fi- 
gure e  quei  sindjoli,  che  meno  dovrebbero  esservi,  e 
non  già  quelli,  che  più  richiederebbe  il  soggetto. 

Io"  propongo  una  spiegazione  totalmente  diver- 
sa ,  che  intendo  di  sottomettere  al  giudizio  degli  ar- 
cheologi. A  me  sembra  Prometeo  tenuto  e  guidato 
al  supplizio  da  Mercurio  e  dal  Potere  (  KpaV&s  )  alla 
])rescnza  di  Temi  sua  madre  ,  e  della  sua  prolettrice 
Minerva.  Questa  maniera  di  figurare  il  soggetto  di 
Prometeo  si  vede  in  questo  solo  monumento  (  vedi 
Mùller  Handb.  §.  396  n.  2.  pag.  637.  Welcker;  e 
Jahn  arch.  Bciliàge  p.  138,  e  seg.  169s.,  226  seg.); 
ma  si  adalla  perfellamenle  alle  idee  dell' anlichilà.  11 
(ìgliuol  di  Giapeto  vcdesi  afTalto  nudo  e  barbato,  come 
nel  vaso  edito  dal  eh.  Jahn  {arch.  Bear.  lav.  VIII.)^ 
Mercurio  ,  come  ministro  (  roy  rov  rvqdyvov  rcu 
>Lv  ìidxoyoY  Aesch.  Prom.  942),  è  incaricato  die- 
geguire  la  vendetta  di  Giove,  insieme  con  un  altro 
personaggio ,  a  cui  ho  dato  la  denominazione  di  Po- 
tere KfocTos,  che  al  medesimo  ufficio  vedesi  destinalo 
presso  Eschilo  {Promelh.  1-87).  Né  panni  discon- 
venire la  miniare  armatura  ,  il  virile  aspetto,  e  1'  asta 
a  quel  satellite  di  Giove,  che  sotto  un  dato  modo  di 
vedere  può  assimilarsi  a  Marte.  La  presenza  di  Te- 
mide si  spiega  dalla  sua  relazione  con  Prometeo  :  essa 
gli  avca  pur  predetto  la  punizione,  a  cui  sarebhesi  espo- 
sto (Aesch.  Proni.  209  s. ,  873 ,  s.  1091  ).  E  quel 
vestimento  e  quella  posizione  del  sedere  ben  si  addice 
ad  una  fatidica  .divinità ,  che  secondo  il  medesimo 
Eschilo  tenne  il  delfico  oracolo  {Eumen.  v.  2-4) ,  e 
che  dello  slesso  modo  vedesi  figurala  in  un  bel  vaso 
dipinto  dotlamenle  illustrato  dal  eh.  cav.  Gerhard 
(0  ahd  der  Tkfmisin  4).  Pallade  poi,  come  consigliera 
ed  aiulalrice  del  Titano  (Lucian.  P/om.  3),  trovasi  a 
lui  vicino,  nel  momento  della  sua  punizione;  ed  essa 
e  Temide  non  valgono  a  liberarlo  dalle  mani  de' se- 
guaci di  Giove. 

Questa  nostra  spiegazione  trova  un  mirabile  appog- 
gio in  una  tradizione  serbataci  da  Servio  (  ad  Virg. 


ed.  VI  V.  42).  Promcthem,  lapeti  et  Chjmtnes  flUus, 
posi  faclos  a  se  ìiomines,  dicitur  auxilio  Minervae  cae- 
lutn  ascentlisse,  ci  adliibila  ferula  (  1  )  ad  rolam  Soli^ , 
ignem  furatus,  quem  hominihm  indicavit.  E  poco  ap- 
presso :  Ipmm  eliam  Promellieum  per  Mercurium  in 
monte  Caucaso  religaverunl  ad  saxum  eie. 

In  questa  tradizione  comparisce  Mercurio  come  e- 
secutore  della  vendetta  degli  Dei ,  e  Pallade  come  au- 
siliatrice  dell'allentato  di  Prometeo.  Perciò  si  applica 
mirabilmente  al  vasculario  dipinto,  diche  favelliamo, 
ove  Pallade  stessa  tiene  la  mano  su  di  un'alata  ruota  ; 
certamente  la  ruota  del  Sole ,  come  simbolo  del  mi- 
sfatto di  Prometeo ,  da  cui  fu  eccitata  la  collera  delle 
altre  divinità.  E  qui  mi  piace  di  osservare  che  lo  stesso 
significato  solare  aver  dee  il  zuxXoi  fjixyrixòi  (  Broen- 
sted  voìj.  el  redi.  da.ns  la  Grece  pag.  116-118)  del 
tripode,  che  pur  qualche  volta  vedesi  alato  (Gerhard 
Lidugolllieilen  tav.  I.  n.  3). 

Da  tulle  le  quali  osservazioni  sorge  spontaneo  il  rap- 
porto fralle  due  facce  del  vaso  ;  giacché  l'una  e  l'altra 
si  riferiscono  a  Delfi,  o  a  personaggi,  che  hanno  eoa 
quel  silo  uno  strellissimo  rapporto.  Così  la  ruota  dei 
Sole  identica  al  xiJxXos  del  delfico  tripode:  e  princi- 
palmente la  figura  di  Temi,  che  tenne  pure  il  delfico 
oracolo  in  tempi  remoli ,  come  ci  fa  sapere  Eschilo 
[Eum.  v.  1-2),  il  quale  in  questo  luogo  la  dice  fi- 
glia della  Terra;  mentre  altrove  la  identifica  co  Ila  stes- 
sa (  Promelh.  209-210  ).  E  torse  il  mito  primitivo  del 
Titano  avea  la  sua  relazione  propriamente  in  Delfo  , 
ove  stabilendosi  il  centro  della  terra  in  corrispondenza 
dell'  omphalos ,  poteva  accennarsi  alla  origine  de"  figli 
della  Terra.  Né  far  dee  alcuna  impressione  il  rapporto 
di  Prometeo  alle  gelate  regioni  della  Scizia  ed  al  Cau- 
caso; perciocché  questo  si  riferisce  al  sito  della  sua 
punizione,  che  lo  stesso  Eschilo  chiama  il  confine  della 
terra  [Prom.  v.l).  All'incontro  nel  nostro  vaso  si  ac- 
cennerehbe  invece  al  principio  della  partenza ,  che  si 
suppone  per  avventura  succeduto  in  Delfo;  ove  la  loca- 
lità non  poteva  esser  meglio  indicala  che  dalla  fatidica 
Temide  ,  e  dalla  ruota  del  Sole,  la  quale  in  tempi  po- 
steriori andò  forse  a  fregiare  il  tripode  di  Apollo. 
Queste  nostre  idee  brevemente  sviluppale  saranno 
forse  il  germe  di  più  estese  ricerche ,  le  quali  non 
sono  confacenti  a'  limili  della  presente  pubblicazione. 


(continua) 


Ml>ERVI>I. 


(I)  Cosi  dee  leggersi  e  non  /"acuto ,  come  rilevasi  pure  dal  com- 
inerflarlo  di  Oliinpiodoro  al  Fedone  di  Platone  ,  ove  si  nomina  la 
fnula  y-if^^fil,  in  cui  Piomeleo  prese  il  fuoco.  Vedi  1' arlieolo 
del  Cousin  ucl  journ.  des  Savanls  1835  p.  139-110. 


Giulio  Mknervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaheo. 


BlllETTINO  ARCHEOLOGICO  MPOLITWO. 


NUOVA    SERIE 


A^.o  34.     (10.  dell' anno  II.) 


Novembre  1853. 


Notizia  di  una  latina  iscrizione  di  San  Germano.  —  Ddl'  aria  di  Baia.  —  liccislonc  della  lapida  di  Campo 
Marino.  —  Del  Palatium  e  dello  slagnum  di  Mamea  in  Baia.--  hcrizioni  Ialine,  continuazione  del  n.  'jl. 


Notizia  di  una  latina  iscrizione  di  San  Germano.  Noi  ne  ricevemmo  prima  una  copia  inesatta  ,  the 

non  ci  attentammo  di  pubblicare ,  diffidando  di  non 
Non  ha  guari  fu  rinvenuta,  alle  vicinanze  di  S.  Ger-     poche  lezioni.  Ora  però  ci  è  lecito  darne  la  pubbli- 
mano  in  un  podere  poco  sopra  all' anfiteatro,  una  base     cazione  sulla  revisione  fattane  sul  marmo  originale  dal 
con  questa  iscrizione,  la  quale  è  certamente  tra  le  più     eh.  Garrucci. 
interessanti  che  fossero  ritrovate  nel  medesimo  sito.  Essa  dice  cosi  : 


10 


15 


G  •  PAGGI  •  FELIGIS 

G  PAGGIO  FELiCI  PAT  OMMB  IIOXOUIB  ETHONERI  sic 

BVSVE  FVXCTO  FILIO  G  PAGGI  FILIGIS  PATRON 
GOLONIAE  •  CASIN  •  GVIVS  •  INMEXSIS      BENE 
FICUS  PATRIA  GOGNOSGITVR  GVMVLATAvGVR  i 
RPNOST  GVIVS  PROVISIONE  SEMPER  FILIGTeR 
GVVERNATICVR  •  ET  •  INSTA VRATORI  •  AEDIVM  sic 

PVBLIGARVM  •  GVIVS  •  OPERA  ET  •  SOLLIGITV 
DINE.M    IMPENDIIS    QVE    PROPRIIS    POST  sic 

SERIEM     ANXORVM     THERME     NOVIAXT  sic 

NOBIS    IX    VSV    SVXT    RESTITVTAE    OBIIIS''  sic 

OMXIBVS  •  LABORIBVS    EIVS    QVOS    GIR 
CA    PATRIAM    GIVESQVE    SVOS    EXIBVIT  sic 

DIGNO • PATRONO    VNIVERSVS 
POPVLVS    GOLONIAE    CASINATI 
VM    VNA    GVM    LIBERIS    NOSTRIS 
S  T  A  T  V  A  M    MARMOREA»!    E  R  I  G  E  N 
DAM    DIONE    CENSVIMVS 


Prima  d' ogni  altro  avvertiamo  che  non  pochi  er- 
rori di  ortografia  ,  ed  anliptosi  si  osservano  nella  la- 
pida di  Gasino ,  che  sono  forse  in  parie  dovuti  alia 
negligenza  del  quadratario. 
ANNO  li. 


Tra'  primi  va  noverato  IIONERIBVSVE  per  O- 
NERIBVS(lin.  1-2),  FILIGIS  per  FELIGIS  (lin.2), 
FILIGTER  per  FELICITER  (lin.  6),  GVVERXATI 
per  GVBERXATI  col  solito  scambio  del  B  e  del  V 
^  10 


—  74  — 


(lin.  7),  TIIERME  NOVIAXE  per  TIIERMAE  NO- 
VIANAE  (lin.  10)  EXIBVIT  per  EXHIBVIT  (lin. 
1 3  ).  Non  noterò  il  G  per  C  del  prenome  Cajo ,  che 
varie  volle  occorre  nelle  iscrizioni.  L' JM  sovercliia 
nella  parola  SOLLICITVDIXEM  (lin.  8-9),  e  T  OB 
HIS  in  luogo  Ji  PRO  IIIS  (lin.  11  ),  possono  alUi- 
buirsi  ancora  a  sbaglio  del  lapicida.  Sicché  la  iscri- 
zione, ridotta  alla  sua  corretta  lezione,  è  la  seguente. 

C.  Pacai  Fdich 
C.  Pnccio  Felici  palrono  omnibus  honoribus  ci  one- 
ribus  f anelo,  /ìlio  C.  Facci  Felici.^,  jyalrono  coloniae 
Casinatium,  cuius  inmensis  bene ficiis  patria  cognosci- 
tur  cumulala  :  curatori  rclpuhlicae  no^trac,  cuius  pro- 
visione  semper  feliciler  gubcrnali  :  curatori  et  inslau- 
ratori  aedium  piihlicarum ,  cuius  opera  et  solliciludine 
impendiisque  propriisposl  seriem  annorum  thermae  No- 
vianae  nobis  in  usti  sunl  reslilulac  :  prò  his  omnibus 
laboribiis  eius,  quo'  circa palriam  civescpie suos exhibuit, 
digno  patrono  iiniversus  populus  coloniae  Casinatium 
una  cum  Uberis  noslris  slaluammarmoreamerigcndam 
digne  censiiimus. 


appellazione  ihcrmae  Nocianae.  Non  so  poi  perchè  il 
eh.  Mommsen  avesse  ritolto  a  Casino  la  epigrafe  di 
Marco  Sentio  Crispino ,  ove  è  pur  menzione  delle 
terme  (Clarini  ari",  toni.  1.  p.  XLI),  attribuendola 
ad  Inlcramna  Urinate  (  n.  1 209  e  723  ì  )  :  laddove  i 
nostri  scrittori  vi  riconobbero  una  memoria  delle  ter- 
me di  Casino  (Corcia  Jojjojr.tom.I.p.423).  La  nuova 
iscrizione  di  Faccio  Felice  non  solo  presenta  un  con- 
fronto a  quella  commemorazione  ;  ma  offre  pure  ta- 
lune frasi  somiglianti  a  quelle,  che  leggonsi  nel  mar- 
mo di  Sentio.  Tali  sono  omnibus  honoribus ,  orAo  et 
universus  populus,  ob  merita  et  laborcs  eius.  Sembra 
che  le  terme  di  Casino  prendessero  quel  nome  di  No- 
viane  da  qualche  Novio,  che  ne  fu  per  avventura  il 
costruttore.  Ci  proponiamo  di  fare  ulteriori  ricerche 
sulla  iscrizione  di  S.  Germano,  della  quale  non  ab- 
biamo voluto  differire  più  oltre  la  pubblicazione  :  e 
solo  da  ultimo  avvertiamo  che  la  forma  de' caratteri, 
non  che  la  poca  concisione  dell'epigrafe,  e  le  espres- 
sioni, che  vi  si  contengono,  ci  fanno  attribuire  il  mo- 
numento al  quarto  secolo  circa  dell'era  volgare. 

MlNLRVlNI. 


Ricorre  la  stessa  frase  omnibus  oneribus  et  honori- 
bwi  funclo  in  aire  epigrafi  ;  come  in  quella  di  Gneo 
Slennio  (Orelli  3716,  Gervasìo  ùcr.  di  Mavorzio  p. 
29,  Mommsen  imcr.  r.  n.  n.  3ì)'i9).  Senza  discor- 
rere delle  altre  espressioni  della  lapida  di  Casino,  mi 
piace  di  osservare  che  la  j^rovisio ,  di  cui  è  menzione 
nella  linea  6,  corrisponde  all'onoriOco  titolo  àiprod- 
sor ,  che  leggesi  in  altri  marmi  (  Minervini  bull.  nap. 
an.  V.  p.  66:  Gervasio  iscr.  di  Nap.  p.  51:  Garrucci 
bull.  nap.  n.  s.  anno  I.  p.  51). 

Grandi  sono  le  lodi,  che  si  danno  da' Casinati  al  be- 
nemerito magistrato  C.  Faccio  Felice:  ed  è  veramente 
enfatica  la  esi)ressione  titiiversus  populus  coloniae  Ca- 
dnalium  vna  cum  Uberis  noslris;  la  quale  conqjren- 
de ,  a  mio  giudizio  ,  tulli  gli  ordini  della  colonia  , 
ed  accenna  ad  una  concione,  nella  quale  venne  a  Fac- 
cio decretato  l' onore  della  statua.  Interessante  riesce 
pure  la  nuova  iscrizione  per  la  memoria  delle  terme 
di  Casino,  le  (|uali  sono  denominale  con  particolare 


Dell'  aria  di  Baia  (  1  ). 

Per  esaminare  in  qual  tempo  cessasse  d'essere  sa- 
lubre r  aria  di  Baia  ,  lasciati  da  parte  i  tempi  d' Au- 
gusto, e  degl'immediati  imperatori,  quando  tanto  era 
celebrata  da'  poeti ,  e  dagli  altri  scrittori ,  li  seguire- 
mo ne'  secoli  posteriori ,  e  vedremo  fino  a  qual  tempo 
se  ne  trovino  monumenti.  Gli  abbiamo  nel  secolo  III, 
quando  dice  Lampridio  che  1'  imperatore  Alessan- 
dro Severo ,  estremamente  rispettoso  e  pio  verso  sua 
madre  Mammea ,  in  matrem  Mammaeam  unìce  pius, 
le  fabbricò  nel  territorio  Baiano  un  palazzo  con  un 
Iago  ,  in  Baiano  palatium  cum  slagno ,  quod  Mam- 
maeae  nomine  hodieque  censetur,  dice  Lampridio.  Fecit 
et  alia  in  Baiano,  soggiugne,  opere  magnifica  in  hono- 

(1)  Questa  disseriazione  è  traila  da  un  MS.  del  p.  Giovanni  An- 
drcs  della  Comp.  di  Gesù,  che  ò  nella  Biblioteca  secreta  del  Col- 
legio Romano;  mi  6  siala  comunicala  dal  p.  Garrucci.— i'  editore. 


o 


rem  afpnium  suonnn  ci  stagna  stupenda  admisso  mari. 
Or  Severo,  principo  serioc  circospetlo,  a%rel)|jeeretli 
tanti  edifizi  per  fomentare  lo  stravizzo  e  la  dissolutezza 
pur  troppo  freqiieule  nelle  delizie  Baiane  ,  massima- 
mente dove  ceicava  di  prestare  riverenza  a  sua  ma- 
dre donna  savissima  ,  e  in  età  poco  eonlaeente  a  diver- 
timenti ,  e  non  mai  per  procurare  alla  madre ,  a'  pa- 
renti, alle  persone  a  lui  care  il  beneficio  d'un'aria  sa- 
lubre ed  amena  ?  Per  tutto  il  secolo  IV  ci  sommini- 
strano testimonianze  di  tale  salubrità  Marciano  Ca- 
pella  ,  Claudiano,  Sidonio  Apollinare  ,  e  molli  altri. 

Noi  ci  atterremo  soltanto  alle  lettere  di  Simmaco, 
perchè  ci  presentano  delle  particolarità  che  fanno  più 
al  nostro  intento. 

In  esso  leggiamo  ,  che  egli  possedeva  una  villa  in 
Bauli  ,  la  quale,  dice,  cum  diutius  visUur  plus  ama- 
tur  ,  e  che  1'  invaj;liiva  a  tal  segno ,  che  gli  bisogna- 
la abbandonarla  falvulla  per  timore  di  non  trop- 
po attaccarvisi ,  e  guardare  con  fastidio  tutte  l' altre  : 
me/MS  fui t ,  ne  si  lìaulorum  inoìevisset  affeclio ,  cete- 
ra  visenda  dispUcercnl  (cap.  I.  lib.  I.).  Altra  ne  a- 
veva  in  Baia,  della  quale  anche  suo  figlio  sembra  che 
fosse  molto  parziale  (  lib.  VII.  ep.  XXV.  ).  Agorio 
Pretestato  aveva  anch'  egli  in  Baia  la  sua  villa  ,  dove 
portavasi  levandi  animi  causa  ,  e  quando  in  quell'  a- 
meno  ozio  trovavasi,  si  dimenticava  persino  di  scrivere 
a' suoi;  come  ghene  fa  Simmaco  amichevole  rinifro- 
vero  :  te  tenuti  (  dal  non  iscrivergli  )  Baiani  olii  ne- 
gligenlia  (  lib.  I.  cap.  LXII.  ).  Altra  ne  possedeva  il 
suo  amico  Decio  ,  dove  viveva  con  lucullano  splen- 
dore ,  e  u'  era  sì  innamoralo ,  che  recava  meraviglia 
gè  talor  poteva  lasciarla.  Successisli  in  famam  Lueullì, 
quo  magis  mirar  ad  alia  le  nonnumquam  posse  iransi- 
re  (lib.  VII.  cap.  XXXIII).  A  questa  villa  l'invitava 
Decio  a  passare  l' eslate  ;  ma  egli  che  si  trovava  già 
nella  sua  di  Palestrina  non  sa  risolversi  ad  accettare 
r  invito  :  Animum  sollicilas  meum  Campani  lilloris 
commemorali one  ;  sed  nohis  quoc^ue  in  Praenestino  rure 
degentibus  non  minus  voluptatum  suppelil.  Sinl  licei 
plures  hominum  sentcntiae  ,  qui  maritimis  montana 
poslponunt ,  ego  tamen  vilandis  aestibus  magis  indico 
mmorosa,  cniam  cidiu  aperta  conyrucre  (cap.  XXXV). 
Kon  era  però  contrario  all'  estate  delle  spiagge  Cam- 


pane, Egli  stesso  sciive  una  \olla  a  Fiavi^mosuufia- 
lello  ,  che  conlava  di  passarsi  lielamentc  l'estate:  In- 
ter Campanìae  terminos  maior  pars  aestalisagitahitur 
(  lib.  II.  cap.  XX.XII  ).  Da  questi  passi  di  Simmaco , 
lasciandone  ancora  molti  altri,  dove  parla  sempre  con 
ugual  lode  delle  spiagge  Campane  ,  si  vede  palese- 
mente che  alla  fine  del  IV  secolo,  ed  al  princi|iio  del 
V  tenevasi  ancora  in  pregio  l'amenità  ,  e  la  salubrità 
delie  ville  Baiane. 

Tanti  signori  Romani  avevano  in  Baia  le  loro  ville, 
le  frequentavano  non  solo  i  giovinotli  che  amavano 
il  diveitimento  e  il  bel  tempo,  ma  i  magistrati  ezian- 
dio, gli  uomini  assennati,  i  più  rispettabili  personaggi, 
che  cercavano  un  onesto  sollievo,  e  un  ozio  tranquil- 
lo ,  e  vi  stavano  nella  stagione  più  pericolosa  per  pas- 
sare con  minore  slento  i  rigori  estivi  :  prove  tutte , 
che  anche  a  quei  tempi  veniva  stimalo  quel  soggiorno 
come  dolce  e  salubre  ;  sebbene ,  sia  detto  a  lode  di 
Napoli ,  il  soggiorno  di  Baia  era  di  più  allegria  e  di- 
vertimento, il  cielo  di  Napoli  godeva  la  fama  di  mag- 
giore salubrità,  come  scrive  lo  stesso  Simmaco  a  suo 
figlio.  Erasi  egli  da  Buia  appena  portalo  a  Napoli , 
quando  ricevè  da  suo  figlio  lettera  perchè  si  trovasse 
in  Baia  al  suo  arrivo;  nos  in  advcnlum  luum  Baiisre- 
sidcre  iussisli  ;  e  gli  rispose  il  padre  eh'  era  più  facile 
ch'egli  passasse  fino  a  Napoli:  amìcos  enim,  nonBa- 
ias  desiderasti,  nisi  forte  ilio  luxuriae  sinu  tralieris.Co- 
milahimur  te ,  si  eo  redire  malueris,  quamvis  regionis 
istius  solum  salubriiis  et  pares  copiae  sint  'lib.  VII. 
cap.  XXIV).  Più  chiara  testimonianza  della  sanila  di 
Baia  abbiamo  dal  princi[)io  del  sesto  secolo  in  una  li- 
cenza che  il  re  Alalarico  accorda  ad  un  ufTiziale  Pri- 
migeviuio,  che  slava  poco  bene  in  salute,  di  portarsi 
a  Baia  senza  discapilo  del  suo  militare  emolumento. 
Pcrge  igitur ,  gli  dice  ,  ad  amoenos  recessus;  perge  ad 
solem ,  ut  ita  dixerim,  clariorem,  ubi  saìubrilate  aeris 
temperata  terris  blandior  esl  natura.  E  dopo  molte  al- 
tre lodi  di  Baia  ,  delle  sue  acque  ,  e  de'  suoi  contor- 
ni ,  conchiude  :  Baianis  liltoribus  niliil  palesi  esse 
praestanlius,  ttbi  conlingit  et  dukissimis  deliciis,et 
impreliabili  muncre  sanitatis  cxpleri.  Fruere  igitur 
bonis  nihilominus  expetitis.  Nostris  beneficiis  ad  tua 
emohimenta  pervenies.  Baianis  remediisconsequererem 


—  76  — 


miutis  (Cassiod.  Var.  Hb.  IX.  cap.  XI.)-  Poslerior-  longo  a  se  ilìnem  spatto  disiunclae  sunl,  nec  peccatis 
mente  eziandio  vediamo  seguitare  la  celebrità  della  facientihis  (forse  le  guerre  e  le  sevizie  e  barbarie  ia 
Campagna,  e  di  Baia  ;  poicliè  Cassiodoro,  scrivendo     esse  fatte)  tanta  populi  multitudo  est,  ut singuhs, sicut 


nell'anno  o30  a  provinciali  d'Istria,  non  sa  dar  mag- 
gior lode  al  loro  paese,  cbe  paragonandolo  alla  Cam- 
pagna, ed  a  Biii:i;  quae  non  immerito  Ravennae  Cam- 
pania dicilur ,  urbis  rcgiac  cella  penaria ,  voluptuosa 
nimis,  et  deliciosa  diyressio  fruitur  in  seplenlrione  pro- 
gressa  cadi  admiranda  temperie.  Ilabel  et  quaedam , 
non  ahsurde  dixerim,  Baias  suas.  Sicché  Gno  all'anno 
538  abbiamo  ancora  monumenti  dell'amenità,  e  sa- 
lubrità delle  spiagge  Baiane. 

Ma  questi  a  mia  notizia  sono  gli  ultimi.  Dopo  quel 
tempo  non  leggonsi  che  guerre ,  e  battaglie ,  distru- 
zioni, incendii,  devastazioni,  e  rovine.  Verso  la  metà 
di  quel  secolo  incominciarono  le  guerre  fra  i  Greci,  e 
i  Gotti ,  fra  Belisario  ,  e  Totila  :  e  occupando  i  Gotti 
la  città ,  e  le  spiagge  vicine  a  Napoli ,  e  venendo  a 
sbarcarvi  le  armate  Greche  della  Sicilia  ,  si  comuni- 
cava per  tutta  quella  marina  il  terrore,  la  desolazio- 
ne ,  e  la  fuga.  Negli  atti  di  S.  Giuliana  riportati  da' 
Bollandisti  si  dice  che  il  corpo  della  santa  era  posto 


olim  fuit,  habere  debeanl  sacerdoles  (  lib.  II.  cap.  XLV 
alias  XXXI).  Semhra  però  nondimeno,  che  non  ostante 
l'incominciata  spopolazione,  non  risentissero  ancora 
que' luoghi  particolar  danno  nella  salubrità.  Perchè 
per  riparare  le  sofferte  rovine  si  pensò  a  fabbricare  un 
nuovo  paese,  e  il  vescovo  Benenalo  ne  raccolse  il  da- 
naro, e  vi  attese  alla  fabbricazione.  Anzi  alcuni  vole- 
vano, che  gli  fosse  avanzato  del  danaro ,  e  che  egli  lo 
ritenesse  presso  di  se  ;  ed  avendolo  di  ciò  accusato  a 
S.  Gregorio ,  il  santo  papa  ne  commise  Y  esame  ad 
Antcmio  suddiacono  Napolitano,  il  quale  dalle  diver- 
se commissioni  impostegli  dal  S.  Padre  sembra  che 
fosse  come  Nunzio  della  S.  Sede,  anziché,  come  molti 
pensano,  un  semplice  agente  e  rettore  de'beni  tempo- 
rali della  Chiesa  romana  in  queste  parti.  Pervenit  ad 
nos ,  gli  scrive  nell'  anno  599  ,  quondam  Benenatum 
Misenalem,  Episcopum  prò  conslrucndo  illic  castro  so- 
lidos  accepisse.  Et  quia  pars  eorum  solidorum  apud 
eum  dicitur  remansisse ,  expcrientia  tua  sublili  inda- 


in  una  terra  presso  a  Pozzuolo,  ma  chepoi  nn)?ime)Ue     gationc  perquirat  (lib.  IX.  cap.  LI.  al.  XXXIII).  Or 


ethnica  ferilate  [cioè  i  Gotti,  verso  l'anno  568),  ac- 
ciocché tale  tesoro  non  fosse  profanato,  sia  trasportalo 
a  Cuma  ,  ne  talis  tantusque  thesaurus  dehonenarclur 
iranslatum  est  corpus  eius  in  civitalem  Cumanam.  Cu- 
ma città  difesa  da  muri,  e  munita  di  maggiori  rinforzi 
si  manteneva  più  sicura,  ed  illesa,  ma  i  piccioli  paesi 
circonvicini  erano  continuamente  vessali ,  e  in  gran 
parte  restavano  abbandonati. 

E  in  fatti  verso  la  fine  di  quel  secolo,  nell'  anno 
592,  essendo  morto  Desiderio  vescovo  di  Cuma,  scrisse 
il  PonteGce  S.  Gregorio  a  Benenato  vescovo  di  Miseno, 
che  si  portasse  a  visitare  quella  Chiesa,  e  provvedesse 
ad  una  nomina  canonica  del  successore  ;  ma  poi  in 
altra  lettera  gli  ordinò  diversamente,  che  unisse  in 
uno  i  due  vescovati ,  e  eh'  egli  slesso  prendesse  il  pos- 
sesso d' ambedue  ,  e  gli  dà  per  ragione  le  vicinanze 
delle  due  Chiese,  e  ciò  che  qui  è  da  osservarsi,  ildi- 
minuimcnlo  della  popolazione.  Et  temporis  qualitas , 
et  vicinila^  noi  locorum  invitat ,  ut  Cumanam,  atque 
Misenam  unire  debcamus  Ecclesias;  quoniam  ex  non 


una  raccolta  di  denaro ,  da  fabbricare  in  sì  breve  tempo 
un  castello ,  e  da  avanzarne  ancor  qualche  somma  , 
prova  un'  abbondanza,  e  agiatezza  di  que'  paesi ,  che 
ricorda  ancora  l'antico  lusso,  e  splendore;  e  fa  cre- 
dere che  non  si  dolessero  quegli  abitanti  dell'  insalu- 
brità dell'aria,  quando  pensavano  a  fabbricare  nuovi 
castelli,  e  nuove  popolazioni.  L' unione  stessa  di  due 
vescovati  ordinata  allora  da  S.  Gregorio  non  durò 
molto  tempo  ,  e  forse  alla  morte  di  Benenato ,  o  del 
suo  successore  ,  si  nominarono  di  nuovo  due  diversi 
vescovi  per  l'una,  e  per  l'altra  chiesa;  poiché  nell' 
anno  647  si  legge  sottoscritto  in  un  concilio  romano 
sotto  Martino  I  un  Barbato  vescovo  di  Cuma,  mentre 
Massimo  era  vescovo  di  Miseno ,  e  fino  nel  683  ve- 
diamo nella  chiesa  Misenate  un  Agnello,  quando  reg- 
geva la  Cumana  il  vescovo  Pietro ,  di  cui  si  legge  in 
queir  anno  la  sottoscrizione  all'  epistola  del  Papa  A- 
gatone.  Dopo  il  quale  tempo  non  vedesi  più  vescovo 
di  Miseno  ,  sebbene  quello  di  Cuma  seguitò  fino  al 
principio  del  secolo  XIII,  quando  fu  interamente  di- 


—  77- 


strutla  dagli  stessi  Napolitani  quella  città  ,  diventala 
asilo  di  forestieri  fuorusciti,  e  nido  di  ladri  e  di  mal- 
fattori. Intanto  le  devastazioni,  e  le  stragi  seguivano 
da  pertulto ,  e  la  fierezza  de*  Longobardi  portava  lo 
sterminio  a  tutto  il  paese.  Cnm  Loììijnhardorum  feriia^, 
si  dice  nogl'alti  di  S.  Antonio  di  Sorrcnlo,  o/Hfi/a/i'cc 
Campaniae  oppiJa  siicceuderel  ,  fcrroque  dcvastaret. 
Del  Longobardo  Gilulfo  Duca  di  Benevento  dice  Paolo 
Diacono  :  cum  omni  virlute  Campaniam  vcnil  incen- 
dia ,  et  depraedationes  faciens  (  De  gest.  Longob.  lib. 
VL  e.  XXVII  ).  Cuma  più  volte  attaccata  da'  Lon- 
gobardi fu  finalmente  occupata  con  molto  danno  nel 
secolo  ottavo,  quando  era  papa  Gregorio  II.  Omianum 
etiam  castnim,  dice  Anastasio  Bibliotecario  nella  vita 
di  questo  papa,  ipso  fuerat  tempore  a  Longohardis pa- 
cis  dolo  pervasum.  E  il  papa  per  liberarlo  adoperò 
presso  i  Longobardi  esortazioni,  e  preghiere,  promes- 
se e  miuaccie,  e  ogni  sorta  di  persuasioni;  ma  essendo 
tutte  rimaste  vane,  si  unì  con  Giovanni  Duca  di  Na- 
poli, e  l'aiutò  con  sessanta  libbre  d'oro, perchè  con- 
corresse a  liberare  quella  città,  come  alla  fine  felice- 
mente vi  riuscì ,  benché  non  senza  grande  strage  de' 
Longobarbi  e  della  città.  Cuma,  e  Napoli,  al  dire  di 
Procopio,  erano  le  sole  città  che  fossero  cinte  di  muri, 
e  però  poterono  durare  più  lungamente;  le  altre  città 
più  piccole  e  meno  forti,  le  piccole  terre  e  paesi  in- 
difesi, cedevano  ai  nemici  assalii  e  spesso  venivano  di- 
strutti e  atterrati.  Patria,  piccola  città  di  quelle  con- 
trade, al  tempo  delle  guerre  del  Principe  Arichis  o  Au- 
(jisto,  verso  la  fine  del  secolo  ottavo,  fu  devastata  ,  e 
cum  civitas  Palriensìs  depopidala  essct ,  dice  Rulperto 
prete,  il  vescovo  di  Napoh  Stefano  trasportò  le  reli- 
quie di  Santa  Fortunata  alla  chiesa  di  S.  Gaudioso  di 
Napoli  da  lui  fondala. 

Il  paese  chiamato  Lucullano ,  che  comunemente 
credevasi  fosse  nel  castello  dell'  Ovo,  ma  che  il  i^laz- 
zocchi,  appoggiato  a  molli  passi  di  scrittori  ecclesiastici, 
ha  poi  voluto  collocar  fra  la  Grotta  e  Pozzuolo ,  in 
quelle  parti  propriamente  che  si  chiamano  Bagnuoìì 
circa  le  terms  di  S.  Germano  presso  il  lago  d'Agnano, 
dicendo  anzi  Agnanum  ipsum  lacum  ad  silum  Lucullani 
praecipue  jìcrtinuisse ,  questo  Lucullano  venne  nel  se- 
guente secolo  parimente  disfatto  ,  e  come  quivi  ser- 


bavasi  il  corpo  di  S.  Severino,  la  pietà  de' Napolitani 
si  fece  premura  di  trasferire  nella  lor  chiesa  (juel  sa- 
cro tesoro,  come  ci  racconta  Giovanni  Diacono.  .Mi- 
seno  ,  città  più  riguardevole ,  venne  in  varie  riprese 
devastata  da' Longobardi ,  e  poi  finalmente  alTallo  e- 
sterminata  da'  Saraceni  :  e  parimenti  i  divoti  fedeli 
ebbero  la  religiosa  cura  del  corpo  di  S.  Sosio  per 
molti  secoli  conservato  in  Miseno,  e  fu  di  poi  trasfe- 
rito a  Napoli  ,  come  ugualmente  descrive  Giovanni 
Diacono.  Cosi  le  ossa  de' santi  martiri  ci  ricordano  l'in- 
felicità di  que' secoli,  e  ci  attcstano  la  distruzione  fatta 
da'  Longobardi  e  da'  Saraceni  di  Patria  ,  di  Miseno  , 
di  Lucullano,  e  de' paesi  circonvicini;  mentre  che  tutti 
gli  scrittori  posteriori  concorrono  a  confermare  tali 
stragi  degli  uni,  e  degli  altri.  Dicono  de' Longobardi 
che  atterravano  case  e  incendiavano  paesi,  ediSicar- 
do  in  particolare  ci  narrano  che  apriva  le  sepolture , 
e  disotterrava  ciò  che  invitava  la  sua  rapacità.  Ma  de' 
Saraceni  tutti  convengono  in  asserire  che  vennero  a 
recare  l' ultimo  guasto.  U  Villani  (  cron.  cap.  LII.  ) 
lasciò  scritto  che  i  Saraceni  discesero  alla  marina  di 
Napoli,  e  discorrendo  per  tutto  il  paese  vicino,  distrus- 
sero tutta  la  regione ,  cioè  la  ciltà ,  le  terre ,  e  i  luoghi 
deboli.  E  più  generalmente,  e  più  al  nostro  proposito 
Erchemberlo  ,  scrittore  di  quei  tempi  e  di  que'  luo- 
ghi ci  accerta,  che  dopo  i  danni  cagionati  da' Longo- 
bardi, vennero  i  Saraceni  a  recarvi  l'ultimo  struggi- 
mento :  Inter  liaec  Saraceni  totani  supradictam  terram 
crudeliter  laniabant ,  ita  ul  desolala  terra  cultoribus , 
stirpibus  et  vcpribus  repleta  faliscat.  In  vece  d' uomini 
che  coltivassero  que' terreni,  vi  abitavano  serpi  ed  in- 
setti malefici  che  gì"  infettavano  ;  ai  salutari  fuochi ,  e 
agli  odorosi  profumi  succedevanopuzzolenli  vapori,  e 
maligne  esalazioni ,  e  invece  delle  soavi  ed  odorifere 
piante,  de'  gentili  e  fruttiferi  alberi,  de'  deliziosi  giar- 
dini che  abbellivano  quelle  terre,  e  ricreavano  l'aria, 
vi  allignavano  bronchi  e  vepri ,  boscaglie,  macchie, 
e  spineti.  Or  un  paese  così  abbandonalo  e  inselvati- 
chito doveva  divenire  insalubre,  le zolfoiose esalazio- 
ni di  quel  terreno,  i  puzzolenti  vapori  di  quelle  acque 
stagnanti  senza  corso,  e  senza  agitazione,  come  l'ave- 
vano prima,  inceppali  in  quelle  boscaglie  impregnava- 
no r  aria  ,  e  d' amena  e  salubre  eh'  era  stata  per  tanti 


—  78  - 


secoli,  la  rendevano  pestilenziale.  Servio  nel  libro  III 
dell'  Eneide  conienlando  ciò  che  dice  Virgilio  del  lago 
Averno,  lo  spiega  cosi  :  Sane  lacus  Avcrnus  aule  sil- 
varum  densitate  sic  amhìehalur ,  ut  exhalans  inde  per 
angustias  aquae  sulphureae  odor  gravissimus  supervo- 
litantes  aves  necaret:  ioide  et  Avernm  diclm  est  quasi 
aopvcs.  Quam  rem  Augiistus  Caesar  inlelligens,  dese- 
ais  silvis,  ex  pestilentibus  amoena  reddidit. 

Or  al  contrario,  per  la  medesima  ragione  dell'esa- 
lazione e  vaporosità  emanata  da  qiie'  terreni  e  laghi 
sulfurei,  s'infetta  l'aria,  e  perduta  la  popolazione,  ri- 
tornate le  selve  e  boscaglie,  di  ameni  e  sani  sono  di- 
ventati que'  luoghi  insalubri  e  pestilenziali.  Onde  dalle 
guerre  de'  Longobardi  ,  e  de'  Saraceni  ,  dalie  deva- 
stazioni ,  e  stragi  dagli  uni  e  dagli  altri  cagionate  a 
tutti  que' luoghi,  credo  potersi  ripetere  la  depravazio- 
ne e  il  corrompimento  dell'  aria  di  Baia,  e  che  quei 
tempi  di  desolazione,  i  secoli  nono  ,  e  decimo  e  se- 
guenti possano  fondatamente  considerarsi  laverà  epo- 
ca, in  cui  cessasse  d'essere  salubre.  E  a  cosi  pensare 
mi  conferma  il  sentimento  del  Petrarca,  il  primo  scrit- 
tore di  mia  notizia,  che  dopo  Simmaco,  e Cassiodoro 
e  gli  autori  di  sopra  da  noi  citati,  abbia  scritto  di  Baia 
e  dell'amenità  di  que' luoghi. 

Scrive  egli  da  Napoli  a  Giovanni  Colonna  ,  e  gli 
racconta  una  gita  che  fece  per  visitare  Baia  e  tutti  quei 
preziosi  avanzi  della  grandezza  romana ,  e  gli  accenna 
l'opinione  in  cui  allora  si  era  dell'insalubrità  di  quel- 
r  aria  ,  ossia  dell'  infezione  in  tempo  di  stale.  Baias 
ego,  dice,  clarissimis  viris  Ioanne  Barrili  et  Barbato  me 
comiiantibus ,  vidi:  nulla  mihi  dics  laetior  ...  vidinius 
illuni  hybernis  mensibus  pcramoenum  simun,  quem  sol 
aestivus,  nisi  fatlor,  infestai.  Nihil  enim  praeter  opi- 
nionem  habeo;  numqnam  cnim  me  hic  aestas  reperit 
(  famil.  ep.  IV.  lib.  V.  ).  Onde  si  vede  quale  opinio- 
ne avevasì  a  que'  tempi  dell'  aria  di  Baia,  aria  infetta 
da  soli  estivi,  aria  insalubre,  che  appariva  lieta  eda- 
mena  ne'  mesi  d' inverno,  ma  che  non  poteva  ,  come 
ne' tempi  antichi,  respirarsi  liberamente  nell'estate.  Se 
dunque  dal  fin  qui  detto  si  osserva  che  il  soggiorno 
di  Baia  al  principio  del  sesto  secolo  era  ancor  pre- 
giatissimo per  le  delizie  del  luogo  e  per  la  salubrità 
dell'  aria  ,  che  alla  fine  di  quel  secolo  ed  al  principio 


del  settimo  incominciava  bensì  a  spopolarsi ,  ma  non 
ancora  se  ne  considerava  l'aria  insalubre,  che  nell' 
ottavo  secolo,  e  nel  nono  non  si  parla  che  d'incendi, 
desertazioni,  e  rovine  ,  che  nel  decimo  si  presentava 
tutto  quel  terreno  come  abbandonato  da'  coltivatori , 
e  che  rcndevasi  oppresso  da  bronchi  e  vepri,  e  che  io 
somma  di  tutti  que'  secoli  non  ci  si  parano  avanti  che 
abbandonamenli  e  desolazioni,  e  che  poi  il  Petrarca 
nel  secolo  XIV  ci  parla  di  quel  seno  per  comune  o- 
pinione  riputato  insalubre,  e  come  luogo  d'aria  in- 
festata da' soli  estivi,  quale  è  poi  seguitata  a  riputarsi 
finora ,  parmi  che  possiamo  con  qualche  fondamento 
pensare ,  che  appunto  ne' secoli  nono,  e  decimo  ces- 
sasse d'essere  salubre  l'aria  di  Baia. 

Questa  infezione  dell'aria  quale  era  nel  secolo  XIV 
sembra  che  sia  di  poi  costantemente  continuata,  con- 
tinuando sempre  la  medesima  spopolazione. 

Il  Biondo  nel  secolo  XV,  e  nel  principio  del  XIV 
Leandro  Alberti  ci  descrivono  lungamente  tutti  quei  ' 
paesi,  che  minutamente  per  vari  giorni  esaminarono, 
e  quanto  lodano  la  grandiosità  degli  avanzi  degli  an- 
tichi edifizi ,  la  bellezza  delle  vedute,  l' amenità  delle 
situazioni  ,  altrettanto  ne  piangono  l' abbandono  e  la 
deserzione.  Il  Guicciardini  più  positivamente  ci  descri- 
ve neir  anno  1498  nel  libro  terzo  della  sua  storiagli 
effetti  della  cattiva  aria  di  Baia  e  di  quel  littoralefino 
a  Pozzuolo  ;  perchè  dice  che  scacciati  da  Napoh  per 
opera  di  Gonsalvo  Cordova  i  Francesi ,  questi  furono 
condotti  a  Baia,  simulando  Ferdinando  di  volergli  la- 
sciar partire,  dove  sotto  colore  che  non  fossero  a  ordine 
i  legni  per  imbarcargli ,  furono  sopratlenuti  tanto,  che 
sparsi  tra  Baia,  e  Pozzuolo  per  la  mal  aria ,  e  per 
molle  incomodità  cominciarono  a  infermarsi  talmente, 
che  Montpensiei'i  morì,  e  del  resto  della  sua  gente  ch'e- 
rano più  di  cinquemila,  ne  mancarono  tanti ,  che  ap- 
pena se  ne  condussero  cinquecento  salvi  in  Francia. 

Per  lo  contrario  fa  meraviglia  che  al  tempo  mede- 
simo il  Pontano  scrive  con  tanto  trasporto  in  sì  ripe- 
tute poesie  a  sì  diverse  persone  cantando  lodi  di  Baia. 

Qui  il  p,  Andres  si  ferma  a  dimostrare  che  i  versi 
del  Pontano,  lungi  dal  riferirsi  alla  salubrità  dell'aria 
di  Baia,  non  altro  provano  se  non  che  V  uso  de  bagni 
di  Baia  a  queir  epoca ,  ed  i  pericolosi  divertimenti  the 


—  79- 


provcnivano  ilal  concorso  di  moìia  gente  in  quc  siti. 
Poi  prosegue  : 

Ma  r  uso  (le  bagni  soguilava  anche  al  tempo  del 
Petrarca:  e  quando  per  comune  opinione  era  riputata 
infetta  quell'aria,  i  bagni  erano  frerpientati  dn'piÌMi- 
cini.  Vidi  rupes,  dice,  undique  li(pinrcm  saluherriniiim 
stillantes,  el  cimciis  olim  morhorum  gemribus  omnipa- 
rentis  naiurae  numera  adhihita  post  mrdicorum  inci- 
diam,  ut  memoranl,  confusa  baìnca,  ad  cpiae  (amen  nunc 
ctiam  finilimis  urhibus  ingcns  omnis  sexus  aelatisquc 
concursus  est.  Ancor  dopo  il  tempo  del  Fontano  è  sa- 
puto r  uso  de'  bagni,  perchè  il  Capaccio  al  principio 
del  secolo  XVII  dice  che  i  medici  al  suo  tempo  ordi- 
navano i  bagni  di  Baia,  sebbene  soggiunge,  ch'egli 
non  gli  ha  veduti  profittare  ad  alcuno.  Medici  hoc 
tempore  ...  cum  nihil  reliqui  liabeanl  medendis  corpo- 
ribus,  vel  cum  rcipsa  ìgnorent  quo  morbi  genere  aegri 
sint  a/fecti,  ad  aquas  Baianas  cos  rejiciunl,  quas  ne- 
mini  unquam  prodesse  cognovi. 

Ma  il  portarsi  di  alcuni  ai  bagni  al  tempo  del  Pe- 
trarca ,  e  del  Fontano ,  e  ancora  mollo  di  poi ,  non 
pruova  la  salubrità  dell'  aria  ,  né  ha  potuto  riparare 
la  vaghezza  de'  signori  non  dico  Romani ,  ma  né  an- 
che de' più  vicini  Napolitani  a  riedificare  que' paesi , 
ed  a  cercare  di  formare  in  que'  luoghi  anche  villeg- 
giature, come  le  avevano  gli  antichi.  Leandro  Alberti, 
che  pochi  anni  dopo  il  Fontano  nel  1 326  visitò  per  più 
giorni  distintamente  que'  luoghi,  e  ne  descrive  minu- 
tamente tutti  i  rimasugh  dell' antichità,  ne  piange  da 
per  tutto  le  rovine ,  e  la  desolazione ,  non  dà  mai  il 
menomo  cenno  ne  di  pensieri  di  riedificazione ,  nò  di 
miglioramento  dell'  aria.  Tanti  scrittori  Napolitani 
hanno  scritto  lungamente  di  que'  paesi ,  e  nessuno  ci 
dà  argomento  di  poter  credere  che  al  tempo  del  Fon- 
tano vi  si  respirasse  un'  aria  migliore. 

Onde  possiamo  dire  che  non  più  servono  a  provare 
la  salubrità  di  Baia  ne'tempi  moderni  gli  scherzi  poetici 
del  Fontano ,  che  gli  epistolari  di  Cicerone  la  sua  in- 
salubrità negli  antichi,  e  conchiudere  che  l'aria  di  Baia 
salutevole  per  tanti  secoli  cessò  d' esserlo  nel  nono  , 
nel  decimo,  né  più  ha  riacquistala  la  sua  lodata  sa- 
lubrità. 

p.  Giovanni  Andres  d.c.d.g. 


lietisione  della  lapida  di  Campo  Marino. 

11  mio  eh.  amico  sig.  D.  Luigi  Marchesani,  non^'- 
nato  in  questi  fogli  altre  volte,  ne  invia  ora  una  esalfa 
revisione  della  lapida  di  Campo  Marino  [tulililicata  da 
me  sull'apografo  comunicato  d  il  eh.  C:iraba(Vedi 
questo  bidl.  un.  l.  p.  1 80  ).  Le  dilT^-renze  che  ne  ri- 
sultano sono.  lu  tutta  la  iscrizione  la  lettera  Tcomu- 
oemente  si  eleva  sulle  altre.  Nel  v.  2.  legge  CON- 
PllOMISSO-  -  il  V.  3.  finisce  in  PROCVìVaTO-  il 
v.4.  comincia  REM-  e  legge  assolutamente  PAQV'IV.M 
la  voce  VTRISQVE  è  divisa  tra  il  verso  3.  e  6.  V- 
TRISQ  •  -  In  fine  del  6.  l'M  è  assai  più  piccola  delle 
altre  lettere-v.  8.  IIISTONIENSIV.'U- v,  10.  La  pie- 
tra è  rolla  in  due  parli  a  traverso ,  onde  son  perife 
alcune  parti  di  lettere  nelle  linee  IO,  li,  12,  13,  che 
per  altro  son  ben  supplite  nel  primo  apografo- v.  16. 
legge  CIET  •  TIT  V  1 A  L  ACCILLAM  :  onde  resta 
confermata  HERIANICI  ,  e  sorge  una  TlTVJIAm 
FLACCILLAIM,  che  è  la  Proauctor  di  Tillio  Sassio. 
-V.  17.  VELLANIAE  corretto,  e  confermato -v.  21. 
PIGEREI  in  luogo  di  ERIGEREI.  -  Questa  revi- 
sione ritiene  APFAREF  al  v.  18,  SCRIIVS  al  26, 
COMMVNEM  al  27.  lulta  la  leggenda  è  chiusa  da 
cornice,  e  la  linea  32  è  scritta  su  di  essa  in  caratteri 
più  piccoli.  Riportasi  qui  soltanto  •  •  •  M  ERECIAM 
FALVM  AB  EODEM  GALLO,  e  par  che  la  seconda 
parte  di  tutta  1'  iscrizione  fosse  parimenti  chiusa  in 
cornice  :  onde  io  mi  persuado,  che  colla  voce  GALLO 
debba  esser  finito  interamente  il  senso  del  periodo  , 
ossia  del  documento  estratto  dal  libello ,  nel  quale  si 
era  registrato  l'atto  della  prima  limitazione.  Appari- 
scono finalmente  i  punti  in  fine  dei  versi  2  ,  7  ,  9  > 
10,  13,  17,  18,  20,  27,  28. 

Gaurccci. 

Del  Palatium  e  dello  stagnum  di  31amca  in  Baia. 

Nelle  mie  osservazioni  intorno  all' articolo  del  cav. 
de  Rossi  ho  dato  ad  alcuni  versi  di  Giovenale  un  sen- 
so, che  nel  conlesto  non  può  ammettere  (bullett.  an. 
L  p.  136).  Or  dichiarando  questo  sbaglio  son  con- 
tento di  compensarlo  in  ammenda  cou  uu  passo  di  Lam- 


—  80- 


priJio  citalo  dall'  Antlres  nella  sua  disseriazione  «  sul- 
r  aria  di  Baia  »  ,  dal  quale  ci  viene  spiegato  il  PA- 
LACI V  e  lo  STAGNV  della  carafina  di  vetro  illustrata 
dal  de  Rossi.  Dice  Lampridio,  che  Severo  Alessandro 
in  3Ialrcm  unice  plus  in  Baiano  le  fabbricò  un  Pala- 
tìum  cum  slagno,  qiiod  Mammaeae  nomine  ìtodieque 
ccnselur.  L'altro  stagnum  notato  sulla  carafina  potreb- 
be essere  uno  di  quei  tanti,  che  Lampridio  dice  essersi 
da  lui  fatti  per  i  suoi  congiunti  slagna  stupenda  ad- 
misso  mari.  Sarà  dunque  ivi  il  Palalium  Mamaeae,e 
lo  stagnum,  inoltre  un  altro  stagnum  che  non  hanno 
che  fare  né  col  lago  d'Agnano,  né  col  Lucrino  o  coli' 
Averno ,  né  colla  palude  Acherusia.         Garrucci. 

Iscrizioni  latine,  continuazione  del  n.  51. 

11.      PARIES  •  LATERIG 

COMMVMS  •  SOLVM 
INTERDVOS  PARIETES 
IVLI  •  GELSI 

Fu  scoperta  agli  albereti  di  S.  Vittorino ,  e  tra- 
sportata dipoi  in  S.  Vittorino ,  ove  ne  trasse  copia  il 
lodato  mio  amico  sig.  Leosini.  Nell'ultimo  viaggio 
r  ho  riveduta  ancor  io ,  riconoscendo  esattissimo  al 
solito  r  apografo  del  Leosini.  Sul  paries  communis  v. 
fa  1.  52.  §.  13.  D.  prò  socio,  e  la  1.  4.  D.  de  Ser- 
vilute  locata  etc. 

12.  LARIB  •  D  •  D  •  ROMANO 
MORE  •  DEDICATA 

Frammento  di  ara  trascrittomi  dal  prelodato  sig. 
Leosini. 

13.  DIVINAE  •  INDOLI 
AC  VENEUANDAE 
PROSAPIA  E  D\  FL 
IVLIO  CKIS////  BEA 
T  I  S  S  I  M  0   AC 
NOBILISSIMO 
C  A  E  S  iV  R  I 
NONIVS    VERVS 
ve  CORR  APVLIAE 
ET   CALABRIAE 


Appartiene  all'  antica  Eclano  questo  slngolar  mo- 
numento, che  mi  son  copiato  fuori  di  Mirabella  ,  ed 
è  da  riporre  tra  le  rarissime  memorie  di  questo  prin- 
cipe (  v.  le  mie  Iscrizioni  antiche  di  Salerno  p.  21  s.  ). 

14.   ORBEM   TERRAE 

ROMANO   NOMIN 

I   SVBIVGANTI 

DOMINO   NOSTRO 

FÉ  CONSTANTIO  PIO 

FELICIS   IMPER 

AVG   AVG 

ANNIVS   ANTIO 

CIIVS    VP-  CORR 

MI  ■  ETAL  •  SEiNA 
VS 
Avea  dunque  ragione  il  Guarini  quando  scriveva 
cippum  aeclanensem  adirne  extare  Aeclani ,  ibi  se  eum 
ad  fastidium  usque  lecliuisse,  tilulum  Musei  Borbonici 
ah  hoc  dicersum  esse.  Il  sig.  Mommsen  noi  credette  , 
ma  ora  potrà  contestarlo  il  sig.  Brunn ,  che  dopo  di 
me  lo  ha  copiato  in  Mirabella  davanti  al  palazzo  Ferri 
accanto  allo  spedale.  A  scioglier  l'enimma  dei  due 
piedistalli  riferenti  lo  stesso  titolo  con  solo  la  differen- 
za che  il  nostro  é  intero  ,  ed  inoltre  è  sbagliato  in  più 
di  un  luogo  terminando  collo  strano  MIETAL- SE- 
MA VS,  io  mi  persuado ,  che  quando  fu  necessario 
rimuovere  il  primo  piedestallo  perchè  rotto,  per  so- 
slituirvene  uno  intero ,  si  dovette  ordinare  allo  scar- 
pellino ,  che  vi  copiasse  in  questo  secondo  la  iscrizione 
del  primo ,  e  che  costui  lo  eseguisse  così  material- 
mente ,  siccome  vediamo,  interpretando  male  gli  a- 
vanzi  di  apVL  ,  e  commettendo  lo  sbaglio  di  FÉ  per 
FL  alla  Un.  5,  di  FELICIS  IMPER  per  FELICI  SEM- 
PER  alla  6  ,  e  tralasciando  la  C  del  GAL  nella  1 0  ; 
ove  pure  trasportò  il  SEM  in  SEMA  per  una  casual 
linea  che  si  vede  nell'M  di  quella  prima,  siccome 
feci  notare  anche  al  Brunn,  e  non  sapendo  poi  sup- 
plire per  devot  davanti  all'  VS  della  linea  1 1 . 

Garrucci. 


GiCLio  Mi.NERVi.M  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaneo. 


BUllETimO  ARCHEOIOCICO  MPOIITAXO. 

NUOVA  SERIE 

N."  35.     (11.  dell'anno  IL)  Dicembre  1853. 

■      - 

Fotografia  in  Pompei.  —  Iscrizioni  Pompeiane. — Vaso  della  collezione  Jatla  in  Ravo  ;  spiegazione  della  tav. 
IV.  del  2.  anno  del  bidletlino.  —  Iscrizioni  latine. 

Fotografia  in  Pompei.  Accademia  Ercolanesc,  una  serie  di  preziosi  disej?ni, 

i  quali  saranno  sovente  da  riputarsi  come  originali. 
Il  perfezionamenlo,  a  cui  si  sonoda  pocotempori-  Qncsle  riproduzioni  pertanto  non  impediranno  che 
dolli  i  processi  fotograOci,e  specialmente  la  facilità  di  de'più  interessanti  dipinti  si  facciano  o  i  disegni  a  con- 
ottenere sulla  carta  i  disegni  degli  oggetti,  delle  fabbri-  torni,  o  i  lucidi  a  colori  da'valenti  disegnatori  di  Foni- 
che, e  delle  pitture,  ha  dato  all'attuale  eh.  direttore  del  pei.  Allorché  sia  conceduto  dalla  permanenza  de' nio- 
Real  Museo  e  Soprantendeote  Generale  degli  scavi  di  numenti ,  non  può  dubitarsi  che  il  rendere  in  modo 
antichità  sig.  principe  di  S.  Giorgio,  la  felicissima  idea  esatto  e  ricercato  la  varietà  delle  tinte  sia  un  lavoro  di 
di  applicar  la  fotografia  a  riprodurre  colla  massima  sol-  somma  importanza  per  tutti  i  riguardi.  Comuni|ue 
lecitudine  le  antichità  della  sepolta  Pompei,  le  quali  si  sia;  noi  rileniamo  che  l'applicazione  della  fotogr.iha 
mostrano  giornalmente  alla  luce  del  sole.  Per  quanta  alle  scavazioni  pompejane  debba  giudicarsi  una  inte- 
diligenza  si  usi  a  conservarci  cadenti  ruderi,  per  quanto  ressanlissima  novità,  che  dovrà  non  poco  allegrare  i 
studio  si  ponga  a  scavare  a  strali  orizzontali  ed  in  un  cultori  dell'archeologia.  Quando  se  n'è  fatto  uso  per 
piano  alquanto  esteso,  riusciva  assolutamente  impossi-  aver  delle  vedute  ritraenti  l'insieme  di  una  quantità  di 
bile  conservare  almeno  alla  scienza  le  parti  su[)eriori  edifìzii ,  non  poteva  prodursi  agli  sludii  un  qualun- 
degli  edifizii ,  che  essendo  quasi  tutti  crollanti  si  mo-  que  profitto;  ma  ora  che  quel  processo  è  adoperato 
strano  incapaci  di  qualunque  sostegno.  Talvolta  un  in-  per  ottenere  le  riproduzioni  di  tutte  le  particolarità 
teressante  di|)ìn(o  rimase  distrutto  col  cader  del  muro,  degne  di  essere  studiate  in  ogni  parte  diciascimoedi- 
sul  quale  vedevasi  effigialo  ;  e  sovente  avemmo  a  de-  fizio,  non  può  negarsene  la  somma  utilità.  Perciò  cre- 
plorare  la  perdila  dc'quadretti  di  paesaggi,  odi  svariati  demmo  nostro  dovere  il  darne  sollecita  conoscenza 
ornamenti,  che  trascurali  da  prima  per  eseguire  i  più  a'Iettori  del  presente  Imllellino  ,  non  solo  perchè  essi 
importanti  dipinti,  non  si  prestarono  iu  seguito  ades-  gioissero  di  questa  novella  introduzione,  ma  allre>i  per- 
sere  esattamente  ritratti.  Ma  d'oggi  innanzi  non  pò-  che  fosse  tributala  la  meritata  lode  all'attuale  Sopran- 
trassi  più  verificare  una  simile  perdita;  percioccliè  l'ani-  tendente  degli  scavi,  ed  all' Eccel lentissimo  sig.  Prin- 
miiiistrazionc  della  Beai  Casa  ha  già  curato  l'acquisto  cipe  di  Bisignano  ,  a  cui  è  commessa  l'alta  direzione 
di  un  buono  apparecchio  fotografico ,  ed  è  slato  già  di  questo  importante  ramo  delle  patrie  antichità ,  i 
affidalo  l'incarico  di  prendere  i  disegni  all'egregio  in-  quali  non  lasciano  di  promuovere  i  mezzi  più  oppor- 
gegnere  locale  di  Pompei  sig.  Campanella.  Noi  siamo  tuni  per  rendere  profittevoli  agli  archeologici  sludii  ì 
sicuri  che  la  diligenza  di  ipieslo  solerte  impie;;ato  non  maravigliosi  tesori,  che  in  tulli  i  giorni  vengono  fuori 
farà  perdere  allo  studio  de'dolli  alcuna  di  quelle  par-  dal  suolo  di  queste  beale  couliade  ,  che  nierilano  di 
ticolaiità  ,  le  quali  poche  ore  dopo  la  loro  scoverla  essere  denominate  la  patria  dell'archeologia, 
alle  volte  svaniscimo  :  ed  in  tal  modo  sarà  presentato 

alle  ricerche  degli  eruditi,  e  segualamenle  della  reale  MiNtiMM. 

àm.\u  11.  1 1 


—  82 


Iscrizioni  Pompeiane. 

Le  pareti  delle  case  pompeiane  ci  hanno  conser- 
valo parecchie  leggende  quale  a  carbone,  quale  a  graf- 
fito, ed  in  svariate  forme  di  carattere ,  di  che  alcuna 
cosa  si  conosce  per  le  dotte  pubblicazioni  dell'  Avel- 
lino, e  del  Miuervini  nel  Bullettino  Archeologico  Na- 
politano. Queste,  che  verrò  qui  esponendo  e  diluci- 
dando, comparvero  nella  escavazione  del  Settembre 
1849  su  due  pareli  di  una  stanzina  terrena  posta  a 
destra  di  chi  va,  alla  porta  nolana  poco  prima  di  ar- 
rivare alla  via,  che  va  alla  porta  stabiaua  di  recente 
scoperta.  L'intonaco,  su  cui  erano  scritte,  cadde  pochi 
giorni  dopo  ;  onde  non  se  ne  ha  verun'  altra  copia  , 
che  questa.  Io  le  verrò  dichiarando  per  ordine,  e  co- 
mincio dalla  più  curiosa. 
l\h    immaginetla     N 

in  un  cerchio  INAIA 

IL  LA  DUE  SATV 

ORA  SECV 
Vili  NON  AV 

Vedi  la  nostra  tavola  Vili  n.  1. 

Era  ella  tracciata  col  carbone ,  maniera  che  sape- 
vamo di  già  essersi  usala  dagli  antichi ,  perlocchè  so- 
glionsi  citare  le  parole  di  Plauto:  Impleantur  meae  fo- 
res  elogiorum  carbonibus.  Un  secondo  esempio  fu  già 
allegato  dal  Tiolz  nelle  note  ad  Hermann  Hugo  [De 
prima  scribendi  orig.  p.  79  ) ,  che  lo  trovò  nell'  epi- 
gramma 61  del  L.  XII  di  Marziale,  ove  al  v.  9  dice: 
Qui  carbone  rudi  pulrique  creta  scribil  carmina  :  ed 
un  terzo  ci  proverrebbe  da  Catullo,  se  Martin  de  Roa 
ha  ben  corretto  quel  passo  ove  leggevasi ,  namque 
tolius  vobis  frontem  tabernae  scipionibus  scribam ,  in- 
•roducendosi  titionibus  in  luogo  di  scipionibus  (de 
Roa,  Singul.  locorum  ac  rerum  L.  VI.  p.  196).  La 
qual  correzione  del  de  Roa  piacque  anchcaRudgero 
Hermanno  ,  che  la  riporta  nelle  noie  critiche  al  glos- 
sario petroniano  (Pelron.  Arbitr.  Amslel.  1069,  Bour- 
delol).  Il  Doering  (ad  Calulli  Carni.  37,  10),  ed  il 
Bothe  (  Plaut.  Mere.  Il,  3,  74)  credono,  che  debba 
interpretarsi  praeuslis  scipionibus,  bacillis  semiuslis. 
Anche  Orazio  fu  menzione  del  carbone  per  dipingere 
sulle  pareti  le  pugno  gladiatorie  (li,  7,  96  segg.  )  : 


Qui  peeeas  minus  alque  ego  eum  Fulvi,  Rutuhiqut, 
Aul  Placideiani  contento  popìiie  miror 
Praelia  rubrica  pietà  aut  carbone ,  velut  si 
Recera  pitgnent,  ferianl,  vitentque  movenles 
Arma  viri. 

Nuo'vo  è  il  diminutivo  luvenilla,  che  potrebbe  ri- 
putarsi il  nome  della  fanciullina  al  pari  di  Dignilla 
Feslilla,  Domililla,  Gralilla,  Nepotilla  ed  altri,  ovvero 
essere  nume  appellativo  nel  semplice  significalo  di  jw- 
pa ,  pupilla,  (  lo  scambio  del  iuvenis  col  puer  e  vice- 
versa è  slato  dimostrato  da  allri  ) ,  ed  in  questo  caso 
r  epigrafe  procederebbe  alla  maniera  di  quella  ,  che 
si  legge  in  Petronio  :  Piane  interpellavit  sallationisli- 
bidinem  actuarius ,  qui  tamquam  urbis  acta  recilavit. 
VII  Kal.  Scxtiles  in  pracdio  cumano  quod  est  Trimal- 
chionis  nati  sunt  pueri  XXX  puellae  XL  ;  dal  quale 
opporl unissimo  esempio  il  luvenilla  nata  die  salumi 
ora  sccunda  vespertina  UH  Non.  Aug.  non  differisce 
in  verun  modo. 

Le  note  cronologiche,  come  ognun  vede,  non  sono 
sufficienli  a  determinare  l'anno  di  sua  nascila,  man- 
cando la  nolizia  della  luna  corrente,  ma  si  può  con- 
ghiellurare  che  non  si  allontani  mollo  dalla  ultima 
ruiua  di  Pompei,  dovendosi  tenere  scritta  la  leggenda 
dopo  il  746,  nel  quale  il  mese  sestile  si  chiamò  Au- 
gusto. Quanto  alla  ortografia  ,  che  è  generalmente 
corretta  nei  graffili  pompeiani,  osservasi  in  questo  di- 
pinto un  solo  V  nel  IVENILLA  ,  che  vi  fa  anche  le 
veci  del  V  consonante.  Così  IVENTVS  scrivevasi  ai 
tempi  stessi  di  Augusto,  e  VIVNT  per  VIVVNT.  Chi 
ne  cerca  gli  esempii,  anche  dei  buoni  tempi,  li  troverà 
raccolti  dal  Marini ,  e  ne  ho  dello  alcuna  cosa  ancor 
io  nella  storia  d'Isernia.  Più  curioso,  e  non  osservato 
è  il  costume  di  adoperare  la  doppia  II  nella  voce  DUE 
e  non  invece  della  E,  che  si  ritiene  maniera  osca  dai 
dotti,  ma  della  semplice  I  vocale.  Leggesi  cosi  scritto 
POMPEIIANA  nella  leggenda  pompeiana  ABIAT 
VENERE  POMPEIIANA  IRATAM  QVI  HOC  LAE- 
•SAERIT,  in  M.  MAIIVS  AR  graffilo  nell'anfiteatro 
pompeiano,  in  ESVREIIS  ET  ME  CELAS  di  ghian- 
da missile  del  Chircheriano ,  in  LI)-  INO  EN  VHS 
QVI  AD  SVBFRAGIA  DESCENDVNT  di  lamina 
inedita  delio  slesso  Museo.  Nel  peristilio  di  Pompei, 


—  83  - 


•  che  ho  altrove  dimostrato  essere  il  ludus  gìadiatoriut  alfabeti  aveva  di  già  copiati ,  Irai  quali  importa  la  co- 
(v.  questo  Bullell.  an.I.p.98  s.)  lessi  ARMATVKIIS,  noscenza  di  due  impressi  sulla  calce  ancor  fresca.Veg- 
che taluno  forse  amerà  meglio  di  richiamare  all'osci-  gonsi  sottoposti  l'uno  all'altro  in  duo  ri"he colla sin- 
smo  della  E  per  1,  siccome  in  PVGNABIIT  di  graffito  golnrilà  the  il  secondi^  va  da  destra  a  sinistra  appunto 
letto  già  dal  comm.  Avellino.  tome  1"  use o.  In  ambedue  gli  'ev|.i>.ò>  e  i  iTyi^  sono 
Seguiva  nella  stessa  parete  il  nome  di  un  tal  Natale  lunati,  e  V Ùjijlìjx  è  della  forma  riputata  corsiva.  Nel 
scritto  con  alfabeto  misto  (tav.VIII.n.2)  NATALIOC,  secondo  v'è  dippiù  da  osservare,  che  l'antico  scrittore, 
nel  quale  alla  greca  desinenza,  ed  al  C  lunato  vedesi  provatosi  ad  un  esperimento  Inlln  tnio>o  |ier  lui  di  ri- 
congiunto l'L  latino.  Leggevasi  appresso  latinamente  voltare  a  sinistra  la  forma  delle  lettere,  non  vi  riusci 
(tav.YIH.n.3)  NATALIS,  e(lav.VIII.u.i)NA'rALYS  pienamente.  Perocché  tranne  il  B,  la  E,  lo  H  e  1  C, 
proveniente  da  corrotta  pronunzia  ,  o  forse  da  scor-  lasciò  rivolti  a  destri  il  V,  lo  Z,  il  K,  e  di  i)iii  invertì 
rezione  dello  scribente  ,  come  in  altro  luogo  lessi  l'ordine  di  qualcuna,  collorando  il  I  dopo  il  K,e  IO 
MARTALIS  certo  per  MAUTIALIS.  Seguiva  con  lei-  dopo  il  li,  e  dimenticò  adatto  il  I*.  La  figura  dell'UJ 
tere  assai  più  grandi  (tav.VIII.n.5)  SV.WIS  e  sotto-  riputata  corsiva  vedesi  qui  in  un  alfabeto  regolarissi- 
posto  il  numero  XV,  poi  un  fallo  graffito,  e  disotto  nio  e  quadrato.  E  siccome  può  supporsi  ragionevol- 
(fav.VlIl.n.O)  niNYTOS  con  lettere  greche,  ma  1' S  menie  autore  di  questo  graffilo  qualche  giovane,  che  lo 
finale  di  corsivo  latino.  Vedevasi  dipoi  ben  disegnata  apprendesse  alla  scuola,  avremo  anche  rilevato  quali 
una  tromha  ricurva  di  quella  medesima  figura  che  nei  esempii  si  proponessero  nelle  scuole  pompeiane  dai 
monumenti  antichi,  ed  in  Ponqiei  stesso  osservasi  già  grammatici  che  v'insegnavano  il  greco,  ed  inoltre  una 
suir  intonaco  dipinto  del  podio  dell'anfiteatro  in  mano  curiosa  conferma  dell'anlirbilà  di  nn  uso  osservalo  an- 
ad  un  cuniicen  dei  giuochi  gladialorii.  Disotto  a  que- 
sta tromba  (lav.VIlI.n.T)  IIQVILLVS  colla  ortogra- 
fia della  li  per  E,  che  fa  bel  riscontro  al /in-ai ///a  no- 
tato di  sopra.  Ambedue  queste  voci  vengono  ad  ar- 
ricchire la  lingua  latina  ,  the  par  si  pincesse  di  due 
forme  in  VLVS  ed  in  ILLVS ,  la  prima  delle  quali 
significò  in  origine  derivazione  di  vocahcdo,  siccome 
vedesi  in  Aequiinh($ ,  in  Saliculus,  in  Apulus.'m  Pac- 


che ai  tempi  di  S.  Girolamo,  il  quale,  come  ben  os- 
serva il  eh.  .\h.  Cavedoni ,  ricorda  ,  che  ,  apud  nos 
Graecum  aìphahelum  nsquead  novissimam  litleramper 
ordinem  Icfjitttr,  hoc  esl  ALPHA,  BETA  el  celerà,  u<que 
ad  li;  riusumque,  proplcr  meiì)oìiainparvHlorum,^o^ 
lemus  leclionis  ordiitem  invcrlere  (Comm.  in  lerem.  e. 
XXV',  26):  e  forse  la  trasposizione  di  qualche  lettera 
potrà  essere  accaduta  per  l'uso  medesimo,  che  si  aveva, 


dicidus:  appresso  usurpossi  comunemente  nel  senso     che  ipse  iuler  se  ardo  ci ebrc lurbalur  (Ep.  GVII,  \.). 


diminutivo,  che  ebbe  quindi  due  uscite:  cosi  Procidus 
e  Procillus  (il  Procillus  ha  nuovo  esempio  tra  i  gniffiti 
nella  leggenda  PHOCILLVS  ET  lACINTVS  PRIN 
APVLEi),  Nepolulus  trova  il  Nepolìllus  in  una  lapida 
diFrigento  edita  dal  Guarini  (Comment.  Xli.  p.27), 
il  Lupuhis  guadagna  Lupillus  per  una  iscrizione  da  me 
copiata  in  Vinchiaturo  presso  Campobasso.  Lascio  di 
paragonare  Calulus  e  Catillus,  Regulus  e  Regillus,  O- 
ricula  ed  OricUla,  Vasculum  e  Vascillum,  Furcula  e 
Furcilla.Oscuhtm ed  Oscillum.Crusculum  cCruscillum, 
Tusndus  e  Tuscillus,  Pitpidus  e  Pupillus,  Curculum  e 
Corcillum,  e  cento  altri  più  ovvii.  Conteneva  lo  stesso 
intonaco  una  parte  di  alfabeto  greco,  che  ci  siècon- 


Difatli  fra  le  iscrizioni  greche  copiate  da  me,  che 
son  ben  numerose  coH'C  e  col  C  hitialo  vedesi  intro- 
dotto r  00  di  questa  stessa  forma.  Il  signor  Franz  ha 
scritto  che  queste  lettere  sian  passale  nell'alfabeto  <pia- 
drato  ex scriplura cursivae simili  {E\om.  Epigr.  Graec. 
p.  232),  e  ne  ha  citati  gli  esempii  più  antichi  dai  pa- 
piri, e  dai  monumenti  di  Egitto,  Nei  papiri  di  Erco- 
lano  vedesi  il  C  e  €  lunati  col  piccolo  00.  Se  facesse 
ancora  uopo  alcun  argomento  per  provar  spuria  l'è» 
pigrafe  di  Ercolano ,  di  cui  si  tenne  tanto  conto  dai 
letterati  e  per  tanto  tenq)o ,  dovrebbe  esser  queslo , 
che  si  ricava  dai  graffili  in  greca  lingua,  che  ci  assi- 
curano del  vero  alfabelo  usato  in  queste  città  greche 


servato,  e  procede  dall' A  al  A  (tav.  VllLn.8).  Altri     nei  primi  tempi  dell'impero, 


—  8i  - 


Nella  opposta  parete,  oKre  due  graffiti  rapprcsen- 
lanli  un  cavallo  ed  una  protome  giovanile,  leggevasi 
ripetuto  (tav.VIH.n.9)  DADOMENEIS,  (tav.VIU.n. 
10)  DADOMENES  CV,  poi  (tav  VllI.n.1 1)  MNCTOC 
mancante  della  €,  e  gl'inconiinciamenli  di  parole  ((av. 
VIlI.n.l2)  AIA,  (tav.VIU.n.  13)  CPMI,  ft.VIII.n.U) 
KHP  H,  (tav.  Vili.  n.  15)  APRA,  (tav. VIII.  n.  16) 
NAYR  ,  e  quattro  lettere  del  greco  alfabeto  disposte 
in  due  righe  che  vanno  da  destra  a  sinistra  tuttocchè 
ivo  Ite  a  destra  (  tav.  Vili.  n.  17.  )  B  A.  In  tutte 
(lueste  leggende  scoprcsi  un  misto  di  alfabeti  greco  e 
latino,  lo  che  trova  altri  esempii  nelle  iscrizioni  delle 
case  pompeiane.  11  nome  Diulomeneis  o  Dadomencs 
sembra  equivalere  ad  una  forma  di  greco  genitivo,  es- 
sendo anche  altrove  TEI  adoperato  per  E  siccome 
nella  voce  AL///XSander  AMPlTlElATRum.  Chi  ne 
cerca  la  ragione ,  la  dimandi  a  Prisciano  che  scrive  : 
Sunt  affines  E  coirepta  sice producla  cum  EI diphthon- 
go ,  qua  veleres  Ialini  ulebanlur  ubique  loco  I  longae. 
Dadomenes  adunque  cognome  grecanico,  avendo  la  sua 
radice  in  c)ac)o'v,  confermerebbe  l'uso  di  trascurare  il 
lr7)r%  muto  nello  scrivere  e  nella  pronunzia  passata 
dai  Greci  ai  Latini,  i  quali  ritennero  dai  primi  così  il 
Dadumemis  come  il  Dadurlius.  È  una  singolarità  la 
desinenza  della  seconda  in  ES,  né,  per  quanto  so,  altro 
esempio  più  antico  se  ne  era  citato  finora  ,  se  non  1' 
ABELES,  e  neppur  sicuro  si,  che  altri  non  vi  sospet- 
tasse un  genitivo  della  terza  (Bull.  Inst.  1844,  p.  IG.3). 
E  poi  chiaramente  della  seconda  CO.MPSES  di  una 
lapida  chiusina  (Bull.  Inst.  1833,  p.49),  ma  più  con- 
cludente al  nostro  proposito  l'ARMATVRIIS  di  pom- 
peiano graffito,  nel  quale  non  vedi  un  nome  greco,  che 
ritiene  la  nativa  desinenza  nel  latino  ,  ma  un  nome 
puramente  latino,  che  veste  desinenza  greca.  Laqual 
forma  di  genitivo  erasi  così  propagata,  che  l' S  vedesì 
aggiunto  ancora  ai  nomi  latinamente  terminati  in  AE, 
come  in  MIWAES  di  epigrafe  ben  antica,  appartenen- 
do al  741  (Orelli,  2SG3j,  ed  ai  medesimi  tempi  au- 
gustei  in  OCREAES  del  Chircheriano  ,  in  AEQVf- 
TIAES,  in  CORNEEIAES,  in  COMIXIAES,  in  IV- 
LIAES  di  lapidi,  o  grafliti;  o  bolli  pompeiani,  e  così 
in  una  Chircheriana  1' una  e  l'altra  desinenza  si  con- 
giunge nei  nomi  di  Alia  Sinda,  /««oni/ SINDIIS  .\.- 
IIAIIS  /  SYMIiSTOR  /  CIIL.VTOK. 


Ammessa  una  volta  la  desinenza  ES  al  genitivo,  fu  « 
agevole  passare  ad  una  sua  modifica  in  EIS,  e  scrivere 
U.VDOMENEIS:  perché  finnlmonle,  come  da  un  no- 
minativo in  A  si  deriva  il  genitivo  in  AI  (AE),  così 
(/a  un  nominativo  in  E  può  derivarsi  un  genitivo  in 
EI.  Ma  di  ciò  ho  detto  altrove,  ed  attendo  di  sentire 
ciò  che  ad  altri  ne  parrà ,  siccome  di  ci^,  che  scrissi 
intorno  al  POMONIS  della  lapida  salernitana  di  Tet- 
lieno  Felice,  opinando,  che  tal  voce  non  sia  un  plu- 
rale indicante  secondo  alcuni  le  dee  Pomone,  che  non 
leggonsi  in  verun  altro  antico  monumento  o  scrittore, 
secondo  altri  i  Festoni  significato  ,  che  manca  egual- 
mente di  confronto,  oltre  al  ripugnare  all'intelligenza 
della  epigrafe,  e  ciò  che  è  gravissimo  ,  alla  legge  te- 
stamentaria del  legato,  nel  quale  Teltieno  determinava 
l'uso  del  denaro  al  podio,  ai  pavimenti  di  marmo,  all' 
intonaco ,  ed  al  fastigio  doralo.  Invece  credo  che  sia 
messo  in  luogo  di  POMONES  (  PO.MONEIS)  greca- 
mente appunto  come  Dadomenes ,  DMlomeneiì,-. 

Seguivano  sulla  parete  (tav.VIU.n.  18)  CALANI- 
KIIX,  (tav.VIU.n.  19)  IIIOC  NIIVOS  ,  (lav.VIII.n. 
20)  CAIIIVS,  (tav.  Vili.  n.  21)  AIOC.  Dal  Cala- 
ytxry  (1)  in  luogo  di  KxWiviar^v  intendesi  qual  fosse 
la  corruzione  del  greco  linguaggio  nelle  terre  degli 
Osci  (  cf.  r  Anonim.  delle  Ephem.  Claudii  Thusci  : 
'OTTix^y  !P'xt]y  ovo|txxT6r|>*i  vore ,  s'i  rj?  x%t  oTrixi^uv , 
X'x]  Mi  tÒ  ttXt.OoS  ò^pixi^iiv,  ri  fiixp^xpt^uv  ol  'Irx- 
Xc/  X/ys^Tiv.  Perciò  un  cattivo  scrittore  in  greca  lin- 
gua chiamavasi  Opico.  Epistolam  mairi  luae  scripsi , 
quae  mea  impudenlia  est,  graece,  scrive  a  M.  Aurelio 
Cornelio  Frontone  ,  tu  prior  lege,  et  si  quis  insil  bar- 
barismus.. corrige. ..nolo  enim  me  mater  tua  ut  opictim 
condemnel  (Fronto  ad  M.  Aurei.  L.  II.  1):  e  M.Au- 
relio a  lui  sugU  stessi  sensi,  ^jrraeca/iierafuraaòsum; 
igilur  parce  me  opicum  animanlem  ad  graecam  scri- 
ptuinm  pcrpukrunt  homines,ul  Caecilius  ail,  incolumi 
inscientia  (op.  cit.  ep.  9).  I  due  nomi  IIIOC  MIVOS 
appartengono  ad  un  solo ,  siccome  si  argomenta  dall' 
essere  slati  scritti  unitamente,  lo  che  non  si  \ede ne- 
gli altri  nomi  che  stanno  da  se.  Di  "Hi'ob,  se  deve  cre- 
dersi nome  di  famigha,  ha  raccolti  gli  esenqn  il  th. 
sig.  .Minervini.e'l  sig.  ab.  Cavedoni  (Bull.  Napol.lV. 

(lì  Negli  specchi  flijlc  tombe  elrusche.  Ercole  è  comunemente 
appollaio  CALA.M(.E. 


—  83  — 


■  p.Sl.V.  p.Gfl),  ai  quali  aggimifjo  nn  C- ITEIVSPRl- 
I\1VS  trovato  in  Porlogallo  dui Miiiilor (Ordii  ;i0'i7). 
In  Pompei  sarcbbo  nuovo,  perocciiè  CNIIKIVMSA- 
BINVM  proviene  da  una  fiilsa  lezione  ,  essendo  ivi 
siecome  in  tredici  e  più  pro^^raninii  ,  coiiia'i  da  me 
dalle  pareli  pompeiane,  roslanleniente  C\  HtlLVIVM 
SABIW.M.  Il  Oiiarini  ne  ha  già  correKo  lo  sl)a;ilio 
nei  suoi  Fasli  duumvirali  a  p.  120.  Taluni  hanno  di- 
chiarato osco  il  nome  ElVS  ,  ma  gli  esempi  allegali 
sono  in  greca  lingua,  e  si  sa  che  ad  Apollo  saetlalore 
diessi  l'epilelo  y'iio;,  che  l'climologico  inlerprela  ro^u- 
Tr^s ,  rrJijiX'ii ,  ovvero  sTraivos  (  Etymol.  RI.  v.  oìiyos). 
11  NHVOS  parmi  invece  corrisponda  al  Ialino  NAE- 
VVS,  ed  essere  cognome  di  Eiìis.  Dopo  quesle  parole 
leggevasi  a  desira  CAIIIVS  ,  parmi  CAEIVS  e(]ui- 
valente  a  CEIVS  nel  dialetto  pompeiano,  secondo  ciò, 
che  ho  di  sopra  osservalo.  AlOC  può  credersi  greco 
"Aibs ,  e  non  allrimenii  che  Eiuì  nome  anche  di  fa- 
miglia ,  che  scrivesi  lalvolla  con  aspirata  AlIIA  ;  e 
ne  ho  dali  gli  esempi  nelle  iscrizioni  d' Isernia. 

Sulla  parete  della  stanza ,  che  intromette  a  quest' 
ultima  escavazione,  ed  appartiene  alla  casa  medesima 
erano  già  da  più  anni  altre  leggende  ,  che  io  qui  sog- 
giungo, perchè  valgono  a  farci  intendere  meglio  da 
quali  padroni,  e  di  che  ci  vii  coltura,  fosse  abilala.  Que- 
ste osservazioni  mulliplicate  possono  (e  chi  ne  dubila?) 
giovare  mirabilmente  a  risolvere  quislioni  più  inlri- 
cate  di  einografla,  che  rilevano  assai  più  degli  studii 
paleografici  ,  e  lapidarii. 

Nella  prima  leggenda  (tav.VIII.n.22)  troviamo  il 
primo  esempio  di  un  greco  latinizzante;  lo  che  ci  viene 
mollo  bene  a  proposilo  per  rilevare  che  un  greco 
nato  vi  abilava.  ETrspacrros,  siccome  A'bnjus(lav.VIlI 
n.23),  Clumenus  (lav.Vni.n.2'i-),  ed  \ix7nori-i\  (tav. 
VIII  n.25)  sono  nomi  proprii.  Ad  un  K^os  (t.  Vin.n.2C) 
in  dialetto  Knii,  onde  il  vocativo  Kòi  e  per  iotacismo 
K/>:(,  mandasi  un  imprecazione  in  due  lingue  e  in  due 
alfabe'.i  K(v=i  to^X;  ni.  11  ropXòì  è  messo  per  Ti/?XÒ^ , 
appunto  come  Dadomme  per  Dadmnene.  Due  altre 
parole  leggonsi  di  poi  lasciale  mozze  7rpyxr,^|/  (tav. 
VIII.n.27),  ed  Vndccumus,  (lav,VllI.n.28),  ed  è  no- 
tabile r  arcaismo  coskialemente  osservato  in  questa 
cnsa  in  SepUunas,  Dccumus ,  Clumenm,  ed  Undecu- 


HMC!,  siccome  il  mancar  della  N  in  Kx'>.-Ì'x.?.  L'uso 
del  V  arcaico  nelle  voci  venule  dui  greco  è  assai  raro 
in  Pompei,  ove  horaccollounaC/t/Hiciir,  un  .ì/«i;ìiìuj, 
un  Polucarpus,  un  Surus.  L'  ultima  leggenda  in  mal 
formalo  corsivo  pare  debba  inlerprelarsi /i/iyims.lius 
(  (av.  Vili.  nnm.  29.),  e  se  è  da  riferirsi  al  ciclo 
eroico,  accenna  ad  .\iace  Oileo,  del  (piale  i  poeti  par- 
lano nel  senso  medesimo.  Virgilio  nomina  Noxani 
Aiacia  Oiìei  (Aen.  I.  41),  ed  Orazio  ricorila  Tmpiam 
Aiacis  ralcm  (  E|).  I,  od.  10),  che  essendo  detto  fi- 
guralamenle  (|)er  Ilvpallage)  in  luogo  di  Fmini  Aia- 
cis  ralem,  ci  mostra  la  erudizione  del  giovinetto  pom- 
peiano che  lo  sciisse.  Delle  migliori  poesie  Ialine  di 
Virgilio,  di  Ovidio,  di  Properzio  si  eran  trovali  finora 
alcuni  esempii ,  alili  ne  ho  raccolto  ancor  io,  e  son 
folli  dalla  Eneide  e  dalla  Bucolica.  Sopra  di  un  peso 
m  pietra  Irovossi  scolpito  PO.\-XX  ,  e  quesla  ortc- 
grafia  non  ha  volgari  esempli  in  Pompei,  siccome  co- 
munemente si  oj)iua,  perocché  mi  sono  occorsi  sinora 
ATIACRITA,  che  sembra  scritto  per  Adiacrita,  e  CA- 
UlIDV^M  che  sta  per  Cliarilum. 

Garrucci. 


Taso  della  collezione  Jalla  in  Ravo;  spiegazione  di-lln 
tav.  IV  del  iJ.  anno  del  bullellino. 

Noi  gi<à  nel  primo  anno  di  queslo  bulieilioo  (  tav. 
X)  pubblicammo  un  bellissimo  vaso  nolano,  rappre- 
sentante la  pugna  di  Ercole  colle  Amazzoni  ,  con  al- 
cune particolarilà,  che  richiamavano  l' attenzione  de- 
fili archeologi.  Non  meno  inleressante  riesce  il  vaso, 
che  abbiamo  dato  nella  tav.  IV  di  queslo  secondo  anno, 
abbenchè  di  epoca  più  recente,  e  di  fabbrica  a[)pula. 
Appartiene  esso  alla  insigne  raccolta  de' signori  Jat'.a 
di  Ruvo,  la  quale  tuttavia  si  conserva  intatta  a  decoro 
di  quella  famiglia,  e  di  quella  celebre  regione  che  dio 
fuori  tanti  preziosi  monumenti ,  i  quali  bastano  a  co- 
stituire un  ricchissimo  museo. 

Ci  riserbiamo  di  entrare  in  più  minuta  discussione 
sul  bellissimo  monumento  ,  di  che  stiamo  ragionan- 
do ,  allorché  sarà  da  noi  pubblicala  la  uostra  mono- 


—  86  — 


grafìa  sopra  Ercole  e  le  Amazzoni ,  della  quale  spe- 
riam  di  compir  la  lettura  nel  vegnente  anno  alla  reale 
Accademia  Ercolanese.  Ora  ci  contenteremo  di  darne 
una  brevissima  dichiarazione. 

Non  ci  sembra  da  dubitare  che  i  due  ordini  di  fi- 
gure appartengono  ad  una  medesima  composizione  , 
la  (in.nle  presenta  cinque  distinti  gruppi  di  combatten- 
ti. Nell'ordine  superiore  vedesi  Ercole  ,.  il  quale  in- 
nalza la  nodosa  clava,  per  abbattere  sotto  i  suoi  colpi 
la  regina  delle  Amazzoni  Ippolita;  mentre  nel  medesi- 
mo ordmc,  e  nell'inferiore,  quattro  degli  eroi,  che  lo 
accompagnarono  a  quella  spedizione ,  veggonsi  alle 
prese  con  altre  guerriere  donzelle.  A  noi  sembra  si- 
curo che  sia  rappresentala  la  pugna  avvenuta  al  Ter- 
modonte ,  quando  Alcide  ivi  recossi  per  ottenere  il 
cinto  da  Ippolita  ,  siccome  eragli  stato  commesso  da 
Eurisleo.  Le  diverse  tradizioni  parlano  di  molti  com- 
pagni di  Alcide  :  esse  ricordano  Jolao  ,  Teseo  ,  Tela-  I 
mone,  Autolieo,  Slenelo,  Peleo,  ed ;incbe toltigli  Ar- 
gonauti :  è  a  queste  narrazioni  che  si  riferisce  la  pit- 
tura del  nostro  vaso  di  Ruvo. 

Nella  prima  parte  di  quella  nostra  monografia,  noi 
distinguemmo  le  tradizioni  che  parlano  della  morte 
d' Ippolita  da  quelle  altre  che  non  fanno  morire  la  re- 
gina delle  Amazzoni ,  le  quali  forse  prendono  origine 
da' versi  del  poeta  Agia  di  Trezcne,  che  rivestì  di  pa- 
tetiche circostanze  l'Amazzonica  spedizione  di  Alcide. 

Queste  due  classi  di  tradizioni  trovano  il  loro  con- 
fronto ne'  monumenti  :  e  nel  nostro  è  tale  l' accani- 
mento di  Alcide  nel  percuotere  colla  tremenda  sua 
clava  ,  che  non  sembra  da  dubitare  esser  la  sua  infe- 
lice nemica  prossima  a  cadere  estinta  a'piedi  del  vin- 
citore. Sarebbe  forse  una  troppo  minuziosa  ricerca  , 
ove  indagar  si  volessero  i  varii  greci  eroi  che  nel  vaso 
di  Ruvo  costituiscono  l'armata  di  Alcide.  Nondimeno, 
ricordando  una  osservazione  da  noi  f;itta  ,  cioè  the 
quando  si  parla  della  morte  d' Ippolita ,  si  dice  pur 
Meianippe  uccisa  da  Telamone  (Schol.  Pind.  adA^eni. 
od.  IH.  p.  274,  Tzetz.  ad  Lycophr.  1327-1329),  po- 
tremmo probabilmente  supporre  che  il  gruppo  più 
prossimo  ad  Alcide  sia  appunto  quello  di  Melanip- 
pe  e  di  Telamone.  É  ben  conveniente  che  vcggasi  Me- 
liinippe  combattere  dal  cavallo  ;  ed  è  parimenti  se- 


condo le  idee  dell'  antichità  che  Telamone  sia  più  vi- 
cino ad  Alcide  ,  come  quello  che  non  distaccossi  dal 
fianco  del  figlio  di  Giove  anche  nella  spedizione  di 
Troja ,  come  si  raccoglie  dal  notissimo  luogo  di  Pin- 
daro (Nein.  III,  61-63  ).  Ed  a  questo  proposito  mi 
piace  di  osservare  che  non  ha  nessun  dato  di  certezza 
la  opinione  secondo  la  quale  fu  conghietturato  chela 
famosa  statua  detta  il  Gladiator  combattente  figuri  Te- 
lamone, che  combatte  con  Melanippe.  Che  sia  un  guer- 
riero a  piedi,  che  combatte  con  altro  a  cavallo,  sem- 
bra probabilissimo ,  come  han  pensalo  dopo  l' Heyne 
[Sawmlung  antiquar.  Aufsàize  II  p.  229  e  s.),  molli 
altri  archeologi  ,  i  quali  veggonsi  citati  dal  Millin 
[mon.  inéd.  p.  371  e  s.).  Sembra  anche  probabile  che 
fosse  di  un'Amazzone  la  figura,  che  star  dovea  a  ca- 
vallo ;  ma  perchè  dire  il  guerriero  Telamone,  e  l'A- 
mazzone Melanippe ,  e  non  piuttosto  Teseo  ed  Ippo- 
ita?  La  quale  idea  dovrebbe  persuadere  anche  più 
dopo  il  confronto  del  vaso  Pourtalès.  Al  che  si  ag- 
giunga che  una  particolare  circostanza  della  spedizio- 
ne di  Ercole  contro  le  Amazzoni  non  si  presta  ad 
una  perfetta  composizione  artistica  :  laddove  il  com- 
battimento di  Teseo  coli' Amazzone  Ippolita  nell'At- 
tica è  un  soggetto  acconciamente  scelto,  e  pienamente 
determinato,  da  supporre  che  siasi  voluto  effigiare  in 
quel  maraviglioso  lavoro.  Sul  gladiator  combattente 
veggasi  pure  il  dottissimo  Welckcr  (  Kunslmus.  zu 
Bonn  p.  35  e  seg.) 

Tornando  al  vaso  de'Signori  Jalta  non  andrò  inve- 
stigando ,  se  al  guerriero  coli' emblema  di  un  astro 
sullo  scudo,  possa  darsi  la  denominazione  di  Teseo, 
eroe  a  cui  non  mancano  solari  rapporti.  E  solo  mi 
piace  di  osservare  che  racconta  .-Apollonio  Rodio  ciie 
Stendo  fu  ferito  da  un  dardo  nelli  pugna  contro  le 
Amazzoni;  il  quale  fu  poi  causa  della  sua  morte  (.4/ji. 
II,  913-916  ).  Ora  il  solo  guerriero,  che  si  vede  nel 
momento  di  esser  saettato,  è  quello  che  scorgesi  nel- 
l'ordine inferiore  pugnar  coll'Amazzone  adorna  di  tu- 
nica stellata.  Sicché  non  sarebbe  fuor  di  proposito  im- 
maginare che  Slenelo  appunto  dovesse  in  quell'eroe 
ravvisarsi.  Del  resto  l'Amazzone  saettatrice  è  frequente 
altresì  nelle  rappresentazioni  della  pugna  di  Teseo  con- 
tro Ippolita  nell'Attica,  e  noi  già  dimostrammo  avere 


—  87  — 


in  quelle  scene  una  diffcrenle  significazione;  giacché  ci 
parve  di  riconoscervi  la  sacltalrice  Molpadia  :  e  non 
crediamo  dover  qui  riferire  le  ragioni  che  a  questa 
conclusione  ci  condussero  (vedi  il  hiUcU.  ardi,  napo- 
litano del  cav.  Avellino  an.  I  p.  70  e  seg.  ).  Voglia- 
mo ancora  notare  che  la  figura  dell'Amazzone  saet- 
tante, nel  vaso  di  che  stiamo  favellando,  è  mollo  si- 
mile per  Io  sforzo  della  sua  posizione  all'  Amazzone 
AEINOMAXII  del  vaso  illustrato  dal  Visconti,  sulla 
quale  son  da  leggere  i  dodi  confronti  citali  da  quello 
insigne  archeologo  (vedi  Panofka  ca?>.  Pourlal.  p.  12). 
Senza  dar  molto  peso  alle  nostre  conghietlure  sulla 
determinazione  di  alcune  delle  figure  messe  in  com- 
posizione nel  vasculario  dipinto  di  Ruvo,  mi  piace  di 
osservare  che  l'Amazzone  a  cavallo  suonando  la  trom- 
ba [luba  dircela)  vale  a  dinotar  l'incitamento  alla  bat- 
taglia solito  a  darsi  col  suono  di  quel  rimbombante 
islrumento.  E  ben  conosciuto  clie  in  somiglianti  sce- 
ne di  contese  e  di  pugne  è  frequente  osservare  lu  me- 
desima particolarità,  e  noi  avemmo  l'occasione  di  farne 
l'avvertenza  in  questo  stesso  bulletlino  [Y .  sopra  la 
pag.  42). 

Non  entrerò  a  discorrere  particolarmente  delle  va- 
rie parti  dello  scitico  costume  delle  Amazzoni. 

