Skip to main content

Full text of "Bullettino archeologico napoletano"

See other formats


ffl 


.  IMI 


HH 


HHHMR 


BALLETTINO 


&3E®IH!®IL®(&a®®  HAVGUL&VAItO 


D i L L r T T I \ 0  ARCHEOLOGICO  WPOLITWO 

NUOVA  SERIE 

PUBBLICATO  PER  CURA 
DI   GIULIO   MINERVINI 

ACCADEMICO  ERCOLANESE 


SEGRETARIO  PERPETUO  DELL'  ACCADEMIA  PONTANIANA  ;  SOCIO  DI  ONORE  DELLA  REALE  ACCADEMIA 
DI  ARCHEOLOGIA  DI  MADRID  ;  CORRISPONDENTE  DELL'  ISTITUTO  DI  FRANCIA  ,  ACCADEMIA  DELLE 
ISCRIZIONI  E  BELLE  LETTERE  ;  DELLA  REALE  ACCADEMIA  DELLE  SCIENZE  ,  E  DELLA  SOCIETÀ  AR- 
CHEOLOGICA DI  BERLINO  ;  DELL'  ISTITUTO  DI  CORRISPONDENZA  ARCHEOLOGICA  ;  DELLA  PONTIFICIA 
ACCADEMIA  ROMANA  DI  ARCHEOLOGIA;  DELLA  REALE  ACCADEMIA  DELLE  SCIENZE  DI  TORINO;  DELLA 
REALE  ACCADEMU  DI  BELLE  ARTI  DELLA  SOCIETÀ  REALE  BORBONICA  ;  DELLA  SOCIETÀ  FRANCESE 
PER  LA  CONSERVAZIONE  DEMONUMENTI  ISTORICI:  E  DI  ALTRE  SOCIETÀ  SCIENTIFICHE  E  LETTERARIE. 


ANNO  TERZO 

pai  1  IXGLIO  1854  al  30  cnJCNO  18SS. 


NAPOLI 

DALLO  STABILIMENTO  TIPOGRAFICO  DI  GIUSEPPE  CATAKEO 

fico  S.  Giovanni  Maggiore  n.  C  t  9. 

1855 


PREFAZIONE 


E 


iccoci  pervenuti  al  termine  del  terzo  anno  del  bullettino.  Io  spero  di  non  avere 
in  tutta  questa  serie  di  pubblicazioni  demeritato  gli  sguardi  benigni  degli  archeologi 
e  degli  amatori. 

Le  notizie  delle  più  recenti  scavazioni ,  segnatamente  le  pompejane ,  la  epi- 
grafia ,  la  numismatica,  l1  antichità  figurata  trovarono  in  questi  fogli  un  notabile 
posto.  Deggio  poi  con  soddisfazione  annunziare  che  il  quarto  anno  non  sarà 
meno  ricco  di  importanti  novità  ,  le  quali  già  in  parte  avvenute  saranno  quanto 
prima  comunicate  a'  dotti  cultori  de'  classici  studii. 

Non  tralasciai  e  non  tralascerò  cura  e  spesa  per  la  continuazione  di  un'  opera, 
che  eccita  le  simpatie  di  tutta  la  colta  Europa.  E  sebbene  la  condizione  de1  tempi 
fa  si  che  non  sieno  materialmente  ricompensate  le  mie  fatiche,  mi  reputerò  abba- 
stanza rimeritato  dalla  buona  accoglienza  de1  dotti ,  e  dal  pensiero  di  concorrere 
come  che  sia  alla  diffusione  degli  studii  solidi,  principalmente  fra'  miei  concittadini. 

Mi  veggo  poi  nell'  obbligo  di  render  grazie  a'  dotti  colleghi ,  i  quali  vollero 
arricchire  le  pagine  del  bullettino  nel  terzo  suo  anno  colle  loro  erudite  osservazioni 
e  ricerche.  Un  dovere  di  gratitudine  mi  spinge  a  ricordare  con  distinzione  il  nome 
illustre  di  un  Borghesi ,  e  quello  del  celebre  numismatico  di  Modena  prof.  D.  Ce- 
lestino Cavedoni,  il  quale  forniva  al  terzo  anno  del  bullettino  numerosi  e  rimar- 
chevoli lavori ,  pieni  d1  ingegnosi  trovati  e  di  profondo  sapere.  Abbiansi  essi  per  ciò 
tutta  la  mia  riconoscenza. 

Nel  chiudere  questa  breve  prefazione  non  so  tralasciare  una  necessaria  dichia- 
razione. Ed  è  ;  che  la  continuazione  del  bullettino  archeologico  napolitano  è  prin- 
cipalmente dovuta  alla  protezione  del  Governo  di   Sua  Maestà.    L' Eccellentissimo 


Principe  di  Bisignano  Soprantendente  generale  della  Real  Casa  ,  il  Commendatore 
Scorza  Direttore  del  Ministero  degli  affari  ecclesiastici  e  della  istruzione  pubblica, 
ed  il  Direttore  del  Ministero  dell'  Interno  sig.  Commendatore  Bianchini  non  man- 
carono di  accordare  il  loro  favore  a  questa  patria  pubblicazione.  Eglino  seppero 
richiamare  su  di  essa  gli  sguardi  dell' Augusto  Sovrano,  diesi  degnava  protegger- 
la, acquistando  finanche  un  numero  di  esemplari  per  la  Sua  Biblioteca  particolare. 
Queste  mie  parole  valgano  a  soddisfare  un  debito  del  mio  cuore  ,  ed  a  pale- 
sare la  mia  gratitudine  verso  tutti  coloro  che  concorsero  ad  animare  la  stampa  del 
mio  giornale  ;  ma  segnatamente  verso  V  Augusto  Monarca,  che  mostrassi  in  questa 
occasione,  come  in  tante  altre,  fautore  magnanimo  de'  buoni  studii  e  della  classica 
letteratura. 

L  Editore 

GlOLIO    MiNERVIM 


ERRATA 


CORRIGE 


Pag. 


1  col  1  lin.  4,  5. 

2 24 

26 1 29 

27 1 7 

31 2 37 

34 2 1 

39 2 16 

40  (così  va  letto  in  vece 
di  30) 

40 1 1 

1 5 

2 1 

2 27 


47 1 13 

48 1 penult. 

2 lo 

2 22 

49 1 1 

56 2 33 

102 2 1 

HO 2 6 

114 1 31 

120 1 35 

133 2 1 

180 2 11 

12 


a  conservatore  e  direttore 
pensa  ad  appartenersi 
desisamente 
OPONttis 

XapivÒs 
assserito 
10 


12 

13 
14 
15 

Itt)  n  (  vel  potius  ìrr\ 
litografi  alemanni 
ed  acquistando 
concittladini 
supplic 

(  Abel  he  àgla  ) 

thumswissemschaft 

Giudea 


il  pare  che 

Xctra£ 
Xora? 


a  direttore 

pensa  appartenersi 

decisamente 

OPONTt]S 

Xcc/mvòs 

asserito 

12 


li 
15 
16 
17 

Ir  {ce  i-  (  vel  potius  Ìtìx 

litografi  elvetici 

e  destinando 

concittadini 

supplici 

agg.  continua 

(  Abel   ha  rEglà  ) 

thumswissenschaft 

Giuda 

agg.  continua 

il  che  pare 

XaTa! 

XoeW 


BULIETTIXO  MCUEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


TV.0  51.     (1.  dell'annoili.) 


Luglio  1854. 


Ossa  e  scheletri  diseppelliti  in  Pompei. — Bassorilievo  in  marmo  greco  pressi  i  signori  Ciccarelliin  S.  Maria. 
Terrecotte  scoverte  in  vicinanza  di  Atri ,  nel  l.°  Abruzzo  Ulteriore. — Iscrizioni  latine. 


Ossa  e  scheletri  diseppeliti  in  Pompei. 

11  nostro  chiarissimo  collega  ed  amico  professore 
Stefano  delle  Chiaje  ,  conosciuto  per  le  sue  dotte  e 
diligenti  pubblicazioni  in  fatto  di  storia  naturale , 
chiamalo  dopo  la  morte  del  cav.  Nanula  a  conserva- 
tore e  direttore  del  gabinetto  di  anatomia  patologica 
nella  Regia  Università  degli  Studi,  ebbe  la  felice  idea 
di  chiedere  che  ivi  fossero  raccolte  le  ossa  e  gli  sche- 
letri, che  sono  di  quando  in  quando  disotterrati  dalla 
città  di  Pompei.  Le  sue  premure  secondate  dal  eh.  Pre- 
sidente della  pubblica  istruzione  Monsignor  Apuzzo, 
e  dall'  attuale  sopranlendenza  degli  scavi,  furono  su- 
bilo soddisfatte:  e  già  si  vede  una  importante  colle- 
zione di  ossa  pompejane  nel  museo  anatomico  della 
Re«ia  Università,  collezione  che  interessa  l'archeolo- 
go  del  pari  che  lo  scienziato ,  e  che  finora  dee  ripu- 
tarsi unica  e  singolare.  Il  professor  delle  Chiaje  non 
fu  contento  di  ordinare  quei  residui  delle  antiche  po- 
polazioni, ma  li  sottomise  benanche  a  dotte  ricerche: 
ed  i  risultamene  delle  sue  osservazioni  furono  con- 
segnati in  una  memoria  letta  al  reale  Istituto  d'in- 
coraggiamento nel  passato  anno ,  che  ha  per  titolo 
cenno  nolomico  patologico  sulle  ossa  umane  scavate  in 
Pompei.  Fortunatamente  queslo  lavoro  è  già  pub- 
blicalo nel  giornale  delle  scienze  mediche  diretto  dal 
eh.  cav.  de  Renzi  (  Filialre-Sebezio  an.  XXIV.  voi. 
XLVII1  p.  3  e  segg.  ). 

Noi  estrarremo  da  questo  importante  lavoro  tutte 
le  osservazioni  che  possono  interessare  la  storia  e  l'ar- 
cheologia ,  tralasciando  quelle  che  unicamente  alle 
scienze  naturali  si  riferiscono  ,  le  quali  non  possono 
trovar  luo<;o  in  una  pubblicazione  destinata  alla  illu- 
strazione delle  antiche  memorie  della  umanità. 

ARNO  HI. 


L'  a.  comincia  dall'  osservare  che  le  scavazioni  di 
Pompei  e  di  Ercolano  già  diedero  un  notevolissimo 
saggio  degl'istrumenti  cerusici  usati  dagli  antichi:  ed 
aggiunge  che  non  torneranno  di  minore  vantaggio 
gli  studii  istituiti  sulle  ossa  umane  venute  fuori  da 
quelle  celebri  località.  Arrogi  che  pochissime  noli- 
zie  inesatte  finora  si  avevano  di  queste  scoperte  :  ed 
è  notevole  che  non  erasi  neppur  pensato  a  fare  al- 
trove una  estesa  raccolta  di  antiche  ossa,  tratte  da' se- 
polcri di  Roma  e  della  Toscana.  Sarà  dunque  ono- 
revole pel  nostro  paese  la  introduzione  di  questo  no- 
vello museo  ,  che  non  tarderà  ad  essere  imitata  da 
altre  civili  nazioni. 

Nel  §  I,  che  s'intitola  osleo-notomia ,  l'a.  consi- 
dera la  prima  serie  di  ossa  normale  o  fisiologica  ,  e 
questa  è  la  parte  che  maggiormente  richiama  l'atten- 
zione dell'archeologo.  In  generale  osserva  l'a.  che 
l' ossame  pompejano  dell'  uomo  e  degli  animali  do- 
mestici sempre  più  dimostra  che  la  loro  statura  non 
differiva  da  quella  de' (empi  attuali;  e  che  sotto  que- 
slo riguardo  la  specie  nostra  non  sia  andata  decli- 
nando. Dall'  osservare  una  triplice  forma  ne'  teschi 
pompejani ,  alquanto  globosa  ,  ovoidea  ,  e  bislunga, 
il  sig.  delle  Chiaje  pensa  ad  appartenersi  ad  uomini 
di  razze  diverse  :  e  ricorre  giustamente  alla  idea  de- 
gli schiavi ,  che  venuti  dalle  più  lontane  regioni  pre- 
stavano i  loro  servigi  in  Roma ,  e  nelle  romane  co- 
lonie. I  teschi  degli  schiavi  pompejani,  secondo  l'a., 
hauno  qualche  approssimazione  con  quei  de'  popoli 
intertropicali ,  razza  media  fra  il  tipo  arabo  ed  il 
nero  ,  la  più  barbara  e  feroce  nel  genere  umano.  A 
delta  genia ,  ed  alla  nostra  nella  proporzione  di  3  a 
10  appartengono  i  craaii  diseppelliti  a  Pompei.  Nel 

maggior  numero  de' teschi  si  vede  l'angolo  facciale 

1 


o  


Camperiano  come  è  richiesto  per  la  razza  Caueasica; 
ma  è  lo  stesso  frequentemente  contrastato  dalla  gob- 
ba occipitale  della  Etiopica  ,  con  somma  prominenza 
della  sua  cresta.  L'a.  concilia  questa  apparente  con- 
traddizione osservando  che  il  primo  carattere  dee  ri- 
putarsi intrinseco  connaturale ,  ed  il  secondo  acqui- 
sito eccezionale,  forse  pel  genere  di  vita  oziosa  ed  in- 
chinevole alla  libidine,  favorita  pure  da  quel  sito  de- 
lizioso ed  incantato.  Non  lascia  pertanto  di  avvertire 
1'  a.  che  più  di  un  teschio  de'  pompejani  schiavi  ha 
rassomiglianza  con  alcuni  cranii  di  Cabili,  e  precisa- 
mente con  uno  conservalo  nello  stesso  museo  della 
Regia  Università,  pervenuto  dall'America  meridio- 
nale ,  e  scoverto  da  Pentland  dentro  antiche  tombe 
Peruviane  presso  il  Iago  di  Titicaca ,  destinate  a'  soli 
capi  di  quelle  rozze  tribù. 

Passa  l' a.  ad  esporre  Io  stato  diverso  di  conserva- 
zione notato  nelle  ossa  pompejane  ;  e  lo  considera  in 
quattro  categorie.  1)  Alcune,  e  son  queste  la  massi- 
ma parte,  compariscono  di  avere  sofferto  tutti  i  danni 
di  quella  tremenda  catastrofe ,  indi  per  le  successive 
alluvioni  ridotte  ad  una  specie  di  pappa  ossea  ,  più 
all'interno  che  all'esterno:  2)  altre  sotto  le  ruine  e 
fra'  rottami  delle  fabbriche  crollale  hanno  alquanto 
resistito  all'interro  ,  ma  cadute  a  contalto  di  statue  , 
o  di  utensili  di  bronzo,  per  lo  continuato  umido  della 
terra  ,  e  lo  stillicidio  delle  acque ,  ne  sono  poi  rima- 
ste in  più  punti  macchiale:  3)  altre,  in  più  scarso 
numero,  presentansi  di  tale  integrità,  che  sembrano 
fossero  rimaste  col  macero  da  pochi  anni  spolpate 
delle  molli  loro  parti  ;  il  che  è  più  osservabile  nelle 
ossa  di  bue  o  di  cavallo  :  4)  tra  più  di  ottanta  cranii 
presentatisi  all'esame  della,  uno  solamente,  rinvenuto 
presso  la  casa  di  M.  Lucrezio,  mostravasi  invaso  dalla 
cenere  vesuviana  infocata  ;  quindi  reso  bigio ,  ester- 
namente incrostalo  di  minuto  lapillo,  sfoglioso  all'in- 
terno ,  pesante,  compatto,  sonoro ,  fragile  come  ve- 
tro, poco  diverso  da  una  scoria  silicea  di  quell'igni- 
vomo monte.  Più  di  un  teschio  di  uomo  assai  ben 
conservato,  solamente  ove  tocca  il  suolo vedesi sfon- 
dato, e  nei  margini  calcinalo,  roso,  sgretolalo:  molti 
altri  esempli  ofTrironsi  alfa,  in  altre  parti  dello  sche- 
letro ,  veggendosi  esse  più  o  meno  conservate  secon- 
do la  diversa  loro  compattezza. 


Tralasciando  le  osservazioni  anatomiche ,  fatte  a 
tal  proposilo  dall'autore ,  e  ciò  che  dice  sulla  pianta 
crittogama ,  che  tapezzar  si  vede  la  superficie  delle 
pompejane  ossa  (osleo-epifìto  pompejano), uoleròsol- 
tanto,  che  egli  riporta  le  analisi  chimiche  falle,  a  sua 
richiesta ,  dal  dottor  Lehman  di  Lipsia  rinomato  per 
le  analisi  di  chimica  organica.  Risulta  dal  lavoro  del 
dotto  professore  di  Germania,  che  i  varii  componenti 
delle  ossa  antiche  sono  presso  a  poco  nella  medesima 
proporzione,  paragonati  con  quelli  delle  ossa  moderne. 
La  sola  diversità  è  nella  grandissima  quanlila  del  fluo- 
rato  di  calcio,  e  generalmente  nella  diminuzione  delle 
sostanze  organiche  osservabile  nelle  antiche.  Quel 
che  maggiormente  interessa  in  questa  analisi  del  Leh- 
man ,  si  è  che  le  ossa  le  quali  appajono  più  calcinate 
non  presentano  traccia  di  metamorfosi  di  materie  or- 
ganiche: per  lo  che  la  loro  apparente  calcinazione  non 
può  attribuirsi  ad  eccessivo  calore.  Perciò  il  signor 
Lehman  pensa  che  questa  diminuzione  delle  orga- 
niche sostanze  provenga  da  un  processo  di  putrescen- 
za secca,  facile  ad  immaginarsi  nella  terra  e  nella  ce- 
nere vulcanica. 

Dall'insieme  di  tutli  i  fatti  raccolti  il  sig.  delle 
Chiaje  è  di  opinione,  che  le  diverse  alterazioni  notate 
nell'  ossame  in  parola  indurrebbero  a  credere ,  che 
Pompei  fosse  stata  subbissata  piuttosto  da  alluvione, 
che  dalla  pioggia  di  lapillo  e  di  cenere  infuocali.  Non 
tralascia  però  di  avvertire  che  in  vista  del  teschio 
invaso  dalla  infuocata  cenere  (e  noi  aggiungiamo  di 
altri  numerosi  fatti  osservati  in  materie  inorganiche) 
potrebbe  ancor  dirsi  che  quella  fiera  catastrofe  av- 
venne per  entrambe,  ossia  fu  pria  il  fuoco  poi  l'ac- 
qua ,  che  distrussero  le  due  famose  città  di  Pompei  e 
di  Ercolano. 

Dalla  seconda  parte  ,  comunque  dottissima  ,  che 
tratta  della  osleo-palologia,  non  abbiamo  a  trarre  pel 
nostro  proposito  che  pochissime  osservazioni.  La  pri- 
ma è  1'  uso  degli  specilli  nella  carie  delle  ossa ,  la 
quale  essendosi  rinvenuta  nei  cranii  pompejani  va 
messa  in  relazione  co'  numerosi  specilli  ritrovali  in 
Pompei. 

La  seconda  concerne  una  frattura  trasversale  del 
corpo  dell'omero,  nella  quale  i  punti  di  contado  e 
d'innesto  de' due  estremi  rotti  hanno  avuto  luogo 


—  3  - 


nella  più  perfetta  direzione  ,  senza  superstite  storpio 
o  rilevante  disuguaglianza  e  prominenza.  Dal  che 
l' a.  deduce  1'  esaltezza  del  metodo  operatorio  ,  non 
che  la  felice  applicazione  e  riuscita  di  appropriato 
macchinismo. 

Tanto  basti  alla  notizia  delle  ossa  pompejane ,  e 
delle  ricerche  alle  quali  il  loro  studio  può  dare  ar- 
gomento. Noi  siamo  lieti  che  la  più  interessante  rac- 
colta di  antichi  ossami  siasi  falla  la  prima  volta  fra 
noi ,  e  che  già  un  uoslro  dolio  concittadino  abbiala 
sottomessa  a  scientifiche  considerazioni.  D'oggi  in- 
nanzi si  aprirà  un  novello  campo  d' indagini  altresì 
agli  archeologi ,  fondale  sulla  conoscenza  delle  anti- 
che ossa:  ed  ognun  vede  come  questa  conoscenza 
possa  tornar  vantaggiosa  alla  storia ,  alla  etnografia  , 
e  (manco  a  studiare  i  costumi  delle  spente  popolazio- 
ni. Dal  che  vuoisi  dedurre  un'  altra  pruova  della  con- 
catenazione strettissima  delle  umane  cognizioni  ;  men- 
tre quelle  che  sembrano  esser  fra  loro  più  disparale 
e  disgiunte  presentano  di  falli  tali  punti  di  connessio- 
ne, che  devono  riputarsi  di  vicendevole  utilità  a  con- 
correre a'  progressi  dello  scibile  umano. 

Minervini. 


Bassorilievo  in  marmo  greco  presso  i  signori  Ciccarclli 
di  S.  Maria. 

Nella  tavola  prima  fig.  1 .  presentiamo  la  incisione 
di  un  bellissimo  bassorilievo  (alto  pai.  1,  5)  posse- 
duto da' signori  Ciccarelli  di  S.  Maria,  i  quali  gen- 
tilmente permisero  che  rilrar  ne  facessi  un  accurato 
disegno.  Da  esso  ,  e  più  dall'  originale ,  si  rileva  che 
questo  monumento  è  per  arte  pregevolissimo  ;  e  ri- 
manghiamo  sorpresi  come  la  deslra  mano  della  figu- 
ra alata,  e  la  sinistra  dell'altra  non  presentino  il  me- 
desimo sapere  e  la  medesima  accuratezza  di  esecu- 
zione osservabile  in  tutto  il  rimanente  :  il  che  non  fu 
taciuto  da  altri  che  prima  ne  ragionarono. 

Pria  di  dir  poche  cose  sul  prezioso  marmo  de' si- 
gnori Ciccarelli  ricorderò  che  il  dottissimo  Mazzoc- 
chi ne  fé  più  volte  menzione,  e  nello  spicilegio  biblico 


(Ioni.  I  pag.  151  not.  2),  e  nella  sua  opera  sull'an- 
filealro  Campano  (in  multi.  Camp.  Amphilh.  titulmn 
pag.  149  not.  90  ed.  sec),  e  finalmente  nel  secondo 
volume  de' suoi  opuscoli,  che  rimane  tuttora  inedito; 
sebbene  prossimo  ad  esser  pubblicalo  per  cura  della 
reale  Accademia  Ercolanese  (opuscul.  collect.  altera 
voi.  II  p.  51,  vedi  la  noia  23  del  Cala).  Quel  sommo 
filologo  credè  di  ravvisare  la  Pitia  colla  lira ,  ovvero 
la  Sibilla,  presso  la  delfica  cortina,  cui  1' alata  figura, 
della  quale  non  determina  l'attribuzione,  sparge  nella 
patera  l'acqua,  come  indizio  della  idromanzia. 

Non  è  dubbio  per  noi  che  nella  figura  colla  cetra 
debba  ravvisarsi  il  Pitio  Apollo  nella  solila  stola , 
della  quale  diceva  Tibullo  ima  videbaiur  lalis  illu- 
dere palla  (  lib.  Ili  eh  4 ,  35  ).  Né  diversamente  Pro- 
perzio :  Pythiusin  longa  carmina  veste  sonat  (lib.  II, 
el.  31  ,  15).  Frequentissimi  sono  i  monumenti  che 
in  tal  modo  rappresentano  il  dio  de'  vaticinii ,  ed  ol- 
tre quelli  citati  dal  Mùller  (  Handbuch  der  Archaeol. 
§  351  pag.  545  pag.  e  seg.  edit.  Welcker),  son  da 
vedere  le  cose  notate  dal  eh.  Gerhard  alle  tav.  XXIII 
a  XXX  dell'  Auscrles.  griech.  Vasenbilder:  e  noi  stessi 
un'altro  esempio  neaggiugnemmo  col  pubblicare  un 
bel  vasellino  nolano,  forse  proveniente  ancor  esso  da 
S.  Maria,  ove  si  vede  egualmente  Apollo  con  lunga 
tunica  manicata,  a  cui  fa  libazione  una  femminile  fi- 
gura (  bullelt.  arch.  di  Avellino  an.  VI.  pag.  52.  cf. 
tav.  II  n.  5  ,  6). 

Anche  l'acconciatura  de' capelli  è  propria  e  par- 
ticolare di  Apollo  :  e  noi  rimandiamo  a  quel  che  di- 
cemmo nel  secondo  anno  di  questo  bulletlino  p.  C6, 
ed  alle  più  estese  ricerche  del  Raoul-Rochette  (quesl. 
del  l  hhloire  de  Vart.  pag.  1 93  e  segg.  della  ediz.  in 
4).  Soltanto  mi  piace  di  aggiugnerc  a  questo  pro- 
posito ,  che  1'  Apollo  del  bassorilievo  Capuano  pre- 
senta un  altro  confronto  all'Apollo  pompejano  di 
bronzo  ,  di  cui  allora  favellammo  ;  offrendoci  egual- 
mente la  copiosa  chioma  ravvolta  intorno  al  cordone 
che  ne  cinge  la  testa.  La  quale  particolarità  ,  in  modo 
più  somigliante  alla  statua  pompejana  ,  si  osserva 
pure  nella  prolome  apollinea  delle  belle  medaglie  della 
famiglia  Pomponia,  al  rovescio  dellTIERCVLES  M V- 
SARVM,  ed  in  altri  denarii  (vedi  Cavedoni  raggua- 


4 


(jlio  de  precip.  ripostigli  p.184,  s.  )  Ma  non  è  questo 
il  luogo  di  ragionare  più  distesamente  di  quel  pre- 
gevole bronzo ,  di  cui  dovremo  parlare  in  altro  no- 
stro lavoro ,  esaminando  le  idee  emesse  ancora  da' 
chiarissimi  nostri  colleglli  comm.  Quaranta  ,  e  cav. 
Finali;  il  primo  de'  quali  ne  tenne  discorso  in  una 
memoria  letta  alla  reale  Accademia  Ercolanese,  ed  il 
secondo  nella  illustrazione  alla  tav.  XXXIII  del  voi. 
XV  del  real  museo  Borbonico,  ove  il  monumento  vedesi 
per  la  prima  volta  pubblicato  ;  sebbene  in  tal  guisa 
che  fa  desiderare  una  seconda  pubblicazione.  Tor- 
nando all'Apollo  del  bassorilievo  di  Capua  ,  è  ben 
conosciuto  cbe  il  delfico  dio  offriva  non  poco  delle 
forme  dell'acconciatura  e  degli  ornamenti  femmini- 
li ;  su  di  che,  oltre  il  Visconti  (mus.  Pio-Clem.  toni. 
III.  tav.  XXXIX  pag.  50),  veggasi  pure  il  dottis- 
simo Borghesi  dee.  XIV,  3 ,  e  ciò  che  scrisse  ulti- 
ma menle  il  eh.  Cavedoni  sopra  alcune  monete  de' 
Delfi  confrontate  con  le  analoghe  de'  Focii ,  nel  bul- 
letlino  dell'  Ist.  di  corr.  arch.  1833.  pag.  93.  e  seg. 
E  che  sia  nel  monumento  Capuano  figuralo  appun- 
to il  Delfico  Apollo  rilevasi  pure  dall'  omphalos  co- 
perto di  un  particolare  ornamento ,  sul  quale  mol- 
te coDghielture  furono  presentate  dal  Mazzocchi  (o- 
pusc.  voi.  II.  pag.  52)  :  ma  noi  non  vorremmo  con 
quel  gran  filologo  riconoscere  in  quelle  tre  lacinie 
la  pelle  del  serpente  Pitone;  e  piuttosto  vi  ravvise- 
rò larghe  tenie  messe  a  fregiare  quel  simbolo  del 
delfico  oracolo  (ofxfpaXos  rsraiviu>iAs'vos).  Veggasi  a  tal 
proposito  ciò  che  scrissero  copiosamente  il  Brondt- 
sted  voyag.  et  recherch.  dans  la  Grece,  voi.  I  p.  117 
e  seg.  ,  il  Passow  Archàolog.  und  Kunsl  p.  158;  il 
Raoul-Rochette  mori.  inéd.  p.  188,  ed  il  Mùller.4e- 
schglos  Eumeniden  p.  101.  Non  posso  tralasciare,  a 
compiere  la  illustrazione  di  questa  prima  figura  del 
capuano  bassorilievo,  una  osservazione  che  la  numi- 
smalica  di  quella  città  offre  un  vicino  confronto  al- 
l'Apollo  de' signori  Ciccarelli.  Di  falli  incontriamo  in 
una  medaglia  la  testa  di  Apollo  nel  ritto ,  ed  al  rove- 
scio la  lira  (Carelli  tab.  LXIX,  ll,p.20, 15:  Fried- 
laender  Osk.  Miinzen  tav.  Ili  n.  25):  esarà  interes- 
anle  il  vedere  la  medesima  delfica  divinità  effigiata 
in  un  pubblico  monumento ,  e  nel  bassorilievo  che 


può  considerarsi  come  una  privala  offerta.  Intanto  non 
sarà  fuor  di  luogo  l'avvertire  che  latesla  dell'Apollo 
nella  medaglia  è  laureata ,  mentre  nel  bassorilievo 
presenta  un'acconciatura  che  si  assomiglia  alle  più 
arcaiche  immagini  di  quel  dio  ;  dalle  quali  può  cre- 
dersi derivala. 

Ma  chi  dovrà  ravvisarsi  nell'alata  figura  cbe  fa  li- 
bazione ad  Apollo?  Senza  alcuna  difficoltà  dovrà  in 
essa  riconoscersi  la  Vittoria,  la  quale  è  qui  sostituita 
alla  più  comune  figura  di  Diana ,  solita  a  vedersi  in 
simile  atteggiamento  in  numerosi  esempli,  ed  in  mo- 
numenti di  diverso  genere.  Non  parmi  pertanto  che 
la  libazione  ovvia  in  simili  rappresentanze  alluda  , 
siccome  pensa  il  Mazzocchi ,  alla  idromanzia.  Parmi 
piuttosto  che  voglia  accennarsi  al  ritorno  di  Apollo 
dopo  la  uccisione  del  serpente  Pitone ,  quando  egli 
prende  possesso  del  delfico  oracolo.  Questo  ufficio 
ben  si  commelle  frequentemente  alla  sorella  ed  alla 
madre;  ma  più  risulta  evidente  sul  nostro  monumento, 
in  cui  la  libazione  viene  al  dio  dalle  mani  della  Vit- 
toria, e  succede  presso  V  omphalos.  Sicché  larappre- 
senlanza  del  bassorilievo  di  Capua  esprime  una  scena 
precedente  a  quella  effigiata  in  una  bella  medaglia  di 
argento  di  Delfi  ,  ove  Apollo  slolato  già  siede  sopra 
l' omphalos  ,  appoggiandosi  alla  cetra  ,  eh'  è  presso  il 
fatidico  tripode  (trésor  de  num.  gal.  myth.  pi.  XXXIII 
5.  Veggasi  il  eh.  Cavedoni  spie.  num.  pag.  79.  cf. 
annali  dell' Ist.  1847  pag.  365,  e  bullelt.  1853  pag. 
96).  Nello  stesso  senso  dee  credersi  aggruppalo  e- 
gnalmente  Apollo  colla  Vittoria  in  alcune  medaglie 
di  Commodo,  ov'è  figurato  Y  Apollo  Palalinus  (Ec- 
khel  doclr.  num.  tom.  VI  pag.  94,  107;  tom.  VII. 
pag.  124).  Non  mancherò  da  ultimo  di  notare  che 
la  Vittoria  aveva  pure  in  Capua  un  particolare  culto, 
e  probabilmente  anche  un  tempio:  il  che  viene  altresì 
comprovato  da'  tipi  di  due  capuane  medaglie  (  Cicer. 
de  divin.  I,  43.  cf.  Raoul-Rochette  fouillcs  de  Capoue 
p.  25  e  97).  Sicché  entrambe  le  divinità  effigiale  nel 
bassorilievo  de' signori  Ciccarelli  erano  venerate  nel 
sito ,  ove  esso  fu  rinvenuto. 

Intanto  il  confronto  delle  medaglie,  ove  compari- 
sce Y Apollo  Palalinus,  può  farci  per  avventura  in- 
dagare a  quale  scuola  appartenga  il  gruppo  di  S.  Ma- 


ria.  Sappiamo  in  fatti  da  Plinio  che  V  Apollo  Palati- 
mis  era  lavoro  di  Scopa  (lib.  XXXVI,  25).  Orse 
dalle  monete  rileviamo  la  gran  somiglianza  di  quella 
statua  col  nostro  bassorilievo  ,  non  sarà  improbabile 
il  supporre  che  sia  in  esso  conservato  un  prodotto 
della  scuola  di  quel  celebre  scultore  ,  o  almeno  una 
nobile  imitazione  di  quella  rinomata  sua  opera.  Ri- 
serbando ad  altro  tempo  una  più  ampia  discussione 
su  questo  argomento  ,  rimandiamo  per  ora  a  quel  che 
ha  scritto  di  Scopa  e  delle  sue  opere  il  eh.  sig.  dottor 
Brunn  nella  sua  recente  ed  interessante  Geschichteder 
Griechischen  Kunsller ,  voi.  I  p.  318-333  :  ove  a  p. 
319  parla  dell'Apollo. 

MlSERVIXI. 


Terrecotte  scoverte  in  vicinanza  di  Atri,  nella  provin- 
cia del  l.°  Abruzzo  Ulteriore. 

Dobbiamo  all'  egregio  sig.  Gabriello  Cherubini  la 
notizia  di  alcune  terrecotte  scoverte  non  ha  guari  nel 
piccolo  villaggio  di  5.  Romualdo  presso  Atri.  Si  vi- 
dero esse  uscir  fuori  in  buon  numero  ed  a  poca  pro- 
fondità in  un  terreno  del  sig.  Forcella.  Molle  ne  fu- 
rono spezzale  e  distrutte  dalla  ignoranza  de'contadini; 
ma  fortunatamente  il  sig.  Cherubini  pervenne  a  sal- 
varne una  parte ,  ed  è  quella  appunto  che  forma  il 
soggetto  della  presente  notizia.  Sono  esse  varie  sta- 
tuette frammentale  tra  le  quali  una  lenente  un'  oca 
col  destro  braccio  (forse  una  Proserpina);  quattro  pic- 
coli buoi  sopra  basi  ;  uu  cinghiale  parimenti  sopra 
una  base  ;  varie  leste  femminili  velate  ;  un  fallo  ;  un 
unguentario  ;  piedi  con  calzari  di  naturale  grandez- 
za ;  mani  variamente  atteggiate  ;  gambe  nude  o  ve- 
stile ;  e  tulio  poi  ricoperto  di  una  rossa  lucentissima 
vernice.  Il  sig.  Cherubini  avverte  ancora  che  fre- 
quentemente si  ritrovarono  nel  medesimo  sito  le  fi- 
gure bovine,  molte  delle  quali  furono  rotte  e  distrutte 
dagli  imperiti  lavoratori.  Osserva  ,  in  quanto  alle  u- 
mane  membra  ,  eh'  esse  non  sembrano  aver  mai  ap- 
partenuto a  statue  ,  ma  che  fossero  destinale  a  star 
da  se:  nella  quale  idea  gli  ricorrono  giustamente  al 


pensiero  gli  ex  volo  tanto  frequenti  nell'antichità.  Ri- 
cordando poi  una  simile  scoperta,  avvenuta  da  molti 
anni  in  quelle  vicinanze ,  di  numerose  terrecotte  te- 
ste ,  braccia  ,  mani ,  eie.  insieme  stivale  ,  pensa  che 
questi  differenti  deposili  appartenessero  per  avventura 
a  qualche  tempio ,  ove  prima  avevano  figurato  come 
offerte  ,  e  poscia  erano  stale  gettate  nelle  circostanti 
fosse  ,  che  ,  come  è  nolo  ,  venivano  denominate  fa- 
vissae  (  Geli.  II,  10  :  vedi  il  giorn.  arcad.  tom.  II  p. 
119.  s.  ).  Questa  ingegnosa  opinione  merita  di  esser 
fecondata  :  e  sarebbe  utile  il  ricercare  se  in  quei  din- 
torni si  trovi  effettivamente  la  traccia  di  qualche  sacro 
edifizio,  senza  di  che  uon  potrebbe  oltrepassare  il  va- 
lore di  una  probabile  conghiettura.  Noi  inviliamo  lo 
stesso  signor  Cherubini  a  proseguire  le  sue  osserva- 
zioni,  e  gli  saremo  gratissimi  di  qualunque  ulteriore 
notizia  e  comunicazione.  Inlanto  sin  da  ora  vogliamo 
richiamare,  come  un  interessante  confronto  per  que- 
sti depositi  di  lerrecotle,  la  grandissima  quantità  rin- 
venutane inS.  Maria  in  un  fondo  de' signori  Pattorelli, 
della  quale  ragionammo  pure  nel  secondo  anno  di  que- 
sto bulletlino  p.  160,  185.  Ora  aggiugniamo  che  fra 
esse  veggonsi  pure  alcune  parti  del  corpo  umano,  che 
servirono  di  ex  volo.  Ed  è  notevole  che  quelle  fosse, 
nelle  quali  sono  raccolte,  trovansi  appunto  intorno  al 
recinto  di  un  sacro  edifizio  ,  come  fu  da  noi  in  quel 
medesimo  luogo  avvertilo.  Sarebbe  intanto  deside- 
revole  che  anche  in  S.  Maria  nuove  ricerche  e  nuove 
scavazioni  ci  mettessero  al  caso  di  ragionarne  con 
quella  esattezza ,  che  in  simili  investigazioni  si  ri- 
chiede. 

Il  sig.  Cherubini  ci  avverte  che  nello  stesso  villag- 
gio di  S.  Romualdo  appajono  grossi  macigni  poligo- 
ni ,  parli  di  forte  costruzione  ,  ma  dubita  se  possa 
credersi  quel  sito  uell'  ambito  dell'  antica  Hadria. 
Ma  a  me  sembra  che  non  possa  dubitarsene,  essendo 
cerio  che  per  varie  miglia  si  veggono  tracce  delle  an- 
tiche mura ,  e  delle  porte  della  città  ;  siccome  venne 
osservato  dal  Romanelli  (topogr.  t.  Ili,  p.  311  ). 


MlXERVIM. 


—  6  — 


Iscrizioni  Ialine. 


1. 


DM- 
TI  •  IVLIVS    FORTVNA 
TVS  •  SIBI  •  ET  •  CLODIAE 
FELICISSIMAE  •  COIVGI 
SVAEFEC  ETLIB  LIBERTA 
BVSQ  .  SVIS    DE 

Anche  questa  proviene  da  Pozzuoli  ,  o  da' luoghi 
vicini.  Nuova  ci  sembra  la  Corniola  finale  DE,  ove, 
ognuno  avrebbe  atteso  D  •  S  ,  De  Suo. 


DM- 
L      LOL  •  SEVERO  ■  EVSEBIO 
QVI  VIX  ANN  ■  V  M  •  IIII  •  D  ■  UH 
L-LOL  SEVERVS  ETOTACILIA 
APOLLONIAFILDVLCISSIMO- 
BENEMERENTI   ■   FECERVN 

Questa  iscrizione,  a  noi  comunicata  dal  sig.  Arcan- 
gelo Bruschi,  precede  l'altra  da  noi  innanzi  pubbli- 
cata (bullett.  arch.  n.  s.  an.  II  p.  Ili  n.  21);  ed  ap- 
partiene forse  allo  stesso  sepolcro  di  famiglia.  Di  fatti 
L.  Lollio  Severo  pone  in  essa  quella  memoria  ad  O- 
tacilia  Apollonia  Marcella  sua  moglie,  dopo  che  en- 
trambi ebbero  la  sventura  di  perdere  il  loro  piccolo 
fifiliuolino  Eusebio. 


D     •     M  • 
Q  •  VALERIO  •  FELICI 
VETERANO  ■  COIIOR 
X  PR     PATER  FECIT 
B  •  M     SED  •  1S  •  MIHI 
DEBVIT  •  FACERE  .  QVAM 
SENECTAE  •  MEAEDOLVM 
RELINQVERE 


Trovasi  non  poche  volte  nelle  nostre  iscrizioni  ram- 
mentata la  decima  coorte  pretoria ,  e  molli  esempli  se 
ne  riportano  nella  raccolta  del  eh.  Mommsen  (  inscr. 
r.  neap.  lai.  n.  2845,  2852,  3994,  4326,  6346). 
Bella  è  la  conchiusione  della  epigrafe ,  colla  quale  il 
padre  di  Valerio  Felice  si  lagna  di  essergli  sopravvis- 
suto: il  che  è  pur  frequente  nelle  iscrizioni.  Ma  non- 
dimeno notevole  ci  sembra  e  forse  nuova  la  signifi- 
cazione della  voce  dolus,  siccome  trovasi  nella  no- 
stra epigrafe  adoperata.  Di  fatti  non  sembra  applica- 
bile al  sentimento  dell'  afflino  padre  la  intelligenza 
di  frode ,  o  d' inganno  ;  che  non  ha  nulla  che  fare 
colla  perdita  del  figlio.  All'  opposto  il  significato  di 
dolore ,  e  di  afflizione  è  più  conveniente  alla  circo- 
stanza: e  ci  sembra  probabile  che  la  voce  dolus  fosse 
ancora  adoperata  per  dolor  ;  essendone  anche  giusta 
e  regolare  la  derivazione  dal  verbo  doleo.  Ciò  potreb- 
be appoggiare  la  opinion  di  coloro,  che  la  medesima 
origine  riconobbero  nelle  voci  dolor  e  dolus  ;  essen- 
do io  quest'  ultima  la  inlelligenza  di  cosa  nociva  e 
perciò  spiacevole  (vedi  Dòderlin.  Syn.  I.  pag.  119. 
coli.  Ili  pag.  217). 

Questa  iscrizione,  proveniente  pur  da  Pozzuoli,  fu 
da  noi  osservata  presso  il  negoziante  di  antichità  sig. 
Raffaele  Barone. 

4. 


/ 
D     • 

/ 
M  • 

ORIENS 

■  AVG 

VERNA 

VIX  •  ANN 

•XLVII 

Questa  iscrizione  ,  rinvenuta  ultimamente  in  Sor- 
rento ,  ci  è  stata  comunicata  dal  eh.  sig.  Giuseppe 
Fiorelli.  È  notevole  unicamente  per  gli  apici,  i  quali 
trovandosi  finanche  sulle  consonanti,  si  mostrano  messi 
senza  una  particolare  ragione  ,  ma  per  mero  orna- 
mento. Su  questi  segni  vedi  le  cose  raccolte  dal  Kel- 
lermann  pubblicate  dopo  la  sua  morte  dal  eh.  pro- 
fessore Jahn  {specim.  epigraph.  p.  103,  e  segg.  ). 

5. 

Non  sarà  discaro  che  io  riferisca  un  frammento  da 
me  osservato  alcun  tempo  fa  presso  il  sig.  Barone  : 


—  7  — 


esso  è  in  lellere  piuttosto  grandi ,  e  veggonsi  incisi  i 
caratteri  in  una  lastra  di  marmo.  Il  frammento  è  il 
seguente,  e  sembra  parte  di  una  importante  iscrizione, 
la  quale  sventuratamente  ci  ostata  rapita. 


rivandone  la  nota  famiglia  Aiania.  Un  simile  nesso  è 


poco  dopo  adoperato  nel  T 
tamente  al  nome. 


F,  che  segue  immedia- 


VLLI  LATI?  •  HOC  

MANV  •  VLLIVS  HOI 

••■  SACERDOTALIBVS  •  MIL  

•  EXEMPTVM  SACRARVML1T-- 

NATIONIS  QVI  M  ■  HABV  ■••• 

•••  VT  RELIGIONI  SATISFIAT 

•1NEVM  CVMTR  AM 

•  RATION 

La  iscrizione  è  troppo  monca,  perchè  tentar  sene 
possa  un  probabile  supplimento.  Ci  asterremo  per- 
ciò da  qualunque  conghietlura,  e  saremo  unicamente 
contenti  di  offrire  il  frammento  allo  studio  de'  dotti  : 
non  essendo  neppure  impossibile  che  un  giorno  reg- 
gasi compiuta  la  epigrafe ,  o  almeno  in  parte  restau- 
rata, per  la  scoverta  di  qualche  altro  frammento. 


6. 


VASP. 
T  •  AINIVS  TF  (mon.)FIR 

Questa  iscrizione  si  legge  sopra  di  un'anfora  fram- 
mentata ritrovata  alle  vicinanze  di  Atri.  Essa  ci  è  stata 
comunicata  dall'  egregio  sig.  Gabriello  Cherubini  di- 
ligente investigatore  delle  antichità  del6uo  natio  pae- 
se. Nelle  lettere  VASP  ■  noi  leggiamo  Vinum  aspe- 
rum  ,  opposto  a  lene  (  vedi  Seneca  ep.  36  ,  Terent. 
Heautont.  111,1,49).  Plinio  annovera  fra' vini  generosi 
quello  di  Adria ,  sebbene  s' intenda  da'commentatori 
dell'Adria  veneta  (nal.  hist.  lib.  XIV  seg.  8).  Ed  A- 
teneo  più  distesamente  ne  favella  in  tal  guisa  :  6  b\ 
'A'Sjua.tòs  xaXoviJLiifOS  suttvous,  a' xvoSgtos  ,  aXt/Tos  rò 
trt'voXoK,  e  lo  pone  fra'  vini  che  han  bisogno  di  per- 
dere la  troppa  forza  (deipn.  lib.  I  pag.  33).  Alvino 
di  Adria  accenna  pure  Dioscoride  5.  Segue  il  nome 
del  possessore  T.  Ainio  Firmo ,  se  pure  non  voglia 
supporsi  un  nesso  di  A  ed  N  nella  terza  lettera,  de- 


Le  seguenti  iscrizioni  sono  già  una  sola  volta  puh- 
blicate  nel  rendiconto  della  reale  Accademia  Ercota- 
ncsc.  Non  sarà  dunque  mal  fatto  riprodurle  in  questo 
luogo,  per  proccurarne  la  diffusione,  ora  special- 
mente che  si  prepara  la  grande  collezione  di  tutte  le 
iscrizioni  latine  in  Berlino;  essendone  affidata  la  cura 
ad  uomini  capacissimi ,  tra'  quali  citeremo  i  signori 
Henzen ,  Mommsen ,  Ritschl  per  la  Germania,  ed  in 
Italia  il  cav.  de  Rossi  (1). 

Nell'estratto  di  una  mia  memoria  sulla  iscrizione 
di  Ottavio  Agatopode  ,  notevole  per  varie  particola- 
rità ,  e  segnatamente  per  la  memoria  di  un  consolato 
del  41  dell'era  volgare  {rena.  eh.  p.  1 1  Nov.  1S51 
p.  25  ) ,  che  noi  però  tralasciamo,  perchè  già  trovasi 
nella  grande  raccolta  del  Mommsen  (n.  7225  ),  ri- 
portasi l'altra  epigrafe  di  L.  Fulvio  Gavio  Emiliano 
posseduta  dal  sig.  Teti  in  S.  Maria,  la  quale  qui  ri- 
produciamo, sebbene  sia  edita  dallo  stesso  eh.  Momm- 
sen (n.  360Ì),  per  far  conoscere  i  supplementi  pro- 
postine dal  dottissimo  Borghesi  (  rend.  cil.  p.  27  ). 

L  •  FVLVIO  •  GAVIO  •  Nummo 
AEMILIANO  •  COS  .  Salio.  coli. 
PONTIF  •  ELECTO  •  AB  .  OPtimo  fmp. 
ALEXANDRO  •  AVG  •  ad  ■  ius.  die 
PER  •  REGIONEM  •  TRAnspadanam 
PRAET  •  CAtidid  •  melario 
LVGDVNENses 

Osserva  il  Borghesi  che  la  dedica  fatta  da'  Lione- 
si  ad  Emiliano  accresce  un  fondamento  per  opinare 
che  la  sua  famiglia  fosse  di  quella  città,  del  che  ave- 

(l)  Perchè  non  resti  un  equivoco  intorno  ad  altra  iscrizione  da 
noi  pubblicala  (bull.  nap.  n  s.  an.  Il  p.  103  n.  13),  vogliamo 
avvertire  che  il  nome  TAGAENAE  va  letto  LACAENAE ,  siccome 
abbiamo  verificato  ora  che  !»  epigrafe  è  nel  real  Museo  Borbonico: 
e  perciò  non  è  Riversa  da  quella  edita  dal  Mommsen  inscr.  r. 
ruap.  o.  3208. 


—  8^ 


vano  già  suscitalo  sospetto  due  marmi  ivi  esistenti , 
eretti  in  onore  di  altre  persone  della  sua  casa,  e  pub- 
blicati negli  Archives  hisloriques  du  depart.  de  Rhóne 
t.  II  p.  56. 

8. 
Piccola  iscrizione  rinvenuta  in  una  tomba  pu teo- 


lana comunicante  con  quella  di  Ottavio  Agatopode 
(rend.  cit.  p.  28). 

MARIA  •  LIGVSTINA 
VIXIT  •  ANNOS  •  V 


FELICIANVS  DVLCITIA 

IN  CONIVGIO  HIC  •  DEPOSITVS  CONIVGI 

VIXIT  ANNISEST  XII  KAL  •  DECEM  CONTRA 

SEX     D  •  XXV  QVI  •  VIXIT  •  A  •  XXXIII  •  D  •  XXV 

VOTVM  .  FECIT 


Questa  iscrizione,  da  me  veduta  presso  il  negoziante 
di  antichità  sig.  Raffaele  Barone ,  parmi  cristiana ,  e 
senza  dubbio  va  letta  così  —  Felicianus  hic  deposilus 
est  XII  Kal.  Decerti,  qui  vixit  a.  XXXIII  d.  XXV — 
In  coniugio  vixit  annis  sex  d.  XXV —  Dulcilia  con- 
iugi contro,  volum  fecit  (  rend.  cit.  pag.  28  ). 


10. 


In  un'  altra  mia  memoria  sui  monumenti  dell'  an- 
tica Gnalhia  ho  riportalo  le  due  iscrizioni  seguenti. 
La  prima  dice  cosi  : 

d  •  M  • 
•  •   •  TED1VS 
EPAPHRO 
D1TVS   V 

A      XII 

T  •  ELAVIVS  DA 
VS  (sic)   FRBMP 

Me  ne  fu  comunicata  la  copia  dal  sig.  Feliciano 
Adami  (rend.  cil.  pag.  29). 

11. 

Più  interessante  è  la  seconda,  della  quale  mi  inviò 


un  facsimile  il  mio  amico  signor  Luigi  Pepe. 

D     •     M 
L  •  AVD  •  VERVs 
AED  •  I  •  D  •  V  •  a. 
XXX  •  VII 
H  •  S    E 
D  .  M 
L  •  HELVIVS 
VERVS    •    AED 
I  •  D  •  V • A • XXV 

helvia  •  haspa 
sia  •  conivg; 
et  •  filio  •  b  •  m 

Notevole  è  la  menzione  dell'  aedilis  iuridicundo  in 
Gnalhia,  che  assomigliar  mi  fece  la  politica  forma  di 
quell'antico  municipio  in  (empi  romani  a  quella  di 
Arpino,  di  Cere,  di  Lanuvio  e  di  allri,  ne' quali  non 
dovettero  esservi  magistrati  superiori  all'  Edile.  Ma 
non  è  qui  il  luogo  di  entrare  in  lunga  discussione,  e 
rimandiamo  a  quel  che  dicemmo  in  breve  nel  citato 
rendic.  pag.  30  e  segg.  ,  e  più  alla  slampa  della  no- 
stra memoria  ,  nella  quale  cercammo  pure  di  conci- 
liare le  varie  opinioni  sul  dictalor  di  alcuni  antichi 
municipi!. 

(Continua)  Minervini. 


Giono  Mineuvini  —  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Catàneo. 


BLLLETTLXO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  52.     (2.  dell1  anno  III.) 


Agosto  1854. 


Le  Plejacli  in  vaso  di  S.  Maria.  —  Lucerna  con  bassorilievi.  —  Satiri  e  Baccanti  in  vaso  dipinto.  —  Nuovi 
acquisti  epigrafici  del  redi  museo  Borbonico. 


Le  Plejadi  in  vaso  di  S.  Maria. 

Dobbiamo  alla  gentilezza  del  sig.  Vetla  il  permesso 
di  far  prendere  il  lucido  di  un  vaso  dipinto  da  lui 
posseduto  ,  e  ritrovalo  in  S.  Maria  a  poca  profondità 
del  terreno.  Noi  ne  abbiamo  data  la  incisione  nella 
nostra  tav.  II.  n.  1,2:  presentando  nel  n.  1  una 
delle  rappresentazioni  nella  grandezza  dell'originale, 
e  nel  n.  2  la  forma  del  vaso  nella  quarta  parte  delle 
sue  dimensioni.  Non  altro  si  vede  in  questo  curioso 
monumento  ,  ultimamente  acquistato  pel  real  museo 
Borbonico,  ebe  sette  teste  femminili  fra'manicbi  con 
simboliche  ramificazioni  e  palmelte  :  una  distinta  in 
una  delle  facce  del  vaso,  e  nella  opposta  faccia  le  altre 
sci  fra  loro  accollate,  e  messe  tutte  in  continuazione. 
Lo  stile  è  piuttosto  rozzo,  e  grossolano  e  poco  accu- 
rata n'è  la  esecuzione;  vedendosi  le  linee,  principal- 
mente de' sei  profili ,  grosse  e  senza  quelle  varietà  di 
chiaroscuro,  che  costituiscono  la  eleganza  dei  contor- 
ni. Quello  che  apparrà  notevole  a  chicchessia,  si  è  la 
cura  eh'  ebbe  l' artista  di  non  ripetere  identicamente 
le  fisonomie  ;  per  modo  che  ben  considerando  si  scor- 
ge la  diversità  a  bello  studio  messa  nel  naso,  nella 
bocca  e  nel  mento  delle  femminili  protomi:  sebbene 
possa  in  tutte  ravvisarsi  un  tipo  comune. 

Volendo  indagare  che  cosa  siesi  voluto  indicare  con 
queste  sette  protomi  insieme  riunite,  mi  si  è  presen- 
tato spontaneamente  al  pensiero  il  coro  delle  Plejadi. 
È  ben  Risaputo  che  queste  figliuole  di  Atlante  (He- 
siod.  op.  v.  383,  572,  6 19)  erano  appunto  selle  Elet- 
tra, Alcione,  Celcno ,  Taiyitc,  Sterope,  Merope,  e 
Maia  (Apollodoro  IH  ,  10  ,  1  :  Timeo,  apud  Schol. 
Hom.  //.  X,  486:  Diodor.  Sicul.  lib.  HI.  e.  LX: 

AKXO  III. 


Plin.  II,  41  ,  eie).  Ora  è  stato  sovente  notalo  che 
sebbene  fossero  sette ,  non  pertanto  sei  sole  ne  appa- 
rivano :  il  che  fé  dire  a  Proclo  ,  che  fossero  effetti- 
vamente sei  (de  sphaera:  vedi  pure  Tzetzeadllesiod. 
Op.  lib.  II.  v.  1  e  segg.  ,  il  quale  parla  lungamente 
delle  Plejadi,  e  nota  che  questa  costellazione  dicevasi 
comunemente  ÉSccWfpov  ).  Notevoli  sono  i  passaggi 
degli  antichi  scrittori ,  che  favellarono  di  questo  va- 
riabile numero  delle  Plejadi.  Cosi  Arato  : 

\itnroiito^oi  ori  fxl  ys  \x.ir  ày^^óvoui  vòiovra.1 
\z,  cii'M  wsp  hvffou  ìiro-^iiiu  rfy'Ùa.\\x.oii'jiY 

[Phaenom.  257 ,  s.  ) 
I  quali  versi  furono  da  Germanico  resi  con  questi 
aliri  : 

Septem  traduntur  numero,  sed  carpitur  una 
Deficiente  oculo  distinguere  corpora  parva. 
Ed  Avieno,  che  più  si  distende  a  parlar  delle  Ple- 
jadi: 

Fama  velus  septem  memorai  genitore  creatas 
Longaevo  :  sex  se  rutila  inter  sidera  tantum 
Sustollunt  (Arat.  phaenom.  577  seg.  ). 
Cosi  pure  Ovidio  (Fastor.  IV  ,  169  ,  s.  ). 
Quae  septem  dici ,  sex  tamen  esse  solent. 
Veggasi  pure  Igino  [ab.  CXCII ,  ed  ivi  le  anno- 
tazioni de' dotti:  cf.  A.  Gellio  noci.  Altic.  XIII  e.  9. 
Di  questa  disparizione  di  una  delle  sorelle  allegano 
gli  scrittori  molte  mitologiche  tradizioni ,  le  quali  si 
trovano  ricordate  principalmente  da  Ovidio,  e  da  A- 
vieno.  Presso  Ovidio  si  riferisce  una  doppia  narra- 
zione ,  o  che  la  Pleiade  ascosa  sia  Merope ,  perchè 
la  sola  che  si  congiunse  ad  un  mortale ,  ovvero  E- 
lettra,  la  quale  veder  non  volle  l'eccidio  di  Troja 
(/.  e.  Y.  1*3 5  seg.).  Lo  stesso  riscontrasi  in  Avieno, 


—  10  — 


sulla  fede  di  Minte,  notandosi  che  Elettra  era  fuggita 
dal  cielo  perseguitata  da  Orione  ;  non  senza  aggiu- 
gnersi  la  menzione  del  suo  lutto  perla  ruinadiTroja, 
e  ciò  che  concerne  Merope  (I.  e.  v.  583  e  segg.  , 
veggansi  ivi  le  note  di  Grozio  Sintagma  Arateor.  p. 
96  ).  Notevoli  sono  i  due  versi ,  ne'  quali  parlandosi 
appunto  di  Elettra,  avverte  il  poeta  (v.  590,  591): 
Nonmtmquam  Oceani  tamen  istam  surgere  ab  undis, 
In  convexa  poli,  sed  sede  carere  sororum. 
Le  cose  finora  raccolte  bastano  a  dimostrare  la 
convenienza  della  proposta  spiegazione.  Così  veggia- 
mo  nel  vaso  di  S.  Maria  sette  sorelle ,  ma  sei  si  veg- 
gono fra  loro  riunite ,  ed  una  in  disparte;  non  altri- 
menti che  delle  Plejadi  fu  detto.  Sicché  in  quella  di- 
stinta e  singolare,  la  quale  caret  sede  sororum,  va  ri- 
conosciuta Merope,  o  piuttosto  Elettra  per  le  ragioni 
che  tra  poco  saranno  da  noi  allegale.  Ma  vi  è  un'al- 
tra osservazione  che  sempre  più  conferma  la  nostra 
spiegazione.  Osserva  Igino  :  Nonnulli  exislimant  ila 
nominalas,  quia  inter  se  coniunclae,  quod  est  plesion, 
ideo  aulem  confertae  sunt ,  ut  vix  numerenlur  (  fab. 
CXCH  ).  Nò  diversamente  si  esprime  Plinio  :  Iam 
Vergilias  in  caeìo  notabiles  caterva  fecerat  (lib.  XVIII 
cap.  XXVII).  Ed  è  per  lo  stesso  motivo  che  Manilio 
le  appella  Pleiadum  glomerabile  sidus  (  Astron.  IV  , 
520).  Dalle  quali  cose  vuoisi  dedurre  che  l'antico 
artista  non  poteva  meglio  esprimere  la  vicinanza  di 
quelle  stelle  informate  dalle  figlie  di  Aliante  che  ef- 
figiandole tanto  strettamente  riunite  ir'krplw  ,  nella 
slessa  idea  del  confertae  di  Igino,  della  caterva  di  Pli- 
nio ,  e  dell'espressivo  glomerabile  di  Manilio. 

Se  la  rappresentanza  del  nostro  vaso  si  manifesta 
affatto  conveniente  alla  spiegazione  propostane,  avuto 
riguardo  alle  sole  artistiche  ed  esterne  forme  di  essa: 
altre  ragioni  ci  persuadono  a  ritenerla  siccome  in 
pieno  accordo  col  monumento ,  in  cui  è  figurata.  11 
mito  delle  Plejadi  è  propriamente  funebre.  Secondo 
il  citato  frammento  di  Timeo ,  le  figlie  di  Atlante 
piangendo  la  morte  del  loro  germano  Iante  (HyasJ , 
furono  trasportate  nel  cielo:  cinque  furon  dette  Iadi 
(Hyades),  le  altre  sette  Plejadi,  e  queste  erano  perite 
gi*i  di  dolore,  quando  furono  messe  fra  gli  astri  (Schol. 
Hom.  //.  %  486).  Da  questa  tradizione  rilevasi  che  la 


idea  originaria  delle  Plejadi  accenna  non  solo  a  fune- 
bre intelligenza,  ma  benanche  a  rigenerazione  ed  a- 
poteosi.  E  così  appunto  a  noi  le  presenta  Diodoro  quasi 
per  la  loro  virtù  fatte  degne  della  immortalità,  e  della 
celeste  dimora  (III,  10,  1  ).  Avuto  riguardo  alla  sua 
importanza,  vogliamo  riferir  per  esteso  l'intero  pas- 
saggio di  questo  scrittore  :  AfoVsp  ov  ixóyov  ir%p'  hiotS 
Twc  J3apj3apa>v ,  àXXà  xcù  Trapà  ro7i  EXX^ffj  rovi 
vr'ksHirous  fóuv  xpxouQTwrujv  rpujwv  sìs  Toivra.5  àm- 
tyhw  tÒ  yivos.  'Tropea/  S' cuiràs  x%\  ffwtppovas  &<a- 
tp~póvru>s ,  xoù  (Airù.  rry  fiXivrvy  rux/iv  ctSavarou 
rnirfi  irv.p  àvBpunrois  xoù  xaOioptffis/ffaS  ìv  rw~  xi<S\uS' 
x%\  rr~  tcuy  TVku%&u>Y  TrpoSrjyop/a  ^rspiX^Sf/ffa?. 
'E*Xyj97)<ray  Sì  <xi  'AtXcm"t7&S  xoù  yv{).§'M  <$<à  to  roùs 
lyX.wpiovi  xoiYr\  ras  ywxlxatS  vvixtyctS  orpofa.yopsvuY. 
Probabilmente  per  questa  funebre  idea  immaginò  Q. 
Smirneo  che  le  Plejadi  insieme  colle  Ore  e  coli'  Au- 
rora piangessero  l'ucciso  Mennone  (posthom.  II,  605). 
Questo  primo  rapporto  delle  Allantidi  vale  a  spiegar 
la  scella  della  loro  effigie  sopra  un  monumento  di  fu- 
nebre destinazione. 

Né  in  qualunque  caso  dovrebbe  far  maraviglia  la 
immagine  di  divinila  cosmiche  (  Guigniaut  relig.  de 
l'antiq.  al  n.  463),  le  quali  hanno  un  principale  po- 
sto fra  gli  astri ,  e  che  per  la  divisione  dell'  anno , 
pe'  solari  rapporti ,  per  la  loro  influenza  su'  frutti 
della  terra ,  e  sull'  agricoltura  (  Salmas.  plin.  exerc. 
p.  509  e  522-527),  furono  dall'  antichità  in  par- 
ticolare modo  considerate.  Per  nulla  dire  che  Proclo, 
nel  suo  comento  ad  Esiodo  (op.  1.  e.)  ,  nota  esser  le 
Plejadi  le  anime  delle  sfere  de'  varii  pianeti  :  il  che 
darebbe  loro,  secondo  l' antichità,  una  tolale  influenza 
sulle  umane  cose.  Ma  questa  idea ,  dovuta  per  av- 
ventura a'  Platonici  ed  alla  scuola  alessaudrina  ,  non 
va  forse  citata  nella  presente  ricerca. 

Non  parmi  neppure  da  omettere  la  tradizione,  at- 
tribuita a  Ferecide,  che  fossero  le  Plejadi  riputate  fi- 
glie di  Licurgo  e  nutrici  di  Bacco,  e  perciò  fatte  de- 
gne del  cielo  insieme  colle  Iadi ,  che  pur  si  ebbero 
lo  stesso  ufficio  presso  il  fanciullo  Dioniso  (Germa- 
nie Schol.  ad  v.  244  e  seg.  :  vedi  Creuzer  Symbo- 
lik  voi.  IV.  p.  14,  3  ediz. ).  Una  tale  mitica  narra- 
zione attribuisce  alle  Plejadi  la  intelligenza  mistica  e 


—  ti  — 


dionisiaca.  Sicché  per  lutti  i  modi  considerate  le  Ple- 
iadi, o  che  sieno  le  Atlanlidi,  o  le  figliuole  di  Licur- 
go, nella  loro  intelligenza  funebre  ,  e  di  apoteosi ,  o 
nella  significazione  cosmica,  o  finalmente  nella  misti- 
ca e  dionisiaca  relazione ,  ben  si  rattrovano  sul  vaso 
dell'  antica  Capua  ,  di  cui  ragioniamo. 

E  qui  mi  sia  lecito  ancora  fare  una  ullima  avver- 
tenza. Già  notammo  di  sopra  che  fralle  Plejadi  Elettra 
compariva  in  disparte  dalle  sorelle  ;  e  che  probabil- 
mente nella  testa  singolare  e  distinta  doveva  ricono- 
scersi quella  appunto  piuttosto  che  Merope.  Voleva- 
mo accennare  alla  popolare  credenza  che  Capua  avesse 
a  fondatore  il  Irojano  Capi  (  Raoul-llochette  fouilks 
de  Capoue  p.  5:  cf.  Klausen  Aeneas  und  die  Penateti 
t.  II  p.  1 1 14  ,  2344  e.  ).  Ora  è  risaputo  che  Elet- 
tra, una  delle  Plejadi ,  con  Giove  procreò  Dardano 
(Apollod.  Ili,  12  ,  1  ).  Era  dunque  un  culto  in  Ca- 
pua conveniente  quello  prestato  alla  Ninfa  ,  da  cui 
provenne  il  fondatore  mitico  della  Dardania;  mentre 
era  in  Capua  volgare  la  opinione  delle  colonie  frigie 
ed  atlantiche  (  vedi  pure  Jannelli  tei.  Oscor.  inscript. 
p.  20). 

In  quanto  ai  monumenti,  che  rappresentano  le 
Plejadi ,  osservo  che  Omero  nel  descrivere  lo  scudo 
di  Achille,  fragli  altri  astri,  fa  menzione  altresì  di 
quella  costellazione  (//.  X  ,  480).  Ma  non  si  rileva 
dalla  narrazione  del  poeta ,  se  fossero  figurate  sotto 
una  particolare  personificazione  ,  ovvero  a  foggia  di 
stelle  :  siccome  nel  zodiaco  egiziano  puhblicato  nel 
voi.  IV  della  descript,  de  l'Egyple  pi.  21,  e  riprodotto 
nell'opera  del  Creuzer  dal  sig.  Guigniaut  relig.  de 
V  anliq.  pi.  L  n.  193.  Lo  stesso  dee  dirsi  della  pit- 
tura descritta  dal  giovine  Filostrato  (imag.  XI,  6), 
della  quale  non  possiamo  formarci  una  precisa  idea. 
Tra' monumenti  tuttora  esistenti  havvene  un  solo  che 
sia  stato  riferito  alle  Plejadi  ;  ed  è  il  cratere  ove  fu 
da  alcuno  ravvisato  Dioniso  tauriforme  nella  sua  so- 
lare intelligenza  ,  che  guida  le  Plejadi  :  mentre  altri 
vi  riconobbero  il  Minotauro ,  che  trascina  le  giova- 
ni Ateniesi  per  immolarle  (  Guigniaut  1.  e.  pìanches 
CXXVII  n.  402,  ed  expìicat.  p.  192).  Noi  non  ci 
fermiamo  a  discutere  queste  diverse  spiegazioni;  per- 


chè quel  monumento  è  slato  riconosciuto  per  lavoro 
moderno  ;  e  perciò  non  può  entrare  nelle  archeolo- 
giche ricerche  (Muller  Handb.  §  400  not.  4  p.  050 
ed.  Welcker  ).  Restano  soltanto  le  immagini  dello 
Plejadi  tratte  da  un  antico  manoscritto  di  Germanico, 
e  pubblicale  accuratamente  da  Grozio  (  Syntagma 
Arateorum,  v.  Germanici  Aratea  ib.  p.  43) ,  il  quale 
avverte:  Imaginesex  manuscripii  fide  excudi  fecimus, 
ad  quas  notas  eliam  conscripsimus  quas  infra  reperies 
(  not.  ad  German.  phaenom.  p.  2.  )  ;  e  poco  innanzi 
parlando  delle  medesime  ,  osserva  :  quas  (imagines) 
quamquam  anliquitatis  nomine  et  schematum  vclusto- 
rum  expressione ,  aliisque  de  causis  non  levibus ,  sum- 
mopere  venerer  eie.  (ib.  p.  30).  Queste  cose  abbiamo 
voluto  richiamare  per  far  rilevare  quanta  importanza 
debba  metlersi  alle  immagini  delle  Plejadi  effigiale  iu 
quell'  antichissimo  manoscritto.  Ora  è  notevole  che  le 
Atlanlidi  sono  figurate  appunto  come  nel  vaso  di  S. 
Maria  ,  cioè  quali  sette  protonii  femminili ,  sei  delle 
quali  sono  collocate  in  cerchio,  ed  una  è  nel  mezzo. 
Sicché  nella  sola  disposizione  vi  è  quella  differenza  la 
quale  dipende  dall'epoca  diversa  de' due  monumenti, 
e  dal  diverso  geuere  a  cui  appartengono.  È  notevole 
che  nel  manoscritto  ognuna  delle  Plejadi  ha  figurata 
una  stella  sulla  sommità  del  capo  :  il  che  vuoisi  at- 
tribuire al  sistema  serbato  in  tutte  le  figure  del  ma- 
noscritto ,  ove  sono  indicate  con  piccole  stelle  gli  a- 
stri  costituenti  le  diverse  costellazioni.  La  media  ha 
il  capo  velalo,  ed  il  Grozio  ben  si  appone  nel  giudicarla 
Elettra  con  un  lugubre  ornamento  qual  si  è  il  velo 
che  la  ricopre  (ib.  p.  40).  Intanto  ognun  vede  quanto 
sia  interessante  questo  confronto  a  conferma  della  no- 
stra interpretazione;  mentre  probabilmente  le  figure 
di  quell'  antico  manoscritto  erano  state  tratte  da  an- 
tichi monumenti  piuttosto  che  effigiale  a  capriccio. 
Ciò  rilevasi  principalmente  dall'Andromeda,  che  ve- 
desi  figurata  in  quel  modo  medesimo  che  ne'  vasi  di- 
pinti ,  nelle  pitture  murali ,  ed  in  altri  monumenti  ; 
siccome  avremo  l'occasione  di  mostrare  in  altro  no- 
stro lavoro. 


Mlnervini. 

* 


12  — 


Lucerna  con  bassorilievi. 

Dobbiamo  alla  nota  gentilezza  del  signor  cav.  Bo- 
nichi  di  Roma  il  disegno  di  una  interessante  lucerna 
proveniente  da  Pozzuoli,  e  da  lui  acquistata  recente- 
mente in  Napoli.  Noi  ne  diamo  la  incisione  nel  n.  3 
della  nostra  tavola  II.  Sono  in  essa  nella  parte  supe- 
riore figurati  a  bassorilievo  cinque  Amorini,  quattro 
de' quali  sono  intenti  a  trasportare  la  enorme  clava 
di  Ercole ,  mentre  il  turcasso  e  la  leonina  pelle  ve- 
donsi  ad  essi  vicino  sospesi;  ed  il  quinto  pone  la  fac- 
cia in  un  vaso  a  cui  si  attiene  con  ambe  le  mani.  È  ben 
conosciuto  che  un  simile  soggetto  scorgesi  sopra  un 
bellissimo  cammeo  del  museo  Fiorentino.  Il  Gori  (mus. 
druse,  toni.  I  (ab.  38  n.o),  che  prima  ne  die  la  illu- 
strazione, non  indovinò  il  soggetto:  ed  il  Zannoni  (</a?- 
ler.  di  Firenze,  cammei  ed  intagli  ser.  V,  tav.  26  p. 
202) ,  tuttoché  riprendesse  per  tal  motivo  l'archeo- 
logo fiorentino,  pure  non  indicò  bene  il  pensiero  che 
guidò  la  mano  dell'artista.  Egli  crede  che  ci  si  mo- 
stri  il  furto  delle  armi  di  Alcide  commesso  dagli  A- 
mori ,  mentre  egli  era  intento  a  vagheggiare  alcuna 
donna.  A  comprendere  tutto  il  pensiero  del  cammeo, 
e  della  lucerna  pulcolana,  basta  ricordare  due  dipinti 
pompejani ,  uno  de' quali  è  già  da  molti  anni  cono- 
sciuto, sebbene  fosse  stato  da  poco  tempo  pubblicato 
dal  sig.  Raoul-Rochelte  (choix  de peint.  de  Pompei 
pi.  XIX  :  vedine  la  illustrazione  a  p.  239  e  s.  ) ,  e 
l'altro  è  tuttavia  inedito.  Vedesi  nella  prima  pittura 
Ercole  coronalo  di  edera  ,  con  tenue  crocolta  e  cal- 
zari, che,  essendo  sdrajato  sopra  una  pelle,  eleva  la 
destra  facendo  colle  dita  lo  scoppietto  (tw  o%xru- 
\wy  x7eoxf6rripja. ) ,  e  colla  sinistra  lien  leggermente 
lo  scifo,  ove  un  Amorino  caccia  il  capo  lenendolo  con 
ambe  le  mani.  Altri  Amorini  circondano  l'eroe.  Senza 
parlar  di  altre  figure  ,  avverto  che  presso  a'  piedi  di 
Alcide  è  un  gruppo  di  quattro  Amorini  neh"  atto  di 
trasportare  la  clava  somigliantissimo  a  quello  del  cam- 
meo di  Firenze.  L'altro  dipinto,  a  cui  accennavamo, 
rinvenuto  in  un  edificio ,  del  quale  non  ancora  è  fi- 
nito il  disgombro  ,  rappresenta  egualmente  la  figura 
di  Ercole  quasi  dello  stesso  modo  sdrajato,  e  fregiato 
de' medesimi  vestimenti:  scorgesi  da  presso  l'Amori- 


no, che  prende  lo  scifo,  una  costruzione  piramidale, 
alla  quale  è  appoggiato  un  quadro  con  dipinto  ritraen- 
te, come  sembra,  un  erma:  vedi  un  gruppo  di  Amori 
che  trasportano  parimenti  la  clava;  ma  vi  ha  di  più 
un  albero  a  cui  altri  Amori  sospendono  il  turcasso 
dell'eroe ,  e  (re  donne  in  allo,  una  delle  quali,  ch'è 
la  media,  più  nobilmente  abbigliata,  tien  colla  destra 
un  flabello  a  foggia  di  foglia  cordifornie. 

In  una  memoria  da  me  Iella  alla  reale  Accademia 
Ercolanese  sopra  questi  due  pompejani  dipinti,  cer- 
cai di  dimostrare  che  fosse  rappresentato  in  esse  l'Er- 
cole Lido,  il  quale  nella  regia  di  Omfale  oppresso  dal 
vino  dava  campo  agli  Amori  di  rapirne  le  tremende 
armi.  Posteriormente  il  signor  Raoul-Rochetle ,  nel 
pubblicare  il  più  antico,  espose  presso  a  poco  le  me- 
desime idee,  sebbene  ci  riserbiamo  di  esaminare  alcu- 
ne parti  della  sua  spiegazione ,  quando  avrà  luogo  la 
slampa  della  noslra  memoria  accademica.  Soltanto  ci 
piace  di  qui  ricordare  che  il  dotto  archeologo,  di  cui 
deploriamo  la  immatura  perdila,  richiamò  (p.  247 
not.  1)  la  gemma  del  Zannoni,  ed  un  intaglio  in  dia- 
spro rosso  già  del  gabinetto  Poniatowski  (Visconti 
espos.  di  gemme  antiche,  opere  varie  toni.  II.  pag. 
228  num.  236  ).  A  me  sembra  che  questi  alati  fan- 
ciulli ,  i  quali  rapiscono  le  armi  di  Alcide ,  non  deg- 
giono  considerarsi  del  lutto  appartenenti  al  ciclo  del- 
l'Amore,  ma  quasi  formanti  parte  del  bacchico  tiaso 
(  Creuzer  Dionysus  pag.  164;  Avellino  casa  <^on  ca- 
pitelli fgur.  pag.  54).  In  fatti  la  ebrietà  dell' eroe  dà 
loro  il  campo  di  rapirne  le  armi,  e  non  si  addila  con 
questa  azione  la  vittoria  dell'  Amore ,  ma  piuttosto 
quella  del  vino:  benché  non  vorremmo  affermare  che 
in  questo  fatto  non  abbia  alcuna  parte  l' afrodisiaca 
inlelligenza.il  confronto  de'duc  dipinti  pompejani  col 
cammeo  di  Firenze,  colla  pietra  Poniatowski,  e  colla 
lucerna  da  noi  pubblicata  ,  che  particolarmente  ncll' 
episodio  della  clava  tanta  somiglianza  presentano ,  e 
quasi  identità  di  attitudini  e  di  posizioni ,  mentre  da 
un  lato  ci  addita  che  furono  essi  tratti  per  imitazione 
da  qualche  celebre  originale,  dall'altro  ci  addimostra 
abbastanza  che  l' intagliatore  della  pietra  fiorentina  , 
e  tulli  gli  altri  artisti  che  Iraltarono  lo  slesso  sogget- 
to, figurar  vollero  la  perdita  delle  armi,  in  seguito 


13  — 


della  ubbriache/za  di  Ercole.  Ciò  è  sufficientemente 
indicato  da  quell'Amorino,  che  tiene  lo  scifo,  il  quale 
accenna  alla  scena  precedente,  la  quale  non  deve  im- 
maginarsi diversa  da  quella  che  appare  nelle  due 
pompejane  pitture. 

Non  è  qui  il  luogo  di  citare  i  luoghi  degli  antichi 
scrittori,  che  parlano  dell'Ercole  Bibace,  oi monu- 
menti che  attribuiscono  ad  Ercole  lo  scifo  ;  ma  que- 
ste cose  meglio  si  troveranno  allogate  nel  lavoro  ac- 
cademico ,  sopra  rammentato  ,  a  cui  rimandiamo  i 
lettori  del  ballettino.  Resta  a  dir  brevemente  della 
iscrizione  sottoposta  alla  scena  della  lucerna  da  noi 
pubblicata.  Pare  che  sian  messe  in  bocca  dell' Amore, 
che  più  è  oppresso  dal  peso  della  enorme  clava,  le 
parole  adiuvate  sodatesele  quali  dinotano  tutto  lo 
sforzo  sofferto  dalle  tenere  membra  di  quei  fanciulli 
nella  difficile  operazione.  E  questa  particolarità  ag- 
giunge un  novello  pregio  al  grazioso  monumento  del 
cav.  Bonichi ,  che  va  certamente  noverato  tra' più 
rari  e  preziosi  dello  slesso  genere. 

Mineuvim. 


Satiri  e  Baccanti  in  vaso  dipinto. 

La  pittura  di  vaso  che  diamo  incisa  nella  nostra 
tav.  II  n.  4,5,6  appartiene  essa  pure  a  S.  Maria,  e  ci 
fu  permesso  di  pubblicarla  per  cortesia  del  possessore 
sig.  avvocato  Teli.  È  una  patera  nolana  che  da  cia- 
scuna delle  due  facce  ci  offre  un  Sileno  con  tirso  che 
perseguita  una  Baccante.  Queste  seguaci  di  Dioniso 
si  difendono  con  vani  mezzi ,  e  segnatamente  colla 
pietra.  La  litobolia  nella  occorrenza  di  simili  erotici 
assalii  è  stata  osservata  in  altri  monumenti  :  ed  io  già 
descrissi  un  vaso  di  Barone  ,  ed  un  altro  della  colle- 
zione Jatta  ,  ove  occorre  una  simiglianle  rappresen- 
tazione (dewiz.  de' vasi  Jatta  p.43,44).  Anche  nelle 
scene  in  cui  il  giovinetto  Cefalo,  o  Titouo  è  quasi  rag- 
giunto dall'Aurora,  egli  difeudesi  con  una  pielra  ,  o 
con  altre  armi:  e  può  allo  stesso  atto  la  medesima  in- 
telligenza atlrihuiisi  (Minervini  mon.  ined.  di  Barone 
p.  20  ).  Volendo  ora  fare  qualche  particolare  osser- 


vazione sopra  ciascuna  delle  due  facce  del  vaso ,  av- 
verto da  prima  che  il  corto  gonnellino  ,  i  coturni , 
l' arco  ed  il  turcasso ,  che  si  veggiono  presso  una  delle 
Baccanti,  richiamano  al  pensiero  le  popolazioni  della 
Tracia  o  di  sili  prossimi ,  ove  il  cullo  dionisiaco  era 
pur  antichissimo.  Questo  si  è  voluto  certamente  in- 
dicare da  quel  particolare  costume,  che  mollo  si  as- 
somiglia a  quello  delle  Amazzoni.  E  non  è  poi  nuovo 
ne'  monumenti,  ne'  quali  lo  slesso  Bacco  apparisce 
talvolta  colla  breve  tunica  ,  e  co' coturni. 

In  quanto  alla  rappresentazione  dell'  altra  faccia 
del  vaso,  avverto  che  il  persecutore  Sileno  mostrasi 
itifallico.  La  Baccante  inseguita  a  lui  presenta  a  difesa 
un  serpente.  È  ben  conosciuto  che  questo  rettile  fu 
riputato  simbolo  di  Bacco ,  per  modo  che  ponevasi 
in  seno  degli  iniziali.  Veggasi  il  Vossio  de  idol.  lib. 
II  cap.  14 ,  e  lib.  IX  cap.  29  ;  il  Bolle  recherches 
sur  le  eulte  de  Bacchus  toni.  I  p.  1 13esegg.,  il  quale 
attribuisce  appunto  alla  natura  de' serpenti  di  Tracia 
e  dei  luoghi  vicini  la  loro  dimestichezza  colle  Bac- 
canti ibid.  p.  134  e  seg.  Il  che  venne  pure  osservato 
dal  Lobeck  Aglaophamus  p.  296.  È  poi  conosciuto 
che  ora  un  serpente  ora  due  uscir  si  veggono  dalla 
mistica  cista  in  numerosi  monumenti  :  e  già  dotta- 
mente ne  favellarono  il  Lami  sopra  le  ciste  mistiche 
ne  saggi  di  Cortona  toni  I,  ed  il  Panel  de  cistophoris. 
Comunque  sia  ,  in  varii  bassirilievi  veggonsi  Menadi 
con  serpenti  fra  le  mani  (Lachausse  mus.  roman.  secf. 
II  n.  Il;  Maffei  mus.  Veronese  CCXVHI-CCXIX  ; 
mon.  Mattejana  IH  tav.  XX  ,  2,  33;  Zannoni  illu- 
slraz.  di  un  antico  vaso  in  marmo  tav.  d'agg.  2  p. 
22  not.  53  ).  Il  sig.  Raoul-Bochette  già  fece  una  dolla 
discussione  sulle  differenti  figure  ,  alle  quali  si  trova 
dato  l'attributo  del  serpente,  per  distinguere  fra  loro 
le  Baccanti ,  le  ninfe  delle  fontane,  Teli ,  Cleopatra  , 
(mon.  inéd.  pag.  22  e  segg.  ).  Non  so  pertanto  se 
debba  facilmente  ammellersi  che  la  statua  del  Vatica- 
no, già  conosciuta  col  nome  di  Cleopatra,  sia  da  ri- 
tenere per  una  Teli  addormentata  ,  e  non  piuttosto 
per  uni  Baccante  :  come  fu  opinione  di  altri  archeo- 


logi. 


MijicnviNi. 


—  14  — 


Nuovi  acquisii  epigrafici  del  real  museo  Borbonico. 


In  questi  ultimi  anni  il  real  museo  Borbonico  ven- 
ne notabilmente  accresciuto  o  per  doni  ricevuti  dai 
particolari ,  o  per  novelli  acquisti.  E  non  sarà  discaro 
il  trovare  in  questo  luogo  riunite  le  notizie  relative 
alla  collezione  epigrafica ,  le  quali  vengono  a  modi- 
ficare quelle  già  date  da  altri  archeologi ,  e  princi- 
palmente dal  Franz  nel  Corpus  inscriptionum  grae- 
carum ,  e  dal  cb.  Mommsen  nella  sua  vasta  opera 
sulle  antiche  iscrizioni  del  regno  di  Napoli. 

Iscrizioni  in  dialetti  italici  (1).  1.  Fu  certamente 
uno  de' più  importanti  acquisti  quello  della  celebre  la- 
pida di  Orecchio,  già  conosciuta  per  le  pubblicazioni 
dell' Istituto  di  corrispondenza  archeologica  (rnon.ined. 
voi.  IV  tav.  LX,  2,  annali  t.  XX  p.  429),  e  del  eh. 
Mommsen  (  unlerital.  Dialeklen  tav.  II  pag.  333).  È 
nota  la  rarità  delle  iscrizioni  in  carattere  e  dialetto 
sabellico  ,  di  cui  non  conoscevasi ,  oltre  la  lapida  di 
Orecchio  ,  se  non  il  frammento  di  Cupra  marittima 
(  Mommsen  /.  e.  tav.  XVII  p.  333  ):  e  non  ha  guari 
fu  pubblicata  dal  eh.  sig.  de  Guidobaldi  un5  altra  in- 
teressante iscrizione  rinvenuta  a  S.  Omero  (Alessan- 
dro e  Bucefalo  p.  143).  Riesce  dunque  di  sommo  in- 
teresse il  veder  conservato  in  uno  de' più  celebri  mu- 
sei di  Europa  un  monumento  di  cosi  difficile  inter- 
pretazione ,  che  richiamerà  le  cure  e  le  ricerche  dei 
dotti. 

2.  Trovansi  nuovamente  collocale  fralle  terrecotte 
antiche  le  (egole  con  osebi  graffili ,  di  cui  dicemmo 
nel  2  anno  di  questo  bullctlino  pag.  118,  seg. 

3.  Non  parlo  dell'altro  capitale  acquisto  fatto  alla 
scienza  con  la  lapida  viaria  pompejana,  di  cui  te- 
nemmo più  volle  discorso  in  questi  fogli;  perchè  tro- 


(1)  Al  dialetto  etrusco  appartiene  una  patera  con  graffilo  sotto 
la  base ,  che  si  risente  dulia  influenza  sannitica  (  è  pubblicato  in 
questa  nuova  serie  del  bullctt.  an.  1  lav.  1  n.  2  ):  essa  fu  recente- 
mente acquistata,  e  collocata  fra' vasi  dipinti.  Non  è  lo  slesso  della 
patera  di  Marnerei),  siccome  per  equivoco  fu  da  noi  asserito:  vedi 
questo  bull.  an.  II  pag.  168;  ma  ritrovasi  tultavia  nelle  mani  del 
cav.  Bonichi. 


vasi  tuttora  sopra  luogo,  e  non  ancora  è  stala  collo- 
cata fralle  iscrizioni  pompejane  del  real  museo. 

4.  Ma  son  certamente  da  ricordare  le  terrecotte 
con  bassirilievi  e  con  sannitiche  iscrizioni  rinvenute 
nell'antica  Oapua  ,  e  pubblicate  in  questo  bullettino 
(an.  I.  tav.  XIII.  n.  2,  ed  an.  II.  tav.  V,  num.  1), 
le  quali  presentano  reliquie  non  solo  di  quel  dialet- 
to ,  ma  ancora  dell'  arte  coltivata  presso  quell'  antica 
popolazione.  Sono  ancora  nella  raccolta  delle  terre- 
cotte. 

Iscrizioni  greche.  Valga  per  tutte  la  insigne  base  di 
L.  Claudio  Arriano ,  che  ci  presenta  ad  un  tempo 
un  console  sconosciuto,  e  la  novella  fratria  de'  Cre- 
tondae  (vedine  la  pubblicazione  in  questo  bullettino 
an.  I  p.  9,s.  ).  Al  qual  proposito  mi  piace  di  notare 
che  la  frequenza  del  finimento  in  wvetas  in  nomi  d' i- 
scrizioni  beotiche ,  non  pruova  che  quella  fratria  fosse 
di  origine  beolica,  siccome  ha  osservato  il  mio  dotto 
collega  Garrucci  (bullelt.  nap.  n.  s.  an.  I  pag.  18  e 
79  )  ;  perciocché  è  ben  risaputo  che  simili  nomi  ap- 
parvero non  di  rado  altresì  nelle  epigrafi  dell'  Attica 
e  di  altre  regioni ,  come  faremo  osservare  alla  pub- 
blicazione della  nostra  memoria  accademica  su  quel 
patrio  monumento. 

Iscrizioni  greche  e  latine  donate  a  Sua  Maestà  dal 
sig.  Principe  di  S.  Giorgio.  Il  eh.  Direttore  del  Real 
Museo  Borbonico  e  soprantendente  generale  degli 
scavi  del  Regno ,  trovandosi  a  possedere  non  pochi 
marmi  greci  o  latini ,  ne  fé  la  offerta  all'Augusto  So- 
vrano ,  il  quale  graziosamente  accettando  quel  do- 
no ,  comandò  che  fossero  le  lapide  collocate  nel  real 
museo. 

Sono  in  questo  numero  cinque  greche  iscrizioni. 
La  prima  fu  pubblicata  da  vani  anni  nel  bullettino 
archeologico  di  Avellino  (an.  V  p.  117),  e  poi  ri- 
prodotta dal  Welcker  (Rhein.  Mus.  1850  p.  618  n. 
9),  e  dal  eh.  Franz  (corp.  inscr.  gr.  tom.  IN.  pag. 
1258  n.  5854  b).  Alla  1.  5.  leggi  CPMHC  ,  siccome 
era  slato  notalo  nell'  errala  alla  primitiva  pubblica- 
zione. 

La  seconda  fu  pubblicata  dal  Guarini  (eomm.  XIV 
p.  16) ,  ed  ora  è  nel  corpus  insci:  graecarum  (pag. 
1257  n.  5827  b).  Dalla  nuova  pubblicazione,  che 


—  15  — 


qui  ne  diamo ,  si  rileveranno  le  poche  varietà  di  le- 
zione. 

OKTAOTIA  •  TAIOTA 
n€A€T0€PA  •  OIKO 
TMCNH  •  nOTBAICOI 
*OTAOTIC0I  nOTB 
AIOT  An£A€T©€P 
COI  •  BAAGTCOI 

Nota  il  significalo  e  la  costruzione  della  voce  ol- 
xovixevr\.  Nel  principio  della  5  linea  è  chiaramente  un 
A  per  A,  per  errore  del  quadratario. 

Inedite  sembrano  le  seguenti. 

1. 

ArAQOKAHC 

TPftfCONOS  *  TIOC 

ZHC€N    •    CTH    •    NH 

NII'PeiNOC  AA€A*OC 

e©HK€N 

Nella  4  linea  l' A  della  voce  AA€A$OC  manca  della 
traversa  :  le  due  ultime  lettere  di  AA£A<I>oC  sono 
più  piccole. 

2. 

A  •  TPCBCONI 
OC  •  IAMBOG 

TP€BU)MA 

CTOAIA  CTM 

BICOMNHMHC 

XAPIN 


CTAAKKIA 
CTOPrH 

11  nome  Sllaccim  è  assai  frequente  nelle  iscrizioni. 
Sembra  di  significazione  presso  a  poco  simile  alle  voci 


latine  Stlalta,  Sllatlarius.  E  pur  risaputo  che  si  trova 
un  A.  Tellius  A.  I.  Sllatla  appo  il  Marini  (Arvali  p. 
62).  Sicché  non  è  improbabile  il  supporre  che  Stiac- 
cia sia  lo  stesso  che  Stlaliia  per  il  solito  scambio  del 
t  col  e,  specialmente  avanti  un  i  seguito  da  altra  vo- 
cale. Anzi  questo  scambio  si  verifica  anche  senza  l'i, 
come  altrove  osservammo  (in  quatuor graeca dijAom. 
p.39,  e  40).  A  proposito  di  questo  nome,  non  voglio 
mancar  di  notare  che  il  eh.  Garriteci  lesse  in  graffiti 
pompeiani  Latta,  Laltagus,  Lattario  (vedi  add.  ad 
ci.  praet.  Miscn.  p.  80  n.  241  );  ove  però  il  lalta- 
gus sembra  originalo  dal  greco  XccVa? ,  e  \<t.rxyr\. 
La  ortografia  del  doppio  t  nelle  voci  sllatla,  o  latta  e 
loro  derivati,  pone  alquanto  di  dubbio  se  debba  rico- 
noscersene la  origine  dal  latino  antico  stlalus  per  lalm 
(Festus  p.  313  ed.  Miiller),  che  il  sig.  Curtius  para- 
gona col  greco  TrXan's  (  vedi  la  Zeilschrift  fiXr  ver- 
gleichende  Sprachforschung  del  signor  Kuhn,  1853 
pag.  157). 

Molte  iscrizioni  latine  furono  da  noi  pubblicate  nel 
secondo  anno  del  bullettino  pag.  103  n.  11,  12,  13 
(cf.  la  correz.  an.  IH  pag.  7  not.  1),  14,  15,  16; 
p.  104  n.  17,  18,  19:  pag.  Ili  n.  20,  21:  p.  112 
n.  22,  23,  24,  25,  26,  27:  p.  136  n.  28:  p.  151 
n.  33:  p.  152  n.  35  ;  ed  una  nell'anno  III  p.  6n.  1. 
Altre  molte  trovansi  già  riportate  nell'opera  del  Mom- 
msen  ìnscripliones  regni  neapolilani  lalinae:  e  noi  qui 
le  accenneremo  per  indicare  alcune  varietà  di  lezione 
da  noi  rilevate ,  avendo  avuto  la  opportunità  di  stu- 
diarle coi  nostri  proprii  occhi. 

Mommsen  n.  2680  :  esattamente  pubblicala.  Ulti- 
mamente fu  riprodotta  dal  Garrucci  (ci.  pr.  Misen. 
pag.  38  n.  41  ). 

N.  2722.  È  un  frammento  mal  conservato.  Nella 
3  linea  dopo  il  SEPTES  seguono  tracce  di  due  let- 
tere che  sembrano  E  M.  Nella  4  linea  leggo  ODINE 
Appariscono  nell'ultima  residui  di  caratteri,  da' quali 
nulla  di  certo  può  ricavarsi.  Vedi  pure  il  eh.  Gar- 
rucci cl.pr.Mis.  add.  ad  p.  80  n.  241. 

N.  2770.  Nella  5  linea  leggi  AN  ■  LX  in  vece 
di  AN  •  •  IX  •  Vedi  pure  Garrucci  (ci.  praet.  Mis. 
add.  ad  p.  49  n.  59.). 

N.  2781,  e  meglio  n.  7219.  La  iscrizione  non 


—  16- 


manca  cbe  di  una  sola  lettera  io  alcune  linee.  Va 
letta  come  segue  : 

D     •     M 

C  •  EPIDIVS  •  FIRMVs 

EX    III    HERCVLINA* 

tfESSVS   VIXlT  ANNIS 

XXX  •  MILITA  •  ANN  X 

•      •  •  T  •  COM1N1VS 


Nulla  di  certo  è  nell'  ultima  linea. 

Veggasi  pure  il  eh.  Garrucci,  il  quale  legge  per 
congbieltura  alla  5  linea  •  •  •  •  ANN  '  XX  (ci.  pr. 
Miseri,  add.  ad  p.  64  n.  160). 

N.  2783.  La  sola  varietà  è  alla  4  linea  ,  ove  si 
legge  C  •  LONG1N1VS  invece  di  LONGINVS.  Il  eh. 
Garrucci  non  ha  riscontralo  il  marmo  originale ,  e 
perciò  ritiene  LONGINVS  (ci.  pr.  Mis.  add.  ad.  p. 
68  n.  17). 

N.  2810.  Fu  riprodotta  dal  eh.  Garrucci  (ci.  pr. 
Mis.  p.  65  n.  166),  il  quale  ne  presentò  le  corrette 
lezioni  nell'appendice  alla  citata  opera. 

N.  2822.  Nella  prima  linea  appariscono  tracce  di 
lettere;  la  terza  dee  leggersi  MILIT  •  ANNIS  •  XXIIII. 

N.  2870  :  esattamente  pubblicata. 

N.  2965  :  esattamente  pubblicata. 

N.  2970.  Lin  4  VIXIT;  lin.  5  ìli:  in  fine  di  que- 
sta e  della  seguente  sono  due  punti  triangolari. 

N.  2978.  Ben  legge  il  Mommsen  GAMICE. 

N.  3012.  Lin.  2  -  BI  •  XIT.  Lin  3  -  ME  .  SI  • 
BVS,  e  IV  LE- Lin.  4. -A  •  GAL  •  LE- IA- MA- 
TER.  Nella  sesta  linea  accanto  al  TI  sono  scolpile 
una  corona  e  due  palme ,  che  mancano  affatto  nelle 
prime  pubblicazioni. 

N.  3047.  Non  vi  manca  nulla,  mentre  tutt' altro 
rilevasi  dalla  prima  pubblicazione  del  Guarini.  Per- 
ciò le  prime  tre  linee  vanno  lette  così  : 

D     M 
TI  •  CL  •  STEI'HANVS 
ET  •  MIND1A  DROSfS 


In  fine  della  iscrizione  sono  due  foglie  di  edera  col 

gambo. 

,  / 
N.  3076.  Vedesi  un  apice  sull'  E  alla  prima  linea: 

e  nella  terza  leggesi  1SIDORAE ,  con  AE  in  mono- 
gramma. 

N.  3096.  Esattamente  pubblicata. 

N.  3122.  Leggasi 

FOLIA  •  M  •  L  •  HILA 

L'Aè  quasi  in  seno  dell' L.  I  punti  sono  triangolari. 

N.  3189.  Esattamente  pubblicata. 

N.  3228.  Sulle  sigle  D  ■  M  si  osservano  gli  apici. 
E  confermata  la  lezione  SECVNDILA  (lin.  5)  del 
Guarini.  Neil'  ultima  linea  è  FEC  non  FECIT. 

N.  3233.  La  seconda  linea  va  letta  così 

L  •  SVTORIVS  •  EVTYCHVS  •  B  •  M  •  FECIT 

N.  3292.  In  fine  di  questo  frammento  veggonsi 
due  foglie  di  edera  alternate  con  le  parole  ET  SVIS. 

N.  3326.  Esattamente  pubblicata ,  se  non  che  la 
5  linea  si  legga  : 

ET  •  DVRONIAECALLITYCHE 

N.  3328.  Vedi  le  cose  dette  nel  2  anno  del  pre- 
sente bullellino  pag.  1 5 1  e  seg. 

N.  3364.  Esattamente  pubblicala. 

E  uno  degli  esempli  del  Marcus  adoperalo  come 
cognome.  Vedi  questo  bullcttino  an.  II  pag.  104. 

N.  3377.  Pare  che  alla  seconda  linea  debba  leg- 
gersi LI  e  non  II. 

N.  3437.  Leggesi  alla  linea  4.  KAIETTANVS. 
Questa  ortografia  accoppiala  all'  uso  del  K  mostrano 
una  greca  fisonomia.  Kaietlanus  è  un  altro  di  quei 
cognomi  derivali  da  cillà,  de'  quali  parlammo  altro- 
ve (an.  II  p.  101,  e  152). 

N.  3450.  Esallamente  pubblicata. 


(Continua) 


MlNERVlNI. 


Giulio  Mikervi.m  —  Editore. 


Tipografa  di  Giuseppe  Cataheo. 


BILLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  53.     (3.  dell'  anno  III.) 


Settembre  1854. 


Nuove  osscivazioni  sulla  napolilana  epigrafe  dì  Teltia  Catta. — Monde  di  Pyrnos  della  Caria  illustrale. 


Nuove  osservazioni  sulla  napolilana  epigrafe 
di  Teltia  Casta. 

Dopoché  pubblicai  per  le  stampe  nell'anno  1845 
la  illustrazione  della  napolilana  iscrizione  di  Teltia 
Casta  (  1) ,  molti  uomini  dotti  nel  dar  conto  di  quel 
mio  lavoro ,  sottomisero  il  monumento  a  novelle  ri- 
cerche ed  osservazioni.  Tali  sono  le  recensioni  de' si- 
gnori dottor  Teodoro  Mommsen  (bullett.  dell'  istit.  di 
corr.  arch.  1845  p.  206-208),  prof.  Carlo  Federigo 
Hermann  (  Goellingische  Gelehrte  Anzeigen  1846  n. 
184  p.1834  eseg.  ),  dottor  Guglielmo  Henzen  (bal- 
lettili, eit.  1846  p.  73  e  159);  e  le  osservazioni  del 
sig.  dottor  Franz  (bullett.  arch.  napol.  an.  V  p.  13 
e  s.  Corpus  inscr.  graec.  voi.  Ili  p.  745  s.  n.  5838), 
e  del  Conte  Bartoìommeo  Borghesi  (bullettàio  archcol. 
napolitano  an.  IV  p.  34).  Non  parlo  di  un  articolo 
del  sig.  Teodoro  Avellino  inserito  nel  medesimo  bul- 
lonino (an.  IV  p.  35  e  seg.  )  ;  perdio  non  contiene 
che  una  semplice  notizia  del  mio  lavoro  ;  come  pure 
della  novella  pubblicazione  di  parte  dell'  epigrafe  falla 
non  ha  guari  dal  eh.  Corcia  (storia  delle  dueSic.\oì. 
Il  p.  232).  Ora  intendo  di  presentare  ancor  io  alcu- 
ne nuove  osservazioni  sulla  importantissima  lapida  , 
di  che  è  parola.  Serviranno  esse  di  appendice  al  mio 
precedente  lavoro ,  che  ne  rimarrà  in  parte  emen- 
dalo iu  parie  confermato.  In  alcune  opinioni  trovan- 
domi tuttavia  discorde  da  taluno  de' dotti  sopra  no- 
minati, ho  credulo  opportuno  di  far  seguire  poche  os-» 
servazioui  relative  ai  supplimenti ,  ed  alle  cose  con- 
tenute nella  parte  esistente  della  epigrafe.  Nelle  quali 
ho  sviluppato  le  ragioni  che  mi  conduceano  a  se~ 

(1)  L'antica  lapida  napolilana  di  Tenia  Casla   a  miglior  lezione 
ridona  ed  illustrala.  Napoli  1845  in  8, 
4JY.YG  ///. 


guirc  le  nuove  opinioni,  ed  i  nuovi  supplimenti  pro- 
posti da' dotti,  ovvero  ad  allontanarmene.  Intanto 
per  nulla  tacere  ,  che  sia  attinente  alla  storia  delle 
varie  pubblicazioni  della  nostra  lapida,  dirò  che  il 
Romanelli  moltissimi  errori  commise  nel  parlarne 
(Napoli  ani.  e  moderna  parte  1  pag.  42  e  segg.  ). 
Egli  asserì  che  fosse  iu  un  gran  tegolo  di  creta  colla; 
pubblicò  i  soli  cinque  primi  versi  portati  da  Ignarra, 
soggiungendo  giacché  i  restanti  poco  hanno  d' interes- 
sante !  :  adottò  sulla  casa  del  pianto  la  spiegazione  d'1- 
gnarra ,  e  credè  ebe  fosse  un  solo  senatusconsulto. 
Io  per  me  credo  che  il  Romanelli  non  l'avesse  né 
veduta  né  letta  giammai.  È  poi  da  ricordare  che  an- 
che nella  guida  di  Napoli,  pubblicata  nella  occasione 
del  settimo  congresso  degli  scienziati  italiani ,  si  ri- 
tiene la  falsa  lezione  AIANOT  (voi.  I  p.  56);  men- 
tre già  il  cav.  Avellino  nei  suoi  opuscoli  aveala  da 
ben  lungo  tempo  emendala. 

Stato  della  iscrizione 

Prima  di  tulto  credo  opportuno  di  avvertire  che 
la  tavola  da  me  presentata  ritraeute  la  iscrizione,  non 
dee  considerarsi  un  fac-simile.  Cercai  di  metter  sotto 
gli  sguardi  del  lettore  un  apografo ,  per  quanto  po- 
tevasi  colla  stampa  ;  ma  per  ottener  veramente  l' in- 
tento, era  d'uopo  di  trarre  un  diligente  disegno  delia 
iscrizione,  e  farne  poi  eseguire  un'accurata  incisione. 

La  mancanza  di  tale  avvertenza  ha  fatto  sì  che  al- 
cuni dotti  si  sieno  persuasi  che  qualche  linea  fosse 
capace  di  maggiore  o  minor  numero  di  lettere  di  quelle 
che  io  avea  immaginato  ne'  miei  supplimenti. 

Per  tali  molivi  slimo  utile  dare  tutte  le  dilucida» 

zioni  suU'  attuale  slato  della  pietra  ,  e  sulla  diversità. 

3 


18  — 


di  grandezza  de'  carotieri  dello  differenti  linee,  le  quali 
cose  sono  necessarie  a  sapersi  per  fondare  i  giusti  sup- 
pliraenti. 

La  pietra,  come  non  mancammo  di  notare,  trovasi 
inGssa  nel  muro  al  medesimo  sito  in  cui  fu  messa  da 
principio,  o  almeno  in  cui  era  a  tempo  del  Falcone. 
Questa  osservazione,  già  da  noi  fatta  nelle  varianti  della 
iscrizione  dopo  la  pag.  2  del  nostro  precedente  lavo- 
ro, viene  opportuna  a  richiamarsi  dopoché  ha  scritto 
il  sig.  Franz  «  et  quod  Minervinusnegat  cerni  a  Fal- 
»  conio  potuisse  TlOT  KAI  ob  fracturam  lapidis , 
»  falli  videtur ,  quum  fieri  possit ,  ut  quo  tempore 
»  transcripsit  Falconius ,  margo  lapidis  minus  dclri- 
»  tus  fuerit  ;  idemque  factum  esse  v.  4,  5,  7,  18, 
»  conseulaneum  est».  Ripeto  che  la  supposizione  del 
sig.  Franz  parrà  inverisimile  a  chiunque  abbia  da 
presso  esaminato  il  monumento  originale.  I  margini 
si  veggono  tuttavia  circondali  dall'antico  intonico  del 
muro,  entro  di  cui  è  infisso.  Non  ha  dunque  poluto  in 
niun  conio  verificarsi  che  rimanendo  in  opera  il  pezzo 
di  marmo  siesi  infranto  non  dico  a  caso,  ma  neppure 
per  deliberala  volonlà  di  taluno.  Perchè  ciò  seguisse, 
era  necessario  tagliare  l' intonico,  che  si  vede  intatto 
intorno  la  pielra  ;  ovvero  tagliar  la  pietra  rimanendo 
l' intonico  ,  ed  in  tal  caso  dovrebbe  comparire  senza 
1  intonico  il  silo  occupato  originariamente  dal  marmo. 
Siamo  perciò  sicuri  che  la  oculare  ispezione  della 
lapida  avrebbe  impedilo  al  sig.  Franz  di  pensare  che 
i  supplimenli  del  Falcone  fossero  in  fatti  esistili  al- 
l'epoca della  sua  pubblicazione. 

A  questa  ragione  di  fallo,  la  quale  non  può  incon- 
trare alcuna  difficollà  ,  altre  non  meno  valide  aggiu- 
gniamo,  !e  quali  tendono  a  dimostrare  che  tutte  quelle 
parole  che  leggonsi  nel  Falcone  ed  ora  non  compa- 
riscono verso  la  estremila  destra  della  iscrizione,  fu- 
rono supplimenli  da  lui  immaginati. 

In  falli  avvertimmo  pure  nella  noslra  prima  pub- 
blicazione, che  rilenendo  nel  v.  1 1  la  lezione  TIOT 
RAI,  mancherebbe  la  esalta  designazione  del  conso- 
le, restando  dubbioso  chi  fosse  quel  Cesare  figlio  di 
Augusto:  e  quantunque  una  tale  reticenza  si  possa  di- 
fendere dalla  ricordanza  di  quel  Cesare  già  fatta  nel 
precedente  decreto,  pure  converrebbe  citare  esempli 
analoghi  in  ap|  oggio  della  slessa. 


É  poi  contrario  a  qualunque  probabilità,  che  fosse 
avvenuta  una  frattura  in  tal  modo,  che  un  sol  verso 
di  minute  lettere  sporgesse  in  fuori  ,  mentre  gli  altri 
superiori  ed  inferiori  fossero  rientranti.  Or  questo  sa- 
rebbe il  caso  del  v.  6,  in  fin  del  quale  si  aggiugnedal 
Falcone  --TOT  OTTQS  EAOSlìN.  Se  dunque  da 
questa  considerazione  si  ricava  che  Falcone  certamen- 
te ha  aggiunto  qualche  cosa  del  suo ,  verrà  pur  di- 
moslrato  che  anche  nelle  altre  linee  non  dovrà  faro 
alcun  peso  la  sua  autorità  pe' v.  4,  7,  18.  Più  im- 
pressione far  potrebbe  l' autorità  doli'  Ignarra  per  Io 
finimento  del  5  verso,  ove  legge  l' inlero  IOTNIOS 
invece  dell'  IOTN ,  essendo  egli  sialo  un  diligente  e 
dolio  ellenista  ;  ma  la  sua  lezione  trovasi  conlraslata 
da  quelle  degli  altri ,  e  specialmente  dal  Falcone , 
più  inchinevole  a  compire  le  parole  (  I  ) ,  che  a  la- 
sciare interrotle  quelle  che  fossero  realmente  com- 
piute. Deduciamo  dal  fin  qui  detto  che  non  bisogna 
contare  sulle  immaginarie  lezioni  del  Falcone  :  la  quale 
deduzione  riesce  unicamente  importante  per  eliminar 
l' idea  del  finimento  al  v.  11  TlOTKAI ,  dalla  cer- 
tezza del  quale,  come  da  falso  punto  di  parlenza,  si 
è  riuscito  in  un  torto  cammino. 

Vengo  ora  a  dare  l'esalta  allezza  di  ciascuna  linea, 
perchè  meglio  possa  valutarsi  la  probabililà  de' sup- 
plementi. Lio.  1  allezza  0ra,84— Lin.  2  alt.  0m, 60— 
Lin.  3  ali.  0ra,  41— Lin.  4  alt.  0m,36— Lin.  5  alt. 
0m,26— Lin.  6  a  21  alt.  0m,  II— Lin.  22  alt.  0ra, 
53  —  Lin.  23  ali.  0ra,  43.  Un'ultima  avvertenza  di 
fatto  si  è  che  nel  verso  12  tra  noTAHS  e  IIOII- 
IlA-"  non  vi  è  già  una  lacuna  o  un  indizio  di  ledere 
mancanti ,  ma  vedesi  la  pielra  liscia  ed  intatta  senza 
che  vi  sia  traccia  di  carallcri.  Quindi  non  vi  è  luogo 
a  supplire  alcuna  voce  ;  e  perciò  non  dee  ammetlersi 
la  ipolesi  del  Franz ,  che  dopo  il  Jlot'ó'y.s  vorrebbe 
supplire  NE  per  viuir^os.  Manca  dunque  ogni  appog- 
gio anche  alla  lezione  NE  di  altra  napolitana  iscrizio- 
ne ,  proposta  dallo  stesso  Franz  (  corp.  ima:  gr.  n. 
5813  Ioni.  Ili  p.  750);  e  noi  riteniamo  la  nostra  le- 
zione KAATAIOS  nOTAXEP. 


(I)  Cosi  al  v.  ti  dopo  avere  erroneami'iiie  leilo  infine  OT  in 
vece  di  ET,  riporta  l' inlero  OTTnj;.  Questo  fa  scorgere  aeuf- 
licicnza  quanto  poca  autorità  meritino  i  finimenti  del  Falcone. 


-  19  - 

Possibilità  de  supplementi.  vole  che  l'dv/xoms  di  Pindaro,  e  l'àv/xorau  di  A- 

Parlcndo  dalla  terza  linea  ,  di  cui  sono  sicuri  i  rislide  si  riferiscono  entrambi  a  sacri  oggetti  ed  a  re- 
supplementi  AOMITIavoD  tÒ  —  xoù  ,  è  chiaro  fatti  i  ligiose  offerte.  Comunque  sia  di  ciò  ,  non  voglio  la- 
convenienti  calcoli  del  numero  comparativo  delle  let-  sciar  di  notare  che  la  voce  àvccffraW  era  venuta  an- 
tere co'  rimanenti  versi,  che  le  linee  son  capaci  de'se-  che  a  me  in  pensiero  ;  ma  nel  mio  precedente  lavoro 
guenli  supplementi.  volli  tutto  lasciare  nell' incertezza  ;  perocché  la  lel- 

Lin.  1.  Non  può  il  supplemento  oltrepassare  le  4     «era  che  mi  parve  più  chiara  era  il  %.-  Non  pertanto, 
lettere;  quindi  non  può  accogliersi  l'I  E  FOT  delsig. 
Franz  ,  che  d' altronde  non  è  necessario.  Così  quaudo 
nella  nota  iscrizione  di  Lanuvio  si  è  menzionata  la 
cuna  mulierum  ,  non  si  è  apposto  l' epiteto  di  sacra. 

Lin.  2  è  capace  di  7  lettere ,  appunto  quante  ne 
sono  nella  voce  \J/*$jffftóc.ra. 

Lin.  4.  può  contenere  altre  8  lettere  quante  ne  sono 
con  l'abbreviazione  ypxl).  if<x.prpxY:  risulla  perciò 
impossibile  che  fosse  per  esteso  ypvttyoyi.svuj ,  come  ha 
supposto  il  sig.  Franz. 

Lin.  G  possono  aggiugnersi  28  lettere:  noi  ne  ag- 
giugnemmo  2G  ;  piccola  diversità ,  se  si  consideri  la 
probabilità  di  una  insensibile  differenza  di  spaziatura 
delle  lettere  fra  loro. 

Lin.  7  è  capace  di  altre  28  lettere;  noi  ne  supplim- 


trallandosi  di  un  luogo  assai  corroso  ,  e  non  essendo 
nuovo  che  in  tali  circostanze  il  X  ed  il  55  siensi  tra 
loro  scambiati  anche  agli  occhi  di  un  diligente  osser- 
vatore ,  riterrò  per  poco  i  supplementi  del  Franz 
àyxnró.(jìti  tali  Sioìi  ìx  rtov  ìoiuit  7roiV)^AMENHÌ. 
I  troppo  brevi  suppHmenli  del  eh.  Hermann  non  sono 
da  ammettere:  ipyvpwv  «.vSpia'vTwv  diix  ìfrfUfiaqiMifi, 
oppure  Trokinvaanisi-rfi:  anche  perchè,  se  si  trattasse 
di  onore  da  attribuirsi  a  Tettia  ,  non  sarebbesi  detto 
in  generale  eh'  ella  era  degna  di  statue  di  argento. 

Lin.  11  ,  è  capiente  di  altre  38  lettere;  quante 

sorgono  appunto  da'  supplimenli  da  noi  immaginati. 

Lin.   13  può  contenere  altre  41  lettere.  I  nostri 

supplementi  ne  contenevano  solo  33:  per  tal  motivo 

riteniamo  col  sig.   Franz  7rpòs  tw"  7roi:<<73ou  invece 

mo  23.  Vale  la  slessa  osservazione  che  facemmo  per     del  nostro  7TQÒS  ruT  7rouTv,  con  che  si  aumentano  al- 


la lin.  precedente.  11  supplimento  ywcuxòs  del  sig. 
Frauz  compie  appunto  il  numero  di  28  lettere  ;  ma 
ci  sia  lecito  di  notare  che  sembra  necessaria  la  men- 
zione del  lodevole  esercizio  del  sacerdozio  ,  mentre 
la  parola  yvmizòs  toglierebbe  quella  opportunità. 

Lin.  8.  Noi  rimanemmo  dubbiosi  sulla  lezione 
ANEX  in  fine  di  questa  riga,  e  sulla  parola,  che 
avrebbe  poluto  rappresentare.  Potrebbe  tentarsene  il 


cune  lettere,  giugnendo  al  numero  di 38. 

Liu.  14  è  capace  di  altre  42  lettere  :  adottando  il 
xx)  proposto  dal  sig.  Franz  innanzi  a  <j?ì$x\w<j%i  ci 
troviamo  coi  nostri  supplementi  a  43  lettere;  lad- 
dove i  supplementi  del  sig.  Franz  sono  inammessi- 
bili,  perchè  lo  spazio  non  comporta  affatto  altre  51 
lettere.  In  quanto  al  7rpQ<Tx)x\u<TX:iY  immaginalo  dal 
sig.  Hermann,  pecca  al  conlrario  di  troppa  brevità,  e 


supplimento  col  significato  della  voce  av=xwj  come     quindi  non  può  da  noi  accogliersi. 


trovasi  adoperala  da  Pindaro: 

nX;?<TTot  fjtfv  où/p'  v.'òwoirois  éLviXPvriì 
(iyxo|X.  fragni.  2  pag.  605  Boeckh)  ;  ovvero  richia- 
mando il  luogo  di  Aristide  ,  il  quale  parlando  delle 
pitture  sospese  ne' templi  come  sacri  donarii ,  sog- 
giugne:  in  xx)  tvn   àncora/  \y  ^icoii  rrÀi  UpoTs 


Lin.  15,  Accettiamo  il  {hp-oc/w  \ir xi vto  proposto 
dal  Franz,  e  dal  dottissimo  Hermann. 

Lin.  18  è  capace  di  lett.  48  quasi  eguale  al  nu- 
mero di  lettere  da  noi  supplito. 

Lin.  22  può  contenere  altre  1  5  lettere  salvandola 
simmetria;  perciò  invece  di  THirATKTTATilI,  po- 


[hlhm.  in  Nept.  tom.  I  p.  28  ed.  Jebb).  Non  ignoro     tremino  ritenere  THIET5;EBE5;TATHI,ocosasimile. 


che  quosle  parole  sogliono  spiegarsi  in  significato  di- 
verso (Letronne  appena,  aux  lettrcs  d'un  anliqu.  pag. 
33-34);  ma  la  precisa  determinazione  h  fjJffotS  roìs 
i'epo7s,  e  la  formazione  stessa  di  quella  voce ,  par  che 
ci  richiami  ad  una  significazione  di  sito:  ed  è  note- 


Liu.23  è  capace  di  lettere  19,  e  quindi  èammes- 
sibile  il  nostro  supplimento. 

Ecco  dunque  come,  a  parer  nostro,  vanno  emen- 
dali i  supplimenli  finora  proposti ,  non  senza  trar 
profitto  dalle  osservazioni  de' dotti. 


te 
Cd 
Iti.  Cd 

P  g 


w 


o- 


o 

H 
H 

O 


vr 


e 


Hs„*2 

o  o 


w 

VI 

G 

H 

&  vi 

"    O  «sì 
H 
-, 

P- 
< 

P 

S- 

C 

t-H 

E- 


O 
P 
ti 

2 
e 

Cd 


te 
«3 

- 

M 

te 
h 


< 
< 
H 

M 
<l 
VT 

C 


Ph 
Ih 


LL  O 


eq 


H 


vr 


s 


M  H  e 


H    h, 


VT 

l-H 
<1 

t— ( 

W 


«< 

te 
PC 

H 
E« 

Cd 
<j 

w 

H 
VT 

«sì 

VT 


Cd 
X 

w 

I— I 

e 

VT 

l-H 

Cd 

vt 

<J 

Eh 
W 

«sì 

«*   te 

^   «s: 

vt 


VX  VX 

n    ^ 


g 

c 
1 
Eh 

w  «s;  ^  ^  (f,  C 

i-H  m  tri  c-,  P  9i  r1 


VT  e 
O    b 


<ì 


vr 

°  ^ 


K 
te;    fc 

Ph 

a  ° 


VT 


O    w 


X 


M  a 


« 


vr 


VT 


e 

Ph 

p 
te 

Eh 

te 

S 
E 

Eh 

<! 

te 

te 
= 
te 

■  /--.        ^H        — 
^£«        /*^        ^H 

VT 

«ì 

Eh 

te 

Eh 

- 
e 


Ph 
H 

O 

Ph 


O 
Pu 
VT 


VT 

O 

HH 
« 

H 

O 


<J 


M 


e: 

H 

re 
M 
«sj 

o 

Ph 

P 

Ss 
w 
VT 

e  o 

B  te 

w  G 


te 
G 

H 
& 
«sì 

1— ■ ( 

P- 
< 

te 
-< 
te 
G 

Ph 

E-i 

Ph 
P- 
-s) 

te 
«*! 

c 
te 

Eh 

Cd 

w 

e 
1 

I— 

Ph 
Eh 
< 
P 
VT 

H- 
— 

Eh 

te 
Ed 

H 
VI 

g 

te 


te 
-*: 

Eh 
Eh 

W 
H 

G 
VT 
Eh 

Ph 
XI 

I— . I 

a 


•4 
o 

Oh 

td 

Èh 

0 

b^ 
vx 

w 

Eh 

o 

■< 

Ò 
H 
H 

O 

te 


te 
ce 

©  _3 


o 
Cd 

G 
H 
VT 

P- 

e 
te 
w 


g 

te 

Eh 
VT 

<! 

te 

Eh 

H 


5   VT 


< 

— H 

Cd 

V» 

< 

Eh 

te 

P- 
< 

te 
te 

Eh 

te 

1—1 

-=! 

c 

te 

sa 


a 

vt 

<! 
VT 

M 
® 

Eh 

Ph 

<! 

c: 

te 

«-H 

Eh 
VT 

W   ^ 
VT   i4 

Cd    fc 


1 — 
H 

vr 

pg 

>r 
W 

c 

Ph 
-Si 

VT 


td 

Eh 

C 
-: 
A 
Vi 

c 


Ut  Cd 

o 
<l 

Cd 
VT 

G 

H 

O 


ti 
VT 

G 

te 


VT 

PC 
P- 
■< 

Cd 

G 

te 
Cd 

o 
•& 
-«I 

Ph 
Ph 


te 

Cd 

M 

c 
<1 


Cd   VT 
VT   P 


VT  g 


L~L    P- 


Ph 

Cd 
te 
vi 

< 

VX 

i- 


G 

e 

Eh 

fd 


^  te 

Sa 


^^       1—4 


o   M 


H 


H 


H 


^        H- 


Pd 


^    H 


te 
Cd 
te 
ce 
te 
•< 

VT 


c: 

Eh 


a 


Cd!    H 


H    O 


p. 
Cd 


Eh 

te 
*»! 
C 

te 

ce 

G 

te 

Ph 

te 

PC 
Eh 


Cd 
ca 
Cd 
VT 
Eh 
Cd 
te 
G 

Eh 

te 

ce 
< 
te 
G 
Eh 

te 

K 

'r- 

■x. 

H 

VI  Pd 

Cd  jg 

PS    ^ 
te  VT 


te 
W 

ce 

VT 

Ph 

ce 
te 
e; 

H 

Cd 

-1 


< 

c 
III 

Cd 

Eh 
Eh 

tri 

Eh 

VI 


VT 

PC 

<1 

f- 

c 
Cd 
vt 

e 

M 

Eh 

P 
<^ 
VT 

P 

C 

VT 

o 


Cd 
Eh 

P 

i 

il 
i-< 

O 

Eh 

E 

Cd 
CC 
te 
G 
te 
P- 

**• 

VT 

c 

c 

PL 

Cd 

VT 

P 

pa 

Eh 

O 

G 

H 
PC 


«3 

te 

Ph 

«ejj 

te 

VT 

l-H 

O    • 

te  >-< 
^G 


Cd 

Eh 
VI 

- 

r- 

Cd 


te 

Cd 

Cd 
G 

VT 

C 

PC 


VX 

<! 
■< 

PH 

Cd 


G 

Eh 
Eh 

o 

VT 

C 

Eh 

ì 

Ph 
PL 

cc 
o 

H 
Eh 

P 

O 

Ph 
Cd 
P 

te 
G 

te 

p- 

o 


E- 
fc 

Cd 

l-H 

c; 

< 
i 

te 
Cd 

PP 

s 

l-H 

X 
VX 

0 

< 


Cd 
<J 

PC 

>— ( 

te 
Cd 

PC 

S 

HH 

G 


PO  H 

«        O 

Cd 


VT   g 
Eh 


Eh    Kd!    H 


G  2 


p 

Cd 
^< 

VT 

O 


H  ffi 

te  h 

Cd  VT 

*S  VT 


Cd 

H 

e 

Cd 


<l      * 


tr5 


© 

È 
;> 

< 

A 
Eh 

g  VT 


G 

Eh 
VT 

Cd 

Eh 
Eh 


Eh 

C 


G 

ce 
a 

Cd    ^ 

te  te 


S  vt  Cd 


-si 


te 

Eh 


h    ,^   h    B. 


|-H    Cd 

Cd  ed 


Cd 

w 

ce 

te 


Cd 


VT 

O 

PC 

<] 

te 
Cd 
S 
PC 
te 

«sì 

p 

-< 

1 


Ph 
C- 

<< 
W    VT 

'    PC 
Ph 


P 

te 
G 
te 

Cd 
g 

O 

e 

- 

Ph 

te 
G 


P  S 


vi 

e 

Ph 

Cd 

te 

vi 

C 
Eh 

te 
Cd 

Usi 
te 
Cd 
te 

PC 

te 

VT 

O 

Ph 
P 

P 
PL 

Cd 


«sì 

E- 

P 

M 
PC 

te 
PC 
te 
ce 

te 

«s! 
P 
«sì 

te 

«sì 

VT 

P 

s 

PC 


Eh 

Eh 
Ph 

-sì 

s 

G 

te 

«< 

Cd 

Eh 

VT 

G 

VT 

Eh 

Ph 

te 


Ph 
g 

-> 

Eh 

o 

I— l 

— 

«sì 
«sì 

E« 

P 

Eh 

P 


te 
t(j 

Ph 
— ì 
VI 

C 


G 

Eh 

= 

A 

£ 
P 

.H  te 

«Si     >T 

0  pq 

^g 
.     Cd 

te 

CC 


Cd 
VT 

E- 

te 

Cd 
Eh 

E« 

C 
H 
P 
P 

te 


Cd 
P 
Cd 
Ph 

^    nh' 
>-<    «sì 


P  © 

Cd  VT 

te  o 

HH  < 

Cd  -. 


Cd  S 

<1  P 

PC  < 

w  p 

VT  « 


te 
G 

H 

«sì 
Cd 

Cd 


Eh 

0 

1-1 

Eh 
pq 
te 
G 

H 

•A 

hH 

Ph 
«sì 


P 

w 

Cd 

-< 

Eh 

te 

P 


G 

P 
o 

Eh 

G 

Eh 

E« 

«Sì 

I— t 

G 
H 


Ph    Eh 

Cd      «     Ph 

P    Eh    H 


«^^ 
m  Cd 


W 


Cd 


Ph 

te 
Pd 
g 
VT 

ce 
te 

©  HH 

VT 

se 

Eh 
VT 

PC 


•Jj    ut 

HH 

VT    a 
H 

Ph 

CC       IH 

K 
H 
VT   VT 

<] 

f-ì         -H 
C-( 

<! 
H    VT 

C 


O     H 


«r< 

H- 


S 


<     H 


te 

«< 


—  21  — 


Osservazioni  sulla  parie  esistente  Mìa  iscrizione. 


Lin.  1  e  2  IEPEIA.  Si  è  trovato  dubbio  dal  sig. 
Henzen  sul  sacerdozio  di  Teltia  ,  avvertendosi  che 
tale  opinione  non  era  fondala  sopra  altra  ragione , 
che  sulla  circostanza  di  essere  traile  altre  divinità 
Cerere  in  Napoli  venerata.  Ma  non  fu  questo  solo 
motivo  che  ci  spingesse  a  presentar  quella  conghiet- 
lura.  Il  maggiore  appoggio  io  rinveniva  nel  sagro 
collegio  di  donne ,  a  cui  ella  presedeva  ;  come  ha  già 
notato  il  cav.  Avellino  (Bull.  arch.  nap.  an.  V  pag. 
119).  Del  rimanente  ci  piace  di  ricordare  che  il  eh. 
C.  Federico  Hermann  ,  ed  il  eh.  Franz  trovarono  la 
opinione  probabile,  come  dalle  loro  pubblicazioni  ri- 
levasi. 

Al  che  aggiungiamo  che  tale  si  fu  benanche  il  pa- 
rere del  dottissimo  sig.  cav.  Welcker  ,  il  quale  in 
una  sua  lettera  del  26  ott.  1845  a  me  diretta  nel  ri- 
cevere la  mia  illustrazione ,  così  si  esprime  «  C  est 
»  bien  probable  que  l' oìxos  yvyouxóóv  se  rapporto  au 
»  eulte  de  Cérès,  et  une  prètresse,  qui  avaitdesfon- 
»  clions  pendant  les  cérémonies  pratiquées  dans  cette 
»  curia  mulierum ,  était  panni  le  nombre  des  prè- 
»  tresses  de  la  déesse,  quoique  pour  le  rang  et  pour 
»  le  tilre  il  y  avait  sans  doute  des  grandes  diffé- 
»  rences  ». 

Riteniamo  dunque  la  nostra  opinione ,  la  quale 
trovò  favore  presso  uomini  di  somma  dottrina  come 
sono  i  sig.  cav.  Avellino,  Hermann,  Franz,  e  cav. 
Welcker.  E  forse  nella  linea  7  era  menzione  della 
divinità  ,  di  cui  occupava  il  sacerdozio  ;  giacche  le 
parole  Ar^Tfos  jspow«<A£[vyiS  trovami  in  piena  cor- 
rispondenza dello  spazio  mancante. 

Voglio  qui  di  passaggio  avvertire  che  la  famiglia 
di  Tettia  e  del  marito  di  lei  esser  doveano  delle  prin- 
cipali in  Napoli,  perocché  il  sacerdozio  esercitato  da 
lei  le  imponeva  obblighi  annuali,  a' quali  erano  scelte 
particolarmente  le  mogli  de'  facoltosi  (  Laporte  Du 
Theil  recherches  sur  les  Thesmoph.  nelle  mém.  de  l'A- 
cad.  des  inscr.  et  bellcs  letlr.  toni.  XXXIX  p.  218). 
E  facoltosa  esser  dovea  la  nostra  Teltia,  la  quale  tante 


beneficenze  aveva  fatte  alla  sua  patria,  offrendo  pure 
ne'  templi  statue  di  argento. 

Si  raccoglie  da  un  luogo  d'Iseo,  che  i  mariti  spen- 
devano talvolta  per  le  loro  mogli ,  allorché  fossero 
ricchi,  perchè  adempissero  a' sacerdotali  doveri:  e 
questi  si  vanno  in  tal  guisa  annoverando:  SzGixo^óf, ix 
sarixv  rxs  yuvxìxxs,  x.xì  r  xWx  fax  ^pocr,*;,  Xh- 
roupy-ly  h  fuT  orgjuo  (orai,  de  Pyrrhihered.  infine). 
Queste  erano  per  avventura  le  cure  affidale  alla  na- 
politana  sacerdotessa  nel  guidare  quella  casa  di  donne. 
Alle  quali  ella  aveva  pure  aggiunto  il  donativo  delle 
statue  di  argento,  offerte  forse  nel  tempio  della  dea  , 
di  cui  sosteneva  il  sacerdozio.  Sul  Thesmophorion , 
su' banchetti  avffirtrta.  ivi  celebrali,  e  sulle  offerte 
presentate  dagli  iniziali  veggasi  ciò  che  scrive  il  Ilaoul- 
Rochctle  (leltres  archeologi /pia  p.  174  e  seg. ,  e  183 
e  s.  ).  Le  sacerdotesse,  di  cui  parla  Iseo,  erano  però 
annuali,  ed  ogni  illustre  matrona  cercava  di  procu- 
rarsi una  tale  onorificenza.  Diverso  era  l'onore  più 
ampio  di  un  sacerdozio  a  vita,  del  quale  appunto  go- 
deva la  nostra  Tettia. 

Altre  memorie  di  simili  sacerdozii,  olire  quelli  da 
noi  citali ,  trovansi  ora  noli' ultimo  volume  del  cor- 
pus inscr.  graec.  Tali  sono  kpéx  'S'fixurr.s  Ev^otL? 
§lx  [òiw  (a.  3858)  —  xpxnp-vi  otx  fot'ov  rov  i-yn^xn- 
arxrou  'èìov  A.iowjOu  (a.  3979)  —  Upy.nvo-.rx  otx 
filov  (n.  4239)-/=psì>>  SapccWos  à,à  j3/w  (n.  43G5-) 
— Upiòs  'llcxz'kiov;  $;à  frtoy  (a.  4366)  —  l;pù'i  ù=i~s 
P»Vl>  oià  fii'ov  (a.  4366,1»)  —  'npìvs  'Ac^X^ttioc  o.  (2. 
(n.  4366,  i).  Veggansi  pure  i  n.  5908,  5909,  591 1, 
5913,  e  negli  addenda  n.  4340  f,  g,  p.  1158,  s.  e 
n.  4366  p.  1165.  —  Sacerdoti  a  vita  troviamo  pure 
ricordati  in  iscrizioni  di  Gythium  di  Sparta  (  Vedi  la 
rev.  archéol.  del  sig.  Leleux  an.  II.  p.  211  ). 

Traile  varie  iscrizioni  riferibili  a  questi  sacerdozii 
a  vita,  nel  mio  precedente  lavoro  (p.  4  not.  1),  citai 
una  sacerdotessa  di  Cerere,  la  quale  pure  è  detta  §ix 
(jiov  h  EXivffiòi  Upux.  Su  questa  voglio  fermarmi  al- 
quanto, per  proporre  una  mia  idea  diversa  da  quella 
del  dottissimo  editore  del  corpus  inscr.  graecarum. 

La  iscrizione  è  riportata  conio  segue  (  n.  386  t.  I 
pag.  443). 


—  22  — 

ETMOAniAnNATKOMIAA 

AIABIOTENEAETSE1NIMEN 

AAOftlYENSAMttAETHS 

ETiEBlASE\EKATHS[n]PO[ST]AS[0EA2] 

EniIEPElAi*AAOTlASAAOAAMElAiTHiKAEITOT 

*ATEr25,e[TrATPOi] 

Il  Boeckh  osserva:  h  EXìuuiTn  /x\v  (fortasse  Ar\-  tersi  col  senso  precedente.  D' altronde  la  lunghezza 

(xr^rpos  xx\  Kópr\S  vel  tale  quiddam) ,  h  tdpqt  $k  rrp  delle  righe  può  determinarsi  dalla  penultima  linea  ; 

["'Hpxs?].  Al  verso  3  poi  dice  parlarsi  delle  solenni  sicché  la  seconda  è  capace  di  circa  quindici  lettere  di 

Aloe  di  Cerere;  benché  non  sappia  comprendere,  co-  supplimento.  Ove  dunque  si  ritenesse  Ayyxr\rpo$  xcxì 

me  la  voce  'Akuiouv  si  leghi  col  rimanente  del  di-  Kopjs ,  si  giungerebbe  al  numero  delle  lettere  possi- 

scorso.  Io  credo  che  potrebbe  facilmente  supplirsi  la  bili,  senza  trovar  maniera  di  spiegare  l' AAfifiN. 
epigrafe,  senza  incontrar  la  difficoltà  di  quella  parola,         Io  leggerei  così  tutta  la  iscrizione, 
che  per  verità  non  può  convenientemente  connet- 


ETMOAITIAONATKOMIAA 

AIABIOTENEAETSEIMMEN[TON0EQNTONME] 

[rjAfAjnNENiAMQAETHSfHPA-SIEPElAN] 

ETSEBlA5ENEKATH2[n]PO[£T]A2[@EAS] 

EniIEPElAi;$AA0riA2AA0AAMEIAìTH*KAEIT0r 

#ATEi2S0[TrATPOS] 


Nel  primo  verso  manca  il  nome  della  sacerdotessa, 
la  quale  apparteneva  alla  geute  de'  Licomidi  o  Lieo- 
medi  ,  che  al  riferir  di  Pausania  (1,  22)  ebbe  un«- 
}.s7rr\ptov  nel  pago  de'Fliesi  (  Lobeckh  Aglaopha- 
mus  pag.  982):  il  che  fa  bel  riscontro  al  finimento 
della  iscrizione.  Nelle  altre  righe  si  determinano  i 
diversi  sacerdozii ,  fra'  quali  mi  è  piaciuto  ritenere 
espresso  quello  delle  divinità  delle  Tesmoforie  per 
tmv  Bìwv  vùiv  \xiycxkwy ,  con  piccola  correzione  all' 
AAfifiN,  da  cui  nessun  senso  può  ricavarsi.  È  poi 
noto  che  Ssal  ixiyol'ku.t  sono  appunto  chiamate  Ce- 
rere e  Proserpina  da'  Greci  scrittori.  Così  presso  So- 
focle (Oed.  Col.  685),  e  nell'epigramma  di  Metapo 
presso  Pausania ,  il  quale  si  serve  egli  pure  della 
stessa  denominazione  (IV,  1,  5  e  s.).  Veggasi  il  dot- 
tissimo signor  cav.  Welcker  (Rhein.  Museum  1835 
pag.  584  ) ,  il  quale  avverte  ancora  come  v\  ix<yoL>.r\ 
.Steòs  trovisi  sovente  nelle  iscrizioni  ad  indicar  Cere- 


re (1).  Ma  torniamo  alla  epigrafe  napoletana  di  Tedia. 

In  quanto  all'  otxos  in  significalo  di  sacro  edifizio  , 
ci  piace  di  citare  alcune  altre  autorità,  olire  quelle  da 
noi  riportate,  alle  quali  nessun' altra  se  ne  aggiunse 
finora,  eccetto  quella  della  iscrizione  di  Haliarlus  ri- 
portata dal  sig.  Henzen.  Anche  nell' ullima  edizione 
parigina  del  tesoro  di  Stefano  v.  olxos,  nessun  novello 
esempio  si  riferisce;  meno  ì'olxosixutrrixòs  di  un  luogo 
di  Dione  Crisostomo  (  Orai.  XII  )  :  ma  ha  già  notalo 
il  sig.  Teodoro  Avellino  (  Bullclt.  arch.  nap.  an.  IV 
pag.  40)  che  nella  critica  edizione  del  sig.  Emperius 
(p.  233)  trovasi  preferita  la  lezione  \wxM  txvarixòs. 

Citerò  pria  d'ogui  altro  un  luogo  di  Euripide,  nel 

(I)  Il  Welcker  fece  queste  osservazioni  nella  occasione  d'illu- 
strare una  laminelta  d'  argento  di  Posidonia,  in  risposta  ad  una  let- 
tera del  cav.  Avellino  inserita  nel  medesimo  giornale.  Veggasi  sulla 
stessa  ciò  che  dice  il  Raoul-Ilochelte  nelle  mém.  de  F  Acad.  dei 
inscr.  et  belles  lellr.  voi.  XIII  pag  576,  e  la  nuova  osservazione 
del  eh.  Cavedani  riprodotta  nel  corpus  insci .  graec  a.  5778. 


—  23 


quale  parlandosi  appurilo  di  un  tempio,  si  dice  oixtw 
Sichórouv  (Eurip./on  v.  1548).  Ma  andava  certamente 
citalo  a  confronto  dell' olxas  dell'Efesia  Diana  un  epi- 
gramma di  Timoteo  (  apud  Macrob  Satur.  V.  22  ) , 
che  appunto  di  Diana  parlando  dice  in  fine:  "Ho* rari 
KsyXfw  Tifi/o»  olxov  '-'x.-'-  Parve  al  sig.  Guhl  che 
s'intendesse  il  tempio  famoso  della  Efesia  Diana  (E- 
phesiaca  p.  1 G5 ) ;  e  così  sembra  pure  a  noi,  perchè 
già  ricordammo  che  quell'  edifìzio  fu  denominato  an- 
cora olxos  da  Aristofane  (/'  ant.  lap.  Nap.  di  Telila 
Casta  pag.  39).  Tutti  questi  luoghi  tra  loro  parago- 
nali si  danno  luce  a  vicenda.  Nello  stesso  luogo  (  p. 
37  not.  4)  citai  una  iscrizione  ove  il  eh.  Lebas  leg- 
geva TON  NAON  KAI  TO  TnGTAlON.  Ora  però 
non  voglio  mancare  di  avvertire,  che  quella  lezione 
fu  posteriormente  messa  in  dubbio  (rev.  ardi.  an.  Ili 
p.  288).  Del  resto  sulle  costruzioni  sotterranee  di  al- 
cuni (empii  vedi  gli  annali  dell'  Ist.  1840  p.  69. 

Lin.  3.  L'epoca  precisa  del  monumento  resta  dub- 
biosa. È  però  indubitalo  che  non  si  ricorda  il  primo 
consolalo  di  Domiziano.  Nell'alternativa  proposta  dal 
sommo  Borghesi  tra  lo  sposlamenlo  del  Leneone ,  e 
la  differenza  del  Valerio  Festo  da  quello  che  fu  col- 
lega di  Domiziano  nell'  824  ,  io  prescelsi  questa  se- 
conda ipotesi.  11  signor  Franz,  ed  il  eh.  Hermann 
trovarono  poco  probabile  questa  duplicità  di  un  per- 
sonaggio della  stessa  famiglia.  Olirà  le  osservazioni 
da  noi  premesse,  tendenti  a  dimostrare  l'TIOTKAl 
della  linea  8  un'aggiunzione  del  Falcone,  dalle  quali 
risulla  non  esser  necessario  riferirci  al  primo  conso- 
lato di  Domiziano,  alfre  ragioni  fortissime,  sviluppale 
dal  Borghesi,  lo  ridussero  alla  conclusione  «che  mal- 
»  grado  l'identità  de' nomi  e  del  collega,,  si  è  for- 
»  zatamenle  costretti  di  confessare ,  che  i  due  Festi 
»  furono  indubitatamente  due  personaggi  diversi  ». 
Siamo  perciò  oltremodo  lieti  di  veder  confermata 
all'  evidenza  quella  fra  le  due  ipotesi ,  che  ci  parve 
la  più  probahile.  Non  vi  sarà  quindi  necessità  di 
supporre  lo  sposlamento  del  Leneone,  di  cui  non  vi 
è  alcuna  dimostrazione  per  l' antica  Napoli  ;  quan- 
tunque non  neghiamo  che  potevasene  ammettere  la 
possibilità  ,  quando  assolutamente  ve  ne  fosse  sialo 
Insogno. 


Lin.  lo.  ix.  uu.  r.  |3.  bvp.o<slu)  '&rai\yw.  Oltre  gli 
esempli  da  noi  citati  sulla  voce  fxctpwpot'fjia<  col  da- 
tivo ,  alcuni  altri  se  ne  ritrovano  nell' ultimo  volu- 
me del  corpus  inscr.  gr.  :  fjLxprvfnfau  fuT  ivofi  (n. 
3831  )  ;  fxflwpvp^ffai  ctÙTuT  ifj.p  v\xiiv  (n.  3832  ,  cf. 
3833).  Onori  pressocchè  simili  a  quelli  che  si  accor- 
darono a  Tedia  ,  furono  ancora  attribuiti  dal  popolo 
di  Astipalea  ad  un  tal  Putieuclo;  come  rilevasi  da  una 
iscrizione  già  conosciula  per  le  pubblicazioni  di  molti 
(giorn.  ardi,  di  Atene  1841  num.  10  p.  457-458 
n.  684.  Raoul-Rochelte  leltr.  à  mon.  Schorn.  §  III 
n.  298  p.  386  2."  ediz.  questioni  de  l'art,  p.  142- 
143.  Boeckh  e.  i.  gr.  n.  2488  e  t.  Il  add.  p.1098). 
In  essa  è  pur  detto  che  WiyL<x.Gi....ht«.ivw,  j^vasuiffn- 
$%vm,  eie.  Cosi  pure  nella  celebre  iscrizione  di  Rodi, 
ov'è  menzione  del  collegio  degli  Eliasli  :  'erlfiours.... 
htauYut)  xpuffiu>  ar-^xYM  eie.  (Bulletl.  dell' Ist.  arci). 
1834  p.  218;  corpus  inscr.  gr.  n.  2525,  b  p.  392 
d  cf.  add.  p.  1099.  Su  questa  epigrafe  sono  da  leg- 
gere ancora  le  dotte  osservazioni  del  celebre  Cavedo- 
ni  nel  Giornale  leder,  di  Perugia  an.III  p.163  e  s.). 

Lin.  19.  àirò  rov  rg/^ous  h  y&Tuintw.  Importami 
osservazioni  ha  falte  il  sig.  Mommsen  su  questa  parie 
della  epigrafe  (vedi  pure  quel  che  dicemmo  nel  real 
museo  Borbonico  voi.  XV  tav.  XXV-XXVI  p.  6)  ;  e 
quandanche  nulla  di  cerio  puossi  rilevare,  pure  sem- 
bra che  quella  regione  bassa  di  Napoji  fosse  appunto 
verso  le  mura  della  cillà  :  e  forse,  ove  potesse  effet- 
tuarsi uno  scavo  in  questo  sito,  di  immense  scoverle 
epigrafiche  potremmo  arricchirci.  Del  resto  delle  an- 
tiche muraglie  di  Napoli  fa  pur  menzione  Vellejo  Pa- 
tendolo; vires  aulem  veteres  earum  urbium  (Clima  e 
Napoli)  hodieque  magnitudo  ostentai  moenium  (lìb.  I 
cap.  4). 

Dobbiamo  poi,  ad  onor  del  vero,  dichiarare  che  le 
voci  h  \Kifuriroo  da  noi  interpretate  in  fronte,  furono 
da  noi  riferite  al  muro  di  fronte  del  monumento  di 
Tettia  ,  che  chiuderlo  dovea  verso  la  strada.  Così 
interpellò  le  nostre  parole  il  cav.  Avellino  (bidlett. 
arch.  nap.  an.  IV  p.  128) ,  e  così  infatti  ci  sembra 
anche  adesso.  Veniva  prima  il  muro  della  città  ,  poi 
la  pubblica  strada,  ed  in  essa  il  fronte  del  monumento, 
che  io  prendo  pel  muro  esteriora  dalla  parie  della 


—  24  — 


strada.  Di  contro  a  questo  muro  per  lo  spazio  di  30 
o  36  piedi  non  era  permesso  ad  alcuno  V  edificare , 
onde  non  ascondere  il  sepolcro  della  onorata  sacer- 
dotessa. E  dico  30  o  36  piedi,  giacché  forse  van  me- 
glio divise  così  le  parole  ìvròs  7roòòJv  TaiaLxovrtx  \%oi- 
xohóiAHv  ìTrtTpiTMY.  intra  pedes  50  exaedi ficare  liceat; 
siccome  non  tralasciammo  di  notare  nella  nostra  pri- 
ma pubblicazione. 

Non  vogliamo  aggiugnere  alcuna  particolare  av- 
vertenza sulla  politica  forma  dell'  antica  Napoli ,  e 
sulla  quistione  più  volte  agitata  fra' dotti,  se  la  no- 
stra città  addivenne  giammai  romana  colonia  ,  ed  iu 
qual  tempo.  Sarà  più  opportuno  toccarne  alcuna  cosa, 
quando  ci  sarà  dato  di  pubblicare  la  nostra  memoria 
sulla  epigrafe  della  nuova  fratria  de'  Crelondae ,  letta 
alla  reale  Accad.  Ercolancse.  E  solo  conchiuderemo 
questo  nostro  articolo  col  manifestare  di  nuovo  il  de- 
siderio che  la  lapida  di  Tettia  Casta  sia  acquistata  pel 
real  museo  Borbonico  ,  e  per  tal  modo  sottratta  alla 
distruzione,  o  almeno  a'guasti,  a' quali  trovasi  espo- 
sta. La  perdila  degli  altri  due  decreti  del  napolitano 
senato,  pertinenti  alla  medesima  epoca;  la  distruzione 
miserevole  della  celebre  lapida  relativa  alla  fratria  de- 
gli Aristei ,  della  quale  non  rimasero  che  pochi  fram- 
menti ,  conservali  nel  real  museo  Borbonico  ;  e  la 
disparizione  di  altre  importanti  epigrafi  napolitane  , 
ci  spingono  a  consigliare  la  più  diligente  custodia  di 
quelle  che  fortunatamente  sono  fino  a  noi  pervenute. 
Il  ritrovamento  della  lapida  de'Theotadae  venne  a  di- 
leguare le  false  lezioni ,  che  furono  argomento  di  sva- 
riate conghie ttu re  per  parte  di  arditi  filologi:  e  la 
conservazione  di  questo  importantissimo  monumento, 
dovuta  alle  cure  del  defunto  Avellino ,  che  ne  pro- 
pose l'acquisto  pel  real  museo  Borbonico,  sarà  la 
base  di  tutte  le  ricerche ,  che  potranno  sul  medesi- 
mo istituirsi.  Così  avviene  di  qualsivoglia  patrio  mo- 
numento, segnatamente  epigrafico;  giacché  dallo  stu- 
dio delle  napolitane  iscrizioni  può  trarsi  non  poco 
vantaggio  a  diradare  le  tenebre  che  offuscano  le  me- 
morie dell'  antica  Napoli;  al  che  non  bastano  le  nar- 
razioni degli  storici,  e  degli  altri  antichi  scrittori. 


Non  possiamo  dunque  a  sufficienza  raccomandare 
la  riunione  dei  documenti  superstiti  del  nostro  paese 
in  un  sito,  ove  siano  al  sicuro  da  qualunque  danno , 
ed  aperli  allo  studio  de' dotti. 

E  ciò  diciamo  in  modo  precipuo  della  iscrizione 
di  Tettia  Casta  ,  della  cui  importanza  non  può  muo- 
versi dubbio  da  alcuno. 

MlNERVINl. 

Monete  di  Pmkos  della  Caria  illustrale. 

La  città  della  Caria  di  nome  Ilypvos,  Pyrnos,  non 
trovasi  memorala  che  da  Stefano  Bizantino ,  e  da 
Plinio  [Nat.  h.  V,  29),  il  quale  ne  insegna  anche  li 
sua  situazione  nella  Perea ,  in  faccia  a  Bodi,  con  di- 
re :  oppidum  Cannos  liberimi,  deinde  PYRNOS.  Essa 
non  ne  trasmise  che  poche  ma  belle  monete  di  rame 
così  descritte  dal  Mionnet  (  Descr.  n.  424  ,  425:  cf. 
Pellerin  ,  Ree.  pi.  LXV11,  50  ). 

Testa  d'Apollo  laureata,  vista  di  prospetto. 
)(PrPNHaN  oppure  FTP,  Conchiglia  marina 
univaha.  iE3,  1  7S  F.*,  F.tk 

La  testa  del  ritto  ,  il  bello  stile ,  e  la  forma  semi- 
arcaica del  r  ,  che  parve  T  al  Mionnet ,  le  mostra 
impresse  ai  buoni  tempi,  allorché  la  Perea  dipendeva 
da  Bodi.  La  conchiglia  poi  turbinata ,  che  vedesi  nel 
riverso,  ne  forma  il  più  bel  pregio,  poiché  ne  mette 
solt'  occhio  la  vera  forma  della  conchiglia,  della  quale 
usavano  i  pittori  Greci ,  e  che  raccoglievasi  segnata- 
mente nell'acque  della  Caria  (  Aristot.  hi$t.  anim.  V, 
15  :  cf.  Schneider  ad  Vìlruv.  VII,  13,  3):  ru>  Vi  e>2 
■ypocpsìs  t&rTpsw  ^ptèrt"r«|j  7roLxct  **  foXì»  y7rsp|ìoXXsj, 
xoù  s^wSsv  rov  òarpctKQ'j  tò  óV&os  hfiyiy¥pnu '  licrl  hi 
rà.  roio-ùrci.  (  o<rrpi%  )  f^aXicrra  7tip]  rovi  róirovi  rovs 
Trip]  Kap/av.  La  conchiglia  della  medaglia  di  Pyrnos, 
stando  al  disegno  del  Pellerin  ,  risponde  alle  parole 
del  greco  naturalista  ttxxii  irokv  vTrtpfìàfWu .  Del  re- 
sto ,  anzi  che  concha  univalvis ,  come  la  chiama  il 
Mionnet,  credo  doversi  essa  appellare  mitylus,  o  con- 
cha bivalvis, 

C.  Cavedoni, 


Giono  Minervim  —  Editore, 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtanbo, 


BOLLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  51     (1  dell' anno  III.) 


Settembre  1851 


Dichiarazione  di  alcune  medaglie  del  Chersoneso  Taurico ,  e  della  Sarmazia  Europea.  —  Su  di  una  iscrizione 

di  Ponlelalone. 


Dichiarazione  di  alcune  medaglie  del  Chersoneso 
Taurico,  e  della  Sarmazia  Europea. 

Con  questo  tenue  scritto  altro  non  intendo  che  di 
far  qualche  giunta  e  rettificazione  al  detto  dal  som- 
mo Eckhel;  e  mi  duole  di  non  avere  potuto  consul- 
tare iu  proposito  gli  scritti  del  dotto  Koehler. 

CERCINE  scu  CERCINITIS 

Questa  nuova  città  numismatica  fu  primamente  po- 
sta in  luce,  un  dieci  anni  addietro,  dal  eh.  Friedlaen- 
der  (Annali  arc/ieoZ.f.XFJ,p.232-234,  lav.d'agg.L.) 
colla  descrizione  ,  disegno  ed  illustrazione  delle  se- 
guenti tre  monete  di  rame  del  R.  Museo  di  Berlino 
provenienti  dalle  parli  della  Russia. 

1.  KEPKl ,  Figura  virile  barbala,  vestita  di  una 
pelle,  o  di  stretta  vesta,  sedente  sopra  uno  scoglio,  che 
con  la  s.  si  appoggia  allo  scoglio  slesso,  e  con  la  d.  tie- 
ne una  scure  di  forma  barbarica. 

X  KAAAIA,  Cavallo  gradiente.  ^E.  5. 

2.  Altra  simile  con  HlflOKPA  nel  riverso. 

3.  KEP,  Testa  di  Diana  con  la  chioma  ruccoltain 
nodo  al  didietro,  ornala  di  un  motiile  di  perle ,  e  con 
faretra  air  omero. 

)(  EPMA,  ferro  gradiente  fornito  di  larghe  cor- 
na ramose.  JE.  5. 
Egli  rapporta  i  luoghi  di  Amano  e  dell'Anonimo 
del  Periplo  del  Pouio  Eusino,  che  ne  attestano  come 
KspxiuTis  era  situata  fra  le  città  di  Cherroneso  Tau- 
rico e  K%\òv  Xiu/vot  ;  e  ne  illustra  i  tipi  co'  riscontri 
di  Strattone  e  d'altri  scrittori  antichi.  Il  sospetto,  che 
venir  potesse  in  mente  ad  altri ,  che  quelle  monete 

ANMJ  III. 


spettar  potessero  all'isoletta  Cerciae  posta  nelle  vici- 
nanze d' Efeso  (  Plin.  ÌV.  Hisl.  V,  38, 2  )  resta  escluso 
si  dalla  provenienza  come  dalla  maniera  della  fab- 
hrica  di  esse  singolare  ed  analoga  a  quella  delle  mo- 
nete d'Olbia  e  di  Panticapeo.  Arroge  la  forma  della 
scure  posta  in  mano  all'eroe  sedente  sopralo  scoglio, 
la  quale  è  assai  somigliante  alla  scure  Amazonica  o 
barbarica,  che  nelle  monete  d'Olbia  vedesi  posta  da 
lato  alla  faretra  ovvero  corylus.  Quell'eroe  ignoto 
vuoisi  probabilmente  credere  fondatore  di  Cercine  , 
e  sedente  sopra  lo  scoglio  quale  figliuolo  di  Nettuno, 
e  di  nome  analogo  a  quello  di  Kepxt'òuv  figliuolo  di 
Nettuno  slesso.  Al  nome  suo  Kipxucuv  ,  o  simile,  al- 
luder potrebbe  fors'anche  la  stretta  vesla  o  pelle  vil- 
losa eh' egl' indossa  (cf.  Hesyeb.  v.  Kspcos-  oìttXti, 
al.  Ki'pxu  ). 

Alle  sovra  descritte  tre  medaglie  di  Cercine  forse 
aggiunger  potrebbesi  la  seguente  (Mionnet  Suppl.  n. 
205  sub  Caria  ). 

4.  Testa  di  Giove  barbata  laureata. 

XJSracw  *»•  **■*-•■ 

Questa  fu  dal  Sanclemente  attribuita  a  Chersoneso 
della  Tauiide,  e  poscia  dal  Sestini  (Leti.  nutn.  cont. 
T.  IV,  p.  12)  data  a  Ceramo  della  Caria:  ma  il  tipo 
della  clava  ed  il  nome  Tracico  KOTTOS  meglio  si 
converrebbe  a  monela  di  Cercine  della  Tauride. 

CHERSONESVS 

1.  XEP  ,  Testa  giovenile  laureala  radiata,  con  li- 
tuo militare  al  dinanzi. 

)(  Donna  turrita  stante  con  freccia  nella  d.  e  con 
arco  nella  s.  AVR.  i  %, 


—  26 


L'Eckhel  si  siede  contento  ad  avvertire  il  pregio 
insigne  di  questa  medaglia  per  riguardo  al  nobile  suo 
metallo:  ma  vie  più  pregevole  parmi  in  riguardo  al 
tipo  del  riverso  ,  che  rappresenta  la  città  personifi- 
cata ,  oppure  Diana  di  lei  fondatrice  e  tutelare ,  a- 
vendosi  da  Mela  (  de  situ  Orb.  II,  1  ,  3  )  :  oppidum 
Cherrone  a  Diana  (sic  creditur)  conditimi.  Il  dotto 
Tzschucke  a  questo  luogo  commenta  :  quis  vero  cwn 
Mela  urbemaDiana  condilam  tradal, ignoro.  Callimaco 
peraltro  sembra  accennare  a  simili  credenze  [in  Dian. 
v.  34);  e  nelle  monete  di  Cerasa  della  Decapoli,  co- 
me altra  volta  avvertii  (Spiai,  num.  p.  275:  cf.  Bull, 
ardi.  1837  p.  168),  presso  la  testa  di  Diana  è  scritto: 
APTEMIC  TYXII  TEPACS2N.  In  altra  moneta  di 
Cherroneso  della  Tauride,  di  rame,  ricorre  lo  stesso 
tipo  di  Diana  turrita,  o  della  Tt'x"/j  della  città,  e  nel 
ritto  v'ha  la  lesta  barbata  di  Pan;  ed  ho  gran  sospet- 
to, che  nel  ritto  dell'  aureo  descritto  dal  Sestini ,  in- 
vece del  lituus  militaris,  vi  fosse  un  pedum  pastorale. 
2.  Leone  stante  a  dritta  con  la  lesta  rivolta  a  sini- 
stra e  col  pie  sinistro  alzato. 

)(  XEP,  Testa  di  Pallade  a  dritta:  il  lutto  entro 
un  quadralo  incuso.  AR.  6  '/»  F.  a.  *. 

Questa  insigne  monela  di  fabbrica  arcaica  bella 
(Mion.  Suppl.  n.  1  )  può  credersi  impressa  circa  ai 
tempi  di  Erodoto;  di  che  si  conferma  l'avviso  del  eh. 
Boeckh  (  Corp.  I.  Gr.  T.  Il,  p.  90)  riguardo  alla  ra- 
gione del  silenzio  di  quello  storico  intorno  alla  città 
Cherroneso.  Il  tipo  del  diritto  è  desisamente  Milesio; 
e  non  sapendosi  che  i  Milesii  avessero  parte  nella  fon- 
dazione di  Chersoneso  (  C>  I.  Gr.  T.  II,  p.  89  ) ,  il 
tipo  stesso  sembra  doversi  riferire  ad  una  concordia 
tra  Cherroneso  e  Panlicapeo  fondala  da  coloni  Mile- 
sii [ih  p.98  );  tanto  più,  che  in  allre  monete  di  Cher- 
roneso ricorre  la  lesta  di  Pan  (  Mion.  descr.  ».  2.)  ri- 
traila evidentemente  da  quelle  di  Panlicapeo.  Del  re- 
sto ,  in  una  lumina  aurea  proveniente  da  Panlicapeo 
(Arneth,  Gold-und-silber-Monum.  p.  22,  n.  20,  taf. 
G.  I,  n.  20)  veggonsi  le  teste  di  Pallade  e  di  Pan  ac- 
coppiale a  guisa  di  Giano. 

3.  S3X ,  Eroe  ignudo ,  con  pileo  o  galea  conica  in 
testa,  che  piegando  un  ginocchio  a  terra  protende  /'  a- 
sla  con  la  d.  e  tiene  nella  s.  lo  scudo  alzalo  ;  fra'  suoi 
yiedi ,  la  h  Itera  T. 


)(  OPONT ,  Protome  di  cinghiale  alalo  ;  il  tutto 
entro  un  incavo  rotondo  come  martellato.  Ali.  5  F.  a*. 
Anche  questa  insigne  medaglia  del  R.  Museo  di 
Monaco  (Sestini,  lett.  num.  coni.  T.  IV,  p.  10  ,  n. 
1  )  risale  verso  i  tempi  d'  Erodoto  ,  ed  è  pregevole 
per  ambo  i  suoi  tipi.  La  protome  del  cinghiale  alato 
è   lipo  proprio  delle  monele  vetuste  di  Clazomene 
dell'Ionia,  e  d' Ialiso  di  Hodi  altresì  (v.  annali  ardi, 
t.  XIII.  p.  145);  e  sembra  accennare  a  concordia 
de' Chcrronesii  co'Clazomenii,  i  quali  avevano  erette 
alcune  specole  (axcnràs)  verso  il  Bosporo  Cimmerio 
(Slrabo  À7  p.  494:  Pliu.  VI,  7,  1),  oppure  è  sim- 
bolo di  forze  navali  (Annali  ardi.  T.  XIII ,  p.  148). 
L'eroe,  in  atto  di  agguato,  o  di  aggressione,  protetto 
dal  grande  suo  scudo,  fu  reputalo  e  detto  Achille 
dall'Eckhel  e  dagli  altri  numografi.  Il  signor Raoul- 
Rochette  (  //ere.  Assyr.  p.  224)  ha  di  recente  posto  in 
dubbio  quella  bella  e  felice  interpretazione ,  non  al- 
tro ravvisandovi  che  un  lipo  d' origine  asiatica  ,  che 
ricorre  anche  in  monele  arcaiche  di  Cizico,  di  Tarso 
e  d'altre  città  della  Cilicia.  Ma  qualunque  sia  l'eroe 
del    tipo   asiatico  ,  quei  riscontri  non  tolgono  che 
nelle  monete  del  Chersoneso  Taurico  non  siasi  vera- 
mente rappresentato  Achille  stante  come  in  agguato; 
tanto  più  che  in  altri  monumenti,  siccome  nella  grande 
idria  vulcente  rappresentante  la  morte  diTroilo  (An- 
nali ardi.  T.  XXII  p.  72  lav.  d'agg.  E,  F),  vedesi 
Achille  similmente  armato  di  galea,  di  lancia  e  di 
scudo  rannicchiato  con  un  ginocchio  a  terra  ,  stante 
in  agguato  dietro  il  fonte.  I  Cherronesii  poi  ebbero 
non  una  ma  molte  ragioni  per  rappresenlare  il  figlio 
di  Tetide  nelle  loro  monele;  giacché,  olire  la  vicina 
isola  d'Achille,  il  corso  d'Achille  ed  il  sacrario  d'Achille 
(Strabo  VII  p.  307,  310),  nel  Ponto  veneravasi  A- 
chille,  qual  nume  signore  IIONTAPXHS  (Corp.  1. 
Gr.  num.  2077  ,  277  b.  cf.  T.  II.  p.  87).  La  par- 
ticolarità poi  di  figurarlo  così  rannicchiato  o  riguar- 
da l' agguato  guerresco ,  oppure  è  maniera  propria 
segnatamente  dell'  arie  prisca ,  come  costa  dal  ri- 
scontro delle  medaglie  arcaiche  d'ogni  regione,  pro- 
babilmente per  meglio  empiere  il  campo  della  mo- 
neta e  ritrarre  la  figura  più  in  grande.  Un  guerriero 
similmente  posto  in  agguato  col  deslro  ginocchio  a 
terra  ricorre  anche  nelle  pilline  dell'ipogeo  de' cui- 


27  — 


fori  di  Mitra  scoperti  presso  il  cimitero  di  Pretestato 
che  sono  del  terzo  secolo  all'indica  (Boltari,  Roma 
solter.  T.  Ili  in  princ.  Bull.  ardi.  1833  p.  87-93). 
Solo  mi  lascia  qualche  luogo  a  dubitare ,  che  non 
fosse  mai  altro  eroe  indigete ,  la  sigla  T  la  quale 
prendersi  dovesse  per  iniziale  del  nome  suo;  giacché 
il  nome  del  magistrato  OPONtvjs  è  nel  riverso  della 
moneta  (cf.  £  /•  Gr.  n.  2000,  2068,  2089). 

4.  EAET0EPAC,  od  EAEX(->EpiA,  Bue  in  allo 
di  coricarsi,  o  di  cozzare. 

)(  XKP,o  XEPCONHCCO.oXEPCONHCOT, 
Figura  feminilc  seminuda,  che  raggiunto  un  cervo  lo 
preme  col  ginocchio  e  sia  per  trafiggerlo  con  un  vena- 
buio.  /E,  6,  5,  4,  3  F.  o. 

Il  eh.  Boeckli  (  C.  I.  Gr.  T.  II.  p.  90  )  con  huone 
ragioni  argomenta,  che  Cherroneso  fosse  dai  Roma- 
ni dichiarala  libera  nell'anno  Varroniano  718  all'in- 
circa,  e  le  monete  col  titolo  EAET0EPAC,  EAET- 
0EPAC,  anche  in  riguardo  alla  forma  del  sigma  lu- 
nato o  quadrato  ,  sembrano  tutte  del  tempo  dell'  im- 
pero. Alla  libertà  e  prosperità  de'Cherronesii  può  ri- 
ferirsi il  tipo  del  hue  che  sta  in  alto  di  coricarsi  o 
di  cozzare,  siccome  altra  volta  dimostrai  (Spicil.  n. 
p.  Sì:  Annali  ardi.  T.  XXII.  p.  188-189).  Se  la 
lettura  EAETeEPlA  data  dal  Sestini  (Lei.  coni.  T. 
lY.p.  12  n.  13.)  è  giusta,  iCherronesii  avrebbero  ce- 
lebralo, del  pari  che  i  Plaleesi,  le  feste  annue  EAET- 
©EpEIA  (  C.  I.  Gr.  n.  1068).  Nel  tipo  del  riverso 
i  numograti  sogliono  ravvisare  Diana  cacciatrice;  ma 
per  cagione  della  nudità  ,  troppo  disdicentesi  alla  ca- 
sta dea,  io  preferiva  e  preferisco  di  ravvisarvi  la  Ver- 
gine, Ilaf&syoS,  che  a\ea  tempio  insigne  e  simulacro 
in  Cherroneso  (  Strabo  VII  p.  508.  Caved.  Spicil. 
man.  p.  31  ).  Che  quella  IIap&/foS  fosse  diversa  da 
Diana  panni  potersi  arguire  dalle  parole  di  Strabone, 
chela  dice  oaifxoya  Ttvx,  e  dal  riscontro  d'altre  mo- 
nete di  Cherroneso,  nelle  quali  Diana  è  decentemente 
slolata  (Mion.  suppl.  man.  22).  Il  culto  singolare  di 
Diana  ,  e  della  Vergine  'OpsjX^K] ,  vuoisi  in  parte 
ripetere  dalle  frequenti  cacce  de'  cervi  e  de'  cin- 
ghiali che  facevansi  nella  penisola  selvosa  della  Tau- 
ride  (Strabo  VII.  p.  312);  alle  quali  può  riferirsi 
anche  il  tipo  del  cane  corrente  (Mion.  suppl.  n.  16). 


La  scrittura  XEPCONHCCO  per  XCPCONHCCOr, 
e  di  ETAPOMO  per  ETAPOMOT  (  Mion.  Descr.  3 
Suppl.  19,20),  ha  il  suo  riscontro  in  parecchie  iscri- 
zioni del  Bosporo  Cimmerio  (£  /.  Gr.  a.  2109  d, 
e,  al.  ). 

5.  Testa  giovatile  diademata. 

)(  XEP,  Clava  giacente,  XOPEIOT.  /E.  XF.o. 

Il  Sestiui  disse  testa  d'Apollo  (Leti.  coni.  T.IVp. 
12  n.  10)  quella  del  ritto,  senza  buona  ragione. 
Forse  meglio  dir  potrebbesi  lesta  d'  Achille  nON- 
TAPXOT  (£  /.  Gr.  n.  2077,  2077  6.);  sia  che 
s'intenda  del  Pelide ,  o  sia  che  d'altro  eroe  Achille 
re  degli  Sciti  presso  il  corso  d' Achille ,  del  quale 
alcuni  credettero  aver  detto  Alceo  (  ap.  Eust.  ad  Pe- 
rieg.  v.  306),  'Ax,iXksù,  'òs  fate  %xu&ixàs  puòzìiS. 
Una  simile  testa  giovenile  diademata  ricorre  anche 
nelle  monete  della  vicina  Panticapeo. 

HERACLEUM. 

Le  monete  di  stile  semibarbaro  con  la  testa  d' Er- 
cole imberbe  nel  ritto,  e  con  HPA,  HPAKA  e  la 
clava  e  l'arco  nel  riverso,  attribuite  dall'Eckhel  al- 
l'ignobile Heracleum  del  Chersoneso  Taurico  ,  me- 
moralo dal  solo  Tolomeo ,  non  rinvenendosi  altri— 
menli  in  quelle  contrade ,  ed  essendo  frequenti  nel- 
l' Illirico ,  furono  con  tutta  ragione  dai  eh.  Steinbu- 
chel  e  Nisiteo  restituite  ad  Eraclea  dell'  Illirico  (Bull. 
ardi.  1838  p.  89),  alla  quale  ben  si  convengono  an- 
che per  riguardo  alla  loro  fabbrica  ed  alla  loro  qua- 
lità di  metallo. 

PANTICAPAEVM. 

Il  eh.  Boeckh  (C.  I.  Gr.   T.  II p.  91,  98)  ha 

comprovato  che  questa  celebre  città  greca,  metropoli 
de'  Bosporani  Europei  e  sede  regia ,  fu  fondala  da 
coloni  Milesii  intorno  all'Olimpiade  LX. 

1.  Testa  di  Pan  con  barba  e  chioma  caprina  ricinta 
d' edera. 

)(  PAN ,  Grifo  a  testa  di  capra,  o  di  pantera 
cornuta ,  con  cuspide  di  venabulo  infranto  fra'  denti , 
incedente  sopra  una  bella  spiga  di  grano  giacente. 

AIR.  4  7*  F.  \ 


—  28  - 


Questo  insigne  aureo  di  fabbrica  assai  bella  (1)  fu 
pienamente  illustrato  dal  eh.  Duca  de  Luynes  (  An- 
nali Ardi.  T.  XIII  p.  141-145),  e  può  credersi 
impresso  intorno  all'Olimpiade  CXV1II  allorché  Pan- 
ticapeo  prosperar  dovette  ,  per  l'immunità  imparti- 
tagli da  Eumelo  (  Diod.  XX,  24  Bocckh  C.  I  Gr.  T. 
II  p.  93-94). 

2.  Ceffo  di  Icone  di  prospetto. 

)(  I1ANTI,  Testa  di  ariete  e  pesce;  il  tutto  entro 
un  quadralo  incuso  AR.  3  F.a.* 

3.  Testa  di  Pan  coronata  a"  edera. 

)(  ITANTI,  o  IIAN,  Testa  d'ariete, oppure  lesta 
di  bue  con  parte  del  collo  AR.  3,  4,  F.  *. 

I  tipi  delle  teste  di  ariete  e  di  bue  sogliono  rife- 
rirsi alle  località  della  Tauride  e  del  Kfiov  [Xirwvoy; 
ma  forse  appellano  anche  a  relazione  con  Samo  , 
Clazomene  ed  altre  città  del  litlorale  dell'Asia  mi- 
nore ,  che  avessero  parie  nella  colonia  condotta  dai 
Milesii  nel  Bosporo  Cimmerio. 

)(IIANTI,  Cavallo  pascente;  al  disotto,  due  fori 
in  sui  loro  steli.  AR.  8.  F.  o. 

Notevole  si  è  la  particolarità  delle  due  erbe  fiorite, 
awcrlita  dal  Mionnel  {Descr.  n.  8),  e  che  alSestini 
(  Leti.  coni.  T.  IV  p.  1G)  parve  indizio  di  prato. 
Così  l' artefice  antico  avrebbe  espresso  il  detto  inge- 
nuo d'Omero  {Il.B.  775). 

i7T7ro;  de  7rap  apiJ.cr.civ  cicriv  sxa.ffTOS 

Xwrov  £pi7rrófj.iyoi  iXsoTpfTTToV  tì  ctjXivov 

'i<7T%<70.Y. 

Ma  essendo  il  Chersoneso  Taurico  in  parte  abitalo 
dai  Tauri  Scilici  (  Slrabo  VII  p.  311),  può  sospet- 
tarsi che  quell'erba  fiorila  sia  la  celebre  Scythice , 
specie  di  glirirriza  frequente  nelle  contrade  della  pa- 
lude Mcolide  ,  ovvero  l'altra  detta  hippace  odhippice, 

(1)  La  cosi  dilla  piccola  medaglia  d'oro  di  Panticapeo  in  (or- 
ma di  bottvw:,  descritta  nel  catalogo  Welleoheim  (n.  1201),  e 
che  ora  conservasi  nel  r.  museo  Estense,  ba  forma  di  patera  um- 
liilicula ,  o  sia  di  piccolissima  scodelliti»  con  ginnetto  nel  bel  mez- 
zo della  parte  concava  ;  e  nella  parte  opposta  convessa  mostra  qual- 
che indizio  di  attaccatura  dell' appicagnolo  che  vi  fosse  apposto;  si 
che  può  rerisimilmeote  aver  servito  di  grazioso  bottoncino  (cf.  An- 
nali ai  eh.  T.  XII  p.  17).  I  vicini  Scili  veneravano  certi  oggetti 
d'  oro ,  che  credevano  caduti  di  Cielo  nella  loro  terra  ,  fra'  quali 
una  fiala  ;  e  fiale  a"  oro  solcan  riporre  ne'  sepolcri  (  Herodot.  IV, 
3,  10,71). 


da  Plinio  {Nat.  h.  XXV,  43,  44,  XXVII,  1  ):  Scy- 
thia  primum  eam  {inventi  herbam),  quae  Scylhicevo- 
calur,  praedulcem  alias ,  utilissinuiinque  ad  ea  quae 
spasmala  vocant.  Magna  et  ea  commendano,  quod  in 
ore  eam  habenles  [ameni  silimque  non  sentimi.  Idem 
praeslal  apud  eosdem  hippace  dieta,  quod  in  equis 
quoque  eundem  effeclum  habeat  :  Iradunlque  bis  dua- 
bus  herbis  Scylhas  eliam  in  duodenos  dies  durare  in 
fame  silique. 

5.  Testa  di  Giove  barbala. 

)(  ITANTIKAIIAITQN  ,  Pegaso  pascente.  M.  6. 

6.  Testa  di  Pan  imberbe  con  globetto  in  sul  vertice. 
)(  nAN,  Protome  di  Pegaso  saliente  /E.  3.  F.o. 

Congetturai  altra  volla  (Spicil.  num.  p.  32:  Bull, 
ardi.  1850  p.  11),  che  il  tipo  insolito  del  Pegaso 
pascente,  proprio  di  re  Mitridate,  si  riferisca  al  suo 
dominio;  e  tanto  si  conferma  pel  riscontro  di  Plinio, 
il  quale  narra  come  Mitridate  tentò  di  piantare  lauri 
e  mirti  ia  Panlicapeo  [Nat.  hist.  XVI ,  59).  11  pic- 
colo globo,  che  assai  dislinto  scorgesi  in  sul  vertice 
della  testa  del  dio  Pan  (  Mionn.  Supp.  T.  II pi.  II  n. 
1  )  forse  indica  come  quel  nume  simboleggiava  l'u- 
niverso, e  s' identificava  col  sole  (  Macrob.  Salurn.  1, 
22  ),  che  sì  di  sovente  ha  per  suo  attributo  il  globo. 

7.  Testa  imberbe  coverta  d'  un  pilco  frigio  ornalo 
di  stelle ,  con  chioma  ondeggiante  che  le  ricade  al  di- 
dietro; nel  campo  :l:  e  diversi  simboli. 

)(  nANTIKAilAlTON,  Bacco  stante  in  veste 
succhila  con  la  d.  stesa  con  tirso  nella  s.  e  con  pante- 
ra a'  suoi  piedi  :  monogramma  nel  campo  e  lettera  A 
neir  csergo.  JE.  9. 

Io  congetturai,  che  la  lesta  dui  ritto  sia  del  fabu- 
loso figlio  d'Eeta,  'Air\rou  {Bull.  1850  p.  11  );  ma 
forse  meglio  direbbesi  testa  di  Attide  ,  amasio  della 
Dea  Frigia  venerata  in  Panticapeo  (  C.  I.  Gr.  n. 
2107  ò),  proprio  del  quale  era  il  pileo  ào-Tepa/TOj 
[journ.  des  Savants  1845,  p.  539).  Simile  testa  ri- 
corre in  monete  d' Amastri  della  PaDagonia  (  Spicil. 
num.  p.  126)  posta  di  rincontro  a  Panticapeo  {Slrabo 
VII,  p.  309).  11  culto  d'Allide  e  della  Dea  Frigia 
ben  si  connette  con  quello  di  Bacco  parimente  vene- 
ralo in  Panticapeo  (  €.  I.  Gr.n.  2107  e),  ove  le  viti 
coltivavansi  difendendole  dal  gelo  nell'inverno  col 


—  29 


seppellirle  sollo  molla  (erra  (Slrabo  VII  pag.  307). 

8.  Testa  d'Apollo  laureata. 

)(  IlANTIKAnAlT«N,  Prolome  di  cavallo  sa- 
liente. AH.ì  F.  o. 

Simile  lipo  ricorre  in  monete  de'  Maroniti  di  Tra- 
cia, e  di  Sparadoco  re  degli  Odrisi  (Noav.  Annales 
1836  T.  1,  pi.  B);  e  potrebbe  quindi  riferirsi  ad  al- 
leanza o  concordia  di  Panticapeo  con  esso  loro. 
THEODOSIA. 

Teodosia,  o  Teudosia  che  dir  si  voglia,  fondala  da 
coloni  Milesii ,  del  pari  che  Panticapeo,  divenne  sog- 
getta ai  re  del  Bosporo  intorno  all'  Olimpiade  CV1I 
(Boeckh  C.  I.  Gr.  T.  II,  p.  96-97).  La  sua  moneta 
peraltro  ha  tipi  che  sembrano  imitare  quei  d'Olbia 
della  vicina  Sarmazia ,  sia  per  alleanza  sia  per  altra 
ragione. 

Testa  giovenile  galeala. 

)(  ©ET,  Clava  e  corylus  col  suo  arco.  sE.'&.F.o. 

Il  corylus,  o  sia  astuccio  da  arco,  è  simile  a  quello 
delle  copiose  monete  d'Olbia  ,  in  altre  delle  quali  ri- 
corre la  clava,  la  lesta  giovenile  galeala,  e  benanche 
le  lettere  ©ET  (Mion.  Suppl.  n.  45  )  ;  di  che  altri 
dubitar  potrebbe  che  la  moneta  sovra  descritta  spet- 
tar potesse  ad  Olbia  slessa. 

OLBIA  SARMATIAE  EVROPAEAE. 

Olbia,  della  anche  Borysthenes  e  Milelopolis,  fu 
fondata  da  coloni  Milesii  circa  l'anno  653  innanzi 
l'era  nostra (  C.  I.  Gr.  T.  II,  p.  86-87);  ed  ha  co- 
piose monete  di  bronzo  con  poche  d'argento,  di  che 
si  pare  la  ragione  del  beneficio  di  Protogene,  il  quale 
per  l' impresilo  fallo  alla  cillà  di  1000  aurei  \xo\xi- 
c«to  x%\x.w  \x  Tiry*.y.o<siwY  (  C.  I.  Gr.  T.  II  p. 
124  6). 

1 .  Testa  barbata  con  due  corna  laurine,  che  le  spun- 
tano socra  la  fronte,  e  talora  coronala  di  pianta  pa- 
lustre. 

)(  OABIO  ,  Corylus ,  dal  quale  in  parie  emerge 
l' arco  ;  scure  Scitica,  e  uome  greco  o  barbarico  accor- 
ciato (1).  M.  6,  5,  3.F.o. 

(1)  Questa  scure  forse  ritrae  la  forma  della  scure  di  fattura  au- 
rea ,  che  gli  Scili  veneravano  come  caduta  di  cielo  nella  loro  terra, 
insieme  con  altri  ordegni  d'  oro ,  a'  tempi  de'  primi  loro  re  discen- 
denti da  Giove  e  dalla  figliuola  del  fiume  Borislene  (  Herodot,  IV  5). 


11  Seslini  (Lell.  coni.  T.  IV p.  24)  e  gli  altri  nu- 
mografi  dicono  di  Pan  la  testa  del  rido;  ma  non  pare, 
non  avendo  i  lineamenti  nò  le  orecchie  acute,  e  non 
convenendosi  à  Pan  le  corna  laurine  nascenti.  Queste 
mostrano  anzi ,  che  sia  cosi  rappresentato  un  Fiume 
(cf.  Eckhel  T.  IV,  p.  313-316).  Vero  è  che  nelle 
monete  sicule  e  della  Magna  Grecia  le  teste  de' Fiu- 
mi fornile  di  corna  taurine  sono  per  lo  più  giovenili; 
ma  gli  Ateniesi  rappresentarono  l'Ilisso  con  protome 
virile  (ornila  di  corna  nascenti,  x{p%r%  hì  tVo^x/vovrsc 
(  Aelian.  var.  Just.  Il,  33  cf.  Muller  Handbuch§ 403): 
e  gli  Olbiopoliti  con  vie  maggior  convenienza  pote- 
rono dare  sembianze  virili,  anzi  quasi  senili,  all'ima- 
gini  di  uno  de' due  grandi  loro  fiumi,  dell' Ilypanis 
cioè  e  del  Borysthenes.  Sebbene  Olbia  fosse  situala 
in  sull'  Ilypanis  pure  preferirei  di  ravvisare  nelìe 
suddette  sue  monete  la  testa  del  Borysihenes  Ira  per- 
chè Olbia  stessa  venne  appellala  Borysihenes ,  e  per 
la  grandezza  e  celebrila  di  quel  Fiume,  che  a  parere 
di  Erodoto  (Hist.  IV,  35)  repulavasi  massimo  dopo 
l' Islro ,  e  fecondissimo  non  solamente  fra  gli  scitici 
fiumi,  ma  fra  tutti  gli  altri,  salvo  l'egizio  Nilo.  Non 
saprei  ben  dire,  se  a  questo  riguardo,  o  per  allra  ra- 
gione, in  una  di  quelle  monete  (Seslini  Leti.  coni.  T. 
IV,  tav.  II,  10)  la  sua  tesla  veggasi  ricinla  da  una 
maniera  di  corona  radiata. 

2.   Testa  femminile  ornala  di  monile  e  di  corona 
turrita. 

)(  OABIO  ,  Figura  virile  quasi  nuda,  con  peri- 
zoma o  pelle  cinta  alle  reni,  che  piegalo  a  terra  il.  gi- 
nocchio s.  siede  in  sid  suo  calcagno ,  e  sta  in  allo  di 
saettare  tenendo  V  arco  con  ambe  le  braccia  slese. 

jE.  6,  5,  3.  /•'.  o. 
Nel  n'Ito  è  effigiata  la  città  stessa  di  Olbia,  la  quale 
era  munita  di  molle  e  forli  torri ,  alcune  delle  quali 
duravano  tuttora  a' (empi  di  Dione  Crisostomo,  che 
vi  si  recò  sotto  l' impero  di  Domiziano  (Orat.  XXXVI 
Borysthen.  cf.C.I.Gr.T.II pag.  87,  123,  139).  Nel 
tipo  del  riverso  il  Seslini  [Leti.  coni.  T.  IV,  p.  25) 
ravvisò  Ercole  avente  la  spoglia  del  leone  cinta  alle 
reni,  e  in  allo  di  tender  l'arco;  ma  dovea  anzi  dire 
in  atto  di  saettare  le  Stinfalidi  ;  lo  che  chiaro  si  pare 
dal  riscontro  di  una  insigne  moneta  di  Slinfalo  dell' 


—  30  — 


Arcadia  (Cab.d'AUier  d'Hauleroche  pi.  VI,  22:  Mion. 
Sup.  n.  1 10:  Miiller  Handb.  §  410,  4):  Ercole  Ignu- 
do con  la  clamide  raccolta  in  sul  braccio  s. ,  che  pie- 
galo il  ginocchio  d.  a  terra  sta  in  atto  di  saettare. 

)(  Augello  volante  fornito  di  lunghi  e  adunchi  ar- 
tìgli :  il  tutto  entro  un  quadrato  incuso.  AR.l.F.a*. 
Le  Slinfalidi,  secondo  alcuni  mitografi,  furono  da 
Ercole  uccise  in  Arcadia;  ma  secondo  allri  furono 
sollanlo  da  esso  lui  fugale,  e  si  ricovrarono  nell'isola 
Areliade  nel  Pouto  Eusino  (Apollon.  Argon.  II,  1033, 
1033:  Hvgiu.  fab.  30:  Etym.  M.  in  Xiear,  et  in 
%ruiA<$xkiòss).  Di  là  furono  discacciate  dagli  Argo- 
nauti,  e  sen  volarono  a  traverso  il  mare  ne' monti 
opposti,  nella  Scitia  cioè,  donde  altri  diceanle  venu- 
te [Schol.  Apollon.  Argon.  II,  1090):  cioè  proprio 
verso  Olbia  ed  il  Borislene.  Gli  Olbiopolili  forse  le 
credevano  saettate  da  Ercole  nelle  loro  contrade  o 
nelle  vicine  isole,  giusta  il  variar  di  colali  favole.  I- 
gino  in  un  luogo  (Fab.  30)  le  dice  uccise  dalle  saette 
d'Ercole  nell'isola  di  Marte,  ed  altrove  (Fab.  20) le 
pone  nell'isola  Dia,  e  S.  Isidoro  (Orig.  XII,  7)  nelle 
isole  Slinfalidi,  e  Pausania  nell'Arabia  deserta  (Paus. 
VIII,  22).  Né  ciò  dee  crear  meraviglia,  perchè,  come 
ben  disse  il  Cupero  ,  raro  fgmenla  conveniunt.  Del 
resto,  Ercole  dicevasi  dai  Greci  abitanti  al  Ponto  aver 
percorse  le  contrade  degli  Scili  (Ilerodot.  IV,  10). 

3.  Testa  feminile  ornata  di  monile  e  corona  d'edera. 
)(  OABIO,  Aquila  ad  ale  aperte  stante  sopra  un 

del 'fi no  preso.  AR.  6.  F.  o. 

Il  Sestini  (Lelt.  coni.  T.  IV.  p.  20-21  ),  che  esa- 
minò questo  raro  nummo  d'argento  di  Olbia,  asse- 
verava non  essere  quella  del  ritto  testa  di  Cerere  co- 
ronata di  spighe,  come  parve  al  Pellerin  (Ree.  pi. 
XXXVI,  15)  ed  al  Mionnet;  ma  sibbene  testa  di  Bac- 
cante coronata  d' ellera.  In  altre  monete  d' Oblia  ri- 
corre un  grappolo  d' uva  ed  una  foglia  di  vite  (  Sest. 
/.  e.  n.  63;  Mion.  Sup.  n.  07).  GÌ  Olbiopolili  avranno 
coltivale  le  viti  riparandole  da'  geli  sotterrandole  nel 
verno,  siccome  adopravasi  nelle  contrade  del  Bospo- 
ro  Cimmerio  (Slrabo  VII,  p.  307). 

4.  AT  •  KA  •  C€  •  AA€ZANAPOC,  Teslalaurea- 
(a  d' Alessandro  Severo. 

)(  OABIOriOAlTWN,  Bue  gradiente.  JE.  4.  F.v. 


5.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe,  sopra  la  quale 
vedesi  recuso  un  bue  in  allo  di  coricarsi. 

)(  O  A  B I O ,  Aquila  coli'  ale  raccolte  stante  so- 
pra un  pesce  in  allo  di  divorarlo;  al  disotto  le  sigle 
BSE(I).  M3.F.o. 

Il  bue  gradiente  ,  o  sia  che  tulus  rura  perambulat 
(Horat.  IV  Od.  V,  16),  od  in  atto  di  adagiarsi  tran- 
quillo ,  è  simbolo  di  pace  e  di  sicurezza  pubblica 
(Spicil  num.  p.  83),  e  moslra  che  Olbia  fosse  protetta 
e  difesa  da  Alessandro  Severo  ,  del  pari  che  da  An- 
tonino Pio  (cf.  C.  I.  Gr.  T.  II,  p.  87).  Le  sigle  BSE 
(Sestini  l.  e.  11.  48,  31,  83),  ed  altre  analoghe,  co- 
me a  dire  BA  E*  (Mus.  Est.),  forse  indicano  i  nomi 
dei  re  Scitici,  a'quali  gli  Olbiopolili  prestar  dovevano 
ossequio  e  doni  annui  (cf.  C.  I.  Gr.  T.  II  p.  87).  In 
parecchie  monete  d'Olbia  veggonsi  apposte  due  o  più 
contromarche  incuse  rappresentanli  un  caduceo,  o  le 
lettere  H ,  A,  od  un  monograma,  che  dal  Sestini  (/. 
e.  p.  32)  spiegasi  XAP,  ma  che  può  anche  interpre- 
tarsi APX.  Questo  forse  dee  spiegarsi  APXwv  ,  ed 
Hy£f*/'>  la  sigla  H ,  ed  il  caduceo  può  simboleggiare 
gli  edili  o  sia  óyopxnfco/  (cf.  C.  I.  Gr.  T.  II.  p.  88, 
et  n.  2078);  per  l'autorilà  de' quali  cotali  monete  lo- 
gore fossero  così  rimesse  in  corso  ed  approvate.  La 
sigla  A  potrebbe  quindi  tenersi  per  iniziale  di  §oxt- 
txctc&ÌS  oppure  di  o'oxiiAu.vrrp.  Per  simile  modo  molte 
monete  Romane  logore  furono  approvate  pubblica- 
mente ,  rimesse  in  corso  legale  ,  con  la  impressione 
della  contromarca  NCAPR,  cioè  Nero  Caesar  kugu- 
gustus  PRobavit  (Borghesi,  Dee.  Ili  oss.  8).  Che  poi 
anche  nelle  medaglie  Greche  le  contromarche  sianvi 
state  apposte,  almeno  talvolta,  per  rimetterle  in  cono 
nella  città  stessa,  ove  furono  impresse,  parmi  potersi 
argomentare  anche  dal  riscontro  di  una  moneta  lo- 
gora dell'isola  Tenos  del  R.  Museo  Estense,  nel  ritlo 
della  quale   in  contromarca   vedesi  improntato   un 

(1)  L'  augello  stante  sopra  il  pesce  in  atto  di  rapirlo,  o  di  divo- 
rarlo, parve  corvo  al  Sestini,  che  in  altre  monete  d'Olbia  ravvi- 
sava I'  aquila  pcrcnoplcros  d'  Aristotele  (  p.  26,  34  )  ;  ma  Io  stile 
rozzo  di  quelle  non  permette  di  trarne  argomento  per  determinare 
la  specie  precisa  dell'  augello  rapace  :  ne'  medaglioni  d'  Olbia  per 
altro  pare  figurala  la  quinta  specie  dell'  aquile  d'  Aristolel*  mede- 
simo, della  «Xi«<étos  ,  haliaeeius  (  cf.  Cuvier  not.  ad  Plin.  nat. 
h.  I,  3). 


—  31  — 


grappolo  d'uva  della  forma  slessa  clic  quello  ohe  ri- 
corre in  altre  monete  di  quell'isola  (cf.journ.  desSa- 
vanls  1822  p.  493.  Revue  niun.  1851,  p.  169). 

Del  resto,  la  numismatica  d'  Olbia  è  singolare  an- 
che in  ciò,  che  alcune  sue  monete  in  bronzo  di  fab- 
brica arcaica  sono  di  grandezza  e  peso  straordinario, 
a  guisa  delle  prische  librali  di  Roma;  ed  altre  di  fab- 
brica bella,  anzi  che  no,  sono  di  modulo  e  peso  mi- 
nimo. Nel  r.  museo  Estense  ve  n'ha  tre  col  tipo  del 
pesce  nel  riverso  dilania  piccolezza,  che  non  aggiun- 
gono che  ad  una  metà  del  modulo  minimo  della  scala 
del  Mionnef. 

C.  Cavedoni. 

Su  di  una  iscrizione  di  Pontelalone. 

L' illustre  nostro  Canonico  Mazocchi  nel  suo  dotto 
commentario  In  mutilimi  ampith.  Campani  titulum 
(ediz.  sec.  1797  p.  48)  pubblicò  la  iscrizione  sepol- 
crale di  un  C.  Terenzio  Carino,  che  intitolavasi  PRac- 
feclus  ìuris  Vicundi  MONTIS  D1ANAE  TIFatinae. 
Il  Mazocchi  nel  riferirla  in  sostegno  della  sua  conget- 
tura di  essere  il  Monte  Tifata  una  Prefettura  della 
Colonia  Capuana,  affermò  che  la  detta  iscrizione  esi- 
steva in  Pontelalone  in  agro  Calalino,  e  ne  aveva  ri- 
cevuta copia  da  un  Silvestro  da  S.  Giovanni  suo  ami- 
cissimo. Or  un  tal  monumento  al  Mazocchi  commu- 
nicato  e  da  lui  non  veduto ,  ed  anche  ignoto  al  Da- 
niele che  andò  raccogliendo  pel  suo  Museo  Casertano 
tutte  le  antiche  lapidi  Capuane  e  de' dintorni,  ha  fatto 
nascer  sospetto  della  sua  sincerila  al  nostro  eh.  colle- 
ga sig.  professore T.  Mommsen  (1):  oltre  di  che,  vi 
sono  alcuni,  e  tra  questi  un  dolio  di  alta  sfera,  i  cui 
oracoli  io  soglio  venerare,  i  quali  non  credono  esser- 
vi slato  nel  Monte  Tifata  un  borgo  tale  da  avere  una 
magistratura  propria  municipale.  Io  a  togliere  ogni 
dubbiezza  e  per  rivendicare  l'onore  del  Mazocchi  Irop- 
po  severamente  taccialo  di  aver  riferita  una  iscrizione 
da  lui  non  vedula,  né  da  altri  rammentata,  ho  voluto 
prender  cura  di  assicurarmi  per  ogni  modo  della  sua 
esistenza,  e  rinvenutala  darne  tutte  le  particolarità.  Mi 
diressi  a  tal  oggetto  a  persona  di  quei  luoghi  quanlo 
(1)  Inscript.  Rcgn.  Pieapol.  Lipsiae  18b2  n.  3020. 


intelligente  altrettanto  gentile  ,  la  quale  con  alacrità 
ed  esattezza  ha  compito  il  mio  desiderio,  annunzian- 
domi che  la  iscrizione  esiste  realmente  in  Ponlelato- 
ne  Comune  di  Terra  di  Lavoro  nel  Circondario  di 
Formicola,  e'1  marmo,  che  la  contiene,  serve  di  pie- 
tra angolare  della  Sagrestia  di  quella  Chiesa  Arcipre- 
tale  rasente  la  via  pubblica  che  mena  a  Formicola. 
È  allo  il  marmo  palmi  quadro  napolitani ,  e  largo 
un  palmo  e  due  once  :  a  sinistra  della  iscrizione  è 
scolpilo  l'orciuolo,  e  nella  faccia  destra,  che  sta  na- 
scosta nella  fabbrica,  vi  sarà  la  patera,  come  suol  ve- 
dersi in  aldi  monumenti  sepolcrali.  Ecco  la  iscrizione 
esemplata  fedelmente  dal  marmo  originale,  ove  non 
più  si  distinguono  i  punii  diacritici  tra  alcune  voci  , 
che  veggonsi  nella  copia  del  Mazocchi ,  che  ha  una  lie- 
ve inesattezza  nella  lin.  4. 

D     M     S 
C  •  TERENTIO 
C  •  FILIO 
CHARINO 
PR  I  D  MONTIS 
DIANAE  TIF 
C  •  TERENTIVS 
I1YPERCOMPVS 
FILIO  BONO 
CONTRA  VOTVM 

Questa  iscrizione,  concepita  con  tanta  semplicità  di 
siile,  e  con  tanta  proprietà  di  sapore  latino,  non  me- 
ritava in  vero  di  esser  tenuta  sospetta  sol  perchè  non 
era  stala  vedula  dal  Mazocchi  né  da  aldi  rammentala. 
C.  Terenzio  padre,  greco  di  nazione,  fu  liberto  della 
nobil  famiglia  Terenzia ,  mostrandolo  il  suo  nome 
servile  'T7ripxoy.Trc$  superbus,  valde  elatus,  gìoriosus , 
che  come  ognun  sa  diveniva  cognome  acquistata  la 
libertà  ,  e  quello  del  figlio  L.  Terenzio  Charino  da 
Xflpi  grada  (I) ,  cui  forse  o  per  meriti  personali ,  o 

(1)  Il  nome  XaP'yo>  non  si  legge  ne'  lessici:  incontrasi  però  un 
Arconte  Xupivos.  Diod.  Sic.  lib.  XX  e.  37  cf.  Corsini  fast.  alt.  t. 
IV.  pag.  i'ó  ,  ed  un  atleta  vittorioso  dello  slesso  nome  :  Pausan. 
VI.  15,  2.  Il  medesimo  XAPINOS  si  legge  in  un  vaso  Ruvese 
del  Real  Museo,  presso  ad  un  uomo  che  tiene  la  lira  ;  il  qual  vaso 
rappresentante  una  didascalia  è  stato  descritto  dal  eli.  sig.  <!e\Yille 


—  32 


per  benemerenza  verso  il  padre  fu  conferita  la  carica 
diPrefetloa  regger  giustizia  nel  Monte  Tifata  (I).  Ora 
alle  falde  di  questo  Monte  essendovi  il  celebre  tem- 
pio di  Diana  Tifaiina  (2),  santuario  molto  frequen- 
tato da  gente,  ebe  vi  concorreva  dalle  convicine  ed 
ancor  lontane  regioni,  tutto  porla  a  credere,  che  il 
medesimo  fosse  abitalo  da  parecchi,  sia  per  divozione 
alla  dea  ,  sia  per  motivo  di  commercio;  se  pure  non 
vogliamo  limitarci  a  coloro  che  servivano  al  (empio, 
i  quali  costituivano  per  avventura  un  grosso  borgo 
con  popolazione  tanta  da  dovervisi  destinare  per  am- 
ministrar la  giustizia  un  Magistrato  municipale.  Per 
la  stessa  considerazione,  che  un  simile  borgo  esistesse 
nelle  vicinanze  del  rinomato  Tempio  di  Diana  Nenio- 
rense  presso  Aricia ,  io  altrove  (3)  il  congetturai  al 
proposito  della  iscrizione  votiva  di  un  P.  Cornelio 
Trofimo  interpretata  dal  Marini  (Arval.  pag.  416), 
e  ripetuta  dall' Orelli  (n.  1455).  So  bene,  che  di  ciò 
niun  antico  scrittore,  o  monumento  desse  sentore  ; 
ma  non  debbesi,  a  mio  giudizio,  aver  per  sospetta  ov- 
vero insussistente  una  opinione  fondala  su  di  un  mo- 
numento sincero.  Sanno  i  dotti ,  che  non  di  tutte  le 
particolarità  che  osservansi  nella  antichità  puossi  dar 
certa  ragione,  attesa  la  perdita  di  tanti  antichi  autori 

negli  Annali  dell'  Istituto  Archeologico  di  Roma  an.VI  J841  p.  303, 
■v t'di  la  pag.  307,  e  pubblicalo  ne'  Monum.  dell' lstit.  voi.  Ili  lav. 
XXXI.  Vogliamo  aggiugnere  che  il  cb.  cornili.  Quaranta  ne  lesse  una 
memoria  alla  r.  Aec.  Ercol  ,  e  che  ima  nuova  pubblicazione  ne  fu 
fatta  dal  eh.  Wieselcr  Thcatergevaeude.  Goellingen  1851  lav.  VI  n. 
2  cf.  p.  47  ;  il  quale  già  ne  parli)  più  dislesamenle  neh'  altro  suo 
scrino  die  Satyrspiele  stampato  in  Gottinga  nel  1850  p.  10  e  seg. 
Una  p  ù  ampia  illustrazione  di  questo  importantissimo  vaso  si  at- 
tende dal  mio  dolio  amico  signor  cav.  Lebas.  Il  nome  femminile 
Xapnv»]  occorre  in  una  iscrizione  dell'agro  Romano  appo  il  Gudio 
p.  CXIII  ,  4,  ed  ora  nel  corp.  inrer.  gr.  t.  Ili,  p.  1013,  n.  6696. 

(1)  Di  una  condizione  non  inferiore  al  certo  al  nostro  Carino  debbe 
credersi  quel  C.  Velleio  Uibano,  il  quale  in  una  gran  base  Cam- 
pana del  Rial  museo  Col.  LII  senza  numero  Ira  le  sepolcrali,  in- 
titolasi MAGister  FAN»  DIAXac  TWatinae ,  olire  il  vanto  che  se 
gli  dà  da'  genitori  di  essere  sialo  decoralo  dall'  Imperatore  Anlo- 
iiìhii  ÉQVO  PVBLfco  dell'  eia  di  anni  cinque.  Ora  mancano  alla 
iscrizione  alcune  lellere  in  line  (Ielle  righe  4,5  e  6,  ma  il  Capaccio 
la  li  ascrisse  intera,  e  da  costui  la  ripele  il  Fabrelti  Interi  pi.  Do» 
mrst.  p  400,  88,  ed  il  Marini  Arval.  p.53.  Nella  raccolta  delsig. 
Momtusen  è  riferita  nel  n.  2636. 

(2,  Con  i  ruderi  e  eolle  ruine  di  quel  magnifico  tempio,  alla 
disianza  di  due  miglia  dall'  antica  Capua,  ora  S.  Maria,  fu  creila 
li  Chiesa  di  S.  Angelo  in  Formis  con  un  conveutino  antica  Badia 
de'  I'P.  Benedettini,  che  vien  descritta  (ragli  altri  dall'egregio  ar- 
chitene Luigi  Calalani  in  un  libretto  col  Idolo  «  La  Chiesa  di  S. 
Angelo  in  Formi*  alle  falde  del  Monte  Tifala  fuori  Capua  an- 
tica, ricerche  Napoli  1814.  8. 

(3)  Vedi  la  mia  dissertazione  Intorno  alla  iscrizione  Puleolanpi 
de  Luccei.  Napoli  1851.  p.  00. 


e  mollo  più  di  monumenti  che  ne  avrebbero  forse 
con  chiarezza  indicati  gli  usi  ed  i  costumi.  Il  Reine- 
sio,  che  fu  certamente  uno  de'  più  arditi  filologi  del 
secolo  XVII ,  ebbe  a  confessare  perciò  la  sua  igno- 
ranza (  I  )  a.  Propter  anliqukalh  insciliam,  cuius  mores 
et  rilus  pcnitus  hodic  non  cognoscimus ,  pìeraque  MI- 
RARI  magis,  quam  INTELLIGERE possumus.  Quanti 
punti  vi  sono  in  epigrafia  per  (al  causa  ignorali,  sen- 
za dire  di  quelli  controversi  tuttavia  e  non  definiti  ! 
Ne  sia  un  esempio,  per  (acerne  molti  altri  (il  che  da- 
rebbe materia  di  un'ampia  trattazione)  il  nome  di 
quel  Console  L.  Claudio  Arriano,  al  quale  la  Fratria 
Napoletana  de'  Crelondae  (  di  fresco  venula  in  luce  ) 
pone  una  base  onoraria  come  a  suo  benefattore.  E  'l 
nome  di  questo  Console  è  non  solo  sconosciuto  nei 
Fasti  Consolari,  ma  quel  eh' è  più,  il  lume  degli  studi 
nostri  il  sig.  Conte  B.  Borghesi ,  il  quale  con  tanto 
studio  va  raccogliendo  da  più  anni  monumenti  per 
correggere  ed  aumentare  quei  Fasti ,  non  ha  sapulo 
trovarne  traccia  nemmeno  tra  quei  quasi  G00  Con- 
soli suffelti ,  i  cui  nomi  tiene  egli  notali  nelle  sue 
schede  (2).  E  qui  viene  il  destro  di  ripetere  la  inge- 
gnosa similitudine  espressa  da  uno  de'  più  insigni  fi- 
lologi dell'età  nostra,  il  eh.  professore  di  Kónisberga 
C.  A.  Lobeck  (3),  parlando  degli  sludii  della  gram- 
matica greca ,  e  che  può  ben  applicarsi  agli  studii 
dell'archeologia  in  generale:  Adirne  enim  in  vestibulis 
arlis  consistimus  speculabundi,  similesque  lurbae  cu- 
riosae,  quae  die  festo  dominanthtm  palatici  luminosa 
circumslat  per  rimas  speclans  vocesque  forte  emissas 
avidis  captans  auribus.  Intus  omnia  piena  lucis  et 
candoris,  et  appanni  per  feneslras  piclurae  parielum  et 
lacunarium  ornamenta  et  circumeuntium  capila  cri- 
slaeque  nulantes.  Extra  lenebrae  et  conieclurae  ex  an- 
gue leonis.  A.  Gervasio. 

(1)  Synlagma  Inscript.  Anliqu.  p.  361. 

(2)  bullcttino  Archeol.  Napolitano  Nuova  Serie  Ann.  I  p.  10. 

(3)  Palhol.  Lingu.  Graecae.  p.  5. 


Correzione  alla  pag.  ili. 

Noi  dicemmo  essere  forse  traile  inedite  la  greca  iscrizione  di  Stiac- 
cia; ora  avveniamo  ch'essa  fu  pubblicata  da!  Guarini  (  Comment. 
XIV p.  17  ),  «poscia  dal  Franz  nel  corpus  inscr.  gracc.  add.  ad 
voi  III  p.  1258  n   5816  6,  Mimskviki. 


Giulio  Mineuyim  -  Editare. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataxeo, 


BULLE1TIIV0  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  55.     (5.  dell'  anno  III.) 


Ottobre  1851 


Notizie  de  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Continuazione  del  n.  45.  — Iscrizioni  latine.  Continuazione  del  n.  51. 


Notizie  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Continuazione 
del  numero  45. 

Si  è  proseguita  la  scavazione  nelle  nuove  terme 
alla  slrada  Slabiana ,  di  cui  cominciammo  a  discor- 
rere nel  secondo  anno  di  questo  bulletlino  pag.  145 
e  segg.  Abbenchè  1'  edilizio  non  siesi  ancora  total- 
mente scoverto ,  pure  le  parti  finora  disotlerrate  of- 
frono interessanti  particolarità ,  ebe  non  possiamo 
tralasciare  di  prontamente  descrivere  ed  annunziare. 

Innanzi  lutto  avvertiamo  ebe  la  prima  stanzetta  di 
entrata  al  bagno  ha  pavimento  di  pietra  vesuviana  , 
con  alcuni  pezzi  di  travertino.  Per  una  larga  soglia 
di  marmo  si  passa  nella  più  ampia  sala  di  tratteni- 
mento già  da  noi  descritta  (an.  II.  pag.  146).  Sulla 
detta  soglia  di  marino  si  veggono  due  fori  quadrati 
per  la  chiusura  certamente  di  legno.  Il  pavimento 
della  enunciata  sala  è  di  pezzi  di  marmo  bigio  ,  re- 
staurato con  lastre  di  bianco  marmo  in  alcune  parli  : 
nel  giro  è  per  Ire  lati  una  fascia  di  pietra  vesuviana, 
che  quasi  contorna  il  rimanente  del  pavimento.  Alla 
base  del  sedile  che  prima  descrivemmo  è  un  piccolo 
grado  per  poggiare  i  piedi,  con  rivestimento  di  bian- 
co marmo  in  parte  conservato. 

Ne'  due  angoli  interni  sono  al  suolo  de'  canali  per 
lo  scolo  delle  acque  ,  le  quali  penetravano  in  ascosi 
condotti ,  mercè  due  piccole  aperture  praticale  in 
quel  medesimo  silo  :  ed  è  notevole  che  a  destra  ve- 
desi  1'  incavo  per  lo  scolo  delle  acque  ricoperto  in 
tutta  la  sua  estensione  da  pietruzze  di  marmi  di  dif- 
ferenti colori.  Non  saprei  se  questi  fori  servissero  per 
ripulire  la  sala  ;  giusta  quello  che  leggesi  nelle  pan- 
dette :  foramen  in  imo  pariete  conclavis ,  vel  Iridimi, 

ANKO  III. 


qnod  esset  proluendi  pavimenti  causa  (lib.  Vili,  tit.  2 
1.  28  ).  Si  è  compiuto  il  disgombro  della  più  piccola 
sala  con  volta  adorna  di  stucchi  colorali,  della  quale 
circa  un  terzo  rimaneva  a  scoprire.  Nella  volta  com- 
pariscono altri  stucchi  ne'  circoli,  rappresentanti  Amo- 
rini ,  mostri ,  animali  ;  ma  in  variate  attitudini ,  per 
modo  che  l'uno  può  dirsi  differente  dall'altro.  An- 
che in  questa  porzione  della  volta  nuovamente  venuta 
fuori  veggonsi  parimenti  due  bassirilievi  più  grandi, 
rappresentanti  due  femminili  figure.  Quella  a  sinistra 
ha  panno  svolazzante,  è  coronata  di  fiori,  e  tiene  eoa 
ambe  le  mani  un  cornucopia  pieno  ugualmente  di 
fiori.  Quella  a  destra  ha  un  paniere  o  canestro  anche 
ricolmo  di  svariati  fiori.  Nella  parte  posteriore  di 
questa  stanzetta  è  una  larga  apertura ,  che  mena  ad 
altre  parti  dell'edilìzio  non  ancora  disotlerrate.  Al 
lato  destro  è  praticata  un'altra  più  piccola  apertura; 
nella  cui  parte  anteriore  veggonsi  le  tracce  delle  im- 
poste di  legno  del  tutto  carbonizzate.  Da  questa  pas- 
savasi  nel  Calidario,  a  cui  si  aveva  pure  l'ingresso 
dalla  più  ampia  sala  precedentemente  descritta.  Noi 
già  offrimmo  la  descrizione  degli  stucchi ,  che  fre- 
giano il  Calidario  nel  sito  più  elevalo,  e  prossimo  alla 
volta  :  ora  aggiungiamo  che  le  ulteriori  scavazioni 
hanno  mostralo  il  pavimento  in  gran  parte  caduto; 
offrendosi  perciò  la  sottoposta  costruzione  di  pilastrini 
di  fabbrica  messi  a  piccola  distanza  fra  loro,  con  una 
tegola  in  cima  ed  alla  base:  giusta  la  descrizione  eh» 
ne  dà  Vilruvio  (  lib.  V  e.  XI  Ioni.  I  pag.  305  e  seg. 
ed.  Marini!).  Ricordiamo  poi  che  un  simile  pavimento 
sospeso  comparisce  nelle  già  conosciute  terme  di  Pom- 
pei ,  secondo  il  diligente  disegno  deli'  egregio  archi- 
tetto Pietro  Valente ,  ora  Direttore  del  reale  Istituto 

8 


—  34 


di  Belle  Arti  ,  che  si  vede  pubblicalo  nel  rcal  Museo 
Borbonico  (voi.  II  tav.  41  )  :  vedi  la  spiegazione  e  le 
indicazioni  del  signor  Bechi  alla  suddetta  tavola ,  ed 
alle  altre  riferibili  al  medesimo  edilizio.  Tornando  al 
Calidario  novellamente  rinveuuto,  osservo  che  a  de- 
stra di  chi  entra  apparisce  una  vasca  rettangolare,  la 
quale  era  io  origine  rivestila  di  marmo ,  ma  non  si 
è  ritrovalo  il  rivestimento.  Solo  dirò  che  quanto  ho 


assserito  rilevasi  dalle  impronte  delle  lettere  lasciate 
a'due  lati  sulla  superCcie  esterna  de' muri  della  vasca: 
giacché  essendosi  adoperate  a  fregiarli  lastre  di  mar- 
mo che  già  servirono  d' iscrizione  ,  le  lettere  lascia- 
rono la  loro  forma  sulla  calce  fresca.  Non  sono  che 
frammenti  di  una  epigrafe  pubblica  de'  tempi  Augu- 
stei  :  e  studiali  attentamente  ci  sembra  sieno  da  leg- 
gersi nel  seguente  modo  : 


IMP  •  CAESARI  [DIVI  ■  FIL  •]  AVG  V  S  T  0 
IMPERATOSI]  Xlfi    •    TRIB    •    P[OTESTATE   •   XJV    PATRI    P[ATRlAECOSXI 


Abbiamo  credulo  indicarsi  il  consolato  XI ,  e  la 
tribunicia  potestà  XV  ,  secondo  i  calcoli  dell'  Eckhel 
(doclr.  num.  net.  lom.  VI  p.  110):  che  corrisponde 
all'anno  di  Roma  755,  2  dell'era  volgare.  Non  sa- 
prei a  quale  antico  edilizio  di  Pompei  fosse  stata  in 
origine  adattata  questa  iscrizione.  Il  cerio  si  è  che  al- 
tre epigraG  dedicale  egualmente  ad  Augusto  furono 
pur  ritrovale  in  Pompei  frammentate  e  mancanti.  Ci- 
terò a  tal  proposito  la  iscrizione  relativa  al  tribunale 
della  Basilica  ,  della  quale  ha  parlato  il  eh.  Garrucci 
(  bullctt.  napol.  n.  s.  an.  II  p.  1  e  segg.  e  23  cf.  tav. 
1) ,  e  di  cui  non  può  determinarsi  con  precisione  l'e- 
poca. Presso  la  vasca  innanzi  descritta ,  ed  in  un  li- 
vello inferiore  apparisce  la  fornace ,  di  cui  pure  di- 
cemmo di  sopra,  corrispondente  al  corridojo  esterno 
che  abbiamo  parimenti  descritto. 

Intanto  si  è  proseguita  la  scavazione  al  dorso  del- 
l' ediDzio  :  ove  si  sono  imbattali  in  un  terrazzo  ,  o 
solarium,  sul  quale  si  eleva  alquanto  il  muro  delle 
terme.  In  questo  muro  vedesi  praticata  una  finestra 
rotonda,  che  dà  luce  alla  stanza  con  la  volta  a  stuc- 
chi colorati;  ed  alla  parte  superiore  del  muro  mede- 
simo compariscono  tuttavia  in  opera  le  tegole  ed  i 
canali ,  per  lo  scolo  delle  acque  dalla  coverlura  dello 
ediCzio.  Alla  superGcie  esteriore  del  muro  innanzi 
descritto  era  dipinta  una  caccia  con  alberi  e  differenti 
animali ,  ora  quasi  del  tutto  perduta.  Tralasciando 
altre  particolarità  ,  che  cercheremo  di  raccogliere 
dopo  ulteriori  scavazioni ,  dirò  che  da  questa  parte 
compariscono  le  cime  delle  colonne  di  un  peristilio, 


di  cui  ci  proponiamo  di  favellare,  quando  sarà  fatto 
il  disgombro  di  una  più  larga  estensione  ;  e  che  sul 
terrazzo  vi  è  una  specie  di  condotto  con  larga  aper- 
tura destinata  forse  ad  illuminare  i  sottoposti  com- 
presi :  ovvero  per  altro  uso ,  come  diremo  a  tempo 
più  opporluno. 

In  questa  direzione  fu  rinvenuto  caduto  e  rove- 
sciato sul  terrazzo  un  monumento  di  pariicolare  im- 
portanza, che  richiede  una  più  eslesa  notizia.  È  que- 
sto un  orologio  solare  di  travertino  :  e  ben  fu  collo- 
cato in  un  sito  assai  conveniente,  per  essere  esposto 
a' raggi  del  sole  nella  più  alta  parte  dello  ediGzio. 
L' orologio  è  formato  di  un  semicircolo  incavato  in 
un  rettangolo ,  ed  a'  due  lati  offre  a  sostegno  due 
zampe  di  leone  (1):  a' due  laterali  sono  graziosi  fregi. 

Veggonsi  poi  nell'  incavo  segnate  le  solite  linee  a 
distinzione  delle  ore,  le  quali  non  sono  però  indicale 
da  alcuna  cifra.  Sono  le  dette  linee  costituite  da  una 
rctla  media  e  da  altre  cinque  rette  per  ciascun  lato:  e 
tutte  sono  intersegate  da  tre  curve  fra  loro  concen- 
triche. È  la  prima  volla  che  comparisce  lo  gnomone 
perfettamente  conservato,  il  quale  vedesi  nella  parte 
superiore  e  collocalo  orizzontalmente.  Non  v'ha  dub- 
bio che  neh"  interessante  monumento  ora  acquistato 
alla  scienza  ,  debba  riconoscersi  un  solarium  horolo- 
gium,  ùpdkóyiov  r^txxiv:  e  non  vi  è  da  far  su  di  que- 

(1)  Abbenchè  sia  comune  un  tale  ornamento  nel  sostegno  degli 
antichi  oggetti  ;  pure  può  considerarsi  in  un  orologio  solare  parti- 
colarmente trascello,  essendo  il  leone  simbolo  solare  :  e  ciò  preci- 
puamente nelle  idee  orientali. 


35  — 


lo  alcuna  discussione.  Già  molti  dotti  scrittori  ragio- 
larono  di  simili  monumenti  :  ed  io  sarò  conlento  di 
itare  il  Sallier  [mém.  de  V  Acati,  des  inscr.  et  beìles 
ttlres  lom.  IV  p.  148) ,  lo  Zuzzeri  (  Sopra  una  villa 
coperta  sul  dorso  del  Tuscolo  i  7-ì  6  in  4),  il  Martini 
su'. quadranti  degli  antichi),  gli  Accademici  Erco- 
anesi  (pitture  toni.  III.  pag.  V),  il  Gualtani  (man. 
mi.  ined.  dell'anno  1787  p.  XXXV),  il  Delambre 
v.  giornale  encicl op.  di  Napoli  IS15  tom.  II p. 225 
segg.),  il  Piale  (memor.  encicl.  romane  sulle  belle 
irti,  anticli.  etc.  lom.  V  p.  103  e  segg.),  lo  Scliau- 
tach  (storia  dell'  astronomia  greca  impressa  nel  1802), 
>er  lacere  di  altri  moltissimi,  che  veggonsi  citati  dal 
Marche  '>  Marini  nel  suo  classico  coniento  a  Vitruvio 
lih.  IX  cap.  VI  not.  1  voi.  II  p.  219).  Solo  osser- 
erò  che  gli  scavi  pompejani  ed  Ercolanesi  ci  forni- 
ono  non  pochi  orologii  solari.  Tali  sono  quei  cinque 
ulti  provenienti  da  Pompei  conservati  fra' marmi  del 
eal  museo  Borbonico,  e  presso  a  poco  della  mede- 
ima  forma  di  questo  recentemente  scoperto:  tali  sono 
ragli  altri  que'  due  rinvenuti  nella  casa  con  capitelli 
igurati,  tanto  dottamente  illustrata  dal  comm.  Avel- 
ino  (Descrizione  di  una  casa  Pompe jana ,  eie.  Napoli 
1837  p.  00),  uno  de' quali,  pubblicato  nella  tav.  X 
ì.  12 ,  è  perfettamente  simile  al  noslro  per  la  indi- 
cazione delle  ore.  Nò  di  diversa  costruzione  è  l'oro- 
ogio  Ercolanese  pubblicalo  nella  gazzella  letteraria 
li  Londra  (an.  1S23  pag.  283),  citalo  dal  Férussac 
bulletin  des  scirnces  hislor.  1824  tom.  I  p.  230) ,  e 
lall'Ideler  (manuale  di  cronol.  tom.  II  pag.  G16),  e 
•iprodotto  più  recenlemente  dal  Franz  (corp.  inscr. 
\raec.  tom.  Ili  n.  5802);  ove  le  ore  sono  designate 
lalle  greche  lettere  dell'  alfabeto.  Tra  gli  orologii 
pompejani  non  tralascerò  di  rammentare  quello  che 
redesi  presso  al  così  detto  (empio  di  Ercole,  con  una 
iscrizione  relativa  alla  sua  costruzione,  che  annunzia 
essersi  fatto  l'orologio  col  danaro  di  due  pompejani 
duumviri  (de  Jorio  Pompei  p.  81  cf.  Guariui  fast, 
iluumv.  di  Pompei  p.  45  ed.  1,  e  Mommsen  inscr. 
r.  ncap.  latinae  n.  2227). 

Non  voglio  citare  a  lai  proposito  la  tavola  delle 
ore  trovata  nella  Nubia,  la  quale  sebbene  non  risalga 
ad  un'alta  antichità,  pure  va  senza  dubbio  rammen- 


tala fralle  varietà  degli  orologi  solari.  E  su  di  essa 
son  da  leggere  le  osservazioni  del  dottissimo  Lelron- 
ne,  inserite  nell'  annales  des  voyages  di  Malle-Brunu 
(  Ioni.  XVII  p.  358  cf.  corp.  inscr.  gr.  tom.  Ili  p. 
474 n.  5038).  Non  è  difficile  additare  a  quale  classe 
di  orologii  solari  appartenga  quello  delle  nuove  ter- 
me pompejane  ;  sol  che  ricordiamo  la  esalta  dichia- 
razione e  distinzione,  che  ci  presenta  Vitruvio  di  si- 
mili oggetti.  Ecco  le  parole,  che  si  riferiscono  al  no- 
stro orologio:  Hemicyclium  excavatum  ex  quadralo, 
ad  enclimaque  succisum  Bcrosus  Chaldaeus  dicilur  inve- 
nisse  (lib.lX  e.  VII).  E  la  deposizione  delle  linee  rclte, 
e  delle  Ire  curve  che  le  intersegano,  fu  espressamente 
descritta  dall'anonimo  autore  dell' archileclurae  com- 
pendium  cap.XXIX  (inVitruv.  toni. Ili  p. XXXVI ed. 
Marini).  Ecco  come  egli  si  es[  rime:  Horologium  autem, 
quod  hemicyclium  appellalur,  simili  modo  de  lapide 
vel  de  marmore  uno ,  quatuor  partibus  sursum  latio- 
ribus,  infra  anguslioribus,  componalur  ita,  ut  ab  ante 
et  a  tergo  laliores  parla  habeat:  sed  frons  aliquantum 
pr ornine at ,  atque  umbram  faciat  maiorem.  Sub  hac 
fronte  rolundilas  ad  circinum  noiatur,  quaetavata  in- 
trorsus  hemicyclii  faciat  schema.  In  hac  cavatura  tre* 
circuii  fiunt;  unus  prope  summitatem  horologiì,  alias 
per  mediani  cavaluram,  terlius  prope  horam  signelur. 
A  minore  ergo  circulo  usque  ad  maiorem  circulumho- 
ralcm  lina  et  decem  lirieae  directac  acquali  parlitionc 
ducanlur,  quae  horas  demonstrent.  E  segue  additando 
l'uso  di  quei  tre  circoli,  o  piuttosto  semicircoli,  se- 
condo le  differenti  stagioni  dell'  anno.  Ognun  vede  a- 
dunque  che  la  maggior  parte  degli  orologii  finora  da 
noi  rammentati,  non  escluso  il  più  recente,  sieno  della 
maniera  di  cui  fu  a  Beroso  attribuita  la  invenzione.  E 
già  per  altri  simili  ne  fecero  la  osservazione  il  Bo- 
schowich,  il  Marchese  Poleni,  il  Zieglero,  e  principal- 
mente il  già  citalo  Piale,  ed  il  Zuzzeri;  il  cui  orologio 
Bcrosiano  fu  ripubblicato  dallo  slesso  Marchese  Ma- 
rini ,  nell'  atlante  che  accompagna  la  sua  edizione  di 
Vitruvio  (lab.  CXXII  n.l).  Interessantissimo  riesce  il 
nuovo  monumento  pompejano  ;  perchè  ci  presenta 
perfettamente  conservato  lo  gnomone  di  bronzo  (ae- 
neus  gnomon  :  Vilruv.  lib.  le.  6  ) ,  che  fu  da'  Greci 
y>ou;xuJv  e  crx/xSrpas  denominalo.  Esso  è  collocato 


—  36  — 


orizzontalmente  nella  parte  superiore:  e  non  so  co- 
me possa  immaginarsi  l'emiciclio  Berosiano  con  uno 
gnomone  verticale  nella  parte  inferiore ,  siccome  fu 
opinato  dal  Piale  (l.  e.  )  a  proposilo  di  un  orologio 
solare,  nel  quale  V  indice  delle  ore  non  erasi  conser- 
vato: vedi  pure  il  Corp.  inscr.  gr.  n.  6179. 

Ma  il  nuovo  monumento,  oltre  la  importanza  finora 
additata,  presenta  un'altra  notevole  particolarità,  che 
lo  rende  assai  più  pregevole ,  e  sulla  quale  richiamo 
precipuamente  l' attenzione  de'  lettori  del  bullettino. 

Nella  parte  anteriore  della  piccola  base  che  ne  for- 
ma il  sostegno  leggesi  una  epigrafe  osca  in  tre  linee, 
la  quale  riesce  oltremodo  interessante  pe' cultori  dello 
studio  degli  antichi  dialetti  italici;  offrendoci  una  no- 
vella voce,  e  determinando  senza  alcun  dubbio  il  si- 
gnificalo di  altre  parole  conosciute. 

La  iscrizione  è  la  seguente  : 

*R3vn>3  •  avrai-ra»  •  m  •  *hhitr  •  cm 

l>HRT*r-3IHH3aWV>l    *IR>lr-*RTWW 
9388RHRWRR 

Appena  fu  rinvenuta  questa  iscrizione,  il  eh.  Diret- 
tore del  real  Museo  Borbonico  signor  Principe  di  San 
Giorgio  me  ne  mostrò  gentilmente  la  copia  a  lui  per- 
venuta :  ed  io  potei  correggere  agevolmente  alcune 
piccole  inesattezze  di  trascrizione  :  dopo  di  che,  trat- 
tandosi di  formole  note  ,  mi  riuscì  di  darne  al  mo- 
mento la  interpretazione.  Ma  non  tardai  a  recarmi  in 
Pompei ,  ove  mi  fu  dato  di  osservare  il  monumento 
originale,  e  vidi  pienamente  confermate  quelle  lezio- 
ni, che  da  lungi  aveva  emendato.  Così  potei  lasciare 
la  mia  spiegazione  all' egregio  architetto  locale  signor 
Campanelli,  il  quale  me  ne  richiese,  per  poterne  al- 
trui dar  contezza,  ove  ne  fosse  interrogalo.  È  questa 
la  spiegazione,  elle  qui  presento,  ampliandola  con  al- 
cune mie  osservazioni  sopra  le  diverse  parli  della  epi- 
grafe. 

Mr.  Atiniis  Mr.  È  ormai  risaputo  che  nelle  let- 
tere Mr.  debbasi  riconoscere  il  prenome  Marius,  fre- 
quente a  ritrovarsi  innanzi  a' nomi  degli  Osci.  Così 
lo  attribuiscono  gli  storici  a  varii  sannitici  personaggi 
Marius  Statuita ,  Marius  Blossius ,  Mariti»  Alfius , 


Marius  Egnatius  :  e  veder  si  potranno  citali  gli  esem- 
pli dall'Avellino  (iscriz.  sannit.  nelle  meni,  della  reg . 
Accad.  Ercol.  voi.  V  p.  23  ) ,  e  dal  eh.  Mommsen 
(unterà.  Dialek.  p.  277).  Non  è  per  avventura  di- 
verso il  Maras,  che  rinviensi  altresì  in  epigrafi  Vibo- 
nesi,  e  nella  celebre  iscrizione  de'  Manierimi  (Momm- 
sen op.  cit.  pag.  192-193).  Lo  stesso  va  riconosciuto 
nel  Ni.  Liivkl.  Mr  di  una  rarissima  medaglia  Sanni- 
tica,  ove  dee  leggersi  Numerius  Loucilius  Marii  filius, 
e  sulla  quale  dopo  le  osservazioni  dello  Swinton(p7u'- 
losophical  Transactions  voi.  LVIII  pag.  253  n.  3;  o 
voi.  LXIH  p.  22  ) ,  e  del  Mérimée  (  nella  revue  nu- 
mismatique  1845  pag.  100  ,  103) ,  sono  da  leggere 
le  cose  dette  dal  Cavedoni  (bull.  arch.  nap.  an.  VI 
p.  76),  dall'Avellino  (ibid.  p.  78  e  segg.  )  ,  e  più 
recentemenle  dal  eh.  Friedlaender  (oski&chc  Mihnzen 
pag.  77).  Ho  Ietto  Loucilius  il  Lùvcil.;  e  parmi  che 
questa  ortografia  non  sia  dissimile  da  quella  che  nei 
più  antichi  monumenti  del  Lazio  si  osserva  :  e  della 
quale  molti  esempli  recenlemenle  ha  raccolto  il  dot- 
tissimo Ritschl  (monum.  epigr.  tria ,  Berolini  1852 
p.  3  ,  s.  ).  E  certamente  questo  confronto  delle  voci 
osche  ove  dopo  l' o  (ù)  segue  come  un  v  consonante, 
dimostra  vera  la  opinione  del  eh.  Mommsen  che  cre- 
dette quella  riunione  non  già  di  due  vocali ,  ma  di 
una  vocale  e  di  una  consonante  (unter. Dialek.  p.  217 
seg.  ) ,  il  che  ha  più  eslesamente  dichiaralo  ed  illu- 
slrato  lo  stesso  Ritschl  (op.  cit.  p.  33-38).  Comun- 
que sia,  il  nome  Marius  è  uno  di  quelli  che  sostiene 
la  opinion  di  coloro,  i  quali  credettero  fossero  gli  Osci 
insigniti  di  varii  nomi  piuttosto  che  di  veri  prenomi 
(Garrucci  nel  bull.  arch.  nap.  an.  I  p.  41  ):  siccome 
ebbi  io  pure  la  opportunità  di  osservare,  colla  occa- 
sione d'  illustrare  un  vaso  di  bronzo  rinvenuto  nel- 
l'antica Capua,  e  notevole  per  una  Sanuitica  iscrizio- 
ne (bull.  cit.  an.  II  pag.  138;  vedi  pure  ciò  che  ho 
scritto  nell'an.  I  p.  164). 

Sicché  i  nomi ,  che  cominciano  la  nuova  epigrafe 
pompejana ,  non  offrendo  alcuna  difficoltà ,  vanno 
voltali  in  Ialino  :  Marius  Alinius  Marii  filius. 

Segue  la  voce  quaisstur  con  doppio  s  :  ortografia 
comune  a  tutte  le  altre  pompejaue  iscrizioni,  che  ci 
presentano  la  slessa  parola. 


=-37- 


Eìliuvad  ÀJùltasiead.  Già  il  eli.  Commenti.  Avel- 
lino die  il  primo  la  esalta  interpretazione  della  parola 
eiliuva ,  spiegandola  per  pecunia  e  nella  iscrizione  di 
Adirano  ,  e  nella  Sannitica  epigrafe  di  Molise ,  ov'  è 
colla  ortografia  eiìiv,  e  finalmente  nella  tavola  ban- 
tina  ,  ove  si  legge  eilua  (  iscriz.  Sannil.  nelle  meni, 
dell'  Accad.  Ercol.  voi.  V  pag.  34  e  segg.  ).  Questa 
verità  fu  agevolmente  riconosciuta  da  tutti  coloro , 
che  seguitarono  ;  e  principalmente  da'  filologi  della 
Germania,  i  quali  rivolsero  il  loro  studio  al  linguag- 
gio degli  Osci.  Così  il  Mommsen  («inferii.  Dialekt. 
pag.  257);  così  pure  ilKirchhoff  (dasSladlrechtvon 
Banda.  Berlin  1853  pag.  18  e  19),  il  Lange  (die 
oskìsche  Tnschrifl  der  tabula  Baritina,  Gòllingen  1853 
p.  9  ) ,  ed  il  Bugge  (  v.  la  Zcilschrifl  far  venjleichen- 
de  sprachforschung  del  signor  Kuhn  ,  voi.  Ili  p.  419 
seg.  )  ultimi  illustratori  della  tavola  Lucana.  Ora  la 
nuova  iscrizione  pompejana  pone  fuor  di  ogni  dub- 
bio una  tale  significazione  ;  perciocché  la  seguente 
voce  mollasiead,  nella  quale  facilmente  si  riconosce 
la  corrispondenza  col  mullatica  de'  Latini ,  non  può 
con  altro  suslanlivo  accoppiarsi,  se  non  con  pecunia, 
di  cui  è  destinalo  a  determinare  la  specie  e  la  qualità. 

Quello  in  che  disconvengono  i  dotti,  è  la  origine  o 
la  vera  intelligenza  della  parola  eilua,  o  sitiva,  sulla 
quale  fa  duopo  fermarci  alcun  poco  a  ragionare. 

Il  Commend.  Avellino  presentò  alcuni  dotti  ed  in- 
gegnosi confronti,  ora  paragonando  Y eilua  all'osco 
iduo  quasi  Uno  dividere  ;  essendo  la  moneta  divisibile 
in  un  grandissimo  numero  di  valori:  ora  richiaman- 
done la  metafora  usata  presso  i  Greci  ed  i  Latini , 
tratta  dal  verbo  eo  ,  ad  indicare  il  danaro  ,  sebbene 
in  unione  di  alcune  particelle  :  quindi  reditus  ed  exi- 
tus,  Trpóffo&os,  ìtoàos,  ed  efrooos  (meni.  cit.  pag.  cil.). 
Il  signor  Peter  ne  offerse  la  derivazione  dal  prono- 
minale la,  Iva,  la  moltitudine,  la  somma  (-4%.  Lìl- 
ter  Zeil.  1842,  2  sp.  58):  ed  altri  filologi  della  Ger- 
mania, che  ne  favellarono,  poco  o  nulla  aggiunsero 
di  preciso  alle  osservazioni  dell'Avellino.  Solo  dirò 
che  il  Lange  ed  il  Bugge,  rintracciando  nel  sanscri- 
to le  origini  delle  antiche  lingue,  avvertirono  pro- 
venir quella  voce  dalla  radice  i  andare,  e  dal  suffisso 
tuo;  quasi  che  cammina,  che  corre:  dal  che  lo  para- 


gonarono al  sanscrito  dravinas  la  ricchezza  ,  che  già 
il  eh.  Aufrecbt  [Zàtschr.  /'tir  vergleich.  Sprachf.  tona. 
II.  p.  148)  aveva  derivalo  egualmente  da  dru,  cor- 
rere. (Vedi  la  citata  Zeitschrifl  toni.  Hip. 419-420). 

Ove  queste  ingegnose  idee  si  ritenessero ,  dareb- 
bero una  spiegazione  comune  della  significazione  di 
cammino  o  corso  in  ciò  clic  riguarda  le  rendite,  o 
piuttosto  la  moneta,  nelle  differenti  lingue  ove  quella 
maniera  di  vocaboli  incontrasi  adoperata  ;  ma  non 
resterebbe  men  vero  che  il  rapporto  riconosciuto  dal- 
l' Avellino  fra  le  voci  corrispondenti  nel  linguaggio 
de' Greci  e  de' Latini  coli' osco  eiliuva  non  è  in  so- 
stanza diverso  dalle  osservazioni  degli  Alemanni.  Rea 
■ilua  è  per  questi  il  danaro  circolante ,  e  non  era  al 
certo  diversa  la  idea  del  dotto  filologo  napolitano  ; 
abbenchè  l'avesse  presentata  con  una  certa  circospe- 
zione ,  ed  abbenchè  non  sia  ricorso  al  sanscrito  ;  del 
che  non  saprei  quanto  fosse  da  riprovare.  Contento 
di  citare  queste  somiglianze  mi  asterrò  dal  ricercare 
io  stesso  le  origini  più  lontane ,  ben  sapendo  quanto 
sia  sdrucciolevole  la  via  delle  etimologie.  Avuto  ri- 
guardo alle  esposte  osservazioni ,  forse  troppo  seve- 
ramente il  eh.  Mommsen  dichiarò  la  voce  di  scono- 
sciuta derivazione  (/.  e). 

Mollasiead.  Siccome  avvertimmo  di  sopra,  è  que- 
sta una  parola  non  prima  comparsa.  Conoscevasi  già 
la  voce  mollo  in  differenti  casi  incontrata  in  non  po- 
che iscrizioni  osche  ;  ma  l' addietlivo  mollasica ,  cor- 
rispondente al  latino  mullatica,  riesce  perfettamente 
nuovo.  È  notevole  che  la  solila  ortografia  della  voce 
multo  è  col  punto  sull' V;  d'onde  rilevasi  che  pro- 
nunziavasi  molto.  Sono  ben  conosciuti  i  luoghi  degli 
antichi  scrittori,  che  attribuiscono  espressamente  la 
voce  multa  al  linguaggio  degli  Osci.  Così  dice  Gellio  : 
Vocabnlum  mullae  M.  Varrò  in  undeviecsimo  rerum 
humanarum  non  latinum,  sedSabinumessedicil.idque 
ad  suam  memoriam  mansisse  ail  in  lingua  Samnilium, 
qui  sunl  a  Sabinis  orli  (  noci,  attic.  lib.  X  e.  I  )  :  e 
Festo:  Multam  osce  dici,  pulanl  pocnam  quidam.  M. 
Varrò  ail  poenam  esse,  sed  pecuniariam ,  de  qua  subii- 
l'iter  in  l.  i  quaestionum  epislolicarum  re  feri  (p.  142 
ed.  Miiller).  Dal  quale  ultimo  luogo  è  chiarita  altresì 
la  intelligenza  della  voce  eiliuva,  che  riportata  ad  uu 


—  38 


adJictlivo  di  multa  non  può  altro  additare  che  pecunia. 

Comunque  sia  di  ciò,  osservo  che  i  Latini,  quando 
trassero  forse  dall'osco  la  parola  multa,  la  conserva- 
rono colla  originaria  pronunzia  di  molta  :  difatti  nelle 
più  antiche  iscrizioni  troviamo  1'  addietlivo  moltaticus; 
come  in  quella  riportata  dal  Maffei  :  Quaislores  aire 
mollalicod  dederunl  (mus.  Veron.  469,  2):  nella  quale 
osservasi  la  ortografia  quaislores ,  ed  il  d  paragogico, 
come  nell'osco  moltasicad.  Avverto  poi  che  gli  Osci 
in  questa  voce  usano  la  sibilante  in  vece  della  muta, 
non  altrimenti  che  avemmo  la  occasione  di  avvertire 
pe' finimenti  de'  verbi  prùfattens,  teremnattens,  ùpsens 
etc.  illustrando  la  celebre  lapida  viaria  della  porta 
Stahiana  (v.  meni,  della  reg.  accad.  Ercolanese  voi. 
VII  appendice  pag.  8).  Non  crediamo  opportuno  di 
fermarci  a  richiamare  i  confronti  delle  frequenti  men- 
zioni della  pecunia  multalicia  presso  gli  antichi  scrit- 
tori ,  o  dell'  aes  mullalicum  nelle  antiche  iscrizioni  ; 
come  cosa  già  nota  e  risaputa. 

Combcnnieis  tanginud.  Io  credo  col  Guarini ,  coli' 
Avellino  (iscr.  sann.  man.  cit.  p.  44),  e  con  la  mas- 
sima parte  di  coloro ,  che  trattarono  di  cose  osche  , 
render  si  debbano  conventus  decreto.  Non  voglio  trop- 
po fermarmi  sulla  origine  della  voce  tanginud ,  che 
altri  derivarou  dal  greco  rstWw,  altri  paragonarono 
al  latino  longerc  (  Mommsen  unler.  Dial.  p.  298.  s  : 
cf.  Aufrecht  in  Zeitschrift  fér  vergi.  Sprachf.  tom.  I 
pag.  333).  In  quanto  all'  altra  combennieis  dal  retto 
combenniis,  mi  sembra  corrispondere  affatto  al  con- 
ventus de'  Latini,  avuto  riguardo  al  mutamento  delu 
in  b  tanto  simili  fra  loro  nella  pronunzia,  ed  alla  dop- 
pia nn  che  corrisponde  pure  nell'osco  all'  nd de' La- 
tini :  al  qual  proposito  va  citato  l' opsannam  quasi  ope- 
randam,  faciendam  di  altra  pompejana  iscrizione.  Sic- 
ché la  somiglianza  tra  combenniis  e  conventus  è  tanto 
vicina  ed  evidente,  che  non  so  come  il  eh.  Garrucci 
ebbe  la  idea  che  Cùmbenniis  fosse  il  nome  di  una  par- 
ticolare tribù  pompcjnna,  non  altrimenti  che  Trim- 
paraciniis  quello  di  un'altra,  opinando  che  il  popolo 
pompelmo  si  dividesse  in  tribù,  e  che  queste  prese- 
dessero successivamente  alle  decisioni  nel  corso  dell' 
anno  (  Bull,  arch.  nap.  an.  II  p.  7  e  1 6G  ). 

Si  chiude  la  nostra  epigrafe  colla  voce  altre  volte 


incontrata  aamanaffed.  Varie  furono  le  opinioni  sulla 
intelligenza  di  questo  vocabolo.  Il  commendatore  A- 
vellino  presentando  ingegnose  derivazioni  fu  di  parere 
che  signiGcasse  perfecit,  richiamando  l' xrwàc  Greci, 
e  l' armare  de' Latini  [iscr.  sannit.  meni.  cit.  p.  24  e 
s.  ,  e  più  estesamente  nelle  illustrazioni  al  tempio  d' 
Iside  p.  24).  Il  sig.  Peter  ricordando  il  manus  (bonus) 
pensa  che  dinoli  il  probavit  (Allg.  Liner.  Zeit.  1842 
pag.  63  )  ;  ma  ciò  si  dimostra  falso  dalla  pompejana 
iscrizione  di  Popidio,  nella  quale  l' aamanaffed  vedesi 
accoppialo  col  profatlcd  :  e  non  può  esservi  più  dub- 
bio che  questa  ultima  voce  ha  il  significato  di  proba- 
vit. V  Aufrecht  pensava  a  dedicavit.  11  Mommsen  ri- 
fiutando queste  diverse  opinioni  lo  credè  corrispon- 
dente all'  ùpsannam  deded  (unler.  Dial.  p.2ì4):egià 
prima  l'Avellino  si  era  occupato  a  far  lo  stesso  confron- 
to, notando  le  differenze  di  queste  formolo  analoghe. 
La  derivazione  del  Mommsen  è  da  amnud(\'.  pure  la 
pag.  248).  Non  saprei  d'onde  abbia  tratta  la  voce  il 
eh.  Garrucci ,  il  quale  la  spiega  saepsil  in  una  parti- 
colare iscrizione  (v.  bull.  ardi.  nap.  an.  II  p.  166). 
Senza  entrare  ad  esaminare  tulle  le  suddette  deriva- 
zioni, osservo  che  la  nuova  iscrizione  pompejana,  la 
quale  ci  addita  che  Alinio  aamanaffed  queir  orologio 
col  danaro  delle  multe,  determina  il  significato  della 
parola  per  fare  eseguire ,  e  con  una  voce  sola  espri- 
me quel  che  fu  altrove  indicato  co'  due  vocaboli 
opsannam  deded. 

Volendo  indagare  la  origine  del  verbo  aamanaffed, 
parmi  assai  meglio  ricorrere  a  manus,  la  mano;  on- 
de i  Latini  trassero  il  mandare,  oiubere.  L' aamanaf- 
fed è  quasi  composto  dalla  particella  aa  (de)  e  manaf- 
fed  quasi  manna fed;  essendosi  per  la  duplicazione  del- 
l' f  seguente  diminuita  nella  pronunzia  la  forza  del 
doppio  nn,  che  precedeva.  Or  chi  non  vede  che  tutta 
la  voce  aamannafed  corrisponde  perfettamente  al  de- 
mandavit ,  parola  nella  quale  è  appunto  la  significa- 
zione medesima  del  feri  iussit  ?  Questa  intelligenza 
mi  sembra  la  più  facile  ;  e  si  applica  assai  bene  in 
tulle  le  altre  iscrizioni,  ove  quella  parola  trovasi  ri- 
petuta. Così  Vibius  Popidius  Vibii  /il.  Meddix  luticus 
mandavil  (feri  imsilj  idem  probavit  (Mommsen  op.  cit. 
p.  181  n.  XXI  )  :  Numcrius  Trebius  Trébii  ftlius  med~ 


—  39  - 


clìxlutìcus  mandami  (fieri  ìussìt)  (Momms.  Op.  cit.  p. 
182  n.  XXII)  :  Maius  Purins(Furius)  Mai  flimquae- 
stor  ....  mparacinìi  decreto  mandavi t  (fieri  iussitj 
(Moni.  p.  183  d.  XXV  cf.  Carnicci  nel  bull.  nap.  an. 
II.  p.  ICS,  s.  ).  In  tulli  i  quali  luoghi  la  intelligenza 
di  commettere  (o  fare  eseguire)  è  assai  meglio  richie- 
sta di  tutte  le  altre  finora  proposte  di  jirobavit,  dedi- 
cava ,  perfecil ,  saepsit. 

Dopo  le  esposte  considerazioni ,  la  nuova  epigrafe 
pompeiana  andrà  facilmente  tradotta  :  Marita  Alinius 
Marii  filius  quaeslor  ex  mullalicia  pecunia  conventus 
decreto  (fieri)  mandavil. 

Abhiamo  dunque  la  certezza  che  l'orologio  pom- 
pejano  fu  eseguito  a*  tempi  in  cui  vigeva  tuttora  la 
lingua  osca ,  e  che  precedevano  forsa  la  romana  co- 
lonia. Siccome  l' orologio  era  sopra  un  terrazzo  alle 
spalle  delle  nuove  terme,  ove  appariscono  in  parte  le 
colonne  di  un  peristilio;  dee  credersi  che  da  quel  lato 
era  la  principale  veduta  dell' edifizio  ,  e  che  l'eniici- 
clio  Berosiano  fosse  appunto  destinato  a  segnar  le  ore 
per  comodo  di  quel  pubblico  stabilimento.  (Sul  tem- 
po di  lavarsi,  principalmente  verso  l'ora  ottava,  vedi 
Martial.  ep.  XI ,  52,  Spartian.  in  Hadrian.  e.  22  ed 
ivi  gli  annotatori  :  cf.  Baccio  de  Tliermis  lib.  VII  e. 
XII  pag.  m.  43 1 ,  s  edit.  Venet.  ann.  MDLXXXVHI). 

Quello  che  mi  sembra  interessante  è  che  forse  fu 
questo  orologio  sin  dal  principio  destinato  a  quell'uso 
ne'  tempi  osci  di  Pompei:  e  perciò  proverebbe  la  mag- 
giore antichità  de' nuovi  bagni  paragonati  con  quelli 
già  prima  scavati. 

Non  può  dubitarsi  che  molte  rifazioni  furono  fatte 
in  appresso  in  epoche  diverse  :  ed  oltre  le  osserva- 
zioni da  noi  presentate  a  tal  proposito  quando  comin- 
ciammo a  tenerne  discorso,  si  aggiunge  ora  la  circo- 
stanza qui  sopra  notata  della  impronta  delle  lettere 
sui  muri  esterni  della  vasca ,  e  della  perfetta  man- 
canza de'  marmi  ove  esse  erano  incise.  E  certamente 
dee  credersi  che  quel  rivestimento  fu  fatto  dopo  i 
tempi  di  Augusto.  Ma  non  può  con  certezza  dedur- 
sene  che  la  vasca  ed  i  marmi  che  la  ricoprivano  ap- 
partengono alla  originaria  costruzione. 

Noi  siamo  inclinali  a  credere,  come  altra  volta  fu 
da  noi  avvertilo ,  che  la  costruzione  primitiva  delle 


terme  nuovamente  scoperte  precede  quella  delle  altre 
già  da  molti  anni  conosciute  :  sebbene  in  tempi  po- 
steriori molte  rifazioni ,  forse  ancora  nella  parte  or- 
namentale ,  vennero  eseguile  (1). 

Del  resto  le  ulteriori  scavazioni  chiariranno  meglio 
questo  punto.  E  se  esse  metteranno  in  piena  luce  che 
le  terme  furono  edificale  dopo  i  tempi  augustei ,  do- 
vrebbe conchiudersi  che  l'orologio  già  prima  adope- 
rato in  epoca  anteriore  fu  in  seguilo  desliuato  per 
l' uso  de'  bagni. 

(continua]  Minervini. 

Iscrizioni  latine.  Continuazione  del  n.  5L 

Le  seguenti  iscrizioni ,  tulle  provenienti  da  Poz- 
zuoli ,  mi  furono  comunicate  dal  signor  Arcangelo 
Bruschi. 

10. 

C  •  OCTAVIVS  •  IIICETES  •  SIBI 

ET  TEBENTIAE  CEPIAE  (sic)  VXORIET 

C  •  OCTAVIO  •  NEPOTI  •  PATRI  ETFILIO 

ET 

ET 

L1BERTIS  •  LIBERTABVSQVE  •  SVIS 

C.  Ottavio  Icete  riunisce  la  memoria  della  sua  mo- 
glie a  quella  del  padre,  e  di  un  figlio,  che  avevano 
entrambi  il  nome  di  C.  Ottavio  Nepote.  Con  non  in- 
solilo costume  si  sono  lasciate  due  linee  senza  alcuna 
scrittura  ,  e  precedute  da  un  ET  ,  per  occuparle  co' 
nomi  di  altri  individui  della  famiglia ,  che  fossero  in 
seguilo  trapassali. 

11. 

mori 

L  •  CALPVRNIVS  ■  OLYMP1CVS 

CALPVRNIAE  •  ELATI 

L  •  CALPVRNIVS  •  AMPLIATVS 

(1)  Queste  osservazioni  sono  siale  da  me  comunicale  alla  reale 
accademia  Ercolanese  nel  mese  di  Novembre;  ma  le  scavazioni  a 
cui  si  riferiscono  appartengono  al  mese  di  Ottobre.  11  eh.  Corniti. 
Quaranta  ha  Ietto  pure  alla  medesima  Accademia  la  illustrazione  di 
questo  importante  monumento. 


—  so- 


DIS MANIBVS 
L  •  CALPVRNIO 
SPERATO 

13. 

VARIA  •  L  •  L  •  EPHESIA 

A  me  pare  che  Ephesia  non  sia  il  cognome  di  Va- 
ria ,  ma  che  ne  dinoti  la  patria  :  siccome  può  desu  • 
mersi  dalla  seguente  iscrizione  greca  ,  rinvenuta  nel 
silo  medesimo,  ed  appartenente  ad  un'altro  Calpurnio. 

0  -  K 
Ko  KAAIIOTPN  •  POT 
*OS    EO>ES    •    KOK 
[AAITA]PTONTI-AnE 

Essa  va  letta  così  : 

Kouros  KaX7rot'pv(os  'Poìtyoj  'E<p/cnoS 
Ko'tvrro  KaXirovpyiw  Apvovri  «,7rs\su§/pw. 

Le  lettere  da  me  supplite  occupano  precisamente 
lo  spazio  mancante:  e  questo  aggiunto  all'altro  mo- 
tivo che  il  nome  ApvHuv  trovasi  adoperato  come  pro- 
prio presso  gli  antichi  scrittori ,  me  lo  ha  fatto  pre- 
ferire all'altro  'Pvùw,  il  quale  offriva  egualmente  una 
giusta  e  regolare  derivazione.  Anche  qui,  come  nella 
epigrafe  di  Varia  ,  si  fa  menzione  di  persona  prove- 
niente da  Efeso.  Sicché  non  vi  ha  duhhio  che  i  nuovi 
monumenti  puteolani  vengono  di  giorno  in  giorno  a 
dimostrare  che  da  tutte  le  più  lontane  regioni  accorre- 
vasi  in  quel  frequentatissimo  porto,  emporio  dell'an- 
tico commercio:  ove  persone  di  svaria lissime  nazioni 
trasferivano  anche  sovente  la  loro  sede,  e  stabilivano 
la  loro  industria. 


14. 

C  •  CAESONIVS  •  DEMTRIVS  (sic)  mon 

FABER  TIGNARIVS  SIBI  ETNYMPHENI 

CONLIBERTAE  SVAE  •  ET  •  C 

CAESONIO  •  METROPHANI  •  L  • 

ET  •  SECVNDAE  •  L  •  ET  • 

PRIMOGENI  •  L  •  CAESONIAE 

AMPLIATAE  •  METROPHANIS 

L  •  VIX1T  •  ANNOS  XIIII  ET 

MENSES  III  •  VXORI 

Mi  sembra  evidente  che  C.  Cesonio  Demetrio  po- 
nendo il  monumento  per  uso  de'  varii  liberti  di  un 
Cesonio ,  da  cui  egli  stesso  aveva  preso  il  nome,  de- 
dica quella  memoria  a  Cesonia  Ampliata  sua  moglie, 
la  quale  era  liberta  di  C.  Cesonio  Melrofane.  Se  la 
lezione  XIIII  è  certa  ,  si  tratterebbe  di  una  donna  in 
età  assai  giovanile  ;  ma  potrebbe  anche  stare  che  la 
vera  lezione  fosse  XL1II ,  nel  qual  caso  la  moglie  di 
Cesonio  sarebbe  in  età  provetta. 

E  notevole  che  i  nomi  di  differenti  liberti  nominati 
nella  iscrizione  sono  greci,  Demeirius ,  Nijmphene, 
Metrophanes  :  e  probabilmente  appartennero  ad  indi- 
vidui di  greca  origine  trasferiti  in  Pozzuoli.  Dopo  la 
ultima  voce  VXORI  compariscono  tracce  di  lettere 
a  bello  studio  rimosse  collo  scalpello.  Il  che  non  sa- 
prei a  quale  particolare  veduta  possa  attribuirsi. 

15. 
D  •  M 
CLAVDIAE  •  SP  •  FIL  •  ALYPIADI 
QVAE  •  VIX1T  •  ANN  •  LIIII  •  D  •  VII 
TI  •  CL  •  ADIVTOR  ■  MAM  •  B  •  M  •  F 

Certamente  nell'  abbreviazione  MAM*  dee  ricono- 
scersi il  sustantivo  mammae;  ma  rimane  dubbioso  se 
Claudia  Alipiade  fosse  zia,  o  nutrice  di  Claudio  Adiu- 
tore ;  giacche  è  nolo  usarsi  questa  voce  nell'  uno  e 
nell'  altro  significato  anche  nelle  antiche  iscrizioni  : 
come  osserva  il  Furlanelto  nel  Lexicon  del  Facciola- 
ti  v.  mamma.  Dal  nome  comune  della  loro  famiglia 
può  desumersi  pertanto  esser  fra  essi  piuttosto  una 
relazione  di  parentela. 

(continua)  Mi.nervini. 


Giulio  Mimervim  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catakeo. 


BULLETTLXO  AKCIIEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  56.     (6.  dell'  anno  III.) 


Ottobre  1854. 


Osservazioni  sopra  alcuni  luoghi  del  Corpus  Inscriptionum  Graecarum Giunta  all'  articolo  precedente. 

Notizia  di  una  greca  iscrizione  di  Pozzuoli.—  Bibliografia.  Le  case  ed  i  monumenti  di  Pompei. 


Osservazioni  sopra  alcuni  luoghi  del  Corpus  Inscri- 
ptionum Graecarum  (1). 

Una  delle  più  insigni  epigrafi  greche  di  Alene  si  è 
quella  die  riguarda  la  denunzia  de' proventi  degli  o- 
Jiveli  dell' Attica,  sì  felicemente  supplita  e  spiegata 
dal   ci).  Boeckb  (n.  355),  lasciando  peraltro  talora 

EOE 

alcuna  cosa  a  desiderare.  Essa  incomincia  :  K  N  © 
AAPIANOT  ATTOK  xtX. 

11  lodato  siguor  Boeckh  lesse  ,  benché  dubbioso  , 
xù.-vu  vc(XOS  SwfAwy  'Aopixvov,  Iubet  lex  quae  estin- 
te)' constilutiones  Hadriani.  11  Franz  (Elcm.  cpigr. 
Gr.  p.  300)  riferiva  ,  come  non  destituita  di  proba- 
bilità, l' interpretazione  xsksuoctvros  YOjxo^ii'knxoS , 
>}=ov,  datane  dal  eh.  Thiersch.  A  me  poi  parve  do- 
versi leggere  KE^ccXouok  NOftow  ©Efffxiof  (  ovvero 
©Eoi))  AAPIANOT  ATTOKpaVopos.  Almeno  il  sup- 
plimento  KEpaXouov  mi  parve  certo  pel  riscontro  di 
quelle  parole  di  Cicerone  (ad  Alt.  III.  ep.  15,6): 
CAPVT  LEGIS  a  Godio  in  poste  Curiae  fixum; 
tanto  più  che  questo  capo  delle  leggi  di  Adriano  pro- 
babilmente fu  proposto  in  duplice  esemplare,  presso 
il  foro  cioè  e  nell'  Olimpico  di  Atene  (  Boeckh  in 
lemm.).  Ora  la  suddetta  interpretazione  mi  pare  quasi 
certa  per  questi  altri  antichi  riscontri.  Il  Montfaucou 
(  Paìaeogr.  Gr.  p.  340)  fra' compendii  delle  scritture 
Greche  pone  anche  Kì  per  xeQctLkouov  ;  e  ne' Croma- 
rci veieres  (pag.  203-200  Lachm.)  ricorrono  le  sigle 
K  LUI,  KL  MI,  K-L-V,  che  valgono  Kaput  Legis 
III,  II1I,  V  (cf.  Marini,  Aro.  p.  118).  «Tutti sanno, 

(I)  Lo  scrivente  suppone  note  al  benigno  tenore  le  sue  Anno- 
tazioni al  Cokpcs  iKScmpTioxvu  Gkaccahvx.  Modena,  !848. 
A.yyo  ni. 


scrive  il  Marini  (/.  e),  che  le  Leggi  si  dividevano  in 
capi,  che  i  forensi  chiamano  ora  paragrafi  ».  Lungo 
sarebbe  l' annoverare  i  luoghi  degli  scrittori  antichi , 
ove  trovansi  numerati  i  capi  delle  leggi  [cf.  Cic.  2. 
Agi:  6,  10:  A.  Geli.  //,  15:  Plin.  X  ep.  115:  Thes. 
Gr.  Ling.  ed.  Didot,  t.  IV  p.  1493).  La  spiegazione 
©Eoi)  AAPIANOT  può  stare  nel  supposto  che  quel 
capo  di  legge  fosse  esposto  in  pubblico  dopo  eh'  egli 
era  stato  annoverato  fra'  Divi  ;  e  fors' anche  prima, 
avendosi  un'iscrizione  dell'Olimpico  che  lo  dice  ©EON 
AAPIANON  [C.  I.  Gr.  n.  337),  e  sapendo  che  gli 
fu  dedicata  un'ara  ivi  stesso,  non  che  in  altre  città 
della  Grecia  (Spartian.  in  Iladr.  13:  Dio  LXIX,  16: 
cf.  Eckhel  VI,  p.  518). 

Quel  capo  poi  di  legge,  o  leggi,  d'Adriano  sarà 
senza  meno  stato  ricavato  dal  corpo  delle  Leggi  det- 
tate da  quell'Augusto  agli  Ateniesi,  a  loro  inchiesta, 
intorno  all'anno  123  dell'era  nostra,  come  si  ha  da 
Eusebio  e  da  S.  Girolamo  nel  cronico  al  detto  anno: 
'Abpi%vòs  'A&rpouotS  cc|i6w(7a<nv ,  ìx  rwv  Apctxovros 
xoù  SoXwvos,  \ó\A.rMìlrxio~uviTc/.h:  Hadrianus  Athenicn- 
sibus  LEGES  petentibus,  ex  Draconis  et  Solonis  reli- 
quorumque  libris,  iura  composuit.  Anche  Dione  Cas- 
sio (Hist.  LXX1X  ,  10)  accenna  fra  1'  altre  leggi  date 
da  Adriano  agli  Ateniesi  [hoixo^ìTrfi  Sì  òiWx  ri 
TroXXà  xrX.  )  quella,  che  niun  senatore  né  di  per  se 
stesso,  né  per  mezzo  d'  altri ,  prender  potesse  in  ap- 
palto le  entrate  pubbliche.  Le  leggi  poi  da  esso  lui 
dettate  agli  Ateniesi,  almeno  in  parte,  avranno  avuto 
autorità  anche  presso  i  Megaresi  ;  poiché  que  della 
tribù  Adrianide  in  Megara  chiamano  Adriano  ròV 
ì'xvrtoY  xriaryy  xoà  lOfAG^iT^v  xoù  Tfofpiot  (  C.  I.  Gr. 

n.    181  ).  Sapendo  poi  dal  riscontro  di  Eusebio  e  di 

6 


—  42  — 


S.  Girolamo  come  Adriano  ritrasse  le  nuove  leggi 
Attiche  da  quelle  di  Dracone,  di  Solone  e  d'altri, 
chiaro  si  pare  che  questa  della  denunzia  del  ricolto 
delle  olive  non  era  altrimenti  in  lutto  nuova,  ma  ri- 
chiamata in  vigore  conforme  a  legge  anteriore  ,  sic- 
come d'altronde  avea  arguito  anche  il  eh.  Boeckh. 

N.  418.  In  quest'  altra  iscrizione  Attica  ricorre 
'kvrioxps  xtelirfyfi  7ra/£«/v  Ka/capo?,  cioè,  a  parere 
del  eh.  Boeckh  ,  Anliochus  aliptes  pverorvji  Caesà- 
ris  ,  hoc  est  alimentariorum.  Nelle  annotazioni  a 
questo  luogo  io  inlesi  ricordato  un  collegio  ginnasti- 
co di  giovinetti,  o  paggi,  posti  sotto  la  speciale  pro- 
tezione del  Cesare  imperante,  confrontando  il  pre- 
sente Antioco  atipia  col  MAG1STER  IATRALIPTA 
PVERORVM  EM1NENTIVM  CAESARIS  Nostri  di 
una  iscrizione  di  Roma  (Murai  p.  884,  4).  E  tanto 
si  conferma  pel  riscontro  di  un'iscrizione  Greca  di 
Roma  stessa  (C.  I.  Gr.  n.  6291  ) ,  ove  leggesi  vai- 
òwY  luyiviouy  J:-priS  Tjp^oc  àjSacrxotXn'ji  (cf.n.27 1 5  os.  7). 

N.1166,a.TEAETH,  ET0HMA,  EIIIKTHSlS, 
in  un  bassorilievo  di  Thyrea,  dell'  Argolide  (  v.  ert- 
ila// arch.  t.  1.  tav.  C,  1  p.  132).  La  prima  voce  sta 
scritta  dinanzi  ad  una  donna  sedente  in  seggio  ornato 
di  sfingi ,  la  quale  ha  la  d.  stesa,  la  s.  appoggiata  al 
bracciuolo  del  sedile,  e  tiene  un  utensile  incerto  po- 
sato iu  sulle  ginocchia.  Dinanzi  a  lei  sorge  un  arbore, 
fra' rami  del  quale  è  collocato  un  piccolo  simulacro, 
che  pare  di  Diana;  e  da  uno  de' rami  pende  un'in- 
fula,  che  forse  sosteneva  una  tavoletta  votiva.  Appiè 
dell'arbore  è  un'ara  quadrata  con  simulacro  femmi- 
nile sopra,  che  con  ambe  le  mani  sostiene  una  tazza 
od  altro  vaso  rotondo  ;  e  nel  Ganco  dell'  ara  stessa  è 
scritto  ET0HMA.  La  terza  voce  EIIIKTHSIS  è 
scritta  nell'appoggio  del  sedile  della  donna.  L'uten- 
sile, che  questa  tiene  in  sulle  ginocchia,  parve  patera 
al  eh.  Gerhard  (/.  e.)  ;  ma  vorrei  sospettare  che  sia 
anzi  cista ,  xI<stt\  ,  che  troppo  bene  si  converrebbe 
alla  TsXstyj,  iniziazione  ;  poiché  Pausania  vide  sì  A/- 
GirQiv%,  come  Cleoboea  vergine  iniziata ,  aventi  xltrrry 
lii'i  toìs  ylvAGiv,  xifìusròv  lv  Toìs  ■yoxatn  (Pausan.VlII, 
37  ,  2  :  X  ,  28 ,  1  ).  L'  Eu8rtvt% ,  o  sia  abbondanza , 
sosterrà  probabilmente  una  lazza,  o  piatto  ripieno  di 
frutti  o  di  spighe  (cf.  Miiller,  Handb.  §  406, 2:  Ec- 
khel  t.  IV,  p.  47  j. 


N.  21 19  :  \<Txvpù>  Siioj  Socvspys?  x%)  'Acrrapa.  Io 
posi  a  riscontro  del  XwspyìTdi  questa  iscrizione  sacra 
di  Fanagoria  il  ZETS  STPrASTHS  delle  monete 
di  Tio  della  Bitinia  ;  ed  ora  aggiungo,  che  un' insigne 
lapida  del  musco  di  Brescia  è  dedicata  DIS'PATER- 
NIS  SVRGASTEO  MAGNO  PATRO  da  un  Q.  M. 
Trifone  probabilmente  oriondo  d' Asia  (Labus,  mar- 
mi ant.  Brcsc.  p.  130,  n.  171  ). 

N.  2793f,  2794,  2771 ,  al.  Nelle  iscrizioni  della 
Caria,  più  di  frequente  che  in  altre,  ricorre  la  figlia- 
zione Quasi  e  xx$'  Ì'ioSìc/cik,  o  sia  per  natura  e  per 
adozione.   E  questa  particolarità  si  scambia  luce  col 
racconto  di  Arriano  intorno  ad  Alessandro  Magno 
(Exped.  Alex.  I,  23),  al  quale  venne  incontro  Ada 
figliuola  di  Ecatomno  e  vedova  di  Idrico  (che  le  avea 
commesso  morendo  la  signoria  di  tuttala  Caria)  dan- 
dogli nelle  mani  la  città  di  Alinda,  che  sola  le  resta- 
va, e  adottando  in  suo  figliuolo  Alessandro  medesimo, 
x%)  7r«ì§a  oJ  rfèì\x{)v\  'A Xs^vdpov.  Alessandro  poi  la- 
sciò ad  essa  la  signoria  di  Alinda,  e  non  disdegnò  di 
chiamarsi  di  lei  figliuolo  ,  xxì  tò  oyopux,  rov  va-ioòs 
ovx  à-7rr^i'uirfì  ;  e  dopo  che  si  fu  impadronito  di  tutta 
la  Caria  ,  ad  esso  lei  ne  diede  l'intero  dominio.  Ada, 
sendo  da  qualche  tempo  vedova  ,  dovea  trovarsi  in 
e!à  da  potersi  convenientemente  chiamare  madre  del 
grande  conquistatore  in  allora  assai  giovine.  In  quella 
contingenza   creder  potrebbesi  impressa  la  moneta 
d'  Alinda  avente  nel  ritto  la  lesta  d'Ercole  giovine,  e 
nel  riverso  la  Vittoria  gradiente  (Mion.  descr.  n.47). 
N.  2957.  In  questa  insigne  iscrizione  dedicala  dal 
senalo  e  dal  popolo  d'Efeso,  di  conserto  con  l'altre 
città  e  genti  Elleniche  abitanti  nell'  Asia  Minore  ,  a 
Giulio  Cesare  ,  egli  è  detto  discendente  avrà  "Aptws 
xcù  'Atyofoirrp  :  ed  il  eh.  Boeckb  avverte,  che  unum 
hoc  singulare  est,  quod  Anchisae  loco  Mars  ponitur  ; 
cuius  rei  caussam  aliis  indagandam  relinquo.  Questa 
particolarità  fece  caso  anche  all'  Eckhel  (  t.  VI ,  p. 
4  ) ,  senza  peraltro  eh'  egli  ne  indagasse  la  ragione. 
Altra  volta  avvertii  come  M.  Antonio  nell'orazione 
funebre  di  Giulio  Cesare  (Dio  XLIV,  37)  lo  disse 
ingenerato  àvò  f^xat'kiuiy  x-xi  9sw;  e  quindi  anche 
da  Marte  padre  di  Romolo  e  de'Romulidi.  Ora  veg- 
go, che  la  gente  Giulia  fra  le  imagini  de'suoi  maggiori 
avea  pur  quella  del  padre  Romolo ,  come  si  raccoglie 


—  43  — 


dalle  seguenti  parole  di  Tacito  (Anna! .IX ,Q)  ove  accen- 
na i  funerali  di  Druso:  Funusimaginum  pompa  maxi- 
me illustre  fuil,  cum  origo  luliae  gentis,  Aeneas,  om- 
nesque  Albanorum  reges,  et  condilor  urbis  ROMVLÌ  S, 
post  Sabina  nobililas,  Altus  Clausus,  ceteraeque  Clau- 
diorum  effigies,  longo  ordine  spedar entur.  Vuoisi  inol- 
tre consultar  Macrobio  (Salurn.  1 ,  12)  ove  espone 
la  ragione,  per  la  quale  hodieque  in  sacris  MARTEM 
PATREM  YENEREM  GENETRICEM  vocemus. 

N.  2967.  In  un  marmo  d'Efeso  leggesi  il  seguen- 
te dislieo  diviso  in  quatlro  linee  : 

Tovrov,  'òv  eìsopotxS,  warov  ó'pSiov  'Avtujyìivou 

AwfoHsos  IlTsXsr,  $r\x<x.TO  xpwrtfcvov. 
Il  eh.  Boeckh,  prendendo  la  voce  nrsXsr,  pel  no- 
me prisco   di  Efeso  ,  spiega  col  Jacobs  :  Dorotheus 
quidam  Antonini  statuam  terra  obrutam  protraxit  et 
ilerum  dedicavit.  A  me  parve  meglio  prendere  quella 
voce  nel  significato  suo  semplice  di  olmo,  sìcheDo- 
roleo  dedicasse  un  simulacro  di  Antonino  Pio,  ripo- 
sto entro  il  cavo  di  un  olmo,  imitando  così  le  Ama- 
zoni  fondatrici  di  Efeso,  che  dicevansi  avere  simil- 
mente collocalo  il  simulacro  di  Diana  Efesia  7rps,avw 
Ivi  irrskérf  (Dionys.  Perieg.  v.  829:  Callim.  in  Dian. 
v.  237).  Al  riscontro  che  addussi  dell'analogo  ele- 
gante epigramma  Lalino  ,  il  quale  incomincia  (Fa- 
bretti  insci:  doni.  p.  230  n.  607)  SILVANE  SACRA 
SEMICLVSE  FRANINO,  mi  giovi  ora  aggiungerne 
alcuni  altri.  Plinio,  giunto  a  discorrere  degli  arbori 
[Nat.  hist.  XII,  2),  comincia  dal  dire:  haec [nere nu- 
misuìi   templi  ;  priscoque  ritu  Simplicio  rura  etiam 
moie  Deo  praeceìlentem  arbore  dicant.  Il  Dalecampio, 
ed  il  recente  editore  Parigino,  intesero  queste  parole 
dell'usanza  di  pianlare  arbori  esimii  dinanzi  agli  edi- 
fici sacri;  ma  voglionsi  anzi  spiegare  dell' usanza,  che 
dura  tuttora  nel  contado  nostro,  di  collocare  qualche 
sacra  mingine  in  alcuno  de'  più  begli  arbori  lunghes- 
so le  vìe,  segnatamene  ne' trivii  e  quadrivii,  o  presso 
le  case  rurali.  Così  le  intese  anche  il  dotto  Greppo , 
che  di  recente  ne  diede  restituita  alla  vera  sua  rap- 
preseutazionc  una  insigne  moneta  di  Myra  della  Li- 
cia, in  prima  non  ben  descritta  dal  Vaillant,  impressa 
sotto  Gordiano,  nel  cui  riverso  vedesi  il  seguente  ti- 
po [Revue  man.  t.  XIV,  p.  420):  Vecchio  arbore,  fra' 


cui  rami  posa,  od  emerge  dal  tronco,  un  simulacro  di 
donna  multimammia  con  ampio  velo  in  testa ,  che  le 
giunge  fino  a'  piedi  e  le  copre  anche  le  braccia  aderenti 
alla  persona:  a  pie  dell'  arbore  sono  due  uomini  ignu- 
di, o  quasi  ignudi,  uno  di  qua  e  l' altro  di  là,  ciascu- 
no de  quali  lenendo  con  ambe  le  mani  una  bipenne  al- 
zata, è  in  atto  di  menare  un  colpo  al  ceppo  dell' arbore 
slesso  per  reciderlo;  nel  qual  mentre  due  serpenti,  che 
sembrano  come  sbucati  dal  pie  dell'  arbore ,  si  avventa- 
no contra  i  due  uomini  e  stanno  per  morderli  al  dorso. 
Il  lodato  ahb.  Greppo  tenta  così  di  dare  l'interpre- 
tazione di  quel  singolare  tipo:  «  Un  simulacro  di  dea, 
che  in  appresso  dovette  avere  culto  continuato  nella 
città  di  Mira,  sarebbesi  a  caso  trovato  riposto  fra' ra- 
mi di  un  arbore;  o  se  meglio  piaccia ,  quell'arbore 
sarebbe  sialo  scelto  a  disegno  dalla  divozione  nascente 
degli  abitanti ,  perchè  servisse  come  di  edicola  sacra 
al  simulacro  stesso.  Alcuni  uomini,  sia  che  innocen- 
temente col  solo  intento  di  apprestarsi  legna,  o  sia  che 
sacrilegamente  ,  avrebbero  posta  la  scure  alle  radici 
dell'arbore  sacro  e  privilegiato;  ma  de'serpenli,  mossi 
da  possanza  sovranaturale,  sarebbonsi  posti  a  guardia 
del  venerato  simulacro  ;  ed  avventandosi  a  que'  le- 
merarii,  gli  avrebbono  fatti  accorti  della  presenza  di 
un  idolo  incognito,  e  castigando  que' profanatori,  ec- 
citalo avrebbero  i  cittadini  di  Mira  a  prestargli  nuovo 
culto  speciale  ».  Egli  ravvisa  in  quel  simulacro  un* 
imagiue  di  Diana  multimammia,  e  ben  s' avvisa  che 
il  tipo  si  riferisca  a  qualche  domestica  istoria  fabu- 
losa de'  Mirei  ;  ma  confessa  di  non  trovarne  riscontro 
particolare  negli  scrittori  antichi.  Nella  mia  memoria 
intitolata  Obsercalions  sur  les  anciennes  Monnaies  de 
la  Lycie  (che,  tradotta  in  Francese  dall'esimio  mio 
amico  Raoul-Rochetle  di  cara  memoria  ,  venne  nel 
1845  inserila  nel  volume  primo  della  prima  serie 
delle  memorie  des  Savants  étrangers  dell'  Accademia 
delle  Iscrizioni),  io  congetturai,  che  il  suddetto  tipo 
delle  monete  di  Mira  riguardi  il  seguente  racconto  di 
Appiano  Alessandrino  (Mithrid.  27):  Mitridate, posto 
V  assedio  a  Patara  della  Licia ,  tagliava  il  bosco  sacro 
a  Lalona,  per  costruir  machine,  fino  a  che,  atterrito  da 
un  sogno,  si  rimase  dal  profanare  que'  legni  sacri.  La 
voce  popolare  avrà  di  leggieri  imaginato  e  divulgato 


—  u 


un  portento  simile  a  quello,  che  Callimaco  (in  Cercr. 
v.  33  seg.  )  narra  come  avvenuto  allor  che  il  sacri- 
lego figliuolo  di  Triope  fece  porre  la  scure  alla  ra- 
dice degli  arbori  sacri  a  Cerere.  I  servi  d' Eresinone, 
alla  vista  gigantesca  della  dea,  che  loro  apparve  e  li 
rampognò  ,  atterrili  retrocessero  ,  lasciando  le  scuri 
infitte  nel  ceppo  dell'arbore  a  lei  sacro  (Callim.  «n 
Cor.  60,  61  ).  A  quel  sacrilego  attentato,  avvenuto 
nel  Triopio  della  Caria  (anzi  che  alla  metamorfosi  di 
Mirra  in  arbore)  vuol  riferirsi  il  seguente  tipo  di  due 
rare  monete  di  Afrodisiade  della  Caria  medesima,  di 
recente  pubblicale  (Reme  mmism.  t.  XIV,  p.  428: 
XVI,  236): 

Arbore  fornito  di  molti  rami ,  presso  il  quale  sono 
due  uomini  coverti  il  capo  dipileo  frigio  ;  uno  de  quali 
con  la  bipenne  alzala  sta  per  dare  un  colpo  alle  radici 
dell'  arbore  stesso,  e  V  altro  sen  fugge  come  atterrilo. 

Il  pileo  frigio  forse  non  allro  significa,  che  la  loro 
condizione  servile;  sapendosi,  che  Eresinone  inviò 
venti  de' suoi  più  robusti  servi  a  recidere  gli  arbori 
del  bosco  sacro  a  Cerere.  I  due  serpenti  poi,  che  nella 
moneta  di  Mira  della  Licia  si  avventano  al  dorso  dei 
due  temerarii  violatori,  saranno  i  custodi  del  luco  sa- 
cro a  Latona,  e  simbolo  di  vicina  morte,  come  con- 
sta dal  riscontro  di  parecchi  monumenti  arcaici.  L'ar- 
bore della  moneta  di  Mira  parve  di  fico  al  eh.  Grep- 
po ;  ma  per  quanto  può  arguirsi  dal  disegno  di  essa 
(Revue  num.  t.  XIV,  pi.  XIII,  1),  potrebbe  pur  dirsi 
di  vecchio  platano  ;  lanto  più ,  che  a  detto  di  Plinio 
(Nat.  hist.  XII,  5)  :  mine  est  darà  in  Lycia  (platanusj , 
gelidi  foniis  socia  amoenilale ,  itineri  apposita ,  domi- 
cilii  modo,  cava  oclogìnla  atque  unius  pedum  specu, 
nemorosa  vertice,  et  se  vaslis  protegens  ramis ,  arborum 
instar,  agros  longis  obtinet  umbris,  cet.  (cf.  Ilerodot. 
VII,  31:  Aclian.  var.  hist.  II,  14).  Riguardo  agliai- 
bori  sacri  alle  deilà  de'  Gentili ,  ed  alle  deità  stesse 
delle  Ai}op7ra.i,  *Evó;y'6poi,  veggasi  quanto  dottamen- 
te ne  scrisse  di  recente  il  eh.  Minervini  (  Mon.  ani. 
ined.  di  Barone,  voi.  I  pag.  63-63).  Egli  ricorda  un 
curioso  vaso  dipinto  proveniente  dalle  parli  di  Nola, 
rappresenlante  due  persone  ,  l' una  barbata  e  1'  altra 
imberbe,  che  escono  ciascuna  dal  tronco  di  un  ar- 
bore. Vorrei  sospettare,  che  rappresenti  i  progeni- 


tori della  favolosa  gens  virum  truncis  et  duro  roborc 
nata  (  Virg.  Aen.  Vili,  313  :  cf.  Odyss.  XIX,  163). 
Hoc  figmentum,  avverte  Servio,  Homcricum  est,  et  or- 
lum  est  ex  antiqua  hominum  habiiatione,  qui,  antefa- 
clas  domos,  ani  in  cavis  arboribus ,  aut  in  speluncis 
manebanl;  qui  cum  exinde  egrederenlur,  aut  suam  edu- 
cerenl  prolem,  dicli  sunt  inde  procreati.  Similmente 
può  dirsi,  che  prima  della  costruzione  degli  edifici 
sacri,  i  simulacri  degli  dei  colloca vansi  entro  le  ca- 
vila de'  tronchi  degli  arh  )ri  annosi  ;  e  che  Doroteo 
Efesino  dedicando  entro  un  olmo  cavo  l'effigie  di  An- 
tonino Pio,  volesse  indicare  come  quell'ottimo  Augu- 
sto richiamava  col  mite  suo  impero  la  felicità  de'pri- 
schi  tempi  e  del  secol  d'oro.  Del  resto,  anche  nell' 
insigne  bassorilievo  di  Tirea,  con  le  epigraG TEAE- 
TH,  EIIIKTHSlS  ed  ET0HNIA  da  aggiungersi  al 
Corpus  inscr.  Graec. ,  vedesi  un  piccolo  simulacro  di 
Diana  collocato  fra'  rami  di  un  arbore  annoso  ,  con 
indizio  di  tavolette  votive  pendenti  da  tenie  (Annali 
arch.  t.  I,  tav.  agg.  C,  1,  p.  132-134). 

N.  3176.  In  questa  lettera  di  M.  Aurelio  Cesare 
al  sinodo  di  Bacco  Briseo  di  Smirne,  colla  quale  ren- 
de grazie  a  que'  collegiali  dell'  esultanza  da  esso  lor 
dimostrata  pel  nascimento  di  un  figliuolo  di  lui ,  le 
parole  sì  x%)  èr/poui  rovro  à7nfòr\  parvero  al  chiar. 
Boeckh  indicare  ,  che  quel  neonato  fosse  poco  dopo 
mancato  di  vita.  A  me  parve  ,  che  anzi  significhino  , 
che  la  cosa  era  accaduta  altramente  da  quel  eh'  essi 
aveano  inteso  per  falsa  novella ,  vale  a  dire  che  in- 
vece d'  un  figlio  gli  era  nata  una  figliuola  ,  come 
realmente  accadde  per  fede  di  Capitolino.  E  che  in 
falli  lalor  corressero  di  si  fatte  novelle  premature  ed 
inesatte,  costa  da  altri  simili  casi.  Tosto  che  Domizia- 
no si  fu  separato  dalla  moglie  sua  Domizia  infamata 
per  adulteri,  ed  ebbe  comincialo  ad  usare  familiar- 
mente con  Giulia  figliuola  di  Tito,  sua  nepote,  non 
mancò  chi  credesse,  ch'egli  avesse  contratto  matri- 
monio con  quesla  ;  e  corsane  la  fama  fino  in  Asia,  in 
Efeso  se  ne  fecero  fesle  pubbliche  con  sacrifici  (Phi- 
lostr.  vii.  Apollon.  VII,  7:  Dio,  LXVII,  3),  ed  in 
Pergamo  venne  impressa  una  moneta  con  le  teste 
congiunte  dei  due  supposti  novelli  sposi,  Domiziano 
e  Giulia  di  Tito  (Eckhel  t.  VI,  p.  363,  366). 


—  45 


N.  3609.  Mapov  'AypjWav  tov  fft/vyjvfcc  #<ù  Tra- 
Tpwva  ty,S  woXswS  xa]  wicryi<rrfì  svi  fr\  Tp'JS  ty,v 
9sòv  svcrsfìiM  xoù  tir]  rrt  7rpós  ròv  orjixov  swoia..  11  eh. 
Boeckh  non  fa  alcuna  osservazione  sopra  questa  in- 
signe epigrafe  incisa  in  una  base  trovala  nel  sito  del- 
l' antica  Ilio,  la  quale  avrà  sostenuto  la  statua  di  quel 
grand' uomo.  GÌ' Iliesi,  come  già  avvertii,  appellano 
M.  Agrippa  ffvvyeréx,  sia  come  disceso  da  famiglia 
Troiana,  o  sia  come  genero  di  Augusto  ed  attinente 
perciò  alla  gente  Giulia  proveniente  da  Gitilo  di  Enea 
Troiano.  Per  simile  modo  i  Segestani  di  Sicilia  chie- 
sero il  ristauro  del  (empio  ruinoso  di  Venere  Ericina, 
nota  memorante*  de  origine  cius  et  laeta  Tiberio ,  il 
quale  suscepit  curarti  libens  ut  CONSANGVINEVS 
(Tacit.  Annal.  IV,  43:  cf.  Eckhel  t.  I,  p.  230-237). 
GÌ'  lliesi  poi  probabilmente  avranno  dedicata  quella 
epigrafe  con  la  sua  statua  a  M.  Agrippa  dopo  ch'egli, 
ad  intercessione  di  Erode  Magno,  si  fu  con  esso  loro 
riconcilialo  nell'  anno  di  Roma  740.  Si  ha  da  Giu- 
seppe Flavio  {Ani.  lud.  XVI,  2)  e  da  Nicolò  Dama- 
sceno (  Frag.  hist  Graec.  t.  Ili  p.  350  ed.  Didol  ) , 
che  Giulia  di  Augusto,  moglie  di  M.  Agrippa,  sendo 
giunta  di  notte  ad  Ilio,  corse  pericolo  di  restare  som- 
mersa co'  suoi  domestici  nelle  acque  dello  Scamandro 
rigonfio  per  dirotte  piogge,  senza  che  gV  Iliesi  le  pre- 
stassero soccorso.  Agrippa,  probabilmente  istigato  da 
quella  donna  indispettita,  multò  gì' Iliesi  per  la  som- 
ma di  cento  mila  dramme  d'argento;  ed  essi  impo- 
lenti a  tanto,  mandarono  un'  ambasceria  incontro  ad 
Agrippa,  che  era  di  ritorno  dalla  spedizione  navale 
nel  Bosporo  Cimmerio  (cf.  Dio,  LIV,  24);  il  quale, 
reso  placato  dalle  parole  di  re  Erode,  scrisse  un'epi- 
stola amichevole  agi'  Iliesi ,  che  fu  tosto  loro  recata 
da  Nicolò  Damasceno,  che,  lasciato  Agrippa  in  A- 
miso  (I),  navigò  a  Bizanzio,  e  di  là  tosto  alle  spiagge 


della  Troade.  Gli  ambasciatori  d'Ilio,  disperando  di 
ottener  grazia,  erano  di  già  tornali  in  patria;  sì  che 
può  ognuno  imaginare  (piai  festa  e  letizia  far  dovet- 
tero gì'  Iliesi  allor  che  ricevettero  quell'  epistola  del 
genero  di  Augusto  :  e  quindi  panni  assai  verisimile , 
che  in  allora  dedicassero  la  statua  di  lui  nel  sacrario 
di  Pallade  Iliade  a  riguardo  della  di  lui  pietà  versola 
dea,  e  benevolenza  verso  il  popolo.  Nel  C.  I.  Gr.  ri- 
corrono per  lo  meno  tre  altre  iscrizioni  onorarie  di 
Agrippa  (  n.  309,  1878,  2176  );  niuna  delle  quali 
contiene  tanti  motivi  del  tributatogli  onore,  quanti 
questa  del  popolo  d' Ilio.  Del  resto  non  so  come  il 
eh.  Mùller  nelle  annotazioni  alla  vita  di  Nicolò  Da- 
masceno (Frag.  hist.  Gr.  t.  III  pag.  350)  anticipi  di 
circa  due  anni  la  riconciliazione  di  Agrippa  congl'I- 
liesi,  assegnandola  all'anno  16  innanzi  l'era  volgare. 
N.  3694.  La  flotta,  arò.os,  di  cui  era  crToXapx^ì 
quel  Crispino  Ravegnano  sepolto  in  Cizico ,  dovea 
stanziare  in  quelle  acque,  come  già  avvertii  racco- 
gliersi dal  riscontro  delle  monete  di  Cizico  stesso.  I- 
noltre  Dione  Cassio  (Hist.  LXXIX,  7),  testimonio  di 
vista,  ne  allesta,  che  nell'anno  219  dell' era  volgare, 
fra  gli  altri  che  subornarono  le  milizie  Romane  per 
usurpare  l' impero,  vi  fu  pure  un  uomo  privato  che 
ardì  di  movere  a  rivolta  l'armata  del  porto  di  Cizi- 
co, tÒv  <7toXok  tov  iy  fi\"  Kv^ix(o  vafXoxortTa.  Il 
eh.  Boeckh  avverte,  che  al  disotto  dell'epilaOo  dello 
(TroXapxrfi  Crispino  scidpta  est  navis  cum  viro  stante, 
qui  dextra  clavum  tenel,  et  sub  sinistro  brachio  erti- 
menarti  habet;  e  può  dirsi  così  rappresentato  lo  ffrd- 
Xos  stesso  ;  poiché  in  una  moneta  di  Nico media  (Mion- 
uet,  descr.  n.  323)  CTOAOC  vedesi  apposto  ad  una 
figura  virile  ignuda  col  braccio  destro  steso  ,  con  ti- 
mone di  nave  nella  sinistra,  e  con  una  prora  di  nave 
a'  suoi  piedi. 


(I)  Agrippa  in  quella  spedizione  marittima  si  recò  in  persona  al- 
meno fino  a  Sinope,  ove  lo  raggiunse  re  Erode  (  Flav.  et  Damasc. 
II.  te.  )  ;  ed  in  quella  occasione ,  esplorando  le  coste  del  Ponto  Eu- 
sino ,  avrà  fatto  prendere  le  misure  anche  del  celtbralissimo  Corso 
di  Achille,  avendosi  da  Plinio  (  Nat.  hist.  IV,  26,  2  ):  Dromos 
Achilleos,  cuius  longiludinem  octoginla  millium  passuum  tradii 
Agrippa.  Del  resto,  Agrippa  venne  onorato  anche  dopo  morte  e  in 
Roma  ed  altrove.  11  eh.  borghesi  (  Dee.  VI,  oss.  5,  6)  comprovò 


con  argomenti  cronologici ,  che  le  monete  insignite  delle  teste  d' 
Augusto  e  di  M.  Agrippa  impresse  in  Achulla  dai  due  proconsoli 
dell'  Africa  P.  Quinlilio  Varo,  e  L.  Volusio  Saturnino,  spettano  agli 
anni  di  Roma  747  e  748  Rimaneva  ad  indagar  la  ragione  del  ri- 
comparir che  fa  l' imagine  di  M.  Agrippa  un  cinque  anni  dopo  la 
sua  morte;  e  ne  la  rivela  Dione  narrando  (Hist.  LV,  8)  come  nel 
dello  anno  varroniano  747  furono  dati  in  Roma  gli  spettacoli  gla- 
diatore per  onorare  la  memoria  di  lui  (t\  Annali arch.  l.XXII,p.203). 


—  46- 


N.  6780  a  ■        CCroMAPOC 
OTIAAONCOC 
TOOTTIOTC 
NAMATCATIC 
eiOOPOTBHAH 
CAMICOCIN 
NCMHTON 

Questa  epigrafe ,  omessa  dal  eh.  Franz ,  leggesi 
(  credo  a  lettere  di  rilievo  )  in  un  ciottolo  alto  centi- 
metri 25  e  largo  31,  trovato  a  Vaison  (  Vasìone  Vo- 
conliorum)  nella  Gallia  Narbonese  l'anno  1840,  e 
nell'  anno  appresso  riposto  nel  museo  delle  antichità 
d'Avignone.  11  eh.  De  la  Saussaye,  che  l'ebbe  dal 
eh.  Mérimée ,  e  la  pubblicò  nella  sua  Numismatique 
Narbonnaise,  opina  che  riguardi  un  santuario,  NsfXTj- 
vòv,  dedicato  da  Segomaro  a  Belinus  o  ad  altra  deità 
locale  ;  e  che  TX%iMu/ff&?iS  sia  l' etnico  di  Nemausus  ; 
ma  non  pare,  anche  perchè  Stefano  Bizantino  ha  in- 
vece N^iaWjos,  •/]  Nsfxaw/Vos  (3).  La  voce  yi/x^tòy 
ricorre  in  un  iscrizione  di  Orcomeno  della  Beozia 
(C.I.Gr.  n.  1584  vs.  37);  e  se  il  dottissimo  Boeckh 
ebbe  a  dire:  nixrfrls  àyìov  qui  sit  nescio ,  con  vie 
maggior  ragione  potrò  io  dire  di  non  sapere,  che  si- 
gnifichi il  \ìfj.Y,TQi  del  sasso  di  Vaison.  In  vecedi2?e- 
lìnus  altri  ravvisar  potrebbe  1'  epiteto  BELISAMA 
dato  a  Minerva  in  iscrizioni  Latine  della  Gallia  (  0- 
relli  n.  1431  ).  Del  resto,  riguardo  a  simili  ciottoli 
scritti,  di  fede  dubbia,  veggasi  il  eh.  Lelronne  presso 
Franz  che  ne  riportò  due  sotto  Marsilia  (C.  I.  Gr.  n. 
G765,  6766). 

N.  6790.  Intorno  a  cotali  mattoncini  di  terra  cotta, 
in  forma  di  piramide  tronca,  ovvero  di  trapezoide , 
che  trovansi  in  ogni  dove,  scritti  in  Greco  od  in  La- 
tino, o  con  figure  o  senza,  discorsi  anch'io  nel  rag- 
guaglio degli  scavi  fatti  in  Modena  nel  1845  (p.  35- 
36  not.  34),  seguendo  l'opinione  di  chi  li  reputatesi 
da  stadera.  Altri  li  tengono  per  pesi  da  telaio  o  da 
uscio  ;  e  la  questione  potrebbe  esser  decisa  dai  dotti 
ispettori  delle  escavazioni  che  si  fanno  in  Pompei.  Pesi 


(3}  N a\i.ava 'dns  parrebbe  piuttosto  nome  relativo  alle  supersti- 
zioni mitriactae ,  anche  perchè  analogo  a  quello  della  dea  Siria 
ArupyxTi;  (Strabo  XVI  p.  748). 


da  telaio,  \ùoi,  parvero  a\éi.1{angabè(Antìq.Hellen. 
p.  155,  n.  12),  il  quale  attesta,  che  se  netrovauodi 
frequente  alcuni  riposti  ne'  sepolcri  dell'  Attica. 

C.  Cavedoni. 

Giunta  all'  articolo  precedente. 

Applaudendo  alle  dottissime  osservazioni  contenu- 
te nell'  articolo  precedente ,  mi  sia  lecito  aggiungere 
poche  parole  in  appoggio  di  una  sola  tra  esse  ;  dalle 
quali  rimarrà  forse  meglio  chiarita  la  opinione  soste- 
nuta dal  celebre  autore. 

A  ben  comprendere  perchè  nella  greca  iscrizione 
di  Efeso  (n.  2957  )  dicasi  Giulio  Cesare  discendente 
da  Marte  e  da  Venere  ,  basta  il  considerare  che  gli 
Efesii  non  intesero  di  rammentare  un  conjugio  di 
quelle  due  divinità  ,  ma  solamente  gli  dei  che  nella 
discendenza  della  gente  Giulia  ebbero  la  loro  parte , 
sebbene  in  epoche  diverse.  Ed  era  più  interessante 
per  quei  popoli  mostrare  la  parentela  di  Giulio  Ce- 
sare con  divinità  da  essi  pure  onorate,  trascurando 
affatto  gli  eroi ,  e  specialmente  quelli  che  son  da  ri- 
putare propriamente  Latini.  Or  rivolgendo  uno  sguar- 
do a  tutta  la  discendenza  di  Enea,  come  ci  vien  pre- 
sentata da  Livio  (  lib.  I.  init.  ) ,  si  osserva  facilmente 
che  Venere  è  la  divinità  la  quale  si  pone  a  principio 
di  tutta  la  stirpe,  e  Marte  è  1' altra  la  quale  nella  con- 
tinuazione si  rammemora.  Di  fatti  dopo  Enea,  Giulo 
(  quem  . . .  Iulia  gens  auctorem  nominis  sui  nuncupat 
dice  Livio),  Silvio,  Enea  Silvio,  Latino,  Alba,  Ati, 
Capi ,  Capeto  ,  Tiberino  ,  Agrippa  ,  Romolo  Silvio  , 
Proca,  Numitore,  si  giunge  a  Rea  Silvia  che  solari- 
mane  di  quella  famiglia  ;  giacché  la  discendenza  di 
Amulio  è  tronca  ed  impedita.  È  chiaro  dunque  che 
per  la  stessa  genealogia  Romolo  è  tra'  maggiori  di 
Giulio  Cesare;  perciocché  se  la  gente  Giulia  discende 
da  Giulo ,  è  evidente  che  nella  linea  retta  di  tutte  le 
generazioni  s'incontra  Rea  Silvia,  e  quindi  Marte. 

Non  mi  pare  dunque  cosa  di  difficile  indagine  de- 
terminare il  motivo  di  quella  menzione  :  ed  i  luoghi 
citati  dal  eh.  Cavedoni  trovano  un  pieno  appoggio  e 
confronto  nella  genealogia  della  casa  Giulia,  come  si 
presentava  nel  maggior  vigore  della  sua  potenza;  cioè 
a  dire  a  tempi  di  Tito  Livio.  Minervini. 


—  47  — 


Notizia  di  una  greca  iscrizione  di  Pozzuoli. 

É  già  qualche  tempo  che  dal  mio  eh.  collega  sig. 
Canonico  Scherillo  mi  venne  communicala  la  seguente 
epigrafe  proveniente  dalle  scavazioni  puteolane. 

CeOTHPIANOCACKAHniOAOTOC 
THrATKTTATHCTMBIU)ATP<5AAOTIA 
APPIANCIKOMHAICCHMN  HMI1C 
XAPIN         ZH  T€ 

I€ 
Questa  va  facilmente  Ietta 

%:.ovrpi%Y'ji  'AaxkvpriooéraS  ft\  ykvxvrxrt]  cuij.- 
fc[»j  AypjX/a  «fXacwx  'Appia  Ne/xojMio/ff<r*|  ixvfjxr^ 
X*?>y-  %Tpd.i5%  Irr,  /£..(vel  polius  Irr. ...fxr.t %i... rp.-- 
poc?  li  ).  Pare  che  ne'  due  ultimi  versi  sievi  una  lacu- 
na, per  esser  forse  roso  e  consumato  il  marmo  ;  e  noi 
abbiamo  creduto  di  supplir  le  mancanze  nel  modo 
sopra  indicato. 

