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Full text of "Cantilene e ballate, strambotti e madrigali nei secoli XIII e XIV"

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STRAMBOTTI  E  MADRIGALI 


NEI  SECOLI  Xni  E  XIV 


A      CURA 


GIOSUÈ    CARDUCCI 


PISA 

TIPOGRAFIA     NISTRI 

1871 


^ 


AVVERTENZA 


Il  mio  primo  intendimento  era  di  raccogliere  il 
più  che  mi  fosse  dato  di  quelle  poesie  dei  secoli  xiii, 
XIV,  XV,  le  quali  furono  o  popolari  o  piiì  largamente 
sparse,  mediante  la  musica  e  il  canto,  nei  vari  ordini 
della  nazione:  ma  del  molto  che  feci  posso  dar  faora 
poco.  Ho  notato  in  fronte  a  ciascuna  poesia  le  fonti 
e  certe  altre  particolarità;  e  da  cotesto  note  chi 
ha  conoscenza  deUe  raccolte  di  rime  antiche  e  dei 
codici  italiani  giudicherà  quanto  io  abbia  faticato  e 
come:  che  son  rimasto  ben  lontano  dalla  meta  lo  so, 
pur  troppo,  da  me.  Gli  amici  e  i  benevoli  che  mi  sov- 
vennero in  parte  ho  nominato  a  lor  luogo;  qui  debbo 
ringraziare  Carlo  Gargiolli  che  mi  aiutò  quasi  per 
tutto. 

Bologna  24  aprile  1869. 

G.  C. 


LIBRO    I. 

CANZONI  DI  RIMATORI  DEL  SEGOLO  XIII 
0  AD  ESSI  ATTRIBUITE. 


I. 

Ruggieri  Pugliese. 

Fu  pubbl.  da  F.  Trucchi  col  nome  di  Ruggieri  Pugliese  di  su  'I 
cod.  vatic.  3793  in  Poes.  ital.  ined.  Prato,  Guasti,  4846;  i.  50. 

L'  altro  ier  fui  'n  parlamento 
Con  quella  eh'  i'  aggio  amata. 
Fecemi  grande  lamento 
Che  a  forza  è  maritata; 
E  dissemi  —  Drudo  mio, 
Merzè  ti  chero,  or  m'aiuta; 
Che  tu  se'  in  terra  il  mi'  dio; 
'N  le  tue  man  mi  so'  arrenduta. 
Per  te  colui  non  vogl' io.  9 

Vers.  4.  L' altrier:  Tr.  Ma  i  versi  sono  ottonari  —  3.  gran:  T.  — 
4.  Ch'  a:  T.  — 8.  Ne  le  tue  mani  mi  sono:  T.  D'un  ottonario  un  en- 
decasillabo I 


)(  2  )( 
Certo  ben  deggio  morire, 

Che  '1  cor  del  corpo  m'  è  tratfo. 

Veggio  '1  mio  padre  ammannire 

Per  compier  lo  mal  m'  ha  fatto. 

Sir  Iddio,  or  mi  consiglia 

E  donami  lo  tuo  conforto 

De  r  om  eh'  a  forza  mi  piglia. 

E  gnana  lo  \egg'  io  morto  ! 

Di  farmi  dol  s'  assottiglia.  is 

Drudo  mio,  da  lui  mi  parte 

E  tra' mi  di  questa  travaglia; 

Mandame  in  altra  parte. 

Che  m'  é  in  piacer  san'  faglia. 

Che  non  m'  aggia  in  balia 

Lo  padre  mio  che  m'  ha  morta  : 

Non  pare  che  prò'  mi  dia. 

Se  non  di  gioì'  mi  sconforta 

E  di  ben  far  mi  disvia.  —  37 

—  Donna,  del  tuo  maritare 

Lo  mio  cor  forte  mi  duole. 

Cosa  non  é  da  disfare: 

Ragion  so  ben  che  non  vuole. 

Che  io  t'  amo  si  lealmente. 

Non  vo'  che  faccia  fallanza; 

Che  ti  biasmasse  la  gente 

Vers.  40.  bene:  T.  —  -H.  lo  core:  T.  —  -12.  lo  mio:  T.  —  43. 
mal  che:  T.  Ma  il  v.  crescerebbe  d'una  sillaba:  l'elissi  poi  del  che 
relat.  è  ovvia  nelle  poesie  del  sec.  XIII  non  tanto  italiane  quanto 
anche  provenzali  e  francesi.  —  i4.  Siri  Dio:  T.  —  46.  omo:  T.  —  47. 
veggio-  T.  —  48.  dolo:  T.  —  23.  Il  cod.  legge:  Che  non  aggio:  T.  — 
25.  par:  T.  E  il  resto  dovrebbe  forse  leggersi:  «che  prò  gli  dia» 
o  vero  «che  prò  gli  sia».  —  26.  gioia:  T.  —  27.  bene:  T.  —  34. 
bene:  T.  —32.  Ch'io:  T.  —  33.  voglio:  T. 


)(  3  )( 
Ed  io  ne  stesse  in  dottanza.' 
Dico  il  vero  fermamente.  se 

Assai  donne  marito  hanno 
Che  da  lor  son  forte  odiate: 
De'  be'  sembianti  li  danno, 
Però  non  son  di  più  amato. 
Cosi  voglio  che  tu  faccia; 
Ed  averai  molta  gioia. 

Quando  , 

Tutt'  andrà  via  la  tua  noia. 

Di  cosi  far  ti  procaccia.  4^ 


Vers.  41.  vo'  che:  T.  —  43.  «Questo  verso  si  tace  per  onestà» 
ann.  il  T.  Suppongo  dovesse  leggere:  Quando  m'avrai  [o  t'avrò] 
nelle  braccia.  —  44.  onderà:  T.  —  45.  fare:  T. 


II. 

Federigo   II. 

Fu  pubbl.  da  Lod.  Valeriani  tra  le  rime  di  Federigo  II  in  Poeti 
del  primo  sec.  della  lingualital.  Firenze,  1816,  1.  55.:  ma,  quale  la  pub- 
blicò il  Valeriani,  è  monca  di  parecchi  versi.  Il  primo  e  il  solo, 
credo,  ad  avvertire  lo  strazio  di  questa  canzone  nel  testo  Val.  fu  il 
Monti  [Proposta,  voi.  in,  p.  ii,  pagg.  cxii.  e  segg. ,  Milano,  1824],  che 
pure,  senza  far  segno  di  dubbio  su  l'essere  ella  di  Federigo,  avanzò 
che  contenesse  un  lamento  in  persona  della  Florimonda  amata  da  Pier 
delle  Vigne  e  perciò  mal  trattata  dal  marito:  così  tenne  anche  il  Nan- 
nucci.  Però  il  De  Blasis  [Pier.della  Vigna,  60]  osserva  giustamente  che 
di  questo  amore  del  cancelliere  imperiale  per  una  Florimonda  man- 
cano le  prove.  A  ogni  modo  il  Monti  non  ha  ragione  quando  vuole 
che  tutta  la  canzone  sia  in  bocca  della  donna,  e  che  per  Ciò  debban 
ridursi  a  desinenza  femminile  anche  certe  voci  della  prima  stanza. 
No:  fino  a  lutto  il  v.  17  è  il  poeta  o  l'amante  che  fa  una  sua  intro- 
duzione e  una  breve  esposizione  (tei  fatto:  dal  v.  18  in  poi  riporta  il 
lamento  che  fa  in  suo  pensiero  la  mal  maritata.  Del  resto  le  canzoni 


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)(  ^^  )( 

di  consimile  argomento  abbondano  poi  nel  sec.  xiv  e  xv,  e  per  lo 
più  in  versi  ottonarii  come  la  presente,  che  ne  sarebbe  antichis- 
simo esempio:  certo  all'andamento  e  allo  stile  ella  diversifica  assai 
dalle  canzoni  di  Federigo  e  degli  altri  della  scuola  cavalleresca-pro- 
venzale:  il  che  si  può  generalmente  affermare  di  tutte  le  rime  com- 
ptese  in  questo  lib.  I.  Gl'indizii  a  scoprire  le  interpolazioni  e  gli 
sconci  della  lezione  Val.  gli  abbiamo  avuti  nel  fissare  il  metro;  che 
è  la  stanza  di  dodici  versi,  de'  quali  il  decimo  settenario,  senario 
il  duodecimo  e  ottonarii  gli  altri,  rimati  in  quest'  ordine  :  a  b,  a  b, 
a  b;  e,  e,  e;  d,  e,  d. 


Di  dol  mi  convien  cantare 

Com'  altr'  uom  per  allegranza, 

Ch'  io  non  lo  so  dimostrare 

Lo  mal  eh'  i' ho  per  sembianza: 

In  cantan'  lo  vo'  contare 

A  tutta  gente  e  dar  dottanza. 

E  dico:  Oì  me  tapino! 

Di  colei  cui  sono  al  chino 

Sospirar  mai  non  rifmo, 
Della  rosa  fronzuta. 

Diventerò  pellegrino, 

Ch'  io  r  aggio  perduta.  12 

Perduta  non  vo'  che  sia 

Né  di  questo  secol  gita: 

Ma  r  uomo  che  1'  ha  in  balia 

Da  tutte  gioi'  1'  ha  partita. 

E  pens' a  ciascuna  dia: 

Vers.  i.  Di  dolor  mi  conviene:  Val.  Il  Nannucci,  citando  questo 
v.  nelle  note  del  Manuale  ec.  corregge  Mi  convien  di  duol  cantare.  — 
4.  male:  V.  —  5.  cantando  lo  voglio:  V.  —  6.  dare:  V.  —  7.  E  ohimè, 
dico,  ohimè  tapina:  corr.  il  Monti.  —  8.  Di  colui:  corr.  il  M.  —  9.  Di 
sospirar:  V.  —  12.  così  perduta:  V.  Potrebbe  anche  correggersi  Ch'io 
l  ho  sì  perduta.  Ma  certo  il  verso  deve  esser  senario.  —  13.  voglio:  V.  - 
14.  secolo:  V.  —  16.  gioie:  V. 


)(  5  X 
Lo  giorno  che  fui  parlila 


Non  fuss'  eo  naia  al  mondo  ! 
Ciascun  giorno  che  m'  appressa 

Sospiro  ed  aggrondo.  54 

Nel  mondo  non  foss'  eo  naia 
Femina  con  ria  venlura! 
Ch'  a  tal  marito  son  data 
Che  d'  amar  non  mette  cura. 
Se  m'  allegro  alcuna  fiala, 
Tutto  '1  giorno  sto  in  paura 
Però  eh'  io  non  sia  veduta 
Da  cosi  sozza  paruta. 
'Ncontanenle  son  battuta: 

Non  fo'  che  dicer:  basta. 
Se  Dio  del  ciel  non  m'  aiuta, 

Morta  sono  e  guasta.  30 

Dio  del  ciel,  tu  che  lo  sai 
Or  mi  dona  il  tuo  conforto: 
Del  peggior  che  sia  già  mai 
Vengiam'.  Il  vedess'  io  morto 


Vers.  48-24.  Così  legare  il  V.:  Lo  giorno,  che  fui  partita,  Non 
fuss'  eo  nata  nel  mondo.  Ciascun  giorno  che  m'  appressa  Sospiro  ed 
aggrondo.  Al  mondo  non  foss'  eo  nata,  Che  a  tal  marito  son  data 
Che  d'amore  non  mette  cura.  Ma  il  turbamento  delie  rime  e  dei 
versi  e  le  inutili  ripetizioni  mostran  chiaro  che  il  mal  copista,  sal- 
tando i  versi  -19-21,  anticipò  al  lettore  i  primi  tre  della  stanza  se- 
guente. —  25.  Non  foss'  io  nel  mondo  nata:  corr.  il  iM.  —  27.  Che  a 
marito  tal:  corr.  il  M.  '—  28.  d'  amare:  V.  —  33.  Incautamente  so- 
no: V.  —  34.  Non  fore  che  dicere:  V.  Ma  che  vuol  dire?  e  il  verso 
dev'esser  settenario.  —  35.  cielo:  V.  —  37.  cielo:  V.  —  39.  peggiore:  \  • 


)f6)( 
Con  pen'  e  dolori  assai! 
Poi  ne  saria  a  buon  porto: 
Che  io  ne  saria  gaudente 
A  tutto  lo  mio  vivente: 
'    Piangerialo  in  fra  la  gente  » 

E  batteriami  a  mano; 
Poi  dirla  'n  fra  la  mia  mente: 

Lodo  Dio  sovrano.  43 

Sovran  Dio,  or  tu  che  '1  sai!  *"' 

Gran  mestier  mi  fa  ch'io  pianga 
D'  un  cattivo  eh'  io  pigliai. 
Non  mi  vai  chiave  nò  stanga 
Sempre  che  mi  tiene  in  guai: 
Che  nel  mon'  più  non  rimanga! 
A  ciascun  della  magione 
Si  ranuzza  il  suo  sermone, 
Guardin  bene  la  prigione 
Che  io  non  n'  esca  fore. 

Si  ardente  é  

Che  m'  arde  in  fra  '1  core.  eo 


Voglio  che  r  amor  mio  canti, 


Vers.  49.  Sovrano:  V.  —  80.  mestiero:  V.  —  52.  vale:  V. — 54.  mon- 
do: V.  —  55.  ciascuno:  V.  —  59.  è  lo  foco:  V.  ma  in  onta  della  mi- 
sura del  verso  che  ha  da  essere  ottonario  e  della  rima  che  ha  da 
essere  in  one.  —  60.  lo  core:  V.  —  60.  A  questo  verso  il  V.  ricongiunge 
senza  interruzione  Voglio  che  Vamor.  —  67.  amore:  V. 


)(7)( 
Di  bella  druda  si  vanti: 
Di  mio  amor  vo'  che  s'  ammanti 

E  portine  ghirlanda. 
Ch'  io  farò  tanti  sembianti 

Quanti  amor  comanda.  7i 

Vers.  69.  amore. . .  amanti:  V.  —  72.  amore:  V. 
'^  III. 


=       Odo  delle  Colonne. 

Fu  pubbl.  col  nome  di  Odo  delle  Colonne  dà  mons.  Allacci  in 
Poeti  antichi  race,  dai  ùodd.  della  Vaticana  e  Barberina,  Napoli, 
d' Alecci,  ^661;  quindi,  con  la  slessa  lezione,  da  L.  Valeriani  in  Poeti 
del  pr.  sec.  i.  <99;  e  in  ultimo  riprodotta  con  emendazioni  dal  Nan- 
nucci  nel  Manuale  della  letter.  del  primo  sec.  della  ling.  Hai.  [ediz. 
Magheri,  ii.  242.:  ediz.  Barbèra,  i.  86.],  il  quale  ancbe  avvertì: 
«  Questa  canzone  è  in  nome  d'  una  donzella  a  cui  è  stato  sviato  il 
suo  amante  ».  Agost.  Gallo  in  una  Lettera  al  cav.  Ant.  Mira  [Effe- 
meridi scientifiche  e  letterarie  per  la  Sicilia,  t.  v,  Palermo,  4833] 
l'attribuisce  alla  Nina  ma  senza  ninna  autorità  di  codd.,  e  pur  senza 
autorità  di  codd.  ne  muta  in  più  d'un  luogo  la  lezione. 

Oi  lassa  innamorata!, 
Contar  vo'  la  mia  vita 
E  dire  ogni  fiata, 
Come  r  amor  m' invita, 
Ch'  io  son,  senza  peccata,  • 

D'  assai  pene  guernita 
Per  uno  eh'  amo  e  voglio 
E  non  aggio  in  mia  bàglia 
Si  come  aver  io  soglio: 

Vers.  8.  balia:  V.  . 


)(  8  )( 

Però  palo  travaglia. 

Ed  or  mi  mena  orgoglio; 

Lo  cor  mi  fende  e  taglia.  4 a 

Oi  lassa  tapinella, 

Come  V  amor  m'  ha  prisa  ! 

Come  lo  cor  m' infella 

Quello  che  m'  ha  conquisa  ! 

La  sua  persona  bella 

Tolto  m'  ha  gioco  e  risa, 

Ed  hammi  messa  in  pene 

Ed  in  tormento  forte. 

Mai  non  credo  aver  bene, 

Se  non  m'  accorre  morte; 

E  sperola  che  vene, 

Traggami  d'  està  sorte.  54 

Lassa!,  che  mi  dicia. 

Quando  m' avia  'n  celato  : 

—  Di  te,  0  vita  mia, 

Mi  tegno  più  pagato 

Che  s' i'  avessi  in  balia 

Lo  mondo  a  signorato — •. 

Ed  or  m'  ha  in  disdegnanza, 

E  fatta  conoscenza 

Par  eh'  aggia  d'  altra  amanza. 

0  Dio,  chi  lo  m' intenza 

Mora  di  mala  lanza 

E  senza  penitenza!  36 


Vers.  45.  Che  lo  suo  amor  m' appella:  V.  —23.  Esperò,  là:  N.  — 
24.  A  trarmi  d':  G.  —  26.  celata:  V.  —  28.  pagata:  V.  —  30.  signo- 
rata: V.  —  31.  £  dormo  a  dis. . .  V.:  m'hai:  G.  —  32.  E  fammi 
con. ...  V.:  E  faimi  scon. . .  G.  —  33.  d'  altro:  V. 


)(0  H 

0  ria  ventura  e  fera, 

Trammi  d'  eslo  penare  ! 

Fa'  tosto  cir  io  mi  péra, 

Se  non  mi  degna  amare 

Lo  meo  sire,  clie  m'  era 

Dolce  lo  suo  parlare, 

Ed  hammi  innamorata  ^ 

Di  sé  oltre  misura. 

Ora  lo  cor  cangiai'  ha. 

Sacciate,  se  mi  dura. 

Si  come  disperala 

Mi  metto  alla  ventura.  48 

Va',  canzonella  fina, 

Al  bene  avventuroso; 

Ferito  alla  corina, 

Se  il  trovi  disdegnoso; 

No'l  ferir  di  rapina, 

Che  sia  troppo  gravoso: 

Ma  ferila  chi  '1  tene, 

Ancidela  sen'  fallo. 

Poi  saccia  che  a  me  vene 

Lo  viso  di  cristallo: 

E  sarò  fuor  di  pene 

E  avrò  allegrezza  e  gallo.  eo 

Vers.  39.  io  non  péra-  V.  —  42.  col  suo:  G.  —  45.  Or  san  di  cor 
cangiata:  G.  —  46.  Sacciaio,  e  se  più  dura:  G.  —  SO.  Al  buono:  V.  — 
65.  feri  là:  V.  e  N.  feri  lei  che:  G. —  57.  Poi  faccia:  V.  Poi  fa  si 
che:  G.  —  59.  E  sarà:  V. 


)(  10  )( 

IV. 
Ciacco  dell' Anguillara  . 

Fu  pubbl.  così  a  frammenti  dal   Trucchi  col  nome  di  Ciacco 
dell'  Anguillara  di  su  '1  cod.  vatic,  3793  in  Poes.  ital.  incd.  i.  73. 

Mentr'  io  mi  cavalcava 
"  Audivi  una  donzella: 

Forte  si  lamentava 
E  diceva  —  Oi  madre  bella, 
Lungo  tempo  è  passato 
Che  deggio  aver  marito, 
E  tu  non  lo  m'  hai  dato. 


La  vita  d'  esto  mondo 
Nulla  cosa  mi  pare. 
Quand'  altri  va  giocondo. 
Me  ne  membra  penare.  — 


,  16 

La  madre  li  risponde:  -* 

—  Figlia  mia  benedetta, 

Vers.  8.  La  stanza,  come  resulta  dal  congedo  e  dalla  canzone 
seguente  attribuita  allo  stesso  autore  che  è  intiera,  si  compone  di 
settenarii  rimati  in  quest'ordine:  ab,  a  b:  e  d,  e  d.  Dunque  a  questo 
punto  manca  un  verso.  Il  Tr.  non  se  n'è  accorto,  e  ha  confusi  i 
primi  7  con  i  4  vv.  segg.  in  una  sola  stanza.  —  U.  ride  e  va:  T. 
Quel  ride,  onde  il  v.  crescerebbe  di  due  sillabe,  è  certo  una  glossa 
del  copista. 


H  li  )( 

So  r  amor  ti  confonde 

De  la  dolce  saetta, 

Ben  te  n'  puoi  soffe rere. 

Tempo  non  è  passato 

Che  tu  potrai  avere 

Ciò  e'  hai  desiderato.  —  S4 


—  Per  parole  mi  teni 
Tutt'  or  cosi  dicendo  : 
Questo  patto  non  fina, 

Ed  io  tutt'  ardo  e  incendo . 

La  voglia  mi  domanda 

'Na  cosa  che  non  suole: 

Luce  più  chiar  che  '1  sole: 

Per  ella  vo  languendo.  —  ss 

—  Oi  figlia,  non  pensai 
Si  fossi  mala  tósa; 
Che  ben  conosco  omai 
Di  che  se'  goliosa; 

Che  tanto  m'  hai  parlato. 

Non  s'  avviene  a  pulzella. 

Credo  che  1'  hai  provato,  ^■ 

Sì  ne  sai  la  novella.  40 

Vers.  21.  te  ne:  T.  —  24.  Qui  l'ediz.  del  T.  accenna  a  qual- 
che cosa  che  manca:  forse  una  stanza.  —  32.  In  questa  stanza,  e 
segnatamente  nei  vv.  29-32,  l' ordine  delle  rime  è  turbato,  né  io 
oserei  portarci  le  mani  per  restaurarlo:  forse  che  il  31  e  32  sono  la 
finale  d' un  altra  stanza,  rappiccicata  qui  dall'amanuense  coli' omis- 
sione di  tutto  quel  che  v'era  di  mezzo.  Ho  però  osato  di  correggere 
i  vv.  30-31  certamente  errati:  nella  jezione  del  T.  dicevano:  Cosa 
che  non  suole  Una  luce  più  chiara  che  'l  sole.  Nulla  di  più  facile  che 
o  l'amanuense  antico  o  il  T.  abbiano  tra.sportato  1' artic.  indeterm. 
una  da  cosa  a  luce.  Ciò  avvertilo,  le  altre  due  correzioni  provengono 
immediatamente  dalla  ragion  metrica. 


^ 


)(  '12  K 

L.'iscioli,  dolorosa. 


4« 

Canzonetta  novella, 
Moviti  a  la  palese, 
E  vanne  a  la  donzella 
Che  sta  ne  le  difese. 
A  Saragozza  la  manda, 
E  va  fedelemente: 
Cantala  ad  ogni  banda 
Per  la  rosa  piacente.  se 

Vers.  41.  Il  T.  congiunge  questo  verso  alla  st.  antec,  poi  nota 
mancar  qualcosa.  Certo  manca  la  st.  di  cui  questo  è  il  primo 
verso.  —  50.  Moviti  e  vanne  alla  palese:  T.  Queir  e  vanne  è  certa- 
mente un'aggiunta  del  copista  suggeritagli  dalla  memoria  che  ri- 
correva al  principio  del  v.  seg.  —  56.  Per  la  mia  rosa:  T.;  mia  è 
delle  solite  giunte  del  copista. 


DELLO     STESSO. 

Fu  pubbl.  come  di  Ciacco  di  su  '1  cod.  vatic.  3793  dal  Trucchi 
in  Poes.  ined.  i.  69,  e  riprodotta  dal  Nannucci  nel  Manuale,  2.*  ediz. 
I.  -191.  E  su '1  tenore  del  sirventese  di  Ciullo  d'Alcamo,  che  pure 
avrei  dovuto  ristampare  in  questo  lib.  I,  come  poesia  probabilis- 
simamente cantata  e  certo  d' indole  meglio  paesana  che  non  quelle 
della  scuola  provenzale-sicula  da  cui  differisce  affatto:  ma  ho  repu- 


)(  13  )( 

tato  inutile  il  ripubblicare  cosa  tante  volte  edita  e  sì  variamente  e 
dottamente  illustrata. 

Amante. 

0  gemma  leziosa, 
Adorna  villanella. 
Che  se'  più  virtudiosa 
Che  non  se  ne  favella; 
Per  la  vi  r Inde  e'  hai 
Per  grazia  del  signore, 
Aiutami;  che  sai 
Gh'  io  son  tuo  servo,  amore.  s 

Madonna. 

Assai  son  gemme  in  terra 
Ed  in  fiume  ed  in  mare, 
C  hanno  virtude  in  guerra 
E  fanno  altru'  allegrare. 
Amico,  io  non  son  dessa 
Di  quelle  tre  nessuna: 
Altrove  va  per  essa 
E  cerca  altra  persona.  le 

Amante . 

Madonna,  troppo  é  grave 
La  vostra  risponsione: 
Che  io  non  aggio  nave 
Né  non  son  marangone, 
Ch'  io  sappia  andar  cercando 
Colà  ove  mi  dite. 
Per  voi  perisco  amando. 
Se  non  mi  sovvenite.  24. 

Vers.  <6.    «Se  pure  il  cod.  non  dice   persunao:    ann.  il  N. 


,)(  i^  K 

Madonna. 

Se  perir  tu  dovessi 
Per  questo  cercamento, 
Non  crederia  che  avessi 
In  te  innamoramento. 
Ma,  s' tu  credi  morire 
Innanzi  eh'  esca  Tanno, 
Per  te  fo  messe  dire. 
Come  altre  donne  fanno.  ss 

Amante . 

0  villanella  adorna, 
Fa'  si  eh'  io  non  perisca  : 
Che  r  uom  morto  non  torna 
Per  far  poi  cantar  messa. 
Se  vuoimi  dar  conforto. 
Madonna,  non  tardare: 
Quand'  odi  eh'  io  sia  morto. 
Non  far  messa  cantare.  40 

Madonna. 

Se  morir  non  ti  credi, 
Molto  hai  folle  credenza, 
Se  quanto  in  terra  vedi 
Trapassa  per  sentenza. 
Ma,  s' tu  sei  dio  terreni, 

Vers.  27.  crederei:  N.  —  36.  messe:  T.  e  il  N.  ann.:  «Qui  perisca 
rima  con  messe,  e  sarebbe  una  strana  assonanza.  Pare  che  debba  dire 
(se  pure  il  cod.  non  ha  così  )  peresse,  cioè  peressi,  perissi  ».  La  no- 
stra correzione  è  più  semplice,  e,  se  non  c'inganniamo,  più  d'ac- 
cordo con  la  sintassi  e  risponde  alle  libertà  del  rimare  che  allora 
si  prendevano:  avrei  volentieri  posto  missa  in  vece  di  messa,  se  que- 
sta canzone  ci  desse  altri  esempii  di  tal  forma.  —  44.  Trapassi:  T. 


)(  15  )( 
Non  ti  posso  scampare. 
Guarda  che  legge  tieni, 
So  non  credi  all'  altare.  4S 

Amunte . 

Per  r  aitar  mi  richiamo 
Che  adoran  li  cristiani. 
Però  mercè  vi  chiamo, 
Ch'  io  sono  in  vostre  mani; 
*  Pregovi  in  cortesia 

Che  m' atiate,  per  Dio;  ^ 

Perchè  la  vita  mia 

Da  voi  conosco  in  fio.  se 

Madonna. 

Si  sai  chieder  mercede 
Con  umiltà  piacente! 
Giovar  deeti  la  fede, 
Se  ami  coralmente. 
Tanto  m'  hai  predicata 
E  sì  saputo  dire, 
Ch'io  mi  sqno  accordata: 
Dimmi,  che  t'  è  in  piacire?  sa 

Amante. 

Madonna,  a  me  non  piace 
Castella  né  monete: 
Fatemi  far  la  pace 
Con  l'amor  che  sapete. 
Questo  addimando  a  vui 

Vers.  54.  aitiate:  T.:  aiutiate:  N.  —6ì.  piacere:  T.   e  N.  —  69. 
dimando:  N. 


** 


)(  16  )( 
E  facciovi  lìnita. 
Donna  siete  di  lui, 
Ed  egli  è  la  mia  vita.  73 

VI. 

Mico  DA  Siena. 

È  la  canzonetta  della  quale  ci  narra  il  Boccaccio  [x.  7.]  che 
fu  composta  da  Mico  da  Siena  e  «intonata  d'un  suono  soave  e  pie- 
toso» da  Minuccio  d'Arezzo  a  istanza  della  Lisa  inferma,  a  signi- 
ficar r  amore  che  celatamente  la  struggeva  per  Pietro  d'  Aragona 
re  di  Sicilia  [a.  -1282].  La  riporta  il  Bocc.  ma  il  Crescimbeni  la 
ristampò  [Coment,  ist.  volg.poes.,  voi.  II,  p.  II,  1.  1,  Venezia,  mdccxxx.] 
dal  cod.  400  chisiano.  Il  Valeriani  [Poet.  del  pr.  sec.  II.  417.]  si 
attiene  alla  lezione  del  Bocc;  dalla  quale  poco  si  discosta  quella 
del  Creso. ,  mostrando  però  un'  aria  più  senese  ed  antica.  Io  tenni 
a  confronto  il  Bocc.  [ediz.  Fanfani]  col  Crescimbeni. 

Moviti,  Amore,  e  vattene  a  messere 
E  contagli  le  pene  ch'io  sostegno; 
Digli  eh'  a  morte  vegno 
Celando  per  temenza  il  mio  volere.  '     4 

Merzede,  Amore,  a  man  gionte  ti  chiamo 
Gh'  a  misser  vadi  là  dove  dimora. 
Dì  che  sovente  lui  disio  et  amo. 
Sì  dolcemente  lo  cor  m' innamora; 
E  per  lo  foco  ond'  io  tutta  m' infìamo 
Temo  morire,  e  già  non  saccio  1'  ora 
Ch'  i'  parta  da  sì  grave  pena  e  dura 
La  qual  sostegno  per  lui,  disiando 
Temendo  e  vergognando. 
Deh!  il  mal  mio  per  Dio  fagli  assapere.       a 

Vers.  2.  cantagli:  C.  —  5.  giunte:  B.  —  6.  messer:  B.  —  7.  ed:  C.  - 
9.  infiammo:  C.  —  il.  Ch'io:  C...  pena  dura:  B.  —  <4.  a  sapere:  C. 