Già  lo  slesso  Visconti  ne  parlò  dollamcnte  nella 
citata  dissertazione  fcah.  Pourlal.  p.lO,  11),  dopo  le 
osservazioni  del  Boetliger  [Vasenycmàld.  Ili  p.  173 
segg.):  altre  osservazioni  pur  lesse  alla  reale  Accade- 
mia Ercolanese  il  eh.  Sig.  Comm.  Quaranta  ,  ed  ora 
ne  ha  pur  ragionato  di  nuovo  il  eh.  Sig.  cav.  Schulz 
illustrando  il  magnifico  vaso  delie  Amazzoni  del  real 
museo  Borbonico  da  lui  splendidamente  pubblicato 
a  colori  (die  Amazonen-Vase  von  Ruvo,  pag.  o  e  6 
Leipzig  1851  ).  Soltanto  non  possiamo  rilcuerci  dal 
fare  qualche  breve  considerazione  su'  differenti  em- 
blemi che  fregiano  le  amazzoniche  pclte.  Nell'ordine 
inferiore  l' Amazzone,  che  ha  la  tunica  stellala  ,  pre- 
senta il  lunato  scudo  adorno  di  un  leone  in  contesa 
con  un  cinghiale,  ed  intorno  dodici  stelle.  Senza  met- 
ter da  parte  1'  astronomico  significalo  di  questi  orna- 
menti, che  ci  sembra  evidente  anche  nell'antagonismo 
del  lione  ,  solare  animale  ,  col  cinghiale  simbolo  in- 
vernale (We'cker  negli  eiunali  dell' hi. ìSii  p.222); 


è  chiaro  che  quella  contesa  faccia  allusione  general- 
mente alle  feroci  battaglie,  allequah  prendevano  parte 
le  guerriere  del  Termodonte.  Probabilmente  lo  stesso 
simbolico  gruppo  vedesi  pure  sulla  pelta  dell'Amaz- 
zone ,  che  pugna  con  Ercole  nell'  ordine  superiore  , 
sebbene  il  cinghiale  non  apparisca  nascosto  dal  braccio 
d'Ippolita:  ma  quel  eh' è  più  singolare  è  il  vedere  sul 
medesimo  scudo  i  due  galli,  che  tra  loro  si  azzuffano. 
È  ben  conosciuto  che  da  tempi  remoti  si  facevano 
presso  i  popoli  greci  queste  gare  di  galli;  or  privata- 
mente, ed  or  pubblicamente.  Così  furono  istiluite  pub- 
bliche zuffe  di  galli  in  Atene  ed  in  Pergamo;  cosi  pure 
in  Roma  in  tempi  posteriori.  Noi  non  ci  arrestiamo  a 
citare  le  classiche  autorità  su  questo  particolare  ;  per- 
ciocché sono  stale  tulle  acconciamente  raccolte  da  al- 
tri, e  segnatamente  dal  eh.  Sig.  Roulez  (Milanges  de 
jìhilolog.,  d'iùsloire  el  d'antiqu.  fase.  IH,  1).  Lo  stesso 
scrittore  va  ricordando  varii  monumenti  che  ci  pre- 
sentano un  combattimento  di  galli:  t;«li  sono  il  bellis- 
simo musaico  scoverto  nella  casa  così  detta  del  Fauno 
in  Pom\ìCìfl)ullcll.  deU'isl.  1836  p.  8)  (1);  un  basso- 
rilievo sepolcrale  del  Louvre  (Visconti  e  Clarac  descr. 
des  ant.  du  mus.  roy.  p.  107  n.  392);  le  medaglie  di 
Dardamis  (Mionnet  dcscr.  voi. II  p.654),  e  di  Ophry- 
nium  (Id.  sup.  vol.V.  p..^J78);  varie  pietre  incise  della 
reale  collezione  di  Berlino  (Tòlken  Gcmmemammlunij 
p.3o2,  n.82,  83;  p.4I8  u.233,230,  237);  un  va.o 
dipinto  del  museo  imperiale  di  Vienna  (Miiller/fant?- 
buch  §.  423  n.  3  p.  742  ed.  Welcker);  diverse  pa- 
tere volcenli  (Gerhard  rtJìKa/.  dell' tal.  1831  p.  l.'>8 
n.  482;  Berìins  ani.  Bildw.  1,  p.  197  n.  023;;fralle 
quali  una  da  lui  stesso  osservala  (2),  e  principalmente 
un'altra  di  cui  fa  la  pubblicazione.  Un  ultimo  interes- 
sante lavoro  sul  combattimento  de'galli  flluhncnhiim- 
pfcj  devesi  al  mio  dottissimo  amico  signor  professore 
Jahn,  il  quale  presenta  pregevoli  osservazioni  su  que- 
sta classe  di  monumenti ,  aumenlandone  ancora  la  e- 
numerazione  fAirltànl.  licilrayc  p.  '137  e  se^;.  '.  Non 
trovo  però  dagli  altri  archeologi  rammiritato  il  bel 
musaico  della  collezione  Santangelo,  il  quale  è  ceita- 

(1)  Ora  pubblicale  dal  Ziihn  Wand.   11,  50. 

(2)  È  noi  museo  Gregoriano  11,  5,   I .  La  descrizione  del  Roulez 
ni  rila  di  essere  rellilicala;  vedi  Jabn  arch   BcUrage  p  U\  noi.  i7. 


—  88  — 


mente  un  pezzo  assai  nolevole  per  arte ,  e  che  ci  pro- 
poniamo quando  che  sia  di  pubblicare. 

Ora  il  nostro  vaso  di  Ruvo  viene  ad  accrescere  il 
numero  de'monumenti  che  ritraggono  pugne  di  galli; 
se  non  che  si  dimostra  la  rappresentazione  la  più  in- 
teressante finora  comparsa,  perchè  fregia  un  militare 
ornamento  di  una  pugna  appartenente  a  tempi  eroici; 
laddove  tutti  gli  altri  monumenti  finora  conosciuti 
alludono  sempre  a  soggetti  della  vita  comune  ,  o  a 
funebre  significato.  Nel  nostro  vaso  la  pugna  de'  galli 
sopra  un  militare  arnese  può  accennare  al  fervore 
delle  battaglie  ;  e  poiché  i  simboli  degli  scudi  espri- 
mono frequentemente  qualche  particolare  idea  o  al- 
lusione, non  potendo  questa  altrimenti  spiegarsi,  vie- 
ne ad  esser  confermato  quel  che  da  altri  archeologi 
fu  sostenuto ,  che  la  presenza  de'  galli  potesse  accen- 
nare allepalestrichegare(Gerhardanna/.  dell' ht. \83l 
p.l58  n.  482,  Braun  annal  cil.  1840  p.  170).  Non 
voglio  intanto  tralasciare  di  fare  un'altra  avvertenza  ; 
ed  è  che  il  gallo  è  attributo  di  Marte  "Apio,  vìottÓs 
(Aristoph.  Av.  v.834  seg.  cf.  ivi  lo  Scoliaste ,  e  Lu- 
ciano Somn.  seu  Gallus  e.  3);  sicché  in  simile  allusio- 
ne può  esser  considerato  come  emblema  di  uno  scudo; 
e  forse  ancora  in  particolare  relazione  con  l'Amaz- 
zone Ippolita,  la  quale  per  tutte  le  tradizioni  era  ri- 
putala figliuola  dello  stesso  Marte.  Di  altre  osserva- 
zioni ,  alle  quali  può  dar  luogo  la  nostra  vascularia 
pittura,  ci  riserbiamo  di  dire  altrove  più  estesamente. 

MjNERVlJil. 


hcrizioni  latine. 

Il  signor  Nicrola  Falcone  ci  forni  le  copie  di  alcu- 
ne beri/ioni  da  lui  medesimo  osservale  in  CaUio  Ma- 
gno, tenimeato  di  5.  Bartolomeo  in  Caldo,  provincia 
di  Capitanala;  e  poiché  ci  permise  gentilmente  di  farne 
la  pubblicazione  (1),  non  sarà  discaro  il  vederle  in 

I;  Il  signor  Falcone  publilicherà  di  nuovo  queste  Ire  iscrizioni 
ni'lla  sua  niosogialia  di  S.  liarlolonieo  in  Caldo,  che  formerà  pailu 
jlr-l  lìeijno  delle  Due  Sicilie  descritto  ed  illustrato;  alla  quale 
rai.'rolla  Ila  giii  roniilo  altri  suoi  lavori. 


questi  fogU.  La  prima  è  molto  corrosa,  e  fatte  alcune 
lievi  correzioni  alla  lezione  del  sig.  Falcone,  dice  cosi: 
1. 
D  •  M  • 
AMMIAE  •  PRI  • 
MIGENIAE  •     •  F 
ILIAE  •  [vis.]  AN 
XXXV  •  MENS  •  X 
AMMIA  •  SABINA 
[mater?]  B-  M-  F 
Se  dopo  il  nome  di  Primigenia  supponiamo  esi- 
stesse già  il  prenome  del  padre,  resterebbe  dubbioso 
se  nell'ultima  linea  fosse  in  origine  mater,  ovvero  ma~ 
tri.  Io  inclino  a  ritenere  nel  modo  da  me  supplito. 
2. 
D  •  M 
C  •  BAEBIO 

AVTILLO 
C  •  BAEBIVS 
APER  •  PAT 
RI-  PIENTIS 
SIMO  B  •  M  • 
F 
Questa  iscrizione  fu  pubblicata  dal  Garrucci  [Li- 
guri Bebiani  p.  42),  e  riprodotta  dal  Mommsen  (/«- 
sor,  r.  neap.  lai.  n.  5819).  È  notevole  che  nella  co- 
pia del  Garrucci  ,  seguita  dal  Mommsen  ,   osservasi 
una  divisione  alquanto  diversa  delle  righe.  È  pur  da 
avvertire  essere  un  manifesto  equivoco  nella  ubica- 
zione a  Castro  Maggio  prope  Aquilam. 

Non  so  poi  quanto  si  deggia  approvare  la  conghiet- 
tura  dello  stesso  eh.  Mommsen  ,  che  vorrebbe  cor- 
reggere in  RVFILLO  la  voce  AVTILLO. 
3. 
M  •  VILLIVS 
M-  F-  VEL 
SPERATVS 
OB  •  IIONOR 

0      •      Q 
L  •  D     D    D 

Sembra  inedita  questa  ,  che  dicesi  perfettamente 
conservata;  ed  è  de' buoni  tempi.  Interessante  ci  sem- 
bra la  menzione  della  quinquennalità  di  questo  M. 
Villio,  per  la  quale  fu  fatto  degno  di  ottenere  il  luo- 
go della  sua  sepoltura  per  decreto  de' decurioni:  cosa 
non  insolita  pe' magistrali  municipali.        Minehvini* 


GiLuio  Mi>ERviM  —  Editore. 


Tiflografia  di  Givsuppk  Catàumo. 


DllLETTIM  ARCHI OLOfiSCO  iVVrOLlTAXO. 

NUOVA    SERIE 
iV.»  36.     (12.  deiranno  II.)  Dicembre   18.VJ. 


Osservazioni  del  eh.  ab.  D.  Celestino  Cavedani  al  I.  anno  del  presente  hulleltino.  —  Notizia  di  una  tavoletta 
calrolatoria  romana. — Giunta  all'  articolo  precedente. — Iscrizioni  latine.  Continuazione  del  n.  precedente. 


Osservazioni  del  eh.  ab.  D.  Celestino  Cavcdoni 
al  y.  anno  del  presente  bidlettino. 

Scavi  di  Pompei.  L'Amore  con  lira(p.  26) trova 
il  suo  risooniro  anche  ne'  denarii  di  L.  lulio  Cesare 
(v.  il  mio  Saijfiio  p.  Mìo,  e  V Appendice  p.  1I2).  Si- 
milmente la  Ninfa  seminuda  lencnleconamI)e  le  ma- 
ni un  cratere  di  fonte  si  scambia  luce  confronlata  eoa 
simile  figura  ricorrente  in  molle  monete  di  Samo  (v. 
Spicil.  num.  p.  181),  ove  probabilmente  vuoisi  ri- 
couo  cere  Leucoiheae  fons  (  Plin.\.'ò7:cf.  Lobcck  A- 
ylaoph.  p.  1 186).  —  Il  Trilone  con  piccole  corna  sul  ca- 
po, e  con  due  antcriuii  branche  non  dissimili  da  quelle 
dell'  astacus  (p.  28),  dà  luce  al  tipo  di  una  medaglia 
di  Adriano  con  l' epigrafe  P  •  M  •  TU  •  P  •  COS  •  III 
allorno  ad  una  figura  virile  barbata  seminuda  adagia- 
ta, tenente  nella  d.  un'  ancora,  per  lo  più  riversa,  e 
che  con  la  s.  sorreggesi  il  capo  appoggiando  il  gomi- 
to ad  un  delfino  capovolto.  L' Eckhel  (  Calai.  Mus. 
Caes.  n.  439)  vi  ravvisa  un  Fiume  per  ragion  delle 
corna;  ma  quelle  che  parvero  a  lui  co/oa,  in  un  esem- 
plare che  ho  solt'  occhio,  sono  manifestamente  due 
chele  0  sia  granceole  di  paguro  ;  onde  parmi  senza 
meno  imagine  dell'Oceano  (cf.  Viscon:i  Op.  var.  P. 
II.  p.  344.  Etkhel  Sijllo(je  lah.W.  o).— La  bianca  lu- 
na crescente,  con  bianco  astro  nel  mezzo,  sovrastante 
al  eapo  di  Diana  che  si  accosta  al  dormente  Endimio- 
ne  (p.  34),  mostra  ad  evidenza,  che  la  luna  con  astro 
nel  mezzo,  che  ne' denarii  di  L.  Fiturio  Sabino  so- 
vrasta al  capo  della  \  ergine  Tarpeia ,  indica  l' ora  not- 
turna (e.  saggio  p.  \SV),  e  non  già  il  sole  e  la  luna, 
come  parve  all'  Eckhel.  Il  rhabdos  del  dijiinlo  Pom- 
peiano, posto  in  mano  della  dea,  ha  il  suo  riscontro 

ANNO    II. 


nella  verga,  colla  quale  la  Notte  od  altra  ministra  di 
Diana  slessa  sta  per  destare  il  dormienle  Siila  in-l  ra- 
rissimo denario  di  L.  Emilio  Buca. -Notevole  mi  par- 
ve la  particolarità  degli  anelli  ad  ornamento  delie-orec- 
chie di  Paride  o  Ganimede  che  sia  (p.  89),  si  in  riguar- 
do alla  statua  di  Achille  oruato  di  orecchini  in  Sigeo 
della  Troade  (Servius  ad  Aen.  I.  34.  Terlullian.  de 
pali.  4.),  come  perchè  nella  ricca  serie  delle  monete 
di  fiimiglie  Romane  non  trovo  altro  esempio  d'orec- 
chini a  foggia  di  anelli  ornati  di  peri  e  o  gemme,  se  non 
che  in  un  denario  di  M.  Plelorio  Cestiano. 

Programmi  Pompeiani.  Nel  programma  della  pu- 
gna gladiatoria  di  Gneo  Mgidio  Maio  (p.  1 16)  prefe- 
rirei di  leggere:  PRO  SALVIE  Tibcrii  CAESARIS 
AVGV.*»?'/.  Liberorurnque  eius  et  ob  DEDICATIO- 
NEM  ARAE  fLEMEMIAE.  Per  ima  parte  consta 
come  Tiberio  in  sul  principio  del  suo  impero  alTellava 
singolare  clemenza,  e  ne  fanno  fede  anche  lo  copiose 
monete  col  clipeo  e  l' imagine  della  Clemenza  dedica- 
tagli dal  Senato  (Eckhel  T.\'I.  p. {81:  cf.  Annali  arch. 
T.  XXIII,  p.  226);  e  d'  altra  parte  pare  cosa  troppo 
strana  e  qua-i  incredibile,  che  altri  offrir  potesse  uno 
spettacolo  lutto  insieme  per  la  salute  della  casa  Au- 
gusta e  per  la  dedicazione  dell' ara  della  (Zemenza.  An-. 
cora  vuoisi  osservare ,  che  ,  se  gli  apologisti  di  no- 
stra Santa  Religione  trovato  avessero  qualche  esem- 
pio di  sconcio  e  ridevole  cullo,  non  ne  avrebbero  di 
certo  risparmiato  il  dovuto  rimprovero  a' Gemili.  Del 
resto,  chi  trascrisse  quel  programma  nel  1767.  (pian- 
do i  confronti  erano  lauto  più  scarsi,  potè  prendere 
abbaglio  nel  leggere  AMENTI.\E,  del  pari  che  nel 
LIFF.  AVRV.MQVl  della  linea  precedente.  Gneo\i, 
gidio  Maio  potò  essere  FLAMEN   Ti.  CAESARIS. 

Vi 


—  90  - 


AVGVSTI,  vivente  questo,  del  pari  clieL.  CAELws 
CLE.Mf)ìs  FLAmen  TI.  CAESARIS  ricordato  nelle 
monete  di  Pesto  col  tipo  dell'  apice  Flaminale  (  Ca- 
reilii  lab.CXXXV,  94  cf.  Orelli  n. 3874).— Nel  pro- 
gramma che  chiede  SABINV.VIET.  RVFVM  ED.  RP 
forse  dee  leggersi  (p.  151,  n.  28;  cf.  p.  150,  n.  6) 
Aediles  D.  R.  P.  poiché  ne'  denarii  di  P.  Sulpicio 
Galba  ricorre  si  l'abbreviatura  AE.  CVR  come  l'al- 
tra AED.CVR.— Unome  PASSERATVS(p.l85,  n. 
6),  anzi  che  di  greca  derivazione  ,  può  credersi  po- 
sto per  PASSARATVS,  siccome  PASSARIiWS  per 
PASSERINVS,  oppure  dedotto  da  Passarjae  (  V.  Por- 
cellini s.  l'.) 

Vasi  dipinii  Lo  svolazzante  peplo  di  Oritia  ,  nel 
vaso  ruvese  del  R.  Musco  Borbonico,  che  gonGo  dal 
vento  fa  1'  ufficio  di  vela,  e  che  perciò  confronta  con 
la  pittura  della  rapita  Europa  descritta  da  Achille  Ta- 
zio (L.I,  ci),  nella  quale  vedevasi  la  donzella  MSTtip 
lirrlio  Tuj  'niitXuj  x,fMiJiiyr],  come  bene  avverte  il  dotto 
editore  (p.  3),  confronta  altresì  col  tipo  allusivo  delle 
monete  d' HUllaea,  del  genio  cioè  feminile  della  cillà 
sedente  sopra  una  prora  di  nave,  cui  serve  di  vela  il 
manto  di  lei  gonfiato  dal  vento  (Eckhel  T.II,  p.  325). 
Cotali  figure  ponno  dirsi  veUficantes  vcsie  sua  (  Plin. 
XXXi'I,  4,  17).  Riguardo  all'amo  personificato  in 
monete  diNicopoli  e  di  Filippopoli  (p.  4)  veggasi  an- 
che la  Revue  numitmalHiue  [An.  Vili.  p.  17-25:  cf. 
fJionnet  Suppì.  T.II,  pi.  Ili,  7)  — La  figura  feminile 
posta  alle  spalle  dell'  eroe  attico  Antioco,  denominata 
MYPPINIXKH  (p.  50),  forse  tiene  nella  s.  una  coro- 
na ixvppiYTfi  che  farebbe  spontanea  allusione  al  proprio 
suo  nome(cf.Cavcdoni,  spicil.  num.  p.  158^1. — Le  qua- 
drighe del  Sole  e  della  Luna,  che  insieme  con  l'Au- 
rora sembrano  allontanarsi  nel  momento  della  Gigan- 
tomachia  (p.  143-144),  scambiansi  luce  col  denario 
di  Cn.  Cornelio  Sisenna  rappresentante  Giove  in  (jua- 
driga  veloce  in  atto  di  fulminare  un  Gigante  angui- 
pede,  con  la  testa  del  Sole,  la  Luna  falcata  e  due  stelle 
nell'area  superiore.  Anche  la  particolarità  del  mean- 
dro ad  onda  ,  relativo  al  sorgere  del  Sole  dall'  onde 
marine,  ha  il  suo  riscontro  nel  denario  di  .\.  Manlio 
col  Sole  oriente  in  quadriga  di  prospetto,  che  mostra 
sorgere  dall'onde  del  mare,  e  non  già  fra  nuvole  co- 


me parve  al  eh.  Riccio  (A/a»//a  n.  1-  ) — II  bel  vasel- 
Hno  Nolano  rappresentante  il  suicidio  di  Aiace  Tela- 
monio  [p.  191)  vuoisi  confrontare  con  le  belle  mo- 
nete di  Salamina  aventi  nel  riverso  lo  scudo  di  Aiace 
medesimo,  simile  allo  scudo  beolico,  insieme  col  fa- 
tale suo  gladio  posto  sopr'esso  lo  scudo  o  da  lato  al 
medesimo  [cf.  Bull.  ardi.  1835,  p.  18C-188).  Lo 
scudo  pare  di  forma  beotica  anche  nel  vaso  nolano. — 
Riguardo  all'insigne  vaso  della  collezione  Jatta  ( p. 
153-156,  tav.  VI),  siccome  il  eh.  editore  lascia  mo- 
destamente luogo  ad  altra  dichiarazione,  così  mi  giovi 
proporne  una  diversa  dalla  sua  ,  sottomettendola  al 
discreto  e  benigno  di  lui  giudizio.  Nella  figura  pre- 
cipua del  giovine  ignudo  coronato  di  fronde ,  e  con 
clamide  pendente  dal  s.  braccio,  il  quale  si  appoggia 
colla  d.  a  lunga  e  nodosa  clava,  invece  di  Ercole  dei- 
ficato, parmi  potersi  ravvisare  il  giovine  Teseo,  emulo 
del  valore  e  delle  glorie  di  Ercole  medesimo.  Le  armi 
d'  Ercole  ,  che  veggonsi  giacenti  al  suolo  dinanzi  il 
vigoroso  giovine,  verisimilmente  accennano  alla  irre- 
quieta emulazione  ,  che  le  gloriose  imprese  dell'eroe 
tebano  desiavano  e  mantenevano  nel  fervido  petto  del 
figliuolo  di  Egeo,  nelle  cui  vene  pure  dicevasi  scor- 
rere il  sangue  della  stirpe  d'  Ercole.  Dopo  eh'  egli 
ebbe  ricuperato  il  gladio  paterno ,  incontrandosi  in 
que'  che  avean  conosciuto  di  persona  Ercole ,  e  che 
ne  celebravano  le  imprese,  gli  accadeva  lo  stesso  che 
poscia  avvenne  a  Temistocle.  Siccome  questi  solca 
dire,  che  il  trofeo  di  Milziade  non  lo  lasciava  dormir 
quietamente;  così  Teseo,  ammirando  il  valore  di  Er- 
cole ,  ne  sognava  di  notte  le  geste,  e  fra  giorno  sen- 
tivdsi  trasportato  da  emulazione  di  esso  e  meditava 
simili  imprese  (Plut.  in  Thes.  6,  7:  cf.  Isocral.  En- 
com.  Helcnae:  Diodor.  IV,  59).  La  lunga  e  sottile 
clava  (assai  diversa  da  quella  d' Ercole  giacente  al 
suolo) ,  alla  quale  appoggiasi  Teseo  colla  destra,  sarà 
la  xopvyr\  di  Perifele,  che  egli,  dopo  avere  ucciso  quel 
ladrone,  si  appropriò,  e  che  divenne  suo  distintivo, 
del  pari  che  la  spoglia  del  leone  per  Ercole  (  Plut.  m 
Thes.  8).  Lo  scudo  di  Teseo  vedcsi  insignito  di  simile 
clava  in  un  vaso  dipinto  edito  dal  eh.  Millingen  («ned. 
mon.  I,  19).  I  due  guerrieri,  l'  uno  imberbe  e  l'altro 
barbalo,  stanti  da  lato  a  Teseo,  ponno  indicare  l'è- 


91  — 


serci(o  Aleniese  ,  che  Teseo  medesimo  raccolse ,  ap- 
pena inlese  l'invasione  delle  Amazzoni  nell'Attica  , 
e  lo  guidò  contra  esse  (Diodor.  IV  28).  Pallade  stante 
con  due  aste,  una  per  mano,  come  in  atto  di  conse- 
gnarne una  al  principale  de' due  guerrieri,  sarà  per 
mostrare  eh'  essi  moveansi  per  la  dilTicile  pugna  pieni 
di  fidanza  nell'aiuto  della  dea  tutelare  di  Atene.  L'a- 
quila tenente  im  serpe  fra  gli  artigli  e  volante  verso 
loro,  mostra  che  avessero  avuto  felice  augurio  e  che 
pugnato  avrebbero  sotto  gli  auspici!  si  del  som  tuo 
Giove  come  della  belligera  di  lui  figliuola.  Teseo  per- 
lanlo  sembra  in  atto  d' incoraggiare  con  piena  fiducia 
nel  soccorso  divino  l'esercito  da  sé  raccolto.  L'arrivo 
delle  Amazzoni  vedesi  bene  espresso  nella  Amazzone 
stante  con  asta  nella  s.  e  con  tromba  nella  d.  come 
pronta  a  dare  il  segnale  della  pugna,  e  nella  regina 
delle  Amazzoni,  che  armata  anch'essa  di  lancia  e  di 
galea  e  lorica  ,  standosi  sopra  il  suo  carro  tratto  da 
due  cavalli ,  figurati  di  fronte,  volge  fiera  lo  sguardo 
verso  Teseo  e  i  suoi  compagni.  La  galea  e  la  lorica , 
alla  maniera  greca,  data  alla  regina  delle  Amazzoni, 
r.c3rre  anche  in  allri  dipinti  vascularii  non  dubbii 
(  Sliiller  Handbuch  §.  417,  2:  Millingen  nnccl.  mon. 
I,  38,  39:  cf.  Mon.  ined.  dell'Imi.  II,  13,  30,  47, 
48).  Del  resto,  Teseo  con  le  Amazzoni  è  subbietlo 
assai  frequente  ne'  vasi  appuli  (  Annali  ardi.  T.  Ili , 
p.  152);  ed  il  dislinlivo  della  clava,  e  della  clamide 
eh'  egli  porta  pendente  dal  braccio  s.  co.me  Ercole  la 
spoglia  del  leone,  troppo  bene  gli  si  addicano  pe'  ri- 
scontri di  sopra  accennali,  e  pel  detto  aulico  riguar- 
dante lui  (Plut.  HI  Tlies.  29):  aXXos  cvros  'HpxKXrf. 
Anzi  trovasi  inoltre  insignito  altresì  della  spoglia  leo- 
nina ,  del  pari  che  Ercole  in  una  moneta  di  Nicea 
della  Bilinia  (Mioiinet,  Sujqiì.  n.  S78)  ,  in  liguardo 
al  soggiorno  ch'ei  fece  con  Antiope  in  que'  dinlorni 
(Plut.  ni  Tlies.  2G  ).  Avvertirò  da  ultimo,  che  il 
suolo  lastricalo,  ed  il  cane,  che  p:»re  della  razza  do- 
mestica di  que'  che  appeltavansi  Melilaei  (  v.  Bidl. 
ardi.  l8o3  p.  142) ,  e  che  sembra  latrare  alla  vista 
dello  stranio  vestire  delle  Amazzoni,  mostrano  forse 
che  que  te  nel  primo  impelo  sono  di  già  entrale  nelle 
vie  della  popolosa  Atene:  e  l'Eutnenlde,  che  vedesi 
sedente  in  allo  dal  lato  opposto,  può  indicare  che  gli 


Ateniesi  furono  respinti  dalle  Amazzoni  fin  verso  il 
sacrario  delle  Eumenidi ,  ixix,oi  rr7/y  EiVjx'Wv,  sic- 
come la  presenza  di  Pallade  può  significare  che  gli 
Ateniesi  si  mossero  ivo  rix).>.a^('w(PI.  in  77ics.  27). 
NiimisnuUica.  Xenpolis  Campaniac.  Dubito  che  sia 
corso  errore  in  quelle  parole  (p.  18):  andie  il  nome 
NEoPoUlJ  con  die  cumiutemenle  ni  appdla  Napoli 
sulle  monele,  è  proprio  modo  del  di(drllo  attico  ;  \)'>'Khè 
credo  che  nelle  monete  di  N.ipoli  ben  Ielle  non  ricor- 
ra che  NEAnJUl^  «;  NEIIPOUIJ,  laddove  e  conver- 
so costante  si  è  in  esse  il  derivalo  NEoIlOAITHs; , 
non  già  NEAnOAITUi; ,  checché  ne  dica  il  dotto 
Franz  (C,  I.  Gr.  T.  Ili,  p.  71. -J);  e  ciò  conforn\ealla 
preclara  osservazione  del  Letionne  [Ree.  deslnscr.de 
r  Eijyple  T.  II.  p.  48-o0  ) ,  la  quale  peraltro  lascia 
luogo  a  qualche  rara  eccezione  (  cf.  Rangabé ,  Ani. 
Ilellen.  T.  I.  p.  302).  Del  resto  la  desinenza  in  Ai;, 
NEonoAITAi:,  di  alcune  monete  di  Napoli  (p.  18, 
45  ,  46  ) ,  era  stata  avvertila  per  eolismo  anche  da 
me  (Carcllii  num.  descript,  p.  23,  n.  14).— Nell'ai  ra 
insigne  nuova  moneta  di  Napoli  col  mezzo  toro  an- 
droprosopo  (  nel  quale  il  eh.  Minervini  ha  si  felice- 
mente ravvisato  l'Acheloo),  parmi  doversi  leggere 
NEOnoAITHi,  anzi  che  NEOnOAITEi;(l)(p.57); 
poiché  la  moneta  di  rame  pare  posteriore  alla  intro- 
duzione della  vocale  lunga  II  nella  Magna  Grecia.  La 
ragione  poi  della  presenza  dell' Acheloo  in  moneta  di 
Napoli  ripetuta  dal  eh.  p.  Garrucci  dalla  dimora  che 
fecero  le  colonie  Calcidesi  nella  Tesprozia  e  nell' Am- 
bracia  ,  prima  di  passare  in  Italia  (  p.  78  ),  si  conva- 
lida di  mollo  pel  riscontro  dell' Acheloo  medesimo  in 
monele  di  Metaponto  d'origine  EtolicaoCaonia  'Mil- 
lingen, consid.  p.  23|. — Lo  scambio  dell'  II  al  K  nelle 
rare  monete  con  IIAMITANO,  invece  di  KAMn ANO 
(p.  65-67),  ripeter  polrcbbesifors'anchedall'influen- 

(1)  Io  riporu.i  NEOnOAITE,  perchè  appariva  nella  monela 
qualche  traccia  dell' E  :  non  dissi  che  fosse  la  epigrafe  NKOllO- 
AVTEX-  Del  reslo  ricordo  che  in  allro  esemplare  di  bronzo  si 
legge  NEOnOAITEHN  ;  e  ciò  basta  a  sostenere  la  nii.i  lezione 
(Carcllii  tob.  p.  28  n  307  j.  Un  altro  esemplare  posseduto  dal  eh. 
sig.  Principe  di  San  Giorgio  offre  la  epigrafe  •  EOnOAITfin  , 
ed  un  altro  cnnservali<siiiio  dello  stesso  eh.  numismalioo  pri?<nia 
la  leggenda  inlatla  NKOII  •  AI'l'p;  '  DcM)0  alla  cortesia  di  I  lo- 
dato sig-  Prinei|ie  un  di^egll0  di  (luesle  due  monele,  che  pul)bli- 
cberò  in  una  delle  prossime  tavole.— i' fdifóie. 


—  92- 


za  detili  Etruschi  della  Campania,  giacché  anche  nei 
monumenli  dell'  Etruria  centrale  1'  II  equivale  a  C  o 
K  (v.  Lanzi,  Saggio  T.  I.  p.  272). 

Tealrs  Appuli.  Che  le  monete  con  la  scritta  TI  ATI, 
o  ITAIT  (  p.  107)  spellino  agli  Appuli ,  anzi  che  a 
Teale  de'Marrucini,  confermasi  pel  riscontro  dell'a- 
naloga desinenza  delle  monete  di  LOVCERI  (  v.  Ca- 
relli num.  Iteli  Dc.sTC.  p.  33).  Il  leone  gradienle  della 
nuova  moneta  de'Teati  par  riferirsi  al  culto  d' Ercole 
(Carellii  tah.  LXX.XVIII,  9,  10).  Del  resto,  non  o- 
slante  il  dissenso  del  eh.  Minervini  (  p.  109),  io  per- 
sisto nel  primiero  mio  avviso,  che  le  monete  con  TU, 
anzi  che  a  Teale  e  Lucerà,  spettino  ad  un  magistrato 
Romano  ;  e  ciò  segnatamente  perchè  il  nesso  TU,  del 
pari  che  gli  altri  analoghi  MT,  MP,cfors'ancheUB, 
non  che  le  duplici  sigle  L  T,  C  M,  ricorrono  in  vit- 
toriali  vetusti  e  in  altre  monete  d' argento  Romane 
(Borghesi,  Decad.  XVII,  oss.  1,  3),  che  peraltro,  al- 
meno in  parte,  forse  furono  improntate  nell'Appulia, 
durante  la  guerra  di  Annihale. 

Valelium  f?J.  A  primo  appello  lessi  anch'io  EA- 
AE0AS,  del  pari  che  il  eh.  SJinervini,  anziché  F.\- 
AE0AI  (p.  109,  173),  anche  pel  riscontro  del  ^ 
simile  delle  monete  arcaiche  di  T.\RAJ.  Anzi  sospet- 
tai pure,  che  la  moneta  possa  spellare  a  Taranto  ,  e 
che  FAAEeAX  sia  il  nome  .dell' eroe  *AaANTOS 
fondatore  di  Taranto  stessa,  alquanto  mutato  per  ra- 
gion di  dialetto  e  per  influenza  de' ÌMcssapii  o  d'altri 
harhari ,  siccome  METABO  nelle  monete  de'  Mela- 
pontini.  In  tale  supposto  le  due  sigle  ìM  prender  po- 
trehbonsi  per  iniziali  di  Ta^ot?  e  di  FctXotv^oj.  11  glo- 
betlo  posto  al  disotto  della  luna  falcata  ,  che  al  eh. 
editore  parve  non  altro  che  il  punto  centrale  del  co- 
nio (pag.  70) ,  si  connette  senza  dubbio  con  la  luna 
medesima,  come  allra  volta  avvertii  (B((//.arc/i.l845 
p.  183),  congetturando  che  sia  goccia  di  rugiada,  in 
riguardo  ad  Eise  della  figlia  della  Luna  :  ma  potrebbe 
aucbe  credersi  perla  ingenerata  ex  lunari  aspergine 
(.\mmian.  XXIII,  83:  cf.  Olivae  lohan.  Monuni.  I- 
siac.  Romae,  1719,  lab.  unica). 

Jleraclm  Lucaniae.  11  eh.  P.  Garrucci  (p.  20),  as- 
serendo che  liraciea  non  fece  uso  se  non  che  dell'al- 
fabeto Ionico ,  mostra  avere  dimenticate  le  piccole 


monete  d' argento  di  quella  clllà  con  l' epigrafe  UE  , 
che  si  allernn  con  1'  altra  HiPAKAHiaN  (Carellii 
lab.  CLXII). — Non  so  poi  comprendere  com'egli  po- 
tesse scrivere  (  p.  179)  ,  che  il  riIraModiM.  Claudio 
3IarceIlo,  l' espugnatore  di  Siracusa,  che  vcdesi  nella 
moneta  di  Marcellino  suo  discendente,  sia  appena  trac- 
ciato e  motto  incerto;  poiché  parmi  anzi  molto  espres- 
sivo, e  probabilmente  ricavato  dal  volto  istesso  di  Mar- 
cello defunto,  del  pari  che  quello  del  maggiore  Scipio- 
ne Africano,  come  arguire  si  può  dalle  forme  scarnie 
di  ambedue  que' volti  (cf.  Mùller,  Handbuch^A'ìi). 
Epigrafia.  La  voce  Basilica,  nell'epistola  diS.  Gi- 
rolamo, fu  intesa  in  significalo  di  cappella,  o  edicola, 
delle  Chiese  Cristiane  anche  dal  Forcellini(/>ea;jf.La/. 
s.  V.),  del  pari  che  dal  lodato  P.  Garrucci  (p.  37). — 
Nella  tavola  aqu.iria  Venafrana  (p.  40)  le  sigle  II.S  • 
X-  parmi  debbansi  spiegare  seslerliùm  deccm  millia , 
anzi  che  !:eslerlios  decem  mille  (1).  In  essa  notevole  mi 
parve  il  nome  Q  •  SEIGNII,  probabilmente  oriondo 
da  Signia,  nelle  cui  monete  leg^esi  parimente  SEIG 
(Carellii,  lab.  X,  IO,  1  I). — L'iscrizione  freiitana  di 
Pennaluce  (  p.  41-43)  torna  opportuna  anche  per 
l'illustrazione  delle  monete  di  CII(3SIDI-C-FGETA- 
IIIVIR,  impresse  verso  la  fine  del  secolo  VII  di  Ro- 
ma. Nella  più  ovvia  di  esse  la  tesla  di  Diana,  olire  la 
stefaue,  vedesi  ornata  di  raggi  inflessi  nel  modo  stesso 
che  nel  dipinto  Pompeiano  [Mus.  Borhon.  t.  X,tav. 
20).  La  singolarità  paleografica  dell'I  sormontato  da 
un  punto,  era  stala  avvertita  anche  dal  eh.  Borghesi 
in  una  figulina  Velleiate  di  belle  lellcre  col  bollo  M* 
ALFiSlE  {Annali  arch.  T.  XII,  p.  241,  n.  30:  cf. 
ALBIW  BRVTI-F,  nel  mio5a(?<//op.l73,  nota86). 
L'opinione  del  eh.  Mommsen  (p.  44),  che  al  K  La- 
tino non  fosse  sufficiente  servire  al  prenome  Kaeso , 
onde  entrasse  nei  diritti  di  lettera  alfabetica  Latina , 
vuoisi  rettificare  col  riscontro  dei  denariidi  L.  Cassio 
Ceiciano  ,  ne'(]uali  trovan-i  accopjiiale  le  due  lettere 
Latine  K)  (M.— Ncll'cpilafiodi  AEBVTIVS  MENSOR 
(p.  C9)  lin.  3  leggasi  FAVSTVS  ;  ed  a  p.  70  ,  lin. 
18,  leggasi  «  cosi  smontato  ». — La  soppressione  del- 
l'E  in  lapidi  Osche  e  Latine  nelle  voci  P  D,  per  Pe- 

(I;  Vedi  per  altro  le  correzioni  ,  ove  fu  IcUo  seslerliot  deciet 
tniUe  p.  196.— r  Editore. 


-  93 


' Des  (p.   S:3  ) ,  Ila  il  suo  risconlro  anche  ne' denarii     rila  pailicolarc  allcnzione  nna  |iicrola  appfn.li.o,  la 
Romani  vcliisli  della  gente  Ouinctia  con  SX-Q,  cioè     quale  in  ambi  si  leva  sopra  il  manico,  una  delle  (juaii 


Se\-Quinctii. — il  pugnale  curvo,  o  sia  gladio  infles- 
so, gladialorio,  si  lione  illustralo  dal  eli.  P.  Garriicci 
(p.  \\ì),  panni  ricorra  anche  fra' simltoli  corrcialivi 
de' denarii  di'lla  genie  Pania  (  Moi'cilii  n.  o2),  ove 
sono  due  gladii  inflessi,  l'uno  a  mezzo  la  lama  ,  e 
l'altro  inflesso  d;ie  volle.  Armi  gladialoric,  ciò;"- .s/coc 
di  semplice  e  di  doppia  curva'ura,  semlnanu  pari- 
mente quelle  che  servono  di  simboli  correlativi  in  un 
denario  della  gente  Roscia  (  Morellii  n.  39:  cf.  llen- 
zen  Musii\  Jhmjhes.  lab. VII,  p.  M). — Allor  che  de- 
scrissi (  p.    1 2C  )  r  ansa  di  una  diola  greca  insignita 


è  foggiala  a  guisa  deirc.sO<'mj<rt(W(/(Vo/)o//icf,  e  servir 
doveva  per  tener  ])iù  fermo  fra  le  mani  il  vaso  ». 
Terre-colle.  Col  piallo  ornato  di  un  giro  di  XII  le- 
ste tululate  e  accompagnale  ciascuna  da  due  minori 
che  le  riguardano  (p.  30),  vuoisi  confrontare  il  sin- 
golare tipo  di  XIV  ,  o  XI ,  od  Vili  leste  disposte  in 
uno  o  due  giri  concentrici  in  alcune  mon.-le  diTarn 
(v.  il  mio  Sjikil.  ììum.  p.  209). — Anche  la  terr.icoll.i 
Capuana  con  Perseo  che  recide,  o  presenta  a  Minerva 
la  testa  di  Medusa ,  per  le  particolarilà  dell'  imagine 
riflessa,  e  per  le  apposle  palmelle  ,  può  riscontrarsi 
dell'epigrafe  EHI  KAAAIKPATETS  AAAIOT,  io     con  alcuni  specchi  Etruschi  (Gerhard /«/.  121-124). 


non  conosceva  peranche  i  dotli  scritti  dello  Sloddarf, 
dello  Sfephani  e  del  Franz (  Praef.  ad  Io/.  ///.  Corp. 
I.  Gr.  ) ,  pe' quali  ora  consla  che  colali  lìguline  spel- 
lano ad  officine  di  Rodi ,  donde  dilYDiidevansi  i;i  Si- 
cilia, in  Italia,  e  per  altre  contrade,  segnatamente  in 
Alessandria  di  Egitto  ,  ove  il  lodalo  Staddart  ne  ri- 
trovò una  simile  alla  nostra  suddetta ,  con  di  più  la 
lesta  del  Sole  radiata.  Egli  è  d'avviso,  che  le  più  au- 
liche, fra  colali  epigrafi  figulinarie  rimontino  ad  un 
300  anni  innanzi  l' era  nostra  ;  e  godo  (h  non  essermi 
dilungalo  dal  parere  di  lui  riportando  la  noiira  ai  tem- 
pi di  Agatocle  o  di  Cerone  li.  In  paiecchie  altre  ri- 
corre il  simbolo  di  un  fiore,  che  dai  sovra  lodati  dotli 


Del  resto,  mi  giovi  qui\i  avvertire,  che  la  slaluelta 
Capuana  rappresentanie  un  personaggio  vestilo  stante, 
con  tiara  frigia  in  testa ,  e  con  chiave  in  sulla  spalla 
(Raoul-Rochelle,  Journ.  des  Savanls,  18o3,p.  4SI), 
si  scambia  luce  confrontata  con  le  parole  di  Callimaco 
[in  Cerer.  v.4;j):  x'xrui}xv.ol7.y  oìx,-  x\%ìdx,c  con  le 
analoghe  del  profeta  Isaia  (cap. XXII, 22)  :<;(/a6j  c'a- 
vem  doinm  David  super  humerum  eius.     C.  Cavedo.m. 

Nolizia  di  una  tavoìeKa  caìcolaloria  romana. 

Marco  Velsero  in  una  sua  dei   la  Marzo  l'iOl 
mandava  al  Lijisio  il  disegno  di  una  tavoletta  di  l:ron- 


\ien  detto  balaustium ,  ma  che  parmi  aver  compro-     zo,   che  egli  ben  intendeva  essere  servita  agli  an'ichi 


vaio  doversi  dire  fiore  di  rosa,  poSìcv,  allusivo  al  nome 
dell'isola  Rodi  (  5/jifì7.  nwn.  pag.  19o).  Quelle  col 
simbolo  di  una  bipenne  forse  spettano  a  Tenedo  ;  ed 
a  Bizanzio  le  altre  che  Irovansi  insignite  di  nomi  epo- 
nimi feminili  (  Franz,  Praef.  ad  T.  III.  C.  I.  Gr.  p. 
y:cf.  Eckhel  T.  II,  31). 

Bronzi.  Il  manubrio  di  qualche  cassetta,  scoperto 
a  Pompei  (p.  178),  che  olire  la  forma  di  due  diii pol- 
lici, in  allusione  al  silo  ove  metter  si  doveva  la  ma- 


per  computare.  Ne  scrisse  anche  al  Camerario  ai  IS 
Agoslo  dello  stesso  anno  ,  e  la  spiegò  al  modo  me- 
desimo, notando  per  altro  siccome  opinione  altrui 
quanto  gli  asseriva  intorno  all'  uso  delle  bolletle  fcla- 
viculi  umhellalij.  Da  questa  seconda  sua  leìlera  risulta 
che  «gli  aveva  già  spiegalo  il  senso  e  l'uso  delle  cifre 
S,  3,  z  ,  poste  in  capo  dei  tre  alveoli  ades!ra,sudi 
che  aveva  scritto  nel  marzo  al  Lipsio  :  de  akeoUs  S, 
T,  z  ,  parum  liquel,ne(piec,ontìnu<^umadhuc  recleas- 


no  ,  ha  bel  risconlro  ne' due  più  belli  fra' molti  vasi  sequor  (Epist.  ad  Viros  illusiresp.  820  Oj)p.  \orind). 
nielallici  e  filtili,  che,  un  dodici  anni  fa,  si  scopersero  li382).  Di  falli  nei  suoi  Monumenta  peregrina  finiii 
riposti  entro  un  profondo  pozzo  a  Serravalle  nell'agro  di  stamparsi  prima  che  avesse  egli  scritto  al  Carne- 
Bolognese  in  confine  col  Modenese  (v.  Gazzeltapri-  rario  (opp.  cit.  p.  842),  egli  ne  adduce  una  compilila 
vii.  di  Ihlofjna,  n.  14,  addì  1  Febbraio  1841).  Il  in'erpretazione,  e  ci  loda  la  somma  erudiziom-  del 
Prof.  Bianconi  nel  darne  relazione  avvertiva  che  «  me-  Barouio,  il  quale  gli  aveva  suggerito  quelle  bollette, 


—  94 


o  clavtcuU  essersi  chiamali  aerae,  od  aera  dagli  anii- 
cbi,  allegando  il  luogo  di  Lucili»  (Nonio  e.  I.  29),  e 
di  Cicerone  nell  Ortensio  (Non.  e.  3). 

11  Gruferò  di  poi  trasportò  tutto  questo  passo  del 
Velsero  nel  suo  Corpus  a  pag.  CCXXIV,  rilenendone 
compiulamenle  la  interpretazione;  né  altro  vi  aggiun- 
se di  poi  il  lìiancliini  nella  sua  Hisloria  Universale  a 
p.  207,  fuoiiliè  il  facile  confronto  dell'uso  divulgalo 
presso  i  Cinesi  di  una  tavoletta  assai  simile  alla  cal- 
colatoria  antica  romana. 

Dal  Velsero  a  noi  sono  scorsi  230  anni ,  né  per 
quanto  so  verun'  altra  tavoletta  era  stata  scoperta.  È 
quindi  assai  importante  il  mostrar  qui  un  disegno  di 
cimelio  sì  raro  (Tav.lV.n.2.)  venutomi  davanti  agli 
occhi  mentre  studiava  la  insigne  raccolta  di  bronzi 
antichi  del  sig.  Carlo  Bonichi,  invitatovi  dall'egregio 
possessore  con  quella  gentilezza  e  squisita  urbanità 
che  tanto  lo  distingue.  Della  mia  inlerpreta/ione  venne 
garante  dipoi  la  tavoletta  medesima ,  quando  pulila 
dalla  ruggine  nel  luogo  da  me  indicalo  dimostrò  chiari 
e  sicuri  i  numeri,  che  io  aveva  aflerniato  dovervi  es- 
sere incisi. 

Una  delle  singolarità  per  altro ,  che  dislingue  la 
tavoletta  nostra  dall'altra  descritta  dal  V^elseroè,che 
qui  i  numeri,  come  p.  e.  sui  pesi  talvolta,  e  sulle 
stoviglie  antiche  vi  sono  scolpili  non  a  linee  regolari , 
ma  a  puntini  assai  piccoli,  che  io  ho  procurato  far 
disegnare  esaltamenle  dal  valente  artista  sig.  Bossi , 
al  quale  non  ho  mancato  di  mia  direzione.  E  dico 
ciò,  per  assicurar  quanto  posso  la  verità  delle  ultime 
cifre  a  sinistra,  che  sono  di  forma  assai  nuova,  e  sin- 
golare. 

Procedendo  ora  alla  interpretazione  avvertirò  che 
delle  quaran'acinquc  bollette  od  acrae,  quante  ne  conia 
la  tavoletta  pubblicata  dal  Velsero,  una  sola  ne  rimane, 
le  allre  ho  riputato  utile  di  supplirle  a  suo  luogo  per 
ispianar  vieppiù  l'intelligenza  di  ciò  che  son  per  dire. 
La  tavoletta  calcolatoria  addizionale  si  divide  in  nove 
alveoli  inferiori,  ed  in  otto  superiori.  Il  primo  alveo- 
lo a  destra ,  che  nella  tavoletta  Velseriana  é  diviso,  e 
fornii  tre  minori  alveoli ,  qui  è  uno  e  della  mis'ira 
medesima  dei  seguenti.  Essendo  destinato  alle  fra- 
zioni dell'  oncia  ,  che  sono  la  senioncia  ,  il  sicilico  , 


la  seslula  ,  è  chiaro  poter  servire  all'  uso  nell'  uno  e, 
nell'altro  modo.  Perocché  è  certo  che  una  sola  bol- 
letta può  servire  alla  semoncia  ,  una  sola  al  sicilico  , 
ossia  alla  quarta  parte  dell'oncia,  che  due  sicilici  si  se- 
gnano già  colla  mezz'  oncia  ,  e  tre  sicilici  si  segnano 
egualmente  con  una  semoncia  ed  un  sicilico.  Ma  le 
seslule  avcvan  bisogno  di  due  bollette;  perocché  tre 
sestule  già  equivalgono  alla  semoncia  ,  e  quattro  o 
cinque  sestule  si  ponno  avere  colla  semoncia  e  le  due 
bollette  ossia  seslule.  Comprende  cosi  il  primo  alveolo 
le  tre  cifre  il  S  (^se»u',sj  semoncia ,  il  3  sjct/ico  la  quarta 
d' oncia  ,  e  la  z  duella  o  sexlula ,  la  sesta  parte  del- 
l'oncia. 

Passiamo  all'alveolo  secondo.  Componesi  questo  di 
cinque  bollette  ,  e  vi  corrisponde  di  sopra  il  piccolo 
alveolo  con  una  sola  bolletta  mobile.  Se  i  segni  esa- 
minati ora  sono  le  frazioni  dell'oncia  ,  la  cifra  posta 
sopra  a  questo  alveolo  ci  dimostra  che  qui  sono  no- 
tate le  once:  perciò,  stando  alla  divisione  romana  del- 
l'.asse  in  dodici  once,  hanno  dovuto  porre  in  questo 
alveolo  una  bolletta  di  più  che  negh  altri ,  i  quali 
con'engono  numeri  decimali.  È  poi  a  sapere,  che  la 
bolletta  degli  alveoli  superiori  vale  il  numero  di  più 
della  somma  delle  bollette  sottoposte:  così,  se  le  bol- 
lette sottoposte  sono  quattro  ,  la  bolletta  superiore 
varrà  cinque,  e  qui  ove  le  bollette  sono  cinque  la  su- 
periore varrà  sei  :  onde  unite  insieme  daranno  il  nu- 
mero undici,  fino  al  quale  deve  solo  servire  quest'al- 
veolo ;  poiché  le  dodici  once  sono  già  l' asse  ,  e  però 
conviene  abbassare  al  loro  posto  le  bollette  delle  on- 
ce,  ed  elevare  la  bolletta  dell' alveolo  seguente  che 
vale  l'asse,  ossia  l'unità  di  misura.  Nove  assi  soltanto 
si  segneranno  in  questi  alveoli,  ma  se  gli  assi  son  dieci, 
si  avrà  da  segnai  li  con  una  sola  bolletta,  che  vale  la 
decina  nell'alveolo  ,  il  quale  ha  di  sopra  la  cifra  X; 
così  facilmente  s'intende,  che  il  numero  seguente  vale 
cento  ,  poi  segue  il  mille.  Pervenuti  al  qual  numero 
il  confronto  solo  e  l'analogia  ci  potrebbero  togliere 
dall'imbarazzo,  nel  quale  ci  mettono  queste  tre  cifre 
destinale  a  significare  i  diecimila ,  i  centomila  ,  e  i 
milioni.  Dico  l'analogia,  perocché  vediamo  procederr 
si  nei  numeri  precedenti  d^iil'  unità  alla  decina  ,  e  da 
questa  al  centinaio;  e  quanto  al  confronto,  la  tavola 


—  95  — 

Velseriana  dà  la  cifra  del  diecimila  e  del  centomila  ,  tale  argomcnlo:  conviene  adunque  fare  un'aggiunta 

e  se  vuoisi  anche  del  milione  con  figure  già  conosciu-  a  ciò  che  ne  ho  detto  ivi. 

le ,  e  vulgate.  A  queste  io  intendo  come  possa  acco-         Il  si;r.  Vincent  ricorda  ben  a  proposito  di  un  ahacu^ 
starsi  l'ultima  cifra  della  nostra  tavoletta  sotto  un  pa-  ateniese  (  v.   la  fig.  ;\  della  nostra  tav.  VI  )  scopcrlo 
ragone  colla  cifra  IXI  della  Velseriana ,  a  cui  la  no-  sull'Acropoli  di  Alene  ,  (piello  che  puhhiicò  già  il 
stra  si  accosta  in  modo  da  far  credere  che  consistesse  Grulero,  adottando  ancor  egli  le  giustissime  osserva- 
di  due  C  in  luogo  delle  !  appunto  a  (piesto  modo  CX^.  zioni  del  Velsero:  ma  ci  fa  sapere,  clic  un  altro  aha- 
AUa  qual  cifra  manca  il  segno  di  molliplicazioneche  cns  romano  è  descrido  dal  du  iMolind  a  ji.i;;.  23  del 
manca  egualmente  nella  Velseriana,  essendo  la  forma  Cahim-t  de  Sainle-licnéviève  (1).  Fu  priuioil  Lelron- 
completa  del  milione  un  X  chiusa  fra  tre  linee  1X1,  ne,  che  suggerì  al  Uangabè  l'uso  calcolatorio  diquesla 
siccome  apparisce  nella  tavola  Veleiate,  e  sen'èavu-  (avola  greca,  e  ne  spiegò  assai  retlanienie  le  cifre  nu- 
lo recentemente  un  buon  riscontro  nei  cilindri  di  Vi-  meriche;  ma  quanto  all'uso,  egli  delegonne  la  iliuslra- 
carello  pubblicali  dal  eh.  p.  Marchi.  zione  al  sig.  Vincent  {lievue  V,  306),  che  insellila  in 
Ma  quanto  alla  cifra  esprimente  il  centomila,  io  questo  volume  medesimo  a  p.  401  s.  Col  si'^.  Vincent 
confesso  di  non  conoscere  alliilto  confronto  veruno,  convengo  anch'io,  che  il  bottone  situato  nella  parte 
Meno  difficile  sarebbe  paragonare  la  cifra  del  diecimi-  sU])eriore  dei  dicci  alveoli  ^alga  cirKiue  unità  ;  laonde 
la  con  le  già  note  cebo  ,,\^,  se  riliensi  che  le  diver-  dobbiamo  convenire  anche  in  questo,  che  le  cifre  nu- 
genze  di  questa  debbano  riputarsi  imperfezioni  dello  meriche  segnale  a  tre  lali  della  tavola  debbano  dislri- 
artista  ,  risultando  a  congiugnere  i  punii  una  figura  buirsi  parte  al  di  sopra  parte  al  di  sotto  della  linea  , 
per  vero  dire  poco  regolare.  Perocché  capisco  an-  che  divide  egualmente  i  dieci  alveoli.  Cosi  le  figure  T 
eh' io,  che  alla  fine  l'elevazione  o  l'abassamento  della  X  II  A  h  esprimenti  la  scala  decupla  son  desliuale  a 
linea  trasversa  non  muta  gran  fallo  l'indole  della  ci-  figurar  di  sotto,  mentre  le  altre  figure,  segnale  con  P 
fra  ,  avendosi  egual  valore  il  'h  ,  ed  il  -^^  a  significar  semplice  o  moltiplicato,  evidentemenle  appai  tengono 
mille;  ma  a  voler  diecimila  dovremmo  avere  un  se-  alla  parte  superiore,  restando  le  quattro  frazioni  I  C 
gno  di  moltiplicazione,  che  se  è  la  linea  I,  il  cui  va-  T  X  (obolo,  semiobolo,  terzo  d'obolo,  chalco  )  as- 
lore  a  mulliplicare  è  ben  noto  ,  vorremmo  sapere  in  segnale  ai  quattro  alveoli  a  destra  dell'abaco.  l'erloc- 
tal  caso  perchè  non  si  è  figuralo  il  diecimila  in  questa  che  chiaro  risulta,  che  questi  segni  numerici  non 
maniera  IL  :  che  se  la  uuilà  I  è  qui  segno  soltanto  di  sono  qui  ad  altro  uso  siali  scolpili ,  che  a  rilenerno 
addizione  della  metà,  cosicché  la  base  della  cifra  sia  la  memoria,  lasciando,  che  l'applicazione  agli  alveoli 
Ido=5000,  che  raddoppiata  IIjo=  10000,  avrem-  si  facesse  secondo  il  volgarissimo  uso,  chenoniucon- 
mo  allora  guadagnato  di  imparare  una  nuova  maniera  trava  veruna  diflìcoltà,  mentre  i  Romani  invece  se- 
di segno  addizionale  per  verità  fino  ad  ora  ignoto.  Se  gnarono  su  i  rispelti\i  alveoli  il  valore  della  cifra, 
il  centomila  ebbe  la  volgar  sua  forma  nella  maniera  Qui  il  Vincent  crede  che  la  progressione  numerica 
già  nota  ,  sarà  da  tenersi  una  variante  compendiata  dell'abaco  greco  vada  fino  al  decimo  ordine  delle  uni- 
quella  della  nostra  tavoletta  ,  che  ottiene  con  la  sua  là,  e  che  rappresenti  il  1,000,  000,  000,  mentre  il 
figura  lo  stesso  effetlo.  Questo  prezioso  monumeniino  romano  non  va  oltre  al  settimo ,  rappresentando  il 
è  ora  entralo  ad  accrescere  le  importanti  suppellettili  milione  1 ,000,  000.  Ma  io  non  convengo.  Perocché 
del  Ch'rcheriano.                                    Garrlcci.  osservo,  che  tra  le  cifre  scolpile  nolasi  anche  il  T  ben 

interpretato  dal  Letronne  Talento.  Questa  figura  ne 
Giunta  all'  articolo  precedente. 


(I)  Ho  esaminato  qnoslo  prezioso  monumento,  che  conserva  quasi 
Ile  le  bullclto  .li  rispotli\ 
..no  gran  cosa  diOronli  dal 

sero  Iratiato  dell'  abacus,  quando  scrissi  1'  ariicolo  su     portale  nella  lav.  v;  n.  5. 


Mi  era  ignoto  che  i  eh.  Letronne,  e  Vincent  aves-     """^  '"  """*-■"%•!'  '''^''"^ì  '1''"^^'  "^"'  *^'«"='''=  "'  '''"  ""." 

sono  gran  cosa  diDi>ronli  dall  abaco  Velsenano:  esse  sono  quelle  n- 


—  96  - 


richiama  na(ura1uien!e  l'idea,  che  dopo  il  5,000  co- 
niinciassero  le  progressioni  per  lalenli ,  essendo  un 
talento  altico  uguale  a  6,000  dramme.  Perlocchè  io 
imagino  una  progressione  decimale  cominciala  con  le 
dramme  e  finita  con  i  lalenti,  e  si  bene  corrisponde 
alla  romana  .  che  finisce  egualmente  al  milione  ,  es- 
scrnl)  porsuajo  che  i  Romani  copiassero  la  loio dalla 
jjreca.  Per  olkner  ciò  io  non  ho  bisogno  d'altro  che 
di  accrescere  di  una  bolletta  1'  ultimo  alveolo  ;  così 
aggiunte  alle  c'nque  bollette  (^=500,000)  la  cifra  su- 
periore e(|uivalenfe  alle  cinque  unità,  si  poteva  con- 
tare il  milione,  luttocchè  non  si  potesse  usare  il  me- 
desimo alveolo  per  la  decina  dei  milioni,  perlaquale 
può  valere  il  romano:  lo  che,  come  ognun  vede,  è  poco 
danno.  Ho  quindi  preso  cura  di  formare  una  figura, 
nolla  quale  ho  supplito  i  numeri  e  le  bollette ,  onde 
ne  riuscisse  più  facile  l'intelligenza  (v.  Tav.VIn.  4). 

Garrccci. 

Iscrizioni  Ialine.  Continuazione  del  nitm.  precedente. 

4. 

Non  abbiamo  potuto  conoscere  finora  la  provenien- 
za della  seguente  iscrizione,  la  quale  forma  la  parte 
anleriore  di  un'  urna  sepolcrale. 

SEVEUVS  .  M  .  SEI  . 

VARANI  .  SERV  •  S 

VIXIT  .  ANNOS  .  Ili 

SERENVS  .  M  '  SEI 

VARANI  .  DISPENSAI  (AT  mon.) 

ET  •  ANTIIVSA  •  FILIO 
La  iscrizione  è  adorna  di  una  piccola  cornice  :  ai 
due  lati  vedasi  una  prominenza  a  guisa  di  scure  cir- 
condata pure  dalia  medesima  cornice  :  nel  mezzo  della 
qnale  prominenza  è  l' ornamento  di  un  fiore ,  ed  ivi 
presso  sono  quattro  uccelli,  due  da  un  lato  e  due  dal- 
l' altro,  che  beccano  qualche  cosa. 

É  evidente  che  tanto  il  figlio  5ewro  quanto  il  padre 
Sereno,  che  dicesi  di'<pensalor,  erano  servi  di  IH.  Seio 


Varano.  Notevole  ci  sembra  l' orlografia  SERV  »  S 
per  SERVVS  ;  imperciocché  se  talvolta  soppriraesi 
uno  de'  due  V  messi  tra  loro  vicini,  ciò  avviene  quando 
siegue  un'  altra  vocale,  il  nome  Anthusa  è  uno  di 
quelli  di  greca  terminazione  come  Plecusa  ,  Lanlha- 
nusa ,  ed  altri  moltissimi;  de' quali  già  avemmo  oc- 
casione di  discorrere  in  altro  nostro  articolo  (  buUel. 
arc/i. Ma/),  an. II.  p.66  e  134). Vedine  un'altro  esempio 
presso  il  eh.  sig.  Gervasio  (tscm.  di  Lesina  p.  68). 

5. 

BABIDIA  •  C  •  L  •  PSYCHARlMm 
VIXIT  •  ANN  •  XVI 

LAFRIA  •  Q  •  L  •  PIIILVMINA 
VIXIT    ANN     XXVI 

C  ■  BABIDiVS  •  C  •  L  •  NIGER 

SORORI  •  ET  •  VXORI  •  FECIT 
Questa  iscrizione  è  tuttavia  in  provincia  di  Princi- 
pato Ulteriore,  circondario  di  .1/on/ecaiuo,  luogo  detto 
Tre  Santi.  Ci  venne  comunicala  dal  sig.  Nicola  Fal- 
cone ,  il  quale  già  ne  ha  fatta  la  pubblicazione  nella 
sua  monografia  del  circondario  di  Monlecalvo  inserita 
nella  raccolta  intitolata  //  Regno  delle  due  Sicilie  de- 
scritto ed  illustralo ,  che  si  pubblica  per  le  cure  del 
sig.  Filippo  Girelli:  trovasi  ivi  nel  voi.  VII  pag.  13. 
E  poiché  la  suddetta  raccolta  non  è  molto  divulgala 
fra  gli  archeologi ,  abbiam  riputato  convenevole  ri- 
produr  le  epigrafe  in  questi  fogli. 

Nello  PSYCIIARI  va  riconosciuto  il  noto  diminu- 
tivo PSYCHARImi»  corrispond  nle  al  Ialino animw/fl. 
La  ortografia  Pliilumina  occorre  in  non  poche  altre 
iscrizioni.  Non  ricordiamo  di  avere  altrove  veduta  la 
gente  Lafria ,  la  quale  ci  ricorda  In  Diana  Laphria 
mentovata  da  Pausania  (  IV,  31,  7  et  VII ,  18,  8) , 
e  di  cui  è  memoria  nelle  antiche  medaglie  di  Patrae 
(  Eckhel  docl.  num.  vel.  tom.  II  p.  237;  cf.  Cavedoni 
Spicil.  num,  p.  90-9 1  ).  Non  voglio  intanto  lacere 
trovarsi  la  gente  Lafaria  in  uni  epigrafe  Gruferiana 
(  p.  MI  n.  2  )  :  e  potrebbe  sospettarsi  che  la  gente  La~ 
fria  e  Lafaria  non  fossero  Ira  loro  dissimili ,  per  la 
soppressione  di  alcune  vocali  ne'  nomi  proprii ,  che 
fu  talvolta  osservata.  Minervijìi. 


Giulio  iMinebvini  —  Editore. 


Tipografa  di  Giuseppe  Catàneo. 


BUllETTmO  AUCnEOlOGICO  MPOLITAAO. 

NUOVA    SERIE 

N.o  37.     (13.  deiranno  IL)  Gennaio  1851 


Descrizione  di  un  vaso  dipinto  del  Real  Museo  Borhonico. — Iscrizioni  ladnc.  Conlinuazione  del  u.  precedente. 


Dessrizione  di  un  vaso  dipinto,  ora  nel  Real  Museo 
Borbonico, 

Alle  vicinanze  di  Piediinonle  d'Alife  furono  rinve- 
nute alcune  (onibe  ,  delle  quali  non  abbiamo  avulo 
finora  esatte  nolizie.  In  queste  tombe  vedevansi  alcuni 
vasi  di  minore  importanza  ,  tra'  quali  ne  apparivano 
simili  per  lavoro  a  quelli  trovati  nella  sannilica  tomba 
di  Cuma  ,  di  che  termi  discorso  nel  primo  anno  di 
questo  buUetlino  (pag.  163).  Io  intendo  di  quei  vasi 
interamente  neri  con  dorature,  che  li  fregiano  in  va- 
rie parti.  Uno  di  questi  vasi  è  slato  da  poco  twnpo 
acquistato  pel  Real  Musco  Borbonico,  ove  già  vcdesi 
collocato.  Ma  il  più  interessante  pezzo  di  quella  me- 
desima provenienza  è  un  bel  vaso  istorialo  ,  che  pur 
si  vede  nel  Real  Museo,  e  di  cui  diamo  in  questi  fo- 
gli una  breve  dilucidazione.  È  questo  della  forma  così 
delta  eampana  ;  le  figure  sono  rosse  in  fondo  nero  : 
r  altezza  è  circa  due  palmi.  All'  esterno  della  bocca 
è  un  ramo  ;  sotto  i  manichi  palmette. 

Sono  nella  principale  faccia  due  ordini  di  figure. 
In  alto  e  nel  mezzo  siede  sopra  l'alalo  suo  carro  Trit- 
tolemo  tutto  nudo ,  poggiando  sulla  sua  clamide  :  i 
ctìpelli  pendono  in  varii  ricci  sul  petto ,  il  capo  ap- 
pare coronato  di  mirto  :  colla  sinistra  si  alliene  allo 
scettro,  che  finisce  superiormente  in  fior  di  loto  o  di 
melogranato,  colla  destra  solleva  due  spighe.  Innanzi 
è  Proserpina  con  ampyx  adorno  di  bianche  foglie,  o- 
recchini.  collana  e  duplice  armilla  di  bianco;  ha  lunga 
tunica  cinta  nella  vita ,  e  con  orlo  superiore  ed  infe- 
riore adorno  di  una  duplice  linea  di  meandro  ad  onda: 
sovrapponsi  alla  tunica  un  piccolo  peplo  ,  di  cui  la 
dea  solleva  una  parte  sulla  destra  spalla ,  colla  sini- 
stra sostiene  una  lunga  face  ,  di  cui  non  apparisce  la 


fiamma.  Nella  parte  posteriore  è  altra  divinila  (Cerere) 
dello  stesso  modo  vestita ,  ma  colla  testa  adorna  di 
fphcndone,  e  coronala  di  mirto:  ella  si  avanza  alle 
spalle  di  Trillolemo  abbassando  il  destro  braccio  ,  e 
colla  sinistra  tenendo  Io  scettro  terminante  della  guisa 
medesima  che  quello  di  Trillolemo. 

Nell'ordine  inferiore  sono  quattro  divinità.  Sollo 
la  figura  di  Cerere  è  Apollo  lutto  nudo,  col  capo  co- 
ronalo di  alloro  ;  colla  destra  si  appoggia  ad  un  lungo 
ramo  di  lauro  ,  sotto  a' suoi  piedi  è  segnata  una  tor- 
tuosa linea  di  bianco,  che  mostra  segni  di  vegetazio- 
ne. Sotto  la  figura  di  Trillolemo  è  un  gruppo  di 
Bacco  e  di  Pane,  entrambi  di  più  piccole  dimensioni 
che  le  altre  figure.  Bacco  di  aspetto  assai  giovanile  , 
coronalo  di  edera  ,  con  larga  tenia  ,  i  cui  due  estre- 
mi scendono  d' ambi  i  lati  sul  petto ,  siede  sulla  sua 
clamide  a  sinistra  volgendosi  a  guardare  a  destra  verso 
la  figura  di  Apollo:  colla  destra  solleva  il  canlharos, 
colla  sinistra  tiene  un  pannocchiulo  tirso.  A  lui  din- 
nanzi si  appressa  un  Satirelto  con  orecchi  caprini , 
piccole  corna  sul  capo,  e  coda  cavallina:  questi  [)One 
il  sinistro  ginocchio  sopra  un  rialto  che  si  eleva  in- 
nanzi a  Dioniso,  e  curvasi  verso  di  luì  presentandogli 
qualche  oggetto  in  un  piattello ,  forse  un  grappolo 
d'  uva. 

Compie  la  scena  in  un  piano  medio ,  e  presso  la 
figura  di  Proserpina ,  Mercurio  pur  coronato  di  fo- 
glie ,  col  petaso  dietro  le  spalle ,  colla  clamide  sotto 
la  sinistra  ascella .  In  quale  clamide  vedesi  orlala  di 
un  meandro  ad  onda.  Il  dio  solleva  in  alto  il  caduceo, 
e  si  curva  verso  di  un  albero  ,  di  cui  sono  tagliati  i 
rami ,  e  da'  cui  pi incipali  tronclìi  recisi  uscir  si  veg- 
gono de'  ramuscclli  con  foglie.  In  alto  è  un  simbolo, 
che  comparisce  varie  volte  presso  la  figura  di  .Mercu- 

13 


—  98  — 


rio  (1) ,  e  di  cui  presenliarao  la  forma  nella  nostra     gnificazione  di  aW/^i-is  e  to'xoj  (l) ,  e  dalla  considera- 


tav.  VII  fig.  7.  SoKo  è  un  meandro. 

Al  rovescio  è  una  ovvia  rappresentazione.  Veggonsi 
quattro  nudi  palestriti  in  varii  mo\iinenli:unodiessi 
sembra  fuggire  da  due  altri ,  i  quali  sollevano  il  si- 
nistro braccio,  ed  è  Della  sua  fuga  impedito  dal  quar- 
to, che  stende  il  destro  braccio:  tutti  sono  diademati. 
Al  suolo  si  veggono  un  poggiuolo ,  ed  una  mela. 

Nella  principale  faccia  il  disegno  è  piuttosto  accu- 
rato :  in  alcuni  sili  il  campo  si  vede  rosso  per  la  va- 
rietà della  cottura  :  ed  ò  da  osservare  che  su  quel  rosso 
del  campo  veggonsi  alcune  cose  segnate  di  nero,  co- 
me sono  i  puntini  destinati  ad  indicare  il  suolo  sotto 
le  figure  dell'  ordine  superiore  ;  essendo  caduto  il 
bianco ,  che  vi  si  ravvisava  in  origine. 

11  vaso,  che  abbiamo  finora  descritto,  ci  sembra  dare 
una  piena  conferma  alle  cose  da  noi  dotte  altrove  varii 
anni  addietro  sopra  un  altro  simile  monumento.  Dir 
voglio  del  magnifico  vaso  di  Armento  colle  divinità 
delle  Tesmoforie.  (  Vedi  il  buìlclt.  ardi.  nap.  del  eh. 
Avellino  an.  I  p.  5i  e  seg.  ).  Ma  qui,  oltre  le  osser- 
vazioni falle  in  quella  occasione,  altre  ci  si  presentano 
da  questa  importante  rappresentazione ,  che  ci  pone 
sotto  gli  sguardi  due  introduzioni ,  alle  quali  l'anti- 
chità attaccava  una  grandissima  importanza,  e  che  si 
riferiscono  entrambe  a'  misteri!  :  sono  esse  la  semina 
del  frumento,  e  la  piantagione  delia  vite.  Cosi  nell'or- 
dine superiore  primeggia  Tritlolemo  come  uno  de' be- 
nefattori della  umanità,  nell'ordine  inferiore  si  scorge 
Dioniso  come  propagatore  della  vigna.  Insieme  con 
questi  due  gralissirai  effetti  della  coltura  vedesi  Apol- 
lo, la  diviuilà  solare  per  eccellenza,  che  co'suoi  bene- 
fici raggi  promuove  e  protegge  ogni  sorta  di  vegeta- 
zione ;  vedi  ancora  Mercurio  ,  il  Mercurio  de'  miste- 
rii,  che  vien  detto  da  Aristofane  to'a<os  {Thesmoph.  v. 
9o4  e  segg.  ).  Dal  ravvisare  il  Mercurio  delle  Tesmo- 
forie nel  citato  vaso  di  Armento  abbracciato  ad  una 
side ,  io  lo  credetti  cosi  effigiato  siccome  il  dio  dei 
confini  ;  per  indicare  quando  Hermes  cominciò  a  pre- 
sedere alle  campagne.  Trassi  questa  mia  conghiettura 
dalla  derivazione  stessa  di  vqxcs,  dalla  identità  di  si- 

(1}  Noi   abliiamo  riputalo   questo  simbolo  il  segno  astronomico 
Oi  Mercuiio,  Ci  proponiamo  di  Jiscorrerne  in  un  particolare  articolo, 


zione  che  quando  cominciò  la  semina  del  frumento,  e 
s'introdusse  l'agricoltura,  dovette  appunto  pensarsi 
alla  distinzione  de' campi:  or  nella  ricordanza  di  questo 
benefizio  accordato  all'umanità,  s'introduce  la  divinità 
de' confini,  l'Hermes  nomios,  o  terminale.  Fanno  a  tal 
proposito  le  parole  di  Servio  (ad  Aen.  IV,  v.  58) , 
parlando  di  Cerere  Tesmofora  «  Leges  ipsa  dicilur  m- 
venisse.  Nam  et  sacra  ipstus  Tliesmophoria  vocantur. 
Scd  hoc  ideo  flngitur ,  quia  ante  inventum  frumenlum 
a  Cerere  passim  homines  sine  lege  vagahanlur:  quae  fe- 
ritas  inlerrupla  est  invento  usu  frumentorum,  poslquam 
EX  AGRORU.il  DIVISIONE  Hata  sunt  iiira  ».  Queste  no- 
stre idee  trovano  un  compiuto  appoggio  nel  nuovo 
vaso  AUifano  ,  ove  Mercurio  si  curva  verso  l' albero 
spogliato  de' suoi  rami,  e  de' tronchi,  e  che  perciò  in 
questo  stalo  fa  l'ufficio  di  un  confine.  Il  Mercurio  che 
abbraccia  una  slele,  o  che  cerca  di  attenersi  ad  un  nudo 
tronco ,  non  può  avere  che  la  medesima  evidente  si- 
gnificazione del  dio  terminale,  nel  momento,  in  cui  si 
riveste  di  questa  proprietà.  Questa  doppia  foggia  di 
rappresentare  Io  stesso  dio  corrisponde  a' versi  di  Ti- 
bullo (lib.  1  el  1  Y.  11). 

Nam  venerar,  seu  stipes  habet,  deserlus  in  agris, 
Seu  velus  in  trivio  florida  seria  lapis. 

Ove  è  da  notare  che  alle  campagne  è  creduto  più 
adatto  il  tronco  [stipes)  :  e  questa  circostanza  altresì 
pruova  la  idea  filosofica,  che  ha  presedulo  alla  forma- 
zione del  nostro  vasculario  dipinto  in  tulle  le  sue  parli. 

Al  citato  luogo  di  Tibullo  fa  bel  riscontro  quel 
che  dice  Lattanzio,  il  quale  parlando  del  dio  Termine 
si  esprime  colle  seguenti  parole:  Qui  non  tantum  lapis, 
sed  etiam  stipes  interdum  est  (  div.  iuslit.  lib.  1 ,  20 , 
37).  Erra  però  senza  dubbio  quando  sostiene  che  il 
dio  Termine  faccia  allusione  alla  pietra  divorata  da 
Saturno ,  come  evidentemente  dimostra  il  eh.  Carlo 
Federigo  Hermann  (  de  Terminis  eorumque  religione 
apud  Graecos  p.  20,  s.  not.  81  Gotlingae  1846).  Del 
resto  a  chiarire  come  anche  gli  alberi  fossero  adoprati 

(1)  Vedi  sull'analogo  significato  di  ^s^l.'s  e  Bufixòs  colla  idea 
di  stabilità  il  douissimo  Pigbio  Themis  àea  p.  62  e  84  e  seg. , 
il  quale  illustra  un  erma  muliebre  appartenente  al  cardioal  Carpe- 
gna ,  a  cui  dìf  U  aoms  di  Temi. 


—  99  - 


come  conGne,  non  sarà  fuor  di  luogo  richiamnrc  ciò 
che  dice  Siculo  Fiacco  (de  cond.  aaror.J:  Hi  tamen  /?- 
niuntur  tcrminis  et  AnBORims  notatis,  et  antemissis, 
et  superciliis,  et  vepribm,  et  viis,  et  rivis,  et  fossìs.  In 
quibusdam  regionibus  palos  prò  termìnis  observant  (p. 
4.  agg.  8,  53  Auct.  de  re  agr.  ed.  Goes).Veggasi  pu- 
re Ovidio  Fastor.  II,  G'i2.  Ed  altro  notevolissimo 
confronto  si  ha  nella  bellissima  iscrizione  di  Campo- 
marino,  pubblicata  dal  eh.  Garrucci  noi  primo  anno 
di  questo  buUetlino  p.  180,  ove  trattasi  appunto  di 
confini,  ed  ove  sono  notooli  le  seguenti  espressioni: 
vt  primum  pahim  erignel  a  QYEiìcr  pedes  circa  unde- 
cim  V.  W-2^,  ad  FRÀXixrii  notalam  palutn  fxum  esse 
V.  29-30.  Abbenclià  questi  esempli  non  apparten- 
gano che  ad  antichità  romana,  pure  non  può  dubi- 
tarsi che  presso  i  Greci  aver  doveano  luogo  le  mede- 
sime cose,  le  quali  sono  nella  natura  delle  umane  i- 
stiluzioni.  E  certamente  nella  origine  della  di\Ì5Ìoiic 
de' campi,  era  pur  più  probabile  che  si  seguissero  i 
naturali  confini,  quali  sono  gli  alberi ,  piuttosto  che 
gli  artefatti.  Da  lutto  ciò  vogliamo  inferirne  che  il  Mer- 
curio del  nostro  vaso  dee  ritenersi  come  un  dio  Ter- 
minale; e  siamo  quindi  autorizzati  a  giudicarlo  sicco- 
me un  appoggio  grandissimo  alle  idee  da  noi  pr*ce- 
deniemenfe  sviluppate. 

E  qui  vogliamo  avvertire,  che  il  dottissimo  Zoega 
attribuì  la  religione  degli  ermi  al  solo  Mercurio  ter- 
minale [de  or.  et  iisu  obeliscor.  p,  209  e  segg.  ).  Alla 
quale  idea  si  oppose  il  mio  dottissimo  amico  sig.  cav. 
Gerhard,  contrastando  la  ragione  di  (pieìla  forma  di 
divinità  messa  in  campo  dall' illnstre  danese,  il  quale 
l'attribuiva  alla  imperizia  degli  artisti  (p.  217).  Vedi 
Gerhard  de  religione  Hermarum  pag.  4  et  segg. 

Egli  invece  riferisce  la  religione  degli  f)'.*?u' al  culto 
delle  divinità  di  Samotracia,  e  propriamente  al  Mer- 
curio fal'iico  de'  Pelasgi ,  ed  a  quelle  dei!à  che  collo 
stesso  hanno  stretta  relazione  (vedi  la  sud.  memoria). 
All'opposto  il  eh.  Hermann,  contrastando  la  idea  che 
attribuisce  agli  ermi  un  generale  fallico  significato 
{d«  Terminis  eor.  rei.  ap.  Graecos  p.  22),  li  crede  de- 
nominati appunto  da  .Mercurio  ,  ed  in  relazione  con 
lo  stesso  come  dio  terminale  [ibid.  p.  18,  20);  anzi 
sostiene  che  forse  la  più  antica  iutroduzione  degU  ermi 


è  quella  che  servi  a  distinguere  le  private  possessioni 
(Ibid.  p.  13,  e  sog.  ).  Le  quali  osservazioni  rientrano 
appunto  nelle  idee  del  Zoega,  e  fanno  a  proposito  nella 
presente  discussione.  Non  voglio  intanto  omettere  di 
avvertire  che  bene  a  ragione  il  Gerhard  dichiarava 
falso  il  motivo  della  scelta  d.l!a  forma  dogli  ermi , 
attribuito  alla  imperizia  degli  artisti.  Evvi  però  un 
altro  motivo  diverso  ,  che  nondimeno  appoggia  mi- 
rabilmente la  teoria  del  Zoega.  Questo  motivo  è  for- 
nito appunto  dal  vaso  di  Armento ,  di  cni  sopra  di- 
cemmo ,  nonché  dal  nuovo  vaso  di  Alife.  La  forma 
degli  ermi  è  dovuta  alla  idea  di  una  stelo,  a  cui  tiensi 
abbracciata  ,  o  vicina  la  divinità  de'  confini.  Supposto 
che  questa  divinità  sia  in  parte  nascosa  dalla  pietra, 
o  dall'albero  a  cui  sta  vicina,  ne  verrà  la  forma  del- 
l'erma. Ne'va:i  ,  ove  la  presenza  della  divinila  pro- 
tettrice de' confini  doveva  particolarnionte  addiian-i , 
veJesi  essa  distinta  dalla  colonna  o  dall'albero  termi- 
nale: non  così  negli  altri  numerosi  monumenti  di  u- 
so,  ne'  quali  la  desidercvole  facilità  di  lavoro ,  e  la 
necessità  di  occupare  il  minore  spazio  possibile,  per- 
suadeva a  preferire  quella  forma  ad  un  gruppo.  L'an- 
tichità ci  fornisce  altri  esempli  di  queste  riunioni  di 
divinità  agli  oggetti  a' quali  si  riferiscono.  Tali  sono  il 
Giove  ed  il  Dioniso  hh.i^po]  presso  i  Greci,  de' quali 
ci  resta  qualche  rara  rappresentazione  (  vedi  i  miei 
monumenli  inedili  di  Barone  voi.  1  p.  63  e  segg.  ) , 
ove  si  veggono  figurar  appunto  come  protomi  o  busti 
alla  cima  di  alberi.  E  probabilmente  era  dello  stesso 
modo  effigii'la  la  Elena  Dendriti»  de'  Rodii  (Ptolem. 
Ileph.  IV,  b,  Phot.  bìbl.  190  p.  247  cf.  Jahn  arch. 
Bcitr.  p.32o,  ed  i  miei  ìnon.  inod.  append.  p.X).  Cosi 
pure  il  Dionysos  Siijloi,  o  Bacco  colonna ,  venne  figurato 
come  una  testa  al  di  sopra  di  una  colonna,  e  qualche 
volta  ancora  di  un  palo ,  rivestito  di  una  clamide  ; 
siccome  ci  venne  fatto  di  osservare  pubblicando  un 
insigne  monumento  del  sig.  Raffaele  Barone  (vedi  i 
mici  man.  incd.  voi.  1  tav.  VII ,  e  la  pag.  34  e  seg. 
Veggasi  pure  il  recentissimo  lavoro  del  eh.  cav.  Pa- 
nofka  Dionysos  tind  die  Tìujaden  tav.  I  fig.  1,  tav.  II. 
fig.  t  e  2,  e  la  png.  33  e  segg.). 

Per  non  dipartirci  da  queste  idee  del  Mercurio  Ter- 
minale, in  rapporto  col  vaso  di  Alife,  osserviamo  fi- 


—  100 


nalmente  che  al  rovescio  vedesi.  una  scena  del  gin- 
nasio, ove  figura  la  mela,  al(ra  forma  di  un  limile 
di  pielra,  a  cui  presedeva  lo  slesso  Mercurio. 

Volendo  ora  dir  qualche  cosa  sulle  particolari  fi- 
gure della  principale  rappresentanza  del  nostro  mo- 
numento, potrehhe  da  alcuno  darsi  la  denominazione 
di  Ecate  e  di  Cerere  alle  due  femminili  figure,  che 
veggonsi  presso  Triltolemo  ,  fondalo  sul  paragone  di 
altri  monumenti,  ove  di  quelle  due  divinità  vedosi  la 
prima  munita  di  scettro  ,  e  la  seconda  delle  fiaccole 
{mon.incd.  dell'ht.  voi.  I.  f.  IV,  annali  v.  1  p.26i  s. 
Tischbein  fom.  IV  tav.  Vili  cf.  Roulez  mélang.  fase. 
HI,  4  p.  2  e  seg  ;  e  ciò  che  ho  scritto  nell'antica  se- 
rie del  bull.  arch.  napol.  an.  1  p.  15).  Ma  nella  figura 
colla  fiaccola  io  inclino  a  ravvisar  piuttosto  Proser- 
pina;  giacché  in  altri  monumenti  questa  divinila  scor- 
gesi  ancor  essa  colla  fiaccola,  siccome  osservammo  noi 
slessi  in  un  vaso  del  Tischbein  (toin.  IV  tav.  Vili  ve- 
di il  cit.  bull.  l.  e.  ).  Sarebbe  dunque  nel  nostro  vaso 
Triltolemo  fra  Cerere  e  Proserpina  Iljpff/pxa-c-a ,  o 
<&£f£^«crxj  siccome  viene  denominata  in  un  magnifico 
vaso  agrigentino  (  bulled.  1.  e):  il  che  ci  sembra  me- 
glio adattato  al  soggetto.  A  ciò  si  aggiunga  che  la  face 
pienamente  si  addice  ad  una  divinità,  il  cui  nome  può 
accennare  particolarmente  alla  luce ,  derivandosi  dui 
verbo  ^aw,  (Lobeck  pathol.  l.  gr.  p.  40). 

E  qui  piacemi  di  osservare  potersi  ne'  monumenti 
relativi  a  Triltolemo  riconoscere  e  distinguere  la  fi- 
gura di  Proserpina  da  quella  di  Ecate:  ed  è,  a  nostro 
giudizio,  nolevolfe  la  dìHerenza. 

Ecate  è  quella ,  che  reca  due  fiaccole  ;  Proserpina 
quella,  che  ne  porta  una  sola.  Esser  dovea  nell'anti- 
cbità  lipo  particolare  ad  Ecale  una  figura  con  dop- 
pia fiaccola,  se  Aristofane  ebbe  a  dire  di  quella  par- 
lando : 

AiVL'poui  à.y:XOUiTot.  X'jiixTrx^ai 
'Oè,v'rclro(.iv  x.-ipì'i'  (Ran.  1361/ 

Sarà  quindi  probabile  la  nostra  distinzione ,  la  quale 
non  ci  sembra  contraddella  da  alcun  monumento  re- 
lativo allo  slesso  mito  di  Triltolemo.  Per  lo  che  credia- 
mo anche  noi  che  riconoscer  si  deggia  Ecate  nella  fi- 
gura con  doppia  face ,  la  quale  precede  Demeler  nel 
naagaifico  vaso  cumano  pubblicalo  n«l  citato  bulkuiiio 


del  cav.  Avellino  (an.  I  tav.  II) ,  giusta  la  interpreta- 
zione del  eh.  Schulz  [bidlelt.  dell' Ist.  1842  p.  9). 

In  quanto  al  carro  di  Triltolemo,  che  vedesi  sem- 
plicemente alato  ,  senza  esser  tratto  da  serpenti ,  in- 
contra il  confronto  di  varii  monumenti ,  tra'  quali  il 
vaso  della  collezione  Pizzatipubblicato  dal  eh.  Roulez 
(mélang.  1.  e.  pag.  3.  ove  si  citano  varii  monumenti 
not.  Ì3).  Questo  vaso  merita  di  esser  paragonalo  con 
quello  di  Alife,  anche  per  la  figura  di  Triltolemo,  a 
cui  molto  si  assomiglia  per  lo  scettro,  per  l'abbiglia- 
mento, e  per  la  corona  che  ne  cinge  la  fronte.  Solo 
è  notevole  la  differenza  che  nel  vaso  Pizzali  feroe  re- 
ca in  mano  una  patera  ,  come  in  altri  monumenti  in 
un  vaso  del  real  museo  di  Berlino  (Panofka  wims.  Bar- 
toìd.  p.  133  seg.  cf.  Gerhard  Berlins  anlike  Bildw. 
p.  2o9).  Lo  scettro,  che  vedesi  varie  volle  attribuito 
a  Triltolemo,  pare  voglia  alludere  alla  sua  destinazio- 
ne di  civilizzatore  della  umanità  :  e  poiché  la  civiltà 
penetra  ne'  popoli  per  mezzo  della  parola  e  si  rafferma 
per  mezzo  delle  leggi ,  ben  conviene  all'  attico  eroe 
quel  simbolo,  che  accenna  appunto  a  queste  due  idee; 
per  lo  che  costituisce  il  distintivo  de'  re,  e  degli  ora- 
tori, e  quindi  di  tutti  coloro,  che  han  bisogno  di  ri- 
chiamare r  attenzione  degli  ascoltanti.  Vedi  la  delta 
memoria  del  sig.  C.  F.  Hermann  de  sceplri  regii  an- 
tiquitale  et  on'^me-Gottingae  1851;  cf.  principalmente 
la  pag.  13-14. 

-      MiJiERVINI. 


liciizioni  Ialine,  continuazione  del  n.  precedente. 


Pria  di  passare  ad  altra  iscrizione ,  noterò  che  i 
Latini  ebbero  il  nome  proprio  yl«imu/a,  come  si  legge 
in  un  programma  di  Pompei  (  bullet.  arch.  nap.  aat. 
ser.  an.  I,  p.lO  n.  11).  Or  quantunque  il  dottissimo 
Avellino  tenesse  quel  nome  come  allusivo  ed  epigram- 
matico {bull.  cit.  an.  IV,  p.  50);  pure  io  opino  che 
sia  un  vero  nome  simile  al  greco  Psycharium:  e  que- 
sto è  pure  il  sentimento  del  eh.  Garrucci  (bull.  nap. 
nuova  ser.  an.  I.  p.  152). 


—  101  — 


HMSSEFC 
P  •  SALLVVIVS  •  P  •  F  •  RVFVS  •  ET 
M  •  SALLVVIVS  •  P  •  F  •  COGITATVS 
P  •  SALLVVIO  •  P  •  F  •  RVFO  •  PATRI  •  ET 

SALLVVIAI  •  P  •  L  •  ITALIAI  •  MATRI 
WEMORES  •  PIETATIS  •  FILII  •  PARENTIBVS 

Questa  iscrizione  proviene  dal  medesimo  silo  che 
la  precedente,  e  trovasi  pur  pubblicala  nel  citato  luo- 
go, interessante  ci  sembra  la  formola  messa  nel  prin- 
cipio ,  la  quale  è  da  interpretarsi  certamente  :  hoc 
monumentum  sive  sepulcrum  est  faciendum  curanvU 
eie.  Le  prime  cinque  sigle  sono  spiegate  dalla  grute- 
riana  (p.  DGCCLXXIX  n.  6;  cf.  Snieth.  fol.  CXLI, 
num.  1),  ed  incontrano  il  confronto  in  altre  iscrizio- 
ni; come  in  quella  dell' Augustale  iu  Miseno  31.  An- 
tonio lanuario,  già  da  me  pubblicata  (  bull.  ardi.  nap. 
L  serie  an.  IV.  p.  17  e  seg.),  ed  acquistata  pel  real 
museo  Borbonico.  Per  tornare  alla  epigrafe  de' Sali u- 
vii ,  osservo  doversi  riputare  de'  buoni  tempi;  ed  è 
anche  notevole  il  dittongo  AI  per  AE  nel  nome  della 
madre  Salluviai  Italiai.  Questa  donna ,  addivenuta 
forse  la  moglie  del  suo  padrone  P.  Salluvio  padre , 
portava  nella  origine  un  nome  geografico.  É  sfato 
osservato  dal  eh.  ab.  Cavedoni  trovarsi  non  poche 
volte  cognomi  geografici,  e  ne  raccolse  non  pochi  e- 
sempli  (  monum.  amico  sepolcr.  ora  tornalo  a  luce  in 
Modena  p.  6  e  s.  cf.  indicai.  Mod.  an.  2  n.  16),  do- 
po le  osservazioni  del  dottissimo  Borghesi  (»u(Ofo  t/('yj/. 
mil.  di  Tr.  Decio  pag.  68-70  cf.  Cardinali  dipi.  mil. 
p.  23;  e  iscr.  y^eliterne  p.l70).  Lo  stesso  eh.  Cavedo- 
ni altri  esempli  andò  ricavando  non  ha  guari  dalle 
iscrizioni  cristiane,  ove  ci  sembrano  evidenti  f'rar/^iia- 
glio  crii,  del  discorso  sopra  le  iscr.  cristiane  antiche  del 
Piemonte  del  eh.  sig.  Cav.  Costanzo  Cazzerà  p.  19  }: 
e  bene  a  ragione  fa  la  medesima  avvertenza  il  mio 
dotto  collega  signor  Gervasio  pel  cognome  Puteolano 
attribuito  a  personaggi  di  Pozzuoli  (  iscriz.  di  Cavia 
Marciana  pag.  1 1  e  seg.).  A  questa  medesima  classe 
di  nomi  geografici  appartiene  la  nostra  SaUuvia  Ita- 
,  Ha.  Del  resto  in  varie  altre  epigrafi  delle  nostre  regioni 


occorre  lo  stesso  nome  :  co^i  rilrn\  ianio  una  Pvmpo- 
ìiia  Ilitalia  in  iscrizione  di  Brindisi  (  noe.  Fiorent. 
178i,  390,  Mommsen  j'/iSfr.  r.  npa/>.  lai.  num. 'ììd), 
una  Pelronia  Italia  presso  Piedimoutc  di  AtHe  (Trutta 
ani.  allif.  p.  210;  Mommsen  n.  4789),  una  Valeria 
Italia  in  epigrafe  del  nostro  real  museo  (Muratori  j). 
JIDCV,  1  ;  Mommsen  n.  7126),  e  finalmwite  una 
llalia  nelle  catacombe  di  S.  Gennaro  (de  Jorio  Ca- 
lac.  p.  80;  Mommsen  n.  3303  ). 


Tralasciando  alcune  varietà  di  lezioni  di  altre  iscri- 
zioni, nascenti  dalla  nuova  lettura  del  sig.  Falcone , 
dirò  ch'egli  ne  riferisce  una  inedita  proveniente  da 
Casalbore  Comune  dello  slesso  circondario  di  Monle- 
calvo  {loc.  cil.  p.  17).  Essa  dice  così: 

D-  M- 

M.  ALLIVS 

MARCELLVS 

MAXIME 

COIVGI 

BMF- 

8. 
BOVIAE-  L-  L-  ARBVSCVLAE 

È  in  una  ampia  lastra  di  marmo,  proveniente  dalle 
vicinanze  di  Pozzuoli.  Ora  è  posseduta  dal  sig.  Raf- 
faele Barone  negoziante  di  antichità:  e  lo  slesso  ab- 
biamo a  dire  ,  sì  per  riguardo  al  possessore  che  alla 
provenienza,  delie  due  altre  iscrizioni  seguenti.  Il  no- 
me della  gente  Bovia ,  ed  il  cognome  Arbuscula  sono 
abbastanza  frequenti  nelle  lapide  ,  perchè  citar  .se  ne 
debbano  gli  esempli. 

9. 
M-  S- 

-la  NVARIVS  •  SE  ,  VIVO   FeC  • 
et  ■  lAWARIAE  ■  COIVG  •  SVAE 

IIVNC  •  CVBICVLVM  • 
et  •  IIB  •  LIBERT  •  LIBERTABVSQ- 
suis  •  MASVRI  •  SOLO  •  PERÌ'E 
tuo  ■  ERIT    SVMMA-  DIES  •  ET 
(EMPVS  • 


—  102  — 


Questo  marmo  è  alquanto  frammentato  a  sinistra, 
e  vi  ricorre  intorno  una  cornice.  Noi  crediamo  che 
pochissime  lettere  vi  manchino,  e  sieno  quelle  appunto 
che  vi  abbiamo  sapplite.  Sembra  che  nella  prima  li- 
nea manchi  lo  spazio  per  un  D.,  per  formare  la  noia 
formola  D.  M.  S.  Sarebbe  dunque  da  ritenere  il  solo 
M,  cioè  Manibus  Sacrum.  Questa  particolarità  incontra 
qualche  confronto  ,  come  nella  iscri/.inae  del  museo 
Veronese  (MalTei  ;n U.S.  Feron.  141,  1),  riprodotta  dal- 
rOrelIi  (n.  4441).  La  ortograBa  coiufji  per  coniugi  è 
comunissima,  ed  antica.  Cosi  lo  dice  espressamente  Ap- 
pulojo  grammatico  pubblicato  dal  eh.  Mai  (p.  133)  : 
Coiux  dira  n  in  ulraque  Pjl'aha  repurilur  apudanli- 
qiios;  il  qual  luogo  è  citato  a  proposilo  dal  dottissimo 
Cavedoni  {dichiar.  degli  ant.  marmi  moden.  p.  273, 
s.).  Nella  nostra  iscrizione  troveremo  pure  un  altro 
esempio  della  omissione  dell'  N  innanzi  ad  S  nella  voce 
masuri  per  man.mri:  del  che  si  hanno  influiti  esempli 
nelle  antiche  lapidi,  siccome  potrà  di  leggieri  persua- 
dersi chi  svolge  appena  gl'indici  grammaticali  delle 
principali  raccolte  epigrafiche.  La  frequenza  di  questa 
ortografia  ce  la  fa  attribuire  a  particolare  pronuncia  la- 
tina piuttosto  che  ad  influenza  di  greco  parlare  ;  seb- 
bene potrebbe  forse  sostenersi  che  questa  influenza  ebbe 
luogo  ne'  pochi  casi,  ne'  quali  vedesi  il  finimento  in  is 
come  nelle  parole  agis  per  agens,  discis  per  discens, 
secondo  la  opinione  ultimamente  emessa  dal  eh.  sig, 
Gervasio  (iscriz.  riguard.  il  Macello  di  Pozzuoli  f  Ai 
e  s.  ).  Nondinleno  anche  in  questi  pochi  casi  potrebbe 
taluno  sospettare  che  non  sieno  state  abbastanza  se-r 
gnale  le  traverse  dell'  E  nella  sillaba  finale.  La  voce 
cubiculum  fu  non  poche  volte  adoperata  ad  indicare 
il  sepolcro  (  Muratori  p.  DXLIV  ,  1  ;  DCCCXC  ,  6  ; 
MCCCX,  1  ;  MCCCLXXI,  5:  Fea  framm.  Consolari 
p.  89  )  :  né  ciò  dee  sembrare  maraviglioso  ,  quando 
si  consideri  esswe  adoperate ,  ad  indicare  il  riposo 
della  tomba,  le  espressioni  /tp/cc«?ja((Orellin.4485, 
4486  :  vedi  le  effemeridi  letterarie  di  Royna  t.  XIIL 
p.  92  ).  In  quanto  a)  pronome  hunc ,  che  mal  si  coir 
lega  con  cubiculum,  è  i)oto  incontrarsi  sovente  simili 
discordanze  nelle  lapide  ;  e  per  tacer  di  moltissimi  ri^ 
gcoDlri ,  che  sarebbe  facile  accumulare,  mi  basterà  di 
citare  \  hunc  momimenlxim  (Marini  Arvali  pag,  343; 


Lupoli  il.  Venm.  p.  287;  Creili  n.4428:  cf.  Momm-  ' 
sen  n.  6916),  che  contiene  la  identica  particolarità. 
Non  è  poi  strano  il  supporre  che  si  usasse  anche  cw- 
hiculus  in  genere  mascolino ,  giusta  1'  avvertenza  di 
Curio  Fortunaziano  (art.  rhetor.  lib.  3.  p.  71.  rhet. 
Latin,  del  Capperonaier  )  :  Romani  vernacula  pluri~ 
ma  et  neutra  multa  masculino  genere  potius  enuntiant 
et  hunc  thcatrum  et  hunc prodigium.  Co^ilro\ASìhunc 
coUcgium  nella  Orelliana  (n.  4123),  e  non  poche 
volte  collegius  (  Murat.  pag.  CLXII ,  3  ;  DXXV ,  2  ; 
DCLII,  2;  cf.  Creili  n.  4101:  Amaduzzi  anecd.  rom. 
tom-  3  p,  466,  9  ;  Gori  inscr.  Elrur.  t.  3  pag.  18; 
Cimaglia  ant.  venus,  p.  194).  Traile  lapidi,  ove  que- 
sta voce  si  legge ,  va  messa  quella  di  Mavorzio  Lol- 
liano  ,  come  ha  dimostrato  il  eh.  sig.  Gervasio  cella 
illustrazione  di  quella  epigrafe  (vedi  alla  pag.  4  U 
dotta  annotazione  4:  cf.  Mommsen  n.  2'i02,  il  quale 
dice  di  aver  letto  colligeus).  Tornando  alla  iscrizione 
del  sig.  Barone,  avvertiamo  ch'essa  termina  con  una 
grave  sentenza  ,  di  cui  non  troviamo  il  riscontro  ia 
altra  iscrizione:  mannin  solo  perpetuo  erti  summa  dies 
et  tempus.  Esprime  senza  dubbio  lanuario  ,  metten- 
dosi in  vita  quella  memoria  ,  che  per  coloro  i  quali 
erano  destinati  a  rimanere  perpetuamenle  sotterra  »er- 
rehbe  l  estremo  giorno.  E  forse  nella  conclusion*  lo 
scrittore  tenne  presente  quel  noto  verso  di  Virgilio 
[Acneid.  II,  v.  324)  Venil  summa  dies,  et  inelucta- 
hile  tempus. 