L' uso  dell'  £  ,  C,  ed  U)  lunati ,  la  forma  delle  M 
quasi  corsiva,  la  totale  mancanza  dell'  iota  ascritto,  e 
la  multiplicità  de' nomi  diAurelia  Flavia  Àrria  fanno 
riportar  la  iscrizione  ad  epoca  non  tanta  antica  (vedi 
pure  i  monumenti  inedili  di  Barone  tom.  I  pag.  43). 
Se  supponiamo  il  nome  di  Aurelia  venuto  alla  defun- 
ta dal  marito,  potremmo  riportare  il  marmo  a'  tem- 
pi di  Alessandro  Severo,  o  piuttosto  di  Caracalla,  che 
pur  sovente  chiamalo  Aurelio  Severo  (  Cavedoni  an- 
notazioni al  corpus  inscriplionum  graecarum  p.  50). 
È  poi  noto  che  i  Nicomediesi  dedicarono  a  Caracalla 
una  statua  ;  e  sono  ben  conosciute  le  medaglie  co' 
VOTA  SOLVTti  DECcnnalia  da  essi  coniale  in  onore 
dello  stesso  imperatore  (  Eckhel  t.  VI  p.  206  cf.  Ca- 
vedoni annoi,  cit.  p.  161-162).  In  quanto  ad  Aure- 
lia Flavia  Arria,  appartenne  ad  una  famiglia,  che  al 
nome  preso  da'  Flavii  aggiunse  gli  altri  due  nomi  a' 
tempi  di  Antonino  Pio  :  giacché  entrambi  semhrano 
derivali  dalla  casa  imperiale  ,  non  escluso  quello  di 
Arria,  che  accenna  ad  Arria  Fadilla  madre  dello  stesso 
Antonino.  In  qualunque  modo  la  nuova  epigrafe  pare 
da  riferirsi  all'  epoca  degli  Antonini. 

La  nostra  Aurelia  Flavia  Arria  dicesi  N£ixo(*r$iff- 
0"^:  ed  è  noto  che  questo  femminile  s' incontra  in  al- 


tre iscrizioni  (Boeckh  corp.  inscr.  gr.  n.  873  voi.  I. 
p.  523;  e  n.  378i  voi.  II  p.  970).  Solo  è  ad  osser- 
vare il  dittongo  li  nella  prima  sillaba  ,  invece  della 
semplice  i  ;  la  quale  ortografia  non  è  però  infrequen- 
te nel  greco  (  vedi  quel  che  ho  detto  nel  bullettaio 
archeologico  napolitarw  antica  serie  an.  II  pag.  44 , 
e  154).  Rimane  finalmente  ad  avvertire  che  la  nuo- 
va epigrafe  di  Pozzuoli  dà  la  certezza  di  una  fami- 
glia di  Bitinia  ivi  stabilita  ;  giacche  se  la  moglie  era 
di  Nicomedia  ,  il  greco  marito  Asclepiodoto  appar- 
teneva probabilmente  alla  medesima  regione  :  il  che 
siamo  autorizzati  a  supporre,  non  additandosene  la 
patria.  Ora,  se  poco  innanzi  vedemmo  persone  da  E- 
feso  venute  nella  industriosa  e  commerciante  città  di 
Pozzuoli  (v.  sopra  pag.  30),  sarà  piacevole  l'osser- 
vare altresì  personaggi  di  Nicomedia;  non  altrimenti 
che  quei  di  Alessandria,  di  Tiro,  di  Berito,  di  Elio- 
poli,  e  di  altri  luoghi  dell'Oriente:  non  che  i  Deca- 
trensi  o  abitanti  del  Catlaro,  e  i  Melitesi  ;  siccome  a 
noi  venne  fatto  di  rilevare  da  altri  monumenti.  Vedi 
la  nostra  memoria  su  la  voce  Decatrenses  inserita  nel 
voi.  IV  part.  I  delle  memorie  della  regale  Accad.  Er- 
colanesc  p.  349  e  seg.  ;  ed  i  monum.  ined.  di  Barone 
p.  43  ed  appendice  p.  VIII-IX.  Mlneryini. 

BIBLIOGRAFIA 

Le  case  ed  i  monumenti  di  Pompei  disegnati  e  descritti. 

É  questo  il  titolo  di  un'opera,  che  comincia  a  ve- 
der la  luce  fra  noi,  e  di  cui  è  già  pubblicato  il  primo 
fascicolo. 

La  idea  di  questa  interessante  pubblicazione  è  do- 
vuta agli  egregii  signori  Fausto  e  Felice  Niccolini , 
i  quali  si  propongono  di  non  risparmiare  a  cure  ed 
a  spesa  per  condurre  a  termine  una  così  nobile  im- 
presa, nel  modo  medesimo  come  ad  essa  diedero  co- 
minciamcnlo.  Trattasi  di  pubblicare  le  venerande  re- 
liquie della  sepolta  Pompei ,  monumenti  pubblici , 
private  abitazioni,  ed  oggetti  rinvenuti  in  quelle  clas- 
siche scavazioni;  dando  esatti  disegni  degli  edifizii, 
e  de'  monumenti  principali,  e  la  piena  descrizione  di 
tutto  il  rimanente.  Gli  editori  hanno  in  questa  splen- 


48  — 


dida  e  magnifica  pubblicazione  adoperata  la  cromo- 
litografia, la  quale  mettendo  sotto  gli  sguardi  de' let- 
tori gli  svariati  colori,  specialmente  delle  dipinte  pa- 
reti di  Pompei ,  rende  un  notabile  servigio  a'  cultori 
dell*  archeologia  e  delle  belle  arti.  Le  descrizioni  ed 
illustrazioni ,  che  costituiscono  il  testo  ,  saranno  in 
certi  limiti  ristrette  :  essendo  proposito  degli  editori 
di  non  omettere  alcuna  notizia  relativa  a' monumen- 
ti, ed  a  coloro  che  ne  ragionarono,  aggiungendo  bre- 
vemente le  novelle  illustrazioni  e  dilucidazioni,  delle 
quali  le  pompejane  antichità  sono  capaci;  ma  nel  tem- 
po stesso  di  non  estendere  il  lavoro  con  troppo  eru- 
dite ricerche ,  alle  quali  la  economia  dell'  opera  non 
può  certamente  prestarsi.  Queste  idee  sono  esposte  in 
una  elegante  prefazione  premessa  a  tutta  l' opera  da' 
direttori.  Noi  dobbiamo  pertanto  aggiungere  che  il 
nostro  Augusto  Sovrano,  inteso  a  favorire  ogni  patria 
pubblicazione,  che  tenda  ad  accrescere  il  decoro  del 
nostro  paese,  mettendo  sotto  la  sua  alta  protezione  la 
impresa  de' Signori  Niccolini,  volle  che  gli  accademici 
della  Società  Reale  Borbonica ,  e  principalmente  i 
membri  della  Reale  Accademia  Ercolanese  ,  fossero 
incaricati  di  fornire  le  descrizioni  de'differenti  edifizii, 
ed  in  esse  le  illustrazioni  delle  tavole. 

11  primo  monumento,  che  i  Signori  Niccolini  han 
cominciato  a  pubblicare,  è  la  bellissima  casa  di  M. 
Lucrezio,  degna  di  tulla  la  considerazione  principal- 
mente pe' pregevolissimi  dipinti,  de' quali  va  a  dovi- 
zia fornita.  Il  primo  fascicolo,  di  cui  diamo  l'annun- 
zio, comprende  tre  tavole,  tratte  da'disegni  del  valente 
artista  signor  Giuseppe  Abbate,  nelle  quali  vedesi  la 
pianta  dell'edificio,  pitture  inedile,  statue,  graffiti,  e 
finalmente  una  intera  parete  eseguita  con  tulli  i  colori 
dell'  originale.  Non  posso  tralasciare  di  encomiare  la 
esecuzione  delle  litografie  ;  e  senza  spirito  nazionale 
può  con  tutta  giustizia  confessarsi  che  il  primo  saggio 
ili  cromolitografia,  che  sia  comparso  fra  noi ,  può  già 
contrastare  colle  pubblicazioni  straniere,  presso  le 
quali  quei  melodi  sono  da  ben  lungo  lempo  introdotti. 
Del  che  sia  lode  non  solo  a'  litografi  alemanni  signori 
fiichler,  e  Frauenfelder,  incaricati  di  queslo  difficile 


lavoro,  ma  benanche  a' signori  Niccolini,  che  ne  fu- 
rono i  zelanti  direttori.  E  principalmente ,  per  quel 
che  concerne  la  parete,  non  può  disconvenirsi  che  la 
esattezza  de' contorni,  e  la  delicatezza  delle  tinte  nelle 
varie  figure  de'  quadrelli  che  vi  si  veggono,  soffre  il 
confronto  di  qualunque  straniera  pubblicazione;  e  se 
n'eccettui  alcune  litografie  del  Zahn,  e  del  Ternite  , 
può  ben  dirsi  che  le  altre  opere  pubblicate  in  Fran- 
cia ed  in  Germania  pareggiano  appena  la  nuova  pub- 
blicazione napolitaua.  E  ciò  sia  detto  pure  per  la  fi- 
gurina, che  fregia  il  frontespizio,  di  difficilissima  ese- 
cuzione per  la  grande  varietà  de' colori.  Non  posso  da 
ultimo  tralasciar  di  avvertire  che  gli  editori  provvidero 
benanche  alla  nitidezza  della  stampa,  valendosi  del  ri- 
nomato tipografo  Gaetano  Nobile ,  ed  acquistando  i 
più  eleganti  caratteri ,  per  1'  uso  esclusivo  di  questa 
splendida  edizione.  Sicché  i  signori  Niccolini  meri- 
tano gli  applausi  de' loro  concittadini,  e  degli  stra- 
nieri, per  avere  impresa  un'opera  cotanto  utile,  senza 
tralasciare  alcuna  cosa,  che  render  la  potesse  degnis- 
sima di  considerazione.  Ma  una  particolare  lode  ad 
essi  si  aspetta  da'  proprii  concitttadini  per  avere  intro- 
dotto un  nuovo  metodo  di  litografia  ,  finora  tra  noi 
sconosciuto,  e  per  aver  superato  tutte  le  difficoltà  per 
offrirne  tali  saggi  che  accrescano  il  lustro  del  proprio 
paese.  Sicché  bene  a  ragione  il  magnanimo  Sovrano 
ne  premiò  i  nobili  sforzi  con  generose  associazioni. 

Nulla  aggiungo  sul  testo,  di  cui  appena  uni  pic- 
cola parte  si  è  data  in  questo  primo  fascicolo  ;  giac- 
ché la  descrizione  della  casa  di  M.  Lucrezio  è  stala 
a  me  stesso  affidala  ;  ma  non  mancherò  di  far  cono- 
scere le  novelle  osservazioni  ed  illustrazioni  de'  miei 
chiarissimi  colleghi ,  quando  per  opera  loro  si  porrà 
mano  alla  descrizione  ed  illustrazione  degli  altri  pub- 
blici e  privati  edifizii  di  Pompei. 

Ho  creduto  di  dar  pronto  e  sollecito  annunzio  di 
una  delle  più  notevoli  pubblicazioui  archeologiche , 
per  conciliare  le  più  vive  simpatie  verso  una  diffici- 
le quanto  nobile  impresa,  che  merita  suffragii  ed  in- 
coraggiamenti da  parte  di  tutti  gli  amatori  della  clas- 


sica antichità. 


MlMÌRVIM. 


Giulio  Mineuvini  —  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Cataxeo. 


BULLETTINO  ARCIIEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  57.     (7.  dell'  anno  III.) 


Novembre  1851 


Breve  dilucidazione  di  un  vaso  dipinto  rappresentante  il  supplizio  delle  Danaidi.  —  Iscrizioni  latine.  Conti- 
nuazione del  n.  55. — Dei  tipi  e  simboli  di  alcune  monete  autonome  e  regie  dell'  isola  di  Cipro. 


Breve  dilucidazione  di  un  vaso  dipinto  rappresentante 
il  supplizio  delle  Danaidi. 

Il  monumento,  a  cui  accenniamo,  fu  da  noi  alcun 
tempo  addietro  osservato  presso  il  negoziante  di  an- 
tichità signor  Raffaele  Barone  ,  che  a  noi  ne  per- 
mise gentilmente  la  puhblicazione  :  ed  è  quello  ap- 
punto che  vedesi  figurato  nella  nostra  tavola  111. 
di  questo  anno  terzo  del  bullettaio.  Ora  appartiene 
all'  egregio  signor  Marchese  Campana  in  Roma  ,  il 
quale  ha  aggiunto  quest'  altro  giojello  alle  sue  ric- 
chissime collezioni.  Al  primo  sguardo  si  riconosce 
il  soggetto  di  questo  raro  dipinto:  e  sarà  facile  di  rav- 
visare nelle  cinque  idrofore  del  piano  inferiore  le  fi- 
gliuole di  Danao ,  le  quali  pagano  il  fio  della  loro 
crudeltà  versando  eternamente  1'  acqua  dalle  idrie 
nel  pilhos  senza  fondo,  che  per  metà  si  mostra  all'e- 
stremo della  rappresentazione.  Parlano,  fra  gli  aldi, 
di  queste  tradizioni  Eschilo  (  Promelh.  v.  850-872), 
Apollodoro  ( II,  1,  4),  Igino  [fai.  277  168,  edivi 
il  Munckero),  Eustazio  (ad  Hom.  7/.  A,  42  p.  37), 
Plinio  (hist.  nat.  VII,  36),  Nonno  (Synagoge  ad  Greg. 
Nazianz.  I,  num.  67  ) ,  Diodoro  Siculo  (  V ,  58  ) , 
Strabone  (  XIV  ,2,11),  Eusebio  (  pag.  314  edif. 
Mai),  Filostrato  (Apollon.  Vita  lib.  VII  e.  VH),Pau- 
sania  (lib.  II  e.  24,  2,  ed  altrove;  come  avremo  oc- 
casione di  rilevare  in  seguito),  ed  altri  scrittori.  No- 
teremo particolarmente  che  fra'  poemi  del  ciclo  epico 
era  pure  la  Danaide,  che  fornirebbe  al  certo  preziosi 
sussidii  per  Io  studio  di  questo  mito.  Lo  stesso  dee 
dirsi  della  Commedia  di  Aristofane  intitolata  Danai' 
des ,  della  quale  non  ci  rimangono  che  pochi  fram- 
menti. Ed  è  pur  da  deplorare  che  siensi  perdute  al- 
axnq  ni. 


tresì  le  Danaidi  di  Eschilo  ,  le  quali  colle  Supplir 
costituivano  un  magnifico  insieme  :  non  essendoci  ri- 
masto altro  che  il  principio  di  quei  mitici  fatti ,  che 
incontravano  la  continuazione  ed  il  termine  nelle  altre 
drammatiche  rappresentazioni  miseramente  perdute. 
Varii  monumenti  ci  offrirono  l'infernale  supplizio 
delle  Danaidi  :  tale  si  è  il  vaso  pubblicato  dal  eh. 
Panofka  (mas.  Blacas  tav.  IX  p.  29  seg.) ,  il  basso- 
rilievo del  Vaticano  dottamente  illustrato  dal  Visconti 
(mus.  Pio-Clcmcnlino  toni.  IV  tav.  XXXVI),  il  vaso 
di  arcaico  stile  con  quattro  alate  Danaidi,  che  ver- 
sano l' acqua  nel  gran  dolio,  figurale  in  tal  guisa  co- 
me anime  (  Inghirami  vasi  ftlt.  tom.  II.  tav.  135. 
Gerhard  Gefltigelg.  tav.  I  num.  8  )  ;  ed  altri  monu- 
menti,  che  veggonsi  citati  nell'ultima  edizione  del- 
l' archeologia  di  Mullcr  [Handbuch  §.  397.  not.  1. 
pag.  641  ed.  Welcker)  ;  a' quali  va  aggiunto  il  vaso 
colossale  con  scena  del  mondo  inferiore ,  posseduto 
dal  Sig.  Gargiulo  ,  ove  appariscono  tre  Danaidi  colle 
loro  idrie,  quasi  atterrite  dalla  vicinanza  del  Cerbero 
(  vedi  la  descrizione  che  diedi  di  questa  parte  del  mo- 
numento nel  ballettino  dell'  lst.  1851  p.  43).  E  forse 
va  pur  riferita  alle  Danaidi  la  scena  effigiata  da  Po- 
lignoto  nella  Lesche;  sebbene  Pausania  (X  ,  31)  ne 
dia  una  più  generale  interpretazione  (  vedi  ciò  che 
scrive  il  Welcker  die  Composition  der  Pohjgnotischcn 
Gemaìde  pag.  64  seg.  cf.  la  tav.  Un.  22,  23  ;  e  nelle 
aggiunte  al  cit.  luogo  del  Mùller),  la  quale  potrebbe 
giudicarsi  eziandio  applicabile  al  mito  dell' infernal 
supplizio  delle  stesse  Danaidi.  Comunque  sia,  le  idrie 
che  ricorrono  in  tutti  i  monumenti  sono  proprie  delle 
Danaidi  particolarmente  nell'  Orco:  ed  è  da  ricordare 
ciò  che  scrive  l'autor  dell' Axiochos  (§  21  p.  166 


—  so 


Fischer):  sv£)a  x.wpx  àffifìwv  xcc)  Amx'ìÌIm  l$p[%t 
ìtìXhì.  Quello  però  che  richiama  particolarmente 
l'attenzione  nel  vaso  del  sig.  marchese  Campana,  è 
il  cercine  (arculus,  ceslicillus,  ti'Xtj,  «wrapot  ) ,  di  che 
quasi  tutte  le  idrofore  veggonsi  munite,  chi  lenendolo 
già  sul  capo,  chi  colla  mano,  e  chi  al  braccio  sospe- 
so. Noi  già  avemmo  altra  volta  la  occasione  d' illu- 
strare questo  arnese  delle  idrofore  ,  dichiarandone 
l' antichità  ,  e  mostrandone  1'  applicazione  a'  monu- 
menti delle  idroforie ,  non  senza  ricordare  special- 
mente una  delle  figlie  di  Danao ,  cioè  Amimone ,  la 
quale  trovasi  quasi  sempre  indicata  con  quel  simbolo 
nelle  sue  relazioni  con  Nettuno  (  bullelt.  dell'  Istit. 
1843  pag.  119-123:  cf.  Vasi  Jatla  pag.  14  e  156; 
e  bullett.  arch.  napol.  an.  IH  pag.  51,  segg.  ).  Ora  il 
nuovo  monumento,  che  stiamo  illustrando,  dà  piena 
luce  e  conferma  a  tutta  quella  discussione.  Il  vesti- 
mento delle  figlie  di  Danao  è  perfettamente  ellenico, 
senza  alcuna  mistione  di  barbarico  costume.  Questa 
circostanza  ,  che  frequentemente  si  osserva  pure  ne- 
gli altri  monumenti ,  si  spiega  dalla  loro  origine  ar- 
giva, della  quale  esse  stesse  più  volte  si  vantano  nelle 
Supplici  di  Eschilo  (  v.  274  segg.  cf.  v.  322 ,  seg.  ; 
530  segg.  ).   Gli  specchi  e  la  patera  ,  che  presso  di 
loro  si  veggono  ,  accennano  per  avventura  alle  loro 
mistiche  e  sacre  cerimonie  ;  essendo  ben  risaputo  da 
un  classico  luogo  di  Erodoto  che  lor  si  attribuiva  la 
introduzione  delle  Tesmoforie  nell'  Argolide  (  lib.  II 
e.  71  :  vedi  su  questa  particolarità,  e  sopra  lutto  ciò 
che  concerne  alle  Danaidi,  il  Creuzer  Symbolik  tom. 
IV.  pag.  144  segg.  3.  ediz.  ).  Parmi  che  il  numero 
di  cinque  sia  riferibile  alle  cinque  decadi  delle  figliuole 
di  Danao,  le  quali  son  tutte  rappresentate  :  e  questa 
ci  pare  la  miglior  maniera  di  figurarle,  non  potendo 
esser  tutte  effigiate  in  un'  artistica  composizione.  So 
bene  che  in  altri  monumenti  ne  compariscono  tre  sole, 
come  nel  vaso  del  museo  Blacas,  e  nell'altro  del  sig. 
Gargiulo,  quattro  nell'altro  edito  dall'Inghirami;  ma 
potrebbe  citarsi  a  confronto  del  monumento  che  illu- 
striamo il  marmo  di  Paros ,  ove  si  narra  che  alcune 
delle  Danaidi  giunte  dall' Egitto  in  Argo  furono  scelte 
a  sorte,  per  edificare  il  tempio  di  Minerva  :  e  da' resi- 
dui delle  lettere ,  e  dallo  spazio  il  dottissimo  Boeekh 


supplisce  appunto  cinque  nomi,  certamente  per  la  me- 
desima idea  di  trovar  le  rappresentanti  di  ciascuna 
decade  (v.  i  v.  1 4,  s.  cf.  Boeckh  corp.  inscr.  gr.  tom.  II 
p.300  e  312).  La  parte  più  interessante  di  quest'or- 
dine inferiore  di  figure  consiste  nell'  attitudine,  in  cui 
si  vede  una  delle  sorelle  di  gettar  l' acqua  dall'  idria 
nel  gran  recipiente ,  che  non  dee  ritenerla.  Porfirio 
accenna  al  pithos  senza  fondo  supplizio  delle  Danai- 
di  (III  e.  ult.  pag.  140)  ;  e  Pausania  rammenta  più 
volle  il  proverbio  tratto  da  questo  mito  :  h  twy  A%- 
YrMóu> v  7r/^ov  t'Opo^opyja'i/v  (  Timon.  18),  ed  altrove  : 
oióy  ti  7r%<TX,ov<Tiy  xt  rov  Aavotoù  aera;  TapShvoj  sìs 
ròy  nrprjixsvov  W&ov  tTrxvrXovGn.i  (  Dial.  mori.  XI , 
4  cf.  Hermot.  61).  Questo  vedesi  dunque  in  altri 
monumenti ,  siccome  nel  vaso  dell'  Inghirami  e  nell' 
altro  del  museo  Blacas,  ove  apparisce  benanche  ascoso 
per  metà  fra'  sassi ,  fra'  quali  è  collocato.  Non  vorrei 
pertanto  riconoscere  lo  stesso  foralo  dolio  nel  gran 
vaso  di  Canosa ,  ove  manca  affatto  la  presenza  delle 
Danaidi  ;  ed  il  mio  eh.  amico  signor  dottor  Braun  sof- 
rirà  che  in  ciò  mi  allontani  dalla  sua  opinione  (cf. 
annali  dell'ut.  1837  pag.  238).  Bicordo  poi  in  que- 
sto luogo  che  il  eh.  sig.  Duca  de  Luynes  riconobbe 
una  relazione  fra  il  pithos  infernale  delle  Danaidi  col 
rito  de'  360  egiziani  sacerdoti  di  versare  in  un  gran- 
de dolio  le  acque  del  Nilo  [annoi,  dell' islit.  1833 
pag.  319).  Comunque  sia  di  questa  notevole  corri- 
spondenza ,  fa  pur  duopo  avvertire  che  nel  vaso  del 
signor  marchese  Campana  vedesi  presso  le  Danaidi 
scorrer  l' acqua  nel  letto  di  uno  de'  fiumi  dell'  Infer- 
no: così  più  vicino  al  pertugiato  vaso  vedi  precipitar- 
si da' sassi  le  onde,  ed  a' margini  del  girevole  e  tor- 
tuoso fiume  spuntar  si  mirano  acquatiche  pianticelle; 
mentre  verso  l'opposta  estremità  acquatici  augelli,  for- 
se oche ,  stendono  il  collo  e  le  ali.  Del  resto  ,  la  pu7 
nizione  delle  Danaidi  avviene,  secondo  le  tradizioni, 
in  un  silo  vicino  a  quello,  ove  commisero  il  loro  de- 
litlo;  giacché  racconta  Pausania  eh' esse  uccisero  i  fi- 
gli di  Egitto  presso  Lerna  (  Pausati,  lib.  II.  e.  24 , 
2),  e  la  Lernea  fonte  è  da  considerarsi  come  la  con- 
tinuazione de'  fiumi  dell'  Orco.  Data  brevemente  la 
spiegazione  del  primo  ed  inferiore  ordine  di  figure, 
passiamo  a  dir  qualche  cosa  del  secondo.  È  senz'  al- 


—  51  — 


cun  dubbio  effigiata  nel  mozzo  la  coppia  dogi'  Infer- 
nali Iddii,  Hades  col  suo  consueto  ed  ornalo  veslire, 
tenendo  lo  scettro,  e  Proserpina  ,  alla  quale  ben  con- 
tiene la  decussata  face ,  che  l'è  vicina  (  cf.  Avellino 
annoi,  dell'  I ut.  1829  p.  255  segg:  ed  opuscoli  voi. 
II  p.  175  segg.).  Notevole  è  l'ornamento  delle  oche 
nel  lembo  della  sua  tunica  ;  dal  quale  sempre  più  si 
conferma  lo  stesso  rapporto  di  quel  funebre  uccello 
colla  regina  dell'Orco,  siccome  venne  osservalo  dal 
eh.  sig.  cav.  Gargallo-Grimaldi  (amioi.  dell'Iti.  18  il 
pag.  2G4  segg.),  dal  eh.  sig.  Cons.  Schulz  (bullett. 
dettisi.  1842  pag.  59),  e  dal  Raoul-Rochelte(j'our- 
nal  des  savanls  1843  pag.  552,  e  choix  de  pei  ni.  de 
Pompei  p.  88  n.  1  ;  cf.  Mincrvini  ras/  di  Jatla  pag. 
55  e  104).  E  lo  slesso  dee  dirsi  della  figura  di  Eca- 
te,  che  sta  colla  fiaccola  presso  a  Plutone,  giacché 
questa  dea,  della  pure  ^wa^os  Lucifera  (Muncker 
ad  Anton.  Liberal,  cap.  29  pag.  254  edit.  Kocb),  va 
considerata  benanche  traile  infernali  divinità.  Intanto 
la  relazione  delle  oche,  o  di  altri  acquatici  uccelli 
colle  infernali  divinità,  inconlra  una  bella  illustra- 
zione nel  nostro  vaso  ;  giacché  vediamo  quegli  animali 
abitar  nelle  acque  altresì  de'  fiumi  dell'Orco.  Impor- 
tante è  la  particolarità  della  corona  turrita  attribuita 
a  Proserpina  ,  ed  è  por  avventura  da  ricordare  1'  a- 
nalogo  ornamento  del  modio  proprio  di  Perscphassa , 
non  senza  avvertire  che  fu  da  taluno  assegnata  a  Pro- 
serpina la  intelligenza  della  Terra  (Varrò  ap.  S.  Au- 
gust.  de  civilate  Dei  VII,  24;  cf.  Munckero  ad  Igino 
p.  635  ne'  mitogr.  del  Van-Staveren,  e  Spanheim  ad 
Callimach.  hymn.  in  Ccr.  v.  133).  Le  due  figure  una 
femminile  e  l' altra  virile,  le  quali  si  veggono  presso 
la  divina  coppia,  a  me  sembrano  Ipermnestra  e  Lin- 
ceo, che  godendo  la  felicità  dell'Elisio  fanno  un  ben 
inteso  contrasto  colle  punite  Danaidi.La  sposa  di  Linceo 
rice>e  essa  sola  il  premio  della  sua  virtù,  della  quale 
parlarono  assai  spesso  gli  antichi.  (Vedi  le  annotazioni 
de'dotti  alla  XIV  delle  Eroidi di  Ovidio).  Narra  Apol- 
lodoro  eh'  ella  non  uccise  Linceo,  perchè  questi  ne  ri- 
sparmiò il  virgineo  pudore  (l)(lib. II, 1,5),  onde  ebbe 

(I)  L' abborrimento  di  contrarre  le  nozze  co' loro  cugini  spinse 
le  Danaidi  a  fuggire  in  Argo:  vedi  Esehilo  che  dà  più  volle  quesla 
idea  Suppl.  init.  cf.  336,  s. ,  392,  s. 


a  soffrir  dal  padre  la  prigionìa,  ed  un  giudizi •>  porlo 
quale  venne  assoluta,  e  dedicò  in  seguito  della  sua 
vittoria  statue  a  Venere  Nicephoros,  ed  a  Diana  (Pau- 
san.  lib.  II  cap.  20,  7,  e  cap.  211  ).  Apollodoro  e 
Pausania  parlano  del  loro  felice  coniugio:  e  quest'  ul- 
timo favella  pure  del  loro  figliuolo  Abante  fondatore 
di  Abac  città  sacra  ad  Apollo  (  lib.  X  e.  35,  1):  tra- 
dizioni ricavate  probabilmente  da  Eschilo,  presso  di 
cui  si  rammenta  il  matrimonio  di  Linceo  e  d' Iper- 
mnestra, annoverandosi  Alcide  fra'  loro  discendenti 
[Prometh.  v.  850-872).  L'amore  di  questi  due  spo- 
si fu  dall'  antichità  celebralo.  Linceo  si  diceva  sepol- 
to accanto  alla  sua  diletta  Ipermnestra  (  Pausan.  lib. 
II  e.  2 1 ,  2  );  si  giunse  a  costruir  loro  un  sacello  co- 
mune: Hypermncslrae  et  Lynceo  [unum  factum  (Igino 
fab.  108)  ;  e  le  loro  statue  vedevansi  vicine  in  Delfi 
(Pausan.  lib.  X  e.  10,  5). 

Nel  nostro  vaso  vedesi  Ipermnestra  già  fatta  par- 
tecipe dell'  apoteosi  e  col  capo  circondato  di  mistica 
corona  tener  colla  sinistra  il  giovanile  trastullo  della 
sfera  (1);  mentre  a  lei  si  appressa  Linceo,  che  dopo 
il  cammino  della  mortale  vita  va  a  raggiugner  la  spo- 
sa, ancor  egli  fatto  degno  della  meritata  cotona.  E 
qui  non  posso  mancar  di  avvertire  che  già  il  eh.  Pa- 
nofka  ebbe  una  simile  idea  intorno  al  giovine  sedente 
presso  alle  Danaidi  nell'Orco,  ebe  si  vede  nell'im- 
portante vaso  del  museo  Blacas  da  noi  più  volte  ci- 
tato. Ora  la  opinione  del  dotto  archeologo  di  Berlino 
ci  sembra  bellamente  confermala  dal  vaso  del  signor 
Marchese  Campana,  ove  la  presenza  della  pietosa  I- 
permnestra  determina  senza  dubitazione  la  figura  di 
Linceo.  La  patera  che  mirasi  presso  a'  due  sposi  al- 
lude pure  a  sacra  e  mistica  intelligenza  ;  se  pure  dir 
non  si  voglia  che  accenni  alle  nuziali  libazioni ,  per 
dinotare  il  vicendevole  rapporto  fra  loro  di  quei  due 
personaggi.  Le  guerriere  armi ,  e  la  lira  sono  da  ri- 
ferire alle  occupazioni  ch'ebbero  già  nella  vita  i  due 

(1)  Anche  Amimone,  o  le  sue  compagne,  cioè  altre  Danaidi,  ten- 
gono in  altri  monumenti  la  sfera  (  Bullett.  arch.  nap.  antica  serie 
an.  I  pag.  hi,  56).  A  dichiarazione  de'  varii  monumenti,  che  ci 
presentano  idrofore  colla  sfera  mi  sembra  a  proposito  richiamare 
un  classico  luogo  di  Dione  Crisostomo:  «•»■£  ov  tsujq.ì»  oùòt 
tnt^rw^i  /3a<r<XtW  o'as  vhp'jfyapùv  Kit)  iralCtir  irupà  rais 
vrorau.(Js:  Or.  VII  p.  128. 


—  52  — 


sposi  defunti  accoppiate  a'  simboli  mistici  e  funebri 
del  flabello  e  della  tenia.  La  importanza  della  rap- 
presentazione maggiormente  si  accresce,  quando  si 
volge  il  pensiero  alle  due  Cgure  cbe  son  collocate 
dietro  il  sedile  di  Plutone.  L'  alalo  demone  con  ser- 
pentelli sul  capo  ,  o  che  dir  si  voglia  una  Furia ,  o 
l' Apale ,  è  certo  che  richiama  al  delitto  che  fu  causa 
del  supplizio  delle  Danaidi  :  a  questo  appunto  accen- 
na la  spada,  simbolo  di  strage  e  di  assassinio  ;  ricor- 
dando quel  ferro,  che  Danao  diede  a  ciascuna  delle 
sue  figlie  (Apollod.  II,  1,  i).  Analogo  è  il  ferro  che 
si  pone  in  mano  al  demone  che  precede  Medea  :  e 
tutto  il  personaggio  colla  spada  è  somigliantissimo  a 
quello  che  assiste  alla  scena  del  congedo  di  Amfiarao 
da' suoi  figli,  in  allusione  al  futuro  matricidio  di  Al- 
cmeone,  in  altro  magnifico  vaso  da  noi  descritto  nel 
secondo  anno  di  questo  bulletlino  (p.  115) ,  e  di  cui 
ora  diamo  la  incisione  nella  nostra  tavola  V.  Ma  se 
da  un  lato  il  demone  colla  spada  accenna  al  delitto 
delle  Danaidi  causa  della  loro  punizione,  sembra  dal- 
l'altro  che  la  figura  di  Ecate  coli' accesa  face  dinoli 
la  pietà  d' Ipermnestra  che  ne  cagionò  il  premio  e 
l'apoteosi.  Racconta  in  falli Pausania che  Linceo  fug- 
gito solo  dalla  minacciata  morie  recossi  in  Lircea , 
ove  die  segno  con  una  fiaccola  nrv^òv  hk\}y  hrsì-~ 
Ssc  ;  giacché  avevano  concertalo  con  Ipcrmneslra  di 
sollevar  ciascuno  una  face  per  annunziarsi  a  viceuda 
di  esser  salvi.  Quindi,  soggiugne  il  Periegete,  venne 
presso  gli  Argivi  la  festa  delle  fiaccole  :  7rvfffòuy  hf.- 
rrt  (lib.  II  cap.  25,  4).  Sicché  non  possiamo  discon- 
venire che  la  spada  e  la  face,  sebbene  sieno  conve- 
nienti a' due  personaggi  che  le  tengono,  pur  tuttavia 
sono  da  considerare  simboli  evidenti  de' due  avveni- 
menti, che  costituiscono  l'insieme  di  questa  bellissi- 
ma dipintura. 

È  inutile  1'  avvertire  come  un  soggetto  relativo  al 
mondo  inferiore,  e  col  quale  si  collegauo  le  idee  più 
alte  della  religione  e  de'  misteri]  dell'  antichità  ,  sia 
bene  adattato  all'ornamento  di  una  tomba.  Per  chiu- 
dere ciò  che  concerne  la  prima  faccia  del  vaso,  dirò 
che  sul  collo  vedila  figura  o  della  Vittoria,  o  diEhe, 
che  guida  una  quadriga  traile  simboliche  ramificazioni: 
e  questa,  secondo  le  osservazioni  da  me  più  volle  svi- 


luppate, accenna  al  passaggio  delle  anime  nella  regione 
lunare  e  di  Venere  sfa  «roùs  aeX'fy'/f  xu.)  'Atyoblrrfi 
X;iixù/y%s  per  farsi  degne  della  palingenesi^,  il  che  av- 
veniva appunto  a'  veri  amatori  :  secondo  un  classico 
luogo  di  Plutarco  (  amalor.  p.  766,  B:  vedi  le  cose 
da  noi  notate  nel  V  anno  dell'antica  serie  del  bullet- 
lino pag  151  e  monum.  di  Barone  pag.  70).  Le 
quali  cose  volemmo  qui  ricordare,  perchè  ad  Iper- 
mnestra si  concede  in  fatto  il  premio  del  vero  ama- 
tore :  a  lei  spettò  la  vittoria  nella  accusa  intentatale 
dal  suo  genitore,  e  come  innanzi  vedemmo,  ella  ne 
rese  gli  onori  alla  lunare  divinità  Diana,  e  ad  Afro- 
dite. In  questo  giro  d'idee  rinviensi  una  notevole 
corrispondenza  colle  mistiche  allusioni  della  vittorio- 
sa quadriga.  Dall'altra  parte  del  vaso,  oltre  il  bac- 
chico ornamento  dell'edera,  vedi  sul  collo  una  Dio- 
nisiaca e  mistica  rappresentanza  ;  e  sulla  pancia  del 
vaso  una  edicola  funebre  con  varie  figure  che  reca- 
no offerte.  Nella  parte  anteriore  della  edicola  e  effi- 
giato il  defunto,  che  tenendo  una  patera  da  cui  pen- 
de una  corona,  riceve  da  un  giovinetto  la  bevanda 
dell'apoteosi  e  della  immortalità.  Le  ruote ,  lo  scudo, 
e  l'elmo  sospesi  alla  edicola,  e  l'asta  tenuta  dalla  se- 
dente figura,  dinotano  che  il  vaso  fu  destinato  al  se- 
polcro di  un  giovine  guerriero,  a  cui  si  attribuisce  il 
premio  delle  sue  virtuose  operazioni.  Poche  parole 
aggiungiamo  sul  piede  di  questo  prezioso  vaso  ;  che 
offre  da  una  delle  facce  una  testa  muliebre  di  profi- 
lo, e  dall'altra  una  testa  pur  femminile  di  fronte  fra 
complicate  ramificazioni.  È  notevole  che  la  protome, 
che  si  vede  di  fronte,  ha  fra  capelli  l'ornamento  di 
fiori  di  loto:  e  noi  ne  presentammo  la  incisione  della 
grandezza  dell'  originale,  perchè  meglio  rilevar  si 
potesse  quella  notevole  particolarità.  Panni  fuor  di 
dubbio  che  questo  ornamento,  ora  attribuito  ad  Iside 
ora  alle  gorgoniche  teste,  abbia  una  significazione  lu- 
nare (  vedi  il  1  anno  di  questo  bulletlino  pag.  190). 
Sicché  quesla  testa,  o  che  creder  si  voglia  di  Pro- 
serpina  ,  o  di  altra  lunare  divinila ,  accoppiata  allo 
gorgoniche  leste  che  fregiano  i  manichi,  ed  alle  leste 
delle  funebri  oche  (  animali  sacri  egualmente  a  Pro- 
serpina),  o  de'  cigni,  in  che  terminano  inferiormente 
i  manichi  del  vaso,  assegna  a  lutto  l' insieme  di  que- 


53  ~t 


sto  interessante  monumento  quel  carattere  funebre  e 
religioso,  che  venne  da  noi  additato,  e  che  ci  sembra 
comune  a  tutti  i  vasi  della  medesima  epoca  e  della 
medesima  provenienza. 

MlKERVlNI. 


Iscrizioni  Ialine.  Continuazione  del  n.  55. 


18.  (1) 

D     •     M 
PCAVLIOCOERANO 

NEGOTIATORI 
FERRARIARVM  ■  ET 

VINARIARIAE 
ACIRAS  •  LIB 
PATRONOMERENTI 

Questa  iscrizione,  venuta  fuori  non  ha  guari  dagli 
scavi  di  Pozzuoli ,  ci  fu  comunicata  dal  sig.  Arcan- 
gelo Bruschi ,  al  quale  dobbiamo  non  poche  simili 
notizie.  Il  cognome  Coeranus  dal  greco  xolpxvos  è  già 
comparso  in  altre  iscrizioni  anche  delle  nostre  regioni 
(Marini  Avvali  p.  CLXXVIII:  Mommsen  inscr.  r. 
neap.  lat.  n.  6484,  7074).  Più  rari  sono  il  nome 
Caulius  e  l' altro  cognome  Aeibas  ;  del  quale  ci  sem- 
bra ignota  la  derivazione.  In  quanto  al  primo ,  os- 
serviamo che  si  trova  un  P.  Caulius  Alimetus  nella 
nota  base  del  real  museo  Borbonico  relativa  alla  tribù 
Succusana  (  Mommsen  op.  cit.  6769  p.  385  ).  ACIBA 
leggesi  in  altra  epigrafe  puteolana  cosi  riferita  (  Ma- 
tranga  nel  bullett.  deWIst.  1850  p.  177  :cf.  Momm- 
sen n.  7222): 

DM 
P  ■  CLAVDIVS  •  ACIBA 
SIBI  •  FEC1T 

(1)  Questo  numero  fa  seguito  al  n.  15,  ch'esser  dovrebbe  17, 
e  così  i  numeri  precedenti  dal  10  in  poi  pag.  39  e  seg.  debbono 
accrescersi  di  due  unità,  facendo  continuazione  al  n.  11  della  p.  8. 


La  singolarità  del  cognome,  e  questo  accoppialo  al 
P.  Claudius,  ci  fa  sospettare  che  il  primo  trascrit- 
tore scambiò  l'insolito  Caulius  colla  più  comune  voce 
Claudius:  e  dovrebbe  sembrar  probabile  che  fosse 
la  modesta  memoria  di  P.  Caulio  Aeibas,  di  quello 
stesso  che  pose  la  nuova  iscrizione  al  suo  patrono 
Coerano.  11  che  viene  per  avventura  confermato  dalla 
grande  somiglianza  de'  due  nomi ,  e  dalla  stessa  pa- 
tria di  ambe  le  epigrafi.  Un' ultima  avvertenza  mi  re- 
sta a  fare  sul  nome  Aciba  o  Aeibas.  Non  avendo  os- 
servalo co'  miei  proprii  occhi  le  due  iscrizioni ,  non 
posso  accertare  la  corretta  lezione  di  questa  parola. 
D'  altronde  il  nome  Aeibas  apparisce  ,  come  osser- 
vammo ,  d'ignota  derivazione.  Mi  sia  dunque  lecito 
di  proporre  una  conghieltura,  salvo  sempre  ad  ab- 
bandonarla ,  quando  mi  riuscirà  di  verificare  la  le- 
zione sulla  pietra  recentemente  scoperta.  Io  dunque 
mi  persuado  che  nelle  due  epigrafi  sia  il  nome  Ali- 
bas ,  nome  famoso  in  quei  medesimi  sili ,  a'  quali 
è  ora  comune  opinione  de' numismatici  doversi  attri- 
buire le  piccole  monetine  colla  epigrafe  AAAIBA- 
NilN  (vedi  Millingen  med.  grecq.  inni.  pi.  I  n.  9  p. 
16,  e  considér.  p.142;  Avellino  opusc.  toni.  II  p.GO, 
Fiorelli  mon.  ined.  p.20:  Mommsen unlerit.  Dialekt. 
p.  10G;  Raoul-Rochette  nel  journ.  des  Savanls  1S54 
pag.  247,  s.  ).  E  sarebbe  V  Alibas  uno  di  tmei  nomi 
locali  tanto  frequenti  nelle  antiche  iscrizioni  ;  facen- 
do eziandio  un  bel  confronto  a  quella  numismatica 
attribuzione.  Mollo  interessante  è  pure  la  nuova  epi- 
grafe puteolana  ;  perchè  ci  fa  conoscere  che  Caulio 
Coerano  era  negoliator  ferrariarum  et  vinariariae. 
Non  pare  sia  da  richiamare  il  nome  ferrarla  per  fer- 
rifodina ,  siccome  è  notato  da'  lessicografi  ;  giacché 
non  è  questo  significato  in  conveniente  rapporto  col 
negoliator.  Piuttosto  è  da  ricordare  il  luogo  di  Plinio: 
ferrariae  fabrorum  ofjìcinae  (lib.  XXXV  ,  15,  51  )  : 
ed  erano  appunto  varie  officine  di  fabbro  fcrrajo , 
nelle  quali  Caulio  esercitar  dovea  la  industria  del  suo 
negoziato.  Nello  stesso  senso  è  detto  sustantivamente 
vinariaria  la  industria  del  vinajo:  e  sebbene  sia  noto 
per  altre  iscrizioni  il  vinariarius,  negotians  vinaria- 
rius,  negoliator  vinariarius  (Marini  iscr.  alb.  p.  89)  ; 
pure  riesce  nuovo  assolutamente  il  negotialor  vina- 


-64  — 


riariae  :  e  debbe  intendersi  offìcinae  vìnarìariae ,  non 
altrimenti  che  ferrariarum  o/pcinarum  va  supplito 
nella  parola  precedente. 

MlNERVINl. 


Dei  tipi  e  simboli  di  alcune  monete  autonome  e  regie 
dell'  isola  di  Cipro. 


V  inclita  ed  opulenta  Cipro,  una  delle  cinque  mag- 
giori isole  del  Mediterraneo,  che  fino  da' tempi  della 
guerra  Troiana,  e  prima  ancora,  accolse  colonie  Gre- 
che (  Raoul-Rochette ,  colon.  Gr.  t.  II ,  p.  385  ) ,  si 
rimase  quasi  priva  di  moneta  propria  fino  a  questi 
ultimi  anni  ;  ne'  quali  per  opera  de'  chiarissimi  Bor- 
rell,  e  Signor  Duca  De  Luynes,  le  furono  rivendicate 
di  molle  e  belle  monete  antiche,  che  da  prima  atlri- 
buivansi  alla  Cirenaica  ed  alla  Cilicia.  Quest'  ultimo 
insigue  archeologo  nella  recente  dotta  sua  opera  in- 
titolata Numismatique  et  Inscriptions  Cyprioles  (Paris, 
1852) ,  col  riscontro  delle  iscrizioni  Cipriote  ,  sco- 
pertesi nell'isola  (1),  e  della  moneta  del  re  Menelao, 
datane  già  dal  Borrell,  insignita  di  un  carattere  del- 
l'alfabeto Ciprio,  riuscì  felicemente  a  restituire  a  Ci- 
pro stessa  buon  numero  di  monete  che  in  primo  va- 
gavano fra  le  incerte  della  Cilicia.  Siccome  poi ,  un 
dieci  anni  addietro,  proposi  alcune  osservazioni  sopra 
le  monete  dei  Re  di  Cipro  edile  dal  Borrell  (  bull, 
arch.  1844  p.  46-48,  124);  così  ora  mi  giovi  farne 
alcune  altre  sopra  quelle  che  furono  di  recente  pub- 
blicate dal  eh.  De  Luynes. 

Nella  tavola  I  egli  ne  porge  raccolte  in  uno  ben 
quindici  varietà  delle  monete  Ciprie  aventi  nel  ritto 
una  pecora  adagiata,  come  in  atto  di  ruminare  dopo 
il  pasto ,  e  nel  riverso  una  bella  testa  d' ariete  ,  op- 
pure la  croce  ansata.  Egli  avverte  come  in  Cipro  so- 


(1)  Riguardo  a  quelle  difficili  iscrizioni  avvertirò  pure,  che  il  se- 
gno ,  l$| ,  credulo  di  punluazione  (  pag.  39,  49  ),  ricorre  anche  in  al- 
quante iscrizioni  Eugance  (  Furlanetto,  Lap.  Patav.  tav.  78:  Momm- 
icn,  IHitth.  der  Ant.  Gescll.  in  Zurich  1833  p  200-259). 


levasi  immolare  a  Venere  un  ariete  insieme  col  suo 
tosone ,  giusta  un  rito  recatovi  da  Corinto  (  Laur. 
Lyd.  pag.  92  ed.  Schow  ).  Sarà  quella  del  ritto  una 
delle  Amathusiacae  bidenles  ricordate  da  Ovidio  (met. 
X,  227);  ed  accennerà  lutt' insieme  al  provento  fe- 
lice de' greggi,  che  in  Cipro  manlengonsi  belli  anche 
al  presenle.  Ancora  parmi  notevole  la  particolarità 
delle  monete  di  Cipro,  che  rappresentano  si  la  pecora 
come  la  capra  tranquillamente  adagiata  al  suolo,  lad- 
dove in  quelle  di  Celenderi  della  vicina  Cilicia  la  ca- 
pra è  in  alto  di  levarsi  su  riguardando  allo  indietro. 
11  riposo  tranquillo  della  pecora  e  della  capra  forse 
appella  a  tempi  di  pace  e  sicurezza  pubblica,  siccome 
il  bue  così  adagiato  in  monete  dell'  Eubea  (  cf.  Ec- 
khel  t.  II  p.  322  :  Caved.  spicil.  num.  pag.  85  ).  Il 
ramo  fronzuto,  apposto  sott'  esso  la  testa  dell'  ariete  in 
una  delle  suddette  monete  di  Cipro  (PI.  1 ,  12) ,  si 
scambia  luce  col  grazioso  tipo  di  una  moneta  di  Po- 
lirrenio  di  Creta  rappresentante  un  pastore  seduto,  che 
porge  un  ramuscello  ad  una  pecora  stante  dinanzi  a 
lui  (Seslini  Mus.  Hederv.  n.  13:  cf.  Odyss.  XVII, 
224). 

Ai  lipi  della  pecora  adagiata  e  della  testa  dell'ariete 
fanno  bel  riscontro  quelli  della  capra  pure  adagiata, 
e  del  bue  stante  su  quattro  piedi  oppure  talora  in  alto 
di  grattarsi  il  capo  con  la  zampa  sua  posteriore  (PI. 
Ili,  IV,  V  3,  VI  5).  La  copia  delle  capre  nell'antica 
Cipro  può  arguirsi  anche  dal  racconto  di  Euriptole- 
mo  figlio  di  Meslore  Ciprio ,  denominato  da  prima 
Aìyovo/Aots  perchè,  sendo  slato  abbandonalo  dalla  na- 
scita ,  venne  lattato  da  una  capra  (  Pollux  II ,  95  )  : 
non  che  dal  dello  di  Plinio  {Nat.  Hist.  X\\  37)  che 
in  Cipro  il  ladano  raccoglievasi  haedorum  barbis  et 
genibus  villosis  adhaerens.  Anzi  è  assai  probabile,  che 
in  Cipro ,  del  pari  che  nella  vicina  Cilicia  ,  le  capre 
si  solessero  tosare  a  guisa  delle  pecore  (Aristot.  hist. 
anim.  VIII,  28). 

I  lori  di  Cipro  dovevano  avere  una  forma  parti- 
colare ;  poiché  Tazio  (de  amorib.  Clitoph.  I.  11  )  li 
dice  deformi  $vsetot7is,  e  Capitolino  (in  Gordiani»,  3) 
ricorda  Cypriacos  tauros  come  ben  diversi  dai  comu- 
ni. Servio  (ad  Georg.  I,  138),  citando  Aristotele, 
riferisce  che  i  tori  di  Cipro  erano  gibberes,  aventi 


—  55  — 


cioè  una  gibbosità  alle  spalle,  yj3w.  Nelle  monete  ri- 
vendicate a  Cipro  dal  eli.  De  Luynes  il  toro  ha  di  fatti 
aspetto  non  del  tutto  bello ,  ampia  cervice  e  paglio- 
laia ,  ed  un  principio  d'intumescenza  alle  spalle  (1). 
A  motivo  di  tale  conformazione  esso  giunge  a  stento 
a  grattarsi  la  testa  con  la  zampa  destra  deretana  (PI. 
V,  3  :  VI,  5).  Al  eh.  editore  (p.  25,  28)  parve,  che 
il  toro  in  queste  monete  abbia  la  zampa  destra  po- 
steriore legala  all'anteriore  corrispondente,  e  che  stia 
per  cadere  a  terra  con  la  testa  fra  le  ginocchia  ;  ma 
nel  disegno  non  appare  indizio  veruno  di  legatura  ; 
e  pel  riscontro  delle  monete  di  Eretria  dell'  Eubea  , 
nelle  quali  un  bue  stante  in  simile  attitudine  eviden- 
temente si  gratta  la  testa  (Cadalvene,  PI.  Ili,  14, 15, 
p.  216),  panni  che  non  altra  sia  la  rappresentazione 
delle  monete  di  Cipro  (  cf.  Mionnet ,  Ree.  de  PI.  I , 
8  ).  I  quadrupedi  dall'  unghia  solida  solo  nella  loro 
infanzia  scabunl  aures  poslerioribus  cruribus  (  Plin. 
XI ,  108  )  ;  ma  que'  dall'  unghia  fessa  sogliono  grat- 
tarsi la  testa  anche  adulti  sì  stando  in  piedi  come  gia- 
centi. È  proprio  poi  dell'  arte  Greca  il  rappresentare 
simili  graziosi  atteggiamenti,  siccome  questo  e  l'altro 
della  colomba  che  in  una  monetina  di  Sicione  (  Ca- 
dalvene PI.  II,  23  p.  179)  vedesi  in  alto  di  nettarsi 
ovvero  di  grattarsi  con  la  zampa  sinistra  il  becco. 
Colali  tipi  sembrano  proprii  segnatamente  di  monete 
impresse  in  tempo  di  pace,  come  detto  è  di  sopra. 

Il  leone  nelle  monete  di  Cipro  per  lo  più  è  figu- 
rato giacente  e  con  gola  aperta ,  come  in  altre  mo- 
nete Greche  ;  ma  singolare  e  notevole  si  è  la  figura 
del  leone  stante  ,  e  riguardante  all'iudietro,  con  la 
coda  ripiegata  verso  il  suo  dorso,  sovra  la  quale  ve- 
desi una  maniera  di  caduceo  (PI.  11,14,15:  VI, 7,8). 
Al  eh.  editore  in  questo  simbolo  parve  espresso  il 
mah-rou  Assiro  o  Persiano  ;  ma  la  sua  forma  si  ac- 
costa più  al  caduceo  di  quello  che  al  mah-rou  (  vedi 


(1)  In  una  delle  monete  Ciprie  il  loro  mosira  avere  impresso  nella 
coscia  la  marca  p  (PI-  IH,  7,  p.  17, 19);  e  cotale  usanza  pare  d'origi- 
ne orientale ,  poiché  anche  ne'  monumenti  d' Egitto  gli  armenti  regii 
veggonsi  contrassegnati  con  marchio  quadrangolare  nella  coscia  (  Ro- 
solimi, Mon.  civ.  tav.  27),  e  similmente  uno  de' cavalli  della  biga  di 
Abdemone  Fenicio  re  di  Cipro  La  la  coscia  coutrassagnaia  da  un  V 
(Htt-ue  num.  1850,  p.  310). 


Sacy  ,  ani.  de  la  Perse  pag.  200  ).  A  dello  di  Plinio 
(Nat.  hist.  Vili,  19)  leonum  animi  index  cauda: — 
immola  ergo  placido  : — in  principio  iracundiae  terra 
verberalur;  incremento  terga,  ceu  quodam  incitamento 
flagellanlur  :  e  parmi  che  il  Blumenbach  ,  od  altro 
recente  naturalista ,  avverta  come  la  coda  del  leone 
fu  a  tal  fine  fornita  di  un  pungolo  dalla  natura.  Quindi 
pare,  che  il  leone  sia  in  allo  di  flagellarsi ,  adirato , 
il  tergo  colla  coda;  e  che  il  caduceo,  simbolo  di  pace 
e  d'alleanza,  accenni  all'ira  placata.  Quel  tipo  per- 
tanto convenir  potrebbe  alla  circostanza  di  Cipro  rap- 
paciGcala  col  grande  re  de*  Persi.  Al  dello  tipo  rispon- 
de nell'  altra  faccia  della  monda  quello  di  un  giovine 
ignudo,  fornito  di  grandi  ale  alle  spalle  e  di  alette  ai 
talloni,  con  la  destra  protesa  e  con  un  ginocchio  pie- 
gato, in  atto  di  rapida  corsa,  con  piccolo  caduceo  al 
disopra  del  suo  braccio  sleso  ;  e  sembra  così  rappre- 
sentato un  genio  nunzio  di  pace.  In  una  moneta  della 
vicina  Cilicia  vedesi  similmente  atteggiata  la  Vittoria 
(Mionnet,  Suppl.  t.  VII,  pi.  VIII,  n.  4).  Che  se  in 
questa  di  Cipro  altri  preferisse  di  ravvisare  Mercurio, 
che  talora  è  similmente  fornito  di  grandi  ale  (Moller, 
Handb.  §  369,  3),  riferir  potrebbesi  all'origine  de' 
primi  re  di  Cipro  discendenti  da  Cefalo  figlio  di  Erse 
e  di  Mercurio  medesimo  (  Apollod.  Ili,  14,  3). 

Alle  origini  Ciprie  da  Cefalo  e  da  Aoo  [Etym.  M. 
v.  'Awoi)  vorrei  riferire  anche  il  tipo  singolare  del 
toro  androprosopo  respicienle,  e  in  atto  di  adagiarsi 
o  di  levarsi  su,  di  una  insigne  moneta  Cipria  (PI.  VI, 
2  ).  È  ornai  comprovato  ,  che  il  toro  androprosopo 
rappresenta  il  fiume  Acheloo  (nuovo  bull.  arch.  nap. 
An.  I,  p.  57:  Bull,  dell'  Tst.  1853  pag.  126);  e  potè 
figurarsi  nelle  monete  di  Cipro  sia  in  riguardo  a  Ce- 
falo oriondo  da  regione  vicina  all'  Acarnania  ,  o  sia 
rispetto  al  cullo  prisco  quasi  universale  dell'Acheloo 
medesimo  ;  poiché  ,  a  detto  di  Eforo  (  ap.  Macrob. 
Sat.V,  18),  'Ax=Xwov  jxóyov  7ry.vra$  xvììpwTrous  guia- 
fìijl^xiv  rttx%v ,  giacché  da'  Greci  vetustissimi  solea 
nominarsi  Achelous  prò  quacumque  aqua ,  per  essere 
esso  reputalo  il  più  aulico  fra  tutti  i  fiumi  (Macrob. 
1.  e.  ). 

Al  mito  d'Acheloo,  ed  alle  origini  prime  de'Ciprii 
da  Cefalo  e  dall'  Aurora  ,  può  riferirsi  anche  il  lipo 


^-86  — 


d' altre  monde  di  Cipro  aveiili  nel  ritto  (PI.  IV)  Er- 
cole ignudo ,  sedente  sopra  un  sasso  ricoverto  della 
spoglia  del  leone,  che  con  la  d.  tiene  la  clava  posata 
a  terra  e  nella  s.  appoggiata  al  ginocchio  ha  un  corno 
hovino  eh'  ei  tiene  per  la  punta  capovolto.  Quel  corno 
mostra  essere  stato  fiaccato  e  divelto  da  una  testa  bo- 
vina (cf.  Mionnet  Suppl.  t.  VII,  pi.  X  ,  n.  2)  ;  onde 
può  dirsi  Ercole  in  riposo  dopo  avere  superalo  A- 
cheloo,  fiaccandogli  uno  de' suoi  due  corni.  Pure  non 
ardisco  asserirlo  ;  giacché  questo  tipo  riguardar  po- 
trebbe un  mito  locale  di  Cipro  :  tanto  più  che  l'isola 
ab  antico  fu  nominata  anche  Cerastia  o  Cerastide , 
perchè  favoleggiavasi  che  fosse  un  tempo  abitata  da 
uomini  gemino  quibus  aspera  corna  frons  eral  (Ovid. 
Met.  X,  223:  Audrocles  ap.  Schol.  Lycophr.  vs.  447). 
Del  resto ,  Araatunte,  città  antichissima  fra  quelle  di 
Cipro,  da  alcuni  dicevasi  nomata  da  Amatunte  fi- 
gliuolo d'Ercole  (Steph.  Byz.  v.  ' A/xaSoSs)  ;  e  l'Er- 
cole in  riposo  col  corno  bovino,  scambiato  poscia  col 
cornucopia,  può  dirsi  Ercole  placido  (vedi  Miiller, 
Handb.  §411,  5). 

I  due  augelli  associati  al  tipo  del  toro,  e  rappre- 
sentati l'uno  stante  e  l'altro  volante  (PI.  Ili,  p.  18), 
sembrano  di  specie  diverse.  11  primo  di  essi  potrebbe 
forse  dirsi  avvoltoio,  molti  de5  quali  veggonsi  tuttora 
pe' campi  di  Cipro  ne' mesi  estivi  (Mariti,  viaggio  1. 1, 
p.  32):  e  l' altro  colomba  di  Venere,  giacché,  a  detto 
di  Anlifane  (ap.  Athen.  XIV,  p.  635  B),  Cipro  aveva 
di  molte  colombe  esimie,  7n\il%s  ìi^'fovi. 

II  tipo  di  Europa  portata  dal  toro  (  PI.  V  ,  2  ,  3  : 
VI,  5)  ha  il  suo  riscontro  in  una  rara  moneta  di  Soli 
della  vicina  Cilicia  (Taylor  Combe,  tab*  X,  17)  rap- 
presentaute  Europa  turrita  portata  dal  toro  (cf.  Vi- 
sconti, op.  var.  t.  HI  pag.  63).  L' altro  tipo  analogo 
di  una  donna  portata  da  un  ariete,  e  che  sembra  co- 
me natante  a  traverso  il  mare  (PI.  V,  3:  VI,  S  pag. 
25),  anzi  che  Elle  portata  per  aria,  creder  potreb- 
besi  la  Bisaltide  Teofane  traslata  nell'  isola  Crumissa 
da  Nettuno  converso  in  ariete  (Hygin.  fab.  188:  Ovid. 
Met.  VI,  17). 


Il  tipo  della  donna  alata  tenente  con  ambe  le  mani 
un  disco  all'altezza  della  sua  cintura,  e  che  piega  un 
ginocchio  in  atto  di  precipitosa  corsa  (PI.  VII,  2,3, 
4),  può  prender  luce  dal  riscontro  di  alcuni  specchi 
Etruschi  (Gerhard  Elr.  Spieg.  taf.  XXXVI,  2).  Sem- 
bra Nemesi,  o  Fortuna  od  altra  dea  del  Fato;  giacché 
in  altre  simili  monete  vedesi  una  figura  virile  bar- 
bata alata  corrente  in  atto  di  sostenere  un  disco  o 
clipeo  che  dir  si  debba  (Raoul-Rochelte,  Croix  ansée 
p.  70-72).  Il  tipo  corrispondente  del  cigno  ne  porge 
qualche  argomento  a  ravvisarvi  Nemesi  inseguita  da 
Giove  trasformato  in  cigno  (v.  Eckhel  t.  I ,  p.  200). 

Una  bella  monetina  d'argento  (PI.  VI,  4)  ha  nel 
diritto  il  tipo  d' Ercole  che  strozza  il  leone,  e  nel  ri- 
verso Pallade  sedeute  sopra  la  prora  di  una  nave  ro- 
strata, che  tiene  nella  sinistra  un  obbietto  alato  in- 
distinto, che  può  essere  una  civetta  od  una  piccola 
Vittoria  ,  e  nella  d.  l'asta  appoggiata  alla  spalla.  Il 
eh.  editore  la  repula  impressa  allor  che  Cabria  Ate- 
niese giunto  in  Cipro  con  la  flotta  pose  Evagora  in 
possesso  di  tutta  l'isola  nell'anno  387  innanzi  Cri- 
sto ,  e  preferisce  di  ravvisare  nella  mano  s.  di  Palla- 
de una  Vittoria;  ma  vorrei  anzi  ravvisarvi  una  civet- 
ta, come  simbolo  proprio  ad  indicare  il  soccorso  A- 
(eniese;  tanto  più  che  in  Atene  il  simulacro  di  Palla- 
de 'Apx*iy/T'§of  yX-xvxx  H\ì\  h  rr~  %up}  (Schol.  A- 
ristoph.  Av.  515.  Miiller,  Handb.  '§,  370,  7.  Cave- 
doni,  Monnaies  de  la  Ii/c/cp.36;  C.  inscr.  gr.  n.4332: 
Annali  dell'  Inst.  t.  XIX  p.  158).  Il  tipo  di  Pallade 
Archegetide,  o  Procategelide ,  riferir  potrebbesi  an- 
che al  soccorso  antecedente  dato  dagli  Ateniesi  ad 
Evagora  nell'anno  391  (  Clinton,  Fasti  Hell.  p.  292 
ed.  Kruger  (1)  ). 

C.  Cavedoni. 


(1)  Evagora,  a  detto  d' Isocrate  (in  Evag.)  e  di  Demostene  (Epist. 
Philipp.  )  fu  per  le  singolari  sue  beneficenze  ascritto  alla  cittadinanza 
dal  pupolo  Ateniese,  e  nell'  Acropoli  di  Atene  di  recente  si  scoperse  un 
frammento  di  quel  decreto  (  Rangabé,  Ant.  Heller»,  p.  358  ). 


Giulio  Mineiivini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catakeo, 


BILLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 
N.°  58.     (8.  dell'annoili.)  Novembre  1851 

Alessandrini  in  Pompei,  e  loro  sepolture.  —  Dei  tipi  e  simboli  di  alcune  monete  autonome  e  regie  dell'  isola 
di  Cipro.  Continuazione  del  n.  precedente. — Vaso  colla  partenza  di  Anfìarao.  Dichiarazione  della  tavola 
V  di  questo  anno  del  bullellino  n.  1-4.— Toro  androprosopo  nelle  monete  Ispane. — Nuovi  acquisti  epigrafici 
del  real  museo  Borbonico.  Continuazione  della  pag.  16 Iscrizioni  latine.  Continuazione  della  p.  55. 


Alessandrini  in  Pompei ,  e  loro  sepolture. 

Già  son  conosciute  per  le  altrui  pubblicazioni , 
molte  epigrafl  incise  all'  esterno  delle  mura  di  Pom- 
pei ;  e  furono  in  parte  riferite  dal  Signor  de  Clarac 
[Pompei  p.  3) ,  dal  Mazois  (p.  I  pi.  12  p.  36),  dal 
Romanelli  (  viaggio  a  Pompei  I  p.  280  ) ,  ed  ultima- 
mente dal  eh.  Mommsen  (  inscr.  r.  neap.  lat.  p.  357, 
num.  6307,  76-83).  Tralasciando  per  ora  le  altre 
iscrizioni ,  dirigerò  la  mia  attenzione  a  quelle  ,  che 
scorgonsi  fuori  la  porta  d' Iside,  ovvero  di  Nola  (Bre- 
lon  Pompeia  p.  185  descrive  la  porta,  ma  non  parla 
affatto  delle  iscrizioni  ) ,  le  quali  sono  dal  Mommsen 
riportate  ,  secondo  la  lettura  eh'  egli  medesimo  ne 
fece.  Io  comincerò  dal  notare  alcune  piccole  varietà 
di  lezione ,  soggiugnendo  di  tutte  una  spiegazione , 
the  pare  non  sia  stala  finora  tentata  dagli  scrittori 
delle  cose  pompejane. 

1  (n.  76  del  Mommsen) 

mori 

AFISTIV 

LOCV 

Questa  iscrizione  è  incisa  a  caratteri  cubitali,  che 
superano  di  grandezza  tutte  le  altre  seguenti. 

2  (  n.  77  del  Mommsen  ) 
PROTVS 

3  (n.  78  del  Mommsen.) 

Vedesi  una  iscrizione  in  due  rige ,  che  merita  di 
essere  più  attentamente  studiala;  ma  dalle  tracce  che 
ne  rimangono,  non  ci  sembra  sorgere  la  lezione  rife- 
rita dal  eh.  Mommsen ,  che  vide  AV.NU  ■  F 
i.YA'0  in. 


4-  (  n.  79  del  Mommsen  ) 
IOLA 
Così  leggo  chiaramente ,  e  non  LOIIA ,  eome  fu 
riportato  dal  primo  trascrittore. 

5  (Mommsen  /.  e.  ) 
AOAAIA 

XHAEIAvpN 
Così  dice  senz'alcun  dubbio,  e  non  XEIAEIAGON", 
siccome  offre  il  Mommsen,  ovvero  XHAKIACOlV  , 
come  sta  presso  il  Mazois  (  p.  I  pi.  12  p.  36). 

6  (  n.  80  del  Mommsen  ) 
C  •  VENIN 

Così  panni,  piuttosto  che  il  C  ■  VENNdelMomm. 

7  (  n.  81  del  Mommsen  ) 
ALLEIA 

CALAL5    mon 
AL  •  NVPHE 

L'  ultima  linea  è  poco  esaltamente  riportata  dal 
Mommsen  AL  ■  IVVFE 

Trascuriamo  alcune  altre  piccole  epigrafi ,  come 
NA  ,  XAI  ;  ovvero  il  principio  di  altri  nomi ,  come 
CAI  •  •  • ,  LO  •  •  •  •  ed  altri  :  e  vengo  a  dar  di  tutte 
le  iscrizioni  una  particolare  interpretazione. 

E  evidente  che  i  numeri  2,  4,  5,  6,7  ci  presen- 
tano alcuni  nomi  quasi  sempre  di  Greci  personaggi. 
Tale  si  è  certamente  il  Protus ,  il  loia  nome  servile 
non  dissimile  dal  lolla  di  una  tessera  del  real  museo 
Borbonico ,  della  quale  si  vegga  Avellino  (  memor. 
della  reg.  Accad.  Ercolanese  lom.  Ili  p.  77  )  ;  sebbene 
questo  monumento  non  sia  scevro  da  qualche  sospetto: 

cf.  il  eh.  Henzen  amia?.  MI' hi.  1848  p.  288,  ed  il 

8 


—  53  - 


Momnisen  inser.  r.  neap.  lat.  a.  G304.  Evidentemente 
greco  è  pure  il  nome  seguente  AoKktx  Xrìksiììwv  (sic), 
nel  quale  non  può  riconoscersi  un  personaggio  servile, 
ma  ravvisar  dobbiamo  una  greca  di  libera  condizione 
(forse  una  liberta),  avuto  riguardo  al  nome  della  gente 
Lolita.  Il  C.  Veninìus,  o  Vennius,  che  viendopo,  non 
dimostra  che  si  tratti  di  un  personaggio  non  greco  ; 
giacché  è  svanito  il  cognome,  ch'era  per  avventura 
di  ellenica  derivazione.  Finalmente  lo  stesso  dee  dirsi 
della  ultima  epigrafe  Alicia  Calaes,  o  che  intender  si 
voglia  una  Alicia  Calaes  serva ,  ovvero  piuttosto  due 
genitivi  Alleine  Calaes;  essendo  svanite  le  lince  del- 
l' A  finale  che  costituivano  in  monogramma  il  dit- 
tongo AE.  Del  resto  è  ben  conosciuto  che  simili  ge- 
nitivi in  aes  sono  stali  riscontrati  in  iscrizioni  latine. 
Tale  si  è  la  famosa  iscrizione ,  che  sembra  capuana, 
ov'è  menzione  di  una  Rufa  Dianaes  liberta  (Momni- 
sen inscr.  r.  neap.  n.  3789  )  :  tale  si  è  il  nome  del 
vaso  pompejano  di  bronzo  COMNELIAES  •ClIELì- 
DONIS  (mus.  Borb.  toni.  Ili  tav.  14:  cf.  Mommsen 
op.  cit.  p.  351  ,  n.  6305  ,  5);  ed  altri  esempli  fu- 
rono pur  ricordali  dal  eh.  Garruccì ,  a  proposito  di 
alcuni  pompejani  graffili  col  nome  Dadomencs,  o  Da- 
domcneis  (bulica,  arch.  nap.  n.  s.  an.  II  pag.  8ì). 
Sembra  indubitato  che  quel  finimento  debba  attri- 
buirsi ad  influenza  di  grecismo  :  ed  il  vederlo  in  que- 
sto luogo  adoperato  in  Pompei ,  ove  si  scorge  fra 
nomi  tulli  di  greca  fisonomia  ,  ed  anche  in  parte 
scritti  con  greci  caratteri,  conferma  sempre  più  que- 
sta idea.  Dopo  Calaes  vedesi  un  AL  ■  NVPHE  ,  ed  è 
probabilmente  un'altra  Alicia,  alla  quale  si  attribui- 
sce il  cognome  di  Nuphe.  Potrebbe  taluno  in  que- 
st'  ultimo  nome  riconoscere  una  particolare  pronun- 
zia di  Nymphe,  per  la  non  insolila  soppressione  dell' 
m  anche  in  greche  parole  ;  ma  noi  opiniamo  che  debba 
tenersi  piuttosto  un  nome  di  singolare  derivazione,  del 
che  diremo  fra  poco. 

Se  si  pongono  a  confronto  tutti  questi  nomi  col 
silo  ove  furouo  incisi ,  si  riconoscerà  egualmente  la 
ragione  di  tulle  quelle  differenti  epigrafi.  Ricordo 
quel  che  fu  da  noi  precedeulemente  riferito  in  questi 
fogli ,  ed  è  che  fuori  la  porta  di  Nola  vedesi ,  a  co- 
minciar dalla  superficie  esterna  delle  mura  della  città, 


un  umile  sepolcreto,  essendo  le  ossa  seppellite  o  nella 
nuda  terra  ,  o  in  semplici  e  rozze  olle  di  terracotta. 
Non  sarà  dunque  dubbioso  che  quei  nomi  scrini  in 
corrispondenza  delle  sepolture  valessero  ad  indicare 
i  defonti  :  al  che  durevolmente  preslavausi  epigrafi 
incise  su'  forti  massi ,  che  serbavano  lungamente  la 
memoria  de'  trapassali.  A  questa  funebre  destinazione 
del  luogo  mi  sembra  alludere  la  iscrizione  AFISTIV 
LOCV  messa  quasi  a  dinofare  la  generale  idea  di  quel 
luogo  disabitalo.  Afistiu  loca  sta  per  afìstium  locum  : 
ed  è  frequente  la  mancanza  dell'  m  finale ,  siccome 
già  fu  avvertito  da  molti,  ed  anche  non  ha  guari  dal 
eh.  Ritschl  (index  scholar.  mdccclii  p.  VII).  Veggasi 
pure  quel  che  dissi  io  medesimo  (novelle  dilucidazioni 
sopra  un  ant.  chiodo  magico  p.  8  ,  s.  ).  Or  in  questo 
locum  afìstium  apparisce  pure  un  vocabolo  greco  la- 
tinizzato ;  ed  è  YàfyKrmos  la  stessa  cosa  che  l'xtysffnosi 
non  altrimenti  che  sQsff'TiaS  ed  bnWioS,  derivali  tutti 
da  !«a  ovvero  hri%.  Né  può  al  Ira  cosa  intendersi  se 
non  che  il  luogo  era  fuori  dell'  abitalo  e  privo  di 
abitazioni:  la  qual  significazione,  mentre  corrisponde 
alla  reità  intelligenza  di  quel  vocabolo,  si  adatta  pure 
perfettamente  ad  un  sito  fuori  le  mura  di  Pompei ,  e 
perciò   incapace  di  contenere  alcun  privato  edilìzio  , 
e  quindi  ancora  acconcio  alla  sepollura.  Per  quello 
che  spella  poi  alla  ortografia  afìstium  per  aphistium, 
gioverà  ricordare  la  nota  iscrizione  della  Venus  Fi- 
sica  pompejana  (Capaccio  hist.  neap.  lib.  II:  cf.  Rei- 
nesio  p.  42,  Orelli  t.  I  n.  1370,  Mommsen  inscr. 
r.  neap.  n.  2253  ) ,  la  quale  incontrò  non  ha  guari 
un  riscontro  in  un  graffilo  riportalo  dall'Avellino 
(bull.  arch.  nap.  an.  IVp.90),  e  più  correttamente 
dal  Mommsen  (ivi  pag.  118).  Dalla  quale  epigrafe 
graffila  il  eh.  Fiorelli  trasse  argomento  valevolissimo 
a  leggere  nella  iscrizione  del  Capaccio  IMPERIO  ■ 
VENEKIS  •  FISICAE  •  POM  piuttosto  che  IO-M, 
siccome  era  stata  riferita  (  Pompei,  proemio  alle  illu- 
strazioni pag.  VII),  essendo  quell'epiteto  di  Pompe- 
jana attribuito  anche  allre  volte  a  quella  divinità.  Ma 
tornando  alle  nuove  inscrizioni  incise  sulle  muraglie, 
mi  sia  lecito  di  fare  una  osservazione,  che  sembrami 
non  poco  importante  perle  antichità  pompejane.  Que- 
sta sepoltura  tutta  di  Greci,  e  che  apparisce  cotanto 


miserabile,  dovrà  per  avventura  riferirsi  in  parie  agli  non  contrasta  con  gli  altri  dati  storici  ;  ma  anzi  al- 
Uessandrini,  che  trasmigrali  in  Pompei  v'introdussero  l'opposto  con  essi  maravigliosamente  cospira.  Di  fatti 
»  vi  allargarono  il  culto  d'Iside,  e  delle  altre  egizie  di-  1'  emigrazioni  di  Alessandrini  dovettero  aumentarsi 
inità.  Questa  congliiettura  potrà  sembrar  più  probabi-  dopo  il  724  dilloma.in  cui  vinta  Alessandria  fu  ri- 
e,  quando  si  consideri  che  appunto  da  questo  lato  della  dotto  l'Egitto  in  provincia  romana.  Fu  probabilmente 
•illà  apparisce  il  famigerato  tempio  d'Iside  ,  e  che  la  poco  dopo  di  quello  avvenimento  che  successero  più 
sorta,  fuori  la  quale  si  osservano  quelle  meschine  se-  frequenti  trasmigrazioni  in  Pompei  di  personaggi  A- 
polirne,  non  è  distante  da  quell'edilizio;  anzi  può  dirsi  lessandrfni.  Ed  una  valida  dimostrazione  di  questo  fal- 
n  grandissima  vicinanza  allo  slesso.  Mi  sembra  che  to,  che  fa  bel  confronto  alle  sepolture  di  Greci  indi- 
in  notabile  appoggio  alla  esposta  opinione  venga  dal  vidui  fuori  la  porta  di  Nola,  si  rinviene  nella  nota  iscri- 
ìome  Nuphc ,  che  vedemmo  di  sopra  attribuirsi  ad  zione  pompejana  di  Giulio  Efestione  ,  già  pubblicala 
ma  donna  in  quel  medesimo  luogo  sepolta.  E  pare  dal  de  Jorio  [pian  de  Pompei  lav.  IV  n.  2) ,  e  dal 
:he  in  quel  nome  ravvisar  si  deggia  una  derivazione  Geli  (  Pompejana  London  1837  p.  65) ,  ripetuta  in 
la  quello  della  egizia  divinila  Chnouplùs,  colla  sola  fac-simile  dal  Sig.  ab.  Venlriglia  (inveluslitteratum 
Inferenza  che  per  non  insolita  mollezza  di  pronunzia  si  marmor  Pompeiis  ejfossum,  Neapoli  1 832  in  8  lab.  I  ), 
:  omessa  l'aspirata,  che  forma  il  principio  della  parola,  e  sulla  quale  fecero  alcune  importanti  osservazioni  il 
Dalle  quali  cose  sembra  potersi  ragionevolmente  de-  eh.  Gervasio  (iscr.  de  Lucca  pag.  79  e  seg.),  il  dot- 
lurre,  che  molli  Greci  eransi  in  Pompei  trasferiti,  che  tissimo  cav.Boeckh  (v.  Gervasio  nel  presente  hullcltino 
ra  questi  furono  probabilmente  alcuni  Alessandrini  di  an.  I  p.  158  e  s. ,  ed  il  Corp.  inscr.  gr.  toni.  Ili  p. 
poco  agiata  coudizione,  che  appunlo  nel  quartiere  da  1260  n.  5866,  e),  ed  il  Cavedoni  (annoi,  al  corp. 
loro  occupato  promossero  il  culto  degli  dei  egizii ,  e  inscr.  gr.  pag.  242).  Siccome  questa  epigrafe  appnr- 
princi  pai  mente  d'Iside;  e  che  finalmente  in  vicinanza  tiene  al  751  di  Roma,  ed  è  in  essa  menzione  del  Gio- 
iti tempio,  a  cui  forse  erano  addetti,  seppellirono  le  ve  Frigio,  e  del  mese  degli  Alessandrini  Pharmulhi, 
[issa  de'  loro  defunti  senza  pompa,  e  senza  nobillà  di  non  può  dubitarsi  della  trasmigrazione  di  quelle  po- 
sepolcrali  ediflzii,  che  alla  loro  condizione  per  avven-  polazioni  in  Pompei  nell'epoca  stessa  a  cai  appartiene 
lura  mal  convenivano.  Queste  nostre  idee  trovano  una  il  greco  sepolcreto,  di  cui  favelliamo,  che  si  estende 
conferma  altresì  Dell'  epoca  di  quel  sepolcreto.  Noi  appunto,  come  fu  innanzi  notato,  da  Sesto  Pompeo 
notammo  di  sopra  rilevarsi  dalle  monete  raccolte  nelle  a  Tiberio.  Del  resto  può  anche  aggiugnersi  che  altri 
olle  contenenti  le  ossa  dei  defunti  che  quella  sepoltura  argomenti  si  avevano  della  venula  di  Alessandrini  in 
non  è  più  antica  degli  ultimi  tempi  della  romana  re-  Pompei ,  e  che  forse  ci  sarà  pur  dato  di  ritrovare 
pubblica,  estendendosi  da  Sesto  Pompeo  a  Tiberio  (au.  nelle  future  scavazioni  altre  dimostrazioni  della  espo- 
II  p.  149).  Or  questa  epoca  coincide  presso  a  poco  con  sta  conghietlura. 

quella  del  diuturno  stabilimento  del  cullo  d'Iside  in         Noi  sottomettiamo  queste  nostre  brevi osservazio- 

Roma  (Jannelli  intorno  all'epoca  in  cui  fa  introdotto  ni  al  giudizio  de' dotti,  attendendo  che  altri  dia  de' 

in  /foniti  il  culto  il'  Iside  etc.  nel  giornale  il  Ponlano  falli  da  noi  narrati  quella  interpretazione,  che  cre- 

lom.  I ,  voi.   1   pag.   1  e  segg.  ) ,  che  per  Pompei  derà  più  probabile. 

si  attribuisce  in  parte  agli  Alessandrini  ivi  stanziali,  Mineiivisi. 

non  allrimenti  che  a  Napoli  ed  a  Pozzuoli  (Corcia 

stor.  delle  due  Sicil.  lom.  II  p.  385  :  cf.  per  Napoli  Dei  tipi  e  simboli  di  alcune  monete  autonome  e  regie 
il  Martorelli  th.  calam.  pag.  641  e  seg.).  11  nuovo         dell'isola  di  Cipro.  Contin.  del  n.  precedente. 
sepolcreto  pompejano  dimostrerebbe  che  questa  stra- 
niera popolazione  non  si  fissò  in  Pompei  se  non  che         Alle  origini  od  alle  geste  di  Evagora  I  può  nfe- 

agli  ultimi  tempi  della  repubblica;  la  quale  deduzione  rirsi  l'uno  e  l'altro  tipo  degl'insigni  suoi  aurei  ^Pl.ll, 


—  co  — 


18.  XII,  6);  la  lesta  femminile  cioè  coronata  di  torri 
e  l'aquila  posata  in  sulla  groppa  di  un  leone  stante 
sopra  la  preda,  con  grande  aslro  raggiante  al  disopra. 
La  tesla  feminile  turrita  suol  dirsi  di  Venere;  matrop- 
po  diversa  si  è  la  testa  di  Venere  Pafia  delle  monete 
di  Nicocle,  la  quale  invece  della  corona  turrita  ha  un 
alta  corona  a  guisa  di  calalo  ornata  di  palmelte  e  di 
clipei  o  patere  che  dir  si  delibano.  Nel  ritto  degli  au- 
rei di  Evagora  parmi  senza  meno  rappresentata  la 
lesta  della  Ti'x») ,  o  sia  genio  feminile  di  Salamina 
fortificala  di  mura  e  di  torri  da  Evagora  per  modo 
ch'essa  polè  a  lungo  resistere  alle  forze  del  grande 
Re  (Isocral.  in  Evatjor.  xxì  rsixTl  fpoSTrsp/sfìs&STo). 
Ancora  la  tesla  di  Venere  Palla  nella  moneta  di  Ni- 
cocle ha  la  chioma  (ulta  raccolta  adorno  al  capo;  e 
quella  di  Salamina  l'ha  in  gran  parte  ricadente  in 
sulla  cervice,  conforme  all'  uso  delle  donne  di  Cipro 
(v.  Mariti,  viaggi  in  Cipro  t.  I,  pag.  12).  L'aquila 
in  sulla  groppa  del  leone ,  e  respicienle  ,  riferir  po- 
trebbesi  alla  vantala  origine  di  Evagora  daEacoeda 
Giove,  e  da  Telamone  compagno  d'  Ercole  (Isocr.  in 
Evag.  Pindar.  hlhm.  VI, 25 s.);  oppure  all'alleanza 
di  Evagora  con  Ecalomno  re  della  Caria,  che  gli  som- 
ministrò grandi  somme  di  pecunia  (Diodor.  XV,  2  : 
cf.  Clinton,  Fasti  Hellen.  p.  298  ed.  Kruger),  e  che 
in  una  rara  sua  moneta  pose  per  lipo  il  leone  (Ec- 
khel  t.  II,  p.  o96)  (1). 

Il  busto  del  satrapo  coverto  della  cidari ,  rappre- 
sentalo di  prospello,  che  al  eh.  edilore  parve  di  Eva- 
gora  I  (PI.  V,  11  p.  30),  prende  luce  da  Erodoto, 
il  quale  ne  accerta  come  i  re  di  Cipro  fino  da'  tempi 
di  Serse  cingevansi  le  leste  con  mitro ,  dX^oro  pu- 
rpr/r;  (Herod.  VII,  90).  La  tesla  del  ritto  di  quella 
moneta  pare  di  dea,  anzi  che  di  Lclo  moglie  di  Eva- 
gora  ;  poiché  ricorre  simile  nel  beli'  aureo  di  r.e  Me- 
nelao (PI.  V,  7),  diademala  cioè  e  con  una  ciocca  di 
capelli  serpeggiante  attorno  alle  tempia  solto  il  dia- 
dema, quasi  nel  modo  slesso  che  nelle  monete  di  fa- 
miglie Romane  vedesi  acconciata  la  testa  d' Apollo 
(v.  Caved.  Ragguaglio  de  ripostigli  p.  265). 

(1)  L' aslro  raggiarne  può  tenersi  per  simbolo  di  prospero  augurio; 
poiché  STEI.r.AM  significare  ail  Atehu  Capito  lucimi!  et  prospe- 
rum  (FesllU  p.  331  Moller). 


Ora  mi  giovi  soggiungere  qualche  osservazione  in- 
torno ai  simboli,  che  ricorrono  nell'area  di  alcune 
monete  di  Cipro ,  qualcuno  de'  quali  talora  trovasi 
anche  posto  per  tipo,  siccome  l' astragalo  ed  il  fiore 
o  germe  aperto  (I).  L'astragalo  parve  anche  a  me 
(Bull,  dell' Fst.  1854  p.  124)  riferirsi  a  Venere  Pafia  ; 
ma  ricorrendo  in  parecchie  monete  di  Cipro  senza 
relazione  alla  dea,  ora  parmi  più  verisimilmente  in- 
dizio di  pastorizia  e  di  abbondanza  di  belle  pecore  e 
di  buone  lane  (v.  Bull.  Napol.  an.  II,  pag.  104:111 
pag.  57-58).  E  tanto  si  conferma  pel  riscontro  della 
moneta  arcaica  di  Taranto  col  lipo  dell'astragalo  (Ca- 
relli tab.  CV,  n.  45  :  p.  13)  in  riguardo  alle  esimie 
lane  Tareuline  ;  e  dell'  altra  moneta  arcaica  con  lo 
stesso  tipo,  la  quale,  meglio  che  ad  Atene ,  si  attri- 
buisce a  Clazomeue  dell'Ionia,  nelle  cui  monete  po- 
steriori ricorre  sì  di  frequente  la  tesla  d'agnello  ola 
pecora  intera  (v.  Mionnet  Ree.  de  PI.  XL,  6  p.  14: 
Sappi.  Clazom.  27,  30).  Similmente  Cipro  nella  pri- 
sca semplicità  avrebbe  poslo  l' astragalo  per  tipo  o 
per  simbolo,  e  poscia  la  figura  intera  della  pecorella 
e  la  lesta  dell'ariete  (cf.  PI.  I,  VI,  XII). 

In  alcune  monete  arcaiche  col  simbolo  dell' astra- 
galo si  congiunge  quello  di  una  foglia  d'edera  ;  ed  i 
tipi  principali  sono  la  Sfinge  alata  stante  sopra  un 
tralcio  fiorito  o  germinante  ,  ed  un  grande  germe  o 
fiore  di  forma  simile  a  quello  del  tralcio  slesso  (  PI. 
XII,  4,  5:  cf.  PI.  VI,  3).  La  foglia  d'edera  e  la  Sfin- 
ge sembrano  senza  meno  riferirsi  al  cullo  di  Bacco 
ed  al  copioso  ed  esimio  prodotto  delle  viti  di  Cipro 
(Slrabo  XIV,  p.  684:  cf.  Cavedoni  Spicil.  p.  178): 
e  similmente  il  germe  aperto  della  vile  o  d'altra  pianta 
analoga,  giacché  xv7rptqxòi  si  disse  la  gemma  aperta 
o  sia  la  germinazione  della  vite  e  d'altri  arbori  (cf. 
Thes.  L.  Gr.  ed.  Didot  s.  v.  );  onde  il  tipo  sarebbe 
full' insieme  allusivo  al  nome  della  felicissima  isola 
Kr^rpos  (2).  Non  vorrei  per  altro  oppormi  a  chi  amas- 

(1)  Il  lipo  del  volto  Corgonio,  che  ricorre  in  una  delle  più  antiche 
monete  ora  rivendicate  i  Cipro,  appellar  potrebbe  alla  colonia  Argi- 
va ,  fondatrice  della  città  di  Curio  (  Herodot.  V  ,  113  :  Slrabo  XIV  , 
pag.  683). 

(2)  Il  culto  speciale  di  Bacco  in  Cipro  ne  viene  attestato  anche  dalle 
iscrizioni  die  ricordano  il  colli'gio  rùv  vifi  riv  Ai'ovwov  rt^virù* 
(C.  inscr.  Gr.  n.  2619,  26-20). 


—  61- 


sc  meglio  dì  ravvisare  in  quel  fiore  o  germe  il  fiore 
dell'  arboscello  xt'irpos,  che  secondo  alcuni  antichi  a- 
vrebbe  dato  il  nome  all'isola  stessa  (Eustath.  ad  Pe- 
rieg.  v.  508),  e  che  tuttora  vi  abbonda  ed  è  pregiato 
dalle  donne  Cipriote  (Mariti,  Viaggi  t.  I  p.  27  :  cf. 
Prosp.  Alpin.  de  planlis  Aegypli  cap.  XIII). 

II  bello  e  grosso  grano  d'orzo,  posto  per  simbolo 
al  disopra  del  tipo  della  capra  adagiata  (PI.  IV ,  1) , 
accenna  di  certo  alla  fertililà  delle  pianure  di  Cipro, 
nelle  quali  sì  felicemente  proveniva  l'orzo,  che  Rhoe- 
cus  re  degli  Amatusii ,  reduce  in  Cipro ,  inviò  tanto 
orzo  agli  Ateniesi,  che  andò  in  proverbio  la  "PcUou 
xpi3o7rcixirtx  (Hesych.  s.  v.  ).  Il  vasello  monolo  (PI. 
Ili,  3)  può  dirsi  scifo  col  eh.  editore,  vedendosi  si- 
mile in  mano  d'Ercole  nelle  monete  di  Crotone  (Ca- 
relli tab.  CLXXXIV);  ma  polrebbe  anch'essere  un 
vaso  pastorale  da  latte,  perchè  ricorre  parimente  nelle 
monete  di  Sesto  Pompeo  Fostlo,  ove  è  senza  dubbio 
mulctra  o  sinus.  Il  ferro  di  bipenne ,  che  vedesi  al  di- 
sopra di  una  sola  delle  due  monete  col  tipo  del  bue 
che  si  gratta  la  testa  (PI.  V,  3:  VI,  5),  per  ciò  stesso 
pare  non  si  connetta  col  tipo  medesimo  ;  e  sembra 
anzi  riferirsi  alle  copiose  miniere  metalliche  di  Cipro, 
ed  alle  eccellenti  officine  d'armi  e  d'altri  ordegni  di 
ferro  e  di  bronzo.  Cinica  re  di  Cipro  dicevasi  aver 
fatto  dono  di  una  lorica  di  bronzo  ad  Agamennone 
(lliad.  A.  20:  cf.  Alcidam.  orai.  inPalamed.);  ed  il 
re  di  Citio  donò  ad  Alessandro  Magno  una  jx'/xajpx 
di  mirabile  tempra  e  leggerezza  (Plut.  in  Alex.  32)  (1). 
L'ara  apposta  al  cigno  nelle  monete  attribuite  a. ìfa- 
rathvs  dal  Raoul-Rochetle ,  ed  a  Maritati  dal  eh.  e- 
dilore ,  accennar  potrebbe  alla  fama  che  faceva  i  Ci- 
prii  inventori  de' sacri ficii ,  9i>t<xt,s  (Greg.  Nazian. 
in  Iulian.  orat.  I,  109  :  Tatianus  adv.  Geni.  l),e 
conforterebbe  la  novella  attribuzione.  In  altra  di  quelle 
monete  controverse  (  PI.  VII,  4)  ricorre  un  pesce, 
che  forte  dir  potrebbesi  x^rpìios  (cf.  Thes.  L.  Gr.  s. 


(1)  Per  simile  modo  Temesa  de'  Bretiii  pose  nelle  sue  monete  tipi 
esprimenti  le  sue  miniere  ed  officine  d'armi  (Millingen,  Consid  p.8i- 
82  ).  I  Ciprii  a  preferenza  d'  altre  opere  delle  loro  officine ,  avranno 
scello  la  bipeune  in  riguardo  all'  uso  grande  che  far  se  ne  dovette  per 
disboscare  molta  parte  dell'  isola  e  per  la  costruzione  delle  navi  (Stra- 
to XIV,  p.  684). 


t\).  Il  ramicello  con  tre  bacche  e  dm  foglie  (PI.  Ili,  o) 
polrebb'  essere  la  Paphia  myrlus  (Stat.  Tlieb.  IV, 299), 
ovvero  la  Cypria  laurus  femina  et  baccalia  et  baccalia 
dieta  (Plin.  XV,  39:  XVII,  1 1  ). 

C.  Cavedom. 


Taso  colla  partenza  di  An/ìarao.  Dichiarazione  della 
tavola  V  di  questo  anno  del  bullettàio  n.  1-4. 

Vedesi  in  questa  (avola  V  effigiato  il  bellissimo 
vaso  da  noi  sopra  descritto  ed  illustralo ,  ritraente 
nella  sua  faccia  principale  la  partenza  di  Anfiarao 
per  la  guerra  tebana  (v.  questo  ballettino  arinoli  p. 
1 13  e  segg.).  Noi  rimandiamo  a  quanto  ivi  fu  espo- 
sto sulle  differenti  figure:  e  solo  osserviamo  che  nei 
nuiu.  1 , 2  e  3  abbiamo  presentalo  le  varie  parli  del 
vaso  la  metà  dell'originale;  laddove  nel  num.  4  ri- 
portiamo la  forma  di  tutto  il  monumenlo  in  piccole 
dimensioni.  Fralle  cose  da  noi  precedentemente  av- 
vertite ,  si  è  la  lunare  significazione  della  testa  col 
ricurvo  pileo ,  che  ci  dava  argomento  a  confermar» 
le  nostre  idee  sulla  funebre  intelligenza  di  quelle  pro- 
tome figurale  sul  collo  o  sul  piede  de'  vasi  dipinti. 
Vedi  pure  la  preced.  pag.  52.  Ed  è  da  notare  altresì 
che  Y  Artemis  orientale  si  offre  non  poche  volte  fra 
due  animali  o  che  sieno  due  paniere ,  ovvero  due 
leoni ,  ovvero  un  leone  ed  una  pantera  ;  come  nella 
cassa  di  Cipselo.  La  sola  parlicolarilà  nel  vaso  ap- 
pulo  di  che  ragioniamo  consiste  nelle  ali  de' due  sim- 
bolici quadrupedi ,  le  quali  in  altri  monumenti  Iro- 
vansi  invece  attribuite  alla  stessa  divinila.  Vedi  sopra 
simili  rappresentazioni  un  dotlo  articolo  del  mio  chia- 
rissimo amico  e  collega  Sig.  Cav.  Gerhard ,  che  di- 
chiara la  dea  Persica  Diana  ,  riportando  non  pochi 
monumenti  che  la  riproducono  (Arcliaeol.  Zeilung , 
Denckm.  und  Forschung.  1854  pag.  177  e  segg.  tav. 
LXl-LXIII).  Ad  essi  va  aggiunto  il  bellissimo  spec- 
chi di  Crotone  pubblicato  in  questo  bullettàio  (  an. 
Il  tav.  V  ) ,  che  noi  già  riportammo  egualmente  a 
Diana  (ivi  p.  188). 

Ora  aggiungiamo  talune  avvertenze  sopra  una  in- 


-C2-; 


(era  classe  di  vasi,  che  di  funebri  e  mistiche  rappre- 
sentazioni veggonsi  fregiati.  Occorre  assai  frequen- 
temente ne'  vasi  di  Puglia,  specialmente  nelle  anfore 
a  mascheroni ,  il  vedere  sul  collo  da  una  faccia  una 
femminile  testa  di  fronte,  dall'altra  una  protome  an- 
che muliebre  di  profilo  :  entrambe  tra  fiori ,  e  com- 
plicale ramificazioni.  Richiamando  i  due  classici  luo- 
ghi di  Plutarco  (  de  fac.  in  orbe  Lunae  XXVII,  e  Ama- 
tor.  p.  776  B  ) ,  ci  sembrò  che  le  protome  di  fronte, 
le  quali  in  generale  hanno  una  lunare  significazione, 
alludessero  a' prati  della  Luna  roTs  aù.ryrfi  Xaixùjrn 
mentovali  dal  Cheroneo.  Ora  soggiugniamo  che  l'al- 
tra prolome  di  profilo ,  fregiata  talvolta  di  radii  , 
siccome  nel  vaso  che  ora  pubblichiamo,  esprima  so- 
^enle  Afrodile,  ed  accenni  a  quei  prati  di  Venere 
rammentati  dallo  stesso  Plutarco  ;  fra'  quali  repu- 
tavansi  aggirarsi  le  anime ,  per  divenir  degne  della 
palingenesia,  e  della  immortalità.  Questa  duplice  al- 
lusione a  Venere  ed  alla  Luna  mi  sembra  pure  indi- 
cata dal  più  consueto  ornamento  de' manichi  in  questa 
classe  di  vasi.  Nella  parte  superiore  del  manico  vedi 
sposso  a  bassorilievo  gorgoniche  maschere,  con  evi- 
denti allusioni  lunari  ,  essendo  non  poche  volte  for- 
nite delle  piccole  corna  ,  che  sporgono  dalla  fronte. 
Nella  parte  inferiore  finiscono  i  manichi  in  teste  di 
cigni  ;  e  non  so  che  siesi  data  giammai  una  plausibile 
spiegazione  di  questa  particolarità.  Ma  se  ricordiamo 
che  il  cigno  è  animale  sacro  a  Venere  ed  all'Amore 
(vedi  le  autorità  da  noi  raccolte  ne'  mon.  ined.  di  Ba- 
rone p.  12);  non  farà  più  maraviglia  il  vederlo  in 
un  funebre  monumento  in  rapporto  colla  prolome 
stessa  di  Venere,  accennando  a'  mistici  prati  {y.nfxwat) 
di  questa  medesima  divinità. 

Minervim. 


Toro  andropresopo  nelle  monete  Ispane. 


Il  toro  androprosopo,  che  dall' Eckhel(t.  Ip.  129) 
era  stato  limitato  entro  i  conGni  della  Campania,  della 
Sicilia  e  dell' Acarnania,  ora  ha  esleso  il  suo  domi- 


nio di  mollo,  e  comparve  anche  nelle  monete  arcai- 
che di  Cipro  (v.  Due  de  Luynes,  Numism.  Cypr. 
pi.  VI,  2),  ed  in  alcune  monete  Ispane  di  argento 
con  epigrafe  Celtibera  (Sestini,  Med.  Isp.  p.  106, 
tav.  IV,  6,  7:  Gaillard,  Cab.  Garda  p.  40  pi.  I,  3), 
che  sogliono  rinvenirsi  nelle  vicinanze  di  Barcellona 
e  nell'isole  Baleari,  e  sono  come  segue: 

Testa  virile  imberbe  laureala,  con  clava  apposta  al 
collo:  nel  campo,  un  astro. 

)(  Epigrafe  Cellibera.  Toro  a  volto  umano  barbato 
stante  e  riguardante:  nel  campo,  luna  bicorne.    Arg. 

La  testa  nel  ritto ,  che  talora  pare  coverta  colla 
spoglia  del  leone  ,  e  ornata  di  monile  o  torque  ,  dir 
potrebbesi  di  Celle  figliuolo  d'  Ercole  e  di  Esperide 
(v.  Spiai,  num.  p.  6,  9).  II  Seslini  fu  d'avviso, che 
il  tipo  del  bove  a  faccia  umana  barbata  fosse  preso 
dalle  medaglie  della  Campania  e  della  Sicilia;  ma  non 
par  verisimile  ,  perchè  le  monete  Ispane  hanno  tipi 
domestici ,  e  inoltre  può  rendersi  buona  ragione  del 
comparire  che  fa  quel  tipo  in  monde  Ispane  ora  che 
è  dimostrato,  segnatamente  per  ciò  che  ne  scrisse  il 
eh.  Minervini ,  che  il  toro  androprosopo  è  imagine 
del  fiume  Acheloo,  che  favoleggiavasì  antichissimo 
fra  tutti  i  fiumi,  figliuolo  dell' Oceano  e  sommamente 
venerato  presso  tutti  i  popoli  (Macrob.  Sai.  V,  18). 
Senza  dire  dell'Oceano,  padre  d' Acheloo,  che  bagna 
da  due  Iati  la  Spagna,  il  cullo  dell' Acheloo  potè  pro- 
pagarsi in  quelle  contrade  per  mezzo  delle  colonie 
Greche,  che  dicevansi  dedottevi  in  diversi  luoghi  fino 
da' tempi  della  guerra  Troiana  e  prima  (v.  Raoul- 
Rochette  colon.  Gr.  t.  I,  pag.  403  :  t.  II  pag.  414). 
Strabone  (I.  Ili  p.  157)  pone  come  fallo  storico  il 
viaggio  di  Ulisse  fino  agli  estremi  confini  occidentali 
della  Spagna.  Silio  Italico  (Punte.  Ili,  366:  XVI, 
368)  ricorda  più  \olte  la  città  Ispana  Tyde ,  ch'egli 
dice  Aelola ,  vago  Diomedi  condita.  Tulli  gli  antichi 
scrittori  concordano  nel  dire  Sagunto  fondata  da  una 
colonia  di  Zacinlii  :  alla  quale  origine  accennar  volle 
anche  1' autore  dell'Itinerario  argenteo  scopertosi  all' 
acque  Apollinari  (Marchi,  Stipe  p.  28)  scrivendo  il 
nome  di  Sagunto  con  la  greca  vocale  T,  SAGYN- 
TVM.  Nell'insigne  frammento  del  libro  XCI  delle 
istorie  Romane  di  Livio,  scoperto  dal  P.  Giovenazzì, 


-03  — 


trovasi  memorala  una  ciltà  mediterranea  della  Spa- 
gna citeriore  delta  Conlrebia ,  quae  Leucada  ;  e  pare 
così  cognominata  da  coloni  di  Leucade,  isola  del  mare 
Ionio  ,  da  prima  congiunta  al  continente  dell'  Acar- 
nania  bagnata  dal  fiume  Acheloo,  che  nelle  moneto 
dell'  Acarnania  slessa  ha  forma  di  toro  androprosopo. 


C.  Cavedoni. 


Nuovi  acquisti  epigrafici  del  real  museo  Borbonico. 
Continuazione  della  pag.  16. 


Intorno  al  n.  3437  aggiugniamo  che  una  esatta 
lezione  ne  fu  presentata  dal  eh.  Garrucci  (bullelt. 
nap.  an.  I  p.  44  ) ,  il  quale  notò  la  somiglianza  del 
cognome  Vincius ,  e  Vinicius.  Avverto  pure  che  la 
greca  epigrafe  di  Stiaccia  fu  pubblicata  dal  Guarini 
(comm.  XIV  pag.  17) ,  ed  ora  è  nel  corp.  inscr.  gr. 
Ioni.  Ili  add.  pag.  12S5  n.  5816,  b:  e  che  la  iscri- 
zione di  C.  Avianio  Epagato  da  noi  edita  nel  II  anno 
di  questo  bullettino  p.  103  n.  11  era  stala  già  esat- 
tamente pubblicala  dal  eh.  Fiorelli  (Pompei, proemio 
alle  illustr.  p.  XL).  Appartengono  alla  stessa  raccolta 
offerta  dal  sig.  principe  di  San  Giorgio  la  iscrizione 
di  Licinio  Pulcolano,  che  fu  recentemente  pubblicata 
dal  eh.  Gervasio  (monum.  diGavia  Marciana  p.12), 
1'  altra  di  Amalio  Lucrione  pubblicata  dallo  stesso  ar- 
cheologo (ani.  iscr.  di  Lesina  p.  20,  e  34  not.  1  ) , 
non  che  la  gruteriana  p.  DCXV11I,  8,  ove  si  fa  men- 
zione di  un  CORIARIVS    •ACTARIVS  (subactariusj. 

Sembrano  inedile  le  seguenti 


2. 


Non  meno  interessante  è  la  seguente,  la  quale  e 
pure  ignota  alle  collezioni  epigrafiche. 

D  M 

LVCIA  •  PAPIRIA 
VIX  •  ANNIS  •  LII 
IVL  •  INGENVS 
COIVGI  •  INCON 
PARARILI  •  ET 
PAPIRIVS  •  INGE 
NVS  •  ET  •  PAPIRIA 
VITALIS  •  MATRI  •  DVL 
CISS  •  M  •  FECIT 

Si  noli  la  ortografia  inconparabili ,  ed  il  nome  In- 
genua, ove  si  osserva  un  solo  V ;  siccome  in  molti 
altri  esempli,  che  furono  in  parie  citati  dal  eh.  Gar- 
rucci (stor.  d'Isernia  p.  1 53  seg.  ;  e  bull.  nap.  nuova 
serie  an.  II  p.  82),  e  da  me  nell'  antica  serie  del  bidl. 
arch.  nap.  (an.  II  p.  140). 


Importante  ci  sembra  questo  frammento 

•  •  •  LPICIO  CoS 

•  •  •  •  E  •  STATVAM 

•  •  •  •  VDOS  •  •  • 

nel  quale  è  menzione  di  un  console  Sulpicio ,  e  forse 
ancora  di  qualche  sacro  o  pubblico  monumento. 


4. 


LVCCEI/A  •  HEROPIIIL 
BALBI.L/.NVTR1XS 
P  •  CARPI/NARIVS 
•  P  LHILA/RVS 


0  •  FVLV  •  01 

•LES  •  QVI  •  PR- •■ 

•P  •  DOMITIAI 

•GERM  •  ET 

•VG  •  ET  •  IVLIA- 

•DIVINAE-  

1  •  ET 


—  64  — 


Tralascio  i  supplementi ,  cbe  potrebbero  proporsi 
in  questa  epigrafe,  nella  quale  si  fa  certamente  men- 
zione dell'  Imperator  Domiziano. 

Senza  parlare  di  qualche  altro  frammento,  cbe 
non  merita  di  essere  qui  ricordato  ;  avverto  che  for- 
mava parte  della  medesima  collezione  la  seguente 
epigrafe  cristiana ,  la  quale  è  incisa  in  un  marmo  di 
forma  circolare  :  il  che  la  rende  di  qualche  interesse. 

f 
V1CTORIAE 
BENEMERE 

NTI  IN  PACE 

Questa  semplice  iscrizione  è  notevole  pel  mono- 
gramma del  Cristo,  che  vedesi  in  cima,  e  per  la  nota 
formola  cristiana  IN  PACE ,  della  quale  sono  fre- 
quentissimi gli  esempli  :  e  basterà  per  noi  rimandare 
a  quel  cbe  dicemmo  di  sopra  nel  I  anno  di  questo 
lullenino  pag.  31. 

(continua)  Minervim. 

Iscrizioni  latine.  Continuazione  della  pag.  53. 

19. 

C  •  ANGVRI  •  C  •  F  n 
L  •  GARGONI  •  L  F  " 
SACELLVM     D  •  S 
SAEPIVNDVM 
COVRAVERVNT 

Questa  bella  iscrizione ,  rinvenuta  alle  vicinanze 
di  Atri,  mi  fu  comunicala  dall' egregio  sig.  Gabriello 
Cherubini,  il  quale  mi  avverte  cbe  il  Q  è  messo  al- 
lato a'  due  nomi  con  una  grappa.  C.  Augurio  e  L. 
Hargomo  sono,  a  mio  giudizio  ,  denominati  quaeslo- 
rej:-e  sarebbe  questa  la  prima  memoria  superstite 
de' questori  di  Adria.  La  iscrizione,  e  per  quello  che 


il  sig.  Cherubini  mi  dice  della  forma  de'  caratteri ,  e 
per  la  semplicità  del  dettato,  non  escluse  le  sigle  D' 
S  (de  suoj,  e  finalmente  per  la  ortografia  COVRA- 
VERVNT ,  si  appalesa  de'  buoni  tempi.  Se  non  che 
questa  ortografia  è  da  reputare  insolila  ,  essendo  più 
comune  ed  usala  nelle  iscrizioni  arcaiche,  fino  a  quelle 
de'  tempi  Auguslei ,  l' altra  di  coerare.  Del  resto  in 
moltissime  altre  voci  si  osserva  1'  V  lungo  tramutato 
in  OV  :  e  su  di  ciò  leggasi  la  dotta  discussione  del 
eh.  Rilschl  (  mon.  epigraph.  tria  pag.  3  ,  s. ,  e  33 
e  segg.  ). 

20. 

L  •  TETT1VS  •  PRImvs 

ET  •  GELATIA  ■  SATVRnina. 

È  un  frammento  rinvenuto  in  un  podere  del  sig. 
de  Donatis,  comunicatomi  dallo  stesso  sig.  Cherubi- 
ni. Non  è  notevole  per  altro  che  per  la  insolita  gente 
Gelalia. 

21. 


C     M  •  PH  (mon) 
22. 


M    ANM 
MODESSTI 


Le  due  iscrizioni  cbe  precedono  sono  due  bolli 
metallici  comunicatici  dallo  stesso  sig.  Cherubini  :  e 
nel  primo  pare  vada  letto  il  nome  C.  Marcius  Phì- 
Uppus;  essendo  ben  conosciuto  che  il  cognome  Phi- 
lippus  trovasi  dato  a  non  pochi  personaggi  storici 
della  gente  Marcia.  In  quanto  al  suggello  di  M.  An- 
nio  Ulodesto  non  offre  altro  ad  osservare  che  la  du- 
plicazione della  sibilante  ;  il  che  s' incontra  non  di 
rado  nelle  epigrafi  greche  e  nelle  latine. 


(continua) 


Mjnehvini. 


Giulio  Mi.nervim  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catakeo. 


BCLLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  59.     (9.  dell'  anno  III.) 


Dicembre  1854. 


Alcune  monete  Ispane  illustrale  col  riscontro  del  nuovo  frammento  di  P.  Annio  Floro. — Bibliografia. 


Alcune  monete  Ispane  illustrate  col  riscontro  del  nuovo 
frammento  di  P.  Annio  Floro. 

Il  eh.  Oeblcr,  a  questi  ultimi  anni,  rinvenne  in  un 
eodice  membranaceo  del  secolo  XII  della  Biblioteca 
di  Bruxelles  un  insigne  frammento  intitolato  :  P.  An- 
nii  Fiori,  Yirgilius  oralor,  an  poeta,  che  fu  da  prima 
pubblicato  da'  eh.  Rilschl  e  Schopen  nel  Museo  Re- 
nano (I  p.  302  segg.  ),  e  poscia  più  accuratamente 
dal  eh.  Otto  Jahn  (  Praef.  ad  Epit.  Iulii  Fiori  pag. 
XLI-XLIIII  ) ,  pel  riscontro  del  quale  parmi  si  dia 
bella  luce  ad  alquante  antiche  Monete  della  Spagna 
Belica  e  Tarraconese  (I). 

P.  Annio  Floro  ,  come  si  raccoglie  dal  suddetto 
nuovo  suo  frammento,  e  da  altri  rapportali  da  Spar- 
ziano  {in  Hadr.  16)  e  da  Carisio  (I,  p.  38,  99,  1 13), 
fiorì  sotto  l' impero  di  Traiano  e  di  Adriano  ;  e  On 
da  giovinetto,  di  forse  XI LI  anni  (cf.  Orelli  Inscr.  n. 
2603),  nel  decennio  decorso  dall'anno  86  al  96  dell' 
era  volgare ,  concorse  in  Roma  inter  poetas  Latino» 
al  premio  della  corona  del  certame  sacro  di  Giove 
Capitolino,  che  gli  venne  aggiudicala  summo  consensu, 
ma  ch'egli  non  potè  altrimenti  conseguire  dalla  mano 
stessa  dell'  Augusto  imperante  ,  come  di  rito  ,  invilo 
Coesore  et  resistente,  ne  Africa  coronam  magni  lovis 
attingerei;  probabilmente  pel  rancore  di  Domiziano 
conlra  gli  Africani,  che  mostraronsi  avversi  al  padre 
suo  Vespasiano  e  benevoli  verso  Vitellio  (Tacit.  Hist. 
II,  97:  cf.  Suelon.  Vesp.  4).  11  giovinetto  poeta  gran- 
demente adontato  di  quell'  ingiusto  riGuto,  andò  va- 
gando per  mare  e  per  terra  in  lonlani  e  diversi  paesi, 
e  da  ultimo  ,  passali  i  Pirenei ,  si  pose  ad  abitare  in 

(i;  Mi  duole  di  non  avere  potuto  riscontrare  il  citato  articolo 
del  Museo  Renano. 

ANNO  III. 


una  città  del  littorale  della  Spagna  Tarraconese,  ove 
aperse  scuola  di  lettere  Latine.  Egli  avea  perseverato 
in  quella  vita  faticosa  un  cinque  anni,  quand'  ecco  un 
bel  dì ,  che  stanco  per  gli  studi  stavasi  ricreando  all' 
aria  libera  in  luogo  ameno  presso  uu  tempio ,  gli  si 
fecero  incontro  alcuni  Ispani  della  Betica,  che,  di  ri- 
torno per  mare  dagli  spettacoli  di  Roma  ,  erano  stali 
sospinti  a  quella  spiaggia  dal  vento  sinistro  dell'Afri- 
ca. Uno  di  quelli,  uomo  di  molle  lettere,  che  gli  era 
stato  favorevole  nel  concorso  dell'  agone  Capitolino , 
lo  salutò  cortesemente  e  lo  riconobbe.  P.  Annio  Flo- 
ro ,  dopo  che  gli  ebbe  raccontato  i  suoi  viaggi  e  le 
sue  vicende,  conchiuse  lodando  così  il  suo  soggiorno 
in  quelle  contrade:  Et  ecce  iamfamiliar  itale  continua 
civitas  ipsa  nobis  blanditili;  quae,  si  quid  credis  mihi, 
qui  multa  cognovi,  omnium  rerum,  quae  ad  quielem 
eligunlur,  gratissima  est.  Populum  vides,  o  hospes  et 
amine,  probum  frugi  quietimi  tarde  quidem,  sed  iudi- 
cio  hospilalem.  Caelum  peculiariter  temperatimi  miscet 
vices ,  ci  nolani  veris  lolus  annus  imitatili:  Terra  fer- 
lilis  campii  et  magis  collibia — nani  Italiae  vitcs  a/fe- 
ctat  et  comparai  areas — serotino  non  erubescil  autumno. 
Si  quid  ad  rem  perline!,  civitas  ipsa  generosissimis  au- 
spiciis  inslitula;  nani  praeter  Caesaris  vexilla,  quae 
porlant  triumphos,  unde  nomen  accepil ,  adest  eliam 
peregrina  nobilitai  :  quippe,  si  velerà  tempia  respicias, 
lite  ille  colilur  corniger  praedo ,  qui  Tyriam  virginem 
portans,  dum  per  tota  maria  lascivit,  hic  amisit  et  sub- 
slitit,  et  eius  quam  ferebat  oblitus  subito  nostrum  litui 
adamavit. 

Il  definire  la  città  della  Tarraconese  ,  così  vaga- 
mente accennala  dal  nostro  Floro  ,  si  è  un  curioso 
problema  non  troppo  facile  a  risolversi.  Il  eh.  Kilscbl 
fu  d'avviso,  che  sia  quivi  indicata  la  città  di  Tarra* 

9 


—  CG  — 


fona,  quae  colonia  lidia  Victrix  nominala  est  et  Le- 
gioni* VI  Vicinai  slatio  full;  e  la  sua  opinione  parve 
probabile  anche  al  eh.  Jahn  (Praef.  ad  Fiori  Epit. 
ji.  XLV).  Da  prima  parve  tale  anche  a  me,  pensan- 
do che  dalle  parole  di  Floro,  quae  portoni  triumphos, 
argomentar  si  potesse,  che  le  sigle  COLTVTTAR- 
RAC  delle  lapidi  e  delle  medaglie  spiegar  si  dovessero 
COLonia  lidia  Yictrix T/7H»i/)/ia/tsTARRACo;  tanto 
più  che  il  municipio  Ipasturgi  Tiiumphale  cognomi- 
natum  est  (Plin.  Ili,  3,  6);  ma  poscia  ponderando 
meglio  ogni  particolarità  mi  parve,  che  Floro  inten- 
desse anzi  indicare  Carlhago  Nova,  o  sia  Cartagena. 
I  titoli  lidia  Victrix  non  sono  altrimenti  di  per  se 
sufficienti  a  riscontrare  in  Tarracona  la  città  accen- 
nala da  Giulio  Floro,  poiché  sono  essi  comuni  a  pa- 
recchie altre  città  si  della  Spagna  Tarraconese  come 
della  Belica.  Il  titolo  distintivo  della  città  in  quistione 
vuoisi  anzi  ritrarre  dalle  parole  di  Floro  Caesaris 
vexilla,  quae  portimi  triumphos,  le  quali  meglio  accen- 
nano a  Cartagena,  di  quello  che  a  Tarragona  ;  poiché 
nelle  medaglie  di  questa  nulla  si  riscontra  che  riguar- 
di i  vessilli  trionfali  di  Cesare,  ma  sibbene  più  tipi  ad 
essi  relativi  ricorrono  nelle  monete  di  Cartagena.  Il 
vessillo  solo,  o  posto  di  retro  ad  un'aquila  legionaria 
(probabilmente  per  indicare  una  legione  equilata)  ri- 
corre nelle  monete  di  Acci,  di  Carthago  nova,  di  Cae' 
saraugusla,  d' Ilici  e  d' Italica  ;  ma  più  di  frequente, 
che  in  altre ,  in  quelle  di  Carthago  nova,  spesso  ac- 
compagnato dal  tipo  di  una  quadriga  triumphalis  a 
passo  lento  ,  e  talvolta  in  corsa  veloce  (  Florez  tav. 
XVI,  pag.  350:  Seslini,  med.  hp.  pag.  124,  n.  3). 
.Nel  vessillo  pertanto  delle  medaglie  di  Cartagena  ac- 
compagnato da  una  quadriga  trionfale,  o  circense  che 
dir  si  voglia  (cf.  Borghesi  Dee.  XVI,  oss.  7) ,  mari- 
guardante  i  trionfi  di  Cesare,  si  riscontrano  adegua- 
tamente le  vexilla  Caesaris,  quae  portoni  triumphos. 
Carthago  nova  nelle  sue  monete  s' intitola  Colonia 
Xictrix  lulia  Nora  Karlago,  o  Carthago,  del  pari  che 
tante  altre  città  della  Spagna,  che  furono  fedeli  e  be- 
nevole a  Giulio  Cesare  Dell'ultima  guerra  civile,  e 
che  dopo  la  battaglia  di  Munda  si  ebbero  colonie  di 
veterani  e  que'  titoli  dal  Dittatore  vittorioso  e  trion- 
fante (Dio,  XLIII,  39:  Borghesi  Iscr.  Perug.  p.  4)  : 


ma  Cartagena  ebbe  un  diritto  speciale  a  que' titoli 
gloriosi.  Essa  nel  708  resistette  a  Gneo  Pompeo  fi- 
glio, che  pare  non  la  potesse  assoggettare  che  a  forza, 
e  parimente  nel  710  si  oppose  alle  armi  di  Sesto  suo 
fratello  (Dio,  XLIII,  30:  XLV,  10).  Cesare  dopo  la 
vittoria  di  Munda  concesse  alle  città  della  Spagna  , 
che  gli  si  mantennero  fedeli  e  benevole  ,  immunità  , 
terre,  cittadinanza  Romana  e  diritti  di  colonia  (Dio, 
XLIII,  39);  i  quali  benefici  furono  da  lui  elargiti  in 
Cartagena  slessa,  capitale  del  convento  che  da  lei  si 
nomava  (Nic.  Damasc.  Vit.  Aug.  II,  12).  Il  senato 
Romano  decretò  a  Cesare  vincitore  ed  a'  suoi  generali 
un  triplice  trionfo,  supplicazioni  di  cinquanta  giorni, 
e  ludi  circensi  in  perpetuo  nelle  Palilie,  perchè  ne' 
primi  vespri  di  quel  giorno  giunse  in  Roma  la  no- 
vella della  vittoria  di  Munda  (Dio,  XLIII,  42);  ai 
quali  onori  sembra  riferirsi  il  tipo  della  quadriga 
trionfale  lenta,  e  talvolta  in  piena  corsa,  delle  monete 
di  Cartagena  (1).  Ma  questa  riguardar  potrebbe  an- 
che spettacoli  equestri,  che  dato  avesse  Cesare  io  Car- 
tagena stessa,  siccome  fece  poscia  in  simili  circostanze 
Augusto,  allor  che  istituì  la  colonia  Emerita  dopo 
aver  vinti  gli  Asturi  e  i  Cantabri  (Dio  LUI,  27).  Il 
tipo  poi  del  vexìllum  Caesaris  delle  monete  di  Carta- 
gena  forse  fu  posto,  a  preferenza  d' altre  insegne  mi- 
litari ,  in  riguardo  ad  una  mossa  di  cavalleria  dalla 
parte  di  Cesare ,  che  decise  della  vittoria  nella  san- 
guinosa giornata  di  Munda  (  Bell.  Hisp.  31  ).  II  ves- 
sillo medesimo  vedesi  talor  collocato  di  mezzo  a  due 
fasci  consolari  (Florez  tav.  LXI,  4  :  cf.  Seslini,  med. 
Isp.  p.  123,  n.  1),  che  riferir  potrebbonsi  al  legato 
propretore  di  Augusto,  uomo  consolare,  che  nella 
stagione  invernale  soggiornar  soleva  in  Cartagena  del 
pari  che  in  Tarragona  (  Strabo  III,  p.  167).  Che  se 
a  Cartagena  spelta  la  moneta  co'  tipi  del  vessillo  e 
dell'aquila  legionaria,  attribuitagli  dal  Sestini ( Med. 
Isp.  p.  124,  n.  9),  questa  ricordar  potrebbe  la  LEG* 
Villi  •  TRIVMPHaOv'cem,  che  seguì  costantemente 


(1)  Che  ne'  ludi  Circensi  corressero  le  quadrighe  ,  del  pari  che 
le  bighe  ed  i  desultori,  ne  lo  attesta  Svetonio  {in  lui.  39).  Stra- 
tone (I.  Ili  p  155;  narra  come  gl'Ispani  'izjaxòvs  àywvus  riXaìiffiv: 
e  le  lapidi  della  Spagna  ricordano  ludi  CIHCENS.  dati  anche  da 
persone  municipali  (Florez,  l'sp.  sagr.  i.  X  p.  75;  Creili  n.  1571). 


—  G7  — 


le  bandiere  di  Cesare  ,  e  che  forse  si  guadagnò  il  li- 
tolo  di  Irionfalriee  nella  battaglia  di  Munda  (  Bor- 
ghesi, Isa:  di  Burbuì.  p.  10),  e  farebbe  bel  riscon- 
tro alle  parole  di  Floro  :  Caesaris  vexilla  ,  quae  por- 
tavi triumphos  (1).  All'altre  parole  di  lui  civilas  ge- 
nerosissimis  auspiciis  instiluta,  nelle  monete  di  Carta- 
gena  risponderebbe  il  tipo  singolare  del  sacerdote 
stante  di  prospetto  col  vaso  dell'  acqua  lustrale  nella 
d.  e  col  ramo  per  aspergerla  nella  s.  (  Florez  tav. 
XVII,  1  )  ;  tipo  che  pare  senza  meno  da  riferirsi  alle 
ceremonie  sacre  della  inaugurazione  della  colonia 
Romana  ivi  dedotta  (cf.  Mionnet  Sappi,  t.  V,  pag. 
394,  n.  702). 

La  posizione  poi  geografica  di  Cartagena  ,  meglio 
forse  che  quella  di  Tarragona,  corrisponde  alle  par- 
ticolarità indicate  dal  nostro  Floro  ,  come  chimo  si 
pare  dalla  bella  descrizione  che  ,  seguendo  Polibio , 
ne  diede  T.  Livio  (Hist.  XXVI,  42:  Polyb.  X,  10): 
Sita  Carlhago  sic  est.  Sinus  est  maris  media  fere  Hi- 
spaniae  ora,  maxime  Africo  vento  oppositvs,  et  quin- 
gentos  passus  inlrorsus  retraclus,  paulluloplus  passuum 
in  latitudìnem  patens.  Huius  in  ostio  sinus  parva  in- 
sula obiecta  ab  allo  porlum  ab  omnibus  venlis ,  prae- 
lerquam  Africo,  lutimi  facit.  Ab  inlimo  si  mi  peni  usui  a 
excurrit ,  tumulus  is  ipse,  in  quo  condita  urbs  est ,  ab 
ortu  solis  et  a  meridie  cincia  mari  ;  ab  occasu  sta- 
gnimi claudit ,  paullum  et  ad  septemtrionem  fusum  ; 
iiicertac  altitudinis  ,  uteumque  exaestuat  aut  deficit 


(1)  A  queste  parole,  quae  portarti  triumphos,  vie  meglio  ri- 
sponderebbe il  tipo  ilei  trofeo  e  del  ramo  di  palma  delle  monete 
Ispane  colle  sigle  VIC,  che  l'Eckhel  cercò  di  rivendicare  a  Car- 
tagena (  t.  I,  p.  45  ).  11  Florez  le  attribuiva  a  Celsa  ,  che  credesi 
fosse  situala  nel  luogo  che  ora  si  appella  Velilla  (  Sestini,  med. 
Isp.  p.  129  );  di  che  altri  congetturar  potrebbe,  che  Gelsa  si  co- 
gnominasse Yexillaria,  e  che  essa  l'osse  la  città  accennala  da  Flo- 
ro: ma  osta  la  situazione  di  lei  mollo  discosta  dal  littorale  ;  quando 
mai  non  si  dovesse  supporre,  che  la  nave  Belici,  sospinta  dal  vento 
sinistro  dell'  Africa,  non  trovando  altro  luogo  sicuro  ,  si  riparasse 
su  pel  fiume  Ibero.  Ostano  inoltre  gli  argomenti  dell'  Eckhel  che 
mostrano  spellare  quelle  monele  col  irofeo  assai  più  verisimilmenle 
a  Cartagena  anche  per  la  menzione  che  vi  si  fa  de'  Quinquennali, 
che  ricorrono  in  monete  certe  di  Carlhago  Nova.  In  alcune  di 
queste  leggesi  QVINQ  •  IN  V  •  I  •  N  •  K,  eh'  egli  spiega  QVINQuen- 
nalis  IN  Motrice  lulìa  Nora  Karthaginc  :  ma  che  forse  meglio 
spiegar  polrebbesi  l.NV'ic/ae,  in  riguardo  al  resister  che  fece  alle 
armi  de'  due  figliuoli  di  Pompeo  nel  709  per  mantenersi  fedele  a 
Cesare,  a  somiglianza  di  Sagunto,  che  s' intitola  INVi'cta. 


mare.  Alle  parole  di  Livio ,  sinus  maris  maxime  A- 
frico  vento  opposilus,  troppo  bene  rispondono  quelle 
di  Floro,  quos  ab  Urbis  speclaculo  Baelicam  reverten- 
les  sinister  Africae  venlus  in  hoc  littusexcusserat.  Tav- 
ragona  riesciva  forse  un  po' troppo  orientale;  e  poi 
essa  era  senza  porlo  né  rada  (Slrabo  III,  p.  1  o0 :  cf. 
Tzschucke  ad  Melae  li ,  6  ,  5  )  ;  laddove  Cartagena 
presentava  più  porli  sicuri  (Slrabo III,  p.  158).  Floro 
stava  ricreandosi  euriporum  fri  gore ,  che  può  inten- 
dersi del  fresco  prodotto  da  canali  di  acque  artefatti, 
ma  fors' anche  da  quelle  dello  stagno  vicino  a  Carta- 
gena,  quas  auget  veniens  refluusque  reciprocai  aestus 
(Silius,  Punk.  XV,  226).  Ancora  le  parole  del  Be- 
tico  amico  di  Floro,  nec  in  nostrani  Baelicam  excur- 
ris ,  assai  meglio,  che  alla  troppo  lontana  Tarragona, 
eonvengonsi  a  Cartagena  non  mollo  discosta  dai  con- 
fini della  Belica  stessa.  A  Cartagena  lodata  dolibus 
ani  uberis  (Silius,  XV,  196),  e  posta  non  mollo 
lungi  dai  colli  (Slrabo  111,  p.  158,  161  ),  ben  si  ad- 
dicono le  parole  di  Floro,  terra  ferlilis  campii  ci  ma- 
gis  collibus.  Egli  la  dice  omnium  rerum,  quae  ad  quie- 
tali eliguntur  gratissimam  ;  e  Slrabone  (I.  Hip.  158) 
chiama  Cartagena  emporio  massimo  di  tutte  le  merci 
sì  di  terra  come  di  mare. 

Ma  la  notizia  più  preziosa  per  la  illustrazione  delle 
monete  antiche  Ispane,  che  ci  venga  dal  nuovo  fram- 
mento di  Floro ,  si  è  quella  del  toro  rapitore  di  Eu- 
ropa venerato  in  una  città  della  Tarraconese  ,  e  che 
favoleggiavasi  aver  posta  sua  sede  in  quel  delizioso 
littorale.  Fra  le  monete  antiche  Ispane  assai  comune 
si  è  la  seguente,  posta  fra  le  incerte  dal  Florez  (tav. 
LV1II,  1,  pag.  659) ,  e  a  gran  torlo  trascurata  dal- 
l' Eckhel  : 

Testa  nuda  virile:  Q  •  ISC  ■  F,  L  •  QVL  F. 

)(  M  *  C  •  F ,  Europa  portata  dal  toro  corrente  e 
avente  la  coda  attorcigliata,  in  atto  di  raltenere  con 
la  d.  il  velo  suo  svolazzante ,  che  le  s' inarca  attorno 
al  capo ,  e  di  attenersi  con  la  s.  al  corno  d.  del  toro 
medesimo.  ^E-  8. 

Il  Florez  lasciò  in  incerto  ,  se  spetti  a  Calagurris 
Fibuìaria,  ovvero  a  Castulo  Felix;  ma  parrebbe  da 
preferirsi  la  spiegazione  Municìpium  Castulo  Fidele, 
oppure  Fidimi  o  Firmimi,  Ira  per  essere  sìata  Cala- 


—  68  — 


giirris  Fibularcnsìs  città  ignobile  e  stipendiarla ,  e 
percbè  il  nome  del  magistroISC  confronta  con  quello 
d'ISCER,  che  ricorre  nelle  monete  di  Castulo  stesso 
col  tipo  della  Sfinge  (1).  Ora  peraltro  che  consta  dal 
nostro  Floro,  essersi  venerato  ne'  templi  vetusti  di 
Carlhago  nova  Giove  rapitore  di  Europa,  lice  sospet- 
tare che  la  moneta  Ispana  insignita  del  tipo  di  Euro- 
pa rapita  dal  loro  spetti  a  Cartagine  stessa  ,  fondala 
da  Asdrubale  Cartaginese  ,  e  che  le  sigle  M  •  C  ■  F 
possano  spiegarsi  Municipium  CarthagoFidum ,  oYe- 
lix,  oppure  Faventia,  Fidmtia,  cognomi  noti  d'  altre 
città  della  Spagna  presso  Plinio.  Così  Cartagine  nova, 
città  insigne  del  littorale,  non  si  rimarrebbe  priva  di 
moneta  propria  autonoma  come  fece  sinora;  e 'I  tipo 
di  Europa  accennerebbe  al  suo  fondatore  di  stirpe 
Agenorea. 

A  Giove  rapitore  di  Europa  può  riferirsi  il  loro 
slanle  e  placidamente  riguardante,  che  ricorre  nelle 
monete  di  parecchie  altre  città  della  Spagna  (cf.  Ec- 
khel  t.  I  p.  40:  Caved.  Spicil.  p.  1  );  e  vie  più  ve- 
risimilmente  il  toro  corrente,  o  natante,  o  cornupe- 
ta  ,  o  col  collo  leso  in  atto  di  mugghiare  ,  o  in  atto 
di  piegare  le  zampe  anteriori  per  adagiarsi  a  terra 
(Florez  lab.  LXI,  LXIV) ,  quasi  per  esprimere  così 
ch'egli,  perduta  la  vergine  Tiria,  Hispanum  litus  a- 
damavit,  per  usare  delle  parole  del  nostro  Floro.  Nelle 
monete  di  Obulcone  (  Florez  lab.  LXIV  )  da  un  lato 
veJesi  il  loro  stante  col  pie  d.  anteriore  sospeso,  e 
dall'altro  l'aquila  di  Giove  ad  ale  aperte.  Notevole 
si  è  anche  la  particolarità  del  tenere  che  fa  la  coda 
sua  attorcigliala  [intorla,  cf.  Plin.  Vili,  77,  3) il  loro 
portante  Europa  nella  moneta  M  CF  ;  e  che  si  os- 
serva anche  nel  loro  stante  di  una  moneta  d'  Huci 
(Florez  lab.  LIV,  13),  benché  la  coda  del  loro  di  sua 
natura  pare  non  possa  ripiegarsi  a  quel  modo,  come 

(1)  L'  Eckbe!  disse  incerta  ed  enigmatica  la  ragione  del  tipo  della 
Sflnge  ricorrente  in  monete  di  Caslulone  e  di  città  della  vicina  Be- 
tica.  Siccome  la  Sfinge  è  attributo  proprio  di  Bacco  (  v.  Caved. 
Spicil-  p.  178  ),  così  congetturar  polrcbbesi  die  nelle  monete  di 
Caslulone  appelli  a  Mitico  compagno  di  Bacco,  ebe  fu  suo  primo  fon- 
da'.ore  (  Silius,  Punic.  99  ):  ma  panni  più  verisimile,  che  la  Sfin- 
ge fosse  introdotta  nella  Betiea  dalle  colonie  Fenicie,  anche  in  ri- 
guardo al  pileo  che  copre  la  testa  della  Sfinge  Ispana  del  pari  che 
quella  della  Sfinge  Asiatica  (  v.  It.  ltochelte,  Une.  Assyr.  p.  76, 
pi.  Vili  ). 


far  suole  quella  del  porco  in  islato  di  benessere  (1). 
Da  ultimo  ne  giovi  indagare  il  lempo  preciso  del 
colloquio  del  nostro  P.  Annio  Floro  coli'  erudito  suo 
amico  Betico.  Questi  dice  al  poeta  Floro  :  ne  e  in  no- 
strum Baeticam  excurris,  nec  urbem  illam  reviùs,ubi 
versus  tiri  a  lectoribus  eoncinuntur ,  et  in  foro  omni 
clarhsimus  Me  de  Dacia  triumphus  exullal  ?  Il  eh. 
Jahn  scrive  (/.  e.  p.  XLV)  :  ibi  (Tarracone)  Florum 
eliam  sub  Traiano  commoralum  esse  Dacia  triumphi, 
qui  anno  p.  dir.  101  actus  est,  commemoratio  docet. 
Hunc  triumplium  Florus  cannine  ceìebravit.  Ma,  con 
pace  del  dottissimo  uomo  ,  il  trionfo  primo  Dacico 
dee  riportarsi  all'anno  10ì,  ed  il  secondo  (più  veri- 
similmente  celebralo  da  Floro)  all'aprirsi  del  107 
(Borghesi,  Iter,  di  Burbul.  p.  20-22:  Giorn.  Arcad. 
t.  Vili,  p.  58-59).  Traiano  diede  spettacoli  gladiatorii 
e  scenici  sì  pel  primo  come  pel  secondo  suo  trionfo 
Dacico  ;  ma  quelli  del  secondo  furono  assai  più  ma- 
gnifici e  protratti  per  lo  spazio  di  ben  centovenlilre 
giorni,  o  sia  per  quattro  mesi  interi,  e  in  essi  furono 
uccise  ben  undicimila  fiere  e  pugnarono  diecimila 
glidialori  (Dio,  LXVIII,  10,  15).  Gli  è  quindi  assai 
più  probabile,  che  que' curiosi  si  movessero  dalla 
estrema  Betica  nella  contingenza  del  secondo  trionfo 
Dacico  di  Traiano,  e  si  trattenessero  in  Roma  ne' pri- 
mi quattro  mesi  del  107  ;  onde  di  ritorno  in  patria 
verso  il  mezzo  o  la  fine  di  maggio,  sospinti  dal  vento 
sinistro  dell'Africa,  approdassero  al  lido  della  Tar- 
raconesc  e  precisamente  a  Cartagine  nuova,  allorché 
cominciavano  a  farsi  sentire  i  calori  esiivi ,  sì  che 
trovassero  il  buon  Floro  che  ricreavasi  plurimarum 
arborum  amoenitale,  euriporum  [rigore,  aeris  liberiate. 
Ancora  al  secondo  trionfo  Dacico,  vie  meglio  che  al 
primo,  convengonsi  quelle  enfatiche  parole  che  Floro 
pone  in  bocca  del  suo  ospite  Betico  :  nihil  le  mocet 
lux  et  fulgor  felicis  inperi  (sic) ,  qui  in  se  rapii  alque 
converta  omnium  oculos  hominum  ac  deorum  ?  La  fi- 
gura feminile  delle  monete  di  Traiano  COS  V  stante 


(1)  Nel  vasetto  dipinto  di  Capita  rappresentante  il  ratto  di  Eu- 
ropa (  nuovo  Bull.  Kapol.  An.  Il ,  p.  116,  lav.  VII  )  il  toro  cor- 
rente ha  la  coda  distesa.  Del  resto,  quel  raro  subbietto  in  vasi  di- 
pinti forse  vuoisi  ripetere  dal  culto  di  Europa  presso  i  Corinlii 
(  Athenaeus  XIV  p.  678,  A  )  primi  autori  dell'  arte  Ggulioaria. 


—  69  — 


con  caduceo  nella  d.  e  con  cornucopia  nella  s. ,  op- 
pure in  alto  di  appoggiarsi  con  la  s.  ad  una  colonna 
(Mus.  Caes.  n.  88,  89),  può  dirsi  Felicità  secura  del 
suo  imperio,  e  troppo  ben  risponde  alle  parole  stesse 
di  Floro  lux  et  fulgor  felicis  imperii. 

C.  Cavedoni. 


BIBLIOGRAFIA 

Memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese  di  archeo- 
logia-\o\.  IV  parte  I  :  voi.  IV,  parte  II  :  voi.  VI  : 
voi.  Vii-Napoli,  nella  stamperia  regale. 

La  regale  Accademia  Ercolanese  in  questi  ultimi 
anni  è  stata  feconda  di  non  poche  pubblicazioni,  enei 
giro  di  soli  tre  anni  videro  la  luce  ben  quattro  volu- 
mi delle  sue  memorie  ;  delle  quali  non  sarà  discaro 
a'  lettori  del  bulletlino  vedere  in  questi  fogli  un  breve 
annunzio. 

Voi.  IV  parte  I  (1852) 

1 .  Illustrazione  di  un  codice  greco  palinsesto  della 
rcal  biblioteca  borbonica,  di  monsig.  Angelo  Antonio 
Scolti:  p.  1-18,  con  una  tavola  incisa. 

2.  Di  una  pittura  pompejana  rappresentante  V  A- 
gricollura  che  si  fa  guidare  dalla  Luna,  del  cav.  Ber- 
nardo Quaranta:  pag.  19-36,  con  una  tavola. 

Rappresenta  questo  pregevole  dipinto,  già  pubbli- 
cato nel  real  museo  Borbonico  v.  XII,  t.V ,  una  mulie- 
bre Ggura  alala  e  coronala  di  foglie,  la  quale  ha  corta 
tunica  e  stivaletti  di  giallo ,  e  tien  colla  sinislra  un 
ricurvo  bastone,  mentre  pende  al  sinistro  braccio  un 
azzurro  panno  ravvolto.  É  essa  in  attitudine  di  vo- 
lare,  e  le  poggia  traile  ali  un'altra  femminile  figura 
in  parie  nuda  ,  e  col  capo  coverto  di  fazzoletto  ,  la 
quale  tiene  con  la  destra  un  bianco  peplo  svolazzante 
ad  arco  sulla  lesta,  e  colla  sinistra  una  fiaccola  accesa. 

Dal  titolo  della  memoria  si  rileva  la  spiegazione 
del  eh.  autore,  il  quale  riconosce,  con  dotte  ed  inge- 
gnose ragioni,  nell'alata  figura  l'Agricoltura,  e  nel- 
l'altra la  Luna.  Noi  pertanto  opiniamo  che  nell' alala 


diviuità  debba  invece  ravvisarsi  Iride  ,  determina- 
la dal  succinto  vestimento  ,  dagli  slivalelli ,  e  dal  ba- 
stoncello (paj3oos),  che  siringe  colla  sinislra.  Né  far 
dee  maraviglia  la  forma  del  bastone  ricurvo  nella 
parte  superiore  ;  giacché  non  cangia  la  essenza  di 
quell'arnese,  che  nella  sua  significazione  s'identifica 
col  bastoncello  diritto,  ed  anche  col  caduceo,  simboli 
di  una  divinità  messaggiera,  ed  astronomica.  Deter- 
minala la  figura  d'Iride,  non  sarà  difficile  determinar 
quella  che  n  è  trasportala  ;  la  quale  dovrà  credersi 
Hcmera,  o  l'Aurora:  né  mi  sembra  necessario  citar 
confronti  ed  autorità  per  dimostrar  la  convenienza 
della  bianca  veste ,  e  della  fiaccola  accesa  ,  alla  dea 
del  giorno  e  della  luce.  La  riunione  poi  di  queste  due 
divinità  è  benissimo  immaginata  ,  essendo  ben  risa- 
puto che  Iride  ha  presso  1'  antichità  la  intelligenza  di 
messaggiera  degli  dei,  non  senza  una  stretta  relazione 
alla  luce. 

3.  //  mito  di  Talo,  d'I  cav.  F.  M.  Avellino:  pag. 
37-1 14,  con  tre  (avole  incise. 

Questo  dotlo  lavoro  fu  già  pubblicato  dal  eh.  au- 
tore negli  ultimi  periodi  della  sua  vita ,  io  un  sesto 
di  folio  grande,  esimendolo  appunto  dal  volume  delle 
memorie,  di  cui  ora  diamo  l'aununzio,  e  che  trova- 
tasi in  corso  di  stampa. 

Nella  prima  parte  trattasi  il  mito  del  Cretese  Talos, 
con  una  lunga  discussione  de'  luoghi  degli  antichi 
scrittori,  che  favellarono  di  quel  famigerato  figliuolo 
di  Crete.  Nella  seconda  parie  si  occupa  l'a.  de'  varii 
monumenti  che  allo  slesso  si  riferiscono.  Parla  da  pri- 
ma delle  monete  di  Phaeslus,  illustre  città  di  Creta , 
adottando  la  spiegazione  del  celebre  numismatico  di 
Modena  prof.  Cavedoni,  il  quale  nell' uomo  nudo  ed 
alato  con  ali  e  braccia  aperle  ,  dimostrò  essere  effi- 
gialo Talo  custode  dell'isola  di  Creta  (annali  deliist. 
1835  p.  154  e  s.).  Ricorda  in  seguilo  il  famoso  spec- 
chio coli' alato  fanciullo  denominato  EPEVR  fralle 
braccia  di  Ercole  (mon.  dell'  ist.  tom.  II  tav.  6  ),  ri- 
ferito allo  slesso  Talo  dal  eh.  Cavedoni  ;  e  mette  in 
dubbio  tulle  le  differenti  opinioni  finora  proposte  su 
quel  difficilissimo  monumeuto.  La  più  interessante 
discussione  archeologica  di  questa  seconda  parte  della 
memoria  concerne  ilclassico  vaso  colla  morie  di  Talo, 


—  70 


principale  ornamento  della  collezione  Jatla  in  Ruvo, 
e  del  quale  già  lo  stesso  Avellino  aveva  fatta  la  pub- 
blicazione nel  suo  bullettino  archeologico  an.  Ili  tav. 
II.  e  VI  ;  an.  IV.  tav.  VI.  Ora  nel  presente  volume 
delle  memorie  dell'  Accademia  quelle  tre  tavole  sono 
ripetute  a  confronto  dell'ampia  e  dotta  illustrazione; 
la  quale  offre  la  dimostrazione  delle  cose  brevemente 
annunziate  nel  citato  bullettino  an.IVpag.  137-139. 
Tutte  le  particolarità  di  quel  prezioso  monumento 
dell'arte  ceramica,  e  quelle  di  ciascuna  figura  sono 
minutamente  illustrate  :  e  noi  non  intendiamo  di  far 
rilevare  le  numerose  osservazioni  sparse  principal- 
mente nelle  note.  Solo  vogliamo  avvertire  che  il  eh. 
Cavedoni  presentò  alcune  osservazioni  sul  classico 
vaso  della  collezione  Jalta  neìbulletl.  archeologico  na- 
politano an.  V  p.  57  ;  e  che  il  eh.  cav.  Panof ka  nel 
ripubblicare  questo  pregevolissimo  monumento  ,  vi 
fece  alcune  nuove  osservazioni  nell'  Archaeologische 
Zeitung  di  Berlino  (an.  Ili  Beilàge  pag.  196;  ed  an. 
IV  p.  315  seg.,  ove  si  pubblica  il  vaso  tav.  XLìV, 
XLV).  Posteriormente  lo  slesso  archeologo  compì  la 
detta  pubblicazione  riproducendo  un'  altra  parte  del 
vaso  nell'  anno  VI  di  quel  dotto  giornale  tav.  XXIV, 
e  facendo  alcune  giunte  alla  sua  illustrazione  p.  369 
seg.  Altri  lavori  sopra  i  monumenti  di  Talo  furono 
presentati  dal  Bergk  nella  stessa  gazzetta  archeologica 
di  Berlino  an.  VI  p.  48,  e  dal  eh.  Meiklin  die  Talos- 
sage  Petersb.  1851  in  4.  Vedi  pure  come  parla  bre- 
vemente di  questo  bellissimo  monumento  il  eh.  Jaha 
nella  sua  recentissima  dotta  opera  Bcschreibung  der 
Vasensammlung  Kónig  Ludwig*  in  der  Pinakotek  zu 
Miinchen,  Einleilung  p.  XLI-II  not.  241.  Il  cav.  A- 
vellino  chiude  la  sua  memoria  con  una  particolare 
discussione  sulla  origine  del  mito  di  Talo,  nel  quale 
egli  riconosce  con  molli  moderni  mitografi  una  par- 
ticolar  personificazione  del  Sole.  E  propone  una  sua 
conghiettura  a  spiegare  come  possa  a  questo  senso 
adattarsi  la  morte  che  a  luì  si  fin^e  data  da  Medea. 
Egli  riconosce  in  Medea  una  divinila  lunare,  e  quindi 
ctonia,  la  quale  estinguendo  la  luce  solare ,  covra  di 
tenebre  la  terra  già  prima  da  quella  luce  allegrata. 
Noi  ci  asteniamo  di  qualunque  esame  di  questa  opi- 
nione del  dottissimo  autore;  giacché  non  è  nostro  in- 


tendimento di  esporre  proprie  ricerche ,  ma  solo  di 
annunziar  quelle  che  si  leggono  in  questi  varii  volu- 
mi delle  memorie  ercolanesi.  Torneremo  poi  con  par- 
ticolari articoli  sopra  varii  punti ,  che  meritano  un 
più  accurato  esame. 

4.  /  funerali  di  Archemoro  rappresentali  sopra  un 
vaso  greco  di  creta  pitturata  del  r.  ìnuseo  Borbonico  : 
del  cav.  Bernardo  Quaranta,  pag.  115-201  con  tre 
tavole  incise  in  rame. 

Il  eh.  autore  con  questa  lunga  ed  elaborata  memo- 
ria presenta  la  illustrazione  di  un  vaso  ormai  celebre, 
e  più  volte  pubblicato  in  Napoli  e  fuori.  (Annali  civili 
delle  due  Sicilie  voi.  XV;  Inghirami  vasi  fittili  tav. 
CCCLXXI-CCCLXXIII:  Gargiulo  raccogli,  43-46: 
nouvelles  annales  de  V  Institut  tav.  V,  VI  :  Gerhard 
Archemoros  und  die  Hesperiden,  Beri.  1838,  in  4). 
Ora  cominciamo  dall'  avvertire  che  la  pubblicazione 
dell'Accademia  Ereolnnese  è  la  più  esatta  e  diligen- 
temente eseguila  ;  giacché  il  disegno  ne  fu  tratto  dall' 
originale  già  spogliato  de' moderni  restauri,  dall'e- 
gregio artista  sig.  Andrea  Russo.  E  perciò  non  vedesi 
riprodotta  che  tutta  la  parte  aulica,  laddove  in  altre 
precedenti  pubblicazioni,  non  attendendosi  a'restauri, 
si  erano  accolte  come  antiche  varie  figure  quasi  to- 
talmente moderne.  E  sebbene  già  altra  volta  avessi 
li  occasione  di  notar  queste  inesattezze  delle  prece- 
denti pubblicazioni  (bull.  arch.  nnp.  ant.  serie  an.  II 
p.  93);  pure  riescir  dee  assai  gradevole  vederne  una 
novella  ripetizione  ,  sulla  quale  può  ciascun  archeo- 
logo istituire  le  sue  ricerche  noi  altrimenti  che  sul!" 
originale. 

L'a.  si  fa  ad  illustrare  tutte  le  particolarità  delle 
varie  rappresentazioni  che  adornano  questo  prezioso 
monumento;  e  noi  avremmo  a  dilungarci  troppo,  se 
volessimo  qui  rapportare  tutte  le  sue  osservazioni  e 
ricerche.  Diremo  solo  che  ,  in  quanto  alla  prima 
faccia  del  vaso,  comincia  dal  rammentare  le  tradizioni 
relative  al  mito  del  fanciullino  Ofelte;  e  poscia  favella 
brevemente  degli  scrittoli  delle  cose  tebane.  Passa 
in  seguito  ad  illustrare  i  funebri  riti,  che  bellamente 
ci  si  offrono  nel  primo  piano  di  questa  nobilissima 
dipintura  :  e  ragiona  pure  delle  figure  di  eroi  e  di 
divinità  ,  che  si  ammirano  nell'ordine  superiore. 


—  Tl- 


Si  ferma  poi  a  discorrere  della  gara  di  Enomao  e 
di  Pelope,  che  fregia  il  collo  del  vaso;  e  della  Sirena 
tra' fiori,  alla  quale  dottamente  attribuisce  una  fune- 
bre intelligenza;  sebbene  sia  di  opiuione  che  nel  vaso 
del  real  museo  sia  messa  a  celebrar  col  canto  e  co' 
fragorosi  cembali  la  vittoria  di  Pelope.  Notevoli  sono 
le  idee  proposte  dall'  autore  intorno  agli  ornamenti 
de' manichi,  che  pur  richiama  a  funebre  significalo  , 
riconoscendo  nelle  protome  a  bassorilievo  le  telemi- 
strie,  e  nelle  teste  di  cigno  una  funebre  allusione ,  a- 
vuto  riguardo  al  canto  di  quell'  augello,  che  fu  cre- 
duto annunziarne  la  morte.  Noi  parlammo  più  volte 
di  questi  ornamenti  ;  ed  ultimamente  ancora  qui  so- 
pra pag.  62,  ove  potranno  rilevarsi  le  nostre  idee  , 
alquanto  diverse  da  quelle  del  eh.  autore.  Il  cav.  Qua- 
ranta nell'  alata  donna  che  termina  in  fogliame,  ed  è 
circondata  da  complicate  ramificazioni  con  fiori  ,  ri- 
conosce una  delle  Ore  Thaìlo  <dctXkw  la  compagna  di 
Carpo  K*p7rw,  la  quale  come  regina  de' fiori,  fu  ca- 
gione alla  morte  di  Ofelte,  e  perciò  trovasi,  secondo 
l' autore,  in  rapporto  con  la  principale  rappresentanza 
di  questo  maraviglioso  monumento.  Ragiona  poi  dell' 
altra  faccia  del  vaso,  ove  è  Atlante  Ercole  e  le  Espe- 
ridi. A  questo  proposito  l'a.  osserva  che  il  gesto  detto 
comunemente  infesto  pollice,  che  tanto  frequentemente 
s'incontra  ne' vasi  di  Puglia,  e  sì  spesso  altresì  in  que- 
sto di  Archemoro,  sia  destinato  ad  indicare  un  con- 
citalo discorso,  indirizzato  a  persuader  con  forza  chi 
ascolta.  Da  ullimo  parla  della  bacchica  scena ,  che 
sul  collo  da  questa  parte  si  mira.  E  chiude  la  me- 
moria sostenendo  che  il  vaso  debba  credersi  dalo  in 
premio  a  qualche  vincitore  ne' giuochi  Nemei.  Trae 
l'a.  questa  conclusione  dall'esame  di  tulle  le  varie 
figure,  che  repula  fra  lor  collegate  ad  uno  scopo  co- 
mune. Egli  le  considera  in  due  ordini,  uno  di  letizia 
ed  un  allro  di  ludo  ;  a  suo  giudizio,  appartengono  al 
secondo  Archemoro  ,  Euridice,  Issipile,  Giove,  Ne- 
mea,  i  cigni,  le  Telemistrie;  al  primo  Pelope  vinci- 
tore, Atlante,  l'Esperidi,  Ercole,  Espero  ed  il  Sole, 
la  Sirena  ,  la  Stagione  ,  la  lepre  fuggente  ,  le  belve 
che  s' inseguono  ,  e  Bacco  ed  Ariauna  accompagnali 
da' festivi  Satiri.  Così  del  pari  va  considerato  il  milo 
di  Archemoro ,  che  nella  sua  origine  è  funebre,  ma 


che  dando  causa  alla  istituzione  dei  giuochi  Nemei , 
fu  causa  della  clamorosa  letizia  prodotta  da' ludi ,  e 
principalmente  dalla  corsa  de1  carri  :  il  che  giudica 
accennarsi  dalla  gara  di  Pelope  e  di  Enomao,  che  si 
vede  sul  collo  del  vaso.  Osserva  pure  che  tutti  gli 
eroi  principali  messi  in  iscena  hanno  più  o  men  vi- 
cino rapporlo  co'  giuochi  Nemei ,  e  perciò  possono 
considerarsi  come  precursori  del  possessore  del  vaso; 
e  le  loro  gloriose  gesta  quasi  un  confronto  con  quelle 
del  loro  imitatore.  Riferisce  alla  stessa  idea  la  bac- 
chica scena,  quasi  allusiva  a' lieti  Iripudii  di  un  via- 
cilore.  Ma  queste  ed  altre  osservazioni  del  eli.  autore 
saran  meglio  rilevale  dalla  lettura  della  memoria  , 
alla  quale  rimandiamo  i  lettori  del  bullellino.  Olirà 
le  cose  dottamente  discorse  dall'  autore ,  e  dal  eh. 
cav.  Gerhard,  molli  parlarono  di  questo  vaso ,  e  ne 
illustrarono  le  varie  particolarità.  E  noi  pure  avem- 
mo più  volle  la  occasioue  di  parlare  de' differenti  sog- 
getti, di  che  si  vede  adorno.  Così,  principalmente  per 
quanto  concerne  al  soggetto  di  Archemoro ,  non  po- 
che osservazioni  avemmo  la  occasione  di  presentare 
nel  bullonino  archeologico  napolitano  antica  serie  an. 
II  p.  92  segg.  ;  ed  anno  VI  pag.  63  e  seg.  Inquanto 
al  soggetto  di  Atlante  dicemmo  alcuna  cosa  nel  cit. 
bullett.  an.  IV  p.  105,  e  nel  Mieli,  dell' hi.  1843p. 
119  seg.  È  poi  risaputo  che  la  figura  sola  di  Atlante 
fu  ripetuta  dal  Raoul-Rochetle  nella  tavola  annessa 
alla  sua  memoria  sur  lesreprés"ntalionsdupersonnage 
d' Alias.  Sulla  gara  di  Pelope  discorremmo  nel  cit. 
an.  VI  del  bull.  p.  66,  eoe''  monumenti  inedili  di  Ba- 
rone toni.  I  pag.  31  seg.  ;  ed  è  pur  da  leggere  quel 
che  ha  scritto  recentemente  il  sig.  Papasliotis  in  un 
dolio  articolo  sopra  i  monumenti  di  Pelope,  inserito 
nell'arca.  Zeilung  del  eh.  Gerhard  per  l'anno  1853 
p.33  e  s.  :  vedi  sul  vaso  del  real  museo  la  p.  56-57. 
Ora  vogliamo  pure  aggiungere  che  il  vaso  trovasi  nuo- 
vamente pubblicato  in  parie  dal  eh.  Overbeck  (Gallerie 
Heroischer  Bildicerke  der  alien  Kunst  tav.  Ili  n.  3).  E 
sebbene  non  han  polulo  evitarsi  le  inesattezze  delle  più 
antiche  pubblicazioni,  pure  merita  di  esser  letto  ciò  che 
si  dice  di  esso  a  pag.  114-119:  e  sopra  i  vari  monu- 
menti rappresentanti  il  mito  di  Archemoro  vedi  ivi 
pag.  107  segg. 


—  72  — 


5.  Dell'  uso  de'  sotterranei  anfiteatrali,  di  Giacomo 
Rucca  :  p.  203-237. 

11  nostro  eli.  collega  prende  le  mosse  a  cominciar 
la  sua  trattazione  dalla  importante  scoperta  delle  so- 
struzioni dell' anfiteatro  Campano.  Dopo  aver  dato  un 
rapido  sguardo  sull'  arena  di  questo  grandioso  edili- 
zio, e  dopo  aver  rilevato  che  dai  sotterranei  larghi , 
solidi,  eleganti  si  avessero  quattro  spaziose  uscite  al 
di  fuori ,  esamina  a  qual  uso  abbiano  potuto  esser 
destinati.  Rifiuta  la  idea  di  cloache,  e  conchiude  che 
le  magnifiche  sostruzioni  sieno  interamente  ed  esclu- 
sivamente ad  uso  degli  spettacoli.  In  questa  idea,  rite- 
nendo che  tutto  dal  fondo  dell'ipogeo  salisse  in  sull' 
arena  ,  enumera  i  vari  spettacoli  maraviglisi  degli 
anfiteatri.  Tali  sono  la  pioggia  di  croco  ;  le  nauma- 
chie, e  le  cacce  in  acqua  di  animali  acquatici  e  terre- 
stri, e  talvolta  le  marine  Ninfe  in  variate  occupazio- 
ni. Avverte  l'a.  che  l'uso  frequente  de' sotterranei 
anfiteatrali  era  quello  di  servire  a  costruire  e  custo- 
dire le  macchine  ,  che  produceano  tutto  il  mirabile 
degli  spettacoli:  e  finalmente  di  tener  raccolte  ed  am- 
massate le  fiere  ,  eh'  erano  talvolta  numerosissime  ; 
senza  tacere  de' gladiatori,  che  veniano  sì  di  sovente 
a  conflitto  con  le  formidabili  bestie.  Tutte  queste  dif- 
ferenti cose  illustra  l' a.  con  sufficiente  numero  di  an- 
tiche autorità. 

G.  Su  l' ipogeo  dell'  anfiteatro  puteolano;  dello  stesso 
p.  239-252. 

Iu  questo  lavoro  1'  a.  paragona  le  sostruzioni  di 
parecchi  anfiteatri,  e  principalmente  del  Campano  col 
Puleolano  :  dal  quale  confronto  ricava  la  superiorità 
del  primo.  Con  questa  occasione  osserva  l'autore  in- 
contrarsi nelle  sostruzioni  dell'  anfiteatro  di  Pozzuoli 
una  conferma  alla  opinione  ,  che  ne  stabilisce  1'  uso 
per  servire  agli  spettacoli  :  e  solo  osserva  che  la  Nau- 
machia non  era  possibile  nell'anfiteatro  puleolano  ;  nel 
che  è  a  riputarsi  da  meno  del  Campano  e  del  Roma- 
no. Noi  avremmo  potuto  ricavare  dalla  memoria  del 
eh.  Rucca  tutte  le  notizie  ,  che  vi  si  trovano  sparse 
sull'anfiteatro  di  Pozzuoli;  ma  ce  ne  siamo  astenuti, 
perchè  intendiamo  ili  presentare  una  piena  descrizione 


e  dilucidazione  di  quell'interessante  edifizio,  accoppian- 
dovi i  corrispondenti  disegni  :  il  che  probabilmente  ci 
sarà  conceduto  di  fare  nel  quarto  anno  del  bullettino. 

7.  Dichiarazione  di  un  luogo  oscuro  delle  epistole 
di  Cicerone,  del  cav.  de  Cesare  :  pag.  253-257. 

II.  cav.  de  Cesare  chiama  ad  esame  un  luogo  di 
una  dell'epistole  di  Cicerone  diretta  ad  M.  Marium 
et  ceteros ,  ove  il  sommo  oratore  dice  al  suo  amico  : 
ex  quo  libi  Slabianum  perforasti,  patefecisti  Seianum 
etc.  (ad  div.  lib.  VII  ep.  1).  Dopo  aver  notato  alcune 
opinioni  de' dotti,  i  quali  intesero  quel  passaggio  va- 
riamente ,  e  variamente  tramutarono  la  parola  Seia- 
num, l'a.  si  oppone  alla  interpretazione  del  sig.  Cor- 
eia,  il  quale  pensar  volea  alla  così  detta  grotta  di  Seia- 
no.  Invece  il  cav.  de  Cesare  osserva  che  il  Seianum 
ritrovar  dovrebbesi  accanto  allo  Slabianum;  e  difalti 
ricorda  un  borgo  o  casale  sotto  il  monte  di  Vico  E- 
quense  appellato  propriamente  Sciano:  e  crede  chea 
questo  appunto  alludesse  il  latino  scrittore. 

8.  Illustrazione  di  un  vaso  ruvese  del  real  museo 
Borbonico:  di  Giulio  Minervini:  pag.  259-283  ,  con 
due  tavole  incise. 

La  memoria  concerne  ad  un  vaso  già  conosciuto 
per  precedenti  pubblicazioni  (mon.  deli  hi.  voi.  II 
tav.  XXXVI-XXXVII  ;  Inghirami  vasi  fittili  tav. 
CCCXXX1II  ,  CCCXXXIV  ;  de  Witle  e  Lenormant 
élite  des  mon.  céram.  voi.  II  tav.  LXXV).  Ora  nel  vo- 
lume dell'  Accademia  presentasi  più  esattamente  ri- 
prodotto il  monumento ,  non  solo  in  quanto  alle  fi- 
gure ,  ma  altresì  per  le  epigrafi ,  le  quali  erano  mal 
collocate  ed  erronee.  Noteremo  tra  esse  la  Musa  U- 
rania  additata  dal  suo  nome  OPANIHX;  mentre  da 
tutti  gli  altri  che  ne  parlarono  era  stata  letta  OPA- 
riES:  il  che  vogliamo  qui  particolarmente  citare; 
perchè  quella  determinazione  iuesatta  trasse  in  equi- 
voco i  chiarissimi  descrittori  del  museo  britannico ,  i 
quali  in  molte  Ggure  furono  tratti  a  ravvisare  una 
fiaccante  Oragie  (  a  calalogue  of  the  Greek  and  Etru- 
scan  vases  in  the  British  Museum  n.  813,  816,  861, 
863,  920,  977). 

(continua)  Minervini. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catakeo. 


BILLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  60.     (10.  dell'annoili.) 


Dicembre  1854. 


Insigne  vaso  etmano  con  figure  a  rilievo,  del  zig.  Marchese  Campana  in  Roma. — Alessandrini  in  Pompei ,  e 
loro  sepolture.  Supplemento  all'  articolo  contenuto  nel  numero  58. — Bibliografia. 


Insigne  vaso  cumano  con  figure  a  rilievo ,  del  signor 
Marchese  Campana  in  Roma. 


Questo  mngnifico,  e  quasi  dirci  unico  monumento, 
al  quale  accenniamo,  fu  rinvenuto  verso  la  fine  dell' 
anno  1853  in  un  sepolcro  dell'antica  Cuma  ,  che  da 
poco  tempo  a  questa  parte  si  mostrò  feconda  di  ma- 
ravigliose  novità  in  fatto  di  archeologia.  Io  ebbi  la 
fortuna  di  ammirare  questo  classico  pezzo  presso  il 
negoziante  di  antichità  sig.  Raffaele  Barone  :  e  pochi 
giorni  dopo  seppi  dal  mio  eh.  amico  Raoul-Rochelle, 
che  il  vaso  era  ilo  ad  accrescere  le  grandi  collezioni 
dell'  egregio  sig.  Marchese  Campana.  Non  tardai  al- 
lora a  rivolgermi  alla  nota  cortesia  di  questo  nobile 
uomo  :  ed  ottenni  da  lui  la  generosa  profferta  di  far 
pubblicare  la  prima  volta  in  Napoli  uno  de'  più  no- 
tevoli prodotti  archeologici  del  suolo  napolitano.  Ed 
in  fatti,  appena  le  sue  molliplici  occupazioni  gli  die- 
dero agio  di  rivolgere  il  pensiero  all'  attuazione  della 
sua  promessa  ,  la  compì  gentilmente ,  inviandomi  il 
tanto  bramato  disegno  eseguito  dall'  egregio  scultore 
romano  signor  Menghini.  È  questo  che  io  presento 
inciso  nella  tav.  VI  di  questo  anno  del  bullettino  :  e 
pria  di  cominciare  a  dir  brevemente  di  questo  pre- 
zioso avanzo  dell'antica  arte  ceramica,  mi  corre  l'ob- 
bligo di  render  pubbliche  grazie  al  nobile  possessore, 
per  la  sua  grandissima  cortesia  di  preferire  un  ar- 
cheologo napolitano  nel  far  conoscere  un  acquisto 
tanto  interessante  alla  scienza.  Egli  si  abbia  in  que- 
sti fogli  un  durevole  attestato  della  mia  più  viva  ri- 
conoscenza. Non  sarà  intanto  discaro  che  noi  ripro- 
duciamo poche  parole  dell'  insigne  archeologo  fran- 
AHfiO  ni. 


cese  innanzi  citalo  ,  le  quali  furono  già  pubblicate 
nella  gazzetta  archeologica  di  Berlino  ;  e  che  servi- 
ranno pure  a  dare  una  idea  di  ciò  che  non  ci  è  dalo 
finora  di  esprimere  nella  nostra  tavola  ;  sebbene  ci 
proponiamo  di  ripetere  la  pubblicazione  del  monu- 
mento co' colori  e  colle  dorature,  affin  di  presentare 
tulle  le  particolarità  dell'originale.  Ecco  le  parole 
del  Raoul-Rochette  ,  il  quale  dando  la  notizia  de' 
preziosi  monumenti  cumani  recentemente  acquistali 
dal  Marchese  Campana,  parla  del  nostro  vaso  in  tal 
guisa.  «  Nel  numero  di  questi  oggetti  vi  è  un  vaso , 
eh' è  uuico  al  mondo  per  la  bellezza  della  fabbrica  , 
e  per  una  circostanza,  finora  senza  esempio ,  che  lo 
rende  il  monumento  forse  più  prezioso  della  greca 
ceramica  giunto  sino  a  noi.  È  un  vaso  di  grandissi- 
me proporzioni,  a  tre  manichi,  con  vernice  nera,  la 
più  fina  e  brillante  che  possa  vedersi  ;  è  ornato  a 
varie  altezze,  di  fregi  scolpiti  in  terra  colla  e  dorati; 
ma  ciò  che  gli  attribuisce  un  valore  inestimabile  ,  è 
un  fregio  di  figure,  da  4  a  5  pollici  di  altezza,  scol- 
pite in  bassorilievo  ,  con  le  teste  ,  i  piedi ,  e  le  mani 
dorate ,  e  gli  abiti  dipinti  di  vivaci  colori ,  azzurri  , 
rossi,  verdi,  del  più  bello  stile  greco,  che  possa  im- 
maginarsi. Molte  leste,  da  cui  l'oro  si  è  distaccalo, 
lasciano  vedere  le  parti  modellate,  in  modo  così  de- 
licato e  finito  ,  come  nel  più  bel  cammeo  antico.  In 
breve,  è  una  maraviglia,  a  cui  nulla  io  conosco  da 
potersi  paragonare  etc.  »  (  archaeol.  Zeitung,  arch. 
Anzeig.  Febr.  und  Marz  1854  p.434).  Tulli  coloro, 
che  han  potuto  osservare  l' originale,  non  troveranno 
esagerate  le  lodi  dell'  archeologo  francese ,  e  si  spie- 
gheranno facilmente  l' entusiasmo,  da  cui  si  mostra 
animato.  Abbeuchè  offriamo  la  incisione  del  monu~ 

10 


inculo,  riesce  però  necessaria  una  descrizione  ,  per- 
chè si  rilevi  la  varietà  de'  colori  e  delle  dorature  in 
ciascuna  figura ,  ovvero  in  ciascuno  oggetto ,  che 
nelle  vario  parti  del  vaso  si  osservano.  L'  orlo  supe- 
riore del  vaso,  gli  ovoli  che  ne  adornano  il  lemho 
esteriore,  e  la  ghirlanda  che  ne  circonda  il  collo  sono 
dorali.  In  quaulo  alla  magnifica  ed  interessante  com- 
posizione di  dieci  figure,  ritenendo  che  la  carnagione 
in  tutte  è  dorata,  ci  limiteremo  ad  indicare  le  altre 
particolarità,  che  concernono  a  ciascuna,  comincian- 
do dalla  sinistra  de' riguardanti.  La  prima  femminile 
figura,  sedente  sopra  un  hianco  sedile,  ha  bianca  tu- 
nica orlala  di  oro,  e  tien  colla  sinistra  Io  scettro  ,  il 
cui  superiore  ornamento  è  parimente  dorato.  La  se- 
conda figura  ha  rossa  tunica,  alla  quale  si  sovrappo- 
ne una  clamide  bianca,  come  gli  stivaletti  :  la  grande 
fiaccola  che  tiene  colla  destra  è  dorata.  La  terza  in 
tutta  la  persona,  e  negli  accessorii  che  la  circondano 
è  affatto  dorala  ,  insieme  coli'  alata  biga  di  serpenti , 
ov'è  collocato.  La  donna  seguente  ha  bianca  tunica 
orlata  di  oro,  stretta  ne' lombi  da  aurea  cintura:  ella 
si  appoggia  col  sinistro  gomito  ad  una  bianca  colon- 
netta, sopra  di  cui  si  eleva  un  aureo  tripode,  e  tiene 
colla  sinistra  un  dorato  tirso  :  la  clamide  raggruppata 
presso  la  colonna  è  azzurra.  Vien  poi  uu'  altra  divi- 
nità sedente  sopra  un  rosso  sedile  :  la  tunica  in  parte 
bianca  ha  pure  orli  dorati;  ed  è  altresì  doralo  lo  scet- 
tro :  gli  oggetti  che  veggonsi  al  suolo  sono  pure  do- 
rali. Nella  seguente  figura  pare  che  la  doratura  ri- 
vestisse anche  tulio,  non  escluse  le  vesti  e  la  fiaccola. 
Si  osserva  poi  un  giovine  con  clamide  rossa  ;  mentre 
dorali  sono  gli  oggetti,  ch'ei  reca  con  ambe  le  mani. 
La  figura  di  Pallade  ha  vesle  in  parte  bianca  in  parte 
dorala,  e  siede  sopra  azzurro  sedile.  Nella  nona  fi- 
gura con  doppia  face  tutto  è  dorato ,  tranne  la  rossa 
clamide:  e  lo  stesso  è  a  dirsi  dell'  ultima,  se  n'eccet- 
tui la  bianca  veste,  ed  il  rosso  sedile.  Gli  animali  che 
veggonsi  in  giro  nella  fascia,  che  interrompe  le  bac- 
cellature, son  tutti  a  bassorilievo,  e  dorati.  L'altezza 
del  vaso  è  palmi  2,  b. 

Per  quel  che  concerne  alla  parte  tecnica  di  questo 
prezioso  monumento  fa  duopo  avvertire  che  già  si 
conoscono  non  pochi  esempli  di  dorature,  e  dell'uso 


di  differenti  colori  ne'  vasi  dipinti.  Noi  ne  citammo 
altra  volta  parlando  di  un  elegante  vasellino  ruvese 
della  collezione  Jatta,ove  le  ali  degli  Amori  sono  do- 
rate (  descriz.  della  collez.  Jatta  pag.  34  e  segg.  ). 
Non  mancammo  allora  di  richiamare  le  osservazioni 
del  Raoul-Rochetle,  che  nelle  dorature ,  e  negli  ac- 
cessorii di  differenti  colori,  riconosceva  un  tratto  di 
fabbrica  attica,  ricordando  il  bel  vasellino  di  Pantica- 
peo  col  nome  di  un  artista  Ateniese  (leltr.  à  mons. 
Schom  p.  63  sec.  edizione  ). 

E  per  quanto  concerne  a  questi  differenti  colori , 
il  cav.  Avellino,  citando  i  rari  esempli  di  somigliante 
maniera,  ebbe  avvertito  che  simili  lavori  ricordano 
quo'  xscouua.....  xzxr,poy[.a.<$rl!XiY!X.  XfwiA<xGi  7r»vTOio/5, 
de' quali  è  menzione  in  Callisseno,  presso  Ateneo  (lib. 
V.  p.  200  Dalech.  ).  Vedi  il  mito  di  Talo  nelle  me- 
mor.  della  reg.  accad.  Ercolanese  voi.  IV  pari.  I  p. 
77.  Non  sono  neppure  nuovi,  specialmente  nella  Pu- 
glia e  nella  Basilicata,  i  vasi  con  bassirilievi  :  ed  al- 
cuni assai  notevoli ,  provenienti  da  Armento  ,  ne  fu- 
rono descritti  da  Avellino  (  Btdlelt.  nap.  an.  II  pag. 
73  segg.  ).  Sulla  qual  classe  di  vasi  ha  detto  pure  al- 
cuna cosa  il  eh.  Jahn  (Beschreibung  der  Vasensamm- 
lung  Konlg  Ludwigs  der  Pinakolek  zu  Miinchen,  Ein- 
leilung  pag.  CCXIX  not.  1394)  citando  quel  che 
fu  detlo  dal  Raoul-Rochelte  anche  sul  nostro  classico 
vaso  di  Guma.  Soltanto  noi  vogliamo  qui  fare  una 
particolare  avvertenza:  ed  è  che  il  monumento  del 
Sig.  Marchese  Campana,  principalmente  per  1'  aurea 
ghirlanda  che  ne  fregia  il  collo,  e  perle  dorature  del- 
l' esterno  lembo,  e  degli  ovoli,  che  adornano  la  parte 
superiore ,  merita  di  esser  paragonato  col  vasellame 
tulio  di  nero  con  isvariati  ornamenti  dorati ,  rinve- 
nulo  in  un  sepolcro  della  medesima  Cuma;  e  di  cui 
fu  da  noi  data  notizia  nel  1  anno  di  questo  bulleltino 
(  pag.  103  e  165  ).  Né  vogliamo  mancar  di  avver- 
tire che  la  stessa  maniera  di  vasi  neri  con  ornamenti 
dorati  venne  Cuora  dalle  tombe  di  Capua;  siccome  fu 
da  noi  precedentemente  osservato  (  bull.  arch.  nap. 
nuova  ser.  an.  II.  p.  178).  La  notevole  particolarità 
nel  vaso  del  sig.  Marchese  Campana  ,  quello  che  al 
dire  del  Raoul-Rochelte ,  lo  rende  unico  nel  suo  ge- 
nere, è  appunto  la  doratura  in  tutte  le  carnagioni  , 


mentre  gli  accessorii  si  veggono  di  differenti  colori. 

Questa  circostanza  può  avere  una  plausibile  spie- 
gazione coli' immaginare  aver  voluto  l'artista  presen- 
tarci una  imitazione  de' lavori  ad  empaestica,  coli' of- 
frire auree  figure  in  parte  rivestile  di  smallo,  che  fos- 
sero quasi  incastrate  in  un  vaso  di  men  nobile  male- 
ria.  Questa  imitazione  in  terracotta  di  preziosi  oggetti 
di  oro  è  frequente  ad  incontrarsi  ne'  sepolcri  delle  no- 
stre regioni,  ove  appariscono  di  sovente  collane  ed 
altri  ornamenti  in  terracolla  dorata.  Dal  che  noi  tra- 
emmo altra  volta  che  fossero  destinale  appunto  a  ser- 
vir di  ornamento  alla  tomba,  senza  che  fosso  molto 
grave  la  spesa  del  loro  acquisto.  (  Vedi  il  bulletlino 
arch.  nap.  di  Avellino  an.  VI  pag.  85). 

Venendo  ora  a  dir  qualche  cosa  della  ricca  ed  e- 
legante  composizione,  die  rende  prezioso  il  vaso  di 
Cuma,  avvertiamo,  che  lutto  il  dipiuto  si  rapporta 
a'  misterii  eleusini!. 

Questo  soggetto  non  è  nuovo  a  vedersi  ne'  vasi  del- 
la medesima  località  :  ed  uno  di  bellissimo  disegno  e 
di  accuratissima  fattura  ne  fu  pubblicala  dall'  Avelli- 
no nel  primo  anno  del  suo  bulleltino  (  lav.  I.  pag.  6 
cf.  Schulz  bullelt.  dell'  Itisi.  1842  pag.  9,  e  Gerhard 
arch.  Zeitung  1843  p.  lo)  (1).  Vedi  Tritlolemo  nel 
suo  alato  carro  tiralo  da  serpenti,  siccome  compari- 
sce in  altri  monumenti:  e  solo  rimane  alquanto  dub- 
bioso se  nel  vaso  di  Cuma  le  ali  appartengano  al  car- 
ro medesimo ,  ovvero  agli  animali ,  che  vi  sono  at- 
taccali. È  poi  noto  che  questa  ultima  foggia  di  carro 
vedesi  in  altri  non  pochi  monumenti  ;  come  in  un 
bel  cammeo  del  gabinetto  di  Parigi  (mém.  de  l'Acadé- 
nùe  des  inscr.  I,  276;  Millin  </a/Vr.  mylhol.pl.XLYllì, 
220;  de  Guigniaut  relig.  de  V  ant.  pl.CXLlV,  547), 
nelle  medaglie  di  Atene  (Haym  thes.  brilann.  lom.  I  p. 
186  seg.  tab.  XVII,  2),  e  di  Nicea  o  di  Alessandria 
(Mionnet  dcsc.  dcs  med.  anc.  voi.  II  p.  454  ;  voi.  VI  p. 
116  s.  ).  Questi  monumenti  veggonsi  citati  dal  eh. 
lloulez  (mclanges  fascili,  4.  p.3  not.3),  il  quale  riferi- 


sce pure  altre  varietà  del  carro  di  Tritlolemo: cf.  pure 
il  de  Guigniaut  rei.  de  l'ani.,  notes  du  livre  huit.f.  1 23  i . 
A  tal  proposito  ricordo  che  Tzetze  nel  suo  commen- 
to ad  Esiodo  in  tal  guisa  descrive  il  carro  del  giovi- 
ne Ateniese:  xoù  imcuirùv  %.pi/.v.  òpxx<jvrwv  (ad  Ile— 
siod.  pag.  m.  35.  36);  riportandosi  certamente  alle 
antiche  tradizioni  concernenti  a  quel  mito.  Tritlolemo 
nel  nostro  vaso  ha  la  mistica  corona  di  mirto  (  Rou- 
lez  mélang.  fase.  HI ,  4.  pag.  2  not.  1  ;  e  choix  de 
vascs  peints  du  musée  de  Lcide  pag.  1 6  not.  1  ) ,  e  lo 
scettro,  o  come  uno  de'  re  di  Eleusine  (  vedi  la  mia 
descrizione  de'  vasi  Jatta  parte  1.  p.  136,  ed  il  Rou- 
lez  choix  de  vas.  peints  du  mus.  de  Lcide  p.  16  not. 
3),  ovvero  siccome  civilizzatore  della  umanità  (vedi 
quel  che  ho  detto  in  questo  bulletlino  an.  II  p.  100), 
o  finalmente  per  la  dignità  da  lui  raggiunta  in  se- 
guilo della  iniziazione.  Le  due  principali  divinità  di 
Eleusine  seggono  a' due  lati  di  Triltolemo.  Hanno 
entrambe  a  coverlura  della  testa  un  modio  di  parti- 
colare foggia  ,  che  però  non  è  nuovo  a  vedersi  sul 
capo  delle  grandi  dee:  e  lor  si  è  messo  in  mano  uno 
scettro  ,  la  cui  estremità  superiore  esce  in  fiore  di 
melogranato ,  che  ben  si  riferisce  alle  mistiche  tra- 
dizioni (  Meurs.  Eleusin.  cap.  25  ;  Ruhnkenio  ad 
hytnn.  in  Cer.  v.  372).  Per  quanto  si  raccoglie  dalle 
particolari  altitudini  delle  due  dee,  e  dalla  loro  di- 
\ersa  fisonomia  ,  ci  sembra  che  l'ultima  figura  a  si- 
uislra  sia  Cora,  e  l'altra  Demeter.  Non  pare  che  nelle 
due  figure  una  giovanile  in  succinta  tunica,  e  l'altra 
femminile  (I),  una  delle  quali  è  presso  aProserpina, 
l'allra  presso  la  madre,  porgendo  alle  dee  una  fiaccola, 
o  tenendola  preparala  per  esse,  debbano  riconoscersi 
alcuni  personaggi  della  famiglia  di  Celeo:  e  ciò  princi- 
palmente perchè  un'  altra  simile  giovanile  figura  vedesi 
con  due  faci  fra  due  altre  divinila;  siccome  faremo  tra 
poco  rilevare.  Ci  sembrano  queste  figure  indicar  gene- 
ralmente misti;  i  quali  sono  messi  in  rapporto  colle 
divinità  elcusinie  come  portatori  delle  fiaccole.  Ed  è 


(1)  In  questa  femminile  figura  portatrice  della  face  potrebbe  an- 
(1)  In  questo  monumento  il  eh.  Roulez  crede  rappresentarsi  il  cora  ravvisarsi  Ecate  solita  compagna  di  Cerere:  rna  forse  a  questa 
momento  della  partenza  di  Triltolemo  per  partecipare  alla  umanità  idea  sarà  meglio  rinunziare  non  solo  per  la  sua  esteriore  apparenza; 
il  benefizio  della  semina  del  frumento.  Yedi  la  sua  recentissima  ma  anche  perchè  si  vede  accoppiata  a  personaggi  certamente  i  i  :  n 
dona  e  splendida  opera  choix  de  vascs  peints  itti  muscé  de  Ltide,  ordine  diverso,  che  dividono  con  essa  il  carico  di  recar  faci  ac\  es  • 
(.and  183-ì,  pag.  15.  aj  cnorc  delle  divinila  elcusinie. 


nolo  che  le  accese  faci  convengono  alle  sfesse  dee , 
siccome  si  fa  chiaro  dalle  tradizioni  (hijnm.  in  Cer. 
v.  48  ) ,  e  da' monumenti:  convengono  pure  a.' misti, 
i  quali  le  recavano,  e  principalmente  in  una  parti- 
colar  giornata  delle  cleusinie  (vedi  de  Guigniaul  no- 
tes citi  //tre  hitit.  pag.  1 183  e  1 188).  Ed  è  ,  a  mio 
giudizio,  da  ravvisar  nel  giovinetto  il  daduco,  e  nella 
donna  una  ierofantide.  Al  quii  proposito  mi  semhra 
da  ricordare  una  importantissima  iscrizione  di  Ate- 
ne ,  ove  una  sacerdotessa  (editerà  è  messa  appunto 
in  rapporto  con  un  daduco  (corp.  inscr.  gr.  n.  1533)  : 
e  su  questa  riunione  del  daduco  colla  ierofantide  son 
da  veder  pure  le  altre  autorilà  citate  dal  eh.  de  Gui- 
gniaut  nelle  note  al  libro  Vili  png.  1 164  ;  alle  quali 
il  nuovo  monumento  cornano  fa  un  sì  vicino  con- 
fronto. Notevole  è  la  colonnetta  ,  su  cui  poggia  un 
aureo  tripode.  Sembra  indubitalo  che  questo  sacro 
ùonario  sia  indizio  di  un  santuario ,  e  probabilmeute 
di  quello  di  Eleusine.  La  slessa  particolarità  si  os- 
serva in  un  vaso  della  seconda  collezione  di  Hamil- 
ton (Tischbein  IV,  10;  Inghirami  vasi  fitt.  II  tav. 
CLXII;  Lenormant  e  de  Witte  élite  des  mon.céram. 
pi.  LVII  ),  alla  quale  non  dee  giudicarsi  dissimile  la 
presenza  di  una  o  più  colonne  (  Campanari  vasi  di 
Vejò  (av.  IV;  Lenormant  et  de  Witte  élite  eie.  pi. 
LXI  :  ed  in  vaso  agrigentino  ,  Politi  cinque  vasi  di 
premio ,  vedi  Minervini  nel  bull.  arch.  nap.  an.  I  p. 
13,  Gerhard,  arch.  Zcit.  an.  I  p.  12,  élite  pi.  LXII). 
A  questi  sacri  oggetti  diede  pur  la  medesima  intelli- 
genza il  eh.  Roulcz  (choix  des  vascs  de  Leide  p.  15), 
opinando  che  venisse  da  quelli  indicato  un  tempio 
della  dea.  Ed  in  quanto  a  questo  tripode,  che  si  scor- 
ge nel  vaso  cornano,  e  nell'altro  del  Tischbein,  non 
sarà  fuor  di  proposilo  il  rammentine  che  la  sua  \i- 
cinanza  a  Cerere  ed  a  Proserpina,  divinità  alle  quali 
va  attribuito  il  significato  della  Gaea,  potrebbe  per 
avventura  spiegarsi  colle  tradizioni ,  che  attribuiscono 
alla  Terra  il  più  antico  possesso  del  delfico  oracolo  : 
per  lo  che  sarebbe  da  ritenere  il  tripode  ne'nostri  mo- 
numenti siccome  simbolo  di  vaticinio.  Su  di  che  son 
da  leggere  le  cose  da  noi  osservate  nel  mito  di  Ercole 
e  Jole  p.  57-58.  Ma  chi  sarà  quella  donna  col  tirso , 
verso  la  quale  par  che  si  volga  Triltolemo?  Potrebbe 


da  taluno  dirsi  generalmente  che  questa  dionisiaca  fi- 
gura voglia  significare  il  culto  dionisiaco  in  Eleusine  : 
essendo  hen  risaputo  che  i  misterii  di  Cerere  furono 
accoppiati  con  quelli  di  Bacco.  Anche  per  questo 
motivo  osserviamo  ne  monumenti  simboli  dionisiaci , 
o  bacchiche  figure  in  rapporto  col  mito  di  Cerere  e 
di  Triltolemo  (uned.  anliq.  of  Attica  eh.  4  tav.  7: 
Gerhard  am.  Griech.  Vasenb.  I  tav.  XLI  pag.  165. 
segg.  ).  E  noi  già  riferimmo  simili  rappresentazio- 
ni alle  Tesmoforie  in  differenti  vascularii  dipinti; co- 
me nel  bel  vaso  di  Armento  del  real  Museo  Borbo- 
nico (bull.  arch.  nap.  an.  I  pag.  54  seg.  ),  e  più  re- 
centemente in  quello  di  Alife  illustrato  nel  secondo 
anno  di  questo  bulletlino  (p.  97  e  segg.)  ;  ove  appa- 
risce il  giovine  Dioniso  co' suoi  rapporti  alla  vigna, 
e  l'eroe  Triltolemo  colle  spighe  allusive  alla  semina 
del  frumento.  Comunque  sia  di  queste  osservazioni, 
ed  indipendentemente  da  esse,  potrebbe  la  donna  col 
tirso  ,  alla  quale  Triltolemo  attentamente  rivolgesi , 
aver  la  significazione  dell'  Ora  ,  ovvero  della  Sta- 
gione ,  la  qual  figura  comparisce  pure  in  altri  mo- 
numenti; sebbene  sotto  forme  alquanto  diverse.  Una 
delle  Ore  si  osserva  altresì  nel  celebre  vaso  Ponia- 
(owski ,  ed  in  altro  edito  dal  eh.  Gerhard,  ov' è  pur 
la  presenza  di  Bacco  (ant.  Bildwcrkelàv.  CCCX  ,  1-2 
pag.  400  seg.)  ;  nò  diversamente  Prassitele  aveva  in- 
sieme aggruppate  le  figure  di  Triltolemo  ,  di  Cerere, 
e  di  Flora  (cioè  dell' Hora) ,  al  riferir  di  Plinio  (lib. 
XXXVI  ,4,5.).  Intanto  non  ci  sembra  strano  che 
diasi  alla  Stagione  il  simbolo  del  tirso.  È  risaputo 
che  le  due  attiche  Ore  sono  Thallo  e  Carpo  :  e  nella 
nostra  figura  va  meglio  ravvisala  la  Stagione,  in  cui 
spuntano  le  piante ,  in  cui  la  natura  comincia  una 
novella  vita;  che  quella  appunto ,  la  quale  corrispon- 
de a  tutto  il  mito  della  rapila  Proserpina,  ed  alle  co- 
se che  ne  conseguitarono.  Or  la  Thallo  non  è  che 
una  forma  differente  del  nome  ©tó.:/* ,  essendone 
una  sola  la  intelligenza  ed  il  significalo.  Quindi  non 
può  sembrare  mara viglioso  che  l'artista  Cumano ab- 
bia dato  alla  Stagione  Tallo  il  medesimo  simbolo,  che 
a  Talia  trovasi  non  poche  volte  attribuito  (vedila 
nostra  memoria  sopra  un  vaso  di  Ruvo  p.  1  e  seg.  , 
uelle  memor.  della  reg.  accad.  Ercolanese\oì.  IVpart. 


77  — 


I  p.  260)),  e  che  ben  si  riferisce,  avnfo  riguardo  alla 
superiore  pannocchia  di  vegetali  sostanze  ,  alla  ger- 
minazione della  vegetante  natura,  e  quindi  ancora  a 
tutte  quelle  idee,  le  quali  si  rannodavano  alla  profon- 
da intelligenza  de' niisterii. 

E  qui  mi  piace  di  fare  un'altra  osservazione,  clic 
mi  sembra  rilevante.  Nel  nostro  vaso  manca  l'eroe 
Trittolemo  dei  simboli  delle  spighe  ,  o  della  patera  ; 
né  tampoco  si  mirano  essi  in  mano  alle  divinila,  che 
lo  assistono.  Da  ciò  potrebbe  per  avventura  dedursi 
esser  vera  la  opinione  di  coloro ,  che  pensarono  la 
istituzione  de'misterii,  e  la  destinazione  futura  della 
umanità  esser  la  originaria  idea  delle  eleusinie  ceri- 
monie ;  esser  poi  sopravvenuta  l'altra  allusione  alla 
semina  del  frumento  ,  ed  allo  stabilimento  della  so- 
cietà. Fu  osservalo  di  fatti  che  nuli' inno  a  Cerere  non 
si  fa  motto  della  diffusione  dell'agricoltura,  la  quale 
si  suppone  preesistente  (I).  Così  pure  nel  nostro  vaso 
non  vedesi  alcuna  cosa  ,  che  accenni  al  frumento  od 
alla  vigna;  ma  lutto  si  riduce  ad  una  mislica  riunione, 
a  cui  può  attribuirsi  un  più  alto  intendimento,  qua! si 
è  quello  della  iniziazione  di  Trittolemo,  eh' è  come 
capo  di  tutti  gl'iniziali  (2).  Non  disconviene  a  questo 
giro  d' idee  il  sagrificio  di  un  porchelto,  che  si  prepara 
alle  grandi  dee,  e  che  sappiamo  da  una  greca  iscrizione 

(t)  Veggasi  il  eh.  sig.  de  Gnigniaut  relig.  de  Vani.  Ioni.  Ili  pari. 
3.  noi.  du  li v.  luiit.  p.  UIC.  Noi  avemmo  frequente  occasione  di  ci- 
tarli le  annotazioni  concernenti  a' mistcrii ,  che  appartengono  quasi 
tutte  al  sig.  de  Guigniaut,  e  che  ci  presentano  un  interessante  lavoro 
su  quella  oscura  ricerca. 

(2)  Né  con  diversa  significazione  fu  messo  da  Platone  Trittole- 
mo fra'  giudici  dell'  Inferno  :  il  che  incontrò  non  ha  guari  un  bel- 
lissimo confronto  nel  vaso  di  Altamura  da  me  descritto  nel  bui- 
lettino  dell'  Ut.  1851  pag.  38  segg.  (Vedi  pure  ciò  che  ho  dello 
ne'  man.  ined.  di  Barone  p.  71  noia  1  )  :  sul  quale  son  da  ve- 
dere alcune  osservazioni  del  Bruna,  che  vi  riconobbe  egregiamen- 
te le  riOINAl  (ib.  1818  pag  23:  cf.  Arch.  Zcilung  del  Gerhard, 
arch.  Anzeig.  1848,  IX  p.  80  seg.  W'elcker  alte  Denkm.  IH  p.  122 
segg.  :  ed  il  eh.  Jahn  Vasensammlung  zu  Munchen ,  Einleit.  p. 
XXXVII,  Dot.  208  ).  A  confronto  poi  del  vaso  di  Cuma  merita  di 
esser  richiamato  1'  altro  bellissimo  vaso  ,  in  cui  appare  Trittolemo 
pur  senza  simbolo  alcuno  in  un  carro  trailo  da  alali  serpenti,  Ce- 
rere ,  Proserpina ,  due  donne  con  faci  ,  e  tre  giovani  con  simbolo 
incerto  ,  se  pur  non  veglia  dichiararsi  benanche  per  una  fiaccola  : 
Panofka  cab.  Pmirlatès  tav.  16  cf.  Creuzer  Symbolik  tom.  IV 
lav.  VI  n.  1G  pag.  466.  Non  è  questo  il  luogo  di  esaminare  le 
spiegazioni  di  alcune  ligure  proposte  dal  eh.  Panofka  e  da  altri:  e 
ci  proponiamo  di  ragionarne  in  altra  occasione. 


che  si  eseguiva  in  Atene  a'  17  di  boedromionc  (corp. 
ìnscr.  gr.  n,  523).  Né  diversamente  vanno  interpretate 
le  numerose  lerrecotlc  di  Pesto,  le  quali  ci  offrono  0 
la  stessa  Cerere  col  porchelto,  ovvero  misti  e  ierofan- 
lidi  che  recano  la  gradila  offerta  alla  dea  (Gerhard  Ani. 
Bildwerkc  lav.  XCIX  fig.  1-9-13  p.  3 VI.  Vedi  pure 
altri  monumenti  con  questa  relazione  presso  Caylus  ree. 
d'ani.  VI  pi.  XXXVII,  Panofka  Terrakollen dcsKoe- 
nigl.  Museums zu Berlin  lav.  LVII,  ljeLVIII,  l  e  2: 
de  Wide  Calai.  Durando.  1652,  1655  s.  ;  Cavedoni 
Spicilegio  p.  18-19)  (1).  Ma  il  monumento  che  merita 
di  essere  più  prossimamente  paragonato  col  bassori- 
lievo di  Cuma  è  il  nolo  bassorilievo  di  Elcmi,  ove  si 
vede  Cerere  con  modio  scettro  e  patera ,  Proserpina 
con  fiaccola  e  spighe,  e  misti  che  fanno  il  sagrifizio 
di  una  porchetta  (de  Guigniaut  pi.  XLV  bis,  5'r9: 
cf.  explic.  des  pi.  p.  223,  e  notes  du liv. Vili p. 651). 
Sembra  poi  indubitato  che  questo  sagrifizio  è  sim- 
bolo di  purificazione;  essendo  già  provato  per  molti 
luoghi  di  antichi  scrittori  citati  a  proposilo  dal  mio 
eh.  amico  signor  de  Witle  (V  expialion  d'Oreste, 
explic.  d'un  vaso  peint,  Paris  1850  pag.  16  e  seg.,  e 
p.  22-21),  essere  il  porchelto  simbolo  di  espiazione  e 
di  purificazione:  nel  qual  senso  trovasi  attribuito  non 
solo  a  Cerere  ma  ancora  ad  altre  divinità  ,  come  sono 
Giove  ed  Apollo.  E  questo  medesimo  sagrifizio  ci  ram- 
menta che  nel  mistico  mito  di  Eleusi ,  Cerere  mede 
sul  fuoco  il  piccolo  Demofoonfe,  per  purificarlo  d'ogni 
terrena  debolezza;  come  narra  l'autore  dell'  inno  a 
Cerere  (v.  239  s.) ,  e  come  conferma  Ovidio...  hu- 
manum  purgel  ut  ignis  onm(Fast.  IV,  553).  Nel  vaso 
di  Cuma  già  arde  il  fuoco  sopra  una  piccola  aretla,  o 
piuttosto  escara,  a  cui  si  sono  sovrapposte  alcune  le- 
gna, mentre  un  giovine  ,  probabilmente  1'  S7nj3w|u.ics 
(Euseb.  praep.  evang.  IH,  12:  cf.  corp.  inscr.  gr.  n.  71 , 
181,  192—1 91)  reca  altre  legna  e  la  vittima.  E  qui 
osservo  che  le  piante  messe  ad  accendere  il  fuoco  nel 
bassorilievo  di  Cuma  potrebbero  farci  comprendere 
un  luogo  di  Esichio  relativo  a  questo  sagrifizio ,  che 
sembra  non  bene  inleso  finora.  Dice  il  lessicografo; 
Sua.,  tt.  Qu'jA'vx  T'ùv  Sìscùv.  E'  pare  che  voglia  accen- 

(1)  Sul  porco  sacro  a  Cerere  vedi  i!  Lobeck  Aglaophamus  pag. 
827  ,  segg. 


—  78  — 


nare  alla  odorosa  pianta  detta  Stw,  adoperata  nel  sa- 
grifizio  in  onor  di  Cerere  e  di  Proserpina.  Teofrasto 
dice  il  Srov  simile  al  cipresso  (hist.  pi.  5,  3,7):  ed  a 
primo  colpo  d'occhio  nel  nostro  vaso  rilevasi  questa 
somiglianza  di  forma  nelle  due  piantoline  collocale 
ad  accendere  il  fuoco  suli'  ara.  Sicché  possiamo  con 
tutta  probabilità  conchiudere  che  il  sagriGeio  alle  dee 
denominato  8ux  non  era  già  in  questo  modo  appel- 
lato per  una  generale  denominazione  ;  ma  perchè 
dell'arbore  3</ov  si  servivano  in  quella  occorrenza.  Se 
la  prima  parte  della  rappresentanza  offre  cotanto  in- 
teresse, non  meno  importante  è  da  riputar  la  presenza 
delle  altre  due  divinità.  E  prima  viene  in  considera- 
zione Pallade,la  quale  era  fralle  altre  giovinette  tra- 
stullandosi con  Proserpina  ,  allorché  questa  fu  rapita 
da  Plutone  (  Hymn.  in  Cer.  v.  424  ;  Diod.  Sic.  V. 
pag.  332;  Valer.  FI.  V,  345;  Statius  Achill.  II, 
150;  Claudian.  de  raptu  Proserp.  1,227  :  vedi  Ruhn- 
cken.  ad  hymn.  in  Cer.  v.  cit.).  Ricordo  a  questo  pro- 
posito la  statua  frammentata  con  calato  e  Gorgoneo 
sul  petto ,  la  quale  aveva  rapporto  al  culto  di  Eleusi 
(Spon  e  Wheler  voyages  li  pag.  216  segg.  ).  Il  eh. 
Gerhard  vi  scorge  una  Demeler-Cora  (Antike  Bild- 
iverke,  Prodromus  pag.  19,  30,  35  cf.  pag.  H7).  II 
eh.  de  Guigniaut  la  dichiara  una  Proserpina-M  iner- 
va,  una  Gaea  Olympia  (noi.  da  livr.  huit.  p.  1230). 
Senza  dire  dell'  altra  idea  del  eh.  Preller ,  che  pen- 
sava ad  una  semplice  calatefora  (  Demeler  und  Pcr- 
seph.  p.  375  s.),  a  me  sembra  che  quelle  duplici  de- 
nominazioni mal  convengano  ad  una  sola  forma  :  e 
già  questo  sistema  fu  riprovato  da  altri   archeologi. 
Ora  il  nostro  vaso  di  Cuma  ,  ove  si  veggono  presso 
alle  eleusinie  divinità  anche  Minerva  e  Rea  ,  pruova 
che  pur  quella  statua  debba  ritenersi  per  un  idolo  di 
Minerva  eseguito  alla  maniera  delle  più  arcaiche  im- 
magini di  questa  dea.  la  quale  ci  si  offre  talvolta  ezi- 
andio col  modio.e  non  indicata  da  altro  simbolo  che 
dal   gorgoneo  sul  petto  (  vedi  questo  bullcHino  an.  I. 
p.  48  ).  Né  questo  affettato  arcaismo  può  disconve- 
nire a' tempi  di  Adriano,  in  cui  Erode  Adiro  imita- 
va le  forme  della  più  antica  scrittura  nelle  celebri 
tavole  triopec ,  e  che  meno  strano  dovrà  sembrare  , 
trattandosi  di  statua  pertinente  ad  un  insieme  di  re- 


ligioso cullo,  che  va  tra' più  antichi  della  Grecia.  Del 
resto  la  figura  di  Pallade ,  indipendentemente  da  qual- 
sivoglia altra  considerazione  ,  è  sempre  conveniente 
in  una  scena,  che  ha  luogo  nell' tifica,  regione  mes- 
sa sotto  la  protezione  di  quella  dea  :  ed  è  pur  da  ram- 
mentare che  Pausania  spiegava  per  Minerva  una  fi- 
gura femminile ,  che  vedevasi  presso  le  statue  delle 
grandi  dee  (Vili,  31  ,  1  ).  Né  meno  acconciamente 
trovasi  Rea  in  rapporto  col  mito  di  Cerere  e  di  Pro- 
serpina, colle  quali  era  in  sì  vicine  relazioni.  Ce- 
rere ,  secondo  le  tradizioni ,  è  figlia  di  Rea  (  hymn. 
in  Cer.  v.  60  ed  altrove  ).  E  questa  si  collega  stret- 
tamente co'  misterii  Eleusinii ,  s' egli  è  pur  vero  che 
la  istituzione  ne  provenne  da  Samotracia,  come  ha  so- 
stenuto il  dottissimo  Ollofredo  Mùller  (  Eternimeli 
nell'  Allgem.  Encyclop.  pag.  294).  È  poi  ben  risapu- 
to che  un  tempio  di  Rea  (ovvero  metroon)  era  in  Ate- 
ne; e  su  di  questo  ha  scritto  recentemente  una  dotta 
memoria  il  mio  chiarissimo  amico  sig.  cav.  Gerhard 
[uber  das  Metroon  zu  Athcn,  Berlin,  1851  ).  Abbiamo 
poi  spiegala  per  Rea  l' ultima  figura  del  vaso  di  Cu- 
ma, per  le  sue  relazioni  con  Cerere,  e  per  lo  peplo, 
che  le  discende  dal  capo  (I).  Intanto  l'altro  daduco  , 
che  sia  fralle  due  dee ,  porgendo  verso  ciascuna  di 
esse  una  face ,  mostra  che  questa  parte  della  com- 
posizione si  rannoda  col  rimanente  :  e  mette  in  evi- 
denza il  rapporto  di  Rea  e  di  Minerva  co' misterii  di 
Eleusi.    Dopo   le  esposte  considerazioni  sarà  facile 
ravvisare  le  varie  parli  del  cuni.ino  bassorilievo.  Ve- 
di Trittolemo  che  riceve  la  iniziazione  ,  ricordando 
la  fondazione  de'  mislerii:  vedi  il  sagrifizio  proprio 
alla  purificazione  ed  alla  espiazione;  e  finalmente  al- 
tre divinità  le  quali  sono  in  stretto  rapporto  coli'  At- 
tica ,  e  col  cullo  di  Eleusine.  Nel  senso  da  noi  indi- 
cato 1'  eroe  Ateniese ,  in  un  funebre  monumento  , 
esprime  la  felicità  degli  uomini  dopo  la  morte,  feli- 
ciià  che,  secondo  gli  antichi,  era  negala  a'  profani  , 
ma  sol  pt  omessa  agi'  iniziati  (  vedi  ciò  che  dicemmo 


(I)  Si  confronti  il  bv\  vaso  nolano,  ove  fu  riconosciuto  Tritto- 
lemo ,  Cerere ,  Proserpina  ,  Rea  ,  Ecate ,  1'  Ora  ,  ed  Hades  (  ann. 
delllst.  1829  p.  2C1,  mon.  1,  tav.  4:  cf.  Creuzer  Symboìik  lom. 
IV  pjv    IV,  n    12  p.  461,  s.  )  Anche  questo  monumento  richiede 

ullerior  dilucidazione. 


—  79 


nel  dono  dell'  Accad.  Ponlaniana  agli  scienziati  d'  I- 
talia  p.  86,  e  seg.  ).  Poche  parole  aggiungiamo  sulla 
fascia  che  adorna  la  pancia  del  vaso ,  ove  dorati  a- 
nimali,  o  mostri,  sono  tra  loro  in  dissidio,  e  si  con- 
trastano forse  la  preda  a  traverso  della  pianticella,  che 
li  divide.  Questa  rappresentazione  può  credersi  messa 
in  opposizione  della  scena  superiore.  Di  fatti  la  ferina 
e  selvaggia  natura  di  quelle  belve,  il  loro  rissarsi  nello 
slato  di  natura,  fa  un  preciso  contrasto  colle  idee  di 
società  e  di  civiltà,  che  van  sempre  collegate  col  per- 
sonaggio di  Trittolemo,  l'eroe  civilizzatore  della  Gre- 
cia ,  anche  consideralo  dal  lato  puramente  religioso. 
Queste  poche  cose  ho  creduto  di  esporre  sul  clas- 
sico vaso  del  sig.  Marchese  Campana.  Con  queste 
brevi  osservazioni  non  intendo  di  aver  esaurito  quan- 
to ci  offre  d'interessante  questo  prezioso  monumento. 
Ma  tanto  basti  ad  accompagnarne  la  pubblicazione. 
Mi  riserbo  di  tornare  a  parlarne  per  dar  la  diluci- 
dazione di  alcune  particolarità  degne  di  attenzione. 
Noi  siamo  sicuri  che  il  bassorilievo  di  Cuma  eccite- 
rà lo  studio  degli  altri  archeologi,  e  sarà  senza  dub- 
bio richiamato  in  tulle  le  ricerche,  che  d'ogg' innanzi 
saranno  proseguile  sopra  i  misterii  di  Eleusi  ;  della 
quale  ellenica  istituzione  mollo  rimane  oscuro  ed  ine- 
splicato ,  perchè  la  superstiziosa  antichità  non  osava 
disvelarne  appieno  la  conoscenza  (1). 

Minervim. 


Alessandrini  in  Pompei,  e  loro  sepolture.  Supplemento 
all'  art.  contenuto  nel  n.  58. 

In  conferma  delle  cose  da  me  disputate  sul  nome 
egizio  Nuphe,  mi  piace  di  riferire  alcune  osservazio- 
ni a  me  comunicate  da  un  dotto  amico.  Esse  sono 
le  seguenti.  «  Ho  letto  con  singolare  soddisfazione  i 
fogli  di  ottobre  e  novembre;  e  mi  accosto  ancor  io  al 
parere  che  Nuphe  sia  un  cognome  di  lingua  egizia- 
na. Era  già  noto  Noi/^is  nel  C.  I.  4863,  b  e  nei  com- 
posti 'OpcgyoiXpis  4852,  Uzirctperotfyts  48S5,  nxrpx- 

(1)  Queste  osservazioni  sono  state  da  me  comunicale  all'  Acca- 
demia Ponlaniana. 


x&cv^is  4877.  La  voce  Nuphe  significa  buono.  Per 
la  qual  cosa  non  credo  necessario  di  ricorrere  a  x>oy- 
£/?  o  x^'V'S,  lultocchè  ben  conosca  la  radice  di  que- 
sto vocabolo  essere  voufi  o  KQiXp,  e  1'  uso  di  scambia- 
re questi  due  elementi  nella  lingua  coplica  ,  dagli  e- 
sempi  inoltre  raccolgo  clic  il  basmurico  articolo  X, 
non  si  tralascia  nel  composto.  Cosi  Us'rsx.vovftis  4853, 
IL<t5XvO(»a/s  4854,  na'xvoKfrs  4868,  4893,  V&XW- 
|2iS  48621» ,  4893  ,  S/^h'x^s  4893.  II  nome  poi 
X»orj2is,o  XyovijliS  fuor  di  composto  non  mi  è  occor- 
so sin  ora  tra  gli  appellativi  onomastici  :  lo  che  mi 
rende  ancor  più  restio  ad  ammettere  la  soppressione 
dell'articolo,  ossia  x*  certo  che  nonio  tralascia  giam- 
mai nel  proprio  uso  di  nome  solare  ». 

Intanto  mi  sia  lecito  di  notare  che  io  stesso  aveva 
fallo  presso  a  poco  le  medesime  avvertenze ,  avendo 
incontralo,  oltre  i  sopra  citati ,  anche  l' altro  nome 
4>avou$jS  (corp.  inscr.  gr.  n.  4893):  non  che  I7a- 
votxpis  (n.  4999.  5008.  50  IO  );  se  pure  in  alcuni  di 
essi  non  venga  in  composizione  cutyis,  come  nell'altro 
*P/q(4>ìs  (n.  4990.  5028).  Voglio  pure  osservare  che 
il  nome  U&rxpiYovQiS  fu  poi  letto  Ils'reap/votxpjs  (vedi 
add.  et  corr.  ad  voi.  Ili  ad  n.  4855  p.  121 8, -per lo 
confronto  di  altra  epigrafe  riferita  nel  medesimo  voi. 
Ili  p.  1197  n.  4716.  d.4i.  Come  si  è  notato  disopra, 
frequenti  sono  i  composti  di  X>wJ3<S,  o  XVQvfiiS,  ed  i 
nomi  n*x>oyfjiiS,  e  ¥i*X.yovlu{  s'incontrano  in  non 
poche  altre  iscrizioni,  oltre  le  già  citate:  vedi  le  ad- 
denda al  voi.  Ili  del  corp.  inscr.  gr.  p.  1 193,  1194, 
1 196.  In  qualunque  modo,  io  accetto  la  osservazio- 
ne del  mio  chiarissimo  amico  ,  anche  perchè ,  ri- 
tenuta la  derivazione  di  quel  nome  da  KOvtp?  nel  suo 
significalo  di  buono ,  si  avrebbe  una  bellissima  con- 
ferma delle  mie  idee  dal  considerare  che  Alicia  Cala 
è  quasi  la  traduzione  greca  dell'  egiziano  Alicia  Nu- 
phe, corrispondendo  il  copto  nuphe  al  greco  x.%kòi  nel 
senso  morale.  Né  dovrebbe  recar  maraviglia  la  ripe- 
tizione dello  stesso  nome  in  due  differenti  lingue:  anzi 
una  tale  ipotesi  dà  la  spiegazione  dell'  abbreviazione 
AL  per  ALLEIA  ,  che  era  sufficientemente  indicata 
dallo  stesso  nome  scritto  per  esteso  nella  linea  pre- 
cedente. 

MlNERVINI. 


—  80  — 


BIBLIOGRAFIA 


Memorie  della  regale  aeeademia  Ercolanese.  Voi.  IV. 
parie  I.  Continuazione  del  numero  precedente. 


Ora  veggiamo  con  piacere  che  la  nostra  lezione  è 
slata  adottata  da  un  valentissimo  archeologo,  il  quale 
ebbe  altra  volta  a  trattare  lo  slesso  monumento  (Jahn 
Yasensammlung  Kònig  Luduigs  in  der  Pinakolek  zu 
Munchen,  Einleitung  p.  CXV,  n.  839).  E  certamente 
il  eh.  Roulez  ebbe  torlo  a  richiamare  la  voce  OPA- 
1NIES  del  nostro  vaso  (da  altri  erroneamente  riferita) 
a  confronlo  del  nome  di  un  Salirò  che  comparisce  in 
una  bacchica  scena  di  un  vaso  del  museo  di  Leida , 
Dome  variamente  interpretato ,  e  da  lui  letto  OPA- 
T1ES.  Vedi  la  dotta  opera  di  questo  illusile  archeo- 
logo choix  de  vases  peints  du  musée  de  Leide  p.  1 8  not. 
9:  e  la  tav.V.  Noi  non  crediamo  di  ripetere  un  sunto 
della  nostra  nuova  interpretazione  di  questo  vaso,  la 
quale  non  differisce  da  quclla.che  ne  presenfammo  nell' 
antica  serie  del  bullett.  archeol.  napol.  an.Vl  p.  25,  s. 
Solo  avvertiamo  che  nella  memoria  accademica  le 
nostre  osservazioni  son  confermate  da  maggior  nu- 
mero di  autorità:  e  specialmente  laddove  si  (ralla  la 
ricerca  delle  tre  Muse,  messe  in  rapporto  colle  Si- 
rene ,  e  colle  Grazie ,  e  degl'  istrumenli  diversi  suo- 
nali da  esse.  Avvertiamo  fiualmente  che  il  eh.  Wie- 
scler  fece  su  questo  monumento  alcune  osservazioni 
nella  Zeitsehrifl  fiir  Allerlhumsivissenschafien  1847 
p.  839,  le  quali  mi  rimasero  ignote  alla  stampa  della 
mia  memoria  :  e  che  lo  slesso  mio  dotto  amico ,  fa- 
cendone una  nuova  pubblicazione  nella  continuazione 
a'  Dcnkmàler  der  alten  Kunst  del  celebre  Miiller  (voi. 
li  n.  488),  cita  ed  approva  le  cose  da  me  osservate, 
tenendo  presente  altresì  la  memoria  accademica.  Vedi 
il  testo  che  accompagna  quelle  tavole  pag.  40-41. 

9.  Il  supplizio  di  Dine  ,  del  cav.   Giambattista 


Finali  :  pag.   283-308  con  cinque  tavole  incise. 

Il  eh.  autore  in  questa  memoria  comincia  dal  pre- 
sentare alcune  particolari  osservazioni  sopra  un  di- 
pinto pompeiano  ,  coli' indicato  soggetto  ,  già  dotta- 
mente illustrato  dal  cav.  Avellino.  Il  cav.  Finali  ri- 
cordando come  in  varii  monumenti  trovasi  Dirce  in 
differente  guisa  legata  allo  stizzito  loro,  ora  veggen- 
dosi  la  fune  avvinta  alle  corna,  ora  alla  coda,  ora  al 
corpo  del  furioso  animale  ,  spiega  questa  diversità 
non  tanto  dal  capriccio  degli  artisti,  quanto  dalle  dif- 
ferenti esigenze  delle  arti,  a  cui  i  monumenti  appar- 
tengono; mostrando  avere  anche  in  ciò  seguito  gli 
antichi  quel  modo  che  meglio  alla  scoltura  o  alla 
pittura  si  addiceva.  Passa  in  seguito  l' autore  a  consi- 
derare il  famoso  gruppo  in  marmo  del  nostro  real 
museo,  che  è  conosciuto  sotto  il  titolo  di  Toro  Far- 
nese :  e  dopo  aver  presentale  talune  osservazioni  so- 
pra certe  parlicolarilà  di  questa  celebre  scollura  , 
dalla  bellezza  della  composizione  rileva  essere  lavoro 
di  greci  artisti,  e  propriamente  quello  che  Plinio  rac- 
conta essere  stato  eseguito  da  Apollonio  e  Taurisco. 
In  questa  ricerca  il  cav.  Finali,  anche  per  l' esame 
accurato  del  defunto  professor  di  scoltura  Angiolo 
Solari ,  va  notando  tulli  i  moderni  restauri,  che  de- 
turparono il  bello  di  quella  opera  insigne:  e  così  si 
apre  la  via  a  ragionar  delle  parti  certamente  antiche, 
nelle  quali  è  facile  ravvisare  mano  maestra,  e  peri- 
tissimo greco  scalpello.  Fermasi  finalmente  a  dile- 
guare le  obbiezioni ,  che  si  desumono  dal  luogo  di 
Pl:nio,  messo  a  confronto  col  monumento  rinvenuto 
nelle  terme  di  Caracolla:  avvertendo  pure  non  esser 
certo  che  nel  gruppo  indicato  da  Plinio  esistesse  una 
epigrafe  :  e  conchiude  promettendo  un  altro  lavoro, 
col  quale  si  propone  di  restituire  l' antico  gruppo  al 
suo  primitivo  archetipo,  coll'ajuto  de' monumenti  di 
diverso  genere  rappresentanti  il  medesimo  soggetto. 


(continua) 


Mi  NERVINI. 


Giglio  Mineiivini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaneo. 


BUILETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  61.     (11.  dell'annoili.) 


Gennaio  1855. 


Le  medaglie  di  L.  Valerio  Acisculo,  ed  altre  di  Famiglie  Romane ,  dichiarate  col  riscontro  di  quelle  della 

Spagna. 


Le  medaglie  di  L.  Valerio  Acisculo ,  ed  altre  di  Fa- 
miglie Romane,  dichiarate  col  riscontro  di  quelle 
della  Spagna. 

Le  medaglie  di  L.  Valerio  Acisculo  ,  se  per  una 
parte  sono  delle  più  belle  ed  inleressanli  per  la  varietà 
e  novità  de' loro  tipi,  per  altra  parte  moslraronsi  più 
eh'  altre  finora  ritrose  agli  sforzi  de'  numografi  per 
illustrarle  e  determinarne  l'età,  pel  decorso  di  un  tre 
secoli,  venendo  da  Fulvio  Ursino  fino  al  eh.  Borghe- 
si. Questi  ne  diede  sì  l'accurata  e  precisa  descrizione 
di  alcuni  tipi,  ma  non  riesci  a  definirne  l'età;  la  qua- 
le venne  poi  determinata  agli  anni  decorsi  dal  prin- 
cipio della  guerra  civile  di  Cesare  fino  al  susseguente 
triunvirato  ,  o  sia  dall'  anno  Varroniano  705  fino  al 
cadere  del  711  (v.  Cavedoni,  Append.  p.  198:  Rag- 
guaglio de'  Ri  post.  p.  226) ,  col  riscontro  de'  ripo- 
stigli scopertisi  nell'  agro  Bolognese  e  nel  Modenese. 
La  ragione  poi  de'  diversi  tipi  mitologici  di  Acisculo 
venne  inutilmente  indagata  da  me  e  da  altri  (  Saggio 
p.  188:  Annali  archeol.  t.  XI  p.  320:  Bull.  arch. 
1845  ,  p.  188  :  Ragguaglio  p.  139):  e  se  ora  posso 
infine  ripromettermi  di  darne  una  definitiva  dichiara- 
zione, ne  vado  debitore  ad  un  cenno,  che  me  ne  porse 
il  dotto  e  giudizioso  Monsignor  del  Torre ,  il  quale 
riscontrando  il  cognome  ACISCVLVS  con  quello  del 
glorioso  Martire  di  Cordova  detto  ACISCLVS  da  Pru- 
denzio (Peristeph.  IV,  19),  argomentava  che  quel 
santo  Martire  appartenesse  alla  famiglia  Valeria ,  del 
pari  che  il  nostro  monetiere  (  Monum.  vet.  Antii  p. 
22).  Egli  peraltro  prese  abbaglio  nel  riputare  chela 
voce  acisculus ,  in  significato  di  martello  usalo  nelle 

miniere,  derivi  da  ascia;  mentre  che  manifestamente 

ANNO  ni. 


è  diminutivo  dedotto  dal  greco  àxìs ,  siccome  pidii- 
sculus  da  pulvis.  Quell'ordegno  rappresentalo  in  tutte 
le  diverse  monete  di  L.  Valerio  Acisculo  ,  non  solo 
come  allusivo  al  suo  cognome  ,  ma  tutt'  insieme  per 
accennare  alle  ricche  miniere  della  Spagna  ,  ha  for- 
ma ora  di  martellina  ed  ora  di  martello  muratorio 
(v.  Ridi.  arch.  1845  p.  189),  e  dai  Greci  si  disse 
XttTOfxls,  cripL-pcc  tw  >.aT&'/Accv,  rvxos  (Pollux  VII, 
118),  e  probabilmente  anche  ixls ,  in  riguardo  ad 
una  o  ad  entrambe  le  sue  estremità  Irnienti  in  punta 
tagliente.  Che  poi  fosse  veramente  di  cotal  forma  il 
martello  usalo  nelle  miniere,  ne  lo  accertano  le  mo- 
nete di  Damastio  dell'  Epiro  col  tipo  di  un  ordegno 
simile  all'  aciscidus  di  quelle  del  nostro  Acisculo  ,  ed 
allusivo  alle  ricche  miniere  di  Damastio  slessa  (Ec- 
khel  t.  II,  p.  104:  t.  V ,  p.  331). 

Il  raro  cognome  ACISCVLVS,  che  in  tutta  l'an- 
tichità Romana  forse  non  ricorre  che  solo  nelle  mo- 
nete di  L.  Valerio  Acisculo  ,  nella  persona  del  san- 
to Martire  Cordovese  ACISCLVS  (  cf.  Florez ,  Esp. 
sagr.  t.  X.  pag.  288  ) ,  ed  in  uno  scherzo  oratorio 
ricordato  da  Quintiliano  (Fnslit.  VI,  3,  53),  nativo 
di  Calagurris  della  Spagna  Tarraconese,  mi  porse  un 
primo  buono  argomento  a  riputare  oriundo  dalla  Spa- 
gna il  monetiere  Romano  L.  Valerio  Acisculo;  tanto 
più  che  un  sì  raro  e  singolare  cognome  da  prima  do- 
vette darsi  a  persona  che  avesse  attinenza  colle  mi- 
niere ,  ove  adoperavasi  l' acisculus ,  e  che  abbonda- 
vano cotanto  nelle  Spagne  e  segnatamente  ne'  monti 
della  Betica.  D' altra  parte  i  Valerii  sovrabbondano 
nelle  lapidi  e  nelle  monete  delle  Spagne;  più  vera- 
mente nella  Tarraconese ,  ma  eziandio  nella  Betica 
(v.  Prudent.  Peristeph.  IV,  79:  Florez,  Esp.  sagr.  t. 

11 


82 


XII,  p.  11-12,  a/.);  e  lice  congellurare,  che  il  patire 
od  aldi  de' maggiori  di  L.  Valerio  Acisculo ,  venuto 
in  grandi  ricchezze  col  provento  delle  miniere,  fosse 
ascritto  alla  Romana  cittadinanza  da  un  L.  Valerio,  e 
l'orse  da  L.Valerio  Fiacco  questore  di  M.  Pisone  nella 
Spagna  intorno  all'anno  682  (Cic.  prò  Fiacco  2,  3). 
E  questa  prima  congettura  si  risolve  in  certezza  per  la 
convenienza  de'  tipi  delle  varie  monete  di  Acisculo  con 
quelli  delle  monete  della  Betica  e  colle  testimonianze 
degli  antichi  scrittori  intorno  a  quelle  regioni.  La  ra- 
gione poi  di  tale  e  tanta  convenienza  ripeter  potrcb- 
besì  anche  solo  dalla  consuetudine  de'  monetieri  Ro- 
mani di  famiglie  nuove,  degli  ultimi  tempi  della  re- 
pubblica, che  non  potendo  vantare  glorie  avite,  rap- 
presentarono nelle  loro  monete  tipi  riguardanti  la  loro 
patria,  come  consta  dall'osservazione;  pure  certe  par- 
ticolarità di  quelle  di  Acisculo,  e  segnatamente  la  co- 
rona di  mirto  ,  che  in  quasi  tutte  ricorre  attorno  al 
tipo  ,  sembra  richiedere  ,  che  le  sue  monete  fossero 
impresse  non  in  Roma ,  ma  sibbene  nella  Betica  per 
uso  delle  milizie  di  Cesare,  nella  guerra  dell'anno  di 
Roma  709  contra  i  figli  di  Pompeo.  Cesare ,  sebbene 
con  mirabile  rapidità  si  recasse  da  Roma  ad  Obulcone 
della  Betica  in  soli  27  giorni  (Slrabo  III ,  p.  160), 
e  riportasse  addì  17  di  Marzo  quella  insigne  vittoria 
di  Munda  ,  che  decise  della  sorte  de' suoi  avversari; 
pure  egli  impiegar  dovette  circa  sette  mesi  nello  spe- 
gnere del  tutto  le  reliquie  della  guerra  Ispana  (Nic.  Da- 
masc.  de  inslit.  Augusti  10);  nel  decorso  de' quali , 
senza  dire  dello  stipendio  e  de'premii  dell'  esercito  suo, 
che  lo  avea  preceduto ,  facea  d' uopo  di  un'  ingente 
copia  di  pecunia.  E  poscia  ,  allor  che  si  trattenne  in 
Cariogena  ,  per  ricomporre  le  cose  di  quelle  Provin- 
cie ,  e  per  appreslare  il  necessario  pel  suo  ritorno 
trionfale  a  Roma  verso  la  fine  del  detto  anno  709  , 
egli  avrà  fallo  convertire  in  moneta  buona  parte  dell' 
argento  contribuito  dalle  citlà  e  sottratto  benanche  al 
tesoro  del  sacrario  d' Ercole  Gaditano  (  Dio,  XLUI, 
39)  (1). 


Ora  ne  giovi  soggiungere  la  descrizione  delle  di- 
verse monete  di  L.  Valerio  Acisculo ,  per  fare  vie 
meglio  vedere  come  dal  riscontro  di  esse  con  quelle 
della  SpagnaBelicaeconallrianlichi  documenti  chiaro 
si  pare  che  fossero  impresse  in  quelle  contrade;  lo  che 
viene  indicalo  anche  dalla  maniera  della  fabbrica  per 
lo  più  rozza  e  trascurata. 

1.  ACISCVLVS,  Testa  d'Apollo  con  capelli  ina- 
nellati ricinti  da  diadema ,  e  con  barba  nascente  alle 
guance  e  sotto  il  mento  :  astro  al  di  sopra ,  e  martel- 
lina o  martella  al  didietro  ;  il  tutto  entro  una  corona 
di  mirto. 

)(  L.  VALERIVS,  Uccello  stante,  o  gradiente,  con 
collo  e  testa  umana  goleata ,  e  con  un  clipeo  e  due  a- 
slicciuole  apposte  all'  ala  sua  sinistra:  il  tutto  entro  una 
corona  di  mirto.  Denario. 

2.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec  n.  4;  ma  per  lo  più 
senza  la  corona  di  mirto. 

)(  L'  VALERIVS ,  Europa  vestita  di  tunica ,  che 
le  lascia  scoverta  la  d.  mammella,  seduta  in  sul  dorso 
del  toro  corrente,  in  alto  dirattenere  con  ambelemani 
il  manto,  che  le  s' inarca  attorno  al  capo,  e  di  attenersi 
con  la  s.  al  d.  corno  del  toro  medesimo.         Denario. 

3.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  i. 

)(  L.  VALERIVS,  Testa  feminiìe  con  chioma  com- 
posta e  ricinla  da  tenue  vitta  a  più  ricorsi  ;  il  tutto  en- 
tro una  corona  di  mirto.  Denario. 

4.  ACISCVLVS ,  Testa  giovenile  del  Sole  ricinta 
da  largo  diadema  o  cerchio  radialo;  al  di  dietro  mar- 
tello o  martellina. 

X  L.  VALERIVS,  Diana  slolala  con  luna  bicorne 
in  sul  vertice ,  in  biga  veloce  di  cavalli ,  con  lo  scudi- 
scio nella  d.  alzala  e  con  la  s.  alle  redini.     Denario. 

5.  ACISCVLVS ,  Testa  barbala  laureala  di  Gio- 
ve ;  martello  o  martellina  al  didietro  ;  il  lutto  entro 
una  corona  di  mirto. 

)(  L.  VALERIVS  ,  Gigante  anguipede  con  la  d. 
appoggiata  minacciosamente  all'  anca,  e  con  la  s.  al- 
zata in  atto  di  ripararsi  il  capo.  Denario. 


(i)  Da  prima  io  reputai  impresse  nel  7M  le  monete  di  L.  Vale- 
rio Acisculo  (Appena,  p  106-I08:  Itagguaglio  de' ripost,  p  22C), 
per  essere  esse  mancate  ne'  ripostigli  di  Villola  e  di  Collecchio  e 
no vaini  poi  io  quelli  di  S.Anoa  «  di  Sassoforte;  ma  in  que'  pri- 


mi due  ripostigli  non  esplorati  per  iniero  poterono  mancare  sì  per 
essere  esse  alquanto  rare  e  sì  perchè  ,  posto  ebe  venissero  im- 
presse nella  Spagna  ulteriore,  non  poterono  aver  pieno  cono  nella 
Calila  Cisalpina,  «e  non  dopo  un  guitto  spazio  di  tempo. 


B 


G.  Butto  alato  della  Vittoria. 

)(  ACISCVLVS ,  scritto  attorno  ad  un  acisculus;  il 
tutto  entro  una  corona  di  mirto.  Quinario. 

7.  Diceras ,  ossia  doppio  cornucopia  vittato. 

)(  ACISCVLVS,  scritto  attorno  ad  un  acisculus, 
ossia  martellina.  Sesterzio. 

N.  1.  Una  simile  testa  d'Apollo  con  capelli  inanel- 
lati (ricinti  per  altro  da  laurea  invece  del  diadema), 
ricorre  in  monete  di  Obulcone  e  di  Salpesa  della  Belica 
(Florez  tabi.  XXXIV,  7-12:  XLII.7);  ed  in  Obulcone 
era  l' esercito  di  Cesare  allor  ch'egli  lo  raggiunse  da 
Roma  in  soli  27  giorni  di  viaggio  (Strabo  III,  p.160). 
In  questo  primo  denario  di  Acisculo  sotti)  il  diadema 
d'Apollo  ricorre  per  lo  più  una  ciocca  di  capelli 
tortuosa  ,  ebe  ha  sembianza  di  serpe;  ed  in  una  mo- 
neta di  Carbula  della  Betica  vedesi  una  similissiraa 
testa  d'Apollo  con  capelli  inanellati  ricinti  da  tenue 
diadema  ,  e  con  serpe  che  ergesi  al  dinanzi  di  essa 
(Florez  tabi.  LX  ,  12).  In  altri  di  questi  denarii  di 
Acisculo  il  diadema  cinge  la  chioma  d'Apollo  a  due 
ricorsi;  e  simile  particolarità  riscontrasi  in  parecchie 
monete  Ispane. 

L'Uccello  a  collo  e  testa  umana  galeata  fu  detto  dai 
numografi  Sirena,  Chimera,  Stinfalide ,  Arpia;  e  da 
ultimo  augello  di  Pallade  dall'Eckhel  e  da  altri:  e  tale 
par  veramente  ,  ma  di  Pallade  Ispana  ,  se  pure  non 
si  voglia  tenere  per  effigie  o  simbolo  dell'  anima  di 
un  defunto  (v.  Mùller  ,  Handbùch  %  397,  3  :  Wel- 
cker,  Annali  arch.  t.  XIV,  p.  107:  Raoul-Rochette, 
Jlerc.  Assyr.  pag.  77).  L'augello  del  denario  di  Aci- 
sculo con  testa  umana  difesa  da  galea  Corintia,  e  con 
torque  al  collo,  non  può  dirsi  Arpia  ,  perchè  le  Ar- 
pie hanno  inoltre  petto  e  braccia  umane  (  v.  Millin- 
gen  ,  Sylloge  pi.  Ili ,  39;  Mon.  ined.  dell' Inst.  ardi. 
Voi.  IV,  tav.  3  ) ,  e  molto  meno  Sirena  per  la  stessa 
ragione  (cf.  Morelli  fam.  Petronia,  al.).  In  uua  mo- 
neta di  Gabala  della  Seleucide  (  Trésor  de  num.  Gal. 
mythol.  pi.  XXI,  12)  vedesi  un  augello  simile  a  testa 
umana  posalo  sopra  un  clipeo  ed  un'asta ,  stante  di- 
rimpetto ad  una  Sfinge  (ululata  (cf.  Raoul-Rochette, 
Herc.  Assyr.  p.  76,  pi.  Vili);  e  similmente  in  un'A- 
pula kylix  l'augello  a  testa  umana  è  posto  di  rincon- 
tro ad  una  Sfinge  (Annali  arch.  t.  XIV,  pag.  107); 


onde  potrebbe  pure  congetturarsi,  che  il  simbolo  A- 
siatico  dell'augello  a  testa  umana  fosse  nella  Betica 
introdotto  dalle  colonie  Fenicie  del  pari  che  la  Sfinge 
tutulata ,  la  quale  ricorre  sì  di  frequente  nelle  mo- 
nete della  Betica  stessa  (  Eckhel  t.  I  pag.  7)  ;  benché 
il  tipo  della  Sfinge  ripetersi  possa  anche  dal  culto  di 
Bacco  recatovi  poscia  dai  Greci  (  Silius  ,  Punic.  Ili, 
100).  L'augello  a  testa  umana  ricorre  anche  in  una 
moneta  d'argento  di  fabbrica  semibarbara,  che  sem- 
bra appartenere  alla  Spagna  anche  per  essersi  rinve- 
nuta in  un  antico  ripostiglio  presso  Rhodas  insieme 
con  altre,  che  in  parte  sono  verisimilmen'e  d'origine 
I»paua(l);ed  è  come  segue  (v.  Eckhel  t.  IV  p.  170, 
172:  Mus.  Caes.  P.  I  p.  289:  Gaillard,  cab.  Gar- 
da p.  91): 

Busto  di  donna  con  chioma  composta;  e  dinanzi  ad 
esso ,  arbusto  o  ramo  carico  di  bacche. 

)(  AI1VO  XIR,  Uccello  a  testa  umana  stante o gra- 
diente a  d.  colla  faccia  volta  all'  indietro.        Arg.  I. 

L'  augello  a  testa  umana  ,  similmente  respiciente  , 
vedesi  posato  sopra  l' asta  di  Pallade  ,  appoggiata  al 
carro  della  dea,  sopra  le  cui  redini  stassi  la  di  lei  ci- 
vetta, in  un  vaso  dipinto  di  stile  arcaico  rinvenutosi 
in  Egina  (Annali  arch.  t.  XIV,  p.  107:  Mon.  ined. 
Voi.  Ili  tav.  XLVI,  2  ).  Per  questi  ed  altri  riscontri 
chiaro  si  pare ,  che  l' uccello  a  lesta  umana ,  segna- 
tamente se  fornito  dell'armi  di  Pallade,  può  conside- 
rarsi quale  attributo  della  dea  della  guerra;  ma  quello 
de' denarii  di  L.  Valerio  Acisculo  ha  senza  meno  un 
significato  più  determinato  e  proprio  della  Spagna  , 
perchè  il  clipeo  accompagnato  da  due  aslicciuole,  ed 
apposto  all'ala  sua  sinistra  ,  è  simbolo  tutto  proprio 
di  quella  bellicosa  nazione  ;  laddove  Pallade  non  ha 

(1)  Fra  l' altre  v'era  una  moneta  d'argento  con  ariete  stante 
presso  il  tronco  di  un  grande  arbore  avente  i  rami  ripiegati  ver- 
so terra,  e  dall'  altro  lato  la  scritta  SVICC.A  ed  un  cavaliere  astalo 
(  v.  Pellerin ,  Ree.  pi.  Il ,  27  ).  Il  Pellerin  la  riportò  fra  le  incerte 
della  Spagna  in  riguardo  alla  provenienza  ed  alla  maniera  della  fab- 
brica :  e  tanto  si  confrrma  pel  riscontro  del  racconto  di  Posidonio 
(  ap.  Strab.  III.  p.  175),  che  dicea  avere  ammirato  presso  Gades 
un  simile  arbore  singolare  per  avere  ò'£<jl>s  xa\i.nrro\).ivovs  s/'s 
scSatfos,  '7ro\\dx,i;  Sì  (fyXXa  £i(£>osjSrj,  e  d'altra  parte  gli  arieti 
di  Spagna  erano  anche  ab  antico  grandemente  pregiati  (  Strabo 
III.  p.  14t).  Pe' quali  riscontri  sembra  che  l'Eckhel  (t.IVp.  173) 
a  torto  riputasse  simili  monete  provenienti  dalle  officine  della  Tra- 
cia e  della  Dacia. 


—  Si 


inai ,  o  quasi  mai ,  che  sola  un'asta.  La  Spagna  per- 
sonificata nelle  monete  di  Pompeo  Magno,  de' suoi 
due  figliuoli ,  di  Galba ,  e  d'altri ,  ha  le  sue  due  a- 
slicciuole ,  accompagnate  dal  clipeo,  sotto  l'ascella 
s.  o  apposte  all'omero  (Fckhel  t.  I  p.  8).  In  una  mo- 
neta di  Sagunto  vedesi  il  clipeo  Ispanico  con  a  lato 
due  diversi  gladii  e  con  le  due  as'.icciuole  ad  esso  so- 
vrapposte (v.  Bull.  ardi.  1848  p.  126:  Florez,  t. 
Ili  p.  33).  Silio  Italico,  sì  accurato  nelle  cose  e  con- 
suetudini Ispane,  ricordar  suole  le  due  asticciuole  di 
metallo  del  paese  (  Punk.  XVI  ,  464  ,  527  ): 

Bina  lulit  patrio  quatiens  haslilia  ferro. 

L'augello  pertanto  a  testa  umana  ,  che  sembra  sim- 
boleggiare la  prestezza  del  pensiero  della  sapienza  guer- 
resca, nelle  monete  di  Acisculo  può  dirsi  imagine  della 
Pallade  Ispana,  oppure  della  Spagna  bellicosa  e  cul- 
trice di  Pallade  stessa.  La  testa  di  Pallade  ricorre  in 
parecchie  monete  della  Tarraconese  ,  della  Betica  e 
della  Lusitania  ;  e  segnatamente  la  Betica  dovea  in 
ispecie  venerare  la  dea  sì  in  riguardo  al  sacrario  di 
essa,  che  dicevasi  fondato  da  Ulisse  nella  regione  mon- 
tana al  disopra  di  Abdera  ,  e  sì  per  la  copia  e  bontà 
degli  olivi  della  Betica  stessa  (Strabo  III,  p.  157:  Plii. 
IH,  3).  In  alcune  monete  d'Adriano,  nativo  d'Italica 
della  Betica,  quella  bella  provincia  vedesi  rappresen- 
tata per  mezzo  del  lipo  di  Pallade  galeata  stante  con 
asta  nella  s.  e  con  la  d.  stesa  verso  un  arbore  d'oli- 
vo, appiè  del  quale  è  un  coniglio,  nolo  simbolo  della 
Spagna  (  Florez  tabi.  LIX  ,  2  :  Trésor  de  nutn.  Em- 
per.pl.  XXIX,  10).  E  vuoisi  pur  ricordare  come 
Pallade  dopo  di  avere  eccitato  Ulisse  al  valore,  si  tras- 
formò in  rondine,  e  si  posò  ne'  lacunari  della  reggi 


la 


di  lui  (Odyss.  XXII,  237). 

L'uccello  a  testa  umana  ricorre  anche  ne' dipinti 
parielarii  di  un  antico  sepolcro  Romano  di  alcuni 
Valerii  (  Gronov.  ant.  Gr.  t.  XII  p.  13  fìg.  XI);  di 
che  altri  arguir  potrebbe  ,  che  anche  nel  denario  di 
L.  Valerio  Acitculo  l'uccello  a  testa  umana  galeata 
rappresenti  l'anima  di  un  guerriero  defunto:  ed  an- 
che in  questo  supposto  quel  simbolo  bene  si  conver- 
rebbe alle  regioni  Ispane  ,  e  segnatamente  alla  Beti- 
ca. Slrahone  (I.  III  pag.  149)  opina  ,  che  Omero  a- 
vesse  cognizione  di  Tartesso ,  della  anche  Beli,  po- 


sta in  sull'  estremo  occaso ,  e  che  ivi  ponesse  il  Tar- 
taro e  la  sede  di  Plutone  e  delle  anime  de'trapassati. 
Plinio  (Nat.  hisl.  XXXIII ,  1,21),  parlando  delle 
ricche  e  profonde  miniere  della  Spagna  ,  esclama  : 
imus  in  vincerà  eius  (terrete) ,  et  in  sedes  MANIVM 
opes  quaerimus: - ìlla  noi  ad  1NFEBOS  agunl,  quae 
occultavi!  atque  demersil  (cf.  Strabo  Hip.  146-147; 
Diodor.  V.  36,  37).  Il  nostro  Acisculo,  che,  come 
indica  il  cognome  suo,  verisimilmente  venne  in  gran- 
di ricchezze  co!  provento  delle  miniere,  forse  intese 
simboleggiare  le  doviziose  miniere  della  patria  sua 
coll'imngine  di  uno  degli  dei  Maui.  Inoltre  fu  costu- 
me de' bellicosi  lberi  di  consecrare  la  propria  vita 
agl'Inferi  promettendo  di  pugnare  fino  alla  morte  in- 
torno al  loro  duce  ogni  qual  volta  questi  cadesse  in 
campo  di  battaglia  (Plut.  tfl  Serlor.  14). 

N.  2.  Il  lipo  identico  di  Europa  portata  da  Giove 
converso  in  toro  riscontrasi  in  una  moneta  Ispana  po- 
sta fra  le  incerte  dal  Florez  [tabi.  LVIII,  1),  la  qua- 
le ,  secondo  l' originale  che  ho  soft'  occhio ,  è  come 
segue  : 

Q.  ISC.  F ,  L.  QVL  •  F ,  Testa  virile  nuda  im- 
berbe. 

)(  M.  C.  F ,  Europa  seminuda  seduta  in  sul  dorso 
del  toro  corrente,  in  alto  di  raltenere  con  ambe  le  ma- 
ni il  suo  velo ,  che  le  s' inarca  attorno  al  capo ,  e  di 
attenersi  tutl'insieme  con  la  s.  al  corno  d.  del  loro  me- 
desimo.  /E.  6. 

Il  Florez  (p.  659)  lasciò  in  incerto,  se  questa  mo- 
neta assai  ovvia  fra  le  Ispane  spelli  al  municipio  Ca- 
lagurris  Fibularia ,  oppure  a  Caslulo ,  propendendo 
per  questa  città  della  Betica ,  nelle  cui  monete  non 
dubbie  ricorre  lo  strano  gentilizio  ISCER.  Io  con- 
getturai che  appartener  possa  a  Carlhago  Nova,  che 
prima  della  colonia  dedottavi  da  Giulio  Celare  si  ap- 
pellasse Municipium  Carlhago  Fidum,  o  Fidele ,  o 
con  altro  cognome  analogo.  Ma  comunque  sia  di  ciò, 
certo  si  è  ,  che  in  una  cillà  della  Tarraconese  ,  non 
molto  discosta  dalla  Bulica  (I),  ebbe  culto  speciale  il 
toro  rapitore  di  Europa ,  come  ora  consta  dalle  se- 
guenti parole  di  P.  Annio  Floro  poeta  Africano,  che 

(1)  Vedi  queslo  Bullettino  aono  IH.  p.  67  scg. 


—  83  — 


fioriva  a  giorni  di  Traiano  e  di  Adriano  (v.  Jahn , 
Praef.  ad  Iulii  Fiorì  Epitom.  p.  XLIll):  quippe ,  si 
velerà  tempia  respicias,  htc  Me  colilur  corniger  prae- 
do,  qui  Tyriam  virginem  portjns  dum  per  loia  maria 
lascimi ,  hic  amisil  ci  substitit ,  el  eim  quam  ferebat 
oblittis  subito  nostrum  ìitus  adamavi t.  A  queste  ulti- 
me parole  del  poeta  Floro  fauno  bel  riscontro  alcune 
monete  di  Epora  e  di  Grippo  della  Belica  col  tipo  di 
un  loro  eh' è  in  atto  di  piegare  ambo  le  ginocchia  an- 
teriori per  adagiarsi  tranquillamente  a  terra.  Del  re- 
sto ,  per  indicare  il  toro  lasciviente ,  nel  denario  di 
Acisculo  gli  si  è  data  la  coda  inflessa  a  spire  come  di 

serpente;  e  nella  moneta  Ispana  del  Municipium  C 

F. . .  esso  ha  la  coda  attorcigliata  come  tenerla  suole 
il  porco  quando  è  in  pieno  benessere  ;  benché  il  toro 
forse  non  possa  di  sua  natura  attorcigliarla  in  quel 
modo  (ci.  Plin.  Vili,  7:  XI,  111). 

N.  3.  Anche  questo  denario  può  dirsi  impresso 
nella  Betica  per  ragion  della  testa  d' Apollo  ,  che  si- 
mile ricorre  in  monete  di  Carbula ,  di  Obulcone  e 
di  Salpesa,  come  detto  è  di  sopra.  La  testa  poi  fenri- 
nile  del  riverso  è  simile  iu  parte  a  quella  che  ricorre 
in  una  moneta  di  Carisa  della  Betica  (  Florez.  labi. 
LXI,  1),  e  molto  simile  a  quella  del  ritto  del  dena- 
rio di  T.  Carisio  con  la  Sfinge  nel  riverso ,  che,  co- 
me vedremo  in  appresso  ,  impresse  anch'  egli  le  sue 
monete  nella  Betica,  e  fu  collega  di  L.  Valerio  Aci- 
sculo nel  triunvirato  monetale.  Che  se  quella  testa 
femminile  è,  come  parve  ad  altri ,  della  Sibilla,  può 
riferirsi  a  L.  Valerio,  che  nel  678  di  Roma  fu  man- 
dato ad  oracida  Sibyllina  conquirenda  (Lactant.  Dio. 
Inst.  I,  6,  14). 

N.  4.  La  testa  raggiante  del  Sole,  e  la  corrispon- 
dente figura  di  Diana-Luna  in  biga ,  sono  tipi  assai 
convenienti  a  monete  impresse  nella  Spagna  ulterio- 
re ,  ove  gli  antichi  ponevano  l' estremo  Occidente  , 
edil confine deldìedella notte  (Strabo  III,  p.  137-138). 
Ivi,  al  dire  di  Omero  (ap.  Slrab.  Ili  p.  149),  il  Sole, 
giunto  all'occaso,  cadeva  nell'Oceano  seco  menando 
l' oscura  notte  ; 

\\>.tsvt(tu  XafX7rpov  (f)a&s  'HsXi'ojo 
ÌXxuiy  n'xru.  (7.sXaiv*v  \ir\  {uìuipjv  apoypxv. 
Non  molto  discosto  dalle  foci  del  Beli  era  il  sacrario 


del  Crepuscolo,  o  Fosforo  che  dir  si  debba,  denomi- 
nato Lux-dubia  dai  Latini  (Strabo  HI  p.  140):  ed  i 
poeti  favoleggiavano ,  che  il  Sole  lavar  solesse  i  suoi 
corsieri  iiell'  onde  dolci  del  Beli  medesimo  (Silius, 
Pun/c. XVII, 639),  I  Celtiheri  festeggiavano  con  danze 
notturne  il  plenilunio  (Strabo  HI  p.164);  e  nella  Be- 
tica il  culto  della  Luna  ver  (similmente  invalse  vie  più 
anche  in  riguardo  al  singolare  flusso  e  riflusso  delle 
acque  di  quelle  piagge  cotanto  proficuo  agli  abitanti 
(Strabo  III  p.  173,  174).  Presso  il  Promontorio  Sa- 
cro si  rinvennero  due  iscrizioni  dedicale  SOLI  ET 
LVNAE  con  gli  avanzi  di  un  tempio  (Florez,  Esp. 
sagr.  t.  XIII  p.  55-56);  e  non  lungo  da  Malaca  era 
un'isola  Noctilucae  ab  incolis  sacrata  pridem  (Avie- 
nus ,  Ora  marit.  v.  429  ).  Quindi  la  testa  del  sole 
cinta  di  raggi  ricorre  nelle  monete  di  Asido,  di  Asla- 
pa,  di  Malaca  e  fors'anche  di  Gades;  senza  dire  della 
Luna  bicorne  accompagnala  da  uno  o  più  astri,  eh' è 
un  distintivo  proprio  delle  monete  della  Betica  (Ec- 
hhel  t.  I  p.  7).  Ancora  la  testa  feminile  accompagnala 
da  una  grande  luna  falcata,  che  ricorre  nelle  monete 
di  Obulcone  e  di  Elia,  sembra  senza  meno  effigie  della 
Luna  stessa ,  o  sia  di  Diana  Selene. 

N.  5.  Anche  il  tipo  singolare  del  Gigante  anguipe- 
de  stante  di  prospello  con  la  d.  minacciosamente  ap- 
plicata all'  anca ,  e  con  la  s.  alzata  sovra  il  suo  capo 
come  iu  atto  di  schermirsi,  ma  inutilmente,  dal  ful- 
mine di  Giove  ,  la  cui  tesla  è  nel  ritto  di  questo  de- 
nario ,  ben  si  conviene  a  moneta  impressa  nella  Be- 
lica, probabilmente  dopo  la  sconfitta  del  giovine  Pam- 
peio  e  l'insigne  vittoria  di  Cesare  a  Muuda.  Lo  sco- 
liasle  Veneto  di  Omero  (  Iliad.  0.  479  )  ,  edito  dal 
Villoison,  pose  la  pugna  de' Giganti  nell' estremo  Oc- 
cidente, e  precisamente  in  Tartesso  della  Betica,  ove 
a  parere  di  Slrabone  (I.  Ili  p.  149)  Omero  slesso  i- 
maginò  il  Tartaro.  «  I  Giganti,  scrive  il  citato  Sco- 
liaste ,  figliuoli  della  terra  ,  indignali  per  la  sconfitta 
de'  Titani ,  in  Tartesso  ,  città  situala  nelle  vicinanze 
dell'  Oceano  ,  apprestaronsi  a  grande  guerra  contra 
Giove;  e  Giove  venuto  con  esso  loro  a  conflitto,  tutti 
li  debellò ,  e  precipitatili  tutti  nell'  Èrebo,  restituì  al 
padre  Saturno  il  suo  regno  (cf.  Miiller,  Fragni.  Hist. 
Gr.  t. Ili  p.  517-518).  Ofionc  poi,  che  superava  in 


—  86  — 


grandezza  e  forza  tutti  gli  altri  Giganti ,  fu  da  Giove 
sconfitto  ed  oppresso  sotto  la  mole  di  un  monte,  che 
per  ciò  stesso  venne  chiamato  OQonioa.  Vero  è,  che 
Ofione,  '0$i'u>v,  da  Apollonio  Rodio  (Argon.l,  503), 
e  da  Licofrone  (Alex.  1592)  è  detto  re  de'Titani  ;  ma 
sa  ognuno  come  anche  gli  antichi  confusero  e  scam- 
biarono non  di  rado  i  Giganti  a' Titani  (v.  Heyne  ad 
Apollod.  I,  6,  1).  Con  lo  scoliaste  di  Omero  in  parie 
si  accorda  Eustazio  (ad  Perieg.  vs.  64),  che  riferi- 
sce come  Abila  e  Calpe  da  prima  appellaronsi  Co- 
lonne di  Saturno  ,  poscia  di  Briareo ,  e  d' Ercole  da 
ultimo;  e  Tartesso,  secondo  alcuni,  era  la  stessa  città 
che  Carleia  vicina  a  Calpe.  Seneca  poi,  con  altri  an- 
tichi, fu  di  parere,  che  lo  stretto  frapposto  ad  Abila 
e  Calpe  venisse  aperto  dalla  violenza  de'  tremuoti  e 
degl' incendii  sotterranei  (Nat.  quaest.  VI,  29):  His- 
panias  ab  Africae  conlexlu  mare  et  terrae  Iremores  e- 
ripuerunt.  I  moderni  geologi  osservarono  nella  Beli- 
ca  indizii  manifesti  di  vulcani  spenti  appiè  delle  vette 
del  monte  Mariano  (Malte-Brun,  Geogr.  Libr.  CH'I, 
t.  Vili  Pari.  I  p.  10  ed.  Mil.);  e  d'altra  parte  consta 
come  gli  antichi  posero  la  sede  della  pugna  de'  Giganti , 
o  sia  i  campi  Flegrei,  quasi  in  ogni  regione  soggetta  a 
frequenti  e  forti  tremuoti  e  ad  incendii  sotterranei  (v. 
Heyne  ad  Apollod.  I,  6,  1).  La  Belica  poi  fu  la  pri- 
ma fra  le  regioni  della  Spagna  a  conoscere  le  lettere 
e  le  tradizioni  mitologiche  de' Greci  (Slrabo  III,  pag. 
157-158). 

N.  6.  Nel  quinario  di  Acisculo  il  busto  della  Vit- 
toria è  tipo  consueto  e  proprio  di  quella  moneta  det- 
ta perciò  villorialo  ;  ma  può  luti'  insieme  accennare 
ad  una  delle  vittorie  conseguite  da  Cesare  nella  Be- 
tica,  segnatamente  a  quella  diMunda.  L'acisculus poi, 
o  sia  martello  da  scavatore,  oltre  l' allusione  sponta- 
nea al  cognome  del  mouetiere  ACISCVLVS,  sembra 
appellare  al  vanto  delle  ricche  miniere  della  Betica. 

N.  7.  Il  sesterzio  insignito  del  tipo  del  gemino  cor- 
nucopia vittato  ,  che  fa  riscontro  all'  acisculus,  mo- 
stra vie  più  chiaramente  ,  che  1'  uno  e  l' altro  tipo 
si  riferisce  alle  dovizie  singolnri  della  Betica  stessa; 
poiché,  al  dello  del  geografo  (  Slrabo  III  p.  142, 
145  ,  148),  non  conosceva:si  a' tempi  antichi  veru- 
n'  altra  regione ,  che  in  sì  poco  tratto  di  paese  desse 


tutto  insieme  tanti  proventi  di  ricolti  d' ogni  maniera 
e  tanta  copia  di  metalli  preziosi ,  celebrati  per  fama 
fino  nelle  parti  d'oriente ,  leggendosi  ne' libri  santi 
(  1 .  Machab.  Vili ,  3  )  come  i  Romani  col  costante 
loro  valore  conquistarono  fra  l' altre  contrade  la  Spa- 
gna ,  et  in  poteslatem  sitavi  redegerunl  melalla  argenti 
et  ami.  Gl'Ispani  poi  cotanto  pregiavano  la  ricchez- 
za delle  loro  miniere,  che  tributavano  divini  onori  ad 
un  eroe  loro  indigeno  ,  di  nome  Alete ,  che  dicevasi 
primo  inventore  delle  miniere  dell'  argento,  e  ad  esso 
lui  consacrarono  uno  dei  colli  vicini  alla  nuova  Car- 
tagine (Polyb.  X,  10). 

All'argomento  tratto  dalla  corrispondenza  de*  tipi 
delle  diverse  monete  di  L.Valerio  Acisculo  con  quel- 
li delle  monete  e  delle  condizioni  della  Belica  ,  non 
che  dalla  consonanza  del  raro  cognome  di  esso  lui 
col  nome  del  santo  Martire  Cordovese  Acisclus,  per 
reputarle  impresse  nella  Betica,  si  aggiunge  il  riscon- 
tro di  un  accessorio  assai  notevole ,  pel  quale  parmi 
si  ponga  come  il  suggello  all'ipotesi  che  Acisculo  stes- 
so fosse  oriondo  o  nativo  della  Betica,  e  che  più  ve- 
risimilmente  improntasse  le  sue  monete  ,  almeno  in 
parie,  nella  Betica  medesima.  In  quasi  tulte  le  sud- 
dette sette  diverse  monete  di  Acisculo,  da  un  lato  di 
esse,  o  da  entrambi  i  lati,  vedesiil  tipo  rinchiuso  en- 
tro una  ghirlanda  consistente  di  due  ramicelli  d'arbo- 
re a  foglie  fitte  e  piccole,  la  quale  ricorre  attorno  al- 
l' orlo  ;  e  la  stessa  particolarità  si  osserva  parimente 
nelle  monete  della  maggior  parte  delle  citlà  della  Be- 
tica ;  in  quelle  cioè  di  Callet ,  di  Carino,  di  Caura  , 
di  Epora  ,  d' Ipagro ,  d' Irippo  ,  di  Lastigi ,  di  Mala- 
ca,  di  Obulco,  di  Salpesa  e  di  Searo.  Colali  corone, 
che  sembrano  di  mirto,  o  di  olivo ,  anzi  che  di  lau- 
ro ,  erano  cotanto  usate  nella  Belica  ,  che  ricorrono 
alìresì  identiche  attorno  ad  entrambi  i  tipi  di  un  cu- 
rioso medaglione  antico  di  piombo  della  ricca  colle- 
zione Garcia  (Gaillard  p.24  pi. VI)  scopertosi  nelle 
vicinanze  di  Cordova  ,  e  che  sembra  aver  servito  di 
amuleto.  Le  città  della  Betica  forse  si  piacquero  del- 
l'ornamento  di  quella  ghirlanda  in  riguardo  all'  ame- 
no aspetto  del  loro  territorio ,  giacché  i  dintorni  del 
fiume  Beli  presentavano  ridente  aspello  di  verzure 
spontanee  e  di  piantagioni  elaborate  (Strabo  III  p. 


—  87  - 


142).  Amenissimi  parimente  erano  i  diutorni  di  Va- 
lenza della  Tarraconese,  che  similmente  pose  una  ghir- 
landa attorno  ad  ambo  i  tipi  delle  sue  monete  ;  e 
probabilmente  per  la  stessa  ragione  il  simile  fecero 
anche  le  colonie  Cabellio  e  Nemauso  della  GalIiaNar- 
bonese  (  Morelli,  Fara.  Aemil.  lab.  2,  VII,  Vili:  Saus- 
saye,  Num.  Narb.  pi.  XVII.  pag.  144,  pi.  XIX ,  7, 
p.  156)  (1).  L'identica  ghirlanda  consistente  di  due 
ramicelli  a  foglie  dense  e  tenui,  e  sì  volte  allo  ingiù, 
come  nelle  monete  di  L.  Valerio  Acisculo ,  ricorre 
altresì  attorno  al  tipo  del  riverso  di  due  denarii  di  T. 
Carisio  triunviro  monetale  degli  anni  decorsi  dal  703 
al  71 1  di  Roma  ,  il  quale  in  altre  sue  monete  pose 
tipi  che  trovano  il  loro  riscontro  in  monete  della  Be- 
tica  ;  onde  parmi  quasi  certo  ed  evidente,  che  T.Ca- 
risio stesso  fosse  collega  di  Acisculo  nell'anno  709, 
e  che  imprimesse  parte  delle  sue  monete  nella  Spa- 
gna, di  che  ne  porge  indizio  sufficiente  anche  la  ma- 
niera della  fabbrica  trascurata  e  in  parte  rozza.  Ec- 
cone la  descrizione. 

1,  ROMA,  Testa  di  Roma  con  galea  ornata  di  due 
lunghe  penne. 

)(  T.  CARISI,  oppure  T.  CARIS,  Globo  terraqueo 
ton  cornucopia  sopr'  esso ,  posto  di  mezzo  ad  uno  scet- 
tro e  ad  un  timone  di  nave  :  il  tutto  entro  una  corona 
di  mirto.  Denario. 

2,  MONETA,  Testa  di  Giunone  Moneta  con  chio- 
ma raccolta  in  nodo  al  didietro. 

X  T*  CARISI VS  ,  Incudine ,  malleo,  tenaglie  e  pi- 
leo  laureato  di  Vulcano  :  il  tutto  entro  una  corona  di 
mirto.  Denario. 

3,  Testa  femminile  con  chioma  ricciuta  e  stretta  da 
larga  vitta  a  più  ricorsi. 

)(  T-  C  ARISI  VS.  III.  VIR,  Sfinge  alala,  accoscia- 

(1)  Nel  riverso  di  una  rara  moneta  di  Nemauso  (  Saussaye  pi. 
XIX,  7  )  vedesi  un'  urna  riversa ,  con  la  scritta  NEM  •  COL  al  di- 
sotto ;  il  tutto  entro  una  corona  di  lauro  ovvero  di  mirto.  Il  eh. 
Saussaye  (  p.  165)  la  repula  relativa  alle  lustrazioni  solile  farsi 
nella  dedicazione  delle  colonie  Romane  ;  ma  il  vaso  dell'  acqua  lu- 
strale per  quella  sacra  ceremonia  avea  forma  di  silula  ;(  cf.  Morelli 
ranni.  Postumia  lab.  1.  n.  Villi);  laddove  l'urna  della  moneta  di 
Nemauso  è  simile  a  quella  delle  monete  di  Terina  de'  Breltii,  onde 
sembra  anzi  da  riferirsi  al  cullo  del  fonte  celebre  di  Nemauso,  al 
•ui  Genio  offmansi  anche  delle  monete  patrie  fin  sotto  l' impero 
(  cf.  Saussay*  p.  171). 


ta  con  testa  femminile  ridilla  da  villa  o  diadema. 

Denario. 

4,  Bmlo  della  Vittoria  con  ale  agli  omeri. 

)(  T  •  CARISI ,  Vittoria  slolala  in  biga  veloce  con 
laurea  nella  d.  alzala.  Denario. 

5,  S.  C,  Busto  della  Vittoria  con  ale  agli  omeri. 

)(  T-  CARISI ,  Vittoria  slolala  in  quadriga  veloce 
con  laurea  nella  d.  alzata.  Denario. 

6,  Busto  della  Vittoria  con  ale  agli  omeri. 

)(T- CARISI,  Roma  goleata  sedente  sopra  una  con- 
gerie di  scudi  con  parazonio  nella  d.  ed  asta  nella  s. 
e  con  globo  sotto  il  pie  d.  Quinario. 

7,  Busto  di  Diana  con  arco  e  faretra   agli  omeri. 
)(  T-  CARIS,  oppure  T.  CAR,  Cane  da  caccia  in 

lulla  corsa.  Sesterzio. 

8,  T.  C  ARISI  VS,  o  T.  CARISI,  Testa  barbala  di 
Sileno. 

)(  III-  VIR,  Pantera  stante  e  riguardante,  con  tirso 
nella  zampa  s.  appoggialo  all'omero.  Serterzio. 

Dal  riscontro  delle  monete  di  T.  Carisio  con  quel- 
le di  L.  Valerio  Acisculo  chiaro  si  pare  come  cia- 
scuno di  loro  impresse  cinque  denarii  diversi ,  un 
quinario  ed  uno  o  due  seslerzii.  Le  monete  poi  di 
entrambi  loro  per  la  più  parte  danno  indizio  di  la- 
voro affrettato  e  trascurato  ,  quale  si  può  aspettare 
da  officine  provinciali  e  quasi  dissi  castrensi.  Nella 
prima  e  nella  seconda  di  T.Carisio  attorno  al  tipo  del 
riverso  ricorre  la  identica  corona,  che  vedesi  nella  più 
parte  di  quelle  di  Acisculo ,  consistente  cioè  di  due 
ramicelli  a  foglie  minute  e  spesse ,  colla  punta  volta 
parimente  alf  ingiù.  Inoltre  anche  i  tipi  di  T.  Carisio 
hanno  quasi  tutti  il  loro  riscontro  in  monela  della 
Spagna  Belica  e  della  Tarraconese.  Il  tipo  del  globo 
terraqueo  accompagnato  dal  cornucopia,  dal  governo 
di  nave  e  dallo  scettro,  che  nel  primo  denario  diT. 
Carisio,  per  denotare  l' imperio  di  Roma  sopra  tutto 
l' orbe,  ha  il  suo  riscontro  in  monete  di  Romula  col 
globo  accompagnato  dal  cornucopia  e  dal  timone  di 
nave,  ed  in  alcune  d'Italica  col  cornucopia  soprappo- 
sto al  globo  terraqueo.  Inoltre  lo  slesso  tipo  del  globo 
accompagnato  dal  limone  e  dallo  scettro  laureato,  ri- 
corre ne' copiosi  denarii  di  Gn.  Lenlulo,  che  da  pri- 
ma s'intitola  CVRafor  X-  (Denariorum)  FLandorum 


—  88  — 


EX  S  •  C ,  e  poscia  Quaestor  ,  i  quali  per  la  maniera 
della  fabbrica  loro  rozza  ed  affrettala  ,  e  per  ragion 
de' tempi  (v.  Ragguaglio  de  Ripost.  p.  206)  voglionsi 
probabilmente  credere  impressi  nelle  Spagne  pe'biso- 
gni  dell'esercito  Romano  nella  guerra  conlra  Serto- 
rio  ,  allor  che  nel  679  imperalorcs  Hispaniae  stipen- 
dium ,  milite*  arma  ,  frumentum  poscebant  (  Orat.  C. 
Cottae  Cos.  ap.  Sallurt.).  Anche  la  lesta  di  ROMA, 
con  galea  ornala  di  due  penne  o  ramuscelli ,  ha  il 
suo  riscontro  in  monete  di  Sisipo  (Florez  <aW.  LVIII, 
3  :  Sestini  tav.  HI,  9)  con  simile  lesta  nel  ritto,  che 
per  ciò  potrà  dirsi  di  Roma  stessa. 

Il  pileo  di  Vulcano  ricinto  di  lauro ,  ovvero  di 
mirto,  e  accompagnato  dalle  tenaglie  e  dagli  altri  or- 
degni fabbrili ,  trova  il  suo  riscontro  nella  testa  di 
Vulcano  coverta  di  pileo  parimente  inghirlandato  e 
accompagnato  dalle  tenaglie ,  che  ricorre  in  monete 
di  Malaca ,  di  Osicerda  e  di  Ugia  della  Betica  ,  nelle 
quali  pare  senza  meno  riferirsi  alle  ricche  miniere 
ed  alle  operose  officine  metallurgiche  di  quelle  con- 
trade. Anche  l'acconciatura  della  chioma  della  dea 
MONETA  nel  secondo  denario  di  T.  Carisio  ha  par- 
ticolare somiglianza  con  quella  delle  teste  feminili 
delle  monete  di  alcune  città  della  Belica,  e  di  quella 
de'denarii  del  proconsole  C.  Annio  impresse,  alme- 
no in  parte  ,  nelle  officine  della  Spagna  (v.  Raggua- 
glio p.  21  ).  La  Sfinge  accosciata  del  terzo  denario 
di  T.  Carisio,  sebbene  creder  si  possa  allusiva  al  no- 
me suo,  perchè  CARISA  vafram  signifìcat  (  Festus 
s.  v.  v.  pag.  44  Mueller)  ,  pare  riferirsi  alla  Betica; 
poiché  ricorre  in  molte  monete  di  quella  provincia, 
in  quelle  cioè  di  Amba,  d'Uiberi,  di  Munda,  di  Osca, 
di  Ursone  ,  ed  in  quelle  di  Caslulone  non  lontana 
dalla  Betica  stessa.  La  Sfinge  delle  monete  della  Be- 
lica ha  per  lo  più  la  tesla  coverta  da  un  pileo  acu- 
minato, sicché  parrebbe  d'origine  Asiatica  ed  intro- 
dottavi dalle  colonie  Fenicie  (Raoul-Rochette,  Herc. 
duyr.  p.  76  pi.  Vili);  talora  per  altro  mostra  ave- 
re la  testa  nuda  o  ridala  da  villa  o  diadema  Bacchi- 
co ,  come  ne'  denarii  di  T.  Carisio,  onde  pare  che  in 


tempi  posteriori,  dopo  ricevuta  la  coltura  Greca,  si 
riferisse  al  cullo  di  Bacco,  che  diccvasi  aver  percor- 
se anche  quelle  regioni  occidentali  (Silius.Pum'c.  Ili, 
100:  cf.  Raoul-Rochette,  Colon.  Gr.  t.  1,  p.  412). 
La  testa  feminile  del  ritto  del  terzo  denario  diT.  Ca- 
risio ha  certa  somiglianza  con  quella  di  una  moneta 
di  Carisa  della  Betica  (  Florez  labi.  LXI,  1,  cf.  Gail- 
lard  pi.  HI,  2). 

Il  busto  della  Vittoria,  e  la  Vittoria  stessa  in  biga 
od  in  quadriga  veloce,  degli  altri  due  denarii  (  n.  4, 
5  )  appellano  alle  vittorie  riportate  da  Cesare  nelle 
Spagne,  e  segnatamente  a  quella  di  Munda,  che  de- 
cise del  dominio  suo  sopra  l'orbe  Romano,  il  quale 
nel  quinario  (n.  6.  )  vien  deferito  a  Roma  stessa,  per 
evitare  le  detrazioni  degl'  invidi  avversi  al  Dittatore. 

Il  busto  di  Diana  con  arco  e  faretra  all'omero  , 
posto  nel  rilto  del  primo  de'  due  sesterzii  di  T.  Ca- 
risio (n.  7),  ricorre  identico  in  monete  d'Emporie 
della  Tarraconese  (Florez,  tabi.  XXIV,  9)  ,  onde 
lice  congelturare  che  una  parte  delle  monete  di  T. 
Carisio  venisse  impressa  nelle  officine  d'Emporie  sles- 
sa. Il  cane  corrente ,  eh'  è  nel  riverso  del  sesterzio 
slesso,  ha  il  suo  riscontro  in  monete  Celtibere  aventi 
nel  ritto  un  simile  cane  da  caccia  corrente  posto  die- 
tro una  testa  virile  nel  rilto ,  e  nel  riverso  un  cava- 
liere corrente ,  in  sulla  groppa  del  cui  cavallo  è  po- 
salo un  augello,  che  probabilmente  può  dirsi  otide, 
o  sia  otlarda  ,  che  cotanto  abbondava  nelle  Spagne , 
e  che  tracciavasi  da'eacciatori  col  sussidio  del  caval- 
lo,  col  quale  ella  ha  simpatia  singolare  (  v.  Gaillard 
fi.  I,  5,  p.  74:  Florez  tabi.  LXVII ,  8:  cf.  Slrnbo 
III  p.  163:  Athen.  IX  p.  390:  Aelian.  hist.  anim.  II, 
28:  Oppian.  Cyneg.  II,  vs.  406).  Consta  inoltre,  che 
Diana  ebbe  cullo  insigne  nel  promontorio  detto  per- 
ciò Dianium,  situalo  fra  Cariogena  eSucrone(Slrabo 
III  p.  159  ,  161),  e  che  gl'Ispani  erano  amantissimi 
della  caccia  (Avienus  Ora  marit.). 


(continua) 


C.  Cavedoni. 


Giulio  Minervim  -  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Cataneo. 


BILLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 
N.°  62.     (12.  dell'anno  III.)  Gennaio  1855. 

Le  medaglie  di  L.  Valerio  Acisculo ,  ed  altre  di  Famiglie  Romane ,  dichiarale  col  riscontro  di  quelle  della 
Spagna.  —  Tombe  scoperte  in  Albanella  ad  oriente  e  settentrione  di  Posidonia.  —  Iscrizioni  latine.  Conti- 
nuazione del  n.  58. 


Le  medaglie  di  L.  Valerio  Acisculo ,  ed  altre  di  Fa- 
miglie Romane ,  dichiarate  col  riscontro  di  quelle 
della  Spagna. 

I  tipi  Racchici  dell'altro  serlerzio  (n.  8)  riferir  po- 
trebbonsi  al  culto  di  Racco  ,  che  dicevasi  aver  per- 
corse le  Spagne  fino  all'estrema  Lusitania  (Plin.  Ili, 
3,  3:  Silius,  Punk.  Ili,  100),  ed  agli  esimii  vini  di 
quelle  contrade  (cf.  Florez.  tabi.  XIV,  1 1:  LXIII,  5): 
ma  forse  meglio  può  supporsi  impresso  in  Roma,  do- 
po il  ritorno  di  Cesare,  con  tipi  allusivi  alle  largizio- 
ni ed  agli  spettacoli  scenici  dati  da  esso  lui  pel  suo 
quinto  trionfo  (Dio  XLIII,  41  ). 

T.  Carisio  poi  fu  probabilmente  oriondo  dalla  Spa- 
gna Retica,  del  pari  che  il  suo  collega  L.  Valerio  A- 
cisculo  ;  poiché  il  nome  suo  gentilizio  pare  derivato 
da  quello  della  citlà  Carisa  (  cf.  Forcellini  v.  Carisia- 
eus  ) ,  ed  i  primi  Carisii  che  trovinsi  memorati  negli 
storici  e  ne'  monumenti  Romani  sono  per  appunto  il 
nostro  T.  Carisio,  che  un  venti  anni  dopo ,  cioè  nel 
729  fu  legalo  di  Augusto  nella  diffìcile  guerra  con- 
tra  gli  Asturi  e  i  Cantabri,  probabilmente  come  uo- 
mo esperto  de'luoghi  e  dell' indole  ed  usanze  di  quelle 
genti  feroci  (  Dio,  LUI,  25:  L1V,  5  );  e  P.  Carisio  Le- 
galo di  Augusto  Propretore  nella  Lusilania,  che  in- 
torno a  quegli  anni  impresse  copiose  monete  in  Eme- 
rila(Eckhel  t.  V.  p.  164). 

II  nostro  triunviro  monetale  T.  Carisio  mostra  a- 
vere  continuato  ad  improntare  monete  olire  i  limiti 
dell'  annua  sua  magistratura,  forse  fino  ne'  primi  mesi 
del  710;  come  può  arguirsi  da  quelle  che  nel  ritto 
hanno  le  sigle  S.  C.  col  busto  della  Vittoria  ,  e  nel 

Anno  ni. 


riverso  la  Vittoria  in  quadriga  veloce,  la  quale  par 
riferirsi  ai  Circensi  perpetui  decretati  dal  senato  in 
memoria  della  vittoria  riportata  da  Cesare  a  Munda 
(Dio  XLIII,  42). 

Posto  pertanto,  che  T.  Carisio  e  L.  Valerio  Aci- 
sculo fossero  triunviri  monetali  nel  709 ,  resterebbe 
a  definire  chi  fosse  il  terzo  loro  collega,  e  non  saprei 
ben  dire,  se  P.  Accoleio  Lariscolo,  ovvero  A.  Lici- 
nio Nerva.  Nel  ragguaglio  de'  ripostigli  io  assegnai 
a  questi  triunviri  anni  diversi;  ma  ora  veggo  che  le 
monete  di  Acisculo  e  di  Lariscolo  poterono  manca- 
re ne'  ripostigli  di  Villola  e  di  Collecchio  tra  perchè 
alquanto  rare,  e  perchè  quelle  di  Acisculo  impresse 
oltremare  non  poterono  avere  pieno  corso  nella  Gal- 
lia  Cisalpina,  se  non  dopo  un  anno  all'  incirca. 

La  corona  di  mirto  ,  o  d'  olivo  che  dir  si  debba  , 
la  quale  ricorre  nelle  monete  della  Betica,  ed  in  quel- 
le di  T.  Carisio  e  di  L.  Valerio  Acisculo,  verisimil- 
mente  impresse  in  quella  provincia ,  trovasi  anche 
nelle  monete  d' altre  Famiglie  Romane ,  non  senza 
qualche  relazione  alla  Spagna,  a  quel  che  pare,  e  so- 
no le  seguenti  : 

1.  C.  ALLI  BALA,  dell'anno  650  all'incirca. 

2.  L.  COT  (Aurelius)  dell'anno  666? 

3.  LENT-  MAR-  F  dell'anno  657  all'  incirca. 

4.  AV-FONTEI-  CF-  dell'anno  670  all' incirca. 

5.  CN-  GELI  dell'anno  620  all' incirca. 

6.  M-  LVC1LI-  RVF  dell'anno  660  all' incirca. 

7.  EX-  S-  C-,  scritto  attorno  ad  un  cornucopia 
vittato  ;  il  tutto  entro  una  corona  di  mirto,  dell'  an- 
no 680  ad  un  dipresso. 

I  denatii  di  C.  Allio  Rala  e  di  Lentnlo  figlio  di 

12 


—  90  — 


Marcello  (n.  1 ,  4)  sono  per  lo  più  di  fabbrica  sì  roz- 
za e  trascurala,  elle  sembrano  impressi  fuor  di  Roma 
(cf.  Borghesi  presso  il  Sestini,  serie  del  mus.  Fontana 
p.  42);  e  la  particolarità  della  corona  di  mirto  ne 
porge  buon  argomento  a  crederli  improntati  nella 
Belica  allor  che  guerreggiavano  in  quelle  contrade  M. 
Mario,  D.  Silano,  C.  Celio  Caldo,  L.  Dolabella,  T. 
Didio  e  P.  Crasso  (Fasti  triumph.  Capii,  cf.  Borghe- 
si ,  Dee.  VI,  oss.  10).  C.  Allio  Baia  può  inoltre  re- 
putarsi oriondo  dalla  Betica  in  riguardo  al  suo  co- 
gnome BALA  ,  che  pare  senza  meno  d' origine  Fe- 
nicia (v.  Cavedoni,  Spicil.  num.  p.  263.  SlraboXVI, 
751  ).  Nel  riverso  di  un  quadrante  di  CordubafFlo- 
rez  tabi.  LXII.  2  )  leggesi  BAL  in  lettere  connesse , 
che  spiegar  potrebbonsi  anche  BALA  (1).  Il  tipo  stes- 
so di  Diana  ledifera  ben  si  addice  alla  Betica  ,  nelle 
cui  monete  ricorre  sì  di  frequente  la  Luna.  Che  poi 
la  gente  Alita  o  sia  Àelia  fosse  per  tempo  propagata 
nella  Betica  consta  da'  monumenti  e  dagli  storici  Ro- 
mani, e  ne  basti  pur  ricordare  l'Augusto  P.  Aelius 
Hadrianus  nativo  d'Italica  (cf.  Florez,  Esp.  sagr. 
t.  Vili  p.  198,  208,  210:  IX  p.  1 13:  Medal.  tabi. 
LV1I,  14,  13).  P.  Lenitilo  figlio  di  Marcello,  olire 
che  probabilmente  impresse  le  sue  monete  nelle  Spa- 
gne intorno  all'anno  657,  fors' anche  sotto  il  gover- 
no di  un  Nasica  (v.  lui.  Obseq.  de  proci.  CXI:  cf.  Bor- 
ghesi Dee.  VI,  oss.  10),  adorno  al  tipo  dell'Onore 
che  incorona  la  Virtù  (Caved.  Appena,  p.  72  ),o«lel 
Genio  della  Spagna  che  incorona  Roma,  polo  porre 
la  corona  di  mirto  in  riguardo  a  Marcello  fondatore 
di  Cordova  (StrabolII,  p.  141.  cf.  Polyb.  XXXV, 
2:  Appian.  Ilisp.  17:  Florez,  Esp.  sagr.  t.  Xp.  133), 
o  di  alcuno  de'  Lenluli  che  militarono  nelle  Spagne 
durante  la  seconda  guerra  Punica  (  v.  Glandorp.  O- 
tiom.  ),  od  anche  di  P.  Scipione  fondatore  d'Italica 
(Appian.  Hisp.  38);  giacché  il  nostro  Lentulo  figlio 


(I)  Nel  rillo  di  quel  quadrarne  leggesi  CN  ■  IVL1  -L  •  F  ■  Q,  on- 
de l'Eckhel  lo  reputa  impresso  da  un  questore  Romano  in  quella 
provincia  per  lo  stipendio  delle  milizie  (  t.  1.  p.  18).  Del  resto, 
il  nesso  BAL  è  scritto  in  lettere  maggiori  ,  per  mostrare  che  non 
si. connette  col  nome  COKDVbA  .  che  inoltre  è  scritto  in  senso 
opposto.  Non  vorrei  per  alno  oppormi  a  chi  spiegar  volesse  BAL- 
neare,  o  lihtnealicum  ,  sapendosi  come  il  quadrante  era  per 
appunto  il  prezzo  consueto  de!  bagno  (  v.  Bull.  areb.  1841  p.  30). 


di  Marcello  mostra  avere  vantato  fra  le  glorie  avite 
della  famiglia,  nella  quale  fu  inserto,  anche  Scipione 
Nasica  (  Cic.  de  Harusp.  resp.  11.  cf.  Orelli  Onom. 
Cic.  p.  177-178). 

I  copiosi  denarii  serrati  di  L.  Aurelio  Cotta  con 
la  testa  di  Vulcano  enlro  una  corona  di  mirto  nel 
ritto  ,  e  con  l' Aquila  fulminifera  entro  una  laurea 
nel  riverso,  sono  di  fabbrica  si  rozza  e  trascurata,  che 
sembrano  senza  meno  impressi  fuori  di  Roma. 

Io  li  supposi  impressi  intorno  al  666  dal  console 
del  689  (Ragguaglio  de' ripost.  p.  199);  ma  ora 
proprenderei  ad  assegnarli  al  L.  Cotta ,  che  fu  tri- 
buno della  plebe  nel  659  (v.  Orelli  Onom.  Cicer.  p. 
90  ) ,  e  che  intorno  al  650  avrebbe  potuto  impron- 
tarli nella  Spagna  per  la  guerra  contra  i  Lusitani 
(lui.  Obseq.  eap.  104:  Annali  arch.  t.  XXI.  p.  10. 
11(1)). 

La  corona  di  mirto ,  che  ricorre  attorno  al  lipo 
del  riverso  de'  bei  denarii  di  Manio  Fonteio  figlio  di 
Caio  impressi  nell'anno  670  all' incirca,  (v.  Raggua- 
glio de  riposi,  p.  199 ,  202) ,  può  riferirsi  a  Manio 
Fonleio  suo  parente ,  che  intorno  a  quegli  anni  era 
legato  questorio  nella  Spagna  ulteriore  (Cic.  prò  Font, 
e.  XVI:  et  fragm.  a  Niebuhr.  ed.  e.  Ili,  §  6),  o  ad 
altro  de' suoi  maggiori  pretorii  accennati  da  Cicero- 
ne, che  conseguisse  qualche  magistratura  nelle  Spa- 
gne. Io  supposi  impresse  intorno  all'anno  620  le 
monete  di  Cn.  Gellio;  e  la  corona  di  mirto,  che  gira 
attorno  alla  testa  di  Roma  nel  ritto  del  suo  denario, 
riferir  potrebbesi  all'  insigne  trionfo  che  P.  Scipione 
Emiliano  menò  nel  622  ex  Hispania  de  Numanlineis. 
Inoltre  lice  congetturare,  che  Cn.  Gellio  fosse  orion- 
do di  Spagna  ,  siccome  il  L.  Gellius  Segovianus  ri- 
cordato da  Cicerone  (ad  Fam.  X  ,  19  ed.  Orelli). 

M.  Lucilio  Rufo  ,  triunviro  intorno  1'  anno  660 , 
pose  anch'egli  la  testa  di  Roma  entro  una  ghirlanda 
di  mirto,  probabilmente  per  ricordare  quella  gloria 

(I)  La  moneta  di  bronzo  ,  aggiunta  dal  Patin  ,  ed  omessa  dal 
Riccio ,  con  L  ■  COT  e  la  testa  di  Vulcano  ripetuta  ,  ovvero  con 
testa  di  Vulcano  da  un  lato  e  con  lesta  di  un  figlio  suo  dall'  altro, 
avrebbe  il  suo  riscontro  in  monete  di  Malaca  con  lesta  gemina,  e 
con  testa  di  Vulcano  ora  barbata  ed  ora  imberbe  (Florez  tabi  LVI, 
LXIII).  Un  P.  Aurelio  Colla  ricorre  in  monete  d' Emporie  (  Florez 
labi.  XXIV,  10.  Morelli  famil.  Aurtl.  liti.  E).  •    • 


91  — 


domestica  del  poeta  C.  Lucilio,  che  Numantino  beilo 
eques  militava  sub  P.  Africano  (Velleius  II,  9). 

Il  denario  anonimo  con  la  testa  di  Venere  nel  rit- 
to ,  e  con  le  semplici  sigle  EX  S-  C  apposte  ad  un 
cornucopia  vitlato ,  entro  um  corona  di  mirto  ,  tra 
per  questa  particolarità  e  per  la  fabbrica  rozza  anzi 
che  no,  ha  tutta  l'apparenza  d'essere  stato  impresso 
nella  Belica  ;  tanto  più  ,  che  nelle  monete  di  Cordu- 
ba  è  la  lesta  di  Venere  di  forme  assai  somiglianti,  e 
che  il  cornucopia  ricorre  in  monete  di  Asido,  diCar- 
teia ,  di  Corduba  ,  d' Italica  ,  di  Osset  e  di  Turiaso 
della  Betica  stessa,  non  che  in  quelle  di  Valenza  della 
Tarraconese.  Io  supposi  impresso  questo  denario  in- 
torno al  680  (  Ragguaglio  p.  200  )  per  la  procura- 
zione frumentaria;  ma  ora  parmi  più  probabilmente 
improntato  in  Ispagna  pe'bisogni  dei  due  eserciti  Ro- 
mani di  Q.  Cecilio  Metello  Pio  e  di  Cn.  Pompeio  Ma- 
gno, dopo  che  questi  con  quella  veemente  sua  lette- 
ra ottenne  da  Roma  EX  S-  C  lo  stipendio  arretrato 
di  un  biennio  per  1'  esercito  suo  (  Plut.  tn  Lucuti.  5, 
in  Seri.  21:  Sallust.  Hist.  III  p.  386).  Nelle  Spagne 
per  certo  furono  impressi  circa  il  detto  anno  680  i 
denarii  di  M.  Poblicio  legalo  propretore  di  Pompeio 
medesimo,  come  arguirsi  può  dalla  fabbrica  loro  per 
lo  più  rozza  ed  affrettata;  e  credo  che  fossero  impron- 
tali precisamente  nelle  officine  di  Emporie,  nelle  cui 
monete  ricorre  una  testa  di  Pallade  con  galea  somi- 
gliantissima segnatamente  per  riguardo  alla  doppia 
sua  criniera;  e  d'altra  parte  consta  come  Emporie  era 
in  potere  di  Pompeio,  e  non  già  di  Sertorio(v.  deBros- 
ses,  Hist.  de  la  Rep.  Rom.  t.  II,  p.67).  Nel  denario 
di  M.  Poblicio  vedesi  Pompeio  vitlorioso  stante  presso 
o  sopra  una  prora  di  nave  (  v.  Ragguaglio  p.  205)  ; 
onde  parmi  assai  verisimile,  che  insieme  col  suddetto 
denario  avente  la  semplice  scrilta  EX  S-  C  venisse 
impresso  l' asse  semionciale  con  le  stesse  sigle  EX  S- 
G  apposte  ad  una  figura  armata  stante  sopra  la  solita 
prora  di  nave  (  Riccio  tav.  LVHI ,  3  ) ,  che  rappre- 
senterebbe Pompeio  medesimo.  Inoltre  la  corona  di 
mirto,  che  gira  attorno  al  cornucopia  ed  alle  sigle  EX 
S-  C  nel  ridetlo  denario  anonimo,  trova  il  suo  riscon- 
tro nella  laurea  che  similmente  ricorre  attorno  al  ti- 
po deiì'  orciuolo  e  del  lituo  ed  alla  semplice  epigrafe 


IMPER  nel  riverso  del  denario  anonimo  di  Q.  Ce- 
cilio Metello  Pio  ,  impresso  nella  Spagna  dopo  l'in- 
signe vittoria  da  esso  lui  riportala  sopra  Sertorio  e 
Perperna  (Ragguaglio  p.  205  ). 

Alla  Spagna  sembra  doversi  riferire  anche  il  sin- 
golare li  pò  del  riverso  dei  denarii  di  Q.  Fabio  Massimo 
impressi  intorno  all'anno  625,  consistenle  di  un  cor- 
nucopia attraversato  da  un  fulmine  e  racchiuso  entro 
una  corona  composta  di  due  serti  consistenti  ciascu- 
no di  un  mazzetto  di  foglie  di  lauro  o  d'olivo,  di  un 
capo  di  papavero,  di  altro  mazzetto  di  foglie,  di  due 
ghiande  di  forma  bislunga,  e  di  due  spighe,  che  sem- 
brano luna  di  orzo  o  farro  e  l'altra  di  frumento.  Colai 
serti  sono  convenienlissimi  per  indicare  la  somma  fer- 
tilità delle  Spagne;  poiché  nelle  monete  di  Galba  la 
Spagna  personificata  tien  nella  d.  due  spighe  con  un 
pò  di  papavero,  ed  un  ramo  di  olivo  in  quelle  di  A- 
driano  ,  e  le  ghiande  mangerecce  delle  Spagne ,  che 
servivano  di  vitto  a'  montanari  Iberi  per  due  stagioni 
dell'anno,  bene  si  stanno  consociate  ai  doni  di  Cere- 
re (cf.  Slrabo  III  p.  155:  Plin.  XVI,  6).  Il  tipo  poi 
del  cornucopia  decussato  col  fulmine  ricorre  non  solo 
nelle  monete  di  Valenza  ,  ma  in  alcune  altresì  di  A- 
sido  e  di  Carteia  (Florez  tabi.  LX,  i:  LXI,  9);  sì  che 
ne'denarii  di  Q.  Massimo  sembra  senza  meno  riferirsi 
alle  gesle  gloriose  de'  maggiori  di  lui  nelle  Spagne 
conlra  Vinato  (v.  Cavedoni,  Saggio  p.  43-44):  e  tanto 
si  conferma  osservando  come  M.  Metello  collega  di 
Q.  Massimo  pose  il  clipeo  Macedonico  eulro  una  lau- 
rea imitando  in  ciò  i  tetradrammi  de'presidi  Romani 
della  Macedonia,  ne' quali  ricorre  similmente  una 
laurea  attorno  al  tipo  ed  all'epigrafe  del  riverso. 

Intorno  all'anno  681  io  supposi  (Ragguaglio  p. 
206  )  impressi  i  denarii  di  Cn.  Lentulo ,  che  s' inti- 
tola ora  CVRafor  x  (denariorum)FLandorum,  edora 
Quaestor,  perchè  nel  mentre  che  era  curatore  dovet- 
t' essere  nominato  questore;  e  gli  diedi  per  collega  P. 
LENI'-  P-  F-  L-  N  parimente  Quaestor,  che  impresse 
anch' egli  i  rari  suoi  denarii  S*  C:  ed  ora  parmi  as- 
sai probabile  che  entrambi  improntassero  quelle  loro 
monete  nelle  Spagne  dopo  che  il  Senato  Romano  de- 
cretò a  Pompeio  il  richiesto  sussidio  di  pecunia  per 
lo  stipendio  ed  altri  bisogni  de'due  eserciti  che  guer- 


—  92  - 


reggiavano  nelle  Spagne  contra  Sertorio.  I  denarii  di 
Cn.  Lentulo  per  ferino  mostransi  impressi  fuori  di 
Roma  per  la  maniera  della  frabbrica  loro  molto  rozza 
ed  affrettata  ;  e  quelli  di  P.  Lentulo  hanno  nel  ritto 
una  testa  virile  di  faìtezze  Erculee  con  chioma  e  barba 
crespa,  che  ricordai  torti  crines  Ibe rorum (Tacit.  vit. 
Agric.  XI),  la  quale  sembra  senza  meno  testa  d'Ibero 
figlio  d' Ercole  (  Mai  Script.  Vatic.  t.  II  p.  487;  cf. 
Cavedoni  Appena,  p.  84-85);  tanto  più  che  simile 
testa  ricorre  in  parecchie  monete  Ispane  ed  in  quelle 
altresì  di  Cn.  DOMftùu  (Calvinus)  COS.  ITERwm 
IMP ,  impresse  in  OSCA  nel  714  ovvero  nel  715. 
Anche  i  denarii  di  P.  Lentulo  questore  poterono  im- 
primersi in  Osca  stessa,  che  dopo  la  morte  di  Serto- 
rio  per  tempo  si  arrese  a  Pompeo  ed  a  Metello.  Nel 
riverso  poi  di  questi  denarii  vedesi  il  Genio  del  Po- 
polo Romano  barbato,  diademato,  seminudo,  sedente 
in  sella  curule  col  pie  d.  posato  sopra  l'orbe  della 
terra ,  con  cornucopia  nella  d.  e  con  Scipione  nella 
s.  in  atto  di  volgersi  e  riguardare  verso  la  Vit- 
toria volante ,  che  venendo  dall'  alto  tiene  un  ra- 
mo di  palma  nella  s. ,  ed  una  laurea  nella  d.  ste- 
sa per  incoronarlo  :  e  questo  tipo  sembra  imitare 
quel  machinamenlo  degli  onori  più  che  umani  tribu- 
tati a  Metello  vincitore  ad  un  trailo  di  Sertorio  e  di 
Perperna,  col  quale  sedenti  in  transenna  demissum 
Mctoriae  simulacrum,  cum  machinato  strepitìi  toni- 
truum,  coronam  ei  imponebat  (Sallust.  ap.  Macrob. 
Sat.  II,  9).  Metello  stesso,  o  il  monetiere,  per  ragion 
di  modestia ,  avrà  deferito  cotale  onore  al  Genio  del 
Popolo  Romano ,  la  cui  testa  ricorre  anche  nel  ritto 
de' denarii  analoghi  dell'altro  questore  Cn.  Lentulo 
impressi  contemporaneamente  ,  o  poco  prima,  nelle 
Spagne. 

Del  resto,  non  è  a  far  caso  che  i  duci  degli  eser- 
riti Romani  belligeranti  nelle  Spagne,  ed  i  magistrati 
lor  subalterni,  imprimessero  più  monete  in  quelle  che 
in  altre  provincie;  poiché  nelle  Spagne  abbondava  , 
più  che  altrove,  l'argento  di  quelle  ricche  miniere  a 
segno  che  fino  a' tempi  di  Strubone  (lib.  Ili,  p.  1 55)  i 
Lusitani  ed  altri  Ispani  tuttora  barbari  non  avevano 
pecunia  lor  propria,  ma  permutar  solevano  le  merci, 
oppure  divano  in  ricambio  pezzi  di  argento  tagliati 


dalle  verghe  di  quel  prezioso  metallo.  Quindi  ancora 
sotto  Augusto  il  di  lui  legato  P.  Carisio  impresse  co- 
piose monete  di  argento  in  Emerita  ,  mentre  che  le 
altre  città  della  Spagna  stavausi  contente  all'impres- 
sione di  sole  monete  di  rame. 

Più  presto  potrebbe  far  meraviglia  ,  che  Sertorio 
nel  decorso  degli  otto  anni  della  sua  guerra  non  im- 
prontasse moneta  di  sorta,  se  non  forse  alcune  delle 
monete  di  argento  con  caratteri  Celtiberi ,  siccome 
fece  forse  in  appresso  L.  Afranio  legato  di  Pompeo, 
giacché,  non  oslante  i  dubbi  dell'Eckhel,  ad  esso  lui 
attribuir  potrebbonsi  i  denarii  Celtiberi  con  la  scritta 
A<fPA  (l).  Ma  Sertorio  abbondava  d'oro  ed' argen- 
to provvedente  parte  dalle  miniere  Ispane  e  dai  po- 
poli e  dalle  città  che  a  lui  si  diedero  o  si  arresero , 
parte  dai  ricchi  senatori  Romani,  e  segnatamente  da 
Perperna,  che  presso  lui  rifuggivansi  nella  proscri- 
zione Sillana  ed  in  appresso  (  v.  Plut.  in  Sert.  14, 
15,  22);  senza  dire  delle  prede  frequenti  ch'egli  fa- 
ceva sorprendendo  i  convogli  nemici,  e  nelle  batta- 
glie vinte.  Ciò  non  ostante  Sertorio  scarseggiava  di 
pecunia  ,  per  lo  che  nell'alleanza  da  lui  contralta  con 
re  Mitridate,  questo  gli  promise  l' ingente  somma  di 
quattromila  talenti  (  Plut.  in  Sert.  24). 

Per  le  cose  fin  qui  discorse  ponno  pertanto  repu- 
tarsi impresse  nelle  Spagne,  qual  più  qual  meno  pro- 
babilmente, le  seguenti  monete  di  Famiglie  Romane. 

Anno  650  C-  ALLI  BALA—CN  IVLI  L-  FQ- 
in  quadranti  di  Cordova? 

Anno  657  LENT  •  MAR  •  F  ■ 

Anno  672  C-  ANNI  •  T  F-  T  •  N  •  PRO  •  COS  . 

Anno  679  QCMPI;  oppure  IMPER— EXS  C- 

Anno  680  M  ■  POBLICI  •  LEG  ■  PRO  .  PR  ■  — CN. 

LENTCVR- ^FL, oppure  CNLENQEX  SC — 
P • LENT    PFLNQSC- 


(1)  Nelle  Spagne  sembrano  impresse  anche  le  monde  di  bronzo 
ile' due  Prefetti  della  dulia  di  Cesare  C.  Clovio  e  Q.  Oppio  Digli 
anni  708-709  pe'  bisogni  dell'  armala  navale  comandata  da  C.  Didio 
(Dio  XLI1I,  13,  31:  cf.  Cavedoni  Appcnd-  p.  66-67).  La  testa  della 
Vittoria  in  quelle  di  C.  Clovio  ha  l' acconciatura  sim;le  a  quella  di 
Diana  delle  monile  di  Emporie  ;  ed  il  Capricorno  ,  posto  tal  ora 
dietro  la  testa  di  Venere  Vincitrice  in  quelle  di  Q.  Oppio,  troppo 
bene  vi  starebbe  come  tyrannus  Betperiae  undae  (  Horat.  Il  Od. 
17,  vs.  19). 


—  93  - 


Anno  703.  Denarii  Celtiberi  con  A$PA? 