)(  i7  )( 

Poi  eh'  i'  di  lui,  Amor,  fu'  innamorata 
Non  mi  donasti  ardir  quanto  temenza, 
Ched  io  potesse  sola  una  fiata 
Lo  mio  voler  dimostrare  in  parvenza 
A  quelli  che  mi  tien  tanto  affannata: 
Cosi  morendo,  il  morir  m'  è  gravenza. 
Forse  che  non  gli  sarie  dispiacenza 
Se  el  sapesse  quanta  pena  i'  sento, 
S'  a  me  dato  ardimento 
Avessi  in  fargli  mio  stato  vedere.  24 

Poi  che  'n  piacere  non  ti  fu,  Amore, 
Ch'  a  me  donassi  tanta  sicuranza 
Ch'  a  misser  far  savessi  lo  mio  core, 
Lassa!,  per  messo  mai  0  per  sembianza; 
Merzè  ti  chero,  0  dolce  mio  signore. 
Che  vadi  a  lui  e  dòn  idi  membranza 


■p" 


Del  griorno  eh'  io  il  vidi  a  scudo  e  lanza 


o 


Con  altri  cavalieri  arme  portare; 

Presilo  a  riguardare 

Innamorata  si  che  '1  mio  cor  pére.  j4 


Vers.  45.  Poi  che  di:  B.  —  17.  Che  io  potessi:  B.  —  49.  A  que- 
gli: B.  —  21 .  saria  spiacenza:  B.  [  spiacienza:  ediz,  Kanf.]  —  24.  Aves- 
se... sapere:  B.  —  27.  messer:  B.  —  misser  savessi:  C.  —  28.  Lasso: 
B.  —  29.  Mercè  ti  chero,  dolce:  B.  —  30,  donagli:  B.  —  34.  eh'  il:  C. 


ilBEO    IL 

CANZONI    STORICHE   0   DI   OCCASIONE   E 
DI  TRADIZIONE  STORICA. 


VII. 

Rinaldo   d'  Aquino  . 

Fu  pubbl.  come  di  Rinaldo  d'Aquino  di  su '1  cod.  vatic.  3793 
dal  Trucchi  nelle  Poes.  (ned.  i.  3i.  e  ristampata  dal  Nannucci  nel 
Manuale,  2*  ediz.  i.  525.,  col  titolo  «Lamento  dell'amante  del 
Crocialo  partito  per  terra  santa».  Sull'argomento  non  v'è  che 
ridire:  ma  non  inclinerei  leggermente  a  credere  che  qui  si  tratti 
della  terza  crociata  [l'I 88],  come  parrebbe  doversi  arguire  dai  ra- 
gionamenti del  Trucchi;  perchè  di  quel  tempo  non  conosciamo  mo- 
numenti certi  di  poesia  volgare  in  Italia:  terrei  piuttosto  per  la 
crociata  del  -1228  capitanata  da  Federigo  ii. 

[Confr.  col  Lai  de  la  Dame  du  Fael  su  la  partenza  del  Cha- 
telain  de  Couci:  Chanterai  por  moti  corage  Que  je  vueill  recon^ 
forter;  Car  uvee  man  grani  damage  Ne  vueill  morir  n'  afoler,  Quant 
de  la  terre  sauvage  Ne  voi  nului  retorner,  Où  cil  est  qui  m' assoage 
Le  cuer,  quant  j e  n' oi  parler.  Dex!  quant  crieront  outrée  Sire, 
aidiez  au  pelerin  Por  qui  sui  espoentée,  Car  felon  sunt  Sarra- 
zin.  ec.  ]    A.  D' A. 

Giammai  non  mi  conforta 
Né  mi  voglio  allegrare. 
Le  navi  sono  al  porto 


)(  19.  )( 

E  vogliono  collare: 

Vassene  la  più  gente 

In  terra  d'  oltremare: 

Ed  io,  lassa  dolente!, 

Como  degg'  io  fare?  8 

Vassi  in  altra  contrata, 

E  no  '1  mi  manda  a  dire; 

E  io  rimango  ingannata. 

Tanti  son  li  sospire 

Che  mi  fanno  gran  guerra 

La  notte  con  la  dia; 

Né  in  cielo  né  in  terra 

Non  mi  pare  eh'  io  sia.  4s 

Sàntusse  santus  Deo 

Che  'n  la  Vergin  venisti, 

Tu  salva  1'  amor  meo 

Po'  che  da  me  '1  partisti. 

Oi  alta  potestate 

Temuta  e  dottata. 

Il  dolze  mio  amore 


Vers.  7.  io,  oimè  lassa:  T.  e  N.  Ma  V  oimè  è  delle  solite  glosse 
dell'  amanuense.  —  8.  Come:  N.  —  9.  Vassene:  T.  e  N.  Ma  il  verso 
cresce  duna  sillaba.  —  ii.  Ed  io:  T.  e  N.  —  -17.  Santus  santus:  T. 
e  N.  E  sta  bene,  ma  il  v.  cala  d'una  sillaba.  Non  c'era  altro  ri- 
medio che  rappresentare  con  la  grafia  quello  strascico  di  cadenza 
onde  il  popolo  italiano,  così  ora  come  in  antico,  pronunzia  l' us  la- 
tino e  stampare,  come  ho  fatto:  Sàntusse  —  iS.  ne  la  Vergine:  T. 
e  N.  —  t9.  Tu  salva  e  guarda:  T.  e  N.:  e  addio  il  settenario  e 
qualunque  versoi  Ma  l'è  guarda  è  delle  solite  del  copista  saputo, 
se  non  forse  del  T.  —  20.  da  me  lo  dipartisti:  T.:  il  N.  per  salvare 
il  v.  corresse  Po'  che  lo  dipartisti,  ma  con  iscapito  dell'  affetto.  — 
21-24.  In  questi  quattro  versi,  ripetuti  più  sotto  [37-40],  son  da 
notare  due  cose;  la  sconcordanza  //  dolze  mio  amore  Ti  sia  racco- 
mandata, che  potrebbesi  per  avventura  toglier  di  mezzo  facendo  di 


)(  20  )( 

Ti  sia  raccomandala!       '  u 

La  crux  salva  la  gente, 

E  me  fa  disviare: 

La  crux  mi  fa  dolente, 

E  non  mi  vai  Deo  pregare. 

Oi  me,  crux  pellegrina, 

Perche  m'  hai  si  distrutta? 

Oi  me  lassa  tapina, 

Ch'  io  ar(Jo  e  incendo  tutta!  s2 

Lo  'mperador  con  pace 

Tutto  il  mondo  mantiene 

E  a  me  guerra  face, 

M'ha  tolta  la  mia  spene. 

Oi  alta  potestate. 

Temuta  e  dottata, 

Lo  meo  dolze  amore 

Ti  sia  raccomandata.  40 

Quando  la  crux  pigliào. 

Certo  no  '1  mi  pensai. 


genere  femm.  amore,  come  i  dugentisti  fecero  con  flore,  valore, 
mare  e  simili;  la  mancanza  della  rima  corrispondente  al  verso  Oi  alta 
potestate.  E  qui  sta  forse  il  principio  delia  scorrezione  di  questi 
versi.  0  nel  passaggio  del  canto  di  bocca  in  bocca  0  per  arbitrio  del 
copista  fu  intruso  Oi  alta  potestate,  e  quindi  accordati  in  genere  eoa 
esso  verso  i  due  aggiunti  del  seguente,  e  quindi  si  venne  anche  alla 
sconcordanza,  amore  Ti  sia  raccomandata.  Probabilissimamente  tale 
era  la  lezione  originaria:  Oi  alto  signore  Temuto  e  dottato.  Il  dolze 
mio  amore  Ti  sia  raccomandato.  —  Vers.  25.  cruce:  T.  e  N.  Ho  notato 
che  ogni  verso  di  questa  canzone  ove  entra  la  croce  cresce  d' una 
sillaba,  ho  notato  che  nella  penultima  stanza  croce  rima  con  duce: 
ne  ho  dedotto  che  chi  compose  e  cantò  questi  versi  dovea  dire  cruce 
e  crux  con  la  forma  latina:  e  delle  forme  latine  portate  serie  serie 
nel  volgare  non  c'è  penuria  nel  dugento  tanto  in  Italia  che  in 
Francia.  —  30.  così  distrutta:  T,  e  N.  —  36.  Che  m'ha:  T.  e  N,  — 


K  21  K 

Quel  che  tanto  m'  amào 

Ed  io  lui  tanto  amai, 

Che  io  ne  fui  battuta 

E  messa  in  prigionia 

E  in  celato  tenuta 

Per  la  vita  mia.  49 

Le  navi  so'  alle  celle: 

'N  buon'  or'  possano  andare, 

E  lo  mio  amor  con  elle 

E  la  gente  che  v'  ha  andare. 

0  padre  criatore, 

A  san'  porto  le  conduce, 

Che  vanno  a  servidore 

De  la  tua  santa  cruce.  s$ 

Però  ti  prego,  Dolcetto, 

Che  sai  la  pena  mia, 

Che  me  n'  facci  un  sonetto 

E  mandilo  in  Soria. 

Ch'  io  non  posso  abentare 

La  notte  né  la  dia: 

In  terra  d'  oltremare 

Ita  è  la  vita  mia.  «4 

Vers.  43.  Quelli:  T.  Quello:  N.  —  45.  Ch'io:  T.  e  N.  —  47.  Ed: 
T.  e  N.  —  48.  II  V.  cala  d'una  sillaba,  e  certo  manca  qualcosa;  ma 
è  dlflBcile  veder  che.  Forse  dovrebbe  leggersi  Tutta  la  vita  mia.  — 
49.  sono:  T.  e  N.  —  50.  In  buon'ora:  T.  e  N.  —  63.  Padre:  T.  e  N. 
—  54.  A  santo:  T.  e  N.  Ma  il  v.  cresce  di  due  sillabe.  —  56.  croce: 
T.  e  N.  —  57.  Il  V.  cresce  d'una  sillaba:  ma  non  saprei  che  cosa 
tagliar  via  senza  taccia  d'  arditezza.  —  59.  me  ne:  T.  e  N.  —  62. 
Nolte  né  dia:  T.  e  N. 


)(  22  )( 
Vili. 

È  copiata  a  tergo  d'un  rotolo  in  pergamena  il  quale  porta  la 
sottoscrizione  notarile  dell'anno  ^^11,  indizione  V.,  giorno  di  sa- 
bato, 23  decembre.  Fu  pubblicata  la  prima  volta  da  Giov.  Bru- 
nacci  in  Antiche  origini  della  lingua  volgare  de'  Padovani  [1759]. 
Alcuni  versi  ne  furono  ristampati  dal  Gantù  negli  Schiarimenti 
al  voi.  XI  della  Storia  Universale  e  neW  Appendice  I  al  voi.  I  della 
Storia  degli  Italiani.  Fu  per  intero  ristampata  dal  Biondelli  negli 
Studi  linguistici  [Milano,  4856]  pag.  -153.  Questa  poesia  è  cono- 
sciuta sotto  il  titolo  di  Lamento  della  sposa  padovana  per  la  lonta- 
nanza del  marito  crociato  o  simile;  ma  lamento  è  solo  nei  primi 
50  versi;  e  del  resto  il  canto  par  che  sia  in  bocca  ad  un  pellegrino 
innamorato  della  donna,  il  quale  narrando  la  fedeltà  coniugale  di 
lei  ne  riferisce  anche  il  lamento  su  la  lontananza  del  marito.  La 
Crociata  a  cui  s'accenna  par  quella  bandita  da  Urbano  IV. 

Responder  vói  a  dona  Frixa, 
Ke  me  conscia  en  la  soa  guisa 
E  dis  k'  eo  lasse  ogna  grameza 
Vezandome  senza  alegreza;. 
Kè  me  mario  se  n'  è  andao,  s 

K'  el  me  cor  cum  lui  à  portao. 
Et  eo  cum  ki  me  deo  confortare, 
Fink'  el  starà  de  là  da  mare? 
Zamai  no  '1  ver.  .  .  el  vegnire, 
No  ai  paura  d' envegolire ;  io 

Kè  la  speranza  me  mantene 
Del  me  segnor  ke  me  sovene.  ^^ 

Vers.  3.  ogni:  Biond.  —  4.  Vegandome:  Biond.  Al  fine  di  questo 
vers.  Br.  e  Biond.  mettono  punto  fermo.  —  5.  se  ne.  Br.  —  7.  cum  ti: 
Br.  —  9.  Dopo  ver  il  Br.  accenna  a  una  lacuna,  che  anche  il  nu- 
mero monco  del  verso  ci  fa  supporre:  il  Biond.  no,  e  annota  «  non 
vedendolo  venir  mai  »  — 


)(  23  )( 
En  lui  è  tulio  el  me  conforlo; 
Zamai  non  vói  altro  deporto; 
Kè  de  lui  sol  zoia  me  nasce,  ** 

K' el  me  forlin  noriga  e  pasce. 
El  no  me  par  k'  el  sia  luilano; 
Tanto  m'  è  el  so  amor  prusimano. 
Eo  sto  en  la  cambra,  piango  e  pluro. 
Per  tema  k'  el  no  sia  seguro  ;  so 

Kè  d'  altro  mai  no  ai  paura . 
E  la  speranza  m'  asegura, 
K'  el  de'  vegnir  en  questo  logo. 
Tulo  el  me  pianto  torna  en  zogo, 
E  i  me  sospiri  ven  en  canto,  ss 

Membrandome  del  ben  cotanto. 
Veder  mia  faza  eo  mai  no  quero 
En  spicco,  k'  el  no  fa  mesterò; 
Kè  non  ai  cura  d'  eser  bela. 
Eo  me'n  sto  sola  en  camarela  so 

E  an'  tal  ora  en  mei  la  sala: 
No  ai  que  far  zo  de  la  scala 
Ne  a  balcon  né  a  fenestra; 
Kè  trovome  luitan  la  festa 
Ke  plur  desiro  a  celebrare.  ss 

Co  guardo  en  za  de  verso  el  mare. 
Sì  prego  Deo  ke  guarda  sia 
Del  me  segnor  en  pagania, 


Vers.  20.  non  sia:  Br.  —  22.  assegura:  Biond.  —  24.  Tutto: 
Biond  —  29.  esser:  Biond.  —Zi.  Questo  en,  eh' è  necessario, 
nel  Br.  è  aggiunto  sopra  nell'  interlinea.  —  34.  Ket  "  rome:  sic. 
Br.  —  38.  en  compagnia:  Biond.  \(a  nella  lez.  Br.  compagnia  è 
cancellalo  e  scritto  sopra  nell'  interlinea  pagania;  clie  parrai  più 
opportuno. 


)(  24  )( 
E  faza  si  k'  el  mario  meo 
Alegro  e  san  se  'n  tome  endereo,  40 

E  done  vencea  ai  Cristiani, 
Ke  tutti  vegna  legri  e  sani. 
Kè  quando  ai  fato  questo  prego, 
Tuto  el  me  cor  roman  entrego; 
Sì  k'  el  m'  è  viso  ke  sia  degna  45 

K'  el  me  segnor  tosto  se  'n  vegna. 
Eo  no  crerave  altro  conseio. 
El  vestro  è  bon,  mai  questo  è  meio, 
E  questo  me  par  de  tegnire: 
Nexun  me  'n  porave  departire.  —  so 

Le  done  oidi  zo  ke  la  disse: 
Nexuna  d'eie  contradisse; 
Anzo  fo  tegnuo  tuto  per  bene 
E  cosa  ke  ben  se  convene. 
E  fi'  la  tene,  fi'  liale,  ss 

Cum'  bona  dona  e  naturale; 
K'  el'  atendè  tanto  al  mario 
K'  el  so  deserio  fo  compilo. 
En  verso  lui  mostra  legreza, 
Lassando  tuta  la  grameza.  60 

Zamai  penser  no  volse  avere, 
Se  non  com'  se  poes  plaxere 
Et  el  a  lei  et  eia  a  lui. 
Zilusi  i  gera  entrambi  dui, 
Mai  no  mio;a  de  rea  creenza:  es 


•o" 


Vers.  43.  ai  faro:  Br.  —  46.  Tra  questo  verso  e  il  se- 
guente la  lez.  Br.  porta  una  N  inaiiiscola  interposta  —  48.  ma 
questo:  Bioiid.  —  Si  oidi:  Br.  e  Biond.  —  52.  elle:  Biond.  —  55. 
E  fila  tene  filiule:  Br.  E  fé'  eia  tene  fé' liale:  Biond.  —  56.  Cum: 
Br.  e  Biond.—  57.  Kela  tende:  Br.  Ke  la  tende:  Biond.  —  61.  no 
vose:  Br. 


)(  25  )( 
Entrambi  eran  d'una  sentenza; 
K'  i  se  portava  tanto  amore, 
K'  i  gera  entrambi  d'  un  sol  core. 
El  volse  zò  k'  eia  volea, 
Et  eia  zò  k'  a  lui  plasea  :  70 

Non  ave  mai  tenzon  né  ira 
Ke  ben  tegnise  da  terza  a  sera. 
Questa  fo  bona  zilosia, 

K'  el  fino  amor  la  guarda  e  guia. 

E  questa  voi  lo  pelegrino  73 

Aver  da  sera  e  da  mattino. 

E  an'  no  i  ave  desplaxere,  ^, 

S'  eia  volese  ancora  avere  ; 

En  verso  lui  no  clian  ella 

K'  ancora  un  poco  li  revella.  •     so 

Mai  el  à  si  ferma  speranza 

K'  el  ere'  complire  la  soa  entendanza, 

E  far  sì  k'  eia  1'  amerà 

E  fé  Hai  li  porterà. 

Eia  li  sta  col  viso  claro  55 

Quan  li  favela;  mai  de  raro 

1  aven  quella  rica  aventura: 

Kè  r  è  sì  alta  per  natura, 

Ke,  quando  el  è  da  lei  apresso, 

De  dir  parole  sta  confesso,  90 

E  sta  contento  en  lo  guardare; 


Vers.  72.  tegnisse:  Biond.  —  73.  Questo  v.  nella  lez.  Br.  è  di- 
stinto dagli  altri  e  segnato  d'una  croce.  —  78.  volesse:  Biond.  — 
79-80.  Cosi  Br.  e  Biond.  Questi  sotto  clian  annota:  inclinando.  — 
Si.  Ma:  Biond.  —  86.  Nel  fine  di  questo  v.  Br.  segna  punto  fermo 
e  Biond.  punto  e  virgola.—  88.  E  qui  pure  su  'I  fine  Br.  e  Biond. 
segnano  punto  e  virgola. 


,   )(  26  )( 

Altro  no  i  à  elsa  demandare. 

E  si,  i  averav'  el  ben  que  dire! 

Querir  mercè,  mercè  querire 

Mille  fiae  e  più  ancora,  gs 

Se  li  bastas  e  tempo  e  ora. 
F]  ki  credivu  k'  ella  sia? 

Eia  è  de  tal  beltae  compila 

K'  el  no  è  miga  meraveia 

S'  el  pelegrin  per  lei  se  svela.  uo 

An'  no  devrav'  el  mai  dormire^ 

Ma  pur  a  lei  mercè  querire, 

Mercè  k'  eia  el  degnase  amare, 
/    Ké  malamentre  el  fa  penare. 

Mai  el  non  osa  el  pelegrino:  405 

Tut'  ora  sta  col  cavo  enclino  ; 

Mercè  no  quere;  mai  sta  muto; 

Sospira  el  core  e  arde  tuto. 


Vers.  92.  olsa:  Br.  ia  olsa:  Biond.  —  96.  Selli:  Br.  bastasse. 
Biond.  —  401.  deuravel:  Br.  devrave  'l:  Biond.  —  103.  degnasse: 
Biond. 


IX. 


Leggesi  nel  Chronicon  imaginis  mundi  di  fra  Jacopo  d'Aqui 
[Monum.  Hist.  Patr.;  Scriptores,  ni.  Aug.  Taurinor.  1848.  pag.  i5Tl] 
il  seguente  racconto  su  Pietro  delle  Vigne: 

«  Hic  Petrus  nolarius  habuit  uxorem  pulcherrimam.  quam  habet 
Petrus  suspectam  de  imperatore  Frederico.  et  tamen  non  creditur 
quod  ibi  esset  malum.  licet  de  hoc  multus  sermo  fieret  in  curia  im- 
peratoris.  Accidit  uno  mane  imperatorem  intrare  dotnum  Petri:  sicut 
saepe  intrabat  propter  officium  quod  habebat  notarie  et  etiam  quia 
homo  sollempnis  erat.  et  videt  imperator  in  absentia  Petri  cameram 


X  27  )( 

ipsius  apertam.  et  intrat  imperator  cameram.  et  invenit  uxorem  Pe- 
tti in  ledo  dormientem.  quam  imperator  cooperuit,  quia  habebat 
brachia  discooperta:  et  tutte  imperator  cooperuit  dominam  et  cum 
frequentia  recessit.  Nec  aliquis  propter  honorem  domine  de  hoc  adver- 
teret,  nihil  aliud  faciens.  sed  super  coffanum  domine  relinquit  impe- 
rator suum  cyrotheca  vel  libenter  vel  ignoranter.  Venit  Petrus  a  casu 
et  invenit  cyrotheca  imperatoris  in  lecto  suo.  Et  cognoscens  cum  do- 
lore totum  dissimulat.  tamen  Petrus  non  loquitur  domine  que  de  hoc 
multum  affligitur.  Notificat  domina  imperatori  de  duritia  viri  sui. 
Contro  illam  vadit  imperator  ad  domum  Petri.  et  est  imperator  et 
Petrus  et  domina  simul.  et  alia  familia  a  longe.  Et  Petrus  videns 
se  cum  imperatore  et. cum  domina  sua  vult  imperatorem  reprehen- 
dere  cum  concordantia  verborum  non  nominato  imperatore  nec  do- 
minam et  dicit. 


Petrus  de  Vineis  loquitur  stillo  materno: 
Una  vigna  ò  pianta: 
Per  travers  è  intra 
Chi  la  vigna  m'  à  goastà. 
Àn  fait  gran  pecca 
Di  far  ains  che  tant  mal. 

Domina  loquitur  concordiam  verborum: 

Vigna  sum,  vigna  sarai. 
La  mia  vigna  non  fali  mai. 

Consolatus  Petrus  respondit  concorditer: 
Se  cossi  è  comò  è  narra, 
Più  amo  la  vigna  che  fis  mai, 


Et  sic  facta  est  pax  inter  dominam  et  Petrum.  et  tunc  Petrus 
cantal  prò  gaudio  motrice  de  XII  mensibus  anni  et  de  proprietatibus 
eorum  ». 

Narrazione  e  versi  son  citati  anche  da  Cantù  [  Storia  degli  Ita- 
liani Vili.  XCI  not.  39].  Primo  gli  aveva  citati  il  Fauriel  [Dante 
et  les  origin.  de  la  lang.  ital.   Paris,   Durand,  ii,  leg.   xvi.  ]    senza 


)(  28  )( 

però  accennare  le  fonti.  Noi  non  crediamo  che  la  redazione  in  dia- 
letto subalpino  di  Fr.  Jacopo  d'Aqui  sia  la  forma  originale  della 
meridional  tradizione,  ma  non  sappiamo  con  quale  autorità  il  Fauriel 
legga  così  i  primi  7  versi:  Una  vigna  ho  piantato:  Ma  per  traverso 
è  intrato  Chi  la  vigna  m'ha  guastato:  Manne  fatto  gran  peccato 
Di  fare  a  me  tanto  male. 

[  L'  avventura  è  più  antica  del  sec.  xiii.°;  ma  neanche  il  più  re- 
cente ed  egregio  biografo  di  Pier  delle  Vigne,  il  De  Blasis  {Pier  della 
Vigna  p.  209)  ne  conobbe  la  origine  orientale.  Essa  è  infatti  un  rac- 
conto che  trovasi  in  parecchie  versioni  del  Libro  di  Sendabar,  e 
precisamente  nel  Mischie  Sendabar  ebraico,  nel  Syntipas  greco  e  nei 
Sette  Vizir  turchi,  col  titolo:  l'orma  del  leone.  Su  di  che,  vedi  Loise- 
leur:  Essai  sur  les  fables  indiennes  pag.  97.  Questa  tradizione  che 
trovasi  anche  nel  Milo  di  Matteo  di  Vendóme  (ved.  Hist.  Liltér.  de 
la  France  xxii.  56.)  è  poi  da  Brantóme  [Vie  des  dames  galantcs  ii  ) 
riferita  come  un  caso  occorso  nel  xvi.°  sec.  al  Marchese  di  Pescara. 
I  versi  recati  da  Brantóme  sono  i  seguenti.  La  dama  dice:  Vigna 
era,  vigna  son,  Era  podata,  or  più  non  son  E  non  so  per  qual  cagion 
Non  mi  poda  il  mio  padron.  11  marito  risponde:  Vigna  eri,  vigna 
sei,  Eri  podata  or  più  non  sei.  Per  la  granfia  del  leon  Non  ti  poda 
il  tuo  padron.  Il  Marchese:  A  la  vigna  che  voi  dicete  Io  fui,  e  qui 
restete:  Alzai  il  pamparo,  guardai  la  vite  Ma  non  toccai,  se  dio 
m'aiute.  E  dell'  attribuirla  al  cancelliere  di  Federigo  certo  deve  esser 
stata  principal  causa  l'immagine  della  vigna:  poi  la  novella  durò 
nella  memoria  delle  genti  ma  perduti  i  nomi  dei  protagonisti,  ed 
altri  pur  illustri  e  noti  furono  scelti  a  sostituire  gli  antichi.  —  Di 
cosifatte  appropriazioni  a  personaggi  illustri  ed  indigeni  di  fatti  e 
motti  tradizionali,  spesso  venuti  di  fuori  e  contenuti  in  versi  facili 
a  imprimersi  nella  memoria,  recherò  un  altro  esempio  che  servirà 
a  scolpar  Dante  di  una  quartina  a  lui  attribuita;  ed  è  la  seguente: 

Chi  nella  pelle  d' un  monton  fasciasse 
Un  lupo,  e  fra  le  pecore  il  mettesse 
Dimmi,  ere'  tu,  perche  monton  paresse 
Ch'egli  però  le  pecore  salvasse? 

1  quattro  versi  racchiudono  intera  la  sentenza,  ma  sembra  che  ta- 
luno ve  ne  accodasse  altri  dieci  per  farne  un  sonetto;  ved.  Trucchi 
Poes.  hai.  ined.  i,  296.  Comecchesia,  questo  epigramma  che  doveva 
esser  divenuto  proverbiale  e  che -si  voleva  scritto  dal  sommo  poeta 
per  far  accorto  il  conte  Guido  Salvatico  delle  non  caste  intenzioni 
di  un  frate  che  faceva  spesse  visite  alla  contessa  Caterina,  è  una 


pretta  traduzione  di  un  passo  del  Roman  de  la  Uose,  come  notò  il 
Puymaigre,  Poèt.  et  romanciers  de  la  Lorraine  p.  <0: 

Qui  de  la  toison  Dan  Belin  (la  pecora) 

En  leu  de  mantel  sebelin 

Sire  Ysangrin  (  ti  lupo)  afubleroit, 

Li  leu  qui  monton  sembleroit, 

Si  0  les  brebis  demorast, 

Pensez  qu'  il  ne  les  dévorast?]      A.  DA. 


Quando  frate  Elia  generale  de'  Francescani,  distaccatosi  dal  papa, 
aderì  a  Federigo  II  scomunicato  e  si  facea  vedere  nell'abito  del- 
l'ordine cavalcar  con  lui,  che  appunto  allora  [4240]  assediava  Faenza 
e  Ravenna,  «rustici  et  pueri  et  puellae  (racconta  Fra  Salimbene, 
Chronica,  Parma,  Fiaccadori,  mdccclvh,  pag.  Hi  \  quotiens  obvia- 
bant  fratribus  Minoribus  per  vias  in  Tuscia,  ut  centies  audivi,  can- 
tabant:  Hor  attoma...  ;  et  tristabantur  boni  fratres  et  irascebantur 
vere  usque  ad  mortem  dum  talia  audiebant».  I  due  versi  furono 
primieramente  pubblicati  dal  padre  Affò  in  Vita  di  frate  Elia  [Parma, 
Carmignani,  mdcclxixiii,  pag.  90];  ed  egli  lesse  il  primo  verso:  Or 
è  attorno. . . 


Or  attorna  fratt'  Elia 
Che  pres'  ha  la  mala  via 


XI. 

La  strofa  seguente  cantavasi  dai  Reggiani  nel  4243,  quando  il 
fiorentino  Lambertesco  de'  Laraberteschi  era  loro  pode.stà,  qui  li- 
benler  factebat  iustitiam  et  rationem  hominibus.  Così  Fra  Salimbene 
[Chron.  pag.  58.]  che  ci  ha  conservato  la  strofa. 

Venuto  é  '1  lione 
De  terra  fiorentina 
Per  lenire  raxone 
In  la  cita  regina. 


)(  30  )( 
XII. 

Di  questa  canzone  il  Malispini  [ccxxvii]  riporta  i  primi  quattro 
versi,  e  Giovanni  Villani  [VII,  lxvih]  loro  aggiunge  i  due  uUinrii. 
Occasione  ne  fu  l' assedio  posto  a  Messina  da  Carlo  d'  Angiò  nel 
4282.  Ecco  quel  che  ne  dice  il  Villani  «...  stette  lo  re  con  sua  oste 
intorno  a  Messina  da  due  mesi:  e,  dando  la  sua  gente  alcuna  bat- 
taglia dalla  parte  ove  non  era  murata,  i  Messinesi  colle  loro  donne, 
le  migliori  della  terra,  e  co'  loro  figliuoli  piccoli  e  grandi,  subita- 
mente in  tre  dì  feciono  il  detto  muro  e  ripararono  francamente  agli 
assalti  dei  Franceschi.  E  allora  si  fece  una  canzonetta   che   disse: 

Deh,  com'  egli  è  gran  pietale 
Delle  donne  di  Messina, 
Veggendole  scapigliate 
Portando  pietre  e  calcina! 
Dio  gli  dea  briga  e  travaglio 
Chi  Messina  vuol  guastare.  e 

XIII. 

Di  questo  frammento  dice  il  Fauriel  [Dante  et  les  origines  de  la 
langue  et  de  la  littér .  Hai..  Paris,  Durand,  mdcccliv,  t.  II,  leg.  vn]: 
«Dante  [De  vulg.  el.  I,  xiii]  cite,  comme  échantillon  du  dìalecte 
pisan,  une  ligne  formée,  je  crois,  de  deux  petits  vers  ...  C'est  en- 
core  là,  selon  tonte  probabilité,  le  commencement  d'un  de  ces 
chants  historiques  par  lesquels  les  républiques  italiennes  du  XIII.* 
siècle  célébraient  leurs  funestes  démélés  et  les  tristes  victoires 
qu'elles  remportaient  l'une  sur  l'autre». 

Bene  andonno  li  fanti 
De  Fioransa  per  Pisa. 


K  31  )( 

XIV. 

Simone  della  Tosa  negli  Annali  [Cronichette  antiche,  Firenze, 
Menni,  ^33]  all'anno  1309  narra:  «  E  di  maggio  cavalcaro  i  Fio- 
rentini a  oste  in  Ano  ad  Arezzo.  E  da  questo  si  cominciò  la  guerra 
tra'  Volterrani  e  quelli  di  San  Gimignano.  E  allora  si  fece  la  can- 
zone: 

* 

1  nostri  cavalcarono  » 

Non  ne  conosciamo  che  questo   primo   verso   riferito  anche  dal 
Fauriel  [I.  e.]. 