10. 

D     pT        M    / 
M  •  CALVIO    OPPILI 
OM  •  QVIVIXIT  ANMS 
Vili  •  CALVIA  •  CALLI 
TVCHE  •  FRATRI 

PVLCISSIMO 
FECIT    pT 

Sulle  foglie  di  edera  messe  per  semplice  distinzione 
nelle  iscrizioni  greche  e  latine  vedi  quel  che  ho  detto 
io  stesso  in  altro  lavoro  {ant.  lap.  napol.  di  Tettia 
Casta  p.6,  s.).  Il  cognome  O/Jllio  è  simile  al  Tracalio, 
all'  OjJlatio  de  programmi  pompeiani ,  ed  al  Luerio 


103  — 


(li  una  iscrizione  forse  puteolana  riferita  dal  sig.  Gcr- 
vasio  ,  a  proposito  d' illustrare  il  simile  cognome  di 
Epaphrio  in  una  iscrizione  di  Lesina  [ani.  iscr.  di  Le- 
sina p.  20,  e  34  noi.  1 ,  ove  si  parla  di  questi  ipoco- 
ristiei,  citandosi  pure  il  Marini  Arvaìi  p.  250  seg.  ). 
A  noi  piace  di  aggiugnere  Xlnfantio  fornitoci  da'  pro- 
grammi pompcjani  (Guarini  (asli  duumv.  p.  loO), 
uno  de'  quali  uscito  da  poco  tempo  alla  luce  fu  da 
noi  riferito  in  questo  medesimo  biillettino  (an.  I.  p. 
177).  Sono  egualmente  da  ricordare  il  Quintio  di 
una  iscrizione  edita  dal  eh.  Avellino  (ftit//.  arch.nap. 
an.  I.  pag.  8),  ed  il  Maceria  di  un  programma  pora- 
pejano  (  bidl.  cil.  an.  IV  p.  4). 


già  in  altre  lapide  (1) ,  si  faccia  soltanto  nel  nome  di 
Vcrria.  Il  cognome  EtUychini  ci  offre  uno  di  quei  fi- 
nimenti femminili  che  ora  in  eds  ora  in  enjs  ed  inis 
veggonsi  uscire  al  genitivo.  Ricliiaraiamo  a  confronto 
il  nome  Eleutheris,  cifc  legsesi  al  terzo  caso  KI-EV- 
TIIEUliNE  ia  una  iscrizione  del  real  museo  IJoiIjo- 
nico  proveniente  da  Marano  [bull,  arch,  nap.  an.  Ili 
p.  94  Mommscu  n.  3032). 

13. 

DM 

TAG AEN AE 

VIX     •     AN 

XXI 


11. 


Non  è  sicura  la  provenienza  di  questa,  e  delle  altre 
molte  iscrizioni  che  seguono  :  soltanto  possiamo  assi- 
curare che  esse  appartengono  a  Pozzuoli ,  Cuma  , 
Baja  ,  ed  altri  siti  vicini. 

DIS  •  MAN 
C  ,  AVIANI 
EPAGATUI 

AVGVST 

CVMIS 

Questa  iscrizione  ci  presenta  il  nuovo  augustale  di 
Cuma  C.  Avianio  Epagalo,  da  aggiugnersi  a'  due  fi- 
nora conosciuti  dalle  iscrizioni  (Mommsen  n.  2120, 
e  2579  ;  la  quale  ultima  iscrizione  è  nel  real  museo 
Borbonico). 

12, 

D  M 

VER  •  RI  •  AE  .  EVTYCHI 
NI  •  VIXIT  •  AN  •  XXXV 
DIEBVS  •  VI 
EVNVS  •  CONIVGI 

t.  notevole  che  la  divisione  nelle  sillabe,  osservala 


Le  A  dell'  insolito  nome  Tagaenae  sembrano  prive 
della  traversa. 

14. 

D    •    M 

L  •  LOLLIO 
EPAPHRODITIANO 

15. 

A  •     OFILLIVS 
STAPIIYLVS 
VlXIT  •  ANN  •  XXV 

16. 
D     •     M 
AVRELIVS  •  ROMA 
NIO  •  QVI  •  VIXIT  •  ANN 
XV  •  M  •  IIII  •  AVRELIA 
AERAIS  •  FILIO  •  SVO 

B  •  M  •  F  • 
ACIL  •  PRIMVS  PAT 

Il  cognome  Romanio  va  nella  stessa  categoria  di 
quelli  notati  sotto  il  num.  IO.  Il  cognome  PRl.MVS 
offre  il  finimento  VS  in  nesso. 

(1)  Vedine  vari!  esempli  citali  da  noi  jIitotc  nel  bull,  archto- 
logiso  nap-  di  Avellino  ao.  VI  p.  -44. 


—  104  — 


17. 
SVETTIAE  FAVSTAE 

18. 
FAVSTA  •  LONGINI 
SIBI  •  ET  .  PELORIDI  •  FIL 
V • ANN  •  V 
Questa  Fausta  era  moglie  di  Longino  :  essendo 
quello  il  modo  d'indicare  una  tale  relazione  nelle  la- 
pide e  nelle  medaglie.  È  alquanto  strana  la  maniera 
di  esprimersi  SIBI  •  ET  •  PELORIDI  •  FILmc,  nel 
metlere  una  memoria  alla  defunta  figliuola  ;  di  cui  si 
dice  che  visse  soli  cinque  anni  :  a  meno  che  non  vo- 
glia dirsi  che  l' affettuosa  madre  volle  additare  il  suo 
dolore  per  quella  perdita ,  quasi  accennasse  di  avere 
a  sé  stessa  preparato  il  sepolcro. 
19. 
D  •  M 
C  •  MARCVS  (sic)  •  GEMELLI 
NVS  •  C  •  MARCO  (sic.)  •  GEMEL 
LINO  •  ALVMNO  •  QVI  •  VIX 
ANNIS  •  XXII  •  ME  •  mi  •  B  •  M  •  F 
Qufesta  iscrizione  ci  sembra  interessante  perchè  ci 
offre  il  prenome  Marcus  adoperato  forse  come  nome. 
Noi  sappiamo  essersi  adoperati  in  tal  modo  alcuni  pre- 
nomi, come  Cahis,  Numerius  etc.  ;  ma  vedesi  almeno 
in  essi  il  finimento  in  ius.  Questo  è  stato  certamente 
il  motivo ,  per  lo  quale  il  Furlanetto  ammise  unica- 
mente esser  passato  il  prenome  Marcus  ad  usarsi  come 
cognome  (  Lexic.  Forcell.  v.  Marcua).  Debbo  pertanto 
ayverlire  che  anche  da  altri  esempli  potrebbe  taluno 
essnere  autorizzato  a  crederlo  nome  di  gente.  Infatti  due 
iscrizioni  Muratoriane  ci  forniscono  due  altri  esempli 
di  questa  particolarità.  Troviamo  in  una  un  Q.  Mar- 
cus, Italicus  (p.  DXXVIII,  2),  nell'altra  un  C.  Marcus 
Paulus  (  pag.  MCXXIX,  9  ).  Questi  esempli  trovansi 
assai  bene  illustrati  dalla  novella  iscrizione  ,  nella 
quale  non  può  affatto  supporsi  un  nesso  dell'I  coll'V; 
giacché  Icggcsi  poi  chiaramente  al  dativo  C-MARCO. 
Potrebbe  unicamente  ricorrersi  alla  supposizione  di 
un  doppio  cognome  colla  soppressione  del  nome;  e 


questo  sembra  confermato  da  una  epigrafe  romana* 
pubblicata  da'  chiar.  signori  Marchese  Melchiorri  e 
Commendatore  Visconti  nella  Sìlloge  d' iscrizioni  ari' 
tiche  inedile  da  loro  inserita  nelle  effemeridi  letter.  di 
Roma:  la  suddetta  iscrizione  leggesi  a  pag.  105  del 
toni.  XIII  sotto  il  n.  ClIII.  Troviamo  in  essa  un  Q. 
Quadratus  Marcus  fratello  di  un  Q.  Marcus  Rueus. 
Or  può  dedursene  che  il  cognome  comune  fosse  Mar- 
cus ,  e  che  ognuno  di  loro  si  avesse  altro  cognome 
Quadralus ,  Rueus  ;  secondo  le  famiglie  colle  quali 
erasi  imparentato.  Non  deggio  però  tralasciare  di  av- 
vertire che  il  Marcus  potrebbe  supporsi  il  nome  della 
gente,  e  Quadratus  e  Rueus  i  cognomi  ;  essendo  bea 
risaputo  che  nelle  iscrizioui  non  è  raro  trovare  il  co- 
gnome premesso  al  nome.  Del  resto ,  come  innanzi 
avvertimmo  ,  è  frequente  il  cognome  Marcus  nella  i- 
scrizioni  :  e  per  parlar  solo  delle  nostre  regioni ,  il 
eh.  Mommsen  ne  riporta  sette  esempli  (n.  302,  352, 
1333,  1677,  3364,  3536,  6310  (139)).  Da  questi 
però  vorrei  togliere  il  n.  352  riferito  da  una  iscri- 
zione di  Saponara  letta  dallo  stesso  eh.  editore  ;  giac- 
ché parmi  che  veggasi  in  essa  usata  come  prenome. 
La  iscrizione  è  la  seguente  : 
D  •  M 

MARCO  PAT  L 

ET  ARRIA  MAT 

FILIO  •  BENEM 

ERENTI  FECIT  QV 

VIX  •  ANNIS  XVIII 
Nella  seconda  linea  dovendosi  leggere  Marco  pater 
Lucius,  vedesi  notata  la  diversità  de'  prenomi:  non  si 
legge  poi  né  il  nome  né  il  cognome  ;  perchè  proba- 
bilmente appartennero  alla  stessa  gente  Arria.  Erano 
dunque  uu  Marco  Arrio,  ed  un  Lucio  Arrio;  e  quia- 
di  non  dee  pensarsi  ad  uso  di  cognome. 

Tornando  alla  iscrizione,  che  ora  pubblichiamo,, 
nulla  diremo  della  voce  ALVMNO  ,  rimandando  a 
ciò  che  ne  scrissero  il  Fabretti  (e.  V  p.  349-354), 
ed  il  MorcelH  {de  slyl.  inscr.  I,  p.  167). 

MlKERVINI. 


Qivuo  MiNERYi.M  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catàneo. 


BlLLETTmO  ARCIIFOLOfiICO  MPOLUWO. 


NUOVA    SERIE 


N.'  38.     (14.  deiranno  II.) 


Gennaio  1854. 


Notizia  di  alcune  lerrccolle  antiche  ddla  collezione  del  defunto  Francesco  Mongelli  in  Sapoli.  Continuazione 
dell' artic.  inserito  nel  I.  anno  di  questo  buUettino  p.  30.— liiblinijrafia.-- Iscrizioni  latine.  Continuazione. 


Notizia  di  alcune  terrecotle  antiche  della  collezione  del 
defunto  Francesco  31ongelli  in  Napoli.  Continua- 
zione dell'  artic.  inserito  nel  I.  anno  di  ffiesto  bul- 
Icltino  pag.  30. 

Nella  favola  seconda  di  questo  secondo  anno  del 
buUettino  furono  per  noi  pubblicali  i  disegni  di  due 
altri  notevoli  pezzi  della  raccolta  Mongelli;  ed  ora  dar 
uè  vogliamo  una  breve  dilucidazione,  che  pur  troppo 
lungo  tempo  fu  da  noi  rilardata  (  I  ). 

Vedesi  sotto  il  n.  3  una  piccola  ara  di  larghezza 
palmo  1,5,  di  altezza  7  decimi  di  palmo  ,  che  noi 
abbiamo  riprodotta  di  più  piccole  dimensioni.  Nella 
parte  anteriore  è  a  bassorilievo  una  quadriga  di  fron- 
te ,  sulla  quale  scorgesi  Pallade ,  senza  alcun  altro 
distintivo  al  di  fuori  della  galea.  Dicesi  il  monumento 
trovato  in  Agrigento;  ed  il  defunto  possessore  ne  pub- 
blicò una  poco  esatta  litografìa  :  il  che  ci  ba  spinto  a 
farne  una  novella  pubblicazione. 

La  rappresentazione  sopra  descritta  è  di  stile  ar- 
caico e  secco  :  e  la  quadriga,  specialmente  per  la  for- 
ma de' cavalli,  merita  di  essere  paragonata  ad  alcune 
pitture  di  vasi  di  piìi  antica  fabbrica  ;  tra'  quali  ci  piace 
di  richiamarne  uno  posseduto  dall'  illustre  sig.  Duca 
de  Luynes,  che  ne  fece  egli  stesso  la  pubblicazione: 
ove  si  scorge  appunto  una  quadriga  di  fronte  fdescr. 
de  quefq.  vas.  peints  pi.  Vili  cf.  deWiffe  calai.  Ma- 
gnoncourp.  27).  Notevole  è  la  semplicità  del  cocchio, 
che  manca  assolutamente  àcìVantyx;  e  forse  dee  cre- 
dersi piuttosto  indicato,  che  compiutamente  effigiato. 
Difficile  sarebbe  l'indagare  se  l'artista  abbia  voluto 

(1)  Dopo  la  nostra  pubblicazione  ne  fu  fatto  1'  acquisto  pel  rea! 
museo  Borbonico. 

ÀftNO   li. 


figurar  la  dea  (ratta  in  quadriga  per  alcuna  delle  av- 
venture che  a  lei  si  riferiscono  ,  ovvero  quale  ajuta- 
trice  di  qualche  eroe.  Potrebbe  supporsi  ciie  si  ac- 
cennasse alia  pugna  co' Giganti,  alla  quale  prese  parte 
anche  Pallade.  Né  dee  far  maraviglia  la  mancanza 
dell'  avversario  ;  perciocché  è  ben  risaputo  che  nel- 
l'arie antica  non  è  nuovo  il  veder  tralascialo  un  per- 
sonaggio, quando  dagli  altri  presentati  in  uu  qualche 
monumento  ,  viene  a  spiegarsi  l' azione  ,  che  si  bra- 
ma indicare  (1).  Varie  rappresentanze  di  Gigantoma- 
cbie,  nelle  quali  non  sono  i  nomici  dcll'Oliinpo,  veg- 
gousi  ricordale  dal  Sig.  Kaoul-Ilorliello  fjourn.  des 
savants  1841  p.  650).  E  nella  medesima  Agrigento, 
patria  della  nostra  terracotta ,  fu  rinvenuta  una  insi- 
gne patera,  ora  nel  real  museo  di  Monaco,  nella  quale 
si  osserva  la  medesima  particolaiità  (Fngbirami  intl. 
di  vasi  fitt.  tom.  Ili  pag.  140  seg.  tav.  282-283). 
Noi  andiamo  a  questa  idea,  perchè  ci  sembra  che  in 
quel  celebre  mito  ,  piti  die  in  qualunque  altro ,  era 
conveniente  presentar  nella  quadriga  la  dea  guerriera. 
Soltanto  é  da  avvertire  che  il  cocchio  è  fermo:  o  che 
s'immagini  un  istante  prima  di  muoTersi  allacors.i,  o 
appena  giunto  dopo  lunga  e  faticosa  \\a.  Comunque 
sia,  noi  non  vorremmo  con  certezza  determinare  l'uso 
di  questa  terracotta  ;  ma  se  riputar  si  debba  un'  ara  , 
o  la  base  di  altro  oggetto  qualunque,  lo  lasceremo  de- 
cidere a  coloro,  rfie  più  si  dilettano  di  congbietlure. 
Mollo  interessante  è  la  figurina  da  noi  riportala  la 
mela  dell'originale  sotto  il  n.4  della  nostra  t.  II.  Rap- 
presenta essa  una  donna  seduta  sul  gallo,  da  cui  è  tra- 
sportata. Questo  piccolo  gruppo  è  slato  recentemente 


(1)  Vedi  pure  i  miei  mon.  intd.  di  barone  p.  H9. 


—  106 


acquistalo  dal  rcal  museo  Boibonico:  ed  io  ne  conosco 
iiu  altro  somigliante ,  cbe  ci  presenta  il  gallo  volto  a 
sinistra,  laddove  in  questo  da  noi  pubblicato  l'uccello 
è  rivolto  a  destra.  A  bene  intendere  questo  raro  e  pre- 
gevole monumento,  ricordo  cbe  il  gallo  è  un  augello, 
il  quale  lia  stretta  relazione  col  nascer  del  giorno ,  e 
colla  luce.  Vedi  su  di  ciò  le  classicbe  autorità  raccolte 
dal  Bocbart  {Hlcrozoic.  lib.  I.  e.  XVII  p.  120-121), 
da!  Liudeubrogio  (  ad  Ccnsorinum  de  die  nal.  cap. 
AXIV  p.  12G),  dal  Baderò  (ad  Marlial.  lib,  IX  ep. 
70  ) ,  dal  lungermanno  (ad  Polluc.  I,  71  noi.  70 p. 
46  ed.  Henisleibuis),  dall' Heinsio  [leclion.  Tlieocrit. 
e.  12),  e  per  tacer  di  altri,  dal  Barlolino  [de  luce  a- 
nimalium  p.  222  seg.  ),  il  quale  alla  cresta  del  gallo 
mostra  essersi  pure  attribuito  una  specie  di  splendore. 
Essendo  indubitata  una  tale  relazione  del  gallo  col 
sorger  del  giorno  ,  e  coli'  Aurora  ,  noi  crediamo  fi- 
gurarsi appunto  Hemera  o  Y  Aurora  nelle  due  terre- 
cotte ,  di  cui  ragioniamo.  In  conferma  della  nostra  at- 
tribuzione ci  piace  di  ricordare  le  medaglie  d'Hlmera 
di  Sicilia ,  ove  da  prima  l' immortale  Eckbel  vide  la 
relazione  del  tipo  del  gallo,  1' uccello  del  giorno  [rìffi 
■fi'ji/pxs,  o  lixip'xi),  col  nome  stesso  della  città  {doclr, 
num.  vet.  toni.  I.  pag.  212):  ed  assai  a  proposito  il 
dottissimo  Cavedoni  citò  il  frammento  di  Simonide 
appo  Ateneo  (lib,  IX  p,  374),  ove  il  gallo  è  detto 
lixr^ópwioi  [spie.  num.  p.  27).  La  quale  osservazione 
confermasi  dalla  lezione  di  un  codice  di  Ateneo,  ove 
si  legge  Yj/xjpoipwvos,  cbe  il  eli.  Bergk  riduce  in  afxs- 
(.ó^ujvoì ,  per  restituire  la  voce  alla  forma  dialettica 
[poelae  lyr.  gr.  p.  771  Simon,  fr.  81  ).  Del  resto  av- 
vertiamo che  il  sommo  Isacco  Casaubono  aveva  già 
osservalo  doversi  leggere  Y/x-pópwvos  dici  minlius  [a- 
nimad.  in  Aihen.  pag.  646),  A  confronto  tanto  della 
sicula  medaglia  quanto  de'  nostri  monumcnli  fanno 
assai  bene  alcuni  altri  luoghi  di  antichi  scrittori,  che 
non  sarà  inopportuno  andar  qui  ricordando.  Trovia- 
mo presso  Plinio,  parlando  appunto  del  gallo:  diem- 
QUE  venienlem  nunciant  cantu  (lib.  X  r.  21),  le  quali 
espressioni  corrispondono  a  quella  di  ■fifxsj.ól^cAiyoi  a- 
d'jperata  da  Simouidc.  Nò  diversamente  favella  Isi- 
dtiro  ,  dicendo:  quorum  vox  diei  ostendit  praeconium 
{etym.  e.  òO  tom.  I ,  p.  118  edil.  Matril.).  Pohbio 


dice  che  siccome  le  trombe  in  tempo  di  guerra,  cosi 
i  galli  nella  pace  risvegliano  chi  dorme  rcv  opSpov 
(  lib.  XII,  26,  1  )  :  ora  è  ben  risaputo  che  l'òp^pos  è 
il  far  del  giorno,  o  l'aurora.  Più  importante  si  è  un 
luogo  di  Platone:  ì^ipyur^xt  V;  Trpòs  'HMÉPAN,-ri^*i 
àXixrpuóycoy  'xhóyruJY  (  Sympos.  in  fine  )  ;  Luciano  fa 
dire  al  gallo  nel  suo  gajo  dialogo  :  yy^ixcov  7  àp  outoS 
ò.\'iVÒ-'7r'j.T'Ji  fxoi  '7rporji'>Mvyouijrf  'HMEPAS  [gall.l), 
e  fìnalmeute  Plutarco  dice  che  il  gallo  IwSivv  l'tts- 
t/}.ujijiy  wprj.y  [de  Pyth.  arac.  XI  p,  400  C),  Da  tutti 
i  quali  confronti  ci  sembra  assai  probabile  che  nelle 
nostre  terrecqtle  sia  effigiala  la  dea  del  giorno,  quella 
stessa  che  richiama  alle  medesime  idee  risvegliate  dal 
crestato  augello,  su  cui  si  vede  assisa,  percorrendo  il 
suo  cammino.  Non  posso  tralasciare  di  discorrere  in 
questo  luogo  di  un  allro  monumento ,  che  riesce  di 
particolare  importanza  paragonato  con  quello  delreal 
museo.  Trattasi  appunto  di  un'altra  terracotta  del  mu- 
seo di  Karlsruhe  ,  rappresentante  un  giovinetto  con 
frigio  vestimento  seduto  sopra  di  un  gallo,  e  tenendo 
fralle  mani  un  altro  gallo  proporzionato  alla  sua  per- 
sona. Il  eh.  Gerhard,  nel  darnenotizia,  opinò  che  po- 
tesse pensarsi  a  Pliosphoros  (Archaeol.  Zeilung  1851 
Archàol.  Anzeiger  p,  29),  Per  quanto  è  da  reputare 
ingegnosa  una  tale  spiegazione,  e  conveniente  alle  me- 
desime idee  da  noi  sviluppate  pel  gruppo  del  real  mu- 
seo Borbonico,  pure  non  ricordiamo  alcun  filologico 
confronto,  che  metta  il  gallo  in  relazione  con  Fosforo. 
A  ciò  si  aggiunga  che  le  stesse  forme  di  quella  divi- 
nità non  corrispondono  appieno  a  quelle,  che  furono 
attribuite  all'astro  foriero  del  giorno.  Il  eh,  dottore 
sig.  Cristiano  Walz  di  Tubinga,  nel  pubbhcare  il  detto 
monumento  [ilher  der  Polychroinic  der  anliken  Scul- 
ptur,  Tubingen,  1853  tav.  Il  n.  1),  esprime  un'altra 
idea  ;  cioè  che  fosse  un  uomo ,  il  quale  cavalca  su 
di  un  gallo  verso  il  tempio  di  Esculipio ,  per  recare 
ivi  la  sua  offerta  [mem.  cil.  p.  10  not.  23)  (I),  Non 
sapremmo  affatto  seguire  la  opinione  del  sig.  Walz. 
Essa  trova  la  opposizione  nella  enorme  grandezza  del 
gallo  paragonala  a  quella  dell'  uomo  ,  la  quale  per- 
suade a  ricorrere  ad  altre  idee  mitiche  e  simboliche, 

(1)  Es  isl  ein  Genesener,  welcher  auf  einem  Haho  zum  Tempi'l 
des  Awculapius  a-itel,  uin  duri  sein  O^ifer  zu  briiigen. 


—  107  — 


fuori  delle  quali  riesce  iniprohnliilc  ogni  inlerprcla- 
zione,  che  dar  si  voglia  de'  nostri  inonunicnli. 

Gettando  uno  sguardo  al  frigio  giovinetto,  che  lieo 
fralie  mani  iin  gallo ,  ricorre  tosto  il  pensiero  a  Ga- 
nimede ,  la  cui  reiezione  col  ^;illo  è  slata  "ià  suffi- 
cicntemcnte  provata  principalmente  coll'ajuto  de' mo- 
numenti (  vedi  Panufka  Archàol.  Zcitung  del  cav. 
Gerhard  voi.  I  pag.  55  (I);  Minervini  nel  bullcltino 
archco!.  di  Avellino  an.  V  p.  18;  ^■Aìn  Arclidol.  liei- 
trttgc  p.  27-28  ,  ove  perù  non  si  richiamano  i  vaiii 
monunieiili  da  me  accennati,  non  potendo  esser  per- 
venuta al  eh.  autore  la  mia  pulihlicazione).  Ciò  non 
ostante,  manca  la  spiega/ione  dell'enorme  gallo  su  cui 
è  assiso:  se  pure  non  voglia  ritenersi  come  simbolo 
erotico.  Ma  osservando  le  figurine  muliebri ,  siamo 
(ratti  a  pensare  che  dobbiamo  stabilirci  nello  stesso 
ordine  d'idee,  e  fermarci  ad  una  interpretazione  sim- 
bolica, relativa  alle  astronomiche  divinità. 

Comincio  ^all'osservare  che  il  vestimento  frigio  od 
asiatico  della  figura  assisa  sul  gallo,  potrebbe  richia- 
marne a  divinità  di  origine  orientale.  La  cjualc  ipotesi 
è  favorita  dalla  presenza  del  gallo ,  a  cui  fu  data  la 
denominazione  di  Uspcixòi  c^vii;  ed  opinavano  alcuni 
che  ne  fosse  il  motivo  la  origine  persiana  di  quell'  uc- 
cello (Ateneo  lib.  XIV  p.  655):  vedi  su  questa  de- 
nominazione il  Brissonio  {de  regno  Penar,  lib.  II,  e. 
238).  Ahbenchè  altre  derivazioni  si  fossero  presen- 
tate (Salmasio  exerc.  pUnianac  p.  612,  h-C)(2);  pure 
è  sufficiente  che  fralie  varie  tradizioni  messe  in  cam- 
po a  spiegar  quel  nome,  fossevi  anche  quella,  che  at- 
tribuiva al  gallo  una  origine  orientale ,  per  credere 
queir  animale  ben  conveniente  ad  una  orientale  di- 
vinità. Tale  infatti  si  addimostra  la  figurina  di  Karls- 
ruhe  :  ed  è  opportuno  di  rammentare  che  le  divinità 
astronomiche  negli  orientali  monumenti  di  quel  me- 
desimo modo  miransi  effigiate  (  vedi  Raoul-Hochette 

li)  Non  intendiamo  pa-ò  di  seguile  il  suo  parere  pe' bassirilievi 
di  Xanthus. 

(2)  Noa  saprei  se  fu  da  alcuno  presentala  la  derivazione  da  ciò 
che  narra  Eliano;  cioè  che  gli  Ateniesi,  dopo  la  ^illoria  contro  i 
Persiani  a'  tempi  di  Teraislocle ,  promulgarono  una  legge  che  in 
un  giorno  dell'  anno  si  offrissero  nel  teatro  pugno  di  galli  (  llist. 
anim.  lib.  2  cap.  28)-  Farmi  probabile  che  da  quell'epoca  potò 
il  gallo  chiamarsi  lUj^cri/.òs. 


Jlercule  as<itjr.  ci  jihntlr.  pag.  185  et  alibi  passim). 
Sarà  quindi  probabile  cttiigliiellura  il  ravvisare  il  .Sole 
nella  terracotta  ,  di  che  favelliamo.  Tutti  i  luoghi  da 
noi  accennali  appoggiano  la  nostra  spiega/ione;  per- 
ciocché in  tutti  si  allude  al  nascer  del  sole  ,  a  cui  ha 
relazione  il  canio  del  gallo.  Ma  del  gallo  come  sacro 
al  Sole  parlano  molti  antichi  scrittori  :  Vedi  Jamblico 
{vii.  Pi/lhag.  cap.  XXVll,  pag.  136),  Eliodoro  (lib. 
1.  Acthiup.  cap.  3.  )  ,  Snida  (  sub  llc'Jxy.  ) ,  ed 
altri.  E  voglio  notare  che  già  l'arte  erasi  impadro- 
nita di  questo  simbolo  come  Apollineo  ;  cosi  Pausa- 
nia  riconosce  in  un'opera  d'arte  Idomeneo  dall'em- 
blema del  gallo ,  che  ne  fregiava  lo  scudo  ,  quasi  al- 
ludesse alla  parentela  dell'eroe  col  dio  della  luce  (lib. 
V.  e.  25,  10)  (1)  ;  e  Plutarco  ricorda  una  statua  di 
A[)ollo,  tenente  sulla  mano  un  gallo  {de  Pglh.  orac. 
XII.  p.  400  C.  ).  Né  ad  allra  idea  accenna  lo  scher- 
zoso Luciano,  quando  fa  dire  al  gallo  che  l'anima  sua 
era  volata  da  Apollo  {in  gali.  16)  (2).  Non  sarà  a- 
dnnque  fuor  di  luogo  il  supporre  una  solare  divinila 
nella  nostra  statuetta,  che  rappresenla  ajipunto  una 
figura  col  gallo  fra  le  mani. 

In  seguito  delle  cose  finora  discorse  non  voglio  tra- 
lasciar di  proporre  un'  altra  conghiettiira  ,  alla  quale 
maggiormente  inclina  l'animo  mio  :  ed  è  che  nella  sta- 
luelta  del  museo  di  Kalsruhe  riconoscer  si  debba  il 
dio  Luno ,  o  Mese,  che  va  per  la  sua  via  trasportato 
dal  simbolico  animale,  E  ben  risaputo  che  questa  di- 
vinila presenta  appunto  il  frigio  ed  orientale  costume: 
e  son  da  vedere  a  tal  proposilo  il  Cavcdoni  (  btdlell. 
dell'  hi.  18il  pag.  112),  il  sig.  de  Longpérier  {mé- 
daille  d'or  de  Dynnmis  rclne  de  Poni.  cf.  pag.  6  ) ,  il 
comm.  Avellino  (  niemor.  della  r.  Accad.  Ercolanese 

(1)  Questo  medesimo  luogo  è  richiamato  d;d  sig.  Onglleirao  Er- 
rico Fuchs  per  provare  una  delle  intelligenze  delle  insegne  degli 
scudi,  neir  interessante  dissertazione  (le  raliunc  qmim  rctercs  ar- 
tiflces,  in  inirnis  vasorum  pietores,  in  cUpeis  imaginihus  cxor- 
namtis  «rf/)v6i/ni«/.-Goltiiigao  MUClXLU  in  8,  p.  17;  e  più  lun- 
gamente parla  il.:l  gallo  p.  42,  s.,  ove  però  non  si  distende  a  favel- 
lare della  significazione  solare  di  (jucsto  uccello.  Ci  riseibiamo  di 
esaminare  iu  altra  occasione  alcune  opinioni  sostenute  dal  signor 

Fuchs. 

^2)  È  notevole  che  nelle  scene  mitriache  vedcsi  pure  il  gallo , 
certamente  pe'  suoi  solari  rapporti  :  vedi  Hyde  de  rei.  lel.  Penar. 
p.  Ili,  e  112-  Si  richiami  anche  qui  il  TltfiTir.is  ò'.ns. 


—  108  — 


voi.  V  p.  286  e  seg.  ),  il  sig.  Raoiil-Rocliefte  [Her- 
cule  assyr.  el  ■phénic.  pag.  183.  n.  1.),  ed  aldi.  Vedi 
pure  pure  quel  che  ho  detto  nel  hullctl.  archeologico 
napoUlano  an.  Ili  p.  55  e  seg;  e  nuova  serie  toni.  I, 
pag.  30.  La  numismatica  ci  fornisce  un  rapporto  del 
gallo  con  questa  divinità:  così  ritrovasi  presso  a' piedi 
del  dio  in  medaglie  di  Antiochi.'»  di  Pisidia  (  Eckhcl 
doctr.  num.  vct.  t.  Ili  p.  19),  ed  in  quelle  di  Parlais 
della  Licaonia  (  Id.  ih.  pag.  3i.  Lo  slesso  Eckhel  ne 
feccia  puhblicazione  Sylloge  tah.  V  n.  11.  v.  p.  53, 
senza  dar  la  spiegazione  di  quel  simbolo  ).  Queste  me- 
daglie (  i  ),  ed  il  piccolo  gruppo  di  Kalsruhe,  sono  spie- 
gali da  quel  che  riferiscono  Diogene  Laerzio,  e  lani- 
Llico.  Dice  il  primo  :  vXixrpvóvoi  fxy\  aTrrsff^}*!  Xw- 
y.où  ,  .  .  .  'r('~  fAr,v;  ìffrì  hps  .  .  <ri^,x%i\ii  yap  -ras 
Mf'j.i  (lih.  Vili,  segni.  34.  p.  517);  ed  il  secondo: 
\xr))\  ^V:  'XXixrpuóva.  Xiuxir  Ixitrf  ')'àp,  y.rxì  hpos 
rov  My]vòs,  ^lò  xoà  <r-f\ix%mvaiv  wpw  [vii.  Pylh.  lih.  I, 
cap.  28  p.  87),  ed  altrove:  àXixrpuór/.  Tf/^s  ixìv  txy\ 
3t'r  Mr/(  yàp  x%i  r,Xiw  yjj.^iscicTjr'xt  (lib.  Il  ^'yrnl».  18 
p.  146).  Ora  avvertiamo  die  lo  stesso  sig.  Walz  nota 
che  il  gallo  nella  statuetta  da  lui  pubblicata  è  bianco. 
Non  dee  poi  sembrare  maraviglioso  che  lo  stesso 
augello  sia  sacro  al  Sole  ed  al  Mese  ,  quando  si  con- 
sideri che  il  mese  solare  richiama  alle  idee  medesime 
dell'  astro  del  giorno  ;  giacche  il  Mese  stesso  rappre- 
senta una  parie  del  corso  del  Sole.  In  un  antico  ca- 
lendario vedesi  il  mese  di  Gennajo  col  gallo  (Graevii 
thesaur.  aniiq.  rom.  voi.  Vili  p.  96);  e  noi  crediamo 
che  sievi  messo  come  un  indizio  del  principio  dell'anno 
solare  :  per  lo  che  il  Gennajo  è  da  riputare  il  mese 
per  eccellenza,  a  cui  spetta  particolarmente  quel  sim- 
bolo (vedi  pure  il  Creuzcr  Symbolih  lem.  IH  p.  616 
seg.  della  3.  ediz.  ).  Un'ultima  osservazione  crediamo 
di  fare  in  questo  luogo,  ed  è  che  nell'oracolo  di  A- 
pollo  Ciarlo  riferito  da  Lusobio  [praepar.  evang. ]ih. 
3  p.  123  ),  del  dio  Mese  si  favella  in  tal  guisa: 
'Hors  x%]  yvxrii  Trrj'/.vx^ifos  r^vrx.  yw\xujv. 
Questa  proprietà,  che  si  attribuisce  al  dio,  corrispon- 
de al  costume  del  gallo  ,  che  quasi  regge  la  notte  e 
l'aurora,  col  far  sentir  la  sua  voce  nelle  ore  notturne 

(ly  Vcggasi  pure  ciò  clic  osserva  il  Janaelli  UntOiin.  hermcix.  in 
liierogr.  crypi.  p.  200  seg. 


e  nel  nascer  del  giorno.  Di  questo  doppio  canto  del 
gallo  ha  parlato  lungamente  il  Bochart  {Hieroz.  1.  e. 
p.  121  )  :  ed  io  mi  contenterò  di  citare  le  parole  di 
Isidoro;  quorum  vox  dici ostendil praeconium, quando 
el  mesonyctiiis  a/Jlatiis  fil  {elym.  e.  30  pag.  118  t.  I, 
edit.  Malril.).  Non  sarà  dunque  improbabile  la  nostra 
con^hiellura,  secondo  la  quale  ravvisiamo  nella  sta- 
tuella  di  Kailsruhe  un'astronomica  divinità  ,  o  il  Sole 
sotto  forme  asiatiche  ed  orientali,  ovvero  piuttosto  il 
mese  solare  degli  antichi,  o  b'arnace,  che  collo  stesso 
Sole  aveva  strettissima  analogia  (Raoul-Rochctte  Her- 
cule  assyr.  et  pìiènic.  p.  228  e  seg.). 

MlNERVlxM. 


BIBLIOGRAFIA 

Nolicc  sur  les  foutlles  de  Capone  par  M.  Raoul-Ro- 
chelte — articles  exlrails  du  journal  des  Savanls.  Pa- 
ris imprimerle  imperiale  MDCCCLIII. 

L'illustre  autore  di  questi  articoli,  colla  occasione 
di  ragionare  delle  più  recenti  scoperte  avvenute  nel 
sito  dell'antica  Capua ,  presenta  alcune  ricerche  su 
questa  famosa  città,  e  favella  eziandio  di  molli  mo- 
numenti anticamente  conosciuti ,  senza  tralasciare  la 
importante  discussione  della  numismatica  capuana. 
Noi  daremo  un  breve  sunto  di  questo  interessante  la- 
voro ,  che  si  aggira  sopra  palrii  monumenti,  e  nel 
quale  si  trovano  alcune  notizie  di  fatto  non  ancora 
per  altri  pubblicate. 

Il  Sig.  Raoul-Rochelte  consacra  il  primo  articolo 
alle  ricerche  sulla  città  di  Capua  considerata  nelle 
principali  epoche  della  sua  storia. 

Egli  osserva  essere  ben  risaputo  che  fa  d'uopo  di- 
stinguere tre  principali  periodi  nella  storia  di  quella 
insigne  città  ;  il  periodo  etrusco  ,  il  sanuitico  ,  ed  il 
romano.  Avverte  che  da  alcuni  non  volle  considerarsi 
l'elemento  greco  nella  civilizzazione  di  Capua  ,  lad-* 
dove  è  questo  dimosiralo  dalla  maggior  parie  de  mo- 
numenti di  quella  provenienza.  L'  autore  ritiene  la 
tradizione  che  attribuiva  la  fondazione  di  Capua  ad 


—  109  — 


una  colonia  clrusca  ,  staLilìlasi  in  quella  parte  della 
contrada  occupata  allora  dagli  Opici  od  Oici,  ed  ap- 
pellata in  seguito  Campania,  verso  l' anno  iT  innanzi 
la  fondazione  di  Roma ,  o  verso  l' anno  800  prima 
della  nostra  era  :  quindi  lo  stabilimento  di  un  impero 
etrusco  di  dodici  città,  delle  quali  Capua  era  la  prin- 
cipale. Crede  ancora  abbastanza  fondala  la  nozione  die 
la  città  eradagli  Etruschi  chiamata  ì'ull  nrnum,  non  n\- 
Irimenti  che  il  fiume  Vulturnus,  sulle  sponde  del  quale 
era  edificata:  come  narra  Tito  Livio.  Si  oppone  però  a 
ciò  che  lo  stesso  Livio  atL-rma  essersi  nomala  Capua 
dopo  la  invasione  sannitica  l'anno  di  Koma  332,  dal 
condottiere  de' Sanniti  Capi  L'aulore  dalle  non  po- 
che città  vicine  a  Capua,  alle  quali  l'anlichità  altri- 
buiva  una  origine  pelasgica,  deduce  che  anche  in  Ca- 
pua recarunsi  in  tempi  remotissimi  i  popoli  Pelasgi  o 
Tirreni,  prima  dell'epoca  dello  slabilimeulo  delle  co- 
lonie elleniche:  seguendo  in  ciò  il  parere  del  Niebhur. 
Egli  osserva  che  forse  a  questa  nozione  si  collega  la 
tradizione ,  che  atlribuiva  la  fondazione  di  Capua  ad  un 
Trojano  Capi  congiunto  di  Enea:  tradizione  ricordata 
da  antichissimi  scrittori,  e  celebrala  da' romani  poeti, 
A  sostener  la  relazione  fia  la  origine  greca  di  Capua 
ed  il  nome  del  trojano  Capi,  l'autore  richiama  un  im- 
portante luogo  di  Svetonio.  Racconta  lo  storico  che 
inviata  una  colonia  romana  a  Capua,  poco  innanzi  la 
morte  di  Giulio  Cesare,  i  nuovi  coloni  nello  scavare 
le  terre  s'imballerono  in  sepolcri  ov'erano  vasi  di  an- 
tica fabbrica  [vawulorHm  opteris  antiqui );  ed  in  una 
tomba  creduta  di  Capi  fondatore  di  Capua,  si  rinven- 
ne una  tavola  di  bronzo  con  lettere  e  caratteri  greci: 
laìjula  acnca  in  monumento  in  quo  dicebalur  Capys 
condilor  Capuae ,  sepullu'i,  inventa  est,  conM'iipla  lil- 
teris  verhisque  graecis  (in  lui.  Caes.  §.  LXXXI  ). 

L"a.  osserva  bene  a  proposito  che  il  fatto  de' coloni 
di  Giulio  Cesare  non  è  dissimile  da  quello  che  si  è  ri- 
prodotto a  nostri  giorni,  co'  lavori  della  regia  strada 
ferrata  di  Caserta.  In  fitli  moltissimi  vasi  di  greca  fab- 
brica sono  ora  usciti  alla  luce;  e  questi  medesimi  do- 
vettero esser  trovali  da' romani  coloni.  Il  Sig.  Raoul- 
Rochette  aggiunge  che  il  nome  di  Capua  è  essenzial- 
mente greco  ;  e  ne  cita  varii  confronli  :  tra'  quali  il 
XA*OAINI  di  una  medaglia  di  Napoli  pubblicala  da 


Pinder  {mim.  ant.  inai.  (ab.  I.  n.  9.  pag.  37.  ).  Su 
di  che  crediamo  iioslro  obbligo  di  avvertire  die  que- 
sta iscrizione  non  h.i  mai  esistito:  e  la  medi;;lia  csa- 
niiuata  e  pubblicata  dal  Sig.  Pinder  è  un  conio  mo- 
derno eseguito  in  Napoli  sotto  la  occupazione  mililare 
francese:  la  intera  epigrafe  era  B.\SIAIi,i;\  XA- 
POAIMf,  la  quale  è  in  parte  useila  fuori  del  conio 
neir  esemplare  ,  che  venne  disgraziatamente  sotto  gli 
occhi  del  Sig.  Pinder,  Noi  siamo  sorpresi  come  l' a- 
bile  numismatico  prendesse  per  antico  un  conio  mo- 
derno fatto  ad  imitazione  dell' antico  ;  e  «juel  di' é  piò, 
quind)  già  doveva  insospettirlo  la  epigrafe  ,  che  egli 
non  sapeva  spiegare:  mira  niiidiasimi  liuius  nnmini 
epigrapliL'  omncm  expilicatum  fuyil.  .\ltbianio  giudicalo 
utile  fare  una  (ale  avvertenza  ,  afliiidiè  oggiinai  non 
entri  più  nel  dominio  della  scienza  un  monumenlo 
fittizio,  potendo  intervenire  ad  altri  quel  eh' è  acca- 
duto all'insigne  archeologo  francese,  di  fid.ir  cioè  sul- 
l'autorità del  5ig.  PinJer,  traendo  appoggio  alle  pro- 
prie ricerche:  sebbene  le  osservazioni  del  Sig.  Raoul- 
Roehelle  sul  nome  di  Capua ,  ed  i  greci  confronti  da 
lui  citali,  sono  sufficienti ,  anche  iudipendeatemenle 
dalla  pretesa  medaglia  di  Napoli. 

Il  Sig.  R.  R.  deduce  altresì  la  realtà  isto;  ica  della 
tradizione  che  atlribuiva  ad  un  Trojano  Capi  la  fon- 
dazione di  Capua  ,  dalla  monetina  di  questa  città  ,  il 
cui  tipo  principale  è  la  testa  di  un  eroe  col  pileo  fri- 
gio: in  esso  egli  riconosce  quel  frigio  condoltiero  in- 
sieme col  Cavedoni  (  spie.  man.  pag.  1  '«• ,  vedi  piii  e 
Avellino  Bull.  anh.  nap.  Ioni.  I  pag.  72).  Bisogna 
dunque  ammettere  un' epoca  primitiva  ,  nella  (piale 
Sreci  coloni  misti  aiili  Osci,  oii;;inariial)itatori  di  Ca- 
pua  ,  apportarono  i  germi  dd'a  cÌNÌIizzazione  greca. 
Con  questa  occasione  l' a.  parla  delle  relazioni  di  Ca- 
pua con  Clima,  addivenute  maggiori  versogli  annidi 
Roma  230  a  2.'iO  ;  che  spicgansi  dal  p<Tdomin.i'Ue 
elemenlo  ellenico  di  Capua.  Tulio  sendìia  greco  in 
Capua  a  cominciar  dalla  religione  (1).  Greche  sono 

(I)  Ossona  r  a.  clie  Capua  ossor  dnvpii.i  b  sfcii-  principale  <lel 
cullo  Jionisiaco  ,  per  Io  quale  inlimlolKKi  in  Roma  tu  emanato  il 
C('lL'l)rc  siniatocoiisullo  de  Sacìiunalibus.  td  a  (pirslo  proposito  vo- 
gliamo relliticare  un  doppio  equivoco,  incili  è  caduto  La  famosa 
tavola  di  bronzo  contenente  quel  senatoconaulto  non  fu  Irovaui  nella 
Puglia  presso  Bari,  come  asserisce  1'  autore,  ma  sibbene  a  Tiriolo 


—  no  - 


le  divinità  tlie  avevano  ivi  i  loro  Icmpli,  e  che  furono 
imj)ronliile  eziandio  sulle  sanniliche  monete  :  e  greca 
arte  si  ric-oiioscc  in  tulli  i  monumenti  finora  scoperti 
della  civilizzazione  di  Capua ,  con  una  specie  di  roz- 
zezza proveniente  dall'influenza  dell' elemento  osco. 
La.  osserva  che  la  dominazione  elrusca  non  ci  ha  for- 
mio quasi  alcuna  testimonianza  della  sua  esistenza:  il 
che  fece  mettere  in  dubhio  al  Niehuhr  il  fatto  della  do- 
minazione etrusca  in  Capua  e  nella  Campania.  Egli  ri- 
corda i  numerosi  luoghi  degli  antichi  scrittori,  da'quali 
quel  fatto  è  dimostrato  alla  evidenza:  e  lo  illustra  di 
«uovo  col  nome  Vidiunìum,  nel  quale  ravvisa  una  e- 
trusca  fisonomia.  Al  che  si  aggiunge  il  nome  di  Tifala, 
eh' è  pur  quello  di  una  curia  latina  :  e  la  esistenza  di 
famiglie  etrusche,  che  si  leggono  sotto  la  forma  Ialina 
nelle  iscrizioni  romane  di  Capua,  Non  sarebbe  quindi 
una  valevole  ragione  quella  messa  innanzi  dal  Nie- 
buhr,  che  non  sono  slate  mai  ritrovate  iscrizioni  e- 
Irusche  nel  suolo  di  Capua.  L'  a.  osserva  eh'  egli  farà 
conoscere  monumenti  di  siile  puramente  etrusco  nel 
corso  del  suo  lavoro ,  che  daranno  la  pruova  delle 
sloriche  tradizioni ,  ingiustamente  rifiutate  dal  Nie- 
huhr. Ora  noi  siamo  nel  caso  di  osservare  che  final- 
mente il  dubbio  del  dotto  scrittore  alemanno  resta  di- 
legualo dalle  più  recenti  scoperte.  Infatti  caratteri  e- 
Jruschi  uscirono  finalmente  su'  monumenti  Capuani  ; 
e  già  in  questo  bulletlino  trovansene  alcuni  pubblicali 
dal  eh.  P.  Garrucci  (  an.  I.  tav.  I  o.  1  ved.  pag.  84 
e  seg.  ).  Né  allrimenli  dee  pensarsi  della  iscrizione 

nella  quale  i  caratteri  ed  i  finimenti  sono  indubitata-' 
niente  etruschi  (vedi  an.  II  tav.  Vn.  3  ;  non  per  anco 
p'  è  slata  data  la  illuslrazione  ).  E  nel  corso  delle  no- 
stre pubblicazioni  daremo  altri  monumenti  della  mas- 
sima importanza  figurali  e  scritti ,  che  vengono  di 
giorno  in  giorno  dalle  più  recenti  scavazioni  di  Ca- 
pua. Anzi  noi  opiniamo  che  gli  ultimi  ricercatori  so- 

circondario  della  seconda  Calabria  ulteriore.  Ed  in  qiianlo  al  prin- 
cipale illuslralore  di  quel  documento,  Malico  Fgizio,  non  saprem- 
mo d"  onde  abbia  rilevalo  V  a.  esser  questo  un  nome  assunto  dal 
napolitano  antiquario  Corelli.  Non  può  dubitarsi  cho  il  vero  nome 
di  quel  dollg  fu  Matteo  Egizio  :  nò  la  alcuna  osservazione  in  con- 
trario U)  stesso  Saxio  cilato  dal  Sig.  Raoul-Roclietle  {oiwmast.  l.  i 
p.  123  scg.  ), 


nosi  imbattuti  nella  linea  delle  (omhe  etrusche ,  per 
modo  che  si  moltiplicheranno  alla  giornata  i  falli,  in. 
dimostrazione  delle  storiche  narrazioni.  Noi  non  man- 
cheremo di  raccogliere  le  più  esalte  notizie  su  que- 
ste importantissime  scoperte,  e  per  via  o  di  semphce 
descrizione,  ovvero  di  esatte  pubblicazioni,  ne  faremo 
partecipi  i  lettori  del  presente  buUeltino. 

Tornando  al  lavoro  del  Sig.  R.  R.  egli  dice  che  il 
periodo  sannilico  neppure  ha  lascialo  tracce  della  sua 
esistenza  ;  perciocché  la  leggenda  IHR'A  delle  meda- 
glie apparliene  agli  Osci  non  a' Sanniti  (I),  i  tipison 
greci,  e  le  divisioni  della  moneta  sono  romane.  Ma  vi 
sono  però  alcuni  monumenti  di  lavoro  sannilico,  appar- 
tenenti a  Capua,  de'quah  parlerà  in  seguito  (2).  I  San- 
niti occuparono  Capua  i22  anni  prima  dell'  era  vol- 
gare, e  tre  anni  dopo  occuparono  Cuma.  (Vedi  pure 
quel  che  dicemmo  in  questo  hullellino  additando  un 
fallo  in  pruova  della  occupazione  Sannilica  di  Cuma 
an.  I  p,  165).  Da  quel  momento  apparisce  un  nuovo 
popolo  nella  storia;  edé  quello  de'  Campani,  Kct,a7rx- 
vqL  II  Sig.  Raoul-Rochetle  distingue  l' etimologia  del 
più  antico  nome  di  Capua,  dal  più  moderno  di  Cam-' 
pani  :  riconoscendo  nel  primo  tracce  di  grecismo ,  e 
nel  secondo  la  derivazione  dai  radicale  campus,  che 
appartiene  alla  lingua  degli  Osci ,  e  dei  Latini.  Su  di 
ciò  faremo  in  seguilo  alcune  osservazioni. 

Il  dottissimo  autore  non  ha  citalo  affatto  il  libro  del 
eh.  Corcia  Storia  delle  due  Sicilie,  ove  si  parla  di  Capua 
nel  vol.2  p.  53  e  s.  Il  Sig.  Corcia  si  restringe  alle  origini 
greche,  e  poco  crede  agli  Etruschi  di  Capua;  sebbene 
ora  ne  sia  vittoriosamenle  provata  la  esistenza  da  mo- 
numenti di  ogni  genere,  e  principalmente  dalle  iscri- 
zioni etrusche  ,  che  sono  in  essi  visibili.  Lo  scrittore 
francese  segue  nelle  sue  ricerche  il  filo  delle  tradizio» 
ni  non  iscompagnalo  dalla  guida  certissima  dell'ar- 
cheologia, È  appunto  con  questo  metodo  che  può  darsi 
non  poca  luce  nelle  difficili  ricerche  dell'antica  etno- 
grafia ;  laddove  una  discussione  guidala  da  preconcette 


())  Non  saprei  come  far  si  possa  una  tale  distinzione,  mentre  i 
popoli  osci  non  ebbero  altra  orìgine  che  i  sannilici. 

(2)  Già  nel  presente  bufletlino  se  ne  trovano  con  caratteri  osci 
0  sannitici:  Vedi  an.  1.  tav.  XII.  e  an.  II.  tav.  V:  e  nelle  lavoU 
seguenti  ne  daremo  altri  di  primaria  importanza, 


—  ili  — 


opinioni  non  darà  mai  que'  risullamcnli  positivi ,  de' 
(^uali  può  esser  solo  conlenlo  uno  spirilo  dotato  di 
solida  dottrina  e  di  critica  luminosa. 

Nel  secondo  articolo  il  eh.  autore  comincia  a  par- 
lare delle  scoverte  archeologiche  operate  sul  suolo  di 
quella  celebre  città.  Ricorda  i  monumenti  di  un'epo- 
ca posteriore ,  il  magnifico  anfilealro,  il  teatro,  il  cir- 
co, il  cripto- portico,  V apodytcrium ,  il  calabolon  ,  gli 
archi  di  trionfo  :  deplorando  Io  sialo  di  distruzione , 
a  cui  si  trovano  oggi  ridotti.  Crede  poi  che  fra'  tem- 
pli di  Gapua  ve  ne  furono  molti,  che  si  riferivano  al- 
l' epoca  etrusca  ,  e  che  non  furono  se  non  restaurali 
da'  Romani. 

Comincia  dal  ritenere  in  Capua  la  esistenza  di  uà 
Campidoglio,  o  tempio  sacro  a  Giove  ;  non  che  della 
triade  delle  divinità  Capitoline  Giove,  Minerva,  e  Dia- 
na: il  che  pruova  col  nolo  bassorilievo  di  Capua  (Ma- 
zochi  in  mut.  Camp,  ampli,  tit.  lab.  I  p.  178),  e  colle 
statue  di  Diana  e  di  Minerva  rinvenute  presso  la  torre 
di  S.  Erasmo,  che  sembra  essere  ciò  che  rimane  del 
tempio  di  Giove  Capitolino  (Rucca  Cap.vet.  p.66-G7). 
In  questa  riunione  di  divinità  riconosce  l' a.  una  in- 
fluenza etrusca  :  e  nella  stessa  triade  etrusca  ravvisa  un 
punto  della  religione  degli  Assirii  recata  inltalia  dalla 
emigrazione  de' Tirreni;  del  che  si  riserba  di  svilup- 
par le  pruove.  Parla  in  seguito  dell'  altro  tempio  di 
Giove  Ti  fatino,  anche  in  gran  parte  distrutto  (Rucca 
Cap.  vel.  p.  89-94  )  :  non  che  di  quello  della  Diana 
Tifatina,  sul  quale  vcdesi  ora  la  Chiesa  di  S.  Michele 
Arcangelo,  detta  5.  Angelo  in  Formis  (Rucca  op.  cit. 
pag.  77-89  ).  Egli  riporta  una  importante  iscrizione 
(Mommsen  n.  3565),  fermandosi  a  rilevarne  il  flo- 
rido stalo  di  Capua  etrusca  e  sannitica,  anche  nel  653 
di  Roma  ,  quando  già  trovavasi  nella  oppressione  ,  e 
neir  abbassamento  delia  sua  grandezza.  Lo  stesso  de- 
duce da  altre  iscrizioni  di  epoca  presso  a  poco  eguale; 
traile  quali  quella  che  ha  relazione  alla  l'enus  lovia 
(Mommsen  n,  3561  ),  ch'egli  crede  denominata  dal 
■vicino  pagus  lovius  (  vedi  pure  ciò  che  fu  detto  nel 
primo  anno  di  questo  bullettino  p.  187), 

In  quanto  al  tempio  di  Cerere,  1'  a.  raccoglie  tulle 
le  notizie  concernenti  un  edifizio  cosi  denominalo  dai 
nostri  palrii  scrittori  (Rucca  op,  cit.  p.  71-72);  ma 


ne  ragiona  con  prudente  diibilazione,  por  non  essere 
stali  mai  pubblicali  i  mouiinienli,  che  vi  appartenne- 
ro. Lo  stesso  diirasi  did  tempio  di  Castore  e  Polluce, 
riconosciuto  nel  sito  denominalo  S.  /.eurto ,  presso  la 
chiesa  parrocchiale  di  S.  Era.<mo  (  Rucca  op.  cit.  p. 
67-68);  come  pure  del  teni|)io  di  Venere  ravvisalo 
presso  il  mercato  (  Rucca  op.  cit.  p.  67.  ). 


(Continua) 


MlNERVlM. 


Iscrizioni  latine.  Continuazione  del  n.  precedente. 

20, 

Bis  MANIB 
SACRVM 
COCCEIAE  ■  >  L  ■  GLAPIIYRAE 
C  •  VALERIVS  •  PHILOCLES 

Il  segno  >  invece  del  più  comune  5  dimostra  vera 
la  opinione  di  alcuni  dotti  epigrafisti,  che  riconobbero 
in  esso  un  indizio  che  sia  raddoppiato  il  nome  prece- 
dente ;  0  il  nome  del  padre  nelle  iscrizioni  greche,  o 
quello  delle  patronae  nelle  iscrizioni  Ialine.  Vedi  il 
dollissimo  Bòckh  {corp.  inscr.  gr.  l.  I  p.  613-614), 
il  Franz  {elem.  ep.  gr.  p.  374),  edilCavedoni(»ius. 
del  Calajo  p.  8 1  noi.  66).  Né  valgono  contro  di  una 
tale  opinione  i  dubbii  del  eh.  Vurhmiio [lap. patav. 
p.  480  cf.  p.  157),  a  cui  rispose  lo  slesso  Cavedoni 
nel  hullelt.  dell'  Ist.  1848  p.  1 12.  Un' altra  iscrizione 
del  real  museo  Borbonico,  ove  si  vede  l' elemento  > 
invece  del  5,  è  riferita  dal  eh.  sig.  GcrMmo  dscr.  dei 
Luccei  p.  10-11).  Così  la  nostra  tìlafira  era  liberta 
di  una  Cocceia, 

21. 
D     '     M 

OTACILIAE  •  APOLLO 

MAE  •  MARCELLAE 

QVAE  •  VIXIT  •  A\  •  XL  •  M  •  IH  • 

L  •  LOLLIYS  •  SEVERVS  •  CO 

IVGI  •  RARISSIMAE  •  ET 

INCONPARABILl     FECIT 


—  112  — 


Nola  la  ortografia  {nconparabili;  ch'è  pur  frequente 
nelle  iscrizioni. 

22. 
GRAMA  •  VENERIA  •  /  LIB 
23. 
D     •    M 
FL  •  ANTONIAE  •  SAN 
CTAE  •  FEiMINAE  •  EV 
RESIVS  •  CONIVGI  •  ET 
FILI  •  MAIRI  •  INCOM 
PARABILI  •  OVAE  •  VIXIT 
ANXXLVIIMVIIIDXVIII 
B  •  M  •  F 
24. 
D  *M 
M  •  ANTEIO  •  PRISCO 
NATIONE  •  ITAL\  S  •  QVI 
VJXITANNISXXXV  M   V 
DIEB  •  XVIII  •  IVLIA  ■  FELI 
CITAS  •  COIVGI  INCONPARA 
BILI  •  SVO  •  B  •  M  •  F 
Questo  Marco  Anteio  Prisco  addita  ampiamente  la 
regione,  a  cui  apparteneva.  Talvolta  vi  si  soggiugneva 
altresì  la  particolare  città  nativa  :  così  in  altra  iscri- 
zione del  real  museo  Borbonico  si  aggiunge  DOMV 
KOL- ,  (  Guarini  comm.  VIII.  p.  87  ;  Mommsen  n. 
2717  :  cf.  Garrucci  ci.  praet.  Miseri,  p.  82,  n.  254). 
Probabilmente  il  nostro  Anteio  era  un  soldato  ;  essen-» 
do  proprio  delle  lapide  relative  a  militari,  l' additare 
la  patria  del  defunto. 

24. 
A  '  F  B  '  M 

D    /    M 
CEPIO  POLYCLETO 
QVI  BIXIT  •  ANNIS 
XX  VI  '  M  VDIEBVS 
XXIII     METTIA  ' 
CANDIDA  •  COIVX 
BMFCVMQVO 
VIXIT  •  ANNiS    XV  ' 


Manca  il  dittongo  nel  nome  Caepio  ;  e  questo  ac- 
coppiato al  hixit  per  vixk  mostra  che  la  iscrizione 
attribuirsi  deggia  ad  epoca  piuttosto  bassa.  Notevoli 
sono  le  sigle  in  principio,  le  quali  forse  furono  messe 
dopo ,  non  essendovi  alla  flne  lo  spazio  sufficiente  a 
contenerle.  A  me  sembra  che  deggiano  interpretarsi 
Amico  Fedi  Bene  Merenli  (cf.  Orelli  n.  172,  3919, 
4170). 

26, 

'     D     '     M     ' 
M  •  AVREL  •  MAXI 
MO  •  VET  •  AVG  •  N 
QVI  •  VIX  •  ANNIS 
XLVII  •  PETTIA  •  CRE 
NVSA  •  COIVGI  •  CVM 
QVExM- VIXIT  AN  XVm  B  M  F- 

Non  saprei  a  quale  Augusto  si  accenni  dicendosi 
Veleranus  Augusti  Nostri.  11  cognome  Crenusa  è  uno 
di  quelli  di  greca  derivazione ,  de  quali  fu  detto  di 
sopra  pag.  96  num.  4.  Notiamo  il  cum  quem  v.  6-7 
come  una  di  quelle  anliptosi ,  che  furono  sovente  os- 
servate negli  antichi  monumenti  epigrafici ,  e  sulle 
quali  non  accade  fermarsi. 

27. 

D  •  M  • 
LVCILLAE  •  CONIVGI  •  Q  • 
VIXIT  •  ANN  ■  XL    V    M  •  V  • 
DIES  •  VIRI  •  VITALIS  •  BAVDI 
CONIS  •  F  •  M  •  F 

Questa  iscrizione  offre  la  particolarità  che  tutte  le 
abbreviazioni  sono  indicate  con  una  lineetta  superio- 
re. Il  nome  del  padre  di  Vitale  è  cei'tamente  barbaro 
e  non  romano. 


(Continua) 


MlNERVItfl. 


GiDLlo  MiNERViNi  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BllLETTlXO  ARCHEOLOGICO  IVAI»OL1TA\0. 

NUOVA    SERIE 

TV."  39.     (15.  deiranno  II.)  Febbraio   ISÓÌ. 


La  ■partenza  di  Amfiarao:  in  vaso  dipinto.—  Troilo-Europa :  in  vaso  dipinto  di  Capita. 


La  partenza  di  Amfmrao,  in  vano  dipinto. 

È  già  qualche  tempo  che  osservammo  presso  il 
negoziante  di  aiUichilà  sig.  Raffaele  Barone  un  im- 
portanfe  vaso  dipinto  di  appula  fabbrica ,  del  quale 
diamo  ora  la  descrizione,  riserbandoci  di  farne  a  mi- 
glior tempo  la  pubblicazione. 

Anfora  a  mascheroni  di  circa  palmi  3,  5  di  altez- 
za. I  manichi  d' ambe  le  facce  presentano  nel  mezzo 
due  bianche  tesle  femminili  di  fronte ,  e  finiscono  in 
nere  tesle  di  cigno  sul  cominciar  della  pancia.  Nella 
principale  faccia  del  vaso  vedi  sul  colio  ovoli  ed  altri 
svariati  ornamenti:  non  che  una  testa  femminile  eoa 
bianco  pileo  ricurvo  ,  che  sorge  dal  simbolico  fiore, 
con  laterali  ramificazioni.  A' due  lati  veggonsi  due 
mostri  alati  con  corpo  e  testa  di  pantera,  ma  muniti 
di  lunghe  corna;  ne'  quali  possono  ravvisarsi  due  Grifi, 
non  altrimenti  che  ne' simili  mostri  che  veggonsi  in 
non  pochi  monumenti  pompejani ,  come  nella  mensa 
di  marmo,  e  ne' dipinti  delle  pareti  nella  casa  da' tetti 
conservati  alla  strada  Stabiana ,  e  come  nella  lorica 
della  statua  di  Olconio  (an.  I.  p.  61,  s.  (1),  e  an.  II. 
p.tl).  Sulla  pancia  del  vaso  vedi  una  importante  rap- 
presentanza formala  di  due  ordini  di  figure.  Nell'or- 
dine superiore  vedi  Mercurio  col  petaso  dietro  le  spal- 
le, avente  la  clamide,  gli  alati  calzari,  ed  il  caduceo: 
il  dio  si  appoggia  ad  un  albero  senza  foglie,  e  dipinto 
di  bianco,  incrociando  le  gambe:  in  alto  è  unbucra- 
nio  di  bianco.  A  noi  sembra  che  anche  qui  ci  si  offra 
un  novello  esempio  della  divinità  de' confini,  secondo 
le  idee  che  avemmo  la  occasione  di  sviluppare  più  so- 
pra in  questi  medesimi  fogli  (pag.  98,  s.).  Segue  Mi- 

(1)  In  questo  moslro  noi  inclinavamo  a  riconoscere  una  specie 
(li  Chimera. 

àSNO   II. 


nerva  sedente,  con  elmo,  asta,  ed  egida  sul  petto  ;  e 
presso  è  lo  scudo  :  la  dea  volge  la  testa  e  la  sinistra 
a  Mercurio ,  quasi  con  lui  ragionando  :  nel  campo  è 
in  alto  una  patera.  FinalnienleviHlesi.Xpullo  coronato 
di  alloro,  e  con  un  ramo  della  medesima  pianta  ,  il 
quale  siede  a  destra  sulla  sua  clamide ,  scherzando 
colla  sinistra  con  un  bianco  cigno,  che  gli  si  appressa. 
Nell'ordine  inferiore  è  un  guerriero  barbalo,  cla- 
midato ,  con  bianco  elmo  e  bianca  lorica ,  sopra  un 
cocchio  tratto  da  quattro  cavalli  :  egli  tiene  colla  si- 
nistra Io  scudo  e  l'asta,  e  cinge  al  fianco  la  spada.  I 
cavalli  sono  guidali  da  una  giovanile  ed  imberbe  fi- 
gura,  col  capo  licoperlo  di  bianca  galea.  Il  carro  è 
nel  momento  della  partenza;  come  si  addila  dal  lento 
muoversi  de'  cavalli ,  e  da  una  figura  giovanile  con 
doppio  giavellotto ,  e  clamide ,  che  tiene  ancora  la 
mano  sul  collo  di  uno  de' destrieri,  palpeggiandolo, 
nell'atto  che  il  carro  è  per  andar  via  ed  allontanarsi. 
Il  guerriero  barbato  eh' è  nel  cocchio  volgesi  indietro 
nell'atto  della  partenza,  allontanando  colla  destra  due 
giovinetti  di  assai  fresca  età  ,  e  con  clamidi;  il  primo 
de' quali  solleva  ambe  le  mani  verso  di  lui,  quasi  cer- 
cando di  prenderne  la  destra ,  ed  il  più  lontano  in- 
nalza la  sinistra  alla  fronte  in  atteggiamento  di  dolore, 
e  colla  destra  abbassata  tiene  la  patera.  In  un  piano 
alquanto  superiore  vedesi  la  figura  del  pedagogo,  con 
bianca  barba,  e  col  solito  veslinienlo,  cioè j)ileo die- 
tro le  spalle,  succinta  tunica,  slivalelti,  e  bastone,  il 
quale  ancora  si  duole  sollevando  alla  fronte  la  man- 
ca. Finalmente,  quasi  in  mezzo  di  questa  scena  di  do- 
mestico lutto,  si  vede  la  figura  femminile  di  un  demone 
alato ,  con  corta  tunica  ,  clamide,  e  stivaletti ,  e  con 
serpentelli  che  le  sorgono  dalla  testa,  la  quale  eleva 

colla  destra  la  fiaccola ,  e  lieo  colla  sinistra  la  spada 

15 


—  114  — 


nel  fodero.  In  allo  è  nel  campo  un  pileo  acuminato 
di  bianco ,  e  presso  allo  stesso  una  spada  nel  fodero 
messa  di  traverso. 

Nella  faccia  men  nobile  di  questo  interessante  vaso, 
vedi  sul  collo  una  testa  femminile  di  profilo  fralle  so- 
lile ramificazioni,  e  piìi;  ovoli,  meandro  ad  onda,  ed 
altri  ornamenti.  Sulla  pancia  è  una  grande  stele  di 
bianco  sopra  un  gran  piedestallo  :  la  stele  finisce  su- 
periormente in  un  fastigio  triangolare  adomo  di  bian- 
che palmette ,  ed  è  cinta  nel  mezzo  da  una  nera  ben- 
da. Intorno  sono  cinque  figure  tre  virili ,  e  due  fem- 
minili, con  varii  simboli  ed  offerte,  rami,  cassette,  fla- 
belli,  patere,  fiori,  e  grappoli.  Nella  principale  rap- 
presentazione del  descritto  monumento  noi  riconoscia- 
mo la  partenza  di  Amfiarao  per  la  guerra  di  Tebe,  che 
a  lui  esser  doveva  cagione  di  morte.  Già  non  pochi 
monumenti  si  conoscono,  che  sieno  riferiti  al  mede- 
simo soggetto  ;  de'  quali  si  legge  un  catalogo  quasi 
compiuto  neir  ultima  edizione  del  Miiller  fatta  dal 
dottissimo  Weicker  {Handb.  §  412  not.  3p.  691),  e 
su'  quali  son  da  leggere  le  dotte  discussioni  del  Rou- 
lez  {Annali  dell' Ist.  1843  p.  206  e  seg.  ) ,  del  Jahn 
[ardi.  Aufss.  p.  115,  seg.) ,  e  più  recentemente  del- 
l' Overbeck  (  Gallerie  heroischer  Bildwerke  der  alien 
Kunst  voi.  I.  Braunschweig  1853  p.  91-106).  Nel 
nostro  vaso  sono  però  alcune  particolarità ,  che  mi 
sembrano  degnissime  di  attenzione.  Trattandosi  di  una 
dipartita,  in  tutti  i  monumenti  apparisce  il  momento 
del  muoversi  ;  e  questo,  come  innanzi  avvertimmo , 
nel  vaso  del  Sig.  Barone  è  assai  bene  indicato  dal  gio- 
vine guerriero  ,  che  palpeggia  tuttavia  qualcuno  de' 
cavalli;  nel  quale  non  vorremmo  ravvisare  alcun  de- 
terminato eroe,  ma  piuttosto  uno  del  seguilo  dell'Ar- 
givo  indovino.  Già  è  sul  cocchio  l'auriga  Datone,  in- 
lento a  guidare  i  destrieri ,  non  altrimenti  che  sugli 
altri  monumenti,  cominciando  dalla  cassa  di  Cipselo, 
ove  però  vedevasi  munito  di  un'asta  (Pausan.  V,  17, 
4  ).  11  cocchiere  di  Amfiarao  vedesi  altra  volta  im- 
berbe, e  munito  dell'elmo;  laddove  il  guerriero  stesso 
apparisce  sempre  barbato.  Questa  avvertenza  ci  fae- 
sitare  a  ritenere  per  indubitata  la  spiegazione  data  dal 
dottissimo  Weicker  del  bassorilievo  deirOropo(mort. 
dell' Ist.  voi.  IV  tav.  5:  Overbeck  op.  cil.  atl.  tav.  VI 


n.  6),  e  del  famoso  monocromo  di  Ercolano  (Annali 
dell' Ist.  1 844  lav.  d' agg.  E  ;  Zahn  ornam.  und.  Ge^ 
mdlde  aus  Pompeji,  Herculanum,  und  Slahiae-Zwe'ite 
Folge-Taf.  I  ;  Overbeck  op.  cil.  tav.  VI.  n.  7  ) ,  il 
quale  li  riferiva  al  momento  in  cui  la  quadriga  di  Am- 
fiarao è  inghiottita  dall'aperta  terra  [annal.  dell'  Ist. 
1844  p.  166  e  s.  :  cf.  Io  stesso  Weicker  Denkmàler 
II.  p.  172  segg.,  ed  il  eh.  Overbeck  op.  cil.  p.  145 
a  147).  Ora  il  monocromo  di  Ercolano  vedesi  ri- 
prodotto nel  real  museo  Borbonico  voi.  XlVt.  XLVII 
con  la  illustrazione  del  mio  eh.  collega  sig.  cav.  Fi- 
nati  ,  il  quale  vi  ravvisa  Achille  nella  sua  quadriga. 
In  lutti  gli  altri  monumenti  Amfiarao  si  divide  dalla 
moglie  Erifile  (1)  ;  abbenchè  non  manchino  i  figli  ia 
alcuni.  Così  nella  cassa  di  Cipselo  appariva  Alcmeone 
nudo  ,  ed  il  piccolo  Amfiloco  fralle  braccia  di  una 
vecchia  donna  (Pausan.  V,  17,  4).  In  un  vasodella 
collezione  Candelori  vedesi  un  solo  fanciullo ,  che 
stende  le  mani  al  minaccioso  padre ,  mentre  Erifile 
pur  dello  stesso  modo  si  presenta  da  lungi  (Micali 
mon.  tned.  per  servire  alla  Storia  et.  tav.  XCV;  Over- 
beck tav.  Ili  n.  5  ).  In  un  altro  arcaico  vaso  di  Caere 
compariscono  tre  figli,  due  de'  quali  in  braccio  a  donne 
{ìnus.  gregor.  II,  42,  2,  a;  Overbeck  tav.  Ili  n.  6); 
ma  uno  più  grandetto  degli  altri  sembra  attendere  alle 
parole  del  suo  genitore.  Ricordo  finalmente  due  vasi 
del  museo  Britannico  riferiti  alla  partenza  di  Ettore 
nel  catalogo  di  quella  insigne  collezione  (  n.  452 , 2  ; 
en.  524),  ma  che  noi  riportiamo  pure  al  mito  di  Am- 
fiarao, secondo  la  opinione  del  eh.  Overbeck  (o/).ci7.p. 
90,  e  99):  io  essi  comparisce  pure  qualcuno  de' figli. 
Nel  vaso  del  sig.  Barone  sono  due  i  giovanetti  fi- 
gliuoli ;  e  non  tarderemo  a  ravvisare  in  essi  i  due  più 
conosciuti  Alcmeone  ed  Amfiloco ,  il  primo  de'  quali 
si  appressa  più  al  suo  genitore,  mentre  V  altro  pone 
la  mano  alla  testa  in  segno  di  cordoglio ,  tenendo  la 

(I)  Ricordiamo  principalmente  il  notissimo  vaso  dell'  arcivescovo 
di  Taranto  pubblicato  da  molti,  ed  ora  dal  sig.  Overbeck  {op.  cit. 
lav.  III.  n.  7)  per  avvertire  che  non  siamo  persuasi  dalle  sue  ra- 
gioni (  ivi  p.  05  not.  10  )  ad  abbandonare  la  nostra  opinione  sulla 
iscrizione  KAAIOOPA  di  quel  monumento,  che  fu  da  noi  riferita 
ad  uno  de'  cavalli,  piuttosto  che  alla  stessa  Erilile  :  nella  quale  ci 
vedemmo  con  piacere  approvali  dal  dollissimo  Jahn  (  arch.  A»ft*- 
pag.  139,  e  seg.  ). 


~  115  — 


palerà  simbolo  di  sagrificio ,  e  di  preghiera.  La  sce- 
na'dell' appulo  vaso  è  meglio  intesa  di  tutte  le  altre; 
giacché  manca  la  presenza  di  Erifile  :  il  che  ci  sem- 
bra essenzialmente  richiesto  dalle  leggi  di  una  buo- 
na composizione  trattandosi  del  vaticinio  delia  mor- 
te di  Amfiarao ,  e  della  commissione  di  vendicarla 
col  sangue  della  madre.  (  Vedi  ciò  che  dicemmo  in 
questo  bullettino  an.  I.  pag.  75  ,  ove  parlammo  di 
una  pittura  pompejana  ritraente  il  matricidio  di  Al- 
cmeone).  Nel  vaso  Candelori  il  futuro  matricida  sten- 
de all'adirato  padre  le  mani,  come  su  quello  del  sig. 
Barone  ;  ivi  perù  il  padre  non  traggo  minaccioso  la 
spada ,  ma  parla  piuttosto  del  funesto  avvenire  rifiu- 
tando le  infantili  carezze  del  suo  figliuolo.  Questa  è 
la  causa  del  duolo  dell'  altro  figho  Amfiloco  ,  e  del 
pedagogo ,  che  vedesi  alquanto  discosto ,  sulla  cui 
significazione  non  può  aflatto  dubitarsi  :  vedi  le  os- 
servazioni nostre  sopra  simili  figure  in  questo  secon- 
do volume  del  buUellino  pag.  58.  Intanto  il  vaso  di 
Barone  pruova  che  sia  pure  da  ravvisare  il  pedagogo 
nel  vecchio  del  vaso  della  raccolta  Candelori ,  ove  il 
eh.  Roulez  {annali  dell'  Istituto  1843  pag.  210),  se- 
guito dal  eh.  Overbeck  (op.  cil.  p.  93  not.  6),  vide 
piuttosto  il  padre  di  Amfiarao  Oicle  :  ma  noi  siamo 
della  opinione  del  Jahn  {arch.  Aufss.  pag.  155  ),  il 
quale  pensò  appunto  al  pedagogo.  Ora  è  notevole  che 
lo  stesso  gesto  di  dolore  si  scorge  in  questa  figura  so- 
pra entrambi  i  monumenti.  La  età  dei  figli  di  Am- 
fiarao neir  appulo  vaso  che  illustriamo  non  è  tanto 
infantile  come  apparisce  in  altri  monumenti  :  e  ciò  è 
pili  secondo  le  tradizioni,  che  parlano  dell'incita- 
mento alla  vendetta  dato  dal  padre  al  fanciullo  Al- 
cmeone.  Così  dice  Eustazio  :  'Ay.xixy-tujyt  Ittstoc^sv  , 
óvorav  r,(3r,(Tyi  (  Odyss.  XI  v.  326  pag.  422).  Bene 
avverte  il  sig.  Roulez  che  per  tal  motivo  presenta- 
vasi  quel  fanciullo  tutto  nudo  sulla  cassa  di  Cipselo 
[annal.  cil.  p.  214  not.  2),  non  altrimenti  che  vedesi 
sul  nostro  vaso;  ma  noi  aggiungiamo  eh' esser  do  vea 
figurato  altresì  in  una  eia  capace  di  comprendere  le 
predizioni  ed  i  lamenti  paterni. 

Mollo  interessante  è  nella  scena ,  di  che  ragionia- 
mo ,  r  intervento  di  un  demone  simile  ad  una  Furia. 
Noi  favellammo  sovente  di  questi  esseri  terribili ,  e 


principalmente  in  questo  medesimo  huUetlino  parlan- 
do di  una  somigliante  figura  con  la  spada  e  la  fiac- 
cola ,  la  quale  precede  la  infanticida  Medea  (  v.  sopra 
p.63-Ci)in  altro  vasculario  dipinto.  Nim  posso  intan- 
to tacere  che  nel  famoso  vaso  di  Dario,  da  noi  sopra 
descritto,  una  simile  figura  con  due  fiaccole  è  denomi- 
nala a  parer  nostro  A  FIATA  (v.  laseg.  p.  130  e  132). 
Per  lo  che  non  sarebbe  strano  l'immaginare  chesiesi 
anche  qui  figurato  quello  stesso  demone,  sotto  le  me- 
desime forme  :  e  questa  idea  converrebbe  assai  bene 
alla  intelligenza  che  ci  sembra  doversi  attribuire  a 
quella  figura.  Pare  che  quesla ,  o  Lyssa  o  Apule  che 
sia,  comparisca  come  quel  demone  che  spingerà  Al- 
cmeoue  alla  uccisione  della  madre.  Perciò  tiene  una 
spada  entro  il  fodero  ;  la  quale  esser  dee  destinata  a 
compire  il  matricidio,  quando  quel  giovinetto  sarà  ca- 
pace di  brandire  le  armi  ;  è  a  lui  che  quell'  infausto 
demone  presenterà  quel  ferro,  allorché  verrà  il  leilipo 
di  consumare  l'orribile  attentato.  Alla  stessa  idea  al- 
ludono l'elmo  acuminato  e  la  spada  sospesi  nel  campo: 
richiamando  all'  epoca  in  cui  il  figlio  di  Amfiarao 
prenderà  le  armi,  per  recarsi  alla  spedizione  degli  E- 
pigoni. 

Le  divinità  che  si  trovano  nell'ordine  superiore  ben 
si  riportano  al  fatto  che  succede  sulla  terra;  ma  prin- 
cipalmente la  figura  di  Apollo  è  essenzialmente  li- 
chiesta,  come  il  dio  protettore  di  Amfiarao,  e  per  lo 
quale  l' eroe  nella  sua  qualità  di  vaticinalore ,  aveva 
uno  speciale  cullo.  (Vedi  ciò  che  ho  detto  altrove  nel 
bulletl.  arch.  nap.  an.  II  pag.  94  dell'  antica  serie). 

Poche  parole  aggiungiamo  sulla  rappresentazione 
del  collo,  alla  quale  non  disconviene  la  lunare  signi- 
ficazione. Cosi  nella  testa  con  bianco  pileo  ricurvo  non 
potrà  non  riconoscersi  la  lunare  divinità  Diana ,  alla 
quale  trovansi  talvolta  attribuiti  i  Grifi  (vedi  le  cose 
dottamente  notate  dal  cav.  Welckor  negli  aii/iaZ/Jf/- 
l'ist.  1830  p.  73  e  s.  ).  Ed  in  conferma  ed  illustra- 
zione del  lunare  rapporto  del  Grifo,  ed  insieme  della 
testa  pileala  del  nostro  vaso,  osservo  che  sul  collo  di 
un'altro  vaso  a  soggetto  funebre  .-«pparleneule  allo 
stesso  negoziante  di  antichità  sig.  Barone ,  vedesi  la 
intera  figura  di  Diana  con  simile  berretto,  e  con  suc- 
cinto vestire,  nulla  diverso  da  quello  delle  .Vmazzoni, 


—  116  — 


cavalcante  un  Grifo.  Queste  varie  rappresentanze  fra 
loro  nivvioinale  non  valgono  che  a  confermarci  sem- 
pre più  sulla  significazione  lunare  delle  teste  uscenti 
dal  simbolico  flore  nel  collo  di  tanti  vasi  dipìnti ,  i 
quali  sono,  a  nostro  giudizio,  di  funebre  destinazione. 
Ed  a  questo  proposito  mi  piace  di  notare  che  talvolta 
sul  collo  de'  vasi  può  riconoscersi  in  queste  teste  una 
significazione  particolare.  Già  il  cav.  Gerhard  ebbe  oc- 
casione di  leggere  sopra  una  di  quelle  protomela  iscri- 
zione AXIO...,che  da  lui  fu  interpretala  per  l'Axio- 
ccrsa  de'misterii,  la  quale  però  rientra  nelle  idee  lu- 
nari, siccome  avemmo  la  occasione  di  notare  in  altro 
nostro  lavoro  (mon.  ìned.  di  Barone  tom.  t  p.  70). 
Ora  sul  collo  di  un  altro  vaso  di  proprietà  dello  stesso 
sig.  Barone  vedcsi  una  testa  di  fronte  originariamente 
bianca  con  gialli  capelli;  ha  il  capo  adorno  di  una  raì- 
lella  ed  il  collo  fregiato  di  bianco  monile:  sorge  pure 
dal  simbolo  Core  con  ramificazioni  ad  elice  ,  ove  si 
scorgono  altri  fiori.  Più  sopra  è  un  ramo  di  edera  che 
si  estende  in  giro.  Sulla  testa  da  noi  descritta  leggesi 
graffita  la  parola  AVDA.  Se  si  pon  mente  alla  bac- 
chica relazione  additata  dal  ramo  di  edera,  non  si  po- 
trà dubitare  che  questa  Aura,  come  viene  quella  fem- 
minil  protome  denominala  ,  sia  la  sposa  del  Tebano 
Dioniso,  che  fu  madre  del  mistico  Jacco.  Io  mi  riser- 
bo di  sviluppare  in  altra  occasione  le  conseguenze  non 
solo  archeologiche,  ma  pure  mitologiche  di  questo  no- 
vello fatto, che  sembra  favorire  ancorale  mieprecedenti 
osservazioni.  Per  ora  sarò  contento  di  annunziarlo. 

Tornando  al  vaso  di  Amfiarao ,  avverto  che  nella 
faccia  men  pincipale  presenta  una  slele  sepolcrale,  con 
figure  all'  intorno.  Senza  pretendere  che  in  questa  fu- 
nebre rappresentanza  si  alluda  alla  tomba  dell'Argivo 
eroe,  ove  discese  per  quella  malaugurata  spedizione, 
noto  soltanto  che  spesso  védesi  un  vaso  sopra  una 
slele  ad  indizio  di  sepolcro.  Vedi  Cavedoni  buìlelt. 
dell'isl.  di  corr.  arch.  1847  p.  78,  e  sull.  arch.  nap. 
ani.  serie  an.  V  p.  57:  cf.  Ritschl  ann.delilst.  1840 
p.  192  segg.  Fiorelli  ann.  di  numism.  tav.  Ili  n.  1, 
e  quel  che  dico  io  stesso  nell'antica  serie  del  bull, 
nap.  an.  VI  pag.  64.  Il  nostro  vaso  offre  sulla  stele 
vn  ornamento  non  troppo  comune,  qual  si  è  un  fa- 


stigio triangolare,  che  più  spesso  troviamo  poggiante 
sopra  due  colonne  in  una  estesa  serie  di  edicole  se- 
polcrali eflBgiate  ne*  vasi,  segnatamente  di  PugUa. 

MlNERVINl. 

Trailo  —  Europa:  in  vaso  dipinto  di  Capua. 

Il  piccolo  vaso  da  noi  pubblicalo  nella  nostra  tav. 
VII  n.  1,  2,  3  appartiene  all'architetto  sig.  Vincenzo 
Caruso  di  S.  Maria,  il  quale  gentilmente  ha  permesso 
che  trar  me  ne  facessi  un  disegno.  Fu  ritrovato  il  mo- 
numento nel  sito  dell'antica  Capua  (i),  e  le  figure  sono 
di  nero  in  fondo  giallognolo.  Le  due  rappresentazioni 
sono,  come  ognun  vede,  rozzissime  ;  e  non  meritano 
alcuna  considerazione  dal  lato  dell'  arte. 

Nondimeno  abbiamo  creduto  opportuno  di  farne 
la  pubblicazione ,  anche  per  la  riunione  di  due  sog- 
getti mitologici  non  comuni ,  specialmente  ne'  vasi 
di  quella  località.  É  evidente  che  nella  prima  faccia, 
ove  si  vede  ima  donna  sdrajata  sopra  di  un  toro  in 
rapidissima  corsa,  debba  riconoscersi  Europa  rapila 
da  Giove  nella  più  semplice  composizione.  Difatti  non 
vi  è  argomento  per  pensare  ad  una  Baccante  sul  toro 
Dionisiaco  ;  mancando  qualunque  bacchico  simbolo. 
L' altro  quadro  del  rovescio  ci  pone  sotto  gli  occhi 
un  giovinetto  nudo  a  cavallo,  che  si  appressa  ad  una 
fonte  indicata  da  una  testa  di  leone  che  versa  acqua  in 
una  sottoposta  vasca.  Dopo  i  lavori  del  car.  Welcker 
{Zeilschrift  far  die  AUerthumswiisenschafl  1850  n.  4 
e  segg.  e  n.  13  seg.  ed  Annali  dell'  hi.  di  corr.  arch. 
1830  p.  66  segg.),  del  Jahn  (nella  sua  monografia 
Telephos  und  Troilos  Kiel  1841  in  8  p.  70  e  segg.), 
e  dell' Overbeck  {Gallerie  heroischer  Bildwerke  der  al- 
ien Kunst  voi.  1  pag.  338-366)  non  si  farà  alcuna 
difficoltà  a  ritenere  il  nostro  giovinetto  cavaliere  per 
Troilo,  il  quale  si  appressa  alla  fonte,  ove  trovò  la  sua 
morte  per  le  mani  di  Achille.  Solo  è  da  osservare  che 
anche  qui  la  scena  è  compendiata,  non  vedendosi  affatto 
la  figura  dell'  uccisore  ,  né  di  quegli  altri  personaggi 
che  scorgonsi  in  altri  monumenti.  Minervini. 

(1)  Neil»  occasione  di  eseguirsi  la  regia  strada  ferrala  di  Caserta. 


GjuLio  Mi.NERViM  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catìneo. 


BIILETT1\0  ARCIIEOLOfilCO  A APOLITWO. 


NUOVA    SERIE 


iV."  40.     (16.  deiranno  IL) 


Febbraio   l8ói. 


Notizia  defiù  recenti  scavi  di  Pompei.  Continuazione  del  n.  53. — Di  due  iscrizione  osclic. — Bibliografia. 


Notizia  de' più  recenti  scavi  d'i  Pompei. 
Continuazione  del  man.  55. 


Poco  inleressanli  scavazioni  ebbero  luogo  in  al- 
cune bolteghe  della  slrada  Slabiana  ;  ed  anclie  poco 
si  è  proseguito  Io  sgombramento  della  casa,  ove  fu 
rinvenuta  la  bella  statua  di  Apollo  da  noi  sopra  de- 
scritta (p.  05  e  seg.  ).  Riserbandoci  di  dar  la  descri- 
zione di  questa  casa  ,  quando  sarà  messa  allo  sco- 
perto ,  dirò  da  prima  di  alcuni  oggetti  venuti  fuora 
dalle  parli  già  liberate  dalle  terre.  Nel  triclinio  di 
questo  privalo  edifizio ,  di  cui  più  sopra  descrivem- 
mo le  belle  pitture  che  ne  ornavano  le  pareti ,  una 
delle  quali  è  stala  già  collocata  nel  real  museo  Ror- 
Lonico  (1),  furono  rinvenuti  all'altezza  di  circa  palmi 
4  dal  pavimento  varii  pezzi  di  osso  lavorati  a  foggia 
di  zampe  di  leone ,  un  pomo  egualmente  di  osso , 
ed  un  frammento  rettangolare  con  ornaraenli  inci- 
si ,  ed  altri  frammenti  diversi  :  non  che  una  testa 
barbata  con  orecchie  caprine  ,  e  coronata  di  para- 
pini  e  grappoli  di  uva.  Si  aggiugne  il  ritrovamento 
di  un  pezzo  cilindrico  di  bronzo.  Tutti  i  descritti  og- 
getti appartennero  certamente  a' finimenti  di  un  mo- 
bile probabilmente  di  legno  ,  che  per  questo  motivo 


(1)  Noi  annunziammo  il  nosiro  dubbio  se  Ifigenia  tenesse  in  mano 
I»  immagine  della  dea  :  ora  possiamo  asserire  che  essendo  il  di- 
pinlo  meglio  ripuliio,  sono  comparse  le  tracce  del  taurico  Palladio 
nelle  mani  della  sacerdotessa  ;  e  (juesto  appDrisce  di  piccole  dimen- 
sioni  ,  non  altrimenti  che  nel  dipinto  della  casa  di  Castore  e  Pol- 
luce, sul  quale  vedi  le  cose  da  noi  delle  nella  nostra  Memoria  sul 
vaso  con  OAOBiriO^  voi.  IV  parte  I  p.  277,  seg.  delle  memo- 
Tit  della  reale  Accademia  Ercolanese. 
J.VAO    //. 


non  si  è  fino  a  noi  conservato.  E  noi  incliniamo  a 
credere  ciie  si  trattasse  di  un  letto,  ove  potesse  talu- 
no star  comodamente  sdrajalo ,  pel  particolare  uso 
di  quella  stanza. 

Presso  r  entrala  antica  della  casa  medesima  ,  si 
sono  ritrovate  le  parti  della  serratura;  e  nell' atrio, 
olire  due  monete  di  bronzo  ed  un  pezzetto  di  pasta 
vitrea ,  si  è  rinvenuta  una  piccola  ara  di  marmo , 
nel  cui  giro  sono  espressi  a  bassorilievo  due  Amo- 
rini ,  che  sostengono  un  festone ,  due  uccelli  che  si 
beccano  ,  due  palme  incrocicchiale ,  ed  una  oeno- 
choe.  Noi  non  ci  fermeremo  su  tpiesla  abitazione, 
attendendo  che  possa  interamente  studiarsi  e  descri- 
versi. 

Non  pochi  oggetti  sono  stati  raccolti  nello  sgom- 
brar dalle  terre  la  bottega  a  destra  della  medesima 
strada  Stabiana ,  segnata  col  num.  110.  Noi  credia- 
mo utile  cosa  farne  la  enumerazione;  giacché  da  que- 
sti dati  di  fatto  può  probabilmente  dedursi  la  industria 
esercitata  nelle  varie  botteghe  pompejanc.  Gli  oggetti 
di  bronzo  ivi  ritrovati  sono  una  patera,  ed  una  conca 
in  parte  rotte  e  mancanti  ;  una  pentola  con  manico  e 
coverchio,  il  quale  è  sostenuto  da  una  catenella  ;  un 
altro  vaso  da  cucina  (tridla)  in  parte  frammenlato  ; 
un  manico  di  patera  terminalo  a  maschera  muliebre  ; 
un  gran  manico  ,  forse  di  secchia  ;  un  vasellino  ci- 
lindrico con  ferro  aderente ,  che  può  giudicarsi  un 
calamajo  ;  due  frammenti  di  forme  di  pasticceria  (tJ- 
•ìroi)  a  guisa  di  conchiglie  ;  quattro  fibule  ;  ventisette 
anelli  di  diversa  grandezza  ;  una  moneta  molto  ossi- 
data; e  varie  parli  di  serraliira  ;  non  che  alcuni  pic- 
coli fregi  per  ornamento  di  qualche  mobile.  Sono  slati 

18 


_  118  - 


ancora  raccolli  alcuni  arnesi  di  ferro:  due  scalpelli; 
un'accetta;  tre  porzioni  di  una  specie  di  ronciglio; 
due  pezzi  di  catena  ;  ed  alcune  parti  di  serratura  : 
quattro  pesi  di  piombo  con  manichi  di  ferro;  un  peso 
circolare  di  pietra  ;  alcuni  vasi  rozzi  e  di  uso  di  ler- 
racolla,  fra'  quali  noterò  una  lazzolina  con  vernice 
rossa  ;  una  lucerna  ad  un  sol  lume  ;  un  peso  di  pic- 
cole dimensioni  ;  ed  un  frammento  con  una  mutila 
leggenda.  Una  sola  bottiglia  di  vetro  fu  ritrovata  ;  e 
molli  noccioletli  di  pasta  vitrea  al  num.  di  190. 

Non  saprei  indovinar  la  destinazione  di  un  curio- 
so oggetto;  cioè  un  osso  di  animale,  con  anello  im- 
pernato  ad  una  delle  estremità  :  se  pure  non  voglia- 
mo supporre  che  fosse  tenuto  sospeso  per  qualche 
idea  superstiziosa.  Tra  tutti  questi  oggetti  della  sua 
domestica  vita,  è  pur  comparso  lo  scheletro  dell'in- 
felice pompejano,  che  fu  collo  dalla  morte  nella  sua 
casa,  senza  poter  sottrarsi  al  terribile  flagello  da  cui 
venne  colpito. 

In  un'  altra  bottega  a  sinistra  della  suddetta  strada 
segnala  col  n.  108  ,  non  furono  altre  cose  raccolte, 
se  non  che  una  oldaja  di  bronzo  anticamente  sal- 
data del  diametro  di  8  decimi  di  palmo;  un'anfora  di 
terracotta  ;  e  la  parie  inferiore  di  una  lesta  di  vec- 
chio con  barba. 

Dall'altra  bottega  num.  112  furono  tratte  un'an- 
fora di  terracotta,  una  tazza,  ed  un  frammento  di 
embrice  colla  nota  fabbrica  di  Domizio  Alessandro 
DOMITIALEXAN. 

La  bottega  n.  114  ha  dato  fuori  i  seguenti  ogget- 
ti: una  lucerna  di  bronzo  a  due  lumi  con  due  ma- 
schere di  leone  ne'due  lati  maggiori,  e  con  catenelle, 
parte  aderenti  alla  lucerna,  e  parte  rotte,  di  lunghez- 
za 0,  78  di  palmo  ;  una  piccola  campanella  di  ferro 
priva  di  battente;  uncoltello,  col  manico  di  osso  bian- 
co ;  ed  alcuni  frammenti  di  vetro.  Vedovasi  poi  lo 
scheletro  del  fedel  cane  lasciato  a  custodia  della  bot- 
tega nel  momento  del  disastro. 