Anno  708-709  M  MIN  AT  •  SAB1N  •  PR  •  Q  •  —  T- 

CARISIVS-III   VIR  •  L-  VALERIVS  ACISCV- 

LVS—  C-  CLOVIPRAEF?— Q  OPPIUS.  PR  ? 
Anno  714  DOM  •  COS  •  ITER  •  IMP  • 
Anno  729-732  P  ■  CARISI VS  LEG  •  PROPR  , 

oppure  LEG  •  AVGVSTI  (x.Annaliarch.i.XXU, 

p.  180). 

C.  Cavedoni. 

Tombe  greche  scoperte  in  Albanella  ad  oriente  e  set- 
tentrione di  Posidonia. 

In  Albanella,  terra  della  Provincia  di  Salerno  a  sei 
miglia  circa  da  Posidonia  verso  il  fiume  Calore ,  nel 
mese  di  settembre  si  sono  scoperte  tre  tombe  con- 
tenenti non  pochi  vasi  di  argilla  dipinti  ed  armadure 
di  bronzo.  La  pietra, di  che  si  compongono  questi  se- 
polcri ,  è  quella  medesima  usata  nelle  costruzioni  dei 
Monumenti  Pestani.  Le  pareti  sono  adorne  di  dipin- 
ture di  stile  greco,  accuratamente  eseguile,  e  simili 
in  parte  a'd'pinli  dell' altro  sepolcro  scoverto  in  que- 
sto scorso  anno  nella  necropoli  di  Posidonia,  però  di 
uno  stile  meno  antico,  ed  appartenente  forse  ad  una 
città  di  non  tanta  importanza. 

La  prima  tomba  di  pianta  rettangolare  giace  alla 
profondità  di  circa  palmi  3  ;  ogni  Iato  è  formato  di 
un  sol  pezzo  di  pietra  ,  i  due  lati  lunghi  sono  cia- 
scuno di  lunghezza  palmi  7,  di  altezza  palmi  5  e  di 
grossezza  palmi  0,  5  circa;  ed  i  rimanenti  lati  corti 
ciascuno  è  di  altezza  e  grossezza  simile  a'precedenti, 
e  di  larghezza  palmi  4.  Il  coperchio  vien  costituito 
da  due  pezzi  posti  ad  angolo  formanti  un  tectumpecti- 
natum.  Le  pareti  interne,  traune  la  covertura,  sono 
rivestite  di  una  specie  di  stucco  che  sembra  formala 
di  calce  e  gesso.  Nel  mezzo  di  una  delle  pareti  lun- 
ghe vedesi  dipinto  un  letto  ,  avente  i  piedi  con  base 
rotonda  di  color  rosso,  sul  quale  giace  vestita  una 
donna  estinta  calzata  con  nere  scarpe  e  tibiali  bian- 
chi croati  di  rosso  sul  fiauco.  Di  questo  letto  si  di- 
stinguono i  pulvinari  ,  che  sostengono  il  capo  della 
estinta  ,  avendo  due  fascette  rosse  nelle  connettitu- 
re, e  tra  cui  appariscono  molti  punti  rossi ,  che  sem- 


brano essere  i  fori  per  dove  passavano  le  tenie  :  si 
distinguono  ancora  l'andamento  delle  culcite,  una  bian- 
ca covertura  che  scende  quasi  fino  al  suolo  ornata  di 
linee  e  meandri  rossi  con  gli  orli  bleu,  e  sul  medesimo 
letto  al  fianco  dell'estinta  un  unguentario.  Dietro  il 
capezzale  evvi  una  figura  muliebre  con  lunga  veste 
rossa  in  atto  di  dolore  con  le  braccia  conserte  al  se- 
no, e  dopo  questa  altra  figura  sedente,  che  ha  nella 
mano  dritta  una  corona  di  foglie  e  la  sinistra  poggia- 
ta sulla  spalliera  della  sedia.  Tra  il  letto  ed  il  fondo 
del  dipinto  vedesi  altra  figura  muliebre  in  piedi,  te- 
nendo la  mano  sinistra  poggiata  sull'estinta,  e  la  destra 
alzata  in  atto  di  far  cenno  ad  altra  figura  di  donna  , 
eh  e  ai  piedi  del  letto,  e  si  accinge  a  danzare  al  suo- 
no di  doppia  tibia ,  tenuta  con  ambe  le  mani  da  un 
uomo  barbato,  il  quale  sta  alle  spalle  della  preceden- 
te figura.  Fin  qui  pare  che  la  scena  rappresentasse 
la  funebre  cerimonia  ed  il  lutto  de' congiunti. 

Nella  parete  a  rimpetlo  della  descritta  vedonsi  sulla 
dritta  due  pugillatori  in  atto  di  combattere  colla  ma- 
nicete (fxs/X(^ct/)  di  cui  hanno  armate  ambe  le  mani , 
dei  quali  quello  a  destra  ha  la  carnagione  fosca  e 
sembra  essere  un  amicano.  In  seguilo  a  dritta  della 
parete  stessa  ravvisasi  appena  il  frammento  di  un  uo- 
mo con  lancia ,  e  qui  pare  che  la  scena  ritraesse  un 
combattimento, avvegnaché  veggonsi  diverse  cuspidi, 
dardi  e  scudi  variamente  disposti ,  quasi  fossero  intenti 
a  ferirsi  tra  loro  i  combattenti  che  le  impugnavano. 
Le  rimanenti  due  pareti  erano  anche  esse  dipinte,  ma 
dispiacevolmente  non  vi  si  ravvisa  quasi  che  nulla, 
essendo  le  dipinture  coverte  dallo  strato  di  pietrifi- 
cazione avvenuto  pel  filtramento  delle  acque; solo  in 
una  di  esse  scorgesi  il  capo  e  la  porzione  del  collo 
di  un  gallo.  Di  rincontro  è  un  uomo  a  cavallo  ar- 
mato di  galea,  recando  sulle  spalle  una  lancia,  a  cui 
son  sospesi  Io  scudo  e  la  sua  cintura  di  bronzo. 
Nella  sommità  di  tutte  e  quattro  le  descritte  pareli 
ricorrono  due  zone  di  color  rosso,  tra  cui  un  foglia- 
me giallo  inserto  ad  uno  stelo  rosso.  Dalla  zona  in- 
feriore pendono  varii  festoni  di  tende  russe  e  dello 
stesso  fogliame  in  più  modi  distribuiti. 

Finalmente  in  ciascun  la'.o  de'  due  timpani  appa- 
riscono le  medesime  zone  rosse,  e  tra  esse  un  festo- 


94  - 


tìe  di  foglie  simili  al  precedente  contornate  di  bende 
rosse  disposte  a  guisa  di  festoni  legati  al  precedente , 
e  nel  mezzo  un  incerto  disegno,  perchè  distrutto,  di 
colore  anche  fosco. 

Nella  medesima  tomba  si  sono  rinvenute  le  ossa 
dell'estinto,  oltre  un  vaso,cioèun%ae7ios(l)di  terra 
cotta  a  vernice  nera,  e  con  figure  gialle  di  mediocre 
stile,  che  ricoverto  come  è  da  un  incrostamento  cal- 
careo non  lascia  vedere  la  scena  che  vi  era  rappre- 
•entata:  sotto  le  due  anse  stanno  dipinte  le  solite  pal- 
tnette. 

La  seconda  tomba  è  anche  costruita  e  rivestita  di 
stucco  come  la  precedente.  In  una  delle  pareti  lun- 
ghe vedi  a  sinistra  dipinte  una  galea  della  grandezza 
del  vero ,  e  due  ocree  a  chiaroscuro:  in  seguito  della 
stessa  parete  appajono  appena  i  frammenti  di  alcune 
figure  virili,  dipinte  di  rosso,  che  sembrano  combat- 
tere ,  e  sul  finire  della  parete  a  dritta  sta  una  figura 
muliebre  che  pare  essere  vestita  con  lunga  tunica  , 
ed  è  quasi  interamente  distrutta.  Nella  parete  a  rim- 
petto  della  descritta  verso  il  lato  sinistro  vedesi  una 
figura  virile ,  di  cui  vi  rimangono  solo  il  capo  e  le 
braccia,  sonante  una  tibia  ;  la  medesima  sembra  es- 
sere seguita  da  due  cavalli ,  de'quali  sfortunatamente 
sino  superstiti  solo  le  teste  e  porzione  del  collo.  A 
quanto  può  rilevarsi  dagli  avanzi  delle  loro  bardature, 
sembra  che  quivi  fossero  stati  ancora  altri  cavalli  che 
uniti  a' precedenti  tiravano  una  quadriga;  perciocché 
se  ne  ravvisano  anche  degli  altri  avanzi  incerti.  Nelle 
due  rimanenti  pareti  corte  sembrano  esservi  state  di- 
pinte due  figure  a  cavallo  ,  di  cui  appena  si  veggono  i 
frammenti.  Di  rimpelto  appariscono  due  figure,  l'una 
virile  armata  di  manicete  con  ventre  rigonfio  e  grosso 
fallo,  l'altra  forse  muliebre  in  atto  quasi  di  difendersi 
•hlla  prima  :  chiudono  questa  scena  da  entrambi  i 
liti  due  vitte  (forse  di  lana)  pendenti  dall'alto.  In 
seguito  delle  cennate  pareti  nel  lato  superiore  è  di- 
pinto un  ornato  di  ovoli  rossi  con  lancette  nere,  enei 
piede  uno  zoccolo  rosso.  Finalmente  ne'  due  timpani 

(I)  Per  far  comprendere  senza  dubbio  le  forme  dei  differenti 
vasi,  abbiamo  seguile  le  denominazioni  del  eh.  Panofka  ,  non  in- 
tendendo per  altro  di  approvar  quelle,  che  offrirono  a'  doni  filolo- 
gi oggetto  di  giusta  opposizione. 


sta  dipinto  di  rosso  un  ornato  di  palmetle  con  modi- 
glioni inferiori  oltre  due  balaustii.  In  questa  tomba 
si  sono  trovate  le  ossa  del  morto  ,  una  corazza  di 
bronzo  ed  i  rispondenti  fermagli.  Ne'  lembi  di  dette 
armi  si  osservano  tanti  piccioli  fori ,  ne'  quali  si  ser- 
bano ancora  i  filamenti  delle  cuciture ,  che  tenevano 
aderenti  ad  esse  i  rivestimenti  interni  ;  oltre  due  vasi 
di  creta  con  vernice  nera  ,  cioè  una  lepasle  ed  una 
oenochoe  prive  di  ornati ,  i  quali  vasi  di  unita  a'  di- 
versi frammenti  della  corazza  si  conservano  dal  pro- 
prietario del  fondo,  in  che  furono  scoperti. 

L'ultima  tomba  costruita  come  le  due  precedenti, 
ha  le  pareti  anche  dipinte ,  ma  non  vi  si  può  osser- 
vare nulla  di  particolare ,  essendo  quasi  per  intero 
coverte  dallo  strato  di  concrezione.  Solo  delle  due  pa- 
reti brevi ,  una  offre  una  Nereide  che  cavalca  un  ip- 
pocampo, e  l' altra  una  figura  muliebre,  avente  nella 
mano  sinistra  una  lekylkos.  In  giro  poi  delle  pareti , 
nella  parte  superiore  ricorrono  due  zone  con  un  or- 
nato intermedio  simile  a  quello  che  è  nella  prima 
tomba  già  descritta,  e  nel  piede  vi  gira  uno  zoccolo 
rosso.  I  due  timpani  sono  anche  essi  ornati  di  palmette, 
di  modiglioni  e  di  due  balaustii.  In  questa  tomba  si 
sono  anche  rinvenute  le  ossa  dell'uomo  sepolto,  oltre 
undici  vasi  di  terra  cotta  figurali  gialli  su  vernice  ne- 
ra ,  cioè  : 

Due  lekane ,  delie  quali  la  prima  mancante  di  un 
manico  dipinta  con  le  solite  palmette  sotto  le  anse  , 
ed  una  testa  muliebre  in  mezzo  alle  solile  ramifica- 
zioni; e  l'altra  un  poco  più  piccola  senz'alcuno  orna- 
mento mancante  di  coverchio  e  di  ambe  le  anse. 

Due  kyali  mancanti  di  coverchio  e  di  un  manico, 
dipinti  anche  con  figura  e  palmette  nelle  anse ,  le 
quali  appena  si  distinguono  trovandosi  coverte  dalla 
medesima  pietrificazione  per  lofiltramento  delle  acque. 
Una  lopas  intera  con  qualche  ornamento  di  fogliami- 
Dna  lepaste  priva  di  coverchio;  in  cui  si  ravviate» 
pochi  frammenti  di  ornati. 

Un  kolylo  intero  dipinto  con  le  solile  palmette 
sotto  le  maniche. 

Tre  ìekyli ,  de'  quali  due  sono  anche  dipinti  con 
figure  e  palmette  sotto  le  anse,  in  uno  dei  quali  scer- 
gesi  una  figura  muliebre  alata  sedente. 


—  95  — 


Finalmente  un  kratere  ancbe  dipinto ,  avendo  da 
un  lato  due  muliebri  figure  ,  e  dall'  altro  forse  due 
Satiri,  e  sotto  i  manichi  le  solite  palmette. 

Ulisse  Rizzi  —  architetto. 

Iscrizioni  latine.  Continuazione  del  n.  SS. 

23. 
D     •     M 
PAERAEGRI 
NO  MYRMIL 
LONI  PRISCA 
COI  VX  PRIMO 
PALO  BESEmerenti 

Questa  iscrizione,  da  noi  osservata  presso  il  ne- 
goziante di  antichità  sig.  Raffaele  Rarone  ,  proviene 
dalle  vicinanze  di  Pozzuoli  ;  per  modo  che  non  può 
con  certezza  determinarsi ,  se  a  Pozzuoli  stessa  ov- 
vero a  Cuma  debba  riportarsi.  Essendo  rosa  dal  tem- 
po e  dalle  acque  salmastre ,  presenta  non  poca  diffi- 
coltà alla  lezione  ;  la  quale  dopo  diligente  esame  mi 
è  riuscito  di  ritrovare  in  quasi  tutta  la  epigrafe.  No- 
tevole è  il  dittongo  AE  per  E  nelle  due  prime  sillabe 
del  nome  Peregrino;  il  che  dovrà  per  avventura  at- 
tribuirsi a  locale  pronunzia  ,  essendo  ben  conosciuto 
lo  stucchevole  iato  ,  principalmente  in  alcuni  parti- 
colari siti  della  moderna  Pozzuoli.  Il  nostro  Peregri- 
Ho  mostrasi  di  condizione  servile,  ed  apparteneva  a 
quella  classe  di  gladiatori ,  che  venivano  denominali 
myrmillones.  Non  ci  fermiamo  a  discorrere  di  questa 
specie  di  gladiatori,! quali  presero  il  nome  dal  pesce 
insegna  della  loro  galea  ;  essi  pugnavano  coi  retiarii, 
i  quali ,  come  sembra  ,  erano  lo  stesso  che  i  Galli; 
su  di  che  veggansi  le  cose  notate  dal  eh.  Henzen  (ex- 
plicatio  musivi  in  villa  Burghesiana  osservati  pag.  43, 
seg.  not.  99  e  seg.)  e  quel  che  scrisse  in  questo  bid- 
et lino  il  eh.  Garrucci  (an.  I  pag.  1 13  e  seg.).  La  più 
notabile  particolarità  della  nostra  iscrizione  si  è  il  ti- 
tolo di  primo  palo  assegnato  al  mirmillone  Peregrino. 
Prima  d'ogni  altro  la  nostra  epigrafe  concorre  con 
altri  rari  monumenti  a  dimostrare  non  esser  già  al- 
trove Palo  nome  proprio ,  siccome  fu  opinato  dal 


Lipsio  (Salumài.  II,  7):  né  esser  titolo  unicamente  at- 
tribuito a' soli  sccutores,  giusta  la  opinione  del  Casau- 
bono  e  del  Salmasio  (ad  Lamprid.  Commod.  15),  non 
che  del  dottissimo  Marini  (Anali,  p.694  n.66).  Qui 
troviamo  un  mirmillone  appellato  primo  palo  :  sicché 
se  ne  dovrà  conchiudero  che  la  distinzione  di  primo  e 
di  secondo  palo  conviene  a  differenti  classi  di  gladia- 
tori, a? sccutores,  ai  retiarii  (Welcker  syllogc  epigr. 
gr.  p.  65  e  segg.),  e,  secondo  la  nuova  epigrafe  pu- 
teolana  ,  altresì  a'  mirmilloni.  In  quanto  poi  alla  si- 
gnificazione e  derivazione  di  questo  nome  ,  ci  sem- 
brano assai  degne  di  considerazione  le  cose  osservate 
dal  lodalo  eh.  Henzen,  che  pensa  al  latino  palus,  piut- 
tosto che  ad  altra  voce  di  greca  origine  (loc.  cit.  pag. 
37:  cf.  Marini  Arvali  1.  e.  ).  E  certamente,  ove  si 
ponga  mente  al  palus ,  che  servendo  alle  gladiatorie 
esercitazioni,  era  presso  ad  ognuno  che  si  addestrasse 
a  quel  faticoso  mestiere ,  non  si  potrà  credere  strana 
cosa  il  supporre  che  col  titolo  di  palus  venisse  lo  stesso 
gladiatore  indicato  :  sicché  poteva  dinotarsi  con  una 
permanente  denominazione  colui  che  in  una  partico- 
lare fazione  aveva  meritati  i  primi  o  i  secondi  onori, 
appellandosi  primus  palus,  secundus  palus,  quasi  pri- 
mus  e  secundus  gladialor.  Ci  piace  da  ultimo  di  av- 
vertire che  la  memoria  di  un  mirmillone  primo  palo, 
o  che  si  riferisca  a  Pozzuoli,  o  a  Cuma,  ricorda  idue 
grandi  anfiteatri  di  queste  due  località  ;  e  principal- 
mente quello  di  Pozzuoli ,  di  cui  ci  proponiamo  di- 
scorrere partita  mente  a  tempo  più  opportuno. 

24. 

Non  meno  interessante  è  la  seguente  epigrafe  in- 
cisa nel  lembo  esterno  di  uno  de'  lati  di  un  sedile  di 
marmò.  È  questo  composto  di  una  lastra  di  marmo 
con  architettoniche  modanature  in  tre  lati,  rimanen- 
do rozzo  e  non  lavorato  il  solo  lato  posteriore,  ch'es- 
ser doveva  appoggiato  al  muro  :  compivano  il  sedile 
due  laterali  sostegni ,  egualmente  di  marmo  ,  con- 
formati nella  parte  anteriore  a  zampe  di  Icone. 

La  iscrizione  in  minuti  caratteri  dice  com  : 
SEDES   SEP  •  M  •  LAELI  •  M  •  F  •  FAL  •  MAXIM! 

La  epigrafe  sembra  de'  buoni  (empi ,  veggendosi 
indicato  il  padre  e  la  tribù  (Falerina)  di  M.  Lelio 


—  96  — 


Massimo.  Importante  ci  sembra  la  iscrizione  ,  anche 
perchè  ci  fa  sapere  che  quel  sedile  apparteneva  ad  un 
sepolcro  :  sedes  sepulcri.  Già  in  altre  iscrizioni  si  trova 
memoria  di  somiglianti  sedili  :  e  son  da  citare  a  tal 
proposito  due  lapide  beneventane,  in  una  delle  quali 
ricorrono  le  note  sigle  L.  D.  D.  D.  soggiugnendosi 
CVM.  SEDIBVS  (Mommsen  inscr.  r.  neap.  lat.  a. 
1752),  nell'altra  poi  si  dice 

HIS  SEDIBVS 
AD1VNCTVS 
EST  LOCVS 
SEPVLTVRAE  eie. 
(Mommsen  n.  1805).  La  città  di  Pompei  ci  of- 
fre non  pochi  esempli  di  tali  sedili  accanto  a'  sepol- 
cri :  e  Mazois  avverte  che  a  questo  uso  possano  rife- 
rirsi quelle  sporgenze ,  che  osservansi  presso  quasi 
tutti  i  sepolcri  pompeiani.  Ma  sono  certamente  note- 
volissimi i  due  emicicli  annessi  alle  tombe  della  sa- 
cerdotessa Mammia,e  del  tribuno  militare  A.  Veio , 
de'  quali  ebbi  occasione  di  ragionar  non  ha  guari , 
facendosene  la  pubblicazione  nel  real  Museo  Borbo- 
nico voi.  XV  tav.  XXV,  XXVI.  Un  esempio  però,  che 
offre  più  vicino  confronto  al  sedile  del  sepolcro  di 
M.  Lelio  in  Pozzuoli ,  si  è  il  sedile  rettilineo  di  Clo- 
ralio rinvenuto  pure  alle  vicinanze  di  Pompei  in  una 
necropoli  diversa ,  della  quale  scoperta  veggasi  A- 
vellino  nel  suo  bull.  arch.  napol.  an.  IH  p.  85.  ed  il 
Mommsen  op.  cit.  n.  2377. 
25. 
ELIO  ■  AVG 
SATVRNINO 
PROCVR  •  CAST 
PLEBS  AERECONL 
OBADSIDVAM  ET  LIBERAM 
MVNIFICENTIAM  ElVS 
Questa  iscrizione  mi  è  slata  trascritta  dal  eh.  Pri- 
micerio D.   Gaetano  Ciuffi  di  Traetto  ,   il  quale  mi 
annunzia  con  sua  lettera  essere  stala  con  alcune  altre 
epigrafi  rinvenuta  scavando  in  un  terreno  dell'  antica 
Minturnae.  Essa  è  scolpita  in  una  base  cilindrica  , 
sulla  quale  il  Ciuffi  crede  che  dovea  esser  collocata 


una  statua.  La  pietra,  di  ben  grandi  dimensioni,  tro- 
vasi dentro  di  un  fosso  limite  di  una  strada  vicina 
all'  antico  teatro  ,  o  piuttosto  anfiteatro  ,  secondo  la 
opinione  del  lodato  eh.  Ciuffi  (  vedi  la  sua  recente 
opera  memorie  storiche  ed  archeologiche  della  città  di 
Traetto  pag.  74  e  segg.  ).  Pare  che  sieno  perdute  al- 
cune lettere  per  esser  corrose  dal  tempo,  e  che  tutta 
la  epigrafe  vada  restituita  così 

•  ■  •  ^urELIO  •  AVG  •  «6  ■ 
SATVRNINO 
PROCVR  •  CAST 
PLEBS • AERE • CONL 
OBADSIDVAMETLIBERAM 
MVNIFICENTIAM  •  EIVS 

E  certamente  dee  credersi  la  iscrizione  messa  a'  tempi 
degli  Antonini,  trattandosi  di  un  personaggio ,  che  da 
alcuno  di  essi  prese  il  suo  nome.  La  carica  di  Au- 
relio Saturnino  è  quella  di  Procuralor  Castrensi», 
la  quale  è  già  nota  per  altre  iscrizioni ,  come  per  la 
Fabrettiana  pag.  198,  480  dichiarata  sospetta  dall' 
Orelli  n.  2972  ,  ma  creduta  vera  ed  illustrata  con 
dotto  commentario  dal  sommo  Marini  {Anali  p.95). 
Quest'  uomo  insigne  inlese  il  procurator  castrensi» 
quasi  procurator  rationis,  stationis,  numeri  castrensis; 
delle  quali  diverse  denominazioni  va  indagando  pur 
la  esistenza  nelle  sigle  di  altre  epigrafi ,  ove  non  fu- 
rono prima  riconosciute  /.  e.  e  p.  553.  Pare  che  il 
procurator  castrensis  corrispondesse  a'  moderni  Cóm- 
mifsarii  di  guerra.  Notevole  ci  sembra  che  si  ricor- 
di PLEBS  senz'altro  ,  non  indicandosi  il  municipio, 
a  cui  si  riferisce  quel  nome  ;  sebbene  debba  credersi 
che  si  accenni  alla  stessa  Minturnae ,  sito  del  ritro- 
vamento. E  l' epitelo  di  libera  dato  alla  munificenza 
attribuisce  a  Saturnino  la  lode  di  una  larghezza  non 
comandata,  ma  dipendente  dalla  sua  propria  volontà  ; 
vale  a  dire  più  di  quello ,  che  dalla  sua  carica  veni- 
vagli  imposto. 


(continua) 


MlNERVINI. 


Giulio  Mitvervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtàiìeo. 


BULLETTINO  ARCUEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  63.     (13.  dell'anno  III.) 


Febbraio  1855. 


Medaglie  inedite  o  rare. 


Medaglie  inedite  o  rare. 

Nella  nostra  tavola  Vili  pubblichiamo  alcune  im- 
portanti medaglie  ,  le  quali  ci  sembrarono  degne  di 
richiamar  l' attenzione  de'  numismatici.  Appartengono 
esse  tutte,  se  n'eccettui  il  solo  n.  3,  all'egregio  sig. 
Luigi  Sambon,  alla  cui  amicizia  debbo  il  permesso  di 
far  trarre  gli  esalti  disegni  di  quei  monumenti.  Il  sig. 
Sambon  è  possessore  di  una  notevole  raccolta  di  an- 
tiche medaglie ,  precipuamente  delle  nostre  regioni , 
eh'  egli  va  giornalmente  accrescendo  di  novelli  ac- 
quisti. Desideroso  che  questa  sua  collezione  tornasse 
di  vantaggio  alla  scienza  numismatica ,  mercè  una 
esalta  pubblicazione,  il  sig.  Sambon  c'invitava  ad  os- 
servarla, non  senza  richiamare  su' principali  pezzi  la 
nostra  attenzione.  Frutto  delle  nostre  osservazioni  è 
la  tavola  ,  a  cui  accennammo  ;  ed  altre  importanti 
novità  numismatiche  teniamo  pronte  altresì  per  una 
prossima  pubblicazione.  Lo  stesso  ho  a  dire  della 
moneta  riportala  sollo  il  n.  3  ,  che  appartiene  alla 
Collezione  numismatica  dell'  esimio  avvocato  napoli- 
tano sig.  Giuseppe  Lauria ,  la  quale  acquista  ogni 
giorno  considerevoli  aumenli.  Lo  stesso  zelo  nolato 
nel  sig.  Sambon  per  la  diffusione  delle  novità  archeo- 
logiche ,  segnatamente  della  nostra  patria  ,  spinsero 
il  sig.  Lauria  ad  aprirmi,  e  mettere  a  mia  piena  di- 
sposizione la  sua  interessante  raccolta.  Ricavo  da 
essa  questo  primo  monumento ,  di  cui  presento  la 
incisione;  ma  non  pochi  altri  disegni  di  pregevoli 
medaglie  sono  già  in  mio  potere ,  per  farne  quando 
che  sia  la  pubblicazione.  Queste  poche  parole ,  che 
valgano  di  ringraziamento  a' due  onorevoli  amici  sopra 
mentovati ,  serviranno  spero  ad  animare  i  culti  pos- 
sessori di  antichi  monumenti  a  proccurarne  la  solle- 

ÀX!fO  III. 


cita  pubblicazione.  Ed  io  non  dubito  che  la  presente 
tavola  Vili,  ed  altre  che  seguiranno,  non  dieno  una 
chiara  dimostrazione  della  importanza  e  vastità  della 
numismatica  delle  nostre  regioni ,  che  quando  per 
l' abbondanza  delle  medaglie  già  note  potrebbe  ripu- 
tarsi quasi  esaurita,  vedesi  aumentata  ad  un  (ratto  di 
classiche  novità,  che  danno  occasione  a  sempre  nuove 
ricerche. 

ATELLA  CAMPAMAE. 

1.  Testa  barbata  laureala  a  d. 

)(  Aquila  con  ali  spiegate  ,  innanzi  la  epigrafe 
A(]3SR  Ae.  7.  (Riccio). 

Questa  monetina  di  Alella  è  perfettamente  inedita  ; 
non  conoscendosi  finora  che  quattro  tipi  di  quell'an- 
tica città;  Giove  in  quadriga,  i  giuranti,  il  trofeo,  e 
V  elefante  (  Friedlaender  Osk.  Miinzen  tav.  IV.  pag. 
lo,  Raoul-Rochette  journ,  des  Savants  1854  pag. 
303).  Per  ciò  che  spetta  a  questo  ultimo  tipo,  giova 
ricordare  che  il  Reynier  tìe  pubblicò  una  variante , 
nella  quale  vedesi  l'elefante  al  rovescio  della  testa 
di  Giove  (précis  d'une  collect.  de  méd.  ant.  pag.  14 
tav.  1  Cg.  23  ).  Ma  questa  monetina  ,  sebbene  citata 
dal  eh.  Avellino  (opusc.  tom.  II  p.  31  ),  rimane  dì 
dubbia  attribuzione  per  la  monca  epigrafe  ■  -93  •  •  : 
e  questo  esser  dovè  il  motivo  che  la  fece  escludere 
dalla  pubblicazione  del  signor  Friedlaender  ,  da  cui 
però  avremmo  voluto  vederla  ricordata  almeno  nel 
testo.  La  posizione  dell'  aquila  nella  monetina  del  si- 
gnor Sambon ,  ed  alcune  tracce  tuttavia  esistenti 
sotto  i  suoi  artigli  ci  fanno  pensare  al  fulmine ,  che 
esservi  dovea  originariamente  effigiato.  Per  quanto 
sia  nuovo  un  tal  tipo  per  Atella ,  è  però  ripetuto 
nella  numismatica  della  principale  città  Sannitica  della 

Campania  ,  vogliano  dire  dell'  antica  Capua.  È  staio 

13 


—  93  - 


già  osservalo  che  la  numismatica  Alellana  si  confor- 
ma in  tulio  alla  Capuana  :  e  la  novella  monetina  di 
cui  offriamo  la  incisione  viene  appunto  in  conferma 
di  questa  osservazione.  Capua  ci  presenta  un  meda- 
glione di  bronzo ,  col  tipo  dell'  aquila  sul  fulmine  al 
rovescio  della  testa  di  Giove ,  che  il  eh.  Mommsen 
reputa  un  trienle  (das  Rdmische  Milnziccsen  p.  395 
negli  alti  di  Sassonia  1850 ,  corrispond.  alla  pag. 
173):  ed  il  Raoul-Rochelte  un  asse  di  infima  ridu- 
zione (  fonilles  de  Capoue  pag.  90  ).  Ma  parci  pro- 
babile la  opinione  del  eh.  Riccio ,  che  lo  diffinisce 
per  un  semisse  (rep.  man.  pag.  13);  potendo  cre- 
dersi appartenere  ad  un  asse  col  Rifronte  di  peso 
maggiore  del  conosciuto,  ed  avendosi  in  tal  modo  un 
rapporto  co'tipi  della  monetazione  romana,  nelle  sue 
varie  divisioni  dell'  asse.  L' altra  moneta  di  Capua 
co' medesimi  tipi  è  quella  di  argento  (1),  la  quale 
offre  dimensioni  presso  a  poco  simili  a  questa  di 
bronzo  di  Atella.  E  non  sarebbe  fuor  di  luogo  il 
pensare  che  la  monetina  del  sig.  Sambon  fosse  ori- 
ginariamente inargentala,  figurando  la  moneta  di  ar- 
gento di  quella  città,  finora  sconosciuta  affatto  ,  ma 
di  cui  argomentar  potevasi  la  esistenza  dalla  somi- 
gliante argentea  moneta  della  vicina  Capua.  Questa 
nostra  conghieltura  non  è  però  esclusiva  ;  giacché 
non  vorremmo  opporci  a  chi  trovar  volesse  nel  no- 
vello bronzo  una  minima  divisione  dell'  asse  Alel- 
lano,  senza  alcuna  indicazione  di  peso ,  come  si  os- 
serva in  tutta  una  serie  numerosa  di  piccole  mone- 
tine di  Capua,  nelle  quali  si  acceuna  al  cullo  di  sva- 
riale divinità ,  sebbene  tra  esse  non  sia  finora  com- 
parsa la  testa  di  Giove. 

CALES  CAMPANIAE 

2.  Testa  imberbe  goleata  a  s.  innanzi  CALENO  , 
dietro  al  collo  A. 

)(  Gallo  a  d.,  innanzi  A.  Ae.  9. 

Assai  notevole  ci  sembra  questa  moneta  per  la 
particolarità  della  epigrafe,  che  vedesi  innanzi  la  te- 
sta galeata  invece  di  trovarsi  presso  al  gallo.  Intanto 

(1J  Noi  annunziammo  altrove  la  comparsa  di  un'altra  moneta  di 
argento  di  Capua  (bullell.  arch.  napol.  an.  II.  della  nuova  serie 
£ag.  1 90)  :  ora  avvertiamo  eh'  essa  è  andata  ad  arricchire  la  gii 
tanto  ricca  collezione  de'  signori  Santangelo. 


la  lettera  A ,  che  si  ripete  al  dritto  ed  al  rovescio 
della  moneta  ,  e  che  essendo  di  particolare  forma  e 
di  grandezza  maggiore  non  può  riputarsi  segno  di 
moueliere,  richiama  la  nostra  attenzione.  A  me  sem- 
bra che  possa  pensarsi  ad  una  moneta  di  concordia 
fra  Calcs  ed  Aquino ,  la  quale  ultima  città  verrebbe 
indicala  dalla  sola  iniziale.  Non  poche  volte ,  e  pur 
fralle  monete  pertinenti  a'siguori  Sambon  e  Lauria, 
mi  è  venuto  fatto  di  osservare  alcune  di  Aquino , 
colla  forma  dell' A  molto  simile  a  quella  della  no- 
stra medaglia.  E  precisamente  in  alcune  (citando  al- 
tresì la  raccolta  del  sig.  Lauria)  non  vedesi  altroché 
un  A  presso  al  gallo,  e  nel  campo  un  astro  ed  un 
piccolo  delfino ,  essendo  assolulamenle  mancanti  di 
qualunque  altra  iscrizione.  Noi  non  dubitiamo  che 
appunto  ad  Aquino  debba  questa  moneta  attribuirsi, 
anche  per  la  particolarità  dell'  astro  ,  che  ad  indizio 
del  peso  vi  è  figurato,  non  altrimenti  che  nelle  mo- 
nete di  Aquino  e  di  altre  antiche  città  ci  vien  fatto 
di  osservare.  Se  dunque  riesce  probabile  che  la  mo- 
neta colla  sola  iniziale  debba  riportarsi  ad  Aquino , 
non  sarà  fuor  di  luogo  il  supporre  che  l' altra  da  noi 
pubblicata  sia  da  attribuire  a  Cales  in  concordia  con 
Aquino.  Noi  sappiamo  che  altra  moneta  di  federa- 
zione fra  Suessa  e  Cales  è  menzionata  dal  eh.  Riccio 
(rep.  num.  p.  12):  nel  catalogo  del  medagliere  del 
real  museo  Rorbonico  trovo  descritta  una  moneta  di 
federazione  tra  Napoli  e  Cales  (  v.  in  Carelli  tab.  p. 
30  ed.  Lips.);  ed  altra  molto  interessante  di  Suessa  e 
Neapolis  vedemmo  nella  insigne  raccolta  de' signori 
Santangelo.  E  forse  ad  una  simile  concordia  dovrà  ri- 
ferirsi quella  medaglia  descritta  dal  dottissimo  Avel- 
lino come  una  moneta  di  Napoli  battuta  sopra  un'altra 
di  Sessa  (vedi  Carelli  tab.  pag.  30  edit.  Lipsiae).In 
qualunque  modo  noi  opiniamo  che  la  moneta  di  A- 
quino colla  sola  iniziale  del  nome  della  città,  nonché 
V  altra  di  federazione  con  Cales  da  noi  pubblicata  , 
sieno  di  epoca  alquanto  meno  remota  delle  altre  mo- 
nete di  Aquino,  ove  apparisce  la  intera  iscrizione  ;  co- 
me ci  sembra  altresì  desumersi  dalla  fabbrica ,  e  dalla 
stessa  forma  dell'  A. 

Non  è  agevol  cosa  f  indagare  in  quali  circostanze 
ebbero  luogo  queste  federazioni  fralle  città  diverse 


-99  — 


della  Campania ,  e  specialmente  fra  quelle  clic  ad- 
divennero ciltà  latine.  Soltanto  può  con  alquanto 
di  probabilità  eonghietturarsi  che  avvennero  al  tem- 
po delle  puniche  guerre,  nelle  quali  molte  di  quelle 
città  si  mantennero  fedeli  a' Romani,  e  pensarono  for- 
se a  stringersi  di  novelli  legami  fra  loro  ,  ajutandosi 
a  vicenda  contro  gli  occupatoli  nemici.  È  poi  nolo  che 
Caìes  ed  Aquino  furono  appunto  fra  esse  ;  e  che  la 
prima  di  queste  due  città  fu  celebre  per  aver  dato 
ricetto  all'esercito  di  M.  Claudio  Marcello  nella  se- 
conda guerra  punica:  per  lo  che  Tito  Livio  ne  fa  so- 
vente menzione  (lib.  XXIII,  e. XXXI)  e  XXXVI  ;  lib. 
XXIV  ,  e.  X  ,  XIII  ;  lib.  XXVI ,  e.  IX  ).  Del  resto 
Bull'  epoca  e  la  significazione  del  tipo  del  gallo  nelle 
monete  di  Aquino,  Caiatìa,  Cales,  Sessa,  Teano  tulle 
con  iscrizioni  latine,  non  che  nelle  piccole  monetine 
di  argento  di  Napoli ,  ci  proponiamo  di  presentare 
quando  che  sia  alcune  nostre  conghielture. 
CVMAE  CAMPANIAE. 

3.  Testa  di  donna  con  larga  tenia  ed  orecchino,  e 
collana  a  d. 

X  Toro  a  volto  umano  coronalo  dalla  Vittoria:  sotto 
la  linea  de  piedi  la  epigrafe  KYMAION.       Arg.  9. 

Questa  rarissima  medaglia  è  già  conosciuta  per 
la  descrizione  datane  dal  Mionnet,  il  quale  la  cita 
dalla  raccolta  di  lord  Nortwich  a  Londra  {descr.  lom. 
Ip.  114,  115). 

Ma  pare  che  poca  fede  vi  prestassero  finoggi  i  nu- 
mismatici ;  giacché  non  trovo  che  sia  stala  conve- 
nientemente illustrata.  Anzi  è  da  notare  che  il  Ric- 
cio espose  ultimamente  la  opinione  che  debbansene 
supporre  rifatte  le  lettere  (rep.  numism.  pag.  4  delle 
note  ,  nota  25  ).  Giudicai  dunque  opportunissima  la 
pubblicazione  della  moneta  del  sig.  Lauria  ,  perchè 
essa  mette  fuor  di  dubbio  la  esistenza  di  una  tale 
coniazione ,  essendone  la  iscrizione  d' indubitata  an- 
tichità (1).  Il  che  ritenuto,  ci  sembra  venirne  non 
poca  luce  alla  storia  ed  alla  numismatica  di  Clima. 


(1)  Il  cav.  Saniaogelo  ci  assicurò  che  egli  possedeva  un'  altra 
medaglia  simile  a  quella  del  sig.  Lauria  ,  ma  nella  quale  la  epi- 
grafe è  uscita  iu  parte  fuori  del  conio.  Noi  la  osservammo,  e  pare 
in  fatti  che  debba  attribuirsi  a  Cuoia  ,  sebbene  il  toro  sia  volto  a 
sinistra. 


Osservando  la  moneta  del  sig.  Lauria  ,  e  per  la  fab- 
brica, e  per  la  forma  delle  lettere,  e  per  la  compli- 
canza stessa  del  tipo,  ove  apparisce  la  Vittoria  coro- 
nante il  toro,  si  viene  a  conchiudere  che  fu  essa  co- 
niata in  epoca  non  tanto  remota;  per  modo  che  non 
potè  ,  a  nostro  giudizio  ,  precedere  la  occupazione 
sannitica,  avvenuta  nel  335  di  Roma,  ovvero  419 
anni  prima  della  nostra  era  (vedi  questo  ballettino 
an.  I  p.  165).  Questa  osservazione  esclude  la  idea 
che  Cuma  non  battè  più  moneta  dopo  la  occupazio- 
ne de'Sannili.  Già  ne  ammisero  l'Eckhel  (doclr.  num. 
toni.  I  p.  ili  cf.  num.  vct.  anecd.  pag.  25),  ilMil- 
lingen  (comidér.  p.  128),  il  eh.  Fiorelli  (mon.  ined. 
tav.  I  pag.  1-3  ),  ed  il  eh.  Cavedoni  (ad  Carell.  (ab. 
LXXI  n.  10).  Né  mi  sembra  da  seguire  il  sentimento 
del  Raoul-Rochette,  il  quale  nega  assolutamente  ogni 
residuo  di  numismatica  cumana  ,  dopo  la  invasione 
Sannitica  (Joum.  des  Sav.  1854  pag.  304,  e  segg.  ) 
Il  che  poteva  unicamente  avvenire ,  quando  fosse 
stato  annullato  finanche  il  nome  della  città  occupata. 
Ma  noi  la  veggiamo  ricomparire  anche  dopo  nella 
storia  sotto  la  sua  denominazione,  e  ritenere  sino  ad 
epoca  posteriore  tracce  di   costumi  ellenici  :    ó'fxws 

o'  OVV  iti  GUl&TOU  7TcX\x  ?Xyyl  "rov  '  EWYjY  l  XOV  XO— 
fffiov,  x%)  rt/jy  hpwv,  xoù  twy  vofiifAutr  (Strab.  lib.  V 
e.  IV).  Certamente  in  tal  quislione  non  fu  ricordata 
la  medaglia  ,  che  ora  pubblichiamo.  Risulta  da  essa 
che  la  città  di  Cuma  non  desistette  assolutamente  dal 
coniare,  abbenchè  fosse  decaduta  dall'antico  lustro. 
Per  lo  che  non  potrà  dalla  più  recente  fabbrica  trarsi 
un  argomento  contro  l'attribuzione  proposta  di  alcu- 
ne monete  di  bronzo,  le  quali  furono  riferite  a  Cuma. 
Vedi  per  altro  ciò  che  ho  detto  in  questo  bullellìno 
an.  II  p.  124.  Oltre  le  osservazioni  già  fatte  sull'epo- 
ca del  monumento ,  avuto  riguardo  alla  sua  fabbrica 
ed  a'  caratteri  della  epigrafe  ,  è  chiaro  che  lo  stesso 
tipo  del  toro  a  volto  umano  concorre  a  dimostrare  la 
più  recente  coniazione.  Ci  sembra  evidente  che  que- 
sto tipo  fu  preso  dalla  vicina  Napoli ,  il  che  dovette 
avvenire  in  una  notabile  circostanza,  nella  quale  Cu- 
ma ebbe  a  lodarsi  de' Napolitani.  Questa  circostanza 
ci  presenta  appunto  la  storia  ;  ed  è  posteriore  alla  in- 
vasione dei  Sanniti  in  Cuma.  Sappiamo  che  i  Napo- 


—  100  — 


Ulani  accolsero  con  isli'aordinaria  amorevolezza  gli 
esuli  Cumani  dopo  la  rovina  della  loro  città  (Dionys. 
Hai.  exccrpt.  t.  IV  p.  2318  Reisk.);  per  modo  che  è 
fondala  opinione,  che  da  quel  tempo  si  costituì  in  Na- 
poli la  fratria  de'  Kvfxaioi  (Ignarra  de  phralr.  p.  190 
segg.  cf.  corp.  inscr.  gr.  tom.  Ili  p.  715  e  716). 
Certamente  dopo  quel  tempo  i  Cumani  impressero 
sulla  loro  moneta  il  tipo  de'  Napolitani ,  per  cele- 
brarne il  ricevuto  beneflzio  :  e  ciò  avvenir  dovette 
probabilmente,  quando  ritornati  in  libertà  non  pote- 
vano temere  col  palesare  la  loro  riconoscenza,  lo  sde- 
gno de'  vincitori.  Questa  mi  sembra  la  idea  più  pro- 
babile a  spiegare  la  fabbrica  ed  i  tipi  della  nostra 
moneta.  Vogliamo  nondimeno  presentare  qualche  al- 
tra avvertenza  su  questa  rara  medaglia,  la  quale  può 
offrir  campo  ad  altre  conghietturali  interpretazioni. 
Non  parmi  strano  il  pensare  ad  una  particolar  conia- 
zione eseguila  in  Napoli  dagli  esuli  Cumani  ricevuti 
in  ospitalità  ,  e  costituiti  in  particolar  comunanza  ,  o 
fratria.  La  stessa  idea  di  gratitudine  e  dipendenza  dai 
loro  benefattori  dovea  consigliare  ad  adottare  il  tipo 
napolitano ,  la  cui  precedente  esistenza  fra  noi  è  pro- 
vata da  una  serie  di  monete  arcaiche  di  Napoli  certa- 
mente assai  più  antiche  di  quella,  di  cui  abbiamo  ra- 
gionato. Non  sarà  intanto  da  tralasciar  la  osservazione 
che  Slrabone  parlando  di  Napoli  la  dice  appunto  ori- 
ginata da'  Cumani  :  parò.  Vi  Aixxioipx/xv  hrrì  NEA- 
IlOAIS  KTMAlftN.  Sicché  potrebbe  da  taluno  opi- 
narsi che  la  nostra  moneta  fosse  battuta  in  Napoli  po- 
steriormente alla  emigrazione  de' Cumani,  e  da'  Na- 
politani medesimi,  i  quali  vollero  per  avventura  in 
quella  loro  ospitale  accoglienza  significare  il  loro  af- 
fetto verso  i  Cumani  antichi  fondatori  della  loro  città. 
Un  simile  rapporto  di  società  e  di  alleanza  co'  Ro- 
mani fu  da'  Napolitani  indicato  in  altra  moneta  colla 
leggenda  PflMAIftN  ;  sebbene  questa  appartenga  ad 
epoca  a  noi  più  vicina  (in  Carelli  tab.  p.  29). 
NEAPOLIS  CAMPANIAE. 

4.  Testa  di  donna  con  tenia ,  orecchino,  e  collana  a  d. 

)(  Toro  a  volto  umano,  che  piega  alquanto  il  capo, 
e  Vittoria  che  lo  incorona:  sotto  la  linea  de' piedi  iscri- 
zione fenicia.  Ar.  9. 

Appena  si  getta  un  rapido  sguardo  sulla  iscrizione 


segnala  in  questa  moneta  ,  se  ne  ravvisano  i  carat- 
teri fenicii.  Intanto  mi  piace  di  avvertire  che  due  al- 
tre monete  di  Napoli  della  medesima  fabbrica  si  co- 
noscevano, nelle  quali  la  epigrafe  fenicia  non  fu  rav- 
visata da'  dotti  che  ne  fecero  la  pubblicazione.  Una 
di  esse  fu  edita  dal  dottissimo  Avellino ,  il  quale  ne 
dichiarò  la  iscrizione  viziosa  e  barbara  (bullelt.  arch. 
nap.  an.  1  p.  129  tav.  Vili,  1  ).  Un  altro  esemplare 
è  inserito  nelle  tavole  del  Carelli  (lab.  LXXII  n.  20), 
ove  nella  recente  edizione  di  Lipsia  il  chiarissimo 
numismatico  di  Modena  sig.  Cavedoni  se  ne  riporta 
alle  parole  stesse  dell'  Avellino  (  pag.  23  ).  Questo 
avvenne  certamente  per  la  poca  conservazione  di 
quei  due  esemplari ,  ne'  quali  non  appariva  la  epi- 
grafe integra  e  perfetta.  Dalle  tracce  però  de'  carat- 
teri che  ne  rimangono ,  e  dalla  espressione  della  te- 
sta femminile  nel  ritto,  non  che  dalla  posizione  stessa 
del  toro,  evidentemente  deducesi  che  tutte  tre  quelle 
monete  appartengono  ad  una  medesima  fabbrica,  ed 
alla  stessa  epoca  ;  e  furono  perciò  coniate  nella  me- 
desima circostanza.  Intanto  la  moneta  del  sig.  Sam- 
bon  offre  nella  scienza  una  capitale  importanza  ,  co- 
me quella  che  essendo  di  perfetta  conservazione  si 
presta  facilmente  allo  studio  ed  alle  ricerche  de'  dot- 
ti :  tanto  più  che  delle  altre  due  è  assolutamente  igno- 
to il  destino  ,  essendosi  per  avventura  disperse  inos- 
servate in  qualche  privata  raccolta.  E  qui  non  posso 
far  a  meno  di  ricordare  un  altro  fatto  come  con- 
fronto a  questa  epigrafe  fenicia  in  medaglie  napolita- 
ne.  Alcun  tempo  addietro  osservai  presso  il  nego- 
ziante di  antichità  sig.  Raffaele  Barone  una  moneta 
di  Napoli  col  tipo  non  comune  della  testa  femminile 
di  fronte ,  nella  quale  apparivano  pure  aleuni  nomi 
di  magistrati.  Io  non  tardai  a  dichiarar  per  fenicii  i 
caratteri,  che  ne  formavano  la  principale  iscrizione: 
il  che  non  parve  possibile  al  mio  dotto  amico  Ra- 
oul-Rochette ,  che  trovavasi  allora  in  Napoli ,  e  che 
ne  fece  l' acquisto.  Posteriormente  lo  stesso  Raoul- 
Rochelte  mi  scrisse  che  il  eh.  sig.  duca  di  Luynes , 
esimio  cultore  degli  sludii  fenicii,  aveva  fatta  la  me- 
desima mia  osservazione  su  quella  rara  medaglia , 
prendendola  per  la  sua  insigne  collezione.  La  poca 
conscrvatezza  della  epigrafe  nella  medaglia  del  sig. 


—  101  — 


Duca  de  Luyncs  me  ne  impedì  allora  lo  studio.  Ma 
ora  veggo  che  le  vestigia  de' caratteri  superstiti  cor- 
rispondono a  quelli ,  che  mi  è  dato  in  questo  mo- 
mento di  offrire  allo  studio  de' dotti  orientalisti.  E 
non  vo  neppure  tralasciare  un'altra  osservazione; 
ed  è  che  qualche  altra  volta  i  numismatici  avverti- 
rono trovarsi  caratteri  harbari  nelle  monete  di  Na- 
poli. Il  che  vuoisi  forse  attribuire  alla  negligenza  de- 
gli studiosi ,  nel  non  aver  richiamato  l' elemento  fe- 
nicio per  la  interpretazione  di  quelle  epigrafi.  E  d'oggi 
innanzi  guardandosi  con  queste  nuove  idee  non  sarà 
forse  improbabile  rinvenire  novelli ,  benché  sempre 
rari,  confronti. 

Dopo  queste  generali  osservazioni  passo  all'esame 
de'  caratteri  della  nostra  iscrizione,  per  tentarne  una 
qualunque  siesi  interpretazione ,  lasciando  una  più 
estesa  discussione  a'  dotti  orientalisti.  La  prima  let- 
tera non  può  tenersi  che  per  un  3 ,  non  potendo  in 
essa  riconoscersi  uno  Ti?,  ove  volesse  supporsi  con- 
sumata la  linea  prima  a  destra.  Noi  allontaniamo 
una  tale  idea  mossi  non  solo  dalla  perfetta  conserva- 
zione della  medaglia  ,  ma  benanche  dalla  considera- 
zione che  avendosi  due  forme  diverse  nella  medesi- 
ma epigrafe  corrispondenti  al  a  ed  allo  t£J,  non  po- 
trebbe ammettersi  una  differente  forma  per  la  stessa 
lettera.  11  secondo  carattere  è  certamente  un'aspira- 
zione un  ri;  ed  incontra  un  bel  confronto  nella  mo- 
neta di  Palermo  da  me  pubblicata  (mon.  ined.  dì  Ba- 
rone tav.  XX  n.  1  ),  ove  si  scorge  la  identica  forma 
del  n.  Nella  terza  lettera  dee  riconoscersi  uno  ti) , 
eh' è  evidente.  Non  ci  opporremmo  peraltro  a  chi 
volesse  ravvisarvi  un  22,  essendo  tra  loro  somiglian- 
tissimi questi  due  elementi  nella  scrittura  fenicia. 
Ammessa  però  una  delle  due  lettere  in  questo  luo- 
go ,  il  quinto  carattere  dovrà  ritenersi  per  1'  altra  di 
esse.  Non  può  dubitarsi  del  valore  della  lettera  quar- 
ta, nella  quale  apparisce  evidentemente  un  p.  Resta 
alquanto  dubbioso  1'  ultimo  elemento  della  iscrizio- 
ne ;  giacché  la  linea  estrema  sembra  staccata  dalla 
retta,  che  l'è  vicina.  Ove  voglia  considerarsi  per  un 
solo  elemento  ,  dovremmo  riputarlo  egualmente  un 
3:  all'opposto  sarebbero  le  due  lettere  St.  Dalle 
quali  considerazioni,  fatte  senz'alcuna  preventiva  con- 


ghiettura,  parmi  possa  dedursene  la  seguente  lettura 
}Qp  VT\Z  ovvero  <?Tnp  lyrtf.  La  prima  voce  'OTM 
Nechosch  ha  nel  Caldaico  la  sigificazioue  di  aes  ,  e 
può  quindi  trasferirsi  a  significar  la  moneta ,  con 
senso  non  disconveniente  al  monumento.  Più  diffi- 
cile è  la  seconda  parte  della  leggenda.  Volendo  con- 
siderare gli  ultimi  due  segni  per  una  sola  lettera  , 
erami  venuto  al  pensiero  il  nome  della  città  di  Cli- 
ma }Cp  (Qumon);  polendo  riferirsene  la  significazio- 
ne all' aes  Cumarum  o  Cumanum:  nella  qual  maniera 
d'intendere,  la  moneta  non  apparterrebbe  a  Napoli, 
ma  sibbene  a  Cuma;  alla  quale  non  disconviene  il  tipo 
del  toro  a  volto  umano  ,  che  abbiamo  dato  nel  no- 
stro n.  3.  Ma  più  ragioni,  principalmente  archeolo- 
giche ,  non  ci  lasciano  pienamente  conlenti  di  una 
tale  spiegazione. 

Nò  sarebbe  forse  miglior  divisamento  ammettere 
la  voce  f*Dj?  (Qamin)  hostium,  adversariorum,  nella 
intelligenza  di  aes  hostium ,  quasi  fosse  una  moneta 
da  preda  ;  giacché  mancherebbe  il  *  indice  del  plu- 
rale ,  che  sarebbe  necessariamente  richiesto  a  fissar 
la  intelligenza  della  parola.  Sicché  proponiamo  piut- 
tosto di  leggere  jop  (Qaman)  in  vece  di  Ijn'p  (()«'- 
manù)  adversarii  nostri  (gen.  sing.  ) ,  supponendosi  o 
soppressa ,  o  mancante  nel  conio  la  1  finale.  Intanto 
non  serve  il  dire  che  la  medesima  significazione  si 
riterrebbe  di  una  moneta  coniala  dalla  preda  del  ne- 
mico :  e  troveremo  che  questo  senso  non  si  oppone 
alla  idea  che  sorger  può  nella  mente  per  la  spiegazio- 
ne dello  straordinario  avvenimento  di  una  moneta  na- 
politana  con  caratteri  fenicii. 

Per  essere  esatti,  non  vogliamo  però  trascurare  di 
avvertire  che  l'ultimo  carattere  presentasi  come  due 
segni  distinti  non  solo  nell'  esemplare  del  sig.  Sam- 
bon,  ma  in  quello  benanche  riportato  dall'Avellino: 
per  modo  che  un  nome  quadretterò  venir  dovrebbe 
in  considerazione.  Questo  ci  sembra  non  poter  esse- 
re altro  che  7TDp  ;  ma  quale  intelligenza  possa  darsi 
a  questo  vocabolo,  e  se  nella  sua  composizione  possa 
giudicarsi  il  nome  7T  (  la  porla  )  per  lo  scambio  del 
*7  nella  lettera  affine  T,  lo  lasciamo  al  giudizio  de'più 
dotti  di  noi  in  questi  difficilissimi  studii.  Ed  altronde 
noi  opiniamo  esser  miglior  consiglio  ritenersi  in  certi 


—  102  - 


limili ,  piuttosto  che  andar  vagando  nel  campo  va- 
stissimo delle  poco  fondale  conghietture. 

5.  Testa  di  Apollo  laureala  a  d. 

)(  Mezzo  toro  a  volto  umano  nuotante  a  d.  :  sull'  o- 
mero  è  un  astro  a  quattro  raggi:  nel  campo  è  una  pic- 
cola lira.  Sopra  è  una  epigrafe  fenicia.  Ae.  9. 

Pria  di  passare  a  dir  qualche  cosa  di  questa  insi- 
gne moneta,  mi  piace  di  avvertire  che  un  altro  esem- 
plare n'  esiste  nel  nostro  regio  medagliere ,  come  ri- 
levo dalla  descrizione  fattane  dall'  Avellino ,  il  quale 
però  non  si  avvide  che  la  leggenda  era  fenicia ,  e  la 
riportò  con  lettere  greche  ^IQBIOM  Morethis  retro- 
grado. Ma  noi  non  dubitiamo  affatto  che  caratteri 
fenicii  si  presentino  a'  nostri  sguardi  ,  de'  quali  in 
gran  parte  non  è  neppur  dubbiosa  od  equivoca  la 
determinuzione. 

Nella  prima  lettera  ben  si  riconosce  un  X,  che  si 
accosta  a  quella  de'  più  antichi  caratteri  greci ,  i  quali 
pur  da'  Fenicii  ne  presero  certamente  la  forma  (  v. 
Gesenius  scripti  linguaeque  Phoen.  monum.  p.  21  ). 
Così  mostrasi  di  fatti  nella  greca  iscrizione  antichis- 
sima di  Delo  (Franz  ,  epigr.  gr.  eleni,  p.  102,  s. ). 
È  pur  notevole  che  1'  Aleph  quasi  della  medesima 
forma  si  osserva  nelle  medaglie  fenicie  di  Ebusus; 
sulle  quali  si  veggano  le  dotte  osservazioni  del  eh. 
sig.  de  Saulcy  (mém.  de  V  Académie  des  inscr.  et  bel- 
le» lettr.  voi.  XVpag.  188). 

Nella  seconda  lettera  parci  di  riconoscere  un  2 , 
nel  quale  non  vedesi  però  prolungata  Y  asticciuola  , 
come  costantemente  s' incontra  ;  ma  questa  differenza 
non  ci  sembra  tanto  notabile  da  farcene  abbandona- 
re l'attribuzione  (1).  La  terza  lettera  parrebbe  molto 
somigliante  ad  un  ♦  ;  ma  non  crediamo  andar  lungi 
dal  vero  attribuendole  piuttosto  il  valore  di  7  ,  po- 
tendosi supporre  formata  con  una  certa  irregolarità 
da  un  artista  non  fenicio ,  tanto  più  che  si  tratta  di 
piccole  lineette.  Vien  dopo  un'  aspirazione  H.  Seguo- 
no indubitate  le  lettere  ))  ,  3,  ,  7,  e  finalmente  un'al- 
tra X.  Ove  dunque  ritengasi  la  prima  parte  della  no- 
stra lezione,  tutta  la  epigrafe  presenta  la  seguente  in- 

(I)  Un  segno  simile  ,  ma  rivolto  all'opposto,  trovasi  in  leggen- 
de  'li  alcune  africane  monete ,  col  valure  di  {£  :  vedi  Gesenius 
mon.  Phoen.  p   30. 


terpretazione  N7ayn  73X  (Abel  he'Agla)  Campus  VI- 
tulae.  È  poi  noto  che  la  voce  73X  è  vitalissima  nelle 
geografiche  determinazioni:  e  basterà  consultare  gli 
esempli  citali  dal  Gesenius  a  questa  parola  (leocic.Hebr. 
et  Chald.  p.  8  edit.  Hoffmanni).  Colla  nostra  epigrafe 
non  sapremmo  se  volle  accennarsi  all'  Acheloo  toro, 
oggetto  dell'  indigeno  culto  della  Campania  e  de'  Na- 
politani, del  quale  Parlenope  era  giudicata  figliuola; 
ovvero  al  suolo  stesso  delle  napolitane  campagne  ab- 
bondante di  bestiami,  significazione  non  dissimile  a 
quella  di  Eumelo  e  degli  Eumelidi.  Senza  intrala- 
sciare altresì  la  idea  che  la  Vilula  della  nostra  epi- 
grafe possa  accennare  generalmenle  all'  Italia,  al  cui 
nome  fa  riscontro  il  simbolico  toro,  che  vedesi  figu- 
rato sovente  nelle  medaglie  della  lega  marsica.  Re- 
sta a  dir  qualche  cosa  a  spiegazione  di  questo  impor- 
tante fenomeno  numismatico ,  per  lo  quale  ci  si  of- 
frono leggende  fenicie  nelle  monete  napolitane. 

La  eleganza  della  fabbrica  di  queste  medaglie  ci 
fa  riportarne  la  coniazione  ad  epoca  non  troppo  re- 
mota. Ma  la  storia  non  ci  presenta  stabilimento  fe- 
nicio o  punico  nelle  napolitane  contrade  in  tempi 
corrispondenti  all'  età  delle  nostre  medaglie.  Abbia- 
mo soltanto  il  fatto  che  Annibale  Cartaginese  stette 
intorno  a  Napoli  e  ne  depredò  le  campagne,  sebbene 
non  giugnesse  ad  impadronirsi  della  cillà,  mosso  dal- 
l'imponente aspetto  delle  fortissime  mura.  Sarà  im- 
portante leggere  la  relazione  che  fa  Livio  di  questo 
avvenimento....  ipse  (Ilannibal)  per  agrum  Campa- 
num  mare  inferum  petit ,  obpugnaturus  Ncapolim,  ut 
urbem  maritimam  haberet.  Ubi  fines  Neapolitanorum 
inlravit ,  Numidas  partirti  in  insidias  ,  (  et  pleraeque 
cavae  sunt  viae,  sinmque  occulti)  quacumque  apte  pò- 
terat,  disposuit  :  alios ,  prae  se  àctam  praedam  ex 
agris  ostentaittes,  obequilare  portis  jussit ,  in  quos, 
quia  nec  multi,  et  incompositi  videbantur,  quum  lurma 
equitum  erupistet,  ab  cedenlibus  consulto  tracta  in  in- 
sidias, circumventa  est  etc.  Ab  urbe  obpugnanda  Poe- 
num  absterruere  conspecla  moenia,  haudquaquam  prom- 
ta  obpugnanti  (  lib.  XXIII ,  e.  1  ).  Anche  dopo  im- 
padronitosi di  Capua  ,  fece  de'  tentativi  sull'  animo 
de'  Napolitani ,  ma  inutilmente  ,  dopo  di  che  invase 
il  territorio  Nolano  :  Hannibal,  Capua  recepta,  quum 


103  — 


iierum  Neapoìitanorum  animai,  partita  spe,  partirti 
metu,  nequidquam  lenlassct.in  agrum  Noìanum  exer- 
cilum  traditeti  (  lib.  cit.  e.  XIV  ).  Rimase  inlanlo  de- 
sideroso il  Cartaginese  d'impadronirsi  di  Napoli,  e 
solo  non  lo  (enlò  di  nuovo  per  la  presenza  del  ro- 
mano prefetto  M.  Giunio  Silano:  Sub  adventum  prae- 
toris Romani  Pocnus  agro  Nolano  excessit,tt  ad  mare 
proxime  Neapolim  dcsccndil,  cupidus  maritimi  oppiai 
potiundi,  quo  cursus  navibus  lulus  ex  Africa  esset  etc. 
(  ib.  e.  XV  ).  Ed  anche  in  seguito  devastò  il  territo- 
rio napolitano  per  vendicarsi  della  loro  fermezza:... 
ad  populandum  agrumNeapolitanum  magisira  quam 
potiundac  urbis  spe,  processit.  (lib.  XXIV,  e.  XII).  E 
già  simili  devastazioni  aveva  più  volte  commesso  nel 
territorio  Cumano  (  lib.  XXIII  e.  XXXVI ,  e  lib. 
XXIV  e.  XIII).  Per  quest'ultimo  è  pur  conosciulo 
che  Amilcare  vi  fece  altresì  somigliante  devastazione 
(  Polibio  histor.  lib.  1  ,  e.  LVI  ).  Comunque  queste 
relazioni  con  Cuma  potrebbero  appoggiare  il  rap- 
porto de' Cartaginesi  con  quell'antica  città,  pur  non 
di  meno  sarà  miglior  parlilo  volgersi  a  Napoli,  a  cui 
certamente  si  riferisce  la  moneta  di  rame  ,  ed  a  cui 
van  pure  meglio  riportale  quelle  di  argento.  Non 
dovrebbe  ,  a  nostro  giudizio  ,  sembrar  maraviglioso 
che  il  superbo  Cartaginese  il  quale  per  lungo  tempo 
si  tenne  alle  vicinanze  di  Napoli,  facendo  inutili  sfor- 
zi per  guadagnarne  l'animo,  ovvero  per  espugnarla, 
pensasse  in  quella  occasione  a  far  coniare  monete 
co' tipi  di  Napoli,  come  quella  che  tanto  interesse  in 
lui  risvegliava.  La  spiegazione  che  sorge  spontanea 
dalla  leggenda  della  moneta  di  argento  potrebbe  for- 
se confermarsi  dalla  circostanza  in  cui  fu  battuta. 
L' irato  capitano  solito  a  far  pompa  delle  prede  ne- 
miche prae  se  aclam praedam  ex  agris  ostentantesete., 
come  vedemmo  in  Livio  ,  e  che  più  volte  aveva  de- 
predato il  territorio  napolitano,  potè  aver  la  idea  di 
battere  nel  tempo  delle  sue  ostilità  co' Napolitani 
monete  col  metallo  ad  essi  rapito ,  additandone  la 
provenienza  per  mezzo  della  epigrafe  fenicia  messa 
in  rapporto  co'  tipi  del  nemico.  Lo  stesso  è  a  dire 
della  medaglia  di  bronzo  :  nella  quale  ove  pur  si  vo- 
lesse la  Vitula  riferire  all'  Italia,  sarebbe  da  richia- 
mare ciò  che  dice  lo  stesso  Livio,  che  Del  trattato  di 


Filippo  re  di  Macedonia  co'  Cartaginesi ,  si  prevede 
che  ove  si  fosse  debellata  la  spiaggia  marittima,  tulli 
la  Italia  sarebbe  in  potere  di  Annibale  (  lib.  XXIII 
cap.  XXXIII  ):  e  certamente  Napoli  era  il  punto  più 
interessante  verso  il  mare ,  per  lo  che  taula  impor- 
tanza metteva  il  punico  duce  di  tenerla  dalla  sua , 
ovvero  di  superarla  colle  armi.  È  poi  evidente  che 
nella  coniazione  delle  medaglie,  di  cui  ragioniamo , 
il  duce  Cartaginese  valer  si  doveva  dell'opera  di  ar- 
tisti Campani ,  a' quali  dee  certamente  attribuirsi  la 
fabbrica  delle  monete  da  noi  pubblicate.  In  quesla 
ipolesi  appunto  si  darebbe  soddisfacente  spiegazione 
della  moneta  posseduta  dal  eh.  sig.  Duca  de  Luynes, 
nella  quale  insieme  colla  epigrafe  fenicia  vedonsi  in 
eleganti  caratteri  greci  alcuni  nomi  di  magistrati.  Sa- 
rebbe la  moneta  predala  ,  nella  quale  si  è  sostituita 
la  leggenda  punica  a  quella  che  esprimeva  in  greco  il 
nome  della  città,  ritoccandosene  le  antiche  lettere  per 
comando  del  duce  Cartaginese.  Queste  non  sono  che 
conghiellure;  e  noi  non  intendiamo  di  accordar  loro 
un  peso  maggiore  di  quello  che  meritano  ;  attenden- 
do che  altri  diadi  questo  notabile  fallo  una  più  plau- 
sibile spiegazione. 

6.  Testa  imberbe  laureata  a  d.;  dietro  AP  in  mono- 
gramma. 

)(  Toro  a  volto  umano  a  d.  ;  sopra  astro  ad  otto  rag- 
gi in  una  corona:  sotto  la  linea  de' piedi  "TTLOAV", 
(ralle  gambe  del  toro  A  Ae.  8. 

7.  Lo  stesso  tipo,  col  monogramma. 

)(  Lo  slesso  tipo,  e  solo  varia  la  epigrafe  sotto  la  li- 
nea de'  piedi,  la  quale  si  offre  chiaramente  -Olio  AI-  •• 

Ae.  8. 

8.  Testa  femminile  con  capelli  svolazzanti  a  d.,  ha 
diadema  ed  orecchini  ;  presso  al  collo  è  una  piccola  fi- 
gurina di  Pallade  con  scudo  ed  asta. 

)(  Toro  a  d.,  di  cui  non  apparisce  la  lesta  certamente 
umana,  per  essere  uscita  fuori  del  conio:  sopra  veg- 
gonsi  tracce  della  Vittoria  volante ,  sotto  la  linea  dei 
piedi  è  la  epigrafe  -IOOA1T-NO  Ar.  9. 

Non  ci  fermiamo  gran  fatto  su  questa  ultima  mo- 
netina da  noi  riportata  sotto  il  n.  8,  unicamente  per 
la  epigrafe  IOOAIT'NO  dovuta  senza  dubbio  a  ne- 
gligenza od  ignoranza  dell'  artista  ,  che  la  segnava. 


—  104  — 


Simili  errori  nelle  leggende  delle  medaglie  furono 
non  poche  volte  osservali,  anche  nella  più  bella  fab- 
brica :  e  noi  intendiamo  di  pubblicare  la  presente 
moneta  siccome  una  curiosità  di  questo  genere.  Non 
cosi  per  quanto  concerne  all'  altra  moneta  riferita 
sotto  il  num.  6,  la  cui  epigrafe  NJETIIOAl[THS  ci 
sembra  dovuta  a  particolare  pronunzia  ed  a  partico- 
lare dialetto.  Già  un'  altra  medaglia  napolitana  colla 
leggenda  NETITOAITHS  ,  ma  con  differenti  tipi,  fu 
descritta  dal  dottissimo  Avellino  (Vedi  in  Carelliitab. 
p.  22  n.  19  ed.  Lipsiae).  La  quale  dialettica  forma 
incontra  il  confronto  del  AxuxiXxpx^^  più  volte 
ripetuto  nelle  napolitane  iscrizioni  (  Corp.  inscr.  gr. 
n.  5790 ,  5796 ,  5797  ed  appena,  voi.  HI  n.  5790 
b  p.  1255).  E  certamente  il  f\iv7roXtrri?,  ripetuto  in 
due  differenti  medaglie,  appoggia  la  idea  di  coloro  che 
riconobbero  nella  XaimX*px<*  un  composto  di  Xaòs': 
giacché,  giustamente  rifiutata  la  lezione  tv.vxikrj.pxrr 
cas ,  che  vien  costantemente  contrastata  da'  monu- 
menti, non  pare  sia  da  seguire  la  opinione  esposta  dal 
eh.  Franz,  che  cioè  nel  X'xvxù.ct.pxjPxS  debba  rico- 
noscersi uno  scarnino  del  v  in  >>.,  e  che  perciò  sia  me- 
stieri pensare  ad  un  magistrato  relativo  a  cose  ma- 
rittime (Corp.  inscr.  gr.  toni.  IH  p.  723).  Noi  giudi- 
chiamo degnissima  di  considerazione  la  conghiettura 
esposta  dall'  Avellino  che  la  laucelarchia  fosse  una 
magistratura  sacra,  e  propriamente  relativa  a'  misteri 
di  Celeo,  penetrati  certamente  in  Napoli  insieme  col 
culto  Eleusiuio.  Veggasi  la  iscrizione  ,  che  diede  il 
maggiore  appoggio  ad  una  tal  conghiettura  nel  bull, 
arch.  nap.  antica  serie  an.VI  tav.  I  fig.  2,  e  nel  bull. 
dell'Iti.  1847  p.  105.  La  memoria  poi  dell'Avellino 
letta  alla  reale  Accademia  Ercolanese  vedrà  quanto 
prima  la  luce ,  e  così  potran  meglio  valutarsi  le  ra- 
gioni dell'illustre  Autore. 

Tornando  alla  nostra  monetina,  mi  sia  lecito  di  no- 
tare eh'  essa  è  in  tutto  simile  per  lo  stile  e  pe'  tipi  a 
quella  del  n.  7,  non  escluso  il  monogramma  e  la  let- 
tera  A.  La  sola  differenza  consiste  nella  iscrizione , 


che  nel  n.  7  era  certamente  NEoriOAITHS.  Questa 
diversità  di  dialetto,  ed  alcune  altre  varietà  di  lavoro, 
principalmente  nella  corona  di  alloro  ,  che  cinge  la 
testa ,  vuoisi  attribuire  alla  diversità  dell'  artista  ado- 
perato a  fabbricar  le  due  monete.  Da  ultimo  avver- 
tiamo che  altro  esempio  di  gionico  dialetto  si  aveva 
nelle  rarissime  monete  di  argento  colla  iscrizione 
NEHIIOAI£ ,  le  quali  appartengono  a'  tempi  primi- 
tivi della  nostra  città,  e  di  cui  un  didrammo  è  posse- 
duto dal  eh.  sig.  Duca  de  Luynes ,  ed  un  tridrammo 
dal  eh.  signor  Principe  di  San  Giorgio  (  vedi  annali 
dell' ht.  t.  XIII  p.  132  e  man.  tom.  IH  tav.  XXXV, 
3;  Avellino  bull.  ardi.  nap.  an.  II p. 26 tav. Un.  12; 
Cavedoni  in  Carelli  tab.  p.  22  ;  Raoul-Rochette  nel 
journ.  des  Sav.  1854  pag.  309).  Altra  volta  richia- 
mammo l' altra  leggenda  NEOIIOAlTEfiN,  pubbli- 
cando pure  un  esemplare  posseduto  dal  sig.  principe 
di  San  Giorgio  (v.  questo  bullellino  an.  II  pag.  91  e 
173  tav.  IX  n.  4).  Ora  vogliamo  annunziare  che  in 
altre  due  monete  napolitane  una  della  collezione  San- 
tangelo  ,  l' altra  del  sig.  Sambon  leggesi  la  epigrafe 
NEOIlOAITHaN ,  che  dee  parimenti  attribuirsi  a 
dialettica  forma.  E  forse  dovrem  giudicare  che  simile 
varietà  appartenga  ad  epoca  meno  antica.  Riesce  pe- 
rò, a  nostro  giudizio,  sommamente  interessante  an- 
dar raccogbendo  tutte  queste  differenti  leggende  delle 
napolitane  medaglie,  le  quali  sono  cotanto  variate,  e 
riportandosi  a  diversi  dialetti  spiegano  sovente  la  ori- 
ginaria fondazione  della  città.  Così  fu  altra  volta  os- 
servato che  la  leggenda  NEOITOAITAS  aveva  pari- 
menti rapporto  all'  eolismo  de'  primitivi  Cymaei,  che 
fondarono  la  città  nostra  insieme  con  altri  greci  co- 
loni. Vedi  il  eh.  Cavedoni  in  Carell.  tab.  p.  23,  ed 
in  questo  bullellino  an.  II  p.  91,  ove  parla  di  alcune 
varietà  nelle  epigrafi  delle  medaglie  napolitane. 


(continua) 


MlNEUVINI. 


Giulio  Minervim  —  Editore. 


Tipografia  di  Givseppe  Cìtaxeo. 


BULLETTINO  ARCIIEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  64.     (14.  deir  anno  III.) 


Febbraio  1855. 


Giudei  in  Pozzuoli. — Orologio  solare  pompeiano. — Bibliografìa — Memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese. 
— Fjorelli,  Monumenta  epigraphica  pompeiana,  eie. — Iscrizioni  latine.  Continuazione  del  n.  62. 


Giudei  in  Pozzuoli. 

Noi  già  pubblicammo  in  questo  bullellino  una  la- 
tina iscrizione  messa  a  P.  Caulio  Coerano  dal  suo 
liberto  Acibas  (  v.  sopra  pag.  53  ).  Lo  stesso  nome 
di  Aciba  s  incontrò  non  ha  guari  in  altra  epigrafe 
puleolana  già  pubblicata  dal  eh.  Matranga  (  btdlctt. 
dell'Ist.  1850  pag.l77;Mommsen  insc.  r.  neap.  lai. 
n.  7222).  Non  avendo  veduto  co' miei  medesimi  oc- 
chi queste  due  iscrizioni ,  io  proposi  già  il  sospetto 
che  il  nome  Alibas  si  leggesse  in  entrambe  le  epi- 
grafi, invece  di  Acibas,  richiamando  certe  locali  de- 
nominazioni, che  potevano  dar  sufficiente  spiegazione 
di  quello  strano  cognome  :  e  soggiunsi  che  avrei  ab- 
bandonata una  tal  conghieltura,  quando  mi  riuscisse 
di  verificar  la  lezione  sulla  pietra  recculemente  sco- 
perta. Ora  di  fatti  ho  potnfo  osservare  il  marmo  , 
che  tuttora  esiste  presso  il  negoziante  di  antichità 
sig.  Raffaele  Barone.  Questo  titolo  sepolcrale  è  for- 
mato a  foggia  di  edicola  ,  e  nella  parte  sua  anteriore 
è  la  epigrafe  in  buoni  caratteri  accuratamente  scolpi- 
ti. Mi  sono  dalla  oculare  ispezione  convinto  che  il 
nome  del  liberto  è  Acibas  ;  rimane  quindi  da  accet- 
tare l' Aciba  altresì  nella  epigrafe  del  Matranga  ,  o 
che  dir  si  voglia  lo  stesso  individuo,  o  piuttosto  due 
differenti  persone.  Ritenuto  il  fatto,  abbiamo  un  si- 
curo indizio  di  Giudei  stabiliti  in  Pozzuoli  in  epoca 
abbastanza  remota.  Di  fatti  il  nome  Aciba  ci  ram- 
menta il  famoso  Rabbino  ,  che  additò  il  Messia  nel 
celebre  impostore  Barliocheba  ;  d' onde  poi  venne  il 
noto  tumulto  de'  Giudei ,  e  la  loro  totale  distruzione 
per  opera  di  Adriano.  Sicché  non  ci  sembra  da  du- 
bitare che  per  questo  confronto  debba  riconoscersi 
in  Pozzuoli  la  esistenza  di  Giudei,  in  un'epoca  pres- 

AXNQ  III. 


so  a  poco  corrispondente  allo  storico  fatto  di  sopra 
additato:  non  volendo  neppur  giudicare  se  il  fanati- 
smo di  quel  falso  dottore  ponesse  in  voga  il  nome 
Akiba  presso  gli  accecati  Giudei ,  che  prestaron  fede 
alle  sue  parole.  Comunque  sia  di  ciò ,  non  voglio 
mancar  di  notare  che  altra  memoria  di  Giudei  nelle 
vicinanze  di  Pozzuoli,  e  propriamente  in  Bacoli ,  già 
conoscevasi  per  altra  iscrizione  ritrovata  in  quel  si- 
to. Si  fa  in  essa  menzione  di  un  Erode  figlio  di  Afro- 
disia,  che  dicesi  Ascalonita;  per  la  cui  sepoltura  fu 
acquistalo  il  suolo  dal  comune  de'  Baulani  :  ab  ordine 
Baulanorum  (Pralilli  presso  Calogerà  opusc.  I.  XXXIX 
p.  357  segg.  Scotti,  dìsserl.  corogr.  di  Miscno  e  Cu- 
ma  p.  122:Orelli  n.  4565;  Mommsen  inscr.r.neap. 
lat.  n.  2581  ).  Dalle  quali  cose  deducesi  che  anche 
uomini  della  Giudea  recaronsi  in  Pozzuoli ,  o  nelle 
vicinanze  ,  ad  esercitar  le  loro  industrie  ,  ed  il  loro 
commercio.  E  come  ora  altri  due  fatti  si  aggiungono 
a  quello  innanzi  conosciuto  ,  per  confermare  una 
tale  conclusione  ;  non  sarà  fuor  di  luogo  il  supporre 
che  si  ritroveranno  ancora  altre  memorie  simili  in 
queste  medesime  località  ,  che  ci  danno  ogni  giorno 
nuovi  ed  importanti  monumenti,  ad  illustrazione  della 


storia  ,  ed  a  vantaggio  dell'  archeologia. 


MlNERVIM 


Orologio  solare  pompe jano. 

Avendo  precedentemente  discorso  di  questo  im- 
portantissimo monumento  (pag.  34  e  segg.  ),  abbia- 
mo credulo  opportuno  farne  ora  la  pubblicazione. 

Vedesi  di  fatti  nella  nostra  tav.  IX  n.  3  e  4  il  mo- 
li 


—  106- 


numento  nella  quarta  parte  delle  dimensioni  dell'  ori- 
ginale. Si  è  pur  segnato  lo  gnomone,  ed  uno  de' la- 
terali ornamenti.  Questo  orologio  è  stato  già  pubbli- 
cato dal  eh.  sig.  Comm.  Quaranta  in  una  particolare 
memoria  recentemente  impressa  (  L  orologio  a  sole 
di  Beroso  scoperto  in  Pompei  addì  XXIII  di  settembre 
MDCCCLIV,  ed  illustrato — con  una  tavola  litografi- 
ca—  Napoli  1854  in  4.  ).  Nondimeno  abbiamo  cre- 
duto di  fare  una  eccezione  nel  dare  a' nostri  associati 
un  monumento  non  inedito ,  non  solo  per  la  sua 
importanza ,  ma  anche  perchè  se  ne  diffonda  più  fa- 
cilmente la  conoscenza  in  questi  nostri  fogli.  Con 
questa  occasione  vogliamo  pure  avvertire  che  il 
Comm.  Quaranta  presenta  la  illustrazione  del  mo- 
numento e  della  osca  iscrizione  che  vi  si  leggere  noi 
rimandiamo  il  lettore  alla  sua  medesima  dissertazio- 
ne. Avvertiamo  solo  che  in  essa  il  eh.  a.  spiega  la 
voce  aamanaffcd  quasi  derivata  da  admanare,  nel 
significato  di  preparare  (p.  27).  Noi  tenemmo  già 
una  diversa  opinione  ;  e  per  verità  la  significazione 
di  preparare  non  sembra  troppo  bene  adattata  né 
alla  presente  iscrizione ,  né  alle  altre  ove  la  medesi- 
ma voce  s' incontra.  Ed  è  certamente  notevole  che 
lo  stesso  eh.  autore  nel  presentare  la  versione  ita- 
liana della  epigrafe  pompejana,  non  dice  già  che  A- 
tinio  preparò  Y  orologio ,  ma  che  il  fece  fare  (  pag. 
14)  :  le  quali  espressioni  applicabili  in  tutte  le  altre 
epigrafi  finora  conosciute  sono  quelle  logicamente 
richieste  ,  e  rientrano  nella  intelligenza  da  me  data 
alla  parola  aamanaffed,  che  mi  parve  corrispondente 
al  demandavit,  o  fieri  mandami,  dinotando  l'incari- 
co, o  la  commissione  di  far  qualche  cosa.  Da  ultimo 
notiamo  che  il  eh.  Fiorelli  ha  pubblicata  di  nuovo 
la  iscrizione  osca  dell'  orologio  pompejano  nella  in- 
teressante opera ,  di  cui  diamo  qui  sotto  la  notizia 
(  monumenta  cpigr.  pompei.  pars  1  -inscr.  ose.  apogr. 
tav.  V  n.  3  );  e  ne  ha  pur  ragionato  alla  pag.  9:  ri- 
cordando poi  nella  prefazione  (  pag.  II  )  le  cose  da 
me  disputate  in  questo  bullettino  ,  le  quali  vennero 
più  tardi  a  cognizione  del  cb.  editore. 


MlNEHVINt. 


BIBLIOGRAFIA 

Memorie  della  regale  accademia  Ercolanese.  Voi.  IV. 
parte  I  e  II.  Continuazione  del  numero  60. 


1 0.  Illustrazione  di  un  frammento  di  cronaca  greca 
e  di  un  bassorilievo  rappresentante  un'  avventura  del 
Bucefalo:  del  socio  P.  Raffaele  Garrucci  p.  309-348 
con  una  tavola  incisa. 

Questa  memoria  è  diretta  ad  illustrare  un  fram- 
mento in  marmo  palombino  ,  già  conosciuto  per  una 
precedente  notizia  datane  dal  eh.  p.  Secchi  (  bullett. 
dell' Ist.  1843  p.  191,192),  ed  ora  collocato  nel  mu- 
seo Capitolino.  Esso  offre  da  una  faccia  una  greca  epi- 
grafe in  due  colonne ,  dall'  altra  un  bassorilievo  di 
tredici  figure,  e  di  quattro  cavalli.  L'a.  ne  presenta 
un  facsimile  della  iscrizione  ed  un  disegno  del  basso- 
rilievo eseguiti  accuratamente  dal  sig.  Andrea  Russo. 
Egli  comincia  dal  paragonare  il  nuovo  frammento  con 
altri  simili  monumenti  già  conosciuti.  E  mettendo  poi 
a  disamina  la  iscrizione,  a  vv  ver  te  com'essa  è  una  nota 
di  varii  fatti  pertinenti  alla  storia  romana,  o  a  quella 
de'  Greci ,  i  quali  si  veggono  insieme  raccolti  senza 
alcuna  dipendenza  fra  loro,  molti  omettendosene,  che 
non  erano  da  riputare  di  minore  importanza  di  quelli 
rammentati  nella  nostra  cronichetta.  Opina  l' a.  che 
la  epigrafe  appartenga  all'anno  terzo  dell'impero  di 
Tiberio.  Segue  la  restituzione  ed  il  commento  della 
iscrizione  medesima  :  nel  quale  lavoro  non  seguiremo 
il  nostro  eh.  collega ,  trattandosi  di  osservazioni  pu- 
ramente storiche  e  filologiche.  E  tanto  più  ci  astenia- 
mo da  questa  esposizione,  perchè  leggemmo  un'altra 
pubblicazione  di  questa  slessa  cronichetta  greca  ese- 
guita dal  eh.  Henzen  in  modo  così  diverso ,  special- 
mente in  alcuni  punti,  (annali  dell'Istituto  1853  pag. 
83  e  seg.),  che  riesce  quasi  impossibile  decidere  sulle 
varietà  di  lezione,  senza  tener  sotto  gli  occhi  l'origi- 
nai monumento.  Debbo  pertanto  confessare  che  la  le- 
zione del  Garruèci  è  sovente  confermata  dal  disegno 
del  signor  Russo ,  il  quale  sappiamo  esser  tratto  da 
un  gesso  preso  dal  monumento  stesso.  Comunque  sia 
di  ciò ,  l' autore  nella  seconda  parte  del  suo  lavoro 


—  107  — 


presenta  la  spiegazione  del  bassorilievo,  che  scorgesi 
figurato  nella  faccia  opposta  del  marmoreo  frammen- 
to. Egli  vi  ravvisa  un  fatto  della  storia  di  Alessandro 
il  Grande:  cioè  il  famoso  cavallo  Bucefalo  restituito 
al  Macedone  da'  Alardi  che  lo  avevano  rapito.  Dal 
che  è  tratto  a  presentar  la  conghiettura,  che  in  que- 
sta tavola  di  marmo  tutta  fosse  esposta  in  vignette  o 
pìccoli  riquadri  la  storia  dell'ammirato  domator  di 
Asia  ,  del  quale  tanto  superstiziosa  religione  rimase 
tra  i  popoli ,  non  altrimenti  che  la  lazza  di  elettro  di 
Cornelio  Marco  ricordata  da  Trehellio ,  tutta  intorno 
istoriata  de'  fatti  del  magno  Alessandro. 

1 1 .  Nuove  osservazioni  intorno  la  voce  Decatiìekses 
la  quale  s'incontra  in  alcune  iscrizioni  puleolane:  di 
Giulio  Minervini:  pag.  349-364.  lu  questa  breve 
memoria  imprende  l' a.  a  diciferare  la  nota  voce  dei 
Decatrenses,  che  costituivano  in  Pozzuoli  un  collegio. 
Già  su  quella  parola  molte  opinioni  furono  presentate 
da' chiarissimi  Osann,  Orelli,  Furlanetto,  Gervasio,  e 
Cavedoni.  L'a.  senza  entrare  a  discutere  il  merito  di 
quelle  precedenti  conghiellure,  propone  una  novella 
interpretazione  diversa.  Egli  crede  che  i  Decatrenses, 
così  semplicemente  nominali  nella  iscrizione  di  Ma- 
vorzio  juniore ,  sieno  un  particolare  popolo  trasfe- 
rito iu  Pozzuoli  ad  abitare.  L'a.  ritrova  in  appoggio 
di  questa  sua  opinione  che  la  città  ed  il  golfo  di  Cat- 
taro  sono  chiamali  appunto  Decatera ,  e  Decatara 
negli  scrittori  Bizantini  :  osservando  esser  questo  un 
bell'esempio  dell'ajuto,  che  prestar  possono  gli  autori 
de'  bassi  tempi  per  lo  studio  dell'  antichità.  Avverte 
l' a.  esser  conveniente  il  finimento  io  enses ,  senza  che 
far  possa  impressione  il  confronto  d^' Catari  della  Pan- 
nonia.  Ed  osserva  come  non  sia  strana  cosa  il  vedere 
in  un  emporio  dell'antico  commercio,  qual  era  certa- 
mente Pozzuoli ,  trasferiti  a  negoziare  anche  i  popoli 
della  Dalmazia,  che  valenti  navigatori  erano,  ed  indu- 
striosi commercianti.  E  hene  a  ragione  stabilir  si  do- 
vevano relazioni  di  protezione  e  di  riconoscenza  con 
Mavorzio  Lolliano,  che  essendo  Prefetto  del  pretorio 
d  Italia  ,  ebbe  sotto  la  sua  giurisdizione  anche  parte 
dell' Illirico  e  la  Dalmazia.  Al  qual  proposito  cita  altri 
esempli  di  onori  prestali  a'  romani  magistrati  dalle 
particolari  regioni  di  una  città;  dileguando  la  difficoltà 


che  desumer  potevasi  dal  dirsi  collegium  Decalren- 
sium ,  essendo  da  non  pochi  esempli  comprovata  la 
esistenza  di  queste  corporazioni  seguite  dal  nome  dei 
popoli  a'  quali  appartenevano.  Indagando  poi  l' a.  a 
qual  classe  appartenesse  quella  riunione,  giudica  più 
probahile  che  fossero  negozianti,  e  ricorda  le  miniere 
della  Dalmazia  ,  non  senza  palesare  la  sua  idea  che 
i  Decalrensi  di  Pozzuoli  fossero  addetti  principalmen- 
te allo  smercio  dell'oro  e  dell'  argento  grezzo  ,  che 
si  traeva  dalle  cave  della  loro  patria,  e  desiti  ad  essa 
vicini.  Chiude  l'a.  la  sua  memoria,  col  riferire  un 
brano  di  lettera  del  sommo  Borghesi ,  il  quale  con- 
forta la  sua  spiegazione  di  novello  appoggio.  Questa 
opinione  fu  pure  approvata  da  altri  dotti  epigrafisti 
ed  archeologi ,  come  sono  il  Comm.  Avellino  ,  il  P. 
Secchi ,  il  Mommsen,  il  Cavedoni  ,  e  l'Henzen  ;  che 
ne  tenne  particolare  ragionamento  nelle  tornale  del- 
l'istituto  archeologico  di  Boma  (bullett.dell'ist.  1853 
pag.  5G).  Vedi  pure  quel  che  ho  detto  ne'mon.  ined. 
di  Barone  an.  1  pag.  43,  append.  p.  V11I-1X  ,  e  nel 
bullelt.  arch.  nap.  an.  Ili  pag.  47. 

VOLUME  IV -PARTE  II,   1832. 

1.  Interpretazione  di  un  luogo  di  Strabene,  Ai  Gia- 
como Bucca  :  pag.  1-28.  L'  argomento  di  questa 
memoria  è  la  dichiarazione  di  un  famoso  luogo  di 
quel  greco  geografo  nel  quinto  libro  ,  là  dove  parla 
della  grotta  scavata  da  Coccejo  a  cominciar  da  Poz- 
zuoli, ove  Strabone  fa  uso  delle  voci  IttÌ  Nsav  ttó>./v 
ìx  A/xcc/apx»*?  Wi  Ta~s  Baiai?.  Molto  si  è  faticato  da 
tulli  gì'  interpreti ,  per  raggiungere  la  vera  intelli- 
genza di  questo  difficilissimo  luogo.  Il  eh.  autore  per 
varie  ragioni  sostiene  che  la  vsi  nrCkii  additata  dal 
geografo  sia  l'antica  Baja,  ove  sorgeva  quasi  una  no- 
vella città  :  e  veniva  ,  secondo  lui ,  ad  indicarsi  mer- 
cè quelle  espressioni ,  un  cammino  che  da  Pozzuoli 
menava  alla  nuova  città  di  Baja  ,  osservando  come 
le  parole  sv)  roùs  BaicuS  non  erano  necessarie  a  com- 
pire il  pensiero  ,  ma  aggiunte  sol  dall'autore  per  to- 
gliere qualunque  equivoco.  Negando  che  Strabone 
abbia  detlo  di  un  cunicolo  che  da  Pozzuoli  menasse 
a  Napoli ,  secondo  la  opinione  di  alcuni,  l'a.  prende 


—  108  — 


la  occasione  di  opporsi  a  coloro  i  quali  nel  passaggio 
Slraboniano  opinarono  accennarsi  alla  grolla  della 
volgarmente  di  Scjano.  L'a.  cerca  di  dimostrare  che 
la  descrizione  della  grotta  di  Coccejo  riferita  da  Stra- 
bone  non  corrisponde  all'attuale  grotta  di  Sejano.nè 
per  la  posizione  né  per  la  costruzione  medesima  del 
cunicolo.  Egli  opina  che  la  grotta  di  Sejano  venne 
costruita  da  Lucio  Lucullo.  Una  tale  spiegazione  del 
luogo  di  Strabone  è  dovuta  in  origine  al  Martorelli 
ed  al  Pellegrino,  come  non  manca  di  avvertire  l'au- 
tore ;  ma  questi  due  dotti  si  astennero  dal  presentare 
tutte  le  ragioni  che  potevano  appoggiare  le  loro  ri- 
cerche. Ora  il  sig.  Rucca  ha  cercato  di  riparare  una 
tale  mancanza,  convalidando  quell'  antica  interpreta- 
zione con  sue  proprie  osservazioni  e  dilucidazioni. 

2.  Dichiarazione  di  alcuni  luoghi  di  Strabone,  do- 
ve si  parla  dell'  Acerno,  del  Lucrino ,  di  Miseno ,  Cli- 
ma, Baia  e  della  grolla  napolitano,  al  presente  chia- 
mata di  Pozzuoli:  del  cav.  Bernardo  Quaranta:  pag. 
29-124.  Questa  lunga  disseriazione  dui  comm.  Qua- 
ranta ,  della  quale  la  brevità  richiesta  in  questi  fogli 
non  ci  permette  di  dare  una  idea  compiuta,  è  diretta 
ad  illustrare  varii  passaggi  di  Slrabone  concerncnii 
certe  particolarità  delle  nostre  regioni;  esegnalamenle 
lo  stesso  luogo  illustrato  dal  sig.  ab.  Rucca  nella  me- 
moria da  noi  precedentemente  annunziata.  Il  eh.  a. 
si  fa  a  riferire  dislesamente  le  varie  opinioni  de'  dot- 
ti ,  opponendo  ad  esse  le  sue  critiche  osservazioni. 
L'a.  nel  luogo  di  Strabone,  e  propriamente  nelle 
dibattute  parole:  rov  Koxxafw  tqv  Troir^ffxr'roS  Tr\v 
oiu'puya.  ìx:iyv\y  fs,  x%)  \ntì  Nexv  trùk»  lx  Atxoa<x.px,'ois 
?7rì  rcus  Bxix<s,  !'7r<xxoXo(/}-/i'7a.vT05  eie.  suppone  es- 
servi la  ellissi  della  voce  b%ov,  quasi  che  quelle  espres- 
sioni fossero  equivalenti  alle  altre  i;  ó^ov  AixociCLpfcloiS, 
dalla  via  che  stendesi  da  Pozzuoli,  aggiungendosi  ha 
rxìs  Baiai»  lasciata  Baja  :  «  il  che ,  dice  il  Quaran- 
ta, in  altri  termini  importava  un  come  dire,  la  grotta 
che  menava  a  Napoli ,  formar  bensì  l' unico  passag- 
gio da  battersi  da  coloro  che  dalla  w  di  Pozzuoli  vo- 
levano per  quel  cunicolo  a  Napoli  andare  ».  L'a. 
appoggia  questo  suo  divisamenlo  con  ragioni  geogra- 
fiche e  filologiche  ;  dimostrando  per  le  prime  come 
Strabone  descrive  appunto  il  viaggio  da  Baja  a  Na- 


poli, ed  illustrando  per  le  allre  le  grammaticali  con- 
giunzioni te  xoù,  la  ellissi  della  voce  o^où ,  ed  il  si- 
gnificato dell'  Itt)  nel  senso  di  dopo.  Finalmente  il 
eh.  autore  ragiona  delle  Acle  di  Pozzuoli,  dilucidan- 
done filologicamente  la  intelligenza ,  col  determinarle 
per  le  spiagge  scogliose,  che  veggonsi  dopo  il  Lucrino, 
prima  di  Pozzuoli.  Indispensabile  giudichiamo  la  let- 
tura dell'intero  lavoro  del  nostro  eh.  collega  per  for- 
marsi una  idea  adeguata  di  tutte  le  minute  discus- 
sioni, alle  quali  dà  luogo  una  ricerca  di  simil  natu- 
ra. In  una  quistione  cotanto  dibattuta  ,  e  dottamente 
discussa  da  molti,  mi  sia  lecito  proporre  alcune  brevi 
osservazioni.  Ancorché  la  opinione  del  comm.  Qua- 
ranta sia  molto  ingenosa  ed  eruditamente  sostenuta, 
pure  io  confesso  di  non  essere  pienamente  persuaso 
della  ellissi  della  voce  6§où  da  lui  immaginata.  Trat- 
tandosi di  una  frase,  nella  quale  precede  una  preposi- 
zione, che  regge  il  secondo  caso,  non  si  può  mai  es- 
ser sicuro  della  ellissi,  non  potendosi  in  verun  modo 
liquidare  se  il  genitivo  Atxa.fx.px^i  appartenga  al 
reggimento  del  sostantivo  soppresso,  ovvero  a  quello 
della  precedente  preposizione.  Malgrado  una  tale  av- 
vertenza, io  ritengo  pienamente  la  intelligenza  data  a 
tutto  il  senso  dal  comm.  Quaranta:  e  solo  nonparmi 
vi  sia  bisogno  di  ricorrere  a  quella  ellissi  ;  percioc- 
ché le  parole  fat\  N/xv  vóXiv  lx.  Aixy.i%pxi%5  son  de- 
stinate appunto  a  significare  non  la  estensione  della 
grotta  ,  ma  sibbeue  il  passaggio  messo  in  rapporto 
con  coloro  che  lo  percorrevano  :  intendendosi  di  quel- 
la grotta  che  da  Pozzuoli  menava  a  Napoli.  Né  dee 
far  maraviglia  che  venisse  in  tal  modo  indicata  quella 
ascosa  via,  mentre  è  lauto  distante  da  Pozzuoli;  giac- 
ché il  geografo  considerò  la  relazione  frallc  due  città 
più  vicine  ,  essendo  Pozzuoli  1'  unico  sito  ,  che  fosse 
degno  di  memoria  per  Io  numero  degli  abitanti.  E 
qui  si  noti  che  Slrabone  nelle  parole  che  prossima- 
mente precedono  indicò  in  modo  differente  la  esten- 
sione di  un'altra  grotta:  vai  dire  sctto  noi  'Aópyou.... 
\j.{\^{  K(V?]S.  Nel  luogo ,  di  cui  facciamo  la  disami- 
na ,  considerò  l' uso  di  coloro  che  da  Pozzuoli  diri— 
gevansi  in  Napoli ,  ed  usò  le  voci  affatto  diverse  hi 
n/xk  ■jto'Xjv  lx  Aix<xioi.px,i%s.  Ritenuta  dunque  questa 
significazione ,  rimane  a  spiegare  la  ragione  di  quella 


—  109 


circostanza  aggiunta  da  Strabone  colle  parole  sV}  rx7s 
Bai'xis.  Furono  esse  con  maggiore  o  minore  proba- 
bilità interpretale  da  varii  dotti  scrittori: ma  dobbia- 
mo per  verità  confessare  die  tutte  le  opinioni ,  non 
eccettuata  alcuna  ,  mostransi  più  o  meno  soggette  a 
difficoltà  ed  opposizioni  ;  per  modo  ebe  non  lasciano 
lo  spirito  pienamente  convinto  della  loro  ragionevo- 
lezza e  della  loro  evidenza.   Noi  crediamo  di  potere 
facilmente  restituire  la  vera  lezione  nelle  parole  di 
Strabone  ,  le  quali  rimasero  per  sì  gran  tempo  non 
interamente  comprese,  ed  interpretate.  Comincio  dal- 
l' osservare  che  per  rannodarsi  bene  fra  loro  le  pa- 
role ,  bisogna  ripetere  1'  articolo  :  e  non  dubito  che 
il  geografo  scrisse  di  fatti  roù  KqxxyJqu  irorfpxvros 
tt,v  hicópuyx  Ixilvyy  ti  xx\  [t7,v]  sV)  Neay  tto'X/v  ìx  Ai- 
xxtxpx'W-  il  che  venne  altresì  in  mente  al  Tyrwhilt, 
il  quale  ben  si  avvide  di  questo  errore  grammaticale, 
che  non    può   attribuirsi  a  quell'  elegante  scrittore 
(emend.  in  Strab.  p.  6  ed.  Harles).  Risanato  in  tal 
modo  per  la  prima  parte  il  luogo  di  Strabone  ,  non 
sarà  difficile  restituirlo  alla  sua  vera  lezione  ,  dopo 
alcune  brevissime  considerazioni.  A  compiere  il  senso 
delle  tanto  dibattute  espressioni  già  dicemmo  sup- 
porsi  che  l'autore  consideri  nel  far  menzione  della 
grotta  il  passaggio,  che  per  essa  avevasi  da  Pozzuoli 
a  Napoli  :  manca  adunque  il  verbo  che  esprima  un 
tal  passaggio.  Allorché  Strabone  ha  favellato  dell'al- 
tro cunicolo,  nel  far  menzione  della  sua  estensione, 
non  ha  intralasciato  di  compire  il  senso  col  verbo 
Wtfiu'ffrjS}  nell'altro  luogo  mancherebbe  il  verbo  di- 
notante la  idea  del  passaggio  da  Pozzuoli  a  Napoli , 
quante  volle  si  ritenessero  le  parole  tulle  in  quel  mo- 
do in  cui  al  presente  si  mostrano.  Questo  verbo,  che 
io  reputo  necessario  ad  aprir  la  vera  mente  dello 
scrittore,  si  asconde  nelle  parole  \k\  rxìs  Bai'*/?:  ed 
io  credo  di  aver  ritrovalo  tal  voce ,  che  nelle  mani 
de'  copisti  si  confuse  coli'  svi  (3oucus.  È  questa  il  par- 
ticipio £7r;|3àcrotv ,  che  rende  perfetto  il  periodo ,  e 
chiarifica  la  idea  di  Strabone  ryy  lm  N/av  vrÓkiv  ìx 
Aixxixpxtxs  \iti§xaa.y,  esprime  quell'ascoso  passag- 
gio che  da  Pozzuoli  si  conduce  in  Napoli.  Ci  sembra 
poi  degno  di  osservazione  che  lo  stesso  Strabone  nel 
parlar  delle  strade,  usa  i  composti  di  jJx/iw.  Così  ra- 


gionando della  via  Latina ,  e  delle  sue  varie  dira- 
mazioni, il  geografo  si  esprime  in  tal  guisa  :  xpx'.rxi 
hi  xirò  ty,ì  '  kiarlxi  h  xpicn^x"  xtt'  uvr-rfi  lxrzì/7ro- 
ixivy]  vkvfloi  'Pc4i7]S ,  tira,  hix  TouaxzuXxvou  opot/S 
TIIEPBASA  x.  r.  X.  (lib.  V.  cap.  III).  Ognun 
vede ,  come  così  semplicissimamente  ridotto  alla  vera 
lezione  il  luogo  di  Strabone,  tutte  le  difficoltà  sva- 
niscono ,  e  risulta  chiarissima  la  sua  intelligenza.  Né 
potrà  alcuno  opporre  che  la  grotta ,  di  cui  intendia- 
mo ,  non  viene  propriamente  da  Pozzuoli  ;  giacché 
oltra  le  ragioni  di  sopra  addotte  tendenti  a  provare 
che  il  geografo  ebbe  in  mira  il  rapporto  tra  Napoli 
e  Pozzuoli  ;  vi  è  anche  quella  che  volgarmente  la 
nostra  grolla  appellasi  la  grotta  di  Pozzuoli ,  ricono- 
scendosi nella  vivente  popolazione  quel  rapporto  me- 
desimo che  tanli  secoli  addietro  palesavasi  nella  men- 
te del  dottissimo  geografo. 

Che  se  uno  scriltore  va  maravigliosamente  spiegato 
con  le  sue  medesime  idee,  e  colle  sue  medesime  frasi, 
può  ben  dirsi  che  da  Strabone  la  grotta  di  cui  è  pa- 
rola dovea  principalmente  indicarsi  come  un  punto 
intermedio  fra  Napoli  e  Pozzuoli.  Di  fatti  ragionando 
egli  altrove  dello  stesso  passaggio  si  esprime  in  tal 
guisa  :  ieri  Vi  xxì  hSxh  htwpv'i  x:v7rrr\  rov  ixìtx%v 
épOfS,  Tri?  ri  Aixxixpxt'xs,  xx)  rrf  Nsx7rt\scs  vTnp">  x- 
g'òìvtos;  le  quali  espressioni  sono  il  miglior  comento 
delle  altre ,  di  cui  finora  favellammo.  Queste  nostre 
osservazioni  tanto  più  acquistano  forza  e  valore,  quan- 
do si  considera  ebe  dalle  ultime  parole  sembra  de- 
dursi  estendersi  insino  alla  grolta  il  territorio  puteo- 
lano.  Di  fatti  Io  slesso  Slrabone  non  pone  fra  Poz- 
zuoli e  Napoli  luoghi  intermedi! ,  dicendo:  Me7*  hi 
Aixxixpfctxv  £ffr!  N:'aVoX/s  Kvyixlwv.  Onde  propria- 
mente parlando  la  grolla  ih  quislione  poteva  dirsi 
i7t\  ìsìxv  ifóXiv  ìx  Aixxixpx,txs  i7ri~5x<jx,  cioè  uscente 
dal  territorio  di  Pozzuoli  nel  territorio  napolitano.  E 
qui  nuli' altro  aggiungeremo,  sottomettendo  le  nostre 
conghietture  al  giudizio  dei  dotli. 

3.  Sopra  una  iscrizione  Siponlina  osservazioni  di 
Agostino  Gcrvasio:  p.  123-192.  Questa  disseriazio- 
ne, che  fu  la  prima  volta  pubblicata  dall' a.  nel  1837, 
vede  ora  per  la  seconda  volta  la  luce,  non  senza  il 
corredo  di  nuove  aggiunte  ed  osservazioni.  La  epi- 


110- 


grafe,  sulla  quale  il  sig.  Gervasio  diresse  le  sue  dotte 
ricerche,  è  ora  riprodotta  dal  eh.  Mommsen  nell'o- 
pera inscr.  regni  neap.  latinac  p.  50  n.  929.  Noi  ci 
asteniamo  dal  riferire  le  cose  dette  dall' a.  in  questo 
suo  lavoro ,  perchè  da  più  tempo  conosciute  ;  essen- 
dosene data  una  onorevole  notizia  e  dal  sig.  Urlichs 
ne  btdlettini  dell'  Istituto  di  Corrispondenza  archeolo- 
gica 1837  pag.  158  s. ,  e  dal  dotto  epigrafista  Cle- 
mente Cardinali  nella  rivista  archeologica  del  giornale 
Arcadico  voi.  74  del  1S38  pag.  139.  Noterò  dun- 
que solamente  le  varietà  e  le  aggiunte  di  questo  la- 
voro ,  come  vedesi  riprodotto  nelle  memorie  della 
regale  Accademia  Ercolanese  ,  alla  quale  originaria- 
mente fu  presentato.  Trattando  copiosamente  della 
ragione  alimentaria  il  sig.  Gervasio  faceva  menzione 
del  famoso  frammento  della  tavola  de'  Liguri  Bebia- 
ni  :  ora  aggiunge  le  citazioni  di  coloro  ,  che  in  que- 
sti ultimi  anni  si  occuparono  della  pubblicazione  ed 
illustrazione  di  queir  insigne  monumento  :  citando 
(  pag.  143  )  i  lavori  del  eh.  Garrucci  ,  e  del  eh. 
Henzen,  che  sparsero  non  poca  luce  su  tutta  la  qui- 
stione  della  ragione  alimentaria.  Vedi  una  notizia  dei 
differenti  lavori  di  questi  due  dotti  data  da  me  nella 
prima  serie  del  bullettino  ardi.  nap.  an.  V  p.  121  s. 
A  proposilo  della  epigrafe  di  C.  Cesio  (Grut.  p.  MXX, 
10,  Doni  ci.  II,  67)  ,  il  sig.  Gervasio  aggiunge  al- 
cune nuove  osservazioni ,  e  sulla  esistenza  della  fa- 
miglia Cesia  ne'  dintorni  del  moderno  Fabiano  ,  e 
sulla  interpretazione  delle  sigle ,  che  in  quella  iscri- 
zione s'incontrano  (pag.   171).  Alla  sua  seconda 
appendice  aggiunge  1' a.  una  importante  osservazio- 
ne (pag.  183  segg. ).  Nel  parlar  della  voce  Altegia , 
egli  aveva  richiamato  a  confronto  la  epigrafe  di  Se- 
verinio  Satullino  edita  dal  Grutero  p.  LIV,  11.  Ora 
aggiunge  che  il  Marini  tenne  per  sospetta  quella  iscri- 
zione (pap.  diplom.  n.  CI  an.  949):  alla  quale  opi- 
nione si  oppone  principalmente  perchè  lo  Schoepfliu 
dichiara  di  aver  veduta  la  pietra  egli  slesso:  insculpla 
est  tabula  etiamnum  integra  (Alsat.  illustr.  t.  II  pag. 
445  e  446):  e  questa  autorità  rimaner  dovette  ignota 
a  quel  sommo  uomo  quando  dubitò  della  legilimilà 
della  iscrizione  gruteriana. 

Interamente  nuova  è  la  terza  appendice  alla  dis- 


sertazione del  sig.  Gervasio.  Il  sig.  Grotefend  sup- 
pose due  divisioni  dell'antica  Napoli,  una  delle  quali 
credè  appartenesse  alla  tribù  Meda ,  Y  altra  alla  Ga- 
leria:  e  ciò  in  corrispondenza  della  più  antica  divisione 
di  Palepoli  e  Napoli  (  v.  la  Zeilschrift  far  die  Alter- 
thumswissernscliaft  1833  p.  915  a  947).  La.  esamina 
da  prima  la  quistione  relativa  alla  distinzione  Ira  Pa- 
lepoli e  Napoli,  ricordando  tutte  le  ricerche  de'  dotti 
su  tal  proposilo.  (Vedi  ora  la  recenlissima  disseriazione 
del  sig.  Capasso  sul  medesimo  argomento).  Osserva  in 
seguito  il  sig.  Gervasio  che  ne'  lempi  posteriori  i  Na- 
politani furono  ascritti  unicamente  alla  tribù  Meda  : 
facendo  brevi  avvertenze  sulle  differenti  iscrizioni 
napolitane,  che  di  questa  tribù  fanno  menzione.  Cila 
fralle  altre  la  iscrizione  bilingue  di  M.  Cominio  Ve- 
recondo ,  osservando  come  i  due  primi  versi  furono 
in  Ialini  caratteri  sostituiti  a  quelli  che  prima  con 
greche  lettere  vi  erano  stati  scolpili.  La  quale  parti- 
colarità non  avvertila  dal  dottissimo  Borghesi  (  bul- 
lett.  dell'Ini.  1831  p.  50)  rimase  pure  ignota  al  eh. 
Mommsen  (  inscr.  r.  neap.  lai.  n.  3067  ) ,  ed  a'  dotti 
editori  del  corp.  inscr.  gr.,  che  la  riferiscono  sotto  il 
n.  5837,  b:  sebbene  fosse  generalmente  riconosciuta 
dagli  archeologi  napolitani.  Vedi  pure  il  rendiconto 
delle  tornate  dell'  Accademia  Ponlaniana  an.  II  pag. 
146.  In  quanto  alle  altre  iscrizioni  colla  menzione 
della  tribù  Galeria ,  riferite  dal  Grotefend  alla  no- 
stra citlà,  il  sig.  Gervasio  giustamente  sostiene  esser 
quei  marmi  in  parte  interpolali  e  corrotti ,  in  parte 
venuti  in  Napoli  da  altre  località,  secondo  un  costu- 
me assai  comune  fra  noi  negli  scorsi  secoli,  ne'quali 
i  signori  Napoletani  facevano  per  ogni  dove  1'  acqui- 
sto di  antichi  monumenti,  per  adornarne  le  loro  ville 
ed  i  loro  palagi.  Non  voglio  intanto  mancar  di  av- 
vertire che  una  notizia  della  prima  edizione  di  que- 
sto lavoro  fu  data  dal  defunto  sig.  prof.  Zumpt  di 
Berlino,  il  quale  fece  pure  alcune  particolari  osser- 
vazioni sulle  voci  ponderarius  e  sacomarius  (Jahrbù- 
cher  [tir  Wi&tenschaftliche  Krilik,  giugno  1844  num. 
103);  e  che  il  dottissimo  cav.  Boeckh,  nella  sua  se- 
conda edizione  della  Economia  politica  degli  Ateniesi, 
citò  le  diligenti  ricerche  del  sig.  Gervasio  sul  Saco- 
ma  ed  i  Sacomarii ,  approvando  la  sua  osservazione 


—  ili  — 


sulla  migliore  interpretazione  della  voce  dbttpJ*  (  tom. 
II  p.  358). 

(continua)  Minervini. 

Monumenta  epigraphica  Pompeiana  ad  fidem  arche- 
typorum  expressa.  Pars  prima.  Inscriptionum  osca- 
rum  apographa ,  curante  losepho  Fiorellio  ordini 
Academicorum  Herculanensium  adleclo,  et  Instituti 
archaeologici  sodale  — Neapoli — Sumptus  fccit  Al- 
bertus Delken  Bibliopola ,  typis  et  formis  Caietani 
Nobile— Super,  perm.  MDCCCLIV,  editio  C  exem- 
plarium. 

Noi  già  facemmo  altrove  menzione  di  una  impor- 
tantissima pubblicazione  napolitana  relativa  alle  anti- 
chità di  Pompei ,  nella  quale  vedevasi  per  la  prima 
volta  introdotta  fra  noi,  in  modo  degno  di  considera- 
zione, la  cromolitografìa.  Ora  siamo  lieti  di  annun- 
ziare un'altra  opera  non  meno  lodevole,  e  non  meno 
interessante  di  quella  precedentemente  annunziata. 
Come  rilevasi  dal  titolo  messo  in  fronte  del  presente 
articolo,  trattasi  di  una  compiuta  collezione  delle  epi- 
grafi pompeiane,  dovuta  alle  cure  del  eh.  sig.  Giu- 
seppe Fiorelli ,  di  cui  son  troppo  noti  gli  studii  su 
quella  classica  città.  L' autore  delle  illustrazioni ,  in 
una  prefazione ,  espone  tutto  ciò  che  intende  di  ren- 
dere di  pubblica  ragione:  cioè  le  iscrizioni  osche,  le 
greche ,  e  le  latine.  Di  queste  ultime  presenta  una 
quadruplice  divisione,  proponendosi  di  pubblicare  le 
iscrizioni  in  pietra,  quelle  dipinte  sul  muro,  i  graffiti, 
e  finalmente  le  differenti  epigrafi,  che  leggonsi  su' vasi, 
sulle  lucerne,  e  sopra  altri  antichi  oggetti  di  pompe- 
iana provenienza. 

Il  eh.  editore  comincia  dalle  iscrizioni  osche  ,  che 
costituiscono  la  prima  parte  di  questo  difficile  e  com- 
plicato lavoro.  E  noi  dichiariamo  volentieri  che  da 
questa  prima  porzione  dell'  opera  può  trarsi  argo- 
mento a  ben  giudicare  delle  altre  che  seguiranno.  In 
dieci  tavole  di  grandissime  dimensioni  ci  si  pongono 
sotto  gli  sguardi  tulte  le  epigrafi  osche  di  Pompei,  ese- 
guite accuratamente  in  litografia,  riproducendosi  con 
la  massima  esattezza  tutte  le  più  minute  particolarità 
de'  monumenti  riportati ,  o  che  si  consideri  il  colore 


della  materia  ove  sono  le  iscrizioni  scolpite,  dipinte, 
o  graffite,  o  che  si  riguardino  tutte  le  minuzie  osser- 
vabili ne' caratteri,  e  per  la  loro  forma,  e  per  le  frat- 
ture, e  per  le  varietà  subite  ne' colori  a  causa  dell'u- 
mido, o  per  qualsivoglia  altra  cagione,  che  ne  abbia 
alterati  i  contorni.  Noi  sappiamo  che  il  eh.  editore 
ha  lavorato  egli  stesso  con  assidua  diligenza  all'  opera 
di  trarre  i  lucidi  esattissimi  da' monumenti  originali, 
da' quali  poi  furon  ricavate  le  litografie.  Questo  metodo 
di  pubblicazione,  sebbene  renda  il  libro  assai  costoso 
e  di  non  facile  acquisto ,  è  però  utilissimo  a  coloro  prin- 
cipalmente, che  aver  non  possono  sotto  gli  occhi  con- 
tinuamente i  monumenti  origioali.  E  noi  saremmo  di 
parere  che  le  belle  litografie  dell'opera  di  cui  diamo 
l'annunzio,  dovrebbero  acquistarsi  da  tutti  i  musei  del 
mondo;  ne'quali  si  vedrebbero  per  tal  modo  esposte  le 
epigrafi  pompejane  per  esser  sottomesse  all'  esame  ed 
allo  studio  de' dotti,  che  ricavar  ne  potrebbero  tutto  il 
vantaggio,  e  per  le  ricerche  paleografiche,  e  per  quelle 
che  concernono  le  novelle  spiegazioni  de'  monumenti 
soggetti  a  varie  interpretazioni ,  ed  a  lezioni  diverse. 
Per  quanto  spetta  poi  a' programmi,  ed  a' graffiti ,  è 
troppo  noto  come  sieno  essi  soggetti  a  deperire ,  e 
talvolta  anche  a  subire  la  totale  distruzione,  a  causa 
del  fragile  intonico  su  cui  furono  segnati.  Per  lo  che 
una  identica  riproduzione  è  destinata  a  servire  un 
tempo  in  luogo  degli  originali,  conservandone  la  fre- 
schezza e  talora  la  esistenza. 

Noi  osserviamo  che  una  pubblicazione  di  tal  fatta 
vede  ora  per  la  prima  volta  la  luce.  Sovente  si  presen- 
tarono le  antiche  epigrafi  a  facsimile,  ma  allorché  i 
monumenti  erano  di  grandissime  dimensioni,  offrironsi 
agli  sguardi  degli  studiosi  ridotti  ed  impiccioliti.  Non 
così  nella  presente  pubblicazione  ;  il  che  la  rende  non 
solo  oltremodo  splendida  e  magnifica,  ma  utilissima 
ancora ,  secondo  che  fu  da  noi  di  sopra  accennato. 
Per  ciò  che  risguarda  il  testo  che  accompagna  le  ta- 
vole ,  noi  non  sappiamo  abbastanza  lodare  la  idea 
dell'autore  nel  dettar  le  illustrazioni  nella  lingua  del 
Lazio  ,  la  quale  spiacevolmente  vedesi  abbandonata 
da' dotti,  anche  sovente  nelle  più  difficili  trattazioni 
filologiche.  In  quanto  poi  alle  osservazioni  fatte  dal- 
l' autore  a  ciascuna  iscrizione ,  noi  lodiamo  in  gene- 


—  112 


rale  la  diligenza  e  la  erudizione  dello  scrittore,  il  quale 
ba  diligentemente  raccolto  e  sottomesso  alla  critica , 
quel  che  innanzi  fu  scritto  sulle  osche  epigrafi  pom- 
pejane.  Parleremo  più  particolarmente  in  un  secondo 
articolo  de'  varii  monumenti ,  de'  quali  ragiona  l' a.  , 
e  delle  sue  particolari  osservazioni.  Ci  basti  ora  il  di- 
chiarare che  il  Signor  Fiorelli  si  ha  con  questa  no- 
bile pubblicazione  acquistato  un  novello  titolo  alla 
stima  ed  alla  riconoscenza  de'  cultori  della  filologia , 
e  degli  studiosi  delle  antichità  pompejane.  Nò  meno 
abbiamo  a  lodare  il  librajo  sig.  Alberto  Delken ,  che 
ha  fatto  la  spesa  della  edizione,  e  che  non  ha  nulla 
risparmiato  perchè  fosse  eseguita  colla  maggiore  ele- 
ganza di  tipi  dal  notissimo  tipografo  cav.  Nobile ,  e 
colla  maggiore  esattezza  ne'  fac-simili  dal  diligentissi- 


mo  litografo  signor  Richler. 


MlNERVINI. 


Iscrizioni  latine.  Continuazione  del  n.  62. 


Sono  state  recentemente  scoverte  in  Pozzuoli  al- 
cune tombe ,  in  una  delle  quali  furono  rinvenute  le 
seguenti  iscrizioni  latine.  Mi  furono  esse  da  prima 
comunicate  dal  sig.  Arcangelo  Bruschi ,  e  ne  potei 
poscia  verificare  in  parte  io  medesimo  le  lezioni. 


bene  ora  sia  svanita  la  traversa  che  costituiva  la  let- 
tera H  nel  mezzo. 


27. 

D-  M 
TITTIA  •  FESTA 
VIX1T  •  ANNIS 
V  •  MENSIBVS  III 

DIE  M  •  T  •  POMPEI 
FELIC1TAS 


MAT  BENEMEREN 
ER  TI 


Pare  che  sia  una  Tiltia  piuttosto  che  Tettia  Festa, 
visse  soli  cinque  anni  tre  mesi  ed  un  giorno.  La  picco- 
lezza del  marmo  fece  adottare  quella  maniera  così  stra- 
na di  scrivere.  È  notevole  che  le  parole  T.  POMPEI 

FELIC1TAS 
sono  scritte  di  più  minuti  caratteri:  e  pare  sia  un'ag- 
giunzione richiesta  dal  padre  della  fanciulla,  che  volle 
inserire  quelle  tenere  ed  affettuose  parole ,  concor- 
rendo alla  idea  di  porre  una  memoria  alla  figli uo- 
lina  defunta,  insieme  colla  sua  consorte. 


28. 


26. 

D  M 
VERRIAE    A 
GATETYCHE 


Si  noti  che  siccome  il  finimento  TYCHE  offre  le 
due  ultime  lettere  in  monogramma  ,  così  esser  do- 
vea  nel  principio  AGATHE  col  nesso  di  THE  ;  seb- 


D    M 
VERRIAE  •  AGATHEMERIDI 


Questa  Verria  appartenne  alla  stessa  famiglia  di 
Venia  Agathetyche:  ed  è  notevole  come  avessero  en- 
trambe un  nome  di  analoga  formazione. 


MlNERVINI. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETT1N0  ARCI1EOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  6J.     (15.  dell1  anno  III.) 


Febbraio  1855. 


Recherehes  sur  la  Numismatique  Judaique  par  F.  Db  Sàvlcy  Memore  de  YInslitut,  Académie  des  Inscriptions 
el  liclles-Lettres.  Paris,  Dìdot  4854,  in  4.— Descrizione  di  alcuni  frammenti  architettonici  rimcìiuti  sulla 
grossezza  del  muro  di  cinta  della  antica  Pesto. 


Recherclws  sur  la  Numismatique  Judaique  par  F.  De 
Saulcy,  Membre  de  l' Inslitut ,  Académie  des  In- 
scriptions et  Bellcs-Letires.  Paris,  Didot  1854,  in  4. 

Il  eh.  De  Saulcy  ,  che  non  suole  scrivere  per  ri- 
petere il  dello  da  altri ,  in  questa  ragguardevole  sua 
opera  ,  corredata  di  beu  XX  tavole ,  ha  giovato  di 
molto  all'  avanzamento  di  questa  serie  importantissi- 
ma delle  antiche  medaglie  ,  ma  nello  stesso  tempo  , 
volendo  innovare  di  soverchio  ,  la  fece  in  certo  qual 
modo  retrocedere;  e  mostrò  vero  anche  in  tale  par- 
ticolare la  saggezza  dell'  aulico  apoflemma  MHAEN 
ArAN. 

Delle  molte  monete  Giudaiche  insignite  di  epigrafe 
Ebraica  in  caratteri  Fenicio-Samaritani ,  che  Onora 
eransi  attribuite  a  Simone  Asmoneo,  fratello  di  Giu- 
da Maccabeo ,  egli  ragionevolmente  ne  assegna  gran 
parte  a  Simone  Barkokeba  ;  ma  fuor  d' ogni  verisi- 
migliauza  riporta  l' altre  a'  tempi  di  Alessandro  Ma- 
gno ,  lasciando  così  il  buon  Simone  Asmoneo ,  che 
pur  si  ebbe  da'  re  della  Siria  ampia  facoltà  d' impri- 
mere moneta  propria  nel  suo  paese  ,  spoglio  affatto 
di  pecuuia ,  senza  peraltro  togliergli  la  speranza  di 
poterne  accattare  qualcuna,  che  coìl'andar  degli  anni 
si  venisse  a  discoprire. 

Il  eh.  autore  pone  impresse  sotto  il  pontificalo 
d'Iaddo,  regnando  Alessandro  Magno,  dall'anno  332 
al  329  innanzi  l'era  volgare,  le  seguenti  monete  Giu- 
daiche autonome  :  Sicli  <f  Israele  degli  anni  I ,  IL  e 
III;  mezzi  Sicli  degli  anni  I,  e  li;  monete  di  bronzo 
dell'  anno  IV  della  redenzione  di  Sion.  L' argomento 
suo  precipuo  per  fare  cotale  innovazione  6  dedotto 
dal  riscontro  delle  suddette  monete  con  altre  di  fab- 


brica  e  stile  d' età  posteriore  ,  eh'  egli  crede  apparte- 
nere senza  meno  a  Giuda  Maccabeo ,  ed  a  Gionatane 
suo  frafello.  Ma  questo  argomento  perde  ogni  valore 
qualor  si  dimostri,  che  le  monete,  attribuite  dall'au- 
tore troppo  francamente  a  Giuda  Maccabeo  ed  a  Gio- 
nalane  fratel  suo,  spettano  anzi  ad  altri  principi  Asmo- 
nei  posteriori  a  Simone  ;  a  Giuda  Aristobulo  cioè  e 
ad  Alessandro  Ianneo ,  detto  anche  donatane,  come 
vedremo  in  appresso.  L' autore  si  fonda  anche  sopra 
i  privilegi  concessi  da  Alessandro  Magno  a'  Giudei  in 
Gerusalemme  ;  sopra  1'  autonomia  cioè,  che,  a  parer 
suo,  porta  necessariamente  il  diritto  d'imprimere  mo- 
neta propria.  Ma  consta ,  che  in  realtà  il  conquista- 
tore Macedone  altro  non  concesse  ad  Iaddo  ed  ai  Giu- 
dei ,  che  di  vivere  secondo  le  loro  leggi ,  e  di  essere 
esenti  dal  pagare  i  consueti  tributi  nell'anno  sabbatico, 
non  già  negli  altri  anni  (Flavius,  Ant.  Iud.  XI,  8,  5). 
Anche  Cesare  Augusto  con  editto  speciale,  e  senato- 
consulto,  concesse  a' Giudei  di  vivere  giusta  le  loro 
leggi  (J?\a\. Ant. XYl, 6, 2);  ma  non  per  tanto  sarebbe 
stato  lor  lecito  imprimere  monete  proprie  nazionali 
senza  un  permesso  speciale  (cf.  Eckhel  t.  IV  p.  497). 
Inoltre ,  consta  che  i  sicli  e  semisicli  attribuiti  finora 
comunemente  a  Simone  Asmoneo  sono  di  argento  al- 
quanto scadente  ,  contenendo  una  sesta  parie  di  me- 
tallo elerogenco  (  Bayerus  de  man.  Hebr.  p.   66  ) ,  e 
che  non  pesano  che  grammi  1  h,  20  all' incirca;  lad- 
dove gli  stateri  di  Alessandro  Magno  impressi  in  A- 
rado  ed  in  Ateo  della  vicina  Fenicia  sono  di  argento 
puro  e  conformi  ne!  peso  al  tetradrammo  Attico,  pe- 
sando oltre  16  grammi  (Saulcy  ,  Rech.  p.  2i:  Mus. 
Est.).  D'altra  parte  il  titolo  scadente  dell'argento 
de'  Sicli  e  Sanisicli  d'Israele  troppo  bene  si  addice  ai 


-  114- 


tempi  di  Simone  Maccabeo,  ne' quali  anche  le  mo- 
uete  dei  re  di  Siria  erano  d' argento  parimente  sca- 
dente (Eckhel  T.  I  p.  XXV,  cf.  T.  Ili  p.  542),  e  lo 
statere  Fenicio  pesava  similmente  grammi  14,20 
(Cavedoni,  Num.  Bibl.  p.  43:  cf.  Pinder,  Beitraegc 
p.  209  ).  Se  a'  giorni  di  Alessandro  gì'  Israeliti  aves- 
sero avuto  piena  autonomia,  con  facoltà  d'imprimere 
moneta  propria,  Giuseppe  Flavio  non  avrebbe  omesso 
di  ricordarla;  e  per  l'opposito  ne  accerta  come  Si- 
mone Asmoneo  nel  bel  primo  anno  del  suo  princi- 
pato ebbe  liberato  il  popolo  d' Israele  da  ogni  suddi- 
tanza a'  monarchi  Macedoni ,  e  dal  tributo  che  avea 
dovuto  pagare  ad  essi  pel  decorso  di  170  anni;  per 
lo  che  il  popolo  stesso  incomincia  a  scrivere  ne'  do- 
cumenti sì  pubblici,  come  privati ,  l'anno  I  di  Simo- 
ne evergete  ed  einarca  de'  Giudei  (Flav,  Ant.  XIII,  G, 
6).  Lo  stesso  ne  attesta  lo  scrittore  divinamente  in- 
spirato del  libro  I  de' Maccabei  (cap.  XIII  v.  41  ), 
che  inoltre  rapporta  la  lettera  di  Antioco  VII  re  di 
Siria  a  Simone  stesso ,  scritta  un  due  o  tre  armi  ap- 
presso ,  nella  quale  dice  fra  l'altre  cose  (1  Maehab. 
XV  ,  0  ):  et  fermino  libi  facere  percussuram  proprii 
numimalis  in  regione  tua;  Ierusakm  autem  sanclam 
esse  et  Uberam.  Simone  Asmoneo  pertanto  si  rimanga 
in  giusto  e  fermo  possesso  de'  Semisicli  d' Israele  de- 
gli anni  I,  II  e  III,  ne' quali  Gerusalemme  dicesi  la 
fama,  e  delle  monete  di  bronzo  altresì  dell'anno  quar- 
to della  Redenzione  di  Sion  insignite  de'  tipi  del  Calice 
sacro  e  del  Lulab  e  d'  altri  relativi  al  culto  divino 
per  la  festa  de'  Tabernacoli. 

Il  eh.  autore  attribuisce  a  Giudea  Maccabeo  una 
moneta  di  bronzo ,  di  terzo  modulo  della  scala  del 
Mionnet ,  che  è  come  segue  : 

Corona  di  olivo ,  o  d' altre  [rondi ,  con  epigrafe  E- 
Iraica  in  lettere  Samaritane ,  eh'  egli  spiega  :  Giuda 
Sacerdote  illustre  ed  amico  de  Giudei. 

)(  Due  Cornucopie  ornate  di  vitle.che  si  toccano  con 
le  estremità  loro  inferiori,  e  capo  di  papavero  che  s'er- 
ge di  mezzo  ad  esse. 

Quel  eh'  io  dissi  capo  di  papavero  con  la  comune 
de'  numografi ,  dall'  autore  vien  detto  costantemente 
pomo  granato ,  o  sia  melagrana  ;  ma  non  è  tale  per 
fermo ,  poiché  la  melagrana  ha  picciuolo  piuttosto 


corto  e  alquanto  inflesso  (  cf.  Due  de  Luynes,  num. 
des  Satrap.  pi.  Ili);  laddove  in  queste  ed  in  altre  mo- 
nete Giudaiche  l'oggetto  posto  di  mezzo  alle  due  cor- 
nucopie ha  stelo  assai  lungo  e  diritto. 

Non  so  poi  comprendere  come  Giuda  Gran-Sacer- 
dote de'Giudei  potesse  intitolarsi  amico  de'Giudei;  poi- 
ché cotale  appellazione  sarebbesi  unicamente  conve- 
nula a  principe  di  nazione  straniera.  Così  Giuda  Ari- 
slobulo  ,  figliuolo  di  Giovanni  Ircano ,  si  cognominò 
Fìlellene ,  «I^X/xX^v  (Flav.  Ani.  XIII,  11,3),  ma  non 
gici  Filogiudeo.  E  siccome  la  voce  ebraica  *Oft  può 
leggersi  tanto  Cheber,  quanto  Chabar  o  Chaber  ,  così 
vorrei  congetturare,  che  tutta  l'epigrafe  ebraica  possa 
rendersi  :  Giuda  gran  Sacerdote  e  la  società  (  o  sia  il 
popolo)  dei  Giudei  ;  sì  che  queste  monete  ,  e  simil- 
mente quelle  di  Giovanni  Ircano,  e  di  Alessando  Ian- 
neo  o  sia  Ionatane,  fossero  impresse  a  nome  del  Gran 
Sacerdote ,  e  della  nazione  de'  Giudei  tutt'  insieme , 
nel  modo  stesso  che  no'  documenti  diplomatici  di  quei 
tempi ,  p.  e,  nella  lettera  di  Demetrio  re  di  Siria  in- 
dirizzata patri  lonathae,  et  genti  ludaeorum  (I  Ma- 
ehab. XI,  30).  Anche  la  voce  ebraica  che  il  eh.  Saulcy 
rende  ìUuslrc  penso  che  debba  leggersi  7"nA,  per  avere 
il  titolo  diplomatico  di  Sacerdote  Grande ,  anzi  che 
illustre,  che  sarebbe  fuori  dell'uso  del  parlare:  tanto 
più  che  in  queste  epigrafi  a  lettere  ebreo-samaritane 
p'ccoline  e  sfuggenti  torna  facile  lo  scambio  del  ghi- 
mel  al  lamed. 

Ma  comunque  sia  delle  proposte  mie  congetture  , 
parmi  certo  che  la  moneta  attribuita  a  Giuda  Macca- 
beo dal  eh.  Saulcy  debba  restituirsi  a  Giuda  Aristo- 
bulo,  figliuolo  di  Giovanni  Ircano,  che  tenne  il  som- 
mo sacerdozio  ed  il  principato  per  soli  due  anni  ;  di 
che  chiara  si  pare  anche  la  ragione  della  somma  ra- 
rità delle  sue  monete  ora  per  la  prima  volta  pubbli- 
cate dal  eh.  Saulcy.  Copiose  per  lo  contrario ,  e  da 
molto  tempo  ben  note,  convenientemente  sono  le  mo- 
nete di  Giovanni  Ircano ,  che  tenne  il  sommo  Ponti- 
ficalo per  ben  29  anni  ;  le  quali  sono  in  tutto  simili 
a  quelle  di  Giuda  suo  figliuolo  ,  che  mostra  averle 
ricopiate,  sostituendo  solo  il  nome  suo  lehudah  a 
quello  del  padre  lehochanan.  La  ragione  pertanto  dei 
tipi  della  corona  che  rinchiude  l'epigrafe,  e  del  dop- 


—  115 


pio  cornucopia,  vuoisi  ripetere  dalle  circostanze  e 
contingenze  del  principato  di  Giovanni  Ircano.  La  co- 
rona raccbiudente  l'epigrafe  ricorre  in  monete  di  An- 
tioco VI  Epifane  Dioniso  (Eckhel  T.  Ili  p.  233),  ed 
il  doppio  cornucopia  decussato  in  alcune  di  Alessan- 
dro li  Zebina  (Mionnet,  Descr.  n.  730,  731),  il  quale 
contrasse  alleanza  con  Giovani  Ircano  (  Flav.  Ant. 
XIII,  9,  3).  La  corona  inoltre  può  riferirsi  alle  vit- 
torie riportate  da  Giovanni,  e  segnatamente  a  quelle 
che  gli  meritarono  il  nome  d' Ircano,  oppure  al  dono 
della  corona  aurea  che  gli  facesse  Antioco  Sidete  od 
Alessandro  Zebina  (cf.  /  Mach.  X,  20);  ed  il  gemino 
cornucopia  può  indicare  le  dovizie  insigni  di  lui  se- 
gnatamente dopo  i  tesori  scoperti  ne'  sepolcri  regii  di 
Gerosolima  (Flav.  Ant.  XIII,  8,  4:  10,  1,  4,  5). 

In  alcune  delle  monete  di  Giovanni  Ircano  al  diso- 
pra dell'epigrafe  ebraica,  proprio  nel  silo  ove  si  ac- 
costano a  vicenda  le  estremità  superiori  de'  due  rami 
formanti  la  corona,  ricorre  un  A  greco  di  forma  mag- 
giore di  quella  dell'  altre  lettere.  11  eh.  Saulcy  opina, 
che  vi  stia  per  indizio  dell'  alleanza  di  Giovanni  me- 
desimo con  Antioco  VII  Sidete  oppure  con  Alessan- 
dro 11  Zebina  ;  ma  potrebbe  anche  denotare  che  la 
corona  stessa  fosse  un  dono  di  Antioco ,  o  di  Ales- 
sandro re  di  Siria ,  inviato  per  ragione  di  onore  e  di 
amicizia  a  Giovanni  Ircano,  siccome  consta  di  Ales- 
sandro I  Baia  re  di  Siria,  che  mandò  a  Gionata  som- 
mo Sacerdote purpuram  ci  coronarti  auream  (I  Mach, 
X,  20  ). 

A  proposito  dell'  alleanza  di  Giovanni  Ircano  con 
Antioco  VII  Sidete,  il  eh.  Saulcy  propone  la  conget- 
tura, che  fossero  impresse  in  Gerusalemme  le  piccole 
monete  di  quel  re  della  Siria,  che  sono  come  segue: 
BASIAEUS  ANTlOXOTETEPrETOT.  Ancora  dei 
Seleucidi  con  presso  le  noie  numeriche  AIIP,  BIIP 
(anno  181,  182). 

)(  Fiore  a  calice  molto  elevato  e  con  due  foglioline 
nell'imo  del  corto  suo  gambo.  y£.  3. 

Ma  colali  monetine  sembrano  impresse  nella  Siria, 
tra  perchè  fanno  riscontro  alle  analoghe  insignite  dei 
tipi  del  ceffo  del  leone  e  della  clava  d'Ercole,  e  per- 
chè ve  n'ha  colla  data  dell'anno  181  fino  al  184,  e 
con  è  altrimenti  verisimile  che  un  re  della  Siria  con- 


tinuasse l' impressione  di  colali  moneluccie  in  Geru- 
salemme pel  decorso  di  quattro  anni.  Né  faccia  diffi- 
coltà, che  il  eh.  Saulcy  ne  ricevesse  ben  cinque  esem- 
plari raccolti  nelle  vicinanze  di  Gerusalemme;  poiché 
avendo  esse  tipi  comportabili  anche  pe'Giudei,  vi  sa- 
ranno state  recate  ab  antico  dagl'  Israeliti  della  Si- 
ria, che  più  volte  in  ogni  anno  visitavano  il  Tempio 
nella  ricorrenza  delle  tre  maggiori  solennità.  Del  re- 
sto, il  fiore  che  vedesi  nel  riverso  delle  ridette  mo- 
netine di  Antioco  Sidete  non  è  altrimenti  fior  di  giglio, 
come  lo  chiama  il  eh.  autore,  masibbene  deciso  fiore 
di  melograno,  o  sia  balaustio,  che  dai  Greci  appella- 
vasi  ff/^rj,  ed  il  cui  frutto  ricorre  nelle  monete  di  Side 
della  Panfilia;  onde  manifestamente  appella  al  sopran- 
nome di  Sidete  dato  ad  Antioco  VII  in  riguardo  al 
primiero  suo  soggiorno  in  Side  medesima  (v.  Viscon- 
ti, le.  Gr.  P.  Il  p.  451  ed.  Mil.). 

Il  eh.  autore,  avendo  date  a  Giuda  Maccabeo  le 
sovra  descritte  monete  con  epigrafe  ebraica ,  per  non 
lasciare  privo  di  moneta  Giuda  Aristobulo,  figliuolo 
di  Giovanni  Ircano,  fu  costretto  ad  assegnare  a  lui 
alcune  monete  con  epigrafe  greca  mal  conservala  e 
di  lezione  incerta;  ed  in  ciò  fare  egli  contravvenne  al 
suo  sistema  di  classificazione  per  cerio  ordine  pro- 
gressivo ;  poiché  posto  che  colali  monete  greche  fos- 
sero impresse  da  Giuda  Aristobulo,  Alessandro  lan- 
neo  suo  successore  e  fratello  riescirebbe  retrogrado, 
avendo  impresso  alcune  monete  ebraiche,  e  poscia 
altre  bilingui,  aventi  cioè  epigrafe  ebraica  in  una  delle 
due  facce  e  greca  nell'altra,  come  pur  fece  realmen- 
te :  lo  che  non  è  altrimenti  credibile.  Per  l'opposito, 
attribuendo  ,  com'io  feci  qui  addietro,  a  Giuda  Ari- 
stobulo sole  monete  ebraiche,  vedesi  serbato  un  ra- 
gionevole ordine  progressivo,  poiché  le  monete  di 
Simone  Asmoneo,  di  Giovanni  Ircano  suo  figliuolo  e 
di  Giuda  Aristobulo  suo  nepote,  mantengono  costan- 
temente la  pura  e  semplice  epigrafe  ebraica  naziona- 
le, e  da  ultimo  Alessandro  Ianneo,  che  da  prima  usò 
egli  pure  la  sola  scrittura  ebraica  ,  incomincia  a  far 
uso  eziandio  della  greca  di  conserto  coli'  ebraica,  e 
similmente  adopera  Antigono  ultimo  della  stirpe  de- 
gli Asmonei. 

La  moneta  attribuita  dal  eh.  Saulcy  a  Giuda  Ari- 


—  116  - 


stobuìo,  giusta  il  disegno  datone  da  esso  lui,  è  come 
segue  : 

Corona  di  lauro,  o  d'olivo,  entro  la  quale  è  la  scritta 

IOTA 

TUIA 

A 

f\ 

)(  Due  cornucopie  congiunte  insieme  con  le  estremità 
loro  inferiori,  e  capo  di  papavero  che  s  erge  di  mezzo 
ad  esse. 

Egli  legge  dubitando  IOTAA"BA£IA?A?  Dal  di- 
segno slesso  chiaro  si  vede,  che  la  moneta  è  logora, 
e  che  alquante  lettere  sono  di  lettura  incerta;  ed  inol- 
tre, com'egli  avverte  »  lo  stile  di  questa  moneta  dif- 
ferisce notevolmente  da  quello  delle  monete  di  Gio- 
vanni Ircano,  sendone  il  taglio  assai  più  largo  e  cras- 
so. >■>  Per  le  quali  cose  tutte  credo  di  non  dover  pa- 
rere di  troppo  ardito  nel  sospettare,  che  debba  inve- 
ce leggersi  IOTAIA  C€B ,  e  che  la  moneta  spetti  a 
Giulia,  o  sia  Livia,  vedova  di  Augusto  e  madre  di 
Tiberio.  Anzi  la  proposta  congettura  quasi  si  risolve 
in  certezza  pel  riscontro  di  una  moneta  Giudaica  di 
Tiberio  del  Ducale  Museo  di  Parma,  la  quale  è  come 
segue  {v.  Cavedoni  Num.  Bill.  p.  64  n.  11  ). 

KAI-CAP  scritto  in  due  righe  entro  una  laurea;  il 
tutto  in  un  cerchio  di  globcttini. 

)(  Due  cornucopie  congiunte  in  uno  con  le  estremità 
loro  inferiori,  fra  le  quali  TIB  e  LB  (anno  II);  il 
tutto  entro  un  cerchio  eli  globcttini.  M.  3. 

11  taglio  largo  e  crasso ,  avvertito  dal  eh.  Saulcy 
nella  sua,  ben  si  conviene  a'  tempi  di  Tiberio. 

Altre  monetine  co' tipi  dell'Ancora  e  dell'Astro, 
nelle  quali  il  eh.  Saulcy  lesse  IOTA  SB?. ..  oppure 
...AOT  BAS...  sono  senza  duhhio  di  Alessandro Ian- 
neo  colle  ultime  lettere  del  nome  AAEgANAPOT 
legate  insieme,  come  raccolgo  dal  riscontro  di  una  si- 
mile da  me  posseduta,  e  di  un' altra  che  fu  del  sommo 
Neumann  (  P.  II  p.  87  lab.  3  n.  6). 

Ad  Alessandro  Ianneo,  fratello  di  Giuda  Aristo- 
bulo,  che  anche  per  confessione  del  eh.  Saulcy  chia- 
mavasi  tonatane  con  nome  ebraico,  debbono  resti- 
tuirsi le  monete  da  esso  lui  attribuite  a  Ionatane  fra- 
tello di  Giuda  Maccabeo,  non  solo  perchè  a' tempi  del 
primo  Ionatane  i  Giudei  non  avevano  peranche  avuta 


facoltà  d'imprimere  monete  proprie,  ma  per  altra 
ragione  perentoria  che  sono  ora  per  dire.  Le  monete 
ebraiche  attribuite  dal  eh.  Saulcy  a  Ionatane  fratello 
di  Giuda  Maccabeo  sono  come  segue  : 

Corona  di  lauro  o  d'olivo,  entro  la  quale  è  un  epi- 
grafe ebraica  in  lettere  samaritane,  distribuita  in  quat- 
tro o  cinque  righe,  la  quale  può  rendersi:  Ionalhan  il 
gran  Sacerdote  e  la  nazione  de'Giudei. 

)(  Due  cornucopie  congiunte  in  uno  con  le  estremità 
loro  inferiori,  di  mezzo  alle  quali  s' erge  un  capo  di 
papavero.  M.  3. 

Per  dono  grazioso  del  rev.  P.  Antonio  da  Cento 
de' Minori  Osservanti  io  posseggo  una  di  queste  mo- 
netine ,  proveniente  da  Gerusalemme ,  nel  riverso 
della  quale  fra  le  due  cornucopie  in  alto  sono  le  due 
sigle  greche  L  A,  cioè  Anno  I.  A' (empi  di  Ionatane 
fratello  di  Giuda  Maccabeo  credo  che  né  manco  il  eh. 
Saulcy  vorrà  ammettere  l'uso  promiscuo  delle  lettere 
greche  colle  ebraiche  in  sulla  stessa  moneta.  Per  lo 
contrario  bene  sta  ,  che  il  figlio  di  Giovanni  Ircano, 
che  avea  pel  primo  apposta  la  sigla  greca  A  al  diso- 
pra dell'  epigrafe  ebraica  in  alcune  poche  delle  sue 
monete ,  ponesse  le  sigle  numeriche  L  A  nel  riverso 
delle  sue,  impresse  nel  bel  primo  anno  del  suo  regno. 
E  tanto  si  conferma  a  meraviglia  pel  riscontro  della 
seguente  moneta  impressa  dallo  stesso  Alessandro  Ian- 
neo, o  sia  Ionatane  ,  nell'  anno  sesto  del  suo  regno 
(Neumann  P.  II  p.  87,  tab.  Ili,  6;  cf.  Sestini,  Mus. 
Hederv.  P.  Hip.  118  n.  2). 

BA2IAEQS  AAESANAPOT.  Ancora  nautica  en- 
tro un  cerchio,  con  le  sigle  L  «r,  una  a  destra  e  l'altra 
a  sinistra  dell'  ancora  stessa. 

)(  Astro  ad  otto  raggi  posto  entro  un  cerchio,  attor- 
no al  quale  in  lettere  ebreo-samaritane  è  scritto  Iona- 
than  re.  /E.  3. 

Il  dotto  e  giudizioso  Barthélemy,  che  da  prima  at- 
tribuiva cotali  monete  bilingui  a  Ionatane  fratello  di 
Giuda  Maccabeo ,  alleato  con  Alessandro  I  Baia  re 
della  Siria,  dopo  che  vi  ebbe  letto  chiaro  il  titolo 
ebraico  MELEK,  rè,  convenne  col  Bayero  nell' attri- 
buire simili  monete  ad  Alessandro  Ianneo:  e  pare  che 
vi  acconsenta  anche  il  eh.  Saulcy.  E  di  fatti,  bene  sta, 
che  Ianneo  ne' primi  anni  del  regno  suo  imitasse  le 


117  — 


moDele  del  padre,  e  che  poscia  inlrodueesse  l'inno- 
vazione della  scrittura  bilingue  in  riguardo  alle  non 
poche  città  greche  a  lui  soggette,  ed  adottasse  tipi  suoi 
proprii,  l'ancora  nautica  cioè  e  l'astro  ad  otto  o  sei 
raggi,  relativi  alle  sue  imprese  e  conquiste.  Egli  di 
fatti  venne  in  possesso  delle  città  marittime  Gaza,  Ra- 
fia, Antedone,  Torre  di  Strabone,  Apollonia ,  loppe, 
lamnia,  Azoto  e  Rinocolura  (Flav.  Ani.  XIII,  13,  3: 
15,  4).  L'astro  può  riferirsi  alla  prosperità  delle  sue 
spedizioni  militane  segnatamente  alla  conquista  delle 
regioni  de'Moabitiede'Galvaditi(Flav.  Ant.  XIII,  13); 
poiché  nella  letizia  delle  vittorie  egli  potè  facilmente 
vantarsi  dell'adempimento  del  celebre  vaticinio  pro- 
nuncialo da  Balaam  in  quelle  regioni  stesse  (Numer. 
XXIV,  17):  orietur  STELLA  ex  lacob ,  et  consurget 
virga  de  Israel;  et  perculiet  duces  Moab ,  vastabitque 
omnes  filios  Selli.  In  altre  monete  di  Alessandro  Ian- 
Deo  è  il  tipo  di  un  fiore  sbocciarne ,  che  pare  di  rosa 
semplice ,  e  che  somiglia  molto  ad  un  fiore  che  ri- 
corre in  alcune  monete  di  Antioco  Vili  Gripo  (  Pel- 
lerin,  Rois  pi.  XII:  Trèsor  de  num.  RoisGr.  pi.  LII, 
10);  e  potrebbe  riferirsi  ad  alleanza  contratta  da  Ian- 
neo  con  quel  monarca;  oppure  allo  slato  florido  del 
suo  regno. 

Nuova  del  tutto  e  molto  importante  riesce  una 
monetina  della  regina  Alessandra ,  vedova  di  Ales- 
sandro Ianneo,  edita  dal  eh.  Saulcy ,  la  quale  è  co- 
me segue  : 

AAESANA  BAXIAIS,  scritto  attorno  ad  un  an- 
cora nautica. 

)(  Stella  ad  otto  raggi,  negl'intenti  zìi  de'quali  scor- 
gonsi  le  vestigia  di  un  epigrafe  ebraica ,  della  quale 
solo  un  thau  è  riconoscibile.  JE.  3. 

Questo  raro  cimelio ,  proveniente  da  Gerusalem- 
me ,  serve  mirabilmente  a  confermare ,  che  il  Iona- 
than  delle  monete  bilingui  Giudaiche  sia  realmente 
Alessandro  Ianneo ,  e  non  già  Ionathan  fratello  di 
Giuda  Maccabeo. 

Le  monete  similmente  bilingui  di  Antigono,  ulti- 
mo re  de' Giudei  della  stirpe  degli  Asmonei,  che  con 
nome  ebraico  si  appella  Mathalhias,  qualora  portino 
per  tipo  un  doppio  cornucopia,  pesano  pure  il  dop- 
pio di  quelle  col  cornucopia  semplice.   Per  simile 


modo  in  monete  greche  ì  tipi  dimezzati  sembrano 
posti  per  indizio  di  una  metà  del  valore  dell'intero 
(cf.  Caved.  Spie.  num.  p.  87,  nota  97). 

La  prima  delle  monete  di  Erode  Magno ,  di  già 
conosciuta,  ma  ora  più  fedelmente  delineata  ne' di- 
segni del  eh.  Saulcy  e  del  eh.  Akerman  (  Num.  t7- 
lustr.  of  the  ncic  Tistam.  p.  3),  nella  quale  suol  dirsi 
rappresentata  una  galea  nel  ritto  ed  un'  ara  nel  ri- 
verso, ho  grande  sospetto  che  rappresenti  aqzi  og- 
getti sacri  pel  cullo  del  Tempio  di  Gerosolima.  La 
così  detla  galea  non  sembra  altrimenti  tale  ,  perchè 
consta  di  un'oggetto  di  forma  emisferica  interamente 
separato  dall'oggetto  inferiore,  che  appare  fornito 
di  due  come  piedi  o  sostegni  e  di  due  prominenze  ai 
lati  nella  parte  sua  superiore;  e  le  credute  bucculac 
o  paragnalidi  della  supposta  galea  riescirebbero  fuori 
di  posto.  Quella  poi  che  diecsi  ara,  pare  anzi  un  ti- 
miatere  sostenuto  da  un  tripode;  e  potrebb' essere 
quello  che  dal  sommo  sacerdote  introducevasi  nel 
Sancta-sanctorum  sola  una  volta  ogni  anno  nel  dì 
solenne  della  espiazione  [Levit.  XVI,  12:  ad  Hebr. 
IX,  4);  tanto  più  che  Erode  espugnò  Gerusalemme 
proprio  in  quel  giorno,  cioè  addì  10  del  mese  Giu- 
daico Tisri  dell'anno  716  di  Roma  ,  e  terzo  del  suo 
regno  (Patritius,  de  Evang.  I.  III.  disi.  35  n.  28). 

Il  eh.  Saulcy  aggiunse  alle  monete  in  pria  cognite 
di  Erode  Magno  la  seguente  monetina  proveniente 
da  Gerusalemme: 

Aquila  stante  con  Vale  raccolte. 

w  BACIA  scritto  in  linee  parallele  a  lati  di  un 
*  HPOJA  corno  bovino.  JE.  3. 

Egli  vi  ravvisa  delineala  l'aquila  aurea  fatta  col- 
locare sopr'esso  la  porta  principale  del  Tempio  da 
Erode  Magno  verso  la  fine  del  suo  regno  (  Flav.  Ant. 
XYT ,  6,  2,  3).  Ma  può  ragionevolmente  congettu- 
rarsi ,  che  queste  monetine  fossero  anzi  impresse  da 
Erode  re  della  Calcidc  ,  sì  perchè  in  monete  di  To- 
lomeo tetrarca  della  Calcide  stessa  ricorre  il  tipo  di 
un'aquila  volante,  e  sì  perchè  l'epigrafe  così  dispo- 
sta in  due  righe  parallele  al  tipo  è  particolarità  pro- 
pria delle  contrade  della  Siria,  laddove  nelle  monete 
certe  di  Erode  Magno  V  epigrafe  suol  essere  dispo- 
sta in  giro  attorno  al  tipo.   D'altra  parte  poi  consta 


—  118  — 


come  Erode  re  della  Calcide,  dopo  la  morte  del  suo 
fratello  Agrippa  Magno,  chiese  ed  ottenne  da  Clau- 
dio la  sopraintendenza  del  Tempio  e  della  pecunia 
sacra,  e  la  nomina  altresì  de 'sommi  Sacerdoti  (Flav. 
Ant.  XX,  1,3);  alle  quali  facoltà  riferir  potrebbesi 
il  tipo  del  corno ,  che  può  tenersi  o  per  recipiente 
dell'olio  per  la  consecrazione  dei  sommi  Sacerdoti 
(  cf.  Buonarroti ,  vetri  tav.  II,  III  ) ,  oppure  per  una 
delle  ciste  del  gazofilacio  che  avean  forma  di  corno 
riverso  (Buxlorf.  Lexie.  Talmud,  p.  2506).  Il  eh. 
Saulcy  lo  dice  cornucopia;  ma  dal  disegno  datone  da 
esso  lui  pare  corno  semplice  bovino  fatto  per  conte- 
nere qualche  liquore  ,  poiché  nulla  vedesi  emer- 
gere dalla  sua  sommità.  Anche  il  tipo  dell'  aquila , 
non  troppo  conforme  alle  osservanze  Giudaiche,  tor- 
nava più  comportabile  ai  tempi  tardi  di  Erode  re 
della  Calcide  ,  che  non  a  quelli  di  Erode  Magno. 

Il  eh.  Saulcy  collauda  la  mia  congettura,  che  alla 
inaugurazione  della  riedificazione  del  tempio ,  nel- 
l' anno  XV  del  regno  di  Erode  Magno ,  si  riferisca 
t  impressione  e  la  data  della  seguente  sua  moneta 
(v.  Num.  Bibl.  p.  50  n.  3  e  p.  54). 
Clipeo  simile  al  macedonico. 
)(  BASlAEttS  HPOAOT.  Galea  di  forma  conica 
fornita  di  paragnatidi,  e  di  cimiero  ricadente  dai  la- 
ti :  nel  campo  €  da  una  parte  ed  I  dall'  altra.  JE.  3. 
Io ,  seguendo  l' Eckhel  ed  il  Froelich  (Nulit.  ehm. 
tal.  XX,  7),  intesi  denotato  l'anno  XV  da  quelle 
sigle  ,  ma  ora  osservando  eh'  esse  restano  disgiunte 
dalla  galea  ad  esse  frapposta,  e  che  nelle  monete  de- 
gli Erodiadi  la  nota  numerica  minore  suole  posporsi 
alla  maggiore ,  ho  grande  sospetto  che  debba  anzi 
leggersi  £rous  I,  anno  X,  che  verrebbe  a  coincidere 
coli'  anno  varroniano  723,  nel  quale  accadde  la  bat- 
taglia d' Azzio  ;  si  che  Erode  avrebbe  improntata 
quella  moneta  mentre  egli  teneva  tuttora  le  parti  di 
M.  Antonio.  Del  resto,  i  tipi  del  clipeo  e  della  galea 
macedonica ,  non  che  i  nomi  proprii  di  Antipatro, 
di  Archelao ,  di  Antigono  ,  di  Filippo  ed  altri  rifalli 
nella  famiglia  d'Erode  Magno,  danno  forte  argomento 
a  credere  eh'  egli  pretendesse  derivare  dalla  stirpe 
de'  re  Macedoni  (v.  Cavedoni  Spicil.  num.  p.  289  ). 
Anche  nelle  monete  di  Archelao ,  figliuolo  di  Erode 


Magno,  colla  epigrafe  HPOOAOT  CtìNAPXOT ,  ri- 
corre una  galea  cristata  vie  più  simile  alla  macedo- 
nica ricorrente  in  monete  di  piccolo  bronzo  dei  re 
macedoni  Antigono  Gonata,  Demetrio  II,  Filippo  V, 
e  d'altri,  ove  spesso  vedesi  accompagnata  da  un  pic- 
colo caduceo  (Trésor  de  num.  Rois  Gr.  pi.  XIX), 
del  pari  che  nelle  ridette  monetine  di  Archelao  Einar- 
ca della  Giudea. 

Alle  due  monete  già  cognite  di  Erode  Archelao 
due  altre  ne  aggiunse  il  eh.  Saulcy  ,  che  sono  come 
qui  appresso  : 

1.  HPU)...  scritto  attorno  ad  un'ancora  fornita  di 
anello  e  di  doppia  traversa. 

v  €9  f .  x  scritto  entro  una  corona  di  quercia  or- 
*"•  AN  ^    '  nata  nel  sommo  di  gemma  orbicolare. 

JE.  3. 

2.  HP,#* ,  scritto  attorno  ad  una  prora  di  novero- 
strato,  con  tridente  apposto  di  traverso. 

)(  €0N,  scritto  entro  una  corona  d' alloro,  o  di  olivo 
che  dir  si  debba.  JE.  3. 

La  prora  rostrata  accompagnata  dal  tridente,  e  l'an- 
cora, che  pare  ritratta  da  quella  che  ricorre  in  alcune 
monete  di  Erode  Magno ,  appellano  al  possesso  di 
città  marittime  ed  al  possesso  navale  ;  e  di  fatti  consta 
dall'istoria  (Flav.  Ant.  XVII,  11,  4),  che  Archelao 
per  beneplacito  di  Augusto  ritenue  il  possedimento 
d' loppe  e  di  Cesarea  ,  ambedue  città  marittime  for- 
nite di  porti  insigni,  e  che  nelle  monete  loro  usarono 
de'  tipi  stessi  dell'  ancora  e  del  tridente. 

Attenendomi  all'  Eckhel  io  attribuii  ad  Agrippa  II 
le  seguenti  monete  ben  note  (Num.  Bibl.  p.  51,  59): 

BACIACCOC  ArPiniTA  (talora  ArPIIIA).  Om- 
brello o  conopeo  ornalo  di  ricche  frange  ali  intorno. 

)(  L  €  ,  oppure  L  <  ,  L  Z  ,  L  e  (  Anno  V  ,  VI , 
VII ,  IX  ).  Tre  spighe  di  stelo  assai  corto  nate  dallo 
stesso  cespo.  JE.  3. 

Il  eh.  Saulcy  non  ammette  che  la  sola  data  L  < , 
anno  VI,  e  tiene  tutte  l' altre  per  abbagli  presi  da  chi 
avea  sott'  occhio  esemplari  mal  conservali  ;  e  quindi 
attribuisce  cotali  monete  ad  Agrippa  I  Magno ,  che 
impresse  le  avrebbe  nell'anno  VI  del  suo  regno,  XLII 
dell'  era  volgare  ,  allor  eh'  egli  trovavasi  in  Gerusa- 
lemme per  la  ricorrenza  delle  feste  pascali.  Io  feci 


—  i  19  — 


ricerche  diligenti  per  sapere,  se  (renisi  altra  data 
nelle  monete  di  Agrippa  the  si  conservano  ne'  prin- 
cipali musei  d'Italia,  e  per  gentile  risposta  de' chia- 
rissimi Signori  Biondelli,  Frali,  Lopez,  Promis,  Spi- 
nelli Principe  di  San  Giorgio  ,  e  Tessieri ,  seppi  che 
non  trovasi  di  certo  altro  che  la  data  suddetta  L  <? , 
talora  di  colai  forma  che  sendo  logora  polea  da  un 
osservatore  meno  attento  prendersi  per  un  V  oppure 
per  un  0  giacente.  La  dala  L  0  (non  già  L  H  come 
scrive  il  eli.  Saulcy  per  disattenzione  )  fu  quella  che 
determinò  l' Eckhel  ad  assegnare  queste  monete  ad 
Agrippa  II ,  anzi  che  ad  Agrippa  1 ,  che  non  regnò 
che  soli  VII  anni  non  compiuti.  L' Eckhel  si  appog- 
giò all' autorità  del  Froelich  ;  e  questi  probahilmente 
a  quella  dell' Harduin  (  0;>.  sei.  p.  350)  edclPiove- 
ne  [Mus.  Farnese  t.  IX,  tav.  VI,  1S:  VII,  i),chene 
diede  due  distintamente  descritte  e  disegnate ,  una 
colla  data  L  <,  e  l' altra  con  la  data  U  0.  Se  questa 
sussiste,  trovar  dovrebbesi  nel  R.  Museo  Borbonico; 
ma  il  lodato  sig.  Principe  di  S.  Giorgio  mi  scrive , 
che  quel  medagliere ,  dopo  la  deplorabile  morte  del 
commend.  Avellino  si  rimase  fino  al  presente  sotto 
suggello.  Del  resto  ,  la  dala  L  €,  scartala  anch'essa 
dal  eh.  Saulcy  ,  trovasi  appoggiata  all'  autorità  dell' 
Harduin ,  che  la  riporta  come  esistente  presso  di  lui 
e  museo  nostro,  op.  sei.  p.  333). 
11  eh.  Saulcy  con  pari  franchezza  rigetta  anche  le 
date  delle  monete  Giudaiche  ,  insignite  del  nome  di 
Cesare  Augusto  ,  anteriori  all'  anno  XXXVI  dell'  era 
azziaca  ;  non  ammettendo  che  le  sole  LA?,  L  A0 , 
L  M,  L  MA  da  sé  vedute  nelle  monete  originali.  Par- 
rai veramente  soverchia  arditezza  il  rigettare  le  da- 
te LA,  L  Ar,  LAA,  L  AC  datene  dall'  Eckhel  e  da 
altri  accurati  numograG  ,  segnatamente  poi  la  L  AA 
del  Sestini  (Descr.  num.vet.  p.  597),  che  non  potea 
provenire  ,  come  forse  qualcuna  dell'  altre  date  ,  da 
scambio  di  lettere  simili.  Nel  catalogo  Wellenheim  (n. 
6973,6974),  che  suol  essere  accuratissimo  ,  trovansi 
registrati  gli  anni  LA,  LAA,  che  ricorrono  anche  in 
due  di  quelle  monete  esistenti  nel  ducale  museo  di 
Tarma,  come  mi  attesta  il  eh.  cav.  Lopez.  Vero  è  che 
ivi  le  note  numeriche  A  A  sono  attaccate  1'  una  all' 
altra  per  modo  che  potrebbero  spiegarsi  anche  per 


MA  legate  in  nesso  ;  ma  non  paiono  tali,  perchè  in 
quelle  colla  data  MA  le  due  lettere  sono  separale,  e 
perchè  anche  la  controversa  monda  di  Erode  Anti- 
pa,  nella  quale  il  Vaillant  lesse  MA,  si  veriflcò  poscia 
dover  leggersi  AA,  benché  queste  due  lettere  siano 
attaccate  insieme  (cf.  Eckhel  t.  Ili  p.  487-488).  Ma 
comunque  sia  delle  suddette  date  inferiori  all'  anno 
XXXVI,  il  eh.  Saulcy  che  nel  1853  [Reme  num.  p, 
192)  non  ammetteva  dala  inferiore  alla  L  A0 ,  nel 
1854  (Recherches  p.  138)  si  vide  astretto  ad  ammet- 
tere anche  l' inferiore  LA?;e  questa  pur  sola  basta 
a  sconcertare  e  ad  abbattere  tutto  il  suo  sistema  in- 
torno alle  monete  imperiali  Giudaiche,  ch'egli  sup- 
pone impresse  soltanto  dopo  che  la  Giudea  venne  nel 
759  di  Roma  aggregata  alla  Siria,  e  retta  da  un  pro- 
curatore Cesareo;  il  primo  de' quali  si  fu  Coponio. 
«  Neil'  anno  36  dell'  era  Azziaca  ,  scrive  il  chiaris- 
simo Saulcy  ,  Coponio  primo  procuratore  imperiale 
della  Giudea  prese  possesso  della  sua  carica  ^se- 
gnalò il  suo  arrivo  coli'  impressione  di  monete  pu- 
ramente imperiali,  di  un  peso  eccedente  quello  delle 
monete  Giudaiche  di  Archelao;  rispettando  peraltro 
i  pregiudizi!  della  nazione  col  non  adottare  alcun  ti- 
po che  potesse  essere  tacciato  ».  Non  so  come  il  eh. 
Saulcy  potesse  dirle  di  peso  eccedente  quello  delle  mo- 
nete di  Archelao;  poiché  il  eh.  Frati  mi  accerta ,  che 
nel  Pont,  museo  di  Bologna  ve  n'  ha  una  conserva- 
lissima  di  Cesare  Augusto ,  che  pesa  gram.  2,  63, 
ed  una  di  Archelao  che  pesa  gram.  2,  68.  Quelle  di 
Cesare  Augusto  del  museo  Estense  non  oltrepassano 
i  gram.  2,  30,  benché  una  di  esse  sia  di  perfetta  con- 
servatezza:e  quella  d'Archelao  pesa  soli  gram.  2,00; 
ma  non  dà  regola  per  essere  logora  e  difettosa.  Co- 
munque sia  peraltro  del  peso  di  colali  monete,  certo 
si  è  che  quella  dell'  anno  XXXVI  venne  improntata 
durante  il  principato  di  Archelao,  e  innanzi  l' arrivo 
di  Coponio  nella  Giudea;  poiché  il  detto  anno  XXXVI 
dell'era  Azziaca  risponde  all'anno  varroniano  758; 
e  d' altra  parte  consta  che  Archelao  venne  accusato- 
e  richiamato  a  Roma  nell'  anno  appresso ,  cioè  non 
prima  della  neomenia  del  mese  Nisan  del  759  (  Dio, 
LV,  27  :  Patritius  de  Evangcl.  1.  Ili,  diss.  35,  n.  40). 
Il  eh.  Saulcy  non.  sarebbe  incorso  in  questo  grave 


—  120 


abbaglio  cronologico,  se  avesse  avuto  presenti  alla 
mente  le  parole  di  Giuseppe  Flavio,  che  pone  il  cen- 
simento fatto  da  Quiriuio  nella  Giudea  Taixx.oG'Tw' 
x.aÌ  ij&ójuuc  ìrii  dopo  la  sconfitta  di  M.  Antonio  ad 
Azzio  (Ani.  XVIII,  2,  1).  Le  monete  Giudaiche  per- 
tanto coll'anno  XXXVI,  L  A<?  ,  di  Augusto  detto 
semplicemente  KAIGAP  ,  e  probabilmente  anche  al- 
tre notate  co' precedenti  anni  dell'era  Azziaca,  do- 
vettero essere  impresse  durante  il  principato  di  Ar- 
chelao, sia  per  ordine  di  quell'etuarca  affine  di  con- 
ciliarsi la  benevolenza  di  Augusto,  oppure  per  dispo- 
sizione del  sinedrio  e  del  sommo  sacerdote  e  de'ma- 
gistrali  di  Gerusalemme.  Giuseppe  Flavio  ne  attesta 
(Ant.  XX,  10),  che  alcuni  de'  sommi  sacerdoti  sotto 
il  principato  di  Erode  e  di  Archelao  amministrarono 
la  cosa  pubblica,  tirókirtóaoLvro  ;  e  che  dopo  l'esilio 
di  Archelao  il  sommo  sacerdote  stava  a  capo  del  go- 
verno aristocratico  della  nazione.  E  di  fatti  1  impe- 
ratore Claudio  nell'anno  quinto  de!  suo  impero  scrisse 
una  lettera  indirizzata  ai  magistrali  di  Gerusalemme, 
al  senato ,  al  popolo  ed  alla  nazione  tutta  de'  Giudei 
(Flav.  Ani.  XX,  1,2).  Niuno  certo  vorrà  negare, 
che  i  magistrali  di  Gerusalemme,  'Ispod'oXijtjView  «p- 
XÒvrsS ,  potessero  imprimere  moneta  insignita  del 
nome  dell'Augusto  imperante,  non  ostante  che  di- 
pendessero dal  procuratore  Cesareo  e  dal  preside 
delia  Siria  in  molte  cose;  poiché  a  c'ò  bastava  un 
permesso  in  proposito  ottenuto  da  Roma  o  da  An- 
tiochia, siccome  consta  anche  dal  riscontro  di  alcune 
monete  di  Berito  della  vicina  Fenicia  impresse  PER- 
Mtssu  SILANI  (cf.  Eckhel  T.  IV  p.  497).  D'altra 
parte  non  v'  ha  forse  che  solo  un  esempio  del  nome 
di  un  procuratore ,  EIHTPOIIOT,  memorato,  pro- 
babilmente per  officiosità,  in  una  moneta  della  Bili- 
aia  (Eckhel  T.  IV  p.  249).  C.  Cavedom. 

Descrizione  di  alcuni  frammenti  architettonici  rinvenuti 
sulla  grossezza  del  muro  di  cinta  della  antica  Pesto. 

Tutte  le  volte  che  mi  sono  recato  a  visitare  le  mu- 
ra di  ciuta  di  quella  città  greca  ,  ho  osservato  che 
qualche  cosa  di  nuovo  si  offre  sempre  allo  studio  del- 


l'Archeologo ,  e  dell'Artista,  cui  lasciano  mollo  a 
desiderare  le  dotte  pubblicazioni  fin  qui  fatle  di  quei 
pregevolissimi  monumenti. 

Nello  scorso  mese  avendo  dovuto  colà  recarmi  per 
ricercare  alcuni  sepolcri ,  ho  avuto  occasione  di  osser- 
vare nella  grossezza  delle  mura  medesime  la  dispo- 
sizione di  alcuni  massi  di  pietra  che  addimostrano  la 
formazione  di  altri  compresi,  oltre  quelli  delle  torri, 
serviti  forse  ad  uso  pubblico  ,  allorché  vi  si  andava 
a  diporto.  Ed  in  vero  mi  è  riuscito  trovare  sulla  gros- 
sezza del  muro  medesimo  due  capitelli  con  porzione 
de'  corrispondenti  pilastri  di  ordine  dorico ,  i  quali 
si  scorgono  molto  rastremati ,  indicazione  non  dubbia 
dell'arte  greca  primitiva:  in  mezzo  ai  medesimi  scor- 
gesi  risaltalo  dallo  stesso  masso  altro  pilastrino  eoa 
suo  capitello  ionico  pure  di  stile  antico  ;  oltre  alcuni 
frammenti  di  cornice  che  consistono  di  un  listello  su- 
periore, grande  guscio,  gola  rovescia,  fregio  con  tri- 
glifi, goccetle,  metope  ed  architrave,  come  apparisce 
dal  qui  riportato  disegno,  (tav.  IX  fig.  1,  2  (1)  ). 

Questi  frammenti  trovati  sulla  grossezza  del  muro 
in  un  sito  meno  danneggiato  ed  il  più  elevato ,  mi 
hanno  fatto  supporre  che  tutte  quelle  regolari  dispo- 
sizioni di  pietre,  che  si  mostrano  sulla  grossezza  del 
muro  ,  formavano  forse  que'  locali  che  servivano  di 
trattenimento  e  di  riposo  al  pubblico  nelle  passeg- 
giate, e  che  gli  accennati  frammenti  erano  adibiti  alla 
costruzione  e  decorazione  de' compresi  medesimi. 

Simile  esempio  della  unione  di  due  ordini  sopra 
indicato,  cioè  dorico  e  ionico,  si  è  avuto  nella  scover- 
ta del  quarto  tempio  pestano,  di  cui  sei  colonne  coni 
rispettivi  capitelli  trovansi  attualmente  a  Salerno  nel 
palazzo  Vescovile,  dove  già  le  vide  il  eh.  Wolff  [Bull, 
dell'  ht.  1830,  pag.  135);  dopo  la  quii  cosa  il  fu 
Bianchi  venne  a  discoprire  il  silo  di  quel  quarto  mo- 
numento ,  secondo  che  egli  stesso  narra  in  una  sua 
lettera  pubblicata  nel  Bull,  medesimo  pag.  227. 

Ulisse  Rizzi. 

(t)  Abbiamo  creduto  opportuno  di  riportare  ridotto  in  più  pic- 
cole dimensioni  il  disegno  de]  sig  Rizzi  ;  ritenendone  la  grandezza 
solo  nel  capitello,  che  abbiamo  ripetuto  perfettamente  come  ci  ven- 
ne comunicato.— L  Editore. 


Giulio  Mi.>ehvlm  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  66.     (16.  dell' anno  III.) 


Marzo  1855. 


Illustrazione  di  una  lapide  dell'  antica  Narona. 


Illustrazione  di  una  lapide  dell'antica  Narona. 


La  seguente  iscrizione  trovata  a  Narenla  nella  Dal- 
mazia ,  ossia  nell'antica  Narona,  mi  fu  communicata 
fino  dal  1841  dalla  eh.  meni,  del  Furlanello,  a  cui 
poco  dopo  la  sua  scoperta  era  slata  trasmessa  dal  dottor 
Francesco  Lanza. 


TEMPLVM  LIBERI 
PATRIS  ET  L1BERAE  VETVS 
TATE  DILAPSVM  REST1TVIT 
COHIBLGADIECTIS  POR 
TICIBVS  CVRAM  AGENTE 
FLVICTOBE  >  LEG-AD-P- 
SEVERO  ET  POMPEIANO 

ìTcos 


Leggo  e  supplisco  nella  sesta  riga  :  centurione  le- 
gionis . .  .  Adiutricis  Piae  Fidelis,  restando  incerto  se 
sia  la  prima  o  la  seconda  di  questo  nome,  che  stan- 
ziarono ambedue  nella  contigua  provincia  della  Pan- 
nonia  inferiore.  Non  mi  è  ignoto  che  il  Lanza  aveva 
in  animo  di  pubblicarla,  ma  non  so  se  abbia  poi  con- 
dotto ad  effetto  il  suo  divisamente,  o  se  altri  l' abbia 
poi  fatto.  Questo  so  che  fin  qui  dal  pubblico  erudito 
non  si  è  risentito  il  vantaggio  che  può  ricavarsene 
per  illustrare  due  chiarissimi  personaggi,  e  per  retti- 
ficare qualche  punto  della  storia  della  casa  Augusta. 
ìjvjyo  ///. 


È  vero  che  a  prima  vista  non  si  avrà  avuto  grande 
incentivo  a  farla  soggetto  di  studio ,  nuli'  altro  sem- 
brando offrire  d' importante  se  non  che  la  memoria 
della  coorte  prima  dei  Belgi  già  memorata  in  altri 
due  marmi  ( Biagi  Musco  NaniT.  3  p.  177,  Paulovich 
admarm.  Macar.  brevis  addiiio  p.  6),  dai  quali  si  era 
pure  risaputo,  che  risiedeva  di  guarnigione  nella  Dal- 
mazia. Tutto  il  suo  pregio  consiste  nella  noia  dell'ite- 
rato onore  aggiunta  al  secondo  dei  rettori  ordinari 
dell'anno  Varroniano  926  corrispondente  al  173  del- 
l'era nostra,  atteso  che  sono  pochi  i  collegi  consola- 
ri,  che  più  di  questo  abbiano  esercitato  l'ingegno  dei 
cronologi,  e  quel  eh'  è  peggio  con  minor  successo. 
Le  antiche  collezioni  di  fasti  segnano  concordemente 
Severo  11  et  Pompeiano,  se  non  che  Prospero  e  Mariano 
Scoto  negano  anche  al  primo  la  geminata  magistra- 
tura, mentre  i  fasti  Greci  minorila  concedono  retta- 
mente ad  ambedue.  Di  marmi  sinceri  non  avevamo 
se  non  che  un  ruolo  di  soldati  pretoriani  corretto  nei 
Vigili  del  Kellermann  n.  103,  che  spesso  si  contenta 
di  ricordare  il  primo  soltanto  dei  consoli,  il  che  pur 
fece  questa  volta  scrivendo  SEVEBO-  IL  COS.  Co- 
minceremo adunque  dall'  essere  obbligati  alla  nuova 
scoperta ,  perchè  da  lei  ci  viene  insegnato  ,  che  sebbe- 
ne sia  stata  assegnata  ad  un  anno  posteriore  ,  siccome 
in  progresso  vedremo ,  a  questo  però  si  deve  resti- 
tuire un'altra  lapide,  Dalmalina  anch'essa  di  Arbe, 
già  serbata  nel  Museo  Nani  (Orelli  1632),  riscontra- 
tami a  Legnaro  dal  lodato  Furlanetto,  nella  quale  vi- 
ceversa per  la  frattura  del  marmo  non  si  è  salvato  che 

il  nome  del  secondo  eponimo. 

16 


—  122  - 


NYMPHIS  AVGSACRVM 
C  RAECIVSLEOAQVAM  QVAM  NVL  (VA  nesso) 
LVSANTIQVORVM  (NT  if)  IN  CIV1TATE 
FVISSE  MEMINERIT  (NE  it.)  INVEN 
TAM  1MPEND10  EX  VOLV 
mate  CRAECI  RVFICVPATRON 

(/pDICAVIT 
Severo  eT  POMPEI  ANOIICOSVHDVSNOV 

Né  qui  si  (rovi  difficoltà  per  vedere  all'opposto 
risparmiala  a  Severo  l'indicazione  dell'  iterimi,  non 
essendo  insolito  chela  cifra  numerale  posta  da  ultimo 
sia  comune  ad  ambedue  i  prenominati.  Cosi  MAR- 
CELLET  CELS  IICOS  trovasi  nell'anno  882  (Fa- 
brelli  p.  506  n.  106),  APRONIANO-  ET-  PAVLLO- 
II  COS  nel  921  (Letronne  statua  vocale  di  Melinone 
p.  249),  FVSCIANO-  ET-  SILANO-  II-  COS  nel  941 
{Lysons Rei.  Srit.  Rem.  T.  IV.  p.  CI.  n.  1),DDNN- 
CONSTANTIO  ETM  AX1MI  ANO  UH  CCSS  CONS- 
nel  1055  (Marini  fiìscr.  Christ.'p.  512.  10),  DD-NN- 
CRISPO-  ET-  COXSTANTINO-  NOBB-  CAESS-  IT- 
COSS- nel  1074,  preterendo  altre  epigrafi  di  tempi 
più  bassi. 

Ma  anche  senza  l'autorità  di  questi  esempi,  a  to- 
gliere ogni  dubbiezza  sarebbe  bastevole  la  regola  ge- 
nerale sotto  l'impero,  che  chi  raddoppiava  i  fasci  otten- 
ga la  precedenza  sopra  il  collega  ,  che  assumevali 
la  prima  volta,  per  cui  se  fosse  diversamente,  Pom- 
peiano vedrebbesi  nominalo  innanzi  a  Severo. 

L'oscurità  che  ricopriva  le  persone  di  questi  consoli 
fecesperare  al  Ligorioche  non  si  sarebbero  smascherate 
le  sue  imposture.  Immaginò  da  prima  PSEVERINO. 
IIETTICLAVDIOPOMPEIANOCOS,  che  inedito 
ho  rinvenuto  nei  suoi  manoscritti  diTorino(L.17p. 
292),  da  lui  poscia  cambiato  inLSEPTIMIOSEVE- 
RO-II-ET-  C-  CLAVDIO-  POMPEIANO-  COS  (  Gudio 
p.25.2).  Ma  anche  la  mutazione  non  ebbe  credilo,  e 
meritò  poi  le  censure  dell'Orelli  5035.  Miglior  fortu- 
na incontrò  col  M-  AVRELIO-  SEVERO- II- ET.  T- 
CLAVDIO  POMPEIANOCOS  da  lui  ripetuto  in  due 
iscrizioni,  nell'ultima  delle  quali  variò  il  prenome  Tito 
in  quello  di  Tiberio.  La  prima  fu  ammessa  dalGru- 
tero  (p.  1025. 6),  confessando  tuttavia  di  averla  tolta 


dalle  screditale  Ursiniane,  e  riuscì  ad  ingannare  il  Rei- 
nesio  (cU.n.39p.66),  il  Pagi  (€n'<.J5ar.T.l.p.l67), 
il  Noris(ep.cons.an.926),  ilRelando(nei  fasti  di  quel- 
l'anno) ;  non  però  il  circospetto  Maffei  (A.  C.  lap.  p. 
381),  il  quale  si  accorse,  ch'era  slata  manifestamente 
dedotta  dai  titoli  della  nota  AniciaFaltonia Proba  vis- 
suta due  secoli  più  tardi.  E  quantunque  ricavata  ex 
adversariis  di  Achille  Statio  gran  spacciatore  di  merci 
Ligoriane  grata  accoglienza  è  stata  fatta  alla  seconda 
dal  Doni  (ci. IV. n.  19)  dal  Bianchini  (  hist.  eccl.  quadr. 
T.l.P.II.p.169),  e  dal  Muratori  (p. 337.4),  non  che 
da  tutti  i  moderni  fastografi,  a  segno  lale,  che  quan- 
tunque il  Panvinio  avesse  veduto,  che  anche  il  primo 
di  quei  consoli  doveva  appartenere  alla  gente  Claudia, 
non  di  meno  il  Cardinali  [Mem.  Rom.d'aniich.  T.IV. 
p.98  e  1 1 1)  si  prevalse  di  lei  per  rimproverare  e  cor- 
reggere l'Almeloveen,che  l'aveva  seguito.  Con  tutlo 
ciò  conviene  credere,  che  ad  eccezione  dell'Orelli 
(2376),  il  quale  ne  diffidò ,  niuno  degli  altri  1'  abbia 
presa  in  accurata  considerazione,  giacché  preterendo 
altre  pecche  i  nomi  dei  sodalizi  in  essa  memorati  SO- 
DALITITIALI  ET-  SODALI-  AELIAN-  HADRIA- 
NALIETANTONIALI  ETFAVSTINlANsono  così 
discordi  dai  veri  SODALI- TITIO  o  TITIENSI,  SO- 
DALI- HADRIANALI ,  SODALI-  ANTONINIANO 
per  bastare  essi  soli  a  farne  odorare  la  falsità ,  come 
ho  già  avvertito  nel  mio  frammento  di  fasti  sacerdo- 
tali pag.  124,  ancorché  non  ne  prestasse  più  gagliar- 
do indizio  la  strana  novità  di  quel  sacerdozio  maschile 
dei  Faustiniani  consecralo  al  culto  di  una  diva  fem- 
mina. Sarà  dunque  un'altro  merito  della  pietra  di 
Narenla  l'aver  rivolto  in  certezza  questi  sospetti,  im- 
perocché assicurandoci  che  anche  Pompeiano  nel  926 
ebbe  i  fasci  per  la  seconda  volta  ci  proverà  ,  che  se 
le  due  lapidi  Ligoriane  fossero  sincere  ed  antiche  non 
avrebbero  potuto  ricusargli  il  doppio  onore,  che  han- 
no concesso  al  suo  compagno. 

Espulso  il  fittizio  M.  Aurelio  Severo  a  lutti  igno- 
tissimo, benché  a  torlo  da  taluno  sulle  indicate  tracce 
del  Ligorio  siasi  voluto  confondere  col  consolare  Set- 
timio Severo  parente  dell'imperatore  di  questo  nome 
(  Spartiano  Sev.  e.  1  ),  il  legittimo  pretendente  al  po- 
sto da  costui  un  qui  ingiustamente  usurpato  ci  viene 


—  123  — 


ora  offerto  da  un'insigne  base  di  Pompeiopoli  nella 
Paflagonia  edita  nel  CI.  Gr.4154. 


ArAGHI  TTXHI 
TN  •  KAAXAION 
SEBHPON  AlS 
THATON  IIONTI 

4>1KA  TAMBPON 
KA1SAPOS  M  ATPH 
AIOT  ANTC0NE1NOT  £E 
BHPOT  nATPCJNA  KAI  KTI 
£THN  H  METPOnOAlS 
THS  nA4>AArONIAS  AIA 
n  •  AOMITIOT  ATTOPEINOT 
KAWAIOT  KAABEINOT 
nPOJTOT  APXONTOS 


POH     ETE 


Un  cenno  di  questo  genero  di  M.Aurelio  erasi  già 
avuto  da  Dione  L.  79  e.  5 ,  ove  ci  dice  che  Annia 
Faustina  maritata  nel  974  ad  Elagabalo  fu  Claudii 
Severi  et  31.  Antonini  neptis,  xTróyovo?.  Per  lo  che  il 
eh.  Franz  il  quale  da  prima  nell'Antonino  Severo 
della  lapide  aveva  creduto  di  ravvisare  il  fratello  di 
Gela,  ritrattandosene  nelle  Addenda  T.  3.  p.  1 1 14  vi 
riconobbe  poscia  l'Imperatore  filosofo.  Ma  dopo  aver 
portato  il  secondo  giustissimo  giudizio,  avvalorato  di 
più  dalla  ragione  non  meno  grave ,  che  Caracalla  non 
ebhe  né  generi  né  figlie,  appartenendo  allo  stesso  M. 
Aurelio  le  citale  dal  Froelich(lV  jT>n<.p.454),  si  di- 
menticò poi  di  aggiungere  alla  rettificazione  degli  er- 
rori da  lui  avvertili  nella  copia  di  questa  lapide  mal 
descritta  anche  un'altra  correzione,  che  viene  di  con- 
seguenza da  quel  giudizio.  Ben  si  sa  per  attestato  di 
Capitolino  (  M.Aurel.c.  1.),  che  M.  Aurelio  da  fan- 
ciullo chiamossi  Severo  in  memoria  di  Catilio  Severo 
suo  proavo  materno,  ma  si  sa  pure  che  dopo  essere 
stato  adottato  non  adoprò  più  questo  cognome.  Per 
lo  che  non  dubito  che  nel  marmo  invece  di  £HBHPOT 
si  avesse  da  leggere  SEBAXToT,  come  parmi  che 
nell'  ATTOPEINOT  con  minor  mutazione  di  lettere 
piuttosto  che  ANTCONEINOT  si  possa  riporre  ATTtì- 
PINOT.  Ciò  posto  l'esatta  corrispondenza  dei  tempi, 


in  cui  fiorì  questo  Claudio  congiunta  con  quella  della 
gemina  magistratura  ,  e  colla  identità  del  cognome 
assicureranno  abbastanza  i  suoi  drilli  alla  compagnia 
di  Pompeiano  ,  avendo  insieme  un  riguardo  alla  sua 
parentela  colla  casa  imperiale,  per  cui  è  da  pensare, 
che  la  seconda  volla  almeno  non  fosse  confuso  tra  la 
(urba  dei  suffetti ,  ma  se  gli  accordasse  l'onore  d'im- 
porre all'  anno  il  proprio  nome.  Se  non  che  una  ra- 
gione molto  più  decisiva  in  suo  favore  trovo  io  nella 
data  POH  ETEI,  ossia  anno  CLXXVIII,  in  cui  fu  in- 
cisa la  lapide.  Non  si  sa  come  si  computassero  gli  an- 
ni a  Pompeiopoli,  essendo  questo  il  primo  esempio 
che  ce  n'è  pervenuto;  ma  non  avendosi  alcun'indizio 
di  un'epoca  sua  particolare  si  avrà  tutto  il  dritto  di 
tenere  ,  che  vi  fosse  seguila  1'  era  comune  al  resto 
della  Paflagonia,  la  quale  comparisce  sulle  medaglie 
delle  altre  sue  città  di  Germanicopoli,  e  di  Neoclau- 
diopoli.  Ora  l'Eckhel  ha  già  mostrato  (T.  II.  p.  388) 
esser  ella  la  medesima  che  adoperavasi  nella  limitrofa 
Amasia  del  Ponto  (p. 345),  la  quale  incominciava  dal- 
l'autunno dell'anno  Varroniano  747.  L'anno  adunque 
178  di  quei  popoli  principiò  dall'autunno  del  Roma- 
no 925  per  compiersi  nell'altro  autunno  dell'anno  se- 
guente, eh' è  il  tempo  per  l'appunto  in  cui  cade  il 
secondo  consolato  del  nostro  Severo.  E  cosi  conosce- 
remo eziandio  il  motivo  ch'ebbe  Pompeiopoli  per  de- 
dicargli quella  base,  essendo  ora  dimostrato  che  fu 
ordinario  costume  delle  città  e  dei  clienti  di  celebrare 
coli' erezione  della  loro  statua  l'esaltamento  alla  por- 
pora consolare  dei  loro  patroni. 

Passando  poi  a  ciò  che  di  lui  e  della  sua  casa  si  è 
addotto  finora,  il  primo  di  questo  nome  che  s'incon- 
tri giunto  agli  onori  è  Cn.  Claudio  Severo  socio  di 
Erucio  Claro nel  consolato  ordinario  deil'899,  di  cui 
a  riserva  del  nudo  nome  confermato  da  molte  lapidi 
niuno  ha  saputo  dire  cosa  alcuna.  Succede  un'altro 
Severo,  ma  sull'etto,  del  quale  scrive  Galeno  (depi-ac- 
cognit.  e.  2.):  Simililcr  et  Barbar  us  avunculus  Impe- 
ratoria Ludi  qui  in  Mesopotamia  exercitui  praeeral, 
ipse  quoque  sicut  Paulus  disciplinam  desiderabat  :  po~ 
stea  ctiam  Seocrus  consulatum  tum  gerens,  qui  Aristo- 
telicae  disciplinae  operam  dederat.  Quindi  dopo  di  aver 
indicato  le  sezioni  anatomiche,  che  loro  mostrò,  sog- 


124  — 


giunge:  Laudibus  summis  me  exaltabant  Boelhus  et 
Severw  apud  Imperalorem  M.  Aurelium  Antoninum, 
qui  Romne  lune  erat,  nani  Lucius  ad  belluini  Parlhicum 
a  Vologese  i Hat um  urbe  exi erat.  Infine  lo  chiama  aper- 
tamente Claudio  Severo  nel  cap.  10,  ed  a  lui  poscia 
indirizzò  i  suoi  scritti  sui  libri  di  Menodoto.  Devesi 
al  Noris  (  ep.  cons.  an.  926)  di  aver  tratto  fuori  que- 
sto suo  consolato,  che  ilTillemont(art.3.surM.Aur.) 
ed  il  Marini  (Arv.p. 66  nota  140)  hanno  stabilito  circa 
il  9 1 6,  e  giustamente  a  mio  parere.  Imperocché  quan- 
tunque L.  Vero  partisse  per  l'Oriente  nel  915,  e  tor- 
nasse trionfante  nel  919  non  mosse  però  contro  la 
Mesopolamia  se  non  che  sul  principio  del  916  come 
prova  la  medaglia  dell' EckhelT.  VII  p.  90  con  PRO- 
FECTIOAVGTRPIII,  e  Barbaro  dall'altra  parte 
lasciò  Roma  nell'anno  seguente  per  accompagnargli  ad 
Efeso  la  sposa  Lucilla ,  onde  quelle  sezioni  anatomi- 
che si  fecero  certamente  in  quest'intervallo.  Capitolino 
fra  i  vari  precettori  del  giovine  M.  Aurelio  (c.3)  no- 
mina Claudio  Severo,  dal  quale  apprese  la  filosofia 
Peripatetica,  per  cui  essendosi  sapulo  da  Galeno  che 
il  memoralo  da  lui  Aristolelicae  disciplinae  operami 
dederat  fu  stimato  dal  Noris,  e  si  è  comunemente  te- 
nuto in  appresso  ,  che  fossero  la  medesima  persona. 
La  qual' opinione  fu  pure  da  me  seguita  nel  Giornale 
Arcadico  T.  42,  restando  incerto  solamente  s'egli  si 
dovesse  confondere  col  console  ordinario  nell'899,  o 
se  piuttosto  quest'ultimo  si  avesse  da  reputare  suo  pa- 
dre. Ma  dopo  che  il  marmo  di  Pompeiopoli  ci  ha  fatto 
conoscere  quest'altro  Claudio  Severo,  che  si  assise  di 
nuovo  sulla  maggiore  curule  nel  926  non  potrà  più 
dubitarsi  ch'egli  sia  quel  desso,  che  l'occupò  la  pri- 
ma volta  nel  916.  E  se  questi  fu  il  genero  di  M.Au- 
relio ne  verrà  di  conseguenza,  che  il  più  antico  del— 
1899  sia  slato  viceversa  il  maestro  di  quell'impera- 
tore, essendo  del  resto  naturalissimo  ch'egli  abbia 
iniziato  anche  il  proprio  figlio  nei  medesimi  sludi.  E 
realmente  starà  bene,  che  il  primo  Severo  sia  stato 
onorato  dei  fasci  nei  tempi  medesimi  in  cui  lo  furono 
gli  altri,  che  istruirono  quel  principe,  come  Erode 
Attico  e  Cornelio  Frontone,  che  li  ottennero  nell'895, 
Claudio  Massimo  nell'  897,  e  Giunio  Rustico  che  la 
prima  volla  li  ebbe  forse  alquanto  più  presto ,  sicco- 


me accennai  nella  mia  lettera  sull'  età  di  Giovenale. 
E  così  inlenderassi  insieme  il  perchè  da  M.  Aurelio 
nell'opera  de  se  ipsoL.  l.c.  14,  di  cui  s'ignora  l'età, 
ma  che  si  suppone  scritta  a  Carnunto  dopo  la  pioggia 
prodigiosa  del  927,  in  cui  nomina  i  suoi  maestri ,  il 
solo  Claudio  Severo  si  chiami  suo  fratello,  apellazio- 
ne  non  disconveniente  se  era  suo  consocerò ,  mentre 
all'  incontro  se  fosse  stato  suo  genero  pare  che  piut- 
tosto avesse  avuto  a  dirlo  figliuolo.  A  questo  più 
antico  Severo  crederei  diretta  un'  epistola  di  Fronto- 
ne (L.l.  ad  amicos  cap.  3),  con  cui  gli  raccomanda 
la  causa  che  doveva  giudicarsi  in  senato  di  Sulpicio 
Corneliano ,  sembrandomi  scritta  prima  che  questi 
divenisse  segretario  degli  Augusti  Fratelli,  secondo 
che  ricavasi  da  Frinico,  del  quale  ufficio  non  si  sco- 
pre in  essa  alcun  cenno. 

Dalla  distinzione  di  questi  due  Severi  nasce  un  bar- 
lume per  guidarci  nell'indagare  qual  fosse  la  figlia  di 
quell'  imperatore  data  in  moglie  al  secondo  di  loro  , 
e  per  correggere  ciò  che  avanzai  nel  citato  volume 
dell'  Arcadico.  Lascio  da  banda  la  notissima  impera- 
trice Annia  Lucilla  maritata  in  prima  a  L.  Vero ,  e 
poscia  al  vecchio  Pompeiano,  che  fu  la  primogenita 
(Erodiano  L.l. e. 6  e  8),  nata  sulla  fine  dell' 899,  o 
sul  principio  del  900 ,  siccome  dopo  Capitolino  (M. 
Ani.  e.  6  )  ci  ha  confermato  il  eh.  Cavedoni  col  ret- 
tamente interpetrare  l'epistola  del  padre  data  dal  Lo- 
rio  ai  28  di  Marzo  del  suo  primo  tribunato,  e  ripor- 
tata nelC.l.Gr.n.  3176.  E  taccio  pure  della  fanciulla 
Domizia  Faustina  memorala  da  Frontone  (  L.  IV  ad 
M.  Caes.  ep.  11  e  12)  e  premorta  all'assunzione  del 
padre  al  principato  per  testimonianza  del  suo  epitafìo 
veduto  nel  mausoleo  di  Adriano  dall'anonimo  Einsil- 
dense.  Dirò  invece  che  non  ho  motivo,  di  pentirmi 
dell'ordinamento  dato  alle  tre  altre,  che  per  attestato 
di  Lampridio  (  Comm.  e.  IV  )  sopravissero  al  fratello 
imperatore  ucciso  l'ultimo  giorno  del  945.  Fu  dun- 
que la  prima  Fadilla  dichiarata  la  maggiore  delle  vi- 
venti sorelle  di  Commodo  dal  lodato  Erodiano  (L.l. 
e.  12),  e  CorniGcia  la  seconda,  del  cui  giorno  nata- 
lizio già  celebravasi  la  ricorrenza  mentre  era  ancor 
vivo  il  fratello  Antonino  gemino  estinto  di  quattro 
anni  nel  9 1 8  (  V.  le  prime  lettere  del  L.  1 .  di  Frontone 


—  125  — 


ad  M.  Imp.  ) ,  fatta  morire  da  Caracalla  in  eia  già 
avanzata  (Erod.  L.IVc.  G)  circa  il  968  (Dione  ediz. 
delBekkerT.H.p.  414).  E  conto  per  terza  Vibia  Au- 
relia  Sabina,  che  sarà  la  figliuoletta  di  tre  anni  ancor 
balbettante,  la  quale  era  col  genitore  in  Pannonia  cir- 
ca il  924  (Filostrato  Sopii.  L.  U.c.  11.),  di  cui  oltre 
le  dueGruteriane  p.252.  8 e  p.589.  l,si  è  ora  avuta 
una  terza  lapide  della  Numidia  (  Excurs.  dans  l' Afr. 
sept.  T.I.  App.  p.  14,  n.38).  Non  ci  restano  memorie 
che  precisino  il  rispettivo  marito  di  alcuna  di  loro, 
benché  oltre  a  Pompeiano  siano  conosciuti  generica- 
menle  gli  altri  tre  generi  di  M.  Aurelio,  per  cui  se- 
condo l' apparente  età  di  ciascuno  si  era  loro  distri- 
buita la  sposa.  Quindi  ad  Aulislio  Burro  (  Lampi*. 
Com.  e.  6)  che  fu  console  nel  934  si  era  assegnata 
Fadilla,  e  colla  stessa  norma  io  aveva  data  CorniG- 
cia  a  Petronio  Mamertino  (Lamp.  Com. e. 7),  che  lo  fu 
nell'anno  seguente,  riserbando  Vibia  Sabina  a  Claudio 
Severo,  di  cui  non  si  aveva  contezza  veruna,  ma  che 
se  era  il  figlio  del  console  del  916,  come  allora  opi- 
navasi,  aveva  l'aspetto  di  essere  il  più  giovane  degli 
altri.  Nella  qual'  opinione  concorse  anche  il  Mionnet 
{Rarelé  etc.  p.354),  che  congiunse  questa  Sabina  al  Ti. 
Claudio  Severo  console  nel  953.  Una  tale  aggiudi- 
cazione viene  interamente  turbata  dopo  essersi  in  oggi 
conosciuto  che  Severo  lungi  dall'  essere  il  minore  fu 
anzi  il  più  provetto  dei  suoi  due  cognati.  Per  lo  che 
converrà  conchiudere  di  accoppiarlo  invece  a  Fadil- 
la, la  sola  delle  tre  sorelle  che  apparisca  in  un'età 
capace  di  matrimonio  prima  del  926. 

Ma  questa  conclusione  incontra  una  gravissima 
difficoltà  nelle  lettere  vicendevoli  di  M.  Aurelio,  e  di 
Faustina  sua  moglie  inserite  da  Vulcatio  Gallicano 
nella  vita  di  Avidio  Cassio  (e.  9 e  segu.).  N'è  il  sog- 
getto l'insurrezione  di  costui,  e  spettano  manifesta- 
mente al  928.  Ora  in  una  di  esse  (e.  10)  la  madre 
attesta  espressamente  che  Fadilla  era  tuttavia  a  quel 
tempo  puella  virgo.  La  difficoltà  sarebbe  di  tal  na- 
tura da  non  vedersi  il  modo  di  scioglierla ,  se  quelle 
lettere  presso  i  moderni  critici  non  perdessero  ogni 
giorno  più  di  autorità.  Il  Tillemont  è  stato  il  primo 
a  dichiararle  false ,  consecrando  l'intera  nota  XIX  so- 
pra M.  Aurelio,  a  rilevarne  le  contradizioni  e  il  dis- 


senso dalle  testimonianze  degli  altri  scrittori.  Egli  si 
fonda  specialmente  sull'apparirvi  che  quell'imperato- 
re apprese  ad  Albano  vicino  a  Roma  la  rivolta  di 
Cassio,  e  che  mentre  questi  era  ancor  vivo  trovavasi 
a  Formia  ed  a  Capua,  quando  tutti  convengono  che 
egli  allora  guerreggiava  nella  Pannonia,  ove  anzi  fe- 
ce venire  il  figlio  Commodo  per  dargli  la  toga  virile 
ai  7  di  Luglio,  e  di  dove  parli  con  esso  per  l'Oriente 
dopo  intesa  1'  uccisione  del  ribelle.  Io  rimetterò  al 
dotto  Francese  chi  desidera  di  conoscere  le  prove 
dell' iusussistenza  di  quelle  asserzioni,  e  noterò  solo 
non  potersi  imputare  a  Xililino,  ma  provenire  diret- 
tamente dal  tanto  più  autorevole  Dione  la  sostanziale 
opposizione,  che  quando  M.  Aurelio  tornò  a  Roma 
nell'anno  seguente  929  erano  già  molli  anni  da  che 
ne  mancava,  avendo  il  Mai  trovato  egualmente  quel 
brano  tra  gli  escerpli  del  Porfirogenito.  E  veramente 
vi  è  molta  apparenza  che  quelle  lettere  siano  state 
supposle  collo  scopo  di  liberare  Faustina  dall'accusa 
di  complicità  in  quella  rivolta ,  taccia  non  ignota  a 
Capitolino,  ma  datale  apertamente  dai  due  primi  sto- 
rici di  quei  (empi  Mario  Massimo  e  Dione.  Niuno  in 
appresso  si  è  arrischiato  di  assumere  la  difesa  di  quelle 
lettere,  e  i  più  recenti  si  sono  limitati  a  chiamarle 
sospette.  Io  pure  ho  seguilo  allra  volta  il  loro  esem- 
pio :  ma  ora  non  dubito  di  sottoscrivere  pienamente 
alla  sentenza  del  Tillemont  dopo  la  nuova  mentita  che 
vengono  a  ricevere  dalla  base  di  Pompeiopoli.  Né  a 
declinarla  gioverebbe  di  ricorrere  al  disperato  par- 
tilo di  supporre  che  Claudio  Severo  invece  di  Fadilla 
abbia  avuto  in  consorte  un'altra  figlia  di  Faustina, 
perchè  questa  imperatrice  nella  medesima  epistola 
significa  abbastanza  che  Pompeiano  era  allora  l'unico 
loro  genero.  Il  che  pure  viene  contradetto  dalla  la- 
pide, se  in  essa  fino  da  due  anni  prima  lo  slesso  Se- 
vero si  vantava  di  avere  anch'  egli  per  suocero  il  di 
lei  marito.  Per  le  quali  cose  senza  avere  più  alcun 
riguardo  a  quelle  lettere  apocrife  io  riterrò,  che  nel 
suo  secondo  consolato  questo  Severo  fosse  dato  avver- 
titamente in  compagno  al  lodato  Pompeiano,  perchè 
generi  ambedue  dell'  imperatore.  E  così  sarà  anche 
soddisfatto  all'obiezione  proposta  dall'Eckhel  (T.VII. 
p.  261),  che  se  Annia  Faustina  fosse  stata  semplice- 


—  126  — 


mente  nipote  di  M.  Aurelio  e  di  Claudio  Severo  suo 
maestro  diverrebbe  troppo  attempata  perebè  avesse 
da  iocapricciarseDe  un  ragazzo  di  dieciselte  anni,  qua- 
lora Elagabalo  nel  974,  per  cui  ha  dato  un  senso  più 
esteso  ma  non  insolilo  a.\Ytx7róyovoS  di  Dione,  giudican- 
dola loro  pronipote.  Tale  infatti  risulterà  dalle  cor- 
rezioni portate  alla  genealogia  di  questa  famiglia,  per- 
chè il  precettore  di  M.  Aurelio  sarà  il  suo  bisavo,  e 
l'avo  ne  sarà  il  nostro  console  del  916  e  del  926. 
Dal  cui  coniugio  con  Fadilla  sarà  nato  il  di  lei  padre 
Ti.  Claudio  Severo  proposto  dal  Mionnet,  il  quale  per 
avere  l'età  consolare  nel  953  deve  appunto  esser  nato 
nel  920  o  nel  921.  Fratello  di  lei  sarà  probabilmente 
il  Cn.  Claudio  Severo  console  nel  988  provenuto  dal 
frammento  di  fasti  dato  dal  eh.  Ilenzen  nel  ballettino 
Bomano  del  1849  p.  132,  collega  del  Ti.  Claudio 
Quinliano  forse  suo  congiunto  e  discendente  dal  Clau- 
dio Pompeiano  Quintiano  ,  di  cui  sarò  per  dire  più 
sotto.  Del  Severo  poi,  di  cui  abbiamo  parlato  finora, 
non  so  che  si  abbiano  altre  notizie  se  non  che  sembra 
aver  accompagnato  M.  Aurelio  nella  sua  corta  spe- 
dizione in  Oriente  dopo  la  morte  di  Cassio  trovandosi 
in  sua  compagnia  in  Atene,  quando  ne  fu  di  ritorno 
nel  929  (Fiiostrato  Soph.  L.  II.  e.  10  ). 

Imbarazzi  forse  maggiori  aveva  fatto  nascere  Pom- 
peiano. Ecco  intanto  ciò  che  da  tutti  si  conviene  spet- 
targli. Egli  provenne  da  una  famiglia  non  abbastanza 
nobile  di  Antiochia,  e  nacque  da  Claudio  Pompeiano 
semplice  cavaliere  (Capitolino  in  Marco  e.  20).  Nulla 
si  sa  dei  suoi  anni  più  floridi,  consumati  come  pare 
tra  l'armi ,  e  la  prima  notizia  rimastaci  deriva  da  un 
diploma  (  Cardinali  Dipi.  XXIII  ),  il  quale  e'  insegna 
che  al  principio  di  Maggio  del  920  era  legato  della 
Pannonia  inferiore  ,  e  per  conseguenza  già  consolare. 
11  che  si  conferma  da  Erodiano  (L.  I.  c.2),  da  cui  si 
attesta  che  M.  Aurelio  diede  le  figlie  viris  senatorii 
ordinis  optimìs:  e  noto  ciò  perchè  da  molti  e  anche 
dall'  Eckhel  (T.  VII.  p.  98)  si  è  creduto  ,  che  Pom- 
peiano fosse  tuttora  dell'  ordine  equestre  quando  gli 
concesse  in  moglie  la  sua  primogenita  Lucilla  vedova 
del  suo  collega  L.  Vero.  Queste  nozze  seguirono  pri- 
ma che  fosse  spirato  l'anno  del  lutto  per  la  morte  del 
primo  marito  avvenuta  verso  la  metà  di  Gennaro  del 


922,  mentr'  egli  era  già  provetto  in  età  (grandaevus) 
motivo  per  cui  non  soddisfecero  uè  alla  sposa,  né  alla 
di  lei  madre  Faustina  (  Capitolino  l.  e.  ).  Seguì  po- 
scia il  suocero  alla  guerra  Marcomannica,  e  nel  925 
colla  qualità  di  suo  Legalo  fu  spedilo  insieme  con  Per- 
tinace contro  i  Catti ,  che  si  erano  avanzati  fino  alle 
porte  d'Italia,  sui  quali  riportarono  un'insigne  vitto- 
ria, cacciandoli  dalla  Retia  e  dal  Norico  (Dione  L.71 
e.  3,  Capitolino  Pert.  e.  2).  Né  lo  abbandonò  nelle  sue 
ultime  spedizioni  Germaniche,  talché  trovossi  presente 
quando  mancò  di  vita  a  Vindobona  nel  933.  Quan- 
tunque il  più  anziano  dei  consiglieri  da  lui  lasciati  al 
figlio  Commodo  [reliquos  aetate  anleibat)  tentò  indarno 
persuaderlo  di  non  tornare  a  Roma  prima  di  aver 
imposto  fine  alla  guerra  (Erod.  L.I.  c.2).  Continuò 
questi  tuttavia  ad  averlo  in  onore  cogli  altri  amici 
del  padre  ,  finché  nel  935  avendo  inalzalo  Perenne 
alla  prefettura  del  pretorio  abbandonò  a  costui  la  cu- 
ra dell'  impero,  il  che  nell'anno  seguente  mosse  Lu- 
cilla ad  ordire  una  congiura  contro  i  suoi  giorni.  Ero- 
diano (L.I. c.8)  attesta  apertamente  ch'ella  non  ne  fece 
alcun  molto  al  marito,  perchè  lo  conosceva  troppo 
attaccalo  al  fratello,  e  difatti  egli  non  fu  involto  nelle 
pene  che  dovette  pagare  la  stessa  Lucilla  cogli  altri 
congiurati  (Dione  1.  72  e.  4).  Temendo  però  lo  sde- 
gno di  Commodo  si  ritirò  in  campagna  a  Terracina, 
e  scusandosi  colla  sua  vecchiaia  e  colla  debolezza  dei 
suoi  occhi  assai  di  rado  veniva  in  città ,  né  interve- 
niva ai  giuochi,  nei  quali  costui  offriva  spettacolo  di 
se, benché  mandasse  i  figli  a  vederli  (  Dione  L.72  ,c.20, 
L.  73  e.  3  ).  Ma  appena  intesa  l'uccisione  di  lui  ri- 
comparve a  Roma,  ove  non  si  lasciò  piegare  dalle  in- 
sinuazioni di  Pertinace  di  accettare  in  sua  vece  l'im- 
pero (Capilol.  Pert.  e.  4).  Dione  ci  è  testimonio  che 
sotto  il  nuovo  principe  frequentava  la  curia,  e  che 
allora  vedeva  ed  adempiva  alle  parti  di  senatore.  Suc- 
ceduto però  Didio  Giuliano  nel  946  tornò  a  fingersi 
malato,  e  respinse  l'offerta  che  anche  questi  gli  fece 
all'avvicinarsi  di  Settimio  Severo  di  rinunziargli  il 
principato  (  Spart.  in  Didio  e.  6  ). 

La  pietra  principale  d'inciampo,  nella  quale  ragio- 
nando di  lui  hanno  urtalo  i  cronologi,  e  fra  questi 
anche  il  Noris  ( ep.  cons.  an.  926)  il  Marini  [Aro. p. 


—  127  — 


701  ) ,  e  il  Cardinali  (  Dipi.  p.  242)  fu  loro  opposta 
dalle  citate  lettere  apocrife  di  M.  Aurelio  e  di  Fau- 
stina riferite  da  Vulcalio  Gallicano.  Nella  prima  (e.  1 0) 
vuol'  essa  persuadere  al  marito  di  non  perdonare  ad 
Avidio  Cassio,  ma  di  provvedere  alla  sicurezza  sua 
e  dei  Ggli,  rappresentandogli:  Commodus  nostcr  vides 
in  qua  aetale  sit.  Pompeianus  gcnerel  senior  est  et  pe- 
regrinus.  A  cui  risponde  M.  Aurelio  (ci  1) coli' enco- 
miare la  clemenza,  e  col  conchiudere  Pompeianum 
nostrum  in  annum  sequenlem  consukm  dixi.  Ognuno 
ha  tenuto  per  fermo,  che  una  medesima  persona  sia 
mentovata  in  ambedue  quelle  lettere,  ed  essendo  chia- 
ro che  dal  falsario  si  pretesero  scritte  nel  928  entro 
il  trimestre ,  pel  quale  durò  la  ribellione  di  Avi- 
dio,  nel  susseguente  929  si  sono  concordemente  col- 
locali i  primi  fasci  del  vecchio  Pompeiano,  giudican- 
doli suffetti  atteso  che  L.  Calpurnio  Pisone,  eP.  Sal- 
vio  Giuliano  furono  gli  eponimi  di  quell'anno.  E  pa- 
rimenti suffetti,  ma  di  anno  incerto  si  sono  reputati 
i  secondi,  che  gli  vengono  assicurati  da  Capitolino 
(  M.  Aur.  e.  20  ) ,  richiamando  cosi  a  quel  tempo  il 
frammento..  .  eTPOMPEIANOHCOS,  che  ho  su- 
periormente trascritto.  Infine  non  sapendo  che  fare 
del  Pompeiano,  che  i  fasti  notano  ordinario  nel  pre- 
sente anno  926  sono  ricorsi  all'espediente  di  supporlo 
un  suo  fratello,  quantunque  non  se  n'abbia  da  altra 
parte  il  minimo  sentore,  e  malgrado  della  uiuna  pro- 
babilità ,  che  si  fosse  potuta  trovare  nei  fasti  una  nic- 
chia per  questo  sconosciuto  a  preferenza  del  fratello 
già  sen/or,  e  che  da  quattro  anni  avea  sposata  un'Au- 
gusta. 

Ad  onta  perù  del  giudizio  di  questi  dottissimi  è 
impossibile  di  ritardare  fino  al  929  la  prima  sua  ele- 
vazione all'  ipatica  magistratura  dopo  eh'  è  venuto 
alla  luce  il  citato  diploma,  il  quale  ci  prova  che  l'ave- 
va esercitata  innanzi  il  920,  in  cui  governava  la  Pan- 
nonia  inferiore.  Conciossiachè  quella  provincia  era 
allora  riserbata  a  personaggi  ch'erano  già  stati  deco- 
rati di  quell'onore,  come  consta  dalla  conosciuta  con- 
dizione degli  anteriori  legati  Minicio  Natale,  Neratio 
Prisco  giuniore,  Ponlio  Leliano,  e  dei  posteriori  Ul- 
pio  Marcello,  Nonio  Macrino,  Settimio  Severo  poscia 
imperatore,  Settimio  Gela  suo  fratello,  ed  altri.  Se  il 


comando  degli  eserciii  non  si  conferiva  dagli  Augusti 
se  non  che  a  consolari  per  testimonianza  di  Ulpiano 
(Dig.  lib.  3.  2.  2)  e  di  Vegelio  (  de  re  milil.  L.  2c.9  ) 
come  dubitare  che  Pompeiano  fosse  già  di  quel  nu- 
mero allorché  M.  Aurelio  eum  bello  ducerà  praefecit 
secondo  ch'egli  stesso  confessa  nella  sua  lettera  sulla 
pioggia  miracolosa  del  927,  che  si  trova  dopo  la  se- 
conda apologia  di  S.  Giustino:  se  din  mililibus  prae- 
fuil  (  Spartiauo  in  Didio  e.  8  )  ;  e  se  nel  925  aveva 
riportata  l' insigne  vittoria  memorata  da  Dione,  con 
cui  rispinse  i  barbari  dai  confini  dell'Italia?  E  se  vorrà 
salvarsi  lo  stesso  Spartiano  [Carne,  e.  3)  da  un'aper- 
tissimo mendacio  ove  parla  del  Pompeiano  console 
nel  9G2  fatto  morire  da  Caracalla  circa  il  908  dicen- 
doci :  Occidit  etiam  Pompeianum  Marci  nepotem  ex 
filia  natum  et  Pompeiano ,  cui  nupta  fueral  Lucilla 
post  mortem  Veri  Imperaloris ,  quem  et  consulem  liis 
fccerat,  et  omnibus  bellis  praeposnerat,  quae  gravissima 
tunc  fuerant,  converrà  ammettere  che  il  quem  consu- 
lem bis  feceral  con  quel  che  segue  non  si  riferisca  già 
al  nipote  di  Marco,  ma  si  bene  al  suo  genero,  perchè 
altrimenti  si  domanderà  quali  furono  le  gravissime 
guerre  del  figlio  di  Settimio  Severo  anteriori  al  96S. 
Infine  se  si  esaminerà  più  attentamente  il  luogo  di 
Capitolino  (  M.  Aur.  e.  20  )  filiam  suam  grandacrn 
Claudio  Pompeiano  dedit....  quempostea  bis  consulem 
fecit,  quumfìlia  eius  Augusta  esset  et  Auguslac  filia,  si 
vedrà  che  invece  di  trarne,  che  poscia  lo  fece  console 
due  volte,  si  ha  meglio  da  intendere ,  che  in  sequela 
dello  sposalizio  gli  ripetè  quell'onore,  onde  fosse  più 
degno  di  una  moglie  Augusta.  E  che  questo  sia  il  ve- 
ro senso  di  quel  passo  ce  lo  ha  ora  ampiamente  con- 
fermato la  nostra  lapide  di  Narenta,  mostrandoci  ve- 
rificato il  detto  del  biografo  nel  Pompeiano  del  92<». 
Per  lo  che  da  questa  lapide  eziandio  emanando  uu 
nuovo  argomento  contro  la  legittimità  delle  lettere  di 
Vulcalio  si  avrà  di  qui  innanzi  da  stabilire,  che  ingiu- 
stamente si  erano  ridardati  di  troppo  i  due  consolati 
del  Pompeiano  seniore  :  eh'  egli  ottenne  il  primo  di 
sostituzione  in  un'epoca  ancora  incerta,  ma  però  an- 
teriore alle  nozze  del 922,  edanzi  alla  legazione  Pan- 
nonicadel920:e  che  in  premio  della  vittoria  del  923 
gli  fu  conferito  il  secondo  nelP  anno  seguente ,  ma 


—  128  — 


questa  volta  ordinario,  secondo  il  più  frequente  costu- 
me dei  consuìcs  iterum. 

Ma  in  favore  dell'opinione  seguita  finora  alcuno 
potrebbe  addurre  che  i  primi  suoi  fasci  nel  929  tro- 
vano appoggio  nel  brano  di  un'  altra  epistola  succes- 
siva di  M.  Aurelio,  esistente  presso  lo  stesso  Vulcatio, 
in  cui  dopo  la  vittoria  di  Martio  Vero  sopra  Avidio 
Cassio  scrive  al  senato;  Habetis  igilur,  P.  Cprogra- 
tulalione  victoriae  generum  meum  consulenti.  Pompeia- 
nutn  dico,  cuius  actas  olim  remunerando,  f aerai  con- 
sulalu,  nisi  viri  forles  intervenissent ,  quibus  reddi  de- 
buti, quod  a  republica  debebatur.  Su  questa  lettera  non 
cadono  le  accuse  di  falsità  che  si  sono  apposte  alle 
precedenti ,  e  desunte  dal  tempo  e  dal  luogo ,  in  cui 
si  dicono  scritte ,  che  anzi  i  sentimenti  di  clemenza 
ivi  spiegati  verso  i  figli  e  i  seguaci  del  ribelle  piena- 
mente si  accordano  con  quanto  ci  narrano  Capitoli- 
no, Temistio  e  Dione.  Tultavolla  la  compagnia  delle 
altre  lettere  apocrife  lascerebbe  sempre  gravitare  dei 
sospetti  anche  su  questa ,  finché  avessero  un  fonda- 
mento nel  consolato  che  si  è  combattuto  finora ,  se 
non  restasse  forse  una  via  per  tentar  di  difenderla  da 
questo  lato.  Osservo  adunque  che  il  passo  sopra  alle- 
gato non  rinchiude  una  positiva  ragione  che  ci  sforzi 
di  attribuirlo  al  vecchio  Pompeiano ,  quando  non  man- 
ca un  contemporaneo  dello  stesso  nome  ,  a  cui  può 
egualmente  convenire.  Narrando  Lampridio  (  Com. 
e.  4)  la  congiura  tramata  nel  936  contro  la  vita  di 
Commodo  da  Lucilla  sua  sorella,  e  da  Umidio  Qua- 
drato figlio  o  nipote  di  una  sorella  di  suo  padre  ,  ci 
dice  :  Datum  est  negolium  peragendae  nccis   Claudio 
Pompeiano  propinquo ,  qui  ingressus  ad  Commodum 
districto  gladio ,  quum  faciendi polestalem  habuissel  in 
hacc  verba  prorumpens,  hunc  libi  pugionem  senatus 
militi,  detexit  facinus  fatuus,  nec  implevit..,Poslhaec 
interfecli  sunt  Pompeianus  et  Quadratus.  Corrispon- 
dono anche  nelle  minute  circostanze  del  fatto  gli  altri 
storici,  se  non  che  Dione  (L.  72c.  4)  e  Zonara  (L.12 
c.4)convengono  con  Lampridio  nel  chiamarlo  Claudio 
Pompeiano  ,  mentre  Erodiano  (L.  1  e.  8)  ed  Ammia- 
no  Marcellino  (L.  29,  1.  17)  lo  appellano  Quiutiano, 


aggiungendosi  dal  secondo,  eh'  era  un  senatore,  t7/t- 
cilae  cupidinis  homo.  11  Reimaro  ha  il  merito  di  aver 
conciliato  questa  discrepanza  nella  nota  21  al  citato 
libro  di  Dione,  tenendo  che  costui  si  chiamasse  con 
intera  nomenclatura  Claudio  Pompeiano  Quintiano. 
Niente  infatti  di  più  comune  in  questo  secolo  quanto 
di  veder  provveduti  i  nobili  di  doppio  cognome,  l'uno 
desunto  dal  padre,  l'altro  dalla  madre,  per  cui  Ero- 
diano potè  preferire  il  secondo  affine  di  meglio  distin- 
guerlo dal  più  antico  dello  stesso  uome.  Lo  stesso  Dio- 
ne (/.  e.)  chiarisce  il  propinqaus  di  Lampridio  coll'in- 
formarci  :  Hic  quum  uxorem  duxisset  filiam  Lucillac, 
non  cum  hac  solum,  sed  cum  inatre  eius  siimi  rem  ha- 
bcbat,qua  de  causa  Commodo  ila  familiaris  erat,utuna 
ambo  epularenlur  ,  una  iuvenarentur.  Veramente  la 
storia  non  fa  altro  ricordo  dei  figli  di  L.  Vero:  ma  un 
nuovo  cenno  sen'èpoi  avuto  da  Frontone  (  p.88  ediz.  di 
Roma)chedopo  il  ritorno  di  lui  dall'Oriente  gli  com- 
mette socrum  et  liberos  vestros  saluta,  ed  altro  ne  ha 
tratto  l'Eckhel  (T.  VII.  p.  99)  dalle  medaglie  della 
moglie  ,  in  cui  è  rappresentata  la  Fecondità  ora  con 
una  ora  con  due  ,  ora  con  tre  figure  fanciullesche  , 
le  due  maggiori  delle  quali  in  un  sesterzo  conserva- 
tissimo  della  mia  raccolta  dalle  vesti  mi  appariscono 
feminili.  Ora  se  Pompeiano  Quintiano  ebbe  in  isposa 
una  figlia  di  Lucilla  fu  dunque  progenero  di  M.  Aure- 
lio: ma  Ulpiano(D/</.  L.50. 16.130)  ci  ha  avvertito: 
Generi  appellatone  et  neplis  et  proneptis  tam  ex  filio, 
quam  ex  filia  editarum,  celerarumque  maritos  contineri 
manifeslum  est.  Ecco  pertanto  un'altro  Pompeiano  più 
giovine,  genero  anch'esso  di  quell'imperatore,  a  cui 
potè  egli  destinare  i  fasci  nel  929.  Né  osta  se  asserisce, 
che  la  sua  età  avrebbe  richiesto  di  essere  rimunerata 
prima  col  consolato,  se  non  se  gli  fossero  dovuti  an- 
teporre gli  uomini  forti,  perchè  basta  per  ciò  ch'egli 
avesse  oltrepassata  l' età  consolare  ossia  i  trentadue 
anni  compiuti  di  due  otre  anni,  spazio  che  in  un  se- 
colo, in  cui  si  avevano  per  lo  meno  otto  consoli  all' 
anno  fu  più  che  sufficiente  per  concedere  questo  pre- 
mio a  chi  se  l' era  meritato  nelle  ultime  guerre. 
(continua)  B.  Borghesi. 


Giglio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtàneo. 


BILLETTIAO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  67.     (17.  deiranno  III.) 


Marzo  1855. 


Illustrazione  di  una  lapide  dell'antica  Narona.  Continuazione. — Nuove  scoperteSannitiche. — Poche  osservazioni 
sull'articolo  precedente.  —  Brevi  osservazioni  su'  dipinti  di  alcune  tombe  di  Ali  amila. 


Illustrazione  di  una  lapide  dell'antica  Narona. 
Continuazione  del  numero  precedente. 

Al  contrario  se  ivi  si  parlasse  del  Pompeiano  se- 
3Ìore,  ch'esser  doveva  quasi  sessagenario,  come  in 
anti  anni  non  si  sarebbe  trovato  un  ritaglio  di  qual- 
che mese  per  guiderdonarlo  dei  suoi  servigi ,  e  co- 
me poi  non  comprenderlo  nel  numero  degli  uomini 
forti  dopo  la  vittoria  ,  con  cui  aveva  salvata  l'Ita- 
lia dall'incursione  dei  barbari?  Vero  è  ebe  Pompeia- 
ao  Quintiano  non  poteva  a  quel  tempo  aver  già  con- 
lotto in  moglie  la  primogenita  di  L.  Vero,  perche  se 
la  madre  di  lei  non  si  maritò  se  non  che  nel  917,  la 
Qglia  nel  929  non  doveva  contare  se  non  che  dieci  o 
undici  anni.  Poteva  però  essergli  stata  promessa ,  e 
potè  in  contemplazione  dei  conchiusi  sponsali  decre- 
tategli la  porpora  consolare.  Anche  Claudio  promise 
la  sua  figlia  Ottavia  quasi  bambina  a  L.  Silano,  a  cui 
abbreviò  per  questo  la  strada  degli  onori,  e  quantun- 
que quelle  nozze  non  avessero  poi  efletto,  ciò  non  im- 
pedì a  Seneca  e  Dione  di  chiamarlo  suo  genero. 

Ma  chi  sarà  questo  Claudio  Pompeiano  Quintiano? 
Dicevasi  figlio  del  console  del  926,  che  come  ho  an- 
nunziato stimavasi  un'ignoto  fratello  del  vincitore 
de' Catti.  Ma  questo  fratello  sarà  divenuto  un'ente 
immaginario  dopo  essersi  veduto  che  quel  console 
altri  non  fu  che  il  vincitore  medesimo.  Per  lo  che 
considerando  che  la  stirpe  dei  Claudi  Pompeiani  sco- 
nosciuta per  l'addietro  non  fu  Romana,  ma  Antioche- 
na, io  non  so  dare  a  Quintiano  altra  origine  se  non 
quella  di  reputarlo  il  primogenito  dello  stesso  Pom- 
peiano seniore  nato  da  un  suo  matrimonio  giovanile 
con  una  Quintia ,  ben  supponibile  in  un'  uomo  di 
quella  età.  Quando  egli  sposò  la  vedova  di  L.  Vero  nel 
arno  ni. 


922  sarà  stato  all'  incirca  quinquagenario,  se  da  Ca- 
pitolino si  nota  che  era  allora  grandaevus,  onde  po- 
teva ben  avere  un  giovine  che  sette  anni  dopo  oltre- 
passasse di  alcun  poco  l'età  consolare.  Ugualmente  se 
nel  933  in  cui  morì  M.  Aurelio  aeiale  anteibat,  per 
autorità  di  Erodiano,  tutti  gli  antichi  amici  di  lui,  era 
dunque,  se  non  può  asserirsi  di  altri ,  più  attempato 
di  Pertinace,  che  aveva  a  quel  tempo  cinquantaquat- 
tro anni.  D'altra  parte  qual  difficoltà  che  quel  prin- 
cipe amasse  di  ristringere  maggiormente  i  vinco- 
li delle  loro  famiglie  con  un'  iterato  sposalizio?  Così 
Augusto  maritò  la  sua  Giulia  a  Tiberio  nato  da  Livia 
sua  moglie,  e  così  Claudio  ed  Agrippina  strinsero  in 
nodo  coniugale  i  loro  precedenti  figli  Ottavia  e  Ne- 
rone. La  mia  congettura  ha  poi  anche  un  fondamento 
in  Lampridio  (  Comm.  e.  5),  da  cui  si  racconta  ,  che 
dopo  essere  stata  messa  a  morte  Lucilla  occisus  est 
etiam  Claudius  quasi  a  latronibus,  cuius  fìlius  cum  pu- 
gione  quondam  ad  Commodum  ingressus  est.  È  vero 
ch'egli  si  è  ingannato,  perchè  Pompeiano  il  padre  so- 
pravisse a  Commodo,  e  che  ilCasaubono  nelle  note  a 
quel  luogo,  e  nel'e  altre  alCaracalladi  Spartiano^c.3) 
ha  trovato  altresì  la  ragione  di  un  tale  errore ,  ma 
ciò  non  toglie  che  quello  storico  abbia  creduto  che  il 
congiurato  fosse  figlio  del  secondo  marito  di  Lucilla, 
Queste  cose  siano  dette  per  chi  volesse  sostenere 
l'autenticità  della  lettera  di  M.  Aurelio  al  senato  ,  e 
per  mostrare  che  anche  ammettendo  sulla  dubbia  fe- 
de di  Voìcatio  un  Pompeiano  suffetto  nel  929  non 
emerge  da  ciò  alcun  pregiudizio  all'anteriorità  che  si 
è  determinata  ai  due  consolati  dell'autore  della  gran- 
dezza di  quella  casa.  Anche  dal  seeondo  e  più  splen- 
dido coniugio  ebbe  egli  successione  ricordandosi  da 
Dione  i  figli  che  mandava  ad  assistere  agli  spettacoli 

17 


—  130  — 


offerti  da  Commodo  sulla  fioe  del  suo  impero.  Uno 
di  loro  sarà  il  Ti.  Claudio  Pompeiano,  che  nei  primi 
anni  di  Settimio  Severo  era  tribuno  militare  della  le- 
gione 1.  Minervia  memorato  in  una  iscrizione  di  Lio- 
ne (Orelli  2100),  il  cui  prenome  di  Tiberio  mi  con- 
forta a  conservarlo  anche  a  suo  padre ,  quantunque 
siano  cessate  le  antiche  ragioni,  per  cui  se  gli  era  im- 
posto, derivate  dalla  lapide  Ligoriana,  che  ho  riget- 
tata sul  principio.  Havvi  tutta  l'apparenza  ch'egli  sa 
stato  poscia  insignito  del  consolalo  ordinario  del  902, 
e  che  sia  il  nipote  di  Marco  tolto  di  vita  per  ordine 
di  Caracalla,  siccome  ho  già  detto  affermarsi  da  Spar- 
tiano  (Carac.  e.  3).  Reputo  poi  generato  da  lui  l'al- 
tro Claudio  Pompeiano,  ch'ebbe  anch'esso  i  fasci  or- 
dinari da  Alessandro  Severo  nel  984,  persuadendo- 
melo l'appellazione  di  Commodo,  che  gli  vieti  data 
dai  fasti  Greci  maggiori,  e  che  richiama  i  suoi  illu- 
stri antenati,  cioè  l'imperatore  L.  Vero  fratello  per 
adozione  del  suo  bisavo  materno,  che  originariamente 
cognominavasi  L. Commodo,  e  l'imperatore  Commo- 
do fratello  di  sua  nonna.  Per  la  stessa  ragione  ho  già 
sospettato,  che  da  Claudio  Pompeiano  Quintiano,  e 
dalla  figlia  del  medesimo  Augusto  L.  Aurelio  Vero 
sia  discesoli  console  del  988,  che  nel  suo  cippo  presso 
il  iMommsen  (Inscr.R.Neap.  3597)  si  chiama  Lucius 
Tiberius  Claudius  Aurelius  Quintianus,  atteso  che  i 
nomi  di  Ti.  Claudio  accuserebbero  la  sua  ascendenza 
paterna  ,  e  gli  altri  di  L.  Aurelio  quelli  dal  lato  di 
fernina.  Per  le  quali  cose  riepilogando  il  fin  qui  det- 
to, in  mollo  pregio  si  avrà  da  tenere  la  nostra  lapide, 
siccome  quella  che  insegnandoci  a  riscrivere  ne' fasti 
del  920  Cu.  Claudius  Cn.  F.Severus  II,  Ti.  Claudius 
Pompeianus  7/reslituisce  loro  due  dei  più  chiari  per- 
sonaggi di  quel  tempo  ,  in  vece  di  due  soggetti  fittizi 
per  conseguenza  osrurissimi,  e  viene  con  ciò  ad  illu- 
strare le  famiglie  di  questi  due  generi  dell'imperatore 
M.  Aurelio,  e  insieme  con  esse  la  storia  Augusta. 

B.  Borghesi. 

Nuove  icoperte  Sanniliche. 


miglia  dieci  da  Campobasso ,  durante  il  mese  di  mar- 
zo ultimo  ,  nel  sito  denominato  Campo  Laureili ,  o 
largo  della  Liscia,  furono  rinvenute  varie  monete  e 
suppellettili  antiche.  Il  luogo  in  parola  giace  sul  ver- 
tice della  collina,  che  scende  dolcemente  sino  al  fiu- 
me sottoposto  detto  Zappino  ,  ed  ha  la  estensione  di 
circa  palmi  100  per  80,  scorgendosi  nel  lato  che 
guarda  oriente,  un  frammento  di  antico  muro  a  sec- 
co alto  circa  palmi  due  dal  suolo  e  lungo  palmi  20, 
formato  di  massi  di  pietra  non  lavorati  ed  abbastanza 
grandi  :  inoltre  dispersi  pel  terreno  si  trovano  molli 
rottami  di  tegole ,  e  qualche  masso  di  pietra  grezza. 
Avendo  eseguiti  alcuni  saggi  di  scavamento ,  vi  tro- 
vai alla  profondità  di  circa  palmi  due  delle  grosse  te- 
gole frammentate  disposte  in  doppia  fila,  l'una  avanti 
l' altra  ,  e  sotto  alcune  macchie  nere  e  piccoli  pez- 
zetti di  carboni  e  di  ossa ,  nonché  alcuni  denti  ed  al- 
tri pezzetti  di  teschi  umani ,  e  talvolta  anche  qualche 
piccolo  vasetto  di  terra  colta,  con  vernice  nera  e  della 
forma  dei  soliti  unguentarii.  Delle  monete  rinvenute 
una  porzione  furono  trovale  in  un  vasetto  a  forma  di 
skyphos,  e  le  altre  disperse  pel  terreno  con  tutti  gli 
oggetti  misti  tra  gli  avanzi  delle  tegole.  Quindi  dalle 
descritte  particolarità  ,  e  dalle  monete  rinvenute , 
nonché  dai  diversi  oggetti  incontrati ,  ho  potuto  de- 
durre esser  questo  un  antico  sepolcreto  sannitico , 
tanto  più  che  in  questo  sito  non  si  sono  scoperti  al- 
tri frammenti  di  qualsivoglia  antica  costruzione. 

In  tutto  lo  scavo  si  sono  raccolti  i  seguenti  ogget- 
ti. Mortele  di  argento  —  Fistelia  con  leggenda  sanni- 
tica  24  —  Idem  con  doppia  leggenda  greca  e  sanni- 
tica  2  —  Idem  senza  leggenda  17  —  Allibarli  8  — 
Hyrina  3  —  Napoli  5  —  Nola  1  —  della  Campa- 
nia 3  —  Taranto  5  —  Metaponto  i  —  Posidonia  1  — 
Turio  2  —  Velia  5  —  Crotone  2  —  Pitanali  2(1). 
Moneta  mal  conservata  1  —  Sesterzio  romano  1  — 
Denario  della  gente  Flaminia  1  —  Idem  della  Mar- 
eiafCensorinusJ  i  — Idem  della  Tiluria  1  —  Quinario 
della  Iulia  —  Quinarii  di  Augusto  2  —  Monete  di 
bronzo  —  Tiali  di  Mezzano  modulo  1  —  Arpi  1  — 


(0  Avendo  avuto  occasione  di  osservar  queste  monete ,  abbiamo 
rilevato  che  in  una  la  epigrafe  è  dritta  nelP  altra  è  retrograda.  — 
glia  tre  a  settentnone  di  Toro ,  comune  distante  circa     ma  detr  editort. 


Nella  provincia  di  Molise  alla  distanza  di  circa  mi- 


—  131 


Assi  romani  di  bronzo  fusi  2  —  Idem  coniali  5  — 
Trienle  di  Lucerla  fuso  1  —Monete  irriconoscibili  3. 
Olire  alle  indicale  monde  se  ne  sono  rinvenute 
circa  altre  cento  ,  dulie  quali  la  maggior  parie ,  giu- 
sta le  relazioni  avute  ,  appartengono  anche  a  Fi- 
stelia. 

Da  ullimo  si  sono  trovati  numero  sei  cerchietti  di 
ferro  a  guisa  di  braccialetti ,  forse  per  le  slrigili,  due 
lamine  di  coltello  ,  un  forceps,  imo  striglie  di  ferro, 
tre  fibule  di  argento  e  molli  altri  frammenti  simili , 
non  che  varie  fibule  di  bronzo  ,  alcune  intere  ,  ed  al- 
tre frammentate  di  elegante  lavoro  greco ,  diversi 
anelli  di  argento  di  filo  (ondo,  uno  che  ha  incuso  nel 
di  sopra  una  figura  femiuile  sedente,  una  piccola  la- 
minetla  di  argento  lunga  circa  palmi  0,40  terminata 
negli  estremi  a  guisa  di  cuspide  (forse  per  uso  di  ago 
crinale)  ;  più  un  anello  di  oro  di  filo  tondo ,  ed  una 
lamina  anche  di  oro ,  lunga  circa  pai.  0,80  ,  e  larga 
pai.  0,05  ,  avente  nel  mezzo  incusa  una  testa  mulie- 
bre con  sparse  chiome,  terminante  in  uno  degli  estre- 
mi a  guisa  di  uncino ,  una  piccola  figurina  anche  di 
lamina  di  oro  ,  ed  in  fine  un  anello  grande  di  bron- 
zo e  varii  vasetti  di  terracotta  con  vernice  nera  di 
poca  importanza. 

Volendo  prendere  norma  dal  gran  numero  di  mo- 
nete appartenenti  a  Fislelia  ,  ivi  raccolte  ,  pare  che 
la  positura  di  questa  vetusta  città  dovesse  essere  piutto- 
sto sila  nel  Sannio  che  altrove,  come  già  pensarono 
molli  archeologi  che  soslennero  la  medesima  opinio- 
ne ;  dappoiché  essendo  il  luogo  in  parola  un  sepol- 
creto, dovea  certo  trovarsi  poco  discosto  da  una  cit- 
tà ,  di  cui  sebbene  non  esiste  alcun  rudero  non  può 
aversene  dubbio.  Imperocché  tale  è  la  condizione  di 
quasi  tutte  le  antiche  città  del  Sannio ,  che  non  ne 
rimangono  più  vestigia  ,  e  tra  le  altre  di  Larino  nei 
Frentani ,  di  cui  oltre  a  pochissimi  avanzi  del  solo 
anfiteatro  ,  non  esiste  rudero  alcuno. 

Questa  medesima  considerazione  sul  gran  numero 
delle  monete  di  Fistelia  ci  venne  comunicata  dal  eh. 
«gnor  Principe  di  San  Giorgio  ,  Direttore  del  Real 
Museo  Borbonico  ,  e  Soprantendente  generale  degli 
scavi  del  Regno  ,  il  quale  ne  traeva  la  stessa  conclu- 
sione ,  proponendosi  di  presentare  una  più  ampia  di- 


scussione sul  sito  dell'  antica  Fistelia ,  e  sulle  monete 
di  quella  città. 

VArchitetto-V lisse  Rizzr. 

Poche  osservazioni  sull'  articolo  precedente. 

Molto  interessante  ci  sembra  la  idea  del  eh.  signor 
Principe  di  San  Giorgio.il  quale  dal  gran  numero  di 
monete  pertinenti  a  Fistelia  ritrovate  nel  sito  delle  re- 
centi scoperte  ne  trae  la  conferma  che  queste  possano 
credersi  proprie  della  distrutta  città ,  di  cui  restano 
quei  miserabili  avanzi.  Dal  diligenlissimo  nostro  ami- 
co e  collega  signor  Ambrogio  Carabba  sappiamo  che 
trai  vasi  rinvenuti  in  questa  novella  interessante  loca- 
lità, tutti  dipinti  a  vernice  nera,  havvene  uno,  sotto  il 
cui  piede  veggonsi  graffile  le  due  lettere  sannitiche 
8B.  Per  quanto  sia  scarso  questo  elemento  sannitico, 
pure  ci  sembra  interessante  di  richiamarlo  come  uni- 
co confronto  alle  sannitiche  monete  di  Fislulis  ,  nel 
medesimo  luogo  trovate.  Ricordo  che  il  sig.  Reynier 
ebbe  già  osservato  che  le  monete  di  Fistelia  proven- 
gono più  comunemente  dal  Sannio ,  e  perciò  le  de- 
scrive appunto  sotto  quella  regione  (  Précis  d'une 
collection  de  medailles  antiques  pag.  7,8).  Un'  altra 
osservazione  ci  fornisce  la  novella  scoperta ,  ed  è  che 
le  monetine  senza  leggenda  col  leone,  e  sotto  il  ser- 
pente debbano  attribuirsi  egualmente  a  Fistelia.  Tem- 
po fa  i  numismatici  ne  fecero  quislione  ;  ma  ora  non 
più  ne  dubitano,  avuto  riguardo  alla  simiglianza  della 
fabbrica  colle  monete  cerle  di  Fistelia.  Ora  a  questa 
fortissima  ragione  si  aggiunge  ancora  il  nuovo  fatto 
della  scoperta  di  un  notabile  numero  di  tali  moneti- 
ne insieme  con  quelle  di  Fistelia  ,  come  raccogliesi 
dalla  relazione  del  signor  Rizzi.  Finora  i  numisma- 
tici non  presentarono  alcun  confronto  vicino  a  que- 
sto nome  della  Sannitica  città  di  Fislulis  ;  anzi  le  ul- 
time ricerche  fan  riportare  quelle  medaglie  a  Poz- 
zuoli, e  quindi  alla  Campania.  Io  dovrò  fra  poco  trat- 
tar più  ampiamente  una  tale  quislione  ,  quando  dovrò 
ragionare  di  alcune  monete  di  Fistelia,  di  cui  farò  la 
pubblicazione.  Per  ora  ,  a  prender  data  ,  mi  piace  di 
offrire  una  mia  osservazione  ,  per  la  quale  mi  sem- 
bra che  trovinsi  in  Livide  sole  poche  notizie  di  que« 


—  132 


sta  aulica  città.  Nella  seconda  guerra  punica  racconta 
lo  Storico  patavino ,  come  Fabio  recossi  a  devastare 
il  Sannio.  Ecco  le  precise  parole  dello  Storico  —  Fa~ 
bius  in  Samnium  ad  populandos  agros  recipiendasque 
armis,  quae  dnfecerant,  urbes  processit.  Caudinus  Sa- 
mnis  gravius  dcvaslatus  ;  perusti  late  agri ,  praedae 
pecudum  hominumque  actac  :  oppida  vi  capta ,  Cotti- 
pulletia ,  Telesia ,  Compsa ,  Mclae,  Fulfulae  ,  et  Or- 
bitanium  etc.  (  Lib.  XXIV  Cap.  XIX  ,  toni.  III.  pag. 
8Ca  edit.  Drakenborch.  ).  Il  Drakenborch  riferisce 
moltissime  varianti  nella  parola  Fulfulae.  I  varii  co- 
dici presentano  Filulae,  Fugifulae ,  Fuifulae ,  Fur- 
fulae  ,  Fursulae ,  Fiusulae ,  Fuisulae  ,  e  Fuhulae. 
Ognun  vede  quanta  incertezza  vi  sia  nello  scegliere 
la  vera  lezione  fra  nomi  tanto  diversi.  Ma  non  può 
dubitarsi  che  le  varianti  Filulae ,  Fiusulae  ,  e  Fuisu- 
lae sonu  assai  vicine  al  nome  Fistulae  delle  monete  di 
Fistelia.  Così  Io  scrittore  latino  e  le  monete  si  danno 
una  vicendevole  luce.  Il  Fiusulae  di  Livio,  che  non 
ha  riscontro  né  negli  antichi  scrittori  nò  ne'  monu- 
menti, paragonato  col  Fistulis  delle  medaglie,  che  pur 
non  aveva  confronto  alcuno  ,  trova  una  probabile 
spiegazione  ,  ed  emenda ,  polendo  ormai  sostituirsi 
la  lezione  Fislulae  a  quella  tanto  variabile  e  diversa. 
E  qui  mi  piace  di  osservare  che  il  Trutta  traendo  dal 
luogo  di  Livio  che  Fuisulae  ,  siccome  egli  lo  appel- 
la ,  appartenne  a'  Sanniti  Caudini ,  ne  riconobbe  i 
ruderi  presso  Faicchio  a  poche  miglia  da  Telese  (  Trut- 
ta Ant.  Alti  fané  p.  261  );  nel  che  è  pur  seguito  dal 
eh.  Corcia  (Storia  delle  due  Sicilie  tom.  1  p.  347). 
Ma  noi  non  crediamo  necessario  il  supporre  che  tutte 
le  città  mentovate  da  Livio  fossero  de'  Sanniti  Cau- 
dini; giacché  egli  avea  prima  parlato  generalmente 
del  Sannio ,  e  delle  devastazioni  e  delle  conquiste 
delle  Sanuitiche  città.  Se  fa  in  seguito  la  considera- 
tone che  i  Caudini  ebbero  a  soffrire  più  acerbamen- 
te ,  non  è  però  da  dubitare  che  le  devastazioni  e  gli 
assalti ,  di  cui  ragiona  in  appresso  ,  sono  applicabili 
a  tutta  la  regione.  Ciò  posto  :  se  l' Olstenio  riportò 
Furfulae  alla  regione  degl'  Irpini  (  adnot.  ad  Cluver. 
p.270  ),  ci  crediamo  autorizzati  anche  noi  a  situarla 
nella  nuova  località  vicina  al  comune  di  Toro  ,  di 
cui  è  detto  nella  precedente  relazione.  Non  vogliamo 


intanto  tralasciar  di  notare  che  della  medesima  città 
trovasi  fatta  menzione  nell'  epitome  di  Giulio  Floro, 
ove  pure  si  osserva  ne'  codici  diversità  di  lezione.  Par- 
landosi della  guerra  sociale  notasi  la  piena  distruzione 
di  talune  città  principalmente  del  Sannio  »  Ecce  Ocri- 
culum,  ecce  Grumentum,  ecce  Faesulàe  ,  ecce  Carseoli 
Aesernia  Nuceria  Picenlia  penilus  ferro  et  igne  va- 
stantur  (  III ,  18  ).  Così  riportasi  nella  più  recente 
edizione  del  eh.  Iahn  ,  pag.  84  ;  ma  nelle  note  si  av- 
verte come  nel  codice  segnalo  colla  lettera  B,  si  leg- 
ge pessulae.  Ecco  dunque  senza  dubbio  ricordata  la 
stessa  sannitica  citlà,  nella  quale  noi  riconosciamo  la 
Fistulis  delle  monete.  E  così  la  Storia  di  Fistelia  sa- 
rebbe compiuta  ,  sapendosi  com'  essa  dopo  aver  su- 
bita una  prima  devastazione  da'  Romani  a  tempi  della 
guerra  Annibalica,  fu  poi  quasi  totalmente  distrutta 
all'epoca  della  guerra  sociale. 

MlNERVINI. 

Brevi  osservazioni  su  dipinti  di  alcune  tombe 
di  Albanella. 

Ricorderanno  i  lettori  del  presente  bullettino  la 
notizia  data  dall'egregio  architetto  signor  Rizzi  di  al- 
cune tombe  scoverte  in  Albanella  in  vicinanza  del- 
l' antica  Posidonia  (vedi  sopra  p.  93  e  s.).  Ora  avendo 
avuto  la  opportunità  di  proccurarci  i  lucidi  di  quelle 
pitture  eseguiti  dal  diligenlissimo  artista  signor  Ab- 
bate, alla  cui  gentilezza  ci  professiamo  particolarmente 
obbligati,  abbiamo  creduto  utile  presentarne  la  inci- 
sione ,  riducendoli  alla  quarta  parte  degli  originali. 
Veggonsi  le  pitture  della  prima  tomba  nella  nostra 
tavola  X,  quelle  della  seconda  e  della  terza  nella  tav. 
XI.  E  non  sarà  fuor  di  luogo  accompagnare  una  tale 
pubblicazione  con  alcune  nostre  brevi  osservazioni. 
La  scena  principale  del  primo  dipinto  (  tav.  X.  fig.  1  ) 
ci  mostra  la  protesi,  o  la  esposizione  del  cadavere 
di  una  donna  sul  funebre  letto.  Pare  che  l'ornamen- 
to visibile  presso  a'  piedi  della  defunta  non  apparten- 
ga a'  tibiali ,  ovvero  calze ,  ma  sibbene  alla  tunica  , 
vedendosi  assai  somigliante  a  quello  della  tunica  del- 
l'altra donna  stante  in  mesto  atteggiamento.  Di  fatti 
il  bianco  panno  che  tutta  ricopre  la  estinta  trova  il 


—  133- 


confronto  ne'  simili  drappi  che  avvolgono  i  defunti 
su'bassirilievi  etruschi  (Micali  monum.  5C;Inghirami 
moti.  elr.  VI,  tav.  7, 2),  e  principalmente  nel  bianco 
panno  osservabile  in  un  bellissimo  vaso  ateniese  of- 
frente egualmente  la  protesi ,  illustrato  dal  mio  eh. 
amico  signor  dottor  Guglielmo  Henzen  (  Mon.  ined. 
dell' hi.  voi.  IH  tav.LX,  v.  annali  voi.  XV  p.  276  s.). 
Vedi  sulle  bianche  vesti  de' cadaveri  i  classici  luoghi 
di  Plat0neZ.e3.XlI  p.947,di  Pausania  IV,13, 1,  di  Plu- 
tarco de  aud.  poèt.  6;  cf.  Hermann  griechische  Antiquii. 
tom.III  p.200.  n.7,  Becker  Charikles  tom.II  p.88,89 
edit.  Hermann.  Son  da  vedere  citati  presso  del  signor 
Henzen  varii  monumenti  colla  esposizione  del  morto  ; 
tra'  quali  è  certamente  notabilissimo  il  vaso  del  nostro 
Real  museo  col  mito  di  Archemoro,  nel  quale  il  gio- 
vinetto figlio  di  Euridice  vedesi  egualmente  collocato 
su  funebre  letto,  mentre  gli  si  preparano  intorno  le  fu- 
nebri cerimonie.  Intanto  sembraci  importante  il  no- 
tare che  la  tomba  di  Albanella  presenta  una  scena 
rarissima  nelle  pitture  delle  tombe ,  unica  se  si  pon 
mente  a' dipinti  de' greci  sepolcri.  Le  tre  donne  ,  che 
in  varie  attitudini  stanno  intorno  alla  defunta  mostran- 
do con  ciò  il  loro  cordoglio,  senz'alcun  dubbio  sono 
intese  alla  conclamazione  solita  a  farsi  appunto  dalle 
donne  in  simili  circostanze  di  lutto.  Ed  è  certamente 
un  bellissimo  confronto  al  dipinto  di  Albanella  il  so- 
pra citato  vaso  di  Atene ,  nel  quale  si  veggon  pure 
alcune  donne  occupate  al  funebre  canto.  Vedi  Henzen 
1.  e.  p.  282.  Noi  già  riconoscemmo  una  simile  intel- 
ligenza di  funebri  lamenti  nelle  femminili  figure  di 
non  poche  Appule  urne  di  terracotta  ,  ove  ravvisam- 
mo assolutamente  una  sepolcrale  destinazione  [Mon. 
ned.  di  Barone  pag.  72,  s.  )  ;  e  citammo  a  proposito 
i  cori  delle  antiche  tragedie  greche ,  nelle  quali  le 
donne  sollevano  lugubri  canti  al  suono  della  tibia. 
Anche  nel  nostro  dipinto  di  Albanella  accompagna 
certamente  il  canto  il  tibicine  in  barbarico  vestimen- 
to ,  e  munito  di  cpop/3f/à,  o  capislrum.  Al  qual  pro- 
posito vuoisi  notare  che  il  tibicine  osservasi  frequen- 
temente negli  antichi  monumenti  greci  col  berret- 
to ,  e  con  vestimenti  proprii  di  straniere  nazioni 
(  Braun,  negli  Annali  dell'  hi.  Voi.  Vili  p.  65).  E 
così  appunto  comparisce  nel  dipinto  di  che  ragionia- 


mo: il  pare  che  possa  attribuirsi  alla  condizione  servile 
di  simili  personaggi.  Sono  di  fatti  ben  conosciuti  i  bar- 
barici vestimenti  degli  asiatici  schiavi  presso  i  Greci: 
e  mi  contenterò  di  notare  i  pedagoghi  che  in  somi- 
gliante costume  si  veggono  frequentissimamente  sui 
vasi  dipinti  :  del  che  si  legga  quel  che  altrove  fu  da 
noi  notato  in  questo  medesimo  bulleltino  (an.  II.  pag. 
58,  segg.).  Una  osservazione  bisogna  non  pertanto  ag- 
giungere in  rapporto  al  nostro  tibicine;  ed  è  ch'egli  of- 
fre l'aspetto  ed  il  costume  frigio.  Ora  è  ben  conosciuto 
che  la  invenzione  stessa  della  tibia  si  riferisce  appun- 
to alla  Frigia  (Lobeckh  Aglaophamus  p.  298).  E  que- 
sto può  dar  la  spiegazione  dell'uso  di  attribuire  a'  ti- 
hicini  asiatici  vestimenti ,  quasi  convenienti  a  colore 
che  si  tenevano  addetti  a  suonare  quel  frigio  istru- 
mento.  E  per  quel  che  concerne  particolarmente  i 
funerali ,  ricordiamo  che  i  Frigi  erano  adoperati  ap- 
punto a  questo  ufficio  ;  così  ne  avverte  lo  Scoliaste  di 
Eschilo  :  ol  -yàp  Mwoi  xcù  oì  <&puys;  \xxki<z%  dai  Sp?]- 
vrjTjxo/  (ad  Pers.  v.1054).  Ed  è  pur  da  ricordare  che 
la  stessa  nenia  lugubre  è  qualificata  da  Polluce  di  Fri- 
gia :  rò  $ì  vy|v/*Tov  W*  fx;v  tyóyiov  (lib.  IV.  sez.  79). 
Ma  vi  ha  di  più  che  Stazio  ne  avverte  avere  i  Frigii 
introdotto  il  costume  della  funebre  tibia  ne'  funerali 
di  Archemoro  : 

Tum  signum  luclus  cornu  grave  mugil  adunco 
Tibia,  cui  teneros  suelum  traducere  manes, 
Lege  Phrygum  moesta.  (Theb.  lib. VI  v.120  segg.). 
Sicché  la  tibia,  che  vedesi  in  bocca  all'asiatico  suo- 
natore nel  dipinto  di  Albanella,  è  l'xuXòi  SpY|V7,T<xòs, 
invenzione  de'  Frigi  mentovata  dallo  stesso  Polluce 
(  lib.  VI  segm.  75  ).  Su  di  che  si  vegga  il  Fabro 
(  scmestr.  lib.  3  cap.  2),  ed  il  Kirchmanno  (de  funeribus 
Roman,  lib.  II  cap.  VI  ),  ov'  è  illustrato  il  costume 
pur  de'  Romani ,  tratto  probabilmente  da'  Greci  di 
cantare  le  funebri  nenie  al  suon  della  tibia.  Se  non 
che  questo  ufficio  era  presso  i  Greci  affidato  sovente 
alle  congiunte  ed  amiche  dello  estinto,  e  non  sempre 
alle  prefiche  prezzolate  ;  siccome  interveniva  presso  i 
Romani.  Su  questo  pianto  delle  donne  a  suon  di  tibia 
veggasi  pure  Hermann gr.Antiq.p.  201  e  seg.  n.  21. 
22  ,  Becker  Charikles  tom.  II  pag.  92  e  segg.  edit. 
Hermann.  Platone  parla  di  persone  prezzolate  che 


—  134  - 


accompagnavano  il  morto  con  Carica  canzone  (Kap/x9j 
rtvt  ixova-%)  leg.  VII  p.  800.  Ma  pare  che  debba  in- 
tendersi de' soli  tibicini  ,  quando  si  confronta  col- 
Va.uXr/x.9.  Kapfxòt-  di  Polluce  IV,  75. 

Non  serve  il  dire  che  l'unguentario  poggiante  sul  le  - 
to  accenna  alle  solite  unzioni  del  cadavere  tanto  usi- 
tate  dagli  antichi,  probabilmente  a  Gne  di  evitare  il 
cattivo  odore  ,  che  necessariamente  esala  da  un  cor- 
po privo  di  vita.  Vedi  su  di  ciò  un  notabile  luogo 
di  Luciano  de  luclu  §.11,  ove  si  mentova  pur  la  co- 
rona. Cf.  Hermann  grìcch.  Antiquii.  voi.  Ili  p.  200 
n.  5-6,  Becker  Charikks  tom.II  p.  87  seg.  ed.  Her- 
mann. Notevole  è  la   figura  della  donna  sedente  , 
che  tien  preparata  laf  funebre  corona  ,  da  cinger- 
si al  capo  della  defunta  ,  secondo  antichissima  con- 
suetudine. Vedi  la  dotta  dissertazione  dell'  Avellino 
sulla  celebre  corona  d'  oro  di  Armento,  inserita  nel- 
le memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese  tom. 
1  pag.207  e  segg.  Nel  vaso  Ateniese  sopra  accennato 
la  corona  vedesi  già  circondare  la  testa  della  estinta, 
mentre  le  donne  conlinuano  i  funebri  lamenti.  Al- 
l'opposto  nel  vaso  dell' Archemoro  una  donna  è  sul 
punto  di  coronare  il  capo  dello  spento  fanciullo.  Nel 
dipinto  di  Albanella  questa  cerimonia  succederà  alle 
lugubri  canzoni.  Intanto  questa  donna  sedente  ci  sem- 
bra da  paragonare  colla  donna  egualmente  seduta  nel 
più  volte  citalo  vaso  di  Atene ,  nella  quale  il  eh. 
Henzen  volle  riconoscere  lamoglieolamadre  del  de- 
funto (  l.  e.  p.  282  ).  Il  confronto  del  dipinto  di  Al- 
banella ci  dimostra  poco  autorizzata  una  simile  deter- 
minazione ;  non  potendo  affalto  pensarsi  alla  mede- 
sima idea.  La  corona  tenuta  da  questa  donna ,  atteso 
il  suo  rosso  colore  ,  potrebbe  riputarsi  una  di  quelle 
corone  di  nobili  metalli  ,  che  s' imponevano  tanto 
spesso  al  capo  de'  defonti ,  specialmente  nelle  greche 
costumanze:  sulle  quali  oltra  le  cose  dette  dall'Avel- 
lino nella  sopra  citata  dissertazione,  vedi  pure  le  cose 
da  me  notate  (lapida  napol.di  Tetlia  Casta  pag.2 1  ,seg.), 
a  proposito  della  corona  di  oro  decretata  alla  napo- 
litana  sacerdotessa  Teltia  Casta.  Pausania  parla  ,  in 
rapporto  alla  protesi ,  della  bianca  veste  e  della  co- 
rona di  oro:  IV,  13,  1.  Intanto  la  donna  sedente  nel 
dipinto  di  Albanella  presenta  due  Dotevoli  particola- 


rità. Son  questi  i  piedi  nudi ,  e  le  dita  della  sinistra 
mano  conformate  a  corna  ;  gesto  di  nota  significazio- 
ne appo  di  noi,  ma  di  difficile  intelligenza  in  un  mo- 
numento antico.  Ricordo  solo  a  questo  proposito  che 
la  mano  trovasi  non  poche  volle  adoperata  su' funebri 
monumenti  segnatamente  Romani;  ma  pare  che  sia  in 
una  particolare  intelligenza,  che  non  ha  nulla  che  fare 
colla  conformazione  della  mano  cornuta.  Quesla  non 
trova  confronti  scritti,  sebbene  sia  stata  non  poche 
volte  ravvisata  ne'monumenti  antichi (v.  Jorio  mimica 
degli  antiche  p. 89-120).  E  parci  che  la  pittura  di  Al- 
banella ce  ne  offra  un  novello  esempio  ;  sebbene  non 
possa  compiutamente  intendersene  la  significazione.  In- 
tanto sulla  mano  ne'  monumenti  funebri  ,  e  sulla  ma- 
no cornuta,  vedi  pure  ciò  che  di  recente  ha  dottamen- 
te raccolto  il  mio  eh.  amico  signor  professore  lahn 
iiber  den  Abcrglauben  des  bdsen  Blicks  bei  den  Alien 
ne' Berichte  der  Kónig.  Sàchs.Gesellschafl  der  Wissen- 
schaflen  1855  pag.  53-58.  Non  sembra  da  ravvisare 
in  questa  figura  una  dea  ,  che  prepari  alla  estinta  la 
corona  della  immortalità,  non  potendo  a  ciò  indurci 
neppure  l' ornamento  della  sua  testa ,  che  presso  a 
poco  simile  si  riscontra  nella  defunta  ed  in  una  del- 
le due  donne  stanti.  La  figura  più  dignitosa  ed  or- 
nata è  quella  con  rossa  veste  con  fregio ,  e  distinta 
da  collana ,  la  quale  si  duole  a'  piedi  del  funebre 
letto.  Le  altre  tre  tutte  in  bianche  vesti  credersi  po- 
trebbero individui  meno  degni  della  famiglia,  proba- 
bilmente ancelle,  che  accompagnano  il  duolo  della 
madre  forse  o  della  sorella  della  estinta.  Comunque 
sia:  le  pendenti  corone,  e  la  tenia  regolarmente  so- 
spesa in  alto  sulla  defunta  accennano  al  funereo  ap- 
parato ,  colla  intenzione  di  apoteosi  e  d'immortalità. 
I  corti  capelli ,  ravvisabili  principalmente  nella 
donna  che  quasi  tocca  l'estinta,  sono  riferibili  al  ta- 
glio della  chioma  indizio  di  lutto ,  che  vien  ricorda- 
to da  molte  autorità  ,  e  che  non  di  rado  riscontrasi 
ne'  monumenti.  Non  havvi  alcun  dubbio  che  il  se- 
polcro appartenne  ad  una  donna.  Apparisce  sema 
dubbio  femminile  la  figura  distesa  sul  funebre  letto. 
Questa  osservazione  rende  meno  facile  la  spiegazione 
del  guerriero  a  cavallo  co'  militari  arnesi ,  e  della 
pugna  di  varii  altri  guerrieri  armati  di  asta  ,  della 


—  135  — 


quale  si  mostrano  tuttavia  alcune  tracce.  Non  essen- 
do possibile  trarre  ad  alcuna  convenevole  spiegazio- 
ne queste  guerriere  scene  messe  in  rapporto  colla  se- 
poltura di  una  donna  ;  io  son  di  opinione  che  debba 
Btipporsi  nella  medesima  tomba  sepolto  un  guerriero, 
eh'  ebbe  strette  relazioni  colla  defunta ,  e  di  cui  si 
effigiarono  le  militari  imprese  ,  per  serbarne  la  me- 
moria. Così  vedesi  un  bel  contrapposto  tra  il  placido 
sonno  di  morte  di  una  delicata  persona ,  e  la  vita  at- 
tiva ed  operosa  di  un  forte  uomo  dedito  al  duro  e 
faticoso  mestiere  delle  armi.  E  non  saprei  diffinire  , 
se  il  pugnace  gallo ,  di  cui  apparisce  solo  una  parte, 
messo  a  rincontro  del  guerriero  che  riede  dalla  bat- 
taglia, faccia  allusione  agli  esercizii  di  Marte,  ovvero 
al  corso  della  vita  umana  come  allusivo  alla  misura 
del  tempo  e  delle  ore  (vedi  le  cose  notate  nel  II  anno 
di  questo  bulhllino  pag.  106,  seg.).  11  cavaliere  par 
che  ritorni  finalmente  fralle  pareti  della  sua  casa,  dopo 
aver  superato  i  perigli  di  sanguinosa  mischiai  E  questo 
fatto  ha,  per  rapporto  ad  un  estinto,  la  più  alla  intelli- 
genza del  raggiungere  la  felicità  dopo  le  guerre  e  le  lotte 
subite  dall'uomo  nella  mortale  esistenza.È  stato  soven- 
te notato  come  il  funebre  cavallo  trasportatore  delle 
anime  accenni  a  questo  fortunato  passaggio.  Alla  qua- 
le significazione  non  sembra  disconvenire  la  idea  che 
sorge  dal  contrasto  de' funebri  ludi;  quale  si  è  cer- 
tamente nel  dipinto  di  Albanella  la  lotta  impegnata 
tra  due  dissimili  atleti ,  uno  de'  quali  fu  bene  dal  si- 
gnor Rizzi  determinato  per  africano.  Tale  di  fatti  ap- 
parisce e  dalla  fosca  carnagione  della  sua  pelle ,  e 
dalla  formazione  medesima  del  suo  viso.  Le  manicete 
o  hsìX<x<xi  date  a'  nostri  pugilalori  sono  di  uso  an- 
tichissimo appo  i  Greci,  come  ne  fa  sapere  Pausauia 
(  lib.  Vili ,  40:  cf.  Philostr.  vspì  yuixva<rr,  pag.  23 
ed.  Kayser):  e  noi  ne  citammo  pure  alcuni  esempli 
da'  vasi  dipinti  (Tischbein  voi.  1  tav.  56  ;  Panofka 
mus.  Blacas  p.  XI  ) ,  a  confronto  della  classica  urna 
di  bronzo  rinvenuta  nell'antica  Capua,ove  si  osserva 
una  simile  particolarità  (mon.  ined.  di  Barone  p.  131 
segg.).  E  qui  ci  sia  lecito  proporre  una  nostra  idea 
a  spiegazione  di  questa  singolare  lotta  fra  un  perso- 
naggio di  elleniche  forme  ed  un  Africano.  Noi  ben 
conosciamo  che  Alcide,  quell'eroe  che  fu  tipo  pu'Greci 


di  qualunque  atletica  gara,  ebbe  una  volta  a  contrastare 
coli' Africano  Anteo,  che  superò  poi  sollevandolo  con 
insolita  forza  dal  suolo.  La  mancanza  totale  di  qualun- 
que simbolo  erculeo  pare  allontanar  la  idea  che  si  fosse 
di  fatti  effigiata  quella  mitica  lolla.  Ma,  ove  non  voglia 
ritenersi  che  le  armi  di  Alcide  sieno  perdute  insieme 
con  una  gran  parte  di  queste  dipinte  pareti ,  sarà 
sempre  una  probabile  conghicttura,  che  nella  esecu- 
zione de'  funebri  ludi ,  a'  quali  vuoisi  almeno  riferire 
questa  scena  di  pugilato,  si  commettesser  fra  loro  un 
greco  ed  un  africano  quasi  novella  coppia  di  Ercole 
e  di  Anteo,  perchè  provassero  fra  loro  le  forze. 

Questa  nostra  idea  vogliamo  che  si  abbia  come  una 
semplice  conghicttura  ;  giacché  non  essendo  conser- 
vate tutte  le  pareti  della  tomba ,  non  può  da  quel  che 
rimane  formarsi  un  sicuro  giudizio  delle  scene  tutte 
che  vi  erano  effigiate.  Solo  aggiungiamo  che  ,  rite- 
nendosi Ercole  combattente  con  Anteo  ,  può  con 
questa  lotta  accennarsi  pure  al  contrasto  dell'essere 
benefico,  simboleggiato  da  Alcide,  con  i  malefici  prin- 
cipii  indicati  generalmente  da  tutti  que'  personaggi 
che  furono  vinti  e  superati  da  quell'  eroe. 

Nella  nostra  tav.  XI  veggonsi  alcune  delle  pitture 
che  fregiano  il  secondo  sepolcro,  come  sono  i  gam- 
bali e  la  galea  n.  4  e  5 ,  i  residui  di  una  figura  a  ca- 
vallo n.  3,  ed  il  singolare  lottatore  n.  2.  Dalle  rap- 
presentazioni guerriere  in  parte  da  noi  pubblicate  in 
parte  descritte  dal  signor  Rizzi ,  non  che  dall'  arma- 
tura di  bronzo  rinvenuta  presso  al  defunto,  viene  a 
conghietturarsi  che  fosse  la  tomba  di  un  uomo  de- 
dito alla  professione  delle  armi.  E  la  virile  figura  suo- 
nante la  doppia  tibia  ,  accennata  dallo  stesso  signor 
Rizzi ,  crediamo  abbia  lo  stesso  significato  della  fri- 
gia e  funebre  cantilena;  sebbene  nulla  possa  raccorsi 
di  certo  in  qual  modo  fosse  accoppiata  con  gli  altri 
personaggi  di  tutto  il  dipinto.  Singolarissimo ,  come 
innanzi  dicevamo,  è  il  pugile  aggruppato  con  altra 
incerta  figura, da  noi  pubblicato  sotto  il  n.2.  Le  tenie 
sospese  a'  due  lati  ne  limitano  la  rappresentazione. 
Intanto  è  notevole  la  conformazione  del  pugile  la  cui 
grossa  pancia  ed  il  fallo  pendente  ne  ravvicinano  il 
soggetto  a  quelle  comiche  scene,  che  incontriamo  non 
poche  volte  ne' vasi  dipinti  ed  in  altri  monumenti. 


—  136  — 


aiutili  comiche  rappresentazioni,  ove  spesso  si  vede 
il  fallo  delle  virili  figure,  sono  da  vedere  nel  Wieseler 
Theatcrgeb&ude  tav.  VI  e  IX ,  ed  Annali  dell'Istituto 
di  coir.  Archeol.  toni.  XXV pag.  29  esegg.  tav.  d'agg. 
A-B,  C-D,  E;  nel  Geppert  die  altgriechische  Buhne 
tav.  IV  e  segg.;  ne\Y  Arch.  Zeitung  di  Berlino  1849 
tav.  V,  2p.  43,  44;nelLenorrnant  quaest.  cur  Plato 
Aristophanem  in  convivium  induxeril,  Parigi  1338;  cf. 
la  memoria  del  cav. VaaoikaParodienundKarikaturen 
aufWerkender  Klassischen  Kunst  esiratta  dalle  memo- 
rie della  Reale  Accademia  di  Berlino  per  l'anno  1851). 
Noi  non  intendiamo  di  indovinare  la  significazione  di 
questa  dipintura,  o  se  possa  aver  rapporto  a  qualche 
noto  scherzo  comico  dell'antichità;  ma  solo  vogliamo 
osservare  che  il  vedere  una  somigliante  scena  adope- 
rata ad  ornamento  di  un  sepolcro  ci  fa  allontanare 
qualunque  obbiezione  poteva  da  taluno  desumersi  con- 
tro la  destinazione  funebre  de'vasi  dipinti  da  tali  scher- 
zevoli rappresentazioni.  L'  antichità  offre  alcune  sin- 
golarità ,  che  non  possono  compiutamente  spiegarsi  : 
ed  il  ravvicinamento  de'  varii  monumenti  fra  loro  è 
la  più  sicura  via  per  eliminare  le  preconcette  opinio- 
ni,e  per  indagare  l'ascosa  intelligenza  di  certi  soggetti. 
Il  n.  1  della  nostra  tav.  XI  presenta  1'  unica  pit- 
tura superstite  della  terza  tomba  :  e  questa  ci  offre  la 
figura  di  una  Nereide  che  valica  le  onde  seduta  so- 
pra un  cavallo  marino.  Comunque  nulla  conosciamo 
delle  pitture,  che  componevano  un  insieme  con  que- 
sta Nereide  ,  pure  possiamo  probabilmente  asserire 
che  questa  figura  ebbe  relazione  al  passaggio  delle 
anime  per  le  onde  dell'  Oceano ,  affin  di  pervenire 
alle  isole  fortunate ,  ed  a'  campi  Elisii.  Sono  fre- 
quenti ne' sepolcrali  monumenti  queste  marine  allu- 
sioni ,  ora  mostrandosi  Tritoni ,  ora  ippocampi  ed 
altri   simili  mostri  nella  medesima  intelligenza.  Io 
ebbi  la  occasione  di  richiamare  simiglianti  idee  in  al- 
tro lavoro  (  Mon.  ined.  di  Bar.  pag.  71  ).  Ora  ag- 
4i:ingo  che  simili  ornamenti  come  sepolcrali  furono 
da  me  riconosciuti  nel  sedile  semicircolare  pompe- 
jano  collocato  quasi  rimpetto  all'altro  emiciclo  di 


Mammia  (Real  Mus.Borb.  tom:XV  tav.XXV-XXVI). 
E  più  altri  esempli  se  ne  mostrano  ogni  giorno  ne' 
bassirilievi  di  stucco  messi  a  fregiar  le  tombe  di  epoca 
romana.  Nella  pittura  di  Albanella  la  femminil  figura 
trasportata  sul  dorso  dell'ippocampo  può  indicar  pro- 
priamente la  defunta  ,  che  va  a  godere  della  felicità 
a  lei  preparata  a'  confini  dell'Oceano.  E  la  medesima 
idea  dar  si  volle  nel  vaso  di  Altamura,  ora  nel  Real 
Museo  Borbonico,  colla  femminil  figura  sopra  un  ip- 
pocampo presso  a'  fiumi  dell'  Inferno  (  vedi  il  Ballet- 
tino dell' Islit.  1S51  pag.  42  ).  Ci  duole  che  i  di- 
pinti di  questa  terza  tomba  sieno  per  la  massima 
parte  distrutti  ;  giacché  si  palesano  di  stile  superiore 
a  quelli  delle  altre  tombe ,  mostrandosi  la  Nereide 
ed  il  cavai  marino  di  forme  eleganti,  qual  si  convie- 
ne ad  un'  opera  di  greca  arte.  Minore  eleganza  e  re- 
golarità di  forme  si  osserva  nelle  pitture  di  tutte  le 
altre  tombe  non  solo  nelle  figure  umane,  ma  altresì 
in  quelle  degli  animali.  Sicché  veniamo  a  conghiet- 
turare  che  questi  sepolcrali  dipinti  vennero  eseguiti 
in  un'epoca  non  tanto  antica,  e  che  si  risentano  della 
rozzezza  della  bellicosa  gente  de'  Lucani ,  che  abitava 
quei  siti.  Noi  ci  proponiamo  di  tornare  a  discorrere 
più  ampiamente  dello  stesso  argomento,  a  proposito 
di  altra  più  nobile  pubblicazione ,  che  stiamo  prepa- 
rando. Ma  sin  da  questo  momento  vogliamo  avver- 
tire che  questi  dipinti  di  Albanella  ,  ed  altri  di  siti 
vicini ,  ci  offrono  sicure  produzioni  dell'arte  lucana, 
nelle  quali  predomina  l'elemento  ellenico  ,  ma  si 
scorge  insieme  qualche  cosa  di  particolare ,  quel  fa- 
re proprio,  che  distingue  le  opere  di  una  nazione  e 
di  una  scuola  da -quelle  di  un'altra:  le  quali  diver- 
sità sebbene  non  sieno  percettibili  ad  occhi  poco  eser- 
citati ,  pure  esistono  senz'  alcun  dubbio.  E  noi  cre- 
diamo di  ravvisar  le  tracce  di  questo  stile  e  di  que- 
sta maniera  lucana  anche  nelle  pitture  vascularie  di 
quella  provenienza,  siccome  avremo  la  opportunità 
di  fare  in  altra  occasione  rilevare. 

MlNBRVINt. 


Giotto  Mishrvwi  —  Editort. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataxbo. 


BILLETTINO  ARCI1EOLOGICO  NAPOLITANI. 

NUOVA    SERIE 


N.°  68.     (18.  dell'annoili.) 


Marzo  1855. 


Recherches  sur  la  Numismalique  Judaique  par  F.  De  Saulcy,  Memore  de  V Institut,  Académie  des  Inscriptions 

et  Bcllcs-Lellres.  Paris,  Didot  '1854  in  4.  Continuazione  del  n.  65. 


Recherches  sur  la  Numismalique  Judaique  par  F.  De 
Sàvlcy,  Memore  de  V  Institut ,  Académie  des  In- 
scriptions et  Belles-Letlres.  Paris,  Didot  -1854)  in  4. 
Continuazione  del  n.  65. 

Ne' primi  anni  del  principato  di  Archelao  venne 
impressa  altra  moneta  a  nome  di  Cesare  Augusto,  la 
quale  è  come  segue  : 

KAICAP ,  scritto  al  disopra  di  un  cratere  a  due 
anse  ;  appiè  del  quale  dal  lato  d.  è  la  nota  numerica 
A,  e  dall'altro  lato  dovea  essere  la  si  gì  a  L  ora  perduta. 

)(  Foglia  di  vite  con  parte  del  tralcio.  JE.  3. 

Nel  ritto  di  questa  moneta  il  Mionnet  (Descr.  V, 
p.  552  n.  192)  ed  il  eh.  Lenormant  [Reme  num. 
1845  p.  185)  lessero  L  A;  e  A  leggesi  anche  ne'di- 
segni  del  eh.  Saulcy  (Revue  num.  1853  pi.  XI,  8: 
Rech.  pi.  Vili,  5)  :  ma  egli  pretende  che  debha  leg- 
gersi A,  e  che  la  moneta  spetti  all'anno  I  dell'im- 
perio di  Tiberio.  Ma  se  essa  spettasse  veramente  a 
Tiberio,  mancar  non  dovrebbe  il  suo  nome  ,  che  di 
fatti  trovasi  intero  od  abbreviato  in  parecchie  altre 
sue  monete  Giudaiche.  D' altronde  poi  ad  Augusto 
troppo  ben  si  conviene  il  tipo  dell'  elegante  cratere , 
cui  fa  bel  riscontro  il  pampino  della  vite ,  sapendosi 
come  Cesare  Augusto  di  conserto  con  Livia  sua  mo- 
glie, e  con  altri  della  sua  casa,  offerse  in  dono  al 
tempio  di  Gerusalemme  parecchi  bei  vasi  d'oro  fatti 
per  contenere  e  versar  vino  ne'  sacri  riti.  Filone 
(  Oper.  p.  1014  E)  ne  attesta,  che  Augusto  ixoyovoù 
TrctvoixioS  àvot.&rjAKTuiy  7ro\vrs7jJrxis  rò  hpòv  \x.M\i.rpì\ 
e  Giuseppe  Flavio  {B.  Iud.  V,  13,  6)  narra  che  Gio- 
vanni Giscala  fra  gli  altri  sacrilegi  non  si  astenne 
neppure  dalla  rapina  twv  virò  roù  Xi^aarcù  xoà  rrf 
yvyixixòs  ivrov   7n\x^-yrujy  axpa.rQZofwv .  L'anno 


poi  XXX  dell'era  Azziaca  segnato  appiè  del  cratere 
che  corrisponde  al  752  Varroniano,  ne  porge  buon 
argomento  a  credere,  che  Augusto  inviasse  que'doni 
al  tempio  poco  prima,  e  forse  li  consegnasse  in  mano 
ad  Archelao  nel  750  ,  allor  che  questi  era  per  tor- 
narsene da  Roma  a  Gerusalemme. 

Vorrei  pure  congetturare ,  che  in  Gerusalemme, 
anzi  che  in  Alessandria  d'  Egitto ,  cui  sogliono  attri- 
buirsi ,  fossero  impresse  alcune  monetine  di  bronzo 
col  nome  di  Cesare  Augusto  e  con  tipi  che  non  si 
disconvengono  alle  osservanze  della  legge  mosaica  ; 
e  segnatamente  la  seguente  : 

KAIEAP ,  scritto  negl'  interstizii  de  raggi  di  un 
astro,  con  L  M  fanno  XLJ  al  disotto. 

)(  EEBAETOE  scritto  nel  campo  del  riverso  (Se- 
slini,  mus.  Font.  P.  II  tav.  XI,  4).  /E.  3. 

Il  diritto  di  questa  monetina  trova  il  suo  perfetto 
riscontro  in  alcune  monete  Giudaiche  di  Alessandro 
Ianneo,  ove  il  nome  ebraico  Ionalhan  di  esso  lui  ve- 
desi  parimente  scritto  negl'  interstizii  di  un  astro  ad 
otto  raggi.  Né  faccia  difficoltà  la  forma  quadrata  del 
E  greco  ;  poiché  ricorre  anche  in  alcune  monete  di 
Agrippa  I  Magno,  che  altre  volte  usò  il  %  di  forma 
lunata.  L'astro  poi  può  tenersi  per  simbolo  generico 
di  prosperità;  e  fors'  anche  ricorda  l' astro  Giulio ,  o 
sia  Dioneo,  che  rifulse  in  sul  vertice  del  giovine  Ce- 
sare alla  battaglia  d' Azzio  (Virg.  Aen.  Vili ,  681  ); 
tanto  più  che  sott' esso  è  scritto  l'anno  XL  dell'era 
Azziaca,  corrispondente  al  762  di  Roma. 

Anche  il  eh.  Saulcy  (Revue  num.  1853  p.  200) 
sospettava  che  ad  officina  Gerosolimitana  spettar  po- 
tesse la  prima  delle  seguenti  cinque  monete  di  Au- 
gusto, eh'  egli  diede  imperfettamente  disegnata  e  de- 
scritta sopra  un  esemplare  logoro. 

18 


-  138- 


1.  KA1EAP.  Cornucopia  semplice. 

)(  EEBACTOE.  Ara,  nel  cui  prospedo  è  scrino  l'anno 
AH  (XXXVIII)  (Sestini,  Mus.  Hederv.  P.  Ili  p.  10 
n.4)  jE.  3. 

2.  KAIEAPOE.  Cornucopia  doppio. 

)(  EEBAETOT.  Ara ,  nel  cui  prospètto  è  scritto 
l'anno  K  (XX)  (Sestini,  Mus.  Font.  P.  II  tav.  XI,  1). 

M.  3. 

3.  KAIEAPOE,  scritto  attorno  ad  un' ara,  nel  cui 
prospetto  è  scritto  l'anno  KH  (XXVIH). 

)(  EEBAETOT,  scritto  in  due  righe  entro  una 
laurea  (mus.  Estense:  pesa  gram.  3,00).         JE.  3. 

4.  KAIEAP  scritto  in  due  righe  entro  una  laurea. 
)(  EEBAETOE.  Trireme  (Mionnet,  Descr.  T.  VI, 

p.  49  n.  35  bis). 

5. KAISAPOS scritto  in  duerighe  entro  una  laurea. 

)(  SEBAXT...  Ara  rotonda  ornata  di  encarpo  e  po- 
sta di  mezzo  a  due  arbori  (Mionnet  Le.  n.35).  JE.  3. 

Il  cornucopia,  e  la  laurea  racchiudente  l'epigrafe, 
sono  tipi  ricorrenti  in  monete  degli  Asmonei  e  de- 
gli Erodiadi.  L'ara  può  appellare  ai  proventi  costituiti 
da  Augusto  sopra  le  proprie  sue  rendile  pel  mante- 
nimento del  culto  e  de'quotidiani  sacrifici  nel  tempio 
Gerosolimitano  (Philo  oper.  p.  1035,  1036).  La  tri- 
reme può  riferirsi  all'approdo  di  Augusto  alla  spiag- 
gia della  Siria  nell'anno  734  di  Roma,  ove  fu  in- 
ronlrato  ed  ossequiato  da  Erode  Magno  (  Flav.  Ant. 
XV,  10,  3:  Dio,  LIV.7).  Quella  poi  che  il  Mionnet 
l'hiama  ara  posta  fra  due  arbori  sarà  anzi  la  porla 
della  casa  di  Augusto,  che  nelle  monete  di  L.  Cauinio 
Gallo  (ove  parimente  fu  da  qualcuno  presa  per  ara) 
vedesi  posta  fra  due  arbori  di  lauro  (  Borghesi  Dee. 
XIII,  oss.  5,  10);  sì  che  anche  questa  moneta,  pro- 
babilmente Giudaica  ,  può  credersi  impressa  intorno 
all'anno  736  di  Roma. 

Fra  le  monete  Giudaiche  di  Giulia  Augusta ,  im- 
presse sotto  l'impero  del  figliuolo  suo  Tiberio,  sono 
assai  notevoli  le  tre  seguenti. 

1.  IOTAIA  scritto  entro  una  corona. 

)(  L  A  ,  L  A ,  Urna  a  due  manichi  e  coperchiata. 

m.  3. 

2.  IOTAIA.  Grappolo  con  parte  del  suo  tralcio. 

)(  L  A.  Urna  come  nella  prec.  n.  1.  /E.  3. 


3.  IOTAIA,  scritto  in  due  righe  entro  una  corona. 

)(  L  r ,  L  <?.  Tre  fori  di  narciso ,  che  emergono 
dallo  slesso  stelo.  JE.  3. 

L'urna  a  due  manichi  e  coperchiata ,  cui  fa  riscon- 
tro il  pampino  di  vite ,  oppure  una  corona ,  veri- 
similmente  ne  pone  sott*  occhio  la  forma  di  uno  dei 
vasi  pel  vino  sacro,  àxpa.ro$épu>v,  offerti  da  Livia  in 
dono  al  tempio  di  Gerusalemme  (  Flav.  B.  Iud.  V , 
13,  6).  Il  triplice  fiore  emergente  da  un  unico  stelo 
suol  dirsi  di  giglio ,  ma  non  pare  altrimenti  tale,  se- 
gnatamente in  riguardo  a  quella  parte  sua  rigonfia  al 
disotto  del  calice,  che  è  anzi  distintivo  tutto  proprio 
del  narciso.  Fra  le  diverse  figure  del  narciso  datene 
dal  Mattioli ,  che  le  ritrasse  dal  vero  ,  ve  n'ha  una 
(n.  Vili)  assai  somigliante  al  triplice  fiore  delle  mo- 
nete di  Giulia  Augusta.  Ella  ,  per  legato  di  Salome 
sorella  di  Erode  Magno,  possedeva  l'amenissima  con- 
valle denominata  Fasaélide  (Flav.  Ant.  XVIII,  2,2), 
nella  quale  fra  gli  altri  bei  fiori  proveniva  il  rubem 
liliutn,  lodatissimo  dopo  quello  di  Antiochia  e  di  Lao- 
dicea  (  Plin.  XXI ,  1 1 ,  2  )  :  e  polea  parimente  pro- 
sperarvi una  specie  di  narciso  assai  pregiata ,  forse 
quella  che  da  Virgilio  è  detta  (Ed.  V,  38:  Cir.  96) 
narcissus  purpureus  suave  rubens. 

In  una  delle  monete  Giudaiche  dell'  anno  XVI  di 
Tiberio  ricorre  un  vaso,  che  dai  numografi  fu  detto 
Simpulum  o  Capeduncula  ;  ma  pare  tutt'  altra  cosa  , 
poiché  ne'  disegni  del  eh.  Saulcy  e  d' altri  ha  corpo 
tondeggiante,  fondo  piano,  e  manico  che  partendo  da 
un  lato  dell'  orlo  suo  superiore  s' alza  verticalmente 
e  poi  si  ripiega  in  direzione  quasi  orizzontale  ;  e  di 
più  talora  appare  coperchiato.  Il  eh.  sig.  cav.  Promis 
poi  mi  avverte,  che  nelle  monete  originali  del  r.  mu- 
seo di  Torino  il  manico  di  detto  vaso  non  si  ripiega 
mica  ad  angolo  retto ,  come  parrebbesi  dai  disegni 
del  eh.  Saulcy  ,  ma  sibbene  ad  angolo  ottuso.  Il  cb. 
Saulcy  segue  a  chiamarlo  capeduncula ,  come  lo  chia- 
mava io  pure  prima  di  averne  veduto  la  vera  forma 
in  disegno;  ma  un  vaso  di  cotal  forma,  e  talora  for- 
nito di  coperchio  emisferico,  non  può  altrimenti  dirsi 
capeduncula.  Fra'  diversi  vasi  antichi  Romani  non  mi 
ricorda  averne  giammai  riscontrato  alcuno  di  cotal 
forma  ;  onde  parmi  assai  verisimile ,  che  sia  questo 


—  139  - 


uno  de' vasi  sacri  del  tempio  Gerosolimitano,  e  pro- 
babilmente uno  dei  vasi  d'oro  offerto  al  tempio  stesso 
da  Tiberio ,  o  da  Giulia  Augusta.  Tolta  pertanto  di 
mezzo  la  capeduncula  Romana  sacrificale,  non  rimane 
più  nelle  monete  Giudaiche  altro  tipo  disdicevole  alle 
osservanze  legali,  che  quello  del  lituo  augurale,  che 
non  saprei  come  escusare,  e  che  par  riferirsi  al  sin- 
golare trasporto  di  Tiberio  per  le  vane  osservanze  au- 
gurali (Flav.  Ant.  XVIII,  6,  9  :  Suet.  Tib.  72).  Al- 
l' anno  li  e  III  della  prima  guerra  Giudaica  contra  i 
Romani  molto  ragionevolmente  il  eh.  Saulcy  riporta 
due  delle  monete  di  piccolo  bronzo ,  che  da  prima 
attribuivansi  a'  tempi  di  Simone  Asmoneo.  Lo  stile  , 
la  fabbrica  ed  il  peso  loro  assai  bene  confrontano  con 
le  monete  certe  Giudaiche  dell'anno  V.  di  Nerone. 
L'  epigrafe  ebraica  in  lettere  samaritane  viene  a  dire: 
Anno  secondo,  anno  terzo  della  libertà  di  Sion.  La 
stessa  voce  misnica  fllin,  Cheruth,  che  male  si  con- 
veniva a' tempi  de' Maccabei ,  assai  bene  si  addice  a 
quelli  della  suddetta  guerra  Giudaica,  e  parimenti  ai 
giorni  di  Barhokeba.  I  tipi  poi  del  cratere  a  corpo 
baccellato,  e  del  pampino  della  vite,  o  si  riferiscono 
alla  letizia  de'Giudei  per  la  ricuperata  libertà,  ovvero 
al  cullo  sacro  del  tempio,  i  cui  vasi,  almeno  in  parte, 
erano  per  appunto  a  corpo  baccellato  fépòuiais  xve- 
yìyXvTrrQ  (Flav.  Ant.  XII,  2,  9). 

Il  melilo  precipuo  dell'opera  del  eh.  Saulcy  con- 
siste nell'avere  rivendicato  a  Simone  Barkokeba,ed 
al  tempo  della  seconda  guerra  Giudaica,  molte  delle 
monete  che  attribuivansi  da  prima  a  Simone  Asmo- 
neo. 11  dotto  accademico  Francese  Henrion  ,  fin  dai 
primi  anni  del  secolo  scorso ,  avea  asserito ,  che  a 
Barkokeba  spettano  tutte  le  monete  antiche  ebraiche 
portanti  il  nome  di  Simone  (Aead.  des  Inscr.  t.  Ili, 
hist.  p.  184):  ma  non  fu  creduto ,  e  non  avea  forse 
gli  argomenti  ed  i  sussidii  prodotti  a  questi  ultimi  an- 
ni dai  chh.  Saulcy  e  Lenormant.  Di  tutte  le  monete 
Giudaiche  d'  argento  del  peso  di  una  dramma ,  che 
credevansi  quarti  di  siclo,  ed  impresse  da  Simone  A- 
smoneo,  si  conoscono  oggimai  esemplari  che  riten- 
gono qualche  vestigio  di  lettere  latine  o  greche, odi 
tipi  primitivi,  donde  chiaro  si  pare  che  sono  altret- 
tanti denarii  romani  o  dramme  greche  imperiali  re- 


cuse  dopo  i  tempi  di  Vespasiano  e  di  Traiano  ;  si  che 
è  posto  fuor  d'ogni  dubbio  che  spettano  a  Barkoke- 
ba, e  ch'egli  si  nomò  veramente  Simone.  A  Simone 
Asmoneo  attribuivansi  pure  parecchie  monete  di  bron- 
zo aventi  da  una  parte  un'epigrafe  ebraica,  che  vale 
della  libertà  di  Gerusalemme,  attorno  ad  un  pampino 
di  vite ,  e  dall'  altra  parte  il  nome  ebraico  Simeon 
scritto  presso  un  arbore  di  palma  fruttifera.  Ora  il 
eh.  Saulcy  ha  pubblicato  una  di  colali  medaglie , 
presso  l'orlo  della  quale  nel  ritto  restano tuttor leg- 
gibili le  lettere  greche  ATT  KAI  TPA,  enei  riverso 
le  due  lettere  Eli  :  di  che  si  vede  che  colali  monete 
furono  impresse  dopo  Traiano,  e  perciò  a'  tempi  del- 
l'ultima  furiosissima  sollevazione  de'Giudei  sotto  A- 
driano  ,  servendosi  non  di  rado  di  monete  imperiali 
greche.  Questa  vien  detta  semisesterzio  dal  eh.  Saul- 
cy ;  ma  più  propriamente  direbbesi  dupondio,  al  quale 
corrisponde  sufficientemente  il  suo  peso  ,  che  oltre- 
passa di  poco  gli  undici  grammi.  Il  eh.  autore  potea 
confortare  l'importante  sua  osservazione  anche  col 
riscontro  di  un  simile  dupondio  di  Simone  Barkoke- 
ba, nel  quale  il  Sestini  ebbe  avvertite  le  vestigia  della 
testa  di  Giove  barbato  stiacciata  dal  conio  ebraico 
(Mus.  Hed.  P.  Ili  p.  117,  n.  6).  Questa  può  credersi 
un  dupondio  imperiale  delle  officine  di  Antiochia  ;  e 
quella  datane  dal  eh.  Saulcy ,  per  ragione  dell'  Eli 
dir  potrebbesi  un  dupondio  di  Traiano,  odi  Adriano, 
dell'  officina  di  Epifanea  della  Siria  ,  ovvero  di  Gaza 
della  Giudea. 

I  sicli ,  o  stateri  che  dir  si  vogliano  ,  co' tipi  del 
Lulab  e  dell'  ediOzio  (etrastilo,  attribuiti  anch' essi  un 
tempo  a  Simone  Asmoneo,  sono  da  restituire  a  Si- 
mone Barkokeba  in  riguardo  alla  voce  misnica  Che- 
ruth, al  modulo,  stile  e  peso  loro,  che  varia  da  gram. 
13,  60  a  gram.  13,  18,  mentre  che  il  peso  de' sicli 
certi  di  Simone  Asmoneo  varia  da  gram.  14,  6o  a 
gram.  14,  20.  Non  so  poi  come  il  eh.  Saulcy  non  si 
curasse  di  trar  profitto  anche  dall'astro  posto  al  disopra 
dell'  edificio  letrastilo  di  questi  sieli  per  rivendicarli 
a  Simone  Barkokeba.  Sa  ognuno  come  quell'impo- 
store fu  tenuto  per  Messia,  segnatamente  perchè  co- 
me tale  venne  riconosciuto  dal  celebre  Akiba  ,  e  co- 
me pretese  che  in  esso  lui  si  adempiva  l'oracolo  an- 


—  140  - 


fico  di  Balaam  (Xumcr.  XXIV,  lT):orìelW  stella  ex 
Jacob;  giovandosi  a  ciò  anche  del  nome  suo  Bar-ko- 
keba  ,  che  suona  in  ebraico  figlio  della  Stella ,  sia 
ch'egli  lo  portasse  fin  dall'infanzia  (come  il  primo 
Apostolo  del  Signore  quello  di  Simon  Bar- Iona),  o 
sia  che  lo  assumesse  allor  eh'  egli  fu  creato  Principe 
d' Israele,  conforme  al  costume  orientale  di  rimutare 
il  nome  alle  persone  innalzate  a  dignità  ed  autorità 
singolare  (  v.  Ackermann,  Archaeol.  Bibl.  §.  163). 
E  pare  che  quel  falso  Messia  si  compiacesse  in  modo 
speciale  del  simbolo  della  Stella;  poiché  nell'insigne 
suo  medaglione  del  museo  di  Parigi  con  l'epigrafe 
ebraica  Simone  principe  d'  Israele ,  rinchiusa  entro 
una  corona  ornata  nel  sommo  di  grande  gemma  cli- 
peata ,  il  vau  samaritano  del  nome  Simeon ,  invece 
della  solita  sua  forma ,  prende  quella  di  una  stella  a 
sei  raggi  (  Saulcy  pi.  XIII ,  8  )  ;  alla  quale  notevole 
particolarità  il  eh.  autore  pare  non  ponesse  mente. 
Neil'  altra  faccia  del  detto  medaglione  è  un'  urna  a 
due  anse,  assai  somigliante  a  quella  che  in  un  antico 
vetro  cimiteriale  vedesi  apposta  a  due  candelabri  Giu- 
daici insieme  con  due  corni  per  l' olio  delle  conse- 
crazioni  (  Buonarroti,  vetri  tav.  II,  III  p.  22-23  );  di 
che  vorrei  congetturare,  che  il  medaglione  slesso 
venisse  impresso  per  la  cousecrazione  ed  incorona- 
zione di  Baikokeba  a  principe  d' Israele ,  avendosi  in 
esso  i  due  precipui  simboli  dell'  inaugurazione ,  la 
corona  cioè  ornata  di  gemma  preziosa  e  lo  stamnos , 
o  qual  altro  vaso  si  sia,  per  l'olio  della  sacra  unzio- 
ne. Egli  poi  era  tenuto  dal  popolo  sedotto  quale  astro 
venuto  di  cielo  a  liberarlo  dalla  schiavitù  (  Euseb. 
Eia.  cccl.  IV,  6  ). 