XV. 

I  Lucchesi,  preso  nell'agosto  del  4288  Asciano  a'  Pisani,  fecero 
nella  maggior  torre  mettere  più  specchi,  perchè  i  Pisani  vi  si  spe- 
chiassero  [G.  Vili.  Vili,  cxiii] .  Or  avvenne  che,  dopo  la  morte  di 
Arrigo  VII  movendo  i  Pisani  pratiche  d'accordo  con  Lucca,  sempre 
però  messa  innanzi  la  restituzione  di  Asciano,  Bonturo  Dati  rispon- 
desse al  loro  ambasciatore  «  Noi  lo  tegnamo,  perchè  le  vostre  donne 
vi  si  specchino  dentro  ».  Di  che  sdegnati  i  Pisani  mossero  con  Uguc- 
cione  della  Faggiuola  a  danno  de'  Lucchesi,  e  rottili  iM8  nov.  del 
4313  a  Ponletetto  li  rincorsero  fin  dentro  la  città;  dopo  che  rizza- 
rono presso  le  mura  due  grandissime  antenne  con  porvi  due  specchi 
e  queste  parole 

Tolle,  Bonturo  Dati, 

Che  i  Lucchesi  hai  mal  [e]  consigliati. 

(  Monum.  pi*,  in  Scrip.  r.  ital.  XV.:  Cron.  pis.  in  Misceli,  novo 
ordine  digesta,  Lucae,  476t,  I  448]. 

E  Albertino  Mussato,  [  De  gett.  italic.  post  Henric  VII  Caes., 
IH,  III,  in  Scrip.  r.  ital.  X]:  Utque  tantae  in  Lucenses  illatae  contu- 
meliae  triste  monimentum  memorabilisque  ignominia  non  dcessent, 
nonnuUus  occisorum  cruore  antiportis  inscripsit  haec  tusco  idio- 
mate  epigrammata: 

Or  ti  specchia,  Bonlur  Dati 
Ch'  e'  Lucchesi  hai  consigliali. 


)(  32  )( 
Lo  die  idi  San  Fidrìano 
Alle  porte  di  Lucca  fu  '1  Pisano.  4 

Vers.  2.  Che  Lucchesi.  —  4.  su  'l  Pisano. 

[  Benvenuto  da  Imola  ricorda  anche  questo  motto  ingiurioso  ai 

Lucchesi  : 

Buona  terra  è  Lucca, 

Ma  Pisa  la  pilucca. 

Forse  non  è  altro  che  un  proverbio,  forse  anche  è  parte  di  qualche 
canzone  perduta.]    A.  D' A. 


XVL 


Di  questa  ballata  storica  riproduco  la  lezione  data  dal  prof. 
É.  Teza  in  appendice  alle  Rime  di  m.  Cino  da  Pistoia  ed  altri  del 
secolo  XIV  ordinate  da  me  [1862]  per  la  collezione  diamante  di  G. 
Barbèra.  L'amico  mio  avvertiva:  «È  ballata  contemporanea  alla 
rotta  [di  Montecatini,  29  agosto  Ì3i5,  data  da  Uguccione  della  Fag- 
giuola a'  guelfi  fiorentini,  e  vi  furono  morti  due  de'  reali  di  Napoli] . 
L'  apografo,  unico  forse,  è  del  sec.  XIV;  e  si  conserva  nella  Lauren- 
ziana  nel  cod,  -193  de'  Gadd.  Fu  pubbl.  intera  dall'Emiliani  Giudici 
nella  bella  sua  Storia  della  lett.  ital.  [1,  280;  ediz.  Le  Mounier]; 
ma  primo  a  darcene  notizia  fu  mons.  Bandini  (  Cat.  mss.  laur.  II, 
484.  )  che  con  parecchi  errori  ne  stampò  pochi  versi Seguii  di- 
ligentemente la  lettera  del  cod.  che  non  è  di  copista  ignorante». 
Delle  brevi  ma  succose  note  del  Tèza  mi  spiace  non  potere,  secondo 
il  mio  instituto,  riportare  se  non  quelle  che  attengono  alla  lezione. 
La  ballata  è  a  dialogo  tra  la  madre  del  re  Roberto  e  un  guelfo  re- 
duce dal  campo. 

—  Deh  avrestù  veduto  messer  Piero 
Poi  che  fu  '1  nostro  campo  sbaraltato? 
Tuo  viso  mostra  pur  che  vi  sie  stato.  3 

Deh!  non  celare  il  vero  all'angosciosa 
E  desolata  sua  madre  che  fie 


Vers.  3.  ch'ivi:  Giud.  —  5.  disolata:  G. 


)(  3cJ  )( 
Fin  al  suo  stremo  die 
Nuda  d'ogni  allegrezza  e  di  conforlo; 
Ch'io  '1  veggio  alla  tua  faccia  paurosa: 
Ma  temi  di  recar  novelle  rie 
E  d'  apportar  bugie, 
Cioè  che  vogli  dir  vivo  del  morto. 
Se  fosse  vivo,  tu  '1  diresti  scorto, 
Come  tu  di'  del  prence  infortunato: 
Ma  palpi  si  ch'io  l'ho  per  isbrigato. —  ^4 

— ^  Poi  che  mia  faccia  turba  T  ha  scoverto 
11  tuo  cordoglio,  dicerolti  il  vero, 
lo  vidi  mcsser  Piero 
Gagliardo  fra'  nemici  alla  battaglia: 
Vidi  Carlotto,  un  paladin  per  certo; 
E  seco  il  buon  Garocio  cavaliero. 
Don  Brasco  ardilo  e  fero 
Ricever  colpi  e  darne  di  rigaglia. 
Ma,  poscia  che  rimasa  fu  la  taglia, 
Carlotto  e  chi  '1  scguia  vidi  spezzato: 
Pier  non  si  trova  morto  nò  scampato.  —  .         so 

—  Dunque,  tapina,  ov'  è  questo  mio  figlio? 
Ov' è  il  mio  giglio  e  la  mia  rosa  e  il  fiore? 
Ov'  è  quel  dio  d'  amore, 
Nel  qual  non  par  eh'  errasse  la  natura? 
Chi  biasma  s' i'  mi  straccio  e  mi  scapiglio? 
Che  '1  sol  dovea  celar  lo  suo  splendore 

Vers.  6.  Sin:  Giud.  —  <0.  O  di  recar:  G.  —  U.  Ma  parli.  G. 
n  Se  avessi  prove  di  amanuense  trascuralo,  leggerei  palpili  e  non 
palpi  s\;  ma  la  lettera  è  chiara.»  T.  —  <5.  torba:  G.  —  'IT-IS.  Io 
vidi  messer  Piero  gagliardo  Fra'  nemici  in  battaglia:  G.  —  i9.  pa- 
ladin perfetto:  G.  —  20.  Caraccio:  G.  —  24.  fiero:  G.  —  32.  Lodi 
che:  G.  il  quale  mette  non  il  segno  d'interrogazione  ma  una  vir- 
atila in  line  del  vcrs.  30. 


)(  3'i  )( 
Lo  di  che  tal  signore 
Pervenne  a  morte  far  cotanto  oscura: 
Pianger  le  pietre  ed  ogni  créatura 
Dovrebbe  di  quell'  agnolo  incarnato. 
Piacesse  a*Dio  che  non  fosse  mai  nato! —        36 

—  Reina,  in  sulle  grandi  avversitadi 
Lo  senno  uman  si  prova  e  paragona, 
Secondo  uom  ragiona, 

E  non  quand'  egli  ha  pur  cosa  che  i  piaccia. 

Cosi  di  guerra  van  le  novitadi; 

E  cotai  son  le  gioie  che  ci  dona 

11  mondo;  e  non  perdona 

Morte  a  nuli'  uom  eh'  al  suo  'mpero  soggiaccia. 

Non  pianger  né  percuoter  più  tua  faccia: 

Accorda  il  re  Roberto  col  cognato. 

Se  vuoi  che  '1  sangue  tuo  sia  vendicato.  —        47 

—  Con  Federigo  intendo  far  trieguare 
Lo  re  Ruberto,  che  li  fie  ben  duro  ^ 
Più  che  pietra  di  muro; 

E  dorma  la  question  dell'  isoletta. 

Quel  d'  Aragona  fo  sollecitare 

Ch'  entri  nel  regno  sardo,  eh'  è  suo  puro, 

Dirittamente:  e  giuro 

Che  Pisa  aver  non  può  maggior  distretta. 

Deliberato  avem  di  far  vendetta: 

Ma  ho  veduto  alcun  eh'  è  già  affrettato. 

Che  poscia  ha  il  suo  disnor  moltiplicato.  —      ss 

—  Perdonami,  reina  di  tristizia, 
Gh'  a  tal  millanto  non  do  fede  alcuna. 

Vers.  39.  Secondo  eh':  G.  —  40.  che  piaccia:  G.  —  45.  pur  tua: 
G.  —  49.  gli  fie:  G.  —  53.  sul  regno:  G.  —  57.  già  frettato:  G.  «Il 
ms.  ha  che  già:  si  può  leggere  eh'  è  già  oppure  che  già:  »  T. 


)(  35  )( 
Apri  ben  V  altra  e  l'  una 
Orecchia  e  intendi,  eh'  io  non  so'  allamanno: 
Che  il  re  Roberto,  fonte  d'avarizia, 
Per  non  scemar  del  colmo  della  Bruna, 
Passerà  està  fortuna 
E  smaltirà  il  disnor,  temendo  '1  danno. 
Tosto  vedrem  come  le  cose  andranno. 
Se  tu  per  questo  il  trovi  rimutato, 
Toglio  esser  nella  fronte  suggellato.  —  69 

—  Perchè  Roberto  re  non  fosse  in  terra 
Né  altro  mio  figliuol  né  discendente, 
Io  n'  ho  il  cuor  si  fervente 
Ch'  io  sola  spero  in  Dio  che  '1  forniraggio; 
E  trarrò  a  fine  questa  mala  guerra 
Col  mio  disforzo  e  legion  di  gente 
Del  franco  re  possente, 
Al  qual  n'ho  scritto  già  per  mio  messaggio. 
Oro  ed  argento  per  neente  avraggio, 
Pensando  il  caso  ontoso  eh'  è  incontrato, 
E  corra  Bruna,  Puglia  e  il  Principato.  —  so 

—  È  per  natura,  e  la  scrittura  il  dice, 
Redina,  che  le  donne  son  pietose, 
Avare  e  paurose. 
Sarestù  di  color  che  snaturassi? 
Non  eh'  io  ti  riputasse  peccatrice 
Per  ciò  di  più,  sponendo  chi  te  spuose, 
E  chi  le  sue  man  puose 
Nel  tuo  sangue;  ma  che  meritassi. 
Di  questo  non  vorrei  dimenticassi: 


Vers.  62.  allumano:  T.  —66.  tenendo  il:  G.  —  73.  io  spero  sola: 
^'(i.  —  75.  difforzo:  G.  —  80.  E  corrà:  T.  —  82.  Regina:  C, 


)(  3(3  )( 
Lo  conte  Nier  si  cinse  spada  allato 
Sul  corpo  del  tuo  Carlo  dilicato.  —  91 

—  Se  il  sangue  mio  fu  sparto  per  la  tede 
Da  quella  setta  eretica  pagana 
Ghibellina  e  pisana, 

Spietata  più  che  genti  saracine, 
Di  lor,  sie  certo,  non  si  avrà  mercede; 
'Che  fien  venduti  e  spersi  di  Toscana; 
E  Pisa  farò  piana. 
Ararla  e  seminarvi  sale  e  spine. 
Lodasi  la  vittoria  in  sul  fine: 
Per  quello  onde  '1  Pisan  ha    trionfato 
È  pur  mestier  che  sia  diradicato.  —  102 

—  Redina,  al  tuo  voler  Cristo  dea  possa. 
Omai  questo  amaror  trapòllo  e  bèlo, 

E  osta  via  quel  velo, 

E  tutta  in  allegrezza  ti  rinnova: 

Che  '1  dolce  messer  Piero  in  carne  ed  ossa 

Dopo  il  martirio  fu  levato  in  cielo 

E  in  terra  non  ha  pelo: 

Non  ti  meravigliar  se  non  si  trova. 

E,  non  foss'  altro,  pur  questo  ti  mova, 

Che  sie  davante  a  Dio  per  tuo  avvocato 

Quello  innocente  agnello  immacolato.  —  115 

Va',  ballatuzza  di  lamento,  ratta 
In  ogni  parte  dove  Guelfo  sia 
Sceso  di  signoria; 

Di'  che  stea  allegro  e  non  abbia  temenza: 
Che,  se  i  Pisan  co'  lievri  ci  diér  gatta. 


Vers.  90.  Vier:  G.  —    <00.  in  sulla  fine:  G.  —  403.   Regina. . 
dia:  G.  —  iiS.  II  Bandini  lesse,  colierti:  il  G.:  i  Pisan  sollerti  ci. 


)(  37  )("  , 

1/  111  '1  peccato  nostro  e  la  mattia, 

Non  per  lor  vigoria; 

Ma  Dio  ci  tolse  il  cor  e  la  prudenza. 

Sig^nori,  incontro  a  Dio  non  è  potenza. 

Qual  otta  il  nostro  fallo  fie  purgato, 

Avrem  1'  ardire  e  il  senno  apparecchiato.  134 

XVll. 
M.  Leonardo  Bon.\fedi  di  Firenze. 

Questo  madrigale  è  nel  cod.  I.  ix.  <8.  della  Bibliot.  comunale 
di  Siena,  ove  ha  il  titolo  di  ballata:  lo  debbo  alla  gentilezza  del 
sig.  E.  Sarteschi.  Contiene  evidentemente  un'allusione  politica,  e 
probabilmente  è  della  seconda  metà  del  300:  ma  determinare  il 
tempo  e  il  fatto  a  che  accenna  è  difficile. 

Di  pugno  a  Cesar  mosse  il  santo  uccello; 

Roteando  pe'  '1  ciel  vide  il  signore, 

El  qual  conobbe  suo  governatore. 
Su  la  spalla  sinestra  giunse  a  quello. 

Fermando  suo'  artigli  e  le  suo'  ali, 

Cantando  in  suo  parlar  parole  tali: 
Non  è  mestier  di  cercare  altra  caccia; 

Che  preso  ho  quel  che  tutto  '1  mondo  abbraccia. 


é 


:.% 


;v  •  ♦ 


LIBKO    IH. 

CANZONI  POPOLARI  DEL  SECOLO  Xlil  e  XIV. 


XVilI. 

I  due  versi  seguenti  san  Francesco  d'  Assisi  tolse  a  testo  d'una 
sua  predica  in  Montefeltro  [av.  1226]:  il  che  dimostra  che  dovessero 
essere  popolari,  [v.  Fioretti  di  S.  Fr.  Delle  Sacre  Sante  stimate,  I.  ] 

Tanto  è  il  bene  eh'  io  aspetto 
Ch'  ogni  pena  m'  é  diletto.  s 


Vers.  < .  è  quel  bene.  Var.  di  più  codd.  nell'  ediz.  del  Cesari. 

XIX. 

I  due  versi  seguenti  riporta  fra  Salimbene  nella  sua  Chronica 
[64],  narrando  come  frate  Enrico  da  Pisa,  che  fu  suo  maestro  di 
canto  tempore  Gregorii  papae  noni  «illam  litteram  fecit  et  cantum 
Christe  deus  -  Christc  meus,  ad  vocem  cuiusdam  pedissequae  quae 
per  maiorem  ecclesiam  pisanam  ibat  cantando: 

E  tu  no  cure  de  me, 
E  no  curaro  de  te. 


)(  :i!i   )( 
XX. 

È  una  stanza  che  fra  Salimbene  riferisce  nella  sua  Chron. 
[<23]  sotto  l'anno  <248  a  proposilo  del  peccato  della  superbia.  Ri- 
ferisce anche  altri  4  versi  a  modo  di  proverbii  o  sentenze  che  non 
fan  per  noi  come  questi,  i  quali  probabilmente  furon  parte  di  poesia 
cantata. 

0  lasso  me,  che  fu'  tentato 
Cum'  fo  Adam  nel  paradiso; 
Chi  vols'  più  che  no  i  fo  dato, 
Perde  '1  bene  o'  era  miso.  4 

Per  zo  n'  prego  ogne  amadore 
Che  no  alze  tanto  '1  core 
Cada  in  terra  e  sia  dannato.  7 


Vers.  i.  Cresce  d'una  sillaba,  ma  Vo  doveva  essere  assimilato 
nella  pronunzia  e  nel  canto  con  la  vocale  onde  finiva  il  verso  pre- 
cedente. —  3.  volse.  —  4.  lo  bene.  —  5.  ne  prego.  —  6.  lo  core.  — 
7.  Ke  cadha.  Ma  il  vers.  crescerebbe  d'una  sillaba.  D'altra  parte 
l'omissione  del  che  congiunzione  relativa  è  ovvia  nelle  rime  e  nelle 
prose  del  secolo. 

XXI. 

Fu  rinvenuta  dall' avv.  Angelo  Gualandi  nella  prima  carta  d'un 
libro  bambagino  Memorialiuin  contractuum  et  ultimarum  voluntatum 
anni  mcclxxxh  tempore  dni.  Rolandini  de  Canossa  potestalis  Bono- 
niae  della  collezione  che  conservasi  nell'Archivio  notarile  di  essa 
città:  e  il  carattere  è  lo  stesso  del  notare  Guidone  da  Argile  che 
ha  vergato  in  quell'anno  i  memoriali. 

Prima  cognata. 

Oi  bona  gente,  oditi  et  entenditi 
La  vita  che  fa  questa  mia  cognata.  2 


1 


)(  ^^0  )( 
La  vita  che  la  fa  vui  1'  odirete, 
E,  se  ve  place,  vóilave  contare. 
A  lato  se  ne  tien  sette  galete 
Pur  del  meglior  per  poter  ben  roncare, 
E  tutt'  or  dice  che  more  di  sete 
En  tln  eh'  a  lato  non  se  'l  pò  accostare  : 
Né  vin  né  acqua  non  la  pò  saziare 
S'  ella  non  pon  la  bocc'  a  la  stagnata.  io 

Seconda  cognata. 

Per  deo,  vicine  mie,  or  non  crediti 
A  quel  che  dice  questa  falsa  ria. 
L'  altr'  ier  eh'  io  la  trovai  fra  le  pariti, 
Et  io  la  salutai  in  cortesia 
Assai;  le  dissi  —  Donna,  che  faciti? — , 
Et  ella  me  respose  villania. 
Ma  saQO  ben  l'opera  che  facia: 
No  '1  ve  direi,  eh'  eo  ne  seria  blasmata.  i8 

Prima  cognata. 

Oi  soga  putta,  chi  te  conoscesse 

E  sapesse,  com'  eo  so,  lo  to  affare  !  * 

L'  altr'  ier,  per  cason  de  far  dir  mésse, 

Al  prete  me  volisti  ruffianare: 

Ma  nauti  fus'  tu  arsa  che  '1  facesse 

E  eh'  eo  cun  teco  mai  volesse  usare  ! 

Da  mi  te  parti  e  non  me  favellare, 

Gh'  eo  non  voglio  esser  mai  de  to'  brigata.      26 

>  Vers.  7.  tutor  a. .  .  mor:  Cod.  —  \\.  credite:  C.  Ma  le  due  rime 
di  poi  son  sempre  in  iti  —  12.  rea:  C.  Ma  non  conviene  colle  rime 
di  poi.  —  i9.  puta:  C.  Ma  più  sotto  putta.  —  gì.  Nel  ms.  la  s  dolce 
chefa  vece  delta  g  è  rappresentata  coli' a?. :  qui  caxon,  più  sotto  raxone. 


•)(  il  M 

Seconda  cognata. 

Or  Deo  ne  lodo  eh'  eo  son  eonusciuta. 
Né  non  fo  eom'  tu,  putta,  al  to  marito, 
Ch'  a  r  olla  te  par  aver  q.oV  compiuta 
\Che  tu  hai  prego  d'  averi'  cmbozito. 
Et  oi  me  lassa  trista  deceduta!, 
Ch'  a  tutta  gente  '1  fai  mostrar  a  dito, 
E  de  le  come  1'  hai  sì  ben  forjiilo 
Ch'  una  gallèa  ne  serebbe  armala.  54 

Prima  cognata. 

Cognata,  eo  ti  dirò  bona  rasonc, 
Se  a  credenza  tu  me  vói  tenere. 
Eo  agio  colto  un  si  grosso  capone 
Che  lo  buglion  serebbe  bon  da  bere.  ^.y'^ 

Al  to  marito  e  '1  meo  vegna  passione, 
Che  'nseme  no  ne  lasson  bene  avere: 
Egli  anno  doglia,  e  farenci  morere 
A  pena  et  a  dolore  onne  fiata.  42 

Seconda  cognata. 

Cognata  mia,  co  ched  eo  t'  ho  detto 

Io  sago  ben  ched  eli'  é  mal  a  dire.  ,    • 

Ma  raenarotti  a  casa  un  fancelletto, 

E  lui  daremo  ben  manzare  e  bere: 

E  tu  recarai  del  to  vin  bruschetto, 

Eo  recare  del  meo  plen  un  barile. 

Quando  gli  avrén  da'  ben  manzare  e  bere, 

^ascuna  faga  la  soa  cavalcata.  so 

Vers.  32.  lo  fai:  C.  —  41.  faremri:  C.  —  43.  <fi«o.  -C. 


^ 


X  ^^^2  )( 
XXll. 

Proviene  ti  onde  l'antecedente. 

[È  evidentemente  una  antica  Canzone  da  tavola  e  da  bevitori. 
E  forse  di  essa  si  troverebbe,  chi  avesse  agio  di  far  ricerche,  qual- 
che indizio  nei  Canti  popolari  latini  del  medio  evo,  per  es.  nei 
Carmina  burana.  Forse  anco  qualche  frammento  se  ne  troverebbe 
nei  Canti  popolari  moderni.  Così  ad  es.  una  canzone  nizzarda  co- 
mincia (il  solo  principio  ci  è  noto): 

Dounetz-li  beour'  à  la  coumaire 
Dounetz-li  beoure  qu'aiira  set. 
Una  canzone  provenzale  (  Arbaud  Chanls  poptil.  de  la  Prov.  i.  180   : 
Se  n' en  sont  tres  coumairetos 
Parloun  de  n' en  fa  'n  banqiiet, 

Lantiri  li  goudet 
Parloun  de  n' en  fa  'n  banquet. 
Nella  nostra  ballata  per  effetto  del  vino  si  scalza  1'  albero  e  la  ra- 
dice: nel  canto  provenzale  per  effetto  del  gran  mangiare  [n' en  lu- 
cilo quatr'  cu  cinq  pets  ]  casca  in  chiesa  la  statua  del  Santo,  e  peg- 
gio sarebbe  successo: 

Moun  Dioul  s' aqueou  temps  duravo 
Restarle  pa  'n  aubre  drech, 

Lantiri  li  goudet, 
Restarle  pa  'n  aubre  drech.]    A.  D'A. 

«  Pur  bei  del  vin,  comadre,  —  e  no  lo  temperare: 
Che. . .  lo  vin  è  forte,  —  la  testa  fa  scaldare.  »        2 

Giernosen'  le  comadri  —  trambe  ad  una  masone: 
Qercór  de  '1  vin  sottile,  —  se  1'  era  de  sasone  : 
Bevén  cinque  barili  —  et  erano  desune, 
Et  un  quartier  de  retro  —  per  bocca  savorare.       e 

«  De  questa  botezella  —  più  no  ne  vendiamo  : 
Mettamo  i  la  cannella,  —  per  nui  lo  beviamo.  » 
«  Et  oi,  comadre  bella,  —  elcaive  la  gonnella: 


Vers.  2.  Manca  una  sillaba  nel  primo   emistichio:   forse   è   da 
supplire:  Che  xe  lo  vin.  —  -5    fìevenon....  borii:.,  ernnnn:  Cod. 


» 


)(  f^'^  )( 

Faraino  canipanolla,  -  eh'  el  me  Ifìn  gran  pissare.  »    io 

Coinenga  de  pissare  —  la  bona  bevedrise; 
Ella  descalza  l'albore  —  tra  qui  e  le  radise. 
Disse  l'altra  cornare  —  «  Per  deo  quel  buso  stagna; 
Che  tatt' ài  tal  lavagna,  —  podressi  navegare.  »     f/* 

Klle  gierno  a  la  stufa  —  per  gran  delicamento: 
Porton  sette  capuni  —  et  ove  ben  dusento 
(E  fen  lor  parinientoi  —  che  'n  corp' avean  vento) 
E  un  capun  lardato  —  per  bocca  savorare.  /* 

H  Una  nave,  comadre,  —  de  vino  è  zunt'  al  porto, 
Et  un'altra  de  lino:  —  lo  marinar  sia  morto!  » 
«  Pur  biviam,  comadre;  —  emplemon'  ben  lo  corpo  : 
E  la  barca  del  lino  —  vad'  en  fondo  de  mare  !  »     ^t 

Giernosen  le  comadre  —  trambedue  a  la  festa: 
Di  lardo  e  di  lasagne  —  se  fen  sette  menestre. 
E  disse  l'una  a  l'altra  —  «  Non  foss' altra  tempesta, 
Gh'  eo  non  volesse  tessere  —  mai  ordir  né  filare  !  » . 

XXIII. 

Proviene  donde  le  due  antecedenti. 

Figliuola . 

Mamma,  lo  lemp'  é  venuto 

Gh'  eo  me  vorria  maritare  % 

D'  un  fante  mi  é  si  piaciuto 

No  1  te  poderia  contare.  4. 

Tanto  me  plage  'l  so  fatto 

I  soi  portamenti  e  i  sembianti, 

Ghe  ben  te  '1  dico  entrafatto, 

Vers.  3.  fante  che:  Cod.  Ma  il  vers.  deve  esser  ottonario.  —  4, 
podria:   C.  —   fi.  Li  soi:  C.  —  7.  te  lo:  C. 


> 


)(  ^^^  )( 

Sempre  '1  vorria  aver  davanti. 

El  drudo  mio  ad  onne  patto 

Del  meo  amor  voi'  che  se  vanti. 

Matre,  lo  cor  te  scianti, 

S' tu  me  lo  vói  contrariare.  is 

Madre. 

Eo  te  '1  contrario  en  presente, 
Figliola  mia  maledetta. 
Prender  marito  in  presente 
Troppo  me  par  eh'  abbi  fretta. 
Amico  non  hai  né  parente 
Che  '1  voi',  tant'  ei  picoletta. 
Tanto  mi  par  garzonetla, 
Non  ei  da  tai  fatti  fare.  so 

Figliuola. 

Madre,  de  flevel  natura 
Te  ven  me  vai  sconfortando 
De  quel  eh'  eo  sun  più  segura  "■ 

Non  fo  per  arme  Rolando 
Né  '1  cavalier  sen'  paura 
Né  lo  buon  duso  Morando. 
Madre,  '1  to  dir  sia  en  bando; 
Ch'  eo  pur  me  voi'  maritare.  ss 

Madre. 

Figlia,  lo  cor  te  trasporta 
Né  la  persona  non  hai: 
Tosto  podrissi  esser  morta, 

Vers.  15.  De  prender:   C.  —  20.  colai  fatti:  C.  —  22.  ven  che: 
C    -  25.  senz':  C.  — 


S'usassi  con  om,  ben  sai. 

Or  figlia,  per  deo,  sii  accorta; 

Né  no  te  gli  ammetter  mai. 

Che  a  la  ventura  che  sai 

Morte  n'  pudrissi  portare.  se 

Figliuola . 

Matre,  tant'  ò  '1  cor  azunto 
La  voi'  'morosa  e  conquisa, 
Che  aver  vorrie  lo  meo  drudo 
Visin  più  no  é  la  camisa. 
Con  lui  me  starla  tutt'  nuda 
Né  mai  vorria  far  devisa. 
Eo  r  abragaria  en  tal  guisa 
Che  '1  cor  me  faria  allegrare.  4 a 

Vers.  32.  Ben  lo:  C.  —  3t.  (amai:  C.  —  38.  voglia  amorosa:  C. 
—  40.  più  che  no  ne:  C.  —  H.  tutta  nuda:  C.  —  42.  iVè  mai  non:  C. 

>  XXIV. 

[  Dal  medesimo  libro  Memorialium  ec.  :  e  il  carattere  è  quello 
stesso  del  notaro  Biagio  Olivieri  che  ha  vergato  i  memoriali  del 
secondo  semestre  4282.] 

Non  posso  più  coperire 

Lo  meo  fino  'namorare: 
.  Convenlo  me  demostrare 

A  vui,  dol^e  donna  mia.  4 

Demostrar  lo  me  convene 

A  vui  che  me  'namorate, 

Vers.  6-8.  'namorati. .  .  apati.:  ma  il  vers.  9.  porta  chiara- 
mente ventate:  e  devono  rimare  insieme. 


)(  ^^6  )( 

Che  de  le  mi'  grave  pene 

Alcuna  pietanza  a^ate: 

Che  non  posso  in  ventate 

Più  celar  lo  meo  tormento 

Che  ne  lo  cor  duro  e  sento 

Per  vui,  dolQe  donna  mia.  is 

Lungo  tempo  ago  sofferto: 

Che  non  volsi  addimostrare 

Lo  meo  'namorar  coperto. 

Non  fìnava  de  pensare, 

Vogliendomene  celare, 

Ch'  altri  non  ve  s'  adornasse. 

Lo  meo  cor  se  ne  sottrasse 

Per  vui,  dolQe  donna  mia.  20 

Desiando  el  vostro  onore, 

Me  parca  sentir  affanno: 

Perch'  eo  non  ce  volsi  errore 

0  desplacemento  0  danno. 

Ancora  che  el  sia  un  anno 

Che  de  vui  me  'nnamorai,  x 

In  gran  zoi'  lo  me  contai. 

Stando  'n  vostra  signoria.  ss 

Non  posso  celar  la  fiamma 

Che  me  'nzende  più  che  foco: 

E  lo  so  amor  me  'nflamma 

Si  che  n'  ardo  dentro  e  coco. 

Che  non  trovo  in  alcun  loco 

Che  mi  sia  posa  0  deporto. 

Però  vegname  conforto 

Da  vui,  dolge  donna  mia.  56' 


X4.7)(    , 


XXV. 

La  trovò  l'aw.  Gualandi  in  calce  del  fol.  29  recto  d'un  libro 
membranaceo  MemoriaUum  contractuum  et  uUimarum  voluntatum 
anni  MCCCV  tempore  domino  rum  Symeonis  dni  hynghelfredi  de  Pa- 
dova et  Ramberti  de  Rambertis  Capitaneorum  Populi  Civit.  Bonon., 
della  collezione  che  conservasi  nell'Archivio  notarile  di  Bologna. 