Nella  bottega  n.  116  ,  fu  raccolto  un  vasellino  di 
bronzo  co'  manichi  dissaldati ,  una  striglie ,  ed  una 
borchia  dello  stesso  metallo  ;  non  che  un  piccolo  spil- 
lo di  osso  lungo  0,  33  di  palmo  ,  destinalo  forse  ad 
uso  di  sluzzica-orecchi  {auriscalpium). 


Più  ricco  era  il  proprietario  della  bottega  segnata     ' 
col  n.  90. 

Si  è  in  essa  raccolto  un  piccolo  anello  di  argento  ; 
ed  una  bella  lucerna  di  bronzo  a  due  lumi:  vedonsi 
a' due  lati  due  lori ,  e  vi  si  legano  due  laterali  cate- 
nelle, all'estremo  di  una  delle  quali  pende  una  tabella 
ansata  con  la  epigrafe  incisa 
DIVNI 
PROQVLI 
indicante  il  nome  del  possessore  D.  Giunio  Proculo,  il 
quale  era  pure  probabilmente  il  padrone  della  bottega. 

Pochi  vasi  di  bronzo;  due  campanelle;  una  piccola 
borchia;  tre  basette;  alcune  parli  della  serratura  ap- 
partenenti ad  un  mobile ,  ed  avanzi  di  guarnizione 
dello  slesso  mobile  intagliata  e  rivestita  di  argento, 
uno  scudo  di  serratura  circolare  ,  due  monete  ,  una 
fascia  dello  slesso  metallo  furono  raccolli  nel  medesi- 
mo silo.  Compivano  la  scoperta  sette  noccioletli  di  ue- 
tro  ;  ed  alcuni  oggetti  di  terracotta,  cioè  una  lucerna 
ad  un  lume,  una  piccola  ara,  una  bottiglia,  due  pesi, 
e  18  anfore. 

(continua)  Minervini. 

Di  due  iscrizioni  osche. 

Fra  gli  oggetti,  che  erano  conservali  ne' magazzini 
del  real  museo  Borbonico,  e  che  sono  stati  già  collo- 
cati nelle  varie  collezioni  di  questo  insigne  stabili- 
mento ,  abbiamo  ultimamente  osservato  due  nuove 
iscrizioni  osche  graffile  sopra  due  grandi  pezzi  di 
terra  cotta  (l). 

La  prima  non  contiene  che  una  sola  parola,  e  dice  : 
^.  h  a  N  I  V  I  D 

Questa  parola  Vilineis  è  senza  dubbio  un  genitivo 
del  nome  proprio  Viliniis,  che  non  è  ancora  com- 
parso nelle  iscrizioni  di  questo  dialetto.  Del  resto  il 
nome  Vilinius,  o  Velinius,  del  quale  non  ricordiamo 
alcuno  esempio,  ci  rammenta  la  tribù  Velina  da  cui 
fu  per  avventura  derivalo,  o  col  cui  nome  riconobbe 
una  origine  comune. 

La  seconda  iscrizione  è  più  irregolarmente  trac- 

(1)  Di  queste  due  iscrizioni  abbiamo  dato  notizia  alla  reale  Ac- 
cademia Ercolanese. 


—  119  — 


ciata  e  sembra  appar(onere  a  caraltcro  corsivo.  Vc- 
ào^ì  questa  disposta  in  due  linee,  e  sullo  stesso  mat- 
tone è  graffito  uu  ornamento  composto  di  una  linea 
verticale  troncata  in  un  punto  medio  da  due  altre  li- 
nee che  s'incrocicchiano,  e  di  due  altre  linee  più  bre- 
vi messe  ad  angolo  verso  la  estremila  inferiore  della 
linea  verticale,  costituendone  quasi  la  base.  La  iscri- 
zione dice  così  : 

=ig^nY 

In  quanto  a' caratteri,  noterò  che  l'aspirazione  in- 
vece della  solita  forma  B  presenta  quattro  linee  oriz- 
zontali, e  le  due  verticali  sporgono  alquanto  in  fuori 
nelle  loro  estremità  inferiori:  la  forma  del  Q  si  allontana 
alquanto  dalla  più  comune,  offrendo  l'aspetto  di  un  ^ 
greco  ;  il  che  ci  sembra  forse  dovuto  alla  incertezza 
della  mano  nel  tracciare  la  epigrafe  :  e  lo  stesso  dee 
dirsi  per  avventura  degli  V,  che  forse  per  lo  medesi- 
mo motivo  appariscono  somigliantissimi  ad  un  Y.  Del 
resto  la  medesima  forma  dell'V  osservasi  pure  in  altre 
osche  iscrizioni  :  come  nel  dimezzato  ^3T]TR8YR[n 
della  mutila  iscrizione  riportata  nella  nostra  tavola 
V  n.  4,  ove  ricorre  pure  una  non  dissimile  forma 
dell'*-].  Ed  entrambe  queste  lettere  sono  usate  nel  cip- 
po Abellano  (Mommsen  unlerit.  Dialek.  tav.  VI  ) ,  e 
nel  frammento  di  Macchia  pubblicato  dal  de  Vita 
{anlìq.  Benev.  tom.  1  app.  p.  LXI:  cf.  Mommsenuti- 
ier.  Dial.  tav.  Vili  n.  12.) 

Il  nome  Heirens  a  me  sembra  corrispondere  al  la- 
tino Herennius ,  e  quindi  essere  una  forma  diversa 
di  Heirennis,  la  qual  voce  fu  riscontrata  in  una  iscri- 
zione di  Nola  (Guarini  comm.  XI  p.  30;  Raoul-Ro- 
chette  moti,  inéd  pi.  LXIIl;  Lepsius  n.  18  lab.  XXIV; 
Mommsen  tav.  Vili  n.  lo  p.  178.  Comparisce  pure  lo 
slesso  nome  sotto  la  forma //ciVencm  in  un  frammento 
pubblicalo  dal  eh.  Mommsen  tav. Vili  n.  3cf.  p.l70; 
ed  Hcrenni:  vedi  Garrucci  nel  nuovo  bull.  nap.  an.  I 
p.l49  n.5).  Questa  opinione  può  fondarsi  al  presente 
sopra  alcuni  altri  esempli,  che  furono  da  me  citati  in 
altra  occasione.  Nomi  somiglianti  sono  l' Aadiraiis, 
della  iscrizione  di  Pompei,  e  1'  Upih  della  iscrizione 
di  Cuma,  (vedi  quel  che  dicemmo  nel  presente  bul- 
lellino  an.  1  p.  lOi),  e  finalmente  il  lYnac/ts  della  i- 


scrizione  di  Capua ,  che  non  sembra  dissimile  dal 
Viiniliiis  della  epigrafe  pompejana  di  Adiranio  (  vedi 
sopra  p.  138).  L'Aa(liran<:,  Yl'iiih,  il  r/iinf/is,  17/ei- 
rens  sono  particolari  desinenze  di  quei  nomi ,  che  ne 
costituivano  quasi  un'  abbreviata  pronunzia  ;  ma  non 
significavano  però  meno  .If/i/a/iiiis,  l'pilius,  Vini- 
C(i(S,  Ilcrcnniuii. 

Alla  voce  Frm,  che  segue,  non  saprei  qual  signi- 
ficazione debba  attribuirsi;  e  se  esprima  altro  nomeia 
rapporto  con  Erennio,  ovvero  piuttosto  un  sustanlivo 
retto  dal  verbo  seguente.  Mi  contenterò  di  attendere 
su  di  ciò  leconghietturede'dotti.  Osservo  soltanto  che 
nella  nota  iscrizione  di  Rocca  Aspramonte  occorre  il 
cognome  Frunlcr  (Mommsen  unter.  Dial.  tav.  l.\  n.  8 
pag.  Ili  s.),  che  sembra  essere  di  non  diversa  de- 
rivazione dal  nostro  Frus  o  Fruns  per  la  ovvia  sop- 
pressione dell' n  (cf.  CETUR  per  CEXTUR  Garrucci 
bull.  nap.  an.  l  pag.  13):  e  sono  forse  entrambi  di 
analoga  derivazione  al  latino  cognome  :  Fronlo.  Se 
pure  non  voglia  ricordarsi  che  frus  e  fros  fu  antica- 
mente il  retto  di  frundls  o  froiuUs  (Charis.  I,  iOa\ 
Si  chiude  la  nostra  iscrizione  colla  nota  vocel3^nY 
fedi;  ove  però  non  si  legge  propriamente  upsed  col 
solito  finimento,  ma  upseF,  o  upsee:  ma  non  vorrem- 
mo su  di  ciò  fondare  alcuna  grammaticale  osserva- 
zione ;  giacché  ha  potuto  lo  scrittore  non  terminare  i 
suoi  caratteri,  e  quindi  omettere  la  ^finale,  che  dalla 
buona  ortografia  veniva  richiesta. 

Sembra  evidente  ciie  in  questa  seconda  lastra  di 
lerra  cotta,  parte  di  un  grande  mattone,  si  fosse  dal 
fabbricante  segnato  il  suo  nome:  Herennius  Fronsfecil. 

MlNEUVlM. 

BIBLIOGRAFIA 

Nolice  sur  les  fouilles  de  Capone  par  M.  Raonl-Ro- 
chelle.  Continuazione  del  n.  58  pag.  ///. 

I  templi  di  Marte  e  della  Fortuna  in  Capua  men- 
zionati da  Tito  Livio  (XXVII,  XXIII  ;  cf.  ih.  XI)  non 
lasciarono  traccia  della  loro  esistenza. 

Lo  slesso  dee  dirsi  del  tempio  di  Nettuno  conosciuto 
per  una  iscrizione  Ialina  (  Momnison  n.  3.")S-')  ).  La. 


—  120  — 


si  ferma  alquanto  a  discorrere  del  tempio  di  Mercu- 
rio ,  ricordato  da  una  sospetta  iscrizione  del  Pratilli, 
e  da  costui  ravvisato  in  alcuni  ruderi  nel  villaggio  di 
S.  Erasmo,  da' quali  venne  fuori  una  statua  di  quella 
divinità.  In  questa  occasione  1'  autore  ,  come  in  altre 
Biolte,  difende  alquanto  il  Pratilli  da' violenti  attacchi 
de'critici,  principalmente  per  la  parte  epigrafica.  Su  di 
che  ci  piace  di  osservare  che  questo  nostro  concittadino 
pur  troppo  autorizza  i  sospetti  elevali  contro  di  lui  : 
e  tante  volte  è  stato  trovato  in  fallo,  che  bisogna  star 
molto  guardingo  a  valersi  delle  iscrizioni  da  lui  riferi- 
te, le  quali  furono  di  sovente  interpolate  e  corrotte  con 
la  franchezza  di  un  abitualo  falsario.  Il  Sig.  Raoul- 
Koc!ì^?tte  chiude  la  enumerazione  di  questi  diversi 
templi  capuani  colla  menzione  del  tempio  della  Vit- 
toria ,  presso  Cicerone  (  de  divin.  1 ,  43  ) ,  del  quale 
però  non  esiste  alcun  vestigio.  Ricorda  poi  il  famoso 
tempio  di  Ercole ,  di  cui  sono  interamente  spariti  i 
nobili  ruderi ,  che  già  si  vedevano  nel  XVI  secolo. 

Prima  di  passar  oltre  credo  opportuno  di  osservare 
che  il  Sig.  Raoul-Rochette  avverte  ,  come  vedemmo 
di  sopra  ,  p.  Ili,  che  i  monumenti  finora  accennati 
si  riferivano  in  gran  parte  a  Capua  etrusca  e  sanniti- 
ca  ,  e  che  non  furono  se  non  restaurali  e  mantenuti 
da  Capua  Romana.  Se  questa  idea  del  dottissimo  au- 
tore si  riterrà  come  una  semplice  conghiettura,  potrà 
alla  stessa  accordarsi  un  maggiore  o  minor  grado  di 
probabilità.  Certo  si  è  che  i  monumenti,  de' quali  ap- 
pajono  ancora  i  ruderi  ,  appartengono  ad  epoca  ro- 
mana ;  e  non  vi  sono  dimostrazioni  molto  convincenti 
per  crederli  costruiti  o  rifatti  sopra  edifizii  di  epoca 
anteriore. 

L' a.  chiude  il  secondo  articolo  col  ricordare  alcuni 
mausolei  romani  ;  come  sono  quello  situato  vicino 
Santa  Maria  ,  a  sinistra  della  via  Appia  ,  e  quasi  toc- 
cante r  antica  porta  Albana,  il  quale  è  conosciuto  sotto 
il  nome  di  Carceri  vecchie  :  Y  altro  al  destro  lato  della 
via  Appia ,  poco  distante  dal  villaggio  delle  Curti,  e 
denominato  la  Conocchia  :  e  finalmente  un  terzo  si- 
tuato circa  due  miglia  distante  da  Santa  Maria,  presso 


al  villaggio  di  Casapulla.  Finalmente  non  tralascia  di 
rammentare  un  ipogeo  in  questi  ultimi  anni  rinvenuto 
in  un  fondo  de'  Signori  Pattorelli ,  e  da  costoro  reli- 
giosamente conservato.  Con  questa  occasione  l'a.  de- 
plora la  distruzione  di  un  piccolo  tempio  antico,  che 
(per  relazione  del  signor  Gennaro  Riccio)  dice  essere 
stato  scoperto  in  quel  medesimo  sito,  con  tutto  il  suo 
rivestimento  di  marmi  preziosi,  e  di  cui  non  rimane 
più  alcun  vestigio.  Aggiunge  che  la  medesima  sorte 
toccò  ad  una  immensa  fabbrica  di  terre  cotte ,  sco- 
perta alle  vicinanze  di  questo  tempio.  La  più  grande 
quantità  di  queste  terrecolte  figura  una  dea  che  tiene 
uno  0  due  bamboli,  a' quali  dà  latte.  L'a.  si  ferma 
a  parlare  di  queste  statuette ,  richiamando  le  simili 
rinvenute  a  Pesto ,  e  paragonandole  con  altre  di  la- 
voro fenicio  ritrovate  in  Cipro  sul  sito  dell'  antica  /- 
dalion.  Dal  che  deduce  che  sia  la  Terra  la  quale  nu- 
trisce gli  uomini  ;  e  che  questo  tipo  sia  tratto  da  un' 
arte  asiatica.  Darò  alcune  nozioni  di  fatto  dj  me  rac- 
colte su  questo  monumento,  quando  riferirò  del  terzo 
articolo  del  chiarissimo  archeologo,  ove  ne  torna  a  di- 
scorrere. 

L'Autore  parla  in  questo  terzo  articolo  delle  tombe 
più  antiche ,  le  quaU  sin  dal  passato  secolo  videro  la 
luce  in  Capua:  e  ricorda  da  prima  quelle  scoperte 
sotto  gli  occhi  dell'Inglese  Hamilton,  il  quale  tanta 
cura  prendeva  degli  antichi  monumenti.  Il  sig.  Raoul- 
Rochette  osserva  che  simili  antichità  spettano  all'  e- 
poca  etrusca  di  Capua;  sebbene  non  diremmo  dovuto 
ad  arte  etrusca  il  famoso  vaso  della  caccia  del  cinghiale 
venuto  fuori  dalle  medesime  scavazioni  (Hankarville 
t.  I  pi.  I-IV  p.  1 53  segg.  ) ,  che  lo  stesso  autore  di- 
chiara appartenere  ad  arte  corintia,  proveniente  dalla 
emigrazione  di  Demarato  di  Corinto  in  Etruria.I  la-  ' 
vori  di  greci  artisti,  ancorché  eseguiti  sotto  la  etrusca 
dominazione ,  non  mi  pare  che  possano  perdere  la 
qualifica  di  greci. 


(continua) 


MlNERVINI. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografa  di  Giuseppe  Cataxeo. 


BILLETTIXO  AISCIIEOLOGICO  MPOLITAm 


NUOVA    SERIE 


iV.«  41.     (17.  deiranno  IL) 


Marzo  18Ó4. 


Monde  diverse  della  collezione  Mongelli Moneta  di  Eracle  i  del  real  musco  Borbon 


irò. 


Monete  diverse  della  collezione  Mongelli.  —  Monete  di 
Eraclea  del  real  museo  Borbonico. 

Dopo  la  morie  di  Francesco  Mongelli ,  la  raccolla 
di  anliche  medaglie  da  lui  possodula  andò  in  varie 
mani  dispersa.  Infanlo  mi  venne  fallo  di  osservare 
presso  gli  eredi  del  defunto  una  serie  di  disegni  di 
monete  eseguili  dal  sig.  Andrea  Russo:  e  poiché  vidi 
che  Ira  molle  cose  ovvie  e  comuni  eranvcne  alcune 
di  non  lieve  importanza,  chiesi  ed  ottenni  lacilmenle 
il  possesso  di  quei  disegni.  Ora  ne  presento  in  parte  la 
pubblicazione  ne' numeri  1,  2,  3,  6,  7,  8,  9,  10,  1  i, 
12,  13,  14,  e  19  della  lav.  IX.  Prima  di  parlar  bre- 
vemente di  queste  difterenli  medaglie,  credo  oppor- 
tuno di  fare  una  generale  dichiarazione,  che  non  es- 
sendo quei  disegni  eseguili  sotto  i  miei  occhi ,  non 
posso  garentirne  la  esattezza  ,  se  non  avuto  riguardo 
alla  solila  diligenza  del  sig.  Russo  :  ed  avrò  io  slesso 
la  occasione  di  presentar  qualche  dubbio  sulle  leg- 
gende di  alcune  delle  medaglie  ,  essendo  noto  che  le 
iscrizioni  sono  più  facilmente  ravvisale  dagli  archeo- 
logi che  dagli  artisti. 

1 .  Testa  gorgontca  di  fronte 
)(  Testa  di  loro  di  fronte,  intorno  sei  glohelii.  Ae. 
(raod.  10  scala  di  Riccio). 

Probabilmente  questa  moneta,  che  dal  disegno  ad- 
dimostrasi grave  e  pesante  ,  appartiene  alle  divisioni 
degli  assi  italici:  e  dee  riputarsi  un  semisse;  giacché 
ì  due  glohelii ,  che  veggonsi  da  ciascuno  do'  due  lati 
della  testa  del  toro,  sembrano  segno  di  valore,  e  non 
già  indizio  d'infule  pendenli  rozzamente  figurate.  Non 
voglio  con  certezza  determinare  l'attribuzione  di  que- 
sta medaglia.  Solo  ricordo  che  traile  divisioni  degli 
assi  italici  incontrasi  la  moneta  de'  r(;siòii,eproprja- 

ÀM^O   II. 


mente  il  sestante  con  la  lesta  di  loro  e  la  luna  crescente 
(mus.  Kircher.  d.  IV  lav.  Ili  B,  1  cf.  Carelli  l.ib.  XXX 
n.  4,  e  Cavedoni  ad  h.  l.  p.  8);  ma  non  corrisponde 
nò  per  la  fabbrica  nò  per  la  grandezza,  t  pur  risa- 
puto che  lo  stesso  tipo  al  rovescio  di  una  lesta  giova- 
nile ed  imberbe  riscontrasi  nel  quadrante  di  Fermo 
(Vermiglioli  opusc.  tom.  IV  p.  8'ò  e  seg.  Aesgr.  Kir- 
cher. p.  28  ci.  II  lav.  IV  B  f.  8:  Mommsen  rom/sc/ie 
Miinziccsen  p.  141,  che  ne  riporta  il  disegno  ivi  a  p. 
110).  Ma  ripelo  che  mi  astengo  da  qualunque  parli- 
colare  determinazione,  non  avendo  potuto  esaminare 
l'originale,  per  isludiarne  almeno  la  fabbrica. 

2.  Testa  gorgonica  di  fronte 
)(  Due  globelti.  Ac.  9. 

Non  ci  sembra  da  dubitare  che  questa  medaglia  ap- 
partenga a  Camarina  di  Sicilia:  essendo  solito  il  lipo 
della  testa  gorgonica,  e  conoscendosi  il  semisse  ed  il 
quadrante  anepigrafi.  Ci  sembra  nuovo  il  sestante  in 
questo  medesimo  sistema;  giacché  non  ricordiamo  se 
non  che  quello  con  la  civetta ,  e  la  epigrafe  KA.MA 
al  rovescio  (  v.  Mionnel  dcscr.  I  p.  223-224  ). 

3.  Tefta  gorgonica  di  fronte 

)(  Palma  ,  in  giro  epigrafe  fenicia.  Ar.  5-H. 
Questa  monetina  è  la  stessa  la  quale  è  stata  pub- 
blicala da  altri ,  ed  uliimamcnle  dal  dotto  Gesenius  , 
che  ne  fé  l'attribuzione  a  Molye  della  Sicilia  (  vedi  la 
lav.  39  n.  XII  A,  B).  Tutti  gli  esemplari ,  de' quali 
ci  è  riuscito  veder  la  pubblicazione,  e  tulli  quelli  che 
abbiamo  noi  slessi  esaminati ,  offrono  la  particolarità 
della  lingua  prominente  dalla  bocca  della  gorgonica 
testa  :  e  forse  era  cosi  pure  nell'  esemplare  del  signor 
Mongelli,  ma  la  pica  conservazione  in  quella  parte 
della  moneta  impedi  che  fosse  agevolmente  ravvisalo. 

La  spiegazione  del  Gesenius  (j).  297)  è  siala  ammessa 

17 


—  122 


dal  eh.  Movers  (das  Phoenlzhche  Allerthum  Ioni.  II 
pag.  334  e  seg.  )  :  e  pare  che  la  leggenda  fenicia  sia 
infatti  da  interpretare  assolu(ainen(e  S1UJ3  ,  siccome 
egh  ha  fallo.  Negli  esemplari,  a' qu.ili  si  riporta  il  Ge- 
senius  le  lettere  sono  disposte  in  una  linea  ,  laddove 
nella  nostra  monetina  sono  collocate  in  giro  ;  ed  è  pur 
notevole  in  essa  la  forma  àeW  Aleph  finale,  che  si  ac- 
costa molto  alla  penultima  delle  forme  più  antiche 
esibite  nella  tavola  alfabetica  del  detto  Geseniiis.  Sup- 
pongo che  quei  segni ,  i  quah  si  veggono  oltre  le 
quattro  lettere,  componenti  la  iscrizione  nella  meda- 
glia del  sig.  Mongclli,  fossero  piccole  rosioni  del  me- 
tallo prese  dal  disegnatore  per  particolari  elementi. 
Ciò  si  rileva  non  solo  dalle  altre  pubblicazioni ,  ma 
ancora  dalle  medaglie  che  ho  potuto  osservare,  e  spe- 
cialmente da  un  esemplare  con  epigrafe  conservatis- 
sima  posseduto  dal  eh.  sig.  Principe  di  San  Giorgio; 
ove  è  pur  da  notare  che  la  iscrizione  è  parimenti  di- 
sposta in  giro,  e  non  già  in  una  sola  linea. 

6.  Testa  di  Apollo  laureala  a  s.,  innanzi  la  epigra- 
fe EIHMAN 

)(  Leone  stante  a  d.,  sopra  il penlalfa,  sotto lali^ 
nea  de  piedi  APIIANON  Ae.  9— 

7.  Testa  di  Diana  con  turcasso  sulla  spalla  a  d. 
innanzi  la  epigrafe  APIIAN 

)(  Fulmine,  sopra  e  sotto  in  due  linee     ..t  Ae.  6- 

La  prima  di  queste  medaglie  fu  pubblicata  nelle 
tavole  del  CareUi,  colla  iscrizione  EPHMAN  (Carelli 
lab.  XCI  n.  12,  vedi  la  pag.  18  della  ed.  di  Lipsia), 
ed  anche  prima  sin  dal  1821  ne  aveva  fatto  conosce- 
re un  altro  esemplare  il  Sestini  (  Descriz.  di  alcune 
med.  greche  del  mus.  part.  di  S.  A.  R.  Mons.  Cri- 
stiano Fed.  principe  ered.  di  Danimarca  pag.  1  e  2 
tav.  I  num.  3  ) ,  leggendovi  EYMAN.  Nella  moneta 
del  Mongelli  manca  la  lira  dietro  la  testa  di  Apollo  ; 
la  quale  (1)  comparisce  in  un  esemplare  conservatis- 
simo  della  collezione  Sanlangelo,  ove  è  pur  sicura  la 
leggenda  EIHMAN ,  che  ne  resta  quindi  pienamente 
conosciuta  ,  e  fermata  ,  dopo  le  dubbiezze  di  lezione 
(v.  Avellino  suppl.  ad  Ital.  vet.  n.  pag.  24  n.  33,  e 

(I)  Vedevasi  pure  la  lira  in  altro  del  museo  Zurlo  descritto  dal- 
r  Avellino  {opuic    l.  Il  p.  62). 


Mommsen  unler.  Dialek.  p.  93  ,  94).  Del  resto  non 
dovrebbe  sorprendere  una  varietà  di  lezione  per  im- 
perizia dell'artista,  e  ne  fornimmo  r  esempio  colle  me- 
daglie dell'antica  Dalvon,  ove  il  nome  di  magistrato 
ora  si  legge  MINATK  ,  ora  AAIHATS  in  esemplari 
di  ottima  conservazione  (vedi  la  nostra  memoria  su//e 
medaglie  dell'antica  Dahon  nelle  mem.  della  reg.  ac- 
cad.  Ercol.  tom.  IV  part.  2  p.  272  e  s.).  Non  vi  ha 
dubbio  che  anche  nel  nostro  EIHMAN  vada  ravvisato 
il  nome  niessapico  di  un  magistrato,  quali  ne  furono 
riscontrati  sulle  medaglie  di  Arpi  (v.  le  nostre  osser- 
vazioni nel  I  anno  di  questo  buUettino  p.  108).  Nulla 
diciamo  sul  simbolo  del  pentagono,  o  penlalfa,  di  cui 
ci  esleudommo  a  discoriere  in  altro  nostro  lavoro 
(  novelle  dilucid.  sopra  un  ani.  chiodo  mag.  p.  23  e 
seg.  :  a  p.  24  richiamammo  pure  la  moneta  di  Arpi). 
E  sui  difTerenti  tipi  veggasi  pure  nel  citato  luogo  il 
Sestini.  L'altra  monetina  fu  pubblicata  dall'Avellino 
{opusc.  t.  II  p.  128  tav.  V  fig.  7) ,  il  quale  vi  lesse 
egualmente  ElhMAN:  noi  abbiamo  credulo  di  ripub- 
blicarla per  offrire  un  confronto  all'altra  medaglia  di 
modulo  maggiore.  E  qui  osservo  che  lo  stesso  nome 
di  magistrato  si  scrive  ora  EIHMAN  ora  EIWMAN  : 
e  parci  che  i  due  caratteri  H  ed  h  sieno  da  ritenere 
siccome  aventi  la  medesima  forza.  Potrebbe  da  taluno 
pensarsi  ad  aspirazione,  la  quale  ne' popoli  messapici 
s' incontra  non  di  rado  anche  nel  mezzo  delle  parole. 
E  la  numismatica  ce  ne  fornisce  l' esempio  nelle  mo- 
nete di  Ascoli  colla  epigrafe  AThTSKA  (  Millingen 
considér.  p.  154-155,  e  supplem.  pi.  II  n.  15  p.  9  : 
Friedlaender  die  oskische  Miinzen  tav.  VII  1 ,  2,  3,  4 
p.  54-56,  Mommsen  unter.  Dialek.  p.  201  e  204), 
sulle  quali  son  da  leggere  le  cose  ultimamente  osser- 
vate dal  Uaoul-Rochette  [journ.  des  Savants  1854 
pag.  298  e  seg.  ).  E  sulle  aspirazioni  nel  mezzo  delle 
parole  è  da  vedere  ciò  che  scrive  il  eh.  Osann  {Syl- 
loge  inscr.  pag.  72).  Ma  è  noto  ritrovarsi  il  digamma 
fra  due  vocali ,  mentre  nell'  EIHMAN  vedesi  l' aspi- 
razione precedere  una  consonante.  Da  ciò  deduciamo 
che  il  segno  o  aspirazione  h,  H  abbia  il  valore  di  un 
V:  il  che  si  conferma  dalla  lezione  del  Sestini, s'ella 
è  ben  verificata.  Di  falli  l'IiTMAN'  (forse  EvixoiyrtS 
0  altro  simile  nome)  sarebbe  la  scrittura  e  la  pronunzia 


—  123  — 


greca  dello  stesso  magistrato  EIHIAN  (  Eiufji.ot.Yr ti  ) , 
come  pronunziavasi  per  avventura  nel  messapico  dia- 
letto: e  di  magistrati  scrini  ora  alla  maniera  de' Greci 
ora  a  quella  de'Messapi,  uon  è  nuovo  nelle  appulc 
medaglie  l' incontrare  il  riscontro. 

8.  Testa  di  Mercurio  imberbe  col  petaso  alato  a  <ì. 
)(  Clava  giacente,  sopra  un  globelto  e  KA  ,  sotto 

un  altro  globelto  e  NT.  Ae.  0+ 

9.  Testa  di  Ercole  coverta  della  pelle  di  leone  a  d. 
)(  Clava  giacente,  sopra  KA  fra  due  globetli,  sotto 

NT  anche  fra  due  globetli.  A  e.  8 

La  seconda  di  queste  due  medaglie  è  già  conosciuta 
per  la  descrizione  ,  che  ne  fu  fatta  dal  Sestiui  (  Leu. 
di  cont.  Ili  p.  22  e  23  )  di  un  esemplare  posseduto 
dal  Bianconi ,  il  quale  ne  fece  poi  la  pubblicazione 
{calai,  num.  vet.  p.  20  ta;irll,  n.  1  ).  Un  altro  esem- 
plare capitò  nelle  mani  del  eh.  Riccio ,  che  lo  riferì 
nel  suo  repertorio  numismatico  p.  41.  Perfettamente 
inedito  è  il  sestante  da  noi  pubblicalo  per  la  prima 
volta.  In  quanto  al  tipo  della  clava,  ricordo  che  altra 
monetina  di  bronzo  col  medesimo  rovescio ,  e  colla 
epigrafe  KA  fu  pubblicata  da  Avellino  [opusc.  t.  II. 
tav.  V  fig.  8  ) ,  il  quale  ne  fa  sapere  che  nel  regio 
medagliere  di  Napoli  è  altra  simile  moneta  di  Canosa, 
ov'egli  leggeva  KAAT  in  due  linee,  interpretandoli 
AT  per  un  nome  di  magistrato  (/.  e.  p.  129).  Il  eh. 
Fiorelii  nella  occasione  di  presentare  il  disegno  di  al- 
tra monetina  con  testa  galeala ,  e  clava ,  propose  di 
legger  piuttosto  KANT,  fondato  sul  trienle  del  Bian- 
coni [osservaz.  sopra  lai.  mon.  rare  pag.  6  n.  10  v. 
tav.  II  fig.  5  ).  Comunque  l' Avellino  non  abbia  ac- 
cettata una  tale  correzione  [bullelt.  ardi.  nap.  an.  II 
pag.  96),  pure  a  noi  sembra  ora  sicura  ,  special- 
mente dopo  la  ripetizione  de'  varii  esemplari  del  trien- 
te,  e  la  comparsa  del  sestante,  che  ci  presentano  co- 
stantemente intorno  la  clava  la  leggenda  KANT.  Il 
Seslini  attribuisce  i  tipi  erculei  all' esser  Diomede  fon- 
datore della  città  discendente  dagli  Eraclidi  ;  nel  che 
fu  seguito  dal  Fiorelii  fll.  citi.  ).  E  non  so  perchè  il 
eh.  Corcia  abbia  rifiutato  questa  più  semplice  idea  , 
per  abbracciarne  un'altra  poco  probabile,  derivante 
da  una  supposta  confusione  di  tradizioni  {Slor.  delle 
due  Sicilii  tom.  Ili  p.  342).  La  maggiore  importan- 


za, che  presentano  le  due  monete  da  noi  pubblicate, 
si  è  la  divisione  dell'asse  canosino,  di  cui  apparisce  il 
Iriente  ed  il  sestante.  Potrebbe  questa  indicazione  di 
peso  attribuirsi  alla  romana  iniluenza  ;  essendosi,  spe- 
cialmente pel  sestante,  adottala  la  lesta  di  .Mercurio, 
solito  tipo  de' sestanti  romani.  Comunque  sia,  questi 
due  spezzati  dell'asse  Canosino  ci  sembrano  dar  pure 
un  appoggio  all'attribuzione  di  tutta  una  serie  di  mo- 
nete colla  epigrafe  KOM.\,  e  le  iniziali  KA,  o  CA, 
alla  stessa  Canosa  :  del  che  pare  non  si  dubiti  più  da' 
nuniografi  (vedi  Riccio  le  monete  delle  fam.  romane 
p.  2G4  sec.  ediz.  e  rrperlor.  numìsm.  note,  pag.  9  e 
seg.  cf.  Avellino  nel  t«//.  arc/j.  napol.  an.  Ili  p.  IC). 

10.  Testa  giovanile  ed  imberbe  con  piteo  conico  a  d. 
)(  Due  aquile,  sotto  la  epigrafe  rVA^A  Ae.  7Vs. 

1 1.  Testa  barbata  laureala  a  d. ,  dietro  tre  stelle 

){ Aquila  sid  fulmine,  sotto  I"PA  ,  innanzi  KPII 
Ae.  6— 

12.  Conchiglia  Pectcn 

)(  Fulmine  giacente,  sopra  una  stella,  sollo  TPA 
Ae.  G-f-. 

13.  Conchiglia  Pectcn 

)(  Aquila  dietro  TP  A,  innanzi  una  stella  Ae.  5-|- 
Sono  conosciute  non  poche  di  queste  appule  me- 
dagliuzze  dalle  descrizioni,  e  dalle  pubblicazioni  dui 
numismatici:  ne' quali  i  tipi  dell'aquila,  del  fulmine, 
del  pecten  sono  fra  loro  variamente  combinali.  Vedi 
Mionnet  descr.  t.  I  p.  1 00  e  suppl.  1. 1  p.  3a  ì,  s.  ,  Ca- 
relli t.ib.  p.  65  edil.  Lips.  ,  Riccio  jyy^cr/.  iìt(»i(.';Hi.  p. 
')8.  La  medaglia  del  nostro  n.  12  fu  pubblicata  già 
dal  Seslini  [Lclt.  num.  tom.  V.  p.  5),  e  non  ha  guari 
dal  eh.  Fiorelii  [nwnele  ined.  tav.  II.  n.  3  pag.  1 1- 
12);  sebbene  sembri  quell'esemplare  di  dilVerente 
fiibbrica.  Non  troviamo  né  descritto  uè  pubblicalo  da 
alcuno  il  nostro  n.  10.  Ma  fortunatamente  sono  tulle 
le  difficoltà  sulla  sua  esistenza  dileguate  da  un  .diro  e- 
semplare  in  questi  ultimi  giorni  acquistalo  dal  eh.  sig. 
principe  di  S.  Giorgio.  In  esso  benché  di  mediocre 
conservazione  ,  sono  itorfi-ltamenle  visibili  e  la  lesta 
pileala,  e  la  epigrafe  l't'ASA.  È  nolo  che  dopo  la 
impossibile  attribuzione  di  queste  monetine  a  Gravi- 
scae,  il  Millingen  propose  da  prima  Craslus  della 
Japigia  [recueil  de  quelq.  med.inéd.  p.  19),  e  poscia 


—  124  — 


Grata  nome  eh'  egli  credeva  proprio  di  CallipoUs 
[considér.  p.  146),  e  così  si  ritenevano  ancora  da 
non  pochi  numismatici  ;  sebbene  la  grave  difEcoItà 
mossa  dall'Avellino  conira  una  tale  opinione  ( 6u//. 
arch.  nap.  an.  I  p.  130)  facesse  tuttavia  a' più  con- 
siderati dichiarar  per  incerte  queste  medaglie.  Ora  la 
nuova  iscrizione  l'PASA  mentre  da  un  lato  dimo- 
stra la  falsità  di  tutte  le  precedenti  attribuzioni,  pruo- 
và  dall'altro  l'esistenza  di  una  incerta  città  o  dell'an- 
tica Calabria  ,  o  dell'  Apulia  denominata  Graxa ,  la 
quale  avuto  riguardo  a'  tipi  del  pecten ,  e  del  delfino 
si  manifesta  una  città  marittima  e  liltorale.  Nella  te- 
sta imberbe  del  ritto  sarà  da  riconoscer  forse  un  Vul- 
cano, e  la  rosione  della  moneta  dietro  la  lesta  ,  in- 
dicata pur  nel  disegno ,  impedì  di  osservare  il  for- 
cep$,  che  per  avventura  eravi  effigiato.  Non  vorrei 
facilmente  pensare  ad  Ulisse,  sebbene  questo  eroe  in 
altri  monumenti  apparisca  parimenti  giovanile  ed  im- 
Lerbe  (v.  sopra  p.  14.  e  le  cose  da  me  osservate  in- 
torno ad  un  vaso  ruvese  nelle  mcm.  della  reg.  acc.  Er- 
colan.  tom.  IV  part.  I  p.2G0,  262,281).  Comunque 
sia,  ci  sembra  dubbiosa  l'attribuzione  fatta  dal  sig. 
Raoul-Roehelle  a  Cuma  e  ad  Ulisse  di  alcune  mone- 
tile di  bronzo  (mon.  inéd.  p.253;  cf.  p.2il,  3),  nelle 
quali  il  eh.  Fiorelli  vide  Glauco  invece  dell'  Itacese 
{Annal.  di  numism.  t.  I  lav.lll  n.  7,8  p.  186-189). 
E  gli  argomenti  opposti  d.il  eh.  sig.  Principe  di  San 
Giorgio  [memorie  numismat.  1854  p.  31  )  sono  tali 
che  sembrano  escludere  la  possibilità  di  una  medaglia 
di  bronzo  in  Cuma:  sebbene  il  dotto  archeologo  fran- 
cese non  abbia  per  ciò  abbandonata  la  sua  idea  [Journ. 
dessav.  1854  p.  307  not.  3).  Un  ultima  osservazione 
aggiungo  sulle  monetine  di  Graxa,  ed  è  che  veggonsi 
in  esse  adoperati  ora  i  globetti,  ora  gli  astri  ad  indi- 
carne il  valore:  e  questo  sistema  corrisponde  a  quel 
che  venne  osservalo  nella  numismatica  di  non  poche 
città;  traile  quali  mi  contenterò  di  citare  noW Apulia 
medesima  Caetium,  e  Venusia ,  che  pur  della  doppia 
indicazione  di  peso  fan  mostra  nelle  loro  medaglie. 
14.  Abbiamo  pubblicata  questa  medaglia,  perchè 


offrirebbe  notevoli  particolarità ,  se  potesse  attribuirsi  , 
a'  Brunii  ;  siccome  accenna  la  leggenda  '  •  ETTI  •  • 
Ma  non  possiamo  tacere  i  nostri  dubbii  sulla  epigrafe, 
ponendo  mente  alla  identità  de'  tipi  con  quelli  di  una 
comune  moneta  della  Beotia  (Mionnet  mppl.  t.  IH  p. 
507  n.  36  da  Hunter  tab.  XllI  Cg.  13);  della  quale 
osservammo  presso  il  lodato  signor  principe  di  San 
Giorgio  un  esemplare  di  fabbrica  perfettamente  simile 
a  quello  da  noi  pubblicato  (I).  Per  lo  che  si  rende 
probabile  lo  scambio  del  •  -IfiT-  •  •  in  •  -ETTI-  •  •  ; 
trattandosi  di  una  iscrizione  poco  conservata. 

19.  Non  dubitiamo  che  questa  medaglia  apparten- 
ga alla  Sicilia ,  ove  sono  frequenti  i  tipi  del  toro  a 
volto  umano,  e  della  testa  imberbe.  Anche  qui  può 
credersi  errala  la  epigrafe  lEPA.  E  noi ,  non  man- 
cando di  offrire  allo  studio  de'dotli  il  disegno,  ci  aste- 
niamo dall'  accumular  conghielture  ;  attendendo  no- 
velli confronti,  che  chiariscano  meglio  l'attribuzione 
di  questa  medaglia. 

Medaglia  di  Eraclea ,  nel  real  museo  Borbonico. 

Nel  chiudere  questo  articolo  mi  sia  lecito  di  retti- 
6care  una  nozione  di  fatto.  Io  notai  che  la  medaglia 
di  Eraclea  pubblicata  sotto  il  num.  18  della  lav.  IX 
mancasse  alla  collezione  del  real  Museo  Borbonico 
(p.  142).  Ora  debbo  dichiarare  che  ho  verificato  la 
esistenza  nel  real  museo  di  questo  interessante  pezzo, 
dal  catalogo  del  regio  medagliere  del  eh.  Avellino , 
ove  la  trovo  descritta  nel  seguente  modo. 

Heraclea  Lucaniac  ?  Figura  viriliis  nuda  sm.  saxo 
insidens,  cui  pellis  /co/ii'.s  imposita,  dexlra  caniharum 
sinistra  clavam  •  •   •  EIÌ2N 

)(  Aegis,  in  qua  caput  muliebre  dm.  laureatum  cri- 
nibus  retro  collectis  Ar.  2. 

MlNERVINI. 


(1)  Prendo  questa  occasione  per  rendere  pubbliche  grazie  al  eh. 
signor  princpe  di  San  Giorgio  per  Ij  gentilezza  che  non  tralasciò 
mai  di  usarmi ,  perniilii'nd(.nii  ili  sludiiiro  le  antiche  medaglie  della 
sua  raccolta,  che  va  di  giorno  ìu  giorno  aumentando  con  novelli 
acquisti. 


GiDLro  MiNEuviNi  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BlILlETTI\0  ARCnEOlOCICO  MPOLITA^O. 

NUOVA    SERIE 

iV.«  42.     (18.  dell' anno  IL)  Marzo  1851 


Patera  del  museo  Sanlangelo Poche  parole  sopra  uno  specchio  amico  di  Crotone. 

relativo  a'  teatri  coperti. 


■  Luogo  di  Tertulliano 


Patera  del  museo  Santangelo. 

Nella  figura  1  della  tavola  VI  di  questo  anno  del 
bullettino  vedasi  una  patera  della  celebre  collezione 
Santangelo,  proveniente  dalle  scavazioni  dell'antica 
Gnalhia ,  interessantissima  per  la  rappresentazione  , 
e  per  l' eleganza  e  la  finezza  della  fabbrica  e  della  e- 
secuzione.  Noi  già  altra  volta  presentammo  alcune  di- 
lucidazioni su  questo  bel  monumento,  per  la  notizia 
che  avemmo  delle  sole  iscrizioni  messe  al  disopra 
delle  differenti  figure  {bulletl.  arch.  nap.  an.  V  pag. 
27,  28  ).  Posteriormente  ci  fu  dato  di  offrirne  una 
breve  descrizione,  per  confronto  ad  alcuni  vascularii 
dipinti  di  Nola  ,  uno  dei  quali  fu  pure  da  noi  pub- 
blicalo (  mon.  ant.  ined.  di  Barone  p.  73  e  segg.  ). 
In  tutti  questi  monumenti  vedesi  Venere  circondata 
da  femminili  figure.  Altra  volta  fu  da  me  descritla 
una  non  dissimile  patera ,  nella  quale  la  figura  prin- 
cipale aggruppata  coli'  Amore  vcdevasi  indicata  dalla 
mutila  iscrizione  nA"'H,  che  venne  da  me  inter- 
pretala nAcr<;pa.H  (  bull.  arch.  nap.  an.  V  p.  82).  E 
nel  pubblicarla  in  seguito  in  questa  nuova  serie  del 
bullettino  (  an  II.  tav.  II  fig.  1  ),  esclusi  la  possibihià 
del  supplimento  IlAipiH ,  che  richiamar  poteva  alla 
medesima  Afrodile  (v.  sopra  pag.  .'')7).  Ora  per  ve- 
rità ,  o  che  ritener  si  voglia  il  supplimento  nA<I>IH 
o  IIAXI^AH,  ci  sembra  probabile  che  la  figura  ag- 
gruppala coir  Amore  possa  riputarsi  la  stessa  Vene- 
re  :  e  non  mancammo  di  farne  altrove  la  osservazio- 
ne ,  avvertendo  che  la  Clymene  aver  doveva  con  Ve- 
nere particolari  relazioni ,  se  a  lei  da  presso  la  veg- 
giamo  egualmente  nella  patera  del  museo  Sanlange- 
lo ,  di  cui  diamo  ora  la  incisione  {bullen.  cil.  an.  V 
p.  83  not.  1  ).  Al  che  si  aggiunga  che  ritenuta  la 


Clymene  per  la  conosciuta  Nereide,  non  dovea  parere 
strano  il  rapporto  fra  le  abitatrici  delle  onde  e  la 
dea  che  dalle  marine  spume  sorgeva.  È  notevole  che 
presso  la  figura  di  Venere  vedesi  nella  nostra  palerà, 
non  altriraenli  che  in  quella  di  sopra  accennala  ,  un 
calato:  e  due  altri  ne  compariscono  presso  l'KTNO- 
MlA  e  l'APMoMA.Noi  riputammo  esscrqueslo  ar- 
nese delle  Nereidi,  come  conveniente  a  divinila  fila- 
trici ;  ma  sembra  che  nel  vaso  del  museo  Santangelo 
non  sia  punto  applicabile  una  tale  intelligenza.  E  pro- 
babilmente dovranno  i  calali  in  somiglianti  scene  cre- 
dersi destinati  ad  accogliere  oggetti  di  femminili  or- 
namenti. Grazioso  è  l'atto  con  che  Afrodite  tiene  colla 
sinistra  mano  l'Amore,  non  allrimenli  che  vedesi  in 
un  bellissimo  vaso  Nolano  del  real  museo  Borbonico 
{real  mus.  Borbon.  tora.  I  tav.  XXXV).  Intorno  a 
questo  principale  gruppo  sono  cinque  femminili  fi- 
gure, e  noi  daremo  sopra  ciascuna  di  esse  alcune  par- 
ticolari dilucidazioni. 

La  prima  che  si  presenti  alle  nostre  ricerche  è  la 
K>a'/a/vr| ,  nella  quale  ove  sia  ravvisala  la  Nereide  per 
le  ragioni  che  furono  da  noi  esposte  [bull.  nap.  an. 
V  p.  8-2  e  83  ) ,  non  si  troverebbe  disconvenire  alla 
scena,  che  abbiamo  sotto  gli  sguardi.  Questa  figura,  ol- 
tre un  indeterminato  oggetto  di  abbigliamento  che  tie- 
ne colla  destra  ,  che  potrebbe  non  pertanto  riputarsi 
un  calatisco  rovesciato,  eleva  poi  colla  sinistra  un  vaso 
ricoperto.  Il  vaso  tenuto  da  Clymene  può  per  avven- 
tura giudicarsi  da  taluno  un  recipiente  di  acqua  per 
lavarsi  (kttty.p).  È  ben  conosciuto  che  il  tergere  le  più 
piccole  brutture  del  corpo  fu  riputalo  ognora  una 
necessità  della  bellezza.  E  basta  a  tal  proposilo  citare 
quei  mi  tiii  lavacri ,  che  usarono  le  tre  dee  pria  di 
comparire  al  famoso  giudizio  di  Paride,  procurando 


—  126  — 


di  meritare  per  tal  modo  il  premio  della  bellezza  (vedi 
le  cose  da  noi  osservale  sopra  un  magnifico  vaso  di 
Pisticci ,  che  ci  presenta  il  lavarsi  di  Pallade  bullelt. 
arch.  nap.  an.  I  p.  103).  Né  diversamente  fu  da  noi 
inteso  un  simile  vaso,  che  vedesi  al  suolo  in  una  scena 
di  xxWovifffxói  figurata  sopra  una  patera  del  museo 
Jalfa  {huU.  cit.  an.  V  tav.  I  p.  26  ).  Questa  intelli- 
genza acquatica  non  isconverrebbe  adunaNereide,  il 
cui  nome  stesso,  quasi  proveniente  da  xXv^oo,  prestasi 
spontaneamente  alla  significazione  di  abluzione  ,  e  di 
purificazione.  Nel  qual  senso  disse  il  tragico ,  ©cc- 
Xaccrct  xX'Xii  TroVrot  TÒ.viòpui'TruiY  xxxx  (Eurip.  Ijìh. 
T.  1193). 

Ma  facendo  un  più  attento  esame  del  simbolico 
recipiente  tenuto  dalla  Clymene,  sorge  la  idea  che 
esso  non  sia  chiuso,  ma  contenga  invece  taluni  oggetti, 
de'  quali  quello  che  più  sporge  al  di  sopra  offre  la 
forma  del  muliebre  xrùs.  Questa  notevole  particola- 
rità attribuisce  alla  patera  di  Fasano  una  religiosa  e 
mistica  intelligenza.  È  noto  in  fatti  come  un  tal  sim- 
bolo fosse  adoperato  ne' misteri! ,  e  come  vi  si  recas- 
sero intorno  quelle  focacce,  che  (xvXKoì  venivano  de- 
nominate :  nelle  quali  cerimonie  più  che  al  lascivo 
scherzo  di  lambe  pare  si  alludesse  alla  universale  ge- 
nerazione (  Creuzer  Symholik  tom.  IV  p.  376  seg.  3. 
ediz.  ).  Dopo  queste  considerazioni  la  figura  di  Cly- 
mene nel  nostro  vaso  effigiata  potrebbe  favorire  la 
spiegazione  datane  in  rapporto  ad  altri  monumenti  dal 
dottissimo  Weicker,  il  quale  la  identifica  colla  stessa 
Proserpina  {anìiaìi  dell'  hi.  1845  p.  176  seg.).  Ed 
ognun  vede  quanto  la  presenza  della  dea  de'  misteri 
innalzerebbe  la  significazione  di  tutta  questa  simboli- 
ca rappresentanza. 

La  seconda  figura  di  questo  importante  dipinto  è 
1'  'Apfxov/ot.  Tra  Venere  ed  Armonia  esistono  rapporti 
mitologici  :  essendo  ella  nella  teogonia  esiodea  figlia 
di  Marte  e  di  Afrodite  (v.  937).  E  poiché  il  suo 
nome  che  vien  da  àpixó<^-ty ,  esprime  la  ben  disposta 
acconciatura,  ben  le  si  attribuisce  il  simbolo  della  cas- 
setta conlenente  i  femminili  giojelli,  i  quali  ben  si  ag- 
giustano sopra  un'  avvenente  persona.  E  se  si  richia- 
mano le  tradizioni ,  nelle  quali  ricordasi  il  suo  fa- 
moso monile,  ravvisar  si  potrebbe  un  rapporto  fralie 


gioje  da  lei  recale  e  le  narrazioni  che  la  concernono. 
In  quanto  all'  EvxXsix ,  sappiamo  eh'  ella  si  ebbe 
neir  Attica  un  particolare  culto  (  Paus.  I  ,  14,  ó  )  : 
ma  non  credo  che  avesse  rapporto  al  celebre  nome 
dell'  Artemis  Eukleia  venerata  specialmente  da'  Beoti 
(Plut.  Arisi,  e.  20).  Probabilmente  nell'Attica,  come 
sul  nostro  vaso ,  non  indicò  quella  voce  che  la  per- 
sonificazione della  gloria ,  e  della  nobiltà.  E  tanto 
più  siamo  di  ciò  convinti ,  quando  ricordiamo  che 
la  Eucleia  era  in  Atene  onorata  insieme  colla  Euno- 
mia  ;  incontrandosi  in  una  iscrizione  un  sacerdote 
Eì'xXu'cti  xx]  Ei'vofxiccs  (Boeckh  e.  inscr.  gr.  tom.  I  p. 
364  n.  238  ).  Questo  confronto  é  pur  di  particolare 
interesse  pel  nostro  vaso ,  nel  quale  veggonsi  le  due 
medesime  personificazioni  fra  loro  vicine.  Del  resto 
il  simbolo  della  corona  ,  come  insegna  di  vittoria  e 
d'immortalità  ,  ben  si  è  messa  nelle  mani  della  Eu- 
cleia, che  fa  quasi  l'ufficio  della  Nike  (1).  Nel  no- 
stro vaso  r  Eunomia  tien  pure  un  calatisco  rovescia- 
to ,  ed  un  balsamario.  Egli  é  ben  conosciuto  che  lo 
stesso  nome  si  ebbe  una  delle  Ore  (Hesiod.   Theog. 
v.  902:  Pind.  01.  IX.  v.  17,  XIII,  v.  6  :  Orph. 
h.  XLII ,  2  :  Apollod.  lib.  I ,  e.  IH ,  1 ,  2) ,  e  che 
fu  così  appellata  la  madre  delle  Grazie  negli  orfici 
inni  (  LIX  ,  2  ;  v.  Lobeck  Aglaoph.  p.  398  ).  Que- 
ste nozioni  son  certamente  sufficienti  a  spiegar  la  stret- 
ta relazione  con  Venere  e  colla  scena  del  nostro  va- 
so ,  e  danno  pur  sufficiente  spiegazione  del  simbolo 
dell'  unguentario  ;  essendo  gli  odorosi  unguenti  desti- 
nati ad  accrescer  le  grazie  di  una  vaga  persona.  Quindi 
è  che  noi  troviamo  Peilho  detta  spiratile  unguenli 
nell'Antologia,  fxv fÓTrvovS  {Aaih.  Palat.  XII,  93,  1): 
e  presso  Eustazio  -t]  fAygoxsiV^wv  x*P'S  (opwsc.  p.  181, 
4).  È  pur  da  ricordare  che  Alcmane  diceva  fra  loro 
sorelle  Peilho  ,  la  Forliina,  e  la  Eunomia,  e  tutte  fi- 
glie di  Promelheia  (  fr.  45  Schneid.  v.  Plutarch.  de 
forlil.  Rom.  4.  pag.  318,  A):  sebbene  sembri  una 
particolare  idea  di  questo  filosofo  poeta.  Passo  all'ul- 
tima figura ,  che  vien  denominata  IIANNTKIS  cer- 


(1)  Di  un  aliro  vaso  ,  ove  Peilho  è  aggruppata  colla  Eucleia  vedi 
Chrislie  upon  Etrusc.  vas.  13,  Raoul-Rochelle  mon.  inéd.  lav.VIII, 
2  p.  40  s.  de  Wiiie  e  Lenormant  élite  dei  mon.  cèramogr.  lom.  II 
p.  68;Jahn.PciYAop.  26. 


—  127  — 


(aniente  per  ITANNTXIlS,  per  un  solito  scambio  della 
muta  coU'aspirata.  Io  spiegai  già  questa  tlgura  per  la 
notturna  veglia  (bull.  t.  V.  p.  28)  :  ed  il  sig.  Raoul- 
Rochette  ba  ricordato  a  proposito  la  mistica  veglia  de' 
Greci,  ed  il  Pervigilium  de' Romani,  citando  un  altro 
vaso  da  lui  posseduto ,  ove  una  Baccante  è  indicata 
dalla  iscrizione  PANTIJ;  [nolice  sur  les  fouilles  de  Ca- 
pone p.  57).  Egli  sfesso  nel  pubblicare  quel  monu- 
mento, inlerpetrò  la  epigrafe  ITANNTXIi;  {lettr.  arch. 
pi.  II.  p.  132):  e  quantunque  una  differente  lezione 
abbia  ritenuto  il  eh.  Jahn  {Vasenbilder  tav.  II  p.  15, 
10)  ,  pure  ci  sembra  da  preferire  la  interpretazione 
dell'archeologo  francese;  pensando  appunto  alle  not- 
turne orgie  di  Bacco:  per  le  quali  Sofocle  diceva  delle 
Baccanti  : 

cut  (Ti  ixxirófxiyxt  vxvyvxot  xopjt'ofcri  (Antig.  1 1 52). 

Il  signor  Raoul-Rocbette  nulla  aggiunse  a  spiega- 
zione dell'augello  chevedesi  nel  vaso  de' signori  San- 
tangelo  presso  di  questa  figura:  e  si  contentò  di  chia- 
marlo una  cicogna  ,  siccome  io  stesso  aveva  fatto.  In- 
tanto sembra  evidente  che  l'augello  ripetuto  in  tre 
diversi  monumenti ,  messo  costantemente  presso  di 
una  figura  ,  debba  essere  destinato  a  simboleggiarla. 
E  ci  si  offre  spontaneo  Yìpcu^ièi,  uccello  del  genere 
delle  Diomedee ,  che  mollo  somiglia  ad  una  cicogna 
(Suid.  h.  V.  ),  per  modo  che  Aristotele  ha  credulo 
oppurtuno  di  farne  la  distinzione  {Hist.  anim.  VIII, 
3  ).  I  Latini  lo  dissero  Ardea  (Plin.  X,  60).  Ora  ci  è 
rimasta  presso  Esichio  una  importantissima  notizia  ; 
ed  è  che  Vlpw^iòs ,  che  egli  appella  uccello  sacro  di 
Giunone,  aveva  l'altra  denominazione  di  NtxTaiWos, 
o  aquila  notturna  (Hesych.  h.  v.).  Ognun  vede  co- 
me la  notturna  cicogna  ben  si  rattrova  vicino  alla 
simbolica  Pannichide;  la  quale  si  troverà  conveniente 
ancor  essa  a  Venere,  sol  che  si  ricordi  il  pervigilium 
Veneris:  ove  si  supponga  che  non  senza  una  particola- 
re ragione  venne  quel  titolo  adottato  dall'incerto  poeta, 
da  cui  fu  composto  quel  carme. 

Date  queste  particolari  dichiarazioni  sulle  differenti 
figure  della  patera  di  Fasano;in  quanto  alla  generale 
composizione,  possiamo  in  varii  modi  considerarne  il 
soggetto.  Nella  più  semplice  intelligenza  vedi  V^enere, 
la  dea  delle  Grazie  e  dell'Amore,  circondala  da  figu- 


re, alcune  delle  quali  ben  si  collegano  con  lei  in  mito- 
logici rapporti:  cosi  laXcrcide  Climcne,  l'Armonia,  e 
l'Eunomia.  Non  può  dirsi  lo  stesso  dcirfKr/ea,  e  delia 
Pannychis ,  le  quali  sono  particolari  personificazioni 
non  disdicevoli  alla  compagnia  di  Afrodile,  ma  nep- 
pure con   essa  mitologicamente  in  rapporto.  Tulle 
queste  figure  sembrano  unicamente  intente  a  femmi- 
nili adornamenti:  ma  non  pertanto  la  loro  riunione 
può  riputarsi  di  più  alla  intelligenza.  Di  falli  la  mi- 
stica Pannychis  alludendo  alle  iniziazioni,  la  ^Knomia 
in  tutte  le  sue  significazioni,  la  EuUcia  o  la  gloria 
delle  belle  azioni ,  l' Armonia  che  racchiude  le  idee 
più  sublimi  e  leggiadre ,  e  finalmente  la  Clymene  co- 
me dea  della  purificazione  ovvero  nella  intelligenza 
di  Persephone ,  costituiscono  insieme  con  Venero  un 
complesso  di  divinità  ,  che  promettono  all'  uomo  la 
più  fortunata  esistenza  ;  o  che  si  consideri  nel  giro 
della  vita  mortale,  o  che  si  volga  il  pensiero  alia  de- 
stinazione delle  anime  dopo  la  morte.  In  altro  bellis- 
simo vaso  di  Atene  vedesi  una  simile  riunion(!  ;  nella 
quale  comparisce  Afrodite  ,  Cleopatra  ,  (  che  io  giu- 
dico una  personificazione  simile  aWa  Eucleia],  la  Pae- 
dia,  0  la  dea  de" giovanili  trastulli,  V Eunomia,  YEu- 
daemonia,  e  la  dea  della  persuasione  Peitho  (Sta- 
ckelberg  Grdb.  dcr  Hdlen.  29:  vedi  ciò  che  scrive  il 
Jahn  Peitho  die  Goetlin  der  Ucberred.  p.  27  ed  Arch. 
Beitriige  p.  214segg.  ).  Il  nostro  vaso  di  Fasano  sem- 
bra dare  una  spiegazione  più  alta  anche  dell' attico 
vasellino  da  noi  ricordato.  E  queste  idee  vengono 
pur  confermate  da  ciò  che  dicemmo  del  vaso  di  Ruvo 
col  giovine  Polictes ,  al  quale  nessuno  vorrà  negare 
una  funebre  e  mistica  intelligenza  (  vedi  dono  agli 
Scienz.  del  VII.  fO()(/r(;>!SO  p.  81  e  seg.  ebuUett.arch. 
nap.  an.  V.  pag.  \ìi  e  segg.  ).  Noi  ben  conosciamo 
che  non  pochi  archeologi  considerano  nel  modo  più 
semplice,  direi  quasi  anacreontico,  la  maggior  parte 
di  simili  rappresentazioni;  ma  ,  a  mio  giudizio,  an- 
che quando  si  mostrano  scene  di  una  apparente  sem- 
plicità ,  riesce  di  ravvisarvi  un  senso  funebre  e  reli- 
gioso. Io  non  voglio  distendermi  su  questo  particola- 
re ;  ma  mi  propongo  di  porre  a  disamina  ,  sotto  un 
tal  punto  di  vista ,  tutti  i  monumenti  di  questo  ge- 
nere :  e  forse  i  soggetti  della  vita  comune  non  troppo 


■—  128-^ 


facilmente  si  vedranno  effigiali  ne' vasi.  Così  nella  riu- 
nione di  divinila ,  che  abbiamo  nella  patera  di  Fa- 
sano  ,  non  comparisce  alcun  personaggio  mortale ,  a 
cui  quelle  si  riferiscano.  Dal  che  può  dedursi  che  il 
loro  signiflcato  è  generale ,  e  comune  per  tutta  la  u- 
manità. 


tanza  è  chiusa  da  varii  fregi.  Ciò  basterà  qui  ad  ac- 
compagnare la  tavola;  della  quale  darò  dipoi  la  con- 
veniente spiegazione,  quando  potrò  pubblicare  il  di- 
segno della  statuetta  di  Cipro. 

P.  R.  Garrccci. 


MlNERVIM. 


Poche  parole  sopra  uno  specchio  antico  di  Crotone. 

I  lunghi  studii  falli  finora  intorno  alla  mitologia 
greca  ci  hanno  obbligalo  di  cercare  in  Asia  le  origini 
del  cullo  idolatrico ,  e  le  forme  tipiche  così  del  sim- 
bolismo ,  come  delle  personificazioni.  Le  nuove  sco- 
perte, che  si  van  facendo  cosi  Ira  i  Persiani  che  tra  i 
Medi  ed  Assiri,  pajono  contestarlo  ogni  giorno  meglio: 
io  certo  son  convinto,  che  i  Greci  dovettero  ricevere 
un  grande  impulsò  dai  monumenti  e  dalle  dottrine 
asiatiche  all'ampio  sviluppo  della  lor favola  cosmica, 
ed  alle  creazioni  artistiche.  Lo  specchio  inciso  nella 
tav.  Ili  ne  viene  ora  a  riprodurre  la  Venere  sotto  quel- 
r  abito,  e  con  quegli  attribuii  medesimi,  che  offre  una 
statuetta  in  pietra  calcarea  recentemenle  portata  qui  (in 
Parigi)  dall'isola  di  Cipro ,  e  che  è  entrata  a  far  parie  del 
museo  imperiale.  Io  ritornerò  suU'  argomento,  quan- 
do potrò  dare  un  disegno  di  questa  ;  ora  mi  basti  av- 
vertire, che  la  staluetla  di  Cipro,  e '1  piede  dello  spec- 
chio di  Crotone  sono  due  copie  del  medesimo  tipo 
perfettamente  identiche  fra  di  loro.  Lo  specchio  tro- 
vato da  qualche  tempo  in  un  sepolcro  di  Crotone  in 
Calabria  si  compone  di  quattro  pezzi  la  base,  il  piede, 
il  disco,  e  la  Sfinge:  le  mezze  lunette,  che  prendono 
in  mezzo  da  due  parli  opposte  il  disco,  servono  a  strin- 
gerlo con  l'ajulo  di  un  filo  di  ferro ,  che  passavasi  pei 
corrispondenti  occhielli  di  qua  e  di  là.  Nel  rovescio 
del  disco  è  graffila  una  figura  gorgonica  alata,  che  strin- 
ge colle  due  mani  due  serpi:  due  galli  si  veggono  al 
basso  in  alto  di  corrersi  incontro  ;  tutta  la  rappresen- 


Luogo  di  Tertulliano  relativo  a'  (eatri  coperti. 


Il  eh.  Garrucci  nel  parlare  de'  teatri  pompejani,  a 
proposito  del  tealro  coperto ,  citò  il  seguente  luogo 
di  Tertulliano:  Video  et  Thealra,  nec  singula  satis  esse, 
nec  nuda  :  nam,  ne  vel  hieme  voluplas  impudica  frigeret, 
primi  Lacedaemonii  odium  paenulam  ludis  excogitave~ 
runt  (  Apolog.  e.  VII  ).  Egli  ne  diede  una  ingegnosa 
spiegazione,  quasi  odtMHi  si  trovasse  ne'codici  in  luogo 
di  odiorum  ovvero  odeorum  (vedi  sopra  p.  6not.  1). 
Ammettendo  la  intelligenza  dell' odràm  per  odeum,  non 
vorrei  nulla  cangiare ,  ma  ritenerlo  siccome  il  caso 
retto  dal  verbo  excogilaverurU.  Così  avremmo  il  senso 
piano  primi  Lacedaemonii  excogitaverunt  odium  pae- 
nulam ludis ,  nel  quale  paenulam  ludis  è  caso  di  ap- 
posizione ;  siccome  dicono  i  grammatici.  Nel  vivace 
stile  di  Tertulliano  ben  si  paragona  l' odeo  ad  un  man- 
tello ,  che  ricoprendo  la  nudità  del  teatro  offriva  a 
tulli  coloro  i  quali  prendean  parte  alle  drammatiche 
rappresentanze  f  ludis  J  una  difesa  dal  freddo  :  sicché 
la  jìacnula  trovasi  in  relazione  col  natia  e  col  frigeret 
che  precedono. 

Con  questa  occasione  vogliamo  notare  che  una 
nuova  pubblicazione  de' pompejani  teatri  ebbe  luogo 
in  questi  ultimi  tempi  nella  importante  opera  del  mio 
chiarissimo  amico  pr.  Wieseler  di  Gottinga  Thealer- 
gebdude  und  Denkmàkr  des  Buhnenwesens  bei  den 
Griechen  und  Rómern-Goltingen  1851  in  fol.  tav.  I. 
cf.  pag.  12  e  seg. 

MlNERVINI. 


GiDLio  MlNERVINI  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catàueo. 


BI'LLETT1I\0  ARCHEOLOGICO  ^APOLITAm 


NUOVA    SERIE 


N."  43.     (19.  dcirannoll.) 


Aprile   ISM. 


Scavi  d'i  Canosa.  Descrizione  di  un  vasculario  dipinto  tratto  da'  Persiam  di  Escìiilo. — Epigrafe  greca  di  E- 
zant.  — Nuovi  confronti  di  Ilcziarii  armati  di  tridente  e  di  pugnale.  — Iscrizioni  latine.  Contin.  del  n.  38. 


Scavi  di  Canosa.  Descrizione  di  un  vasculario  dipinto 
trailo  da'  Persiani  di  Eschilo. 

È  già  no(o  a  chicchessia  come  le  scavazioni  prat- 
tlcate  nel  fcrlile  suolo  dell'  appula  città  di  Canosa  fu- 
rono ne' passati  tempi  produttive  d'insigni  monumen- 
ti. Alcuni  anni  addietro  nel  fondo  del  Sig.  Vito  La- 
grasla  fu  scoperto  un  magnifico  sepolcreto ,  notevole 
non  solo  pe'  pregevoli  oggetti  rinvenuti  nelle  varie 
tombe ,  che  lo  formavano ,  ma  benanche  per  alcune 
particolarità  architettoniche ,  le  quali  meritavano  di 
richiamare  l'attenzione  dell'archeologo.  Di  queste  in- 
teressanti scoperte  fu  data  una  breve  notizia  nel  tomo 
XX  degli  annali  dell'  Istituto  di  corrispondenza  ar- 
cheologica di  Roma  ;  e  non  ha  guari  una  troppo  esa- 
gerata relazione  ndV  Ateneo  di  Londra,  e  nella  Gaz- 
zetta di  Augusta.  (Vedi  quel  che  fu  da  noi  breve- 
mente osservato  nel  bidlcttino  dell'lsl.  1853 p.  Ili). 
Infanto  quella  scavazione  irregolarmente  intrapresa 
da  particolari,  rimase  per  varie  circostanze  interrotta, 
anzi  in  parte  novellamente  ricoperta.  Per  lo  che  ci 
gode  r  animo  di  annunziare  che  in  questi  ultimi  mesi 
quel  fondo  di  Lagrasta  richiamò  l'attenzione  della 
soprantendenza  degli  scavi  :  e  non  possiamo  astenerci 
dal  dare  le  meritale  lodi  all' eccellentissimo  sig.  Prin- 
cipe di  Bisignano  ,  ed  al  eh.  signor  principe  di  San 
Giorgio  ,  eh'  ebbero  il  nobile  pensiero  di  guadagnare 
alla  scienza  la  intera  notizia  di  quella  Canosina  ne- 
cropoli :  la  quale ,  in  seguito  di  regolari  lavori  ese- 
guiti sotto  la  direzione  dell'  ingegnere  Carlo  Bonucci, 
non  tarderà  a  presentarsi  tutta  intera  agli  studii  de' 
dotti.  Noi  ci  proponiamo  di  raccogliere  le  più  esatte 

ANNO   II. 


notizie  su  questa  importante  ricerca  :  e  non  ne  de- 
frauderemo i  lettori  del  presente  buUeltino. 

Ricordiamo  pure  che  in  altro  punto  diverso  fu  da 
qualche  tempo  pratticata  un'  altra  scavazione ,  e  che 
da  una  tomba  della  stessa  Canosa  vennero  fuori  quei 
tre  vasi  da  noi  descritti  in  questi  fogli  (anno  I.  pag. 
91,  109,  128;  anno  li.  p.  46,  o7),  e  che  sono  uno 
de'  preziosi  ornamenti  del  real  museo  Borbonico.  Or 
da  questo  medesimo  punto ,  e  probabilmente  dalhj 
stesso  sepolcro,  uscirono  altri  vasi  dell.imassima  im- 
portanza. Vedesi  in  uno  Andromeda  esposta  al  ma- 
rino mostro ,  e  Perseo  nell'  atto  di  ucciderlo:  in  altro 
non  mirasi  che  un  soggetto  funebre  e  sepolcrale.  Ma 
il  principale,  che  ha  richiamata  l'attenzione  della  reale 
Accademia  Ercolanese  per  due  memorie  quivi  lettela 
prima  dal  Commendator  Quaranta  e  l' altra  da  me  la 
stessa  mattina  del  ì  corrente  aprile,  merita  che  sia  co- 
nosciuto sollecitamente  mercè  una  esatta  descrizione. 

È  questo  di  grandezza  colossale,  non  meno  di  pal- 
mi sei  meno  un  quarto  ;  e  presenta  quattro  differenti 
rappresentazioni.  Scorgesi  sul  collo  una  complicala 
battaglia  di  Greci  e  di  Amazzoni,  di  un  lato;  dall'al- 
tro una  scena  dionisiaca.  Sulla  pancia ,  da  una  delle 
due  facce  mirasi  Bellerofonte  sul  Pegaso  che  pugna 
contro  la  Chimera  ,  coli'  assistenza  delle  due  protet- 
trici divinità  Nettuno  e  Minerva  :  dall'altra  faccia  del 
vaso  è  effigiata  l' importantissima  scena  argomento 
principale  di  questa  nostra  notizia. 

Tutta  la  rappresentazione  dividesi  in  un  triplice  or- 
dine di  figure.  Neil'  ordine  inferiore  vedesi  in  mezzo 
un  uomo  barbato  avvolto  in  largo  mantello,  il  quale 
poggiando  i  piedi  sopra  uno  sgabello  siede  innanzi  ad 

19 


—  130  — 


iin,i  tavola ,  sulla  quale  sono  dipinle  di  nero  le  se- 
guenti lettere  ,  situale  a  rovescio,  perchè  sieno  visi- 
bili a  dritto  alla  persona,  eh' è  presso  la  tavola.  Sono 
esse  MYHAPoCT 

Quel  personaggio  solleva  colla  sinistra  un  dittico  aper- 
to, dove  nella  pagina  superiore  è  scritto  TA"H,  e  nella 
inferiore  TAAN ,  ove  noi  leggiamo  TAAANTA  •  H  ; 
mentre  raccoglie  colla  destra  varie  gialle  monete  sparse 
sulla  tavola,  quasi  facendone  la  numerazione.  È  no- 
tevole che  anche  quella  seconda  iscrizione  è  segnata 
sottosopra,  perchè  possa  leggersi  dalla  figura,  che  tiene 
il  dittico.  Alle  spalle  di  questa  appare  un  uomo  in  a- 
sialico  costume  ,  il  quale  ,  curvando  un  ginocchio  in 
allo  di  reverenza,  offre  tre  patere  messe  l' una  sull'al- 
tra. Innanzi  è  un  altro  uomo  in  asiatico  vestimento  , 
che  presenta  un  gran  sacco  ripieno  e  legalo  alla  bocca. 
Chiudono  da  questa  parte  la  scena  tre  muliebri  flgure 
con  amazzonico  vestimento  ,  le  quali  piegando  un  gi- 
nocchio rivolgonsi  al  principale  personaggio ,  eh'  è 
nel  centro. 

Nell'ordine  medio  di  figure  vedi  nel  mezzo  il  re  Da- 
rio, disliuto  dal  suo  nome  AAPEI05J,  col  capo  adorno 
della  crestata  cirbasia,  e  con  lungo  vestinìento  asiati- 
co: tenendo  colla  destra  lo  scettro  ,  e  colla  sinistra  la 
spada  nel  fodero.  Il  persiano  monarca  siede  sopra  or- 
nalo trono,  poggiando  i  piedi  su  di  uno  sgabello.  Fra- 
gli  ornamenti  del  trono  sono  notevoli  due  statuette 
rappresentanti  alate  figurine,  che  ne  fregiano  la  spal- 
li'era  ;  non  altrimenti  che  scorgesi  in  altri  simili  mo- 
numenti ,  e  fra  questi  nel  celebre  vaso  di  Atlante  re, 
di  cui  fece  la  pubblicazione  il  mio  eh.  collega  ed  a- 
mico  sig.  cav.  Gerhard. 

Dietro  al  trono  è  uno  de' custodi  del  principe  con 
tiara  curva  ,  ed  in  asiatico  costume  :  colla  sinistra 
siringe  un  giavellotto,  colla  destra  poggia  sulla  spalla 
uno  spadone  ,  quasi  nell'  allo  di  far  sentinella. 

Innanzi  al  re  è  una  figura  \irile  con  clamide,  che 
tutta  la  inviluppa  ,  e  col  capo  covorlo  di  pileo  conico: 
poggia  i  piedi  sopra  una  piccola  base  ,  nella  cui  parte 
anteriore  è  la  iscrizione  IIEPSAI. 

Chiudono  da'  due  lati  questa  seconda  rappresen- 
tanza quattro  barbati  personaggi ,  tutti  nel  medesimo 
asiatico  vestire ,  tutti  tenendo  una  specie  di  scettro  ; 


hanno  il  capo  scoverto ,  e  sono  intenti  a  parlare  col 
gesto  detto  dagli  archeologi  infesto  pollice,  il  quale 
ne'  vasi  di  Puglia  esprime  il  momento  di  animata  di- 
scussione. 

Non  meno  importante  è  il  terzo  e  superiore  ordi- 
ne di  figure  ,  nel  quale  si  offrono  a'  nostri  sguardi  le 
Olimpiche  divinità.  Prima  a  sinistra  è  Diana,  col  suo 
turcasso  e  col  simbolo  di  una  cervella  che  l' è  da  pres- 
so: la  dea  siede,  del  pari  che  un' allra  deità  femminile 
che  siegue  ,  alla  quale  il  pittore  ha  dato  l'attributo  di 
un  cigno,  e  che  noi  riteniamo  per  Venere.  Vedesi  poi 
il  padre  de' Numi  Giove  col  fulmine  accanto:  egli  sie- 
de a  sinistra  volgendosi  alquanto  a  destra  verso  la  per- 
sonificata Grecia  hEAAAS ,  la  quale  ci  si  presenta 
siccome  una  maestosa  matrona  adoma  di  tutti  i  fem- 
minili ornamenti,  e  col  capo  coronalo  di  foglie:  il  suo 
vestimento  si  compone  di  una  tunica  e  di  un  peplo, 
che  le  discendedalla  testa.  Osservi  poscia  Minerva  con 
galea  ed  egida  sul  petto ,  la  quale  appoggia  la  destra 
sull'omero  della  Grecia  ,  in  segno  di  protezione  e  di 
appartenenza.  Due  altre  figure  compiono  questa  ma- 
gnifica composizione:  la  prima  alata,  con  serpenti  che 
le  sorgono  dalla  testa,  offre  quel  succinto  vestire,  che 
frequentemente  ci  fu  dato  di  osservare  nelle  Furie,  o 
negli  altri  demoni  ministri  dell'  ira  e  della  vendetta  di 
Giove.  Questa  figura  nel  nostro  vaso  è  denominata  A- 
IlA'"  essendo  perdute  le  ultime  lettere  di  quella  pa- 
rola; ma  io  non  tardai  a  riconoscere  in  essa  la  tre- 
menda AITATA  di  Giove.  Ella  rivolgesi  verso  Mi- 
nerva tenendo  colle  mani  due  fiaccole  accese.  La  se- 
conda ed  ultima  figura  rappresenta  la  personificazione 
dell  Asia,  additata  dal  suo  nome  A^IA,  la  quale  ac- 
coppia i  femminili  fregi  alla  corona  turrita  propria 
delle  immagini  delle  regioni  ;  ed  è  nell'  atto  di  sedere 
volgendosi  e  distendendo  il  destro  braccio  verso  ^cH' 
Apale  ,  che  la  precede. 

Tra  IVIiiierva  e  la  Grecia  è  nel  campo  un  astro: 
fra  l'Asia  e  l'Apate  è  pur  nel  campo  uu  bucranio  df 
bianco. 

Non  sarà  discaro  annunziar  brevemente  le  varie 
opinioni  emesse  ad  illustrazione  di  questo  classico  mo- 
numento. 

Il  vaso  nella  varietà  delle  sue  rappresentanze  è  con- 


—  131  — 


siJeralo  dal  coni.  Quaranta  come  tante  pagine  di  una 
bellissima  epopea  dove  egli  crede  rappresentarsi  la 
guerra  di  Dario  padre  di  Serse  co'Greci  ;  e  vanno  così 
ordinale.  La  prima  (a  parere  del  nostro  dolio  col- 
lega) ci  presenta  l'Asia  (AiJIA),  la  quale  par  che  in- 
cili una  donna  che  le  sta  innanzi  alala  ed  aiignicri- 
nila,  con  due  Caccole  in  mano,  con  sopravi  la  mutila 
leggenda  AITA"",  a  muovere  verso  la  Grecia (HEA- 
AA5^),  che  vedutasi  così  minacciata  ricorre  a  Giove 
ed  a  Minerva.  Nel  secondo  ordine  evvi  Dario  (AA- 
PEIOS)  sedente  con  altre  figure.  Nel  terzo  un  per- 
sonaggio sia  ad  esigere  i  tributi  necessarii  alla  guerra 
in  patere  e  darici  d'oro.  Compimento  della  rappre- 
sentanza è  la  zuffa  di  alcuni  guerrieri ,  Greci  forse  e 
Persiani  (1),  dipinti  sulla  parte  più  eminente  del  va- 
so, cioè  sul  collo.  Vedendovi  poi  nel  rovescio  Belle- 
rofonle  domatore  della  Chimera,  il  Quaranta  ne  trae 
che  questo  vaso  sia  stalo  nobilissimo  dono  fatto  a 
qualche  giovane  guerriero  augurandogli  che  potesse 
difendere  la  patria  collo  stesso  valore  de' prodi  rap- 
presentali su  quella  creta,  ovvero  un  premio  di  qual- 
che eroe,  la  cui  spada  aveva  rinnovati  i  prodigi  della 
mitologia  e  della  storia,  liluslrale  brevemente  le  figu- 
re del  dipinto,  il  Quaranta  \iene  all'iscrizione  mu- 
tila dell'AlIA"",  che  forma,  secondo  lui,  la  parte  più 
difficile  della  spiegazione  del  monumento.  Egli  cre- 
dette da  prima  che  potesse  supplirsi  AllATH  pren- 
dendola nel  senso  di  ATFI ,  e  vedervi  una  personifi- 
cazione della  guerra  sempre  apportatrice  di  danno  e 
sterminio,  o  nel  senso  proprio  dell' //(gfanno ,  che  ne 
forma  uno  de'principali  elementi,  quell'AtlATH  die 
tanta  parte  ebbe  nella  sconfitta  del  figliuolo  d' Istaspe, 
e  che  viene  espressamente  mentovala  da  Eschilo  di- 
cente  :  Ao>.c/xy|Tiv  o  ' Avdrtxv  0iov  tis  àvr^p  i^nxròs 
à\v'i,'A  ;  ma  diverse  ragioni ,  da  lui  riputate  fortis- 
sime, gli  fecero  abbandonare  questa  opinione:  la  pri- 
ma trassela  1'  a.  dalla  postura  di  questa  donna  ,  la 
quale  se  rappresentasse  V Inganno  fatto  all'Asia,  do- 
vrebbe (a  suo  giudizio)  essere  all'Asia  rivolta  favellando 
con  lei,  come  la  Nemea  che  parla  con  Giove  nel  gran 

(t)  Noi  le  diffiuimmo  per  Amazzoni.  Sarà  da  chiarir  questo  fatto 
da  un  più  accurato  esame  del  raonumenlo  originale  del  quale  si 
coi  che  il  comm.  Quaranta  avemmo  Delìzia,  senza  che  T  uno  sa- 
pesse nulla  dell'  altio.— i'  Editore. 


vaso  dell*  Archemoro,  ovvero  dovrebbe  essere  collo- 
cala dopo  r  Asia  ,  o  almeno  trovarsi  dietro  alle  suo 
spalle,  onde  additaici  espressamente,  che  per  la  mal- 
vagia ingannevoi  forza  rappresentala  in  (luella  figura, 
l'Asia  si  fosse  indotta  a  guerreggiar  con  la  Grecia. 
Qui  invece  (osserva  il  Quaranta)  non  l'Asia,  ma  la 
Grecia  sarebbe  la  iiij;annata;  perchè  l' AITATI!  non 
all'Asia  ma  alla  Grecia  è  rivolta,  né  poi  l'Inganno 
potrebbe  mostrarsi  per  donna  nemica  con  fiaccole  in 
mano  e  serpi  in  fronle  ,  giacché  la  sua  essenza  è  ap- 
punto quella  di  celar  sé  stessa  e  coprire  il  suo  reo 
intendimento  nella  insidiosa  blandizia  di  mentile  voci, 
come  lo  insegna  lo  slesso  Eschilo  :|ìiXo'^pc4;vyৠ ca/- 
vot'cr*  rò  TrpòJroY  Trxpxyst  |3^otÓv  lìs  ■x^xv^xroi.,  ttÓ^ìy 
ovx  é^iy  innp  ù)%roY  iXv^ccvT'x,  Ol'^;».  La  (]uale  con- 
ghiellura  si  tramula  pel  Commeudator  Quaranta  in 
certezza  ,  quando  nel  vaso  di  Teieo  vede  1'  AITATH 
rappresentata  da  sem])lice  donna  con  gesto  animalo 
indurre  in  altri  la  persuasione  di  un'  opera  dannosa. 
Questa  figura  dunque,  pel  mio  dolio  collega,  è  colei 
che  chiama  a  battaglia  tutta  l'Asia  e  tutta  l'Europa;  è 
colei  che  spegnerà  la  rabbia  di  sua  sete  nel  sangue  di 
migliaia  e  mighaia  di  valorosi;  è  colei  che  dipi  incipio 
ad  una  strage  per  cui  sparirà  dal  mondo  una  delle  più 
potenti  monarchie  ;  è  la  Nunzia  della  disfida,  come  do- 
vette essere  indicato  nella  parola  comincianteda  ATIA, 
e  che  il  Quaranta  supplisce  AIIAri'EAlA  ,  promet- 
tendo di  ulteriormente  dilucidar  quella  parola  nella 
prossima  tornala.  Quanto  alle  altre  lellere ,  dopo  al- 
cune osservazioni  paleografiche  ,  egli  nota  che  quelle 
sopra  la  tavola  indicano  per  dramme  e  talenti  il  debi- 
to che  doveasi  pagare  airesattorde'tribuli  da  una  pro- 
vincia ,  e  che  era  scritto  sopra  una  ^t^^ùi'pot,,  e  quelle 
nel  dittico,  ch'egli  legge  TA-H  e  TAAN,  la  quantità 
che  si  doveva  dal  portatore  del  sacco,  o  anche  la  quie- 
tanza che  a  costui  il  regio  esattore  voleva  rilasciare. 
Otto  giorni  dopo  Quaranta  mantenne  la  fede  data  all' 
Accademia  ,  e  dopo  confermalo  ciò  che  prima  avea 
dello  cioè ,  che  l' AITATA  di  Eschilo  non  poteva  a- 
ver  luogo  in  questo  vaso,  fece  di  copiose  osservazioni 
tanto  sulla  voce  AIlArrEAlA  quanto  sulla  maniera 
in  cui  è  rappresentala ,  sostenendo  che  tutto  cospira 
a  vedervi  rappresentata  la  Disfida  minaccevole. 


—  132  _ 


Nella  memoria  ,  da  me  leda  alla  reale  Accademia 
Ei celanese,  ho  riferito  l'inferiore  ordine  di  Ggure  al 
pagamento  de'varii  tribuli  istiliiili  da  Dario  figlio  d'I- 
slaspe  ,  riconoscendo  tulle  le  varietà  di  quei  balzelli 
in  numerario  valutato  a  talenti,  come  si  raccoglie  dal 
dittico ,  che  fa  bel  confronto  alia  narrazione  di  Ero- 
doto ,  in  patere  di  oro ,  in  prestazioni  alimentari  in- 
dicale dal  sacco  che  per  le  sue  grandi  dimensioni  a 
me  sembra  ripieno  di  frumento ,  e  finalmente  in  of- 
ferte d' individui  umani  quali  sono  le  tre  donzelle  in 
amazzonico  vestimento,  umilmente  genuflesse:  ho  pure 
notato  che  sembrando  tutti  quei  tributarii  appartene- 
re alla  regione  de'  Colchi ,  ed  a'  paesi  abitati  dalle  A- 
mazzoni ,  veniva  ad  additarsi  per  essi  gli  estremi  con- 
fini della  persiana  monarchia  ;  e  la  slessa  idea  ho  cre- 
duto di  rilevare  dal  fallo  di  Bellerofonle  in  contro- 
posto  della  pugna  amazzonica  ,  eh'  è  sul  collo  ,  ri- 
chiamandoci ad  una  regione  eslesa  dalla  Licia  al  paese 
de'  Colchi,  equindi  alla  indicazione  de' confini  fra 'quali 
e?ercilavasi  il  dominio  del  re  de'  Persiani  ;  ho  avver- 
lito  come  nelle  cifre  segnale  sulla  tavola  messa  innanzi 
al  Satrapo  esattore  debbonsi  riconoscere  cifre  nume- 
riche coU'ordine  progressivo  decimale  M  X  (1)  TI  A  IT, 
e  nelle  rimanenti  lettere  0  <  T  o  le  varie  divisioni 
dell'obolo,  ovvero  i  segni  dell'obolo,  della  dramma, 
e  del  talento  :  e  quindi  nella  tavola  dovrà  ravvisarsi 
lina  vera  tavola  calcolaloria  per  i  conteggi ,  e  la  ri- 
duzione delle  monete. 

Nell'ordine  medio  di  figure  ho  creduto  rappresen- 
tarsi Dario  primo,  figlio  d'Islaspe,  assiso  a  consiglio  in 
mezzo  a' suoi  Satrapi,  per  qualche  importante  risolu- 
zione: non  sènza  notare  come  dall'insieme  di  tulio  il 
dipinto  ricorre  la  mente  a'  consigli  di  guerra  imma- 
j;inali  da  Dario  contro  la  Grecia ,  che  gli  fruttarono 
la  rolla  di  Maratona;  ovvero  a' preparativi  eh' egli 
faceva  per  vendicarsi  di  quella  sconfina,  quando  venne 
a  morte.  Io  non  pertanto  ho  ojìinato  che  il  dipinto  di 
Canosa  sia  trailo  dalla  tragedia  di  Ivc'hilo  intitolata  ì 
Persiani  :  e  che  quella  contesa  fra  1'  A  ia  e  la  Grecia, 
]tresentataci  nell'ordine  superiore,  alluda  alla  tremenda 
disfatta  dell'orgoglioso  Serse.  E  richi;iraando  tutti  i 

(1)  I  carauere  Y  d^I  senso  di  un  X  arcaico  s' incontra  nelle  i- 
scrizioni  (deHa  Magna  Greti i:  vedi  Franz  ctcm   epigr.  jr.  p.  2U. 


luoghi  del  tragico,  che  fanno  interessante  confronto  al 
vaso  di  Canosa,  mi  è  sembrato  rilevarsene  la  evidenza 
di  quella  mia  conghiettura.  Nella  tragedia,  come  nel 
vaso  ,  vedi  la  guerra  fra  l'Asia  e  la  Grecia  ;  vedi  questa 
ultima  regione  protetta  dalle  divinità,  ed  in  partico- 
lare da  Pallade:  vedi  V Apale  di  Giove,  la  quale  ac- 
cecò r  asiatica  nazione  guidandola  alla  sua  rovina  ,  e 
poi  sen  fugge  lasciandola  nel  fatale  disinganno  dopo 
la  fiera  sconfitta. 

Nella  tragedia  ,  come  nel  vaso  ,  scorgi  il  contro- 
posto di  quella  lugubre  scena  ,  nella  felicità  di  Dario 
presentato  in  tutta  la  forza  del  suo  potere,  ed  in  tutta 
la  magnificenza  delle  sue  ricchezze. 

In  conferma  di  questa  nostra  idea  si  aggiunga,  che 
in  altra  ipotesi  rimarrebbe  senza  spiegazione  quella 
giovanile  figura  messa  sopra  un  piedestallo,  e  che  non 
entra  afTatto  nel  rimanente  della  composizione.  Chi 
non  ravviserà  in  essa  il  nunzio  della  tragedia  di  E- 
schilo  ,  che  tutta  in  se  comprende  la  idea  delle  nar- 
rale disavventure?  E  tanfo  più  questa  figura  dee  cre- 
dersi rappresentare  quel  dramma ,  quando  si  consi- 
dera che  sulla  base  ove  poggia  è  scritto  il  titolo  della 
tragedia  ITEPSAI ,  come  appunto  venne  da  Eschilo 
denominata.  Sicché  per  tal  modo  l' artista  volle  anche 
materialmente  indicare  d'onde  avea  tratta  l'idea  del 
suo  bellissimo  dipinto.  Ove  non  si  ricorresse  al  sog- 
getto di  una  tragica  rappresentanza,  sarebbe  pure  ine- 
splicabile come  un  greco  artista  avesse  effigialo  una 
scena  storica  relativa  a'  Persiani,  ed  ove  i  soli  Persiani 
figurano;  non  potrebbe  comprendersi  perchè  ci  met- 
tesse sotto  gli  sguardi  la  potenza  di  Dario  piuttosto 
che  il  \alore  di  quegli  insigni  capitani  greci,  che  fiac- 
carono r  orgoglio  dell'  asiatico  principe. 

Rimettendo  alla  pubblicazione  della  memoria  la  e- 
stcsa  esjìosizione  delle  cose  finora  hrevemenle  discor- 
se ,  e  la  illustrazione  di  tutte  le  particolarità  della  de- 
scritta composizione  ,  non  posso  tralasciar  di  notare 
che  mi  son  fermalo  a  ragionar  ioW'Apalc,  mostrando 
la  convenienza  delle  sue  forme  e  de' suoi  attributi,  la 
sua  vera  significazione,  e  quali  sieno  i  molivi  pe'quali 
lo  stesso  demone  si  trovi  diversamente  figuralo  nel 
vaso  di  Tereo. 

Nel  chiudere  questo  articolo  mi  piace  di  annunziare 


~  133  - 


che  questo  magnifico  vaso,  ed  altri  di  non  lieve  im- 
porlauza  saranno  quanto  prima  collocati  nel  roal  mu- 
seo Borbonico,  mercè  le  cure  del  lodalo  sig.  Bonucci, 
che  per  superiore  incarico  ne  sta  Iraltaudo  l' acqui- 
sto (1).  Per  tal  modo  si  accrescerà  la  gloria  del  no- 
stro Augusto  Monarca,  e  di  chi  ne  seconda  le  nobili 
mire,  vedendosi  di  giorno  in  giorno  tanto  bellamente 
aumenlati  quegli  stupendi  tesori ,  i  quali  formeranno 
sempre  l' ammirazione  e  l' invidia  degli  stranieri. 

Wl.NERVlNI. 


Dell'anno  preciso,  e  dello  <^critlorc  dì  una  Lettera  gre- 
ca dell'Imperatore  L.Si-iùiìiio  Severo  ai  magistrati, 
al  senato  ed  al  popolo  degli  Ezanili,  che  leggesi  in- 
cisa in  un  maruìo  antico  di  quella  città  della  Frigia. 

A  parer  del  eh.  Franz  (  Corp.  I.  Gr.  n.  3837  , 
Addenda  p.  1063-1006),  Aezanitae  a.  u.  e.  931  p. 
Chr.  198,  in  honorem  Caracallae  consorlis  tribuniciae 
polestalis  diem  festum  celchrandum  decreverunl.  Exin 
decretum  per  legationem  ìniscrtint  ad  Imperalorem  pa- 
trem,  qui  his  litteris  respondet.  Ex  nummis  Septimius 
Secerus  eo  anno,  quo  Caracallam  in  consoriium  im- 
perii adminislrandi  assumpsit,  tribuniciae potestalis  VI, 
consul  li,  Imperator  X  fuil.  Ilaque  vs.  9  vitia  irre- 
pserunl  sice  lapicidae,  si  ve  transcribenti  imputanda. 
Nel  verso  9  il  dotto  Lebas  lesse  ATIMAPXIKHS 

ESoTSiAS  Tor  AttokpAtqp  to  h  rnA- 

TOS  TO  B  ;  che  il  Franz  credette  doversi  rimutare 
come  segue  :  orifxap\^/;cy,S  l^ofcr/as  to  [^] ,  OLÒroxpd- 
roop  rò  [/]  uTTcnros  rò  )3  :  ma  pare  veramente  trojipo 
il  supporre  avvenuti  due  gravi  scambii  in  una  sola  li- 
nea, ed  in  cosa  di  sommo  rilievo,  che  riciiiamar  do- 
veva a  particolare  attenzione  si  l' antico  incisore,  e  sì 
il  dotto  trascrittore  moderno.  A  me  pare ,  che  tutto 
ben  si  concordi  nel  semplice  supposto,  che  invece  di 


(I)  Dubbiamo  alla  gentilezza  del  sig  Bonucci  l'aver  potuto  os- 
servare alcuni  de"  più  inleressanti  pezzi  di  questa  inara\igliosa  slo- 
\lglia;  e  possiamo  alleslare  che  oltre  la  importanza  archeologica, 
merita  tutta  la  considerazione  anche  sotto  il  rapporto  dell'  arte  e 
dello  sUI'-,  che  si  addimostra  bello  ed  accurato. 


TO  r  legger  si  debba  To  E  ;  e  nulla  di  più  facile , 
che  un  E,  consunto  nella  parte  sua  inferiore,  prenda 
apparenza  di  un  V.  Ora  nell'anno  197  Severo  intito- 
lavasi  per  appimlo  TKIBVN-  POTEST-  V-  COS-  II- 
IMP-  Vili  ;  ed  il  maggior  suo  figliuolo  appellavasi 
M-  AVll-  ANTONLWS  CAESAR,  PRINCKPS  IV- 
VEMVTIS,  DESTINATVS  IMPKKATOK  (lùkhel, 
T.  VII,  p.  173,200);  alle  quali  appellazioni  ben  cor- 
rispondono le  parole  della  lettera  dell'  Imperatore  : 
Itti  ri""  ròy  uiòv  ij.O'j  M'xpxoY  Aùprikrjy  'AvrouMTi'JV 
ÌTnllxi'yiiv  xyx^T]'  rvx,^,  twv  tt,s  ipx.'^fi  IXTrthcov  xxì 
nrxx^xi  fxìrà.  tou  Trocrpòs.  Caracalla,  fin  dal  pre- 
cedente anno  190,  era  stato  dichiaralo  Caesar  ed  ap- 
pellalo M.  Aurelius  Anloninus  iu  Viminacio  dal  jìa- 
dre  suo  SevtTO;  enei  presente  anno,  dopo  la  vittoria 
riportata  sopra  Albino,  egli  Caesarem  Bussianum  fi- 
lium  suum  a  senalu  appellari  iussit,  decretis  impera- 
toriis  insignibus  (  Sparlian.  in  Scver.  10  ,  1 4  ).  Il  ti- 
tolo d'DIPEIlATOR  DESTINATVS,  festeggiato  da 
parecchie  città  (  Gruler.  p.  191,  3:  267,  8,  9:  300, 
col.  2:  Murai. p.  1088,  2:  Orelli,  ti.  432  ,  923),  e 
le  imperatoria  insignia,  decretale  dal  Senato  a  Cara- 
calla,  ben  bastar  potevano  perchè  il  padre  suo  dir 
potesse  lui  riroix,^%i  ixirx  roù  irxrpi. 

Per  l'opposito,  nell'opinione  del  Franz,  che  in 
quelle  parole  inlese  accennata  la  partecipazione  della 
Tribunicia  Potestà ,  ed  il  titolo  di  Augusto  dato  da 
Severo  al  maggiore  suo  figliuolo,  oltre  l'inconvenien- 
le  di  dover  supporre  errate  ben  due  note  numeriche 
nella  linea  9,  ve  n'ha  altro  vie  maggiore;  di  suppor- 
re cioè,  che  gli  Ezaniti  festeggiassero  nel  198  la  pro- 
mozione di  Caracalla  assunto  dal  padre  al  consorzio 
dell'Imperio,  senza  curarsi  degli  onori  dovuti  a  Gela, 
fatto  Caesar  Princeps  luventutis  nel  tempo  stesso  che 
Caracalla  Auguslus,  nella  state  cioè  del  ridetto  anno 
198  {Echhcl  17/,;).  176,  200:  cf.  Borghesi  nelGior. 
Arcadico  T.  XLVI,  p.  179).  A  detto  di  Sparziauo 
fin  Geta  5:  in  Sever.  16),  post  Parihicum  bdlumpa- 
ter,  ctim  ingenti  gloria  (loreret,  Bassiano  partieipe  ini- 
jterii  appellalo,  Geta  quoque  Caesaris  nomen  accepit.  Se 
le  feste  pertanto  istituite  dagli  Ezaniti  riguardassero  Ca- 
racalla dichiaralo  Augusto,  e  fallo  partecipe  della  Tri- 
bunicia Podestà,  senza  dire  che  dopo  i  uaaii  MipxoY 


134  — 


A('pT)).ioy  'AyrùuymoY  aspeUerebbesi  il  nuovo  titolo 
2s(3*(rTÓ),  (roverebbcsi  in  un  con  lui  ricordato  il  fra- 
tello suo  Gela  Caesar  Princeps  luvenlutis. 