Ed  il  Bossuet ,  se  avesse  avuto  cognizione  di  que- 
ste monete  di  Baikokeba  insignite  del  simbolo  della 
stella,  ne  avrebbe  potuto  trarre  argomento  a  confer- 
ma della  sua  esposizione  del  capo  Vili  dell'Apocalis- 
se ,  ove  intese  designato  Baikokeba  medesimo  sotto 
l' imagine  profetica  della  stella  magna,  ardens  tam- 
quam  [acida ,  che  cadendo  dal  cielo  cagionò  tanti 
inali. 

L'edilìzio  letraslilo,  sopra  il  quale  rifulge  la  stella 
ne'  sicli  di  Barkokcba,  vien  detto  dal  eh.  Saulcy  tem- 
pio teli  a  (ilo  con  polla  nel  mezzo;  ma  non  può  più 


reputarsi  tale  ora  che  consta  essere  queste  monete 
posteriori  alla  distruzione  del  tempio  di  un  sessanta 
e  più  anni.  Ancora  la  supposta  porta  non  sembra  al- 
trimenti tale,  perchè  ella  resta  elevata  notevolmente 
dal  suolo,  ed  ha  anzi  l'aspetto  di  una  nicchia  fatta 
per  riponi  qualche  cosa.  Io  pertanto  vorrei  anzi  rav- 
visarvi, come  feci  altra  volta  (Spicil.  num.  p.  288), 
il  sacrario  di  uua  sinagoga  giudaica  con  Aron ,  o  sia 
armadio,  nel  mezzo  per  riporvi  i  volumi  della  Legge 
e  d'altri  libri  santi,  de' quali  pare  siano  indicate  le 
estremità  in  alcuni  di  questi  sicli,  del  pari  che  in  ve- 
tri antichi  cimiteriali  (Buonarroti,  vetri  tav.  II  e  III), 
in  uno  de' quali  al  dinanzi  dell'  Aron  sono  delineate 
anche  due  colonne,  forse  perchè  la  ristrettezza  dello 
spazio  od  il  lavoro  affrettato  non  permise  figurarne 
quattro  come  ne' sicli  di  Baikokeba.  Giusta  le  tradi- 
zioni giudaiche  ,  Adriano  avrebbe  in  quella  guerra 
fatto  distruggere  ben  480  sinagoghe  (  Basnage  ,  hist. 
des  Juifs,  I.  VI  eh.  9  §  24):  e  Baikokeba  avrà  fatto 
rappresentare  il  sacrario  di  una  sinagoga,  fatto  a  so- 
miglianza di  quello  del  tempio,  per  vie  più  accendere 
il  furore  fanatico  de' suoi,  quasi  che  pugnassero,  co- 
me al  tempo  de' Maccabei,  pel  loco  santo. 

Le  due  trombe  ,  che  ricorrono  nelle  monete  mi- 
nori di  argento  di  Baikokeba  ,  panno  tenersi  tutt'in- 
sieme  per  sacre  e  guerresche,  come  le  mosaiche  che 
davano  il  segnale  per  movere  l'esercito  e  mutare  gli 
accampamenti  ( Num.  X,  1  ):  ed  è  notevole  la  corri- 
spondenza speciale  della  loro  forma  con  la  descrizio- 
ne datane  da  Giuseppe  Flavio  (Ant.  Ili,  12,  6). 

Del  resto,  le  monete  ora  rivendicate  a  Barkokeha 
sono  preziose  anche  per  la  luce  che  danno  in  parte 
all'istoria  oscura  ed  incerta  della  seconda  guerra  giu- 
daica, che  durò  come  la  prima  per  oltre  quattro  an- 
ni ,  e  che  fu  fors'  anche  più  fiera  e  sanguinosa.  Essa 
scoppiò  nel  132  dell'era  volgare  ,  e  finì  nell'estate 
inoltrata  del  136  (v.  Borghesi,  Isc.  di  Burbul.  p.  64- 
68  ).  Lo  Scaligero  (  animadv.  ad  Clironic.  Euseb  p. 
216),  ed  il  Fabricio  (ad  Dionis  hist.  LXIX,  12-14) 
non  prestarono  fede  ad  Eusebio ,  a  S.  Girolamo  e 
ad  altri  scrittori  ecclesiastici ,  che  asserirono ,  essere 
stata  Gerusalemme  incendiata  e  distrutta  per  la  se- 
conda volta  da  Adriano  ;  ma  doveano  almen  credere 


141  — 


ad  Arriano  scrittore  contemporaneo,  il  quale  (Syriac. 
50)  ne  attesta  come  Gerusalemme  fu  presa  e  distrutta 
da  Vespasiano ,  e  di  bel  nuovo  da  Adriano,  a' giorni 
suoi,  far'lf/uov.  Ora  le  monete  del  primo  anno  di  Si- 
mone Barkokeba  con  la  scritta  ebraica  Lacheruth  Ie- 
rusalcm  (della  libertà  di  Gerusalemme )  mettono  fuor 
d'ogni  dubbio,  che  nell'anno  primo  di  quella  guerra 
Barkokeba  s' impadronì  di  Gerusalemme  ,  cacciando 
o  spegnendo  la  colonia  dedottavi  da  Adriano  ,  e  che 
Gerusalemme  dev'essere  stata  una  delle  cinquanta 
città  fortificate  de'  Giudei ,  che  furono  espugnate  dai 
Romani  (Dio  LXIX  ,  13).  Quindi  si  conferma  a  pie- 
no il  detto  di  S.  Girolamo  (Coni,  in  Daniel.  IX  , 
27):  usque  ad  eoctremam  subversionem,  quae  sub  Ila- 
ariano  accidit  :  —  quando  Cochebus  dux  Judaeorum 
oppressus  est,  et  lerusalem  usque  ad  solum  diruta  est. 
Non  trovandosi  poi  monete  certe  dell'anno  li  di  Bar- 
kokeba col  nome  lerusalem,  ma  solo  con  quello  d'I- 
srael ;  torna  molto  probabile ,  che  verso  la  fine  del- 
l' anno  primo ,  o  nel  principio  del  secondo,  i  Giudei 
perdessero  la  loro  metropoli,  e  fossero  costretti  a  ri- 
tirarsi ed  afforzarsi  segnatamente  in  Bether  ,  ove  poi 
resistettero  ai  Romani  per  tre  anni  e  mezzo  (  Buxtorf. 
Lexic.  Talmud,  p.  372  );  cioè  sino  alla  fine  dulia  se- 
conda guerra  giudaica,  che  così  sarebbe  per  appunto 
durata  circa  quattro  anni  e  mezzo.  Capta  urbs  Bether, 
scrive  S.  Girolamo  ,  ad  quam  multa  milita  confuge- 
rant  Iudaeorum,  aralum  templum,  in  ignominiam  gcn- 
tis  oppressae,  a  Tineio  Rufo  (  Coni,  in  Zaehar.  Vili, 
16-17).  A  queste  parole  del  massimo  Dottore  fa  bel 
riscontro  la  medaglia  di  Adriano,  nel  cui  rovescio 
leggesi  :  COL  AEL  CAP1T  COND  attorno  al  tipo  di 
un  personaggio  Romano  velato  che  regge  due  bovi 
aggiogali  all'aratro  presso  un  vessillo  militare  infisso 
in  terra.  Adriano,  dopo  finita  quell'atrocissima  guer- 
ra, dovette  adunque  rinnovare  la  colonia  Elia  Capi- 
tolina, che  per  fede  di  Dione  v'era  stala  da  lui  de- 
dotta in  prima ,  probabilmente  allorché  passò  per  la 
Giudea  nell'anno  130  dell'era  nostra,  e  che  fu  la 
cagione  precipua  della  furiosissima  sollevazione  dei 
Giudei  contra  i  Romani. 

Il  eh.  Saulcy  mostra  avere  inteso  di  darne  un  elen- 
co completo  di  tutte  le  monete  Gnor  cognite  della  co- 


lonia Elia  Capitolina;  ma  parmi ,  ch'egli  lasciasse 
molto  a  desiderare.  Egli  omise  una  moneta  di  An- 
tonino Pio,  descritta  dal  Mionnet  [Suppl.  n.  8),  avente 
nel  riverso  le  sigle  G  A  •  G  col  tipo  di  tre  figure  fe- 
minili  stolate  stanti ,  che  sembrano  senza  meno  tre 
Ninfe,  quali  ricorrono  in  monete  di  Apollonia  del- 
l'Illirico e  di  Anchialo  della  Tracia.  E  la  ragione  dì 
questo  tipo  si  ha  dal  cronico  Alessandrino,  che  narra 
come  Adriano  colle  reliquie  del  Tempio  di  Gerusa- 
lemme fece  costruire  in  Elia  Capitolina  un  teatro  ed 
un  quadruplice  Ninfeo,  T-rpafffxpOK  (cf.  Thcsaur.  L. 
Gr.ed.Didot  s.v.).  A  quel  teatro,  che  si  connetteva  col 
culto  di  Bacco,  sembra  potersi  riferire  il  tipo  di  Bacco 
in  monete  di  Elia  Capitolina  intitolate  IMP  ANTO- 
NINO AVG  P  P  P,  che  venne  anche  acclamato  NEOS 
AIONTSOS  dagli  artefici  scenici  in  un'  iscrizione 
che  pare  di  Alene  (  Franz  eleni,  epigr.  Gr.  p.  260  : 
cf.  Eckhel  t.  VII  p.  18).  Il  eh.  Saulcy  nel  riverso 
di  una  moneta  di  Elia  Capitolina,  con  la  testa  d'A- 
driano nel  ritto,  ravvisa  Giove  Capitolino  sedente  in 
un  tempio  distilo  fra  due  figure  stanti  ed  appoggiate 
all'asta,  senza  dirne  che  rappresentino  :  eppure  l'Ec- 
khel  (  t.  Ili  p.  443)  v'ebbe  riconosciute  l'altre  due 
deità  Capitoline  ,  Pallade  cioè  e  Giunone.  Anzi  con- 
frontando questo  tipo  con  quelli  di  alcune  monete 
de'  Flavii  relative  al  Campidoglio  restauralo  ,  chiaro 
si  vede  che  quello  d'  Elia  Capitolina  è  ritratto  dal  ti- 
po delle  dette  monete  di  conio  Romano.  11  eh.  Saul- 
cy invita  i  numografi  a  veder  di  ritrovare  qualche 
moneta  di  Commodo  fra  quelle  di  Elia  Capitolina  , 
che  pur  non  dovrebbe  mancare;  perchè  ella  da  quel- 
l'Augusto si  ebbe  il  titolo  di  Commodiana.  Ma  l'avea 
di  già  data  il  Pellerin  (Mei.  I  p.  282)  con  la  scritta 
IMPCL-AEL-AV  •  •  •  e  con  la  testa  di  Commodo  , 
che  dal  eh.  autore  pare  fosse  non  rettamente  attri- 
buita ad  Antonino  Pio,  scambiando  la  quinta  lettera 
L  ad  un  T.  Il  Pellerin  medesimo  (II. Sup.  pi.  Il,  n.  12 
p.52)  ne  avea  dato  il  disegno  di  una  rara  moneta  di 
Antonino  Pio  avente  nel  riverso  le  lettere  KAC  scritte 
al  disopra  di  un  cinghiale  o  porco  gradiente,  che  dal 
Seslini  (Descr.  num.  vel.  p.  545  :  Mus.  lied.  P.  III. 
p.  1 1 1),  e  dal  Mionnet  (Descr.  n.  Ì4)  furono  letteK- 
A-C,  e  spiegate  per  Kolonia  Xclia  Capitolina;  alla 


142 


quale  troppo  bene  si  converrebbe  quel  tipo,  sapen- 
dosi come  in  fronte  eius  portae ,  qua  Belhlehem  egre- 
dimur,  SIS  SCALPTVS  in  marmore,  significans  Ro- 
maiiae  potestati  subiacere  Iudaeos  (S.  Hieronym.  in 
Chron.  an.  XX  Hadr.J.  Il  eh.  Saulcy  legge  invece 
KA€,  e  tiene  per  più  che  sospetta  la  lezione  del  Mion- 
net,  senza  far  motto  del  Pellerin  e  del  Sestini.  A  lui 
fece  grave  difficoltà  il  K  posto  invece  del  C  per  ini- 
ziale di  Colonia;  ma,  per  tacere  d'altri  riscontri,  tro- 
vasi pure  KOA  e  KOL  per  COLonia  in  monete  la- 
tine di  Damasco  (  Basche  ,  sub  v.  KOA)  ;  e  d'  altra 
parte  egli  troverebbesi  molto  imbarazzato  a  rintrac- 
ciare una  città  ,  il  cui  nome  cominciasse  per  KA€  , 
the  imprimesse  monete  bilingui,  siccome  farebbe  que- 
sta, posto  che  dovesse  leggersi  KA£,  mentre  che  nel 
ritto  leggesi  1MP  CAES  ANTONINO.  E  vuoisi  pure 
avvertire,  che  il  nome  dell'augusto  imperante  in  pa- 
recchie altre  monete  di  Elia  Capitolina  trovasi  simil- 
mente posto  in  terzo  caso. 

11  eh.  de  Saulcy  (p.  162)  a  ragione  dice  di  nou 
avere  molta  confidenza  nell'  esistenza  di  una  meda- 
glia coloniale  di  Elia  Capitolina  a  leggenda  greca  ; 
ma  lagnasi  poi  a  torto ,  che  il  Mionnct  non  ne  dices- 
se donde  l'abbia  presa.  Egli  la  ritrasse  da  quella  del 
museo  imperiale  di  Parigi,  che  fu  un  tempo  del  Pel- 
lerin (  Ree.  pi.  CXXXV,  9) ,  e  dall' Eckhel  (  t.  Ili 
p.  443).  Questi  due  sommi  maestri  peraltro  presero 
abbaglio,  per  difetto  di  conservatezza  nella  moneta, 
attribuendola  ad  Elia  Capitolina,  mentre  ch'essa  real- 
mente spetta  a  Carré  della  Mesopolamia ,  come  ora 
consta  dal  riscontro  d'altra  simile  moneta  più  integra 
pubblicata  poscia  dal  eh.  Rauch  (  Annali  archeoì. 
iUl.  t.  XIX  pi.  P.  n.  5p.  282).  Dal  confronto  dei 
disegni  datine  dal  Pellerin,  dall' Eckhel  (  Cat.  mus. 
Caes.lab.IV,14)  e  dal  Rauch,  non  che  di  un  esem- 
plare ben  conservato  del  museo  estense,  ma  difettoso 
rispetto  alle  epigrafi,  ne  raccolgo  la  seguente  descri- 
zione. 

CeiITIMIOC  C€OTHPOC.  Testa  laureala. 

)(  KOA  AVbHAIA  KA  (sic).  Tempio  telraslilo,  nella 
cui  cella  di  mezzo  è  un  simulacro  di  forma  ovale  sor- 
montato da  luna  falcata  ,  velato  e  sostenuto  da  una 


base  o  mensa  tripode;  in  ciascuna  delle  celle  laterali, 
è  un  insegna  militare  Romana  con  ornamento  a  gui- 
sa di  tempietto  e  sormontata  da  luna  falcata;  e  nel 
timpano  del  tempio  è  altra  luna  falcata. 

Nel  simulacro  di  mezzo  il  eh.  Lajard  (  Académit 
des  inscr.  t.  XX  part.  II p.  56)  ravvisa  il  Dio  Men 
o  sia  Lunus;  ma  potrebbe  anche  dirsi  simulacro  del 
Sole  Invitto  Elagabalo  (Eckhel  t.IIIp.  511).  Al  culto 
di  quel  nume  orientale  potè  congiungersi  in  monete 
di  Carré  quello  delle  insegne  delle  legioni  e  coorti 
Romane,  in  riguardo  alle  insegne  Romane  perdute 
dallo  sconsigliato  Crasso  nelle  contrade  di  Carré  sles- 
sa, e  poscia  felicemente  ricuperate  da  Augusto  :  tanto 
più  che  Severo  percorse  per  ben  due  volte  vittorioso 
quelle  regioni  medesime.  Il  tempietto  poi ,  entro  il 
quale  è  riposta  ciascuna  delle  due  insegue  Romane, 
ne  pone  sott' occhio  la  forma  del  vìwS  ixtxpòs  delle 
aquile  Romane  memorato  forse  solo  da  Dione  Cassio 
{hisl.  XL,  18),  e  che  l' Eckhel  (t.  VIII p.  493)  con- 
fessava di  non  avere  giammai  riscontrato  sopra  ve- 
runo monumento  antico.  Di  forma  analoga  esser  do- 
vettero i  tempietti  di  legno ,  entro  cui  riponevansi 
dai  Romani  le  imagini  ceree  de'  maggiori  lor  trapas- 
sati (Polyb.  VI,  53:  cf.  Bull.  Nap.  n.  s.  ann.  I.  p. 

Se  alquanto  mi  dilungai  nel  difendere  e  spiegare 
queste  monete  greche  della  colonia  Elia  Capitolina  , 
noi  feci  certo  a  perdita  di  tempo,  avuto  riguardo  alla 
singolare  arditezza  con  che  il  eh.  Saulcy  ne  pose  in 
dubbio  l'esistenza,  o  a  meglio  dire  l'autenticità.  Egli 
pertanto  si  abbia  merito  e  lode  speciale  per  avere  di 
molto  arricchita  ,  e  in  gran  parte  riordinata  la  serie 
importantissima  delle  antiche  monete  Giudaiche  ;  ma 
nello  stesso  tempo  non  vi  sia  chi  lo  segua  nella  ve- 
ramente eccessiva  arditezza  di  rigettare  le  monete  da 
se  non  vedute  ,  senza  avere  riguardo  all'  autorità  di 
sommi  numografl,  che  le  videro  e  ne  le  diedero  per 
sincere,  quantunque  alcuna  volta  presentino  qualche 
particolarità  non  facile  ad  esplicarsi. 


C.  Cavedom. 


—  143  — 


BIBLIOGRAFIA 


Catalogo  di  antiche  medaglie  consolari  e  di  famiglie 
romane  raccolte  da  Gennaro  Riccio,  e  compilato 
dallo  stesso  possessore  —  Dalla  stamperia  e  cartiere 
del  Fibreno— Napoli  1855  pag.  Vili  e  232  in  4. 


A  tulli  è  noto  che  il  cb.  autore  di  questo  catalo- 
go è  possessore  della  più  ampia  raccolta  di  antiche 
medaglie  consolari  e  di  famiglie  romane ,  il  cui  nu- 
mero ascende  a  parecchie  migliaia.  E  poiché  i  catalo- 
ghi delle  grandi  collezioni  numismaliche  tornano  di 
sommo  vantaggio  alle  ricerche  scientifiche  ,  le  quali 
in  fatto  di  archeologia ,  sono  principalmente  fondate 
su'  confronti  de'  monumenti ,  reputiamo  ottimo  divi- 
samento  quello  del  signor  Riccio  di  averci  fornito  il 
catalogo  del  suo  ragguardevole  medagliere. 

In  una  prefazione  l' autore  ne  fa  conoscere  come 
siesi  andata  formando  la  sua  insigne  raccolta,  notan- 
do precipuamente  gli  acquisti  delle  più  rare  monete. 
Egli  comincia  il  suo  catalogo  dagli  assi  anepigrafi ,  e 
loro  divisioni ,  che  soglionsi  attribuire  all'  aulica  Ro- 
ma ;  a  cui  fa  seguire  quegli  altri  determinati  dalla  epi- 
grafe ROMA.  Parla  in  seguito  delle  monete  campane 
colla  iscrizione  ROMA,  o  ROMANO  ;  delle  altre  at- 
tribuite a  Luceria ,  ad  Herdonea,  a  Canosa,  e  ad  al- 
tre incerte  città  dell'  Apidia.  Ragiona  poi  particolar- 
mente di  alcune  monete  familiari  di  sicula  fabbrica  , 
secondo  le  ricerche  de'  signori  Landolina  Paterno  di 
Palermo.  Continua  la  descrizione  delle  piccole  mo- 
ndine co'simboli  di  varie  divinità  ,  e  colle  lettere  S. 
C;  cui  vien  dopo  quella  delle  monete  incerte  di  fa- 
miglie in  argento  con  simboli  o  senza,  aggiungendosi 
gli  assi  fusi  italici  attribuiti  a  Luceria.  Questa  prima 
parte  della  descrizione  offre  qualche  inesatlczza  di  or- 
dine ,  senza  dire  della  inclusione  di  alcune  medaglie 
che  sono  da  riferire  ad  una  serie  diversa.  Così  le  mo- 
nete Campane,  le  Lucerine,  e  quelle  di  altre  appule 
città  andrebbero  meglio  allogate  in  un  catalogo  di 
monete  urbiche.  Egualmente  fralle  incerte  di  argen- 


to veggonsi  introdotte  alcune  pertinenti  a'  tempi  im- 
periali :  e  principalmente  le  piccole  tessere  di  bronzo 
con  S.  C. ,  le  quali  appartengono  senz' alcun  dubbio 
a'  tempi  dell'  impero.  Del  resto  questo  difetto  ,  rico- 
nosciuto in  parte  dall'autore  medesimo,  sarebbe  im- 
perdonabile in  un  catalogo  scientifico  e  generale  di 
una  serie  di  medaglie  ;  ma  trattandosi  di  una  colle- 
zione particolare  ,  si  rende  più  tollerabile,  ed  anche 
utile  sotlo  certi  riguardi;  perchè  ci  presenta  la  noti- 
zia di  un  maggior  numero  di  fatti.  E  per  verità  gli 
assi  di  Luceria  ,  e  delle  allre  città  dell'  Apulia,  costi- 
tuiscono nella  raccolta  del  Sig.  Riccio  una  serie  tanto 
importante,  che  dobbiamo  saper  grado  all'  autore  di 
avercene  presentata  una  distinta  enumerazione.  La 
seconda  parte,  più  ampia  della  prima,  comprende  la 
descrizione  della  serie  consolare  e  di  famiglie  ro- 
mane ;  nella  quale  veggonsi  pure  introdotte  alcune 
monete  di  altre  serie  ,  che  l' autore  possiede  a  con- 
fronto di  qualche  particolarità  della  sua  raccolta.  A- 
vremmo  però  desiderato  assolutamene  che  i  mezzi 
vittoriati  colla  epigrafe  VNI ,  tanto  probabilmente  at- 
tribuiti a  Claudius  Unimanus  dal  dottissimo  Borghesi, 
si  fossero  descritti  sotto  la  Claudia ,  e  non  già  sotto 
una  gente  Unimana.  Finalmente  a  pag.  207  l' a.  ag- 
giunge la  descrizione  di  alcune  medaglie  a  lui  perve- 
nute durante  la  stampa  del  catalogo. 

L'a.  sopra  le  varie  monete  della  sua  collezione  ri- 
corda le  ricerche  de' dotti ,  non  esclusa  l'ultima  no- 
tevole opera  del  dottissimo  Cavedoni  Ragguaglio  dei 
Ripostigli  etc.  ,  della  quale  fu  da  noi  dato  l'annun- 
zio in  questi  fogli  (  an.  II  p.  157):  ed  aggiunge  al- 
cune sue  particolari  osservazioni  e  deduzioni.  Noi  ci 
riserbiamo  di  ritornare  sulla  parte  dottrinale  dell'ope- 
ra ,  e  sul  vantaggio  che  si  ritrae  da'fatti  in  essa  con- 
tenuti ;  anzi  ci  attendiamo  le  dotte  osservazioni  del 
eh.  Cavedoni ,  che  saranno  da  noi  pubblicale  volen- 
tieri come  solito  ornamento  di  questo  nostro  bulletli- 
no.  Una  sola  osservazione  voglio  qui  far  di  passag- 
gio ;  ed  è  che  l'a.  riferisce  a  pag.  136  n.  6.  7  due 
quadranti  della  Marcia,  ove  continua  a  leggere  M. 
MARCI.  M.  F,  riportandosi  al  monogramma  58  del- 
la tavola  annessa;  e  già  una  simile  lezione  avea  pre- 
sentata nella  seconda  edizione  delle  monete  delle  an- 


—  144  — 


fiche  famiglie  di  Roma  impressa  nel  1843.  Ora  pia- 
cerai di  ricordare  che  sin  dal  1841  vennemi  fatto  di 
osservare  che  quel  monogramma  ,  erroneamente  ri- 
portato da  altri ,  dovea  sciogliersi  piuttosto  in  M.  Mar- 
cim  Manii  filim  (bullelt.  dell' ist.  di  corr.  arch.  1841 
pag.  24  )  :  il  che  non  ha  guari  sembrami  fosse  ap- 
provato dal  eh.  Cavedoni  [Ripostigli  pag.  192  not. 
173) ,  come  a  me  ne  scrisse  egli  pure  in  una  delle 
sue  lettere.  Il  nuovo  catalogo  del  signor  Riccio  pre- 
senta una  preziosa  conferma  a  quella  mia  congiun- 
tura; giacché  ci  offre  due  quadranti  con  MAN  MAR- 
CI (pag.  136  num.  11.  12).  Noi  avremmo  desiderato 
che  l' a.  ne  presentasse  il  facsimile  di  quelle  meda- 
glie ,  dalle  quali  può  trarsi  forse  qualche  utile  dedu- 
zione suU'  epoca  altresì  de'  denarii  di  M.  Marcio ,  la 
quale  è  tuttavia  in  quistione.  Vedi  Cavedoni  (  Ripo- 
stigli 1.  e.  cf.  Borghesi  Dee.  IH  oss.  1).  11  qual  nostro 
pensiero  avendo  comunicalo  all' a.  medesimo,  egli  ci 
ha  assicurato  che  certamente  lo  avrebbe  fatto,  se  quelle 
due  rare  monete  non  gli  fossero  pervenute  dopo  che 
si  trovavano  interamente  compiute  le  tavole  annesse 
al  catalogo,  e  di  cui  veniamo  a  discorrere.  Restami  a 
dire  di  questa  ultima  particolarità  osservabile  nell'ope- 
ra del  eh.  Riccio,  ed  è  che  veggonsi  in  Gne  sei  tavo- 
le sulle  quali  sono  riprodotte  a  galvanoplastica  le  più 
rare  medaglie  della  collezione.  Le  prime  due  ci  of- 
frono medaglie  di  oro  ,  altre  due  medaglie  di  argen- 
to ,  e  finalmente  le  ultime  di  bronzo.  Generalmente 
parlando  noi  non  siamo  troppo  amici  di  questa  ma- 
niera di  pubblicazione  ,  la  quale  è  soggetta  a  molte 
difficoltà  ,  e  che  non  può  essere  utile  che  sotto  certi 
rapporti.  Confessiamo  però  francamente  che  la  cre- 
diamo utilissima  per  la  riproduzione  delle  medaglie 
estremamente  rare ,  le  quali  non  possono  esaminarsi 
da'  numismatici ,  che  in  alcune  particolari  collezioni, 
le  quali  non  sono  sempre  accessibili  o  per  la  lonta- 
nanza ,  o  per  altre  peculiari  circostanze.  In  questa 
categoria  presso  a  poco  raltrovasi  la  pubblicazione 
del  sig.  Riccio  ;  e  noi  non  sappiamo  abbastanza  lo- 


darlo ,  per  aver  cominciato  a  proGttare  de'  metodi 
galvanoplastici  a  beneficio  della  scienza.  Questi  nuo- 
vi saggi  (i  primi  forse  che  siensi  tentati  in  Italia)  sono 
ben  lungi  dell'  aver  raggiunta  la  perfezione  di  quelli 
che  già  furono  presentali  in  Germania,  ed  anche  me- 
glio in  Inghilterra  ,  a  vantaggio  di  opere  elementari 
di  numismatica.  Ma  noi  non  dubitiamo  che  si  vedran- 
no ancor  fra  breve  introdotti  fra  noi  metodi  più  esatti 
per  simiglianli  pubblicazioui,  che  noi  vorremmo  però 
veder  sempre  limitate  alle  monete  rarissime  ,  per  le 
quali  è  tanto  interessanle  una  riproduzione  perfetta- 
mente identica  agli  originali. 


Ml.NERVrNI. 


SuU'  antico  silo  di  Napoli  e  Palepoli  dubbi  e  conghiet- 
ture  di  Bartolo m meo  Capasso  — Napoli,  dallo  sta- 
bilimento dell'antologia  legale  1855  pag.  64.  in 8. 


In  questo  erudito  opuscolo  l' autore  tratta  diligen- 
temente la  quistione  sul  sito  di  Napoli  e  Palepoli,  esa- 
minando tutte  le  conghietture  de'  nostri  patrii  scrittori 
sul  medesimo  argomento.  La  disseriazione  del  signor 
Capasso  riesce  molto  interessante  per  la  topografia 
dell'amica  Napoli,  ad  illustrazione  della  quale  il  eh. 
a.  ha  raccolto  numerose  notizie  sparse  in  moltissime 
opere  principalmente  di  patrii  autori.  Poco  innanzi 
vedemmo  che  il  eh.  Gervasio  si  occupò  brevemente 
di  Napoli  e  di  Palepoli  in  una  memoria  letta  alla  rea- 
le accademia  Ercolanese  (voi.  IV  pari.  II.  pag.  185 
e  seg.  :  vedi  sopra  p.  110):  ora  notiamo  che  le  os- 
servazioni del  signor  Gervasio  sono  rimaste  ignote  al 
signor  Capasso. 


MlNERVINI. 


Giono  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  69.     (19.  dell'annoili.) 


Aprile   1855. 


Monete  inedile  o  rare.  Continuazione  del  n.  63. 


Monete  inedite  o  rare.  Continuazione  del  n.  63. 


NEAPOLIS  PEUCETIAE. 


CAELIUM  APULIAE 

9.  Testa  di  toro  di  fronte  con  in fule  pendenti. 
)(  Diola,  ed  intorno  la  epigr.  KAIAIN  Ar.3  */, 
Perfeltamenle  inedita  è  questa  monetina ,  ed  offre 
perciò  non  lieve  interesse.  La  testa  di  toro  con  infule 
pendenti  a'  lati  ricorre  nelle  monetine  della  vicina  Rubi 
ora  al  rovescio  del  fulmine  ora  della  lira  (  Avellino 
Rubast.  num.  calalog.  p.  6  n.  1 0- 1 1  lab.  1,5).  Avelli- 
no attribuiva  il  bucranio  al  culto  di  Giove ,  a  cui  il 
bove  era  sacrificato  (ib.  p.  14).  Vedi  ora  una  di  que- 
ste monetine  nelle  tavole  Carelliane  della  edizione  di 
Lipsia  (tav.  XCV ,  9  pag.  37).  Del  resto,  poiché  il 
toro  è  immolato  a  varie  divinità  ,  basterà  per  noi  che 
l'ornamento  di  che  è  fregiato  accenni  ad  una  sacra  de- 
stinazione: senza  diffinire  se  fosse  in  particolare  allu- 
sione a  Giove.  Il  tipo  della  diota  è  simile  a  quello  di 
Taranto  ;  anzi  una  medaglia  di  Taranto  con  ambi  i 
tipi  simili  a  questa  di  Ceglie  fu  pubblicata  dal  eh. 
Fiorelli  (bullett.  dell'  Jstit.  1841  p.  173):  il  che  per 
avventura  è  dovuto  ,  come  ha  osservalo  il  Millingen, 
alla  influenza  della  numismatica  tarantina  su  quella 
de'  Celini  (  consid.  p.  149).  La  epigrafe  KAIAIN[ON] 
ricorre  altra  volta  sulle  medaglie,  sebbene  non  sia 
infrequente  la  ortografia  KAIAEITffJN.  Del  resto  è 
stato  già  avvertilo  come  le  monete  fermano  la  orto- 
grafia del  nome  di  questa  appula  città  ,  che  KeX/'oc 
appellavasi  da  Slrabone  (  lib.  VI  p.  282  Casaub.  ) , 
KoifX/a  da  Tolommeo  (III,  1 ,  73),  e  Coelium  da  Pli- 
nio (lib.  Ili,  s.  16).  Veggasi  Avellino  llal.vet.  num. 
tuppl.  t.  1  p.  25.  n.  10,  Millingen  ancienl  Coins  tav. 
I.  n.  8.  pag.  9.  Mommsen  Untcr.  Dial.  p.  62,  s. 

ANXO  III. 


1 0.  Testa  di  Cerere  velala ,  con  spiga  uscente  di 
sotto  al  velo. 

)(  Spiga ,  e  presso  la  epigrafe  NEAI1  Ae.  7  '/t 
La  fabbrica  di  questa  monda  ,  la  sua  provenienza 
dalle  nostre  regioni,  e  quel  ch'è  più  la  epigrafe  NEAII 
ne  fanno  determinar  l'attribuzione  ad  una  Napoli  di 
Peucezia ,  sconosciuta  agli  antichi  geografi.  Già  altre 
medaglie  furono  attribuite  alla  medesima  città:  in  una 
si  vede  la  lesta  di  Bacco  ed  il  grappolo  (  Hunler  tav. 
40,  II,  Seslini  lettere  cont.  t.  VI  tav.  I,  1;  Mus.  He- 
derv.  tav.  XXII  n.  488),  in  altra  una  testa  o  masche- 
ra Bacchica  di  fronte,  ed  al  rovescio  il  grappolo  (Carel- 
li descr.  n.  4),  in  altra  una  lesta  giovanile  ed  il  tridente 
(  Millingen  suppl.  tav.  Un.  14),  in  altra  finalmente 
la  testa  di  Diana  ,  e  l' arco  ed  il  turcasso  (  Fiorelli 
monete  ined.  tav.  II  n.  1  ).  Queste  monete  furono  at- 
tribuite dagli  editori  ad  una  Napoli  di  Puglia  ,  giusta 
l'osservazione  del  Romanelli  (lopogr.  tom.  Il  p.  148) 
e.  del  Millingen  (consid.  p.  147)  ;  facendosi  corrispon- 
dere all'attuale  Polignano.  Vi  si  oppose  però  il  dot- 
tissimo Avellino  ,  osservando  essersi  quelle  monete 
tolte  a  torlo  alla  Napoli  di  Macedonia  (opusc.  tom.  Il 
p.  50  ).  Nondimeno  la  moneta  pubblicata  posterior- 
mente dal  eh.  Fiorelli ,  e  questa  che  ora  diamo  daila 
collezione  del  sig.  Sambon ,  vengono  a  confermare 
fcppula  attribuzione  di  tuttelealtre.Aciòsi  aggiunga 
che  le  medaglie  di  Macedonia  sono  tutte  di  argento,  e  di 
fabbrica  totalmente  diversa,  e  la  epigrafe  è  NEOFI  e 
non  già  NEAFI.  Per  tali  motivi  noi  riterremo  Pappina 
appartenenza  di  lulle  le  enunciate  monete  ,  la  quale 
poi  sembra  non  più  contraddetta  dallo  stesso  Avellino 

(Bull.arch.nap.  au.Yl  p.72).  Veggasi  sopra  Polignano- 

19 


146  — 


ed  altri  sili  vicini  anticamente  abitati ,  una  memoria 
del  sig.  Barone  di  Walckenaer  sur  une  porlion  de  la 
voieAppienne,ne\le  mem.delle  iscr.  e  belle  lelt.  voi. VII 
p.  186  segg.  Per  quel  che  concerne  a'  tipi ,  credia- 
mo un  poco  ricercata  la  opinione  del  chiarissimo  Ca- 
vedoui  che  dal  grappolo  con  foglie  e  ramo  venisse  in- 
dicata 1'  uva  destinata  alla  mensa  (  ad  Carelli  lab.  p. 
39  )  :  e  solo  ci  sembra  che  si  volle  alludere  agli  ot- 
timi vini  di  quella  località  ,  che  n'è  tuttavia  feracis- 
sima. E  cosi  la  spiga  della  nuova  moneta ,  oltre  il 
suo  rapporto  alla  divinità  effigiata  nel  ritto,  accenna 
iusieme  con  questa  alla  fecondità  delle  appule  terre, 
ricchissime  di  frumenti ,  del  pari  che  la  spiga  delle 
metapontiue  medaglie.  In  quanto  a'  tipi  di  Diana  cac- 
ciatrice,  possono  alludere  alle  cacce  eseguite  nelle 
selve  dell'  Apulìa ,  di  cui  parla  Ovidio  (met.  XIV, 
314  )  :  e  colle  quali  il  eh.  Cavedoni  paragonò  le  mo- 
nete di  Salapia  (  bull.  arch.  napol.  di  Avellino  an.  Il 
p.  104).  Il  Fiorelli  spiegò  quel  tipo  con  troppo  in- 
gegnose assonanze  di  parole  (  mon.ined.J).  11). 

CROTON  BRUTTIORUM 

1 1 .  Tripode ,  a  sin.  epigr.  °PO ,  a  d.  graffilo  ARI 
)(  Tripode  incuso:  tracce  di  un  graffito,  che  lascian 

vedere  la  sola  lettera  A  Ar.  13. 

Abbiamo  pubblicato  questa  medaglia  di  Crotone 
unicamente  per  la  particolarità  del  graffilo  ,  che  vi 
si  legge  da  una  faccia  e  che  probabilmente  ripetevasi 
dall'  altra  faccia.  Non  saprei  a  che  attribuir  si  possa 
quella  iscrizione.  Solo  ho  frequentemente  osservate 
in  monete  anche  antichissime  queste  lettere  granite , 
delle  quali  sovente  non  ci  è  dato  indagare  la  inter- 
pretazione ,  perchè  dovute  alle  particolari  circostan- 
ze di  chi  possedea  la  moneta:  se  pure  dir  non  si  vo- 
glia che  simili  graffiti  possano  riferirsi  ad  offerte  fatte 
in  un  tempio  o  sacrario;  come  furono  spiegatele  let- 
tere KH  graffite  in  una  moneta  di  Taranto  ,  dal  eh. 
Cavedoni  (  bullett.  arch.  nap.  di  Avellino  tom.  IV.  p. 
46  ).  Vedi  pure  altri  esempli  ed  altre  spiegazioni  di 
queste  lettere  graffite  sulle  medaglie  presso  il  eh.  Fio- 
relli (annali  di  numism.  an.  I  p.  7  ). 

12.  Tripode  a  rilievo,  di  lato  < >10 ,  intorno  un 


giro  di  globelti,  sotto  il  tripode  una  linea  di  globelti, 
e  poi  le  lettere  IA. 

)(  Tripode  incuso,  sotto  una  linea  ;  intorno  un  giro 
di  globelti  Ar.8. 

Notevole  ci  sembra  la  particolarità  delle  lettere  IA 
sotto  il  tripode ,  che  non  sembrano  semplici  numeri, 
trattandosi  di  una  moneta  di  remota  antichità.  Potrebbe 
a  tal  proposito  richiamarsi  1'  altra  moneta  della  slessa 
Crotone,  ove  fu  letto  dall'Avellino  hocPoS  o  AITOINoS 
(  bullet.  nap.  an.  VI  p.  9 1  )  ;  non  che  V  altra  ove  era 
profondamente  graffito  HAPON  TO  Ano  (Raoul-Ro- 
chelte  mém.  de  numism.  p.  34  tav.  HI ,  n.  24  ) ,  che 
il  dotto  editore,  ed  il  eh.  Cavedoni  interpretarono  per 
danaro  sacro  ad  Apollo.   Del  danaro  sacro  di  Mileto 
parlano  le  monete  di  quella  città  (  Mionnet  suppl.  t. 
VI  p.  267;  Millingen  Sylloge  p.  70  seg.  );  ed  in  una 
iscrizione  di  Patara  si  fa  menzione  di  dramme  sacre  ad 
Apollo  1EPAS  AIIOAA£2NI  (corp.  inscr.  gr.  voi.  Ili 
n.  4293  ).  Cf.  Miiller  die  Dorier  lib.  II  e.  6.  §.  2  ; 
ed  il  eh.  sig.  Duca  de  Luynes  nelle  nouvelles  annal. 
tom.  I  p.  415.  Vedi  pure  quel  che  ho  detto  in  que- 
sta nuova  serie  del  bulleltino  an.  I  p.  138;  ed  il  Ca- 
vedoni ad  Carellii  lab.  pag.  102.  Da  questi  confronti 
veniamo  a  conghietlurare  che  nelle  lettere  IA  ,  ini- 
ziali di  due  parole,  volle  esprimersi  appunto  lo  stesso 
che  nelle  altre  due  monete  di  Crotone  ;  o  che  si  ac- 
cenni al  sacro  riscatto  «frrwos  ,  ovvero  alla  monela 
sacra  di  Apollo  :  se  pure  dir  non  si  voglia  che  s' in- 
dicò unicamente  IApov  ()q\jlig\x%),  con  ortografia  si- 
mile a  quella  che  appare  nelle  citate  monete  di  Cro- 
tone stessa,  nella  scure  di  bronzo  edita  in  questo  bui- 
lettino  (  an.  I  tav.  V.  fig.  2  ),  ed  in  altri  monumenti 
pertinenti  al  dorico  dialetto  (Boeckh  corp.  inscr.  gr. 
t.  I  p.720:  cf.  Ahrens  de  dial.  dor.  append.  p.  484  ). 

CROTON  —  MEDMA? 

1 3.  Testa  della  Giunone  Lacinia  di  fronte 
X  Ercole  imberbe,  sedente  a  s.  sulla  pelle  di  leone , 
tien  colla  d.  lo  scifo:  in  alto  sono  nel  campo  le  sue  ar- 
mi ,  cioè  f  arco ,  il  turcasso ,  e  la  clava  :  epigr  XP  20T 

Ar.  9. 
Questa  moneta  ,  la  quale  apparisce  in  lutto  simile 


—  147  — 


a'  soliti  didrammi  di  Crotone  di  bella  fabbrica  ,  offre 
la  particolarità  della  epigrafe  KPOT  intrecciata  con 
l'altra  ME.  Correrebbe  da  prima  al  pensiero  che  que- 
ste lettere  fossero  destinate  ad  indicare  qualche  segno 
di  fabbrica,  come  si  potrebbero  credere  le  lettere  MA 
in  altra  moneta  di  Crotone  pubblicata  nelle  tavole  del 
Carelli  (  lab.  CLXXXIV  ,  35  )  :  e  come  appariscono 
eziandio  altre  lettere  nel  ritto  di  altre  medaglie  (  Ca- 
vedoni  ad  Carellii  lab.  p.  101).  Nondimeno  il  modo 
come  ritrovansi  le  due  iscrizioni ,  egualmente  visibi- 
li ,  ed  in  sito  egualmente  degno  ,  ci  porge  una  pro- 
babilità che  fosse  indicata  una  concordia  fra  Crotone 
ed  altra  città  forse  Medina  o  Metaponto.  In  quanto 
a  Metaponto  ,  abbiamo  un'  altra  medaglia  di  bronzo, 
che  indica  la  federazione  di  quella  città  con  Cro- 
tone; e  di  questa  diremo  fra  poco  ,  avendone  fatta 
di  nuovo  la  pubblicazione  per  richiamarla  a  con- 
fronto. 

Dobbiamo  poi  avvertire  che  un'  altra  moneta  di 
argento  fu  dichiarata  di  concordia  fra  Crotone  e  Med- 
ina :  fu  questa  pubblicata  nel  catalogo  del  Museo  Wic- 
zay  (  tav.  I  fig.  9  ) ,  e  poscia  dal  Sestini  (  classes  ge- 
ner.  p.  16  ,  17  ;  e  lettere  numism.  2  serie  tom.  VI  p. 
1 1  ).  Ma  il  Millingen  non  si  persuase  di  tale  attribu- 
zione ,  e  piuttosto  nelle  lettere  MEAA..,  che  dichia- 
rò di  erronea  lezione ,  riconobbe  un  nome  di  magi- 
strato (  eonsidér.  p.  77  seg.  ).  Noi  non  sapremmo  qual 
cosa  decidere,  sebbene  il  mio  defunto  onorevole  ami- 
co Conte  Capialbi  sostenne  fortemente  la  esistenza  di 
questa  federazione  non  solo  nella  suindicata  medaglia 
ma  benanche, con  minore  probabilità,  in  altra  posse- 
duta dall'  egregio  sig.  consigliere  Betti  (  vedi  la  quarta 
edizione  della  sua  memoria  Mesma  e  Medama  furon 
due  o  una  città!  —  Napoli  1848  p,  9-10,  18,  48). 
Del  resto  è  noto  che  Crotone  celebrò  più  di  sovente 
nella  sua  numismatica  le  alleanze  colle  altre  città  della 
Magna  Grecia.  Così  abbiamo  nell'  epoca  più  antica 
quella  con  Temesa  e  con  Pandosia  sua  colonia  (Avel- 
lino opusc.  tom.  I  p.  118  segg.  cf.  t.  Ili  p.  122  seg.); 
ed  in  tempi  meno  remoli  la  concordia  con  Metaponto 
in  moneta  di  bronzo  ,  e  1'  altra  con  Caulonia  in  mo- 
neta egualmente  di  bronzo,  spiegala  egregiamente  dal 
eh.  sig.  Principe  di  San  Giorgio,  che  ne  fece  la  pub- 


blicazione sino  dall'  anno  1823  (  nella  biblioteca  ana- 
litica giornale  napolitano).  E  qui  avvertiamo  di  pas- 
saggio che  con  sorpresa  vedemmo  identicamente  ri- 
prodotta questa  rarissima  moneta  dal  eh.  Riccio  , 
dicendosi  per  equivoco  esislenle  presso  di  lui  (  re- 
perì, numism.  p.  105;  cf.  tav.  Un.  4);  men- 
tre sappiamo  che  si  conserva  invece  nella  insigni' 
raccolta  Santangelo  ,  a  cui  fu  offerta  dal  primo  illu- 
stratore. Dalle  quali  cose  vogliamo  inferire  che, 
se  Crotone  ha  celebrato  le  sue  relazioni  con  varie  al- 
tre città  de'  Brunii ,  ed  anche  con  alcuna  della  non 
vicina  Lucania  ,  non  dovrebbe  sembrare  strano  che 
una  simile  federazione  con  Medma  apparisse  nella  sua 
numismalica.Ma  noi  non  insistiamo  su  questa  conghiet- 
tura,  la  quale  potrà  soltanto  veuir  confermata  da  no- 
velli monumenti. 

CROTON  —  METAPONTUM 

1 4.  Spiga ,  ed  epigrafe  META 
)(  Tripode  Ae.7  ■/« 

Questa  monetina  è  identica  a  quella  ,  che  vedesi 
pubblicala  dal  eh.  Fiorelli  fosserv.  tav.  II  fig.  7pag. 
02),  e  poi  ripetuta  dal  sig.  Riccio  (rep.  numism.  p. 
VII  cf.  tav.  Un.  5  )  ;  se  non  che  in  questa  del  sig. 
Sambon  non  si  veggono  presso  al  tripode  aggiunti  i 
simboli  del  grano  d'orzo  ,  e  della  cicogna.  E  forse 
potrebbero  riputarsi  quei  simboli  consumati  dal  tem- 
po. Questa  federazione  si  spiega  assai  bene  per  la  ori- 
gine acaica  comune  a  Crotone  ed  a  Metaponto  (  Raoul- 
Rochctte  colon,  grecques  tom.  Ili  p.  187  segg.,  e  t.  IV 
pag.  39  e  seg.  Corcia  Slor.  delle  due  Sicilie  tom.  HI 
p.  247  segg.,  e  326  segg.),  e  per  l'uso  delle  acaiche 
città  di  stabilir  federazioni  fra  loro ,  e  di  rammentarle 
sulle  mouele.  Su  di  che  è  da  vedere  la  dottissima  di- 
scussione dell'Avellino  f  opusc.  tom.  Hip.  122  seg.  ); 
sebbene  a  proposito  di  una  medaglia  da  lui  per  equi- 
voco riputata  di  federazione  (  Vedi  la  dichiarazione 
dello  stesso  Avellino  nel  1  anno  delsuotW/eMi'/ioar- 
cheologico  napolitano  p.  133).  Ed  a  questo  proposito 
tralasciando  altri  luoghi  degli  antichi  scrittori,  mi  piace 
di  ricordare  i  versi  di  Scimno  di  Chio ,  ove  parla 
unitamente  di  Crotone,  di  Pandosia,  de'Turii  e  di  Me- 


—  148  — 


lapouto  ,  annunziando  come  tutte  queste  città  furono 
fondate  dagli  Achei  venuti  dal  Peloponneso  (perieg.  v. 
325-328)  (1).  E  forse  Metaponto ,  nella  sua  restau- 
razione, ricevette  coloni  Achei  appunto  da  Crotone; 
giacché  in  tal  modo  si  spiegherebbe  meglio  quel  che 
dice  il  Sincello,  che  Pandosia  e  Metaponto  furono  fon- 
date nel  medesimo  tempo  (c/irono</r.p.212  Goar).  Or 
s'egli  è  noto  che  Pandosia  dee  la  sua  seconda  fonda- 
zione a  Crotone,  che  vi  mandò  una  colonia  (Sci inno 
àiChio  per ieg.V. 325  segg.);pare  che  a  questa  voglia 
alludere  il  Sincello  (Avellino  optisc.t.W  p. 132  noi  a), 
e  quindi  dovrà  intendersi  anche  Metaponto  ricostituita 
da' medesimi  coloni  Crotoniati.  Ecco  quindi  una  suf- 
ficiente spiegazione  della  monetina,  di  cui  presentiamo 
il  disegno:  la  quale ,  all'opposto  di  quel  che  ne  pen- 
sava il  Fiorelli ,  noi  crediamo  battuta  in  Metaponto 
non  già  in  Crotone  ;  polendo  la  somiglianza  della  fab- 
brica e  dello  stile  alle  medaglie  di  questa  ultima  città 
attribuirsi  alle  strette  relazioni  di  Metaponto  colla  città 
madre ,  ed  alla  esistenza  stessa  di  artisti  Crotoniati  in 
Metaponto. 

TARENTUM  CALA  BRI  AE? 

15.  Mensa  a  quattro  piedi  ,  sopra  Ire  gioielli:  nel 
rampo  fra'  piedi  della  mensa  un  ramuscello ,  e  la  let- 
tera K. 

)(  Simile  mensa  a  quattro  piedi  di  più  piccole  di- 
mensioni,  e  sopra  parimenti  i  tre  globetli  Ar.  5. 

È  la  slessa  moneta,  che  fu  già  pubblicala  da  Avel- 
lino (bulica,  arch.  nap.  an.  I  t.  Ili  fig.  12):  se  non 
che  in  quella  manca  il  ramuscello  ,  e  la  lettera  K.  Il 
primo  editore  per  la  fabbrica  ed  il  modulo  ne  fece 
l' attribuzione  a  Taranto  ;  spiegando  per  una  sacra 
rr*7riZ,%  la  mensa  in  essa  effigiata  (l.  e.  p.  131  ).  Ci 
duole  che  l'esemplare  del  sig.Sambon  non  ci  offre  mi- 
gliori indizii  per  determinarne  la  patria.  Di  fatti  ,ove 
si  supponesse  per  poco  che  il  K  sia  destinato  ad  indi- 
carla, correrebbe  il  pensiero  a  Crotone,  piuttosto  che 
a  Taranto.  Ma  non  possiamo  pertanto  mancar  di  no- 

(t)  Il  eh.  Corcia  osserva  che  le  amiche  tradizioni  fanno  altresì 
pensare  ad  una  originaria  fondazione  da  Corinto  comune  a  Crotone 
ed  a  Metaponto  :  Star.  I.  Ili  p.  327. 


tare ,  che  la  moneta  giudicar  si  dovrebbe  tarantina  , 
ove  si  ritenesse  quella  lettera  come  iniziale  del  nome 
di  un  magistrato  ,  riscontrandosi  non  poche  volle  la 
medesima  iniziale  nella  numismatica  tarautina. 

Medaglie  inedite  o  rare. 

Articolo  secondo. 

In  questo  secondo  articolo  noi  diamo  una  breve 
illustrazione  delle  antiche  medaglie  ,  che  pubblichia- 
mo nelle  tavole  XII  e  XIII  di  questo  III  anno  del  bui- 
lettino.  Appartengono  per  la  massima  parte  a' signori 
Sambon  e  Lauria  ;  ed  anche  taluni  al  signor  D.  Do- 
menico de'Baroni  Oliva,  ed  al  Rev.  P.  Tortora  del  SS. 
Redentore.  Noi  ricorderemo  in  rapporto  di  ciascuna 
inoueta  il  nome  del  possessore. 

TAVOLA  XII. 

ARIMINUM  UMBRIAE 

1 .  Testa  virile  barbala  a  destra ,  con  torque  gallico 
al  collo. 

)(  Conchiglia  pecten.  Ar.  1 1  + 

Presso  il  signor  Lauria. 

Non  sembra  da  dubitare  che  questa  moneta  appar- 
tenga ad  Ariminum,  avuto  riguardo  alla  fabbrica  ed  a* 
tipi.  Non  ignoriamo  che  già  è  nota,  e  che  altro  esem- 
plare ne  fu  pubblicato  da'eh. padri  Marchi  e  Tessieri 
[aes  gr.  del  mus.Kircher. CI. IV  fig.7  della  lav.I);ma  in 
quella  pubblicazione  manca  qualunque  indizio  della 
barba  ,  che  nel  nostro  è  evidentissima,  non  altrimen- 
ti che  in  altro  esemplare  del  real  museo  Borbonico 
descritto  recentemente  dal  dottissimo  Avellino  (  hai. 
vet.  num.  pag.  70  ).  L  esemplare  del  museo  Borbo- 
nico pesa  gr.  16,80.  Due  n'esistono  nel  museo  Rir- 
chcriano  ,  uno  de1  quali  pesa  6  dramme,  l'altro  5 
dramme  (  Gennarelh  la  moneta  primitiva  etc.  pag. 
72).  Perciò  s'è  vero  che  gli  esemplari  del  Kirche- 
riano  debbano  riputarsi  semoncie  ,  come  nota  il  si- 
gnor Gennarelli ,  è  pur  probabile  la  opinione  del- 
l'Avellino che  il  borgiano  (  pes.  dr.  13  )  sia  da  giù- 


149  - 


dicarc  un'  oncia  ,  essendo  di  un  peso  quasi  doppio 
(/.  e.  ).  Questo  del  signor  Lauiia  pesa  poco  più  di 
gr.  24,  ed  era  probabilmente  un'oncia.  Non  ripetere- 
mo le  dalle  ricerche  de'  chiarissimi  Borghesi  e  Ca- 
vedoni  ,  per  le  quali  ò  messo  fuor  di  dubbio  che 
la  testa  barbala  del  litio  sia  da  riportare  a'  Galli  Se- 
noni,  che  s'impadronirono  di  Ariminum,  nò  le  altre 
del  eh  Lenormant  sull'epoca  di  tali  monete  (introd. 
à  l'elite  des  mon.  céram.  p.30  seg.  ed.  in  4.).  Vedi  le 
osservazioni  loro  riferite  nella  citala  opera  postuma 
dell'Avellino  (pag.  69,70),  il  quale  avverte  pure 
doversi  riputare  il  tipo  della  conchiglia  conveniente 
a  città  marittima.  Ora  sulle  monete  di  Ariminum  si 
legga  pure  ciò  che  ha  scritlo  di  recente  il  eh.  Cave- 
doni  (  bull,  dell'Ut.  18:i0  pag.  79,  SO,  ragguaglio  del- 
l' opera  intitolala  Francisci  Carellii  numor.  hai.  vet. 
lab.  cai.  pag.  14). 

CAPUA  CAMPANIAE 

2.  Testa  di  Giunone  a  d.  con  stefane ,  orecchino  , 
collana ,  e  scettro  presso  la  spalla 

)(  Spiga ,  a  destra  simbolo  incerto  come  wn  tripodet- 
to  ,  a  sinistra  la  epigrafe  DIN)!.  Ae.  8  f 

Posseduta  dal  sig.  Sambon. 

Assolutamente  nuova  è  questa  monetina  di  Capila, 
per  la  riunione  de'  tipi  che  Irovavansi  separali  nella 
numismatica  Capuana.  Scorgesi  di  fatti  la  spiga  al 
rovescio  della  lesta  velata  ,  ed  una  (esla  di  divinila 
perfetlamente  simile  a  quella  della  moneta  del  sig. 
Sambon  vedesi  insieme  col  (ipo  del  doppio  simula- 
cro e  con  quello  del  fulmine (Friedlaender  Oik.  Mun- 
zm  tav.  IHn.  22  ,  23,  24).  Oltre  di  una  tale  parti- 
colarità ,  è  pur  da  notare  che  la  nuova  moneta  è  di 
grandezza  e  peso  maggiore  di  tutte  le  altre  finora  co- 
nosciute senza  indicazione  di  peso  :  il  che  la  rende 
ancora  non  poco  pregevole  ;  perchè  ci  dimostra  una 
serie  di  divisioni  altresì  in  questa  parte  della  numi- 
smatica Capuana  ,  la  quale  comincia  probabilmente 
dall'  oncia  rappresentata  dalla  nuova  moneta  ,  e  va 
a  terminare  alle  minime  divisioni  della  stessa.  Ora  in 
quanto  alla  testa  del  ritto ,  osservo  che  paragonando 
la  nostra  moneta  con  quella  già  nota  col  tipo  della 


spiga  ,  può  ragionevolmente  dedursene  che  sia  in  en- 
trambi la  testa  di  Giunone.  La  lesta  velala  non  offri- 
va alcun  simbolo  proprio  di  Cerere,  e  perciò  bene  a 
ragione  fu  riportala  a  Giunone  dal  eh.  Friedlaender 
(oilc  Miinzcn  p.  14  n.  24).  Il  mio  dallo  amico  sig. 
Raoul-Rochclte  credeva  quella  divinità  Cerere  (fouiL- 
les  de  Capoas  pag.  91  not.  3  e  p.  98) ,  trailo  proba- 
bilmente in  equivoco  dal  vederla  congiunta  col  tipo 
della  spiga  ;  ma  la  nuova  moneta  offrendoci  egual- 
mente la  spiga  al  rovescio  di  una  testa  indubitatamen- 
te di  Giunone,  toglie  qualunque  difficoltà  sulla  deter- 
minazione della  testa  velata.  É  poi  noto  che  il  velo  sxyòv 
conviene  assai  bene  alla  sposa  di  Giove,  alla  quale  tro- 
vasi data  appunto  nelle  omeriche  poesie  (//.  S,  v.175). 
Cf.  Abeken  negli  annali  del  l'I st.  1838  pag.  24.Raoul- 
Rochetle  choix  de  peint.  de  Pompei  pag.  1 4.  Voglia- 
mo finalmente  notare  che  il  simbolo  determinato  ge- 
neralmente per  un  tripode  osservasi  in  tutte  tre  le 
monete  accanto  al  tipo  messo  al  rovescio  della  testa 
di  Giunone;  e  non  manca  neppure  nella  nuova  mo- 
netina del  sig.  Sambon:  il  che  ci  sembra  degno  di  os- 
servazione non  tanto  per  meglio  determinare  il  signi- 
ficalo di  quel  simbolo ,  che  pur  lascia  luogo  ad  ulte- 
riori ricerche,  quanto  per  islabilire  esser  dovute  tut- 
te queste  differenti  monete  ad  una  sola  coniazione  , 
esprimendo  forse  l'oncia  e  due  differenti  divisioni  di 
essa. È  però  da  notare  che  in  questa  divisione  l'oncia 
offrirebbe  un  modulo  ed  un  peso  minore  di  tutte 
le  altre ,  ove  trovasi  l' indizio  del  peso  ;  giacché  la 
nuova  monela  non  pesa  più  di  gr.  5.  08  ;  mentre  il 
peso  di  tutte  le  altre  once  è  stato  trovalo  maggio- 
re (  Mommsen  Ramisene  Miinzwesen  p.  398.  ).  Pren- 
diamo questa  occasione  per  proporre  una  nostra 
cònghiettura  sulla  intelligenza  de'due  simulacri  vela- 
ti ,  che  veggonsi  in  una  delle  Capuane  monete.  Non 
può  dubitarsi  che  sieno  due  idoli  ;  ma  dalle  ricerche 
del  ch.Cavedoni,  e  del  Millingen,  non  che  dalla  lun- 
ga discussione  del  Raoul-Rochcttc  non  si  ricava  al- 
cuna stretta  relazione  con  Capua  (fouilles  de  Capoue 
pag.  1 02—1 06  ).  lo  osservo  che  le  tradizioni  attribui- 
vano a  Capua  una  frigia  origine;  per  modo  che  s'in- 
dicava il  trojanoCapi  come  fondatole  della  città.  Ora 
non  può  dubitarsi  ebe  il  culto  degli  dei  Penati  venne 


—  150  - 


appunto  introdotto  da  Enea  in  Italia ,  e  doveva  per- 
ciò essere  ricordato  nella  numismatica  di  una  città  di 
frigia  derivazione.  Non  parmi  dunque  strano  il  sup- 
porre che  le  due  immagini  delle  monetine  di  Capua 
esprimano  appunto  i  Penali ,  con  strettissima  rela- 
zione a  Capua  ed  all'Italia.  Fa  al  nostro  proposito 
un  classico  luogo  di  Licofrone  ,  ove  si  ricordano  i 
7ri7r\oi ,  co'  quali  Enea  ricoperse  i  Penati  nel  tra- 
sportarli da  Troja.  Così  si  esprime  il  poeta  : 
Atlixxi  oì  <jrtx'jv  Miwijc  TJxWr^tot, 
Ylxrpuo'  xyx\sxxr  lyxxroixtit  Sswf, 
'A  &t„  Trxpwvxi  xxì  ì>x\xxprx,  xxì  nr-.xyx, 
Kxì  xr-rpiv  aXXyjv  épvjtwx.v  xuiav}\iwv, 
Xvv  tw  yiqxiòi  nxrpì  rn,pir;[Liuj'7-rxi, 
nEIlAOIX  nEPI^XON  eie.     v.  1261  segg. 
Il  Meursio ,  anche  senza  il  confronto  delle  meda- 
glie ,  ha  ben  compreso  il  signiGcato  delle  ultime  pa- 
role ,  riportandole  appunto  a'  panni ,  di  che  rico- 
prir si  solevano  le  immagini  delle  divinità.  Nò  diver- 
samente si  esprime  l'antico  Scoliaste:  Kxì  xxì-v^xs  Iv 
tc?s  7r«rXoiS,'7)  to?»"  lymrrloiS.  È  da  notare  altresì  che 
ne'varii  monumenli  rappresentanti  la  fuga  di  Enea, 
gli  dei  Penali  non  appariscono  allo  scoperto,  ma  so- 
no talvolta  racchiusi  entro  qualche  ripostiglio ,  per 
tenerli  celati  agli  occhi  di  tutti  (  v.  Overbek  Gallerie 
heroischer  Bildwerke  p.Coo  segg.  ).  Ognun  vede  adun- 
que come  il  luogo  di  Licofrone  fa  bel  confronto  col- 
la moneta  di  Capua  ,  nella  quale  il  cullo  degli  dei 
Penali  assolutamente  italico,  e  proveniente  dalla  Fri- 
gia, trova  una  così  chiara  e  sicura  applicazione.  E  qui 
mi  piace  di  osservare  che  se  vogliamo  nella  testa  del 
ritto  riconoscer  più  tosto  la  dea  Vesta,  la  stessa  forse 
che  vedesi  velata  in  rapporto  coll'allro  tipo  della  spi- 
ga (1)  (  essendo  ben  noto  per  qualche  altro  esem- 
pio convenire  a  Vesta  lo  scettro  ,  Gerhard  negli  an- 
ttali  del  1850  p.  21 1  e  seg.)  ;  potremmo  richiama- 
re la  nota  relazione  del  culto  di  Vesta  a  quello  dei 
Penati  appo  i  Romani  (  Tacit.  Annal.  XV,  41 ,  Ma- 
crob.  Satura.  Ili,  4).  Ma  ciò  sia  dello  per  semplice 

(tj  Vota  apparisce  anche  velala  nelle  medaglie  della  gente  dis- 
tia, e  qualche  volta  ornata  di  stefane  (Cavedoni  ripostigli  pag.  63). 
Veggasi  pure  un  bassorilievo  in  ara  marmorea  pubblicato  dal  Daniele 
(  AiUonii  Thylesii  carmina,  et  epitlolae  —  Napoli  MDCCCYHI , 
p.22). 


conghieltura ,  offrendo  quelle  divinità  le  forme  più 
prossime  a  quelle  di  Giunone.  Comunque  sia,  il  du- 
plice numero  de'  Penati  verrebbe  ancora  bellamente 
spiegato  da  un  notabile  luogo  di  Senofonte,  il  quale  ne 
avverte  che  Enea  portò  seco  gli  dei  paterni  e  mater- 
ni: Alvilxs  dì  ffwTxs  fXiv  rovi  irxrpwous  xxì  ixr\rpwovì 
Sioòi  (  cyneg.l,  15).  Ed  è  pur  da  ricordare  che  nella 
numismatica  delle  famiglie  romane  i  Peuali  sono  ap- 
punto due ,  e  si  confondono  co'  Dioscuri  :  come  si 
osserva  sulle  medaglie  della  gente  Amia  ,  della  Fon- 
teia ,  e  della  SuJpicia.  Vedi  la  dotta  discussione  del» 
l'Eckhel  (doctr.num.vel.  t.  V  p.  318  e  segg.  ),  e  ciò 
che  dice  il  sommo  Borghesi  (  Dee.  VI,  oss.  7).  Per 
tutte  le  quali  ragioni,  noi  non  dubitiamo  affatto  del- 
Piuterpretazione  per  noi  data  al  doppio  simulacro  delle 
monete  di  Capua. 

Ma  lo  stesso  luogo  di  Licofrone  ci  apre  la  via  a  spie- 
gare un'  altro  difficile  tipo  non  ancora  ben  compreso 
delle  Capuane  medaglie,  costituendo  uninsieme  ed  un 
nesso  di  differenti  tipi  che  a  vicenda  si  spiegano ,  ri- 
portandosi ad  una  sola  serie  d' indigene  tradizioni. 

Racconta  l' oscuro  poeta  che  Ulisse  s' incontrò  in 
Italia  con  Enea ,  e  fece  con  lui  alleanza  ;  e  che  lo 
stesso  incontro  ebbe  luogo  co'  figli  di  Telefo  Tarcon- 
te  e  Tirseno.  È  utile  riportare  le  parole  stesse  di  Li- 
cofrone : 

%vv  §/  <r$j  (x'%u  (p/X(ov  £x$|MS  8»  erparov 
OPKOIS  KPATHSAS,  xxì  >.irx7s 
rOTNASMATS^X 
NocvoS  TrXxvxiTi  ttxvt  ìqiuyrfxi  \avxj'v 
'AXof  n,  xx)  yrfi.  gÙv  dì  ?><Wrt%o;  tóxoi 
MTXftN  ANAKTOS,  «'  tcot'    OÌxovpoS  hópu 
Tyx'x^u  QsojkoS,  ymx  trvròrGxì  y.vyoti, 
Tag^wy,  **'  Tepcrjvòs,  tu&wves  \vxoi, 
Tùv  HPAKAEmN  ìxyiywns  A1MATON. 
Avverte  Tzelze  a  tal  luogo  v.  1242  e  segg.  Ulisse 
ed  Enea  avv'&rptxs  (x=r  xWr{kwY  xxì  ùpryry  ■noirpxi. 
A  me  sembra  che  questa  mitica  alleanza  volle  effigiar- 
si sulle  monete  di  Capua  e  di  Atella ,  che  ne  imitò  i 
tipi.  Di  fatti  nessuno  de' tipi  di  Capua  offre  una  rela- 
zione storica  ,  e  nessuna  potè  probabilmente  propor- 
sene  del  tipo  di  cui  ragioniamo  (  Raoul-Rochette/bui/- 
les  de  Capoue  pag.  95  ,  s.  ).  All'incontro  la  mitica 


—   Voi  — 


federazione  di  Ulisse,  o  piuttosto  de' figli  di  Telefo 
con  Enea  ,  era  un  tipo  acconcissimo  ad  una  popola- 
zione ,  che  in  sé  riconosceva  l' elemento  ellenico  ,  e 
l'italico,  che  tutte  le  tradizioni  ritenevano  per  Frigio 
o  Dardanio  :  il  che  non  solo  limitava»  a  Roma  ed  alle 
finitime  città  ,  ma  da  particolari  tradizioni  locali  cstcn- 
devasi  propriamente  alla  stessa  Capua(  v.  R.  Rochet- 
te  fouilles  de  Capone  art.  I,  e  colonies  grecques  t.  II. 
p.  357  ).  E  qui  mi  piace  di  osservare  che  gli  opxoi 
rammentati  da  Licofrone  sono  appunto  quelli  che  se- 
condo i  frigii  costumi  si  facevano  col  sagrifizio  di  una 
porchetta  ,  e  che  furono  poscia  introdotti  in  Italia  : 
ed  è  notevole  che  io  riconosco  nelle  Xiroù  yovYouriÀx- 
rvuv  di  quell'oscuro  sciatore  un'allusione  al  giovinet- 
to inginocchialo,  che  vedesi  in  altre  ripetizioni  di'si- 
mili  sagrificii  in  occasione  di  alleanze  offertici  sulle 
monete  :  al  qual  proposito  è  da  richiamare  particolar- 
mente l'aurea  moneta  di  fabbrica  campana,  di  cui  si 
attribuisce  la  coniazione  alla  stessa  Capua  (  Lenonnant 
introd.à  l'elite  p.36,  s.  Raoul-Rochelle  fouillesde  Ca~ 
poue  p.  9G).  Vedine  ora  il  fac-simile  nel  catalogo 
delle  monete  del  Sig.  Riccio  tav.  1.  n.  21.  A  questa 
medesima  alleanza  de'Misi  si  riferiscono  i  tipi  di  Er- 
cole e  del  poppante  Telefo,  che  s'incontrano  in  altre 
medaglie  ,  e  che  confrontano  pure  col  cita'o  luogo 
di  Licofrone.  In  tal  modo  questi  tre  tipi  più  diffi- 
cili delle  Capuane  medaglie  si  spiegano  bellamen- 
te colla  origine  frigia  della  città ,  e  colla  mistione 
forse  primitiva  de'Misi,  che  secondo  Licofrone  si 
unirono  in  alleanza  colle  schiere  di  Enea.  A  que- 
ste tradizioni  si  collega  la  introduzione  del  culto  dei 
Penati  (1) ,  la  federazione  mitica  de'  Greci  e  de'  Fri- 
gii ,  il  rapporto  co'  Misi  e  quindi  con  Telefo  ,  e  col 
suo  divino  genitore  Alcide.  In  tal  maniera  d'  intende- 
re la  numismatica  di  Capua  acquista  un  interesse , 
che  finora  non  fu  da  altri  riconosciuto. 

CAPUA  CUM  NOM.  CAMPANORUM 

3.  Testa  imberbe,  con  galea  laureala  a  d. 

(  )  Un  rapporto  de1  Penati  col  sacrifizio  di  una  troja  è  narralo 
da  Varrone  ,  e  da  Dionisio  di  Aliearnasso.  Vedi  Eckhel  (  doctr.  t. 
V  p.  321  ). 


)(  Toro  a  volto  umano  stante  a  s.,  sopra  la  epigrafe 
KAMITANo[N] ,  sotto  due  rami  che  si  congiungono 
situati  in  opposte  direzioni.  Ar.  9  -f- 

Presso  il  sig.  Sanibou. 

Crediamo  sempre  interessante  il  pubblicare  tutte 
le  varietà  di  queste  belle  medaglie  de' Campani,  che 
si  attribuiscono  generalmente  a  Capua:  vedi  Raoul-Ro- 
chette  {fouilles  de  Capouc  p.  77-85),  e  questo  bui- 
lettino  (  an.  IL  pag.  189-190).  Non  ricordiamo  che 
altro  esemplare  finora  pubblicato  ci  presenti  il  dupli- 
ce ramo  sotto  la  linea  del  toro  :  e  questa  particola- 
rità accoppiata  alla  bellezza  dell'  arcaica  fabbrica  ci 
han  fatto  credere  opportuna  la  pubblicazione  della 
medaglia  del  sig.  Sambon. 

CUMAE?CAMPANIAE 


4.  Galea. 

)(  Conchiglia 

Presso  il  sig.  Sambon. 


Ar.  2, 


Questa  minima  divisione  nella  numismatica  di  Cli- 
ma non  incontrossi  finora  ,  sebbene  ne  fossero  già 
conosciuti  i  tipi  (  Avellino  opusc.  tom.  II.  tav.  3  n. 
2,3).  Non  ha  guari  il  eh.  Fiorelli  pubblicò  due  mo- 
netine di  Napoli  della  medesima  grandezza  di  questa 
nostra ,  ma  con  qualche  varietà  di  fabbrica  (  monete 
ined.  dell'  Ital.  ani.  tav.  1.  fig.  2,  3  ):  giacché  la  con- 
chiglia e  la  galea  sono  rivolte  ad  opposte  direzioni. 
Siccome  le  monetine  edite  dal  sig.  Fiorelli  offrivano 
una  sicura  determinazione  dall'  epigrafe  appostavi , 
così  questa  da  noi  pubblicata  non  presentando  alcuna 
traccia  d' iscrizione  ci  lascia  nel  dubbio,  se  a  Napoli 
od  a  Cuma  farsene  deggia  l'attribuzione.  Del  resto  a 
qualunque  delle  due  città  voglia  riferirsi,  sarà  sem- 
pre vero  che  i  tipi  sono  da  riputare  assolutamente 
Cumani;  come  osservava  per  quelle  da  lui  pubblicate 
lo  stesso  eh.  Fiorelli  ( /.  e.  pag.  4) ,  avendo  relazio- 
ne alla  conchiglia  del  Lucrino  (Millingen  méd.grecq. 
inéd.  p.  5),  ed  alla  galea  plutonica  (Avellino  opusc. 
tom.  IL  p.  39  e  bullelt.  arch.  Napol.  an.  III.  pag* 
65  segg.  ).  E  questa  imitazione  delle  medaglie  di  Na- 
poli da  quelle  di  Cuma,  della  quale  le  storiche  narra- 
zioni forniscono  la  spiegazione  (vedi  sopra  pag.  99,  s. 


—  152  — 


e  Capasso  sul  sito  di  Napoli  e  Palepoli  pag.  3  e  segg.) 
è  stata  già  per  altre  occasioni  avvertita  (  vedi  Avelli- 
no opusc.  t.  II.  p.  44,  Raoul-Rochette  j'ourn.  dessav. 
1854  pag.  304.). 

NOLA?CAMPANIAE 

5.  Testarti  donna  con  diadema, orecchino, e  collana 
a  d.,  innanzi  residui  di  una  epigrafe  irriconoscibile. 
X  Toro  a  s.,  sopra  Vittoria  che  lo  corona.  Ar.  9 
La  fabbrica  assolutamente  campana  di  questa  me- 
daglia ,  e  la  particolarità  del  loro  non  a  volto  uma- 
no la  rende  sigolarissima.  La  testa  del  ritto  si  trove- 
rà somigliantissima  a  quelle  di  Nola,  alle  quali  pure 
è  da  confrontare  per  la  maggiore  spessezza  e  pel  ri- 
lievo più  pronunziato.  Assai  difficile  riesce  indagare 
il  motivo  di  questa  varietà  di  tipo  nel  rovescio  :  e 
noi  non  oseremmo  presentare  alcuna  certa  eongbiet- 
tura.  Vogliamo  soltanto  avvertire  che  nelle  guer- 
re sanniliche  Nola  si  collegò  co' Sanniti  contro  Roma, 
e  venne  poscia  occupata  da'  suoi  medesimi  alleati,  che 
la  tennero  sino  al  441,  nella  quale  epoca  venne  loro 
nuovamente  ritolta  dalle  armi  romane  (  Liv.  lib.  IX, 
28;  Strabone  lib.  V  p.  249:  cf.  Diod.  Siculo  XIX, 
101  ).  Sicché  potrebbe  giudicarsi  per  avventura  la  no- 
stra moneta  coniata  nel  tempo  di  quella  occupazione 
sannilica,  la  quale  durò  assai  poco.  E  si  darebbe  ra- 
gione della  sostituzione  dell'italico  toro  vittorioso  al 
toro  campano  a  volto  umano,  che  già  figurava  nella 
numismatica  nolana.  Non  altrimenti  nelle  medaglie 
posteriori  della  lega  Marsica  vedi  sovente  ripetuto  il 
toro  italico  ,  o  sannitico,  e  principalmente  quando  è 
figurato  nell'alto  di  abbattere  la  lupa  simbolo  di  Roma. 


7.  Testa  imberbe  galeata  a  d.:  sulla  galea  è  ramo 
di  alloro  e  civetta. 

)(  Mezzo  loro  a  volto  umano  nuotante  a  d.:  sopra 
la  epigrafe  $IWT$I8  ar.  5 

Queste  due  monete,  la  prima  delle  quali  appartie- 
ne al  sig.  Lauria,  l'altra  al  sig.  D.  Domenico de'Ba- 
roni  Oliva,  presentano  entrambe  qualche  particola- 
rità. La  prima  (n.  6)  offre  nella  iscrizione  a  notare 
la  forma  del  quinto  elemento ,  che  rassembra  ad  uà 
A  rovesciata,  e  l'ultima  lettera,  che  in  tutti  gli  esem- 
plari conosciuti  apparisce  sempre  un  S ,  qui  si  mo- 
stra somigliantissimo  ad  un  V\,  sebbene  possa  ripu- 
tarsi un  S  giacente.  La  seconda  monetina  poi  era  già 
conosciuta  per  la  pubblicazione  fallane  dal  eh.  Fried- 
laender  (  osk.  Munzen  tav.  V.  n.  7  )  ;  se  non  che  it 
carattere  della  fabbrica  è  lotalmenle  diverso,  e  la  i- 
scrizione  apparisce  A3T^I8,  e  non  già  come  nella  no- 
stra *IVvHRI8.  Vedi  le  cose  da  lui  osservate  pag. 
32  e  seg.  della  citala  opera  (1). 

È  ben  conosciuto  quanto  sieno  varie  le  opinioni 
de' dotti  sull'attribuzione  di  queste  medaglie  ,  e  sul 
silo  dell'antica  Fistulis  o  Fislelia.  La  discussione  fat- 
ta a  tal  proposilo  dal  sig.  Raoul-Rochette  non  dà  al- 
cuna luce  ad  una  tal  quistione  (journ.  del  Savanl$ 
1854  pag.  244  e  segg.  )  Noi  facemmo  di  sopra  al- 
cune brevi  osservazioni  su  questo  difficile  punto  (  p. 
131  seg.).  Ora  vogliamo  aggiungere  sul  medesimo 
argomeulo  poche  altre  parole.  Nella  numismatica ,  a 
stabilire  le  dubbie  attribuzioni,  giova  non  poco  la  no- 
tizia della  patria  delle  monete,  ed  il  sapere  in  quali  siti 


se  ne  fece  il  maggiore  ritrovamento. 


Continua 


Minervino 


FISTLUIS  SAMNU 

6.  Testa  femminile  di  fronte ,  con  capelli  pendenti 
di  lato ,  apparisce  alla  gola  un  residuo  della  collana. 

y  Toro  a  volto  umano  a  s.,  sopra  la  epigrafe  81- 
STVVNA  ,  sotto  la  linea  de  piedi  delfino.     Ar.  8  '/.. 


(t)  In  un  altro  esemplare  di  questa  moneta  posseduto  dal  ne- 
goziante di  antichità  sig  Barone  abbiamo  riscontrata  la  simile  epi- 
grafe riportata  dal  sig.  Friedlaender.  Per  equivoco  poi  il  sig.  Ric- 
cio credè  che  il  Friedlaender  avesse  pubblicala  una  iscrizione  di- 
versa, ed  apprezzò  pochissimo  la  moneta ,  quasi  che  si  trattasse  di 
moneta  comune.  (  repert.  num.  p.  S). 


Giulio  Mixeiivim  —  Editore. 


Tipografia  di  Gwseppb  Cataneo. 


BILLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  70.     (20.  dell'  anno  III.) 


Aprile  1855. 


Monete  inedile  o  rare.  Continuazione  del  n.  precedente. 


Monete  inedile  o  rare.  Continuazione  del  n.prcc. 

Era  stato  da  altri  notato  che  provenivano  più  fre- 
quentemente dal  Saniiio  le  monete  di  Fistelia. In  questi 
ultimi  tempi  fralle  rovine  di  una  sannitica  città  sen'  è 
rinvenuto  un  notabile  numero.  Sicché  resta  probabil- 
mente dimostrato  che  a  quella  località  creder  si  deg- 
giano  pertinenti. Già  il  sig.Friedlaender  riputava  san- 
nitiche  le  monetine  anepigrafi  col  leone  corrente  e  sot- 
to il  serpente  (op.cv7.pag.30):  e  questa  era  pure  la  opi- 
nione degli  archeologi  napoletani  ;  come  apparisce 
altresì  dalle  stesse  tavole  del  Carelli ,  ove  sono  messe 
nel  Sannio  insieme  con  quelle  sicure  di  Fistelia.  E 
per  verità  non  siamo  affatto  mossi  da  ciò  che  scrisse 
recentemente  il  Raoul-Rocheltc  a  favore  dell'  attri- 
buzione ad  Eraclea (journ.  des  sav.  1834  p.  247); 
giacché  lo  stile  totalmente  diverso  di  quelle  due  se- 
rie di  medaglie ,  ed  il  sistema  della  testa  di  fronte  e 
non  già  di  profilo,  che  apparisce  pure  negli  altri  obo- 
li certi  di  Fistelia  ,  ci  conducono  ad  altra  idea.  Né 
vale  il  dire  che  la  numismatica  del  Sannio  non  ci 
presenta  division  dell'  argento  in  oboli  ;  giacché  la 
città  di  Fislelia  costituir  doveva  una  eccezione.  In 
qualunque  sito  voglia  supporsi ,  sempre  dee  riputar- 
si una  città  mista  di  greco  e  di  sannitico  ;  anzi  do- 
veva assolutamente  predominare  l'elemento  greco. 
Or  questa  particolarità  notabilissima ,  sino  a  vedersi 
una  duplice  iscrizione  nelle  sue  medaglie,  non  incon- 
tra alcun  confronto  nella  numismatica  antica  :  e  per- 
ciò non  può  sembrare  strana  una  eccezione  relativa 
ad  una  città  che  altre  ne  offre  nella  sua  costituzione 
e  nelle  sue  monete.  A  tutte  queste  ragioni,  come  di- 
cemmo, si  aggiunse  il  luogo  di  Livio  (  lib.  XXIV  e. 
XIX  toni.  HI  pag.  863  ed.  Drakenborch ) ,  e  l'altro 


di  Floro  (  IH,,  18  pag.  84  ed.  Jahn)  da  me  per  la 
prima  volta  richiamali  in  questa  importante  ricerca. 
Noi  rimandiamo  a  quella  filologica  discussione;  nella 
quale  ci  sembra  di  aver  dimostrato  che  il  Fisllus  delle 
monete  incontrando   quell'  unico  confronto  ne'  do- 
cumenti scritti ,  può  con  esso  mettersi  in  relazione 
con  maggior  fondamento  di  qualsivoglia  altra  arbi- 
traria attribuzione.  Tale  io  reputo  quella  di  Pozzuol 
già  proposta  dal  Mazzocchi  (  lab.  Hcracl.  p.  300  )  , 
e  poi  dal  Sestini  (class,  gen.  p.  14),  e  dal  Millingen 
(  ancient  Greek  Coins  p.  7  ) ,  che  in  seguito  ha  egli 
medesimo  ritrattata  (consid.  p.  20:);  sebbene  con  in- 
gegnose ragioni  sia  stata  sostenuta  di  nuovo  dal  eh.  Le- 
normant  (introduct.à  l'elite, p. 40,87-88),  dal  Moni- 
msen  funter.  Diakk.  p.  309),  e  poi  dalsig.  Fried- 
laender  (  oste.  Miinzen  p.  30  ).  Né  fa  alcun  peso  che 
si  trovino  in  quel  sito  da  noi  accennato  monumen- 
ti posteriori  alla  totale  distruzione  della  città,  indi- 
cata da  Livio  ;  giacché  è  stato  già  da  altri  avvertito 
che  Slrabone  e  lo  slesso  Livio  presentano  spesso  co- 
me interamente  distrutte  città  che  a  tempi  loro  offri- 
vano ancora  grandiosi  monumenti  superstiti  (  Dod- 
wel  aìcunibassirilievi  della  Grecia,  Roma  MDCCCXH 
pag.  II  ).  Ed  in  quanto  a' tipi ,  da' quali  si  è  voluto 
dedurre  un  sostegno  alla  opinione  che  le  medaglie  di 
Fislidis  attribuisce  a  Putcoli ,  perchè  simili  in  parte 
a  quei  di  Clima  ,  può  questa  particolarità  spiegarsi 
con  qualche  colonia  di  Cymaei,  che  andò  a  costituire 
la  parte  greca  di  Fistelia.  É  poi  noto  che  non  poche 
volte  tipi  marittimi  furono  adottati  nelle  monete  delle 
città  mediterranee  (  Cavedoni  nel  Indi.  ardi.  nap.  di 
Avellino  an.  IL  p.  103).  Sinché  una  migliore  opi- 
nione non  si  proponga ,  io  riterrò  la  Fistelia  delle 

medaglie  corrispondente  alla  Fuisulae  o  Fiusulae  dei 

20 


—  154  — 


codici  di  Livio ,  e  non  mi  allontanerò  dal  Sannio 
per  ritrovar  la  patria  di  quei  monumenti. 

MALIESA  SAMNII  ? 

9.  Testa  di  Apollo  laureata  a  d. 

)(  Toro,  di  cui  non  apparisce  la  testa  umana  a  d.: 
sopra  galea  con  paragnatidi,  sotto  la  linea  de'  piedi 
MAVIES  Ae.  7. 

8.  Simile  lesta  di  Apollo  laureata  a  d. 

)(  Toroavollo  umano  ad.,  sopra  testa  galeata  ad.: 
manca  assolutamente  la  epigrafe.  Ae.  6  '/., 

La  prima  di  queste  monete  è  nella  raccolta  del 
sig.Lauria,  la  seconda  è  posseduta  dal  sig.  Sambon. 
Pare  che  pur  la  seconda  possa  attribuirsi  a  Maliesa, 
avuto  riguardo  alla  fabbrica  ed  alla  piccolezza  del 
conio.  Comunque  sia  di  questa ,  è  perù  certo  che 
l'altra  appartiene  a  Maliesa  ,  siccome  viene  indicalo 
dalla  epigrafe.  La  nostra  medaglia  conferma  la  lezio- 
ne stabilita  dal  chiarissimo  signor  Lenormant  (  in- 
troduci, à  l'elite  des  mon.  céramogr.  p.  42);  e  ci 
sembra  di  fatti  latina  MAVIES.  Vedi  sulle  varie  le- 
zioni finora  ravvisate  in  differenti  esemplari  il  chiaris- 
simo Mommsen  (unter.  Dial.  pag.  102),  ed  il  eh. 
Friedlaender  (osh.  Miinzen  pag.  67) ,  non  che  le  cose 
recentemente  dette  da  Raoul-Rochette  (journ.  des 
Savanls  1854  pag.  243  segg.).  È  da  notare  che  gli 
ultimi  numismatici  riconoscono  una  mistione  di  gre- 
co e  di  latino  nella  leggenda  MAUES  ;  e  così  pure 
corregge  lo  stesso  eh. Mommsen  (  Rdmische  Munzwe- 
sen  p.  423  ).  Se  la  stessa  lezione  si  verifica  in  tutti  gli 
esemplari,  dir  si  dovrebbe  che  nella  monetina  del 
sig.  Lauria  la  inferiore  asta  del  %  venne  mora  del  co- 
nio per  la  ristrettezza  dello  spazio.  Intanto  mi  piace 
di  richiamare  che  ho  in  questi  ultimi  giorni  osservato 
presso  il  sig.  Sambon  due  altre  monetine  co'  mede- 
simi tipi  campani,  ed  in  entrambe  si  osserva  sotto  il 
toro  la  epigrafe  MA..., MA  A.. ..Quello  poi  che  merita 
una  considerazione  maggiore,  si  è  che  innanzi  la  testa 
apollinea  nel  ritto  in  una  di  esse  si  legge  la  epigrafe 
IvEonOAITftN.  Io  mi  contento  di  richiamar  questo 
fatto,  proponendomi  di  discorrerne  più  distesamente, 
quando  farò  la  pubblicazione  di  quelle  due  interessanti 


medaglie.  É  ben  conosciuto  che  le  medaglie  di  Maliesa 
furono  attribuite  ora  a  Melae  o  Meles  del  Sannio, 
cui  si  fa  corrispondere  il  nome  della  odierna  Molise 
(  Millingen  ancient  Greek  Coins  p.  3;  Avellino  suppl. 
ad  hai.  vet.  num.  p.  48  ;  Sestini  class,  gener.  ) ,  ora 
a  Benevento  (  Carelli  num.  hai.  vet.  descr.  p.  10; 
Millingen  considér.  p.  223-224  ;  Lenormant  introd. 
à  l'elite  p.  42-43;  Mommsen  Ramisene  MilnzuìCS.^. 
233  ).  Il  eh.  Friedlaender  prudentemente  colloca 
fralle  indeterminate  le  monete  di  Maliesa  (osk.  Miin- 
zen p.  67),  ed  il  Raoul-Rochette  seguendolo  in  que- 
sta riserva  non  sa  persuadersi  della  identità  di  quel  no- 
me con  l'altro  di  Benevento  (journ.  des  Sav.  1854 
pag.  243  ,  1 .  )  ).  Assolutamente  nuovo  è  il  tipo  del- 
l'Apollo laureato  nella  numismatica  di  Maliesa;  e 
senza  dubbio  gli  archeologi ,  i  quali  sostennero  la 
identità  di  Maliesa  con  Benevento  ,  ne  trarranno  un 
argomento  a  loro  favore  per  lo  riscontro  del  me- 
desimo tipo  nelle  monete  colla  epigrafe  BENVEN- 
TOD.  Io  non  saprei  con  sicurezza  seguire  una  tale 
opinione; rimanendo  perù  dubbioso  se  al  Sannio  ov- 
vero alla  Campania  riportar  si  debba  l' attribuzione 
di  queste  medaglie. 

ITALIAE  INCERTA 

10.  Testa  virile  barbata  a  d.,  dietro  l-HET 
)(  Quadrupede  che  rivolgendo  il  capo  abbassalo  è 
nell'  atto  di  blandire  un  putto ,  di  cui  si  vedono  appe- 
na le  tracce.  Sopra  sono  due  globetti  Ae.12. 
È  notevolissima  la  fabbrica  di  questa  moneta  ,  la 
quale  per  la  sua  rozzezza  dee  credersi  assolutamen- 
te Sannitica:  le  forme  di  questa  testa  barbata  offrono 
un  aspetto  in  certo  tal  modo  somigliante  a  quello  del- 
la barbata  figura  sedente  dipinta  sulla  parete  di  una 
tomba  Sannitica  di  Capua  ,  pubblicata  nel  2.°  anno 
di  questo  bui  lei  tino  (tav.  X).  A  questa  Sannitica  re- 
lazione si  presta  benanche  la  epigrafe  WET ,  nella 
quale  l' elemento  W  è  pertinente  a  scrittura  sanniti- 
ca.Né  dee  fare  ostacolo  l'esser  dritta  e  non  retrogra- 
da la  iscrizione;  giacché  non  è  nuova  questa  situazio- 
ne delle  epigrafi  sannitiche  :  e  basterà  citare  le  mo- 
nete di  Fislluis ,  alcune  delle  quali  offrono  la  epigra- 


—  155  — 


fe  da  sinistra  a  destra.  Notevolissimo  è  il  rovescio , 
ael  quale  a  prima  vista  potrebbe  taluno  ravvisare  la 
tipa  che  allatta  Romolo  e  Remo ,  come  apparisce 
ie'  sestanti  appartenenti  alla  divisione  dell'  asse  di 
lue  once  ,  che  il  sig.  Raoul-Rochette  attribuisce  al- 
resì  a  Gapua  (  journ.  dvs  savants  1854  pag.  318  ). 
Ha  meglio  considerando  le  forme  del  quadrupede 
i  troverà  che  la  conformazione  della  testa  ,  e  {'  un- 
;hia  perfettamente  visibile  in  lutti  i  quattro  piedi 
:e  la  fan  senza  dubbio  determinare  per  una  cer- 
ra  (  1  ).  E  corre  tosto  il  pensiero  alla  cerva  allattatri- 
ce di  Telefo ,  che  presso  a  poco  nella  medesima  po- 
rzione si  scorge  in  alcune  monetine  di  Capua.  Sa- 
ebbe  mai  un  rozzo  conio  dell'  antica  Capua ,  dovu- 
o  propriamente  all'arte  sannitica  senz' alcuna  mi- 
lione di  greca  influenza?  Io  non  oserò  decidere  una 
ale  quislione.  Solo  voglio  in  tal  luogo  avvertire  che 
i  conosce  della  medesima  fabbrica  il  Iriente  col  bi- 
ronte  imberbe  e  conia  epigrafe  HHETnel  ritto  ,  ed  al 
©vescio  un  incerto  quadrupede ,  e  sopra  un  uccello 
rolante.  11  sig.  Reynier,  che  ne  fece  la  pubblicazione 
précis  d'une  collect.  de  méd.  antiq.  tav.3  fig.  56),  ri- 
onobbe  nella  epigrafe  i  caratteri  sannilici  ;  e  rico- 
loscendo  nel  quadrupede  un  elefante  propose  1'  opi- 
ìione  che  fosse  quel  (riente  battuto  in  onore  di  Me- 
dio da  qualche  città  del  Sannio. 

Questa  conghiettura  non  ci  sembra  fondata  sopra 
dcun  valido  appoggio  :  e  noi  vorremmo  nel  WET 
•avvisar  piuttosto  il  nome  di  qualche  sanniticoduce, 
in  Metius  forse  ,  nome  già  famoso  sin  dalla  più  an- 
ica  storia  de'  Sabini  ;  e  che  ritrovasi  pure  ne'Sanni- 
ici  monumenti  (Mommsen  unter.  Dialek.  pag.  279 
r.Metiis).  In  qualunque  modo,  il  mito  di  Telefo  era 
celebre  in  Italia  (  vedi  i  miei  mon.  ined.  di  Barone 
)ag.l21),e  quindi  se  conviene  aCapua,non  potreb- 
)e  disconvenir  neppure  ad  altra  Saunilica  città  del- 
'  Italia.  In  quanto  al  tipo  riportato  dal  Reynier,  è  a 
nio  giudizio  molto  dubbiosa  la  determinazione  di 
juello  sconcio  quadrupede  ;  ma  ove  mai  potesse  ri- 
putarsi un  elefante,  vorrei  pensar  piuttosto  ad  Anni- 
bale ed  alle  puniche  guerre,  richiamando  l'elefante 

(1)  Lo  stesso  chiaramente  si  osserva  in  altro  esemplare  conser- 
missimo  esistente  presso  lo  stesso  sig.  Lauria. 


delle  medaglie  di  Capua,  di  Atella,  e  di  Nuceria,  Ma 
forse  nel  quadrupede  accoppiato  coli' augello  potreb- 
be meglio  ravvisarsi  un  indizio  di  Sannitica  migrazio- 
ne, sotto  la  guida  àeìi'hirpus,e  degli  augurii. Pertanto 
in  mancanza  di  un  più  accurato  disegno,  non  voglia- 
mo entrare  in  più  estese  conghietture  ,  ed  ipotetiche 
interpretazioni.  Notiamo  soltanto  che  il  bifronte  di 
questa  moneta  mostrasi  imberbe,  e  perciò  somigliante 
al  bifronte  Etrusco  non  che  a  quello  di  Capua  ,  che 
merita  di  esser  distinto  dal  barbato  Giano  delle  ro- 
mane medaglie.  Vedi  pertanto  le  mie  osservazioni  nel 
bulleltino  arch.nap.  di  Avellino  an.  Ili  p.  73  segg. 

ASCULUM  APULIAE 

11.  A  nel  campo 

)(  Fulmine.  Ae.  7. 

Questa  moneta  fusa  appartiene  al  sig.  Lauria ,  il 
quale  ne  possiede  pure  due  altre  cioè  il  sestante,  ed 
il  triente.È  notevole  che  il  peso  del  trienteèdigr.46, 
quello  del  sestante  di  gr.  22,  72  mentre  la  monetina 
che  qui  pubblichiamo  pesa  gr.6,  68.  Sebbene  il  peso 
si  trovi  un  poco  maggiore  di  quel  ch'esser  dovrebbe, 
noi  crediamo  senz'alcun  dubbio  che  ci  si  presenti  la 
semoncia.É  poi  conosciuto  che  il  trienteed  il  sestante 
furono  pubblicati  dall'Avellino  (  buìlelt.  arch.  nap.  an. 
II  tav.il  fig.4.  e  5),  il  quale  ne  ragionò  alla  pagina 
37  di  quel  volume,  non  senza  entrare  a  discorrere 
di  altre  monete  attribuite  altresì  ad  Ascoli  di  Puglia. 
Per  questo  motivo  noi  ci  siamo  astenuti  dal  ripro- 
durre le  altre  due  monete  del  signor  Lauria  ;  delle 
quali  però  credemmo  opportuno  indicare  il  peso  che 
mancava  nella  relazione  dell'Avellino.  Non  vogliamo 
intanto  tralasciar  di  notare  che  di  questa  medesima 
città  co' tipi  identici  si  conosce  altresì  l'oncia,  perti- 
nente al  eh.  Riccio,  la  quale  venne  pubblicata  dal  eh. 
Fiorelli  (  mon.  ined.  dell'  hai.  ant.  tav.  II  n.  1  pag. 
10)  (2).  Sicché  la  monetina  del  signor  Lauria  viene  a 
compire  la  serie  della  moneta  fusa  di  Ascoli  dal 
triente  alla  semoucia ,  nella  quale  notasi  la  divisio- 

(2)  11  sig.  Riccio  ha  descritto  le  tre  parli  innanzi  note  dell'asse 
di  Ascoli  additandone  il  peso:  più  di  2  once,  3)4  di  oncia ,  e  l\ì 
oncia  o  poco  meno:  reperì,  mtmitm.  pag.  39. 


—  156  — 


ne  progressiva  io  lutti  gli  spezzali  finora  conosciu- 
ti. Veggasi  pure  sulle  monete  di  Ascoli  di  Puglia 
quel  che  recentemente  fu  pubblicato  dal  eh.  de  Mi- 
nicis  {monete  di  Ascoli  nel  Piceno  p.  2.  seg.)  dalCa- 
vedoni  (in  Carditi  tab.  p.  8.),  e  dal  Raoul-Rochette 
fjòurn.  des  5uuan<s  18  54  p.299).  Ci  sembrano  alquanto 
ricercale  le  cose  delle  sul  tipo  del  fulmine  e  dal- 
l'Avellino, che  pensò  ad  un'allusione  alla  vicina  Ce- 
rauniola  (  oggi  Cirignola)  (bull.  ardi.  nap.  an.  II.  p. 
37),  e  dal  eh.  Fiorelli  che  vi  conobbe  una  significa- 
zione solare  (mon.  ined.p.  10).  Vedi  non  pertanto  lo 
stesso  Avellino  epist.de  arg.  anecd.  Rubastin.  n.  pag. 
2-3,  ed  il  Burmanno  Z.  K.  cap.  XV. 

CAELIUM  APULIAE 

12.  Testa  di  toro  con  infide  pendenti  dalle  coma: 
sopra  KAI 

)(Lira  con  tenia  che  fa  cappio  per  sospendersi.  Ar.4  '/„. 

Perfettamente  inedita  è  questa  monetina  ,  che  è 
posseduta  dal  sig.  Lauria.  Già  conoscevasi  una  mo- 
netina di  Ruvo  co' medesimi  tipi  sino  da' tempi  del- 
l'Eckhel  (doctr.  t.  I  p.  142),  da  cui  ne  trasse  la  de- 
scrizione il  Mionnet  (ioni.  I  suppl.  p.  2G6).  Se  ne  ve- 
de la  pubblicazione  presso  il  Sestini  (mus.  Hedercar. 
toni.  1  p.26  tab.  2  n.20),  il  Millingen  (ancient  Coins 
pag.  10  tav.  I  fig.  10),  ed  il  cav.  Avellino  (  Ru~ 
baslinor.  numor.  catalogus  tav.  I  n.  6  cf.  p.  11  not. 
11).  E  bene  fu  osservato  dal  Millingen  che  il  tipo  del- 
la lira  fu  tolto  dalla  vicina  Canosa.  Non  dee  dunque 
far  maraviglia  che  i  medesimi  tipi  fossero  adottati  da 
un'allra  città  dell' Apulia,  qual  si  fu  Caelium.  Il  eh. 
Cavedoni  riputò  la  lira  un  tipo  appulo ,  e  non  imi- 
tato (  bullel.  ardi,  di  Avellino  an.  II.  p.102);  ed  il- 
lustrò il  cappio  della  lira  nelle  monetine  di  Ruvo  e  di 
Canosa  (  ivi  p.  52  ).  Sul  tipo  della  testa  di  toro)  vedi 
quel  ebe  dicemmo  di  sopra  p.  145. 

13.  Testa  imberbe  galeata  a  d. 

)(  Vaso  a  due  manichi,  intorno  la  epigrafe  KAI AI- 
NON  (  retr.  )  Ar.  4  »/.. 

Presso  il  signor  Lauria. 

Sono  i  medesimi  tipi  della  moneta  fatta  incidere 
dal  Carelli  (  (ab.  XCVIII ,  n.  1  ):  gol  che  n'è  diver- 
sa la  fabbrica  e  la  epigrafe. 


Quella  ,  che  ora  pubblichiamo,  apparisce  di  epoca 
più  antica  ;  avuto  riguardo  alla  situazione  della  iscri- 
zione ed  all'  uso  dell'  O  invece  dell'  CI.  Una  notabile 
particolarità  è  nella  medaglia  del  Carelli  ;  e  questa 
consiste  nelle  lettere  IT  messe  al  di  sopra  del  vaso. 
Il  eh.  Cavedoni  pensò  alla  ITaX/ix ,  di  cui  Ceglie  era 
forse  al  confine(ad  <afr.c(f.p.38ed.Lipsiae).  Ma  io  va- 
do piuttosto  all'  idea  di  una  concordia  fra  due  appule 
città ,  come  sarebbero  Tiati  e  Caelium  :  nella  quale 
ipotesi  si  sarebbero  distinte  le  due  epigrafi  dalla  loro 
diversa  situazione.  Noi  altrove  parlammo  di  altre  me- 
daglie, nelle  quali  dee  riconoscersi  una  simile  federa- 
zione di  Tiati  con  altre  città  dell'  Apulia  (  bullelt. 
arch.  nap.  an.  I  p.  107  e  segg.  ).  In  una  di  esse  da 
noi  pubblicata  (l.  e.  tav.  IV  n.9)  leggesi  appunto  la 
iscrizione  ITA1T  retrogada ,  invece  della  solita  TIA- 
TI. Dal  che  ci  sembra  confermata  la  conghiettura 
nostra  relativa  alla  monetina  del  Carelli:  e  noi  la  sot- 
tomettiamo al  giudizio  dello  stesso  dottissimo  numi- 
smatico di  Modena,  che  espose  già  una  diversa  opi- 
nione. 

LUCERIA  APULIAE 

1 4.  Testa  imberbe  con  tenia  pendente  dietro  all'oc- 
cipite a  s.,  innanzi  presso  al  collo  I  segno  dell'asse. 

)(  Gallo  a  s.,  intorno  la  epigrafe  SE.  POS.  P. 
BAB.  V.  Ae.  28. 

TAVOLA  XIIL 

1.  2.  Gli  stessi  tipi,  ma  senza  iscrizione,  e  con 
qualche  varietà  di  fabbrica.  Ae.  30  e  28. 

Tutte  tre  queste  interessanti  monete  fuse  apparten- 
gono pure  al  signor  Lauria.  Noi  le  abbiamo  pubbli- 
cale (utte  per  metterle  insieme  a  confronto:  ed  anche 
perchè  essendo  la  prima  indubitatamente  di  Lucerla, 
viene  a  determinarsi  ancora  per  Lucerina  l'altra  simile 
mancante  affitto  di  epigrafe,  già  nota  per  la  pubbli- 
cazione de' eh.  padri  Marchi  e  Tessieri,  che  la  collo- 
carono nella  V  classe  delle  incerte  (  tav.  I.  n.  1 .  ) ,  e 
l'altra  del  Zelada (assestine. tab.  X,  1  ), da  cui  la  tras- 
se il  Carelli  (tab.  XXVI,  3),  che  erroneamente  l'at- 


—  15T  — 


tribuì  ad  Hadria  ;  sebbene  ha  già  notato  il  eh.  Cave- 
doni  che  la  fabbrica  della  moneta  fa  pensare  ad  altra 
regione  (pag. 7 ad  Le.  edit.  Lips.).  È  però  da  osser- 
vare che  il  disegno  del  Carelli ,  principalmente  in 
quanto  al  gallo,  è  molto  più  elegante  di  quello  che 
sia  effettivamente  lo  stile  negli  originali  monumenti. 
Dicevamo  indubitatamente  di  Luceria  la  prima,  giac- 
ché comparisce  in  essa  la  V  arcaica  ,  indizio  della 
zecca  Lucerina.  I  magistrati  che  sono  segnati  nel  nuo- 
vo asse  di  Lucerà,  per  quanto  ho  potuto  rilevare  su 
di  una  moneta  non  poco  rosa  dalla  ossidazione,  pare 
siano  SE.  POS.  C.BAB.  Sergius  o  Servius  Postumius, 
e  C.  Babidius  o  altro  simile  nome.  Questo  asse  Lu- 
cerino  riesce  importantissimo,  perchè  il  secondo  che 
comparisca  con  nomi  di  magistrati.  Sapevasi  di  fatti 
l'altro  asse  colla  testa  di  Apollo  nel  ritto,  ed  al  ro- 
vescio il  cavallo  corrente  con  astro:  sul  quale  si  veg- 
gano le  dotte  osservazioni  del  eh.  Cavedoni  (  bul- 
let.dell' Ist. i$b7  pag.  159-160).  Avvertiamo  poi  clic 
quell'asse  già  conosciuto  ed  attribuito  a  Pesto  (Sesliui 
mus.Hedervar.  Pars  I  p.35.tab.II  f.42;Mionnet  suppl. 
1. 1  pag.  317  n.  819),  fu  poi  pubblicato  di  nuovo  dal 
Mommsen,  il  quale  ne  ritenne  l'attribuzione  a  Luceria 
(das  Burniscile  Milnzw.  init.;  cf.  pag.40 1 ,  ove  interpre- 
ta Gracchi  fdius);  ed  un  altro  esemplare  d' indubitata 
antichità,  benché  inciso  profondamente  nel  diametro 
delle  due  facce ,  ne  abbiamo  osservato  presso  il  eh. 
signor  principe  di  S.  Giorgio.  11  monumento  che 
ora  diamo  alla  luce  confrontato  con  l' asse  già  noto, 
conviene  con  esso  e  per  lo  tipo  della  testa  di  Apol- 
lo, e  per  la  particolarità  de' duumviri;  se  non  che 
non  saprei  se  possa  credersi  il  nostro  alquanto  più 
antico  :  siccome  parrebbe  desumersi  dalla  fabbri- 
ca simile  in  tutto  a  quella  degli  assi  anepigrafi  coi 
medesimi  tipi;  sebbene  non  possano  riputarsi  però  di 
epoca  molto  fra  loro  diversa.  Essendo  la  colonia  Ro- 
mana dedotta  in  Luceria  nel  440  di  Roma,  ne  segue 
che  queste  monete  non  possono  appartenere  ad  epoca 
più  antica  (Mommsen  Bpm.  Mwzices,  p.  233):  onde 
vien  comprovato  che  durava  dopo  il  440  l'uso  delle 
monete  ponderali  di  getto;  siccome  osservano  il  eh. 
Principe  di  San  Giorgio  (  memor.  numism.  p.77),  ed  il 
Cave  doni  (annali  eh.  p.  160),  il  quale  stabilisce  l'asse 


fuso  colla  testa  di  Apollo  verso  la  fine  del  V  secolo 
di  Roma.  (Vedi  pure  lo  slesso  Cavedoni  Bagguaglio 
dell'opera  intitolata  Francisci  Carellii  num.  Bai.  vet. 
lab.  CCI1  pag.  17).  In  quanto  al  tipo  di  Apollo,  ha 
già  notato  il  Cavedoni  che  l' asse  Luccrino  offre  per 
tipo  principale  quel  dio ,  come  principale  divinità 
di  Lucerà,  ricordando  gli  Apollinarcs  delle  Lucerine 
iscrizioni  (  cf. Cavedoni  marmi  Modenesi  p.  187;  Por- 
cellini x.'Mercurialis  §.  4;  ed  ora  Mommsen  inscr. 
r.  neap.  lai.  n.  9o9-962).  In  quanto  al  tipo  del  gallo, 
potrebbe  riportarsi  ancora  alla  sua  solare  significa- 
zione, messo  in  rapporto  colla  testa  di  Apollo  nel 
ritto;  e  questa  è  pur  la  opinione  del  Cavedoni  (  ad 
Cardi,  tab.  XXVI  3  p.  6  ).  Solo  vogliamo  avvertire 
che  i  medesimi  tipi  della  lesta  di  Apollo  e  del  gallo 
compariscono  nella  numismatica  di  Napoli  ,  e  che 
ad  essi  fu  già  assegnala  una  simile  intelligenza  (Avel- 
lino Opusc.  tom.  II  p.  47  ). 

Un'  ultima  avvertenza  facciamo ,  che  ci  sembra  di 
una  certa  importanza.  E  risaputo  che  gli  assi  ita- 
lici pesano  appunto  9  once,  ed  i  romani  11  once. 
Ora  questa  medesima  diversità  di  peso  si  verifica  tra' 
due  assi  lucerini  senza  iscrizione  ,  e  quello  co'  nomi 
di  magistrali.  Sicché  veniamo  a  conchiuderne  che 
gli  anepigrafi  sono  anteriori  alla  romana  colonia  , 
alla  cui  epoca  appartiene  quello  colla  iscrizione  ;  es- 
sendosi allora  soltanto  introdotto  il  sistema  mone- 
tario ponderale  de'  Romani.  Ma  di  ciò  direm  più 
ampiamente  in  altra  occasione. 

RUBI  APULIAE 

3.  Testa  di  Minerva  goleata  ad.  :  sulla  galea  è  l'or- 
namento di  una  Scilla. 

)(  Ercole  che  cerca  di  soffocare  il  leone ,  dietro  Si , 
sotto  la  linea  de' piedi  AAKO"  Ar.  5  Ve- 

Presso  il  signor  Lauria. 

Questa  monetina  è  perfettamente  simile  ad  altra 
edita  dal  Sestini  (  descriz.  del  mus.  Fontana  parte  3 
p.  2  e  HO  lav.  1  fig.  4 ,  5  ,  6  ),  e  poi  di  nuovo  dal- 
l' Avellino  (  Bubaslinor.  num.  calai,  tav.  Un.  11, 
12 ,  13  ).  Essa  viene  a  rettificare  quell'antica  pub- 
blicazione, dimostrandoci  che  le  lettere  TOT,  HOT,  A 


—  158  — 


su  quelle  tre  differenti  monete  altro  non  sono  che  il 
residuo  dello  stesso  nome  di  magistrato  AA^OT,  che 
a  piene  lettere  si  legge  nella  monetina  del  sig.  Lau- 
ria.  Dall'altra  parte  il  conio  venuto  troppo  a  sinistra  , 
mentre  lascia  esattamente  vedere  la  epigrafe  %I,  na- 
sconde poi  l'altra  PT,  eh'  esser  dovea  certamente  dal- 
l'altro  lato;  siccome  si  raccoglie  da  altre  monete  di 
Ruvo  ,  le  quali  veder  si  potranno  presso  lo  stesso  A- 
vellino  f  Rubast.  mini,  calai,  lav.  Il  n.  4,  5,  6);  e 
principalmente  dall'  ultima  ,  ove  le  medesime  leggen- 
de accompagnano  i  medesimi  tipi.  Pare  che  a  Ruvo 
egualmente  vada  attribuita  qualcuna  delle  monete  ri- 
ferite ad  Arpi  dallo  stesso  dotto  numografo  (1)  (A- 
vellino  Lai.  veler.  numism.  t.  1  p.  102) ,  edalMion- 
vel{suppl.  t.  1  p.  259). 

Noi  crediamo  che  la  epigrafe  Si  PT  di  queste  mo- 
netine ,  del  pari  che  della  nostra  ,  sia  slata  egregia- 
mente spiegata  dallo  slesso  Avellino  ,  che  vide  accen- 
narsi ad  una  concordia  da  lui  ritenuta  probabile  fra 
SUvium  e  Rubi  (Rubast.  mini,  calai,  p.  17  ,  e  20). 
Di  fatti  non  sembra  che  il  SI  debba  riputarsi  un  no- 
me di  magistrato  ,  siccome  parve  al  Sestini.  Questa 
opinione  ,  che  veniva  già  rifiutala  dalla  situazione  di 
quella  parte  dell'epigrafe,  è  dimostrata  anche  meno 
probabile  dalla  nuova  monetina  del  sig.  Lauria  :  giac- 
ché esistendo  il  nome  del  magistrato  sotto  la  linea  dei 
piedi  dell'Ercole  e  del  leone  ,  non  si  sarebbe  collocato 
in  un  sito  diverso  un  altro  nome  di  magistrato.  Un'al- 
tra di  queste  monetine  posseduta  dall'avvocato  signor 
Luigi  Minervini,  e  della  quale  darò  in  altra  occasio- 
ne il  disegno ,  offre  la  importante  particolarità  che  il 
SI  ritrovasi  al  di  sotto  del  gruppo,  ma  non  si  è  di- 
stinta la  iscrizione  dal  gruppo  medesimo  mercè  una 
linea,  per  dinotare  che  trattasi  di  una  indicazione  diver- 
sa da  quella  di  un  magistrato.  Del  resto  il  vedere  que- 
ste altre  città  dell'Apulia  indicate  con  due  sole  lettere, 
merita  di  confrontarsi  colle  lettere  IT  da  noi  riportate  a 
Tla-n  in  altra  monetina ,  di  cui  discorremmo  qui  sopra 
p.156.  Il  nome  del  magistrato  AAKOT  non  è  nuovo 
nella  numismatica  di  Ruvo  ;  giacché  occorre  in  altra  ar- 


gentea medagliuzza  (2)  pubblicata  dallo  stesso  Avellino 
posteriormente  al  catalogo  delle  monete  ruvesi  (de  arg. 
anecd.  Rubaslinor.  mimo,  Neapoli  MDCCCXXXXIV) , 
ove  osserva  la  frequenza  di  questo  nome  nell'Apulia 
(pag.  6):  su  di  che  dottamente  fu  scritto  dal  mio  eh. 
amico  sig.  prof.  Teodoro  Mommsen  (  unler.  Dialeht. 
pag.  72  ).  Un'  ultima  osservazione  voglio  qui  fare  ; 
ed  è  che  ammessa  nelle  monetine  colla  epigrafe  Si 
PY  una  federazione  fra  due  appule  città,  si  riconosce 
che  un  diritto  maggiore  vi  abbiano  i  Silvini, come  più 
prossimi  a  Ruvo  ed  egualmente  mediterranei.  Ma 
non  sarebbe  poi  strano  pensare  a'  Sipontini  popoli 
di  antichissima  fondazione  ,  che  Strabone  attribuisce 
a  Diomede  (  VI  p.2Sì)  appellandola  %tirovi\  e  così 
parimenti  vien  delta  da  Stefano  Rizanlino  (  s.  v.  ) ,  da 
Polibio  (Just.  X  ,  1  ,  8  ) ,  e  da  Tolommeo  (  III,  1  ). 
Che  se  dee  probabilmente  tenersi  falsa  l'attribuzio- 
ne già  data  dal  Sestini  ad  una  medaglia  di  oro,  da  lui 
prima  creduta  di  Siponlo  (Gervasio  iscriz.  sipontina, 
nel  voi.  IV  parte  II  delle  memorie  della  reg.  accad. 
Ercolanese  p.  172,  s.  )  ;  rimarrà  questa  sola  classe  di 
argentee  monetine ,  che  potrà  con  dubbio  riportarsi 
all'antica  Siponto,  ricordando  forse  la  sua  alleanza  con 
Rubi, avvenuta  probabilmente  intorno  all'epoca  stessa, 
in  cui  Alessandro  di  Epiro  invase  le  nostre  regioni. 
Del  resto  su  questo  correre  dell'Epirota  per  le  appule 
contrade  ,  e  sulle  sue  federazioni  ivi  stabilite ,  ven- 
gasi lo  stesso  Avellino  nella  Epistola  più  volte  citata 
di  sopra  de  argenteo  anecdoto  Rubaslinorum  numo. 

TARENTUM  CALABRIAE. 

4.  Testa  imberbe  giovanile  con  corno  ritto  sulla 
fronte ,  in  giro  4  globetli. 

)(  Piccola  torre  con  tenie  svolazzanti,  apparisce  un 
gìobello.  Ar.4  '/»• 

b.  Simile  testa,  e  4  globetli. 

)(  Torre  perfettamente  conformata,  con  fastigio,  * 
con  due  aperture  o  finestre  nella  parte  anteriore;  in- 
torno 5  globelti.  Ar.  4  Vi. 


(2)  La  nostra  medaglia  dà  la  conferma  che  il  AA  in  questa  mo- 
(1)  Questa  idea  venne  poi  allo  stesso  Avellino  (  de  arg.  anecd.     netina  esprima  appunto  lo  stesso  Dazo ,  sebbene  pareva  dubbioso 
Rubastinor.  num.  p.  0  ).  all'  Avellino  (  (.  e.  p.  7  ). 


—  139  — 


a.  Testa  femminile  a.  d. 

Piccola  torretta  con  fastigio  acuminato ,  con  una 

sola  apertura  o  finestra  nella  parte  anteriore,  e  tenie 

svolazzanti  da  un  lato:  alla  sommità  del  fastigio  è 

un  piccolo  augello.  Ar.4  '/.. 

La  prima  medaglia  appartiene  al  Sig.  Lauda ,  le 
altre  due  al  Sig.  Sambon. 

11  eh.  Avellino  pubblicò  un  esemplare  di  questa 
seconda  varietà:  ma  la  poca  conservazione  della  me- 
daglia fece  sì  che  non  fosse  esattamente  disegnato 
il  tipo  del  rovescio  (bullel.  arch.  nap.  an.  II.  tav.  II 
fig.  1 3  ).  Noi  abbiamo  creduto  inutile  di  ripetere  il 
tipo  del  ritto ,  perchè  vedesi  esattamente  riportato 
in  quella  prima  pubblicazione.  Il  dotto  editore  ri- 
conobbe nel  tipo  del  rovescio  una  roccia ,  da  cui 
sgorga  l' acqua ,  e  conghielturù  che  potesse  la  mo- 
neta attribuirsi  a  Laus  (  bullett.  cil.  an.  I  pag.  42  ). 
Non  ha  guari  il  eh.  Riccio  ne  presentò  la  descrizione 
fiotto  Taranto,  determinando  per  bottiglia  o  lanterna 
il  tipo  del  rovescio  (  reperì,  numism.  pag.  59  ).  E 
per  verità  questa  attribuzione  sembra  meglio  fon- 
data ora  che  può  farsene  il  paragone  colla  varietà 
del  n.  4.  e  della  lett.  b;  giacché  a  crederla  pertinente 
a  Taranto  siamo  indotti  non  solo  dalla  fabbrica  ,  ma 
benanche  dalla  particolarità  de'  globetti ,  che  circon- 
dano i  tipi  del  ritto  e  del  rovescio  ,  la  quale  è  tanto 
comune  nelle  più  piccole  monetine  di  argento  nella 
numismatica  tarantina.  E  qui  mi  piace  di  rettificare 
l' atribuzione  di  alcune  altre  monetine,  le  quali 
furon  credute  di  Eraclea  dal  Millingen  ,  da!  Raoul- 
Rochelte ,  e  da  me  (  vedi  questo  bulle t tino  an.  II 
pag.  141  e  segg.  ).  Intendo  de'piccoli  oboli  colla  te- 
sta di  Minerva  messa  nel  mezzo  dell'  egida ,  che  oc- 
cupa tutto  il  campo  (  tav.  IX  fig.  lo,  16,  17  del 
citato  anno  del  bullellino  );  i  quali  si  mostrano  ,  pel 
tipo  del  ritto,  somigliantissimi  al  bellissimo  didram- 
mo  di  Eraclea  coli' Ercole  sedente  collo  scifo ,  al 
rovescio.  Intanto  il  sistema  de'  globetti ,  che  circon- 
dano ambi  i  tipi  di  quegli  oboli ,  ovvio  nella  nu- 
mismatica tarantina  affatto  sconosciuto  in  quella  di 
Eraclea,  poteva  persuadere  a  restituirli  a  Taranto, 
da  cui  certamente  furon  tratte  le  effigie  sì  di  Mi- 
nerva   che   di  Alcide.  Questa  osservazione  trovasi 


egregiamente  confermala  dal  folto;  giacché  presso 
il  eh.  Sig.  Principe  di  S.  Giorgio  abbiamo  recente- 
mente veduto  uno  di  questi  rari  oboletli  determi- 
nato per  tarantino  dalla  chiarissima  epigrafe  TA  , 
la  quale  dilegua  ogni  dubbiezza.  Tornando  alle  mo- 
netine che  ora  pubblichiamo,  avvertiamo  che  quella 
riportala  sotto  il  n.°  4  ci  offre  nel  ritto  la  immagine 
di  un  fiume  con  piccolo  corno  sporgente  dalla  fron- 
te, non  altrimenti  che  quella  del  Sebeto  nelle  napo- 
letane medaglie  (  bull.  arch.  napol.  an.  I  tav.  Ili 
fig.  1  ,  2  ) ,  ed  altre  non  poche  in  altri  monumenti 
numismatici ,  destinate  ad  indicar  le  città  presso  le 
quali  scorrevano.  Sarà  dunque  da  ravvisare  nella 
nostra  monetina  il  fiume  Taras  omonimo  alla  vi- 
cina città,  che  s'identifica  coli' eroe  fondatore  della 
stessa  (  Dionys.  Halic.  fragni,  pag.  502  ed  Maii: 
Pausan.  X,  10,  8:  Steph.  Byzant.  v.  Txyxs;  Strab. 
geogr.  I.  VI  pag.  279:  Eustath.  ad  Dionys.  perieg. 
v.  3T6:  Servius  ad  Aen.  Ili,  531  :  Probus  ad  Georg. 
II,  197:  cf.  Corda  Storia  p.  347,.  E  forse  lo  stesso 
fiume  volle  soveate  indicarsi  col  tipo  tanto  frequente 
del  giovinetto  che  cavalca  un  delfino,  che  già  sin  dai 
tempi  di  Aristotele  spiegavasi  appunto  per  Taras  fi- 
glio di  Nettuno  (ap.  Polluc.  onom.  lib.  IX  e.  6  §80. 
cf.  Eckhel  numi  veler.  p.  33,  e  doclr.  t.  1  p.  146  : 
giacché  a  noi  sembra  che  la  paternità  di  Nettuno  , 
ed  il  cavalcare  il  delfino  ben  si  conviene  ad  un  fiume, 
che  tanto  stretta  relazione  ha  colle  acque  marine  , 
nelle  quali  va  finalmente  a  sboccare  (1). 

Nel  tipo  del  rovescio  panni  di  ravvisare  una  torre, 
o  che  si  voglia  credere  una  delle  forti6cazioni  dellit- 
torale  Tarantino,  ovvero  un  faro  per  sicurezza  di  quel 
famoso  porto  'Strab.  VI  p.278;  Appian.  Annib.  VII, 
34;  Polvb.  VIII,  31).  I  nostri  scrittori  ricordano  le 
numerose  torri  del  porlo  di  Taranto,  una  delle  quali 
tenea  scolpita  l' immagine  del  gallo  (  Inverberalo  ap. 
Carducci,  note  alle  delkiae  tarentinae  del  d'Aquino 
p. 47).  Potrebbe  per  avventura  aver  rapporto  ad  una 
tale  determinazione  il  piccolo  augello  appena  visibile 
nell'alta  cima  della  torre  (  let.a/?  E  volendo  mettere 

(1)  Veggasi  pertanto  la  bella  discussione  del  Raoul-Rochcite  sulla 
numismatica  tarantina  (mém.  de  numitm.  et  d'  anliqu-  p.  167. 


1G0  — 


in  relazione  i  due  tipi  del  ritto  e  del  rovescio ,  sa- 
rebbe facile  il  comprendere  che  sboccando  il  fiume 
Taras  nel  mare  piccolo  di  Taranto  ,  trovarsi  doveva 
egualmente  in  vicinanza  delle  fortificazioni  e  del  faro; 
non  altrimenti  che  del  fiume  Galeso  narra  Virgilio, 
ricordando  ancor  egli  le  prossime  torri  di  Taranto: 

Namque  sub  Oebaìiae  memini  me  lurribus  allis , 
Qua  niger  humeclat  flavenlia  culla  Galaesus  etc. 

Georg.IV,  123,  s. 

Sicché  se  da  un  lato  i  due  tipi  di  queste  eleganti 
monetine  accennano  al  celebre  fiume  di  Taranto,  ed 
alle  sue  note  costruzioni  ;  dall'altro  ben  si  comprende 
altresì  la  convenienza  della  loro  riunione  sulla  mo- 
neta medesima.  In  quanto  alle  aperture  o  finestre 
delle  torri  figurate  sulle  nostre  monete  ,  basta  leggere 
ciò  che  dice  il  Marchese  Marini  di  simili  feritoje  nelle 
fortificazioni  delle  città  (ad  Vilruv..4rc/u<.  lib.I,cap.V, 
tom.  I  p.46  ).  Riescono  di  difficile  intelligenza,  in  rap- 
porto ad  una  torre  ovvero  ad  un  faro ,  quelle  tenie 
svolazzanti  da  un  lato  in  alcune  delle  monete  da  noi 
pubblicale.  Potremmo  giudicarle  una  specie  di  ban- 
diera collocata  al  di  sopra  delle  torri ,  per  segnale 
(  (TJjxswt  )  :  ma  non  ci  è  riuscito  ritrovare  ricordati  si- 
mili vessilli  collocati  nell'alto  delle  fortiGcazioni;  seb- 
bene sembri  cosa  conveniente  alla  militare  destina- 
zione di  tali  costruzioni. 

Una  sola  parola  aggiungiamo  sulla  testa  femmi- 
nile ,  che  vedesi  nel  ritto  della  moneta  edita  da  Avel- 
lino ,  ed  in  altri  esemplari  da  me  osservati.  Parmi 
che  debba  riconoscersi  in  essa  la  Ninfa  Satura  madre 
di  Taras,  eroe  fondatore  della  città;  la  quale  è  messa 
ad  indicare  la  località  ,  non  altrimenti  che  la  proto- 
me del  figlio  nelle  altre  monetine:  ed  appartiene  a 
quella  classe  di  tipi  che  ci  presentano  la  Ninfa  fo- 
rale, tanto  frequente  nell'antica  numismatica,  e  sul- 
la quale  si  vegga  pure  il  Raoul-Rochette  (  mém.  de 
numism.  et  d'antiquate  p.  173.  e  segg.  ) 


IN'CERTA  CALABMAE  VEL  LCCANIAE 

5.  Testa  imberbe  goleata  ad.:  la  galea  è  coronala 
di  alloro. 

)(  Ercole  poggiando  al  suolo,  afferra  colla  s.  il  leo- 
ne ,  mentre  tiene  colla  d.  la  clava.  La  lesta  delV  eroe 
pare  munita  di  parlicolar  covcrlura.  Ar.  5. 

Abbiamo  pubblicata  questa  monetina  del  sig.  Sam- 
bon  unicamente  per  lo  stile  particolare,  che  si  risente 
della  maniera  rozza  ed  arcaica.  Pare  vada  attribuita 
piuttosto  ad  Eraclea;  ma  nulla  può  diffinirsi  con  si- 
curezza ,  essendo  un  tipo  comune  a  moltissime  città. 
Solo  ,  in  quanto  alla  fabbrica  ,  crediamo  possa  re- 
stringersene 1'  attribuzione  a  qualche  città  dell'antica 
Calabria  ,  o  della  Lucania. 

POS1DONIA  LCCANIAE. 

6.  Nettuno  con  clamide  sulle  braccia  ,  che  vibra  il 
tridente  a  d.,  dietro  POME,  innanzi  M^5n. 

)(  Lo  stesso  tipo  :  dietro  *3MOH  ,  innanzi  MXV\. 

Ar.  9. 

Presso  il  sig.  Sambon. 

Bella  è  questa  moneta  per  la  sua  conservazione  ,  e 
pel  modulo  ,  che  sembra  alquanto  più  piccolo  di 
quello  delle  altre  simili  medaglie  finora  conosciute 
(  Mionnet  suppl.  I  ,  p.  306  ;  Raoul-Rochette  calai. 
Gosselin  p.  16,  17:  cf.  Micali  V  Italia  av.  il  dom. 
de'  Romani  tav.  LIX  n.  2,3).  Intanto  notiamo  di 
passaggio  che  la  epigrafe  r/lts  accenna  al  fiume  r'ls 
rammentato  da  Licofrone  (Cass.v.724),  che  scorreva 
presso  Posidonia  ;  giusta  la  osservazione  dell'Avelli- 
no (  bullctl.  archeol.  nap.  an.  I  p.  24  ) ,  nella  quale 
però  era  stato  prevenuto  dal  Barthélemy  (mém.  dei 
inscr.  et  belles  leltr.  tom.  XLVII  p.  179-180  ):  sic- 
come facemmo  già  rilevare  in  altra  occasione  (v.  que- 
sta nuova  serie  del  bulkltino  an.  1  p.  47  ). 

MiNERVINI. 

Continua 


Giclio  Mi.nervim  —  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Cataiìeo. 


BILLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  71.     (21.  dell'anno  III.) 


Maggio  1855. 


Annotazioni  del  eh.  ab.  D.  Celestino  Cavedani  ali  anno  II  di  questo  Bullellino.  —  Bibliografia. 


Annotazioni  del  eh.  ab.  D.  Celestino  Cavedoni 
all'  anno  II  di  questo  Ballettino. 

Scultura.  I  fregi  del  fulmine ,  della  testa  del  leo- 
ne ,  dei  due  alati  mostri  con  testa  di  pantera  cornu- 
ta ,  ed  altri  che  ornano  la  bella  statua  di  M.  Olconio 
Rufo  (p.  11,  12) ,  hanno  il  loro  riscontro  in  quelli 
della  lorica  lintea  di  un  grandioso  monumento  se- 
polcrale di  Modena  {Annali  arch.  T.  XVIII p.  120, 
fef),  ed  in  parecchie  altre  statue  di  militari  Romani 
j  Canina  ,  Deser.  del  Tascolo  tav.  29  al.  ).  Non  vor- 
rei parere  ardito  di  troppo  col  proporre  la  congettu- 
ra, che  la  diversità  dello  stile  osservabilissima  fra  la 
testa  ,  ed  il  rimanente  della  statua,  ripeter  si  debba 
dall  uso  che  vi  fosse  di  far  venire  di  Grecia  statue 
simili ,  di  lavoro  finito  ,  eccetto  che  nella  testa  ,  la 
quale  si  lasciasse  sbozzata  ,  affinchè  le  si  potessero 
poi  dare  le  vere  forme  ed  i  lineamenti  della  persona 
Onorata  (  cf.  Cavedoni ,  Marmi  Mod.  p.  119). 

La  particolarità  delle  redini ,  che  recingono  la  per- 
sona sì  di  Pelope  come  di  Euomao  nel  bassorilievo 
cumano  (p.  42),  confronta  con  l'usanza  degli  aun- 
ghi delle  corse  circensi  (  Visconti  Mus.  Pio  Clem. 
t.  Ili  tav.  51.  t.  V  tav.  58-43) ,  e  ricorre  anche  in 
alcune  delle  figure  degli  arcaici  bassirilievi  voìsci  (  In- 
ghirami,  mon.  etr.  Ser.  VI  tav.  11,4).  La  figura 
seminuda  adagiata  al  suolo  e  col  braccio  s.  appoggia- 
to ad  un  rialto  petroso,  pare  che  rappresenti  l'Elide, 
che  dividevasi  in  xoiXtjv  xa.}  ópivrp  (  Strabo  Vili  p. 
336  );  tanto  più  che  la  sua  chioma  parfeminile.  Del 
resto  ,  Pelope  ,  al  suo  primo  arrivo  in  Elide  ,  sem- 
bra volgersi  meravigliato  e  inorridito  a  riguardare  i 
cranii  de'  precedenti  proci  d' Ippodamia  affissi  sopra 
esso  1"  ingresso  della  reggia  d' Enomao. 
axxo  in. 


La  quadriga  di  fronte  rappresentata  nella  piccola 
ara  Agrigentina  (  p.  103  )  ricorda  VAeragas  magna- 
nimum  quondam  gcnerator  equorum  di  Virgilio (Aen. 
Ili,  704). 

Col  gruppo  fittile  rappresentante  una  donna  avvolta 
nel  suo  manto  e  seduta  sopra  un  gallo  ,  che  se  la  por- 
ta, può  confrontarsi  un  balsamario  fittile  di  Pantica- 
peo  con  putto  tutto  avvolto  nel  suo  pallio  e  sedente 
sopra  un  capro,  che  lo  porta  forse  verso  gli  Elisi 
(Acad.  dei  laser.  T.  XIII  p.  591,  pi.  Vili,  2.  cf. 
Gerhard,  Denckmaeler  1851  taf.  A'XAT). 

Pitture  di  Pompei.  La  fiaccola  rovesciata,  che  ve- 
desi  presso  la  piccola  ara  quadrata  ardente  ,  nel  di- 
pinto rappresentante  Oreste  e  Pilade  in  Tauride  (  p. 
70),  pare  quella  che  ha  servito  ad  accendere  l'ara  me- 
desima (  cf.  Annali  arch.  t.  XXIII,  p.  245  n.  15 J. 
Il  trofeo  d'  armi  con  bipenne  e  con  uno  scudo  insi- 
gnito dell'emblema  di  uno  scorpione  (p.  146),  forse 
ricordava  le  glorie  di  un  cittadino  di  Pompei  che  mi- 
litalo avesse  contro  i  Reti  e  nella  Comtnagene  (  v. 
Annali  arch.  tom.  XXIII  p.  221:  Borghesi  Dee.  XV 
oss.  2  ). 

Pitture  vascularie.  Il  bellissimo  toro  macchiato  di 
bianco  e  di  flavo  colore,  che  sta  per  rapire  Europa 
(p.  58),  ha  il  suo  riscontro  nelle  pitture  delle  tom- 
be dell'  antico  Egitto  rappresentanti  parimenti  tori  e 
bovi  macchiati  a  colori  diversi  (  Roselliui  Monum. 
civ.  tav.  21,  52  ). 

Il  simbolo  che  comparisce  varie  volte  presso  Mer- 
curio ne' vasi  dipinti  (p.  97-98),  pare  indicare  un'ara, 
in  riguardo  a  Mercurio  stesso  considerato  per  autore 
de' riti  religiosi  (  cf.  Eckhel  t.  VII  p.60);  tanto  più 
che  in  altri  dipinti  simili  (  p.  113)  al  nume  vedesi 

apposto  un  bucranio. 

21 


162  — 


Ai  riscontri  addolli  dal  eh.  Minervini  per  dover  ri- 
conoscere un  lpw$tòv  nell'augello  posto  di  mezzo  a 
Venere  ed  a  Pauuichide  ,  nel  vaso  de'  signori  Sanlan- 
gelo  (p.  127),  ne  giovi  aggiungerne  alcuni  altri,  pe' 
quali  la  sua  congettura  si  risolve  in  certezza.  Leggesi 
in  Omero  (  //.  K.  v.  274-276  )  come  ad  Ulisse  ed  a 
Diomede,  che  di  notte  tempo  s'incamminavano  verso 
il  campo  Troiano,  per  esplorarlo,  Pallade  mandò  un 
augurio  fausto  e  felice. 

to7<ji  $■  Siiióv  f,xiv  tpuàiìv  lyyvi  Idoìo 
HaXkxs  A9r;vx»V  toI  S' oòx  fòov  ó0x\ixo~<Ti 
vuxrx  Sj'opyva/r,v  ,  àXX*  x\xy~.xvTOS  xxovcxy. 
Eustazio  a  questo  luogo  avverte ,  che  wxròs  xyp-vu 
6  spwSios;  e  lo  scoliaste  Veneto  del  Villoison  parimen- 
te osserva  ,  che  l' erodio  vy&gpa  ri  xx\  wxrì  xp^rcu, 
hipyi$un.  Ambedue  i  commentatori  distinguono  Y  ero- 
dio in  varie  specie,  una  delle  quali  chiamasi  Ipwoiós  x- 
ppoài'cns,  che  troppo  bene  si  sta  presso  la  seggiola  di 
A<l>POAITH.  Del  resto,  sendo  esso  fornito  di  un  ciuf- 
felto  assai  lungo  di  penne  ricadenti  dal  vertice  della 
testa  in  sulla  cervice  ,  pare  senza  meno  della  specie 
Plalalea  mestolone  del  Ranzani  (  Ornilol.  Parte  Vili 
p.  502  ),  o  sia  Plalalea  leucorodia  del  Linneo. 

L'esattore  de' tributi,  sedente  alla  sua  mensa  Del- 
l' insigne  vaso  dipinto  di  Canosa  (p.  129-130,  132, 
170  ),  vuoisi  confrontare  con  un  trapezita  osia ban- 
chiere rappresentato  in  un  contoruiato  di  Nerone 
(  Morelli,  Neronis  lab.  VII,  11:  Eckhel  t.  VIIIp.307). 
Che  il  grande  sacco  ripieno  e  legato  alla  bocca  rap- 
presenti il  Irihuto  del  frumento ,  come  parve  al  eh. 
Minervini,  confermasi  pel  riscontro  delle  monete  de- 
gli Arsacidi  col  tipo  di  una  donna,  che  riverente  of- 
fre al  re  sedente  per  lo  più  una  corona  od  una  pal- 
ma ,  e  talora  due  spighe  di  frumento  (  Eckhel  t.  IH 
p.  530,  545).  In  questi  tipi  la  corona  e  la  palma  vo- 
glionsi  riputare  d' oro,  e  rappresentanti  così  vieppiù 
nobilmente  l'annua  offerta  o  tributo  solito  farsi  dalle 
Provincie  in  denaro,  che  mantenevasi  nella  Siria  an- 
che sotto  il  dominio  de'Seleucidi,  leggendosi  nel  li- 
bro primo  de' Maccabei  (cap.  XIII,  37):  ròv  <sri§v.- 
>gv  tòx  xprffot'f  *»  TV  fiùv/]//,  r\v  %irt<rru\%T- ,  xs— 
XOfUCHiSot..  L' ornamento  poi  della  corona  turrita  , 
dato  all'  ASIA  nel  vaso  di  Dario,  è  tutto  suo  proprio, 


e  conforme  a  quelle  parole  di  Euripide  (  Bacch.  vs.  19) 
intorno  all'  Asia  marittima  abitata  tuli'  insieme  da 
Greci  e  da  barbari ,  ed  tx°L"r%  xxWnrupycurous  iró- 

Nell'altro  insigne  vaso  di  Canosa  rappresentante 
Andromeda  liberata  da  Perseo  (p.  171  )  la  graziosa 
particolarità  della  terza  Nereide  avente  uno  de' suoi 
piedi  coverto  da  bianco  calzare  ,  e  l' altro  ignudo  , 
sembra  riferirsi  all'  aggiunto  di  xpyvpóirì%%  dato  a 
Tetide  (  //.  A.  538  ),  lasciando  peraltro  indecise  le 
varie  opinioni  de' grammatici  intorno  al  significato  di 
quella  voce. 

Pitture  Sannìiìche  sepolcrali  di  Capita  (p.  177- 
184).  L'arnese  incerto,  che  sospeso  ad  una  asticciuo- 
la  portasi  un  giovine  con  la  sinistra  dietro  la  spalla 
corrispondente ,  pare  senza  meno  una  valigia  o  sia 
sacco  da  viaggio ,  sendo  assai  simile  a  quello  che 
porla  Teucro  rappresentato  nel  momento  di  dipartirsi 
dal  padre  suo  Telamone  insieme  con  Aiace  (  Raoul- 
Rochelte,  mon.  inéd.  pi.  LXXl,  p.  311  ).  Quel  far- 
dello vien  dello  calatóia  <xxyr\  da  Eschilo  (  Coèph.  vs. 
670  )  ;  onde  pare  che  fosse  fatto  a  guisa  di  rete  ,  ca- 
yryi)  ,  come  anche  nel  dipinto  sepolcrale  di  Capua. 
In  parecchie  urne  cinerarie  Elrusche  vedesi  figurata 
l'ombra  del  defunto  in  viaggio  per  l'altro  mondo,  ac- 
compagnata da  un  servo  che  le  porta  dietro  la  sua 
valigia  (Inghirami  mon.  elr.ser.  I  tao.  31,  al.  );e  nel 
sepolcro  sannitico  di  Capua  quel  giovane  sarà  pari- 
mente rappresentato  in  atto  d'incamminarsi  all'altro 
mondo  ,  portandosi  seco  il  suo  sacco  da  viaggio  ,  ov- 
vero quello  del  suo  padrone. 

Neil'  altro  dipinto  sannitico  la  particolarità  della  ga- 
lea gialla  fornita  di  due  gialle  corna  frammezzate  da 
un  bianco  pennacchio  (p.  180)  trova  il  suo  riscontro  in 
un  clipeo  reto-etrusco  ,  ov'è  figurala  una  simile  ga- 
lea proposta  per  premio  del  pugilato  (  v.  Bull.  arch. 
1846  p.  18:  Giovanelli ,  antich.  rezio-etrusche  tan. 
IV).  Simile  a  questi  credo  che  sia  anche  l' elmo  con 
cresta  falcata  riscontrato  dal  eh.  Borghesi  in  un  vit- 
toriato  antico  (Dee.  XVII,  oss.  I,  n.  33).  Anche  le 
due  alette,  che  sono  a'due  lati  della  galea  del  perso- 
naggio Sannita,  hanno  il  loro  riscontro  in  una  statuet- 
ta di  bronzo ,  scopertasi  di  recente  Dell'  agro  nostro 


-  1G3  — 


reggiano  ,  rappresentante  .Marte  (I)  con  galea  forni- 
ta nel  sommo  d'ampia  criniera  ,  e  dai  lati  di  due  alet- 
te simili  a  quelle  della  galea  della  lesta  feminile  del- 
le prische  monete  d'argento  di  Roma  ;  di  che  confer- 
masi l'avviso  di  chi  ravvisa  in  queste  la  testa  di  Ro- 
ma figlia  di  .Marte  ,  anzi  che  quella  di  Pallade. 

Che  la  figura  tutta  avvolta  in  un  manto  ,  che  le  ri- 
copre anche  la  hocca  e  l'estremità  altresì  del  naso  (p. 
188),  rappresenti  un'omhra  di  persona  defunta  (2), 
confermasi  pel  riscontro  di  simili  figure  parimente  av- 
volte tutte  in  un  manto ,  che  ricorrono  in  cinerarii 
Etruschi  in  alto  d'avviarsi  all'altro  mondo  portale  da 
un  cavallo,  o  da  mostri  marini  (Inghirami,  mon.  elr. 
ser.  I  lav.  6,  7). 

La  danzatrice  ,  che  move  i  passi  al  suono  di  una 
tihicine  ,  e  suona  anch'  essa  con  ciascuna  mano  i  cro- 
tali ricorre  anche  in  una  scultura  funebre  di  Chiusi 
(Mieali,  mon.  ined.  tav.  XXIV).  Vedesi  di  sovente 
anche  in  rappresentazioni  di  lieti  convivii,  ove  fa  bel 
riscontro  alle  parole  di  Properzio  (/.  IV  el.  S,  59 J  : 
Niloles  libìcen  erat,  crolalislria  Phyllis.  L'ornamento 
del  capo  della  danzatrice  crolalislria  del  sepolcro  ca- 
puano ,  al  quale  il  eh.  editore  non  diede  nome  deter- 
minalo (p.  184),  pare  senza  meno  quello  così  de- 
scritto da  Esichio  (  s.  v.  )  :  %x>.U,  ir\<zy{iL%  xa.\oÙàu> 
cjmsiov,  o  \ir)  tt.S  x-y'A.7.rp  tyopiòuffiv  ai  AaCxourou'  o» 
Sì  Jk>X/oc.  Pare  che  fosse  proprio  sì  delie  hierodulac  e 
sì  delle  danzatrici  ;  e  fu  bene  illustrato  dai  chh.  Wel- 
cker  (  Annali  ardi.  T.  V  p.  451-454)  e  Millingen 
( Sylloge  p.  51,  pi.  Il,  13 ),  che  ne  diede  un'insigne 
medaglia  di  Abdera  con  simile  danzatrice  nel  nverso. 
In  una  sardonica  scopertasi  a  Fiesole  nel  1718,  in  for- 
ma di  parallelepipedo  ottagono  e  traforato  pel  lun- 
go ,  veggonsi  quattro  baccanti  danzatrici  con  la  ffxX/a 
in  capo,  che  il  Gori  (mus.  etr.  tab.  199,  toni.  II p. 
435)  male  disse  aventi  il  capo  crebriscornibus  radia- 
twn.  Altre  simili  danzatrici  portanti  la  ff*XA  in  capo 

(1)  Sa  ognuno  come  i  Sanniti  ebbero  origine  dal  ver  sacrum 
della  gioventù  sabina,  sacrala  a  Marie,  e  guidata  verso  la  regione 
degli  0|iici  da  un  loro  inviato  loro  da  Marte  medesimo  (  Sirabo  l. 
V.  p.  230  ). 

(2)  L'  ombra  del  defunto  credevasi  che  andasse  agi'  inferi  pas- 
sando per  antri  ventosi  (  Plin.  11 ,  44  ,  cf.  Aen.  fi ,  262  j ,  in 
loca  pallidula,  rigida,  nudala  (Spart.  in  Hadr.  Ti). 


ricorrono  in  vaso  rosso,  probabilmente  Aretino,  ve- 
nuto a  luce  dal  suolo  di  Capua  (  Riccio,  scar.  di  Ca- 
pila, lav.  V)  (3).  Del  resto  troppo  digiuno  si  rimane 
l' articolo  della  voce  %a\fct  nel  tesoro  della  lingua 
Greca  che  si  stampa  ora  dal  Didot  a  Parigi. 

Numismatica.  Coll'epigrafe  PALACIXV  delle  mo- 
nete attribuite  a  Palatimi  (p.  13-16)  vuoisi  confron- 
tare V  Interamnae  PALETINO  Piceni  degli  scriltori 
gromatici  (  p.  226.  Lachmann). 

II  denario  con  la  testa  di  Venere  nel  ritto  e  col 
semplice  EX  S.  C.  apposto  ad  un  cornucopia  viltato 
che  io  supposi  impresso  in  Roma  (p.  43),  per  ragion 
della  corona  di  mirto ,  e  per  la  fabbrica  sua  rozza  , 
mi  parve  poscia  impresso  nella  Betica(t\  questo  Bull. 
ann.  III.  p.  91). 

La  moneta  appula  con  la  scriltura  intera  rPASA 
(p.  123-124)  ne  dà  un  nome  di  città  analogo  a 
quello  di  CREXA  ,  isola  della  non  lontana  Liburnia, 
o  sia  degl'  Iapydes  (  Plin.  ///,  25,  2,  ),  che  il  d'  An- 
ville  rimutò  ,  forse  non  bene  ,  in  Crepsa. 

La  particolarità  della  testa  di  Pallade  posta  sopra 
l'  egida  sua  distesa  ,  in  una  maniera  ,  che  ,  a  parere 
del  dotto  Raoul-Rochetle ,  è  senza  esempio  in  tutta 
la  numismatica  greca  (p.  140),  presenta  pure  uni 
tal  quale  analogia  colle  imagines  clipeatae ,  co' volti 
cioè  delineati  nel  mezzo  di  uno  scudo  rotondo ,  che 
ricordava  il  valore  del  personaggio  (  cf.  annali  arch. 
T.  XXIII  p.  226  ).  Ai  riscontri  delle  monete  di  al- 
cune ciltà  del  Ponto  con  l'egida  distesa  avente  nel 
mezzo  il  volto  di  Medusa ,  addotti  dal  eh.  R.  R.  (  p. 
142),  vuoisi  aggiungere  quello  del  tipo  idenlieodiuno 
dei  diversi  denarii  di  Manio  Cordio  Rufo ,  triunviro 
monetale  di  Pompeo  Magno  in  quelle  regioni  nell'an- 
no di  Roma  703  (  Cavedoni  Ragguaglio  de  ripost.  p. 
70,217). 

Propongo  dubbioso  la  congettura ,  che  il  fiume 
^■miSos  (  p.  1 73)  fosse  così  nominato  dalle  cyprixi, 
vfprewu ,  che  abbondassero  alle  sue  foci  ,  trovando- 
fa)  Il  eh.  Riccio  (  op.  cit.  p  15)  non  avverti,  ch'io  poscia  mi 
arresi  agli  argomenti  addotti  dal  eh.  Fabroni  per  credere  prove- 
nienti dalle  officine  di  Arezzo  i  bei  vasi  rossi  venuti  a  luce  dall' a- 
grò  modenese,  e  di  parecchie  altre  lontane  contrade  (Bull-  archeol. 
1841  p.  142  —  144;. 


—  164  - 


si  nomate  %v\<xuot,,  t/rprla.  varie  località  (v.  ihesaur. 
ling.  gr.  t.  VII  p.  194-193  Didot.  cf.  Strabo  V  p- 
284:  ^rptiovì  ì-irl  rwv  Grpuwi). 

Epigrafia.  Nella  insigne  iscrizione  di  Augusto,  ma 
miseramente  lacera  (p.  1-4)  non  pare  comportabile 
il  supplirmelo  D.  F  invece  di  DIVI-  F. ,  ed  il  titolo  P-  P 
meglio  si  starebbe  posto  infine  della  seconda  riga  (  v. 
questo  bull.  ann.  HI.  p.  34). 

I  Ministri  Augusti,  Mercurii,  Maiae  (p.  4)  pren- 
dono luce  anche  da  quelle  parole  di  Orazio  (  /  od.  2, 
43):  almae  filius  Maiae,  dette  di  Angusto.  La  corona 
di  quercia  posta  fra  due  lauri,  che  orna  una  delle  quat- 
tro facce  dell'ara  dell' augusleum  di  Pompei  (  p.  5), 
vuoisi  confrontare  anche  con  un  aureo  di  Augusto 
impresso  nel  736  dal  triunviro  monetale  L.  Caninio 
Gallo  ,  nel  cui  riverso  vedesi  figurata  la  porta  della 
casa  di  Augusto  con  la  corona  di  quercia  al  disopra 
e  con  un  arbore  di  lauro  da  ciascun  lato  (  Morelli, 
Caninia  n.  4.  cf.  Borghesi,  decad.  XIII,  oss.  5  ).  Lo 
stesso  tipo  ricorre  anche  in  una  monetina  greca  di 
bronzo  attribuita  ad  Alessandria  dal  Mionnet  (Descr. 
t.  VI  p.  49  n.  35),  ma  che  potrebbe  anche  reputar- 
si impressa  nella  Giudea. 

L' appellazione ,  che  prese  Pompei  di  COLO/u'a 
VENcna  COR/ie/ia  (  p.  17),  può  forse  in  parte  ri- 
petersi dall' agnome  diP.  Cornelio  Siila,  che,  a  detto 
di  Appiano  [beli.  civ.  97  ,  105)  si  gloriava  del  nome 
'EirxZpo'òlTov  ,  Fausti,  datogli  per  senatoconsullo  (  cf. 
Eckhelt.  V.  p.  193-194).  L'avviso  del  eh.  Garruc- 
ci ,  che  il  tempio  della  Venere  di  Pompei  situato  fos- 
se a  capo  del  forum ,  nel  luogo  più  elevato  (p.  17), 
confermasi  pel  riscontro  dell'  Uriosque  aperlos  di  Ca- 
tullo {carm.  XXXVI,  12). 

La  scrittura  COPO  per  CAVPO  (  p.26  )  dovea  es- 
sere molto  diffusa  e  comune ,  poiché  ricorre  anche 
in  un  bel  marmo  modenese  (p.  234,  236  ),  e  pare 
fosse  usata  anche  da  Cicerone  (prò  Cluent.  59).  L'ab- 
breviatura dell'  altro  programma  pompeiano  (  p.  27 
n.  8)  SCR  forse  supplir  polrebbcsi  anche  SCRibae 
(  roganl). 

Nelle  insigni  iscrizioni  delle  mura  di  Ferentiuo  i 
nomi  de'  due  censori  A.  Irzio  e  M.  Lollio  veggonsi 
alternati  (  p.  36  )  per  ragione  di  parità  (cf.  Borghesi, 


decade  III.  oss.  6  ).  Il  Lollio  Palicano  poi ,  del  qua- 
le si  conoscono  varie  monete  d' argento ,  non  fu  già 
questore  nel  692,  come  suppone  il  eh.  Garrucci  (p. 
39  ),  attenendosi  forse  all'  Avercampio,  ma  sibbene 
triunviro  monetale  intorno  agli  anni  708,  709  (v. 
Cavedoni  ,  monete  della  Ciren.  p.  67-68  :  ragguaglio 
de  ripost.  p.  224). 

Il  MACELLVM  dell'iscrizione  di  Eclano  (p.  40) 
pare  non  fosse  una  semplice  piazza  di  comestibili , 
come  scrive  il  eh.  Garrucci ,  ma  che  vi  fosse  annes- 
so un  edificio  forse  simile  a  quello  che  vedesi  nelle 
monete  di  Nerone  con  la  epigrafe  MXCellum  AVGu- 
sii  (  v.  Eckhel  t.  VI  p.  273  ). 

Giuba  Gemella,  che  PEPER1T-  XVIII.  (p.  46) 
non  fa  tanta  meraviglia  ,  quanto  l' Eutychis  a  XXli- 
beris  rogo  inlala  Trallibus,  la  cui  effigie  meritò  aver 
luogo  fra  le  donne  meravigliose  che  ornavano  il  tea- 
tro di  Pompeo  Magno  (  Plin.  VII,  3,  2). 

Il  nome  VESV1VS  (p.  50)  sembra  contratto  da 
Vesuvius,  e  derivato  da  quello  del  celebre  vicino  mon- 
te (  cf.  Forcellini  v.  Vesvius,  Vesbius). 

Nella  insigne  iscrizione  di  Fausta  moglie  di  Costan- 
tino Magno,  e  madre  di  tre  Cesari,  forse  meglio  sup- 
plir potrebbesi  genEiRhl,  anzi  che  procrEajRIcI,  che 
torna  voce  di  troppo  ricercata  in  un'epigrafe  pubblica. 

Le  sigle  C*  D-  spiegate  per  Consensu  Decurionum 
dal  eh.  Garrucci  (p.  56) ,  siccome  l'altre  D-  C*  fu- 
rono da  me  interpetrate  Decurionum  Consensu  (Bull. 
Nap.  dell'Avellino  an.  V.  p.  60) ,  e  dal  eh.  Mom- 
msen  (/.  R.  iV.p.  484)  per  Decurionum  Consulto  , 
a  parere  del  dotto  Furlanetto  (ant.  lap.  patav.  p. 
XXII,  XXIII)  debbonsi  anzi  spiegare  Centumvirum 
Decreto,  Decreto  Centumvirum:  e  cosi  par  meglio,  an- 
che in  riguardo  all'altre  sigle  D-  C.  D,  D-  C-  S  non 
bene  interpretate  dal  Mommsen  medesimo,  e  che  beo 
si  spiegano  col  Furlanetto  De  Centumvirum  Decreto, 
De  Centumvirum  Sententia. 

La  scrittura  DELPIS  per  delphis  nella  lapide  arcai- 
ca di  Lecinaro  (p.  56)  bene  sta  ,  siccome  l'analoga 
PILIPVS  in  denarii  impressi  da  Q.  Marcio  Philippus 
intorno  all'  anno  di  Roma  625. 

Neil'  iscrizione  onoraria  di  C.  Paccio  Felice  la 
scrittura  HONORIB-  ET-  HONERIBVSVE  forse  sta 


—  165 


per  ET  ONERIBVSQVE ,  con  l' accoppiamento  non 
infrequente  delle  due  copulative  ET  e  QVE ,  sicco- 
me ET  SVTSQVE  in  una  lapide  modenese  (Caved. 
marmi  mode»,  p.  253,  255). 

Il  cognome  PSYCIIARI  della  liberta  Babidia  (p. 
96  )  forse  è  per  se  integro  ,  oppure  può  supplirsi 
per  PSYCHARFn  o  PSYCHARIs ,  sapendosi  come 
anche  nella  grecità  decadente  si  disse  ^TXAPIN  in- 
vece di  ¥TXAPN>N  (  cf.  C.  I.  Gr.  n.  506  ,  704: 
Welcker,  syll.  epigram.  n.  13).  Così  in  un  epitafio 
di  Taranto  leggesi  FILEMATIN,  non  bene  rimutato 
da  altri  (  1.  R.  N-  n.  582  )  in  FILEMATIoN. 

Nell'epitaGo  de'duc  coniugi  Ianuarii  (p.101)  pare 
che  a  sinistra  manchi  più  di  quello  che  suppone  il  eh. 
editore ,  sì  che  nelle  due  ultime  righe  legger  si  pos- 
sa :  —  tuo ,  cum  twiERIT  SVMMA  DIES  ET  inelu- 
ctabile  fEMPVS. 

Il  caso  retto  del  dativo  EVTTCHINI  (p.  103)de- 
v'  essere  Eutychis,  siccome  è  Floriana  di  Floriancni 
fvedi  appresso  p.  163  an.  II). 

Nel  gentilizio  CEPIO  pare  che  non  manchi  il  dit- 
tongo ,  quasi  fosse  per  Caepio  (p.  112),  ma  forse 
manca  il  raddoppiamento  del  P ,  avendosi  tre  Quin- 
ti CEPPII  in  un'iscrizione  di  Pesto  (I.  R.  N.  n  92 
98:  cf.  Carellii  tab.p.  72  ed  Lips.).  Questo  nome  con 
la  semplice  P  ricorre  in  un'epitafio  di  Pozzuoli  (vedi 
questo  bull.  an.  III.p.  59  ».  10  ). 

Nell'altra  iscrizione  Puteolana  (  p.  151  ,  n.  32), 
che  incomincia  colle  parole  poetiche  Fata  suum  pe- 
tiere  diem  ,  si  avrebbe  il  compimento  dell'  esametro 
leggendo  in  seguilo,  qui  reddidil  hic  est-situs  :  e  forse 
così  scrisse  l' antico  epigrafista ,  e  lo  scarpellino  po- 
se invece  hic  situs  est ,  secondo  l' andamento  consue- 
to di  queste  voci  negli  epitafii  prosaici.  Del  resto,  al 
verbo  reddidil  può  sottintendersi  anche  la  voce  de- 
litum  commune  omnibus  (Boldetli,  cimit.  p.  275:  cf. 
Ordii  n.  3453,  4482). 

Il  veterano  L.  Antestio  Celere  col  porre  l'epitaGo 
alla  moglie  e  a  se  ET  SVPERIS  SVIS  forse  intese 
dire ,  che  lo  fece  anche  per  gli  altri  suoi  parenti  su- 
perstiti, detti  superi  in  riguardo  alla  moglie  medesi- 
ma già  defunta. 

L.  Giulio  Asclepiade  BIX.  PR  (  p.  152 ,  n.  35  ) 


orse  fu  YlXillarius,  cioè  vexillarius  fRaetonanorum 
(cf.  Kellermann  vigil.  n.  233,  6). 

Le  tre  lettere  greche  €,  C  ed  U)  avvertite  dal  eh. 
Garrucci  (  p.  83  )  in  due  alfabeti  scritti  ab  antico  nel- 
la calce  ancor  molle  di  una  parete  di  Pompei,  hanno 
il  loro  riscontro  nelle  note  numeriche  e  nelle  lettere 
greche  di  cotal  forma ,  che  servirono  a  distinguere  i 
conii  e  le  varie  officine  monetarie  di  Roma  a  mezzo 
il  secolo  VII  ed  in  appresso  (  v.  Cavedoni ,  raggua- 
glio de  ripost.  p.  170). 

Il  nome  ITX%ro:as,  che  ricorre  in  parecchie  iscri- 
zioni Messapiche  (  p.45),  pare  senza  meno  d'origine 
illirica,  poiché  n>.xVa/p  nomavasi  il  duce  degl'Illirii 
mandati  da  re  Filippo  in  aiuto  de'Polirrenii  (  Polyb. 
IV,  55).  Plalor  chiamavasi  anche  un  fratello  diGen- 
tio  re  dell'Illirio,  e  similmente  altro  illirio,  che  diedo 
Oreo  in  man  de' Romani  (  Livius,  XXVIII,  6.  XLIV, 
30)  (1). 

Mi  sia  permesso  avventurare  una  congettura  an- 
che riguardo  alla  voce  osca  Cumbenniis ,  che  al  eh. 
Garrucci  parve  nome  di  una  particolare  tribù  Pom- 
peiana (p.  7  an.  II).  11  eh.  Minervini  poscia  (an.  Ili 
p.38)  coll'Avellinoe  con  altri  sostenne,  che  le  voci 
combennieis  tanginud  render  si  debbano  conventus  de- 
creto ;  e  parmi  che  con  tutta  ragione.  Solo  mi  sem- 
bra, che  invece  di  conventus  sostituir  si  potesse  la  vo- 
ce consessus,  considerando  la  voce  osca  combenniis 
come  derivata  dalla  voce  benna,  che  dicesi  gallica  , 
ma  che  potè  essere  tult'  insieme  osca,  se  anche  i  La- 
tini usarono  la  voce  combennones  in  significato  di  ca- 
dérti benna  sedenles  (Festus  s.v.  Benna  p.  52  Mùller  ). 
Cicerone  chiama  consessum  ordinis,  e  conscssores  i  giu- 
dici. Ma  io  fui  troppo  ardito  ;  e  confesso  di  non  co- 
noscermi a  bastante  delle  ragioni  della  lingua  osca. 

Da  ultimo  mi  giovi  avvertire,  che  la  Croce  effi- 
giata sopra  la  lucerna  fittile  cristiana  del  nuovo  am- 
bulacro del  cimitero  detto  di  santa  Caterina  presso 
Chiusi  (p.  16 1,1 62)  non  ha  la  forma  j-,  ma  sibbe- 
ne  questa  altra  J^  ,  e  che  è  posta  alquanto  obliqua, 

(1)  Da  questo  e  da  altri  riscontri  confermasi  il  detto  dagli  an- 
tichi (Tlin.  Mst.  nat.  07  ,  16,  3  :  Festus  p.  69  Mailer:  Varrò 
ap.  Probum  ad  Yirg.  ed.  VI,  5\  )  intorno  alle  origini  illiriche 
de'Daunii ,  de'  Pediculi  e  de'  Messapii  (  cf.  Moramsen  ,  unUril. 
Dial.  p.  92  ;. 


—  166 


o  col  braccio  suo  inferiore  in  parte  coperto  dalla  te- 
sta della  colomba  volante,  sì  che  potrebbe  anche  re- 
putarsi X  greco  iniziale  del  nome  Xpiaràs. 

Un'  altra  importante  scoperta  si  fece  poscia  nell'al- 
tro antico  cimitero  cristiano  di  Chiusi ,  partecipata- 
mi gentilmente  dal  eh.  mons.  Antonio  Mazzetti,  che 
addì  31  Marzo  del  corrente  anno  1855  mi  scrivea 
quanto  segue.  «  Mi  faccio  pregio  d'inviarle  copia  di 
una  lapide  di  marmo  scritta  ,  che  abbiamo  ritrovata 
nelle  catacombe  di  santa  Mustiola.  Sebbene  sia  essa 
in  parte  mancante,  giacché  si  trovò  rotta  in  più  pez- 
zi ,  pure  dev'essere  interessante  e  pei  due  consoli  che 
vi  sono  nominali ,  e  per  essere  (se  io  non  erro)  di 
un  Vescovo;  ed  è  questa,  come  sta  nell'originale  (1). 
....     IO-  DEXTRO 

AT- 

EPiSCOPPQVI  VIXIT 
lralci0    ANNISLXVIPATRI  KAR  ucceli0 

di viie    ISSIMOLPETRONII.QVI 

NQVEF1LII  POSVERVNT.DP 

V  A  V 

M.IDSDECPROVINOET(mon.)ILIANO 

COSS 
Da  questa  lapide  così  ricorretta  in  più  luoghi  ab 
antico  (siccome  anche  l'altra  del  giovinetto  Stefano 
del  cimitero  medesimo  di  santa  Mustiola  )  impariamo 
come  nell'  anno  322,  nel  quale  furono  consoli  Pe- 
tronio Probiano  e  Anicio  Giuliano  ,  addì  1 1  di  De- 
cembre  ,  fu  deposto  in  quel  cimitero  il  corpo  di  L. 
Petronio  Deslrovescovo  di  Chiusi,  che  visse  anni  LXVI, 
per  cura  de' cinque  suoi  figliuoli  superstiti,  che  tutti 
ritennero  il  nome  e  prenome  del  caro  lor  padre ,  e 
che  avranno  avuto  ciascuno  il  proprio  loro  cogno- 
me che  li  distinguesse.  Notevole  si  è  il  vedere  come 
in  questo  ed  in  parecchi  altri  epitafii  cristiani  dei  due 
cimiteri  chiusini  a  lungo  si  mantenne  l'uso  della  pie- 
na nomenclatura.  Del  resto  quel  buon  Vescovo  di 
Chiusi ,  L.  Petronio  Destro  ,  dovett'essere,  quale  lo 
volea  l'Apostolo  f  I  ad  Timoth.  IH,  4-4 )  filios  ha- 
bens  subditos  cum  omni  canniate  (  gr.  ffeixvórriro?)  ed 
unnu  uxoris  vir;  la  quale  ,  non  trovandosi  nomina- 


(t)  Non  abbiamo  potuto  riprodurre  colla  slampa  l' indizio  di  ta- 
bella tccuriclata,  che  vedesi  a' due  iati  della  epigrafe. L'Editore. 


ta  nell'epitafio,  sarà  ad  esso  lui  premorta.  Anzi  egli 
sarà  stato  eletto  vescovo  dopo  la  morte  di  lei  ;  o  se 
lei  vivente,  avranno  di  pari  consenso  serbata  perfetta 
continenza.  Certo  eh'  egli  in  vita  sua  non  ebbe  che 
quell'  unica  moglie  ,  dalla  quale  gli  nacquero  i  cin- 
que suoi  figliuoli,  che  gli  posero  amorevoli  l'epita- 
fio.  Il  tralcio  di  vite,  che  vedesi  rozzamente  delinea- 
to dal  lato  sinistro,  e  la  colomba  posata  sopra  l'estre- 
mità destra  della  tabella  securiclala,  appena  sbozzata  , 
sono  due  simboli  cristiani  ben  cogniti  e  convenienti 
(  v.  Boldetti ,  cimit.  p.  24 ,  27  ). 

Nello  slesso  cimitero  Chiusino  di  S.  Mustiola  si 
rinvenne  un  epitafio  posto  SVLPICIO  FELICISSIMI 
IACONI,  che  io  sospettai  doversi  supplire  dIACONI 
fragg.  di  due  dm.  di  Chiusi  p.  21  n.  Vili)  ;  ed  il 
eh.  cavaliere  de  Rossi  poscia  mi  avvertì  .chela voce 
IACONI  bene  sta  per  Diaconi  in  quell' epitafio  chiu- 
sino ,  siccome  anche  nel  seguente  scopertosi  nel  ci- 
mitero romano  di  S.  Alessandro  nell' Ottobre' dello 
scorso  anno  1854. 
IOBINVS  B1XIT  ANNOS  XXXVMII 
ET  D  XIV    IACONVS  FVIT  ANNOS  V  M  II 
DEPOSITVS  POST  TERTIV  IDVS 
FEB    VXOR  FECIT  BENEMERENTI 
CVMQVEM  FECIT  ANNOS  XH1IMII- 
Egli  mi  avverte  inoltre ,  che  il  suddetto  Sulpicio 
Felicissimo  diacono  chiusino  trovasi  ricordato  anche 
in  un'  iscrizione  di  Perugia  (  Vermiglioli ,  iscr.perug. 
parte  II  p.  59/,  n.  22)  la  quale  v'ha  tutta  la  proba- 
bilità per  credere  che  provenga  dal  cimitero  di  santa 
Mustiola  del  pari  che  quella  di  Ulpia  Faustina  ver- 
gine neofita  di  Chiusi  (  Vermiglioli ,  op.  cit.  n.  23  ). 

C.  Cavedoni. 

Vesta  nella  pittura  de>  dodici  dei  in  Pompei. 

11  eh.  sig.  cav.Eduardo  Gerhard  facendo  una  breve 
discussione  sulla  pittura  de'  dodici  dei  in  Pompei , 
venne  a  conchiudere  che  la  prima  figura  a  sinistra 
dovea  riputarsi  Vesta,  e  m'interrogò  a  qual  classe  di 
animale  credersi  potesse  appartenere  il  quadrupede 
che  l' è  vicino.  Io  traendo  profitto  dalle  osservazioni 
proprie,  e  da  quelle  del  diligentissimo  artista  sig.Rus- 


—  1C7^ 


so ,  non  lardai  ad  accorgermi  che  quella  bestia  ripu- 
tar si  poteva  un  asiuo  ;  dal  che  il  eh.  Gerhard  trasse 
argomento  a  conferma  di  quella  sua  dotta  spiegazio- 
ne (annali  dell'ist.  1850  pag.  211,  segg.).  Ora  il  sig. 
F.  Lanci,  tornando  su  quell'argomento  ,  annunzia  di 
aver  riveduta  la  pittura,  e  di  aver  con  evidenza  rilevato 
essere  un  cavriuolo  (bullett.deW kt.  1854  p.  XI.).  Su 
di  che  vuoisi  osservare  che  1'  esame  accuratissimo  da 
me  fatto  co'  proprii  occhi  mi  convinse  dell'  opposto  , 
cioè  eh'  esser  non  poteva  un  capriuolo  :  e  ciò  credo 
opportuno  di  dichiarare,  perchè  non  resti  l' equivoco 
accennato  dal  sig.  Lanci,  che  io  me  ne  riportai  alla 
Tista  di  altri.  A  ciò  deesi  aggiuguere  che  la  pittura 
esposta  continuamente  alle  intemperie  ed  al  sole  va 
di  giorno  in  giorno  perdendosi  :  sicché  sembra  ma- 
raviglioso  che  al  sig.  Lanci  sia  paruta  tanto  chiara  la 
determinazione  di  quell'animale,  che  cinque  o  sei 
anni  fa  dovea  sembrare  almeno  dubbia  e  problemati- 
ca. Già  il  Gerhard  ricordò  la  convenienza  di  quel- 
l'animale alla  divinità,  che  può  unicamente  suppor- 
si  collocata  in  quel  sito  nel  pompejano  dipinto.  L' a- 
sino  è  sacro  a  Vesta ,  per  le  mitiche  tradizioni  che 
la  concernono  ,  le  quali  son  da  vedere  copiosamente 
citate  dal  Goetz  (de  pistrinis  veler.  cap. VI,  §.  V.  p.357 
segg.  ).  Né  si  dica  che  la  piccolezza  della  bestia  nel 
pompejano  dipinto  effigiata  tende  a  farci  escludere 
la  proposta  determinazione.  È  generalmente  cono- 
sciuto che  gli  animali ,  messi  come  simboli  presso  le 
divinità,  sono  dall'antichità  figurati  di  piccole  di- 
mensioni ;  ed  è  inutile  citarne  esempli  da'  monumenti 
greci  e  da'  romani.  Soltanto  credo  utile  al  nostro 
proposito  richiamare  un'ara  già  del  museo  di  Fran- 
cesco Daniele  a  Caserta  ,  nella  quale  vedesi  figurata 
appunto  la  dea  Vesta  sedente  con  velo  e  slefane ,  che 
tiene  colla  d.  la  patera  ;  e  presso  è  un  asinelio  di 
piccole  dimensioni ,  e  di  forme  somigliantissime  a 
quello  della  pompejana  pittura.  (  Vedi  il  Daniele  men- 
tenti Thyksii  carmina  el  epistolae,  Neapoli  AIDCCCVIIl 
pag.  22  ).  Questo  vicinissimo  confronto,  sfuggilo  be- 
nanche al  eh.  Gerhard ,  ci  sembra  mettere  fuor  d' 
dubbio  la  sua  attribuzione-  della  divinila  effigiata  in 
Pompei:  e  noi  abbiamo  profittato  di  questa  occasione 
per  confermarne  la  verità.  Minervim. 


BIBLIOGRAFIA 

Di  un  sepolcreto  etrusco  scoperto  pres;o  Bologna ,  re- 
lazione del  conte  Giovanni  Gozzadini  —  Bologna 
1834  pag.  51  in  4;  con  otto  tavole  litografiche. 

II  eh.  autore  di  questa  relazione  appartiene  a  quel- 
la classe  privilegiata ,  che  alla  nobiltà  della  nascita 
accoppia  quella  dell'intelletto  e  dello  studio.  Egli  era 
già  noto  nella  repubblica  letteraria  per  due  impor- 
tanti lavori  storici ,  ricchi  entrambi  di  numerosi  do- 
cumenti ,  e  pregevoli  per  1'  ampiezza  e  la  diligenza 
delle  ricerche  (1).  Ora  poi  si  è  esercitato  altresì  nel 
difficile  aringo  delle  classiche  antichità,  pubbhcando 
l'opera  di  cui  diamo  l'annunzio. 

II  sig.  Conte  Gozzadini ,  possessore  di  una  tenuta 
a  Villanova  nell'  agro  bolognese ,  ebbe  il  pensiero  di 
pratlicare  in  essa  una  scavazione  :  lodevolissimo  pen- 
siero ,  che  eseguito  con  quella  cura  e  con  quell'amo- 
re, che  vi  pose  il  eh.  autore  della  relazione,  non  può 
non  riuscire  sommamente  proficuo  a'  nostri  studii  , 
che  nelle  esatte  osservazioni  trovano  il  loro  precipuo 
fondamento. 

Ci  fa  sapere  l' a.  che  le  sue  ricerche  si  estesero 
al  numero  ben  grande  di  122  sepolcri:  essendosi  fe- 
licemente imbattuto  in  una  necropoli  estrusca. Comin- 
ciando poi  più  speciGcatamente  la  sua  relazione,  par- 
la pria  delle  tombe  in  generale ,  e  di  tutte  le  parti- 
colarità in  esse  osservale,  richiamando  i  funebri  riti 
degli  antichi  ,  a  confronto  della  novella  scoperta.  In 
un  secondo  articolo  ragiona  delle  figuline  rinvenute 
ne' sepolcri  da  lui  discoperti ,  le  quali  si  addimostra- 
no senza  dubbio  di  lavoro  etrusco,  essendo  rosse,  e 
più  frequentemente  nere  ,  con  semplicissimi  ornati 
graffiti,  e  qualche  volta  con  figure  di  uomini  e  di 
animali.  Riporta  pure  a  pag.  20  un  fac-simile  dei 
segni  graffiti  sui  vasi,  o  sotto  il  piede  de' medesimi  , 
tra' quali  vedesi  molle  volte  ripetuto  il  fenicio  Tau. 
Nella  terza  parte  del  lavoro  favellasi  de'bronzi,  e  de- 
gli altri  oggetti  rinvenuti  in  quella  scavazione  :  ed  è 

(1)  Sono  questi:  Memorie  per  la  vila  di  Oioranni  Il  BentiToglio— 
Bologna  1839  in  8.  =  Cronaca  di  lìonzano  e  memorie  di  Loderingo 
d'Andalò  frate  gaudente  —  liulogna  1831  in  8. 


168  — 


da  notare  la  varietà  degli  arnesi ,  de'  quali  l' a.  pre- 
senta la  illustrazione ,  lasciando  dubbia  la  determi- 
nazione di  alcuui  utensili,  con  quella  prudenza ,  che 
si  accompagna  sempre  colla  scienza.  L'ultima  ricer- 
ca concerne  l'epoca  del  nuovo  sepolcreto  etrusco:  e 
l'a.  la  Ossa  verso  il  39  all'82  di  Roma,  (714-671 
av.  1'.  e.  v.).  Questa  conclusione  è  fondata  sopra  va- 
rie ragioni  enumerale  dal  sig.  Conte  Gozzadini,  ma 
principalmente  sulla  esistenza  di  alcuni  pezzi  di  aes 
rude,  dirimili  per  tali  da'  chiarissimi  prof.  Rocchi , 
doti.  Frali, e  P.Marchi.  Segue  a  tutto  ciò  un'appen- 
dice distinta  in  differenti  articoli.  N."  1  —  Sigilli  di 
figuline  romane  scavate  a  poca  distanza  dal  sepolcreto 
di  Yillanova,  e  osservazioni  del  eh.  prof.F.ROCCHl- 
N.°  2.  Lettera  del  eh.  prof-  L.  Calori  intorno  a  due 
scheletri  umani  del  sepolcreto  di  Villanova,  e  partico- 
larmente sul  teschio  di  uno  di  essi.  Da  diligenti  os- 
servazioni il  prof.  Calori  conchiude  che  le  ossa  da 
lui  esaminate  appartengono  alla  razza  caucasica  — 
N.3. Considerazioni  del  ch.prof.cav.G. SGARZI  tratte 
dal  suo  Rapporto  ec.  intorno  ad  alcuni  quesiti  fattigli 
sai  coloramento  delle  figuline  del  sepolcreto  di  Villa- 
nova  —  N.  4.  Intorno  V antichità  dell'uso  di  radersi 
la  barba,  da  lettera  del  chiarissimo  professore  F.  Roc- 
chi del  24  gennaio  4855.  È  una  lunga  e  dotta  discus- 
sione sulla  barba  degli  antichi  ,  tanto  per  la  parte 
degli  scrittori  quanto  per  quella  de'  monumenti. 

Equi  non  possiamo  fare  a  meno  di  lodare  il  signor 
Conte  Gozzadini  anche  per  aver  profittato  delle  ricer- 
<  he  ed  osservazioni  de'  suoi  dotti  amici  a  conferma 
delle  sue  proprie  osservazioni,  o  ad  illustrazione  dei 
monumenti ,  de' quali  aveva  a  trattare. 

Sono  io  fine  otto  tavole  litografiche ,  le  quali  li 
pongono  soli' occhio  la  costruzione  de' sepolcri,  e  gli 
oggetti  in  essi  ritrovati;  cioè  vasi  fittili ,  utensili  ed 
ornamenti  di  bronzo  e  di  ferro  :  i  quali  disegni  rie- 
scono di  sommo  vantaggio  per  qualunque  archeolo- 
gica disquisizione  sul  sepolcreto  di  Villanova. 

Gli  stretti  limili  del  nostro  giornale  ci  vietano  di 
entrar  nell'esame  de'parlicolaridi  questa  interessante 


pubblicazione;  ma  nel  darne  l'annunzio  ne  raccoman- 
diamo caldamente  la  lettura  agli  studiosi  delle  antichità 
etrusche,  e  dell'antica  civiltà  italica,  la  quale  ne'  mo- 
numenti pubblicati  dal  Conte  Gozzadini  si  mostra  in- 
digena ,  e  non  modificata  da  ellenica  influenza. 

Noi  ci  auguriamo  che  il  eh.  Autore  della  relazio- 
ne non  mancherà  di  fare  novelle  scavazioni  a  profit- 
to de' nostri  studii:  e  già  ne  abbiamo  un  argomento 
nell'avvertenza,  che  trovasi  in  fine  di  tutto  il  lavoro; 
dalla  quale  apparisce  come  non  si  arrestò  nella  no- 
hile  intrapresa.  Si  abbia  il  Conte  Gozzadini  le  nostre 
sincere  congratulazioni  e  per  le  sue  scoperte  ,  e  pel 
modo  di  parteciparle  al  pubblico.  Avuto  riguardo  al 
suo  zelo  par  la  ricerca  de'patrii  monumenti,  siamo 
sicuri  di  dover  fra  breve  ripetergli  simili  congratu- 
lazioni. 

MlNERVINI. 

Dello  studio  della  Storia  e  della  Filologia ,  considera- 
zioni di  Federico  Rursotti  —  Parte  prima  — 
Dello  stalo  presente  della  Filologia  e  della  Storia  — • 
Napoli  1855  pag.  62  in  8. 

Nobilissimo  è  lo  scopo  dell'  egregio  autore  del 
presente  lavoro,  qual  si  è  quello  di  rimimare  gli  stu- 
dii storici  e  filologici  presso  di  noi  coli'  emendare  e 
correggere  i  metodi  d'insegnamento.  Ecco  il  motivo, 
che  ci  spinge  a  dare  almeno  l'annunzio  di  questa  pri- 
ma parte  dell'  opera  ;  quantunque  non  si  riferisca  pro- 
priamente agli  studii  dell'  archeologia.  Vogliamo  pe  r- 
tanto  notare  che  l' a.  parlando  de'  nostri  principali 
scrittori  dà  una  idea  compiuta  di  tutte  le  dottrine  slo- 
riche e  filologiche  esposte  dal  nostro  chiarissimo  con- 
cittadino non  ha  guari  defunto  Cataldo  Jannelli.  Ed 
è  certamente  utilissimo  trovare  in  poche  pagine  rac- 
colto quanto  contiensi  in  molti  volumi  di  malagevole 
letlura  :  il  che  porge  agli  studiosi  il  destro  d' impa- 
dronirsi di  quelle  ricerche  ,  per  seguitarne  le  con- 
clusioni,  ovvero  abbracciare  sopra  talune  di  esse  di- 
versa sentenza.  Minervini. 


Giulio  Mi.vervim  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataxeo. 


BULLETTINQ  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


TV.0  72.     (22.  dell'  anno  III.) 


Maggio  1855. 


Monete  inedite  o  rare.  Continuazione  del  n.  precedente. 


Monete  inedile  o  rare.  Continuazione  del  n.  70. 

PAESTCM  LUCAMAE. 

7.  Testa  di  Ercole  con  pelle  di  leone  a  d. 

)(  Testa  di  cinghiale  a  d.:  sopra  due  globetti ,  sotto 
I7A.  Ae.  4+. 

Presso  il  sig.  Sambon. 

La  presente  monetina  viene  a  confermare  V  attri- 
buzione di  altra  simile  ,  ma  priva  di  epigrafe  ,  già 
pubblicata  e  ben  detcrminata  per  pestana  dal  eh.  Fio- 
relli  fosserv.  p.  52  tav.  1  n.  23/  Egli  ricordava  in 
rapporto  a'  tipi  il  cinghiale  d'  Erimanto ,  ed  in  gene- 
rale i  cinghiali  delle  selve  lucane,  de'  quali  è  men- 
zione in  Orazio  fSerm.  II,  8  v.  6-9  ).  Merita  pure 
di  essere  ricordata  la  osservazione  delCavedoni,  che 
i  tipi  di  questa  bella  monetina  prendono  luce  anche 
dal  racconto  di  Diodoro  (  hist.  IV  ,  22  )  intorno  allo 
smisurato  cinghiale  ucciso  nella  regione  de'  Posidu- 
niati ,  ed  intorno  al  passaggio  d'  Ercole  per  quelle 
contrade  (bullet.  arch.  di  Avellino  an.  II  p.  118). 

TBCRIUH  LUCAMAE. 

8.  Testa  di  Minerva  goleata  a  d.:  sulla  galea  co- 
rona di  alleno. 

\  Toro  che  rivolge  la  testa:  sopra  OOY     Ae.  7  '/,. 

9.  Gli  stessi  tipi  ed  epigrafe  Ar.  4  '/ . 
La  prima  di  queste  due  monete  appartiene  alla 

raccolta  del  sig.  Sambon,  la  seconda  al  sig.  D.  Do- 
menico de'  baroni  Oliva  ;  ma  pur  di  questa  vedemmo 
un  altro  esemplare  presso  lo  stesso  sig.  Sambon.  Una 
medaglia  simile  a  quella  del  nostro  n.  8  trovasi  nelle 
tavole  del  Carelli  sotto  Sibari  (  tav.  CLX1V  ,  20  ); 
ANltO  in. 


ove  osserva  il  eh.  Cavedoni  che  la  testa  di  Minerva 
è  mal  riprodotta  ,  essendosi  delineata  la  chioma  in- 
vece della  galea  (  descr.  p.  90  edit.  Lips.  ).  Le  due 
monete,  che  ora  pubblichiamo,  dimostrano  che  quella 
del  Carelli  appartenne  benanche  a  Turio.  Sarebbe  in 
fatti  una  eccezione  quella  sola  moneta  di  bronzo  in 
tutta  la  numismatica  di  Sibari.L'Eckhel  appena  cre- 
deva che  vi  fossero  medaglie  di  Sibari  in  quel  me- 
tallo (  doct.  tom.  1  pag.  163  ):  e  noi  siamo  del  me- 
desimo parere  ,  per  la  ragione  che  la  introduzione 
della  moneta  di  bronzo  nella  Magna  Grecia  corrispon- 
de presso  a  poco  alla  distruzione  di  Sibari  (  vedi  il 
Principe  diS. Giorgio  memor.numism.y. 31).  L'Eckhel 
pubblicò  una  monetina  simile  a  quella  di  argento  da 
noi  edita  sotto  il  n.  9  ;  e  la  spiegava  in  modo  singo- 
lare. Egli  suppone  che  dopo  la  fondazione  di  Turio 
non  si  perdette  il  nome  di  Sibari  ;  ma  mentre  gli  an- 
tichi Sibariti  conservavano  la  denominazione  della  di- 
strutta loro  patria,  gli  altri  Greci ,  che  con  essi  colle- 
garonsi  a  riedificarla  ,  introdussero  il  novello  nome 
di  Turio  :  e  ciò  crede  confermarsi  dalla  moneta  da 
lui  pubblicata,  nella  quale  si  vede  il  tipo  del  toro  di 
Sibari  accoppiato  alla  epigrafe  OOY  (  doctr.  1.  e.  ).  A 
dir  vero  ,  mi  sembra  che  le  due  monete  da  noi  pub- 
blicate dieno  argomento  ad  una  contraria  osservazio- 
ne. La  città  nuovamente  fondata  non  potè  ,  a  nostro 
giudizio  ,  riprendere  l'antico  nome  ,  mentre  un  altro 
ne  assumeva.  E  sebbene  nella  numismatica  si  adottasse 
da  principio  il  tipo  Sibaritico  ,  questo  accompagna- 
vasi  però  col  novello  nome  ,  e  non  già  coli'  antico. 
Una  tale  deduzione  ci  sembra  assolutamente  legitima. 
Di  fatti  ,  coloro  i  quali  batterono  le  due  monete  da 
noi  presentate  erano  certamente  del  partito  de'  Siba- 
riti ,  se  ne  adottarono  il  tipo  :  e  quindi ,  ove  la  ipo- 

21 


—  170  — 


lesi  dell'  Eckhel  fosse  ammisibile ,  non  avrebbero 
mancato  pure  di  aggiungere  il  nome  di  Sibari  e  non 
già  quello  di  Turio.  Senza  dubbio  le  due  monete,  di 
che  favelliamo  ,  appartengono  a'  primi  tempi  di  Tu- 
rio ,  ne'  quali  durava  tuttavia  la  memoria  della  di- 
strutta Sibari,  e  la  influenza  de' Sibariti  superstiti.  Ma 
1'  uso  di  quel  tipo  durò  certamente  pochissimo  tem- 
po ,  cioè  sino  alla  quasi  totale  distruzione  de'  Siba- 
riti ,  succeduta  alle  intestine  discordie  ;  siccome  narra 
Diodoro  Siculo  (  lib.  XII,  cap.  XI  ).  Dopo  quell'epoca 
ci  sembra  probabile  che  si  dismettesse  del  tutto  il  tipo 
degli  odiati  Sibariti  ;  il  che  spiega  la  somma  rari  là 
delle  monete  simili  a  quelle  da  noi  pubblicate.  Sap- 
piamo poi  dallo  stesso  Diodoro  che  il  fatto  avvenne 
sotto  il  consolalo  di  T.  Menenio  e  di  P.  Seslio  Capi- 
tolino (  /.  e.  cap.  XXII  ).  Perciò  ,  se  la  cronologia  di 
Diodoro  dee  a  questo  riguardo  riputarsi  esatta,  le  no- 
stre monete  creder  si  deggiono  coniate  appunto  in 
quell'  anno  ,  o  poco  innanzi  :  e  perciò  1'  epoca  ne  ri- 
mane con  tutta  precisione  determinata. 

AXYZIA    ACARNANIAE. 

10.  Quadrato  incitso  diviso  in  quattro  parli,  in 
ciascuna  delle  quali  è  una  piccola  elevazione  del  me- 
tallo.- nel  piano  della  incusionc  è  la  epigrafe  A AYZI A , 
quasi  serpeggiante  e  boustrophedon. 

)(  Pegaso  corrente  a  s.  di  arcaico  lavoro ,  sotto  9 

Ar.  9. 

Presso  il  iev.  P.  Tortora  del  SS.  Redentore. 

Non  può  esservi  alcun  dubbio  sulla  determinazio- 
ne di  questa  rarissima  medaglia ,  la  quale  appartiene 
certamente  ad  Alyzia  /lell' Acarnania.  Per  la  prima 
volla  comparisce  il  suo  nome  intero  nella  numisma- 
tica; giacché  Cnora  conoscevansi  alcune  monete  colla 
epigrafe  dimezzala  AAT  (Eckl.el  doclr.  lom.II  p.  185: 
num.  vel.  lab.  Vili  n.  li  pag.  122:  cf.  Mionnet  descr. 
t.  II  p.  79,  e  suppl.  t.  Ili  p.  455).  Tra  esse  havvenc 
una  di  bronzo,  che  il  Combe  attribuì  ad  Alvona  della 
Liburnia:  ma  noi  non  oseremmo  decidere,  senza  esa- 
minar la  fabbrica  e  lo  stile  di  quel  monumento;  seb- 
bene i  tipi  possano  in  certo  modo  appoggiare  la  opi- 
nione del  Combe.  Vedi  intanto  quel  che  ho  delto  nella 


mia  disseriazione  sulle  medaglie  dell'antica  Dahon 
inserita  nel  voi.  IV  parte  li  delle  memorie  della  re- 
gale Accademia  Ercolanese  p.  267.  La  nostra  moneta 
ferma  la  vera  ortografia  del  nome  di  quell'  antica 
ciltà  dell'  Acarnania  'A\vZ,i'x,  come  ritrovasi  in  Tu- 
cidide (  VII,  31),  in  Senofonte  {i)(Hellcn.  V,4,  65), 
in  Slrabone  (  X,  p.  450,  e  459  edit.  Casaub.  ),  e  fra' 
Latini  in  Cicerone  (epist.  fam.  lib.  XVI,  ep.  2):  mentre 
'AXurrloi.  rinviensi  in  Scilace  (  Peripl.  §.  XXXIV), 
'A\vZu%  in  Tolommeo  (  lib.  IH  cap.  XIV  (2)),  ed  in 
Stefano  Bizantino  (  s.  v.  p.  106  seg.  ed.  Berkelii  )  ; 
d'  onde  1'  Halyzea  di  Plinio  (  lib.  IV  e.  1  ).  Il  genti- 
le provenicnle  da  questa  seconda  denominazione  è 
'AXt^s/b?,  siccome  ritrovasi  in  una  iscrizione  del- 
l'Acarnania  (  corp.  inscr.  graec.  lom.  II  n.  1793  ); 
'A\u&ùs  ed  'AXy^owoj  presso  Stefano  Bizantino  (  l.c.)', 
ma  il  più  comune  è'AXi/?a7oS,  siccome  leggiamo  pure 
in  Diodoro  (  XVIII,  1 1  ) ,  e  come  apparisce  benanche 
in  una  magnifica  medaglia  colla  epigrafe  AATZAION 
pubblicata  dal  Millingen  (  Ancient  Coins  tav.  IV  n.  2, 
p.  54)  ,  la  quale  libera  forse  da  sospetto  altra  meda- 
glia con  simile  iscrizione  citata  dal  Rasche  [lex.num. 
t.lV  p.12  ).  La  origine  del  nome  di  Alyzia  si  trae  da 
Ahjzo  figlio  d'Icaro,  secondo  Stefano  Bizantino  (s.  v. 
'A\vC,ìi%  );  ma  Slrabone  riporta  una  tradizione  di  Efo- 
ro ,  per  la  quale  si  attribuisce  ad  Alyzeo  e  Leucadio 
figli  d' Icario  la  fondazione  di  due  omonime  ciltà  del- 
l' Acarnania  (  Strab.  geogr.  X  ,  p.  452  ).  Da  questo 
luogo  pare  debba  correggersi  altresì  la  narrazione 
di  Stefano.  Scarse  sono  le  notizie  storiche  di  Alyzia:  e 
per  tacere  di  quelle  che  riguardano  tempi  più  antichi, 
le  quali  mancano  affatto,  e  sono  in  parte  restaurate  dalle 
medaglie,  osserviamo  soltanto  ch'essa  la  tenne  sempre 
per  gli  Ateniesi  principalmente  nelle  guerre  di  Ma- 
cedonia. Così  Tucidide  la  dice  occupata  dagli  Ateniesi 
(l.  e);  Diodoro  pone  gli  Alyzaei  fra'  popoli  che  si  col- 
legarono contro  il  Macedone  (l.c);  e  Senofonte  narra 
come  presso  quella  citlà  trionfasse  Timoteo  nella  pu- 
gna navale  contra  lo  Spartano  Nicoloco  (l.c)  .In  tempi 

(1)  È  chiaro  che  cosi  debba   correggersi   I'  Ah.vZia  in  questo 
scrittore. 

(2)  Io  tutte  le  edizioni ,  non  esclusa  quella  del  Nobbe.è  'A£v- 
X«'«  'ri  'A£i)Xsi«  i,  |  p,  202:  ma  è  un  mero  equivoco  di  copista. 


—  171  — 


posteriori  è  da  ricordare  che  il  celebre  Arpinate  vi 
dimorò  alcun  tempo  ,  e  ebe  di  là  scrisse  una  delle 
sue  auree  epistole  (  le.  ).  Al  tempo  di  Strabone  Aly- 
zia con  molte  altre  piccole  città  dell'  Acarnania  era 
quasi  considerata  come  un  municipio  di  Nicopoli  (lib. 
X  p.  450).  Da  quel  che  dice  Tucidide  ,  che  la  pone 
presso  Leucade  ed  Anaclorio  (l.  e),  Strabone,  che  ne 
descrive  esattamente  la  posizione  sedici  stadii  lungi 
dal  mare  (  lib.  X  p.  450,  e  459  ),  e  Cicerone ,  che 
ne  definisce  in  certo  modo  la  situazione  :  Et  ìocus  est 
cifra  Leucadem  stadia  CXX(Lc),  venne  a  dedursi 
che  sieno  da  attribuirsele  le  rovine  esistenti  pres- 
so Condili,  luogo  distante  4  leghe  al  N.  0.  dal- 
l' isola  di  S.  Maura  (  Leake  norlh.  Greece  IV  pag. 
14;  Pouqueville  voyage  de  la  Grece  tom.  Ili  pag. 
4G3).  Non  voglio  poi  mancar  di  notare  alcune  parti- 
colarità narrate  da  Strabone  intorno  la  città ,  di  cui 
ragioniamo.  Egli  ne  avverte  che  presso  al  mare  vi- 
cino ad  Alyzia  era  un  porto  ed  un  tempio  sacro  ad 
Ercole  (  lib.  X  p.  459  )  :  ed  altrove  racconta  che  in 
quelle  vicinanze  furono  ritrovate  le  fatiche  di  Ercole, 
opera  di  Lisippo  ,  e  mandate  in  Roma  da  uno  di  quei 
magistrati  (  lib.  cit.  pag.  cit.  ).  Questa  relazione  di 
Ercole  può  dar  sufficiente  spiegazione  della  medaglia 
del  museo  Hunteriano  (  lav.  Ili  fig.  2 1  ;  Eckhel  doctr. 
t.  II  p.  151  ;  Mionnet  descr.  tom.  II  pag.  79  n.  8,  e 
suppl.  voi.  Ili  p.  455  n.  13  ),  di  cui  dicemmo  di 
sopra  ;  nella  quale  il  tipo  di  Ercole  può  accennare 
altresì  a  quel  porto  ed  a  quel  tempio  sacro  all'eroe. 
Qaello  però  che  dee  riputarsi  di  maggiore  importan- 
za per  la  storia  di  Alyzia ,  è  ciò  che  concerne  i  più 
antichi  tempi,  e  che  ci  viene  insegnato  dalle  monete. 
Avuto  riguardo  a'  tipi  della  Minerva  e  del  Pegaso 
nelle  medaglie  finora  conosciute ,  tipi  propriamente 
Corinlii,  se  n'era  assai  ragionevolmente  dedotto  dal- 
l' Eckhel  (II'  ce.),  e  poi  dal  Millingen  (/.  e.)  che  fosse 
una  delle  varie  colonie  Corintie  dell'  Acarnania,  seb- 
bene mancassero  assolutamente  i  documenti  storici. 
Ora  la  nuova  moneta  del  P.  Tortora  viene  bellameule 
a  confermare  una  tale  conghiettura;  giacché  oltre  l'in- 
tero nome  della  città  ,  vedesi  presso  al  Pegaso  il  Co-' 
rintio  ll\  che  met'.e  fuor  d' ogni  dubbio  la  dipendenza 
e  deri  vazione  di  Alizia  da  Corinto,  non  altrimenti  che 


si  osserva  per  altre  colonie  della  stessa  Corinto,  e  se- 
gnatamente in  alcune  rare  monete  di  Siracusa,  nelle 
quali  pur  si  scorge  sotto  al  Pegaso  il  0  ,  mentre  pre- 
so la  testa  di  Pallade  si  legge  la  epigrafe  2JTPAKO- 
SIQN  (Torremuzza  tav.  LXXIX  n.2  ):  e  di  queste  uria 
è  pur  posseduta  dal  lodato  P.  Tortora.  Intanto,  lungi 
dall'  attribuire  a  Siracusa  tutte  le  monete  insignite 
del  O,  secondo  le  cose  esposte  dall'  Eckhel  (doctr.  t. 
II  p.  245  e  segg.  ) ,  saran  da  seguire  le  conclusioni 
tratte  dal  medesimo  dotto  scrittore  nella  bella  discus- 
sione sopra  le  medaglie  battute  dalle  colonie  di  Co- 
rinto ,  nelle  quali  adottaronsi  i  tipi  della  città  madre 
non  solo  per  ricordare  la  loro  origine ,  ma  ancora 
per  dimostrare  la  loro  dipendenza  da  essa  (num.  vct. 
p.  12S).  Ignota  è  l'epoca  della  colonia  Corintia  in 
Alyzia  ;  ma  a  noi  sembra  probabile  la  opinione  del 
Raoul-Rochelte,  che  la  stabilisce  coeva  alla  fonda- 
zione delle  altre  colonie  corintie  dell' Acarnania,  cioè 
a'  tempi  di  Cipselo  ,  circa  060  anni  prima  dell'era 
volgare  (  colon,  grecq.  tom.  Ili  p.  290).  Certo  si  è 
che  la  nostra  medaglia  apparisce  di  remota  antichità: 
e  sarà  bene  che  ci  fermiamo  alquanto  ad  illustrarne 
le  particolarità.  Le  più  antiche  monete  di  Corinto  of- 
frono il  Pegaso  col  O,  ed  al  rovescio  una  impressio- 
ne simile  alle  medaglie  d'  Himcra  divisa  in  8  parti 
triangolari,  quattro  rilevate  e  quattro  incavate  (Mion- 
net descr.  t.  II  p.  166  n.  130  ).  Lo  stesso  sistema  , 
benché  diverso,  di  impressione  si  osserva  al  rovescio 
del  Pegaso  nella  moneta  di  Alyzia  che  illustriamo;  la 
quale  incontra  poi  un'altra  somiglianza  colla  moneta 
di  Corinto  sopra  citala  ,  che  il  Pegaso  vedesi  pari- 
menti volto  a  sinistra. 

Intanto  è  da  notare  che  questo  sistema  di  poco  de- 
terminate impressioni  al  rovescio  dell'  unico  tipo  si 
ravvicina  a  quello  osservabile  nella  più  antica  moneta 
eginclica  :  ed  è  pur  da  notare  che  Fidone  Argivo  ,  il 
quale  visse  circa  700  anni  prima  dell'era  volgare,  in- 
trodusse la  coniazione  della  moneta  in  Egina  ed  a  Co- 
rinto (  iMùller  Aeginct.  p.  63;  Roeckh  corp.  inscr.  gr. 
t.  II  p.  335  ,  e  indi'.  Unters.  p.  93  segg  :  Cavedoni 
numism.  Ubi.  p.  5  e  segg.  ;  Weissenborn  HeJlen  ra- 
giona lungamente  di  Fidone  ;  vedi  sulla  sua  moneta 
p.  66  e  segg.  ).  Sicché  non  dee  parere  che  in  pieno 


—  172  — 


accordo  colla  storia  incontrare  un  sistema  presso  a 
poco  simile  nelle  più  antiche  medaglie  di  Egina  e  di 
Corinto  ;  e  preziosa  dee  pure  a  questo  riguardo  con- 
siderarsi la  nuova  moneta  di  Alyzin  ,  la  quale  mostrasi 
coniata  in  un  tempo,  in  cui  non  erasi  ancora  adottato 
da  Corinto  e  dalle  sue  colonie  V  uso  del  duplice  tipo. 
L'  altra  particolarità  degna  di  osservazione  nella  me- 
daglia del  P.Tortora  si  è  la  epigrafe  quasi  rozzamente 
segnata  in  quella  informe  incusione  :  il  che  per  altro 
è  piuttosto  comune  nella  numismatica  della  Macedo- 
nia. I  caratteri  usati  nella  epigrafe  sono  poco  soggetti 
ad  un  accurato  esame  ,  essendo  quasi  frettolosamente 
segnali ,  e  collocati  in  piccolo  spazio  :  il  che  doveva 
di  necessità  impedire  la  mano  dello  scrittore.  Nondi- 
meno 1'  T  è  di  forma  talmente  simile  a  quello  della 
moneta  di  Tulio  da  noi  riportata  nella  medesima  ta- 
vola (n.  8  ) ,  che  merita  assolutamente  di  esser  con 
quello  paragonato  :  tale  si  osserva  in  varie  iscrizioni 
di  vasi  dipinti ,  ed  apparisce  pur  somigliante  quello 
dell'  alfaheto  segnato  nel  vasetto  ceretano  ,  pubblicato 
dal  Lepsius  (  annali  dell'  ht.  voi.  Vili  p.  186  segg.  ) 
e  poi  dal  Franz  (  elem.  epigr.  gr.  p.  22  )  ;  nel  quale 
sono  molti  indizii  di  caratteri  Corinlii. 

Gli  altri  caratteri  della  nostra  epigrafe  non  offrono 
argomento  di  particolare  osservazione  :  e  solo  ci  pia- 
cerà di  avvertire  che  tutte  le  lettere  costituenti  il  no- 
me di  Alyzia  sono  disposte  in  modo  di  spira ,  il  che 
conviene  altresì  alla  maggiore  antichità  del  monumen- 
to. Ci  resta  a  dir  qualche  cosa  del  tipo  del  Pegaso  , 
del  quale  ci  sembra  notabile  lo  stile  ed  il  lavoro.  Di 
fatti  le  ali  in  particolar  modo  conformate  ,  ed  i  glo- 
betli  che  vi  si  mirano ,  sono  da  paragonare  ad  alcune 
pitture  di  vasi  dipinti  di  lavoro  corintio  ,  alle  quali 
perfettamente  si  rassomigliano  (1).  Citerò  principal- 
mente la  piccola  patera  dell'  antica  Capua  da  me  pub- 
blicata in  questo  bulleltino ,  ove  si  scorgono  due  alati 
cavalli  tenuti  da  un  giovinetto  (an.  I  tav.  XI  fig.  8): 
ne'  quali  si  veggono  le  ali  quasi  allo  stesso  modo  di- 
fi)  Su'  vasi  di  maniera  Corinlia  vedi  Raoul-Rochelie  negli  annaK 
dell'  Istituto  iom.  XIX  p.  234  e  segg  :  cf.  lahn  MUnclien  Vatm- 
Sammlung  ,  Einleitung  p.  XXIV  seg. 


pinle ,  e  segnata  di  amaranto  sulla  groppa  la  mede- 
sima parte ,  che  nella  nostra  moneta  si  vede  espressa 
con  un  incavo.  In  qualunque  modo,  la  moneta  del  P. 
Tortora  ci  sembra  di  grandissima  importanza,  e  per 
la  sua  maggiore  antichità  ,  in  confronto  con  tutte  le 
altre  dianzi  pubblicate,  e  perchè  offre  la  certezza  della 
Corintia  derivazione  nell'arcaica  O,  ne'caratleri  della 
epigrafe,  nel  sistema  della  informe  incusione  al  ro- 
vescio, e  nella  maniera  del  lavoro  del  Pegaso  volante 

ASCCLTJM  APULI  àE 

Nella  nostra  tav.  XII  n.  1 1  noi  pubblicammo  una 
monetina  fusa  di  Ascoli  di  Puglia  ,  della  quale  ra- 
gionammo di  sopra  p.  155.  Avvertimmo  allora  che 
doveva  quella  riputarsi  una  semoncia  ,  e  che  si  ave- 
va la  serie  della  moneta  fusa  di  Ascoli  pressoché 
compiuta  ;  cioè  il  triente  ,  il  sestante  ,  l'oncia  ,  e  la 
semoncia.  Mancava  in  quella  progressione  il  qua- 
drante ;  ma  ora  vogliamo  annunziare  che  ci  è  venuto 
fatto  di  osservare  anche  il  quadrante ,  essendoci  stato 
in  questi  ultimi  giorni  mostrato  dal  Sig.  Sambon ,  che 
n'  è  il  possessore. 

Ripetiamo  qui  la  tavola  comparativa  di  tutti  i  pesi 
delle  divisioni  dell'asse  di  Ascoli. 

Triente gr.     46,00 

Quadrante 27,18 

Sestante     . 22,72 

Oncia 13,00 

-   Semoncia 6,68 

Dalla  scala  sopra  riferita  è  facile  rilevare  che  le 
divisioni  dell'  asse  di  Ascoli  in  quanto  al  peso  ,  non 
altrimenti  che  nelle  monete  fuse  di  altre  italiche  città, 
non  corrispondono  mai  perfettamente  al  valore  :  il 
che  dee  senza  dubbio  attribuirsi  principalmente  alla 
fusione ,  la  quale  non  può  dare  che  difficilmente  un 
peso  esatto  ed  identico.  Al  contrario  riesce  esso  va- 
riabile e  diverso  secondo  le  particolari  circostanze  ve- 
rificabili nell'atto  della  fusione. 

MlNERVINI. 


Giono  MiNERVMi  —  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Cataneo. 


BILLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N°  73.     (23.  dell'  anno  III.) 


Giugno  18-")."). 


Ercole  trasportato  al  Cielo  in  vaso  dipinto  dì  Ruvo.  —  Sopra  uno  de' cinque  gruppi  dell'insigne  caso  Cum.ino 
del  sig.  Marchese  Campana.  —  Postilla  del  eh.  Caccdoni  alle  osservazioni  sull'opera  del  eh.  de  Saulcy:  Re- 
therches  sur  la  numisinalique  Judaìque.  Continuazione  del  n.fJS. —  Sopra  alcuni  luoghi  del  corp.  inscr.  gr. 
Conlin.  del  n.56. —  Sulle  monete  Ispane  illustrale  col  nuovo  framm.  di  P.Annio  Floro.  Contili,  del  n.ò9. — 
Anello  di  oro  scoperto  in  S.  Maria. —  Capedine  di  argento  con  greca  iscrizione. 


Ercole  trasportalo  al  Cielo ,  in  vaso  dipinto 
di  Ruvo. 

11  vaso  dipinto,  che  qui  pubblichiamo  (lav.  XIV), 
orma  parte  della  raccolta  dei  Signori  Caputo  di  Ruvo. 

Nella  faccia  principale  vedesi  Ercole  imberbe,  che 
iscende  sopra  un  cocchio  tirato  da  quattro  corsieri 
;uidati  da  una  donna  alata  :  1'  eroe  è  coperto  dalla 
«elle  di  leone,  colla  destra  tiene  la  clava  ,  e  colla  si- 
listra  stringe  /'  anly.v  del  carro.  Innanzi  alla  quadri- 
fa  è  una  figura  Silenica  nuda  e  corpulenta  con  orec- 
hie  caprine;  ha  la  destra  sul  capo  e  fa  un  gesto  par- 
icolare  colla  sinistra:  al  di  sotto  della  quadriga  è 
ina  pira  accesa  :  due  donne  vestite  di  tunica  e  con 
laudali  versano  sul  fuoco  1'  acqua  dalle  loro  idrie  , 
neutre  un'altra  si  avanza  coli'  idria  in  mano:  dietro 
a  quadriga  ,  ed  iu  livello  alquanto  superiore,  vedesi 
ina  donna  con  le  gambe  incrociate  e  con  mantello  or- 
lato di  astri,  la  quale  colla  sinistra  alza  il  peplo  sulla 
palla,  e  porta  la  destra  verso  la  sua  mammella  sini- 
tra.  Più  iu  allo,  al  di  sopra  de'ca valli,  è  uua  cervella 
he  corre ,  e  poi  un  Amore  alato  sedente  con  patera 
lenirò  cui  è  un  ramo.  Il  suolo  è  indicato  con  punti- 
li e  pianticelle  :  al  di  sopra  sono  due  fiori. 

Comparisce  nuovamente  questa  importante  rap- 
iresenlanza  di  Ercole  dopo  altre  più  o  meno  somi- 
;lianti  (1). 

{{)  Tralasciamo  di  far  qui  parola  delle  altre  pitture  vascularie  , 
he  ci  presentano  semplicemente  Ercole  nella    quadriga  ,  o  pure 
on  altre  divinila  :  queste  riscontrar  si  possono  in  Laborde  I-  pi. 
ANNO  IH. 


La  prima  di  queste  fu  già  pubblicata  dal  Gerhard 
{Anl.RUdw.  I.  XXXI—  Cf.  Guigniaut  Rèi.  de  l'ani. 
pi.  CXCI ,  G79.  —  Welcker  Ifyperbor.  Roem.  Situi. 
p.301. — ed  ani.  Denkm.  Ili  p.  298.  Iahn  Reschreib. 
der  Vas.zu  Munck.  Einleitung  pag.LXHI.),  e  diffe- 
risce in  alcuni  punti  dalla  nostra,  imperocché  l'eroe 
è  barbato  ,  vestito  di  clamide  ,  con  corona  di  mirto 
e  benda  sul  capo.  Innanzi  alla  quadriga  vedesi  Her- 
mes ,  e  poi  Apollo:  dall'altro  lato  è  una  figura  vi- 
rile, nella  quale  alcuni  ravvisarono  Giove,  altri  Iolao, 
ed  altri  la  personificazione  del  Monte  Oeta  (V.  Rou- 
lez  an.  dell' List.  voi.  XIX  pag.  270-271.)  :  nel  fon- 
do vedesi  indicato  un  portico ,  e  mancano  le  figure 
nell'ordine  superiore:  il  corpo  o  meglio  il  tronco 
dell'eroe  brucia  ancora  nella  pira;  una  sola  ninfa  vi 
versa  l' acqua  ,  mentre  Filollele  o  Poean  trasportasi 
il  turcasso  colle  frecce  donategli  da  Ercole. 

La  seconda  pittura  di  simil  genere  è  pubblicata  dal 
eh.  signor  Roulez  (  an.  d.  Inst.  voi.  XIX.  pag.  203 
a  278.  Mon.  tom.  IV  pi.  XLL  —  Cf.  Iahn  Re<ehreib. 
der  vas.zu  M 'unch-n. 384.,  e  de  Wille  Cat.Etr.  n.  96). 
Mancano  quivi  ancora  le  figure  dell'  ordine  superio- 
re :  nella  quadriga  Ercole  è  accompagnato  da  Miner- 
va: vedonsi  ancora  gli  avanzi  del  corpo  dell'eroe  sulla 
pira  :  due  ninfe  vi  sono  dappresso:  una  versa  l'acqua 

LXXVI.  —  Millingen  Peint.  ant.  inéd.  de  vas.  Gr.  PI.  XXXVI. 
Dubois  Maison.  Peint.  de  Vas.  II  pi.  XVIII.  cf.  Gal.  Mythol  CXXUI. 
402. —  Gerhard  Ncwrworb.  ant.  Denkm.  IH.  n.  1708,  e  1711. 
Iahn  Scschrcib.  der  Vascns.  *u  MUnch.  n.  69  e  n.  484-  —  Iahn 
antiquar.  Aufsaetze  pag.  96  segg.  —  Ercole  sul  rogo  si  vede  in 
un  elegante  scarabeo  (  Bullet.dlnstit.ltiW.  cent.  V.27.  pag.102.) 

23 


—  174  - 


dalla  sua  idria ,  ed  è  contrasegnata  da  una  iscrizione, 
nella  quale  si  è  creduto  scorgere  il  nome  APE0O£A: 
l'altra  si  accosta  portando  ancora  l'idria  sul  capo,  ed 
è  distinta  da  altra  iscrizione  che  si  è  letta  IIPEMNO- 
XI A.  Sono  inoltre  presso  al  rogo  due  Satiri,  uno  dei 
quali  tiene  la  clava  colla  destra  ,  accosta  la  sinistra 
sulla  fronte  per  derisione,  o  per  veder  meglio  ,  don- 
de forse  il  nome  di  SKOITA  che  vedesi  scritto  presso 
lo  stesso  :  1'  allro  con  ferula  stende  il  braccio  verso 
il  compagno  ,  ed  è  caratterizzalo  dal  nome  TBPlS. 

Diverse  sono  le  antiche  tradizioni  che  ci  narrano 
l' abbruciamelo  del  corpo  di  Ercole  e  il  trasporlo 
dell'Eroe  nell'  Olimpo. 

Secondo  Diodoro  (IV.  38.  p.  169-170.  Wessel.), 
Ercole  ascese  il  rogo  e  Filottete  vi  appiccò  il  fuoco: 
in  un  attimo  il  rogo  islesso  toccalo  dai  fulmini  del 
cielo  si  incenerì  insieme  colla  spoglia  mortale  dell'e- 
roe ,  dal  che  si  pensò  che  egli  fosse  stato  ricevuto 
nel  consorzio  dei  numi.  Apollodoro  (  II.  7,  7)  narra 
che  mentre  le  Gamme  consumavano  la  pira,  l'eroe  fu 
inviluppato  in  una  nube  e  trasportato  in  mezzo  allo 
slrepito  dei  tuoni  nell'Olimpo,  dove  ricevè  la  immor- 
talità dopo  essersi  riconciliato  con  Giunone.  Ovidio 
poi  (melam.lX  271-272)  riferisce  cheErcole,  dopoché 
il  suo  corpo  fu  consumato  dal  fuoco,  fu  da  Giove  ri- 
cevuto nell'Olimpo  in  una  quadriga. 

Nella  nostra  piltura  dunque  Ercole  mostrasi,  come 
in  altri  monumenti  relativi  alla  sua  apoteosi,  imber- 
be, quasi  ringiovanito  dopo  essere  stato  purificato  dal 
fuoco  (Lucian.  Hermot.  §.7.  Tom.  1 .  p.746  edil.Wet- 
sten.  —  Minervini  moti.  ined.  Tav.  XVIII.  p.  83.  ). 
Egli  si  attiene  colla  sinistra  aì\'  anlyx  del  carro  (  V. 
le  osservaz.  del  Millin  sui  Vasi  di  Dubois  Maison.  II 
pi.  XVIII.  pag.  31.  G.  I.  pag.  47.  not.  2.  ),  e  questo 
gesto  si  osserva  generalmente  non  solo  in  quasi  tutte 
le  pitture  di  tal  fatta  riferite  di  sopra,  ma  benanche 
in  altre  dove  semplicemente  vedonsi  eroi  vincitori , 
o  numi  in  quadrighe  (  V.Dubois  Maisonn.  Peinl.  de 
Vas.  I.  pi.  XXIV.—  Millingen  Peint.  de  Vas.  de  la 
Col.  Coghill  pi.  IX — Bu.Uet.  Arch.  Nap.  an.  II.  Tav. 
VI.  —  Gerhard  Archaeol.  Zeit.  n.  F.  1848.  Taf. 
XVII.  pag.  257.  segg.  ) 

L'Eioe  è  accompagnalo  sul  carro  da  una  figura  a- 


lala  ,  la  quale  piuttosto  che  Nike  è  stata  spiegata  per 
Irti  (V.  Millin  Vasi  del  Dubois  Mais.  II.  pag.  31. 
32-cf.  Zoega  Bassiril.  II.  pag.  124.  )  ;  e  muove  ver- 
so le  sedi  dei  celesti  indicale  dall'Amore  alato  (I). 

Priva  d' indizii  particolari ,  che  potessero  con  cer- 
tezza determinarla ,  è  quella  femminile  figura ,  che 
vedesi  presso  alla  quadriga.  Pensar  non  possiamo  alla 
regina  de'  numi  Giunone.  Ma  meglio  ci  sembra  rico- 
noscere in  essa  Ebe ,  che  fu  data  in  isposa  all'  eroe  , 
quando  trovossi  nell'  Olimpo  (  Hom.  Odyss.  XII.  600 
seg.  hymn.  XXVI ,  7-8;  Hesiod.  Theog.  950-955; 
Pind.  Isthm.  IV,  55  segg.;  Eurip. Heraclid.  913-916). 
A  questa  conghieltura  non  disconvengono  né  le  for- 
me né  la  posizione  d' incrociar  le  gambe  simbolo  di 
tranquillo  riposo ,  non  che  il  gesto  di  tirare  alquanto 
presso  la  spalla  il  peplo ,  che  venne  attribuito  a  fem- 
minil  civetteria  od  a  pudore  (  Minervini  vasi  di  Julia 
p.  22  seg.).  Del  resto  non  sarebbe  forse  neppure  fuor 
di  luogo  ravvisare  in  quella  donna  la  madre  dell'eroe 
Alcmena  ,  che  Seneca  fa  assistere  con  grave  mestizia 
alla  scena  dell'  Oeta  (  Herc.  Oet.  v.  1668  seg.  ) ,  e 
che  non  di  rado  comparisce  in  simili  monumenti 
(  Mueller  Handb.  §.  411  n.  1  p.  683  edit.Welcker). 
Del  resto  un  bel  vaso  relativo  ad  una  scena  di  poco 
posteriore  a  quella  che  illustriamo  fu  pubblicato  dal 
Sig.  Minervini  (  man.  ined.  di  Barone  tav.  XVIII  ), 
ed  illustrato  a  pag.  81  e  segg. 

La  cervetta  che  mirasi  quasi  atterrita  saltellare 
nello  stesso  piano  superiore  potrebbe  accennare  alle 
vette  dell'Oeta  ripiene  di  selve  e  di  boschi  (  Ovid. 
mei.  IX.  v.  165);  ma  meglio  potrebbe  essere  un  sim- 
bolo del  culto  di  Diana ,  la  quale  veneravasi  in  un 
tempio  che  restava  in  quelle  vicinanze  (  Sophocl. 
Trachin.  v.  635,  segg.  et  schol.  ibi  ). 

Formata  si  scorge  la  pira  di  grossi  tronchi,  arbori- 
bus  caesis  (Ovid.  j'Wd.v.230),  i  quali  fanno  ben  ravvi- 
sare la  vkrp  rrfi  (3*9(  pp/^a  Spt/òs ,  e  l'aypjov  i\ou or,  di  cui 
la  disse  costruita  Sofocle  [Trachini.  11 95. 1197)  (2). 

(1)  In  allre  pitture  Ercole  è  accompagnato  nella  quadriga  da  Mi- 
nerva ,  come  vedevasi  sul  irono  amiclco  (  V.  Pausali,  lib.  III.  e. 
XVIII.  p.25b,e  e.  XIX  p.2S8.  cf.  Heyne  antiquar.  Aufsaelze  I.p.  i-) 

(2)  Sulla  pira  di  Ercole  come  indizio  dell'apoieosi  V.  R.  Rochet- 
te  nelle  mém.  de  V  acad.  d.  Inscr.  et  bel  lei.  Voi.  XVII.  p.  30 
31.  e  p.  28S. 


—  175  — 


In  quelle  (re  ninfe  occupate  ad  estinguere  roll'ae- 
|ua  le  fiatarne  del  rogo  ravvisar  possiamo  le  tracce 
Iella  tradizione  che  narrava  essere  surto  improvisa- 
iiente  il  fiume Dyras  nei  contorni  dell'Oda,  appunto 
jer  rinfrescare  l'eroe  colle  sue  onde  (V.  Herod.VII. 
198 — Strabon.  IX.  428.  C.  ). 

Vi  sono  esempi  di  fiumi,  o  piuttosto  delle  sorgenti 
li  fiumi,  in  figura  femminile:  queste  però  vedonsi  ada- 
giale sul  gomito,  come  è  solito  ordinariamente  de'Gu- 
ni  (  Winckelmann  Op.  voi.  IV.  p.  390.  Monum. 
rav.  CXIV.  n.  270.  ediz.  di  Prato);  laonde  nel  no- 
tro  vaso  riconosciamo  piuttosto  le  Ninfe  o  Naiadi  del 
ìume  Dyras, the  versano  l'acqua  dalle  loro  idrie.  Pau- 
auia  (  L.  Vili.  e.  31  p.  664  )  ci  reca  un  esempio 
li  ninfe  idrofore.  Conosciamo  d'altronde  diverse  ninfe 
luviatili,  che  prendevano  il  nome  dai  fiumi  cui  ap- 
>arlenevano  ,  così  le  ninfe  A'viyploss  ,  il  cui  antro  era 
ricino  al  fiume  "Anypos  presso  Elide  (  Pausan.  L.V. 
.  V.  p.  386  ) ,  le  ninfe  A'fivifftowss  del  fiume  "Aixnaos 
Slepli.  Byz.  v.  «f*v«roS;  Callim.  H.  in  Dian.  lo) , 
e  ninfe  'AxeTuwsS  dell' Acheloo  ,  cui  voglionsi  ag- 
iungere le  ninfe  Paclolides,  che  avevano  stanza  fra 
5  onde  del  Patlolo  (  Ovid.  Mei.  VI.  16.  ).  Nel  vaso 
escritto  dal  signor  Roulez  sembra  che  si  leggano 
iresso  quelle  ninfe  i  nomi  di  APE0OSA  e  I1PEM- 
fOSIA  ;  e  quel  dolto  suppose  ancora  che  fossero  ninfe 
ocali,  cui  furon  dati  nomi  di  celebri  fontane  quan- 
unque  site  in  luoghi  diversi  e  discosli(  An.  d.  List, 
hi  XIX.  p.  271-272.  ). 

Assai  singolare  è  da  reputarsi  quella  figura  Sile- 
lica  ,  la  quale  precede  la  quadriga.  In  altre  pitture 
omiglianti  scorgiamo  in  quel  sito  Mercurio  (Dubois 
Iaison.  II.  pi.  XVIII.  -Laborde  I  pi.  LXXV.  —  Iahn 
ìeschr.  der  Vas.  zu  Mundi,  n.  69  e  184  ) ,  e  questa 
livinità.cui  era  proprio  ancora  l'uffizio  di  condurre 
e  anime  all'Olimpo,  trovasi  certamente  colà  bene  al 
iuo  posto. 

Il  nostro  Sileno  piuttosto  che  reputarsi psychopom- 
>os  sembra  introdotto  con  altre  vedute  e  in  un  senso 
bbastanza  incerto  ed  oscuro  ,  meritevole  ancora  di 
dteriori  ricerche.  Nonpertanto  non  vogliamo  man- 
are  di  soggiungere  su  tal  soggetto  alcune  riflessioni. 

E  stato  già  osservato  che  gli  artisti  dell'  antichità 


introducevano  sovente  nelle  loro  composizioni  alcune 
figure  bacchiche,  le  quali  non  avevano  alcuna  rela- 
zione coi  soggetti  principali  (  Milling.  Peint.  do  Vas. 
de  Voghili  pi.  XLVI- Dubois  Maison.  II.  pi.  Vili.): 
e  i  dotti  crederono  rintracciare  il  senso  di  queste 
nella  frequenza  delle  scene  dionisiache  in  gran  vo- 
ga appo  gli  antichi ,  donde  gli  artisti  per  seguire  il 
vezzo  di  quell'epoca  compiacevansi  introdurre  tali 
figure  nelle  rappresentazioni  che  toglievano  ad  ese- 
guire (V.  Milling.  a  pag.  42,  ed  il  Milita  a  pag.  18 
noi.  4  delle  op.  cit.  ). 

Nei  soggetti  Erculei ,  di  cui  al  presente  ci  occupia- 
mo ,  non  mancano  ancora  di  comparire  soggetti  bac- 
chici :  ed  oltre  della  nostra  pittura,  possiamo  ricor- 
dare un'  altra  dove  sotto  la  quadriga  di  Ercole  con 
Minerva  osservasi  Bacco  assiso  con  altra  figura  mu- 
liebre, mentre  dall'uà  dei  lati  è  una  Menade  dall'al- 
tro un  Satiro,  il  quale  alza  la  sinistra  con  un  gesto 
particolare  (V.  Milling.  Peint.  de  Vas.  gr.  PI.  XXXVI). 
Più  vicino  confronto  ci  offrono  i  due  Salili  2KOIIA 
ed  TBPIS  nell'  altro  vaso  illustrato  dal  sig.  Roulez. 
Vogliamo  ancora  qui  rammentare  il  celebre  basso- 
rilievo della  Villa  Albani  dell'Ercole  ANAITATO- 
MENOS  (Zoega  Bassoriì.  II.  Tav.  LXX.  LXXI),  do- 
ve osservasi  1'  eroe  in  riposo  intento  a  gustare  i  pia- 
ceri del  vino  in  compagnia  di  soggetti  bacchici,  frai 
quali  vedesi  la  parte  superiore  di  una  figura  satire- 
sca ,  la  quale  fa  colla  sinistra  lo  stesso  gesto  del  no- 
stro Sileno ,  se  non  che  avvicina  nel  tempo  stesso  an- 
che la  mano  alla  bocca  (1). 

Si  potrebbero  forse  ravvisare  in  questa  riunione 
di  figure  bacchiche  con  Ercole  le  relazioni  che  esi- 
stono fra  questi  numi,  e  specialmente  nel  nostro  vaso 
potremmo  richiamare  quella  riferita  iu  un  epigramma 
dell'  antologia  (  V.  Brunck  Anal.  III.  pag.  201  ,  e- 
pigr.  CCLI.  Tom.  IV.  169.  ediz.  Jacobs),  cioè  l'es- 
sere stati  Bacco  ed  Ercole  entrambi  segno  all'  ira  di 
Giunone ,  ed  essere  entrambi  dal  fuoco  ascesi  all'O- 
limpo. Tuttavia  i  gesti  violenti  e  concitati  di  queste 
figure,  segnatamente  il  nomeTBPlS,  sembrano  ac- 
cennare a  un'  idea  di  derisione  e  di  ironia  ,  idea  che 

(1)  Soprn  simile  gesto  in  altre  figure  Satiresche  ,  vedi  Milling. 
Peint.  de  Vas.  de  Cogniti  pi.  XXIV.  Dub.  Maison.  11.  pi.  Vili. 


—  176  — 


è  slata  ravvisata  anche  nel  Sileno  (  V.  Daub  und 
Creuzer  Stud.  voi.  II.  p.  231  segg.  e  291.  ),  cui  sem- 
bra essere  stalo  proprio  anche  il  nome  di  v[òpi<Trrlsì 
argomentandolo  da  un  luogo  di  Platone  (in  Symposio), 
il  quale  attribuisce  ai  Satiri  ed  ai  Sileni  un  parlare 
leggiero  e  burlesco,  e  dopo  aver  congiunto  il  Satiro 
col  Sileno  ,  continua  il  paragone  chiamando  il  Satiro 
i  |2f«7TTjS,  e  comprendendo  in  questa  voce  naturalmen- 
te anche  il  Sileno  ;  cosicché  pare  die  il  Sileno  della 
nostra  pittura  potesse  chiamarsi  anche  rj2p ;s  come  il 
Satiro  dell'  altra. 

Laonde  in  ciò  forse  meglio  sarebbe  scorgere  la 
idea  traveduta  ancora  dal  eh.  sig.  Roulez  (  An.  de 
Tinsi,  voi. XIX.  p.  277.  sg.)  dell'indizio  di  un  qual- 
che dramma  satirico  sul  soggetto  di  Ercole  ,  di  cui 
l'antichità  non  era  scarsa.  Sappiamo  in  fatti  che  A- 
stidamante  scrisse  un  dramma  intitolato  (Hp%xXrls  5}<x- 
rvptxòs  (Athen.  L.  X.  p.  41 1.  A.  ),  e  un  buon  nu- 
mero di  monumenti  ci  presentano  la  figura  di  que- 
sto eroe  sotto  l'aspetto  di  un  personaggio  comico  e 
satirico  (I).  Teodoro  Avellino. 

Congetture  sopra  uno  de  cinque  gruppi ,  che  ornano 
V  insigne  vaso  cumano  del  signor  Marchese  Cam- 
pana di  Roma. 

Le  dieci  figure  di  rilievo  ,  che  ornano  la  parte  su- 
periore dell'  indicato  esimio  vaso  cumano  (  v.  addie- 
tro p.  15,  tav.  17  dell'  a n.  Ili ),  riguardandosi  insie- 
me a  due  a  due  ,  formano  come  cinque  gruppi  ,  che 
fanno  piacevole  e  mirabileeffetto.  Nel  penultimo  grup- 
po verso  la  destra  del  riguardante  vedesi  Pallade  se- 
dente sopra  un  azzurro  sedile  iu  atto  di  volgersi  addie- 
tro a  favellare  con  una  figura  maschile  gioveuile  ignu- 

(1)  V.  su  di  ciò  Curtius  HcraUes  dcr  Salyr.  Gerhard  Ncuer- 
worb.  III.  n.  1812.  Bullct  dell' Inst.  1836  pag.  113  —  lahn  Arch. 
Aufsactzc  pag.  111-145.  II  eh.  sig.  Panofka  ravvisò  Ercole  sotto  la 
figura  di  Sileno  in  un  manico  di  vaso  Arch.  Zeitung  {  18-17  , 
17*  ):  e  lo  stesso  sig.  Curtius  secondo  1'  analogia  dell'  HpaxXt/- 
o^uv^ias  di  Aristofane  (  Jìan.  499.  )  vorrebbe  riconoscere  anche 
un  Hpxy.Xéo(r;Xr,»òs  (  ivi  pag.  15  noi.  13)  —  La  Dgura  di  Sile- 
no è  stata  ancora  ravvisata  come  indizio  di  un  satirico  dramma- 
lalm  Archacol.  Auf.  p.  141  noi.  50.  n.  50.— Curtius  1.  e— Pauofka 
Parodicn  und  Earik.  pag.  24. 


da,  tranne  che  ha  la  clamide  avvolta  attorno  ai  lom- 
bi ,  che  la  ricopre  fino  al  ginocchio,  la  quale  con  la 
mano  destra  abbassala  tiene  per  una  delle  zampe  de- 
retane un  porchetlo  penzolone  ,  e  con  la  sinistra  so- 
stiene 1'  estremila  della  clamide  e  tutt'insieme  due  co- 
me clave  capovolte  ,  e  sta  riguardando  attentamente 
la  dea.  Pel  riscontro  de'  quadranti  di  Valenzia  dei 
Bruzzìi  ,  nel  riverso  de'  quali  ricorrono  due  clave  si- 
milmente congiunte  e  capovolte  ,  che  si  connettono 
con  la  testa  d'  Ercole  rappresentata  nel  ritto  (Carelli 
tal).  CLXXXV1I,  38  ),  parmi  assai  verisimile ,  che 
il  giovine  stante  a  colloquio  con  Pallade  sia  per  ap- 
punto Ercole  che  ascolla  la  dea,  perpetua  sua  tutela- 
re, la  quale  lo  istruisce  intorno  al  modo  di  consegui- 
re 1'  espiazione  e  poscia  l' iniziazione  ai  misteri  eleu- 
sinii  ,  ai  quali  si  riferiscono  tulle  l'altre  figure,  come 
ha  egregiamente  dimostrato  il  eh.  Minervini.  Io  non 
saprei  ben  reuder  ragione  della  duplice  clava  data  ad 
Ercole  :  ma  le  citale  monete  di  Valenza,  e  quelle  al- 
tresì di  Tuderte  con  le  due  clave  parallele,  pongono 
il  fallo  fuor  d'  ogni  dubbio.  Vero  è  ,  che  le  fattezze 
della  Ggura  giovenile  in  questione  non  sono  le  solite 
d'  Ercole  ,  ma  vuoisi  avvertire  la  particolarità  della 
chioma  sollevata  in  mezzo  alla  fronte  e  ripiegata  al- 
l' indietro  ,  siccome  quella  d'  Alessandro  Magno  suo 
discendente.  Ercole  poi  di  fattezze  giovenili  ,  e  con 
la  clamide  o  con  altro  ammanto  similmente  avvolto 
attorno  ai  lombi,  e  con  la  clava  parimente  capovolta 
nella  s.  ricorre  in  altri  monumenti  ,  segnatamente  in 
alcuni  specchi  etruschi  ('Gerhard,  taf.  HI,  HI,  158, 
465  J.  E  consta  dagli  scrittori  antichi  come  egli  ven- 
ne due  volte  iniziato  ai  misterii  di  Cerere,  prima  ai 
minori  appositamente  istituiti  per  lui  dalla  dea  e  po- 
scia ai  maggiori  eleusinii,  sia  che  da  Orfeo  ,  o  sia  che 
da  Eumolpo,  il  quale  come  di  dovere,  pria  lo  espiò 
(  Diodor.  IV,  U,2ò:  Apollod.  //,  5, 1%).  Le  due  cla- 
ve, che  veggonsi  decussate  presso  l' escara  ardente  , 
dir  potrebbonsi  quelle  d'  Ercole  ivi  ripetute  per  mo- 
strare che  ivi  egli  compirà  la  sua  espiazione,  oppure 
clave  de'  Centauri  da  esso  lui  uccisi  (  cf.  Mus.  Pisani 
num.  lab.  XXIII,  5),  e  dalla  strage  de'  quali  egli  non 
erasi  peranche  purificato  ('Apollod.  /.  e).  L'Ercole  in 
riposo,  rappresentalo  ne'denarii  di  Eppio  legato  di  Q. 


—  177  — 


Metello  Scipione ,  posa  la  clava  sopra  una  base  ,  nel 
dinanzi  della  quale  sono  due  clave  o  simili  oggetti  de- 
cussali (  v.  Cavedoni  appena,  al  saggio  p.  420). 

C.  Cavedoni. 

Postilla  del  eh.  Cavedoxi  alle  osservazioni  sull'opera 
del  eh.  de  Savlcy  Reeherches  sur  la  numismatique 
juda'ique.  Continuazione  del  n.  68. 

Leggesi  nella  Civiltà  Cattolica  (  Ser.  1. 1.  IV.  p.  558), 
che  nel  museo  Kircheriano  si  conserva  una  moneta 
recusa  da  Barcoeheba,  che  è  una  moneta  di  Antiochia, 
probabilmente  uno  statere ,  del  tempo  di  Vespasiano. 

Ora  per  favore  de' reverendi  PP.  Marchi,  Patrizi 
e  Pianciani ,  godo  poterne  dare  la  descrizione  pre- 
cisa, che  torna  di  somma  importanza  ,  perchè  pone 
fuor  d'ogni  dubbio,  che  i  sicli  o  telradrammi  giu- 
daici ,  che  già  si  attribuivano  a  Simone  Asmoneo  , 
siano  senza  meno  da  resliluirsi  a  Simone  Barkokeba. 
Quello  pertanto  del  musco  Kircheriano  è  come  segue: 

LACHERVTH  IERVSALEM  fin  lettere  ebreo-Sa- 
maritane). Lidab  con  bel  fruito  di  cedro  dal  lato  de- 
stro di  esso.  Fra  la  cima  del  lulab  e  la  lettera  jod,  ini- 
ziale di  IERVSALEM,  scorgonsi  le  vestigia  delle  let- 
tere grecite  NOC  assai  chiare. 

)(  SIMEON  (in  lettere  ebreo-Samaritane).  Edifìcio 
telrastilo,  cui  sovrasta  una  stella.  Arg.  7 

Questa  moneta  d'  argento,  che  come  pare,  prima 
della  recusione  era  molto  detrita  ,  pesa  grani  Roma- 
ni 274  ,  che  credo  equivalgano  a  grammi  13.  90  al- 
l'incirca,  che  corrispondono  al  peso  approssimativo 
degli  altri  telradrammi  o  sia  sicli  giudaici  insigniti  del 
nome  SIMEON  e  de'  tipi  del  lulab  e  dell'edificio  te- 
trastilo,  che  io  tengo  per  sacrario  di  una  sinagoga. 
L'avanzo  poi  dell'  epigrafe  greca  NOC  mostra  evi- 
dentemente, che  Simone  Barkokeba  nell'impressione 
tumultuaria  delle  sue  monete,  ricuse  non  solo  denarii 
Romani  e  dramme  Greche  imperiali,  ma  telradram- 
mi Antiocheni  altresì,  e  fra  gli  altri  questo  del  mu- 
seo Kircheriano  ,  che  ad  un  esperto  numografo  par- 
ve di  Vespasiano,  ma  che  polrebb'  essere  anche  di 
Tito,  o  di  Domiziano,  ovver  di  Traiano  o  d'Adriano. 
Pochi  telradrammi  Antiocheni  saransi  allor  recusi  , 


perchè  i  meglio  conservati  eccedono  quasi  di  un  gram- 
mo il  peso  medio  de'  sicli  di  Barkokeba,  che  perciò 
avrà  preferito  di  squagliarli  con  suo  lucro.  Del  resto, 
fin  dall'anno  1838  io  sospettai ,  che  i  sicli  giudaici 
co'  tipi  del  lulab  e  del  sacrario  della  sinagoga  resti- 
tuir si  dovessero  a  Barkokeba,  anche  per  ragion  della 
stella  allusiva  al  suo  nome  fSpicil.  num.  p.  288- 288); 
ed  ora  mi  consola  il  vedere  risolta  in  certezza  quella 
prima  mia  congettura  ;  e  vie  più  se  ne  dee  consolare 
il  eh.  De  Saulcy,  che  decisamente  diede  a  Barkokeba 
sicli  medesimi.  C.  Cavedoni. 

Giunta  all'articolo  inlilol.  Osservazioni  sopra  alcuni 
luoghi  del  Corpus  inscr.  graec.  Cont.  al  n.  56. 

Dopo  il  n.  680o.  Cannone  in  convenlu  Hispalensi. 
0EOIS 
AAIMOSIN 
MAPKIOIN" 
EAAIW 
ETON  N 
(sic)  ESTOSOI  TH  EAA 
4>PA 
Leggevasi  in  tavola  d' alabastro  scopertasi  in  Car- 
inomi ,  e  conserva  vasi  presso  Don  Pietro  Leonardo 
de  Villa  Zevalos,  un  secolo  addietro  ,  come  attesta  il 
dotto  P.  Florez  (  Espagna  sagr.  T.  IX,  p.  115  ),  che 
siili'  asserto  del  possessore  la  dice  d' indubitala  anli- 
chità.  C.  Cavedoni. 

Giunta  all'  articolo  sopra  le  Monete  Ispane  illustrale 
col  riscontro  del  nuovo  frammento  di  P.  Annio 
Floro.  Continuazione  del  n.  59. 

Domiziano  si  moslrò  avverso  ai  giovinetto  poeta 
Africano  fors'  anche  in  riguardo  alla  ribellione  dei 
Nasamoni,  che  da  prima  vincitori  furono  poscia  scon- 
fitti e  sterminali  da  Fiacco  preside  della  Numidia  nel- 
1'  anno  di  Cristo  88  ;  sì  che  il  concorso  di  P.  Annio 
Floro  alla  corona  del  Certame  Capitolino  probabil- 
mente si  determinerebbe  al  secondo  lustro  di  quello 
(  S.  ITyeronvm.  in  Chronic.  anno  p.  Chr.  SS  cf.  An- 
nali ardi.  T.  XXV  p.  26-27).         C.  Cavedom. 


178  — 


Anello  di  oro  scoperto  in  S.  Maria,  e  recentemente  ìn~ 
tradotto  nel  real  museo  Borbonico. 

Alcuni  anni  fa  alle  vicinanze  di  S.  Maria  di  Capua, 
o  poco  lungi  dal  ponte  di  battelli,  fu  rinvenuto  il  pre- 
zioso monumento  ,  di  cui  diamo  la  notizia.  Poco  tem- 
po dopo  la  sua  scoperta  fu  acquistato  dal  nostro  Au- 
gusto Sovrano ,  il  quale  ne  valutò  la  importanza  con 
quel  finissimo  gusto  per  le  arti,  che  tanto  lo  distingue: 
ed  in  questi  ultimi  giorni ,  desiderando  che  la  bel- 
lezza di  tanto  insigne  lavoro  fosse  da  tutti  gustata  , 
volle  che  si  esponesse  alla  pubblica  vista  nel  Real  Mu- 
seo Borbonico ,  fra  gli  altri  oggetti  preziosi  che  ivi  si 
conservano. 

L' anello  ,  di  cui  è  parola  ,  è  di  oro  massiccio  ;  e 
solo  nella  parte  superiore,  al  sito  del  castone,  vedesi 
il  metallo  imbianchito  dalla  mistione  coll'argento;  per 
modo  che  costituisce  un  piccolo  campo  bianco ,  che 
circonda  la  incisione  ,  di  cui  diremo  tra  poco.  Il  suo 
peso  è  tre  once  e  trappesi  quattordici.  La  forma  del- 
l' anello  è  ovale  nel  suo  piano  superiore,  essendone  i 
diametri  trenta  per  trentacinque  millimetri.  Vedesi 
su  questo  piano  profondamente  incavata  una  testa  di 
profilo  a  s.  di  finissimo  lavoro  con  molta  intelligenza 
condotta;  e  di  lato  si  legge  la  epigrafe  incisa  a  caratteri 
minutissimi ,  e  retrogradi,  perchè  risultassero  dritti 
nella  impressione  : 

I3  0n3 
...SAAI3ANA... 
La  gobba  frontale  molto  prominente  ,  V  occhio  se- 
vero ,  le  parti  del  volto  fortemente  pronunziate,  e  la 
chioma  che  copre  gran  parte  della  fronte ,  fecero  de- 
terminare la  pregevole  incisione  per  lo  ritratto  di 
Marco  Bruto;  come  si  trae  dal  confronto  delle  meda- 
glie consolari ,  e  del  busto  capitolino  :  su  di  che  si 
vegga  il  Visconti  (1)  ficonogr.  rom.  pag.  178  e  segg. 
tav.  VI  ediz.  di  Milano  ).  Così  in  fatti  fu  determinato 
sino  dall'epoca  della  primitiva  scoperta  dal  eh.  signor 
Principe  di  S.Giorgio,  ch'ebbe  occasione  di  osservare 
il  monumento.  E  così  pure  venne  riconosciuto  dal  eh. 

(1)  lì  Visconti  fa  una  lunga  e  minuta  discussione  sulla  vita  pub- 
blica e  privata  di  M  bruto  attribuendogli  non  pochi  vizii,  fra'qual1 
quello  dell'avarizia  e  delle  usure  mollo  gravi  tonilo  le  cillà  ed  ' 
principi  di  Cipro  e  di  Cilicia. 


sig.  Comm.  Quaranta  ,  che  ha  ledo  su  questo  anello 
una  particolare  memoria  alla  reale  Accademia  Ercola. 
nese,eda  me  dopo  la  oculare  ispezione  di  quel  ritrat- 
to.Siccome  è  stato  osservato  che  il  medesimo  processo 
di  arte  si  richiede  nella  incisione  de'  metalli  e  delle 
pietre  fine  (  Raoul-Rochette  lettre  à  mons.  Schorn  p. 
69  e  segg.  cf.  Hennin  marnici  de  numismat.  élém.  §§ 
62  e  69),  sarebbe  da  confrontare  coll'anello  del  Real 
Museo  la  sardonica  pubblicata  nelle  centurie  del  sig. 
Cades  (  dalla  collezione  Vannutelli:  v.  oullelt.  del- 
l'ht.  dì  corr.  archeol.  1839  p.  1 1 1  n.  63),  per  osser- 
vare se  dal  lavoro  di  quella  gemma ,  che  dicesi  pre- 
gevolissimo ,  possa  trarsi  argomento  ad  attribuirlo  al 
medesimo  artefice,  ch'eseguì  l'anello.  Fralle  pietre  in- 
cise havvene  una  dell'artista  Agatliopus,  che  offre  un 
ritratto  attribuito  egualmente  a  M.Brulo,  sebbene  al- 
tri pensasse  piuttosto  a  Cn.  o  Sesto  Pompeo  (  Gori  in- 
scr.  ant.  Elrur.  t.  I  tab.  I  n.  3  ;  mus.  Florent.  t.  II 
tab.  I  n.  2:  Middleton  antiq.  etc.  p.  109:Kunslblatti 
1830  n.  85  p.  331).  Ed  il  Raoul-Rochette,  seguen- 
do il  Visconti  (opere  var.  tom.  II  p.  121  e  303),  ed 
il  Gori  (col.  ìib.Liv.Aug.jì.  154)  opinò  che  fosse  lo  stesso 
Agathopus,  che  dicesi  aur ifex  nelle  iscrizioni  de'libert» 
di  Livia  (let.  à  mons.  Schornp.  106 ed.  sec).  Comun- 
que sia;  l'artista  che  incise  l'anello  del  real  Museo  è  indi- 
cato nella  greca  iscrizione  'Av«.?/X*s  \n6u,  dalla  quale  ci 
si  dà  la  notizia  del  greco  artefice^ nassilao  finora  non  co- 
nosciuto; sebbene  sia  degnissimo  di  esserlo  per  questa 
pregiatissima  opera  a  noi  tramandata.  Ed  ormai  dovrà 
il  nome  di  Anassilao  aggiugnersi  a  quelli  notati  nel 
catalogo  del  Sillig,  e  principalmente  nella  seconda 
edizione  della  lettera  a  Schorn ,  opera  del  mio  de- 
funto amico  Raoul-Rochette.  Non  può  cader  dubbio 
che  1'  anello ,  di  cui  diamo  notizia ,  appartiene  alla 
classe  degli  anelli  signalorii ,  essendo  disadatto  a  por- 
tarsi al  dito  per  la  sua  grossezza ,  e  pel  suo  peso.  Ed 
è  pure  indubitato  che  questo  anello  signatorio  noD 
potè  ad  altri  appartenere  che  allo  stesso  Bruto  (2). 

(2)  Non  altrimenti  Augusto,  come  scrive  Svetonio ,  usava  a  sug- 
gellare di  un  anello  colla  sua  immagine  ,  opera  del  greco  artista 
Dioscoride  (  Aug.  e.  50  J.  Di  simili  anelli  signalorii  parla  "Plinio  : 
mitili  nulla*  admittunt  getnmas,  auroque  ipso  signant  (  lib. 
XXXI,  i  ).  Vedi  Raoul-Rochelle  nelle  mém.  de  J'4c«d.  des  inscr, 
et  belles-lettrcs  voi.  XIII  p.  655  not.  5. 


—  179 


Certamente  con  esso  suggellava  le  sue  lettere ,  ed  i 
comandi  eh'  era  nell'  obbligo  di  dare  per  le  cariche 
pubbliche  da  lui  sostenute  (  delle  lettere  di  Bruto  fa 
menzione  Plutarco  in  Bruto  e.  2  ,  22 ,  28  ,  29  ;  due 
in  unione  con  Cassio  si  trovano  nel  libro  XI  ad  fa- 
miliares  di  Cicerone;  altre  si  citano  altrove  dallo 
stesso  Cicerone):  e  forse  gli  fu  lavoralo  quell'anel- 
lo in  Grecia,  ove  tanto  frequentemente  si  trat- 
tenne ,  come  si  raccoglie  dalla  sua  vita.  La  bellezza 
ed  il  valore  intrinseco  dell'anello  signatorio  di  M.  Bru- 
to ci  ricorda  quel  che  di  lui  narra  Plutarco ,  che 
amava  nelle  sue  milizie  la  magnificenza  e  lo  splendo- 
re ,  per  modo  che  godeva  a  vederle  adorne  di  oro  e 
ili  argento  (  in  Bruto  e.  38  ):  il  che  non  so  come 
possa  conciliarsi  colla  lettera, di  cui  parla  Plinio, scritta 
ilal  campo  presso  Filippi ,  colla  quale  dolevasi  che  i 
comandanti  usassero  fibule  di  oro:  Sed  in  militici  quo- 
que in  tantum  adolevi t  haec  luxuria,  ut  M.  Bruti  in 
Philippinis  campis  epislolae  reperiantur  fremente*  fi- 
)ulas  tribunicias  ex  auro  gerì  (  lib.  XXXIU ,  cap.3.  ). 
\  noi  sembra  che  questa  lettera  debba  riputarsi  fitti— 
uà,  insieme  con  molte  altre ,  che  furono  attribuite  a 
M.  Bruto.  Non  dee  poi  far  maraviglia  che  questo 
jnello  siesi  conservato  anche  quando  venne  in  potere 
\ugusto  ,  e  gli  altri  della  casa  Giulia  ;  imperciocché 
ìon  furono  abbattute  neppure  tutte  le  statue  di  lui, 
le  quali  erano  tanto  più  visibili  agli  occhi  di  tutti. 
È)  noto  in  fatti  Io  scherzo  di  Augusto  verso  i  Mila- 
aesi,  i  quali  avevano  eretta  a  Bruto  una  statua  di 
esimio  lavoro  ;  ed  è  noto  com'  egli  volle  che  rima- 
nesse al  suo  posto,  lodandoli  perchè  non  avevano 
cessato  di  mostrar  benevolenza  a  quel  loro  amico  già 
caduto  ed  estiuto  (  Plutarco  comp.  Dionis  et  Bruti 
e.  5  ).  E  la  stessa  lQde  toccò  ad  un  certo  Publio,  già 
questore  di  Bruto ,  che  non  cessò  di  conservarne  in 
sua  casa  le  immagini  £tx&  a.i  (Appian  ci»,  lib.  IV  §.51). 
Il  metallo,  che  circonda  la  incisione,  siccome  innanzi 
licemmo ,  è  bianco  nella  superficie ,  e  dee  riputarsi 
quella  mistione,  che  gli  antichi  appellavano  eleclrum. 
Parlarono  distesamente  di  questa  lega  metallica ,  che 
apparisce  anche  sovente  nelle  medaglie,  l'Harduino 
ad  Plin.  lib.  XXXIH  §  23),  il  Bochart  (hieroz.pars 
poster,  lib.  VI  e.  XVI),  il  Binckio  (de  vet.  num.  pot. 


e.  XI  §.7),  lo  Spanhcim  (Cesar*  de  Julien  p.18,  19), 
e  l'Eckhel  (doctr.  prolegom.  p.  XXIV -XXV).  Non 
posso  però  ammettere  la  idea  dello  Spanhcim,  e  del- 
l' Eckhel  che  si  fosse  nelle  medaglie  sovente  adope- 
rato per  la  imperizia  dell'arte  metallurgica;  giacché 
si  trova  in  monete  della  medesima  città,  e  quasi  della 
medesima  epoca,  l'oro  puro  e  l'elettro.  A  ciò  si  ag- 
giunga che  Plinio  dice  espressamente  che  quella  mi- 
stione si  proccurava  a  bello  studio:  juvat  argentum 
auro  confundere  ut  electra  fiant  (lib.  IX  §  65):  laqual 
finezza  di  arte  spicca  particolarmente  nell'anello  di  cui 
diamo  la  notizia ,  essendosi  preparata  la  superficie  di 
elettro, o  per  ottenere  maggior  facilità  ad  inlagliarla;ov- 
vero  perchè  rimanesse  un  fondo  bianco  intorno  alla  in- 
cisione; ovvero  finalmente  per  adulazione  dell'artista, 
che  volle  circondar  la  effigie  di  Bruto  di  quel  nobile 
metallo, che  veniva  riputato  il  metallo  di  Giove,  laddo- 
ve gli  altri  metalli  atlribuivansi  ad  altre  minori  divinità. 
Certamente  l' anello  di  oro  nuovamente  introdotto  nel 
real  museo  Borbonico ,  e  per  la  bellezza  del  lavoro , 
e  per  la  celebrità  del  personaggio  storico  da  cui  fu 
adoperato,  dee  ritenersi  come  uno  de' più  rari  cimelii 
della  romana  antichità.  E  tutti  gli  archeologi  e  gli 
amatori  debbono  saper  grado  al  nostro  Augusto  Mo- 
narca ,  che  volle  ad  essi  partecipata  la  conoscenza  di 
un  monumento  unico  e  singolarirsimo. 

MlNERVTNI. 

Capedine  di  argento  con  greca  iscrizione. 

Assai  grazioso  è  il  vasello  di  argento  (1),  di  cui 
presentammo  la  incisione  la  quarta  parte  dell'origi- 
nale. La  testa  di  cane  eh'  è  alla  estremità  del  manico, 
e  le  eleganti  baccellature  che  ornano  la  parte  conves- 
sa della  coppa  rendono  ancor  più  pregevole  questo 
grazioso  monumento.Trovasi  altra  volta  il  simpulo  ter- 
minante a  testa  di  animale:  così  vediamo  una  testa  di 
cigno  in  un  simile  vaso  di  bronzo  ritrovato  in  Egitto 
notevole  pel  segno  della  croce  ansata,  che  vi  si  scorge 
(vedi  il  eh.  Lajard  negli  annal.  dell' Inst.  1845  p.  21 
tav.d'agg.A),e  la  slessa  lesladi  cigno  si  osserva  in  al- 

(1)  Fu  da  noi  osservato  presso  il  nogoziante  di  amichila  «ignor 
Barone. 


—  i  80  — 


tri  simpuli  di  argento  di  greco  lavoro  ritrovati  nelle 
scavazioni  di  Kertch  nella  Crimea  ;  giusta  la  relazione 
datane  dal  eh.  Achit  (annui.  dell'Imi.  1840  p.  20 
tav.  d'agg.  C  n.  10) ,  che  ne  ha  poi  ripetuta  la  pub- 
blicazione nella  sua  opera  sul  regno  del  Bosforo  scritta 
in  lingua  russa  (voi.  Ili  lig.  219  cf.  la  pag.  91).  Sen- 
ì  alcuno  ornamento  apparisce  nel  magnifico  vaso  d1 
Vivenzio  colle  Menadi,  che  fan  libazione  ad  una  im- 
magine di  Bacco  ;  ove  si  vede  una  delle  Baccanti  che 
attinge  da  un  gran  vaso  il  licore  per  versarlo  in  una 
tazza  pur  da  lei  tenuta  colla  sinistra  :  ma  poi  la  stessa 
testa  di  cigno  si  scorge  nel  simile  arnese  di  bronzo 
rinvenuto  insieme  col  detto  vaso  (  vedi  real  musco 
Borbonico  t.  XII  tav.  XXI-XXII).  Altri  simili  vasie- 
gualmente  di  bronzo  ,  alcuni  de'  quali  colla  solita  te- 
sta di  cigno,  veggonsi  nel  real  mus.  Borbonico  (voi .IV 
tav.  XII  ).  Cf.  pure  Becker  Gallus  tona.  III  p.  221 
ed.  Rein ,  ove  alcuni  se  ne  riproducono. 

Ci  contentiamo  di  citare  questi  esempli,  senza  ricor- 
dare le  monete  di  romane  famiglie,  nelle  quali  la  ca- 
pcduncula  si  osserva  non  poche  volte  cogli  altri  istru- 
menti  da  sagrifizio.  Pare  che  il  nome  conveniente  al 
nostro  vasellino  sia  capedo,  capis  e  copula;  così  detto  ap- 
punto perchè  poteva  facilmente  prendersi  a  causa  del 
lungo  manico  ,  di  che  era  fornito  (  Varrone  de  ling. 
Lat.  lib.  IV,  26;  Prisciano  VI,  708).  Non  so  se  vada 
egualmente  bene  adattato  a  questo  arnese  il  vocabolo 
di  simpulum ,  o  simpuvium ,  che  pur  si  trova  come 
jstrumento  di  sagrifizio. 

A  me  sembra  che  simpulum  sia  un  termine  più  ge- 
nerale, come  vaso  di  cui  servivansine'sagrifiziienelle 
libazioni  ;  ma  veniva  poi  dello  stesso  determinala  la 
forma  dal  lungo  manico  ,  che  facevagli  attribuire  il 
nome  di  capis,  o  capedo.  Non  è  dissimile  la  derivazio- 
ne della  voce  capulus  nel  significato  di  manico  ,  che 
si  applica  più  di  frequente  al  manico  della  spada.  In- 
tanto non  sarà  fuor  di  proposito  osservare  che  la  te- 
sta del  cane  in  allusione  al  manico  (XaJ3ri)  ci  ricorda 
il  luogo  di  Aristofane,  in  cui  si  dà  ad  un  cane  il  nome 


di  Aa]3*)ì  (Vespac  v.  836),  appunto,  come  nota  lo 
scoliaste,  avrò  roù  Xa/xjìa>£<K  (ad  /.  e  p.  153  edit. 
Didot  ).  Nella  parte  interna  della  nostra  capeduncuìa 
è  graffito  1'  ornamento,  che  abbiamo  riportato  nella 
citata  tav.  I  della  grandezza  dell'originale,  e  fra  gli 
ornati  sono  disseminate  sei  greche  lettere,  le  quali  sem- 
bra doversi  leggere  neh'  ordine  seguente  AATTPH. 
Assolutamente  nuovo  riesce  questo  greco  vocabolo. 
Pare  che  sia  il  nome  dell' istrumenlo  medesimo;  ma 
non  sembra  potersi  derivar  da  X«,'^)3ayw  quasi  corri- 
spondente al  latino  capedo  o  capula.È  noto  che  XaVa? 
è  delta  da  Suida  una  goccia  di  liquido  :  Xctra?  r\ 
\xiyrù.v\  craywy  (s.«.).  Ateneo  però  spiega  Xdfj.%  e 
\a/fdyi\  tò  Ixienerov  \x  Tr$  xvìjxos  vyqov  (XI  p. 
479  E):  il  che  e  dallo  stesso  Ateneo,  e  da  molli 
altri  scrittori  si  applica  al  giuoco  del  collabo.  In 
qualunque  modo;  come  \xrx%  veniva  a  dinotar  le 
gocciole  che  cader  si  facevano  da  un  vaso  in  un  al- 
tro recipiente  ,  non  dovrebbe  parere  contro  le  deri- 
vazioni delle  greche  parole  che  la  voce  \%rvpr\  indi- 
casse appunto  la  medesima  idea,  corrispondendo  in 
ciò  al  gutlus  de'  latini.  Non  vogliamo  intanto  trala- 
sciare di  presentare  un'altra  conghietlura  :  ed  è  che 
fosse  svanita  una  lettera  nello  spazio  che  intercede  fra 
A  edH,  e  che  si  fosse  per  l'età  consumala  la  lineetta 
inferiore  nella  prima  di  quelle  due  lettere  ,  in  guisa 
che  apparisse  A  in  vece  di  A.  In  tale  ipolesi  suppli- 
remmo la  voce  [TjAATTPH,  per  indicare  trattarsi 
di  un  vaso  destinato  ad  attignere  acqua  ;  ricordando 
il  frammento  de'  Cabiri  di  Eschilo  ....  \xf\ò\  xqwg- 
<rovi\xr\r  oìvripous  nrft'  t'docTVjpot'S  [fragni.  1 17  Ahrens, 
ex  Polluce  VI,  23  ),  nel  quale  si  attribuisce  appunto 
ad  un  vaso  simile  epiteto.  Del  resto  nulla  di  certo  si 
conosce  della  forma  del  xpwdxos ,  su  di  che  si  vegga 
il  Letronne  (journal  des  Savanls  1833  p.  307,  308, 
311,  402  ).  Ma  non  vogliamo  aggiungere  ulteriori 
conghielture  ;  ed  attenderemo  su  queste  da  noi  pro- 
poste l'autorevole  giudizio  de' più  dolti  filologi. 

MlNERVlNI. 


Giclio  Mi.neuvim  —  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  74.     (24.  dell'  anno  III.) 


Giugno   1855. 


Dell'origine  del  cullo  di  Giove  Labraundo  o  sia  Labrandeno.  —  Pietre  antiche  ,  presso  il  negoziante  di  antichità 
signor  Barone,  pubblicate  nella  nostra  tav.  I  fig.  3,  4,  5,  6.  —  Lucerna  fittile. —  Statuetta  di  bronzo. — 
Iscrizioni  latine.  Cont.  del  n.  46. —  Osservazioni  diverse  sopra  alcuni  monumenti ,  de'  quali  si  parla  nel 
3."  anno  del  bullettaio.  —  Bibliografia. 


Dell'origine  del  cullo  di  Giove  Labraundo 
o  sia  Labrandeno. 

Il  eh.  Boeckb  (Corp.  tnscr.jr.n. 2750)  sommamente 
ada  le  cose  dette  dall'  Eckhel  e  da  un  dotto  Inglese 
ritorno  al  culto  di  Giove  Labraundeo  diffuso  segna- 
amente  nella  Caria  e  nelle  vicine  regioni.  Io  ignoro 
ì  ragioni  addotte  dall'  anonimo  Inglese  intorno  al- 
altribulo  della  bipenne  proprio  e  distintivo  di  Gio- 
e  Labraundeo  o  sia  Strallo ,  che  ricorre  segnata- 
ìente  nelle  monete  di  Milasa  e  dei  re  della  Ca- 
ia; ma  parmi  quasi  certo  ed  evidente,  che  il  cul- 
)  assai  antico  di  quel  nume  debba  ,  del  pari  che 
uello  d'  Ercole ,  e  d' altre  deità  greche  ,  ripetersi 
all'Assiria.  Nelle  scoperte  di  Ninive  del  eh.  La- 
ard  (  p.  259,  volg.  Malvasia,  Bologna  1855  )  ve- 
esi  rappresentata  una  pompa  sacra  di  guerrieri  As- 
iri  vincitori,  che  a  quattro  a  quattro  portano  in  su 
;  loro  spalle  quattro  simulacri  delle  deità  del  po- 
olo  da  loro  debellato,  l'ullimo  de'quali  è  una  figu- 
a  virile  barbata,  vestita  di  corta  ma  ricca  tunica, 
vente  quattro  corna  in  sul  vertice  del  suo  capo ,  la 
uale  nella  d.  alzata  tiene  una  scure ,  e  nella  s.  pro- 
;sa  un  come  fulmine.  Anche  il  eh.  Layard  vi  rav- 
isa  effigiato  Giove  Babilonese  ,  del  quale  leggesi  nel- 
epistola  del  profeta  Geremia  (Baruch  VI,  15  ,  lat. 
4):  ìx,n  %\  ìyx,uQp>lOV  <>=?'*  *«'  •jtsXsxvy.  Egli  per 
ltro  non  chiama  a  riscontro  di  quell'  insigne  monu- 
jento  di  Ninive  le  monete  dei  re  della  Caria  e  di  Mi- 
asa  col  tipo  analogo  di  Giove  Labraundeo  stante  pal- 
ÀtiNO  in. 


liato  con  bipenne  nella  d.  e  con  asta  ,  o  sia  scettro  , 
nella  s.  La  lieve  differenza  del  vestire  greco ,  e  del- 
la bipenne  sostituita  alla  scure  semplice^  parmi  non 
tolga  per  nulla  la  sua  forza  all'avvertilo  riscontro; 
tanto  più  che  la  bipenne  di  Giove  Labraundeo  dice- 
vasi  quella  d'Ippolita  Amazone ,  rapitale  da  Ercole 
(Plut.  quaest.  gr.  45  ),  e  d'altra  parte  la  forma  del- 
l' Amazonia  securis  varia  di  molto  ne' diversi  monu- 
menti greci.  A  conferma  della  derivazione  del  culto 
di  Giove  Labrandeno  dalle  regioni  dell'Assiria  torna 
il  riscontro  delle  sovra  allegate  parole  del  profeta  ri- 
sguardanti  l' idolo  Babilonese  :  habel  etiam  in  manu 
gladium  et  securim,  con  quelle  di  Eliano  (hist.  anim. 
XII ,  30),  che  ne  attesta  come  di  riscontro  al  simu- 
lacro di  Giove  Labraundeo,  o  sia  Stratio,  era  sospe- 
so un  gladio. 

C.  Cavedoni. 

Pietre  antiche,  presso  il  negoziante  di  antichità  signor 
Barone,  pubblicate  nella  nostra  tav.  I  fig. 3,4, 5,  6. 

La  prima  pietra  (fig.  3)  è  di  agata,  ed  offre  nel  mezzo 
un  foro,  per  potersi  sospendere.  Nella  parte  principale 
si  mostra  a  rilievo  una  testa  imberbe  e  velata,  dietro 
al  cui  collo  si  scorge  una  piccola  testa  di  un  anima- 
le ,  come  sembra  di  un  cane.  Nella  opposta  faccia  è 
incisa  la  greca  lettera  X.  Noi  ci  asteniamo  per  ora  da 
qualsivoglia  illustrazione  di  questo  singolare  intaglio, 
e  ci  riserbiamo  di  proporre  talune  nostre  conghiet- 

ture  nel  prossimo  anno  del  bulleltino. 

24 


—  182  - 


La  seconda  pietra  incisa  (  fig.  4  )  rappresenta  il 
piano  inferiore  di  uno  scarabeo  di  arcaico  lavoro ,  in 
corniola.  Esso  offre  la  rappresentazione  ,  tanto  co- 
mune ne'  monumenti  di  Asiatica  derivazione  ,  di  Ieo- 
dì  che  addentano  un  toro.  Su  questa  simbolica  pu- 
gna ,  vedi  la  dotta  dissertazione  del  eh.  Lajard  (nou- 
velles  Annales  de  l'Instimi  Archéol.  tom.  Ili  p.  397  - 
445  ),  il  Raoul-Rochette  (  Hercule  Assyrienel  Phéni- 
cien  p.  1 12  e  segg.  ),  e  la  terza  memoria  dello  stesso 
Lajard  nelle  sue  recherches  sur  le  culle  de  Venus  pag. 
1 1 9  e  segg. 

Non  meno  interessante  è  la  incisione  dello  scara- 
beo in  corniola  ,  che  ci  offre  Ercole  nudo  e  bar- 
balo in  ginocchio  ,  che  tien  colla  destra  la  clava  e 
1'  arco  colla  sinistra.  Co'  medesimi  simboli  vedevasi 
la  statua  di  bronzo  offerta  da  quei  di  Taso  in  Olimpia 
lavoro  di  Onata  (  Pausan.  V  ,  e.  25  ,  12  cf.  Brunn 
Griechisch.  Kimsller  t.  I  p.  92  ).  Se  non  che  nella 
pietra  incisa  da  noi  pubblicala  l'eroe  è  ginocchiato  in 
posizione  propria  di  un  arciero  ;  come  si  scorge  in 
una  intera  serie  di  medaglie  di  Tliasos,  ove  Raoul-Ro- 
chelte  riconobbe  un  tipo  fornito  dall'arte  fenicia.  Ve- 
di su  di  ciò  ,  e  sopra  simili  figure  di  arcieri  inginoc- 
chiati la  sua  dotta  memoria  Hercule  slssyrien  et  Phé- 
nicien  p.  177  segg.,  e  propriamente  sopra  Ercole  pag. 
222-223.  Sembra  poi  che  a  ragione  siesi  opinato  che 
questa  attitudine  di  Alcide  si  riferisca  alla  pugna  col 
leone  ,  traendone  argomenlo  da  una  serie  di  antiche 
medaglie  italiche ,  nelle  quali  vedi  1'  eroe  in  quella 
posizione  alle  prese  col  tremendo  quadrupede.  Ma  ciò 
vien  pure  confermato  dalla  nostra  incisione,  in  cui  non 
si  altribuisce  ancora  all' eroe  la  leonina  pelle,  appun- 
to perchè  non  aveva  ancor  superala  la  belva  feroce. 
Di  arcaico  lavoro  si  è  pure  il  diaspro  verde  inciso 
nella  fig.  6,  che  offre  due  buoi  pascolanti.  E  da  notare 
che  l' artista  fingendo  che  uno  de'  due  animali  si  tro- 
vasse Dascosto  da  quello  eh'  è  interamente  visibile , 
non  ne  ha  segnato  allro  che  la  testa  ed  il  collo  ,  per 
evitare  le  difficoltà  di  disporre  acconciamente  le  rima- 
nenti parti  del  corpo  :  il  che  si  osserva  allresì  nello 
scarabeo  ('fig.  4) ,  ove  uno  de'due  leoni  non  mostra 
che  la  semplice  testa. 

MlNERVINl. 


Lucerna  fittile  (  Tav.  VII  fig.  I  ). 

Interessante  è  questa  bella  lucerna  ,  che  fu  da  noi 
osservata  presso  il  più  volte  citato  sig.  Barone.  Ve- 
desijnessa  sedente  una  divinità  alata  con  lunga  tunica, 
e  col  capo  ricoperto  da  galea  ,  la  quale  colla  sinistra 
tiene  un  cornucopia,  e  colla  destra  presenta  la  patera 
ad  un  serpente,  che  si  attorciglia  ad  un'ara  con  offerte, 
che  si  eleva  innanzi  a' di  lei  piedi.  Sono  intorno  ad 
essa  i  simboli  di  molte  divinità,  l'aquila  di  Giove, 
il  delfino  di  Nettuno  (1),  il  turcasso  e  la  clava  di  Er- 
cole, il  sistro  d' Iside,  la  lira  di  Apollo,  la  tanaglia  di 
Vulcano,  il  caduceo  di  Mercurio,  il  tirso  di  Bacco,  i 
cimbali  di  Rea  sospesi  alle  melograne  di  Proserpina,  e 
più  innanzi  la  spiga  di  Cerere,  un  augello  forse  l'iynx 
simbolo  di  Venere,  e  nel  mezzo  in  alto  una  testa  im- 
berbe accoppiata  con  un  ornamento  a  foggia  di  luna 
crescente,  e  sotto  un'allro  simbolo  (2)  non  troppo  bene 
determinato.  Intanto  un'altro  serpente  comparisce  pres- 
so le  ali  della  sedente  dea.  Pare  che  in  questa  divinità, 
circondata  da  simboli  così  diversi,  debba  ravvisarsi  la 
Fortuna  Pantea  (  Reines.  Synt.  inscr.  p.  8;  Spon  mise, 
erud.anliq.scct.  1  art.  V, et  antiq.sel.quaest.dissert.  VII), 
la  Tt'xT)  Sìùv  (  Pausan. II,  c.2,  e  V,  e.  17)  ;  la  quale 
in  un  romano  monumento  trovasi  denominata  FOR- 
TVN  •  OMNIVM  •  GENT  •  ET  •  DEOR-(Spanheim<7<?- 
sars  de  Julien ,  preuves  p.  97  ).  Nella  nostra  lucerna 
vedesi  la  Fortuna  colla  galea  ,  non  altrimenti  che  in 
una  pietra  incisa  pubblicata  dallo  Spon  (  IL  ce),  ed 
in  altri  monumenti  (  Lajard  rech.sur  le  culle  de  Venus 
p.84  segg.);  per  modo  che  offre  l'aspetto  di  Pallade:  su 
di  che  notiamo  che  la  Fortuna  o  Nemesi  fu  riferita  pure 
alla  Pallade  Pronoia  (  Gerhard  Prodromus  p.  99,  s.; 
Schulz  negli  annali  dell' Istit.  1 839  p.  1 04. Sulla  Pallade 
Pronoia  o  Pronoea  vedi  lo  stesso  eh.  Gerhard  Grie- 
chische  Mylhologie  t.  I  p.  227  seg.  ).  La  sua  rela- 
zione col  serpente  ,    simbolo   dell'  Agathodaemon , 
non  è  nuova  per  somiglianti  effigie  della  Fortuna,  che 
comparve  anche  talvolta  offrente  la  patera  al  serpen- 
te (  Spanheim  /.  e.  ;  Buonarroti  medagl.  p.  225  ;  cf. 

(1)  Sul  simbolo  del  delfino  ittribuilo  a  Nemesi  v.  Miiller  Bandbueh 
§.398  p.645,  ed.Welcker:  cf.Lajard  rech.sur  le  culle  de  Venus  p.84. 
(2;  Puy  riputarsi  una  ruota. 


—  183  — 


Scliulz  /.  e.  p.  103).  È  poi  nota  la  relazione  di  Fal- 
lacie stessa  al  serpente  ne'  monumenti  antichi ,  molti 
le'quali  veggonsi  riportati  nella  memoria  del  ch.Ger- 
ìard  (  Minervenidole  Athens  tav.  II,  e  segg.  ).  Sopra 
deuni  di  essi  avremmo  bramato  che  il  eh.  archeolo- 
go di  Berlino  avesse  ricordato  le  cose  dottamente  di- 
sputale dall'Avellino  (descriz.  di  una  casa  Pompeja- 
xa,  appendice:  nel  voi.  Ili  delle  memorie  della  regale 
iccademia  Ercolanese  ).  L' altro  serpente ,  che  sor- 
re  dietro  la  dea  nella  lucerna  del  signor  Barone  ,  ci 
ichiama  quei  monumenti  ne'  quali  mirasi  una  coppia 
li  quei  rettili  ;  le  cui  relazioni  con  non  poche  divi- 
lilà  sono  dottamente  notate  dallo  s'esso  ch.cav.  Ger- 
lard  (Agalhodaemon  und  Bona  Dea  not.  17-28pag. 
18  segg.).  In  questi  ultimi  tempi  il  eh.  lahnhapub- 
jlicato  un  disco  di  terracotta  ,  che  servì  forse  per  te- 
nersi sospeso  come  amuleto  ;  nel  quale  sono  i  simboli 
li  moltissime  divinità ,  sebbene  manchi  la  presenza 
Iella  Fortuna  (  uber  den  Aberglauben  des  bosen  Blicks 
tei  den  alien  negli  atti  di  Sassonia  1855  tav.  V  ,  3 
fi  la  pag.  52  ).  Io  posseggo  il  disegno  di  altro  si- 
mile disco  della  raccolta  del  defunto  sig.  Mongelli  , 
che  vedesi  ora  collocato  nel  real  Museo  Borbonico , 
per  lo  quale  ne  fu  fatto  recentemente  l' acquisto. 

Mi  propongo  di  farne  la  pubblicazione  nel  pros- 
simo anno  del  bullellino:  e  sarà  allora  il  momento  di 
lume  una  più  distesa  esposizione,  paragonandolo  col- 
'altro  edito  dal  lahn,  e  con  la  lucerna  di  cui  breve- 
mente abbiamo  favellato.  Minervjm 


Statuetta  di  bronzo. 


Nella  nostra  tav.VIIfig.2  è  pubblicata  una  piccola 
statuetta  di  bronzo ,  che  dicevasi  proveniente  da  Ca- 
pri ,  quando  la  osservammo  presso  il  sig.  Raffaele 
Barone.  Le  sileniche  fattezze  del  volto,  la  lunga  bar- 
ba ,  il  pallio  filosoGco  che  ne  ricopre  le  spalle ,  ci 
danno  a  credere  che  siesi  voluto  effigiare  Socrate ,  il 
celebre  maestro  di  Platone  e  di  Senofonte  (  lahn  an- 
nali dell'  ht,  1841  p.  280  seg.  ).  È  pur  conosciuto 
che  questa  somiglianza  fra  Socrate  e  Sileno  è  tanto 


notevole,  clic  fu  l'uno  coll'altro  confuso  talvolta 
ne'  monumenti;  ed  uno  degli  esempli  a  noi  lo  forniva 
la  importante  cassa  con  bassorilievi  rinvenuta  in 
Pompei  (  Avellino  descr.di  una  casa  pompcj.  con  cap. 
pg.  tav.  VI  p.  45  seg.  ) ,  nella  quale  un  dotto  ar- 
cheologo alemanno  riconoscer  volle  il  filosofo  Ate- 
niese (  lahn  l.  e.  ).  Ma  son  da  leggere  a  tal  propo- 
sito le  nuove  osservazioni  dell'  Avellino  (  bullet.  arch. 
nap.  an.  Il  p.  28  e  segg.  ),  e  del  Raoul-Rochette 
(  choix  de  peintures  de  Pompei  pag.  105  not.  1.  ). 
Vogliamo  soltanto  notare,  relativamente  alla  nostra 
statuetta ,  che  Socrate  andar  soleva  co' piedi  nudi, 
siccome  ha  osservato  il  Voss  (mytholog.  Briefc  1 ,  21), 
mentre  il  monumento  di  Capri  ce  l' offre  calzato.  Ma 
questa  particolarità  non  ci  sembratale  che  possa  farci 
abbandonare  una  spiegazione  per  tanti  altri  motivi 
probabile.  Volendo  indagare  che  cosa  il  filosofo  tiene 
collajsinistra,  ci  sovviene  tantosto  la  velenosa  bevanda, 
che  fu  cagione  della  sua  morie  (Plalonis  P/wc/o.oper. 
t.Ip.  117  ed.  Stephani;  Dioscorid.  lib.  IV  e.  LXVII; 
Diogen.  Laert.  lib.  II  seg.  42,  Aelian.  var.  hist.  lib. 
I  e.  16,  e  lib.  Ili  e.  36;Ciccr.  Tttsculan.  disput.  lib. 
I  e.  XL;  Ovidius  Ibis  495,  s.;  Persius  Sat.  IV.  1-2; 
Plin.  nat.  hist.  lib.  XXV,  e.  13;  luvenalis  Sat.  VII, 
205  ;  Seneca  ep.  XIII).  Sembra  di  fatti  fuor  di  dub- 
bio che  il  poculum,  o  scyphus ,  che  il  barbato  perso- 
naggio tiene  colla  sinistra  ,  accenni  appunto  a  quel- 
l'avvenimento della  vita  di  Socrate.  E  la  franchezza, 
e  l' atto  pronto  e  vivace ,  che  mostra  il  nostro  bar- 
bato filosofo  ,  sono  in  pieno  accordo  colla  tranquil- 
lità di  Socrate,  quando  era  vicino  a  sorbire  la  morte. 
La  quale  tranquillità  ed  arditezza  si  attribuisce  da 
Senofonte  (  hellen.  lib.  II  e.  3  in  fin.  )  e  da  Tullio 
(Tuscul.  disput. \ib.  I  e.  XL)  anche  all' Ateniese  Te- 
ramene,  che  dopo  avere  ingozzala  la  velenosa  bevan- 
da ,  fé  cadere  i  residui  con  quella  destrezza  adope- 
rata dagli  antichi  nel  giuoco  del  coltabo,  per  ottenere 
che  le  gocciole  rimaste  in  fondo  al  bicchiere  facessero 
nel  cadere  un  particolare  rimbombo. 

MlNBBVIKI. 


184  — 


Iscrizioni  latine.  Continuazione  del  n.  46. 
29 

D-/-M- 

CERR1NIAE  •  VE 

NERIAE  •  MATRI 

TREBATIA  •  SARI 

NA . B • M • F . 

Mi  ho  copiata  questa  iscrizione  da  un  marmo  esi- 
stente presso  il  signor  tenente  de  Benedictis  in  S.  Ma- 
ria, il  quale  la  disse  proveniente  da  Avellino. 

30 

Più  interessante  è  la  seguente  rinvenuta  in  S.  Ma- 
ria ,  ed  or  posseduta  da  D.  Francesco  Arcano 

D  •  M  •  S  • 

QVARTIONI  •  VII 

♦  •  R  .  SID .  QVI  •  V  •  A 

XC  •  FILI. 

RI .  R  •  M  •  F  • 


È  ben  facile  proporre  i  supplimenti  di  questa  la- 
pida ,  la  quale  va  certamente  tetta  in  tal  guisa. 

DMS- 

QVARTIONI    VII 

viR  ■  SID  •  QVI  ■  V  •  A 

nnoS  •  XC    FILI 

pam   B   M  •  F  • 

Si  noti  che  nella  quarta  linea  il  quadratario  aveva 
scritto  FIILI,  e  poscia  corresse  lo  sbaglio  raschiando 
uno  de'  due  I.  Non  è  infrequente  il  nome  Quartio  de- 
rivato da  Quartus ,  non  altrimenti  che  Secundio  da 
Secundus ,  Quintio  da  Quintus ,  Sextio  da  Sextus ,  e 
forse  ancora  Terlio  da  Terlius  ;  nomi  che  s' incon- 
trano tulli  nelle  iscrizioni.  Merita  attenzione  la  lon- 


gevità del  nostro  Quarlione,  il  quale  visse  novant' an- 
ni. Ma  la  principale  importanza  della  nostra  epigrafe 
si  è  il  titolo  ,  che  si  dà  al  defunto  VII  eiR  •  SID  •  Io 
non  dubito  che  bisogna  interpretar  quelle  sigle  Se- 
ptemviro  Sidicinorum  ,  ed  intenderle  della  Teano  dei 
Sidicini.  È  ben  noto  che  così  vennero  appellati  fre- 
quentemente que' popoli  e  da  Cicerone  (PM. 2, 41), 
e  da  Livio  (lib.  VII,  29  ed  altrove),  e  che  la  quali- 
fica di  Sidicini  era  giudicata  talmente  necessaria,  che 
si  espresse  altresì  sulle  medaglie  osche  di  qnell'  an- 
tica città  (  v.  Eckhel  doctr.  I  p.  118:  cf.  Carell.  tab. 
descrip.  p.  18  ed.  Lips.).  Non  sapremmo  ben  di  (finire 
la  carica  di  Septemviro  sostenuta  da  Quartione. 

Non  sembra  che  il  septemvirato  di  Quartione  possa 
reputarsi  una  speciale  magistratura  municipale.  Noi 
sappiamo  essere  stati  in  Teano  i  duumviri  (Mommsen 
inscr.  r.  neap.  lat.  3984  ) ,  forse  gli  stessi  che  i  du- 
umviri  i.  d.  (  Id.  ib.  n.  3998 ,  4016);  che  in  epoca 
diversa  furono  tramutati  ne'  quatuorviri  i.  d.  (  Id.  ib. 
n.  3996,3997).  Potrebbe  congbietturarsi  che  Quar- 
tione fosse  uno  de  Septemviri  destinati  alla  divisione  ed 
all'assegno  de'campi,  de'quali  parla  Cicerone (P/h7»'»j>. 
V§.VH;VI  §.V;VIU  §.lX;XII§.IX;adii«ic.lib.XV. 
ep.l9):la  quale  carica  aver  dovette  la  sua  applicazione 
altresì  nelle  romane  colonie,  ove  forse  a' romani  magi- 
strati accoppiavasi  qualche  cittadino  del  municipio, 
che  fosse  istruito  della  condizione  delle  terre  da  divi- 
dersi.Nondimeno  fa  difficoltà  la  espressione  Septemviro 
Sidicinorum,  che  accenna  ad  un  incarico  locale.Tro- 
viamo  in  altri  siti  d'Italia  mentovarsi  certe  partico- 
lari magistrature ,  costituite  da  un  variabile  numero 
di  membri.  Tali  sono  gli  ottoviri  di  varii  municipii, 
i  quinqueviri  di  Nuceria  (  Mommsen  n.  2096  ).  Per 
quel  che  concerne  gli  ottoviri ,  sono  note  le  ricerche 
del  dottissimo  Borghesi,  il  quale  opina  che  fosse  con 
quella  voce  indicato  il  complesso  di  tulli  i  magistrati 
municipali;  sebbene  in  alcuni  casi  li  creda  di  un  or- 
dine inferiore  riputandoli  i  capi  del  collegio  de'  fab- 
bri (vedi  il  giornale  di  Perugia  fase,  di  aprile,  mag- 
gio, giugno  1838:  cf.  altre  osservazioni  dello  stesso 
Borghesi  nell'  articolo  del  sig.  Gennarelli  su'  marmi 
ottovirali  inserito  nel  ballettino  dell'  Istit.  1839  pag. 
53-63).  Sono  appunto  gli  ottoviri  di  questa  seconda 


—  185  — 


classe ,  che  meritano  di  essere  paragonati  col  Scttem- 
viro  Quartione;  perchè  sono  essi  semplicemente  ad- 
ditati da  quel  titolo ,  cui  segue  il  nome  del  munici- 
pio a  cui  appartennero.  Al  qual  proposito  van  parti- 
colarmente ricordate  due  iscrizioni  ,  in  una  delle  quali 
si  parla  di  un  VIIIVIR  TREMA ,  nell*  altra  di  un 
VI1IVIR  FIRMI  (  bull.  cit.  p.  59  ).  11  nome  quasi  ser- 
vile di  Quartione,  e  l'essere  additato  semplicemente 
come  seltemviro  de'  Sidicini,  ci  fa  inchinevoli  a  rite- 
nerlo per  uno  de'  capi  «lei  collegio  de'  fabbri  Sidicini, 
fabrum  sidicinorum  ,  i  quali  esser  dovevano  sette  , 
siccome  in  Trebula  ,  ed  in  Fermo  erano  otto. 

Minervino 

Osservazioni  diverse  sopra  alcuni  monumenti, 
de'  quali  si  parla  nel  5."  anno  del  bulletl'ino. 

Epigrafia. 

La  iscrizione  di  T.  Ainius  (  p.  7  n.  6  )  non  è  di- 
pinta ,  ma  sibbene  impressa  sull'  argilla  ;  siccome 
rileviamo  da  una  particolare  lettera  dello  stesso  sig. 
Cherubini.  Per  lo  che  riesce  molto  dubbiosa  la  inter- 
pretazione per  noi  data  delle  sigle  VASP.  E  forse 
sarà  da  preferire  l' altra  propostami  per  lettera  dal 
lodato  sig.  Cherubini  ,  il  quale  vorrebbe  spiegarla 
VAS  Vicenum,  o  WScularius  Picenus;  richiamando 
la  nota  celebrità  delle  figuline  del  Piceno.  È  poi  ri- 
saputo che  Plinio  loda  la  fermezza  delle  Hadrianae 
anfore:  Cois  laus  maxima,  Hadrianis  firmitas  (  lib. 
XXXV,  12  seg.  46).  Ma  pare  che  non  intenda  della 
nostra  Hadria  ,  né  tampoco  della  Veneta  ,  alla  quale 
vorrebbe  attribuir  quel  passaggio  anche  ilMiiller(di'e 
Etrusker  voi.  II  p.  245:  cf.  Avellino  num.  vet.  hai. 
p.  89  not.  57  nella  parte  tuttavia  inedita  ).  Di  falli 
Esichio  riunisce  spiegando  KipzupjJoi  à^eps/i-  ri. 
'A^pwà  xifafjK*  (  s.  v.)  :  dal  che  giustamente  fu  de- 
dotto che  si  alludesse  alle  anfore  di  Corcyra  ,  iden- 
tiche MeAdriane,  cioè  a  quelle  provenienti  dall'A- 
driatico (  Letronne  obscrvat.  sur  les  noms  des  vases 
gr.  pag.  17  seg.  cf  laho  uber  ein  Vasenbild  icelches 
eine  Tòpferei  vorslelll  ne'  Berichle  di  Sassonia  1854 
p.  34  seg.  ) 


Il  dativo  Nympheni  della  epigrafe  di  C.  Cesonio  (p. 
40  n.  14)  sembra  derivare  da  Xymphes ,  non  altri- 
menti che  Florianes  esce  in  Florianenis,  Eutychis  in 
Eulychinis  eie.  Vedi  la  osservazione  precedente  del 
eh.  Cavedoni  pag.  165. 

A  dichiarazione  del  nome  Acibas,  o  Aciba  incon- 
trato in  alcune  iscrizioni  puteolane  (  p.  53,  e  97), 
mi  piace  di  riportare  alcune  osservazioni  a  me  comu- 
nicate da  un  dotto  collega.  Esse  sono  le  seguenti  — 
«  Altro  esempio  dell'.4c<6a  è  nella  collezione  Campana 

C .  IVLIVS  .  ACIBA 

IN.FR.P.IV 

IN .  AG  .  P .  VHS 

C  •  IVLIVS  .  THEODORV 

Il  nome  or  Acibas ,  or  Aciba  proviene  dal  fenicio 
passando  però  pel  greco  ,  siccome  dimostra  la  finale 
as,  che  i  soli  Greci  danno  non  di  rado  a  simili  nomi 
fenicii  in  al.  Così  1'  Adherbal  di  Sallustio  è  greca- 
mente 'ATap|}«s  ,  Asdrubal  è  'Affojpo^JaS  ,  Bomilcar 
è  Bcw(xfX_xas,  Hamilcar  è  'AfjuXxas,  Hannibal  è  'Am- 
P*s,  Maharbal  è  McLafòouT,  MastanabaI  è  MoufrarafiaS, 
Slembai  è  Srffxpaj.  Il  suo  originale  è  VV'2'fiX.  cioè 
amico  o  fratello  di  Baal ,  come  nella  vera  religione 
rVhX  ed  IrVfiK  vuol  dire  fratello  ,  ossia  amico  di 
Dio  ».  Qualunque  sia  la  derivazione  del  nome  ^ciòa, 
a  me  basta  che  fosse  portato  da  un  famoso  Giudeo 
per  sostenere  lo  stabilimento  di  Giudei  in  Pozzuoli. 
E  forse  il  vederlo  adottato  da  un  seguace  della  legge 
giudaica  potrebbe  allontanare  il  pensiero  dalla  deri- 
vazione immaginata  dal  mio  eh.  collega  e  farcene  so- 
stituire un'altra  non  meno  semplice,  col  richiamare  in 
composizione  il  ^2 ,  che  ritrovasi  nel  significato  di 
cuore  (Daniel.  VI,  15),  che  si  estende  ancora  a  quello 
di  animo  ,  e  di  mente  nel  siriaco ,  e  nell'  arabo.  Sic- 
ché potendo  Y Acibas  avere  un  significato  particolare, 
non  veggo  la  necessità  di  ricorrere  al  culto  idolatrico 
di  Baal ,  che  mal  si  addiceva  all'entusiastico  annun- 
ciatore di  Barkokeha,  il  quale  doveva  mostrarsi  in- 
vece attaccato  alla  giudaica  religione  ,  se  volea  per- 
suadere che  fosse  giunto  l'aspettalo  Messia. 


—  186  — 


In  quanto  all'  ortografia  COPO  per  CAVPO  (  pag. 
1 64.  )  è  da  leggere  ora  quel  che  recentemente  ha 
scritto  il  sig.  prof.  Fiedler,  a  proposito  di  un  vaso 
da  bere  di  romano  lavoro  ,  colla  iscrizione  COPO 
IMPLE.  Vedi  Jahrbiicher  des  Ycreins  von  Alterthums- 
freunden  in  Rheinlande,  1854  tom.  XXI  p.  57  seg. 


Antichità  pompejane. 


A  confronto  de'  pavimenti  sospesi  delle  antiche 
terme  di  Pompei  (p.  33  seg.)  vedi  le  dotte  osserva- 
zioni del  eh.  Cavedoni  su  gli  usi  de'mattoni  per  g\'i- 
pocausli  delle  terme  (ragguaglio  archeol.  intorno  agli 
scavi  fatti  di  recente  in  Modena  -  Modena  1845  in  8- 
p.  16-24). 

Il  sig.  Breton  (  Pompeia  p.  290  )  riporta  alcune 
delle  iscrizioni  incise  sulle  mura  di  Pompei  fuori  la 
Porta  di  Nola  ,  di  cui  diciamo  a  p.  57  ;  ma  non  ne 
dà  alcuna  spiegazione.  A  proposito  dell'egizio  nome 
NVPHE  da  noi  ravvisato  in  una  di  queste  iscrizioni 
(  pag.  59  ),  e  poi  paragonato  al  CALAES,  quasi  Al- 
ida Nuphe  corrispondesse  ad  Alleia  Calaes  (  p.  79  ), 
mi  piace  d'illustrare  una  vascularia  rappresentazione 
rimasta  finora  senza  spiegazione.  E  questa  in  un  vaso 
ì  invenuto  nelle  scavazioni  di  Etruria  ,  rappresentante 
da  un  lato  Priamo  che  viene  a  riscattare  il  corpo  di 
Ettore,  dall'altro  una  scena  non  per  anco  interpreta- 
ta. Vedi  un  giovine  in  greco  vestimento  che  conduce 
un  cavallo,  ed  è  indicato  dalla  epigrafe  KALIS0ENES: 
segue  un  giovine  in  frigio  vestimento  con  tiara  e  anas- 
siridi ,  che  conduce  pure  un  cavallo  ,  ed  è  denomi- 
nato NV*ES  (retr.  ):  vien  poi  una  donna  KALIS  , 
che  reca  sulla  testa  un  canestro,  e  finalmente  un  al- 
tro giovine  KALIS....,  che  conduce  un  altro  caval- 
lo (Inghirami  gall.omer.  tav.  CCXXX VIII-CCXXXIX  : 
rés.étr.  p.  21,  11  :  de  Witte  cat.  élr.  n.  144:  lahn 
Vasens.  zu  Miinchen  n.  404).  Pare  che  tulli  coloro, 
i  quali  parlarono  di  questo  interessante  monumento, 
pensarono  che  le  due  facce  del  vaso  fossero  tra  loro 
in  rapporto,  e  che  questa  seconda  ci  additasse  la  con- 
tinuazione de' doni  offerti  all'uccisore  di  Ettore  :  spie- 


garono poi  il  nome  del  frigio  giovine  Nt^r,?  (cf. 
Keil  anal.  epigr.  p.  173).  Anche  ritenuta  la  spiega- 
zione del  soggetto,  come  innanzi  fu  fatto,  poteva  rav- 
visarsi in  quel  giovine  un  guerriero  dell'  Etiopia ,  e 
quindi  ravvisare  nel  N  V<È>ES  le  tracce  d'indigeno  lin- 
guaggio ,  corrispondente  al  KALOS  di  altre  epigrafi 
di  vasi.  Ma  a  me  sembra  che  possa  nel  giovine  in 
barbarico  vestimento  riconoscersi  lo  slesso  Mennone; 
il  quale  ben  si  trova  all'opposto  del  suo  fiero  avver- 
sario. In  tale  ipotesi  sarehbe  indicato  dall'  epiteto 
NV<J>ES  invece  del  solilo  KALOS  per  indicar  la  pro- 
venienza etiopica  di  quel  barbarico  guerriero.  Una 
tale  idea  sembra  pur  confermata  dalla  parte  interna 
della  patera ,  ove  si  scorge  un  giovine  coronato  di 
pampini ,  sedente  sopra  un  ocladias,  e  tenente  colla 
s.  un  ramo  di  alloro  :  presso  è  la  iscrizione  ME- 
MNON  KALOS.  Adunque  la  relazione  di  un  giovine 
Mennone  richiamava  spontaneamente  l'artista  a  figu- 
rar nel  vaso  l'eroe  omonimo  figlio  dell'Aurora  :  a  cui 
però  non  assegnò  per  qualifica  il  greco  KALOS,  ma 
1'  egizio  etiopico  NV^ES.  Se  le  cose  da  me  esposte 
possono  riputarsi  probabili ,  il  vaso  di  cui  è  parola 
ci  offrirebbe  il  più  aulico  confronto  al  coptico  nouphi, 
e  perciò  sarebbe  da  giudicare  di  somma  importanza. 


Numismatica. 


Neapolis  Campaniae.  Sono  nell'obbligo  di  dichia- 
rare che  la  moneta  del  sig.  Barone,  di  cui  è  detto  a 
pag.  100,  fu  osservata  benanche  dal  sig.  cav.  D.  Mi- 
chele Sanlangelo  ;  il  quale  ne  ravvisò  i  caratteri  fe- 
nicii  indipendentemente  dalla  mia  propria  osserva- 
zione :  nel  che  ci  trovammo  di  accordo ,  senza  che 
l' uno  sapesse  dell'  altro. 