Fuor  de  la  bella  caiba 

Fuge  lo  liisignolo. 

Piange  lo  fantino,  —  poi  che  non  trova 

Lo  so  osilino  —  ne  la  gaiba  nova; 

E  dice  cum  dolo  :  —  Chi  gli  avrì  V  usolo? 

E  dice  cum  dolo: — Chi  gli  avrì  T usolo? 
En  un  buschetto  —  se  mise  ad  andare, 

Senti  l'ozletto  —  sì  dol^e  cantare. 

Oi  bel  lusignolo,  —  torna  nel  mio  brolo: 

Oi  bel  lusignolo,  —  torna  nel  mio  brolo. 

Vers.  i.  de  la  bella  bella  caiba:  Cod.  —  5.  cu  dolo:  C. 
letto:  C.  —  9.  broylo:  C.  —  10.  broylo:  C. 


10 

030' 


XXVI. 

Francesco  da  Bull,  nel  Comento  sopra  la  D.  C,  al  Par.  xv.  -122. 
«...  usava  r  idioma  Che  pria  li  padri  e  le  madri  trastulla  »,  di- 
chiara: «  lo  parlare  che  si  fa  da'  padri  e  da  le  madri  ai  suoi  fanciulli, 
cioè:  Nanna  nanna,  fante  ec.  ».  È  il  principio  d'una  ninna  ninna.  Il 
sig.  Paulin  Paris  [Les  mss.  franp.  tu,  316.]  cita  questo  brano  del 
Commento  di  Benvenuto  da  Imola  al  passo  surriferito  del  Par.  ;  che 
non  trovasi  nel  testo  di  Benvenuto  edito  nella  versione  italiana  del- 
I  avv.  Tamburini  [Imola,  1866,  ni.]. 


Nanna  nanna, 

Li  miei  begli  fanti. 


)(  ^48  )( 
Già  mai  non  fu  cotanti. 
Tre  in  camerella, 

Tre  in  fosserella,  s 

Tre  a  prova  del  fognòlo, 
E  tre  entro  el  bagnolo 
E  tre  entro  la  cuna. 
E  graveda  e  saduna.  9 

Vers.  5.  foserella:  P.  —  9.  Così  il  P.  Può  vSupporsi  che  si  debba 
leggere  «E  gravida  è  za  [già)  d'una.  »  o  pure  È  gravida  e  s'aduna». 
Del  resto,  il  testo  del  P.  dopo  i  versi  aggiunge:  «  E  dì  nanna  nanna 
replicando  spesso  questo  in  suo  canto». 

XXVII. 


Giovanni  Boccaccio,  dopo  aver  narrato  [g.  iv,  n.  v]  della  Li- 
sabetta  da  Messina  e  come  i  fratelli  le  facessero  portar  via  il  testo 
dove  avea  sepolto  il  capo  dell'  amante  e  piantalo  al  di  sopra  basi- 
lico, conchiude:  «  La  giovane,  non  restando  di  piagnere  e  pure  il  suo 
testo  addimandando,  piagnendo  si  morì:  e  così  il  suo  disavventu- 
rato amore  ebbe  termine.  Ma  poi  a  certo  tempo,  divenuta  questa 
cosa  manifesta  a  molti,  fu  alcuno  che  compuose  quella  canzone  la 
quale  ancora  oggi  si  canta,  cioè:  Quale  esso  fu  lo  mal  cristiano 
che  mi  furò  la  grasca  ec».  Il  sig.  P.  Fanfani  nelle  note  a  questa 
novella  [Decameron,  Firenze,  Le  Monnier,  4857,  in  8.°  i,  349]  la 
pubblicò  di  su  '1  Cod.  laur.  38  pi.  42.  «  scritto  in  sullo  scorcio 
del  sec.  XIV.  ».  Ma  era  già  a  stampa  nelle  Canzone  a  ballo  del  -1533 
e  del  1568;  monca,  è  vero,  dei  primi  sei  versi,  ma  non  però  difet- 
tosa nella  stanza  quarta  come  nella  lezione  edita  dal  Fanfani.  Mi 
valsi  de'  due  testi  per  ridurre  a  miglior  lettura  questa  importante 
canzone:  e  mi  fu  guida  e  norma  anche  la  metrica.  La  stanza  è  di  7 
versi,  de'  quali  il  secondo  il  quarto  e  il  sesto  ottonarli,  endecasil- 
labi gli  altri;  rimati  a  b,  a  b,  a  b,  fino  al  settimo  che  ha  il  rimal- 
mezzo  e  la  cui  ultima   parola  è  base  alle  rime  della  st.   seguente. 

Air  antica  canzone  siciliana  risponde  in  parte  questo  Canto  po- 
polare romano  raccolto  e  inserito  da  Fabio  Nannarelli  nel  suo  Gu- 
glielmo, novella  in  isciolti  pubblicata  nella  Strenna  Romana  pel  -1858 
[parte  li,  pag.  85.  Firenze,  Le  Monnier]  e  a  me  accennato  dal  prof. 
G.  Bustelli: —    La  prima  volta  che  m'innamorai    Piantai   lo   dolce 


)(  ^9  )( 

persico  alla  vigna,  E  poi  gli  dissi:  «Persico  benigno,  S'amor  mi 
lassa,  ti  possi  seccare!  »  A  capo  all'anno  ritornai  alla  vigna; 
Trovai  lo  dolce  persico  seccato:  Mi  butto  in  terra,  e  tutta  mi  scapi- 
glio: Questo  è  segno  ch'amore  m'ha  lassato.  Albero  che  t'avevo 
tanto  a  caro.  E  t' innacquavo  co'  li  miei  sudori  I  Si  son  seccate  le 
cime  e  le  rame,  I  frutti  han  perso  lo  dolce  sapore.  Morte,  vieni  da 
me  quando  ti  pare,  Giacché  il  mio  bene  ha  mutato  pensiere. 

Qual  esso  fu  lo  malo  cristiano 

Lo  qual  mi  furò  la  grasta 

Del  bassilico  mio  selemonlano? 

Cresciut'  era  in  gran  podestà  : 

Ed  io  lo  mi  chiantai  colla  mia  mano: 

Fu  lo  giorno  della  festa. 

Chi  guasta  —  1'  altrui  cose,  é  villania.  7 

Chi  guasta  1'  altrui  cose,  è  villania 

E  grandissimo  il  peccato. 
,     Ed  io  la  meschinella  eh'  i'  m'  avia 

Una  grasta  seminata! 

Tant'  era  bella,  all'  ombra  mi  dormia. 

Dalla  gente  invidiata, 

Vers.  4.  Il  Fanf.  legge  col  laur:  Questo  fu  lo  malo  cristiano, 
ma  con  danno  della  misura  del  verso,  che  deve  essere  un  endecasil- 
labo, e  della  sentenza.  L'emenda  n' è  porta  da  esso  il  Boccaccio. 
—  2.  Che  mi  furò:  così  il  Bocc.  e  il  F.  Ma  il  verso  deve  essere  ot- 
tonario; e  la  correzione  è  necessaria  ed  ovvia.  Il  F.  poi  col  Cod. 
laur.  legge  la  resta,  il  testo  Mannelli,  la  grasta.  Né  l'uno  né  l'altro: 
il  proprio  vocabolo  è  grusca,  che  vale,  specialmente  nel  dialetto 
siciliano,  testo,  vaso  di  fiori.  Il  Mann,  non  fece  che  corromperlo  alcun 
poco,  se  pur  la  colpa  è  sua  e  non  degli  stampatori  del  4 76-1:  il  trascrit- 
tore toscano  del  laur.,  non  intendendolo,  mutò  nel  più  cognito,  ma 
in  questo  caso  improprissimo,  resta.  La  rima  di  grasta  con  podestà 
è  di  quelle  che  abbondano  nella  poesia  popolare.  —  3.  Forse  è  da 
leggere  selinuntano,  o,  anche  meglio  salernitano,  com'  ha  il  Bocc. 
nella  novella  —  8.  fa  villania:  Canz.  a  ballo.  —  9.  E  fa  grandissimo 
peccato:  C.  a  b.  Non  conviene,  come  dovrebbe,  nella  rima  col 
vers.  40  e  <2:  ma  è  difBcile  indovinare  una  correzione.  — 


)(  50  )( 

Fummi  furata,  —  e  davanti  alla  porla.  n 

Fummi  furata,  e  davanti  alla  porta. 

Dolorosa  ne  fu'  assai. 

Ed  io  la  meschinella  or  fosse  io  morta, 

Che  sì  cara  1'  accattai  ! 

È  pur  r  altr'  ier  eh'  i'  n'  ebbi  mala  scorta 

Dal  messer  cui  tanto  amai. 

Tutto  lo  'ntorniai  —  di  maggiorana,  21 

Tutto  lo  'ntorniai  di  maggiorana. 

Fu  di  maggio  lo  bel  mese. 

Tre  volte  lo  'nnaffìai  la  settimana. 

Che  son  dozi  volte  el  mese, 

D'un'  acqua  chiara  di  viva  fontana. 

Signor  mio ,  com'  ben  s'  apprese  ! 

Or  è  in  palese  —  che  mi  fu  raputo.  ag 

Or  è  in  palese  che  mi  fu  raputo. 

Non  lo  posso  più  celare. 

Sed  io  davanti  1'  avessi  saputo 

Che  mi  dovesse  incontrare, 

Davanti  all'  uscio  mi  sare'  iacinto 

Vers.  10-14.  Onci' io  la  meschinella,  Hor  eh' io  m' havia  Una  mia 
resta  ben  seminata,  Tanto  era  bella  che  all'  ombra  vi  si  stasiu,  E  tutto 
il  giorno  eh'  io  la  visitai,  Fummi  furata  davanti  alla  porta:  Cab.  — 
46.  Et  dolorosa  eh'  io  ne  fussi  assai:  Cab.  —  17-18.  Mancano  nelle 
Cab.  — 19.  Et  pur:  C.  a  b.  E  pur:  F.  una  mala  scorta:  C  a  b. 
1533.  una  maseorta:  C  a  b.  1568.  —  20.  Dal  mio  signor  che:  C.  a 
b.  —  21 .  Tutta  l'attorniai:  Cab.  —  23.  Et  fu  di  maggio  di  quel  bel 
mese:  C.  a  b.  —  24.  la  innaffiava:  Cab.  —  25-6.  Mancano  nella 
ezione  del  F.  Dodici:  Cab:  ma  il  v.  deve  essere  ottonario.  —  27. 
Si  vid'  io  come:  F.  0  signor  mio,  ciuanlo  ben  s.':  C  a  b.  Ma  il  v. 
deve  essere  ottonario.  —  28.  Or  è  in  paese  chi  me  V  ha:  C  ab.  — 
30.  Et  non  la  posso  ritrovare:  C  a  b.  —  31.  Tre  giorni  innanzi 
l' havess'  io:  Cab.  —  32.  Quello  che  me  doveva:  Cab.  —  33.  sa- 
ria: C  a  b.  dormita:  F.  Certo  che  questo  iaciuto.  quand'  è  una  donna 
che  parla,  imbroglia  un  po'  la  sintassi. 


)(  51  )( 

Per  la  mia  grasta  guardare. 

Potrebbemene  alare  —  sol  V  alto  Iddio .  35 

Potrcbbemene  alar  sol  1'  alto  Iddio, 

Se  fusse  suo  piacimento, 

Dell'  uomo  che  m'  è  slato  tanto  rio. 

Messo  m'ha  in  pene  e  'n  tormento; 

Che  m'  ha  furato  il  bassilico  mio 

Pieno  di  tanto  ulimenlo. 

Suo  ulimenlo  —  tutta  mi  sanava.  42 

Suo  ulimenlo  tutta  mi  sanava, 

Tant'  avea  freschi  gli  olori. 
*    E  la  mattina  quando  lo  'nnaffiava 

Alla  levala  del  sole, 

Tutta  la  gente  si  maravigliava: 

Onde  vien  cotanto  aulore? 

Ed  io  per  lo  suo  amore  —  morrò  di  doglia.     i9 
Ed  io  per  lo  suo  amor  morrò  di  doglia, 

Pr'  amor  della  grasta  mia. 

Fosse  chi  la  mi  rinsegnare  voglia, 

Volentier  la  raccatlria; 

Cent'  once  d'  oro  eh'  i'  ho  nella  fonda 


Vers.  34.  Sol  per:  Cab.  —  35.  aiutare  l'alto:  F.  Dio:  C.  a  b. 
—  37.  Se  egli  fussi  in  piacimento:  C.  ab.  —  39.  Che  m'  ha  messo  in 
pena  et  in  tormento:  C.  a  b.  —  41.  El  guai  pieno  era  d' ogni  alimento: 
C.  a'b.  Che  era  pieno  di:  F.  Ma  il  v.  deve  essere  ottonario.  —  42. 
Et  suoZalimento  lutto  il  cor  mi  sanava:  Cab.  tutto  mi:  F.  Ma  chi 
parla  è  femmina:  lo  stesso  è  da  dire  del  v.  seg. ,  che  abbiamo 
egualmente  corretto.  —  44.  Manca  nelle  Cab.—  45.  la  innaffiai: 
Cab.—  46.  Era  in  sulla  levata:  Cab.  —  48.  D'onde  venir  po- 
tessi tanto  odore:  Cab.  —  49.  amor:  F:  Ond'  io  . . .  moro:  Cab.  — 
o<.  Sol  per:  C.  a  b.  Per:  F. —  52.  rinsegnar:  F.  E  chi  mela  insegnassi 
hor  di  sua  voglia:  C  a  b.  -  53.  raccatteria:  F.  Farebbe  grande 
honore  e  cortesia:  C  a  b.  —  51.  Tre  once  d'oro  i'  ho  nelle  mie  fo- 
glie: Cab. 


'       )(52)( 
Volentier  gli  le  donria; 
E  doneria  —  gli  un  bascio  in  disianza.  §6 

Vers.  55.  doneria:  F.  Che  forse  forse  glene  doneria:  C.  a  b. — 
56.  E  doneriegli:  F.  E  doneregli  un  bacio:  Cab.—  Nelle  C.  a  b. 
leggesi  di  più; 

Et  sempre  alla  sua  vita  sarei  sua  manza 

Sol  per  amore  della  resta  mia. 
Chi  guasta  V  altrui  cose  fa  villania 

Et  fa  grandissimo  peccato. 

XXVIII. 

Dal  cod.  magliab.,  già  strozz.,  ci.  vii,  4040,  Var.,  cartac.  in  f., 
misceli,  di  varii  tempi  ma  non  posteriore  al  sec.  XV.  La  parte  che 
contiene  le  ballate  da  noi  edite  è  certamente  de'  primi  del  400,  se 
non  forse  degli  ultimi  del  sec.  preced.  Questa  ballata,  che  è  a  car- 
te 55  r.,  vi  ha  titolo  di  Ciciliana. 

Donna . 

Levati  dalla  porta: 

Lassa,  eh'  or  foss'  io  morta 

Lo  giorno  eh'  i'  t'  amai  !  3 

Levati  dalla  porta, 

Vàtten  alla  tua  via; 

Che  per  te  seria  morta, 

E  non  te  ne  encresceria. 

Parti,  valletto,  partiti     - 

Per  la  tua  cortesia: 

De,  vattene  ora  mai.  /<? 


Vers.  1.  Qui  come  al  4  il  cod.  legge:  Levati  dalla  mia  porta. 
Per  ridurre  i  due  versi  alla  misura  degli  altri  niun  dubbio  che  do- 
vesse eliminarsi  il  mia,  intruso  forse  nel  passaggio  di  bocca  in 
bocca  0  anche  dal  copista. 


)(  53  )( 

Amante . 

Madonna,  ste  paraulc 
Per  dio  non  me  le  dire. 
Sai  che  non  venni  a  casata 
Per  volermene  gire. 
Levati,  bella,  ed  aprimi, 
E  lasciami  trasire; 
Poi  me  comanderai.  47 

Donna . 

Se  me  donassi  Trapano, 
Palermo  con  Messina, 
La  mia  porta  non  t'  aprirò. 
Se  me  fessi  regina. 
Se  lo  sente  maritamo 
0  questa  ria  vicina. 
Morta  distrutta  m'  ài.  si 

Amante . 

Maritato  non  sentelo, 
Ch'  el  este  addormentato, 
E  le  vicine  dormeno: 
Primo  sonno  è  passato. 
Se  la  scurta  passassenci. 
Seria  stretto  e  ligato. 

Vers.  ii.  Madonna,  queste  parole:  C.  Ma  in  questa  maniera  di 
metro,  che  ricorda  il  verso  politico,  ove  il  primo  verso  di  ciascuna 
coppia  non  finisca  con  la  rima,  alla  rima  è  sostituito  lo  sdruc- 
ciolo: vedasi  in  Giulio  d'Alcamo,  in  Jacopone,  ec.  Ho  dunque  eliso 
il  queste  e  cambiato  parole  con  paraule,  conforme  leggesi  anche  in 
Ciullo.  —  2^  faciessi:  C.  —  25.  sentalo:  C. 


)(  54  )( 

Donna . 

E  tu  perchè  ci  stai?  31 

Amante . 

Che  la  scurta  passassence, 
0  vergine  Maria!, 
Tutti  a  pezzi  tagliassenci 
En  mezzo  della  via! 

Donna . 

Ma  non  dinanzi  a  càsama, 

Ch'  io  biasmata  seria. 

E  perchè  non  te  n'  vai?  38 

Vers.  32.  Forse:  Se  la  scurta. 

XXIX. 

-    Dal  cit.  cod.  strozz.  magliab.  carta  51.  v." 

Entrai  allo  giardino  delle  rose, 

E  non  le  colsi  per  là  mia  follia.  2 

Entrai  allo  giardino, 

Ov'  erano  le  rose  con  le  fiori 

E  aulente  il  gialsomino 

Gh'  a  tutta  la  contra'  rendia  splendori. 

Eo  non  ti  vegno  mino. 

Solo  eh'  uno  basciare  mi  perdoni: 

Che  ssa  boccuccia  tua  masculìata 

Vers.  6.  contrata. . .  splendore:  Cod.  Ma  la  rima  è  in  ori:  e  il 
dialetto  siciliano  porta  lu  splenduri.  —  7.  meno:  C.  —  8.  con  uno: 
C.  —  9.  Per  chessa:  C.  È  poi  forse  da  leggere  musculiata  in  vece 
di  masculiata,  come  porta  ciiiaramente  il  C. 


)(  55  )( 
Una  fiata  —  basciarla  volia.  fo 

Figliola  se'  de  garbi, 
Saggia  palerrìiilana  e  amorosella. 
E  morirò  per  tia, 
Quando  ti  vesti  la  verde  gonnella. 
Convencti  1'  anella. 

Stessima  alle  camari 

Entrami  ctia 

#» 

Vers.  42.  e  amorella:  C.  —  i6-i8.  Così  nel  C. 

XXX. 

Questi  versi  (  e  son  forse  una  reliquia  degli  antichi  strambotti  ) 
mi  furono  gentilmente  ceduti  dal  eh.  cav.  F.  Zambrini,  il  quale 
ne  avea  tratto  copia  da  un  cod.  in  fogl.  cari,  del  sec.  xvi,  intitolato 
Rime  antiche  di  diversi  autori,  che  sta  sotto  il  n."  33  nella  libreria 
di  S.  Salvatore  in  Bologna. 

Io  mi  vuo'  richiamare  a  tutta  gente 
De  le  pene  eh'  io  pato  e  lo  gran  torlo. 
Ch'  io  amo  una  pulzella  più  piacente 
Più  bella  assai  che  la  rosa  de  1'  orto, 
E  Servolo  tanto  gecchitamente  : 
E  quella  leva  gli  occhi  et  hammi  morto.        s 

Dice —  Non  ti  doler,  che  non  ti  duole, 
Che  di  me  non  ti  puoi  tu  blasmare; 
Che  tu  m'  avesti  a  tutto  il  tuo  volere, 
E  lasciastimi  per  merzè  chiamare. 

Vers.  7.  Non  accorda  per  rima  co'  segg.  Certo  è  scomposto:  e 
originariamente  l'ultima  parola  doveva  esser  dolere.  —  40.  per  mia 
merzè:  Cod.  Quel  mia  era  certamente  intruso.  E  forse  dovrebbe 
leggersi:  E  lasciastimi  pur  mersè  chiamare. 


)(  56  )( 
Or  che  mi  vuoli,  non  mi  puoi  avere. 
Quando  hai  il  tempo,  saccilo  pigliare.  42 

Ne  lo  tuo  cor  tu  ti  dovei  pensare, 
Monaca  né  romita  non  mi  dovea  fare.  4/ 

Vers.  44.  È  verso  a  uso  di  quelli  del  santissimo  e  veneratissimo 
sacramento:  ma  come  rimediarci? 

XXXI. 

Dal  cit.  cod.  strozz.  magliab.  È  antichissimo  esempio  dello 
strambotto  siciliano  che  rima  —  a  b,  a  b  —  per  serie  di  otto  e 
anche  più  versi.  Ma  qui  qualche  verso  è  perduto. 

Sonno  fu  che  me  ruppe,  donna  mia. 
En  quelle  parti  dov'  io  m'  arrivai 
Una  angioletta  in  sonno  me  dicia, 
■ —  Che  per  troppo  dormir  perduta  m'  ài. 


0  dormiglioso,  forte  addormentato 
Già  non  sia  amante  per  donna  acquistare. 
Sta  notte  mi  levai,  vennit'  a  lato. 
Credendomi  con  teco  solazare. 
Tu  eri  tanto  forte  adormentato 
Che  già  mai  non  te  potè'  esvegliare. 


46 


Vers.  2.  marivai:  Cod.  —  3.  dicea:  C.  —  4.  Il  C.  riattacca  su- 
bito con  0  dormiglioso.  Probabilmente  mancano  4  versi. —  44.  Il  C. 
riattacca  con  Geniti  madonna.  Ed  anche  qui  forse  mancano  2.  versi. 


)(  57  )( 
Gentil  madonna,  non  me  biasimate, 

Che  la  vostra  venuta  non  sapia. 

11  sonno  traditor  che  m'  à  ingannalo 

À  già  gabbato  più  saggio  de  mia. 

Non  me  lamento  tanto  dello  sonno, 

Quanto  faccio  de  voi,  patrona  mia, 

Che  n'  ci  venisti  a  1'  alba  dello  giorno 

Quando  lo  dolce  sonno  me  tenia.  u 

Sonno  fu  che  me  ruppe,  donna  mia. 

Vere.  <7.  La  sola  stanza  intiera  è  la  seg.  —  <8.  sapea:  C. 

XXXII. 

Dal  cod.  magliab.  strozz.  4040  ci.  vii  ove  questo  e  i  cinque  segg. 
stanno  a  e.  55  v."  copiati  tutti  di  seguito  e  come  un  solo  componi- 
mento, col  titolo  comune  di  Napolitana.  Questo  ch'io  stampo  primo, 
ma  che  nel  codice  sarebbe  nell'ordine  di  quarto,  ha  forma  di  stram- 
botto siciliano,  imperfetto  nella  seconda  stanza. 

Gìmene  al  letto  della  donna  mia. 
Stesi  la  mano  e  toccaile  lo  lato. 
Ella  si  risvegliò,  ch'ella  dormia: 

—  Onde  ci  entrasti,  o  cane  rinnegato? —        4 

—  Entraici  dalla  porla,  0  vita  mia; 
Priegoti  eh'  io  ti  sìa  raccomandalo.  — 

—  Or  poi  che  ci  se'  entrato,  fatto  sia. 
Spogliali  ignudo  e  corquamiti  a  lato  — .        s 

Poi  ch'avem  fatto  tutto  nostro  gioco. 
Tolsi  li  panni  e  voleami  vestire: 
Ed  ella  disse:  —  Stacci  un  altro  poco, 
Che  non  sai  i  giorni  che  ci  puoi  transire.      is 

Vers.  8.  Ispogliati:  Cod.  —  9.  avemo:  C.  —  ii.  gli  giorni:  C. 


)(  58  )( 
XXXIII. 

Onde  l'antecedente,  e  questo  è  nel  codice  il  quinto. 

Alegreze  se  ne  andò  alle  damigelle 
Che  tessono  la  seta  di  Sona: 
Non  anno  chi  riempia  le  cannelle  : 
0  dio,  com'  buon  discepolo  saria! 
Allor  gli  empèria  tanto  buone  e  belle, 
Ch'alia  maestra  buon  gli  parerla.  & 

Vers.  1.  Allegreze:  così  il  C—  3.  rempia:  C.  —  4.  chon  buono: 
C.  —  6.  buoni  gli:  C. 

XXXIV. 


Onde  i  due  anteced.  ed  è  nel  codice  il  primo. 

Valletto,  se  m'amate,  siate  saggio. 
Non  vi  fidate  in  nullo  compagnone; 
Tieni  celato  quel  che  ditto  l'aggio; 
Non  vi  vantate  della  mi'  persone: 
Che  se  '1  sapesson  gli  parenti  ch'aggio. 
Tu  sarie  morto  ed  io  scampana  none. 
S'  tu  fossi  morto,  saria  gran  dannaggio; 
S' io  fossi  morta,  saria  gran  ragione. 


8 


Vers.  3.  quello  che:  C.  —  5.  se  lo  sapesso:  C.  —  7.  se  tu  fossi 
morti:  C. 


ì{  51)  )( 

XXXV. 

Onde  i  tre  anteced.  ed  è  nel  codice  il  terzo. 

Brunella  eh'  ài  le  ruose  alle  mascelle, 
Le  labbra  dello  zucchero  rosalo; 
Garofolale  porli  le  mammelle, 
Che  ali  più  che  non  fa  lo  moscaio. 
Tu  se'  la  fiore;  s'io  n'amassi  mille 
Non  t'abandono  menlre  ch'aggio  il  fialo. 

XXXVI. 

Onde  i  quattro  anleced.  Questo  che  è  secondo  nel  codice  si  av- 
vicina nella  forma  al  rispetto  toscano. 

Non  mi  mandar  messaggi,  che  son  falsi; 
Non  mi  mandar  messaggi,  che  son  rei. 
Messaggio  sieno  gli  occhi  quando  gli  alsi. 
Messaggio  sieno  gli  occhi  tuoi  a'  miei. 
Riguardami  le  labbra  mie  rosse, 
Ch'aggio  marilo  che  non  le  conosce. 

Vers.  i.  me^ggi:  C.  e  così  sempre. 

XXXVII. 

Onde  i  cinque  anteced.  ed  è  nel  codice  il  sesto.    È  tutt'  intero 
il  rispetto  in  ottava  rima  del  quattrocento  e  de'  nostri  giorni. 

Più  che  lo  mele  ài  dolce  la  parola. 
Saggia  e  onesla,  nobile  e  insegnata. 


)(  00  )( 
Ài  le  bellezze  della  Camiola 
Isotta  la  bionda  e  Morgana  la  fata. 
Se  Biancifiori  ci  fossi  ancora, 
Delle  bellezze  la  giunta  è  passata. 
Sotto  le  ciglia  porti  cinque  cuose, 
Amore  e  foco  e  fiamma  e  giglio  e  rose. 

Vers.  3.  Si  legge  male  nel  codice  e  par  che  dica:  Alle  bellezze 
della  Camiola.  A  me  sembra  di  aver  giustamente  corretto,  salvo  a 
raccapezzar  chi  sia  quella  Camiola. 

XXXVIII. 

Dall'  amico  prof.  D'  Ancona  fu  rinvenuta  nel  voi.  x  della  Raccolta 
manoscritta  Biscioni  e  Moùcke  della  Bibiiot.  di  Lucca,  ove  ha  questa 
nota:  «Canzona  della  quale  fa  menzione  Giovanni  Boccaccio  nella 
novella  della  Belcolore;  la  quale  si  canta  ballando  e  scambiandosi 
del  ballo  tondo  da  un  luogo  all'  altro,  secondo  il  desio,  andando 
appresso  a  chi  più  gli  piace  ».  Il  Bocc.  [Decam.  Vili,  ii]  dice  della 
Belcolore:  «  Era  quella  che  meglio  sapeva  sonare  il  cembalo  e  can- 
tare L' acqua  corre  alla  borrana  e  menare  la  ridda  et  il  ballonchio  ». 
Da  ciò  e  dal  contesto  della  canzone  si  può  arguire  che  fosse  di 
quelle  che  coli'  accompagnamento  del  suono  regolavano  il  giro  del 
ballo,  massime  su  'I  punto  che  si  spartivano  e  barattavano  le  coppie 
dei  danzatori:  nello  spazio  punteggiato  del  vers.  7.  probabilmente 
doveva  andare  il  nome  proprio  del  compagno,  mobile  e  variabile 
secondo  1'  opportunità. 

L'  acqua  corre  alla  borrana, 
E  l'uva  è  già  vermiglia; 
E  '1  mio  amor  mi  vuol  gran  bene, 
E  datemi  quella  figlia. 
Questo  ballo  non  sta  bene, 
E  potrebbe  stare  meglio. 

Vers.  3.  amore:  Cod.   Ma  i  versi  sono  generalmente  ottonarii 
—  5.  none:  C. 


)(  61  )( 
E  tu,  .  .  .  compagno  mio, 
Vanne  a  lato  al  tuo  desio, 
E  quivi  ti  sta  fermo.  9 

Yers.  6.  star:  C.  —  9.  È  un  settenario  indocile  a  mostrarci  il 
vestigio  d'una  sillal)a  ipancante  per  ridurlo  alla  misura  generale. 

XXXIX. 