Le  felici  imprese,  x%rujp>ìujixiy%,  di  Severo,  perle 
quali  gli  Ezaniti  rallegraronsi  con  esso  lui ,  saranno 
la  presa  di  Bizanzio  dopo  Ire  anni  di  assedio  ,  avve- 
nuta nel  196,  e  l'insigne  vittoria  da  lui  riportala  so- 
pra Albino  nel  197,  probabilmente  pocbi  mesi  prima 
cbe  fosse  dettata  la  lettera  sua  agli  Ezanili.  Della  pre- 
sa di  Bizanzio  egli  ebbe  tale  e  tanto  gaudio,  che  non 
si  tenne  di  darne  egli  stesso  l'annunzio  alle  sue  mili- 
zie in  Mcsopotamia  (  Dio  LXXIV,  14),  ove  fin  dal- 
l'anno 195  erasi  guadagnato  i  titoli  ài  Arabico  Ailia- 
benìco  [Echhel,  T.  VII,  p.  172),  ch'ei  prende  nell'in- 
titolazione della  sua  lettera  agli  Ezaniti, 

Pregio  poi  singolarissimo  di  quella  iscrizione  di  E- 
zani ,  non  rilevato  dal  eh.  Franz  ,  si  è  d' averci  tra- 
mandato un  saggio  delio  stile  del  sofista  Antipatro  , 
nativo  di  Gerapoli  della  Frigia,  cotanto  lodato  da  Fi- 
lostrato (Vii.  Sophist.  //,  24).  Antipatro  scrisse  la 
storia  di  Severo,  fu  maestro  de'  due  di  lui  figliuoli  , 
scrittore  per  le  Lettere  Greche  dell'Imperatore,  rot.Ti 
iòxGiXii'oti  iTfKyrokdùi  ÌTrtra-x.^ùs  ;  e  n'ebbe  in  rimu- 
nerazione anche  l'alto  onore  de' fasci  suffetti.  Egli,  a 
dello  di  Filoslrato,  seppe  congiungere  insieme  uno  stile 
splendido  e  degno  della  maestà  imperiale,  e  nello  stesso 
tempo  semplice  ed  ingenuo,  quale  si  conviene  al  det- 
tato epistolare,  segnatamente  per  l'uso  che  fece  della 
figura  àst'vSsrov:  le  quali  due  proprietà  parrai  si  ri- 
scontrino entrambe  nella  Lettera  da  esso  lui  scritta  a 
nome  di  Severo  Augusto  agli  Ezaniti  :  la  prima  cioè 
nella  prima  parte  di  detta  Epistola,  e  l'altra  nella  se- 
conda, ove  torna  piìi  volle  la  figura  dell'  asyndelon. 

C.  Cavedoni. 

Nuovi  confronti  di  Reziarii  armati  di  tridente 
e  di  pugnale. 

Venutami  qui  (in  Parigi)  alle  mani  la  RcmeArchéo- 
logtque  ho  trovalo  che  in  alcuni  articoli  si  era  già  par- 
lato di  Reziarii ,  e  delle  armi  usate  da  questa  sorta  di 
gladiatori  ;  la  quale  incidenza  m' impone  di  ritornare 


sul  mio  lema.  Il  sig.  Letronne  cita  il  musaico  pubbli- 
cato dal  Lysons,  nel  quale  sono  figurati  dei  Reziarii  ag- 
mali  insieme  di  fiocina,  e  di  pugnale  (/JeuMcV, 563  v. 
anche  lo  Chabouillet  ivi  VIII,4 15);  egli  però  lo  ha  de- 
finito un  dimacherus,  lo  che  se  fosse  vero,  tal  sorta  di 
gladiatori  non  dovrebbe  appellarsi  col  nome  di  i?e^m- 
rii  su  quei  monumenti  ove  loro  si  dà  il  tridente,  ed  il 
pugnale.  Lo  Chabouillet  dà  un  piccolobronzoap.il 
del  voi.  cil. ,  e  ben  lo  definisce  Reziario  :  questo  però 
ha  solo  la  fiocina  e  non  il  pugnale  né  il  galerus.  Ma  il 
sig.  Longpérier  uno  ne  produce  a  p.  198  del  voi.  VI 
da  una  stele  funebre  trasportata  già  da  Salonichi  al 
museo  delle  monete  ;  del  quale  egli  non  ci  dà  la  figu- 
ra, ma  la  descrizione,  onde  apprendiamo  che  si  mo- 
stra armato  di  tridente  nella  sinistra,  e  di  pugnale  nella 
destra.  La  figura  Ey^Pparr)?  è  alquanto  maltrattata,  ma 
non  credo ,  che  avesse  portato  mai  il  mezzo  scudetto 
suir  omero  sinistro  ,  non  apparendo  ivi  verun  risalto 
nel  luogo  ove  copriva  colla  sua  parte  concava  il  del- 
toide, siccome  ho  potuto  verificare  io  stesso.  L' illu- 
stratore vede  nella  sinistra  un  pugnale,  ove  lo  Cha- 
bouillet voi.  cit.  p.  417  dice  esser  logoro,  e  imagina 
invece  il  fdel,  ossia  la  rete:  io  non  vedo  l'uno  né  l'al- 
tro, ma  stimo  che  vi  sia  figurala  una  palma,  e  pre- 
cisamente la  lemniscalus  (I).  In  questa  vece  sostituire- 
mo il  bassorilievo  del  sig.  Gough,  il  quale,  siccome 
descrive  il  sig,  Leemans  ,  ha  tridente  e  pugnale  (  IX 
Rcvue,  pag.  419).  Altri  due  egualmente  armali  soa 
tratti  da  due  lerrecotte  l'una  trovata  aNimègue,  l'al- 


fl)  È  notabile  ciò  che  scrive  Apuleio  de  OrthogT.  p.  130  ediz. 
Mai  Romae,  1823.  Lemniscalus  dicitur  sexta  gladiatoris  palma: 
Tilinius:  Gladiator  mi  gloria  quoius  lemniscalus  meridionaria, 
nam  crii  haec  seplima  laurus.  Turpilius  in  Thrasilione.  Nemo 
unquam  vidit  ebrium  ire  interdiu ,  neqxte  turbam  facete  neque 
fores  exurcre  aut  feslra  al  vos  cacci  qui  pcrpauci  ad  temnisca- 
lum  pcrvenitis,  nunquam  eam  transilitis.  Alla  noli/.ia  del  grani- 
niaticu  fo  seguire  due  mùnucncnii  :  il  priniu  è  nella  Licia  del  Fel- 
lows,  ove  è  ritrailo  un  gladiatore  con  accanto  sei  corone  ed  una 
palma  :  le  slesse  sei  corone  si  scorgono  sulla  lapida  di  Eufrate  del 
Museo  Imperiale,  e  però  io  non  tardo  a  dichiarar  palma  quella  che 
egli  stringe  colla  sinistra  insieme  alla  mazza  del  tridente.  La  palma 
si  concedeva  al  gladiatore  colla  corona  di  lauro  ad  ogni  vittoria; 
però  la  sesia  palma  vuol  dire  la  sesta  vittoria.  Tìtinio  però  dice 
nani  erit  lutee  seplima  laurus;  e  sul  monumento  alle  sei  corone 
simbolo  delle  sei  vittorie  è  aggiunta  una  sola  palma,  che  è  iudizii) 
della  lemnitcatut. 


—  135  — 


'  tra  ad  Arcnlsburgh  (ivi,  pi.  183,  n.  3,  5).  La  de- 
stipazionc  dei  mezzi  sciidelli  è  stata  ben  spiegata  dal 
eh.  Longpéricr,  lochè  vale  assai  a  confermare  quanto 
ne  ho  detto,  come  anche  il  senso  del  REI  SECVNDl, 
e  l'uso  gladiatorio  di  varie  armi  di  bronzo  situale  fra 
le  armi  militari  nel  Real  Museo  Borbonico.  Egli  perù 
non  discende  ad  applicare  il  nome  galerm  a  questo 
mezzo  scudo ,  nò  a  dichiarare  un  ludus  quell'  edilizio 
pompeiano,  che  die  a  noi  quel  tesoro.  Quanto  al  SE- 
CVNDl però  della  iscrizione  citala,  sebbcue  siamo  d' 
accordo  in  riGutare  la  spiegazione  del  II  ET.,  proposta 
nel  real  museo  Borbonico ,  debbo  confessare  che  non 
veggo  di  poter  convenire  col  dotto  interprete.  Io  ci 
vedo  il  nome  del  gladiatore,  e  non  il  grado  di  seciin- 
dus  palus ,  pel  quale  manca  ogni  confronto  ,  special- 
mente perchè  si  è  rifiutata  dai  dotti  la  spiegazione  che 
si  dava  già  alla  voce  SEGVXDARVM. 

Giova  qui  di  conoscere  che  uno  degli  elmi  gladia- 
torii,  regalato  già  dal  nostro  Re  al  museo  della  Mal- 
maison,  passò  quindi  al  gabinetto  del  sig.  Conte  Pour- 
talès  Gorgier,  e  che  il  Dubois  ne  ha  pubblicato  la  fi- 
gura [Descripl.  des  Antiq.  da  cahin.  etc.  pag.  109, 
110),  donde  lo  ripete  il  Longpérier  Vili,  325  a  con- 
fronto di  una  statuetta  di  avorio  in  abito  die'  egli  di 
Mirmillone  ,  ma  che  io  senza  alcun  dubbio  dico  di 
Trece,  siccome  non  stimo  lesta  di  gallo  fornita  di  bar- 
gigU  quella,  in  che  termina  la  cresta  di  detto  elmo , 
ma  invece  di  Grifo.  Sullo  scudo  della  statuetta  ,  che 
ho  veduta  per  gentil  favor  del  sig.  Longpérier ,  leg- 
gesi  *(>Vi\ALV(i)\N()C. 

Intorno  ai  Reziarii  è  più  di  proposito  l'articolo  del 
sig.  Chabouillet  (Vili ,  405).  Ottimamente  egli  giu- 
dica i  reziarii  tunicati  una  eccezione ,  ma  parmi  non 
ben  si  apponga  nel  giudizio  che  dà  della  Sjrira ,  opi- 
nando fosse  una  benda,  che  il  gladiatore  avvolgeva 
intorno  alla  testa.  Lascia  indi  di  render  conto  del  ga- 
Icrus  (nous  ne  pouvons  rendre  compie),  che  egli  de- 
finisce une  épaulière,unebandaulière['p.M9),  e (\U3n- 
lo  ai  reziarii  del  musaico  del  Lysons ,  dice  aver  essi 
deux  grandes  ailes  (p.410).  Il  Lelronne  vi  vedeva  un 
2)lastron  ou  épauloire  à  défendre  la  tòte  (V,563),  ed  a 
p.  564,  on  le  dirait  en  peau  de  rhinocéros.  Coerente- 

I      mente  il  Longpérier  (  VI,  194)  la  chiama  pelile  far- 


ge quadriìalère  fxée  sur  /'('yjrtiJc  j/nwr^^  a  guardia  della 
lesta.  Ma  il  sig.  Leenians  impiega  due  buone  pagine 
a  persuadere,  che  il  longus  (/a/c/MS del  reziario  è  una 
parrucca ,  une  sorte  de  bonnet  ou  de  calotte  de  cuir 
(  Revue  IX,  p.  77,  78  ) ,  su  di  che  non  fa  luogo  di- 
scorrere a  lungo  ,  essendo  dimostrato  ora  che  il  j/a- 
krus  è  il  mezzo  scudo. 

Per  tanto  giovi  sapere ,  che  il  Cori  aveva  scritto 
(  laser,  voi.  Ili,  102  ):  Parmulam  laliorc  parte  post 
Intmeros  suspensam  facile  crcdcrem:  ed  il  eh.  sig.  Ilen- 
zen  nel  Mus.  Borghes.  a  p.  44. ,  ci  aveva  sospettato  la 
spongia  reliariorum  memorata  da  Tertulliano.  Un  al- 
tro Reziario  armato  insieme  di  tridente  e  di  spada  ci 
vien  descritto  dalJansen  (.Vws.  Lug.  Bai.  //i,scr.p.30), 
dandone  l' iscrizione,  nella  quale  egli  è  ajìpcllalo  A- 
nOAAi^NIOC ,  e  dicesi  aver  riportalo  48  vittorie 
NCIKAC  MH.  llsig.  Leemans  ne  dà  ancora  il  disegno 
[Revue  IX,  pi.  183,1),  ove  per  altro  non  apparisce  il 
pugnale.  Ma  ivi  a  parer  mio  quel  che  pare  ala  destra 
è  il  galeriis ,  e  1'  ala  sinistra  è  la  tela  ove  egli  tenea 
chiusa  la  rete,  che  svolazza.  Questa  tela  si  vede  anche 
nel  reziario  di  Gori. 

Egli  è  forza  di  aggiungere  ai  monumenti  citali ,  o 
prodotti  da  me,  una  mia  figurina  in  osso,  dono  del  be- 
nemerito sig.  Cav.  Bonichi  ,  che  rappresenta  un  re- 
ziario in  piena  armatura ,  e  verrà  gratissimo  ai  dotti 
che  ho  lodati  qui  sopra  ,  e  per  coloro  generalmente 
che  hanno  soli'  occhio  la  tavola  VII  del  I.  anno  del 
Bulletlino  ben  ricca  di  confronti  di  tal  genere  d' ar- 
matura gladiatoria  ,  di  che  come  vedo ,  sono  assai 
poco  forniti  i  musei  pubblici  (v.  tav.  IX  fig.  20,21). 
Apparisce  questa  fornita  di  galero,  tridente,  e  pugna- 
le. Nudo  è  il  capo ,  e  difeso  il  braccio  sinistro  dalla 
manica.  Ma  l'assenza  della  rete  anche  in  questa  figu- 
ra ,  che  non  può  dirsi  di  averla  lanciata  poslguani 
pendentia  rctia  dejctra  nequicquam  e/fudil,  perchè  non 
è  combattente  siccome  altre  figure,  ma  sta  ferma  sot- 
t'armi,  dimostra  a  parer  mio  che  gli  artisti  trascura- 
rono di  rappresentarla  ,  forse  ancora  perchè  non  era 
visibile  ,  avendo  s.  Isidoro  scritto  che  fcrebat  occulte 
rete  (Origin.  XV1II,54),  facilmente  ad  imitazione  del 
celebre  avversario  di  Frinone. 

Garhccci. 


—  136- 


Iscrìzionì  latine.  Continuazione  del  n.  38. 


28. 


PAGGIO  •  LVGIANO  •  SGRIBAE 
QVI  VIXIT  ANNIS  •  XL  ■  III  •  D  •  XXVI 
UOMINI  •  INCONPARABILI  .  FILI  •  eivs 

ET  •  CONIVX  •  B  •  M  •  FF 


gli  fu  riportato  un  altro  insolito  diminutivo  lueniUa 
in  una  iscrizione  tracciata  col  carbone  in  una  pompe- 
jana  parete:  vedi  sopra  p.  82,  ove  si  riferiscono  allri 
più  comuni  diminutivi  femminili.  La  epigrafe  di  Vo- 
lunilla  fu  letta  dal  suddetto  mio  collega,  in  un  sepol- 
cro a  S.  Vito  sulla  medesima  via  Campana  scritta  col 
pennello  suH'intonico  sotto  la  nicchietta  o  loculo,  che 
altre  volte  contenne  l'olla  colle  ceneri  della  fanciulla. 


Il  nome  di  Faccio  è  assai  frequente  nella  Campa- 
nia :  su  di  che  vedi  le  cose  notate  dal  eh.  Sig.  Raoul- 
Rochetle  (  leltr.  à  mons.  Schorn  p.  337  sec.  ediz,  ) , 
e  quel  che  ho  scritto  io  medesimo  (  lapida  di  Tenia 
Casta  pag.  61  not,  2  ). 

29. 

D  ■  M  ■ 

A  •  FRAVCIVS  •  GARPVS  •  SIRI 

ET  •  FRAVCIAE  ■  CYRILLAE 

CONIVGI 

LIBERTIS  •  LIBERTABVSQ 

POSTERISQ 

EORVM 


Questa  iscrizione  è  notevole  per  la  singolarità  del 
nome  FRAVCIVS,  che  sembra  di  greca  origine.  Mi 
fu  comunicata  insieme,  colle  allre  che  seguono,  dal  mio 
egregio  collega  Sig.  Canonico  Scherillo ,  coli'  avver- 
tenza di  essere  slata  rinvenuta  in  Pozzuoli  sulla  via 
Campana. 


30. 


VOLVNILLA  LIBERTA  HIC  SITA  EST 

Ci  sembra  nuovo  il  diminutivo  Vohmilla,  che  può 
credersi  derivato  dal  nome  Volumnius.  In  questi  fo- 


31. 


D  .  M 

OCTABIA  •  SEGVNDA 
MOGTABIOSECVNDO 
QVI  •  BIXIT  .  ANNIS 
li  •  MESIBVS  •  X 
DIEBVS     •     XIIII 
MATERISCAELESTA 
B  •  M  •  F 


La  iscrizione  è  di  epoca  non  mollo  remola,  come 
dimostrasi  dal  B  per  V,  dal  mesibus  per  mensibus,  e 
dalla  erronea  ortografia  scaelesla  :  se  pure  questi  modi 
non  vogliansi  attribuire  a  tracce  di  grecismo.  L'iscae- 
lesta  non  è  dissimile  dall'  Ispcs,  Istephanus,  etc.  di  al- 
tre iscrizioni ,  coli'  aggiunta  di  un  /  avanti  l' s  impu- 
ra per  eufonia:  siccome  non  è  infrequente  oggidì  pres- 
so gl'Italiani.  La  significazione  d' infelix,  in  cui  è  a- 
doperata  la  voce  iscaelesla,  è  già  nota  per  gli  antichi 
scrittori:  e  nello  stesso  senso  è  usato  sceleratus  negli 
scrittori  e  ne' monumenti  epigrafici ,  dicendosi  nello 
slesso  modo  Mater  sce/cra<a  in  iscrizioni  presso  ilRei- 
nesio  (  ci.  12  n.  122  ),  e  presso  il  Fabretli  (  p.  137 
n.  631).  Veggasi  pure  il  Furlanettov.  Sceleratus^  i. 


(Continua) 


MlNERVlNI. 


Giulio  Minervim  —  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Cataheo. 


BUllETTIINO  ARCHEOLOGICO  NAPOIITAIVO. 

NUOVA    SERIE 


N.^  44.     (20.  doir  anno  II.) 


Aprile  I8ói. 


Vaso  di  hrnìtzo  rinoeìiulo  nel  silo  dell'antica  Capita.  —  Sopra  alnine  monde  di  Eraclea.  Leltcra  del  eh.  Sig. 
Raoul- Jloehel le  all'  Editore  del  presente  hullellino.  —  Osservazioni  dell'  Editore  del  bullettino.  —  Memoria 
deUa  imperatrice  Salonina  in  S.  Maria. 


Vaso  di  bronzo  rinvenuto  nel  sito  dell'  antica  Capua. 

Nella  nostra  (avola  VII  fig.  4  veJcsi  pubblicalo  un 
imporlanlissimo  vaso  di  bronzo  rinvenulo  nel  silo 
dell'  antica  Capua  :  sono  a'  due  lati  due  manichi ,  i 
quali  ofTroiio  l' ornamento  di  due  mascheroni  di  ar- 
caico stile:  il  lembo  esteriore  dell'orlo  è  graziosamente 
adorno  di  ovoli  e  di  globetli  :  Gnalmente  nella  parte 
interna  è  graffita  una  lunga  iscrizione,  della  quale  di- 
remo tra  poco.  Dobbiamo  la  comunicazione  di  que- 
sto insigne  monumento  alla  gentilezza  dell'attuai  pos- 
sessore sig.  Cav.  Bonichi  di  Roma,  il  quale  ci  ha  pure 
trasmessi  i  disegni  che  noi  pubblichiamo  (I). 

La  principale  importanza  del  nostro  bronzo  dee 
senza  dubbio  riconoscersi  nella  epigrafe  ,  di  cui  ri- 
portiamo il  facsimile  nel  n.6  della  suddetta  tav.VII  (2). 
A  primo  aspetto  ognuno  direbbe  etrusca  quella  iscri- 
zione ,  a  volerla  considerare  dal  lato  de'caratteri;  ma 
poiché  se  n'  è  fatta  la  lettura,  si  riconosce  evidente- 
mente appartenere  al  linguaggio  degli  Osci.  Essa  è  re- 
trograda ,  e  va  letta  nel  seguente  modo,  dando  a  cia- 
scuno elemento  il  valore  che  gli  compete  : 

Vinuchs  Veneliis  aeraciam  deded  Venilei  Vinicii. 

Alla  fine  è  un  segno  somigliante  ad  un  V;  ma  noi 
crediamo  che  debba  ritenersi  siccome  messo  ad  indi- 
care il  finimento  della  iscrizione  ;  senza  che  possa  at- 
tribuirsegli  alcun  particolare  valore. 

Prima  di  dir  qualche  cosa  sul  significato  della  no- 


stra epigrafe,  non  ometterò  di  notare  che  varie  iscri- 
zioni osche  Irovaiisi  segnate  eoo  caratteri  etruschi,  per 
modo  che  il  eh.  Mommsen  ne  fa  una  particolare  ca- 
tegoria (  Etrmkisclie  Jnschrifien  im  oskiuhen  Spracti- 
(jcbiet:  vedi  unteritalischen  Dialekte  pag.  313  eseg.). 
È  notevole  che  quasi  tutte  queste  iscrizioni  osche  iu 
caratteri  etruschi  appartengono  a  Santagata  de' Goti , 
ovvero  a  Nola  ;  mentre  di  alcune  non  si  conosce  la 
provenienza,  ma  probabilmente  debbono  riferirsi  alle 
medesime,  od  a.  prossime  località.  È  pur  da  avvertire 
che  sono  tutte  segnate  sopra  vasi  dipinti  a  nero ,  che 
possono  riportarsi  ad  un'epoca  abbastanza  remota,  pro- 
babilmente alla  stessa  epoca  del  nostro  vaso  di  bronzo. 

Queste  avvertenze  ci  serviranno  Ira  poco  a  spie- 
gare talune  particolarità  del  prezioso  monumento  ca- 
puano di  che  stiamo  ragionando. 

Il  nome  Vinuchs  corrisponde  al  latino  Viniciiis  o 
Vinucius,  che  pure  in  questa  seconda  forma  riscon- 
trasi in  una  iscrizione  di  Venosa  (Mommsen  inscr.  r. 
neap.  lai.  n.  697,  1.  17  ),  ed  in  altra  di  Benevento 
(  id.  ibid.  n.  1798  ).  Il  genitivo  osco  sarebbe  Vinu- 
ceis,  non  altrimenti  che  il  med/Aieis  proveniente  dal  no- 
me medix  ;  come  si  legge  nella  iscrizione  pompejana 
della  porta  di  Stabia(l)  (v.  quel  che  ho  detto  in  que- 
sto bullettino  an.  I  p.  164,  ove  ho  parlato  di  simili 
genitivi  :  cf.  Garrucci  ibid.  an.  I.  pag.  82;  e  Kirch- 
buff(ias  Stadlrecht  von  Bantia  p.  12).  Un  nome  della 


(1)  L  altezza  è  circa  palmi  due;  il  diametro  della  bocca  è  di  un  (1)  Io  non  sodo  ancora  persuaso  che  io  quesU  iscrizione  il  me- 
palmo.  dtkcis  sia  un  genitivo  ;  ma  parrai  piulloslo  un  nominativo  piuralt, 

(2)  Sotto  il  n.  4,  vedi  la  forma  del  vaso  ;  ed  il  n.  5  esprime  co-  eiccome  sostenni   nella  illustrazione  di  quel  monumento:  vedi  le 
me  si  osservi  la  iscrizione  nella  pane  imerna  presso  la  bocca.  memorie  della  reg.  accad.  Ercolanese  voi.  VII  appendico  pag.  H. 

JNtlO  li.  ^y 


—  138 


medesima  declinazione  fu  da  noi  riportato  in  questi 
medesimi  fogli  ;  ed  è  YUpils  scritto  a  lettere  dorate  ia 
un  vaso  sannitico  di  Cuma:  vedi  il  luogo  sopra  cita- 
to. Intanto  farò  notare  che  nella  nuova  iscrizione  del 
vaso  capuano  leggesi  il  dativo  Vinicìi,  che  io  non 
credo  dissimile  dal  nome  Vinuclis,  e  sta  per  Vinucei: 
presentandoci  un  argomento  che  gli  Oschi  non  altri- 
menti che  i  Latini  scambiarono  in  questa  ,  come  in 
altre  voci  .l'Vcon  l'I.  E  lo  stesso  nome  si  legge  nella 
pompejana  iscrizione  osca  di  Adirano  ,  ove  è  il  que- 
store V.  Viinikiis  [Mommsea imi.  Dial.p,  183):  seb- 
bene si  vegga  in  una  forma  differente. 

Segue  l'altro  nome  Veneliìs,  che  dinota  Venelius  o 
Veiìilius  ;  e  di  fatti  non  è  dissimile  dal  seguente  Vc~ 
nilci  della  nostra  medesima  iscrizione.  Noi  troviamo 
in  epigrafi  latine  il  nome  Verclius  uella  vicina  Nula 
(Mommsen  inscr.  r.  n.  lai.  n,  2044);  e  lo  stesso  no- 
me con  finimento  osco  vedesi  scritto  di  caratteri  etru- 
schi in  una  tazza  del  real  musco  di  Berlino  (Mommsen 
unler.  Dial.  p.3i6).  E  qui  mi  piace  di  avvertire  che 
probabilmente  la  gente  FeiiiV/a  dee  riputarsi  di  origine 
etrusca;  perciocché  nelle  italiche  tradizioni  troviamo 
rammentala  una  Venilia  madre  di  Turno  (  Virg.^en. 
X,  73),  ed  un'altra  ninfa  delio  slesso  nome  madre 
di  Canente  (Ovid.  mei.  XIV,  834).  Segue  nella  e- 
pigrafe  del  capuano  vaso  aeraciam  deded.  E  poiché 
nelle  iscrizioni  etrusche  non  comparisce  giammai  l'e- 
lemento equivalente  al  d,  anche  qui  troviamo  la  for- 
ma del  T ,  che  ci  darebbe  la  pronuncia  Idei.  Ma  è 
chiaro  doversi  ravvisare  l'osco  verbo  deded ,  che  oc- 
corre in  varie  iscrizioni  osche  di  Pompei  (  Mommsen 
unler.  Dial.  XXIV  p.  183;  XX.  p.  180;  e  XXVI  p. 
184);  e  che  rinviensi  pure  nel  più  antico  linguaggio 
de'  Latini ,  siccome  si  raccoglie  dalla  iscrizione  di  Sci- 
pione Barbato,  e  da  altri  monumenti.  La  parola  ae- 
raciam crediamo  facile  d'inierprelare  dall'oggetto  me- 
desimo, sul  quale  si  legge  la  iscrizione.  Trattasi  di  un 
vaso  di  bronzo;  e  pare  evidente  che  questo  significato 
debba  darsi  alla  voce  aeraciar,  come  derivata  da  aes. 
Ricordiamo  che  acraccus  è  un  addieltivo  ,  cui  si  at- 
tribuisce la  intelligenza  di  acran'us,  o  attinente  a  bron- 
zo: sicché,  ove  supponiamo  la  ellissi  di  un  sostantivo 
dinotante  vaso,  ovvero  una  generale  parola  come  rcs, 


avremo  nell'  aeracia  il  significalo  di  vaso  di  bronzo , 
ovvero  generalmente  di  oggetto  di  bronzo.  Dalle  qua- 
li considerazioni  ricaveremo  il  senso  preciso  della  no- 
stia  iscrizione  ,  eh'  è  come  segue  :  Vimictus  Venelius 
vas  aeneum  dedit  Venilio  Vinicio.  E  qui  notiamo  di 
passaggio  come  la  nostra  iscrizione  ci  fornisca  un  al- 
tro argomento  per  conchiudere  doversi  trarre  dal  la- 
tino antico  le  basi  di  qualunque  interpretazione  dell' 
osco  linguaggio;  il  che  sembra  ormai  riconosciuto  da 
tulli  coloro  ,  che  coscienziosamente  si  rivolsero  allo 
studio  di  quel  dialetto.  L'altra  osservazione,  che  sor- 
ge spontanea  dalla  nostra  epigrafe  ,  si  é  che  trovan- 
do un  Vinucio  Venelio  che  fa  un  dono  ad  un  Venilio 
Vinicio,  potremmo  probabilmente  dedurne  un  appog- 
gio alla  teoria  sostenuta  con  copiosi  esempli  dal  eh. 
Garrucci  ;  che  cioè  gli  Osci  adoperassero  sovente  un 
doppio  nome  {hullelt.  an.  L  pag.  41.  e  segg.  ).  Sa- 
rebbe infatti  straordinario  il  supporre  che  i  due  per- 
sonaggi indicati  nella  iscrizione  di  Capua  avessero  un 
prenome  simile  in  entrambi  al  nome  dell'  allro  ,  e  vi- 
ceversa. Comunque  sia  di  ciò  ;  a  noi  sembra  che  il 
monumento  del  Sig.  Bonichi  sia  di  grandissima  luce 
alle  ricerche  sullo  stalo  dell'  antica  Capua.  Il  lavoro 
arcaico  del  monumento  sembra  appartenere  a  Greco 
arlefice ,  piuttosto  che  ad  Eslrusco.  D'altra  parte  os- 
servammo di  sopra  che  i  caratteri  della  iscrizione  so- 
no etruschi,  e  probabilmente  di  etrusca  derivazione 
la  gente  Venilia  rammemorala  nella  epigrafe  apparte- 
nente all'  idioma  degli  Osci  o  Sanniti.  Avremo  dun- 
que ritrovalo  nel  nostro  monumento  un  compendio 
delle  vicende  di  quell'  antica  città  ;  una  indicazione  di 
fatto  dello  popolazioni,  le  quali  tennero  stanza  in  quella 
regione;  dir  vogliamo  gli  Etruschi,  i  Greci, ed i San- 
niti. E  uoi  siamo  di  credere  che  questo  vaso  appar- 
tenga a'  primi  tempi  della  occupazione  Sannilica  di 
Capila  ,  quando  durava  tuttora  la  influenza  etrusca 
nella  scrittura,  la  quale  dovette  poi  cedere  a  quella 
di'' nuovi  padroni.  Non  altrimenti  io  do  spiegazione 
delle  altre  iscrizioni  osche  in  caratteri  etruschi,  delle 
quali  ho  parlato  di  sopra,  che  provennero  da  Nola  e 
da' sili  vicini.  Ci  additano  esse  la  precedente  occupa- 
zione etrusca,  la  quale  esercita  la  sua  influenza  alme- 
no pe'cai.tlerisu  nuovi  dominatori.  La  nazione  San- 


—  139 


nilica  vitloriosa  per  la  forza  delle  armi  non  era  in- 
Dfjnzi  nelle  arli,  e  ricorrer  dovelle  da  prima  ad  arte- 
fici greci  ed  etruschi ,  quando  volesse  fare  eseguire 
alcun  monumento.  Ecco  perchè  trovansi  tracce  di  c- 
truscismo  e  di  grecismo  anche  nelle  opere  di  arte  ese- 
guite sotto  la  sannilica  dominazione;  e  queste  non  solo 
in  Capua ,  ma  altresì  in  altri  paesi  della  Campania. 

Queste  osservazioni  mi  pajono  legitimamenle  rica- 
vate dall'insigne  monumento  del  Sig.  Bonichi:  e  sa- 
rebbe difficile  dare  una  più  facile  spiegazione  di  quel 
miscuglio  di  cose  pertinenti  a  tre  popoli  diversi.  Il 
supporre  una  colonia  etrusca  de' Romani  nella  Cam- 
pania non  può  trovare  alcuno  appoggio,  non  solo 
per  le  ragioni  addotte  in  contrario  dal  eh.  Garrucci 
(  bulletl.  an.  1  p.  85  ),  ma  anche  dalla  fabbrica  del 
nostro  vaso,  che  non  può  spettare  ad  epoca  si  bassa, 
cioè  a  tempo  posteriore  all'anno  di  Roma  518. 

Vogliamo  fare  un'ultima  avvertenza,  ed  è  che  il 
nostro  vaso  di  Capua  si  manifesta  essere  un  dono  fat- 
to da  Vinucio  Venelio  a  Venilio  Vinicio  tuttora  viven- 
te. L' averlo  ritrovato  in  una  tomba  pruova  che  quel- 
r  oggetto  caro  all'  estinto  fu  messo  a  lui  dappresso 
nella  sepoltura. 

Dicesi  ritrovato  nella  medesima  tomba  unvasellino 
tuttodì  nero  (I),  al  cui  esterno  leggesi  la  iscrizione  da 
noi  pubblicata  sono  il  num.  8  della  sud.  tav.  VII.  È 
questa  parimenti  in  caratteri  etrusci,  e  dovrà  leggersi 
Maraeus ,  o  piuttosto  Maragus ,  che  è  forse  un  ge- 
nitivo. 

MlNERVINI. 


Soft  a  alcune  monete  di  Eraclea.  Lettera  del  eh.  Sig. 
Raoul-Rochette  all'  Editore  del  presente  hillettino. 

Mon  digne  ami  et  savant  confrère , 
Un  de  mes  amis  de  Naples  m'  écrivait,  en  date  du 
26  novembre  dernier,  pour  me  faire  connaitre  la  dé- 
couverte ,  qui  venait  de  se  faire  à  Métaponte ,  d' une 
médaille  d' Héraclée,  qui  paraissait  nouvelle  et  extra- 
ordinaire ,  au  point  qu'il  avait  été  inlerdit  à  celai  qu 

(1)  Questo  vasellino  è  posseduto  dallo  stesso  Sig.  Cav.  B^rncbi, 
che  me  ns  ba  data  la  comuoicazioDe. 


on  en  avait  rendu  dépositairc ,  d'en  laisser  prendre  , 
soit  une  empreinte  ,  soit  un  dessin  ,  afin  quelle  pùt 
arrivcr  vierge  enfre  lesmainsdel'acquéreur.  En  voici 
la  descripliun.  Ielle  que  me  la  donuait  l'auteur  de  la 
lettre ,  dans  ses  termos  mèmes,  que  je  transciis  fiJè- 
lement  : 

«  Didramma  di  Eraclea.  Dritto;  Ercole  seduto  su 
«  di  un  masso  e  sulla  pelle  di  leone,  ha  la  clava  poco 
«  discosta;  un  vase  di  premio  è  nella  sua  mano  dritta, 
«  e  col  braccio  sinistro  è  in  atto  di  riposo  ,  intorno  : 
«  HPAKAEION.  Rovescio;  Testa  di  giovane  donna 
«  coronata  di  oli\o;  intorno  a  lei  è  spiegata  circolar- 
«  mente  l' egida ,  la  cui  bella  frangia  è  formata  da 
«  graziosi  intrecci  di  serpenti.  Così  la  moneta  ha  tre 
«  piani ,  quello  della  testa ,  dell'egida,  e  del  campo. 
«  Lo  stile  dell'Ercole  è  d'  un  carattere  robusto  e  per- 
«  fezionalo,  ed  annunzia  il  pi  incipio  delia  bell'epoca, 
«  il  tipo  della  Dea  è  del  piìi  ingenuo  e  grazioso  ar- 
«  calco,  come,  presso  a  poco,  le  teste  primitive  delle 
«  medaglie  di  Napoli ,  Velia,  Terina  ;  ma  d'un  gusto 
«  più  bello  e  grazioso.  Le  due  facce  sembrano  offrirci 
«  due  scuole ,  due  epoche,  e  due  artisti  diversi ,  ma 
«  che  si  danno  la  mano.  Un  tipo  ricorda  le  tradizioni 
«  d'  un'  arte  più  antica  ,  e  i  cui  monumenti  sono  ra- 
«  rissimi  e  poco  conosciuti  ;  1'  altro  presenta  la  ma- 
«  niera  di  Fidia  e  delle  Metope  del  Partenone.  La 
«  giovane  Deità  è  una  Ninfa  locale  finora  ignota  ,  op- 
«  pure  una  Minerva  d' un  ideale  proprio  della  Ma- 
«  gna  Grecia,  anzi  d'Eraclea, anteriore  a  quello  sta- 
«  bilito  dalla  scuola  Atcniese?Questa  medaglia  è  quindi 
«  unica ,  e  forma  essa  sola  un'  intera  epoca  di  arte  e 
«  di  civiltà  politica  e  religiosa  contemporanea  alla  fon- 
«  dazione  d'Eraclea,  e  anteriore  a' tempi  delle  sue 
«  conosciute  e  magnifiche  medaglie  (I)  ». 

Sans  m' arrèter  pour  le  moment  aux  expressions 
de  la  lettre  ,  qui  concernent  le  style  de  1'  art ,  et  qui 
se  ressentent  un  peu  d'un  enthousiasme ,  facile  ,  du 
reste,  à  concevoir  et  à  justifier,  je  dirai  d'abord  que 
la  description  de  la  médaille ,  dans  l'un  et  l'autre  ty- 
pe  ,  est  suffisamment  exacte.  Le  type  principal  offre 
bien  une  téle  de  déesse  jeune,  coifféeen  cheveux,  d'un 

(1)  V«di  la  nostra  Ut.  IX  n.  18.  —  L' fiWore.       ^ 


—  140 


caractère  virginal.  Cefte  téle  est  placéesurlVjide.qui 
remplit  presque  tout  le  champ  de  la  médaille,  d'une 
manière  qui  est  en  effet  sans  exemple  daus  tonte  la 
nuniismalique  grecque  ,  et  qui  doit  tenir  à  quelque 
inlention  parliculière  ;  et ,  à  uq  pareil  sigoe  ,  cette 
téle  ne  peut  èlre  méconnue  pour  celle  de  Minerve.  Il 
faut  dono  écarter  la  supposition  A'aaeNijmphelocale, 
à  la  quelle  \ ègide ,  attiibut  essentiel  de  Minerve ,  ne 
saurait  convenir  à  aucun  titrc  ;  et  il  faut  de  plus  re- 
connaìtre ,  à  la  eouronne  d'olivier,  et  au  caractère  de 
la  lète ,  la  Minerve  Parlhenos ,  daus  une  de  ses  plus 
charmanles  images,  (elles  que  le  modèle  avait  pu  en 
ètre  efieclué  par  un  art  attique.  Quant  au  type  du  re- 
yers,  il  n'est  pas  doutcux,  qu' il  nereprésente  ffercu/e 
assis,  dans  une  attiludc  de  rcpos,  la  maio  gauche  non- 
clialamment  posée  sur  sa  massue  placée  près  de  lui , 
et,  dans  la  niain  droite  élenJue,  non  un  vase  de prix , 
comme  le  dit  1'  auteur  de  la  lettre,  mais  le  scyphus , 
cu  le  vase  à  hoire,  de  la  forme  parliculière  ài/ercw/c, 
tei  qu'on  le  lui  voit  eflectivement  à  la  niain  sur  de 
nombreuses  médailles  d'argent,  de  Crotone ,  des  mo- 
dules  de  didrachme  et  de  Iridrachme  (1),  et  sur  une 
monnaie  de  bronze ,  de  Tarenle  (2) ,  où  l' ou  peut 
croire  que  le  graveur  de  la  monnaie  avait  en  vue  le 
célèbre  Iltrcule  colossal  de  Lysippe,  erige  sur  la  place 
publique  de  Tarenle  (3)  ;  et  l'on  trouvera  tout  nalu- 
rel  que  ce  type,  qui  rappelail  un  des  principaux  mo- 
numens  de  la  mélropole ,  ail  élé  reproduil  sur  une 
médaille  à'Héraclée,  ville  voisine  et  colonie  de  Taren- 
le, ainsi  que  j'ai  déja  eu  l'occasion  d'en  faire  l'obser- 
vation  (4). 

Maintenant  que  l'intelligence  de  la  médaille  est  éta- 
blie,  d'après  la  descriplion  mème  qui  m'enétaildon- 
née  ,  faut-il  y  voir  un  monument  aussi  nouveau  et 
aussi  rare  qu'il  l'a  pam  à  l'aufeurdela  lettre?  Je  dois 
dire  qu'il  commetlait  à  cet  égard  une  assez  grave  cr- 
reur;  car  celle  médaille  était  dojìuis  long  lemps  con- 
nue  et  publiée.  J'en  Os  menlion(.1),  précisément  pour 

(1)  Fr.  Carell.  Num.  ilal.  vel.  lab.  CLXXXIV,  n.  31,  32,  33, 
34,  35,  38. 

(2)  Idem,  tWd.  tab.  CXIX,  n.  .iOO,  401. 

(3)  Nicel.  de  Stat.  Constantin.  e.  5,  p.  12,  ed.  Wilken. 

(4)  Uémoir.  de  Numismat.  et  d'Antiquité,  p.  147,  2. 
(5;  Jfourn.  det  Savants,  févncr  1831,  p.  101,  2. 


expliquer  le  caractère  jeune  et  virginal  de  la  lète  de    ' 
Minerve ,  dans  nos  marbres  d'  Olympie  (i) ,  et  je.la 
citai,  d'après  deux  exemplaires,  les  seuls  quejecon- 
nusse  encore,  de  cette  belle  médaille,  run,delacol- 
lection  de  M.  le  due  de  Luynes,  l'aulre ,  de  celle  de 
M.  Dupré  ;  et  depuis ,  j'ai  publié  la  première  de  ces 
médailles  (2),  que  son  noble  possesseur  a  comprise 
lui-méme  dans  son  choix  de  médailles  grecques  (3).  Je 
n'ignorais  alors  que  ce  précieux  monument  numisma- 
tique  se  voyait  déja ,  mais  deOguré  par  un  dessin  in- 
fidèle,  au  poinl  d'en  èlre  devenuméconnaissable,  dans 
le  Recueil  du  P.  Magoan  (4).  Mais  depuis ,  de  nou- 
veaux  exemplaires  de  celle  belle  médaille  onl  étéac- 
quis  à  la  science,  sans  que  la  connaissance  en  ait  pé- 
nélré,  à  ce  qu'il  parait,  parmi  vos  anliquaires  duro- 
yaume  de  Naples.  Millingen  en  possédail  un ,  qu'il  a 
publié  dans  son  supplément  (3) ,  à  1'  appui  des  obser- 
vations  que  le  monument  lui  avait  déja  suggérées  (6); 
el  j'ajoute  que  celle  médaille  exisle  aussi  dans  ma 
coUection  ,  en  un  exemplaire,  un  peu  faligué  par  la 
circulation  antique,  mais,  du  reste,  encore  en  Irès 
bon  état.  Vous  en  jugerez,  mon  digneami,parrem- 
preinte  que  je  joins  à  cette  lettre ,  et  vous  pourrez 
complèter  les  deux  types,  dans  ce  qu'ils  peuvent  avoir 
de  défeclueux  sur  ma  médaille ,  au  moyen  de  l' era- 
preinle  de  celle  de  m.  Dupré.  Maintenant,  vous  pou- 
vez  aussi  juger  si  une  médaille ,  signalée  de  tant  de 
manière  ,  depuis  plus  de  vingt  ans  ,  et  connue  dans 


(1)  K.  OU.  Moller,  Monum.  de  l'Ari  antique,  1.  Pari.  pi.  XXX, 
n.  129.  J'ai  toujours  été  siipris  qu'Olt.  Miiller,  suivi  par  d'aulre» 
anliquaires ,  n'ait  voulu  voir  dans  celle  déesse  jeune ,  assise ,  la 
téle  eoiffée  d'un  casque,  le  sein  couvert  de  l'ègide,  qu'une  Déesse, 
probablement  appartcnant  à  une  certaine  contrée,  délermination 
si  vague,  au  lieu  d'y  reconnailie  lUinerve  assise,  contemplanl  les 
exploils  à'Berculc,  comme  on  la  voil,  assise  aussi,  dans  une  scène 
seniblable,  sur  lanl  de  vases  peints,  d'ancien  slyle. 

(2)  nronum.  inéd.  Odysséide,  p.  337,  vignelte,  n.  10,  el  p.  308, 
2.  3"ai  rappelé  celle  publication  dans  mes  Mévwir.  de  Numismat. 
p.  147,  2. 

(3)  Planche  HI,  n.  3. 

(4)  Miscellan.  Kumism.  t.  IV,  tab.  23,  fig.  IH. 

(5)  Supplém.  aux  ConMdérations  Florence,  1844  pi.  I,  n.  5,  p.7. 

(6)  Considerai,  sur  la  numism.  de  Vane.  Hai.  pag.  112-113. 
Millingen  regardait  ce  didrachme  comme  jusqxCà  présent  inédit  ; 
en  quoi  il  se  irouipaiv,  puisque  je  l'avais  publié  dix  ans  aupa- 
ravanl, 


—  141  -^ 


au  moìns  cinq  exemplaires  (1) ,  devalt  parai(rc  si  nou- 
Tfille ,  que  l'apparition  de  l'exemplaire  de  Métaponte 
fùt  considérée  corame  une  sorte  de  merveille  numi- 
smalique  ;  et ,  si  j'insiste  sur  cette  observalion  ,  c'est 
que  je  dois  croire  que  le  sentimenl  de  surprise  qu'clle 
a  excilé,  a  é(é  à  peu  près  general  parmi  vos  antiquai- 
res.  La  médaille  manque,  en  effet,  dans  le  i?c;)crtono 
Numismatico  de  M.  Gennaro  Riccio  ;  ce  qui  semble 
bien  indiquer  qu'elle  n'est  pas  encore  connue  dans  le 
royaume  de  Naples,  d'où  elle  eslpourlantoriginaire. 
Mais  ce  n'est  pas  pour  celle  seulereclification,  as- 
sez  peu  importanle  en  elle-mème,  que  j'ai  vouluap- 
peler  votre  allention  sur  celle  belle  médaille,  en  vous 
mellanl  à  mème  d'en  publier ,  dans  volre  excellenl 
journal,  un  dessin  qui  la  rcndra  familière  à  voscom- 
patrioles  ,  corame  elle  ménte  de  Tètre  ;  c'est  encore 
pour  une  circonslance  qui  n'a  pas  élé  signaléejusqu' 
ici,  Les  exemplaires  que  j'enaisouslamain,  permet- 
tent  en  effel  d'y  remarquer  deus  variétés,  dans  le  lype 
de  VHercuIe  assis.  Ainsi,  l'exemplaire  de  Métaponte, 
aussi  bien  que  celui  de  la  collcction  de  M.  Duprc  et 
le  mien  ,  monlrenl  Hercuìe  tenanl  son  scypìius  de  la 
main  droite,  tandis  que,  sur  l'exemplaire  de  M.  le  due 
de  Luynes  et  sur  celui  de  Millingen  ,  le  dieu  tieni  sa 
main  droite  étcndue,  la  paume  tournée  vcrs  la  terre. 
C'est  là  sans  conlredit  une  variante  assez  importante, 
que  je  m'explique  par  la  liberlé  doni  usaient  les  gra- 
veurs  des  monnaies  antiques,  lorsqu'ils  prenaient  pour 
type  quelque  statue  célèbre.  C'est  bien  en  efiet  le  mè- 
me monument,  et  sans  doute,  commeje  l'ai  suppose, 
r  Hercule  colossal  de  Lysippe  qui  a  servi  de  modèle 
pour  r  Hercule  de  nos  médailles ,  dans  les  deux  ma- 
nières  de  le  représenter;  et  c'est  bien  probablement 
aussi  le  mème  artiste  qui  a  exécuté  les  deux  types. 
Mais  il  ne  s'est  fait  aucun  scrupule  d'en  varier  légè- 
rement  l'attilude,  en  suppriraant,  dans  l'un  de  ces  ty- 
pes, le  vase  à  boire  qu'il  avait  admis  dans  l'autre;  et 
ce  trait  d' une  liberto ,  ordinaire  sans  doute  à  cette 


(1;  Je  De  parie  ici  que  des  exemplaires  qui  me  soni  connus. 
Mais  je  serais  surpris  si  la  médaille  ne  se  Iroiivail  pas  dans  la  ri- 
che  colleclion  de  mm.  Santangelo;  et  je  prend  la  liberlé  d'en  a- 
dresser  ici  la  questioa  à  mon  hooorable  ami,  Don  MicUelc. 


classe  d'artisles ,  ne  saurait  prouver  qu'il  ait  eu  sous 
les  yeux  deux  slatucs  dilTérenlcs. 

Quant  au  slyle  de  l'art  anquel  appartienncnt  nos 
médailles,  je  ne  saurais,  jel'avoue,  partager  l'opinion 
de  l'auteur  de  la  lettre ,  bien  qu'elle  soit  cerlaine- 
menl  ingénieuse,  et  exprimée  d'une  manière  brillante. 
Mais  la  téle  de  la  Minerve,  bien  que  d'un  caractère 
toul  à  fait  neuf  pour  lajeunesse,  la  pureléet  lagrace, 
ainsi  que  je  Tuvais  remarqué,  n'a  rien,  à  mon  avis , 
du  slyle  arcliaique  des  tètcs  de  ferames ,  des  médail- 
les de  Naples,  de  Vèlie  et  de  Terina.  La  figure  i' Her- 
cule du  revers  n'appartieni  pas  davantage  à  l'école  de 
Pbidias,  s'il  est  vrai,  corame  je  l'ai  suppose ,  que  ce 
soit  VHcrcule  de  Lysippe  (jui  ait  servi  de  modèle  h 
l'artiste.  Je  ne  puis  voir  non  plus,  dans  les  dcMo;  ^i//)es 
de  nos  médailles ,  deux  écoles,  deux  époques,  ni  deux 
artisles  qui  se  donnenl  la  main,  corame  le  fait  l'auteur 
de  la  lettre.  J'y  vois  un  seul  et  mèrae  monument 
numismalique,  ouvrage  d'im  seul  et  mème  artiste  , 
d'une  epoque  qui  ne  tieni  plus  auxtraditionsdu  slyle 
arcbai'que,  la  mème  epoque,  qui  produisit  les  belles 
médailles  A'Heraclée,  où  la  téle  de  Minerve,  type  Con- 
stant de  ces  médailles  de  tout  module,  est  toujours  cas- 
quée,  landisque,  sur  la  nolre,  par  une  exceplion  uni- 
que,  elle  est  nue  et  placée  sur  Yégide.  Getto  exceplion 
peutavoir  eu  lieu,  à  raison  d'unmolif  parliculicr,  de 
la  célébration  d'une  fète,  ou  de  tonte  autre  circon- 
slance, soit  religieuse,  soit  polilique;  maisjenetrou- 
ve  pas  dans  la  fabrique  et  dans  le  slyle ,  la  raison  de 
Vanlériorité  que  l'auteur  de  la  lettre  y  a  découverle. 
Loin  delà;  la  legende:  HPAKAEIillV,  n'offre,  dans  la 
forme  des  caractères,  aucun  sigue  d'archaisrae  ;  elle 
ressemble,  sous  le  rapport  paléograpbique,  à  la  plu- 
part  des  inscriptions  gravées  sur  les  beaux  médailles 
(T Héraclée;  et  c'est  là,  vous  en  conviendrez,  mon  di- 
gne  ami,  un  des  indices  les  plus  sùrs  d'après  lesquels 
on  puisse  se  guider,  dans  la  délermination  chronolo- 
gique  des  monuments  numismatiques. 

Millingen  a  fait  connaitre,  à  l'occasion  de  cette  mé- 
daille, une  autre  monnaie  d'Héraclée,  aussi  d'argent, 
et  du  plus  petit  module,  qui  offre,  d'un  coté,  la  mè- 
me téle  de  Minerve  nue  et  placée  sur  V ègide,  de  l'au- 
tre, un  vase,  de  forme  de  cantharus,  et  deux  globules. 


—  142  — 


sani  legende  (I);  cede  médaille  ,  du  cabinet  de  l'au- 
teur,  élait  inedite.  J'en  possedè  une  autre ,  pareille- 
ment  inédi(e,  et  méme  unique,  à  ma  connaissance,  dont 
je  vous  envoie  l'emprcinte ,  afln  que  vous  puissiez  la 
publier,  à  la  suite  du  didrachme  (v.  tav.  IX.  n.  15). 
Cette  obole  d'argent,  d'une  fabrique  charmante,  a  pour 
type  principal  la  mème  téle  de  Minerve  nue  ut placce  sur 
V ègide  (2),  et,  au  revers,  les  arrtxes  d'Hcrcule.Varcel 
la  massue,  sans  legende.  Il  n'est  pas  douteux  que  ces 
deux  oboles  d'un  style  et  d'une  fabrique  semblables, 
ii'apparlienneul  à  la  mènie  epoque  que  le  didrachme, 
et  que  leur  émission ,  si  remarquable  par  le  mème 
type  de  la  téle  de  Minerve,  n'ait  été  determinée  par  les 
mèmes  molifs.  C'est  là  sans  contredit  une  particulari- 
té  numismatique  neuve  et  curiense,  qui  ajoute  beau- 
coup  d'intérèt  à  cette  classe  toule  particulière  de  mé- 
dailles  à'Héraclée,  composée  jusqu'ici  du  didrachme 
et  des  deux  oboles.  Je  n'ai  pas  besoin  de  dire  que 
l'indication  de  ces  deux  peliles  médailles  manque  aussi 
dans  le  Repertorio  numismatico  de  M.  Gennaro  Riccio. 
Agréez,  mon  digne  ami  et  savant  confrère,  l'assu- 
rance  de  mes  sentiments  tout  dévoués. 

Raoul-Rocbette. 

Osservazioni  dell'  Editore  del  hdletlino  alla  tenera 
precedente. 

Ringraziando  il  mio  dottissimo  collega  ed  amico  Sig. 
Raoul-Rochette  per  la  importante  comunicazione  for- 
nitami colla  lettera  precedente  ,  mi  sia  lecito  fare 

(1)  Suppìém.  aux  Considérations  eie.  pi.  1,  n.  6,  p.  C. 

(2)  Sans  vouloir  élablir  de  comparaisoii  enlre  notre  didrachme 
A'Béraclée  el  les  monnaies  de  villes  du  Pont,  (elles  que  Cabira, 
Chabacta,  Comana,  Laodicée,  Amisus  et  Amaslris,  qui  ont  tou- 
tes  pour  type  principal,  l'ègide  ornée  au  ceiilre  d'une  tele  de  Me- 
duse, reuiplissanl  à  peu  près  loul  le  champ  de  la  médaille,  je 
dois  pourlant  signaler  cel  emploi  numismalique  de  Végide ,  fait 
sur  des  monnaies,  conleinporalnes  de  Milhridate ,  el  devenu  fami- 
lier  aux  peuples  de  l'Ilalie  centrale,  ainsi  qu'on  en  a  un  excmple 
dans  le  lombeau  des  Volumnil,  Vormiglioli,  il  Sepolcro  dei  Volunni 
Perugia,  18i2,  4,  lav.  Il;  voy.  au  sujel  de  ce  symbole  ,  mes  ob- 
servaiions  dans  le  Journ.  des  Savants,  octobre  1813,  pag.  606. 
L'emplùi  de  fégide,  comme  lype  numismatique,  avail  été  d'aiUeurs 
connu  des  Greca  de  la  belle  epoque,  lénioin  la  jolie  médaille  d'or 
de  Syracuse!,  dont  la  face  du  revers  est  remplie  presque  loute 
calière  par  Végide,  disposée  circulairement,  comme  sur  notre  mé- 
daille à'Béraclée,  Torremuzza,  Siciliae  veler.  Nummi,  lab.  LXVllI, 
n.  19,  20. 


sulla  stessa  qualche  breve  osservazione.  L' illustre  ar- 
cheologo, richiamando  le  pubblicazioni  già  fatte , di 
quel  raro  didramma  di  Eraclea ,  vuol  dedurre  dalle 
espressioni  della  lettera  da  lui  riferite ,  e  da  altre  ra- 
gioni diverse,  che  la  medaglia  fosse  sconosciuta  agli 
antiquarii  napoletani.  Su  di  che  debbo  osservare,  che 
appena  se  ne  parlò  fra  noi,  fu  ricordata  la  pubblica- 
zione del  Millingen  e  quella  del  Sig.  duca  di  Luynes, 
da  quei  numismatici  ed  archeologi ,  che  sogliono  te- 
nersi al  corrente  della  scienza,  i  quali  sono  pochi  pres- 
so tutte  le  nazioni.  E  certamente,  ove  alcun  di  costo- 
ro ne  avesse  tenuto  ragionamento,  non  avrebbe  omes- 
so di  rammentare  la  pubblicazione  fattane  prima  d'o- 
gni altro  dal  Sig.  Raoul-Rochette. 

Né  alcuna  pruova  può  ricavarsi  iu  contrario  dal  non 
vedersi  riportata  la  medaglia  nel  repertorio  numisma- 
tico  del  Sig.  Riccio;  giacché  questa  opera  si  risente 
alquanto  della  fretta  con  che  venne  pubblicata:  e  sia- 
mo sicuri  che  il  eh.  autore  in  una  novella  edizione,  piìi 
lentamente  eseguita,  farebbe  sparire  le  imperfezioni  che 
vi  si  scorgono.  Del  resto  non  deve  far  maraviglia  che 
r  autor  della  lettera  ritenesse  come  inedita  una  meda- 
glia molto  rara  ,  e  che  non  esiste  in  Napoli  in  alcuna 
privala  o  pubblica  collezione  ;  se  Io  stesso  insigne  nu- 
mismatico Sig.   Millingen  la  pubblicò  come  inedita  , 
non  tenendo  presente  la  primiera  pubblicazione  del- 
l'archeologo  francese,  il  quale  ora  ha  giustamente  ri- 
vendicata la  sua  priorità.  Intanto  la  rarità  della  mone- 
ta è  avvertita  dallo  stesso  Sig.  Raoul-Rochelte,  il  qua- 
le in  un  suo  precedente  lavoro  si  esprimeva  in  tal  gui- 
sa :  dont  les  exemplaires  sont  si  rares  fmém.  de  nu- 
mism.  et  d'antiq.  pag.  147  not.  2);  ed  ora  non  pos- 
sono ricordarsene  più  di  cinque  esemplari,  de' quali, 
la  maggior  parte  di  mediocre  conservazione.  Questa 
rarità  vieppiù  si  rileva  dal  veder  che  manca  alle  più 
ricche  collezioni  numismatiche  del  nostro  paese,  come 
sono  quelle  del  real  museo  Rorbonico  ,  e  de'  Signori 
Santangelo.  E  ciò  spiega  e  giustiflca  l' entusiasmo  del- 
l'autor  della  lettera,  tanto  più  che  trattavasidi  un  e- 
semplare  di  bellissima  fabbrica  e  di  perfetta  conser- 
vazione. Ora  la  medaglia  rinvenuta  a  Metaponto  è 
posseduta  dal  Sig.  Raffaele  Barone,  ed  è  questa  ap- 
punto che  noi  abbiamo  credulo  opportuno  di  pub- 


—  143  — 


blicare,  piuttosto  che  le  altre  meno  conservate,  le 
quali  erano  pure  già  conosciute  per  altre  pubblica- 
zioni. Col  nuovo  esemplare  che  noi  diamo  inciso  nel 
num.  18  della  nostra  tavola  IX,  crediamo  di  far  co- 
sa giata  a' numismatici,  i  quali  formar  non  potevansi 
la  vera  idea  di  questa  interessante  medaglia  dalle  an- 
tecedenli  pubblicazioni.  Di  falli  ora  sollanloci  è  dato 
di  ammirare  la  bellezza  del  lavoro  del  didramma  di 
Eraclea  ;  ora  sollanlo  vi  si  mostrano  certe  particolari- 
tà, che  negli  altri  esemplari  non  erano  affallo  visibili. 

E  qui  mi  permeilo  di  osservare  che  la  distinzione 
fra  le  due  varielà  del  tipo  del  rovescio,  ove  Ercole 
or  si  vegga  collo  scifo  ed  ora  semplicemente  colla 
mano  dislesa,  non  mi  sembra  sufDcienlemenle  auto- 
rizzala. 

Il  sig.  Raoul-Rochelle  desume  questa  varietà  di  li- 
po  dalla  medaglia  del  Sig.  Duca  di  Luynes  e  da  quel- 
la del  Millingen.  Ma  a  noi  sembra  che  la  poca  con- 
servazione di  quegli  esemplari  abbia  fallo  quasi  spari- 
re lo  scifo  dalla  mano  di  Alcide ,  e  non  già  che  non 
sievi  slato  scolpilo  giammai.  La  medesima  posizione  in 
tutti  gli  esemplari  finora  conosciuti  non  può  non  con- 
durci a  pensare  che  debba  riconoscersi  in  essi  l'azione 
stessa  effigiala.  Tanlo  più  siamo  di  ciò  convinti,  quan- 
do consideriamo  che  le  tracce  dello  scifo  apparir  deb- 
bono senza  alcun  dubbio  nell'esemplare  posseduto  dal 
Sig.  Duca  di  Luynes ,  giacché  lo  slesso  Raoul-Ro- 
chelle riporloUo  nella  mano  di  Ercole ,  quando  ne 
fece  la  prima  pubblicazione  [mon.  incd.  pag.  3.37  vi- 
gnetta n.  10).  Riterremo  dunque  identico  il  tipo  del 
rovescio  in  tulli  gli  esemplari  finora  conosciuti  :  e  così 
sarà  distrutta  una  difficollà  alla  ingegnosa  e  probabi- 
lissima opinione  dell'archeologo  francese,  che  sia  tratto 
quel  tipo  dalla  famosa  statua  colossale  di  Lisippo,  e- 
relta  sulla  pubblica  piazza  di  Taranto. 

In  quaiìto  alla  monetina  del  Sig.  Raoul-Rochetle 
da  noi  pubblicata  al  n.  15  della  suddetta  tavola  IX , 
avvertiamo  che  essa  non  è  unica,  sebbene  sia  del  più 
elegante  lavoro.  Due  altri  esemplari  ne  avevamo  os- 
servati nella  insigne  raccolta  Santangelo,  e  dobbiamo 
alla  cortesia  del  cav.  D.  Michele  la  facoltà  di  pubbli- 
carne i  disegni  ne' n.  16  e  17  della  medesima  tavola. 
La  bellezza  di  queste  monetine  ,  e  specialmente  di 


quella  posseduta  dal  Sig.  Raoul-Rochelle,  non  sarà 
sufficientemente  ritraila  da  una  incisione ,  quanto  si 
voglia  diligente  ed  accurata. 

Sulle  monetine  della  collezione  Santangelo  appari- 
scono cinque  globelti ,  e  forse  allrellanli  ve  n'  erano 
in  origine  anche  nell' esemplare  del  Sig.  Raoul-Ro- 
chelle, ove  ora  non  se  ne  veggono  che  due  soli. 

L' altra  monetina  pubblicala  dal  Millingen  con  la 
testa  di  Pallade  nell'  egida,  ed  al  rovescio  la  diota  , 
non  fu  ignota  all'Avellino,  che  la  descrisse  sotto  Ta- 
ranto ,  prendendo  per  marine  onde  i  serpenti  (  luil. 
vet.  iiìnn.  Sìippl.  p.  41  n.  820),  né  al  Carelli,  il  quale 
la  collocò  pure  fralle  Tarantine  (lab.  CXVIII  n.  3  i2: 
vedi  ora  la  pag.  01  num.  73."j  nella  ediz.  di  Lipsia). 
Dopo  il  confronto  della  grande  moneta  di  Eraclea  non 
è  però  da  dubitare  che  a  queste  piccole  medagliuzze 
assegnar  si  deggia  la  medesima  attribuzione;  siccome 
fecero  il  Millingen  ed  il  Raoul-Rochelle. 

Noi  seguiamo  perfettamente  l'archeologo  francese 
nel  ritenere  per  Minerva  la  testa  femminile  del  ritto; 
ed  oltre  i  confronti  da  lui  citati  per  le  simili  forme  di 
quella  divinità,  non  sono  neppure  da  tralasciare  le 
pitture  de'  vasi,  tra  le  quaU  ne  fu  da  noi  pubblicata 
una  nella  tav.  VI.  del  1.  anno  di  questo  buUellino  : 
vedi  la  pag.  134.  Ivi  ricordammo  la  Minerva  esegui- 
ta da  Fidia  pe'  Lennii,  la  quale  probabilmente  aveva 
forme  gentili  e  graziose  piuttosto  che  eroiche  e  guer- 
riere ,  per  lo  che  era  appellala  colla  denominazione 
di  Ka.yJki'xop^'JS. 

In  quanto  allo  stile  ed  all'epoca  di  lutti  questi  im- 
portanti monumenti  numismatici ,  ci  proponiamo  di 
presentar  qualche  particolare  avvertenza  in  altra  occa- 
sione; dichiarando  sin  da  questo  momento  che  essi  ap- 
partengono ad  una  delle  più  belle  epoche  dell'  arte  , 
e  che  a  ben  considerarne  il  lavoro,  non  possono  attri- 
buirsi i  due  tipi  del  didramma,  che  ad  un  solo  artista. 

MliNERVlM. 

Memoria  della  imperatrice  Salonina  in  S.  Maria. 

In  questi  ultimi  giorni  di  Aprile  nel  restaurare  un 
compreso  messo  alle  spalle  della  chiesa  di  S.  Agostino 
distante  uu  terzo  di  miglio  da  S.  Maria,  e  poco  lungi 


—  144  ~ 


dall'arco  di  Capua,  s'imballerono  i  muratori  ne'rude- 
ri  di  un  antico*  edifizio.  Io  ebbi  la  occasione  di  osser- 
var questi  ruderi,  in  compagnia  de' miei  eh.  colleghi 
componenti  la  commissione  di  antichità  e  belle  arti. 
Miste  ad  altra  più  moderna  costruzione  ,  ed  in  parte 
da  quella  ricoperte,  apparivano  tracce  delle  antiche 
pareti,  sulle  quali  vedesi  conservato  l'intonico.  Nello 
stato  attuale  nulla  può  diffinirsi  sulla  costruzione  an- 
tica, la  quale  è  pressoché  tutta  nascosta  dalle  più  re- 
centi fabbriche.  Quel  che  richiamò  particolarmen- 
te la  nostra  attenzione  è  un  pavimento  ,  che  hbera- 
to  dalle  terre  che  il  ricoprivano  ,  si  addimostrava 
ornato  di  lastre  di  marmo  di  svariati  colori ,  ed  ele- 
gantemente disposte  in  guisa  da  formare  differenti  la- 
vori. Questo  pavimento  fu  in  altra  epoca  grossamente 
restaurato  con  pezzi  di  marmo  bianco  di  irregolare 
figura,  tra'quali  appariscono  taluni  frammenti  d'iscri- 
zioni, ove  sol  poche  lettere  sono  visibili.  Non  possia- 
mo però  trattenerci  dal  riferire  un  frammento  di  epi- 
grafe concernente  alla  imperatrice  Salonina  messo  e- 
gualmenle  in  opera  su  quel  pavimento. 
Esso  dice  così  : 


CONIVGID  N  IMP- 
GALLIENI  •  AVG 


ed  è  il  Gnimento  della  lapida  ,  la  quale  è  una  lastra 
di  marmo  fregiata  intorno  intorno  da  una  piccola  cor- 
nice. 

Sono  assai  rare  fra  noi  le  memorie  della  detta  im- 
peratrice; e  forse  non  potrà  additarsene  altra,  se  non 
che  una  colonnetta  rinvenuta  in  Alina,  ove  si  legge 


CORNELIAE 
SALO!\INAE 
AVG 


non  lascia  di  esser  dubbiosa  (Mommsen  inscr.  r.  neap. 
lat.  n.  4543  ).  Sicché  la  nostra  epigrafe  sarebbe  la 
sola  certa  relativa  a  quell'Augusta  in  tutto  il  regno  di 
Napoli.  Potrebbe  supporsi  che  questa  lapida  avesse 
relazione  al  monumento  antico,  presso  del  quale  si  è 
ritrovata  :  ma  dopo  tante  mutazioni  nulla  oseremmo 
asserire  di  certo.  È  però  fuori  di  dubbio  che  quella 
lastra  di  marmo  appartenne  ad  un  edifizio,  o  al  pie- 
destallo di  una  statua  eretta  in  onore  di  quella  im- 
peratrice. 

In  questi  ultimi  tempi  si  è  sostenuto  che  la  mo- 
glie di  Gallieno  è  stata  cristiana ,  principalmente  dal 
mio  eh.  amico  Sig.  Cav.  de  Witte,con  due  differenti 
lavori,  il  primo  intitolato  mémoire  sur  l'impéralrice 
Salonine  Bruxelles.  1832  ,  inserito  nel  voi.  XX  del- 
le memorie  della  reale  Accademia  del  Belgio  ;  il  se- 
condo de  quelques  Impérairices  Romaines  avant  Con- 
stanlin  Paris  1853  in  4.  estratto  dal  tom.  III.  delle 
mélanges  d'  archeologie.  Abbenchè  applaudiamo  vo- 
lentieri all'  ingegno  ed  alla  dottrina  del  eh.  autore, 
pure  confessiamo  di  non  essere  rimasti  pienamente 
convinti  delle  sue  dimostrazioni,  le  quali  vanno  sog- 
gette a  non  poche  difficoltà. 

Ma  non  è  qui  il  luogo  di  entrare  in  questa  discus- 
sione :  bastandoci  di  aver  segnalato  una  nuova  me- 
moria di  Salonina  le  cui  particolari  relazioni  colla 
Campania  non  sono  da  noi  conosciute.  Ricordiamo 
soltanto  che  quando  per  intercessione  di  quella  Au- 
gusta fu  conceduto  al  filosofo  Plotino  di  stabilire  una 
città  col  regime  della  repubblica  di  Platone,  che  ap- 
pellar si  dovea  Platonopolis,  il  sito  trascelto  a  tale  og- 
getto fu  appunto  la  Campania  (vedi  Porfirio  vit.  Pla- 
tini XII.  ed.  Creuzer)  :  sebbene  da  questo  fatto  nulla 
vogliamo  dedurre  a  speciale  illustrazione  del  nuovo 
monumento. 


MlNERVINI. 


secondo  la  lezione  del  Dionigia ,  la  qaale  per  altro 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtàueo. 


BUlLETTmO  ARCnEOLOGICO  MPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 
A^.M5.     (21.  deiranno  II.)  Maggio  1854. 


Notizia  de  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Continuazione  del  n.  40. — Epoca  del  consolare  della  Campania  Valerio 
Ermonio  Massimo  —  Lettera  del  eh.  sig.  A.  Gercasio  all'  editore  del  presente  ballettino,  con  osservazioni  del 
Conte  Borghesi. —  Iscrizioni  latine.  Continuazione  del  n.  45. 


Notizia  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei. 
Continuazione  del  n.  40. 

Riserbandomi  di  parlare  degli  oggetti  ritrovali  in 
altre  bottegiie  della  strada  Stabiana  ;  ragionerò  por 
ora  di  un  pubblico  ediGzio  ivi  esistente  ed  in  parte 
scavalo,  di  cui  speriamo  vedere  al  più  presto  finito  il 
disgombro.  Si  tratta  di  altre  terme  pompejane  :  cosa 
che  doveva  facilmente  attendersi  in  una  città  cosi 
ricca  e  popolosa  ,  come  fu  l'antica  Pompei ,  al  cui 
uso  certamente  non  poteva  esser  bastevole  l' edificio 
delle  terme  finora  conosciuto.  Noi  crediamo  impor- 
tante dar  la  notizia  di  ciò  che  fino  a  questo  mo- 
mento si  è  scoperto  de' nuovi  bagni,  esposti  appunto 
alla  stessa  strada  di  Stabia ,  la  quale  è  stata  feconda 
di  sì  interessanti  ritrovamenti. 

A  sinistra  discendendo  per  quella  via  s' incontra 
un'apertura  ,  o  il  fronte  di  un  edifizio  ,  con  due  la- 
terali pilastrini  di  tufo  di  Nocera ,  e  sopra  una  sem- 
plice cornice.  Questa  entrata  ,  segnata  ora  col  num. 
72,  metteva  in  un  gran  corridojo  colle  mura  ricoper- 
te d'intouico,  il  quale  è  ancora  interrato.  Dopo  pochi 
palmi  dall'entrata,  è  nel  muro  laterale  sinistro  prat- 
ticata  una  grande  apertura ,  che  mette  in  un  vasto  e 
rozzo  compreso ,  non  ancora  del  tutto  disotlerrato. 
Nel  muro  laterale  sinistro  di  questo  compreso  vedesi 
sporgere  un  masso  di  fabbrica  di  tufo  e  mattoni,  del 
quale  è  incerta  la  destinazione.  A  questo  compreso  si 
accede  pur  dalla  strada ,  mercè  una  grande  apertura 
segnata  ora  col  n.  73.  Da  quel  medesimo  compreso 
si  accedeva  ,  per  altra  apertura  nel  muro  laterale  si» 
nistro  ,  ad  una  piccola  e  rozza  stanza  ,  ancora  pres- 
soché tutta  ricoperta  dalle  terre:  ed  alla  strada  è  prat- 
ijcata  una  finestra  per  darvi  luce,  Dopo  alcuni  palmi 

4f>N0    II. 


vedesi  il  marciapiede  interrotto  da  un  corpo  avanzalo 
di  fabbrica,  formato  in  parte  di  mattoni,  che  si  esten- 
de nel  suo  lato  più  breve  per  circa  otto  palmi.  Su 
questa  sporgenza  di  otto  palmi  è  prallicala  un'aper- 
tura segnata  col  num.  7o  ,  la  quale  conduce  ad  un 
vasto  corridojo  ;  e  questo  prendeva  luce  dalla  strada 
mercè  un'ampia  finestra  rettangolare,  munita  forse  in 
origine  di  cancellata  di  ferro,  la  quale  però  attualmente 
non  apparisce. 

Verso  la  strada  era  anticamente  un'  altro  ingresso 
ornato  di  architettura  simile  all'  ingresso  num.  72  ; 
ma  questo  fu  da' medesimi  Pompejani  murato  per 
le  posteriori  esigenze  :  ed  è  quello,  ove  fu  da  noi  letto 
il  programma  P  •  FVR  •  II  •  V  •  VB  •  (mon.)  O  • 
VF  •  (mon.).  Molte  aperture  si  veggono,  le  quali 
servivano  a  dar  lume  e  ventilazione  all'  interno  del- 
l'edilìzio: sono  esse  due  finestrine ,  e  due  altre  fine- 
stre rettangolari ,  le  quali  si  veggono  ancora  munite 
di  cancellate  di  ferro  in  gran  parte  ossidate  e  distrutte. 
Sul  marciapiede  è  un  masso  di  fabbrica  costruito  di 
tufo  e  mattoni ,  che  sporge  un  cinque  palmi  all'  in- 
circa. Non  sapremmo  se  offra  nel  mezzo  una  cavità 
rettangolare,  e  se  avesse  alla  base  comunicazione  con 
conserve  di  acqua,  o  con  canali  sottoposti:  il  che  po- 
trebbe farcela  prendere  per  una  cisterna  addetta  al- 
l' uso  delle  Terme.  Sarà  questo  chiarito  dalle  ulte- 
riori scavazioni.  Poco  prima  di  giungere  all'  angolo 
della  strada,  appare  la  entrata  segnata  col  num.  85  , 
da  cui  si  penetra  nella  parte  principale  dell' edifizio, 
la  quale  non  è  ancora  libera  dalle  terre.   La  prima 
stanza  è  una  specie  di  corridojo  rettangolare,  nel  cui 
giro  è  un  sedile  di  fabbrica  non  ancora  interamente 
scoverto:  e  vedesi  al  disopra  di  questo  sedile  una  fa- 
spia  di  rosso,  quasi  uao  zoccolo,  e  tutto  il  rimanente 

21 


1Ì6 


de' muri  è  ricoperto  di  bianco  iutonlco.  Dal  muro  la- 
terale destro,  mercè  una  piccola  apertura,  si  discende 
in  un  lungo  corridojo,  quello  stesso  a  cui  si  aveva  ori- 
ginariamenle  l'ingresso  dalla  strada,  che  come  innanzi 
avvertimmo ,  fu  posteriormente  murato  ;  e  da  questa 
parte  ancora  si  discendeva,  mercè  una  rozza  scala  di 
scalini  bassi  ma  larghi.  Il  descritto  corridojo  è  coperto 
a  volta  mollo  alta,  e  nel  muro  sinistro  vedesi  fabbricalo 
un  fornello  :  i  muri  sono  rozzi.  Non  essendo  ancora 
disotterrato  in  tutta  la  sua  lunghezza,  non  può  giudicarsi 
se  avesse  comunicazione  col  corpo  avanzato  da  noi  so- 
pra descritto,  siccome  pare  probabile;  non  costituendo 
che  uu  lato  del  medesimo  edifizio.  Riuscendo  nella 
stanza  col  sedile  precedentemente  descritta ,  è  nel  muro 
di  fronte  praticata  una  grande  apertura,  la  quale  in- 
troduce in  una  vasta  e  spaziosa  sala ,  di  cui  restano 
a  scopirsi  circa  tre  palmi  per  giungere  al  pavimento: 
è  questa  larga  palmi  27,5  ,  e  lunga  palmi  43.  Aveva 
la  coverlura  a  volta ,  la  quale  ora  è  nella  massima 
parte  caduta.  Vedesi  questa  sala  divisa  in  tre  diffe- 
renti zone  mercè  due  archi  paralleli  alla  volta,  i  quali 
5ono  in  parie  conservati.  Intorno  si  eleva  dal  suolo 
un  sedile  simile  a  quello  della  stanza  precedente,  ri- 
vcslito  nella  sua  superficie  superiore  di  opera  signina: 
al  di  sopra  di  questo  sedile  è  lo  zoccolo  rosso  ,  e  poi 
tutto  il  rimanente  di  bianco  intonico ,  vedevasi  la 
.parte  più  elevata  adorna  di  stucchi  di  buono  stile , 
benché  di  meno  accurato  lavoro.  Nel  muro  opposto 
all'  entrata  vedonsi  alcune  figure  in  varii  scomparti- 
menti formati  di  capricciosi  e  graziosissimi  rabeschi 
ed  architettonici  ornamenti.  Nel  muro,  al  di  sopra  di 
un  fabbricalo  con  due  aperture  visibili  ,  e  figurando 
forse  un  indietro ,  appaiisce  la  metà  inferiore  di  una 
figura  nuda  presso  alla  delfica  cortina  fregiata  di  te- 
nie intrecciate  (ofx^aXòs  rsraina/ia/cos).  A'  due  lati  in 
due  quadri  sono  due  Amorini,  che  guidano  un  delfi- 
no ;  e  più  esternamente  due  figure  virili  nude  sopra 
un  piedestallo,  vedute  di  profilo,  ciascuna  delle  quali 
tiene  colla  destra  un  piattello  con  frulli,  e  tira  alquanto 
la  clamide  colla  sinistra.  La  parte  più  elevala  di  que- 
sti stucchi  è  quasi  interamente  rosao  caduta.  La  volta 
della  prima  zona  è  ornata  di  diversi  rosoni  collocati 
in  varii  scompartimenti ,  o  casscttcni  :  e  svariati  or- 


namenti fregiano  pure  i  due  archi  che  distinguono  la 
sala.  Ove  comincia  la  curvatura  degli  archi ,  e  della 
volta,  ricorre  una  linea  di  paimette  e  caulicoli ,  che 
si  estende  per  lutto  il  circuito  della  stanza.  La  secon- 
da zona  presenta  a  sinistra  cinque  di  quelle  niccJiie 
rettangolari,  che  compariscono  pure  nella  sala  corri^ 
spondente  delle  altre  terme  porapejane  ,  le  quali  qui 
veggonsi  collocate  sopra  di  un  cornicione  quasi  ad  al- 
tezza d' uomo  sporgente  dal  muro  ;  ed  a  destra  è  un' 
apertura,  che  dà  l'ingresso  in  altre  parli  dell'edifizio, 
siccome  diremo. 

La  parte  conservala  della  volta  offre  a  sinistra  tre 
rosoni  alternali  da  due  Amorini  con  clamidi  svolaz- 
zanti; e  più  sopra  cinque  rosoni  in  tanti  diversi  scom- 
partimenti: tutto  il  resto  è  perduto,  come  pure  la  parte 
destra  che  interamente  crollata. 

La  terza  zona  della  sala  offre  d'ambi  i  lati  le  stesse 
nicchie  rettangolari  sopra  un  cornicione  sporgente 
dal  muro  :  quattro  se  ne  veggono  a  sinistra  cinque  a 
destra.  Gli  ornali  di  questa  terza  ed  ultima  zona  sono 
anche  più  interessanti.  Nel  muro  a  sinistra  ,  ove  co- 
mincia la  curvatura  della  volta,  veggonsi  unicamente 
conservati  due  ordini  di  cassettoni ,  o  scompartimenti 
multilinei:  nel  primo  ordine  vedi  tre  scompartimenti 
con  un  semplice  trofeo  di  armi  composto  di  due  scu- 
di e  di  due  giavellotti;  questi  si  alternano  con  due  al- 
tri scompartimenti,  ove  sono  donne  seminude  danzanti 
con  simboli  incerti:  nel  secondo  ordine  miransi  del 
pari  cinque  scompartimenti  ;  nel  primo  è  un  Satiro 
con  nebride  e  corona,  il  quale  in  agitato  movimento 
tien  colla  destra  un  corno  potorio,  o  rhyton,  e  solle- 
va colla  sinistra  una  cesta  con  fiori  e  frutta  ,  nel  se- 
condo è  un  trofeo  d' armi  composto  di  alcuni  giavel- 
lotti, di  una  bipenne,  di  un  parazonio,  e  di  varii  scu- 
di, fra'  quali  ve  n'ha  uno  coU'emblema  di  uno  scor- 
pione (1);  nel  terzo  è  una  figura  virile  in  parte  per- 
duta ;  nel  quarto  altro  trofeo  di  armi  presso  a  poco 
simile  al  precedente,  a  cui  vi  si  aggiugne  pure  un  ma- 
rino simbolo ,  simile  all'  ornamento  superiore  di  una 
prora  ;  finalmente  nel  quinto  vedi  la  parte  inferiore 
d'una  figura  virile,  essendo  la  superiore  perduta.  Al 

(1)  Di  questo  embletn.i  vedi  il  sig.  Fuchs  de  ratione  qnam  vel. 
arlif.  eie.  iix  cUpeis  imag.  cxorn.  adiiibuerint  pag.  2y-30. 


—  147  — 


lalo  destro  della  volta  appariscono  io  parte  tre  ordini 
di  cassettoni ,  con  variati  bassirilievi.  Nel  primo  or- 
dine sono  cinque  scompartimenti,  tre  de' quali  presen- 
tano gli  stessi  trofei,  che.  miransi  dall'altro  lato,  com- 
posti di  scudi  e  giavellotti  ;  gli  altri  due  ci  offrono  il 
primo  una  figura  incerta  con  clamide  svolazzante  che 
è  nell'atto  di  suonar  la  cetra,  ed  il  secondo  un  Satiro 
cbe  tiene  colla  destra  un'asticciuola  o  tirso,  colla  si- 
nistra una  seccliia.  Nel  secondo  ordine  sono  ora  visi- 
bili tre  soli  de' cinque  scompartimenti,  cbe  vi  erano 
in  origine  :  nel  primo  è  una  donna  coronala  di  fiori , 
e  colla  metà  superiore  del  corpo  nuda,  la(jualein  un 
peplo,  ch'ella  distende  con  ambe  le  mani,  tiene  molli 
fiori ,  volgendo  la  testa  a  sinistra. 

Non  ci  sembra  da  dubitare  che  sia  da  ravvisare  in 
questo  bassorilievo  una  Flora  ,  tutta  adorna  di  fiori 
nel  capo  e  nel  grembo.  Nel  secondo  scompartimento 
è  pure  un  trofeo  di  armi  simile  a  quello  dell'altro  la- 
to, non  eccettuato  lo  scudo  con  l'emblema  dello  scor- 
pione. Nel  terzo  scompartimento  vi  è  porzione  di  una 
figura  nuda,  che  sembra  di  Amore,  essendo  il  rima- 
nente perduto.  Nel  terzo  ordine  altro  non  apparisce 
cbe  un  solo  scompartimento  con  un  trofeo  composto 
di  un  elmo  con  paragnatidi,  di  scudi,  giavellotti,  e  vi 
appare  ancora  lo  stesso  ornamento  della  prora. 

Nel  muro  di  fronte  alla  entrata  di  questa  sala  ve- 
dasi praticato  un  arco  più  ristretto,  che  dà  l'ingresso 
ad  una  sala  meno  ampia,  e  solo  in  parte  scoperta, 
della  quale  diremo  tra  poco.  Nello  stesso  muro  di 
fronte  veggonsi  non  pochi  lavori  di  stucco,  alcuni  de' 
quali  benissimo  conservati,  e  non  vi  è  che  pochissima 
simmetria.  Fra  graziosi  scompartimenti  di  svelte  e 
capricciose  architetture  miransi  alcune  figure:  più  in 
alto  è  una  alata  Vittoria  con  lunga  tunica  ,  la  quale 
sostiene  un  panneggio  :  più  sotto  è  un  Amore  alalo 
e  con  clamide ,  che  sospende  ad  una  capricciosa  co- 
lónna un  festone  tenendo  colla  sinistra  una  tenia  svo- 
lazzante. Segue  una  specie  di  tempietto  sormontato 
da  un  disco,  coH'ornamento  di  un  bucranio  con  tenie 
pendenti;  e  sotto  vi  si  vede  un  Satiro  nudo  con  nebri- 
de, poggiante  sopra  un  piedestallo  ,  e  tenendo  colla 
destra  Io  scudo,  colla  sinistra  un  piattello  con  frutta. 
Sopra  l'arco,  che  dà  ingresso  alla  seconda  stanza,  vtdi 


un  uomo  nudo  barbalo ,  sedente  quasi  sdrajato  a  si- 
nistra sulla  sua  clamide.  In  questa  figura  ,  la  più  vi- 
sibile di  tutte  le  altre,  abbenchè  manchi  di  qualunque 
simbolo  ,  parmi  doversi  riconoscere  una  divinità  flu- 
viatile o  marina. 

Dall'altro  lato  è  un  panneggio  disteso  nell'alto;  e 
poi  più  giù  un  altro  Amorino  ,  che  sospende  ad  una 
porzione  di  un  capriccioso  edificio  un  festone ,  ed  ha 
pure  colla  manca  una  tenia  svolazzante,  come  l'Amore 
di  sopra  descritto,  col  quale  fa  simmehia,  trovandosi 
alle  due  estremità  di  quella  parete.  Pria  di  terminar 
la  descrizione  di  questa  prima  sala  ,  fa  d  uopo  notare 
cbe  nella  faccia  esterna  del  primo  arco,  alla  parte  si- 
nistra, vedesi  una  figura  di  donna  alala,  seminuda,  e 
quasi  sedente,  ricoperta  nella  metà  inferiore  del  corpo 
da  un  tenue  panno ,   la  quale  prende  colla  destra  uu 
fogliame,  colla  sinistra  una  curva  a  guisa  di  voluta, 
in  che  finisce  la  coda  di  un  delfino.  Questa  figura  è 
mancante  nella  sua  parte  superiore.  Nella  opposta 
faccia  di  questo  medesimo  arco  apparisce  una  simile 
figura  interamente  nuda,  e  più  sollevata,  che  tiene  e- 
gualmente  un  simile  fogliame,  ed  un  simiglianle  del- 
fino: non  si  veggono  le  ali. 

Due  altre  simili  figure ,  ma  ricoperte  in  parte  da 
un  panno  ,  come  la  prima  ,  ornano  le  due  facce  del 
secondo  arco:  con  questa  differenza  che  in  parte  man- 
cante è  quella  delia  faccia  esterna ,  e  conservatissima 
l'altra  della  opposta,  apparendo  assai  bene  le  ali.  In 
tutte  queste  alate  donne,  messe  in  rapporto  di'l  mari- 
no simbolo  del  delfino,  pare  doversi  riconoscere  \it- 
torie  navali ,  al  che  accennano  per  avventura  i  trofei 
sopra  descritti,  in  alcuni  de' quali  si  veggono  altresì 
simboli  marittimi.  Sembra  che  altre  quattro  Villorie 
somiglianti  fregiar  dovessero  le  facce  degli  archi  al 
destro  lato  della  sala  ;  ma  ora  non  se  ne  vede  alcuna 
traccia,  essendo  caduto  il  muro  o  gli  sliicclii. 

Più  accurati  e  graziosi  sono  gli  ornamenti  della  più 
piccola  sala  ,  che  viene  in  conlinuazionc  :  le  pareti 
sono  rosse,  distinte  da  fasce  ed  ornati  di  varii  colori. 
La  volta  adorna  di  stucchi  colorati  merita  una  parti- 
colare considerazione ,  e  doveva  in  antico  presentare 
un  effetto  maraviglioso  :  è  un  complesso  di  cerchi,  e 
di  figure  ottagone  composte  di  segmenti  di  cerchio 


—  148  — 


concavi  all'eslerno:  i  cerchi  offrono  diversi  ornamea li 
«Ji  nero,  di  giallo,  e  di  rosso;  e  nel  fondo  azzurro  si 
vede  in  ognuno  qualche  figura  a  bassorilievo.  Così 
parimenti  gli  ottagoni  presentano  intorno  una  fascia 
rossa  ,  limitata  da  due  regoletti  di  colore  più  chiaro, 
e  nel  fondo  oscuro  è  osservabile  un  bassorilievo  di 
bianco  stucco.  Tutti  quei  cerchi  ed  ottagoni  sono  fra 
loro  intrecciati  e  congiunti  mercè  di  fasce  azzurre  o 
rosse  ;  e  tutto  è  lapezzato  di  fiori ,  che  in  antico  of- 
frir dovevano  una  mirabile  vivacità:  come  rilevasi  da 
alcuni  più  conservati.  Nelle  figure  ettagone  o  circo- 
lari si  osservano  conchiglie,  delfini,  augelli  acquatici, 
aquile  tenenti  una  benda  fra  gli  artigli  e  col  becco , 
cervi  fuggenti ,  Amorini  ora  volti  di  schiena  ,  ora 
curvi  innanzi ,  varii  marini  mostri  or  con  testa  di  a- 
riete,  ora  con  testa  di  drago,  gamberi,  ed  altri  sog- 
getti incerti  per  essere  roso  o  caduto  lo  stucco.  Tra 
queste  figurine  di  più  piccole  dimensioni  ve  ne  ha  due 
inferamente  di  bianco ,  una  a  destra  e  l' altra  a  sini- 
stra ,  che  occupano  uno  spazio  maggiore.  A  destra 
vedi  una  figura  femminile  seminuda  e  coronata ,  la 
quale  tira  alquanto  la  veste  sulla  destra  spalla,  e  tien 
con  la  sinistra  un  disco  u  scudo  ,  sul  quale  appare 
una  immaginetta.  A  sinistra  è  un'altra  figura  egual- 
mente muliebre  seminuda  con  panno  svolazzante ,  la 
quale  tiene  colla  sinistra  un  cesto  pieno  di  frutti  o 
fiori.  Questa  trovasi  in  corrispondenza  dell'  altra  so- 
pra descritta,  e  ne  agguaglia  pur  la  grandezza.  I  fregi 
finora  enumerali  si  riferiscono  ad  una  porzione  di 
questa  sala  ;  giacché  il  rimanente  vedesi  tuttora  in- 
gombro dalle  terre.  Ed  è  notevo  e  osservare  nel  taglio 
delle  medesime  terre  perfeltamenle  visiltile  una  di- 
stinta stratificazione  del  lapillo  ;  la  quale  ,  a  nostro 
giudizio  ,  dimostra  la  lenta  e  regolare  azione  delle 
acque.  A  sinistra  poco  dopo  la  entrata  è  pratlicata  un' 
altra  apertura,  che  conduce  ad  altra  accessione  dell'e- 
difizio  finora  non  conosciutp. 

Riuscendo  alla  più  amj  ia  sala  precedente ,  giova 
avvertire  che  l'apertura  nel  n.uro  laterale  destro,  di 
cui  dicemmo,  conduce,  mercè  uno  scalino  di  pietra  ve- 
suviana, ad  altro  compreso  parimenti  a  volta,  e  presso 
a  poco  della  medesima  grandezza  ,  e  ornato  di  stuc- 
chi in  gran  parie  distrutti  :  anche  questo  è  tuttavia 


ingombro  dalle  terre.  Nel  lato  più  corto  vedesi  a  bas- 
sorilievo di  stucco  una  capricciosa  architettura  cop 
fogliami  e  rabeschi,  fra' riquadri  di  questi  ornamenti 
si  scorgono  alcune  figure  quasi  interamente  perdute. 
Traile  più  conservate  comparisce  un  uomo  nudo  bar- 
bato con  clamide  ,  veduto  di  schiena  ,  il  quale  siede 
leggendo  in  un  volume:  ed  altra  figura  col  pallio  filo- 
sofico, che  sembra  ancora  intento  a  leggere  in  un  li- 
bro aperto.  Non  può  darsi  delle  altre  figure  alcuna  idea 
precisa.  Ricorre  sotto  una  fascia  con  bassirilievi ,  la 
quale  si  estende  altresì  al  Iato  più  lungo  ,  e  che  solo 
in  parte  è  scoperto.  Nel  lato  corto  veggonsi  ora  cin- 
que prore  di  nave  in  parte  consumate  :  in  origine  ve 
n'erano  sei,  tre  da  un  lato  e  tre  dall'altro  in  contra- 
rie direzioni  ;  e  nel  mezzo  eravi  forse  un  altro  orna- 
mento ora  affatto  distrutto. 

Nel  lato  lungo  della  sala  ,  se  ne  veggono  quattro 
volte  a  destra ,  ed  alcune  altre  a  sinistra  ;  e  di  queste 
non  si  conosce  il  numero  ,  per  essere  interrotto  lo 
scavo.  Ogni  mezza  trireme  è  circondala  da  una  spe- 
cie di  cornice.  Dopo  la  prima  prora  conservata  vedesi 
un  piccolo  candelabro  ,  messo  quasi  a  sostegno  della 
volta  :  dopo  la  seconda  trireme  è  una  figura  in  abito 
frigio  ,  che  sostiene  egualmente  colla  testa  e  colla 
sinistra  la  curvatura  della  volta;  poi  un  altro  cande- 
labro, che  fa  l'uffizio  medesimo:  dopo  la  quarta  nave 
è  una  figura  femminile  di  fronte  con  doppia  tunica , 
e  la  più  lunga  inferiormente  ristretta,  ravvicinandosi 
i  piedi ,  come  nelle  arcaiche  statue  :  questa  sostiene 
pure  colla  testa  il  soffitto ,  e  fa  lo  stesso  colla  destra 
sollevata.  Poi  viene  un  altro  riquadro ,  e  nel  mezzo 
in  vece  della  prora  vi  è  un  Tritone  con  barba  a  guisa 
di  foglie ,  e  con  corona  di  marine  alghe  :  le  lunghe 
zanche  di  questo  mostro  delle  acque  sono  conformate 
a  guisa  di  tortuosi  fogliami.  Dietro  le  spalle  svolazza 
un  leggiero  panno ,  conformato  pure  a  guisa  di  fo- 
glie :  colla  destra  tiene  la  lunga  buccina,  che  appressa 
alla  bocca  sonando  ,  colla  sinistra  il  remo.  Dopo  di 
questo  vedesi  altra  figura  femminile  con  gambe  rav- 
vicinale simile  all'altra  innanzi  descritta,  la  quale  so- 
stiene la  volta  ,  poi  altra  trireme ,  altro  candelabro  , 
e  finalmente  altra  nave  ,  ove  finisce  lo  scavo.  Note- 
voli ci  sembrano  in  questo  giro  di  triremi  sottoposte 


—  140  — 


alla  vol(a  le  figure  o  gli  oggoUi  che  le  disllnguono  , 
le  quali  fanno  1'  ufficio  di  Cariatidi  ;  e  questo  si  asse- 
gna a  figure  femminili ,  o  virili  di  asiatico  costume , 
a  candelabri  ec. 

Esse  ci  ricordano  i  Telamoni  destinali  a  sostegno 
nelle  altre  tenne  di  Pompei.  E  questa  specie  di  orna- 
menti esser  doveva  comune  in  simili  circostanze.  Per 
compire  la  relazione  di  quanto  concerne  a  questo  cdi- 
fizio,  fa  d'uopo  notare  che  esso  estendevasi  non  poco 
dal  lato  della  strada  ,  ove  fu  rinvenuta  la  statua  di 
Olconio ,  e  di  cui  ragionammo  di  sopra  (pag.  49). 
Questo  può  ragionevolmente  desumersi  da  una  par- 
ticolarità interessante  ;  ed  è  che  apparisce  pure  da 
quel  Iato  un'  altra  entrala ,  che  offre  il  medesimo 
fronte  degli  altri  messi  alla  strada  Slabiana  composto 
di  due  pilastrini  di  tufo  di  Nocera  con  cornice  supe- 
riore. Anche  qui  vedesi  l'apertura  posteriormente 
murala  dagli  antichi  (p.  30).  La  medesima  architet- 
tura fa  certamente  supporre  che  si  riferisca  alla  stessa 
fabbrica  ;  e  ciò  fa  comprendere  quanto  fosse  ampia 
ed  estesa.  Intanto  dall'  osservare  che  queste  più  an- 
tiche entrale  erano  anticamente  murate ,  si  desume 
che  l'edifizio  dovette  in  parte  crollare,  e  fu  in  tempi 
posteriori  restaurato  ;  il  che  apparisce  altresì  da  al- 
cuni pezzi  di  fabbrica  di  diversa  costruzione  surro- 
gata in  varii  punii  delle  mura.  Abbiamo  voluto  dare 
una  pronta  notizia  di  questa  interessante  scoperta  ; 
ma  ci  asteniamo  da  qualunque  confronto  colle  altre 
terme ,  e  specialmente  con  le  altre  della  stessa  Pom- 
pei, se  prima  non  se  ne  compia  la  scavazione.  Potrà 
da  essa  probabilmente  ricavarsi  quando  e  per  opera 
di  chi  venne  costruito  quell'edifizio,  che  a  noi  sembra 
appartenere  ad  un'epoca  anteriore  a  quella  degli  altri 
bagni  di  Pompei. 

Noi  facciamo  voti  perchè  sì  disgombri  dalle  terre 
tutto  questo  inmienso  fabbricato;  e  solo  ci  duole  che 
Don  ci  sia  pervenuto  in  un  lodevole  stato  di  conser- 
vazione. 

Scavo  iaiorno  alle  mura. 