Capua  Campaniae.  Il  eh.  cav.  Gerhard  fu  pure 
di  opinione  che  la  testa  adorna  di  stefane  al  rovescio 
del  doppio  simulacro  (  p.  149-150  )  sia  da  riputare 
testa  di  Cerere  o  Bona  Dea  (  v.  la  sua  memoria 
Agathodaemon  und  Bona  Dea  p.  36  ad  tav.  II,  6  ). 
Se  questa  spiegazione  potesse  giudicarsi  probabile, 
sarebbe  da  ricordare  ciò  che  dice  Servio:   Tusci 


—  187  — 


Penales  Cererem,  Palem,  et  Fortunam  dicunt  (  ad 
Aen.  II ,  325  );  giacché  vedersi  potrebbe  la  riunione 
di  tutte  tre  queste  femminili  divinità  sulla  moneta  di 
Capua,  ove  da  un  lato  sarebbe  Cerere,  dall'altro  forse 
Pale  e  la  Fortuna  :  costituendo  insieme  gì'  italici  Pe- 
nati. Non  parmi  poi  da  tralasciare  che  la  denomina- 
zione stessa  di  Penati  conduce  alla  idea  di  divinità 
ascose  e  recondite  ,  e  perciò  ben  convengono  loro  i 
velami ,  da'  quali  si  mirano  ricoperte. 

Alyzia  Acamaniac.  Ove  ho  detto  che  Alyzia  a  tem- 
pi di  Strabone  era  considerata  come  un  municipio  di 
Nicopoli  (  p.  171)  ,  si  aggiunga  la  menzione,  che 
si  trova  di  questa  fusione  di  tutte  le  piccole  città  del- 
l' Acarnania  nella  sola  Nicopoli ,  per  opera  di  Augu- 
sto ,  in  un  epigramma  di  Antipatro  (  anlh.  palatina 
tom.  II  p.  196  Jacobs).  In  esso  si  nominano  Leucade, 
Ambracia,  Thyrreum,  Anactorio,  ed  Argo  Anfdochio; 
ma  non  si  parla  espressamente  di  Alyzia.  Però  dee 
considerarsi  compresa  nella  general  menzione  del 
poeta. 

Ka<  ÓTT'awa.  paicraTO  xvxKu» 

'AffTs'  ìirfàpUKTXUJY  ì)0Vp\X%YT\S  TTu'kltA.OS. 

Del  resto  è  da  notare  che  il  sommo  Alessio  Sim- 
maco Mazzocchi  aveva  preparata  una  dotta  disserta- 
zione de  Actia  Nicopoli,  che  forma  parte  del  secondo 
volume  de'suoi  opuscoli  impresso  per  cura  della  reale 
Accademia  Ercolanese ,  e  non  per  anco  pubblicato 
(  Alexii  Symm.  Mazochii  opuscul.    collectio  altera, 
voi.  II  p.  79  ad  134  ),  e  che  si  occupò  ancora  nel 
cap.  II  (  pag.  91  seg.  )  del  citato  epigramma  di  An- 
tipatro ,  che  vedesi  ivi  illustrato  più  estesamente  da- 
gli editori.  Debbo  pure  aggiungere  a  compimento  di 
quel  che  fu  scritto  sulla  numismatica  di  Alyzia,  che 
il  sig.Raoul-Rochette  in  una  sua  memoria  sulle  an- 
tiche medaglie  di  Ambracia  parlò  pure  di  quelle  di 
Alyzia.  Egli  dalle  monete  colla  intera  iscrizione  AAT- 
ZAIQN  trasse  argomento  a  sostenere  la  giusta  attri- 
buzione delle  altre  colla  dimezzata  voce  AAT;  con- 
tro i  poco  fondali  sospetti  del  celebre  Mùller  (Die 
Dorier ,  1,  7,  3  ).  Ricorda  che  altro  esemplare  col- 
la epigrafe  AAT  era  nella  collezione  del  Carelli,  ed 


altro  in  quella  del  signor  Allier  d'IIauteroche  (  de- 
script, des  méd.  du  cab.  de  feu  M.  Allier  d'Hauter. 
pag.  43:  Cousinery  méd.  de  la  ligue  Achéenne  pi.  Il 
n.  21  p.  21  p.  139).  Vedi  gli  annali  dell'Istituto  di 
coir,  arc/i.1829  p.3 1  i ;  si  parla  di  Alyzia  a  p.338,s. 
Voglio  qui  non  pertanto  osservare  ,  che  comunque 
creder  si  possa  probabile  la  grande  emissione  de'Co- 
rintii  Pegasi  a' tempi  di  Tiinoleone,  giusta  il  sentimento 
di  Raoul-Rochctte  ,  pure  non  può  dubitarsi  che  già 
prima  erasi  quel  tipo  introdotto  in  Corinto  e  nelle 
sue  colonie.  Certamente  la  medaglia  del  P.  Tortora 
da  me  pubblicata  appartiene  ad  epoca  più  remota.  E 
ciò  confronta  ,  come  osservammo  ,  co'  dati  storici  ; 
mentre  il  primo  introduttore  della  moneta  eginetica 
la  introdusse  pure  a  Corinto:  perciò  dovette  subito 
propagarsi  ancora  quella  utile  istituzione  alle  colonie 
di  Corinto,  che  la  trassero  dalla  madre  patria,  quan- 
do popolarono  l'Acarnania,  e  le  altre  parli  dell'Acaia. 

Minervino 

BIBLIOGRAFIA 

Memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese.  Voi.  IV 
parte  li.  Continuazione  del  n.°  64. 

4.  Intorno  ad  una  iscrizione  onoraria  di  C.  Celio 
Vero  questore   alimentario,  di    Agostino  Gervasio  : 


paj 


193  —  266  :  con  sette  tavole  incise  in  rame. 


La  iscrizione  ,  sulla  quale  il  eh.  autore  rivolge  le 
sue  dotte  ricerche,  è  la  Gruterianap.  CCCXCIV,  3, 
che  era  stata  tenuta  per  sospetta  dal  Cardinali ,  e  dal 
dottissimo  Borghesi.  Il  sig.  Gervasio  riferisce  da  pri- 
ma i  nomi  di  coloro  che  pubblicarono  il  marmo  ;  po- 
scia annunzia  di  averlo  scoperto  in  Napoli  in  uno  dei 
pie  dritti  di  un  arco,  che  forma  quasi  il  vestibolo  del- 
l'uscio da  via  del  Monastero  di  monache  denominato 
la  Croce  di  Lucca,  nella  strada  di  S.  Pietro  a  Ma- 
jella.  Riporta  poi  la  iscrizione  come  al  presente  si 
mostra,  la  quale  noi  ci  asteniamo  dal  riferire,  perchè 
già  si  legge  nella  raccolta  del  eh.  Mommsen  (  inscr. 
r.  n.  lai.  1951  ).  Solo  avvertiamo  che  in  fine  del- 
la linea  7  il  signor  Gervasio  legge  T.  VESINNIVS 
in  vece  di  T.  HERE.WIVS,  ed  in  fine  della  lin.  10 


188  — 


vede  soltanto  un  Q ,  laddove  il  Mommsen  ritrovò 
un  V  dopo  il  supplimento  Quaeslores.  Ne  fa  cono- 
scere l'a.  che  al  rovescio  di  quella  iscrizione  erave- 
ne  un'altra  di  ben  venticinque  linee  ,  la  quale  perù 
riesce  impossibile   di  leggere  :  e  solo  gli  è  venuto 
fatto  di   distinguere  alcune  voci  staccate  INCOLIS  , 
FVIT  ed  in  fine 
SET  AGRIC... 
VN1A  REMISSA 
che  van  riferite  alla  nota  forinola  Honore  Acccpto  Pe- 
cunia Remissa. 

La  iscrizione  di  C.  Celio  Vero  è  un  decreto  decu- 
rionale  di  Avella  del  908  di  Roma  155  di  G.  C, 
siccome  avverte  il  eh.  a.  Egli  ne  fa  il  paragone  con 
altri  simili  monumenti ,  e  poscia  si  ferma  ad  illu- 
strarne le  varie  parti  richiamando  a  confronto  le 
altre  iscrizioni  dell'antica  Avella.  Ed  innanzi  tutto 
ragiona  de'  varii  decurioni ,  de'  quali  si  leggono  i 
nomi  in  quel  decreto.  Il  primo  è  M.  Munazio,  figlio 
di  Marco ,  Piisciano. 

Il  secondo  L.  EgnazioRufo  già  noto  per  altra  no- 
bilissima iscrizione  di  Avella  (Gruter.  p.CCCCIV,  2) 
malamente  da  molti  riputata  napolitana.  L' a.  ne  fa 
pure  la  illustrazione  pubblicandola  nella  sua  tav.  I , 
insieme  colla  rappresentazione  dell'anfiteatro  avella- 
no ,  effigialo  nel  destro  lato  della  base  ;  il  quale  an- 
fiteatro fu  inauguralo  a' 21  marzo  del  922  di  Roma 
170  dopo  G.  C.  ,  siccome  si  raccoglie  da  una  iscri- 
zione incisavi  al  di  sopra.  E  perchè  nell'  anterior 
parte  della  base  si  legge  il  nome  di  L.  Egnatio  In- 
vento padre  di  L.  Egnalio  Rufo,  il  eh.  a  pensa  che 
possa  al  medesimo  attribuirsi  una  delle  tre  statue 
frammentate  ed  acefale  incastrate  nel  muro  delle  case 
nel  chiassuolo  rimpetto  al  Mercato  in  Avella ,  di 
cui  presenta  la  incisione  nella  tav.  VI.  Aggiunge  il 
sig.  Gervasio  altri  confronti  dalle  iscrizioni  di  Avella 
e  di  un  M.  Egnazio  Rufo ,  e  del  cognome  Rufo  in 


quei  siti  comune.  Con  questa  occasione  l'a.  sostiene 
essere  rescritte  due  iscrizioni  del  real  Museo  Borbo- 
nico ,  siccome  aveva  già  pria  opinato  (  osserv.  sull'i- 
scr.  onor.  di  Mavorzio  Loll.  p.  29,  e  36)  difendendo 
quella  sua  osservazione  contro  gli  attacchi  del  eh. 
Mommsen  (  oullett.  dell'  hi.  1847  p.  50,  51  ). 

Il  terzo  decurione  mentovato  nel  decreto  abellano, 
come  innanzi  dicemmo,  fu  ledo  dall'a.  e  dall'Avel- 
lino T.  VESINNIVS.  Il  quarto  decurione  è  Numcrio 
Pettio  figlio  di  Numerio  ,  che  1'  a.  crede  lo  stesso  che 
il  Numerio  Pettio  Rufo  della  tribù  Galeria,  di  cui  è 
menzione  in  altra  iscrizione  di  Avella  (  Gruter. 
p.  CCCCLI ,  5  )  da  lui  pur  pubblicala  nella  tav.  II. 
È  notevole  che  nel  lalo  sinistro  della  base  ,  ov'  è  la 
delta  iscrizione  ,  sono  scolpite  due  lunghe  bacchette 
rotonde  e  parallele ,  che  il  Remondini  disse  essere 
atte  ad  appianare  il  grano  nelle  misure  (  della  Noi. 
ecck$.  islor.  t.  I  p.  265  );  ma  l'a.  non  sa  definirne 
1'  uso.  Il  quinto  ed  ultimo  decurione  è  A.  Fuficio 
Prisca;  a  cui  fa  riscontro  la  epigrafe  di  un  suo  liberto 
A. Fuficio  Anfione  che  l'a.  pubblica  nella  tav.  III.  n.°  3. 

Ricava  poi  l'autore  dalla  monca  epigrafe  di  C.  Ce- 
lio Vero  ,  che  il  decurionato  di  Avella  decretogli  la 
onorificenza  del  pubblico  funerale ,  perchè  essendo 
questore  degli  alimenti  meritù  la  riconoscenza  del 
pubblico  nell'  esercizio  di  quella  carica. 

In  un  secondo  articolo  della  sua  memoria  il  sig. 
Gervasio  parla  dell'  antica  Avella  ,  detta  da'  Lalini 
Abella  e  Rella.  Egli  ne  discute  le  origini ,  ne  ricorda 
le  poche  nolizie  storiche ,  e  principalmente  al  tempo 
de'  Romani  :  e  poiché  delle  particolarità  intorno  ad 
Avella  antica  ne'  tempi  Romani ,  delle  sue  cose  sa- 
cre ,  delle  magistrature,  degli  edifizii  pubblici  etc.  , 
non  puù  trarsi  miglior  contezza  che  dalle  sue  iscri- 
zioni ,  perciù  l'a.  tutte  le  riunisce  e  le  illustra. 


Continua 


MlNERVINI 


Giglio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catàneo. 


INDICE  DEGLI  ARTICOLI. 


Ossa  e  scheletri  diseppelliti  in  Pompei   .     Pag.  1 
Bassorilievo  in  marmo  greco  presso  i  Signori 

Ciccarelli  di  S.  Maria 3 

Terrecotte  scoverle  in  vicinanza  di  Atri ,  nella 

provincia  del  1.  Abruzzo  Ulteriore   ...  5 

Iscrizioni  latine 6 

Continuazione 39 

Id 53 

Id 64 

Id 95 

Id 112 

Id 184 

Le  Plejadi  in  vaso  di  S.  Maria 9 

Lucerna  con  bassorilievi 12 

Satiri  e  Baccanti  in  vaso  dipinto 13 

Nuovi  acquisti  epigrafici  del  real  museo  Borbo- 
nico      14 

Continuazione 63 

Nuove  osservazioni  sulla  napolilana   epigrafe 

di  Tettia  Casta 17 

Monete  di  Pyrnos  della  Caria  illustrale.     .     .  24 
Dichiarazione  di  alcune  medaglie  del  Chersoneso 

Taurico  ,  e  della  Sarmazia  Europea  ...  25 

Su  di  una  iscrizione  di  Pontelatone  .     .     .     .  31 

Notizie  de' più  recenti  scavi  di  Pompei  ...  33 

Alessandrini  in  Pompei  e  loro  sepolture      .     .  57 

Supplemento  al  detto  articolo 79 

Orologio  solare  pompejano 105 

Osservazioni  sopra  alcuni  luoghi  del  Corpus  in- 

scriptionum  Graecarum 41 

Continuazione 177 

Giunta  all'  articolo  precedente 46 

Notizia  di  una  greca  iscrizione  di  Pozzuoli .     .  47 
Breve  dilucidazione  di  un  vaso  dipinto  rappre- 
sentante il  supplizio  delle  Danaidi.     ...  49 
Dei  tipi  e  simboli  di  alcune  monete  autonome 

e  regie  dell'  isola  di  Cipro 54 

Continuazione 59 


Vaso  colla  partenza  di  Anfiarao.  Dichiarazione 
della  tav.  V  di  questo  anno  del  bulleltino 

n.  1-4 61 

Toro  androprosopo  nelle  monete  ispane.     .     .     62 
Alcune  monete  ispane  illustrate  col  riscontro  del 
nuovo  frammento  di  P.  Annio  Floro.     .     .     65 

Supplemento 177 

Insigne  vaso  cumano  con  figure  a  rilievo ,  del 

sig.  Marchese  Campana  in  Roma.      ...     73 
Le  medaglie  di  L.  Valerio  Acisculo ,  ed  altre 
di  famiglie  romane  ,  dichiarate  col  riscontro 

di  quelle  della  Spagna. 81 

Continuazione 89 

Tombe  greche  scoperte  in  Albanella  ad  oriente 

e  settentrione  di  Posidonia 93 

Brevi  osservazioni  su'  dipinti  di  alcune  tombe  di 

Albanella 132 

Medaglie  inedite  o  rare 97 

Continuazione 145 

Id 153 

Id 169 

Giudei  in  Pozzuoli 105 

Osservazioni  del  eh.  Sig.  ab.  D.  Celestino  Ca- 
vedoui  sull'opera  intitolala  —  Recberches  sur 
la  numismatique  Judaique  par  F.  de  Saulcy , 
membre  de  l'Insti!.,  Académie  des  inscriptions 
et  belles  lettres.  Paris,  Didot,  1854,  in  4.    .   113 

Continuazione 137 

Postilla 177 

Descrizione  di  alcuni  frammenti  architettonici 
rinvenuti  sulla  grossezza  del  muro  di  cinta 

dell' antica  Pesto 120 

Illustrazione  di  una  lapide  dell' anlicha  Naroua.   121 

Continuazione 129 

Nuove  scoperte  Sanniliche 130 

Poche  osservazioni  sull'  articolo  precedente.     .   131 
Annotazioni  del  eh.  ab.  D.  Celestino  Cavedoni 
all'  anno  li  di  questo  Bulleltino    .     .     .     .161 


Vesta  nella  pittura  de' dodici  dei  in  Pompei.     .   166 
Ercole  trasportato  al  Cielo  in  vaso  dipinto  di 

Ruvp 173 

Congetture  sopra  uno  de'  cinque  gruppi ,  che 
ornano  l'insigne  vaso  cumano  del  sig.  Mar- 
chese Campana  di  Roma 176 

Anello  di  oro  scoperto  in  S.  Maria ,  e  recente- 
mente introdotto  nel  real  museo  Borbonico  .   178 
Capedine  di  argento  con  greca  iscrizione.     .     .179 
Dell'origine  del  culto  di  Giove  Labrauudo  o  sia 

Labrandeno 181 

Pietre  antiche  ,  presso  il  negoziante  di  antichità 
sig.  Barone  ,  pubblicate  nella  nostra  tav.  I 

fig.  3,  4,  5,  6 181 

Lucerna  fittile 182 

Statuetta  di  bronzo 183 

Osservazioni  diverse  sopra  alcuni  monumenti , 
de' quali  si  parla  nel  3."  anno  del  bulleltino.   185 

BIBLIOGRAFIA. 

Le  case  ed  i  monumenti  di  Pompei  disegnati  e 
descritti 47 

Memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese  di 
archeologia,  voi.  IV  parte  I:  voi.  IV  ,  parte 
li:  voi.  VI:  voi.  VII.  Napoli  Stamperia  regale.     69 

Continuazione 80 

ld 106 


Id 187 

Monumenta  epigraphica  pompeiana  ad  fidem  ar- 
chetyporum  expressa.  Pars  prima.  Inscriptio- 
num  oscarum  apographa  ,  curante  Iosepho 
Fiorellio  ordini  Academicorum  Herculanen- 
sium  adlecto,  et  Instiluli  arcbaeologici  sodale  - 
Neapoli  -  Sumptus  fecit  Albertus  Detken  Bi- 
bliopola, typis  et  formis  Caietani  Nobile-Su- 
per, perm.  MDCCCLIV  ,  editio  C  exempla- 
rium:  fol.  max Ili 

Catalogo  di  antiche  medaglie  consolari  e  di  fa- 
miglie romane  raccolte  da  Gennaro  Riccio,  e 
compilato  dallo  stesso  possessore.  Dalla  stam- 
peria e  cartiere  del  Fibreno  -  Napoli  1855 
pag.  Vili  e  232  in  4 143 

Sull'antico  sito  di  Napoli  e  Palepoli  dubbi  e 
conghietture  di  Bartolommeo  Capasso- Na- 
poli, dallo  Stabilimento  dell'Antologia  legale 
1855  pag.  64  in  8 144 

Di  un  sepolcreto  etrusco  scoperto  presso  Bolo- 
gna, relazione  del  conte  Giovanni  Gozzadini- 
Bologna  1854  pag.  51  in  4.;  con  otto  tavole 
litografiche. 167 

Dello  studio  della  Storia  e  della  Filologia,  con- 
siderazioni di  Federico  Bursotti- Parte  pri- 
ma -  Dello  stato  presente  della  Filologia  e 
della  Storia -Napoli  1855  pag.  62  in  8.      .168 


NOMI  DI  COLORO  CHE  HAN  FORNITO  ARTICOLI  AL  BULLETTINO. 


Avellino  (Teodoro)  173. 

Borghesi  (  Bartolomeo  )  121,  129. 

Cavedoni  (ab.D.  Celestino)  24,  25,  41,  54,  59,62, 

65,  81,  89,  113,  137,  161,  176,  177,  181. 
Gervasio  (Agostino)  31. 
Minerwni  (Giulio)  1,  3,  5,  6,  9,  12,  13,  14,  17, 


33,  39,  46,  47,  49,  53,  57 ,  61  ,  63 ,  64 ,  69, 
73,  79,  80,  95,  97,  105,  106,  111,  112,  131, 
132,  143,  144,145,153,  166,  167,  168,169, 
178,  179,  181,  182,  183,  184,185, 187. 
Rkzi  (Ulisse)  93,  120,  130. 


INDICE  DELLE  TAVOLE. 


j.       Fig.  1 .  Bassorilievo  in  marmo  illustrato  a 
pag.  3  e  segg. 
Fig.  2.  Capedine  di  argento ,  di  cui 

si  dice  a  pag.  179. 
Fig.  3,  4,  5,  6.  Pietre  antiche,  di  cui  si 
parla  a  pag.  181  seg. 
II.     Fig.  1.  2.  Vaso  con  le  Plejadi ,   di  cui  si 
ragiona  a  pag.  9  segg. 
Fig.  3.  Lucerna  con  bassirilievi,  illustrata 

a  pag.  12  seg. 
Fig.  4,5,6.  Vaso  dipinto  di  S.  Maria  , 
di  cui  si  ragiona  a  pag.  13. 
.  111.    Vaso  colle  Danaidi  ,  dichiarato  a  pag.  49 

segg. 
IV.    Fig.  1.  Terracotta  di  Armento  ,  di  cui  si 
parlerà  nel  quarto  anno  del  bullonino. 
Fig.  2  Musaico  di  Pozzuoli ,  di  cui  si  dirà 
nel  quarto  anno  del  bullettino. 
,  V.     Fig,  1-4.  Vaso  colla   partenza  di  Anfia- 
rao,  illustrato  a  pag.  61  e  segg.  cf.  an. 
II  p.  113  segg. 
Fig.  5.  Ornamento  di  bronzo  con  iscrizio- 
ne ,  di  cui  si  dirà  nel  quarto  anno  del 
bullettino. 


Tav.  VI.    Insigne  vasoCumano  con  figure  a  rilievo, 
illustrato  a  pag.  73  e  segg.  e  177. 

Tav.  VII.  Fig.  1.  Lucerna  Gitile  illustrala  a  pag.  182. 
Fig.  2.  Statuetta  di  bronzo,  di  cui  si  parla 

a  pag.  183. 
Fig.  3.  Terracotta  di  Siracusa  ,  di  cui  si 
dirà  ne' prossimi  fogli  del  bullettino. 

Tav.  Vili.  Medaglie  antiche  ,  illustrate  a  pag.  97  e 
segg.  e  145  segg. 

Tav.  IX.    Fig.  1 ,  2.  Capitello  pestano  ,  di  cui  si  fa- 
vella a  p.  120. 
Fig.  3,  4.  Orologio  solare  pompeiano,  il- 
lustralo a  pag.  34  e  segg.  e   105. 

Tav.X. XI.  Dipinti  di  alcune  tombe  di  Albanella,  di 
cui  si  parla  a  pag.  93,  e  132  segg. 

Tav.  XII.  Medaglie  antiche  illustrate  a  pag.  148  seg. 
153  segg. 

Tav.  XIII.  Medaglie  antiche,  di  cui  si  ragiona  a  pag. 
156  segg.  e  169  segg. 

Tav.  XIV.  Vaso  dipinto  coli' apoteosi  di  Ercole],  il- 
lustrato a  pag.  173  segg. 


BULLETTINO 


&&<GmS<OMì><&X<BlD  H&JP@ILinrMI© 


MLLITTIÌI  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO 

NUOVA  SERIE 

PUBBLICATO  PER  CURA 
DI    GIULIO    MINERVINI 


SOCIO  ORDINARIO  DELLA  REALE  ACCADEMIA  ERCOLANESE  ;  SEGRETARIO  PERPETUO  DELL'ACCADEMIA 
PONTAN1ANA;  SOCIO  CORRISPONDENTE  DELL'ISTITUTO  DI  FRANCIA,  ACCADEMIA  DELLE  ISCRIZIONI 
E  BELLE  LETTERE  ;  DELLA  REALE  ACCADEMIA  DELLE  SCIENZE  ,  E  DELLA  SOCIETÀ  ARCHEOLOGICA 
DI  BERLINO  ;  DELL'  ISTITUTO  DI  CORRISPONDENZA  ARCHEOLOGICA  ;  DELLA  PONTIFICIA  ACCADEMIA 
ROMANA  DI  ARCHEOLOGIA;  DELLA  REALE  ACCADEMIA  DELLE  SCIENZE  DI  TORINO  ;  DELLA  REALE 
ACCADEMIA  DI  BELLE  ARTI  DELLA  SOCIETÀ  REALE  BORBONICA  ;  DELLA  SOCIETÀ  FRANCESE  PER 
LA  CONSERVAZIONE  DE' MONUMENTI  ISTORICI:  E  DI  ALTRE  SOCIETÀ   SCIENTIFICHE  E  LETTERARIE. 


ANNO  QUARTO 

DAL   1   LUGLIO   1855  AL   30   GIUGNO    1856. 


NAPOLI 

DAf.f.O  STABILI MEM-O  TIPOGRAFICO  DI  GIUSEPPE  CATANE© 

fico  S.  Giovanni  Uaggiore  N.  6 — 0. 

ISSO 


PREFAZIONE 


N 


el  dar  compimento  al  quarto  anno  del  presente  ballettino,  non  possiamo  man- 
care di  esprimere  la  nostra  soddisfazione,  per  aver  potuto  arricchirlo  d' importanti 
monumenti  ,  e  di  svariate  notizie. 

Ampia  materia  ci  apprestarono  le  pompejane  scavazioni  ;  le  nuove  scoperte 
avvenute  in  Pozzuoli,  ed  in  Capua  ;  quelle  latte  in  Clima  da  S.  A.  R.  il  Conte 
di  Siracusa  ;  le  tombe  ritrovate  in  vicinanza  di  Rapolla  ;  ed  i  preziosi  dipinti  delle 
tombe  di  Pesto. 

Le  raccolte  del  negoziante  di  antichità  signor  Raffaele  Barone  ,  e  de'  signori 
Jatta  di  Ruvo  non  mancarono  di  fornirci  largo  campo  ad  importanti  pubblica- 
zioni. E  ricorderò  pure  un  vaso  dipinto  di  arcaico  lavoro  rinvenuto  in  Sardegna, 
di  cui  dovemmo  la  comunicazione  ali1  egregio  signor  Cav.  Canonico  Giovanni  Spano 
di  Cagliari. 

Anche  la  epigrafia  trovò  non  ultima  parte  in  questo  anno  del  bullettino:  che 
nuove  iscrizioni  furono  da  noi  pubblicate  ,  e  presentate  osservazioni  e  ricerche  so- 
pra quelle  già  conosciute. 

Più  estesa  è  stata  la  parte  numismatica  :  che  ci  fu  dato  di  dar  fuori  non  po- 
chi insigni  monumenti  di  privati  musei  ,  tra'  quali  merita  il  primo  posto  quello 
de'  signori  Santangelo  :  e  dobbiamo  mostrarci  grati  all'  egregio  signor  Cavaliere 
D.  Michele,  il  quale  ci  ha  permesso  di  pubblicare  importantissimi  pezzi  di  quella 
classica  e  ricchissima  collezione. 

Ci  sentiamo  ancor  nel  dovere  di  rendere  pubbliche  grazie  a'  chiari  archeolo- 
gi ,  che  si  resero  nostri  collaboratori  :  Ira'  quali  citerò  principalmente  il  Borghesi, 
ed  il  Cavedoni  :  e  massime  quest1  ultimo  ,  che  colle  sue  osservazioni  numismatiche 
ha  dato  un  prezioso  appoggio  alle  nostre  pubblicazioni. 

E  qui  mi  gode  1'  animo  di  annunziare  che  il  bullettino  archeologico  napolita- 
no, mercè  l'ajuto  di  altri  dotti  collaboratori,  acquisterà  nel  quinto  suo  anno  una 
maggiore  estensione  ,  e  più  larghi  confini. 


Le  antichità  cristiane  de'  primi  secoli  verranno  particolarmente  trattate  dal 
signor  Cav.  G.  B.  de  Rossi  ,  di  cui  son  troppo  noti  gli  studii  su'  cristiani  monu- 
menti. Questa  parte  di  archeologia  non  venne  giammai  pretermessa  nel  bullettino 
napolitano  ;  ma  ora  acquisterà  maggiore  interesse  per  le  diligenti  ricerche  di  que- 


sto mio  dotto  collega 


Figureranno  per  la  prima  volta  le  antichità  orientali  ,  mercè  la  cortesia  del 
mio  illustre  amico  signor  Cav.  Adriano  di  Longpérier  :  il  cui  nome  basta  a  farci 
attendere  le  più  esatte  notizie  e  date  in  modo  degno  della  scienza. 

Le  nuove  scoperte  romane  ,  che  in  questi  ultimi  tempi  maravigliosamente  si 
accrebbero  ,  sono  affidate  alla  gentilezza  del  celebre  signor  commendatore  Luigi 
Canina  ,  al  quale  tanto  deve  la  romana  topografia. 

Ne  saranno  trascurate  le  notizie  delle  nuove  scoperte  di  Grecia ,  per  le  quali 
speriamo  il  sussidio  di  un  valente  collaboratore.. 

La  parte  bibliografica,  assai  ristretta  finora,  verrà  considerevolmente  aumentata. 

Cercheremo  di  dar  breve  annunzio  di  tutte  le  pubblicazioni  archeologiche  ,  le 
quali  vedran  la  luce  nel  Regno  delle  Due  Sicilie  :  e  presenteremo  almeno  il  ca- 
talogo di  tutte  quelle,  che  avran  luogo  in  Italia  e  fuori,  e  che  perverranno  a  no- 
stra notizia. 

Noi  tenteremo  in  tal  guisa  meritarci  la  costante  approvazione  de'  nostri  as- 
sociati ,  a'  quali  daremo ,  ove  sia  necessario  ,  un  maggior  numero  di  fogli  ,  senza 
renderne  maggiore  la  spesa. 

Facciamo  seguire  a  questa  nostra  prefazione  il  catalogo  delle  associazioni. 

Si  rileverà  da  esso  quanto  il  nostro  Augusto  Sovrano  protegga  e  favorisca  il 
bullettino  archeologico  napolitano  ,  che  da  questa  protezione  appunto  riconosce  la 
sua  vita  ,  e  la  sua  durata. 

Tutti  gli  eccellentissimi  Ministri  e  Direttori  ,  meno  qualche  rarissima  ecce- 
zione, degnarono  la  nostra  pubblicazione  d' incoraggiamento  e  di  appoggio.  Mi  credo 
poi  nell1  obbligo  di  ripetere  i  miei  particolari  ringraziamenti  ali1  Eccellentissimo 
Signor  Principe  di  Bisignano  ,  Maggiordomo  maggiore  di  S.  M.,  al  Commendatore 
D.  Francesco  Scorza  Direttore  del  Real  Ministero  degli  affari  ecclesiastici  e  della 
Istruzione  pubblica,  ed  al  Commendatore  D.  Ludovico  Bianchini  direttore  de'Reali 
Ministeri  dell1  Interno  e  della  Polizia  generale. 

Siccome  il  favore  di  questi  personaggi  verso  la  nuova  serie  del  bullettino  non 
ebbe  mai  limite  ,  così  non  avrà  neppur  limite  la  riconoscenza  dell'  Editore. 


Napoli,  settembre   1856. 


Giulio  Minervini 


ASSOCIAZIONI  BELLI-:  VARIE  AMMINISTRAZIONI  DELLO  STATO 


Reale  Accademia  Ercolanese 5 

Accademia  Pomanìana 1 

R.  Archivio  generale  del  Regno 1 

Biblioteca  privala  di  S.  M 10 


Biblioteca  Borbonica 

Biblioteca  della  Regia  Università. 
Biblioteca  Brancacciana.  .  .  . 
Biblioteca  degli  Annali  Civili  .  . 
Biblioteca  comunale  di  Foggia  . 
Biblioteca  comunale  di  Lucerà    . 


RR.  Collegii  e  Licei  de' Reali  dominii  di  qua  dal  Faro.    .     .     17 
R.  Ministero  degli  affari  Ecclesiastici  e  drlla  Istruz.  Pubblica.      7 

R.  Ministero  della  Presidenza 3 

R.  Ministero  di  Grazia  e  Giustizia 2 

R.  Ministero  de' Lavori  pubblici 2 

R.  Ministero  dell'Interno 

R.  Ministero  della  Polizia  generale 

R.  Miuisiero  di  Guerra  e  Marina  —  Direzione  della  Marina 


2 
2 
2 

R.  Museo  Borbonico 6 


ASSOCIAZIONI  PARTICOLARI 


Acclavio  (Pietro)  in  Taranto 

Acton  (cav.  Riccardo)  in  Napoli 

Biblioteca  di  S.  M.  il  Re  di  Sardegna 

Biblioteca  della  Regia  Università  di  Torino 

Biblioteca  Pontificia  di  Bologna 

R.  Biblioteca  Estense  in  Modena 

Bonichi  (cav.  Carlo)  in  Roma 

Bonucci  (Carlo)  in  Napoli 

Braun  (Emilio)  in  Roma 

Bruzza  (p.  Luigi  Barnabita)  in  Napoli 

Canonico  (p.  M.  Giuseppe)  in  Napoli 

Capasso  (Bartolomeo)  in  Napoli 

Caraba  (Ambrogio)  in  Montenegro 

Caruso  (Vincenzo)  in  S.  Maria 

Cassero  (S.  E.  il  Principe  di  )  in  Napoli 

Castrucci  (Monsig.  Giacomo)  in  Napoli 

Cherubini  (Gabriello)  in  Airi 

Collegio  privato  de'  pp.  Gesuiti  in  Benevento 

Collegio  privato  de'pp.  Scolopii  in  Benevento 

Conestabile  (Conte  Gian  Carlo)  in  Perugia 

Cremonese  (D.  Francesco  Saverio)  in  Agnone 

Detken  (Alberto)  librajo  in  Napoli 30 

Fimo  (cav.  Luigi)  in  Napoli       

Gal  (cav.  Canonico)  io  Aotla    ....  .    . 


Gargallo-Grimaldi  (cav.  Filippo)  in  Firenze  .    .    . 

Gazzera  (cav.  Costanzo)  in  Torino 

Guidobaldi  (Domenico  de')  in  Napoli     .     .     .     . 

Iahn  (pr.  Ottone)  in  Bonn 

Landolina-Paternò  (Francesco)  in  Palermo  .    .    . 

Minieri-Riccio  (Cantillo)  in  Napoli 

Moschitii  (Ciro)  in  Napoli 

Pellet-ano  (Benedetto)  librajo  in  Napoli  .     .    .     . 

Persico  (Carlo  M.)  in  Napoli 

Pisani-Verdino  (ab.  Salvatore)  in  Napoli .    .    .    . 

Riccio  (Gennaro)  in  Napoli 

Roberto  (Gaetano  de)  in  Napoli 

Rocco  (Giovanni)  in  Napoli , 

Romano  (Baldassarre)  in  Palermo 

Romano  (p.  Giuseppe  d.  e.  di  Gesù)  in  Palermo. 

Sambon  (Luigi)  in  Napoli 

Sideri  (Giovanni)  in  S.  Maria       

Sniiin  (ab.  Raffaele)  in   Venosa 

Spano  (cav.  Canonico  Giovanni  )  in  Cagliari.  .     . 

Stella  (Giuseppe)  librajo  in  Napoli 

Tortora  (p.  Luigi  del  SS.  Redentore)  in  Napoli. 
Tufano  (padre  de'  min.  convent.)  in  Napoli    .    . 
Ventriglia  (abate)  in  Napoli 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  75.     (  1.  deiranno  IV.) 


Luglio  1855. 


Monumenti  creiti  agli  Antonini  dagli  Scabilìarii  Puleolani.  —  Bibliografia. 


Monumenti  cretti  agli  Antonini  dagli  Scabilìarii 
Puleolani. 

Una  importante  scoperta  avvenne  recentemente 
in  Pozzuoli ,  sulla  quale  richiamiamo  1'  altenzione 
de'  nostri  lettori.  La  scavazione  ebbe  luogo  fortuita- 
mente al  dorso  di  un  ed  tìzio  di  un  ricco  proprietario 
D.  Prospero  Maglione ,  il  quale  far  volendo  un  ca- 
vamente nell'  attiguo  giardino  ,  per  ampliare  il  suo 
fabbricalo,  s'imbattè  negl'importanti  ruderi,  di  che 
intendiamo  discorrere  (I). 

L' antico  edifizio  ,  che  ci  si  offriva  agli  sguardi  , 
mostrasi  in  uno  stato  di  quasi  totale  distruzione  :  ap- 
pariscono pezzi  di  muro  inclinati  o  crollati ,  minuti 
frammenti  di  differenti  marmi ,  architettonici  ornati, 
o  modanature,  porzioni  di  colonne  sfasciale;  cose 
tutte  che  additano  un  monumento  già  in  massima 
parte  perduto.  Noi  pertanto  diamo  una  breve  descri- 
zione di  ciò  che  rimine  ,  aggiungendo  talune  osser- 
vazioni sull'attuale  stato  del  monumento. 

Vedesi  in  parte  disolterrato  un  compreso  con 
pavimento  a  musaico  ;  al  quale  avevasi  l' ingresso 
per  una  soglia  di  bianco  marmo ,  ove  si  mirano  ben 
cinque  incavi  due  circolari  e  tre  rettangolari  per  le 
tenute  di  una  chiusura  probabilmente  di  legno.  Alla 
parte  anteriore  di  questa  soglia  di  marmo  veggonsi 
collocati   due   pezzi    di    marmo    lavorato  ,  i  quali 

(1)  Le  osservazioni  che  esporremo  sono  state  da  noi  fatte  in 
stguito  di  un  esame  eseguilo  sopra  luogo  in  unione  de'  colleghi 
Cav.  Finali ,  ed  Ab.  Pisano-Verdino  ,  costituenti  una  Commissione 
iella  Reale  Accademia  Ercolanese  insieme  eoa  ine  e  con  l' inge- 
gnere D.  Gaetano  Genovese. 
jLf/NO  1¥. 


offrono  differenti  modanature  :  per  modo  che  è  evi- 
dente che  furono  posteriormente  messi  in  quel  silo,  per 
evitare  Io  scolo  delle  acque  provenienti  dall'  esterno. 
Tanto  più  si  conferma  questa  posteriore  destinazione 
di  quei  pezzi  di  architrave,  dall' osservare  che  sono 
essi  situati  semplicemente  sulla  terra  ,  e  non  già  in- 
castrati o  fermati  con  calce  o  con  altro  cemento. 
Dalla  soglia  di  marmo  si  passa  al  pavimento  a  mu- 
saico ,  costituito  tutto  di  bianche  pietruzze  :  se  non 
che  innanzi  all'entrata  vi  è  una  fascia,  la  quale  si 
estende  per  soli  dodici  palmi ,  con  meandro  intrec- 
cialo con  ornamenti  di  varii  colori:  sono  pietrt  zze 
bianche  ,  nere  ,  rosse  ,  gialle  e  verdi  elegantemente 
fra  loro  combinate.  Solo  è  da  dolere  che  questa  fa- 
scia sia  stata  non  poco  danneggiata  dal  tempo  ,  ve- 
dendosi in  lulla  la  sua  lunghezza  screpolala  e  rolla. 
La  forma  della  sala  pavimentata  a  musaico  era  non 
poco  irregolare.  Il  muro  a  sinistra  entrando  non  può 
determinarsi  essendo  tutto  crollato,  ed  in  parie  il  si- 
to ingombro  da  terra.  Nel  muro  a  destra  apparisce 
dalla  parte  interna  un  piccol  dente;  e  pare  che  una 
porzione  di  esso  sia  posteriormente  costruita.  Il  lato 
destro  costituisce  col  muro  di  fronte  un  angolo  acuto: 
il  che  dà  a  tutta  la  sala  poco  gradevole  aspetto.  Fin- 
ché non  si  verifichi  il  fatto ,  possiamo  supporre  che 
pur  dal  lato  sinistro  fossero  egualmente  disposti  i 
muri,  offrendo  simmetrica  costruzione.  E  certamente 
attribuir  si  dee  a  particolare  intendimento  la  forma 
trapezoide  della  sala  diche  favelliamo.  Pi  esso  al  mu- 
ro del  destro  lato  abbiamo  veduto  al  suolo  un  fram- 
mento di  base  corintia  di  marmo ,  ed  una  costruzio- 
ne di  tempi  modernissimi. 


All'esterno  della  descritta  sala,  della  quale  non 
può  determinarsi  precisamente  l' ampiezza  ,  veggonsi 
le  basi  di  quattro  colonne ,  le  due  medie  di  marmo , 
le  altre  due  estreme  di  fabbrica  di  tufo  :  e  della  de- 
stra apparisce  benanche  porzione  del  fusto. 

Innanzi  a  queste  colonne  si  elevano  due  piedestalli 
di  marmo ,  uno  a  destra  in  onore  di  Faustina  ,  a  si- 
nistra l'altro  in  onore  di  Antonino;  de'  quali  di- 
scorreremo più  distesamente  tra  poco:  ed  è  notabi- 
le che  il  piedestallo  di  Antonino  poggia  sopra  masso 
di  fabbrica  ,  e  quello  di  Faustina  sopra  terra. 

Il  piano  delle  colonne  è  quello  del  pavimento  a 
musaico  ;  ma  poi  si  eleva  alquanto  a  cominciar  dal 
silo  ,  ove  son  collocati  i  piedestalli.  Alla  distanza  di 
soli  quindici  palmi  dalla  faccia  esterna  de'  piedestalli 
medesimi  si  eleva  un  muro  di  fabbrica  reticolata  di 
non  trascurato  lavoro.  Ed  è  appunto  da  questo  lato 
che  l' edificio  guarda  il  mare.  In  questo  medesimo 
silo  vedesi  al  suol  caduto  un  terzo  gran  piedestallo 
in  onore  di  M.  Aurelio  :  il  quale  dovette  poi  destinarsi 
ad  altro  uso ,  vedendosi  in  uno  degli  angoli  superio- 
ri profondamente  scalpellato  sino  a  formare  un  inca- 
vo ,  annullandosi  finanche  talune  lettere.  Ne'  laterali 
di  tulli  e  tre  i  piedestalli  si  veggono  grossolanamente 
scolpiti  il  prefericolo  e  la  patera,  soliti  vasi  da  sagri- 
fizio.  È  poi  degno  di  osservazione  che  la  bellezza  dei 
caratteri  delle  iscrizioni  forma  un  deciso  contrasto 
colla  ineleganza  delle  sagome  de' piedestalli ,  e  col 
lavoro  materiale  dello  scalpello  ,  che  lasciò  il  marmo 
grezzo  e  non  levigalo;  non  essendovisi  fatto  uso  della 
lima. 

Un  pezzo  di  tubo  di  piombo  è  stato  ritrovato  nelle 
terre  ,  sul  quale  abbiamo  riconosciute  le  lettere  COL* 
FL  •  probabilmente  COL  ■  FLAVIA  •  AVG  -  PV- 
TEOLI  ;  come  rinviensi  in  altri  tubi  di  piombo 
della  medesima  località.  Appariscono  pure  alcuni 
frammenti  di  fusto  di  colonne  di  marmo  africano , 
forse  porzione  di  quelle  che  si  ergevano  al  fronte 
della  sala  col  musaico. 

Si  è  pur  fra  ruderi  e  frammenti  raccolta  una  lapi- 
da di  marmo  opistografa  ed  incompiuta  d' ambi  i  lati 
spezzata  in  due  porzioni.  Da  un  lato  sono  di  bei  ca- 
ratteri le  seguenti  lettere  : 


^ONORATO 
EX  •  QVINQ  •  DE 
IN  •  OR  DIN  •  DEC 


Dall'altro  lato,  in  caratteri  secchi  e  di  epoca  assai 
posteriore ,  si  legge 

.  .  ly  .  .  . 

AAEPVTEOL/ 

VIAENEAPOLITAN : 

VS-  IN-  CIVES-  AC 
NADQ-  MVNIFICENTIAM 


È  malagevole  immaginare  quel  che  contenevasi 
nelle  due  iscrizioni  di  questo  interessante  frammento: 
e  non  sapremmo  se  la  voce  precedente  alla  menzio- 
ne de'  Napolitani  e  de'  puteolani  possa  supplirsi  de- 
cj'MAE.  In  qualunque  modo,  è  certo  che  la  epigrafe 
incisa  in  caratteri  più  secchi  ed  ineleganti  appartiene 
ad  epoca  mollo  bassa  :  dal  che  senza  dubbio  si  dedu- 
ce che  1'  edificio  ,  ove  fu  ritrovata ,  subir  dovè  non 
lievi  mutazioni  dalla  sua  originaria  forma  e  destina- 
zione. Quesla  medesima  idea  sorge  evidente  dall'esa- 
me di  tulle  le  particolarità  del  nostro  monumento.  Os- 
servami architettonici  ornali  di  tempi  diversi  e  di  dif- 
ferente lavoro  ;  pezzi  di  marmo  adoperati  ad  usi  non 
conformi  alla  loro  primitiva  destinazione ,  e  collocati 
secondo  le  posteriori  esigenze. 

Per  le  quali  cose  veniamo  nella  conclusione  che 
1*  edificio  ,  come  ora  si  presenta  agli  sguardi ,  non  of- 
fre una  sola  Csonomia:  e  quindi  dee  credersi  che  in 
epoche  diverse  venne  a  subire  differenti  modificazio- 
ni ;  per  le  quali  venne  grandemente  deturpato  il  suo 
primiero  aspetto. 

La  principale  importanza  della  novella  scavazione, 
come  innanzi  avvertimmo  ,  consiste  ne'  tre  piedestalli 
eretti  dagli  Scabillarii  di  Pozzuoli  ad  Antonino  Pio , 
a  Faustina ,  ed  a  M.  Aurelio.  Noi  riferiamo  prima  le 
iscrizioni ,  e  poscia  facciamo  seguir  sulle  stesse  alcu- 
ne brevi  dichiarazioni. 


—  3 


Primo  piedestallo. 
Alt.  pai.  5  ,  92 

IMP  •  CAESARI 

DIVI  •  HADRIANI  •  FIL  • 

DIVI  •  TRAIANI 

PARTHICI  •  NEPOTI 

DIVI  •  NERVAE  •  PRON 

T  •  AELIO  •  IIADRIANO 

ANTONINO  •  AVG  •  PIO 

PATRI  •  PATRIAE 

PONTIFICI  •  MAXIMO 

TRIB  •  POTES  •  lì  •  COS  •  fi  ■ 

COLLEGIVM 

SCABDLLARIOR 

QVIBVS    SC-  COIRE  •  LICET 

L.  D.  D.  D. 


Secondo  piedestallo 
Alt.  pai.  5  ,  75 


FAVSTINAE  •  AVG 

IMP  •  CAESARIS 

T  •  AELI  •  HADRIANI 

ANTONINI  •  AVG  •  PII  ■  P  •  P 

TRIBVNTC  •  POT    fil  •  COS    ììì 

COLLEGIUM 

SCABILLARIORVM 

QVIBVS     SC-  COIRE  •  LICET 

L.  D.  D.  D. 


Terzo  pie  desia  Ilo 
Alt.  pai.  6,  68 

Im  P.  CAESARI 

M.  AVRELIO 

ANTONINO  •  AVG  • 

Di  VI  •  ANTONINI  •  F  • 

Di  VI  •  HADRIANI  •  NEP 

Divi  •  TRAIANI  •  PARTHIC  •  PRON 

Dm  ■  NERVAE  •  AB  •  NEPOTIj- 

PonHF  •  MAX  •  TRIB  ■  POT  •  XV 

COS  •  III 

C  •  IVLIVS  •  FORTVNATVS 

QVINQVENNALIS 

NOMINE  •  SOCIORVM 

SCABILLARIOR  •  PVTEOLANORVM 

QVIBVS  •  EX  •  S  •  C  •  COIRE  •  LICET 

PEQVNIA  •  SVA  •  DONVM  •  DAT 

L.  D.  D.  D. 


_4  _ 


Dalla  prima  iscrizione  rileviamo  che  il  collegio 
degli  Scabillarii  di  Pozzuoli  pose  una  statua  all'  Im- 
peratore Antonino  nella  sua  seconda  tribunizia  pote- 
stà ,  e  nel  secondo  suo  consolato  ;  che  giusta  i  calcoli 
dell'Eckhel,  trovaronsi  a  cominciar  tutti  due  alle  ca- 
lende  di  Gennajo  dell'anno  139  di  Cristo.  É  in  que- 
sto anno  appunto  che  principia  Antonino  a  prendere 
il  titolo  di  PATER  PATRIAE  :  ed  anche  in  ciò  la 
nostra  iscrizione  fa  bel  confronto  alle  medaglie , 
ove  la  medesima  particolarità  si  riscontra  (  Eckhel 
doctr.  voi.  VII  p.  3  e  seg.  ,  e  voi.  Vili  p.  414  ); 
essendo  non  poco  sospetta  la  moneta  del  museo  Fi- 
coroni  pubblicata  dal  Vignoli  (  de  column.  Ant.  p. 
61  ),  dalla  quale  parrebbe  dedursi  che  Antonino 
prendesse  quel  titolo  nel  suo  primo  consolato  (Eckhel 
doctr.  voi.  VII  p.  36  ).  La  seconda  delle  nostre  in- 
scrizioni fu  messa  in  onore  di  Faustina  dallo  stesso 
collegio  degli  Scabillarii  nell'anno  140  dell'era  vol- 
gare, quando  Antonino  assumeva  la  terza  potestà 
tribunizia  ed  il  terzo  consolalo.  Ella  dicesi  Faustina 
Augusta  Antonini  Augusti ,  cioè  uxor;  con  un  modo 
assai  solito  d'indicare  una  tale  relazione  non  solo 
nelle  iscrizioni,  ma  benanche  nelle  medaglie. 

La  terza  iscrizione  accenna  ad  una  statua  eretta 
a  M.  Aurelio  Antonino  nel  suo  terzo  consolalo  ,  e 
nella  tribunicia  potestà  XV.  È  noto  che  M.  Aurelio 
appena  si  ebbe  una  6glia  dalla  più  giovine  Faustina 
sua  consorte  ,  ottenne  la  potestà  tribunizia  (  Capito- 
la, in  Aurei,  e.  6  ).  Per  lo  che ,  quando  venne  a 
morte  Antonino  Pio,  egli  era  nella  XV  tribunicia  po- 
testà e  nel  terzo  consolato;  corrispondente  all'anno 
di  Cristo  161   (  Eckhel  dodi:  t.  VII  p.  48  segg.  Lo 
stesso  Eckhel  ha  con  valide  ragioni  dimostrato  che 
anche  M.  Aurelio  cominciò  ad  assumere  quei  titoli 
alle  calende  di  Gennajo  ).  Sicché  gli  Scabillarii  di 
Pozzuoli  elevar  dovettero  al  novello  imperatore  una 
statua  dopo  il  mese  di  marzo  di  quel  medesimo  an- 
no, appena  che  M.  Aurelio  successe  al  suo  padre. 
E  perchè  è  ben  noto  che  M.  Aurelio  associò  L.  Vero 
a  tutti  gli  onori  di  Augusto  ,  escluso  unicamente  il 
Ponteficalo  massimo  ,  non  sarà  fuor  di  luogo  il  sup- 
porre che  dalle  novelle  scavazioni  verrà  probabilmen- 
te fuori  un  quarto  piedestallo  ìu  onore  di  L.  Vero , 


che  costituiva  con  M.  Aurelio  in  quell'anno  una 
coppia  di  Consoli  Augusti. 

Inlanlo  non  sarà  inutile  il  rammentare  che  altre  me- 
morie si  hanno  in  Pozzuoli  di  opere  pubbliche  fatte 
costruire  da  Adriano  e  da  Antonino,  che  si  resero 
perciò  benemeriti  della  Colonia  Flavia.  E  noi  ci  con- 
tentiamo di  ricordare  quelle  relative  alle  famose pilae 
del  molo  di  Pozzuoli ,  una  delle  quali  ricorda  appun- 
to la  seconda  tribunizia  potestà  ed  il  secondo  conso- 
lato di  Antonino  :  e  su  di  esse  rimandiamo  alla  dotta 
discussione ,  che  già  ne  fu  fatta  dal  eh.  collega  sig. 
Gervasio  nella  sua  memoria  intorno  ad  una  iscrizio- 
ne puleolana  inserita  nel  voi.  IH  delle  memorie  della 
regale  Accademia  Ercolanese  p.  95  a  137.  Vedi  la  se- 
conda edizione  di  questa  memoria  ,  Napoli  1854  in 
4.  Ricordiamo  pure  l'altra  iscrizione  messa  tre  anni 
dopo  allo  slesso  Antonino  da  tutti  coloro  che  prese- 
ro parte  al  sacro  certame  iselaslico  da  lui  istituito , 
che  diconsi  sodi,  liclores,  populares ,  denuntialores 
puleolani  (  Lasena  del  ginnasio  napol.  p.  114;  Gruler. 
thes.  p.  CCLIV  ,  4  ;  CCCXIV;  Capaccio  hist.  put. 
p.  255;  Ignarra  pai.  p.  740:  Mommsen  inscr.  r.  nap. 
n.  104  ). 

In  tutti  i  nostri  piedestalli  sono  invece  gli  Scabil- 
larii ,  che  onorano  Antonino,  Faustina,  ed  il  loro 
figliuolo  M.  Aurelio. 

Chi  fossero  questi  scabillarii  fu  molto  dispulato 
fragli  eruditi ,  i  quali  non  convennero  neppure  sul 
vero  significato  della  voce  scabillum.  Ci  sembra  in- 
dubitato che  scabillum  venne  a  dinotare  un  oggetto, 
che  serviva  a  portar  la  battuta  a'  simfoniaci  per  re- 
golarne l' armonia.  Si  pensò  quindi  che  fossero  gli 
scabillarii  una  parlicolar  classe  di  gente  destinata  a 
tale  ufizio  ;  e  s' immaginò  a  tal  uopo  un  istrumento 
più  o  meno  complicato,  che  valesse  ad  ottener  quel- 
l'intento: citandosi  ancora  alcune  statue,  che  ci  met- 
ton  sott' occhio  un  arnese  di  simil  fatta  (Ruben,  de  re 
vestiar.  lib.II  cap.17:  Bartholin.Je  iibiis  tav.III  fig.2: 
Montfaucon  Ant.  expliq.  tom.  I  tav.164  e  176;  t.  Ili 
tav.l91:Spon  mise.  erud.  ant.  sect.l  art.7,  ed  altri). 
Certamente  gli  scabillarii  costituivano  un  esteso  e  ricco 
collegio  :  come  si  trae  dalle  costose  onorificenze  de- 
cretate da  essi  in  Pozzuoli  a'  Romani  imperadori ,  e 


—  <ò  — 


come  costa  allresì  dalla  epigrafe  Interamnate ,  ov' è 
menzione  di  quattro  decurie  di  Scabiilarii  (Orelli  n. 
2643  ).  Sicché  non  pare  che  possa  immaginarsi  una 
grande  riunione  di  persone  destinate  unicamente  a 
reggere  colla  battuta  la  musica  ,  ovvero  a  costruir 
per  essi  analoghi  islromenti.  Al  che  si  aggiunga  non 
trovarsi  in  tutta  1'  antichità  ricordali  questi  individui 
particolarmente  addetti  a  portar  la  battuta.  Non  sarà 
inutile  un  breve  esame  biologico  della  voce  scabillum, 
per  determinarne  la  vera  intelligenza.  Non  è  certa- 
mente un  islrumento,  che  percosso  rende  un  suono; 
ma  la  sua  evidente  etimologia  ci  conduce  appunto  alla 
idea  di  una  parlicolar  calzatura  destinata  a  percuotere 
il  suolo.  Di  fatti  a  noi  sembra  indubitato  che  la  vera 
derivazione  di  questa  parola  sia  da  scabo,  a  cui  non 
manca  il  significato  di  scaìpere.  Non  può  dunque  farsi 
alcun  dubbio  sulla  etimologia  della  voce  scabillum,  la 
quale  ne  illustra  nel  tempo  slesso  il  significato  e  l'uso. 
Per  le  cose  esposte  finora  noi  riconosciamo  nello  sca- 
billo  un  zoccoletlo  colla  suola  di  ferro  o  di  legno,  che 
davasi  a  coloro  i  quali  percuoter  dovevano  ,  princi- 
palmente nel  teatro  ,  il  suolo  col  piede  ,  per  accom- 
pagnare con  sonori  colpi  le  armonie  delle  voci  e  de- 
gl'islrumenti.  Ciò  non  esclude  che  lo  Scabillum  fosse 
talvolta  munito  di  doppia  suola,  perchè  rendesse  un 
suono  da  se,  senza  l'ajuto  di  un  suolo  rimbombante: 
e  opiniamo  che  fosse  appunto  indicato  dal  crotalo  dei 
piedi,  che  troviamo  rammentarsi  da  Fozio(pag.  180, 
22  )  (1).  Determinata  la  intelligenza  della  voce  sca- 
billum, non  sarà  difficile  diffinire  chi  fossero  gli  Sca- 
biilarii mentovali  nelle  iscrizioni  ;  quando  avremo 
fatto  alcune  osservazioni  sulle  persone  ,  che  di  que- 
sto risonante  calzare  fecero  uso.  E  per  verità  fatta 
considerazione  su'  luoghi  degli  antichi  scriltori ,  che 
di  una  rimbombante  calzatura  fanno  parola ,  non  tar- 
deremo a  riconoscerebbe  il  collegio  degli  scabiilarii 
corrisponde  identicamente  al  collegio  de'iibicini,  che 
comprendeva  in  Roma  anche  i  fidicini  (Mommsea  de 
coli,  et  sodaliciis  p.  30):  ed  eccone  le  pruove.  Pol- 
luce chiama  la  calzatura  de'  libiciui  xpov triC,i%  ,  deri- 
vando una  tal  denominazione  dallo  strepito  che  fa- 

(1)  Veggasi  sullo  teatrino  la  dotta  discussione  del  Salmasio  ad 
Hist  August  pag.  501. 


covano  :  àure  roù  xpoutiv.  È  pur  conosciuto  che  le 
voci  xpoiTrs^a,  e  xpovir-Xiov  dinotarono  calzari  di  le- 
gno. Ed  è  da  notare  particolarmente  che  lo  stesso 
Polluce  chiama  xpotnre%o$ópoi  i  tihicini  della  Beozia  , 
perchè  portavano  quella  sonora  calzatura:  e  non  può 
non  riconoscersi  la  corrispondenza  tra'  xpwTri&tyópoi 
di  Polluce  ,  e  gli  Scabiilarii  delle  nostre  iscrizioni. 
Vedi  Polluce lib.  Xc. 33,  edivi  le  annotazioni de'dotti. 

Era  talmente  ne'  greci  costumi  che  il  tibicine  ac- 
compagnasse colla  battuta  il  suono  del  suo  islrumen- 
to, che  Luciano  ne  fa  espressa  menzione  :  xoù  %ò\vyrrfi 
ty  (isffu)  xa&yjrai  \it<w\wv  xoù  xrwitws  tw  ntwl  (  de 
saltai.  1 0  ). 

Quest'uso  fu  trasmesso  benanche  a' Romani ,  che 
per  quanto  concerne  la  loro  civiltà,  attinsero  moltis- 
simo da' greci  costumi.  Così  troviamo  rammentato 
da  Svetonio  il  suono  degli  Scabilli  insieme  con  quello 
delle  tibie  :  Deinde  repente  magno  tibiàrvm  et  sca- 
billobum  crepilu  ,  cum  palla  lunicaque  talari  prosi- 
luil ,  et  desaltalo  cantico  abiit  (in  Calig.  e.  54  ). 

Dalle  premesse  osservazioni  si  rende  chiaro  che 
tanto  il  suono  delle  tibie ,  quanto  lo  strepito  degli 
scabilli ,  partivano  da'  medesimi  individui ,  cioè  dalla 
schiera  de'iibicini,  che  assisteva  a  quello  spettacolo. 

E  lo  stesso  dee  dirsi  di  un  notabile  luogo  diS.  A- 
gostino,  ove  si  attribuisce  generalmente  a'simfoniaci 
l'uso  di  batter  co'  piedi  gli  scabilli  ed  i  cimbali  ;  ma 
soggiugne  subito  dopo  il  S.  Dottore  :  Ila  ut  si  tibia* 
non  audias ,  nullo  modo  ibi  notare  possis ,  qnousque 
procurral  connexio  pedum ,  et  unde  rursum  ad  caput 
redeatur  (  de  Musica  lib.  IH  e.  1  ). 

Ognun  vede  adunque  ch'era  dato  unicamente  ai 
libicini  di  reggere  l' armonia  e  di  regolare  i  concen- 
ti :  ad  essi  era  principalmente  attribuito  portar  la  bat- 
tuta ,  e  per  tal  modo  evitare  la  confusione  ed  il  di- 
sordine. 

Sicché  abbiamo  sufficienti  motivi  per  credere  che 
i  tibicini  vennero  denominati  benanche  scabiilarii  , 
avuto  riguardo  alla  loro  preminenza  ne'  concerti  e 
nelle  sinfonie. 

Questa  nostra  conghicttura  sembra  non  poco  ap- 
poggiata dalla  epigrafe  gruteriana,  ove  gli  scabiilarii 
sono  detti  opcrae  veteres  a  scaena ( Orelli  n.  2043): 


—  e  -_ 


e  sembra  che  possano  in  quelli  ravvisarsi  i  tibicini , 
che  tanta  relazione  precisamente  si  ebbero  colle  sce- 
niche azioni.  In  confronto  delle  operae  della  prece- 
dente iscrizione  è  da  richiamare  un'altra  diCorfinio, 
la  quale  al  titolo  OPERAE  VRB  •  SCABILLAR  fa 
seguire  una  lista  di  molti  nomi  (  Mommsen  inscr.  re- 
gni neap.  n.  5379  ).  E  non  può  dubitarsi  che  si  ac- 
cenna alle  stesse  operae  a  scaena,  probabilmente  agli 
Slessi  tibicini;  siccome  abbiamo  coughietturato. 

Venuti  ad  una  tale  conclusione,  non  sarà  più  ma- 
raviglioso  il  ricordo  del  collegio  degli  Scabillarii ,  e 
delle  decurie  di  simili  musici  ;  né  ci  parrà  strana  la 
opulenza  che  mostrano  nelle  opere  da  essi  eseguite. 
Valerio  Massimo  parla  del  collegio  de'  tibicini  Roma- 
ni :  Tibicìnum  quoque  collegium  solet  in  foro  vulgi  ocu- 
ìos  in  se  convertere ,  cum  inter  publicas  privatasque 
ferias,acliones,  personis  teclo  capile,  variaque  veste  ve- 
lalis  concentus  edit  (  lib.  2  cap.  5  ).  E  se  ne  ha  pur 
menzione  nella  reinesiana  (p.  184  n.  167),  la  quale 
ci  servirà  di  confronto  ad   alcune  particolarità  della 
nostra  terza  iscrizione  (Cf.  Orelli  n.  1803:  e  sul  col- 
legio de'  tibicini  v.  Heineccio  de  colleg.  e.  I.  §  V  ). 
Del  resto  non  è  da  omettere  che  potrebbero  gli 
Scabillarii  dinotare  ancora  coloro  ,  che  lavoravano 
gli  scabilli ,  o  gli  zoccoli  :  industria  eh'  esser  dovea 
abbastanza  estesa  appunto  perchè  serviva  all'  uso  dei 
sinfoniaci,  de'mimi.e  principalmente  de'tibicini.  Che 
se  vi  erano  collegii  di  coloro  che  usavano  di  tali  ar- 
nesi, non  dovrebbe  sembrare  strano  che  fossevi  an- 
cora il  collegio  di  chi  li  costruiva.  Di  tutte  le  arti  vi 
furono  presso  gli  antichi  numerosissime  corporazio- 
ni :  ed  è  da  citare  al  nostro  proposito  il  collegium  fa- 
brum  soliarium  baxiarium ,  di  cui  si  rammentano  si- 
no a  tre  centurie  (Orelli  n.  4085). 

Comunque  sia  di  queste  nostre  deduzioni,  ci  sem- 
bra da  osservare ,  che  l' edilìzio  ove  furono  collocati 
i  piedestalli,  non  potè  essere  il  luogo  delle  solite  riu- 
nioni di  quel  collegio;  altrimenti  non  si  sarebbe  ag- 
giunta la  circostanza  in  fine  di  tutte  tre  le  iscrizioni 
LD  D   D. 

Gli  Scabillarii  puteolani  eressero  quelle  statue  alla 
famiglia  imperiale  sul  pubblico  suolo:  per  lo  che 
venne  questo  conceduto  dal  decurionale  consesso. 


Quindi  se  essi  sostennero  le  spese  delle  statue  e  del- 
l' edificio  che  le  contenea  ,  non  le  collocarono  però 
nell'ambito,  forse  non  molto  esteso, della  loro  cuna 
o  schola.  Quello  soltanto  che  ci  è  permesso  di  con- 
ghielturare,  si  è  che  la  curia  stessa  esser  doveva  in 
vicinanza  di  questo  direi  quasi  pantheon  della  impe- 
riale famiglia  degli  Antonini.  Avvertiamo  pertanto 
di  nuovo  che  nessuna  chiara  idea  formar  ci  possiamo 
dell'edificio  ,  di  cui  rimangono i  ruderi  :  e  perciò  vo- 
gliamo astenerci  da  qualsiasi  inesatta  e  poco  fondata 
conghiettura.  Soltanto  potrebbe  pensarsi  che  quella 
piccola  sala  trapezoide  pavimentata  a  musaico  sia  quasi 
vestibolo  del  grandioso  edifizio,  che  dee  certamente 
trovarsi  al  di  sotto  delle  fabbriche  moderne. 

Tornando  alle  nostre  interessanti  iscrizioni ,  ag- 
giungo brevissime  osservazioni  sulla  estrema  parte 
della  terza  epigrafe  :  riserbandomi  di  parlare  in  fine 
della  formola  qcibus  ■  ex*  s-  c*  coire  '  ucEr,  comune 
a  tutti  tre  i  piedestalli. 

Dicesi  C  .  1VLIVS  FORTVNATVS  QVINQVEN- 

NAL1S PEQVNIA  •  SVA  •  DONVM  • 

DAT  •  Si  noti  da  prima  la  ortografia  PEQVNIA  ,  la 
quale  si  è  non  poche  volle  incontrata  in  altre  pu- 
teolane  iscrizioni ,  come  in  un  granito  murale  da  me 
altrove  pubblicato  (mon.  ined.  di  Barone  pag.  94  ), 
e  nella  iscrizione  frammentata  dell'  anfiteatro  ,  edita 
dal  eh.  Garrucci ,  il  quale  va  citando  altri  esempli 
precisamente  dell'epoca  degli  Antonini  (sull'ep.  e  su' 
framm.  dell' anfit.  puleoì.  pag.  16). 

JNella  citata  Reinesiana,  relativa  a' tibicini  Romani, 
un  A.  TVCCIVS  Q  •  Q  •  fi  S-  P-  D  •  D  •  Già  notava 
giustamente  il  Reinesio ,  essere  il  quinquennale  del 
collegio  de'tibicini,  che  fu  detto  ancora  magisler  quin- 
quennalis ,  e  semplicemente  magisler ,  e  che  talvolta 
era  a  vita.  Così  troviamo  un  quinq.  perp.  dell'ordi- 
ne corporatorum  lenuncularior  labulariorum  (  Orelli 
n.  4054):  mag.  collegii  fabrum  et  quacstor:  magisler 
et  quaeslor  sodalicii  fullonum  (Ib.  n.  4056):  mag. 
quinquennalis  collegii  aromalariorum  (Ib.  n.  4064): 
e  generalmente  Vhonor  quinquennali talis  collegio  den- 
drophororwn  Romanorum  (Ib.  n.  4075)  :  e  di  nuovo 
un  quinquennale  perpetuo  fabrum  soliarium  baxia- 
rium (Ib.  n.  4085),  de' quali  sopra  si  è  detto. 


—  7  — 


Citerò  da  ultimo  la  famosa  iscrizione  di  Lanmio, 
ove  si  parla  del  quinquennale  del  collegio  de'  cultores 
Dianae  et  Anlinoi,  e  se  uè  indicano  i  drilli  ed  i  pri- 
vilegi! (Momnisen  de  coli,  et  sodalic.  p.  106). 

Questa  terza  iscrizione  degli  Scabillarii  merita  di 
essere  paragonata  alla  reinesiana  relativa  a*  tibicinì , 
siccome  di  sopra  accennammo.  In  essa  un  A.  Tuccio 
quinquennale  per  la  seconda  volta  del  collegio  de' tibi- 
ciui  pecunia  sua  donum  dal  alla  Vittoria  della  casa  Au- 
gusta; non  altrimenti  cbe  Giulio  Fortunato  quinquen- 
nale degli  Scabillarii  erige  col  proprio  danaro  la  sta- 
tua all'imperatore  M.  Aurelio. 

Bella  è  la  frase  nomine  sociorvm  scabit.lariorvm 
pvteolanorvm  :  ed  é  da  notare  che  i  compagni  del 
collegio  sono  appellati  sodi,  invece  delle  voci  più  co- 
munemente adoperate  di  collegiali  o  sodales,  che  spesso 
incontriamo  nelle  iscrizioni. 

Non  è  raro  rinvenire  nelle  iscrizioni  de'  collegii  la 
forinola  qvibvs.  ex.  s.  c.  coire  licet.  Così  leggiamo 
in  alcune  epigrafi  delle  raccolte  del  Grillerò  (  pag. 
XC1X,  1:  CLXXV,  8:  cf.  Orelli  n.  4075),  e  del  Mu- 
ratori (CCCCLXXII,  3.  DXX,  3.  ).  Dalla  quale  for- 
inola trasse  l' Orelli  che  per  riunirsi  coire,  o  come 
trovasi  altrove  consistere  un  collegio  ,  eravi  bisogno 
di  uno  speciale  permesso  del  Principe,  o  di  un  Se- 
naloconsulto (p. 244  tom. Il  ).  Ma  il  dotto  epigrafista 
s'inganna.  Questo  punto  è  stato  egregiamente  trattato 
dal  ch.Mommsen  nel  suo  libretto  (ie  collegiis  et  sodali- 
ciis.  (Vedi  principalmente  le  p.  73  e  segg.).  Sino  alla 
fine  del  VII  secolo  di  Roma  rimase  libero  il  dritto  alle 
private  riunioni  jus  coeundi;  se  non  che  il  Senato  aveva 
di  quando  in  quando  proibiti  taluni  collegi  come  pe- 
ricolosi allo  Stato.  Ma  Asconio  (in  Cornei,  p.75)  fa 
espressa  menzione  del  Senaloconsulto  cbe  abolì  i  col- 
legii :  frequenter  tum  eliam  coelus  factiosorum  homi- 
Rum  sine  publica  aucloritale  malo  pnblico  fiebant  ;  e 
continua  :  propter  quod  poslea  collegia  S.  C.  et  plu- 
ribus  legibus  sunt  sublata.  Non  si  conosce  con  preci- 
sione l'epoca  di  questa  soppressione  de' collegii;  im- 
perciocché, sebbene  lo  stesso  Asconio  nomini  i  Con- 
soli di  quell'anno  in  cui  fu  promulgalo  ilS.  C.;pure 
vi  è  tal  varietà  di  lezione  ne'  codici  di  questo  anno- 
tatore di  Cicerone,  che  non  possono  con  certezza  de- 


terminarsi. Noi  per  altro  non  esiliamo  a  seguire  la 
opinion  di  coloro,  che  stabilirono  mentovarsi  L.Giu- 
lio e  C.  Marcio,  corrispondenti  all'anno  DCLXIV  di 
Roma. 

Non  si  creda  però  che  fossero  totalmente  aboliti 
i  collegii  di  qualsivoglia  genere.  Lo  stesso  Asconio  si 
affretta  di  avvertirci  il  contrario  :  Collegia,  egli  dice, 
sani  sublata  practer  panca  alque  certa  quae  uiilitas 
ciriiatis  desiderasset,  qualia  sunt  fabrorum  fìctorum- 
que.  L.  e.  La  legge  Clodia  cinque  anni  dopo  venne 
ad  abrogare  quel  decreto;  del  che  si  lamenta  più  volte 
lo  sdegnoso  Arpinale,  ricordando  la  saggia  delibe- 
razione del  Senato  precedentemente  promulgata  (  In 
Pison.  4,  9:  prò  Sext.  23,  53).  Sotto  gì' imperatori 
la  cosa  andò  altrimenti,  Cesare,  come  diceSvetonio, 
cuncta  collegia  practer  antiquitus  constilula  distraxit 
(  Caes.  42  ):  ed  Augusto  collegia  practer  antiqua  et 
legilima  dissohit  [Octav.  32).  Da  tutto  ciò  si  vede 
cbe  nel  primitivo  senaloconsulto  non  furono  com- 
presi gli  artefici;  e  parimenti  durarono  nella  facoltà 
di  riunirsi  sodo  gl'imperadori,  cbe  ritennero  le  loro 
riunioni  siccome  antiqua  et  legilima.  Sicché  son  di 
parere  cbe  la  menzione  delS.  C.  nelle  differenti  iscri- 
zioni di  collegii  quibus  ex  S.  C.  coire  licet,  non  si  ri- 
ferisca ad  altro  che  a  quella  deliberazione  del  VII  se- 
colo di  Roma;  senza  pensare,  come  fa  il  eh.  Momni- 
sen, ad  un  altro  Senaloconsulto  de' (empi  di  Augusto, 
del  quale  non  si  serba  vestigio  alcuno  (p.  79,  80). 
Così  gli  Scabillarii  puleolani  trovaronsi  nella  classe 
delle  riunioni  permesse,  o  che  giudicar  si  vogliano  i 
libicini ,  ovvero  i  lavoratori  di  zoccoli  per  i  sinfo- 
niaci  e  gli  altri  inservienti  alla  scena  (1). 

Vogliamo  qui  finalmente  avvertire  cbe  sarà  da  noi 
quanto  prima  pubblicato  un  piccolo  disegno  dell'edi- 
ficio degli  Scabillarii  di  Pozzuoli,  perché  si  abbia  una 
più  chiara  idea  della  novella  scoperta.  È  questo  do- 
vuto all'egregio  signor  Genovese,  ingegnere  direttore 
degli  Scavi  di'  Pompei ,  il  quale  ebbe  la  cortesia  di 
fornircelo  a  nostra  richiesta:  del  clic  gli  rendiamo  i 
più  sinceri  ringraziamenti.  Mixervini. 

(I)  La  scoperta  puteolana  forni  argomento  a  due  memorie 
lette  alla  Reale  Accademia  Ercolaucsc  dal  sig.  Ab.  Pisano-Vcrdiuo 
e  da  me. 


—  8 


BIBLIOGRAFIA. 

Memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese.  Voi.  IV 
parie  II.  Continuazione  del  n.  74 

4.  Intorno  ad  una  iscrizione  onoraria  di  C.  Celio 
Vero  questore  alimentario  ,  di  Agostino  Gervasio:  con- 
tinuazione. 

Il  sig.  Gervasio  riporta  ben  venticinque  iscrizioni 
pertinenti  all'antica  Avella ,  molte  delle  quali  dice 
aver  diligentemente  esaminate,  co'  proprii  occhi  , 
e  di  alcune  riferisce  pure  i  disegni  a  facsimile  nelle 
tavole,  che  accompagnano  la  memoria.  Sono  in  ge- 
nerale le  stesse,  che  veggonsi  ora  pubblicate  dal  eh. 
Mommsen  nella  sua  raccolta  :  inscripliones  regni  ncap. 
lalinae  n.  1943-1967:  e  sopra  ciascuna  di  esse  va 
facendo  l'a.  opportune  osservazioni. 

Sulla  prima  (  Mommsen  n.  1943  )  avverte  il  sig. 
Gervasio  come  la  voce  sedes  riferita  ad  Apollo  debba 
intendersi  di  un  tempietto  dedicato  a  quel  dio  ;  non 
senza  pensare  altresì  ad  una  base  od  ara  destinata 
a  sostegno  di  qualche  statua  —  Sulla  seconda  epi- 
grafe l'a.  fa  talune  avvertenze;  ma  poscia  in  una  giunta 
alla  sua  memoria  si  uniforma  alla  opinione  del  eh. 
Mommsen  dichiarandola  sospetta  ed  interpolata — Nel- 
la terza  (Momms.  n.  1871  )  è  memoria  di  un  praefe- 
ctus  Abellae:  ed  a  questa  città  senza  dubbio  la  lapida 
appartiene  ,  sebbene  sia  ora  in  Atripalda.  — La  quarta 
è  mollo  frammentata  :  ne  ricava  1'  a.  la  menzione  di 
un  sacerdozio  di  Giove  ,  non  fermandosi  mollo  ad  il- 
lustrarla, perchè  erroneamente  riportala  dal  primo  edi- 
tore. Nella  citata  giunta  poi  alla  sua  memoria  sostie- 
ne la  verità  della  epigrafe ,  la  quale  era  stata  dal 
Mommsen  dichiarata  falsa  o  sospetta  —  La  quinta 
(  Momms.  n.  1957)  è  credula  dall' a.  destinala  ad 
apporsi  a  qualche  opera  pubblica:  ed  osserva  come 
la  genie  Vitruvia  fosse  estesa  nella  Campania.  La  le- 
zione del  Mommsen  corrisponde  presso  a  poco  al 


facsimile  esibito  dal  nostro  autore  tav.  IV  n.  7:  e 
pare  che  il  cognome  di  Vitruvio  sia  abbreviato  in 
LVCIL.  come  quel  di  Properzio  in  THOR.  —  La 
sesta  (  Momms.  n.  1950)  ci  presenta  un  duovir  turi 
dicund,  o  come  legge  il  Mommsen  iure  dicund:  e  la 
settima  (  Id.  n.  1 948  )  un  praefeclus  iuri  dicundo  ,  la 
quale  carica  corrispondeva  probabilmente  al  praefe- 
clus Abellae  della  terza  iscrizione.  Si  avverta  intanto 
che  la  copia  del  Mommsen  offre  varie  inesattezze, 
principalmente  nella  prima  linea.  —  Molto  interes- 
sante si  addimostra  la  ottava  iscrizione,  nella  quale 
par  che  si  faccia  menzione  di  qualche  opera  pubblica, 
forse  della  piscina,  di  cui  leggesi  la  memoria  nella 
terza  riga.  È  riportata  con  qualche  piccola  varietà 
dal  Mommsen  (  n.  1958).  —  La  nona  iscrizione  (Ib. 
n.  1 953  )  parla  di  un  C.  Oblio,  del  quale  si  dice  duovir. 
ilerum.  quinquennali  —  Nella  decima  si  ragiona  di 
un  duumviro  quinquennale  denominato  Tullio  Ma- 
cro  (  Mommsen  n.  1956)  —  L' undecima  è  un  fram- 
mento non  vedulo  dal  Mommsen ,  il  quale  lo  ripor- 
ta sulla  fede  del  Remondini  (n.  1959);  ma  prefe- 
ribile si  è  la  lezione  del  sig.  Gervasio ,  da  cui  risulla 
la  memoria  di  un  Edile  A.  Musanus.  Egli  ne  offre  il 
facsimile  nella  lav.IIIn.5 — Nella  lav.Vvien  pubbli- 
cata la  decimaseconda  iscrizione  dell' Augustale  bisellia- 
rio  N.Plelorio  Oniro(Momms.n.  1 955),  della  qua'e  l'a. 
presenta  una  breve  illustrazione — Tra' marmi  de' pa- 
troni di  Avella  è  riportato  dal  sig.Gervasio  il  frammen- 
to S1LLAE-S...  ( Momms. n.  1965):  sebbene  non  sie- 
ri alcuno  indizio  di  una  tale  intelligenza  —  Più  de- 
'erminato  è  l' altro  relativo  a  Sesto  Pompeo  console 
del  749  (  Id.  n.  1945);  perchè  se  ne  dà  indizio  suf- 
ficiente dalle  lettere  PAT.... ,  che  rimangono  della  voce 
PATRONO  —  Segue  al  n.  XV  un  frammento  rela- 
tivo al  secondo  consolato  di  Caligola,  che  vedesi  di- 
versamente supplito  dal  Mommsen  (n.  1944). 
Continua  Miivervini. 


Giulio  Minervim  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  76.     (  2.  dell'  anno  IV.) 


Luglio  1855. 


Osservazioni  del  eh.  Abate  D.  Celestino  Cavedoììi  sull'opera  intitolata  a  Voyage  en  Asie-Mineure  au  poin 
de  me  numismatique  par  W.  H.  Waddington.  Paris,  1853,  in  8°  con  XI  tav.  »  —  Anello  di  oro  del 
Real  Museo.  Supplemento. 


Osservazioni  del  eh.  Abate  D.  Celestino  Cavedoni 
sull'opera  intitolata  «  Voyage  en  Asie-Mineure  au 
point  de  vue  numismatique  par  TP.  H.  Waddin- 
gtou.  Paris,  1853  ,  in  8°  con  XI  tav.  » 

Quest'opera, che  distinta  in  otto  articoli  venne  in- 
serita nella  Revue  numismatique  nel  decorso  degli  anni 
1851  ,  1852  e  1853,  meritamente  ottenne  il  premio 
3i  numismatica  ,  e  venne  favorevolmente  accolta  da- 
'ti archeologi.  Essa ,  segnatamente  in  riguardo  alla 
geografia  numismatica  dell'Asia  Minore,  ed  a  parec- 
:hie  città  nuove  or  primamente  aggiunte  alla  serie  del- 
e  già  cognite ,  si  rende  necessaria  non  che  utile  agli 
studiosi;  lascia  peraltro  talora  qualche  cosa  a  deside- 
■are ,  specialmente  per  ciò  che  riguarda  la  parte  fi- 
brata. Con  quella  schiettezza  e  libertà  pertanto,  colla 
|uale  il  dotto  e  giudizioso  autore  ha  rilevalo  qualche 
nio  abbaglio,  e  segnatamente  l'abuso  eh' io  feci  nello 
spicilegio  numismatico  del  principio  delle  allusioni, 
ni  giovi  fare  alcune  giunte  e  rettificazioni  al  suo  bel 
ibro(l). 

MTSIA 

Adramylium.  A  conferma  dell  opinione  del  eh.  au- 
ore,cheicistofori  attribuiti  a  Dardanus  della  Troade 
pettino  più  verisimilmente  ad  Adramytium  (giacché 
I  monogramma  loro  si  presta  sì  alla  spiegazione  A  APA 
ome  all'altra  AAPA),  vuoisi  avvertire,  che  il  sim- 
ulo loro  della  civetta  stante  ricorre  in  monete  certe 

(1)  Il  eh.  autore  ,  seguendo  altro  ordine  geografico,  incomincia 
M»  Phrygia  ;  ma  per  me ,  e  forse  anche  per  la  più  parte  dei 
Limolili ,  toma  più  comodo  l' ordine  tenuto  da  Straboue  e  dal. 

Eckhel. 

ANNO  IV. 


di  Adramytium  medesima  (  cf.  Mionnet,  Suppl.  T. 
V.  p.  276  ,  552  ). 

Cyzicus.  In  una  moneta  di  Cizico ,  impressa  sotto 
Commodo,  il  eh.  autore  ravvisa  Venere  ignuda  stan- 
te, che  con  la  d.  alzata  è  in  atto  di  acconciarsi  una 
ciocca  di  capelli,  e  nella  s.  tiene  un  oggetto  oblongo 
(una  spada)  in  atto  di  considerarlo  ;  ed  ha  a'suoi  piedi 
una  galea  ed  uno  scudo.  Egli  la  dice  Aphrodite  Areia, 
in  riguardo  alla  supposta  spada;  ma  quell'oggetto 
oblongo  altro  non  è  che  uno  specchio  di  forma  ret- 
tangolare (cf.  Morelli  Famil.  Vibia,  tab.  4  n.  II);  e 
la  dea  può  dirsi  Venere  Vincitrice,  che  nell'acconciare 
la  vaga  sua  chioma  §«x<ry/%  xaX*ò><  sXoTffct  ttoWoCxi 
rà.Y  <x.òr<xY  &s  y.ryri8r)xi  xé\x%y  (Callim.  lavacr.  Pali. 
21,22). 

Gargara.  La  lesta  di  Giove  vuoisi  riferire  alla  fa- 
ma che  dicea  Gargara  fondata  da  Gargaro  figliuolo 
di  Giove  medesimo  (  Steph,  Bvz.  s.  v.  ) 

Lampsacus.  Nel  ritto  del  bel  telradrammo  da  sé 
pubblicato  il  eh.  autore  ravvisa  la  testa  di  Priapo 
barbata  ,  cornuta  e  ricinta  d'edera;  ma  quello  che  a 
lui  parve  corno  altro  non  è  che  una  grossa  ciocca  di 
capelli  rilorta  a  guisa  di  corno  d'  ariete  attorno  al- 
l'orecchio,  quale  ricorre  anche  nelle  monete  di  Ma- 
ronea  e  di  Taso  della  Tracia  (Caved.  Spicil.  num.  p. 
39:  cf.  Bull.  Arch.  1834,  p.  205).  Ai  riscontri  da 
me  indicati  aggiungasi  il  madido  torquenlem  COR- 
NVA  cirro  di  Giovenale  (Sai.  XIII,  165),  e  due  sta- 
tuette bifronti  etruschc  rinvenute  di  recente  presso  le 
antiche  mura  di  Cortona  (Lorini,dj  due  statuette,  ecc. 
Cortona,  1855  ). 

Pergamus.  Intorno  al  proconsolato  di  C.  Claudio 


—  10  - 


Pulcro,  che  pare  si  protraesse  dal  699  al  701  ,  è  a 
vedersi  il  eh.  Borghesi  (Dee.  V ,  oss.  10).  Il  nome 
MAXAOJN  del  magistrato  Pergameno,  che  si  conso- 
cia con  quello  di  C.  PVLCHER  PRO  COS,  rifatto 
da  quello  di  uno  dei  due  figliuoli  di  Esculapio,  che 
dicesi  intervenisse  alla  guerra  di  Troia  (  Iliad.  B , 
730),  troppo  bene  si  sta  in  moneta  impressa  in  quella 
sede  precipua  del  culto  di  Esculapio  medesimo  nel- 
l' Asia  Minore. 

Trimenoihyrae. 

OH  •  A  •  TTAAIOT  •  Testa  barbata  di  Giove. 

)(  TPIM€NOOTP€ON.  Paìlade  con  asta  nella  d. 
e  colla  sinistra  appoggiata  allo  scudo.  JE.  4. 

Il  eh.  autore  congettura,  che  Trimenoihyrae  della 
Misia  ,  ricordata  da  Tolomeo  ,  sia  la  stessa  città  che 
Traianopolis;  ed  accenna  un'  altra  moneta  inedita  dei 
Trimenolirei,  del  museo  di  Parigi,  impressa  sotto  A- 
driano  ,  ed  avente  nel  riverso  il  nome  dello  stesso 
magistrato  L.  Tyllius.  Egli  dovea  dire  anzi  L.  TVL- 
LIVS.  In  altra  moneta  de'  Trimenolirei ,  con  la  le- 
sta d' Ercole  nel  ritto  e  con  Mercurio  nel  riverso  , 
che  trovasi  anche  nel  museo  Estense ,  leggesi  GII  M 
TTAAI  (cf.  Mionnet,  Suppl.  Mys.  n.  1259);  il  qual 
nome  vuoisi  ripetere  dal  proconsolato  di  M.  Tullio 
Gcerone ,  figlio  dell'Oratore;  e  parimenle  quello  di 
L.  Tullius  dal  nome  di  L.  Tullius  Monlanus  compa- 
gno di  viaggio  del  medesimo  M.  Tullio  giuniore ,  che 
probabilmente  l'avrà  accompagnato  dapoi  anche  nel- 
l'Asia circa  l'anno  730  (cf.  Borghesi,  Dee.  II,  oss.  6). 

TROAS 

Testa  d' Apollo  laureata. 

)(  POITEI.  Tre  lune  falcate  disposte  a  modo  di  tri- 
quetra.  Ar.  3. 

Bhoeleum  venne  ora  per  la  prima  volta  aggiunta 
dal  eh.  autore  alla  serie  delle  città  numismatiche 
della  Troade.  Egli  opina,  che  la  triquetra  consistente 
di  tre  lune  bicorni  si  riferisca  al  culto  di  Diana ,  io 
riguardo  alle  tre  fasi  della  luna.  Io  pure  congetturai, 
che  quel  tipo  simbolico  passasse  dalla  Cilicia  nella 


Troade  co'  Cilici  di  Eezione  padre  di  Andromaca  (v. 
Bull.  ardi.  1854  p.  XXVI). 

CARIA 

Alabanda.  Dubito  assai  dell'esattezza  della  seguente 
descrizione  datane  dal  eh.  autore  : 

SEBASTOI.  2es<e  riguardanti  di  Claudio  e  di 
Nerone  giovine. 

)(  AAABANA.  Teste  riguardanlisi  del  Senato  e  di 
Alabanda;  quest'ultima  con  ramicello  di  lauro  in  seno. 

JE.  6. 

Nerone ,  vivente  Claudio  ,  non  potea  dirsi  altri- 
menti SEBA^TOS.  Se  leggesi  veramente  SEBA- 
STOI ,  saranno  quelle  le  teste  di  Livia  e  di  Tiberio 
(cf.  EckheU  Vip.  154). 

L'  alloro  è  attributo  proprio  di  Alabanda  in  ri- 
guardo al  culto  di  Apollo.  Nel  riverso  di  una  meda- 
glia di  Alabanda  impressa  sotto  Caracalla  (  cf.  Mion. 
Sup.  n.  39.)  è  un  grande  ramo ,  ovvero  arbuscello 
di  alloro  con  lunga  tenia  ad  esso  appesa  (mus.  Est.). 

Aphrodisia.  Il  eh.  autore  in  una  moneta  autonoma 
d' Afrodisia  ravvisa  l'arbore  di  Mirra  con  uomo  avente 
berretto  frigio ,  da  ciascun  lato  ;  uno  de'  quali  alza  la 
scure  per  percolere  V arbore  stesso ,  e  l'altro  sen  fugge. 
Egli  rimanda  il  suo  lettore  a  ciò  che  ne  dissero  ichh. 
De  Wilte  e  Greppo.  Siccome  io  diedi  occasione  a 
questa  falsa  interpretazione  (Spicil.  num.  p.  1 97-1 98); 
così  mi  credo  in  dovere  di  disdirmene  ,  rimettendo 
il  lettore  a  ciò  che  ne  scrissi  dapoi  (  Monnaies  de  la 
Lycie  p.  32-33  ).  Que'  due  uomini  in  pileo  frigio  sa- 
ranno anzi  due  de'venti  nerboruti  servi  di  Erisiltone, 
figlio  di  Triope,  in  atto  di  recidere  uno  de'bellissimi 
arbori  del  bosco  di  Cerere  nel  Triopio  di  Caria,  uno 
de'  quali  sen  fugge  alla  vista  della  gigantesca  imagine 
della  dea  (Callim.  in  Cerer.  v.  35-60). 

Heraclea.  Il  eh.  autore  congettura  ,  che  Heraclea 
Salbace  fosse  situata  ove  è  l' odierna  Makouf;  e  la  sua 
congettura  panni  si  risolva  in  certezza  pel  riscontro 
delle  monete  impresse  sotto  Nerone  con  l'epigrafe 
TATKON IEPETS  HPAKAEfTmN  con  l'iscrizio- 
ne trovala  a  Makouf  medesima  (C.  I.  Gr.  n.  3953 ,  e  ) 
posta  per  onorare  una  figliuola  TATKnNOS  TOT 


— 11  — 


rATKfìNOS  IEPATETSANTOS  TOTHPAKAE- 
OTS.  L'altro  TATRON  IEPETX  HPAKAEOTfiN 
di  una  moneta  impressa  sotto  Augusto  (Mion.  Descr. 
Ionia  n.  579:  Suppl.  n.  977)  vuoisi  tenere  per  pa- 
dre di  questo.  Del  resto ,  gli  Heracìeolae  della  Caria 
trovansi  memorati  da  Cicerone  (ad  Fam.  XIII,  56) 
insieme  con  i  Bargylclae  ,  Mylasenses ,  Alabandenses. 

In  una  moneta  di  questi  Eracleoli ,  impressa  sotto 
Macrino,  il  eh.  autore  ravvisa  una  Dea  stante  slolata 
con  palla  nella  mano  s.  e  con  la  d.  stesa  come  in  allo 
di  percotere  la  palla  medesima:  ma  pare  anzi  in  alto 
di  averla  gettata  in  allo  con  la  d.  e  di  raccoglierla 
con  la  s.  Sarà  poi  verisimilmente  cosi  figurata ,  anzi 
che  una  dea  ,  una  Ninfa  forse  Salbace ,  che  desse  il 
nome  a  quella  contrada.  Intorno  alle  idrofore ,  che 
ne'  monumenti  veggonsi  tenere  la  palla  per  trastullo 
giovenile,  dottamente  discorse  il  eh.  Minervini  (Bull. 
Napol.  n.  ser.  anno  III  p.  51:  cf.  Caved.  Spicil.  n. 
p.  58). 

Stralonicea.  Non  so  come  il  eh.  autore  legger  po- 
tesse APTGVmC.  ON  invece  di  APTCMONOC  ,  se 
pure  non  è  questo  un  semplice  errore  tipografico. 

LYCIA 

Arycanda.  Il  tipo  singolare  di  una  moneta  degli 
Aricandei  ,  con  la  testa  di  Tranquillina  ,  rappresen- 
tante un'  Aquila  volante  con  testa  di  cinghiale  fra  gli 
artigli,  vuoisi  riferire  ad  un  preteso  portento  dell'au- 
gello di  Giove ,  che  nel  prendere  gli  auspicii  per  la 
fondazione  di  Aricanda  rapisse  la  testa  della  vittima 
d' in  su  l' ara  e  la  lasciasse  poi  cadere  nel  sito  della 
novella  città ,  siccome  favoleggia  vasi  di  Alessandria 
Troade,  di  Antiochia  della  Siria  (Eckhel  T.  II p.  482: 
II  p.  294),  e  di  Amorio  della  Frigia,  come  diremo 
io  appresso. 

Cragus.  La  moneta  con  la  testa  d' Augusto  e  le 
lettere  AT  nel  ritto ,  e  con  lira  e  KP  TA  entro  una 
laurea  nel  riverso,  pare  la  stessa  che  quella  del  mu- 
seo Estense  da  me  pubblicata  con  ATKlON  nel  ritto 
e  KP  TEA  nel  riverso  (  Monnaies  de  la  Lycie  pi.  ). 
Questa,  veduta  dal  eh.  autore  presso  il  cav.  Ivanoff , 
forse  era  men  conservata  riguardo  alle  epigrafi 


Phaselis.  II  bel  telradramma  di  Faselidc  pubblicato 
dal  eh.  autore  con  testa  d'  Apollo  nel  ritto  ,  e  con 
Pallade  nicefora  nel  riverso  ,  forse  venne  impresso 
sotto  il  dominio  di  Antioco  IV  Epifane  ,  che  in  al- 
cune sue  monele  pose  la  testa  di  Apollo  e  s'intitolò 
niceforo  [cf.  Mionnet  Suppl.  t.  Vili,  pi.  XII,  3). 

Hhodiapolis.  In  una  moneta  de'  Rodiapoliti  con  la 
testa  di  Tranquillina  vedesi  Nemesi  stante  in  atto  di 
ostentare  il  cubito  destro,  e  tenente  nella  s.  accostata 
al  fianco  un  oggetto ,  che  parve  scettro  al  eh.  auto- 
re, e  che  in  moneta  di  Attalia  parve  tuba  al  eh.  Pin- 
der  (  Numism.  ined.  Pari.  I  p.  31-32),  senza  peral- 
tro poterne  render  ragione.  L'  oggetto  in  quistione 
ha  sembianza  di  corto  scettro  che  si  allarga  verso 
* 'estremila  sua  superiore,  mentre  che  l'altra  rimane 
coperta  dalla  mano  della  dea  che  Io  impugna.  A  me 
pare  anzi  la  misura  del  cubito  ,  irTtxvS,  cubitus ,  at- 
tributo proprio  di  Nemesi  ;  poiché  in  un  antico  sar- 
cofago di  Modena  (Marmi  Moden.  p.  1 57,  tav.  Il  f. 
3  e  )  ricorre  un  oggetto  in  tutto  simile ,  insieme  con 
altre  misure ,  ed  ha  grande  somiglianza  coll'u/na  ,  o 
sia  osso  maggiore  del  cubito ,  con  le  sue  apofisi  alle 
due  estremila ,  che  fecero  abbaglio  al  lodalo  Pinder 
sì  che  prese  per  tubala  misura  imitante  la  forma  del- 
l' ulna  medesima  (cf.  Spanhem.  ad  Callim.  in  Del.  v. 
107).  Del  resto,  il  tipo  di  Nemesi  ricorre  di  sovente 
nelle  monete  delle  città  in  vicinanza  del  Tauro,  per- 
chè gli  antichi  ponevano  la  sede  della  dea  ne'  gioghi 
di  quel  vasto  monte  (Non nus,  Dionys.  XLVI1I,  375), 
quasi  che  di  lassù  vie  meglio  esplorar  potesse  le  tra- 
cotanze de'  mortali. 

PAMPIIYLIA 

Aspendus.  Nel  riverso  di  una  moneti  di  Salonina 
il  eh.  autore  ravvisa  Nemesi  con  fouet  nella  d. ,  ma  il 
supposto  fouet  sarà  anzi  un  freno  (  cf.  Pinder  num. 
ined.  tab.  II,  10). 

Etenna.  Nel  riverso  di  una  moneta  degli  Etennei, 
avente  nel  ritto  la  testa  di  Salonina  ,  il  eh.  autore 
ravvisa  Arianna  incedente  a  sinistra  col  suo  velo  svo- 
lazzante dietro  lei ,  e  Bacco  ignudo  stante  di  prospet- 
to, con  una  pantera  a  suoi  piedi.  Egli  poi  non  dà  ve- 


—  12  — 


runa  spiegazione  di  sì  strana  e  singolare  rappresen- 
tazione. Ma  pel  riscontro  del  disegno  datone  da  esso 
lui  (pi.  IX,  ì  )  panni  che  nel  riverso  di  detta  meda- 
glia debba  anzi  ravvisarsi  una  donna  stante  slolata 
respicienle ,  e  lenente  un  serpe  fra  h  mani ,  come  in 
parecchie  altre  monete  di  Etenna ,  ed  un  atleta  ignu- 
do stante  di  prospetto  con  la  destra  accostala  al  suo 
capo  in  atto  d' incoronarsi.  Quella  che  al  eh.  autore 
parve  pantera,  è  un  piccolo  oggetto  logoro,  che  può 
tenersi  per  vaso  ,  o  per  altro  indizio  della  palestra. 
Perga.  Importante  si  è  la  medaglia  datane  dal  eh. 
autore  con  nCPrAION  KAl  AEA*ION  OMO- 
NOIA  ;  ma  sospetto  che  debba  leggersi  AEA*ON. 
Vie  più  importante  si  è  un  altra  medaglia  che  con- 
ferma l'avviso  del  dotto  Borrell ,  che  a  Perga  spet- 
tino le  medaglie  con  la  scritta  Panfilica  MANASPA£ 
IIPEIIAS  corrispondente  alla  Greca  APTEMIAOS 
IIEPrAIAS.  I  chh.  Pinder  e  Friedlaender  (Beitraege 
p.  80  n.  39  taf.  II,  15)  ne  diedero  il  disegno  ac- 
curato di  una  moneta  di  Perga,  nel  cui  riverso  eglino 
dubitando  ravvisano  un  suggeslus  mililaris;  ma  vuoisi 
anzi  tenere,  come  altra  volta  sospettai  (Spicil.  num.  p. 
20 1  )  per  un  suggeslus  ludorum,  con  Ire  borse  sospese  in 
alto,  quale  premio  proposto  di  certami  àqyv^tra.1, 
SéfX'XTixot,  xpVttTiVai  (Pollux  ///,  153;Schol.  Pind. 
arg.  II  ad  Pylh.  cf.  C.  I.  Gr.  n.  4352,  4380:  Mi- 
cali  ,  tnon.  ined.  tav.  XXIV J.  Luca  Holstenio  (  ad 
Steph.  Byz.  v.  IIEPrAI)  avea  ravvisati  tre  sacchetti 
posti  sopra  la  mensa  tripode  de'  ludi  :  e  Strabone  (  l. 
XIV  p.  667)  ne  attesta,  che  nel  sacrario  di  Diana 
Pergea  ir%yr^vqili  x%r'  ìtoì  ffuvrt'ktTrai  (1). 

(1)  Neil' indicato  bel  libro  de' cbh.  Pinder  i'[Friedlaender  (p.  181- 
182)  trovasi  descritta  sotto  Same  di  Cefallenia  una  bella  moneta 
di  bronzo  con  la  testa  goleata  di  prospetto  di  Pallade  nel  ritto,  e 
con  un  ariete  gradiente  ed  il  nome  TIMH£IANAS  nel  riverso! 
ma  per  la  maniera  dello  stile  e  per  ragione  del  magistrato  stesso, 
che  ricorre  anche  in  monete  della  vicina  Efeso  (  Mionnet ,  Descr. 
n.  157  ),  credo  ebe  debba  restituirsi  a  Claiomene  dell'Ionia,  che 
tanto  si  piacque  di  que'  due  tipi  ,  e  che  talora  si  stette  conlenta 
a  segnare  nella  moneta  il  nome  del  suo  magistrato;  laddove  di  Sa- 
me non  v'  ha  forse  che  sola  una  moneta  con  nome  tronco  di  ma- 
gistrato ,  ed  anch'  essa  di  attribuzione  rnen  certa. 

I  lodati  due  numograti  di  Berlino  ne  diedero  altresì  un'  insigne 
moneta  di  Ninive  con  l'epigrafe  NINI  COL  CLAVDIOPOLI  ed  una 
figura  miliiare  stante  entro  un  tempio  testrastilo  nel  riverso,  e  con 
la  testa  nuda  di  Alessandro  Severo  nel  ritto,  attorno  alla  quale  non 


PISIDIA 

11  eh.  autore  (p.  81  )  avverte  come,  per  la  condi- 
zione di  quelle  regioni  montuose  ,  i  Romani  fin  dal 
secolo  di  Augusto  reputarono  necessario  il  dedurre 
nella  Pisidia  colonie  militari ,  quali  furono  Antio- 
chia ,  Cremna  ed  Olbasa  :  ed  ora  possiamo  dire  di 
certo ,  che  vi  furono  dedotte  da  Augusto  medesimo, 
leggendosi  nelle  celebri  tavole  Ancirane  (  C.  I.  Gr. 
n.  4040,  col.  IV,  20) ,  AnolKIAX-EN  ni£IAIAI 
STPATIQTttN  KATHrAroN. 

Cremna.  Notevole  si  è  la  particolarità  del  nome 
della  deità  apposto  alla  figura  di  essa  nelle  monete 
della  colonia  Cremna,  p.  e.  FORTVNA,  SILVANVS, 
VLTRLr  (apposto  a  Nemesi);  donde  si  vede  che  l'ab- 
breviatura PROP.  apposta  all'imagine  di  Cupido  saet- 
tante spiegarsi  debbe  PROPugnator,  e  non  giàPRO- 
Pugnalrix  col  MilJingen  (Ree.  p.  69),  che  riferiva 
quest'  appellazione  alla  colonia  stessa. 

Seleucia.  Nel  riverso  di  una  moneta  de'  Claudio- 
Seleucei ,  con  la  testa  di  Gordiano  Pio  nel  diritto,  il 
eh.  autore  ravvisa  un  uomo  ignudo  slanle  nell' atteg- 
giamento dell'attacco  della  pugna,  lenendo  un'asta 
in  direzione  orizzontale ,  e  trafitto  da  due  giavellotti. 
Egli  avverte  poi ,  che  l' atteggiamento  del  combat- 
lente  in  questa  moneta  ricorda  quello  di  Meleagro 
delle  monete  di  Samo;  e  che  probabilmente  sarà  qual- 
che eroe  celebre  nelle  tradizioni  di  quelle  contrade- 
Ma  pel  riscontro  del  disegno  di  questa  medaglia,  al- 
quanto logora  ,  con  quello  di  una  di  Cremna  (  Mil- 
lingen,  ree.  pi.  IV,  2)  chiaro  si  pare  che  anche  in 
questa  di  Seleucia  è  rappresentalo  Cupido  saettante. 
L'autore  ha  preso  per  due  giavellotti  il  nervo  del- 
l' arco  di  Cupido ,  che  teso  di  tutta  forza  forma  due 
linee  oblique  che  si  accostano  al  fianco  del  nume.  Il 
Seslini  (mus.  Hederv.part.  II  p.  270)  in  moneta  si- 
mile de'  Claudio-Seleucei ,  parimente  impressa  sotto 
Gordiano  ,  ravvisò  Diana  in  allo  di  tendere  /'  arco  : 

restano  più  leggibili  che  sole  le  lettere  IMP  SìV AVG. 

Il  nome  ALEXANDER,  che  per  ordine  di  Massimino  venne  abraso  da 
tante  iscrizioni  Ialine  e  greche  (v.  Avellino,  opusc.  t.  Ili  p.  211), 
forse  fu  raso  ab  antico  anche  da  questa  moneta ,  siccome  avvenne 
di  quello  di  Seiano  console  in  alcune  monete  di  Bilbilis  '  v.  Eckhel 
t.  I.  p.  36;  t.  Tip.  196). 


—  13- 


Ka.ra.xixxt>ix-:vri  ;  di  che  si  viene  a  conoscere  la  ragio- 
ne del  tipo  di  Bacco  (  Mion.  sup.  n.415  )  ,-  poiché 
Vitruvio  (Vili,  3  ,  12  Schmid.  )  loda  fra  gli  altri  vini 
il  Calacecaumeniten. 

PIIRYGIA 

Acmonia.  Nel  riverso  di  una  moneta  di  Acmonia, 
avente  nel  ritto  la  testa  di  Gordiano  Pio ,  vedesi  Gio- 
ve seminudo  sedente  in  trono  con  patera  nella  d.  e 
con  lo  scettro  nella  s.  al  disotto  del  quale  sono  due  Gi- 
ganti anguipedi  che  lo  riguardano  e  con  una  mano 
sorreggono  il  trono  del  re  de  numi,  e  con  l'altra  ten- 
plice  ,  ricorre  anche  in  monete  di  Olha  della  Cilicia  gono  ciascuno  stretta  una  delle  loro  estremità  serpenti- 
(  Revue  num.  1854,/)*.  //,  17:  cf.  Bull.  arch.  1854  ne.  Il  eh.  autore  avverte  ,  che  in  simile  riverso  di 
p.  XXVI  ).  Un  castello  assai  simile  con  triplice  torre  due  monete  di  Bruzus  i  due  Giganti  tengono  ciascuno 
merlata  vedesi  rappresentato  anche  ne' bassirilievi  di     una  roccia  nella  mano  alzata  in  atto  di  combattere; 

laddove  in  questa  di  Acmonia  mostratisi  di  già  vinti 
ed  assoggettati.  Per  simile  modo  in  una  moneta  di 
Magnesia  della  Lidia  vedesi  Tifeo ,  od  altro  Gigante 
debellato ,  in  atto  di  sorreggere  lo  scudo  di  Pallade 


ma  la  nudità  della  figura  ,  ed  il  riscontro  delle  mo- 
nete di  Cremna  ,  mi  fanno  propendere  per  Cupido. 
Del  resto  ,  l' eroe  ,  che  nelle  monete  di  Samo  com- 
balte il  cinghiale,  anzi  che  Mei  eagro ,  vuoisi  repu 
tare  Anceo,  come  altra  volta  comprovai  (  Spicil.  num. 
p.  180). 

CIUCIA 

Nagidus.  Il  eh.  autore  attribuisce  dubbioso  a  Na- 
gido  una  moneta  d'  argento  di  bella  fabbrica  arcaica 
avente  da  una  parte  una  protome  di  bue ,  e  dall'  al- 
tra una  solida  costruzione  con  triplice  torre  merla- 
ta. Vuoisi  avvertire  che  una  simile  torre ,  ma  sem- 


Ninive  (  v.  Layard ,  volg.  Malvasìa  p.  328  ). 
LYDIA 


Bagis.  Il  eh.  autore  avverte,  che  il  nome  di  que- 
sta città  è  Bagis ,  non  già  Bagae ,  siccome  Baris  ed 
Apollonis',  e  ponno  aggiungersi  le  forme  analoghe 
Prymnessis ,  Synnadis,  Sardis  ed  altre  di  quelle  re- 
gioni. 

Blaundus.  Dubito  molto  dell'  esattezza  della  de- 
scrizione della  figura  della  dea  PI2MH,  che  il  eh. au- 
tore dice  seminuda  e  col  pie  s.  posato  sopra  una  rupe. 
Forse  è  ella  succinta  e  in  atto  di  calcare  col  pie  s.  una 
galea.  Del  resto ,  notevole  si  è  lo  scambio  del  MA 
al  BA  in  tre  monete  diverse  di  Blaundus  con  la  scrit- 
tura MAATNAEON  (  Mionnet,  Descr.  n.  98.  Pin- 
der  und  Friedlaender,  Beilracge  p.  189  ).  Per  simile 
modo  nel  testo  ebraico  il  nome  dello  stesso  monarca 
Babilonese  trovasi  scritto  ora  Berodach  ed  ora  Me- 
rodach  (  2  Reg.  XX,  12:  Ies.  XXXÌX,  1  );  e  simil- 
mente gli  Arabi  scrivono  e  pronunciano  promiscua- 
mente Mecca  e  Becca. 

Sailtae.  Godo  di  essermi  combinato  col  eh.  autore 
nel  restituire  a  questa  città  il  vero  suo  nome  (  Spicil. 
num.p.  222  ).  Egli  col  eh.  Hamilton  riconosce  la  si- 
tuazione di  Sailtae  nel  borgo  Sidas  Calè  posto  nella 


vincitrice  (  v.  Spicil.  num.  p.  219  ).  Analogo  si  è 
il  tipo  di  alcune  monete  di  Traiano  con  un  Daco  ge- 
nuflesso in  atto  di  sostenere  lo  scudo  di  Marte  Ulto- 
re ,  o  di  Traiano  medesimo  (  cf.  Eckhel,  Mus.  Caes. 
Traian.  n.  143  ).  Il  eh.  autore  si  tace  intorno  alla 
ragione  di  Giove  vincitore  de'  Giganti  rappresentato 
nelle  monete  di  tre  o  più  città  della  Lidia ,  e  della 
Frigia  ;  ed  io  l'avea  già  ripetuta  dalla  tradizione  che 
dicea  sconfitti  i  Giganti  medesimi  in  quelle  regioni 
(  Schol.  ad  Pind.  Pylh.  I,  31;  Diodor.  V,  71:  cf. 
Spicil.  num.  p.  219 ,  234  ).  Del  resto ,  il  partito  ar- 
tistico di  porre  i  Giganti  a  sostegno  del  trono  di  Gio- 
ve trova  il  suo  riscontro  anche  ne'  monumenti  dei 
monarchi  dell'  Assiria  (  v.  Layard ,  scoperte  di  Nini' 
ve,  volg.  Malvasia/).  159-100  ). 

Aezani.  Il  eh.  autore  ravvisa  Caligola  in  una 
testa  accompagnata  dalla  semplice  epigrafe  l'Aloe 
KAICAP  ma  quella  vuoisi  auzi  tenere  per  testa  di 
Gaio  Cesare  figliuolo  di  Agrippa ,  onoralo  da  parec- 
chie città  dell'Asia  (v. Annali  arch.  t.  XIX p.  140). 
Amorium.  Insigne  si  è  la  seguente  moneta  datane 
dal  eh.  autore  anche  in  diseguo  : 


—  14  - 


TAIOC  KAICAP.  Testa  nuda  di  Gaio  figliuolo  di 
Agrippa. 

)(  Eni  CIAOTANOT  IOTCTOT  OTi¥ANIU)N 
AMOP  (monogr.).  Aquila  stante  con  zampa  di  bue  fra 
gli  artigli,  e  con  caduceo  da  lato.  Ae.  41/, 

11  eh.  autore  lascia  io  incerto ,  se  la  testa  del  ritto 
sia  di  Gaio  figliuolo  di  Agrippa  ,  ovvero  di  Gaio  Ca- 
ligola ;  ma  la  presenza  del  cognome  OYI¥ANlU)N 
preso  dagli  Amoriani,  e  la  mancanza  del  titolo  TEPM 
o  XEB  almeno ,  pone  fuor  d' ogni  dubbio  che  sia 
veramente  testa  del  figliuolo  adottivo  di  Augusto  Gaio 
Cesare.  Egli  poi  avverte ,  che  l' istoria  non  e'  inse- 
gnale la  città  d'Amorio  ricevesse  da  Agrippa  qual- 
che insigne  beneficio;  sapendosi  soltanto  ch'egli,  nel- 
l' anno  16  innanzi  l'  era  volgare ,  comandava  una 
armata  nel  Ponto  ,  e  che  soggiornò  in  appresso  per 
qualche  tempo  nell'  Ionia.  Ma  pel  riscontro  della  no- 
vella medaglia  di  Amorio  con  Giuseppe  Flavio  siamo 
quasi  certi  che  quella  città  della  Frigia  ricevette  qual- 
che particolare  beneficio  da  M.  Agrippa.  Narra  lo 
storico  (  Ant.  Iud.  XVI,  2,2),  che  M.  Agrippa 
partendo  da  Sinope  costeggiava  per  mare  la  Paflago- 
nia  ,  e  poscia  per  terra  si  recò  ad  Efeso  attraversan- 
do la  Frigia  Maggiore  ,  ini  r^s  i*.iy<xkr\S  &pvyfói6 
ó$eJ<ra.vTSS:  ed  Amorio  era  per  appunto  situata  nella 
Frigia  Maggiore.  Del  resto  il  titolo  di  Vipsaniì  preso 
dagli  Amoriani,  anzi  che  quello  di  Agrippiani ,  ne 
porge  argomento  a  dubitare  dell'  asserto  di  Seneca 
il  declamatore  (  l.  II.  controv.  12  ) ,  che  M.  Agrip- 
pa non  amasse  ricordare  il  suo  nome  gentilizio  in 
riguardo  all'  umile  condizione  de'  suoi  maggiori.  Ri- 
guardo poi  al  tipo  dell'  Aquila,  che  stringe  fra  gli  ar- 
tigli una  zampa  di  bue ,  il  eh.  autore  confessa  igno- 
rarne il  significato  ;  ma  pel  riscontro  delle  monete 
di  Antiochia  della  Siria  col  tipo  analogo  di  un'  Aquila 
ohe  si  sia  sopra  una  coscia  di  bue  ,  in  riguardo  al  pre- 
teso portento  avvenuto  nella  fondazione  di  quella 
metropoli  (Eckhel  t.  ///.  p.  194) ,  gli  è  molto  pro- 
babile che  gli  Amoriani  vantassero  un  simile  prodi- 
gio riguardante  la  fondazione  di  A'/xópiov  ,  che  pote- 
rono considerare  qual  nome  composto  dell' a  pri- 
vativo od  intensivo  e  della  voce  \x6ftoi  in  significato 
di  membro.  Del  resto ,  il  eh.  autore  mostra  non  es- 


sersi accorto  ,  che  questa  moneta  era  di  già  stata  pub- 
blicata ,  ma  inesattamente  ,  dal  Pellerin  (  Ree.  pi. 
CXXXIII,  6 ,  p.  233) ,  che  male  l'attribuiva  a  Ma- 
gnesia dell'  Ionia  leggendo  €111-  CIAOTANOT-  K- 
IOTCTIINOT  •  CI*ANI00N-  MAr.  Nel  fitto  poi  sì 
il  Pellerin  come  l' Eckhel  (  t.  II.  p.  526  )  ravvisa- 
rono senza  meno  la  testa  di  Gaio  Cesare  figlio  di 
Agrippa. 

Appia.  Il  dotto  Borrell  primo  pose  in  luce  due  mo- 
nete autonome  di  Appia  ,  ed  il  eh.  autore  ne  diede 
la  prima  imperiale  ,  la  quale  è  come  segue  : 

M  •  IOTAIOC  •  $IAinnoC  •  ATT.  Testa  radiata 
di  Filippo  il  figlio.) 

)(  Eni-  ATP-ANTEPaTOr>ZOTIK-  APX- A- 
AnniANUN.  Giove  aetoforo  stante.  Ae.  7. 

Io  credo  di  poterne  aggiungere  altra  imperiale  rei» 
lificando  la  seguente  descritta  dal  Seslini  (  Leti.  num. 
t.  IV.  f».  124  :  cf.  Mionnet,  descr.  n.  265): 

M  •  OTAKIAIA  •  CEOTHPA  ■  C  ■  Testa  di  Ola- 
cilia. 

X  Eni  •  ATP  •  ANTEPOTOC;  ZfìTIK .  APX  . 
AnAMEQN.  Figura  virile  stante  con  patera  nella  d.  e 
con  asta  nella  s.  Ae.  7. 

L'identità  del  magistrato,  e  fors'  anche  del  tipo,  e 
del  modulo  della  moneta,  mostra  che  il  Sestini  avve- 
nutosi in  un  esemplare  in  parte  logoro  e  difettoso , 
colla  solita  sua  franchezza  lesse  AdAMEQN  invece  di 
AnniANi2N  :  tanto  più  che  nelle  monete  certe  degli 
Apamei  della  Frigia  insignite  delle  teste  dei  due  Filippi 
e  di  Otacilia  ricorre  costantemente  un  magistrato  ben 
diverso,  cioè  M-  AYP-  AA€3ANAPOT.  B-  APXI, 
e  diversi  altresì  sono  i  tipi.  Col  tempo  dovrebbe  torna- 
re a  luce  anche  qualche  medaglia  degli  Appiani  con  la 
testa  di  Filippo  il  padre.  Quella  del  figliuolo  suo  col 
titolo  ÀYrovtrros  non  può  essere  anteriore  alle  Palilie 
dell'anno  millesimo  di  Roma  (  Eckhel  t.  VII  p.  335: 
cf.  Borghesi,  dipi,  di  Tr.  Decio  p.  15  J;  anzi  gli  Ap- 
piani avranno  verisimilmente  impresse  quelle  loro 
medaglie  nel  detto  anno  1000 ,  o  nel  susseguente 
1001  ,  per  far  eco  nelle  feste  celebrate  in  Roma.  Il 
eh.  autore  da  prima  disse  col  Borrell,  che  gli  Appia- 
ni della  Frigia  non  trovaosi  memorati  che  solo  da 
Plinio    Nat.  hist.  V,  %9),  e  nelle  notizie  ecclesiasti- 


lo  — 


che  ;  ma  poscia  avvertì ,  che  ne  fecero  menzione 
anche  Polibio  e  Cicerone.  Polibio  (  hist.  V,  77  )  ri- 
corda tò  'XwltxS  wsSiov,  che  pare  fosse  situato  in  sui 
contini  della  Misia  ;  e  gli  Appiani  di  Plinio  sembrano 
diversi  perchè  spettavano  al  convenlus  di  Synnada 
assai  distante  da  quei  confini.  Inoltre  la  scrittura  stes- 
sa Appia  ,  Appiani,  con  doppia  p  ,  mostra  che  que- 
sta città  avesse  il  nome  da  un  Appius  Romano  del 
pari  che  i  Fulviani  da  un  FidviusoFulvus,  come  di- 
remo qui  appresso.  Cicerone  [adFam.  IH  ep.  7,  et 
9  )  ricorda  più  volte  gli  Appiani  della  Frigia ,  che 
nel  703  intendevano  erigere  un  monumento  in  onore 
di  Appio  Claudio  Pvdcro ,  antecessore  di  Cicerone 
medesimo  nel  proconsolato  della  Cilicia  ,  alla  quale 
in  allora  apparteneva  la  diocesi  di  Sinnada  staccala 
per  breve  tempo  dalla  Frigia  (Borghesi,  Dee.  V, 
8:  XIV,  8).  Gli  Appiani ,  se  furono  sì  premurosi  per 
onorare  Appio  Pulcro,  gli  è  assai  verisimile  ch'egli- 
no avessero  ricevuto  insigni  beneQciida  esso  lui  allor 
ch'egli  governava  quella  provincia,  o  in  prima  men- 
tre militava  in  Asia  sotto  Lucullo  cognato  suo  (  Bor- 
ghesi /.  e);  e  quindi  ancora  che  dal  prenome  di  esso 
lui  si  cognominassero  Appiani ,  siccome  poscia  gli 
Amoriani  si  dissero  Vipsanii  dal  nome  del  loro  be- 
nefattore M.  Agrippa. 

Bruzus.  Singolare  si  è  il  tipo  della  Vittoria  sen- 
s' ale  in  una  moneta  de'Bruzeni  descritta  dal  eh.  au- 
tore (cf.  Annali  archeol.  t.  XI  p.  IZ-.XVHp.  174). 
I  Bru zi-ni  forse  erano  Macedoni  d'origine,  come  i 
Docimei  ed  i  Pelteni,  e  vantar  poterono  di  derivare 
da  Bpovffos  figliuolo  di  Emalio  ,  che  die  il  nome  ad 
una  regione  della  Macedonia  delta  BpOfffJs  (  Steph. 
s.  v.  ). 

Cudù  11  preteso  Giove  stante  con  asta  e  con  cadus 
nella  mano ,  sarà  probabilmente  Bacco  con  tirso  e 
cantaro.  L'allusione  sarebbe  di  troppo  ricercata  e 
men  degna  del  re  de'numi.  La  sigla.  I.  posta  per  hv- 
"Kiou  (  n.  3  ) ,  e  che  ricorre  anche  in  una  moneta  di 
Focea  dell'  Ionia  con  I'-  I-  OTH-  MASlMOC  (  Mus. 
Est.  e  Wellenh.  n.  5589),  trova  ora  parecchi  ri- 
scontri anche  ne'  titoli  epigrafici  (  Annot.  al  C.  I.  Gr. 
n.  3545). 

Cibyra.  11  eh.  autore  ne  dà  la  descrizione  ed  il  di- 


segno di  una  moneta  di  Cibira  di  Elagabnlo  con  l'anno 
HIP  (193),  e  d'altra  di  Alessandro  Severo  con  l'anno 
AC  (201)  dell'epoca  di  Cibira,  che  secondo  PEckhel 
ebbe  principio  dall'anno  Varroniano  776  in  riguardo 
alla  riedificazione  di  quella  città,  rovinata  dal  terre- 
molo  ,  fattasi  per  beneficio  di  Tiberio.  Ora  l' anno 
rSP  (193)  della  moneta  di  Elagabalo  datane  dal  eh. 
autore  richiederebbe  che  il  cardine  di  quelP  era  si 
procrastinasse  fino  al  779  o  780,  poiché  egli  ascese 
all'  impero  nel  971;  ma  dubito  molto  che  nella  mo- 
neta del  eh.  autore  si  debba  leggere  «^SP  (190),  in- 
vece di  rSP,  come  fece  ilSestini  in  altra  simile  (Dc- 
ser.  num.  vet.  p.  459);  tanto  più  che  in  altre  mo- 
nete di  Cibira  stessa  l' episemon  vau  ha  forma  ana- 
loga (v.  Mionnet,  sup.  n.  249: cf.  Noris  Epist.  con- 
sumar. j).88),sì  che,  qualora  fosse  logoro  nella  parte 
sua  inferiore ,  può  di  leggieri  prendersi  per  un  r. 

Del  resto  ,  il  principio  dell'  era  di  Cibira  dee  ri- 
tardarsi fino  all'anno  777,  perchè  v'ha  una  moneta 
di  Etruscilla  Augusta  coll'anno  <rKC(22G),  la  quale 
non  può  essere  anteriore  al  1002  (v.  Mion.  Sup.  ». 
255).  Vero  è  che  nel  776  ,  auctore  Tiberio,  factum 
senatusconsultum,  ut  civitali  Cibyraticae  subveniretur 
remissione  tributi  in  ir iennium  (Tacìt.  annoi.  IV,  15); 
ma  l' effetto  di  quel  decreto  ed  il  principio  del  re- 
stauro e  della  riedificazione  avrà  incominciato  nel- 
l'anno  appresso.  Che  poi  l'era  di  Cibira  prendesse 
realmente  origine  dalla  riedificazione  di  quella  città, 
ora  è  posto  fuor  d'ogni  dubbio  da  un'iscrizione  (C. 
I.  Gr.  n.  4380,  v;  voi.  Hip.  1167  ),  nella  quale 
1'  anno  d' essa  XLIX  è  detto  ìroi  rrf  xriffeeus. 

Fulvia.  Il  eh.  autore  ne  diede  il  disegno  e  la  de- 
scrizione seguente  di  una  moneta  nuova  e  di  somma 
importanza. 

Teìta  di  Fulvia  alata  a  guisa  delle  leste  della  Vit- 
toria. 

X*  <  rrAOTIANfìN  ZMEPTOPiro  *IAONIAOT. 
Pallade  gradiente  con  asta  nella  d.  e  con  clipeo  nella  s. 

Ae.  5. 

Il  eh.  autore  propende  a  credere ,  che  Eumenia 
della  Frigia  prendesse  il  titolo  di  Fulvia  o  Fulviana 
dal  nome  della  prima  moglie  di  M.  Antonio,  in  onore 
del  triumviro,  che  negli  anni  712  e  713  era  uell'  A- 


—  16- 


sia  inteso  a  ricomporre  le  provincie  turbate  dalle 
guerre  civili  ;  ed  appoggia  la  sua  congettura  segnata- 
mente sopra  la  somiglianza  dell'  acconciatura  della 
chioma  della  supposta  Fulvia  con  quella  di  Ottavia 
seconda  moglie  di  M.  Antonio  medesimo.  Io  dubito 
molto  della  giustezza  delle  sue  congetture  e  di  quelle 
del  eh.  Duchalais  ,  sopra  le  quali  in  gran  parte  si 
fonda.  La  testa  di  Ottavia  nelle  monete  di  M.  Anto- 
nio ha  talora  un'  acconciatura  in  parte  simile  a  quella 
della  testa  della  Vittoria  della  moneta  de'  Fulviani  ; 
ma  in  altre  monete  di  stile  migliore  ella  ha  tutt'altra 
acconciatura,  segnatamente  in  quelle  di  M.  Oppio 
Capitone.  11  eh.  Duchalais  (Revue  num.  1853/).  50- 
55  )  prelese  di  ravvisare  Ottavia  in  diverse  monete 
Romane ,  ritratta  in  sembianza  della  Vittoria  ,  sen- 
z'  altro  appoggio  che  dell'acconciatura  della  chioma, 
che  poi  non  sussiste  in  tutto,  come  detto  è  di  sopra, 
e  del  naso  aquilino  ,  che  falsamente  si  attribuisce  ad 
Ottavia,  mentre  eh'  ella  nelle  monete  certe  ha  linea- 
menti regolari  e  somiglia  molto  al  fratello  suo  Otta- 
viano (v.  Annali  arch.  t.  XXII p.  168,  169,  202). 
Falsa  poi  di  certo  si  è  la  congettura  di  M.  Numo- 
phile  lodata  e  seguita  dal  Duchalais,  che  Ottavia  sia 
ritratta  in  sembianza  della  Vittoria  ne'  quinarii  di  M. 
Antonio  impressi  in  Lione  della  Galliaj  poiché  quelle 
monete  sono  anteriori  alle  nozze  di  Ottavia  medesi- 
ma con  M.  Antonio  (cf.  Eckhel  t.  VI,  p.  38-39).  Ora 
tornando  a  Fulvia,  ella  nel  713  era  in  Italia  intenta 
ad  accender  la  guerra  Perugina  contra  il  giovine  Ce- 
sare ,  e  vinta  si  ritirò  in  Grecia  ,  soffermandosi  in 
Atene  e  poscia  in  Sicione,  ove  infermò  e  morì,  ram- 
pognata e  non  curata  dal  marito,  che  era  di  già  preso 
d' amore  per  Cleopatra  (Appian.  B.  Civ.  V,  50-59); 
e  quindi  non  dovea  pensare  ad  onorarla  in  Asia,  ove 
il  suo  soggiorno  non  dovette  riescir  troppo  grato  , 
poiché  vi  facea  incetta  di  pecunia  per  lo  stipendio  delle 
milizie  dopo  la  vittoria  di  Filippi  (Plut.  in  Ant.  23, 
24  ).  Vorrei  anzi  congetturare,  che  i  *OTAOTIANOI 
della  medaglia  si  nomassero ,  come  gli  Appiani,  dal 
nome  o  cognome  di  un  preside  che  li  beneficasse  di 


molto  ,  come  a  dire  da  L.  Fulvio  Rustico  Emiliano 
preside  forse  della  Galatia  sotto  M.  Aurelio  (  C.  I. 
Gr.  n.  4012:  cf.  Giorn.  Arcad.  t.  XXIIp.  69-71), 
ovvero  da  T.  Aurelio  Fulvo  Antonino  ,  che  poscia 
fu  meritamente  innalzato  all'impero,  e  che  intorno 
all'anno  130  proconsulatum  Asiae  sic  egit ,  ut  solus 
avum  vinceret  (Capitol.  in  Antonin.  3:  cf.  Plin.  IV 
epist.  3).  L'acconciatura  della  testa  della  Vittoria 
nella  moneta  de'  Fulviani  a  bastante  confronta  con 
quelle  di  Marciana  ,  e  di  Sabina  moglie  d'  Adriano  ; 
lo  che  bene  sta ,  se  la  moneta  fu  impressa  nel  pro- 
consolato di  Antonino  Pio ,  o  non  molto  dopo.  Ma 
ciò  sia  detto  per  semplice  congettura  ;  tanto  più  che 
il  eh.  autore  non  indicò  la  maniera  della  fabbrica  e 
dello  stile  di  questa  né  dell'  altre  monete  da  sé  pri- 
mamente pubblicate;  lo  che  molte  volte  avrebbe  po- 
tuto servire  ad  argomentarne  1'  età  approssimativa. 
Continua  C.  Cavedoni. 

Anello  di  oro  recentemente  introdotto  nel  Real  Museo 
Borbonico.  Supplemento  alla  pag.  478  dell'anno  III 
di  questo  bullettino. 

Nel  parlare  dell'artista,  che  incise  il  prezioso  anello 
di  M.  Bruto ,  noi  ne  leggemmo  il  nome  . . .  ANA- 
SlAAS  ,  non  altrimenti  che  parve  al  eh.  Comm. 
Quaranta  ,  quando  lesse  la  sua  illustrazione  di  quel- 
1'  importante  monumento.  Posteriormente  ci  è  riu- 
scito di  osservare  una  impronta  della  incisione  ,  e  da 
essa  ci  siamo  convinti  che  i  tre  che  apparivano  pun- 
tini sono  in  fatti  due  lettere  in  massima  parte  distrut- 
te ,  ma  che  tuttavia  sono  riconoscibili  agli  occhi  di 
un  attento  osservatore.  Da  questa  impronta  vengono 
pur  diversamente  determinate  alcune  altre  lettere;  e 
tutta  la  parola  sorge  evidente  ,  offrendoci  il  nome 
HPAKAEIAAS.  Adunque  il  novello  artista  ricor- 
dato dall'anello  del  Real  Museo  non  è  già  Anassilao, 
ma  Eraclide  (  'HpaxW&xs  )  ;  del  quale  neppur  tro- 
viamo alcun*  memoria  presso  gli  antichi  scrittori , 
né  in  altri  analoghi  monumenti.  Minervini. 


Giglio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BILLETTLVO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  77.     (  3.  dell' anno  IV.) 


Agosto  1855. 


Notizie  de  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Continuazione  del  n.  SS. 


Notizie  de'pià  recenti  scavi  di  Pompei.  Continuazione 
del  n.  55. 

Essendosi  proseguita  la  scavazione  nelle  nuove 
tenne  alla  strada  slabiana ,  non  sarà  fuor  di  luogo 
offrirne  la  esatta  descrizione  ,  rettificando  pure  qual- 
che osservazione  da  noi  precedentemente  presentata. 

Prima  però  di  parlare  de' Bagni,  vogliamo  annun- 
ziare che  si  è  interamente  disgombrala  dalle  terre  la 
strada  di  Olconio,  la  quale  mena  direttamente  al  Fo- 
ro, e  che  perciò  potrebbe  assai  bene  denominarsi  la 
strada  del  Foro.  E  ci  sembra  da  ricordare  il  curioso 
programma  ivi  rinvenuto,  e  da  noi  prima  riportato, 
ave  si  leggea  Forenses  rogant  (an.  II  pag.29)  :  il  quale 
si  mostra  adattatissimo  ad  una  regione  tanto  vicina  a 
quel  pubblico  edifizio. 

Non  piccola  è  stata  la  messele'  programmi  dipinti 
col  pennello  di  rosso  o  di  nero  sulle  esterne  pareti 
che  costeggiano  a  dritta  ed  a  sinistra  la  via;  e  noi  ag- 
giungiamo a  quelli  già  pria  riferiti  (an.  II  p.  48  seg.) 
gli  altri  più  recentemente  venuti  fuora. 

Cominciamo  da  quelli  segnati  sui  pilastri  a  sinistra. 


CASELLIVM 

3 
••  7MAED 
•ROGAMVS 
4 
CAPELLAM 
D.VIDOVF(mon.) 
5 
POPIDIVM  •  AED 
PROCVLVS • RÓG 
6 
SECVNDVM 

AED  •  0  '  V  *  F 

Tutti  i  sopra  riferiti  programmi  sono  segnati  di 
rosso  colore. 

E  di  nero  il  seguente  : 


L  •  CEIVM  •  SECVM  hvir  ■  ovf  (mon.) 

AMIVLL1VS  •  COSMVS  •  CVM 

ARIOROG 


LOLLIVM  •  FVSCVM 

AED  •  OVF  (mon) 
L  •  POPIDIVM  •  RVFVM 
HVIR  •  SEVERVS  •  ROG 

Questo  programma  è  scritto  di  rosso.  E  probabile 
che  questo  Loliio  Fusco  sia  lo  stesso,  di  cui  si  accenna 
in  altro  vicino  programma  col  semplice  cognome  FV- 
SCVM (an.  Hpag.  27). 

ANNO  IY. 


Non  pare  da  dubitare  che  il  SECVM  sia  un'  ab- 
breviazione di  SECVNDVM ,  essendo  già  noto  il  L. 
Ceio  Secondo  per  altri  programmi  (an.  Ip.  185,  an. 
II  pag.  49).  L'abbreviazione  SECVM  per  SECVN- 
DVM non  è  dissimile  dal  POSTI  VM  per  POSTVMIVM 
di  altra  vicina  iscrizione  relativa  a  Q.  Postumio  Pro- 
culo (an.  II  pag.  50).  Notevoli  sono  i  nomi  Amiul- 
lius  Cosinus,  il  secondo  de'  quali  ha  greca  derivazio- 
ne ;  e  nel  primo  pare  da  ravvisare  una  particolare 


—  18—. 


pronunzia  del  nome  Amuìlius,  la  quale  non  dee  sem- 
brare strana  in  un  popolo  osco  ,  nel  cui  dialetto  si 
vede  assai  spesso  17  precedere  Vu  :  come  tiurri,  Niu- 
meriis  eie.  Benché  sia  molto  chiaro  il  floirnento 
...  ARIO  nella  terza  linea,  pure  non  ci  attentiamo  di 
diffinire  le  lettere  che  lo  precedono;  sicché  rimane  nel 
dubbio  il  nome  di  colui  che  uni  vasi  con  Amulio  Co- 
smo a  domandar  per  duumviro  L.  Ceio  Secondo. 

8.  Segue  di  rosso  la  voce  QV1NQ...,  solo  residuo 
di  altro  programma  perduto  ,  il  quale  aveva  proba- 
bilmente rapporto  ad  un  quinquennale. 

Scritto  di  rosso  è  il  seguente 


ferente  programma,  attesa  la  diversità  del  colore;  se 
pure  dir  non  si  voglia  che  venne  posteriormente  ag- 
giunta da  mano  diversa  da  quella  che  segnò  la  pri- 
mitiva iscrizione.  Non  sarà  fuor  di  luogo  il  rammen- 
tare ch'è  probabilmente  lo  stesso  Q.  Postumio  Mode- 
sto che  trovasi  come  duumviro  in  una  epigrafe  pom- 
pejana  (Mommsen  inscr.  r.  neap.  lat.  n.  2224). 
Su'  pilastri  a  destra  si  leggono  i  seguenti 

14 
L  •  POPIDIVM  •  L  •  F  .  AED 
D • R • P • 0*  •  P • V  •  N 


LICINIVM  •  FAVSTINVM 

AED-OVF(mon.) 
10 

HVIR 


S1TTIVM  •  CON1VNCTVM 
HERACLA  •  ROGAT 


I.  D. 


È  pur  notabile  il  cognome  Coniunctus  di  Sittio; 
laddove  per  altri  programmi  conoscevamo  Sillio  Ma- 
gno acclamato  duumviro  con  C.  Calvenlio  (an.  II  p. 
27  ).  Dobbiamo  probabilmente  riconoscere  nella  se- 
conda riga  un  nome  servile. 

11 
LOLLIVM 

AEn  (mon.)  in  seno  dell' 0 
AGNA • RO 

Sono  alquanto  dubbiose  le  lettere  dell'  ultima  li» 
nea,  essendo  molto  cancellate  dal  tempo. 

12 

VlBIVM   " 

TIR 
13 

Q.  POSTVMIVM 

MODESTVM  •  [QjVINQV  ■  (rosso) 

VICINI ■•  -(nero) 

Pare  che  la  parola  vicini  appartenga  ad  altro  dif- 


L.  Popidio  è  giudicato  dignus  rei  publicae.  Noi 
opiniamo  che  le  sigle  P.  V.  N.  sieno  destinate  ad  in- 
dicare il  P.  Vedio  Nummiano  domandato  per  edile 
in  altro  programma  già  da  noi  riportato  (p. 59  an.I). 

Segue  di  rosso  la  seguente 


15 
MODESTVM  •  QVIN 


e  poi  di  nero 

SAGATA  •  ROGAT 

Non  saprei  se  nella  dubbia  xoce  Sagata  debba  rav- 
visarsi un  nome  proprio ,  ovvero  un'  allusione  alla 
turba  sagata,  cioè  a  dire  alla  numerosa  classe  adorna 
del  militare  sago. 

16 
L  •  POPIDIVM- LF- AED 
IVVENEM  •  DIGNISSIM  •  ROG 
17 
PANSAM  •  AED 

Cosi  ci  è  sembrato  doversi  leggere  questo  pro- 
gramma ,  che  appare  di  caratteri  molto  trascurati  • 
strani. 

18 
HOLCONIVM  •  AED 
19 
L  •  POPIDIVM  •  AED 


—  19  — 


20 
Q  •  POSTVMIVM  •  PROCYLVM  ■  AED  •  OVF 

21 


M  ■  GAVIVM 


HVFVM 


u'vir  -ovf  (mon.) 
22 
NVMMIANVM 

È  probabilmente  lo  stesso,  di  cui  si  è  detto  di  so- 
pra n.  14. 

23 
CE1VM-  SECVNDVM-  Fi"  VIR- 1  D-  POSTVMIV ... 

Debbo  finalmente  avvertire  cbe  nel  sinistro  lato 
della  strada  alla  esterna  faccia  di  un  pilastro  leggesi 
graffito  suir  intonico  il  numero  VMS  —  cioè  8  */s. 

In  altro  pilastro  esterno  a  destra,  essendo  recen- 
temente caduto  l'iutonico,  è  comparsa  incisa  profon- 
damente in  una  delle  grandi  pietre  cbe  compongono 
il  pilastro  ,  la  seguente  iscrizione. 

VALES 
STRONNIVS 
VENVSTVS 

SEST1US 

A  noi  sembra  cbe  debbano  riconoscersi  i  nomi  di 
due  persone ,  delle  quali  si  è  fatto  precedere  al  no- 
mai il  cognomen  :  siccome  non  di  rado  incontra  pure 
in  meno  trascurate  iscrizioni.  Ciò  si  desume  ancora 
dal  vedere  i  cognomi  più  rientranti  de'  nomi,  per  mo- 
strarne materialmente  la  differenza.  11  primo  è  uuo 
Stronnius  Vales  (cioè  Valens),  il  secondo  un  Seslìus 
Venustus.  Avverto  pure  cbe  forse  lo  stesso  nome 
Stronnius  dee  ravvisarsi  in  altra  iscrizione  pompe- 
iana ora  nel  real  Museo  Borbonico  (  Mommsen  n. 
2276),  e  che  la  derivazione  di  quella  voce  è  dal  gre- 
co crpwvuyju. 

Vengo  ora  a  dar  la  descrizione  delle  parti  finora 
scoperte  delle  tenne,  rettificando  insieme  alcuna  cosa 
precedentemente  avanzata. 

Cominciando  dall'entrata  verso  la  strada  Stabiana, 


ricordo  che  dopo  la  piccola  sala  di  trattenimento  da 
noi  altrove  descritta  (  an.  II  p.  1  43  ,  s.,  e  an.  Ili  p. 
33),  vedesi  a  destra  un'apertura  da  cui  si  passa  nel 
corridojo  anche  in  parte  precedentemente  descritto 
(an.  II  p.  146).  Ora  è  da  notare  che  questo  corri- 
dojo è  interamente  scoperto;  e  da  ciò  si  è  potuto  ve- 
dere che  le  due  fabbriche  sporgenti  all'  esterno  del- 
l' edifizio  sul  marciapiede  della  strada  Slabiana  non 
sono  conserve  di  acqua,  ma  sibbene  destinale  a  dar 
maggior  aria  in  quello  stretto  compreso.  Di  fatti  il 
loro  suolo  non  si  profonda;  ed  appajono  per  tutta  la 
estensione  del  corridojo  tubi  di  piombo  di  maggiore 
o  minore  grossezza ,  alcuno  di  grandissime  dimen- 
sioni, i  quali  servivano  a  portar  le  acque  da  qualche 
esteriore  piscina  nell'interno  del  bagno.  Verso  il  ter- 
mine di  questo  corridojo ,  e  poco  prima  di  giugnere 
all'estremo,  ov'è  altra  porta  aperta  sul  marciapiede, 
vedesi  una  scaletta  di  fabbrica  di  mattoni ,  perchè 
ascender  si  potesse  a' siti  più  elevali  delle  terme. 

Nulla  di  nuovo  abbiamo  ad  aggiugnere  sulla  sala 
di  trattenimento,  ospogliatojo  (apodylerium),  di  cui  già 
presentammo  la  esatta  descrizione  (an.  II  p.145,  an. 
111.  p.  33  ).  Né  tampoco  alcuna  cosa  di  nuovo  dire- 
mo del  calidario;  se  non  cbe  fu  da  noi  omessa  la  par- 
ticolarità che  a  breve  distanza  da'muri  vedesi  un'ope- 
ra laterizia  di  esile  grossezza,  perchè  le  pareti  costi- 
tuissero quasi  una  stufa,  riscaldate  dal  calore  prove- 
niente dall'  ipocausto. 

Essendosi  compiuto  lo  scavo  del  calidario  ,  si  è 
potuto  verificare  che  ad  esso  a  ve  vasi  un  solo  ingresso 
dallo  spogliatojo  ,  e  non  già  dall'altra  piccola  sala 
colla  volta  adorna  di  stucchi  colorati;  siccome  fu  per 
equivoco  da  noi  altrove  opinato  (  an.  Ili  p.  33  ).  La 
piccola  sala  innanzi  accennata  fu  pure  da  noi  descrit- 
ta; ed  ora  se  ne  veggono  riprodotti  gli  stucchi  nella 
splendida  opera  de' signori  Niccolini ,  da' disegni  del 
diligentissimo  artista  sig.Ahbnle(7mne/)r«.wo  la  porla 
Stabiana  lav.H-IIII).  È  poi  da  notare  che  nella  por- 
zione di  muro  superiore  all'apertura  di  quella  stanza 
verso  il  porticato,  di  che  diremo  tra  poco,  vedesi  un 
quadro  ove  a  bassorilievo  di  stucco  è  figurata  traile 
onde  una  Ninfa  marina  seminuda  con  panno  svolaz- 
zante, sdrajata  sopra  unapistrice.  Sono  intorno  Amo- 


—  20  — 


rini  e  graziosi  ornali  anche  di  stucco,  i  quali  si  veggo- 
no ora  pubblicati  nella  citata  opera  di  Niccolini. 

Ne'  muri  laterali  di  questa  elegantissima  sala  sono 
pi  attuale  quasi  fra  loro  a  rimpetto  due  aperture:  e  da 
quella  a  destra  si  ha  l'entrata  al  bagno  o  cella  frigi- 
daria.  Tutta  la  vasca  era  in  origine  rivestita  di  bian- 
co marmo,  ma  ora  non  rimangono  del  rivestimento 
che  soli  pochi  residui.  Sono  nella  circolare  superfi- 
cie interna  pratticati  quattro  nicchioni  circolari,  per 
dar  ricovero  a  coloro  che  uscivano  dal  bagno,  o  che 
si  preparavano  a  discendervi.  Una  volta  di  bellissime 
proporzioni  ricopriva  la  vasca  ,  ma  la  porzione  su- 
periore è  in  parte  caduta. 

Di  fronte  alla  entrata  del  bagno  è  una  piccola  nic- 
chia anche  circolare  destinata  forse  per  edicola.  Si 
ha  ragion  di  credere  che  per  entro  questa  nicchia  di- 
scendesse il  canale  di  piombo,  che  rivolgendosi  a  si- 
nistra, e  percorrendo  parte  del  muro  discendeva  sino 
alla  vasca  per  portarvi  l' acqua  dall'  alto.  Dobbiamo 
non  pertanto  avvertire  che  di  questo  tubo  non  si  è 
rinvenuto  alcun  residuo.  Al  suolo,  e  nella  porzione 
della  vasca  opposta  a  questa  piccola  nicchia  ,  vedesi 
un  foro  con  pendenza  all'  esterno ,  e  questo  era  cer- 
tamente destinato  allo  scolo  delle  acque ,  per  liberar 
dal  liquido  già  insozzato  la  vasca  da  bagno.  Nel  fondo 
della  vasca  elevasi  un  sedile  circolare  ,  che  però  non 
occupa  la  intera  circonferenza  ;  vedendosi  più  esleso 
nel  sito  corrispondente  all'ingresso  della  cella  frigi- 
daria,  e  meno  nella  opposta  porzione  corrispondente 
alla  piccola  nicchia  o  edicola.  Nelle  terme  pompejane 
anticamente  scoperte,  un  tal  sedile  si  osserva  unica- 
mente nel  sito  ov'  è  la  entrala  al  bagno. 

Le  pareti  sono  graziosamente  dipinte.  Le  nicchie , 
come  si  rileva  da  quelle  che  offi  ouo  i  dipinti  più  con- 
servati, presentano  per  ornamento  vasi,  con  piante  ed 
augelli,  in  fondo  cilestro.  Dal  mezzo  di  uno  di  questi 
vasi  apparisce  pollare  l'acqua,  quasi  fosse  il  getto  di 
una  fontana  :  e  ciò  è  ben  conveniente  alle  idee  che 
risvegliar  si  dovcano  alla  presenza  di  un  bagno. 

Lo  spazio  che  resla  fralle  due  nicchie  a  destra  del- 
l'entrala, offre  un  Sileno  sdrajalo  fra  piante  ed  uccel- 
li. Lo  spazio  di  contro  è  occupalo  dalla  figura  di  una 
Ninfa,  o  piuttosto  Ermafrodito  giacente  pur  fra  piante 


ed  uccelli.  Essa  è  veduta  di  schiena;  siccome  non  po- 
che volte  comparve  nelle  pompejane  pareti.  É  spia- 
cevole che  questi  dipinti  sieno  in  grandissima  parte 
perduti.  Ma  fortunatamente  ci  furono  conservati  dal 
sig.  Abbate,  che  diligentemente  li  ritrasse  nella  loro 
prima  comparsa  :  avendo  immantinenli  sofferto  dal- 
l' aria  atmosferica.  Difalti  vedesi  ora  la  pubblicazione 
del  Sileno  nella  tav.  VII  dell'  opera  de'  signori  Nic- 
colini ,  ed  una  gran  parte  de'  dipinti  all'  esterno  del 
bagno  nella  tav.  VI  ove  si  presenta  il  taglio  della  cella 
frigidaria. 

Non  mi  resta  altro  a  notare  in  questa  parte  delle 
terme  ;  se  non  che  al  cominciar  della  curvatura  della 
volta  vedesi  una  cornicelta  di  stucco  ,  con  ornamen- 
to di  foglie  e  di  ovoli.  Riuscendo  alla  piccola  sa- 
la o  exedra ,  di  cui  fu  detto  innanzi ,  dall'  aper- 
tura del  muro  laterale  sinistro  si  accede  in  un  piccolo 
corridoio  con  pavimento  signino ,  ove  scorgesi  a  de- 
stra un  sedile  ,  per  potervisi  adagiare.  Le  pareti  di 
questo  corridoio  sono  dipinte  di  rosso ,  con  fasce 
gialle  e  nere.  Veggonsi  nel  campo  taluni  festoni,  un 
bianco  cigno ,  e  nel  sinistro  muro  meglio  conservato 
appajono  tre  quadretti  con  molli  vasi  insieme  collocali 
e  riuniti.  Questo  corridojo  ha  due  braccia  ,  ed  uno 
metteva  originariamente  alla  strada  del  Foro ,  per 
mezzo  di  una  porta  già  anticamente  murata.  Lo  slesso 
corridojo  dava  l'ingresso  ad  un  ultimo  compreso 
quasi  quadrato  ,  di  cui  non  sapremmo  determinare 
1'  uso.  Il  pavimento  è  di  terra  battuta  :  l' intonico  dei 
muri  è  bianco,  e  non  vi  si  vede  alcuno  ornamento. 
Aveva  questo  compreso  due  spaziose  finestre  verso 
il  corridojo  una  per  ciascun  braccio ,  e  la  superficie 
superiore  di  queste  finestre  era  rivestita  di  lastre  di 
bianco  marmo  ,  di  cui  ora  appariscono  i  residui.  Po- 
trebbe conghietturarsi  che  questa  ultima  stanza,  pros- 
sima alle  porte  per  le  quali  uscivasi  dalle  terme , 
fosse  appunto  destinata  a'  custodi  di  quello  stabili- 
mento ,  i  quali  dalle  ampie  e  basse  finestre  aperte  ai 
due  lati ,  potevano  agevolmente  guardare  coloro  che 
vi  si  erano  introdotti.  Dal  descritto  corridojo  passa- 
tasi nel  porticato  ,  di  cui  dovremo  discorrere  ,  e  dal 
quale  si  aveva  pure  un'  altro  ingresso  al  bagno  per 
mezzo  di  soglia  di  bianco    marmo ,    che   conduce 


—  21  — 


Ha  sala  di  trattenimento  o  esedra,  della  quale  fu 
unanzi  ragionato.  Ora  veniamo  a  descrivere  breve- 
nente  il  peristilio ,  da  cui  si  aveva  1'  accesso  alle 
erme  ,  ed  ove  dalle  medesime  era  lecito  far  passag- 
gio. Aveva  questo  una  doppia  entrata  ,  l' una  dalla 
traila  del  Foro  ,  e  l' altra  di  rimpetto  ,  della  quale 
lerò  non  ci  è  permesso  discorrere  ,  perchè  tuttavia 
ngombra  dalle  terre  insieme  colle  altre  parti  dell'edifi- 
io  messe  a  destra  del  calidario:  ed  è  per  questo  motivo 
he  ci  asteniamo  di  favellarne.  Può  solamente  argo- 
aentarsi  da  quello  che  apparisce  della  eutrata  a  de- 
tra  ,  che  l' aggiustamento  architettonico  non  ne  fosse 
nollo  dissimile  dall'altro  che  le  di  fronte:  il  che  sarà 
)0Ì  meglio  chiarito  da  ulteriori  scavazioni. 

Dunque  dalla  strada  del  Foro ,  mercè  uno  scalino 
li  travertino  ,  si  passa  in  un  nobile  protiro  pavi- 
nentato  a  grosse  lastre  di  travertino:  ed  è  notevole 
:he  su  di  queste  si  ravvisano  i  segni  della  chiusura 
olo  verso  la  strada  ,  non  già  verso  l' interno  atrio  a 
:ui  dava  l' adito.  Lo  zoccolo  di  questo  vestibolo  è 
lero  con  riquadri  piante  ed  altri  ornamenti.  I  muri 
on  rossi  ,  con  parli  di  giallo  e  di  bianco ,  e  con 
)lutei  ed  altri  semplici  ornati.  Un  sol  quadretto  ap- 
>arisce ,  ove  si  vede'  una  colonnetta  con  vaso  al  di 
opra  ;  presso  è  un'  aretta  o  base  con  altro  vaso ,  ed 
n  mezzo  un  ariete  pascente.  Veggonsi  pure  nel  cana- 
io rosso  alcuni  Grifi  volanti.  Dopo  il  descritto  pro- 
iro  si  passa  ad  un  largo  atrio  o  cortile  quasi  rettan- 
;olare ,  continuando  il  pavimento  di  lastre  di  tra- 
vertino per  uno  spazio  eguale  alla  larghezza  del  ve- 
itibolo  ;  e  solo  all'ultimo  del  peristilio  evvi  una  pìc- 
cola soglia  di  marmo  della  medesima  estensione. 
Questo  atrio  è  per  tre  lati  circondalo  di  colonne  , 
:he  costituivano  un  porticato  coperto  :  sebbene  la 
aostra  descrizione  non  può  estendersi  che  a  due  soli 
lati  del  portico ,  i  quali  sono  interamente  disoller- 
rati.  Dal  lato  dell'  entrata  principale  questo  portico 
ba  a  sinistra  sette  colonne  intere,  ed  una  mezza  co- 
lonna addossata  al  muro  che  ne  costituisce  l' estre- 
mo ,  a  destra  una  colonna  intera  ed  un  pilastro  con 
olezza  colonna  addossata  ripetuto  simmetricamente 
lue  volte  ;  olire  la  colonna  angolare  ,  la  quale  può 
xms'.derarsi  appartenente  all'altro  lato  del  porticato, 


che  è  verso  l'edifìcio  delle  terme.  Questo  lato  offre 
la  serie  di  diciotto  colonne;  delle  quali  però  le  ulti- 
me tre  o  quadro  a  destra  non  sono  ancora  intera- 
mente scoperte. 

Tutte  le  colonne  non  hanno  base,  sono  di  poco  svelte 
proporzioni,  ed  offrono  il  fuslo  scanalato  cou  piccolo 
risalto  a  circa  la  metà  dell'altezza  :  ed  è  notevole  che 
la  parte  superiore  è  di  bianco  intonico,  tutta  la  parte 
inferiore  sino  al  suolo  è  dipinta  di  rosso.  Il  capitel- 
lo è  dorico  adorno  di  capricciosi  e  tortuosi  fo- 
gliami ,  intrecciati  in  guisa  da  presentar  quasi  la  for- 
ma di  un  giglio:  il  che  è  slato  parimenti  osservato 
in  altri  capitelli  di  greco  lavoro.  In  generale  le  pro- 
porzioni delle  colonne,  e  la  loro  rastremazione ,  ci 
richiamano  quasi  ad  una  imitazione  del  dorico  pe- 
stano. Sulla  quarta  colonna  a  sinistra  dell'  entrata 
veggonsi  alcune  lettere  segnate  col  pennello  di  rosso, 
nelle  quali ,  senza  contare  una  lettera  anticamente 
cancellata  ,  pare  debba  leggersi  P.  VED. 

Sopra  una  delle  colonne  del  porticato  a  destra  leggesi 
graflita  la  parola  VESTER.  Il  pavimento  che  gira  sot- 
to i  portici  è  di  opera  signina  :  ed  in  esso  appariscono 
tubi  di  piombo,  alcuni  do  quali  vengono  dallo  stesso  , 
e  poi  s' internano  verso  le  terme.  Il  pavimento  del 
grande  atrio  scoverto  è  di  terra  battuta  con  alcuni 
pezzetti  di  mattoni;  ed  intorno  intorno  èpratticatoun 
canale  pel  corso  delle  acque.  Merita  attenzione  una 
particolarità,  che  si  osserva  nel  portico  attaccato  alle 
terme  :  ed  è  che  nel  canale  corrispondente  da  quel  lato 
si  osservano  cinque  pozzetti  circa  un  palmo  profondi, 
e  di  un  palmo  e  mezzo  all'inarca  nelle  altre  dimensio- 
ni. Non  apparisce  in  fondo  ad  essi  alcuna  apertura,  dal 
che  si  deduce  che  non  avsssero  comunicazione  coi 
canali  sottoposti  :  solo  è  da  notare  che  nell'  angolo 
a  destra  dell'  entrata  vedesi  un  sesto  pozzetto  ,  che 
offre  un'apertura,  ed  iu  continuazione  evvi  un  canale 
di  terracotta,  per  lo  seolo  delle  acque  ,  le  quali  per 
tal  modo  andavano  a  raccogliersi  ne' sotterranei  com- 
presi ,  per  potersene  avvalere.  A  tal  uopo  vedesi 
un  pozzo  vicino  all'entrata,  con  puteale  di  pietra 
vesuviana ,  che  a  fior  di  terra  lo  ricopre.  Indagar 
volendo  1'  uso  di  questi  pozzetti ,  assai  ragionevole 
ci  sembra  la  idea  dell'ingegnere  sig.  Campanelli,  che 


22  _ 


fossero  destinati  a  servir  di  purificatolo  delle  aeque, 
le  quali  per  quel  caDale  scorrendo,  deponevano  le 
materie  immonde  e  gravi,  che  vi  erano  immischiate. 
Non  potrebbe  affatto  pensarsi  che  questi  pozzetti  fos- 
sero destinati  a  ricever  le  acque  raccolte  nel  tetto  su- 
periore ;  giacché  nessun  particolare  sbocco  si  ravvi- 
sava ,  come  rilevasi  da  una  porzione  della  trabeazio- 
ne conservata  ,  e  più    ancora  dalla  fotografia  presa 
dal  sig. Campanelli  al  momento  della  scavazione,  pria- 
che  precipitasse  la  covertura  allora  quasi  tutta  ap- 
parente. Sotto  il  portico  situato   verso  1'  entrata,  e 
propriamente  nella  sua  porzione  sinistra  ,  è  costrui- 
to un  sedile  per  potervisi  comodamente  adagiare  in 
vista  dell'  atrio,  ed  al  coverto.  Le    due  pareti  del- 
l' atrio    finora    scoperte  sono  graziosamente    dipin- 
te. Il  muro  del  portico  verso  le  terme  ha  zoccolo 
nero,  con  ornato  di  piante  ,  plutei,  festoni,  candela- 
brelti  etc.  Segue  il  muro  a  fondo  rosso  ,  con  com- 
partimenti di  giallo  e  di  nero,  ove  sono  svariati  or- 
namenti. Nel  fondo  rosso  erano  molti  quadretti,  al- 
cuni de'  quali  sono  quasi  del  tutto  perduli  ;  e  pare 
che  rappresenlino    vedute   di  paese.  Più  conservati 
sono  i  seguenti  quadretti  —  1 .  Vasi  diversi  ,  corona 
e  tirsi  con  tenie  pendenti  —  2.  Due  seppie  —  3.  Di- 
versi uccelli  uccisi,  ed  alcune  frutta  —  4.  Allro  qua- 
dretto presso  a  poco  simile  al  primo.   Sopra  alcune 
delle  svelle  architetture,  segnate  in  questa  rossa  zona, 
vedonsi  ripetuti   alali  grifi   aggruppati  con  alate  fi- 
gurine uscenti  in  capricciosi  fogliami.  Altrove  in  si- 
mile gruppo  in  vece  di  grifo  scorgesi  un  capro  od  al- 
tro quadrupede.  In  una  zona  superiore  bianca  sono 
svariati  ornamenti,  plutei,  capricciose  architetture, 
cervelti,  e  Sirene  maschi ,  o  piuttosto  Androsflngi. 
Chiude  il  tutto  una  graziosa  cornicetta  di  stucco  co- 
lorato. Sopra  era  da  questo  medesimo  lato  il  terraz- 
zo, sul  quale  fu  rinvenuto  l'orologio  solare  con  iscri- 
zione osca  ,  di  cui  ragionammo  nel  secondo  anno  di 
questo  bulletlino  :edel  tetto  che  ricopriva  il  portico, 
e  del  terrazzo  suddetto  ci  proponiamo  di  parlare  in 
seguito  più  particolarmente. Gli  slessi  ornamenti  si  mi- 
rano nel  muro  ad  angolo  di  quello  innanzi  descritto,  di 
cui  perù  non  si  è  conservala  che  la  sola  parie  inferiore, 
co'medesimi  compartimenti  gialli  e  neri  in  fondo  rosso. 


Si  mirano  egualmente  festoni ,  svelle  architetture, 
plutei,  quadretti  di  paese,  ovvero  una  riunione  di 
differenti  vasi ,   bianchi  cigni ,  e  finalmente  sulle  ar- 
chitetture alati  putti  uscenti  in  fogliami ,  aggruppati 
or  con  alati  grifi ,  ora  con  cornuti  capri. 

Tuttoché  non  sia  ancora  scoperto  il  muro  collo- 
cato rimpetto  all'  edificio  delle  terme,  e  che  costitui- 
sce il  quarto  lato  dell'  atrio  ,  pur  nondimeno  merita 
che  sin  da  ora  ne  teniamo  particolare  ragionamento. 
È  da  osservare  innanzi  tulio,  che  questo  muro  è  si- 
tualo fuori  squadra  col  muro  dell' entrata;  per  modo 
che  costituisce  con  esso  un  angolo  acuto  :  a  pochi 
palmi  di  distanza  dal  piede  di  questo  muro  si  eleva 
dal  suolo  dell'atrio  un  piccolo  risalto  di  circa  mez- 
zo palmo  di  altezza  formato  di  pietra  di  Nocera  la- 
vorala, il  quale  cammina  parallelamente  a  quel  mu- 
ro ;  ma  non  se  ne  ravvisa  il  termine ,  per  essere 
tuttavia  il  sito  ingombro  da  terra.  Tornando  al  mu- 
ro ,  di  cui  è  parola  ,  notiamo  eh'  esso  era  in  origine 
rivestito  nella  sua  porzione  inferiore  di  lastre  di  bianco 
marmo  :  delle  quali  però  due  sole  rimangono  ad  at- 
testare lo  spoglio  avvenuto  in  questa  parte  dell'  edi- 
lìzio. La  parte  superiore  del  muro  era  (ulta  vaga- 
mente fregiala  di  bassirilievi  di  stucco  e  dipinti  :  ora 
però  gli  stucchi  souo  presso  che  tutti  distaccati  e  ca- 
duti ;  e  non  ci  rimane  quasi  altro  che  studiare  le 
linee  graffite  già  dagli  antichi  per  guida  de'  bassiri- 
lievi. Della  porzione  finora  scoperta  possono  consi- 
derarsi (re  zone  verticali,  ognuna  divisa  in  due  zone 
orizzontali.  Nella  prima  zona  verticale  vedi  nell'or- 
dine inferiore  una  graziosa  architettura ,  ed  in  essa 
un  nudo  giovine  si  avanza  al  sommo  di  una  scala  di 
varii  gradi ,  tenendo  colla  destra  il  timpano.  Più  in 
alto  in  un  particolareriquadro  vedesi  un  giovine  Bacco 
sdrajato,  con  corno  potorio  :  e  presso  a'  suoi  piedi  è 
Ja  pantera  accovacciata.  Segue  al  di  sopra  un  qua- 
dretto di  paese  con  edifizii.  E  chiudesi  in  cima  que- 
sta prima  zona  con  un  balcone  sporgente  sostenuto 
da  un  modiglione  con  voluta.  È  questo  un'impor- 
tante esempio  ,  che  lo  sludio  dell'  antica  architettura 
si  giova  non  di  rado  de'  pompejani  dipinti,  ne' quali 
e  porte  ,  e  finestre  ,  e  portici,  ed  altri  architettonici 
aggiustamenti  sono  tanto  frequentemente  effigiati. 


-  23  - 


Mollo  importante  è  la  seconda  zona  della  parete 
di  cui  stiamo  ragionando.  Nella  parte  più  bassa  è  un 
quadretto  col  non  comune  soggetto  d'Ila  rapito  dalle 
Ninfe.  Il  giovinetto  amasio  di  Ercole  ,  con  clamide 
svolazzante ,  tiene  colla  sinistra  il  doppio  giavellotto, 
e  colla  destra  dislesa  hal'idria(o  xaCkirts) ,  appressan- 
dola in  atto  veloce  verso  la  fonte ,  ove  era  ito  ad  at- 
tignere acqua.  É  questa  figurala  da  due  seminude 
Ninfe,  una  delle  quali  più  a  lui  vicina  tiene  l'urna 
rivolta,  da  cui  scorre  1'  acqua  insino  al  suolo  ,  ove 
par  che  si  spanda  :  ed  è  notevole  che  Ila  appressa  la 
sua  idria  appunto  a  quel  getto  d'  acqua  ,  che  scorre 
dall'urna  della  Ninfa.  Chiude  dall'altro  lato  la  scena 
una  terza  seminuda  abitatrice  delle  acquo,  pur  coli' i- 
dria,  la  quale  stando  al  suolo  accovacciata  quasi  in  ag- 
guato stende  le  mani  a  rapire  il  vagoegiovinelloeroe. 

Questo  grazioso  monumento  viene  ad  accrescere  il 
numero  delle  rare  rappresentazioni  del  giovine  Drio- 
pe;  le  quali  si  veggono  citate  ed  illustrate  dal  Raoul- 
Rochette(cfro/x de  peinlur.de  Pompei  pag.  1 99  e  segg.), 
e  dal  eh.  cav.  De  Kohne  [die  beiden  gì  ossea  Silber- 
Gefdsse  des  Kaiserl.  filuseums  der  Eremilaye  zu  S. 
Petersburg  pag.  17  segg.  ).  La  presenza  di  tre  Ninfe 
nel  nuovo  bassorilievo  pompejano  incontra  il  fre- 
quente confronto  de'  monumenti.  Tali  sono  il  pom- 
pejano dipinto  pubblicalo  dal  sig.  Raoul-Rochelle(op. 
cil.  tav.  XV  ),  il  bassorilievo  Mattejano  (  t.  Ili  tav. 
XXXI  p.  59-69),  1'  altro  bassorilievo  romano  edito 
dal  de  la  Chausse  from.  mus.  II  sect.  II  tav.  Ili,  4  ), 
ed  il  musaico  pubblicato  dal  Ciampini  (Fef .  mon.  cap. 
VII  tab.  XXIV  p.  60-62).  Quest'ultimo  monumento 
è  poi  da  paragonare  particolarmente  col  bassorilievo 
di  Pompei,  perchè  ci  presenta  pure  una  delle  figlie 
del  fiume  Ascanio  stante  colle  gambe  incrociate  colla 
sua  urna  rovesciata  ,  da  cui  scorre  l'acqua.  Sicché 
queste  due  identiche  figure  ne' due  monumenti  val- 
gono a  simboleggiare  la  slessa  fonte  in  modo  artisti- 
co ed  in  elegante  composizione.  Molte  sono  le  tra- 
dizioni che  additano  tre  Ninfe  come  intese  al  ratto 
d' Ila  ,  e  potranno  vedersi  ricordate  dal  Raoul-Ro- 
chetle  (I.  e.  p.  201  ),  e  dal  eh.  de  Kòhne  (/.  e.  p. 
57  n.  82).  Nondimeno  a  me  piace  di  aggiugnere  un 
epigramma  di  Ausonio,  nel  quale  il  poeta  awertecha 


le  Najadi  rapitrici  d' Ila  furono  pel  giovinetto  quasi 
le  Eumenidi  (ep.  XCV):  e  certamente  ebbe  il  pen- 
siero all'  identico  numero  delle  Ninfe  e  delle  Furie. 
Del  resto,  variabile  si  è  il  numero  delle  Driadi  ne' 
monumenti  :  e  due  se  ne  veggono  nel  romano  sarco- 
fago d'Igei  (Schorn  negli  aiti  della  r.  accad.  di  Mo- 
naco 1835  t.  X  p.  2S3;  Cavedoni  cenni  critico-ar- 
cheol.  al  mon.  rom.  d'Igei  p.  li),  e  nel  bassorilievo 
del  museo  Capitolino  (toni.  IV  tav.  LIV  ).  Non  dirò 
poi  del  citato  vaso  di  argento  di  Pietroburgo,  ove  son 
quattro  le Najadi;|perchè  in  esso  si  nota  un  momento 
posteriore  al  ratio,  cioè  quando  Ila  è  già  fatto  partecipe 
dell'apoteosi.  Intanto  il  nuovo  bassorilievo  ,  ed  il  ci- 
talo vaso  di  argento,  meritano  di  essere  confrontati  con 
una  particolar  tradizione  di  Apollonio  Rodio  (I,  1235 
segg.  ),  e  di  Valerio  Fiacco  (Argon.  Ili,  529),  i  quali 
fan  menzione  di  una  sola  Najade  delta  dal  primo  Ephy- 
datia ,  che  trascina  il  giovinetto  figliuolo  di  Teoda- 
mante ne'  vorticosi  gorghi  dell'  Ascanio.  Di  falli  una 
sola  si  mira  nel  bassorilievo  pompejano  intesa  a  pren- 
dere Ila  ,  ed  una  sola  lo  tiene  nel  vaso  di  Pietroburgo 
avvinghialo  colle  sue  mani ,  quasi  che  ne  sia  perve- 
nuto al  felice  possesso.  Ed  è  notevole  che  pur  nel 
dello  vaso  di  argento  le  tre  altre  Najadi  versano  dalla 
loro  urne  1'  acqua  ,  per  dinotare  che  il  liquido  ele- 
mento riempie  tutta  la  estensione  di  quella  caverna. 
È  probabile  che  nella  primitiva  origine  del  mito  ad 
una  sola  si  attribuisse  l'affetto  pel  giovine  eroe,  la 
quale  poi  s'immaginò  dalle  compagne  ajutata  a  tra- 
scinarlo ne'  profondi  gorghi  del  fiume.  L'atto  d' Ila, 
nel  nuovo  bassorilievo,  quasi  sul  punto  di  fuggire,  ac- 
cenna all'essere  stato  sorpreso  avvedendosi  del  suo 
periglio  mentre  riempiva  la  calpide.  Interessante  è 
poi  la  particolarità  del  doppio  giavellotto,  di  cui  l'e- 
roe vedesi  armato.  Potrebbe  per  verità  richiamarsi  la 
idea  che  questa  armatura  ,  egualmente  che  la  spada 
la  quale  in  altri  monumenti  apparisce ,  sia  ben  con- 
venienle  alla  guerriera  condizione  del  giovinetto  Ar- 
gonauta. Ma  forse  non  è  da  tralasciare  che  principal- 
mente i  due  giavellotti  accennino  alle  cacce,  alle  quali 
Ila  in  quel  momento  si  esercilava.  Così  pressoio  pseu- 
do-Orfeo, allontanandosi  appunto  dagli  altri  caccia- 
tori penetra  nella  spelonca  delle  Ninfe,  ove  queste  lo 


24  — 


rapiscono  (  Argon,  v.  637  segg.  )  :  e  Valerio  Fiacco 
narra  l'avvenimento  in  seguilo  della  fuga  di  un  cervo 
perseguitato  dal  Driope  (III,  545  segg);  il  qual  luogo 
fu  da  noi  altrove  ricordalo  ad  illustrazione  delle  mo- 
nete di  Caulonia  col  celebre  tipo  del  giovine  peni- 
tente col  ramo  ,  che  vedesi  frequentemente  messo  in 
rapporto  con  un  cervo  (  bull.  ardi.  nap.  di  Avellino 
an.  IV.  pag.134).  Per  le  quali  cose  un'allusione  alla 
caccia  ravvisiamo  del  pari  nel  doppio  giavellotto  dato 
ad  Ila  nel  nostro  bassorilievo. 

Al  di  sopra  di  questo  pregevolissimo  quadretto  è 
un  altro  di  paese  con  edifizii  ed  alberi ,  più  una  figu- 
rina umana  ed  una  capra. 

La  terza  zona  offre  pure  due  diverse  rappresenta- 
zioni a  bassorilievo.  Nella  inferiore  un  nudo  Sileno 
con  pedo  e  nebride  stende  un  corno  potorio,  mentre 
un  nudo  Satirelto  a  lui  stende  la  destra  ,  tenendo 
colla  sinistra  una  grandissima  face;  anche  qui  il  fan- 
ciullo vedesi  asceso  all'ultimo  gradino  di  una  scaletta. 

Più  in  alto  è  di  maggiori  proporzioni  una  figura 
femminile  con  doppia  tunica  ,  la  quale  solleva  colla 
sinistra  una  specie  di  grembiule  ,  e  tien  colla  destra 
la  patera  :  a'  due  lati  son  due  cervette  in  opposte  di- 
rezioni. Non  tardiamo  a  ravvisare  in  questa  impor- 
tante figura  una  Diana  di  asiatiche  forme,  alla  quale 
ben  si  riferisce  il  simbolo  delle  due  cerve  ,  che  pur 
della  stessa  guisa  collocate  si  osservano  in  altri  mo- 
numenti. Le  tre  descritte  zone  sono  adorne  di  svariat1 
simboli  e  fregi:  vedi  cigni,  corni  polorii,  lire,  Amo- 
rini, e  due  volte  ripetuta  una  specie  di  tabella  dillica 
aperta,  entro  la  quale  era  in  fondo  bleu  figurata  una 
biga,  di  cui  appajono  i  cavalli ,  e  le  redini ,  e  por- 
zione delle  ruote.  Un'  alata  Vittoria  apparisce  di  so- 
pra a  ciascuna  di  queste  tabelle ,  quasi  che  la  espo- 
nesse alla  vista  di  tutti.  Nella  parte  più  bassa  della  pa- 
rete in  una  fascia  veggonsi  piccoli  paperi  od  oche  nuo- 
tare in  vicinanza  di  acquatiche  piante  ;  e  presso  cetre 
delfini  ed  altri  simbolici  ornamenti. 


Si  presenta  in  seguito  il  rimanente  della  larga  pa- 
rete, ove  pur  si  mirano  in  parte  scoperte  varie  altre 
figure  ;  ma  ci  riserbiamo  di  farne  lo  studio,  e  di  dar- 
ne la  descrizione ,  quando  ne  sarà  continuata  la  sca- 
vazione. Allora  presenteremo  più  estese  idee  sulla 
riunione  di  tanti  differenti  soggetti.  Ci  basti  ora  l'av-  ' 
vertire  che  alcuni  di  essi  possono  credersi  relativi  alle 
acque,  che  sono  in  istretta  relazione  colle  vicine  ter- 
me. Tali  sono  la  fascia  cogli  acquatici  uccelli  ,  e  lo 
stesso  soggetto  del  rapito  Ila,  che  accenna  appunto 
alle  acque  di  una  fontana.  E  forse  la  più  visibile  fi- 
gura di  Diana  può  riputarsi  ancora  in  non  lontana 
relazione  collo  slesso  quadretto  d'Ila;  quando  ricor- 
disi che  Apollonio  Rodio  narra  che  le  Ninfe  dell' Asca- 
nio  celebravano  ed  onoravano  quella  divinità  (Argon. 
I,  1225).  Comunque  sia  di  queste  osservazioni,  par- 
ci  che  le  varie  figure  relative  a  dionisiaci  soggetti  non 
reclamino  particolar  dichiarazione  ;  essendo  troppo 
noto  che  i  bacchici  soggetti  e  le  bacchiche  allusioni 
entravano  in  tutte  le  idee  dell'  antichità. 

Rimane  a  dire  de'  dittici  tenuti  dalle  Vittorie  ala- 
te :  e  non  può  dubitarsi  che  le  bighe  in  rapporto  con 
una  Vittoria  alludono  alle  gare  ed  a' giuochi  di  qual- 
sivoglia genere,  ed  alla  gloria  de'  vincitori.  E  qui  pia- 
centi di  osservare  che  il  grande  atrio  o  cortile  annes- 
so alle  terme  ,  di  cui  già  notammo  essere  ben  solido 
il  pavimento,  era  forse  destinalo,  più  che  al  passeg- 
gio,  a' divertimenti  di  qualche  ginnastico  esercizio; 
siccome  meglio  esporremo,  quando  sarà  il  sito  inte- 
ramente sgombrato  dalle  terre.  Ed  in  tale  ipolesi  ben 
si  comprende  la  inlelligenza  di  quei  dittici  simbolo  di 
vittoria  in  qualsivoglia  gara  o  conlesa. 

Da  ultimo  non  voglio  omettere  di  osservare  che 
il  P.  VED,  segnato  sopra  una  delle  colonne  del  por- 
ticato, accenni  allo  slesso  P.  Vedio  Nutnmiano ,  di 
cui  in  altri  programmi  e  graffili  trovammo  farsi  men- 
zione. 

Continua  Minervini 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtàneo. 


BULLETTMO  ARCIIEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  78.     (  4.  dell'  anno  IV.) 


Agosto  1855. 


Osservazioni  del  eh.  Abate  D.  Celestino  Cavedoni  sull'  opera  intitolala  «  Voyage  en  Asie-Mineure  au  point 
de  vue  numismalique  par  W.  II.  Waddington.  Paris,  1853,  in  8"  con  XI  tav.  »  Contili,  del  n.  76.  — 
Osservazioni  sopra  le  Monete  di  Filippi  della  Macedonia.  —  Bibliografia. 


Osservazioni  del  eh.  Abate  D.  Celestino  Cavedoni 
sull'  opera  intitolata  «  Voyage  en  Asìe-Mineure  au 
point  de  vue  numismalique  par  W.  H.  Waddin- 
gton. Paris,  1853,  in  8°  con  XI  tav.  »  Conti- 
nuazione del  n.  76. 

PHRYGIA 

Laodicea.  Mollo  importanli  sono  le  due  seguenti 
monete  così  descritte  dal  eh.  autore: 

1.  Z€TC  ACilC.Testa  di  Giove. 

)(  AAOAIKCON.  Capra  stante.  Ae.  4. 

2.  AOTKIOC-AIAIOC-KAICAP.  Testa  di  Elio 
Cesare. 

X  ACCIO  •  AAOAIKCQN.  Giove  stante  con  la  d. 
posata  sopra  le  corna  di  una  capra  stante  a  suoi  piedi. 

Ae.  e  y. 

Il  eh.  Longpérier  congettura  ,  che  Giove  "Atsis 
sia  lo  stesso  che  'Affiarixàs  ,  oppure  che  questo  no- 
me sia  d'origine  siriaca  ,  e  che  valga  forte,  esimio; 
ed  il  eh.  autore  preferendo  la  seconda  interpretazio- 
ne spiega  Zibs  v^urros.  Le  ingegnose  loro  congetture 
si  ponno  convalidare  col  riscontro  del  nume  Siro 
*A&i{os, ,  che  credesi  Marte ,  paredro  del  Sole  (  C. 
I.  Gr.  n.  4619).  La  presenza  peraltro  della  capra  , 
detta  ez  ,  (plur.  izzim)  in  ebraico,  ed  &%a.  dai  Fenicii 
(v.  Steph.  Ryz.  v.  "A^wrosicf.  Gesenius//tcs.  p.  1009- 
1010),  ne  presenta  una  derivazione  vie  più  propria 
e  spontanea  del  cognome  dato  a  Giove  Crescente  nu- 
drilo  dalla  capra  Amaltea  (cf.  Annali  arch.  t.  XXV 
p.  23  ).  1  Laodiceni  pretendevano,  che  Giove  infante 

ANNO  IT. 


fosse  slato  nudrito  e  cresciuto  nella  loro  regione 
(Eckhel  t.  Ili  p.160);  e  a  Giove  Crescente  avranno 
inteso  di  comparare  il  giovine  L.  Elio  Cesare  nella 
seconda  ,  e  fors'  anche  nella  prima  delle  due  sovra 
descritte  monele.  Del  resto  la  voce  "A^as ,  anzi  che 
d'  origine  semitica  ,  reputar  potrebbesi  greca  ,  aven- 
dosi da  Esichio  le  chiose  :  *Aa<u.  xopsffou,  Sp/^oc/. 

Melropolis.  La  figura  feminile  sedente  con  spighe 
nella  d.  e  con  la  s.  appoggiala  ad  un  cornucopia  e  in 
atto  di  sorreggersi  con  essa  il  capo  ,  e  con  prora  di 
nave  a'  suoi  piedi,  parve  al  eh.  autore  Genio  di  quella 
città  ;  ma  sembra  anzi  tipo  ritratto  dalle  monete  di 
Roma  ,  congiungendo  in  uno  gli  attribuii  dell'anno- 
na ,  della  Securitas  e  della  Tranquillitas  publica. 

Midaeum.  Il  fiume  TCMBPIC,  che  ora  per  la  pri- 
ma volta  comparisce  nella  geografia  numismatica  , 
trovasi  memoralo  anche  da  Orfeo  (  Argon.  713)  in- 
sieme col  Sangario.  L'  EAATHS  ravvisato  in  altra 
moneta  di  Mideo  dal  Pellerin  (Mei.  I  pi.  XXIV,  3) 
e  dal  Seslini  (Lett.  t.  IX  n.  3)  potrebb'essere  1"  EXaVa 
della  vicina  Bilinia  ricordato  forse  dal  solo  Tolomeo 
(Geogr.  V.  1,7). 

Peltae.  In  altre  monete  de'Pelteni  ricorrono  i  tipi 
della  testa  di  Giove,  dell'aquila  e  del  fulmine  alalo, 
che  fanno  bel  riscontro  all'I EPON  TOT  AIOS  TOT 
I1EATHNOT  ricordato  in  un'iscrizione  di  Antandro 
(C.  I.  Gr.  n.  3568,/-;  T.  II  p.  1128). 

Il  eh.  autore  giunto  alla  fiue  del  primo  suo  arti- 
colo riguardante  le  medaglie  della  Frigia  ben  a  ra- 
gione si  felicita  di  avere  pollilo  aggiungere  un  set- 
tanta medaglie  alla  numismatica  di  quella  sola  prò- 


—  26  - 


vincia.  Egli  inoltre  ha  arriechilo  di  alquanti  uonii 
nuovi  la  geografia  numismatica  dell'  Asia  Minore;  sì 
die  gli  si  può  ben  condonare  qualche  svista  ed  ab- 
baglio occorsogli  ,  se  pur  sono  realmente  tali  quelli 
da  me  avvertili. 

C.  Cavedoni. 

Osservazioni  sopra  le  Monete  di  Filippi 
della  Macedonia. 

La  città  di  Filippi  della  Macedonia  ,  cotanto  cele- 
bre per  le  imprese  del  re  che  le  diede  il  nome  ,  per 
la  battaglia  in  cui  rimasero  sconfitti  e  morti  Bruto  e 
Cassio,  e  per  la  primitiva  Chiesa  fondatavi  dall'Apo- 
stolo delle  genti ,  ha  di  recente  ricevuto  un  bell'au- 
gumento  alle  non  molte  sue  medaglie  in  prima  co- 
gnite, per  un  fortunato  ritrovamento  fattosi  nell'isola 
d' Eubea. 

Nel  decorso  anno  1854  ,  scavando  il  terreno  per 
la  costruzion  di  una  casa  nelle  vicinanze  di  Eretria, 
si  rinvennero  non  so  quante  monete  d' oro,  48  delle 
quali  furono  di  là  trasmesse  al  eh.  signor  Paolo  Lam- 
bros  a  Corfù  da  un  suo  zio  di  nome  Apostolo  Papa- 
georgio  negoziante  in  Calcide  dell' Eubea  medesima. 
Erano  tutti  stateri  d'  oro,  36  Darici,  2  di  Filippo  li 
re  di  Macedonia,  e  10  della  città  di  Filippi  della  Ma- 
cedonia medesima.  Di  questa  celeberrima  città  non 
si  conosceva  finora  altra  moneta  d'oro,  che  solo  uno 
statere ,  che  appartenne  al  museo  della  regina  Cri- 
stina di  Svezia  ,  e  che  venne  posto  in  luce ,  ma  con 
disegno  di  troppo  imperfetto,  dall'  Eckhel  (num.  vet. 
lab.  V,  15);  ora  il  lodalo  signor  Lambros  ne  diede 
assai  ben  disegnali  e  dichiarali  sei,  l'uno  dall'altro 
diversi  per  varietà  di  simboli  ;  e  sono  come  segue. 

1 .  Testa  d'  Ercole  imberbe  coverta  dall'  iato  della 
spoglia  del  Icone ,  volta  a  d. 

)(  *IAimii2N.  Tripode  co'  fulcri  fìnienti  nelV  imo 
in  zampe  di  leone ,  e  forniti  nel  sommo  di  tre  grandi 
orecchie  o  sia  prese  :  nel  campo ,  testa  di  cavallo  volta 
a  d. 

2.  Altro  simile  ;  ma  con  lesta  di  cavallo  volta  a  s. 

3.  Altro  simile ,  ma  con  testa  di  leone  volta  a  d. 

4.  Altro  con  testa  di  cervo  volta  a  d. 


5.  Altro  con  testa  di  cervo  volta  a  s 

6.  Altro  con  grappolo  d'uva  nel  campo. 

Questi  sei  stateri,  il  primo  de' quali  confronta  con 
quello  che  fu  imperfettamente  dato  in  disegno  dal- 
l' Eckhel  ,  furono  da  prima  pubblicati  dal  lodato  si- 
gnor Lambros  nel  periodico  greco  intitolalo  Hol^u/^% 
(  1854,  iVòr.  fol.  112),  indi  riprodotti  nel  Bulletin 
arche ologique  de  T  Athenaeum  Francois  (  N.  2  Fevr. 
1855),  e  poscia  di  bel  nuovo  dal  Lambros  medesimo 
in  greco  co' tipi  de\V Hermes  di  Corfù,  con  la  versione 
in  francese  fattane  dal  signor  Vretò  (  1855 ,  in  8  p. 
1-15  con  tav.  ).  I  dodi  numografi  di  Parigi  avverti- 
rono ,  che  in  Francia  non  si  conosceva  altro  aureo 
di  Filippi ,  che  uno  della  insigne  collezione  del  eh. 
signor  Duca  De  Luynes.  I  sei  suddetti,  posseduti  dal 
eh.  Lambros,  variano  di  peso  da  grani  Parigini  161  V* 
a  grani  162  '/4  :  peso  che  ad  un  dipresso  confronta 
con  quello  de' copiosi  aurei  di  Filippo  II,  come  di 
ragione. 

Quell'  antico  ripostiglio  di  Eretria ,  sendo,  a  quel 
che  pare  ,  in  esso  mancali  affatto  i  copiosissimi  au- 
rei di  Alessandro  Magno  ,  può  a  tutta  ragione  cre- 
dersi riposto  sotterra  durante  il  regno  di  Filippo  II; 
anzi  v'  ha   buon  argomento  per  supporlo  nascosto 
nell'anno  terzo  dell'Olimpiade  CVII,  o  sia  350  anni 
innanzi  l'era  nostra  volgare.  Nel  detto  anno  Filippo 
II  avea  trasportate  forze  considerevoli  nell'Eubea,  e 
col  favore  de'  tiranni,  da  se  corrotti  con  l'oro,  venia 
impadronendosi  delle  città.  Allora  Plutarco  d'Eretria 
chiese  soccorso  agli  Ateniesi  ,  che  vi  spedirono  Fo- 
cione  con  tenui  forze,  avvisandosi  che  gì'  insulani  sa- 
rebbonsi  pronti  e  volenterosi  congiunti  con  esso  lui. 
Ma  Focione,  avendo  trovato  l'isola  tutta  piena  di  tra- 
ditori corrotti  co'  doni ,  e  vedendosi  in  grave  perico- 
lo ,  si  pose  col  tenue  suo  esercito  in  un  colle  assai 
ben  difeso  per  natura  presso  Tamina;  ove  poscia  ag- 
gredito dal  nemico  riportò  col  singolare  suo  accor- 
gimento e  valore  un'  insigne  vittoria.  Indi  cacciò  da 
Eretria  Plutarco,  dal  quale  si  vide  ingannato  o  tra- 
dito nel  momento  del  conflitto ,   e  poscia  [espugnò  il 
forte  castello  di  Zaretra,che  (ornava  opportunissimo 
per  gli  Ateniesi  (  Plut.  in  Phocione  12,  13:  cf.  Clinton, 
fasti  Hellen.  pag.  142).  Il  re  Macedone,  arricchito 


con  le  miniere  dell'  oro  del  Pnngeo  ,  solea  dire  ,  che 
qualunque  cillà  per  munita  che  fosse  ,  gli  ricsciva 
facile  ad  espugnare  ,  purché  1'  oro  suo  potesse  sor- 
montarne le  mura;  e  quindi  nelle  sue  iulraprese  so- 
lea subornare  con  loro  uomini  pronti  a  tradir  la  lor 
patria,  ponendoli  poscia  nel  novero  de'suoi  amici  ed 
ospiti  (Diodor.  XVI,  54:  Horat.  ///  Od.  XVI,  9). 
Quindi  parrai  assai  probabile,  che  il  ripostiglio  d'  E- 
retria  consistente  di  soli  aurei  di  re  Filippo  ,  della 
città  di  Filippi  da  lui  cresciuta  e  denominata  ,  e  di 
Darici,  venisse  affidalo  alla  terra  dal  ridetto  Plutarco 
Eretriese  allor  che  fu  sbandito  da  Focione ,  o  da  al- 
tro traditore  corrotto  con  l'oro  del  re  Macedone;  op- 
pure da  un  ricco  cittadino  che  in  quello  sconvolgi- 
mento di  cose  (emesse  pel  suo  peculio;  giacche  cou- 
sta dall'osservazione  come  gli  antichi  ripostigli  fu- 
rono quasi  sempre  nascosti  in  occasione  di  guerre 
segnatamente  civili. 

Pel  riscontro  poi  del  ripostiglio  medesimo  si  viene 
a  definire  anche  il  tempo  approssimativo  dell'impres- 
sione degli  stateri  aurei,  e  delle  corrispondenti  belle 
monete  di  argento,  della  città  di  Filippi.  Nell'anno 
3C0  innanzi  1'  eia  nostra  ,  ovvero  nel  susseguente  , 
secondo  dell'Olimpiade  CV,  l'antica  città  detta  le 
Crenidi  venne  cresciuta  da  coloni  della  vicina  Taso; 
e  due  anni  appresso  Filippo  II  ne  crebbe  di  molto  la 
popolazione ,  e  dal  nome  suo  la  disse  Filippi.  Nel 
tempo  stesso  egli  migliorò  di  tanto  le  vicine  miniere 
dell'  oro  ,  che  queste  gli  rendevano  un  provento  an- 
nuo di  oltre  mille  taleuti  (  Diodor.  XVI,  3:  8:  Clin- 
ton fasti  Hellcn.p.  ì'òi  ).  L'impressione  pertanto  de- 
gli stateri  della  città  di  Filippi  viene  così  a  limitarsi 
entro  1'  anno  357  ,  nel  quale  la  città  stessa  s' ebbe  il 
novello  nome  <MAiniliiN ,  e  l'anno  250  innanzi 
l'era  nostra,  nel  quale  gli  stateri  di  Filippi  stessa  non 
solo  erano  in  corso  ,  ma  trovavansi  in  circolazione 
sino  nell'  isola  di  Eubea.  Inoltre ,  nel  ripostiglio  di 
Eubea  fra'  48  aurei  venuti  alle  mani  del  signor  Lam- 
bros  sendovene  stali  10  della  città  di  Filippi ,  e  soli 
2  di  Filippo  II,  si  rende  molto  probabile,  che  l'oro 
delle  miniere  vicine  a  Filippi  da  prima  per  la  più 
parte  s'improntasse  col  nome  di  quella  città, e  che  i 
copiosi  aurei  di  re  Filippo  per  la  maggior  parte  siano 


stali  impressi  dopo  il  ridetto  anno  3.'j0.  Vuoisi  peral- 
tro avvertire ,  che  al  primo  od  al  secondo  anno  del 
regno  di  Filippo  II  semina  doversi  assegnare  uno  dei 
suoi  stateri  aurei ,  quello  cioè  che  nel  campo  è  se- 
gnalo con  la  sigla  K  (probabilmente  iniziale  di  Kmj- 
vfàss)  e  con  un  piccolo  tripode,  che  pare  doversi  ri- 
ferire ai  coloni  Tasii,  che  nel  primo  anno  del  regno 
di  Filippo  si  posero  ad  abitare  in  Crenide; come  può 
arguirsi  dal  riscontro  del  seguente  aureo  di  Taso. 

Testa  d' Ercole  imberbe  coverta  dall'  iato  della  pelle 
del  leone. 

)(  0ASION  HI7EIPO.  Tripode  ornalo  d' infide  e 
co'  fulcri  fintemi  in  zampe  di  leone:  nel  campo  ,  car- 
chesio  (  Pellerin  ,  ree.  pi.  XCHI ,  5  ). 

Alle  cose  dette  dall'Edifici  intorno  a  questo  insigne 
aureo  de' Tasii  del  continente  aggiungasi  il  riscontro  di 
Tucidide  (Hist.  IV,  105),  che  ricorda  le  sue  officine 
delle  miniere  dell'  oro  nelle  parti  della  Tracia  vicine 
a  Taso  (cf.  Bull.  arch.  1850  p.  12).  La  testa  d'Er- 
cole ,  e  fors' anche  il  tripode  suo,  sembra  riferirsi  ad 
Ercole  preside  e  distributore  de'  tesori  nascosti  sot- 
terra (Horat.  //  Sai.  VI,  10-13:  Persius  Sat.  11,  10), 
e  quindi  altresì  delle  miniere  dell'oro  e  dell'argento. 
L'identità  de'tipi  degli  aurei  di  Filippi  con  quelli  del- 
l' aureo  de'  Tasti  del  continente  non  lascia  luogo  a  du- 
bitare, che  gli  abitatori  di  Filippi  stessa  non  fossero 
in  gran  parte  Tasii  d'origine,  conforme  al  detto  di 
Diodoro  (ffist.  XVI,  3):  e  non  so  come  l'Fckhel  po- 
tesse supporrebbe  i  novelli  cittadini  di  Filippi,  cac- 
ciati i  Tasii  da  Crenide ,  proseguissero  a  batter  mo- 
neta con  tipi  Tasii  ;  mentre  che  lo  storico  dice  ,  che 
re  Filippo  crebbe  di  molto  la  popolazione  di  Crenide 
e  la  chiamò  Filippi  ,  senza  far  motto  dell'  allontana- 
mento de' Tasii ,  che  mostra  gli  fossero  amici  (1). 

(I)  Il  carchesio  di  Bacco,  apposto  come  simbolo  al  tipo  del  tri- 
pode nel  sovra  descrillo  aureo  de' Tasii  del  coniincnlp,  prende  beli» 
pice  dal  riscontro  di  un  luogo  di  Appiano  [Bell.  civ.  IV,  106),  ove 
leggesi,  che  poco  di  lunge  da  Filippi  era  un'  eminenza  denominata 
colle  di  Sacco,  nel  quale  trovavano  le  cave  dell'oro  dette  "AavKu. 
I  Tasii  ,  che  insieme  con  Ercole  veneravano  grandemente  Bacco, 
verisimilmenle  diedero  a  quel  colle  il  nome  Ui  Xó^s  Aiotóaov-  In 
una  bella  moneta  di  Taso,  che  tien  dell'arcaico,  attorno  ad  Ercole 
saettante  leggesi  0ATION  BA  NO;  e  l'Eckhel,  che  pel  primo 
la  pubblicò ,  non  si  attentò  a  spiegare  le  lettere  BA  e  Po  (  /•  li. 
p.  33  ).  Ora  che  si  conoscono  le  monete  di  un  rETAS  BA?I- 


—  28  - 


L'  Eckhel  suppone  che  la  cillà  di  Filippi  da  prima 
si  appellasse  Crenide  e  poscia  Dalon;  e  lascia  inde- 
ciso se  fosse  edificata  da  Callistrato  Ateniese,  come  si 
ha  da  Scilace  (Peripl.  p.  27);  ovvero  da  una  colonia 
di  Tasii ,  come  scrive  Diodoro  (Hist.  XVI,  3);  ma  le 
monete  stanno  in  favore  dello  storico  Siculo.  Inoltre 
sembra  da  preferirsi  la  sentenza  di  quelli  che  pon- 
gono Dato  distiuta  da  Crenide;  e  tanto  confermasi 
pel  risconlro  di  Scilace,  che  dice  Dato  fondata  da  Cal- 
listrato Ateniese,  con  Erodoto  (Hist.  IX,  lo),  che 
narra  come  Sofane  stratego  Ateniese  fu  ucciso  in  Dato 
dagli  Edoni  contendenti  pel  possesso  delle  cave  del- 
l' oro.  Vuoisi  inoltre  avvertire,  che  il  luogo  detto  le 
Crenidi  pare  fosse  distinto  e  distante  alquanto  dalla 
città  di  Filippi;  poiché  Dione  Cassio  (Hist.  XLYH, 
35  )  racconta  come  Bruto  e  Cassio  si  videro  astretti 
a  prendere  la  via  più  lunga,  e  forzalo  il  presidio  ne- 
mico collocato  presso  le  Crenidi,  ed  entrali  nel  mezzo 
de'  due  monti ,  si  accamparono  nelle  allure  presso  la 
città  di  Filippi.  A  detto  dell'Eckhel  il  cronico  di  Pa- 
ros  pone  Filippi  fondata ,  o  sia  aumentala  da  re  Fi- 
lippo ,  nell'  anno  di  Roma  397;  ma  egli  in  ciò  prese 
abbaglio ,  poiché  a  quel  passo  del  celebre  marmo  di 
Paros  dee  farsi  allro  supplimenlo  diverso  dall'arbi- 
trario che  ne  diede  il  Lydiato  (  v.  Boeckh  C.  I.  Gr. 
t.  Hp.  323,  343). 

L' Eckhel  pone  la  colonia  Romana  dedotfa  a  Fi- 
lippi da  Augusto,  senza  peraltro  determinarne  il  tem- 
po ,  e  senza  riscontro  alcuno  espresso  degli  antichi 
scrittori;  ed  il  eh.  Lambros  suppone  che  vi  fosse  de- 
dotta da'Triunviri  in  alcuno  degli  anni  decorsi  dalla 
battaglia  di  Filippi  a  quella  d'  Azzio  ,  0  sia  dal  712 
al  723.  Eppure  Dione  (Hist.  LI,  4)ne  attesta,  ch'essa 
fu  dedotta  o  almeno  assegnata  pochi  mesi  dopo  la  vit- 
toria d'Azzio  allor  che  Ottaviano  approdalo  a  Brin- 
dai in  sul  principio  dell'anno  724,  ed  ivi  sofferma- 
tosi ,  distribuiva  al  popolo  ed  alle  milizie  denari  e 
terre  e  cillà,  fra  le  quali  Dirrachio  e  Filippi  ed  altri 
ljoghi  da  abitare,  roti  arXe/bffj  tote  At/ppot^io»  xoù 
rovs  <Pt\i7r7rovs  a>.X*  n  hroixsìf  ivn^vuxs. 

AETS  HAONEON  (  v.  nouvel.  annal.de  i'inst.  1. 1  p.  133),lice 
congetturare,  che  nella  suddetta  moneta  legger  si  debba  BAtffXf'ws 
rOa£ios,  o  d'altro  nome  Tracico  fcf.  Thucyd.  IV,  107),  forse  di 
uà  re  degli  Edoui. 


Augusto  medesimo  nelle  tavole  d'Andra ,  dice  di 
aver  dedotte  colonie  militari  nella  Macedonia  (  Corp. 
I.  Gr.  n.  4040  col.  IV),  una  delle  quali  dev'essere 
slata  quella  di  Filippi ,  consistente  di  soldati  emeriti 
delle  coorli  pretorie ,  come  si  raccoglie  dal  riscontro 
delle  seguenti  monete. 

VIC  A  VG.  Simulacro  della  Vittoria  gradiente,  o  di- 
scesa dall'  alto ,  collocato  sopra  una  base. 

)(  COHORPRAE  •  PHIL  ■  Tre  insegne  militari 
delle  coorti  pretorie.  Ae.  Ili 

Il  simulacro  della  Vittoria  sarà  stato  verisimilmente 
dedicato  in  ricordanza  d'ambe  le  due  precipue  vitto- 
rie, che  diedero  ad  Augusto  l'impero  dell'orbe  Ro- 
mano, di  quelle  cioè  di  Filippi  e  d'Azzio  (1).  Le  tre 
insegne  delle  coorti  ne  prestano  buono  argomento  a 
credere,  che  in  Filippi  dedotte  fossero  le  milizie  eme- 
rite di  Ire  coorti  pretorie. 

Che  la  colonia  milifare  di  Filippi  fosse  dedotta  per 
ordine  di  Augusto,  argomentavasi  anche  dalla  seguente 
insigne  sua  moneta  ,  come  avveri!  1'  Eckhel. 

COL  •  AVG  •  1VL  .  PHIL  ■  1VSSV  •  AVG.  Testa 
laureala  d' Augusto,  volta  a  d. 

)(  AVG  •  DIVI .  F,  DIVO  ■  IVLIO.  Statue  di  Au- 
gusto paludato  e  di  Giulio  Cesare  seminudo,  colle  de- 
stre slese,  collocale  sopra  wia  slessa  base,  con  ara  da 
alo  a  ciascuna  d' esse.  Ae.  I. 

L'  Eckhel  fu  d'avviso,  che  Auguslo  sia  posto  a 
destra  del  Divo  Giulio  come  aulore  della  colonia; 
ma  ne  dubito,  potendo  anche  dirsi  eh'  egli  stia  alla  d. 
del  Divo  suo  padre  per  ragione  di  disuguaglianza,  sic- 
come si  osserva  quasi  costantemenle  ne'  monumenli 
Romani  riguardo  alla  moglie  ed  al  marilo  (v.  Buo- 
narroti vetri  p.  160-161).  L' Eckhel  nel  descrivere 
questa  insigne  medaglia  omise  le  due  are ,  le  quali 
peraltro  meritano  particolare  considerazione.  Aldi  le 
dissero  due  basi  nude;  ma  parvero  are  al  Mionnet 
(Descr.  n.  280,  Sup.  n.  635),  e  tali  sembrano  anche 
a  me  in  un  esemplare  di  questa  rara  medaglia  che  è 
nel  reale  museo  Estense.  Parmi  assai  probabile,  che 
siano  le  are  erette  negli  accampamenti  presso  Filippi 

(1)  Il  tipo  della  Vittoria  nelle  monete  di  Filippi  torna  a  compa- 
rire sotto  Gallieno  in  una  rara  medaglia ,  che  dalla  collezione  gik 
Wellenbelm  (n.  2183)  passo  nel  real  museo  Estense. 


—  29  — 


a  M.  Antonio,  le  quali  nell'anno  di  Roma  734  man- 
enevansi  (uttora  in  onore  ;  poiché  dicevasi  che  pas- 
ando  di  là  Tiberio  si  udì  dal  silo  della  grande  bat- 
iglia  un  ronaore  come  di  milizie  accampate ,  e  che 
alle  ridette  are  rifulse  fuoco  spontaneamente  accesosi 
Dio,  LIV,  9):  x<xì  TTvp  sx  tÙiy  ^w\kws  rùiy  l'irò  toÌi 
K.ircoyi'ju  h  Tw  toi.$[,svu.%ti  ìSfu&evrov  àv/Xa/^iv.  Le 
uè  are  potrebbono  anche  ricordare  come  i  due  triun- 
iri,dopo  la  vittoria  riportata  a  Filippi ,  sacrificarono 
i  sul  luogo  splendidamente,  ì^t'cr  Xan?rfw>  (Appian. 
ìell.  civ.  V,  3).  Al  Mionnet  parve  che  la  statua  di 
liulio  Cesare  (  da  lui  non  bene  reputata  del  Genio 
ella  città)  sia  in  allo  d'incoronare  l'altra;  e  cosi 
are  anche  a  me.  Il  Divo  Giulio  pertanto  sarà  rap- 
resentalo  in  atto  d' incoronare  il  giovine  Cesare  suo 
glio  ,  come  vincitore  e  vindice  della  sua  morte  :  e 
uò  tult'  insieme  ricordare  come  prima  della  batta- 
lia  di  Filippi  un  uomo  Tessalo  vide  in  sogno  il  Divo 
liulio,  che  gì' impose  di  dire  al  giovine  Cesare,  che 
el  posdomane  si  darebbe  battaglia,  e  che  in  essa  egli 
ì  prendesse  alcuna  co6a  di  quelle  ch'ei  portava  sendo 
illatore  ;  per  lo  che  Ottaviano  tosto  si  mise  in  dito 
anello  di  Giulio,  che  poscia  solca  per  lo  più  por- 
ire  (Dio  XLVH,  41  ).  Nell'anello  del  Dittatore  era 
Sigiala  Venere  Vincitrice,  la  quale  ricorre  sì  di  fre- 
uente  nelle  sue  monete,  e  in  quelle  altresì  del  fi- 
liuolo  suo  adottivo  (cf.  Eckhel  t.  VI p.  8,81). 
Lo  slesso  gruppo  delle  due  statue  rappresentanti 
Divo  Giulio  in  atto  d'incoronare  il  gio\ine  Cesare 
no  figliuolo  adottivo  paludato ,  e  con  la  destra  stesa 
1  alto  di  dare  il  cornando  o  di  arringare  l'esercito 
no,  ricorre  anche  in  monete  della  vicina  Anfipoli 
Pellerin,  Mei.  II p.  1,  Eckhel  t.llp.  67-68);  di  che 
anni  potersi  arguire,  che  quel  monumento  della  vit- 
oria  di  Filippi  era  stalo  dedicato  non  già  entro  quo- 
ta città,  ma  sibbeue  a  qualche  distanza  da  essa  verso 
Infipoli,  nel  sito  degli  accampamenti  di  Ottaviano  e 
i  Antonio, ovvero  nel  luogo,  ove  le  legioni  di  Otla- 
iano  medesimo  nell'ullima  giornata  decisiva  ruppe- 
o  e  Tolsero  in  fuga  le  schiere  dell'esercito  di  Bruto 
Appian.  B.  civ.  IV,  121,  128).  Anfipoli  distava 
iXXIII  miglia  ali  incirca  da  Filippi  verso  ponente  (1), 

(l)  All'o«ca:o  di  Filippi,  edificala  sopì' esso  un  colle,  era  «n'am- 


erà capitale  della  regione  prima  della  Macedonia  Ro- 
mana, e  in  essa  i  due  Iriunviri  collocato  avevano  il 
loro  erario  e  gli  approvigionamenti  (Appian.  B.  civ. 
IV,  106,  107:  cf.  Liner.  Anton,  et  Hierosol.);  sì  che 
a  tutta  ragione  polca  ritrarre  sopra  la  sua  moneta  un 
monumento  dedicato  presso  Filippi  verso  l'occaso, 
forse  in  su  la  via  che  da  Filippi  metteva  ad  Anfipoli 
slessa. 

Il  eh.  Lambros,  con  la  più  parte  degl'  interpreti 
sacri,  è  d'avviso  che  la  citlà  di  Filippi  sia  della  da 
S.  Luca  (Act.  Apost.XVI,  1 2)  capoluogo  di  una  delle 
quadro  regioni  in  cui  fu  divisa  la  Macedonia  ridotta 
in  provincia  Romana  da  Paolo  Emilio,  e  senza  dub- 
bio della  prima  di  esse  ;  ma  parmi  da  preferirsi  la 
sentenza  di  que'pochi,  che  intesero  ivi  detta  Filippi 
città  colonia  posta  nella  prima  parte  della  Macedonia. 
La  lezione  comune  del  testo  greco  :  tìs  »J />. litirovi , 
r,rii  sffr)  Tt^uiTti  rrtì  ixipiooi  tt,S  Mv.xìòoì  ixi  7roX/f, 
xoXt^na;  e  quella  altresì  della  Volgala:  Philippou,  quae 
est  prima  partii  Macedoniae  civitas  ,  colonia  ,  parmi 
non  diano  altrimenti  buon  costruito,  per  quanto  si 
sforzino  gl'interpreti  a  sostenerle.  Il  dotto  ed  elegante 
padre  fra  Domenico  Cavalca  nel  secolo  XIV  tradusse 
[Volgar.  degli  atti  degli  Apost.  cap.  XX)  :  a  Filippi, 
eh' è  nella  prima  parte  della  Macedonia;sì  che  mostra 
aver  letto  ne'suoi  codici  (  che  saranno  pure  slati  di 
qualche  antichità)  primae  partii,  ovvero  prima  parte 
Macedoniae. 

E  che  questa  sia  l'unica  vera  lezione  della  Volgala 
Latina,  corretta  da  S.  Girolamo,  ora  ne  siamo  ac- 
certati dal  riscontro  del  Nuovo  Testamento  dell'anti- 
chissimo e  prestantissimo  codice  Amiatino,  scritto  a 
mezzo  il  secolo  VI  da  Servando  diacono  ,  discepolo 
di  S.  Benedetto,  e  da  esso  lui  offerto  in  dono  a  S. 
Gregorio  Magno,  sommo  Pontefice,  circa  l'anno  590 
(Tischendorf.  Nov.  Testam.  Amiatin.  Lipsiae,  1850), 
nel  quale  leggesi  :  et  inde  Philippis,  quae  est  PRIMA 
PARTE  MACEDONIAE  civitas,  colonia.  Quindi  si 
conforta  di  mollo  la  sentenza  di  que'dotti  critici,  che 

pia  pianura ,  che  pel  trailo  di  un  quaranta  miglia  stendersi  fino 
ad  Anfipoli  ed  al  fiume  Strimoue  ,  della  da  Appiano  (  Bell.  civ. 
IV,  ìOSJ-jt-A'ov  iu$opiv  <*Aw  xx:  xaXÒt^alla  quale  ferliliià  si 
riferiscono  la  spiga  ,  il  grano,  il  grappolo  ed  altri  tipi  e  simboli 
delle,  monete  di  Filippi  e  d'Anfipoli. 


—  30  _ 


congetturavano  doversi  leggere  nel  lesto  greco  irpuirvis 
fxipfèos,  oppure  qrpwmpMaixeSovlaS  semplicemente. Per 
simile  modo  consta  come  la  Volgata  nostra  ne  conser- 
vala vera  lettera  Thalasta  in  altro  luogo  degli  Atti  degli 
Apostoli  (cap.  XXVII,  8),  ove  il  testo  greco  comune 
La  Axaxla.,  e  qualche  buon  codice  antico  ÀAASSA, 
che  pel  riscontro  delle  monete  di  fabbrica  Cretese  con 
l'epigrafe  ©A,  ©AAACHU)X(Mionnet,  suj)/)/.  n.  301, 
312),  vuoisi  emendare  leggendo  8AAA5SA. 

11  lodato  signor  Lambros  mostra  supporre,  che 
sotto  Augusto  od  in  appresso  Filippi  divenisse  città 
principale  della  Macedonia  prima ,  in  luogo  di  Anti- 
poli;  ma  non  ne  dà  riscontro  veruno  autorevole.  Sem- 
bra anzi  evidente,  che  anche  solto  l'impero  Anfipoli 
si  mantenesse  nell'onore  suo  primitivo  di  capitale  della 
Macedonia  prima,  del  pari  che  Tessalouica  della  Ma- 
cedonia seconda  ;  poiché  ambedue  vanno  quasi  del 
pari  nell'  impressione  di  copiose  monete  imperiali ,  e 
d'alcune  autonome,  fino  a'  tempi  di  Gallieno  e  di  Sa- 
lonina.  Dall'epigramma  di  Autipatro,  edito  dall'Hol- 
stenio  (ad  Steph.  p.  33:  cf.  Wessel.  ad  ilin.  Hiero- 
sol.  p.  004)  parrebbe  che  Anfipoli  a' tempi  degli  An- 
tonini fosse  decaduta  ed  in  ruina;  ma  le  monete  d'es- 
sa, assai  copiose  anche  a  que'  tempi ,  mostrano  che 
il  detto  del  poeta  sia  esagerato  ,  o  che  debba  inten- 
dersi segnatamente  delle  ruine  del  tempio  di  Diana 
Tauropola,  che  di  fatti  da  Commodo  Cesare  in  ap- 
presso forse  più  non  comparisce  nelle  monete  d' An- 
fipoli. La  città  di  Filippi,  a  confronto  d'Anfipoli,  ri- 
mansi  povera  di  monete  solto  l'impero. 

C.  Cavedom. 

BIBLIOGRAFIA. 

Memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese.  Voi.  IV 
parte  II.  Continuazione  del  n.  75. 

4.  Intorno  ad  una  iscrizione  onoraria  di  C.  Celio  Vero 
questore  alimentario ,  di  Agostino  Gervasio  :  con- 
tinuazione. 
Seguendo  l'a.  a  riportare  le  iscrizioni  di  Avella, 

illustra  sotto  il  n.  XVI  quella  del  militare  iV.  Marcio 

Plelorio  Celere  (Mommsen  inscr.  r.  neap.  n.  1947). 

Nella  riga  9-10  il  sig.  Gervasio  corregge  la  menzio- 


ne della  legione  II  Gallica  in  111  Gallica ,  non  altri- 
menti che  fa  pure  il  Mommsen,  attribuendo  lo  scam- 
bio ad  errore  del  lapicida.  Parlando  delle  varie  ca- 
riche militari  di  Marcio  Plelorio  dichiara  l'uffici  j  de' 
Praepositi ,  ch'era  particolare  e  straordinario,  illu- 
strando pur  brevemente  le  varie  decorazioni  militari, 
di  cui  è  parola  in  quella  iscrizione.  Finalmente  a  que- 
sto patrono  degli  Avellani  attribuisce  1'  a.  una  delle 
statue  marmoree  da  lui  pubblicate  nella  tav.  VII. 
L'  altra  iscrizione  riportata  ed  illustrata  dal  sig.  Ger- 
vasio è  il  marmo  onorario  di  Tarquinio  Vitale,  rica- 
vato dal  Remondini  (  della  Noi.  eccl.  istoria  toni.  1 
p.  203  ),  di  cui  l'a.  rinvenne  un  frammento  in  A- 
vella,  che  pubblica  nella  tav.  IV  fig.  4.  Egli  dubita 
in  parie  della  lezione  del  Remondini, nondimeno  con 
copiosa  erudizione  illustra  le  frasi  più  insolite  della 
epigrafe  ,  quali  sono  patrono  generi ,  togato  primario 
loci  ,  dcfensori  provinciae  Campaniae.  Non  debbo 
tralasciar  di  avvertire  che  il  Mommsen  dichiarò  falsa 
o  sospetta  la  base  di  Tarquinio  ,  e  che  il  sig.  Gerva- 
sio si  oppone  a  questo  giudizio,  traendone  argomenlo 
dal  frammento  tuttavia  esistente  in  Avella  e  da  lui 
rinvenuto.  Questa  evidente  dimostrazione  non  esclu  de 
che  il  Remondini  potesse  travedere  nella  lettura  di 
un  marmo,  ch'egli  medesimo  dichiarò  maltrattalo  « 
roso  non  poco  in  più  luoghi. 

Segue  la  epigrafe  di  Barbano  Pompeiano,  che  l'a. 
dice  esislente  nel  museo  del  Seminario  di  Nola:  e  per- 
ciò va  forse  corretta  la  contraria  asserzione  del  eh. 
Mommsen  (n.  1940).  Le  varianti  della  lezione  del 
sig.  Gervasio  sono  nellla  1."  rga  ,  ove  legge  POM- 
PEIANVS  non  POMPEIAN  ,  e  nella  penultima  ove 
riporta  CVRanTE  •  V  •  C  •  TI  •  PRO,  invece  di  CVR  ■ 

PRO.  Del  resto  l'a.  non  annunzia  di  averla 

esaminata  co' suoi  propri  occhi. 

Sotto  i  n.  XIX  a  XXI  la.  riferisce  le  epigrafi  pu- 
ramente sepolcrali  al  num.  di  otto,  compresi  i  fram- 
menti di  dubbia  determinazione,  ed  alcuna  iscrizione 
delle  vicinanze  di  Avella.  Sono  esse  ora  pubblicate 
dal  eh.  Mommsen  sotto  i  numeri  1949,  1903,  1900, 
1902,  2000,  1915,  2009  della  sua  raccolta.  Vo- 
gliamo pure  avvertire  che  la  piccola  varietà  di  lezione 
nella  iscrizione  n.   1903  dee  decidersi  a  favore  del 


—  31  - 


Mommsen  ,  come  rilevasi  dal  facsimile  esibilo  dal 
sig.  Gervasio  lav.  IV  n.  8:  e  la  differenza  che  si  os- 
serva nel  leslo  deve  attribuirsi  a  mero  errore  tipo- 
grafico. 

Riporta  pure  l'a.  un  frammento  di  colonna  Util- 
itaria; ed  aggiunge  altresì  due  iscrizioni  cristiane,  la 
prima  metrica  di  una  tal  Prenestina ,  ora  edita  dal 
Mommsen,  che  ne  fece  il  riscontro,  con  qualche  va- 
riante (n.  1 906),  e  l'altra  di  un  tal  Comitiolus  edita 
dal  Remoudini,  che  ne  diede  una  piena  illustrazione, 
(op.  cit.  fom.  1  p.  280).  Da  ultimo  riporta  un  fram- 
mento non  più  esistente  pubblicato  erroneamente 
dallo  slesso  Remondini  (I.  e.  p.  280),  ed  altro  fram- 
mento, di  cui  presenta  il  facsimile  (tav.IV,n.2),  di- 
verso in  parie  dalla  lezione  del  eh.  Mommsen  (num. 
1964).  Avverte  poi  che  iu  un  aulico  manoscritto 
parlandosi  di  una  iscrizione,  ov'era  rammentato  un 
enorme  numero  di  (alenti ,  e  che  dicesi  altrove  Ira- 
sportata  ,  sia  da  credere  si  accenni  alla  epigrafe  ap- 
punto di  C.  Celio  Vero,  che  di  falli  dovelt'  essere  in 
epoca  remota  trasportata  in  Napoli,  ove  al  presente 
ritrovasi. 

Il  sig.  Gervasio  nella  giunta  alla  sun  memoria,  già 
da  noi  precedentemente  citata  ,  e  da  lui  scritta  dopo 
la  pubblicazione  della  raccolta  del  Mommsen,  aggiun- 
ge da  questa  (n.  1967)  un  frammento  che  dice  esser- 
gli sfuggito.  Olirà  le  osservazioni  da  noi  sopra  rife- 
rite intorno  le  iscrizioni  giudicate  false  o  sospette  dal 
eh.  Mommsen ,  difende  dalle  ingiuste  accuse  Marco 
Mondo, 'che  questo  mio  dolio  amico  pone  traile  jp<r- 
sonae  Pratillianae.  L'a.  avverte  che  il  Mondo  fu  fi- 
lologo non  ispregevole  ed  ottimo  latinista,  ben  diffe- 
rente da  quegli  altri,  a'quali  potrebbe  applicarsi  una 
ingiuriosa  denominazione. 

Chiude  l' a.  tutto  il  lavoro  con  una  noia  sulle  noci 
Avellane,  o  nocciuole ,  la  cui  antica  denominazione 
attribuisce  ad  Avella  piuttosto  che  ad  Avellino:  e  con 
questa  occasione  favella  dell'epiteto  di  Prolropi,  che 
dà  Plinio  agli  Abcllinales,  offrendone  una  conghietlu- 
rale  interpretazione. 

5.  Intorno  le  medaglie  dell'  antica  Dalvon  osserva- 
zioni ,  di  Giulio  Minervini  :  pag.  267-29 1  con  una 
tavola  incisa. 


L'a.  imprende  ad  illustrare  con  questa  breve  me- 
moria alcune  medaglie  in  parte  conosciute,  i  cui  tipi 
sono  nel  litio  la  testa  di  Ercole,  e  nel  rovescio  la 
clava,  ed  una  epigrafe  ora  Iella  ©ElS ,  A.VYON; 
ora0EIS,AAAYON;oraIAAYiì..;oraAOYAAON, 
M1NATZ.  Uà'  numismatici  se  ne  attribuiva  la  patria 
ora  ad  Alvona  della  Dalmazia,  ora  a  Thisbae  della  Boe- 
zia  ,  ora  ad  una  prelesa  Avalon  dell'Illirico.  Col  con- 
fronto di  quattro  di  queste  medaglie ,  di  cui  fa  la 
pubblicazione,  l'a. dimostra  che  la  epigrafe  sempre 
costante  è  AAAYON,  ovvero  AAAYON  dritta  o  re- 
trograda, la  quale  si  accoppia  con  le  altre  iscrizioni 
variabili  ©EI£,  4>AAOS  o  3>AM0S,  AAIHATS  o 
MINATZ.  Onde  per  le  regole  di  critica  numismatica 
siamo  condotti  a  fissare  essere  l'invariabile  AAAY12N 
il  nome  della  città.  Rileva  dallo  stile  delle  monete 
l'a.  che  possano  appartenere  all'  Illirico,  ovvero  alle 
isole  dell'  Adriatico  :  alle  quali  regioni  non  discon- 
vengono i  tipi  Erculei,  siccome  vien  comprovando  dai 
monumenti  e  dalle  tradizioni. 

In  quanto  alle  altre  iscrizioni,  che  accompagnano 
la  epigrafe  AAATfìN",  il  signor  Minervini  le  reputa 
nomi  di  magistrati  :  ed  in  AAIHATS  riconosce  lo 
stesso  nome  che  in  MINATI  ,  contenendo  elementi 
del  tutto  simili ,  sol  con  lo  scambio  di  alcuni  fra  lo- 
ro somiglianti:  e  la  lermiuazione  o  che  sia  ATS  o  ATX 
sempre  più  conferma  l'attribuzione  ad  una  città  del- 
l'Illirico, ov'ebbe  stanza  la  barbara  gente  diTaulantii. 
Più  interessante  è  il  magistrato  dinotato  dalle  lettere 
©EIS  ,  o  che  creder  si  voglia  in  tal  modo  ovvero 
©EPS;  giacché  incontrasi  il  confronto  del  magistra- 
to ©E12IA ,  o  0EPSIA  di  alcune  monete  di  Apol- 
lonia e  di  Dirrachio.  Da  tutte  le  quali  cose  conchiu- 
de 1'  a.  doversi  quelle  monetine  attribuire  a  qualche 
città  dell'Illirico,  o  de' siti  viciui,  denominata  Dalvon 
o  Dalvona.  Esclusa  la  città  di  Dalmazia  detta  Dal- 
luntum,  l'  a.  osserva  che  la  città  la  quale  maggior- 
mente si  assomiglia  nel  nome  alla  Dalvon  delle  mo- 
nete, è  appunto  Alvona  della  Liburnia  :  provando  con 
molli  esempli  che  il  finimeato  in  ù>vx  è  comune  nei 
nomi  delle  città  illiriche,  e  che  spesso  trovasi  mutato 
in  usy.  Ritiene  dunque  probabile  che  la  Dalvona  delle 
medaglie  sia  la  stessa  Alvona  degli  scrittori; la  quale 


—  32  — 


parola  avendo  il  d  nel  principio  originariamente,  va- 
riar dovette  nel  seguito;  e  di  questa  varietà,  che  non 
di  rado  si  veriQca  col  correr  degli  anni  ne'  nomi  delle 
antiche  citlà,  va  enumerando  l'a.  alcuni  esempli.  A' 
quali  forse  potrebbe  aggiugnersi  il  nome  Decalera  o 
Decatara  ,  che  trovasi  denominata  anche  Catara  ; 
mentre  appartiene  alla  medesima  lingua.  E  senza  dub- 
bio il  Dc-Alwn,  cangiato  in  Ahon  ,  non  è  dissimile 
dal  De-Catara  tramutato  in  Catara. 

6.  Di  un  candelabro  di  bronzo  trovalo  nelle  vicinanze 
dell'  antica  Nuceria  Alfaterna,  che  può  aver  servito 
di  ceriolario ,  del  commendator  Bernardo  Quaran- 
ta :  p.  283-291  con  una  tavola  incisa. 

La  presente  memoria  è  destinala  ad  illustrare  un 
elegante  candelabro  di  bronzo  rinvenuto  nell'anno 
1840,  di  cui  si  offre  il  disegno  nella  tavola  annessa. 
L'  a.  determina  in  prima  l' uso  di  ques'o  candelabro 
o  candeliere  ,  che  offre  in  cima  uu  acuto  pungolo  , 
per  inOggervi  una  candela  ;  e  poscia  colla  scorta  di 
Polluce  e  di  altri  antichi  scrittoi,  dichiara  potere  al 
candelabro  convenire  il  nome  di  "kir^Q/ia.,  e  Xvxyùov, 
e  nel  latino  di  funate,  e  ceriolare ,  e  più  detcrmina- 
tamente candelabrum.  Passa  poi  il  eh.  a.  a  parago- 
nare il  candelabro  nucerino  con  altri  bronzi  pom- 
pejani  da  lui  deGniti  per  lucernieri  o  Xfxv^x°'»e  cne 
dal  defunto  comm.  Avellino  furono  ritenuti  per  ce- 
riolaria:  e  da  questo  confronto  desume  le  ragioni  a 
favore  della  sua  determinazione.  Noi  ci  riserbiamo 
di  parlare  di  una  tal  quislione,  quando  verrà  pubbli- 
calo il  lavoro  dell'Avellino  su  tale  argomento;  il  che 
sarà  quanto  prima  eseguito  nelle  memorie  della  slessa 
reale  Accademia  Ercolanese. 

7.  Sul  monumento  sepolcrale  di  Gavia  Marciana  sco- 
perto in  Pozzuoli ,  osservazioni  di  Agostino  Ger- 
vasio:  p.  293-346. 

L' a.  dopo  aver  riferito  tutle  le  precedenti  pubbli- 
cazioni di  questo  importante  monumento,  che  leggesi 
ora  nella  raccolta  del  eh.  Mommsen  (n.  2517),  va 
fermando  la  lezione  di  alcune  parole.  Tra  esse  sono 
notevoli  i  nomi  de'  Decurioni  Puteolani  ,  che  in  lut- 


t'allro  modo  sono  riferiti  dal  eh.  Mommsen  ,  le  cui 
lezioni  ci  sembrano  da  preferire;  sebbene  non  ancora 
ci  è  riuscito  di  veriGcarle  sull'originale  monumento. 
Solo  avvertiamo  che  tre  e  non  quattro  decurioni  cre- 
diamo potersi  ravvisare  in  questo  decreto ,  potendo 
considerarsi  come  un  sol  personaggio  il  Calpurnio 
Procolo  Cossutio  Rufino  ,  per  la  polionimia  non  inso- 
lita verso  il  finire  del  secondo  secolo  dell'era  Cristia- 
na. Il  sig.  Gervasio  interpreta  le  sigle  B  •  M  •  F-  nella 
3.  riga  BONAE  •  MEMORIAE  ■  FEMINAE  ■  ;  e  l'M 
dopo  il  Duoviri  della  riga  8.  per  Duoviri  Municipii, 
essendo  nolo  come  la  voce  Colonia  e  Municipium  si 
confondessero  fra  loro  assai  spesso  ne'tempi  posterio- 
ri. Confrontando  la.  l' altra  puteolana  iscrizione  di 
Gavia  Fabia  Rufina  (Mommsen  n.  25 1 8  ),  ne  trae  che 
M.  Gavio  Puteolano  ebbe  due  figlie,  cioè  la  suddetta 
Gavia  Fabia  Rufina,  e  Gavia  Marciana.  E  per  con- 
fronto del  cognome  Puteolano  ,  cita  una  iscrizione  di 
un  tal  Licinio  Puteolano  ,  ora  nel  real  Museo  Borbo- 
nico. (Vedi  questo  bulletlino  an.  Il  pag.  63  ).  Il  sig. 
Gervasio  ,  senz'  arreslarsi  all'  onore  del  pubblico  fu- 
nerale conceduto  a  Gavia,  dirige  particolari  ricerche 
sopra  due  particolarità.  La  prima  è  la  nota  cronolo- 
gica de'due  Consoli  L.  Bruzzio  Crispino,  e  L.  Roscio 
Eliano  ,  i  quali  già  dal  canonico  Lucignano  eransi 
rettamente  riferiti  all' an.  187  di  G.  C.  Ora  il  sig. 
Gervasio  ne  annunzia  di  aver  pure  interrogato  il  dot- 
tissimo Borghesi  su  quella  biga  di  Consoli,  riportando 
in  nota  la  risposta  di  questo  insigne  fastografo.  Ri- 
sulla da  essa  che  il  L.  Brullio  Quintio  Crispino  fu 
figlio  di  C.  Bi  uttio  Presente  console  nel  906  e  nel 
933  di  Roma;  che  la  genie  Bruttia  sia  slata  origina- 
ria del  nostro  Regno ,  e  che  non  venne  a  stabilirsi  ia 
Roma  se  non  se  a'  (empi  di  Cicerone  ;  e  finalmente 
che  l' altro  console  L.  Roscio  Eliano  sia  slato  di  fa- 
miglia proveniente  da  Brescia  discendente  da  L  Elia- 
no Mecio  Celere  console  sostituto  nell'  anno  di  Ro- 
ma 583. 

Continua  Minervino 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtàneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  79.     (  5.  dell'  anno  IV.) 


Settembre  1855. 


Iscrizione  dipinta  di  rosso  sopra  una  parete  pompejana. —  Musaico,  con  Amori  intorno  ad  un  leone. — 
Di  due  programmi  pompeiani. —  Iscrizione  latina.  — Bibliografia. 


Iscrizione  dipinta  di  rosso  sopra  una  parete  pompejana. 

Neil'  interno  di  una  delle  botteghe  alla  strada  del     di  Pompei  abbiamo  letto  segnata  sul  muro  col  pen- 
Foro ,  e  quasi  rimpelto  la  entrata  delle  nuove  terme     nello  la  seguente  iscrizione: 


C  •  •  •  AAI 

KAT0IK€I 

MHAC<€l 

CeiAITU) 

KAKOM 


OTOTAIOC 

IIAICKAAAI 

NGIKOCHPAKAHC 


Si  noti  pria  d'ogni  altro  la  ortografia  xotXXivuxos  in 
vece  di  xxWlvtxos,  la  quale  s'incontra  non  poche  volte 
nel  greco,  anche  sovente  in  altri  composti  di  n#7].(Vedi 
l'antica  serie  del  bullettino  archeologico  napolitano  an. 
II  pag.  44  e  1 54  ).  E  così  pure  fu  da  noi  avvertito 
nella  voce  Nuzoixr${ffffy\  di  una  epigrafe  puteolana  ora 
nel  real  museo  Rorbonico  (  v.  questo  bullettino  an. 
Ili  pag.  47  ).  Del  resto  su  questo  scambio  dell'sj  per 
/  lungo  è  da  vedere  anche  ciò  che  dice  il  Franz  {ehm. 
epigr.  graecae  p.  150,  232,  e  247).  E  perù  da  ram- 
mentare la  stessa  voce  KaXX/vr/xos,  che  trovasi  varie 
volte  con  questa  ortografia  (  v.  lo  stesso  Franz  op. 
cit.  p.  239  ,  s.  ).  L'  altra  ortografica  particolarità  è 
il  vedere  adoperato  l'ai  per  s  nelle  voci  2rj9a']$ai  ed 
tìseixirw;  nella  quale  ultima  parola  è  pure  osser- 
vabile nella  seconda  sillaba  l's/  per  /.  Noi  già  altrove 
raccogliemmo  numerosi  esempli  dello  scambio  del— 
anno  tv. 


V  <u  in  £  e  viceversa  in  altro  nostro  lavoro  (  in  qua- 
luor  gr.  diplom.  pag.  11  not.  17  );  e  notava  Ric- 
cardo Renllej  una  simile  cosa  frequentissima  negli 
antichi  manoscritti  (  ad  Callimach.  hymn.  in  Iov.  v. 
87  p.  6,  XI  ).  Né  meno  si  osserva  nelle  iscrizioni 
cristiane  ,  siccome  può  vedersi  appo  il  Marangoni 
{appena,  ad  acta  S.  Yiclorini  p.  73).  Questi  esem- 
pli però  appartengono  ad  epoca  meno  antica  :  ed  i 
nuovi  caratteri  pompcjani  vengono  con  certezza  a 
comprovare  che  già  nel  primo  secolo  dell'era  vol- 
gare la  pronunzia  del  dittongo  %i  equivaleva  a  quella 
dell'  e.  E  pare  che  possano  vedersi  ora  risolute  le 
quistioni  fatte  a  questo  proposito  da  diversi  eruditi, 
le  cui  opinioni  sono  riferite  nella  Sylloge  dell'  Ha- 
vercampo.  Vedi  per  la  pronunzia  dell'ai  il  Mekerco 
(  Sylloge  cit.  toni.  1  p.  125),  Tommaso  Schmid!  (ib. 
p.  527  ),  Erasmo  da  Rotterdam  {ib.  toni.  II  p.  89), 


34  — 


il  Chcco(/6.(.II  p.300e  419), ed  Enrico  Stefano (ib. 
torn.l  p.432):  per  quella  dell'e  il  vescovo  diWiaton 
(ib.  toni.  II  p.339  e  453),  Erasmo  Schmidt,  ilLangio 
(  ib.  t.  II  p.  626  ),  Gregorio  Martino  (t&.t.  II  p.  605), 
ed  i  moderni  Greci  (v.il  mio  cb.  amico  sig.Principe  di 
Belmonte  lettera  della  pron. greca  e  discorso  elc.Napoli 
1845  in  8.). La  nuova  epigrafe  pompejana,  la  quale  si 
rannoda  co'manoscritli,  colle  iscrizioni,  e  colle  monete 
di  epoca  posteriore  dà  causa  vinta  al  vescovo  diWinlon, 
ed  agli  altri  che  il  seguitarono  ,  escludendo  per  questa 
parte  la  pronunzia  Erasmiana. Mi  resta  per  ultimo  da 
osservare  che  nulla  pruova  il  luogo  di  Plutarco  in- 
vocato dal  Mekerco  relativo  alle  prerogative  dell'  et 
(Sympos.  quaest.  lib.  IX,  2);  imperciocché  il  Chero- 
neo  non  altro  dice  se  nonché  l' ex,  supera  le  altre  let- 
tere, perchè  vocale;  le  vocali ,  perchè  dubbia  ;  le 
dubbie  ,  perchè  precede  sempre  le  altre  vocali  nei 
dittonghi.  Ciò  non  importa  che  sentir  si  dovesse  in 
tal  caso  il  suono  dell'  ce  nella  pronunzia  ;  anzi  rile- 
vasi ,  a  nostro  giudizio ,  il  contrario  dalle  seguenti 
parole:  IxiIywv  aìòvorrspùa^ot/Xii  7rpora.rróixs)/ov  àxo- 
\ov§cvvri  X'u  (TvixQouvoì'Yri  xp^cScw  xeni  CfXXa|3às 
Cvi\j.%rwv  iroisTv:  ove  la  voce  ai^wviiv  accenna  ad  un 
suono  solo,  e  perciò  non  esclude  la  pronunzia  e.  Ma 
di  ciò  basti  :  ed  aggiungeremo  soltanto  sulla  forma 
lunata  del  C  e  dell'C,  e  sulla  conformazione  generale 
di  tutte  le  lettere,  che  essa  coincide  colla  scrittura  di 
quell'epoca;  come  rilevasi  da'earatteri  usati  ne'papiri 
Ercolanesi  di  epoca  contemporanea. 

Dopo  le  esposte  considerazioni ,  non  sarà  difficile 
ravvisare  nella  nostra  epigrafe  un  distico ,  composto 
di  due  senarii ,  la  cui  lezione  è  la  seguente  : 

O'  rov  Atos  it'jÀS  xxWivtxoi  H'pct^XT.S 
'EvOaS:  xxTQlXsT'  ixrfih  Hintui  x%x'j\k 

È  da  notare  in  primo  luogo  la  ortografia  xaxcf/x 
dell'ultima  voce,  ove  si  trova  adoperato  il  \x  in  vece 
del  ».  Questa  particolarità  può  venire  illustrala  dallo 
scambio  non  infrequente  di  queste  due  liquide,  anche 
in  iscrizioni  di  remota  antichità  :  così  ritroviamo  non 
poche  volle  ty/a  jìaor/>.«/av,  rùifx  ir^myix'xrivv  eie.  nel 
celebre  psefisma  Sigeo  pubblicalo  già  dal  Chisbull ,  e 
poi  di  nuovo  dal  Muratori  nel  suo    thesaur.   inscr.  I. 


IV  p.  MMCXVIII  e  segg.:  \\x  in  luogo  di  ìv,  come  in 
una  epigrafe  ,  che  leggesi  nel  corp.  inscr.  gr.  voi.  II 
p.  383,  42.  E  se  vuoisi  supporre  che  la  epigrafe  pom- 
pejana sia  dovuta  agli  Alessandrini  ivi  dimoranti  (v. 
questo  bullcltino  an.  III  p.  57,  e  79),  non  sarebbe  fuor 
di  proposito  rammentare  che  la  medesima  particolarità 
occorre  in  papiri  egiziani  (  irpoGÌìxjhcnJL  cpobs  presso 
Lelronne  nella  sua  dissertazione  dopo  il  2.°  volume 
dell'Aristofane  di  Parigi,  Didot,  p.  12:  XXIV,  16). 

Dopo  le  esposte  considerazioui ,  sarà  opportuno  il 
ricordare  che  questo  doppio  senario  era  già  conosciu- 
to dagli  antichi  scrittori ,  i  quali  parlano  del  mede- 
simo sentimento  segnato  sopra  la  casa  di  un  privato, 
a  cui  Diogene  il  cinico  soggiunse  un'arguta  risposta. 
Se  non  che  il  fatto  vien  diversamente  riferito  da  Dio- 
gene Laerzio  (lib.  VI,  39),  da  Clemente  Alessandri- 
no (  Slrom.  VII  p.  713,  B),  e  daTeodorelo  (de pro- 
viti. VI  p.  88  ).  È  pur  grazioso  questo  confronto , 
perchè  pruova  che  solevasi  segnare  nelle  private  abi- 
tazioni quella  raccomandazione  ad  Ercole  Callinico: 
il  che  fu  osservato  bene  a  proposilo  dal  eh,  Avellino, 
il  quale  ne  richiamò  la  memoria  colla  occasione  dei 
pompejani  programmi  (Descrizione  di  una  casa  pom- 
pejana nelle  memor.  della  regal.  Accad.  Ercolanese 
voi.  VI  p.  3-4).  Lo  stesso  Avellino  bene  osservò  che 
presso  Teodorelo  era  più  intero  quel  sentimento ,  e 
ravvisò  i  due  senarii ,  i  quali  compongono  un  vero 
epigramma.  Se  non  che  è  da  notare  che  nel  secondo 
verso  riportasi  sfr/rw,  e  non  à$t~ru>,  siccome  è  nel- 
1'  epigramma  pompejauo.  Ma  questa  differenza  non 
mette  nulla  in  essere  ne  per  la  lingua  né  perla  quan- 
tità :  e  solo  potremmo  ritenere  la  lezione  della  pa- 
rete pompejana,  come  proveniente  da  un  manoscritto 
più  antico.  Ora  dunque  che  le  pompejane  scavazioni 
vennero  a  confermare  le  osservazioni  dell'  Avellino, 
non  potrà  esservi  alcun  dubbio  per  aggiugnere  il 
nuovo  epigramma  alla  greca  antologia. 

Appunto  da  questo  nolo  distico,  ch'esser  dovea 
nell'antichità  divulgato,  fu  tratto  un  altro  distico 
riporlalo  all'  imperatore  Commodo ,  e  che  proba- 
bilmente venne  pur  segnato  col  pennello  o  col  car- 
bone presso  il  colosso  destinato  a  rappresentarlo  solfo 
le  forme  di  Alcide  : 


—  35  — 


O'  tov  Ajós  voùs  X'/Wluxos  'HfixXrfi 
ovx  £iV<  AovxioS,  àXX'  à.vxyxcCCfivcl  (jli. 

(Dion.  excerpt.  in  Ang.  Ma\i  Script,  vet.nova  coli. 
t.  II  p.  225  cf.  Xiphilin.  Corninoci,  e.  22).  E  siamo 
sorpresi  die  al  dottissimo  Welcker  fosse  sfuggito  il 
confronto  di  Teodoreto ,  quando  ne  fece  una  novella 
pubblicazione  (syllogc  epigr.  graecor.  p.  277  n.  235). 

L' Eroe  appellalo  Aiis  iroùs  richiama  un  bel  vaso 
dipinto ,  ove  ad  una  figura  di  Ercole  si  dà  la  medesi- 
ma denominazione  (AI02Ì  ITAlSMilliugen  anc.  uned. 
Mon.  P.  1  pi.  XXXVIII).  L'epiteto  poi  di  KaXXmxos 
dato  ad  Ercole,  oltre  il  confronto  degli  scrittori  (Ari- 
stid.  orai,  in  Hire.  f.I.  p.34  Jebb  ;  Phavorini  lex.  p. 
44  col.  1;  cf.  Earip.Aerc.Fur.  v.  582),  trova  anche 
quello  di  un  famoso  specchio  etrusco  (  Gerhard  clr. 
Spiegel  II,  tav.  CXXXVII),  ove  l'eroe  è  additato  dal- 
l'epiteto CALANICE  (  Raoul-Rochetle  sur  les  représ. 
d'Alias]). §9), a  cui  fa  bel  riscontro  ilKAAANlKHN 
letto  dal  cb.Garrucci  in  un  pompejano graffito  (bull. 
arch.  nap.  n.  s.  an.  II  p.  84  ).  É  pur  conosciuto  che 
in  un  frammento  di  Archiloco  si  trova  invocato 
l'Ercole  KaXXiWos  (fr.  LXXVII  p.  182  ed.  Liebel): 
e  sebbene  il  Koester  lo  reputi  forse  diverso  dal  famoso 
jambografo  di  Paros  (  de  canlilenis  popul.  vct.  Grae- 
cor. p.  37  s.  ) ,  pure  dee  certamente  giudicarsi  l'op- 
posto, trovandosi  in  una  greca  epigrafe  di  quella  me- 
desima isola  il  culto  riunito  di  Giove  Re  e  di  Ercole 
Callinico  (Boeckh  corp.  inscr.gr.  t.  II  n.2385  p.  347 
cf.  add.  p.  1076:  vedi  pure  il  eh  Panofka  Zeus  Basi- 
leus und  Herakles  Kallinikos  p.4  segg.).  Da  ciò  si  ren- 
de assai  probabile  che  il  famoso  poeta  di  Paros  sia 
slato  l'autore  di  quell'  inno  in  onore  di  una  divinila 
venerata  sotto  un  parlicolar  nome  nella  sua  patria. 
Al  che  si  aggiunga  che  lo  Scoliaste  di  Aristofane  sup- 
pone che  Archiloco  scrivesse  queir  inno  per  cele- 
brar la  sua  vittoria  dopo  aver  recitato  iu  Paros  l'inno 
a  Cerere  (Av.  1764  p.  247  ed.  Didot.  ).  È  proba- 
bile che  dall'  inno  di  Archiloco  ad  Ercole  Callinico 
si  derivasse  la  cantilena  della  tibia  dimandata  KaX- 
Xinxos,  secondo  un  frammento  di  Trifone  appo  Ate- 
neo (  XIV  p.  618:  cf.  Tryphou.  gramm.  Alexandr. 
fragra,  p.76,  77  ed.  de  Valsen);  giacché  dallo  stesso 


Scoliaste  di  Aristofane  ci  si  fa  conoscere  che  nel  canto 
di  quell'  inno  imilavasi  il  suono  della  tibia  :  lua-r/n/. 
iTriQSiytxxros  xukoù  (Acharn.iZÒO  p.31  cf.-4v.1764 
p. 247):  per  lo  che  non  è  improbabile  clic  la  cadenza 
delle  tibie  ,  le  quali  accompagnavano  i  versi ,  pren- 
desse un  nome  particolare  da  una  voce  in  quella  poe- 
sia ripetuta  per  modo  da  costituir  quasi  un  interca- 
lare. Sarebbe  troppo  ardilo  il  conghietturare  che  i 
due  versi  pompejani,o  almeno  il  primo,  fossero  do- 
vuti allo  stesso  Archiloco.  licerlo  si  è  che  questo  poe- 
ta, come  innanzi  fu  detto,  scrisse  un  inno  per  Ercole 
Callinico,  ed  in  siuiil  melro  lo  scrisse  ,  la  qual  ma- 
niera di  verso  fu  da  lui  non  poche  volle  adoperata;  sic- 
come rilevasi  da  varii  frammenti  rimasti,  lì  qui  mi  pia- 
ce di  notare  che  V  Ercole  Kallinikos  è  lo  stesso  che 
l'Ercole  Victor  o  Invictus  de' Romani  (  Stephani  der 
ausruhende  Herakles  p.  157),  del  quale  oltre  le  cose 
delle  da  me  («aon.tned.dijBaronep.122e  segg.),  veg- 
gasi  pure  il  eh. de  Rossi  (  monum.  annali  e  bulleltinì 
dell'  Istituto  185Ì-  pag.  28  segg.).  Io  già  feci  notare 
in  quella  occasione  che  .1'  Ercole  Vincitore  ,  come 
superatole  de' mostri,  e  come  simbolo  del  buon  prin- 
cipio ,  che  perseguila  ed  annulla  gli  esseri  malefici 
qualunque  essi  sieno ,  dee  riputarsi  quasi  un  Dio 
àX^/xxxos  ed  averruncus.  Ed  è  certamente  notevole 
che  Aristide  riunisce  la  menzione  di  queste  due  de- 
nominazioni di  Alcide  ,  quasi  che  fossero  in  un  cer- 
to rapporto  fra  loro  (  de  Herc.  t.  1  p.  34  ).  Questa 
idea  spiega  a  sufficienza  come  l'eroe  vittorioso  o  xaX- 
Xiyixos  s' invocasse  a  fugar  dalla  casa  i  mali  :  jwpsv 
eìsi&rut  xotxév.  E  da  ciò  ci  si  ricorda  che  anche  in 
epoca  posteriore  il  tipo  di  Ercole  vincitor  del  leone 
era  riputato  un  possente  amuleto  contro  le  coliche  : 
come  rilevasi  dagli  scrittori  medici ,  e  da  alcuni  mo- 
numenti guostici,  uno  de' quali  vedesi  dottamente  il- 
lustrato dal  eh.  Lenormant  (rev.archéolog.  de  Leleux. 
an.  Ili  p. 510-51 1  ).  Noi  crediamo  che  questa  super- 
stiziosa ricelta  si  rannodi  alle  idee  dell'  Ercole  vinci- 
tore ,  o  KaXX/V/xoS,  che  altro  non  dee  reputarsi  dal- 
l' averruncus,  *X?&Wxos,  o  fugatore  de' mali  (1). 

MlNERVJNI. 

(I)  Queste  osservazioni  souo  stalo  da  me  comunicate  alla  Reale 
Accademia  Ercolanese. 


36  — 


Leone  ed  Amori,  lavoro  a  musaico  presso 
il  sig.  Raffaele  Barone. 

Nella  lav.  II  di  questo  anno  IV  del  ballettino  ve- 
desi  pubblicato  di  dimensioni  la  metà  dell'  originale 
un  importante  musaico  posseduto  dal  negoziante  di 
antichità  sig.  Raffaele  Barone.  Ci  è  ignota  la  prove- 
nienza di  questo  monumento  ;  e  solo  sappiamo  eh'  è 
slato  introdotto  di  fuori  nel  nostro  reame.  Le  pie- 
truzze  ,  di  che  è  composto  ,  sono  assai  minute  ;  sic- 
come era  conveniente  per  un  insieme  di  piccole  fi- 
gure ,  delle  quali  era  mestieri  conservare  i  contor- 
ni :  per  modo  che  il  nuovo  musaico  ,  in  quanto  al 
lavoro  ,  merita  di  essere  paragonato  ad  altri  finissi-? 
mi  musaici ,  come  sono  alcuni  del  rea!  museo  Bor- 
bonico ;  a'  quali  cede  di  poco  per  questo  lato ,  seb- 
bene lor  non  è  da  reputare  inferiore  per  la  impoi> 
tanza  del  soggetto ,  e  per  la  espressione  ed  eleganza 
della  composizione.  Pria  però  di  venire  ad  illustrar 
brevemente  la  bellissima  rappresentazione,  di  che  di- 
scorriamo ,  non  sarà  fuor  di  proposito  rammentare  il 
musaico  Capitolino  di  analogo  argomento.  Vedesi  in 
esso  Ercole  in  femminile  abbigliamento  ,  il  quale  sta 
filando,  e  volge  il  mesto  sguardo  a  sinistra:  al  suolo 
è  lo  scifo  rovesciato,  e  di  lato  è  un  tirso  ed  un  grap- 
polo d'uva.  Nella  parte  più  visibile  del  quadro  son 
tre  Amorini  domando  un  leone,  che  hanno  legato, 
uno  de' quali  suona  la  siringa  ,  gli  altri  due  con  un 
panno  ne  stan  ricoprendo  la  vista ,  mentre  il  feroce 
quadrupede  è  quasi  nel  punto  d' imbizzarrirsi.  Av- 
verto pria  d'  ogni  altro  che  l*  Ercole  in  atto  di  filare 
presso  la  regina  di  Lidia  fu  bene  dal  Bottali  deter- 
minalo per  l'Ercole  Bibace,  avuto  riguardo  allo  sci- 
fo ,  che  vedesi  al  suolo  rovesciato  (  Mus.   Capital. 
toni.  IV  tav.  XIX  pag.  89).  Anche  il  Kaoul-Ilocheltc 
parla  del  musaico   Capitolino,  ove  osserva  il  carat- 
tere dionisiaco  attribuito  ad  Alcide  ;  e  richiamando  , 
per  quel  che  concerne  l' episodio  del  leone ,  la  bella 
gemma  della  galleria  di  Firenze  coli' Amore  alato  so- 
pra un  leone  suonando  la  lira  (Stosch  gemm.  ant. 
caelat.  lab.  LUI),  riconosce  simili  scene  in  rapporto 
colle  avventure  dell'eroe  io  Lidia  ,  e  colle  sue  rela- 
zioni verso  la  regina  Ornfale  (  Choix  de  peintur.  de 


Pompei  pag.  246,  2Ì7:  cf.  Slephani  der  ausruhende 
Herahles  p.  129  seg.  ).  Non  sapremmo  poi  perchè 
omelie  il  confronto  di  due  importantissimi  musaici 
provenienti  dalle  pompejane  scavazioni,  de' quali  di- 
remo fra  poco  alcuna  cosa.  A  me  piace  di  osservare 
che  questi  monumenti  confermano  pure  le  nostre  idee 
relative  allo  stalo  di  avvilimento  di  Alcide  a  lui  pro- 
dotto dalla  ebrietà,  che  a  lui  fé  rapire  le  temute  ar-t 
mi  (Vedi  questo  bulleltino  an.  Ili  p.  12  ,  1  ).  Perciò 
nel  musaico  Capitolino ,  mentre  Ercole  si  abbassa  a 
femminili  occupazioni,  lo  scifo,  il  tirso,  ed  il  grap- 
polo additano  abbastanza  le  seguite  orgie,  e  le  con- 
seguenze, che  ne  derivarono.  Come  simbolo  appunto 
di  questa  mitica  schiavitù  di  Alcide  dee  considerarsi 
il  leone  domato  dagli  Eroti  probabilmente  dionisiaci, 
i  quali  cercano  di  assonnarlo  e  d' infievolirne  le  for-> 
ze ,  altri  al  suono  della  siringa  ,  altri  oscurandone 
con  un  drappo  la  vista,  e  tulli  tenendolo  avvinto  fra. 
ceppi. 

A  queste  medesime  idee  va  riportalo  il  magnifico 
musaico  pompejano  rappresenlante  un  bacchico  A- 
more  che  ha  domato  uu  leone.su  cui  cavalca.  Il  leo- 
ne è  coronalo  di  edera  ,  e  così  pure  l' Amorino  che 
lo  cavalca  ,  e  che  tiene  pur  colla  destra  un  enorme 
scifo  ,  appressandolo  alle  labbra  :  al  suolo  è  un  tirso 
(  Real  mas.  Bori.  toni.  VII  tav.  LX1I).  Il  eh.  signor 
Commendatore  Quaranta  dice  Acratos  l'alalo  putto: 
ma  noi  parlammo  altrove  diversamente  di  simili  mo-> 
minienti  (inon.  ined.  di  Barone  p.  Ili).  Per  noi 
tutta  questa  serie  di  monumenti  si  riferisce  senza  dub- 
bio alla  servitù  di  Ercole  presso  Ornfale,  ed  alla  sua 
ubbriachezza  :  per  cui  la  forza  vinla  ed  affranta  dal 
vino  e  dall' Amore  venne  acconciamente  simboleg- 
giata dal  leone  domo  ed  avvinto  da  esseri  in  appa- 
renza deboli  e  delicati.  Ed  è  pur  da  notare  che  il 
leone  bene  fu  destiuato  a  simboleggiare  Alcide ,  non 
solo  per  la  forza  di  quel  generoso  animale ,  ma  an- 
che per  lo  significalo  solare  comune  all'eroe  ed  alla 
fiera  trascella  a  dinotarlo. 

In  questa  medesima  categoria  va  messo  il  nuovo 
musaico  del  sig.  Barone,  il  quale  però  si  riferisce  ad 
un  soggetto  differente  e  posteriore.  11  leone  non  è 
più  domato:  egli  ha  rotte  le  sue  catene,  e  con  occhi 


—  37  — 


feroci  si  slancia  nella  libera  campagna.  Intanto  i 
quattro  alati  putti  mostrano  la  sorpresa  in  essi  ori- 
ginata dal  subitaneo  impeto  della  belva. 

Altri  tenendo  un  candelabro  preparasi  a  percuo- 
ter con  esso  la  fiera  ,  altri  tira  la   spezzata  fune ,  un 
altro  par  che  suoni  i  cimbali, mentre  il  quarto  tenta 
di  rapir  con  un  panno  la  luce  al  veloce  e  furente 
animale.  Non  potremmo  comprendere  la  intelligenza 
di  questa  simbolica  rappresentanza  ,  ove  una  circo- 
stanza non  venisse  ad  additarcela.  Si  è  questa  lo  scifo 
al  suol  poggiato  ,  che  accenna  altresì  all'  Ercole  Bi- 
bace ,  non  altrimenti  che  nel  citalo  musaico  del  Real 
Museo  ,  e  nel  musaico  Capitolino  ,  ove  la  presenza 
di  Alcide  invilito  nella  reggia  di  Omfale  ne  determina 
pienamente  il  significato.  A  me  pare  che  nel  nuovo 
musaico  del  sig.  Barone  il  leone  ha  superato  i  ceppi, 
da' quali  si  è  sciolto,  e  via  sen  fugge  :  e  piuttosto  che 
indicare  il  momento  precedente  alla  sua  servitù,  di- 
noti il  punto  della  sua  liberazione.  Per  lo  che ,  rife- 
rito alle  mitiche  narrazioni ,  divien  simbolo  della  li- 
berazione stessa  di  Alcide  dalle  vergognose  catene,  a 
cui  fu  vilmente  soggetto  nella  effeminala  corte  della 
regina  di  Lidia.  Una  rappresentazione  presso  a  poco 
simile  si  vede  in  altro  prezioso  musaico  pompejano, 
ora  collocato  nel  real  museo  Borbonico  (  real  mus. 
Borb.  voi.  VII  lav.  LXI).  11  leone  sta  quasi  nel  mo- 
mento di  spezzare  i  suoi  ceppi ,  in  movimento  assai 
simile  al  novello  musaico  :  uno  degli  Amorini  suona 
cetra  ;  varii  simboli  bacchici  sono  all'  intorno.  È 
sopra  un  piedestallo  una   femminile  figura  con  tirso 
e  vaso  a  due  manichi  :  essa  è  coronata  di  edera  ,  e 
così  pure  tutù  gli  Amori,  non  che  altra  figura  fem- 
minile sedente  ,  e  pur  con  simile  vaso.  Altra  Nin- 
fa con  analoghi  simboli    siede  dall'altro  lato.  Noi 
ci  proponiamo  di  parlare  più  dislesamente  di  que- 
ste differenti  figure  nel    musaico  del  real  museo , 
le  quali  meritano  una  più  esalta   dilucidazione.  Per 
ora  ci  contentiamo  di  osservare  che  1'  idolo  messo 
sopra  una  elevazione  nel  musaico  del  sig.  Barone  ha 
certamente  la  medesima  significazione  che  la  figurina 
col  tirso  messa  sopra  un  piedestallo  nell'  altro  mo- 
numento testò  citato.  È  pur  da  notare  che  l' Amore 
suonatile  la  siringa  nel  musaico  Capitolino,  battendo 


i  cimbali  nel  nuovo  musaico,  e  suonando  la  lira  nella 
gemma  della  galleria  di  Firenze,  e  nel  musaico  pom- 
pejano, devono  reputarsi  d  identica  intelligenza.  Vol- 
lero que' differenti  artisti  accennare  al  poter  della 
musica  Dell'ammansire  i  più  fieri  animi.  Ed   al  me- 
desimo sentimento  dee  riportarsi  il  mito  di  Orfeo  che 
mosse  colla  sua  cetra  le  belve ,  e  finanche  gli  esseri 
inanimati,  e  le  infernali  divinila,  di  Amfkne  che  trasse 
le  pietre  a  costruir  le  mura  di  Tebe  mercè  i  concenti 
della  sua  lira;  per  tacer  d'Arione  il  quale  pel  dono 
della  musica  fu  salvalo  da  uno  de' lusingati  delfini  (P. 
A  confronto  di  tulli  i  monumenti,  nei  quali  scor- 
gesi  un  leone  in  relazione  con  Amori  (Mùller  Hand- 
hich  §  391,  not.  a  p.  Gii  edit.  Welcker),  va  ricor- 
dalo un  nolabile  luogo  di  Plinio,  ove  si  parla  di  una 
scultura  di  Arcesilao  posseduta  da  Varrone  :  Arcesi- 
laum  quoque  magnificai    Varrò,  cujus  se  marmoream 
kabuisse  leaenam  tradii ,  aligcrosque  ludenles  cum  ea 
Cupidiucs  (  lib.  XXXVI  cap.  V).   Ove  si  paragonino 
tulli  gli  aldi  monumenti,  de'quali  finora  ragionammo, 
sarebbe  taluno  spinto  a  conghietturare  che  Arcesilao 
avesse  lavorato  un  leone  piuttosto  che  una  leonessa, 
e  perciò  ad  ammettere  una  differente  lezione  nel  luo- 
go di  Plinio;  ma  noi  non  oseremmo  avanzare  una  si- 
mile conghietlura.    Del  resto,   di   questo  Arcesilao 
veggasi  ciò  che  scrive  il  Sillig  (catalotj.  ariif.  pag.80), 
e  più  recentemente  il  eh.  Bruun  [Gcschichle  der  Grie- 
chischen  Kunstler  p.  000  segg.  ).  Minervini. 

Di  due  programmi  pompejani. 
Rivedendo  il  programma  di  Pompei  da  noi  ripor- 
talo nell'anno  II  pag.  51  n.  2,  ne  abbiamo  rilevato 
che  nella  prima  linea  è  PROCVM  non  PBOCVLVM: 
e  così  ci  si  fornisce  un  altro  esempio  simile  a  PO- 
STIVM  per  POSTVMIV.M  ,  SECVM  per  SECVN- 
DV.M  ,  de'quali  fu  dello  di  sopra,  v.  la  pag.  17. 

In  altro  programma  (v.  sopra  pag.  16  n.  7)  tro- 
vasi mentovalo  un  AM1VLLIYS  COSAI VS.  Così  ap- 
pai- chiaramente,  ma  ove  si  supponga  svinila  la  te- 
s!a  di  un  P,  potremmo  anche  leggere  AMI  VLLIVS, 
nome  che  giuslamenle  derivasi  da  ampulla. 

Minervini. 

(1)  Una  dotta  memoria  su  questo  mito  fu   scritta  dal  Creuzer  : 
vedi  Fr.  Creuzeri  opuscula  scicela  Lipsiae  MDCCCLIV  pag.  2-10. 


—  38  — 


Iscrizione  latina. 

usci 

plm 

annvm  vnvm  m  oc 
todepositvssvb 


DIE  NONV  KAL  IVNIA 
S  ÌMP  DN  IVSTINO  PP 
AVG  ANNO  QVARTO 
ITERVM  PC  EIVSDEM 
AVG    ANNO    TERTIO 

Questa  importante  iscrizione  fu  non  ha  guari  rin- 
venuta in  S.  Maria  di  Capua  ,  ed  ora  trovasi  in  pos- 
sesso del  Sig.  Vincenzo  Caruso.  Essa  è  mancante 
della  parte  superiore ,  per  modo  che  ci  viene  rapito 
il  nome  del  ragazzino  sepolto.  Nella  prima  riga  era 
forse  la  solita  forinola  HIC  REQVIESC1T,  di  cui  ri- 
mane il  finimento  :  nella  seconda  riga  al  nome  del 
defunto  seguivano  probabilmente  le  sigle  Q.  V. 
Qui  vixit.  Non  istarò  a  richiamar  confronti  alle  va- 
rie abbreviazioni  osservabili  nella  nuova  epigrafe  Ca- 
puana ,  le  quali  sono  frequentissime  nelle  iscrizioni 
di  tempi  posteriori ,  e  segnatamente  nelle  cristiane. 
Sicché  la  nostra  epigrafe  va  letta  nel  seguente  modo: 

Hic  requiescit qui  vixit  plusminusannumunum 

menses  odo  ,  depositus  sub  die  nono  Kalendas  iunias 
imperante  Domino  nostro  luslino  perpetuo  Augusto 
anno  quarto,  itcrum  post  coimdatum  eiusdem  Augu- 
sti anno  terlio.  Comune  è  a  Giustino  il  titolo  di  Au- 
(jusius  perpetuo  ,  come  si  raccoglie  dalle  iscrizioni  e 
dalle  medaglie.  Ma  quello  che  richiama  principal- 
mente l'attenzione  nella  epigrafe  che  pubblichiamo, 
sì  è  la  nota  cronologica,  la  quale  conferma  quel  che 
sappiamo  intorno  il  consolato  di  Giustino.  È  evidente 
che  facendosi  menzione  dell' anuo  quarto  dell'impe- 
ro, nel  mese  di  maggio,  s'intende  parlare  dell'anno 
SCO  di  Cristo.   Segue  un  altro  modo  d'indicare  la 


medesima  data,  cioè  l'anno  terzo  dopo  il  consolato 
di  quell'  Augusto.  E  qui  ricordiamo  che  il  Pagi  (dj's- 
sert.  hypat.  P.  IH  Cap.  II  §.  6  ) ,  seguito  poi  dallo 
Schwarz  (dissertai,  seleclae  p.28l  segg.),  stabilì  col- 
1'  ajulo  degli  scrittori  e  de' monumenti  che  in  due 
modi  adopravasi  la  forinola  post  consulalum  ,  cioè  o 
comprendendovi  l'anno  in  cui  l'imperatore  assumeva 
quel  titolo  ,  ovvero  escludendolo.  A  questa  seconda 
maniera  più  giusta  e  più  ragionevole  si  è  conformato 
lo  scrittore  della  novella  iscrizione  di  Capua  ;  e  per- 
ciò troviamo  che  correndo  il  quarto  anno  dell'  im- 
pero di  Giustino,  si  annunzia  correre  il  terzo  anno 
dopo  il  suo  consolato  ,  il  quale  era  caduto  nel  primo 
anno  dell'  impero.  Intanto    dalla  medesima  nostra 
iscrizione  parrebbe  comprovato  che  un  solo  consola- 
to tenne  l'imperatore;   altrimenti  non  potrebbe  in- 
contrarsi la  enunciata  proporzione  cogli  anni  dell'im- 
pero. Né  dee  pensarsi  affatto  che  1'  iterum  della  pe- 
nultima riga  accenni  ad  un  secondo  consolato  ;   ma 
va  inteso  chiaramente  nel  senso  d' item,  quasi  legame 
di  una  seconda  e  differente    maniera  di  additare  la 
data.  Il  P.  Pagi  non  seppe  in  fatti  persuadersi  di  un 
secondo  consolalo  di  Giustino;  ma  vi  si  oppose  il  Mu- 
ratori sostenendo  la  contraria  opinione  del  Barouio 
(  annali  d'Italia  all'anno  568).  E  così  ancora  il  citato 
Schwarz  ,  il  quale  applicò  pure  la  forinola  post  con- 
sulalum appunto  a'  consolati  del  secondo   Giustino 
(  dissertai,  cit.  pag.  294  seg.  ).  Non  so  bene  quanta 
luce  dar  possano  ad  una  tal  questione  le  Novelle  140, 
144,  149,  le  quali  sono  richiamate  e  corrette  a  se- 
conda delle  diverse  opinioni.   Ma  sembra  che  un  se- 
condo consolato  di  Giustino  nell'  anno  terzo  dell'im- 
pero sia  supposto  in  varii  monumenti  di  quell'epoca. 
Così  in  un  diploma  di  Ravenna  edito  dal  Maffei 
(istor.  diplom.  p.  103)  si  parla  dell'anno  settimo 
dell'  impero  e  dell'  anno  quarto  post  consulatutn  se- 
cundo.  In  altra  iscrizione  proveniente  pure  da  Ca- 
pua leggiamo  IMP  •  D  •  N  ■  IVSTINO  ■  ANNO  ■  VII  ■ 
P  •  C   EIVSDEM  •  ANNO  •  V  (Mommsen  inscr.  r. 
neap.  lai.  n.  3897);  ove  è  da  notare  che  s'include 
l' anno  del  consolalo ,   numerandosi  come  quinto  a 
cominciare  dal  terzo  anuo  dell'  impero  ,  in  cui  Giu- 
stino dichiarossi  console  per  la   seconda  volta.  Più 


--39  - 


importante  è  la  seguente  iscrizione,  della  quale  forse 
non  fu  esattamente  determinata  l' epoca  : 

UIC  REQVIESCITIN 

SOMNO  PACIS  1VS 

TINA  ABBATISSA 

FVNDATRIX  SANC 

TI  LOCI  HVTVSQVAE 

VIXIT  PLVS  MINVS 

ANNOS  LXXXV  DEPO 


SITA  SVB  DIE  KALRVM 
NOVEMBRIVM  IMP 


DN  N  IVSTINO  PP  AVG 


ANN  IIII  PC  E1VSDEM 
INDICTIONE  TERTIA 

(Mommsen  op.  cit.  n.  3896). 

Si  è  creduto  che  la  iscrizione  appartenesse  al  570 
li  Cristo,  ovvero  all'anno  quarto  dopo  il  consolalo 
li  Giustino:  ma  se  ciò  fosse  vero,  dovrebbe  notarsi 
ì  indizione  quarta  essendo  una  data  posteriore  al 
lese  di  settembre.   Ma  bene  ,  a  nostro  giudizio  ,  si 
piegherebbe  la  epigrafe,  quando  Y  anno  UH  si  atlri- 
uisse  all'  impero ,  e  si  supponesse  un  secondo  con- 
flato avvenuto  neh'  anno  III.  In  tale  ipotesi  ,  l'anno 
uarlo  dell'  impero  corrisponde  appunto    al  primo 
nno  dopo  il  secondo  consolalo ,  che  doveva  indi- 
arsi semplicemente  colla  formola  post  consulalum  : 
osi  sta  pure  assai  bene  la  indizione  terza  ,  la  quale 
ella  spiegazione  del  eh.  Mommsen  avrebbe  dovuto 
sser  quarta.  Non  vuoisi  però  tralasciare  che  l'ANN 
[Ilpolrebbe  riportarsi  alla  doppia  menzione  dell'ini- 
ero  e  del  consolato  ,  calcolando  altresì  1'  anno  ,  in 
ui  l'Augusto  assunse  il  tilolo  di  console.  In  qualun- 
ue  modo,  la  epigrafe  dell'  Abbadessa  Giustina  ci 
?mbra  da  riportare  non  già  al  570  ,  ma  sibbene  ad 
n  anno  prima  cioè  al  569. 


annoverano  gli  anni  posteriori  a  quello  :  o  ciò  ap- 
punto si  osserva  nella  nostra  iscrizione.  Nel  secondo 
metodo  si  ricomincia  quella  formola  dopo  Tanno  III 
dell'  impero  ;  o  perchè  lo  slesso  Augusto  riassunse 
allora  il  titolo  di  Console,  non  so  per  quali  motivi, 
o  perchè  un  tal  fallo  gli  venne  dagli  altri  per  qual- 
che particolare  occasione  attribuito. 

MlNERVINI. 

BIBLIOGRAFIA. 

Antichità  inedite  di  vario  genere  trovate  in  Sicilia, 
che  si  pubblicano  da  Baldassarre  Romàno. — Paler- 
mo— 1854  in  4.  fase.  1.  di  pag.  24  e  sei  tavole  lito- 
grafiche o  in  rame. 

L' egregio  autore  di  questa  pubblicazione  si  pro- 
pone di  dare  alla  luce  gl'inediti  monumenti,  che  tro- 
vansi  sparsi  per  la  Sicilia ,  o  che  sieno  da  lui  mede- 
simo posseduti ,  ovvero  da  altri  da'  quali  gli  riuscirà 
di  averne  accurati  disegni.  Saggio  divisamento  si  è 
questo ,  per  far  conoscere  non  poche  antiche  me- 
morie della  classica  isola  ,  le  quali  ora  giacciono 
ignote  ne'  particolari  musei ,  senza  recar  giovamento 
alla  scienza  archeologica,  che  del  confronto  de' mo- 
numenti precipuamente  si  avvantaggia. 

Con  questo  primo  fascicolo  Y  autore  dà  un  saggio 
di  questo  suo  utilissimo  lavoro  ,  di  cui  promette  in 
seguito  varii  volumi.  Noi  daremo  una  breve  notizia 
de' monumenti  ,  che  si  presentano  in  questo  fascico- 
lo ;  rimandando  all'  opera  slessa  per  una  più  ampia 
esposizione. 

Tav.  1,2,  3.  Vaso  dipinto  trovato  ne' dintorni  di 
Termini  verso  ìmera.  È  questo  della  forma  del  cra- 
tere ,  detto  volgarmente  a  campana.  Le  figure  son 
rosse  in  fondo  nero  ,  con  pochi  tocchi  di  bianco.  Da 
ciascuno  de' due  lati  vedesi  una  parlicolar  rappre- 
sentazione :  e  sopra  e  sotìo ,  non  che  presso  i  mani- 
chi ,  sono  graziosi  ornamenti  di  palmelle  ,  di  cui  il 
sig.  Romano  offre  la  figura  nella  sua  tavola  1. 
Nella   prima  faccia  (tav.  2)  sono  due  gruppi  in 


Dalle  esposte  cose  sembra  potersi  probabilmente 

esumere,  che  due  differenti  metodi  trovansi  ne'mo-  parte  perduti.  Un  giovine  imberbe  con  corta  tunica, 

umenti,  destinati  ad  indicare  i  consolati  di  Giustino,  o  clamide,  col  capo  cinto  di  tenia,  lien  colla  sinistra 

el  primo  si  suppone  un  sol    consolalo  ,   e  poscia  si  un  ampio  scudo  rotondo  coli'  emblema  di  un  Pega- 


—  40  — 


so ,  e  più  la  lunga  asta  riversa.  Colla  desfra  lien  sol- 
levato un  elmo  con  paragnalidi  e  pendente  coda  : 
sopra  leggesi  la  epigrafe  KAAOX.  Innanzi  è ,  come 
pare,  una  figura  virile  in  massima  parte  perduta  ,  la 
quale  si  appoggia  a  nodoso  bastone.  Il  secondo  grup- 
po ci  presenta  i  residui  di  un  altro  guerriero  con 
asta  e  scudo ,  ove  era  nel  mezzo  l' emblema  di  un 
occhio  :  sopra  leggesi  KAAO . .  Innanzi  è  donna  con 
sphendone  radiata  ,  e  doppio  chitone  ,  indicata  dalla 
epigrafe  KAAE. 

Nell'altra  faccia  del  vaso  son  tre  giovani  diade- 
mati ed  avvolti  nel  pallio  :  uno  di  essi  si  appoggia  a 
nodoso  bastone;  un  altro  tien  con  una  mano  la  ce- 
tra; del  terzo  nulla  può  diffinirsi,  per  esser  mancante 
in  quel  sito  un  frammento.  Tra  due  è  nel  campo  so- 
speso un  oggetto  incerto  ed  indeterminato. 

Questo  monumento  fu  rinvenuto  circa  cinque  mi- 
glia lungi  da  Imera  ;  siccome  ci  fa  sapere  l' autore. 
Egli  ne  tenta  la  spiegazione,  vedendo  un  soggetto  sto- 
rico nella  prima  faccia  del  vaso,  ove  ravvisa  Gelone, 
Demareta,  ed  un  araldo  degl'lmeresi.  Ed  anche  sto- 
ricamente spiega  la  seconda  faccia  del  vaso.  Comun- 
que sia  eruditamente  sostenuta  questa  interpretazio- 
ne ;  noi  non  sapremmo  seguirla.  E  nella  prima  rap- 
presentazione crediamo  ci  si  offra  allo  sguardo  una 
delle  solite  scene  di  congedo ,  in  persona  di  due  gio- 
vani eroi;  nella  seconda  è  evidente  una  comunissima 
scena  del  ginnasio.  La  cetra  è  non  rara  occupazione 
de' giovani  palestriti  :  e  nell' oggetto  incerto  sospeso 
potrebbe  ravvisarsi  una   specie  di  sacco  ,  o  valigia  , 
per  riporvi  gli  arnesi  della  palestra  ;  simile  al  sacco, 
che  comparve  in  altre  atletiche  rappresentanze  (de 
Wilte  Calai.  Dur.  n.  708  e  732  ;  coli,  d' Ètrurie  n. 
193,  e  175),  ed  anche  in  vasi  diSicula  provenienza 
(v.  bull.  arch.  Nap.  di  Avellino  an.  1  p.  14). 

Nella  tav.  5  si  ripubblica  un  vasellino  già  edito 
dallo  slesso  autore  nelle  sue  antichità  Termilane,  sin 
dal  1838.  Il  collo  n'è  infranto,  ma  sembra  proba- 
bile che  fosse  un  balsamario.  È  in  esso  effigiato  un 


Amore  volante,  porgendo  con  ambe  le  mani  una  tenia. 

Oltre  i  detti  vasi  dipinti  ,  il  signor  Romano  pub- 
blica alcuni  vasi  di  rossa  e  lucida  vernice  detti  Are- 
tini, non  che  alcuni  frammenti  della  medesima  fab- 
brica. 

Alcuni  di  essi  (tav.  4  fig.  5,  9,  15  )  ci  offrono  più 
o  men  conservato  il  gruppo  già  nolo  di  una  divinità 
barbata  con  radi  che  ne  circondano  il  capo,  e  di  al- 
tra deità  femminile,  e  tra  essi  una  luna  crescente  ed 
alcuni  astri.  Un  altro  frammento  (  tav.  4  fig.  4)  pre- 
senta in  parte  una  bacchica  protome  a  bassorilievo. 

In  altro  (  tav.  4  fig.  8  )  si  legge  il  bollo  mjMi 

che  da  altri  confronti  va  inleso  del  fabbricante  P. 
Cornelim  Anliochns.  Un  sesto  (  tiv.  6  fig.  1  )  offre  la 
impronta  del  piede  umano  colle  sigle  C  ■  L  *L  •  nelle 
quali  non  giova  andar  ricercando  i  nomi  dell'  arte- 
fice ,  che  in  quel  modo  abbreviato  volle  indicarli. 
Uno  di  questi  vasi  perfettamente  conservato  ,  oltre 
l'ornamento  di  due  fiori,  e  di  due  lepri  correnti,  mo- 
stra pure  il  bollo  SEX.  P.  M.  (  tav.  6  fig.  3,  5, 6, 8). 
Per  nulla  dire  di  due  altri  meno  interessanti  pezzi  di 
somigliante  lavoro  (tav.  4  fig.  3;  tav.  6  fig.  10  ). 

Un'altra  classe  di  monumenti  si  vede  pur  conside- 
rata in  questo  primo  fascicolo  :  e  sono  le  lucerne. 
La  più  interessante  (  tav.  6  fig.  20  e  2  )  si  è  quella 
di  greco  lavoro  che  presenta  varii  emblemi  di  Apollo, 
il  ramo  di  lauro,  il  cigno,  il  prefericolo,  e  la  patera 
simboli  di  libazione  e  di  lustrazione.  Nella  parte  in- 
feriore si  legge  la  epigrafe 

AIlOAAO<&AN 
HC 
TTPIOC 
É  evidente  il  rapporto  di  questo  Apollofane  con 
simboli  apollinei  ;  secondo  un  metodo  di  allusioni 
assai  comune  nell'  antichità  :  del  quale  veggasi  pure 
quel  che  dicemmo  noi  slessi  nell'antica  serie  del  bui- 
lettino  an.  I  pag.  88  e  94  e  seg. 

Continua  Minervini 


Giulio  Minerviai  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BALLETTINO  ARCIIEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  80.     (  6.  dell'  anno  IV.) 


Settembre   1 855. 


Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani  Imperatori. 


Osservazioni  sopra  alcune  monete 
di  Romani  Imperatori.  (*) 

SERVA 

L' Eckhcl ,  forse  con  soverchio  rigore  ,  rigetta  il 
detto  del  primo  Vittore,  che  fa  Nerva  d' origine  Cre- 
tese ,  poiché  la  sua  famiglia  potea  tutt' insieme  pro- 
venire da  Narni  e  reputarsi  xyixa&ev orionda  di  Cre- 
ta, siccome  quella  di  Galba  Imperatore,  che  per  la 
stirpe  materna  vantavasi  di  provenire  da  Pasifae  (Sue- 
ton.  ut  Galb.  2  )  :  tanto  più  che  Cnosso  di  Creta  fin 
da' tempi  del  triunvirato  ebbe  una  colonia  Romana 
(«.  Strabo  Xp.H7:  cf.Bull.  ardi.  1848p.  76).  Per 
simile  modo  Adriano  ,  nativo  d' Italica  nella  Spagna, 
era  oriondo  da  Adria  del  Piceno;  e  fors'  anche  Traia- 
no ,  nativo  d' Italica  stessa  ,  proveniva  da  famiglia  in 
origine  Tuderlina  (cf.  Victor  epilom.  e.  XIII). 

Lo  stesso  gentilizio  Cocceius,  che  primamente  venne 
in  onore  a'  tempi  del  triunvirato,  pare  d' origine  gre- 
ca ,  anzi  che  latina ,  avendosi  un  Kaxxos  retore  A- 
teniese  ,  un  Koxxi'ujv  nelle  iscrizioni  (  Pape  s.  v.  ),  e 
Kóxxrfi  soprannome  di  Alessandro  I  re  d'Egitto  (Le- 
tronne ,  Inscr.  de  l'Égypte  l.  II  p.  79-80  ). 

L' avo  di  Nerva  Imperatore  ,  M.  Cocceio  Nerva , 
console  nel  774,  fu  scientia  edam  iuris  illustris  (Fron- 
tin.  de  aquaed.  §  102),  e  parimente  il  padre  (  Glan- 
dorp.  onom.  ).  Fra'  suoi  maggiori  sembra  doversi  an- 
noverare anche  M.  Cocceio  Nerva  ,  che  nel  713  fu 
proqueslore  di  M.  Antonio,  per  favore  del  quale  pro- 
cedette console  nel  718  (v.  Borghesi  ,  Dee.  IX,  oss. 
5).  Sapevasi  già  da  Tacito  (Annal.  XV,  72),  che  Nerva 

(')  Queste  osservazioni  furono  scritle  per  dare  un  saggio  de'sup- 
plimenli  da  farsi  alla  grand'  opera  dell'  Eckhel  ;  e   quelle   che  ri- 
guardano gii  anlecedenli  Imperatori  trovansi  inserite  negli  Annali 
deirinsliiuio  archeologico  (volumi  XXII,  XXIII,  XXV], 
JA'ÌYO  IV. 


Dell'  anno  8 1 8  pretore  designato  si  ebbe  da  Nerone 
gli  ornamenti  trionfali;  ed  ora  da  un  insigne  fram- 
mento di  una  lapida  di  Sassoferrato,  restituita  dal  eh. 
Borghesi  (Annali  ardi.  t.  XVIII p.  339-340  ),  s'im- 
para di  più  ch'egli  era  in  allora  Augure,  Sodale  Ati- 
guslale  ,  Questore  Urbano ,  Seviro  di  una  delle  sei 
lumie  degli  Equiii  Romani  (  cf.  Borghesi,  Giorn.  Ar- 
cati,, t.  XLìIp.  191-192),  Salio  Palatino,  onorato 
degli  ornamenti  trionfali,  e  Patrono  di  una  città  del- 
l'Umbria, nella  quale  rifece  un  ediGcio  o  monumento 
cadente  per  vetustà;  la  quale  ultima  notizia  conferma 
il  detto  del  secondo  Vittore,  che  lo  fa  nativo  di  Narni 
nell'  Umbria  medesima. 

Anno  96 
1.  IMP  NERVA  CAES  AVG  PMTRP  COS  TI 
P  P,  Testa  laureata. 

)(  CONCIAR  PR,  SC,  Nerva  togato  con  volume  nella 
s.  sedente  in  sella  curulc  collocala  sopra  un  allo  pal- 
co; da  lato  a  lui  è  una  figura  togata  sedente  in  sub- 
sellio,  che  chinandosi  allo  innanzi  porge  alcuna  cosa 
ad  un  cittadino  togato  che  le  si  accosta  :  da  [alo  al 
palco  vedesi  il  simulacro  di  Pallade posto  sopra  alta 
base ,  ed  una  figura  tunicata  succinta  stante  in  al- 
lo, che  con  la  d.  stesa  alza  una  tessera  come  in  atto 
di  mostrarla.  Ae.  I. 

Il  personaggio  togato  sedente  da  Iato  all'  Impera- 
tore sarà  probabilmente  il  prefetto  dell'annona;  e  la 
figura  succinta  stante  può  reputarsi  il  tesserarlo  in 
alto  di  mostrare  al  prefetto  dell'annona  la  tessera  col 
nome  incisovi  di  ciascuno  de' cittadini  fatti  partecipi 
del  beneficio  del  congiario,  conforme  anche  a  quelle 
parole  di  Plinio  (Panegyr.  26):  omnes,  antequam  le 
viderent  audircnlve,  reeipi,  incidi  iusskli  (cf.  Spanhem. 
de  usu  et  praest.  man.  t.  II  p.  530).    Della  ragione 

del  simulacro  di   Pallade  proposi  altra  volta  alcune 

6 


—  42- 


TODgelture  (Annali  ardi.  t.  XXIII  p.  243  ).  Del  re- 
sto ,  questo  primo  eongiario  di  Nerva  fu  verisimil- 
mente  elargito  addì  10  di  ottobre  nell'anno  96  in- 
sieme co'  privilegi  di  cittadinanza  e  di  connubio  da 
esso  lui  concessi  in  quel  giorno  alle  milizie  (  Cardi- 
nali, Dipi,  mil  tav.  Xp.  128-129). 

2.  FORTVNA  P  R,  Fortuna  con  oggetto  non  ben 
certo  nella  d.  e  con  asta  nella  s.  Aur.Arg.  Ae.I. 

L'Eckliel(ca«.mus.  Caes.  n.  41,  66)  legge  FOR- 
TVNA P  •  R  (  PopuK  Romani);  ma  nelle  monete  ori- 
ginali le  lettere  PR  non  sono  interpunte,  sì  cbe  leg- 
ger potrebbesi  VRimigenia,  o  VKaeneslina  o  in  altro 
modo.  L'oggetto  che  la  dea  lien  nella  d.  non  ha  for- 
ma di  spighe  ,  ma  di  due  o  tre  come  cunei  o  tabelle 
cuncate.  I  cunei  ben  si  converrebbero  alla  Necessità 
compagna  della  Fortuna  (Horat.  I  od.  XXXV,  18); 
e  le  tabelle  delle  sorti  alla  Fortuna  Preneslina  ,  che 
nell'anno  ultimo  di  Domiziano  trislissimam  sortem  edi- 
dit  (  Sueton.  Domit.  15).  Comunque  peraltro  sia  di 
questo  particolare,  Nerva  pose  molla  confidenza  nella 
Fortuna  Respiciente  con  quelle  parole  del  suo  editto 
(  ap.  Plin.  Xepist.  66):  me,  quem  Fortuna  Imperii  vul- 
lu  meliore  respexit. 

3.  IVST1TIA  AVGVST,  Giustizia  sedente  in  seg- 
giola con  la  d.  appoggiata  all'  asta  ritta ,  e  con  ramo 
frondaio  nella  s.  Arg. 

Bene  si  conviene  questo  tipo  al  buon  Nerva ,  che 
aequissimum  se  ac  civilissimumpraebuit  (Eutrop.  Vili, 
1  ),  e  che  iurgiorum  et  disceptalor  et  scientissimus  et 
frequens  fuit  (Victor  epit.  XII,  6).  E  sì  ch'egli  esser 
dovette  perito  del  gius  siccome  figlio  e  nepote  di  due 
celebri  giureconsulti.  Del  resto ,  anche  l' asta  della 
Giuslizia  posta  ritta  a  perpendicolo  accennar  potreb- 
be alla  rettitudine  de'  giudizi. 

4.  LIBERTAS  PVBLICA ,  Liberta  stante  con  pileo 
nella  d.  e  con  asta  nella  s.  Aur.Arg.Ae.I,  II. 

Questo  si  è  il  tipo  forse  più  di  ogni  altro  frequente 
nelle  monete  di  Nerva:  e  ben  a  ragione;  poiché  dopo 
la  tirannide  di  Domiziano  primo  statini  beatissimi  se- 
culi  orlu  Nerva  Caesar  res  ohm  dhsociabiles  miscuit , 
principalum  et  libcrtatem  (Tacit.  Agric.  3  ).  A  questa 
medaglia  fa  bel  riscontro  la  seguente  iscrizione ,  che 
vedevasi  in  Campidoglio  fino  al  secolo  IX  :  L1BER- 


TATI  •  AB  •  IMP  •  NERVA  CAeSARe  •  AVG  •  ANNO 
AB  •  VRBE  •  CONDITA  •  DCCCXXXXI1X  ■  XIIIIK- 
OCT  •  RESTITVtae  •  S  •  P  •  Q  •  R  (De  Rossi,  le  prime 
raccolte  d' ani.  iscr.  p.  136  n.  27). 
Anno  97. 

5.  PLEBEI  VRBANAE  FRVMENTO  CONSTI- 
TVTO ,  moggio,  dal  quale  sporgono  alcune  spighe ,  ed 
un  capo  di  papavero.  Ae.  I. 

All'  istituzione  di  questa  elargizione  mensuale  del 
frumento  alla  plebe  urbana  di  Roma  probabilmente 
sono  da  riferirsi  i  granai  di  Nerva  ricordati  nella  se- 
guente iscrizione  di  Roma  (Bull.  ardi.  1850  p.  179 
n.  21,  e/1,  p.  186): 

M-COCCEIVS 

HILARVS 

OFFICIIS  •  SVIS  •  •  HIC  ■  IN  •  HOR 

REIS  •  NERVAE  •  AMOREM 

HABVIT  ■  MAXIM  VAI 

Nel  manuscritto  Vindobonese  intitolato  Imperia 
Caesarum  leggesi ,  che  Nerva ,  oltre  il  eongiario,  fu- 
neraticum plebi  urbanae  instituit  X-  LXIIS;  ove,  a  pa- 
rere dell' Eckhel  (t.  VI  p.  407),  si  dovrebbe  senza 
meno  emendare  funeraticum  in  frumenlum.  Ma  par- 
mi  che  non  faccia  d'uopo  altrimenti  di  emendazione, 
poiché  per  funeraticum  può  intendersi  l' assegno  di 
LXII  denarii  e  mezzo  istituito  dal  buon  Nerva  pe'fu- 
nerali  e  per  la  sepoltura  de'  poveri  della  plebe  urba- 
na (cf.  Annali  ardi.  t.  XVI p.  11);  tanto  più  che 
poco  dopo  l' età  di  Nerva  cominciano  a  comparire  i 
collegi  o  sodalizii  di  Esculapio,  di  Diana ,  ed  altri  ap- 
positamente istituiti  per  avere  un  fondo  onde  sepellire 
decentemente  gli  aggregati  (cf.  Forcell.  v.  Funerali- 
cius;  Furlanetti  append.  v.  Exsequiarium  :  Cardinali, 
Dipi.  p.  264  ).  Non  saprei  né  manco  consentire  al 
Furlanetto  il  cangiamento  di  Funeraticum  in  Funera- 
ticium ,  perché  quest*  ultima  escita  è  propria  degli 
addiettivi  che  si  riferiscono  a  persone,  e  l'altra  di 
quelli  cbe  a  cose. 

6.  VEH1CVLATIONE  ITALIAE  REMISSA,  due 
giumenti  pascentisi ,  rivolti  in  senso  opposto;  e  dietro 
essi  un  veicolo  a  due  rote  col  limone  e  col  giogo  in  alto. 

Ae.I. 


43  — 


I  due  giumenti  pascenti  sogliono  dirsi  muli;  ma 
Delle  monete  originali  sembrano  anzi  cavalli  colla 
coda  mozza  per  modo  che  appena  aggiunge  alle  loro 
ginocchia,  per  indicare  che  iu  prima  erano  astretti  a 
battere  le  strade  di  sovente  fangose.  Vero  è  peraltro 
che  per  crederli  muli  fanno  quelle  parole  degli  anti- 
chi scrittori  :  ut  proconsulibus  ad  mulos  et  labernacula 
certa  pecunia  constitueretur  (Sueton.  inAug.  3(5,  Tib. 
38  :  Cai.  39  ):  binis  coniunclis  (mulis)  omnia  vehicula 
in  viis  ducuntur  (  Varrò ,  R.  R.  H,  8,  5  )  :  mulis  ce- 
lebrante ludi  in  circo  maxima  consualibus ,  quia  id 
genus  quadrupedum  primum  pulatur  coeptum  currui 
vehiculoque  adiungi  (Festus p.  148  Mùller  ).  Del  resto, 
il  ch.Duchalais(.fteuwe  num.  l.XIV  pASH  )  prese  cer- 
tamente abbaglio  nelP  asserire ,  che  i  due  giumenti 
siano  in  atto  di  abbeverarsi;  poiché  nelle  monete  ori- 
ginali ben  conservate  chiaro  si  vede  il  cespo  dell'erba 
che  ciascuno  di  essi  sta  per  addentare ,  conforme  a 
quelle  soavi  parole  del  primo  pittore  delle  memorie 
antiche  (7/iad.  B,  779): 

f^raro/  Ss  Trocp*  upiAU,<TtY  olfftv  sxaffros 
Xwtgv  ìpi7rr<j(AiY0i,  IXtorpiTrróvTS  Gtknoi 
ì<s?a.vct,Y. 

Per  simile  modo  in  una  moneta  di  Panticapeo(Mion- 
net ,  Descr.  n.  8  )  vedesi  rappresentato  un  cavallo 
pascente  con  presso  due  fiori  in  sul  loro  stelo  per  in- 
dizio di  prato.  Nelle  monete  di  Nerva  il  timone  della 
carretta  è  rivolto  in  alto  forse  per  indicare,  eh'  essa 
è  riposta  aderente  al  muro  di  una  casa ,  come  tuttora 
si  usa  nel  nostro  contado  riguardo  ai  carri  ed  ai  bi- 
rocci vecchi  e  fuor  d*  uso. 

7.  IMP  NERVA  CAES  AVG  P  M  TR  P  II,  testa 
laureata. 
)(  PAX  AVGVSTI ,   V  imperatore  togato  in  atto  di 

porgere  la  destra  ad  una  figura  armala  di  galea,  di 

lorica  e  di  ampio  scudo.  Arg. 

II  tipo  di  questo  raro  denario  (il/us.  Caes.  n.  70), 
che  per  ragione  della  TR  P  II  dovett'essere  impresso 
dopo  il  dì  27  di  ottobre  dell'anno  97  ,  e  verisimil- 
menle  dopo  l'adozione  di  Traiano,  parmi  che  accenni 
all'  adozione  medesima  ,  conforme  al  detto  di  Plinio 


(panegyr.  Trainili  n.  5  ):  quam  PAX  et  ADOPTIO , 
et  tandem  exorata  tetris  manina  dedissent.  Al  tipo 
della  moneta  di  Nerva  fa  bel  riscontro  il  seguente  di 
una  di  Traiano  del  susseguente  anno  98  (mus.  Caes. 
n.  18): 

PROVID  TR  P  COS  II  PP,  due  figure  virili  stanti 
V  una  togata,  e  l'altra  paludata,  la  prima  delle  quali 
porge  all'altra  un  globo. 

Sembra  senza  meno  così  rappresentato  Nerva  in 
atto  di  affidare  a  Traiano  l'impero  ed  il  governo  del- 
l'orbe Romano.  L'epigrafe  PROVIDen^'a  prende  luce 
da  quelle  parole  di  Plinio  [in  paneg.  e.  10):  iam  te 
PROV1DENTIA  Deorum  primum  in  locum  prove- 
xerat ;  ed  il  tipo  vuoisi  confrontare  coll'allro  ana- 
logo di  una  moneta  di  Tito ,  fatto  dal  padre  suo 
partecipe  dell'impero  (Morelli  in  Tito  tab.  VX,  16): 

PROVIDENT  AVGVST  ,  S  C  ,  Tito  e  Vespasiano 
sostenenti  di  conserto  colle  loro  destre  il  globo  della  ter- 
ra, con  timone  di  nave  al  disotto  posto  diritto.  Ae.  I. 

Il  timone  ,  o  sia  governo  di  nave,  manifestamente 
simboleggia  il  governo  dell'  orbe  Romano. 

Fra  le  medaglie  di  Nerva  di  conio  peregrino  l'È- 
ckhel  ricorda  quelle  di  argento  di  maggior  modulo 
coli' epigrafe  cos-  UH  e  col  tipo  di  un  manipolo  di 
sei  spighe,  senza  definirne  la  sede;  ma  esse  sembrano 
senza  meno  impresse  nella  Bìlinia  ,  nelle  cui  meda- 
glie ricorre  di  sovente  quel  tipo  (  c/V  Morelli  Fam. 
Ulaecia  ).  Neil'  Asia  Minore  può-  reputarsi  impresso 
il  seguente  medaglioncino  pure  d'argento  (Mionnet, 
Descr.  t.  VI  p.  689  tu  517  :  Trésor  de  num.  Emper. 
pi.  XXIV,  14): 

AYTOKPA  NEPOYAG  KAICAP  CEBACTOC 
YIIAT  T,  busto  Imtrealo. 

)(  €A£T0  AHMOT  ,  Libertà  stante  con  pileo  nella 
d.  e  con  asta  nella  s.  Arg.  m.  m. 

Il  tipo  della  Libertà  è  manifestamente  ritratto  da 
quello  delle  monete  di  conio  Romano  con  l' epigrafe 
L1BERTAS  PVBLICA  (u.  addietro  n.  4),  il  cui  senso 
viene  dichiarato  e  definito  dalla  corrispondente  epi- 
grafe greca  €AeT0sp<*  AHMOT. 

Mi  giovi  pure  accennare  una  rara  moneta  di  bronzo 
di  Apollonia  al  Rindaco  nella  Misia,  già  della  colle- 
zione Wellenheim  (catal.  n.  4828),  ora  nel  museo- 


—  44 


Estense ,  col  tipo  Romano  di  Apollo  Palatino  ,  o  sia 
Aclius ,  nel  cui  ritto  sono  le  teste  laureate  di  Nerva 
e  di  Traiano ,  riguardanlisi ,  con  attorno  la  scritta... 
NEPBAS...  ATT  TPAIANOS,  cui  fanno  bel  riscon- 
tro quelle  parole  di  Plinio  (panegyr.  8,  9):  sinici  fi- 
lius,simul  Caesar;mox  linperalor  et  consors  tribuni- 
ciac  poiestalis,  et  omnia  pariter  et  statini  faclus  es. — 
Non  sohim  successor  imperii ,  sed  pecrticeps  edam  so- 
ciusque  placuisti. 

Le  monete  d'oro  e  d'argento  di  Nerva  di  conio 
Romano  sono  assai  copiose  ed  ovvie ,  segnatamente 
in  riguardo  al  troppo  breve  suo  impero,  fors'anebe 
perchè  le  molte  statue  di  Domiziano ,  d'  argento  e 
d'oro,  furono  alla  sua  morte  abbattute,  squagliate  e 
converse  in  moneta  ed  in  altri  usi  (Dio,  LXVHI,  1, 
Plin.  paneg.  e. 52),  ut  ex  ilio  terrore  et  minti  inusus 
hominum  ac  voluptates  ignibus  mutarenlur. 

TRAIANO 

L' impero  di  Traiano  ,  che  per  la  gloria  e  gran- 
dezza delle  conquiste  ,  delle  beneOcenze  pubbliche  e 
de'  monumenti  eretti  ad  utile  e  decoro  di  Roma  e 
delle  provincie,  non  la  cedea  forse  né  manco  a  quel- 
lo di  Augusto,  si  rimase  in  gran  parte  oscuro  ed  in- 
certo per  la  perdita  delle  antiche  istorie  che  lo  ri- 
guardavano. L'Eckhel  fece,  dopo  il  Noris,  il  Fabretti 
ed  altri,  grandi  sforzi  per  rischiararne  l'oscura  ed 
intralciata  cronologia;  ma,  per  tacer  d'altri  punti , 
non  riuscì  a  sciogliere  il  nodo  difficilissimo  della  ra- 
gione delle  tribunicie  podestà  di  quell'Augusto,  non 
trovando  modo  di  dare  luogo  alla  XXI  ,  che  [pure 
ne  viene  attestata  dalle  lapidi  e  dalle  medaglie.  La 
soluzione  definitiva  di  questo  problema  era  riserbata 
alla  dottrina  e  perspicacia  del  eh.  Rorghesi,  che  col 
riscontro  di  due  diplomi  militari  di  Traiano  addimo- 
strò come  quell'  Augusto  rinnovava  la  tribunicia  po- 
destà non  già  nel  giorno  che  fu  adottato  da  Nerva 
in  sulla  fine  di  ottobre  ncll'  anno  97  ,  ma  sibbene 
addì  27  o  28  di  gennaro  del  susseguente  anno  88  , 
nel  qual  giorno  egli  successe  nell'  impero  al  defunto 
Nerva  (Annali  arch.  t.  XVIII  p.  330  ).  Traiano  di 
falli  chiama  quel  giorno  diem  imperii  mei  ,  e  Plinio 


(  libi:  X  epist.  102,  103  )  diem,  in  quem  tutela  gene- 
ris Immani  felicissima  successione  translata  est.  11  dot- 
to Tillemont  ben  s'accorse,  che  l'impero  di  Traiano 
consideravasi  come  avente  principio  dal  giorno  della 
sua  successione  a  Nerva  (  in  Traian.  ari.  VII.  ),  ma 
non  giunse  a  vedere  pienamente  il  vero.  Ora  sapen- 
dosi di  certo  come  Traiano  cominciò  a  conlare  la 
tribunicia  sua  podestà  II  addì  28  di  gennaro  del- 
l' anno  98  ,  la  XXI  viene  a  cominciare  addì  28  di 
gennaro  del  1 17,  che  fu  l' ultimo  della  vita  di  Traia- 
no morto  nei  primi  di  agosto  in  Selinunte  della  Ci- 
licia;  e  nel  decorso  de'  sei  mesi  e  più  della  durala  di 
essa  possono  comodamente  collocarsi  le  medaglie  e 
le  iscrizioni  di  Traiano  insignite  della  di  lui  tribuni- 
cia potestà  XXI. 