Su  '1  fine  della  Giorn.  V.  del  Decameron  si  legge:  =  A  Dioneo  fu 
comandalo  che  cantasse  una  canzone.  Il  quale  prestamente  comin- 
ciò: a  Monna  Aldruda,  levate  laicoda,  Che  buone  novelle  vi  reco.». 
Di  che  tutte  le  donne  cominciarono  a  ridere,  e  massimamente  la 
reina;  la  quale  gli  comandò  che  quella  lasciasse  e  dicéssene  un'  al- 
tra. Disse  Dioneo:  Madonna,  se  io  avessi  cembalo,  io  direi  «  Alza- 
tevi t  panni,  monna  Lapan  o  «Sotto  l'ulivello  è  l'erba»;  o  voleste 
voi  che  io  dicessi  «L'onda  del  mare  mi  fa  gran  male»:  ma  io  non 
ho  cembalo,  e  per  ciò  vedete  voi  qual  voi  volete  di  queste  altre. 
Pjacerebbevi  «  Escici  fuor,  che  sia  tagliato  Com'  un  maio  [  Maio 
leggo  con  l'Aldo  del  1322,  non  sapendo  qual  senso  ricavarmi  dalle 
stampe  che  hanno  mio]  in  su  la  campagna»?  Disse  la  reina;  No, 
dinne  un'altra.  Dunque,  disse  Dioneo,  dirò  io  «  Monna  Simona, 
imbotta,  imbotta  »?  e'  non  è  del  mese  d' ottobre.  La  reina  ridendo 
disse:  Deh  in  malora  dinne  una  bella,  se  tu  vuogli;  che  noi  non 
vogliam  cotesta.  Disse  Dioneo:  No,  madonna,  non  ve  ne  fate  male. 
Pur  qual  più  vi  piace?  io  ne  so  più  di  mille.  0  volete  «  Questo  mio 
nicchio  s' io  no  'l  picchio  »  o  «  Deh  fa  pian,  marito  mio  »  o  «  Io  mi 
comperai  un  gallo  delle  lire  cento»?  La  reina  allora  un  poco  tur- 
bata, quantunque  tutte  l' altre  ridessero,  disse:  Dioneo,  lascia  stare 
il  motteggiare,  e  dinne  una  bella;  e  se  non,  tu  potresti  provare 
come  io  mi  so  adirare  =.  Canzoni,  delle  quali  bastava  cantare  o 
dire  le  prime  parole  perchè  le  donne  intendessero  di  che  si  trat- 
tava e  ne  ridessero  o  se  ne  sdegnassero,  dovettero  certo  essere 
diffuse  tra  'I  popolo.  È  ancor  da  notare  che  parecchi  di  que'  prin- 
cipii  accennano,  come  avverte  nelle  sue  note  su  '1  Decam.  il  Rolli, 
a  ballate  rusticali;  di  che  dovremmo  recare  a'  tempi  del  Boccaccio 
le  origini  di  quella  poesia  che  poi  fece  un  genere  letterario  a  sé 
ne'  giorni  del  Medici  e  del  Pulci.  E  in  fatti  esempii  di  poesia  rusti- 
cale  nel  trecento  non  mancano,  come  vedremo  per  innanzi.  Del 
resto  anche  i  Deputati  su  'I  Decameron  annotano  [  LXXXVI  ]  :  «  Le 


)(  (32  )( 

canzonette  qui  tocche  da  Dioneo  son  di  quelle  che  a  que'  tempi  si 
cantavano  in  su  le  feste  e  veglie  a  ballo,  come  ancor  oggi  si  usa 
per  sollazzo:  e  se  ne  ritroverebbe  forse  qualcuna;  ma  non  porta  il 
pregio  ridurle  in  vita».  Oggigiorno  però  s'intende  quasi  da  tutti 
che  il  pregio  di  ridurle  in  vita  ci  sarebbe  almen  per  amore  della 
erudizione,  ma  il  male  è  che  delle  nove  citate  da  Dioneo  una  sola 
è  riuscito  a'  filologi  disseppellire,  quella  del  nicchio.  La  pubblicò 
di  sui  «manoscritti  di  storia  letteraria  del  Magliabechi  »  l'amico 
mio  Prof.  Isidoro  Del  Lungo  nella  Disp.  xlix  [^1864]  della  Scelta 
di  curiosità  letterarie  edita  in  Bologna  da  G.  Romagnoli.  E  il  xMa- 
gliabechi  l' avea  trascritta  da  qualche  antico  esemplare  oggi  ignoto  : 
quando  non  fosse  il  cod.  ricc.  Mi8,  scritto  fra  '1  finire  del  sec.'XIV 
e  '1  cominciare  del  XV,  ove  questa  canzonetta  sta  a  carte  92  r.  come 
mi  accennò  l'avv.  Bilancioni  di  queste  cose  bene  esperto  ;  se  non  che 
il  testo  riccard.  è  un  po'  differente  da  quel  del  Magliabechi.  Anche  il 
sig.  Antonio  Cappelli  nell'  appendice  alle  Lettere  di  Lorenzo  de'  Medici 
conservate  nell'  Archivio  palatino  di  Modena  da  lui  pubbl.  negli  Atti 
e  Memorie  delle  RR.  Deputazioni  di  storia  patria  per  le  provincie  mo- 
denesi e  parmensi  [Voi.  I,  Modena,  Vincenzi,  -1863;  p.  3-13]  aveva 
accennato  che  pur  un  cod.  antico  della  Palatina  di  Parma  segnato 
HH.  III.  443  portava  questa  canzone.  Ed  io  n'ebbi  la  copia  dalla 
cortesia  del  cav.  F.  Zambrini  a  cui  il  Cappelli  l'aveva  ceduta.  Es- 
sendo ben  diverse  e  nella  dizione  e  nel  numero  delle  stanze  e  nel 
metro  le  due  lezioni,  fiorentina  e  parmense,  io  le  riporto  ambe- 
due. La  redazione  fiorentina,  più  semplice  e  più  breve,  ha  per  me 
l'apparenza  della  maggiore  antichità:  ma  la  parmense,  contenuta 
in  un  codice  del  sec.  XV  ineun.,  ci  mostra  che  la  canzonetta  durò 
in  essere  ben  oltre  il  tempo  di  Dioneo.  E  il  crescere  questa  il  nu- 
mero delle  strofe  e  colle  strofe  il  numero  delle  sillabe  sino  a  pre- 
tendere talvolta  all'endecasillabo,  son  di  que'  vestigi  che  il  passaggio 
di  paese  in  paese  non  che  di  bocca  in  bocca  e  lo  scorrer  del  tempo 
lasciano  nella  poesia  veramente  popolare.  Perciò  non  ho  questa 
volta  voluto  rendere  alla  misura  metrica,  che  mi  sarebbe  stato  non 
difficile  affatto,  le  due  redazioni;  ma  le  dò  come  giacciono  nei  codd.; 
se  bene  ho  modificato  in  qualche  punto  la  lezione  del  Magliabechi 
con  la  riccardiana. 

1. 

Questo  mio  nicchio,  s' io  no  '1  picchio, 

Vers.  i.  nel  picchio:  Ricc. 


)(  63  )( 
L'  animo  mio  non  mi  lassa  slare.  s 

Questo  mio  nicchio  vorrebb'  uno, 
Molto  si  g!iarda  dal  digiuno, 
Per  lo  star  diventa  bruno: 

10  lo  'ntendo  adoperare.  e 
Questo  mio  nicchio  egli  è  si  fatto: 

E'  non  é  si  folle  e  matto, 
Che  chi  v'  entra  e  vói  far  patto 

11  pegno  vi  dee  lassare.  io 
Questo  mio  nicchio  egli  è  ritroso, 

Intorno  intorno  egli  è  piloso, 

Par  il  diavol  quand' è  cruccioso. 

Madre  mia,  non  indugiare.  /4 

De  le  minor  ci  é  di  noi 

Che  hanno  marito  e  figliuoi; 

E  io  lassa  guardo  i  buoi: 

Che  si  possin  scorlicai-e!  is 

Questo  mio  nicchio,  s'io  no  '1  picchio 

L'animo  mio  non  mi  lassa  stare.  20 

Vers.  2.  lascia:  Magliab.  —  4.  Et  molto:  R.  —  5.  J?  per  lo 
istar  doventa:  R.  —  7.  Questo  nicchio  gli:  M.  E  non  importa  che  la 
lez.  magliab.  aiuti  meglio  il  verso ,  che  la  ripetizione  del  sog- 
getto vuole  anche  la  ripetizione  delle  stesse  parole.  Del  resto,  can- 
tando., in 'questo  e  negli  altri  versi  di  consimil  principio  dovean  dire  : 
Sto  mio  nicchio.  —  8.  Che  non:  M.  o  matto:  R.  —  9.  fatto:  M.  — 
40.  Che  'l  pegno  vi  dea:  R.  —  H.  gli  è:  M.  —  -12.  peloso:  M.  — 
^5.  Delle  minori  ci  ha:  M.  —  <6.  figlioli:  R.:  C  hanno  marito  e 
hanno:  M. —  47.  Et  io  trista:  R. —  48.  possine  ;  M.  —  Col  testo 
riccard.  e  ammettendo  che  debba  leggersi  'Sto  mio  nicchio  in  prin- 
cipio delle  quattro  strofe,  ci  è  venuto  fatto  di  ridurre  a  buona  mi- 
sura alcuni  versi  che  nella  lez.  magliab.  vagavano  extra  flnes. 
Rimangono  eslegi  il  2"  4°,  42",  43".  Dei  quali  gli  ultimi  due  son  di 
facile  riduzione,  chi  legga  'Ntorno  ntomo  nel  42°  e  diaul  nel  43°:  del 
4°  il  baco  dev'esser  nel  molto,  e  forse  diceva  originalmente  E 
ovvero  Ben:  più  ostinato  a  rendersi  il  2°  chi  non  cacciasse  via  il 
mio  e  in  luogo  d'animo  ponesse  almo,  che  pur  trovasi  nelle  scritturo 
del  trecento  anche  di  prosa. 


)(  64  )( 

2. 

Questo  mio  nicchio,  s' io  non  me  '1  picchio, 

L'animo  mio  non  mi  lassa  stare.  s 

Questo  mio  nicchio  vorrebbesi  uno; 

Molto  si  turba  per  lo  digiuno; 

E  per  lo  stare  doventa  bruno: 

Vorrebbesi  adoperare.  e 

Questo  mio  nicchio  si  è  boscoso. 

Intorno  intorno  egli  è  piloso; 

Pare  un  diaulle  quand'  è  coruccioso  : 

Con  il  cotal  si  vorre'  azzuffare.  —  40 

Figlia  mia,  ora  ti  tace. 

Questo  tuo  nicchio  non  è  verace: 

Quando  fia  tempo  di  darvi  pace, 

Un  bel  mazzapicchio  ti  vuo'  comprare. —  a 
Madre  mea,  che  hai  tu  detto? 

Guata  corno  mi  cresce  il  petto. 

Questo  mio  nicchio  pare  un  pennecchio: 

Quanto  diaule  vuoi  tu  indugiare?  /s 

Assai  vi  sono  delle  mie  minori; 

Chi  ha  marito  e  chi  ha  lìglioi: 

E  io,  meschina,  guardo  i  buoi, 

Ch'  oggi  si  possano  scorticare  !  22 


XL 


D'  altra  canzona  sincrona  e  simigliante  a  questa'del  Nicchio  il 
Magliabechi  [1.  e]  riporta  i  primi  quattro  versi,  e  il  Del  Lungo  li 
die  a  stampa  nella  cit.  ediz. 

Madre,  che  pensi  tu  fare 
Che  marito  non  mi  dai? 


)(  «io  )( 
Credimi  In  sempre  mai 
Tener  in  questo  cianciare? 


XLI. 

Dal  cod.  palai,  parmense  HH.  iii.  <<3.  del  sec.  xv  ine.  L'ebbi 
dal  cav.  F.  Zambrini  a  cui  l'aveva  ceduta  il  eh.  Ani.  Cappelli. 
Segue  nel  codice  a, quella  del  Nicchio:  e  il  Cappelli  nella  citata 
append.  alle  Leti,  del  Magnifico  notava  la  relazione  che  è  tra  le 
due  canzoni:  «Come  questa  [del  Nicchio]  è  in  bocca  di  donna,  ha 
il  suo  riscontro  in  un'altra  in  bocca  d'uomo,  il  cui  principio  è 
Date  beccare  all'ugellino'».  Questa  relazione  e  la  vicinanza  nel  codice 
bastantemente  antico  e  la  maniera  poetica  ce  la  fa  ritenere  per 
composizione  del  sec.  XIV:  tale  è  anche  l'opinione  autorevole 
del  Cappelli. 

Date  beccare  all'  ugellino. . . , 

Donne  e  fanciulle,  per  1'  amor  di  Dio.  2 

Questo  ugellino  gli  é  tanto  bello, 
Ardito  e  forte  com' un  lioncello: 
Un  dipintor  no  'l  farebbe  più  bello, 
Com'  egli  ha  fatto  la  testa  e  '1  suo  crino.         e 

Quest'  ugellino  è  vago  dell'  ova, 
Vanne  cercando  quantunque  ne  trova: 
Quando  v'  è  dentro  non  par  che  si  mova, 
E  poi  se  n'  esce  un  cotal  pocolino.  io 

E  non  si  cura  là  onde  s'  attufia 

Per  che  li  sappi  di  feccia  0  di  muffa: 

Cacciasi  dentro  a  la  baruffa, 

Cacciasi  dentro  quel  buon  piccolino.  14 

Vers.  4.  Certo  è  difettoso:  forse  doveva  leggersi  all'ugellino 
mio.  —  <0.  cotal  piccolino:  Cod.  Ma  che  ci  entra  qui,  parlandosi 
dell'  ugellino,  un  cotal  piccolino?  E  poi  piccolino  è  in  rima  nel  verso 
<4.  —  43.  Difettoso,  ma  non  di  facile  emenda. 


)(  co  )( 

Chi  lo  vedesse  cosi  ben  armato 
Andare  a  la  giostra  quel  dileggiato  ; 
Dà  solo  un  colpo  ed  è  iscavalcato, 
Torna  piangendo  com'  un  fanciullino.  is 

Questo  ugellino  egli  è  costumato, 
Nanti  a  le  donne  non  tien  nulla  in  capo: 
Egli  sta  ritto  e  sta  iscapucciato, 
E  mai  non  cura  né  giel  né  scrino.  32 

Questo  ugellino  è  di  questa  conviglia; 
Egli  sta  ritto  com'  una  caviglia: 
Mona  Bernarda  per  man  se  lo  piglia, 
Gacciasel  dentro  com'  un  cacciolino.  26 

Vers.  il.  scavalcato:  C.  Coll'aggiuuto  dell'i,  che  gli  antichi 
usarono  spessissimo  innanzi  alla  s  impura  anche  se  la  parola  antece- 
dente non  finisse  per  consonante,  come  vedesi  al  v.  21,  è  provve- 
duto alla  misura  del  verso. 

XLII. 

Dalle  Canzone  a  hallo  del  4533  e  1568.  Il  cenno  della  partenza 
per  Avignone  mi  fa  credere  che  questa  canzone  appartenga  al  se- 
colo XIV,  quando  la  corte  romana  residente  in  quella  città  invi- 
tava gli  italiani  a  concorrervi.  Né  osta  che  in  fine  si  accenni  a  S. 
Maria  del  Fiore  non  anco  nel  sec.  xiv  compita;  perchèavevan  fin 
d'allora  cominciato  a  seppellirvi  i  cittadini  e  gli  uomini  illustri; 
p.  es.  l'Aguto,  nel  1396. 

[A  me  questa  ballata  sembra  un  accozzo  di  due  frammenti  mal 
riuniti  insieme.  L'uno  di  questi  frammenti  va  a  tutto  il  verso  18; 
l'altro  dal  verso  19  sino  alla  fine.  L'indole  dell'ultimo  frammento 
è  prettamente  popolare,  specialmente  per  quel  procedere  della  nar- 
razione per  via  di  dimande  e  risposte:  cosa  che  trovasi  nella  poesia 
di  quasi  tutti  i  popoli.  Ad  es:  in  spagnolo:  La  Marieta  es  morta - 
Deu  la  perdo.  -  Ahout  li  faran  V  ensolta?  -  Sota  'l  balco.  [Mila  y 
Fontanals,  Romancerillo  catalan  p.  400]  E  una  canzone  veneta:  In 
cao  de  nove  mesi  -   Marieta  fa  un  bambin.  -   Andove   lo   batiseo?  - 


)(  07  )( 

In  chiesa  a  San  Belin.  -  Cossa  ghe  metiu  il  nome?  -  Lorenzo  e  Ba~ 
tistin.  -  De  cossa  lo  vestiu?  -  De  verde  e  verdolin.  [Wolf,  yolkslied. 
aus.  Venet.  p.  28]  E  in  unu  canzone  veronese  [Righi,  Cant.  popol. 
veron.  29]  le  diniande  seguitano  ancora:  Cossa  ghe  insegna  a  fare?  - 
Sonar  el  violin,  ce]    A.  D'A. 

0  morie  dispielala, 

Tu  m' liai  l'atto  gran  torlo  :  i 

Tu  m'  hai  tolto  mia  donna 

Ch'  era  lo  riiio  conforto  4 

La  notte  con  lo  die 

Fin  air  alba  del  giorno.  e 

Già  mai  non  vidi  donna 

Di  cotanto  valore  s 

Quanto  era  la  Galrina 

Che  mi  donò  il  suo  amore.  /o 

La  mi  tenne  la  staffa, 

Et  io  montai  in  arcione:  /^ 

La  mi  porse  la  lancia, 

Et  io  imbracciai  la  targa:  n 

La  mi  porse  la  spada, 

La  mi  calzò  la  fronte,  le 

La  mi  mise  l'elmetto: 

Io  gli  parlai  d'  amore.  is 

Addio,  la  bella  sora; 

Ch'  io  me  ne  vo  a  Vignone  so 

E  da  Vignone  in  Francia 

Per  acquistare  onore.  22 

S' io  fo  colpo  di  lancia, 

Farò  per  vostro  amore:  sa 

S' io  moro  alla  battaglia, 

Vers.  9,  CatheriiKi:  ambedue  le  edd.  delle  Cab.—  19.  Addio, 
bella:  Cab.  <568. 


)(  68  )( 
Moro  per  vostr'  onore.  ss 

Diran  le  maritate 

—  Morto  è  il  nostro  amadore  — :         ss 
Diran  le  pulzellette 

—  Morto  è  per  nostro  amore  — :  so 
Diran  le  vedovelle 

— --Vuolscgli  fare  onore.  33 

Dove  il  sotterreremo? 

'N  Santa  Maria  del  fiore.  si 

Di  che  lo  copri rremo? 

Di  rose  e  di  viole.  — 

Vers.  3Ì-.  In  Santa:  ambedue  le  edd.  delle  C.  a  b.  —  35.  Copri- 
remo: Cab.  1368. 

XLIII. 

Dalle  Canzone  a  ballo,  ec.  del  4533  e  <568.  Già  l' amico  prof.  D'An- 
cona in  un  saggio  su  la  poesia  popolare  fiorentina  nel  secolo  xv 
stampato  nella  Rivista  Contemporanea  [voi.  xxx,  fase,  evi,  sett.  1862. 
Torino],  dopo  aver  detto  che  nelle  precitate  raccolte  di  canzoni  a 
ballo,  «  mischiate  alle  canzoni  le  quali  furono  evidentemente  dettate 
da  "quei  poeti  di  professione  che  tentavano  di  riprodurre  la  maniera 
popolare,  ve  ne  ha  alcune  le  quali  certo  debbono  essere  un  pro- 
dotto schietto  della  musa  del  popolo  e  possono  perciò  considerarsi 
come  i  modelli  a  cui  cotesti  poeti  si  attenevano»,  ne  adduceva  in 
prova  questa  cantilena:  «  clie  (aggiungea)  io  ritengo  esser  avanzo 
di  una  ballata  forse  più  antica  che  i  tempi  del  Magnifico,  ma  di  cui 
pel  presente  suo  stato  frammentario  mal  può  intendersi  il  senso  e 
gustare  il  valore  poetico.  Nonostante,  se  fosse  lecito  arguire  qual- 
che cosa  di  probabile  dalle  poche  e  misteriose  parole  di  questa  can- 
zone, ardirei  dire  che  mi  pare  scorgervi  un  riflesso,  una  memoria 
lontana  delle  maravigliose  tradizioni  sparse  per  entro  le  vecchie 
ballate  brettoni  ». 

Questi  accenti  interrotti  della  ballata  mi  ritornano  all'orecchio 
da  varie  parti,  come  per  un  eco  largamente  dilfuso  all'intorno.  Mi 
ricordano  anzi  tutto  la  ballata  brettone  del  nascimento  di    Merlino 


)(  09  )( 

i-ecata  dai  VillcmarqiK^  nel  suo  libro  sopra  Myrdhinn  ou  l'enchan- 
teur  Merlin  [Paris,  Didier,  <862,  pag.  ii-il]  la  qual  comincia:  Ecco 
tredici  mesi  e  tre  settimane  eh'  io  vi'  addormentai  nel  bosco.  Io  avevo 
sentilo  un  uccello  cantare.  E'  cantava  con  una  voce  fresca,  e  cantava 
con  una  voce  sì  dolce  ec.  Di  più  ricorda  la  canzone  francese  della 
lH.'lla  Alice  della  quale  sf  hanno  tante  varie  lezioni  del  principio, 
mancando  a  tutte  la  continuazione,  sicché  anch'essa  è  un  fram- 
mento. Una  lezione:  Main  se  leva  In  bien  (aite  Aelis  -  Bel  se  para 
et  plus  bel  se  vesti  -  Si  prist  de  l'aigue  en  un  dorè  bacin  -  Lava  sa 
bouche  et  ses  jex  et  san  vis  -  Si  s' en  entra  la  belo  en  un  jardin  - 
Un  altra  lezione:  Main  se  leva  la  bien  faite  Aelis-  Vous  ne  savez 
que  li  lonseignols  dist.  E  una  terza  che  ,si  trova  in  un  sermone 
sacro:  Bele  Alis  matin  leva  -  Sun  corz  vesti  e  para-  Ens  un  ver- 
ger s'en  entra  -  Cink  flurettes  i  truva  -  Un  chapelet  fet  en  a  -  De 
rose  flurie  Inoltre,  un  moderno  canto  popolare  di  Provenza 
recato  dall' Arbaud  [Ch.  pop.  de  la  Prov.  i.  Hi]:  La  bello  Margarido 
se  lev'  avanl  loujour  -  Nen  prend  sa  coulougneto  et  son  fuset  d'amour. 
-  Au  jardin  de  soun  pero  V  y  a'n  aubre  tout  en  flour  -  La  bello  Mar- 
garido l  y  vai  ploumar  dessous .  E  un  altro  che  trovasi  nella 
stessa  raccolta   [u.  <36]:  Par  un    dimenche  de  matin-   Ai  pres  les 

claus  de  moun  jardin  -  Pour  n'en  culhir  la  viouleto Quand  lou 

bouquet  es  istat  fach  -  Sabiou  nas  par  qu  lou  mandar  -  L'  y  agut  lou 
roussignocAi  sauvagi  -  Lou  messagicr  des  amourous  -  Per  iou  voues- 
tu  fair  un  messagi  -  A  ma  mia,  la  Blancnflour?  ec.  -  Nella  nostra 
ballata  l'uccello  parla,  ma  la  bella  non  l'intende:  chi  volesse  sapere 
cosa  e'  diceva,  oda  il  seguenle  rispetto  toscano:  Il  primo  giorno  di 
calen  di  Maggio-  Andai  nell'orto  per  cogliere  un  fiore-  Evi  trovai 
un  uccellin  selvaggio  -  Che  discorreva  di  cose  d'amore  -  0  uccellin 
che  vieni  di  Fiorenza-  Insegnami  l'amor  come  comincia  -  L'amor 
comincia  con  suoni  e  con  canti  -  E  poi  finisce  con  dolori  e  pianti  - 
L' amor  comincia  co»  canti  e  con  suoni  -  E  poi  finisce  con  pianto  e 
dolori-]    A.  D'  A. 

E  per  un  l)el  cantar  d'  un  merlo 

La  bella  non  può  dormire;  g 

E  quando  dorme  e  quando  vegghia 

E  quando  trae  di  gran  sospiri.  4 

E  la  si  leva  nuda  nudella 
Fuor  del  suo  letto  puli'  ;  $ 

Vcrs.  6.  pulito:  C.  a  b.  VjdS. 


)(  70  )( 
E  poi  ne  già  nel  suo  giardino 

Sotto  lo  suo  mandorlo  fiori';  g 

E  li  si  calza  e  lì  si  veste 

E  lì  aspetta  el  suo  dolze  amor  fi'.  io 

Venne  l'uccello  dello  buon  Selvaggio 

E  'n  su  la  spalla  se  gli  posò,  12 

Messegli  el  becco  dentro  all'  orecchio 

Sotto  li  suoi  biondi  capelli;  14 

Che  gli  parlava  del  suo  linguaggio, 

E  la  bella  non  lo  'ntendeva.  is 

Vers.  8.  fiorito:  C.  a  b.  -1568.  —  iO.  il  suo  dolce  amor  fino:  C. 
a  b.  4568.  —  'IS.  Et  sotto:  C.  a  b.  -loSS.  —  La  forma  metrica  di  que- 
sta canzone  deve  probabilmente  essere  la  stanza  di  due  versi , 
quinario  doppio  il  primo,  ottonario  tronco  il  secondo;  e  questo  solo 
in  rima  co'  suoi  eguali  per  una  certa  serie  di  stanze.  Su  questa 
ipotesi,  leggerei;  al  vers.  4,  bello;  2,  dormir;  4,  sospir;  8,  Sotto 'l 
suo  mandai  fiorì;  40,  el  suo  amor...,  o  pure  el  dolze  amor...;  H, 
del;  42,  spallagli;  44,  Sotto  i  suoi  biondi  cape';  46.  lo  'ntende'. 

XLIV. 

Dai  cod.  strozz.  magliab.  4040,  ci.  VII.,  e.  54  v. 


E  lo  mio  cor  s'inchina: 
Ohi,  merzè  v'  addimando. 

Ohi  me  .  . 
Ohi  merzè,  istella  fina! 
Ed  io  sì  mi  lamento: 
Ohi  bella,  —  vo  dicando. 

Così.'.  .  . 
Così  com'  io  mi  sento, 
E  di  dolor  penando: 

E  vi ...  . 


)(  71  )( 
E  vivo  in  gran  tormento. 
Ohi  me,  eh'  i  'moro  amando. 

Ohi  me  .  .  . 
Ohi  merzè,  istella  fina!  /4 

E  leale  a  tutt'  ore 

E  sempre  a  voi  son  stato, 

Come  .... 
Come  fino  amatore: 
E  ne  son  mal  merlato 

Da  .  .  .  ohi  .  . , 
Da  voi  gentil  fiore 
Che  m'  à  si  innamorato. 

Ohi  me  .  .  . 
Oi  merzè,  istella  fina!  2i 

El  giorno  che  gir  voglio. 
Gir  vo'  tutto  imperlato, 

Ohi,  da  .  . . 
Ohi,  davanti  da  quella 
Che  m'  à  si  innamorato. 

Or  gli .  .  . 
Or  gli  foss'  io  donato  !  / 

Ne  prenderla  peccato.  32 

Ohi  me  .  .  . 
Ohi  merzè,  istella  fina! 
E  lo  mio  cor  s' inchina.  ss 

Ecco  come  giace  nel  codice: 

Elio  mio  chor  sinchina  oi  inerze  vadimando 
Ome  oime  istella  fina 

Ed  io  simi  lamento  oi  bella  vo  dicbando  chosi  chosi  comio 
Mi  sento  e  di  dolor  penando  e  vi  e  vivo  in  gran  tormento 
Oime  olii  moro  amando  oime  oi  merze  stella  fina 


X  72  )( 

E  leale  a  tutte  ore  e  senpre  avoi  son  stato  chomc 
Come  fino  amatore  e  ne  son  mal  merlt  to  oi 
Da  oi  da  voi  gentil  fiore  che  ma  si  inamorato  oidie 
Oi  merze  istella  fina 

El  giorno  che  gir  volgilo  gir  vo  tutto  imperlato  oida 
Oi  davanti  da  quella  che  ma  sì  inamorato  orgli 
Fosse  io  donato  ne  prenderla  pechato  do  ide  oi 
Merze  istella  fina 

Elio  mio  cor  sinchina 

La  sola  possibile  riduzione  metrica  parmi  quella  da  me  tentata. 
Anche  nei  canti  del  popolo  d'oggigiorno  v'è  l'interruzione  non  so 
delle  parole  ma  delle  sillabe  e  la  loro  ripresa  fra  un  verso  e  l'altro. 


XLV. 

Ecco  dal  medesimo  cod.  un'  altra  varietà  della  stessa  canzone; 
la  quale  non  mi  è  riuscito  di  ridurre  a  metro  e  forma  affatto  rego- 
lare: forse  è  difettosa  di  alcuni  versi  dal  12  In  giù,  e  doveva'  ori- 
ginalmente comporsi  di  tre  stanze. 

E  lo  mio  cor  s' inchina. 

0  bella,  vo  dicando 

Così . . .  cosi . . .  così  com'  io  mi  sento, 

E  di  dolor  penando, 

E  vi..-,  e  vivo...  e  vivo  in  gran  tormento. 

Oimè  eh'  io  moro  amando  ! 

Oimè . . .  oimè . . .  oimè,  la  donna  mia  ! 

Oimè,  la  vita  mia!  8 

Pr'  amor  vo  sospirando 

Per  ti . . .  per  ti . . .  per  ti,  o  vita  mia, 

E  sempre  lamentando, 

Aimì . . .  aimi . . .  aimì  ! ,  e  la  morte  querando. 

Più  eh'  a  donna  che  sia 

Vers.  9.  Per:  Cod, 


(  73  )( 
A  li ...  a  li ...  a  li  mi  raccomando, 
Oimè  lasso,  pensando; 

E  di...  e  di...  e  dico,  o  perla  mia.  46 

E  lo  mio  cor  s'inchina. 

XLVI. 

Dal  cod.  strozz.  magliab.  1040,  ci.  vii,  c.  51  v.  Più  che  imita- 
zione, è  probabilmente  traduzione  per  intiero  dal  francese. 

Lo  gior'  eh'  io  non  vi  veggio,  m'  amiclla, 

Lo  gior'  eh'  io  non  vi  veggio  morlo  m'  ài.       3 

V  altra  sera  mi  dormia, 
E  mi  paria  ch'io  vi  senlia. 

Or  vo  vo,  m'  ami  ella! 
Lo  gior'  eh'  io  non  vi  veggio,  m'  amietta. 
Lo  gior'  ch'io  non  vi  veggio,  morto  m' ài.     7 

L'  altra  sera  eh'  io  sognava 
E  mi  paria  che  vi  basciava. 

Voi,  m'  amiella! 
Lo  gior'  eh'  io  non  vi  veggio,  m'  amietta. 
Lo  gior'  ch'io  non  vi  veggio,  morlo  m' ài.    /?' 

L'  altra  sera  mi  posava, 
Mi  paria  eh'  io  v'  abbracciava . 

Voi,  m' amietta! 
Lo  gior'  eh'  io  non  vi  veggio,  m'  amietta. 
Lo  gior'  ch'io  non  vi  veggio,  morto  m'ài.    ir 

Ecco  come  giace  il  testo  nel  cod.,  per  chi  credesse  poter  ridurlo 
ad  altra  forma  metrica: 

Lo  giorno  chi  novi  veggio  mamietta  lo  giorno  chio  no  vi  veggio 

.    morto  mai 

Lallra  sera  mi  dormia  e  mi  paria  chio  vi  sentia  or  vouo  mamietta 


)(  74  )( 

lo   giorno   chio   non    vi    veggio    mamietta    lo  giorno  chio  novi 

veggio  morto  mai  ' 

L'  altra  sera  chio  songniava  e  mi  paria  che  vi  basciava  voi  mamietta 

lo  giorno  chio  non  vi  veg..  mamietta  lo  giorno  chio  novi  vegio 

morto  mai 
Laltra  sera  mi  posava  e  mi  paria  chio  vabbracciau . .  voi  mamietta 

lo   giorno  chio   non   vi  veggio    mamietta   lo   giorno    chio    novi 

veggio  morto  mai. 