La  città  di  Pompei  è  in  comunicazione  co'  vicini 
terreni  de*  privati  :  riesciva  perciò  interessante  che  se 
ne  procacciasse  Io  isolamento,  la  qual  cosa  può  pro- 
curare unicamente  la  dovuta  custodia  a  quello  inte- 
ressanti rovine.  Benché  il  circuito  delle  mura  fosse 


generalmente  conosciuto ,  ptirc  era  in  alcuni  punii 
incerta  la  limitazione  di  esse;  e  certamente  sarà  dj 
chicchessia  riputalo  necessario  ritrovare  tutta  quanta 
è  l'antica  confinazione  della  città.  A  queste  due  idee 
ponendo  monte  l'attuale  amministrazione  degli  scavi 
ha  disposto  che  lo  sgombramcnto  delle  terre  seguisse 
intorno  alle  mura  che  cingevano  la  città  di  Pompei, 
e  quasi  tutte  le  operazioni  si  sono  ridotte  a  questo 
solo  lavoro.  Sono  slate  principiale  le  ricerche  fuori 
la  porta  di  Nola  ;  e  già  alcune  importanti  scoperte  eb- 
bero luogo.  Di  falli  si  è  ritrovato  che  all'esterno  delle 
mura  è  costruito  rozzamente  un  piede  o  grado,  dopo 
del  quale  viene  il  terreno.  Sopra  di  questo  grado ,  e 
nella  terra  vicina  sono  stale  rinvenute m<<llissime olle 
di  terracotta  conlenenti  ossa  bruciale  :  anche  talora  si 
trovano  sepolte  nella  semplice  terra  le  reliquie  delle 
bruciale  ossa ,  senza  alcun  recipiente  che  le  racchiu- 
da.   È  notevole  che  in  ognuna  delle  suddette  olle 
vedesi  una  monda  accompagnare  i  residui  dell'adu- 
sto cadavere  :  e  dobbiamo  avvertire  che  le  moneto 
finora  raccolle  in  quel  sito  si  estendono  da'  tempi  ul- 
timi di  Pompeo  sino  agli  ultimi  tempi  di  Tiberio,  es- 
sendosi rinvenuta  la  medaglia  di  Pompeo  col  bifroiile 
e  la  epigrafe  MAGNVS   PIVS;  l' altra  con  DIVVS 
AVGVSTVS  ,  e  PROVIDENTIA  ,  e  finalmente  altre 
di  Tiberio  con  menzione  della  sua  Iribunicia  potestà 
bene  innoltrata.  Dulie  quali  monete  potrebbe  concbiu- 
dersi  che  l'epoca  di  quel  sepolcreto  non  possa  farsi 
discendere  oltre  i  tempi  di  Tiberio.  La  esistenza  di  un 
sepolcreto  cosi  umile  e  meschino  fuori  diun'allra 
porta  di  Pompei  è  un  fatto  notabilissimo,  e  che  me- 
rita di  essere  studiato.  Noi  ci  attendiamo  che  le  ulte- 
riori scavazioni  ci  forniranno  altri  elementi  j)er  darne 
una  particolare  illustrazione;  e  cercheremo  di  sogm're 
a  tale  oggetto  tutte  le  simili  scoperte  le  quali  avran 
luogo  intorno  le  mura  di  Pompei ,  e  non  manche- 
remo di  darne  in  questi  fogli  sollecitamente  la  notizia. 
Debbo  finalmente  osservare  che  ìcAerme,  ed  il  se- 
polcreto sopra  descritti  furono  con  molto  interesse 
esaminati  dalla  reale  Accademia  Ercola  lese  in  una 
sua  ultima  escursione  archeologica  in  Pompei ,  ove 
di  quando  in  quando  si  reca  a  studiar  le  nobili  mine 
della  sepolta  città. 

{Contìnua)  Minervini. 


—  150- 


Epoca  del  consolare  della  Campania  Valerio  Ermonio 
Alassimo — Lettera  del  eh.  sig.  A.  Gervasio  all'editore 
del  presente  bulktlino,  con  osservazioni  del  Conte 
Borghesi. 

Pregiatissimo  Amico  e  Collega  ; 

Ricorderà  che  nella  mia  dissertazione  di  recente 
pubblicata  su  talune  iscrizioni  relative  al  Macello  del- 
l'antica  Pozzuoli  (Ani  della  R.  Accademia  Ercola- 
uese  tom.  VII.  )  io  fui  incerto  nel  fissare  l' epoca  del 
Consolare  della  Campania  Valerio  Ermonio  Massimo 
nominato  in  due  di  quelle  iscrizioni  oltre  il  frammento 
riportato  dal  Guasco  ,  le  quali  iscrizioni  indicavano 
di  aver  egli  fatte  costruire  opere  per  guarentire  l'edi- 
lizio del  Macello  dalla  violenza  delle  onde  del  mare 
tempestoso ,  che  lambivano  i  due  suoi  lati  destro  e 
sinistro  ;  opere  che  nella  terza  iscrizione  diconsi  de- 
dicate da  un  Fabio  Pasifilo  sotto  gì'  Imperatori  Teo- 
dosio ,  Arcadio  ,  ed  Onorio.  Sul  quale  argomento  io 
non  addussi  altro  che  congetture  tratte  dalle  sottoscri- 
zioni e  direzioni  di  alcune  leggi  del  Codice  Teodosia- 
Do.  Ma  avendo  fatto  omaggio  di  quella  mia  disserta- 
zione all'illustre  nostro  collega  il  ConleB.  Borghesi, 
si  è  egli  compiaciuto  con  umanissima  sua  lettera  dei 
14  di  questo  mese  di  maggio ,  commuaicarmi  le  sue 
dotte  osservazioni  sull'  epoca  di  quelle  iscrizioni  che 
io  la  prego  ad  utilità  de' cultori  de' nostri  studii ,  di 
jubblicare  nel  suo  importante  BuUetlino  ,  come  ap- 
jiendice  a  quanto  fu  da  me  scritto  suU'  obbictU>  me- 
desimo. 

Cosi  il  Borghesi. 

»  Riguardo  alle  iscrizioni  di  Pozzuoli  trovo  trop- 
po aperta  l' identità  de'  lavori  che  si  dicono  costruiti 
alle  ripe  del  Macello ,  per  non  credere  che  in  tutte 
tre  si  faccia  sempre  menzione  dei  medesimi ,  e  d'  al- 
tra parte  queste  iscrizioni  sono  manifestamente  di  un' 
epoca  troppo  vicina  per  supporre  che  così  presto  tor- 
nasse il  bisogno  di  ripeterle.  Tengo  adunque  che  que- 
ste opere  fossero  incominciate  e  compite  dal  [Consolare 
della  Campania)  Valerio  Ermonio  Massimo  ,  ma  po- 
scia dedicate  da  Fabio  Pasifilo.  Or  la  lapida  di  que- 
si'  ultimo  porta  seco  una  data  certa,  quando  nomina 


come  Augusti  Teodosio  ,  Arcadio  ,  ed  Onorio.  Ella 
non  può  essere  posteriore  al  17  gennajo  del  395  {tra 
volgare) ,  iu  cui  Teodosio  mori  a  Milano  ,  né  ante- 
riore al  20  novembre  393  ,  in  cui  Onorio  fu  pro- 
clamato Augusto  dal  faàre  [Teodoóio],  secondo  la  mi- 
gliore opinione.  Non  ignoro  che  altri  anticipano  il 
secondo  avvenimento  ai  10  gennnjo  dello  slesso  anno: 
ma  una  tale  controversia  poco  importa  nel  caso  pre- 
sente ,  perchè  fin  dal  392  Eugenio  aveva  già  invasa 
tutta  l'Italia,  e  Teodosio  non  associò  Onorio  all'Im- 
pero se  non  quando,  dopo  aver  rotta  ogni  trattativa  di 
accomodamento  coirusurpatore(£«g'en<o),si  preparava 
alla  guerra  contro  di  lui.  Da  tutto  ciò  ne  deriva  che 
questi  principi  di  Oriente  non  poterono  nel  numero 
di  tre  essere  riconosciuti  come  Augusti  in  Pozzuoli , 
se  non  dopo  il  6  settembre  394 ,  in  cui  Eugenio  fu 
vinto  ed  ucciso;  e  ne  consegue  pure,  che  T  età  di 
quel  marmo  resta  circoscritta  tra'l  settembre  di  quel- 
r  anno  ,  e  '1  susseguente  gennajo.  È  chiaro  pertanto, 
che  Pasifilo,  al  quale  si  vede  affidato  lo  strano  inca- 
rico di  esercente  le  funzioni  di  ambedue  le  Prefetture, 
senz'  essere  litolare  di  alcuna  ,  fu  il  primo  ufiziale 
mandato  da  Teodosio  in  Roma  subito  dopo  la  vitto- 
ria ad  oggetto  di  rimpiazzare  i  due  Prefetti  del  tiranno 
che  sappiamo  essere  slati  Nicomaco  Flaviano  il  padre, 
Prefetto  del  Pretorio ,  e  Nicomaco  Flaviano  il  figlio. 
Prefetto  della  Città,  finché  al  primo  fu  surrogalo  De- 
stro, al  secondo  Basilio.  Sui  due  Prefetti  di  Eugenio 
Ella  potrà  riscontrare  la  bella  dissertazione  del  Cav. 
de  Rossi  nel  tom.  XXI.  degli  Annali  Archeologici 
dell'Istituto  (1).  Dietro  ciò  parmi  naturalissimo  che 
anche  il  Consolare  della  Campania  avesse  seguito  le 
parti  del  tiranno  [Eugenio),  e  che  Pasifilo  dovesse  darvi 
una  scorsa  per  provvedere  all'amministrazione  della 
Provincia  ,  nella  quale  congiuntura  celebrasse  la  de- 


(1  )  Quando  scrissi  la  mia  dissertazione,  io  igoorava  quella  del  eh. 
Cav.  de  Rossi  sulla  iscrizione  del  Console  Flaviano  Nicomaco,  e 
mi  tu  noia  soltanto  ne'  principii  dello  scorso  anno  ,  quando  il  lo- 
dalo sig.  Cavaliere  che  mi  onora  di  sua  amicizia  ,  si  compiacque 
mandarmi^ne  in  dono  un  esemplare  estratto  dal  tom.  XXI.  degli 
Annali  dell'  IslUuto  Archeologico  di  Roma.  Se  l' avessi  avuto 
quando  s'imprimeva  la  sudella  mia  dissertazione  ,  io  avrei  cena- 
mente  profittato  di  quanto  egli  discorre  de' Consoli  nominati  dal 
tiranno  Eugenio  a  p.  22  segg.  della  dissert,  cìul».  — AGenasi». 


—  151 -^ 


dicazione  dei  lavori  eseguiti  a  Pozzuoli,  a  cui  giù  non 
mancasse  se  non  cbe  questa  cerimonia.  lufalli  egli 
non  dice  di  averli  fatti  fare  ,  che  naturaimeute  non 
ne  avrebbe  avuto  il  tempo,  ma  soltanto  di  averli  de- 
dicali ,  al  che  era  di  avanzo  un  giorno.  Non  però 
stimo  per  questo  che  Massimo  sia  stalo  il  Consolare 
immediatamente  precedente  a  Pasifilo ,  perchè  anzi 
il  trovar  rispettato  il  suo  nome ,  e  le  sue  memorie  , 
mi  dà  un'indizio  ch'egli  non  fosse  compreso  Irai  ri- 
belli che  furono  poscia  condannati.  Per  altro  mi  fa 
senso  la  novità  in  questi  tempi  di  veder  da  lui  citali 
in  genere  gì'  Imperatori  senza  precisarli.  Laonde  vò 
sospettando,  che  Massimo  seguitasse  a  presedere  alla 
Campania  mentre  si  trattava  ancora  di  pace  fra  Teo- 
dosio ed  Eugenio  ,  talché  in  una  lapida  Romana  dei 
23  dicembre  393  (I)  si  veggono  ancora  congiunti  i 
loro  nomi,  e  quindi  ricordasse  gl'Imperatori  in  plu- 
rale,  ma  che  titubasse  nel  dichiararsi  in  favore  piut- 
tosto dell'uno  che  dell'altro,  per  cui  scegliesse  il  par- 
tito di  non  nominare  alcuno  de'  conlendenli.  Natu- 
ralmente una  tale  titubanza  avrà  portato  che  Eugenio 
lo  rimpiazzasse  con  un  altro  a  se  più  devolo ,  e  que- 
sti sarà  stalo  l'involto  poco  dopo  nella  sua  disgrazia.» 
Fin  qui  il  dotto  scrittore. 
Le  rinnovo  intanto  ec. 

Agostino  Gervasio. 


Iscrtzioni  Ialine.  Conlinuazìone  del  n.  44. 


l'ornamento  di  una  piccola  cornice.  L'abbiamo  recen- 
temente osservala  presso  il  Sig.  RalTuele  Barone  che 
tuttavia  la  possiede. 

E  ben  eonosciuto  che  le  Fata  non  sono  altra  cosa 
che  le  Parche,  per  modo  che  sono  da'  Intitii  scrittori 
e  ne' monumenti  ricordate  le  irta  Fa^a.  Vedi  Avellino 
nel  buìlclt.  anh.  Nap.  an.  II  pag.  18  e  23:  Horkel 
bullel.  deìV  hi.  di  corr.  ardi.  18ii  pag.  4  e  segg.  ; 
Scliulz  negli  annali  del  1839  p.  118;  cf.  un  dottis- 
simo lavoro  del  Sig.  Clausen  inserito  nel  (;(onia/c  del- 
lo Zimmcrmann  an.  I8iO  n.  27  e  seg.  ,  e  quel  che 
dico  io  slesso  nel  ballcll.  arch.  di  Avellino  an.  II  p. 
4-3  e  s.  Bella  è  la  espressione:  Fa^a  suum  petierediem, 
che  è  certamente  un  emistichio.  Non  è  dissimile  ciò 
che  si  legge  in  altra  metrica  iscrizione  :  Debita  cuni 
Falis  veneril  hora  tribm  {OveWì  nmn.  1777  il  qua- 
le cita  Procopio  Golii.  ! ,  23  ):  ove  si  parla  dell'  ora 
delle  Parche  non  già  del  giorno.  Questo  è  però  in  al- 
tre iscrizioni,  come  in  quella  di  Policastro,  che  si  chiu- 
de con  un  distico,  il  cui  primo  verso  è  il  seguente  : 
Si  non  ante  diem  crudelia  Fala  fuissenl  (  Mommsen 
inscr.  r.  neap.  lai.  num.  82  ).  La  nostra  iscrizione  , 
dopo  avere  annunziato  chele  Parche  domandarono  il 
giorno  lor  dovuto ,  osserva  che  era  chiuso  in  quella 
tomba  colui  che  quel  giorno  aveva  resliluito ,  ed  era 
Filadelfo  servo  di  Sestio  Cerinto  ,  che  ebbe  dal  suo 
padrone  l'incarico  di  spenditore.  Ognun  vede  quanto 
nella  nostra  epigrafe  la  giustezza  del  pensiero  corri- 
sponda alla  eleganza  delle  espressioni. 


32. 


33. 


FATA,  SVVM  PETIERE  '  DIEM 

QVI'REDDIDIT 

HIC  •  SITVS  •  EST  •  PIIILADELPHVS 

SEXSTI  CERINTHI  ■  DISPENS 

VIXIT  '  ANN  XXXV. 

Questa  iscrizione ,  proveniente  da  Pozzuoli  o  dai 
siti  vicini,  è  in  una  lastra  di  marmo,  ed  offre  intorno 


(I)  Presso  il  Reincsio  ^ynl.  Inscripl.  p.  1021:  coiifionia  il  Sir- 
raondo  io  not.  ad  Sidon,  Apollin<fr-  p.  126  edit.  2.  Parit  1652  io  4, 


Fu  già  pubblicata  una  iscrizione  sepolcrale  messa 
ad  un  L.  Anleslio  Celere  dalla  Jladre  Pomponia  Eu- 
tiehia  (  Mommsen  inscr.  r.  neap.  lai.  n.  3328  ).  Ora 
essendoci  riuscito  di  osservarla  co'  nostri  proprii  oc- 
chi ,  notiamo  le  seguenti  varietà  di  lezione.  Alla  lin. 

3  Icggesi  chiaramente  ANTESTIOenon  ANTISTIO, 
come  era  nella  precedente  pubblicazione.  Nella  lin. 

4  è  chiaramente  AN  •  XVIII  e  non  già  XIIII.  Quel 
che  più  importa  di  sapere  è  che  al  rovescio  si  legge 
quest'  altra  iscrizione ,  della  quale  non  si  era  data  fi- 
nora la  notizia. 


152  — 


DI     •    M 
L  •  ANTESTIVS  •  CELER 
VETRA  •  POMPONIAE 
ANTESTIAE  •  CONIVGI 
SVAECARISSIMAEB  M  F 
ETSIBI  ETSVPERIS  SVIS 


Notisi  il  B  per  V.  Noi  interpretiamo  le  ultime  si- 
gle vix  pater  filio  ptentissimo  fedi  :  e  ci  sembra  che 
Asclepiade  si  consideri  quasi  non  essere  stato  padre, 
per  aver  perduto  ia  così  tenera  età  l' amato  Garpi- 
niano. 

36. 


Questo  Antestio  Celere  è  detto  Vetra ,  nella  qual 
voce  noi  riconosciamo  un'  abbreviazione  di  Vetranus 
per  Veleranus;  come  ricorre  in  altre  iscrizioni  (Gar- 
rucci  CI.  pr.  Mis.  n.  59  cf.  l'appendice).  La  epigrafe 
invece  di  chiudersi  colla  nota  formola  sibi  posterisque 
suis,  ci  offre  sibi  et  superis  suis  ;  dal  che  si  desume  che 
Celere  intendeva  di  porre  quella  memoria  a' suoi  magi- 
giori,  piuttosto  che  a' suoi  discendenti.  Questa  seconda 
iscrizione,  messa  in  rapporto  coU'altra  già  pubblicala, 
dimostra  che  Pomponia  aveva  perduto  il  suo  Cglio , 
allorché  il  marito  le  pose  quella  memoria,  valendosi 
della  medesima  lapida  adoperala  nella  prima  occasione. 


34. 


La  iscrizione  di  Salonina  da  noi  riferita  di  sopra 
p.  144  si  legga  con  una  piccola  aggiunta  in  tal  guisa: 

.  . . AVG  •  •  • 
CONIVGI  •  D  •  N  •  IMP 
GALLIENI  •  AVG 

L'AVG  della  prima  linea,  di  cui  rimangono  le  trac- 
ce, è  riferibile  al  titolo  di  Salonina  medesima  ,  il  cui 
nome  doveva  precedere  quello  del  suo  marito. 

35. 
D.     M. 
CARPINIANO 
BIXIT    AN    li  •  ME 
mi  •  L  •  IVLIVS     ASC 
LEPIADES    BIX    PR  • 
FI  PIENI    FECI! 


D.     M. 
L  •  METT  •  L  •  F  •  PA 
TIENI  •  IREBV 
LARIAE  Q  •  F    IVS 
TAE  •  PARENI  •  OP 
TIMIS  •  F  •  L  •  FEG 

Dobbiamo  una  esalta  copia  di  questa  iscrizione  al- 
l' egregio  sig.  Cav.  Giosuè  de  Agostini  Tontoli  pos- 
sessore della  celebre  tavola  alimenlaria  de'  Liguri  Be- 
biani,  il  quale  mi  assicura  essere  stata  rinvenuta  nel- 
r  ambito  del  lenimento  dell'  antica  Bebiano ,  o  nella 
moderna  Circello.  Non  vi  è  di  notevole  che  il  nome 
di  Trebularia ,  il  quale  a  noi  sembra  proveniente  da 
Trebula,  e  perciò  va  nella  categoria  de'nomi  derivali  da 
città,  de' quali  dicemmo  alcuna  cosa  di  sopra  p.  101. 

Nelle  sigle  finali  F.  L.  FEC  riconosceremo  o  ^/ms 
lugens  fecit  ;  ovvero  filius  Lucius  fecit,  se  non  vuoisi 
supporre  che  quell'amoroso  figliuolo  nasconder  volle 
interamente  il  suo  nome. 

37. 
D.     M. 
IVLIAE  PRIMIGENIAE 
VIXII  •  ANN  •  II  •  MENS  •  VI 

DIEB  •  Villi 
HERMIS  '  HYENE  FILIAE  •  CARISSIMAE 
La  copia  di  questa  epigrafe  ci  venne  comunicata  dal 
coltissimo  sig.  Abate  Sante  Basliani,  che  la  trascrisse 
in  Pozzuoli,  ove  fu  rinvenuta  sulla  via  Campana.  Se 
non  vi  è  rosione  nell'  ultima  linea,  sono  notevoli  i  due 
nomi  Hermis  ed  Hyene  data  ad  una  sola  persona. 
(continua)  Minervini. 


Giglio  Ml^BRVI^il  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaheo, 


BUILETTINO  ARCHEOLOGICO  IVAPOLITAÌNO. 

NUOVA    SERIE 


N."  46.     (22.  deir  anno  II.) 


Magoio  1851. 


A^MOve  osservazioni  intorno  alla  topografia  puteoìana  graffila  in  un  vasetto  di  Populonia. — Bibliografia. 
Cavedoni  ragguaglio  de' precipui  ripostigli  etc— Kaoul-Rochelte  fouilles  de  Capoue. 


Nuove  osservazioni  intorno  alla  topografia  putcolana 
graffata  in  un  vasetto  di  Populonia. 

Quando  affermai  che  il  vasello  vitreo  di  Populonia 
ci  presenta  all'incirca  quella  scena  mt-desima,  chelcg- 
germenle  variata  veggiamo  nel  similissimo  vasetto 
borgiano  da  me  divulgato  (1),  parvemi  affermare  una 
cosa  tanto  di  per  se  manifesta  ed  evidente,  e  tale  sem- 
brata anche  a  quanti  dotti  amici  aveano  posto  a  con- 
fronto que'  due  graffili,  che  mi  tenni  per  disobbligalo 
dall'entrare  in  uno  inutile  svolgimento  di  prove  a  con- 
ferma della  mia  asserzione.  Ora  il  eh.  sig.  Mercklin 
in  una  noterella  latina  testé  divulgata  (2)  toglie  a  di- 
fendere la  sua  sentenza ,  che  nel  vasetto  cioè  di  Po- 
pulonia sia  effigiata  la  regione  subaventina  di  Roma  ; 
ed  a  questo  One  concede  veramente,  che  nel  vetro 
borgiano  è  rappresentato  il  golfo  di  Baja,  ma  nega 
che  identica  o  simile  sia  la  scena  graffila  su  quello  di 
Populonia.  E  questa  sua  negazione  principalmente  ap- 
poggia e  sostiene  colla  indicazione  di  una  ripa,  se- 
gnata su  quest'  ultimo  vaso  e  non  nel  borgiano:  della 
ripa  io  non  ragionai;  e  non  avrei  infatti  potuto,  a  giu- 
dizio del  dotto  avversario,  trovare  la  via  di  collocai  la 
nel  golfo  di  Baja  e  di  Pozzuoli;  quando  è  manifesto 
che  uua  siffatta  appellazione  s' addice  non  ad  una  spiag- 
gia marittima,  ma  ad  una  sponda  di  fiume.  La  quale 
obbiezzione  mossami  contro  io  m' accingo  tosto  a  di- 
struggere, perchè  ora  veramente  m'avveggo,  che  fi- 
datomi all'  analogia  manifesta  di  due  monumenti  non 
mi  curai  d'esaminare  cotesta  difficoltà;  per  losciogli- 

(1)  Vedi  il  tomo  l.  del  Bullellino  p.  133  con  l'annessa  tavola  IX. 

(2)  Nel  primo  fascicolo  della  nuova  serie  di  pubblicazioni  dell'  I- 
stiluto  di  Corrispondeaia  Archeologica. 

Àfi.'iu   II. 


mento  della  quale  non  solo  sarà  tolto  anco  quest'osta 
colo  all'accettazione  della  mia  sentenza,  ma  l' obbiez- 
zione medesima  si  convertirà  in  uua  novella  ed  assai 
splendida  prova  della  topografia  putcolona  in  ambe- 
due que'  vasi  effigiata. 

E  dapprima  che  gli  edifici  tracciati  sul  vasetto  di 
Populonia  non  sieno  romani,  oltre  alle  prove  topo- 
grafiche che  si  potrebbono  mettere  in  campo,  lo  di- 
mostra la  natura  delle  pile  che  vi  sono  effigiate  ;  le 
quali  chiunque  porrà  a  confronto  con  le  antiche  pit- 
ture, che  ritraggono  scene  e  prospettive  di  porti  ma- 
rittimi (1),  e  con  le  vestigia  che  ce  ne  rimangono  so- 
pratutlo  nel  golfo  di  Pozzuoli,  riconoscerà  tosto  a 
queste  conformi,  e  non  potere  in  guisa  veruna  rap- 
presentare un  ponte  interrotto  d'  un  fiume,  .\dunque 
non  solo  l'analogia  de'  graffili  del  vetro  di  Populonia 
con  quelli  del  vasetto  borgiano  e"  induce  a  cercare  l'ar- 
gomento nelle  spiagge  di  Baj.ie  di  Pozzuoli,  ma  anco 
l'indole  medesima  e  la  natura  della  scena  ivi  effigiata 
di  per  se  sola  appare  cosa  tutta  marittima.  Resta  però 
a  vedere,  come  possa  conciliarsi  l'indicazione  d'  una 
ripa  con  le  prossime  pile  d' un  porto  di  mare.  E  la 
cosa  è  facilissima,  se  appunto  al  porto  di  Pozzuoli  vol- 
geremo le  nostre  ricerche.  Che  se  le  iscrizioni  di  quella 
città  ci  forniscono  le  memorie  e  la  storia  delle  cele- 
berrime pile  del  suo  porlo,  le  memorie  anco  e  la  sto- 
ria ci  tramandano  della  sua  ripa.  Eccole  quali  le  ha 
trascritto  dai  marmi  originali  il  eh.  Mommsen  (I.  \. 
2500,  2309,  2310).  PRO  FELICITATE  DOMINO- 
RVM  -AVO VSTORVM— NOSTRORVM  -  RIPAM 
APARTE  SINISTRAMACELLI—IACTISMOLIBVS 
PROPTER  INCVRSIONE— INGRVENTIV.M  PRO- 

(V,  V.  Pitture  d'Ercglano  II,  55;  Geli,  Pomp.  Acm>  lav.  57. 

22 


—  154  — 


CELLARVM  — VALERIVS  HERMONIVS  MAXI- 
MVS  ve— CONS  CAMPINCOAVIT  ADQVE  PER- 
FECIT  :  e  senza  recare  in  mezzo  la  seconda  ,  che  è 
gemella  a  quesla,  cangiate  soltanto  le  parole  RIPAM 
A  PARTE  SINISTRA  in  queste  altre  RIPAM  A  PAR- 
TE DEXTRA  passo  tosto  alla  terza:  PROBEATITV- 
DINE  TEMPOR  VM  —  FELICITATEMQ  VE  PVBLI- 
CI STATVS  •  IMP  —  D  D  •  D  •  N  •  N  •  N  THEODO- 
SI  •  ARCADI  ET  HONOR  —  PERENNI VM  •  AVGV- 
STORVM  —  RIPAMMACELLI  DEXTRA  LEBA- 
QVE  —  ADGRATIAM  •  SPLENDOREMQVE  —  CI- 
VITATIS  PVTEOLANAE  INSTRVCTVM  (sic)  — 
DEDICAVIT  •  FABIVS  •  PASIPHILVS  •  V  •  C  — 
AGIS  •  VICEM  PRAEFECTORVM  PRAETORIO— 
ET'VRBI.  In  queste  iscrizioni  adunque  non  solo  ab- 
biamo una  irrepugnabile  lestimoniauza  dell'avere  esi- 
stito in  Pozzuoli  una  ripa,  cioè  a  dire  un  grandioso 
argine,  a  destra  e  sinistra  del  macello  ;  ma  anco  l' età 
io  che  la  grande  opera  fu  intrapresa  e  compiuta  indi 
apprendiamo.  Che  il  consolare  della  Campania  Va- 
lerio Ermonio  Massimo  è  veramente  un  personaggio, 
del  quale,  per  quanto  ora  ricordo,  altri  monumenti 
o  memorie  non  ci  sono  pervenute;  ma  la  sua  duplice 
iscrizione  è  senza  fallo  dettato  del  secolo  quarto  ;  e 
quella  di  Fabio  PasiGlo  posta  a  memoria  della  dedi- 
cazione di  quella  n^a  medesima,  che  il  consolare  Mas- 
simo avea  incoata  e  compiuta,  dimostra  l'età  di  que- 
st'impresa non  poter  risalire  oltre  agli  anni  dell'im- 
pero di  Valenti  niano  giuniore  o  Teodosio.  Perocché 
questo  è  veramente  l'unico  cenno,  che  l'antichità  ci  ha 
tramandato  della  vicaria  prefettura  amministrata  da 
Fabio  Pasifilo;  ma  pure  egli  è  facilissimo  il  determi- 
narne l'anno  preciso  (1). 

L' iscrizione  fu  posta  sotto  gli  augusti  Teodosio, 
Arcadio  ed  Onorio,  e  l'ordine  di  questi  nomi  dimostra, 
che  Teodosio  è  non  certamente  il  giuniore,  ma  il  se- 
niore. Ora  costui  mori  nel  17  Gennaio  del  393,  ed 
avea  innalzalo  il  figliuolo  Onorio  a  collega  dell'impe- 
ro nell'anno  393.  Ma  da  quest'anno  fino  al  settembre 
del  394  tutta  l'Italia  fu  in  balia  del  tiranno  Eugenio  ; 

(1)  Leggansi  Io  identiche  conclusioni  tratte  nello  stesso  tempo 
dal  doiiissimo  Borghesi,  e  da  noi  pubblicale  nel  precedente  foglio 
del  bullettiuo,— i'  Editore. 


e  le  due  prefetture,  del  Pretorio  cioè  e  di  Roma,  fa  - 
rono  tenute  a  nome,  non  di  Teodosio,  ma  d'Eugenio 
dai  due  Nicomachi  padre  e  figliuolo,  come  ampia*- 
mente  ho  dimostrato  nella  memoria,  che  su  quest'ar- 
gomento ho  divulgato  negli  ^mia/*'  dell'istituto  di  cor- 
risp.  arch.  anno  1849. 

Adunque  Fabio  Pasifilo  non  potè  reggere  l'Italia  e 
Roma  a  nome  di  Teodosio,  Arcadio  ed  Onorio  prima 
del  settembre  del  394  ;  e  nel  gennaio  seguente  già  il 
primo  di  quegli  augusti  era  defunto.  Che  anzi  questa 
dimostrazione  cronologica  illustra  in  pari  tempo  e 
conferma  la  storia,  i  fasti  degli  urbani  prefetti,  e  la 
straordinaria  potestà  commessa  a  Fabio  Pasifilo.  Im- 
perocché la  formola  viccs  agens  praefectonim  ec.  non 
indica  già  la  notissima  ed  ordinaria  giurisdizione  d'un 
vicario  del  prefetto  ,  ma  una  singolare  ed  estraordi- 
naria potestà  ;  come  rilevasi  dalle  seguenti  parole  di 
Cledonio  grammatico:  ille  cui  vices  niandantur propler 
ahscnliam  praefeclorum,  non  vicarius,  sed  VICES  A- 
GENS,  non  praefedurae,  sed  PRAEFECTORVM  di- 
cilur  tantum:  e  l'essere  qui  congiunte  nella  persona 
medesima  la  giurisdizione  de'  prefetti  del  pretorio 
d'Italia  e  della  città  di  Roma  conferma  la  singolarità 
e  la  natura  eccezionale  e  provvisoria  di  cotesta  carica. 
Ora  appunto  negli  ultimi  mesi  dell'anno  394  una  ca- 
gione straordinarissima  fé  vacare  i  seggi  di  quelle  due 
prefetture,  vogho  dire  la  soUenne  sconfitta  d'Eugenio 
per  le  armi  di  Teodosio  il  grande. 

Il  vincitore  adunque,  ricuperata  appena  l'Italia, 
nominò  Fabio  Pasifilo  luogotenente,  o  come  direbbesi 
oggi,  commissario  straordinario ,  a  tenere  momenta- 
neamente le  veci  de'  due  prefetti  ribelli;  del  qual  fatto 
quest'unica  epigrafe  puteolana  ci  fa  testimonianza  (1). 
Questa  notizia  della  ìipa  di  Pozzuoli  e  dell'anno  pre- 
ciso in  che  fu  dedicala  è  d'  un  singolare  ajulo  a  stabi- 
lire e  svolgere  la  dichiarazione  dei  graffiti  del  vetro 
borgiano  assai  più  compiutamente  ,  eh'  io  non  feci 
quando  la  prima  volta  trattai  quest'argomento;  e  per- 
ciò colgo  volontieri  l'occasione  portami  dal  dotto  sig. 


(1)  Non  è  questo  il  luogo  di  cercare  chi  fosse  cotesto  Fabio  Pa- 
sifilo, ma  veggasi  intanto  quello  che  de'  Pasifili  del  secolo  IV  scrisse 
il  Borghesi  nella  Dichiarazione  d'  una  lapida  grttteriana  negli 
Atti  dell'  accad.  di  Torino,  tomo  XXXVIK. 


~  15S  — 


Mercklin  per  condurre  quasi  a  termine  la  <ra((azionc 
alia  in  quella  parie,  che  rimase  allora  incerta  ed  im- 
perfetta. 

Imperocché  stabilito  come  certissimo  che  la  topo- 
grafia accennala  ne' graffili  de'  due  vasetti  ritrae  luna 
o  l'altra  parte  della  marina  di  B:ija,  lasciai  in  sospeso 
il  giudizio  sopra  al  dubbio  se  il  vetro  Populoniese 
propriamente  il  porto  di  Pozzuoli  (lo  che  sembravami 
più  verisimile) ,  o  quello  ch'ebbe  nome  di  porto  Giu- 
lio ci  ponga  solt' occhio.  Oggi  è  tolta  questa  incertez- 
za ,  ed  acquista  la  scienza  nostra  il  non  leggero  van- 
taggio dell'avere  una  rozza  sì,  ma  indubitata,  delinci- 
zione  del  celeberrimo  porlo  puleolano.  Perocché  le 
tre  indicazioni  di  luoghi  e  d'  edifici  1'  uno  all'  al- 
tro contigui  PAL.\TIVM,  RIPA,  PILAE  rispondono 
tutte  esattamente  ad  altrettanti  luoghi  ed  edifici  notis- 
simi ed  assai  famosi  in  Pozzuoli,  e  tutti  dalle  iscrizioni 
di  questa  città  più  o  meno  frequentemente  nominali. 
Delie  pilae,  cioè  del  celebre  molo  del  porto,  non  ac- 
cade far  parola,  che  tutti  sanno,  e  già  l'altra  volta 
accennai,  quanto  fossero  celebri  e  nominate  in  Poz- 
zuoli; della  ripa  ho  pur  ora  trattato  innanzi  e  dichiarato 
le  memorie  epigrafiche;  resta  il  palalium,  intorno  al 
quale  se  io  medesimo  messi  nella  mia  prima  tratta- 
zione alcun  dubbio,  ora  nuovi  studi  ed  un  migliore 
esame  m' hanno  insegnalo  a  deporlo.  La  notizia  d'un 
palalium  in  Pozzuoli  o  ne' contorni  ci  era  fornita  da 
una  base  con  titolo  onorario,  conservata  in  Napoli  fin 
dal  secolo  XV  e  nominante  la  regione  palatina  ;  la 
quale  base  dopo  il  eh.  Gervasio  anco  il  Mommsencd 
il  Minervini  opinavano  essere  stata  trasferita  a  Napoli 
da  Pozzuoli.  Io  posi  in  quislionc  la  verità  d'un  sif- 
fatto trasferimento ,  e  perciò  dell'  origine  puleolana 
del  marmo,  perchè  in  un  codice  barberino  stimalo 
contenere  esemplari  epigrafici  tratti  da  quelli  di  Ci- 
riaco d' Ancona  e  di  Benedetto  Egio  spolctino  è  cote- 
sla  base  indicata  in  fundamenlii  domus  Ioannis  Acos- 
sa\  lo  che  io  interpretava  quasi  Ciriaco  l' avesse  vista 
sotterra  nelle  fondamenta  d'  una  casa  privata  di  Na- 
poli. Oggi  ho  riconosciuto  essere  falsissimo  il  titolo 
premesso,  forse  nello  scorso  secolo, al  codice  barberino, 
quasi  direttamente  scenda  da  Ciriaco  e  dall'  Egio;  e 
contenere  quel  manoscritto  null'allro,  che  una  lacera 


ed  imperfetta  copia  della  silloge  di  Fra  Giocondo  (1). 
Nella  quale  è  veramente  trascritto  il  titolo  onorario 
di  che  ragiono  coH'indicazione:  Neapoli  in  fundamcn- 
iis  domus  Ioannis  Acossa  (al.  Aiossa)  nobiìis  Capuani {-l); 
ma  Fra  Giocondo  colle  parole  in  fundamentis ,  che 
mille  volle  adopera  ne'  titoletti  premessi  alle  iscrizio- 
ni, non  intende  già  le  sotterranee  fondamenta,  sibbe- 
ne  l'imbasamento  degli  edifici.  Niuna  difficoltà  adun- 
que od  ombra  di  dubbio  può  nascere  da  quel  cenno 
de'  codici  del  secolo  XV  contro  l'opinione  de'  dotti 
napoletani  e  stranieri,  i  quali  vollero  che  di  Pozzuoli 
a  Napoli  fosse  stato  trasferito  quel  marmo,  perchè 
servisse,  come  mille  altri,  all'ornato  di  qualc'ne  pri- 
vala abitazione  o  palazzo  di  nobile  famiglia.  Che  anzi 
agli  indizii,  i  quali  nell'animo  loro  insinuarono  que- 
sta persuasione,  aggiungendo  orala  voce  PALATI  VAI 
scritta  a  lito  della  R1P.\  e  P1L.\E  nel  nostro  vaso, 
avremo  poco  meno  che  una  compiuta  dimostrazione 
della  verità  di  quella  congettura. 

Stabilito  così  il  soggetto  della  scena  topografica  del 
vetro  di  Populonia  ,  parmi  che  anco  l' eia  in  che  fu 
lavorato  riceva  molta  luce  dalle  notizie  e  dalla  storia, 
che  ho  accennalo  della  ripa  puteolana.  Perocché  se 
fu  questa  non  ristorata  o  dedicata,  ma  tncoaia  e  com- 
piuta tutta  negli  ultimi  anni  del  secolo  quarto,  non 
può  al  merito  di  più  antica  età  pretendere  il  nostro 
vaso;  se  pure  non  si  volesse  supporre,  che  anco  uà' 
altra  ripa,  così  appellata  per  antonomasia,  abbia  ivi 
preesistito  a  quella  di  die  il  consolare  Massimo  munì 
a  destra  ed  a  sinistra  il  macello.  Ma  la  rozza  arte  de' 
graffiti  di  questi  vetri  così  bene  s'  addice  agli  uliimi 
anni  del  secolo  quarto,  che  non  veggo  ragione  veruna 
d'appigliarmi  a  supposizioni  e  congetture  arbitrarie, 
anziché  accettare  quella  data,  che  le  allegale  iscrizio- 
ni prescrivono. 

E  qui  potrei  posar  la  penna,  se  non  m'invitasse  allo 
scioglimento  d'un' altra  obbiezione  quel  cenno  che  dà 
il  eh.  Mercklin,  di  neanche  volere,  che  alla  ripa  suba- 
ventina  sia  tolta  la  pittura  data  in  luce  dal  Bellori;  la 
quale  io,  dietro  la  scorta  del  eh.  comm.  Canina,  sli- 

(!)  V.  I  fasti  municipali  di  VcDwa  restituiti  alla  sincera  lezione  p  2J. 
(2)  Cod.  Magliabecch.  XXVIII,  5  p.   140,  b;  Marciano  Lai.  XIV, 

171   p     107.  Borgiano  p.   liti 


—  136  — 


mai  rappresentasse  un  porlo  di  mare,  e  facilmente  una 
scena  della  marina  di  Baja.  E  veramente  la  sola  evi- 
denza dell'  aspetto  marittimo  di  quella  prospettiva,  e 
dell'essere  molo  d'un  porto,  non  ponte  diCume,ro- 
pus  pilarum  ivi  effigiato  ,  potè  indurmi  ad  abbrac- 
ciare la  sentenza  contraria  a  quella  del  Mercklin;  pe- 
rocché questa  avevo  io  dapprima  pubblicamente  ac- 
cettata per  vera.  Ed  infatti  il  soggetto  di  quella  pit- 
tura è  così  manifesto,  che  il  Falconieri  (I),  il  quale 
ne  vide  l'originale,  e  solo  ce  ne  ha  additalo  l'età,  che 
stima  contemporanea  incirca  all'impero  di  Costantino, 
ed  il  luogo  ove  fu  rinvenuta,  cioè  alcune  pareti  d'un 
edificio  dentro  Roma  aventi  l'aspello  di  bagni,  non  si 
lasciò  trarre  in  inganno  dalle  iscrizioni  FORVS  BOA- 
RIVS,  FORVS  OLITORIVS  ec  ;  ma  riconobbe  tosto 
essere  ivi  ritratto  un  porto  di  mare.  Le  quali  iscri- 
zioni e  gli  annessi  disegni  di  edifici  e  di  monument» 
se  fossero  anco  più,  che  veramente  uon  sono,  con- 
cordi con  parecchie  parti  delle  regioni  oliava  e  nona 
dell'elerna  città,  pure  non  sarebbe  questa  una  singo- 
larità, che  dovesse  sembrare  stranissima  fuori  di  Ro- 
ma, e  tale  da  sforzarci  contro  l'aspetto  evidente  della 
pittura  a  cercarne  il  soggetto  nelle  sponde  del  Tevere. 
Perocché  le  città  non  solo  d'Italia,  ma  anco  delle  pro- 
vince oltramontane  ed  oltramarine  ne'  secoli  sopra- 
tulto  tardi  dell'impero,  usarono,  quale  più  quale  me- 
no, sludiosamente  imitare  e  riprodurre  alcuni  più  ce- 
lebri edifici  e  luoghi  e  nomi  della  capitale:  così,  a  ca- 
gion  d'esempio,  Rimini  ebbe  i  suoi  vici  denominali  A- 
ventino,  Germalo,  e  Velabro  (2);  Benevento  la  regione 
Esquilina  (Mommsen  I.  N.  1419);  Lione  e  Kassel(a- 
vi(as  Ma(lìacorum)  il  monte  Vaticano  (Orelli  2322; 
4983);  ed  il  Campidoglio  fu  imitato  in  grandissimo 
numero  di  città,  come  appare  per  la  menzione,  che 
ne  veniamo  sovente  incontrando  ne' monumenti  e  me- 
morie, che  tornano  in  luce  da  luoghi  disparatissimi; 
tantoché  ai  Campidogli  già  da  gran  tempo  assai  noli 
non  solo  in  Costantinopoli,  Cartagine,  Narbona  (3), 
ed  allrettali  maggiori  metropoli,  ma  anco  in  Verona, 

(1)  Episl.  od  Heinsium,  !d  Burmanni  SylI.  epìsl.  lom.  V.  p.  527. 

(2)  V.  Tonini,  Rimini  avanti  l'era  volgare  p.  211  e  segg. 

(3,  Golhoficd.  ad  Cod   Thr-od.  XI,  1.  34;  XIV,  9,  3,  XV,  1,  53; 
Sidon.  Apollin    carni,  123,  v.  4i. 


Capua  ,  e  Benevento  (  I  ) ,  possiamo  ora  aggiungere 
quelli  di  Falena,  d' Istonio,  di  Marruvio  de'  Marsi  e 
perfino  di  Timegad  {Tliamugas)  nell'Africa  (2).  I  fori 
poi,  come  necessari!  ad  ogni  anco  mediocre  città,  fu- 
rono dovunque  più  o  meno  numerosi;  e  niuna mara- 
viglia se,  tra  per  lo  studio  d'imitare  la  Capitale,  e  Ira 
per  la  natura  medesima  de' varii  usi  a' quali  erano  de- 
stinati, ebbero  non  meno  in  Roma  che  fuori  le  ap- 
pellazioni di  olilorio,  boario,  pecuario,  vinario  ec.  Così, 
a  cagion  d'esempio,  se  notissimi  sono  in  Roma  per  gli 
scrittori  e  per  i  monumenti  i  fori  pecuario  e  vinario  (3), 
notissimi  anco  sono  in  altre  città  ,  e  segnatamente  in 
Ostia  ,  in  Atina  ,  ed  in  Falerio  (4).  E  del  pari  co- 
muni ,  massime  alle  città  commerciali  e  marittime  , 
dovettero  essere  gli  edifici  destinali  all'uso  di  ìiorrea. 
Adunque  le  Ire  iscrizioni  HORREA  ,  FORVS  OLI- 
TORIVS, FORVS  BOARIVS  (così  lesse  il  Falconieri), 
singolarmente  prese  nulla  hanno  in  se  ,  che  come  a 
Roma  cosi  anco  a  qualsivoglia  altra  città  dell'impero 
non  possa  convenire;  e  la  riunione  o  il  ravvicinamento 
di  que'  fori  e  di  quegli  edifici  potrà  al  sommo  fornirci 
un  nuovo  esempio  di  quello  studio  d' imitazione,  che 
ho  dimostralo  nelle  opere  pubbliche  delle  colonie  o 
de'  municipi. 

Ma  la  stessa  collocazione  di  que'  fori,  e  di  quante 
altre  fabbriche  sono  ritraile  nella  pittura  del  Bellori 
vieta  il  cercarne  l'argomento  nella  ripa  subavenlina. 
Perocché  è  cosa  notissima  il  foto  olitorio  essere  stalo 
non  lungi  dal  circo  Flaminio  a  sinistra  del  ponte  pa- 
latino e  del  foro  boario,  e  nella  pittura  è  collocalo  alla 
destra  ;  al  contrario  gli  orrei ,  ossia  fondachi ,  sono 
quivi  a  sinistra ,  e  le  memorie  topografiche  di  Roma 
ce  li  additano  a  destra  tra  1'  Aventino  ed  il  monte 
Testacelo.  Né  gli  altri  edifici  e  prospettive  della  pit- 
tura s' addicono  punto  alle  ripe  del  Tevere.  Delle 
terme  di  Faustina  (BAL-FAVSTINAES),  delle  acque 


(1)  Maff.  M.  V.  p.  107;  Svelon.  in  Tib.  40.  el  de  illustr.  gramm.  9. 

(2)  Morcelll,  de  siilo  p.  452;  de  Minicis,  Ann.  delPlst.  1839  p. 
49;  Mommsen,  /.  iV.  5242,  5501  ;  de  Wilte,  Mém.  sur  T  impératrice 
Salonine,  Bruxelles  1852  p.  31. 

'3)  V.  Preller,  die  Rcgionen  p.  226;  ed  i  documenti  che  pel  foro 
vinario  di  Roma  ho  allegalo  nel  Bulletl.  dell' Ist.  an.  1853  p.  41. 

(4)  V.  Morcelli,  e  de  Minicis.  II.  ce.  ,  e  Mommsen  I.  IS.  123 
(cf.  ind.  p.  401);  -4558 


—  157  — 


pensili  (AQVAE  PENSILES),  e  del  portico  di  Ncttu- 
no<P01{TEX  NEPTVNl  (1))  nulla  posso  diro,  per- 
chè sono  denominazioni  ignote  alla  romana  topogra- 
fia di  queste  regioni;  ma  se  anco  volessi  immaginare 
che  il  portico  di  Nettuno,  collocato  qui  presso  un  tem- 
pio d'Apollo  (T.  APOLIMS),  spetti  al  tempio  di  Net- 
tuno, che  insieme  a  quello  d'  Apollo  stava  nel  circo 
Flaminio,  avremo  sempre  la  medesima  opposizione  di 
luogo  ;  che  cotesto  circo  era  precisamente  dal    lato 
opposto  a  quello  nel  quale  appajono  gli  accennati 
templi  nella  pittura.  Dirà  forse  taluno  che  l'artista 
per  errore  ha  invertito  l'ordine  della  scena  tramutan- 
do in  tutta  la  prospettiva  la  parte  destra  nella  sinistra? 
Ma  in  tal  caso,  salvo  il  Iraslocamento  delle  due  parli, 
tutto  del  rimanente  dovrebhe  rispondere  al  preteso 
soggetto  della  ripa  subavenlina.   E  pure  se  tolgausi 
quelle  tre  o  quattro  iscrizioni,  che  hanno  qualche  rap- 
porto colle  regioni  ottava  e  nona  di  Roma ,  e  dalle 
quali  anch'io  mi  lasciai  dapprima  trarre  in  inganno , 
nuli' altro  v'ha  in  cotesto  affresco,  che  possa  comun- 
que richiamarci  a  memoria  una  scena  ritratta  dal  suo- 
lo romano.  L' isoletta ,  che  è  di  fronte  alla  ripa  dove 
sono  questi  edifici,  non  è  congiunta  alla  medesima  con 
verun  ponte;  non  può  adunque  essere  l' isola  Tiberi- 
na ;  anzi  le  è  evidentemente  addossato  un  molo ,  che 
chiude  l'altro  lato  del  porto.  De' templi  e  degli  edifici, 
che  sappiamo  essere  stali  lungo  la  sponda  del  Tevere 
Ira  il  circo  Flaminio,  il  Foro  Boario  e  l'Aventino,  e  de' 
quali  parecchi  erano  tuttora  superstiti  nel  secolo  XV, 
altri  lo  sono  ancor  oggi ,   non  v'  è  traccia  od  ombra 
in  questo  disegno.  Infine  1'  acqua  circonda  pressoché 
da  ogni  lato  la  terra  ferma,  in  guisa  da  mostrare  fino 
all'evidenza,  che  questa  se  non  è  tutt'un'isola,  è  però 
una  lingua  sporgente  dentro  un  seno  di  mare.  Cosi 
da  qualunque  lato  togliamo  a  considerare  e  disami- 
nare il  monumento,  torna  sempre  manifesta  la  verità 
dell'interpretazione,  che  ne  han  dato  concordemente 
il  Falconieri  che  la  vide  nell'originale,  ed  il  Canina, 
die  ne  studiò  l' unica  copia  pervenuta  in  sino  a  noi  , 
quella  cioè  del  Bellori. 

G.  B.  DE  Rossi. 

(1)  Cosi  leggono  concordemente  il  Falconieri,  ed  il  Bellori;  e  saia 
questo  forse  il  solo  esempio  della  voce  porlex,  in  luogo  ili  poTtic\i$. 


BIBLIOGRAFIA 

Ragguaglio  storico  archeologico  de  precipui  riponigli 
antichi  di  medaglie  consolari  e  di  famiglie  romane 
d' argento,  pel  riscontro  de' quali  viensi  a  definire  o 
limitare  reta  d' altronde  incerta  di  molte  di  (juelte, 
e  che  può  servire  anche  di  repertorio  delle  medaglie 
medesime  —  Modena  per  gli  eredi  Soliani  tipografi 
rea/i— 1834  pag.  291  in  8. 

Questo  insigne  lavoro  è  opera  del  eh.  numismati- 
co di  Modena  prof,  D.  Celestino  Cavedoni ,  il  quale 
ne  fa  la  dedica  al  celebre  Sig.  Conle  Bartolomeo  Bor- 
ghesi ,  come  a  colui,  cui  son  dovute  importantissime 
osservazioni  sulla  stessa  materia. 

In  una  dotta  prefazione  l' autore  mostra  come  que- 
ste diligenti  ricerche  sulle  nied,tglie  di  argento  con- 
solari si  debbono  unicamente  agi'  Italiani,  i  quali  fu- 
rono i  primi  a  rivolgere  la  loro  attenzione  a  questi  ri- 
trovamenti di  simili  medaglie,  che  tanta  luce  valsero 
a  dare  per  islabilire  probabilmente  l'epoca  della  loro 
coniazione.  Figurano  fra  essi  il  Can.  Giandomenico 
Berloli ,  il  p.  Zaccaria  ,  il  prof.  Fibppo  Schiassi ,  il 
Cav.  Zannoni,  il  prof.  Bianconi,  Pietro  Borghesi:  ed 
in  modo  particolare  e  distinto  Bartolomeo  Borghesi , 
e  lo  sfesso  eh.  autore,  il  primo  de' quali  colla  disser- 
tazione intorno  alla  gente  Arria,  e  colle  famose  decadi 
numismatiche,  il  secondo  col  saggio  di  osservazioni  sulle 
medaglie  di  famiglie  romane,  coli' appendice  al  Saggio, 
e  con  altri  numerosi  lavori  fecero  nel  maggior  mudo 
progredire  lo  studio  di  questa  parte  della  numismatica  ; 
la  quale  può  dirsi  veramente  nata  e  cresciuta  nelle  loro 
mani.  Ora  il  dotto  autore  raccoglie  quasi  sotto  un  sol 
punto  di  vista  tulle  le  sparse  notizie,  ricerche  ed  osser- 
vazioni, formandone  un  insieme  raaraviglioso,  e  quasi 
una  dottrina  di  quella  classe  di  antiche  niodaglie. 

L'a.  divide  tulla  l'opera  in  tre  articoli.  11  primo 
contiene  la  indicazione  del  ritrovamento  de' principali 
ripostigli  antichi  di  medaglie  consolari  e  di  famiglie 
romane,  e  dell'eia  probabile  del  loro  nascondimento. 
Egli  ne  considera  dicci,  de' quali  si  hanno  più  parti- 
colari notizie:  sono  essi  I.  il  ripostiglio  di  Fiesole  2. 
di  Monte  Codrnzzo,  3.  di  Roncofreddo,  i.  di /vasca- 


—  188 


rolo,  5.  di  Cadriano,  6.  di  S.  Cemio,  7.  di  S.  Nic- 
colò di  Villola,  8.  di  Colkcchio,  9.  di  S.  Anna,  10. 
di  S.  Bartolomeo  in  SasiO  Forte.  Parla  Bnalmente  di 
altri  venlidue  ripostigli,  non  pochi  de'  quali  apparten- 
gono al  reame  di  Napoli  ;  ma  di  questi  non  si  hanno 
che  scarse  ed  inesatte  notizie. 

Nel  secondo  articolo  è  un  elenco  comparativo  delle 
monete,  che  si  rinvennero,  o  potevano  rinvenirsi  nei 
sovra  indicali  dieci  ripostigli  antichi.  In  questo  elenco 
l'a.  dà  in  nota  molte  nuove  osservazioni  sopra  non 
poche  delle  medaglie,  di  cui  riporta  la  descrizione. 

L' articolo  terzo  contiene  osservazioni  storiche  cro- 
nologiche sopra  l'età  precisa,  od  approssimativa  di 
non  poche  medaglie  di  famiglie  romane  ,  che  si  ar- 
guisce dal  riscontro  degli  antichi  ripostigli  di  quelle, 
e  da  altri  sussidi.  In  queste  dotte  ricerche  1'  a.  con- 
sidera i  tipi  primitivi,  le  epigraB  e  la  paleografia ,  le 
lettere  i  numeri  ed  i  simholi  varianti ,  il  peso  decre- 
scente, il  riscontro  de'  corrispondenti  Vitloriali,  Qui- 
narii  e  Seslerzii,  la  varietà  della  fabbrica,  l'uso  delle 
monete  serrate,  la  diversilà  dell'arte  e  dello  stile,  gli 
accessorii,  le  contraflazioni,  i  riscontri  di  altri  monu- 
menti e  scrittori  antichi ,  i  Collegi  de'  Triumviri  e  di 
altri  magistrati  monetali ,  finalmente  le  leggi  annali 
per  le  varie  magistrature. 

Seguono  le  osservazioni  sull'  epoca  probabile  ed 
approssimativa  delle  medaglie  ,  in  sei  differenti  pa- 
ragrafi. 

§.  I.  Dell'  età  approssimativa ,  e  talor  definita  ,  di 
alquante  monete  impresse  dall'  anno  600  all'  anno 
668,  che  tutte  si  rinvennero  nel  ripostiglio  di  Fiesole, 
non  poche  delle  quali  furono  riportale  a  tempi  più 
tardi. 

§.  II.  Degli  autori  e  degli  anni  quasi  precisi  delle 
monete  mancale  a  Fiesole  e  trovatesi  poi  a  Monte  Co- 
druzzo,  le  quali  per  ciò  stesso  voglionsi  credere  im- 
presse nel  quinquennio  decorso  dall'anno  668  al  673. 

§.  111.  Degli  autori  e  degli  anni  precisi ,  oppure 
approssimativi ,  delle  monete  mancate  a  Monte  Co- 
druzzo  trovatesi  a  Roncofreddo  ed  a  Frascarolo ,  le 
quali  perciò  voglionsi  reputare  impresse  nel  decennio 
decorso  dal  673  al  682. 

§.  IV.  Degli  autori ,  e  degli  anni  precisi ,  oppure 


approssimativi,  delle  monete  che  mancarono  ne' ripO'i 
stigli  di  Roncofreddo  e  di  Frascarolo,  nonché  ne' due 
anteriori  di  Fiesole  e  di  Monte  Codruzzo ,  e  che  si 
rinvennero  in  quelli  di  Cadriano  e  di  S.  Cesario  ,  le 
quali  perciò  stesso,  e  per  altre  ragioni,  voglionsi  re- 
putare impresse  nell'  intervallo  di  tempo  decorso  dal- 
l' anno  682  al  703. 

§.  V.  Degli  autori ,  e  degli  anni  precisi ,  oppure 
approssimativi ,  delle  monete  che  mancarono  ne'  ri- 
postigli di  Cadriano  ,  e  di  S.  Cesario  ,  non  che  negli 
altri  anteriori,  e  che  si  rinvennero  in  quelli  di  Villola, 
di  Collecchio ,  di  S.  Anna  ,  e  di  Sassoforte ,  le  quali 
perciò  stesso,  e  per  altre  ragioni ,  voglionsi  reputare 
impresse  nel  settennio  decorso  dal  principio  del  703 
fin  verso  la  fine  del  711. 

§.  VI.  Di  alcune  monete  del  tempo  del  Triumvi- 
rato ,  che  mancarono  ne'  detti  ripostigli ,  e  che  polca 
dubitarsi  che  fossero  in  parte  anteriori  a  quell'epoca. 

Si  chiude  il  lavoro  con  due  supplementi  :  il  primo 
è  relativo  a'triumviri  monetali  ed  allri  magistrati,  che 
impressero  moneta  d' argento  sotlo  Augusto;  il  secon- 
do tratta  delle  monete  consolari  e  di  famiglie  impresse 
dall'anno  Varroniano  485  ,  fino  al  604  ,  o  sia  dai 
primordii  della  moneta  romana  d' argento  fino  al  prin- 
cipio della  terza  guerra  punica.  Da  ultimo  alle  giunte 
e  correzioni  seguono  gì"  indici  opportuni  necessarii  in 
un'opera  di  questa  fatta. 

Io  non  fo  che  annunziare  semplicemente  un  libro 
di  primaria  importanza,  dalla  cui  letlura  ho  tratto  il 
più  grande  profitto,  e  che  mi  sembra  superiore  ad  ogni 
lode.  Basti  peraltro  ,  a  dare  una  idea  del  vantaggio 
procaccialo  da  questo  novello  lavoro  dell' illustre  nu- 
mismatico di  Modena  riportare  un  brano  di  lettera 
dell'insigne  Borghesi,  che  vedesi  pubblicato  nel  Jtfes- 
saggiero  modenese.  «  Ciò  non  ostante  posso  dire  fino 
»  da  quest'ora,  che  mi  sembra  un  lavoro  classico,  il 
»  quale  formerà  epoca  presso  lull'i  cultori  della  Nu- 
»  mismatica  delle  Famiglie,  siccome  quello,  che  ren- 
»  de  presso  che  inutili  gli  scrini  de'  vecchi  antiqu?irj 
»  che  ne  hanno  trattato  sostituendo  basi  più  solide 
»  alle  capricciose ,  su  cui  fondarono  i  loro  ragiona- 
n  menti.  Prescindendo  dalle  nuove  opinioni ,  che  vi 
»  sono  esposte,  egli  ha  il  sommo  merito  diaverrac- 


—  159  — 


»  colto  e  coordinato  tutto  ciò  che  di  meglio  si  è  detto 
»  in  questo  secolo,  e  ch'era  disseminato  in  mille ar- 
»  titoli,  in  parte  controversi,  e  generalmente  pochis- 
»  simo  conosciuti  ».  Noi  facciamo  voti  perchè  il  dotto 
archeologo  di  Modena,  lun"!  dall' aver  dato  V estremo 
suo  lavoro  numismatico ,  come  si  esprime  nella  sua 
dedica  ,  viva  ancora  lunghi  anni  a  benefizio  della 
scienza  da  luì  coltivata  con  tanta  gloria  sua  e  dell'  I- 
lalia,  la  quale  non  può  non  riputarlo  uno  de' più  pri- 


vilegiati suoi  figli. 


MlNERVINI. 


Nolìce  sur  Ics  fouilles  de  Capone  par  M.  Raoul-Ro- 
chelle.  Continuazione  del  n.  58  pag.  IH. 

Le  pili  numerose  scoverte  avvennero  in  questi  ul- 
timi tempi  nella  occasione  di  tracciarsi  la  linea  della 
regia  strada  ferrala  da  Napoli  a  Capua;  e  l'autore  di- 
chiara di  fermarsi  a  discorrere  particolarmente  de' 
monumenti  che  furono  tratti  da  quelle  scavazioni, 
anche  perchè  gli  archeologi  napolitani  non  si  occupa- 
rono affatto  a  ragionarne.  Su  di  che  mi  permetto 
di  osservare  che  de'  più  interessanti  monumenti  tro- 
vasi già  la  notizia  nell'  antica  serie  del  buUetlino  ar- 
cheologico napolitano,  e  nel  primo  volume  de'wio- 
numenli  inediti  del  sig.  Barone ,  da  me  pubblicato  ; 
per  modo  che  nel  quarto  e  quinto  articolo  il  dottis- 
simo autore  cita  sovente  quelle  precedenti  notizie  e 
pubblicazioni ,  aggiugnendo  le  sue  nuove  osserva- 
zioni: e  lo  stesso  dee  dirsi  della  nuova  serie  del  bui- 
lettino  napolitano ,  ove  si  trovano  notizie  e  disegni 
relativi  a  monumenti  dell'  antica  Capua. 

L'a  distingue  sepolcri  della  popolazione  primitiva 
che  dice  tagliati  nel  tufo,  sepolcri  greci,  sepolcri  ro- 
mani, e  finalmente  tombe  cristiane.  Sudi  ciò  fa  d'uo- 
po avvertire  eh'  egli  fu  tratto  in  equivoco  da  poco 
esatte  indicazioni;  perciocché  tutto  il  lenimento  diS. 
Maria  è  affatto  privo  di  tufo,  e  se  si  trovano  le  più 
antiche  tombe  formate  di  pezzi  di  tufo,  questo  Iraevasi 
dal  suolo  di  S.  Angelo  alle  falde  del  Tifata: sicché  ci 
limiteremo  a  distinguere  le  tombe  più  o  meno  aoticlie 
dell'epoca  greco-etrusca,  le  tombe  romane,  e  le  cri- 
stiane. A  queste  aggiungiamo  le  sanniliche,  delle  quali 
parleremo  fra  breve  in  un  particolare  articolo. 


Il  sig.  Raoul-Rochelte  fa  menzione  di  varie  maniere 
di  tombe.  Alcune  sono  costruite  di  grandi  pezzi  ret- 
tangolari di  tufo,  messi  insieme  senza  cemento:  la  loro 
forma  è  un  quadrilatero  più  o  nieno  allungato,  ed  il 
tetto  ora  è  piano,  ora  triangolare,  che  dicono  volgar- 
mente a  schiena.  Altre,  secondo  l'a.,  sono  formate  di 
grandi  mattoni ,  qualche  volta  ornali  di  bassirilievi 
nell'interno,  e  di  aniefisse  nelle  pareli  esteriori.  L'a. 
cita ,  in  quanto  a'  bassirilievi ,  il  Perseo  neW  atto  di 
troncar  la  testa  a  Medusa  da  me  pubblicato  nel  pri- 
mo anno  di  questo  buUetlino  (tav.V  n.  1  ed  illustrato 
a  p.  188,  s.  ),  che  ora  trovasi  collocato  nel  real  museo 
Borbonico;  non  che  una  pugna  di  uomini  armali  a 
piedi  ed  a  cavallo,  della  raccolta  del  sig.  Riccio,  nella 
quale  egli  riconosce  il  solo  monumento  autentico  del- 
l'arte nazionale  de' Sanniti.  Noi  terremo  dalla  presente 
ricerca  sopra  Capua  questo  ultimo  monumento;  per- 
chè sappiamo  che  fu  tratto  da  una  scavazione  prat- 
ticata  nell'antica  Cales  ora  Calci.  Sospendiamo  poi  il 
nostro  giudizio  sulla  esistenza  di  tombe  con  bassiri- 
lievi ed  aniefisse,  di  cui  dobbiamo  anche  noi  la  noti- 
zia al  sig.  Riccio,  non  allrimenli  che  il  sig.  Raoul- 
Rochette;  perciocché  il  sig.  Vincenzo  Caruso  di  S. 
Maria,  mollo  versalo  nella  conoscenza  de'monumenli 
della  sua  patria,  mi  ha  su  questo  particolare  comuni- 
cate alcune  sue  osservazioni  di  fatto  in  opposizione  a 
quelle  del  sig.  Riccio,  le  quali  non  increscerà  di  vedere 
qui  riportale  originalmente:  «  È  falso  che  siensialcu- 
»  ne  volle  ritrovati  sepolcri  di  mattoni  con  bassiri- 
»  lievi  ;   1  perchè  per  quanti  io  ne  avessi  scavali ,  o 
»  veduto  scavare  da  altri,  non  mai  mi  si  è  presentato 
»  un  fallo  simile;  2  perchè  io  conosco  il  silo  dove  fu 
»  rinvenuta  in  pezzi  la  tegola  rappresentante  Perseo, 
»  poco  lontano  dall'  Anfiteatro ,  ed  a  due  palmi  di 
»  profondità  dalla  terra  ne  furono  rinvenuti  i  pezzi  an- 
»  tecedenlemente  rotti  da  un  colono  ,  senza  che  me- 
»  noma  traccia  di  sepolcro,  o  di  altri  mattoni  vi  com- 
»  parisse;  3  perchè  arlislicamenfe  si  vede  ricorrere  la 
»  cornice  con  ovoli  solamente  alla  parie  superiore  e 
»  non  intorno  intorno,  come  avrebbe  dovuto  essere, 
»  se  si  avesse  voluto  situarlo  ,  come  nella  tavola  del 
»  sig.  Raoul-Rocbetle,  nella  quale  ipotesi  non  sareb- 
»  bero  slati  necessari  i  buchi  pe'  perni  di  bronzo,  che 
»  soflcnevano  tali  fregi. 


—  160  - 


»  Lo  slesso  dovrà  dirsi  delle  anlefisse  il  di  cui  uso 
«  è  defÌQilo,  senz'aleuti  dubbio ,  pel  canale  che  die- 
»  tre  di  esse  sempre  si  ritrova  ». 

Il  sig.  Raoul-Rochetle  parla  di  sepolcri  di  marmo 
di  un'epoca  più  recente  ;  di  quelli  formati  di  semplici 
tegole  senza  alcuno  ornamento  ;  e  di  altri  scavati  nella 
terra  vergine  e  ricoperti  da  un  solo  matlone.  Final- 
mente ragiona  di  alcuni  sepolcri  osservati  dal  signor 
Biccio ,  adomi  di  pitture  nelle  interne  pareti ,  che  si 
dicono  frugati  a  tempo  de'  Romani.  Noi  avremo  la 
occasione  di  parlare  di  simili  tombe  dipinte,  che  sono 
da  riportare  a'  tempi  sannilici. 

L'  autore,  dopo  generali  idee  su'  sepolcri  di  Ca- 
pua,  favella  di  alcuni  degni  di  particolare  attenzione, 
de'  quali  noi  non  ripeleremo  le  descrizioni.  Soltanto 
mi  fermerò  alquanto  sopra  due  monumenti  più  inte- 
ressanti, de' quali  si  ragiona  in  6ne  di  questo  terzo  ar- 
ticolo. Il  primo  è  un  sepolcro,  dice  l'a. ,  che  7ion  la- 
scerà disgraziatamenlc  nella  scienza ,  se  non  la  debole 
traccia  che  io  ne  tramanderò.  Per  relazione  del  signor 
Sideri ,  Ispettore  delle  antichità  per  la  provincia  di 
Terra  di  Lavoro,  era  questo  monumento  costruito  di 
grandi  massi  di  tufo ,  il  basamento  n'  era  cinto  di 
raodanalure  di  elegante  carattere ,  ed  era  adorno  al- 
l'esterno  di  figure  di  donne  tenenti  de"  fanciulli  nelle 
loro  braccia,  di  stile  arcaico,  ed  eseguite  nella  stessa 
materia.  L'a.  deplora  a  ragione  che  non  abbiamo  po- 
tuto formarci  finora  l' idea  ne  di  quelle  sculture ,  né 
dell"  edificio  che  n'  era  fregiato.  Egli  dubita  se  fosse 
Io  stesso  da  lui  innanzi  citato ,  e  dichiarato  per  un 
tempio:  essendo  egualmente  scavato  nel  villaggio  delle 
Curii  per  opera  della  famiglia  Paltorelli.  Noi  possia- 
mo francamente  asserire  che  non  si  tratta  di  due  di- 
stinti edificii  ma  di  un  solo,  e  che  sembra  indubitato 
non  potersi  riputare  una  tomba.  Del  resto  per  dare 
una  speranza  agli  amatori  delle  anlichità ,  e  princi- 
palmente all'  insigne  archeologo  francese  ,  di  potere 
una  volta  venire  in  una  più  esatta  cognizione  di  quel- 
r  importante  nionumenlo ,  sarà  opportuno  che  io  ri- 
porti per  esteso  quel  che  me  ne  ha  scritto  il  signor 
Caruso  ,  a  cui  ne  feci  la  interrogazione  sulla  esposi- 


zione datane  dal  signor  Raoul-Rochette.  »  È  ben  coX  , 
»  nosciuto,  egli  dice,  il  luogo  del  monumento,  per* 
»  che  sullo  stesso  sito  si  conservano  ammonticcliiati 
»  e  capovolti  i  tufi ,  che  lo  componevano  ,  nonché 
»  tutte  le  figure  scolpite  anche  sul  tufo,  le  quali  rap- 
»  presentano  donne  sedule  tenendo  sulle  braccia  da 
»  uno  fino  a  cinque  putti  :  e  l' essersi  un  tale  monu< 
»  mento  sconnesso  ,  non  fu  che  effetto  di  panico  ti- 
»  more,  che  invase  il  proprietario,  tenendo  per  certa 
»  la  perdita  del  fondo ,  dietro  la  denuncia  dell*  inte- 
»  ressante  monumento.  Io  eh'  ebbi  la  fortuna  di  po- 
»  terlo  osservare  pochi  giorni  appresso  che  fu  sco- 
»  perto  ,  posso  assicurare  ,  non  avervi  osservato  aU 
»  cuna  traccia  di  marmo.  Il  proprietario  poi  asserisce 
»  avere  con  tanta  diligenza  tolti  d'opera  i  grandi  tufi, 
»  di  che  si  componeva  l' edifizio,  che  volendo  si  po- 
»  Irebbe  tutto  rimettere  nello  stato  in  cui  fu  riove- 
»  nuto.  E  debbo  a  miglior  dichiarazione  aggiugnere 
»  che  avendo  finora  parlato  di  monumento ,  non  ho 
»  inteso  che  fosse  intatto  ;  mentre  dovendo  questo  in 
»  origine  esser  molto  elevalo  fuori  terra ,  tutta  la 
»  parte  superiore  fu  in  tempi  remoti  distrutta  e  la 
»  parte  di  esso ,  a  tempi  nostri  ritrovala ,  fu  il  solo 
»  basamento  ,  che  elevavasi  dall'antico  livello  su  cui 
»  fu  costruito  circa  palmi  11.  Dalle  innumerabili  ter- 
»  recotte  rinvenute  in  varii  fossi,  e  pochi  palmi  lon- 
»  tano  dal  descritto  monumento ,  potranno  i  dotti 
»  arguire  che  cosa  fosse  quell'  edifizio.  Quasi  tutta  la 
»  collezione  di  terrecotte  del  Sig.  Riccio  fu  ivi  rin- 
»  venuta,  e  principalmente  i  gruppi ,  le  statuette,  e 
»  le  antefisse  :  quelle  del  Sig.  Malerazzo ,  e  la  gran 
»  collezione  del  Sig.  Casanova  ,  acquistata  poi  dal 
»  Gargiulo ,  furono  in  questo  medesimo  sito  rinve- 
»  nule.  Io  slesso  son  possessore  di  un  centinajo  di 
»  pezzi  non  dispregevoli.  Né  è  da  tacersi  sul  propo- 
»  sito  ,  che  la  sola  sospensione  degli  scavi  ha  impe- 
»  dito  che  seguitassero  ad  uscire  alla  luce  altre  ler- 
»  recolte,  mentre  intorno  intorno  a'  fossi  tuttora  aperti 
»  se  ne  scorgono  ammonticchiate  » . 


(continua) 


MiNBRVINI. 


GioK-fO  Mi.NEBviNi  —  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Càtahbo. 


BUILETTIIVO  ARCUEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


iV."  47.     (23.  dell'  anno  II.) 


Maculo  1854. 


Di  un  nuovo  ambulacro  scoperto  nel  Cimitero  di  S.  Caterina  presso  Chiusi. — Iscrizioni  in  caratteri  e  dialetti 
italici. — Giunta  all'  articolo  precedente. — Iscrizione  gra/fìta  sotto  il  piede  di  un  vaso. 


Di  un  nuovo  ambulacro  scoperto  nel  Cimitero  di  S. 
Caterina  presso  Chiusi. 

Nell'adunanza  dell' Istituto  archeologico,  tenutasi 
in  Roma  li  21  Gennaro  del  1833,  fu  preso  in  consi- 
derazione il  mio  Ragguaglio  di  un  nuovo  antico  Ci- 
mitero Cristiano  scopertosi  nel  1 848  nel  colle  di  S. 
Caterina  presso  Chiusi  ;  e  venne  promosso  qualche 
dubbio  riguardo  alla  origine  e  pertinenza  Cristiana 
di  quel  Cimitero,  conchiudendo  peraltro  il  rapporto 
con  le  parole  seguenti  [Bull.  arch.  1853  p.51):  «con 
tutto  ciò  gli  adunati  non  roostraronsi  scettici  in  quanto 
alla  supposta  sussistenza  di  un  nuovo  Cimitero  Cri- 
stiano Chiusino  ;  ma  siccome  la  scoperta  sarebbe  di 
grande  importanza,  cosi  fu  esternato  l'unanime  deside- 
rio di  vederla  confermata  con  nuove  prove  più  strin- 
genti, atte  a  levare  qualunque  dubbio  potessero  ecci- 
tare le  difficoltà  or  ora  esposte».  Ora  mi  gode  l'animo 
di  poter  annunciare ,  che  le  recenti  scoperte  falle  in 
queir  ipogeo  ne  prestano  per  appunto  le  desiderale 
nuove  prove  più  stringenti  ed  alle  a  cessare  ogni  dub- 
bio e  difficoltà.  Nel  sovra  lodalo  rapporto  del  dotto  con- 
sesso dell' Inslituto  archeologico  la  voce  DEPOSITIO, 
che  sino  ad  ora  non  si  rinvenne  in  verun  monumeiito 
pagano,  fu  riconosciuta  per  indizio  alquanto  positivo 
di  Cristianità;  ma  si  dolevano  que'  dotti,  che  questa 
voce  non  ricorra  che  solo  in  una  delle  dodici  in  al- 
lora cognite  epigrafi  dell'ipogeo  di  S.  Caterina,  men- 
tre che  poi  in  dieci  di  essa  ricorrono  le  sigle  D  M  pa- 
gane d'origine  (1).  Il  eh.  Monsignor  Barlolini,  nella 

(1)  Della  frequenza  delle  sigle  DM  nelle  iscrizioni  cristiane  vedi 
Raoul-Roclietlc  sur  les  antiq.  Chrét.  dcs  Calao,  nelle  mem.  dell' 
Accad.  delle  iscrizioni  e  bilie  ledere  wiìì.  XIII  p.  176  e  segg. ,  ed 
il  eh.  mse  journ.  dcs  Savanfi  Ì8'M  p.  i^3-43i.—l' Editvre. 
AN.yo   II. 


sua  Dissertazione  intorno  a  quel  cimitero,  letta  alla 
Pontificia  accademia  Romana  di  Archeologia  li  10 
di  Luglio  del  1852,  e  poscia  stampala  con  qualche 
giunta  negli  atti  dell'  Accademia  stessa  verso  la  fine 
del  1853,  ne  diede  un  nuovo  epitafio  del  Cimitero 
di  S.  Caterina  con  in  fronte  la  Cristiana  formola 
DEPOSITIO,  come  segue  : 

DEP 
PHELO 

NICEN 

TIXKAL 

MAIAS 

Ora,  in  sulla  fine  di  Maggio  del  corrente  anno 
Monsignore  Claudio  Samuelli  Vescovo  di  Montepul- 
ciano cortesemente  mi  trasmise  due  lettere  a  lui 
scritte  da  Monsignore  Antonio  Mazzetti  Vicario  ge- 
nerale di  Chiusi,  colle  quali  gli  dà  notizia  dello  sco- 
primento di  un  nuovo  ambulacro  di  quel  Cimitero, 
fattosi  nella  scorsa  primavera,  che  pone  come  il  sug- 
gello di  autenlicilà  all'  origine  e  pertinenza  Cristiana 
del  ridetto  ipogeo  Chiusino  del  colle  di  S.  Caterina. 

Il  lodato  Monsignor  Mazzetti,  a  dì  14  di  aprile 
scriveva  quanto  segue  all'  illustrissimo  e  reverendissi- 
mo Monsignor  Claudio  Samuelli  Vescovo  di  Monte- 
pulciano. «  Avendo  scoperto  una  nuova  strada  nelle 
Catacombe  di  S.  Caterina,  aspettava  di  averla  visitala 
tutta  per  darle  riscontro,  nel  caso  che  avessi  trovalo 
cose  interessanti;  ma  per  mala  sorte  questa  è  stala  ri- 
frugata fino  ab  antico  da  VandaU ,  supponendolo  se- 
polcro di  Gentili;  ed  hanno  spezzalo  le  tegole  che  co- 
privano i  loculi,  messe  sottosopra  le  ossa,  molte  dell*) 
quali  abbiamo  trovate  frammiste  alla  terra  della  stra- 

23 


—  162  — 


da,  con  vani  pezzi  di  ampolle  tinte  di  sangue,  e  due 
vaselli  che  avean  servito  parimente  a  contener  san- 
gue, e  con  una  lucerna,  nella  quale  è  figurata  una 
colomba  avente  nel  becco  un  ramuscello  ed  in  sul 
capo  una  Croce.  V'era  ancora  una  lapide  di  marmo 
con  questa  iscrizione  : 

D  /  M 

CAESIA  BENEBOLA 
OVE  VIXIT  ANNIS  XLIV 
ETMESESIIIIETCVMM 
ARITO  SVO  ANNIS  XX 
Vili  ET  MESES  IIIIDIES 
XXI  BMP  PATER  CON 
FILIS  •  III   IDVS   MAI 
AS  DEP: 

Lo  stesso  Monsignor  Mazzetti,  a  di  30  Aprile,  da- 
va al  lodato  Monsignor  Samuelli  più  distinto  raggua- 
glio della  nuova  scoperta,  scrivendogli  come  segue  : 
«  Il  nuovo  ambulacro,  recentemente  scoperto,  è  si- 
tuato presso  la  porta  d'ingresso,  a  mano  destra.  Esso 
attualmente  è  lungo  braccia  19,  e  largo  2  3/4,  con 
doppi  sepolcri  arcuati  da  ambe  le  parti,  uno  in  fon- 
do, e  varii  loculi  sul  suolo,  come  nel  rimanente  del 
Ciraiterio.  1  sepolcri  arcuali  sono  in  numero  di  dieci 
nell'interno,  ed  altri  due  erano  all'esterno;  il  che  mo- 
stra essere  sialo  più  lungo  l'ambulacro;  ma  per  es- 
sersi consumalo  il  terreno,  sono  cadute  le  volte,  e  ri- 
masti i  sepolcri  quasi  allo  scoperto.  Dodici  sono  le 
lucerne  intere  ritrovale  nel  dello  ambulacro ,  tutte, 
secondo  il  solilo,  di  terra  cotta,  la  maggior  parte  con 
la  Croce  decussala  nel  fondo  ;  ma  in  una  di  esse  v'è 
al  disopra  una  Colomba  in  bassorilievo  (non  però  di 
bella  forma,  nò  colorita),  la  quale  tiene  un  ramuscello 
nel  becco,  ed  in  sul  capo  una  Croce  di  questa  forma  -{-. 
In  quanto  all'Iscrizione,  i  caratteri  di  questa  sono  an- 
che più  belli  di  quelli  delle  altre  ritrovale  in  detto 
Cimitero,  come  anche  la  lapide  è  più  grande  di  tutte 
le  altre  ». 

Oh  quanto  preziosa  si  è  questa  lapida ,  e  la  lucer- 
na altresì  !  Da  prima  fra  le  dodici  Iscrizioni  del  Ci- 
mitero di  S.  Caterina  una  sola  moslravasi  decisamente 


Cristiana  per  ragion  della  voce  DEPOSITIO  ;  ma  crea- 
vano non  leggiera  difficoltà  le  sigle  D  M  poste  in  prin- 
cipio di  dieci  di  esse.  Monsignor  Barlolini  (p.  26)  ne 
aggiunse  altra  con  la  formola  Cristiana  DEPosetJO  in 
principio:  ed  ora  ne  abbiamo  una  terza ,  la  quale  fi- 
nendo colla  Cristiana  DEPosilio,  ed  avendo  nel  som- 
mo le  sigle  D  M,  evidentemente  ne  dimostra,  che  i 
primitivi  Fedeli  Chiusini  usarono  quelle  sigle  unica- 
mente come  solenne  ed  inveterato  indizio  di  epigrafe 
sepolcrale.  In  questa,  novamente  venuta  a  luce,  an- 
che il  nome  BENEBOLAE,  e  lo  scambio  stesso  del 
B  al  V,  è  tutto  proprio  degli  epitafi  Cristiani:  e  lo 
stesso  dicasi  del  CON  posto  per  CVM.  La  nostra  buona 
Cesia  Benevola ,  avendo  vissuto  anni  XLIV  e  mesi  li II, 
ed  avendo  passati  anni  XXVIII,  mesi  IIII  e  giorni 
XXI  col  marito  suo ,  dovette  disposarsi  in  età  d' anni 
XVI  meno  giorni  XXI,  ch'era  l'eia  media  consueta  delle 
nozze  delle  antiche  fanciulle  Cristiane.  A  lei  bene- 
merente fu  fatto  il  sepolcro  ,  e  appostovi  l' epitafio, 
dal  padre  e  da'  figliuoli ,  senza  che  siavi  nominalo  il 
marito,  che  verisimilmente  sarà  premorto  ad  essa. 
La  lucerna  poi  insignita  del  simbolo  della  Colomba 
tenente  un  ramuscello  nel  becco,  anche  per  ciò  solo 
sarebbe  evidentemente  Cristiana,  non  essendovi  forse 
altro  simbolo  che  più  di  frequente  ricorra  negli  an- 
tichi epitafi  Cristiani,  che  questo  della  Colomba,  la 
quale  tornò  a  Noè  nunzia  di  pace  dopo  il  Diluvio  u- 
niversale  :  ma  il  sacrosanto  segno  della  Croce ,  so- 
vrapposta al  capo  di  lei,  toglie  di  mezzo  ogni  ombra 
di  dubbio,  sì  che  il  contraddire  più  oltre  sarebbe  pro- 
pio  un  volere  impugnare  la  verità  conosciuta.  La  detta 
particolarità  della  Croce  sovrapposta  al  capo  della  in- 
nocente e  pacifica  Colomba  forse  è  nuova,  o  almeno 
assai  rara  ;  ma  pure  mollo  propria  ed  espressiva.  Ne* 
monumenti  Cristiani  antichi  la  Colomba  ricorre  qual 
simbolo  de' Fedeli,  degli  Apostoli,  e  di  Cristo  Signor 
nostro  altresì ,  e  vien  detta  divina  pacis  praeco  (Ter- 
tullian.  adv.  Valent.  e.  2:  cf.  Bottari ,  Roma  sotlerr. 
TJ,  p.H7)  :  e  la  Croce  posta  sopra  il  suo  capo  può  ri- 
cordare Cristo  medesimo,  detto  dall' Apostolo  (ad  Co- 

loSS.    I,    W)  PÀCIFICÀNS  PER  SANGUtNEU  CRUCIS  EWS 

sive  quae  in  terris,  sive  quae  in  caelis  sunt. 

La  nuova  iscrizione  di  Cesia  Benevola  eoa  le  sigle 


—  163- 


D  M  in  capo,  e  con  hEPosilio  in  fine,  conforta  l'av- 
V'so  del  eh.  cav.  de  Rossi,  che  i  più  anticiii  Cristiani 
di  Chiusi ,  o  forsi  anche  di  tutta  l' Etruria ,  abbiano 
per  qualche  tempo  conservata  la  formola  D  M.  d'ori- 
gine pagana,  sia  per  ignoranza,  sia  per  altra  ragione, 
come  solenne  principio  d'ogni  lapide  funeraria  {Bull, 
arch.  1853,  p.  50).  Di  lapidi  Cristiane  colla  ridetta 
formola,  trovate  nell'antica  Etruria,  egli,  in  quell'a- 
dunanza, non  seppe  ricordarsi  che  di  tre  o  quattro 
esempi,  neanche  assai  certi:  ora  quel  numero  cresce 
di  molto  per  le  ripetute  scoperte  fattesi  nell'  ipogeo 
di  S.  Caterina.  11  lodalo  sig.  cavaliere,  nel  maggio 
dello  scorso  anno  1853,  gentilmente  mi  partecipava 
la  seguente  pregevolissima  iscrizioneCristiana  di  Vol- 
terra, tratta  da  una  scheda,  che  gli  pare  di  mano  del 
Lanzi,  nella  Vaticana,  ove  dicesi  trovata  in  Volterra 
l'anno  1803  nel  disfare  una  casa. 


D.         M. 
INGENIOSAE 
QVAE  VIXIT  ANNIS 
III  •  M  V  •  DIES  •  XXI   FI 
DE  •  PERCEPII  MESO 
RVM  VII  •  AVR  •  rOIlTV 
NATVS  •  PATER  FIUAE 

Forse  vuol  dire ,  che  la  fanciullina  Ingcniosa  ri- 
cevette il  Battesimo  nella  tenera  età  di  VII  mesi.  Del 
resto,  neir  iscrizione  di  Volterra  il  caso  retto  FLO- 
RIANES  riscontrato  col  dativo  FLORIANENI  mostra 
che  cotali  vezzeggiativi  inflettevansi  come  Spes,  Spe- 
nis.  Speni;  di  ciie  chiara  si  pare  anche  la  formazione 
della  voce  nostra  poetica  sviene  posta  in  vece  di  spevie^ 

C.  Cavedoni. 


—  Do  M»  -«- 

MVRTIVS  VERINVS  •  PA 
TER  M  VRTIE  •  VERINE .  ET 
MVRTIE  FLORIANENI 
FILIABVS  •  MALEMERENT 
IBVS  •  CRVDELIS  PATER  •  TIT 
VLVM  .  ISCRIPSIT  •  VERINA 
PERCEPII  •  M  •  X  •  VICXIT  •  AN 
NOSXIIMENSESVFL 
ORIANES  •  PERCEPII  •  M  •  XII. 
fsicj  VICX  •  IT  •  ANNIS  Vili  •  M  •  IIIIN 
NOCENTES  ACCEPERVNT 
• -VOPATRE  OVODEDEBVERANT 
B  La  parola  percepii  (  soggiunge  il  lodato  sig.  de 
Rossi), non  potendo  qui  alludere,  se  non  erro,  ai  mi- 
steri mitriaci,  ed  al  taurobolio,  ne'  quali  non  v'ha, 
credo,  esempio  che  fossero  iniziali  gì'  infanti ,  dovrà 
essere  intesa  de'  misteri ,  ossia  Sacramenti  Cristiani , 
nel  qual  senso  è  solenne  e  notissima  formola  » . 

E  tanto  si  conferma  pel  riscontro  della  formola 
piena  FIDE  PERCEPII  di  un'iscrizione  de'suburbii 
di  Napoli,  ora  nel  R.  Museo  Borbonico  (sep.  col.  16), 
che  il  eh.  Rtommsen  {fnscr.  R.N.  n.  3160cf.  p.  468) 
dubitava  non  fosse  Cristiana,  forse  non  per  altra  ra- 
gione che  deU'inlitolazìone  D.  M.  Essa  dice: 


Iscrizioni  in  caratteri  e  dialetti  italici. 

Comprende  la  tavola  quinla  selle  monumenti  scritti 
nei  primitivi  dialetti  italici  delia  più  alta  importanza. 

1 .  Il  primo,  offertomi  dal  più  volte  lodalo  mio  amico 
sig.  Vincenzo  Caruso,  non  è  più  intero  dell'allro  appar- 
tenente al  medesimo  possessore ,  che  già  fu  spiegalo 
in  questa  nuova  serie  an.  I  p.  182.  È  veramente  a  do- 
lersi che  le  due  leggende  assai  incomplete  non  forni- 
scano un  dato  sufBciente  alla  spiegazione  dei  basso- 
rilievi che  le  accompagnano.  Gioverà  per  tanto  notare 
il  pilco  frigio  della  novella  figura,  e  quell'  acconcia- 
tura di  capo  che  dislingue  segnatamente  le  Veneri 
della  miglior  arte  greca.  Manca  però  ogni  ornamento 
di  collana ,  e  di  pendenti,  il  perchè  io  inclino  a  cre- 
derla figura  virile  ,  non  ostante  la  discriminatura  dei 
capelli,  e  la  lor  massa  e  l'aggrupparsi  dietro  alla  nuca 
feminilmcnte.  Ma  chi  sarà  il  rappresentato?  Dirò  per 
conghiellura  che  preferirei  Capys  ad  Ali  lido ,  o  al 
frigio  Atti,  ed  al  lelefo;  perchè  una  tradizione  molto 
oscura  accenna,  per  altro  assai  apertamente  ,  agli  a- 
mori  di  Capys  colla  Luna,  ossia  colla  Venera  Frigia. 
Ecco  le  parole  :  Fondere  subieclo  PhliJis  componimus 
ossa-Grata  magis  terrae  quam  tibi  luna  Capys  (Ordii 
4832).  Lascio  stare  qui  la  trattazione  di  cosa  tanto 


—  164  — 


dubbia ,  e  mi  rivolgo  ai  frammenti  di  leggenda ,  che 
sono  tracciali  a  stecca  sul  medesimo.  Questi  hanno 
ancora  sofferto  dalla  mano  dell'  uomo  ,  essendo  tutti 
segnati  da  più  o  meno  profonde  sgraffiature ,  che  ne 
rendono  incerta  la  lezione  a  primo  colpo.  Ho  fatto 
disegnare  il  tutto  secondo  la  mia  maniera  di  vedere, 
e  spero  di  avere  indovinato.  È  singolare  l'impiego  di 
un  punto  in  luogo  delia  traversa,  a  quel  che  ne  pare, 
sulla  N ,  trovandosi  ripetuto  poi  nella  seconda  linea 
nei  due  il*.  11  V^II8  e '1V^33  sembrano  corrispon- 
dere a  Fesonius  e  Vesonius  nomi  gentili  oschi  o  san- 
nitici. 

2.  Un  vasellino  alto  un  palmo  a  Ggure  rosse  in 
campo  nero  porta  di  sotto  al  piede  in  nero  dipinta  la 
voce  l-YriH,  che  ricorda  un  artista  cumano  in  forza 
del  dialetto  nel  quale  è  scritta.  Potrebbe  del  resto  leg- 
gersi vyir\,  senza  incontrar  le  difficoltà  della  trasfor- 
mazione di  vyii'%  in  t/yi'r),  ed  allora  le  si  concederebbe 
un  senso  equivalente  ad  vyixly.ty ,  come  se  in  latino 
si  scrivesse  Sanum,  senz' altra  giunta,  o  Felicem,  o 
Faustum. 

3,  Sebbene  si  conoscessero  più  graffiti  di  Campa- 
nia in  lingua  e  carattere  etrusco,  niuno  se  ne  poteva 
dimostrare  di  origine  Capuana.  Nel  primo  volume  di 
questa  nuova  serie  ne  diedi  già  alla  luce  uno,  e  m'ar- 
gomentai di  cavarne  tutte  quelle  conseguenze  storiche 
che  leggo  essersi  adottate  dal  eh.  sig.  Raoul-Rochette 
nella  recente  sua  opera  sugli  scavi  di  Capua  (Notice 
«ur  les  fouilles  de  Capoue  p.  53,  54:  cf.  il  mio  arti- 
colo BuU.Arch.Nap.  an.I  p.84,87).  Ad  onta  di  tutte 
le  mie  posteriori  ricerche  io  non  conosco  altro  graf- 
fito etrusco  di  Capua  antica  ;  e  sarebbe  il  presente 
assai  più  pregevole ,  se  potesse  dimostrarsi  sicuramen- 
te capuano  :  ma  il  venditore  si  è  costantemente  rifiu- 
tato a  dichiararne  la  provenienza.  Dalle  circostanze 
per  altro  si  può  fondatamente  sospettare  che  appar- 
tenga a  Cuma,  e  però  a  Capua  etrusca  che  la  domi- 
nava, essendo  apparso  in  vendita  nel  tempo  appunto 
che  si  eseguivano  gli  scavi  nella  necropoli  di  Cuma. 
Taluno  si  maraviglierà  che  io  non  abbia  qui  ricor- 
data la  iscrizione  che  il  sig.  Raoul-Rochette  ha  re- 
centemente pubblicata,  a  p.  70,  capuana  ancoressa, 
ed  etrusca,  secondo  il  dotto  editore,  che  si  esprime  io 


questo  luogo  cosi:  «  Mais  l' acteur  de  notre  terre  cuite 
»  doit  élre  plutòt  reconnu  pour  étrusque  que  pojir 
»  osque  ,  d' après  les  lettres  étrusques  ,  qui  soni  tra» 
»  cées  sur  la  base  où  il  est  assis ,  e  que  je  reproduis 
»  ici  fidèlement  sous  la  forme  et  dans  la  disposition  qu' 
»  elles  présentent  »  :  VNE/ 

Ma  cesserà  la  maraviglia  quando  si  consideri  che 
la  iscrizione  dell'illustre  archeologo  è  invece  tutta 
greca,  e  non  dice  altro  se  non,  ciò  che  assai  bene  ha 
compreso  il  sig.  Raoul-Rochette,  quell'uomo  o  Sileno 
che  sia  t^/7  aì^o/w  as  fxaXacrffsiK*  vvit  l'ipXa,  od  l'SXa, 
di  che  ci  lascia  in  dubbio  il  calco ,  ma  senza  danno 
del  senso  :  avendo  scritto  nel  suo  lessico  Fozio  l'(pX(x , 
ri  fSXoc,  IjaaXaffcrs  (cf.  Suid.  s.  v.  àva^Xatrxo/*  àvo- 
^\'Xy  fXsyoy  TÒ  fxoiXoimiv  rò  aì^oTov  ).  Il  metaforico 
senso  di  uns  od  vyyts  è  usurpato  da  Lucrezio ,  ed  al- 
cun che  di  analogo  trovano  i  dotti  nell'  uso  del  verbo 
àpùw  presso  Sofocle  in  Oedip.  In  conseguenza  di  che 
quella  oscenità  resta  tutta  a  carico  dei  Greci,  e  sene 
debbono  assolvere  questa  volta  gli  Oschi, e  gli  Etruschi. 

La  novella  leggenda  è  in  possesso  del  gentilissimo 
mio  amico  signor  cav.  Carlo  Bonichi ,  dalla  benevo- 
lenza del  quale  mi  fu  concesso  di  farne  la  pubbli- 
cazione. Non  presenta  veruna  difficollà  di  senso  , 
essendo  ben  chiaro  che  3IRA)i^  3;>aaWAm  \W  sia: 
Ego  sum  Mamercus  Asclaeus.  Il  Mamercus  vi  è  im- 
piegato come  prenome ,  e  dà  luce  al  3^(13RI-H  dell' 
altra  tazza,  che  io  interpretai  Marcus.  In  questo  però 
non  v'  ha  dubbio  che  la  voce  non  sia  Mamercus ,  e 
qui  ci  porta  naturalmente  ad  una  deduzione  di  grande 
importanza.  È  noto  che  Mamercus  era  prenome  osco 
o  sannitico  :  lo  attestano  gli  antichi  grammatici ,  e  lo 
confermano  le  scoperte  dei  nostri  tempi.  Fra  tanta 
selva  di  nomi  che  sinora  ci  han  dato  le  tombe  etru- 
sche  mai  è  che  siasi  veduto  un  Mamercus.  Ma  l' al- 
fabeto è  certamente  etrusco.  Il  nome  gentile  Asclaius 
ha  grande  analogia  con  Ascia  od  Asclas  forma  accor- 
ciata dal  greco  Asclepiodorus.  Prima  di  passare  ad  al- 
tro argomento  voglio  dar  luogo  ad  una  pregevolissi- 
ma testimonianza  di  Pesto,  che  nel  tempo  medesimo 
conferma  le  origini  etrusche  di  Capua  ,  e  dà  validis- 
simo coaforto  alla  opinione  di  già  da  me  emessa  neil' 


—  165  — 


altro  articolo  sovraci(a(o  (an.Ip.8S),  ove  credetti  dal- 
l'cnalogia  del  nome  gli  Etruschi  di  Capua  essere  una 
colonia  venuta  appunto  dalla  Capua  o  Capena  di  E- 
truria.  I  Romani  difaltì  chiamarono  porta  Capena 
quella  che  conduceva  sulla  via  di  Capua  :  onde  sem- 
bra che  Capena  sia  un  derivato  addiettivo  siccome 
Suessa  e  Suessanum ,  Cales  e  Calenum,  ed  altri  somi- 
glianti. La  testimonianza,  di  che  parlo ,  è  a  p.  343 
del  Pesto  di  Mùller  :  Stellatina  tribus  dieta  non  a 
campo  eo,  qui  in  Campania  est,  sed  eo  qui  prope  ab- 
est  ab  urbe  Capena,  ex  quo  Tusci profecli  SleWalinum 
ìllum  campum  appellaverunt.  Secondo  questa  tradi- 
zione ,  Capena  Etrusca  avrebbe  avuto  il  suo  campo 
Stellate,  e  gli  Etrusci  di  Capena  colonizzati  sul  Vol- 
turno avrebbero  dato  il  nome  medesimo  alla  nuova 
città  Capii  ed  al  campo  vicino ,  costume  ben  cono- 
sciuto siccome  proprio  specialmente  delle  tribù  itali- 
che per  altri  esempi.  Dopo  le  memorie  del  eh.  sig. 
Raoul-Rochette  sono  ancora  il  primo  a  giovarmi  e  a 
produrre  questo  luogo  veramente  classico  che  servirà 
perù  di  compenso  alla  omissione  di  che  il  prelodato 
sig.  R.  R.  mi  condanna  a  p.  43,  che  nel  riferire  agli 
Etruschi  il  singolarissimo  sepolcro  capuano  da  me 
pubblicato  (bull.  nap.  an.  I  p.  129,  130),  non  abbia 
pensato  di  riportarlo  ad  un'origine  asiatica.  Io  per 
altro  non  poteva  citare  gli  unici  monumenti  di  Ninive 
allegati  qui  dal  sig.  Raoul-Rochetle  dall'opera  del  sig. 
Layard,  Nineveh  t.  II,  pi.  114 ,  che  non  si  era  sino 


allora  veduta  in  Napoli.  Procedo  ora  ai  tre  franamenti 
sannitici. 