Anche  le  dottrine  dell'Eckhel  riguardanti  gli  anni 
delle  due  spedizioni  Daciche  e  della  Parlica,  ed  i  ti- 
toli di  Traiano,  furono  dal  lodalo  Rorghesi  rettifica- 
te, o  convalidate  ,  o  più  precisamente  definite  col 
sussidio  do»  monumenti  e  degli  scrittori  antichi.  A 
parer  suo  pertanto  Traiano  ,  parlilo  la  prima  volta 
per  la  Dacia  nell'anno  101,  non  ne  tornò  vittorioso 
se  non  che  verso  la  fine  del  103,  e  ne  trionfò  al- 
l'ingresso  del  104,  allor  eh'  ei  procedette  console 
per  la  quinta  volta.  La  seconda  spedizione  Dacica  , 
verisimilmenle  intrapresa  nel  secondo  semestre  del 
105  ,  era  già  ultimata  all'aprirsi  del  107;  e  la  co- 
struzione del  gran  ponte  sopra  il  Danubio  vuoisi  col 
Dodwel  riportare  al  tempo  decorso  fra  le  due  guer- 
re (  Rorghesi ,  iscr.  di  Burbuleio  p.  20-22  :  giorn. 
Arcad.  t.  Vili  p.  58-59).  La  spedizione  Partica, 
che  a  parere  dell'Eckhel  sarebbe  slata  intrapresa  ne- 
gli ultimi  mesi  dell'  anno  114,  or  che  sappiamo  co- 
me Traiano  rinnovava  le  sue  tribunicie  podestà  ver- 
so la  fine  di  gennaro  ,  e  non  già  in  ottobre ,  può  ri- 
portarsi all'autunno  del  precedente  anno  113,  sì  che 
Traiano ,  conforme  al  detto  di  Dione ,  entrasse  in 
Antiochia  addì  7  di  gennaio  del  detto  anno  Ili  (  v. 
Annali  arch.  t.  XVIII,  p.  331  ).  Per  ciò  che  riguar- 
da le  salutazioni  imperatorie  ,  avendosi  tre  iscrizioni 
di  Traiano  con  TR1R  •  POT  •  Vili  •  MP  •  UH  ,  ed 
una  sola  con  TRIB  •  POT  •  VIRI  ■  IMP  •  V,  ben  ve- 
desi  eh'  egli  conseguir  dovette  la  quinta  salutazione 


—  45  _ 


verso  la  fine  della  nona  sua  podestà  tribuaicìa,  o  sia 
in  sul  finite  dell'anno  105  (Borghesi ,  iscr.  di  Bur- 
ini, p.  21  ).  Il  titolo  IMP  •  VI  •  trovasi  primamente 
congiunto  con  la  TRIB  ■  POT  ■  XI  ;  onde  vuoisi 
ripetere  dalla  conquista  dell'Arabia  nel  100  per  ope- 
ra di  A.  Cornelio  Palma  (  Annali  ardi.  t.  XVIII p, 
342).  Con  la  TRIB  .  POI  ■  XVIII ,  che  incominciò 
addì  28  gennaro  dell'anno  Ili,  trovatisi  congiunti 
i  titoli  IMP  •  VII ,  IMP  •  Vili ,  IMP  •  Villi ,  che 
Traiano  conseguir  dovette  in  quell'anno  con  la  con- 
quista dell'  Armenia  e  con  la  iuvasione  della  Meso- 
potamia  e  dell'  Adiabeue  (  Annali  ardi.  t.  XVIII  p. 
301-302  ).  11  titolo  IMP  •  XIII  ,  del  quale  parve 
ilubitarne  l'Eckhel,  ora  che  la  tribunicia  podestà  XXI, 
colla  quale  va  esso  congiunto,  non  presenta  più  ve- 
runa difficoltà ,  vuoisi  probabilmente  ripetere  dalla 
spedizione  ultima  di  Traiano  nell'Arabia. 

L'  Eckhel  dimostrò  come  Traiano  si  ebbe  il  ti- 
tolo PARTIIICVS,  datogli  dall'esercito  e  poscia  con- 
fermatogli dal  senato  ,  nel  decorso  della  tribunicia 
sua  podestà  XIX  ,  o  sia  nell'  anno  1 16  :  ed  ora  pel 
riscontro  di  un'  iscrizione  greca  di  Cysis  nell'  oasi  di 
Tebe,  che  in  data  de' 24  maggio  dell'anno  suddetto 
non  dà  altrimenti  a  Traiano  il  titolo  di  Partìiicus 
(Letronne,  inscr.  de  l'Eyypte  t.  I.  p.  120),  ven- 
ghiamo  a  sapere  che  nei  monumenti  public!  non  gli 
fu  dato  che  nell'  estate  del  medesimo  anno  116.  Del 
resto ,  la  moneta  di  Traiano  di  Laodicea  della  Siria , 
allegala  dal  Noris  (  epodi.  Syromac.  p.  248  ) ,  col 
titolo  riAP  e  con  l'anno  BSP  dell'era  di  quella 
città  ,  che  1'  Eckhel  credette  scambiato  a  TSP ,  for- 
se era  come  quella  del  museo  Estense  avente  T  era 
BSP  genuina  e  chiara  ,  ma  coi  titoli  di  Traiano 
AAK  riAP  rifatti  da  bulino  moderno:  e  lo  stesso  di- 
casi di  altra  simile  moneta  descritta  dalMionnet  [De- 
scr.  n.  727  ).  La  data  dell'  anno  107  apposta  in  fi- 
ne degli  atti  sinceri  di  S.  Ignazio  Martire  ,  che  favo- 
rirebbe l'opinione  del  Tillemonl  e  d'altri ,  che  am- 
misero due  distinte  spedizioni  Partiche  di  Traiano , 
non  può  altrimenti  sostenersi ,  e  dee  anzi  tenersi  per 
una  giunta  posteriore  fattavi  da  chi  non  rettamente 
intese  la  ragione  dell'anno  IX  dell'imperio  di  Tra- 
iano memoralo  in  principio  degli  alti  medesimi,  co- 


me spero  aver  comprovato  in  alcuni  cenni  cronolo- 
gici inseriti  nel  volume  XVIII  della  serie  III  delle 
Memorie  di  Religione  che  si  stampano  in  Modena. 

Riguardo  all'effigie  di  Traiano  nelle  sue  monete 
mi  giova  avvertire,  che  in  quelle  de' primi  anni  mo- 
stra tenere  alcun  che  de'  lineamenti  del  padre  suo 
adottivo  Nerva  ;  e  che  in  appresso  il  busto  di  Tra- 
iano ora  ha  un  indizio  del  paludamento  in  siili'  ome- 
ro ,  ed  ora  mostra  il  petto  nudo  all'eroica  con  indi- 
zio della  clamide  od  anche  dell'  egida  in  sulla  spalla 
sinistra.  E  questi  due  diversi  modi  trovansi  talvolta 
congiunti  insieme  in  una  slessa  moneta  avente  ripe- 
tuta l'effigie  di  lui  nel  riverso  (  v.  trésor.  de  nnm. 
icon.  des  Emp.  pi  XXVI ,  \  ).  Quindi  non  è  in  tutto 
vera  1'  asserzione  del  Visconti  (  museo  Pio  CI.  l.  III. 
lav.  VII,),  che  Traiano  cioè  non  permettesse  che 
gli  s'erigessero  statue  con  simboli  ed  attributi  di  di- 
guità  sovrumana.  Nelle  monete  del  consolato  quinto 
egli  già  usurpa  gli  attributi  del  sommo  Giove  ,  te- 
nendo il  fulmine  nella  d.  e  l'asta  nella  s.  (  mus. 
Caes.  n.  189  ,  190),  ed  in  quello  del  consolato 
quarto  pare  effigiato  in  sembianza  d'Ercole  (  v.  il 
tcg.  n.  7  ). 

Anno  198 

1.  IMP  CAES  NERVA  TRAIAN  AVG  GERM, 
testa  laureata. 

)(  PONT  MAX  TR  POT  COS  II ,  Donna  sedente 
con  ramo  nella  d.  e  con  la  s.  appoggiata  ad  tino 
scudo.  Aur. 

Questo  raro  tipo  sembra  rappresentare  la  sicurez- 
za della  pace  procurata  da  Traiano  all'impero  con 
le  sue  vittorie  ,  e  con  le  opere  di  fortificazione  nella 
Germania  (  Eulrop.  Vili,  2  :  Sidon.  VII,  115  ).  Il 
ramo  cioè  del  pacifico  olivo  è  attributo  proprio  della 
Pace,  e  lo  scudo  è  simbolo  della  sicurezza  e  della  di- 
fesa. Al  dello  tipo  fanno  bel  riscontro  quelle  parole 
dette  da  Plinio  nella  presenza  di  Traiano  medesimo 
(panegyr.  6,  8):  sollicilior  tu,  illef Nerva)  securior- 
non  secus  ae  praescnli  libi  innixus  :  -  quod  innulritus 
bdlieis  laudibus  paccmamas.  In  riguardo  a  questo  suo 
amore  di  pace  Traiano  fece  poscia  il  suo  ingresso  in 
Antiochia  coronato  di  olivo ,  anzi  che  di  lauro  (Ma- 
iala in  Chronic.  XI.  sub  init.  ).  Lo  scudo  ha  il  me- 


—  46  — 


desimo  significato  di  sicurezza  nell'  analoga  moneta 
di  Nerva  con  la  scritta  PAX  AVGVSTI  (  v.  addietro 
NERVAn.  7  p.  43). 

2.  IMP  NERVA  CAES  TRAIAN  AVG  GERM 
P  M  ,  testa  laureala. 

)(  PROVID  TR  P  COS  II  P  P,  due  figure  virili 
stanti,  l'ima  togata,  e  paludata  l'altra  in  atto  di  soste- 
nere di  conserto  il  globo  dell'  impero  ,  ovvero  di  coìì- 
segnarlo  V  una  all'  altra.  Aur.  Arg. 

Lo  stesso  tipo  ricorre  io  monete  di  Nerva  con  PAX 
invece  di  PROVIDen</a,  e  prende  luce  da  quelle  pa- 
role del  panegirista  di  Traiano  (  e.  5-10)  :  iam  te 
PROVIDENTIA  DEORUM  primum  in  locumpro- 
vexeral  :  —  ille  libi  imperium  dedit  y  tu  UH  reddi- 
disli. 

3.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  I. 

)(  P  M  TR  P  COS  II  P  P  ,  donna  stante  con  go- 
verno di  nave  nella  d.  e  con  cornucopia  nella  s.  e 
prora  di  nave  a'  suoi  piedi.  Aur. 

A  questo  tipo  dell'annona,  o  dell' Abbondanza  che 
dir  si  voglia  ,  fanno  bel  riscontro  quelle  parole  di 
Plinio  (  panegyr.  29 ,  cf.  52  ):  instar  perpetui  congia- 
rii  reor  affluoitiam  ANNONAE.  la  altre  simili  mo- 
nete il  fianco  della  nave  appare  ornato  di  encarpi  , 
simbolo  della  letizia  che  a  Roma  arrecava  il  sospi- 
rato arrivo  della  flotta  portante  l'Annona. 

4.  IMP  CAES  NERVA  TRAIAN  AVG  GERM  P 
M ,  testa  laureata. 

)(  TR  POT  COS  II  P  P  ,  S  C ,  Vittoria  slolata 
coli'  ali  alzate  in  atto  di  scendere  dall'  allo  con  cli- 
peo nella  d.  nel  quale  è  scritto 


QK 


Ae.II. 


La  Vittoria  sembra  in  atto  di  portare  e  di  collocare 
a  suo  posto  il  clipeum  Virlulis,  clic  può  ben  credersi 
decretalo  a  Traiano,  del  pari  che  già  ad  Augusto  (cf. 
Annali  arch.  t.  XXII  p.  491  ). 

5.IMP  CAES  NERVA  TRAIAN  AVG  GERM  P  M 
TR  P,  testa  laureata  con  indizio  di  egida  all'omero  s. 

)(  CONG  PR  COS  II  P  P ,  SC,  Tipo  solito  del 
congiario.  Ae.  L. 

Traiano  si  asside  in  sella  curule  collocata  sopra  un 
tribunale  separalo  e  alquanto  più  alto  di  quello  del- 
l'altre persone.  Egli  stende  la  d.  come  in  alto  di  vo- 


lenteroso, conforme  al  detto  di  Plinio  (paneg.  28  j: 
populusque  Romanus  obligalus  a  tribunali  tuo  ,  non 
exoralus  recessil  :  obtulisti  enim  congiarium  gaudenti- 
bus  gaudens,  securusq-ue  securis. 
Anno  100. 

6.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  1. 

)(  TR  POT  COS  III  PPSC  Traiano  paludato  a 
cavallo  con  asta  nella  d.  Ae.  I. 

Questo  tipo  rappresenta  forse  una  statua  equestre 
decretata  a  Traiano ,  ovvero  riguarda  il  viaggio  che 
credesi  facesse  egli  in  Germania  verso  la  fine  dell'an- 
no 100  (Tillemont ,  Trajanarl.  XII). 
Anno  101. 

7.  Lo  slesso  diritto  clte  nel  prec.  n.  1. 

)(  P  M  TR  P  COS  UH  PP  simulacro  d'Ercole  ignu- 
do stante  di  prospetto ,  collocalo  sopra  una  base  ,  con 
dava  rulla  d.  abbassata,  e  con  la  spoglia  leonina ,  che 
gli  copre  il  capo,raccolta  in  sul  braccio.         Aur.Arg. 

La  statua  ritraila  sopra  questi  aurei,  denarii  e  qui- 
narii  di  Traiano  sembra  rappresentare  quell'  Augu- 
sto in  sembianza  d' Ercole  Vincitore  ;  poiché  Plinio 
stesso  ,  benché  prometta  di  non  adulare  ,  paragona 
Domiziano  ad  Euristeo  e  Traiano  ad  Ercole  (paneg. 
14)  ;  e  Traiano-  mostra  avere  prestato  culto  singo- 
lare ad  Ercole  (cf.  Fabretti  column.  Tr.  p.  172  , 
Orelli  n.  791  r  Mus.  Caes.  ».  41  ,  42  ,  80  ,  129  , 
130,224).  Del  resto,  il  tipo  d'Ercole  Vincitore 
bene  si  sta  anche  ne'  quiuarii  ,  o  sia  vittoriati ,  in 
luogo  del  consueto  lor  tipo  della  Vittoria. 

Anno  103. 

8.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  1. 

)(  DACICUS  COS  IIII  PP  Vittoria  stante  sopra 
una  prora  dì  nave  con  laurea  nella  d.  e  con  palma 
nella  s. 

Nella  prima  e  nella  seconda  guerra  Dacica  accader 
dovettero  non  pochi  combattimenti  navali  nel  Danu- 
bio ;  poiché  i  primi  duci  ed  altri  insigniti  furono  da 
Traiano  coronis  classicis  (  Fabretti  column.  Tr.  p.  48,. 
240  :  Borghesi  ,  iscr.  di  Burb.  p.  22:  Annali  ardi. 
t.  XVIII.  p.  343):  e  Suida(  v.  News)  riferisce  come 
Traiano  passò  quel  grande  fiume  con  50  navi  distri- 
buite in  tre  flottiglie. 


—  47  — 


Anno  104 
9.  IMP  NERVA  TRAIANUS  AVG  GER  DACI- 

CVS  testa  laureala. 

)(  P  M  TR  P  COS  V  P  P  Traiano  in  quadriga 
lenta  con  ramo  di  lauro  nella  d.  e  con  lo  scettro  sor- 
montalo dall'  aquila  nella  s.  Anr. 
La  riunione  de'  simboli  del  lauro  trionfale  e  dello 
scettro  consolare  (mus.   Caes.  n.    118,  coli.  n.  86, 
128)  mostrano  come  ben  si  appose  il  eh.   Rorghesi 
(  Burbul.  p.  20 ,  21)  Dell'avvertire,  che  Traiano 
trionfò  la  prima  volta  de'  Daci  alle  calende  di  Gen- 
naro ,  allor  eh'  egli  procedette  console  per  la  quinta 
volta. La  moneta  analoga  di  primo  bronzo  con  la  scritta 
TR  P  VII  IMP  IIII  COS  V  P  P,  attorno  al  tipo  di 
Rraiano  trionfante  (v.  Noris  epist.  cons.  p.  67:  epodi. 
Symmac.  p.  241  ) ,  dovette  imprimersi  innanzi  la 
One  del  Gennaio  del   104;  poiché  addì  28  di  quel 
mese  incominciava  la  TR"  P-  Vili  di  Traiano  mede- 
simo. Anche  il  titolo  DACICVS  scritto  cosi  tutto  in- 
tero ,  mentre  in  appresso  si  scrisse  accorcialo  ,  mo- 
stra ch'esso  era  tuttor  di  data  recente. 

10.  IMP  CAES   NERVA  TRA1AN  AVG  GER 
DACICVS  P  M  testa  laureata. 

)(  COS  V  ,  CONGIAR  SECVND  ,  S  C,  tipo  con- 
sueto del  congiario,  ma  con  un  tripode  in  luogo  del  si- 
mulacro di  Minerva.  Ae.  I. 
Al  trionfo  solea  tener  dietro  la  distribuzione  del 
congiario,  e  la  concessione  de'  privilegi]  alle  milizie 
emerite;  e  questa  difalti  ebbe  luogo  addì  29  gennaio 
del  presente  anno ,  come  si  raccoglie  dal  diplo- 
ma militare  del  Lysons  (  Cardinali ,  Dipi.  mil.  p. 
142:  Borghesi,  Burb.  p.  21),  nel  quale  Traia- 
no s' intola  GERMANICVS  DACICVS  TRIBVNIC- 
POTESTATE  VII-  IMP-  UH-  COS-  VP-  P,  nove 
giorni  prima  eh'  egli  entrasse  nella  sua  TR-  P-  VHP 
Il  tripode,  che  ricorre  anche  nelle  monete  del  CON- 
GIARIVM  TERTIVM  ,  è  di  forma  assai  elevata  ;  e 
potrebbe  forse  indicare  il  sito  della  distribuzione  del 
"ongiario,  o  del  frumento  pubblico,  presso  le  statue 
Ielle  Sibille  da  lato  ai  rostri  nel  Eoro(Plin.ÀX\7F, 
11);  o  la  consulta  fattasi  in  quegli  anni  degli  oracoli 
Sibillini  (  cf.  Plut.  quaest.  Rom.  p.  506  :  Borghesi  , 
Dee.  VII ,  oss.  9  ).  Ma  forse  quel  tripode  ,  alto  più 


del  consueto  ,  è  posto  quale  sostegno  del  vaso  con- 
tenente i  nummi  da  dispensare  al  popolo  (  cf.Notitia 
dignit.  Orient.  et  Occid.  p.  41,  41  et  SS* ,  57*  ed. 
Boecking  ). 

Anno  105. 

11.  IMP  CAES  NERVAE  TRAIANO  AVG  GER 
DAC  P  M  TR  P  COS  V  P  P ,  lesta  laureala. 

)(  CONGIAR1VM  TERTIVM ,  S.  C,  tipo  consueto 
della  distribuzione  del  congiario ,  con  tripode  di  re- 
tro. Ae.  I. 

L'Eckhel  non  seppe  deGuire  l'anno  preciso  di 
questo  congiario  terzo  ;  ma  ora  pel  riscontro  di  due 
Diplomi  di  privilegi  accordali  alle  milizie  da  Traiano 
addì  13  di  Maggio  del  presente  anno  103,  correndo 
la  sua  TRIBVNIC-  POTESTAT-  Villi  (  Cardinali  , 
dipi.  p.  156:  Arnelh,  dipi.  n.  V),  rendesi  assai  ve- 
risimile che  nel  lempo  slesso  egli  facesse  anche  1'  e- 
largizione  del  congiario  terzo  ,  giusta  il  consueto. 
Anno  106. 

12.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  41. 

)(  ADVENTVS  AVG ,  Traiano  paludato  a  cavallo 
preceduto  dall'  Abbondanza  che  tiene  il  cornucopia 
nella  s.  e  volgcsi  a  riguardarlo,  e  susseguito  da  tre  fi- 
gure militari:  nell"  esergo  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI. 

Non  so  come  l'  Eckhel  ometter  potesse  questo  in- 
signe medaglione  (Arneth,  Synops.  n.  78:  Trésor  de 
num.  icon.  des  Emp.  pi.  XXVI,  3),  che  pare  senza 
meno  impresso  pel  sospirato  ritorno  di  Traiano  vitto- 
rioso dalla  seconda  sua  spedizione  Dacica.  L' Abbon- 
danza che  Io  precede  appella  alle  grandi  dovizie  della 
Dacia  conquistata ,  e  ricorda  le  parole  di  Orazio 
(  Carm.  saec.  59:  cf.  1. 1.  epist.  XII,  28):  apparetque 
beata  pieno  Copia  cornu.  Ne'  bassirilievi  che  ornavano 
l'  arco  trionfale  di  Traiano  (  Bellori  ,  arcus  triumph. 
tab.  28  ) ,  egli  vedevasi  preceduto  da  Roma,  che  de- 
siderosa lo  accoglieva,  ed  accompagnalo  dall' Abbon- 
danza e  dalla  Pietà. 

13.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  11. 

)(  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI,  S  C,  figura  di  un 
fiume  che  correndo  ha  raggiunta  ed  opprime  e  soffoca 
la  Dacia  prostrata  a  terra.  Ae.  I. 

Questo  bel  tipo  trovasi  da  me  dichiarato  nell'  an- 
no 1  di  questo  Bullellino  (p.  52). 


—  48  — 


1 4.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  1 1 . 

)(  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI,  S  C,  Roma  ga- 
leata  succinta  sedente  sopra  una  lorica  ed  altre  arme 
Daciche  ,  con  Vittoria  nella  d.  che  le  porge  una  laurea 
e  con  asta  nella  s.  in  allo  di  premere  col  pie  d.  una  ga- 
lea nemica  e  col  pie  s.  una  testa  umana  pileata  giacente 
recisa  a  terra.  Ae.  I. 

Narra  Dione  {Hisl.  LXVI1I,  li),  che  Decitolo, 
vedendosi  sconfitte  e  ornai  conquiso  ,  si  die  dispera- 
tamente la  morte ,  e  che  la  sua  lesta  recisa  venne 
portala  a  Roma.  Anche  Zeze  [CUI.  II,  75)  riferisce, 
che  Traiano  tornò  trionfante  dalla  Dacia  a  Roma  seco 
recando ,  insieme  co'  captivi  ,  la  testa  di  Decebalo. 
Nella  colonna  Troiana  (n.  313  )  due  soldati  Romani, 
entro  gli  accampamene  ,  sono  in  atto  di  moslraie 
agli  astanti  la  testa  recisa  di  Decebalo  posta  sopra 
una  tavola  ;  e  molti  rivolgono,  per  orrore  o  per  pie- 
tà ,  indietro  Io  sguardo.  Nel  riverso  della  sopra  de- 
scritta moneta  pertanto  è  senza  dubbio  rappresentata 
Roma  vittoriosa  ,  che  col  s.  piede  conculca  la  testa 
non  di  un  qualunque  Daco  pileato  ,  ma  bensi  di  quel 
fiero  suo  avversario  che  fu  Decebalo  ,  il  quale  per 
un  venti  anni  le  diede  aspra  guerra.  L'insultare  per 
cotale  modo  ai  vinti  parer  potrebbe  allo  vile  e  feroce; 
ma  tale  non  dovea  sembrare  ai  Romani  che  ricorda- 
vano le  atrocità  dei  Dati  conlra  esso  loro  ,  e  che 
nella  colonna  coclide  miravano  sculta l'estrema  bar- 
barie delle  donne  di  Dacia  intente  ad  abbruciar  vivi 
a  fuoco  lento  di  facelle  i  miseri  Romani  falli  captivi 
e  spogliati  nudi  con  le  mani  legate  dietro  le  schieoe 
(  Column.  Traian.  ».  178  ). 

In  altre  analoghe  monete  di  Traiano  (  nms.  Caes. 
n.  147  ,  220)  vedesi  una  donna  stolata  stante  con 
ramo  nella  d.  e  con  cornucopia  nella  s.  in  atto  di 
premere  col  piò  s.  non  già  il  capo,  come  parve  al- 
l' Eckhel ,  ma  sibbene  l' omero  di  una  figura  pi- 
leata ,  che  sembra  ignuda  e  come  emergente  dal 
suolo.  Questa  può  dirsi  la  Pace  ,  che  dopo  l'  assog- 


gettamento della  Dacia  diffonde  le  dovizie  ed  i  felici 
prodotti  di  quella  novella  provincia  a  prò  dell'  impero 
Romano. 

15.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  11. 

)(  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI,  S  C,  arco  sormon- 
talo da  un  carro  trionfale  a  sei  cavalli ,  con  trofei  , 
statue  ed  altri  ornamenti ,  e  con  Vepigrafe  IOMoI 
disopra  del  timpano.  Ae.  I. 

In  questo  insigne  riverso  il  Fabretti  (  col.  Tr.  p. 
300  )  ravvisava  un  tempio  dedicato  a  Giove  Traiano; 
ma  1'  edificio  non  ha  altrimenti  forma  di  tempio.  11 
eh.  Lcnormant  (  Trcsor:  icon.  des  Empr.  p.  50  )  lo 
credette  un  ingresso  del  Foro  Traiano;  ma  questo 
nelle  medaglie  ha  forme  ed  ornamenti  assai  diversi , 
e  poi  non  comparisce  che  assai  più  tardi  nel  conso- 
lato VI  di  Traiano.  A  me  sembra  anzi  un  arco  trion- 
fale a  fornice  semplice  ;  e  può  quindi  ritenersi  per 
uno  de'  molli  archi  trionfali  decrelati  dal  senato  a 
quel  bellicoso  Augusto  ,  e  più  verisimil mente  quello 
che  ricordava  le  sue  vittorie  Daciche  (  Dio  LXVI1I, 
29:  cf.  Annali  arch.  t.IXp.  39).  Gli  ornamenti  po- 
slì  sopra  il  fastigio  confrontano  con  quelli  della  Rasi- 
lica  U I pia  e  del  Foro  Traiano  ;  e  i  due  trofei  ricor» 
dereùbono  le  due  vittorie  Daciche ,  e  i  due  trionfi 
ehe  ne  menò  Traiano.  La  dedica  ìovi  Opthm  Maxi- 
mo mostra  che  Traiano  riferiva  al  favore  del  somme 
Giove  la  felice  riuscita  delle  sue  imprese  ,  conforme 
al  dello  del  suo  panegirista  (Plin.^an.  52): illifjovi 
debere  quidquid  nos  libi  debeamus',  illius,  quod  beni 
facias ,  muneris  esse,  qui  le  dedil.  Nella  colonna  co 
elide  vedesi  Giove  che  dall'alto  pugna  per  Traiano i 
fulmina  i  Daci  (  n.  133;  cf.  Fabretti  p.  85).  Dop< 
di  avere  scritte  queste  osservazioni ,  vidi  con  mi< 
grande  conforto  ,  che  anche  il  eh.  cominend.  Canina 
ravvisa  in  questo  tipo  un  arco  trionfale  tetraslilo  d 
Traiano  innalzato  in  Campidoglio  (  edif.  di  Roma  t 
1.  p.  120,  tao.  LXI). 

Continua  Cavedom. 


Giulio  Muservini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataxeo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 
N.°  81.     (  7.  dell' anno  IV.)  Ottobre  1855. 


Nuove  osservazioni  suijli  Scabillarìi  Puteolani. — Scoperte  in  S.  Maria  di  Capita.  —  Scavi  dimani. — 
Nuove  osservazioni,  e  compimento  della  descrizione  della  casa  di  M.  Lucrezio  in  Pompei. 


Nuove  osservazioni  sugli  Scabillarii  Puteolani. 

Il  mio  chiarissimo  collega  ab.  D.  Salvatore  Pisano- 
Verdino  ,  in  una  sua  erudita  memoria  letta  recente- 
mente alla  reale  Accademia   Ercolanese  ha  novella- 
mente trattata  la  (jnistione  degli  Scabillarii  Puteolani. 
Egli  sostiene  ch'essi  appartennero  alle  corporazioni 
de' sulores  :  ed  io  mi  asterrò  da  qualunque  osserva- 
zione fintanto  che  non  vegga  la  luce  la  sua  elaborata 
memoria.  Quello  però  che  deggio  in  tal  luogo  ram- 
mentare, si  è  un  importantissimo  luogo  di  Luciano, 
che  mi  era  sfuggito  quando  scrissi  di  quel  collegio, 
ora  dal  sig.  Pisano  citato  a  proposito,  e  dal  quale  la 
ricerca  degli  Scabillarii  viene  maravigliosamente  il- 
lustrata. Racconta  il  sofista  di  Samosata  che  a'  tempi 
suoi  viveva  un  famoso  saltatore  ,  il  quale  avendo  a 
rappresentar  la  parte  del  furioso  Ajace,  fu  preso  sif- 
fattamente da  violenta  mania,  che  non  misurando  allat- 
to i  movimenti  del  suo  corpo  lacerò  la  veste  di  un  di 
coloro  i  quali  battevano  col  calzare  di  ferro  ,  e  fa- 
cendo fuggir  di  mano  la  tibia   ad  uno  de' suonatori 
ruppe  la  testa  di  Ulisse,  che  poco  mancò  non  l'ucci- 
desse: -vói  y).p  twvtw  ffìorpcj uttoo <.' (Acuti  yjTwnwvrwv 
Tt,v  Icì}t|To.  xxnpprìZsY,lvis  o£  twv  vtt'xl'XovìTujy  tòv 
«iXov  ap7rarr«s  x  .  r  .  X .  (  de  saltai.  83  ).   Da  questo 
importantissimo  luogo  più  cose  si  ricavano  :  che  l'an- 
tica mimica  era  accompagnala  non  solo  dalla  libi», 
ma  benanche  dalla  percussione  de' piedi:  che  questa 
facevasi  mercè  uu  calzare  di  ferro,  edera  senza  dub- 
bio lo  scabillo  :  finalmente  che  l'ufficio  di  battere  co- 
gli scabilli  affidavasi  talvolta  ad  una  particolar  classe 
di  persone.  Lo  stesso  Luciano  in  altri  due  luoghi  del 

.4.Y.YO  IV. 


medesimo  dialogo  fa  menzione  della  tibia  e  del  bat- 
tere i  piedi  in  unione  dc'movimenti  de'sallatori  :  Xs- 

■ywv  toc  ai'Xoy  xxi  rivy  ffcpcjywv  xxi  rtvv  xtv7Twv 
votpipyóv  ri  Tot  ''{X^P^f?  *'V5C'  ('•  c-  G3):  ed  altrove 
ricordando  l'apparato  (  ty,v  •jrapao'xsuìr.v)  di  un  alto- 
re,  nomina  xrXoV,  ovpi'yv-a,  Trodwv  xruTrov,  xvftfòctkou 

■^ópOV,  VWJXplTW  W$UJ\lxv,  «OOVTWK    ÓfAO$fe>v/%V    ( ib. 

68  ).  Da'  luoghi  sopra  citati  rilevasi  che  essendo  di 
fatti  una  quantità  di  persone  occupale  a  percuotere  i 
calzari  di  ferro  ,  o  dir  vogliamo  gli  scabilli ,  riesce 
evidente  che  gli  Scabillarii  fossero  appunto  coloro  a 
tale  ufficio  adoperati  :  ed  è  1'  unico  modo  di  spiegare 
l'epiteto  ad  essi  attribuito  in  una  epigrafe  gruteriana 
di  operae  velcres  a  scaena  ;  secondo  quello  che  fu  da 
noi  precedentemente  osservato  (v.  sopra  pag.  5,  s.). 
In  tal  modo  vanno  in  parte  rettificate  le  cose  da 
noi  esposte  di  sopra  :  senza  però  abbandonare  la  idea 
che  gli  stessi  tihicini  fossero  non  poche  volle  occu- 
pati a  battere  il  suolo  con  gli  scabilli.  Ciò  risulta  dai 
citali  luoghi  di  Polluce  relativi  alla  x/aittìQx,  e  dallo 
stesso  luogo  di  Luciano  ,  ove  il  tibicine  siede  suo- 
nando e  xrv7rù/v  no  voci  (de  sali.  10).  Ciò  si  de- 
sume benanche  da'  monumenti ,  ne'  quali  lo  scabillo 
vedesi  dato  a'tihicini  :  Ira  essi  è  da  citare  un  Saliretto 
a  bassorilievo  ,  collocalo  nel  real  museo  Estense  del 
Cataio,  sul  quale  si  vegga  pure  il  ch.Cavedoni  (indieaz. 
del  mus.  E-it.  p.  96).  Finché  dunque  non  venga  fuori 
un  monumento,  ove  si  faccia  menzione  de'  tibicint 
puteolani,  potrà  supporsi  che  gli  scabillarii  fossero 
ivi  pur  destinati  a  suonar  la  tibia,  alternando  i  con- 
centi dell'  istrumento  colla  percussione  de' ferrei  cal- 
zari. E  ciò   sia  detto  ad  aggiunzione  e  miglior  di- 


—  50 


chiara/ione  delle  cose  inuanzi  discorse  :  riserbandomi 
una  più  ampia  discussione  alla  stampa  della  memo- 
ria accademica. 

Aggiungo  soltanto  che  in  Pozzuoli  era  non  solo 
l'anfiteatro,  ma  benanche  il  teatro,  nel  quale  pre- 
star doveano  principalmente  l'opera  loro  gli  Scabil- 
larii  Puteolani.  Noi  ci  proponiamo  di  rivolgere  i  no- 
stri studii  a  questo  edificio ,  che  merita  una  maggio- 
re illustrazione  di  quel  che  finora  si  è  fatto;  giacché 
è  sì  poco  noto  a'  dotti  stranieri ,  che  il  eh.  Wieseler 
non  ne  ha  pur  fatta  menzione  fra' quarantotto  teatri, 
de'  quali  ragiona  nella  sua  elaborata  opera:  Theater- 
gebàude  etc.  Minervi.m. 

Scoperte  in  S.  Maria  di  Capita. 

A  poca  profondità  dal  suolo  di  un  giardino  del 
sig.  Domenico  Manlio  proprietario  di  S.  Maria,  ab- 
biamo osservato  una  serie  di  pavimenti  divisi  da  mu- 
ricciuoli  anticamente  caduti  e  quasi  rasali  ,  per  lo 
che  non  mostrasi  apparenza  di  qualche  conservalo 
ediGzio.  Soltanto  può  conghietturarsi  con  tutta  pro- 
babilità che  fosse  un  edifizio  privato;  ma  per  essere 
il  sito  ingombro  da  terre  non  possiamo  formarci 
idea  adeguata  di  lai  costruzione.  In  un  luogo  ,  che 
trovasi  allo  scoperto ,  vedesi  un  piccolo  scalino  con 
gola  e  listello  di  travertino  ,  che  costituisce  quasi  la 
soglia  di  una  piccola  edicola  rettangolare  in  massima 
parie  distrutta. 

La  importanza  di  questi  ruderi  consiste  nella  in- 
dicata serie  di  pavimenli,  i  quali  essendo  a  musaico, 
possono  contenere  interessanti  fregi  o  rappresenta- 
zioni. Nel  mezzo  di  uno  di  essi  era  in  origine  un 
quadretto,  che  ora  vedesi  a  bello  studio  scalpellato, 
forse  perchè  ne'  secoli  posteriori  volle  annullarsi 
qualche  oscena  rappresentazione. 

Nel  mezzo  di  un'  altro  pavimento  è  un  quadretto 
di  fino  musaico  di  altezza  circa  palmi  2,5  per  2, 
compresa  una  nera  cornicetta,  che  lo  circonda.  Rap- 
presenta una  specie  di  ara  o  sostegno  rettangolare  in 
parte  perduto ,  su  cui  poggia  un  vaso  a  due  mani- 
chi :  1'  orlo  di  questo  vaso  è  ornato  di  ovoli  con 
bianco  ,  verde  ,  giallo  e  rosso  elegantemente  fra  lor 


combinati.  Una  verde  biglia  galleggia  nell'acqua,  alla 
quale  ed  al  liquido  slesso  par  che  mirino  Ire  diversi 
augelli,  che  sono  intorno  al  vaso.  Uno  scmhra  una 
pernice  ,  gli  altri  rassomigliano  a  due  pappagalli  , 
uno  de' quali  ha  manto  azzurro  l'altro  verde  :  ed  en- 
trambi presentano  alla  gola  una  collana  di  penne 
rossaslre,  non  altrimenti  che  in  un  simile  uccello 
osservabile  in  un  musaico  dell'antica  Italica  nella 
Spagna  ,  eruditamente  illustrato  dal  eh.  sig.  De  La- 
borde  (descripcion  de  un  pavimento  en  mosayco  descub. 
en  la  ant.  Itàlica.,  Madrid  MDCCCVl  lav.  VII).  Alla 
base  del  descritto  sostegno  sono  da  un  lato  un  gruppo 
di  tre  fruita  ,  e  dall'  altro  lato  un  piccolo  gatto  ,  con 
lunghissima  coda  ,  che  alza  alquanto  la  destra  zam- 
pa. 11  fondo  del  musaico  è  bianco.  Il  colore  del  gatto 
è  giallo  misto  di  macchie  nere.  Il  piedestallo  è  di 
rosso  con  degradazione  di  chiaro  e  di  oscuro.  Bellis- 
sima è  la  posizione  della  pernice  che  vedesi  di  scor- 
cio. Pare  che  volle  figurarsi  una  riunione  di  dome- 
stici animali  intenti  a  prendere  il  cibo  e  la  bevanda. 
Perciò  si  è  messo  vicino  il  gatto,  che  non  reca  colla 
sua  presenza  spavento  a'  suoi  pennuti  compagni. 

Siccome  era  costume  degli  antichi  di  collocar  so- 
vente nel  mezzo  de'  pavimenti  a  musaico  un  più  ri- 
cercalo quadretto  dello  slesso  lavoro  ,  come  è  stato 
osservato  per  non  pochi  musaici  di  Roma ,  di  Pom- 
pei, e  di  allri  siti,  sarebbe  desiderevole  che  si  facesse 
dal  proprietario  un  saggio,  per  esaminare  tutti  i  pa- 
vimenli ancora  ricoperti  da  (erra  ,  in  mezzo  a'  quali 
rinvenir  si  potrebbero  effigiati  soggetti  di  maggiore 
importanza.  Ed  ove  ciò  si  verifichi ,  non  tarderemo 
a  darne  sollecitamente  notizia  a'ieltori  del  bullettaio. 

Intanto  non  manchiamo  di  avvertire  che  la  loca- 
lità ,  di  cui  discorriamo ,  offre  un  altro  interesse 
architettonico  :  ed  è  che  al  disotto  di  quei  pavimen- 
ti,  de' quali  dicemmo,  vedesi  una  serie  di  volte,  le 
quali  covrono  grandi  corridoi  intrecciantisi  fra  loro. 
Questi  corridoi  offrono  spiragli  circa  ogni  cinque 
palmi:  l' intonico  n'è  semplice  e  bianco  ,  il  pavi- 
mento di  lastrico  baltuto.  A  me  sembra  che  queste 
semplici  e  rozze  sostruzioni  sieno  destinate  a  rendere 
asciutte  le  fabbriche  superiori,  e  forse  ancora  a  ser- 
vir di  vasta  cantina.  Una  parie  di  quei  corridoi  sot- 


51  — 


loposti  è  tuttora  ingombra  di  sfabbricine  ,  e  di  rot- 
tami di  ogni  sorta,  tra' quali  appajono  ancora  fram- 
menti di  oggetti  anticbi.  Da  uno  de'  sotterranei  com- 
presi abbiamo  veduto  venir  fuora  varii  frammenti  di 
terracotta  e  di  vetro  ,  un'  anteGssa  con  testa  di  Me- 
dusa ,  alcune  lucerne  di  poco  conto  ,  ed  altre  cose 
insignificanti.  Tra  queste  ricordiamo  un  pezzo  di 
vetro  da  finestra  di  enorme  doppiezza,  non  che  pez- 
zetti d' inlonico  dipinto  a  varii  colori  nel  fare  delle 
pareti  pompejane. 

Quando  sarà  compiuta  la  scavazione  di  questi  cor- 
ridoi ,  saremo  di  nuovo  a  studiarli  ;  e  ne  diremo  un 
più  preciso  ragguaglio.  Minervini. 

Scavi  cumani. 

Gli  scavi,  che  per  ordine  di  S.  A.  R.  il  Conte  di 
Siracusa  furono  intrapresi  a  Cuma  nel  1853  ,  inter- 
rotti a  cagione  dell'aria  malsana,  sono  stati  riaperti 
il  giorno  19  dello  scorso  novembre  (1835),  in  con- 
tinuazione de'  luoghi  precedentemente  scoperti. 

Nel  1854,  a  circa  860  pai.  dal  tempio  de'  Gigan- 
ti (  Templum  Iovis  ) ,  essendosi  rinvenuto  un  muro 
alto  pai.  20  ,  composto  di  grandi  macigni,  che  cor- 
reva da  oriente  ad  occidente  per  oltre  300  pai.  ,  io 
supposi  che  al  di  là  del  medesimo,  cioè  a  settentrio- 
ne dell'  indicato  tempio  ,  dovesse  rattrovarsi  la  ne- 
cropoli cumana  :  onde  rivolti  gli  scavi  in  quel  silo  , 
quasi  a  100  palmi  discosto  dalla  menzionata  mura- 
glia ,  s' incominciarono  ad  incontrar  molte  tombe  , 
altre  additate  da  ruderi  sovrastanti  la  terra ,  altre  a 
considerevole  profondità  dal  suolo  della  campagna. 
Vidi  però  che  queste  tombe ,  ordinatamente  disposte 
l' una  appresso  dell'  altra ,  dovevano  seguire  il  corso 
di  qualche  via  ,  che  dalla  muraglia  volgendo  a  set- 
tentrione, menasse  alla  selva  Hatnae  od  a  Liternum, 
epperò  non  credetti  improbabile,  che  quello  fosse 
un  avanzo  del  muro  costruito  da  Aristodemo  Mala- 
co  intorno  alla  ciltà,  e  che  lo  studio  di  quella  strada 
ne  portasse  alla  scoperta  di  qualche  insigne  ipogeo. 

Or  gli  scavi  posteriori  avendo  pienamente  confer- 
mate le  mie  conghietture  ,  siamo  venuti  a  conoscer 
la  giacitura  di  tre  vie ,  che  prendendo  origine  da'- 


l' indicata  muraglia,  aveano  lungo  i  loro  margini  nu- 
merosi sepolcri.  La  prima  di  esse  ,  eh'  è  presso  la 
strada  regia  di  Licola,  a  poca  disianza  dal  muro  della 
città ,  teneva  a  sinistra  quel  recinto  di  tombe  ulru- 
sche  ,  di  cui  ho  parlalo  altrove,  che  scoperto  poi  in- 
teramente, videsi  conterminalo  da  un  argine  di  grossi 
macigni,  rinchiudenti  un'area  di  circa  1500  palmi 
quadr.,  tutta  ricoperta  di  uno  slrato  orizzontale  di 
tegoloni  dipinti  e  connessi  tra  loro  ,  a  guisa  di  ben 
ordinato  pavimento  ;  il  quale  poggiando  sovra  una 
zona  di  terra  alta  pai.  2,  serviva  di  coperchio  a  molle 
fosse ,  delle  solite  dimensioni  de'  greci  sepolcri ,  en- 
tro cui  stavano  gli  scheletri ,  profonde  pai.  G  e  col- 
mate di  lapillo  o  di  finissima  terra.  Seguivano  sul 
medesimo  lato  oltre  a  180  tombe,  alcune  con  co- 
pertura piana  ,  allre  a  due  falde,  e  tra  queste  ultime 
quella  che  già  descrissi  contenente  un  vasetlo  con 
epigrafe  osca  e  stoviglie  dorate  ,  ed  una  finalmente 
che  ne  fornì  un  oleario  di  bronzo  alto  pai.  1  ,  5 
avente  incisa  sul  ventre  l' iscrizione  : 

C  •  POMPON1VS  •  ZOTICVS  ■  COLLEGIO 
APOLL1NARIO  D  •  D 

Un  pavimento  di  grandi  selci  largo  circa  pai.  12, 
rinvenuto  poco  lungi  dalla  cennata  muraglia,  ed  an- 
eh;  volto  a  settentrione ,  ne  diede  indizio  di  una  se- 
conda via  quasi  parallela  alla  precedente ,  ove  s' in- 
contrarono 30  sepolcri  greci ,  pochi  ipogei  romani 
in  parte  abbattuti  o  frugali,  e  molte  funebri  stele,  tra 
cui  una  che  racchiudeva  quell'  insigne  vaso  dipinto 
con  le  origini  Tebane  e  la  guerra  degli  Egiziani.  Una 
terza  strada ,  che  aveva  la  medesima  direzione  delle 
due  precedenti  ,  usciva  pure  dalla  città  poco  lungi 
dal  mare,  ed  era  in  simil  guisa  decorata  di  sepolcri: 
quivi  ebbero  luogo  gli  scavi  praticati  da  lord  Ver- 
non  ,  e  non  è  guari  si  scopri  quel  bellissimo  vaso 
con  bassirilievi  e  doratura  ,  pubblicalo  in  questi  fo- 
gli dal  mio  eh.  amico  Minervini  (annoili,  pag.  73 — 
79  ).  Ma  a  noi  non  permise  lo  studio  di  quella  via 
l'imminente  primavera,  e  vi  potemmo  solo  racco- 
gliere poche  stoviglie  con  vernice  nera,  e  molli  fram- 
menti di  bronzo. 


—  52 


Riaperti  adunque  gli  scavi  nello  scorso  novembre, 
essi  hanno  avuto  cominciamento  lungo  il  Iato  occi- 
dentale della  prima  fra  le  tre  descritte  strade.  Vi  ab- 
biamo fin'  oggi  incontrate  sei  tombe ,  già  frugate  da- 
gli antichi  ,  ma  l'ordine  progressivo  de' sepolcri  ,  ed 
i  travamenti  anteriori  ne  fanno  sperare,  che  la  sco- 
perta di  qualche  pregevole  monumento  non  tarderà 
a  coronar  l'opera  dell'augusto  Autore  di  queste  sca- 
vazioni ,  il  quale  onorando  le  arti  del  suo  magnani- 
mo patrocinio  ,  ha  pure  acquistato  altissimo  titolo 
all'ammirazione  ed  alla  riconoscenza  dei  dotti  (1). 
(  Continua  Fiorelli. 

Nuove  osservazioni ,  'e  compimento  della  descrizione 
della  casa  di  M.  Lucrezio  in  Pompei. 

Sin  dal  primo  anno  di  questa  novella  serie  del 
bullellino  noi  promettemmo  di  compire  la  descrizione 
della  pompejana  casa  di  M.  Lucrezio  (  an.  1  p.  25). 
Ora  veniamo  a  sciogliere  questa  uostra  promessa  , 
avendo  avuto  la  occasione  di  studiar  tutto  quel  pri- 
vato edilìzio  ,  del  quale  presentammo  la  descrizione 
nella  splendida  opera  de'  Signori  Niccolini  (  vedine 
1'  annunzio  nel  3  anno  di  questo  bullellino  pag.  [47). 
Noi  non  intendiamo  ripetere  la  descrizione  di  quelle 
parti  ,  che  furono  già  maestrevolmente  indicate  ed 
illustrale  dal  Comm.  Avellino  ;  ma  unicamente  ci 
occuperemo  di  quelle,  che  nell'antica  serie  del  bui- 
lettino  non  veggonsi  riportate  :  e  solo  diremo  breve- 
mente qualche  nostra  nuova  osservazione  o  spiega- 
zione sulle  parti  esposte  da  quell*  uomo  dottissimo  , 
secondo  quello  eh'  ebbi  la  occasione  di  dichiarare 
nella  citata  pubblicazione  de' Signori  Niccolini. 

Androne.  Nel  quadro  a  sinistra,  ove  il  eh.  Panof- 
ka  ravvisò  un  soggetto  nuziale  {bullett.  dell' Ist.  1847 

(I)  Le  precedenli  notizie  sopra  le  scoperte  cumane,  alle  quali 
accenna  il  eh.  Fiorelli ,  sono  consegnate  in  gran  parte  ne'  diffe- 
renti fascicoli  della  sua  pubblicazione  ,  che  ha  per  titolo  —  Monu- 
menti antichi  posseduti  da  Sua  Altezza  Reale  il  Conte  di  Sira- 
cusa—  Napoli  1853  in  4.  presso  Alberto  Delken  editore — Noi  pure 
avemmo  la  occasione  di  parlare  di  alcuni  di  quei  monumenti  nel 
primo  anno  di  questo  bullellino  p.  10ci  segg. ,  121  segg.  161  segg., 
ove  discorremmo  a  lungo  del  vaso  con  epigrafe  osca ,  annunzian- 
done per  la  prima  volta  la  importantissima  scoperta.  Nota  deW  e- 
ditore. 


p.  1 30  ) ,  il  Comm.  Avellino  (  bullett.  nap.  an.  V. 
p.  33),  ed  il  Raoul  Rochetle  (journ.  des  sav.  1852 
p.  70  )  la  dea  Cerere  colle  faci  ,  la  quale  nella  ri- 
cerca della  perduta  Proserpina s'incontra  con  Ecate, 
in  una  particolare  regione  simboleggiata  dalla  terza 
figura;  noi  osserviamo  che  potrebbe  ancora  pensarsi 
alla  riunione  delle  tre  divinità  Cerere  Proserpina  ed 
Ecate,  che  tanto  spesso  si  scorge  in  altri  monumenti 
relativi  alla  semina  del  frumento,  e  specialmente  su' 
vasi  dipinti  :  nella  quale  idea  assegnerei  il  nome  di 
Ecate  alla  figura  colle  fiaccole  (v.  Roulez  mélang. 
fase.  ìli,  4  p.  2  e  seg.  :  cf.  ciò  che  ho  scritto  bullett. 
arch.  napol.  àn.  I  p.  15,  e  nuova  serie  an.  II  p. 
100).  E  qui  mi  piace  di  osservare  che  la  medesima 
riunione  di  Cerere  di  Proserpina  e  forse  ancora  di 
Ecale  possiam  ravvisare  nel  magnifico  vaso  cumauo 
del  sig.  Marchese  Campana  in  Roma  (bull.  arch.  nap. 
an.  Ili  tav.  VI  cf.  pag.  75  ).  E  per  verità  non  sap- 
piamo come  il  nostro  eh.  collega  ed  amico  sig.  dot- 
tor Braun  si  persuase  che  la  donna  stante  colla  face 
fosse  Proserpina,  e  l'altra  sedente  all'altro  lato  diTril- 
tolemo  potesse  riputarsi  Diana  fbullett.deU'Isl.dicorr. 
arch.  1855  pag.  IV-V  ).  In  tale  spiegazione  sorge 
piuttosto  la  idea  che  Proserpina  andasse  in  traccia 
della  madre,  della  quale  mostrerebbe  meno  giovanile 
apparenza  :  senza  dire  che  la  pretesa  Artemide  ve- 
drebbesi  effigiata  senza  i  soliti  simboli ,  che  valessero 
a  farcela  riconoscere ,  ed  anzi  con  quella  specie  di 
modio  ,  comune  all'  altra  eleusinia  divinità  ,  e  che 
richiama  spontaneamente  il  pensiero  alle  grandi  Dee. 
Non  nego  che  un  simile  ornamento  nelle  arcaiche 
immagini  trovasi  dato  ancora  ad  Artemide;  ma  è  as- 
solutamente diverso  il  caso  del  vaso  di  Cuma  ,  ove 
non  apparisce  traccia  di  arcaismo  neppure  affettato  o 
d  '  imitazione  ,  ed  ove  poi  la  pretesa  Cora  manca  del 
modio  a  lei  conveniente  :  e  perciò  figurare  in  quel 
modo  Artemide  e  Proserpiua  sarebbe  stato  quasi  un 
inganno  dell'  artista.  Toruaudo  all'androne  della  casa 
di  M.  Lucrezio  ,  dirò  che  noli'  altro  quadro  messo 
dirimpetto  a  quello,  di  cui  dicemmo,  il  cav.  Panofka 
vide  altra  scena  nuziale  ( bullett.  dell'  Ist.  1847  pag. 
130  ),  il  comm.  Avellino  Ali  che  a  sé  trae  la  Ninfa 
Sangaritide  (bull.  nap.  an.  V  p.  34  e  segg.),  ed  il 


—  53  — 


Raoul-Rochette  il  ritorno  da  un'orgia  notturna (  joum. 
des  Sav.  1852  p.  71  segg.  ).  Non  vi  ha  dubbio  che 
la  principale  figura  è  coronata  di  foglie  che  sembrano 
di  edera  ,  e  che  presenta  la  impressione  di  ubbria- 
chezza  e  di  fisico  abbandono.  A  noi  sembra  che  sia 
figuralo  il  giovine  Dioniso  ,  a  cui  conviene  il  vesti- 
mento asiatico  (  Raoul-Rochette  choix  de  peint.  de 
Pompei  tav.  XIX  p.  245  not.  4,  ed  Herc.  Assyr. 
et  Phénic.  p.  250:  cf.  bullell.  ardi.  Nap.  n.  s.  an.  II 
p.  96  )  e  1'  ederacea  corona  ,  vinto  dalla  forza  del 
vino  (Visconti  Pio-Clem.  voi.  IV  tav.  XX  cf.  i  miei 
mon.  inedili  di  Barone  p.  113-114),  ed  appoggiato 
ad  una  Baccante  preceduto  dal  mistico  daduco.  In 
questa  intelligenza  vi  sarebbe  una  strettissima  rela- 
zione col  quadro  della  opposta  parete,  ove  si  osserva 
un  rapporto  co'misterii  di  Eleusine  ;  veggendosi  un* 
allusione  a' due  grandi  misterii  dell'antichità.  E  così 
pur  sarebbe  un  bellissimo  insieme  della  introduzione 
dell'  agricoltura  e  della  vigna ,  accoppiato  a  simboli- 
che figure ,  che  da  una  parte  accennano  all'  abbon- 
danza de'  campi,  e  dall'  altra  alla  bacchica  religione, 
a  cui  mostrasi  dedito  il  proprietario  della  casa.  Ag- 
giungo poi  da  ultimo  che  nel  volto  delle  due  figure 
di  Bacco  e  della  donna  alla  quale  il  dio  si  appoggia, 
si  osserva  una  tale  angolosità  di  linee  ,  che  mostra 
aver  voluto  espressamente  indicare  l'artista  non  trat- 
tarsi di  naturali  contorni,  ma  di  maschere  sovrappo- 
ste (come  in  altre  figure  v.  real  mus.  Borbonico  tona" 
VII  tav.  XXI,  e  Wieseler  Thealergeb.  und  Denkmà- 
ler  des  Buhnenwesens  tav.  V  p.  40  segg.):  il  che  ac- 
cenna pure  alle  drammatiche  rappresentanze  delle 
bacchiche  feste  (Lobeck  Aglaoph.  p.  671  segg.).  E 
M.  Lucrezio  non  era  alieno  dal  gustare  i  divertimenti 
della  scena.  Ci  sembra  molto  a  proposito,  a  confronto 
del  pompejano  dipinto ,  un  luogo  dello  scoliaste  di 
Aristofane,  il  quale  ci  avverte  h  roTi  X?]vcciWs  àyùxri 
rou  Aiowaov  6  Ó«.ocivxos  x.a.TÌx,IM*  \a.\xvixoa.  "ktyu , 
x%kHts  Siiv  etc.  (\ad  Ran.  479).  Or  questo  luogo 
inerita  di  essere  paragonato  con  un  altro  passaggio 
di  Senofonte,  ove  si  parla  di  una  privata  scena,  nella 
quale  figuravano  Bacco  ed  Arianna  ;  e  si  nota  che 
non  essendo  ancora  comparso  il  dio,  la  tibia  faceva 
sentire  una  bacchica  armonia:  ovvw  Sì  (poc/voiu/vov  rov 


Aiovvffou  yfiXsT&oè  (Jaxxelbs  pwSfyufe  (conviv.  cap.IX, 
3  ).  Nel  nostro  dipinto  (rovansi  insieme  accoppiate 
le  due  particolarità  del  daduco,  e  delle  bacchiche  ti- 
bie ;  che  lo  fanno  ritenere  siccome  una  dionisiaca 
rappresentazione.  In  una  delle  pitture  delle  tombe 
Tarquiniesi,  una  bacchica  figura  si  appoggia  ad  un 
giovinetto  tibicine  alla  presenza  di  una  donna  (  Mi- 
cali  monum.  per  serv.  alla  Storia  tav.LXVII  n.  2  ). 

Primo  cubicolo  a  destra  dell'atrio.  In  uno  de'qua- 
dretli  di  questo  cubicolo  fu  riconosciuto  uno  de' cac- 
ciatori amanti  o  favoriti  dalla  dea  della  notturna  lu- 
ce: si  pensò  quindi  ad  Endimione,  a  Cefalo,  ad  Orio- 
ne (Avellino  bullett.  nap.  an.  VI  pag.  4;Raoul-Ro- 
cheUe  joum.  des  Savants  1852  p.  77  ).  Noi  inclinia- 
mo piuttosto  per  Endimione;  e  parlammo  altrove 
del  latrar  del  cane  verso  la  Luna  (  vedi  questo  bal- 
lettino an.  1  p.  34-35).  Del  resto,  non  sarebbe  stra- 
no pensare  ancora  ad  Atteone,  che  pur  seduto  sopra 
di  un  sasso  ,  e  col  suo  cane  accanto  si  osserva  sopra 
un  bellissimo  vaso  dipinto  da  me  pubblicato  (v.  i  miei 
mon.  ined.  di  Barone  tav.  XIX  pag.  85  e  segg.). 

Secondo  cubicolo  a  destra  dell'atrio.  In  aggiunzione 
a  quanto  fu  scritto  sulla  singolare  figura  di  Bacco  di- 
pinta nella  parte  più  alta  della  principale  parete  (A- 
vellino  bull.  nap.  an.  VI  p.  17  cf.  ciò  che  dicemmo 
in  questo  ballettino  an.  II  p.  31  ,  e  real  mus.  borbo- 
nico voi.  XV  alla  tav.  XXXII  p.  7,8),  avvertiamo 
che  varie  volte  il  possessore  della  casa  mostrasi  ad- 
detto al  culto  di  asiatiche  divinità  ,  quale  si  è  quello 
del  Bacco  venerato  in  Bitinia.  I  radii ,  de' quali  ve- 
diamo fregiato  il  capo  di  Dioniso,  accennano  alla  sua 
solare  significazione ,  della  quale  non  è  duopo  citare 
i  filologici  od  archeologici  confronti.  È  poi  ben  co- 
nosciuto che  il  leone  e  1'  elefante  non  isconvengono 
all'  Indico  Bacco  ,  che  presenta  fra'  trofei  della  sua 
vittoria  gli  animali  delle  regioni  da  lui  debellale.  AI 
che  puossi  aggiungere  che  t°  elefante  (Avellino  opvsc. 
t.  II  p.  83;  Fiorelli  ossecra:,  sopra  tal.  mon.  rare  p. 
3,4;  Raoul-Rochette  fouilles  de  Capone  p.  98),  ed 
il  leone  sono  entrambi  simboli  solari  ed  apollinei; 
e  perciò  assai  bene  si  addicono  al  Bacco  radiato,  che 
richiama  benanche  alla  solare  intelligenza  di  quella 
mistica  divinità. 


—  54  - 


Iu  questo  cubicolo  furono  rinvenuti  non  pochi 
istrumenti  chirurgici ,  ed  un  grazioso  candelabro  ; 
de'  quali  diremo  in  fine  di  questo  articolo. 

Secondo  cubicolo  a  sinistra  dell'atrio.  Tra'  due  di- 
schi di  Marte  e  di  Venere  ,  vedesi  un  quadrello  ove 
si  scorge  una  donna  seminuda  con  corona  radiata,  la 
quale  è  nell'atto  di  pescare:  e  vi  ò  da  presso  una  gio- 
vanile ed  alata  Cgura  coronata  di  foglie,  tenendo  colla 
destra  un  ramo.  Il  sig.  Panofka  vi  ravvisò  la  Venere 
pescatrice  (bullett.  dell' Ist.  1847  pag.  131),  ed  alla 
stessa  dea  pensò  il  dotto  Avellino  (  bulletl.  nap.  an. 
VI  p.  36).  Egli  traeva  da  questa  pittura  un  argo- 
mento contro  coloro  che  riconoscer  volevano  Ipno  o 
il  Sonno  nella  figura  simile  a  quella  alata  con  ramo, 
osservala  più  volte  in  altre  pompejaae  pitture: come 
sou  quelle  che  a  Zeffiro  e  Clori ,  ovvero  a  Bacco  ed 
Arianna  si  riferiscono.  Il  Raoul-Rochelte  osservò  che 
dovesse  nella  pescalrice  riconoscersi  piuttosto  la  Ninfa 
Galatea ,  della  quale  si  veggono  alcuni  graziosi  di- 
pinti in  questo  e  nel  precedente  cubicolo.  Égli  prese 
per  una  donna  la  figura  che  l'accompagna  ;  della 
quale  non  offre  alcuna  plausibile  spiegazione  (  journ . 
des  Sav.  1852  p.  80). 

Io  mentre  sono  da  un  lato  persuaso  che  poca 
probabilità  ci  presenta  la  interpretazione  che  a  Ga- 
latea riferisce  il  dipinto,  ritengo  dall'altro  che  la  vi- 
cina figura  col  ramo  sia  appunto  del  Sonno;  come 
per  altri  monumenti  fu  opinione  del  eh.  Comm.  Qua- 
ranta ,  e  come  altrove  fu  da  noi  pure  sostenuto  (  v. 
questo  bullettino  an.  II  pag.  68  seg.  ).  Difficile  poi 
sarebbe  mettere  il  Sonno  in  rapporto  con  Galatea. 
Perciò  vogliamo  proporre  una  nostra  conghietlura 
su  questo  singolare  dipinto.  La  protome  di  Venere 
pur  con  corona  radiata,  che  vedesi  nel  disco  vicino, 
c'induce  a  credere  che  sia  parimenti  Venere  nel  qua- 
drello di  mezzo  la  donna  effigiala  con  somigliante 
corona.  E  sebbene  non  ci  sovvengano  luoghi  di  an- 
tichi scrittori,  che  ci  presentino  Venere  in  atto  di 
pescare ,  pure  i  varii  monumenti ,  che  in  tal  guisa 
ci  ofTrono  la  dea  degli  Amori  (Mùller  Handb.  §378 
hot.  2  pag.  584  edil.  Welcker(l)),  sono  abbastanza 

(1)  Il  eh.  laha  riconosce  ancora  la  Venere   pescatrice ,  ma  di- 
chiara di  non  comprendere  il  significalo  di  quella  figura  alata,  che 


illustrati  dalle  note  relazioni  di  Venere  colle  marine 
acque,  che  dar  le  fecero  il  nome  di  irovriv..  Or  veden- 
dosi il  quadretto  di  cui  ragioniamo  fralle  due  proto- 
me di  Marte  e  di  Venere ,  può  supporsi  che  accenni 
agli  amori  di  queste  due  divinità:  nella  quale  ipotesi, 
mentre  Afrodite  occupata  alla  pesca  sta  attendendo  il 
dio  della  guerra,  già  le  si  mira  vicino  il  Sonno,  che 
prender  dovea  la  coppia  divina,  e  farla  avviluppar 
di  legami ,  esponendola  ad  inattesa  vergogna.  Repo- 
siano  parlando  del  luogo  ,  ov'  erasi  ritirata  Venere 
ad  attender  Marte  ,  non  tralascia  di  mentovare  i  li- 
quidi fonti ,  presso  i  quali  la  dea  andava  a  diporto 
(concub.  Mari,  et  Veneris  v.  48,  nel  voi.  Ili  de'poe- 
tae  lai.  minor,  di  Parigi,  pag.  324  s.  ).  Nel  mito  poi 
di  Marte  e  di  Venere  tutte  le  tradizioni  parlano  del 
loro  sonno,  cominciando  da  Omero  {Odyss.  0,254 
segg.  ) ,  da  cui  presero  tulti  gli  scrittori  posteriori. 
Non  è  quindi  improbabile  che  la  simbolica  figura  di 
quel  dio  della  notte  sia  messa  vicino  alla  dea  nella 
circostanza  delle  sue  relazioni  con  Marte. 

Ala  destra  dell'  atrio.  Dalle  varie  rappresentazioni 
riferibili  a  soggetti  drammatici ,  alcuni  distintamente 
determinati,  noi  veniamo  a  conghietturare  che  Marco 
Lucrezio  ricordar  volle  una  domestica  gloria,  accen- 
nando alle  opere  dell'  ingegno  di  qualcuno  della  sua 
famiglia.  E  poiché  è  provalo  che  questa  parte  della 
casa  era  destinala  a  tenere  esposte  le  immagini  de' 
maggiori ,  quelle  dipinture  facevano  bella  compagnia 
a'  ritratti,  che  in  quel  medesimo  luogo  erano  proba- 
bilmente collocati.  Questa  idea  può  venir  confermata 
dalla  considerazione ,  che  i  varii  poeti  effigiati  nelle 
pareti  mostrano  diversi  lineamenti,  e  differente  (bo- 
nomia ;  per  modo  che  pare  siesi  voluto  accennare  a 
più  personaggi  piuttosto  che  ad  un  solo. 

Tablino.  In  appoggio  e  dichiarazione  di  una  nostra 
idea  (bullett.  ardi.  nap.  ant.  ser.  ann.  VI  pag.  39), 
che  fu  ritrovata  fantastica  da  un  erudito  artista  il  sig. 
Falkener  (Museum  of.  classic.  antiquii.  voi.  II  pari. 
I  pag.  82  ),  vogliamo  aggiungere  alcune  brevi  os- 
servazioni. Alla  sommità  delle  capricciose  architet- 

l'è  vicina,  in  cui  perù  opina  non  esser  rappresentato  il  Sonno.  Vedi 
la  dichiarazione  nell'  opera  del  Zahn  :  Ornam.  uni  Gemuide  eie. 
Ili,  36. 


Iure  di|iin(e  nello  pareti  del  laWino  i  ipotesi  il  gruppo 
di  una  figura  giovanile  ed  alala,  eli' è  nell'alto  di 
sottrarsi  ad  un  mostro  ,  che  In  in  tutto  il  reslo  del 
corpo  fattezze  umane,  ma  la  (es!a  taurina.  Sembra 
indubitabile  che  nel  mostro  riconoscer  bisogna  il  Mi- 
notauro :  e  forse  nell'alato  giovinetto  ravvisar  po- 
Iremo  il  figliuolo  di  Dedalo  Icaro,  il  (piale  per  al- 
cune tradizioni  (Igino  [ab.  XL)  fu  messo  da  Minosse 
in  custodia,  forse  nel  medesimo  laberinto  di  Creta, 
che  servì  di  carcere  al  Minotauro.  Ed  in  qualunque 
modo  il  ravvicinamento  del  Minotauro  ad  Icaro  può 
attribuirsi  itilo  stesso  capriccioso  genere  della  fanta- 
stica dreniteli ura  ,  della  quale  il  ripetuto  gruppo  è 
destinalo  ad  ornamento.  Questa  nostra  idea  vien  con- 
fermata dalla  costruzione  medesima  della  casa  ,  in 
cui  il  tablino  ed  il  peristilio  sono  tra  loro  in  colai 
guisa  disposti,  che  non  vedendosi  in  qual  modo  pos- 
sano mettersi  in  comunicazione  ,  sorge  alla  mente  la 
idea  del  Laberinto ,  di  cui  era  cotanto  difficile  indo- 
vinare I'  uscita.  E  ciò  diede  per  avventura  ad  alcuno 
degli  ?bilanli  della  casa  il  pensiero  di  segnare  nel  pe- 
ristilio a  graffito  un  meandro  ,  desliualo  ad  indicare 
il  labirinto,  e  presso  la  iscrizione  :  labyrinthus  hicha~ 
bilat  Minotaurus. 

Queste,  ed  allre  simili  ma  più  minute  osservazio- 
ni ,  sono  stale  da  me  fatte  sulla  porzione  della  casa 
di  M.  Lucrezio  già  descritta  dall'Avellino:  come  si 
vede  dalla  più  volle  citata  opera  de'signori  Niccolini, 
alla  quale  rimandiamo.  Ora  però  dalla  pubblicazione 
medesima  estragghiamo  quel  che  si  riferisce  alla  parte 
superiore  della  casa  ,  alla  quale  arrestavasi  1'  antica 
serie  del  bullellino. 

Corrìdojo  di  lato  al  peristilio.  È  questo  diviso  in 
due  come  slanzelte,  le  quali  son  da  considerare  quali 
vere  fauces  ,  perchè  di  fatti  mettevano  in  relazione 
fra  loro  le  varie  parli  della  casa. 

La  prima  stanzella  ha  finestra  sul  peristilio  ,  ed  il 
pavimento  è  di  opera  signina.  Dava  essa  l' ingresso 
ad  altra  scala  che  menava  alle  parli  superiori  della 
casa  ,  ovvero  a  qualche  ammezzato.  Le  pareli  son 
gialle  arrossite  in  varii  punti  dalla  violenza  dell'info- 
cato lapillo.  Graziose  architetture  le  fregiano ,  in  ci- 
ma delle  quali  or  vedi  paniere  accovacciale,  ora  sim- 


boli dionisiaci ,  e  leoni  ,  e  grifi  :  è  principalmente  vi- 
sibile un  Trifone  con  buccina  ed  a'iro  simbolo  in- 
certo. Un  piccolo  quadro  di  pace  cm  figiirin :•  è  in 
massima  parie  perduto.  Rimane  lu'tivia  ,  sebbene 
assai  danneggialo  un  allro  quadretto  :  esso  ci  offre  un 
Amorino  presso  una  donna  la  (piale  siede  in  mesto 
atteggiamento,  e  volgesi  a  guardare  altra  donna  slau- 
te, che  a  lei  si  appressa.  Non  sarebbe  strano  pensare 
a  Fedra  che  confida  alla  nutrice  l'incestuoso  amore, 
onde  è  presa  pel  giovincllo  Ippolito  :  ma  nulla  ose- 
remmo asserir  di  cerio  ,  essendo  il  dipinto  in  cattivo 
stato  di  conservazione.  Il  seguente  corridojo  è  dipin- 
to a  grottesche  ,  ove  sono  visibili  maschere,  uccelli, 
ed  altri  ornamenti.  Nel  muro  di  fronte  al  peristilio 
vedesi  in  un  quadrello  il  notevole  dipinto  ,  ov'  è  una 
tabella  diptycha  ,  uno  stilo  ,  un  vasello  destinato  a 
contenere  il  liquido,  il  raschiatoio,  e  finalmente  una 
lettera  piegala  ,  colla  soprascritta  M.  LVCRUTIO  ; 
FLAM  •  MARTISDIICVR10NI  POMP1I1  —  M.  Lu- 
cretio  flamini  Marti»  decurioni  Pompeiano;  nella  (male 
dee  ravvisarsi  indicato  il  proprietario  della  casa.  Ed 
è  certamente  assai  notevole  questo  dipinto,  perchè  ci 
pone  sotto  gli  sguardi  la  soprascrilla  di  una  lettera 
piegala  ,  moslrandoci  essere  un  tal  costume  non  già 
modernamente  introdotto,  ma  sibbene  una  imitazione 
di  più  antichi  tempi.  Su  questa  interessante  pittura 
ha  letto  una  particolare  memoria  alla  reale  Accade- 
mia Ercolanese  il  mio  egregio  collega  sig.  Teodoro 
Avellino,  illuslrandone  tulle  le  particolarità  con  molta 
ed  ingegnosa  erudizione.  Noteremo  principalmente 
che  l' a.  opina  tradarsi  di  tavolette  incerate ,  e  non 
già  di  pugillari  di  avorio;  e  ravvisa  nel  vasello  non 
già  un  calamaio  colla  penna,  ma  un  vasello  di  minio 
col  pennello  per  tingere  le  cornici  del  dittico,  le  quali 
appunto  appariscono  di  rosso.  L' oggetto  triangolare 
è  riputato  dall' a.  della  memoria  la  otxiX?),  o  xoir)s, 
o  sicila  istrumenlo  destinato  a  tagliar  le  carie  ed  a 
rompere  i  suggelli  ;  ovvero  un  arnese  da  rader  la 
cera  delle  tavolette.  Finalmente ,  per  tacere  di  altre 
osservazioni ,  le  quali  si  rileveranno  dalla  pubblica- 
zione della  memoria,  il  sig.  Avellino  crede,  con  molla 
probabilità  ,  che  il  decurione  Marco  Lucrezio  fosse 
lo  stesso  M.  Lucrezio  Decidiano  Rufo,  che  in  altre 


—  5G  — 


epigrafi  pompeiane  dicesi  Decurione,  Quinquennale, 
Pontefice ,  Tribuno  militare  a  popuìo  ,  e  prefetto  dei 
Fabri.  II  quadretto  scritlorio  di  M.  Lucrezio  è  pub- 
blicalo nell'opera  dei  signori  N'iecolini  (tav.In.i),  nel 
real  musco  Borbonico  (  voi.  XIV  tav.  A,  B  ),  dal  Fal- 
kener  (gioì:  cit.  p.  72),  e  dal  sig.  Breton  (Pompeia 
p.  303  ),  ove  si  riporta  un  sol  vasetto  con  due  late- 
rali anelli ,  e  non  già  ,  come  nelle  altre  pubblicazio- 
ni ,  due  recipienti  muniti  de' corrispondenti  coverchi. 

Peristilio.  Parliamo  in  questo  luogo  del  peristilio, 
o  giardinetto,  perchè  dal  descritto  corridojo  fassi  in- 
teramente visibile  ,  sebbene  l' ingresso  sia  propria- 
mente dal  lato  destro,  e  non  già  dal  sinistro.  Copiosi 
canali  circondavano  questo  giardino  ,  ad  innaffiar  le 
piante  che  vi  crescevano,  e  ad  animar  la  fontana,  che 
vi  si  mira  nel  fondo.  È  questa  formala  da  una  nic- 
chia a  foggia  di  edicola  semicircolare ,  tutta  lavorata 
a  musaico,  con  conchiglie,  offrendosi  un  ornato  di 
fogliami  e  di  palustri  canne  sopra  un  fondo  turchino. 
Dentro  la  nicchia  è  una  marmorea  statuetta  di  Sileno 
con  pelle,  che  poggia  sopra  di  un  tronco  l'otre  da 
cui  sgorgava  1'  acqua,  che  scendendo  da  cinque  sca- 
lini raecoglievasi  in  un  canale ,  e  versavasi  nel  ro- 
tondo bacino  ,  dal  cui  centro  ne  scaturiva  uno  zam- 
pillo, mercè  due  condotti  di  piombo  con  chiave  di 
bronzo,  pe'  quali  era  messa  in  relazione  la  bocca  del- 
l' otre  del  Sileno  col  zampillo  sgorgante  nel  centro 
del  giardino. 

Due  ermetle  bicipiti  sono  a' due  lati  della  nicchia; 
e  rappresentano  entrambe  una  doppia  prolome  di 
Bacco  barbato  ed  imberbe  :  se  non  che  I'  erma  eh'  è 
a  destra  offre  maggiore  importanza  ,  perchè  le  due 
immagini  del  dio  sono  munite  di  piccole  corna  alla 
fronte,  e  perciò  ne  riproducono  in  due  differenti  for- 
me il  cornigero  Dioniso  (  vedine  la  pubblicazione  nel- 
l'opera di  Niccolini  lav.  I  fig.  7,  8).  Due  altre  erme 
bicipiti  con  le  immagini  dell'imberbe  e  del  barbato 
Bacco  ,  ma  non  munite  di  corna  ,  sono  al  fronte  del 
giardinetto  verso  il  (ablino.    Intorno  al  bacino ,    e 


sparse  tra'  fiori  erano  varie  altre  statuette  di  marmo 
disposte  in  una  particolar  maniera  :  le  quali  sono 
stale  lasciate  sopra  luogo  ,  perchè  si  abbia  una  idea 
di  questo  singolare  peristilio.  Vedesi  un'oca,  una 
piccola  cervella,  una  vacca,  due  augelli  a  lungo  becco 
somiglianti  nella  forma  all'  ibis  ,  due  conigli,  come 
sembra  ,  ed  altro  poco  determinato  quadrupede,  che 
giudicar  si  potrebbe  un  cane.  É  due  volle  con  po- 
chìssimà  varietà  ripetuto  il  gruppo  di  un  delfino  che 
addenta  un  polipo,  per  difendere  un  Amorino  dalle 
branche  di  quel  feroce  animale  :  soggetto  che  si  scor- 
ge ancora  in  un  bellissimo  bronzo  pompeiano  rinve- 
nuto alcuni  anni  fa  alla  presenza  del  nostro  Augusto 
Sovrano ,  ed  illustralo  dall'Avellino  e  dal  Quaranta. 
Altra  statuetta  rappresenta  un  Satiro  con  nebride, 
che  con  la  destra  si  fa  solecchio  per  riparar  la  vista 
da'  troppo  acuii  raggi  dell'  astro  del  giorno  :  è  il  Sa- 
lirò x-jroGxóiriuuJV  ripetuto  in  molle  bacchiche  rap- 
presentazioni; su  di  che  si  vegga  la  recente  ed  ampia 
discussione  del  eh.  Stephani  (  Parerga  archaeologica 
(1855)-XIV  pag.  551-586).  Finalmente  un  grup- 
po ,  che  ci  offre  un  soggetto  già  conosciuto  :  un 
giovine  Sairetto  toglie  dal  piede  la  spina  ad  un 
barbato  Pane  ,  che  ha  lasciato  cadere  al  suolo 
la  campestre  siringa.  Un  altro  gruppo  esprime  un 
erma  di  un  giovine ,  la  cui  figura  va  a  finire  infe- 
riormente in  capriccioso  fogliame;  egli  ha  raccolto 
nella  nebride  un  capretlino,  mentre  la  capra  sol- 
levandosi presso  di  lui  colle  zampe  cerca  di  ria- 
vere il  rapilo  parlo  :  il  giovine  ha  colla  destra  la  si- 
ringa. Tutte  le  statuette  marmoree  finora  descritte 
mostrano  in  parte  le  tracce  de' colori  co' quali  erano 
dipinte  :  altro  esempio  della  scollura  policroma  presso 
gli  antichi ,  sulla  quale  ,  oltra  le  cose  da  noi  discorse 
in  questo  buUeltino  an.  II  p.  11  seg.,  e  gli  autori  ivi 
citati,  veggasi  pure  il  eh.  Walz  nella  sua  recente  dis- 
sertazione ueber  die  Polyckromie  des  anliken  Sculplur 
impressa  a  Tubinga  nel  1853. 

Continua  Minervim. 


Giglio  Mineuvini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  82.     (  8.  dell'  anno  IV.) 


Ottobre  1855. 


Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani  Imperatori.  Continuazione  del  n.  80. 


Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani 
Imperatori.  Continuazione  dei  n.  80. 

16.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  11. 

)(SPQR  OPTIMO  PRINCIPI,  SC,  statua  di  Tra- 
iano togato  con  ramo  nella  d.  e  con  asta  nella  s.  stante 
sopra  una  base  quasi  cubica  ,  collocata  sopra  un  basa- 
mento ornato  di  festoni ,  in  sul  quale  veggonsi  quattro 
aquile  addossate  a  quattro  vessilli,  e  due  figure  suppli- 
canti con  un  ginocchio  a  terra  e  con  ambe  le  mani 
stese  verso  V  Augusto  ,  che  viene  incoronato  dalla  Vit- 
toria volante. 

Questo  tipo  non  esattamente  descritto  dall'  Eckhel 
(mus.  Caes.  n.  193),  né  dal  eh.  Lenormant  (trésor 
icon.  des  Emper.p.  49  n.  1  ),  sembra  riferirsi  anch' 
esso  alle  vittorie  Daciche  di  Traiano  ,  anzi  che  alle 
legazioni  degl'  Indi  come  parve  al  Fahretti.  In  altre 
monete  di  Traiano  portanti  le  slesse  epigrafi  vedesi 
un  Daco  nello  slesso  alleggiamenlo  di  supplicante  a' 
piedi  di  Roma  galeata  stante  con  Vittoria  nella  d. 
oppur  sedente  con  ramo  di  pacifico  olivo  steso  verso 
il  supplicante  medesimo  (r.  mus.  Caes.  n.152,  213, 
217). 

17.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  il. 

)(  S  P  0 R  OPTIMO  PRINCIPI,  S  C,  lorica  ornata 
di  Gorgonio  e  di  un  trofeo  con  due  Vittorie  che  lo  in- 
coronano. Ae.  II. 

Il  tipo  della  lorica  in  altre  monete,  probabilmente 
anch'  esse  di  Traiano ,  si  connette  con  1'  epigrafe 
METAL  DELM  (  Eckhel  t.  VI  p.  445  )  ;  onde  lice 
congetturare  che  la  lorica  rappresentala  in  questa 
moneta  fosse  fatta  colle  primizie  delle  miniere  della 
Dacia  e  probabilmente  dedicata  in  qualche  tempio  in 
Roma. 

18.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  11. 

AXNO  IV. 


)(  S  P  0  R  OPTIMO  PRINCIPI ,  S  C,  aquila  le- 
gionaria posta  di  mezzo  a  due  insegne  delle  coorli. 

Ae.  II. 

L' aquila  legionaria  rappresentata  in  questo  riverso 
accennar  potrebbe  alla  ricupera  che  fece  Traiano 
dell'insegne  militari  perdute  da  Cornelio  Fusco  nella 
infelice  spedizione  Dacica  di  Domiziano  (Dio,  LXVIII, 
9;  cf.  Fabrctti  col.  Tr.  p.  18  :Fronto,  de  beli.  Par- 
th.  p.  200). 

19.  IMP  TRAIANO  AVG  GER  DAC  PM  TR  P 
COS  V  P  P,  lesta  laureata  con  egida  all'  omero. 

)(  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI  ,  figura  virile  ga- 
leata loricata  stante  di  prospetto  e  riguardante  indietro 
che  con  la  destra  si  appoggia  all'  asta  e  posa  la  s.  so- 
pra il  suo  clipeo  sostenuto  da  una  figura  ,  che  le  sia 
da  lato  con  un  ginocchio  piegato  a  terra  e  con  ambe 
le  mani  alzate.  Arg. 

La  figura  armala  respiciente  sembra  barbata  ,  e 
quindi  può  dirsi  di  Marte  Ultore  ,  che  ha  costretta 
la  Dacia  debellala  a  sostenergli  lo  scudo ,  per  mo- 
strare come  questa  novella  provincia  conquistata  ser- 
viva a  Roma  di  antemurale  conlra  i  Sarmati  ed  altri 
barbari  di  confine  all'impero.  Per  simile  modo  in  un 
candelabro  Attico ,  ed  in  monete  di  Magnesia  al  Si- 
pilo  vedesi  un  Gigante  anguipede  dannalo  a  sorreg- 
gere il  clipeo  di  Pallade  vittoriosa  (  v.  Annali  arch. 
t.  Il  tav.  d'  agg.  G.  t.  IX  p.  19:  R.  Rochelte  ,  re- 
prés.  d'Alias  p.  49:  Cavedoni ,  spicil.  num.  p.  219). 
In  un  intaglio  edito  dal  eh.  Gerhard  (Denkmaeler 
1849  taf.  II,  2  p.  14)  vedesi  un  Amorino  o  Ge- 
mello, che  piegando  un  ginocchio  a  terra  stende  ambe 
le  braccia  per  sorreggere  un  clipeo ,  al  quale  si  ap- 
poggia la  Vittoria  ,  o  l' Agone  vittorioso  tenente  un 
ramo  di  palma  nella  d. 

Del  resto,  le  sovradescrille  monete  di  Traiano  ri- 


—  58 


guardanti  la  Dacia  debellata  dovettero  in  gran  parte 
imprimersi  nell'anno  106;  ma  non  avendo  esse  al- 
tra nota  cronologica  che  il  di  lui  consolato  V,  pote- 
rono in  parte  improntarsi  negli  anni  appresso  fino  al 
112,  nel  quale  egli  si  ebbe  il  consolato  VI.  Quella, 
ad  esempio  dell'Arco  trionfale (n.  lo),  probabilmente 
venne  impressa  nell' anno  109,  o  nel  110;  poiché 
in  una  moneta  Alessandrina  dell'anno  XIII  di  Traiano 
vedesi  un  Arco  trionfale  di  forma  alquanto  diversa, 
ma  similmente  sormontato  da  un  carro  a  sei  cavalli 
posto  di  mezzo  a  due  trofei  (  Mionnet  Descr.  n.  640: 
ìììus.  Est.  ) 

20.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  18. 

)(  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI ,  donna  stolala 
stante,  con  camello  a  lato ,  lenente  nella  d.  un  rami- 
cello  di  poche  fronde ,  e  nella  s.  accostala  al  fianco  un 
fuscello  stretto  da  due  o  più  legacce  :  nell' esergo,  ARAB. 
ADQ.  Arg. 

L'Eckhel  riporta  queste  monete  all'anno  105;  ma 
panni  meglio  riferirle  al  106  od  al  107,  perchè  la 
salutazione  VI  imperatoria ,  proveniente  dalla  con- 
quista dell'Arabia  ,  per  opera  di  A.  Cornelio  Palma 
legato  della  Siria  ,  primamente  s' incontra  congiunta 
con  la  f  illumina  podestà  XI  di  Traiano  (Annali  arch. 
t.  XV III  p.  342),  la  quale  cominciò  a  decorrere  ad- 
dì 28  di  gennaio  dell'anno  107.  L'oggetto,  che  tiensi 
nella  s.  il  Genio  dell'  Arabia  ,  è  detto  calamus  dal- 
l' Eckhel  ;  ma  è  evidentemente  un  fascetto  d'erbe  o 
di  pianticelle  odorose ,  di  forma  ovale  allungata ,  e 
probabilmente  di  nardo;  simile  a  quelli  che  fansi  nel 
nostro  contado  con  lo  spigo  fiorito  (  nardus ,  lavan- 
dula),  ripiegandone  gli  steli  addosso  alle  spighe, sic- 
ché il  fascetto  riesce  della  forma  di  una  zucchetta 
ovale  allungata  (cf.  Plin.  XII,  26:  Diodor.  Il,  49). 

L' animale  che  vedesi  apposto  al  Genio  dell'  Ara- 
Lia  ,  a  parere  dell'  Eckhel ,  sarebbe  ora  un  camello, 
ed  ora  uno  struzzo.  Anche  lo  struzzo  bene  si  con- 
verrebbe all'Arabia  (Diodor.  //,  50  );  ma  nelle  mo- 
nete originali  parmi  costantemente  camello  ,  che  ta- 
lora ha  apparenza  di  struzzo  solo  perchè  la  parte  sua 
deretana  si  perde  e  nasconde  dietro  la  persona  del 
Genio  dell'  Arabia.  La  testa  per  fermo  è  di  quadru- 
pede,  e  non  mai  fornita  di  rostro  (cf.  Bull.  Nap. 


Anno  I  p.  133;  Anno  II  p.  55  ).  Quello  che  a  me 
parve  fascetto  di  nardo,  parve  faisccau  anche  al  Mion- 
net (Descr.  t.  VI  p.  693,  694  ».  537,  545)  in  mo- 
nete greche  di  Traiano  di  fabbrica  bella  e  di  maggior 
modulo.  Per  la  conquista  dell'  Arabia  sotto  Traiano 
crebbe  in  Roma  Y  uso  ,  anzi  l' abuso  degli  aromi  a 
tal  segno  ,  che  Adriano  in  honorem  Traiani  balsama 
et  crocum  per  gradus  theatri  fluere  iussit,  et  in  hono- 
rem socrus  suae  aromatica  populo  donavi!.  (  Spartian. 
in  Hadr.  19). 

21.  1MP  CAES  NERVA  TRAIAN  AVG,  aggiun- 
tivi talora  i  titoli  GER  DAC,  testa  laureata. 

)(  S  C,  mensa  quadrata,  sopra  la  quale  è  collocala 
una  corona,  ed  una  diota  dalla  quale  sporge  un  ramo 
di  palma.  Ae.  IV. 

Questa  parmi  evidentemente  mensa  de'ludi  o  cer- 
tami sacri ,  anche  per  essere  essa  ornata  di  Grifi  sic- 
come quella  del  CERTAM  •  QVINQ  ■  ROM  •  CONST 
in  simili  monetine  di  Nerone.  Per  lo  che  sembra  as- 
sai probabile,  che  queste  di  Traiano  fossero  impresse 
per  la  ricorrenza  del  sesto  lustro  del  Certamen  sa- 
crum  lovis  Capitolini  celebratosi  sotto  Traiano  nel- 
1' anno  106  (Morcelli,  oper.  epigraph.  t.  I  p.  115- 
1 16).  Quel  certame  sacro,  celebratosi  per  la  prima 
volta  venti  anni  addietro  da  Domiziano ,  in  sui  pri- 
mordii  delle  guerre  Daciche  ,  bene  si  conveniva  che 
solennemente  si  celebrasse  dopo  la  fine  di  esse  e  dopo 
la  conquista  della  Dacia.  Nella  celebrazione  del  sesto 
lustro  un  giovinetto  di  nome  L.  Valerio  Pudente  fu 
per  sentenza  unanime  de'giudici  incoronato  fra'  poeti 
Latini  (Morcelli  /.  e);  ed  a  quella  gara  poetica  ponno 
riferirsi  i  Grifi  Apollinei  ,  che  ornano  i  Iati  della 
mensa.  La  corona  proposta  a  premio  del  vincitore 
sembra  di  quercia  ,  sacra  a  Giove  ,  e  lemniscata. 

22.  Lo  stesso  diriUo  che  nel  prec.  n.  11. 

)(  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI,  S  C,  Pegaso  che 
si  alza  a  volo  Ae.  II. 

Il  tipo  del  Pegaso ,  assai  raro  in  monete  imperiali 
(v.  Piovene  mus.  Farnese  t.  X  p.  82  lav.  VI,  2  )  , 
forse  si  riferisce  alla  celebrazione  del  suddetto  sesto 
lustro  del  certame  sacro  Capitolino;  poiché  alle  gare 
poetiche  di  esso  bene  accennerebbe  il  Pegaso,  che  nei 
denarii  della  gente  Petronia  e  della  Titia,  e  probabili 


—  59  — 


mente  anche  in  alcune  monete  di  Domiziano,  è  posto 
come  simbolo  di  vena  poetica  e  del  favor  delle  Muse 
Pegasidi  (  v.  Annali  ardi.  t.  XI  p,  308  :  t.  XXV,  p. 
22  ).  Il  Pegaso  può  anche  riferirsi  ai  poeti  che  cele- 
brarono le  geste  e  le  vittorie  gloriosissime  di  Traia- 
no ,  e  segnatamente  al  poema  greco  di  Caninìo  Rufo 
intorno  alle  guerre  Daciche  ed  ai  versi  di  P.  Annio 
Floro ,  che  risonavano  in  Roma  ,  ove  in  foro  omni 
clarìssimus  ille  de  Dacia  Iriumphus  exultabal  (  Jahn , 
praefat.  ad  Fiori  epitom.  p.  XLI,  cf.  Ball.  ardi.  Na- 
pol.  n.  ser.  an.  Ili  p.  68  :  Plinius  l.  Vili  cpist.  4  ). 
Il  Pegaso  stesso  ricorre  come  simbolo  proprio  dell' 
ALACRITAS  in  monete  di  Gallieno;  ed  anche  in 
questo  significato  bene  si  converrebbe  all' impero  del- 
l' operoso  e  bellicoso  Traiano. 

Anno  109  110. 

23.  Lo  stesso  diritto  die  nel  prec.  n.  11. 

)(  S  P  Q  R  OPTINO  PRINCIPI ,  speco  o  sacdlo 
arcuato  sorretto  da  due  colonne ,  e  ornalo  nella  som- 
mità con  un  giro  di  fiori  architettonici,  entro  il  quale 
vedesi  adagiata  una  figura  barbata  seminuda  lenente 
una  canna  nella  d.  e  col  gomito  s.  appoggiato  ad  un 
macigno,  od  ara  che  sia;  al  disotto ,  acqua  che  sgorga 
dimezzo  asassi:  neW esergo  è  scritto  AQVA  TRAIA- 
NA  e  S  C.  Ae.  I. 

L'Eckhel  lo  dice  Genio  di  Fiume;  ma  forse  meglio 
direbbesi  Genio  di  Fonte  o  di  Lago  ,  presso  Treba,  in 
sito  montano  e  petroso  ,  donde  Traiano  derivò  l'ac- 
qua dell'  Amene  nuovo,  per  averla  tutto  insieme 
pura  ed  abbondante  (  Frontin.  de  aquaeduct.  n.  93  : 
Fabretti ,  col.  Tr.  p.  104  ,  392  ,  393)  ,  ovvero  dai 
monti  a  tramontana  del  lago  Sabateno  ,  come  parve 
al  eh.  Fea  (  alti  della  ponti f.  accad.  Rom.  d'  arch.  t. 
IV  p.  170).  Traiano  probabilmente  vi  avrà  fatto  co- 
struire un  sacello  col  simulacro  del  Genio  di  quel- 
1'  Acqua.  Per  simile  modo  attorno  al  tempio  del  fiu- 
me Clitumno  scarsa  eranl  sacella  complura,  fondan- 
one dei  ,  sua  cuique  venerano  ,  suum  nomen ,  qui- 
busdam  vero  etiamfontes  (Plin.  /.  Vili  epist  8  n.  5). 
La  volta  interna  dello  speco  nella  medaglia  mostra  le 
gocciole  del  sito  accpiidoso  e  vaporoso  ;  e  nel  suo 
giro  esterno  vedesi  ornata  di  una  serie  di  Cori  archi- 


tettonici, del  pari  che  il  fastigio  della  Basilica  Ulpia, 
e  le  due  torri  del  ponte  del  Danubio  nelle  monete  di 
Traiano;  non  che  l'arco  di  un  sacello,  forse  del  Ge- 
nio del  Processo  consolare  ,  in  monete  di  Antonino 
Pio  con  la  TRIB.  POT.  XXI. 

L' Eckbel  lasciò  in  incerto  1'  anno  di  queste  mo- 
nete dell'  Aqua  Traiana  ;  ina  ora  siam  fatti  certi  che 
spettano  all'anno  109  per  la  scoperta  della  lapide 
trovata  presso  l' acquidotto  di  essa  verso  Bracciano, 
nella  quale  Ieggesi ,  che  Traiano ,  nella  TR-  POT- 
XIII,  AQVAM-  TRAIANAM-  PECVNIA-  SVA-  IN- 
VRBEM-  PERDVXIT-  EMPTIS-  LOCIS-  PERLA- 
TITVD-  P-  XXX  (  Bull.  arch.  1S30  p.  220  ;  Cardi- 
nali, dipi.  mil.  p.  141  ). 

24.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  11. 

)(  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI ,  S  C,  donna  se- 
minuda adagiala  in  terra,  che  con  la  d.  tiene  una  ruota 
posata  sopra  il  suo  ginocchio ,  e  con  la  s.  un  ramo 
sfrondato  ,  appoggiando  il  gomito  ad  un  sasso,  in  alto 
di  volgersi  a  riguardare  indietro  :  al  di  sotto  è  scruto 
VIA  TRAIANA.  Ae.  I. 

La  VIA  TRAIANA ,  che  metteva  da  Benevento  a 
Brindisi ,  fu  dedicala  anch'essa  nella  TR-  POT-  XIII 
di  Traiano,  la  quale  avendo  incominciato  a  decorrere 
dal  dì  28  di  Gennaro  dell'anno  109  ,  meglio  parrai 
riportare  solt'  esso  questa  medaglia,  che  dall'  Eckhel 
fu  assegnata  al  susseguente  anno  1 10  (  t.  VI  p.  42 1  ). 
Il  Genio  della  via  Traiana,  del  pari  che  il  Genio  del 
Danubio  in  altre  monete  di  Traiano  ,  è  in  atto  di  ri- 
guardare indietro,  quasi  in  atto  di  ammirare  le  gran- 
diose e  stupende  opere  di  quell'  Augusto  ;  e  questo 
bel  concetto  dell'  antico  artefice  ricorda  quel  soavis- 
simo di  Virgilio  [Georg.  11,  82)  :  miraturque  nocat 
fronda  et  non  sua  poma.  II  ramo  sfrondato  sembra 
riferirsi  al  costume  de'  mulattieri  di  eccitare  con  esso 
i  giumenti  al  corso.  La  ruota  convenientemente  è 
posta  sopra  il  ginocchio  della  Via  Traiana  comoda- 
mente rotabile  ,  ed  alla,  pel  solido  suo  lastricalo,  a 
sostenere  qualunqne  peso.  Per  ciò  che  riguarda  il 
corso  della  Via  Traiana  da  Benevento  a  Brindisi  veg- 
gasi  il  eh.  Mommsen  [Bull.  Arch.  1848  p.  6-8) ,  e 
riguardo  all'  altra  a  traverso  le  Paludi  Ponliue  il 
Cardinali  (  Dipi,  milit.  p.  141  n.  277  ). 


—  60  — 


25.  1MP  TRAIANO  PIO  FEL  AVG  P  P ,  testa 
laureala. 

)(  VIA  TRAIANA,  donna  adagiata  a  (erra  ,  che 
tiene  uno  scudiscio  nella  d.  e  con  la  s.  si  appoggia  ad 
una  ruota  Arg. 

L'  argento  scadente  di  questo  denario ,  ed  il  titolo 
PIO  VELici .  che  accenna  a  tempi  non  anteriori  a 
Coniniodo,  ne  porgono  buon  argomento  a  reputarlo 
impresso  da  Settimio  Severo  o  daCaracalla  ,  che  con 
sontuose  opere  munirono  e  restaurarono  la  Via  Tra- 
iana  (Bull.  arch.  1848  p.  6),  e  che  amarono  appel- 
larsi Pii  Fehces  e  Divi  Traiani  abnepoles  (  v.  Eckhel 
t.  VII  p.  173).  Riguardo  al  titolo  PIO  EELici,  con- 
frontisi anche  il  PORTVS  AVG.  ET  TRAIANI  FE- 
L1CIS  [Atti  della  pont.  accad.  Rom.  a"  arch.  I.  Vili 
p.  252-253  ). 

Monete  vaganti  del  consolato  V. 

26.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  1 1 . 

)(  SPQR  OPTIMO  PRINCIPI,  S  C,  Traiano 
togato  stante,  con  a  lato  altro  personaggio  togato  ,  so- 
pra un  tribunale,  in  atto  di  arringare  quattro  persone 
pur  esse  togate  stanti  a  terra  dinanzi  a  lui  colle  destre  in 
atto  di  acclamare  o  di  felicitare ,  ed  ivi  presso  una  figura 
feminile  seminuda  adagiala  in  terra  presso  un  triplice 
obelisco  con  a  lato  una  ruota.  Ae.  I. 

Il  triplice  obelisco  posto  da  lato  al  Genio  del  Cir- 
co (ef.  Visconti ,  mus.  Pio-Cl.  t.  V tav.  38-42  :  Mo- 
relli, in  Nerone  tab.  FI,  18)  mostra  che  questo  bel 
tipo  rappresenta  la  dedicazione  del  Circo  ,  o  sia  Ip- 
podromo ,  di  tanto  ampliato  ed  ornato  da  Traiano 
(Dio,  LXVIII,  7:  Plin.  inpaneg.  51:  cf.  Alti  della 
Pont.  Accad.  Rom.  d' arch.  t.  Xp.  447  ). 

27.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  11. 

)(  AL1M  1TAL,  SPQR  OPTIMO  PRINCIPI , 
Traiano  togato  stante  con  volume  nella  s.  e  colla  d. 
stesa  verso  due  fanciullini ,  uno  de  quali  minore  fu- 
nicalo ,  che  leva  ambe  le  sue  manine ,  e  V  altro  mag- 
giore pretestato  che  stende  la  d.  verso  il  suo  benefat- 
tore. Aur.  Arg. 

Questo  bel  tipo  mostra  come  Traiano,  del  pari  che 
in  prima  Augusto  (Suet.  Aug.  41:  Plin.  paneg  26  ), 
ne  minores  quidem  pucros  praeleriit,  quamvis  nonnisi 
ab  undecimo  anno  aelatis  accipere  consuevissent.  Nel- 


1'  arco  di  Benevento,  e  negli  avanzi  dell'  arco  di 
Traiano  in  Roma ,  veggonsi  uomini  e  giovani  che  si 
presentano  a  Traiano  portando  fanciullini  a  caval- 
luccio in  sulle  loro  spalle  (  Bellori ,  arem  Iriumph. 
tab.  30  :  Annali  arch.  t.  XVI  p.  13  )  ,  conforme 
alle  studiate  parole  di  Plinio  (  paneg.  26  )  labor  erat 
parentibus  ostentare  parvulos ,  impotitosque  cervicibus 
adulantia  verba  blandasque  voces  edocere.  Nelle  corri- 
spondenti monete  di  bronzo  vede>i  la  Liberalità 
stante  con  cornucopia  nella  s.  e  con  alcune  spighe 
nella  d.  in  allo  di  porgerle  ad  un  fanciullo  protesta- 
to ,  che  le  sta  dinanzi  e  mostra  tenere  nella  s.  un 
volume,  che  sarà  forse  indizio  di  natali  ingenui  (cf. 
Plin.  paneg.  27 -.annali  arch.  I.  XVI p.  21-24  ).  Le 
spighe  porte  dalla  Liberalità  al  garzoncello  ingenuo 
mostrano  come  i  fanciulli  alimentarii  ricevevano  dal 
pubblico  non  già  gli  alimenti  interi  nel  senso  de'giu- 
reconsulti,  ma  soltanto  il  prezzo  del  cibo  lor  neces- 
sario ;  e  di  falli  nella  tavola  alimentaria  Velleiate 
sono  assegnati  soli  XVI  sesterzi  al  mese  ad  ogni  fan- 
ciullo e  XII  ad  ogni  fanciulla  (  cf.  Bull.  arch.  1889 
p.  155).  Del  resto,  a  riprova  di  quelle  grandi  prov- 
videnze e  liberalità  di  Traiano ,  oltre  la  tavola  Vel- 
leiate ,  ora  abbiamo  anche  quella  de'  Liguri  Bebiani 
dell'anno  101  si  dottamente  illustrata  dai  chh.  Hen- 
zen  e  Garrucci  (1). 

28.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  ti.  11. 

)(  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI  ,  SC,  prospetto 
del  Circo  con  tutto  il  suo  ornalo,  Ae.  I. 

Dal  lato  posteriore  del  Circo  ,  ristaurato  ed  am- 
pliato da  Traiano  (v.  il  prec.  n.  26),  sorge  un  alto 
edificio  fastigiato  a  guisa  di  tempio;  lo  che  confronta 
col  detto  di  Plinio  (paneg.  51  )  :  immensum  latus 
Circi  templorum  pulcritudinem  provocai. 

29.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  11, 

)(  S  P  Q  R  OPTIMO  PRINCIPI ,  S  C ,  ponte  di 
forma  e  di  costruzione  singolare  consistente  di  tre  archi 
sovrapposti  V  tino  aW  altro  e  collegali  insieme ,  che  si 
appoggiano  a  due  torri  0  porle  laterali ,  le  quali  mo- 

(1)  Su'  Utili  monumenti ,  e  sulla  ragione  alimentaria  vedi  pure 
la  più  recente  opera  del  sig.  Ernesto  Desjardins  de  tabùlis  ali' 
mentariis  disputano  hislorica,  Parisiis  ItJDCCCLlV  in  4.  (  Nota 
dell'  Editore  ). 


—  CI  — 


strano  estere  pervie ,  e  simili  ad  areo  trionfale  a  for- 
nice semplice  :  al  disotto  del  ponte ,  in  luogo  basso  , 
vedesi  una  nave  sopra  una  corrente  d' acqua  ,  ratte- 
nuta ora  da  una  fune  ed  ora  da  un  grande  uncino 
che  sporge  dalla  prora  Ae.  I,  II. 

L'  Eckhel  a  ragione  escluse  1'  opinione  di  chi  vi 
ravvisava  un  porlo  ;  e  vi  riconobbe  co!  Fabretli  un 
arco  del  ponte  di  Traiano  sopra  il  Danubio ,  posto 
come  per  saggio  di  quella  stupenda  costruzione. 
Anche  il  eh.  commend.  Canina  [architettura  ant. 
sez.  Ili  pari.  II  cap.  1 1  )  vi  ravvisa  una  delle  arcua- 
zioni  di  quella  grande  opera.  Le  pile,  che  ora  ap- 
pariscono costrutte  soltanto  d'  opera  cementizia  ,  do- 
vevano essere  rivestite  di  pietre  riquadrate ,  confor- 
me al  detto  di  Dione  ;  e  le  arcua/ioni  erano  formate 
da  un  triplice  giro  di  cernine  di  legno  concatenate 
con  legatura  ,  come  bene  viene  espresso  dal  basso- 
rilievo della  colonna  Traiana;  ed  al  disopra  di  queste 
era  il  tavolato  fiancheggiato  da  parapetti  di  legno  , 
come  vedesi  nello  stesso  bassorilievo ,  e  nel  tipo  di 
queste  medaglie. 

11  lodato  sommo  architetto  diede  un  disegno  di 
queste  medaglie  non  del  tutto  accurato ,  probabil- 
mente per  non  avere  avuto  soli'  occhio  esemplari 
di  perfetta  conservatezza  ,  siccome  accadde  anche  al 
Fabretli  ed  al  Marsigli  ;  onde  mette  a  bene  fare  le 
seguenti  avvertenze.  Le  sommità  delle  due  torri,  che 
fiancheggiano  l' arco  ,  sono  ornate  ciascuna  di  una 
figura  militare  stante  di  mezzo  a  due  trofei  con  asta 
nella  s.  e  con  la  d.  stesa  verso  il  corrispondente 
trofeo.  La  volta  dell'  arco  della  prima  delle  ridette 
due  porte  appare  rinforzata  da  una  sprauga  trasver- 
sa, probabilmente  di  ferro  ,  e  da  altra  verticale,  che 
partendo  dalla  chiave  della  volta  le  si  congiunge  ad 
angoli  retti ,  e  mostra  essere  fornita  di  una  palla 
nella  estremità  sua  inferiore  ,  che  serva  forse  come 
di  contrappeso  per  vie  più  forte  collegamento  delle 
parti.  Talvolta  poi  appare  anche  una  terza  spranga 
trasversale  alquanto  obliqua  ,  che ,  partendo  dal 
sommo  dell'  arcuazione  di  legno  ,  va  ad  unirsi  alle 
suddette  due  spranghe  della  volta  della  porta  d'  in- 
gresso. La  grande  arcuazione  di  legno  consiste  di  tre 
archi  di  sesto  assai  depresso  ,  sovrapposti  l' uno  al- 


l'altro,  e  congiunti  insieme  e  sostenuti  da  sette  o 
più  serie  di  travi  verticali  ,  che  alternano  e  s' in- 
trecciano. Nelle  monete  queste  travi  verticali  per  lo 
più  sono  sette,  e  talora  otto;  e  non  so  come  il  Fa- 
bretli le  moltiplicasse  fino  ad  undici  (col.  Tr.  p.  98, 
301).  Nel  bassorilievo  della  colonna  Traiana  (n.260) 
ne  sono  segnate  (re  sole  ;  probabilmente  per  ovviare 
alla  confusione  che  produr  potevano ,  se  ne  fossero 
segnate  tante  quante  se  ne  veggono  nelle  medaglie  , 
in  opera  che  dovea  mirarsi  collocata  a  grande  altezza 
e  distanza.  La  testura  sì  leggiera  e  diradala  di  tutta 
la  triplice  arcuazione  sembra  che  fosse  escogitata  dal- 
l' esimio  architetto  Apolloiloro  per  evitare  o  dimi- 
nuire l' impelo  de'  venti  conlra  tutta  l'opera  insilo 
ov'  essi  spirar  sogliono  gagliardissimi  (  Riarsigli,  Da- 
nube  l.  II  p.  27  ).  E  la  descrizione  ,  che  di  quella 
stupenda  sua  opera  dicesi  aver  pubblicala  lo  stesso 
Apollodoro  (Procop.  de  aed.  lustin.  IV,  6)  forse  ri- 
guardava segnatamente  gì'  ingegui  da  esso  lui  adj- 
perati  pe'  collegamenti  e  pe'contrasti  di  forze  mecca- 
niche nell'arenazione  consistente  di  legni  tult' insie- 
me leggieri  e  saldi.  Il  eh.  Canina  mostra  supporre  , 
che  le  due  porte  rappresentate  nelle  medaglie  siano 
quelle  eh'  erano  poste  alle  due  estremila  del  ponle  , 
benché  un  solo  arco  vi  sia  rappresentato.  Vorrei  anzi 
supporre  ,  che  tante  fossero  in  esso  le  porte ,  o  sia 
torri  pervie  ,  quante  erano  le  pile  del  ponte  intero  ; 
e  che  nelle  medaglie  siasi  figurato  il  solo  primo  ar- 
co con  la  prima  porla  che  dava  accesso  al  ponle  e 
con  I'  altra  che  sorgeva  sopr'  esso  la  seconda  pila 
per  servire  di  appoggio  laterale  all'  arcuazione  di 
legno. 

Il  Marsigli  a  torlo  suppose  ,  che  Dione  ponesse 
costrutti  di  pietra  anche  i  grandi  archi  del  ponte  , 
mentre  che  il  Fabretli  (p.  96-97  )  ebbe  avvertito  , 
che  lo  storico  disse  lutt'  altro.  Il  dotto  Mannert  (res 
Traiani  ad  Danub.  gestae  p.  45-58)  mostra  come  il 
Riarsigli  non  fu  in  tutto  accurato  e  coerente  a  se 
medesimo ,  e  come  a  gran  torto  egli  chiamò  quel 
ponte  una  delle  più  mezzane  opere  fatte  dai  Romani. 
Ancora  il  Marsigli  nel  misurare  le  pile,  in  parte  tut- 
lor  sussistenti,  pare  non  tenesse  conio  del  grande  in- 
nalzamento che  subir   dovette  l' alveo  del  fiume  nel 


—  62  — 


decorso  di  un  XVI  secoli  (  cf.  Tonini,  Rimini  avanti 
V  era  volg.  p.  179) 

30.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  11. 

)(  PORTVM  TRAIAN1 ,  S  C,  porto  di  forma  esa- 
gona  circondalo  da  molti  grandiosi  edifici.         Ae.  I. 

L'  Eckhel  vi  ravvisava  il  p)rto  di  Centumcellae  , 
l'odierna  Civili  vecchia  ;  ed  ai  riscontri  da  lui  ad- 
dotti aggiunger  polrebbesi  il  Tpcti'avòì  Xj/jiV  di  quel 
litlorale  ricordato  da  Tolomeo  (geogr.  HI ,  1,4). 

Ma  il  eh.  Nibby  dà  per  certo,  che  nella  medaglia 
sia  anzi  rappresentato  il  porto  interno  aggiunto  da 
Traiano  al  porlo  d'  Ostia  di  Claudio,  che  tuttora  sus- 
siste nella  forma  sua  antica  esagona,  benché  più  non 
sia  che  uno  stagno  interrito  d' acqua  dolce  ,  per  es- 
sere slata  interrotta  la  sua  comunicazione  primitiva 
col  mare.  Quel  grande  bacino  ha  una  circonferenza 
di  un  miglio  e  mezzo  all'  incirca;  ed  all'intorno  serba 
gli  avanzi  de'grandiosi  edifici  fallivi  costruire  da  Tra- 
iano. Nel  1796  ivi  presso  si  scopersero  i  frammenli 
di  una  statua  colossale  di  Traiano  ,  che  dovea  avere 
l'allezza  di  24  in  25  palmi  Romani  (Nibby,  analisi 
dei  dintorni  di  Roma  l.  II  p.  616-617:  cf.  alti  della 
Pont.  Accad.  Rom.  d'arch.  t.  Vili  p.  252). 

Da  prima  io  sospettai ,  che  la  scritta  PORTVM 
TRAI  ANI  sia  in  quarto  caso  ed  analoga  all'altre  VR- 
BEM  RESTITVTAM,  FELICITATECI  P  R  {cf.  Bull, 
arch.  1850>198),GALLIENVM  AVO  P  R(Eckhel 
t.  VII  p.  408)  ;  ma  poscia  mi  nacque  il  dubbio,  che 
PORTVM  sia  caso  relto  di  genere  neutro,  anche  perchè 
in  un'  iscrizione  dell'  anno  68  è  scritto  DE  PORTO 
VINARio  (  Marini,  iscr.  Alò.  p.  91),  che  pare  sup- 
ponga il  nominativo  PORTVM  usato  invece  di  POR- 
TVS  ,  siccome  e  converso  incontrasi  non  di  rado 
COLLEG1VS  per  COLLEGIVM,  e  simili. 

3 1 .  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  1 1 . 

X  S  P  Q  R  OPT1MO  PRINCIPI,  S  C,  tempio  ot- 
tastilo  con  entro  un  simulacro  collocalo  sopra  alta  ba- 
se, fiancheggiato  da  due  edifici  distili  nel  prospetto  ed 
esastili  ne'  lati.  Ae.  I. 

1  chh.  Bunsen  {annali  arch.  t.  IX p.  37),  Lenor- 
mant  (trésor  de  num.  Emper.  p.  51  ),  Canina  {Foro 
Rom.  p.  1 88  )  si  accordano  nel  ravvisarvi  il  tempio 
di  Traiano  con  gli  annessi  edifici  delle  due  bibliote- 


che da  esso  lui  dedicale  ,  l' una  greca  e  l' altra  lati- 
na. Non  saprei  peraltro  conceder  loro, che  quel  lem- 
pio  fosse  dedicato  dal  senato  e  dal  popolo  Romano  a 
Traiano  luttor  vivente  (cf.  Fabrclti  col.  Tr.  p.  300). 
Entro  il  tempio  panni  di  ravvisare  il  simulacro  di 
un  nume  stante  con  asta  nella  d.  e  con  lo  scudo  nella 
s.  onde  parrebbe  tempio  di  Marte  Ultore.  In  monete 
di  Settimio  e  di  Alessandro  Severo  il  tempio  di  Giove 
Ultore  è  similmente  fiancheggiato  da  due  edifici,  che 
gli  fanno  ala:  e  cotale  particolarità  par  [derivata  dallo 
stile  dell'architettura  d'Oriente  e  dal  gusto  di  Apol- 
lodoro  Damasceno.  Il  Mùller  (Handbuch  §  191)  av- 
vertì, che  l'arco  di  Traiano  a  Benevento  è  di  un'ar- 
cliitetlura  presso  che  Palmirena.  Del  resto ,  a  detto 
del  eh.  Canina  {Foro  Rom.  p.  188),  nell'ultima  esca- 
vazione del  Foro  Traiano  si  scoperse  la  grande  sca- 
lea ,  che  metteva  al  suddetto  tempio ,  e  che  comin- 
ciava assai  da  vicino  alla  colonna  coclide. 
Anno  1 12. 

32.  1MP  TRAIANO  AVG  GER  DAC  PMTRP 
COS  P  P,  busto  paludato  laurealo. 

)(  BASILICA  VLH\,prospettodellaBasilicaUlpia. 

Aur. 

Al  disopra  della  trabeazione,  sostenuta  da  otto  co- 
lonne ,  sono  collocate  una  quadriga  di  mezzo  a  due 
statue  ,  due  bighe  ,  e  quattro  insegne  militari ,  due 
per  ogni  lato  ;  ed  il  fastigio  è  ornato  di  una  serie  di 
fiori  architettonici.  Verso  la  sommità  dell'  ingresso 
vedesi  un  globetto  o  (ondino ,  che  indicar  potrebbe 
un  clipeo  Dacico  posiibus  adversis  fixum{cf.  Aen.  Ili, 
287).  Le  due  statue  poste  ai  lati  della  quadriga  sem- 
brano feminili  ed  astale;  l'una  delle  quali  sarà  Pal- 
lade  e  l' altra  Roma  stendente  la  d.  verso  Traiano 
trionfante  in  quadriga  in  atto  d'incoronarlo.  Le  quat- 
tro insegne  saranno  quelle  delle  legioni  che  più  si 
segnalarono  per  valore  nella  guerra  Dacica  ;  poiché 
in  un  frammento  di  cornice  della  decorazione  del 
lato  principale  della  Basilica  Ulpia  leggesi  :  leg.  XX. 
VÀLERrà  VICTrix  ,  LEG  •  XV  •  APOLftnam  [An- 
nali arch.  XXIII p.  135).  I  nomi  e  le  insegne  d'al- 
tre legioni,  che  combatterono  nelle  guerre  Daciche, 
ornato  avranno  il  prospello  degli  altri  lati  della  Ba- 
silica Ulpia. 


—  03  — 


L'  Erkhel  ritarda  fino  all'  arino  1  i  \  la  dedicazio- 
ne della  Basilica  Ulpia  ;  ma  dalla  seguente  iscrizione 
ripcluta  sopra  due  basi ,  venute  a  luce  dalle  recenti 
escavazioni  (  annali  ardi.  t.  IX  p.  37,  il  ),  ora  con- 
sta ch'essa  fu  dedicata  nel    decorso  della  tribunieia 
podestà  XVI  di  Traiano  ,   la  quale   incominciò  addi 
28  di  gennaio  dell'  anno  1 12:  S  •  P  •  Q.  R  •  I.MP  ■ 
C  A  ESA  HI  •  DIVI  •  NERVAE  •  F  •  NERVAE  •  TRA- 
IANO •  AVGVSTO  GERMANICO  ■  DACICO  •  PON- 
TIF  •  MAX  •  TRIBVNIC  ■  POTEST  •  XVÌ  ■  IMP  • 
VI'  COS  •  VTP  •  P  •  OPTIME  •  DE  •  REPVBLICA- 
MERITO  ■  DOMI  FOR1SQVE.  Forse  egli  assunse  il 
consolato  suo  VI  nel  112 ,  anzi  che  in  altro  anno  , 
per  dedicare  vie  più  solenuemente  la  sua  Basilica  ,  e 
probabilmente  anche  il  suo  Foro.  Del  resto  ,  quella 
Basilica  si  sarà  denominala  Ulpia,  anzi  che  Traiano, 
per  fare  riscontro  alle  più  celebri  antiche  Basiliche 
delle  Porcia  ,  Emilia ,  con  vocaboli  dedotti  dal  nome 
gentilizio  anzi  che  dal  cognome  de'loro  aulori. 
33.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  »,  32 
)(  FORVM  TR AI AN,  prospetto  dell'  ingresso  prin- 
cipale del  Foro  Traiano.  Aur. 
L'Eckhel  pone  FORVM  TRAIANI;  ma  nella  mo- 
neta originale  leggesi  TRAIAN  (mus.  Caes.  n.  323; 
Arneth  ,  synops,  n.  200  :  trésor  de  uum.  Emper.  pi. 
XXVII,  13),  che  va  supplito  TRAIANwm,  anzi  che 
TRAlANi,  analogamente  a  VIA  TRAIANA,  AQVA 
TRAIANA,  e  via  dicendo.  Il  fastigio  del  Foro  è  or- 
nato di  un  carro  trionfale  a  sei  cavalli,  in  sul  quale 
è  Traiano,  che  viene  incoronato  da  Roma  stante  alla 
sua  s.,  cui  fa  riscontro  Pallade  stante  alla  sua  d.;  e 
dai  Iati  ergonsi  due  trofei ,   conforme  al  detto  di  A. 
Gellio  (noci.  alt.  XIII,  23):  in  fas'igiis  Fori  Troiani 
simidacra  sunt  sita  circumundique  inaurala,  equorum, 
atque  signorum  militarium ,  subscriplumque  est  EX 
MANVBIIS.  Il  eh.  Bunsen  (annali  arch.  t.  IX p.  il) 
non  rettamente   riferiva  queste  parole  alla  Basilica 
Ulpia.  Il  prospetto  del  Foro  Traiano  è  ornato  di  cin- 
que clipei ,  che  saranno  anch'  essi  Dacici  e  dedicati 
EX  MANVBIIS.  Del  resto  ,  notevole  mi  pare  anche 
la  particolarità  del  trovarsi  impressi  soltanto  in  oro  i 
tipi  della  Basilica  e  del  Foro  ,  quasi  che  a  que'  due 
esimii  edifici  solo  si  convenisse  il  più  prezioso  metallo. 


35-.  Lo  sfesso  diritto  che  nel  prec.  n.  11,  ma  con 
COS  VI  invece  di  COS  V. 

X  DACIA  AVGVST  PROVINCIA  ,  S  C.  donna 
sedente  sopra  un  monte  petroso  con  alcune  spighe  nella 
d.  ed  un'insegna  militare  nella  s.  e  due  putii  stanti 
presso  lei ,  uno  de  quali  tiene  un  fuscello  di  spighe  e 
l'altro  un  bel  grappolo  d'uva.  Ae.  I,  II. 

L'Eckhel  dice,  che  la  Dacia  è  coverta  del  pileo 
patrio;  ma  in  alcuni  esemplari  mostra  avere  un  te- 
nue panno  avvolto  attorno  al  capo  come  le  donne  di 
Dacia  effigiate  nella  colonna  Traiana  (n.  165,  17S). 
L'insegna  militare,  ch'ella  tiene  nella  s.  può  riferirsi 
sì  alle  colonie  militari  dedotte  da  Traiano  in  quella 
sua  Provincia  ,  e  sì  alle  Alae  Ulpiae  Dacorum  (  Fa- 
bretti,  col.  Tr.  p.  12,  243).  Alle  colonie  dedotte 
nella  Dacia  può  riferirsi  anche  la  rara  moneta  di 
Traiano  di  primo  bronzo  col  tipo  del  colono  che 
regge  due  bovi  aggiogati  all'  aratro  (  Mionnet ,  lìar. 
t.  I  p.  182).  Gli  abbondanti  e  buoni  vini  della  Da- 
cia avranno  dato  occasione  all'  istituzione  de'Collegii 
KANABENSIVM  ricordati  nelle  lapidi  di  quelle  con- 
trade (Bull.  arch.  1851  p.  154). 

35.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  34. 

)(  SPQR  OPTIMO  PRINCIPI,  S  C,  figura  virile 
ignuda  con  manlelletto  pendente  dall'  omero  in  sul 
braccio  s.  che  nellad.  tiene  una  falce  potatoria,  ed  un 
ramo  d'  arbore  nella  s.  Ae.  II. 

In  questa  non  comune  medaglia  (»iws.  Caes.  num. 
307  :  mus.  Farn.  t.  X  tav.  Vili,  3)  vorrei  ravvisare 
l' effigie  SANCTI  SILVANI  SALVTARIS  ,  nel  cui 
tempio  in  sull'Aventino  furono  dedicate,  l'anno  115, 
IMAGLNES  ARGENTEAE  PARASTATICAE  IM- 
PERATORE CAESARIS  NERVAE  TRAIANI  OP- 
TIMI AVG  GERM  •  DACICI  (  Orelli  n.  1596  ,  ubi 
male  OPTIMI  Principisi  cf.  Fabretti  col.  Tr.p.  293). 
In  uno  de'  bassirilievi  ,  che  ornavano  P  arco  di  Tra- 
iano (  Bellori ,  arcus  triumph.  lab.  33  )  vedesi  quel- 
1'  Augusto  intento  a  sacrificare  ad  Ercole  Silvano  (cf. 
Buonarroti ,  med.  p.  14-16  ;  Visconti  mus.  Pio-Cl. 
t.  JFtav.  43). 

Anno  113. 

36.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  34. 


—  64  — 


)(SPQR  OPTIMO  PRINCIP  ,  colonna  coclide 
sormontala  dalla  statua  di  Traiano.  Arg. 

Neil'  insigne  iscrizione  posta  alla  base  di  questa 
celebre  colonna  ,  dedicata  a  Traiano  correndo  la  di 
lui  TR1B  •  POT  •  XVII ,  la  lacuna  finale  dee  unica- 
mente supplirsi  TANTIS  operiBVS  ,  come  ha  com- 
provato il  eh.  De  Rossi  (le  prime  raccolte  d'ani,  iscr. 
p.  65). 

Anno  1 1 4. 

37.  IMP  TRAIANO  OPTIMO  GER  DAC  P  M  TR 
P,  testa  laureala. 

)(  V1RTVTI  ET  FELICITATI ,  le  due  dee  stanti 
ciascuna  co' suoi  attributi.  Aur. 

Traiano  fino  dal  bel  principio  del  suo  impero  ven- 
ne acclamalo  principe  fortissimo  e  felice  (Plin.  paneg. 
2  );  ed  in  quest'  anno  gli  fu  dedicalo  l' arco  trionfale 
di  Benevento  come  FORTISSIMO  PRINCIPI.  Di  lui 
scriveva  ,  intorno  a  questi  anni ,  il  poeta  P.  Annio 
Floro  (  ap.  Jahn  praef.  ad  Fiori  epilom.  p.  XLI): 
fulgor  FELICISSIMI  IMPERII,  qui  in  se  rapii  alque 
convertii  omnium  oculos  kominum  ac  dcorum.  Per  si- 
mile modo  Cicerone  (  de  Finib.  IV  ,  9  )  scrive  :  an 
senatus,quum  triumphum  Africano  decernerei ,  QVOD 
EIVS  Y1RTYTE  AVT  FELICITATE  posset  dicere? 
e  Capitolino  [in  Marco  e.  17)  parlando  di  M.  Au- 
relio ,  bellum  lum  VIRTVTE  lum  edam  FELICI* 
TA  TE  transegit. 

38.  IMP  CAES  NER  TRAIANO  OPTIMO  AVG 
GER  DAC  PM  TR  P  COS  VI  P  P,  lesta  laureata. 

)(  SENATVS  POPVLVSQVE  ROMAN VS  ,  S  C, 
colonna  sormontata  da  una  civetta.  Ae.  I. 

La  civetta  di  Pallade  posta  per  simbolo  della  sa- 
pienza del  principe  (Eckhel  VI  p.  431)  può  riferirsi 
anche  alle  due  biblioteche ,  1'  una  greca  e  l'altra  la- 
lina,  dedicale  da  Traiano  nel  suo  Foro  (Dio,  LXVIII, 
1G:  A.  Gellius,  noct.  Alt.  XI,  17:  XIII,  23:  Sidon. 
Apoll.  IX,  9),  ed  al  favore  singolare  da  esso  lui 
prestato  ai  cultori  della  ^sapienza  (  Plin.  paneg.  47  ): 
quam  dignationem  sapientiae  doctoribus  habes  !  e  for- 


s'  anche  alle  istorie  delle  guerre  Daciche  scritte  da 
Traiano  medesimo  (  cf.  Vossius ,  hist.  Latin,  cap. 
XXX  p.  162). 

39.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  ».  37. 

)(  IMPERATOR  VII,  Traiano  paludato  sedente  in 
sedia  curule  sopra  il  tribunale  con  a  lato  due  altri 
personaggi  paludati  :  e  dinanzi  a  lui  sette  figure  mi- 
litari stanti  con  le  loro  insegne ,  e  alcune  di  esse  colle 
mani  slese  in  atto  di  acclamare.  Aur. 

40.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  38. 

)(  IMPERATOR  Vili  ,  ovvero  Villi,  lo  slesso  tipo 
che  nel  prec.  n.  39. 

L' Eckhel  riporta  queste  monete  all'  anno  1 1 5  ; 
ma  per  le  cose  discorse  di  sopra  possono  riportar- 
si anche  all' anno  114,  nel  quale  Traiano  conqui- 
stò l'Armenia  ed  invase  la  Mesopotamia  e  l' Adia- 
bene  ;  per  le  quali  felici  imprese  egli  si  ebbe  dall'e- 
sercito le  tre  consecutive  acclamazioni,  d'IMPERA- 
TOR  VII,  Vili,  VII».  Il  personaggio  che  vedesi  stante 
dal  lato  s.  di  Traiano  in  sul  tribunale  mostra  tenere 
nella  d.  alzata  una  laurea  od  altra  corona;  lo  che 
forse  indica  come  Traiano  si  ebbe  quelle  salutazioni 
imperatorie  nel  mentre  che  stavasi  intento  alla  di- 
stribuzione de'  doni  militari  (  cf.  Fabretti  col.  Tr.  p. 
297  ).  Per  simile  modo  Tito ,  dopo  l' espugnazione 
di  Gerusalemme  ,  distribuì  i  doni  militari  stando  in 
sul  tribunale  con  a  fianco  i  suoi  legali  (Flavius,  beli, 
lad.  VII,  1,  2,  3:  cf.  Fabretti,  col.  Tr.  p.  9:  «réso 
de  num.  Emper.  pi.  LH,  8  ). 

Anno  116. 

41.  IMP  CAES  NER  TRAIANO  OPTIMO  AVG 
GER  DAC  PARTHICO  PM  TR  P  COS  V  P  P,  bu- 
sto paludato  e  laureato. 

)(  ARMENIA  ET  MESOPOTAMIA  IN  POTE- 
STATEM  PR  REDACTAE,  SC,  Traiano  paludato 
stante  con  asta  nella  d.  e  con  parazonio  nella  s.  a  suoi 
piedi  due  fiumi  adagiati  riguardantisi,  ed  una  donna 
con  tiara  Armena  in  capo  sedente  a  terra.  Ae.  I. 
Continua  Cavedoki. 


Giulio  Mineiivlm  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataheo. 


BALLETTINO  ABCIIEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  83.     (  9.  dell' anno  IV.) 


Novembre  1855. 


Casa  di  M.  Lucrezio  in  Pompei.  Contiti,  del  n.  81. —  Osservazioni  sopra  alcune  monete 
di  Romani  Imperatori.  Contin.  del  n.  82. — Bibliografia. 


Casa  dì  M. Lucrezio  in  Pompei.  Contin.  del  n.  81. 

Le  pareti  del  giardinetto  sono  convenientemente 
dipinte ,  offrendoci  verdeggianti  piante  disposte  quasi 
intorno  ad  un  pluteo,  e  fralle  quali  poggiano  scher- 
zevoli varii  augelletti.  Per  nulla  tacere  di  quanto  ha 
relazione  al  grazioso  giardinetto ,  di  che  ci  occupia- 
mo ,  noteremo  che  sul  pilastro  a  destra  in  comunica- 
zione col  corridojo  ov' è  il  dipinto  della  lettera,  ve- 
desi  graffita  rozzamente  la  figura  del  labirinto,  con 
le  parole  già  sopra  da  noi  riferite  pag.  55.  Ed  av- 
vertiamo pure  che  sotto  si  leggono  altri  graffili ,  che 
meritano  di  essere  studiati ,  ma  fra  essi  sono  assai 
chiari  i  seguenti  :  LATA  ,  LATTARIO  CINAEDE  e 
LATTAGUS  CINAEDUS  (Vedi  Garrucci  ci.  praet. 
Misen.  p.  80  n.  241  vedi  ciò  che  ho  detto  in  questo 
bullettino  an.  Ili  p.  15). 

Da  ultimo  giova  l'avvertire  che  questo  giardino  era 
collocato  in  tal  sito ,  che  poteva  gustarsi  da  tutte  le 
parli  della  casa.  La  sua  principal  veduta  è  dal  tabli- 
no,  e  quindi  dall'atrio:  ma  godevasi  benanche  e  dal 
corridoio  a  sinistra,  e  dal  (riclinio  inferiore,  nonché 
dall'  esedra  che  lo  costeggia  a  destra,  e  di  cui  venia- 
mo a  discorrere. 

Esedra.  Il  pavimento  è  di  bianco  musaico  ,  e  nel 
centro  offre  una  cornicela  rettangolare  con  nero 
meandro  destinato  a  circondare  forse  un  quadretto 
pur  di  musaico,  che  non  si  è  rinvenuto.  Questa  cir- 
costanza di  un  particolare  ornamento  nel  mezzo  della 
sala  tende  sempre  più  ad  escludere  la  opinione  che 
fosse  questa  destinata  a  servir  di  triclinio  abilualmen- 
te.  Le  pareti  offrono  dipinte  in  fondo  bianco  graziose 
architetture  grottesche,  con  ornati  di  Grifi,  di  cigni, 
axno  ir. 


di  aquile  sul  globo ,  ed  altrettali.  Varie  figure  sono 
isolate  nel  campo;  vedi  un'Amore  alato  volante  e  te- 
nendo una  spada  nel  suo  fodero  ;  una  Ninfa  seminu- 
da coronata  di  foglie  con  la  doppia  tibia*;  altro  alalo 
Amorino  con  patera  ed  altro  simbolo  ora  perduto  per 
essere  caduto  l' intonico;  finalmente  altre  Ninfe  con 
abiti  svolazzanti  e  con  simboli  incerti.  Due  graziosis- 
sime  composizioni  sono  state  staccate  e  trasportate 
nel  Real  Museo  Borbonico.  Sei  Amorini  intenti  alla 
vendemmia  costituiscono  la  prima  rappresentazione: 
grazioso  è  in  esso  il  gruppo  di  un  Amore,  che  salito 
su  di  una  scala  raccoglie  i  grappoli,  e  di  un'altro  che 
attende  all'operazione.  (È  pubblicato  dal  Zahu  nella 
sua  terza  collezione  tavola  XXXV).  Con  questo  me- 
rita di  esser  paragonato  altro  monumento  di  lavoro 
romano  edito  dallo  Schweighaeuser  (  anliquilés  de 
Rheinzabern  pi.  4). 

Più  interessante  è  la  seconda  scena  composta  pure 
di  sei  Amorini,  uno  de'quali  è  bendalo  e  legato  al  suo- 
lo mercè  una  corda,  mentre  gli  altri  cinque  lo  circon- 
dano muniti  di  bastoncelli.  Non  v'ha  dubbio  che  vol- 
le presentarcisi  uno  di  quei  giuochi  infantili  che  tan- 
to allenano  la  più  tenera  età.  É  evidente  che  ci  si  of- 
fre allo  sguardo  quello  scherzo  ,  che  gì'  Italiani  ap- 
pellano mosca-cieca,  e  che  i  Greci  chiamavano  |xt <l\ Set 
e  x*^x^  V-V~i%  (  mosca  di  bronzo  )  :  ed  è  notevole  che 
Polluce  nel  farne  parola  ricorda  i  lievi  bastoncelli , 
de'quali  si  armavano  i  fanciulli  persecutori,  e  che 
trovano  nel  dipinto  pompejano  il  più  grazioso  con- 
fronto: 'H  (Ti  %aXxTi  punte,  fonila,  tw  à^^<xXfXcd  ir-pi- 
ff^iyrocvros  hòs  irxàòs  ó ixìy  •7r;ptffrp{$ira.i  xr,pvrruiY. 
X,nXxrlv  [J.ina.v  Srlp<x<T<tf,  oì  aiTroxpiva^voi.  &?;pa/<j-sJS 

«XX'ow  \r^u  GXVTMTl  fivfi'kivQiS  wròv  ■wx.iovciy  s'u-S 

9 


—  66 


T/vòs  «Irà»  XapT.Tcu  (Polluce  IX,  1 23  ;  cf.  Eustazio 
ad  lliad.  XXI,  394,  Stobeo  senti.  LXXV1II,  6.  Ve- 
di Hermann  Lehrbuch  der  griech.  Anliquit.  parte  III. 
§.  33  not.  34  pag.  167,  e  Becker  Charikles  toni.  2 
pag.  15  ed.  Hermann.  Non  ci  è  riuscito  di  ritrovare 
il  nome  latino  di  questo  giuoco  infantile  ), 

Alcune  anfore  con  iscrizioni  greche  o  latine,  di- 
versi vasi  di  vetro,  ed  un  piattello  di  terracotta  con 
ulive  carbonizzate,  rinvenuti  in  questo  compreso,  di- 
mostrano che  anche  talvolta  ne  usavano  per  trattener- 
visi  a  mensa  ;  se  pure  dir  non  si  voglia  che  alcuni  di 
quegli  oggetti  provenissero  da' siti  superiori. 

Bimanente  parte  della  casa. 

Aveva  questa  una  particolare  entrata,  e  costituiva 
quasi  una  distinla  abitazione.  É  perciò  che  ne  teniamo 
proposito  a  cominciar  dall'entrata,  dandone  una  ra- 
pida descrizione. 

Androne.  La  porla  esterna  è  adorna  di  due  pila- 
strini rivestiti  di  stucco  rosso.  L'androne  poi  ha  zoc- 
colo nero  e  varie  riquadrature  dipinte  su  fondo  bian- 
co. Questo  ingresso  che  metteva  ad  un  vicoletto  di- 
verso dalla  strada,  ove  si  apriva  la  principale  entra- 
ta della  casa,  può  considerarsi  come  un  posticum  (sul 
poslicum  vedi  ora  la  ultima  edizione  del  Becker  Cha- 
rikles t.  II  p.  157,  s.  ). 

Cella  dell'  ostiario.  Vedesi  questa  a  destra  dell'  en- 
trata, ed  è  ornala  di  bianco  intonaco  con  semplici  ri- 
quadri Tarmati  da  rosse  e  verdi  linee.  Una  Gnestra 
scorge  sul  vicoletto. 

Stanza  a  sinistra  delV  androne.  È  questa  alquanto 
più  accuratamente  dipinta.  In  una  zona  gialla,  di- 
stinta da  candelabri  in  vari  compartimenti,  appajono 
in  sei  dischi  sei  differenti  teste  appena  visibili ,  due 
Amorini  volanti,  ed  un  quadrello  interamente  perdu- 
to. Nella  zona  superiore  bianca  sono  effigiati  al  vivo 
alcuni  animali,  fra' quali  due  cervi  e  due  paniere. 

Atrio.  L'atrio  è  tuscanico  ,  con  piccolo  impluvio 
nel  mezzo:  è  decorato  di  grottesche  nelle  pareti  di- 
pinte in  compartimenti  rossi  e  neri.  Alla  sinistra  era 
una  importante  rappresentazione  ,  della  quale  nulla 
di  certo  può  determinarsi,  essendo  unicamente  visi- 


bili le  gambe  de' cinque  personaggi,  che  lacompone- 
\ano;  perchè  caduta  la  parte  superiore  del  muro.  Nel 
muro  dirimpetto  sono  due  grandi  incavi ,  destinati 
forse  a  contenere  due  armadii. 

Tablino.  Di  fronte  al  piccolo  atrio  sopra  descritto 
vedesi  il  tablino  graziosamente  dipinto  in  tre  compar- 
timenti adorni  di  grottesche  ;  fralle  quali  si  distinguo- 
no tre  volanti  Amorini,  uno  con  fruita  ,  1'  altro  con 
vase  e  tirso  ,  l' ultimo  con  la  lira.  In  questo  tablino 
diconsi  rinvenuti  i  frammenti  di  un  carro  di  bronzo 
con  molti  ornamenti,  collocati  ora  nel  real  Museo  Bor- 
bonico. 

(Continua)  Minervim. 


Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani 
Imperatori.  Contiti,  del  n.  82. 

In  un  beli'  esemplare  di  questa  medaglia  ,  che  ho 
solt' occhio  ,  l'Armenia  con  la  d.  tocca  i  piedi  di 
Traiano  vincitore  ,  e  punta  la  s.  in  terra  volgendosi 
a  riguardare  quello  de' due  fiumi  che  le  riesce  più 
vicino  ,  e  sembra  il  Tigri ,  giacendo  esso  alla  s.  di 
Traiano:  la  quale  notevole  parlicolarilà  può  prender 
luce  da  quelle  parole  di  Plinio  (Nat.  hist.  VI,  27): 
Tigris ,  ex  Armenia  acceplis  fluminibus,  et  quam  di- 
xiinus  Mcsopolamiam  faciens.  In  altri  esemplari  l'Ar- 
menia è  in  atleggiamenlo  di  piangente ,  e  Traiano  le 
prame  leggermente  il  femore  col  pie  s.  per  mostrare 
che  l'ha  ridotta  in  podestà  del  popolo  Romano  (cf. 
Bull.  areh.  1849  p.  111).  Del  resto,  queste  monete, 
per  ragione  del  titolo  PARTHICO  non  poterono  im- 
primersi prima  dell'anno  116;  onde  altri  meravi- 
gliar potrebbe  come  si  tardasse  un  due  anni  a  cele- 
brare colle  monete  la  conquista  dell'Armenia  e  della 
Mesopotamia  fallasi  nel  114;  ma  vuoisi  avvertire  che 
quella  conquista  trovasi  per  tempo  celebrata  nelle 
precedenti  monete  di  Traiano  salutato  IMPERATOR 
VII,  Vili,  Villi,  e  che  le  presenti  pongono  l'Arme- 
ni i  e  la  Mesopotamia  di  già  ridotte  in  Provincie  Bo- 
mane  (cf.  Eulrop.  Vili,  3),  lo  che  richieder  potè  il 
decorso  di  circa  un  biennio. 

42.  IMP  CAES  NERTRAIAN  OPTIM  AVG  GER 


—  G7  ~ 


DAC  PARTIIICO,  busto  laurealo  con  egida  all'omero 
s.  e  con  globo  sotto  il  petto  nudo. 

)(  PMTRP  COS  VI  P P  S P Q  R  ,  trofeo  d'  armi 
Paniche ,  appiè  del  (piale  siedono  per  terra  un  uomo 
barbato  ed  una  donna  scapigliata  in  atto  di  reggersi 
colla  palma  della  mano  il  capo ,  V  uno  e  T  altra  con 
faretra  da  lato:  ncll' esergo  PAIITIIIA  CAPTA. 

L' Eckbel  con  altri  pone  due  captici  appiè  del  tro- 
feo ,  ma  nell'aureo  che  ho  soli'  occhio  la  figura  se- 
dente a  sinistra  del  trofeo  è  manifestamente  femmi- 
nile ;  ed  in  altri  esemplari  la  douua  siede  invece  dal 
lato  destro  del  trofeo  (trésorde  num.Emper.pl.  XXVI, 
8  ).  Per  simile  modo  appiè  del  trofeo  Gallico  ne'  de- 
narii  di  Giulio  Cesare ,  ed  appiè  del  Giudaico  nelle 
monete  de'  Flavii ,  da  un  lato  siede  un  uomo  capti- 
vo ,  e  dall'altro  una  donna  piangente,  che  rappre- 
senta la  nazione  vinta.  La  faretra  posta  per  terra  pres- 
so il  Parlo  ha  annesso  l'arco,  arma  precipua  di  quella 
nazione.  Il  globo  posto  solt'esso  il  busto  di  Traiano 
armato  d'egida,  quale  altro  Giove,  può  indicare  co- 
ni' egli  trascorse  vittorioso  da  un  estremo  ali'  altro 
1'  orbe  cognito  a'suoi  tempi,  e  furs'  anche  mostra  co- 
ncesso era  ansioso  di  giungere  coll'esercito  fino  agli 
estremi  confini  dell'Oriente  (Dio,  LXY1U ,  29). 

43.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  40. 

X  SENATVS  POPVLVSQVE  ROMANVS,  S  C  , 
due  trofei,  V  uno  simile  all'  altro  ,  fra  mezzo  ai  quali 
talora  è  una  figura  virile  paludata  in  alto  di  coro- 
narne il  primo  e  di  movere  a  gran  passi  verso  il  se- 
condo. Ae.  II. 

Il  dotto  Fabrelti  (col.  Tr.  p.  299  )  fu  d' avviso  , 
che  questo  tipo  appelli  tutt' insieme  al  trionfo  Par- 
lieo  ed  al  Dacico ,  conforme  al  sublime  concetto  di 
Virgilio  [Georg.  Ili,  32):  et  duo  rapta  manu  diverso 
ex  orbe  tropaea.  E  tanto  convalidar  polrebbesi  col 
riscontro  di  due  luoghi  dei  Cesari  di  Giuliano  ,  ove 
Traiano  comparisce  fra  gli  Dei  ostentando  i  suoi  due 
precipui  trofei,  il  Dacico  cioè  ed  ilPartico.  Ma  que- 
sti riscontri  tornano  vani,  perchè  i  due  trofei  di  que- 
ste monete  sono  costantemente  simili  l'uno  all'altro, 
e  composti  entrambi  d'  armi  Partiche  ,  ben  diverse 
dalle  Daciche.  Il  tipo  presente  pertanto,  che  sembra 
ritratto  da  un  monumento  dedicato  in  Roma  dal  se- 


nato e  dal  popolo  a  Traiano  acclamato  Partico,  poi- 
ché sì  i  due  trofei  come  la  figura  slante  di  mezzo  ad 
essi  posano  sopra  una  stessa  base,  sembra  appellare 
a  due  insigni  vittorie  da  esso  lui  conseguite  quasi  im- 
mediatamente l'una  dopo  l'altra  ,  quali  furono  quelle 
della  presa  di  Nisibi  e  di  Batana  nella  Mesopolamia, 
e  l' altre  di  Seleucia  e  di  Ctesifonte  Dell'  Assiria  ,  che 
gli  meritarono  ripetutamente  il  titolo  di  Partico  (Dio, 
LXVI1I,  23,  28:  Eutrop.  Vili,  3).  Per  simile  modo 
Siila  nelle  sue  monete  d' oro  e  d' argento  ,  relative 
alle  vittorie  riportate  sopra  re  Mitridate  ,  pose  due 
trofei,  l'uno  simile  all'altro,  riguardanti  le  due  bat- 
taglie eh'  ei  vinse  1'  una  dopo  1'  altra  al  monte  Turio 
e  ne' campi  di  Cheronea  (  Eckhel  t.  V  p.  190  ). 

44.  1MP  CAES  NER  TRAIANO  OPTINO  AVG 
GERM,  lesta  radiata. 

X  DAC  PARTHICO  P  RI  TR  P  XX  COS  VI  P  P, 
corona  or  di  quercia ,  or  d' alloro ,  entro  la  quale  è 
scritto  S  C.  Ae.  II,  III. 

La  corona  in  quella  parie  ,  che  riesciva  sopra  la 
fronte,  appare  fornita  di  una  gemma  orbicolare,  che 
la  mostra  falla  non  di  rami  veri  ma  d'oro,  o  d'altro 
metallo,  siccome  quella  che  fu  decretala  ad  Auguslo 
pel  suo  ritorno  dall'Oriente  (v.  annali  ardi.  t.  XXII 
p.  185):  sì  che  anche  in  questo  onore,  del  pari  che 
in  quello  del  clipeo  della  Virtù  (  v.  addietro  n.  4  )  e 
della  corona  civica  (t\  mus.  Caes.  n.  130),  Traiano 
venne  meritamente  agguagliato  ad  Augusto  mede- 
simo. 

45.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  42. 

)(  REGNA  ADSIGNATA  ,  Traiano  paludato  se- 
dente in  sedia  curide  in  sul  tribunale  con  due  altri 
personaggi  paludati ,  che  gli  stati  da  lato  ,  in  atto  di 
porgere  il  diadema  od  altra  insegna  regale  a  tre  re 
che  gli  s'  accostano.  Aur. 

L'ullimo  de'  tre  re  stanti  dinanzi  al  tribunale  mo- 
stra avere  le  mani  legale  dietro  il  dorso  ;  e  sarà  uno 
de'  molti  re  vinti  da  Traiano  nella  invasione  della 
Mesopotamia  e  della  Partia  ,  ovvero  uno  de'  re  ri- 
belli fatto  captivo  nel  suo  regresso  dai  lidi  dell'Oceano 
Orientale  ,  e  quindi  condannato  a  perdere  il  suo  re- 
gno che  verrà  assegnato  ad  uno  degli  altri  due.  Del 
resto  panni  assai  notevole  uno  di  colali  aurei  man- 


—  68  — 


cante  del  titolo  PARTIIICO  (  trtsor  de  num.  Emper. 
pi.  XXVI,  1 1  ),  il  quale  mostrerebbe  che  quell'asse- 
gnamento dei  regni  d' Oriente  si  facesse  innanzi  la 
state  dell'anno  116.  Il  Mezzabarba  riporta  un  dena- 
rio  simile  d'  argento  senza  il  titolo  PARTHICO;  ma 
temo  che  questo  possa  far  dubitare  anche  della  sin- 
cerità del  suddetto  aureo. 

46.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  45. 

)(  VOTA  SVSCEPTA ,  P  M  TR  P  COS  VI  P  P, 
SPQR  ,  Figura  virile  barbala  togata  con  scettro  nella 
s.  ed  altra  figura  seminuda  col  manto  avvolto  a  mezzo 
la  persona  tcncìite  un  cornucopia  nella  $.  ed  una  pa- 
tera nella  d.,  stanti  presso  un'ara  accesa  in  atto  di 
sacrificare.  Aur. 

Questo  insigne  aureo  non  fu  accuratamente  de- 
scritto né  rettamente  spiegato  dall'  Eckhel.  Egli  vi 
ravvisa  Traiano  stante  presso  un'ara  insieme  con  una 
donna  sacrificante;  e  riferisce  il  tipo  ai  Voti  decennali, 
che  ora  comparirebbero  per  la  prima  volta  sopra  le 
monete  imperiali.  Ma  la  figura  togata ,  sendo  barba- 
ta ,  non  può  altrimenti  dirsi  di  Traiano  ;  e  l' altra 
detta  del  Buonevento  dal  eh.  Arneth,e  meglio  di  un 
Genio  nel  catalogo  dell'  Ennery  (p.  204  ) ,  è  senza 
meno  del  Genio  del  popolo  Romano;  sì  che  la  prima 
sarà  del  Genio  del  Senato,  che  in  monete  d'Antonino 
Pio  (mus.  Caes.  n.  108,  111)  comparisce  simil- 
mente togato  barbato  e  tenente  lo  scettro  nella  s.  con 
la  scritta  GENIO  SENATVS.  Le  sigle  SPQR  per- 
tanto si  connettono  con  le  voci  VOTA  SVSCEPTA, 
e  ne  attestano  come  il  Senato  ed  il  Popolo  Romano 
nell'anno  117  fece  voti  per  la  salute  e  pel  ritorno 
felice  di  Traiano  dall'  Oriente ,  allor  che  a  mezzo  il 
detto  anno  giunse  a  Roma  il  tristo  annunzio  della  in- 
fermila ,  che  gli  troncò  il  corso  delle  sue  vittorie  e 
lo  trasse  a  morte  in  sul  principio  di  Agosto  in  Seli- 
nunte  ,  mentr'  egli  rogalu  Pallimi  Italiani  repetebat 
(Aur.  Victor  in  Cacsarib.  XIII:  cf.  Tillemont,  Trojan 
art.  XXIV).  Per  simile  modo  nelle  monete  di  Au- 
gusto ricorre  il  tipo  del  sacrificio  con  l'analoga  scritta 
PRO  VALETVDINE  CAESARIS  SPQR  (Eckhel 
t.  VI  p.  103-105):  anzi  v'ha  pure  un  aureo  di  Au- 
gusto dell'anno  Varroniano  762  con  l'epigrafe  VOTA 
PVBLICA  apposta  ad  una  figura  sacrificante  ,  che 


può  dirsi  anch'essa  del  Genio  del  Senato  ,  impresso 
verisimilmente  allor  che  celebraronsi  ludi  prò  salute 
Augusti  volivi  (Plin.  VII,  49  ,  5:  cf.  Borghesi  De- 
cad.  XVI  oss.  6:  Eckhel  t.  Vip.  113). 

47.  IMP  CAES  NER  TRAIAN OPTIM  AVG  GERM 
DAC  ,  busto  laureato. 

)(  PARTIIICO  P  M  TR  P  COS  VI  P  P, SPQR, donna 
sedente  in  trono  con  patera  nella  d.  in  allo  di  pascere 
un  serpente  :  al  disotto  ,  SALVS  AVG.  Arg. 

Questo  denario  torna  in  bella  conferma  della  in- 
terpretazione da  me  proposta  del  precedente  aureo 
co'  voti  per  la  salute  dell'Augusto  Traiano,  conforme 
alle  parole  di  Plinio  (paneg.  23:  l.  X  epist.  60):  ut 
in  unius  salute  collata  omnium  vola! — unum  omnium 
votum  est  salus  Principis. 

Traiano  Divo. 

48.  DIVO  TRAIANO  PARTH  AVG  PATRI ,  te- 
sta laureata. 

)(  Fenice  stante.  Aur. 

La  Fenice ,  delta  aelema  avis  (  Claudian.  carni. 
XLV ,  63),  ed  abitatrice  fortunata  dell'Arabia  ,  ov- 
vero delle  selve  ricinte  dall'  Oceano  orientale  ,  ben  a 
ragione  per  la  prima  volta  comparisce  qual  simbolo 
dell'  apoteosi  nelle  monete  del  Divo  Traiano,  che  pel 
primo  ebbe  acquisita  1'  Arabia  ,  e  che  vittorioso  s'i- 
noltrò fino  al  lido  di  quel  mare.  Ancora  la  Fenice, 
che  dicevasi  rinascere  dalle  proprie  sue  ceneri,  e  ren- 
dere iusla  funera  priori  (  Plin.  X,  2  ) ,  veniva  a  ri- 
cordare la  pietà  figliale  di  Adriano  ,  che  succedette 
per  adozione  a  Traiano,  e  ne  inviò  le  ceneri  a  Roma 
(Spari,  in  Hadr.  5  ).  In  un  aureo  di  Adriano  mede- 
simo vedesi  il  SAEcuZum  AVReum  stante  entro  un 
cerchio  ,  simbolo  dell'eternità  ,  e  tenente  nella  s.  un 
globo  sormontato  dalla  Fenice,  fors'  anche  con  allu- 
sione alla  particolarità  del  suo  auri  fulgor  circa  colla 
(Plin.  A',  2:  cf.  Eckhel  t.  Vip.  508).  Del  resto,  la 
fabulosa  Fenice  degli  antichi  altro  non  era  che  il  Fa- 
giano di  color  d' oro  della  China  (  Cuvier  ad  Plin. 
I.  e.  ). 

49.  DIVO  NERVAE  TRAIANO  AVG,  busto. 

)(  S  P  Q  R  DIVO  TRAIANO  PARTHICO,  donna 
stolata  alata  con  face  nella  d.  e  con  ramo  di  palma 
nella  s.  in  biga  tratta  da  un  cinghiale  e  da  un  leone, 


—  69  - 


preceduta  da  Ercole  tenente  colla  d.  la  clava  appog- 
giala all'  omero.  Ae.  in.  in. 

Il  cinghiale  ed  il  leone  aggiogati  ponno  anche  ri- 
ferirsi ad  Ercole  considerato  qual  nume  solare  ed  au- 
tore delle  stagioni  dell'anno  ,  perchè  ne' monumenti 
antichi  il  leone  è  di  sovente  simbolo  dell'  estate  ,  e 
dell'  inverno  il  cinghiale  (  Annali  arch.  t.  XIV ,  p. 
221-222:  cf.  R.  Rochctte,  Hercule  Assyr.  p.  15,95). 
hi  un  medaglione  di  M.  Aurelio  vedesi  Ercole  tro- 
peoforo  in  quadriga  di  Centauri  portanti  i  simboli 
delle  quattro  stagioni  con  la  scritta  TEMPORVM  FE- 
LICITAS  (  Mionnet,  liar.  t.  I p.  224). 

Inoltre,  l'ardua  spedizione  di  Traiano  contra  i 
Parli  poteva  anche  compararsi  con  la  difficile  impresa 
di  aggiogare  al  carro  un  leone  ed  un  cinghiale ,  im- 
posta da  Pelia  ai  proci  della  sua  figliuola  Alcesti  ,  e 
da  Admeto  adempita  per  favore  di  Apollo  ,  la  quale 
vedevasi  figurata  nel  trono  Amicleo  (Apollod.  /,  9, 
15:  Paus.  ///,  18).  Analoga  a  questa  pariglia  si  è 
quella  di  una  pantera  e  di  un  capro  aggiogali  al  carro 
di  Bacco  trionfante  dell'India  in  monete  di  Eumenia, 
di  Laodicea  e  di  Traili  (v.  Millingen,  Sylloge  p.  80). 

Monete  di  conio  peregrino. 

Fra  le  monete  di  Traiano  impresse  fuori  di  Roma 
ve  n'ha  tre  di  argento  con  l'epigrafe  AHMAPX  E3- 
TITAT-notevoli  pel  tipo  di  un  busto  ora  virile  bar- 
balo ,  ora  feminile  o  giovenile  ,  ed  ora  puerile  (  Pel- 
lerin  Mèi.  I  pi.  Vili,  1,  2,  3:  trésor  de  num.  Emper. 
pi.  XXVI,  13  )  insignito  di  tiara  o  calato  ,  che  ha 
molta  somiglianza  con  la  caX/*  Laconica  (  Hesych. 
s.  v.  ) ,  propria  de'  ieroduli  (cf.  annali  arch.  t.  V p. 
131-153:  Millingen,  sylloge  p.  30-33)  segnatamente 
nell'Asia  ;  e  tenente  nella  d.  uno  scettro  corto.  Quei 
tre  busti  sembrano  rappresentare  i  Genii  di  tre  classi 
distinte  di  sacerdoti,  o  le  tre  età  delle  persone  di  una 
provincia  o  di  una  città,  che  facciano  voli  per  la  sa- 
lute di  Traiano  ;  forse  di  Cesarea  della  Cappadocia 
(cf.  Strabo  XV p.  733),  o  di  Pafo  di  Cipro;  poiché 
lo  scettro  di  que' ieroduli  ha  molta  somiglianza  con 
quello  di  Venere  (cf.  pili.  d'Ercol.  t.  1,  tav.  29). 

Le  monete  d'argento  di  Traiano  con  la  stessa  epi- 


grafe greca  AHMAPX  ES-TITAT,  e  co' tipi  della 
testa  di  Giove  Aminone  e  del  tempio  di  Diana  Per- 
gea  ,  forse  spellano  a  Mitilene  di  Lesbo,  che  in  altre 
monete  sue  certe  pose  que'  tipi ,  e  che  si  cognominò 
Ulpia ,  probabilmente  per  qualche  insigne  beneficio 
di  quell'  Augusto  ;  tanto  più,  che  in  monete  di  Mi- 
tilene stessa  le  leste  di  Plotina  e  di  Matidia  ricorrono 
connesse  col  tipo  di  Diana  di  Perga  (  cf.  Cavcdoni 
spiai,  num.  p.  161  ).  Quelle  peraltro  con  la  testa  di 
Giove  Ammone  forse  spettano  alla  Cirenaica,  almeno 
in  parte  ;  poiché  il  Pellerin  ed  altri  n'  ebbero  parec- 
chie provenienli  da  quelle  parli  {lìccue  num.  1  So  1 
p.  97-102). 

Memorabile  si  è  anche  una  moneta  di  Selinunte 
della  Cilicia  ,  ove  venne  a  morie  Traiano  ,  impressa 
sotto  Settimio  Severo ,  che  amava  appellarsi  Divi 
Troiani  Partitici  abncpos  (Eckhel  t.  VII p.  173),  nel 
riverso  della  quale  vedesi  un  (empio  tetrastilo  con  la 
scritta  0€OT  TPA  nel  frontone,  e  con  all' intorno 
I'  epigrafe  TPAIANO  ■  CCAINO  •  THC  •  ICPAC  (  Se- 
stini,  descr.  num.  vet.  tab.  IX,  11  ).  Entro  il  tem- 
pio ,  a  parere  del  Sesliui ,  è  Giove  sedente  con  fulmi- 
ne nella  d.  e  con  asta  nella  s.  ,  ma  la  scritta  9€<JT 
TPA<o»w ,  posta  nel  frontone  ne  accerta  ,  che  quel 
simulacro  sotto  le  sembianze  di  Giove  rappresenta  il 
Divo  Traiano,  che  lultor  vivente  si  usurpò  il  fulmine 
del  sommo  Giove  (mus.  Cacs.  n.  189,  190  al.  ).  Del 
resto,  Selinunte  è  T^ai'ouoVsXis  anche  in  un' iscrizione 
di  quelle  contrade  (  Corp.  1  Gr.  n.  4423  ). 

Monete  di  fabbrica  semibarbara  e  fuse. 

Nel  museo  Estense  conservasi  un  sesterzio  ,  o  sia 
una  moneta  di  primo  bronzo  di  Traiano  col  tipo  del- 
l'Abbondanza  sedente  in  atto  di  sacrificare  (cf.  mus. 
Caes.  n.  53  )  di  stile  semibarbaro ,  e  con  lo  sbaglio 
dell'omissione  della  lederà  Min  fine  dell'epigrafe  del 
diritto,  leggendovisi  GERM  P,  invece  diGERM  PM. 
Esso  pesa  soli  grammi  20 ,  laddove  i  bei  sesterzi  si- 
mili di  conio  Romano  si  accostano  al  peso  di  gram- 
mi 28,  o  sia  all'  oncia  antica  Romana.  Questa  ed  al- 
tre simili  monete ,  che  per  lo  più  sembrano  fuse , 
probabilmente  sono  lavoro  di  officine  delle  Gallie,  ove 


—  70  — 


sogliono  rinvenirsi  in  maggior  copia  e  di  peso  va- 
riante  di  molto  (v.  Revuc  rum.  1854  pag.ìOI,  108, 
121  ). 

Monete  false. 

Alla  lunga  serie  delle  monete  false  di  Traiano  da- 
tane dall'  Eckhel  vuoisi  aggiungere  quella  di  pri- 
mo bronzo  col  tipo  dell'arco  trionfale  di  Traiano 
malamente  accompagnato  dall'epigrafe  TR  "  POT  ■ 
COS  •  IH  •  P  •  P  .  riprodotta  fra  le  rare  dal  Mion- 
net  (t.  I  p.  182)  non  ostante  che  fosse  di  già  stata 
ripudiata  dal  Fabretti  (  col.  Tr.  p.  299  ).  Credo  de- 
cisamente falso  anche  un  aureo  con  la  scritta  P  M  TR 
P  XX  COS  VI  P  P  e  con  un  una  corona  di  quercia 
racchiudente  le  sigle  S  C  nel  riverso ,  riprodotto  dal 
eh.  Lenormant  (trésor  de  num.  Emper.pl.  XXV,  44); 
poiché  eccede  di  troppo  il  consueto  modulo  degli  au- 
rei imperiali,  ed  inoltre  appare  manifestamente  fuso 
o  contraffatto  sopra  le  monete  simili  di  Traiano  di 
quarto  bronzo  (cf.  mus.  Farri,  t.  X  tav.  IX,  6:  cat. 
Wellenheim  n.  10503).  Ancora  ho  grande  sospetto, 
che  sia  contraffatto  o  fuso  sopra  le  forme  di  una  mo- 
neta di  piccolo  bronzo  anche  1'  altro  aureo  edito  dal 
medesimo  Lenormant  (pi.  XXVII ,  15)  con  l'epi- 
grafe METALLI  VLP1ANI;  tanto  più  che  il  Mionnet 
non  ne  fa  parola. 

Da  ultimo  mette  bene  avvertire ,  che  il  dotto  Fa- 
bretti nelle  Addenda  al  suo  libro  classico  de  Columna 
Traiana  (p.  anlepenult.)  prese  uno  strano  abbaglio 
nel  ravvisar  che  fece  in  un  denario  di  Traiano  la 
Dacia  tenente  nella  d.  una  testa  di  cavallo,  invece  di 
riconoscervi  l'ovvio  tipo  della  Speranza  tenente  nella 
d.  un  fiore  a  tre  foglie  ,  o  germoglio  che  dir  si  vo- 
glia. 

Donne  Auguste  della  casa  di  Traiano. 

PLOTINA  moglie  di  Traiano.  Il  suo  nome  in  me- 
daglie greche  è  scritto  con  dittongo  nella  sillaba  di 
mezzo,  IIA«TEINA(Pellerm,  mei.  II,  pi.  XXVII, 
4),  e  analogamente  il  nome  della  città  I1AS2TEI- 
NOIIOAITfìN,  oppure  coli'  accento  circonflesso  so- 


pra la  delta  sillaba  nXwrncc  (  Dio  ,  LXV1II ,  5  :  cf. 
Pape  v.  IlXwTÒos).  Erra  pertanto  chi,  per  mal  vezzo 
invalso ,  pronuuci  Plàtina  invece  di  Plotina ,  che  in 
origine  è  lo  stesso  nome  che  Plautina.  Agli  onori 
resi  da  Adriano  alla  defunta  Plotina  aggiungasi  la 
lode  ch'ei  le  diede  (forse  nell'orazione  funebre)  di 
non  avergli  lei  mai  chiesto  cosa  che  non  le  dovesse 
concedere  volentieri  (Dionis  excerpt.  ed.  Mail  p.  221  : 
cf.  Borghesi,  giorn.  Arcad.  t.  XLIl  p.  181).  Laqual 
lode  consuona  con  le  parole  di  Plinio  (paneg.  83): 
quam  illa  nihil  sibi  ex  fortuna  tua ,  misi  gaudium , 
vindical  ! 

MARCIANA  sorella  di  Traiano.  L'Eckhel  avverte, 
che  ignoto  si  rimane  il  nome  del  marito  di  Marcia- 
na; ma  il  dotto  Marini  (Aro.  p.  158  tav.  XXII)  con- 
getturò eh'  ella  si  maritasse  a  C.  Matidio  Patruino, 
che  nell'  anno  78  era  maestro  degli  Arvali;  e  la  sua 
congettura  fu  collaudata  e  tenuta  per  certa  dal  eh. 
Borghesi  (Giorn.  Arcad.  t.  XLII  p.  187).  Alle  iscri- 
zioni riguardanti  Marciana  ricordate  dall' Eckhel 
vuoisene  aggiungere  una  de'  Liltii  di  Creta ,  che  la 
onorano  già  defunta  qual  Diva ,  ©EAN  (  Corp.  I. 
Gr.  n.  2376),  ed  altra  di  Apamea  della  Frigia,  che 
l' onora  vivente  e  di  già  insignita  del  titolo  di  Au- 
gusta (n.  3958). 

MAT1DIA  figliuola  di  Marciana.  L' Eckhel  con- 
fessa d' ignorare  l' anno  nel  quale  Matidia  nipote  di 
Traiano  venne  appellata  Augusta.  Ora  da  un'  iscri- 
zione dedicatale  da' Liltii  di  Creta  (  Corp.  I.  Gr.  n. 
2577  )  siam  fatti  certi,  ch'ella  godeva  di  quel  titolo 
nella  tribunicia  podestà  XI  di  Traiano ,  decorsa  dal 
dì  28  di  gennaio  dell'anno  107  in  appresso;  e  sic- 
come la  madre  di  lei  Marciana,  insieme  con  Plotina, 
vien  detta  Augusta  nella  tribunicia  podestà  IX  di 
Traiano  (  Eckhel  /.  VI  p.  465),  sembra  assai  verisi- 
mile che  quelle  tre  donne  della  casa  di  Traiano  fos- 
sero salutate  Auguste  nell'anno  705  ,  nel  quale  egli 
si  ebbe  dal  senato  il  bel  titolo  Optimi  Principis. 

Ignoto  si  rimaneva  altresì  il  nome  del  marito  di 
Matidia  stessa  ,  e  padre  di  Sabina  moglie  di  Adriano 
e  di  Matidia  giuniore:  ma  il  eh.  Borghesi  da  un'iscri- 
zione Gruteriana  (p.  1112 ,  3)  e  da  altri  riscontri 
raccolse  ,  che  dovea   chiamarsi  L.  VIBIVS  ,  uomo 


—  71  — 


peraltro  d'  altronde  non  cognito  (  Giom.  Arcad.  t. 
XLII,p.  185-187). 

MATIDIA  yiuniore  figliuola  di  Matidia  seniore ,  e 
sorella  di  Sabina  moglie  di  Adriano.  Per  1'  adozione 
che  fece  Adriano  di  Antonino  Pio  in  suo  figlinolo , 
Matidia  giuniore  divenne  ed  appellossi  matertera  di 
Antonino  medesimo;  e  MATERTERA  IMP.  ANTO- 
NINI AVG  PI1  di  fatti  ella  vien  detta  in  tre  iscrizioni 
allegale  dall'  Eckhel  (p.  470  )  ed  in  altra  di  Suessa 
(Bull.  arch.  1845,  p.  57).  Ella  morì  sotto  l'impero 
di  M.  Aurelio  e  di  L.  Vero ,  o  sia  in  uno  degli  anni 
decorsi  dal  101  al  169,  e  venne  onorata  di  pubblici 
funerali  (Fronto  ad  31.  Antonia.  Imp.  I.  II  ep.  12: 
ad  amicos  I,  17).  Ricchissima  com'era  ella  lasciò  in 
legato  Varianis  alumnis  mascidis  feminisque  seslerlidm 
deciens  singulis  (Fronto  ad  amie.  I,  17).  11  eh.  Mai 
propose  dubbioso  alcune  congetture  intorno  a  questi 
d'altronde  ignoti  Variani  alumni;  ed  io  pure  pro- 
porrò la  mia.  L.  Vibio  marito  di  Matidia  maggiore , 
e  padre  di  Matidia  minore,  probabilmente  cognomi- 
nossi  Varo.  Nel  161  T.  Godio  Vibio  Varo  fu  con- 
sole ordinario.  Un  C.  Vibio  Varo  ,  probabilmente 
d' età  anteriore ,  dedicò  in  Parenzo  un  tempio  alla 
dea  HISTRIA  ,  o  sia  al  Genio  della  regione  dello 
stesso  nome  (  v.  Orelli  n.  1807  ,  1808).  Il  collegio 
de'cenlonarii  del  municipio  Vicelino  dedicarono  un 
monumento  a  Matidia  DIVAE  MARCIANAE  NEPTI 
Sabinae  Aug.  SORORI;e  poscia  nell'anno  242  i  Vi- 
cetini posero  altro  monumento  a  Gordiano  Pio  (  che 
forse  passò  di  là  nella  sua  spedizione  Partica  )  EX 
L1BERAL1TATE  MATIDIARVM  (  Schio,  ant.  iscr. 
di  Vicenza  p.  42,  44).  La  ragione  della  liberalità 
delle  due  Matidie,  madre  e  figlia,  verso  il  municipio 
de'  Vicelini  ,  cotanto  lontano  da  Roma  ,  chiara  si 
parrebbe  nel  supposto  che  L.  Vibio  marito  di  Mati- 
dia seniore  e  padre  di  Matidia  giuniore ,  fosse  della 
famiglia  de'  Vibii  Vari  oriunda  da  Parenzo  dell'Istria 
non  molto  discosta  da  Vicenza.  E  nel  supposto  me- 
desimo chiara  si  vedrebbe  altresì  l'origine  della  de- 
nominazione degli  alunni  Variani;  che  questi  cioè 
fossero  fanciulli  alimentarli  di  Vicenza  istituiti  da  L. 
Vibio  Varo,  e  poscia  aumentati  EX  LIBERALITATE 
MATIDIARVM  ,  dulia  moglie  cioè  e  dalla  figliuola 


di  esso  lui.  Egli  avrebbe  prestato  a  Vicenza  ,  forse 
sua  patria  ,  il  beneficio  stesso  che  Plinio  giuniore 
prestò  alla  cara  sua  patria  Como. 

(Continua)  Cavedont. 

Drusilla  divinizzata  da  Caio  Caligola  col  nome  di 
PANTBEA. 

Il  furibondo  Caio  Caligola  ,  dopo  aver  maritata  a 
L.  Cassio  Longino  la  sorella  sua  Drusilla  ,  eam  ab- 
duxil ,  et  in  modum  iustae  uxoris  propalam  habutt 
(Sueton.  in  Caio  e.  24);  e  lei  morta  ,  nell'anno  38 
dell'era  nostra,  iustitium  indixit,  e  la  divinizzò  sotto 
il  nome  di  Panthea,  ir'/.^vin  Òjvoixx^ito  (Dio,  LIX, 
11).  L' Eckhel  rigettò  come  spurie  le  medaglie  con 
l' effigie  di  Drusilla  e  con  la  scritta  DIVA  DRVSILLA 
SOROR  C  •  CAESARIS  AVG;  ma  in  difetto  di  que- 
ste ora  abbiamo  una  lapida  di  Cere  dedicala  DIVAE 
DRVSILLAE  SORORI AVGVSTI  GER- 
MANICI (  Grifi,  Iscr.  di  Tivoli  e  di  Cerveteri  p.  23), 
ed  altra  già  cognita  di  Tivoli  (  Orelli  n.  674)  intito- 
lala DIVAE  DRVSILLAE  SACRVM.  La  moneta  di 
Mileto  data  dal  Vaillant  con  la  scritta  0EA  APOT- 
SIAAA,  e  l'altra  del  Panel  di  Bizanziocon  APOTS* 
A «PPOAITHS, sono  accertate  dalMionnet,che  in  que- 
st'ultima meglio  lesse  A<I>POAITAS  APOTS  (  Sup. 
n.  241).  I  Bizanzii  avranno  denominato  Drusilla  no- 
vella A  frodile  in  riguardo  al  fatto  di  Caligola  ,  che 
nel  tempio  di  Venere ,  posto  nel  foro  Romano ,  de- 
dicò un  simulacro  aureo  di  Drusilla  eguale  in  dimen- 
sione a  quello  della  dea  e  partecipe  degli  stessi  divini 
onori  (Dio,  LIX,  11). 

L'altro  simulacro  di  Drusilla  divinizzata  ,  che  fu 
dedicalo  nella  curia,  l'avrà  rappresentata  Panthea;  e 
dovette  essere  simile  al  busto  pantheo  che  vedesi  nelle 
monete  di  Giulia  Mamea  madre  di  Alessandro  Seve- 
ro, così  descritto  dall'Eckhel  (  t.  VII,  p.  287).  Pro- 
tome Mamaeae  alata  cum  loto  in  capile  et  luna  bicorni 
in  occipite,  d.  cornucopiae,  s.  taedam  cum  spicis.  Con 
questo  busto  panteo  poi  vuoisi  confrontare  il  seguen- 
te ,  che  ricorre  in  alcuni  de'  copiosi  denarii  di  M. 
Pletorio  Cestiano  edile  curule  :  Busto  giovenile  con 
capelli  inanellati,  con  galea  ornata  di  criniera,  di  lau- 


—  72  — 


rea,  di  spiga,  di  capo  di  papavero,  di  fior  di  loto,  con 
ali ,  faretra  ed  arco  agli  omeri,  e  con  cornucopia  al 
petto.  In  allri  denarii  di  M.  Pletorio  Cestianoè  il  bu- 
sto di  Cibele  ;  sì  che  il  sovra  deseritlo  busto  panteo 
sembra  rappresentare  la  slessa  deità  considerata  come 
gran  Madre,  o  sia  Natura  madre  e  attrice  di  tutti  i 
viventi.  L'uno  e  l'altro  tipo  ne'denarii  di  Pletorio  ri- 
guarda i  ludi  Megalesia  sacri  Magnae  Deum  Matri; 
di  che  si  pare  la  ragione,  per  la  quale  Caio  Caligola 
volle,  che  nel  dì  natalizio  di  Drusilla  divinizzata  sotto 
la  denominazione  di  Panthea ,  si  celebrasse  una  festa 
simile  a  quella  de'  ludi  Megalesia ,  loprr\  óixoix  róìs 
Msya^ff'O'S  ay*]-™»  (Dio  /.  e.)  Del  resto,  pare  che 
anche  qualche  persona  privata  consecrasse  l' imagine 
panthea  delle  persone  defunte  in  attestato  di  singolare 
affetto,  siccome  la  Settimia  Severina  del  Fabrelli  (p. 
741  n.  505)  che  dedicò  SARCOFAGVftl  ET  PAN- 
TEVM  CVMTRICORO. 

C.  Cavedoni. 


BIBLIOGRAFIA 

Antichità  inedile  di  vario  genere  trovate  in  Sicilia,  che 
si  pubblicano  da  Baldassarre  Rosi  ano  -Palermo- 
1854  in  4.  Continuazione  del  n.  79. 


Un  frammento  di  lucerna  offre  a  bassorilievo  un  in- 
certo quadrupede  (  tav.  4  fig.  7  )  :  un  altro  la  figura 
della  Fortuna  con  differenti  simboli  (tav.  6  fig.  15); 
e  finalmente  una  lucerna  ha  la  impronta  di  una  testo- 
lina barbata  (tav.  6  fig.  18). 

Alle  terrecolte  vuoisi  aggiugnere  un  frammento  di 
oggetto  indeterminato,  che  offre  a  bassorilievo  la  te- 
sta di  Bacco,  o  Ampelos,  con  foglie  e  grappoli  che  la 
circondano  (tav.  4  fig.  10)  :  ed  una  statuetta  in  parte 
infranta  rappresentante  forse  un  Sileno  di  sconce  fat- 
tezze (  tav.  4  fig.  1 8)  ;  per  tacere  di  una  testina  e  di 
un  gallo  ,  che  non  presentano  alcun  particolare  in- 
teresse. 

Il  sig.  Romano  pubblica  alcuni  manichi  di  vasi  in 
bronzo  o  in  terracotta  notevoli  per  le  iscrizioni ,  che 
vi  si  leggono.  Primo  ricorderemo  un  manico  di  bron- 
zo con  la  iscrizione  TPT2IITO  (cioè  XpyffiW oc) di- 
notante forse  il  nome  dell'  artefice,  se  dir  non  si  vo- 
glia piuttosto  quello  del  possessore  (tav.  6.  fig.  13, 
14).  E  lo  stesso  dee  pure  opinarsi  del  nome  AION, 
che  leggesi  in  una  fittile  diota  (tav.  6  fig.  4).  Due 
altri  manichi  di  vasi  fittili  ci  offrono  i  nomi  di  due 
magistrati  eponimi.  In  uno  si  legge  (tav.  6  fig.  11  ). 

Eni@EC  TO 

poc  Arn 

Amor 


Alcune  lucerne  offrono  semplici  ornati ,  e  la  im- 

Tt  VF 

pronta  RVF  o  -— —  :  in  una  di  esse  è  un  mono- 

gramma  incerto  graffito  (tav.  6  fig.  27-31):  in  altra 
è  rappresentata  un'  astronomica  divinità  (  tav.  6  fig. 
19).  Non  saprei  se  questa  impronta  debba  riputarsi 

PVF 

la  stessa  da  me  riscontrata   in   altre  lucerne  7^7; 

(bullett.  arch.  nap.  di  Avellino  an.  II  pag.  139:  cf. 
Mommsen  t'nscr.  r.  neap.  lai.  n.  6308,  38  p.  357). 


Il  nome  dell'  arconte  Testore  è  già  noto  ,  come  si 
raccoglie  dal  catalogo  che  se  ne  legga  nel  corpusin- 
scr.  gr.  tom.  HI  p.  677:  il  mese  ùypicLrlov  è  ripetuto 
in  molte  altre  sicule  iscrizioni.  Nuovo  sembra  il  nome 
del  magistrato  Polyxenos  EIIIITOATSENOT  ,  che 
vedesi  fra  quattro  astri  nell'  altro  manico  di  vaso  (tav. 


6  fig.  6 


(Continua) 


MiNERVINI. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaneo. 


MLLKTTL\0  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.o  84.     (  10.  dell'  anno  IV.) 


Dicembre  1855. 


Poche  osservazioni  sopra  un  vaso  dipinto  di  S.  A.  R.  il  Conte  di  Siracusa.  — Casa  di  M.  Lucrezio 

in  Pompei.  Continuazione  del  ».  precedente. 


Poche  osservazioni  sopra  un  vaso  dipinto  di  S.  A.  R. 
il  Conte  di  Siracusa. 

Alle  più  recenti  scavazioni  ,  che  con  tanto  profit- 
to per  1'  archeologica  scienza  ha  novellamente  im- 
preso ad  eseguire  S.  A.  R.  il  Conte  di  Siracusa  (1),  è 
dovuto  questo  classico  monumento  dell'  antica  arte 
ceramica,  di  cui  presentiamo  la  incisione  nella  nostra 
tav.  Vili.  Le  figure  son  rosse  in  fondo  nero;  la  ver- 
nice si  assomiglia  a  quella  de'  più  bei  vasi  nolani. 

Lo  stile  ed  il  disegno  delle  figure  sono  da  riputare 
pregevolissimi  :  e  la  varietà  e  la  espressione  de'  mo- 
vimenti nell'accanita  pugna  di  Greci  e  di  Amazzoni, 
che  ci  si  presenta  allo  sguardo,  costituiscono  del  va- 
sellino  di  Cuma  uno  de'  più  preziosi  cimelii  nel  suo 
genere ,  che  ci  ahbia  fornito  l'antichità,  ed  a  cui  dif- 
ficilmente potrà  rinvenirsi  l'eguale  nelle  più  ricche 
collezioni.  Non  vi  ha  dubbio  che  la  fattura  dì  questo 
vaso  appartiene  alla  più  bella  epoca  dell'arte,  dopo- 
ché la  scuola  ateniese  avevala  ingentilita  e  resa  ca- 
pace di  esprimere  colle  forme  del  bello  qualunque 
più  complicato  soggetto. 

E  per  verità  nelle  tredici  figure  che  adornano  il 
vasellino ,  di  che  stiam  ragionando,  scorgi  tanta  ele- 
ganza e  sveltezza  di  forme  e  di  proporzioni ,  tanta 
vivacità  di  azione,  tanta  assennatezza  di  composizione 
e  finitezza  di  lavoro,  che  all'insieme  di  tali  pregi  ri- 
mani maraviglialo  e  sorpreso. 

(1)  Vedi  il  primo  nnnunzio  di  queste  scavazioni  date  dal  eh.  Fio- 
relli  in  questo  bullettino  pag.  51  e  seg.  Nel  foglio  seguente  ripor- 
tiamo le  ulteriori  notizie  forniteci  dallo  stesso  Signor  Fioretti,  col 
quale  studiammo  il  nuovo  vaso  amazzonico  ,  e  le  epigrafi  che  più 
pregialo  lo  rendono. 

AX>'0  IV. 


A  questa  importanza  artistica  si  aggiunge  benan- 
che l'interesse  archeologico;  giacche  ciascuna  delle  fi- 
gure tanto  de'Greci  guerrieri  quanto  delle  Amazzoni 
è  indicala  da  particolari  denominazioni  .•  ed  è  notabile 
che  la  maggior  parte  di  questi  nomi  non  hanno  mi- 
tici confronti ,  segnatamente  per  quanto  concerne  le 
Amazzoni;  laddove  alcuni  Greci  eroi  accennano  senza 
dubbio  alle  origini  attiche  ed  eoliche  di  queste  no- 
stre regioni. 

Tralasciamo  di  ragionare  delle  varie  parti  delle 
amazzoniche  armature,  alcune  delle  quali  si  veggono 
appartenere  allo  scitico  costume,  altre  al  dorico  (1). 
Questa  duplice  maniera  di  vestirsi  e  di  armarsi  ri- 
scontrasi non  poche  volte  in  altri  monumenti  amaz- 
zonici; ne'  quali  vedi  al  tempo  slesso  dati  alle  Amaz- 
zoni elmi  e  tiare ,  gambali  ed  anassiridi  ,  tuniche  di 
pelli  variamente  screziate  e  dipinte,  e  lievi  tuniche  di 
lino ,  ora  munite  ora  prive  di  corazza.  Ed  in  quanto 
alle  armi  offensive  ,  indislinlamenle  spade ,  aste,  gia- 
vellotti, ed  arco  e  saette  serbate  nel  sospeso  turcasso. 

Tulle  quesle  varietà  occorrono  nel  vasellino  di 
Cuma,  ove  però  il  costume  delle  Amazzoni  fa  deciso 
contrasto  con  quello  più  semplice  de'  Greci  eroi ,  i 
quali  miransi  perfettamente  nudi  ,  senza  neppure  la 
clamide  tanto  solita  a  vedersi  ne'  monumenti  attri- 


ti) Di  quesle  armature  diverse  veggasi  il  Boelliger  Vasengemtild. 
IH  p.  173  segg  ,  il  Visconti  nella  dissertazione  premessa  al  Cab. 
Pourtaìh  del  eh.  Panofka  p.  10,11;  il  eh.  Comm.  Quaranta  in  al- 
cune memorie  da  lui  presentate  alla  Reale  Accademia  Ercolanese, 
e  lo  Schulz  (  Amazonen-Vdse  von  lìuvo  Leipzig  1851  pag.  5  e 
C),  di  cui  deploriamo  la  immatura  morte.  Queste  osservazioni  dello 
Schulz  si  riferiscono  al  magnifico  vaso  del  nostro  real  Museo,  con 
battaglia  amazzonica,  ove  le  Amazzoni  offrono  pure  simile  varietà 
di  abbigliamento  e  di  costume. 

10 


—  7  + 


buila  a  Greci  comballenli.  Ed  anche  io  questo 'noi 
ravvisiamo  la  diligenza  ed  il  sapere  dell' artista  ,  che 
Irascelse  le  più  variale  l'orme  per  render  più  bello  il 
suo  lavoro. 

La  composizione  che  abbiamo  sotto  gli  occhi  vien 
costituita  di  due  ordini  di  figure  distinte  in  cinque 
gruppi ,  ed  in  un  guerriero  isolato.  Neil'  ordine  su- 
periore l' adico  eroe  Ttsco  9H5T2Ì  (sic)  assalta  l'A- 
mazzone MTIANÈ  Miane,  mentre  la  costei  compa- 
gna Laodoce  AAOAOKH  dassi  a  precipitosa  fuga.  11 
secondo  gruppo  ci  offre  1'  Amazzone  Olimene  KAT— 
MEMI  nel  punto  di  esser  trafitta  dall'  asta  di  Faterò 
<&AAHPOS.  È  notevole  che  questa  Olimene,  e  pel 
modo  dignitoso  in  che  si  addimostra  presso  a  cadere, 
e  per  Io  più  nobile  abbigliamento,  dee  riputarsi  la 
principale  fra  tutte  le  Amazzoni ,  forse  la  regina  e 
condottiera  di  quella  femminile  spedizione. Finalmente 
nel  terzo  gruppo  l'Amazzone  forse  Aristomcuihe  APIS- 
£TOM<\...  è  alle  prese  con  J/onico  MONI-f-OS.Nel- 
I'  ordine  inferiore  Filaco  *TAAK<X§  è  sul  punto 
di  ferire  l'Amazzone  Crcusa  KPEO^A  già  caduta  so- 
pra un  ginocchio;  quando  una  saetta  gli  colpisce  il 
petto,  lanciala  da  un'Amazzone  saettatrice,  di  cui  non 
fu  serbato  il  nome  per  essere  in  quel  sito  mancante  un 
frammento.  Nel  secondo  gruppo  il  guerriero  Aslioco 
A^TTO+O^  vibra  la  lunga  asta  contro  l'Amazzone 
Oeyale  QKTA[A]H,  la  quale  cerca  di  offenderlo  colle 
frecce.  Chiude  la  composizione  un  giovine  ferito  nel 
fianco  assiso  col  capo  penzoloni ,  e  recando  la  destra 
alla  sanguinante  piaga:  il  suo  nome  è  IOPAS.  Vicino 
è  un  alberello  di  ulivo. 

A  bene  intender  la  scena  che  ci  si  offre  agli  sguar- 
di,  si  consideri  che  trattasi  di  una  delle  pugne  di  Te- 
seo colle  scitiche  donne.  Teseo  ritrovossi  a  fronte 
delle  Amazzoni  varie  volle  ,  secondo  le  Iradizioni. 
Narrano  alcuni  com'egli  accompagnò  Alcide  alla  spe- 
dizione del  Termodonle  (Iustin.  lib.  II  e. IV;  Pausan. 
I,  2,  5  cf.  V,  11,  2;  Lycophr.  Cass.  1327  s. ,  ed  ivi 
Tzctze;  Diodoro  Sic.  lib.  IV  toni.  Ili  p.  51,  83,  s.  ed. 
Bip.;  Plutarco  in  Thes.  p.13  F;Zenob.  Proverb.  cenf. 
V,  33;  Etimol.  gr.  v.  *BJteros  p.  402,  13). 

Altre  Iradizioni  suppongono  una  seconda  spedizione 
di  Greci  contro  le  Amazzoni ,  della  quale  Teseo  è  il 


protagonista  (Hellanici  fragni,  p.  1 17  ed.  Slurz:  Plu- 
tarch.  in  Thes.  p.  12  A:  cf.  Philochori  fragni.  p.34, 
35  ed.  Siebelis).  Narrava  Pindaro  che  Antiope  fu  ra- 
pita da  Teseo  e  da  Piriloo  (ap.  Pausan.  1,2,  5) ,  e  che 
da  lei  fu  partorito  Demofoonle  (Plut.  in  Thes.  t. 1  p. 
13  D  cf.  Pindari  fragni.  XX  p.  90  ed.  Heyne).  A  ciò 
ha  relazione  quel  che  dice  Servio  che  Antiope  figlia 
d' Ippolita  fu  rapila  da  Teseo  (  ad  Aen.  XI,  661  )  ;  e 
questo  intende  pure  Dione  Crisostomo,  quando  avver- 
te che  Teseo  rapì  dal  Termodonle  una  delle  Amaz- 
zoni \>.iw  twv  'A\x%{Óvujv  (Orai.  XI.  p.  163  D).  Me- 
rita di  essere  qui  richiamalo  un  bellissimo  vaso  di 
Canino  ,  che  illustra  perfettamente  la  tradizione  da 
Pindaro  riferita.  Si  rappresenta  in  esso  l' eroe  Ate- 
niese assistito  da  Piritoo  e  da  Forbante  indicati  dai 
uomi  IlEPieoS  e  <I>OPBAS  (de  Wille  catalogne 
d'  une  coìlect.  de  vas.  cf  Etrurie  n.  115,  Raoul-Ro- 
chclle  letlr.  archéol.  p.  57  ).  Altra  rappresentazione 
del  ratio  di  Antiope  è  in  un  altro  vaso  del  gabinetto 
Durand  ,  pubblicato  ne  monumenti  ined.  dell'  Istituto 
toni.  I  pi.  LIV  e  LV,  colla  illustrazione  del  eh.  sig. 
Duca  de  Luynes  (  Annoi,  t.  V  p.  240segg.  cf.  Wel- 
cker  alte  Denhm.  Ili  p.  486).  Vedesi  in  esso  Teseo 
GESETSe  Piriloo  IIEPIQOS  (1),  manca  la  pre- 
senza di  Forbanle.  Non  parlo  qui  di  altro  vaso  ,  ove 
pur  si  vede  l'Amazzone  Antiope  in  rapporto  con  Te- 
seo (de  Witte  catal.  étrusque  n.  110;  Gerhard  auserl. 
Vasenbild.  168,  Welcker  alle  Denkm.  IH  pag.  352: 
Iahu  Mìhichen  Vasensamm.  n.  410);  giacché  do- 
vremo far  sullo  slesso  una  più  ampia  discussione  in 
altro  nostro  lavoro.  Vedi  intanto  su  quesle  tradizioni 
amazzoniche  ,  e  su'  monumenti  che  vi  si  riferiscono 
il  Welcker  (  annali  dell'  ht.  1847  pag.  294-304  , 
ed  alte  Denkm.  Ili  pag.  353  segg.  ). 

Finalmente  altre  numerose  Iradizioni  parlano  della 
venuta  delle  Amazzoni  nell'Attica  per  vendicar  l'af- 
fronto ricevuto  al  Termodonte.Teseo  ricevè  fieramente 
quelle  nemiche  schiere,  e  parlasi  della  stragoda  lui  ar- 
recala alle  Amazzoni,  nominandosi  particolarmente  la 
saettatrice  Molpadia.  De'quali  fatti  furono  da  noi  rav- 
visale la  prima  volta  alcune  rappresentazioni  appun- 

(1)  Sulla  primitiva  ortografia  del  nome  di  Piriloo  veggas!  ciò  che 
fu  da  me  osservalo  nel  bullel.  dell'  Ist.  18*3  pag.  104  segg. 


ti  — 


(o  Su'vasi  dipinti  (BulLarch.  nop.ant.ser.an.I  pag.  77). 
Della  venula  delle  Amazzoni  uell' Attica  si  parla  pri- 
mamente da  Erodoto  (lib.  IX,  27),  e  poi  da  Ellanico 
(Tzelze  ad  Lycophr.  1332),  nel  Chronicon  Parlimi 
(V,36:  cf.  Boeckh  corp.  inscr.  ijr.  t.  I  pag.301,  e  le 
note  alla  p.315),  da  Amano  (de  cxp.Akx.  lib.  VII  e.  13 
§  10),  da  Strabone  (lib.  XI  e.  5  §  3  I.  11  p.  450  ed. 
Cramer),  daPausania  (lib.I  e. 2  e  41),  da  Diodoro  Si- 
culo (lib.  IV,  2H),  e  da  Plutarco  (in  Thes.  pag.  13). 
Varii  molivi  si  allegavano  di  questa  spedizione,  della 
cui  origine  può  vedersi  ciò  che  scrisse  il  Boettiger 
(  Vasengemaelde  III,  108).  É  notabile  che  l'attico  ora- 
tore Lisia  dice  esser  venule  in  Grecia  le  Amazzoni 
per  provare  le  forze  loro  con   quelle  de'  Greci ,  de' 
quali  alto  suonava  la  fama  [Orai.  II,  54  et  seq.  edit. 
Reiske).  Abbiamo  voluto  qui  ricordare  queste  diffe- 
renti tradizioni ,  per  aprirci  la  via  alla  intelligenza 
del  nuovo  vasculario  dipinto  che  abbiamo  sotto  gli 
sguardi.  È  evidente  che  in  tutti  que'  monumenti,  ne' 
quali  vedesi  Te.veo  e  manca  la  presenza  di  Alcide,  dee 
la  spiegazione  restringersi  o  alla  guerra  da  Teseo  por- 
tata sulle  colchiche  spiagge,  ovvero  a  quella  che  av- 
venne nell'  Attica  per  l'Amazzonica  invasione. 

Moltissimi  sono  i  monumenti  che  ci  presentano 
battaglie  di  Amazzoni,  ma  difficile  riesce  determinar- 
ne i  soggetti ,  ed  il  silo  della  scena.  I  nostri  lavori 
sulle  tradizioni  e  su'  monumenti  amazzonici  ci  han 
portato  a  distinguere ,  e  ravvisare  non  poche  volle 
1'  azione  rappresentala.  Debbo  non  pertanto  avvertire 
che  ne' vasi  dipinti  ben  più  frequente  dobbiamo  ripu- 
tare la  battaglia  nell'Attica;  come  quella  che  maggiore 
interesse  risvegliava  ne'  popoli  greci, e  principalmente 
negli  Ateniesi ,  riportandosi  a  popolari  e  locali  tradi- 
zioni ,  le  quali  lasciarmi  tracce  benanche  ne'  monu- 
menti di  quella  elegante  nazione. 

Sono  ben  lungi  dal  volere  in  questo  luogo  ram- 
mentare gl'infiniti  monumenti  ritraenti  quella  famosa 
battaglia  (  Labus  museo  di  Mantova  tom.  Ili  tav.  IV: 
Millingen  peintur.  ani.  inéd.  de  vas.  eie.  pi.  XXXVI, 
XXXVII,  XXXVIII,  v.  la  p.  58:  Iogbirami  pilt.  di 
vasi  fili.  ani.  t.  III  lav.  CCXXVI  e  CCCCXG:  Millin 
mon.  ant.  inéd.  I,  351  e  galér.  mylhol.  t.  lì  p.  48 
tab.  CXXIX  n.  495  :  Panofka   Cab.   Potutale*  tav. 


XXXV,  e  XXXVI;  Scimi/  die  Amazone-Vase  con  Hu- 
vo  Leipzig  1851;  cf.  ciò  che  ho  detto  nel  bull.  arch. 
nap.  ani.  ser.  an.  I  p.7G  e  n.  scr.  ari.  II  pag.  80  eie. 
eie).  Ma  non  posso  tacere  del  celebre  quadro  di  Mi- 
cone  eseguilo  nella  Perite  in  Alene  ,  del  quale  parlano 
Pausania  (I,  15,  2,  n.  36-37  1. 1  p.  03  edit.  Siebelis: 
cf.  PJin.  XXXV,  9  sect.  95) ,  ed  Aristofane  (Lysistr. 
G79-G80;  ag.  lo  Scoliaste  ad  h.  I.  cf.  Sillig.  Calai,  ar- 
lif.  pag.  275,  Boetliger  Vaseng.  Ili  p.  169,  Millin 
monum.  inéd.  t.  I  pag.  3 47,  e  Uaoul-Hocheltc  póni. 
ant.  inéd.  p.  140,  174,  175).  In  esso  le  Amazzoni  ve- 
devansi  pugnare  a  cavallo,  come  chiaramente  rilevasi 
dal  citato  luogo  di  Aristofane: 

•  •  •  *  tàì  o  'Afjia^was  gx-Óttìi, 
''AsMixuiy  sypx^ey  1$  'ihnrujv  [Aa£OfA=Ws  foiS «v<jpa<W. 
Soltanto  qui  di  passaggio  piacemi  di  fare  una  osser- 
vazione, ed  è  che  il  pittore  Ateniese  aveva  dipinte  fra 
loro  in  rapporto  la  batlaglia  di  Teseo  contro  le  Amaz- 
zoni ,  e  quella  contro  i  Persiani  a  Maratona.  Questa 
scelta  de'  due  soggetti  merita  di  essere  richiamala  a 
confronto  col  magnifico  vaso  de'Persiani  da  noi  pre- 
cedentemente illustrato  (v.  questo  bull.  an.  II  p.  129 
e  169),  ove  appunto  una  battaglia  di  Greci  ed  Amaz- 
zoni, certamente  relativa  all'Attico  eroe  Teseo,  vedesi 
accoppiata  ad  una  scena ,  che  accenna  alla  rolla  di 
Salamina. 

Allo  stesso  Micone  si  attribuisce  un'  altra  pugna 
fra  gli  Ateniesi  e  le  Amazzoni,  che  vedevasi  nel  Te- 
seo in  Atene  (Sillig  Calai,  ari.  p.  276;  Raoul-Ro- 
chelte  leltr.  archéol.  p.  30).  Di  questa  non  sappiamo 
le  particolarità  ,  e  se  le  Amazzoni  si  presentassero 
combattenti  a  piedi  ovvero  a  cavallo. 

Queste  opere  di  un  gran  maestro  noi  ricordiamo 
in  (al  luogo,  perchè  è  probabile  che  l'artista  del  cu- 
mano  vaso  s'ispirasse  alle  più  belle  produzioni  del- 
l' arte  Aleniese  ,  principalmente  perchè  aveva  a  trat- 
tare il  medesimo  soggello  che  Micone  ripetè  due  volle 
nella  sua  patria.  E  risaputo  che  in  altri  dipinti  vascu- 
larii  furono  ravvisate  reminiscenze  ed  imitazioni  di 
Polignoto  (Welcker  alte  Denhnàler  voi.  IH  p.  105, 
seg.,  179  segg.,  445  segg.  452  seg.  ).  Non  sarà  dun- 
que a  noi  negato  di  riconoscere  le  tracce  del  genio 
di  Micone  nel  vasellino  Cumano  ,  il  quale  se  non  fu 


—  7G  — 


eseguilo  in  Atene ,   è  però  senza  dubbio  dovuto  ad 
Un'artista  ispiralo  a' prodotti  di  quella  nobile  scuola. 

Da  quanto  abbiamo  detto  si  è  potuto  con  facilità 
rilevare  quale  fosse  la  nostra  opinione  sul  soggetto 
rappresentato  nel  nostro  monumento.  Noi  crediamo 
die  ci  si  offra  la  pugna  nell'Attica,  tratta  forse  dalla 
simile  pugna  dipinta  nel  Teseo.  E  questa  nostra  opi- 
nione sarà  meglio  dimostrata  ,  dopoché  avremo  fatte 
alcune  considerazioni  sopra  ciascuno  de'nomi  de'greci 
eroi,  i  quali  prendono  parte  all'accanita  battaglia. 

Primo  è  l'eroe  difensore  di  Atene  Teseo,  che  l'ar- 
tista indicava  col  nome  di  ©HiiTì;,  omettendo  per 
oscitanza  una  lettera  invece  di  0HSETf% 

L' altro  eroe  è  Fabro ,  il  quale  die  nome  ad  un 
porto  e  ad  un  demo  di  Atene(  Pausan.lib.I  cap.l  et  4). 

Narrava  Pausauia  che  un  Falero  accompagnò  Gia- 
sone alla  spedizione  di  Coleo  (l.c):  ed  è  forse  questo 
medesimo  Argonauta,  a  cui  si  attribuiva  l'ajuto  pre- 
stato a  Teseo  nell'Attica.  Di  fatti  lo  stesso  Pausania  ne 
avverte,  che  nel  porto  di  Falero  erauo  le  are  degli  eroi 
Teseo  e  Falero,  e  de' costoro  figliuoli.  In  un  fram- 
mento di  cratere  pubblicato  dal  eh.  sig.  DucadeLuy- 
nes  (1)  si  vede  un'Amazzone  a  cavallo,  che  impu- 
gna l'asta,  nella  quale  il  dotto  editore  riconosce  An- 
tiope dalle  tracce  della  epigrafe  che  vi  è  segnata  da 
presso.  Di  contro  son  due  guerrieri  :  il  primo  è  cer- 
tamente Teseo,  l'altro  ha  scritto  di  sopra  <I>AUE[P]Oj. 
Ora  il  vasellino  cumano  dà  un  nuovo  confronto  a 
questa  relazione  de'  due  attici  eroi ,  che  già  si  vede 
ripetuta  due  volte.  E  da  questo  confronto  noi  opinia- 
mo che  il  vaso  del  sig.  Duca  de  Luynes  dinoli  ap- 
punto la  pugua  nell'Attica ,  come  faremo  meglio  os- 
servare tra  poco. 

Più  interessante  è  il  personaggio  MONI-f-Oj,  eh'  è 
un  altro  eroe  famoso  figlio  di  Panfacle  ,  il  quale  die 
nome  al  porto  Munichio  in  Atene  (  Movvl%ì'<x.  vedi 
Eurip.  Hippoì.  700,  s.,  Stcph.Byz.v.Moi/vjxia),  secon- 
do una  tradizione  di  Ellanico(Harpocration,  Suidas  d. 
r.,Photius  Lex.  p.  203).  Giova  ricordare  questa  nar- 
razione di  Ellanico  riportala  da  Ulpiano  (ad  Demosth. 
de  cor.  45).  Racconta  questo  annotatore  di  Demostene 
che  i  Traci  occupando  Orcomeno  Minieo  della  Beozia, 

(1)  Choix  de  vas.  pi.  XLIII. 


ne  discacciarono  gli  abilatori ,  i  quali  ricorsero  al  re 
Mimico  in  Atene.  E  poiché  questi  permise  agli  Orco- 
menii  di  stabilire  lor  sede  vicino  al  porto  Munichio , 
quelli  così  lo  chiamarono  in  onore  del  loro  ospite.  È 
stato  osservato  da5  dotli  la  varietà  di  ortografia  fra 
Moórixps  e  Mouw%ps  non  solo  in  questo  eroe,  ma  an- 
che nell'altro  figlio  di  Driante  ricordalo  da  Antonino 
Liberale  (inchini,  e.  14.  Veggasi  quel  che  nota  il  Din— 
dorf  nel  nuovo  tesoro  di  Stefano  v.  Mot/virala  e  Moy- 
wxpi).  Il  nostro  vaso  dà  la  spiegazione  di  questa  va- 
rietà. Troviamo  in  esso  l'eroe  chiamalo  MoNI-j-oS: 
e  noi  opiniamo  che  sia  questa  la  dialettica  forma  eoli- 
ca, alla  quale  fa  bel  riscontro  il  nome  del  magistrato 
MONIXOS  nelle  medaglie  della  eolica  Cyme  (Mionnet 
descr.  voi. VI  p.  13,  100).  Senz' alcun  dubbio  la  mu- 
tazione dell'  ov  in  w ,  e  dell'  u  in  /  furono  ravvisate 
nell'eolico  dialetto  (Ahrens  de  dial.Aeol.et  pseudaeol. 
§  14  pag.  93,  s.  et  §  12  pag.  81).  A  noi  pare  dun- 
que che  la  denominazione  di  Mww^os  data  all'  eroe 
Ateniese,  fosse  dovuta  a'  Beoti,  che  per  la  tradizione 
di  Ellanico  abitarono  il  porto  Munichio.  Quindi  nac- 
que la  variabile  ortografia  ;  secondo  che  quella  voce 
veniva  pronunziata  da'  Beoti  stabiliti  nell'  Attica  ,  o 
dagl'indigeni  Ateniesi.  Ed  in  quanto  al  nostro  vaso, 
la  ortografia  MONIXOS  è  dovuta  pure  al  dialetto 
eolico,  che  fu  in  Curna  trasferito  dalle  colonie  eoliche. 
Adunque  nell'ordine  superiore  veggonsi  gli  eroi 
di  Atene,  che  superano  le  Amazzoni  combattenti. 
Teseo,  Falero,  Munico  che  lasciarono  i  loro  nomi  a' 
monumenti  della  patria,  valgono  secondo  noi  ad  espri- 
mere che  il  fatto  succede  appunto  in  Atene  presso  il 
porto  di  Falero ,  presso  il  porto  Munichio,  ed  il  Te- 
seo ;  ove  tante  memorie  si  rannodavano  a'  nomi  di 
questi  esseri  quasi  divinizzali.  Pare  che  l'eroe  Mu- 
nico si  faccia  precedere  di  età  Teseo;  perciocché  Del- 
l' Ippolito  di  Euripide  ,  ove  è  in  azione  lo  stesso  Te- 
seo, il  coro  parla  appunto  del  porto  di  Munico.  Que- 
sto potrebbe  far  trovare  una  contraddizione  nel  no- 
stro monumento,  ove  si  pone  contemporaneo  a  Teseo. 
Ma  facilmente  si  spiega  con  un'  apparizione,  non  al- 
trimenti che  racconta  Pausania  essere  sorte  dalla  terra 
le  figure  degli  eroi  di  Delfo  a  spaventare  i  Galli:  egli 
nomina  Iperoco ,  Laodoco ,  Pirro ,  e  Filaco  (  lib. 


—  77  — 


X  cap.  XXHI  ).  Non  è  qui  diverso  il  caso:  indipen- 
dentemente dalla  osservazione  che  i  tre  eroi  figurano 
gli  Ateniesi,  che  accorrono  da  tutti  i  punti  ad  allon- 
tanare la  straniera  invasione. 

I  guerrieri  dell'  ordine  inferiore  lungi  dall'  essere 
eroi  celebrati  nelle  attiche  tradizioni,  figurano,  a  no- 
stro avviso,  la  turba  de'  combattenti  Ateniesi,  i  quali 
lasciano  la  vita  sotto  i  colpi  delle  loro  nemiche:  essi 
feriscono  e  sono  feriti.  Ci  sembra  notevolissimo  che 
i  tre  nomi  trascelli  ad  indicare  questi  comuni  guer- 
rieri tendono  alla  medesima  intelligenza. 

Tale  si  è  il  nome  di  'Affrvoxos ,  j^ossessore  della 
città  ,  che  corrisponde  quasi  ad  Ateniese ,  giacché  è 
bcu  noto  che  Atene  venne  denominata  da'  Greci  la 
città  acro  ,  non  altrimenti  che  Urbs  venne  ad  indi- 
care la  massima  Roma:  ambedue  centri  di  due  grandi 
civiltà  (adnotation.  ad  Cornei.  Nepot.  TheniisL).  Sic- 
ché xnrvoxpi  altro  non  può  dinotare  che  difensore 
di  Alene;  ed  è  in  compagnia  di  altri  guerrieri,  i  cui 
nomi  presentano  pure  la  intelligenza  de' difensori  della 
città.  Tale  si  è  Filaco,  che  proveniente  da  $i/Xa'i7cra>, 
indica  la  custodia  delle  sentinelle:  tale  si  è  'lcópis,  no- 
me derivalo  da  iwpag,  che  appunto  nell'Attica  indi- 
cava portinaio,  custode  fòupuig&s  $('X«|  Suid.  h.  v.  cf. 
Gaisford.  p.  87  ).  Onde  per  noi  questo  secondo  or- 
dine di  figure  indica  la  città  difesa  dalle  sentinelle  e 
dalle  guardie ,  che  mal  potettero  reggere  all'  impelo 
delle  donne  guerriere  ,  le  quali  perù  vanno  incontro 
a  morte  e  sterminio,  allorché  vengono  alle  mani  co' 
forti  eroi  a  cui  non  possono  paragonarsi. 

L'altra  particolarità  degna  di  osservazione  desti- 
nata ad  indicare  il  territorio  di  Alene  è  l' alheretto  di 
ulivo  ,  simbolo  proprio  di  quella  regione,  al  quale  si 
attribuì  la  mitica  origine  del  certame  fra  Nettuno  e 
Minerva  ;  e  che  non  mancò  giammai  di  mostrarsi  in 
quel  suolo,  ove  al  riferir  di  Pausania  si  vide  tosto  ri- 
sorgere ,  quando  venne  bruciato  da'  Persiani  (  lib.  I 
cap.  XXVII,  2  ).  La  morente  guardia  (twpos)  pro- 
priamente vicina  alla  simbolica  pianta,  addita  come 
le  sentinelle  non  furono  bastevoli  a  difendere  i  con- 
fini dell'  Attica. 

Spiegato  il  senso  generale  di  lutto  il  dipinto,  ri- 
mane a  dir  qualche  cosa  de'  differenti  nomi  Amazzo- 


nici ,  i  quali  si  trovano  del  tutto  diversi  da  quelli  fi- 
nora conosciuti  negli  antichi  scrittori  e  ne'  monumenti. 

E  pria  d' ogni  altra  cosa  avvertiamo  che  non  ve- 
dendosi le  celebri  Amazzoni  Antiope  ed  Ippolita,  pa- 
re possa  dedursene  che  l' artista  non  volle  accennare 
a  quelle  tradizioni  che  facevano  nell'Attica  venire 
quella  schiera  nemica  per  vendicarsi  del  ricevuto  af- 
fronto ;  o  che  dir  si  voglia  la  spedizione  di  Alcide  e 
degli  Argonauti ,  ovvero  il  ratio  di  Antiope  effet- 
tuato da  Teseo,  e  la  morte  delle  compagne.  In  (ulte 
queste  tradizioni  Ippolita  si  reca  ancor  essa  alla  spe- 
dizione nella  Grecia,  ed  è  la  condotterà  di  tutte  quante 
le  Amazzoni.  luvece  nel  monumento  che  abbiamo 
sotlo  gli  occhi  quella  che  addimostrasi  la  principale  fra 
tulle,  e  che  tiene  il  centro  della  composizione  ha  la 
denominazione  di  Clymene:  nome  assai  celebre  negli 
antichi  miti  per  le  molte  eroine ,  che  lo  portarono. 

Potrebbe  infanto  supporsi  die  la  famigerata  Ippo- 
lita volle  dall'artista  indicarsi  coli'  epiteto  di  KXufAsryj 
destinato  ad  additarne  la  fama  e  la  celebrità. 

Falla  quesla  avvertenza,  diremo  poche  parole  sulla 
intelligenza  di  ognuno  di  que'  nomi. 

Non  offre  alcuna  difficoltà  il  nome  API^XTO- 
M(AXH),  come  quello  che  accenna  o  alla  qualità  di 
ottima  pugnalrice,  ovvero  di  guerriera  che  prova  le 
sue  forze  co'  più  valorosi.  Nomi  Amazzonici  di  simi- 
le formazione  ci  presentano  i  monumenti.  Tali  sono 
'Av^pqx%xf\>  Asivo/ascx»),  EiV*x*l  (lahn  Milnchen  Va- 
sensammlung,  Einleitung  p.  CXVII1). 

Lo  stesso  va  detto  del  nome  12  KTA  AH  che  accen- 
na alla  velocità  de'  suoi  piedi  o  de'  suoi  movimenti;  e 
che  ricorda  il  nome  di  "XìXkx  presso  Diodoro  Siculo 
(lib.  IV  e.  16),  che  allude  alla  prestezza  ed  alla  fretta 
dell'  Amazzone  che  lo  portava. 

Climene ,  Creusa  sono  nomi  già  noti  nelle  favole  , 
e  di  facile  intelligenza,  che  possono  senza  dubbio  ap- 
plicarsi ad  Amazzoni ,  come  a'  mitici  personaggi  che 
ne  furono  insigniti. 

Il  nome  AaoSww)  va  paragonato  al  mitico  nomo 
Aa.o'Soxof,  ed  a'  simili  A^c^oxt}  e  AyxóSoxos,  Kvixo- 
$óxv]  etc. 

Resta  a  dir  qualche  cosa  dell'  Amazzone  denomi- 
nata MTIANE  Mi/ww).  È  noto  che  alcune  donne  eb- 


78  — 


boro  il  nome  di  Mero.  Mosca;  e  sembra  che  Mcr/vr) 
abbia  una  medesima  derivazione.  Ma  vedendo  un  tal 
nome  applicato  ad  una  guerriera  munita  dell'  arco  e 
delle  saette ,  mi  sovviene  che  yuuUi  furono  in  epoca 
più  vicina  appellate  alcune  piccole  saette  ,  le  quali 
forse  presero  un  tal  nome  dalle  punture  che  produ- 
cevano (  Leo  Taci.  XIX,  53  )  ;  la  quale  idea  trova  un 
appoggio  nella  simile  intelligenza  data  alle  posteriori 
ìimschcltae,  ed  a'  moschetti,  che  pur  tanto  danno  ar- 
recano alla  vita  de'  combattenti.  Da  questi  confronti 
sarebbe  taluuo  troppo  ardito,  se  dar  volesse  alla  no- 
stra saettatrice  Mwcóv]  l'epiteto  di  moschctliera? 

Ritorno  a  considerar  le  iscrizioni  del  nostro  vaso 
sotto  un'altro  punto  di  vista.  Osservo  che  vedesi in- 
distintamente adoperata  la  duplice  forma  dell'  Ci  e  del- 
l' O  :  così  nella  voce  Mov;x°S  >  IoP*5  ,  Kpeoffa,  invece 
di  MumxfiS,  Iwpas,  Kpswcrcc;  mentre  l'iìè  usato  già 
nella  voce  iìxvaXt\.  Così  mentre  la  forma  dell'  H  è 
in  tutte  le  altre  voci  introdotta,  scorgesi  poi  1'  Enel- 
la  parola  Muixvs.  Questa  variabile  ortografia  pruova 
non  essersi  in  quell'epoca  perfettamente  generalizza- 
te le  forme  delle  vocali  lunghe;  sì  che  non  avvenisse 
talvolta  di  adoperare  le  forme  precedenti. 

E  per  quel  che  concerne  la  ortografia  Ap/ffirro.^x- 
Xr,  con  duplice  s  ricordo  che  altri  non  pochi  esem- 
pli ce  ne  fornisce  la  greca  epigrafia  (Franz,  clem.cpigr. 
gr.  pag.  49). 

Noi  saremo  contenti  a  citare  i  vasi  dipinti ,  ove 
una  simile  orlografia  non  di  rado  s'incontra.  Così 
trovasi  KA5XTOP  varie  volte  (de  Wilte  caf.&r.  120 
cab.  Bcugnol  45  ;  Urlichs  Iahrb.  des  rheinl.  Vereins 
li  p.  58  afch.  Anz.  IX  p.  34,  12),  Aì^TEAS  ne" 
vasi  di  Pesto  e  di  Bari  del  Real  Museo  Borbonico 
(Gerhard  Ncap.  ani.  BiUlw.  p.  353:  Milling.  pcinl. 
ani.  ìnciì.devas.XL\\,C:  anc.  uned.  wion.1,27;  Millin 
jicint.  ile  ras.  I  pi,  X;  (larghilo  raccolta  II,  35;  Beai 
Mas.  Borbonico  XIV,  28);  A25TEPOITH  nel  cele- 
bre vaso  di  Midia  (Gerhard  Midiasvase  negli  alti  della 
r.  accad.  di  Berlino  1839)  ;  e  IIOAT*PAS$M$ÌN 
in  un  vaso  del  real  museo  di  Monaco  (lahn  MHnchen 
Yascnsamml.  a.  793). 

L' altra  osservazione  concerne  il  dialetto  eolico,  di 
cui  si  ravvisano  le  tracce  in  alcune  epigrafi.  Noi  già 


facemmo  una  tale  avvertenza  per  quel  che  spetta  al 
nome  Mumxps:  ma  certamente  la  medesima  osserva- 
zione si  presenta  spontanea  e  nella  voce  Kpsw<rx  in 
luogo  di  Kpsoyffa  ,  e  nel  finimento  della  voce  Iwpxs. 
Queste  varietà  di  dialetto  in  un  monumento  rinvenu- 
to a  Cuma  ricordano  le  colonie  Eoliche  ed  Euboi- 
che,  le  quali  rccaronsi  in  differenti  epoche  ad  abitar- 
la (  Corcia  Storia  voi.  II  p.  101  esegg.  Garrucci  bull, 
arch.  nap.  an.  I  p.  130  seg.  ).  E  questa  circostanza 
ci  fa  creder  lavorato  nella  stessa  Cuma  il  vasellinodi 
S.  A.  R.  il  Conte  di  Siracusa,  piuttosto  che  in  Ate- 
ne ;  sebbene ,  come  dianzi  avvertimmo  ,  vi  è  tutta  la 
ragion  di  credere  che  fosse  un  ai  lista  imbevuto  de' 
princìpii  della  scuola  Ateniese. 

Un  soggetto  Amazzonico  è  molto  interessante  in 
un  monumento  Cumano,  e  principalmente  nel  modo 
come  vedesi  trattato.  È  noto  che  di  Cuma  (  KiVn) 
riconoscevasi  la  origine  dalla  eolica  Kvfiri  (Corcia, 
Garrucci  //.ce).  Or  questa  ebbe  la  sua  denominazione 
da  una  delle  Amazzoni.  Sicché  il  mito  delle  Amazzo- 
ni ,  e  degli  eroi  Ateniesi  era  proprio  di  quelle  popo- 
lazioni, che  vennero  ad  abitare  le  spiagge  di  Cuma. 

Un'  ultima  particolarità  ci  sembra  degnissima  di 
osservazione  nel  prezioso  giojello,  di  che  stiam  fa- 
vellando. Evidentemente  la  parte  più  nobile  di  tutta 
la  composizione  è  attribuita  all'  eroe  Falero:  egli  ap- 
parisce nel  mezzo  di  tutti  i  Greci  combattenti  ;  a  lui 
tocca  di  vincere  la  Clymcne,  Amazzone  che  dalla  sua 
armatura,  e  dal  sito  da  lei  occupato,  mostrasi  la  re- 
gina e  la  condotlicra  delle  altre.  Volendo  dare  una 
spiegazione  di  questa  evidente  predilezione  per  l'eroe 
Falero  ,  ci  sovviene  alla  mente  quel  Falero  ricordalo 
da  Stefano  Bizantino  siccome  una  città  della  Campania 
(  v.  <P<&*jpor):  e  la  rópffts  ^aX^pou  mentovala  da 
Licofrone  (Cass.  v."717).L'Ignarra  ed  altri  dotti  scrit- 
tori traggono  queste  denominazioni  dalle  colonie  pe- 
lasgiche  (Ignarra  de  Phratr.  p.  80-8 1 ,  Corcia  Storia 
t.  II  p.  252  segg.). 

Il  eh.  Comm.  Quaranta  si  diffuse  a  parlare  di  Fa- 
lero, e  della  torre  di  Fulcro,  proponendo  di  quel  no- 
me varie  etimologie,  e  riconoscendo  la  simile  deriva- 
zione di  significalo  locale  nelle  varie  città  di  analoga 
denominazione  ;  quali  sarebbero  Palarla,  Fahtarna, 


'9  - 


Falanna  ,  e  Fulcro  Y  antichissimo  porlo  di  Alene 
(Xapoli  e  i  luoghi  celebri  delle  sue  vicinanze  voi.  1  p. 
3G  seg.).  A  noi  sembra  che  non  faccia  mestieri  ricor- 
rere alle  colonie  pelasgiche,  e  ad  una  generale  deri- 
vazione. Certamente  in  Cuma  recossi  una  colonia 
Ateniese  insieme  co'  Calcidesi  ed  i  Cinici  dell'  Eo- 
lia :  ed  è  probabile  che  quella  colonia  Ateniese  tra- 
sportasse in  Italia  il  nome  di  un  suo  eroe ,  di  un 
suo  antichissimo  demos  (Ross  dicDemen  von  Attica  p. 
90  e  136  ed.  Meier  ),  e  del  suo  antichissimo  porto. 
E  questo  nome,  del  pari  che  il  nuovo  vaso  di  Cuma, 
che  dà  all'attico  eroe  Falero  la  prima  parte  nella  bat- 
taglia colle  Amazzoni ,  accennano  forse  alla  prepon- 
deranza di  quel  demos  nella  colonia  Cumaua  prove- 
niente dall' Attica.  Dello  stesso  modo  trovasi  attribuito 
agli  eroi  Falero  ed  Acamanle  la  fondazione  di  Soli 
SoXoi  città  di  Cipro  (  Slrabon.  lib.  XIV  cap.  6  §.  3 
t.  Ili  p.  177  Cramer),  probabilmente  perchè  indivi- 
dui del  demo  Falero,  e  della  tribù  Acamanlidc  si  re- 
carono ad  abitarla.  Noi  riconosciamo  queste  tracce 
di  atticismo  in  non  poche  fratrie  napolitano  ,  nelle 
quali  alcuni  dotti  ravvisarono  fondazione  pelasgica  ; 
mentre  il  solito  finimento  in  §vu  ci  fé  in  altro  no- 
stro lavoro  paragonare  i  demi  dell'Attica  colle  nostre 
fratrie. 

Di  falli  se  le  identiche  denominazioni  troviamo  da- 
te talvolta  a  queste  due  politiche  divisioni,  chi  polrà 
negarne  Ja  corrispondenza,  e  la  derivazione? Da  que- 
sta identità  ragionevolmente  desumesi  che  le  fratrie 
degli  Eunostidi  e  forse  dcgl'/one?  o  lonidi  presero  la 
origine  direttamente  dall'Attica  ,  dalla  quale  parte  di 
quei  demi  far  dovettero  passaggio  nella  nostra  Napoli. 
Così  gli  Eunostidi  mossero  dall'  Attica  a  recare  fra 
noi  il  loro  cullo,  e  non  già  come  suppone  l'Ignarra, 
una  trasmigrazione  Pelasgica  introdusse  il  culto  di 
Eunosto  ,  recandolo  da  Tanagra  della  Beozia.  Se  il 
culto  di  quell'eroe  si  vuol  riconoscere  ad  origine  del 
demo  degli  Eunostidi  dell'  Attica  ,  facilmente  il  con- 
sentiremo: ma  gli  Eunoslidi  di  Napoli  per  noi  allro 
non  sono  che  quei  dell'Attica  venuti  in  parte  a  popo- 
lare la  nostra  città.  E  lo  stesso  intenderemmo  degli 
lonidi,  ove  fosse  accertata  la  lezione  di  questa  fratria. 
Dello  stesso  modo  consideriamo  la  origine  del  nome 


di  Falero  ,  che  non  era  preesistente  alla  colonia  ate- 
niese, ma  tale  si  suppone  al  mitico  naufragio  di  Par- 
tenope. 

Tornando  al  vaso,  che  diede  argomento  a  queste  no- 
stre osservazioni,  veniamo  aduna  facile conchiusione. 
Certamente  l' Attico  eroe  Falero  omonimo  ad  un  silo 
abitato  da'  dimani,  che  vi  fondarono  Napoli,  doveva 
essere  in  peculiar  modo  venerato  da  essi:  e  perciò 
vedesi  figurato  in  più  nobile  guisa,  e  nella  più  visibile 
parie  del  nostro  classico  monumento. 

Del  resto  non  vo  tralasciar  di  notare  che  l' autor 
della  vita  di  Omero  pone  fra  primari  fondatori  di  Cy- 
me  dell'  Eolide  il  Tessalo  Teseo  (  Homcri  vita  2).  Sic- 
ché pur  la  persona  di  Teseo ,  omonimo  al  fondatore 
della  metropoli  della  italica  Cgme,  si  rannoda  alle  tra- 
dizioni locali ,  sebbene  si  vegga  in  altitudine  ed  in  po- 
sizione men  degna  di  Falero. 

Dalle  cose  finora  esposte  si  rileva  che  il  vasellino 
Cumano  fu  dipinlo  sotto  la  influeuza  delle  tradizioni, 
e  delle  opere  artistiche  dell'  Attica  ;  che  però  alcune 
particolari  circostanze ,  ed  alcune  forme  eolichcci 
richiamano  a  crederlo  eseguito  ne' siti  medesimi  ove 
fu  ritrovalo  dall'  Augusto  possessore. 

MlN'ERVIXI. 


Casa  di  M.  Lucrezio  in  Pompei.  Continuazione  del 
n.  precedente. 


Cubicolo.  Dall'atrio  si  passa  pure  in  un  cubicolo, 
eh' è  a  sinistra  del  tablino,  e  eh' è  semplicemente  de- 
coralo di  grottesche  :  vi  si  vede  l' incavo  per  qualche 
mobile  ,  forse  pel  letto. 

Fauces.  Alla  destra  del  tablino  è  un  corridoio  che 
serviva  di  comunicazione  col  rimanente  della  casa  :  è 
esso  ricoperto  con  semplice  intonaco  e  conduce  ad  un 
largo  compreso  destinato  pure  al  medesimo  oggetto  , 
non  che  a  dar  comunicazione  con  le  parli  più  elevate 
dell'  edificio  mercè  una  scaletta  ,  che  a  quelle  condu- 
ceva. Allo  slesso  uopo  era  destinato  altresì  il  corri- 
dojo  messo  alla  parte  posteriore  del  giardino.  E  que- 
sto dipinto  in  varie  orizzontali  zone.  La  prima  viene 


—  80 


coslituila  da!  giallo  zoccolo,  la  seconda  è  rossa  con 
varii  ornamenti ,  1'  ultima  è  bianca,  e  distinta  da  gra- 
ziosi fogliami.  Varii  quadrelli  spezzano  la  monotonia 
del  compartimento  di  mezzo.  Uno  ci  offre  un  toro 
marino  nuotante;  in  altro  è  altro  marino  mostro  con 
testa  di  Grifo:  e  così  pure  in  altri  vede  vansi  altri  mo- 
stri marini  ora  interamente  perduti.  In  altri  quadretti 
erano  ritratte  al  naturale  diverse  fruita  ;  ma  ora  la  vi- 
vacità de'  colori  in  alcuni  è  svanita  ,  altri  sono  slati 
tolti  e  trasportali  nel  Real  Museo  Borbonico.  Nel  pi- 
lastro angolare  del  giardino  vedesi  pure  dipinto  in 
campo  rosso  un  giallo  vaso  a  due  manichi  di  gran- 
dissime proporzioni.  Il  pavimento  di  questo  corridojo 
è  di  lapillo  vulcanico  con  pezzetti  di  bianco  marmo  : 
ed  è  slato  osservato  come  il  lavoro  n'  è  identico  a 
quello  de'  lastrici  adoperati  alle  coverture  delle  no- 
stre case.  Sul  suolo  è  un  foro  circolare  praticato  in 
un  sodo  quadrato  di  pietra  vesuviana,  e  ricoperto  da 
chiusura  di  marmo.  Non  sapremmo  se  quest'  aper- 
tura servisse  per  le  acque  inferiormente  raccolte,  ov- 
vero per  un  ventilatore  de' sotterranei  compresi.  Ulte- 
riori scavazioni  chiarir  potranno  una  tal  quistione. 

Stanze  al  dorso  del  peristilio.  Sul  descritto  corri- 
dojo apronsi  tre  stanze.  La  prima  più  vasta  delle  al- 
tre ha  duplice  entrata  :  fu  essa  determinala  per  un 
oecus  da  alcuni  ,  da  altri  per  un  cubicolo.  Tutta  la 
porzione  sinistra  di  questa  prima  stanza  non  è  affatto 
dipinta,  ma  ricoperta  di  semplice  intonico  bianco.  Il 
sig.  Bechi  pensa  alle  tapezzcrie  in  uso  presso  gli  an- 
tichi; ma  potrebbe  altresì  una  tale  particolarità  attri- 
buirsi a  mobili  od  armadii  che  vi  fossero  collocali. 
Nella  quale  idea  può  sembrar  probabile  la  congiun- 
tura del  sig..  Brelon ,  che  vi  riconosce  una  biblioteca 
(Pompeia  p.  304).  E  certamente  una  stanza  di  simile 
uso  mancar  non  dovea  nella  casa  di  M.  Lucrezio  ; 
mentre  il  proprietario  moslravasi  cotanto  amico  della 
drammatica  poesia  ,  della  quale  non  pochi  soggetti 
avea  fatto  effigiare  nelle  dipinte  pareti.  La  parte  di- 
pinta di  questa,  die  noi  diremo  biblioteca,  offre  varii 
compartimenti  di  grottesche  su  fondi  rossi ,  gialli  e 


biancbi  con  zoccolo  nero  :  fralle  grottesche  apparisce 
un  Amorino  alalo  con  simbolo  incerto.  Erano  in  que- 
sta stanza  due  quadretti ,  che  sono  stati  trasportati 
nel  real  museo  Borbonico.  Uno  di  essi  rappresenta 
Narcisso,  che  specchiasi  nelle  onde;  l'altro  il  mito  di 
Apollo  e  di  Dafne:  soggetti  già  conosciuti,  e  ripetu- 
tamente venuti  fuora  dagli  scavi  pompejani.  Riman- 
gono tuttora  in  parte  visibili  tre  leste  di  Baccanti,  che 
costeggiavano  i  due  quadri  più  grandi. 

La  stanza  media  ha  pavimento  di  opera  signina 
fregiala  di  pezzetti  di  marmo.  Le  solite  grottesche  or- 
nano le  pareti  con  varie  figurine,  traile  quali  un  Sa- 
tiro con  pedo  e  siringa  ,  ed  una  Ninfa  con  cesta  di 
fiori  e  fruita.  Più  in  giù  nel  campo  giallo  erano  tre 
quadretti  ora  interamente  perduti ,  circondati  da  A- 
morini.  Può  credersi  questo  un  cubicolo. 

Finalmente  la  terza  stanza  ha  pavimento  signino , 
e  soglia  di  marmo.  Le  pareli  gialle  sono  poco  orna- 
te ;  e  non  vi  si  scorge  alcuna  traccia  di  chiusura.  Vi 
si  vede  nell'angolo  un  poggiuolo  di  fabbrica  destinato 
forse  a  lavare  (latrina),  un  peso ,  ed  un  puleale  di 
terracotta;  i  quali  oggetti  ignoriamo  se  fossero  stati 
altronde  trasportati  in  questo  sito.  Può  riconoscersi 
in  questa  piccola  stanza  una  dispensa. 

Sotterranei — Cantina.  Dal  corridojo  medesimo  so- 
pra accennato  si  ha  l'accesso  ad  una  scaletta,  la  quale 
conduceva  a  sotterranei  compresi.  La  porta  di  questo 
sotterraneo  trovasi  murata  dagli  antichi  medesimi; 
ma  è  probabile  che  desse  adito  alla  cantina  :  colla 
quale  veniva  a  compiersi  questo  nobilissimo  edificio. 
E  qui  mi  sia  lecito  di  osservare  che  la  casa  di  Marco 
Lucrezio  offre  ben  quattro  differenti  piani  nella  sua 
costruzione  :  il  primo  vien  costituito  dal  sotterraneo; 
il  secondo  dalla  parte  più  nobile  della  casa,  che  ave- 
va l' entrata  dalla  strada  Stabiana  ;  il  terzo  si  estende 
dal  peristilio  a  (ulto  il  rimanente  dell' abitazione,  che 
aveva  l' entrata  dal  vicolelto  ;  e  finalmente  il  quarto 
era  formato  dalle  costruzioni ,  alle  quali  menavano 
le  differenti  scale ,  di  cui  furono  ritrovale  le  tracce. 
Continua  Minervini. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtàneo. 


BILLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  85.     (11.  dell'anno  IV.) 


Dicembre  1855. 


Casa  di  M.  Lucrezio  in  Pompei.  Contiti,  del  n.  preced. — Bibliografia.  Continuazione  del  n.  83. 


Casa  di  M.  Lucrezio  in  Pompei.  Continuazione 
del  n.  precedente. 

Non  sarà  discaro  ai  lettori  del  presente  bullettàio, 
che  noi  riportiamo  una  descrizione  de'  varii  oggetti 
rinvenuti  nella  importante  casa ,  di  cui  abbiamo  com- 
piuta la  descrizione. 

Oggetti  di  oro  e  di  argento. 

Tralasciando  la  particolar  menzione  di  due  monete 
dì  argento,  delle  quali  non  trovasi  la  determinazione 
nel  giornale  degli  scavi ,  faremo  unicamente  parola 
de' seguenti  oggetti,  che  sono  stati  da  noi  esaminali. 

Un  anellino  di  oro,  coli' ornamento  di  una  conchi- 
glia e  di  una  pietra  turchina:  ora  conservato  nel  Real 
Museo  Borbonico  fra  gli  oggetti  preziosi. 

Un  braccialetto  di  bronzo  ,  coli'  ornamento  di  un 
disco  di  argento  ,  ov'  è  figurata  la  testa  del  Sole  ra- 
diata (riportala  in  più  piccole  dimensioni  nell'opera 
de'  sig.  Niccolini  tavola  IV  fig.  14).  É  collocato  fra' 
bronzi  minuti  del  Real  Museo. 

Fra  gli  oggetti  preziosi  veggonsi  pur  conservati  i 
residui  del  nobile  letto  rinvenuto  nel  triclinio.  Si  veg- 
gono alcuni  pezzi  de'  bastoni  di  ferro  con  parte  del 
legno ,  onde  erano  costituiti  i  piedi  di  quel  mobile, 
con  una  porzione  del  rivestimento  di  argento.  Altri 
ornamenti  parimenti  di  argento  di  finissima  lamina, 
quasi  distrutti,  sono  il  solo  residuo  di  quella  impor- 
tante scoperta:  ed  è  spiacevole  che  non  ne  fu  tratto 
subito  un  disegno. 

AXXO  IV. 


Oggetti  di  bronzo,  di  ferro,  e  di  altri  metalli. 

Non  intendiamo  far  particolare  enumerazione  del- 
le diverse  serrature  rinvenute  in  varii  sili  della  casa, 
lucchetti  (pessuli) ,  arpioni  (cardimi) ,  chiavi  diverse 
(claves  ) ,  né  tampoco  de'chiodi  di  bronzo  o  di  ferro, 
e  di  altri  insignificanti  pezzi  di  simili  metalli.  Tace- 
remo del  pari  delle  poche  monete  ,  delle  quali  non 
trovasi  una  distinta  descrizione ,  e  che  non  abbiamo 
potuto  esaminare  co'  noslri  proprii  occhi.  Rammen- 
teremo però  le  cose  principali ,  le  quali  si  trovano 
nella  collezione  de'bronzi  minuti  del  Real  Museo. 

Bronzo  —  Statuette  —  Sono  da  ricordare  in  primo 
luogo  cinque  statuétte ,  le  quali  non  ben  si  conosce 
d'onde  sieno  state  traile.  Debbo  non  pertanto  avver- 
tire che  il  sig.  Falkener  ne  fa  sapere  di  averne  preso 
contezza,  e  di  aver  rilevato  che  furono  ritrovate  tulle 
nella  nicchia  circolare  del  larario  (giom.  c«7.pag.88). 
Se  ciò  è  vero,  sapremmo  le  domestiche  divinità  par- 
ticolarmente venerate  nella  casa  di  M.  Lucrezio. 

La  prima  rappresenta  un  Giove  barbalo  con  cla- 
mide ,  il  quale  colla  destra  ha  il  fulmine  ,  ed  ha  la 
sinistra  alquanto  elevata  ,  ove  teneva  forse  un'asta: 
presso  a'suoi  piedi  è  l'aquila. 

La  seconda  offre  una  divinila  parimenti  barbata, 
e  coronala  di  foglie,  e  pur  colla  clamide:  tiene  colla 
destra  la  patera  ,  la  sinistra  ha  molto  sollevala.  Non 
sembra  da  riconoscere  in  questa  figurina  uu'allra  ef- 
figie di  Giove.  Sicché  o  vuoisi  supporre  che  avesse 
colla  sinistra  il  tridenla  ,  e  dovremmo  riconoscere  in 
essa  un  Nettuno;  ovvero  un  bastone,  a  cui  si  allorci- 

11 


82- 


gliava  il  serpente,  e  riputar  lo  dovremmo  un  Escu- 
lapio. 

La  terza  di  più  trascurato  lavoro  figura  Ercole 
con  clamide,  che  tien  colla  destra  la  clava. 

La  quarta  ci  presenta  una  delle  solite  immagini 
della  Fortuna  con  timone  e  cornucopia,  e  fior  di  lo- 
to sul  capo. 

La  quinta,  più  grande  di  tutte  le  precedenti,  offre 
una  divinità  velata  con  cornucopia  e  patera;  forse 
l' Abbondanza. 

Vasi.  E  inutile  fare  una  particolare  enumerazione 
di  tutti  i  vasi  rinvenuti  nella  casa  di  M.  Lucrezio. 
Solo  diremo  brevemente  ,  ebe  sono  essi  di  forme  e 
di  usi  differentissimi.Vedi  varie  concile,  patere,  olle, 
coli,  unguentarli,  caldaie  (aliena),  ei  altri  vasi  di  sva- 
riale dimensioni.  Traile  patere  ricorderemo  partico- 
larmente quella,  nel  cui  fondo  vedesi  la  testa  di  Me- 
dusa con  giro  di  argento,  lavoro  ad  empaeslica. 

Traile  numerose  caldaie  son  da  ricordar  due,  con- 
servate insieme  co' loro  fornelli  di  ferro:  una  non  può 
distaccarsi  dal  suo  fornello,  a  causa  dell'ossidazione, 
che  ne  ha  formato  quasi  un  sol  corpo.  In  questa  i 
manichi  sono  formati  ciascuno  da  due  delGui,  di  cui 
s' intrecciano  in  allo  le  code.  Merita  poi  di  esser  par- 
ticolarmente rammentato  un  modio  alto  circa  un  pal- 
mo e  largo  p.  1  '/«  rinvenuto  co'  manichi  dislaccali. 
Né  è  da  tacere  di  un  piccolo  vasetto ,  che  fu  trovato 
ripieno  di  vari  pezzi  di  zolfo  ;  come  tuttavia  si  os- 
serva. 

Tragli  ornamenti  della  persona  annoveriamo  due  fi- 
bule, e  varie  anella,  oltre  a  due  specchi,  uno  de'quali 
circolare  con  la  superficie  riflettente  assai  ben  conser- 
vala. 

Candelabri.  Varii  pezzi  di  candelabri ,  in  cattivo 
stalo  di  conservazione.  È  notevole  un  candelabro  con 
l'asta  di  ferro:  il  piede  e  la  testa  è  conformata  a  ca- 
pitello  jonico,  ed  ha  uncino  per  sospendervi  la  lucer- 
na ,  invece  di  coppa.  11  fuslo  di  ferro  è  in  massima 
parie  perduto  per  l'ossidazione. 

Bilance.  Due  di  questi  utensili  sono  stali  rinvenuti 
in  vari  pezzi  distaccali.  In  uno  apparisce  pure  il  pe- 
so a  foggia  di  un  busto  virile;  siccome  non  infrequen- 
Ifmcnte  avvenne  nelle  pompejane  scavazioni.  Ed  al- 


tro simile  peso  distaccato  fu  pure  rinvenuto  in  al- 
tro silo. 

Oggetti  diversi.  Un  piccolo  fallo  che  l'antichità  ri- 
teneva come  un  amuleto,  una  striglie,  un  campanello 
(lintinnabulum),  un  calamaio  (alramenlarium),  una 
lucerna,  un  piccolo  peso,  alcuni  frammenti  di  catena, 
un  ago  da  cucire,  una  palella  da  fuoco,  diversi  orna- 
menti di  mobili  in  alcuni  de'  quali  appare  tuttora  il 
legno  carbonizzalo,  una  briglia  di  cavallo,  una  lan- 
terna, e  molti  pezzi  di  carro  in  parte  di  bronzo  in 
parte  di  ferro  richiamano  l'attenzione  dell'  archeolo- 
go. Noi  diremo  particolarmente  della  lanterna  e  del 
carro. 

Lanterna.  Vedesi  riportata  questa  graziosa  lanter- 
na perfetta  niente  conservala  nella  splendida  opera  de' 
Signori  Niccolini  tav.  IV  fig.  IO,  11.  Vedi  di  sopra 
un  leggiero  manico  per  prenderla  cou  molla  facilità, 
e  per  tenerla  sospesa,  che  nella  parte  superiore  è  so- 
migliantissimo all'  asla  di  una  bilancia.  È  da  citare  a 
confronto  la  lanterna  scolpita  sopra  una  iscrizione  da 
me  osservala  nel  villaggio  delle  Curii  presso  S.  Ma- 
ria^ pubblicata  già  da'dolti  Ercolanesi  (lucerne  p.265) 
colla  occasione  d' illustrare  alcune  altre  lanterne  er- 
colanesi e  pompejane,  che  son  pubblicale  tav.  LVI  e 
LVII,  e  che  sono  somigliantissime  a  questa  di  che 
parliamo.Sonda  vedere  le  cose  copiosamente  discorse 
sopra  simili  arnesi  p.  263  e  segg.  Si  aggiunga  quel 
che  si  dice  in  Becker  (Gallus  t.  II  p.  296,  s.  e  t.  Ili 
p.  59.  ed.  Rein).  Il  nome  che  diedero  i  Greci  alla  lan- 
terna si  è  quello  di  "kniXTrrrp,  Xuxvoì'/X'j?;  ed  i  Latini 
la  dissero  laterna  e  lanterna.  In  varii  modi  covrivasi 
il  lume,  or  con  lamine  di  corno,  or  con  tele,  or  con 
altra  materia  trasparente.  Noi  non  sapremmo  come 
fosse   compiuta  questa  che  descriviamo  ,  sebbene  è 
per   la  materia  identica  alle  altre  sopra  mentova- 
te di  Pompei  e  d'  Ercolano  ,  che  pur  son  metalli- 
che ,  cioè  di  bronzo  o  di  rame.  Una  particolarità 
degna  di  osservazione  è  che  si  è  conservalo  il  luci- 
gnolo, benché  in  parte  distrutto  e  carbonizzato.  Il 
suo  greco  nome  è  'ùJki'xyiov ,  d'onde  il  latino  elly- 
chnium:ed  era  di  varie  materie.  Ma  quello  delle  lan- 
terne era  di  canape,  a  cui  dovea  mescolarsi  altra  ma- 
teria per  doppio  motivo ,  e  per  impedire  la  troppo 


—  83 


presta  consuma/ione  dell'  olio  ,  e  perchè  fosse  meno 
soggetto  a  carbonizzarsi  coli'  azione  del  fuoco.  Il  lu- 
cignolo della  nostra  lanterna  era  egualmente  di  ca- 
nape :  e  non  sarà  fuor  di  luogo  l' avvertire  che  non 
poche  volle  comparvero  lucignoli  conservali  nelle 
scavazioni  pompejane,  del  che  si  vegga  il  citato  vo- 
lume delle  antichità  di  Ercolano,  lucerne  pag.  2^3, 
e  seg ,  e  257  seg.  Unito  alla  nostra  lanterna  era  lo 
spegnilojo,  che  comparve  pure  accoppiato  ad  altra 
lanterna  pubblicala  dagli  Ercolancsi(vo/.«V.(av.LVII), 
e  che  potrebbe  in  greco  denominarsi  crfor^rr^tov  oj> 
yuvov.  Vedi  ora  alcune  di  queste  pompejane  lanterne 
riportate  nella  recentissima  opera  del  sig.  Overbeck 
Pompeji  in  seincn  Gebàuclen,  Alterili,  und  Kumlwerk. 
etc.  Leipzig.  1856  p.  318  fig.  240. 

Pezzi  di  bronzo  e  di  ferro  che  costituivano  un  car- 
ro. Sono  questi  al  n.  di  circa  60.  Appariscono  più  o 
meno  conservati  i  cerchi  di  ferro,  destinali  a  circon- 
dar quattro  ruote:  il  che  ci  dà  la  idea  di  due  carri 
a  due  ruote,  piuttosto  che  di  un  solo.  E  pare  che  ciò 
si  confermi  benanche  dalla  considerazione,  che  quei 
quattro  cerchi  sono  presso  a  poco  eguali  di  dimensio- 
ni. Osservo  poi  che  di  due  sole  ruole  mostrasi  il  car- 
ro tirato  da  buoi,  ov'è  trasportalo  Sileno  col  piccolo 
Bacco,  pubblicato  nella  citata  opera  di  Niccolini  tav. 
II.  Del  resto  non  sarebbe  impossibile  che  fosse  un 
carro  a  quattro  ruote.  Oltre  i  cerchi  di  ferro  ,  veg- 
gonsi  parte  degli  assi  di  ferro,  e  non  pochi  ornamenti 
di  bronzo  di  varie  forme  ,  a  foggia  di  vaselli,  di  di- 
schi, di  rosoncini  ed  altrettali. 

Islrumenli  chirurgici.  Consistono  quesli  indue  pin- 
zette, vulsellae  de'Lalini,  "rprxoXoJìicJss  de'Greci.  Es- 
se, come  in  altre  pubblicate  dal  cav.  Volpes (Mcmor. 
della  lleg.  accad.  Ercolanese  voi.  VH  pag.  133  segg. 
tav.  V),  hanno  gli  estremi  alquanto  ricurvi,  ed  i  mar- 
gini forniti  di  piccoli  denti  acuti,  che  s'incastrano  in- 
sieme, quando  le  due  estremila  si  avvicinano.  Vi  so- 
no pure  sei  astucci  o  teche  di  bronzo  destinate  a  con- 
tenere varii  islrumenli.  Quattro  sono  più  piccole  e 
due  di  più  grandi  dimensioni ,  una  delle  quali  es- 
sendo aperta  mostra  le  estremila  di  alcuni  specilli 
(specilla,  ftr,Xa/);  per  Io  che  l'astuccio  che  li  conte- 
uea  aveva  la  denominazione  di  tArfaS^xv].  Vedi  al- 


cuni di  questi  islrumenli  editi  dal  cav.  Vulpes  nel  ci- 
talo voi.  VII  pag.  109  seg.  tav.  IH,  ove  fa  pure  una 
distinzione  fralle  varie  loro  specie,  riportando  ancora 
un  astuccio  simile  a  quello  di  che  parliamo:  tav.  cit. 
fig.  VIII.  Furono  trovati  nella  casa  di  M.  Lucrezio 
altresì  due  ametti  (Jiamuli ,  %yxn7rp%)  simili  a  quelli 
edili  dal  Vulpes  (cit.  voi.  pag.  138  seg.  tav.  V  fig. 
IX,X,XI):  non  che  alcuni  scalpelli  (scalpella,  fff*iX<a) 
di  forma  somigliante  a  quelli  pubblicali  dallo  stesso 
cav.  Vulpes  (  v.  voi.  cit.  tav.  VII  ).  Solo  è  a  notare 
che  la  lama  è  quasi  interamente  distrutta;  per  modi» 
che  non  può  diffiuirsi  in  qual  modo  fosse  propriamente 
conformala. 

Debbo  qui  finalmenle  avvertire  che  tutti  i  sopra - 
«letti  islrumenli  chirurgici  furono  pure  illustrati  dal 
eh.  sig.  Commend.  Quaranta  con  varie  dotte  memo- 
rie, delle  quali  attendiamo  la  sollecita  pubblicazione. 

Ferro.  Tralasciando  di  far  particolare  menzione 
di  alcune  parti  di  serrature  ,  ed  olire  gli  oggetti  de' 
quali  dicemmo  di  sopra  parlando  del  bronzo,  noterò 
che  furono  rinvenuti  alcuni  vasi,  due  porzioni  di  cari' 
celli,  due  armille,  alcuni  pesi,  due  accette  fsccuresj, 
due  zappe  (ligones)  ,  due  piccole  pale  destinale  forse 
a  raschiare  il  suolo  (pala,  axUtyr\  Fiorelli  Pompei,  il- 
lustrazioni pag.  14):  due  ronche  (runcones)  ,  una  lu- 
cerna,  un  grosso  pezzo  di  ferro  in  parte  ossidato  forse 
un  piccone  (upupa),  una  martellata, una  pialla  (mu- 
cina), quattro  basette,  ed  un  frammento  con  alcune 
ledere. 

Trovasi  la  pialla  figurala  nella  citala  opera  de'sig. 
Niccolini  tav.  IV  fig.  9  ,  ed  apparisce  di  forma  so- 
migliantissima a  quella  de' moderni  artefici.  Solo  è  a 
notare  che  la  pialla  pompejana  è  assai  più  pesante  , 
perchè  grave  di  ferro;  e  servir  dovea  per  levigare 
grossi  pezzi  di  legname  assai  duro  e  scabro:  e  senza 
dubbio  era  poco  maneggevole.  È  certo  che  i  latin  i 
appellavano  questo  istrumenlo  col  nome  di  rum-ina  : 
come  si  trae  evidentemente  dal  noto  luogo  di  Plinio, 
ove  parlando  dell'abete,  avverte...  ramentorum  cri- 
nibus  pampinato  semper  orbe  se  se  volvcnsad  incitato* 
runcinarum  raptus  (XVI,  42,  82).  Ove  è  chiaro  ac- 
cennarsi a'trucioli,  che  sorgono  dall'agilar  della  pialla. 
Ne  diversamente  raccogliesi  da  Tertulliano,  quando 


-u 


osserva  elio  gli  dei  <lel  gentilesimo  eraoo  lavorati  sul 
lcno  eon  varii  istrumenti...  asciaeel  runcinae  elsco- 
binae  (Apolog.  i2):  e  certamente  allude  alla  progres- 
sione de'  lavori  in  legno,  pei  quali  abbisogna  1'  ascia 
la  pialla  e  la  lima.  Presso  i  Greci  denominavasi  'Pu- 
y.%\t\  ;  siccome  ne  avvertono  le  glosse ,  ed  Esichio. 
Da  quest'ultimo  sappiamo  pure  ebe  la  lama  tagliente 
della  pialla  dicevasi  %tfyt\  :  jyfyw  rà.  h  rais  puxx'vxis 
(io-Vavt*,  r\  ffihripfx:  dal  qual  luogo  deducesi  pure  che 
fosse  la  pialla  di  ferro,  trovandosi  tra  ferramenti  t« 
Gih'pt'A. 

Piombo — Sono  da  citare  alcuni  pezzi  di  piombo, 
tra'quali  avvene  uno  conformato  a  guisa  di  una  pa- 
tera, e  tutti  sono  muniti  di  molti  piccoli  fori ,  perchè 
destinati  a  chiudere  la  estremità  de'  tubi  egualmente 
di  piombo  ,  onde  impedire  il  passaggio  alle  materie 
ostruenti,  senza  però  impedire  il  corso  delle  acque. 

Oggetti  di  osso 

Pochissimi  oggetti  di  questa  materia  furono  rinve- 
nuti nella  casa  di  M.  Lucrezio.  Senza  dire  di  alcuni 
poco  determinati  frammenti  ricorderemo  alcuni  or- 
namenti, una  tessera  col  num.  XIII,  altra  col  n.XIIII, 
altre  due  a  forma  di  mandorle,  uno  stuzzicorecchi  (au- 
riscalpiumj ,  e  finalmente  molti  di  quei  pezzi  cilindrici 
forati,  e  con  varii  buchi  alla  esterna  circonferenza, 
de'quali  non  fu  possibile  finora  determinar  l'uso,  ab- 
benchè  sieno  tanto  frequentemente  venuti  fuora  dalle 
pompejane  scavazioni.  E  pur  da  citare  un  piccolo 
corno  bovino,  del  quale  non  ci  attentiamo  a  determi- 
nare l'uso. 

Oggetti  di  vetro 

Più  copiosi  furono  gli  oggetti  di  vetro,  diedi  varie 
forme  si  trovarono  al  numero  di  ventisei.  Tra  essi  me- 
ritano di  essere  particolarmente  ricordali  una  tazza 
con  ornamenti,  un  bicchiere  col  suo  piede  incil ega,  e 
due  specie  di  ocnochoc,  o  prochoi.  Oltre  a'delti  vasi  ve 
ne  sono  alcuni  frammentati,  fra'  quali  è  da  notare  una 
tazza  con  fogliami,  ed  altra  di  color  bleu;  come  pure 
un  pezzo  circolare  con  testa  di  Medusa  a  rilievo,  la 


parte  concava  di  un  cucchiajo  (ligula),  ed  un  piccolo 
tubo  al  di  sopra  di  una  testa  Silenica  di  pasta  vitrea. 

Oggetti  in  terracotta 

Sono  da  citare  una  statuetta  di  Venere  con  da  pres- 
so un  Punisco,  che  costituiscono  gruppo;  alcune  fi- 
gurine virili  o  muliebri  in  parte  frammentate,  e  tra 
queste  alcuni  frammenti  ne'  quali  appajono  tracce  di 
doratura.  Si  è  pur  ritrovato  il  busto  di  un  fanciullo, 
altro  busto  femminile,  un  bacchico  bicipite  frammen- 
tato, la  figurina  di  un  gladiatore,  ed  alcuni  frammenti 
di  una  statuetta  rappresentante  un  doppio  Pateco  di 
color  verde.  Ma  il  principale  gruppo  è  quello  pubbli- 
calo da'  sig.  Niccolini  nella  tavola  IV  fig.  2,  che  ci 
offre  due  uomini  portando  una  lettiga  con  entro  un 
fanciullo.  Assegneremo  a  questa  sedia  la  denomina- 
zione di  sella  gestatoria  o  lectica,  ed  a'portatori  quello 
di  leclicarii.  E  non  tarderemo  a  riconoscere  in  questi 
due  servi,  i  quali  trasportano  un  ingenuo  giovinetto. 
Non  sapremmo  pertanto  a  qual'  uso  fosse  destinato 
questo  oggetto,  se  pure  per  la  sua  piccolezza  non  vo- 
glia riputarsi  un  giuoco  da  ragazzo  (iroilyYtov).  Del  re- 
sto sulle  lettighe  veggasi  il  Becker  (Gallus  voi.  Ili 
p.  1  e  segg.  ),  e  gli  autori  da  lui  citati.  Solo  voglia- 
mo notare  che  i  leclicarii  sono  muniti  di  corregge , 
a  guisa  de*  moderni  per  portar  più  comodamente  il 
loro  peso;  per  modo  che  venivano  a  portai  lo  colla 
nuca,  da  cui  partivano  quelle  corregge.  E  così  viene 
bellamente  spiegato  quel  che  dice  Luciano,  parlando 
appunto  di  simili  facchini:  ras  xX/ius  roTs  rpxx^oti 
txysiv  (Cynic.  10).  Né  è  da  tacere  che  le  corregge 
medesime  erano  dette  lora  e  struppi  (Martial.  ep.  II, 
57:  Gellius  noci.  att.  X,  3);  ed  asseres  le  stanche,  che 
osservansi  a'due  lati,  necessarie  a  portar  la  lettiga,  e 
perciò  identiche  a  quelle  de' moderni.  A  voler  deter- 
minare il  nome  particolare  della  nostra  sedia,  ricor- 
deremo quella  di  cui  si  attribuisce  la  invenzione  a 
Claudio,  la  quale  fu  da  Dione  appellala  S/ppos  x»t«- 
(rrtyos:  e  la  nostra  lettiga,  la  quale  offre  nella  parte 
superiore  una  specie  di  tetto,  dà  piena  conferma  alla 
intelligenza  di  quelle  parole ,  come  ritrovasi  appo  lo 
Scheffer  (de  re  vehic.  lib.  II  cap.  IV  pag.  68). 


So  — 


Ben  (re  di\ersi  salvadanai  ( loculi,  àpyvpc&rpuu ) 
sono  venuti  fuori  nella  easa  di  M.  Lucrezio:  uno  ili 
forma  rotonda ,  entro  del  quale  si  conservavano  an- 
cora tre  monete  di  bronzo  di  Vespasiano,  di  Galba, 
e  di  Domiziano;  due  altri  a  forma  di  (assettino ,  con 
una  apertura  nel  mezzo,  per  introdurvi  le  monete.  È 
poi  nolo  che  di  simili  arnesi  furono  ritrovali  moltis- 
simi nelle  scavazioni  pompejane. 

Delle  sei  lucerne  ad  un  sol  lume,  o  monolicne,  non 
indicheremo  particolarmente  die  una  sola,  la  quale 
offre  al  di  sopra  la  immagine  di  un  cavallo. 

Non  pochi  vasi  di  forme  diverse  non  richiedono 
una  particolare  enumerazione.  Alcuni  sono  di  rozza 
argilla,  altri  presentano  rossa  vernice.  Tra  questi  ul- 
timi richiamiamo  l'attenzione  sopra  una  lazza  con  l'or- 
namento di  due  leste  d' Ippogrifi  ,  e  sopra  un  fram- 
mento di  patera  con  quadriga  condotta  da  un  Amore 
e  con  la  epigrafe  BARCAE:  non  senza  omettere  la 
menzione  di  un  vaso  rosso  con  epigrafe  FORM. 

Sonosi  rinvenute  varie  anforette  con  iscrizioni.  In 
alcune  è  scritto  di  neri  caratteri. 

LIQVAMEN 
OPTIMVM 

È  da  notare  che  questi  piccoli  recipienti  non  con- 
teneano  liquido  o  vino,  ma  una  specie  di  salsa  o  con- 
serva; giacché  questa  è  l'intelligenza,  che  bisogna  dare 
alla  voce  liquame»,:  o  che  creder  si  voglia  un  composto 
destinalo  ad  uso  di  condimento,  come  il  liquamen, 
di  cui  parla  Columella  (VI,  2),  ovvero  propriamente 
una  conserva  di  frulli,  simile  al  liquamen  de  piris,à\ 
cui  è  menzione  presso  Palladio  (III,  15  med.). 

Un'  altra  anfora  offre  una  iscrizione  cosi  riportata 
dal  sig.  Falkener: 

TVSCVLA 

ON 

OFFICINA  SCAV 

Non  saprei  qual  voce  si  asconda  nelle  lettere  ON; 
«  sembra  erronea  la  lezione.  Nell'ultima  riga  è  ri- 
cordata l'officina  Scauri,  avendo  per  avventura  rela- 


zione alle  figuline  di  Scarno;  il  quale  potè  essere 
della  famiglia  medesima  del  noto  duumviro  pompe- 
iano A.  Umbricio  Scauro  (Mommsen  inscr.  r.  nvap. 
a.  2339:  cf.  Finali  nel  Mus.  Bori.  voi.  XV  lav.  27 
a  30).  Non  so  se  per  propria  correzione  il  signor  0- 
verbeck  riferisca  questa  ultima  iscrizione  TVSCO- 
LANA  •  OFFICINA  SCAV(ri)(Pomj)èjtetc.  p.  221). 
La  lerza  anfora  presenta  la  epigrafe 

MES 
AM.  XVIII 

Pare  che  al  numero  dell'anfora  si  aggiunga  la  in- 
dicazione di  qualche  parlicolare  vino.  Ricordo  il  Me- 
sogitcs  di  Plinio  (lib.  XIV,  7,  9);  se  pure  dir  non  si 
voglia  il  Messenium  ,  che  potè  in  tal  guisa  denomi- 
narsi in  vece  del  più  solilo  epiteto  di  Mamertinum 
(Marini  ad  Vitruv.  lib. Vili  cap.  3,  tom.  II  p.lois.). 

La  quarta  è  letta  nella  relazione  del  sig.  Falkener 

. . A0AAAE 

lEIIPTIMor 

MHKOAOTOI 

Teutaudo  una  correzione  nella  prima  linea,  panni 
debba  leggersi  probabilmente: 

AM«I>  •  AAAII 

SEIITIMIOr 

MHNOAOTOT 

che  in  latino  potrebbe  spiegarsi 

AMPIL  XXXII 
SEPTIMII 
MENODOTI 

ed  accenna  al  greeo  proprietario  dell'anfora  stessa, 
che  far  ne  dovette  un  regalo  a  M.  Lucrezio.  All'op- 
posto lato  vedesi  scritto,  secondo  il  sig.  Falkener, 

KOR 
OPT 


—  8G 


che  pare  deggia  interpretarsi  KORCYRAEVM  OPTI- 
CI VM;  accennandosi  al  vino  di  Corcira  celebre  nel- 
l' anlichilà,  talché  si  resero  famose  le  anfore  di  Cor- 
cira Kepxi/fowbi  àfJLtyaptTs  (Jahn  aeberichlc  di  Sassonia 
1854  pag.  34-  segg.).  Ed  una  (ale  particolarità  illu- 
stra pure  la  greca  provenienza  di  quell'anfora,  e  la 
probabilità  che  fosse  un  donativo  al  pompejano  ma- 
gistrato. 

Lo  stesso  sig.  Falkener  annunzia  che  le  descritte 
anfore,  meno  la  terza,  furono  disotterate  nell'efedra, 
alla  quale  perciò  dà  egli  il  nome  di  triclinio,  perchè 
furonvi  trovati  ancora  varii  commestibili.  Tale  si  è 
un'olla  con  olive  carbonizzate  ,  la  quale  conservasi 
nella  raccolta  delle  terrecotte  del  Real  Museo  Borbo- 
nico. Per  verità  non  ci  sembra  questa  una  buona  di- 
mostrazione: e  ne  sia  una  pruova  l'essersi  ritrovala 
in  uno  de'cubicoli  una  patera  di  rossa  vernice,  conte- 
nente orzo  calcinalo. 

Tragli  ornamenti  architettonici  son  da  citare  un'a/i- 
te fissa,  ed  una  parte  di  gocciolatelo,  con  testa  di  leone. 

Oggetti  di  marmo 

Oltre  le  molte  statue  di  marmo,  delle  quali  si  è 
detto  già  sopra,  parliamo  di  alcuni  altri  pochi  oggetti 
della  s lessa  materia. 

Prima  citiamo  una  bacchica  testa  di  rosso  antico. 
Come  oggetti  comunissimi  additerò  un  mortajo  col 
suo  pestello,  una  basetta,  ed  un  peso:  ma  più  interes- 
sante si  è  una  coppa  di  rosso  antico. 

Nel  giardinetto  superiore  furono  ritrovali  una  ta- 
vola circolare  di  marmo,  ed  un  tronco  d'albero,  che 
forse  le  serviva  di  sostegno;  se  però  dir  non  si  vo- 
glia sostegno  di  qualche  statuetta. 

Sono  finalmente  da  ricordare  alcuni  scudi  a  guisa 
dipelta  lanata  ,  ed  un  disco  istoriato;  che  senirono 
di  ornamento  agli  inlercolunnii,  siccome  fu  osservalo 
da  altri.  In  uno  de'  suddetti  scudi  si  osserva  una  testa 
Satiresca  di  pronunziate  ed  esagerale  fattezze  da  un 
lato,  e  dall'altro  lato  pochi  ornamenti  graffiti.  In  al- 
tro rollo  in  tre  pezzi  vedesi  una  comica  maschera  a 
destra  ,  ed  innanzi  un  corno  rovescialo;  all'  opposto 
1  alo  un  ramo  con  (re  fiori. 


Di  maggiore  importanza  è  il  disco ,  che  offre  due 
complicate  rappresentazioni,  ed  un  nuovo  esempio 
della  policromìa  nell'antica  scollura;  giacché  restano 
non  poche  tracce  di  differenti  colori. 

Da  una  delle  due  facce  vedesi  un  uomo  vigoroso 
con  succinto  gonnellino  di  giallo  colore,  il  quale  tie- 
ne colla  sinistra  la  lesta  di  un  nereggiante  vitellino, 
e  colla  destra  gl'immerge  nella  gola  il  coltello.  Innanzi 
è  un  Satiro  barbato  con  coda,  che  tiene  il  vaso  de- 
stinato  a  raccogliere  il  sangue  della  vittima ,  detto 
grecamente  g^xj-Toy.  I  peli  e  la  coda  del  Satiro  sono 
dipinti  di  oscuro  colore.  Nell'altra  faccia  del  disco 
vedi  a  sinistra  una  irregolare  coslruzioue  ,  sopra  di 
cui  scorgesi  una  enorme  lesta  di  cornuto  Pane,  tinta 
di  rosso,  destinata  certamente  ad  indicare  una  fonte. 
In  mezzo  è  un  panciuto  e  nudo  Sileno  con  rossa  bar- 
ba, e  con  breve  panno  azzurro,  che  ne  ricopre  por- 
zione del  corpo,  il  quale  tien  con  ambe  le  mani  una 
cesta  colma  di  fruita,  offrendola  innanzi  ad  un'ara 
accesa,  da  cui  sorger  si  mirala  fiamma  di  rosso.  Noi 
ci  riserbiamo  d'illustrare  più  ampiamente  questo  im- 
portantissimo monumento.  Solo  avvertiamo  che  ci 
sembra  nuovo  ne'monumenti  il  rapporto  di  un  Sati- 
ro colla  uccisione  di  un  toro:  e  ci  si  richiama  al  pen- 
siero la  tradizione  che  negli  orientali  culli  derivar 
faceva  il  succo  dell'uva  dal  sangue  del  loro;  non  sen- 
za pensare  all'  attica  festa  detta  Buphonia  ((Jw^ov/*) , 
nella  quale  il  sagrifizio  di  un  toro  è  messo  in  rap- 
porto co'misleri  di  Bacco  (Schol.  Aristoph.  Nub.  985 
v.  Rolle  recherò,  sur  le  culle  de  Bacchus  t.  1  p.  363). 
É  pur  risaputo  il  frammento  di  Simonide  Atovvaou 
(JoiXpdvov  Sspo6rwr«  (  Athen.  I.  X.  p.  456,  C  ),  dal 
quale  rilevasi  immolarsi  a  Bacco  un  bue:  qualunque 
sia  la  intelligenza  che  dar  si  voglia  a  quelle  parole. 
In  quanto  all'  altra  rappresentazione  ,  parci  che  il 
Sileno  ben  si  (rovi  fra'  due  elementi,  a'quali  è  dovuta 
la  generazione  di  (ulte  le  cose,  cioè  l'acqua  ed  il  fuo- 
co, il  principio  umido  ed  il  secco:  o  che  accennar  si 
voglia  alla  duplice  purificazione,  ovvero  ad  un  sem- 
plice sagrificio  de'frutli  della  terra  alle  deità  solari  e 
lunari  animatrici  della  natura.  Ma  di  queste  idee  sa- 
rà per  noi  più   estesamente  discorso  in  ailra  occa- 
sione. 


—  87  — 


Osserviamo  da  ultimo  clic  una  nuova  descrizione 
della  casa  di  M.  Lucrezio  fu  data  rcccntissimnnicnle 
dal  sig.  Overbeck  nella  sua  descrizione  di  Pompei 
(Pompeji  in  scinen  Gebàuden  Allerlhumcr  und  Kunst- 
werke  Leipzig  1856)  p.  215,  e  seg. 

MlNEItVINI. 

BIBLIOGRAFIA 

Antichità  inedite  di  vario  genere  trovate  in  Sicilia,  che 
si  pubblicano  da  Baldassarre  RoM.VNO-Pafrrmo- 
4S54  in  4.  Continuazione  del  n.  85. 

Ricordo  appena  un  ago  crinale  di  avorio  con  bu- 
sto femminile  per  ornamento  (tav.  4  fig.  1):  ed  una 
impronta  in  bronzo  delle  lettere  AP  in  monogram- 
ma (tav.  6  fig.  7),  nelle  quali  1'  autore  ravvisa  le  ini- 
ziali di  qualche  nome  romano,  forse  Appius;  ma  po- 
trebbe egualmente  supporsi  che  sieno  iniziali  di  un 
uome  greco  APicrTapxo?,  AP/TT/7r7ros  e  somigliante. 

Due  ghiande  missili  di  piombo  son  pubblicate  (tav. 
4  fig.  11  e  12).  Esse  presentano  da  una  faccia  la  iscri- 
zione PISO  L  •  F  ,  e  dall'altra  COS.  L' autore  attri- 
buisce queste  ghiande  missili  alle  truppe  di  L.  Cal- 
purnio  Pisone,  comandante  delle  romane  legioni  nella 
guerra  servile  (Valer.  Max.  1,  2,  7):  e  ricorda  le  pu- 
gne delle  romane  legioni  ne*  campi  di  Enna. 

Un'  altra  classe  di  monumenti  considerati  dal  sig. 
Romano  sone  le  pietre  incise.  Senza  parlare  delle  più 
comuni  rappresentazioni,  come  sono  la  immagine  del 
Capricorno  in  corniola  (tav.  6  fig.  21),  una  lesta  im- 
berbe galeata  parimenti  in  corniola  (lav.  6  fig.  22), 
un  Amore  che  guida  due  cavalli  (tav.  6  fig.  23),  un 
colombo  che  becca  una  pianta  (lav.  G  fig.  17) ,  non 
che  un  giovine  nudo  sedente  colla  gnostica  voce  IAGO 
{tav.  6  fig.  23  )  ;  richiamo  l' attenzione  sopra  due  in- 
cisioni una  in  corniola,  l'altra  in  calcedonia.  La  prima 
pietra  (tav.  6  fig.  26)  fu  rinvenuta  ne'  dintorni  di  Se- 
linunte;  e  mostra  un  cornucopia  uscente  in  testa  di 
capra,  da  cui  escono  grappoli  ed  altre  frutta:  presso 
è  da  un  lato  un  globo,  dall'  altro  un  capretto  che  vi 
si  appressa.  Evidentemente  la  capra  ed  il  cornucopia 


creder  si  deggiono  allusivi  alle  medesime  idee  di  pro- 
sperità e  fecondità  de'  beni  della  terra.  La  seconda 
pietra  (tav.  6  fig.  24)  ci  presenta  Mercurio  con  alalo 
petaso  e  clamide,  ebe  tieu  colla  d.  la  borsa,  colla  si- 
nistra il  caduceo.  Intorno  sono  varii  animali  il  pavo- 
ne, la  colomba,  lo  scorpione,  ed  un  capro  (dice  la.) 
ma  è  piuttosto  il  segno  del  Capricorno.  L'autore  spie- 
ga ingegnosamente  tulli  questi  simboli  colle  mistiche 
avventure  del  dio.  Potrebbe  anche  pensarsi  alle  varie 
costellazioni ,  dalle  quali  vedesi  circondalo  Mercurio 
nella  sua  astronomica  intelligenza. 

Riporta  da  ullimo  il  sig.  Romano  varie  iscrizioni 
greche  e  latine,  che  noi  riproduciamo ,  perchè  siano 
a  conoscenza  de'  lettori  del  presente  bulleltino. 


1. 


Iscrizione  di  Termini  in  plinto  di  pietra,  ora  nella 
collezione  di  antichità  dello  stesso  comune  :  alt.  p.  3. 
9.  largh.  p.  2.  2. 

Imp  •  Caes  '  L  •  SeptiMIO 

Severo  ■  Pertinaci  AVG  ■ 

Arabico  •  .MaBENICO  PONT 

JI/A[X]  •  TRIB  •  POTEST  ■  V  •  IMP 

X ISSIMO  •  CAESARIS 

DIVI  •  M  •  ANTONINI  •  GERM  • 

FILIo  •  DIVI  COMMODI 

//////•ATRI  ANTONINI  PII 

nepoll  DIVI  ADRIANI  PRO 

NEPOTI  DIVI  TRAIANI 
PARTHICI  ABNEPOTI  DIVI 

NERVAE  ADNEPOTI  IN 

DVLGENTLSSJMO  ET  CLE 

MENTISSIMO  PRINCIPI 

MAESIA  FABIA  TITIANA 

C  •  F  ♦  ET 

MAESIVS  ■  FABIVS  •  TITIA 

NVS  •  C  •  P 


Lapide  scoperta  nell'  isola  di  Levanzo  ,  presso  il 


-88- 


sig.  Giuseppe  Zamboni  Bolognese  :  alt.  pai.  1  once 
6  ;  largb.  pai.  1  once  2  sic. 

DM    S 

NARCISSVS_ 
VIX1T  ANN  •  III 
DIEB    XXVIII 
THALLVS  •  ET 

PANNYCHIS 

FILIO  •  DVLCIS 

s»MO  FECER 

STTL- 

3. 
Trovata  in  Termini. 

DM 

C  •  AEMILIO 

BACCHIO 

V  •  A  ■  XI 


4. 


Trovata  in  Termini. 


C  •  SABIBIVS  (sic) 
ARTEMO 


Non  meno  interessanti  sono  le  greche,  le  quali  si 
riducono  a  due  frammenti,  ed  a  due  importanti  iscri- 
zioni intere. 


1. 


Il  primo  frammento  ,  con  poca  diversità  da'  sup- 
plirne nli  proposti  dal  signor  Romano,  leggeremmo  in 
tal  modo 

A<A«A 
CwAPT€lAN*i 
AjATBAITIC 
s^C€N€TH 

KB 


2. 


Il  secondo  frammento  alto  once  7  non  offre  sicu- 
rezza nel  supplimento  de'  nomi  proprii.  Esso  dice 
così  : 

K€A 

BÒA  •  •  •  • 
eZHCsr  erri 
A 


Frammento  trovato  in  Termini  :  alt.  p.  1 ,  lung. 
p.  2  :  viene  così  supplito  dal  sig.  Romano  : 

C  •  METEUus  •  Q  •  f  ■ 
CLArus 


Questa  lapida  fu  pur  trovata  in  Termini,  ed  è  nella 
collezione  di  antichità  dello  stesso  comune  :  alt.  once 
7  V,  lungh.  p.  2,  4  '/,. 


6. 


Altro  frammento  del  medesimo  sito 
alto  once  9. 

T  •  CESTI  •  •  • 
FVS  V • •  • 
VIII  •  •  • 


APJSTOAAMOS  NEMHMAA  TIEP%10%  riOIHTAS 
TOTS  TONEAS  KAI  TON  ETEPrETAN  ATT«NT[ON] 
APISTOAAMON  SIMIA  RAI  TAN  TTNAIKA  ATTOT 
KAI  TAN  IAIAN  ANEXTASE 


(Continua) 


MlNERVIM. 


Giulio  Minervim  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BILLLTT1N0  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  S6.     (12.  deiranno  IV.) 


Dicembre  1855. 


Bibliografia.  Continuazione  del  n.  precedente.  —  Osservazioni  del  Conte  Bartolommeo  Borghesi  sidla  greca 
■iscrizione  di  Nicomaco  Giuliano. — Riscontro  di  alcuni  tratti  delle  leggi  municipali  di  Saìpensa  ediMalaca 
con  le  medaglie  di  colonie  e  di  municipii,  ed  altri. — SuW  autenticità  de'bronzi  di  Saìpensa  e  di  Malaca. — 

Iscrizione  romana  presso  Chiusi. 


BIBLIOGRAFIA 

Antichità  inedite  di  vario  genere  trovale  in  Sicilia,  che 
si  pubblicano  da  Baldassarre  RosiANO-Pa/crmo- 
Continuazione  del  n.  precedente. 


■'.. 


Finalmente  di  non  lieve  importanza  addimostrasi 
quest'  altra  iscrizione  scoperta  presso  Trapani  sin  dal- 
l'anno  1842  nella  campagna  di  Bonagia,  ove  rimane: 
alt.  p.  4  largh.  p.  2  circa. 

•  •  •  ON 

N€lKOMAXO[N] 

IOTAIANON 

AAMnPOTATON 

TIIATON 

ANernATON 

ACIAC 

AIKAIGOTATON 

ACINNIOC 

AMIANTOC 

CTIITPonoC 

TON  AECnOTH[N] 

Presentandoci  questa  bella  iscrizione  un  nuovo  con- 
sole, ne  interrogammo  l'insigne  Borghesi:  ed  egli  colla 
sua  solita  gentilezza  ci  fornì  una  dotta  discussione  che 
ci  affrettiamo  di  pubblicare  qui  appresso. 

Intanto,  nel  chiudere  questa  brevissima  notizia,  ci 
ììyìvo  ir. 


vediamo  nell' obbligo  di  dichiarare  che  il  sig.  Romano 
con  questa  sua  pubblicazione  grande  utile  arreca  agli 
studiosi  dell'archeologia:  e  noi  vorremmo  vedere  con 
alacrità  proseguita  la  onorevole  intrapresa. Nella  quale, 
perchè  riuscisse  di  maggior  profitto  a'nostri  studii,  vor- 
remmo che  il  eh.  editore  ponesse  maggior  cura  a 
scegliere  tra'varii  monumenti  che  gli  si  offrono  ad  il- 
lustrare ,  tralasciando  quelli  che  presentano  lieve  im- 
portanza per  aumentare  il  numero  di  quegli  altri  che 
meritano  maggiormente  di  richiamare  1'  attenzione 
de'  dotti,  e  che  in  un  sito  come  1%  Sicilia  non  potran 
giammai  venir  meno  alle  ricerche  di  un  diligente  in- 
vestigatore. 

Minervim. 


0.  sensazioni  del  Conte  Bartolommeo  Borghesi  sulla 
greca  iscrizione  di  Nicomaco  Giuliano  pubblicata  qui 
sopra.  Da  lettera  all'Editore  del  presente  buHcltino. 

Si  può  fidatamente  affermare  che  il  cousole  Nico- 
maco Giuliano  non  era  peranche  conosciuto.  Di  tulli 
gli  altri  Giuliani  memorati  nei  fasti  è  in  oggi  nota  per 
Io  meno  la  famiglia,  se  forse  si  eccettua  il  collega  di 
Paulino  nell'anno  325  di  Cristo.  Egli  è  però  credu- 
to generalmente  un  Ceionio  ,  il  che  se  manca  fin  qui 
di  positivo  fondamento,  non  manca  almeno  di  proba- 
bilità. Quindi  ne  consegue  che  Nicomaco  non  fu  cer- 
tamente console  eponimo ,  ma  deve  essere  stato  suf- 
fetto.  Abbiamo  bensì  due  proconsoli  dell' Asia  dei  quali 

non  si  sa  che  il  puro  cognome  Giuliano.  L'uno  nel 

12 


—  90  - 


397  proveniente  dal  codice  Giustinianeo  (L.  VII  45. 
12)  ma  in  cui  il  Gotofredo  nella  Prosopografia  dubita 
ragionevolmente  che  sia  stato  scambiato  il  nome  della 
provincia.  L'altro  è  memorato  al  tempo  di  Antonino 
Pio  sulla  fine  del  quinto  dei  sermoni  sacri  dall'  ora- 
tore Aristide,  che  nel  terzo  anno  della  propria  ma- 
lattia corrispondente  al  152,  come  è  ora  stato  retti- 
ficato, ottenne  da  quel  proconsole  la  restituzione  di 
un  suo  predio.  Ma  né  l'uno  né  l'altro  può  confon- 
dersi con  Nicomaco,  per  quanto  è  lecito  di  trarre  dai 
pochi  dali  che  somministra  la  sua  iscrizione.  Egli  s'in- 
titola console  e  proconsole  d'Asia,  e  con  ciò  persua- 
de di  aver  fiorilo  in  un  tempo  in  cui  vigevano  tutta- 
via le  antiche  leggi  che  riserbavano  il  reggimento 
dell'Asia  e  dell'Africa  ai  senatori  soltanto  ch'erano  sa- 
liti allopatica  dignità.  Se  ciò  è,  egli  non  può  essere 
posteriore  a  Costantino.  Prescindo  che  sotto  quel  prin- 
cipe cominciarono  a  cadere  in  disuso  i  consoli  suffut- 
ti,  dei  quali  non  trovasi  esempio  a  Cosìanlinopoli,  e 
che  in  Roma  scemarono  ogni  giorno  di  lustro  e  di 
numero  da  che  l'imperatore  cessò  di  mischiarsi  nella 
loro  elezione  abbandonata  alla  potestà  del  senato,  sic- 
come ha  mostrato  poco  fa  il  eh.  Cav.  de  Rossi  (Giorn. 
Arcad.  T.  128  p.  122).  Mi  appoggio  soltanto  sul  fatto 
che  fino  dal  principio  dell'impero  Costantiniano  i  con- 
solari perderono  il  diritto  di  ottare  esclusivamente  al 
governo  dell'una  o  dell'altra  di  quelle  due  province. 
Gli  ultimi  che  trovo  averne  goduto  sono  Cassio  Dio- 
ne console  nel  29 1 ,  proconsole  d'Africa  nel  295  (Mor- 
celli  Afr.  T.  2.  p.  175),  ed  Annio  Anulino  console 
nel  295,  ivi  proconsole  nel  302  (Morcelli  p.  181). 
Al  contrario  nei  successori  non  s' incontra  general- 
mente indizio  ch'abbiano  giammai  conseguilo i fasci, 
o  al  più  si  prova  ch'ebbero  la  provincia  mollo  prima 
di  essi  come  Petronio  Probiano  proconsole  della  stes- 
sa provincia  nel  315  (Cod.  Theod.  L.  XI.  30.  3)  con- 
sole nel  322,  e  Mecilio  Hilariano  proconsole  nel  324 
(Cod.  Theod.  L.  XII.  1.  9)  console  nel  332.  Dall'al- 
tra parte  non  avendosi  alcun  lume  del  gentilizio,  che 
la  lapide  ha  disgraziatamente  perduto  ,  il  cognome 
grecanico  Nicomaco,  non  usato  per  lunga  pezza  in  Ro- 
ma se  non  che  da  servi  e  da  liberti,  cagiona  non  lieve 
difficoltà  che  eoslui  abbia  potuto  giungere  ai  sommi 


onori  prima  che  il  senato  cominciasse  a  popolarsi  di 
forestieri.  Vi  é  dunque  molta  apparenza  che  costui  sia 
vissuto  sul  principio  dei  secoli  della  decadenza,  vo- 
glio dire  negli  oscurissimi  tempi  che  precedono  il  re- 
gno di  Costantino,  e  decorrono  da  quello  di  Caracal- 
la,  ch'estese  a  tutto  l'impero  i  drilli  di  cittadinanza. 
E  veramente  a  questi  tempi  appartengono  le  prime 
memorie  che  scarsissime  rinvengo  di  questo  cogno- 
me in  persone  di  elevata  condizione.  Non  mi  fo  ca- 
rico della  famiglia  dei  Nicomachi  Flaviani  salita  in 
auge  ai  giorni  di  Teodosio  e  dei  suoi  figli ,  essendo 
troppo  recente  per  giovare  alle  nostre  ricerche.  Ella 
è  divenuta  assai  nota  dopo  la  scoperta  in  ispecie  della 
grande  iscrizione  del  Foro  Traiano  edita  ed  ampia- 
mente illustrata  nel  T.  XXI  degli  Annali  Archeologici 
dell'Istituto  di  Roma,  da  cui  si  è  conosciuto  che  au- 
tore della  sua  grandezza  fu  Virio  Nicomaco  Flaviano 
grande  amico  dell'oratore  Simmaco  e  capo  dei  parti- 
tanti  del  tiranno  Eugenio,  ma  che  sembra  provenuto 
da  basso  stato  non  avendosi  altro  cenno  de' suoi  mag- 
giori se  non  che  fu  figlio  di  un  Venusto,  di  cui  Macro- 
bio  non  ha  avuto  da  dirci  che  il  semplice  nome.  Laon- 
de rimontando  ad  un'età  più  remota  m'incontro  in 
Melio  o  Mecio  Falconio  Nicomaco  vecchio  consola- 
re, che  assistette  in  senato  all'elevazione  di  Tacito  al 
principato,  di  cui  si  fa  cenno  dal  solo  Vopisco  (Tac. 
e.  5  ).  E  trovo  poi  Amnio  Manio  Cesonio  Nicomaco 
Anicio  Paulino  console  ordinario ,  a  cui  fu  dedicato 
un  titolo  onorario  riportalo  dal  Grutero  p.  1090.  19, 
ed  ora  esistente  nel  museo  di  Parigi.  Quantunque  in 
quel  titolo  si  confessi  figlio  di  Anicio  Giuliano  con- 
sole nel  322  ,  il  Marini  nei  papiri  (p.  328  nota  13) 
restò  dubbioso  chi  egli  si  fosse. 

Ma  basta  di  paragonare  quella  sua  iscrizione  col- 
l'altra  di  Anicio  Paulino  giuniore  presso  l'Orelli  1082, 
e  di  por  mente  alla  identità  delle  loro  cariche,  e  se- 
gnatamente alla  particolarità  di  cui  non  conosco  al- 
tri esempi,  di  chiamarsi  ambedue  proconsoli  dell'A- 
sia e  dell'  Ellesponto,  per  rimanere  convinti  che  spet- 
tano ambedue  a  quel  medesimo  ,  eh'  ebbe  i  fasci  nel 
334.  Non  vi  è  altra  differenza  se  nonché  nella  prima 
s'infilzano  tutti  i  suoi  nomi,  e  nella  seconda  si  ricor- 
dano quelli  soltanto  che  gli  erano  propri  più  parti- 


—  91 


colarmenle,  rimpiazzando  gli  altri  coll'appellazionedi 
giuniore.  Ma  questa  islessa  distinzione  di  giuuiore  ci 
prova  che  viveva  allora  un  altro  omonimo  di  mag- 
giore età,  cioè  l'Anicio  Paulino  console  nel  325,  che 
talor  convengono  essere  stalo  fratello  dell'Anicio  Giu- 
liano del  322,  siccome  figli  ambedue  dell'Anicio  Fau- 
sto console  nel  298,  il  qual  Paulino  per  conseguen- 
za fu  zio  paterno  di  quest'altro,  che  da  lui  dedusse  i 
suoi  nomi.  Questi  però  non  ne  trasse  i  due  soli  di  A- 
nicio  Paulino ,  ma  quelli  eziandio  di  Cesonio  Nico- 
maco ,  imperocché  dopo  aver  provato  di  sopra  che 
tutti  quattro  furono  portali  dal  nipote  non  potrà  du- 
bitarsi che  giustamente  dal  Reiuesio  (  Synl.  Inscr.  p. 
67  )  sia  stala  attribuita  allo  zio  la  Gruteriana  47.  9 
(alla  quale  il  Muratori  p.  373.  1  falsamente  attaccò 
la  dedicazione  di  un'altra  lapide) ,  in  cui  quando  non 
era  ancora  se  non  che  pretore  urbano  viene  anch'egli 
più  ampiamente  chiamalo  M.  1VN.  CAESONIVS. 
NTCOMACHVS.  ANICIYS.  FAVSTVS.  PAVLINVS. 
Non  per  questo  si  avrà  da  reputare  anche  più  antico 
fra  gli  Anicii  il  cognome  Nicomaco.  Infatti  non  trovasi 
dato  al  loro  vecchio  antenato  Q.  Anicio  Fausto  avo 
o  bisavo  del  già  citato  Anicio  Fausto  console  nel 
298,  che  tre  iscrizioni  venute  recentemente  dall'Alge- 
ria ci  insegnano  essere  stato  legalo  della  Numidia  e 
già  consolare  nel  201  ,  mentre  due  altri  marmi  del 
Donati  p.  144  6  e  7  ce  lo  mostrano  traslatafo  alla  le- 
gazione della  Mesia  inferiore  nel  203.  E  malgrado  la 
moltiplicità  dei  loro  nomi  non  è  attribuito  né  meno 
ai  suoi  Agli  o  discendenti ,  dei  quali  pure  dobbiamo 
la  notizia  ad  altre  due  lapidi  africane,  cioè  a  M.  Coc- 
ceio  Anicio  Fausto  Flaviano  patrizio  e  consolare ,  e 
Sesto  Cocceio  Anicio  Fausto  Paulino  proconsole  del- 
l'Africa. Per  lo  che,  se  tali  denominazioni  furono  da 
prima  estranee  a  quella  casa,  resterà  che  vi  siano  slate 
introdotte  dall'uso  comunemente  invalso  tra  i  nobili 
dei  secoli  imperiali,  giusta  il  quale  i  figli  praticarono 
di  aggiungere  ai  nomi  paterni  anche  quelli  della  fa- 
miglia della  madre.  Quindi  se  l'Anicio  Paulino  del 
325  fu  il  primo  a  farne  uso,  potrà  ragionevolmente 
tenersi  ch'egli  sia  nato  da  una  figlia  dell'  ignoto  Ce- 
sonio Nicomaco  ,  di  cui  per  tal  modo  saremo  giunti 
ad  aver  conoscenza.  Io  mi  sono  diffuso  a  procurarla 


per  chi  amasse  di  spaziare  pei  regni  delle  congettu- 
re,  e  proponesse  di  confonderlo  coli' onoralo  nella 
pietra  di  Trapani  supplendo  Kx«rwv<ON  nel  mutilo 
di  lui  gentilizio.  Né  un  tale  sospetto  sarebbe  senza  una 
qualche  buona  apparenza.  Imperocché  supponendo 
che  questo  Cesonio  Nicomaco  Giuliano  fosse  slato  il 
suocero  di  Anicio  Fausto  console  nei  298  trovereb- 
besi  la  ragione  perchè  il  di  lui  primogenito  del  322, 
a  ricordare  l'origine  materna,  si  fosse  preso  il  cogno- 
me Giuliano  del  quale  pure  è  ignota  l'origine  nella 
gente  Anicia,  lasciando  al  fratello  del  325  l'altro  di 
Nicomaco.  In  tale  ipotesi  il  nostro  console  Nicoma- 
co Giuliano  avrebbe  fiorito  circa  i  tempi  di  Gallieno. 

B.  Borguesi. 

Riscontro  di  alcuni  traiti  delle  Leggi  municipali  di 
Salpensa  e  di  Malaca  con  le  medaglie  di  colonie  e 
di  municipii ,  ed  altri. 

Fra  le  recenti  scoperte  archeologiche  tiene  luogo 
distinto  quella  delle  due  tavole  di  bronzo,  contenenti 
parte  delle  Leggi  municipali  di  Salpensa  e  di  Malaca, 
che  si  rinvennero  presso  Malaga  in  sul  cadere  del 
mese  di  ottobre  nell'anno  1851 ,  e  che  furono  pub- 
blicate dal  dotto  avvocato  Berlanga  in  Malaga  slessa 
nel  1853  ,  e  di  recente  illustrate  dal  eh.  Mommsen 
negli  atti  della  regia  Società  Sassone  delle  Scienze 
(Leipzig  1855),  e  riprodotte  dal  eh.  Prof.  Capei  nella 
nuova  serie  dell'  Archivio  storico-Italiano  (  t.  I,  disp. 
II,  p.  5-21  ). 

Nella  Rubrica  LIX  delle  Leggi  del  municipio  Ma- 
lacitano,  alla  linea  105,  leggesi  ET  GENIVM  1MP- 

CAESARIS  D NT  AVG,  ove  chiaramente  si  vede, 

che  il  nome  di  Domiziano,  di  dannata  memoria, 
venne  abraso  quasi  per  intero  ,  benché  nelle  Rubri- 
che pertinenti  alle  leggi  del  municipio  di  Salpensa  il 
nome  di  quelP  Augusto  si  rimanesse  intatto.  Per  si- 
mile modo  in  diversi  esemplari  delle  monete  di  Bil- 
bilis  della  Spagna  Tarraconese  insignite  de'  nomi  de' 
consoli  del  784,  quel  di  Seiano  venne  a  bello  studio 
abraso  dopo  la  sua  morte  (  Eckhel  t.  I  p.  36  :  VI  p. 
196).  E  pare  che  similmente  in  una  rara  moneta  di 


—  92  — 


Niuive  impressa  solto  Alessandro  Severo  (Pinder  und 
Friedlàender  ,  Beilràge  I  taf.  VI ,  8  )  appositamente 
fosse  abraso  il  nome  ALEXANDRI ,  in  conseguenza 
degli  ordini  dell'  iniquo  suo  uccisore  e  successore 
Massimino  (cf.  Avellino,  opusc.  t.  HI  p.  211-214), 
che  furono  eseguiti  fin  nelle  estreme  parli  dell'im- 
pero (corp.  ins.  gr.  n.  4997,  5001);  e  parimente  in 
una  moneta  di  Nisibi  della  Mesopotamia  (  Mionnet , 
su}' pi.  n.  78  ). 

Del  resto  il  giuramento,  che  giusta  quelle  Leggi 
municipali  si  dovea  fare  anche  pel  GENIVM  CAE- 
SARIS ,  dà  luce  alle  medaglie  di  Nerone  aventi  nel 
riverso  la  scritta  GENIO  AVGVSTI  apposta  alla  fi- 
gura del  Genio  stesso  sacrificante  (  Eckhel  t.  VI  p. 
272);  non  che  a  quelle  parole  di  Plinio  (paneg.  e.  52) 
riguardanti  la  moderazione  di  Traiano  posta  di  ri- 
scontro alle  esorbitanze  di  Domiziano  :  simili  reve- 
renda ,  CAESAR ,  non  apud  GENIVM  TVVM  bo- 
llitali luae  gralias  agi ,  sed  apud  numen  IOVIS  O  • 
M-  pateris  (cf.  Eckhel  t.  Vili  p.  458). 

Incerta  finora  si  rimane  la  ragione  del  tipo  del  ri- 
verso de'  danarii  di  P.  Silio  Nerva  ,  che  è  come  se- 
gue :  cancelli  de'comizii,  entro  i  quali  statisi  tre  figure 
virili  togate ,  una  in  atto  di  lasciar  cadere  la  sua  ta- 
bella entro  l'  urna ,  o  silella  che  dir  si  voglia  ,  V  altra 
in  atto  di  riceverla  dalla  mano  della  terza;  al  disopra 
appare  in  parte  un  come  subsellio,  o  simile  oggetto  (v. 
Cavedoni,  ragguaglio  de  risposi,  p.  133,  nota  118). 
Con  questo  lipo  vuoisi  riscontrare  la  Rubrica  LV  del 
bronzo Malacitauo,  che  dice:  Qui  comitia exh(ac)l{ege) 
habebit,  is  municipcs  eurialini  ad  suffragami  ferendum 
vocalo  ila,  ut  uno  vocatu  omnes  curias  in  suffragium 
cocci,  eaeque  singulae  in  singulis  consaeplìs  suffragium 
per  tabellam  ferant.  Itemque  curalo,  ut  ad  cistam  cu- 
iusque  curiae  ex  municipibus  eiius  municipi  terni  sint, 
qui  eius  curiae  non  sint,  qui  suffragia  custodiant  diribe- 
ant,  et  uti  ante  quam  id  faciant  quisqueeorum  iurent, 
se  rationem  su/fragiorum  fide  bona  habiturum  relatu- 
rumque.  Neoe  prohibito  q[uo)  m[inus)  et  qui  honorem 
petenl  singulos  custodes  ad  singulas  cislas  ponant,  con 
quel  che  segue.  Dal  riscontro  pertanto  di  questa  e 
d'  allre  Rubriche  della  Legge  Malacitana  col  lipo  com- 
plicalo del  denario  di  P.  Nerva  panni  potersi  ragione- 


volmente inferire,  ch'esso  appelli  ad  una  Legge  Silia 
conlenente  simili  accorgimenti  e  prescrizioni  per  im- 
pedire qualunque  inganno  e  soperchieria  necomiziiper 
l'elezione  de'magistrati  in  Roma.  Anche  nel  detto  dena- 
rio appare  l'indizio  della  separazione  di  ciascuna  curia 
dall'altre,  si  che  singulae  in  singulis  consaeplìs  suffra- 
gium per  tabellam  ferant  (cf.Dìonys  Ant.Rom.Wll,§$). 
In  alcune  medaglie  del  Municipio  Uticense  col  no- 
me di  C.  Vibio  Marso  proconsole  d'Africa  si  leggono 
i  nomi  e  titoli  accorciati  de'magistrati  domestici  NER* 
CAES  ■  Q  •  PR  •  A  •  M  •  GEMELLVS  F  •  C  •  D  • 
D  •  P  •  P  -,  DRV  •  CAE  •  Q  •  PR  ■  T  •  G  •  RVFVS 
F  •  C  •  D  •  D  •  P  •  P-  (Eckhel  t.  IV  p.  147:  Borghesi 
Dee.  X  oss.  4,  5).  L'Eckhel  non  bene  spiegò  Decurio- 
nes  Probavere  1'  ullime  quattro  sigle  ,  che  valgono 
anzi  Decurionum  Decreto  Pcrmissu  Proconsulis ,  come 
fu  comprovato  dal  eh.  Borghesi.  L'  Eckhel  male  al- 
tresì spiegò  l' altre  Q  ■  PR  •  per  Quaestor  PRopraeto- 
re;  ed  il  lodalo  Borghesi  propose  d'interpretarle  NE- 
Rone  CAESare  Quinquennali  PRaefeclus  Aulus  M-" 
GEMELLVS,  DR Vso  CAEsare  Quinquennali  PRae- 
feclus  Tilus  G"-  RVFVS  Faciundum  Curavit:  quan- 
do pure  non  piacesse  meglio  di  leggere  NERokjs  (o 
DRVsi)  CAEsans  Quinquennalis  PRXefectus  (  Dee. 
X  oss.  5  ).  E  questa  seconda  lezione  pare  preferibile 
all'altra  anche  in  riguardo  alla  Rubrica  XXIIII  del 
bronzo  di  Salpensa  intitolata  de  Praefeclo  Imp.  Cae- 
saris  Domitiani  Aug.  In  essa  Rubrica  leggesi,  che  se 
Domiziano  fosse  per  accettare  il  Duumvirato  a  lui 
deferito  dai  decurioni  di  quel  municipio,  ed  egli  loco 
suo  Praefectum  quem  esse  iusserit,is  Praefectus  eo  iure 
[loco]ve  esto,  quo  essct,  si  eum  Ihir(um)  i{ure)  dficun- 
do)  ex  hfacj  l(ege)  solum  creari  oportuisset ,  isque  ex 
h(ac)  l(ege)  solus  Ihir  i(ure)  d(icundo)  creatus  enei. 
Codesta  clausola  pare  contenere  una  innovazione  falla 
per  adulare  a  Domiziano  ;  poiché  i  Prefetti  de'  Prin- 
cipi anteriori  trovansi  più  volte  consociali  ad  un  Ihir 
del  municipio  nelle  medaglie  e  nelle  lapide  (  Eckhel 
t.  IV  p.  477:  Orelli  n.  3874  segg.  ).  Del  resto,  il  ri- 
petuto Ihir  solus  del  bronzo  di  Salpesa  dà  bella  luce 
all'  AEO  •  QVINQ  •  SOLO  e  AED  .  SOLO  delle  due 
lapido  di  Giunio  Tertio  (  Bull.  Nap.  prima  ser.  an. 
IV  p.  67:  an.  V  p.  60-61). 