XLVII. 

Dal  cod.  strozz.  magliab.  -1040,  ci.  VII,  e.  52.  È  questo  forse  il 
più  antico  esempio  di  poesia  rusticale  che  si  conosca,  fatta,  s'in- 
tende, per  imitazione  burlesca;  un  dei  prototipi  di  Lorenzo  de'  Me- 
dici e  degli  infiniti  suoi  imitatori.  Anche  la  forma  metrica  tiene  assai 
dell'antico,  come  quella  che  è  incerta  tra  la  ballata,  o  meglio  can- 
tilena, e  lo  strambotto.  L'ordine  delle  rime  nella  stanza  par  che 
dovesse  essere  a,  b  b,  a  a,  b;  se  bene  quest'  ordine  è  turbato  nel- 
l'ultima stanza,  ed  anche  nella  seconda;  ma  qui  per  colpa  del 
copista. 

Gentil  madonna  sanza  alcun  tintume, 
De  che  non  gite  voi  disogolata? 
Che  mi  si  schianta  el  cor  e  la  curata 
Quel  di'  eh'  io  non  vi  veggio  un  poco  al  lume. 
Siete  più  netta  che  non  è  il  pattume 
E  rilucete  più  eh'  una  stagnata,  e 

Per  vostro  amore  i'  ò  già  logorato 
Ben  dieci  lire  eh'  i'  abbi  d'  un  bue. 
E,  se  volete  dir  quando  ciò  fue, 
Quel  dì  che  mi  desti  la  capellina  foderata: 

Vers.  3.  Vi  si:  Cod.  —  5.  Voi  siete:  C.  —  8.  d'uno:  C.  —  -10.  È 
verso  che  corre  come  un  barbero.  Ma  forse  fu  licenza  del  copista  e 
dee  leggersi:  Quel  di'  mi  desti  'l  cappel  foderato.  Con  ciò,  e  leggendo 
poi  portato  nel  verso  seguente,  si  restituirebbe  anche  l'ordine  delle 
rime. 


X  75  K 
E  per  voslr' amor  l'ò  tanto  portala 
Che  solo  un  pel  non  v'  è  riinaso  sue.  42 

Madonna  mia,  siete  tanto  dolriata 
Glie  la  metà  di  voi  non  è  il  confetto: 
E  tutta  quanta  siete  inciennamata. 
Innanzi  vi  vorrei  trovar  nel  letto 
Ch'aver  una  focaccia  ben  casciata 
0  de  vin  cotto  bene  un  pien  barletlo.  48 

Vers.  43,  voi  siete:  C.  —  -15.  Così  il  C. 

XLVIII. 

Dal  cod.  strozz.  magliab.  <040,  ci.  VII.  e.  52;  come  l'antece- 
denle,  con  la  quale  è  d'un  genere.  Nel  codice  è  intitolata  sonetto, 
ma  s'accosta  alla  forma  dello  stramboUo  0  del  rispetto. 

Amante  sono,  vaghicela,  di  voi; 

Quando  vi  veggio,  tutto  mi  divoro. 

Esco  del  campo,  quando  io  lavoro, 

E  come  pazzo  vo  gridando  oi  oi. 

Poi  corro  corro,  e  ò  digiunto  i  buoi; 

E  vo  pensando  di  voi,  che  non  lavoro. 

Voi  siete  pii'i  luciente  che  l'oro.  7 

E  siete  più  bella  eh'  un  fior  di  ginestra, 

E  siete  pii!i  dolce  che  no  è  '1  cerconcello. 

De  fatevi  un  poco  alla  finestra; 

Vers.  i.  Anche  sono:  Cod.  Ma  è  contro  il  senso  e  contro  la  mi- 
sura del  verso.  Facile  mi  parve  e  ragionevole  l'emenda. —  4.  gridan- 
do omei:  C.  Corressi  per  amor  della  rima  —  7.  Dopo  questo  verso 
il  copista  ne  aveva  comincialo  un  altro,  Ch'un  diamante,  lascian- 
dolo cosi  interrotto.  Segno  che  fosse  un  trascorso  della  fantasia  o 
un  errore  della  memoria.  E  in  fntti  anche  la  strofa  seguente  è  di  7 
versi  —  9.  non  è  il  :  C. 


)(  76  )( 
Ch'  io  vi  promotto  eh'  al  vostro  porcello 
Drò  delle  ghiande  una  piena  canestra, 
E  anche  vi  dico  che  al  -vostro  vitello 
Drò  della  paglia  una  piena  canestra.  a 

E  a  voi,  madonna  cotanto  dolciata, 
A^i  darò  un  ... .  cesto  d'insalata.  16 

Vars.  42.  darò:  C.  Su  quali  esempii  qui  e  al  v.  14  io  abbia 
stampato  per  amor  del  verso  Drò,  vedi  nel  glossario  —  15.  Invece 
di  questo  verso  nel  cod.  se  ne  leggeva  due:  E  a  voi  madonna  mea 
Che  siete  cotanta  dolciata.  Ma  questa  forma  poetica  non  ammette 
versi  minori,  e  il  secondo  di  que'  del  codice  non  si  sa  che  razza 
•di  verso  sia ,  e  v'  è  il  mea  senza  rima  corrispondente.  Cotesta  è 
dunque  per  me  una  scapestrataggine  dei  mal  copista,  uomo  non 
letterato  che  trascriveva  a  memoria  le  poesie  in  allora  cantate  e  di 
quando  in  quando  rifaceva  a  suo  senno. 

XLIX. 

Ecco,  dal  cod.  cart.  riccard.  11 18.  e.  92  v.°,  una  redazione  o  ri- 
composizione letteraria,  ma  pur  di  popolesca  eleganza,  de'  due  saggi 
precedenti.  Esempio  questo  che  è  stato  una  fortuna  ritrovare,  e  che 
può  chiarire  come  e  quanto  le  ballate  gli  strambotti  e  i  rispetti  della 
scuola  fiorentina  del  secolo  XIV  e  XV  si  foggiassero  su  rozzi  e 
popolari  prototipi.  E,  come  il  codice  da  cui  ho  tratta  la  presente 
ballata  contiene  tutte  cose  del  trecento  fuor  due  o  tre  e  come  que- 
sta vi  seguita  subito  al  Nicchio,  così  io  la  ritengo  per  composizione 
del  miglior  secolo,  però  su  '1  cadere. 

Fatevi  a  l'uscio,  madonna  dolciata; 

Che  v'  ho  recato  un  cesto  d' insalata.  2 

Io  v'  ho  recato  d' ogni  fin'  erbetta 

(Fatevi  a  l'uscio,  madonna  sovrana). 

Cicerchia,  invidia,  metaschio  e  rutetta; 

Menta,  fiorranza,  nepitella  e  borrana. 

Vers.  6.  E'  corre:  né  a  me  riesce  raffrenarlo.  — 


)(  77  )( 
Più  chiara  sete  ch'acqua  di  fonlaria 
E  riiucenle  più  che  una  stagnala.  « 

Séte  più  bella  che  'I  fior  de  ginestra, 
Più  dolce  ancor  che  '1  vin  del  bolticello. 
Darévi  volontieri  una  canestra 
Di  belle  glande  pel  vostro  porcello; 
Faròvi  un  fascio  d'  erba  pel  vitello, 
Et  òvi  a  far  un  di'  una  mattinata.  n 

L'altr'ier,  quand' io  vi  vidi,  donna  mia, 
Coir  altre  donne  alla  festa  a  danzare, 
Se  non  che  avete  troppa  compagnia, 
Un  pomeranzo  vi  volea  donare. 
Tutto  '1  commun  vi  stava  a  vagheggiare: 
Ognun  diceva  —  Ve'  bella  bracciata  — .  so 

Vanne,  ballata  mia,  bella  e  paziente, 
A  quella  rosa  colta  di  genaio. 
Più  che  l'aratol  chella  è  rilucente. 
Et  è  più  bianca  che  no  è  '1  mugnaio. 
Di  che  '1  suo  drudo  l'aspetta  al  pagliaio 
E  vorebbe  donarle  una  giuncata.  S6 

Fatevi  all'uscio,  madonna  dolciata; 
Ch'io  v'ho  recato  un  cesto  d'insalata,  ss 

2< .  E  paziente.  Forse  ha  da  dire  piacente. 


L  I  B  E  0     lY. 

BALLATE   E   MANDRIALI   DI  VARII  RIMATORI 

ILLUSTRI   E   LETTERATI 

DAL  4282  AL  1350. 


L. 

D'  Incerto. 

Autore  di  questa  ballata,  secondo  gli  edd,  dei  Sonetti  e  Canzone 
didiv.  aut.  ant.  tose.  [Giunta,  mdxxvii,  in  8."]  ove  sta  in  principio 
del  1.  II,  sarebbe  Dante  Alighieri.  Ma  il  Dionisi  [Anedd.  ii,  97]  non 
volle  riconoscerla  per  opera  legittima  dell'Alighieri.  Altri  I'  attribuì  ad 
Enzo  re  di  Sardegna;  e  G.  M.  Barbieri  [Orig.  poes.  rimat.,  Modena, 
<700,  pag.  77]  la  tiene  di  G.  Cavalcanti,  e  a  lui  si  accosta  il  Fraticelli 
[  Canzon.  di  D.  A.  Firenze,  Barbèra,  -ISoB,  pag.  234].  Ma,  che  che  ne 
paia  al  benemerito  illustratore  delle  opere  minori  di  Dante,  questa 
poesia  non  sente  dello  stile  di  Guido  né  trovasi  mai  ne'  testi  a  penna 
o  stampati  delle  rime  di  lui.  Io  do  ragione  al  Nannucci  il  quale  vi 
ravvisa  il  carattere  di  Dante  da  Maiano  [Manuale  ec.  ediz.  2.*  p.  278], 
sebbene  conchiude  poi  col  darla  anch'  egli  a  Guido,  per  la  sola  ra- 
gione che  primavera  è  qui  metaforicamente  salutata  l'amata  donna 
e  Primavera  chiamavano  per  sopranome  la  donna  di  Guido.  Tengo 
a  confronto  l'edizione  giuntina  col  Fraticelli  e  '1  Nannucci. 

Fresca  rosa  novella, 
Piacente  primavera, 
Per  prala  e  per  rivera 
Gaiamente  cantando, 

Vers.  3.  riviera:  F,  N. 


)(  70  )( 
Vostro  fin  presio  mando  alla  verdura.  s 

Lo  vostro  presio  fino 
In  gio'  si  rinnovelli 
Da  grandi  e  da  zitelli 
Per  ciascyno  cammino, 
E  canlinne  gli  auselli 
Ciascuno  in  suo  latino 
Da  sera  e  da  mattino 
Su  li  verdi  arbuscelli  : 
Tutto  lo  mondo  canti 
Po'  che  lo  tempo  vene^, 
SI  come  si  convene, 
Vostra  altezza  presiala; 
Che  sete  angelicata  —  criatura.  48 

Angelica  sembianza 
In  voi,  donna,  riposa: 
■Dio!  quanto  aventurosa 
Fu  la  mia  disianza. 
Vostra  cera  gioiosa, 
Poi  che  passa  e  avanza 
Natura  e  costumanza. 
Ben  è  mirabil  cosa. 
Fra  lor  le  donne  dea 
Vi  chiaman,  come  sete.     . 
Tanto  adorna  parete, 
Ch'io  non  saccio  contare; 
E  chi  poria  pensare  —  oltr'  a  natura?  sj 

Oltra  natura  umana 
Vostra  fina  piacenza 
Fece  Dio  per  essenza 

Vers  5.  pregio:  F,  N,— 6.  pregio:  F,  N.—  10.  augelli:  F,  N.  — 
24    ed:  F,  N.  —  28.  Siete:  F.  —   30.  noi:  F,  N.  —  31.  porrla:  ?,  N. 


)(  80  )(         - 
Che  voi  Ibste  sovrana. 
Perchè  vostra  parvenza 
Ver  me  non  sia  lontana, 
Or  non  mi  sia  villana 
La  dolce  provedenza.  ^ 

E,  se  vi  pare  oltraggio 
Ch'  ad  amarvi  sia  dato, 
Non  sia  da  voi  biasmato; 
Che  solo  Amor  mi  sforza, 
Contra  cui  non  vai  forza  —  né  misura.        44 

Vers.  35.  N,  seguitando  la  giiintina,  mette  punto  e  virgola  in 
fine  di  questo  verso.  —  39.  provvedenza:  F,  N  —  44.  Contro:  F,  N. 

LI. 

Guido  Cavalcanti. 

Fra  le  ballate  di  questo  poeta  scelgo  la  Pastorella,  come 
quella  che,  se  bene  imitata  di  su  le  pastorelle  provenzali,  par  che 
dovesse  esser  più  difTusa  e  cantata.  In  fatti,  un  di  que'  notari  bolo- 
gnesi che  trascrivevan  ballate  svi  memoriali  [ved.  lib.  iii,  xxi-xxvj, 
Antolino  Rolandino  de'  Tedaldi,  ricopiava  nel  memoriale  del  4300  13 
Pastorella;  o  meglio,  ricopiava  la  prima  stanza  e  lì  rimanevasi:  forse 
r  aveva  udita  cantare,  e  ne  trascrisse  quella  sola  parte  che  aveva 
a  mente:  e  dopo  riattaccava  col  primo  verso  d'una  canzonetta  di 
popolare  andatura:  «  Fuor  de  la  bella  caiba  »  [  v.  1.  iii,  xxv  ].  Per  la 
lezione  abbiam  tenuto  a  riscontro  i  Sonetti  e  Canzone  di  div.  aut.  tos. 
[Giunta,  1527]  ove  sta  al  1.  vi  e  le  Rime  di  G.  Cavalcanti  per  opera 
di  Ant.  decaparci  [Firenze,  Carli,  Ì8i3,  S°]  riviste  su'  vari  codici. 

In  un  boschetto  trovai  pastorella, 

Più  che  la  stella  bella  —  al  mio  parere. 

Vers.  2.  è  bella:  Codd.  laur.  xli  34,  xc  37. 


)(  8i  )( 

Capcgli  avea  biondetli  e  ricciutclli, 
E  gli  occhi  pìcn  d'amor,  cera  rosata: 
Con  sua  vergliotla  pasturava  agnelli, 
E  scalza  e  di  rugiada  era  bagnata: 
Cantava  come  fosse  innamorata. 
Era  adornata  —  di  tutto  piacere.  s 

D'amor  la  salutai  immanlenente, 
E  domandai  s'  avesse  compagnia  : 
Ed  ella  mi  rispuose  dolcemente 
Che  sola  sola  per  lo  bosco  già, 
E  disse  —  Sappi,  quando  1'  augel  pia, 
Allor  disia  —  lo  mio  cuor  drudo  avere.       li 

Poi  che  mi  disse  di  sua  condizione 
E  per  lo  bosco  augelli  udio  cantare, 
Fra  me  stesso  dicea  —  Ora  è  stagione 
Di  questa  pastorella  gioi'  pigliare. 
Mercè  le  chiesi,  sol  che  di  basciare 
E  d'  abbracciare  —  fosse  '1  suo  volere.         20 

Per  man  mi  prese  d'amorosa  vogHa, 
E  disse  che  donato  m' avea  '1  core; 
Menommi  sotto  una  frcschetta  foglia, 
Là  dov'  io  vidi  fior  d' ogni  colore; 
E  tanto  vi  sentio  gioi'  e  dolzore  ^ 

Che  dio  d'  amore  —  mi  parve  ivi  vedere.     ^^ 

Vers.  3.  E'  capegli  eran  biondi  e:  Laur.  xli  34.  —  5.  pastorava: 
ediz.  giunt.  —  8.  Ed  adornata:  Laur.  xli  34,  e  Magi.  40.  —  9.  im- 
mantinenle:  Nann.  ~  U.  rispose  prestamente:  Magi.  40.  — <2.  sola 
sol  per  lo  bosco  se  n' già:  Laur.  xli  20  e  34.  —  46.  E  pel  boschetto: 
Magi.  <<08.  ugei:  ed.  giunt.*-  48.  Il  mio  disio  con  sua  pace  piglia- 
re: Laur  XLI  34.  —  49.  baciare:  ed.  fior.  4813.  —  20.  Ed:  Nann. 
Ed  abbracciar,  se  fusse  l . .  :  Laur.  xm  34,  xc  37.  —  22.  Risponden- 
domi—I' t'ho  donato  l  core:  Magi.  4408.  —  25.  gioia:  Nann.  —  26. 
d'amor:  ed  fior.  4843,  e  Nann. 

6 


)(  82  )( 

LII. 

Dante  Alighieri. 

Fu  pubblicata  dall'ab.  Luigi  Fiacchi,  nel  fase,  xiv  degli  Opuscoli 
letterari  [  Firenze,  ISIS,  Stamp.  di  Borgo  Ognissanti,  in  8.°]  e  nella 
tiratura  a  parte  col  titolo  di  Scelta  di  rime  antiche,  di  sur  un  cod. 
cart.  in  f.  del  sec.  xvi  appartenuto  al  p.  Alessandri  della  Badia  fio- 
rentina.  La  ritrovò  in  altri  codici  il  prof.  Witte;  e  il  Fraticelli  la 
ristampò  nel  Canz.  di  D.  A.  [Firenze,  Barbèra,  4856,  in  8.°]  segui- 
tando la  lezione  del  filologo  tedesco.  Ho  eletto  questa  fra  le  ballate 
di  Dante,  come  la  più  facilmente  acconcia  a  intelligenza  e  musica 
popolare,  non  che  per  1'  accenno  del  penultimo  verso,  da  cui  rile- 
vasi che  anche  le  ballate  de'  dotti  ed  illustri  venivano  cantate. 

Per  una  ghirlandetta 

Gh'  io  vidi  mi  farà 

Sospirar  ogni  fiore.  3 

Vidi  a  voi,  donna,  portar  ghirlandetta 

A  par  di  fior  gentile, 

E  sovra  lei  vidi  volare  in  fretta 

Un  angiolel  d'  amore  tutto  umile  :    , 

E  'n  suo  cantar  sottile 

Dicea  —  Chi  mi  vedrà 

Lauderà  il  mio  signore.  —  ^o 

S' io  sarò  là  dove  un  fioretto  sia, 

Allor  fia  eh'  io  sospire. 

Dirò  —  La  bella  gentil  donna  mia 

Porta  in  testa  i  fioretti  del  mio  sire.  — 

Ma  per  crescer  desire 

La  mia  donna  verrà     , 

Coronata  da  Amore.  47 

Di  fior  le  parolette  mie  novelle 

Han  fatto  una  ballata  : 


)(  83  )( 
Da  lor  per  leggiadria  s' hanno  lolt' elle 
Una  veste  ch'altrui  non  fu  mai  data: 
Però  siete  pregata, 
Quand'  uom  la  canterà, 
Che  le  facciate  onore.  ^* 


Dopo  i  primi  tre  versi  il  cod.  Alessandri  edito  dal  Fiacchi  porla 
una  lezione  tutta  diversa  dalla  Wiltiana,  e  che  forse  attesta  l' im- 
mischiarsi che  fece  di  questa  ballata  la  musa  del  popolo.  Eccola: 

Vidi  a  voi,  donna  portare 

Ghirlandetta  di  fior  gentile 

E  sovra  lei  vidi  volare 

Angiolel  d' amore  umile. 

E  nel  suo  cantar  sottile 

Dicea  —  Chi  mi  vedrà 

Lauderà  il  mio  signore. 
S' io  sarò  là  dove  sia 

Fioretta  mia  bella  e  gentile, 

Allor  dirò  alla  donna  mia 

Che  porti  'n  testa  i  miei  suspiri: 

Ma  per  crescere  i  desiri 

Una  donna  ci  verrà 

Coronata  dall'  amore. 
Le  parole  mie  novelle 

Che  di  fior  fatto  han  ballata, 

Per  leggiadria  ci  han  tolt'elle 

Una  veste  ch'altrui  fu  data. 

Però  ne  siate  pregata, 

Qual  uom  la  canterà, 

Che  a  lui  facciate  onore. 

0  non  par  proprio   il  caso   del   fabbro    di  Porta   San  Piero,    che, 
battendo  ferro   su  la  'ncudine  cantava   il  Dante  come  si  canta  uno 


)(84)( 

cantare,  e  tramestava  i  versi  suoi  smozzicando  e  appiccando?  [Sac- 
chetti, nov.  cxiv]. 


LUI. 

M.  Gino  da  Pistoia. 

Di  questo  gentil  poeta,  non  però  insigne  nelle  ballate  come 
parecchi  suoi  coetanei  (  de'  quali^  molte  rime  avrei  dovuto  recare 
che  appartengono  a  questo  genere,  se  non  fossero  note  a'  moltissimi 
massimamente  pel  Manuale  del  Nannucci  ),  basti  per  saggio  la  se- 
guente ballatina  che  il  Trucchi  pubblicò  [  Poes.  ital.  ined.  I,  288  ] 
di  su '1  cod.  riccardiano  HiS,  ed  io  accolsi  già  in  Rime  di  Gino  e 
d'altri,  ed  ora  emendo  su  '1  detto  cod. 


Giovane  bella,  luce  del  mio  core, 

Perchè  mi  cali  l'amoroso  viso? 

Tu  sai  che  '1  dolce  riso 

E  gli  occhi  tuoi  mi  fan  sentire  amore. 
Sento  nel  core  tanto  di  dolcezza 

Quando  ti  son  davante, 

Ch'  io  veggio  quel  eh'  Amor  di  te  ragiona. 

Ma,  poi  che  privo  son  di  tua  bellezza 

E  de'  tuoi  be'  sembianti. 

Provo  dolor  che  mai  non  m'abbandona. 

Però  chiedendo  vo  la  tua  persona, 

Disioso  di  quella  chiara  luce 

Che  sempre  mi  conduce 

Fidel  soggetto  de  lo  tuo  splendore. 


u 


Vers.  L  Giovanne:  cod.  giovine:  T.  —  4.  toi:  cod..  ma  è  del 
copista  non  toscano  —  5.  tanta  dolcezza:  T.  —  5.  davante:  T.  — 
'12.  cara:  T,  —  U.  Fedel:  T. 


)(  85  )( 

MV. 
Ceccolino  I  de"  MicnELOTTi  I  DA  Perugia  . 

Fu  pubbl.  dal  Vincioli,  di  sur  un  manoscritto  in. 4.°  cho  conser- 
vavnsi  presso  G.  B.  Boccolini  maestro  di  i)elio  lettere  in  Foligno,  in 
Rime  di  Francesco  Coppetta  ed  altri  poeti  perugini,  scelte  con  alcune 
no(e  [Perugia,  Ciani,  MÌO,  in  8."].  Fu  riprodotta  in  Scelta  di  Sonetti 
e  Consoni  de'  più  eccellenti  rimatori  d'ogni  secolo,  parte  <.•  [Venezia, 
Baseggio,  4739,  in"<2].  Alcuni  versi  ne  furono  riportati,  con  emenda- 
zioni arbitrarie  e  non  sempre  ragionevoli,  dal  Perticari  ncW'Apolog. 
del  vulg,  eloq,  cap.  xxiv. 

Non  spero  mai  conforto 
Partito,  donna  mia,  da  voi  vedere; 
Che,  desioso  del  vostro  piacere 
Ch'ogni  beltade  inchiude,  vivo  morto.  4 

Tanto  di  voi  veder,  donna,  disio 
Che  morte  m'  è  la  vita 
Per  lo  greve  dolor  che  per  voi  provo. 
De  perchè  anzi  el  partir  non  morio, 
Poi  che  più  amara  trovo 
Lasso!,  ch'io  non  credei,  la  mia  finita? 
Nulla  pietà  m'  aita 
Ne  r  angoscioso  pianto  ov'  io  allago  : 
Che  ritornare  a  voi  di  cui  son  vago 
Speranza,  per  la  gran  pena,  non  porto.       u 

Vers.  t.  vivo  e  morto:  le  st.  a  scapito  del  senso  — .'}.  Tanto  voi 
vedere,  donna,  disio:  st.;  il  Perticari  correggo:  Tanto  di  veder  voi, 
donna,  è  il  disio—  6.  Il  Perticari  corr.  :  Che  la  morte  m'  è  vita.  0 
perchè?  —  7.  per  voi  porto  :  st.  Accetto  la  correzione  del  P. ,  per 
amore  della  rima  corrispondente  del  v.  9  —  8.  el  mio  partire  non 
moro  io:  st.  Il  P.  corr.  :,  Perdi' anzi  al  mio  partir  non  mi  mor  io.  , 
col  punto  fermo  in  fine.  —  9.  Poi  più  eh'  amara  :  st.  Il  P.  :  Perchè 
più—  40,  non  avrei:  le  st.  E  qui  il  P.  non  corregge:  e  si  che  il 
bisogno  v'era. —  44.  Il  P.  mette  il  segno  dell' interrogazione  infine 
a  questo  verso  e  non  no  reca  altri.  —  22.  alago  :  st. 


)(  86  )( 

LV.      , 

Sennuccio  del  Bene 


Queste  due  ballate  furono  pubbl.  in  Race,  di  Rime  ant.  dopo  là 
Bella  Mano  di  G.  de'  Conti  [Parigi,  Patisson,  4395,  in  42.°;  e  Firenze, 
Guiducci,  47-15,  in  42.";  e  Verona,  Tumermani,  4730,  in  8.",  e  4755 
in  4  °]  e  riprodotte  poi  nelle  raccolte  moderne  di  rime  antiche,  e 
ultimamente  in  Rime  di  Messer  Cino  da  Pistoia  e  d'altri  del  sec.  XIV 
[Firenze,  Barbèra,  4862,  in  46].  La  prima  è  riportata  ancora  in 
Scelta  di  Sonetti  e  Canzoni  de'  più  eccellenti  autori  d' ogni  secolo, 
parte  I  [  ed.  cit.];  e  la  seconda  in  Scelta  di  poesie  liriche  del  primo 
secolo  sino  al  1700  [  Firenze,  Le  Mounier,  4839,  in  8.°].  Per  ambe- 
due le  ballate  ho  tenuto  a  confronto  con  le  tre  prime  edizioni  della 
Bella  Mano,  il  cod.  7767  cart.  in  4. ".della  Bibiiot.  imperiale  di  Parigi 
del  sec.  xvi  Inc.  contenente  Rime  italiane  antiche. 

Amor,  cosi  leggiadra  giovinetta 
Già  mai  non  mise  fuoco  in  cor  d'amante, 
Con  cosi  bel  sembiante, 
Come  r  ha  messo  in  me  la  tua  Saetta.  ^ 

Vidila  andar  baldanzosa  e  secura 
Cantando  in  danza  bei  versi  d'amore 
E  sospirar  sovente; 
Talvolta  scolorar  la  sua  figura, 
Mosti^ando  nella  vista  come  il  core 
Era  d'  Amor  servente.  * 

Volgeva  gli  occhi  suoi  soavemente. 
Per  saper  se  pietà  di  lei  vedesse 
In  alcun  che  intendesse 
Nel  cantar  suo  come  l'avea  distretta.  '^^ 

Vers.  4.  a  me:  cod.  par.  tua  saetta:  le  st.  Io  comincio  questo 
nome  con  la  maiuscola,  perchè  Io  ritengo  per  proprio,  non  ritro- 
vando altrimenti  il  bandolo  della  sentenza,  —  44.  Volgea:  C.  p.  — 
44.  come  Amor  l'à  distretta:  C.  p. 


)(  87  )( 

LVl. 
Del  medesimo. 

Si  giovin  bella  e  soUil  furatrice, 
Comò  lu,  non  fu  mai, 
Pensando  come  e  che  furato  m'  hai.  ^ 

Del  mezzo  del  mio  cor  secreto  e  chiuso 
Ogni  potenzia  hai  tolta, 
Con  un  sol  d'occhi  aprendo  ogni  serraglia: 
Poi  v'  hai  lasciato  tanto  amor  rinchiuso, 
Che  sempre  5  te  mi  volta: 
Ora  ti  fuggi,  e  non  par  che  te  n'  caglia. 
Cosi  di  pianto  una  crudel  battaglia 
Dentro  schierata  v'  hai, 
Che  durerà  quantunque  tu  vorrai.  ^^ 

Io  ti  pur  seguo  quanto  più  mi  fuggi; 
Né  truovo  ov'  io  mi  volga 
A  tór  soccorso  col  quale  io  t'aggiunga, 
.    Se  non  al  pianto  con  che  tu  mi  struggi; 
Che  tanto  se  n'accolga 
Che  faccia  una  pietà  cfie  M  cor  ti  punga . 
Se  questo  fia  per  via  corta  o  lunga. 
Tu  sola  se'  che  '1  sai: 
Che  fia  di  me  ciò  che  tu  disporrai.  ** 

Mia  vita  e  morte  sta  nel  tuo  disporre; 
Et  io  parato  aspetto 
A  ciò  che  tu  farai  tenerlo  caro: 

Vers.  5.  potensa:  C.  p.  —  6.  d' occhio:  C.  p.  —  45.  io  ti  giunga: 
C.  p. —  48.  facci:  C.  p.  —  21.  Che  fia  di  me?  ediz.  fior,  ilio  e  st. 
mod.  —  23.  Ed:  ed.  fior.  47»5  e  ut.  mod.  — 


)(  88  )( 
Ma  ben  conosco  che  non  mi-  puoi  tórre 
L'amor  puro  e  perfetto, 
Che  il  sol  degli  occhi  in  mezzo  il  cor  lasciaro. 
Sia,  dopo  questo,  dolce  o  vuogli  amaro; 
Che,  ciò  che  disporrai. 
Pur  lo  dolce  disio  non  mi  torrai,  ^^ 

Gol  quale  io  spero  divenir  felice:  > 
Che  tu  pur  ti  avvedrai. 
Quando  che  sia,  del  torto  che  mi  fai.  ^^ 

Vers.  27.  Che  tuoi  begli  occhi:  C.  p. 

LVII. 

Francesgiiino  m  Taddeo  degli  Albizzi. 

Pubbl.  nel  lìb.  IX  di  Sonetti  e  Canzone  di  div.  aut.  ant.  tose. 
[Giunti,  ■1527  in  8.''],  e  nelle  ristampe.  Fu  riprodotta  dal  Crescimbeni 
nel  voi.  II.  p.  Il,  1.  Ili  dei  Comment.  alla  ist.  della  volg.  poes.;  nelle 
moderne  raccolte  di  rime  antiche,  e  ultimamente  in  Rime  di  Cina 
e  d'  altri.  L' ho  veduta  anche  in  qualche  testo  a  penna,  senza  trovar 
però  varietà  di  lezione  dalla  giuntina. 