N.  4,  5,  6,  leggesi  il  primo 
IH  I 

•  •  •  ^HOR  •  •  • 

•  •  •  TNOYO- 

È  agevole  supplire  l' ultima  voce  ^HTTRSVOTI ,  e 
però  d' intendere  che  la  lapide  riguarda  un  monu- 
mento approvato  dal  magistrato  municipale.  Non  è 
qui  opportuno  di  entrare  nella  discussione  intorno  alla 
sannitica  comune,  alla  quale  apparteneva  questo  luo- 
go ;  ma  non  posso  omettere  di  notare  che  questo  ter- 
ritorio al  presente  di  Barrea  ,  paese  posto  sulla  riva 
del  Sangro  fra  Atina  e  Castel  di  Sangro  (nomino  le 
città  più  note),  non  è  molto  lontano  dalla  valle  di 
Cornino  :  altrove  tratterò  questo  soggetto  ampiamente. 
Rimontando  in  su  occorre  A^^33n  con  non  ordina- 
ria ridondanza  di  lettere  :  se  fosse  lecito  allegherei  al 
confronto  il  mV.\T^3n  di  Pietrabbondante  ,  colla- 
zionato da  me  sulla  pietra  originale.  Dirò  a  tal  pro- 
posito, che  convengo  pienamente  col  sig.  Mommsen 
nella  lettura  ,  ma  vorrei  che  questa  voce  significasse 
r  edifizio  fatto  costruire ,  invece  di  riputarlo  nomo 
accorciato  di  persona.  A  mio  avviso  le  due  lapidi 
sono  due  porzioni  di  una  medesima  leggenda  ,  che 
formava  il  zoforo  del  frontone ,  e  doveva  presso  a 
poco  essere  disposto  cosi  : 


mRVlVl+iV.\T^3n?l|  IR  (qui  forse  altro  nome  di  magistrato)|(lRA)IA-^IITRR"n?A 


Cioè  L.  Statius  L.  f. 

Clarus  ....  Aediles 
Pestlom  faciundum  curaverunt. 

Il  vocabolo  della  linea  superiore  può  supplirsi ,  se 
non  erro,  ^l-30R^.  Non  tento  però  gli  altri  due  fram- 
menti ,  che  son  troppo  frusti  (1)  :  in  compenso  pro- 
durrò qui  emendata  la  pompeiana  della  quale  il  Momm- 
sen diede  la  lezione  che  ne  ebbe  d' altrui  mano  e  ca- 

(1)  Non  si  omeua  intanto  di  aggiugnere  quest'altro  esempio  del- 
l' P  a  quei  clie  ho  addotto  illuslraodo  la  moueta  degli  Auruaci 
Aa.  I.  pag  65. 


pacilà  (Bull.  Nap.  V,  45).  É  assai  prezioso  monu» 
mento  così  restituito  alla  sua  integrità  col  frammento 
che  è  tuttavia  nei  magazzini  del  R.  Museo  (1). 

a  \my-R3[)i 
^K3H  i)iRaRnm[iaT 

5B88  RHRmRR-HI^H[RT 

Maius  Purius  (Farina)  Mai  fdius  quaestor,  Tritn- 

(1)  Si  tralasciano  i  nessi  non  potendo  riprodursi  colla  slampa. 
L' autore  ignora  che  il  fiammeuto  si  è  liunilo  al  pezzo  più  grande.— 
L  Eclitore, 


^  166  — 


paracinii  dea-e(o ,  saepsil.  Così  vedesi  resliluito  alla 
lingua  osca  il  vero  nome  del  Trimparacinius ,  che  io 
sospettai  essere  quello  della  tribù,  presso  la  quale  ri- 
sedeva la  votazione  in  questo  mese  nel  quale  fu  de- 
cretato il  lavoro  qui  indicato. 

N.  7.  La  chiesa  dedicata  a  S.  Pelino  in  Pentima 
(Corfinium)  è  un  tesoro  per  le  molte  iscrizioni  e  fram- 
menti di  esse  adoperati  a  costruirne  le  pareti.  Molti 
hanno  copiato  le  più  conservate,  e  le  più  visibili,  ta- 
luno ha  scoperto  ancora  delle  sepellite  per  metà,  ma 
la  presente  tuttoché  chiara ,  e  collocala  in  un  can- 
tone ,  non  era  stala  veduta  da  veruno.  È  intanto  per 
luio  avviso  di  un'  importanza  solenne,  rivelandoci  l'uso 
dell'  alfabeto  Sabino  (  così  è  chiamato  )  tra  i  Peligni, 
e  nella  capitale  medesima  di  questo  popolo ,  in  Cor~ 
finium.  Io  mi  gioverò  di  questa  scoperta  per  mani- 
festare il  mio  sentimento  intorno  all'  altro  alfabeto 
detto  Sannitico.  Alcuni  dei  dotti  più  recenti,  che  sti- 
mo abbiano  esaminato  gli  alfabeti  italici  con  cogni- 
2Ìone  di  causa ,  tengono  «  che  l' alfabeto  Sannitico 
derivi  dagli  Etrusei  Tirreni  per  mezzo  degli  Umbri  »: 
in  questo  senso  se  non  erro  hanno  scritto  i  sigg.  Au- 
frecht  e  Kirchoff,  l'opera  dei  quali  non  ho  qui  alla 
mano.  Io  cercai  indarno  monumenti  di  carattere  san- 
nitico al  Nord  del  Sangro  ;  né  altri  ne  ha  finora  pro- 
dotto prima  di  me. 

É  poi  indubitato  ,  che  ,  se  l' alfabeto  sannitico  a- 
vesse  avuto  la  sua  sorgente  fra  gli  Umbri ,  se  ne  a- 
vrebbero  delle  tracce  su  tutto  il  passaggio  delle  tribù 
di  questo  ceppo,  f  monumenti  di  carattere  sannitico 
hanno  per  confine  Barrea ,  Nocera  Alfaterna  e  Pen- 
naluce.  La  sola  parte  della  regione  Frentana ,  che  è 
compresa  fra  il  Biferno  e'I  Sangro,  si  serve  di  questo 
carattere,  il  Larinate  scrive  il  suo  sannitico  in  carat- 
tere latino.  Quando  l'impero  dei  Sanniti  fu  costituito, 
essi  communicavano  con  l'Adriatico  per  mezzo  dell  a 
regione  Frentana  testé  descritta ,  e  che  faceva  però 
parte  interessante  del  loro  dominio:  è  in  questo  senso, 
che  Strabone  ha  detto  i  Frentani  di  razza  sannitica  : 
ciò  che  in  un  senso  più  largo  sarebbe  evidentemente 
falso.  Non  prima  di  questa  epoca  si  può  essere  adot- 
tato il  carattere ,  che  si  ristringe  appunto  fra  questi 
termini  territoriali,  lasciando  ancora  il  larinate  difuorl. 


Adunque  il  loro  alfabeto  dovrà  derivarsi  da  quel  luo-  * 
go  appunto,  nel  quale  essi  lo  trovarono  in  uso,  da^a 
Capua  etrusca.  Se  ora  si  paragonino  i  monumenti  e- 
trusci  della  Campania  coli'  alfabeto  che  sogliamo  dire 
Osco  e  Sannitico,  non  può  negarsi  nel  quasi  corsivo 
di  quelli  una  naturai  disposizione  ad  essere  modelli 
del  nuovo  quadrato.  Io  ho  già  fatto  questo  confronto, 
e  mi  par  assai  chiaro  ;  lascio  che  altri  se  ne  convinca 
a  propria  esperienza. 

Neil'  alfabeto  che  si  vuol  denominare  sabino,  1'  0 
è  in  pieno  uso,  mentre  manca  nell'osco,  nel  sannitico, 
e  ncir  Umbro,  siccome  derivati  dall'  Etrusco ,  che  noa 
lo  ammette.  Intanto  Io  ha  al  pari  del  Volsco ,  del  La- 
tino ,  del  Rutulo  ,  il  Vestine ,  il  Peligno  (  in  monu- 
mento unico  finora,  e  di  mia  proprietà),  il  Marso,il 
Marruccino,  ed  il  Frentano  Larinate,  che  sono  tribù 
sabine  non  meno  dei  Sanniti,  e  degli  Oschi.  Né  man- 
cava al  dialetto  sannitico  il  suono  della  0,  se  furonq 
costretti  a  servirsi  di  un  V  per  indicarlo. 

11  nuovo  monumento  del  carattere  detto  Sabino 
scoperto  in  uso  tra  i  Peligni  ci  rivela,  che  era  l'alfa- 
beto in  uso  delle  popolazioni  comprese  fra  il  Tronto 
e'I  Sangro  prima  che  fosse  invalso  il  Latino  recatoci 
dalla  dominazione  o  dal  commercio  dei  Romani.  Que- 
sti popoli  lo  impararono  sicuramente  dai  Greci,  enei 
tempi  in  che  si  usava  la  scrittura  serpeggiante ,  alla 
maniera  che  osservarono  di  poi  i  popoli  settentrio- 
nali nei  loro  monumenti  runici.  I  Sanniti  invece  ri- 
tennero di  scrivere  da  destra  a  sinistra  coli'  uso  degli 
Etrusei  (altra caratteristica  di  derivazione).  Col  tempo 
assegnato  alla  origine  dell'alfabeto  Italico  usato  al  Nord 
dei  Frentani,  concorda  benissimo  ancor  la  forma  delle 
lettere  ,  e  della  ortografia  ,  e  dei  segni  grammatici. 
Queste  idee ,  che  io  communico  così  in  succinto  ai 
dotti ,  sono  credo  sufficienti  a  dichiarare  la  mia  sen- 
tenza, e  le  ragioni  che  ho  di  sostenerla.  Attenderò  di 
conoscere  come  saranno  ricevute. 

Sulla  voce  05  l-^O  che  ne  ha  dato  l'occasione, 
non  occorre  insistere  :  il  senso  ne  è  a  me  ignoto  come 
forse  lo  sarà  ad  altri.  Conviene  intanto  avvertire  che 
ella  è  scolpila  su  di  una  pietra  calcarea,  la  quale  aveva 
la  forma  di  piramide  tronca ,  siccome  si  dimostra  da 
un  dei  lati  che  conserva  l'antica  figura.  L'altro  lato 


—  167  — 


fu  messo  in  appiombo  quando  si  volle  collocare  la 
pietra  al  caDlooe  ove  ora  sia. 

P.  R.  Garrucci. 


Giunta  all'  articolo  precedente. 

Avendo  fatte  alcune  osservazioni  sopra  diversi  mo- 
numenti della  nostra  tav.  V  illustrati  dal  eh.  Garruc- 
ci ,  crediamo  opportuno  di  comunicarli  qui  breve- 
mente. 

I.  Avemmo  occasione  di  studiare  questo  monu- 
mento, e  ne  ricavammo  anche  noi  la  lezione  ritenuta 
nella  tavola.  Traendo  argomento  poi  dall'altra  simile 
colonnetta  di  terracotta  pubblicata  nel  1"  anno  del 
BuUettino  tav.  XIII  n.  2,  parmi  che  dovremmo  an- 
che qui  vedere  effigiala  una  divinità  ,  e  questa  me- 
desima rammemorata  nella  iscrizione.  Intanto  nella 
terracotta  precedentemente  pubblicata  a  me  pareva  di 
ravvisare  una  protome  galeala  ,  ed  essere  quella  di 
Minerva.  Né  mi  parrebbe  strano  che  questa  dea  si 
appellasse  lovia ,  come  quella  che  per  le  greche  Ira- 
dizioni,  tanto  divulgate  in  tutta  l'Italia,  era  uscila  dal 
cervello  stesso  di  Giove.  Tornando  all' ultimo  monu- 
mento, io  vado  in  esso  rinfracciando  le  forme  ed  il 
nome  di  una  divinità:  e  la  ritrovo  in  fatti  nell'ultimo 
•••y^3ì  della  epigrafe ,  ove  riconosco  la  Feronia  ri- 
nomatissima, la  quale,  secondo  Dionisio,  era  assimi- 
lata a  Proserpina  e  quindi  ad  una  lunare  divinila  (lib. 
III  cap.32).  Non  può  dunque  il  pileo  disconvenire  alla 
Feronia  dopo  la  premessa  osservazione.  E  qui  avverto 
che  parlicolarmenle  questa  divinila  poteva  essere  in 
Gapua  venerata,  s'egli  è  probabile  che  gli  Etruschi  di 
Capua  provennero  dalla  Capua  o  Capena  di  Elruria  ; 
mentre  sappiamo  che  appunto  nell'agro  Capenale  eravi 
uno  de  boschi  di  Feronia  (  Virgil.  Aen..  VII  ,  800  ; 
Liv.  XXVII,  4.).  Or  questa  menzione  della  Fcro~ 
nia  nel  territorio  Capuano  fa  bel  riscontro  a  quella 
opinione  del  eh.  Garrucci.  Del  resto  è  nolo  che  Fe- 
ronia era  una  divinità  de' Sabini,  da' quali  l'ebbero  i 
Romani  (  Varr.  L.  L.  Y  ,  10):  e  che  ne'  monumenti 
in  dialetto  Marrucino  viene  appellala  Vesuna.  Forse  i 


Sabini  slessi  la  presero  dagli  Etruschi.  (  Vedi  Miillcr 
Etrusk.  1 ,  302  ;  II ,  Go  scgg.  Klausen  Acneas  nnd 
die  Penaien  II ,  1 149  scgg.  cf.  Gerhard  prodrom.  p. 
100  seg. ,  ed  uber.  die  Gollheil.  der  Etrusk.  a.  72  e 
78;  Mommscn  negh  annali  deli  hiiiuto  1840  pag. 
98  seg;  e  unterital.  Diakk.  pag.  3;il  e  seg.).  lu  qua- 
lunque modo  possiamo  riputarci  fortunali  di  aver  co- 
nosciute le  forme  della  Feronia,  almeno  come  si  ve- 
nerava in  Capua  :  il  che  senza  la  nostra  terracotta  ci 
sarebbe  ignolo.  Nelle  medaglie  della  Petronia  vedia- 
mo un'altra  forma  di  questa  divinità  (veggansi  le  cose 
notale  dal  Cavedoni  append.  al  sagcjio  not.  167,  e  dal 
Borghesi  osserv.  numism.  XIII,  .^j);  ma  da  ciò  non  si 
dimostra  che  non  fosse  altrimenti  rappresentata  da  po- 
polazioni ed  in  epoche  diverse.  Del  resto  il  ;)«7eodelU 
nostra  Feronia  ci  ricorda  che  era  essa  presso  i  Ro- 
mani la  dea  de' liberti,  i  quali  nel  suo  tempio  raso  ca- 
pile  pileum  liherlalis  accipiebant  (Serv.  ad  Virg.  Aen. 
Vili,  564).  Nelle  due  hnee  che  precedono  la  voce 
della  divinità  sono  forse  i  nomi  di  più  dedicanti  :  e 
forse  si  volle  con  una  diversa  ortografia  distinguere  il 
nome  di  Feronio  o  Fcsonio  da  quello  della  dea  Vesu- 
na, a  cui  si  faceva  la  offerta. 

2.  In  confronto  di  questa  voce  YriA  Salus  parmi 
doversi  richiamare  1'  altra  patera  sotto  il  cui  piede 
vedesi  graffito  il  penlalfa  pitagorico;  della  quale  veg- 
gasi  quel  che  ho  dello  nell'antica  serie  del  hulkllino 
an.  V  p.  22. 

3.  Nella  leggenda  Mi  Mamerce  Asciale  non  vorrei 
intendere  siim  Mamercus  Asclaeus;  ma  piuttosto  5wm 
Mamerco  Asclaeo.  Questa  formola  è  comune  presso  gli 
Etruschi  (Lanzi  toni.  II  p.  320  sec.  ediz. ;  Mommsen 
unterit.  Dialck.  png.  18),  e  presso  gU  altri  popoli  an- 
tichi (vedi  Raoul-Rochetle  Icttr.  à  M.  Schorn  2  ediz. 
p.  65  e  seg.  cf.  Minervini  mon.  incd.  di  Barone  fa^. 
57);  per  modo  che  non  può  scambiarsi  con  altra. 
Solo  avvertiamo  esser  frequente  al  genitivo;  ma  non 
è  al  certo  strana  col  dativo.  Ed  è  appunto  il  terzo 
caso  che  noi  riconosciamo  nel  Maìnerce  Asciale  piallo» 
sto  che  il  primo,  il  quale  non  sembraci  troppo  bene 
adattato  alla  natura  del  monumento.  Sulla  provenienza 
del  quale  possiamo  asserire  di  aver  preso  sicure  inda- 
gini ,  e  di  aver  rilevato  che  appartiene  al  territorio  di 


^168  - 


S.  Maria  ,  e  per  conseguenza  all'  antica  Capila  (Vedi 
sopra  pag.  110).  Ci  piace  ora  di  aggiungere  che  le 
due  terrecolle  della  dea  lovia  e  della  Feronia ,  non 
che  la  patera  di  Mamerco  sono  state  acquistate  pel 
real  M.  Borbonico;  ove  possiamo  ben  dire  trovarsi  col- 
locali i  più  preziosi  monumenti  del  Sannitico  dialetto. 
6.  Mollo  interessante  ci  sembra  questo  frammento, 
nel  quale  io  leggo  ^IIBRHH  cioè  Maciis,  essendo  mes- 
so fuor  di  dubbio  l'uso  del  B  per  >i  dalle  osservazio- 
ni del  eh.  Garrucci  (vedi  questo  buUeltino.  an.  I.  p. 
43  e  iscriz.  osca  pomp.  pag.  6,7).  Non  sappiamo  poi 
perchè  questo  nostro  dotto  amico  non  abbia  colla 
nuova  iscrizione  paragonata  la  moneta  da  lui  attri- 
buita agli  Aurunci ,  ove  riconobbe  il  nome  di  magi- 
strato Maccius  ^IDDlRRm  (cf.  an.  I  pag.  65  tav.  IV. 
n.  4).  11  nome  Macius  del  nostro  frammento  ci  sem- 
bra un  bel  confronto  al  Maccius  delle  monete  ;  non 
altrimenti  che  Pacìus  è  lo  stesso  nome  di  Paccius 
(  Mommsen  unler.  Dialekten  p.  284  ).  Siamo  poi  au- 
torizzati a  ritener  per  intera  la  voce  Maciis  dal  consi- 
derare che  non  conosciamo  finora  nell'osco  linguaggio 
alcuna  parola,  a  cui  convenir  possa  quel  finimento. 

MlNEKVINI. 


Iscrizione  grafia  sotto  il  piede  di  un  vaso. 


Sotto  il  piede  di  un  piccolo  vasellino  a  due  mani- 
chi, tutto  di  nero,  posseduto  dal  sig.  Raffaele  Barone, 
leggemmo  graffila  la  seguente  iscrizione 


che  sia  uno  sbaglio  in  luogo  di  xoC^ix.  Cosi  trovia- 
mo rVAA  invece  di  TVAAA  (  de  Wilte  calai.  Mar 
gnonc.  35),  ed  TPIAS  per  TAPIAS  presso  il  Le- 
Ironne.  Non  saprei  se  il  P  che  precede  dinoti  il  nu- 
mero de' vasi,  ed  il  AH  il  valore  in  dramme ,  come 
occorre  in  altri  esempli  ;  e  come  sembra  doversi  in- 
terpretare il  PEAPoI  •  AAA  riportato  nell'  antica 
serie  del  buUetlino  napolitano  (  an.  II  tav.  I,  b  cf.  p. 
23  )  ;  cioè  5  elpi  30  dramme  :  e  come  si  rinviene  al- 
tresì A  KTAQEA  (de  VV^itte  cai.  Beugnot.  22),  ed  in 
un  vaso  di  Monaco  IH  AHRV  ;  come  riporta  il  mio 
chiarissimo  amico  sig.  prof.  Jahn  (1)  in  un  suo  ulti- 
mo dotto  lavoro  [iiber  cine  Vasenbild,  welches  ein 
Topferei  vorstelU  ne'  Berichte  des  Kon.  Sàchs.  Gesell- 
sch.  der  Wissenschaf.  1854  p.  27  e  seg.).  Trovasi  in 
questo  scritto  un  catalogo  delle  iscrizioni  relative  ai 
nomi  de'  vasi  o  a'  loro  prezzi  che  veggonsi  in  simil 
modo  graffite  (  pag.  37  ,  38  ).  Ma  debbo  notare  che 
se  ne  omettono  alcune  da  me  riportate  nell'antica  se- 
rie del  buUeltino  (  an.  V,  pag.  22  ) ,  fralle  quali  vi  è 
pure  la  più  interessante,  ove  ricordansi  la  MEFAAAI 
UOAoi.Yi7rrr\pis  ,  come  venne  da  noi  interpretato.  Il 
segno  che  si  frappone  fra  il  numero  Ali  e  l'altro  se- 
guente AAA,  sembra  messo  per  dinotare  altri  vasi,  o 
indizio  di  altra  somma  (sopra  altri  segni  di  distinzione 
in  simili  graffiti  vedi  ciò  che  ho  dello  nell' an/tca  serie 
del  buUeltino  an.  Ili  pag.  72).  Intanto,  se  ravvisiamo 
nella  prima  indicazione  PKAAIA  AH  che  cinque  ca- 
dii  valessero  dodici  dramme ,  sarebbe  da  ricordare  il 
luogo  di  Aristofane  {Pace  1201),  ove  un  xo^osè  va- 
lutato per  tre  dramme,  cioè  per  un  prezzo  poco  dis- 
simile da  quello  additalo  nel  nostro  graffito. 


PKAAPA  AII^^AAA 


È  chiaro  doversi  riconoscere  il  nome  di  un  dato  nu- 
mero di  vasi ,  che  qui  si  chiamano  xctSpa  :  ma  pare 


MlNERVINI. 


(1)  Vogliamo  con  piacere  annunziare  che  questo  illustre  archeo- 
logo darà  fuori  tra  breve  il  desideratissimo  catalogo  de'  vasi  del 
real  museo  di  Monaco;  compiendosi  cosi  una  mia  antica  brama 
{  vedi  vasi  di  Jatta  ,  parte  1.  pag.  95  )  per  opera  di  un  dotto  e 
diligentissimo  scrittore,  che  nulla  lascerà  a  desiderare. 


GioLio  MlNERVINI  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtìhso 


BUllETTIÌVO  Ar.CnEOLOGICO  MPOIITAKO. 


NUOVA    SERIE 


N."  48.     (24.  dcir  anno  II.) 


Giugno  1854. 


Monumenti  di  Canosa.   Vaso  di  Dario.  Altro  col  mito  di  Perseo  e  di  Andromeda.  Oggetti  di  oro.  Simulati 
monete. — Di  alcune  monete  di  Napoli. — Giunone  Antheia. — Iscrizioni  latine. 


Monumenti  di  Canosa-Vaso  dì  Dario-Altro  col  mito 
di  Perseo  e  di  Andromeda.-Oggetti  di  oro. -Simu- 
late monete. 

Noi  parlammo  di  sopra  del  magnifico  vaso  di  Ca- 
nosa  ,  che  sostenemmo  esser  IraKoda'  Persiani  di  E- 
schilo;  e  ne  preseulammo  la  descrizione  sopra  altrui 
relazione ,  senza  che  avessimo  ancora  veduto  quel 
classico  monumento.  Ora  però  che  questo  pezzo  pre- 
zioso ,  insieme  con  non  pochi  allri  vasi  e  monumen- 
ti di  diverso  genere  della  medesima  provenienza  ,  è 
venuto  ad  accrescere  ornamento  al  real  museo  Bor- 
bonico ,  mi  è  stato  conceduto  di  farne  l'esame:  e  mi 
affretto  a  rettificare  in  alcuni  punii  la  descrizione 
datane  precedentemente  (pag.  129.  segg.  ).  Nel  di- 
pinto della  faccia  men  principale  fralle  divinità  ajuta- 
Irici  di  Bellerofonte  vedesi  pure  Apollo  e  Pane.  Molti 
compagni  assistono  l'eroe  nella  sua  pugna  contro  la 
Chimera ,  come  in  altri  monumenti ,  e  segnatamente 
in  un  vasculario  dipinlo  pubblicato  fra'  monumenti  ine- 
diti dell'  Istituto  (ioni.  II.  (av.  L.  vedi  annali  1837 
pag.  242 ,  e  seg.) ,  che  mollo  si  accosta  a  quello  del 
Canosino  vaso.  In  questi  compagni  in  asiatico  vesti- 
mento noi  riconosciamo  i  Solirai  già  debellati  da  Bel- 
lerofonte, i  quali  assistono  il  loro  vincitore  in  una  po- 
steriore impresa.  E  questa  è  appunto  la  opinione  svi- 
luppata dal  mio  chiarissimo  collega  signor  Teodoro 
Avellino  in  una  dotta  memoria  sul  mito  di  Bellero- 
fonte in  rapporto  colla  Chimera,  da  lui  letta  alla  reale 
Accademia  Ercolanese  ,  e  parie  di  una  monografia 
sul  mito  di  quell'eroe,  a  cui  sta  lavorando. 

la  quanto  all'altra  più  nobile  faccia  del  vaso  di 
Canosa  ,  è  indubitato  che  sul  collo  è  una  complicata 
battaglia  di  Greci  ed  Amazzoni,  e  non  già  di  Persiani: 
ÀJS.yo  II. 


come  si  addita  con  sicurezza  dal  femminino  sesso  de- 
gli Asiatici  combattenti.  La  principale  rappresentanza 
offre  nell'ordine  superiore  un  idolo  muliebre  di  bian- 
co con  orecchini,  collana,  e  corona  radiala,  il  quale 
termina  inferiormente  a  guisa  di  erma.  Innanzi  è  una 
bianca  ara  ;  e  sopra  questa  siede  l' Asia  tenendo  con 
una  mano  lo  scettro,  mentre  tira  colla  destra  1'  am- 
peconio  presso  l'omero  corrispondente:  e  non  disten- 
de affatto  il  braccio  verso  l'alato  demone  che  le  sta 
innanzi.  Questo,  che  per  noi  altro  esser  non  può  che 
YApale,  giacché  lo  spazio  che  resta  dopo  l'AIIA"  non 
può  contenere  più  di  due  o  tre  lettere,  ha  in  vece  di 
clamide  una  pelle  di  fiera  ,  che  si  annoda  sul  petto  : 
esso  sta  in  piedi  senza  alcun  movimento,  e  sottrae  ambe 
le  faci  dngli  sguardi  dell'Asia.  Sotto  la  figura  di  Pallade 
è  al  suolo  aggruppato  l'arco  ed  il  turcasso.  Presso  di 
Giove  è  un'  alata  Vittoria  di  piccole  dimensioni  ,  la 
quale  addita  al  padre  degli  dei  la  Grecia,  a  cui  è  de- 
stinato il  trionfo.  La  figura  innanzi  descritta  come  una 
Venere  col  cigno  ,  è  senza  dubbio  virile;  e  dee  ripu- 
tarsi un  Apollo  simboleggiato  non  solo  da!  suo  solito 
augello ,  ma  benanche  dall'  arco  e  dal  turcasso  ,  che 
gli  sono  a'  piedi.  La  cacciatrice  Diana  siede  sopra  un 
cervo  di  proporzionata  grandezza,  e  vicino  a  lei  è  un 
cane  nell"  atto  di  fiutare  al  suolo. 

In  quanto  all'ordine  medio  di  figure ,  due  de' Sa- 
trapi hanno  una  semplice  clamide:  due  offrono  il  capo 
ricoperto  da  tiara  ,  ed  un  solo  è  privo  di  questo  or- 
namento. Un  solo  personaggio  distante  dal  re  dei 
Persiani  ha  come  questo  lo  scettro,  mentre  gli  altri 
consiglieri  non  hanno  che  semplici  bastoni.  Una  figura 
fu  totalmente  omessa  nella  prima  descrizione  :  ed  è 
quella  di  un  vecchio  con  bianca  barba,  tunica  mani- 
cata ,  e  mantello  il  quale  si  china  poggiandosi  al  ri- 

24 


—  170 


curvo  bastone  :  ed  è  notevole  che  questa  figura  non 
prende  parie  al  consiglio ,  ma  stende  il  braccio  verso 
lo  scellralo  personaggio,  il  quale  è  in  volto  assai  me- 
sto e  dolente.  Lo  stesso  dee  dirsi  del  personaggio 
messo  sopra  una  base,  il  quale  ha  pure  la  tunica  ma- 
nicata ,  il  mantello  ed  il  bastone  ricurvo ,  non  che 
lunghi  calzari.  Ed  è  particolarmente  da  avvertire,  che 
vcggendosi  la  base  inferiore  alla  estremità  del  regio 
trono ,  evidente  ci  sembra  per  le  leggi  delia  prospet- 
tiva ,  che  questa  figura  atteggiata  ad  animato  discor- 
so, non  favelli  col  re,  né  co'  personaggi  che  gli  fanno 
corona,  a' quali  tutti  volge  invece  le  spalle. 

Finalmente  nel  terzo  ed  inferiore  ordine  di  figure 
pare  che  tutti  i  tributari!  sieno  di  femminili  forme. 
Tre  si  mostrano  in  ginocchio  in  vari^'-^  attitudini  di 
preghiera  e  di  desolazione.  Efifettivamente  la  grande 
ampiezza  del  sacco  conferma  il  nostro  sospetto ,  che 
volle  indicarsi  un  recipiente  di  frumento  e  non  di  da- 
naro :  il  che  pare  dimostrato  anche  dalla  circostanza 
che  r  esattore  sta  già  numerando  il  riscosso  tributo  , 
mentre  gli  si  reca  una  novella  offerta  diversa  da  quella, 
di  cui  si  sta  occupando  ,  veggendosi  il  sacco  ancora 
chiuso  e  legalo.  È  pur  da  avvertire  che  l'esattore  ha 
una  semplice  clamide,  e  non  è  fregiato  di  altri  orna- 
menti. Osservando  attentamente  il  dittico  si  vede  che 
le  due  iscrizioni  che  vi  sono  segnate        TA  :  H 

TAAN 
non  fanno  tra  loro  continuazione  ;  e  forse  esprimono 
due  diverse  indicazioni  di  tributi,  definiti  amendue  a 
talenti  TAXAvra.  H  ,  e  TAXavra  N  :  non  essendo  i 
due  punti  ed  il  ^  che  meri  segni  di  distinzione. 

Posso  sin  da  ora  asserire  che  l' esame  del  monu- 
mento originale  non  ha  fatto  che  confermarmi  nella 
mia  primitiva  idea,  che  cioè  si  trattasse  di  un  soggetto 
ricavato  dalla  tragedia  di  Eschilo.  Mi  restano  a  dare 
alcune  nuove  dilucidazioni,  ed  in  particolare  sulle  fi- 
gure ,  delle  quali  ignorava  la  esistenza  prima  di  ve- 
dere il  monumento  :  e  lo  farò  in  una  seconda  memo- 
ria ,  che  ho  preparata  per  la  reale  Accademia  Erco- 
lanese,  e  della  quale  darò  notizia  in  questi  fogli.  In- 
tinto mi  fo  un  dovere  di  avvertire  che  il  eh.  Comm. 
Quaranta  fin  da'  principi!  di  questo  mese,  appena  ve- 
duto il  vaso,  ha  già  rettificato  nell'Accademia  Erco- 
lanese  gli  errori  originali  dalla  descrizione  ricevuta- 


ne, ed  ha  modificato  la  sua  spiegazione.  Dopo  quella 
ispezione  è  per  lui  indubitalo  che  nel  collo  della 
faccia  principale  sia  dipinta  una  pugna  di  Greci  e  di 
Amazzoni,  siccome  ugualmente  che  sotto  il  collo  sia 
a  lato  di  Giove  una  Vittoria  ,  e  la  figura  che  parla 
con  Diana  non  una  Venere  ma  un  Apollo.  Nel  se- 
condo ordine  poi  vede  un  Dario  in  mezzo  ai  suoi 
consiglieri,  tutti  seduti  semicircolarmente,  ed  in  mez- 
zo ,  e  propriamente  innanzi  a  Dario ,  un  plinto  in 
cui  resta  ancora  del  color  giallo,  con  sopravi  un  uo- 
mo stante  ,  che  pel  pileo  che  ha  in  testa  diverso  dalle 
tiare  di  tutti  gli  altri ,  e  pel  bastone  al  disopra  ricurvo 
il  Com.  Quaranta  crede  certamente  un  greco.  «  Ora 
»  (osserva  il  Quaranta)  se  per  la  spada  che  tien  Dario  in 
»  mano  e  per  la  figura  anguicrinita  della  Guerra  con- 
»  dotta  al  disopra  è  evidente  che  Dario  ascolti  uncou- 
»  siglio  di  guerra,  e  se  fu  legge  dei  Persiani,  al  diredi 
»  Eliano,  che  chi  era  chiamato  a  dar  consigli  al  re,  ciò 
»  facesse  stando  sopra  un  plinto  d'oro  ;  è  evidente  che 
»  l'uomo  che  qui  sta  sul  plinto,  ancorgiallo  in  parte,  sia 
»  Cariderao.  Poiché  egli  è  il  solo  Greco  ricordato  dalla 
»  storia  per  aver  dato  un  consiglio  di  guerra  ad  un 
»  Dario  ,  e  questi  non  fu  che  Dario  Codomano ,  di 
»  cui  nel  vaso  riconosco  la  somiglianza  col  Dario  da 
»  me  scoperto  nel  musaico  pompejano.  E  nel  vero 
»  rifuggitosi  Caridemo  alla  corte  di  quel  monarca 
»  per  sottrarsi  all'ira  di  Alessandro,  suggerì  a  Dario  di 
»  affidare  a  lui  il  comando  dell'esercito  persiano  contro 
»  il  macedone.  Ma  Ocsalre,  l'altro  persiano  sceltrato, 
»  che  tra  consiglieri  accenna  con  la  mano  a  Dario  suo 
»  fratello ,  avendo  gridato  che  Caridemo  si  offriva 
»  capitano  per  tradirlo  ai  Greci  ;  Caridemo  se  ne  adirò 
»  fino  al  punto  di  svillaneggiare  i  Persiani  e  lo  slesso 
»  re  il  quale  perciò  gli  tolse  la  vita.  Però  veggiamo 
»  qui  Caridemo,  il  quale  accusalo  d'infame  delitto  men- 
»  tre  sul  plinto  dava  al  re  un  salutare  consiglio,  alza 
»  verso  di  lui  ingiuriosamente  la  destra,  e  con  occhi 
»  biechi,  e  colla  faccia  anche  verso  lui  diretta,  vólgegli 
»  con  disprezzo  le  spalle  per  discender  dal  plinto  ». 

Le  ragioni  di  questa  spiegazione  sono  esposte  in  cin- 
que memorie  già  lette  alla  r.  Acc.  Ercol.,  che  saranno 
seguile  ben  presto  da  altre.  In  esse  propone  pure  l'a. 
di  supplir  l'AITA  colle  voci  AlIApx*)  o  AIIApcr/f. 

Noi  con  vogliamo  entrare  in  una  polemica  ,  che 


—  171 


senza  la  pubblicazione  del  monumento  sarebbe  inu- 
tile ed  inopporluna  ;  e  rimandiamo  qualunque  osscr- 
iazione  all'epoca  in  cui  vedrà  la  luce  la  noslra  illu- 
strazione ,  accompagnata  dalle  tavole  :  il  che  seguirà 
negli  alti  della  suddetta  reale  Accademia  Ercolanese. 

Non  pochi  alili  monumenti  facevano  compagnia  al 
classico  vaso  di  Dario,  e  questi  sono  stati  egualmente 
collocati  nel  real  museo  Borbonico.  Debbo  però  ri- 
chiamare particolarmente  l'attenzione  sopra  l'altro 
bellissimo  vaso ,  relativo  a  Perseo  ed  Andromeda  , 
del  quale  accennammo  di  sopra  ,  e  che  merita  senza 
dubbio  che  se  ne  dia  una  distinta  descrizione. 

La  forma  di  questo  importante  vaso  è  quella  del- 
la volgarmente  ad  incensiere  con  due  laterali  mani- 
chi variamente  serpeggianti ,  e  fregiati  di  meandro 
ad  onda.  Gli  ornati  del  collo  sono  da  una  delle  facce 
ovoli,  ornamento  a  squame,  meandro  quadralo,  radii 
discendenti  di  rosso  in  campo  nero,  baccellature  dipin- 
te sino  al  cominciar  della  pancia  ,  ov'  è  una  linea  Ji 
fiori, con  piccole  bacche  che  vi  si  frappongono;  dall' 
altra  faccia,  ovoli,  ornamento  a  squame  con  varietà  di 
colori ,  di  bianco  ,  di  nero,  di  rosso  e  di  giallo ,  una 
linea  di  fiorellini,  radii  discendenti  di  bianco  in  campo 
nero,  e  finalmente  testa  femminile  di  bianco,  che  sor- 
ge dal  simbolico  fiore  con  laterali  ramificazioni:  e  tutto 
è  limitato  nella  parte  inferiore  da  una  linea  di  palmette. 
Da  questa  faccia,  ov' è  sul  collo  la  protome  muliebre, 
e  che  dee  riputarsi  la  principale,  vedesi  la  rappresen- 
tanza seguente. 

È  nel  mezzo  una  donzella  nobilmente  abbigliata 
con  larga  stefane,  tunica  ,  mantello ,  ed  altri  femmi- 
nili ornamenti,  la  quale  poggia  sopra  uno  sgabello, 
ed  ha  ambe  le  braccia  inchiodate  a  due  alberi  privi 
di  rami,  mercè  due  piastre  fissate  su'  tronchi  :  al  suolo 
è  uno  specchio.  Alla  destra  è  una  femminile  figura  in 
avanzata  età,  in  barbarico  vestimento,  con  rossa  mitra, 
ornala  tunica  e  mantello,  la  quale  mesta  si  china  al- 
quanto in  avanti  lenendo  colla  destra  un  bianco  ba- 
stone ricurvo.  Segue  un  giovine  con  bianca  tiara  ,  a- 
nassirìdi ,  e  succinta  tunica  ,  il  quale  oppresso  dalla 
tristezza  rivolge  quasi  gli  sguardi.  Vedi  finalmente  un' 
ultima  figura  femminile,  con  lunghi  capelli  pendenli 
sulle  spalle  ,  che  nasconde  entro  il  suo  mantello  la 


faccia.  Sono  in  alto  sospese  nel  campo  una  cassetta  , 
un  balsamario,  uno  specchio,  ed  una  sfera.  Dall'altro 
lato  della  legala  giovine  sono  due  meste  donzello:  una 
siede  sopra  un'idria  rovesciata,  appoggiando  al  dorso 
della  destra  la  faccia,  mostrando  il  c'aj)©  in  parte  ri- 
coperto dal  suo  mantello;  l' altra  con  eorti  capelli  si 
avanza  lenendo  con  ambe  le  mani  un'ombrella:  in 
allo  è  pure  una  sfera.  Questa  rappresentazione  è  li- 
mitata dalle  palmette  che  sono  effigiate  sotto  i  mani- 
chi del  vaso  ;  ed  inferiormente  scorgesi  in  giro  una 
fascia  di  marine  produzioni ,  che  si  estende  per  tutta 
la  circonferenza  del  vaso:  mirasi  in  questa  effigiato  un 
aslacus,  una  conchiglia  bivalve,  una  conchiglia  tur- 
binata ,  un  delfino ,  una  razza  o  rpuyùjy ,  altri  due 
pesci  ed  una  seppia.  Più  sotto  è  un'  altra  linea  di  fi- 
gure, che  occupa  egualmente  tutto  il  giro  del  vaso  , 
e  che  si  collega  col  soggetto  innanzi  descritto. 

Vedesi  Perseo  con  rossa  galea  alala,  sulla  cui  parte 
anteriore  è  la  bianca  testa  della  Gorgone:  l'eroe  ha 
la  clamide  e  gli  alati  calzari ,  e  stringe  colla  destra 
l'harpe,  di  cui  pende  il  fodero  al  fianco.  Egli  è  alle 
prese  col  fiero  mostro,  che  ha  già  ferito  in  più  parti, 
onde  sgorgar  si  vede  il  sangue  ,  mentre  l' avversario 
cerca  di  addentarlo  ,  circondandolo  colle  sue  spire. 
In  alto  vola  un  alalo  Amorino  ,  nell'  atto  d' imporgli 
una  corona:  presso  al  mostro  è  un  pesce  ed  una  con- 
chiglia. Intorno  sono  varie  Nereidi ,  delle  quali  dia- 
mo la  descrizione  cominciando  a  destra.  La  prima 
.siede  sopra  un  ippocampo  rivolto  a  destra,  e  volgesi 
a  guardar  la  pugna,  facendosi  solecchio.  La  seconda 
poggiata  ad  una  enorme  seppia  guarda  pure  stenden- 
do il  braccio  verso  il  gruppo  di  Perseo  e  del  mostro: 
sotto  è  un  gambero,  in  allo  cuna  colomba  ,  che  vola 
recando  una  tenia.  La  terza  Nereide  siede  in  tranquil- 
la posizione  sopra  un  marino  mostro  poco  dissimile 
da  quello  che  combatte:  e  presenta  la  notevole  par- 
ticolarità che  uno  de' piedi  è  coverto  da  bianco  cal- 
zare, l'altro  è  nudo  ;  mentre  vedesi  galleggiar  traile 
acque  l'altro  calzare  uscito  dal  di  lei  piede  :  sotto  è 
una  conchiglia,  in  alto  è  un  astro.  La  quarta  Ninfa 
dell'  Oceano  va  pure  a  destra  sopra  una  grandissima 
seppia,  tenendo  la  sfera:  innanzi  sono  una  seppia,  ed 
altra  marina  produzione.  La  quinta  finalmente  siede 


—  172  — 


«opra  un  delfiuo,  e  stoiiJe  verso  dì  Perseo  la  mano. 

Dal  Ilio  opposto  a  (niello  ov'è  la  giovine  legata  , 
è  nell'ordine  superiore  una  baccbica  scena ,  limitata 
pure  dalle  palmelte  che  sono  sotto  i  manichi  del  vaso. 

Il  giovine  Dioniso  diademato  siede  sulla  sua  cla- 
mide con  tirso  e  patera,  da  cui  pende  una  tenia.  In- 
dietro è  una  Baccante  con  tirso,  che  gli  offre  una  co- 
rona; ed  un  Satiro  diademato  con  tirso  e  secchia.  In- 
nanzi è  Amore  alato  che  gli  presenta  pure  un  serto  ; 
ed  una  donna  con  tirso  e  timpano  vestita  di  lunga  tu- 
nica orlala  e  manicata,  e  col  capo  coperto  dal  cecrifalo. 

Iq  una  memoria  da  me  let(a  alla  reale  Accademia 
Ercolanese  ho  presentala  la  illustrazione  di  questo 
vaso,  dichiarando  le  varie  particolarità  della  rappre- 
sentanza ,  ed  istituendo  gli  opportuni  confronti  coi 
monumenti  e  colle  tradizioni.  Neil' ordine  superiore 
ho  riconosciuto  la  madre  di  Andromeda  Cassiopea , 
che  si  avvicina  in  grave  mestizia  alla  figlia  prossima 
ad  esser  vittima  del  fatai  mostro.  Ella  si  appressa  te- 
nendo il  bastone ,  dato  altre  volte  a  femminili  figu- 
re (1).  Dietro  a  lei  è  Fineo  lo  sposo  di  Andromeda 
addolorato  per  la  perdita  della  sua  sposa  ;  o  temen- 
done unicamente  la  morte,  ovvero  in  aspettativa  del- 
l' impresa  di  Perseo,  il  cui  buon  risultamento  avrebbe 
a  lui  rapito  il  maritaggio  di  Andromeda,  ch'egli  non 
aveva  sapulo  difendere. 

11  dolore ,  in  cui  si  veggono  immerse  tutte  le  fi- 
gure che  circondano  la  infelice  donzella,  ricorda  che 
la  città  ove  accadde  quel  fatto  ,  fu  denominala  &prj- 
yiA/^rx,  come  narra  l'anonimo  scrittore  delle  antichità 
Costantinopolitane  ,  il  quale  riferisce  il  fatto  ad  Ico- 
nio (Banduri  tmper.  orient.  Ioni.  I.  pag.  103,  vedi 
anliq.  costaìilin.  302-303).  Senza  riportare  altre  os- 
servazioni ,  che  saranno  pubblicale  alla  stampa  della 
mia  memoria  ,  noterò  che  mi  è  sembrala  una  inte- 
ressante particolarità  la  scarpa  caduta  alla  Nereide 
nelle  onde.  È  nolo  che  l' Etiopia  ,  a  cui  si  riporta  il 

(1)  Veggasi  ciò  che  ho  dello  ne' mon.  incd.  di  Barone  [om.  i. 
pag  47  :  ove  parlo  di  Giocasla  col  bastone.  Ora  ini  piace  di  aggiu- 
gnere  che,  non  oslaiite  le  varie  opposizioni  del  Sig.  lìrunn  a  quella 
mia  spiegazione  del  vaso  di  Edipo  colla  Sfinge  {  bullclt.  dell'  Isl. 
1831  p.llO,  e  181)3  p.  69,  s),  è  stala  essa  ritenuta  dal  eh.  Overbeck 
nella  sua  interessante  opera  Gallerie  heroische  Bildwerke  der  fl(- 
n  Sunti  voi.  1  Mfdi  pag.  19  e  p.  38  e  seg. 


mito  della  figlia  di  Cefeo,  era  una  contrada  della  Pa- 
lestina o  della  Siria  ,  di  cui  loppe  ed  Ascalon  erano 
le  principali  città  :  e  quindi  un  sito  molto  vicino  alla 
Tolemaide.  Ora  appunto  poco  distante  dalla  Toleraaide 
era  il  luogo  marittimo  denominato  Saiidalion.  Sicché 
giudico  probabile  che  a  questa  località  si  volle  accen- 
nare dall'  artista  dui  nostro  vaso  col  sandalion  di  Am- 
filrile  ,  o  di  Teli ,  caduto  nelle  acque  ,  che  inonda- 
rono r  Etiopia.  Cosi  troviamo  data  una  simile  deno- 
minazione ad  un   particolare  silo  della  Laconia  dal 
calzare  di  Elena  ivi  caduto  xttÒ  rov  ttjS  'EX/vy]S  cock- 
^%>Jrju  sKTridóvros  (Plol.  Hephest.  p.  23  ed.  Roulez). 
Un'ultima  osservazione  riproduciamo:  ed  è  chela 
presenza  di  Fineo  nel  vaso  di  Andromeda  dà  un  no- 
vello appoggio  alla  nostra  spiegazione  del  vaso  di  Da- 
rio, che  pensammo  fosse  tratto  da' Persm/u' di  Eschilo. 
Di  falli  è  nolo  che  questo  tragico  aveva  composto  il 
Fineo,  che  formava  parte  dell'insieme  di  drammati- 
che rappresentanze,  portante  il  nome  di  Optrai.  Sic- 
ché ci  sembra  probabile  che  l'artista  di  Canosa  prese 
a  trattare  due  soggetti  della  tetralogia  di  Eschilo,  ri- 
cordando ì  Persiani  ed  il  Fineo.  Che  se  questo  ravvi- 
cinamento sarà  giudicalo  probabile  ,  avremo  un  ar- 
gomento per  indovinare  il  soggetto  del  Fineo  di  E- 
schilo.che  va  riferito  alla  sua  rivalità  con  Perseo,  ed 
agl'infelici  tentativi  di  lui  contro  l'eroe,  da  cui  i  Per- 
siani riconoscevano  la  origine.  Il  comm.  Quaranta  ha 
letto  pure  una  memoria  su  questo  monumento. 

Fra  gli  oggetti  venuti  al  real  museo  insieme  coi 
due  vasi,  e  che  diconsi  ritrovali  nello  slesso  sepolcreto 
di  Canosa,  ricordiamo  un  grazioso  fulmine  di  oro , 
ed  un  anello  anche  di  oro  elegantemente  lavorato,  con 
la  pietra  di  radice  di  smeraldo  ligata  pure  in  òro  , 
con  la  particolarità  che  è  questa  separala  dal  castone, 
ove  si  fermava  mercè  due  mollette  anche  di  oro ,  le 
quali  al  presente  han  perduto  la  loro  elasticità.  Nella 
parte  inferiore  della  legatura  di  oro  della  pietra  é  un 
incavo,  ed  altro  ve  n'ha  pure  nella  base  del  castone, 
per  modo  che  si  lascia  uno  spazio  sufficiente  o  per 
serbare  qualche  ricordo,  o  anche  per  tenervi  all'uopo 
preparato  il  veleno. 

Questi  ultimi  oggetti  veggonsi  ora  collocali  nella 
raccolta  degli  oggetti  preziosi  del  real  museo.  Debbo 


—  173  — 


parlare  da  ultimo  di  due  altri  pregevolissimi  monu- 
menti venuti  pure  dalle  tombe  di  Canosa,  e  de' quali 
La  mformato,  con  una  sua  memoria,  la  reale  Accademia 
Ercolaneseilch.  Presidente  Sig.  Priuci|)0  di  San  Gior- 
gio. Il  dotto  numismatico  le  appella  siiimlale  monete, 
singolarissime  per  lo  speciale  modo  della  loro  fiUtura. 
Sono  esse  composte  di  due  laminette  d'oro,  alle  quali 
furono  applicati  i  tipi  col  cesello  o  con  uno  stampo. 
Eccone  la  descrizione  : 

1.  Testa  di  donna  volta  a  sinistra ,  cinta  di  foglie 
arundinacee  ;  dietro  0OTPIA 

)(  Toro  in  alto  di  cozzare  a  sinistra;  sopra  IIAP: 
nel  campo  un  fulmine  forse,  o  un  ramuscello  (mod. 
4--|-  della  scala  di  Mionnet:  pesa  acini  13  ). 

2.  Testa  imberbe  galeata  a  sinistra  :  sul  Iato  della 
galea  Scilla 

)(  Toro  cozzante  a  sinistra  ;  sopra  SAn  :  nel  campo 
un  delfino,  (mod.  3 —  di  Mionnet  :  pesa  acini  8). 

L'a.  avverte  come  i  tipi  indicano  abbastanza  la  pa- 
tria di  queste  simulate  monete  ,  le  quali  certamente 
appartengono  alla  lucana  città  di  Turio.  11  che  vien 
confermalo  dalla  leggenda  0OTPIA,  la  quale  ci  pre- 
senta il  nome  della  Ninfa  della  scaturigine  Tiiria,  vi- 
cino alla  quale  fu  edificala  la  omonima  città,  e  che 
trovasi  ricordala  in  una  rara  medaglia  di  rame  della 
medesima  località.  Osserva  poi  doversi  per  varie  ra- 
gioni riconoscere  un  nome  di  magistrato  nella  leg- 
genda nAP  di  ambedue  le  monete  ,  le  quali  certa- 
mente non  furono  destinate  ad  essere  in  commercio, 
ma  fatte  a  quel  modo  per  un  oggetto  parlicolare  e 
privato.  Alle  quali  osservazioni  aggiunta  l'altra  di 
essere  state  trovale  in  una  tomba,  ne  trae  la.  lacon- 
ghiettura  che  queste  due  medagliuzze  furono  lavorate 
ad  imitazione  delle  vere  monete  di  Turio,  segnandovi 
in  entrambe  il  nome  IIAP,  o  per  indicare  il  nome  e  la 
patria  del  sepolto,  ovvero  per  additarne  insieme  la  ma- 
gistratura in  Turio  sostenuta  ,  che  gli  dava  la  facoltà 
di  segnare  il  suo  nome  sulle  monete  di  quella  città. 

Dalle  cose  dette  finora  si  fa  chiaro  ad  ognuno  quanto 
preziosi  acquisti  abbia  fatti  il  real  museo  Borbonico 
co'  nuovi  monumenti  di  Canosa.  Del  che  sieno  ren- 
dule  le  meritate  Iodi  a  tutti  coloro,  che  adoperarono 
le  loro  cure  per  venire  a  così  importante  risultamento. 

MlNERVIM. 


Di  alcune  monete  di  Napoli. 

1.  Testa  di  Apollo  laureata  a  d. 

)(  Parte  anteriore  del  loro  a  volto  umano  in  atto 
di  nuotare  a  d.  :  sulla  spalla  un  astro  a  quattro  rag- 
gi: epigrafe  "OnOAITEa  Ae.  8-|-(l).  (Tav.lXn.4). 

2.  La  stessa  testa  coi  capelli  ondeggianti  dietro  la 
nuca 

)(  Lo  stesso  rovescio  :  epigrafe 
NEOn 
3Tn       Ae.  8— (Tav.  IX  n.  5). 

Le  monete  innanzi  descritte  sono  quelle  ,  delle 
quali  dicemmo  nella  nota  alla  pag.  91  di  cpiesto  an- 
no del  bulleltino.  Esse  appartengono  al  eh.  sig.  prin- 
cipe di  San  Giorgio ,  ed  altre  simili  colla  medesima 
iscrizione  si  veggono  paiimcnli  in  altre  raccolte  (2). 
Intanto  ci  piace  di  avveilire  che  l'atto  del  nuotare  è 
visibilissimo  altresì  in  queste  medaglie  da  noi  pub- 
blicale :  il  che  dì  bel  riscontro  alla  importante  meda- 
glia colla  certa  effigie  dell' Acheloo  versando  acqua 
dalla  bocca,  e  nuotando  fralle  onde  (vedi questo  6a/- 
lellìno  an.  1  tav.  IV  n.  8  cf.  la  pag.  57  seg.  ).  Ora 
vogliamo  aggiungere  che  questo  raro  cimelio  trovasi 
già  collocalo  nel  real  museo  Borbonico,  per  lo  quale 
se  n'è  fallo  l'acquisto.  Non  ha  guari  ne  ha  riprodotta 
la  incisione  il  eh.  sig.  cav.  Gerhard  (Ardi.  Zcitung 
18o3  tav.  LVIIl  n.  16:  cf.  Denkm.  und  Forschun- 
gen  pag.  119).  E  non  saprei  perchè  il  signor  Ra- 
oul-llochelle  non  ne  abbia  fatto  menzione  nel  p  u'iare 
delle  ultime  scoperte  numismatiche  relative  alla  no- 
stra bella  Partenope  (  vedi  un  dotto  articolo  inserito 
nel  Journal  des  savauts  ISjÌ-  pag.  310,  ove  ragiona 
di  Napoli  )  :  laddove  il  Cavedoni  ne  fece  il  maggior 
caso,  parlandone  in  questo  medesimo  buìleltino:  [vedi 
sopra  pag.  91  ).  Noi  facemmo  in  altra  occasione  l'av- 
vertenza che  traile  antichità  di  Ninive  comparisce  il 
toro  a  testa  umana  barbala ,  però  senza  le  taurine 
corna  ed  alato  (Layard  Ninevch  and  ÌH  remains  e.  V 
tavola  di  fronte  alla  pag.  127  del  1.  voi.  ediz.  di 
Londra   1819):  aggiugueuda  doversi  ravvisare  in 

(1)  Sngiiinmo  la  ssala  eh' è  nella  lav.  Il  annessa  al  repertori» 
numismatico  del  signor  Kiccio. 

i2)  Il  signor  Riccio  parla  puro  di  medaglie  di  rame  colla  epi- 
grafe NEOIIOAITEJ;  :  rrpertor.  numism.  pag.  27. 


—  174  — 


quel  mostro  una  solare  divinila.  Ora,  dopo  più  ma- 
tura riflessione  ,  dubitiamo  di  una  tale  conclusione  : 
confessando  io  pari  tempo  che  il  dio  a  duplice  natura 
non  è  slato  abbastanza  studialo  nelle  idee  orientali. 
II  monumento  riportato  dal  Layard  non  è  il  solo,  che 
ci  dimostri  quel  tipo  provenire  da  popoli  asiatici  ed 
orientali.  Già  si  conosce  che  simili  tori  a  volto  uma- 
no erano  alla  entrata  delle  porte  dell' edificio  di  Khor- 
sabad  (  de  Longpérier  nolice  des  monum.  expos.  dans 
la  galér.  d' antiq.  assyriennes  ^ag.  17,  18.).  In  al- 
cune monete  comparisce  lo  slesso  tipo  ;  ed  una  ne 
fu  descritta  dal  Mionnet  {descr.  tom.  IH.  pag.  670 
n.  688),  un'altra  pubblicata  fralle  incerte  della  rac- 
colta Hunteriana  (  Mus.  Ilunter.  lab.  66.  n.  XXVI), 
riprodotta  da  Raoul-Rochelte  (  Mém.  sur.  la  croix  an- 
sée  pi.  II.  n.  13)  e  dai  Gerhard  (iiber  die  Kunst  der 
Phonicier  tav.lll.  n.20),  e  finalmente  una  terza  edita 
dal  signor  FelloWs,  che  ne  fé  in  Licia  l'acquisto  [an 
Account  of  Discoveries  in  Lycia  pi.  37  n.7.  p.455) , 
e  che  giustamente  dalla  epigrafe  KOP  l'attribuisce  a' 
KoL^xkXiTs  di  Slrabone  (XIII,  631),  contrada  che  nel 
licio  dialetto  vedesi  sopra  altre  monete  denominata  KO- 
r'AAAE,Coj)a//e.VediRaoul-Rochette  mem.cit.  p.63- 
64.  In  altra  medaglia ,  tra  quelle  già  allribuite  a  Ca- 
marina,  poi  dal  sig.  Raoul-Rochetle  a  Maralhus  deWa 
Teaicia  {Croix ansée  p.70es.),  ed  ullimamenle  a31a- 
7'ium  città  di  Cipro  dal  eh.  sig.  Duca  deLuynes(nM- 
mismal.  el  inscripl.  cyprioles  p.  36-38:  se  ne  pubblica- 
no Ire  lav.VII,  n.  2,3,4)  (1),  vedesi  un  mezzo  toro  a 
\ollo  umano,  e  sopra  il  busto  di  un  dio  a  doppia  fac- 
cia barbala,  e  con  quattro  ali,  che  tiene  nelle  sue  mani 
un  globo  (  vedi  pui  e  de  Witte  nouvell.  annal.  de  Vlnst. 
Archéol.  t.  II  p.296,  2).  L'attribuzione  del  sig.  Duca 
de  Luynes  ci  sembra  meglio  fondata  anche  per  la  dif- 
ferenza dello  stile  che  osservasi  iu  queste  medaglie 

(1)  Prendiamo  questa  occasione  per  manifestare  tnlla  la  nostra 
stima  per  questo  recente  lavoro,  che  dobbiamo  alla  gentilezza 
dell'  illustre  autore ,  nel  quale  egli  ha  fatto  molle  interessanti  ri- 
cerche, attribuendo  a  Cipro  non  poche  medaglie  messe  Dnoia  fralle 
incerte  della  Cilicia.  E  mi  piace  di  notare  che  ultimamente  il  sig. 
Lajard,  uomo  molto  versalo  nello  studio  de"  monumcnii  orienlali, 
ne  fece  le  meritate  lodi  nella  sua  dotta  e  diligente  opera  rechcr- 
chet  tur  le  culle  du  cyprcs  pyramidnl  che:  Ics  peupics  civiliscs 
de  r  antiguilé  pag.  28,  29,  Paris  18li4  in  4,  che  posseggo  per 
dono  del  chiarissimo  autore. 


con  epigrafe  greca  messe  a  confronto  colle  medaglie  , 
di  Marathus  determinate  da  fenicia  iscrizione  (  Gese- 
nius  script,  ling.  phoenic.  monom.  tab.  55,  V.). 

Comunque  sia  però,  la  rappresentazione  appartie- 
ne alle  idee  degli  Assiri  e  de'  Fenieii ,  e  lo  stesso  si- 
gnor duca  de  Luynes  non  è  di  differente  opinione:  né 
pensa  diversamente  il  eh.  Gerhard ,  che  riproduce 
quel  tipo  nella  sua  dotta  memoria  sull'  arte  de'  Feni- 
eii {ilber  die  Kunst  der  Phonicier.  tav.  III.  n.  23  p. 
31  )  Non  voglio  intanto  mancar  di  notare,  che  la 
numismatica  di  Cipro  ci  offre  il  toro  a  volto  umano 
barbato  ,  e  respiciente  indietro  somigliante  perciò  al 
tipo  delle  medaglie  di  Laus  (  Luynes  op.  cit.  tav.  VI. 
num.  2.  ):  ma  non  sapremmo  seguire  la  idea,  già  da 
altri  presentata  ed  ora  di  nuovo  proposta  dal  dolio 
numismatico,  che  sia  ni;!  toro  androprosopo  figurato 
il  Giove  amante  di  Europa  (op.  cit.  pag.  33  ).  A  noi 
sembra  che  guardando  l'insieme  de'  monumenti ,  nei 
quali  ci  si  offre  quel  mostro,  non  può  ricorrersi  che 
ad  un  mito  relativo  ad  esseri  cosmogonici.  E  segna- 
tamente per  la  figura  doppia  poggiante  sul  mezzo  to- 
ro, nella  medaglia  di  Marathuso  Manmn,  questa  è  la 
idea  del  cav.  Gerhard  (  Flugelgestalt.  Taf.  1  ,  3-5  ) , 
e  del  Raoul-Rochetle  [croix  ansée  p.  71). 

Questa  medaglia  intanto  ci  sembra  di  un  particolare 
interesse  per  la  ricerca  del  toro  androprosopo:  di  fatti 
in  essa  si  avvicina  più  al  tipo  adottato  da'  Greci  mo- 
strandosi privo  di  ali,  e,  quel  ch'èpiù,  in  tale  posizio- 
ne, che  deve  riputarsi  nuotante.  Questa  ultima  parti- 
colarità ci  sembra  favorire  la  natura  acquatica  di  quel 
mostro  messo  in  rapporto  di  una  divinità  cosmogo- 
nica, o  che  dir  si  voglia  il  dio  Tempo  de'  Feaicii,  (San- 
choniat.  apud  Eiiseb.  praep.  evang.  lib.  I  e.  10),  ovvero 
il  Sole,  che  s'identifica  con  quello.  Nel  qual  senso  il 
Bifronte  si  addimostra  ancor  esso  di  origine  asiatica 
e  di  significazione  solare,  non  altrimenti  che  il  Giano 
de' Romani (>edi  le  nostre  osservazioni  nel  buU.arch. 
nap.  an.  IH.  p.  73  e  seg.)  (1).  Ma  non  vogliamo  che 
accennare  in  tal  luogo  queste  idee,  le  quali  meritano 
una  più  ampia  ricerca. 

(1)  Ci  riseihiamo  di  valutare  se  un  simile  mostro  si  ravvisa  in 
alcimi  cilindri  babilonesi  pubblicati  dal  Haoul-Uochette  Ucrc.  at- 
syr.  ci  plténic  tav.  VII,  il  quale  vi  scorgeva  tuit' altro  p.  130  e  s. 


173  — 


L'illustre  arclieologo  francese  Raoul-Rocliellc  parla 
pure  delle  insigni  mondine  colla  protome  del  Sebeto 
e  la  Sirena  sedente  (bullcl.  ardi.  nap.  an.  1  tav.  IV 
n.  1,2;  real  nnis.  Borbonico  toni.  XV  tav.  XLIV  n. 
1,  2;  Gerhard  ardi.  ZeilungOn.  I8S3  tav.  LVill  n. 
14  e  15,  pag.  118  segg.):  e  presenta  la  idea  che  il 
nome  SEnEI0O2^  fosse  un  nome  indigeno  ritrovato 
dalle  greche  colonie  ,  che  per  sé  lo  adottarono  ;  non 
allrimenti  che  il  Clanis ,  il  Liris  ,  il  Sarnos  [journ. 
des  Savanls  1854  pag.  310  not.  4  e  5).  Comunque 
una  tale  idea  merili  tutta  la  considerazione  ,  pure  non 
può  negarsi  che  in  quei  soli  casi  saremmo  autorizzali 
a  ricorrere  assolutamente  a  locale  linguaggio  ,  nei 
quali  sfugge  affatto  una  greca  derivazione.  Ora  ciò 
non  si  veriflca  nella  presente  circostanza.  Per  verità 
non  credo  derivarsi  il  nome  del  Sebeto  nella  guisa 
adoperata  dal  mio  chiarissimo  collega  signor  Comm. 
Quaranta  (  Vedi  memorie  della  reg.  Accademia  Erco- 
lanese  voi.  VI  pag.  586  e  segg.  ).  Egli  dopo  aver  ri- 
tenuto che  XiTTiil^os  sia  il  più  antico  nome  del  no- 
stro fiume  ,  anteriore  di  molli  secoli  a  quello  di  X=- 
fìvi^os ,  richiama  il  Xsfòt^os  di  alcuni  greci  gramma- 
tici, fermandolo  come  intermedio  fra  quelle  due  altre 
denominazioni.  Ed  in  quanto  alla  etimologia,  osserva 
non  esservi  nel  greco  liuguaggio  parole  che  comin- 
cino da  %r>ilò,  e  sostiene  provenir  quel  nome  da  ff^pw, 
che  dichiara  della  medesima  stirpe  con  (r;(y«;(I),  traw, 
(t/w  ,  CiiM ,  fjauj ,  e  Slw  :  dal  che  trae  che  il  nostro 
cheto  e  placido  fiumicello  aveva  nome  dall'  impelo 
delle  sue  acque ,  le  quali  in  epoca  più  antica  esser 
dovettero  rigogliose  e  superbe  non  men  che  quelle 
del  Tevere  a  Roma. 

Noi  ci  asteniamo  per  ora  dal  proporre  le  varie  dif- 
ficoltà filologiche,  alle  quali  dà  luogo  la  opinione  del 
mio  dotto  collega:  ed  a  traverso  delle  quali  ci  troviamo 
condotti  alla  conclusione  che  il  Sebeto  era  impetuoso, 
e  non  così  placido,  come  ora  si  mostra  a'noslri  sguar- 
di. Da  quel  che  venne  osservato  dal  eh.  autore,  e  che 
anche  noi  avevamo  avvertito,  non  esister  nel  greco  al- 
cuna parola  principiante  da  (rv)(3,  noi  deducemmo  in- 

(I)  Vedi  su  questo  verbo  le  osservazioni  del  signor  Ebel  nella 
Zeilschrift  far  vcrgkichende  Sprachforschung  de"  sig.  Aufrcclil 
e  Kulm,  Berlino  18u2  p.  300  e  segg. 


vece ,  che  bisognava  ricorrere  a  quelle  che  da  (TVitt 
hanno  cominciamento ,  le  quali  si  riducono  a  cTTjWa* 
e  suoi  derivati.  Questo  metodo  -  1 .  Corrisponde  alla 
primitiva  voce  i;r,7r;/.Uos-2.  Salva  la  quantità  della 
prima  vocale-3.  Non  rimula  gli  elementi  della  com- 
posizione-4.  E  finalmente  ci  fa  ritrovare  una  intel- 
ligenza, che  ben  si  addice  alla  tranquillità  del  nostro 
fiumicello.  Secondo  noi,  la  derivazione  di  i;y)7r.=(>Jo« è 
dal  verbo  <yr{7r(v  ,  nel  quale  è  la  significazione  di  pu~ 
trefare  proprio  delle  acque  basse  e  stagnanti.  Ora  in 
questo  caso  trovasi,  e  trovar  si  doveva  il  Sebeto,  per  la 
natura  stessa  del  suolo,  sul  quale;  scorre.  Noi  non  di- 
sconveniamo dall'idea  clic  il  Sebeto  aulicamente  si  e- 
slendesse  in  un  più  ampio  letto  ;  ma  solo  leniamo  per 
indubitato  che  quanto  più  largo  occupava  le  nostre  pa- 
ludi, tanto  più  basso  e  stagnante  doveva  mostrarsi.  Né 
questa  proprietà  è  insolita  nelle  accjue  fluenti  ;  e  ci  con- 
tentiamo di  citare  le  acque  del  Sarno,  che  presso  Sca- 
fati dilargandosi  ed  abbassandosi  diventano  finanche 
micidiali  alla  salute  di  quegli  abitanti.  La  natura  non 
cangia  :  e  le  piccole  colline  de'  contorni  di  Napoli  non 
possono,  a  nostro  giudizio  ,  produrre  impetuosi  tor- 
renti ,  come  inlerviene  alla  città  de'  Sette  Colli ,  ove 
si  distende  il  violentissimo  Tevere.  Al  che  si  aggiun- 
ga, che  s'è  vero  essere  affatto  svanito  il  Sebeto,  do- 
vendo forse  riputarsi  un  diverso  fiumicello  quello  a  cui 
dassi  ora  un  tal  nome,  verrebbe  a  dimostrarsi  da  ciò 
la  parvità  delle  sue  onde  ,  e  la  poca  profondità  del 
suo  letto  ,  che  collo  scorrer  de' secoli  fu  interamente 
colmalo. 

Queste  idee  ,  che  ora  semplicemente  annunziamo, 
saranno  da  noi  più  ampiamente  distese  in  una  nostra 
dissertazione,  che  ci  proponiamo  di  leggere  alla  reale 
Accademia  Ercolanesc, 

MlNERVI.NI. 

Giunone  Antea. 

Pausania  racconta  che  in  Argo,  alla  destra  del  tem- 
pio di  Latona  ,  vedevasi  un  sacello  dedicato  a  Giu- 
none Antheia:  rrf  o;  ''HpaS  i  \xriir-i\i  'Av'ìj/xs  Ìtt) 
roZ  Ufoì)  rrf  Ay\rov<i  h  ^st.ix"  (lib.  II  cap.  XXII,  1). 
I  chiarissimi  signori  Lenormaut  e  de  Wilte  {éli(edes 


_  176  - 


monutn.  céramograph.  tom.  I  p.  82)  furono  di  opi- 
nione che  quella  denominazione  fosse  da  spiegare  colla 
nascila  di  Marte  avvenuta  per  mezzo  di  un  fiore,  se- 
condo la  singolare  narrazione  di  Ovidio  [Faslor.  lib. 
V,  229  e  seg.  ).  Non  La  guari  sostenne  la  medesima 
idea  il  eh.  sig.  de  Longpérier,  credendo  di  ravvisare 
la  Giunone  Anlea  in  due  vasculari  dipiati  da  lui  pub- 
blicali [Junon  Anthéa,  Paris,  1849  in  8).  A  me  sem- 
bra che  questi  due  monumenli  non  possano  riferirsi 
alla  regina  degli  dei,  non  apparendo  né  i consueli or- 
namenti di  Giunone,  né  la  dignilà  della  sua  persona. 
Al  che  si  aggiunga  che  l'azione  della  dea  non  corri- 
sponde a  quella  additata  dallo  slesso  Ovidio  nel  luo- 
go medesimo  che  forma  la  base  della  spiegazione. 
Presso  il  Ialino  poeta  non  è  già  la  consorte  di  Giove, 
la  quale  va  in  traccia  del  mirabile  fiore,  ma  questo  è 
a  lei  presentato  da  Flora.  Sicché  manca  l'appoggio 
della  tradizione  stessa,  a  cui  bisogna  ricorrere.  Il  sig. 
de  Longpérier  ha  scorto  tutte  le  difBcollà  che  si  op- 
ponevano a  quella  sua  ingegnosa  conghiellura  ;  ma 
non  mi  pare  che  le  abbia  dileguate  in  maniera  sod- 
disfacente. Ma  quella  tradizione  Ovidiana  ignota  as- 
solutamente a"  Greci ,  e  che  forma  parte  de'  miti  ro- 
mani, dee  riputarsi  per  avventura  la  origine  del  nome 
di  Antea  [l)?  Noi  noi  crediamo  :  e  piuttosto  ci  sem- 
bra doversi  ricavarne  la  spiegazione  da  quelle  narra- 
zioni, che  troviamo  chiaramente  esposte  da'  greci  scrit- 
tori, e,  quel  eh' è  più,  riportale  alla  medesima  con- 
trada, ove  si  eresse  il  tempietto  additalo  da  Pausania, 
Nella  mia  memoria  sul  mito  di  Ercole  che  succhia  il 
latte  di  Giunone  inserita  nel  tomo  VI  delle  memorie 
della  reale  Accademia  Ercolanese  p.  3 1 7  e  seg. ,  ho 
dimostrato  le  relazioni  di  Giunone  col  fiore  del  giglio, 
e  per  quel  che  dice  Clemente  Alessandrino  (  paedag. 
2  pag.  78) ,  e  por  la  narrazione  de  Geoponici ,  che 
attribuisce  la  nascita  di  quel  fiore  al  latte  di  Giunone 

(1)  Noi  facciamo  la  osservazione  clic  ammessa  la  verità  di  qvie- 
s(o  supposto ,  e  la  giustczz,t  della  fallica  sigoiGcazione  del  fiore  , 
avvertita  dal  sig.  de  Longpérier ,  ci  parrebbe  in  qualunque  caso 
doversi  ricorrere  al  giglio ,  come  quello  a  cui  tal  signilìcazione 
mirabilmenle  conviene  :  vedi  la  mia  yncntoria  sull'Ercole  poppan- 
te nel  voi.  VI  delle  mem.  dell'  Accad.  Ercolanese  p.  327  e  seg. 


caduto  al  suolo  nell'allattamento  di  Ercole  :  «vl^os  rò 
Toì/  xplyov  ÒlìÙuixì  (lib.  XI  e.  XIX  p.  522  edit.  Ni- 
clas  ).  Ora  è  ben  risaputo  che  tutto  il  mito  di  Giu- 
none, che  dà  latle  al  Alcide  si  riferisce  ad  Argo.  Sic- 
ché la  Giunone  Argiva  ,  messa  in  rapporto  eoa  un 
fiore  ,  dà  una  plausibile  spiegazione  del  nome  della 
dea  in  quel  sacello  venerata.  Ed  il  vaso  di  Basilicata 
da  me  pubblicalo  ed  illustrato  nella  suddetta  memo- 
ria dà  pieno  appog;^io  e  confronto  a  quelle  tradizioni. 
È  poi  notevole  che  la  slefane  di  Giunone,  nel  vaso 
a  cui  accenniamo  ,  è  parimenti  ornata  di  palmette  ; 
come  in  non  poche  monete  ritraenti  la  Giunone  Ar- 
giva. Una  tale  particolarità  non  parmi  che  possa  ri- 
portarsi a  quello  stesso  nome  di  Aulheia  ;  siccome  fu 
da  altri  opinalo  (  vedi  Luynes  étud.  numism.  p.  22  e 
25  ;  e  de  Longpérier  mem.  cit.  p.  12).  La  qual  cosa 
ci  piace  di  vedere  osservala  altresì  dal  Raoul-Rochet- 
(e  ,  il  quale  peraltro  nulla  avvertiva  in  contrario  al 
rapporto  Ira  quel  nome  della  dea  e  la  tradizione  0- 
vidiuna  [Journal  des  Savants  1842  pag.  212,  seg.  ). 

MUJEKVINI. 

Iscrizioni  laliine.  Continuazione  del  n.  45. 

38. 
CASCELLIAE 
AGRIPPINAE 
Fu  ritrovata  nel  medesimo  sepolcro  ove  comparve 
r  altra  epigrafe  di  Oliavi©  Secondo,  riferila  di  sopra: 
pag.   136.  Egualmente  a  noi  comunicata  dal  Can. 
Scherillo, 

39. 

D.     M. 

SEX  •  CASTRICIO  •  FELICI 

PONTIA     LVPVLA 
WATER  •  FILIO  •  PUS 

SIMO  •  FEcrr  •  VI 
xir    A   XXIX 

M     VI  •  D  •  XII 

Comunicalaci  dello  stesso  Canonico  Scherillo  ;  ri- 
trovala in  un  sepolcro  a  Campania. 

(continua)  Minbrvini. 


Giglio  Mixervim  —  Editore. 


Tipografia  di  Civsbpps  Càtànbo, 


BULLETTIXO  ARCHEOLOGICO  IVAPOLITA\0. 


NUOVA    SERIE 


N."  49.     (25.  deir  anno  IL) 


Giuirno   \Sòì. 

ZI 


Toìnbe  e  piltiire  Sannitiche  di  Capua. 


Tombe  e  pidure  Sannitiche  di  Capua. 

Non  ha  guari  essendosi  fatte  alcune  scavazioni  in 
Santa  Maria  di  Capua  in  due  dinerenli  siti  poco  di- 
stanti dall'  anfiteatro  ,  importantissimi  monumenti  ne 
\enner  fuora  :  comparvero  alcune  tombe,  delle  quali 
non  furono  conservati  che  pochi,  benché  interessanti 
frammenti.  Un  solo  sepolcro  a'nostri  sguardi  mostra- 
Tasi  intero  ,  ed  è  tuttavia  conservato.  Queste  tombe 
erano  formate  di  grandi  massi  di  tufo  messi  insieme 
senza  cemento ,  e  da  quella  eh"  è  rimasta  intatta  può 
dedursi  che  terminavano  superiormente  restringen- 
dosi ad  angolo  ;  la  qual  forma  ,  non  infrequente  ad 
osservarsi  nelle  tombe  greche ,  dicesi  volgarmente  a 
schiena.  Le  interne  pareti  erano  rivestite  di  uno  stra- 
to di  calce  spenta  (I)  di  grossezza  circa  una  linea  , 
sul  quale  vedevansi  svariali  dipìnti.  In  seguito  della 
relazione ,  che  da  prima  fu  fatta  di  queste  scoperte 
[Poliorauìa  pilloresco  an.  XV  p.  tlO,  135,  s.  , 
158),  avevamo  rivolto  anche  noi  il  pensiero  agli 
Etruschi,  ed  in  questo  senso  annunziammo  di  sopra 
essersi  rinvenuta  una  serie  di  tombe  etrusche  nel  silo 
dell'antica  Capua  (p.  1 10).  Ma  non  tardammo  ad 
abbandonar  questa  idea ,  quando  ci  fu  dato  di  osser- 
vare co'  nostri  proprii  occhi  le  tombe ,  e  le  pitture 
che  le  fregiavamo  :  e  venimmo  tantosto  nella  opinio- 
ne che  quei  sepolcri  fossero  dell'  epoca  sannilica  ,  e 
che  le  pilture  appartenessero  egualmente  ad  arte  san- 
nilica. Pochissimi  monumenti  conosciamo  finora,  che 
altriburr  si  possano  con  certezza  ai  popoli  Sannitici  : 

(1)  Ciò  ha  potuto  verificarsi,  raccogliendosi  un  pezzetto  di  calce 
in  una  accidentale  scheggiatura  del  tufo,  ove  vedovasi  in  moggior 
grossezza  introdotto. 

Anno   II. 


e,  se  n'eccettui  i  monumenti  numismatici,  ne' quali 
pur  di  sovente  si  osservano  caratteri  di  greca  arte  , 
non  potranno  por  avventura  additarsene  altri  se  non 
che  le  due  teriecotte  di  Capua  con  iscrizioni  Sanni- 
tiche pubblicate  in  questo  medesimo  bulleltino  (an. 
I  tav.  XllI  n.  2  ;  ed  an.  II  lav.  V  n.  1  );  il  vaso  di 
bronzo  con  epigrafe  osca  in  caratteri  etruschi ,  an- 
che ivi  pubblicato  (an.  II.  lav.  VII  n.  4);  e  forse 
ancora  la  celebre  urna  di  Novio  Plauzio,  conoscinla 
sotto  il  nome  di  Cista  Ficoroniana,  la  quale  secondo 
il  parere  di  un  insigne  archeologo ,  fu  opera  di  un 
artista  Capuano  (Raoul-Rochette  fouilles  de  Capone 
pag.  63  ).  Ma  bisogna  pur  confessare  che  tutti  que- 
sti monumenti  sono  altresì  probabilmente  il  prodotto 
di  arte  graca  (1):  e  quindi  rimarranno  forse  per  la 
scienza  ,  quasi  unici  monumenti  sannitici ,  dovuti  al- 
l'arte di  quella  nazione,  le  sole  medaglie  della  guerra 
Marsica  ,  le  quali  presentano  senz' alcun  dubbi»  uu 
carattere  proprio  e  particolare  (2). 

Lo  stesso  mi  sembra  di  riconoscere  nelle  pitture 
delle  tombe  Capuane,  le  quali  tengono  di  uno  stile 
proprio ,  che  non  può  riferirsi  né  all'  arcaico  etru- 
sco 0  greco,  né  al  greco  più  elegante  o  di  tem[)i  po- 
steriori. Non  dito  già  che  non  vi  si  scorga  alcuna 
traccia  di  grecismo,  specialmente  per  la  parte  orna- 
tiva ;  ma  ciò  non  dee  far  maraviglia  ,  trattandosi  di 
un  paese,  ove  la  comunanza  de"  Greci,  e  le  remini- 
scenze delle  opere  del  greco  ingegno  dovevano  ne- 

(1)  Cosi  ci  sembra  da  ravvisare  nelle  lerrecotie  sopr»  mentova- 
te ,  né  diversamente  opinammo  del  vaso  di  bronzo  :  vedi  sopra 
pag.  138.  In  quanto  alla  cista  di  Ficoioiii  vedi  il  eh.  Jahn  die  Fi- 
coronische  Cista  p.  4C.  e  scgg. 

(2)  Sulla  i)Ochezza  de'  monumenti  Sannitici  vedi  quel  che  dice 
il  Miceli  Storia  degli  ani.  iinpolt  Hai.  i-  I  p-  267  seg.  2.  cdiz. 

25 


—  178- 


cessariameule  esercitare  una  non  lieve  influeuza  sui 
lavori  degl'  indigeni  artisti. 

Olirà  queste  ragioni  fondale  sul  sentimento  dell'ar- 
te ,  altre  ne  venivano  in  appoggio  di  quanto  asse- 
risco. 

Dall'  epoca  di  queste  ultime  scavazioni  data  bensì 
la  scoperta  di  monumenti  scritti  in  lingua  sannilica  : 
tale  si  è  il  vaso  di  bronzo  sopra  citato,  uscito  certa- 
mente da  un  sepolcro;tali  sono  quelle  iscrizioni  etru- 
sche  ,  che  presentano  nomi  sannitici  (come  il  ila- 
merco  ed  il  Marco  di  due  patere:  cf.  la  pag.  164.). 
Dalle  tombe  medesime  sono  comparsi  alcuni  di  quei 
vasi  tulli  dipinti  di  nero  con  ornamenti  dorati,  o  con 
semplicissimi  ornamenti  di  giallo.  Questi,  a  mio  giu- 
dizio, esser  dovevano  predilelli  da' Sanniti:  e  mi  con- 
tento di  citare  l'unico  sepolcro  Sannilico  di  Cuma, 
ove  non  altro  vasellame  si  conteneva  (  Bulleltino  an. 
I  pag.  163);  sebbene  non  vi  si  scorgessero  le  pareti 
ornale  di  figure ,  ma  unicamente  fregiale  di  sempli- 
cissime pitture,  quali  sono  il  meandro  ad  onda,  ed 
una  grande  palmella. 

Da  tutte  queste  ragioni,  e  da  altre,  che  ci  riuscirà 
di  rilevare  dal  confronto  dello  stesso  sepolcro  di  Cu- 
ma da  noi  accennato  colla  tomba  Capuana  tuttavia 
esistente,  noi  ci  crediamo  autorizzati  a  ritenere  per 
opere  de'  Campani  Sanniti  i  monumenti ,  dei  quali  ci 
prepariamo  a  discorrere  piìj  particolarmente  in  que- 
sto articolo. 

Nella  nostra  tavola  X  abbiamo  pubblicato  una  fi- 
gura (alt.  pai.  6,  1  )  residuo  di  una  tomba:  e  questa 
è  posseduta  dai  signori  Vetta  proprietarii  di  S.  Maria, 
alla  cui  gentilezza  dobbiamo  il  permesso  di  pubbli- 
carlo. Era  questa  figura  dipinta  sopra  due  grandi 
pezzi  di  tufo  ,  che  costituivano  la  parete  opposta  al- 
l'entrata,  essendo  le  allre  pareti  dipinte  solamente  di 
bianco.  Al  suolo  vedevansi  pochi  vasi  tutti  di  nero , 
e  la  cenere  residuo  della  combustione.  È  spiacevole 
che  la  parte  inferiore  di  quel  personaggio  sedente  sia 
quasi  interamente  distrutta:  non  rimanendone  che  una 
porzione  del  giallo  trono  ove  siede.  Apparisce  una 
figura  \irilc  con  barba  grigia ,  e  con  la  testa  circon- 
dala di  gialla  tenia,  di  sotto  alla  quale  escono  presso 
le  tempia  due  ramuscelli  forse  di  ulivo  o  di  lauro. 


Una  bianca  tunica,  a  cui  si  sovrappone  un  mantello  • 
anche  bianco  ,  costituisce  l' abbigliamento  di  questo 
personaggio.  Al  dito  anulare  della  sinistra  mano  ha 
l'anello,  e  colla  destra  si  appoggia  ad  un  nodoso  scet- 
tro 0  bastone.  Presso  alla  testa  è  sospesa  un'  ampia 
corona  di  rosso,  da  cui  sporger  si  mirano  alcune  fo- 
glie indeterminate.  Tutta  la  figura  è  limitata  da  una 
triplice  fascia  nera ,  bianca ,  e  rossa  ,  che  restringen- 
dosi nella  parte  superiore  andava  forse  a  terminare  in 
arco  acuto.  Pare  che  quel  personaggio  sia  appunto  il 
sepolto,  e  che  debba  in  esso  riconoscersi  un  sacerdo- 
te, o  Cupencus  de' Sabini  (Serv.  ad  Aen.  XII,  539). 
Avverto  solamente  che  gli  Osci  usar  dovevano  l' a- 
nello  ;  giacché  dice  Pesto  ;  ungulum ,  Oscorum  lin- 
gua significai  amdum:  Paul,  in  exc.  h.  v.  cf.  Plin. 
nat.  Imi.  lib.  XXXIII,  Gap.  1.  La  particolarità  più 
interessante  è  il  segno  che  fregia  in  mezzo  al  pello 
la  tunica  del  personaggio  sedente.  Il  sig.  Raoul-Ro- 
chette  sostenne  esser  questa  una  delle  forme  della  così 
delta  croce  ansata,  alla  quale  generalmente  si  attri- 
buisce la  significazione  di  vita  [Cìiam])o\ViOX) précis du 
syst.  hiérogl.  2  edit.  tableau  gén.  des  sign.  n.  277  p. 
32,  e  diclion.  égi/pt.  p.  329,  §  389:  vedi  pure  gli 
annali  dell' hi.  archeologico  tom.  V  pag.  180).  Egli 
sviluppò  questa  idea  in  una  memoria  intesa  appunto 
alla  spiegazione  della  croce  ansala  {sur  la  croix  ansée 
ou  sur  le  signe  qui  y  ressemble ,  considérée  principale- 
meni  dans  Ics  rapporls  avec  le  symbole  égyptien  sur  des 
monuments  élrusques  et  asiatiques.  Paris  MDCCCXL VI: 
è  inserita  nel  tom.  XVI  parte  lì  delle  memorie  dell' 
Accad.  delle  iscrizioni  e  Belle  lettere  p.  285-382). 
Dalle  dotte  ricerche  dell'archeologo  francese  si  desu- 
me che  quel  simbolo  di  vita  e  di  apoteosi  venne  ado- 
perato nei  monumenti  etruschi  ed  asiatici,  e  perfino 
in  quelli  del  primitivo  cristianesimo.  Io  mi  limiterò 
a  ricordare  che  appunto  ne' monumenti  cristiani  scor- 
gesi  un  segno  perfettamente  simile  a  quello,  di  che  è 
fregiato  il  personaggio  della  capuana  pittura  ;  e  che 
lo  stesso  si  osserva  talvolta  su' vasi  dipinti ,  nelle  me- 
daglie di  Gaza  della  Palestina ,  e  quel  eh'  è  più  come 
principale  tipo  nel  rovescio  delle  primitive  monete  di 
Corinto  e  di  Siracusa  (Kaoul-Rochelle  mém.  cit.  p. 
21,  cf.  tav.  In.  15  a  23).  E  debbo  dichiarare  sem- 


—  179  — 


bramii  molto  probabile  la  spiegazione  dalane  dalsig. 
RaouI-RocbeUe,  che  \i  scorgeva  la  forma  fenicia  del 
T,  sempre  colla  iulelligenza  di  vita  e  di  apoteosi. 

Non  voglio  infanto  mancar  di  notare  che  il  dottis- 
simo Leironnc  ebbe  ])iù  volte  la  occasione  di  parlare 
della  croce  ansala  e  nella  sua  memoria  ma/^/vawj^jJOiu' 
servir  à  l'Itisi,  du  Clirist.  pag.  92,  inserita  nel  voi.  X 
delle  memorie  dell'  Accad.  delle  iscr.  e  belle  lettere  p. 
199,  ed  in  altro  lavoro  della  medesima  raccolta  toni. 
XVI  part.  2  p.  23C-284  pubblicalo  pure  negli  an- 
nali dell'  ht.  1843  p.  115-143;  e  finalmente  nelle 
osservazioni  da  lui  presentate  nella  reviM  arch.  voi. 
II  p.  663  e  scgg. 

Il  eh.  sig.  Lajard  sostenne  che  la  croce  ansala  come 
simbolo  di  vila  non  era  che  una  abbreviala  e  lineare 
maniera  di  figurare  il  mihr  persiano,  nel  quale  egli  il 
primo  ravvisò  effigiala  la  triade  divina  (  mém.  de  l'A- 
cad.  des  inscr.  et  belles  lettr.  tom.  XVII  part.  I  p.  348- 
3T8  ;  ed  annali  dell'  ht.  1843  p.  13-37).  Noi  siamo 
non  poco  colpiti  dalle  ragioni  presentate  in  contrario 
a  questa  ingegnosa  idea  dallo  stesso  Raoul-Rochette 
nella  sua  memoria  sull'Ercole  assiro  e  fenicio  [append. 
A  pag.  377).  E  ci  sembra  probabile  il  ritenere  quel 
segno  come  il  Tau  fenicio,  nella  sua  idea  di  vila  fu- 
tura e  d' immortalila  :  opinione  ritenuta  pure  dal  sig. 
Toelken  {Verzeichniss  dcr  ani.  Steine  d. Kònigl.  Preuss. 
Gemmens.  n.  167  p.  36-37),  e  fondala  sopra  varii 
luoghi  della  Bibbia  ,  e  di  scrittori  profani.  In  questa 
sola  idea  può  riportarsi  ad  una  medesima  significazione 
il  segno  delle  medaglie  di  Gaza  (  Mionnet  descr.  l.  V 
p.  535  n.  108-109  :  Raoul-Rochette /?e/cassi/r.lav. 
IX  u.  7),  di  Corinto,  di  Siracusa,  che  comparisce 
pure  in  alcuni  vasi  di  Tliera  (  Raoul-Rochette  l.  e. 
tav.  IX  n.  8a  e  8b),  in  alcuni  frammenti  di  vasi  di 
fabbrica  primitiva  rinvenuti  a  Cuma  (Id.  ib.  n.  9) , 
e  che  si  vede  sul  petto  del  nostro  personaggio  seden- 
te nella  sannilica  pittura  di  Capua.  E  certamenle 
una  non  piccola  relazione  fra' due  segni  potrebbe  ri- 
conoscersi traendone  argomento  dal  nostro  dipinto  , 
al  quale  mirabilmente  contiene  un  simbolo  di  apo- 
teosi e  d'immortalità.  Or  questo  simbolo  messo  ad  or- 
namento sul  petto  ci  richiama  che  il  nodo  del  man- 
tello vedesi  configurato  a  foggia  di  croce  ansata  sul 
petto  di  Ormuzd  in  un  bassorilievo  di  Jakht-i-bonan 


(  Ker  Porler  Travels  voi.  II  pi.  60:  cf.  Lajard  mpm. 
citée,  p.  364).  IS'è  diversamente  pensiamo  in  quanto 
alla  grande  corona  messa  in  alto  presso  al  personag- 
gio sedente,  essendo  questa  simbolo  notissimo  d'im- 
mortalità tanto  nelle  idee  de' Greci,  quanto  in  quelle 
de'  popoli  asiatici  ed  orientali  (  vedi  le  dulie  osser- 
vazioni del  eh.  Lajard  note  sur  l' emplui  du  cercle  on 
de  la  couronne  etc.  nel  nouv.  journ.  asi'at.  aoùt  1833 
t.  XVI  p.  174  e  173). 

Comunque  sia  di  ciò,  non  vogliamo  nulla  dedurre 
per  ora  intorno  la  origine  di  quel  segno,  che  non  sap- 
piamo neppure  se  sia  dovuto  alla  influenza  elrusca  , 
e  se  in  Eiruria  venne  sotto  la  forma  usata  ne' monu- 
menti coriutii  inlrodolto  dalla  colonia  di  Demarato. 
Mancano  forse  ancora  i  dati  per  una  probabile  solu- 
zione di  questi  difliiili  problemi. 

Avverto  intanto  che  noi  avevamo  innanzi  dedotto 
dalla  tomba  sannilica  di  Cuma,  che  solevano  quei  po- 
poli bruciare  i  loro  cadaveri:  alla  quale  conclusione 
viene  un  novello  appoggio  da' sepolcri  di  Capua. 

Passo  alla  tav.  XI ,  nella  quale  tre  dislinli  fram- 
menti si  osservano  di  altre  pitture ,  le  quali  sono  in 
parte  mancanti  e  sconservate.  Esse  appartengono  al 
sig.  Vincenzo  Caruso ,  a  cui  dobbiamo  la  facoltà  di 
farne  eseguire  gli  accurati  disegni.  Furono  esse  tratte 
da  tre  diflerenti  sepolcri,  e  tutte  fregiavano  la  parete 
opposta  alla  entrala  della  tomba;  essendo  gli  altri  muri 
di  bianco,  non  altrimenti  che  nel  sepolcro  preceden- 
temente descritto.  Questa  particolarità  ben  (jualtro 
volte  ripetuta  può  credersi  costituire  uno  speciale  co- 
stume ;  per  lo  quale  cffigiavasi  la  sola  figura  dell'  e- 
stinlo  sulla  estrema  parete  del  monumento.  La  prima 
pittura  dunque  (alt.  pai.  1,  3)  ci  mostra  la  parte  su- 
periore di  un  giovine  con  bianca  tunica  fregiata  di 
rossi  ornamenti ,  che  tien  colla  sinistra  una  gialla  a- 
sticciuola  da  cui  pende  un  oggetto  incerto ,  quasi  un 
sacco  o  piuttosto  una  rete.  Non  sapremmo  a  che  vo- 
glia alludere  quell'arnese,  del  quale  ignoriamo  la  de- 
stinazione. Dirò  che  aveva  pensato  a' rc//an7  ;  ma  non 
è  provato  che  questa  varietà  di  gladiatori  possa  in 
Capua  riportarsi  ad  epoca  tanto  remola ,  quanto  è 
quella  a  cui  spetta  il  sepolcro:  nel  quale  furono  pure 
ritrovati'  alcuni  vasi  fittili  tutti  dipinti  di  nero. 

La  seconda  pittura  (alt.  pai.  3,  4)  ci  offre  un  gio- 


—  180  — 


^ine  guerriero  cavalcando  un  corrente  cavallo,  con 
galea  gialla  con  paragnatidi  ed  aletle,  nella  cui  cima 
sporgono  a' due  lati  due  gialle  corna,  e  nel  mezzo  uu 
bianco  pennacchio  colla  estremità  superiore  di  rosso, 
È  pur  notevole  che  il  corno  eh' è  a  destra  offre  la  va- 
rietà di  una  piccola  zona  azzurra.  Il  cavaliere  ha  pur 
gialla  corazza  squamala,  e  lien  colia  sinistra  un  ampio 
scudo  di  bianco  ornato  di  neri  globelti.  Il  cavallo  è 
bianco  tendente  al  rosso,  la  briglia  e  le  redini  sono  di 
rosso  fosco,  e  gli  ornamenti  gialli  nel  mezzo  circondati 
da  una  fascia  azzurra.  Notevolissima  è  la  forma  della 
galea  di  questa  figura.  Non  è  nuovo  veder  delle  penne 
come  fregio  degli  elmi:  il  che  fu  osservato  non  solo  pe' 
Greci  (  Olenin  ohserval.  sur  ime  noie  de  l'ouvrage  in- 
tilulé  pcint.  de  vas.  ant.  p.  60  ed  87  cf.  la  tav.  III. 
n.  25,  26,  e  27);  ma  ancora  pe' Romani  (Borghesi 
dee.  mtmism.  I  oss.  4;  Cavedoni  nel  bull.  a>xh.  nap. 
di  Avellino  an.  IV  pag.  43).  Vedi  ciò  che  scrivono 
i  signori  Visconti  e  Guattani  nel  Museo  Cliiaramonti 
pag.  29  alla  tav.  II;  e  quel  che  dico  io  stesso 6u//e/<. 
arch.  nap.  an.  IV  pag.  1 1.3,  e  vasi  Jalta  pag.  1 13  e 
seg.  Ora  aggiungo  che  vedesi  pure  una  sola  penna  nel 
mezzo  quasi  un  pennacchio  in  una  statuetta  di  bronzo 
pubblicata  dal  Caylus  (  recucii  tom.  VI  pag.  92  pi. 
XXIX  fig.  Ili),  e  riprodotta  dall' Olenin  (op.  cil.tà\. 
III.  n.  1  ):  e  che  i  gladiatori  denominali  5amm?es so- 
levano portare  lo  stesso  ornamento,  come  ne  assicura 
Varrone  (/.  /.Il,  1 1  ) ,  e  come  si  pruova  da'  pinni- 
rapi  di  Giovenale  (  III,  1  oO  ),  e  coli' aiuto  de' monu- 
menti (vedi  Hcnzen  expUcalio  musivi  in  villa  Burghe- 
siana  asservali  pag.  39).  Vero  è  che  Livio  non  parla 
di  penne  ma  di  cresta,  nel  descrivere  l' armatura  dei 
soldati  Sanniti  (  lib.  IX  cap.  40  )  ;  pure  è  certo  che 
facessero  uso  eziandio  di  quell'  altro  ornamento ,  non 
allrimenli  che  i  Greci,  i  quali  l'uno  e  l'altro  adope- 
rarono a  fregiarne  la  galea  :  e  ne  Iragghiamo  argo- 
mento dalle  monete  della  guerra  Marsica,  ove  appa- 
jono  talvolta  delle  piccole  penne  (Carell.  lab.  CCI , 
n.  21  ;  e  CCII  n.  26:  Fricdiaender  Osfc.  il/tónsm  tav. 
IX.  n.  9  ,  10).  A  confronto  poi  di  una  sola  penna  , 
sebbene  messa  ad  un  sol  lato  dell' elmo ,  è  da  citare 
il  bassorilievo  gladiatorio  pubblicalo  nel  sudetlo  im- 
portante lavoro  del  eh.  Henzen  tavola  VI,  tratto  da' 


mon.  dell'  ist.  pel  1842  tavola  XXXVIII:  veggausi  gli  ' 
annali  di  quell'anno  pag.  12  segg.  L'altra  notev/Dle 
particolarità  della  galea  sono  le  due  corna  bovine 
che  sporgono  d'ambi  i  lati.  È  ben  risaputo  che  un 
simile  ornamento  di  caprine  corna  fregiar  soleva  la 
galea  de'  re  di  Macedonia.  Ciò  si  rileva  da  Plutarco 
(  in  Pyrrho  p.  389),  e  da  Livio  (lib.  XXVII,  e.  33), 
e  quel  eh' è  più  da' monumenti  numismatici  (Eckhel 
doclr.  num.  tom.  II.  p.  124  e  s.  ).  Anzi  l' Eckhel  ne 
attribuisce  la  origine  al  mito  dello  slesso  Carano,  che 
prese  Edessa  guidato  dalle  capre:  il  che  fu  pure  opi- 
nato, sebbene  con  particolari  considerazioni,  dal  eh. 
Cavedoni  [Spidl.  num.  p.  53).  Silio  Italico  {Panie. 
I,  1 4  ;  XV  682  )  parla  pure  di  galee  adorne  di  corna 
arietine  ;  ma  ciò  avveniva  forse  pel  particolare  cullo 
degli  Africani  verso  il  Giove  Ani  mone  (Eckhel  doctr. 
num.  vet.  tom.  IH.  pag.  234).  Altri  popoli  usarono 
covertura  di  testa  con  corna  di  bue:  tali  sono  i  Traci 
dell'Asia,  i  Galli,  e  gli  Etiopi:  siccome  osservaro- 
no il  Vossio  (de  idotol.  lib.  I.  cap.  27),  il  Lipsio  [de 
milit.  rom.  lib.  3.  dial.  V.  et  analecla  ) ,  e  principal- 
mente lo  Spanheim  (  de  usu  et  praest.  numism.  tom. 
I  pag.  399).  Tra  tutti  come  più  vicino  confronto  colla 
galea  del  nostro  dipinto  richiamiamo  quel  che  dice 
Erodoto  de' Traci  Asiatici,  i  quali  portavano  elmi  di 
bronzo  con  corna  bovine  dello  stesso  metallo  (lib. 
VII  cap.  76).  Così  e  non  altrimenti  creder  si  deg- 
giono  di  metallo  e  la  galea  e  le  corna  che  veggiamo 
attribuite  al  cavaliere  del  Sannitico  dipinto  :  e  sarà 
pure  degno  di  attenzione  il  confronto  con  un  costu- 
me asiatico,  che  vedesi  riprodotto  nelle  nostre  regio- 
ni (1).  Avverto  finalmente  che  in  un  arcaico  monu- 
mento rappresentante  una  scena  di  sagrifizio ,  due 
guerrieri ,  che  ne  formano  parte  ,  presentano  come 
due  corna  bovine  sulle  loro  galee  (  Dempslero  Etrur. 
rcgalis,  tom.  I  tav.  LXXVIII).  Né  mi  sembra  da  at- 
tendere la  osservazione  fatta  dal  Buonarroti,  che  po- 
tesse credersi  una  cresta  messa  di  traverso  (pag.  46). 
Intanto  non  sarà  fuor  di  luogo  l'osservare  che  sem- 

(1)  la  un  coverchio  di  una  piccola  urna  di  marmo  di  epoca  non 
mollo  antica  vedesi  fralle  altre  armature  un  elmo  con  corna.  Vedi 
Gcrvasìo  iscriz.  de  Luccci  pag.  «8  e  nelle  mcmor.  dilla  regale 
Acc-  Ercolanese  lom.  VII  pag.  320. 