93- 


L'Eckhel  (t.  IV  p.  478)  si  trovò  imbarazzalo  non 
poco  a  render  ragione  de' Praefecli  II  etri ,  che  talor 
s'incontrano  nelle  medaglie  de'Municipii  e  delle  Co- 
lonie ;  e  conchiuse  congetturando,  in  nonnuUis  colo- 
niis,  praeter  Ilviros  ordinarios,  lectos  fuisse  alios,par- 
tium,  si  ita  loqui  fas  est  ,  secumlarum ,  eosque  diclos 
PRAEFECTOS  //F/ftOS.Lasua  congettura  si  fonda 
segnatamente  sopra  una  moneta  di  Corinto  ,  che  è 
come  segue  ; 

M  •  BARBATIO  AN  .  ACILIO  IIV1R  •  COR,  te- 
sia  nuda  di  Augusto. 

X  P-  VIBIO  M  •  BARBA  ■  PRAEF  .  IIVIR .  COR, 
colono  velato  che  regge  due  bovi  aggiogali  aW  aratro. 

Ae.  7. 

Egli  ne  inferisce,  che  nel  tempo  stesso  v'erano  in 
Corinto  e  i  Duumviri  ordinarii,  ed  altri  ancora  detti 
Praefecli  Duumviri;  ma  l'argomento  suo  non  regge, 
sendo  fondato  sopra  un  abbaglio;  poiché  nel  riverso 
dee  leggersi  Publio  VIBIO  Marci  BARBAm(non  già 
Marco  BARBArio)  PRAEFecJo  IIVIRo;  cioè  Prefetto 
del  Dumviro  M  •  BARBtVTIO  ,  il  cui  nome  è  scritto 
nel  ritto  della  medaglia,  e  che  sarà  stato  assente  ,  o 
infermo,  o  per  altro  modo  impedito  dall' adempiere 
gli  offici  della  sua  magistratura.  E  tanto  si  conferma 
pel  riscontro  di  quest'  altra  moneta  coloniale  di  Co- 
rinto medesima  (  Mionnet ,  Descr.  n.  185:  Morelli 
fam.  Pomponia  tab.  4  n.  II  ). 

P  •  ALVSIT  •  C  •  IVLIO  II  •  VIR  •  ITER  ■  COR, 
tasta  nuda  d'Augusto. 

)(  L  •  POMP  •  C  ■  1VLI  II  •  VIR  COR  ,  arco  trion- 
fale ,  in  sul  quale  è  collocala  una  quadriga  di  mezzo 
a  due  Vittorie.  Ae.  7. 

Colali  monete  sogliono  essere  malmesse,  segnata- 
mente riguardo  alle  epigrafi  ;  e  nel  rovescio  di  que- 
sta pare  doversi  leggere  L  •  POMPoiiìo  Cali  1VLI 
VKaefecto  IIVIRo,  Prefetto  cioè  del  IIVIRo  C  .  IVLIO 
memorato  nel  diritto  della  medaglia. 

Riguardo  ai  Duumviri  ed  agli  altri  magistrati,  che 
per  due  o  più  volte  diconsi  aver  sostenuta  la  lor  ca- 
rica, sì  nelle  monete  come  nelle  lapide,  molto  im- 
portante si  è  la  legge  del  quinquennio  che  dovea  frap- 
porsi  da  una  all'  altra  elezione,  come  si  ha  dalla  Ru- 
brica LIIII  del  bronzo  Malacitano ,  che  divieta  l' ele- 


zione di  colui,  qui  minor  annorum  XXV  erit ,  quive 
intra  quinquennium  in  eo  honore  fuerint.  Così ,  ad 
esempio, C  •  MINI,  che  dicesi  III1VIR  IV  in  moneta 
di  Carteia  della  Betica  (Eckhel  t.  I  p.  17-18) ,  do- 
vette perseverare  almeno  per  venti  anni  nella  peti- 
zione degli  onori  municipali ,  ed  essere  quasi  quin- 
quagenario allor  ch'egli  fu  fatto  quatluorvìro  per  la 
quarta  volta.  La  legge  stessa  del  quinquennio,  che 
frappor  dovevasi  a  due  o  più  consecutive  magistra- 
ture, ne  rende  plausibile  ragione  dell'incontrarci  che 
facciamo  in  Quinquennales  ilerum ,  e  Quinquennales 
terlium;  giacché  colui  che  era  stato  in  un  dato  anno 
II  •  VIR  •  QVINQm«a7/s,  passato  il  legale  quinquen- 
nio, polca  di  bel  nuovo  essere  eletto  e  coprire  la 
slessa  carica  ITERum  TERlium,  e  via  dicendo  ;  non 
g'à  PER^mo,  come  suppose  l'Eckhel(t.  IV  p.  476, 
477  ),  tratto  in  inganno  dal  QVINQ  •  PER  di  una 
moneta  di  Bulroto  ,  nella  quale  anzi  dee  leggersi 
QVINQ  •  TERT  (Rorghesi,  Decad.  XI,  oss.  6). 

L' Eckhel  prese  abbaglio  altresì  nell' asserire  ,  che 
i  Quinquennales  non  differebanl  a  Hviris  ordinariis , 
nisi  quod  hi  annui  fere  csscnl,illi  quinquennio  rei  sum- 
mae  praeessent.  Il  Forcelliui  ed  il  Furlanetto  (  Lexic. 
s.  v.  Quinquennalis  §  4  )  di  già  s'erano  accorti,  che 
la  Quinquennalità  annua  tantum  fuisse  videtur  ;  e  di 
recente  i  chb.  Zumpt  ed  Ileuzen  [v.  Annali  arch.  t. 
XXIII  p.  6-1 3,  35)  hanno  comprovato ,  che  la  Quin- 
quennalilà  non  fu  altrimenti  magistratura  peculiare, 
ma  sibbene  aggiunta  nell'anno  del  lustro  all'uffizio 
dei  duumviri  o  quatluorviri  iuri  dicundo,  che  perciò 
in  un  tal  anno  devono  mancare  ne'  fasti  municipali. 
L*  Eckhel  medesimo  poi  rellamenle  spiegò  il  titolo 
PR  •  QVIN  delle  monete  di  Leplis  della  Siriica  per 
VRaefeclus  QWINquennalis,  benché  lasciasse  in  incerto 
la  ragione  di  colale  appellazione.  Del  resto,  l'ultimo 
esempio  che  s' incontri  di  un  Prefetto  Quinquennale, 
faciente  le  veci  di  un  personaggio  della  casa  Augusta, 
forse  sarà  quello  di  M.  Cominio  Quinto ,  che  in  una 
lapida  di  Sarmizegetusa  della  Dacia  dicesi  PRAEF  ■ 
Q  •  Q  •  PRO  -ANTONINO  ■  IMP  (Bull  arch.  1848 
p.  186);  cioè  di  Antonino  Pio,  che  nell'anno  139, 
secondo  del  suo  impero,  fra  l' altre  proviucie  che  gli 
presentarono  doni  ed  ossequio,  nelle  sue  monete  rap- 


94  — 


presentò  anche  la  DACIA  (Eckhel  (.  VII  p.  5).  Quindi 
(orna  assai  probabile  ,  che  i  decurioni  di  Sarniizege- 
lusa  deferissero  la  magistratura  quimjuennalicia  ad 
Autouino  Pio  nel  bel  primo  anno  del  felice  suo  im- 
pero, allorcbè  la  Dacia  gli  fece  il  presente  dell'oro 
coronario. 

C.  Cavedoni. 


SuW  autenticità  de  bronzi  di  Sàlpensà  e  di  Màlica. 


Le  iscrizioni ,  sulle  quali  il  cb.  Cavedoni  ha  disteso 
il  «lotto  articolo  che  precede  ,  sono  state  recentissi- 
mamente sottoposte  a  severa  critica  dal  eh.  giurecon- 
sulto francese  sig.  Cav.  Laboulaye,  in  un  particolare 
opuscolo  che  ha  per  tìtolo — Les  tables  de  bronze  de 
Malaga  et  de  Salpesa  traduites  et  annotéespar  Èdouard 
Laboulaye — Paris  1856  pag.  50  in  8.  Il  dotto  scrit- 
tore ne  fa  sapere  che  alla  prima  lettura  di  quei  mo- 
numenti concepì  non  lievi  dubbii  sulla  loro  autenti- 
cità, sebbene  nessun  sospetto  di  simil  natura  si  fosse 
presentalo  alla  mente  del  eh.  Mommsen,  che  ne  fece 
la  illustrazione,  né  del  eh.  Huschke,  il  quale  ritenne 
come  sicure  queste  leggi  da  lui  appellate  legcsFlaviae 
(Gaius  ,  Beitràge  zur  Kritik  etc.  Leipzig,  1855  p. 
li).  In  un  primo  paragrafo  il  sig.  Laboulay  offre  la 
storia  della  scoverta,  osservando  che  le  due  tavole  rin- 
venute nel  medesimo  sito  appartengono  a  due  città  dif- 
ferenti. La  più  grande  contiene  un  frammento  della 
legge  municipale  di  Malaga  ;  la  più  piccola  un  fram- 
mento della  legge  municipale  di  Salpesa:  e  queste  due 
leggi  (  aggiunge  l' autore)  suppongono  che  le  due  città 
hanno  il  jus  Lalii ,  o  piuttosto  non  so  guai  drillo  più 
favorevole  che  il  jus  Lalii ,  senza  essere  anoora  il  jus 
civitatis.  Avverte  il  sig.  Laboulaye  che  Malaca  è  detta 
nel  bronzo  Municipium  Flavium  Malacitanum,  e  ne\- 
Y  altro  Salpesa  è  chiamata  Municipium  Flavium  Sal- 
pensanum:  non  trova  per  altro  alcuna  difficoltà  né  nel 
nuovo  epiteto  di  Flavium  dato  al  municipio  di  Malaca, 
né  nella  ortografia  Salpensanum  in  vece  della  più  co- 
mune Salpesanum. 

Nel  §.  2  il  signor  Laboulaye  presenta  alcune  os- 


servazioni sulla  scoperta  medesima,  notando  la  stra- 
nezza del  fatto  di  essersi  in  Malaga  ritrovata  una  legge, 
che  concerneva  ad  un'altra  città:  che  il  nome  di  Do- 
miziano vedesi  raso  dalla  tavola  di  Malaca  ,  mentre 
si  è  conservato  in  quella  di  Salpesa  :  che  quei  monu- 
menti sono  rimasti  tanti  secoli  sotterra  ,  conservati 
intatti,  rimanendo  tuttora  parte  della  tela  di  filo  che 
li  copriva.  Vi  è  mai  (dice  1' a.  )  un  secondo  esempio 
di  antichità  sì  tniracolosamenle  conservale  ?  Conviene 
peraltro  il  signor  Laboulaye  della  difficoltà  di  una 
falsificazione  di  questo  genere  ;  essendo  il  peso  de' 
due  bronzi  niente  meno  che  264  libre  di  Casliglia. 

Altri  dubbii  presenta  I'a.  sulla  disposizione  delle 
colonne  ,  e  su'  caratteri  delle  iscrizioni  ;  ed  avverte 
che  la  voce  rubrica  gli  sembra  usala  in  quel  senso 
che  dar  le  sogliono  i  glossatori.  Altre  più  gravi  dif- 
ficoltà sorgono,  a  giudizio  del  giureconsulto  francese, 
dalla  parte  legale  de'  due  monumenti.  Egli  osserva 
ehe  questa  legge  isolala ,  la  quale  non  si  accorda  con 
Gaio,  e  che  ci  rivela  un  dritto  del  tutto  nuovo  e  spesso 
poco  ragionevole ,  quelle  forme  irregolari ,  quello  stile 
di  una  latinità  sospetta,  non  sembrano  conciliabili  con 
la  severità  della  giurisprudenza  romana. 

Ne'  due  ultimi  paragrafi  il  signor  Laboulaye  riporta 
il  testo  del  bronzo  di  Salpesa,  e  di  quello  di  Malaga, 
con  la  versione  francese  a  fronte ,  ed  aggiugnendo 
copiose  annotazioni.  A  noi  riesce  impossibile  seguire 
la.  in  queste  particolari  discussioni,  concernenti  ole 
espressioni  e  la  lingua ,  o  la  parte  legale  :  e  ci  pro- 
poniamo dirne  altrove  più  largamente.  Solo  voglia- 
mo qui  riportare  la  conchiusione  di  tutto  il  lavoro. 

«  Se  il  lettore  ,  egli  dice  ,  ha  avuta  la  pazienza  di 
seguirmi  in  questo  studio  minuzioso  ,  avrà  veduto  , 
io  credo  ,  che  la  lingua  del  nostro  monumento  lascia 
molto  a  desiderare  per  la  data  che  gli  si  attribuisce; 
che  le  islituzioni  di  Malaga  erano  differenti  da  tutto 
ciò  che  si  conosce  e  si  suppone  oggidì  ,  che  il  citta- 
dino di  Salpesa  o  di  Malaga  non  aveva  nulla  ad  in- 
vidiare a'  cittadini  di  Roma  ,  perchè  aveva  i  medesi- 
mi dritti  civili ,  e  tali  dritti  politici  che  mancavano 
alla  metropoli.  Tutto  ciò  è  straordinario.  Ciò  che  non 
1'  è  meno,  e  che  questi  privilegii  non  abbiano  lasciato 
alcuna  traccia  né  nella  giurisprudenza  ,  né  nella  sto- 


95  — 


ria.  In  oltre  è  mestieri  notare  che  a  differenza  di  tulle 
le  scoverte ,  queste  leggi  non  vengono  a  dar  luce  ai 
testi  che  possediamo ,  ed  a  mostrarci  i  nostri  errori 
e  nuove  verità.  Se  le  tavole  di  Malaga  sono  vere,  le 
noslre  conoscenze  non  han  punto  cangiato ,  la  con- 
dizione delle  città  latine  è  sempre  la  stessa,  non  fuvvi 
altra  eccezione  che  per  una  città  di  Spagna.  Ecco  un 
risullamento  nuovo  in  erudizione  ». 

«  lu  quanto  alle  persone,  che  dolale  di  una  fede  più 
robusla ,  non  saranno  scosse  dalle  mie  obhiezioni ,  e 
troveranno  che  una  simile  frode  è  impossibile  a  sup- 
porre, io  rispedo  la  loro  esitanza,  perchè  sento  tutto 
ciò  che  vi  è  di  imponente  nella  esistenza  medesima  di 
queste  tavole  ;  ma  io  dimando  di  sospendere  la  mia 
adesione,  sinché  la  scienza  mi  abbia  dimostrato  il  mio 
errore  ,  e  serberò  per  me  una  saggia  massima  ,  che 
ci  vien  dalla  Spagna  ,  e  che  non  va  meglio  adottata 
che  in  fatto  d' iscrizioni  :  di  tulle  l»  cose  più  sicure,  la 
più  sicura  è  dubitare  ». 

Ho  voluto  distesamente  riportar  l'estratto  dell'opu- 
scolo del  signor  Laboulaye,  perchè  si  comprenda  tutta 
la  portata  delle  sue  osservazioni. 

Non  ostanle  la  dottrina  e  l'ingegno,  che  palesala, 
nella  esposizione  de' suoi  dubbii,  noi  conlessiamo  che 
1'  animo  nostro  non  saprebbe  entrare  nella  sua  per- 
suasione. La  storia  delle  falsificazioni  non  offre  nulla 
di  simile  in  fatto  di  epigraGa.  Monumenti  di  un  no- 
tabile valore  materiale  ,  di  un  lavoro  difficilissimo  e 
complicato  portano  in  sé  la  impronta  della  verità.  Noi 
non  conosciamo  la  superGcie  esterna  de'  due  bronzi 
spagnuoli  ;  né  una  tale  cognizione  par  che  si  abbia 
dal  signor  Laboulaye.  Ma  dalla  relazione  del  signor 
de  Berlanga,  a  cui  si  attiene  il  dotto  accademico  fran- 
cese ,  non  risulta  questa  perfetta  conservazione  che 
si  reputa  incredibile:  e  la  stessa  tela,  che  si  dice  ade- 
rente al  bronzo,  è  una  dimostrazione  dell'ossido  pro- 
dotto dal  tempo,  sebbene  fossero  quelle  tavole  difese 
dalla  umidità.  E  mi  piace  a  questo  proposito  citare 
un  simile  fatto  acquistato  recentemente  alla  scienza. 
Dalla  ultime  scavazioni  Cumane  di  S.  A.  R.  il  Conte 
di  Siracusa  vennero  fuori  alcuni  vasi  di  bronzo,  nella 
parie  interna  de'  quali  veggonsi  i  residui  di  una  tela 
aderente  al  metallo  mercè  la  ossidazione:  e  quella  tela 


appare  in  alcuni  punii  conservatissima  ,  non  avendo 
subito  dal  tempo  la  menoma  disorganizzazione.  Cer- 
tamente ad  un  occhio  pelilo  basterebbe  un  solo  sguar- 
do per  convincersi  dell'  autenticità  de' novelli  bronzi, 
o  della  loro  falsità.  La  forma  de'caratleri,  e  la  patina 
dell'antichità  sono  le  migliori  dimostrazioni  in  questo 
genere  di  monumenti  :  e  dobbiamo  supporre  che  agli 
occhi  del  signor  de  Berlanga,  e  degli  altri  dotti  Spa- 
gnuoli, non  si  affacciarono  sospetti  di  falsità. 

Non  deve  poi  far  maraviglia  che  siesi  ritrovalo  in 
Malaga  anche  l'altro  frammento  relativo  a  Salpesa. 
Chi  può  giudicare  delle  vicende  de' secoli ,  ed  inda- 
gare i  motivi  di  simili  passaggi  di  monumenti  da  un 
luogo  ad  un  altro?  Questi  due  frammenti  non  erano 
collocali  nel  loro  primitivo  sito:  e  perciò  ,  ammesso 
il  loro  trasferimento  da  uno  ad  altro  sito,  non  è  ne- 
cessario investigare  per  quale  volontà  umana,  o  per 
qual  forza  di  circostanze  ,  si  veggano  ravvicinati. 

1  monumenti  epigrafici  presentano  non  poche  volte 
il  nome  di  Domiziano  :  sicché  non  dee  riputarsi  va- 
lida opposizione  il  vederlo  conservato  nel  bronzo  di 
Salpesa.  Anzi  questa  circostanza  allontana  il  sospetto; 
giacché  un  falsario  ,  che  aveva  pensato  a  cancellar 
quel  nome  dalla  iscrizione  di  Malaca  ,  non  avrebbe 
omesso  di  fare  altrettanto  per  quella  di  Salpesa.  Del 
resto  l'esame  de' due  monumenti  dà  una  ragione  di 
questa  particolarità.  Nella  legge  di  Malaca  non  si  no- 
mina che  una  sola  volta  quel  romano  imperatore,  al- 
lorché si  parla  del  giuramento  pel  suo  Genio  ^d'al- 
tronde i  Malacitani  non  si  mostrano  particolarmente 
attaccati  a  quell'uomo.  Tutt'altro  si  osserva  nel  bronzo 
di  Salpesa,  nel  quale  apparisce  una  predilezione  pel 
romano  imperatore  ,  da  cui  quel!'  antico  municipio 
esser  dovè  non  poco  beneficato  e  proletto.  Frequen- 
temente si  fa  menzione  di  Domiziano  ,  al  quale  sono 
particolarmente  applicate  alcune  rubriche  della  legge, 
le  quali  coli'  abrasione  del  nome  non  sarebbero  più 
possibili ,  ed  avrebbero  dovuto  assolutamente  annul- 
larsi. Ecco  dunque  la  necessità  di  conservare  il  nome 
di  Domiziano  in  tutta  la  legge  ,  non  potendo  venire 
scancellato  da  per  tutto. 

Io  non  parlerò  minutamente  della  lingua  usata  nelle 
due  iscrizioni.  Essa  è  abbastanza  elegante  il  più  delle 


—  9G  - 


volle  :  e  ci  parrebbe  assai  difficile  che  un  moderno 
falsario  imitasse  così  bene  le  forinole  e  le  frasi  della 
romana  legislazione.  Le  stesse  scorrezioni  provano  la 
inesistenza  della  frode.  Non  può  accoppiarsi  la  dottrina 
necessaria  per  immaginare  una  simile  contraffazione 
con  errori  di  ortografia  e  di  lingua:  e  del  resto  non  è 
nuovo  osservare  nelle  antiche  lapide  o  in  metalliche 
epigrafi  sbagli  ed  errori  notabilissimi;  specialmente 
trattandosi  di  municipii  tanto  lontani  dalla  metropoli. 
Tale  senza  dubbio  dee  considerarsi  il  priusquam  de- 
curiones  conscriptive  hàbeanlur  del  bronzo  di  Salpesa, 
cbe  va  attribuito  alla  poca  esattezza  nella  lingua  delle 
colonie.  Noi  però  non  metteremmo  tra  gli  errori  la 
voce  rubrica.  Senza  negare  la  significazione  di  tal  pa- 
rola ,  come  la  intende  il  sig.  Laboulaye,  osserviamo 
cbe  così  fu  adoperata  nelle  due  nuove  leggi  ispaniche, 
quando  furono  proposte  in  albo,o  in  altro  modo  pub- 
blicate. Né  doveva  sopprimersi  o  cangiarsi  la  parola, 
allorché  vennero  incise  in  bronzo.  Questa  seconda  o- 
perazione  ,  destinata  a  dar  forma  durevole  a  quelle 
leggi,  non  poteva  cangiar  le  frasi  della  primitiva  pro- 
mulgazione. 

La  quislione  de'  dritti  particolari  ed  irragionevoli 
de'  cittadini  di  Salpesa  e  di  Malaga  si  rannoda  ad  altre 
qui st ioni  epigrafiche,  che  non  osiamo  per  ora  toccare. 
Le  antiche  iscrizioni  ci  fornirono  alcune  particolari 
istituzioni  de'  municipii  ,  le  quali  furono  soggette  a 
svariate  ricerche.  Senza  dubbio  il  dritto  municipale 
de'Romani  subì  notabili  varietà  ed  eccezioni,  le  quali 
ci  vengono  di  giorno  in  giorno  insegnate  dalla  epi- 
grafia: e  quindi  non  dovrà  far  maraviglia  che  inuovi 
monumenti  vennero  ad  allargare  le  nostre  cognizioni 
sopra  due  municipii  della  Spagna. 

A  queste  generale  osservazioni  si  aggiungano  i  ri- 
scontri numismatici  ed  epigrafici  dottamente  notati 
dal  eh.  Cavedoni:  e  si  vedrà  che  idubbii  dell'illustre 
giureconsulto  francese  in  gran  parte  si  dilegueranno. 
Ed  io  sarei  lusingalo  ,  se  la  discussione  del  bullonino 
napolitano  valesse  agli  occhi  del  mio  onorevole  collega 
a  far  riprendere  ai  bronzi  di  Salpesa  e  di  Malaca  quel 


posto  interessante  che  loro  accordarono,  nell'antica  e- 
pigrafia  e  nella  romana  legislazione,  i  dotti  filologie 
giureconsulti ,  che  impresero  a  favellarne. 

MlNEItVlNI. 


Iscrizione  romana  presso  Chiusi:  da  lettera  del  eh.  Ca- 
vedoni all'  Editore  del  presente  bulletlino. 

Le  mando  una  nuova  e  bella  iscrizione  notifica- 
tami dall'  egregio  Mons.  Antonio  Mazzetti  Vescovo 
di  Chiusi,  che  in  sua  lettera  mi  scrivea  quanto  segue: 

«  Le  trascrivo  un'  iscrizione  Romana  che  leggesi 
in  una  lapide  di  travertino  alquanto  frammentata  e 
spugnosa,  per  lo  che  qualche  lettera  rimane  ambigua; 
la  quale  fu  trovata  presso  le  mura  di  Chiusi  nello 
scasso  che  fu  fatto  due  anni  sono ,  per  rettificare  una 
strada  ;  e  fu  donata  a  me  per  collocarla  colle  altre 
sotto  il  portico  del  Vescovado: 

DEIS  AMBROSIALIBVS 

I  VETTIVS  PRIMVS 

DDL 

Questa  è  la  prima  iscrizione  che  abbiamo  trovata 
col  Deis  Ambrosialibus,  invece  (credo  io)  di Immor- 
talibus  ». 

Io  non  saprei  che  aggiungere  alle  parche  e  savie 
parole  di  Mons.  Mazzetti  ,  se  non  che  1'  uso  del  tra- 
vertino e  la  scrittura  arcaica  DEIS  mostrano  che 
questa  importante  iscrizione  spetta  forse  a'primi  anni 
dell'  Impero ,  od  anche  agli  ultimi  della  repubblica 
Romana.  Per  simile  modo  DEI  PENATES  ricorre 
ne'denarii  di  C.  Antio  Restione  impressi  nell'anno 
Varroniano  706.  Le  sigle  DDL  parmi  che  debbano 
spiegarsi  Donum  Dal  (  o  Dedit  )  Libens  ;  anzi  che  Do- 
navit  Dedicavit  Libens ,  come  spiegava  l' Orelli  (  voi. 
II  p.  458). 

C.  Cavedoni. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 
N.°  87.     (13.  dell'anno  IV.)  Gennaio  18Ó6. 

Medaglie  inedite  o  rare. — Monumento  degli  Scabillarii  in  Pozzuoli. 


Medaglie  inedile  o  rare. 

Pria  di  gassare  a  dir  qualche  cosa  delle  varie  me- 
daglie da  noi  pubblicate  nella  nostra  tavola  I,  avver- 
tiamo che  nell'anno  III  di  questo  bullettino  pag.  157 
lin.  12,  per  errore  tipografico  si  legge  SE  •  POS  ■  C  . 
BAB ,  invece  di  SE  •  POS  ■  P  •  BAB. 

NEMAVSVS 

GAIXIAE  NARBONENSIS 

1 .  Coccodrillo  legato  presso  un  albero  di  palma  e 
COL  NEM. 

)(  //  tipo  è  cancellato  :  solo  è  visibile  in  parte  la  epi- 
grafe ...S\R  VI ...  PI.  6. 

Presso  il  sig.  Sambon. 

Non  pare  che  questo  piccolo  piombo  di  Nimes  pre- 
sentasse nel  ritto  le  due  solite  teste  di  Augusto  e  di 
Agrippa.  Atteso  Io  spazio  e  la  situazione  della  epi- 
grafe ,  sembra  piuttosto  che  vi  fosse  la  sola  testa  di 
Augusto,  colla  iscrizione  in  giro  1MP  ■  CAESJAR  ■ 
PP[DIVI  •  F  •  AVG. 

Non  saprei  se  il  nostro  piombo  debba  ritenersi  sic- 
come una  tessera  ,  o  piuttosto  siccome  un  saggio  di 
vera  moneta.  N'  è  dato  tutti  i  giorni  di  osservare  in 
piombo  questi  saggi  di  vere  monete  in  tutte  le  classi 
dell'  antica  numismatica  :  ed  il  eh.  sig.  Principe  di 
San  Giorgio  possiede  una  bella  raccolta  di  piombi , 
co'  tipi  di  non  poche  città  della  Magna  Grecia  ,  e  di 
altre  regioni.  Ci  proponiamo  di  presentare  in  altra 
occasione  alcune  ricerche  su  queste  medaglie  di  piom- 
bo ,  e  sul  loro  uso  nell'antichità.  Traile  medaglie  di 
Nimes  ne  conosciamo  dello  6tesso  modulo  del  piombo 
jjìno  ir. 


che  illustriamo  :  ed  una  con  differenti  tipi  ne  riporta 
il  Mionnel  (suppl.  t.  I  p.  141  n.  1 15).  Questa,  atteso 
il  suo  piccolo  modulo  ,  dee  riputarsi  un  quadrante  , 
per  la  riduzione  dell'asse  avvenuta  a  tempi  di  Augu- 
sto; giusta  le  ricerche  del  dottissimo  Borghesi  (Cave- 
doni  numism.  biblica  p.  Ili  seg,).  Egli  osserva  come 
il  sistema  romano  si  estese  benanche  alle  colonie,  ci- 
tando particolarmente  Nemausus,  la  cui  moneta  co- 
mune è  da  lui  giudicata  un  dupondio  (  vedi  la  pag. 
129  s.).  Un'applicazione  di  queste  medesime  ricer- 
che vedesi  fatta  dagli  egregi  signori  Francesco  e  Lu- 
dovico Landolina  Paterno  de'  Baroni  di  Bjgilifi  alle 
monete  consolari  battute  in  Sicilia  (  vedi  la  loro  Mo- 
nografìa delle  monete  consolari-siade  sull'  ultima  di- 
minuzione dell'  assario  romano — Napoli  1S52  in  4). 
Intanto  mi  piace  di  osservare  che  il  quadrante  di  Ne- 
mausus indicato  dal  Q  ed  il  piccolo  semisse  colla  let- 
tera S  erano  stati  già  ben  determinati  dal  eh.  de  la 
Saussaye  (numism.  de  la  Gaule  Narbon.  p.  166).  È 
notevole  il  titolo  di  PP,  che  dassi  ad  Augusto  Del  no- 
stro piombo.  Da  questo  confronto  però  non  ci  ripu- 
tiamo autorizzali  a  credere  doversi  in  egual  modo  in- 
terpretare le  stesse  sigle  nel  dupondio  della  colonia 
medesima.  L' Eckhel  fece  la  osservazione,  che  quella 
moneta  dovea  credersi  coniata  dopo  il  751  ,  in  cui 
Augusto  assunse  quel  titolo  (doctr.  voi.  I  p.  70).  Ma 
il  Borghesi  si  oppose  ad  una  tale  avvertenza ,  osser- 
vando doversi  spiegar  quelle  sigle  piuttosto  Vermissu 
Vroconsidis  (  Cavedoni  op.  cil.  I.  e.  ).  Non  vogliamo 
qui  rammentare  un'  altra  spiegazione  proposta  per 
futili  ragioni  dal  sig,  Menard  {hutoire  des  ant.  de  la 
ville  di  Nimes  pag.  86  ).  Più  giusta  parrebbe  la  spie- 
gazione del  sig.  Bar.  de  Lagoy  Patronus  Parens ,  ti- 
toli che  trovansi  dati  ad  Agrippa  pelle  medaglie  di 

13 


—  198  - 


Galles  (vedi  il  eh.  de  La  Saussaye  numism.  de  la  Caule 
Narbon.  p.  170);  se  quelle  sigle  potessero  riferirsi 
ad  un  solo  di  quei  due  personaggi.  In  qualunque  mo- 
do, il  piombo  ehe  pubblicammo,  offrendoci  il  PP  dopo 
CAESAR  non  ammetterebbe  altra  spiegazione  ehe 
Valer  Valline  :  e  dovrebbe  quindi  giudicarsi  posteriore 
al  751  ,  giusta  la  osservazione  dell'  Eckhel.  Potrem- 
mo intanto  nel  PI  riconoscere  invece  il  principio  del 
DIVI  ■  F;  nel  qua]  caso  rimarrebbe  la  moneta  senza 
una  precisa  cronologica  determinazione. 

NEAPOLIS  CAMPANIAE. 

2.  Testa  imberbe  laureata  a  d.,  innanzi  NEono- 
AITQN. 

)(  Toro  a  volto  umano  a  d.,  sopra  astro,  sotto  la  li- 
nea de' piedi  MA  •••  Ae.  8  1/ì 

3.  Lo  slesso  tipo:  manca  la  epigrafe, 

)(  Lo  stesso  tipo:  sotto  MA©  ••■  Ae.  81/, 

Queste  due  monetine  appartengono  al  sig.  Sam- 
bou.  Noi  già  ne  facemmo  altrove  menzione,  pensan- 
do forse  a  Maliesa  (v.  l'anno  III  di  questo  bidlellino 
pag.  1 54  ).  Ma  una  migliore  osservazione  ci  ha  con- 
vinto che  la  epigrafe  è  MAR  •••  non  MAA-",  e  per- 
ciò riteniamo  senz' alcun  dubbio  che  ci  si  presenti 
un  nome  di  magistrato,  forse  MA0wv.  Altra  moneta 
di  Napoli  pertinente  al  sig.  Lauria  fu  da  noi  recen- 
temente pubblicata  [Saggio  di  osservazioni  numisma- 
tiche tav.  I  n.  5,  p.  68),  nella  quale  sotto  il  toro  leg- 
gesi  il  nome  •••  A*  ■■■  in  parte  roso  dal  tempo.  Non 
so  se  debba  in  questo  luogo  rammentarsi  ilXAQlA^ 
di  altra  napolilana  medaglia  (  Mionnet  suppl.  t.  I  p. 
235  n.  302  ),  che  il  sig.  Raoul-Rochetle  paragonava 
al  nome  di  Capua  ,  ed  a  tutta  una  famiglia  di  nomi 
greci  Kaphisos,  Kaphisias,  Kaphision  (fouilles  de  Ca- 
pone p.  7) .  Non  è  però  da  richiamar  certamente  il 
preteso  XA<I>OAINI  di  altra  medaglia  ,  siccome  fa- 
cemmo osservare  in  altro  luogo  di  questo  bulleltino 
(an.  II  p.  109). 

NEAPOLIS  et  STJESSA. 

1 1 .  Testa  di  Apollo  laureata  a  $.,  innanzi  NEOITO- 
WTQN. 


)(  Toro  a  volto  umano ,  sopra  Vittoria  che  lo  inco~ 
rana,  sotto  SVESAN.  Ae.  8  '/, 

Questa  magnifica  medaglia  ,  della  collezione  San- 
tangelo,  è  perfettamente  conservata,  e  dimostrasi  bat- 
tuta a  bella  posta  per  celebrare  una  concordia  e  fe- 
derazione tra  Napoli  e  Sessa.  Ricordiamo  che  altra 
medaglia  fu  rammentata  dal  Carelli  ,  ed  in  tal  modo 
descritta:»  Capui  Apollinislaurealum  ad  s.;a?UeNEO- 
IIOAITON  )(  Taurus  facie  humana  gradiens  ad  d. 
a  Victoria  supervolante  coronalus ,  ad  cuius  dextrum 
femur  litterae  extanles  •••VESA  •••  in  area  IX,  infra 
stella.  Numus  Suesanorum  a  Neapolitanis  recusus.  Su 
di  che  notava  pure  il  dotto  Avellino,  doversi  creder 
di  fatti  una  moneta  ribattuta  (I).  Un  tale  confronto  , 
lungi  dal  farci  considerare  in  simile  guisa  la  medaglia 
rarissima  della  raccolta  Santangelo  ,  dimostra  vero 
per  l'opposto  quanto  sul  principio  avvertimmo.  Il  si- 
gnor Riccio  annunzia  di  possedere  un'altra  interes- 
sante medaglia  della  medesima  concordia;  se  non  che 
offre  le  epigrafi  in  silo  diverso,  giacché  presso  la  te- 
sta di  Apollo  è  la  leggenda  SVELANO,  e  sotto  il  toro 
è  la  epigrafe  NEOIIOAITON  (sic)  (re/?,  num.  p.  11). 
Studiando  queste  medaglie  crediamo  esser  possibile 
indagare  in  qual  circostanza  furono  probabilmente 
coniate. 

Noi  già  di  sopra  (an.  III  pag.  98)  ricordammo  si- 
mili alleanze  fra  Cales  ed  Aquino,  Suessa  e  Cales,  Nea- 
polis  e  Cales:  ed  a  noi  sembrava  che  tali  federazioni 
dovessero  riportarsi  al  tempo  delle  puniche  guerre. 
Ora  giudichiamo  opportuno  il  ricordare  che  appunto 
nella  guerra  annibalica  la  storia  ci  presenta  una  cir- 
costanza ,  che  darebbe  di  quel  fallo  una  probabile 
spiegazione.  Racconta  Livio  che  nel  fervore  di  quella 
terribile  guerra  si  fecero  congressi  fra'Latini  ed  i  so- 
di de'  Romani  :  fremilus  inlcr  Laiinos  sociosque  in 
conciliis  orlus.  Vedevano  le  loro  città  impoverite 
dalle  continue  leve  e  dagli  ajuli  prestali  a  Roma ,  e 
decisero  alcuni  di  quei  popoli  di  rimanersi  neutrali, 
e  di  negare  alla  loro  metropoli  attivi  sussidii.  Delle 
trenta  colonie  romane  dodici  osarono  venire  a  que- 
sto fermo  partito  :  furon  tra  queste  Suessa  e  Cales. 

(1)  Per  equivoco  sospettammo  altrove  ehe  pur  la  moneta  del  Ca- 
relli riputar  si  potesse  di  federazione  :  an.  HI  p.  98. 


—  199 


Fu  allora  che  in  Roma  si  meditò  di  castigare  quelle 
colonie  riputate  ribelli ,  perchè  non  avevan  voluto 
dare  il  sangue  e  gli  averi  ,  per  resistere  al  nemico 
conquistatore  (Liv.  lih.  XXVII,  cap.  IX).  Ognun  ve- 
de essere  per  quelle  città  riluttanti  un  supremo  mo- 
mento, pieno  di  rischi  da  parte  di  Roma  e  da  parto 
del  comune  nemico.  A  sostener  dunque  la  loro  neu- 
tralità fu  d'  uopo  confortarsi  con  alleanze  fra  loro , 
che  ne  accrescessero  la  possa. 

Allora  appunto  dobbiamo  immaginare  che  le  città 
Campane  ,  le  quali  si  trovavano  costituite  nella  me- 
desima circostanza,  facessero  tra  loro  alleanza;  e  per- 
ciò le  monete  ci  presentano  questa  unione  fralle  due 
Sucssa  e  Calcs,  ambedue  quasi  ribellanti  alla  terribile 
Roma  (Riccio  reperi.  num.  p.  12).  Né  conlente  di 
questa  stretta  colleganza  ricorsero  entrambe  a  quella 
con  Napoli,  offrendoci  le  monete  appunto  queste  due 
federazioni.  Pare  che  Aquino  si  tenesse  fedele  a'  Ro- 
mani, ma  non  corrispondesse  all'invito  di  prestar  loro 
i  domandati  soccorsi,  giacché  Tito  Livio  non  ne  ram- 
menta il  nome  ,  nella  enumerazione  delle  città  che 
prestarono  ajuto  alla  Romana  repubblica (Lib.  XXVII 
e.  X). 

Ecco  dunque  il  motivo  dell'  alleanza  da  noi  rico- 
nosciuta fra  Caìes  ed  Aquino,  la  quale  esser  dovè  una 
delle  città  latine,  che  in  quel  momento  fremevano  pei 
disastri  della  guerra,  e  che  si  spinsero  a  negare  mez- 
zi e  soldati  per  costringere  i  Romani  alla  pace  :  57 
consenlientes  in  hoc  socios  videant  Romani,  profecto  de 
pace  cum  Karthaginiensibus  ingcnda  cogilaturos.  A- 
vuto  riguardo  alle  esposte  ragioni ,  ed  alla  fabbri- 
ca delle  medaglie  che  ben  si  riferisce  all'  epoca  da 
noi  additata,  non  che  alla  epigrafe  latina  di  esse,  non 
sarà  forse  da  riGutare  la  nostra  conghiettura  sulla 
occasione,  in  cui  quelle  monete  furono  probabilmen- 
te battute. 

ASCULUM  APULIAE 

4.  A,  nel  campo  sotto  tre  gioielli. 
)(  Fulmine  Ae.  10-(- 

Questa  moneta  posseduta  dal  sig.  Sambon  è  quel- 
la slessa ,  di  cui  dicemmo  nel  III  anno  del  presente 


bullettino  p.  172:  ed  a  quelle  osservazioni  rimandia- 
mo il  lettore ,  senza  che  sia  mestieri  di  qui  ripro- 
durle. 

RUBI  APULIAE 

19.  Testa  di  Minerva  galeala  a  d. 

)(  Ercole  che  pugna  col  leone,  presso  al  dorso  di  Er- 
cole PY,  sotto  il  gruppo  %l  Ar.  5 

Questa  monetina ,  posseduta  dall'  avvocato  Sig. 
Luigi  Minerviui,  è  stata  pure  da  me  precedentemente 
accennata  in  questo  hdlcltino  (an.III  p.158):  e  sicco- 
me fu  allora  da  noi  illustrata  insieme  con  altre  simili 
provenienti  da  altre  collezioni  ,  nulla  crediamo  di 
soggiungere  alle  cose  per  noi  osservate. 

TEATE   APULIAE 

6.  Testa  femminile  ornala  di  diadema  e  di  orec- 
chino a  s.  dietro  A 

)(  Giovine  nudo  a  cavallo  con  tenia  svolazzante,  colla 
destra  appressa  un  ramo  alla  testa  del  cavallo,  traile  cui 
zampe  è  un  piccolo  delfino  :  epigrafe  TI  A       Ar.  8  7» 

Questa  bella  moneta  è  posseduta  dal  sig.  D.  Do- 
menico de'  Baroni  Oliva. 

Interessante  ci  sembra  questo  didrammo  ,  perchè 
offre  una  variante  da  quelli  già  conosciuti  (  Avellino 
opusc.  t.  II  p.  68:  Friedlaender  osk.  Miinzen  tav.  VI 
cf.  pag.  49  seg.)  ;  ed  anche  pel  carattere  particolare 
della  testa  femminile  nel  ritto.  In  tutte  le  monete  fi- 
nora conosciute  la  epigrafe  appariva  TIATI  o  così  di 
seguito  ,  o  divisa  in  due  parti  nel  campo  ;  più  ve- 
devasi  anche  al  rovescio  la  lettera  A.  Nel  nuovo  e- 
semplare  la  lettera  è  presso  al  collo  della  lesta  fem- 
minile, e  nel  rovescio  non  si  è  segnalo  mai  altro  che 
TIA  vedendosi  il  diritto  pronto  ed  intatto.  Riconoscer 
potremmo  un'abbreviazione  del  solito  TI  ATI;  sebbene 
non  a  torlo  abbia  sospettalo  il  eh.  Gervasio  che  il 
nome  greco  della  città  fosse  TIA  (antiche  iscriz.  esist. 
in  Lesina  p.  21.  ).  Nelle  altre  monete  ,  ove  si  vede 
TIATI  e  poi  A  (come  sono  quelle  riportale  dall'Avel- 
lino e  dal  Friedlaender),  potrebbe  tnluno  legger  TIA- 
TI A,  ri  chiamando  la  omonima  città  de'Marruciui  detta 


—  200  - 


«la  Tolommeo  Teecrs*  (  lib.  HI,  e.  1  §  60.).  In  quan- 
to al  tipo  del  rovescio,  ha  già  osservato  il  Millingen 
doversi  ravvisare  la  influenza  di  Taranto  sulle  vicine 
contrade  (  eonsidér.  p.  156). 

TARENTUM  CALABRIAE. 

5.  Diota ,  epigrafe  KA 

)(  Liota,  tre  globetti  Ar.  47» 

Presso  il  Sig.  Lamia. 

Questa  monetina  appartiene  senza  dubbio  a  Ta- 
ranto, ed  è  somigliante  ad  una  intera  serie,  che  ve- 
desi  riportata  in  gran  parte  dal  Carelli  (Tab.CXVHL) 

In  alcune  di  queste  monetine  vedesi  il  T  iniziale 
della  città,  in  altre  simboli  variati,  e  diversi  nomi  di 
magistrali:  ora  Ar',  ora  AP,  MT,  AA,  A,  Eli,  r-E 
XA,  CA,  hH,  01,  T,  S,  h  01. 

11  Cavedoni  li  ricorda  tutti  riuniti  nella  illustra- 
zione alla  cit.  tavola  p.  59. 

Dello  stesso  modo  va  considerata  la  epigrafe  KA, 
nella  quale  ravvisiamo  parimenti  un  nome  di  magi- 
strato.È  poi  noto  che  la  iniziale  K  s'incontra  ne'nomi 
di  magistrati  di  altre  medaglie  tarantine  (  Fiorelli  os- 
servazioni p.  41.  Avellino  Italiae  vet.  num.  pag.  82. 
segg.  del  t.  1 .)  anche  collo  stesso  tipo  delle  due  dio- 
te.  Col  tipo  della  testa  di  cavallo  leggonsi  propria- 
mente talora  le  lettere  KA(  Avellino  l.  e.  pag.  83  n. 
485). 

Abbiamo  credulo  opportuno  aggiungere  questo 
novello  esempio  ,  o  che  creder  si  deggiano  indicati 
due  nomi  diversi  colle  due  lettere  K  A,  ovvero  piut- 
tosto un  solo  come  in  non  pochi  altri  degli  esempii  di 
sopra  riferiti. 

METAPONTUM  LUCANIAE 

7.  Protome  del  loro  a  volto  umano  a  d.,  innanzi  0 

)(  Spiga,  a  d.  forse  grano  d'  orzo  ,  a  sinistra 
3M  Ar.  4. 

Presso  il  Sig.  Sambon. 

Una  moneta  presso  a  poco  simile  fu  pubblicata  dal 
.Millingen  {Suppl.  aux  eonsidér.  pi.  1  n.  2.);  ed  al- 
tra è  posseduta  da'Signori  Santangelo ,  perfettamente 


della  medesima  fabbrica.  Quella  del  sig.  Sambon  è  di 
fabbrica  differente,  ed  offre  talune  particolarità,  sulle 
quali  richiamar  dobbiamo  l'attenzione  dVnumismatici. 
Già  avvertiva  il  Millingen  vedersi  la  tesla  dell' A— 
cheloo  ,  come  nelle  monete  dell'  Acarnania  (  Op.  cit. 

p.     O.J. 

E  questa  protome  di  fronte  si  osserva  altresì  nelle 
piccole  monetine  napolitane  di  argento,  ove  lo  stesso 
Acheloo  va  ravvisato. 

La  numismatica  di  Metaponto  chiarisce  pur  la  si- 
gnificazione del  toro  a  volto  umano  nelle  medaglie 
della  Campania. 

11  sig.  Millingen  già  ne  fece  la  osservazione,  pub- 
blicando la  classica  medaglia  del  sig.  Duca  deLuynes 
con  la  figura  intera  dell'  Acheloo  ed  intorno  la  epi- 
grafe AXEAOIO  A&A ON  (  Ancienl  coùispl.  I  n.  21 
pag.  17  e  segg.  supplém.  aux  consid.  pl.I  n.  1).  Alla 
quale  moneta  fa  bel  riscontro  1'  allra  pubblicata  dal 
eh.  Fiorelli ,  ove  il  fiume  è  rappresentato  col  corpo 
umano  e  la  intera  testa  taurina  (Mon.  ined.  dell'hai. 
lav.  I  n.  10  pag.  8,  seg.).  Anche  il  Carelli  ne  offre 
una  nelle  sue  tavole  (  tab.  CLVI1I  n.  149  ,  vedi  Ca- 
vedoni p.  83  edit.  Lips.  )  Questa  maniera  di  rappre- 
sentar l'Acheloo ,  alquanto  diversa  da  quella  che  si 
osserva  adoperata  nella  numismatica  dell'  Acarnania, 
e  della  Campania,  dee  ripetersi  dallo  stesso  principio 
che  dar  fece  al  Centauro  Chirone  la  parte  anteriore 
del  corpo  affatto  umana  colle  braccia  e  colle  gambe 
di  umane  forme  :  il  che  è  stato  osservato  non  solo 
nella  cassa  di  Cipselo,  e  ne'bassirilievi  di  Assos  ,ma 
benanche  ne' vasi  volcenti,  ed  in  altri  vetusti  monu- 
menti (Braun  negli  annali  dell'Istituto  1836  p.  61  s.); 
sebbene  apparisca  pure  in  monumenti  di  epoca  più 
recente ,  come  nel  gran  vaso  ruvese  del  real  museo 
Borbonico  illustrato  già  dal  eh.  Quaranta,  e  poi  dallo 
Schulz  (  Amazonen-Vase  wn  Ruvo  pag.  8  ).  Una  tale 
particolarità  sembra  dovuta  ad  arcaismo  :  e  forse  nelle 
due  monete  di  Metaponto  dee  supporsi  omesso  il  corpo 
bovino  ,  offrendosene  la  sola  parte  anteriore.  In  que- 
sta idea, le  forme  usate  nelle  due  citate  medaglie  sono 
da  ritenere  una  modificazione  del  toro  a  volto  uma- 
no, rappresentante  1'  Acheloo  (  così  nel  celebre  vaso 
dipinto  Agrigentino,  Millingen  Transact.  R.  Soc.  II, 


201 


1  p.  9o  );  non  altrimenti  che  il  Cenlauro  ci  si  offre 
or  col  solo  busto  umano ,  ora  con  tutta  la  persona 
umana  nella  parie  anteriore.  Se  queste  osservazioni 
tendono  a  dileguare  le  difficoltà  che  da  quelle  due 
Melapontine  medaglie  far  si  potrebbero  contro  la 
identità  del  mostro  effigiato  in  esse  e  di  quello  figu- 
rato nella  numismatica  della  Campania  ,  altri  fatti 
acquistati  recentemente  alla  scienza  vengono  a  dimo- 
strare che  f  Acheloo  fu  pur  talvolta  in  Metaponto 
rappresentato  siccome  un  toro  a  volto  umano.  Già  la 
posizione  obbliqua  del  collo  nella  monetina  da  noi 
pubblicata  accenna  ad  un  corpo  di  animale  piuttosto 
che  umano:  e  Io  stesso  va  detto  più  chiaramente  per 
la  simile  monetina  edita  dal  Millingen.  Ma  a  questi 
fatti  va  aggiunta  un'  altra  monetina  di  bronzo  posse- 
duta e  descritta  dal  sig.  Riccio  ,  la  quale  presenta  il 
mezzo  toro  a  volto  umano  barbato  e  la  epigrafe  ME- 
TAII  (  Reperì,  num.  p.  72  ). 

Come  potrà  dunque  dubitarsi  della  identità  di  si- 
gnificazione nella  numismatica  di  Metaponto  ed  in 
quella  della  Campania,  se  veggonsi  in  entrambe  adot- 
tate le  medesime  forme  del  simbolico  mostro? 

Tornando  alla  nostra  monetina  ,  osserviamo  che 
vedesi  presso  la  testa  dell'Acheloo  un  Ore  senza  dub- 
bio mi  sembra  che  accenni  al  valore  della  moneta  che 
dovrebbe  riputarsi  un  obolo. Così  trovasi  indicato  un 
tal  valore  nelle  greche  iscrizioni  (  Franz,  eleni,  epigr. 
gr.  pag.  348  ):  così  pure  nel  magnifico  vaso  dc'Per- 
siani  ora  nel  real  museo  Borbonico  fu  da  noi  ravvi- 
sata una  simile  forma  dell'  obolo  (  vedi  questo  ballet- 
tino an.  II  p.  132):  e  la  stessa  numismatica  di  Me- 
taponto ci  fornisce  gli  esempli  nelle  monete  di  rame, 
le  quali  per  una  notabile  eccezione  portano  indicato 
il  valore  ,  ora  coli'  intera  voce  OBOAOS  ,  ora  con 
un  0  perfettamente  come  nella  monetina  del  sig.  Sam- 
bon  (  Cavedoni  ad  Carell.  (ab.  p.  84  ).  Il  eh.  signor 
Principe  di  S.  Giorgio  ha  lungamente  favellato  di  que- 
ste medaglie  di  rame.  Egli  opina  che  sia  la  prima 
volta  che  si  coniasse  il  bronzo  ,  e  perciò  se  ne  scri- 
vesse il  valore  :  ed  osserva  che  la  moneta  di  argento 
andò  decrescendo  di  mano  in  mano  nel  peso;  e  con- 
chiude: «  Tale  sminuimenlo  di  peso  nell'  obolo  in- 
»  dica  un  abbassamento  progressivo  nel  valor  del- 


»  l'argento  progredito  tanto  da  non  potersi  più  espri- 
»  mere  il  valore  dell'  obolo   che  nel  bronzo  »  (  me- 
morie numismatiche  p.  31  seg.).  Credo  che  il  eh.  nu- 
mismatico dir  volle  un  aumento  progressivo  nel  valor 
dell'  argento.  Questa  ipotesi  sembra  di  fatti  appoggiata 
dalle  minime  divisioni  dell'  argento  nelle  monete  di 
Taranto,  e  di  altre  città,   le  quali  giungono  ad  una 
estrema  piccolezza.  Il  Millingen  riporta  a  circa  300 
anni  av.  G.  C.  gli  oboli  di  bronzo  ,  di  cui  dicemmo 
di  sopra,  indicati  dalla  epigrafe  OBOAO^:  ed  osser- 
vando che  verso  la  medesima  epoca  gli  oboli  erano 
di  argento  ,  e  pesavano  da  9  a  10  grani  parigini,  ne 
trae  che  quella  insolita  moneta,  il  cui  peso  è  di  molto 
inferiore  al  valor  nominale ,  esser  dovè  battuta  in 
una  estrema  circostanza  della  città  (considér.  p.  25  ). 
Noi  dicemmo  di  sopra  che  1'  0  parrebbe  dinotare 
un  obolo.  Dobbiamo  però  notare  che  pochi  giorni  fa 
ci  è  venuto  fatto   di  osservare   presso  lo  stesso  sig. 
Sambon  un'  altra  simile  monetina  ,  la  quale  ci  mo- 
stra due  O  uno  presso  il  volto  1'  altro  presso  il  collo 
della  testa  dell'Acheloo.  La  grandezza  è  presso  a  poco 
la  stessa  ,  e  così  pure  il  peso  (  circa  1 8  acini  di  peso 
napolitano);  sebbene  appaja  di  fabbrica  un  poco  me- 
no antica.  Io  non  vorrei  con  sicurezza  decidere  se 
uno  de'dueO,  nell'esemplare  da  me  pubblicalo,  deb- 
ba giudicarsi  essere  uscito  fuori  del  conio  :  in  questo 
caso  dovremmo  giudicarlo  un  diobolo ,  e  così  certa- 
mente dee  ritenersi  dell'  altro  ,  ove  si  scorge  un  du- 
plice O.  A  confronto  di  questo  duplice  0  in  piccole 
monetine  merita  di  essere  riebiamata  1'  argentea  me- 
dagliuzza  di  Locri,  che  offre  da  un  lato  l'Aquila  stan- 
te ,  dall'  altro  il  fulmine  con  due  0.  L'Eckhel  ne  fece 
la  prima  pubblicazione  (sylloge  lab.  I,  16),  e  dopo 
di  lui  la  riportò  pure  il  Carelli  (lab.  CLXXX1X  n.  2), 
ed  un  esemplare  ne  ho  poi  veduto  nella  raccolta  nu- 
mismatica del  defunto  coinm.  Avellino.  E  da  notare 
che  l' Eckhel  col  suo  acume  si  avvide  che  quei  cer- 
chietti avevano  relazione  al  valore  della  moneta  :  Duo 
circuii  haud  dubio  pondus  vel  valorem  mimi  a  Locren- 
sibus  constitutum  indicant.  (op.  cit.  p.  12).  Solo  non 
si  avanzò  a  conghietturare  quale  esser  potesse  quel 
valore.   Noi  però  non  dubitiamo  affatto  che  sia  pure 
indicato  il  diobolo  ;  come  si  trae  dal  confronto  delle 


—  202  — 


uionetìue  di  Metaponto.  Ed  in  quanto  a  queste  ulti- 
me è  da  notare  che  quella  maniera  d'indicar  l'obolo 
vedesi  usitata  nelle  iscrizioni  beotiche ,  e  perciò  ben 
si  ritova  benanche  adoperata  in  un  monumento  Me- 
tapontiuo  ;  essendo  troppo  note  le  origini  eoliche  di 
quell'antica  città  (Raoul-Rochette /i/sAdes  colon. grecq. 
voi.  II.  p.  60  e  311). 

E  a  notare  che  questi  dioboli  di  argento,  avuto  ri- 
guardo allo  stile  ed  alla  fabbrica,  sono  molto  più  an- 
tichi degli  oboli  di  bronzo  ;  e  perciò  non  può  trarsi 
alcuna  conclusione  dal  peso  comparativo  di  quelle 
due  monete.  Non  pertanto  crediamo  opportuno  di 
avvertire,  che  giusta  le  osservazioni  delcav.  Santan- 
gelo  ,  1'  obolo  di  argento  della  sua  collezione  pesa 
acini  venti  di  peso  napolitano,  e  quelli  del  sig.  Sam- 
bon  fu  da  noi  riscontrato  pesare  da  sedici  a  diciotto 
acini  circa. Or  siccome  l'obolo  di  bronzo  pesa  trappesi 
nove  ed  acini  quindici,  se  ne  deduce  che  pesasse  da 
venti  a  venticinque  volle  l'obolo  di  argento:  e  quindi 
non  vi  è  più  sì  grande  disparità  fralle  due  monete.  E 
ciò  è  unicamente  dovuto  alla  scoperta  del  diobolo  , 
che  dà  non  poca  luce  nella  presente  ricerca. 

CROTON  RRUTTIORUM. 

8.  Testa  di  Ercole  imberbe  ricoperta  della  pelle  del 
leone ,  innanzi  RPO. 

)(  Tripode.  Ae.  13 

Questa  moneta  è  posseduta  dal  sig.  Oliva  ,  ed  è 
già  nota  per  la  pubblicazione  fallane  dal  Magnan 
(  Brult.  tab.  1 19  ),  e  dal  Begero  (  thesaur.  Palat.  p. 
176  :  thesaur.  Brand,  t.  1  p.  332  ).  Vedendo  che  il 
Carellila  trasse  appunto  da  essi  (Carell.  lab.  CLXXXV 
u.  44;  cf.  Cavedoni  ad  h.  I.  p.  104)  ,  ho  giudicalo 
opportuno  di  ripubblicarla  ,  perchè  si  abbia  un  con- 
fronto a  quelle  antiche  pubblicazioni. 

Forse  la  poca  conservazione  della  nuova  medaglia 
avrà  fallo  svanire  le  ledere  ET ,  che  furono  vedute 
presso  al  tripode  da'  primi  editori. 

9.  Tripode ,  a  destra  la  epigrafe  Opo  ,  a  sinistra 
carchesio. 

)(  Tripode ,  a  destra  candelabro  o  timiaterio ,  a  si- 
nistra PA.  Ar.  9  V- 


Questa  monetina  del  sig.  Lauria  ci  sembra  inte- 
ressante per  i  due  simboli,  e  per  la  epigrafe  PA.  Pare 
debba  in  essa  ravvisarsi  un  nome  di  magistrato;  seb- 
bene non  sia  troppo  facile  ritrovarne  altri  confronti. 

RIIOEMETALCES  I. 

REX  PONTI 

12.  Teste  di  Augusto  e  di  Livia  a  d.,  innanzi  il 
segno  del  Capricorno  traile  cui  zampe  un  piccolo  globo; 
intorno  KAISAPOS  2EBAXTOT. 

)(  Testa  di  Roemetalce  diademato ,  e  della  regina 
sua  consorte  a  d.;  presso  al  collo  la  protome  del  pic- 
colo Cotys  V  loro  figliuolo ,  ed  un  monogramma  :  in- 
torno la  epigrafe  BASIAEOS  POIMHTAAKOT. 

Ae.  10 

Presso  il  sig.  Vincenzo  Caruso. 

Sebbene  una  tale  medaglia  sia  già  conosciuta  per 
altre  pubblicazioni  (Vedi  Lenormant  trésor  de  nu- 
mism.  voi.  des  Roìs  pag.  10  pi.  VI  n.  14),  pure  ab- 
biamo creduto  opportuno  di  ripubblicarla  per  la  sua 
rarità  principalmente  presso  di  noi.  Il  monogramma, 
che  vedesi  nella  nostra  moneta,  è  stato  benanche  os- 
servato in  altri  esemplari ,  ove  non  apparisce  la  te- 
sta del  piccolo  Cotys  (  Lenormant  op.  cit.  pi.  VI  n. 
12):  e  bene  a  ragione  fu  giudicato  il  principio  del 
nome  del  padre  di  Roemetalce  VAl%xoinropthos.  L'a- 
micizia di  Roemetalce  verso  Augusto  fé  prescegliere 
il  tipo  di  questo  imperatore  col  simbolo  del  Capri- 
corno ;  e  questo  simbolo  vedesi  pure  in  altre  mone- 
tine ,  ove  scorgi  ancora  un  globo  ,  come  nella  me- 
daglia del  sig.  Caruso  (  Lenormant  op.  cit.  pi.  VI  n. 
15,  16).  Del  reslo  delle  monete  di  Rhoemetalces  I, 
e  degli  altri  due  Roemelalci  è  da  leggersi  una  dotta 
discussione  del  eh.  Cavedoni,  alla  quale  rimandiamo 
i  lettori  (  Di  alcune  monete  antiche  degli  ultimi  re 
della  Tracia ,  pag.  7  e  segg.  )  (  1  ). 

MiNERVINI. 

(1)  Queste  nostre  dichiarazioni  sono  esimile  dal  nostro  Saggio 
di  osstrvazioni  numismatiche  impresso  recentemente:  vedi  le  il- 
lustrazioni della  lav.  VI. 


—  203  - 
MONUMENTO  DEGLI  SCABILLARH  IN  POZZUOLI. 


I 


mi 


Pai.  20 


201  — 


Monumento  degli  Scabillarii  in  Pozzuoli. 


Offriamo  a'  lettori  del  presente  bullettinouna  pianta 
dei  monumento  degli  Scabillarii  Puteolani  da  noi  pre- 
cedentemente descritto  (pag.  1  e  segg.).  Intendiamo 
di  quella  parte  che  fu  possibile  mettere  allo  scoperto, 
avuto  riguardo  alle  fabbriche  soprastanti.  Dobbiamo 
questa  pianta  alla  cortesia  dell'  egregio  ingegnere  si- 
guor  Genovese,  il  quale  a  mia  richiesta  ebbe  la  bontà 
di  segnarla  colle  sue  proprie  mani.  Vedesi  in  essa  la 
situazione  de'  luoghi  come  venne  da  noi  indicata:  ed 
i  tre  piedestalli  appariscono  nel  sito  medesimo,  in  cui 
furono  rinvenuti,  due  in  piedi  ed  il  terzo  giacente  al 
suolo ,  e  scalpellato  in  un  angolo.  Si  rileva  dal  no- 
stro disegno  la  irregolare  forma  della  sala  ,  che  co- 
stituiva forse  un  protiro  del  monumento  :  non  poten- 
do supporsi  che  qualche  artistica  ragione  avesse  fatto 
presceghere  quella  forma  per  ajulo  dell'  armonia  , 
trattandosi  di  persone  dedite  a' musicali  esercizii.  Si 
scorge  altresì  l'aggiustamento  dell'  ingresso  colleva- 
rie  colonne,  che  vi  si  mirano  innanzi  ,  non  che  quel 
residuo  di  muro  antico  di  fabbrica  reticolata  ,  che 
costituiva  un  limite  verso  il  lato  che  guarda  il  mare. 
Si  è  pur  segnata  la  fascia  di  musaico  all'ingresso  del- 
l' edilìzio  ,  perchè  se  ne  abbia  una  certa  idea.  Su  di 
che  vogliamo  a*  vertire  ,  che  essendo  necessario  rico- 
prir di  nuovo  quei  ruderi  del  distrutto  edilìzio ,  per- 
chè non  ne  venisse  a  patire  la  solidità  delle  fabbriche 
superiori,  si  è  saggiamente  provveduto  a  conservare 
il  musaico  ,  abbenchè  in  parte  abbia  sofferto  dalle  in- 
giurie de' secoli.  E  possiamo  annunziare  che  è  slata 
quella  fascia  diligentemente  slaccata,  e  trasportata  nel 
real  Museo  Borbonico  ;  del  quale  non  può  1'  archeo- 
logo e  l'artista  formarsi  una  idea  precisa ,  mancando 
i  dati  positivi  e  di  fatto  per  raggiungerne  la  piena 
cognizione. 

Sicché  di  questa  interessante  scoperta  saran  con- 
servati i  più  importanti  monumenti,  quali  sono  il  mu- 
saico, ed  i  piedistalli  colle  epigrafi  che  vi  sono  scol- 


pite. Onde  a  noi  sembra  debba  tornar  piacevole  la 
pubblicazione  del  nostro  piccolo  disegno,  che  serberà 
le  uniche  tracce  possibili  ad  essere  conservate  di  quel 
puleolano  edifizio. 

Da  ultimo  ci  rimane  da  osservare  che  la  incisione 
di  questo  disegno  fu  eseguita  mercè  il  magnetografo; 
nuova  macchina  ,  di  cui  è  dovuta  la  invenzione  alle 
cure  riunite  del  eh.  signor  dottor  Braun  ,  e  dell'in- 
gegnoso meccanico  signor  Guglielmo  Hanzen  suo  ni- 
pote. Essi  ebbero  la  felice  idea  di  applicare  il  magne- 
tismo ,  questo  potentissimo  agente  della  natura  ,  ad 
ottenere  incisa  la  riproduzione  di  qualsivoglia  dise- 
gno. È  forse  qui  il  primo  saggio,  che  si  presenti  pub- 
blicamente di  questo  novello  metodo  d'incisione:  e  noi 
siamo  grati  al  signor  Braun,  che  gentilmente  ci  for- 
niva il  destro  di  adottarlo  fra'  primi  per  archeologiche 
pubblicazioni.  Noi  ci  asteniamo  dal  riportare  il  mec- 
canismo messo  in  opera  dal  signor  Hanzen,  per  ot- 
tenere lo  scopo  che  si  propone  ;  sebbene  ne  avessimo 
diligentemente  esaminato  il  processo  co'nostri  proprii 
occhi.  Sarà  più  giusto  che  si  lasci  agl'inventori  la  piena 
facoltà  di  darne  altrui  conoscenza.  Quello  però  che 
non  possiamo  tacere  si  è  la  utilità  del  nuovo  metodo, 
principalmente  per  alcune  specie  di  monumenti  e  per 
la  facilità  d' intercalare  nel  testo  disegni  di  piccole  di- 
mensioni, che  vengono  poi  impressi  co'  semplici  mezzi 
tipografici ,  senza  ricorrere  a  più  costosa  maniera  di 
riproduzione.  Per  la  occasione  poi  che  a  noi  si  porge 
dal  presente  arlicolo  ,  non  sarà  inopportuno  di  an- 
nunziare che  altre  memorie  furono  lette  intorno  gli 
scabilli  e  gli  scabillarii  da  varii  colleghi  della  reale 
Accademia  Ercolanese  :  sono  questi  il  eh.  Segretario 
perpetuo  signor  Comm.  Quaranta  ,  ed  il  eh.  signor 
Canonico  Capone.  E  mi  giova  il  ricordare  che  que- 
st' ultimo  collega  facendo  una  novella  discussione, 
viene  a  conchiudere  che  gli  Scabillarii  appartenessero 
alla  classe  de'  Tibicioi ,  appunto  come  era  stato  da 
me  sostenuto. 

MlNERYINI. 


Giclio  Minbrvini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catàhbo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 
N°  88.     (14.  delFanno  IV.)  Gennaio  1856. 

Scavazioni  di  S.  A.  R.  il  Conte  di  Siracusa.  Continuazione  dell'  articolo  inserito  nel  n.  81. — Osservazioni 
dell'  Editore  suW  articolo  precedente.  —  Continuazione  delle  scavazioni  Cumane.  Vasellino  dipinto  col  sog- 
getto di  una  giocoliera. — Moneta  punica  di  Segesla. — Bibliografia. 


Scavazioni  di  S.  A.  R.  il  Coste  di  Siracusa. Conti- 
nuazione dell'articolo  inserito  nel  n.  81  (1). 

1 .  Iscrizioni  sanniliche  di  Cuma. 

Fra  le  greche  tombe  scoperte  nella  necropoli  cu- 
mana  ,  una  se  ne  rinvenne  nel  1853  appartenuta  a 
gente  sannilica ,  che  fra  molte  stoviglie  dorate  tornò 
alla  luce  quell'  insigne  karchesio  con  epigrafe  osca , 
^inV  li  ^II8V  da  me  altrove  pubblicato  (  Monum. 
Cum.  pag.  13;  Bull.  arch.  nap.  n.  s.  tom.  I,  pag. 
1 63).  Due  stele  di  tufo  vengono  ora  ad  accrescere  il 
novero  di  sì  pregevoli  monumenti,  1'  una  alta  palmi 
4  ,  avendo  in  ciascun  lato  un  piccolo  pilastro  di  so- 
stegno alla  cornice,  cui  sovrasta  un  frontone  a  modo 
di  edicola  ,  che  porla  scolpita  verso  la  sommila  in 
lettere  osche  e  retrograde  l' iscrizione  : 

3  ITRT* 
*      3  I  A  I  * 

l'altra  priva  di  ornamento,  ma  con  caratteri  di  mag- 
giori dimensioni,  ove  leggesi 

>  ■  l-UR  •  > 

Sebbene  l'insolita  desinenza  delle  voci  Statie  e  Silie 

(1)  Riproduciamo  queste  notizie  siccome  vennero  pubblicate  dal  eh. 
Fiorelli  in  una  sua  recente  scrittura ,  che  ha  per  titolo  :  Monumenti 
antichi  posseduti  da  Sua  Altezza  Reale  ii  Conte  di  Siracusa.— 
Advcrsaria  epigraphica,  pag.  7.  in  8. 
ANNO  ir. 


dia  luogo  a  diverse  conghietlure,  pure  non  può  du- 
bitarsi eh' esse  contengano  il  nome  dell' individuo  e 
quello  della  gente  cui  appartenne ,  e  che  debba  cre- 
dersi una  donna,  non  avendo  il  suo  appellativo  alcu- 
na terminazione  propria  de'nomi  maschili.  Epperòse 
il  nominativo  femminile  comune  usciva  in  ù  ,  come 
viù  e  viteliiì,  parmi  che  quello  de'  proprii  fosse  in  a 
od  in  as,  quale  ne' maschili  Santia,  Gulta,    Taurea, 
Maras ,  non  solo  per  esser  la  desinenza  o  indistinta- 
mente usata  ne'due  generi  dai  Latini,  ma  perchè  l'an- 
tico   genitivo   singolare  di  questa  declinazione  fu  in 
as  (Sosip.  Charis.  ,  Inst.  gramm.  lib.  I,  e.  10,  tom. 
IV,  p.  9  Lindem.),  quale  appunto  nelle  osche  vociei- 
tuas  ,  vereias,  pas,  moltas,  scriftas.  Avuto  dunque  il 
nominativo  Statia,  Silia,  la  desinenza  e  non  può  spet- 
tare che  al  dativo,  come  nell'umbro  trebe,  tuvie,  tu- 
ie, ikuvine,  kletre,  ase  ,  ove  parmi  tenesse  luogo  del- 
l'altra ai  delle  osche  voci  vereiiai,  pumpaiianai,  pii- 
stiai,  (lumai,  rispondenti  all'antica  forma  latina,  au- 
la! ,  tersai ,  frugiferai.  Determinalo  per  lai  modo  il 
caso  dei  due  primi  nomi,  che  volgo  in  Statiae  Siliae, 
l'ultimo  Salavs  certamente  anch'esso  di  persona, non 
può  esser  che  nominativo  della  seconda  declinazio- 
ne ,  quale  aadirans ,  ttiviiks ,  pùmpaiians  ,  e  quindi 
terminato  in  us  e  diverso  da'que'nomi  dalle  finali  is 
o  Mi ,  che  latinamente  mutansi  in  ius  quali  pùpidiis, 
aadiriis,  trebiis,  slaatiis.  Leggo  perciò  S.  Saìavus,  che 
sotto  la  forma  Salavius  rinvengo  in  altra  iscrizione 
sannilica  con  lettere  latine  ,   esistente   a  Corfinium 
(  Mommsen,  Inscr.  lat.  pag.  284,  n.  5379)  ,e  sotto 
quella  di  Salevius  in  marmo  di  Teate  de'  Marrucini 
(Mommsen,  o.  e.  pag.  278,  o.  5306),  senza  dire  di 

14 


—  106  - 


un  cippo  d' incerta  provvenienza  con  caratteri  molto 
antichi  e  profondamente  scolpili  ora  nel  Mus.  Bor- 
bonico (sep.  col.  38,  39),  che  porla  l'epigrafe 

Q  •  SALEVI  -MI 

OSSA  •  UIC  •  SITA  •  SVNT 

la  quale  potrebbe  credersi  ancor  essa  cumana  (  cf. 
Mommsen.,  o.  e.  pag.  376,  n.  6624). 

Volgesi  più  facilmente  l'epigrafe  della  seconda  ste- 
le  in  C.  Sillius  C.  (filius),  poiché  alla  voce  Sitti  simile 
all'  altra  Paapi  dulie  monele  della  guerra  sociale 
(Friedlaender,  Oskisch.  Munzen  p.  80,  81,  88,  tav. 
IX,  n.  6,  9,  lav.  X.  n.  21),  va  aggiunta  la  desinenza 
is,  ed  il  latino  Silius  è  si  frequente  nelle  lapidi,  che 
non  giova  iudicarne  riscontri.  Il  non  trovare  ripetuta 
la  vocale  a  nel  nome  Stalle,  quale  nello  Slaaliis  del 
marmo  di  Pietrabbondante  (Bull.  arch.  nap.  tom. 
Ili,  pag.  11,  tom.  IV,  tav.  I  ;  Mommsen,  Unterital. 
Dial.  pag.  173,  tav.  Vili,  n.  6  a);  la  desinenza  e  me- 
no antica  per  gli  Oschi  come  per  i  Latini  dell'  altra 
ai;  l'unica  l  nel  nome  Silie,  scritto  nella  seconda  stele 
con  duplice  consonante  ,  ne  fanno  credere  non  do- 
versi questi  monumenti  ascrivere  ad  epoca  molto  re- 
mota né  ai  primi  anni  della  dominazione  sannitica  a 
Cuma  ,  la  quale  secondo  Livio  ebbe  cominciamento 
nel  335-336  di  Roma  ,  cioè  416-417  anni  innanzi 
l'è.  v.  (lib.  ìv,  cap.  45). 

2.  Iscrizioni  graffite  in  olle  di  piombo. 

Sulla  pendice  del  monte  Spino,  che  sovrasta  l'an- 
tica via  di  Pozzuoli ,  si  sono  non  ha  guari  raccolte 
fra  i  ruderi  di  un  colombario  sei  olle  di  piombo, 
ciascuna  contenente  un  vaso  di  terra  cotta  con  den- 
tro ossa  umane  bruciate,  e  fornita  di  coperchio  so- 
vra cui  è  graffila  un'  epigrafe. 

1.  L-  NVMISI-  L-  F. 

SPLENDIDI-  A-  D-  HI-  K-  OCTOBRES 
CN   LENTVLOi  M-  LICINIO'  COS. 
OLLA 


2.  CHREMATINE 
NVMISIAE  ORNATRIX 
OBIE1T-  VI  EIDVS-  OCTOBR- 
PAVLLOFABIOMAXIMO  QAELIO]|COS 
OSSVA  •  CONLECTA  •  IV  •  1DVS  •  OCT 

EISDEM  COS 

DIAPHYRVS  •  CONSERVAE 

3.  L  •  NVMISI  •  L  •  F  •  OVF  •  TVRIANI 

4.  OSS  NVMISIAE  M  F  V  (  v  u  mon.  ) 

5.  L  •  NVMIS  •  IIROTICI 

6.  S  NVMISI  CARI 

Noterò   in  primo  luogo  ,  che  di  varii  Numìsii  di- 
morati in  Pozzuoli  o  ne'dintorni  e  colà  sepolti,  si  ha 
menzione  dalle  lapidi  ,   da  cui  apprendiamo  che  C. 
Numisio  Ingenuo  figlio  di  Caio  ebbe  per  moglie  Ce- 
sia Isytiche  a  lui  premorta  ;  che  a  Numisia  Victoria 
vissuta  oltre  27  anni  fu  innalzata  la  tomba  dalla  so- 
rella Felicia  (Mommsen,  Inscr.  pag.  162,  n.  3011, 
pag.  172,  n.  3285)  ;   e  finalmente  che  C.  Numisio 
Heraclida  forse  di  nazione  Germano  ,  manipolare 
della  trireme  Victoria  nella  flotta  Misenate,  che  avea 
tolto  in  moglie  Julia  Celestina,  morì  di  55  anni  aven- 
done militalo  29  (  Guarini,  Comm.  XVIII,  pag.  29  ; 
Garrucci,  Class.  Praet.  Mis.  p.  76,  n.  221  ;  Momm- 
sen, Inscr.  pag.  152,  n.  2803)  :  sappiamo  da  ultimo 
che  Numisio  Romano  appartenne  alla  quadrireme  0- 
livo,  che  faceva  parte  della  medesima  flotta  (Minervi- 
ni,  Bull.  arch.  nap.  tom.  I,  pag.  7  ;  Garrucci,  o.  e. 
pag.  78 ,  n.  233  ;  Mommsen  ,  Inscr.  pag.  153,  n. 
2804;  cf.  Guarini,  Comm.  IX,  ed.  2,  pag.  32).  Niu- 
no  però  dei  Numisii  indicati  in  queste  lapidi  ha  rela- 
zione di  affinità  con  quelli  di  cui  è  serbata  memoria 
nei  graffiti,  i  quali  appariscono  tutti  individui  di  una 
medesima  famiglia  dimorante  in  Pozzuoli  ,  verso  la 
fine  della  repubblica  od  il  cominciamento  dell'impe- 
ro di  Augusto  ,  a  meno  che  non  voglia  reputarsi  L. 
Numisio ,  stipite  di  questa  gente ,  provvenuto  ancor 
esso  d'  altri  luoghi,  ed  ascritto  alla  tribù  Oufentina  , 
siccome  lo  era  L.  Numisio  Turiano  suo  figliuolo. 


—  107  — 


Oltre  all'ortografia  delle  voci  OCTOBRES  n.  t. 
ed  OBIEIT  n.  2 ,  vuoisi  indicar  quella  del  neutro 
OSSVA  n.  2,  non  rara  in  epigrafi  di  tempi  meno 
antichi  (Orelli,  Inscr.  lai.  tom.  i,  pag.  303,  n.  2906; 
tom.  11,  pag.  540,  n.  4806) ,  ma  notevole  qui  per 
essere  usala  una  decade  prima  dell'  e.  v.  ,  che  ne 
rammenta  quel  singolare  in  ossu  paragonato  da  Sosi- 
patro  Carisio  a  veni  ed  a  gcnu  (  Inst.  gramm.  lib. 
I,  pag.  80  Lindem.)  ,  che  Pacuvio  aveva  scritto  os- 
simi ,  e  Vairone  diversamente  da  Titinnio  voleva  u- 
scisse  nell'ablativo  osso  (De  ling.  hit.  fragm.  9,  pag. 
266  Mùller).  È  inoltre  da  osservare  la  forma  della 
II  nel  nome  IIROTICI  n.  5  ,  usata  indistintamente 
con  la  più  comune  E  nel  medesimo  tempo ,  e  non 
estranea  anche  a'  monumenti  scritti  in  regioni  lon- 
tane dalla  Campania. 

Un  luogo  di  Servio  fa  bel  riscontro  alla  seconda 
delle  addotte  epigrafi.  Lo  scoliaste  a  quel  verso  del- 
l' Eneide  Tenia  lux  gelidam  caelo  dimoverai  umbram 
(  lib.  XI,  vs,  210.  )  nota,  che  il  terzo  giorno  ope- 
ravasi  ì'iffroXóyiov,  come  leggesi  nelle  glosse  di  Fi- 
losseno,  cioè  si   raccoglievano  dalle  ceneri  le  ossa 
bruciale  per  dar  loro  sepoltura  :  Mos  enim  crai  tenia 
die  os<a  crematorum  legi  (tom.  II,  p.  16  Lion)  ;  e  qui 
non  altrimenti  abbiamo  dall'epigrafe,  che  morta  Chre- 
maline  il  giorno  10  di  ottobre  sesto  prima  degl'idi, 
le  sue  ossa  furono  raccolte  il  quarto  cioè  il  12.  Ma 
poiché  i  tre  giorni  che  secondo  Servio  doveano  scor- 
rere tra  la  ustione  e  la  sepoltura,  li  troviamo  invece 
passati  dal  di  della  morte,  può  credersi  che  per  i  servi, 
i  quali  eran  sotterrali  senza  pompa  ,  fossero  mante- 
nuti i  tre  giorni  del  rito  per  comporsi  le  ossa  nell'ur- 
na ,  ma  che  questi  si  contassero  dal  dì  della  morte  e 
non  da  quello  de'  funerali.  Ed  officio  servile  si  ebbe 
Chrematine,  la  piccola  indigente,  che  dicesi  ORNA- 
TR1X,  cioè  addetta  alle  acconciature  del  capo,  sic- 
come Cyparene  ,  Nice,  Gnome  (Orelli,  hucr.  tom. 
i,  pag.  500  ,  n.  2878  ,  pag.  506  ,  n.  2933  :  tom. 
II  ,  pag.  328,  n.  4715),  ed  altre  sue  compagne 
nello  stesso  officio  rammentate  dalle  lapidi  ,  tra  cui 
non  è  da  obliare  Gemella  Torquata,  che  fu  ornatri- 
ce  della  più  antica  Faustina  e  morì  nell'anno  152 
dell'  e.  v.  (Orelli,  o.  e.  Un.  II,  pag.  294,  n.  4448  ). 


Giovi  qui  rammentare  che  queste  ornatrici,  della  cui 
arte  ha  sì  lungamente  parlato  il  Boelliger  nella  Sa- 
bina ,  perchè  potessero  venir  legale  in  testamento  , 
occorreva,  secondo  scrisse  il  giureconsulto  Celso,  a- 
vessero  almeno  apparalo  il  loro  mestiere  per  oltre 
due  mesi  apud  magislrum ,  prima  del  (piai  termine 
niuna  di  esse  veniva  considerata  come  dotta  nell'arte 
sua  (Digest,  lib.  XXXII,  65,  §  3). 

Delle  due  coppie  di  consoli  memorate  in  queste 
olle  ,  la  prima  è  Cn.  (Corn.)  Lentulus  e  M.  Licinius 
(Crassus)del  740  di  Roma,  decimosettimo  dell'impe- 
ro di  Augusto,  e  15  av.  le.  v. ,  in  cui  M.  Agrippa 
composte  le  insurrezioni  del  Bosforo  ricusò  il  trion- 
fo decretatogli  dal  Senato  ;  1'  altra  spetta  all'  anno 
743,  e  concerne  i  consoli  Paullus  Fabius  Maximuse 
Q.  Aelius  (Tubero),  vigesimo  dell'impero  ed  1 1  av. 
1'  e.  v.  ,  nel  quale  Giulia  vedova  di  Agrippa  fu  da 
Augusto  data  io  moglie  a  Tiberio  Nerone  (Sveton. , 
cap.  7.  ).  Di  queste  due  coppie  la  prima  soltanto  è 
ricordala  in  lapide  della  Campania  ,  e  propriamente 
in  una  iscrizione  pompeiana  scolpita  in  due  esem- 
plari, ed  appartenuta  ad  incerto  monumento  sacro  a 
Mercurio  (Avellino,  Opusc.  tom.  II,  pag.  191,  192; 
Mommsen,  Inscr.  pag.  117,  n.  2257,  2258). 

Provviene  dal  medesimo  luogo  la  seguente  iscrizio- 
ne di  marmo,  trovala  fra  le  rovine  di  un  colombario, 
sulla  cui  porta  sembra  fosse  una  volta  collocata  : 

7.  C  •  IVLIVS  C  •  F  •  FAL  .  RVFVS  .  S1BI 

ET  •  C  •  IVLIO    MVSOGENIS  ■  F  •  FAB 

MENOP111LO  •  PATRI  ■  ET  •  CVRFIAE 

L  •  F  •  MAIORI  •  MATRI  ET  IVLIO.C.F 

FALBASSOFRATRSVlSQ  POSTERIS  (tr  moti.) 

ed  è  cumano  il  frammento  qui  appresso  trascritto, 
appartenuto  ad  una  tomba  della  via  che  dalla  città 
meuava  alla  selva  Hamae  lungo  la  riva  del  mare  (v. 
Bull.  ardi,  nap  n.  s.  tom.  IV,  pag.  51). 

8.  [d.m.] 

[...p]OMP[om] 

[o]NESIPHORI 
[no]NIA  '  CAPITOLINA] 
[paJTRON  ■  B  •  M  • 


—  108  — 


Parlando  di  monumenti  cumani  non  voglio  trala- 
sciar di  avvertire ,  che  nel  riprendersi  gli  scavi  que- 
st'anno abbiamo  pure  proseguila  la  traccia  additala 
da  quei  tumuli  in  continuazione  della  cella  sepol- 
crale della  lesta  cerea,  e  che  poco  discosto  dalla  me- 
desima nel  gennaio  ultimo,  alia  profondità  di  pai. 
16,  ci  siamo  incontrali  in  un  greco  ipogeo  tutto  co- 
struito di  pietra  senza  iutonaco  e  con  volta  circolare. 
Stavano  addossati  alle  pareli  i  soliti  poggiuoli  di  fab- 
brica, con  sopra  gli  scheletri  de'cadaveri  che  vi  furo- 
no distesi,  e  presso  la  porla  a  sinistra  vedeasi  prati- 
calo nel  muro  un  incavo  ,  capace  di  molti  oggetti  a 
guisa  di  grande  loculo.  Sovra  ciascun  poggiuolo  ac- 
canto ad  ogni  scheletro  eravi  una  strigile  di  ferro  eoa 
alquanti  unguentari  di  alabastro ,  ma  nel  loculo  an- 
zidetto vedeansi  collocali  tre  crani  privi  affatto  di  cor- 
pi, uno  de'quali  rovescio,  ossia  poggiante  sulla  som- 
mità del  capo  :  mentre  la  costruzione  dell'ipogeo  ap- 
pariva di  epoca  più-  vetusta  degli  scheletri  che  con- 
teneva, e  non  lasciava  dubitare  come  in  origine  fos- 
se servito  per  cadaveri  più  antichi  di  quelli ,  che  noi 
vi  trovammo.  Questo  fatto  di  grande  importanza 
certamente  e  che  dinota  essersi  aperta  quella  tomba 
in  epoca  posteriore  ,  confronta  con  Y  altro  di  schele- 
tri acefali  sepolti  in  un  ipogeo  vicino ,  e  fornisce 
nuovo  argomento  in  conferma  dell'  opinione  da  me 
altrove  emessa,  e  sospettala  pure  dal  Rochelte  ,  cioè 
che  quei  corpi  acefali  fossero  di  Cristiani  martirizzati. 
Senza  dire  come  la  vicinanza  dei  due  sepolcri  potreb- 
be far  supporre  ,  ì  Ire  cranii  ora  scoperti  fossero  già 
appartenuti  a  quei  corpi  acefali  ,  sepolti  prima  che 
le  teste  venissero  pietosamente  involale  e  rinchiuse  in 
questa  tomba,  che  stava  così  all'altra  d'appresso. 

Aggiungo  da  ultimo  quattro  iscrizioni  marmoree, 
rinvenute  in  Sorrento,  una  delle  quali  fu  da  me  co- 
municata al  eh.  Minervini  (  Bull.  ardi.  nap.  n.  ser. 
toni.  IH,  pag.  6). 

9.         C  •  1VL1VS  •  CHA 
RITO  •  VIX  • 
ANNIS    X  - 

10.        CHELMONIVS 

FVSCVS 


11.  POMPEIA 
AMPELIS 
VIXANNL 

12.  D  •  M  • 
ORIENS  •  AVG  * 

VERNA 
VIXANNXLVH 

FlORELH. 

Osservazioni  deli'  Editore  del  bulleltino  sulVarticoto< 
precedente. 

1.  Iscrizioni  sannitiche  di  Cuma.  Molto  importanti 
riescono  queste  due  novelle  iscrizioni  sannitiche ,  le 
quali  si  aggiungono  a  quella  segnala  in  auree  lettere 
sopra  di  un  vaso  tratto  da  una  tomba  sannitica  di 
Cuma ,  di  cui  parlammo  nel  primo  anno  di  questo 
bulleltino  (pag.  1C3).  È  probabile  che  anche  que- 
ste due  nuove  epigrafi  debbano  riportarsi  ad  un'epoca 
presso  a  poco  eguale  a  quella  della  sannitica  tomba 
sopra  ricordata:  e  certamente  tutte  tre  ci  rammen- 
tano la  occupazione  di  Cuma  fatta  da'  Sanniti ,  ed  i 
loro  stabilimenti  in  quella  antichissima  città;  sebbene 
anche  noi.  pensiamo  col  eh.  Fiorelli  che  le  due  più 
recentemente  scoperte  sieno  da  reputare  di  tempi  non 
molto  remoli.  Non  so  se  debba  1'^  finale  della  secon- 
da linea  nella  prima  iscrizione  giudicarsi  fare  unione 
col  nome  ^DFUFft.  Potrebbe  invece  opinarsi  che  in 
quella  lettera  isolata  debba  riconoscersi  il  nome  del 
padre  di  Statia:  Slatiae  Siliae  S.  filile  Salavus.  In  qua- 
lunque modo  i  due  nomi  di  Statia  Silia ,  ove  sieno 
da  riferire  ad  una  sola  persona  ,  ci  offrono  un  altro 
esempio  di  un  duplice  nome  dato  ad  osei  personaggi; 
non  altrimenti  che  si  osserva  neh"  i-MnV  ^II8V  del 
cumano  vaso  sopra  ricordato,  ed  in  altri  esempli,  che 
furono  da  noi  richiamati  in  quella  occasione  (an.  I 
pag.  163  segg.),  e  più  eslesamente  nel  pubblicare  la 
osca  epigrafe  scritta  con  caratteri  etruschi ,  la  quale 
si  legge  in  un  vaso  di  bronzo  rinvenuto  nell'  antica 
Capua  {bullelt.  arcìieol.  napol.  an.  II  pag.  137  seg.). 
Ed  a  questo  proposilo  vogliamo  avvertire  che  non  ba 


—  109  — 


gnari  il  eh.  signor  Consigliere  Orioli  ,  nel  presenta- 
re alcune  nuove  osservazioni  su  quel  capuano  mo- 
numento ,  fecesi  a  sospettare  che  non  appartenesse  a 
Capua  ,  ma  bensì  ad  Orvieto  ,  fondato  sulla  coinci- 
denza di  nomi  simili  in  alcune  epigrafi  etnische  di 
quella  italica  regione  (  vedi  la  rivista  sebezia  an.  I  p. 
283  s.).  Debbo  pertanto  dichiarare  che  il  monumento 
fu  da  me  slesso  osservato  in  Napoli ,  prische  fosse 
trasportalo  in  Roma.  Io  lo  vidi  presso  il  possessore 
sig.  Bonichi  pochi  giorni  dopo  eh'  egli  ne  fece  1'  ac- 
quisto :  ed  a  lui  provenne  quel  vaso  dalle  vicinanze 
di  Capua.  Oltre  questa  dichiarazione  di  fatto ,  è  da 
osservare  :  che  il  dialetto  italico,  in  che  si  vede  det- 
tata la  epigrafe ,  offre  tutte  le  condizioni  perchè  sia 
giudicato  osco  ,  o  sannitico  ;  del  che  conviene  altresì 
l'illustre  Orioli.  Non  è  dunque  da  ricordare  una  epi- 
grafe etrusca ,  venuta  fuori  in  un  sito  diverso,  e  lon- 
tano. Soltanto  in  ciò  dee  tenersi  per  importante  il 
confronto  richiamalo  dal  eh.  professore,  che  esso  dà 
maggiore  appoggio  alla  mia  osservazione  intorno  alla 
influenza  etrusca  in  Capua  additata  da  quella  iscrizio- 
ne; giacché  non  solo  i  caratteri ,  ma  sihbene  i  nomi 
si  palesano  di  etrusca  provenienza. 

2.  Iscrizioni  graffite  in  olle  di  piombo  —  Iscrizioni 
Ialine — Sepolcro  singolare.  Nulla  vogliamo  aggiugnere 
al  dotto  articoli  del  eh.  Fiorelli  ;  se  non  che  il  nome 
Chremaline  a  noi  non  sembra  significare  la  piccola  in- 
digente :  ma  ove  trar  se  ne  voglia  la  derivazione  da 
Xp»m*T/^ofxsw,  può  accennare  alla  opposta  idea  di  far 
danaro,  e  posseder  qualche  cosa-,  se  pure  creder  non 
vogliasi  corrispondente  a  massaia  epiteto  non  incon- 
veniente ad  una  serva.  Molto  curioso  è  il  fallo  del 
nuovo  sepolcro  ,  ove  furono  osservati  tre  cranii  privi 
di  corpi.  Ma  questo  nuovo  fatto  non  parmi  possa 
tanto  ravvicinarsi  a  quell'altro,  di  cui  fu  innanzi  par- 
lato, di  corpi  acefali  in  cui  le  teste  furono  sostituite 
collacera.  Sarebbe  anzi  inesplicabile  come  in  sì  gran- 
de vicinanza  non  si  fossero  piuttosto  riuniti  i  cranii 
a'  corpi  già  sepolti  in  altro  sepolcro  (anlo  prossimo  a 
quello  recentemente  scoperto.  Noi  non  vogliamo  ri- 
petere le  difficoltà  gravissime  ,  le  quali  allontanano 
il  pensiero  da  martirio  di  Cristiani;  ma  non  possiamo 
tacere  ebe  il  eh.  Raoul -Rochelte  in  una  lettera  a  me 


diretta  ritrattò  quol  primo  suo  sospetto,  scrivendomi 
queste  precise  parole  in  data  de'  '.)  maggio  1853  «  Je 
»  voudrais  vous  parler  des  tétes  de  ciré  ;  mais  e'  est 
»  un  sujet  pour  lequel  il  ne  me  reste  plus  d'  espace, 
»  à  la  fin  d'une  si  longue  lettre  :  et  puis  je  vous  a- 
»  voue,  qu'après  avoir  lu  volre  secoml  article,  celili 
»  de  Cavedoui.qui  s'est  croisé  en  routeavecle  mien, 
»  la  brochure  de  M.  de  Guidobaldi ,  et ,  en  dernier 
»  lieu  l'arlicle  de  M.  de  Rossi ,  dans  le  Ballettili  ar- 
ri chéologique  de  Rome,  je  reste  encore  incertain  de- 
li vani  un  fait  si  extraordiuaire.  J'avais  très-bien  vu, 
»  à  ce  quii  me  semble  ,  le  difficultés  énormes,  quii 
»  y  avait  à  y  voir  des  restes  de  marlyrs ,  et  sous  ce 
»  rapport  ,  je  me  renconlrais  avec  Cavedoni.   Mais 
»  l' idée  de  suppliciés  ne  me  satisfail  pas,  sans  que  je 
»  puisse  proposer  rien  de  meilleur  ;  j'attends ,  j'hési- 
»  te,  je  cherche,  el  je  ne  trouve  rien.  En  attendant, 
»  je  vous  suis  infinimeut  obligépour  l'analyse  chimi- 
»  que  que  vous  avez  bien  voulu  faireexécuter  du  dé- 
»  poi,  que  j'avais  soupeonné  sanguin.  C'est  bien  déci- 
»  dément  de  Venere,  inchiostro,  j'en  tombe  d'  accord 
»  avec  vous.  Mais  mon  erreur  aélécauséeparceque, 
»  dans  votre  premier  arlicle,  vous  n'indiquiez  pas  la 
»  malière  du  vase:  si  j'avais  su  qu'il  était  de  bronze, 
»  je  n'  aurais  janiais  pensé  à  un  dépót  sanguin;  car  je 
»  connais  très-bien  V ampolla  di  sangue,  pour  com- 
»  mettre  une  pareille  méprise  ». 

Da  queste  parole  dell'  illustre  archeologo  francese 
si  desume  chiaramente  eh'  egli  non  poneva  alcuna 
importanza  a  quella  sua  opinione,  o  piuttosto  a  quel 
suo  sospello  :  che  anzi  se  ne  mostrò  del  lutto  scon- 
tento dopo  le  più  esatte  notizie  sulle  circostanze  dell» 
scoperta  ,  e  principalmente  dopoché  si  vide  svanire 
la  probabilità  di  un'  ampolla  di  sangue  ,  che  additar 
poteva  il  seguito  martirio.  Tanto  doveva  alla  memo- 
ria del  mio  celebre  amico  :  pubblicando  le  sue  ulti- 
me parole  sopra  quel  singolarissimo  fatto  archeolo- 
gico ,  del  quale  rimane  tuttora  problematica  la  spie- 
gazione. MlNERVIM. 

Continuazione  delle  scavazioni  dimane.  Vasellìno  di- 
pinto col  soggetto  di  una  giocoliera. 

S.  A.  R.  il  Conle  di  Siracusa  ,  principe  che  tanto 


—  110 


onora  la  letteratura  e  le  arti  belle,  continuando  gli  sca- 
vamenti Cumani  vi  ha  scoperto  Un  bellissimo  vasetto 
greco  di  creta  a  due  manichi,  di  cui  il  eh.  Commen- 
dator  Quaranta  è  slato  sollecito  a  dar  l'illustrazione 
alla  Reale  Accademia  Ercolanese.  Questo  vasetto  rap- 
presenta in  ciascuna  delle  opposte  facce  due  donne. 
La  prima,  nuda  le  braccia,  mentre  cammina  stringe 
nella  destra  mano  la  lira  ,  e  con  la  sinistra  distesa 
par  che  \i  porli  una  lunga  .asta  perpendicolarmente 
sull'indice,  per  dar  pruova  della  sua  destrezza  nel  dif- 
ficile giuoco.  Essa  guarda  l'asta  con  incredibile  solle- 
citudine ,  la  quale  si  appalesa  maestrevolmente  nella 
espressione  degli  occhi,  e  nella  esclamazione  scrittavi 
al  di  sopra  ,  e  che  vuoisi  considerare  come  pronun- 
ziata da  lei.  Sulla  quale  iscrizione  e  sul  soggetto  del 
vaso  giudico  opportuno  riferire  le  parole  medesime 
comunicatemi  dal  eh.  collega.  «  Indebolito  qual  tro- 
«  vomi  nella  vista,  da  prima  vi  lessi  ET  S^TEP, 
«  Bene,  o  Salvatore ,  fa  che  mi  riesca  V  impresa  ;  ma 
«  poi  parvenu  di  scoprire  la  Z ,  tal  che  avremmo 
«  ZET  SOTEP,  0  Giove  Salvatore  !  Nell'uno  e  nel- 
«  1'  altro  caso  lo  spirito  della  leggenda  è  sempre  lo 
«  stesso  ;  perchè  chi  sarebbe  quel  SOTEP,  se  non 
«  Giove,  il  quale  con  quell'epiteto  invocavasi,  e  per 
«  motivo  di  religione,  e  per  motivo  di  augurio?  L'al- 
«  tra  donna  dipinta  nel  vaso  è  in  atto  di  stendere  la 
«  mano  verso  il  luogo  occupato  dalla  precedente,  in 
«  guisa  che,  posta  con  lei  in  continuazione,  parrebbe 
«  aspettare,  che  1'  asta  passasse  sulla  sua  mano,  per 
«  eseguire  lo  slesso  giuoco  alternativamente.  Queste 
«  donne  appartengono  alla  classe  delle  persone ,  che 
«  chiamavano  §%u\x'j.rozsor} ,  ovvero  'ùrJ.v\j.%rovp-)o), 
«  e  particolarmenle  xoyroTrxixrx),  ed  il  nostro  vaso 
«  è  preziosissimo,  perchè  è  il  primo,  che  queslogiuo- 
«  co  rappresenti  ». 

Alla  dotta  ed  ingegnosa  spiegazione  del  mio  colle- 
ga mi  sia  lecito  di  aggiugnere  che  avendo  osservalo 
diligentemente  l'originai  monumento  ,  mi  sono  con- 
vinto essere  piuttosto  da  preferire  la  lezione  da  lui 
egualmente  proposta  ETSQTEP,  all'altra  ZET  SO- 
TEP;  giacché  non  panni  di  ravvisare  alcuna  traccia 
del  Z.  E  senza  dubbio  la  epigrafe  ben  si  adatta  al  sog- 
getto ,  come  quella  che  pronunziata  dalla  giocoliera 


mostra  com'ella  si  applaude  della  felice  riuscita  nel 
giuoco  ,  non  senza  invocare  il  Dio  Salvatore  ,  che  a 
tanto  ottenere  avevala  ajutata.  In  quanto  poi  al  ge- 
nere stesso  di  questi  giuochi  di  destrezza  ,  ricorderò 
che  anch'  io  ho  lungamente  parlalo  della  cibistesi  in 
rapporto  principalmente  con  donne,  le  quali  più  fre- 
quentemente appajono  ne'  vasi  dipinti.  Vedi  l' antica 
serie  del  bull.  arch.  nap.  an.  V  pag.  9ì  segg.,  ed  i 
monumenti  inedili  di  Barone  p.  16  seg.  e  p.  40.  Ed 
a  tal  proposito  mi  piace  di  ricordare  quel  bel  vasel- 
lino  di  Fasano  da  me  pubblicalo  nel  citato  bullettino 
an.  V  lav.  VI  fig.  5,  che  ci  presenla  una  giocoliera 
intenta  a  tirar  l'arco  co' piedi.  Io  notai  mancarci  luo- 
ghi di  antichi  scrittori  ,  che  ci  presentassero  esempli 
di  giuochi  eseguili  àa'cibisteleri  co'piedi  in  vece  delle 
mani  ;  sebbene  non  omisi  di  osservare  come  si  tro- 
vasse lo  <rxì\;ct  x,sifovoiA$Tv,~e  rammentai  un  impor- 
tante luogo  di  Filostrato  ,  dal  quale  ricavai  essere 
l'arco  uno  degli  arnesi  di  simili  giocolieri  (l.c.  pag. 
99-100).  Ora  il  eh.  Cavedoni  ricorda   un  luogo  di 
Manilio,   relativo  a  quelli  che  sono  adatti  pedibus 
pensare  manus  (Astron.  V,  166),  ed  un  altro  di  Dione 
Cassio  (hist.  Bom.  LIV,  9  ),ove  si  parla  di  un  gar- 
zoncello indiano  privo  delle  braccia  ,  il  quale  con 
singolare  destrezza  sapea  usare  de'  piedi  invece  delle 
mani ,  e  con  essi  vibra\a  saette  e  sonava  la  tromba 
(  vedi  il  bull.  dell'Istituto  per  l'anno   1855  p.  IX). 
Per  quanto  sia  grazioso  questo  confronto  col  vasel  li- 
no di  Gnathia,  per  quel  che  concerne  lo  scoccar 
l' arco  co'  piedi  ,  pure  a  mio  avviso  ,  non  distrugge 
quella  mia  assertiva   «  che  nessuno  antico  scrillore 
»  racconta  che  i  cibisteteri  si  servissero  dei  piedi  a 
»  guisa  di  mani  operando  con  essi  ».  Di  fatti  il  luo- 
go di  Manilio  non  si  riporta  a  cibisteteri ,  ma  ad  una 
particolare  indole  di  persone  nate  sodo  una  data  co- 
stellazione. Il  luogo  poi  di  Dione  accenna  ad  una 
singolarità  da  lui  non  veduta.  Non  parla  di  un  gioco- 
liere, ma  di  un  povero  mutilalo,  il  quale  procaccia- 
vasi  il  villo  col  dare  di  se  spettacolo  usando  dei  piedi 
in  vece  delle  mani  delle  quali  era  privo.  Quel  gar- 
zoncello non  era  un  cibistelere:  anzi  far  doveva  quelle 
operazioni  sedendo  con  tutto  il  suo  comodo  ;  altri- 
menti non  avrebbe  potuto  tener  co'piedi  la  tromba 


Ili  — 


per  applicarla  alla  bocca  e  trarne  de' suoni.  Non  era 
neppure  un  greco,  ma  un'  indiano,  quello  di  cui  fa- 
vella Dione.  Per  le  quali  cose  tutte  è  da  conchiudere 
che  il  luogo  di  Dione ,  richiamalo  tanto  a  proposito 
dal  eh.  Cavedoni,  rimarrebbe  come  un  fatto  singolare 
ed  isolato,  se  non  venissero  i  monumenti  a  dimostrar- 
ci quel  costume  degli  antichi  cibisteteri. 

MlNERVlNI. 

Moneta  punica  di  Segesla  (1). 

É  già  qualche  tempo  che  il  eh.  sig.  Duca  de  Luynes 
pubblicò  una  sua  rarissima  moneta  colla  punica  epi- 
grafe y>j: ,  presentando  sulla  stessa  alcune  dotte  os- 
servazioni (v.  questo  bullettino  an.  I  tav.  XI  n.  5  cf. 
p.  171  segg.  ):  ed  io  aggiunsi  pure  alcune  mie  av- 
vertenze a  quelle  dell'illustre  numografo  (ibid.  pag. 
174  seg.  ).  Ora  vogliamo  fermarci  alquanto  ad  inda- 
gare qual  città  fosse  punicamente  denominata  Tsits  : 
per  lo  che  riproduciamo  il  disegno  di  quella  medaglia 
nella  tav.  IX  n.  16  di  questo  anno  IV. 

Quella  importante  moneta  del  sig.  Duca  de  Luy- 
nes ci  sembra  dar  piena  luce  ad  una  tale  ricerca. 

È  evidente  che  in  essa  i  tipi  sono  quelli  di  Segesta: 
e  che  comparisce  pure  la  solita  epigrafe  di  Segesta  , 
cioè  KIB.  Questa  doppia  coincidenza  ci  persuade  a 
ritenere  appartenente  a  Segesta  il  didrammo  di  che 
discorriamo.  E  quindi  il  punico  y»j:  ed  il  greco  KlB 
sono  destinali  entrambi  ad  indicare  il  medesimo  no- 
me con  differenti  caratteri. 

Partendo  da  questo  confronto  noi  opiniamo  che  le 
monete  di  Segesla  colla  iscrizione  ^ErE^TA  seguita 
dal  ffilB  ci  offrano  con  ledere  greche  indicato  il  du- 
plice nome  della  città  ,  secondo  che  da'  Punici  o  dai 
Greci  venne  denominala  :  non  altrimenti  che  un  du- 
plice nome  si  ravvisa  nelle  monete  della  greco-san- 
nitica  Fisteìia  ;  sebbene  veggansi  però  adoperati  due 
distinti  caratteri  in  quella  duplice  leggenda. 

Queste  nostre  conghietlure  vengono  confermate  da 
alcune  filologiche  osservazioni. 

(1)  Vedi  il  nostro  Saggio  di  osservazioni  numismatiche  p.  14Gs, 


Prima  d'  ogni  altro  piacemi  ricordare  il  luogo  de' 
Paralipomeni  (cap.  XX  ),  ov'  è  menzione  di  un  sito 
denominato  y »5f ,  che  la  Volgata  dice  Sis  ed  il  greco 
Accui.  Il  qual  luogo  della  S.  Scrittura  fu  da  me  al- 
trove rammentato  {bull.  arch.  nap.  n.  s.  an.  Ip.  cit.). 

Or  ritenuto  che  Sis  è  pronunzia  usitata  nel  ren- 
dere l' ebraico  Tsits ,  procedo  ad  un'  altra  osserva- 
zione. È  nolo  che  nella  Pannonia  eravi  una  regione 
denominata  %tryia,rixri\.  Strabone  ne  determina  la  po- 
sizione in  vicinanza  del  fiume  Savo  (Lib.  IV  e.  6  §. 
10  tom.  I  p.  326  ed.  Cramer.  )  Lo  stesso  Geografo 
avverte  che  prossima  alla  Segestica  era  la  città  forti- 
ficata ,  che  appellavasi  Siscia  %t<rxi%  ,  ìyyvi  ò\  tt,s 
%£ys<Trixr$  Itti  xoCt  r,  %i<txiil  ^porpjov  xotl  Sipfxov, 
lv  oìw  xsty&xt  Tr"  iìi  'IraXiaM  (  lib.  VII  e.  5  §.  2 
tom.  II  p.  45  ed.  Cramer).  Pare  che  Siscia  fosse  la 
principale  città  della  Segestica;  perciocché  Tolommeo 
attribuisce  S/sc«a  alla  Pannonia  superiore,  e  non  ram- 
menta affatto  la  Segestica  (  Lib.  II  cap.  15  §.  5  ed. 
Nobbe).  Ma  quello  ch'èpiù  interessante  si  è  che  Ap- 
piano la  denomina  appunto  %eyi<rrri,  e  Ssyscravoì  i 
suoi  abitatori  (  Illyr.  e.  10,  17,  23,  e  24:  nel  e.  23 
nomina  particolarmente  Segesta  tt,v  "£,'.y{<srt\v  )  :  dal 
che  può  dedursi  che  la  città  principale  Siscia  detta 
pure  Segesta  die  nome  a  tutta  la  regione.  Che  poi  Ap- 
piano chiamò  Segesla  quella  che  dicevasi  altrimenti 
Siscia,  rilevasi  da  ciò  che  narra  Dione;  il  quale  rac- 
conta colle  espressioni  medesime  la  resa  di  Siscia , 
colle  quali  Appiauo  de>crive  quella  di  Segesla  dopo 
un'accanita  resistenza  alle  truppe  di  Augusto  (Lib. 
XL1X,  37  ).  Dall'  attenta  lettura  de'  due  scrittori  si 
fa  manifesto  ch'essi  riportano  il  medesimo  avveni- 
mento. 

A  noi  sembra  una  notabile  coincidenza  questa  iden- 
tità di  Siscia  con  la  Segesla  della  Pannonia  ;  quando 
si  pone  a  confronto  col  fatto  equivalente  del  nome 
Sis  applicalo  alla  Sicula  Segesta. 

Questi  due  fatti  filologicamente  considerali  si  danno 
una  vicendevole  luce. 

Ed  io  sarò  contento  di  richiamare  questo  filologico 
confronto;  senza  andar  oltre  conghietturando  sulla 
possibilità  di  una  Siciliana  fondazione ,  quando  già 
era  mista  a'  punici  la  Sicula  Segesta. 


—  112 


À  me  basta  il  vedere  la  Segata  di  Pannonia  detta 
pure  Siscia ,  per  essere  autorizzato  a  credere  che  la 
Segesta  di  Sicilia  fosse  ancora  punicamente  denomi- 
nata Sis  ;  e  perciò  reputerò  più  fondata  opinione  ri- 
tenere per  Segestana  la  medaglia  del  sig.  Duca  de  Luy- 
nes ,  e  tutte  le  altre  che  offrono  la  medesima  iscri- 
zione punica  y>j:. 

Io  riserbo  ad  altro  lavoro  la  discussione  intorno 
alle  altre  monete ,  ove  il  eh.  sig.  de  Saulcy  vide  la 
epigrafe  Y>X  (Recherches  sur  la  numismatique  puni- 
que  nelle  tném.  de  l'Acad.  des  inscr.  et  beli.  letlr.\o\. 
XV  p.  46  e  seg.),  ed  il  signor  Duca  de  Luynes  X*X 
(Bull.  arch.  nap.  a.  s.  an.  I  pag.   171  segg.  ). 

Certo  è  però  che  mi  son  capitati  alcuni  esemplari, 
ne' quali  mi  sembra  indubitato  il  £  in  vece  dell' X. 

Del  resto,  i  due  illustri  orientalisti  francesi  conven- 
gono nell'  interpretare  la  stessa  voce  Tsits  nella  pu- 
nica epigrafe  di  un  obolo  di  Palermo  colla  greca  iscri- 
zione IIANOPMOS  (  Hunter  tab.  XLI  fig.  2  ). 

Ammettendo  la  loro  interpretazione,  ed  in  seguito 
delle  osservazioni  da  me  esposte  finora  ,  dovrà  cre- 
dersi che  la  punica  epigrafe  valga  in  quella  medaglia 
a  dinotare  una  federazione  di  Panormus  colla  punica 
Segesta  (1),  e  non  già  il  doppio  nome  di  una  mede- 
sima città. 

Tutte  le  ragioni  archeologiche  e  filologiche  ci  per- 
suadono ad  una  tale  conclusione  ;  che  saremo  con- 
tenti di  annunziare,  attendendone  l'autorevole  giudi- 
zio de'  dotti.  Mineuyini. 

BIBLIOGRAFIA 

Memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese — Voi.  IV 
p.  II.  Continuazione  dell'  articolo  inserito  nel  n.  78. 

7.   Sul  monumento  sepolcrale  di  Gavia  Marciana 

(1)  Credo  che  Tucidide  accenni  alla  punica  mistione  in  Segesta, 
quando  narra  le  unioni  degli  Ateniesi  con  varii  popoli  di  Sicilia, 
ed  appella  barbari  tpjei  di  Segesta  :  fiuppccfjcov  lì  'EyurraToi 
(VII,  e.  57). 


scoperto  in  Pozzuoli — di  Agostino  Gervasio  p.  293- 
346.  Continuazione. 

La  seconda  particolarità ,  sulla  quale  1'  a.  si  ferma 
è,  che  a  Gavia  Marciana,  oltre  l'onore  del  pubblico 
funerale ,  ed  il  luogo  per  la  erezione  di  tre  statue,  si 
offrono  dieci  libbre  di  folio.  L' a.  si  oppone  al  senti- 
mento del  canonico  Lucignano ,  già  pria  del  Salma- 
sio,  che  fosse  il  folium  lo  stesso  che  il  Malobaihrum; 
e  dopo  lunga  e  dotta  discussione  conchiude  presen- 
tando la  conghiettura  che  sotto  nome  di  folium  s'in- 
tendesse non  solo  quello  propriamente  così  appellato 
ed  in  varie  specie  distinto  ,  ma  ancora  una  miscela 
di  unguenti  esolici  tratti  da  diverse  foglie  aromatiche, 
e  che  servisse  ad  alimentare  il  privato  lusso  nell'  uso 
quotidiano  della  vita  ,  nel  culto  de' numi ,  ed  ancora 
ne'  funerali.  In  quanto  a  Gavia  ,  crede  il  sig.  Gerva- 
sio che  il  folium  servisse  o  ad  ungerne  il  cadavere, 
ovvero  a  spargerne  il  sepolcro,  o  a  farne  olezzare 
le  statue  :  e  paragona  colla  epigrafe  di  Pozzuoli  due 
iscrizioni  di  Ostia,  ove  di  simiglianti  onori  favellasi 
conceduti  con  pubblico  decreto.  A  tal  proposito  l'a. 
fa  una  dotta  nota  contro  i  sostenitori  de'pretesi  consoli 
municipali.  Aggiugne  pure  il  paragone  della  metrica 
epigrafe  di  Urso  Togato  ,  già  edita  dal  Morcelli  (de 
stylo  ani.  inscr.  p.  277  )  e  da  altri ,  ov'  è  menzione 
di  odori  procurati  alla  statua  con  fiori ,  con  folio  ed 
unguento. 

Sulla  quale  iscrizione  di  Urso  Togato  vedi  pure 
quel  che  lo  stesso  sig.  Gervasio  ci  comunicò  in  que- 
sto medesimo  bullettino  (an.  II  p.  43  s.).  Finalmente 
dalla  menzione  della  gente  Annia  nella  iscrizione  di 
Gavia  ed  in  altre  epigrafi  puteolane,  deduce  l'a.  che 
la  Basilica  Augusta  Anniana  appartenga  alla  stessa 
Pozzuoli,  e  che  perciò  ad  un  tal  sito  riportar  si  deb- 
bano quelle  antiche  iscrizioni,  oye  dell'  Anniana  Ba- 
silica si  fa  parola. 


(continua) 


MlNERVINI. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtaneo. 


BULLETTINO  ARCIIEOLOfdCO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  89.     (15.  dell' anno  IV.) 


Febbraio  18.50. 


Scavazioni  dimane.  Scoperte  di  S.  A.  R.  il  Conte  di  Siracusa.  Castellino  di  legno  ed  avorio.  Specchio 
eolla  sua  leca  di  legno. — Descrizione  di  due  antichi  vasi  dipinti. — Nuove  monetine  di  Taranto  col  tipo  del 
faro  di  quel  porto.  —  Congettura  intorno  alla  ragione  delle  monete  antiche  di  elettro. — Bibliografìa.  Con- 
tinuazione del  n.  SS. 


Scavazioni  dimane.  Scoperte  di  S.  A.  R.  il  Conte 
di  Siracusa.  Castellino  di  legno  ed  avorio — Spec- 
chio colla  sua  teca  di  legno. 

Fra  gli  oggelli  recentemente  scoperli  da  S.  A.  R. 
il  Conte  di  Siracusa  vuoisi  ricordare  un  romano  mo- 
numento di  non  lieve  importanza  ,  che  tuttavia  si 
possiede  dal  Principe  Reale,  ch'ebbe  la  forluna  di 
ritrovarlo.  È  questa  una  cassetta  di  legno  e  di  avo- 
rio conlenente  il  mundus  muliebris  di  una  donna  ro- 
mana ,  con  varii  oggetti ,  che  le  appartengono.  Di 
questa  scoperta  fu  data  una  piena  notizia  ncll'  Athe- 
naeum  di  Londra  de'  12  Aprile  1856  n.  1483  ,  se- 
condo le  idee  comunicale  al  redattore  di  quell'  ar- 
ticolo dal  eh.  Fiorelli.  Noi  osservammo  pure  l'origi- 
nai monumento  presso  l'Augusto  Possessore:  e  ve- 
niamo a  dirne  qui  alcuna  cosa  ,  richiamando  princi- 
palmente sopra  certe  particolarità  l'attenzione  de' no- 
stri lettori.  Più  d'ogni  altra  cosa  noterò  che  in  ori- 
gine la  cassetta  era  di  legno,  e  che  all'esterno  erano 
applicati  numerosi  ornamenti  in  avorio.  Essendo  ri- 
dotto in  polvere  il  legno  che  ne  costituiva  l'ossatura, 
fu  mestieri  tentarne  una  restaurazione  che  fu  eseguita 
sotto  la  direzione  del  lodato  sig.  Fiorelli:  essendosi 
collocata  al  suo  sito  la  serratura  di  bronzo  colla  sua 
chiave.  In  questa  restaurazione  ,  della  quale  non  ose- 
rei adottare  tutte  le  particolarità  ,  si  sono  collocali 
nel  fronte  quattro  rettangolari  bassilirievi  ,  che  rap- 
presentano quattro  cariatidi  :  due  di  esse  nel  centro 
sostengono  la  cornice  con  ambedue  le  mani,  le  due 
6gure  agli  estremi  hanno  una  sola  mano  abbassata  , 

AXttO  IV. 


che  si  fa  corrispondere  all'  angolo  esterno.  Duo  bas- 
sorilievi si  veggono  situali  al  lato  sinistro  e  due  al  de- 
stro :  ne' primi  sono  effigiate  due  figure  muliebri ,  ne- 
gli altri  due  Amorini.  Comunque  pensar  si  voglia  di 
questa  disposizione,  non  può  dubitarsi  chela  cas- 
setta poggia  sopra  diversi  piedi  di  avorio  forati  per 
farvi  entrare  a  durevole  sostegno  il  legno  che  la  co- 
stituiva. Io  già  ebbi  altrove  la  opportunità  di  ve  lere 
alcuni  simili  pezzi  di  avorio,  o  di  osso,  e  feci  di  due 
di  essi  la  pubblicazione  nel  1"  anno  di  questo  bal- 
lettino (  tav.VIHn.3,  i)  insieme  con  altri  pezzi  dilla 
stessa  materia,  che  giudicai  tutti  pertinenti  ad  una 
cassetta.  Dal  notabile  confronto  della  nuova  cassetta 
venuta  fuori  dalle  scavazioni  della  medesima  Cuma , 
quella  mia  antica  opinione  ne  resta  perfettamente  con- 
fermata e  sorretta:  per  modo  che  potremmo  stabilire 
abbastanza  comune  il  costume  di  simili  recipienli.fr 
destinati  a  contenere  oggelli  da  giuochi ,  come  pro- 
babilmente era  uno  di  quelli  da  me  altrove  indicali 
(  Bullelt.  n.  s.  an.  1,  p.  192),  ora  femminili  orna- 
menti ;  come  in  questo,  del  quale  fa\elliamo.  Gli  og- 
gelli rinvenuti  nella  cassetta  ,  e  che  vi  si  vedono  tut- 
tavia serbali  al  di  dentro,  sono  due  fibule  di  oro,  un 
anello  di  oro,  un  vasettino  di  osso  ov'era  riposto  il 
belletto ,  due  aghi  crinali  di  osso,  un  pettine  di  avo- 
rio ,  un  fuso  di  osso ,  ed  alili  piccoli  oggelli  di  uso 
incerto,  parimenti  di  osso.  Ma  quello  che  dee  ripu- 
tarsi più  importante  si  è  uno  specchio  colla  sua  teca 
di  legno  rivestita  di  pelle,  e  fornita  di  piccola  mani- 
glia di  bronzo. 

Questa  rara  particolarità  merita  di  essere  parago- 

15 


—  114- 


la  nostra  (av.  XI  n.  1,  2,  3  ov'è  figurata  la  fora 
del  vaso  ,/i  dell'  originale).  Vedesi  nello  sfesso  d 
una  parie  la  figura  di  una  donna  corrente,  e  curvai 
dosi  in  atto  di  prender  con  ambe  le  mani  un  uccell 
che  sembra  un'  oca  (1),  nuotante  innanzi  a  lei.  È  v< 


nata  con  altra  teca  di  uno  specchio  in  parte  conserva- 
ta ,  che  fu  ritrovata  pure  in  Cuma  ,  e  della  quale  io 
diedi  notizia  sino  dal  1845  alla  Sezione  di  geografia  e  di 
Archeologia  del  VII  congresso  degli  scienziati  italiani. 
Vedi  le  cose  da  me  discorse  nell'antica  serie  del  bui- 
lettino  an.1V  p.51  s.  Fu  allora  che  ricordando  il  nome 
della  teca  dello  specchio,  rinvenni  in  Aristofane  (Nub. 
75  seg.),  ed  in  Polluce  (O/iom.  X,  126)  la  parola  Xo- 

(Pek-v,  colla  quale  un  simile  arnese  veniva  da'  Greci     balo  e  C0Q  corona  su\  cap0 .  ,iene  il  fulmine  nell 
appellato.  È  piacevole  questo  novello  esempio  ,  che     destra,  e  lungo  scettro  poggialo  a  terra  colla  sinistra 
ce  ne  fornirono  le  scavazioni  di  S.  A.  R.  il  Conte  di     Un  amp;0  man(en0  \0  (.0Vre  dall'  umbilico  fino  a 
Siracusa.  È  però  notabile  che  il  più  tenue  strato  so-       -jj 
prapposto  al  legno,  che  ne  forma  la  copertura  e  l'or-         NoQ  e  DU0V0  trovar  donne  con  oche  in  antichi  mo 


stifa  di  lunga  tunica  stretta  con  una  cintura  al  di  sott 
del  seno,  ed  ha  sandali  ai  piedi  ed  armille  alle  braccia 
Dall'  altra  parte  è  la  figura  di  Giove  sedente  bar 


namento,  dee  piuttosto  riputarsi  di  pelle  che  di  papi- 
ro; siccome  era  stato  opinato  dal  Canonico  de  Jorio, 
e  siccome  io  pure  ammisi ,  non  senza  desiderare  che 
fosse  sottoposto  ad  una  più  accurata  osservazione 
[l.  e.  p.  52).  Ora  che  dal  nuovo  specchio  di  Cuma 
si  manifesta  fruttarsi  di  un  ornamento  di  pelle  ,  par- 


numenti.  Queste  sono  state  spiegate  talvolta  come  ui 
semplice  sollazzo  di  giovanette  (  lahn  ne'  Berichte  d 
Sassonia  1848.  p.  51  ).  Altra  fiata  si  è  riconosciuti 
in  donne  con  oebe  la  rappresentazione  di  Penelopi 
(De  Wilte  An.  d.  Imt.  XIII  p.  261  a  271.  PI.  I.  K.) 
la  quale  secondo  Omero  (  Odys.  T.  536  )  dilettavasi 


mi  più  probabile  rilenere  della  stessa  materia  gli  or-  dì  cotesto  domestico  augello, 
namenti  esteriori  della  teca  precedentemente  descritta,  Nondimeno  è  ancora  celebre  la  relazione  dell'oca 
abbenchè  fossero  in  gran  parte  carbonizzati  e  distrut-  c0Q  Her]tyna,  pausania  (L.  IX  e.  39.  pag.  789)  ri- 
ti dal  (empo.  La  particolarità  della  maniglia  osserva-  ferisce  che  in  Lebadia ,  e  propriamente  nel  bosco  di 
bile  nel  monumenfo,  di  che  parliamo,  riputar  si  de-  Trofonj0>  Herkyna  scherzando  con  Kore  lasciò  scap- 
ve  del  pari  importante  e  nuova  :  essa  serviva  proba-  parsi  daUe  mani  un-oca)  ja  quaie  si  nascose  sotto  un 
bilmente  a  tener  sospeso  lo  specchio,  per  non  essere  gass0)  e  voiendoIa  gore  traria  di  là,  ne  uscì  una  sor- 
obbligati  a  prenderlo  sempre  colla  mano.  E  quindi  gente  ^  acqua)  cne  m  poscia  appellata  il  fiume  /br- 
anche per  questo  lato,  come  per  la  sua  bella  conser-  kyna.  SOggiunge  poi  che  presso  a  tal  fiume  fu  edifi- 
vazione,  la  teca  col  suo  specchio  recentemente  acqui-  catQ  UQ  tempio  a  questa  dea>  dove  era  ;j  di  lei  simu. 
stali  alla  scienza  sono  da  giudicare  di  somma  impor-  jacr0  in  ggura  di  una  donzella  con  un'oca  in  mano, 
anza.  Può  dunque  nel  nostro  rhyton  ravvisarsi  il  rao- 
Per  tutte  le  quali  cose  l'intero  cassetlino,  di  cui  fi-  men(o  descritto  da  Pausania,  quando  Herkyna  lasciò 
nora  discorremmo  ,  una  cogli  oggetti  che  vi  si  con-  sfuggjrsj  poca  dalle  mani  contro  sua  voglia  W^atraK, 


tengono  ,  è  da  riporre  tra'  più  rari  e  preziosi  cimelii 
della  romana  antichità. 

MlNEKVlNI. 

Descrizione  di  due  antichi  vasi  dipinti. 

Questi  due  graziosi  vasetti  della  forma  del  rhyton 
provengono  dalle  scavazioni  di  Ruvo ,  e  fanno  parte 
della  insigne  raccolta  de'  signori  latta. 

1 .  Il  primo  è  a  testa  di  loro  con  piccole  corna  (v. 


xoù  'cX.hff%v  X^iv*  à$ùva.i  tvrov  <xxv<Ta.v. 

Molto  si  è  detto  sopra  Herkyna.  (V.  Mùller  Or- 
chom.  p.  80  e  149. -De  Wille^n.  d.  /nsf.  XIII  pag. 
264-265  e  Nouv.  An.  I  p.  525.-WelckerZe^sc/»r. 
p.  122.-Gargallo  An.  d.  Inst.  XIII  p.  125).  Essa 
era  figlia  di  Trofonio,  e  fondò  il  culto  di  Dcmeler  in 

(1)  Potrebbe  ancora  sembrare  un  cigno;  ma  è  siala  già  ripetu- 
tamente osservata  la  difficollà  di  distinguere  tra  loro  questi  due 
acquatici  uccelli  nelle  opere  dell'arte  antica.  V.  Minervini  Mon. 
ined.  pag.  13  —  latin  ne'  Berichte  di  Sassonia  1848  p.  b2. 


—  115  — 


Lebadia ,  per  cui  la  slessa  Demelcr  chiaruossi  anche 
Herkyna  (Lycophr.   Cas.   153.  et  Tzelz.  ) ,  ed  'Ep- 
xipia.  le  sue  feste  (Ilesych.  h.  ».  ).  Il  suo  nome  fu 
creduto  provenire  da  "Opxos  inferno  quasi  Orcyna 
(Mùller  he.  cit.  -Il  nome  della  selva  Hercynia  avea 
la  slessa  derivazione.  Caes.  B.   G.  1.  VI  e.  24.  ) , 
ovvero  da  fpeos  chiusura.  L' oca  parve  al  Mùller  un 
indizio  del  culto  di  Proserpina.  Nondimeno  vi  si  è 
ravvisato  ancora  un  indizio  della  fonte  omonima  (lahn 
Berich.  cit.  1848  p.  52.),  essendo  indicati  sovente  i 
fonti  ed  i  laghi  per  mezzo  di  acquatici  uccelli  (Inghi- 
rami  Mon.  Etr.  V.  pag.  392).  Così  in  alcune  monete 
di  Cuma,  l'oca  che  vedesi  al  di  sopra  della  conchi- 
glia (Mion.  Sup.  I  p.  238.  n.  271.  e  239.  n.276.) 
sembra  essere  ancora  un'  aggiunzione  al  senso  della 
conchiglia  riconosciuto  come  allusivo  a  qualche  lago 
(  Eckhel  N.  Vet.  p.  20  ).  Così  anche  la  figura  femmi- 
nile sul  dorso  di  un  cigno  in  monete  di  Camarina  fu 
spiegata  dal  Millingen  per  una  ninfa  del  lago  Cama- 
rino  che  die  nome  alla  città  (  Peint.  de  Vas.  de  Cogh. 
PI.  XXI).  Il  cigno,  o  anitra  che  sia,  vedesi  anche  in 
una  fontana  in  alcune  monete  di  Terina  (  Mion.  De- 
scr.  I.  p.  205.  n.  1001.- Avellino  Opusc.  I  p.  187. 
seg.  Tav.  I  fig.  6  ). 

La  tenia  che  vedesi  sospesa  al  muro  vicino  alla  fi- 
gara  di  Herkyna  dee  reputarsi  un  indizio  del  tempio 
di  questa  dea  (  V.  su  di  ciò  il  eh.  Sig.  Gargallo  ne- 
gli Ann.  d.  Inst.  XIII  p.  127). 

Un  bel  riscontro  colla  figura  di  Herkyna  è  quella 
di  Giove  che  vedesi  dall'altra  parte  del  rhyton.  È  ab- 
bastanza ricordato  l' oracolo  di  Trofonio  in  Lebadia  : 
questo  trovavasi  presso  al  fiume  Herkyna,  nel  quale 
doveauo  bagnarsi  coloro ,  che  voleano  consultarlo. 
(  Pausan.  L.  IX  e.  39  ).  Or  siccome  in  quelle  vici- 
nanze eravi  un  tempio  e  simulacro  di  Herkyna,  così 
eravi  anche  quello  di  Giove  venerato  specialmente 
col  titolo  di  $%gi\ivs  (  Paus.  loc.  cit.  cf.  Aristid.  I  p. 
8.  Jebb.  ) ,  e  che  trovasi  anche  nominato  Zws  Tpo- 
tpaW  (Liv.  XIV,  27.  lui.  Obseq.  326.  Phot.  v.  Ai- 
(ia^.'x-Plutarch.  T.II  p.431.  C.  cf.  Mùller.  Orchom. 
p.  146  ).  Sappiamo  da  Livio  che  a  Giove  Trofonio  e 
ad  Herkyna  sacrificavasi  unitamente  da  coloro  che 
andavano  a  sentir  l' oracolo.  Nella  figura  dunque  del 


nostro  vaso  da  bere  ravvisar  possiamo  quella  pro- 
priamente del  Giove  [yj.Qi\iv<;  (1). 

Questo  rhyton  adunque  potrebbe  giudicarsi  dipinto 
su  tali  allusioni  di  Giove  Trofonio,  e  di  Herkyna. 
Fu  osservato  come  i  rhyta  adornavansi  sovente  di 
rappresentanze  religiose  e  principalmente  relative  agli 
antichi  misteri ,  nei  quali  facevasi  anche  uso  dei  me- 
desimi (  V.  Millin  ad  Duhois  Maison.  I  pi.  32  ).  Io 
non  vorrei  pertanto  diffinire  se  nella  luuga  veste  di 
Herkyna  e  nei  sandali  che  ha  ai  piedi  debba  ancora 
ravvisarsi  un'  allusione  al  costume  di  chi  discendeva 
a  consultar  l'oracolo  di  Trofonio:  x,r^YX  tvàsouxùjs 
y.ttiv  ,  xa)  ra.ma.ts  ròv  xirwì'x  Ittìs^ctSìÌS  ,  x%t  Itto- 
$7]<Ta\x=yos  hrix/toplai  xprprììì'AS  (Pausan.  1.  IX  e.  39). 

2.  Il  secondo  rhyton  è  a  testa  di  cervo  con  corna 
ramose. 

Vedesi  in  questo  la  figura  di  un'aquila  che  stringe 
tra  i  suoi  artigli  la  testa  di  una  cerva  o  di  un  daino 
in  alto  di  lacerarla  col  rostro. 

Noi  lo  pubblichiamo  nella  tav.  XI  fig.  4,5,  ove  si 
vede  la  forma  del  vaso  un  terzo  dell'  originale ,  ed  il 
descritto  gruppo  dipinto  delle  dimensioni  proprie  del 
monumento. 

L'  aquila  con  una  preda  fra  gli  artigli  è  una  delle 
rappresentazioni  più  famigerate  dell'  antichità  ,  e 
conseguente  alla  rapace  natura  di  questo  volatile.  Se 
ne  rinvengono  esempi  fin  dalle  Omeriche  rapsodie 
(//.  M  201-202.  P  673  segg.  X  308-310) ,  dove 
trovasi  ancora  specialmente  l'aquila  che  stringe  nelle 
unghie  un  piccolo  cerbiatto  (  11.  0  247-248  ). 

In  queste  rappresentazioni  si  è  ravvisato  un  sim- 
bolo della  cacciagione  o  della  bravura  marziale  (  V. 
Winckelm.  Op.  Tom.  IV  p.  366  e  Tom.  Vili  p.219). 

Sovente  incontrasi  la  medesima  idea  espressa  in  an- 
tichi monumenti ,  e  per  restringerci  a  quelli  dello 
stesso  genere  del  nostro  vaso  da  bere  ricordiamo  l'a- 
quila che  tiene  sotto  di  se  un  daino  presso  una  statua 

(1)  È  stato  riconosciuto  il  Giove  Basileus  insieme  con  altri  nomi 
ed  attributi  in  un  medaglione  di  Perinto  della  Tracia  pubblicato  dal 
Mionnct  (  àrsa.  I  p.  411.  n.  316.),  e  in  altro  di  Nicea  di  Bitinia 
pubblicalo  dallo  slesso  (D.  II  p.  453.  d.  225. — V.  Emeric  David 
Jup.  Voi.  II  p.  471.  PI.  2.  n.  2).  Veggasi  ora  sul  Giove  (ìoktiXws 
la  memoria  del  eli.  Panofka  Zeus  Basileus  und  Herakles  Ealli- 
nikot,  e  questo  bullcttino  pag.  35. 


—  11G  - 


di  Giove  della  Villa  Borghese  (Winckelm.  Op.  Toni. 
IV  p.  360). 

l'iù  >icino  è  il  confronto  delle  monete  di  Crotone 
coli' aquila  sulla  testa  di  cervo  (Mion.  D.  I  p.  189 
u.  431  ),  o  di  ariete  (Mion.  ivi  n.  432.  In  altre  ve- 
desi  vicino  all'  aquila  un  teschio  di  animale  Mus. 
Borbon.  Voi.  VI  Tav.  XXXII  n.  4);  se  non  che  in 
quelle  la  testa  di  cervo  ha  lunghe  corna  e  I'  aquila  è 
respicienle.  Possiamo  rammentare  aurora  alcune  mo- 
nete di  Olbia  della  Sarmatia  (  Mion.  Sup.  II  p.  23- 
24.  n.  78.-Sestini  Lei.  num.  Tom.  Vili  p.  32.- 
Let.  mini,  conlinuaz.  Tom.  IV  p.  30.  n.  80) ,  e  di 
Nicopolis  ad  Istrutti  (Mion.  Sup.  II  p.  137  n.  474.- 
Mus.  Arigon.  II  T.  23  fig.  314) ,  dove  trovasi  anche 
l'aquila  su  testa  di  ariete  o  di  bue  ,  non  che  quelle 
di  Alessandria  della  Troade  dove  questo  tipo  è  ovvio. 

La  semplice  testa  della  preda  che  vedesi  nelle  un- 
ghie dell'aquila,  mentre  altre  volle  la  preda  è  in- 
tera, come  un  serpente  o  una  lepre ,  va  paragonata 
colla  coscia  di  animale  che  l' aquila  stringe  nei  suoi 
artigli  in  alcune  monete  di  Alontium  (Mion.  Sup.  I. 
p.  372.  n.  113.-Torremuz.  Tab.  XIV  n.2),  in  altre 
di  Antiochia  ad  Orontem  (Mion.  D.  V  p.  177.  n. 
242-243.  p.  182.  n.  323),  ed  in  altre  di  Amorium 
della  Frigia  (V.  Cavedoni  in  questo  Bulletlino  an.  IV 
pag.  14). 

Teodoro  Avellino. 

Nuove  monetine  di  Taranto  col  tipo  del  faro 
di  quel  porto. 

11  eh.  Minervini  si  è  reso  mollo  benemerito  della 
già  si  ricca  e  vaga  serie  delle  monete  di  Taranto,  as- 
sicurando ad  essa  un  tipo  nuovo  e  molto  vago  ed 
importante  (v.  questo  Bullelt.  anno  HI  p.  158  -  160), 
che  è  come  segue  : 

Torre  con  fastigio,  lalor  sormontalo  da  un  augello, 
con  una  o  due  finestre,  e  con  tenie  sventolanti. 

Egli  modestamente  si  rimane  dal  defluire  ,  se  sia 
questa  una  torre  delle  fortificazioni  del  lillorale  Ta- 
lentino, ovvero  un  faro  per  sicurezza  di  quel  famoso 
porlo.  Ma  panni,  che  vi  si  debba  senza  meno  ravvi- 
sare un  faro,  pel  riscontro  del  tipo  analogo  di  un  de- 


nario  di  Sesto  Pompeo  Magno  cosi  accuratamente  de- 
scritto dal  eh.  Borghesi  (Dccad.  1  oss.  2): 

Torre  rotonda  con  due  feneslre ,  sormontata  dalla 
statua  di  Nettuno  premente  cui  s.  piede  una  prora  di 
nave  e  portante  un  delfino  colla  manca  e  un  tridente 
colla  diritta.  Innanzi  la  torre  sta  una  trireme  senz  al- 
bero e  vela,  coli'  aquila  legionaria  in  sulla  prora,  e  in 
sulla  poppa  l'acrostolio  ,  il  tridente  e  un  asta  da  ap- 
pendervisi  il  vessillo.  A  bordo  della  nave  vedesi  in  pic- 
colo un  ma>inaio  che  sta  in  allo  di  afferrare  con  un 
uncino  la  ripa. 

11  lodato  eh .  archeologo  vi  riconobbe  il  faro  di 
Messina,  che  poscia  diede  il  nome  allo  strelto;  col 
quale  si  volle  indicare  il  porto  ,  nel  quale  si  ricovrò 
la  flotta  del  minore  Pompeo,  rappresentata  dalla  sua 
nave  pretoria  ,  e  vi  rimase  intatta  dalla  grave  tempe- 
sta che  fracassò  1'  armata  del  giovane  Cesare.  Altra 
volta  io  congetturai  (  Saggio  p.  144),  che  in  quel  ti- 
po fosse  rappresentata  la  Columna  Bhegina  ;  ma  il  feci 
a  torto,  ed  ora  mi  gode  l'animo  di  disdirmene  e  dar 
tutta  la  ragione  al  eh.  Borghesi ,  la  cui  spiegazione 
riceve  bella  conferma  dal  riscontro  delle  monetine  di 
Taranto  ,  il  tipo  delle  quali  è  per  mettere  in  mostra 
il  grande  ed  esimio  suo  porto. 

11  eh.  editore  confessa ,  che  gli  riescirono  di  diffi- 
cile intelligenza  ,  in  rapporto  ad  una  torre  o  ad  un 
faro,  quelle  tenie  svolazzanti  da  un  Iato  ;  ma  pure  du- 
bitando vi  ravvisa  una  specie  di  bandiera  postavi  per 
segnale.  E  parmi  che  questa  sua  opinione  si  conforti 
di  molto  pel  riscontro  dell'  asta  fornita  di  tenia  sven- 
tolante, che  suol  vedersi  apposta  alla  poppa  delle  navi 
per  segnale  oppure  per  vie  meglio  conoscere  lo  spi- 
rare de'  venti  (  v.  Pollux  1 ,  90:  Bronzi  d' Ercol.  1. 1, 
append.  p.  17:  cf.  Cavedoni  append.  al  saggio  p.  103 
nota  123). 

Anche  le  due  o  più  fenestre  aperte  nel  fianco  del 
faro  di  Taranto  ,  del  pari  che  in  quello  di  Messina  , 
servilo  avranno  per  dare  ai  naviganti  gli  opportuni  se- 
gnali col  fuoco  o  con  banderuole  od  altri  mezzi.  In 
una  rara  moneta  di  Erilre  dell'  Ionia  vedesi  un  orde- 
gno a  guisa  di  braciere  con  fiamme  ardenti,  che  parve 
fuoco  acceso  di  una  specola  al  Taylor  Combe  (  Num. 
mus.  Brit.  lab.  IX,  24).  Io  sospettai  che  fosse  altra 


—  lis- 


cosa (Spicil.  num.  p.  168);  ma  ora  veggo  che  in  fa- 
vore dell'avviso  del  limnografo  inglese  stanno  la  pa- 
role  di  Plinio  (  li,  73  :  XXXVI ,  18)  :  Specuìae,  in 
quibus  pracnuncios  igncs  accendere  solchimi  in  Asia 
propter  piraticos  lerrores  :  —  (juales  igncs  iam  com- 
2)luribus  locis  (lagrant,  ut  Ostiae  elRavennae. 

Ora  tornando  al  faro  di  Taranto,  quell'augello  clic 
vedesi  posto  in  sulla  sommità  d^l  suo  fastigio  (e  che 
forse  era  mobile  e  serviva  di  segnale  per  conoscere  la 
direzione  de' venti),  prende  qualche  luce  dal  riscon- 
tro d'altre  monete  di  Taranto  stesso,  nelle  quali  ve- 
desi il  Demos ,  o  sia  Genio  del  popolo  Tarentino,  se- 
dente in  seggiola  in  allo  di  trastullarsi  con  un  augello 
eh'  ei  tiene  nella  destra  sospeso  per  l'estremità  di  un 
ala  (Raoul-Rochetle,  num.  Tarmi,  p.  209-210,  pi. 
IV,  35,  36).  Altra  volta  (v.  Giornal.  scient.  teli,  di 
Perugia  1835  Gen.)io  sospettai,  forse  troppo  ardita- 
mente, che  alluda  al  nome  della  città  ,  e  che  potesse 
dirsi  tarax  (ci.  Schneider,  lexic.  Gr.  v.  rsrj.a.Z). 

La  forma  rotonda  del  faro  di  Taranto  e  di  quel  di 
Messina  ,  a  parere  dell'Oderici  (numism.  Gr.  p.9-10), 
avrebbe  altro  riscontro  in  quello  di  una  moneta  di 
Laodicea  della  Siria  ;  ma  altri  vi  ravvisarono  (  forse 
a  torto)  altra  cosa  (  Mionnet  Descr.  n.  710,  Sappi. 
u.  213).  Di  forma  quadrangolare,  per  1'  opposito  , 
era  la  torre  del  celebre  faro  d'Alessandria  d'Egitto 
(  Zoega,  num.  Alexandr.  tab.  VII,  X  :  Morelli,  Domit. 
lab.  XXIII,  26). 

C.  Cavedoni. 

Congettura  intorno  alla  ragione  delle  monete 
antiche  di  elettro. 

UEckhel  (  doct.  t.  I  p.  XXV),  dopo  di  averne 
dato  l'elenco  delle  varie  monete  antiche  di  elettro, 
o  sia  d'  oro  con  qualche  porzione  d'  argento  commi- 
sta (  alle  quali  vuoisi  aggiungere  quella  di  Roma  di 
fabbrica  Campana  co'  tipi  del  bifronte  imberbe  e  di 
Giove  fulminante  in  quadriga,  v.  Riccio  calai,  p.  12 
n.  7-10),  lascia  indecisa  la  ragione  di  quella  mistura 
de*  due  metalli  preziosi  ;  ma  pure  propende  a  cre- 
dere che  nelle  monete  barbariche  l'elettro  sia  nativo, 
e  fattizio  o  sia  artificiale  nelle  monete  di  bel  conio 


Greco,  segnatamente  in  quelle  di  Siracusa.  Ma  resta 
sempre  ad  indagare  la  ragione,  per  la  quale  Siracusa 
ed  altre  città,  che  ben  conoscevano  la  maniera  di  de- 
purar l'oro,  e  che  improntarono  monete  d'oro  pu- 
rissimo, mosse  furono  ad  imprimerne  altre  d'elettro, 
o  sia  d'oro  con  qualche  mistura  d'argento,  forse  nello 
stesso  tempo  che  le  prime.  Mi  giovi  pertanto  avven- 
turale una  mia  congettura,  sottomettendola  al  parere 
dei  dotti,  se  pure  non  fu  di  già  proposta  da  altri. 

Ne' pubblici  fogli ,  verso  la  fine  dello  scorso  anno 
1855  (Messaggere  di  Modena  15  Die.  Gaz.  di  Ver. 
ecc.)  leggevasi  ,  che  in  Francia  i  pezzi  da  5  franchi 
in  oro,  che  vedevansi  ricevuti  con  una  eerta  diffiden- 
za nelle  transazioni  quotidiane,  si  sarebbero  fatti  con 
mistura  di  argento  e  d'oro  ;  p.  e.  1  franco  in  argento 
e  4  franchi  in  oro  pel  pezzo  da  5.  franchi  ;  2  fr.  in 
argento  e  8fr.  in  oro  pel  pezzo  da  10  franchi.  Ignoro 
se  quel  divisamento  sia  stato  posto  in  esecuzione , 
(  giacche  in  pratica  avrebbe  forse  i  suoi  gravi  incon- 
venienti )  ;  ma  comunque  sia  di  ciò  ,  penso  che  anche 
gli  antichi  fossero  mossi  da  motivi  simili  allorché  si 
risolsero  ad  imprimere  le  loro  monete  di  elettro. 

Siracusa  impresse  monetine  d'  oro  assai  piccole , 
quelle  cioè  con  la  testa  d'  Ercole  nel  ritto  e  con  te- 
slina  di  donna  entro  un  quadratilo  incuso  nel  river- 
so ,  che  pesano  undici  eentigrammi  scarsi  ;  ed  altre 
vie  più  piccole  con  prolome  di  toro  cornupeta  nel 
ritto  e  con  una  spiga  nel  riverso  ,  che  pesano  circa 
sette  eentigrammi.  E  pare  che  le  imprimesse  per  ra- 
gione dell'oro  che  vi  sovrabbondasse  a  confronto  del- 
l'argento. Poscia  veggendo,  che  quelle  monete  picco- 
line  erano  di  troppo  facili  a  perdersi,  durante  la  stessa 
relativa  sovrabbondanza  dell'oro,  avrà  pensato  a  co- 
niare aurei  picciolini.  Ma  per  accertare  la  cosa  con- 
verrebbe far  l'analisi  chimica  dell'une  e  dell'altre; 
ed  io  non  mi  trovo  in  caso  di  poter  ciò  fare.  Pure 
avvertirò  ,  che  nel  reale  museo  Estense  sono  due 
piccole  monete  di  Siracusa  d'elettro,  o  sia  d'oro  pal- 
lido ,  co'  tipi  della  testa  di  Apollo  e  della  Lira  a  quat- 
tro corde,  del  peso  di  diciassette  eentigrammi  e  mez- 
zo, benché  siano  esse  alquanto  logore.  D'altra  parte 
la  stessa  moneta  d'oro  schietto ,  per  fede  del  Mion- 
net (  Descr.  n.  705) ,  pesa  grani  Parigini  34  ,  equi- 


—  118  — 


valenti  a  27  cealigrammi  e  mezzo  all'  incirca  ;  sì  che 
quella  di  elettro  forse  valeva  la  metà  di  quella  d'oro 
puro  ;  e  potea  equivalere  a  quelle  d' oro  insignite  de' 
tipi  della  testa  d'Ercole  e  della  testolina  femminile 
racchiusa  entro  un  quadralello  incuso. 

Nel  medesimo  museo  Estense  sono  due  monete  di 
elettro  di  Siracusa  co'  tipi  della  lesta  d'Apollo  e  col 
tripode,  una  delle  quali  alquanto  logora  pesa  trenta- 
sei centigrammi  :  e  l' altra  assai  più  pallida  ,  benché 
meglio  conservata,  pesa  soli  ventiquattro  centigrammi 
e  mezzo.  E  quest'  ultima  prohahilmente  vuoisi  tenere 
per  parlo  di  un'officina  di  falsarli  antichi ,  che  man- 
tennero il  modulo  della  moneta  legale  di  elettro,  ma 
vi  mescolarono  più  argento  che  oro  ;  e  la  frode  forse 
non  appariva  così  manifesta  allor  che  la  moneta  usci- 
va fresca  di  conio  e  mettevasi  primamente  in  corso. 

Ben  veggo  di  non  aver  falto  altro  ,  che  proporre 
ipotesi  e  dubbi  ;  ma  forse  queste  povere  mie  parole 
eccitar  potrebbero  altri  provvisti  di  migliori  sussidi  a 
porre  pienamente  in  chiaro  la  questione  riguardante 
il  motivo  e  la  maniera  della  impressione  delle  monete 
antiche  di  elettro.  C.  Cavedoni. 

BIBLIOGRAFIA 

Memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese — Voi.  IV 
p.  II.  Continuazione  dell'  articolo  inserito  nel  n.  88. 

7.  Sul  monumento  sepolcrale  di  Gavia  Marciana 
scoperto  in  Pozzuoli — di  Agostino  Gervasio  p.  293- 
346.  Continuazione. 

Il  sig.  Gervasio  in  un'appendice  riporta  varie  iscri- 
zioni da  lui  trovate  fra  le  schede  del  Mazzocchi,  ove 
sono  additate  colla  seguente  epigrafe=/Jscn'ziofw  ine- 
dite datemi  dal  P.  Antinori  in  questo  anno  1741:  ed 
apparisce  dalle  medesime  schede  che  provengono  pro- 
babilmente da  Pozzuoli.  Noi  tralasceremo  quelle  che 
sono  già  note  per  esatte  pubblicazioni,  e  solo  riferi- 
remo le  inedite  ,  o  che  offrono  varietà  di  lezione. 

La  prima  (  Mommsen  num.  3359)  è  ora  nel  Real 
Museo  Borbonico  ,  ed  è  stata  meglio  letta  dall'  a. 

Ho  avuto  occasione  di  verificare  co'  miei  proprii 
occhi  la  esaltezza  di  questa  lezione  notabile  princi- 
palmente pe'  due  segni  sulla  prima  lettera  del  dit- 
tongo AE. 


SCVRRACIAE  M  •  F 

VENERANDA E 
L  •  LAELIVS  •  HERMIAS  (MI  mon.) 
CONIVGI  •  RARISSIMI 
EXEMPLI 

La  seconda  è  esattamente  pubblicata  dal  Mommsen 
n.  2955. 

La  terza  sembra  inedita  ,  ed  è  la  seguente  : 

VLPIA  VALENTINA 

VLPI 

CALLISTI  HIC 

Vi  è  sculta  una  testa  di  donna  di  mezzo  rilievo  con 
chiomatura  e  finimento  alla  Romana  ;  dice  il  mano- 
scritto. 

Bella  è  quest'altra,  che  dicesi  proveniente  da  Cu- 
ma  ,  e  che  non  vedesi  pubblicata  nelle  raccolte  epi- 
grafiche conosciute  : 

L  .  LICINIVS  •  ATIMEIVS  (sic)  •  SIBI  ■  ET 

GRANIAE  •  MENVSAE  •  CONIV 

Gì  •  ET  •  GRANIO  ■  ZOILO  ■•  ET  •  LICI 

NIAE  •  HORAFAE  •  FILIS  (sic)  •  ET  •  LIBER 

TIS  •  LIBERTABVSQ  •  POSTERISQVE 

EORVM 

La  quinta  è  pubblicata  pure  dal  Mommsen  (n.  161) 
con  la  falsa  indicazione  di  sito  ,  come  era  dal  Mura- 
tori riportato:  il  che  va  pur  detto  della  settima  (Momm- 
sen n.  126,  e  2956).  La  sesta  è  anche  pubblicata  dal 
Mommsen  (  n.  3396  ),  che  la  trasse  dal  Giustiniani. 

Sembrano  inedite  queste  ultime 

8. 

M  •  VLPIVS 

CALLISTVS 

HIC 

9. 

D  M 

STRATON 

STBATONICI  •  FIL 

OVI  VIX1T  ANNIS  III  •  MEN  ■  V 

DIEBVS  X 


—  119  - 


10. 


In  (re  tegoli  di  creta 


1.  SAB  A'P 

2.  SAPA'P 

3.  MVC  •  •  • 

11  sig.  Gervasio  chiude  quesla  sua  dotta  memoria 
col  dare  alcune  novelle  dichiarazioni  sopra  certe  par- 
ticolarità della  lapida  di  A.Verazio  da  lui  precedente- 
mente illustrata.  Son  queste  le  sigle  C.  I  da  lui  già 
interpretale  Colonorum,  o  Gumanorum  lulìensium  :  la 
quale  spiegazione  ora  conforta  di  novelle  dimostra- 
zioni e  di  novelli  confronti.  L'altra  particolarità  si  è  il 
pervigilio  in  onore  del  Dio  Patrio,  ch'ei  confronta  con 
la  simile  festività  notturna  solita  a  celebrarsi  da'  Cam- 
pani nel  sito  detto  Ilama  presso  Cuma  (Liv.  1.  XXIII, 
35).  Osserva  poi  la.  che  nell'  altro  marmo  di  L.  Li- 
cinio Primitivo  (Mommsen  n.  2530)  al  destro  Iato  vi 
è  scritto 

CVRANTE 
L  •  LAECANIO  •  PRIMITIVO 

parole  che  non  furono  da  lui  avvertile  ,  quando  fece 
di  quel  marmo  la  prima  illustrazione.  Ci  asteniamo  dal 
portare  alcune  altre  epigraG  ,  già  conservate  ne' cor- 
tili dell'  edilìzio  di  S.  Francesco  in  Pozzuoli;  giacché 
essendo  ora  collocale  nel  real  museo  Borbonico,  avre- 
mo la  occasione  di  favellarne, quando  diremo  de'nuovi 
acquisti  epigrafici  in  continuazione  delle  notizie  da 
noi  date  nel  precedente  anno  di  questo  bulletlino. 

8.  Ricerche  sul  tempo  nel  quale  si  cessò  di  coniare 
le  monete  denominale  incuse:  memoria  del  Principe 
di  s.  Giorgio,  p.  247-372. 

Il  eh.  a.  comincia  dall'  additare  i  progressi  fatti 
più  recentemente  negli  sludii  della  numismatica  si  per 
la  parte  che  concerne  i  più  difficili  tipi,  sì  per  quella 
che  al  valore  delle  monete  si  riferisce.  Osserva  poi 
che  importante  dee  pure  riguardarsi  la  indagine  sul- 
l' epoca  in  cui  vennero  battute  le  monete  urbiche,  le 
quali,  com'è  risaputo,  non  offrono  chiari  indizii  cro- 
nologici :  ed  a  questa  indagine  appunto  rivolge  le  sue 
investigazioni. 

Stabilito  che  le  più  antiche  monete  sieno  le  incu- 
se ,  più  recenti  quelle  con  ambi  i  tipi  in  rilievo ,  di- 


slingue 1'  a.  due  epoche  da  poter  servire  di  base  alla 
ricerca  dell'età  delle  monete  autonome.  Il  primo  pe- 
riodo si  estende  da  che  fu  battuta  la  prima  moneta 
sino  a  che  si  cessò  dal  coniare  monete  incuse.  L'a. 
ritiene,  giusta  le  relazioni  degli  antichi  scrittori,  do- 
versi la  invenzione  della  vera  moneta  attribuire  a  Fi- 
done  dopo  la  ottava  Olimpiade ,  o  dopo  il  748  pri- 
ma dell'  era  nostra  ,  il  sesto  della  fondazione  di  Ro- 
ma. Osserva  esser  più  difficile  la  ricerca  dell'  epoca  in 
cui  cessarono  le  incuse:  e  tenta  di  dichiararla  confron- 
tando la  storia  colle  monete. 

Volge  da  prima  le  sue  indagini  a  Siris  ;  la  quale 
riedificata  da'coloni  Tarantini  nel  quarto  anno  dell'O- 
limpiade 86,  433  anni  prima  dell'era  volgare,  321  di 
Roma  ,  prese  il  nome  di  Eraclea.  Ora  le  monete  di 
Siris  sono  tutte  incuse,  tutte  a  rilievo  quelle  di  Era- 
clea. Parla  poi  di  Bussento  Pyxus,  le  cui  monete  es- 
sendo sempre  col  nome  di  Siris,  non  possono  discen- 
dere al  disotto  dell'epoca  dianzi  indicata.  Ragionando 
di  Sibari ,  avverte  coni'  essendo  avvenuta  la  fonda- 
zione di  Turio  444  anni  prima  dell'  era  nostra  ,   la 
numismatica  di  questa  città  offre  soltanto  monete  co' 
tipi  in  rilievo  ;  laddove  Sibari  che  la  precedette  pre- 
senta monete  incuse,  e  poi  le  non  incuse  ne'suoi  ul- 
timi tempi.  In  quanto  a  Metaponto  ,  il  sig.  Principe 
di  S.  Giorgio  da  fatti  storici  rileva  che  le  monete  con 
ambi  i  tipi  in  rilievo  debbono  riputarsi  coniate  dopo 
1'  anno  447  prima  dell'  era  volgare  ;  come  le  incuse 
pria  di  questo  tempo.  Finalmente  l'a.  si  ferma  a  di- 
scorrere alquanto  pur  di  Caulonia.  Da'quali  fatti  vie- 
ne a  conchiudere  che  il  coniar  delle  monete  incuse 
cessò  innanzi  alla  metà  del  quinto  secolo  prima  dell'era 
cristiana,  verso  il  principio  del  quarto  secolo  di  Ro- 
ma. Della  quale  conclusione  si  fa  dall'  a.  un'  appli- 
cazione alla  numismatica  di  Crotone,  di  Taranto  ,  di 
Imera,  e  di  Selinunte  ,  le  quali  essendo  fondate  in. 
epoca  precedente  a  quella  sopra  riportata,  ed  essendo 
rimase  in  fiore  anche  in  tempi  posteriori,  presentano 
nella  loro  numismatica  monete  incuse  e  non  incuse. 
Da   ultimo  ravvisa  una  pruova  delle  sue  conclusioni 
anche  nella  numismatica  della  Grecia  e  dell'  Asia  ,  e 
principalmente  nelle  monete  de'  re  ,  che  banno  una 
data  certa. 


—  120  — 


Il  signor  Principe  di  S.  Giorgio  risponde  poi  a  due 
obbiezioni:  la  prima  si  è  che  alcune  città  ,  la  cui  o- 
rigine  si  asserisce  renioia,  non  banno  monda  incusa. 
Egli  osserva  da  prima  la  debolezza  di  una  tale  obbie- 
zione ,  perchè  non  è  pro\a(o  che  quelle  città  conias- 
sero moneta  in  tempi  remoti:  ed  avverte  rilevarsi  ab- 
bastanza dallo  stile  e  dalla  fabbrica  delle  monete,  es- 
sere perlinen  i  ad  epoca  posteriore. 

Aggiunge  poi  non  esser  sempre  vere  le  tradizioni, 
che  as;egnano  alle  auliche  ci  là  origine  remotissima; 
e  ne  cita  ad  esempio  la  città  di  Locri,  intorno  la  qua- 
le sono  svariatisene  e  contrarie  tradizioni. 

La  seconda  obbiezione  si  desume  dalle  monete  di 
Reggio  col  tipo  della  lepre,  proprio  di  quelle  di  Mes- 
sane. Ora  essendo  quel  tipo,  secondo  Polluce  (V,  e. 
12  §.  75  e  IX  e.  C  §.  84),  introdotto  in  questa  ul- 
tima città  da  Anassilao,  die  morì  nell'annoav.  Cri- 
sto 476,  ne  seguirebbe  che  si  coniassero  monete  con 
ambo  i  tipi  in  rilievo  anche  prima  della  metà  del  5 
secolo  innanzi  la  nostra  era.  L'a.  rimuove  questa  dif- 
ficoltà, dimostrando  come  quelle  monete  furono  cer- 
tamente battute  molto  tempo  dopo  la  morte  di  Anas- 
silao :  e  nota  quanto  poca  fede  prestar  si  debba  alle 
spiegazioni  di  Polluce  ,  le  quali  poggiano  sopra  ine- 
satte osservazioni  numismatiche. 

9.  Indagine  sull'  epoca  in  cui  s' incominciò  a  conia- 
re monete  di  bronzo:  memoria  del  principe  di  s.  Gior- 
gio, pag.  373 — 381. 

Il  eh.  Autore  di  questa  memoria  discutendo  bre- 
\i  mente  sulla  proposta  quislione  ,  conchiude  che  la 
moneta  di  rame  nò  nella  Magna  Grecia  ,  nò  nella  Si- 
cilia ,  nò  tra  i  popoli  Osci ,  nò  nella  Grecia  fu  in  uso 
innanzi  all'incominciar  del  IV  secolo  di  Roma  ,  vale 
a  dire  oltre  400  anni  avanti  all'era  cristiana.  Egli  de- 
sume una  tale  conclusione  dalla  osservazione  sulle  ori- 
ginali monete,  che  lo  inducono  a  dichiarare  che  le  mo- 
nete di  rame  furono  introdotte  quando  già  si  coniavano 
quelle  in  argento  con  ambi  i  tipi  in  rilievo.  Il  sig.  Prin- 
cipe di  S.  Giorgio  applica  una  tale  idea  alla  numisma- 
tica di  alcune  delle  noshe  città  :  e  da  questa  ricerca 
slorica  fa  sorgere  la  dimostrazione  dell'assunta  verità. 


A  questo  proposito  fa  alcune  osservazioni  sulla 
storia  di  Cuma  e  sulle  sue  monete:  notando  che  que- 
sta città  manca  delfe  monete  di  rame ,  perchè  fu  di- 
strutta da 'Campani  421  anno  pria  di  Cristo.  Egli  ri- 
fiuta a  Clima  le  monete  anepigrafe  col  tipo  della  Scil- 
la ,  che  da  alcuni  a  quella  si  attribuirono.  Vedi  per- 
tanto ciò  che  dicemmo  in  questo  bulleltino  an.  II  p.24, 
e  saggio  di  osservazioni  numismatiche  pag.  33  e  103. 
Pensa  poi  il  eh.  autore  che  le  monete  di  Metaponto, 
ov'è  la  indicazione  del  valore ,  dinotino  la  prima  in- 
troduzione del  bronzo  monetalo  nella  Magna  Grecia:  e 
presenta  alcune  sue  osservazioni  sulla  della  espressio- 
ne di  peso,  su  di  che  rimandiamo  a  quel  che  fu  det- 
to per  noi  nel  citalo  saggio  di  osservazioni  numisma- 
tiche pag.  127.  Parla  in  seguito  delle  monete  di  Turio 
e  di  Eraclea.  E  ci  piace  di  osservare  in  quanto  a  Tu- 
rio che  la  medesima  conclusione  si  trae  dalle  più  an- 
tiche monete  di  bronzo  co'tipidi  Sibari,  le  quali  pruo- 
vano  che  la  introduzione  della  moneta  di  rame  se- 
guì la  distruzione  di  Sibari ,  che  non  offre  medaglie 
in  quel  metallo  (v.  questo  bulleltino  an.  Ili  p.  169  e 
Saggio  di  osserv.  num.  p.l29s.).  Le  stesse  discussio- 
ni presenta  l' a.  sulle  monete  osche ,  le  quali  offrono 
in  generale  un  medesimo  stile,  e  perciò  devono,  a  suo 
avviso,  essere  stale  battute  in  un  breve  periodo  di 
tempo  :  or  questo  periodo  (  a  giudizio  dell'  a.  )  esser 
dee  posteriore  al  tempo  di  Pirro  283  innanzi  1'  era 
cristiana  ;  giacché  comparisce  in  esse  il  tipo  dell'  ele- 
fante. Da  altri  si  fa  discendere  a'  tempi  di  Annibale 
l'epoca  di  queste  medaglie:  e  noi  rimandiamo  a  quanto 
ne  scrisse  il  Raoul-Rochelte  parlando  del  tipo  dell'ele- 
fante nelle  capuane  medaglie  (foiiilles  de  Capoue  pag. 
98:  cf.  questo  bulleltino  n.  s.  an.  II  p.  191). 

Pruo\a  la  introduzione  delle  monete  di  rame  in  Si- 
cilia verso  il  quarto  secolo  prima  dell'  era  nostra  dal- 
la numismatica  di  Imera  ,  Selinunte ,  e  Nasso  :  non 
che  da  quella  de'Mamertini,  che  sorti  in  epoca  poste- 
riore non  ebbero  altra  moneta  che  di  rame. 

Finalmenle  la  numismatica  di  Atene  e  della  Macedo- 
nia è  richiamata  pure  in  conferma  della  esposta  teoria. 

MiNEBVIOT. 


Giulio  Minervi.ni  -  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Catakeo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  90.     (1G.  dell' anno  IV.) 


Febbraio  1856. 


Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani  Imperatori.  Continuazione  del  n.  85. 


Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani 
Imperatori.  Continuazione  del  n.  83. 

ADRIANO 

Adriano ,  studioso  coni'  era  delle  lettere  greche, 
sembra  che  si  recasse  da  giovinetto  in  Grecia,  e  che 
in  allora  il  senato  ed  il  popolo  di  Cheronea  1'  ono- 
rasse dedicandone  l'effigie  in  luogo  pubblico  o  sacro 
con  quella  semplice  e  bella  iscrizione  IIOITAIOIY 
AIAION  AAPIANON  H  BOTAH  KAI  O  AHMO£ 
(C.  I.  Gr.  n.  1615). 

La  sentenza  dell'Eckhel ,  che  pel  riscontro  delle 
iscrizioni  e  delle  medaglie  assegna  alla  tribunicia  po- 
destà XII  di  Adriano  ,  o  sia  all'anno  128  ,  l'accet- 
tazione da  esso  lui  fatta  del  titolo  di  Padre  della  pa- 
tria ,  vie  meglio  confermasi  pel  riscontro  de'  monu- 
menti tornati  a  luce  in  appresso,  e  segnatamente  pe' 
nuovi  diplomi  militari  di  Adriano,  che  nella  sua  tri- 
bunicia podestà  Vili  e  nell'XI  altresì  omettono  quel 
titolo,  e  poi  costantemente  lo  congiungono  con  la  XII, 
XIII,  XVIII  e  XXII (Cardinali,  dipi.  mil.  tav.  XIV- 
XVII:  Arneth  d.  VII).  I  dubbii  promossi  in  opposito 
dal  eh.  Greppo  (Voyage  d'Hadrien  p.  40)  sono  trop- 
po vaghi  e  deboli  a  fronte  degli  argomenti  positivi 
che  stanno  in  favore  dell'archeologo  Viennese. 

La  tribunicia  podestà  XXII  di  Adriano ,  non  am- 
messa dall'Eckhel,  dal  Cardinali  e  da  altri,  bene  si  sta 
nella  sentenza  del  eh.  Borghesi ,  che  in  una  tavola  sua 
cronologica  degl'imperi  di  Traiano,  di  Adriano  e  di 
Antonino  Pio,  da  esso  lui  gentilmente  comunicatami 
nel  1843,  all'anno  varroniano  870  avverte  :  hoc  anno 
circa  diem  IX  Augusti  obìit  Traianus.  Successit  Ha- 
drianus  die  XI  Augusti,  qui  primus  Impcratorum  tri- 

bunicias  potestates  Kakndis  lanuariis  commutavit.  A- 
anno  ir. 


driano  pertanto,  allor  ch'egli  mancò  di  vita  addì  10 
di  luglio  nell'anno  di  Roma  891,  o  sia  138  dell'era 
volgare ,  contava  di  già  sei  mesi  e  giorni  dieci  della 
tribunicia  sua  podestà  XXII  (  cf.  Bull.  ardi.  NapoL 
ser.  nuov.  anno  II  p.  35). 

Adriano  forse  predilesse  le  calende  di  Gennaio  , 
fors'  anche  in  riguardo  al  giorno  suo  natalizio  ,  che 
ricorreva  addì  24  di  quel  mese,  e  per  la  singolare  sua 
cura  e  diligenza  verso  le  sacra  Romana  sì  che  fu  re- 
putato quasi  altro  Numa  (Spart.  in  Hadr.  22  :  Victor 
in  Caesarib.XlY),  il  quale  re  pacifico  Iani  bifrontis 
sacrar ium  feceral  in  duobus  brevissimis  templis  (  Ser- 
vius  ad  Aen.  VII,  007).  Quindi  la  singolare  sua  usan- 
za, ut  sero  Kakndis  lanuariis  scripserit,  quid  eo  tolo 
anno  posset  evenire  (Spart.  in  Hadr.  16).  Quindi  an- 
cora nelle  sue  monete  comparisce  il  nuovo  tipo  di 
Giano  bifronte,  e  l'acclamazione  S  P  Q  R  AnnumNo- 
vum  Tauslum  Telicem  HADRIANO  AVG  •  P  •  P,  op- 
pure OPTIMO  PRINCIPI (Eckhel  t.  Vip.  50S  :  cf. 
Bull.  arch.  Nap.  ser.  I  an.  II  p.  140,  an.  IV  p.  80). 
Per  simile  modo  Pertinace  ,  che  inaugurò  Y  impero 
suo  all'  aprirsi  del  novello  anno ,  pose  anch'egli  Giano 
Conservatore  nelle  sue  monete  (  Eckhel  t.  VIIp.  141). 
Alle  calende  di  Gennaio  dell'anno  138  ,  ultimo  del 
suo  impero,  sendo  avvenuta  la  morte  di  Elio  Cesare, 
questi  ab  Hadriano  volorum  caussa  lugeri  est  vetitus 
(Spart.  in  Hadr.  23).  Que'voti  saranno  stali  fatti 
tutt'insieme  per  1'  anno  nuovo  fausto  felice  e  per  ce- 
lebrare il  dì  dell'impero  di  Adriano  (cf.  Plin.  1.  X  episl. 
49,  103). 

Adriano  ,  per  fede  di  Sparziano  (  in  Hadr.  26) ,  si 
lasciò  crescere  la  barba  e  poi  sempre  la  nudrì,  ut  vul- 
nera, quae  in  facie  crani  naturalia,  tegerct,  cioè  le  ci- 
catrici delle  strume  o  d'  altro  malore.  L'Eckhel  (t.  VI 
p.  485  )  volle  anzi  supporre ,  che  Adriano  nudrisse 

16 


122 


la  barba  in  segno  dello  studio  della  filosofia  da  esso 
lui  professata  ;  ma  non  pare ,  poiché  la  barba  filoso- 
fica era  assai  lunga  ,  come  si  pare  anche  dall'  effigie 
di  Euclide  in  moneta  impressa  sotto  Adriano  (Eckhel 
t.  VI  p.  S15  ),  laddove  quella  di  Adriano  è  tale  che 
per  appunto  basta  solo  a  coprire  il  mento.  Le  mo- 
nete d'Adriano  mostrano  altresì  veridiche  e  proprie 
quell'altre  parole  di  Sparziano  (Hadr.  26)  flvxo  ad 
peclincm  capillo. 

Anno  117. 

1.  1MP  CAES  TRAIAN  HADRIANO  AVG  DIVI 
TRA,  lesta  laureala. 

XPARTHF  DIVI  NER  NEP  P  M  TRP  COS,  IV- 
ST1TIA,  Giustizia  stolaia  sedente  con  palerà  nella  d. 
e  con  asta  in  palo  nella  s.  Arg. 

Questo  tipo  della  Giustizia  è  manifestamente  ri- 
tratto dalle  monete  dell'avolo  suo  Nerva;  e  fors' an- 
che in  riguardo  a  ciò  Adriano  si  dice  DIVI  NERwe 
NEPo.s.  Dai  Fasti  di  Verrio  Fiacco  si  ha,  che  addì  8 
di  gennaio  dell'anno  di  Roma  734  fu  dedicato  SI- 
GNVM  1VST1T1AE  AVGVSTAE.  L'epitafio  posto  in 
Roma  a  P.  Elio  Timeo  SACERDOTI  1VST1TIAE 
dal  padre  suo  P.  Elio  Slratonico  (Orelli  n.  2164), 
che  mostrasi  liberto  di  Adriano,  ne  porge  argomento 
a  credere  che  quell'Augusto  promovesse  il  culto  della 
dea  Giustizia.  In  monete  d'  Efeso  ricorre  AIKAIO- 
STNH  AAPIANOT  (Mionnet,  suppl.  n.  397  ). 

2.  IMP  CAES  TRAIAN  HADRIAN  OPT  AVG 
GER  DAC,  busto  laureato. 

XPARTHIC  DIVI  TRAIANI  AVG  F  P  M  TR  P 
COS  P  P,  CONCORD,  Concordia  sedente  con  patera 
nella  d.  e  col  gomito  s.  posalo  sopra  la  testa  di  un  pic- 
colo simulacro  femminile  fornito  di  base,  e  cornucopia 
u  terra,  Arg. 

L' Eckhel  (  mus.  Caes.  n.  16  ,  185  ,  448)  mostra 
non  avere  avvertito  quel  piccolo  simulacro,  che  serve 
di  sostegno,  nò  il  piccolo  cornucopia  apposto  ai  fulcri 
della  seggiola  della  Concordia.  Questi  due  obbietti  poi 
veggonsi  vie  più  chiari  e  distinti  nelle  monete  di  Sa- 
bina con  la  CONCORDIA  (Mus.  Caes.  n.  16).  Quel 
piccolo  simulacro  femminile  tiene  dell'  arcaico  e  so- 
miglia a  quello  della  Speranza  in  allo  di  sollevare  al- 
quanto la  veste (cf.  Mùller,  Handbuch§.  345, 2  :  Buo- 


narroti medagl.  p.  420:  Eckhel  t.  VI  p.  219).  Altri 
ravvisar  potrebbevi  la  Giunone  o  sia  Genio  della  Con- 
cordia medesima  (cf.  Marini ,  Arv.  p.  309  :  Labus , 
marmi  Bresc.  p.  78). 

Anno  118. 

3.  IMP  CAESAR  TRAI  ANVS  HADRIANVS  AVG, 
busto  laureato,  oppur  radialo. 

)(  ADVENTVS  AVG  PONT  MAX  TR  P  COS  II , 
S  C,  Roma  goleata  sedente  sopra  una  congerie  d'armi 
eon  asta  nella  s.  in  atto  di  porger  la  d.  ad  Adriano 
stante  dinanzi  a  lei  togato.  Ae.  I— II. 

Il  tipo  del  riverso  è  ritratto  dal  simile  di  Traiano 
reduce  a  Roma  dalla  prima  guerra  D.icica  (  cf.  Bor- 
ghesi, iger.  di  Burbul.  p.  21).  L'Eckhel  per  abbaglio, 
o  per  disattenzione,  disse  l'imperatore  paludato,  men- 
tre eh'  egli  è  anzi  convenientemente  togato.  M.  Aure- 
lio tornato  dall'Oriente  in  Italia  togam  et  ipse  sumpsit, 
et  mililes  togatos  esse  ius$i<  (Capitol.  in  Marco  e.  27). 

Monete  di  subbietto  geografico. 

Adriano  in  questa  bella  serie  di  monete  comparisce 
quasi  costantemente  togato  con  la  d.  dolcemente  stesa 
come  in  atto  di  favellare  e  con  un  volume  nella  s.  E 
così  dev'essere,  poiché,  a  detto  del  suo  biografo  (Spart. 
in  Hadr.  22  ) ,  ipse,  quum  in  Italia  esset,  semper  to- 
gatus  processit,  e  fece  il  giro  dell'orbe  Romano  senza 
sussiego  e  pompa  imperatoria  (DioLXIX,  10).  Qua- 
lora poi  egli  sia  paludato  al  suo  arrivo,  siccome  nella 
Mesia  e  nella  Sicilia,  ciò  pare  indicare  che  quel  viag- 
gio avvenisse  in  tempo  di  guerra.  Paludato  altresì  e- 
gli  comparisce  qualora  sia  in  atto  di  arringare  gli  e- 
serciti  Romani  di  diverse  provincie,  o  di  farne  la  ri- 
vista a  cavallo.  Nelle  monete  di  Adriano  relative  ai 
suoi  viaggi  parmi  eh'  egli  non  s' intitoli  mai  o  quasi 
mai  Ponti fex  Maximus;  forse  perchè  egli  sacra  Ro- 
mana diligentissitne  curavit,  —  Pontificii  Maximi  ofjfi- 
cium  peregil  (Spart.  Hadr.  22);  ed  in  riguardo  al 
prisco  divieto  fatto  al  Pontefice  Massimo  di  sortire  fuor 
dell'Italia,  egli  avrà  lasciato  un  suo  Vicario  in  Roma 
(  cf.  Capitol.  in  Pio  e.  11).  Per  lo  contrario  il  com- 
parire che  fa  il  titolo  PROCOS  nelle  iscrizioni  di  A- 
driano  (Orelli  n.  811  :  Henzen  zmi  mililaerdipl.  p. 


—  123  — 


39)  sarà  forse  per  accennare  a  quo' suoi  lunghi  viag- 
gi per  le  provineie ,  durante  i  (piali  egli  iu  ispicial 
modo  esercitava  l' imperio  proconsolare. 

Ai  riscontri  degli  antichi  scrittori  riguardanti  i  viag- 
gi di  Adriano,  addotti  dall'Eckhel,  ini  giovi  aggiun- 
gere i  due  seguenti  dell'  oratore  Frontone  (  Fer.  Als. 
?pist.  Ili;  princ.  hist.):  doclum  principerà  etnavum, 
ìrbis  terrarum  non  regendi  tantum,  sed  etiam  peram- 
ndandi  diligentem  : — cius  itincrum  monumenta  videas 
ver  plurimas  Asiae  atque  Europae  urbes,  et  regum 

4.  HADRIANVS  AVG  COS  III  PP,  testa  or  nuda, 
>r  laureala. 

)(  RESTITVTORI  ACHAIAE,  Adriano  togato  stan- 
e  in  alto  di  sollevare  colla  d.  lina  donna  genuflessa  ; 
\el  mezzo  è  un  urna,  dalla  quale  sporge  un  ramo. 

Aur.  Arg.  JE.  I,  II. 

Sebben  ì'Achaià,  come  avverte  l'Eckhel,  debba  qui 
ntendersi  in  senso  lato,  pure  il  vaso  de'  ludi ,  che  ri- 
:orre  parimente  in  monete  di  Corinto  (  Eckbel  t.  li 
).  240:  Annali  ardi.  t..XI  tav.  agg.  R.  3),  mostra 
:he  siasi  in  modo  speciale  denotata  e  rappresentata  la 
>rovincia  detta  ACHAIA  dai  Romani.  In  una  moneta 
li  Corinto,  con  la  testa  di  Adriano  nel  ritto ,  leggesi 
lei  riverso  ADvenlus  AYGusti  presso  una  trireme 
Mionnet  suppl.  n.  573).  Nelle  iscrizioni  di  Alene  e 
li  Sparta  (  Corp.  I.  Gr.  n.  281  ,  1241,  1348)  sono 
•icordati  due  arrivi  di  Adriano  ,  che  facevano  epoca 
iegnatamente  in  Atene.  L'anno  XXVII  del  primo  ar- 
ivo  di  Adriano  in  Atene,  segnato  nella  sovr' accen- 
tata iscrizione  (n.  281  )  credo  non  debba  computarsi 
lai  112  ,  ma  sibbene  dal  122  ,  e  che  corrisponda  al 
148  dell'  era  nostra,  nel  quale  Antonino  Pio  sciolse 
primi  suoi  Voti  decennali,  onde  essa  vie  più  conve- 
lientemeule  fu  dedicata  agli  dei  ed  alla  Fortuna  del- 
'  imperatore  Cesare  T.  Elio  Adriano  Antonino  Au- 
gusto. 

5.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

X  AEGYPTOS  ,  Donna  adagiata  in  terra  tenente 
m  sistro  nella  d.  e  col  gomito  s.  appoggiato  ad  un  ca- 
%eslro  ;  ibi  posalo  presso  i  suoi  piedi. 

Aur.  Arg.  JE  I,  II. 

L'escila  greca  della  voce  AEGYPTOS,  analoga  al- 
l'altre  Andros,  Coptos,  barbilos,  scorpios  e  simili  no- 


tate ne' lessici,  (orna  in  conferma  del  detto  di  Spazia- 
no (Jladr.  10):  amavil  genus  dicendi  vetustum.  Per 
simile  modo  nella  celebre  base  Puteolana  delle  XIV 
città  dell'Asia  ristabilite  da  Tiberio  trovasi  scritto  E- 
PIIESOS  e  TE.MNOS:  ed  J2GYPTOS  ricorre  nel  pa- 
linsesto Veronese  della  storia  naturale  di  Plinio  edilo 
dal  eh.  Mone  nel  passalo  anno  1855. 

0.  Diritto  incerto. 

)(  AFRICA  ,  nave  pretoria  alla  vela  con  remigi  ed 
armati,  e  con  la  Vittoria  che  sta  al  governo.  yE.m.m. 

Questo  insigne  medaglione  descritto  dal  Vaillanl  (t. 
IH  p.  115:  cf.  Eckhel.  t.  Vip.  488)  sembra  riferirsi 
alla  felice  repressione  del  molo  de' Mauretani ,  che 
meritò  ad  Adriano  le  supplicazioni  (Spart.  Hadr.  12): 
molus  Maurorum  compressi!,  et  a  scnatu  supplicationvs 
emeruit. 

7.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  ASIA  ,  Donna  stolala  stante  con  lituo  augurale 
nella  d.  e  con  timone  di  nave  nella  s.  posando  il  pie  d. 
sopra  una  prora.  Arg. 

Il  piccolo  obbietto ,  che  vedesi  nella  d.  del  Genio 
dell'  Asia  proconsolare,  parve  acroslolio  all'  Eckhel  e 
ad  altri;  ma  esso,  avendo  la  forma  di  un  semplice  ba- 
stoncino inflesso  nella  sommità  ,  sembra  piuttosto  un 
lituo  augurale  ,  oppure  un  pedo  pastorale.  La  prima 
osservazione  degli  augurii  atlribuivasi  ai  Carii  od  ai 
Frigii ,  compresi  nell'Asia  proconsolare  (Plin.  VII , 
57,  12:  Clem.  Alex,  stromat.  p.  300:  luvenal.  sat. 
VI,  585);  ed  in  un  monumento  vetusto  d'Efeso  (  C. 
I.  Gr.  n.  2953)  leggonsi  alcune  prescrizioni  riguar- 
danti gli  auspicii  presi  dal  volo  degli  augelli.  Che  se 
P  obbietto  in  questione  voglia  anzi  tenersi  per  un  pedo 
pastorale,  questo  ben  si  addice  all'  Asia  in  riguardo  al 
culto  di  Alys  e  della  grande  Dea  Frigia  (v.  il  seg.  n. 
20  ).  Del  resto ,  all'  Eckhel  parve  cosa  strana  il  capo 
radiato  ieWAsia  iu  moneta  descritta  dal  Vaillanl  ;  e 
forse  non  era  che  lesta  turrita  (cf.  trésor  de  num.  Em- 
per.  pi.  XXX,  5  ). 

8.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(BR1TANNIA,  S  C,  donna  tunicata  clamidata  se- 
dente sopra  un  monlicello  col  capo  appoggiato  alla  d. 
mano  e  con  asta  nella  s.  appoggiala  ad  un  grande  scu- 
do di  forma  ovale.  JE.  I,  IL 


—  124 


Gli  antichi  Un'Ianni  amavano  di  abitare  i  monti  a- 
spri,  e  andavano  armati  d'asta  e  di  clipeo  stretto  (Dio, 
LXXVI,  12:  Herodian.  IH,  li,  14).  11  grande  scu- 
do, invece  dell' umbone,  mostra  essere  fornito  di  uno 
spuntone ,  che  nella  mischia  servir  poteva  ad  urtare 
vie  più  fortemente  conlra  le  schiere  nemiche.  Una  di 
queste  monete,  che  conservasi  nel  museo  Estense,  nel 
ritto  porla  l'epigrafe  IMP  CESAR TRAIANVS  HA- 
DRIANVS...  col  busto  a  petto  nudo;  le  quali  due 
particolarità  danno  buon  argomento  a  crederla  im- 
pressa nell'anno  slesso,  in  cui  Adriano  visitò  la  BRI- 
TANNI A,  cioè  nel  121  dell'  era  nostra. 

9.  Lo  stesso  diruto  che  nelprec.  n.  4. 

)(  CAPPADOCIA,  S  C,  figura  succinta  clamidata 
con  calato  in  testa  stante  con  /'  effìgie  del  monte  Argeo 
nella  d.  e  con  vessillo  nella  s.  M.  I.  II. 

La  suddetta  figura  del  Genio  della  Cappadocia  par- 
ve all'Eckhel  vir  capite  turrito  ;  ma  nelle  monete  ori- 
ginali ha  forme  feminili ,  e  porta  in  testa  un  ogget- 
to simile  alla  ffcOJa,  delle  ierodule  (  vedi  addietro, 
inon.  di  Traiano  di  conio  peregr.  p.  G9).  Il  vessillo, 
proprio  segnatamene  delle  milizie  a  cavallo ,  con- 
fronta col  detto  di  Servio  (ad  Aen.  Ili,  704)  :  cum  in 
Cappadocia  greges  equorum  periissenl ,  Delphici  Apol- 
linis  responso,  adduxerunt  equos  de  Agrigento ,  et  re- 
paravere  meliores. 

10.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  ADVENTVI  AVGVSTI  CILICIAE,  S  C.  Adria- 
no togato  con  la  d.  stesa  ,  ed  una  donna  stolata  ga- 
leata  lenente  un  vessillo  nella  s.  ed  una  patera  nella  d. 
stanti  in  alto  di  sacrificare  sopra  un  ara  accesa  posta 
di  mezzo  ad  essi.  Ae.  I. 

Il  Genio  della  Cilicia  ha  la  testa  galeala  (  v.  trésor 
de  num.  Emper.  pi.  XXX  ,  7  )  forse  in  riguardo  al 
culto  di  Pallade,  assai  diffuso  in  quelle  regioni ,  ed 
all'indole  bellicosa  di  quelle  genti.  Il  vessillo  accen- 
nar sembra  alle  milizie  ausiliarie  coscritte  dai  Roma- 
ni in  quelle  contrade. 

il.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  ADVENTVI  AVG  GALLIAE  S  C,  Adriano  to- 
gato stante  con  la  d.  stesa,  ed  una  donna  stolata  stante 
con  patera  nella  d.  in  alto  di  libare  sopra  un'ara  accesa, 
appiè  della  quale  giace  la  vittima  immolala.      Ae.  I. 


Il  eh.  Lenormanl  (trésor  de  num.  Emper.  pi. XXX, 
8  )  ravvisò  appiè  del  Genio  della  Gallia  un  cavallo  che 
s*  impenna  ;  ma  pare  senza  meno  un  bue  prostralo 
dopo  aver  ricevuto  il  colpo  mortale  dal  vittimano 
(  cf.  Revue  num.  t.  Vili  p.  154-  ). 

12.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  HISPANIA,  donna  stolata  con  la  chioma  compo- 
sta in  trecce  sedente  a  terra  con  ramo  d'  olivo  nella  d. 
e  col  gomito  s.  appoggialo  ad  un  monticello  petroso. 

Aur.  Arg.  Ae. 

Il  eh.  Lenormant  (pi.  XXIX)  dice  ramo  di  aran- 
cio quello  che  io  dissi  ramo  di  olivo  con  altri  iu  ri- 
guardo all'  abbondanza  e  bontà  dell'  olivo  delle  Spa- 
gne e  segnatamente  della  Betica,  paese  natio  d'Adria- 
no (cf.  Eckhel  1. 1.  p.8:  Orelli  n.  3254,  4077:  Strabo 
p.  144:  Plin.  Ili,  3,  2).  Il  monticello  petroso  sembra 
accennare  alle  molte  e  ricche  miniere  della  Spagna, 
e  specialmente  della  Turdetania  (  Strabo  p.  1 46  ). 

13.IMP  CAESARTRAIANHADRIANVSAVG, 
busto  laureato. 

)(  P  M  TRP  COS  IH,  Pallade  goleata  stante  presso 
un  arbore  d' olivo,  verso  il  quale  ella  stende  la  d.  ap- 
poggiandosi con  la  s.  aW  asta ,  e  coniglio  accovaccialo 
a'  suoi  piedi.  Aur.  Arg. 

Il  riverso  di  queste  rare  medaglie,  benché  manchi 
il  nome  HISPANIA,  manifestamente  appella  ad  Itali- 
ca, municipio  della  Betica,  patria  di  Adriano,  e  pro- 
babilmente anche  al  suo  arrivo  e  soggiorno  nelle  Spa- 
gne. Il  coniglio  è  noto  simbolo  di  quelle  regioni.  Pai- 
ade  Cult*  insieme  armata  e  pacifera  sta  presso  il  di- 
elio  suo  arbore  dell'  olivo  ,  qua  non  alia  maior  in 
Baelica  arbor  (  Plin.  XVII ,  19  ,  2  ) ,  e  tutt'  insieme 
può  significare  come  le  milizie  Romane  per  la  mas- 
sima parte  supplivansi  dalle  Spagne  (Capitol.  t»  Mar- 
co 11).  Adriano  nella  sua  TR1B  •  POT  •  V  RESTI- 
TV1T  min  nelle  vicinanze  di  Salamanca  (  Maffei , 
mus.  Veron.  p.  424,  9  )  pel  tratto  di  CXL1X ,  e  chi 
sa  quante  altre  miglia.  Questa  sarà  una  delle  opere 
d' Adriano,  che  a'  tempi  di  Frontone  slavano  a  ri- 
cordo de'  viaggi  del  benefico  Imperatore. 

1 4.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  ITALIA  (e  talvolta  ITALIA  FELIX),  donna  stolata 
stante  con  asta  nella  d.  e  con  cornucopia  nella  $.  Arg. 


—  125  — 


11  cornucopia  ,  dato  all'  Italia  anche  nel  denario 
della  genie  Fufia,  ricorda  quelle  belle  lodi  datele  da 
Virgilio  (  Georg.  II,  173):  salve  magna  parens  fru- 
gum,  con  quel  che  segue;  e  quel  magnifico  encomio 
tributatole  da  Plinio  (  Nat.  hisl.  XXXVII,  77):  quic- 
quid  est,  quo  carere  vita  non  debrat,  nusquam  est  prae- 
stantius,  fntges,  vinum,  atea,  veliera,  lina,  vestes,  tu- 
telici. Altre  monete  sono  intitolate  ad  Adriano  RE- 
STITVTORI  1TALIAE  fors'  anche  perchè  egli  con- 
sulares  per  omnem  Ilaliam  iudices  comtiluit  (  Spart. 
in  Hadr.  22;  cf.  Annali  arca.  t.  XXV  p.  196  ). 

15.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  ADVENTVI  AVG  1VDAEAE,  S  C.  Adriano 
togato  con  la  d.  stesa,  ed  una  donna  stolata  velala  con 
patera  nella  d.  stanti  da  lato  ad  un'ara  accesa,  appiè 
della  quale  giace  la  vittima  prostrata;  e  due  o  più  fan- 
ciullini  stanti  presso  la  donna  con  rami  di  palma  in 
mano.  Ae.  I,  II. 

Notevole  mi  parve  la  particolarità  del  velo  che 
copre  il  capo  e  le  spalle  del  Genio  della  Giudea,  con- 
forme alla  usanza  pudica  delle  matrone  Ebree  (  Ac- 
kermann,  archaeol.  bibl  a.  127:  Buonarroti  vetri  p. 
268  ).  I  due  o  più  putti  ,  che  festosi  fanno  corteggio 
all'  Augusto  ,  ricordano  gli  Ebrei  che  per  1*  ingresso 
solenne  del  Messia  in  Gerusalemme  acceperunt  ramos 
palmarum  et  processerunt  obviam  ei  (  Evang.  Ioan. 
XII.  13). 

16.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

X  ADVENTVI  AVG  MACEDOMAE,  S  C,  Adria- 
no togato  con  la  d.  slesa,  ed  una  donna  succinta  cla- 
midata con  pileo  patrio  in  capo ,  lenente  una  patera 
nella  d.  slesa  ed  un  flagello  nella  s.  slami  presso  un'a- 
ra, appiè  della  quale  giace  la  vittima  prostrala. 

Ae.  I,  II. 

La  forma  del  pileo  Macedonico  è  a  tutti  ben  nota 
dal  riscontro  delle  monete  ;  e  quella  della  clamide 
Macedonica  trovasi  così  descritta  da  Plinio  (Nat.  hist. 
V,  11)  là  dove  narra  che  Dinocrale  disegnò  l'ambito 
d' Alessandria  d'  Egitto  ad  effigiem  Macedonicae  chla- 
mydis  orbe  gyrato  laciniosam ,  dextra  laevaque  angu- 
loso  procursu.  Anche  il  flagello,  o  scudiscio  che  dir  sì 
debba,  sarà  proprio  della  nazione  Macedone;  ma  non 
ne  troyo  riscontro  certo  (v. Greppo,  Voyag.d'Hadrien, 


p.  114),  quando  mai  non  denolassc  la  perizia  singo- 
lare de'  Macedoni  nel  condurre  e  reggere  i  cavalli 
corridori.  11  Genio  della  Macedonia  è  altresì  fornito 
di  calzali ,  che  probabilmente  accenneranno  al  tra- 
sporto per  la  caccia. 

17.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  MAVRETANIA,  S  C,  figura  succinta  con  ves- 
sillo nella  s.  stante  presso  un  cavallo  eh'  ella  ralliene 
per  la  cavezza.  Ae.  1,  II. 

L' Eckhel  ravvisa  nella  delta  figura  un  Mauro;  ma 
nelle  monete  ha  sembianze  femminili,  e  talora  ha  ,  a 
guisa  d'Amazzone,  il  petto  mezzo  scoperto  (trésor  de 
num.  pi.  XXX,  15).  11  vessillo  ed  il  cavallo  appella- 
no alle  valorose  alac  Maurorum,  che  militavano  ne- 
gli eserciti  Romani.  La  detta  figura  talora  tiene  una 
verga  nella  d.  conforme  al  detto  di  Servio  (ad  Aen. 
IV,  212)  :  praefecti  gentium  Maurarum  ,  cum  fiunt  , 
YIRGAM  accipiunt  ci  geslant[cf.  SaWasl. luyurth.  6). 

18.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  ADVENTVI  AVG  MOESIAE  ,  S  C  ,  Adriano 
paludato  con  la  d.  stesa ,  ed  una  donna  succinta  con 
patera  nella  d.  e  con  arco  nella  s.  e  faretra  a  lato , 
stanti  presso  un  ara.  Ae.  I. 

I  Moesii  abitanti  presso  l' Istro  doveano  essere  va- 
lenti arcieri  ,  del  pari  che  i  vicini  Daci.  L' Eckhel 
avverte  ,  che  gli  antichi  scrittori  non  fecero  parola 
del  viaggio  di  Adriano  nella  Moesìa;  ma  ciò  scrivendo 
egli  dimenticò  le  seguenti  parole  di  Sparziauo  (Hadr. 
6)  :  audilo  lumultu  Sarmatarum  ,  et  Roxolanorum  , 
praemissis  exercitibus  MOESIAM  peliil.  Sparziauo 
poi  narra  ,  che  Adriano  cum  rege  Roxolanorum,  pa- 
cem  compostili:  ed  il  nome  di  quel  re  ci  fu  conservato 
da  una  lapida  di  Capodistria  posta  P.  AELIO  RA- 
SPARASANO  REGI  ROXOLANORVAJ  (  Orelli  n. 
833  ).  L' arco  dovea  essere  1'  arme  precipua  de'  Mesi 
del  pari  che  de'vicini  Geli  e  Daci  (cf.  Ovid.  de  Ponto 
l.  IV.  epist.  X,  77-78). 

19.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  EXERC  NORICVS ,  S  C ,  Adriano  paludato 
stante  con  a  lato  altro  personaggio  pur  paludato  in  sul 
tribunale  in  allo  di  arringare  tre  o  più  militi  stanti 
con  le  insegne  ;  e  littore  o  apparilore  stante  appiè  del 
tribunale.  Ae.  I. 


—  Ì1G  - 


Questo  bel  lipo  non  è  che  impei  fellamente  descrit- 
to dall'Eckhel  (cf.  trésor  de  num.  Emper.  pi.  XXIX,  5). 
Il  personaggio  paludato  stante  a  lato  dell'Imperatore, 
ma  un  po'  più  indietro,  è  detto  prefetto  del  pretorio 
dal  eh.  Greppo  [Reme  num.  t.  Vili ,  p.  loo);  ma 
pare  più  probabilmente  un  legato  preside  della  pro- 
vincia del  Norico  (Ordii  n.  798). 

20.  Lo  stesso  diritto  ehe  nel  preced  n.  4. 

)(  RESTITVTOIU  PIIRYGIAE  S  C,  Adriano  to- 
gato stante  in  allo  di  rialzare  una  donna  genuflessa 
ax^nle  in  capo  il  pileo  frigio  ,  e  nella  s.  un  pedo  pa- 
storale. Ae.  I ,  II. 

Non  saprei  altrimenti  accostarmi  all'avviso  del  Le- 
normant,  che  vi  ravvisa  Atys  tenente  nella  s.  il  col- 
tello sacro  (  irésor  de  num.  Emper.  pi.  XXXI ,  7  ). 
11  pedo  pastorale  è  proprio  di  Atys  ,  e  ricorda  tulio 
insieme  il  cullo  di  Cibele  traslato  dalla  Frigia  a  Ro- 
ma. 11  pedo  slesso  pare  posto  anche  in  mano  del  Ge- 
nio dell'ASIA  proconsolare ,  che  comprendeva  in  se 
la  Frigia  (  v.  addietro  n.  7  ). 

21.  HADRIANVS  AVGVSTVS  ,  lesta  laureata. 
)(  SICILIA  ,  S  C  ,  volto  giovenile  di  prospetto  con 

la  chioma  sparsa,  e  mostro  marino  sott' esso.  Ae.  I. 
Non  ostante  i  dubbi  promossi  dall'Eckhel,  la  mo- 
neta pare  genuina  e  relativa  ai  viaggi  di  Adriano  in 
Sicilia  ,  in  qua  Aetnam  montem  conscendit ,  ut  solis 
ortum  vidcrel  arcus  specie,  ut  dicilur,  varium  (Spari. 
in  Hadr.  13).  Quel  volto,  sia  che  si  voglia  di  Me- 
dusa ,  o  sia  che  del  sole  nascente  ,  torna  lo  slesso  , 
poiché  il  volto  Gorgoneo  tenevasi  per  simbolo  del 
giorno  e  del  sole  (v.  Cavedoni ,  spie.  num.  p.  194: 
cf.  Micali  mon.  ined.  tav.  XXXVI ,  3  :  Vermiglioli 
scp.  de  Volumn.  tav.  2  :  Spanbem.  de  usu  num.  t.  I. 
p.  690  :  Wionnct  rareté  p.  199).  Il  mostro  marino, 
posto  al  disotto  del  Sole  nascente  ,  non  è  Scilla  ,  ma 
pistricc,  o  simile  mostro,  che  indica  la  superficie  del 
mare,  donde  sembra  spuntare  l'astro  del  giorno. 

22.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  ADVENTVI  AVG  SICILIAE  ,  S  C  ,  Adriano 
paludato  con  la  d.  stesa,  ed  una  donna  portante  in 
capo  la  triquetra  con  patera  nella  d.  e  con  due  spighe 
nella  s. ,  stanti  presso  un  tripode  o  fondo.  Ae.  I. 

Il  eh.  Lenormant  (trésor  de  num.  Emper.  pi.  XXX, 


n.  18)  avvertì  la  triquetra  apposta  al  capo  del  Ge- 
nio della  Sicilia  ,  sfuggila  alla  perspicacia  dell'Eckbel 
e  del  Greppo;  ed  io  la  veggo  chiara  nell'allra  mo- 
neta portante  la  scritta  REST1TVTORI  SICILIAE 
(mus.  Est.  cf.  Bull.  ardi.  Nap.  ser.  / 1.  I  p.  3,  71  : 
Gerhard  arch.  Zeit.  1847  laf.  IV,  2).  11  paludamen- 
to indossato  da  Adriano  in  questa  medaglia  ,  invece 
della  toga  ,  ne  porge  argomento  a  crederla  impressa 
circa  Panno  122,  nel  (piale  egli  felicemente  represse 
il  moto  della  Maurelania  (Spari.  Hadr.  12,  13  :  Til- 
lemont ,  Hadrien  art.  IX  ) ,  passando  neh'  andata  ,  o 
nel  ritorno  ,  per  la  Sicilia  ,  e  di  là  in  Alene. 

23.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  ADVENTVI  AVG  THUACIAE,  S  C,  Adriano 
togato  con  la  d.  slesa  e  con  volume  nella  s.,  ed  una 
donna  vestila  di  anassiridi  di  tunica  succinta  e  di 
clamide,  con  patera  nella  d„  stanti  presso  un'  ara  in- 
ghirlandata ,  appiè  della  quale  giace  la  vittima  pro- 
strala. Ae.  I. 

11  eh.  Lenormant  avvertì  la  particolarità  delle  a- 
ntssiridi  (trésor  Emper.  pi.  XXX,  19).  11  vestire 
del  Genio  della  Tracia  assai  ben  confronta  con  quello 
che  ne'monumenli  greci  e  romani  suol  darsi  alTra- 
cio  Orfeo. 

24.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  TELLVS  STABILITA  ,  donna  vestita  di  tunica 
cinta  soli'  esso  il  petto  ,  e  ripresa  e  sollevata  da  altra 
cintura  attorno  a  lombi ,  sì  che  aggiunge  a  pena  al 
ginocchio ,  stante  in  atto  di  tenere  colla  d.  un  aratro 
posato  a  terra,  ed  tm  bidente  con  la  s.,e  presso  le  due 
spighe  di  grano  che  s'ergono  in  sul  loro  stelo  dal  suolo. 

Aur.  Arg. 

La  figura  sovra  descritta  vien  delta  dall'  Eckhel 
vir  succincta  veste  stans,  d.  forte  ligonem,  s.  rastrum; 
ma  chiunque  riguardi  bene  la  moneta  originale ,  la 
troverà  quale  la  descrissi.  Che  sia  figura  femminile  , 
di  forme  peraltro  robuste  ,  quali  convengonsi  a  chi 
lavora  la  terra,  ne  lo  dimostrano  le  fattezze  del  volto, 
1'  acconciatura  della  chioma  ,  e  la  prima  cintura  sot- 
t'esso  il  petto.  L' altra  cintura  ai  lombi  serve  a  ren- 
dere spedita  la  persona  ne'  lavori  dell'agricoltura;  ed 
a  formare  un  ampio  grembo,  che  troppo  bene  si  con- 
viene alla  madre  terra  ,  conforme  alle  parole  dello- 


—  1: 


ralore  e  filosofo  Romano  (  Cic.  de  senect.  15)  :  Terra 
GREMIO  mollilo  et  subacto  scmen  sparsimi  excipit; 
non  che  all'  allre  di  Vairone  (  R.  R.  I,  1  )  :  Iuppiter 
et  Tellus  parentes  magni  dicuntur,  Iuppiter  pater  ap- 
pellalur,  Tellus  terra  maler.  L'ordegno  delto  Ugo  dal- 
l' Eckhel ,  in  molti  esemplari  può  riuscire  incerto , 
per  la  sua  picciolezza,  ma  in  alcuni  è  manifesto  ara- 
tro di  forma  assai  semplice,  fornito  peraltro  deU'iTro- 
|3o£t<s ,  clavus ,  o  sia  timone  secondario  ,  pel  quale  lo 
tiene  preso  la  dea  Tellure.  L' altro  strumento  mi  pare 
più  presto  bidente ,  che  rastro  ,  perchè  questo  esser 
dovrehhe  fornito  di  più  che  due  denti.  Intorno  alla 
forma  di  questi  e  d'altri  strumenti  rurali  veggasi  il  eh. 
Mongez  (Acad.des  Insci:  t.H  p.633;  LUI  p.10-13). 

25.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  3. 

)(  P  M  TRP  COS  HI,  figura  virile  barbata  semi- 
nuda adagiala  in  terra ,  che  tiene  nella  d.  un  ancora 
(  per  lo  più  capovolta  ) ,  e  con  la  s.  sorrc(jgesi  il  capo 
appoggiando  il  gomito  ad  un  delfino  capovolto.     A  rg. 

L' Eckhel  (  mus.  Caes.  n.  439  )  lo  dice  Fiume  ,  ed 
il  Pedrusi  (mus.  Fani.  t.  Ili  p.  140)  Nettuno,  o  fiu- 
me Reno.  Ma  quelle  che  a  lui  parvero  corna  nascenti 
sopr'esso  la  fronte,  della  figura  senile  adagiata  ,  in 
un  bello  esemplare  che  ho  soli'  occhio  sono  manife- 
stamente due  chele  ,  o  sia  granceole  di  paguro.  Que- 
ste solevano  apporsi  ai  simulacri  delle  deità  marine,  e 
segnatamente  a  quel  dell'Oceano  o  Pelago,  per  indi- 
care che  il  loro  soggiorno  era  nel  profondo  del  mare 
(v.  Visconti  op.  var.  parte  II  p.  344).  Iu  questi  de- 
narii  di  Adriano  pertanto  vuoisi  riconoscere  l' inda- 
gine dell'  Oceano,  che  fa  bel  riscontro  a  quella  della 
Tellure  ,  e  che  vedesi  insignito  di  due  corna  o  piut- 
tosto granceole  anche  in  una  rara  moneta  di  Tiro 
(Eckhel  sylloge  I  lab.  VI,  5).  Adriano  poi  potè  pia- 
cersi di  questo  tipo  sia  in  riguardo  alla  madre  sua 
nativa  di  Gades  presso  1'  Oceano  Atlantico  ,  o  sia  in 
riguardo  a'  suoi  lontani  viaggi ,  poiché  egli  vide  con 
Traiano  vittorioso  i  lidi  dell'  Oceano  orientale ,  e  po- 
scia solcò  l'Oceano  occidentale  recandosi  nella  Bri- 
tannici l' anno  V  del  suo  impero. 

26.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  13. 

)(  P  M  TR  P  COS  III,  Genio  di  un  fiume  semigia- 
cente con  remo  nella  d.  e  col  s.  braccio  appoggiato  ad 
un'  urna  che  versa  acqua.  Aur. 


Quest'  aureo  (Mus.  Caes.  n.  433),  per  ragion  delle 
epigrafi,  pare  contemporaneo  ai  primi  viaggi,  di  A- 
driano  nelle  Gallie,  nella  Germania  e  nelle  Spagne;  e 
nel  riverso  sarà  figurato  alcuno  de'  maggiori  fiumi 
di  quelle  provincie ,  forse  il  Reno,  oppure  il  Beli 
che  bagnava  il  paese  nativo  di  quell'Augusto.  Del  re- 
sto, dal  riscontro  di  questo  tipo  con  quello  del  prec. 
n.  25  confermasi  che  in  quello  sia  figurato  l'Oceano 
e  non  già  un  semplice  fiume. 

27.  Diritto  non  cognito. 

)(  Figura  del  dio  Termine  con  epigrafe  in  caratteri 
incogniti.  Arg. 

Questo  denario  ,  così  troppo  vagamente  indici  lo 
nel  catalogo  del  museo  d'Ennery  (p.  337  n.  1430j, 
accennar  potrebbe  ai  confini  dell'Impero  limitati  da 
Adriano  all'Eufrate  l Sport,  in  Hadr.  5:  cf.  S.  Augu- 
slin.  civ.  Dei  IV,  29  ),  ovvero  ai  termini  del  pomerio 
di  Roma  restituiti,  auspice  lui ,  dal  collegio  degli  au- 
guri (Orelli  num.  811  )  nella  V  sua  tribunicia  po- 
destà. 

Allre  monete  memorabili  del  consolalo  III. 

28.  IMP  CAES  HADRIANVS  AVG  COS  HI,  le- 
sta laureala. 

)(ANN  DCCCLXXIIII  NAT  VRB  P  CIR  CON  , 

donna  sedente  in  terra ,  che  colla  d.  tiene  una  ruota  e 
colla  s.  si  attiene  a  tre  coni  od  obelischi.  Aur. 

L' anno  DCCCLXXIIII,  segnato  in  questo  insigne 
aureo,  sembra  riferirsi  al  computo  Varroniauo;  poi- 
ché gli  è  molto  probabile  ,  che  nella  contingenza  dei 
ludi  Circensi  costituiti  da  Adriano  pel  natale  di  Roma; 
il  collegio  degli  auguri  ristabilisse  i  termini  del  po- 
merio, lo  che  feeero  nella  tribunicia  potestà  V  di  A- 
driano  (Orelli  n.  81 1),  la  quale  coincide  per  appunto 
coll'anno  Varroniano  DCCCLXXIIII,  121  dell'era 
volgare  :  di  che  si  reude  molto  verisimile  che  Adria- 
no alle  Palilia  di  quest'  anno  si  trovasse  in  Roma,  e 
ne  ripartisse  poco  dopo  pe'  viaggi  della  Britannia  e 
della  Spagna.  L'  Eckhel  lasciò  in  incerto  il  significalo 
della  sigla  P  ,  che  per  congettura  parvenu  potersi 
spiegare  Perpetui,  oppure  Parilibus  ClUeenscs  CON- 
stiluti  ;  poiché  sebbene  nel  709  Varroniano  i  ludi  Pa- 
rtila fossero  di  già  stali  costituiti  in  perpetuo  ,  quell' 


—  128  — 


istituzione  non  riguardava  il  natale  di  Roma,  ma  sib- 
bene  la  vittoria  di  Giulio  Cesare  nelle  Spagne,  il  cui 
annunzio  giunse  a  Roma  ricorrendo  per  appunto  il  dì 
delle  Parilia  (Dio  XL1II ,  42).  Ora  veggo  che  il  eh. 
Canina  spiega  Vroprii  CIRCenses  CONstituti  (  Accad. 
JRom.  d'  archeol.  t.  X  p.  433-451). 

29.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  13. 

X  P  M  TR  P  COS  III  ,  CLEM ,  Clemenza  slolata 
stante  presso  uri  ara  con  patera  nella  d.  e  con  asta 
nella  s.  Arg. 

Adriano,  a  detto  di  Sparziano  {in  Hadr.  5),  in  sul 
principio  del  suo  impero  tantum  Cleiue.vtiae  stu- 
dimi hàbuil,  ut — neminem  laederet  ;  ma  pure  presso 
molti  egli  avea  mala  voce  per  1*  uccisione  di  quattro 
insigni  uomini  consolari  avvenuta  nel  secondo  anno 
del  suo  impero  (v.  Borghesi  Dee.  X,  oss.  8);  per  op- 
porsi alla  quale  forse  comincia  a  comparire  il  tipo  ed 
il  nome  della  CLEMentia,  nelle  monete  dell'  anno 
terzo. 

30.  HADRIANVS  AVGVSTVS,  testa  laureata. 

)(  COS  III  ,  S  C,  Adriano  togato  stante  in  sui  ro- 
stri presso  uri  edicola  tetrastila  con  la  d.  slesa  in  atto 
di  aringare  molle  figure  togate  stanti  dinanzi  a  lui 
colle  destre  alzate.  -<E.  I. 

I  rostri ,  d' in  sui  quali  conciona  Adriano  ,  sono  i 
Giulii,  che  per  tali  si  riconoscono  anche  dall'  esser 
vicini  all' aedes  Divi  lulii,  che  è  tetrastila  anche  nelle 
monete  di  Ottaviano  (v.  Canina,  Foro  Rom.  p.  138). 
Questo  bel  tipo  prende  luce  dalle  parole  di  Sparziano 
(in  Hadr.  8)  :  et  in  conclone  et  in  senalu  saepe  dixil , 
ita  se  rempublicam  geslurum,  ut  sciret  populi  rem  esse, 
non  suam. 

31.  HADRIANVS  AVGVSTVS  P  P,  busto  lau- 
reato e  paludato. 

)(  COS  III,  Adriano  togato  stante  con  volume  nella 
s.  in  atto  di  porgere  la  d.  al  Genio  del  Senato  togato 
barbato  tenente  lo  scettro  nella  s.  e  Roma  galeata  suc- 
cinta con  asta  nella  s.  stante  di  mezzo  a  loro.     Aur. 

L' Eckhel  (mus.  Caes.  n.  162)  vi  ravvisava  Traia- 
no in  atto  di  stendere  la  d.  ad  Adriano  ;  ma,  per  ta- 
cere d'  altre  ragioni ,  Traiano  dovrebb'  essere  sbar- 


bato, laddove  la  figura  in  questione  è  fornita  di  folta 
barba  ed  ha  sembiante  ideale  come  di  un  Giove,  lo 
vi  ravvisai  la  veneranda  imagine  del  Genio  del  Sena'o 
in  toga  pretesta,  lai  quale  apparve  a  Traiano  (  Dio  , 
LXVIII,  5  ) ,  e  poscia  mi  confermai  nel  mio  avviso 
veggendo  che  tale  parve  anche  al  Vaillant  (num.Imp. 
P.  II  p.  139  ) ,  e  vie  più  pel  riscontro  di  una  simile 
figura  ,  alla  quale  in  monete  di  Antonino  Pio  (  mus. 
Caes.  n.  109-111)  è  apposta  la  scritta  GENIO  SE- 
NATVS. Vuoisi  ancora  avvertire  che  il  Genio  del  Se- 
nato nell'  aureo  di  Adriano,  per  ragion  di  onore,  sta 
alla  d.  di  Roma,  la  quale  peraltro  ha  il  suo  sguardo 
sopra  il  laureato  Augusto.  E  questo  insigne  tipo  espri- 
mente la  concordia  di  Adriano  col  Senato  di  Roma 
confronta  col  detto  di  Dione  (  Hist.  LXIX  ,  7  ) ,  che 
Adriano  in  tulle  le  cose  più  importanti  e  necessarie 
operava  di  conserto  col  Senato.  Anche  Sparziano  ne 
attesta  (*»  Hadr.  7,  8) ,  che  Adriano  Senalus  fasti- 
gìum  exlulil,  e  che  exsecratus  est  principes,  qui  mima 
senatoribus  delulissent  (  v.  il  seg.  n.  73  ,  e  Traiano 
num.  45  ). 

32.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  30. 

)(  COS  III,  colonna,  sopra  la  quale  è  collocata  una 
galea,  e  appiè  di  essa  una  lorica,  un  clipeo,  un  para- 
zonio,  uri  asta  ed  una  faretra.  Aur. 

11  tipo  di  questo  aureo  (mus.  Caes.  n.  179)  è  ana- 
logo a  quello  delle  monetine  di  bronzo  di  Nerone  con 
le  armi  di  Pallade  similmente  collocate,  e  relative  ai 
quinquatri  della  dea  (Eckhel  I.  VI  p.  276).  L'  armi 
dell'  aureo  di  Adriano  ,  e  specialmente  il  parazonio  , 
sembrano  proprie  della  Dea  Roma,  cui  egli  eresse  il 
celebre  tempio  di  sua  invenzione  e  disegno.  La  fare- 
tra può  accennare  alle  milizie  ausiliarie,  segnatamente 
ai  sagiltarii.  11  tipo  stesso  peraltro  può  riguardare  an- 
che la  disciplina  militare  cotanto  cara  ad  Adriano  , 
del  quale  così  scrivea  Frontone  a  M.  Aurelio  Cesare 
(1.  II  epist.  4):  Hadrianum  ego  ut  Marlem  Gradivom, 
ut  Ditem  palrem,  propitium  et  placatum  magis  volui, 
quam  amavi. 


(Continua) 


Cavedoni. 


Gidlio  Mineuvini  —  Editore. 


Tipografìa  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  91.     (17.  dell'anno  IV.) 


Marzo  1856. 


Poche  osservazioni  sopra  un  anfora  panatenaica  rinvenuta  in  Cuma  da  S.  A.  R.  il  Conte  di  Siracusa. — 
Notizia  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Terme  alla  strada  Stabiana.  Continuazione  del  n.  77.  —  Monu- 
menti Cumani.  Lettera  all'editore  del  presente  ballettino. 


Poche  osservazioni  sopra  un  anfora  panatenaica  rin- 
venuta in  Cuma  da  S.A.R.  il  Cote  di  Siracusa. 

Nella  nostra  tav.  XI  fig.  6,7,8  pubblichiamo  que- 
sto importante  monumento  riportando  le  figure  della 
faccia  principale  nelle  dimensioni  dell' originale,  e  la 
forma  del  vaso  1/6  del  medesimo.  È  un'  anfora  pa- 
natenaica di  piccole  dimensioni,  che  offre  da  un  lato 
la  solita  figura  di  Minerva  tra  due  colonne,  colla  no- 
ta e  ripetuta  iscrizione  TON  A0ENE9EN  A9U)N 
in  caratteri  arcaici  benché  non  retrogradi  ;  mentre 
dall'altro  presenta  un  discobolo  nell'atto  di  lanciare  il 
disco,  alla  presenza  di  un  giudice  della  gara  ,  ovvero 
del  ginnasiale». 

Congnissima  è  la  rappresentazione  della  Minerva 
colla  riferita  iscrizione,  che  costituisce  il  solito  sog- 
getto de'  vasi  panatenaici  :  e  noi  non  ci  fermeremo  a 
ragionarne,  perchè  già  di  proposito  se  ne  occuparo- 
no parecchi  insigni  filologi  ed  archeologi.  Tali  sono 
fragli  altri  un  Bronstedt  (1),  un  Gerhard  (2),  un  Ra- 
oul-Rochette  (3),  un  Ambrosch  (i),  un  C.  F.  Her- 
mann (5),unBoeckh  (6),  un  Muller(7),  un  Iahn(8), 
ed  un  Krause  (9)  ;  per  tacere  de'  più  antichi,  vo  dire 
il  Fabro  (10),  ed  il  Lomeier  (11). 

(1)  Mémoire  sur  les  vases  Panaihéiiaiigues  Paris  1833,4. 

(2)  Antike  Bildwerke  Prodromus  pag.  417-138,  e  annali  dell'  Ist. 
1830  p.  209,  e  segg. 

(3)  Journ.  Des  Sav.  1823  p.  477  seg. 

(4)  Annali  dell' lst.  1833  p.68  segg. 

(5)  Lebrbuch  der  griecb.  Aniiquit.  tom.  II,  p.  140  e  276  seg. 

(6)  Corp.  inscr.  gr.  1  p.  49,  e  Berlin  Winlerkaialoge  1831-32. 

(7)  Hall.  Encykl.  IH  ,  10  p.  294  —  302. 

(8)  Vasensammlung  zu  Mùncben,  Einleitung  p.  XCI1  e  CI,  e  segg. 

(9)  E'XXrn-.xà  —  Lipsia  1841  in  8. 
(10;  Agonistica  etc.  Lugd.  1592  in  4. 

(11)  I.  hyàii  Agonistica  sacra  e.  addii. Lomeieri— Zutpta  1700,4°. 
ANNO  ÌY. 


Il  vaso  del  Conte  di  Siracusa  richiama  però  la 
nostra  attenzione  pel  rovescio,  ov'  è  figurato  il  disco- 
bolo. 11  disco  formava  parte  del  pentatlo  ;  ed  è  perciò 
che  non  di  rado  troviamo  ne'  vasi  panatenaici ,  usciti 
in  gran  numero  dalle  scavazioni  volcenti,  giovani  che 
tengono  il  disco  insieme  con  altri  oggetti  della  palestra. 
Io  ne  conosco  un  solo,  in  cui  il  discobolo  è  nell'atto 
di  lanciare  il  suo  disco ,  e  che  proviene  dalle  scava- 
zioni del  principe  di  Canino  (1).  È  però  notevole  che 
la  posizione,  in  cui  mostrasi  quest'altro  discobolo,  dif- 
ferisce non  poco  da  quella  che  si  scorge  nel  novello 
vaso  di  Cuma.  Di  fatti  in  questo  del  Conte  di  Sira- 
cusa il  giovine  palestrita  tutto  inteso  all'azione  si 
curva  alquanto  in  avanti ,  piegando  il  destro  ginoc- 
chio,  ed  al  destro  lato  rivolgendo  il  capo;  mentre 
nell'altro  il  corpo  è  più  iuchinato ,  e  vedesi  sollevata 
in  aria  la  destra  gamba.  Questa  varietà  di  posizione 
va  attribuita  alla  intenzione  de'  due  artisti  di  figurare 
un  momento  più  o  meno  vicino  al  lancio  del  disco. 
In  generale  è  stato  osservato  che  1'  azione  del  disco- 
bolo richiede  che  si  curvi  innanzi  la  persona  (2)  :  e 
così  furono  intese  le  espressioni  di  Polluce  oIcxuj  v- 
7ro<P:p£o-Scc<  (3),  e  così  pure  debbono  intendersi  le  vi- 
vaci paiole  del  nostro  concittadino  Stazio  (4)  : 

Erigit  adsuelum  dextrae  gestamen.  .  .  . 

....  vasto  contorquet  turbine,  et  ipse 

Prosequitur. 
Accenna  a'  movimenti  del  discobolo  anche  Filo- 
strato ;  e  la  sua  descrizione  si  adatta  in  parte  al  gio- 

(1)  Gerhard  ann.  dell' Ist.  1830  p.  219  cf.  mon.  dell' Ist.  I  tav. 
XXII,  1,  b. 

(2)  Visconti  mus.  Pio-Clem.  HI,  p.  120  segg. 

(3)  HI,  1SI. 

(4)  Thd).  VI,  709.  Vedi  Ambrpscb  ann.  dell'in.  1833 p.88,segg. 

17 


-  130  - 


vine  atleta  del  vaso  di  Canino,  piuttosto  che  a  quello 
di  Cuma.  Di  fatti  egli  parla  della  gamba  in  aria  sol- 
levata, e  del  corpo  curvo  colla  testa  inclinata  a  de- 
stra, sino  a  guardar  tutto  quel  lato  (1). 

È  nolo  che  lo  scultore  Mirone  aveva  con  somma 
cura  lavorata  la  statua  del  discobolo  (2),  della  quale 
lasciaron  memoria  Plinio  (3),  e  Quintiliano  (4)?  ma 
soprattutto  Luciano  (5j. 

Sarà  pregio  dell'opera  riportare  la  descrizione  del 
soflsta  di  Samosata ,  che  ce  ne  offre  il  disegno  colla 
solita  energia  del  suo  stile  :  nwv  ròv  ìjivxworroi ,  r(v 
b'iyòo,  <pò|S  ròv  Ìttixsxu^xjtx  xa.ro.  rà  <sx^i\x%  rrfi  <x- 
QìGiwS,  à.7rt<Try*.\x\x{yOY  lii  Tr,v  §;<rxo$o'pov,  rftiyLOt.  d— 
xXo^ovTa  ru>  ìnp,j,  soixoròt.  %vvu.u.vrJ.<Trrpr>ixiìw  \xi- 
rx  rvf  (ÌoXtiS  ;  Ovx  ìxùvov ,  y\  o'&,  'nrù  twv  Muput- 
vos  ipywy  (v  xoù  rovro  Itrriv  6  cùcrxoPdXoj  5V  "kzyits. 

Che  noi  volgeremmo  in  italiano — «  Forse  che  tu 
«  accenni,  dissi,  a  questo  che  curva  il  suo  corpo  mo- 
«  straudosi  pronto  a  lanciare,  rivolto  quasi  alla  donna 
«  che  gli  arrecò  il  disco,  leggermente  inclinando  un  gi- 
ti nocchio,  sì  che  tu  il  vedi  quasi  sul  punto  di  rilevarsi 
«  dopo  la  spinta  ?  Non  è  quello,  e'  rispose  ;  perciocché 
«  il  discobolo  che  tu  dici  è  anch'esso  una  delle  opere 
«  di  Mirone  ». 

Da  questa  descrizione  di  quella  celebre  statua  ,  e 
■la  quel  che  notarono  il  sommo  Visconti  (6) ,  l' illustre 
C.O.Muller  (7),  ed  il  dottissimo  Welcker  (8),  rilevasi 
abbastanza  che  la  posizione  non  n'era  molto  dissimile 
da  quella  che  si  ravvisa  nel  giovine  effigialo  nell'anfora 
«umana.  E  potrebbe  senza  temerità  asserirsi  che  la 
compostezza  del  movimeuto  accoppiata  allo  sforzo 
dieno  argomento  a  supporre  che  si  fosse  tenuto  pre- 
sente quell'  insigne  lavoro  di  Mirone  ;  comunque  la 
poca  perizia  del  pittor  di  vasi  non  abbia  potuto  rag- 
giugnere  la  perfezione  dell'arte. 


(1)  loiag.  I,  24. 

(2)  Sillig  Calai,  artif.  p.  281. 

(3)  N.  H.  38  ,  8. 

(4)  Instil.  2  ,  13. 
PS)  Pbilops.  e.  18. 

(ti)  Mas.  Pio-Cl.  l.  1,  p.  29  et  95  ;  t.  3.  p.  34. 
(7;  Cf.  Boettiger  ÀmaUhta  t.  Ili,  p.  243  ed  Eandb.  §.  122,15. 
(8)  Alle  Denkmaeler  1.  p.  417  jegg.  cf.  Bruno  Gtnh.  <Ut.  Gt. 
Kunitl    p  144. 


Né  a  questa  ipotesi  si  oppone  l'arcaismo  della  iscri- 
zione e  dello  stile  ;  giacché  questo  non  disconviene 
all'epoca  in  cui  fioriva  Mirone, cioè  a  dire  440  anni 
circa  pria  dell'  era  volgare. 

Una  seconda  particolarità  degna  di  osservazione  si 
è  la  piccolezza  del  vaso,  la  quale  troppo  si  allontana 
dille  dimensioni  delle  grandi  anfore  panatenaiche.  Il 
eh.  Gerhard,  nella  enumerazione  de'  vasi  panatenaici 
venuli  fuora  dalle  scavazioni  volcenli,  ne  ricorda  un 
solo  di  piccole  dimensioni  ove  si  legga  la  iscrizione 
TONA0ENE0ENA0UON  ,  notandone  la  rarità  e  la 
importanza  (1).  La  medesima  circostanza  rende  pre- 
giato il  nuovo  monumento  Cumano,  il  quale  dovreb- 
be tenersi  siccome  un  dono  solilo  a  darsi  dagli  amici 
a'  vincitori  del  penlatlo  :  siccome  fu  opinato  dallo 
stesso  dolio  archeologo,  quando  occorrevano  più  pic- 
cole anfore  mancanti  della  solila  iscrizione  (2). 

Io  credo  pertanto  che  la  variabile  dimensione  delle 
anfore  panatenaiche,  e  la  circostanza  della  epigrafe  ora 
segnata  ora  soppressa ,  diano  argomento  ad  una  dif- 
ferente conclusione.  Perchè  non  dir  piuttosto  che  quel 
vasellame  in  variabile  modo  allusivo  alle  vittorie  nelle 
atletiche  gare  lavoravasi  anche  talvolta  espressamen- 
te ,  per  fregiarne  la  tomba  de'  vincitori  ?  In  questa 
idea,  l'anfora  del  Conte  di  Siracusa  sarebbe  messa  ad 
ornare  il  sepolcro  di  un  giovine  Cumano  ,  che  ebbe 
la  sorte  di  essere  dichiarato  vittorioso  ne' giuochi  pa- 
natenaici. 

Una  singolarità  del  vaso  di  Cuma  vien  costituita 
da  alcuni  segni  graffiti  presso  al  collo  da  una  delle 
facce  del  vaso.  Sono  essi  OOIIIII ,  cioè  due  0  e  cin- 
que linee  rette  verticali  fra  loro  parallele. 

Sorgerebbe  da  prima  la  idea ,  che  quei  segni  fos- 
sero cifre  numerali;  ma  a  me  sembra  che  valide  ra- 
gioni si  oppongano  potentemente  ad  tini  tale  con- 
gbiettura. 

L' epoca ,  a  cui  il  monumento  appartiene,  ci  vieta 
di  supporre  che  si  fosse  adoperata  quella  numerazio- 
ne ,  in  cui  si  accorda  un  particolare  valore  alle  varie 

(1)  Annali  dell'  Ist.  1830,  p.  222. 

(2)  Ann.  cit.  p.  211.  Le  ulteriori  scavazioni  cuniane  del  Conta 
di  Siracusa  bau  dato  due  altri  vasi  panatenaici  di  picco!»  dimen- 
sioni, ma  essi  non  offrono  la  solita  epigrafe. 


131  — 


categorie  delle  lettere  dell' alfabeto.  Questo  metodo 
non  risale  ad  epoca  remota  :  e  dovrebbero  additarsi 
esempli  sicuri  ,  per  essere  autorizzati  a  dare  interpre- 
tazione di  un  monumento  tanto  anticamente  lavoralo. 

Mettendo  da  parie  altre  difficoltà  ,  che  e'  impedi- 
scono di  ritener  per  numeri  quella  riunione  di  segni, 
ci  sovviene  un  ostacolo  assolutamente  insuperabile. 

Ritenere  IO  per  settanta  ,  e  le  cinque  linee  per 
cinque  unità ,  sarebbe  lo  slesso  che  immaginare  nel 
medesimo  tempo,  e  nella  medesima  iscrizione  adope- 
rali due  differenti  sistemi  di  scrittura.  È  noto  che  nel 
sistema  in  cui  l'O  figura  settanta,  l'I  figura  dieci,  e 
non  uno  ,  che  sarebbe  invece  indicato  dall'A.  La  li- 
nea verticale  dinota  I  nell'  altro  più  antico  sistema 
tutto  decimale  ,  nel  quale  ,  ad  eccezione  delle  unità, 
tutti  gli  altri  numeri  cardinali  sono  indicati  dalle  ini- 
ziali M,  X,  H,  A,  P  ultima  divisione  metà  della  de- 
cina, utilissima  a  semplificare  la  scrittura  de'  numeri. 
£  di  questa  progressione  decimale  avemmo  occasione 
di  favellare  nella  nostra  memoria  sul  magnifico  vaso 
de' Persiani,  ove  ravvisammo  una  tavola  calcolatola, 
unica  a  vedersi  su'  vasi  dipinti  (I). 

Dalle  esposte  considerazioni  si  rende  chiaro  essere 
impossibile  che  si  fosse  contemporaneamente  usato 
un  duplice  metodo  di  scrittura  ;  dal  che  non  sareb- 
besi  venuto  giammai  a  capo  di  conoscere  il  numero 
che  si  voleva  indicare. 

Né  vale  il  dire  che  si  potrebbero  ritenere  per  cin- 
que decine  quelle  linee  :  nel  qual  caso  non  potrebbe 
neppure  farsi  sorgere  un  sol  numero  ;  ma  sibbene 
un'accozzaglia  di  varii  numeri  messi  l'un  dopo  l'altro 
con  ignote  intenzioni. 

Sarà  facile  il  dimostrare  che  all'epoca  del  vaso  Cu- 
mano  ,  di  cui  stiamo  ragionando  ,  non  poteva  essere 
ancora  introdotto  il  sistema  di  numerazione  a  cui  ac- 
cenniamo. Rilevasi  di  fatti  dalla  iscrizione  dipinta 
presso  la  Minerva  ,  che  non  per  anco  eransi  nell'alfa- 
beto introdotte  le  vocali  lunghe. 

Or  senza  questa  nuova  introduzione  vacilla  tutto  il 
sistema  della  scrittura  numerica,  nella  quale  la  man- 
canza dell'?)  e  dello/  e  dell'e^isentoR sarebbe  un  insor- 
ti) Vedi  questo  bullettino  an.  II  pag.  132. 


montabile  osfacolo.  E  perciò  non  può  essere  dubbi 
che  quella  più  recente  maniera  è  posteriore  alla  in- 
troduzione delle  vocali  lunghe,  e  perciò  all'epoca  del 
noslro  monumento. 

Dimostralo  che  quei  segni  graffiti  dinotar  non  pos- 
sono numeri,  rimarrà  unicamente  vera  la  interpreta- 
zione che  lampeggiò  al  primo  sguardo  nella  mente 
mia  e  del  eh.  Sig.  Commendatore  Quaranta,  sebbene 
il  mio  dotto  collega  abbia  voluto  in  seguito  abban- 
donarla. 

Leggendo  da  dritta  a  sinistra  quei  segni  ,  avremo 
la  indicazione  di  cinque  dramme  e  due  oboli.  Non  può 
cader  dubbio  sul  segno  dell'obolo  ,  che  cosi  appunto 
si  scorge  nelle  iscrizioni  della  Beozia  (1) ,  nel  citato 
vaso  de' Persiani,  e  nelle  medaglie  di  Locri  e  di  Me- 
taponto, una  delle  quali  di  più  arcaico  lavoro  e  di  ar- 
gento notabile  per  quel  medesimo  segno,  fu  da  noi  re- 
centemente pubblicata  (2). 

In  simile  modo  la  dramma  che  nelle  iscrizioni  ate- 
niesi vedesi  formata  come  una  linea  verticale  tagliata 
nella  sua  metà  da  altra  lineetta  orizzontale,  nelle  iscri- 
zioni della  Beozia  mostrasi  in  vece  come  una  sem- 
plice linea. 

Questa  scrittura  propria  de'  popoli  eolici  ben  s' in- 
contra in  Cuma  innestata  ad  attico  monumento  :  giac- 
ché 1'  uno  e  l'altra  accennano  a  quell'atticismo  misto 
di  eolismo,  che  segnatamente  ne'  monumenti  più  ar- 
caici riesce  prezioso  per  lo  confronto  alle  tradizioni 
scritte  ,  le  quali  valgono  a  spiegarli  ,  e  ne  ricevono  a 
vicenda  valida  conferma  ed  appoggio. 

Ed  una  simile  occasione  non  ha  guari  ci  venne 
porta  dall'altro  insigne  vaso  Curoano  col  soggetto  di 
una  singolarissima  pugna  amazzonica  ,  dovuto  alle 
medesime  scavazioni  del  Conte  di  Siracusa,  e  che  ve- 
desi già  pubblicato  in  questo  bullettino  (3). 

Ma  a  qual  valore  dovrà  per  avventura  riferirsi  que- 
sto prezzo  di  cinque  dramme  e  due  oboli?  Sono  ben 
conosciute  le  molte  iscrizioni  graffite  sotto  il  piede  dei 
vasi  dipinti,  nelle  quali  si  additano  nomi  di  vasi,  ora 
seguiti  da  un  semplice  numero,  ora  dalla  indicazione 

(1)  Franz,  elem.  epigr.  gr.  p.  318. 

(2)  Vedi  questo  bullettino  an.  IV  pag.  101. 

(3)  An.  IV  tav.  vili  p-  73.  e  segg. 


132  — 


del  prezzo.  Dopo  che  il  Panofka  richiamò  l'attenzione 
degli  archeologi  su  questa  importante  particolarità,  il 
dottissimo  Letronne  applicando  ad  una  tale  ricerca  la 
sua  insuperabile  critica,  venne  ad  alcune  evidenti  con- 
clusioni (1). 

Vi  fu  tra  le  altre  quella  che  siffatte  iscrizioni  fos- 
sero segnale  da'  vasai  medesimi  nelle  loro  officine ,  e 
che  non  sempre  si  riferissero  a' vasi  presso  a'  quali 
erano  segnate. 

Questi  graffiti,  de'  quali  parliamo,  messi  in  sito  non 
visibile  sono  del  tutto  diversi  da  questo  del  vaso  di 
Cuma. 

Quelli  appartenevano  a"  vasai  ,  questo  al  proprie- 
tario ,  il  quale  solo  poteva  notare  in  luogo  visibile 
una  sua  memoria. 

Quello  però  che  si  desume  dal  confronto  de' graf- 
fiti sotto  il  piede  de'  vasi ,  e  da  altre  notizie  serbateci 
dagli  antichi  scrittori,  è  il  valore  di  simile  vasellame 
di  argilla,  che  potrebbe  aprirci  la  via  ad  una  proba- 
bile conghiettura  sulla  intelligenza  del  graffito  (Zuma- 
no. In  una  iscrizione  del  museo  di  Parigi  leggiamo 


kpatepes  ;  ni 

TIME  ;  r-H+ 
BA0EA  ;  AArl 


osiaes  ;  nm 


Il  Sig. Letronne  la  interpetra  traendone  che  sei  cra- 
teri si  valutano  quattro  dramme,  e  venti  Beriprtc  (sal- 
ziere  )  una  dramma  ed  un  obolo. 

In  altro  piccolo  vaso  del  museo  di  Berlino  si  legge 

AAAII  :  TIMH  ■  H-  1111  C 

cioè  32  di  quei  vasetti  costavano  due  dramme  e  4 
oboli  e  1/2. 

Nella  nota  xuX<£  di  CeGsofonte  leggesi 

KHSISOtfONTOS  H  KTAIg  EANAE  TIS  KA- 
TASHI  APAXMHN  AITOTEISE[I]  AftPON  ON 
IIAPA  SENTA[0]T 

Dal  che  si  ricava  il  tenue  prezzo  di  una  dramma 

(i)  Nourelles  auiil,  de  l'Instimi  t.  I  pag.  497  e  segg. 


per  una  cylix ,  sebbene  fosse  pur  messo  a  calcolo  il 
prezzo  di  affezione ,  siccome  noia  il  eh.  lahn  (1). 

È  poi  conosciuto  che  un  grazioso  balsamario  va- 
leva un  obolo  ;  e  ciò  fu  rilevato  dalle  precise  parole 
di  Aristofane  (2). 

Dalle  quali  cose  il  Letronne  stabilisce  una  scala  di 
valori,  che  potevano  per  altro  variare  secondo  la  mag- 
giore o  minore  grandezza  del  vaso,  secondo  la  mag- 
giore o  minore  eleganza  degli  ornati  e  del  dipinto. 
Una  cylix  una  dramma 
Un  cratere  quattro  oboli 
Un  balsamario  un  obolo 
Un  piccolo  vasellino  1/2  obolo 
Un  P'x$iov  o  salziera  1/3  di  obolo. 
Altri  monumenti  ci  forniscono  altri  valori. 
Sotto  un  vaso  del  museo  Pourtalès 
IX0TAI  Alili  T  AH 

Cioè  quattordici  /x^ya(  (vas>  da  tener  pesci,  o  co- 
me io  opinai  in  altro  mio  lavoro  14  vasi  dipinti  a 
pesci)  dodici  dramme. 

Sotto  il  piede  di  altro  vaso  cumano  alcuni  anni  ad- 
dietro pubblicalo  dall'Avellino  (3)  leggesi 
n  EAIIOI   •  AAA 

ed  io  fui  di  opinione  che  il  nome  del  vaso  fra  due 
numeri  non  poteva  ad  altro  riportarsi  che  al  suo  va- 
lore :  e  perciò  ne  dedussi  che  5  elpi  valevano  30 
dramme,  ovvero  un  sXttos  sei  dramme  (4). 

Né  diversamente  va  inlesa  la  seguente  iscrizione  da 
me  recentemente  pubblicata  (5) 

n  KAAIA  AH 

ove  pensai  indicarsi  che  5  cadi  di  minore  grandezza 
valessero  dodici  dramme. 

La  quale  spiegazione  prende  luce  da  un  altro  luogo 
di  Aristofane  nella  Pace  (6),  ove  un  xacos  è  valutato 
tre  dramme. 

(1)  Veber  eine  Vasenbild  ,  wekhet  Hn   Topftrei  vorileiU  ne 
Berichte  di  Sassonia  1851  p.  27  e  seg. 

(2)  Ran.  1267. 

(3)  Bull.  arch.  nap.  an.  K  lav.  I,  b  cf.  p.  23. 

(4)  Vedi  questa  n.  scr,  del  bulltttino  an.  II.  p.  168. 

(5)  Bull.  nap.  [.  e. 

(6)  V.  1301. 


—  133  — 


E  qui  mi  piace  di  richiamare  un  importante  luogo 
di  Polluce.il  quale  ne  addita  che  l'anfora  appellavasi 
eziandio  xouìos:  (piXo'xopoS  hi  h  rv\  'At8/ÒN  vcupà.  roTi 
iT'xka.ioìs  (py)irl  riy  'lixQopi'x  xx\ì[g§ou  xx'oov  (1). 

Dal  quale  confronto  vogliamo  dedurre  che  se  un 
Cado  o  Anfora  valutavasi  tre  dramme ,  non  sarebbe 
fuor  di  luogo  l' immaginare  che  le  cinque  dramme  e 
due  oboli  segnati  nel  vaso  del  Conte  di  Siracusa  ne 
esprimessero  il  valore:  dovendo  credersi  di  costo  mag- 
giore un'anfora  panatenaica  per  quanto  si  voglia  pic- 
cola :  tanto  più  cheandavane  il  prezzo  gravato  dal  va- 
lore del  trasporto ,  se  supponiamo  essere  venuta  da 
Atene  per  via  del  commercio. 

Non  è  dunque  fuor  di  luogo  l' immaginare  che  il 
possessore  del  vaso  ne  segnasse  con  un'acuta  punta  il 
valore,  in  memoria  dell'acquisto. 

Del  resto  io  non  intendo  dare  a  questa  opinio- 
ne altro  peso  che  quello  di  una  probabile  conghiel- 
tura  (2). 

MlNERVIM. 


Il  muro  estremo,  che  fu  da  noi  in  parte  preceden- 
temente descritto,  non  termina  il  grande  atrio  in  tutta 
la  sua  larghezza,  ma  solo  ne  due  lati  estremi:  e  nel 
mezzo  viene  lasciata  una  larga  apertura,  per  la  quale 
si  ascende  ad  un  altro  spazio  alquanto  più  elevato , 
per  mezzo  di  due  scalini  rivestili  in  origine  di  lastre 
di  bianco  marmo,  le  quali  sono  solo  in  parte  conser- 
vate :  dal  che  si  porge  un  nuovo  argomento  dello 
spoglio  avvenuto  in  tutte  le  parti  di  questo  nobile  e- 
difizio.  Di  ciascuno  de' due  lati  è  un  compreso  ret- 
tangolare, a  cui  si  accede  dall'atrio  mediante  due  sca- 
lini già  rivestiti  di  marmo  :  la  entrata  di  questo  sito 
è  ad  arco. 

Continuando  ora  la  descrizione  degli  stucchi  della 
porzione  del  muro,  eh'  è  a  sinistra ,  diremo  che  due 
altri  compartimenti  si  veggono  al  destro  lato  costeg- 
giando il  compartimento  medio  da  noi  sopra  descrit- 
to :  e  sono  quadretti  adorni  di  varie  figure ,  essendo 
pur  caduto  lo  stucco,  e  rimanendoci  solo  di  ritrarne 
una  idea   dalle  linee  graffite  ,  che  tuttora  vi  riman- 


Notizia  de  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Terme  alla 
strada  Stabiana.  Continuazione  del  n.  77. 

Pria  di  descrivere  i  risultamene  delle  più  recenti 
scavazioni  in  questa  parte  della  sepolta  Pompei,  vo- 
gliamo notare  che  sulle  colonne  del  grande  atrio 
delle  Terme  leggemmo  le  parole  AVE ,  ed  altrove 
V1TAL1S  graffite. 

Noi  già  di  sopra  parlammo  di  una  piccola  promi- 
nenza di  tufo  bigio,  che  segnava  quasi  un  limite  in 
distanza  di  circa  palmi  dieci  dal  muro  estremo  di 
quell'  edificio  adorno  di  stucchi  :  ora  aggiungiamo, 
che  quella  prominenza  si  estende  per  tutta  la  lar- 
ghezza dell'atrio,  il  quale  perciò  viene  ad  essere  uno 
spazio  distinto.  Dal  che  si  fa  sempre  più  manifesto 
essere  questo  ampio  cortile  destinato  ad  esercizii  gin- 
nastici, e  doversi  riputare  uno  xisto,  od  uno  sferisterio, 
locali  ben  convenienti  in  prossimità  delle  Terme. 

d)  X,  71. 

(2)  Queste  osservazioni  furono  tla  me  comunicale  alla  reale  Ac- 
cademia Ercolaneee  ;  ed  altre  memorie  ad  illustrazione  del  graffito 
OOIIIII  furono  lette  alla  medesima  Accademia  da'  chiarissimi  colle- 
ghi Corani.  Bernardo  Quaranta,  e  Salvatore  Cirillo. 


Nel  primo  compartimento  in  primo  piano  è  un 
quadretto  di  tre  figure  sedenti,  un  Satiro,  e  due  Bac- 
cauti  con  tamburini  ed  altri  simboli  dionisiaci.  In 
secondo  piano  è  una  veduta  di  paese  ;  e  nel  più  ele- 


vato è  una  volante  figura. 


11  secondo  compartimento  offre  una  figura  nuda 
al  sommo  di  una  scaletta,  e  sopra  svariati  ornamen- 
ti. Nel  terzo  compartimento,  a  cui  corrispondeva  l'al- 
tro dal  lato  sinistro  ora  perduto,  sono  un  candela- 
bro, panneggi,  ed  in  alto  una  figura  nuda,  siccome 
sembra,  un  Amore.  Dopo  vedesi  1'  arco  che  dà  l'in- 
gresso alla  fontana  :  e  questo  offre  parimenti  ne' due 
impiedi,  e  nella  parte  superiore,  ornati  e  figure. 

Neil'  impiedi  sinistro  è  nel  primo  piano  un  qua- 
drato, che  ci  offre  una  Baccante  sedente  con  timpa- 
no, ed  un  Satiro  anche  sedente,  che  beve  il  vino  ver- 
sandolo da  un  rhyton ,  che  finisce  a  testa  di  animale 
colle  due  zampe  anteriori.  Nel  piano  superiore  in 
fondo  bianco  è  una  Vittoria  volante.  Sopra  in  un  pic- 
colo quadretto  sono  due  Amorini ,  che  si  curvano  a 
far  qualche  cosa,  e  presso  di  loro  è  uà  vaso.  Nell'al- 
tro impiedi,  eh' è  a  destra,  vedu'isi  ael  primo  piano 


—  il 


in  campo  bianco  due  satiresche  figure,  una  sedente, 
l'altra  stanle.  Nel  piano  superiore  è  un  quadretto, 
che  ci  presenta  una  Nereide  sopra  una  pislrice,  cir- 
condata da  del6ni.  Sulla  sommità  dell'arco  è  ben  con- 
servato di  bianco  stucco  un  Giove  sedente  sulla  cla- 
mide a  s.,  che  tien  colla  destra  lo  scettro  ;  ed  innanzi 
sopra  una  colonnetta  è  l'aquila.  Dall'uno  e  dall'al- 
tro lato  sono  svelte  e  capricciose  architetture:  ed  è 
notabile  che  le  colonne  che  vi  sono  segnate  dal  lato 
sinistro  scendono  alquanto  più  in  giù  che  dal  destro. 
Fralle  architetture  sono  visibili  alcune  figure  nude 
virili,  ed  un  paese  ritraente  un  solo  edifizio. 

Nella  grossezza  dell'  arco  sono  ornamenti  dipinti 
e  di  stucco.  Da  ciascun  lato  è  un  quadretto  di  paese 
dipinto,  ed  una  Ggura  virile  nuda  a  bassorilievo  di 
stucco  sopra  di  un  fiore  aperto  :  in  alto  sono  ornati 
di  stucco  in  parte  dipinti.  11  compreso,  a  cui  si  accede 
dall'arco  finora  descritto,  non  è  ancora  del  tutto  di- 
sgombro dalle  (erre.  Solo  diciamo  che  nel  fondo  ap- 
pare iu  mezzo  una  nicchia  rettangolare,  con  architrave 
a  musaico,  ov'era  la  fonte  ed  il  getto  d'acqua.  Ai 
due  lati  della  medesima  nicchia  sono  dipinti  fogliami 
ed  uccelli,  e  due  Ninfe  seminude  e  coronate  di  acqua- 
tiche piante,  le  quali  sostengono  con  ambe  le  mani 
una  conca  indizio  dell'acqua.  Un  simile  sistema  di 
decorazione  fu  da  noi  rilevato  in  altra  casa  alla  stra- 
da di  Stabia,  della  quale  favellammo  nel  primo  anno 
di  questo  bullettino  p.  27,  segg.  La  particolarità  più 
notabile  in  questa  parte  delle  terme,  per  quanto  con- 
cerne le  pitture,  si  è  che  nella  stessa  parete  ove  sono 
le  Ninfe  della  fontana,  vedesi  al  destro  lato  dipinto 
un  piedestallo ,  e  su  di  esso  una  Sfinge  accovacciata 
dipinta  di  bianco.  Probabilmente  una  medesima  Sfin- 
ge si  troverà  fregiare  la  destra  estremità  della  parete. 
Questa  insolita  decorazione  ,  che  accenna  ad  Egizii 
riti  e  ad  Isiaca  religione,  in  poca  distanza  dal  famoso 
tempio  d'Iside,  e  dalla  iscrizione  dell'Ercole  Callini- 
co,  dimostra  sempre  più  le  migrazioni  degli  Alessan- 
drini in  Pompei,  e  la  influenza  delle  idee  da  essi  in- 
trodotte nella  città,  che  andarono  ad  abitare.  In  una 
gialla  fascetta  inferiore  sono  dipinti  a  chiaroscuro 
delfìni  e  marini  mostri. 

'(continuo^  Minervini. 


Monumenti  Cumani — Lettera  all'editore  del  presente 
bullettino. 

Omatissimo  Amico 

Gentile  com'  Ella  è  ,  spero  vorrà  concedere  un 
qualche  posto  nel  suo  nobilissimo  periodico  d' Ar- 
cheologia a  poche  linee  che  le  scrivo. 

Ho  rilevato  dal  N.°  88  del  medesimo  la  scoperta 
di  un  nuovo  ipogeo  nella  terra ,  che  potrei  dire  ar- 
cheologica ,  di  Cuma  ;  mercè  la  relazione  che  ne  ha 
fatto  il  eh.  Giuseppe  Fiorelli.  Il  medesimo  facendo 
ad  un  tempo  rimarcare  V  importanza  di  questo  fatto, 
eh*  egli  vede  dal  canto  de'  tre  crani  vicini  agli  sche- 
letri ,  ed  al  quale  egli  attacca  un  valore  particolare, 
per  ispiegare  l' enimma  della  maucanza  delle  teste 
negli  scheletri  dell'altro  ipogeo  Cuoiano  a  questo  an- 
teriore, su  cui  emise  la  sua  opinione  de' martiri ,  ora 
a  questa  egli  ritorna  ,  e  più  forte  se  ne  mostra  divo- 
to. Ei  crede  poter  essere  autorizzalo  a  parlarne  con 
maggiore  asseveranza,  e  con  più  diritto,  perchè  i  tre 
crani  del  novello  ipogeo,  stima  essere  appartenuti  al 
primo  sepolcro  ,  per  la  loro  vicinanza  ,  e  perchè  di 
martiri  fu  di  parere  che  si  trattasse  il  Raoul-Rochetle. 
A  me  sembra  ,  che  il  cb.  Fiorelli  vada  ingannato  in 
tale  pensamento  ,  principalmente ,  perchè  son  tratto 
a  vedere  nella  esistenza  degli  scheletri ,  e  de'  tre  cra- 
ni nel  novello  monumento  Cumano  ,  e  nella  posizione 
di  uno  di  questi ,  come  dalla  relazione  del  sig.  Fio- 
relli ,  qualche  misterioso  costume.  Secondamente  a 
che  ripetere  qui  i  tanti  divieti  per  l' estrazione  dalle 
tombe  di  qualunque  parte  del  corpo  de'  defunti,  per 
la  violazione  de'  sepolcri,  e  per  intromessioni  furtive 
in  sepolcri  alieni  ?  Ciò  mi  dispensa  da  ogni  dire.  La 
vicinanza  dei  due  ipogei  non  poteva  dar  luogo  ad  una 
violazione  di  (al  fatta,  e  laddove  fosse  avvenuta,  per- 
chè lasciar  le  teste  vere,  e  metter  quelle  di  cera?  Ella 
giustamente  e  validamente  si  è  opposta  al  sig.  Fiorelli. 

Non  posso  poi  ritenere  che  come  un'  assertiva  del 
tutto  gratuita  quella  intorno  alla  diversa  età  degli 
scheletri  in  confronto  de'  crani.  Imperocché  io  non 
penso ,  che  la  coesistenza  degli  scheletri ,  e  de'  tre 
crani ,  uno  de'  quali  nella  posizione  significantissima 


—  135  — 


additala  dallo  stesso  sig.  Fioretti  ,  sia  da  ritenersi 
per  cosa  ordinaria  e  fortuita  ,  ma  reputo  un  tal  fatto 
di  grande  rilevanza.  Couciosiachè  mi  richiama  a  quel- 
lo delle  tombe  di  Noyalles  in  Francia ,  ove  secondo 
che  ha  scritto  Boucher  de  Perlhes,  furono  rinvenute 
centinaja  di  teste  tagliate,  e  circondanti  dueo  tre  ca- 
daveri. E  mi  ricorda  quello  di  un  sepolcro  in  pietra 
scoperto  nel  1827  presso  la  Stella  fra  Abbeville,  ed 
Amiens  ,  ove  trovaronsi  da  5  in  6  teste  allogale 
simmetricamente  di  fronte  e  ai  piedi  degli  scheletri  , 
essendo  Y  alto  del  cranio  in  basso,  lo  che  si  riattacca 
al  fatto  di  Cuma  (V.  Boucher  de  Perlhes  ine  moire  sur 
l'industrie  primitive  et  les  arts  eie.  Paris  18^9  pag. 
502  e  seg.  ;  pag.  127,  pag.  136  ).  Il  Signor  de  Per- 
lhes ci  assicura  del  costume  nel  suolo  Celtico  di  riu- 
nire ossa  e  crani  nelle  tombe  intorno  agli  schele- 
tri ,  eh'  egli  crede  antichissimo  e  profondo.  Ed  io 
son  di  parere,  seguendo  l'avviso  del  medesimo,  che 
in  ciò  siavi  una  grave  intelligenza  ,  e  debba  ricono- 
scervisi  un'  offerta  a' numi,  ed  ai  defunti.  II  quale  co- 
stume, la  cui  origine  è  obliala,  rinvenendosi  in  molti 
popoli ,  ci  lascia  vedere  più  che  un  semplice  uso. 

Infatti  noi  lo  ritroviamo  fra  gli  altri ,  presso  gli 
Scili,  a  dello  di  Erodoto  (IV  e.  71),  al  quale  è 
uopo  aggiungere  il  riscontro  delle  annotazioni  del- 
l' edizione  del  Baehr.  Ivi  leggiamo  (  Voi.  2.  lib.  IV, 
e.  71,  pag.  413),  secondo  le  relazioni  de' viaggia- 
tori ,  Mallebrun  ,  ed  altri  ,  del  Rennel ,  del  Zoega 
(De  obelisc.  pag.  338),  del  Polocki,  come  nella  con- 
trada all'est  del  Boris'.ene  (Dnieper),  vicino  le  sor- 
genti del  Khon  kiivodi  (  Panlicapeo  ).,  e  del  Tokmak 
(  il  paese  de'  Gerri  di  Erodoto  )  sicsi  rinvenuto  gran 
numero  di  tombe  ,  che  si  estendono  dalle  ripe  del 
Boristene  sino  a  Jenisea  ;  tutte  con  costumi  simili  a 
quelli  di  cui  Erodoto  avea  dato  il  primo  ragguaglio. 
La  tomba  regale  di  Koul-oba,  ramificazione  del  monte 
d'oro,  presso  Kerlsch  iu  Crimea,  l'antica  Tauride  , 
offre  un  esempio  parlante  di  siffatte  usanze,  simigli. <uii 
a  quelle  de'  Celti ,  e  che  vorrebbesi  appartenente  a 
Parisade  Re  del  Bosforo  ,  circa  il  quarto  secolo  av. 
G.  C.  (Charlon  Voyageurs  anciens  et  Modem,  p.  128 
not.  1).  11  Conle  Polocki  vidde  anche  egli  ne' suoi 
viaggi  nel  1798  la  catena  delle  migliaia   di  tombe  , 


che  riconobbe  degli  Scili  nella  regione  de'  Gerri  ,  il 
cimitero,  secondo  Erodoto,  di  quel  popolo.  E  lo 
Charlon  (  I.  e.  )  nella  sua  opera  ha  pensato  bene  ri- 
trarre la  detta  tomba  regale  di  struttura  ,  e  con  di- 
sposizioni interne,  di  cui  Erodoto  non  avea  dato  con- 
tezza. Nella  quale  tomba  non  può  vedersi  con  indiffe- 
renza, e  senza  ricordarsi  del  monumento  Cumano,  e 
de'Celii,  i crani  del  Re,  e  de'  suoi  affezionati,  le  im- 
magini di  elettro  ,  gli  utensili  etc. 

Pei'  simigliami  fatti ,  gravi  considerazioni  sorgo- 
no,  osscnando  nelle  tombe  celtiche  ,  in  quelle  delle 
prossimità  del  Ponto,  e  di  Cuma,  delle  usanze,  e  de' 
ricordi  religiosi,  che  si  riattaccano  all'  espiazione,  al- 
l'immortalità,  al  risorgimento  de' corpi,  le  quali  idee 
spuntano  accanto  ai  sepolcri  degli  estinti ,  su  di  che 
cercherò  versare  le  mie  poche  conoscenze  nel  lavoro 
che  intendo  presentare  ai  dotti  ,  al  più  presto  possi- 
bile. Non  posso  frattanto  non  rimanere  ammirato  e 
sorpreso  grandemente  ,  nel  vedere  i  costumi  de'  più 
lontani  luoghi  riattaccarsi  alla  presso  che  unica  cre- 
denza degli  antichi  su  la  religione  de' defonti,  la  quale 
riposa  sul  sentimento  della  pietà  ,  dell'immortalità, 
e  dell'  espiazione.  Per  ora  lo  accenno  ,  ma  dichiarerò 
più  estesamente  il  costume  della  divinazione  per  via 
de'  crani ,  del  che  abbiamo  fra  molli  preclaro  esem- 
pio fra  gli  antichi  nel  cranio  di  Orfeo  (  Lobeck  A- 
glaophamus  p.  236  e  seg.),  e  neìempi  men  remoti  in 
Mimerio  (Trova  Storia  d'Italia  voi.  1,  P. III.,  lib. 17, 
p.  944  e  seg.).  Non  voglio  lasciare  puranehe  di  av- 
vertire, che  il  cranio  di  Foe  era  in  tanta  venerazio- 
ne presso  Hilo  vicino  al  Kabul  nelle  Indie,  in  modo 
che  veniva  tenuto  in  una  cappella  ,  dove  il  Re  del 
paese  andava  ad  adorarlo  ,  se  il  viaggiatore  Sacer- 
dote Samaneo  Fahian  ,  vivuto  al  4  secolo  Cristiano  , 
ci  ha  descritto  e  narrato  il  vero  (  Viaggio  nel  Regno 
di  Na-Kie  presso  Charlon  op.  cit.  p.  368  ).  E  citerò 
pure  la  collana  di  crani  intorno  al  collo  di  Mahadè- 
va-Roudra-Cala,  distruttore  e  vendicatore,  che  nel- 
l'alfabeto Tibetano  di  Georgi  (Tom.  l,pag.  487  tav. 
2.  )  è  riportato ,  ed  appellato  il  Destino  (  v.  Creu- 
zer-Guigniaut  Explic.  des  pi.  p.  7,  Tav.  IV.  fig.  26.) 
avente  a  lui  d'accanto  Dévi-Roudrani-Cali  dea  della 
vendella ,  della  morte  e  d'.'lie  lagrime,  che  esercì- 


—  136  — 


tano  il  loro  potere  negi'  inferni.  11  che  mi  richia- 
ma alle  idee  d' un'altra  vita  ,  del  destino  umano  Del- 
l' avvicendamento  della  vita  e  della  morte ,  di  un  av- 
venire di  premio  o  di  pene  ,  di  espiazione,  senza  en- 
trare nel  profondo  senso  degli  antichi  ,  che  gli  dei 
distruttori  erano  i  ristoratori  dell'  umanità  etc.  :  le 
quali  cose  sono  incluse  nel  senso  arcano  di  alcuni 
costumi  specialmente  funebri  regolati  dalle  credenze 
religiose.  E  ne  troviamo  i  confronti  ne' monumenti, 
che  a  mano  a  mano  l'opera  del  tempo  ci  rivela.  Ec- 
co le  mie  poche  idee,  che  ora  ristrettamente  ho  po- 
tuto esporre.  Frattanto  dobbiamo  esser  gratissimi  al 
nobile  pensiere  di  S.  A.  R.  D.  Leopoldo  Conte  di  Si- 
racusa, che  sì  alacremente  si  studia  di  arricchire  l'ar- 
cheologia ,  e  di  allargare  le  nostre  conoscenze  con 
1'  aiuto  di  straordinari  monumenti  ,  che  egli  col  suo 
gusto  finissimo  delle  lettere  e  delle  arti  ci  offre,  dis- 
seppellendoli dall'  oblio. 

Non  debbo  per  ultimo  tacere,  che  ci  ha  recato  ma- 
raviglia ,  come  il  eh.  Fiorelii  abbia  voluto  sul  no- 
vello fallo  cumano  l'innalzare  la  sua  opinione  in- 
torno ai  pretesi  martiri,  facendosi  scudo  eziandio  del 
parere  emesso,  trepidando,  dal  Raoul-Rochette,  alla 
cui  autorità  egli  è  ricorso.  Ella  ben  a  proposito  ha 
pubblicata  la  lettera  a  Lei  diretta  da  quel  perduto  in- 
gegno archeologico  ,  nella  quale  il  medesimo  mula- 
tus  ab  ilio ,  dopo  la  lettura  del  suo  articolo  ,  del  mio 
opuscolo  ,  e  degli  articoli  del  Cavedoni,  e  del  de  Ros- 
si (1),  cangiò  linguaggio.  Ed  io  perbene  della  scienza 
e  a  difesa  di  quanto  scrissi  contro  l  opinione  de'mar- 
tiri,  nel  che  fui  tra' più  caldi  oppugnatori,  imploran- 
do la  stessa  autorità  del  Raoul-Rochetle,  su  l'esempio 
del  Fiorelii,  vado  a  trascrivere  a  parola  quanto  quel- 
l' illustre  Archeologo  mi  significava,  dopo  breve  esa- 
me del  mio  opuscolo  ,  schiettamente  rivocato  il  suo 
giudizio  :  ed  eccone  il  tenore  «  Paris  7  septembre 


ft)  Pare  che  il  Raoul-Rochetle  non  conoscesse  la  memoria  del 
Comm.  Quaranta  ,  le  cui  idee  coincidono  in  parte  con  quelle  po- 
steriormente emesse  dal  Cav.  de  Rossi.  Vedi  questo  ballettino  an. 
I  pag.  161  segg. 


»  1853 — J'ai  lu  avecloutel'attenlion,  donlj'étaisca- 
»  pable,  et  avec  tout  l'intèret  qu'il  mérite  votre  sa- 
»  vant  écrit ,  où  vous  avez  recuelli  sur  les  images 
»  en  ciré  des  anciens  Romains  une  foule  de  temoi- 
»  gnages,  qui  rendront  indispensable  l'usagede  cette 
»  dissertalion  à  ceux  qui  voudront  s'occuper  de  celle 
»  question  ,  mème  après  le  deux  mémoires  d'  Eich- 
»  staedt ,  de  imaginibus  Romanorum  :  vous  avez  fait 
»  preuve  aussi  de  beaucoup  de  savoir  dansce  qui  con- 
»  cerne  le  trait  de  coutume  si  curieux  de  l' enleve- 
»  ment  des  os  pour  un  bùi  superslilieux,  et  tout  l'en- 
»  semble  de  vos  recherches  m'à  paru  Irès-curieux, 
»  et  très  interessane  Quanl  à  la  substilulion  de  tètes 
»  de  ciré  aux  tètes  réelles,  enlevées  pour  un  molif,  ou 
»  par  un  autre,  c'est  toujours  là  que  réside  une  diffi- 
»  culté  ,  dont  il  ne  sera  peut  ótre  pas  possible  d'o- 
»  btenir  jamais  une  solution  salisfaisante,  attendu  que 
»  ce  parait  étre  un  cas  parliculier,  dù  à  quelquecir- 
»  constance  toute  exceptionelle,  et  que  nous  ne  pou- 
»  vons  guère  nous  flatter  d'éclaircir,  à  l'aide  des  te- 
»  moigaages  classiques  ,  et  des  faits  génératix ,  qui 
»  tiennent  à  l'ensemble  des  moeurs  de  la  sociélé  an- 
»  lique  »  (  Nel  nostro  opuscolo  abbiamo  ritoccato  un 
tale  argomento,  e  ci  sembra  che  col  nuovo  monu- 
mento possa  darsi  miglior  esplicamenlo  del  primo  ). 

a  Quant  à  moi,  je  n'avais  eu  d'autre  bùt  dans  les 
»  quatres  ou  cinque  pages ,  que  j'ai  redigées  à  la 
»  hàte  sur  cette  découverte  ,  que  de  la  faire  connai- 
»  tre  à  Paris  ,  et  je  seniai  aussi  bien  que  personne 
»  la  difficulté  d'  attribuer  les  squeletles  à  des  Chré- 
»  tiens.  Aussi  ne  m'  y  élais-je  point  arrelé,  et  n'ai-je 
b  pas  à  me  repenlir  de  la  reserve  ou  je  m' étais  tenu 
«  à  cet  égard  ». 

Accolga  i  miei  distinti  complimenti,  e  mi  creda 
sempre  suo  eie. 

Casa  18  Giugno  1856. 


Domenico  de'Gcidobaldi. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtàneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


TV."  92.     (18.  dell'  anno  IV.) 


Marzo   1S5G. 


Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani  Imperatori.  Continuazione  del  n.  90. 


Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani 
Imperatori.  Continuazione  del  n.  90. 

ADRIANO. 

33.  Lo  stesso  diritto  che  nel  preced.  n.  30. 

)(  COS  III,  Ercole  nudo  imberbe  con  l'iato  del  leone 
in  capo ,  sedente  sopra  una  lorica  e  lenente  colla  d.  la 
clava  posata  sopra  un  sasso,  e  colla  s.  due  obbietti  non 
ben  distinti:  a  terra,  presso  la  lorica,  giace  un  clipeo 
ed  una  galea.  Arg. 

L'Eckbel  (mus.  Caes.  n.  181  )  nella  s.  d'Ercole 
ravvisa  un  fulmine  ,  altri  ci  videro  due  spighe.  In 
due  esemplari  ben  conservati  di  questo  denario  ,  mi 
parve  veder  chiari  due  crotali  nella  s.  d'Ercole,  che 
accennerebbero  alle  Stinfalidi  discacciate  dall'Arca- 
dia, e  quindi  forse  all'acqua  del  fonte  Stinfalo  da 
Adriano  dedotta  a  Corinto  (  Pausan.  Vili ,  22  ).  Ma 
posto  eh'  ei  tenga  nella  s.  un  fulmine,  questo  sarebbe 
bisulco,  forse  perchè  il  trisulco  era  riserbato  al  som- 
mo Giove  (  Senec.  quaesl.  nat.  II  ,  41  ).  In  altre  si- 
mili monete  di  Adriano  Ercole  tiene  nella  s.  una  Vit- 
toria (mus.  Caes.  n.  182),  sì  che  l'arme,  in  sulle 
quali  egli  siede  vittorioso  ,  sarebbero  quelle  dello 
spento  Gerione  (cf.  Aen.  Vili.,  102),  e  accenne- 
rebbe alle  Spagne  ed  alla  patria  di  Adriano  parago- 
nabile ad  Ercole  in  riguardo  a'  suoi  viaggi  da  un  e- 
stremo  all'altro  dell'orbe  Romano.  Del  resto,  Ercole 
può  avere  il  fulmine  o  dal  padre  suo  Giove ,  o  dalla 
sua  protettrice  Pallade  o  dalla  Vittoria,  che  entrambe 
tengono  il  fulmine  in  monete  di  Taranto,  de'Rrettii, 
di  Siracusa  ,  de'  Reotii ,  di  Faselide  e  d' altre  città. 

34.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  31. 

)(  COS  III ,  donna  stolata  sedente ,  con  calato  ri- 

ANHO  IV. 


colmo  di  spighe  a'  suoi  piedi ,  tenente  un  cornucopia 
nella  s.  e  nella  d.  un  volume  svolto,  nel  quale  ella  mo- 
stra tener  fiso  lo  sguardo.  Arg. 

L'oggetto,  che  tiene  la  donna  nella  d.  ,  parve  al- 
l' Eckhel  (  mus.  Caes.  n.  209  )  quid  instar  litui ,  ed 
al  Pedrusi  (  mus.  Fani.  t.  Ili  lav.  II,  9  )  giogo  da  buoi; 
ma  in  un  nitido  esemplare  di  bello  stile  parmi  senza 
meno  volume  svolto,  simile  a  quello  che  tiea  nella  d. 
la  Musa  Clio  in  uno  de'  denarii  di  Q.  Pomponio  Musa 
(  v.  Rorghesi ,  Dee.  VI  oss.  1  ).  In  altro  denario  ana- 
logo di  Adriano  (mus.  Caes.  n.  210:  e  mus.  Est.  )  la 
donna  tiene  nella  d.  una  tessera  frumentaria  ;  onde 
vuoisi  dire  Annona,  o  Liberalità.  Il  volume  sarà  quello 
delle  rationes  fisci  frumentarii  (  Plin.  paneg.  29  ). 
Adriano,  a  dello  di  Sparziano  (in  Hadr.  20),  omnes 
publicas  rationes  ita  contemplati^  est,  ut  domum  pri- 
vatavi quivis  paterfamilias  diligens  non  salis  novit. 
Neil'  esergo  di  uno  di  quesli  denarii  (mus.  Est.)  è  un 
globetto  assai  vistoso  ,  forse  per  indicare  che  la  pro- 
vigione  annonaria  di  Adriano  eslendevasi  a  tutto  l'orbe 
Romano ,  del  pari  che  quella  del  suo  predecessore 
Traiano  (  Plin.  paneg.  29-32  ). 

35.  Lo  stesso  diritto  che  nel  preced.  n.  30. 

)(  COS  III ,  S  C  ,  Giove  seminudo  stante  di  pro- 
spetto con  asta  nella  d.  e  conia  s.  appoggiata  all'anca. 

Ae.  IL 

Pare  senza  meno  Giove  Imperatore,  che  similmente 
alleggiato  vedesi  in  monete  di  Siracusa ,  nelle  quali 
l'asla  del  nume  mostra  chiara  la  cuspide  nella  parte 
sua  inferiore  (  Annali  arch.  t.  XI  p.  62-72).  Sicco- 
me poi  il  lup'piter  Impcrator  de'  Latini  pare  lo  slesso 
che  il  ZsvS  OvpioS  de'  Greci ,  autore  del  veulo  pro- 
spero e  salutare  ai  naviganti,  così  può  a  ragione  con- 
getturarsi che  nelle  monete  di  Adriano  si  riferisca 

18 


138  - 


alle  sue  prospere  navigazioni  occorse  ne'  lunghi  suoi 
viaggi. 

36.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  30. 

)(  COS  III,  Sole  in  quadriga  veloce  con  lo  scudiscio 
nella  d.  alzata.  Aur. 

37.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  30. 

)(  COS  III,  Luna  bicorne  con  sette  stelle  sopr  essa, 
oppure  con  grande  astro  nel  mezzo.  Arg. 

Questi  due  tipi  correlativi  appellano  all'Oriente  ed 
al  Settentrione;  e  verisimilmente  riguardano  i  re  della 
Parlia,  della  Battriana,  degl'Iberi  e  delle  regioni  at- 
torno all' Eusino,  che  chiesero  l'amicizia  di  Adriano 
o  furono  da  esso  lui  costituiti  in  trono  (Sparf.  in  Hadr. 
12,  13,17,21:  Dio,  LXIX,15:  Arrian.  Pont.  p.7). 

38.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  30. 

)(  COS  III,  S  C,  Cetra.  Ae.  11,111. 

39.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  30. 

)(  COS  III,  S  C,  Pegaso  che  s'alza  a  volo.  Ae.  II 
La  cetra  d'Apollo  ,  ed  il  Pegaso  ,  simbolo  del  fa- 
vore delle  Muse  Pegasidi  ,  ponno  riferirsi  alla  vena 
poetica  di  Adriano  (Spart.  in  Hadr.  16,26),  oppure 
al  certame  sacro  a  Giove  Capitolino,  solito  celebrarsi 
ogni  lustro  in  Roma  con  gare  poetiche  (v.  addietro  Tra- 
iano n.  21  p.  58).  A  quel  Certame  per  certo  si  rife- 
riscono le  monetine  di  bronzo  d'Adriano  col  tipo  del 
vaso  collocato  sopra  una  mensa  (  Arneth,  synops.  n. 
255  ),  e  fors' anche  il  medaglione  con  tre  Muse  stanti 
presso  Apollo  sedente  (Arneth  n.  273).  Consta  inoltre, 
che  Adriano,  detto  Mova xoùru.ros  da  Ateneo  (Dipno- 
soph.  Vili  p.  361  )  ,  constili)!  in  Roma  ludum  inge- 
nuarum  arlium,  quod  Athenaeum  vocant. 

40.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  30. 

)(  COS  IH,  Nettuno  stante  con  piede  posato  sopra  il 
globo  terraqueo ,  o  sopra  una  prora  di  nave ,  con  asta 
nella  d.  e  con  aplustre  o  con  delfino  nella  s. 

Arg.  Ae.  I. 

Questo  tipo  assai  variato  può  riferirsi  tuli'  insieme 
alle  navigazioni  occorse  ne'  viaggi  di  Adriano  ed  alla 
Basilica  di  Nettuno  da  lui  ristaurata  (  Spart.  in  Hadr. 
19).  Allorché  il  nume  posa  il  piò  d.  sopra  il  globo 
terraqueo  (mus.  Caes.  n.  161)  sembra  rappresentalo 
come  'Aff^aXios  (cf.  Eckhel  l.  II  p.  605)  in  riguardo 
ai  gravi  tremuoli  accaduti  sotto  l'impero  di  Adriano. 


41.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  a.  30. 

)(  COS  III,  Pallade  sedente  con  ramo  nella  d.  con 
asta  nella  s.  e  col  suo  clipeo  posalo  a  terra.  Arg. 

42.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  31. 

)(  COS  III,  figura  paludata  stante  con  la  d.  alzata 
e  con  asta  riversa  nella  s.  Aur. 

11  significato  di  questi  due  tipi  di  Minerva  Pacifera 
e  di  Marte  ,  o  d' Adriano  slesso  slante  con  la  cuspide 
dell'  asta  rivolta  a  terra  ,  come  quella  di  Giove  Im- 
peratore (v.  addietro  n.  5),  forse  dee  cercarsi  in  quelle 
parole  del  secondo  Vittore  (Epit.  XIV):  Hadrianus 
iactabat  palam  ,  plus  se  olio  adeptum ,  quam  armis 
celeros. 

43.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  DACIA,  S  C, donna  vestila  di  anassiridi  e  di  so- 
pravveste che  aggiunge  al  ginocchio,  sedente  sopra  una 
rupe  con  insegna  militare  nella  d.  e  con  gladio  ricurvo 
nella  s.  Ae.  I,  IL 

11  Genio  feminile  della  Dacia  anche  in  queste  mo- 
nete porta  un  velo  avvolto  attorno  al  capo  come  in 
quelle  di  Traiano  (  v.  addietro  Trian.  n.  34  p.  63  ). 

44.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  DISCIPLINA  AVG  ,  Adriano  a  capo  scoperto, 
vestilo  di  penula  militare  colle  mani  sporte  fuor  d'essa, 
in  alto  di  marciare  alla  lesta  di  Ire  o  più  militi  por- 
tanti le  loro  insegne.  Aur.      Ae.  I 

Ai  riscontri  addotti  dall'  Eckhel  ponno  aggiungersi 
anche  i  seguenti  :  Provincia*  omnes  passibus  circumiit 
agmen  comitantium  praevertens  (Victor,  epitom.  XIV): 
ipse  quoque  inter  manipulares  vilam  militarem  magi- 
strans,  vestem  humillimam  frequenter  accepit: — capile 
nudo  et  in  summis  plerumque  pluviis  (Spart.  in  Hadr. 
10,  23).  La  forma  della  penula  di  Adriano,  che  ser- 
viva a  ripararsi  dalle  dirotte  ploggie ,  si  riscontra  in- 
dossata da  un  centurione  in  un  medaglione  di  Anto- 
nino Pio  (  Buonarroti ,  med.  tav.  Ili,  2).  In  alcune  di 
queste  monete  di  Adriano  è  scritto  DISCIPVLINA 
all'arcaica  (Vaillant  t.  I  p.  64:  cai.  d' Ennery  p.  461): 
e  cotale  arcaismo  torna  conforme  al  dello  di  Spar- 
ziano  (  in  Hadr.  16):  amavit  genus  dicendi  vetustum; 
Ciceroni  Catonem,  Virgilio  Ennium,  Sallustio  Coelium 
praetulit  (  cf.  addietro  n.  5  ). 

45.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  13. 


—  130  - 


)(  EXPED  AVG  P  M  TR  P  COS  III,  S  C,  Adriano 
a  cavallo  di  tutta  corsa  con  la  d.  stesa.  Ae.  1. 

L'epigrafe  del  ritto  mostra  che  questa  moneta  spetti 
ai  primi  anni  dell'  impero  di  Adriano  ,  e  probabil- 
mente al  119,  nel  quale  egli,  audito  tumuliti  Sar- 
malarum  et  Iìoxolanorum.praemissis  cxercilibus,  Moe- 
siam  petiil  (  Spart.  in  Hadr.  6  ).  In  altre  monete  di 
Adriano  ,  con  lo  stesso  riverso  ,  leggesi  nel  ritto  la 
semplice  epigrafe  HADRIAN VS  AVGVSTVS;  ed  esse 
voglionsi  riportare  a  qualche  spedizione  posteriore  di 
tempo.  Sparziano  scrive,  che  expedilioncs  sub  co  gra- 
ves  nullac  fuerunl ,  ma  prima  avea  detto,  ch'egli  mo- 
tus  Maurorum  compressi!  (  in  Hadr.  IO,  21  ):  e  Del- 
l' epitafio  di  M.  lìlpio  Sinforo  di  que' tempi  trovansi 
ricordate  EXPED1TIONES  DVAE  GALLIAE  ET 
SYRIAE(Orelli  n.8'25:ef.  Bull. ardi.  1851  p.  140). 
46.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  30. 
)(  FELICITATI  AVG,  COS  III  PP,  trireme  con 
due  insegne  militari,  e  con  remiganti  e  piloto  alla  poppa 
e  Tritone  in  sulla  prora  in  atto  di  dar  fiato  ad  una 
buccina.  Arg.      Ae.  I. 

11  Tritone ,  che  non  trovo  adertilo  che  dal  solo 
Kehl  (  Suppl.  ad  Vaili,  p.  69  ) ,  suona  la  buccina  per 
cessare  i  venti  e  la  tempesta  (cf.  Ovid.  melam.  1 ,  333: 
Virg.  Aen.  I,  144:  Turneb.  advers.  II,  21  ). 

Nel  riverso  di  un  medaglione  di  Adriano  impron- 
talo dai  Ciziceni  (  mus.  Hederv.  tab.  XX  n.  446  )  at- 
torno ad  una  trireme  con  Tritone,  parimente  bucci- 
nante d'in  su  la  prora, leggesi  CTTTXHCTA TOT  C€B 
(cf.  Greppo  p.  161  ).  Dal  riscontro  poi  di  questo  ri- 
verso con  altro  simile  di  M.  Aurelio,  ove  peraltro  al 
Tritone  è  sostituito  Nettuno  (  Eckhel  t.  VII,  p.  64  ), 
ragionevolmeule  può  inferirsi,  che  anche  Adriano  ne' 
suoi  viaggi  per  mare,  e  più  probabilmente  nella  Pro- 
ponlide,  felicemente  scampasse  da  una  forte  tempesta. 
47.  Lo  slesso  riverso  che  nel  prec.  n.  4. 
X  FIDES  PVBLICA  ,  donna  stolala  stante  con  al- 
cune spighe  nella  d.  e  con  un  piallo  ricolmo  di  frutti 
e  d' altri  comestibilì  nella  s.  alzata.  Arg.  Ae.  I. 

Per  Fede  pubblica  pare  doversi  qui  intendere  la  fi- 
ducia che  il  popolo  Romano  poneva  ne'  provvedi- 
menti di  Adriano  riguardo  all'annona  e  persino  alla 
sincerila  delle  vivande. 


Egli  pueris  ac  puellis ,  quibus  ctiam  Trainimi  ali- 
menta detulcrat ,  incrementum  lìbcralitalis  adiccit ,  e 
provvide  a  tulli  in  tempo  di  carestia  (Spart.  in  Hadr. 
7,21  ).  Traiano  avea  provveduto  all'annona  perpe- 
tua ,  reperto  firmaloque  pislorum  collegio  (  Victor  in 
Cacsarib.  XII l):  e  Adriano  fu  sollecito  persino  ad  de- 
prehendendas  obsonatorum  fraudes  (  Spart.  in  Hadr. 
17).  A  quel  provvedimento  cooperar  dovette  anche 
Plotina  ,  nelle  cui  monete  ricorre  lo  stesso  tipo  con 
l'epigrafe  FIDES  AVG  VST.  In  monete  di  Vespasiano 
(Morelli  lab.  Vili,  16)  leggesi  FIDES  PVB//ca  at- 
torno al  tipo  di  due  destre  conserte  e  sostenenti  un 
caduceo  con  alcune  spighe.  Il  tipo  di  queste  monete 
di  Adriano  ricorre  anche  in  parecchie  gemme  incise 
(v.  Visconti ,  op.  var.  part.  II.  p.  235  ,  236 ,  349, 
376),  e  in  una  corniola  che  non  ha  molto  si  rinvenne 
in  sulla  via  Emilia  presso  alla  riva  sinistra  del  Panaro, 
la  quale  era  inserta  in  un  anello  di  ferro. 

48.  HADR1ANVS  AVGVSTVS  P  P ,  testa  lau- 
reala. 

X  FOR  RED,  COS  III,  Fortuna  sedente  con  timone 
di  nave  nella  destra  e  con  cornucopia  nella  sinistra. 

Arg.  Ae.  1,11. 

A  questo  lipo  fa  bel  riscontro  la  seguente  iscrizione 
votiva  del  museo  Vaticano  (Marini,  Arv.  p.  191): 

PRO  • SALVTE  •  IMPERAT 
HADRIANI  •  AVG  •  P  •  P  • 
FORTVN  ■  RED  •  DECRETO  •  C  •  V  • 
PEC  •  PVB  •  EX  •  ARG  ■  P  •  X  • 

Le  sigle  C  ■  V  vogliono  spiegarsi  Centum  \irnm 
col  Furlanetlo  (  lap.  Patav.  p.  XXII) ,  anzi  che  Ci- 
vium  \niversorum  col  Marini.  I  centumviri  di  una  co- 
lonia o  municipio  del  Lazio  avranno  dedicato  un  si- 
mulacro della  Fortuna  Reduce  probabilmente  simile 
a  quello  che  vedesi  nella  medaglia  ;  ed  altro  di  vie 
maggior  peso  sarà  stato  dedicalo  in  Roma  pel  ritorno 
di  Adriano. 

49.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

X  FORTVNA  ,  SPES  ,  Fortuna  stante  con  cornu- 
copia nella  s.  e  con  limone  di  nave  nella  d.  posato  so- 
pra il  globo  della  terra,  in  alto  di  riguardare  la  Spe~ 


—  140  - 


ranza  che  le  si  accosta  tenendo  nella  d.  un  fiore  o  ger- 
me che  dir  si  voglia.  Aur. 

Fra  le  (ante  Fortune  adorale  in  Roma  gentile  una 
ve  u'  ebbe  denominata  Benesperante,  E/vskiriS  (  Plut. 
de  Fort.  Rom.  10)  :  e  verisimilmente  sarà  stala  rap- 
presentata in  compagnia  della  Speranza  come  nel  pre- 
sente aureo  di  Adriano,  ove  probabilmente  si  riferi- 
sce alle  buone  speranze  di  esso  lui  e  di  Roma  con- 
cepite per  l'adozione  di  Elio  Cesare,  nelle  cui  monete 
(  mus.  Caes.  n.  27  ,  28  )  ricorre  lo  stesso  tipo  della 
Fortuna  consociala  alla  Speranza  (cf.  Liebe,  Gotha 
man.  p.  442:  Vaillant  t.  11  p.  143).  Con  questo  tipo 
vuoisi  confrontare  il  bassorilievo  di  un'ara  del  museo 
Chiaramonti  (lav.  XX)  rappresentante  similmente  la 
Fortuna  e  la  Speranza  che  si  stanno  di  rincontro 
presso  un  candelabro  ardente. 

50.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  48. 

)(  IIILAR1TAS  P  R,  COS  IH,  S  C,  donna  stellata 
stante  con  lungo  ramo  di  palma  posato  a  terra  nella  d. 
e  con  cornucopia  nella  s.  e  presso  lei  un  fanciulletto 
ignudo  che  con  ambe  le  mani  si  attiene  al  ramo  di  pal- 
ma, ed  una  fanchdlelta  tunicata  che  attiensi  alle  vesti 
della  donna.  Ae.  I. 

Non  potea  forse  escogitarsi  imagine  più  vivida  e 
propria  dell'  ilarità  del  popolo  Romano  di  questa  de' 
fantolini  che  stansi  attorno  alla  lor  madre  ansiosi  di 
gustare  i  frutti  ch'ella  porta  nel  cornucopia.  Ancora 
l' ilarità  è  tutta  propria  dell'  età  puerile,  conforme  al 
detto  di  un  antico  scrittore  (  Panegyr.  vet.  V  cap.  6  )  : 
curiose  ab  H1LARITATE  illius  aelatis  (puerilis)  vul- 
tus  immobiles  et  serios  eligendo.  Il  ramo  di  palma , 
simbolo  della  vittoria,  accenna  alla  massima  delle  le- 
tizie di  quaggiù,  che  quella  del  vincitore (Isaias,  IX, 
3  :  sicul  exultant  victores ,  capta  praeda,  quando  di- 
vidimi spolia.  Quindi  il  figliuolino  maschio  si  attiene  al 
ramo  della  palma;  laddove  la  feminetta  attiensi  alle  vesti 
della  madre  perchè  la  massima  ilarità  del  debil  sesso 
viene  dalle  carezze  e  dagli  abbigliamenti ,  come  tro- 
vasi espresso  vie  più  chiaramente  nel  seguente  tipo. 

51,  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  13. 

)(  HILAR  PRPMTRP  COS  III,  donna  notala 
stante  di  prospetto  in  atto  di  acconciarsi  un  velo  d'ab- 
bigliamento in  capo.  Arg. 

52.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  fi.  4. 


)(  LIBERAL1TAS  AVG  VI,  donna  stante  con  les- 
serà nella  d.  alzata  e  con  cornucopia  nella  s.        Arg. 

53.  Altre  simili  con  LIBERAL1TAS  AVG  VII. 

Aur.  Arg. 
L'Eckhel  opina,  che  la  LIBERAL1TAS  VII  sia 
quella  che  Adriano  elargì  per  l'adozione  di  Elio  Ce- 
sare dispensando  l'ingente  somma  di  trecento  milioni 
di  sesterzi  ;  ma  quella  forse  fu  la  VI ,  e  questa  VII 
probabilmente  spetta  all'  adozione  di  Antonino  Pio. 

54.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  ».  3. 

)(  LIBERTAS  REST1TVTA  ,  PONT  MAX  TR 
POT  COS  III ,  SC,  Adriano  togato  sedente  in  sub- 
sellio  (  quale  tribuno  della  plebe  )  sopra  il  tribunale  in 
alto  di  stendere  la  d.  verso  una  donna  slolata  stante 
appiè  del  tribunale  col  piede  suo  s.  posato  sopra  uno 
sgabello,  tenendo  due  figliuolini ,  uno  in  collo,  che 
stende  festoso  ambe  le  sue  manine  verso  V  Imperatore  , 
ed  altro  prelesiato  che  le  sta  di  lato,  al  quale  ella  pone 
la  destra  sopra  il  capo.  Ae.  I. 

L'Eckhel  ingenuamente  confessa  di  non  trovare  ri- 
scontro veruno  di  antichi  scrittori  ,  onde  spiegare 
questo  riverso  ;  eppure  parmi  che  la  spiegazione  di 
esso  trar  si  possa  dalle  seguenti  parole  di  Plinio  (  in 
paneg.  Tr.  e.  27):  magnum  quidem  est  educandi  in- 
cilamenlum  tollere  liberos  in  spem  alimentorum ,  in 
spem  congiariorum,  nìaius  tamen  in  spem  LIBERTA- 
TIS,  in  spem  securilalis.  D'altra  parte  poi  consta, 
che  Adriano  pueris  et  puellis,  quibus  etiam  Traianus 
alimenta  detulerat ,  incrementum  liberalitatis  adiecit 
(  Spart.  in  Hadr.  7  ). 

55.  IMP  CAESAR  TRAIANVS  HADRIANVS 
AVG  PMTRP  COS  IH ,  busto  laureato. 

)(  LOCVPLETATORI  ORBISTERRARVM,  S  C, 
Adriano  togato  sedente  in  sella  curule  sopra  il  tribu- 
nale con  a  lato  la  liberalità  che  dal  cornucopia  versa 
le  dovizie  nel  seno  di  due  cittadini  togati  Manli  appiè 
del  tribunale. 

Al  riverso  di  questa  moneta  fa  bel  riscontro  una 
lapida  del  museo  Vaticano  dedicata  (  Morcelli  oper. 
epigraph.  t.  II  p.  68  )  : 

HADRIANO  SABINAE 

AVGVSTO  COSHIPP  AVGVSTAE 
LOCVPLETATORIBVS  MVNICIPII 
EX    D    D  PVBLICE 


—  141  _ 


E  ciò  enei  fece  a  prò  di  quel  municipio,  avrà  fatto 
anche  in  parecchie  altre  città  dell'  impero,  conforme 
al  detto  di  Frontone  (princìp.  hist.  p.  317):  eiusili- 
nerum  monumenta  videas  per  plurimas  Asiae  atque 
Europae  urbes  ,  et  regum  .  .  . 

56.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  MONETA  AVG,  donna  stante  con  bilancia  nella 
d.  e  con  cornucopia  nella  s.  Arg.  Ae.  I. 

Adriano  vien  detto  da  Eutropio  (Brev.  hist.  li. 
Vili ,  7  )  diìigentississimus  circa  aerarium. 

57.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  PIETAS  AVG  ,  S  C,  donna  velata  stante  presso 
un'ara  a  braccia  aperte  con  cicogna  a' suoi  piedi.  Ae.I. 

La  cicogna  ,  simbolo  ben  noto  della  pietà  filiale  , 
appella  al  tempio  del  Divo  Traiano  ,  che  dicesi  fosse 
il  solo,  nel  quale  Adriano  nomen  suum  scripsit  (Spari. 
in  Hadr.  19). 

58.  Lo  stesso  diritto  che  nel  preced.  n.  13. 

)(  P  M  TR  P  COS  III,  tempio  distilo,  entro  il  quale 
slassi  Ercole  nudo,  lenendo  nella  d.  la  clava  posata  a 
terra,  di  mezzo  a  due  donne  stolate,  che  ambedue  sem- 
brano essere  in  animato  discorso  con  esso  lui,  ed  egli 
mostra  attendere  dì  preferenza  a  quella  che  gli  riesce 
alla  s.  riguardandola  e  stendendo  verso  a  lei  la  mano: 
al  disotto  del  tempio  è  V  Oceano  adagialo  a  guisa  di 
Genio  di  fiume.  Aur. 

L'Eckhel  (t.  VI,  p.  506)  ravvisò  in  questo  insi- 
gne tipo  l'Ercole  Prodicio  stante  di  mezzo  alla  Virtù 
ed  alla  Voluttà,  ciascuua  delle  quali  si  studia  di  trarlo 
a  sé  con  le  promesse,  ed  egli  si  risolve  a  seguire  la 
Virtù  laboriosa  ;  ravvisando  in  questa  allegoria  una 
imagine  de' faticosi  viaggi  di  Adriauo  da  un  confine 
all'altro  dell'impero.  Il  eh.  Welcker  (annali  ar eh. 
t.  IV  p.  391-393)  aggiunse  alcune  belle  osservazioni 
a  conferma  della  sentenza  dell'Eckhel,  collaudata  an- 
che dal  Mùller  (Handbuch  §  411  ,  6):  ma  in  ap- 
presso il  Millingen  (annali  ardi.  t.  VI  p.  335-338) ,. 
esclusa  quella  interpretazione,  volle  riconoscervi  an- 
che l' Ercole  Gaditano  stante  di  mezzo  a  due  delle 
ninfe  Esperidi ,  e  fu  collaudato  dallo  stesso  Raoul- 
Rochette  (Herc.  assyr.  p.  167).  Fra  queste  due  di- 
verse interpretazioni ,  entrambe  plausibili  e  patroci- 
nate da  nomi  chiari  ed  autorevoli,  altri  può  rimanersi 


in  forse ,  come  già  Ercole  al  bivio  ;  ma  pure  ,  pon- 
derata bene  ogni  ragione,  non  saprei  altrimenti  disco- 
starmi dalla  felicissima  spiegazione  dell'  Eckhel  ,  la 
quale  ora  può  convalidarsi  col  riscontro  di  un  basso- 
rilievo di  subbietto  analogo  (Bull.  ardi.  1851  p.  128). 
Aggiungasi,  che  a' giorni  di  Adriano  l'allegoria  di 
Ercole  al  bivio  era  sulle  bocche  di  tutti  (Iuvenal.  sai. 
X  ,  361-364)  ;  con  che  si  ovvia  alla  difficoltà  oppo- 
sta dal  Millingen,  che  le  arti  antiche  cioè  ben  di  rado 
trattarono  subbielti  allegorici.  Inoltre  questa  obbie- 
zione togliesi  di  mezzo  col  riscontro  d'  altra  moneta 
di  Adriano  con  tipo  evidentemente  allegorico  (v.  ap- 
presso r.  66  ). 

La  piccola  scalea  ,  che  in  altri  simili  aurei  di  A- 
driano  (Annali  ardi.  t.  IV  tav.  agg.  F)  vedesi  sot- 
t' esso  il  prospetto  del  delubro  d'Ercole  Gaditano, 
pare  senza  meno  quella  ricordata  da  Polibio  (  ap. 
Strab.  Ili  p.  172),  per  la  quale  si  discendeva  al  fonte 
che  dice  vasi  consenziente  ai  moti  dell'  Oceano  occi- 
dentale, la  cui  testa  vedesi  sola  emergere  da  lato  alla 
scalea  medesima  (  v.  Cavedoni  spicil.  num.  pag.  6  ). 
Del  resto,  l'Oceano  ben  si  connette  con  Ercole,  che 
usque  ad  Oceanum  lanlus  et  tam  praesens  habetur  deus 
(Cic.  Tuscul.  1  ,  12)  ,  e  con  Adriano  altresì  nato  di 
madre  Gaditana  (Spart.  in  Hadr.  1),  ed  assomigliato 
ad  Ercole  medesimo. 

59.IMPCAESARTRAIAN  HADRIANVS  AVG, 
testa  laureata. 

)(  P  M  TRP  COS  III,  Fortuna  stante  con  timone 
di  nave  nella  d.  e  con  cornucopia  nella  s.  in  alto  di 
appoggiarsi  col  gomito  ad  una  colonnella.  Arg. 

Forse  dir  potrebbesi  Fortuna  Manente  ,  se  questa 
non  fosse  figurata  in  altro  modo  in  monete  di  Com- 
modo (Eckhel  t.  VII  p.  115).  Meglio  potrà  chiamarsi 
Fortuna  secura ,  perchè  la  colonnetta  suol  servire  di 
appoggio  alla  Securitas. 

60.  Lo  stesso  diritto  che  nel  preced.  n.  4. 

)(PROVIDENTIA  AVG.SC,  donna  siolala  stante 
con  piccola  verga  nella  d.  stesa  verso  il  globo  della  terra 
posto  a'  piedi  di  lei,  e  con  asta  nella  s.  Ae.  I. 

Adriano  compensar  soleva  i  gravi  suoi  vizii  e  difetti 
segnatamente  con  la  sua  premurosa  provvidenza  (Dio, 
LX1X,  5  ).  La  piccola  verga  posta  in  mano  alla  Pro 


142  — 


videntia,  a  parere  del  Marini  (Arv.  p  80),  è  forse 
la  virgula  divina  (alilo  famigerata  presso  gli  antichi 
(cf.  Forcellinis.  i>.  V1RGVLA). 