Per  fuggir  riprensione 
Rifreno  il  mio  talento, 
Volendo  anzi  contento 
Far  r  altrui  torto  che  la  mia  ragione.  ^ 

Rifreno  il  mio  talento  di  mirare 
La  dolce  donna  mia, 
Perché  la  gente  mi  ne  ripigliava: 
Ma  in  verità,  per  quel  eh' a  me  ne  pare, 
Seguir  tal  signoria 

Alcuna  riprension  non  meritava:  ^ 

Anzi  m'imaginava, 


)(  89  )( 
Clic,  dove  io  son  biasmalo, 
Dovessi  esser  mirato 
Per  mia  grandezza  da  tutte  persone.  ^^ 

Ancor  mi  meraviglio  vie  più  molto 
Come  ogn'uom  che  la  vede 
Debita  riverenza  non  le  rende: 
Ma,  perché  l'ignoranza  fugge  il  volto 
Del  lume,  non  ha  fede, 
Né  veritate  in  lei  mai  no  risplende: 
Così,  chi  mi  riprende. 
Non  dubbio,  s'  occhi  avesse, 
'  Ched  ci  non  mi  ponesse 
Gran  pregio,  dove  dispregio  mi  pone.      *        -^ 

Grazia  ad  un  piccol  omo  è  riputata. 
Quando  un  signor  possente 
Gli  smonta  a  casa;  e  déne  loda  avere: 
Se  questa  bella  donna  é  dichinata 
A  venir  nella  mente, 
Di  ciò  mi  dee  ciascun  miglior  tenere: 
Ch'  almen  si  può  vedere 
Per  manifesto  segno, 
Ch'  ella  m'  ha  fatto  degno 
D'  esser  di  tanta  e  tal  donna  magione.  ^^ 

A  simiglianza  della  gran  vertute, 
La  qual,  perchè  si  degna 
D'alzar,  bassar  non  può  la  sua  grandezza. 
Dico  che  '1  venir  nella  servilute 
Di  donna  cosi  degna 
Non  è  pur  libertà  ma  somma  altezza: 

Vers.  i8.  La  Giunt.  e  'I  Creso,  pongono  virgola  alla  fine  di 
questo  verso,  e  del  lume  del  v.  seg.  Io  fan  reggere  da  non  ha  fede. 
—  27.  deve;  Cresc. 


)('90)( 
Che,  quand'  uom  si  disprezza 
Sotto  degno  signore, 
Allor  si  fa  maggiore 
Che  s'  e'  si  stime  in  più  vii  suggezionc. 

Fa'  che  tu  trovi  la  mia  donna  sola, 
E  con  gran  riverenza. 
Ballata,  a  lei  mi  raccomanderai: 
E  poi  nel  cor  le  metti  una  parola, 
E  pongliela  in  credenza. 
Sì  eh'  e'  miei  riprensor  no  '1  sappian  mai  : 
E  cosi  le  dirai  : 
—  Madonna,  certa  siate 
Che  nella  veritate 
No'l  cor  ma  gli  occhi  han  presa  eorreziine.- 


44 


54 


LVIII. 
Matteo  DI  Dino  Frescobaldi. 


Le  seguenti  ballate  di  Dino  Frescobaldi  furono  pubbl.  di  su '1 
cod.  nitigi.  40,  ci.  VII,  in  occasione  di  nozze  Pepoli-Hohenzollern 
[Firenze,  IMatti,  4844,  in  -12.°],  eccetto  la  lxvii  che  venne  a  stampa 
nella  Miscellanea  di  cose  ined.  o  rare  race,  e  puhbl.  da  F.  Coraz- 
zini  [Firenze,  Baracchi;  -1853,  in  8°].  La  lviii,  lix,  lx,  lxi,  lxii, 
Lxiii,  Lxiv,  Lxviii,  Lxix,  furouo  riprodotte  anche  nelle  Rime  di  Gino 
e  d'altri.  Nella  presente  ristampa  fu  tenuto  a  confronto  il  codice. 

Giovinetta,  tu  sai 
Cir  i'  son  tuo  servidore. 
Merzé  del  mio  dolore 
Che  mi  consuma,  e  non  ho  posa  mai  !  _  "* 

Tu  mi  consumi  e  struggi,  giovinetta, 
Veggendoti  si  fiera  e  dispiatata; 
E  non  mostri  che  sia  d'  amor  costretta 


)(  JH  )( 
Ne  che  di  lui  già  mai  fussi  'nfìammala. 
Dell!  pensa  una  fiata 
Al  mio  gravoso  affanno 
Kd  a'  sospir  che  vanno 
Mercè  chiamarti  con  dogliosi  guai.  '^ 

Leggiadra  se',  vezzosa,  conta  e  bella 
E  di  virtù  fiorita: 
Tu  se'  colei  per  cui  ogni  donzella 
Si  vede  adorna  e  'n  costumi  nodrila. 
Se  'n  verso  la  mia  vita 
Ti  movessi  a  piatanza, 

Are'  lede  e  costanza  • 

Di  non  morir,  come  m'  ucciderai.  ^^ 

Quando  riguardo  nel  tuo  dolce  viso 
Dove  si  specchia  mie'  figura  ispenta, 
E  fuggi  da  finestra  non  con  riso 
Ma  con  sembianza  eh' è  di  sdegno  tinta; 
Allora  è  morta  e  vinta 
La  vita  mia  crudele  : 
Più  è  amara  che  fele 
La  dolorosa  pena  che  mi  dai.  -•*^ 

Merzè  merzè  merzè  del  mio  tormento! 
Merzè,  eh'  i'  moro  per  servire  a  fede  ! 
Merzè  li  mova  del  dolor  eh'  i'  sento; 
•Mercé  di  quel  che  pére  e  mercè  chiede J 
Merzè,  per  Dio,  concede. 
Giovane,  e  non  sia  fera! 
Come  se'  più  che  fera! 
Mercè  mercè  del  cor  eh'  i'  ti  donai  !  ^^ 

Vers.  24.  che  disdegnosa  tinta:  Cod-  Mi  è  parso  do\er  accet- 
tare la  correzione  delle  st.;  a  qualcuno  però  potrehlie  piacere:  con 
sembianza  disdegnosa  e  tinta.  —  27.  Piti  amara:  il  cod,  e  l'ediz.  P. 
Mi  è  parso  necessario  aggiungere  il  verbo. 


)(  02  )( 

LIX. 

Del   medesimo  . 

Deh  cantate  con  canto  di  dolcezza; 
Ch'egli  è  tornato  el  fior  d'ogni  allegrezza.        ^ 

La  donna  eh'  è  d' ogni  biltà  fontana 
È  tornata  per  dar  pace  e  salute 
A  chi  la  guarda  non  con  mente  vana 
Ma  con  amor  fiorito  di  vertute: 
•Però  che  '1  suo  valore  e  sua  altezza 
Risprende  solo  ovunque  è  gentilezza.  * 

Dunque  si  può  e'  dir  che  sia  beato 
Nella  corte  d'Amor  più  ch'altro  amante 
Chi  di  tanta  biltà  è  infiammato 
0  chi  nella  sua  fé  servo  è  costante: 

Che  per  servir  si  rompe  ogni  durezza  IH 

E  sormontasi  in  pregio  e  in  grandezza.  ^4  1 

Vers.  2.  il  fior:  st.  —8.  Risplende:  st.  —ti.  Chedditanta:  cod. 

LX. 

Del   medesimo  . 

Tant'  è  la  nobiltà  eh'  ogn'  or  si  vede 
Nel  vostro  dolce  aspetto, 
Che  stando  di  voi  servo  m'  è  diletto.  ^ 

Come  dall'alto  sol  lume  discende 
E  dona  suo'  virtute 
Ad  ogni  creatura  nel  suo  stalo; 


11 


)(  i^3  )( 
Cosi  da  voi  ciascuna  donna  prende 
Ogni  cara  salute 

Con  adorno  piater  d'amor  creato: 
Dunque  el  disio,  che  m'  ha  cosi  infiammato 
El  cor  per  voi  costretto, 
Sonnonta  ciascun  altro  ben  perfetto.  ^^ 

LXI. 

Del   medesimo  .  Ì^ 

Clii  vuol  veder  visibilmente  Amore 
Guardi  colei  che  m'  ha  rubato  el  core.  ^ 

Negli  occhi  suoi  dimora  e  fa  soggiorno 
E  tiene  un  arco  in  man,  coéche  e  saetta; 
Non  ferisce  ogni  uom  che  gli  è  d'intorno 
Né  chi  d' innamorarne  si  diletta. 
Ma  sol  colui  che  vede  e  ha  valore 
E  costanza  di  starle  servidore.  * 

LXII. 
Del  medesimo. 

Si  mi  consuma,  donna,  quand'  i'  sento 
La  scura  dipartenza 
Che  de'  far  vostra  essenza, 
Ch'  ogni  altro  mio  dolor  m'  è  dolce  vita.  * 

Però  pensate  quanto  sia  el  tormento 
Che  sostener  mi  converrà,  oh  lasso!. 
Quando  lontan  dagli  occhi  miei  sarete; 

Vers.  7.  lontana  dagli:  cod.:  lontana  agli:  st. 


)(  94  )( 
Ch'  i'  sento  già  ogni  valore  ispento 
Dentro  nel  cor,  che  m'  ha  condotto  a  passo 
Che  sola  voi  difender  mi  pónete: 
Dunque,  merzè,  pella  virtù  ch'avete! 
Non  vogliate  eh'  i'  mora 
Od  io  consumi  ad  ora! 
Ched  io  non  veggia  la  mortai  partita!  '^^ 

LXIII. 

Del  medesimo. 

Non  mi  conforta  lo  sperar  tornare 
Ch'  i'  faccio  immaginando  : 
Mi  veggio  allung'iando 
Da  voi,  madonna,  in  parte  sì  stranerà.  ^ 

E  'n  si  stranerà  parte,  lasso,  veggio 
Diviar  mie'  viaggio. 

Che  ritornar  a  voi  non  saccio  quando. 
Ond'  io  tormento  sì,  che  spesso  chieggio 
Morte  nel  mio  coraggio: 
Sì  mi  consuman  gli  sospir  eh'  i'  spando 
Ciascun' ora,  membrando  el  vostro  viso 
Ch'  un  paradiso  chiamo. 
0  gentil  donna  ch'amo. 
Da  voi  mie'  vita  lontan  si  dispera.  ^^ 

Vers.  6.  Diviare:  ediz.  P. 


■^1 


X  05  )( 

LXIV. 

Del  MtutsiMn . 

Donne  leg^giadre  e  giovani  donzelle, 
Deh!,  per  Io  vostro  onore, 
Per  me  pregate  a  cui  son  servidore.  ^ 

Egli  è  una  tra  voi 
Con  sì  vaga  bellezza 
Che  face  amante  ciascun  che  la  mira: 
Perchè  dagli  occhi  suoi 
Si  move  una  chiarezza 
Che  dà  conforto  a  chi  per  lei  sospira; 
E,  quando  i  begli  occhi  in  vèr  me  gira, 
Sento  lo  gran  valore 
Che  per  grazia  mi  fa  sentire  Amore.  ^^ 

Nel  suo  vago  cospetto 
Verace  Amor  dimora. 
Lo  quale  è  pien  di  grazie  e  di  merzede; 
Ond'  ha  gioie  e  diletto 
Ciaschedun  che  l'onora, 
Perch'  altro  dal  suo  viso  non  procede. 
Oneste  e  vaghe,  questa  con  voi  siede, 
Da  cui  sento  lutt'ore 
La  chiara  luce  del  suo  sprendore.  ^' 

Se  questa  mia  preghiera 
Da  voi  sarà  accettata. 
D'ogni  salute  averà  el  mio  cor  manto; 
Che  l'anima  ne  spera 

d 
Vers.  a.  suo  {splendore:  si. 


)(  96  )( 
Per  lei  esser  beala; 
Ond'  io  vi  mando  questo  nuovo  canto; 
E,  se  le  degna  d'ascoltare  alquanto, 
Dice  che  lo  mie'  core 
Sarà  sempre  lontan  d'ogni  dolore. 


30 


LXV. 

Del  medesimo 

L' amante . 


Donna,  dove  dimora 
In  voi  la  sconoscenza? 
Poi  di  senno  e  piacenza 
Siete  più  piena  che  viva  fontana. 

Donna,  i'  son  dimorato 
Vostro  lontan  servente 
Sanz'  alcun  guidardone  ; 
Né  per  ciò  meritato 
Sol  d'un  guardar  piacente 
Per  nessuna  istagiofie. 
Donque,  fuor  di  ragione, 
Donna,  voi  mi  tenete: 
El  gran  saver  eh'  avete, 
La  vostra  cortesia  a  me  è  villana. 

Donna,  merzè,  merzede 
Di  me,  poiché  davante 
Vi  sono  inginocchiato. 
So  ben,  vostro  cor  vede. 
Se  non  é  ver  diamante, 
Forte  crudel  peccato. 


1 


u 


)(  97  )( 
Po'  eh'  i'  sono  arrivalo, 
Donna,  in  vostra  amagione, 
Sanz'  alcun  guiderdone 
Non  fo  partenza,  chiara  stella  diana.  ^< 

La  donna. 

Sire,  lo  tuo  savere 
Mi  ha  messo  in  erranza, 
Né  perciò  dismagata 
Del  tuo  lontan  servire 
C  ha  fatto  dimostranza. 
Follia  tien  tuo'  brigata. 
Po'  eh'  i'  son  maritata 
Parti  d'està  novella: 
Mentre  eh'  i'  fu'  pulzella, 
Sai,  di  tua  innamoranza  ben  fu'  vana.  54 

Vers.  22.  II  C.  ha  chiaramente ^magfione.  —  26.  M'  ha:  cod.  e  st. 
Ledendo  Mi  aggiusto  il  verso.  —  27.  dismagato:  st. 

LXVI. 
Del  medesimo.    . 

Quanto  più  fiso  miro 

Le  bellezze  che  fan  piacer  costei, 

Amor  tanto  per  lei 

M' induce  più  di  soverchio  martiro.  -* 

Parmi  vedere  in  lei,  quando  la  guardo, 

Tutt'or  nuova  bellezza 

Che  porge  agli  occhi  miei  nuovo  piacere. 

7 


)(  98  X 
Allor  mi  giugne  Amor  con  un  suo  dardo, 
E  con  tanta  dolcezza 
Mi  fere  il  por,  che  non  si  può  tenere 
Che  de'  colpi  non  gridi. 
E  dice  —  Occhi,  per  vostro  mirare 
Mi  veggio  tormentare, 
Tanto'  eh'  i'  sento  l' ultimo  sospiro.  ** 

LXVII. 

Del  medesimo. 


Sed  io  credessi  che  virtù  in  donna 

Fosse  0  conoscimento, 

Se  m'uccidessi.  Amor,  sarei  contento. 
Ma,  perch'  i'  veggio  che  ragion  non  sente 

Il  lor  basso  intelletto, 

Contr'a  voler,  signor,  tuo  servo  sono. 

E,  quando,  lasso!,  meco  ne  ragiono 

Com'è  vile  il  diletto 

Che  libertà  m'  ha  tolto  della  mente, 

Prendo  vergogna;  poi  non  son  possente 

Di  rimuover  talento.  ^ 

Cosi  legato  in  tuo'  forza  mi  sento  ! 


LXVIII. 

Del  medesimo. 

Deh,  confortate  gli  occhi  miei  dolenti 
Che  di  lagrime  fecion  lago  e  fiume, 
Poi  che  dal  chiaro  lume 


42 


)(  in*  n 

Lontan  mi  Irovo  vivere  in  loninmi.  4 

Non  è  gioia  ch'i'  prenda  né  dìletlo, 
Nù  mai  sentirò  posa, 
S' i'  non  riveggo  a  cui  donato  ho  'l  core: 
K  quando  miro  alcun  nohilc  aspetto 
Di  donna  alta  e  vezzosa, 
Allor  più  mi  combatte  e  strugge  amore; 
Memhrandomi  di  quel  sommo  valore 
Del  (|ual  i'  son  suggetlo  e  fedel  servo, 
11  cui  onor  conservo, 
E  per  cui  provo  sì  dolor  cocenti.  ^< 

LXIX. 

Del   medesimo. 

Vostra  gentil  melizia, 

Signori  Fiorentini, 

Vi  darà  vera  laude, 

Seguendo  sanza  fraude 

Ciò  che  'n  questa  ballata  vi  s'indizia.  ^ 

Fiorentin  saggi,  sia  vostro  disio, 

Con  grande  istudio  e  con  isperienza. 

Di  viver  sempre  nel  Iremor  d'Iddio, 

Perch'  é  prencipio  della  sapienza  : 

Poscia,  con  gran  valenza, 

Discrezion  eh' è  d'ogni  virtù  madre 

Con  suo'  figlie  leggiadre 

Seguendo,  crescerà  vostra  grandizia.  ^3 

Prudenza  fate  che  sia  vostra  guida. 

Che  con  tre  occhi  tre  tempi  governa. 

Qucst'é  virtù  che  chi  con  lei  s'afiìda 


)(  100  )( 

Convicn  che  sempre  lo  miglior  discerna, 

E  della  fama  eterna 

Risplcnda  con  onor,  miglior  tesoro. 

Gemme  argìento  ed  oro 

Prudenza  passa,  e  vince  ogni  delizia.  21 

Giustizia  eh' a  ciascuno  el  suo  diritto 

Rende,  eh' è  volontà  perpetuale, 

E  per  lei  si  punisce  ogni  delitto. 

Signor,  seguite;  che  per  lei  si  sale. 

Fiorentin,  cui  ne  cale 

Sarà  in  memoria  eterna,  com'è  giusto: 

Dunque,  sievi  nel  gusto; 

Però  che  questa  ispegne  ogni  malizia.  ^^ 

Temperanza,  la  qual  fugge  ogni  troppo. 

Che  tiene  in  mano  el  fren  della  misura, 

Fate,  signor,  che  sia  del  vostro  groppo, 

E  'n  voi  si  vegga  suo'  bella  figura; 

Che  questa  ancella  pura 

Disegna  gli  suo'  servi  temperati 

Nel  regno  de'  beati. 

Nel  qual  possiede  ogni  uom  somma  letizia.  ■^^ 
Fortezza,  che  1'  uom  fa  sicuro  e  franco 

Sì  che  non  smaga  neh' avversitate 

E  nel  periglio  non  si  truova  manco, 

Perchè  s'accosta  a  magnanimitate, 

Signori,  or  l'abbracciate; 

Che  fortezza  1-  uom,  rende  valoroso 

Forte  e  vittorioso. 

Sempre  a'  nemici  suoi  dando  trestizia.  *^ 

Queste  virtù  che  son  le  cardinali, 

Vers.  29.  questo:  st.  —  45.  tristizia  :  si.  — 


)(  iOI  )( 
Con  ciasrun' allra  din   ila  lor  diriva. 
Chi  le  abbandona,  alli  brulli  animali 
Simil  si  face  e  da  gloria  si  priva. 
Cosi  convien  che  viva 
Per  lo  contrario  nelT  eternai  luce 
Chi  con  lor  si  conduce, 

E  pien  di  somma  allegrezza  e  benizia.  ^^ 

Ballata  nova,  i  Fiorentin  novelli. 

Per  cui  onore  t'ho  ritratta  in  forma, 

Priega  che  guardin  quel  che  tu  favelli. 

Sì  che  adornin  lor  vita  di  tua  norma. 

Fuggendo  quella  torma 

Che  virtù  ischifi  e  viva  in  gran  dispregio, 

Per  acquistar  buon  pregio: 

Che  la  verace  fama  ciascun  sazia.  '»' 

Vcrs.'  49.  face  addagrolia:  cod.  —  53.  e  di  leuizia:  cod .  Il  di 
v'è  soverchio.  L' ed.  P.  pensa  che  dovrebbe  correggersi;  e  divista. 
Può  anche  darsi.  —  61.  «  La  rima  vorrel)be  sizia,  che  poirebite 
senza  troppo  difTicoItà  interpretarsi  per  asseta  o  fa  sitibondo  di  sé. 
Ma,  siccome  T  aut.  si  serve  non  rade  volle  delle  semplici  a-ssonanze 
(come  può  vedersi  anche  in  altre  poesie  inedite  del  medesimo), 
siamo  stati  qui  pure  fedeli  al  nostro  testo,  il  quale  ha  chiaramente 
sasia  ».  Ed.  P. 

LXX. 
Francesco  Petrarc.\. 

Fra  le  ballate  e  i  mandriali  del  gran  lirico,  eleggiamo  le  loon 
conosciute,  quelle  cioè  non  comprese  nel  canzoniere.  Cominciando 
da  questa  prima  ballata,  ella  è  nella  giunlina  del  4522  dopo  i  Trionfi 
tra  le  cose  rifiutate,  ed  è  anche  riportata  in  alcune  delle  più  recenti 
stampe  del  Petrarca  che  hanno  la  Giunta. 

Nova  bellezza  in  abito  gentile 
Volse  il  mio  core  all'amorosa  schieia 
Ov'  il  mal  si  sosten  e  '1  ben  si  spera.  .> 


X  102  )( 
Gir  mi  conveno  o  star  com'  altri  vòle, 
Poi  cir  al  vago  pensier  fu  posto  un  freno 
Di  dolci  sdegni  e  di  pietosi  sguardi. 
E  '1  chiaro  nome  e  '1  son  delle  parole 
Della  mia  donna  e  '1  bel  viso  sereno 
Son  le  faville,  Amor,  per  che  il  cor  m'ardi. 
Io  pur  spero,  quantunque  che  sia  tardi; 
Ch',  avvegna  ella  si  mostre  acerba  e  fiera, 
Umil  amante  vince  donna  altiera.  ^^ 

LXXI. 

Del   medesimo. 

È  nella  prima  edizione  delle  rime  del  Petrarea,  la  vindeliniana 
veneta  del  4470  in  f.,  e  nella  giuniina  del  1522;  ed  è  fra  le  Rime 
antiche  in  fine  della  Bella  Mano  [Parigi,  Patisson,  1595;  Firenze 
Guidacci  e  Franchi,  1715;  Verona,  Tumerraani,  1730].  La  ristampò 
il  Volpi  nella  cominiana  de!  1722  di  sur  un  ms.  di  A.  Zeno.  E  tro- 
vasi anche  in  quelle  fra  le  più  recenti  edizioni  del  Petrarca  che 
hanno  la  Giunta.  L'ho  rivista  su 'I  cod.  ricc.  1100. 

Donna  mi  vene  spesso  nella  mente; 

Altra  donna  v'è  sempre; 

Ond'  io  temo  si  stempre  —  '1  core  ardente.  ^ 
Quella  '1  notrica  in  amorosa  fiamma 

Con  un  dolce  martir  pien  di  disire; 

Questa  lo  strugge  oltre  misura  e  'nfiamma: 

Tanto  eh'  a  doppio  è  forza  che  sospire.  '^ 

Né  vai  perch'io  m'adire —  ed  armi  '1  core: 

Ch'  io  non  so  come  Amore, 

Di  che  forte  mi  sdegno,  glie  '1  consente.  ^^ 

Vers.  1.  viene:  Comin,  —  4.  'l  nutrica-  Com.—  5,  desire:  Com.  — 
6.  oltr'  a  misura:  Com.  Questo  e  '1  seguente  mancano  nel  Ricc.  — 
8.  né  armi:  Ricc.  —  10.  lei.:  Com. 


)(  m  )( 

Del  Nt:i)KMMo. 

Dalle  Aime  di  P.  Petrarca  estratte  da  tin  tuo  origineUe,  e  pubbl. 
da  Federigo  Ubaldini  [Roma,  Grignani  1648  in  f.«]. 

Amor  che  'n  cielo  e  'n  genlil  core  albcrgiii 
E  quanto  é  dì  valore  al  mondo  inspiri, 
Acqueta  l' infiammati  miei  sospiri.  * 

Altera  donna  con  si  dolce  sguardo 
Leva  tal'  or  el  mio  pensier  da  terra 
Che  lodar  mi  convien  degli  occhi  suoi  ; 
Ma  dogliomi  del  peso  ond'  io  son  tardo 
A  seguire  il  mio  bene;  e  vivo  in  guerra 
Co  l'alma  rebellante  a'  messi  tuoi.  * 

Signor  che  solo  intendi  lutto  e  puoi, 
Pur  spero  che  miei  passi  in  parte  giri 
Ove  in  pace  perfetta  al  fin  respiri.  ** 

Vere.  6.  Altra  lezione  proposta  da  esso  autore:  •  Vel ,  il  gravt 
peiuier  talor  da  terra  ».  7.  —  Altra  lez,  dell'aut.:  «  Voi,  norfo  ondio.^ 
U.  Altre  lez.  dell'aut..-  Piofrìoti  rke.  Prenoti  che. 

LXXlll. 
Del   medesimo. 

Dal  co<l.  magi.  404<  (sec.  ivi),  ci.  vii,  c.  9  vers.  :  od  hn  notalo 
sopra:  Dicono  di  Frane.  Petrarcha. 

Gli  occhi  mirùr  l'immensa  tua  heltade: 
E  'I  cor  aspra  ferita  ne  sostenne, 


)(  m  )( 

Onde  a  ragion  si  duol  del  suo  martire, 

Che  d'altrui  colpa  certo  el  suo  mal  venne: 

Ma  lor  di  sua  ferita 

Prende  tanta  pietade, 

Che  per  lavar  la  piaga  e  per  mostrare 

Che  del  suo  male  han  dolorosa  vita 

Piangon:  e  questo  sol  lor  doglia  aita.  ^ 

Vers.  5.  Ma  dolor:  Cod.  —  6.  Prenda:  C.  —9.  doglia  vita:  C. 

LXXIV. 

Frate  Stoppa  de'  Bostichi 

Fu  pubbl.  di  su  '1  cod.  riccard.  0.  iv.  cartac.  in  f.»  n.  xxxx  da 
G.  Lami  nel  Catalog.  Codd.  Mss.  riccard.  [Liburni,  mdcclvi]  pag.81. 
Nella  presente  ristampa  abbiam  tenuto  soli'  occhio  il  cod.  ricc. 
confrontandolo  col  laurenz.  pi.  xc,  inf.,  40,  ove  leggesi  in  fine  del 
Dittamondo,  con  questo  titolo:  Laida  della  fortuna  e  come  la  morte 
e  'l  tempo  ogni  cusa  consuma.  Del  resto,  canzonetta  a  ballo  è  deno- 
minata in  altro  cod.  laur.  citato  dalBandini.  Suppl.  Ili,  329:  e,  come 
la  XVI  del  1.  ii  e  la  lxix  in  questo  1.  iv  ci  han  mostrato  l'esempio 
della  maggior  altezza  cui  potesse  toccar  la  ballata  trattando  argo- 
menti storici  e  storico-morali,  cosìf  la  presente  e  la  seguente  ancora 
son  documento  della  maggior  gravità  che  questa  forma  potesse  as- 
sumere pigliando  argomenti  mistici  e  morali,  quasi  a  confine  tra  la 
canzone  e  la  laude. 

Se  la  fortuna  e  '1  mondo 

Mi  vuol  pur  contastai^e, 

Non  me  ne  vo'  turbare, 

Anzi  ringrazio  il  mio  segnor  giocondo.  ^ 

Rallegromi  pensando 

Vers.  <.  al  mondo:  Laur.  —  4.  il  mi':  Ricc.  signor:  Laur.  — 
8.  Questa  stanza  nel  Laur.  è  posposta  a  quella  che  seguila  nei  nostro 
testo  e  nel  R. 


)(  105  )( 

Che  creato  non  fui  bruto  animala. 

E  non  vo  mareggiando 

Né  dello  m'é  —  Te'  le'  —  nò  ballo  l'ale. 

Questa  ni'é  grazia  tale 

Che  tuli'  or  rhinino  osanna, 

E  parmi  dolce  manna 

Ciò  che  mi  dona,  e  in  allegrezza  abondo.  *' 
L'uoni  nasce  al  mondo  ignudo; 

Dunque  d'avanzo  è  ciò  che  poi  acquista: 

Però  non  mi  par  crudo 

Se  fortuna  mi  balte  o  mi  molista. 

Chi  dal  mondo  s'allista 

Non  si  de'  contentare: 

Però  che  '1  tórre  e  '1  dare 

A. sé  riserba  il  suo  favor  profondo.  ìq 

De  quanta  somma  gloria 

Fu  quella  ch'ebbe  Roma  triunfanle! 

E  già  la  sua  memoria 

À  spenta  la  fortuna  novercante. 

De,  quanto  c'è  costante? 

Che  Cesare  e  Pompeo, 

Vers.  8.  Detto  non  tn' è  tette:  Laur.  —  H.  Farmi  sì  dolce: 
Laur.  —  43.  nudo:  l\.  —  H.  Dunqu'à  d'avanzo:  Laur.  s'acquista: 
Lami  —  46.  e  mi  molesta:  Laur.  —  47.  E  chi  nel  mondo  s'arresta: 
Laur.  —  48.  Non  si  de  turbare:  Laur.  —  20.  Tutto  riserba  al  suo 
voler  profondo:  Laur.  —  SI.  quanta  e  santa:  Laur.  Avverto  qui  che 
tuU' altro  dal  testo  riccard. ,  per  noi  seguito,  è  l'ordine  delle  stanze 
nel  Laur.  Egli  è  tale.  Dov'è  Nembrotto .  . . .  Dcv  è  la  gran  for- 
tezza .  ...  Or  dove  son  coloro  ....  Carlo  co'  paladini ....  Tristano 
e  Lancillotto ....  De  quanta  e  santa  gloria  ....  Ecci  degli  altri 
assai ....  e  qui  finisce  la  l>allat».  —  82.  trionfante:  Laur.  e  Lami  — 
i3.  E  or  la  sua  vettoria:  Laur.—  24.  Mal  si  leggono  le  prime  tre 
parole  nel  Laur.  —  25.  Il  Lumi  mette  una  virgola  al  (ine  di  (|ucsto 
verso.  Il  Laur.  ha.  Dunque  che  ci  è  costante?  —  i6.  Cetere:  Laur— 


)(  106  )( 

Scipion  che  rifeo 

Roma,  cogli  altri,  lutti  sono  al  fondo.  28 

Il  possente  Ansuero 

Segnor  del  mondo  fu  quant' altrui  piacque: 

E  Alessandro  altero 

Segnoreggiò  la  terra  e  l'aria  e  l'acque; 

E  annullossi  e  tacque, 

Po'  che  fortuna  volse, 

E  la  vita  gli  tolse 

Colei  che  tutte  cose  mena  a  tondo.  se 

Dov'*è  Nembrotto  il  grande 

Che  fece  la  gran  torre  di  Babelle? 

Le  braccia  più  non  spande 

Per  voler  prender  l'alto  Manuelle. 