—  181  - 


Lra  l'ornamenlo  delle  bovino  corna  ronvonionlissimo 
'ì' popoli  Sannili  ;  avuto  riguardo  all'italico  toro,  di 
cui  è  tanto  frequente  1'  uso  nelle  medaglie  della  guer- 
ra Marsica,  con  manifesta  allusione  al  nome  stesso  d' 
ITALIA  o  VITELIV.  Vedi  Avellino  Ilal.  vct.  num. 
tom.  I.  p.  20  ;  Mérimée  rev.  niimism.  tom.  X  p.  93- 
94;  Cavedoni  ad  Carellii  lab. HCll  n.  Zi  pag.  117. 
Richiamo  da  ultimo  l'attenzione  sulle  alette  che  sono 
a'  due  lati  della  galea,  le  quali  per  essere  dello  stesso 
colore  debbono  ancora  riputarsi  metallico  ornamento. 
Questa  osservazione,  aggiunta  all'altra  che  la  galea 
di  Pallade  ,  o  di  Roma,  nelle  medaglie  romane  è 
quasi  sempre  alala  (I)  (il  che  dal  eh.  Cavedoni  si  at- 
tribuisce alla  spoglia  di  un  grifo  messa  adornamento: 
ragguaglio  deprecip.  r/posi/j// pag.  43  net.  28)  prova 
non  essere  le  ali  unicamente  proprie  della  galea  plu- 
tonica. 11  che  fu  non  ha  guari  sostenuto  dal  mio  dotto 
amico  sig.  pr.  Carlo  Federico  Hermann  in  una  sua 
recente  disiettazione  [die Hadeskappe — Gottinga  1833 
in  8),  della  quale  tornerò  a  discorrere  in  altra  occa- 
sione. Lo  scudo  ampio  tenuto  dal  nostro  soldato  cor- 
risponde presso  a  poco  alla  descrizione  che  Livio  ci 
ha  lascialo  dello  scudo  Sannitico  (lib.  IX  e.  40).  Ed 
in  generale  le  metalliche  armi  della  nostra  pittura  ci 
ricordano  le  armature  di  bronzo  de'  Sanniti ,  delle 
quali  parla  Plinio  (n.  li.  lib.  XXXIV,  7).  Comunque 
sia  di  ciò ,  il  guerriero  trasportato  dal  veloce  cavallo 
può  accennare  al  passaggio  delle  anime  dopo  la  morte, 
secondo  la  osservazione  fatta  da  molti  dotti  archeolo- 
gi, che  furono  da  noi  altrove  ricordati  (vedi  il  ?/!(//c//. 
arch.  nap.  di  Avellino  an.  VI  p.  14).  Sebbene  questa 
osservazione  non  escluda  l' altra  che  siesi  figurato  in 
tal  modo  per  dinotare  che  il  defunto  appartenne  alia 
equestre  milizia.  Nel  sepolcro  adorno  del  descritto  di- 
pinto erano  due  soli  vasi,  un'olla  di  terracotta  ordi- 
naria ripiena  di  cenere  (  altro  esempio  di  combustio- 
ne) ,  ed  un'idria  a  tre  manichi  tutta  di  nero  con  or- 
namento di  gialle  palmette  sul  collo  ripiena  di  bru- 

(1)  Pare  che  ad  imitazione  delle  medaglie  romane  debba  attri- 
buirsi la  galea  alata  delle  monete  della  guerra  Marsica  :  Carelli 
tab.  CCIl  n.  28-31,  Friedlacnder  Osk.  Munzen  lav.  IX  n.  4,  7,  8, 
e  tav.  X  n.  21.  Intanto  la  nostra  pittura  tanto  più  antica  dimostra 
essere  1'  ornamento  delle  ali  adoperato  nella  galea  iadipondcnie- 
Mienie  da  fiualsivoglia  imitazione. 


ciate  ossa  :  oravi  pure  un  anello  di  bronzo,  e  la  punta 
di  una  lancia  di  ferro  ,  ove  comparisce  ancora  parte 
del  legno  che  ne  forma\  a  l' asta.  È  noto  che  questa 
armatura  fu  adoperata  da'soldati  Sannili  (Micali  Sto- 
ria degli  ani.  pop.  ilal.  tom.  IL  p.  317,  318):  e 
può  dal  nostro  sepolcro  desumersi  che  l'anello  di 
bronzo  fosse  pure  loro  non  insolilo  ornamento. 

Di  stile  alquanto  jùt'i  accurato  è  la  terza  pittura  della 
nostra  tav.  XI,  la  quale  è  pure  in  parte  perduta  (alt.  pai. 
4,  8  ).  Notevole  è  la  covcrtura  della  lesta  di  nero  eoa 
rossi  ornamenti,  la  quale  si  assomiglia  assai  meglio  ad 
una  orientale  mitra  che  ad  un  greco  cccrifalo:\a  collana 
è  segnata  di  giallo  ;  la  larga  fascia  adorna  di  una  rossa 
lista,  e  di  nero  meandro  ad  onda  ,  i  rossi  ornamenti 
della  gialla  tunica  ,  ed  il  purpureo  mantello  condu- 
cono pure  alla  idea  di  asiatici  costumi.  La  cassetta  che 
sostiene  colla  sinistra,  e  lo  s[)eccliio  che  solleva  colla 
destra,  sono  di  vicinissimo  confronto  alle  simboliche 
e  mistiche  figure  de'  vasi  dipinti ,  le  quali  veggonsi 
frequentissimamente  collo  specchio  e  colla  cassetta. 
La  tomba,  a  cui  apparteneva  questa  pittura,  moslra- 
vasi  anticamente  violata ,  veggendosi  in  un  angolo 
frammenti  di  patere  e  d' altri  vasi  neri  misti  ad  ossa 
non  bruciate  :  fralle  terre  raccolte  fu  ritrovato  un  a- 
nellino  di  oro  con  la  impressione  di  un  leone  cor- 
rente ,  solo  fregio  sfuggito  per  avventura  agli  spo- 
glialori  della  tomba. 

Noterò  da  ultimo  che  in  questi  dipinti  si  distingue 
assai  bene  la  carnagione  delle  figure  virili  da  quella 
delle  femnìinili,  vedendosi  nelle  prime  una  tinta  molto 
rossa  e  scura,  quasi  bianca  nelle  seconde.  Il  che  rien- 
tra in  un  sistema  assai  comune  all'  antichità  nella  ese- 
cuzione delle  pitture  murali  di  epoche  e  di  paesi  dif- 
ferenlissimi. 

Passiamo  ora  alla  descrizione  della  tomba  conserva- 
ta, la  quale  è  in  un  fondo  de' Signori  Velia,  messo  alla 
parie  meridionale  dell'  anfiteatro  ed  a  poca  distanza 
da  questo  magnifico  ediCzio:  il  qual  sito  è  appunto  lo 
stesso  da  cui  furono  traile  alcune  delle  pitture  innanzi 
descritte.  Noi  abbiamo  presentato  nella  nostra  tav.  XV 
la  pianta,  il  profilo,  e  la  eleva/ione  del  sepolcro,  che 
dobbiamo  alla  cortesia  dell'architetto  sig.  Vincenzo 
Caruso,  il  quale  uon  rifiuta  fatica  o  cura ,  quando  si 


—  182  — 


(ralla  della  illiislrazione  de'  monumenti  della  sua  pa- 
tria.  Nella  figura  4,  eseguita  senza  una  particolare 
scala,  abbiamo  presentalo  due  cose,  sulle  quali  me- 
ritava di  essere  richiamata  l'allenzione  de'nostri  lettori. 
La  prima  si  è  la  entrala  della  tomba,  la  quale  veniva 
rinchiusa  da  due  altri  massi  di  tufo  rettangolari,  non 
altrimenti  che  la  tomba  sannitica  di  Cuma.  L'altra  os- 
servazione concerne  un  irregolare  buco  pratlicato  a 
forza  nella  parte  superiore  della  tomba:  dal  quale  per 
altro  non  vorremmo  conchiudere  che  fosse  stala  po- 
steriormente frugata,  giacché  non  è  di  tale  ampiezza 
da  permettere  di  penetrare  nel  sepolcro  ad  uomo  di 
regolare  grandezza.  Dalla  figura  terza  si  ricava  la  no- 
tizia della  forma  del  sepolcro,  e  delle  sue  dimensioni, 
giusta  la  scala  messa  di  sotto  alla  figura  2,  che  dalla 
medesima  è  regolala ,  e  che  ci  offre  la  pianta  del  fu- 
nebre edifizio.  Si  rileva  dalla  stessa  che  nella  tom- 
ba eranvi  due  come  letti  mortuarii  sollevali  alquan- 
to dal  suolo ,  ed  una  cassa  di  tufo  senza  coperchio  , 
ripiena  di  terra  ,  e  di  varii  vasi  infranti.  Sopra  cia- 
scuno di  quei  letti ,  e  nella  cassa  vedevasi  adagiato 
un  cadavere.  Anche  qui  osserviamo  che  l'uso  di  ele- 
var dal  suolo  una  specie  di  grado,  su  cui  deporre  l'e- 
stinto, vedevasi  ugualmente  nella  più  volte  citata  san- 
nitica tomba  di  Cuma  :  e  questo  confronto  dà  un  no- 
vello appoggio  a  quel  che  abbiamo  sin  dal  principio 
asserito  ,  trattarsi  di  sannitiche  sepolture.  Molti  vasi 
furono  ritrovati  sopra  una  piccola  cornice  che  cir- 
condava la  tomba  quasi  ad  altezza  d'uomo,  sulle  tre 
edicole  di  cui  diremo  fra  poco,  ed  intorno  a' cada- 
veri. Noi  li  abbiamo  tulli  presentati  nella  nostra  ta- 
vola XU.  I  numeri  1  e  2  ci  presentano  un  vaso  di- 
pinto tutto  di  nero  a  tre  manichi,  con  fregi  dorali,  il 
solo  che  fosse  in  questo  sito  rinvenuto,  e  che  è  da 
paragonarsi  col  simile  vasellame  della  sannitica  tomba 
di  Cuma ,  a  cui  questa  nostra  sembra  corrispondere 
presso  a  poco  per  l'epoca.  I  numeri  9,  10,  11, 12, 
13,  14,   15,  16  ci  presentano  vasi  greci  dipinti  o 
tutti  di  nero,  o  con  semplici  ornamenti  di  nero  in 
fondo  rosso,  e  viceversa.  È  evidente  che  il  lavoro  di 
questi  svariati  vasellini  non  è  di  epoca  molto  remota, 
ma  sembra  appartenere  appunto  a  quel  secolo  in  cui 
avvenne  la  sannitica  dominazione  di  Capua.  I  nu- 


meri S,  6,  7,  8  sono  vasi  più  o  meno  grandi  di  ala- 
bastro, e  molti  altri  ve  n' erano  pur  frammentati,  ch^ 
non  riputammo  utile  di  far  disegnare.  Finalmente  i 
n.  3  e  4  ci  presentano  due  vasi  rozzi  di  terracotta , 
che  abbiamo  scelli  tra'  molti  che  ne  comparvero.  Que- 
sti ultimi  specialmente,  anche  per  gli  altri  sepolcri 
accennali  di  sopra  ,  dimostrano  ,  a  nostro  giudizio , 
non  trattarsi  della  tomba  di  un  greco,  non  essendo 
proprio  di  quella  elegante  nazione  il  lavorare  ed  il 
depositar  ne'  sepolcri  così  rozzo  vasellame.  Ma  la  se- 
vera, e  poco  culla  genie  de' Sanniti,  non  è  maravi- 
glia che  fregiasse  i  cadaveri  nelle  tombe  deposti  di 
quegli  ineleganti  arnesi  di  proprio  uso  e  di  proprio 
lavoro,  accompagnandoli  non  pertanto  col  greco  va- 
sellame tuttora  in  uso  a  quei  tempi.  Così  e  non  al- 
trimenti intendiamo  questa  varietà  di  monumenti  ;  non 
volendo  supporre  che  il  sepolcro,  pria  destinato  ad  un 
greco ,  fosse  in  'epoca  posteriore  occupalo  da  cada- 
veri di  un'  altra  nazione.  Ed  il  sanuitico  sepolcro  di 
Cuma,  tutto  ripieno  di  stoviglie  di  greco  lavoro,  vale 
a  dar  piena  conferma  alle  nostre  conghietture. 

Quello  che  maggiormente  interessa  in  questo  se- 
polcro sono  i  dipinti  che  ne  fregiano  le  interne  pa- 
reti. A  noi  sembra  che  principalmente  la  parte  or- 
nativa sia  dipendente  da  greca  arte:  e  basterebbe  per 
convincersene  avvertire  che  l' ornamento  che  più  si 
ripete  è  appunto  quello  che  si  scorge  nel  greco  vasel- 
lino  di  particolare  forma ,  di  cui  abbiamo  dato  il  di- 
segno sotto  il  n.  9  della  nostra  tav.  XII.  Del  resto  non 
può  dubitarsi  che  i  Sanniti  Campani  profittarono  nelle 
loro  arti  delle  opere  dei  greci  artisti ,  che  vedevano 
tuttodì  sotto  i  loro  sguardi.  Noi  ci  asteniamo  perora 
dal  far  gli  opportuni  riscontri  della  dipinta  architettura 
delia  tomba  di  Capua  ,  e  precisamente  delle  joniche 
colonne,  le  quali  offrono  un  vicino  confronto  alle  co- 
lonne del  sepolcreto  di  Canosa,  di  cui  saranno  quanto 
prima  pubblicati  idisegni.Vogliamo  soltanto  avvertire 
che  gli  ovoli  ricorrenti  intorno  intorno  nella  cornice 
sporgente  in  cima  de'  dipinti ,  e  visibili  presso  ai  ca- 
pitelli delle  colonne  ,  essendo  nella  maggior  parte  di 
bianco  presentanole  ombre  nella  parte  media  indicale 
or  di  nero,  ed  or  di  rosso  colore:  con  questo  sistema 
che  vedesi  una  sola  volta  adoperalo  il  rosso  dopo  due 


—  1S3  — 


ovoli  ombreggiali  di  nero.  Queste  ed  allre  osserva- 
2Ìoni  su'  colori  di  questi  arcliilcttonici  fregi  saranno  da 
rilevare  per  gli  opportuni  confronti  dell'  arcliilottura 
policroma  degli  antichi  :  e  non  è  qui  il  luogo  di  fer- 
marsi a  ragionarne  dislesamenle. 

Nel  mezzo  della  parete  laterale  destra  è  un  incavo, 
ed  intorno  evvi  un  dipinto  a  guisa  di  edicola.  Nel 
fondo  di  quella  nicchia  non  si  osserva  alcuna  cosa  di- 
pinta, e  solo  nel  lato  sinistro  vedesi  un  colombo  se- 
gnato a  semplici  tratti  di  nero,  che  reca  fralle  unghie 
una  rossa  tenia  :  di  un  altro  simile  uccello  scorgonsi 
le  tracce  sul  lato  sinistro  della  medesima  edicola  (vedi 
quel  primo  uccello  tav.  XV  n.  5  ).  Vedesi  appressare 
alla  edicola  una  figura  femminile  ,  molto  sconserva- 
ta, la  quale  apparisce  tutta  inviluppata  in  un  ampio 
panno.  Rappresenta  questa  certamente  un'  ombra  :  e 
poiché  molti  vasellini  erano  situati  sulla  edicola,  po- 
trebbe per  alcuno  congbietturarsi  ch'ella  si  approssimi 
alle  funebri  offerte  per  lei  preparate.  Dall'  altra  parte 
della  edicola  vedi  un  personaggio  calvo  e  barbato  , 
vestito  di  bianca  tunica  ornata  di  rosse  fasce ,  ed  a 
cui  si  soprappone  un  bianco  mantello.  Sembra  un 
costume  poco  dissimile  da  quello  del  sedente  perso- 
naggio figurato  nella  nostra  tav.  X  :  e  ci  ricorda  la 
descrizione  che  di  un  simile  yestimenlo  ci  ha  lascialo 
Apulejo  :  Hahchal  indiUui  ad  corpus  tunicam  inleru- 
lam  tenuissimo  lexlu  .  .  hahebat  amiciui  paltium  can- 
didum,  quod  superne  circumjecerat  [Florid.  e.  9).  La 
espressione  del  suo  volto,  e  la  posizione  stessa  in  che 
si  presenta  avvolto  nel  pallio,  sembrano  additarci  trat- 
tarsi di  un  magistrato  (Meddix) ,  o  di  un  oratore.  In 
quanto  poi  all'acconcia  maniera  di  tener  la  sua  veste, 
i  Greci  la  dicevano  xorj\xiuji  àvccXafxPaKSfv  t^y  Iff-^Jf,- 
Tcc.  Su  di  che,  tanto  per  la  parte  degli  antichi  scrit- 
tori quanto  de'  monumenti  che  vi  fanno  riscontro  ,  è 
da  vedere  il  eh.  C.  F.  Hermann  {Lehrbuch  dcrGric- 
diischen  Anliquitalen  voi.  Ili  p.  93  e  93).  Difficile  ci 
sembra  dare  una  soddisfacente  dilucidazione  dell'  og- 
getto spiegato  a  lui  d'innanzi,  in  quattro  serpeggianti 
liste  di  rosso,  i  cui  estremi  ornamenti  sono  neri.  Dal 
considerare  l'estremità  inferiore  acuta,  che  par  de- 
stinata ad  entrare  in  qualche  foro  pratticato  probabil- 
mente all'altra  estremità,  potrebbe  dedursi  che  questo 


arnese  fosse  una  larga  fascia  da  avvolgersi  a'  lombi , 
e  fermarsi  mediante  quella  specie  di  borchia:  la  quale 
particolarità  di  costume  unita  al  resto  dell'  abbiglia- 
mento ,  ed  alla  maniera  in  cui  lutto  il  personaggio  è 
dipinto,  sempre  più  ci  confermano  appartenere  questo 
monumento  a'  popoli  Sanniti  Campani,  ed  esserne  do- 
vute le  pitture  ad  indigeni  artisti. 

Facciam  seguire  per  ordine  il  dipinto  della  parete 
più  corta,  la  quale  corrisponde  rimpetlo  alla  entrala 
della  tomba  (tav.  XV).  Veggonsi  in  essa  i  medesimi 
ornamenti  che  nelle  altre  pareti,  e  nel  mezzo  una  e- 
dicola  abjuanlo  variamente  ornala  da  quelle  visibili 
ne'  muri  laterali.  A  destra  ed  a  sinistra  di  questa  edi- 
cola sono  i  due  simbolici  augelli  riportati  a'  n.  7  ,  6 
della  sudetta  tav.  XV  ,  i  quali  recano  traile  unghie 
purpuree  bende ,  forse  premii  d' iniziazione.  La  gio- 
vanile figura  che  sola  comparisce  da  questo  lato ,  è 
vestila  di  bianco,  ha  giallo  monile  ed  armille  dello 
slesso  colore.  La  chioma  è  mollo  simile  a  quella  della 
femminile  lesta  delle  più  comuni  medaglie  de' Beoti, 
ed  eleva  colla  sinistra  la  oenochoe  gialla  ,  colla  parie 
inferiore  di  rosso,  innalza  colla  destra  una  rossa  co- 
rona ,  quasi  mettendosi  in  rapporto  col  virile  perso- 
naggio innanzi  descritto  ,  a  cui  forse  presenta  quegli 
oggetti  come  premio,  e  simbolo  d'immortalità. 

Vengo  alla  ulliraa  parete  (t.XIV),  ove  scorgi  del  pari 
una  edicola,  con  simili  ornamenti  non  esclusi  i  simbo- 
lici augelli,  di  cui  rimangono  tracce.  Rappresentasi  in 
questa  parete  una  giovine  danzatrice,  intenta  al  ballo, 
al  suono  di  una  tibicine.  La  bianca  veste  della  dan- 
zatrice è  ritenuta  da  una  rossa  cintura,  e  da  due  quasi 
tracolle  fra  loro  incrociale;  la  quale  usanza  di  mo- 
strar nudo  il  petto  riscontrasi  in  altre  sallatrieio  gio- 
coliere ravvisate  in  vasi  dipinti,  principalmente  dell' 
antica  Gnathia  (vedi  quel  che  dicemmo  nel  6»//.  a/r/i. 
nap.  di  Avellino  an.  V  p.  97  e  seg.  ,  e  luon.  di  Ba- 
rone aa.  I  p.  16  e  s.  (1)  ).  l  crotali  sembrano  di  me- 
tallo, essendo  dipinti  di  giallo  :  e  forse  altro  non  sono 
che  i  x^<'rx\%  ■x^ctXxov  di  Euripide  (  Cycì.  20i  cf. 
Martial.  XI,  IG,  4  ) ,  o  ricordano  la  x^ucoxprxXoì 
CTTra^^aXyi  dell'Antologia  [anlli.  palai.  V,  271, 1  f;  v. 

(1)  Ivi  notammo  il  senso  funebre  e  talvolia  baccbico  di  queste 
danze. 


—  184  — 


il  eh.  Jahn  ne  Berìchte  dcr  Kon.  Sachs.  Gesellschafl 
der  Wissemchaft.  1851  pag.  169).  Il  panno  che  di- 
scende dalie  spalle  è  rosso ,  e  così  pure  quella  parti- 
colare coverlura  di  testa,  a  cui  ne  trovammo  perfet- 
tamente simili  in  alcune  danzatrici  di  un  vaso  di  Fa- 
sano  (Gnalhia)  posseduto  dal  sig.  Raffaele  Barone:  ed 
ahbiamo  credalo  opportuno  di  riportarne  in  confronto 
il  disegno  al  disotto  della  parete  ;  senza  per  altro  ad- 
ditare qual  nome  convenga  a  quell'ornamento  (1).  La 
sonatrice  di  tibia  ha  alla  testa  una  bianca  covertura 
con  rosse  linee  tra  loro  intersegantisi,  e  sembra  quella 
specie  di  cecrifaio  ,  che  fu  da'  Latini  denominato  re- 
liculum  ;  la  sua  bianca  tunica  con  gialle  maniche  ,  e 
con  svariali  ornamenti  di  rosso  ci  richiamano  il  pen- 
siero alle  costumanze  di  Lidia,  le  quali  furono  per 
avventura  trasferite  dalle  colonie  de' Tirreni  Lidi  in 
Capua  (vedi  quel  che  dicemmo  ne'  mon.  ined.  di  Ba~ 
rone  pag.  132)  e  nelle  altre  regioni  ove  stanziarono 
gli  Etruschi.  Vedi  Raoul-Rochette  Hercule  assyr.  et 
phénic.  p.5.  Queste  danze,  o  altre  dilettevoli  occupa- 
zioni, che  tanto  spesso  veggiamo  ripetersi  anche  nelle 
pitture  delle  tombe  di  Etruria ,  alludono  per  avven- 
tura a' diletti  che  si  promettono  a' defunti,  ovvero  ac- 
cennano a  quei  piaceri,  de' quali  essi  godevano  nella 
vita ,  0  finalmente  riputar  si  danno  mistiche  danze. 
In  qualunque  modo  intender  si  voglia  la  cosa ,  cre- 
diamo utile  di  fare  un'  ultima  osservazione,  ed  è  che 
tre  letti  morluarii  appajono  nel  sepolcro ,  ed  un  si- 
mile numero  di  funebri  edicole  veggonsi  pratlicate 
nelle  pareti  del  monumento:  è  quindi  probabile  che 
ognuna  di  esse  si  riferisse  ad  uno  de'sepolti  cadaveri. Ri- 
manghiamo  però  nel  dubbio  se  le  figure  de'  tre  sepolti 
siano  da  ravvisare  nel  barbato  personaggio,  nella  don- 
zella colla  corona  ed  il  prochoos,  e  nella  danzatrice  : 
ovvero  piuttosto  nella  donna  tutta  avviluppata  nel  suo 
mantello.  Non  sarebbe  però  strana  cosa  il  supporre , 
che  nella  cassa  mortuaria  fossero  adagiali  due  cada- 

(1)  In  un  celebre  sepolcro  di  Tarquinii  veggonsi  le  danzairici 
pure  con  bianche  vesti,  e  cecrifaio,  e  con  simile  panno  penderne 
sulle  i-palle  di  color  verde:  Micjli  monum  per  senile  alla  storia 
lav.  LXVllI. 


veri.  Nella  quale  ipotesi  sarebbe  una  coppia  di  ma- 
rito e  moglie  ,  e  sopra  que'  letti  due  donzelle  appar- 
tenenti alla  medesima  famiglia.  Un' ultima  osserva- 
zione sorge  spontanea  dalle  cose  finora  esposte.  Nel 
sepolcro,  ov'era  il  dipinto  della  donna  con  la  cassetta 
e  lo  specchio ,  certamente  di  un  personaggio  mulie- 
bre, furono  rinvenute  ossa  non  bruciate  :  e  così  del 
pari  tre  cadaveri  adagiati  nella  tomba,  ove  tre  fem- 
minili figure  vedevansi  effigiate.  AH'  opposto  in  lutti 
i  sepolcri  appartenenti  a  virili  personaggi  ritrovaronsi 
ceneri  o  bruciate  ossa  :  così  nel  sannitico  sepolcro  di 
Cuma  ;  così  negli  altri  di  Capua  :  e  se  non  potemmo 
raccoglier  lo  stesso  in  quanto  alla  tomba  tuttora  con- 
servata, sarà  forse  dipeso  da  un  po' di  negligenza  nell' 
osservarla,  che  non  fece  ricercar  le  ceneri  del  quarto 
cadavere  in  quella  sepoltura  deposto.  Questa  osser- 
vazione di  fatto  può  farci  per  avventura  conchiudere 
che  fosse  uso  de' Sanniti  bruciarci  cadaveri  degli  uo- 
mini e  non  delle  donne  :  del  qual  costume  dovrà  ri- 
cercarsi d' ogginnanzi  la  dimostrazione  nelle  ulteriori 
scavazioni  ,  le  quali  saran  eoa  maggiore  diligenza 
pratticate  in  quel  medesimo  sito.  E  cosi  poniamo  ter- 
mine a  questa  breve  notizia  di  una  delle  più  interes- 
santi scoverte,  che  abbiano  avuto  luogo  in  questi  ul- 
timi tempi. 

La  importanza  de'  quali  monumenti  richiede  un  più 
esteso  lavoro:  e  noi  ci  proponiamo  di  presentarlo  in 
altra  differente  pubblicazione,  nella  quale  intendiamo 
di  produrre  i  dipinti  co'  loro  colori ,  unico  mezzo  di 
offrirne  una  idea  che  possa  giudicarsi  pienamente  a- 
deguata  e  sufficiente. 

Non  possiamo  chiudere  la  presente  relazione  senza 
far  noto  che  questi  nuovi  tesori  archeologici ,  insie- 
me con  altri  della  medesima  provenienza,  verrantra 
poco  ad  aggiunger  lustro  e  decoro  al  real  museo  Bor- 
bonico. Sarebbe  vana  cosa  far  rilevare  anche  in  que- 
sta occasione  quanta  gloria  siesi  meritata  da  coloro , 
a' quali  è  commessa  la  cura  delle  antichità:  solo  dirò 
ch'essi  acquistano  ogni  giorno  più  dritto  alla  pubblica 
estimazione. 

Mh\EKVlM. 


GiCLio  MixERviM  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cata:ieo. 


BUllETIIXO  A85CMEOLOGICO  MPOLITAÌSO. 

NUOVA    SERIE 


N.o  ÒO.     (26.  dell'  anno  II.) 


Giugno  1854. 


Notice  sur  Ics  fouilles  de  Capone  pur  M.  lÌAouL-RocnETTE.  Continuazione  e  fine. 


BIBLIOGRAFIA 

Nolice  sur  Ics  fouilles  de  Capone  par  M.  Raoid-Ro- 
chelte.  Continuazione  del  n.  46  pag.  'IGO. 

Senza  entrare  in  minuta  discussione  su  queste  no- 
tizie del  Sig.  Caruso,  ho  voluto  per  ora  annunziarle, 
riserbandomi  di  presentare  alcune  parlicolari  idee,  in 
altra  occasione  ;  e  specialmente  quando  mi  riuscisse 
dì  osservare  qualcuna  di  quelle  scolture ,  e  la  situa- 
zione delle  fosse  ripiene  di  terrecotte ,  relativamente 
al  pavimento  dello  edifizio  ,  che  esser  dee  superstite 
ancora  dopo  le  ingiurie  de' secoli,  e  che  noi  riteniamo 
per  un  tempio.  Intanto  sarà  utile  avvertire  che  anche 
le  terrecotte  sannilicbe  da  noi  pubblicate  (an.  I.  tav. 
XUI ,  e  an.  II.  tav.  V  )  vennero  fuori  da'  fossi  sopra 
citali:  il  che  pruova  che  almeno  durava  il  cullo  a  quel 
tempio  prestato,  anche  sotto  la  sannitica  dominazione. 

L' altro  monumento  ,  certamente  sepolcrale  ,  sul 
qu.ile  il  dotto  autore  fa  alcune  nuove  osservazioni,  è 
quella  tomba  pubblicata  in  questo  òw/Zea/Hoan.  I  tav. 
Vili  n.l  1,  colla  illustrazione  del  eh.  Garrucci,  ivi  p. 
129-130.  A  He  osservazioni  de!  primo  illustratore,  che 
riconobbe  in  quel  sepolcro  un  monumento  di  architet- 
tura Elrusca  ,  il  sig.  Raoul- Roclielle  aggiunge  varii 
confronti  con  monumenti  asiatici,  dai  quili  deduce  che 
il  monumento  di  Capua  appartenga  ad  un'alta  epoca 
dell'antichità  etrusca  ;  notando  the  il  carattere  asiatico 
in  esso  si  ravvisa  non  solo  dalla  forma  generale  della 
tomba,  che  presenta  l'aspetto  di  una  piramide  tronca 
a  tre  piani,  ma  altresì  duU' uso  dull'ordinejonico  sotto 
la  sua  forma  più  semplice ,  e  nella  sua  funebre  ap- 
plicazione. Queste  osservazioni  del  chiarissimo  autore 
ci  sembrano  degne  della  massima  considerazione,  per- 
ANUU   II. 


che  illustrano  la  origine  asiatica  delle  arti  Etrusche  ; 
il  che  sorge  senza  dubbio  dalle  tradizioni  e  dalle  ri- 
cerche dell'archeologia  comparata. 

Nel  suo  quarto  articolo  l'autore  s'introduce  a  par- 
lare de'principali  oggetti  di  antichità  forniti  dalle  tombe 
di  Capua,  dell'epoca  etrusca;  eli  considera  in  Ire  classi 
distinte  :  I.  vasi  di  argilla  dipinti — 2.  vasi  ed  oggetti 
di  bronzo  figurati  —  3.  figurine  ebassirilievi  di  terra- 
cotta. In  quanto  a' vasi,  avverte  l'a.  osservarsi  in  essi 
una  maniera  greca  arcaica,  unita  ad  uno  stile  e  ad  uua 
fabbrica  particolare,  che  indicano  un'arte  locale.  Cita 
a  tal  proposito  la  bellissima  patera  dionisiaca  della 
collezione  Sautangelo;  della  quale  ci  proponiamo  dir 
qualche  cosa  in  questi  fogli ,  allorché  ne  daremo  la 
incisione.  Richiama  egualmente  1'  altra  patera  di  Evcr- 
gide  rappresentante  Pelope  domalordi  cavalli,  da  mo 
descritta  nel  bullell.  arch.  nap.  an.  VI  p.  35  e  seg,?, 
vedi  pure  mon.  ined.  di  Barone  lom.  I.  p.  117,  e 
pubblicata  dal  eh.  sig.  Cav.  Gargallo-Grimaldi  [an- 
nali dell'  f si.  arch.  tom.  XXI  tav.  d'agg.  IJ.  p.  1  ia- 
loi).  Egli  osserva  che  probabilmente  il  fabbricante 
Ei'crgide  era  di  Nola  stabilito  forse  nella  etrusca  città 
di  Capua  :  e  vede  nella  faccia  ov'  è  il  giovine  Plexip- 
pos  la  imagine  generale  di  un  esercizio  equestre  ,  ri» 
vestita  di  un  tipo  eroico  nella  persona  di  Pelope  ;  os- 
servando che  ne' cavalli  non  debbano  riconoscersi  i 
divini  desti  ieri  di  Nettuno.  Noi  fummo  invece  di  una 
differente  opinione  ;  e  questa  ci  parve  confermata  da 
un  altro  vasellino  anche  di  Capua  ,  di  cui  parlammo 
nel  I.  anno  di  questo  hulleltino  pag.  190;  del  quale 
però  il  nostro  autore  non  richiamai!  confronto.  Nel!' 
altra  faccia  del  vaso  riconosce  1'  a.  i  solili  esercizii 
della  palestra  :  e  rilenendo  che  il  fiore  tenuto  da  uno 
de'  hrabeuli  sia  la  specie  di  acanto  denominilo  da'  Greci 

20 


186 


e  da'  Romani  pacdcros,  spiega  con  ciò  la  scelta  del  sog- 
getto di  Pelope,  le  cui  relazioni  con  Nettuno  non  era- 
no punto  dissomiglianti  a'  rapporti  nella  palestra  fra 
gli  uomini  e  gli  efebi:  le  quali  osservazioni  sono  dovute 
in  gran  parte  allo  stesso  eh.  Gargallo-Grimaldi.  In 
quanto  alle  due  Sfingi  che  chiudono  le  due  rappre- 
sentazioni ,  e  nelle  quali  ravvisa  l'a.  una  funebre  in- 
telligenza, crede  che  siane  dovuto  il  tipo  e  la  idea  a' 
ninnumenli  dell'arte  asiatica  :  secondo  le  cose  da  lui 
altrove  esposte  [journ.des  Savanls  1830  p.  86-92)- 
Da  ulliino  ricorda  esistere  nel  Museo  britannico  una 
patera  volcente  collo  slesso  soggetto  di  un  giovine 
eroe  nudo  fra  due  cavalli ,  egualmente  denominato 
PUE-l-JirrOJ  (Birch  in  Archaeologia  voi.  XXXI  p. 
263  e  seg.  )  :  ed  osserva  la  comunicazione  di  vasi  di- 
pinti ,  di  una  fabbrica  contemporanea  ,  fralle  due  e- 
trusche  città  Vulci  e  Capua:  dal  che  trae  una  pruova 
indiretta  della  origine  elrusca  di  Capua. 

L'altro  importante  vaso,  sul  quale  richiama  l'at- 
tenzione de' lettori,  è  l'anfora  nolana  da  me  pubbli- 
cata con  la  nascila  di  Bacco  appellalo  AIOS  ^POS  da 
una  faccia,  e  dall'altra  Minerva,  un  toro,  ed  Ercole 
(  man.  tned.  di  Barone  tav.  I  pag.  1-7  ed  appendice 
pag.  I-IV  ).  In  quanto  alla  prima  faccia  del  vaso ,  il 
sig.  Raoul-Rochetle  segue  interamente  la  mia  illu- 
strazione :  e  solo  aggiunge  la  considerazione  che  in 
un  importante  vaso  Corintio  da  lui  pubblicato  (f'/io/x 
de  peinl.  de  Pomp.  p.  73  vign.  n.  V)  vedesi  il  giovi- 
ne Bacco  uscir  colla  n)elà  del  corpo  dalla  coscia  di 
Giove  :  e  che  ora  il  noslro  vaso  di  Capua  ,  del  pari 
anteriore  ad  Euripide,  ci  mostra  un  indizio  di  rela- 
zioni di  arte  e  di  credenza  fra  Corinto  e  Capua,  che 
richiamano  Io  stabilimento  del  corintio  Demarato  in 
Eiruria,  e  danno  un  appoggio  alla  origine  elrusca  di 
Capua.  In  quanto  all'altra  faccia  del  vaso,  egli  non 
vede  nel  toro  se  non  che  l' animale  simbolico  di  Mi- 
nerva, nella  sua  qualità  di  dea  Luna:  del  chesipro- 
|)one  tenere  più  ampio  discorso  in  altro  lavoro.  L'al- 
tro monumento  di  cui  favella  l'autore  è  il  frammento 
di  vaso  brucialo ,  di  cui  fu  da  me  data  in  prima  la 
descrizione  (ìnon.  ani.  ined.  di  Barone  p.  38),  rap- 
presenlante  un  bacchico  soggetto,  col  nome  del  fab- 
bricante Pisloxenos,  e  del  pittore  Epicletos.  Dal  tro- 


var questi  medesimi  fabbricante  ed  arti  sta  in  vasi  di  , 
Caere,  di  Videi,  e  di  Canino,  io  desumeva  relazioni 
di  commercio  fra  quelle  città  dell'  E  Iruria  e  Cap'ua  ; 
e  r  autore  aggiunge  trarsi  da  ciò  un'  altra  pruova  in- 
diretta della  origine  elrusca  di  Capua. 

Dopo  di  ciò  il  signor  Raoul-Rochette  parla  delle 
pruove  dirette  dell' eiruscismo  di  Capua,  e  della  Cam- 
pania. Ricorda  da  prima  le  varie  patere  di  Nola  e  di 
Sani'  Àgata  de  Goti  con  iscrizioni  osche  in  caratteri 
etruschi ,  opponendosi  alla  idea  del  eh.  Mommsen  , 
che  immaginava  una  colonia  elrusca  formala  da' Ro- 
mani. L'a.  ammettendo  invece  la  tradizione  di  una 
Eiruria  Campana,  non  trova  difficoltà  a  ravvisare  la 
influenza  elrusca  in  queste  iscrizioni  graffile  sopra 
vasi  di  Nola  e  di  Sant'Agata  de' secoli  5.  e  6.  di  Ro- 
ma. Richiama  in  seguito  l'allra  patera  di  Capua  con 
iscrizione  elrusca  pubblicata  dal  eh.  Garrucci  {bidl. 
nap.  n.  s.  an.  I  lav.  I  n.  2  p.  84-87),  e  l'allra  con 
le  lettere  NVO  (  bull.  cil.  tav.  I  n.  3  p.  87  ) ,  nelle 
quali  ravvisa  egli  pure  epigrafe  elrusca  piuttosto  che 
greca:  e  da  queste  deduce  una  evidente  dimostrazione 
delia  origine  elrusca  di  Capua.  Noi  ci  riportiamo  su 
questa  ricerca  a  quel  che  avemmo  la  occasione  di  os- 
servare pili  volte  (vedi  sopra  p.  110,  138  e  seg.  , 
e  177)  :  e  solo  aggiungiamo  che  non  ci  sembra  pro- 
babile il  supporre  che  alcuni  de'  vasi  con  caratteri 
etruschi  discendano  sino  al  sesto  secolo  di  Roma. 
Anzi  dall'  arte  appunto  del  vaso  di  bronzo  posseduto 
dall'egregio  signor  cav.  Bonichi(l),  noi  traemmo 
lutt'  altre  conclusioni ,  che  escludono  affatlo  la  idea 
di  una  colonia  elrusca  proposta  dal  eh.  Momm- 
sen. Per  quel  che  concerne  la  epigrafe  NVO  ,  noi 
non  vorremmo  ravvisare  in  essa  alcuna  traccia  di  c- 
trusco  ;  ma  parci  piuttosto  uno  di  quei  nomi  di  vasi, 
che  trovansi  frequentemente  segnali  sotto  il  piede  delle 
antiche  stoviglie  seguiti  spesso  da  un  numero ,  e  tal- 


(1)  Prendiamo  questa  occasione  per  annunziare  che  il  sig.  Bo- 
nichi  è  possessore  di  una  ragguardevole  collezione  di  duemila  e 
più  medaglie  imperiali  ne' Ire  metalli,  la  quale  offre  la  più  perfetta 
conservazione  ne' pezzi  di  maggior  rarilh  ,  e  specialmente  ne' me- 
daglioni ,  che  ascendono  al  numero  di  cencinquanta.  Egli  ci  ha 
permesso  di  pubblicare  alcuni  conlor;iiali  inediti,  de' quali  ci  ha  fa- 
vorito i  zolfi  :  e  che  formeranno,  a  Dio  piacendo,  parie  delle  pub- 
blicazioni del  terzo  anno  di  questo  bulletlino. 


187  — 


volta  ancora  dal  prezzo.  Qucsla  nostra  idea  è  fa- 
vorita da  due  simili  iscrizioni ,  che  Icggonsi  sotto  il 
piede  di  due  vasi  del  museo  Britannico:  dice  la  prima 
ISIVAAAA  (Birch  e  NeAvton  Calaloyue  n.  646*  pi. 
B),  e  la  seconda  NVE  {Ibid.  n.  788*  pi.  B:  cf.  de 
Witte  calai.  Durand  num.  121,  e  Gerhard  auser/es. 
Vasenb.  tav.  LXIV).  È  dunque  evidente  che  il  NV" 
abbreviazione  di  una  qualche  particolare  forma  di 
vaso,  di  cui  non  sapremmo  indagare  il  nome,  vedesi 
seguilo  ora  dalla  cifra  numerica  E,  ora  dall'altra 
AAAA  ,  ora  finalmente  da  0.  Tornando  alla  enu- 
merazione de' vasi  più  interessanti  scoperti  in  Capua, 
il  sig.  Raoul-Rochette  ricorda  la  piccola  anfora  no- 
lana con  l'Aurora  fra  Cefalo  e  Titono,  da  me  pub- 
blicata ed  illustrata  [mon.  ani.  ined.  di  Barone  tav. 
IV  p.  19-27)  ,  riportandosi  a  quel  che  da  me  ne  fu 
detto.  E  sono  compiaciuto  che  il  dotto  archeologo 
entri  pienamente  nella  mia  idea  ritenendo  per  Titono 
il  giovine  appellalo  KAAAIMAXO^  in  altro  bellis- 
simo vaso  di  Cuma  edito  da  Avellino  (  buUell.  ardi, 
nap.  an.  I.  tav.  I.  pag.  5  e  35)  :  la  quale  intelligen- 
za era  stata  rifiutata  dal  eh.  Brunn  (vedi  i  cit.  nion. 
ined.  pag.  21.  e  append.  pag.  IV).  Finalmente  1' a. 
richiama  altri  vasi  da  lui  osservati  presso  il  nego- 
ziante di  antichità  signor  Raffaele  Barone ,  e  che  già 
in  altro  tempo  eccitarono  la  mia  attenzione.  Tale  si  è 
r  idria  colla  pugna  de'  Centauri  e  de'  Lapiti  (  buìletl. 
arch.  nap.  an.  VI  p.  22-23);  l'altro  vaso  colle  Eglie 
di  Pelia  {ib.  tom.  VI  pag.  53-55);  un'anfora  pana- 
tenaica  (ib.  pag.  55);  ed  infine  un' idria  rappresen- 
tante Venere  con  due  donne  edue  Amori(jnon.  {ned. 
di  Barone  tav.  XV  p.  73).  L'a.  si  ferma  con  questa 
occasione  a  discorrere  alquanto  di  un  simile  vaso  delia 
collezione  Sanlangelo ,  del  quale  abbiamo  poco  in- 
nanzi particolarmente  ragionato  (  p.  125  e  seg.  ). 

Nel  quinto  articolo  il  sig.  Raoul-Rochelìe  comin- 
cia a  favellare  de'  vasi  di  bronw  con  figure  od  or- 
namenti graffiti  :  e  forma  oggetto  di  particolare  di- 
scussione la  magnifica  urna  di  bronzo  posseduta  dal 
signor  Barone,  che  dichiara  monumento  di  prim'or- 
dine  per  tutt'  i  riguardi ,  e  che  come  tale  fu  da  me 
pubblicato  (  ne'  man.  ined.  dell'  Isiil.  t.  V  tav.  XXV. 
annal.  t.  XXIII  p.  36-59,  e  poi  ne'  mon.  ani.  ined. 


di  Barone  tav.  A.  B  p.  117-135).  L'a.  osserva  che 
oltre  la  patera  del  Plexippos,  e  l'anforina  delia  na- 
scila di  Bacco ,  erano  nello  stesso  sepolcro  altri  vas 
dipinti,  fra' quali  un  rhijlon  a  testa  di  .ti  icic,  ora  pos- 
seduto dal  sig.  Biardot ,  ed  alcuni  frammenti  di  vasi 
di  argento.  Per  maggiore  esattezza  avverto  che  col 
vaso  di  bronzo  fu  rinvenuta  l' idria  panalenaica  men- 
tovata di  sopra  ,  e  non  già  1'  anforina  del  Ajos  ^ù>;  , 
la  quale  era  con  altri  oggetti  in  un  piccolo  sepolcretto 
di  tufo:  siccome  ce  n'è  stata  fornita  la  indicazione 
dall'egregio  sig.  Vincenzo  Caruso.  11  signor  Raoul- 
Rochette  se  ne  riporta  in  generale  alla  illustrazione 
che  fu  da  me  presentata  di  quel  classico  monumento: 
e  solo  aggiunge  alcune  avvertenze  ,  che  noi  qui  bre- 
vemente ricordiamo.  Osserva  da  prima  che  1'  altro 
vaso  di  bronzo  descritto  dal  Winckelmanu  (5/or.  dell' 
arte  111,  3,  §  6)  è  certamente  Capuano,  e  stima  pro- 
babile che  le  tre  figure  equestri ,  che  ne  fregiavano 
la  parte  superiore,  fossero  parimenti  di  Amazzoni.  In 
quanto  al  gruppo,  eh' è  sul  coverchio  del  novello 
vaso  di  bronzo,  fralle  due  opinioni  da  me  proposte, 
sceglie  quella,  per  la  quale  riconobbi  Proserpina  ra- 
pita da  Plutone.  Per  quel  che  spetta  a'  monumenli 
relalivi  al  mito  di  Caco,  l' a.  ricorda  un  vaso  esistente 
in  Arles  nel  IX  secolo ,  di  cui  si  parla  in  un  poema 
di  quel  tempo  (  Theodulph.  Paraenes.  ed  ludices  ap. 
Sirmond.  oper.  var.  t.  Il  pag.  1032).  Mi  piace  qui 
rotar  di  passaggio  che  non  poche  interessanti  notizie 
sul  mito  nr.edesimo,  e  sulle  sue  conseguenze ,  e  sopra 
varii  monumenti  che  vi  hanno  rapporto,  si  leggono 
nella  dotta  dissertazione  del  mio  eh.  amico  cav.  de 
Rossi  ['  ara  massima  ed  il  leinpio  d'  Ercole  nel  Foro 
Boario  Roma  1854  in  8.  estralla  dalle  opere  dell'I- 
stituto archeologico  di  Roma.  Il  sig.  Raoul-Rochetle 
avverte  che  il  lavoro  del  vaso  di  bronzo  del  signor 
Barone  appartiene  ad  un'  antica  scuola  greca  stabilita 
nella  stessa  Capua,  la  quale  aver  poteva  principii  co- 
muni colle  scuole  greche  contemporanee  di  Alene , 
di  Egina  ,  di  Corinto,  e  d'  Argo;  e  ne  stabilisce  l'e- 
poca a  500  anni  circa  innanzi  la  nostra  era.  E  rivol- 
gendo il  pensiero  alla  cista  di  Ficor-jni  ,  presenta  la 
conghiettura  che  il  Novio  Plauiio,  il  quale  esegui  in 
Roma  quel  moDumenlo  ,  fosse  un  artista  di  Capua ,   ♦ 


_  183  — 


ove  si  lavorava  il  bronzo  dalla  più  remota  antichilà. 
Vedi  pure  Cavedoni  ripostigli  p.  181.  Quel  che  mi 
sembra  da  notare  in  questa  parti;  del  lavoro  del  dotto 
archeologo  francese ,  è  l'equivoco  che  potrebbe  sor- 
gere dalle  sue  espressioni ,  colle  quali  appella  il  no- 
vello vaso  di  bronzo  un  pezzo  di  scultura  elrusca,  ed 
altrove  un  momimcnlo  dell' alta  amichila  etrusca ,  e 
quando  osserva  che  Varie  di  lavorare  il  metallo  era 
in  Capua  coltivala  neW  alta  antichità  etrusca.  Questa 
apparente  contraddizione  va  facilmente  conciliata  , 
quando  si  pon  mente  che  l'a.  giudica  il  nostro  vaso 
di  bronzo  prodotto  di  greca  arte  nell'epoca  della  e- 
trusca  dominazione  di  Capua  :  la  quale  idea  coincide 
con  quella  da  me  precedentemente  sviluppata. 

11  sig.  Raoul-Rochette  passa  a  discorrere  delle  ter- 
recolte  venute  fuori  in  gran  numero  dal  suolo  di  Ca- 
pua. Noi  già  ne  dicemmo  alcuna  cosa  di  sopra  colle 
parole  del  sig.  Caruso  (p.  160);  e  poco  innanzi  av- 
vertimmo come  le  varie  terrecotte  rinvenute  ne' fossi 
circostanti  al  monumento,  o  tempio,  di  proprietà  de' 
signori  Pallorelli,  appartengono  ad  epoche  differenti, 
cominciando  dall'arcaico  stile  e  dalle  rappresentanze 
di  divinità  asiatiche  ed  orientali ,  e  continuando  sino 
alle  figurine  dell'epoca  sannitica.  L'a.  comincia  dal 
ricordare  la  importantissima  terracotta  del  sig.  Ric- 
cio ,  ora  nel  real  museo  Borbonico ,  rappresentante 
una  divinità  femminile  che  tiene  con  ambe  le  mani 
una  pantera:  e  ricordando  i  varii  monumenti  ove  si- 
mili rappresentazioni  si  veggono,  provenienti  per  lo 
più  dal  suolo  di  Elruria  ,  osserva  essere  quelle  ori- 
ginate da  un'  arte  asiatica.  Rammenta  che  Pausania 
vide  sulla  cassa  di  Cipselo  figurata  una  simile  dea  a- 
lata ,  e  tenente  con  la  destra  una  pantera  colla  sini- 
stra un  leone  ,  che  il  pcriegele  appella  Diana  (  V , 
XIV,  1  )  :  ma  il  sig.  Raoul-Rochette  riportandosi  alle 
idee  asiatiche,  crede  che  in  tutta  questa  serie  di  mo- 
numenti debba  ravvisarsi  la  Dea  Natura  asiatica,  la 
quale  in  certo  modo  va  paragonata  con  l' Artemide 
de' Greci,  nella  sua  più  alta  intelligenza. 

Tralasciamo  di  esporre  le  cose  osservate  dall'a.  so- 
pra un'  altra  terracotta  del  sig.  Riccio ,  acquistata  pel 
real  museo  Borbonico,  e  rappresentante  l' Ercole  a- 
sìatico  che  doma  due  leoDÌ;  giacché  questo  ialeres- 


sante  pezzo,  mollo  frammentato,  non  proviene  dalle  • 
capuane  scavazioni  :  siccome  abbiamo  appreso  dallo 
stesso  eh.  possessore.  Pria  di  passar  oltre  avvertiamo 
che  colle  femminili  deità  finora  ranmientate  merita 
di  essere  paragonato  il  bellissimo  specchio  di  Crotone 
pubblicato  nella  lav.  Ili  di  questo  anno  del  bulletli- 
no.  Un  costume,  presso  a  poco  simile  a  quello  della 
terracotta  di  Capua,  si  accoppia  al  simbolo  delle  due 
pantere  :  se  non  che  non  sono  esse  tenute  dalla  divi- 
nità, ma  poggiale  sulle  sue  spalle.  Questo  interessante 
pezzo  di  antichilà  ,  il  quale  per  le  relazioni  di  Cro- 
tone con  Corinto,  mostrasi  appartenente  all' arte  Co- 
rintia ,  è  da  confrontarsi  assolutamente  colla  dea  fi- 
gurata sulla  cassa  di  Cipselo  ,  e  creduta  Artemis  da 
Pausania.  Il  Garrucci  vede  nello  specchio  la  Vene- 
re ,  sotlo  le  medesime  forme  ,  che  offre  una  statuet- 
ta ritrovala  in  Cipro  :  ma  forse  quell'  asiatica  divini- 
tà va  meglio  riportata  alla  Diana  de'  Greci ,  non  al- 
trimenti che  la  Egizia  Iside  ,  la  quale  aveva  egual- 
mente la  intelligenza  della  Dea  Natura,  Ed  a  questa 
significazione  conduce  per  avventura  la  Sfinge  ,  la 
quale  fregia  la  parte  superiore  dello  specchio  :  senza 
dire  che  l' oggetto  tenuto  dalla  dea  con  la  destra  so- 
miglia ad  un  frullo  di  loto,  che  al  medesimo  ordine 
d'idee  si  riporta.  In  qualunque  modo  il  demone  graf- 
fito nella  parte  concava  dello  specchio  non  ci  sembra 
una  semplice  figura  gorgonica  ;  ma  piuttosto  uno  di 
quegli  esseri  malefici  dall'antichità  riputali  eccitatori 
delle  contese  e  delle  risse,  o  che  denominar  si  voglia 
Eris ,  o  Lyssa.  E  questa  significazione  è  certamente 
messa  fuor  di  dubbio  dalla  rappresentazione  de'  due 
galli  pugnaci ,  che  si  corrono  incontro  :  singolarissi- 
mo soggetto  in  un  monumento  di  questo  genere ,  e 
di  cosi  alta  antichità.  Vedi  le  cose  da  noi  raccolte  su' 
monumenti  che  ritraggono  pugne  di  galli  in  questo 
bullettino  pag.  87-88. 

Ma  ciò  sia  detto  di  passaggio ,  e  ritorniamo  al  la- 
voro del  sig.  Raoul-Rochette.  Egli  ricorda  un'altra 
statuetta  di  terracotta  rappresentante  un  personaggio 
stante,  e  vestito,  con  tiara  frigia  sul  capo,  e  portante 
una  chiave  sulla  spalla  :  la  quale  ultima  particolarità 
attribuisce  a  reminiscenze  d'  idee  orientali.  Richia- 
ma poi  alcune  lerrecolle  oscene  della  raccolta  del  sig. 


—  180 


Riccio!  la  prima  rappresenta  un  sedente  Sileno,  che 
11  signor  Raoul-Rochelte  crede  un  istrione  ;  e  presso 
leggesi  una  epigrafe  da  lui  riputata  etrusca ,  la  quale 
il  eh.  Garrucci  interpretò  come  greca  in  questi  me- 
desimi fogli  (pag.  1G4).  In  quanto  alla  seconda  ,  ri- 
traente un  gruppo  di  una  donna  e  di  un  Panisco , 
dirò  di  averne  osservate  altre  copie  tratte  dalla  me- 
desima forma  ;  ed  una  n'  esiste  nella  famosa  collezio- 
ne de' signori  Santangelo.  Parla  in  seguito  1'  a.  delle 
più  ripetute  statuette,  che  ci  offrono  una  dea ,  che  dà 
latte  ad  uno  o  a  due  putti:  e  noi  aggiugniamo  le  grandi 
figure  a  rilievo,  che  nel  tempio  de' signori  Pattorelli, 
presentavano  sino  a  cinque  bamboli  fralle  braccia  (vedi 
sopra  p.  160).  E  già  vedemmo  che  l'a.  ravvisa  in 
questa  divinità  la  stessa  Dea  Natura  orientale ,  rap- 
presentata ne' suoi  rapporti  colla  T'erra,  o  colla  Cerere 
Kourotrophos  de'  Greci. 

Chiude  r  a.  questo  articolo  col  far  rilevare  la  si- 
militudine di  un  ornalo ,  che  si  scorge  in  una  bellis- 
sima antefissa  di  Capua  ,  da  lui  posseduta ,  con  altri 
osservati  in  tombe  di  Caere  e  di  IaiIcì  ;  e  quel  eh'  è 
più,  in  un  oggetto  di  avorio  venuto  fuori  dagli  scavi 
di  Ninive.  Consiste  esso  in  due  cartocci  disposti  in 
senso  contrario,  e  sormontati  da  una  palmetla.  L'au- 
tore attacca  la  più  grande  importanza  a  questa  simi- 
litudine in  un'  architettonica  decorazione,  nella  quale 
non  può  immaginarsi  la  identità  provenire  da  una 
medesima  idea  naturale,  che  si  manifesti  sotto  la  me- 
desima forma  ;  ma  dovrà  invece  pensarsi  al  passaggio 
di  quel  tipo,  inventato  dagli  Assirii,  in  Etruria ,  ove  fu 
certamente  importato.  Lo  spazio  ci  manca  per  di- 
scorrere della  immensa  varietà  di  terrecotte  tratte  dal 
monumento  de' signori  Pattorelli;  ma  non  posso  ta- 
cere di  una  forma  di  non  piccole  dimensioni,  già  pos- 
seduta da'  signori  Malerazzo  di  Santa  Maria ,  ed  ora 
con  altri  pezzi  acquistata  pel  real  museo  Borbonico. 
Rappresenta  essa  un  Pateco  di  arcaico  stile  :  e  noi 
siamo  sicuri  che  l' illustre  archeologo  francese  ne  a- 
vrebbe  fatto  gran  caso ,  per  far  rilevare  il  passaggio 
delle  idee  asiatiche  ed  orientali  nell'  antica  Capua  ,  e 
per  estendere  le  ricerche  da  lui  precedentemente  e- 
sposte  su  quella  particolare  forma  del  culto,  in  altro 
suo  eruditissimo  lavoro  :  Ilercule  assyr.  et  phénicien 
pag.  329-37 'K 


L' a.  destina  gli  ultimi  due  articoli  alla  numisma- 
tica di  Capua.  Noi  lo  seguiremo  brevemcnlt!  in  tjiie- 
sla  ultima  rilevante  ricerca.  Comincia  dall' avvertire 
generalmente  che  le  medaglie  di  Capua  non  sono  co- 
muni ,  come  asserì  f  lisamente  il  Mionnet ,  ma  tutte 
presentano  una  niaggioic  o  minore  rarità  :  cosa  pur 
troppo  nota  a  lutti  gli  aniiquarii  napolitani. 

11  sig.  Raoul-Uoclielle  dislingue  tre  serie  di  meda- 
glie coniate  in  Capua— 1)  serie  greca — 2)  serie  san- 
nitica — 3)  serie  romana. 

La  prima  si  compone  di  medaglie  di  argento  de* 
moduli  del  Iridrammo ,  e  del  didrammo ,  di  antica  e 
bella  fabbrica  greca,  che  offrono  ora  la  testa  di  Mi- 
nerva galeata,  ora  la  testa  di  donna  nuda,  ed  al  ro- 
vescio il  toro  a  volto  umano,  colla  epigrafe  KAM- 
nANO,  KAnnANO,  ONAnMA>l,oKAniL\NOi;, 
or  dritta  or  retrograda.  Bisogna  aggiugncre  le  altre 
varietà  AHnANO  (1),  ed  HAMnANO,  delle  quali 
il  nostro  autore  parla  in  altro  luogo  del  suo  lavoro. 
Egli  osserva  che  lo  siile  di  queste  medaglie  è  greco, 
greci  ne  sono  eziandio  i  tipi  ;  e  che  esse  si  collegauo 
alla  serie  di  A'ix/jo/i,  ed  a  quella  di  Clima,  di  un'epoca 
vicinissima  all'anno  di  Roma  335,  in  cui  questa  ul- 
tima città  fu  occupata  da'  Sanniti.  Dalla  epigrafe  si 
trae  che  appartengono  al  popolo  de'  Campani  :  e  so\o 
è  a  ricercare  chi  siano  questi  Campani  se  Greci  o 
Sanniti,  se  di  Napoli,  di  Capua,  o  di  altra  città.  L'a. 
osserva  che  la  epigrafe  è  assolutamente  greca,  si  per 
la  forma  de'  suoi  caratteri ,  che  per  la  sua  termina- 
zione :  e  che  non  presenta  alcuna  relazione  alla  lin- 
gua degli  Osci.  Per  lo  che  si  maraviglia  che  il  signor 
Friedlaender  abbia  riporlate  le  medaglie  de"  Campani 
fralle  monete  osche.  Per  verità  io  credo  che  bene  a 
ragione  il  signor  Friedlaender  operò  in  quel  modo  ; 
giacché  nella  epigrafe  in  quistione  si  ravvisano  tracce 
del  sannitico  dialetto,  specialmente  nella  forma  IIAM- 


(1)  Il  sig.  Raoul-Rochelte  (  p.  77  noi.  1)  nega  la  esistenza  della 
medaglia  di  Arpi  con  lipi  campani,  e  colla  epigrafe  iO^^-^H^lA  , 
riscontrala  dal  eh.  Avellino,  lo  me  ne  riporlo  a  quel  che  dissi  nel 
bull.  ardi.  nap.  n.  s.  an.  I  pag.  108;  aggiungendo  che  altri  c- 
sempli  venuli  posteriormente  in  conferma  sembrano  appoggiar  quel 
fallo,  siccome  fu  non  ha  guari  osservalo  dal  eh.  Caveduni  bullcll. 
dell'  isl.  archeol.  1853  pag.  125.  Il  eh.  Monimsen  contrasta  di 
nuovo  la  leggenda  dell'  Avellino  nel  suo  recente  lavoro  Uber  dot 
rOmischc  SlUnzwcscn  p.80.  Veggasi  olile  des  mon.  céram.  p.4l,  s. 


—  190  — 


PANO;  giusta  le  osservazioni  del  eh.  numismatico  di 
Berlino  [oskische  Miinzen  p.  36),  e  del  eh.  Garrucci 
(bull.  arch.  nap.  an.  I  p.  66-67)  (1):  e  Io  stesso  sig. 
Raoul-Rochette  vi  riconosce  una  più  grande  influen- 
za dell'  elemento  osco ,  traendo  dalle  lettere  HYR  che 
fosse  quella  medaglia  battuta  in  Hyrina.  La  quale  o- 
pinione  ci  sembra  meno  probabile  di  quella  del  Gar- 
rucci, che  vi  riconobbe  un  nome  di  magistrato. 

Dopo  di  ciò  l'a.  passa  a  rassegna  le  varie  opinioni 
circa  il  popolo,  al  quale  appartengono  le  medaglie  de' 
Campani. 

Rifiuta  le  sentenze  dell'  Eckhel ,  e  degli  altri  che 
le  riportano  agli  abitatori  di  Capua  (Pellerin  addii,  p. 
18;  Eckhel  docir.  num.  tom.  I.  pag.  108;  Lenor- 
mant  e  de  Wilte  élite  des  monutn.  céramogr.  intr.  p. 
41,  s;  Mommsen  unterit.  Dial.  p.  104-105);  dell'A- 
nellino, che  le  attribuiva  a'Greci  abitatori  della  Cara- 
pania,  ovvero  a' Campani  in  Napoli  trasferiti  (jnonwm. 
ined.  p.  1-2  tav.  I,  1  ;  opusc.  tom.  II  p.  27  e  167)  ; 
del  Friediaender  il  quale  pensò  ai  Campani  stabiliti 
in  Ischia  (2)  (die  oskische  Miinzen  p.  34)  ;  e  del  Fio- 
relli ,  che  le  credè  battute  in  Hyrina  (  osserv.  sopra 
talune  mon.  rare  p.  3  ).  E  conchiude  che  le  meda- 
glie ,  di  cui  è  parola  ,  sono  state  coniale  in  Capua , 
nei  primi  tempi  che  seguirono  l'occupazione  di  que- 
sta città  fatta  da'  Sanniti  Campani ,  e  eh'  esse  furono 
la  moneta  comune  di  questo  popolo  costituito  io  corpo 
di  nazione  (  come  dice  Diodoro:  Karà  ixìv  rry  'Iro.- 
Xi'y.v  rò  P}>oJ  rcoy  KxfXTravwK  (Tuvidry].  XII ,  31  ) ,  e 
non  già  la  moneta  propria  di  Capua  considerata  co- 
me città  osca.  Noi  confessiamo  che  questa  maniera 
d' intendere  ci  sembra  fondata  nella  storica  narrazio- 
ne di  Diodoro,  e  ne'  dati  archeologici  concernenti  le 


(  1  )  11  Cavedoni  pensò  inyece  ad  influenza  etrusca:  v.  sopra  p.  CI -92. 

(2)  Con  quesla  occasione  Raoul-Rochetle  libera  la  greca  iscrizione 
d' Ischia,  che  ha  dato  causa  a  questa  opinione,  dalla  taccia  di  so- 
lecismo appostagli  dal  eh.  Mommsen  (  unter.  Dialek.  e.  XXXIX  p. 
197-198  ),  e  si  contenta  di  riconoscervi  qualche  impropriel!»  di  liu. 
guaggio.  Per  verità  le  due  cose  notate  dal  Mommsen  non  mi  sem- 
brano affatto  di'gne  di  riprensione.  Noi  non  sappiamo  se  1'  àvi- 
3riXav  si  riferisca  a  qualche  parlicolar  dedicazione.  Ed  in  quanto 
all'  à'pi^avTss  ,  crediamo  che  dinoli  una  carica  innanzi  sostenuta  , 
e  non  già  tuttavia  esistente,  non  altrimenti  che  ci  offrono  simili 
aorisli  le  iscrizioni  napoliiane  ,  io  alcune  delle  quali  leggesi  pure 
r  ifi,otvrrx  (  corp  imcr.  gr.  o.  5790,  5790,  5797  ). 


medaglie  in  quistione:  ed  avvertiamo  che  già  da  gran 
tempo  interpetrammo  i  Campani  di  Livio,  ove  parla 
della  Sannitica  occupazione  di  Cuma  (lib.  IV,  e.  44), 
non  già  de'soli  cittadini  di  Capua,  ma  della  gente  de' 
Sanniti  Campani,  che  aveva  in  essa  la  principale  sua 
sede  :  vedi  questo  bullettino  an.  I  p.  16o. 

Dopo  questa  interessante  discussione  l'a.  comin- 
cia a  parlare  delle  monete  osche ,  che  son  tutte  di 
bronzo,  ad  eccezione  di  una  sola  di  argento  ;  della 
quale  nota  la  somma  rarità  ,  riducendo  a  quattro  gli 
esemplari  Gnora  conosciuti.  E  qui  vogliamo  avvertire 
che  r  esemplare  del  duca  di  Noja ,  ora  nel  real  mu- 
seo Borbonico  ,  non  è  diverso  da  quello  già  posse- 
duto dal  can.  de  Jorio  ;  e  che  i  due  della  collezione 
Santangelo  sono  di  perfetta  conservazione.  Ora  un 
quinto  esemplare ,  rinvenuto ,  come  si  crede,  in  Pu- 
glia ,  foderalo  e  di  conservazione  piuttosto  lodevole  , 
trovasi  nelle  mani  del  negoziante  di  antichità  sig.  Raf- 
faele Barone. 

L' a.  stabilisce  la  coniazione  della  moneta  osca  di 
Capua  a' tempi  della  prima  guerra  Sannitica,  ricono- 
scendo nella  divisione  duodecimale  dell'  asse  la  in- 
fluenza del  sistema  monetale  de' Romani  socii  ed  aiu- 
tatori delia  città  contro  1'  aggressione  de'  Sanniti  del 
Sannio:  ne  fissa  poi  il  termine  alla  presa  della  ribelle 
Capua  fatta  da'Roraani  medesimi  nella  seconda  guerra 
punica.  Onde  si  avrebbe  il  limile  di  circa  un  secolo 
fra  gli  anni  415  e  542  di  Roma.  Queste  conclusioni 
e  le  osservazioni  the  aggiunge  l'a.  sulla  duplice  di- 
visione dell'asse  di  Capua ,  e  sulle  sue  posteriori  di- 
minuzioni, meritano  una  più  diligente  ricerca;  e  noi 
ci  proponiamo  di  sottomettere  le  sue  idee  a  pììi  am- 
pia discussioue,  che  non  comportano  i  limili  del  pre- 
sente esiratlo. 

Nel  settimo  ed  uìiimo  articolo  l'a.  parla  de' tipi 
delle  monete  osc'ne  di  Capua  ,  cominciando  dalle  le- 
ste di  conosciute  divinità;  come  del  Giove  Capitolino, 
della  Diana  Tifaiina,  di  Giunone,  di  Cerere,  di  Mi- 
nerva, di  Apollo,  e  di  ^^rcole.  Richiama  particolar- 
mente r  ettenzionc  sulla  testa  femminile  ornata  di  co- 
rona turrita  e  del  fulmine  :  e  ravvisa  in  essa  il  Genio 
della  città  T^X"^  rrf  toXswS  ,  incontrandosi  col  eh. 
Cavedoni  [bull.  arch.  nap.  an.  II.  p.  103),  ed  aggiu- 


—  191  — 


gnendo  la  dimoslrazione  clie  esisteva  un  (empio  della 
Fortuna  in  Capua  (Liv.  XXVII,  23),  la  quale  crede 
vt'nerata  sotto  il  titolo  di  publicuni  Numcn  Capuae 
(v.  epigr.  apud  Mommscn  inscr.  regni  neap.  lat.  n. 
3386).  Tra  gli  esempli,  copiosamente  citati  dal  dotto 
autore,  non  vediamo  quello  pertinente  alla  stessa  Cam- 
pania; ed  è  un  conlorniato  colla  Fortuna  di  Napoli 
turrita  ed  alata  e  colla  epigrafe  nAPtìEXonH  pub- 
blicato darSanclemenli  (tom.  I  p.  123  e  seg.):  a  cui 
fa  bel  riscontro  la  iscrizione  di  !M.  Mario  Epilleto , 
che  dedica  qualche  cosa  THITTXHI  NEAnoAEfiS 
{corp.  imcr.  gr.  n.  5792).  Vedi  Avellino  nel  bull. 
arch.  nap.  an.  I  p.  40. 

La  seconda  ricerca  concerne  la  lesta  eroica  imberbe, 
che  vedesi  nel  rilto  di  due  tipi ,  cioè  di  Telefo  allat- 
talo dalla  cerva,  e  del  trofeo.  L'a.  stabilisce  che  qnel- 
r  ornamento  di  lesta  non  può  riputarsi  altro  che  la 
tiara  frigia  ;  e  riconosce  la  testa  di  Capi  mitico  fon- 
datore della  città,  secondo  la  primitiva  opinione  dello 
stesso  eh.  Cavedoni  {spie.  nutn.  p.  li). 

Sul  tipo  della  confederazione  osserva  l' a.  doversi 
riportare  ad  un'  alleanza  fra  Capua  e  Roma  ,  all'  e- 
poca  della  prima  guerra  Sannitica.  Riporta  il  tipo 
della  Diana  in  biga  veloce  a'  pubblici  giuochi  cele- 
brali in  onore  di  Diana  Tifatina.  Spiega  i  due  tipi  re- 
lativi alla  Vittoria,  colla  esistenza  in  Capua  di  un  tem- 
pio di  questa  divinila.  In  quanto  ai  rovesci ,  o  sono 
simboli  delle  divinila  figurate  nel  ritto,  o  danno  luo- 
go a  particolari  interpretazioni.  Per  quel  che  concerne 
r  elefante  al  rovescio  della  testa  di  Diana  ,  1'  autore 
in  appoggio  delle  allusioni  solari  e  lunari  ravvisate 
dagli  archeologi  napolitani ,  richiama  un  importante 
luogo  di  Pausnnia ,  che  vide  una  testa  di  elefante  nel 
tempio  di  Diana  presso  Capua  (V,  XII,  I).  Non  per- 
tanto si  mostra  inchinevole  a  seguir  la  opinione  del 
Cavedoni  che  riportava  quel  tipo  al  soggiorno  di  An- 
nibale in  questa  città  (spie.  num.  p.  14,21  ).  Si  di- 
stende a  discorrere  più  lungamente  del  tipo  del  leone 
tenente  colla  sinistra  zampa  sollevalo  un  giavellotto: 
e  richiamando  gli  opportuni  confronti  specialmente 
numismatici,  lo  dichiara  allusivo  ad  Ercole  come  dio 
Solare,  e  quindi  all'  Ercole  assiro  non  già  all'  Ercole 
greco.  Con  questa  occasione  attribuisce  a  Capua  il 


bellissimo  asse  del  musco  Chirkeriano  (tav.  XI  n.  1 
p.  Gì  e  67)  collo  stesso  tipo  al  rovescio  di  un  bu- 
sto di  cavallo;  sebbene  il  eh.  Cavedoni  non  ha  guari 
lo  attribuiva  a  Luccria  (Carelli  num.  vel.  hai.  tav. 
XLIII,  2  p.  11  ).  Il  tipo  del  Cerbero  si  riporta  dal- 
l'a.  all'oracolo  de' morti  di  Cuma  ,  essendo  tra  Ca- 
pua e  quella  città  le  più  strette  relazioni:  cosi  era 
stato  inteso  il  simile  tipo  della  medesima  Cuma  (Mil- 
lingen  Sylloge  pi.  I  n.  4.  p.  10-11):  e  l'a.  richiama 
assai  a  proposilo  un  classico  luogo  diScimnodiChio, 
ove  un  simile  oracolo  in  Tesprozia  è  detto  KlìPBE- 
PION'  vTroXr^óviov  h^ytìTov  (v.  249-uO  ed.  Meincke 
cf.  Comment.  crit.  p.  17-18).  Ed  avvertiamo  che 
nel  sannitico  sepolcro  di  Cuma  le  nere  onde  furono 
pur  da  noi  spiegate  colle  tradizioni  locali ,  adottate 
per  avventura  da'  dominatori  Sanniti  nel  fregiare  le 
loro  tombe  (  i»u//.  arch.  nap.  n.  s.  an  I  p.  16i-16o). 

Più  difficile  è  il  tipo  de' due  simulacri,  ch'egli  ri- 
tiene appunto  per  due  idoli  eguali  a  foggia  di  un  bu- 
sto piramidale,  ricoperti  ciascuno  da  un  velo,  e  sor- 
montati da  una  tenia  svolazzante.  Crede  l'a.  che  que- 
sti idoli  presentino  una  origine  asiatica  ed  orientale; 
ed  osserva  che  appunto  nel  culto  di  molle  regioni 
s' incontra  la  dualità  di  simulacri  identici  :  come  va 
notando  dagli  antichi  scrittori  e  da' monumenti.  Egli 
richiama  alla  idea  generale  di  questa  dualità  ,  che 
nelle  divinila  fenicie  accenna  alla  doppia  natura  ma- 
lefica e  salutare:  senza  determinare  la  peculiare  for- 
ma degl'idoli  figurati  sulle  monete  di  Capua. 

Parl.i  finalmente  l'a.  della  medaglia  di  bronzo  con 
la  testa  di  una  Baccante  nel  ritto ,  e  nel  rovescio  un 
leone,  o  piuttosto  una  pantera  ,  che  tiene  colla  sini- 
stra zampa  un  bastone ,  ovvero  un  tirso  ,  appoggiato 
sulla  sua  spalla:  colla  epigrafe  CAP,  CAn,e  talvolta 
CAI,  come  in  un  esemplare  pubblicato  dalCaprane- 
si.  Egli  non  dubita  doversi  attribuire  a  Capua  questa 
medaglia,  ed  a  Caialia  quella  del Capranesi: secondo 
le  opinioni  generalmente  ricevute.  Con  questa  occa- 
sione l'a.  crede  di  riirovare  un  confronto  alla  cele- 
bre medaglia  di  oro  della  guerra  sociale,  per  dimo- 
strarne r  autenticità  :  ed  attacca  di /jassionc gli  archeo- 
logi napolitani  per  averla  giudicata  falsa  o  sospetta. 
Una  simile  accusa  si  legge  nell'opera  del  sig.  Fried- 
laender  [die  osk.  .ìfiinzen  p.  71).  Ma  pare  che  la  fac- 
ciano a  torto;  giacché  molle  ragioni  danno  grave  so- 
spetto di  falsità.  La  medaglia  fu  in  epoca  remota  os- 
servata da'  numismatici  na|)oliiani ,  e  trovala  falsa.. 
Alla  pubblicazione  che  ne  fu  falla  si  elevarono  novelli 


—  192  — 


sospelli  e  dal  eh.  Fiorelli  [annali  dìnumism.  an.  I  p. 
122),  e  da  me  {bull.  ardi.  nap.  an.VIp. 47),  nonché 
dal  eh.  Kiccio  [reperlor.  numism.  p.  2-3).  Questi  so- 
spetti parevano  giustificati  dalla  dichiarazione  di  falsità 
nello  stesso  catalogo  del  museo  Thomas  (  p.  6  ),  ove 
era  passata  la  medaglia.  Sicché  ragioni  scientifiLhe,  e 
non  altro ,  diressero  il  giudizio  degli  archeologi  na- 
politani a  dubitare  dell'  autenticità  di  quel  pezzo:  e 
sappiamo  che  anche  ora  il  dottissimo  Cavedoni  non  è 
scevro  da  simile  dubitazione  [bull.  deWIsl.  IS^2  p.30). 
Non  vi  è  chi  più  di  me  faccia  stima  della  couoscenza 
prattica  de'numismalici  francesi,  e  particolarmente 
del  eh.  sig.  duca  de  Luynes  ;  ma  mi  permetteranno 
che  io  n'equilibri  il  giudizio  cogli  occhi  non  meno 
esercitali  di  alcuni  archeologi  napolitani,  i  quali  vi- 
dero la  moneta  nelle  mani  del  dottor  Nott.   Sarei 
troppo  superbo  se  volessi  decidere  tra  queste  rispet- 
tabili auloriià:  e  lascerò  al  tempo  ed  alle  nuove  sco- 
perte la  soluzione  di  una  quislione,  che  finora  debbo 
tuttavia  dichiarar  sussislenle.  Chiude  il  sig.  Raoul- 
Rochette  il  suo  interessante  lavoro  eoli' accennar  bre- 
vemente la  opinione  che  le  monete  di  ftibbrica  caìn- 
pana  con  le  iscrizioni  ROM.\  e  ROMANO ,  furono 
tulle  coniate  in  Capua  :  secondo  la  comune  opinione 
degli  archeologi  napolitani.  La  quale  non  ci  sembra 
distrutta  dalla  recente  scoperta  del  deposilo  di  Vica- 
rello ,  come  vorrebbe  il  eh.   I'.  Mnrchi  nel  riferire 
quell'importantissimo  riirovamenlo  [La  sllpe  tribu- 
tala alle  divinila  delle  acque  ApolUnari  p.  {3eseg.). 
Così  diamo  fermine  a  questo  breve  estratto,  nel  quale 
non  ci  fu  dato  di  entrare  ne' più  mimili  particolari, 
né  di  presentare  quelle  speciali  nostre  idee,  che  ri- 
chiedevano più  ampia  esposizione.  Avrei  voluto  rin- 
graziar pubblicamente  l'illustre  autore  per  la  corie- 
sia  colla  quale  in  tutto  questo  lavoro  ha  citalo  con 
encomio  le  mie  aicheologiche  produzioni  :  avrei  vo- 
luto a  lui  medesimo  proporre  alcuni  dubbii  ed  alcune 
osservazioni.  Ma  la  morie  lia  troncato  una  vita  così 
utile  alla  scienza,  a  me  ha  rapilo  un  amico:  ed  io 
non  posso  in  questo  luogo  che  rendergli  una  lieve 
testimonianza  della  mia  siiicerissima  slima.  Non  fuv\i 
archeologo  più  laborioso  di  Raoul-Rocuette:  le  sue 
inaumerabili  produzioni  lo  attestano.  Sin  da  quando 
l'opera  delle  colonie  greche  gli  apriva  in  giovanissima 
età  le  porle  dell' Islilulo ,  egli  non  inlermise  la  pub- 
blicazione di  libri  utili  ed  importanti.  Cullore  dell'ar- 
cheologia in  lutta  la  sua  estensione,  raccolse  nelle  varie 
branche  di  questa  difficilissima  scienza,  meritali  trionfi. 
La  critica  più  fiera ,  che  non  ne  risparmiò  in  vita  la 
splendida  fama,  s'inchinerà  rispettosa  all'onorala  ce- 


nere dell'estinto.  Nessuno  potrà  rapirgli  il  vanto  di  una  , 
estesa  dottrina  archeologica,  di  una  diligente  e  vasta 
erudizione ,  di  uno  zelo  insuperabile ,  del  più  accfso 
desiderio  per  la  ricerca  del  vero,  di  quella  lucidità  e 
chiarezza  di  esposizione,  che  non  di  rado  si  desidera 
negli  eruditi.  Propugnatore  della  migliore  scuola  ar- 
cheologica nella  sua  patria,  se  ne  fece  sempre  libero 
e  severo  campione ,  affrontando  impassibile  lo  sde- 
gno degli  avversarli. 

La  Francia  sentirà  la  perdila  di  un  uomo,  che  ha 
lascialo  onorevoli  tracce  ovunque  ha  rivolto  le  sue 
cure,  L'Accademia  delle  Iscrizioni  e  Belle  Lettere  è 
rimasa  priva  di  un  dottissimo  socio  :  l'Accademia  delle 
Belle  Arti  ha  perduto  il  suo  segrelario,  di  cui  la  in- 
telligenza ed  il  gusto  agguagliavano  la  elegante  parola 
e  la  solida  eloquenza:  a\  Journal  dsssavanlsè  mancalo 
uno  de'  più  ragguardevoli  collaboralori:  è  mancnla  alla 
Riblioleca  Imperiale  la  voce  dell' illustre  professore 
di  archeologia.  Noi  sappiamo  che  Raoul-Rochette 
ha  lascia'.o  a  tulle  queste  scienlificlie  amministrazioni 
produzioni  inedile  del  suo  impegno.  Resterà  a'suoi  dolti 
colleghi,  a'suoi  concittadini  la  cura  di  farne  la  pubbli- 
cazione. Ma  non  sarà  nien  vero  che  uìccnJo  alla  luce 
quelle  archeologiche  ricerche  ,  ci  mostreranno  the 
l'uome  insigne,  ancorché  freddo  cadavere,  vive  anco- 
ra la  vita  della  scienza.  E  questa  vita  gli  è  riserbala 
immortale  nell'imparziale  giudizio  della  posterità. 

Il  presente  buUeltino  ,  a  cui  aveva  appena  comia- 
ciato  a  fornire  qualche  lavoro,  ha  perduto  assni  pre- 
sto il  suo  novello  collaboratore. 

La  costante  benevolenza  di  quest'uomo  rispeltabile 
verso  di  me  ,  e  1"  alliva  corrisj)ond.;nza  tra  n  )i  man- 
tenuta per  lo  spazio  di  quattro  lustri  mi  rende  mea 
tollerabile  il  dolore  della  sua  diparlila. 

A  conforlo  del  mio  cordoglio  mi  resta  pertanto  il 
suo  rilratto,  che  fu  a  lui  pegno  di  filiiie  affetto,  e  che 
e"li  slesso  colle  sue  mani  mi  offriva  quasi  memoria  per 
me  di  slima  e  di  amicizia:  mi  resta  I  immenso  numero 
de' volumi  da  lui  pubblicali,  d;''qi  ili  volle  farmi  gra- 
zioso dono  ;  deposilo  di  vasta  doUrina  ,  di  svariala  e 
piena  erudizione  ,  indispensabile  tesoro  per  tutti  gli 
studiosi  dell'  archeologica  scienza. 

Non  s'ingannava  l'imparcggiibile  defunto,  se  pen- 
sò che  queste  memorie  mi  svelenerebbero  ognor  vi- 
va la  sua  rimembranza.  Ed  io  son  sicuro  che  quan- 
do neir  esporre  i  suoi  estremi  voleri  dichiarava  mo- 
deslamenle  di  non  bramar  sulla  tomba  c'iie  le  preci 
della  Chiesa,  ed  il  comiiianlo  de^li  amici,  a  me  volse 
un  particolare  pensiero,  e  si  consolò  forse  di  una  la- 
grima ,  che  vide  spuntar  sul  mio  ciglio.    Mimervi-m. 


Giulio  Mi.nervi.m  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


—  193 


INDICE  DEGLI  ARTICOLI. 


Questioni  Pompejane 

3.  TopograGa  del  terreno ,  ove  fu  la  città  di  Pom- 
pei      "  1 

4.  Il  tribunale  della  Basilica  quando  e  da  cLi  co- 
struito       1 

Giunta  al  detto  articolo 23 

5.  L' Augusteum,  la  curia  degli  Augustalcs ,  il 
Chalcidicum ,  l' aedes  Fortunae  Augustac     .  4 

6.  I  due  Teatri 6 

7.  Dell'  edifìzio  detto  Triibus,  e  della  voce  Cùm- 
benniiis 7 

8.  Tempio  di  Mercurio  e  Maia 7 

9.  Si  è  rinvenuto  finora  alcuna  cosa  di  cristiana 
credenza  in  Pompei? 8 

Notizia  de'  più  recenli  scavi  di  Pompei  ...  9 

Continuazione 25 

Id 49 

Id 65 

Id 117 

Id 145 

Sul  vaso  di  Ulisse  Acanlhoplex ,  da  lettera  del 

eh.  sig.  cav.  Welcker  al  sig.  Giulio  Minervini.  12 

Giunta  all'  articolo  precedente 14 

Delle  monete  attribuite  a  Palatium,  oPalacium 

della  Sabina ,  o  dell'  Umbria  che  dir  si  voglia.  1 5 

Culto  della  Venere  in  Pompei 17 

Come  fu  interrata  Pompei 18 

Escavazioni  di  tempi  diversi  in  Pompei ...  20 

Il  Pausi irpoN  di  Mezia  Edonc  sul  lago  Sabatino,  2 1 

Osservazioni  intorno  all'  articolo  precedente     .  54 

Sul  programmi  pompejnno  dì  Giulia  Felice     .  23 

Osservazioni  intorno  all'  articolo  precedente     .  24 

Osservazioni  sopra  un  dipinto  pompejaao  .     .  29 

Notizia  di  alcune  iscrizioni  messapiche  ...  32 

Bollo  consolare 33 

Sugli  avanzi  di  antiche  costruzioni  orizzontali  e 
poligone,  che  sono  sottoposte  alla  chiesa  Cat- 
tedrale di  Ferentino 35 

Iscrizioni  latine 39 

Id.     . 35 


Id 80 

Id SS 

Id 90 

Id 100 

Id Ili 

Id 136 

Id lol 

Id 176 

Brevi  osservazioni  sopra  un  bassorilievo  cumano  4 1 
Di  un  denario  di  Famiglia  incerta,  comunemen- 
te attribuito  a  Giulio  Cesare,  che  vuoisi  re- 
stituire a  L.  Cornelio  Siila 42 

Sul  Vero  ter  Conscie  nella  epigrafe  di  Unso 
Togato — lettera  del  eh.  sig.  A.  Gervasio  al 
sig.   G.   Minervini ,  con  osservazioni  del  eh. 

conte  B.  Borghesi 43 

Notizia  di  due  iscrizioni  messapiche.     ...  43 

Notizia  di  una  iscrizione  puteolana V5 

Descrizione  di  alcuni  vasi  dipinti  del  real  museo 

Borbonico 46 

Continuazione 37 

Il  nuovo  programma  pompejano  di  M.  Epidio 

Sabino 31 

Iscrizione  sorrentina  dedicata  a  Fausta,  con  os- 
servazioni del  conte  B.  Borghesi  ....  53 
Dichiarazione  della  figura  I  tav.  II  di  questo  se- 
condo anno  del  Bulleltino 37 

Notizia  di  una  latina  iscrizione  di  S.  Germano.  73 

Dell'  aria  di  Baja 74 

Revisione  della  lapida  di  Campo  Marino     .     .  79 

Del  Palatium  e  delio  stagnum  di  Mamea  in  Baja  79 

Fotografia  in  Pompei SI 

Iscrizioni  pompejane 82 

Vaso  della  collezione  Jalla  in  Ruvo ....  83 
Osservazioni  del  eh.  ab.  D.  Celestino  Cavedoni 

al  1  anno  del  presente  bulleltino.      ...  SO 

Notizia  di  una  tavoletta  calcolatoria  romana     .  93 

Giunta  all'  articolo  precedente 03 

Descrizione  di  un  vaso  dipinto  ora  nel  real  mu- 
seo Borbonico 97 


—  194 


Notizia  di  alcune  terrecoUe  antiche  della  colle- 
zione del  defunto  Francesco  Mongelli  in  Na- 
poli  103 

Bibliografia  —  Nolice  sur  les  fouilles  de  Capoue 

par  M.  Raoul-Rochette 108 

Continuazione 119 

Id 159 

Id 183 

La  partenza  di  Anfiarao  in  vaso  dipinto.     .     .113 
Troilo  —  Europa:  in  vaso  dipinto  di  Gapua.     .  116 

Di  due  iscrizioni  osche 118 

Monete  diverse  della  collezione  Mongelli— Mo- 
neta di  Eraclea  del  real  museo  Borbonico    .   121 

Patera  del  museo  Santangelo 123 

Poche  parole  sopra  uno  specchio  aulico  di  Cro- 
tone   128 

Luogo  di  Tertulliano  relativo  a' teatri  coperti.     128 
Scavi  di  Canosa.  Descrizione  di  un  vasculario 

dipinto  tratto  da'  Persiani  di  Eschilo.     ,     ,  129 
Dell'anno  preciso ,  e  dello  scrittore  di  una  let- 
tera greca  dell' Imp.  L.  Settimio   Severo  ai 
magistrati,  al  senato  ed  al  popolo  degli  Eza» 
niti ,  che  leggesi  incisa  in  un  marmo  antico 

di  quella  città  della  Frigia 133 

Nuovi  confronti  di  Rezjarii  armati  di  tridente  e 

di  pugnale 134 

Vaso  di  bronzo  rinvenuto  nel  sito  dell'antica 
Capua 137 


Sopra  alcune  monete  di  Eraclea —  Lettera  del 
eh.  sig.  Raoul-Rochette  all'Editore  del  pre- 
sente buUeltino  I3f& 

Osservazioni  dell'Editore  del  buUetlino  alla  let- 
tera precedente 142 

Memorie  della  imperatrice  Salonina  in  S.  Maria.  143 

Epoca  del  consolare  della  Campania  Valerio 

Ermonio  Massimo.  Lettera  del  eh.  sig.  A. 

Gervasio  all'  Editore  del  presente  bullettioo , 

con  osservazioni  del  conte  Borghesi  .     .     .145 

Nuove  osservazioni  intorno  alla  topogra6a  pu- 

teolana  graffila  in  un  vasetto  di  Populonia    .   153 
Bibliografia  -^  (  Gavedoni  )  Ragguaglio  storico 
archeologico  de'  precipui  ripostogli  antichi  di 
medaglie  consolari  e  di  famiglie  romane  d'ar- 
gento etc. — Modena  1834  in  8 157 

Un  nuovo  ambulacro  scoperto  nel  cimitero  di 

S.  Caterina  presso  Chiusi 161 

Iscrizioni  in  caratteri  e  dialetti  itaUci     .     .     .163 

Giunta  all' articolo  precedente 167 

Iscrizione  graffila  sotto  il  piede  di  un  vaso  .     .168 
Monumenti  di  Canosa.  Vaso  di  Dario.  Altro  col 
mito  di  Perseo  e  di  Andromeda.  Oggetti  di 

oro.  Simulate  monete 169 

Di  alcune  monete  di  Napoli 173 

Giunone  Antea 175 

Tombe  e  pitture  Sannitiche  di  Capua    .     .     .  177 


NOMI  DI  COLORO  CHE  HAN  FORNITO  ARTICOLI  AL  BOLLETTINO. 


Andres  (p.  Giovanni  d.c.d.G.  )  74, 

Cavedani  (ab.  D.  Celestino)  13,  42,  89,  133,  160. 

Fiorelli  (  Giuseppe  )  23. 

Garrucci  (  p.  Raffaele  d.c.d.G.)  1  ,  4,  6,  7,  8,  17, 

18,20,23,  24,  33,  33,  39,  51,  53,  34,  55, 

79,  80,  82.  93,  128,  134,  163. 
<ìenasio  (Agostino)  43,  ioO. 
Al inenini  {Giulio)  9,  14,  23,  29,  32,  40,45,46, 


49,  57,  63,  73,  81,  85,  88,  96,  97,100,  103, 
108,  111.  113.  116,  117.  118,  119,  121.  125, 
129,  136,  137.  142,  143.  143,  151,  157,  159, 
167.  168.  169.  173,  175.  176,  177,  185. 

Raoul- Rochelle  {si§.)  139. 

de  Rossi  (cav,  G,  B.)  21,  133, 

Wekker  (cav.  Federico  Gott.  )  12, 


—  195  — 


INDICE  DELLE  TAVOLE. 


Tav.  I.      Fig.  1.  Moneta  di  bronzo  illustrata  apag. 

15  e  segg. 
Fig.  2.  Bassorilievo  di  Guma,  di  cui  si  parla 

a  pag.  41. 
Fig.  3.  Iscrizione  pompejana,  di  cui  si  ra- 
giona a  pag.  1  e  segg.  e  pag.  23. 
Tav.  II.     Fig.  1  e  2.  Patera  di  Fasano,  di  cui  si  dice 

a  pag.  57. 
Fig.  3  e  4.  Terrecotte  della  raccolta  Mon- 

gelli  illustrate  a  pag.  105  e  segg. 
Tav.  III.    Specchio  antico  di  Crotone,  di  cui  si  parla 

a  pag.  128  e  188. 
Tav.  IV.    Vaso  della  collezione  Jatta,  illustrato  a  pag. 

83  e  segg. 
Tav.  V.     Iscrizioni  in  caratteri  e  dialetti  italici ,  di 

cui  si  dice  a  pag.  163  e  segg.  e  167. 
Tav.  VI.    Fig.  1.  Vaso  della  collezione  Sanlangelo 

illustrato  a  pag.  125  e  segg. 
Fig.  2,  3,  4,  Tabelle  calcolalorie  romana 

e  greche,  di  cui  si  favella  a  p.  93  e  seg. 
Tav.  VII.  Fig.  1,  2,  3.  Vasetto  di  S.  Maria  dichia- 
rato a  pag.  116. 
Fig.  4,  5,  6.  Vaso  di  bronzo  con  epigrafe 

sannitica ,  di  cui  si  ragiona  a  pag.  1 37 

e  segg. 


Fig.  7.  Simbolo  di  Mercurio  richiamato  a 

pag.  98. 
Fig.  8.  Iscrizione  di  una  patera ,  di  cui  si 
dà  notizia  a  pag.  139. 
Tav.  Vili.  Iscrizioni  pompejane  illustrate  a  pag.  82 

e  se^ff. 
Tav.  IX.   Fig.  1°  2,  3,6,7,8,9,10,11,12,13, 
19,  Monete  della  raccolta  Mongelli  il- 
lustrate a  pag.  221  e  segg. 
Fig.  4,  5.  Monete  di  Napoli,  di  cui  si  parla 

a  pag.  91  e  173. 
Fig.  15,  16,  17,  18.  Monete  di  Eraclea, 
di  cui  si  ragiona  a  pag.  139  e  seg.  142 
e  seg.  e  124. 
Fig.  20  e  21.  Statuetta  di  osso  dichiarata 
a  pag.  135. 
Tav.  X.     Pittura  di  una  tomba  sannitica  di  Capua ,  di 

cui  si  parla  a  pag.  178  e  seg. 
Tav.  XI.    Altre  pitture  sanoiticbe  di  Capua  ,  di  cui 

si  dice  a  pag.  179  e  segg. 
Tav.  XII.  Oggetti  trovati  in  una  tomba  sannitica  di 

Capua  descritti  a  pag.  182. 
Tav.  XIII,  XIV,  XV.  Pitture  della  medesima  tomba, 
di  cui  si  ragiona  a  pag.  181  e  segg. 


—  196  — 


ERRATA 


CORRIGE 


Pag.       3  col.  1  lin.  penull. 

2 1 

10 

12 

5 1 27 

9 1 11 

13 2 9 

16 1 18 

81 1 3 


107- 
109- 
119- 
144- 
130- 
159- 
192- 


-1 34 

-2n.  1    4 

.2 36 

-2 3 

-1 23  s. 

-l^ 9 

-1 13 

-2 25 


dal  732  al  752 

da  quest'anno  752 

al  752 

nel  dello 

a.vTuiy 

SILLIVM 

rsxyov  sixóv 

Euandro 

DADOMENEIS 

DADOMENES 

ApiTTiOTiri 

plelores 

perdoniinante 

sopra 

tom.  VII 
n.  38  p.  IH 
r  uome 


dal  732  al  742 

da  quest'  anno  742 

al  742 

nel 

CCyTcòv 

SITTIVM(cf.  pag.  27n.  6,  7). 

'TiXVOY  lixòv 

Evandro 

DADOMENES 

DADOMENEIS 

'AlXVKT'Tiri 

piclores 

predominanle 

qui  appresso 

si  legga  la  iscrizione  come  alla  p.  152, 

tom.  VI 

n.  40  p.  119 

r  uomo 


GETTY  CENTER  LIBRARY 


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