61.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prcc.  n.  55. 

X  PRO  VIDENTIA  DEORVM  ,SC,  Adriano  to- 
gato stante  con  volume  nella  s.  e  con  la  d.  e  gli  occhi 
rivolli  verso  un  aquila ,  che  si  cala  volando  dall'alto  e 
stringe  fra  gli  artigli  uno  scettro.  Ae.  I,IL 

11  tipo  dimostra  come  Adriano  riconosceva  dalla 
Previdenza  degli  dei,  e  segnatamente  dal  sommo  Giove 
la  sua  podestà  imperatoria.  Un  tipo  in  parte  simile 
ricorre  anche  in  monete  di  M.  Bruto  (v.  Caved.  ap- 
pcnd.al  saggio p.  116).  Ai  riscontri  addotti  dall'Eckhel 
vuoisi  aggiungere  quella  sentenza  di  Plinio  riguardo 
all'  adozione  di  Traiano  (paneg.  1):  non  enim  occulta 
polestate  fatorum,  sed  ab  10VE  IPSO  corani  ac  pa- 
lam  reperlus  est;  e  l'altra  del  Glosofo  M.  Aurelio  (ap. 
Dionem  LXXI,  3)  irip\  yò.p  <rr,s  a<rrapxi«s  O  ©EOS 
MONOX  xptYuv  ììvm.ra.1.  In  una  moneta  analoga  di 
Pertinace  (Eckhel  t.  VII  p.  144)  la  PRO  VIDENTIA 
DEORVM  è  rappresentata  da  una  donna  in  atto  di 
accogliere  con  ambe  le  mani  stese  un  globo  che  le 
viene  calato  dall'  alto. 

62.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  3. 

)(  PVDIC,  P  Si  TR  P  COS  IH,  donna  velata  stante 
con  la  d.  nascosta  entro  il  suo  manto.  Arg. 

La  Pudicizia ,  più  di  sovente  lodala  nelle  donne 
Auguste  ,  trovasi  pur  talor  commendata  anche  nella 
persona  degli  Augusti  ,  siccome  in  Antonino  Pio 
(Fronto,  fer.  Als.  epht.  3)  assai  meglio  che  nell'im- 
pudico Adriano. 

63.  Diritto  incognito. 

)(  ROMA  AETERNA ,  Roma  sedente  che  tiene  nella 
d.  la  testa  del  Sole  e  quella  della  Luna  nella  s.    Aur. 

Le  leste  del  Sole  e  della  Luna  ,  noto  simbolo  della 
Eternità  ,  d' origine  orientale  ,  forse  appellano  anche 
al  divisamento  di  Adriano ,  che ,  quum  simulacrum 
(colossi)  post  Neronis  vultum ,  cui  anlea  dicatum  fue- 
rat ,  SOLI  consecrasset ,  aliud  tale ,  Apollodoro  archi- 
tecto  auctore ,  facere  LVNAE  molitus  est  (Spari,  in 
Hadr.  19  ). 

64.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  59. 

)(  SAEC.  AVR,  P  M  TR  P  COS  IH,  figura  senile 


seminuda  stante  con  globo  sormontato  dalla  Fenice  nella 
s.  in  atto  di  attenersi  con  la  d.  ad  un  grande  cerchio 
che  le  gira  attorno.  Aur. 

La  Fenice,  che,  a  parere  del  Cuvier  (ad  Plin.  X, 
2),  altro  non  era  che  il  fagiano  di  color  d'oro  della 
China  ,  insignita  auri  fulgore  circa  colla ,  veniva  ad 
essere  ,  anche  a  questo  riguardo ,  simbolo  assai  pro- 
prio e  conveniente  SAECm/j  AVRei. 

65.  Diritto  ignoto. 

)(SPQRANFF  HADRIANO  AVG  P  P,  op- 
pure OPT1MO  PRINCIPI ,  scritto  entro  una  laurea. 

Ae.  I. 

Adriano  ,  che  in  ludo  studiavasi  d'imitare  Augu- 
sto ,  forse  alle  calende  di  Gennaio  (nelle  quali  rin- 
novava le  sue  tribunicie  podestà)  ricevea  dalla  plebe, 
per  strenna  ,  questi  sesterzi  di  rame  fatti  imprimere 
dui  senato  per  augurargli  Annum  Novum  Fauslum 
Yelicem  (cf.  Sueton.  in  Aug.  91,  in  Cai.  42).  Del 
resto  ,  intorno  a  queste  acclamazioni  è  da  vedersi 
quanto  ne  scrisse  il  eh.  Minervini  (Bull.  Napol.  ser.  I 
an.  Il  p.  140:  an.  IV  p.  80). 

66.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  S  C,  figura  militare  stante  con  asta  nella  d.  e  con 
parazonio  nella  s.  in  atto  di  conculcare  col  pie  s.  un 
crocodilo.  Ae.  1. 

Il  crocodilo  incatenato  ad  un  arbore  di  palma  nelle 
monete  di  Nemauso  è  simbolo  dell'  Egitto  debellato 
da  Ottaviano  e  da  M.  Agrippa  (  Eckhel  l.  I  p.  70). 
Nelle  sante  Scritture  (  cf.  Rosenmùller  ad  Ezech. 
XXIX,  3  )  il  crocodilo  simboleggia  la  tracotanza  de' 
Faraoni;  e  ne' geroglifici  (Horapoll.  I,  67)  significa 
uomo  furibondo.  In  queste  rare  monete  di  Adriano 
(  Mus.  Caes.  540  cf.  588  ;  Vaillant  t.  I  p.  67)  per- 
tanto la  figura  armata,  che  preme  col  pie  s.  un  cro- 
codilo, sembra  rappresentare  Adriano,  che,  sempre 
pronto  alla  difesa  con  gli  agguerriti  suoi  eserciti,  potè 
con  una  semplice  lettera  reprimere  una  grave  sedi- 
zione insorta  in  Alessandria  dell'Egitto  (v.  Mai,  Script. 
Vatic.  t.  II  p.  22 1  :  cf.  Giorn.  Arcad.  t.  XLH  p.  181). 
Questa  sedizione  par  diversa  da  quella  che  accadde 
all'apparizione  del  bue  Api  (Spart.  in  Hadr.  12); 
poiché  la  moneta  dev'essere  posteriore  all'anno  128, 
nel  quale  Adriano  accettò  l'offertogli  titolo  P  P.  Del 


—  1 13  — 


resto,  questo  tipo  simbolico  (ornava  vie  più  calzante 
in  riguardo  alla  credenza  volgare,  che  il  crocodilo  si 
rimanesse  immobile  a  pena  che  toccato  fosse  dall'ala 
dell' ibi  (Horap.  II,  81). 

67.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  S  P  Q  R  EXSC,  tempio  decastilo ,  con  quat- 
tro statue  collocale  dinanzi  ad  esso,  ed  altre  nel  fasti- 
gio ;  e  con  un'alta  colonna  portante  una  statua  da  cia- 
scun lato  del  tempio.  Ae.  m.  m. 

L'avviso  del  Buonarroti  (med.  p.  12),  che  sia 
questo  il  celebre  tempio  dedicato  a  Venere  e  Roma, 
d'invenzione  e  disegno  di  Adriano  stesso,  si  conforta 
di  mollo  pel  riscontro  di  un  bassorilievo ,  scopertosi 
in  Roma  nel  1819,  rappresentante  il  prospetto  di  un 
tempio  decastilo  d' ordine  corintio  con  bassorilievo  nel 
timpano  rappresentante  la  nascita  e  /'  infanzia  di  Ro- 
mulo  (R.  Hochelte mon.  inéd.  pi.  Vili  p.  35:  cf.  Giorn. 
Arcad.  t.  Vili  p.  236  :  Canina  ,  edifizj  di  Rom.  ant. 
t.  I  p.  94  segg.  ).  La  difficoltà  proposta  dall'  Eckhel 
e  dedotta  dall' EX  S  C  ,  può  forse  escludersi  osser- 
vando, che  Adriano  nulla  intraprese  di  rilevante  senza 
consultare  il  senato  (  Dio  ,  LXIX  ,  7  ). 

68.  HADRIANVS  AVG  COS  III  P  P  ,  testa  lau- 
reala. 

X  VICTORIA  AVG,  donna  alata  slolala  incedente, 
che  con  la  d.  si  solleva  la  veste  d' in  sul  petto  osten- 
tando il  cubito,  e  tiene  un  ramo  frondulo  nella  s.  ab- 
bassata. Arg. 

E  questa  la  Vittoria-Nemesi ,  o  sia  Ullrice ,  che 
nella  s.  tiene  un  ramo  di  pomo ,  non  già  di  frassino , 
come  per  abbaglio  scrisse  1'  Eckhel  (t.  II,  p.  551  ); 
e  par  riferirsi  alla  vendetta  dell'armi  Romane  sopra 
i  Mauri  sollevali ,  ovvero  alla  vie  più  atroce  sopra  i 
Giudei  ribellati. 

69.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  4. 

)(  VOT  PVB ,  Genio  del  Senato  Romano  barbato 
togato  con  la  d.  stesa  e  con  lo  scettro  nella  s.  e  Genio 
del  Popolo  Romano  seminudo  con  patera  nella  d.  e  con 
cornucopia  nella  s.  stanti  presso  un'ara  accesa.     Aur. 

La  figura  ,  che  parmi  senza  meno  del  Genio  del 
Senato  (v.  il  prec.  n.  31) ,  parve  Giove  al  Vaillanted 
all' Eckhel  (mus.  Caes.  n.  582)  ed  Esculapio  al  Le- 
normant  (trésor,  Emper  pi.  XXXI,  10).  La  denomi- 


nazione da  me  proposta  si  rende  poi  ccrla  pel  riscon- 
tro di  un  medaglione  di  Adriano  medesimo  con  tipo 
simile  accompagnato  dalla  scritta  SENATVSPOPV- 

LVSQ  •  ROM VOTA  SVSCEPTA  (  Mionnct , 

rar.  t.  I,  p.  195:  Vaillant  t.  III,  p.  217).  Questi 
Voti  poi,  falli  dai  Genii  del  Senato  e  del  Popolo  Ro- 
mano, saranno  stali  concepiti  PRO  REDtta  (  cf.  cai. 
d'Enncry  p.207,  n.214:  Reme  num.  t.VIII,  p.153), 
overo  per  la  salute  di  Adriano  lungamente  infermo 
negli  ultimi  anni  del  suo  impero. 

70.  Difillo  ignoto. 

)(  VENERI  GENETRICI,  Venere  stante  con  Vitto- 
ria tropeofora  nella  d.  e  con  asta  e  clipeo  nella  s.       Aur. 

Parmi  aver  comprovato,  che  fino  da' tempi  di  Giu- 
lio Cesare  in  Roma  (ornava  lo  stesso  il  chiamare  Ve- 
nere Genelriceo  Vincitrice  {v.appeml.  al  saggio  p.l  13). 


Monete  di  modulo  Massimo. 


La  grandezza  ed  il  peso  de*  medaglioni,  venirli  in 
uso  a'  lempi  di  Adriano  ,  ne  rende  vie  più  chiaro  il 
senso  di  quelle  parole  di  Capilolino  intorno  alle  sgua- 
iataggini di  L.  Vero  ,  che  ,  vagando  di  notte  tempo 
per  Roma,  iaciebal  et  NVMMOS  in  popinasMAXI- 
MOS,  quìbus  calices  frangerei  (in  Vero  e.  4).  E  pare 
che  i  medaglioni  servissero  luti'  insieme  di  donativo 
e  di  moneta  corrente;  poiché,  ad  esempio,  quello  di 
Adriano  con  la  DECVRSIO  pesa  45  grammi ,  cor- 
rispondenti al  peso  e  valore  di  un  sesterzio  e  mezzo, 
ossia  a  sei  assi  imperiali. 

71.  HADRIANVS  COS  III,  busto  laurealo  e  pa- 
ludato. 

)(  Clipeo ,  anzi  tutto  il  medaglione  fallo  in  forma 
di  clipeo.  Ae.  m.  m. 

Il  Buonarroti  opina  ,  che  questo  medaglione  rap- 
prescnti  un  clipeo  od  imagine  clipeata  ,  in  onore  di 
Adriano  ,  per  la  sua  moderazione  e  civiltà  (med.  p. 
8-12)  ;  ma  l'indizio  della  lorica  e  del  paludamento 
mostra  che  sia  più  presto  clipeus  ì'irlulis,  per  pareg- 
giarlo anche  in  questo  ad  Auguslo  (  cf.  annali  arch. 
t.  XXII,  p.  191-192).  Adriano  riprodusse  in  un  suo 


-  14  V  - 


quinario  ancbe  il  Capricorno  segno  natalizio  di  Au- 
gusto medesimo  (  Khell ,  suppl.  ad  Vaili,  p.  67  ). 

72.  Diritto  incognito. 

)(  Apollo  ignudo  con  la  clamide  raccòlta,  stante 
presso  un  tripode  con  ramo  nella  d.  e  con  arco  nella 
s.  di  retro  a  lui  un  arbore  d' alloro  con  presso  uua 
mensa,  sopra  la  quale  è  posata  una  diota.  JE.  ni.  m. 

A'  (empi  di  Adriano  fuerunt  fames ,  peslilentiae  , 
terraemotus  ;  quae  omnia ,  quantum  poluit ,  procura- 
vi t  (  Spart.  in  Hadr.  21  ).  Apollo  pertanto  può  dirsi 
iu  atto  di  espiare  que'  mali,  e  segnatamente  la  pesti- 
lenza ;  ed  Adriano  forse  ne  dedicò  il  simulacro  ac- 
compagnato dal  diletto  suo  arbore  dell'  alloro,  come 
leggesi  avere  adoperato  i  Metapontini  (  cf.  Carellii 
tal).  CLV).  La  mensa  indicherà  i  ludi  Apollinari  od 
altri  celebrati  per  cessare  la  pestilenza  (cf.  Liv.  VII, 
2  :  XXVII  ,  23  ).  A  Diana  placata,  che  insieme  con 
Apollo  invocavasi  in  tempo  di  pestilenza,  riferir  po- 
trebbesi  il  tipo  della  dea  rappresentala  stolata  e  pla- 
cida stante  con  saetta  nella  d.  abbassata  e  con  arco 
nella  s.  posato  a  terra  (mus.  Caes.  n.  545).  Nettuno 
Asfalio,  col  pie  d.  posato  sopra  il  globo,  appella  alla 
cessazione  de'  tremuoti  (v.  il  prec.  n.  40). 

73.  Diritto  incerto. 

)(  Bacco  ed  Arianna  sonante  la  lira  in  carro  tiralo 
da  una  pantera  e  da  una  capra  cavalcata  da  un  A- 
morino  sonante  la  doppia  tibia.  JE.m.m. 

Le  due  figure  sedenti  in  carro  trionfale  son  dette 
di  Apollo  e  di  Bacco  dal  Vaillant  (num.  praest.  t.  Ili 
p.l  19),  e  dal  Mionnet  (rareté  t.  I  p.  195)  ;  ma  pel  ri- 
scontro di  alcune  monete  di  Traili,  di  Eumenia  e  di 
Laodicea  (Millingen,  sylloge  p.  80)  chiaro  si  pare  che 
la  figura  in  veste  feminile  sonante  la  cetra  si  è  Arian- 
na o  Cora  (cf.  Mùller  ,  Handbuch  §.  384).  Adriano 
si  prese  tanta  cura  delle  antiche  ceremonie  sacre  , 
adeo  ut  inilia  Cereris  Liberaeque  Atheniensium  modo 
Roma  percolerei  (Victor  in  Caesarib.  XIV:  Dio,  LXIX, 
16,  cf.  Franz,  eleni,  epigr.  Gr.  p.  260,  n.  104).  Altri 


potrebbe  pur  sospettare ,  che  in  questo  riverso  siano 
figurali  Adriano  e  Sabina  ,  in  sembianza  di  Bacco  e 
di  Arianna,  di  ritorno  dall'Oriente.  Del  resto  il  suo- 
no della  lira  e  delle  tibie  confronta  col  detto  di  Fron- 
tone (de  fer.  Als.  episl.  3),  che  chiama  Adriano  mo- 
dulorum  et  libicinum  studio  decinctum. 

74.  Diritto  incognito. 

)(  COS  III  P  P ,  donna  seminuda  sedente  in  alto  di 
accostarsi  la  d.  al  capo ,  e  di  appoggiarsi  col  gomito 
s.  ad  un  cornucopia;  con  serpe  che  dinanzi  a  lei  s'er- 
ge in  sulle  sue  spire,  JE.m.xa. 

In  questo  tipo  così  descritto  dal  Vaillant  (t.  III.  p. 
115  :  cf.  Mionnet ,  rar.  p.  194)  vorrei  ravvisare  la 
Buona  Dea  ,  che  similmente  atteggiata  e  tenente  un 
corno  ricorre  in  monete  di  Pesto  (Eckhel  t.  Ip.  158), 
sapendo  d'  altra  parte  come  Adriano  aedem  Bonae 
Deae  iranslulit  (Spart.  in  Hadr.  19). 

75.  Diritto  incerto. 

)(  Scrofa  con  un  branco  di  porcelh'tti  poppanti  stan- 
te sotto  un  arbore.  jE.m.m. 

L'editore  del  Vaillant  (t.  Ili  p.  117)  nonsocome 
dir  potesse  la  scrofa  stante  sub  fìcu  ruminali. Quell'ar- 
bore sarà  anzi  un'  elee,  conforme  al  presagio  del  pa- 
dre Tiberino  ad  Enea  (  Aen.  Vili  ,  43  :  cf.  Eckhel 
t.  VII  p.  31): 

Liltoreis  ingem  inventa  sub  ilicibus  sus 
Triginla  capilum  foetus  enixa  iacebit. 

Adriano  con  questo  ed  altri  tipi  riguardanti  le  origi- 
ni di  Boma  preludeva  in  certo  modo  alla  lunga  e  bella 
serie  delle  medaglie  di  Antonino  Pio  spettanti  alle  o- 
rigini  medesime,  in  una  delle  quali  è  rappresentata 
anche  la  fondazione  d' Alba  Longa  e  la  scrofa  che  ne 
porse  il  presagio  ad  Enea. 


(continua) 


Cavedom. 


Giclio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BALLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  93.     (19.  dell'anno  IV.) 


Aprile  185G. 


Medaglie  i ' riedite  o  rare. 


Medaglie  inedile  o  rare. 


Nella  noslra  tav.  IX  pubblichiamo  alcune  impor- 
tantissime medaglie,  le  quali  furono  I ratte  in  gran 
parte  dalla  insigne  raccolta  de'  Signori  Santangelo. 
Dubbiamo  alla  gentilezza  dell'  egregio  Sig.  €avaliere 
D.  Michele  questa  distinzione,  alla  quale  attacchiamo 
la  più  grande  importanza  ,  e  per  la  quale  gli  profes- 
siamo pubblicamente  la  più  viva  gratitudine. 

Ora  facciamo  seguire  alcune  osservazioni  sopra  le 
monete  contenute  nella  suddetta  tavola  IX ,  col- 
1'  ordine  medesimo  e  colla  medesima  numerazione 
con  che  si  veggono  gli  antichi  monumenti  numisma- 
tici in  essa  collocati  e  disposti. 


ALLIFAE  SAMNII 


1.  Testa  femminile  galcata  a  d.,  sulla  galea  corona 
di  alloro  e  civetta. 

X  Toro  a  volto  umano  a  sinistra,  sopra  la  epigrafe 
AUI-O-HA.  Ar.  9. 

Nella  collezione  Santangelo. 

Sono  due  esemplari  di  questa  insigne  medaglia  nel- 
la citata  raccolta,  tutti  due  di  bellissima  conservazio- 
ne ;  sebbene  uno  di  essi  sia  foderato.  Non  sapremmo 
se  sia  pur  somigliante  la  moneta  di  Alife  posseduta 
dal  eh.  Signor  Duca  de  Luynes  (Bullett.  dell'istituto 
di  corrisp.  archeol.  1848  pag.  50).  È  noto  che  al- 
cune altre  monetine  di  Alife  con  epigrafe  osca  fu- 
rono pubblicale  dal  eh.  Friedlaender  (Oskische  Man- 
zen  tav.  V.  pag.  26  :  cf.  Fiorelli  annali  di  numism. 
an.  I  tav.  1  n.  4,  5  p.  11  e  82).  Ed  in  questi  ultimi 

ANNO  IV. 


tempi  fu  ammessa  una  tale  attribuzione  dal  Raoul- 
Rochelte  (Journal  des  Savanls  1831  pag. 248),  non 
ostante  che  il  citato  Signor  Duca  de  Luynes  ne  pub- 
blicasse una,  ritenendone  per  fenicia  la  epigrafe  (Nu~ 
mismat.  des  Salrapies  ;  inceri,  pi.  XVI  n.  2  pag.  97- 
98  ).  Comunque  sia  di  queste  ;  le  monete  de'  Signori 
Santangelo  furono  ricordate  dall'  Abeken  (  Mittelita- 
lien  pag.  333),  dal  Fiorelli  (Monete  ined.  deli  hai. 
ani.  pag.  19),  dal  Corcia  (  Storia  delle  due  Sic.  tom. 
I  pag.  316),  dal  Mommsen  (Unter.  Dialekt.  p.  216), 
dal  Friedlaender  (Oskische  Munz.  pag.  26),  dal  Ric- 
cio (  Repertor.  num.  pag.  5  ) ,  e  dal  Raoul-Rochetle 
(  Journ.  des  Savanls  4854  pag.  248  ).   Se  non  che 
alcuni  ne  riputarono  osca  la  leggenda ,  altri  greca. 
Credo  che  la  prima  opinione  sia  dovuta  alla  poca 
conoscenza  della  sua  vera  lezione  i  e  senza  dubbio 
gettando  uno  sguardo  sulla  epigrafe,  vi  si  ravviserà 
di  leggieri  una  greca  flsonomia.  Il  Sig.  Corcia  ponen- 
do mente  a  questa  greca  origine  di  Alife ,  ricordava 
'AX/$£/pa.  (  Stephan.  h.  v.,  Polyb.  IV  ,  78  ,  e  segg.  : 
presso  lo  storico  il  gentile  è  'A\t$sipcuoi,  IV,  77,  10, 
ed  'AX/^jpas  IV,  78,  8  ),  o  Aliphera  (  Cic.  ad  Att.Vl 
ep.  2:  Liv.  XXVIII,  18:  Pausan.  Vili  e.  XXVI,  5  e 
segg.,  e.  XXVII,  7  )  dell'Arcadia  ,  non  senza  volger 
la  mente  alla  etimologia  da  dXsf^ou  proposta  da  un 
patrio  scrittore.  Io  noterò  che  la  epigrafe  delle  no- 
stre monete  non  offre  alcuna  forma  osca  o  sannitica 
nelle  lettere  che  la  compongono.  Anzi  la  insolita  for- 
ma del  <£  incontra  un  importante  confronto  in  una 
simile  lettera  del  famoso  vaso  Dodwelliano  rinvenuto 
a  Corinto  (  Boeckh  corp.  inscr.  gr.  t.  1,  p.  13,  14: 
Franz  eleni,  epigr.  gr.  p.  68  seg.  ).  É  notevole  che  in 
un  lebete  di  bronzo  rinvenuto  a  Cuma  la  stessa  for- 
ma ha  la  forza  del  R  (  cf.  Corp.  inscr.  gr.  n.  32  t.  I 

pag.  48  ).  11  grecismo  di  Alife  rilevasi  pure   da'  vasi 

19 


—  146  — 


di  greco  lavoro  che  uscirono  in  questi  ultimi  tempi 
dal  suolo  allifano:  e  di  uno  di  essi  fu  da  me  data  la 
descrizione  in  questo  bullettino  (an.  11  pag.97  segg.  ), 
vedendosi  collocato  nel  real  museo  Borbonico.  Rite- 
nuta dunque  come  greca  la  leggenda  AUI4>HA,  sene 
trae  un  fortissimo  argomento  per  dichiarare  del  tutto 
insussistente  la  opinione  di  coloro,  che  vollero  attri- 
buire agli  Allifani  le  monete  degli  Allibarli.  È  il 
Sig.  Friedlaender  che  ha  voluto  far  risorgere  l'antica 
opinione:  oslc.  Milnz.  pag.  25  e  segg.  Anche  nella 
ultima  edizione  delle  tavole  Carelliane  fatta  in  Lipsia 
alle  monete  degli  Allibani  si  riporta  il  titolo  Allifae 
sive  Alliba  pag.  16.  Ma  vi  si  oppone  il  Raoul-Ro- 
chelle ,  journ.  des  Sav.  1.  e.  ,  adotlando  la  opinione 
del  Millingen  e  dell'  Avellino  confermata  dal  Fiorelli 
mon.  ined.  pag.  19  seg.  Cf.  Mommsen  unler.  Dialek. 
pag.  106,  e  quel  ebe  dico  io  pure  nel  mio  bullet. 
arch.  napol.  an.  Ili  p.  53.  È  però  evidente  che  non 
potrebbero  ad  uno  stesso  popolo  adattarsi  due  diver- 
se denominazioni  appartenenti  ad  un  medesimo  lin- 
guaggio. 

E  qui  avvertiamo  che  paragonando  la  greca  leg- 
genda AUl-O-HA  colla  sanm'lica  RU8R  di  altre  mo- 
nete, non  possiamo  fare  a  meno  di  ravvisare  una  città 
mista  di  Osci  e  di  Greci ,  non  altrimenti  che  avem- 
mo la  occasione  di  osservare  in  Fistelia.  Ed  è  nota- 
bile che  in  queste  due  monetazioni  si  osserva  del  pari 
la  divisione  per  oboli  :  e  perciò  per  entrambi  questi 
motivi  possono  riportarsi  ad  un  sol  sistema,  e  ad  a- 
naloga  costituzione  di  due  popoli  compresi  in  un  (rat- 
to non  molto  esteso  di  paese. 


TELESIA  SAMNII 


2.  Testa  imberbe  galcata  a  s. 

)(  Gallo  a  d.,  sopra  astro:  Di  lato  *I93T.    Ar.  7. 

Di  questa  moneta  fecero  menzione  il  Fiorelli  [Mo- 
nile ined.  dell'hai,  ant.  p.  20  e  segg.  ),  il  Mommsen 
(  Unterit.  Dial.  pag.  200),  il  Friedlaender  (Oskische 
Miinzen  p.  6),  ed  il  Rkcio  [Repcrt,  num.  p.  6).  Essi 
però  ne  riferirono  la  iscrizione  ora  Teleis,  ora  Telis. 


Riesce  dunque  importante  la  presente  pubblicazione, 
perchè  mette  in  cbiaro  la  vera  leggenda  della  moneta 
ch'è  TEBIJ  relr.  in  lettere  osche,  le  quali  van  lette 
Tedis.  È  notevole  questa  osca  pronunzia  in  vece  di 
Telis,  la  quale  però  trova  un  riscontro  nella  sannitica 
Aquilonia,  la  quale  oscamente  fu  scritta  Akudunniad 
(^RIHHVWMR).  Dal  quale  confronto  si  trae  un  argo- 
mento a  favore  dell'attribuzione  delle  monete  di  que- 
st' ultima  città,  la  quale  ormai  è  ritenuta  da  tutti  i 
numismatici  (Millingen  Consid.  p.  178;  Friedlaender 
oslc.  Miinz.  p.  53  seg.;  Mommsen  unter.  Dial.  p.  201 
e  246;  Cavedoni  in  Carellii  lab.  p.  16  ed.  Lips.).  È 
degno  di  osservazione  il  nome  Osco  di  Telese ,  che 
venne  tramutalo  in  Telesia,  ed  è  pur  notabile  la  idea- 
lità de'  tipi  con  le  medaglie  di  altre  città  dell'  Italia , 
quali  sono  Cales  ,  Caiatia  ,  Aquino  ,  Teano  ,  Sessa  ; 
siccome  avemmo  la  occasione  di  far  rilevare.  Notia- 
mo finalmente  che  anche  la  sannitica  Telese  ci  ha 
fornito  scarso  numero  di  vasi  dipinti  (  Iahu  Munchen 
Vascn-Sammlung ,  Einleilung  p.  LX11I). 


TEANUM  SIDICINUM 


CAMPANUE 


4.   Testa  di  Ercole  imberbe  con  pelle  di  leone  a  d. , 
innanzi  WNRrT. 

)(   Vittoria  in  triga  veloce  a  s. ,  sotto  WMXI^ft 

Ar.  10 
Questa  magnifica  moneta  appartiene  alla  collezione 
Sanlangelo,  nella  quale  n'esiste  pure  un  altro  esem- 
plare. Colla  presente  pubblicazione  veniamo  a  com- 
piere i  voti  de' numismatici,  i  quali  desideravano  un 
esatto  disegno  di  sì  rara  medaglia  (Friedlaender  Osk. 
Muta.  p.  2).  Presso  il  cb.  Friedlaender  possono  ve- 
dersi in  parte  pubblicate  in  parte  solamente  descritte 
le  varietà  della  numismatica  di  Teano  (Op.  cit.  tav.  1 
p.  1-4.  Vedi  pure  Carelli  lab.  LXVI,  Raoul-Rochelte 
journ.  des  Savans  1854  p.  301-302).  Dall'esame  di 
tulle  quelle  medaglie  vien  messo  in  cbiaro  che  co' 


147  — 


medesimi  tipi  della  testa  di  Ercole  e  della  triga  sono 
conosciuti  in  argento  non  pochi  esemplari.  In  un  so- 
lo di  essi  la  testa  dell'eroe  è  volta  a  s.  ,  ove  in  tulli 
è  poi  rivolta  la  (riga.  Quando  manca  la  epigrafe  Si- 
dicinud,  vedesi  la  iscrizione  Teanud  sotto  la  triga; 
laddove  in  queste  due  monete  de' Signori  Santangelo 
sotto  la  (riga  è  Sidicinud,  e  l'altra  epigrafe  è  messa 
innanzi  alla  testa  di  ercole.  Lo  stesso  sistema  riscon- 
trasi nelle  medaglie  di  bronzo  già  note ,  nelle  quali 
innanzi  alla  testa  di  Mercurio  o  di  Apollo  è  Teanud, 
e  sotto  il  bue  a  volto  umano  Sidicinud.  È  poi  risa- 
puto che  pure  in  quelle  di  bronzo  talvolta  esiste,  e 
talvolta  no  1'  epilelo  di  Sidicinud. 

Negli  antichi  scritlori  è  comune  la  ortografia  Tca- 
num,  TiOrVOv:  e  parti  che  ad  essa  faccia  bel  confronto 
la  epigrafe  più  comune  delle  monele ,  ove  si  scorge 
nel  secondo  posto  il  carattere  h ,  al  quale  è  nolo  at- 
tribuirsi dagli  Osci  il  valore  dell' E  (Mommsen  unler. 
Dial.  p.  209  S  ).  Pare  che  di  ciò  non  siesi  avveduto 
il  Millingen ,  quando  ha  fatta  la  osservazione  sulla 
singolarità  della  forma  di  quella  seconda  lederà  in 
non  pochi  esemplari  (  Considér.  p.  202  ).  In  quanto 
all'altra  epigrafe,  essa  è  WHI>II5|R  nelle  due  meda- 
glie de'  Sig.  Santangelo  di  perfetta  couservazione  :  e 
perciò  pare  che  così  debba  leggersi  ancora  in  tulle 
le  monele  di  bronzo,  ove  fu  talvolta  riportalo  Sidi- 
cinum  (  Friedlaender  /.  e,  Cavedoui  in  Carellii  lab. 
p.  18  ,  Mommsen  unter.  Dial.  p.  200  e  294,  ove 
spiega  la  origine  del  nome  Sidicinum). 

Ci  riserbiamo  in  allra  occasione  di  proporre  alcu- 
ne conghietlure  sopra  il  nome  de'  Sidicini,  de'  quali 
era  Teano  sede  principale. 

Ora  ci  contenteremo  di  far  rilevare  la  bellezza  del- 
lo stile  e  della  fabbrica  della  insigne  moneta  da  noi 
pubblicata ,  la  quale  dee  considerarsi  come  uno  dei 
più  rari  cimelii  dell'arte  italica,  sotto  le  influenze  el- 
leniche. E  non  dubitiamo  che  i  numismatici  e  tutti 
gli  studiosi  delle  arti  antiche  ci  sapran  grado  di  aver 
loro  procurata  la  conoscenza  di  questo  classico  pezzo. 

NEA  POLIS  CAMPANTAE 

3.  Tetta  di  donna  con  tenia,  orecchino  e  collana  a 
destra. 


)(  Toro  a  volto  umano,  che  piega  aìipianlo  il  capo, 
e  Vinaria  che  lo  incorona:  sotto  la  linea  de' piedi  iscri- 
zione fenicia.  Ar.  9. 

E  questo  un  altro  esemplare  della  medaglia  da  me 
pubblicata  nel  3.  anno  di  questo  bullettàio  (pag.  100 
tav.  Vili  n.  4),  ed  appartiene  allo  slesso  sig.  Sam- 
bon  ,  che  ce  ne  ha  permessa  gentilmente  la  pubblica- 
zione. Io  sin  da  che  vidi  il  primo  di  essi,  non  tardai 
a  ravvisare  in  quella  iscrizione  caratteri  fenicii.  11  se- 
condo esemplare  venuto  posteriormente  alle  mie  mani 
mi  ha  sempre  più  confermalo  in  quella  mia  sentenza  , 
non  ostante  che  la  rispettabile  autorità  del  sig.  Duca 
de  Luynes,  che  si  è  dichiarato  contrario  a  quella  mia 
opinione ,  venisse  ad  intorbidarmi  la  gioja  di  una  si 
interessante  scoperta.  Sin  dalla  primitiva  pubblica- 
zione io  richiamai  simili  iscrizioni  di  medaglie  napo- 
litano già  pria  conosciute  ,  e  feci  rilevare  come  fosse- 
ro tulle  da  ritenere  per  fenicie.  Ora  a  rendere  evi- 
dente quello  che  asserimmo  ,  e  che  va  senza  dubbio 
applicato  benanche  alla  nuova  moneta  del  Sig.  Sam- 
bou,  ponemmo  sotto  la  lettera  A  tra  loro  a  confronto 
le  epigrafi  di  tutte  quelle  varie  medaglie:  e  non  du- 
bitiamo che  non  si  renda  una  certezza  per  chiunque 
vi  getti  un  rapido  sguardo.Tanto  più  che  nella  quinla 
ed  ultima  linea  i  caratteri  indubitatamente  fenicii,  da 
noi  pure  messi  a  confronto ,  dimostrano  qual  somi- 
glianza interceda  fra  essi  e  quelli  delle  napolitano 
medaglie. 

Io  proposi  di  legger  la  epigrafe  e  dividerla  nel  se- 
guente modo  ]ap  t£}fU  Nechosch  Qaman,  ovvero  aes 
adversarii  nostri:  e  mostrai  come  una  tale  interpre- 
tazione ben  si  adatta  ad  una  moneta  coniala  dalla  pre- 
da del  nemico;  non  senza  avvertire  che  questo  senso 
non  si  oppone  alla  idea  che  sorger  può  nella  mente 
per  la  spiegazione  dello  straordinario  (allodi  una  mo- 
neta napolitana  con  caratteri  fenicii. 

Anche  dopo  novello  esame  non  crediamo  di  ab- 
bandonare quella  nostra  antica  spiegazione. 

La  prima  lettera  a  noi  pare  una  3  alquanto  più 
inclinata  a  sinistra  di  quello  che  generalmente  ritro- 
vasi nelle  iscrizioni  fenicie  sinora  conosciute  ;  ma  del 
resto  è  a  quel  carattere  somigliantissimo. — La  secon- 
da lettera  è  certamente  un  ft  ;  ed  incontra  un  bel  con- 
fronto nella  moneta  di  Palermo  da  n.e  pubblicata  in 


—  148  — 


altro  lavoro  ,  ove  si  scorge  la  identica  forma  del  n 
{Monum.  ined.  di  Barone  tav.  XX  n.  1.  );  ed  è  no- 
tevole che  trattasi  di  un  monumento  di  bellissima  con- 
servazione. Il  Gesenius  rapporta  tra  le  forme  abbre- 
viale anche  due  lineette  di  piccole  dimensioni,  le 
quali  si  osservano  in  varie  iscrizioni  di  sili  diversi 
(Script,  linguaeque  Phoeniciae  monum.  p.29).  La  for- 
ma 1 1  è  stata  da  lui  medesimo  riportata  in  una  meda- 
glia attribuita  a  Panormus,  colla  epigrafe  rWìHnip: 
vedi  la  tav.  38  lett.  O.  La  medesima  forma  compa- 
risce ne'  leoni  di  bronzo  del  museo  britannico  ,  ove 
si  leggono  iscrizioni  fenicie  indicanti  il  loro  peso  in 
mine  reali.  Questo  che  noi  asseriamo  raccogliesi  dal- 
l' alfabeto  che  ne  fu  tratto  dal  sig.  Layard  (  Nineveh 
and  Babylon  p.  600  tab.  ad  loc.  (9)  ),  e  che  è  stato 
ammesso  dal  eh.  signor  duca  de  Luynes  in  una  sua 
dotta  e  recentissima  pubblicazione  (  mémoire  sur  le 
sarcophage  et  f  inscription  funéraire  d'Esmunazar  roi 
de  Sidon— Paris  1 856  p.59).  Le  differenti  forme  delle 
lettere  fenicie  più  o  meno  antiche  sono  finora  poco 
conosciute,  ed  i  soli  monumenti  sono  destinati  ad  in- 
segnarcele. 11  certo  si  è  che  in  ben  quattro  esemplari 
delle  napolitane  medaglie  apparisce  quella  forma  del 
Chct,  la  quale  si  vede  costantemente  ripetuta.  Questo 
va  attribuito  alla  pochezza  dello  spazio  ,  che  ha  per- 
suaso P  artefice  a  servirsi  di  una  forma  abbreviata  :  e 
per  lo  stesso  motivo  forse  una  simile  figura  s'incontra 
sulla  citata  moneta  di  Palermo,  la  quale  è  or  posseduta 
dall'egregio  sig.  Barone  di  Schoepping. — La  terza  let- 
tera è  conforme  all'andamento  del  carattere  fenicio.  E 
conosciuto  essersi  rinvenuta  la  forma  dello  ti)  nelle 
iscrizioni  di  Atene  somigliantissima  a  questa  delle  na- 
politane medaglie  ;  se  non  che  in  queste  la  lineetta  che 
taglia  per  mezzo  la  curva  la  passa  nella  parte  inferiore: 
ma  ciò  appunto  si  scorge  nelle  medesime  iscrizioni  di 
Atene,  nelle  quali  il  Q  e  lo  lì)  ora  son  prive  della  se- 
conda lineetta  collocala  di  lato,  ora  ce  l'offrono  più  o 
meno  allungata:  ora  presentano  la  lineetta  media  che  si 
arresta  alla  curva ,  ora  per  contrario  la  passa.  Que- 
ste varietà  sono  importantissime  per  lo  confronto  delle 
nostre  medaglie,  trattandosi  di  iscrizioni  eseguite  da 
artisti  greci  nell'una  e  nell'altra  circostanza. 

Sicché  non  dobbiamo  far  caso  delle  differenze  che 


subirono  i  caratteri  fenicii  sotto  la  mano  di  artisti 
stranieri,  i  quali  potevano  facilmente  trascurare  quelle 
minuzie  ,  che  forse  a'  più  dotti  della  lingua  e  della 
scrittura  punica  sarebbero  sembrate  di  molta  impor- 
tanza. Così  la  leggenda  di  un'  altra  moneta  ,  attribuita 
a  Panormus ,  da  me  altrove  pubblicala  ,  e  pure  ac- 
quistala dal  sig.  Barone  di  Schoepping  ,  è  talmente 
diversa  dalle  solite,  che  non  si  presta  ad  una  proba- 
bile spiegazione  (mon.  ined.  di  Barone  tav.  XX. n.  3.); 
ed  allra  me  ne  additava  in  quella  occasione  il  eh.  si- 
gnor ab.  Cavedoni  ,  la  quale  conservasi  nel  R. Museo 
Estense,  e  non  offre  minori  difficoltà. 

La  quarta  lettera  a  me  pareva  sin  da  principio  un 
p;  giacche  sebbene  non  vi  fosse  la  terza  lineetta  per 
compierne  la  forma  ,  pure  vede  vasi  che  erasi  invece 
adottato  di  chiudere  un  piccolo  spazio  nell'  angolo  , 
che  poteva  ben  dare  la  idea  di  quella  lettera.  Avel- 
lino aveva  già  riferita  una  forma  alquanto  diversa  , 
protraendosi  in  giù  la  linea  superiore  ;  e  tale  presso 
a  poco  dee  riputarsi  la  forma  esibita  dal  Carelli.  Ora 
la  nuova  moneta  del  Sig.  Sambon  viene  a  chiarire 
che  la  forma  presentata  dall'Avellino  era  la  vera ,  e 
che  la  lineetta  superiore  in  quella  da  me  pubblicata 
non  vedevasi  in  giù  protratta  per  mancanza  di  con- 
servazione. Intanto  anche  il  nuovo  esemplare  ci  di- 
mostra che  non  m' ingannai  quando  vidi  la  lineetta 
nell'  angolo  :  e  quindi  non  abbandono  la  mia  primi- 
tiva attribuzione  di  questa  lettera  (1). — La  quinta  let- 
tera fu  mal  raffigurata  nel  disegno  dell'Avellino.  Di 
fatti  la  nuova  moneta  del  Sig.  Sambon  conferma  la 
mia  lezione.  È  perfettamenle  un  uj  rovesciata ,  con 
una  lineetta  allungata  dal  lato  destro  ;  ed  è  questa  la 
forma  non  contrastata  del  23,  come  sovente  appari- 
sce ,  e  segnatamente  sulle  epigrafi  ateniesi. — Da  una 
migliore  osservazione  mi  sono  convinlo  che  il  sesto 
elemento  figura  una  sola  lettera  e  non  due ,  e  perciò 
rappresenta  un  altro  3  simile  a  quello  eh'  è  nel  prin- 
cipio ,  soltanto  un  poco  meno  curvato  a  sinistra ,  e 
perciò  più  vicino  al  solito  carattere  punico. 

(1)  Una  lettera  molto  simile  s' incontra  nelle  monete  recente- 
mente attribuite  ad  Etrutu*  dal  cb.  de  Saulcy,  il  quale  dà  ad  essa 
il  valore  dello  lì).  Vedi  il  voi.  XV  delle  mém.  deVAcad.  dei  intcr. 
et  belle*  lettr.  pan.  sec.  pag.  177  e  segg. 


—  149  - 


A  fronte  di  queste  somiglianze  e  di  queste  osser- 
vazioni ,  potrà  dirsi  che  la  epigrafe  di  tutte  queste 
napolitane  medaglie  non  sia  fenicia  ? 

Ma  qui  prevedo  una  generale  osservazione  :  ed  è 
che  non  potendosi  quelle  monete  riportare  ad  altra 
epoca  che  alle  guerre  di  Annibale  ,  rinvenir  si  do- 
vrebbe un  più  vicino  confronto  colle  iscrizioni  carta- 
ginesi. Una  tal  conclusione  senza  dubbio  sarebbe  giu- 
sta, quante  volte  si  fossero  adoperati  a  segnar  quelle 
epigraG  artisti  Cartaginesi  :  questo  appunto  è  quello 
che  io  nego.  Si  dee  supporre  al  contrario  che  ar- 
tisti Campani  furono  a  quel  lavoro  impiegati  ;  e  per- 
ciò le  lettere  puniche  subir  dovevano  quelle  lievi  mo- 
dificazioni tanto  facili  a  verificarsi  nel  riportarsi  leg- 
gende di  una  lingua  straniera:  modificazioni  osserva- 
bili benanche  nelle  iscrizioni  ateniesi  ;  come  può  ve- 
dersi ancora  dalla  dotta  discussione  che  sopra  una  di 
esse  vedesi  fatta  dal  sig.  Quatremère  (  Journal  des 
Savants  1842  p.  530  seg.),  e  dal  eh.  de  Saulcy  (An- 
nali dell'Ut,  di  con.  arch.  1843  pag.  31  segg.). 

In  generale,  per  riGutare  l'attribuzione  fenicia  della 
leggenda  nelle  napolitane  medaglie,  suppor  si  dovreb- 
be negligenza  ed  ignoranza  dell'  artefice.  Questa  ipo- 
tesi incontra  un  ostacolo  nella  quantità  delle  monete, 
che  offrono  una  identica  iscrizione.  Sono  ormai  quat- 
tro esemplari ,  ne'  quali  si  presenta  la  medesima  epi- 
grafe :  e  dee  credersi  che  una  particolare  intenzione 
abbia  prcseduto  alla  coniazione  di  quelle  medaglie. 
D'altra  parte  gli  errori  nelle  iscrizioni  non  sono  sulla 
forma  delle  lettere.  Un  artista  greco  può  sopprimere 
qualche  lettera,  invertir  l'ordine  de'  caratteri,  ma  non 
mai  variare  in  tal  guisa  gli  elementi  della  scrittura 
da  dar  la  idea  di  un  alfabeto  totalmente  diverso  da 
quello  della  sua  nazione.  Questo  sarebbe  il  caso  delle 
napolitane  medaglie.  E  noi  non  possiamo  ravvisare 
nella  nostra  leggenda  una  greca  iscrizione  ;   mentre 
tanta  somiglianza  si  scorge  in  ciascuna  lettera  con 
l' alfabeto  fenicio.  Da  ultimo  invocherò  lo  stesso  fi- 
nissimo sguardo  dell'illustre  sig.  Duca  de  Luynes,  che 
nella  sua  moneta  riconobbe  pure  una  diversa  epigrafe 
fenicia  ,  vai  dire  pti)*jn  n^P-  lo  ignoro  quali  fosse- 
ro le  forme  degli  elementi  da  lui  interpretati  a  quel 
modo  ;  ma  mi  basta  il  sapere  che  punici  apparvero 
a'  suoi  occhi  esercitatissimi. 


Il  Rev.  P.  Garrucci  mio  chiarissimo  collega ,  il 
quale  ha  fatto  lunghi  studii  sulle  leggende  fenicie,  mi 
ha  scritto  non  ha  guari  in  questi  termini  «Esaminan- 
do la  vostra  lettura  delle  monete  fenicie  trovo  da  as- 
sicurare gli  elementi  delle  suddette  monete,  tranne  al- 
cuni barbari  e  contrafatli,  su' quali  non  può  portarsi 
giudizio  veruno  ». 

Anche  il  dotto  orientalista  P.  Carlo  Vercellone  Bar- 
nabita non  fa  nessun  dubbio  sull'  attribuzione  di 
quelle  due  leggende,  e  solo  ne  propone  una  diversa 
spiegazione.  Egli  legge  la  prima  *1Q2f  li)n?.  Io 
non  entrerò  in  alcuna  discussione  su  tale  lezione  ,  la 
quale  coincide  colla  mia  nella  metà  quasi  degli  ele- 
menti che  compongono  la  epigrafe  ;  e  mi  contenterò 
di  sottomettere  quanto  finora  ho  dichiarato  al  giudi- 
zio de' dotti. 

Con  questa  occasione  vogliamo  aggiungere  poche 
osservazioni  sull'altra  medaglia  napolitana  da  noi  pub- 
blicata in  questo  bulletlino  (an.  Ili  p.  102  tav.  Vili 
n.  5  ) ,  di  cui  giudicammo  del  pari  fenicia  la  epi- 
grafe. Proposi  allora  un  tentativo  di  spiegazione,  of- 
frendone la  seguente  interpretazione  tO^ypt  72X 
(Abel  Ha'egla)  Campus  Vitulae. 

Posteriormente  a  questa  nostra  spiegazione  il  eh. 
P.  Vercellone  (Lettera  de' 4  Dee.  1855  diretta  al  eh. 
P.  Bruzza  Barnabita)  presentava  una  novella  lezione 
nSlJffìJ  1p  .  notando  che  il  eh.  Sig.  de  Saulcy  ha 
provato  che  un  elemento  simile  alla  quarta  lettera  e- 
quivale  al  fì.  Questa  ingegnosa  lezione  accennerebbe 
alle  mura  ed  alle  fortificazioni  della  slessa  Napoli  in- 
dicata quasi  col  suo  nome  greco. 

Riesaminando  la  epigrafe  dopo  la  nuova  lezione 
del  P.  Vercellone  ,  ammetto  nel  primo  elemento  il 
valore  del  p ,  giacché  la  identica  forma  s' incontra 
nella  iscrizione  di  Serdica  e  nelle  medaglie  di  Carne: 
ammetto  pure  il  1 ,  che  poggia  egualmente  sulla  os- 
servazione da  me  fatta  precedentemente  che  il  non 
veder  prolungata  alquanto  l' asticciuola  non  ce  ne  fa 
abbandonare  l' attribuzione.  Ripetiamo  che  simili  dif- 
ferenze si  riducono  a  ben  poca  cosa,  quando  si  con- 
sideri che  artisti  Campani  segnarono  quelle  puniche 
lettere.  E  per  quel  che  spetta  alla  nostra  medaglia  , 
facilmente  si  spiega  la  mancanza  delle  estremità  infe- 
riori di  alcune  lettere  :  perchè  la  epigrafe  è  incisa  in 


150 


una  striscia  un  poco  più  sollevata  del  campo  ov'  è 
scolpilo  il  tipo.  Da  ciò  s' intende  come  una  porzione 
di  alcune  lettere  è  uscita  fuori  di  quel  piano  rettan- 
golare sul  quale  è  segnata  la  iscrizione. 

Questo  spiega  la  mancanza  della  codetta  nella  se- 
conda lettera  ,  e  nella  quinta  ;  per  modo  che  la  se- 
conda dee  riputarsi  uu  1 ,  e  la  quinta  può  ritenersi 
ancora  una  "T.  Meglio  osservando  il  sesto  ed  il  setti- 
mo elemento,  parmi  che  costituiscano  una  sola  let- 
tera i,H  forse  uno  l£J.  L'elemento  ì  sembra  potersi  ri- 
tenere per  n  ;  giacché  una  forma  somigliantissima  , 
benché  volta  a  destra  ,  comparisce  pur  nelle  iscrizio- 
ni de' citali  leoni  di  bronzo  del  museo  britannico  (v. 
Layard,  e  de  Luynes  ne'  //.  cit.):  e  la  differenza  di  posi- 
zione tra  ì  cF  non  costituisce  ,  a  mio  avviso ,  una 
vera  diversità  di  carattere.  Io  non  intendo  di  fare  al- 
cuna particolare  e  sicura  interpretazione;  ma  parmi  che 
avuto  riguardo  alle  esposte  osservazioni,  non  sarebbe 
molto  lungi  dal  vero  chi  riconoscer  volesse  nella  epi- 
grafe della  nostra  medaglia  quella  leggenda  che  intra- 
vide nella  sua  il  eh.  Sig.  Duca  de  Luynes  rigiri  Hip» 
la  quale  incontra  pure  il  confronto  dell'argentea  me- 
daglia attribuita  a  Panormus,  ove  la  medesima  iscri- 
zione. In  tal  epigrafe  si  accennerebbe  al  nome  slesso 
della  nostra  città  Neapolis,  non  altrimenti  che  per 
quella  di  argento  da  lui  posseduta  ,  aveva  sospettato 
l'illustre  orientalista  francese. 

So  che  in  questa  spiegazione  alcuni  elementi  in- 
contrano qualche  difficoltà  ;  ma  noi  ci  contentiamo 
di  sostenere  che  trattasi  di  epigrafe  fenicia,  lasciando 
a'  dotti  aperto  il  campo  a  più  probabili  conghielture. 
Intanto  nella  nostra  tav.  X  lelt.  B  si  vedrà  un  con- 
fronto fra  la  epigrafe  della  medaglia  come  dal  tempo 
ci  fu  tramandata,  e  quella  che  forse  fu  in  origine,  o 
che  almeno  avrebbe  dovuto  essere. 


ARPI  APULIAE 


5.  Testa  imberbe  goleata  a  s. 

)(  Spiga  giacente,  sopra  AP  sotto  ITA. 

Nella  collezione  Santangelo. 


Ar.  5. 


II  eh.  Fiorelli  ricorda  questa  rara  monetina,  senza 
indicare  ove  1'  abbia  veduta.  Sono  già  note  le  altre 
due  con  tre  e  due  spighe  (Carelli  lab.  XC.  )  ;  ed  il 
Fiorelli  fu  di  opinione  che  il  numero  delle  spighe  sia 
destinato  ad  indicare  il  valore  di  quelle  medaglie  (Os- 
servazioni p.  17  not.  25. 

Il  dotto  Avellino  credè  giustiGcata  abbastanza  una 
(ale  osservazione,  richiamando  altri  simili  esempli  di 
simboli  più  o  meno  ripetuti  ad  indicare  il  peso  delle 
antiche  monete  (De  arg.  anecd.  Rubasi,  numo,  epistola 
p.  5).  Né  diversamente  opina  l'illustre  numismatico 
Signor  Cavedoni,  rilevando  che  la  medaglia  con  tre 
spighe  corrisponde  presso  a  poco  a  tre  oboli  ;  e  per- 
ciò nella  idea  del  Fiorelli  sarebbe  un  obolo,  due  obo- 
li ,  e  tre  oboli  in  quella  serie  numismatica  di  Arpi 
(Vedi  il  buìlettino  archeologico  di  Avellino  an.  II  pag. 
117).  11  eh.  Mommsen  riporta  pure  con  dubbio  ad 
un  triobolon  la  medaglia  colle  tre  spighe  (Romische 
Miinzwesen  p.  387  Reil.  L,  15).  Debbo  pertanto  av- 
vertire che  il  Cavedoni  mostrava  il  desiderio  che 
quelle  monetiae  fossero  esattamente  pesate,  per  ve- 
nire ad  una  sicura  conclusione.  Conoscendo  che  nella 
insigne  collezione  de'Signori  Santangelo  vi  erano  tutti 
i  tipi  conosciuti  di  Arpi,  oltre  quello  della  sola  spiga, 
pregai  l'egregio  Sig.Cav.  D. Michele  perchè  mi  fornisse 
la  notizia  del  peso  preciso  di  quella  serie  di  monete. 

Dal  suo  gentile  riscontro  rilevo  i  seguenti  pesi  : 

Con  tre  spighe  acini  quaranta 

Con  due  spighe  acini  quaranluno 

Con  una  spiga  acini  dodici. 

Egli  mi  notava  che  il  peso  di  acini  quaranta  veri- 
ficavasi  altresì  in  un  altro  esemplare  da  lui  posseduto. 

Da  ciò  deduceva  che  in  quanto  al  peso  delle  anim- 
elle monete,  specialmente  di  talune  regioni,  non  può 
stabilirsi  regola  esatta;  soggi ugnendo  essersi  convinto 
di  una  (al  verità  pesando  esattamente  non  poche  mi- 
gliaja  di  monete  del  suo  medagliere.  Sul  variabile 
peso  delle  nostre  monde  son  da  vedere  le  cose  non 
ha  guari  scritte  dal  eh.  Mommsen  ,  il  quale  ci  forni- 
sce fatti  numerosi  ed  interessanti  (Ròmische  Munzwes. 
Reilage  A-T  pag.  343-422). 

Io  mi  contenterò  di  notare  che  la  osservazione  sul 
numero  delle  spighe  messe  in  rapporto  col  valore  delle 


—  io!  — 


monete  dee  riputarsi  nien  vera  ;  altrimenti  quella 
con  due  spighe  non  dovrebbe  certamente  ritrovarsi 
di  peso  maggiore.  E  se  nella  monetina  da  noi  pub- 
blicata dee  probabilmente  riconoscersi  un  obolo,  rav- 
visar dovremo  altrettanti  Irioboli  nelle  altre  due,  sen- 
za che  la  differenza  del  tipo  ci  tragga  ad  una  diversa 
conclusione. 


ARP1  ET  IIERDONEA 


6.  Testa  imberbe  goleata  a  d.  sulla  galea  è  un  Pe- 
gaso alato  ;  innanzi  tracce  di  epigrafe. 

)(  Ercole  piegando  un  ginocchio  pugna  col  leone  : 
fra  il  leone  e  l'eroe  monogramma;  sopra  il  leone  CEPT 

Ar.  5  'A. 

7.  Lo  stesso  tipo:  epigrafe  APIIA. 

X  Lo  slesso  tipo  :  simile  monogramma  ;  sul  leone 
tracce  di  una  epigrafe.  Ar.  5  */s< 

8.  Simile  lesta:  innanzi  CEP. 

)(  Lo  stesso  tipo ,  e  lo  stesso  monogramma  :  epigrafe 
APIIA.  Ar.  5  Vs- 

9.  Simile  testa:  innanzi  la  epigrafe  APIICEPT. 
)(  Lo  stesso  tipo  un  poco  sdruscito.  Ar.  5. 

10.  Simile  testa:  innanzi  CEPA  ■  ■ 

)(  Lo  stesso  tipo,  con  monogramma  alquanto  diverso 

Ar.  5. 

La  sola  moneta  d.  4  appartiene  al  Sig.  Sambon  , 
tutte  le  altre  alla  collezione  Santangelo. 

Queste  importanti  monetine  si  congiungono  con 
altra  già  pubblicata  dall'Avellino,  la  quale  esser  do- 
veva simile  a  quella  del  Sig.  Sambon ,  sebbene  non 
vi  si  leggessero  che  le  sole  lettere  AP..  EE  forse  per 
la  poca  conservazione  della  medaglia.  Il  dotto  numi- 
smatico la  riportò  appunto  ad  Arpi,  e  solo  non  seppe 
indicare  che  cosa  significassero  le  lettere  EE:  Sensus 
tamen  litterarum  LE  in  antica  adhuc  mihi  incomper- 
lus:  (addend.  ad  1  tal.  vet.  num.  t.  1  p.  102).  Dopo 
di  lui  il  Mionnet,  ed  il  Riccio  (rep.  numism.  p.  38  ). 
La  prima  idea  che  potrebbe  sovvenire  sarebbe 
quella  di  riputare  il  nome  EEPT  un  nome  di  magi- 
strato.  In  tale  intelligenza  ,  richiamar  potremmo  si- 


mili accoppiamenti  di  lettere  ravvisati  in  nomi  mes- 
sapici;  ricorderemmo  V Arias  re  de'Messapii  mento- 
vato da  Tucidide  (  VII ,  33  :  è  detto  "Ap-ros  da  Ate- 
neo III,  I0S  E),  e  la  epigrafe  messapica  col  nome 
«prahsuh  (Mommsen.  iscr.  mess.  pag.  79  ed  unter. 
Dial.  pag.  74).  Ma  più  vicino  confronto  sarebbe  un' 
altra  iscrizione  messapica  di  Ccglie,  ove  si  legge  Ax- 
Z,uxxs  FEp'  raHsns  (  Mommsen.  iscr.  messap.  p.  81, 
ed  unter.  Dial.  p.  75). 

Comunque  da' confronti  sopra  citali  risulti  che  ben 
si  vedrebbe  nel  EEI'T  il  nome  di  un  magistrato  mes- 
sapico ,  pur  tuttavia  a  noi  pare  che  la  posizione  di 
quella  epigrafe  allontani  la  idea  da  una  tale  interpre- 
tazione. Così  quella  leggenda  ora  si  vede  da  una  fac- 
cia ora  da  un'altra  della  moneta,  alternando  con  l'al- 
tra di  Arpi  :  e  nella  moneta  del  Sig.  Sambon,  ed  in 
quelle  descritte  dall'Avellino  e  dal  Riccio,  scorgesi 
nella  medesima  linea  preceduta  dal  nome  di  Arpi;  co- 
me nella  medesima  linea  si  scorge  ancora  nella  me- 
daglia da  noi  riferita  al  n.  5  ,  nella  quale  la  epigrafe 
è  venuta  tronca  nel  conio,  ma  noi  crediamo  che  la 
intera  leggenda  sarebbe  stata  CEPAPII.  In  questa  no- 
stra lezione  il  nome  di  Arpi  sarebbe  stato  preceduto 
da  quell'  altro  nome. 

A  questa  ragione  del  sito  se  ne  aggiunge  un'altra, 
ed  è  quella  che  l'Avellino  in  alcuna  di  queste  mone- 
tine vide  il  nome  del  magistrato  AAXOT  (  Ital.  vet. 
num.  1.  e.  )  ;  sicché  non  pare  possa  supporsi  contem- 
poraneamente un  altro  nome  di  magistrato. 

Resta  dunque  unicamente  a  spiegar  quella  epigrafe 
per  una  alleanza  e  confederazione  di  due  città  del- 
YApulia,  di  Arpi  con  altra  della  quale  dobbiamo  in- 
dagare il  nome. 

Noi  mettiamo  da  parte  i  Verlini Oveprìvcu  della  Lu- 
cania, memorati  da  Strabone  [Oeogr.  lib.  VI  e.  2  §. 
4  t.  1  p.  404  edit.  Cramer.  ).  Sarebbero  più  vicini 
gì'  Irtini  della  Japigia  ,  de'  quali  è  menzione  in  una 
greca  iscrizione  riuvenata  presso  Irso,  ed  illustrala  dal 
Martorelli  (Th.  CaUm.  t.  II,  p.  504  seg.),  e  dal  Lom- 
bardi [Mem.  dell' ht.  di  corrisp.  arch.  t.  l,p.  216  s.: 
cf.  il  corpus  iscr.  graec.  voi.  III,  pag.  762  etinadd. 
p.  1260  n.  5874.  Non  ci  arrestiamo  neppure  al  Da- 
timi della  tavola  di  Peulingero  creduta  Monopoli  dal 


—  152 


Mannert  II,  33).  Nondimeno  sarebbe  ancora  troppo 
distante  da  Arpi ,  per  immaginare  un'  alleanza  fra 
queste  due  città. 

Io  dunque  sono  di  opinione  cbe  nell'  EEPT  si  ascon- 
da il  nome  di  Herdonea  (1)  ,  che  nella  durezza  della 
pronunzia  messapica  ed  epicoria  vedesi  tramutata  in 
Etprcovix  ;  ovvero  così  come  apparisce  nelle  monete 
era  la  sua  primitiva  ortografia,  la  quale  venne  in  di- 
verso modo  variata  nella  pronunzia.  Certo  si  è  che  at- 
tualmente il  paese  succeduto  all' antica  Herdonea  viene 
appunto  denominato  Ottona  ed  Ordona ;  mantenen- 
dosi tuttor  vigente  questa  doppia  pronunzia,  e  dandosi 
cosi  un  argomento  per  crederla  pur  fragli  antichi 
adoperata. 

Se  queste  ricerche  debbono  riputarsi  probabili  , 
avremmo  le  prime  monete  della  messapica  Herdonea, 
innanzi  che  vi  fosse  stata  spedila  la  romana  colonia. 
Ed  il  vedere  adoperata  costantemente  l'aspirazione 
innanzi  al  nome  messapico  della  città  dà  un  appoggio 
alla  conghiettura  de'  numismatici  che  nelle  medaglie 
di  Appula  fabbrica  e  colla  epigrafe  ROMA  ed  H  rav- 
visarono appunto  Herdonea  al  tempo  de'  Romani. 

Finalmente  osservo  che  l'Avellino  credette  di  rav- 
visare in  alcune  monete  un'alleanza  tra  Ascoli  ed  Her- 
donea, città  egualmente  fra  loro  vicine  e  mediterra- 
nee, non  altrimente  che  Arpi  e  Teate,  delle  quali  due 
città  ravvisammo  la  federazione  in  altre  medaglie 
(Bidlelt.  arch.  nap.  an.  II.  p.  37). 


GRVMENTVM  LVCAN1AE 

1 1 .  Testa  virile  ed  imberbe  con  corti  capelli  dia- 
demata a  d. 

)(  Toro  cozzante  a  d.  sopra  TPT.  Ae.  7. 

Nella  collezione  Santangelo. 

Questa  monetina  è  perfettamente  inedita.  Solo  il 

(1)  Non  dubitiamo  che  nel  E  si  dee  riconoscere  il  digamma  usato 
in  questa  forma  in  altre  epigrafi  messapiche:  Mommsen unter.  Dial. 
p.  476. 


sig.  Riccio  ne  diede  una  inesatta  descrizione  (  Reperì, 
numism.  p.  80  )  prendendo  per  testa  di  donna  la  te- 
sta diademata  del  ritto. 

Ormai  gli  archeologi  non  fanno  più  difficoltà  sulla 
patria  di  queste  medaglie  colla  epigrafe  TPT,  che  il 
Garelli  attribuiva  a  Grumo. 

Furono  già  riportate  a  Grumento  della  Lucania 
dal  Combe  (  Calai,  num.  Vet.  tab.  XXIX  fig.  5  ),  dal- 
l' Eckhel  (  Doclr.  t.  I,  p.  152),  dal  Mionnet  {Descr. 
t.  I,  p.  151),  dall'Avellino  (  Giorn.  num.  p.  5,  n.V 
cf.  Real  mus.  Borb.  lom.  IV,  tav.  XV,  n.  10),  e  più 
recentemente  dal  Millingen ,  (  Considér.  p.  87,  s.  ),  e 
dal  Cavedoni  (Carellii  tab.  pag.  39). 

Nel  luogo  citato  il  Millingen,  ed  il  eh.  Corcia  (Sto- 
ria tom.III,  p. 74)  approvano  la  opinione  del  Niebuhr 
che  il  primitivo  nome  della  città  fosse  Kpu/x<£iS  indi- 
cando la  sua  situazione  sulle  più  alte  e  fredde  monta- 
gne della  Lucania ,  dal  che  deduce  che  sia  stata  fon- 
data da  una  colonia  greca  ,  forse  mandata  da  Turio 
(Istoria  di  Roma  voi.  I ,  not.  27). 

Senza  seguire  una  tale  opinione  per  la  parte  eti- 
mologica ,  la  quale  vien  contrastata  dalla  ortografia 
delle  medaglie ,  osserviamo  che  la  monetina  de'  Si- 
gnori Santangelo  conferma  V  attribuzione  lucana  non 
solo  ma  benanche  la  dipendenza  da  Turio ,  di  cui 
vedesi  adottato  il  tipo  del  toro  cozzante.  Non  so  per- 
chè finora  non  siesi  fatta  la  osservazione  che  anche 
il  tipo  del  cavallo  corrente  trova  il  confronto  in  altra 
monetina  di  Turio  (Carelli  lab.  CLXIX  p.  95)  ;  la 
quale  analogia  si  rannoda  alla  relazione  che  aver  do- 
vettero fra  loro  le  due  città. 

Non  vorrei  diffinire  di  chi  possa  credersi  la  testa 
diademata  nel  ritto.  La  mancanza  di  qualunque  sim- 
bolo ci  vieta  di  pensare  a  qualche  divinità  particola- 
re o  a  qualche  eroe  conosciuto.  Pare  debba  ripu- 
tarsi un  eroe  locale ,  di  cui  non  ci  fu  serbata  memo- 
ria ,  essendo  perfettamente  ignote  le  più  antiche  ori- 
gini di  Grumento. 


(continua) 


MlNERVINI. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catàneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  94.     (20.  dell'  anno  IV.) 


Aprile  1856. 


Medaglie  inedite  o  rare.  Continuazione  del  n.  precedente.  — Sarcofago  presso  Rapolla.  Lettera  del  eh.  Comm. 
Quaranta  all'  editore  del  ballettino. — Iscrizione  di  Acerra. — Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani 
imperatori.  Continuazione  del  ».  92.  —  Monete  di  Traili  della  Lidia,  col  nome  KAI^APEQN,  impresse 
sotto  Augusto. — Dei  Ambrosiales  in  iscrizione  di  Chiusi. 


Medaglie  inedite  o  rare.  Contiti,  del  n.  precedente. 
METAPONTUM  LUCANIAE. 

12.  Spiga  ;  di  lato  la  epigrafe  METAIT. 

)(  Cinque  grani  di  orzo,  ira  essi  l'epigrafe  retrogra- 
da HAT3M  Ar.  10. 

13.  Testa  giovanile  ed  imberbe  con  capelli  ondeg- 
gianti frenati  da  una  corona  di  foglie,  quasi  di  fron- 
te :  presso  al  collo  KAA. 

)(  Spiga  con  stelo  a  sinistra  :  sullo  stelo  serpente  sol- 
levalo ,  sotto  <N  ;  di  lato  alla  spiga  la  epigrafe  META 

Ar.  9. 

Nella  collezione  Sanlangelo. 

Bellissima  èia  moneta  da  noi  descritta  sotlo  il  n.  12. 

È  noto  già  che  alcune  monetine  di  bronzo  si  co- 
noscevano pertinenti  a  Metaponto  ,  ed  aventi  al  ro- 
vescio il  tipo  de'  tre  grani  di  orzo  (Vedi  le  (avole  del 
Carelli  tab.  CLIX  183-188).  Ora  che  un  tipo  ana- 
logo si  verifica  pur  sull'  argento ,  si  vede  come  se 
ne  facesse  il  passaggio  sul  men  nobile  metallo.  Non 
è  nuova  la  epigrafe  METAI1  così  spezzata  per  occu- 
pare i  cinque  spazietli  lasciali  fra'  granelli  di  orzo  :  e 
non  occorre  citarne  esempli  dalle  medaglie  mela- 
pontine  ,  che  ci  offrono  quella  epigrafe  anche  nella 
fabbrica  arcaica  ,  ed  al  tempo  delle  incuse  (Avellino 
opusc.  voi.  IH  p.  327).  È  poi  noto  che  in  una  bel- 
lissima medaglia  incusa  della  stessa  insigne  raccolta 
de' Signori  Sanlangelo  leggesi  la  epigrafe  META- 
IIONTI  ;  siccome  fu  poi  ritenuto  ancora  dal  eh.  A- 
vellino  ,  che  l'avea  prima  riputata  una  moneta  di  fe- 
divo IV. 


derazione  (Vedi  lo  stesso  Avellino  bull.  arch.  nap.  an. 
I,  p.  133). 

Sublime  è  lo  stile  della  moneta  da  noi  descritta 
sotto  il  n.  13  ;  e  non  potrà  fornirci  nulla  di  più  bello 
né  di  più  conservato  la  numismatica  della  Magna  Gre- 
cia. È  pur  mollo  raro  veder  la  testa  nella  posizione 
in  cui  si  scorge  nel  nostro  bellissimo  didrammo  me- 
taponlino.  La  corona  che  cinge  il  capo  di  questo  gio- 
vanile personaggio  è  certamente  di  edera  ,  vedendosi 
le  foglie  strettamente  riunite  attorno  ad  un  diadema  : 
dal  quale  simbolo  veniamo  a  conghielturare  che  sia 
figuralo  Dioniso  ,  già  non  poche  volle  ritratto  nella 
numismatica  metapontina. 

Affatto  diversa  è  la  disposizione  della  chioma  in  al- 
cune teste  di  altre  medaglie  di  Metaponto  (  Carelli 
tab.  CL  n.  50,  51  ),  ove  fu  giudicata  con  dubbio  una 
corona  di  mirto.  In  alcuni  esemplari  di  quelle  me- 
daglie, che  avemmo  la  opportunità  di  osservare  nella 
insigne  raccolta  de'  Signori  Sanlangelo,  si  rileva  alla 
evidenza  che  non  è  già  corona  di  toglie  ,  ma  sibbene 
una  odue  trecce  di  capelli  che  si  ravvolgono  intorno 
al  capo.  Dal  che  deduciamo  che  sieno  quelle  figure 
femminili  non  già  virili  ;  e  perciò  non  possiamo  se- 
guire la  opinione  del  eh.  Cavedoni  (adCarell.  p.  79), 
che  sia  effigiato  il  giovine  Metabo  fondatore  della  co- 
lonia ,  al  quale  accennano  pure  altre  medaglie  (Ec- 
khel  doctr.  num.  voi.  1,  p.  156).  Ma  delle  differenti 
prolome  notevolissime  nella  numismaliea  di  Meta- 
ponto ci  riserbiamo  discorrere  in  altra  occasione. 

Nulla  diciamo  de' nomi  di  magistrati  KAA,  *I:  es- 
sendo queste  le  iniziali  di  parecchie  parole. 

20 


—  154  — 


Solo  vuoisi  notare,  preudendone  argomento  dalla 
moneta  de  Signori  Santangelo  ,  a  qual  perfezione 
giungesse  fra  noi  la  nobile  arte  della  incisione.  E  que- 
sto motivo  renderà  sempre  ricercata  la  numismatica 
della  Magna  Grecia  della  più  bella  epoca  ,  nella  quale 
ci  è  dato  di  ravvisare  sempre  nuovo  interesse  dal  lato 
dell'arte  e  da  quello  dell' arcbeologia. 

CAULONIA  BRUTTIORUM 

14.  Figura  di  arcaico  lavoro  camminando  a  s.  ha 
il  destro  braccio  sollevalo  in  alto  di  percuotere  con  un 
ramo ,  e  panno  o  tenia  pendente  dal  s.  braccio  diste- 
so ,  innanzi  nel  campo  piccolo  cervo. 

)(  Cervo  stante ,  sopra  canlharos ,  sotto  (ralle  gambe 
del  cervo  un  ramo,  in  giro  la  epigrafe  •AIAiHOATA* 

Ar.  6. 

Presso  i  Signori  Valia.  Un  altro  esemplare  un  poco 
meno  conservato  è  posseduto  dal  Sig.  Lauria.  Quasi 
simile  è  la  moneta  già  nota  per  la  pubblicazione  del 
Carelli  (tab.  CLXXXVHI  n.  31  ) ,  ma  è  poi  diversa 
per  la  fabbrica ,  e  per  la  mancanza  della  epigrafe , 
che  nella  nostra  è  evidentemente  arcaica  e  retrograda 
K)ATAON  *ATA(N;non  altrimenti  che  in  altre  mo- 
nete di  più  antico  lavoro.  È  notevole  il  panno,  di  cui 
si  veggono  le  tracce  nelle  due  monetine  de'  Signori 
Valia  e  Lauria  ,  non  che  in  quella  del  Carelli.  Una 
tale  particolarità  ,  che  comparisce  pure  in  altre  mo- 
nete diverse  di  Caulonia  (Avellino  nel  Real  Museo 
Borbonico  voi.  VI  n.  4  ;  Carelli  lab.  CLXXXV1I  n. 
28  ;  Magnan  misceli.  t.H  tab.  16  Og.  VII  e  tab.  17, 
fig.  X  ;  Eckhel  sylloge  tab.  1  ,  n.  II ,  p.  8, 9  ),  richia- 
mò F  attenzione  del  Raoul -Rochette  ,  il  quale  vi  ri- 
conobbe una  tenia  e  non  già  un  panno  o  strophium 
(mém.  denum.  et  d'antiq.  p.  13). 

Non  ripetiamo  qui  osservazioni  sulla  intelligenza  di 
questo  difficilissimo  tipo,  contentandoci  di  rimandare 
a  quanto  ne  fu  da  noi  detto  nella  prima  serie  del  bui- 
lettino  archeologico  napolitano  anno  IV  p.  1 33  e  seg. 

CROTON  BRUTTIORUM 


15.  Conchiglia  pecten. 
)(  Polipo,  ed  epigrafe  KP. 


Ae.  6. 


Presso  il  rev.  P.  Luigi  Tortora  del  SS.  Redentore. 

Di  questa  monetina  fu  già  pubblicato  un  altro 
esemplare  dal  eh.  Fiorelli ,  il  quale  ne  lasciò  dubbia 
F  attribuzione  per  mancanza  di  epigrafe  (  Osservaz. 
tav.  Il  n.  12  p.  67).  Ora  il  nuovo  esemplare  del  P. 
Tortora  viene  a  determinarne  senz'  alcun  dubbio  la 
patria.  Debbo  non  pertanto  avvertire  che  il  tipo  del 
polipo  fu  riscontrato,  sebbene  assai  di  rado,  nella  nu- 
mismatica di  Crotone  :  e  posso  additare  un  obolo  di 
argento  del  real  musco  Borbonico ,  che  offre  appunto 
il  polipo  al  rovescio  del  solilo  tipo  del  tripode. 

Il  cav.  Avellino  nel  pubblicare  quella  medaglia  dice 
quell'insolito  tipo  assai  conveniente  alla  marittima 
situazione  di  Crotone  (  Real  Mus.  Borbonico  voi.  VI 
tav.  XXXII  :  Veggansi  pure  altri  esempli  presso  il 
Carelli  num.  ltal.  descript,  pag.  13  \  n.  42  ,  43):  il 
che  va  pur  detto  della  conchiglia  ,  che  vedesi  nella 
nuova  medaglia  da  noi  pubblicata. 

MlNERVINI. 

Sarcofago  presso  Rapolla.  Lettera  del  eh.  Comm. 
Quaranta  all'  editore  del  bulletlino. 

Chiarissimo  Amico 

Mi  affretto  a  darle  le  seguenti  notizie  da  me  rice- 
vute per  mezzo  del  chiar.  collega  sig.  Cav.  Giovanni 
Gussone,  le  quali  molto  importanti  mi  sembrano.  Nel 
tracciarsi  la  nuova  strada  che  da  Melfi  va  ad  unirsi  a 
quella  della  Rendina,  e  propriamente  nel  territorio  di 
Ravenna,  nella  Lucania,  si  è  scoperto  un  sarcofago  di 
finissimo  marmo  lungo  palmi  dieci  ad  un  bel  circa , 
largo  tre  e  mezzo  ,  ed  alto  quattro  e  mezzo,  fregiato 
di  bellissimi  ornamenti ,  e  bassirilievi  stupendi  oltre 
ogni  credere.  Sul  coperchio  sdrajasi  una  leggiadra 
donna,  che  la  testa  ed  un  braccio  appoggia  sopra  un 
origliero,  mentre  disteso  l'altro  lungo  la  sua  persona 
stringe  nella  sinistra  una  corona  di  fiori.  Sul  guan- 
ciale della  donna  eravi  un  Amorino  che  si  è  trovato 
senza  testa,  ed  ai  piedi  un  cane  di  cui  rimangono  le 
sole  zampe.  Ne' lati  del  monumento  apronsi  varie 
nicchie  con  entrovi  statuette  di  Amazoni,  e  guerrieri. 
Lo  scorniciato  è  di  finezza  incredibile.  Tra  le  pielre 


—  155  — 


della  macerie  che  ricoprivano  questo  sarcofago,  una 
aveva  scolpile  rozzamente  queste  parole 
M  •  LVCILIO  •  M  •  F  • 

FAVSTO 
FVSCA  FILIA  POSVIT 
Con  questa  occasione  (leggio  dirle  che  avendo  Ietto 
ii  nuni.  88  del  suo  dotto  hulletlino  Genn.  1856,  con 
sorpresa  ho  trovato  nella  lettera  di  Raoul-Rochette 
di  sempre  chiarissima  memoria  concernente  gli  sche- 
letri cerocefali  trovali  a  Cuma  da  S.A.R.  il  Conte  di 
Siracusa  dimenticato  il  mio  nome,  mentre  ella  hen  ri- 
corda, che  io  fui  il  primo  a  leggerne  l'illustrazione  in 
Accademia  la  stessa  mattina  che  il  generoso  e  dottissi- 
mo principe  mi  consegnò  una  di  quelle  teste  che  do- 
nava al  R.  Museo  Borhonico,  e  che  ne  diedi  quella 
spiegazione  che  poi  divulgatasi  ebbi  l'onore  di  vedere 
adottata  e  riprodotta  da  molti  eruditi.  Ed  ella  ram- 
menterà che  nella  medesima  sessione  fui  anche  il  pri- 
mo a  combattere  fortemente  l'opinione,  che  quelle  te- 
ste potessero  essere  di  Martiri.  L'illustre  defunto  a- 
vrebbe  dovuto  al  certo  far  giustizia  a  quella  mia  ba- 
gattella. Mi  creda  intanto  ec. 

20  Giugno  1856.  Comm.  B.  Quaranta. 

Iscrizione  di  Acerra. 

Una  latina  iscrizione  fu  già  riportata  da  molti  con 
differente  ubicazione  ,  con  discrepanza  di  lezione  ,  e 
con  diversa  disposizione  di  versi.  Tali  sono  il  Manu- 
zio (quaest.  epislol.  pars  3  p.  48),  il  Redi  (  Codex... 
voi.  I  pars  VI,  p.  176),  il  Muratori  (thesaur.  inscr. 
voi.  I  p.  CX VI  n.  4  )  :  da'  quali  trassela  il  Momm- 


sen  ponendola  traile  false  o  sospette  (inscr.  r.  neap. 
lai.  pars.  V  p.  11).  Dobbiamo  saper  grado  all'egre- 
gio signor  dottore  Gaetano  Caporale  ,  attuai  posses- 
sore della  pietra ,  il  quale  in  un  suo  recente  opu- 
scolo ha  dato  il  fac-simile  della  epigrafe  da  lui  ritro- 
vata in  Acerra  sua  patria,  ove  dopo  sì  lungo  tempo 
ricomparve,  ed  ha  giustamente  sostenuto  che  la  lapida 
appartenga  appunto  a  quel  sito ,  e  non  già  a  Benevento , 
o  a  Tarragona,  ove  dagli  altri  erasi  attribuita  ;  avver- 
tendo provarsene  ancora  l'autenticità  dalla  sua  attuale 
esistenza  (  dell'  aria  dell'  acqua  e  di  alcuni  monumenti 
Acerranì  sunti  slorico-medico-arcficologici  p.  13,  s.). 
Mi  sia  lecito  di  notare  ,  che  dal  Redi  si  trae  un 
argomento  a  favore  della  vera  ubicazione  della  pie- 
tra ;  giacche  leggiamo  in  esso  apud  Acerai  in  amphi- 
ihealro  in  via  oppidi.  E  certamente  era  stata  dal  Redi 
riportata  la  copia  della  epigrafe  colla  vera  indicazione 
apud  Acerras ,  paese  che  per  facile  sbaglio  trovasi  se- 
gnalo con  una  sola  r.  Ed  è  notevole  che  dalle  parole 
del  Redi  rilevasi  ancora  la  esistenza  di  un  antiteatro 
presso  Acerra  ,  il  che  ha  tentato  pur  di  provare  il 
dottor  Caporale,  senza  però  avvedersi  della  menzione 
propria  di  Acerra  ,  che  ritrovasi  presso  il  dotto  na- 
turalista napolitano. 

Dall'  attento  esame  dell'  originale  monumento,  che 
la  gentilezza  del  dottor  Caporale  ci  ha  offerto  a  stu- 
diare, ci  siamo  convinti  che  la  pietra  fu  in  epoca  re- 
mota ritoccata  da  mano  poco  esperta,  che  tradì  alcuna 
fiata  la  vera  forma  delle  antiche  lettere. 

Ecco  la  lezione  della  epigrafe,  come  apparisce  dal 
monumento, non  senza  tener  presento  il  codice  di  Redi, 
ne'  siti  che  mostransi  ora  interamente  rosi  e  perduti  : 


TEMPLVM      •      HOC      •      SACRATVM      ■      HER 

QVOD       GER AVGVSTI    •   NOMEN   •    FELIX 

REMANEAT    •    STIRPIS   •   SVAE   •   LAETETVR   •   \ 

PARENS    •   NAM    •   QVOM   •   TE   •   CAESAR   •   TEM 

EXPOSCET      DEVM  ■  CAELOQVE  •  REPETES  ■  SED 

MVNDVM  •  REGES  •  SINT  HE1[C]TVA  QVEISORTEFE 

HVIC  •  IMPERENT  ■  REGANTQVE      NOS  ■  FELICIBV 

VOTEIS  •  SVEIS 
L       AVREL1VS       L       F   •   PAL       RVFVS   ■   PRIMOPILARIS  [LEG] 

X       MILITA 

MP  •  : • • : 


—  156  — 


Riserbandoci  di  parlare  più  ampiamente  della  epi- 
grafe acerrana  in  altra  occasione,  ci  contentiamo  di 
avvertire  che  essa  sembra  metrica,  e  di  proporne  per 
ora  i  seguenti  supplimenti  : 

Templum  hoc  sacratum  Her[culi]:  quod  Germanici] 

Augusti  nomen  felix  [nobis]  remaneal. 

Stirpis  suae  laelelur  [gloria]  parens  ; 

Nam  quom  te  Caesar  le  M[undus]  exposcet  deum, 

Caeloque  repele[n]s  sed[em  liane]  mundum  reges , 

Sint  hei[c]  tua  quei  sorte  fe[lict]  huic  imperent, 

Regantque  nos  felicibus  voteis  sueis. 

MlNERVINI. 

Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani  Impera- 
tori. Continuazione  del  n.  92. 

ADRIANO 

Monete  di  conio  peregrino. 

76.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  3. 

X  PONT  MAX  TR  POT  COS  III,  Giove  seminudo 
sedente  in  seggiola  con  Vittoria  nella  d.  stesa  e  con 
asta  nella  s.  Arg.m.m. 

Il  Mionnet  (  rar.  t.  I ,  p.  189  )  reputa  di  fabbrica 
Romana  questo  medaglione  di  grandezza  straordina- 
ria :  comunque  sia,  per  la  sua  grandezza  ha  certa  a- 
nalogia  con  gli  aurei  di  massimo  modulo  di  Augusto 
rinvenutisi  in  Ercolano  (Eckhel  t.VI,  p.i  16).  Il  tipo 
di  Giove  Niceforo  confronta  con  quello  de'tetradram- 
rni  di  Alessandro  Magno  ;  onde  congetturar  potrebbe- 
si ,  che  accenni  al  racconto  di  Sparziano  (  in  Hadr. 
2),  che  Adriano  Imbuii  praesumptionem  imperii  mox 
futuri  ex  fano  quoque  NICEPHORII 10VIS  mo- 
llante responso ,  cioè  di  Niceforio  presso  l' Eufrate , 
città  fondata  da  Alessandro  Magno  ,  e  che  nelle  sue 
monete  ha  il  tipo  stesso  di  Giove  Niceforo  (Eckhel  t. 
Ili  p.  517).  L'epigrafe  del  ritto  ed  il  busto  di  Adria- 
no col  petto  nudo  ne  porge  buon  argomento  per  cre- 
dere impresso  questo  medaglione  nell'anno  119  o 
poco  dopo  ;  onde  il  tipo  di  Giove  Olimpio  dedicato 
da  Adriano  in  Atene  nel  135  (Dio,  LXIX,  16). 


77.  HADRIANVS  AVGVSTVS  P  P  ,  lesta  nuda. 
)(  COS  III ,  figura  barbala  stante  con  aquila  nella 

s.  e  con  tridente  nella  d.  posalo  sopra  un  granchio 
marino  Arg.  m.  m. 

Questo  insigne  tetradrammo  (Mionnet,  Descript,  t. 
vi  p.  698  n.  S74:  cf.  Vaillant  t.  //  /).  Ul)  probabil- 
mente sarà  stato  impresso  nella  Caria.  In  monete  di 
Milasa  ricorre  il  tipo  singolare  di  una  bipenne  finiente 
in  tridente  e  sovrapposta  ad  un  paguro  (v.  Caved. 
spicil.  num.  p.  188-189),  allusivo  al  preteso  portento 
del  flutto  marino  nel  tempio  di  Giove  Osogo  (cf.C./. 
Gr.  n.  2700 1.  II  p.l  107  ),  giacché  la  bipenne  era  at- 
tributo proprio  di  Giove  Labraundo,  alla  quale  nel 
tetradrammo  Ialino  di  Adriano  si  sarà  sostituita  Ya- 
quìla  quale  attributo  più  cognito  di  Giove.  In  altri 
tetradrammi  di  Adriano  vedesi  Giove  Labraundo  stante 
con  aquila  nella  d.  e  con  bipenne  nella  s.  (cf.  Eckhel 
t.  Vip.  514). 

78.  Lo  slesso  diritto  che  nel  prec.  n.  77. 

)(  COS  III,  donna  slolata  alala  stante  in  atto  di  sol- 
levarsi la  veste  verso  il  petto  con  la  d.  ostentando  il  cu- 
bilo, e  con  la  s.  abbassata  verso  una  ruota  posta  a'suoi 
piedi  Arg.  m.  m. 

Questo  tetradrammo  ,  che  è  di  stile  bellissimo ,  e 
forse  inedito ,  conservasi  nel  museo  Estense  ,  ed  è  in- 
signito della  contromarca  dell'aquiletta  Estense  in  oro, 
che  mostra  come  gli  apparteneva  da  molto  tempo  ad- 
dietro. Il  tipo  della  Nemesi  lo  mostra  impresso  in 
Smirne  deipari  che  l'altro  con  le  due  Nemesi  (cf.  E- 
ckhel  t.  VI,  p.  514).  I  razzi  della  ruota,  posta  appiè 
della  dea,  sono  finamenle  elaborati  e  conformali  a  gui- 
sa di  foglie,  che  saranno  di  melo,  ^rjX/as  ,  e  non  già 
di  frassino,  come  per  abbaglio  scrisse  l'Eckhel  (t.  II, 
p.  551  :  cf.  Zannoni,  gal.  di  Fir.  ser.  IV  t.  Ili  p.  52: 
ed  il  prec.  n.  68  ). 

79.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  77,  ma  con  le- 
sta laureala. 

)(  COS  III,  donna  slolata  stante  con  ramo  di  olivo 
nella  d.  e  con  cornucopia  nella  s.  nel  campo  è  un'an- 
cora. Arg.  m.  m. 

La  pace ,  che  seco  mena  l'Abbondanza  ,  può  ri- 
cordare come  Adriano  fin  da  principio  lenendae  per 
orbem  terrarum  paci  operam  impendii  (Spari. in  Hadr. 


—  157  - 


5).  L'ancora  o  si  riferisce  all'annona  trasportala  per 
mare,  o  indica  che  la  moneta  fosse  impressa  in  Ancira. 

80.  Lo  stesso  diritto  che  nel  prec.  n.  77. 

)(  COS  IH,  Giove  stante  di  prospetto  in  vestir  mili- 
tare con  asta  riversa  nella  d.  e  con  lo  scudo  nella  s.  al 
disotto  del  quale  è  posata  un'aquila.        Arg.  ni.  m. 

Pare  così  rappresentato  Giove  ^TPATHI'o^,  o 
sia  IMPERATOR  (v.  il  prec.  n.3o  p.  137:  annali  ardi. 
t.  XI  p.  62:  C.  I.  Gr.  n.  3797)  ;  onde  può  arguirsi, 
che  questo  raro  tetradrammo  del  museo  d' Ennery 
(  p.  292  )  fosse  impresso  in  Amastri  della  Paflagonia 
(  v.  Eckhel  t.  II  p.  385  ). 

81 .  IMP  CAESAR  AVGVSTVS,  testa  nuda  d'Au- 
gusto. 

)(  HADRIANVS  AVG  P  P  REN  figura  palliata 
stante  con  due  spighe  nella  d.  e  con  la  s.  nascosta  sotto 
il  pallio.  Arg.  m.  m. 

L'  Eckhel  (  t.  V  p.  102  )  a  ragione  vi  ravvisa  un 
simulacro  di  Augusto  rinnovato  da  Adriano.  11  ver- 
bo REXoiaiù  ha  il  suo  riscontro  in  iscrizione  di  Set- 
timio Severo  e  di  Caracalla  ,  che  vias  et  nwVIARIA 
RENOVAVERVNT  {Bull.  Arch.  1838  p.  155).  Au- 
gusto sembra  così  figuralo  in  sembianza  di  Giove  A- 
gricola  TEftProS  (  t>.  Miiller,  Handbuch  §.  350, 
6:  Caved.  spicil.  num.  p.  247),  conforme  al  sublime 
presagio  del  poeta  (  Virg.  Georg.  1 ,  2G  )  : 
et  te  maximus  orbis 
Auctorem  frugum  tempestai umque  potenlem 
Accipiel ,  cingens  materna  tempora  myrto. 


SABINA  moglie  di  Adriano. 


L' Eckhel  avverte  come  Sabina  fu  pronipote  di  Tra- 
jano  ,  perchè  ebbe  a  madre  Matidia  Ggliuula  di  Mar- 
ciana sorella  di  quell'Augusto  ;  e  soggiungo  che  la 
storia  non  ci  dice  chi  ne  fosse  il  padre.  Ma  il  eh.  Bor- 
ghesi [Giorn.  Arcad.  t.  XLIIp.  185, 187)  dall'iscri- 
zione Gruteriana  (  p.  1 1 12,3)  di  un  C.  VIBIVS  AV- 
Gustae  Libertus  FLORVS  ,  e  da  altri  riscontri  felice- 
mente arguì,  ch'esso  appellar  si  dovette  C.  VIBIVS. 
La  consorte  pertanto  di  Adriano  chiamossi  non  già 
Iulia  Sabina ,  come  ne  volle  far  credere  il  Golzio , 
ma  sibbene  Vibia  Sabina ,  icui  nomi  (rovansi  poscia 


rifatti  nella  di  lei  pronipote  Vibia  Sabina,  la  più  gio- 
\  ino  delle  cinque  figliuole  dell'  imperatore  M.  Aurelio. 

L'  Eckhel  fissa  all'anno  128  il  titolo  AVGVSTA 
dato  a  Sabina  ,  segnatamente  in  riguardo  alle  di  lei 
monete  Alessandrine, che  incominciano  dall'anno  XIII , 
L  ir.  Il  Mionnet  [suppl.  n.  2i0,241),  ed  il  eh.  Grep- 
po (voyag.  d'Hadr.  p.44)  ne  diedero  due  con  L  s  ed 
una  con  L  I ,  che  anticiperebbero  di  molto  quel  ti- 
tolo; ma  probabilmente  dee  farsi  di  esse  quel  conto 
che  1'  Eckhel  fece  d'  altre  simili  non  ben  conservate 
e  mal  lette. 

Alle  monete  di  Sabina  accennate  dall'Eckhel  vuoisi 
aggiungere  il  seguente  bello  e  raro  quinario  d'  oro 
edito  dal  eh.  Capranesi  (  annali  ardui.  XI  p.  285  lav . 
d'agg.  Tn.  3): 

SABINA  AVGVSTA  IIADRIANI  AVG  P  P,  testa 
di  Sabina  con  la  chioma  ricinta  da  ricca  slefane  e  rac- 
colta in  nodo  all'  occipite  e  ricadente  in  sul  collo. 

)(  Vesta  sedente  in  trono  col  Palladio  nella  d.  stesa 
e  con  lo  scettro  nella  s.  Aur. 

A  questo  tipo  fa  bel  riscontro  un  aureo  del  ma- 
rito suo  Adriano ,  nel  cui  riverso  è  rappresentato  il 
Palladio  di  prospetto  (cat.  mus  Caes.  n.  425:  Mionnet , 
rar.  t.  I  p.  193). 

L.  ELIO  CESARE 

Se  per  una  parte  la  moneta  Alessandrina  di  L.  Elio 
Cesare  colla  data  dell'anno  III  mostra  eh'  egli  venne 
adottato  da  Adriano  nel  decorso  dell'anno  136  (Ec- 
khel t.  VI  p.  525),  per  altra  parte  le  lapidi  e  le  mo- 
nete ,  che  costantemente  congiungono  il  consolato  li 
di  Elio  Cesare  con  la  sua  semplice  TRIBPOT-  e  con 
la  XXI  di  Adriano, che  incominciò  a  decorrere  alle  ca- 
lende  di  Gennaio  del  137,  ne  rendono  certi ,  o  pres- 
soché certi  ,  che  Adriano  partecipasse  al  figlio  suo 
adottivo  la  tribunicia  podestà  non  prima  delle  calende 
di  Gennaio  del  detto  anno  137. 

L' Eckhel  lascia  in  incerto  il  nome  della  moglie  di 
L.  Elio  Cesare ,  non  altro  sapendosi  di  certo  se  non 
che  Elio  vien  detto  da  Sparziano  (  in  Hadr.  7,  23  ) 
genero  di  Nigrino,  che  accusato  d'avere  insidialo  alla 
vita  di  Adriano,  fu  per  ordine  del  senato  ucciso  in 


-  158  - 


Faenza.  Ma  il  Mauoi  (Arv.  p.  606  ),  ed  il  eh.  Bor- 
ghesi (d'or».  Arcad.  t. 1.  p.  369)  hanno  addotti  buoni 
argomenti  per  ritenere  che  la  moglie  di  Elio  Cesare  si 
appellasse  Avidia  Plautia  e  che  fosse  figliuola  di  Avi- 
dio  Nigrino.  Ancora  l'Eckhel  non  ricorda  altra  prole 
di  Elio  Cesare ,  che  L.  Vero  collega  di  M.  Aurelio  nel- 
V  impero  ,  e  Fabia  ricordala  da  Capitolino  :  ora  si  co- 
nosce anche  un'  altra  figliuola  di  esso  lui  di  nome 
Ceionia  Planila,  la  quale  in  un  marmo  greco  di  Ro- 
ma (  C.  1.  Gr.  5883  )  dicesi  AAEA<I>H  ATTOKPA- 
TOPON  ,  sorella  cioè  di  L.  Vero  per  nascita  ,  e  di 
M.  Aurelio  per  adozione  (  v.  Bull.  Ardi.  1852  p.77  : 
Borghesi,  Giorn.  Arcad.  t.  XLII  p.  189). 

L' Eckhel  rigetta  come  spurie  o  suberate  le  mo- 
nete di  Elio  Cesare  che  al  nome  della  FELIC1TAS  e 
d' altre  deità  appongono  Y  aggiunto  AVG  ;  ma  il  Fea 
[atti  dell' Accad.  Rom.  d'arc/i.  t.  Ili  p.  1 13)  ne  accerta 
che  in  un  denario  di  solido  argento  leggesi  ANNO- 
NA AVG  (cf.  Mionnet,  rar.  t.  I,  p.  205):  lo  che 
sarà  per  ragion  di  consorzio  (  cf.  Eckhel  t.  VIII  p. 
338:  Bull.  arch.  1851  p.  77).  Nelle  copiose  monete 
di  Elio  Cesare  con  la  PANNOMA  portante  un  ves- 
sillo, per  lo  più  nella  d.  e  talora  nella  s.,  il  Genio  di 
quella  bellicosa  provincia  è  respiciente ,  forse  come 
in  atto  di  minacciare  i  barbari  di  confine  ai  limiti  del- 
l'impero.  Neil' iscrizione  dedicata  ad  Adriano  in  Tau- 
rino della  Pannonia  da  L.  Elio  Cesare  l'anno  137 
(Creili  n.  827),  egli  s' intitola  PROCONSVL;  onde 
pare  che  in  detto  anno,  insieme  con  la  tribtinicia  po- 
destà gli  fosse  stato  partecipato  da  Adriano  l' impero 
proconsolare ,  come  fu  già  da  Augusto  a  Tiberio. 

Il  medaglione  di  L.  Elio  Cesare  con  Cerere  sedente 
sopra  la  eisla  (Mionnet,  rar.  t.  I  p.  205),  ed  Elio  me- 
desimo stante  di  rimpetto  alla  dea  ,  non  so  se  riferir 
si  potesse  al  trasporlo  grande  di  Adriano  verso  imi- 
steri  di  Eleusi ,  adeo  ut  inilia  Cereris  ,  Atheniensium 
modo  Roma  percolerà  (  Victor  in  Caesarib.  XIV  )  , 
forse  affidati  al  figlio  suo  adottivo  ,  che  era  XVVIR- 
SACRIS  FACIVNDIS  (  Orelli  n.  827  ).  Ma  quell'  in- 
signe medaglione  potrebbe  anche  risguardare  le  be- 
neficenze di  Elio  Cesare  verso  i  Cibirati  della  Frigia, 
che  L'  onorarono  quale  IAION  ETEPrETHN— (G. 
(I.  Gr.  t.  Ili  p.  1167-1168),  e  nelle  monete  loro  di 


sovente  rappresentarono  una  cista  sacra  portata  dalla 
dea  oda  una  ierodula,e  talora  riposta  entro  un  tem- 
pietto (Caved.  spie.  num.  p.  235:  Revue  num.  1851 
p.  167). 

L'  Eckhel  (t.  VI  p.  528),  per  una  singolare  disat- 
tenzione ,  scrisse  ,  che  di  monete  coloniali  di  Elio  Ce- 
sare non  ve  n'  ha  che  un'  unica  di  Corinto ,  mentre 
che  nella  pagina  precedente  aveva  ricordate  quelle  di 
Sinope  (  cf.  Diamilla,  mem.  num.  p.  102). 

ANTINOO 

Il  culto  d'Antinoo  ,  a  detto  dell'  Eckhel  (  t.  VI  p. 
530),  si  limitò  alle  città  greche;  ma,  oltre  l'epigram- 
ma Tiburtino  latino  (  Orelli  n.  823  ) ,  mi  giovi  ri- 
cordare una  statua  d'Aulinoo  in  bronzo  trovatasi  in 
Adria  Veneta  insieme  con  una  grande  lucerna  pure 
di  bronzo  e  di  stile  egizio,  che  si  conservano  nel  mu- 
seo Estense  ,  e  che  servir  dovettero  per  le  nefande 
sacre  notti  di  quel  novello  bel  nume.  In  Napoli  v'eb- 
be una  fratria  detta  ANTINOITON  (Fabretlip.  456, 
XVI  ).  La  moneta  dedicata  dai  Tarsensi  all'eroe  An- 
tinoo  col  titolo  NEfi  IIT©m,  e  col  tipo  del  tripode 
fatidico  ,  si  scambia  luce  col  detto  di  Sparziano  (  t» 
Hadr.  14):  Graeci  quidem,  volente  Hadriano,  eum 
consecraverunt  ,  oracula  per  eum  dari  asserentes,  quae 
Hadrianus  ipse  composuisse  iactalur.  Anche  Egesippo 
(  ap.  S.  Hieronym.  de  viris  ili.  e.  22)  scrisse,  che  A- 
driano  civitatem  ex  eius  nomine  condidit ,  et  statuii 
prophetas  in  tempio  (  V.  Euseb.  hist.  eccl.  IV,  8). 

C.  Cavedoni. 

Monete  di  Traili  della  Lidia,  col  nome  KAI£APE£2N, 
impresse  sotto  Augusto. 

L' abbaglio  singolare  preso  da  prima  dal  dotto 
Spanhemio.e  di  bel  nuovo  dal  eh.  Riccio  (1)  (Meda- 
glia ined.  con  lesta  e  leggenda  di  Ovidio  Nasone,  Na- 
poli, 1856)  di  leggere  Oveidius,  invece  di  Veidius  il 

(1)  Il  signor  Riccio  comunicò  da  prima  questa  sua  opinione  alla 
regale  Accademia  Ercolanese  ;  e  tantosto  due  dotte  memorie  fu- 
rono lette  in  contrario  da' due  chiarissimi  socii  sig.  Principe  di 
San  Giorgio  ,  e  Comm.  Quaranta,  dalle  quali  quella  spiegazione  fu 
dimostrata  del  tutto  insussistente  ~Nola  dell'Editore. 


—  159 


nome  OTHIAIOSJi  e  di  ravvisare  l'effigie  del  celebre 
poeta  Sulmonese,  invece  di  quella  di  Augusto,  sopra 
alcune  rare  monete  de'  KAISAPEOX,  che  l'Eckhel 
amava  di  attribuire  a  Caesarea  Bithyniae,  madie 
paiono  ornai  rivendicate  dal  Sestini  a  Trallcs  Lydiae, 
mi  porse  occasione  di  fare  qualche  osservazione  tor- 
se non  inutile  sopra  quelle  controverse  medaglie.  Che 
il  nome  greco  OTHIAIOX  risponda  realmente  al  La- 
tino VEID1VS  ,  per  tacere  d'  altre  ragioni  ,  ne  lo 
comprova  il  riscontro  del  titolo  latino  di  Benevento 
(Orelli  n.  2509;  Mommsen  ,  /.  R.  N.  n.  HOC)  P. 
VEID1VS-  P-  F-  POLL10coll'A(tico(C./.Gr.m366) 
ITOTTAION  OTHAIOX  ITOIIAIOT  TION  IK2A- 
AlfiNA.  Costui ,  sì  celebre  per  le  sue  esorbitanti 
ricchezze  e  singolare  crudeltà  ,  non  che  per  1'  ami- 
cizia d'Augusto,  al  quale  dedicò  il  Caesarcum  di  Be- 
nevento ,  e  lasciò  gran  parte  dell'eredità  e  le  delizie 
di  Pausilipo  ,  allor  che  venne  a  morte  nel  739  (  Dio, 
L1V,  23  ),  penso  che  fosse  figliuolo  del  P.  Vedius , 
che  nel  70  andò  incontro  a  Cicerone  proconsole  del- 
la Cilicia  ,  che  lo  dice  magnum  nebulonem ,  Pompei 
tamcn  familiarem,  protestando  di  non  avere  giammai 
visto  hominem  nequiorem  (ad  Attic.  VI,  1,  22).  Quel 
doviziosissimo  amico  di  Pompeo  soggiornava  o  si  ag- 
girava nelle  parli  di  Laodicea  della  Frigia  ,  ove  avrà 
avuto  vasti  possedimenti  o  grandi  negozi  pecuniarii  ; 
onde  il  figliuolo  suo  ,  amico  di  Augusto  ,  probabil- 
mente comparirà  nelle  monete  de'  vicini  Cesarci  Tral- 
liani  qual  magistrato  patrio ,  ovvero  come  patrono 
di  quella  città  della  Lidia;  quando  egli  non  fosse  stato 
procuratore  di  Augusto  nella  provincia  dell'Asia  al- 
lor che  i  Tralliani  impressero  quelle  monete.  Dalle 
molte  clientele,  che  aver  dovettero  i  due  Vedii  Pol- 
lioni  nelle  contrade  dell'Asia  Minore,  probabilmente 
vuoisi  ripetere  1'  origine  di  varii  Vedii  ,  che  ricorro- 
no nelle  iscrizioni  di  Efeso  ,  di  Cizico,  e  di  Amastri 
(  C.l.Gr.  n.  3006,  3083,4150). 

Le  precipue  fra  le  sovra  indicate  monete  de'  Tral- 
liani Cesarei  sono  come  segue. 

1.  OTHIAIOS  KAlSAPEiìN,  Testa  nuda  d'Au- 
gusto col  «omeSEBASTOS  scritto  di  retro  ad  essa  in 
lettere  minori. 

)(  MENANAPOS  ITAPPASIOT  ,  Testa  barbata 
laureata  di  Giove.  M. 


Questa  insigne  medaglia  del  museo  granducale  di 
Firenze,  che  col  nome  espresso  2EBAXTOS,  come 
argutamente  disse  1'  Eckhel  (  num.  vet.  p.  ili  ),  0- 
viJium  in  monetac  iura  audacter  involanlem  altero 
exilio  multai ,  bastar  doveva  a  distogliere  il  eh.  Ric- 
cio dal  riprodurre  l'erronea  opinione  dello  Spanhe- 
raio.  11  Sestini  in  simile  moneta  del  museo  Hederva- 
riano  ravvisò  dietro  la  testa  di  Augusto  un  fiore  sboc- 
ciarne ,  che  a  parer  suo  alluderebbe  al  nome  di  An- 
thia  ed  Euanlhia  dato  in  antico  a  Traili. 

2.  nftAAIftN,KAISAPEQN.7Ys/a  nudad'Au- 
gusto. 

)(  MENANAPOS  nAPPASIOT,  Tempio  ottonilo 
con  caduceo  da  lato.  JE. 

Non  saprei  ben  dire  se  meriti  piena  fede  altra  si- 
mile moneta  co'  nomi  OTHIAIOS  noAAIHìV ,  con 
la  faretra  apposta  air  omero  di  Augusto  ,  e  col  suo 
segno  natalizio  del  Capricorno  sott'  esso  il  tempio 
(  Eckhel  t.  II  p.  409  :  Morelli ,  Fam.  Rom.  misceli. 
(ab.  6,  n.  14  :  —  Mionnet ,  Sappi,  n.  694  ,  693  , 
706). 

3.  IIAPPASIOS  MENANAPOT,  Testa  laureata 
d'Augmlo. 

)(  KAIÌAPEQN,  Mercurio  nudo  stante  con  patera 
nella  d.  e  con  caduceo  nella  s.  M. 

Questa  moneta  del  Pellerin  (Mei.  il.  p.  6)  forse  è 
la  stessa  che  trovasi  meno  esattamente  descritta  dal 
Mionnet  (  Suppl.  n.  690  ). 

4.  MENANAPOS  FIAPPASIor  ,  Testa  laureata 
d'Augusto. 

)(  KMXWECIN,  Mercurio  ignudo  stante  co  talari 
a  piedi  in  atto  di  tenere  un  disco  nella  d.  e  la  clamide 
avvolta  attorno  al  braccio  s.  /E.  3 

Questa  bella  monetina  del  museo  Bellini,  edita  dal 
Sestini  (  Mus.  Hederv.  tav.  XXV,  9),  merita  speciale 
considerazione  perchè  si  scambia  luce  con  un  luogo 
di  Strabone  (XII  p.  579) ,  e  coli'  altre  due  monete 
insignite  del  tipo  del  tempio  ollasiilo  col  caduceo  da 
lato.  Narra  il  geografo  come  le  città  dell'Asia  rovi- 
nate dal  terremoto  furono  riedificate  dall'  Imperatore 
Tiberio  ,  che  somministrò  la  pecunia  ,  siccome  avea 
fallo  da  prima  il  padre  suo  ,  cioè  Augusto,  riguardo 
a  Laodicea  e  a  Traili  ,  il  cui  ginnasio  segnatamente, 
insiemi»  con  altre  parli    della  città  ,  era  caduto  per 


—  160  — 


trcmuoto.  Ciò  dovette  accadere  intorno  all'  anno  di 
Roma  730  ,  durante  la  guerra  Cantabrica  ;  poiché 
l'antico  epigramma  delle  vicinanze  di  Traili  conser- 
vatoci da  Agatia  (  hist.  II ,  17  :  d.C.I.  Gr.  n.  2923) 
dice  ,  che  il  benemerito  cittadino  Cheremone  si  recò 
KaVaJìpiV  k  7*v  a  supplicare  Augusto  ,  che  mosso 
a  pietà  fece  rialzare  Traili  abbattuta  dal  terremoto. 
Fioriva  in  allora  per  copia  di  ricchezze  ,e  per  l'ami- 
cizia di  Augusto  medesimo  ,  quel  Ycidio  Politone,  il 
cui  nome  vedesi  apposto  alla  tesla  d'Augusto  iu  più 
monete  de'  Tralliani  ,  che  appellami  semplicemente 
Cesarei  probabilmente  perchè  tornali  in  vita  per  be- 
neficio di  Cesare ,  e  per  cura  del  medesimo  P.  Vei- 
dio  Pollione. 

Alla  rislaurazione  del  ginnasio  di  Traili  ,  memo- 
rata come  beneficio  precipuo  di  Augusto  da  Strabo- 
ne ,  manifestamente  accenna  il  tipo  della  sovra  de- 
scritta moneta  4 ,  Mercurio  cioè  enagonio  con  talari 
a  piedi  e  con  disco  nella  deslra  ,  per  indicare  le  due 
precipue  prove  della  palestra,  quelle  cioè  della  forza 
e  della  velocità.  E  questa  moneta  vuoisi  aggiungere 
al  novero  de'  monumenti  rappresentanti  Mercurio 
discobolo  e  dromi co,  datone  dal  sommo  Mùller  (Haud- 
buchg  380,  3,  7).  Il  caduceo  posto  da  lato  al  tem- 
pio diastilo  sembra  indicare  eh'  esso  fosse  dedicalo  a 
Mercurio  stesso  ,  oppure  ad  Augusto  in  sembianza 
di  novello  Mercurio.  La  faretra  apposta  all'  omero 
di  Augusto  nella  delta  moneta  (n.  2:  Morelli,  Fam. 
Rom.  mise.  tab.  6  n.  H)  lo  mostrerebbe  novello  A- 
pollo  (  cf.  Horat.  lode 2,  vs.  50);  e  d'altra  parte 
nell'  iscrizione  di  Traili  riguardante  gli  edifici  rialzati 
dal  medesimo  Augusto  pare  memorato  il  tempio  di 
Apollo  (f.  /.  Gr.  n.  2923). 

Il  magistralo  domestico  IIAPPASIOS  MENAN- 
APOT  (n.3)  pare  senza  meno  figliuolo  dell'altro  con- 
temporaneo MENANAPOS  IIAPPASIOT  (w./,2,4), 
per  ragione  della  nota  consuetudine  invalsa  presso  i 
Greci  di  rifare  nel  figliuolo  primogenito  il  nome  del- 
l'avo.  Il  nome  poi  di  MENANAPOS  ,  che  ricorre 
in  un  cistoforo  ed  in  altre  monete  certe  di  Traili  (Se- 
stini,  Descr.num.  vet.  p.247,249:  cf.  Mionnet  Descr. 
n.  1087  ),   torna   in  conferma  dell'attribuzione  a 


Traili  medesima  delle  monete  colla  semplice  scritta 
KAISAPEfìN.  La  moneta  col  semplice  nomeTPAA- 
AIANflN  nel  riverso,  e  con  la  testa  e'1  nome  KAI- 
CAP  CCBACTOC  (Mionnet,  Descr.  n.  1059) ,  pare 
anteriore  al  beneficio  della  riedificazione  ;  e  l' altre 
con  1'  epigrafe  KAICAPEON  TPAAAIANftN  sem- 
brano posleriori  a  quelle  che  portano  il  semplice  no- 
me KAI2APEON.  Dopo  Domiziano  torna  in  uso  il 
semplice  nome  TPAAAIANON  (  Sestini  classes  gen. 
pag.  115);  di  che  panni  si  abbia  buono  argomento 
a  credere  ,  che  anteriore  a  Traiano  sia  l' epitafio  di 
quel  SYMPHOROS  ANTIOCHI  CAESAREVS  TRAL- 
L1ANOS  ,  che  mancò  di  vita  iu  Bari  dell' Apulia  in 
età  d'anni  LXXXV  (Mommsen,  /.  R.  N.  n.  613,  cf. 
p.  483);  cioè  nativo  di  Traìles  Caesarea,  e  non  già 
Caesaris  servus,  come  parve  al  eh.  Mommsen. 

C.  Cavedoni. 

Dei  Ambrosiales  in  iscrizione  di  Chiusi. 

Noi  riportammo  di  sopra  la  opinione  dell'  egregio 
Monsignor  Mazzetti,  afforzala  dal  eh.  Cavedoni,  che  la 
frase  di  deis  ambrosialibus  corrispondesse  a  quella  di 
immorlalibus  (  pag.  96  ).  Veggo  però  che  una  tal 
maniera  d'intendere  incontra  qualche  difficoltà:  e 
principalmente  che  il  nuovo  aggettivo  di  ambrosialis 
non  può  al  certo  riputarsi  d'  identica  significazione 
che  ambrosius.  A  noi  pare  che  quella  voce  si  mostri 
derivata  da  ambrosia;  per  modo  che  gli  dei  ambro- 
siali  intender  si  dovrebbero  quelli,  che  han  relazio- 
ne all'ambrosia.  È  noto  che,  secondo  numerose  tra- 
dizioni ,  1'  ambrosia  era  la  bevanda  degli  dei.  Il  che 
venne  osservalo  da  Ateneo  citando  frammenti  di  Al- 
cmane,  di  Saffo,  e  di  Anaxandride  (lib.  II  pag.  39). 
Tra  questi  sou  da  ricordare  principalmente  i  versi  di 
Saffo,  ove  chiaramente  è  dello  ambrosia  il  licore  de- 
gli dei  (fr.  57  ne' poetae  lyrici  gr.  di  Bergli  p.  612). 

Dalle  quali  cose  veniamo  a  conghietturare  che  gli 
dei  ambrosiali  riputar  si  deggiano  quelli,  che  han  re- 
lazione all'  ambrosia  :  tali  sono  Ebe  e  Ganimede  ,  a5 
quali  vuoisi  per  avventura  aggiugner  Mercurio ,  se- 
condo il  citalo  frammento  di  Saffo.  Minerv/ni. 


Giulio  Minervini  -  FAilorr 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETTINO  AR€JIEOLOGi€0  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  95.     (21.  dell'anno  IV.) 


Maggio   1856. 


Notizia  de  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Continuazione  del  num.  91.  —  Vaso  di  bronzo ,  che  dicesi  rinvenuto 
presso  Salerno. — Notizia  di  due  lucerne  di  terracotta  provenienti  da  Pozzuoli. — Poche  osservazioni  sopra 
una  fibula  cristiana  di  bronzo. — Antico  Vaso  dipinto  di  Acre  rappresentante  un  liaso  di  Bacco. 


Notizia  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Continuazio- 
ne del  n.  91. 

Essendosi  già  scoperta  interamente  la  slanza  finora 
descritta,  ne  rinnoviamo  compiendone  la  descrizione. 
A' due  Iati  dell'incavo  rettangolare  dilla  fontana  sono 
due  ninfe  seminude  con  conca,  quasi  poggianti  sopra 
un  piedestallo.  Presso  di  entrambe  sono  piante,  e  tra 
queste  miransi  appollajati  augelli  di  non  piccole  di- 
mensioni. Traile  piante,  che  sono  a  destra,  vedesi  un 
grosso  uccello  verde,  che  sembra  un  pavone.  A'  due 
estremi  di  tutta  questa  parete  esser  doveano  due  Sfin- 
gi di  bianco  chiaroscuralo  sopra  due  piedestalli.  Ora 
appare  interamente  conservata  la  sola  Sfinge,  eh'  è  a 
destra  :  dell'altra,  che  era  a  siuistra,  non  si  vede  che 
solo  una  parte  del  piedestallo,  essendo  nella  parte  ri- 
manente caduto  il  muro  o  Y  intonico.  Nel  muro  a  de- 
stra è  interamente  caduto  l' intonico,  e  soltanto  appa- 
risce traccia  di  un  piedestallo,  ove  poggiar  doveva 
parimenti  una  Stìnge.  Un  altro  piedestallo  vedesi  pure 
al  lato  destro  dell'arco  dalla  parte  interiore,  ma  sem- 
bra che  non  vi  appoggiasse  la  solita  Sfinge.  Nel  muro 
di  entrata  verso  l' atrio  dalla  parte  interna  a  sinistra 
'vedi  un  simile  piedestallo  senza  la  Sfinge.  Nella  pa- 
rete a  sinistra  veggonsi  alberi  e  piante  diverse,  e  co- 
minciando dall'  angolo  la  stessa  Sfinge  sopra  un  pie- 
destallo volta  a  sinistra,  poi  tra  gli  alberi  e  le  piante 
un  azzurro  uccello  con  lunghe  gambe  rosse  e  rosso 
becco  ricurvo.  Vedesi  poscia  un  Satiro  o  Panisco  so- 
pra un  piedestallo,  che  par  che  muova  i  piedi  alla 
danza:  egli  ha  nebride  e  pedo,  ed  innalza  la  destra  , 
ove  tiene  un  ciato  o  bicchiere.  Una  piccola  costru- 

A1WO  IV. 


zione  in  lontananza,  e  due  melogranate  nel  piano  an- 
teriore compiono  la  rappresentazione.  Non  meno  im- 
portante è  la  fascia  che  ricorre  intorno  intorno  al  di- 
sotto delle  descritte  pareti,  e  che  cominceremo  a  de- 
scrivere dal  muro  sinistro.  In  fondo  verde  apparisce 
una  veduta  del  Nilo,  poco  dissimile  da  quelle  che  al- 
tra volta  ci  fornirono  le  pompejane  scavazioni  [bull, 
arch.  nap.  ant.  ser.  an.  V  pag.  2  e  an.  VI  pag.  86: 
cf.  annali  dell'  Ist.  1838  pag.  164  segg.  ).  Un  coc- 
codrillo solleva  in  alto  V  aperta  bocca  :  dopo  alcune 
p'ante  acquatiche  ,  le  quali  son  destinate  ad  indicare 
il  fiume,  vedi  un  edificio  presso  al  quale  sono  due 
uomini:  uno  di  essi  rivolto  verso  il  coccodrillo  tien 
colla  sinistra  una  pertica  poggiata  sulla  spalla,  e  si 
riveste  di  una  specie  di  clamide.  Vedi  poi  un  augello, 
forse  un'  oca,  che  va  a  beccare  nelP  acqua  curvando- 
si. Più  in  là  è  una  donna,  la  quale  chinasi  verso  una 
pianta,  forse  a  carpirne  per  uso  proprio  una  porzio- 
ne. Ad  una  certa  distanza  altra  donna  curvasi  al- 
quanto innanzi,  guardando  addietro.-  e  più  in  là  un 
nudo  putto  con  clamide  svolazzante  e  petaso  fuggo 
precipitoso  a  destra  rivolgendosi  indietro  a  guardare. 
Finalmente  vedi  isolato  un  grosso  montone  a  destra. 
Questa  rappresentanza  è  limitata  dal  piedestallo  del 
Satiro  danzante  innanzi  desciitto,  dopo  del  quale  vedi 
la  gialla  parte  della  fascia  in  continuazione,  con  du- 
plice riquadro,  ove  si  scorge  due  volte  ripetuto  un 
marino  mostro  fra  due  delfini.  Nel  muro  di  fronte,  a' 
due  estremi  si  vede  la  parte  gialla  della  fascia,  divisa 
in  ambi  gli  estremi  in  due  uguali  compartimenti,  cia- 
scuno de' quali  offre  la  effigie  di  un  marino  mostro 

fra  due  delfini  ;  per  modo  che  la  medesima  compo- 

21 


—  162  — 


sizione  rìpetesi  per  ben  quattro  volte.  Tra' due  piede- 
stalli, ove  sono  le  Ninfe,  scorgi  la  parte  verde  della 
enunciata  fascia  :  ed  in  essa  apparisce  un  uomo  di 
poco  svelte  proporzioni,  vestito  di  clamide,  che  tiene 
un  bastone  o  pertica  :  ad  una  cefla  distanza  è  un  uc- 
cello in  parte  bianco  in  parte  rosseggiante.  Più  a  de- 
stra è  un  altro  simile  uccello  presso  un  edilizio.  Se- 
gue una  figura  coronala  e  panneggiata,  che  tiene  sol- 
levato con  ambe  le  mani,  come  sembra,  un  piattello: 
presso  è  un  altro  uccello.  Lo  zoccolo  non  era  dipin- 
to, ma  per  circa  un  cinque  palmi  a  cominciare  dal 
uolo  era  il  muro  rivestito  di  marmo,  apparendo  sulla 
calce  la  impressione  delle  lastre  marmoree,  che  ne 
furono  anticamente  staccale. 

La  descritta  scena  del  Nilo ,  oltre  le  Sfingi ,  viene 
sempre  più  ad  indicarci  la  influenza  delle  cose  Egi- 
ziane, e  la  reminiscenza  de'  patrii  sili,  in  persone  ve- 
nute probabilmente  dall'  Egitto  ad  aumentare  la  po- 
polazione dell'  antica  Pompei  :  dal  che  rimane  illustra- 
to ed  appoggiato  quanto  fu  da  noi  più  volle  sostenuto 
in  questo  bullellino  sulla  migrazione  in  Pompei  degli 
Alessandrini ,  i  quali  vennero  a  slabilirvisi.  Pria  di 
chiudere  la  descrizione  di  questo  compreso,  crediamo 
opportuno  di  avvertire  ,  che  era  probabilmente  un 
piccolo  viridario.  Il  pavimento  di  semplice  terra  ve- 
getale ci  guida  ad  una  tale  conghietlura  :  la  quale  è 
pur  confermala  da'  dipinti  che  ornavano  le  pareti ,  i 
quali  offrono  alberi  e  piante  in  relazione  con  quelle 
naturali,  che  sorger  vedevansi  nel  piccolo  giardinet- 
to. Oltracciò,  la  tinta  uniforme  biancastra ,  ombreg- 
giata negli  oscuri,  si  delle  due  Ninfe  come  del  Satiro 
e  di  tutte  le  Sfingi ,  non  che  il  veder  tutti  collocati 
sopra  piedestalli  della  medesima  tinta ,  mostra  che 
dar  si  volle  la  idea  di  statue  ,  che  ornassero  in  giro 
il  viridario ,  e  la  piccola  fontana  in  esso  ricacciata  : 
non  altrimenti  che  fu  da  noi  osservato  in  altra  casa 
alla  vicina  strada  di  Stabia,  ove  i  medesimi  ornati  fre- 
giavano le  pareti  di  un  simile  giardino  (an.I  p.27  s.). 

Sulla  destra  parete  del  descritto  compreso  è  prat- 
ticata  un'ampia  apertura  ad  arco,  per  la  quale  si  ac- 
cede a  quello  spazio  estremo  più  elevato  del  grande 
atrio  delle  terme  :  e  guardando  dal  ridetto  spazio  la 
faccia  esterna  di  questo  arco ,  nel  piedritto  sinistro 


solo  conservalo  e  visibile,  oltre  la  capricciosa  archi- 
tettura ,  ed  altri  ornati  di  stucco,  appare  anche  di 
stucco  ben  conservata  una  figura  di  barbato  Sileno 
con  pallio,  calzari  e  tirso,  il  quale  si  appressa  ad  un 
albero,  su  cui  pende  da  una  tenia  un  bacchico  tim- 
pano. In  fondo  al  citato  spazio  più  elevato  dell'  atrio 
s'innalza  il  muro,  che  chiude  da  questo  lato  l' intero 
edifizio.  A  destra  presso  all'  angolo  è  una  nicchia  in- 
crostata di  stalattiti  e  di  conchiglie.  Poscia  di  fronte 
all'arco  innanzi  descritto  è  un  altro  arco,  che  dà  ac- 
cesso ad  allro  somigliante  compreso  o  viridario,  a  cui 
certamente  avevasi  parimenti  l'ingresso  dalla  parte  del 
grande  atrio  ;  ma  quel  lato  non  è  stato  per  anco  sco- 
perto. Questo  compreso  è  decorato  in  modo  somi- 
gliante a  quello  che  si  mira  di  fronte  ;  per  quanto  rile- 
vasi dalle  parti  finora  scoperte.  Appare  nel  muro  in 
fondo  la  stessa  nicchia  rettangolare  con  architrave  a 
musaico  di  bianche  e  nere  pietruzze  ;  ed  a  sinistra  di 
essa  nicchia  veggonsi  piante  ,  uccelli ,  ed  una  simile 
Ninfa  seminuda  con  conca,  la  stessa  Sfinge  sopra  un 
piedestallo  ,  e  delfini  ,  e  marini  mostri  in  una  gialla 
fascetta.  11  campo  presso  la  Ninfa  è  azzurro  per  figu- 
rare i  campi  dell'  aria.  Nella  parete  sinistra  in  parte 
dissepolta  vedonsi  simili  decorazioni,  e  principalmente 
un'  altra  Sfinge  sopra  un  piedestallo. 

Riserbandoci  di  dare  più  esatte  descrizioni  di  que- 
ste parti  dell'  edifizio ,  quando  ne  sarà  compiuta  la 
scavazione ,  veniamo  a  discorrere  di  altre  accessioni 
della  medesima  costruzione.. 

Noi  già  parlammo  di  un'apertura,  che  dal  sinistro 
lato  dell'atrio  manifeslavasi  nell'estrema  parete  ador- 
na di  stucchi  :  ora  possiamo  aggiungere  che  per  so- 
glia di  traverlino  essa  dà  l'ingresso  ad  un  vasto  com- 
preso quasi  quadrato.  Il  pavimento  è  di  terra  battuta 
con  parte  di  opera  signina.  Le  mura  sono  rivestile' 
di  bianco  intonico,  che  si  vede  distinto  in  tre  zone  da 
due  linee  parallele  profondamente  incavate  in  tutto 
il  giro,  una  all'altezza  di  circa  sette  palmi  dal  suolo, 
e  l'altra  ad  una  eguale  altezza  dalla  prima.  Vedonsi  in- 
torno per  tre  lati  grappe  di  ferro  a  circa  sei  palmi 
di  altezza  dal  suolo,  destinate  forse  a  sostegno  di  ar- 
madii  :  mostrandosi  inferiormente  le  tracce  di  rego- 
lari dipinture  ritraenti  appunto  chiusure  di  armadii, 


163  — 


Je  quali  facevano  quasi  continuazione  colle  superiori 
chiusure  di  legno. 

Avvertimmo  nel  passato  anno  del  bulletlino  come 
dopo  lo  spoglialojo  ,  seguiva  il  tepidario  già  intera- 
mente scoperto ,  e  poscia  un  altro  grande  compreso 
in  quasi  totale  distruzione  ,  del  quale  non  è  ancora 
compiuta  la  scavazione.  Sono  intanto  proseguili  i  la- 
vori dopo  questo  terzo  compreso.  In  un  piccolo  spa- 
zio rettangolare  vedonsi  costruite,  come  sembra,  tre 
vasche  circolari  di  forte  fabbrica  di  mattoni  ;  del  cui 
uso  ci  proponiamo  dir  qualche  cosa,  allorché  saranno 
interamente  disgombre  dalle  terre.  Parlammo  altrove 
di  una  scaletta ,  che  dal  corridojo  esteriore  metteva 
ne'  sili  superiori  del  bagno.  Ora  possiamo  annunziare 
che  questa  scalella  riesce  in  un  piccolo  corridojo  mes- 
so in  lieve  pendìo,  da  cui  mercè  un'apertura  si  passa 
in  un  mediocre  compreso ,  ov'  è  una  vasca  rettango- 
lare di  fabbrica,  ed  ove  apparisce  un  tronco  del  tubo 
di  piombo  che  diramasi  da  per  tutto  in  questo  grande 
edilizio.  Nel  muro  a  destra  verso  il  termine  del  descritto 
corridojo  è  pratlicata  un'apertura,  per  la  quale  mercè 
due  scalini  ascendenti  all'  esterno  ,  e  due  altri  di  di- 
scesa all'interno  si  passa  ad  una  spaziosa  sala  desti- 
nata egualmente  ad  uso  di  bagno.  11  pavimento  è  ben 
conservato  a  musaico  di  bianche  pietruzze:  le  pareti 
sono  duplici  colla  solita  fodera  di  mattoni ,  perchè 
dentro  vi  penetrasse  il  calorico.  I  muri  sono  tutti  di- 
pinti di  rosso;  e  n'è  il  campo  frastagliato  da  gialli 
pilastri  scanalati  di  stucco.  Tre  soli  pilastri  erano  ne' 
lati  corti,  sei  ne  appariscono  nel  lalo  lungo  di  fronte 
all'entrala ,  giacché  nulla  si  scorge  in  quello  che  gli 
è  di  rimpetto  per  essere  il  muro  in  grandissima  parte 
crollato.  Lo  zoccolo  è  costituito  da  un  breve  rivesti- 
mento di  bianco  marmo.  Al  di  sopra  de'  pilastri  ri- 
corre un  fregio  di  bianco  stucco,  ove  sono  operati  a 
bassorilievo  festoni,  uccelli,  e  candelabri:  ed  è  limita- 
to superiormente  da  una  cornicelta  di  caulicoli.  Dopo 
di  che  si  eleva  la  volta  a  botte  in  parte  conservata , 
tutta  adorna  di  larghe  scanalature  di  bianco  stucco. 
Nel  segmento  di  cerchio  eh'  è  al  di  sopra  del  fregio , 
nel  lato  corto  a  sinistra  dell'  entrata  ,  è  in  alto  prat- 
icata un'  ampia  finestra  per  dar  luce  a  tutta  la  sala  , 
e  più  io  giù  sono  figurati  a  bassorilievo  di  bianco 


stucco  varii  simboli  ed  oggetti.  Nell'estremo  a  destra 
è  un  grande  cornucopia  ripieno  di  fruita  da  cui  pende 
un  festone  :  ed  altro  esserne  doveva  dall'  altro  estre- 
mo, ora  interamente  perduto.  Nella  parte  media  ve- 
desi  effigiata  una  colonna  di  semplicissima  costruzio- 
ne, con  capitello  ornato  quasi  della  parte  superiore  di 
un  giglio,  ove  le  due  estreme  foglie  tondeggianti  costi- 
tuiscono quasi  due  volute  ;  e  perciò  può  riferirsi  al- 
l' ordine  jonico.  Al  di  sopra  di  quesla  isolala  colonna 
è  un  vaso.  Presso  vedesi  al  suolo,  come  sembra,  uno 
scrigno  con  manubrio  ,  e  più  in  là  una  mensa  con 
varie  offerle  al  di  sopra  vasi,  fruita  eie.  La  isolata  co- 
lonna accenna  forse  a  funebre  monumento:  e  noi  ci- 
teremo a  confronto  le  cose  da  noi  delle  altrove  a  pro- 
posito delle  stele  con  vasi  al  di  sopra  [bull.  arch.  nap. 
ant.  ser.  an.  VI  p.  64)  :  ed  alla  stessa  funebre  idea 
può  condurre  per  avventura  la  mensa  con  funebri 
offerte  ;  senza  indagare  per  altro  a  clic  alluda  il  volu- 
me ravvicinato  ad  una  simile  composizione:  ove  non 
voglia  pensarsi  che  per  esso  si  accenni  alla  tomba  di 
un  celebrato  scrittore.  Queste  non  sono  che  conghiel- 
ture,  tanlo  più  prive  di  certezza ,  quanto  più  creder  si 
voglia  fantastica  e  capricciosa  la  parte  ornativa  degli 
antichi  edifizii.  Del  reslo  la  colonna  col  vaso  può  ac- 
cennare a'  ludi ,  secondo  le  osservazioni  del  celebre 
Cavedoni  (bull,  dell' ht.  1847  p.  78):  nella  quale  in- 
telligenza non  sarebbe  fuor  di  luogo  presso  le  terme, 
che  sì  vicino  rapporto  ebbero  col  ginnasio  e  colla  pa- 
lestra. Nel  fondo  della  sala  è  una  bellissima  vasca  ret- 
tangolare di  marmo  assai  ben  conservata  ,  e  tutta  ri- 
vestita anche  all'  esterno  di  bianche  lastre  marmo- 
ree. AH'  interno  della  vasca  ,  ed  a  destra  ,  è  prat- 
icata un'ampia  apertura  ad  arco  la  quale  comincia 
dal  suolo  e  si  mette  in  comunicazione  con  una  grande 
caldaja  di  bronzo  destinata  probabilmente  a  contenere 
1'  acqua  bollente  e  comunicante  cogli  esterni  serba- 
toi. Da  questo  medesimo  lato  è  un  foro  con  piccolo 
tubo  di  bronzo  ,  d'onde  l'acqua  sgorgava  nella  va- 
sca. Neil'  estremo  opposto  ed  anteriore  vedesi  prati- 
cato un  altro  foro  ,  che  si  estende  dall'interno  della 
vasca  sino  alla  faccia  esteriore  verso  il  pavimento  a 
musaico,  per  favorire  lo  seolo  delle  acque.  All'altro 
estremo  della  sala  rimpelto  alla  descritta  vasca  ret- 


—  164  — 


tangolare  da  bagno ,  è  una  vasca  circolare  da  fonie 
di  basalte,  la  quale  poggia  sopra  piede  anche  rotondo 
di  fabbrica  ,  ed  in  mezzo  alla  quale  si  eleva  un  pic- 
ciolo lubo  di  bronzo  per  lo  getlo  delle  acque.  Nel  lato 
lungo  di  fronte  all'  entrata  è  praticala  un'apertura  , 
che  dà  1'  accesso  ad  altri  locali  non  ancora  disotler- 
rati  ;  ìe  imposte  di  questa  porta  erano  fregiale  di  bianco 
marmo  lavorato ,  ed  ora  rimane  tuttavia  una  parte 
di  questo  nobile  ornamento.  Riuscendo  al  meno  ele- 
gante compreso  da  noi  sopra  descritto  in  continua- 
zione del  corridojo  messo  in  declivio  ,  si  trova  una 
apertura  ,  che  dà  l'ingresso  ad  altro  ampio  e  rozzo 
compreso  rettangolare,  al  quale  si  accede,  mercè  una 
porla  ,  dal  porticato  del  grande  atrio.  Questo  rozzo 
compreso  offre  a  destra  nell'  angolo  interno  tracce  di 
una  scaletta  ,  per  ascendere  al  piano  superiore  ,  ov- 
vero al  terrazzo  :  nel  muro  corto  a  sinistra  presenta 
un'apertura,  la  quale  conduce  ad  altre  parti  dell'edi- 
lizio non  ancora  scoperte.  Più  interessante  si  è  un  di- 
pinto vivacissimamente  conservalo  ,  che  vedesi  nel 
muro  di  fronte  all' entrala  dalla  parte  dell' atrio.  È 
ivi  figurala  una  edicola  con  fastigio  (riangolare:  e 
sotto  di  essa  è  effigialo  un  serpente  che  attorcigliasi 
nelle  sue  spire ,  e  si  avvicina  ad  un'  ara  con  offerte. 
Al  di  sotto  del  dipinto  è  una  piccola  apertura  a  vol- 
ta ,  ove  passa  un  canale  destinato  ad  animar  la  fon- 
tana circolare  di  basalte,  di  cui  sopra  si  è  ragionato. 
È  perciò  evidente  che  il  serpente  sotto  la  edicola  dee 
riputarsi  il  serpens  custos  fontis,  di  cui  è  inutile  ram- 
mentare le  autorità  conosciute  degli  antichi  scrittori. 
Essendosi  proseguila  la  scavazione  dalla  strada  di 
Olconio  in  giù,  si  è  protratta  sino  al  Foro,  ove  mena 
dirittamente  la  via.  Noi  diciamo  strada  di  Olconio 
quella  messa  innanzi  alle  nuove  terme  verso  l'entrata 
del  grande  atrio,  la  quale  è  limitala  ne'  suoi  due  e- 
stremi  dalla  strada  di  Stabia,  e  dalla  strada  de'  tea- 
tri. Di  fronte  alle  terme  sono  diciassette  aperture  per- 
tinenti alle  fabbriche  ediGcate  da  quel  lato ,  e  ne  di- 
scorreremo in  altro  nostro  articolo,  per  quanto  finora 
n'  è  stato  scoperto.  Dal  lato  stesso  delle  terme  sono  i 
seguenti  numeri — N.  18.  Bottega.  A  sinistra  appare 
un  poggiuolo  di  fabbrica  ,  ed  un  vaso  a  larga  bocca 
di  terracotta  incastralo  in  fabbrica  :  ha  pure  un'altra 
apertura  verso  la  strada  di  Stabia. 


N.  19.  Altra  simile  boltega. 

N.  20.  Altro  poco  elegante  compreso  ,  o  bottega. 

N.  21.  Apertura  murata  dagli  antichi  medesimi  , 
che  dava  1'  adito  a  locali  pertinenti  alle  terme. 

N.  22.  Dà  ingresso  ad  altro  compreso  con  rozzo 
intonico.  A  deslra  è  nell'angolo  traccia  di  una  scala, 
che  menava  a' piani  superiori.  Si  aveva  per  esso  l'en- 
trata al  porticato  dell'edilìzio  delle  terme.  Rimane  al 
sinistro  lato  una  specie  di  poggiuolo  o  Gnestra.  Non 
apparisce  alcun  segno  di  chiusura. 

N.  23.  Entrala  principale  all'  atrio  delle  terme. 

N.  24.  Bottega  con  le  pareti  rivestite  di  bianco  in- 
tonico: ha  edicola  rettangolare  prallicata  nella  parete 
sinistra;  ed  è  visibile  nell'angolo  il  canale  di  ter- 
racotta, che  discendeva  da  sopra  ne'  sotterranei  con- 
dotti. 

N.  25.  Altra  bottega,  i  cui  muri  sono  rivestili  e- 
gualmente  di  bianco  intonico:  vi  è  piccolo  poggiuolo 
di  fabbrica ,  e  nell'  angolo  destro  appare  un  simile 
condotto  di  terracotta  di  non  piccole  dimensioni. 

N.  26.  Altra  bottega  con  simile  poggiuolo  di  fab- 
brica al  sinistro  angolo.  Nella  sinistra  parete  sono 
graffile  alcune  rozze  figure. 

N.  27.  Simile  bottega  ,  con  simigliane  poggiuolo 
di  fabbrica. 

N.  28.  Non  ancora  scoperto.  Alla  parte  anleriore 
apparisce  nella  terra  la  impronta  delle  tavole,  che 
costituivano  la  chiusura. 

N.  29.  Altra  bottega  con  poggiuolo  di  fabbrica. 
Nella  sinistra  parete  è  esattamente  graffilo  un  aplu- 
stre. 

N.  30.  Altra  bottega  tuttora  ingombra  :  ha  una 
duplice  apertura  ,  alla  strada  di  Olconio  ed  a  quella 
de'  teatri. 

{Continua)  Minervini.  i 

Vaso  di  bronzo  ,  che  dicesi  rinvenuto  presso  Salerno. 

Questo  interessante  monumento  si  possiede  attual- 
mente dal  negoziante  di  antichità  signor  Raffaele  Ba- 
rone ,  il  quale  ci  ha  permesso  di  trarne  un  accurato 
disegno.  Noi  ne  presentiamo  la  incisione  nella  nostra 
tavola  X  fig.  1,2,  riportandone  la  forma  1/3  dell'ori- 
ginale. Dicesi  il  monumento  rinvenuto  in  vicinanza 


—  165  — 


di  Salerno.  Il  metallo  che  lo  compone  è  ridotto  ad 
una  grande  sottigliezza  ,  senza  che  abbia  perduto  di 
robustezza  e  di  solidità.  L'unico  manico,  che  abbia- 
mo riprodotto  della  grandezza  dell'originale,  termina 
in  una  testa  satiresca  di  bassissimo  rilievo ,  e  di  ar- 
caico stile  ,  che  rendesi  notabilissima  altresì  per  la 


ma  benanche  il  complesso  di  tulli  gli  abitanti  della 
stessa;  il  che  per  altro  poteva  desumersi  ancora  dal 
citato  addiettivo  pvfjLoùòs,  o  pt'ixi'rrjS. 

Non  voglio  inlanto  tralasciar  di  avvertire  che  nella 
voce  pcfx.7i  ravvisar  potremmo  un  nome  proprio  :  ed 
in  simile  intelligenza  Iratterebbesi  di  una  offerta  fatta 


diligenza  e  minutezza  della  esecuzione.  Ma  la  prin-     da  una  donna  in  tal  guisa  appellata.  Se  questo  mo- 


cipale  importanza  di  questo  metallico  arnese  vien  co 
sliluita  da  una  greca  iscrizione  in  arcaici  caratteri 
graffila  sotto  la  base.  Essa  è  come  segue  : 


numcnto  ,  come  si  fa  credere,  appartiene  all'antica 
Salerno,  sarebbe  il  primo  che  si  conosca  proveniente 
da  quelle  parli ,  e  perlinenle  ad  epoca  remotissima. 
Esso  viene  ad  addilarci  il  grecismo  di  quell'  antica 
regione  ,  innanzi  che  vi  fosse  dedotta  la  romana  co- 
lonia. Con  ciò  non  vorremmo  trovare  un  appoggio 
Che  certamente  va  distinta  ed  interpretata  :  'Pvixrp  alla  conghieltura  del  cb.  Garrucci ,  che  riconobbe  il 
«pà.  È  ben  conosciuto  che  pt'/uty)  venne  a  significare     nome  AUEDN  (retr.)  in  una  medagliuzza  di  argento 


DYMEJADA 


una  slrada  di  una  città  insieme  cogli  edificii  che  la 
costeggiano:  quasi  dicessimo  un  rione,  corrispondente 
al  latino  vicus.  Tanto  rilevasi  dagli  antichi  gramma- 
tici (anliact.  iu  Bekker.  Anecd.  p.  113,  6:  Hesych. 
s.  v.  ha.<rsixt%?iy'-  Schol.  Hom.  Od.  N.  195:  Poi- 
lux  Onom.  IX,  38  :  eie.  ):  e  Stefano  Bizantino  for- 
mò 1'  addiettivo  locale  pUfMMÒS  e  fVfxlrrfi  (s.  ».),  vica- 
nus.  Più  facile  è  la  intelligenza  della  voce  àpi. ,  la 
quale  significando  presso  gli  antichi  scrittori  la  pre- 
ghiera, ivxji  (Euslalh.  ad  Od.  A  v.  767  cf.  Porson 
ad  Euripid.  Phoeniss.  68);  può  dinotare  eziandio  la 
offerta  con  che  cercavasi  di  muovere  a  proprio  favore 
le  divinità  ,  delle  quali  s' implorava  V  ajuto,  Le  voci 
adunque  pyfxajs  ifà  possono  interpretarsi  offerta  del 
rione  di  una  città  :  né  potrebbe  riputarsi  poco  deter- 
minato il  donatore  ,  quando  si  consideri  che  poteva 
quel  metallico  arnese  essersi  depositato  siccome  àva- 
Sryjia  in  un  sacello  o  tempietto  silo  in  quella  mede- 
sima strada  o  parte  della  città.  Sicché  bastava  indi- 
care che  quel  vaso  fosse  un  presente  del  vico  o  none, 
perchè  rimanesse  localmente  definito  da  parte  di  chi 
proveniva  la  offerta.  In  tal  modo  considerato  riesce 
sommamente  interessante  un  monumento  di  remota 


pubblicata  dall'Avellino  (opusc.  t.  1:  Garrucci  Anti- 
quii. Salernit.  disquis.  quinque  pag.  1 ,  segg.  )  ;  giac- 
ché questo  monumento  numismatico  per  la  sua  poca 
con^ervatezza  rimarrà  ancora  per  noi  di  dubbia  attri- 
buzione. 

MlNERVISI. 

Notizia  di  due  lucerne  di  terracotta  provenienti 
da  Pozzuoli. 

Nella  nostra  tav.X,  fig.  3 e  4,  riportiamo  due  lu- 
cerne provenienti  da  Pozzuoli  ed  ora  possedute  dal 
negoziante  di  antichità  signor  Raffaele  Barone.  Sem- 
brano entrambe  relative  alla  prima  ecloga  di  Virgi- 
lio; per  modo  che  sono  da  riputare  monumenti  pre- 
gevoli e  rari  come  confronto  ad  uno  de'  più  perfetti 
ed  eleganti  scrittori  della  classica  antichità.  Rappre- 
senta la  prima  un  pastore  di  aspetto  senile  e  con  folla 
barba  vestilo  di  succinta  tunica ,  a  cui  è  sovrapposta 
una  pelle  di  capretto  :  egli  si  appoggia  con  ambe  le 
mani  ad  un  nodoso  bastone  ,  ed  è  indicato  dal  nome 
T1TVRVS.  A  lui  dinnanzi  si  eleva  un'albero  ,  a  cui 
si  appressano  pascolando  capre  ed  agnelli  ;  mentre 
antichità,  che  ci  presenta  un  sacro  donano  offerto  da  un  augello  poggia  ad  un  ramo,  e  ad  altro  ramo  è 
tutta  una  porzione  di  cittadini  ;  ed  in  questa  maniera  sospeso  un  piccolo  sacco  ,  ove  giace  un  agnellino 
d' intendere  potremmo  desumere  che  la  voce  pvixt\  di  fresco  nato.  Noi  non  dubitiamo  di  asserire  che 
(a  somiglianza  del  Ialino  vicus)  dinotasse  non  solo  la  il  Tiliro  della  lucerna  puteolana  sia  appunto  il  Ti- 
materiale  riunione  della  slrada  cogli  edificii  annessi ,     tiro  Virgiliano ,  come  ci  viene  descritto  nella  prima 


166  — 


ecloga  del  celebre  Mantovano,  il  suo  aspetto  senile 
accenna  alle  parole  dello  stesso  Tiliro,  che  dichiarasi 
vecchio  quando  dice  :  Candidior  postquam  tendenti 
barba  cadebat  (v.  29)  :  ed  a  quel  che  gli  ripete  Meli- 
beo  :  Fortunate  senex  (  v.  47  e  52).  E  sebbene  può 
credersi  un  errore  il  dar  la  barba  ad  un  personaggio 
dell'  epoca  augustea  ,  pure  questa  diversità  di  costu- 
me può  spiegarsi  dall'  epoca  del  monumento  ,  alla 
quale  era  probabilmente  in  uso  la  lunga  baiba  :  senza 
dire  che  i  soggetti  Virgiliani  renduli  famosi  ,  appena 
note  le  sue  mirabili  poesie,  dopo  qualche  secolo  erauo 
riputati  come  antichissimi  e  direi  quasi  eroici  :  sic- 
ché non  può  essere  incolpato  l' artista  ,  se  per  rap- 
presentare un  vecchio  pastore ,  non  ha  posto  mente 
al  personaggio  da  quello  simboleggiato ,  ed  al  costu- 
me de'  tempi  in  cui  visse,  e  lo  ha  quindi  effigiato  con 
lunga  barba.  Diversamente  si  scorge  Titiro  nel  Vir- 
gilio Vaticano;  giacché  sebbene  sia  pur  vestito  di 
abito  succinto ,  pure  è  privo  della  barba.  Solo  è  a 
notare  che  l'aspetto  del  pastore  non  apparisce  affatto 
senile  in  tutte  le  pubblicazioni  di  quella  pittura  (vedi 
pure  la  più  diligente  pubblicazione  del  Mai  Virgilii 
picturae  ant.  et  Codicib.  Vatic.  Eom.  MDCCCXXXV 
tav.  111).  11  Titiro  nella  nostra  lucerna  effigialo  si  ap- 
poggia riposatamente  guardando  il  pascolante  bestia- 
me, che  qui  si  compone  di  capre  e  di  agnelli  ;  lad- 
dove nel  vaticano  dipinto  il  pastore  sonando  la  tibia 
assiste  a'  pascolanti  buoi.  Ad  esso  fa  bel  confronto 
quel  che  dice  presso  Virgilio:  ed.  1  v.  9-10. 
Ille  meas  errare  boves,  ut  cernis,  el  ipsutn 
Ludere  quae  vellem  calamo  permisit  agresti. 

Nondimeno  altrove  lo  stesso  Titiro  accenna  all'ovi- 
le :  nostris  ab  ovilibus  v.  8  :  e  parlasi  altrove  de'  suoi 
pascenti  capretti:  pascentes  servabit  Tilyrus  hoedos. 
{ecl.  V,  v.  12).  Sicché  bene  si  paragonano  questi 
versi  alla  lucerna  di  Pozzuoli. 

Nell'albero  rozzamente  figurato  nella  nostra  lucer- 
na ,  non  so  se  debba  ravvisarsi  il  faggio ,  sotto  cui 
s'introduce  Tiliro  a  riposarsi  sdrajato.  L'augello  roz- 
zamente ancora  effigiato  pare  accenni  a  que'.  colombi 
ed  a  quelle  tortorelle  che  costituivano  un'  altra  pro- 
prietà del  vecchio  Titiro,  e  ch'egli  udiva  gemere  da- 
gli alti  olmi  (v.  58-59)  : 


Nec  (amen  interea  raucae,  tua  cura,  palumbss, 
Nec  gemere  aeria  cessabit  turtur  ab  ulmo. 
Merita  poi  di  richiamarsi  t  attenzione  sulla  voce  TI- 
TVRVS  ,  ortografia  analoga  a  quella  di  molle  altre 
voci,  e  che  ci  spiega  la  derivazione  della  gente  Tiluria. 
La  riunione  delle  due  lucerne,  le  quali  furono  pro- 
babilmente scoperte  nella  medesima  tomba,  inducen- 
doci a  scorgere  fra'  due  soggetti  un  rapporto ,  ci  guida 
a  supporre  che  possa  nel  personaggio  nudo  sedendo 
mesto  sulla  clamide,  ed  in  presenza  di  scarso  ed  ab- 
bandonato bestiame,  ravvisarsi  il  tristo  Melibeo  intento 
a  deplorare  la  sua  sventura.  Anche  qui  veggiamo  la 
barba  ;  e  si  spiega  per  le  considerazioni  esposte  dinan- 
zi. Solo  è  a  notare  che  la  espressione  della  fisonomia  è 
quella  di  un  uomo  robusto  ,  non  già  di  un  vecchio  ; 
mentre  nella  citata  pittura  vaticana  Melibeo  èGgurato 
come  giovanile  ed  imberbe.  Questa  nostra  conghiet- 
tura  par  confermata  dalla  posizione  delle  pecore  ,  e 
dalla  loro  meschina  corporatura;  parte  delle  quali  si 
mirano  al  suolo  cadute ,  quasi  oppresse  e  soffrenti 
dalle  privazioni  e  dal  disagio. 

MlNERVINI. 

Poche  osservazioni  sopra  una  fìbula  cristiana  di  bronzo. 

Appartiene  al  signor  Luigi  Sambon  la  Ghula  let- 
terata, proveniente  da  Benevento,  della  quale  fu  dato 
il  disegno  nella  tav.  V  n.  5  dell'  anno  III  di  questo 
Bullettino.  Ma  ora  sono  pochi  mesi  che  un'altra  del 
tutto  simile  a  questa  ,  ricoperta  di  bellissima  patina, 
e  ancora  fornita  del  suo  ago,  fu  acquistata  dal  nego- 
ziante di  antichità  signor  Raffaele  Barone.  Ambedue 
sono  di  bronzo,  ed  hanno  la  medesima  epigrafe,  seb- 
bene la  forma  delle  lettere  sia  un  poco  meno  trascu- 
rala in  quella  del  signor  Barone.  Tuttavia  paragonate 
insieme  appaiono  lavorate  da  una  stessa  mano,  onde 
e  per  questo  e  per  l' identità  dell'  epigrafe  si  possono 
credere  provenienti  da  un  medesimo  luogo ,  e  forse 
già  appartenenti  ad  una  stessa  persona. 

L' epigrafe  X  FVLV  BIBA  che  leggesi  in  questa 
fibula  ad  ago  (iripórri)  la  dimostra  cristiana,  e  ricorda 
una  di  quelle  non  insolite  acclamazioni  con  cui  i  Cri- 
stiani solevano  ornare  taluni  degli  oggetti  di  cui  si 


-  167  — 


servivano  (  Visconli  Lettera  su  di  una  ant.  argenteria. 
Op.  varie  voi.  I  p.  217  ed.  Mi!.).  La  forinola  BIBAS 
o  B1BAT  fu  usata  dai  gentili  non  meno  che  dai  Cri- 
stiani ,  così  per  augurar  lunga  vita  ,  come  per  invi- 
tarsi a  goder  dei  piaceri  della  vita  (Buonarruoti  Vetri 
p.  20  V  :  Morcelli  De  stylo  p.  251  e  seg.  ed.  Rom.  ; 
Garrucci  Les  Mystères  da  Syncrélistne  Phrygien  ecc. 
Paris  1854  p.  11  e  seg.);  ma  divenne  poi  frequentis- 
sima presso  i  Cristiani,  ed  è  noto  quanto  spesso  s'in- 
contri nelle  lapidi  cimiteriali  per  augurio  di  quella 
vera  felicità  che  deriva  all'  anima  dalla  sua  unione 
con  Dio  (  De  Rossi  ,  De  Christianis  Monumenlis 
1X0TN  referentibus  p.  8;  Boldetti  Cimiteri  p.  417, 
418  et  passim;  Mamachi  Orig.  et  antiq.  Chr.  Tom.  3 
§  3  ),  e  qui  congiunta  col  monogramma  esclude  ogni 
altrd  significazione  che  non  si  riferisca  a  senso  Cri- 
stiano. Questa  formola  d'augurio  usata  da  prima  nelle 
acclamazioni  convivali ,  e  sì  spesso  ripetuta  ne'  vetri 
antichi ,  incontrasi  nelle  gemme  e  sigilli  Cristiani 
(  Fabretti  Inscripl.  p.  573  ;  Vermiglioli ,  hcr.  Peru- 
gine p.  617;  Lahus  presso  Rosmini  Storia  di  Milano 
Tom.  4  p.  414) ,  e  non  è  nuova  nelle  fibule  leggen- 
dosi in  una  d'oro  presso  il  Buonarruoti  (Op.  e.  p.208). 
Meno  frequente  è  l' indicazione  del  monogramma 
col  solo  X  ,  il  quale  come  è  noto  più  comunemente 
accoppiavasi  col  P  ,  e  raffiguravasi  in  varie  maniere 
(  Morcelli  De  Styìo  p.  570  ) ,  ma  l' essere  espresso 
con  un  solo  elemento  era  la  meno  usala  (Letronne, 
De  la  Croix  ansée  égyptienne,  Ann.  dell'Ist.  lit.  voi. 
XV  p.  122.  Minervini ,  Novelle  dilucidazioni  sopra 
un  antico  chiodo  magico  Napoli  1846,  p.  21  ;  Ma- 
machi ,  Tom.  Ili  p.  71  ).  Fu  già  creduto  da  taluno 
che  questo  segno  per  la  rassomiglianza  che  ha  colla 
croce  greca  inclinata  ,  ovvero  colla  crux  decussala  , 
come  la  disse  Giusto  Lipsio  ,  indicasse  la  croce ,  ma 
bene  osserva  il  Letronne  (  Op.  e.  p.  125),  che  i  fe- 
deli più  comunemente  riconoscevano  in  questo  segno 
l' iniziale  di  Xpiurós.  E  in  questo  senso  vogliono  es- 
sere intesi  gli  esempi  che  ne  porgono  i  monumenti  , 
i  quali  sebbene  non  troppo  numerosi,  sono  però  suf- 
ficienti a  fermarne  il  vero  significato.  Che  tale  è  senza 
dubbio  in  una  lapide  cimiteriale  edita  dal  eh.  Cave- 
doni  (  Comideraz.  sopra  User.  scp.  di  S.  Gemello  mar- 


tire, Modena  1839  p.  33)  in  varie  epigrafi  del  Boi- 
detti  (  Lib.  II  e.  3  p.  351,  352),  dell'Aringhi  {Ro- 
ma Subter. ,  p.  174  e  521  ),  sopra  un  vaso  col  san- 
gue (id.  p.  501  ) ,  e  in  un  anello  pubblicato  dall'Al- 
legranza  {Opuscoli  eniditi  pag.  178).  Ed  era  anzi 
questa  una  delle  forme  più  antiche  del  Monogramma 
che  dipoi  a'  tempi  dei  Giustiniani  si  mutò  in  quella  di 
IC  XC  (Costadoni  Osservaz.  intorno  alla  Chiesa  Cat- 
tedr.  di  Tonello  ;  CalogeràTom.  43  p.  720  ;  Paciaudi, 
Osserv.  sopra  alcune  strane  medaglie  p.  20  )  :  e  che 
col  X  intendessero  i  Cristiani  di  indicare  il  venerando 
nome  di  Cristo,  ne  fa  prova  manifesta  la  lagnanza  che 
Giuliano  Apostata  nel  Misopogone  p.  360  ed.  1696, 
muove  contro  gli  Antiocheni ,  rimproverandoli  che 
con  siffatta  lettera  procuravano  di  occultargli  miste- 
riosamente il  nome  di  Cristo  (cf.  Baron.  ad  an.  362 
Tom.  V  p.  72  ed.  Lue.  ). 

Il  modo  in  che  l'epigrafe  voglia  essere  letta  parmi 
che  sia  :  Christo  Fulvius  bibat ,  ovvero  Chrislo  Fulvi 
bibas ,  potendosi  leggere  in  ambedue  i  modi ,  man- 
cando nel  verbo  la  consonante  finale  che  determini 
se  il  verbo  si  riferisca  alla  seconda  o  alla  terza  per- 
sona. Ommissioui  consuete  e  notissime  specialmente 
in  quei  monumenti  che  come  il  nostro,  abbandonato 
l' alfabeto  quadrato  ,  prendono  ad  usare  il  corsivo. 
Ripetuti  esempi  della  ommissione  finale  così  del  s  co- 
me del  t  si  veggono  nell'iscrizione  del  Chiodo  Ma- 
gico illustrala  dal  eh.  Minervini  {op.  cit.  p.  9) ,  ma 
nel  caso  presente  l' ommissione  finale  della  parola 
biba  potè  provenire  da  che  questa  voce  veniva  forse 
cosi  troncata  nelle  pubbliche  acclamazioni. Dello  scam- 
bio del  B  per  V ,  e  del  promiscuo  uso  di  esso  ,  ne 
souo  noti  abbastanza  gli  esempi ,  fra  i  quali  notevo- 
lissimi sono  quelli  che  nella  dilucidazione  della  citala 
epigrafe  ricordò  il  chiar.  Autore  (p.  7  ih  nota),  ai 
quali  aggiungiamo  1'  esempio  che  ne  porge  l' iscri- 
zione illustrata  dal  eh.  P.  Garrucci  (op.  cit.  p.  11). 
Fulvius  è  nome  cristiano  che  apparisce  in  altri  mo- 
numenti ,  e  basti  citarne  due  esempi  ,  1'  uno  presso 
il  Fabretti  {Inscr.  p.  571),  e  l'altro  presso  il  Marini 
{arv.  p.  171  ). 

La  forma  inelegante  e  trascurata  dei  caratteri  ac- 
cenna alla  scrittura  del  quarto  e  del  quinto  secolo. 


168  - 


Le  estremila  e  gli  angoli  di  ciascuna  lettera  sono 
ornati  di  punti  o  apici  che  talora  trascorrono  in  gui- 
sa da  parer  piccole  sbarre ,  e  perciò  il  X  prende 
quasi  la  forma  di  una  delle  varie  maniere  di  croce 
ansala  ,  forma  che  però  fu  talvolta  anche  propria  del 
monogramma.  La  F  è  indicata  con  una  sola  linea 
orizzontale  nel  mezzo  ,  mentre  che  nei  graffili  Pom- 
peiani (  Avellino  Bull.  Nap.  an.2.  p.  9),  in  una  la- 
pide del  Museo  Borbonico  (Inscr.reg.neap.  n.6529), 
e  in  altri  monumenti  nei  quali  è  usala  la  forma  cor- 
siva [Bull,  dell'  Ist.  di  coir.  ardi.  ari.  1852  p.  23  , 
e  136)  suole  essere  indicala  con  una  lineetta  verti- 
cale parallela  alla  prima.  La  L  un  poco  inclinata  a 
sinistra  ,  e  colla  seconda  asta  incurvata  e  prolungata 
a  destra  meglio  si  ravvisa  nella  fihula  del  Signor  Ba- 
rone, e  tale  forma  ha  molti  confronti  nelle  iscrizioni  a 
pennello  sulle  mura  di  Pompei ,  e  in  quasi  lutti  quei 
monumenti  in  cui  l'alfabeto  quadrato  cede  al  corsivo. 
Al  Morcelli  non  piacque  il  costume  antico  delle 
fibule  letterale  ,  perchè  per  l'uso  a  cui  erano  desti- 
nate non  potevasene  discernere  facilmenle  1'  epigra- 
fe ,  e  perciò  litleralas  esse  quid  prederai  ?  (  De  Slyto 
p.  251  ed.  Bom.  ).  Ma  oltre  che  per  quelle  di  me- 
tallo prezioso  potea  il  nome  o  l'acclamazione  inscritta 
servire  di  coutrassegno  per  ritrovarle  più  facilmente 
nel  caso  che  si  smarrissero ,  parmi  che  considerando 
la  qualità  delle  epigrafi  che  in  quelle  dei  Cristiani 
specialmente  s'incontrano  ,  possano  queste  conside- 
rarsi come  altrettanti  fijalteri ,  e  che  ciò  assai  bene 
coucordi  coi  loro  primitivi  costumi  (  cf.  Cavedoni 
Spec.  lex.  evagel.s.y.).  Le  fibule  poi  che  come  questa 
erano  desiniate  a  fermar  la  cintura  ed  il  balleo  non 
erano  così  rimote  dalla  vista  ,  che  non  ne  apparisse 
anche  lo  scritto  ;  ed  è  poi  evidente  che  questa  e  per 
la  sua  forma  ,  e  per  essere  fornita  di  ago,  non  potea 
fare  l'ufficio  suo  se  non  quando  le  due  parti  fossero 
tese  ,  e  in  guisa  da  rimanere  scoperta,  siccome  quella 
che  ricorda  Virgilio:  et  lalerum  iuneluras  fìbula  mor- 
ati (Aen.  XII.  274).  Di  forma  simile  a  questa  ne  ri- 
porta una  cristiana  il  Boldetli  (  Cimil.  p.  518)  con 
eguale  ornamento  di  due  capi  di  tigre  o  leone  ,  nei 
quali  io  amo  meglio  riconoscere  un  ornamento  usato 


ad  apporsi  dagli  artefici,  che  ricercarvi  alcuna  ragio- 
ne di  significato  arcano  o  simbolico. 

P.  D.  Luigi  Bruzza  Barnabita. 

Antico  Vaso  dipinto  di  Aere  rappresentante  un  tiaso 
di  Bacco. 

I  chh.  Barone  ludica  e  Prof.  Panofka  (  Vasi  di 
premio tav.  IV, b)  in  una  delle  facce  dell'indicato  an- 
tico vaso  dipinto  ,  proveniente  dagli  scavi  di  Acre , 
ravvisarono  «  Bacco  barbato  tenente  una  vile,  che  a 
guisa  di  pergola  ombreggia  lui  e  la  compagnia  di 
due  Sileni  tibicini ,  entro  un  carro  a  quattro  role  ,  la 
cui  parie  anteriore  è  decorata  di  lesta  di  cane ,  e  la 
posteriore  ha  un  canestro  e  l'ornamento  diunserper». 
Meglio  ,  a  quel  che  pare  ,  il  eh.  Mùller  (  Hand- 
buch  §  590 ,  3  )  vi  ravvisava  una  barca  colloca- 
ta sopra  un  carro  ;  poiché  i  pretesi  accessori!  della 
lesta  di  cane  e  dell'  ornamento  di  un  serpente ,  segna- 
tamente pel  riscontro  di  altra  simile  rappresentazio- 
ne di  una  tazza  Vulcente  (  Inghirami ,  Galler.  Omer. 
tav.  CCLX:  Mùller,  Handbueh  %.  99,  12),  altro 
non  sono  che  il  roslro  ed  il  chenisco  di  una  navicel- 
la. Parmi  per  altro  ,  che  questa  anzi  che  sopra  un 
carro,  dirsi  debba  collocata  sopra  role,  probabilmente 
per  renderla  mobile  in  sulle  scene ,  forse  nella  rap- 
presentazione della  ventura  di  Bacco  slesso  co'  pirali 
Tirreni  (  llomcr.  hymn.  VII:  Philoslr.  imag.  1,49). 

La  semplicità  de' costumi  vetusti  spesso  trova  cal- 
zanti riscontri  in  quelli  del  medio  evo,  e  de' bassi 
tempi.  Or  bene  nell'anno  1494  addì  ultimo  di  Apri- 
le ,  in  Modena  mia  fu  falla  in  piazza  la  rappresenta- 
zione del  viaggio  di  S.  Geminiano  olire  mare;  e  fra 
I'  altre  particolarità  si  fece  uno  nave  in  su  rote,  che  la 
menava  uno  cavallo  per  la  piazza  stessa,  come  trovasi 
ricordato  nella  cronaca  contemporanea  del  nostro  Ja- 
copino  Lancellotlo.  Il  cavallo  ,  che  movea  la  nave  , 
probabilmente  dovea  restare  nascosto  sotto  essa,  af- 
finchè la  nave  slessa  avesse  apparenza  di  muoversi  co- 
me fosse  in  mare. 

Nel  dipinto  del  vaso  d'Acre  quello,  che  parve  cane- 
stro al  eh.  Panofka  ,  altro  forse  non  è  che  un  velo 
festivo  che  pende  disteso  dalla  parte  di  poppa;  ed  altro 
velo  sembra  cadere  lunghesso  il  fianco  della  barca,  fin 
verso  terra  sì  che  non  lascia  visibile  che  solo  il  seg- 
mento inferiore  delle  ruote,  in  sulle  quali  vedesi  col- 
locata la  barca  medesima  :  i  quali  due  o  più  veli  ser- 
vir poterono  lutto  insieme  a  nascondere  agli  occhi 
dello  speltatore  l' ingegno  che  serviva  a  render  mo- 
bile quella  navicella  in  sulle  scene.        C.  Cavedoni. 


Giglio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Cataneo. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  96.     (22.  dell'  anno  IV.) 


Maggio  1856. 


Monumenti  Pompejani. — Breve  notizia  sopra  un  insigne  sarcofago  di  marmo  rinvenuto  in  Rapolla. —  Poche 

osservazioni  sopra  un  monocromo  ercolanese. 


Monumenti  Pompejani. 

La  recente  pubblicazione  del  fascicolo  sesto  della 
splendida  opera  de' Signori  Niccolini  sulle  case  ed  i  mo- 
numenti di  Pompei  mi  fornisce  il  destro  di  presentare 
a'  lettori  del  bulleltino  la  incisione  della  pianta  e  di 
alcune  particolarità  di  un  edilizio  da  noi  precedente- 
mente descritto.  E  qui  avvertiamo  esser  nostra  inten- 
zione di  presentare  a  quando  a  quando  le  cose  novella- 
mente pubblicate  in  quella  magni6ca  e  costosissima  o- 
pera.  Così  avremo  la  opportunità  di  offrire  nelle  nostre 
tavole  una  scella  di  disegni  di  monumenti  pompeja- 
ni ,  de'  quali  Onora  scarseggiava  la  nostra  pubblica- 
zione. La  Casa  di  Marco  Lucrezio ,  le  nuove  terme 
alla  strada  Stabiana  quando  ne  sarà  compiuta  la  sca- 
vazione ,  verranno  man  mano  ad  ornare  il  bulleltino 
napolitano  ,  che  già  erasi  occupato  a  descrivere  que- 
gli interessanti  monumenti.  Ora  la  nostra  tav.  XII 
viene  a  porgere  la  pianta  ed  alcuni  particolari  di  un 
privato  edificio,  sito  alla  di  Stabia,  e  segnato  col  n.  57. 
Noi  già  descrivemmo  questa  casa  nell'anno  L  del  pre- 
sente bulleltino  :  ora  nel  dare  una  breve  indicazione 
della  nostra  tav.  XII ,  ci  riporteremo  a  quello  che  fu 
da  noi  detto  precedentemente  ;  non  senza  aggiungere 
qualche  utile  osservazione  fatta  dall'  egregio  Signor 
•Felice  Niccolini,  a  cui  sappiamo  appartenere  la  de- 
scrizione di  questo  monumento  ;  sebbene  il  più  delle 
volte  egli  se  ne  riporti  all'  annunzio  ,  che  ne  fu  per 
noi  dato  in  questi  medesimi  fogli. 

Indicazione  della  pianta.  1 .  Androne  (  vedi  la  nò- 
stra descrizione  an.  I  p.  60  ). 

2.  Botteghe. 

3.  Atrio  tuscanico.  Ivi  è  la  mensa  di  marmo,  e  la 
piccola  fonte  del  compluvio  ,  della  quale  vedi  un  ac- 

anno  ir. 


curalo  disegno  nella  figura  4  della  tav.  XII.  Discor- 
remmo dell'  atrio  nel  citato  an.  1  p.  60  e  seg. 

4.  Compreso  da  noi  dichiarato  una  dispensa  (an.I 
pag.  71).  II  Signor  Niccolini  osserva  essere  trop- 
po lungi  dalla  cucina,  per  potere  ammettersi  una  tale 
attribuzione.  In  qualunque  modo,  è  certo  chela  cir- 
costanza di  esser  tutte  le  pareti  munite  di  chiodi , 
senza  dubbio  per  sostegno  di  armadii ,  ci  dimostra 
che  questo  stanzino  fosse  destinato  a  contenere  ogget- 
ti ,  o  comestibili  ,  che  non  ci  attentiamo  di  determi- 
nare. Avverte  il  Sig.  Niccolini  che  furono  ivi  ritro- 
vali ad  altezza  di  palmi  diciassette  cinque  scheletri 
umani  ,  uno  de'  quali  presso  un  traforo  apposita- 
mente praticato:  dal  che  deduce  che  dovettero  quegli 
infelici  perire  dopo  la  catastrofe  ,  volendo  penetrar 
nella  casa  per  quel  cunicolo. 

Passaggio  senza  numero  (  an.  1  p.  71  ). 

5.  Altra  stanza  con  molte  iscrizioni  (an.  Ip.  71  ). 
6,8,9—  Cubicoli  (  an.  I  p.  72  ). 

7.  Ala  dell'1  atrio  (  an.  I  p.  72  ). 

10.  Peristilio  (an.  I  p.  72  seg.  ).  Nelle  pareti  del 
peristilio  sono  vani  graziosi  dipinti ,  che  già  furono 
da  noi  descritti.  Tra  questi  è  la  immagine  della  Vitto- 
ria, di  cui  parlammo  a  pag.  73  del  citalo  an.  I ,  e  di 
cui  riportiamo  ora  il  disegno  nella  figura  1  della  no- 
stra tav.  XII.  Tiene  questa  lo  scudo  e  1'  asta  ,  e  mo- 
strasi volante  in  bella  e  graziosa  movenza,  con  gran- 
dioso e  ben  inteso  partito  di  pieghe.  In  quanto  al  pe- 
ristilio, noteremo  una  osservazione  fatta  dal  sig.  Nic- 
colini ,  la  quale  viene  ad  aggiugnersi  a  quanto  ne  fu 
detto  da  noi.  Egli  si  esprime  in  tal  modo:  «  Neil'  os- 
»  servare  a  prima  giunta  la  disposizione  di  questo  pe- 
»  ristilio  par  si  ravvisi  tale  un'  anomalia  da  non  sa- 

»  persi  spiegare.  Fra  le  dieci  colonne  che  circondano 

22 


—  170 


»  il  giardinetto,  abbencliè  tutte  dello  stesso  ordine,  le 
»  quatlro  che  son  di  fronte  alla  enlrata  visibilmente 
»  più  corte  delle  sei  rimanenti  sul  pavimento  si  ele- 
»  vano.  Ma  dal  poco  che  pure  ci  avanza  della  parie 
»  superiore  di  questo  peristilio  è  facil  cosa  giudicare 
»  che  nel  primitivo  suo  stato,  anziché  scorgere  tal  di- 
»  scordauza  un  grazioso  e  pittorico  insieme  produr 
»  doveva  la  disuguaglianza  di  così  fatte  colonne  per 
»  tal  modo  disposte  :  tanto  è  il  sagace  accorgimento, 
»  e  tanto  il  buon  gusto ,  con  cui  seppe  l' ingegnoso 
»  artefice  mascherare  quell'  apparente  anomalia,  si- 
»  tuando  rimpetto  alla  entrata  più  basso  l' arcotrave 
»  dell'intercolunnio.  Tale  arcotrave  esser  doveva  squi- 
»  silamente  ornato.  Ce  ne  porge  un  saggio  il  bellis- 
»  simo  frammento  da  noi  riportalo,  che  fra  due  pae- 
»  saggi  su  quel  fregio  era  posto  ;  ma  che  fu  pureini- 
»  possibile  cosa  serbare  incolume  nello  scavo  ,  pre- 
»  cipitando  dall'alto  d.  Noi  non  parlammo  affatto  di 
questo  fregio  nella  nostra  descrizione  di  quel  peristi- 
lio; ora  però  riproduciamo  il  frammento  come  venne 
nella  citata  opera  pubblicalo  (vedi  La  fig.  2  della  no- 
stra lav.  XII  ).  Presso  ad  un  albero  interamente  privo 
di  rami  e  di  foglie  ,  accennando  probabilmente  alla 
h^porcixix,  vedesi  una  accanita  pugna.  Un  uomo 
di  cui  la  parte  superiore  è  perduta ,  perfettamenle 
nudo  si  avanza  cavalcando  un  veloce  destriero,  e  spinge 
la  lunga  asta.  Segue  un  bellissimo  gruppo,  che  ci  pre- 
senta un  guerriero  con  elmo  e  clamide ,  nell'  atto 
di  ferir  coli' asta  una  donna  vestita  di  succinta  tunica, 
la  quale  al  suol  caduta  con  ambe  le  ginocchia  apre 
spaventata  le  braccia  implorando  pietà  e  compassio- 
ne :  intanto  il  guerriero  ne  afferra  colla  sinistra  la  te- 
sta ,  per  meglio  dirigere  le  sue  ferite.  Vicino  a  que- 
sto gruppo  vedi  al  suolo  le  armi  della  caduta  un'asta, 
uno  scudo,  e  come  sembra  un  turcasso.  Chiude  il  fram- 
mento un  cavallo,  che  ferito  nella  schiena  da  un'asta 
o  giavellotto  ivi  profondamente  conficcata,  è  nel  mo- 
mento di  precipitar  col  capo  chino  sul  terreno  ,  ove 
pare  sia  figurato  un'altro  giavellotto.  Questa  compo- 
sizione bellissima  per  lo  stile  pare  si  riferisca  ad  una 
delle  battaglie  fra  Greci  ed  Amazzoni;  ma  essa  non 
o  ffre  tali  particolarità  ,  che  valgano  a  farci  determi- 
nare di  qual  pugna  si  tratti  :  il  che  veniva  forse  ad- 


ditato dal  rimanente  del  fregio  ,  che  disgraziatamente 
non  ci  venne  trasmesso. 

11.  Triclinio,  (an.  1  p.  73.  segg.  ) 

12.  Exeira  (  an.  1  p.  74  ) 

13.  Cubicolo  (an.  1  p.  89  ). 

14.  Secondo  peristilio. 

15.  Stanzetta  deGnila  pel  Cellarium  dal  Signor 
Niccolini. 

16.  Cucina. 

Ci  riserbiamo  di  dare  una  più  minuta  descrizione 
di  questi  tre  ultimi  numeri ,  dopo  una  diligente  os- 
servazione sopra  luogo. 

Vogliamo  finalmente  notare  che  questa  casa  offrì 
uno  de' più  belli  esempli  degli  antichi  tetti  in  perfetta 
conservazione  ,  ove  si  osservò  in  modo  evidente  l' uso 
de'  tegoli  ad  angolo  confluente  ;  delle  quali  cose  fu 
da  noi  già  data  la  notizia  ed  il  disegno  nel  1.  anno  di 
questo  bullellino. 

Pochi  oggetti  furono  ritrovati  in  questa  casa  ,  dei 
quali  facciamo  una  brevissima  enumerazione  giusta 
la  notizia  datane  dallo  stesso  Sig.  Niccolini.  Olire  di- 
ciannove monete  di  bronzo  ,  fralle  quali  vennero  de- 
terminate una  di  Vespasiano,  ed  un'alira  di  Claudio, 
è  da  notare  il  ritrovamento  di  alcune  statuette  di 
bronzo.  Una  di  esse  è  perfettamente  corrosa,  e  perciò 
riesce  impossibile  determinarne  il  soggetto.  Due  altre 
costituiscono  un  gruppo  rappresenlante  Ercole  con 
una  figura  Frigia  a'  suoi  piedi  :  probabilmente  il  gio- 
vinetto Priamo,  che  implora  da  Alcide  il  perduto  re- 
gno ,  e  la  libertà.  Una  piccola  ara  di  bronzo  ,  alcuni 
vasi  di  varie  forme ,  cardini  serrature  ed  ornamenti 
di  porle  non  mancarono  neppure  in  questa  casa. 

Alcuni  oggetti  insignificanti  di  ferro  e  di  pionibo 
non  richieggono  una  particolare  menzione.  Lo  stesso 
dee  dirsi  degli  oggetti  di  vetro  e  di  terracotta.  Fragli  . 
oggetti  di  osso  ricorderemo  varii  di  quei  piccoli  pezzi 
cilindrici  con  diversi  buchi  alla  circonferenza ,  che 
tanto  frequentemente  vennero  fuori  dalle  pompejane 
scavazioni  ,  e  l' uso  de'  quali  rimane  tuttavia  ignoto. 


Minervim. 


171 


Breve  notizia  sopra  un  insigne  sarcofago  di  marmo 
rinvenuto  presso  Rapolla. 

Il  eh.  signor  Commendatore  Quaranta  ilio  in  que- 
sti fogli  la  prima  notizia  di  questo  insigne  monumen- 
to, come  venne  a  lui  comunicata  dal  eh.  signor  Cav. 
Giovanni  Gussone  (vedi  sopra  p.  154).  Quel  brevis- 
simo ceuno  non  era  però  sufficiente  a  far  compren- 
dere la  importanza  del  monumento:  e  noi  attendevamo 
ansiosi  la  occasione  di  porgerne  a'  lettori  del  bullet- 
tino  una  minuta  ed  esalta  descrizione.  Questa  occa- 
sione fortunatamente  ci  fu  porta;  giacché  essendo  stato 
il  valente  artista  signor  Abbate  spedito  sopra  luogo  a 
rilevarne  un  disegno ,  potemmo  esaminare  a  nostro 
bell'agio  questo  diligente  lavoro,  e  sentir  dallo  stesso 
signor  Abbate  le  notizie  concernenti  a  questa  interes- 
sante scoperta.  11  sarcofago  fu  rinvenuto  in  un  suolo 
pertinente  al  pubblico  Demanio  in  provincia  di  Basi- 
licata, distretto  di  Melfi,  comune  di  Rapolla,  nel  sito 
denominato  Albero  in  piano  a  dieci  palmi  circa  di- 
scosto dalla  Regia  strada  :  dista  da  Venosa  circa  sei 
miglia  ,  ed  è  precisamente  presso  il  fiume  Rendina  , 
ove  passava  1'  antica  via  Appia. 

Il  monumento  è  cinto  per  tre  lati  da  mura  di  fab- 
brica laterizia  di  circa  palmi  trenta  in  quadro  ,  e  (re 
di  grossezza:  l'altezza  non  può  determinarsi,  essendo 
la  parte  più  alta  crollata,  per  modo  eh'  è  sparita  la 
superiore  superficie  :  entro  il  medesimo  spazio  ,  ed 
addossato  al  muro  opposto  alla  entrata,  è  un  imbasa- 
mento eseguito  a  fabbrica  di  mattoni  dell'  altezza  di 
circa  palmi  cinque  ;  presso  del  quale  si  trovò  il  sar- 
cofago rovesciato  :  dal  che  puossi  argomentare  ,  che 
appunto  su  quel  basamento  era  in  origine  collocato. 
Nel  medesimo  recinto  delle  tre  mura  furono  rinve- 
nuti diversi  pezzi  di  cornici  di  marmo  della  grandezza 
di  4  decimi  di  palmo  ornate  di  un  listello  e  di  una 
gola  dritta,  i  quali,  per  avviso  del  lodato  signor  Ab- 
bate ,  servir  dovettero  a  decorare  l' imbasamento.  A 
sei  palmi  circa  dalla  fabbrica  laterizia  osservasi  una 
soglia  di  travertino  in  più  pezzi ,  nella  quale  si  veg- 
gono i  buchi  delle  imposte  e  dei  pessuli ,  e  che  il  si- 
gnor Abbate  crede  con  fondamento  appartenesse  al 
vano  di  porta,  eh' è  rivolta  ad  oriente.  A  circa  10 


palmi  dal  Iato  meridionale  della  delta  fabbrica  ,  fu 
ritrovato  un  tufo,  su  cui  leggesi  la  iscrizione  da  noi 
rifei  ila  di  sopra  :  cioè 

M  •  LVCILIO    MI 
FAVSTO 

FVSCA  •  LILIA  •  POSV1T 

Il  sarcofago  è  di  bianco  marmo,  e  di  maraviglioso 
lavoro  :  sopra  è  il  coverchio  che  lo  richiude  ,  del 
quale  daremo  anche  in  seguito  la  descrizione.  La  mag- 
giore larghezza  del  monumento  è  di  palmi  dieci:  nei 
due  laterali  di  palmi  cinque.  L'altezza  è  palmi  sette 
ed  un  quarto,  compreso  il  coverchio  e  la  figura  sdra- 
jata  sullo  stesso. 

La  parte  anteriore  del  sarcofago  presenta  tre  nic- 
chie sostenute  ognuna  da  due  colonne:  per  modo  che 
nel  fronte  appajono  sei  colonne  e  cinque  spazii.  Le 
colonne  sono  di  giuste  dimensioni ,  quasi  tortili ,  es- 
sendo obliquamente  striate  :  i  capitelli  sono  formati 
di  tre  ordini  di  foglie,  e  nella  parte  superiore  vanno 
a  finire  in  una  duplice  voluta.  Le  nicchie  finiscono 
superiormente  ad  arco,  e  la  parte  concava  offre  or- 
nato di  strie  a  foggia  di  conchiglia.  Al  di  sopra  delle 
due  colonne  ricorre  un  picciolo  fregio  quasi  un  se- 
condo capitello  ,  con  ornato  di  foglie  di  ovoli  e  di 
dentelli:  sul  quale  si  distende  il  fregio  nelle  due  nic- 
chie estreme  arcuato  a  seconda  della  curvatura  della 
nicchia,  nella  media  a  fastigio  triangolare,  ed  in  tutte 
intaglialo  con  ornato  di  ovoli,  di  dentelli,  e  di  foglie. 
A'  due  estremi  di  questo  fastigio  triangolare  sono  due 
funebri  palmelte;  agli  estremi  poi  del  fregio  delle  al- 
tre due  nicchie  sono  un'aquila  ed  un  leone.  Siccome 
fralle  tre  nicchie  intercede  uno  spazio  eguale  alle  me- 
desime nicchie;  è  a  notare  che  in  que' due  spazii  ap- 
parisce egualmente  un  ampio  fregio  a  livello  di  quello 
eh' è  al  di  sopra  delle  colonne:  per  modo  che  resta 
più  complicalo,  essendo  formato  di  foglie,  ovoli,  den- 
telli, tre  listelli,  ed  una  seconda  linea  di  foglie.  Aldi 
sopra  di  questo  fregio  veggonsi  a  rilievo  due  marini 
mostri  alati  e  con  testa  di  grifo.  Sotto  le  basi  delle 
colonne  pertinenti  alle  nicchie  si  elevano  tre  basa- 
menti composti  ciascuno  di  uno  sguscio,  di  un  toro, 


—  172  — 


di  una  gola  dritta  elegantemente  intagliali  ,  e  di  un 
listello.  Ricorre  il  fregio  inferiore  altresì  negli  spazii 
messi  fralle  tre  nicchie  :  ove  però  varii  ne  sono  gli 
ornati,  componendosi  di  caulicoli,  di  un  elegante  me- 
andro, e  di  foglie.  Al  di  sopra  di  tutte  tre  le  nicchie 
vedesi  un  grazioso  architrave,  ove  si  osserva  un  li- 
stello ,  un  piano  ,  un  tondino  intagliato ,  una  gola 
dritta  parimenti  intagliata  ,  un  dente  ed  un  altro  li- 
stello. Questo  architrave  è  interrotto  da  (re  specie  di 
modiglioni  lisci,  uno  de' quali  corrisponde  al  vertice 
del  fastigio  della  nicchia  di  mezzo,  e  gli  altri  due  alle 
colonne  interne  delle  due  nicchie  estreme. 

In  questa  parte  anteriore  vedi  al  di  sopra  un  ele- 
gantissimo fregio,  una  cornice,  e  più  in  alto  un  letto 
con  una  giovine  donna  giacente  :  parli  che  costitui- 
scono il  coverchio  del  sarcofago.  Il  fregio  offre  io  ac- 
curata scoltura  marini  mostri,  che  noi  descriviamo 
cominciando  dalla  sinistra  :  un  delfino  volto  a  sinistra, 
una  pistrice  a  destra  messa  di  fronte  ad  un  ippocam- 
po, un  marino  mostro  a  testa  di  grifo  messo  di  fronte 
ad  un  altro  mostro  a  testa  di  pantera,  altro  marino 
mostro  a  testa  di  leone  messo  di  contro  ad  un  toro 
marino,  e  finalmente  un  ariete  marino.  11  letto,  che 
forma  il  fastigio  del  coverchio  è  in  quattro  parti  di- 
viso da  fasce,  ov'è  una  doppia  lista  di  foglie  di  edera  : 
a'  due  estremi  finisce  coli'  ornamento  di  una  testa  di 
animale ,  come  sembra  di  un  cane,  la  quale  però  è 
poco  visibile  al  sito  ove  poggia  il  capo.  Su  questo 
letto  poggia  quasi  dormendo  mollemente  sdrajata  e 
distesa  una  femminile  figura,  la  quale  posa  la  testa  ed 
il  sinistro  braccio  sopra  un  doppio  cuscino  ,  e  colla 
destra  mano  sostiene  leggermente  un  mazzolino  di 
fiori.  La  tunica  di  questa  figura  è  finamente  lavorata, 
ed  apparisce  l' estremo  lembo  di  un  lieve  mantello , 
ove  si  vede  uno  di  que'  fiocchetti,  che  altre  volte  fu 
osservato  negli  antichi  monumenti.  Presso  la  testa 
della  giacente  donna  vedi  un  Amorino  alato ,  le  cui 
braccia  son  frammentate  ;  ma  da  ciò  che  ne  rimane 
si  deduce  che  recava  colla  destra  una  corona  di  fiori. 
Dall'altro  lato  della  donna  presso  i  piedi  si  vede  forse 
una  cassetta  destinata  a  contenere  femminili  ornamenti. 
Sembra  che  il  coverchio  sia  più  accuratamente  lavo- 
rato di  tutto  il  rimanente  del  sarcofago  ;  ma  noi  non 


sapremmo  riconoscere  due  diversi  stili  e  due  epoche 
differenti  in  queste  due  parli  del  monumento.  L'  ar- 
chilei tura  e  gli  oroamenti  dell'opposto  lato  sono  per- 
fettamente identici;  se  non  che  il  toro  del  basamento 
della  nicchia  di  mezzo  ha  l'ornamento  di  un  ramo  di- 
viso nella  parte  media  da  una  gorgonica  testa  con  a- 
lette  alla  fronte.  Lo  stesso  sistema  di  architettonici 
ornati  si  palesa  ne'due  laterali  :  se  non  che  apparisce 
in  essi  una  sola  arcata  con  fastigio  triangolare,  e  due 
altre  laterali  colonne.  11  basamento  delle  due  colonne 
medie  in  ambi  i  laterali  offre  nel  toro  l'ornato  di  un 
meandro.  Il  fastigio  triangolare  presenta  ne'  due  estre- 
mi ornamento  di  palmette:  e  lo  spazio  al  di  sopra  del 
fregio  messo  sulle  due  estreme  colonne  mostra  d'ambi 
i  lati  un  delfino  ed  un  leone  in  opposte  direzioni.  L'ar- 
chitrave superiore  è  pure  interrotto  da  un  sol  modi- 
glione liscio  corrispondente  sul  vertice  del  fastigio 
triangolare.  11  laterale  sinistro  ci  presenta  la  porla  del 
monumento  divisa  in  quattro  grandi  scompartimenti, 
in  ciascuno  de' quali  è  scolpita  a  bassorilievo  una  fi- 
gurina. Ne'  due  superiori  scompartimenti  sono  due 
alate  figurine  ,  e  quella  a  sinistra  avvicina  le  mani 
quasi  in  atto  di  preghiera.  Le  due  inferiori  sono  nu- 
de, abbenchè  sieno  poco  distinle  e  determinate. 

Ma  non  è  questa  la  parte  più  importante  del  sar- 
cofago di  Rapolla;  giacché  fra  gli  spazii  che  interce- 
dono fralle  colonne  sono  lavorate  ad  alto  rilievo  ben 
quindici  statue,  le  quali  ci  duole  non  esserci  perve- 
nute in  perfetto  stalo  di  conservazione. 

Noi  cominceremo  a  darne  la  descrizione  da  quelle 
del  lato  principale,  riserbaudoci  di  tentarne  una  pro- 
babile spiegazione.  Sotto  la  prima  arcata  a  destra  è 
un  giovine  diademato  di  belle  forme  con  capelli  lar- 
gamente pendenti,  e  con  la  clamide  :  egli  siede  quasi 
di  fronte  ;  ed  a'  suoi  piedi  è  un  cane  accovacciato  e 
parte  di  un  cinghiale  :  in  alto  è  nel  campo  la  parte 
superiore  di  un  giavellotto.  Mancano  le  braccia  e  le 
gambe  del  giovine  cacciatore,  e  del  cane  non  appa- 
riscono intatte  che  le  sole  zampe  anteriori.  Nello  spa- 
zio seguente  è  una  giovine  donzella  con  succinta  tu- 
nica ,  la  quale  eleva  il  sinistro  braccio;  ma  essendo 
io  gran  parte  mancante  insieme  colla  mano,  non  può 
diffinirsi  se  sia  intesa  a  tirare  un  largo  peplo  che  le 


—  173  — 


discende  dal  capo  :  presso  di  lei  è  il  giavellotto  ,  ed 
un  vivace  cane  in  gran  parte  conservato:  nel  campo 
è  la  testa  di  un  cinghiale,  e  quella  di  un  cervo. 

Sotto  l'arcata  media  è  una  figura  femminile  volta 
a  destra  con  lunga  tunica  ed  imalio  sovrapposto,  che 
si  avvolge  nella  parte  inferiore  del  corpo  :  essa  tiene 
con  ambe  le  mani  un  largo  disco,  o  scudo  ;  presso  è  un 
Amorino  volante  a  lei  rivolto  ed  in  parte  frammentato. 

Nello  spazio  seguente  è  un  giovine  perfettamente 
nudo  di  fronte ,  con  galea  munita  di  paragnatidi  : 
mancano  sventuratamente  le  braccia.  Presso  è  una 
spada  nel  fodero  ,  con  balteo.  Sotto  V  arcata  estrema 
a  sinistra  è  di  fronte  una  donna  con  capelli  larga- 
mente pendenti  :  essa  ha  lunga  tunica  ;  e  panno  so- 
vrapposto legato  con  un  nodo  sotto  l'ombelico,  e  che 
discende  dalle  anche  insino  a'  piedi  :  ai  due  lati  sono 
due  alberelli,  su'  quali  appajono  rotonde  frutta. 

Girando  il  sarcofago  nel  laterale  ov'  è  segnala  la 
porta,  vedesi  a  destra  una  virile  figura  nuda  con  sem- 
plice clamide  ;  sebbene  le  non  poche  mancanze  ,  e 
principalmente  l'esser  priva  del  capo  ne  impediscano 
una  qualunque  siasi  determinazione.  A  sinistra  è  una 
figura  femminile  elegantemente  panneggiata,  la  quale 
è  pur  inancanle  della  testa.  Nel  laterale  destro  del 
sarcofago  sotto  1'  unica  arcata  vedesi  una  donna  con 
calzari ,  e  duplice  tunica  che  lascia  nude  le  braccia. 
Alla  sua  destra  è  un  uomo  barbato  con  pileo  e  cla- 
mide poggiante  sopra  un  piedestallo  :  alla  sinistra  della 
donna  è  pur  sopra  un  piedestallo  poggiato  un  nudo 
giovine  imberbe  munito  egualmente  di  clamide.  Sven- 
turatamente le  braccia  di  tulle  tre  queste  figure  sono 
mancanti. 

Nella  faccia  opposta  del  monumento  sono  altre  cin- 
que figure.  Sotto  la  prima  arcata  a  destra  è  un  uomo 
di  maestosa  fisonomia  diademato  :  la  lunga  barba  ed 
i  capelli  largamente  pendenti  sulla  nuca  accrescono 
la  dignità  di  questa  figura.  Egli  siede  a  sinistra  sopra 
un  okladias  :  la  clamide  gli  si  avvolge  in  sulle  cosce: 
nel  campo  è  la  spada  nel  fodero  con  balteo.  Nello 
spazio  seguente  è  un  giovine  avvolto  nel  pallio  ,  che 
lascia  ignudo  il  petto  :  presso  miransi  Io  scudo  e  l'a- 
sta :  al  suolo  è  la  galea. 

Sotto  l'arcata  media  è  una  donna  con  lunga  tu- 


nica, ed  ampio  velo  che  le  discende  dal  capo:  a' due 
lati  sono  due  alberelli  ;  ed  indietro  appare  un  oggetto 
rotondo  ,  quasi  fosse  uno  scudo. 

Nello  spazio  che  segue  è  un  nudo  giovine  con  ga- 
lea munita  di  cresta  e  di  paragnatidi  :  al  destro  lato 
è  una  spada  nel  fodero  pendente  dal  balteo,  ed  al  si- 
nistro una  lorica  sospesa. 

Finalmente  sotto  la  terza  ed  ultima  arcata  è  un 
imberbe  giovine  sedente  a  destra  sulla  sua  clamide 
dislesa  sopra  un  sedile  che  termina  in  zampe  di  leo- 
ne :  egli  poggia  i  piedi  sopra  una  prominenza  semi- 
circolare che  si  eleva  dal  suolo:  solleva  sulla  testa  il 
destro  braccio  tenendo  colla  mano  un  oggetto  incerto: 
ed  altro  oggetto  indeterminato  poggia  sulle  cosce  di 
questa  figura  molto  danneggiala  dal  tempo. 

Studiando  le  varie  figure  scolpile  nel  sarcofago  di 
Rapolla,  non  sarà  difficile  indagar  di  molle  la  signi- 
ficazione. Le  solite  forme  piuttosto  rotonde,  ed  i  sim- 
boli del  giavellotto  ,  del  cinghiale  e  del  cane  ci  con- 
ducono a  spiegare  per  Meleagro  quel  giovine  cac- 
ciatore :  egli  preme  co'  piedi  la  calidonia  belva  da  lui 
superata,  e  che  fu  cagione  di  gravi  disavventure.  La 
giovine  cacciatrice  quasi  con  lui  aggruppata  è  senza 
dubbio  Atalanla  :  e  presso  di  lei  è  la  simbolica  testa 
del  cinghiale,  che  a  lei  venne  offerta  in  dono  da  Me- 
leagro. 

La  figura  media  a  noi  sembra  destinata  ad  indi- 
care l'uso  del  monumento:  è  questo  un  sistema  assai 
ripetuto  ne'  romani  sarcofagi,  che  nel  mezzo  si  ponga 
un  disco  o  scudo,  ove  si  scrive  a  chi  fu  messo  il  mo- 
numento. Questo  disco  è  talvolta  sostenuto  da  due 
alati  Amorini,  talaltra  in  diversa  guisa  collocato.  A 
noi  sembra  che  nel  sarcofago  di  Rapolla  questo  uffi- 
cio fosse  assegnato  alla  stessa  dea  di  Cipro,  ad  Afro- 
dite ,  che  vedesi  con  Amore  bellamente  aggruppata  : 
e  solo  non  si  giunse  a  segnar  sul  disco  la  epigrafe  ; 
se  pure  dir  non  si  voglia  dalle  ingiurie  del  tempo 
cancellala  e  distrutta.  A  ciò  si  aggiunga  che  la  figura 
di  Venere  ben  si  addice  alla  tomba  di  una  donzella  ; 
senza  dire  che  l'Afrodite  Proserpina  de'  Greci,  la  Ve- 
nere Libilina  de' Romani  ben  si  raltro\a  in  relazione 
con  un  funebre  monumento. 

11  giovine  guerriero  di  bellissime  forme  che  segue 


—  174  — 


a  noi  pare  potersi  determinare  pel  Pelide  Achille  :  e 
la  donzella  che  gli  è  da  presso  creder  si  può  la  sua 
giovine  sposa  Deidainia,  che  ne  aveva  eccitato  l'amore 
sin  da  quando  erasi  l'eroe  nascosto  in  Sciro  tra  fem- 
minili spoglie. 

La  mancanza  di  qualunque  simholo,  e  lo  slato  di 
quasi  totale  distruzione  in  cui  ci  pervenne,  ci  fa  aste- 
nere dal  determinare  la  coppia  scolpila  nel  laterale 
sinistro  del  sarcofago. 

Non  così  abbiamo  a  dire  delle  figure  scolpile  sul 
laterale  destro.  L'uomo  barbato  con  pileo  acuminato 
a  noi  sembra  la  figura  caratteristica  di  Ulisse  :  e  quindi 
siamo  condotti  a  ravvisar  Penelope  ed  il  giovine  Te- 
lemaco nelle  due  figure  vicine. 

Passando  all'  opposto  lato  lungo,  pare  che  il  mae- 
stoso guerriero,  le  cui  tempia  son  cinte  del  sacerdo- 
tale diadema,  riputar  si  debba  Amfiarao;  e  quindi  il 
giovine  scolpito  nello  spazio  che  segue,  a  nostro  av- 
viso, è  il  matricida  Alcmeone,  il  quale  per  amor  del 
padre  macchiossi  di  quell'  orrendo  delitto. 

Il  giovine  sedente  sotto  la  estrema  arcata  offre  tutti 
gì'  indizii  del  furore  nelle  sue  forzate  posizioni  :  il  che 
accoppialo  alla  circostanza  di  poggiare  i  piedi  presso 
una  semicircolare  prominenza,  probabilmente  la  del- 
fica cortina,  e'  induce  a  credere  che  in  questa  figura 
debba  ravvisarsi  il  matricida  Oreste  ;  che  ben  si  trove- 
rebbe in  rapporto  con  Alcmeone,  come  venne  da  noi 
poco  innanzi  determinalo.  Ed  il  giovine  galealo,  ch'è 
nello  spazio  vicino  dir  si  dovrebbe  1'  amico  Pilade  , 
che  assai  bene  trovasi  aggruppato  col  figlio  di  Cliten- 
nestra. 

Nulla  diremo  di  certo  sulla  maestosa  figura  fem- 
minile ,  che  è  sotto  1'  arcata  media  :  solo  sospettiamo 
che  siesi  voluto  effigiare  Proserpina ,  la  dea  delle  ombre. 

E  qui  mi  piace  di  osservare  che  tutte  queste  eroi- 
che figure  accennano  alla  loro  esistenza  negli  Elisii , 
la  quale  si  assomiglia  a  quella  della  giovine  defunta: 
la  cui  morta  spoglia  rassembra  ad  una  donna  immersa 
in  placidissimo  sonno.  L'  Amorino  che  l' è  vicino  a 
lei  prepara  la  corona  dell'apoteosi.  E  così  tutto  l'in- 
sieme del  monumento  si  riporta  ad  una  medesima 
idea  :  accennando  alla  beata  residenza  negli  Elisii  dopo 
la  mortale  vita.  Quegli  slessi  alberelli ,  che  si  mira- 


no inlorno  ad  alcune  delle  figure  ,  possono  riferirsi 
alle  piante  di  quei  campi  felici,  delle  quali  è  frequente 
menzione  presso  gli  antichi  scrittori  (  vedi  le  cose  da 
noi  notate  in  questo  bullettino  an.  Hip.  62).  Ed  alla 
slessa  idea  non  disconviene  il  mazzolino  di  fiori  tenuto 
dalla  giacente  figura  ,  e  la  corona  che  a  lei  prepara 
l'Amore. 

E  qui  mi  piace  di  osservare  che  nel  nostro  sarco- 
fago trovo  una  conferma  alle  mie  conghietture  sul 
senso  lunare  e  funebre  della  lesta  messa  ne' greci  mo- 
numenti fra  laterali  ramificazioni.  Questa  testa  si  scorge 
appunto  fra  due  rami  nel  nostro  sarcofago  :  ed  è  no- 
tabile che  apparendo  gorgonica  ,  come  si  trae  dalle 
ali  che  ne  ornano  la  fronte,  accenna  senza  dubbio  a 
lunare  intelligenza:  e  quindi  assai  bene  si  vede  in  rap- 
porto con  la  figura  di  Proserpina,  che  l'è  prossima- 
mente vicina  :  costituendo  un  beli'  insieme  di  sacre 
e  funebri  idee. 

Gli  ornamenti  di  marini  mostri,  che  vedonsi  fre- 
giare la  parte  superiore  del  monumento ,  e  de'  quali 
la  tigre  ,  il  leone  ,  1'  ariete  ed  il  toro  incontrano  un 
importante  confronto  in  alcuni  versi  di  Claudiano 
(Honor.  epithal.  v.  159  segg.  ),  alludono  in  questo, 
come  in  moltissimi  altri  funebri  monumeuli,  al  pas- 
saggio delle  anime  per  1'  oceano  ,  affin  di  giungere 
alle  isole  fortunale  ove  le  anime  reputavansi  destinale 
a  godere  la  felicità  e  l' apoteosi.  Queste  sono  le  idee, 
che  in  noi  si  risvegliano  dall'  insigne  monumento,  di 
che  discorriamo:  e  ci  riserbiamo  in  una  nostra  par- 
ticolare memoria  alla  regale  Accademia  Ercolanese 
appoggiare  le  nostre  spiegazioni  cogli  opportuui  con- 
fronti. 

Importante  riesce  quel  muro  che  circondava  il  mo- 
numento di  altezza  non  determinata  ,  ma  certamente 
maggiore  di  quella  dell' imbasamento  di  mattoni,  sul 
quale  forse  poggiava  il  sarcofago.  Dal  che  viene  ad 
argomentarsi  che  il  monumento  era  da  quel  recin- 
to nascosto  ,  e  che  doveva  osservarsi  in  giro  sa- 
lendo sull'  imbasamento  di  mattoni,  di  cui  dicemmo. 
Le  tre  mure  laterizie  servivano  a  costituire ,  insieme 
coll'area  che  racchiudevano  ,  ciò  che  da'  Romani  di- 
cevasi  tutela  sepulcri  ;  siccome  si  raccoglie  da  nume- 
rose iscrizioni.  Non  sembra  da  dubitare  che  la  iscri- 


—  17S  — 


zione  rinvenuta  in  vicinanza  del  sarcofago  non  può 
allo  slesso  riferirsi.  0  che  accenni  ad  un  M.  Lucilio 
Fausto  liberto  o  figlio  di  un  Marco,  sempre  quella  e- 
pigrafe  si  appalesa  pertinente  al  sepolcro  di  un  uomo; 
laddove  il  sarcofago  appartenne  evidentemente  ad  una 
donna. 

Più  difficile  riesce  il  diflinire  con  certezza  Y  epoca 
del  monumento.  L'architettura  in  esso  adoperata  par- 
rebbe propria  di  un'epoca  posteriore.  È  stato  di  falli 
osservato  che  nel  secolo  de'  trenta  Tiranni,  e  più  an- 
cora dopo  Diocleziano  s'introdusse  il  metodo  di  umi- 
le colonne  con  arcate  che  poggiano  direttamente  su' 
capitelli  :  si  cominciò  a  dare  alle  colonne  la  forma 
scannellata  tortile  o  elicoide  etc.  (  Mùller  Handbuch 
§  195).  Queste  particolarità  si  osservano  principal- 
mente su'  sarcofagi  :  e  merita  di  esser  citato  il  sarco- 
fago di  Probo  Anicio  dell'anno  390,  sul  quale  esiste 
una  particolar  dissertazione  del  Battelli  De  sarcophago 
marmoreo  Probi  Anicii  et  Probae  Falconiae  in  tempio 
Vaticano.  Romae  MDCCGV  in  4.  È  pur  da  ricordare 
il  monumento  di  Giunio  Basso,  nel  quale  la  parte  or- 
nativa elegantemente  lavorala  non  corrisponde  alla 
scoltura  delle  figure  trascurata  e  negletta. 

Comunque  sia  di  queste  osservazioni,  noi  non  cre- 
diamo che  ad  epoca  bassa  debba  farsi  discendere  il 
sarcofago  di  Rapolla.  E  pria  di  tutto  osserviamo  che 
non  può  allo  stesso  attribuirsi  quel  difetto  notato  ne' 
citati  sarcofagi  ;  perocché  le  nicchie  con  arcate  supe- 
riori non  potevano  comportare  una  diversa  architettu- 
ra: e  nel  nostro  sarcofago  si  è  pure  evitala  la  odiosità 
di  quell'  aggiustamento  sovrapponendo  al  capitello 
un'  altra  porzione  di  fregio  quasi  un  secondo  capi- 
tello :  per  modo  che  il  fregio  ,  o  architrave  poggian- 
te sulle  colonne  viene  necessariamente  interrotto  nel 
sito  ov'  è  la  curvatura  delle  nicchie  :  e  queste  mede- 
sime nicchie  vennero  probabilmente  adottate,  perchè 
già  trovavansi  scolpite  le  statue  di  tali  dimensioni , 
che  non  avrebbe  potuto  facilmente  applicarvisi  un  di- 
verso sistema  di  ornamento.  Del  resto  1'  architettura 
de' sarcofagi ,  come  quella  degli  stucchi  e  de' dipinti, 
non  può,  a  nostro  avviso,  dirigere  senz'altri  elementi 
il  criterio  dell'archeologo  a  riportare  i  monumenti  ad 
un'epoca  piuttosto  che  ad  un'altra.  E  basterebbe  get- 


tare uno  sguardo  alle  svariate  architetture  dipinte  o  la- 
vorate a  stucco  sulle  pareti  dell'antica  Pompei ,  per 
rimaner  convinto  che  nella  più  bella  epoca  dell'arte  ro- 
mana non  rimase  intentato  alcuno  degli  aggiustamenti 
architettonici  anche  più  fantastici  e  capricciosi.  Queste 
nostre  osservazioni  tendono  ad  allontanare  la  idea  che 
venir  ci  potrebbe  da  questa  parte  del  monumento  sull' 
epoca,  in  cui  fu  probabilmente  eseguito.  Il  lavoro  delle 
scolpite  figure  si  oppone,  a  nostro  giudizio,  a  far  di- 
scendere il  monumento  sino  all'epoca  della  corruzione 
dell'arte.  Le  forme  di  greca  imitazione  :  il  gusto  con 
che  sono  fra  loro  aggruppate  alcune  figure:  la  intel- 
ligenza con  che  sono  simboleggiati  gli  eroi  degli  an- 
tichi miti  ci  vietano  di  pensare  a  stile  di  decadenza  e 
di  corruzione.  Ne  la  figura  giacente  è  tal  circostanza 
che  debba  riportarsi  ad  epoca  bassa.  Non  è  nuovo 
rinvenir  figure  giacenti,  o  in  altre  altitudini  sulle  urne 
romane  anche  de'  buoni  tempi  :  ed  un  sarcofago  col 
suo  coverchio  può  reputarsi  quasi  una  grande  urua  ; 
essendo  identico  per  la  torma  del  pari  che  per  la  fu- 
nebre destinazione. 

Per  tutte  le  quali  cose  noi  siamo  di  parere  che  il 
sarcofago  di  Rapolla  appartenga  a'  buoni  tempi,  senza 
però  ricordare  1'  apogeo  dell'arte  greco-romana,  da 
cui ,  principalmente  per  la  parte  ornamentale  ,  non 
poco  si  discosta. 

Conviene  inGne  dichiarare  ,  a  causare  ogni  equi- 
voco, che  noi  presentammo  un  tentativo  di  spiega- 
zione della  maggior  parte  delle  figure  scolpite  par- 
tendo dall'esatto  disegno  del  Sig.  Abbate.  Intanto  sa- 
rebbe importante  osservare  1'  originale  monumento 
per  investigare  che  cosa  creder  si  debba  di  quegli  og- 
getti indeterminati  tenuti  dalla  sedente  figura  in  uno 
de'  lati  lunghi  del  sarcofago.  Questa  determinazione 
potrebbe  per  avventura  modificare  la  spiegazione  da 
noi  proposta  ,  la  quale  sino  all'esame  dell'  originale 
vogliamo  si  abbia  come  semplice  congiuntura. 

La  osservazione  del  monumento  sarebbe  egual- 
mente utile  a  definirne  con  maggior  precisione  l'epoca, 
che  noi  non  vorremmo  ritenere  più  bassa  de'tempi 
degli  Antonini. 

Miservi.m. 


-  176  - 


Poche  osservazioni  sopra  un  monocromo  ercolanese. 

Tra'  più  pregevoli  monumenti  del  Real  Museo  Bor- 
bonico è  il  monocromo  di  Ercolano  già  pubblicalo  ed 
illustrato  da'  dotti  Ercolanesi  (pitture  voi.  I  tav.  I), 
e  poscia  riprodotto  dal  Millin  (gal.  myth.  I.  CXXX  Vili 
n.  515) ,  e  dal  eh.  Panofka  {Bild.  ant.  LebensXÌX,!). 
Su  questo  disegno  ,  che  una  greca  epigrafe  che  l'ac- 
compagna attribuisce  all'Ateniese  artisla  Alessandro, 
noi  intendiamo  dare  alcune  brevi  dilucidazioni. 

A  ben  comprendere  il  soggetto  ,  che  ci  si  porge 
allo  sguardo  ,  sarà  mestieri  por  mente  che  le  due 
principali  figure,  le  quali  veggonsi  fra  loro  in  rappor- 
to ,  sono  appunto  Niobe  e  Latona.  Il  loro  atto  com- 
pagnevole ed  affettuoso  ci  ricorda  l' amistà  che  legava 
la  dea  alla  figliuola  di  Tantalo  :  ed  è  citato  a  propo- 
sito il  classico  frammento  di  Saffo  : 

Aotrw  xx)  NfójJa  \Krl\%  \xtv  QjXou  rpa.v  éraipcti. 
Mollo  fra  lor  dilette  eran  Latona 
E  Niobe  amiche. 
Vedi  appo  Ateneo  XIII  p.  571  :  fr.  35  p.  608  ne' 
poetae  lyrici  gr.  del  Bergk.  Questo  luogo  fu  richia- 
malo pria  dagli  Ercolanesi  Le. ,  poi  dal  Miiller  [Hundb. 
§  417),  dal  Preller  (  Mylhol.  t.  II  p.  268),  e  da  altri. 
Le  giovinette  sollazzanti^  furono  causa  di  dub- 
biezze agli  archeologi.  E  senza  dubbio  sarebbero  slate 
da  chicchessia  riputale  figliuole  di  Niobe,  se  non  fosse 
venula  in  campo  la  coincidenza  della  identità  dei  nomi 
delle  Leucippidi  Febe  ed  Ilaira  (Apollod.  Ili,  10; 
Schol.  Hom.  //.  T  ,  243  ;  Pausan.  II ,  22,  5  ;  111 , 
16,  1  ;  IV,  31,  12)  ;  e  se  ci  fossero  stale  conservate 
tutte  le  tradizioni  concernenti  a'  nomi  delle  varie  fi- 
gliuole di  Niobe.  Noi  non  dubitiamo  affatto  che  la  si- 
tuazione, in  cui  si  mirano  aggruppale  quelle  tre  gaje 
donzelle,  ci  riveli  appunto  la  femminile  famiglia  in- 
torno alla  madre,  che  addivenir  doveva  cotanto  ad- 
dolorata ed  infelice.  Questa  idea  tanto  più  si  confer- 
ma ,  quando  si  consideri  che  per  alcune  mitiche  tra- 
dizioni erano  tre  le  Niobidi  (vedi  Roulez  ad  Ptolem. 
Hephaesl.  p.  62  )  :  e  che  i  nomi  che  lor  si  danno  nel 
monocromo  Ercolanese  accennano  alla  loro  giovanile 


avvenenza.  *o/(Ìrj  la  lucida,  àyXai'x  la  grazia,  iXsoc/pà 
la  sorridente  sono  epiteti  convenientissimi  alla  fre- 
schezza ed  alla  gioventù  di  quelle  bellissime  ;  ed  ac- 
cennano all'amore  della  madre,  che  vantavasi  di  pos- 
sedere sì  leggiadra  figliuolanza.  Che  se  per  avventura 
volessimo  in  quei  nomi  ravvisar  denominazioni  di  mi- 
tici personaggi ,  comprenderemmo  assai  bene  la  ra- 
gione di  una  simile  scelta.  La  eccessiva  millanteria  di 
Niobe  assomigliava  una  delle  sue  figliuole  forse  ad 
una  delle  Leucippidi  lleera  (ove  riputar  si  volesse  lo 
stesso  che  'lXaj(px),  l'altra  ad  una  delle  Grazie  Agiata, 
e  la  terza  a  Diana  Phoebe,  cioè  alla  stessa  figliuola  di 
Latona:  il  che  doveva  eccitar  lo  sdegno  della  soprag- 
giunta divinità. 

Dopo  le  esposte  dilucidazioni  non  sarà  malagevole 
intendere  il  punto  preciso  dell'  azione,  che  presentar 
ci  volle  F  artisla. 

Ad  un  attento  esame  dell'  originale  disegno,  si  ri- 
leverà di  leggieri  che  nel  volto  di  Niobe  apparisce 
quel  sorriso  di  soddisfazione ,  che  a  lei  spunta  sulle 
labbra  nel  vedersi  circondata  da  numerosa  famiglia; 
laddove  in  Latona  all'opposto  tu  scorgi  una  certa  fi- 
sonomia  di  pensiero,  e  direi  quasi  di  cordoglio  in  lei 
mosso  dalla  tracotante  letizia  dell'  emula  mortale.  La 
dea  sopraggiunge,  e  fa  all'amica  disuguale  le  mede- 
sime affettuose  accoglienze;  ma  all'aspetto  delle  figlie 
di  lei,  già  ne  sta  meditando  l'atroce  sterminio.  E  Io 
stesso  atto  sollazzevole  ed  avvenente  delle  due  giovi- 
nette Febe  ed  lleera  intente  al  giuoco  degli  astragali, 
invece  di  muoverne  la  tenerezza  nel  cuore,  più  l'ac- 
cende alla  vendetta,  perchè  più  risalta  per  esse  la  fe- 
licità della  madre.  Parmi  che  lo  slesso  artistico  pen- 
siere  venne  in  mente  al  pompejano  pittore,  che  figurò 
Medea  meditando  la  morte  de'  figli ,  all'  aspetto  di 
quegl' innocenti  fanciulli  occupati  appunto  al  medesi- 
mo infantile  trastullo  degli  astragali  (vedi  Raoul-Ro- 
chette  choix  depeintur.  tav.  XX).  Lo  stesso  sentimenlo 
della  vendetta  risvegliasi  in  entrambi  quei  personaggi, 
e  la  brama  che  Niobe  e  Giasone  non  godano  più  delle 
carezze  e  della  lieta  vista  degli  amati  figliuoli. 

Mi  NERVINI. 


Giulio  Minervini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Càtàkeq. 


BILLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 


NUOVA    SERIE 


N.°  97.     (23.  dell'  anno  IV.) 


Giugno  18ÓC. 


Brevi  osservazioni  intorno  una  tomba  di  Pesto. — Vaso  scoperto  in  Sardegna. — Bibliografia. 


Brevi  osservazioni  intorno  una  tomba  di  Pesto. 

La  tomba ,  della  quale  intendiamo  discorrere  bre- 
vemente ,  è  molto  importante  per  le  pitture  che  ne 
fregiano  le  interne  pareli.  Noi  ne  facemmo  la  pub- 
blicazione nelle  tav.  IV  a  VII  di  questo  anno  del  bul- 
lonino ,  ricavando  i  disegni  da'  lucidi  diligentemente 
eseguiti  a  colore  dal  valente  artista  Sig.  Giuseppe 
Abbate.  Ora  ne  diciamo  alcuna  cosa  ,  proflttando 
delle  nostre  medesime  osservazioni  sull' originai  mo- 
numento ,  e  delle  indicazioni  forniteci  dall'  egregio 
architetlo  Sig.  Ulisse  Rizzi,  cbe  gentilmente  ci  ha  date 
le  opportune  nolizie  su  (ulte  le  circostanze  di  quella 
interessante  scavazione. 

La  tomba  fu  scoperta  nella  contrada  denominata 
Spinazzo,  in  un  fondo  detto  Fusillo  pertinente  al  Si- 
gnor Principe  di  Centola  ,  ed  or  tenuto  in  fitto  dal 
Sig.  D.  Giovanni  Bellelli.  Essa  è  situata  a  mezzogior- 
no dell'  antica  Pesto ,  ed  alla  distanza  di  circa  un 
miglio  da  questa  insigne  città.  Il  sepolcro  è  formato 
di  grossi  pezzi  di  travertino  proprii  del  luogo,  ed  ha 
le  interne  pareti  rivestile  di  sottilissimo  stucco  ,  sul 
quale  sono  i  pregevoli  dipinti ,  di  che  sopra  ho  fa- 
vellato. La  covertura  è  una  specie  di  tetto  peclina- 
tum  :  nella  imposta  all'interno  è  una  cornice  con  gola 
rovescia,  che  ricorre  ne'quatlro  lati.  La  porla  d'ingres- 
so è  arcuata,  evolta  ad  occidente:  trovandosi  richiusa 
da  un  masso  rettangolare  della  medesima  pietra  ,  di 
che  è  formato  1*  intero  sepolcro.  La  base  della  tom- 
ba è  palmi  10,  l!j  per  10,  IO:  l'altezza  è  pai.  7,50 
fino  all'imposta  della  covertura.  Furono  in  essa  ri- 
trovati gli  avanzi  di  uno  scheletro  ,  ed  insieme  una 
lancia  ,  e  varii  frammenti  di  una  corazza  di  bronzo. 

La  tomba,  della  quale  ci  prepariamo  a  dir  qualche 

cosa  ,  era  vicina  ad  altre  meno  nobili  ,  che   appari- 
.■ìA'.yo  ir. 


scono  pure  a  noi  pervenute  in  uno  slato  meno  per- 
fetto di  conservazione,  e  prive  delle  interne  dipintu- 
re ,  delle  quali  forse  in  origine  erano  fregiale.  Non 
si  traila  dunque  di  un  isolalo  sepolcro ,  ma  sibbene 
di  una  riunione  di  lombo.  Per  quanto  può  congbiet- 
turarsi  dalla  situazione  de'  luoghi,  e  dalla  cognizione 
dell'  antica  geografia  ,  a  noi  sembra  probabile  che 
quella  necropoli  appartenga  appunto  all'  antica  Posi- 
donia  ,  e  non  ad  altra  città  di  quelle  vicinanze.  La 
seconda  osservazione ,  che  ci  sembra  evidente  ,  si  è 
che  il  sepolcro  racchiudeva  un  guerriero.  Ciò  si  de- 
duce chiaramente  e  dalla  metallica  armatura  in  esso 
rinvenuta  ,  e  dagli  slessi  interni  dipinti,  che  alle  mi- 
litari gesta  di  un  personaggio  senz'  alcun  dubbio  si 
riferiscono.  Nelle  tre  maggiori  pareti  del  monumento 
vedesi  ripetuto  lo  slesso  guerriero  ,  vestito  delle  me- 
desime armature,  e  seguito  dallo  slesso  cavallo.  L'el- 
mo e  la  corazza  gialla  accennano  al  metallo  ,  di  che 
quei  militari  arnesi  venivano  formati  :  bianche  sono 
le  tre  piume  che  adornano  la  galea,  e  solo  veggonsi  fi- 
lettale di  giallo  e  di  rosino:  il  gonnellino,  che  sporge 
di  sotto  alla  corazza,  è  rosso.  È  notevole  che  i  cal- 
zari offrono  qualche  diversità  in  tulle  tre  le  scene  , 
e  che  1'  elmo  e  la  tunica  sottoposta  alla  corazza  nella 
figura  da  noi  presentata  nella  tavola  IV  offre  alcuni 
ornamenti  particolari  ,  che  nelle  altre  ripetizioni  del 
personaggio  medesimo  non  compariscono.  L'altra 
osservazione  ,  che  sorge  spontanea  dalle  (re  rappre- 
sentanze, si  è  che  mentre  la  fisonomia  del  guerriero 
è  sempre  la  stessa  ,  vedesi  però  ripetuta  di  età  più  o 
meno  avanzata  :  sicché  nella  tav.  VI  è  quasi  un  im- 
berbe giovine  ,  nella  tav.  V  ha  la  barba  crescente  , 
nella  IV  appare  di  età  più  provetta  e  con  più  lunga 
barba. 

Pa  questa  osservazione  si  ricava  che  volle  nella 

23 


_  17S  — 


nostre  pareti  effigiarsi  la  continuazione  delle  militari 
imprese  di  quel  personaggio,  e  quando  giovine  co- 
mincia le  guerresche  fazioni ,  e  quando  le  continua 
in  età  più  inoltratale  quando  Analmente  ritorna  dalle 
belliche  avventure,  o  piuttosto  si  diparte  dalle  amo- 
revolezze della  patria  e  della  famiglia.  Questa  conti- 
nuazione di  avvenimenti  può  altresì  ricavarsi  in  parte 
dalle  armature,  delle  quali  il  personaggio  è  rivestito. 
Di  fatti  nella  tav.VI  l'elmo  la  tunica  ed  i  calzari  sono 
assai  semplici  e  senza  oru  amenti ,  laddove  nella  tav. 
V  e  nella  tav.  IV  i  fregi  e  gli  ornali  vanno  gradata- 
mente crescendo  :  dal  che  forse  volle  ancora  indicarsi 
il  progredire  di  quel  guerriero  ne'  militari  gradi. 

Dopo  le  esposte  considerazioni  ,  mi  fermerò  bre- 
vemente sopra  ciascuna  delle  tre  scene,  secondo  l'or- 
dine innanzi  additato. 

Nella  prima  vedi  quel  giovine  guerriero ,  che  di- 
sceso dal  suo  cavallo  e  lenendolo  per  le  redini,  afferra 
pe' capelli  un  altro  giovine  combattente,  e  vibra  con- 
tro di  lui  l'acuto  giavellotto.  L'armatura  di  quest'altro 
pugnatore  stramazzato  al  suolo  è  totalmente  diversa 
da  quella  del  suo  vincitore.  Egli  è  affatto  privo  della 
corazza,  e  solo  è  vestilo  di  lieve  tunica  bianca  stretta 
alla  vita  da  gialla  cintura.  Un'asta  già  lanciata  contro 
di  lui  si  è  spezzata  nell'  urlo ,  e  la  punta  gli  è  rima- 
sta conGccala  nella  gola,  da  cui  sgorga  a  larga  vena 
il  sangue.  L'infelice  ferito  tenia  colla  destra  di  strap- 
par dalla  gola  il  moncone  dell'asta  ,  ed  appressa  alla 
testa  la  sinistra  quasi  per  allontanarne  la  mano  che 
ne  siringe  la  chioma. 

La  seconda  rappresentanza  ci  offre  il  solito  per- 
sonaggio che  già  è  sopra  ad  altro  imberbe  guerrie- 
ro, di  cui  colla  micidiale  sua  lancia  ha  ferito  il  pet- 
to. Egli  è  anche  privo  di  corazza,  e  solo  è  vestilo  di 
gialìa  tunica  con  rossi  ornamenti  sul  petlo ,  e  cinta 
da  rossa  fascia.  Dalla  cinta  in  giù  è  come  un  gonnel- 
lino azzurro  rossastro.  L'elmo,  che  ne  ricopre  la  le- 
sta, è  di  particolare  foggia,  somigliante  ad  un  elmo 
frigio:  esso  è  di  colore  tendente  all'azzurro,  e  le  piu- 
me che  ne  fregiano  la  sommità  sono  rosse. 

La  terza  scena  non  è  già  di  guerra  o  di  battaglia. 
Il  personaggio  ritorna  in  seno  della  sua  patria  da  qual- 
che militare  spedizione,  ovvero  è  sul  punto  di  allon- 


tanarsi :  reca  con  se  il  suo  cavallo  ,  che  lentamente 
si  avanza.  Egli  distende  la  destra  ad  un  nobile  uomo, 
che  gli  è  venuto  all'  incontro  ,  e  che  a  lui  stende  le 
mani,  stringendone  quasi  la  destra.  Questi  è  barbato, 
ed  ha  la  chioma  largamente  pendente  in  sulle  spalle, 
e  di  rosseggiante  colore:  la  tunica  è  bianca  con  orna- 
menti di  color  violetto,  ed  è  cinta  ai  lombi  da  gialla 
fascia  mercè  una  fibula  tendente  al  violetto  :  egual- 
mente bianca  è  la  clamide,  le  cui  due  estremità  offro- 
no il  non  insolito  ornamento  di  Gocchetti  di  colore 
violaceo:  i  legami  de'  calzari  son  rossi  in  questa  come 
nelle  altre  figure.  Compie  la  scena  un  fanciullo  con 
bianca  tunica  fregiata  di  ornamenti  color  violaceo,  il 
quale  solleva  in  alto  la  testa  stendendo  verso  il  guer- 
riero ambe  le  mani. 

Nelle  due  porzioni  di  muro  laterali  alla  porta  so- 
no due  imberbi  giovani  con  bianca  tunica  e  gialla 
cintura,  e  calzari  rosso  bruno ,  ognun  de' quali  tiene 
con  ambe  le  mani  un'  asta  dalla  quale  mercè  un  ros- 
so nastro  è  sospeso  un  oggetto  di  colore  oscuro,  che 
può  riputarsi  un  ampio  pileo  ,  e  presso  un  sacco  di 
giallo.  È  notabile  che  i  capelli  di  queste  due  figure 
son  rossi. 

Pria  di  passare  a  descrivere  la  più  importante 
composizione  effigiata  nel  timpano ,  come  si  vede 
nella  nostra  tavola  VII ,  mi  piace  di  osservare  che 
il  cavallo  appare  sempre  lo  stesso  per  le  fattezze  del 
corpo  :  e  solo  ne  varia  alquanto  il  colore  ,  come 
suole  avvenire  a  questo  nobile  animale ,  il  cui  pelo 
varia  egualmente  a  seconda  della  eia.  Così  il  giallo 
forte  si  vede  nel  cavallo  della  tav.  VI  ,  con  criniera 
mollo  oscura  ,  in  rapporto  colla  giovine  eia  del 
guerriero  :  il  grigio  giallastro  appare  nel  destriero 
della  tav.  V  ,  in  unione  col  cavaliere  più  inoltrato 
negli  anni:  e  finalmente  il  giallo  chiaro  si  mostra  nel  • 
cavallo  della  tav. IV,  che  simboleggia  un  animale,  il 
quale  accompagnò  il  suo  padrone  in  tutte  le  avven- 
ture ed  in  tulle  le  battaglie. 

Osserviamo  pure  generalmente  che  gli  ornamenti 
del  cavallo  sono  accuratissimamente  dipinti  :  sì  il 
fronlale  di  giallo  colore  che  accenna  al  metallo  ,  di 
che  si  suppone  formato,  coll'ornamento  di  gorgoni- 
che  teste;  e  sì  il  morso  dipinto  in  bleu,  per  additare 


—  179  — 


l'acciajo,  e  le  rosse  redini  ,  ed  i  rossi  nastri  che  ne 
annodano  il  ciuffo  e  la  coda. 

Nella  figura  IV  si  aggiunge  il  pettorale  di  cuoJQ 
messo  al  di  sopra  di  candido  panno. 

I!  fondo  di  tutti  i  descritti  quadri  è  bianco  ,  ros- 
sa è  la  linea  segnata  sotto  i  piedi  delle  figure  e  de' 
cavalli. 

Bellissima  è  la  scena  effigiata  nel  timpano  ,  e  che 
pubblichiamo  nella  nostra  tav.  VII. 

Vedi  nel  mezzo  un  imberbe  giovine  con  bianca 
tunica  ,  e  col  capo  coperto  di  rosso  panno  :  egli  ca- 
valca un  destriero  che  lentamente  si  avanza  ,  e  che 
offre  nel  corpo  giallo  colore,  più  oscura  la  criniera  : 
gli  ornamenti  sono  del  colore  medesimo  che  si  os- 
serva negli  altri  cavalli.  Questo  imberbe  cavaliere 
è  ricevuto  da  due  giovani  donne  in  bianche  vesti  or- 
late di  color  violetto  ,  e  con  neri  calzari  ;  la  pri- 
ma ha  patera  e  prefericolo  giallo  ,  figurando  aureo 
vasellame  ,  e  par  che  offra  al  cavallo  la  bevanda  :  la 
seconda  col  capo  cinto  di  rosso  diadema  tien  con 
ambe  le  mani  un  rosso  panno:  al  suolo  è  altro 
più  capace  vaso  del  color  dell'oro.  Seguono  il  gio- 
vane a  cavallo  non  poche  altre  figure:  un  uomo  con 
succinta  tunica  bianca  e  gialla  fascia,  la  testa  coverta 
di  oscuro  pileo  fregiato  di  rosso  ornamento  :  vien 
poi  una  donna  vestita  di  azzurra  tunica,  cui  sovrap- 
poni una  gialla  clamide  entro  la  quale  avviluppa  un 
ragazzino  fregiato  di  rossa  collana  :  mollo  impor- 
tante è  la  seguente  figura  per  gli  ornamenti  de' quali 
è  rivestita  :  essa  ha  bianca  tunica  ,  e  bianca  clamide 
superiore  :  il  capo  ha  cinto  di  rossa  tenia  ravvolta  in 
più  nodi;  tiene  colla  sinistra  un  tirso  determinato 
dalla  verde  pannocchia  ,  a  cui  è  sospeso  un  oscuro 
pileo,  ed  una  specie  di  giallo  sacco  o  borsa  :  colla 
destra  conduce  una  fanciulla  con  gialia  tunica  ,  la 
quale  presenta  rossi  capelli.  In  alto  è  un'ampia  ghir- 
landa di  rosso. 

Non  abbiamo  potuto  dispensarci  dalla  descrizione 
di  tutti  questi  dipiuti ,  abbenchè  ne  avessimo  offerto 
gli  esatti  disegni  ;  perciocché  era  necessario  additare 
i  differenti  colori  di  lutti  gli  accessorii,  per  venire 
a  qualche  probabile  conghiellura  sopra  le  differenti 
scene  della  tomba  peslana,  e  per  far  valutare  da 'no- 


stri lettori  al  suo  vero  punto   il  merito   di  arte  del 
monumento  che  illustriamo. 

Non  voglio  intanto  tralasciar  di  avvertire  che  una 
breve  descrizione  del  nostro  sepolcro  ritrovasi  nelle 
pubblicazioni  dell'  Istituto  di  corrispondeuza  archeo- 
logica di  Roma  per  l'anno  1854  pag.  63  ,  data  dal 
sig.  Forchhammer  ;  e  che  nel  volume  medesimo  ve- 
desi  riprodotta  con  notabile  negligenza  la  rappresen- 
tazione del  timpano,  con  breve  dichiarazione  del  no- 
stro egregio  amico  Emilio  Braun  pog.  79. 

Anche  al  sig.  Forchhammer  parve  lo  slesso  guer- 
riero in  differenti  età  costituito:  ma  sembra  che'  non 
siesi  formato  una  chiara  idea  del  monumento,  quando 
sospetta  che  sia  da  ravvisare  un  Lucano  nel  guerrie- 
ro caduto  della  nostra  tav.  V,  richiamando  la  legio 
linlea  de'  Sanniti.  A  ben  comprendere  in  parte  que- 
ste battaglie  ,  fa  uopo  premeltere  alcune  osserva- 
zioni sull'  epoca  e  sullo  stile  delle  nostre  pitture.  E 
questo  il  motivo  che  ci  persuase  a  riportarne  in  gran- 
de le  figure  nelle  nostre  tav.  IV,  V,  VI  ;  non  con- 
tentandoci delle  più  piccole  dimensioni  della  no- 
stra tav.  VII. ,  dalle  quali  nulla  potrebbe  desumersi 
sullo  stile  e  sull'  epoca  del  monumento.  Gettando 
uno  sguardo  su  queste  dipinte  pareti  ,  parci  di  rav- 
visare in  esse  uno  stile  barbarico,  ed  una  maniera 
epicoria  ,  nella  quale  pertanto  non  è  difficile  rico- 
noscere la  ellenica  influenza.  Aggiungasi  la  notabile 
scorrezione  nel  disegno  de'  cavalli,  ed  anche  in  parte 
delle  figure  umane  ;  le  poco  svelte  forme  del  fan- 
ciullino  figurato  nella  tavola  IV;  ed  il  costume  mede- 
simo del  guerriero  vincitore  :  e  non  tarderassi  a  giu- 
dicare che  il  monumento  appartiene  ad  arte  lucana, 
e  che  perciò  il  sepolto  dee  riputarsi  appunto  un  Lu- 
cano. Questo  stile  misto  di  somma  e  minuta  accura- 
tezza negli  accessorii  e  negli  ornamenti  ,  ed  insieme 
di  non  corretto  disegno  mentre  veruna  idea  di  ar- 
caismo può  risvegliarsi  dal  diligente  esame  di  questi 
dipinti ,  e'  induce  a  credere  che  non  debba  attribuir- 
sene la  esecuzione  ad  artisti  Posidoniati  ;  ne'  quali 
avremmo  scorto  una  maniera  assolutamente  ellenica, 
che  in  epoca  di  arte  avanzata  e  perfetta  dovrebbe  of- 
frirsi a'  nostri  sguardi  tati'  altra  da  quello  che  nella 
pestana  tomba  si  presenta.  Noi  già  altrove  riportam- 


—  180  — 


mo  un  saggio  dell'  arte  lucana  in  questo  medesimo 
ballettino,  pubblicando  le  pitture  di  alcune  tombe 
di  Albanella  (  au.  Ili  tav.  X  ,  XI)  :  siccome  facem- 
mo rilevare  altresì  nella  breve  illustrazione  di  quei 
monumenti.  É  però  da  notare  che  nella  tomba  Pe- 
slana  riconoscesi  una  maggiore  influenza  ellenica  :  il 
che  vuoisi  per  avventura  attribuire  alla  necessità  di 
trattare  co'  Greci  abitanti  di  Posidonia  ,  e  forse  an- 
cora all'  epoca  men  remota  del  monumento  ,  di  che 
a!  presente  ci  occupiamo.La  medesima  influenza  gre- 
ca fu  da  noi  ravvisata  nelle  tombe  saunitiche  di  Ca- 
pua  ,  delle  quali  pubblicammo  i  dipinti  nell'anno  II 
di  questo  bullettino  tav.  X-XV. 

Avemmo  allora  la  occasione  di  notare  che  le  pen- 
ne, messe  a  fregiare  1'  elmo,  non  disconvengono  a 
guerrieri  Sanniti,  e  ricordammo  i  gladiatori  Samni- 
tes,  che  offrivan  pure  nella  galea  quell'  ornamento 
(  bull.  cit.  an.  II  p.  182  ).  Osservammo  ,  e  qui  an- 
cora ne  ripetiamo  la  osservazione,  che  i  Sanniti  usa- 
rono armature  di  bronzo,  al  riferir  di  Varrone  (/.  I. 
lib.  11  )  ;  e  che  solita  arme  offensiva  era  l' asta  (  Mi- 
cali  Storia  degli  ant.  popoli  iteti,  toni.  II  pag.  317- 
318  ).  A  queste  osservazioni  aggiungiamo  che  un 
notabile  confronto  rilevasi  tra  quelle  tombe  sanni- 
txhe  di  Capua  ,  e  questa  lucana  di  Pesto.  Noi  pub- 
blicammo nella  nostra  tav.  X  un  sacerdote  forse  o 
cupencus  (v.  pag.  178),  il  quale  offriva  identico  co- 
stume a  quello  del  nobile  personaggio  che  stringe  la 
mano  al  guerriero  :  una  duplice  veste  di  bianco  co- 
stituisce 1'  abbigliamento  di  entrambi  :  e  lo  stesso 
dee  dirsi  della  duplice  veste  bianca  osservabile  nel 
magistrato  o  meddix  della  tomba  di  Capua  ,  di  cui 
dicemmo  a  pag.  183  di  quell' anno  II  del  bullettino. 
Né  è  da  tralasciare  l'uso  della  barba  e  de'  mustac- 
chi, che  ricorre  altresì  nelle  virili  figure  delle  tombe 
capuane  :  sebbene  questo  costume  debba  riputarsi 
variabile  ;  giacché  nel  giovine  cavaliere  della  tav.  XI 
non  si  scorge  affatto  indizio  di  barba.  La  quale  va- 
rietà di  costume  trova  il  riscontro  parimenti  nella  no- 
stra tomba  lucana  ,  ove  il  guerriero  in  età  più  gio- 
vanile è  affatto  privo  di  barba  ;  ove  però  dir  non  si 
voglia  che  in  quelle  figure  di  Capua  e  di  Pesto  addi- 
tar si  vollero  giovinetti  di  primo  pelo ,  che  non  of- 
frissero incera  in  modo  visibile  la  nascente  barba. 


Ritenuto  nelle  figure  della  tomba  peslana  un  sag- 
gio dello  stile  e  dell'  arte  de'  Lucani ,  non  sarà  diffi- 
cile determinar  presso  a  poco  l'epoca  del  monumen- 
to. Noi  sappiamo  che  la  Romana  colonia  fu  dedotta 
in  Pesto  nel  479  di  Roma  e  che  i  Lucani  eransi 
impadroniti  di  Posidonia  verso  il  422  o  poco  prima, 
giusta  le  osservazioni  del  Mazzocchi  (tab.  Heracleen- 
ses  p.507);abbenchè  il  ch.Corcia  stabilisca  alquanto 
più  antico  il  dominio  de'  Lucani  in  Posidonia  (  Sto- 
ria lom.  Ili  p.  31  ).  A  questo  periodo  della  Lucana 
dominazione,  cioè  di  circa  sessanl'  anni,  appartiene  , 
a  nostro  avviso,  il  monumento  di  che  discorriamo,  e 
gli  altri  rinvenuti  altra  volta  in  vicinanza  di  Pesto  , 
anche  pertinenti  a  guerrieri ,  e  somigliantissimi  per 
lo  stile  a  questo  più  recentemente  scoperto  (  Paulino 
memorie  su'  monumenti  etc.  nota  del  Nicolas  p.  320 
seg.  :  Bamonle  anlich.  pesi.  p.  73  segg.).  Sicché  noi 
opiniamo  che  questi  sepolcri  deggiano  riferirsi  a  cir- 
ca tre  secoli  prima  dell'  era  volgare  :  il  che  si  ricava 
benanche  dallo  stile  avanzato ,  comunque  scorretto  , 
delle  figure  effigiate  nelle  interne  pareli.  Dalle  cose 
finora  date  rilevasi  quale  sia  la  nostra  opinione  sulle 
diverse  scene  di  queste  dipinte  battaglie.  Posto  che 
il  guerriero  vincitore  è  per  noi  un  lucano,  non  sarà 
difficile  determinare  con  certa  probabilità  la  patria 
de' caduti:  ravvisar  potremmo  alcuni  de' vinti  Posi- 
doniati  ,  ovvero  di  quegli  altri  popoli  co'  quali  fu- 
rono i  Lucani  in  continue  guerre.  Il  costume  de' 
vinti  non  disconviene  agli  stessi  Posidoniali;  e  le  lori- 
che liutee  sono  pur  convenienti  agli  usi  de'greci  \tvo- 
ìòuipy]xei:  principalmente  quando  si  consideri  che  già 
in  Posidonia  erasi  verificata  la  influenza  de'coloni  Si- 
bariti. Se  le  nostre  conghietture  sono  da  riputare  pro- 
babili ,  potremmo  giudicare  che  le  battaglie  effigiale 
nelle  pareti  della  nostra  tomba  sieno  da  riportare  alle 
battaglie  de'  Lucani  co' medesimi  Posidoniati  ,  le 
quali  assicurarono  a' primi  il  dominio  di  Posidonia, 
e  furono  perciò  causa  della  lucana  colonizzazione  :  e 
che  il  guerriero  vincitore  fosse  uno  de'  principali 
agenti  iu  quella  importante  conquista. 

Queste  nostre  ricerche  trovano  appoggio  nella  rap- 
presentanza del  timpano  ;  e  ne  danno  insieme  una 
plausibile  spiegazione. 

I  chiarissimi  signori  Forchb<immer  e  Brami  enn- 


—  181 


vennero  entrambi  nel  credervi  figurata  una  scena  del 
mondo  inferiore  ,  e  giudicarono  che  venisse  indicalo 
il  giovine  guerriero  ,  che  si  avvia  al  regno  delle  om- 
bre, il  Sig.  Braun  poi  dal  cattivo  disegno  del  Sig.  For- 
ehhammer  fu  trailo  in  equivoco,  ravvisando  una  luna 
talcala  bella  grande  corona  sospesa  nel  campo.  Può 
francamente  asserirsi  che  questa  spiegazione  de'  due 
chiarissimi  archeologi  non  sia  basala  sopra  solidi  fon- 
damenti. Di  falli  tutte  le  figure  messe  dietro  al  ca- 
vallo mostrano  di  seguire  il  cavaliere  che  lor  si  fé 
guida:  e  le  due  donne  ,  che  si  mostrano  inuanli,  pa- 
lesano l'arrivo  al  designato  termine.  Non  è  dunque 
possibile  immaginare  il  congedarsi  dalla  famiglia,  che 
sarebbesi  in  tuli'  altro  modo  rappresentato.  A  ciò  si 
aggiunge  che  un  viaggio  al  regno  delle  ombre  riferir 
si  dovrebbe  al  medesimo  personaggio  che  fu  nella 
tomba  sepolto,  e  di  cui  si  figurarono  le  militari  im- 
prese. Or  come  mai  sarebbesi  cotanto  trasformato  per 
età  e  per  foggia  di  vestimento  :  in  guisa  da  dar  la 
idea  di  un  uomo  totalmente  diverso?  Per  tutti  gli 
esposti  motivi  non  regge  ad  una  sana  critica,  ed  alle 
regole  slesse  dell'  arte,  la  spiegazione  proposta  da'si- 
gnori  Braun  e  Forchhammer. 

Richiamando  invece  le  osservazioni  da  noi  pre- 
messe, sarà  facile  ravvisare  in  tutta  quella  serie  di 
figure  composta  d' intere  famiglie  la  colonia  lucana  , 
che  s' invia  a  prender  possesso  della  vinta  Posidonia. 
Giovani  guerrieri ,  donne  con  lattanti  fanciulli ,  te- 
nere giovinette  seguono  il  cavaliere  capo  di  quella 
migrazione  ,  il  quale  è  accolto  da  due  giovinette 
Posidoniati  intente  a  ricevere  scarmigliale  i  vincitori 
soprarrivali ,  ed  a  porgere  al  cavallo  la  bevanda  ri- 
storatrice  ,  ed  a  presentare  al  cavaliere  purpureo  e 
ricco  drappo.  La  corona  dipinta  nel  campo  significa 
esser  quella  migrazione  di  vincitori. 

Così  e  non  altrimenti  intendiamo  la  difficile  sce- 
na, che  ci  si  porge  agli  sguardi ,  e  che  trovasi  in  vi- 
cina relazione  colle  dipinte  battaglie.  Essa  è  come  il 
risultamento  delle  guerre  de'Lucani:  e  trovasi  in  rap- 
porto col  guerreggiante  personaggio,  che  alla  domi- 
nazione de'  Lucani  die  causa  ed  origine,  concorrendo 
alle  viltorie  sopra  i  Posidoniati.  La  rappresentanza  ilei 
(impano  è  come  un  importante  episodio  .  srello  as- 


sennatamente dall'  artista  per  celebrare  le  lodi  del 
seppellito  guerriero.  E  qui  mi  piace  di  osservare  che 
dal  dipinto  (inora  illustrato  rilevasi  chiaramente  l'at- 
tribuzione di  quell'  oggetto  ,  che  vedesi  sospeso  al- 
l' asta,  e  che  fu  da  noi  già  determinato  per  un  p.loi. 
Di  falli  due  giovani  seguono  il  cavaliere  ,  uno  di 
essi  ha  sulla  testa  un  pileo  del  medesimo  colore  ,  e 
l'asta  a  cui  nulla  è  sospeso  ;  laddove  l'altro  ha  nudo 
il  capo  ,  ed  all'asta  o  tirso  tien  sospeso  quel  pileo 
destinato  certamente  a  ricoprirne  la  testa. 

A  compire  la  illustrazione  di  queste  importanti  pit- 
ture ,  è  mestieri  notare  che  la  parete  messa  di  fronte 
alla  porla  del  monumento  ,  e  da  noi  riportata  nella 
nostra  tav.  IV  ,  esprime  senz'  alcun  dubbio  una  sce- 
na di  funebre  congedo.  Il  guerriero  già  avanzato  ne- 
gli anni  è  prossimo  a  dipartirsi  dalla  terrena  sede. 
Egli  ha  già  pronto  il  funebre  cavallo  ,che  trasportar 
lo  dovrà  al  regno  delle  ombre  :  ed  iutauto  si  licenzia 
da'  suoi  più  cari  ,  che  sopravviveranno  alla  sua  par- 
tenza. Un  fratello  forse,  che  non  segui  la  carriera  delle 
armi  ma  il  sacerdozio  o  le  civili  magistrature  ,  a  lui 
porge  dolente  la  destra,  mentre  un  tenero  Ggliuolino 
stende  le  braccia  al  padre,  che  si  allontana  per  sempre. 

La  evidente  intelligenza  di  questa  scena  di  conge- 
do è  una  novella  ragione  ,  ed  un  argomento  di  più, 
per  non  ammettere  nella  pittura  del  timpano  una 
scena  di  simile  intelligenza. 

E  perciò  sembraci  confermala  la  interpretazione 
di  tulli  i  dipinti  singolarmente  o  nel  loro  insieme 
considerati,  presentandoci  le  tre  più  grandi  pareti  le 
battaglie  vittoriose  di  un  guerriero  Lucano,  e  ia  sua 
partenza  dal  mondo  e  da'  più  cari  mercè  l'ajuto  del 
funebre  cavallo,  lu  quanto  al  dipinto  del  timpano,  è 
da  riportare  alla  migrazione  della  colonia  lucana  in 
Posidonia,  come  seguilo  di  quelle  pugne  e  di  quelle 
viltorie. 

Ci  proponiamo  di  presenlare  alcune  osservazioni 
su' costumi  lucani,  mettendo  in  confronto  i  nostri  di- 
pinti co' vasi  fittili  di  quella  provenienza,  i  quali  pre- 
sentano non  pochi  puuti  di  somiglianza. 


MlNBKVINI. 


182- 


Yaso  scoperto  in  Sardegna. 

Nella  nostra  tav.  XIII  pubblichiamo  uu  importan- 
te vaso  di  arcaico  lavoro  non  ha  guari  scoperto  in 
Sardegna  ,  del  quale  presentiamo  la  incisione  la  metà 
dell'  originale  sull'  esatto  disegno  eseguito  dal  signor 
Vincenzo  Crespo,  e  che  ci  venne  trasmesso  dall'egre- 
gio signor  Cav.  Canonico  Giovanni  Spano.  Dobbiamo 
a  questo  archeologo ,  zelantissimo  per  la  pubblica- 
zione ed  illustrazione  de' monumenti  della  sua  pa- 
tria (1) ,  il  permesso  di  fregiare  il  bullettino  archeo- 
logico napolitano  di  questa  importante  rappresenta- 
zione ,  ed  a  lui  medesimo  dobbiamo  le  notizie  sulle 
particolarità  della  scavazione,  e  del  monumento  stes- 
so, di  che  stiamo  discorrendo. 

Le  figure  son  nere  in  fondo  rossastro  ,  e  graffili 
ne  sono  i  contorni ,  siccome  si  scorge  ne'  vasi  dello 
stesso  stile  ,  e  della  medesima  fabbrica. 

Gli  ornati  del  collo  son  rossi  in  fondo  nero. 

Il  vaso  fu  ritrovato  nello  scorso  mese  di  Marzo 
dal  dotior  Pietro  Cara  in  uno  scavo  che  fece  nel- 
1'  antica  città  di  Tharros  (2)  ,  ed  or  si  possiede  dal 
Sig.  Cav.  Gaetano  Cara ,  direttore  del  Real  Museo 
di  Cagliari.  Era  il  monumento  insieme  con  altri  vasi 
di  semplice  lavoro ,  e  non  figurati ,  in  una  sepoltura 
composta  di  due  lunghi  massi  paralleli,  e  di  un  altro 
al  di  sopra  per  coperchio. 

A  prima  vista  si  riconosce  il  soggetto  di  questa 
importante  stoviglia.  Teseo  imberbe  munito  di  corta 
tunica  e  di  leonina  pelle  è  sul  punto  d'  immerger  la 
spada  sotto  1'  ascella  del  Minotauro  caduto  sulle  gi- 
nocchia ,  che  cerca  di  lanciargli  una  pietra.  A'  due 
lati  sono  due  efebi  presso  due  cavalli:  un  uccello  vola 
verso  il  sito  della  conlesa,  ed  al  suolo  è  un  okladias. 
11  soggetto  della  pugna  di  Teseo  col  Minotauro  fu  in 
questi  ultimi  tempi  dottamente  illustrato  dallo  Slc- 
phani  (  Der  Kampf  zwischen  Thescus  und  Minotauro} 
Leipzig  1842  fol.),  dal  Gerhard  (Auserlesene  griech. 

(f)  A  lui  è  dovuta  la  pubblicazione  di  un  bullettino  archeolo- 
gico sardo,  che  da  circa  due  anni  vede  la  luce,  e  di  cui  ci  pro- 
poniamo dar  I'  annunzio  in  questi  fogli. 

(2)  Vedi  su  questa  città  le  cose  dette  dallo  stesso  eh.  Spano  nel 
suo  opuscolo  intitolato  notine  dell'  antica  città  di  Tharros.  Ti- 
pogr.  na:.  W>Q. 


Yasenbildcr  111  p.  37  segg.  ),  dal  Iahn  (archacologi- 
schc  Beitràge  p.  251  segg.  )  ,  e  più  recentemente  dal 
Roulez  (  Vascs  pcints  du  cabin.  de  Leide  tav.  X  p.  38 
segg.). 

Nel  citato  vaso  del  gabinetto  di  Leida  ,  ed  in  altri 
non  pochi  monumenti  ,  Teseo  ha  la  barba  ,  è  vestito 
presso  a  poco  come  nel  nostro  vaso  di  Tharros  ,  ed 
il  mostro  col  quale  combalte  è  pur  nell'  atto  di  sca- 
gliar per  difesa  una  pietra. 

Non  è  men  comune  la  pelle,  che  vedesi  attribuita 
all'  eroe  Ateniese  ,  siccome  venne  osservato  dal  eh. 
Iahn  (op.cit.  p.  260  not.  18).  Fu  avvertito  dal  eh. 
Roulez  che  la  pugna  di  Teseo  col  Minotauro  figu- 
rossi  frequentemente  come  una  lotta  agonistica  (  op. 
cit.  p.  40  ,  41  )  :  ed  a  ciò  alludono  le  figure,  che 
veggonsi  talvolta  sedute  assistendo  alla  scena.  Par- 

OD 

mi  che  1'  okladias  effigiato  nel  vaso  di  Sardegna ,  di 
cui  parliamo  ,  non  abbia  una  differente  intelligenza, 
e  sia  quasi  preparato  per  gli  spettatori  del  trionfo  di 
Teseo.  I  due  giovani  con  cavalli  sono  due  degli  efebi 
Ateniesi,  che  furono  liberali  dalla  vittoria  dell'  eroe 
loro  concittadino.  Le  tradizioni  parlano  di  sette  gio- 
vani e  di  sette  donzelle  (  Sappho  apud  Servium  ad 
Aen.Vl,  21  ;  Platon.  Phaed.p.oS,  A.  cf.  Diod.  Sic. 
IV,  60  seg.  Plutarc.  in  Thes.  15  seg.  ,  Hygin.  fab. 
41  seg.  Pherecyd.  fragni.  106  ap.  Schol.  Hom.  Od. 
A,  320;  Macrob.  Sat.  I,  17).  Per  ciò  si  trovano  as- 
sai spesso  ne'monumenli  efebi  e  donzelle  da  presso  alla 
pugna  del  mostro  con  Teseo.  Incontra  pur  qualche 
volta  di  veder  solo  un  efebo  a  canto  a  Teseo,  come  in 
un  vaso  presso  Inghirami  (Vasi  fittili  tav.  CCXCVII, 
1,  2)  :  e  così  nel  nostro  vaso  di  Tharros  i  due  gio- 
vani Ateniesi  appartengono  entrambi  al  sesso  virile. 
Essi  guidano  ancora  i  cavalli,  su' quali  percorsero 
forse  la  Grecia  pria  d' imbarcarsi  per  V  isola  di  Cre- 
ta. Acutamente  conghietturava  il  eh.  Iahn  il  signi- 
ficato del  mito  ,  esprimendosi  con  esso  che  mentre 
Atene  pagava  un  annuo  tributo ,  Teseo  col  vincere 
il  Minotauro  liberò  la  sua  patria  da  una  tale  gravez- 
za (op.  cit.  p.  263  segg.).  Della  quale  avventura  be- 
ne a  ragione  il  Roulez  (op.  cit.  p.  42  not.  2  )  va  ri- 
cercando le  tracce  in  un  notabile  frammento  di  Fi- 
locoro anche  a  traverso  dell'  evemerismo  che  io  esso 


—  183  — 


si  ravvisa  {fragni.  39  ,  IO  -  eJ.  Car.  Muller  p.  390 
segg.  )• 

É  la  prima  volla  elio  i  giovani  ateniesi  veggansi 
presso  cavalli,  per  quanto  possiamo  ricavare  da'  mo- 
numenti che  sono  a  nostra  notizia,  e  che  furon  finora 
pubblicati  o  descritti  (Vedi  le  citate  opere ,  e  Muller 
Hanàbuch%  412  not.  1  p.C87  ed.Welcker:  cf.Birch 
and  Newton  calaìogue  ofvascs  in  British  Museum  n. 
•152,  514,607,615;  Iahu  Vasensammlung  zaMun- 
chena.H,  107,  170,  333,372,569,  1079,1155, 
1311,1332,1352).  Sarebbe  mai  indicato  nel  nuovo 
monumento  che  quell'annuo  tributo  comprendesse  i 
giovani  ed  i  cavalli  destinali  a  trasportarli  ?  Non  ab- 
biamo appoggi  filologici  per  confermare  una  tale  idea. 

Intanto  non  vo  tralasciar  di  notare  che  questi  ca- 
valli, i  quali  accompagnano  i  due  efebi,  potrebbero 
alludere  a'  nomi  ed  alle  occupazioni  di  quei  mede- 
simi giovani. 

Nella  enumerazione  fatta  da  Servio  de' quattordici 
giovinetti  destinati  al  tributo  ,  quando  Teseo  risultò 
vittorioso,  e  da  lui  liberati,  secondo  le  correzioni  del 
eh.  Stephani  (op.  dt.p.  38,  s.),  e  del  eh.  Iahu  (Arch. 
Beilr.  p.  453  ) ,  si  trovano  le  denominazioni  d'Hip- 
pophorbas  fra  gli  uomini ,  e  di  Medippe  tra  le  fem- 
mine. E  poi  evidente  il  significato  di  queste  parole  , 
che  al  nutrimento  ed  alla  cura  de'  cavalli  si  riferisco- 
no. Simili  allusioni  possono  riconoscersi  ne' due  efebi 
accompagnati  da  cavalli  nel  nostro  vaso  di  Sardegna. 

L' ultima  particolarità  degna  di  osservazione  è  V  uc- 
cello volante  verso  il  sito  della  scena. 

Ove  non  voglia  credersi  quel  volatile  destinalo  a  si- 
gnificar l'augurio  della  contesa  (  1  ),  potremmo  pensare 
al  suo  funebre  significato  ;  per  lo  quale  1'  anima  fu 
sotto  forma  di  uccello  figurata  :  e  trovasi  nelle  rap- 
presentanze di  risse  e  di  battaglie  l'uccello  ,  ad  addi- 
tar forse  la  partenza  delle  anime  de' guerrieri  trafitti 
e  spenli  (  v.  Abeken  Ann.  dell' ht.  1836  p.310  segg. 
Roulez  Mélang.  IV,  4  p.  2  :  Minervini  vasi  di  Jatla 
pag.  32:  Iahn  arch.  Bcilr.  p.  260  not.  19). 

(1)  Da  tempi  antichissimi  si  porla  di  valicinii  dedotti  dal  volo  degli 
uccelli,  de' quali  si  attribuiva  la  origine  a'  Carii  od  a'  Frigii:  Plin. 
nat.  hist.  VII,  57,  12;  Cloni.  Alex.  Strom.  p.  300;  luvenal.  Sat. 
VI  585. 


Difficile  riesce  li  intelligenza  del  rovescio  del  vaso, 
nel  quale  un  efebo  conduce  il  suo  cavallo,  e  lo  prece- 
de un  cane ,  animale  di  cui  sovente  i  giovani  pren- 
don  diletto  (vedi  Raoul-Roebette  meni,  de  man.  et 
d' antiqu.  pag.  236  ):  egli  si  accosta  al  guerriero  ar- 
mato ,  che  tranquillamente  il  riceve  :  come  rilevasi 
dall'asta  riversa  colla  punta  in  giù. 

Ma  già  dall'altra  estremità  giunger  si  vede  un  altro 
guerriero  inatto  minaccioso,  ed  un  augello  a  lui 
vola  incontro.  Non  oseremmo  asserire  se  in  quesla 
scena  abbia  voluto  indicarsi  lo  stuolo  de'giovani  Ate- 
niesi giunti  come  tributo  in  Creta  ,  ed  ivi  accolli  da 
Cretesi  guerrieri  ;e  poi  Teseo  armato  e  pronto  a  bat- 
taglia venuto  a  riscattarli.  Questa  maniera  d'  inten- 
dere si  adatterebbe  alla  tradizione  evemeristica  di  Fi- 
locoro. E  quindi  nel  vaso  di  Sardegna  si  vedrebbero 
effigiate  le  due  diverse  leggende ,  quella  mitica  della 
pugna  di  Teseo  col  Minotauro  mostro  di  Creta  ,  e 
l'altra  storica  della  battaglia  dello  stesso  eroe  Ateniese 
con  Tauro  guerriero  di  Minosse  {fragni,  cit.). 

E  forse  il  nostro  monumento  ci  fornisce  il  mezzo 
di  conciliar  le  due  tradizioni  riducendole  ad  una  sn- 
la.  Teseo  viene  a  riscattare  il  tributo  di  Alene  :  ciò 
gli  ò  conceduto  a  palio  che  liberasse  Creta  dal  Mi- 
notauro. Ecco  la  continuazione  delle  due  rappresen- 
tanze, che  in  tal  modo  vanno  riferite  al  seguito  della 
medesima  avventura.  Era  ben  naturale  che  in  questa 
duplice  narrazione  l'abbigliamento  di  Teseo  fosse  va- 
riato. Quando  è  alle  prese  col  mostro  egli  si  presen  (a 
vestito  quasi  come  Alcide ,  munito  della  pelle  dei 
leone  ,  siccome  un  eroe  liberatore  della  Grecia  ;  lad- 
dove nell'altra  scena  ha  le  solite  armi  di  qualsivoglia 
guerriero,  perchè  si  tratta  di  una  pugna  tra  eguali  , 
figurando  il  liberatore  della  sua  patria  Alene  contro 
gli  stranieri  nemici. 

Del  resto  questa  nostra  spiegazione  si  abbia  come 
una  semplice  conghictlura. 

Frequenti  sono  a  vedersi  sotto  i  manichi  effigiati 
i  mostri  degli  antichi  miti ,  come  sono  le  Sfingi  e  le 
Chimere,  le  quali  distinguono  quasi  le  differenti  rap- 
presentazioni. Noi  ne  dicemmo  altrove  alcuna  cosa 
nell'antica  serie  del  bullctlino  ,  ove  riportammo  an- 
cora le  opinioni  degli  archeologi  su  questo  uso  delle 


—  184  — 


mostruose  figure  fralle  varie  scene  de'  vasi  dipinti 
(an.  VI  pag.  58,  s.):  e  rimandiamo  a  quello  che  al- 
lora ne  dicemmo. 

Oltre  la  importanza  del  soggetto,  altra  se  ne  porge 
alla  nostra  considerazione  ;  ed  è  la  provenienza  del 
monumento.  Fino  a  poco  tempo  fa  non  furono  ricor- 
dati antichi  vasi  fittili  scavati  nel  suolo  della  Sarde- 
gna :  ed  in  fatti  una  tale  località  non  trovasi  rammen- 
tata ne' prolegomeni  del  eh.  lahn  al  suo  catalogo  dei 
vasi  di  Monaco  (  Miinchen  Vasensammlung  ,  Einlei- 
tung  p.  XXI ,  e  segg.  ).  Recentemente  il  eh.  Spano 
parlò  dell'  arte  plastica  in  Sardegna  ,  e  ricordò  le 
stoviglie ,  die  ivi  si  ritrovarono  (  Bull.  arch.  Sardo 
an.  II  p.80  segg.).  Ma  ci  comunicò  a  voce  la  notizia 
che  in  Sardegna  rinvengonsi  moltissimi  vasi  di  altre 
forme  ,  con  qualche  fregio  e  qualche  figura  ,  come 
di  Satiri,  di  Ninfe,  di  civette  etc.  ,  i  quali  si  conser- 
vano sì  nel  Real  Museo  di  Cagliari  ,  come  nella  sua 
propria  raccolta,  ed  in  quella  del  cav.  Gaetano  Cara. 
II  vaso  ,  di  che  finora  abbiamo  parlato ,  è  il  primo 
che  sia  istoriato ,  e  che  presenti  un  soggetto  concer- 
nente a  mitiche  tradizioni.  Questa  particolarità  ne 
accresce  la  importanza,  ed  il  merito. 

E  noi  ci  dichiariamo  più  grati  al  lodato  sig.  cava- 
liere Spano,  per  avercene  ceduta  la  prima  pubblica- 
zione. 

Per  quanto  ricaviamo  dalle  notizie  dello  stesso  ar- 
cheologo sardo  (  vedi  Notizie  sull'antica  citta  di  Thar- 
ros.  Parte  I.  =  tipogr.naz.  1850  :  cf.  Ballettino  Sar- 
do an.  II.  n.3  e  6),  ritrovansi  in  Tharros  monumenti 
fenicii,  egizii  ,  e  romani.  I  pochi  monumenti  greci 
sono  di  sicula  importazione.  Egli  osserva  pure  che 
la  vernice  e  V  argilla  de'  vasi  fittili  rinvenuti  in  altri 
siti  della  Sardegna  mostrasi  pertinente  alla  regione  , 
ove  furono  ritrovati  :  e  perciò  ne  trae  che  que'  mo- 
numenti furono  lavorati  appunto  in  Sardegna. 

Comunque  sia  di  ciò,  il  lavoro  di  questo  vaso ,  la 
secchezza  dello  stile,  e  gli  ornamenti  medesimi  ,  dei 
quali  è  fregiato,  accennano  ad  epoca  remota  e  ad  arte 
greca  :  la  quale  non  disconviene  al  silo  del  ritrova- 


mento ;  se  greca  dee  riputarsi  la  stessa  denomiuizio- 
ne  della  città,  in  cui  venne  dissepolto. 

MiNERVINJ. 

BIBLIOGRAFIA. 

Monumenta  epigraphiea  pompeiana  ad  (idem  archely- 
porum  expressa  —  Pars  prima,  inscript ionum  osca- 
rum  apographa,  curante  losepho  Fiorellio — Neapo- 

1i  —  ex  officina  Caiet.  Nobile  super,  perni editio 

altera  MDCCCLVI.  Pag.  XXXVIII  in  4. 

Noi  già  nel  III  volume  di  questo  bullettino  demmo 
l' annunzio  della  prima  edizione  di  questo  lavoro  (pag. 
111).  Ora  con  piacere  facciamo  conoscere  questa  se- 
conda edizione,  la  quale  è  destinata  a  tutti  i  cultori 
degli  sludii  filologici  e  degli  italici  dialetti ,  laddove 
quella  prima ,  tirata  al  numero  di  soli  cento  esem- 
plari ,  era  destinata  per  le  pubbliche  biblioteche  ,  e 
più  ancora,  a  nostro  parere,  pe'  pubblici  musei  :  ove 
gli  esatti  disegni  a  facsimile  farebbero  di  se  bella  mo- 
stra, niente  meno  che  gli  originali  monumenti. 

La  nuova  edizione,  di  cui  ora  diamo  1'  annunzio  , 
manca  de'disegni  a  facsimile  ;  ma  del  resto  è  perfet- 
tamente identica  alla  prima:  e  solo  abbiamo  notato 
una  maggior  correzione  tipografica  ,  come  alla  pag. 
XXXVI  n.5  ben  si  riporta  ^flY  invece  ?13*nY  ;  sic- 
come leggevasi  nella  prima  edizione.  Dobbiamo  poi 
saper  grado  al  eh.  editore  ,  per  aver  reso  facilmente 
maneggevole  e  di  pochissimo  costo  un  libro,  che  nel- 
T  antico  formato  aver  non  poteva  che  uno  scarsissimo 
numero  di  lettori  :  tanto  più  che  non  sarà  difficile  con- 
sultare in  qualche  caso  la  prima  edizione  nelle  pri- 
marie biblioteche,  ove  trovasi  collocata.  L'a.  aggiunge 
una  breve  prefazione  per  difendersi  dagli  attacchi  del 
sig.  Overbeck,  il  quale  erasi  doluto  dell'inutile  lusso 
della  prima  edizione  (  Pompeii  p.  IX  ).  Il  sig.  Fiorella 
riproduce  alcune  nostre  parole,  nelle  quali  mettemmo 
in  chiaro  la  importanza  di  quella  magnifica  pubblica- 
zione. E  senza  dubbio  non  potrà  sembrarne  altrimenti 
al  eh.  Overbeck  :  il  quale  colla  nuova  edizione  di  fa- 
cilissimo acquisto  vedrà  interamente  compiuti  i  suoi 
voti ,  e  farà  giustizia  al  Sig.  Fiorelli  distinguendo  la 
importanza  delle  due  differenti  edizioni  dalla  loro  di- 
versa destinazione. 

MlPfERVIM. 


Giulio  Mi.neuvini  —  Editore. 


Tipografia  di  Giuseppe  Catànf.o. 


BULLETTINO  ARCHEOLOGICO  NAPOLITANO. 

NUOVA    SERIE 


N.°  98.     (24.  dell'  anno  IV.) 


Giugno  1856. 


iscrizione  dionisiaca  in  un  vaso  dipinto  della  collezione  latta  in  Ruvo Notizia  de' più  recenti  scavi  di  Pom- 
pei. Supplimento  al  num.  95.  —  Monumenti  potnpejani.  Supplimento  al  num.  98.  —  Vaso  Amazzonico  di 

S.  A.  R.  il  Come  di  Siracusa. 


Iscrizione  dionisiaca  in  un  vaso  dipinto  della  collezione 
latta  in  Ruvo. 

La  nostra  tav.  Ili  ci  offre,  della  grandezza  dell'ori- 
ginale ,  la  faccia  principale  di  un  vaso  fittile  antico 
della  insigne  raccolta  del  sig.  Giovanni  latta  in  Ruvo. 
Le  figure  son  rosse  in  fondo  nero,  con  alcune  parti 
di  bianco  principalmente  negli  accessorii.  Lo  stile  non 
è  del  più  bello  e  perfetto  ;  ma  pure  nella  dionisiaca 
pompa,  che  ci  si  porge  agli  sguardi,  vedi  una  tal  vi- 
vacità di  movimenti  e  di  espressione,  che  rende  il  no- 
stro vaso  uno  de'  più  pregevoli  monumenti  di  quella 
provenienza.  Un  giovine  Bacco  con  clamide  svolaz- 
zante, e  col  capo  coronato  di  foglie,  da  cui  scendono 
in  lunghi  ricci  i  capelli ,  apparisce  nel  mezzo  in  un 
cocchio  tratto  da  pantere  o  da  linci  in  velocissimo 
corso.  11  dio  tien  colla  sinistra  le  redini ,  ed  innalza 
colla  destra  il  tirso  a  cui  si  annoda  una  tenia.  Precede 
la  biga  una  cervella  velocemente  correndo,  ed  un  gio- 
vine satiro  tutto  nudo  ,  che  tien  colla  destra  il  tirso  : 
la  segue  un  barbalo  Sileno  con  clamide  e  stivaletti  , 
che  siringe  colle  sue  mani  due  accese  faci. 

Nell'ordine  superiore  è  una  Baccante,  che  parche 
mova  i  piedi  alla  danza  presa  dall'  eslro  dionisiaco  : 
ella  tiene  colla  sinistra  un  timpano  ,  colla  destra  uua 
specie  di  situla.  Dall'  altro  lato  è  un  importante  grup- 
po. Una  Baccante  col  capo  pendente  indietro,  ed  il 
petto  nudo  è  caduta  sulle  ginocchia:  quasi  a  lei  sfugge 
dalla  destra  il  timpano,  e  già  lasciossi  cadere  il  tirso 
«pezzato  nella  parte  inferiore.  Questa  figura  ridotta  in 
tale  stalo  dalla  influenza  del  dio  è  sostenuta  da  un  an- 
drogino personaggio  alato,  che  con  ambe  le  mani  l'af- 
ferra. Son  nel  campo  una  tenia  quasi  simmetricamente 

AIMO  ÌY. 


sospesa ,  e  due  foglie  di  edera.  Nella  opposta  faccia 
del  vaso  sono  tre  sole  figure  :  un  nudo  giovine  con 
tirso,  patera,  e  grappolo,  è  seguito  da  una  donna  con 
corona  e  timpano,  e  preceduto  da  un'altra  donna  con 
timpano  e  situla.  Ad  un  primo  sguardo  si  ravvise- 
rebbe in  questa  scena  un  soggetto  assai  comune  di 
una  dionisiaca  pompa  ;  ma  dopo  breve  considerazione 
si  rileverà  di  leggieri  che  la  rappresentazione  della 
jattiana  anfora  offre  importantissime  particolarità,  che 
richiamano  tutta  l'attenzione  da  parie  degli  archeologi 

Notevole  è  la  figura  di  Bacco  con  pendenti  ricci  : 
a'  quali  fa  vicino  confronto  la  frase  di  Euripide,  che 
accenna  alla  medesima  disposizion  di  chioma:  ra>- 
3óì<rt  p.oTTf,i%oiaiv  (Bacch.  v.  235)  ;  la  quale  pertanto 
incontrasi  ancora  in  altri  antichi  monumenti  (  Miner- 
vini  mon.  ined.  di  Rarone  tav.  XXV,  p.  113).  1  ve- 
locissimi animali  che  traggono  il  carro  del  dio  pare 
che  dir  si  debbano  linci  piuttosto  che  pantere.  E  ben 
risaputo  esser  la  lince  nu  bacchico  auimale  (Voss.  ad 
Virgil.  Georg.  Ili,  264  ):  ed  a  ciò  appunto  accennava 
il  satirico  Persio,  con  quel  verso  :  Rassaris  et  lyncem 
Macnas  flexura  corymbis  (  Sai.  I,  101  :  cf.  lahn  A. 
Persii  Flaccisat.  p.lOG);  siccome  avverte  lo  Scoliaste 
presso  lo  slesso  lahn  p.  272  :  Lynx  est  bestia  Libero 
patri  consecrata  etc.  Nel  vaso  che  illustriamo  il  dio 
de'  mislerii  nella  veloce  sua  corsa  impugna  e  scuote 
il  tirso  eccitando  le  orgie. 

Il  cervetlo,  che  precede  il  cocchio,  non  manca  di 
mistica  intelligenza  :  o  si  consideri  il  suo  rapporto  con 
Bacco  per  le  avventure  di  Amimone,  e  pe'  misterii  di 
Lerna  (  vedi  quel  che  dicemmo  aelt'  antica  serie  del 
ballettino  au.  I  p.  55,  56  )  ;  o  che  ?i  guardi  il  wfyfiTf/ioS 
proprio  delle  h'Wte  e  delle  iniziazioni  (vedi  Fozio  le- 

2ì 


—  186  — 


xic.  v.  rsflpi%uv ,  ed  un  frammento  del  libro  di  Ari- 
gnota  Trip)  rùiv  ri'ksrùv  appo  Arpocrazione  s.  ead.  v. 
cf.  Lobeck  Aglaophamus  p.653,  ed  Avellino  nel  bull, 
ardi.  nap.  an.  II  pag.  74  ).  11  Satiro  col  tirso,  ed  il  Si- 
leno colle  fiaccole  sono  figure  ben  convenienti  ad  uua 
scena  d' iniziazione.  Frequenti  sono  gli  esempli  delle 
accese  faci  nelle  rappresentanze  simili  a  questa  ,  che 
abbiamo  sotto  gli  occbi.  Esse  servono  ad  illuminare 
il  dio  e  gli  orgiasti  nel  corso  della  notte  :  non  senza 
alludere  altresì  alla  ignea  e  solare  natura  di  Bacco  , 
come  dio  della  vegetazione,  e  della  fruttificazione.  In 
questa  duplice  intelligenza  molto  ben  si  comprende  la 
presenza  del  Sileno  daduco.  Nulla  crediamo  parimenti 
di  notare  sulla  Baccante,  che  si  avanza  con  situla  e  tim- 
pano. Ovvie  sono  somiglianti  figure  ne'  bacchici  sog- 
getti. Quello  però  che  richiama  tutta  la  nostra  atten- 
zione si  è  il  gruppo  della  Baccante  caduta  sulle  ginoc- 
chia, e  sostenuta  da  un  essere  ermafrodito.  Essa  ha  il 
petto  nudo,  come  si  scorge  alle  Baccanti  in  altri  mo- 
numenti: e  noi  illustrammo  altrove  una  simile  parti- 
colarità in  un  altro  vaso  della  medesima  collezione 
latta,  ricordando  il  luogo  di  Euripide,  ove  traile  varie 
occupazioni  delle  orgie  le  Baccanti  danno  a  succhiar 
le  mammelle  a'figliuolini  delle  selvagge  capre  e  de'lupi 
[Bacch.  v.698,  s.).  É  pur  notabile  che  Agave,  in  una 
pittura  descritta  da Filostrato.mostravasi  macchiala  del 
sangue  del  figlio  nelle  maui,  nel  volto,  ed  ancora  nel 
nu  io  petto  U  rà.  yvy.ix  rov  txa.%oò  ( Philostr.  imag. 
XVI!!p.31  edit.  Welcker).Vedi  la  noslra  descriz.  di 
(dami  vasi  fitl.  ani.  delia  collezione  latta  p.  69,  70. 
Con  i  io  non  vogliamo  intendere  che  la  stessa  figura 
di  Ag:ve  debba  riconoscersi  in  questa  svenuta  Bac- 
cante. Noi  riconosciamo  invece  lo  sfinimento  succe- 
duto all'  agitazione  dell'  orgia.  Tanto  si  addila  dalle 
scomposte  vestimcnta,  dalla  ondeggiante  chioma,  dal 
tirso  spezzato  nello  scuoterlo  (arò,  Svpaov  ti  ructauuiv 
Eurip.  Bacch.  v.  61  ).  GÌ'  istrumenli  dell'orgia,  co- 
me innanzi  avvertimmo,  le  caddero  dalle  mani,  poi- 
ché ne  rimasero  abbattute  le  forze.  Il  piegar  violen- 
temente indietro  la  testa  ci  ricorda  le  Menadi  ,  di-Ile 
quali  diceva  Catullo,  evoe  capita  infleclentes[epith.  Pel. 
ti  Thet.  v.  256).  Se  la  nostra  Baccante  per  la  sua  sin- 
goiar posizione  si  addimostra  costituita  sotto  la  più 


forte  influenza  dell'  estro  dionisiaco ,  può  ragionevol- 
mente supporsi  che  venga  con  essa  indicata  una  se- 
guace di  Dioniso  nel  momento  della  iniziazione.  In 
questa  idea  ci  conferma  1'  alata  figura  che  colla  Bac- 
cante vedesi  aggruppata  ,  e  che  ci  sembra  di  somma 
importanza.  Questo  essere  ermafrodito  scorgesi  assai  di 
sovente  nelle  bacchiche  scene:  e  può  riferirsi  a  quello 
che  dal  dottissimo  Creuzer  fu  ritenuto  pel  genio  alato 
dionisiaco  (  Dionys.  p.  164).  È  pur  notabile  che  una 
somigliante  figura  comparisce  altresì  con  varii  simboli 
mistici  nei  vasi  di  Puglia,  o  di  altre  località,  senza  che 
si  vegga  in  rapporto  con  bacchiche  rappresentanze.  Il 
vaso  che  ora  pubblichiamo  ci  dimostra  il  vero  signi- 
ficato di  questa  figura.  Certamente  essa  dinota  un  es- 
sere strettamente  collegato  co'misterii,  se  accoglie 
traile  braccia  e  sostiene  una  iniziata.  Non  sarebbe 
strano  il  supporre  che  in  questa  alata  figura  ravvisar 
si  dovesse  la  stessa  Telete,  intenta  ad  assistere  una  my- 
stis.  Ed  in  tale  idea  riuscirebbe  di  maggiore  impor- 
tanza la  scena  figurata  nel  nostro  vaso  di  Ruvo  ,  la 
quale  in  qualunque  caso  apre  la  via  a  novelle  ricer- 
che per  la  conoscenza  delle  mistiche  religioni ,  che 
pur  troppo  sono  tuttavia  ricoperte  ed  ascose. 

Mjnebvjni. 

Notizia  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei. 
SupplimentQ  al  n.°  95. 

Alla  descrizione  da  noi  data  di  sopra  pag.  161  della 
fascia  con  una  veduta  del  Nilo,  aggiungiamo  la  osser- 
vazione eh'.1  tutte  le  figure,  che  la  compongono,  sem- 
brano quasi  segnate  in  caricatura:  e  lo  stesso  dee  dirsi 
del  grosso  quadrupede,  che  fu  da  noi  definito  pei  un 
montone.  m* 

A  pag.  163  parlammo  di  Ire  circolari  costi  uzimii 
di  forte  fabbrica  di  mattoni,  proponendoci  dir  qual- 
che rosa  del  loro  uso,  quando  fossero  interamente  dis- 
gombre  dalle  terre.  Ora  aggiungiamo  che  in  'j-nlle 
circolali  costruzioni  furouo  rinvenuti  i  residui  (ielle 
grandi  caldaje  di  rame,  le  quali  erano  in  esse  <  olio- 
caie  :  e  perciò  giudicar  sì  debbono  forse  qui  '  Ir^  ohena, 
caldurium ,  tepidarium,  ffiigidorium,  de' quali  parla 


—  187  — 


Vitruvio  (lib.V,  cap.X,  tom.I  p.305s.,  ed.  Marin.), 
e  che  (rovansi  corrispondenti  a'  disegni  delle  antiche 
(erme  riportate  dal  Marchese  Marini  (tav.XCII):  se  non 
che,  quando  ne  sarà  interamente  compiuto  lo  scavo, 
potremo  confrontare  questa  parte  del  novello  edificio 
colla  descrizione  Vitruviana,  ed  illustrar  per  tal  modo 
le  parole  del  romano  architetto. 

La  sala  da  noi  descritta  a  pag.  1 63  merita  novelle 
dilucidazioni.  Primieramente  è  a  notare  eh'  essa  è  in- 
teramente concamerata  anche  nella  volta  :  il  che  rie- 
sce nuovo  per  Pompei ,  sebbene  altri  esempli  se  ne 
veggano  nelle  terme  romane.  Mancammo  poi  di  av- 
vertire che  in  questa  sala  fu  rinvenuto  un  ampio  se- 
dile di  bronzo  destinato  al  riposo  di  coloro  ,  che  in 
quella  slufa  promuover  bramavano  i  sudori.  La  de- 
scrizione degli  stucchi,  che  fregiano  il  muro  sotto  la 
finestra  a  sinistra  dell'  entrata,  dev'essere  in  parie  ret- 
tificata. Vedesi  una  colonna  con  vaso  al  di  sopra  , 
alla  quale  è  appoggiato  uno  scudo.  Vedi  poscia  lo  scri- 
nium,  e  la  mensa,  e  dall'  altro  laloi  residui  di  un'er- 
ma incerto  ,  di  cui  apparisce  la  sola  parte  inferiore  , 
e  presso  di  cui  è  pur  poggiato  un  altro  scudo.  Non 
vogliamo  indagare  il  significato  di  questi  ornamenti  di 
slucco,  i  quali  sovente  erano  fantasticamente  riuniti. 

MlNERVINl. 

Monumenti  pompejani —  Supplemento  al  n.  96. 

Nella  tav.  XII  n.  4  riportammo  il  disegno  della 
mensa  di  marmo  e  della  piccola  fonte  del  compluvio 
(p.  1 69).  Ora  avvertiamo  che  la  colonnetta  situata  tra 
la  mensa  e  la  fonte  al  presente  apparisce  interamente 
piana  nella  parte  superiore:  ma  noi  la  riportammo  nel 
suo  primitivo  stato,  quando  comparivano  alcune  con- 


chiglie incastrale  in  uno  stinto  di  calce  ,  dal  quale 
mercè  un  piccolo  tubo  sgorgava  l'acqua  nella  fonte. 
Le  piogge  e  le  gelate  distrussero  interamente  quel- 
l' ornamento  superiore,  del  quale  non  rimane  più 
alcuna  traccia. 

I  numeri  5  e  6  della  medesima  tavola  ci  presenta- 
no un  canale  con  la  sua  anlcGssa  ,  del  quale  non  fa- 
cemmo menzione  nella  prima  indicazione  della  tavola. 

MlNERVINl. 

Vaso  Amazzonico  di  S.  A.  II.  il  Conte  di  Siracusa. 

Rileviamo  dall'  archaeolorjische  Zeilung  del  eh.  Ge- 
rhard (Aprile  18"T) ,  arch.  Anzeiger  p.  181*  )  che  il 
mio  egregio  amico  sig.  cav.  Panofka  ha  dato  una 
gentile  notizia  del  vaso  amazzonico  di  Cuma  da  me 
pubblicato  nella  tav.  Vili  di  questo  anno  IV  del  bui- 
lettino  ,  ed  illustrato  a  pno;.  73  «cgg.  Egli  osserva 
che  nell'amazzone  Myiane  potrebbe  riconoscersi  la 
eolica  Myrine  ;  e  suppone  che  il  ioras  sia  finimento 
di  un  nome  più  lungo.  Sono  nell' obbligo  di  dichia- 
rare che  nel  monumento  si  legge  senz' alcun  dubbio 
MYIANE  :  e  dovrebbe  supporsi  un  errore  dell'  arte- 
fice, ove  volessimo  ritenere  che  fosse  indicata  Myrine. 
Confesso  che  questa  idea  era  venuta  prima  nella  mia 
niente:  ma  poi  l'abbandonai  per  attenermi  alla  chia- 
ra lezione  del  vaso.  In  quanto  al  IOPAS  ,  credo  che 
sia  l'intero  nome  di  quel  personaggio;  giacché  non 
è  il  campo  infranto  o  restaurato  prima  di  quella  vo- 
ce :  e  perciò  fummo  tratti  a  dar  quella  spiegazione 
simbolica  delle  (re  figure  di  guerrieri  nell'ordine  in- 
feriore :  vedi  la  pag.  77. 

MiNERVIM. 


FINE  DELL'  ANNO  IV. 


Giglio  MiNERViNi  —  Editore. 


Tipografa  di  Giuseppe  Catarzo. 


INDICE  DEGLI  ARTICOLI. 


Monumenti  creiti  agli  Antonini  dagli  Scabillarii 

Puteolani Pag.  1 

Nuove  ossservazioni  sugli  Scabillarii  Puteolani  49 

Monumento  degli  Scabillarii  in  Pozzuoli    .     »  103 
Osservazioni  del  eh.  ab.  D.  Celestino  Cavedoni 
sull'opera  intitolata  «Voyageen  Asie-Mineure 
au  point  de  vue  numismatique  par  W.  IL 

Waddington.  Paris,  lS53,in  8.°  conXI  tav.  9 

Continuazione »  25 

Anello  di  oro  recentemente  introdotto  nel  Rcal 
Museo  Borbonico.  Supplemento  alla  pag.178 
dell' anno  III  di  questo  bullettino                 »  16 
Notizie  de'  più  recenti  scavi  di  Pompei.  Conti- 
nuazione del  n.  55 »  17 

Conlinuazione »  133 

Continuazione »  161 

Supplemento »  186 

Iscrizione  dipinta  di  rosso  sopra  una  parete  pom- 

pejana »  33 

Di  due  programmi  pompejani    .     ...»  37 
Nuove  osservazioni  e  compimento  della  descri- 
zione della  casa  di  M.  Lucrezio  in  Pompei  »  52 

Continuazione  , »  65 

Continuazione  . »  79 

Continuazione »  81 

Monumenti  Pompejani     ....•..»  169 

Supplemento    ..........  187 

Osservazioni  sopra   le  monete  di  Filippi   della 

Macedonia »  25 

Leone  ed  Amori  ,  lavoro  a  musaico  presso  il 

»ig,  Raffaele  Barone »  36 

Iscrizione  latina     ...,....»  38 
Osservazioni  sopra  alcune  monete  di  Romani 

Imperatori — Nerva »  41 

Traiano »  44 

Continuazione »  57 

Conlinuazione »  G6 

Donne  auguste  della  casa  di  Traiano  .     »  70 


Adriano »   121 

Continuazione »   137 

Continuazione  -  Sabina  ,  L.  Elio  Cesare , 

Antinoo »   156 

Scoperte  in  S.  Maria  di  Capua  .     ...»     50 

Scavi  Cumani »     51 

Poche  osservazioni  sopra  un  vaso  dipinto  di 
S.  A.  R.  il  Conte  di  Siracusa    ...»     73 

Supplemento »   187 

Scavazioni  di  S.  A.  R.  il  Conte  di  Siracusa  105 
Osservazioni  dell'  Editore  del  bullettino  sull'ar- 
ticolo precedente »   108 

Continuazione  delle  Scavazioni  Cumane.  Va- 

sellino  dipinto  col  soggetto  di  una  giocolicra  109 
Scavazione  Cumane.  Scoperte  di  S.  A. R.  il  Con- 
te di  Siracusa.  Cassettino  di  avorio  -  Spec- 
chio colla  sua  teca  di  legno    .     .     .     .     »   113 
Poche  osservazioni  sopra  un'  anfora  panatenaica 
rinvenuta  in  Cuma  da  S.  A.  R.  il  Conte  di 

Siracusa »  129 

Monumenti  Cumani  -  Lettera  all'editore  del 

bullettino »  134 

Drusilla  divinizzata  da  Caio  Caligola  col  nome 

di  Panthea »     71 

Osservazioni  del  Conte  BartolommeoBorghesf 
sulla  greca  iscrizione  di  Nicomaco  Giuliano 
pubblicata   di  sopra.  Da  lettera  all'  editore 

del  ballettino »     89 

Riscontro  di  alcuni  tratti  delle  leggi  municipali 
di  Salpensa  e  di  Malaca  con  le  medaglie  di 
colonie  e  di  municipii  ,  ed  altri  .     .     .     »     91 
Siili'  autenticità  de'  bronzi  di  Salpensa  c  di  Ma- 
laca   »     94 

Iscrizione  romana  presso  Chiusi:  da  lettera  del 

eh.  Cavedoni  all'Editore  del  bullettino  .      »     96 
Dei  Ambrosiales  in  iscrizione  di  Chiusi    .     »   1C0 

Medaglie  inedite  o  rare »     97 

Continuazione »   145 


190  — 


Continuazione »   153 

Moneta  punica  di  Segesta «Ili 

Descrizione  di  due  antichi  vasi  dipinti  .  .  »  114 
Nuove  monetine  di  Taranto  col  tipo  del  faro  di 

quel  porlo »   116 

Congettura  intorno  alla  ragione  delle  monete 

di  elettro »   1 17 

Sarcofago  presso  Rapolla.  Lettera  del  eh.  coniai. 

Qcaranta  all'  editore  del  bullettaio  .  .  »  154 
Breve  notizia  di  uo  insigne  sarcofago  di  marmo 

rinvenuto  presso  Rapolla »   171 

Iscrizione  di  Acerra    . »   155 

Monete  di  Traili  della  Lidia  ,   col  nome  KAI- 

SAPE&N  ,  impresse  sotto  Augusto  .     .     »   158 


Vaso  di  bronzo  ,  che  dicesi  rinvenuto  presso 
Salerno »   164 

Notizia  di  due  lucerne  di  terracotta  provenienti 
da  Pozzuoli »   165 

Poche  osservazioni  sopra  una  Cbula  cristiana  di 
bronzo »   166 

Antico  vaso  dipinto  di  Acre  rappresentante  un 
tiaso  di  Bacco »   1 68 

Poche  osservazioni  sopra  un  monocromo  er- 
colanese »   176 

Brevi  osservazioni  intorno  una  tomba  di  Pesto  177 

Vaso  scoperto  in  Sardegna »   182 

Iscrizione  dionisiaca  ,  in  vaso  dipinto  della  col- 
lezione Jatta  in  Ruvo »   185 


BIBLIOGRAFIA. 


1.  Memorie  della  regale  Accademia  Ercolanese. 

Voi.  IV  parte  II.  Continuazione   .     .     »       8 
Continuazione  ........     a     38 

Continuazione  . »   HO 

Continuazioue  .     .     .     .     .     .     .     .     »   112 

2.  Antichità  inedite  di  vario  genere  trovate  in 

Sicilia,  che  si  pubblicano  da  Baldassar- 
re Romano  -  Palermo  1854  in  4,  fase. 
1  di  pag.  24  e  sei  tavole  litografiche  o 
in  rame ...»     39 


Continuazione »     72 

Continuazione »     87 

Continuazione »     89 

Monumenta  epìgraphica  pompeiana  ad  fidem 
archetyporum  expressa  — Pars  prima,  in- 
scriptionum  oscarum  apographa,  curante 
Iosepho  Fiorellio  —  Neapoli  —  ex  officina 

Caiet.  Nobile  super,  perm editio  altera 

MDCCCLVI.  Pag.  XXXVIII  in  4.   .     »   184 


NOMI  DI  COLORO  CHE  HAN  FORNITO  ARTICOLI  AL  BULLETTINO. 


Avellino  (Teodoro)  pag.  114. 

Borghesi  (  Conte  Bartolommeo  )  -  89. 

Bruzza  (p.  D.  Luigi,  Barnabita)  -  166. 

Cavedoni  (  D.  Celestino)  -  9,  25,  26,  41,  44,  57, 

66,71  ,91  ,  96,  116,  117,  121,  137,  156, 

158,  168. 
Fiorelli  (Giuseppe)  -  51  ,  105. 
De  Guidobaldi  (Domenico)-  134. 


Minermni  (Giulio)-  1 ,  8,  16,  17,  30,  33,  36, 
37,38,  39,49,  50,  52,65,72,  73,79,  81, 
87,  89,  94,97,  103,  108  ,  109  ,  111 ,  112, 
113,  118,  129,  133,  145,  153,  155,  160,  161, 
164,  165,  169,  171,  176,  177,  182,  184, 
185,  186,  187. 

Quaranta  (Commre  Bernardo)  -  154. 


—  191  — 


INDICE  DELLE  TAVOLE. 


Tav.  I.        Medaglie  antiche  illustrate  a  pag.99  segg. 

Tav.  IL       Musaico  descritto  a  pag.  30. 

Tav.  III.     Vaso  della  collezione  Jatta,  di  cui  si  parla 
a  pag.  185. 

Tav.  IV,  V,  VI,  VII.  Dipinti  della  tomba  pcstana  , 
de' quali  si  ragiona  a  pig.  177. 

Tav.  Vili.  Unguentario  cumano  con  soggetto  Amaz- 
zonico, illustrato  a  pag.  73. 

Tav.  IX.     Fig.  1-11,  A,  B.  Medaglie  auliche,  illu- 
strate a  pag.  145 ,  segg. 
Fig.  12,  13,  li,  15,  10.  Medaglie  anti- 
che, di  cui  si  parla  a  pag.  153  segg. 


Tav.  X.      Fig.  1,2.  Vaso  di  bronzo  descritto  a  pa- 
gina 164. 
Fig.  3,4.  Lucerne,  di  cui  si  dice  a  p.  165. 
Tav.  XI.     Fig.  1,2,3.  Rhyton  della  collezione  Jat- 
ta, illustrata  a  pag.  114. 
Fig.  4,  5.  Aldo  rhyton  della  medesima 
collezione,  di  cui  si  ragiona  a  pag.  1 1  o. 
Fig.  6,  7.   Piccolo   vaso  penatenaico  di 
Cuma,  illustrato  a  pag.  segg. 
Tav.  XII.     Monumenti  pnmpejani,  di  cui  si  parla  a 

pag.  109. 
Tav.  XIII.   Vaso  di  Sardegna  descritto  a  pag.  182. 


—  192 


ERRATA 


CORRIGE 


Pag.  27  col.  2  not.  i 

44 1 

47 1 

51 2 

99 1 

2 

104 1 


Un.  9 
— 38 
— 15 
— 30 
— 30 
—  5 
— 32 


109 2- 

113 1- 

114 2- 

127 2- 

128 1- 

130 1- 

144 1- 

154 2- 

155 1_ 

162 1- 

165 2- 

167 2- 

169 1- 

174 2- 


-12 

-15 
-26 

-  2 
-23 
-14 

-  6 
-28 

-  7 
-12 
-16 
-19 
-19 
-40 


0ATION  BA  NO 
anno  88 
Rrajano 
Egiziani 
ingenda 
19. 

Epossiamo  annunziare  che  è  stata 
quella  fascia  diligentemente  stac- 
cata, e  trasportata  nel  real  Museo 
Borbonico  ;  del  quale  non  può 
l' archeologo  e  l' artista  formarsi 
una  idea  precisa,  mancando  i  dati 
positivi  e  di  fatto  per  raggiunger- 
ne la  piena  cognizione, 
puteolano  ediflzio. 


le  diffìcultés 

Più  d'  ogni  altra  cosa 

volendola 

primi  viaggi  , 

aiingare 

zvxx.oi.YOt.iJTrpqAivw 

uua 

Ravenna 

ii  riunì.  88 

uolo 

opitsc.  t.  1 

Christo  Fulviua  bibat 

alla  di  Stabia 

le  tre  mura 


©ATION  BA  TO 
anno  98 
Trajano 
Epigoni 
iunqenda 
10 

E  possiamo  annunziare  che  è  stata 
quella  fascia  diligentemente  stac- 
cata, e  trasportata  nel  real  Mu- 
seo Borbonico. 


puteolano  ediflzio  ;  del  quale  non 
può  l' archeologo  e  1'  artista  for- 
marsi una  idea  precisa,  mancan- 
do i  dati  positivi  e  di  fatto  per 
raggiungerne  la  piena  cognizione, 
les  diffìcultés 
Pria  d' ogni  altra  cosa 
volendo 
primi  viaggi 
aringare, 
iman  %(JifTfo[i.ivui 
una 

Rapolla 
il  num.  88 
suolo 
opuscoli 

Christe  Fulvius  bibat 
alla  strada  di  Stabia 
i  tre  muri 


N.B.  Si  corregga  la  numerazione  dopo  la  pag.  97,  ove  per  equivoco  si  nolano  le  pag.  198.  199.  200. 
201.  202.  203.  204.  invece  delle  altre  98.  99.  100.  101.  102.  103.  104. 


—  103 


ERRATA 


CORRIGF. 


Pag.       179  col.  2  lin.  25 

180 2 22 

184 2 24 

185 titolo  — 

1 1 

191 2 0 


barbarico 

date 

invece 

iscrizione 
iscrizione 
pag-  segg. 


trascuralo 
dette 
invece  di 

iniziazione 
iniziazione 
pag.  129  segg. 


GETTY  CENTER  LIBRARY 


3  3125  00600  8235 


[     ;   '■•