De  quant' è  amaro  il  felle 

Che  'i  mondo  dona  e  porge! 

E  quante  nuove  fogge 

Vegg'  io  mutare!  ond'  io  non  mi  confondo,  u 
E  in  fra  gli  altri  assai 

Dov'  è  '1  cortese  e  nobil  Saladino? 

Che  non  tornò  già  mai 

Poscia  che  morte  l'ebbe  in  suo  dimino? 

E  quel  lungo  cammino 

Fa  ciaschedun  che  nasce, 

Si  che  'n  suir  erba  pasce 

Vers.  27-28.  Scipion  con  Orfeo  Tutti  di  Roma  sono  andati  al  fondo: 
Laur.  —  29.  Questa  st.  manca  nel  Laur.  —  38.  l'alta  torre  di 
Babello:  Laur.  —  39.  Suo  braccia  in  alto  spande:  Laur.  —  40.  Per 
prender  l'alto  Dio  Emanuello  :  Laur.  —  M.  De  quanto  è  amaro 
quello:  Laur.  —  42.  dà  e  porge:  Laur.  —  43.  De  quante:  Laur. — 
44.  Veggio  .  ...  io  sì  mi:  Laur. —  45.  Ecci  degli  altri:  Laur.  —  46.  il 
possente  e  ricc^:  Laur.  —  48.  Poi  che  fortuna  l  ebbe  a,  suo:  Laur.  — 
49.  Cosi  lungo:  Laur;   —  51.  Sì  che  folle  erba:  Laur. 


)(  107  )( 

Oliai  di  fermezza  dice  —  Qui  mi  Tondo  — .  ss 
Tristano  e  Lancialotto, 

Ancor  nel  mondo  la  lor  fama  vale? 

Li  altri  di  Cammellotto 

Per  la  fortuna  fecer  l' altrettale. 

Scende  ciascun  che  sale 

Della  rota  volgente, 

E  giovali  niente 

Dicer  —  Fortuna,  da  te  mi  nascondo  — .  so 
0  buon  re  Carlo  Magno 

Che  perJa  fede  nostra  combattesti 

Ed  a  si  gran  guadagno 

Oliando  e  Olivier  leco  volesti, 

Or  non  par  che  si  desti 

Il  glorioso  nome 

Che  tenne  alte  le  chiome, 

Qual  che  si  fosse,  umile  o  iracondo.  cs 

Or  dove  son  coloro 

Che  'l 'mondo  alluminar  con  lor  savere, 

Salamone,  Ormansoro, 

Ipoclas,  Avicenna  e  '1  lor  podere? 

Dov'è  l'antivedere 

D'Arislolil  sovrano? 


Vers.  62.  Chi  di:  Laur.  e  Lami  —  o3.  Lancilotto:  Laur,  —  5V. 
Son  qui,  avvfgna  che  lor  fama  sale:  Laur.  Il  Lami  mette  in  fìnc 
un  punto  e  virgola  —  56.  fecien  d':  Laur.  —  59.  E  non  gli  vai: 
Laur.  —  60.  .^  dir:  Fortuna:  Laur.  —  61-68.  Que.'ita  stanza  manca 
nel  Laur.;  o  meglio  vi  è  stala  stranamente  trasformata.  Eccola: 
Carlo  co'  paladini.  Prelati  e  'mperador  con  alti  regi  Cristiani  e 
saracini  Che  s  addobbaro  al  mondo  maggior  fregi,  Roman  che  fér 
le  legi  Canoniche  e  civili,  Fortuna  fatti  gli  à  vili,  (sic)  Qual,  che  si 
sia,  umile  e  iracondo —  70.  col  lor:  Lami —  71.  Platone  ed  Alinan- 
soro:  F.aur.  —  72.  Ipocras,  Salamon:  Laur. 


)(  108  )( 

E  Virgilio  e  Lucano? 

Dove  si  sieno,  a  ciò  non  ti  rispondo.  ^<' 

Dov'  é  la  gran  foi'tezza 

Gh' ebber  le  dure  braccia  di  Sansone? 

Dov'  è  la  gran  bellezza, 

Di  Ginevra  e  d' Isotta  e  d'  Ansai on e? 

Dov'è  l'ardir  che  fone 

In  Ettore  e  in  Achille? 

Dove  son  le  gran  ville 

Troia  e  Gerusalem?  son  ite  al  fondo.  «/, 

Salandone  il  più  saggio 

Dice  eh'  è  vana  ogni  cosa  terrena. 

Dunqu'  è  di  vii  coraggio 

Chi  nell'aversità  sua  vita  allena. 

Questa  parola  affrena 

Ciascun  che  ben  la  'ntende  : 

Si  che  poco  gli  offende 

Dardo  d'  aversitade  o  altro  pondo.  ^^ 

Ben  è  saggio  colui 

Ch'  al  sommo  Giove  l' anima  dirizza 

E  sempre  serve  a  lui, 

E  per  aversità  già  non  s'  adizza, 

E  a  torto  non  guizza 

Nel  ben  monda n  eh'  è  nulla, 

Ma  sempre  si  trastulla 

Servendo  a  Dio  coli' animo  facondo.  ^^^ 

Vers.  75.    Vergilio  con:   Laur.  —   80.  Di  Ginevra,  d'  :  T-aur.  — 
84.  Gerusalem?  disperse  al:  Laur. 


)(  m  )( 

LXXV. 
M.  Hruzzi  di  Luchino  Visconti. 

Dal  cod.  strozz.  magliai).  991  in  f.  del  sec.  xiv,  Poesie  diverse; 
ove  sia  a  e.  36  v.°  con  l' intitolazione:  Mess.  lìruszi  fiyliuol  naturale 
di  mess.  Lttchino.  Fu  piibbl.  da  F.  Trucchi  in  Poes.  ital.  ined.  II, 
408,  mancante  della  st.  (iiiinta. 

Senza  la  guerra  di  fortuna  ria, 

La  qual  vincer  si  puotc  per  valore, 

Non  può  mai  gentil  core 

Esser  felice  in  stato  alcun  che  sia.  * 

Non  ha  diletto  Iddio  più  grazioso. 

Se  volger  degna  li  occhi  suoi  in  terra, 

Com'è  di  riguardare  un  virtuoso 

A  cui  l'aspra  fortuna  faccia  guerra: 

E  quanto  più  di^  male  ella  disserra 

Verso  r  animo  eh'  è  di  valor  pieno, 

Cotanto  il  cura  meno, 

Perch'  è  di  chi  la  fa  la  villania.  ^* 

Per  ingannar  soffrir  vari  tormenti. 

Soffrir  infamia  povertade  e  morte, 

Non  creda  alcun  che  gentil  cor  paventi, 

Perchè  è  di  quel  che  è  fuor  di  lui  più  forte: 

El  vince  tutto  quel  che  manda  sorte, 

E  '1  muta  in  ben  né  si  lascia  mutare, 

Come  fa  '1  vivo  mare 

I  fiumi  che  riceve,  in  compagnia.  20 


Vere.   7.  Come  di ... .  virtuoso:  T.  —  43.   Per  ingcumo:  T. 
17    E  l:  T. 


)(  no  )( 

Or  quel  che  dotta  essere  in  esilio, 

De  guardi  ciò  eh'  el  nocque  a  Scipione, 

E  pensi  quant'  el  spiacque  a  quel  Rulilio 

Che  disdegnò  tornare  a  sua  magione. 

Sollazzo  è  questo  delle  menti  bone, 

Che  '1  savio  per  profitto  ogni  or  porta 

Per  dritta  via  e  per  torta; 

E  patria  con  amici  è  dov'  el  stia.  ^* 

D'assai  soffrir  tormenti  e  non  turbarse 

Regulo  valoroso  avrò  in  esemplo; 

E  Muzio  che  la  mano  stesso  s'arse 

Con  santi  e  sante  assai  a  ciò  contemplo. 

La  voglia  mia  per  cotal  voglia  adempio, 

Che  donne  àn  vinto  il  disio  della  carne: 

Onde,  s'el  pò  turbarne, 

Noi  avanziàn  le  femmine  in  codardia.  ^f 

La  povertà  che  par  mortai  supplizio 

Necessità  contemplo  ai  cuori  elati; 

Guardi  ciascun  che  nocque  al  buon  Fabrizio 

A  Zenone  ad  Igine  ai  santi  abati. 

Nulla  bramando,  costor  fur  beati: 

Però  che  poco  sazia  la  natura, 

Nulla  cupida  cura: 

Ond'è  beato  più  chi  men  disia.  ''*^ 

Se  '1  bon  per  molti  ispesso  si  disfama, 

Perch'  egli  è  bono,  questo  è  falsamente  : 

Vers.  21.  d'essere:  T.  —  22.  che  'l  nocque:  T.  —  23.  quanto 
spiacque:  T.  —  25.  questi .  .  .  buone:  T.  —  26.  per  suo  profitto:  T.— 
31.  Così  il  Cod.  —  33.  per  tal  voglia:  C.  —  36.  Così  il  C.  Potrebbe 
correggersi:  Le  femmine  avanziamo  in  codardia.  Tutta  questa  stanza 
manca  nel  T.  —  40.  Il  C.  legge  adigine,  il  T.  st.  ad  Igine:  forse  è 
da  leggere  a  Diogene.  —  41.  Nuli'  ha;  T.  —  45.  buon:  T.  e  sotto: 
buono,  — 


)(  IH  )( 
El  bon  d'esser  binsinnto  dal  vii  ama, 
Peivliù  gli  è  loda  il  hiasnio  di  tal  genio: 
E,  se  lurbazion  di  questo  ol  sente, 
Pensi  elle  vizio  in  lui  ancor  tien  loco; 
Ch'  el  non  s' accende  il  foco 
Se  non  in  cosa  dove  à  signoria.  *^ 

S'  el  pensa  l' omo  cb'  una  morte  sola 
Veloce  inoppinata  aver  convene, 
E  pensa  poi  per  quante  vie  li  é  nota, 
Coi  morbi  sol  che  natura  contene, 
Gagion  bramerà  ogni  or  di  morir  bene, 
Speran'  che  morte  che  è  con  vertute 
Mena  a  somma  salute. 
Come  sperò  David  contra  Golia.  ^^ 

Ahi  quanto  è  al  cor  gentil  gravosa  lite 
Spendere  un'  ora  mal  di  tutto  Tanno! 
Ahi  quanto  Sardanapal  e  Tersitc 
Gola  e  lussuria,  anco  sedendo,  isfanno! 
Sol  non  bene  operar  fo  loro  danno; 
E  quanto  in  ciò  fortuna  li  è  più  fiera 
Tanto  più  gloria  spera; 
Che  dopo  nube  chiar  convien  che  sia.  ^* 

Dunque  ciascun  faccia  T  animo  grande. 
Al  quale  grande  nulla  cosa  ò  magna; 
E  pensi  ciò  che  fortuna  li  mande 
Esser  uffìcio  del  qual  si  guadagna; 
E  se  d' Eversila  el  sì  dà  lagna, 

Vers.  47.  E  l  buon:  T.  de  essere:  C.  da  vilama:  T,  —  61. 
Che  'l:  T.  —  53.  Se  '<:  T.—  64.  conviene:  T.  —  56.  contiene:  T.  — 
67.  Bramerà  cagione  ognior :  C.  Bramerà  cagione  di:  T.  —  58.  Spe- 
rando. C.  e  T.—  64.  Il  C.  par  che  legga,  istanno.  ~  65.  fo  danno:  C. 
fa  danno:  T.  Ma  era  facile  veder  la  mancanza. 


)(  112  X 
Pensi  che  vien  difetto  da  sé  stesso, 
Perche  è  da  Dio  concesso 
Che  poco  senno  vince  assai  follia.  7ff 

Ballata,  io  son  come  '1  porco  ferito, 
Son  qui  li  amici  spasimati  a  doglia. 
Che  del  suo  caso  si  fa  per  guarito 
E  sol  procura  che  a  questi  el  teglia: 
Onde  vattene  omai  di  buona  voglia 
A  chi  tu  senti  del  mio  stato  infermo, 
E  di  ch'io  sto  pur  fermo: 
Ma  chi  assai  priega  tosto  romperla.  *^ 

Vers.  74.  che  difetto  vien:  C.  e  T.  —  77.  son  qui  come:  C.  — 
78.  Son  qui  li  amici  son:  C.  —  80.  il  toglie:  T.  Del  resto  questi 
primi  quattro  versi  della  licenza  sono  tutt'  altro  che  chiari  :  ma  così 
stanno  nel  cod.  —  84.  Forse  in  vece  di  priega  è  da  leggere  piega. 


LIBRO    V. 
BALLATE   ANONIME   DEL   SECOLO  XIV. 


LXXXVII. 

Dal  cod.  cart.  in  4.°,  del  sec.  iv,  clxxxix  della   Palatina  di  Fi- 
renze; ove  sta  in  fine  del  canzoniere  del  Petrarca, 

Era  tutta  soletta 

In  un  prato  d'amore 

Quella  che  feri  il  core 

Di  me  con  sua  saetta.  4 

Quando  io  vidi  colei 

Che  fior  giva  cogliendo, 

Subito  giunsi  a  lei 

E  dissi  —  Io  mi  t' arrendo  — . 

Ed  ella  sorridendo 

A  me  tutta  si  volse, 

E  lasso  mi  ricolse 

La  vaga  giovinetta.  42 

Quando  le  fu'  a  lato, 

E  ella  mi  prese  a  dire: 

—  Tu  se'  innamorato, 

E  già  no  '1  puoi  disdire; 

Cir  i'  veggio  il  tuo  disire 

In  vèr  di  me  acceso  — . 


)(  ^U  )( 

Allor  fu'  io  più  preso 

Di  quella  pargoletta. 
Non  senti  mai  Achille 

Per  Pulisena  bella 

Le  cocenti  faville 

Quant'io  senti'  per  quella, 

Udendo  sua  favella 

Angelica  e  vezzosa 

Parlar  sì  amorosa 

In  su  la  fresca  erbetta. 
Poi  colse  di  que'  fiori 

Ch'a  lei  parean  più  begli, 

Dicendo  —  Agli  amadori 

Sogliamo  andar  con  egli  — ; 

E  a' suoi  biondi  capegli 

Se  gli  giva  legando: 

E  ivi  a  poco  stando 

Mi  die  la  ghirlandetta. 
Poi  con  un  bello  inchino 

Da  me  prese  comiato. 

lo  rimasi  tapino 

In  su  quel  verde  prato. 

Sentendomi  legalo 

Col  nodo  Salamone. 

E  per  cotal  cagione 

Fé'  questa  canzonetta. 


so 


S8 


36 


u 


Vers.  30.  belli:  C.  —  33.  E  suoi:  C.  —  42.  nodo  di  Salamone:  C. 


)(  115  H 
LXXXVIII. 

Pubbl.  da  Fr.  Trucchi,  Poes.  ital.  (ned.  II.  U4.  di  sa  'I  cod. 
laur.  pi.  XI,  n.*>  xlix;  dice  lui:  ma  certo  sbagliò  la  citaziooe  :  onde 
mi  è  stato  impossibile  correggere  il  testo,  errato  nell'ultima  stanza 
anche  nella  ragion  metrica. 

Cantando  un  giorno  in  voce  umile  e  lieve 
Vidi  una  gittar  neve  —  a  chi  passava.  2 

Ell'era  giovinetta  presta  e  snella, 
Cinta  in  gonnella,  —  e  negli  atti  amorosa: 
Ed  era  sua  figura  tanto  bella. 
Vaga,  novella  —  e  tanto  graziosa. 
Che  dissi  in  vèr  di  lei:  In  te  si  posa 
Ogni  biltate.  Ed  ella  pur  cantava.  s 

La  vista  e  '1  suo  cantar  m'entrava  al  core. 
Si  che  'n  dolzore  —  ogni  senso  ridea  : 
E  uno  spiritel  chiamato  amore, 
Che  non  di  fuore  —  ma  dentro  sedea, 
Di  subito  feruto  entro  surgea 
Con  gran  sospiri.  Ed  ella  pur  cantava.  14 

Uscivan  fuor  del  petto  e'  miei  sospiri 
Pien  di  desiri  —  con  voce  planetta, 
Dicendo:  Io  prego  te,  che  alquanto  miri. 
Anzi  ch'io  spiri,  —  0  gaia  giovinetta, 
Come  feruto  son  da  tua  saetta. 
Volgiti  alquanto.  Ed  ella  pur  cantava.  20 

Onde  l'anima  mia,  che  ciò  sentia 
E  che  vedia  —  in  amor  lo  cor  languire, 
Per  gran  paura  pallida  stridia, 

Vers.  M.  Vedea  in:  T. 


)(  110  )( 
E  se  ne  già  —  lasciandomi  finire. 

10  gridava  merzè,  per  non  morire, 
Piangendo  forte.  Ed  ella  pur  cantava.  S6 

Così  tal  divenn'  io,  al  ver  parlando, 
Caduto  stando,  —  nella  vista  tale. 
Che  chi  passava  giva  sospirando 
E  ragionando:  —  Amor  colui  assale. 
Ond'  io  per  ricoprir  d' amore  il  male 
Partimmi  stanco.  Ed  ella  pur  cantava.  ss 

E,  come  che  si  sia,  mi  son  trovato 
Poscia  passato,  —  donne  mie  pietose. 
D'un  fero  dardo,  che  m'  ha  divorato 
Si  il  manco  lato,  —  che  nelle  amorose 
Fiamme,  ballata,  di  eh'  i'  son  venuto 
A  fin,  s'i'  non  ho  aiuto:  —  onde  mi  grava,    ss 

Vers.  35.  foco  dardo:  T.  — 38.  A  fine:  T.     ■ 

L  XXXIX. 

Dal  cod.  gadd.  laur.  pi.  xc  sup.  n."  lxxxix,  cart,  in  42.",  mise, 
del  sec.  xv:  sta  a  carte  ci  v°  fra  alcune  rime  del  Petrarca  e  del 
Boccaccio . 

lo  innamorai  d'una  fanciulla  a  Londa, 
De'  suo'  vaghi  occhi  e  della  treccia  bionda.       s 

Eli'  à  i  capelli  suoi  crespi  e  volanti 
Con  un  colore  angelico  di  perla, 
E  à  i  vaghi  occhi  e  onesti  sembianti 
Ch'  a  veder  par  una  rosa  novella: 

11  viso  suo  riluce  più  che  stella: 

Vers.  i.  allonda:  C. 


)(  H7  )( 

Tanfè  nej^li  atti  amorosa  e  gioromla.  s 

Eir  à  el  parlai*  del  suo  piacente  viso 

Ch'a  veder  paro  una  rosa  di  spina, 

E  ;\  un  bocchin  che  pare  un  paradiso; 

Riluce  più  che  'I  sole  da  mattina. 

Quest'è  la  dolze  anima  mia  fina, 

Che  avanza  di  bilia  ogni  gioconda.  '^ 

Vanne,  ballata,  e  porta  la  ghirlanda         • 

A  quella  eh'  à  nel  cor  lo  dio  d'amore; 

Pogliele  in  testa,  e  non  dir  chi  ti  manda 

Per  onestà  di  lei  e  di  mio  amore: 

Dirai  a  lei  eh'  io  son  so'  servidore: 

De,  non  si  curi  perch'io  mi  nasconda.  20 

Vers.  9.  Cosi  il  C.  —  iX  fina:  manca  nel  C;  e  mi  è  parso 
bene  supplirlo  per  amor  della  rima  —  46.  chetici:  C.  —  M.  E 
pogliele:  C. 


xc. 


Dal  cit.  cod.  gadd.  laur.  a  carte  cxlviii  v.",  ove  sta  con    altre 
Inaliate  in  mezzo  a  certi  sonetti  del  Petrarca. 

Il  senno  e'  be'  costumi  e  lo  sprendore 
D'una  fanciulla  m'  à  legato  il  core.  2 

Questa  fanciulla  è  tanto  vertnosa 
Ch'  eir  à  lo  dio  d'  amor  nelle  suo'  braccia, 
Di  virtù  piena  e  tanto  graziosa 
Chiunque  la  vede  del  suo  amore  allaccia; 
Ma  sol  nel  rimirar  della  suo'  faccia 
Di  virtù  passa  ogni  vago  colore.  8 

Gentile  onesta  vaga  e  costumata, 
Piatosa,  umile,  e  pare  un'angiolella. 


)(  ^^^  )( 

Da  tutta  gente  tu  se'  disiata, 

Più  che  non  fu  da'  tre  magi  la  stella. 

0  viso  di  zaffin,  fiorita  perla, 

Aiuta  me  che  son  tuo  servidore.  /4 

EU'  è  fra  l' altre  nel  danzare  snella, 
E  va  soave  a  guisa  di  paone: 
Quand'ella  ride  o  quand'ella  favella. 
Ben  par  che  s'apra  il  ciel  con  suo'  ragione: 
E  rallegrar  fa  tutte  le  persone 
Facendo  canti  e  festa  per  amore.  so 

Il  senno  i  be'  costumi  e  lo  sprendore. 

XCI. 

Dal  cit.  cod.  stroi^z.  magi.  1040,  ci.  vii,  carte  $i. 

Più  bella  donna  non  vidi  già  mai. 

Che  m'  à  ferito  il  core: 

Falle  sentir.  Amore, 

Per  me  quel  che  per  lei  sentir  mi  fai.  ^ 

Quant'  é  bella  e  genti!  falla  amorosa, 

Si  che  l'anima  mia  ne  sia  contenta. 

Che  la  piaga  d' amor  eh'  i'  porto  ascosa 

Questa  leggiadra  nel  suo  cor  la  senta; 

Si  che  non  sia  ver  me  di  pietà  spenta. 

Che  dolcemente  1'  amo. 

Sempre  sua  biltà  chiamo. 

Poi  che  nel  cor  sua  vagheza  portai.  ^^ 

Si  dolce  fiamma  m'accese  d'amore 

Com'io  la  riguardai  negli  occhi  fiso, 

Vers.   12.  nel  mio  cor.  C. 


)(  119  )( 

Ch'altro  piacer  non  senti'  poi  nel  core 

Che  di  vedere  il  suo  vezoso  viso. 

Ond'io  la  priego,  poi  che  m' à  conquiso, 

Gh'ahbi  di  ine  merzede; 

Ch'altro  che  lei  non  chiede 

L'anima  sospirando  in  pene  e  'n  guai.  ^^ 

Va,  canzonella,  a  questa  gentil  cosa, 

E  'I  servo  con  pietà  le  raccomanda; 

E  di'  che  '1  mio  pensier  già  mai  non  posa. 

Che  per  segijo  d'amor  sospir  le  manda; 

E  poi  con  reverenza  le  domanda 

Qualche  dolce  salute, 

Sì  che  per  tua  virlute 

Soccorra  il  servo  da  cui  parte  vai.  ^* 

Più  bella  donna  non  vidi  già  mai. 

Vers.  SO.  in  pene  assai:  C.  L'assai  è  segnato  sotto,  e  d'altra 
mano  v'  è  sostituito  e  'n  guai. 

XGII. 

Dai  cit.  cod.  strozz.  niagiiab. ,  carte  54.  r." 

Donna,  l'animo  tuo  pur  fugge  amore, 

E  gli  occhi  vaghi  tuoi 

Portan  gli  strai  eh'  uccidon  cui  tu  vuoi.         ^ 
Ètti  dato  tesor  di  gran  belleza 

Perche  sia  dura?  no.  Questo  richiede 

A  te  benignità  fuggendo  aspreza, 

Che  segua  'I  cor  quel  che  di  for  si  vede. 

Mostrando  '1  volto  bel  pien  di  merzede 

E  durezza  aver  poi. 

Non  è  dolor  che  tanto  '1  servo  nói.  ^^ 


)(120)( 

Quegli  è  felice  che  conosce  '1  bene 
E  'i  dolze  tempo  mentre  eh'  el  gli  è  dato  : 
Usar  quella  viltà  non  si  convene 
Gh'  offenda  '1  cor  dal  gran  disio  chiamato. 
Quando  '1  fiorito  tempo  è  trapassato, 
Allor  fugge  amor  noi. 
'     Donche  lo  segui  mentre  che  tu  puoi.  17 

Donna,  l'animo  tuo  pur  fugge  amore. 

XGIII. 

Dal  cit.  cod.  strozz.  raagliab.  carte  83  r.° 

Che  c' a  me  facci,  donna,  i' son  contento; 

Poi  che  l'alto  valore 

Di  te  m'à  punto  '1  core, 

Sicché  nel  pensier  fiso  a  te  sto  attento.  ^ 

Tu  se'  bella  gentil  e  graziosa, 

E  se'  leggiadra  e  più  ch'ogni  altra  onesta; 

Di  be'  costumi  se'  tanto  vezzosa. 

Che  la  mia  mente  è  ogn'  ora  desta 

A  seguir  sempre  l'amorosa  festa 

Della  tua  gran  virtute. 

Acciò  che  la  salute 

In  soccorrer  mia  vita  stia  attento.  ^^ 

Va',  canzonetta,  a  questa  gentil  donna, 

E  umilmente  con  pietà  la  'nchina, 

E  dì'  ch'ell'é  de  l'alma  mia  colonna; 

Si  che  '1  suo  amor  dolcemente  latina 

Gh'  io  gli  chiami  merzede  a  testa  china. 

Vers.  6.  E  leggiadra  se':  Cod.  —  ^^-\%.  Così  il  C. 


)(  121  )( 
Che  la  l)ella  manera 
Di  te,  0  donna  altera, 

Faccia  me  servo  d'allegrezza  allento.  ^^ 

Che  e' a  ino  fn«ri,  donna,  i'  soii  r.uitf'nfr». 

XCIV. 

Dalcit.  cod.  strozz.  magi.  e.  48  v°  Dei  vv.  30-40  sono,  per  gua- 
sto della  carta,  leggibili  le  sole  parole  finali  :  era  però  facile  supplire 
i  37-40  che  devon  contenere  il  ritornello,  e  restaurare  con  qualche 
prol>abilità  i  30-32;  per  gli  altri  è  impossibile. 

Che  farai,  giovinetta, 

Di  me  tuo  servidore? 

Arai  tu  mai  amore 

Di  me  eh'  ò  punto  '1  cor  con  tua  saetta?  4 
Ferito  m'  à  nel  cor  sì  duramente 

La  tua  crudei  saetta, 

Ch'  i'  non  posso  a  le  esser  possente, 

S'amor  non  fa  vendetta. 

Se  morte  non  m'  affretta. 

Ti  vederò  straziare 

Da  un  giovinetto  amare, 

Ch'  i'  riderò  di  te,  0  crudeletta.  ^^ 

Tu  credi  sempre  stare  in  giovineza 

E  non  pensi  invecchiare, 

E  il  tempo  se  n'  va  con  tua  belleza, 

E  ciò  non  può  mancare. 

De,  non  voler  piìi  stare 

In  questa  tua  dureza. 

Ma  lascia  la  tua  aspreza; 

Vers.  5.  Ferito  mai:  C. 


)(  i22  X 

Che  perde  '1  tempo  suo  ohi  troppo  aspetta.    ^^ 
Quanti  n'  ài  presi  già  degli  amadori, 

E  a  nessun  porti  fede; 

E  a  ciascheduno  mostri  il  tuo  amore, 

E  po'  non  ài  merzede. 

Guai  a  colui  che  crede 

A'  tuoi  vaghi  sembianti! 
.  Perchè  non  curi  amanti , 

Amor  faccia  di  te  somma  vendetta.  ^^ 

Vendetta  cheggio  a  te,  alto  signore, 

Di  questa  pargoletta; 

Ch'ella  non  cura  le  tue  forze,  Amore, 

E  a  te  non  è  suggella 

a  atte  costretta 

ma  paura 

sempre  dura 

questa  ballatetta.         ,  ^^ 

Che  farai,  giovinetta, 

Di  me  tuo  servidore? 

Arai  tu  mai  amore 

Di  me  ch'ò  punto  'l  cor  con  tua  saetta?       ^^ 

XCV. 

Dal  cìt.  cod.  strozz.  magliab.  e.  48  r." 

Amor,  perché  mi  fai  morir  amando 
Questa  che  col  suo  amore 
Tien  istretto  nel  core, 
E  non  mi  vai  merzede,  e  tiemmi  in  bando?      ^ 

Vers.  2.  Così  il  Cod.  qui  e  al  29  e  30.  Forse  è  da  leggere  lo  suo. 


)(  12rì  )(  . 
Ella  non  pensa  le  lue  forze,  Amore, 

E  non  crede  che  tu  abbi  podere 

Di  trarlo  di  quel  suo  avaro  core 

L'amor  ch'ella  vi  tiene,  e  crede  avere 

Tal  forza  contra  '1  tuo  allo  podere 

Ch'ella  sta  enlera  e  dura 

E  le  ella  non  cura; 

Non  pensa  che  la  rota  va  voltando.  is 

Che  arai  fatto ,  quand'  io  sarò  morto 

Per  lo  suo  amore  e  per  sua  crudeltade? 

Che  non  par  ch'ella  pensi  il  grave  torto 

Ghed  ella  fa,  po'  che  'n  sua  libertade 

lo  son  e  fu',  po'  che  la  sua  billade 

l'vidi  tanto  bella 

Che  luce  più  che  stella; 

E  non  pensa  di  me  che  muoio  amando.  20 

A  te  ricorro.  Amor,  coni'  a  signore 

E  sì  li  priego  con  umil  favella 

Che  tu  le  metta  dentr'  al  duro  core 

Delle  tue  alte  e  cociente  quadrella 

(Ch'ella  non  sia  crudel  (piani' oli' è  bella), 

Come  tu  ài  fatto  a  me: 

E,  s'  i'  ò  questo  da  te, 

Che  ch'abbi  fatto,  i'  sono  al  tuo  comando.      ^* 
Amor,  perchè  mi  fai  morir  amando 

Questa  che  col  suo  amore 

Tiene  stretto  nel  core, 

E  non  mi  vai  merzede,  e  tiemmi  in  bando?  ^^ 

Vers.  46.  gran  torto:  C.  —  46.  libertade  ha  li  C:  ma  forse  è 
errore  del  copista,  e  potrebbesi  sostituirle  potestade.  —  47.  lo  sono 
fu:  C.  —  34.  Cosi  il  C. 


-  )(  124  )( 
XGVI. 

Dal  cit.  cod.  strozz.  magliab.  carte  50  v.° 

Con  pietà  merzé  addimando, 

Lagrimando,  e  più  bella  che  1'  oro. 

Fa'mi  consumar  amando: 

Yedi  ben  eh'  io  per  le  moro .  ^ 

Giovane  bella  e  leggiadra, 

Tu  mi  fai  morir  di  doglia: 

El  mio  cor  per  te  si  isquadra, 

D' ogni  allegrezza  si  spoglia  . 

r  son  sempre  alla  tua  voglia 

Certo  fedel  servidore: 

r  ti  raccomando  il  core; 

Che  piangendo  i'  mi  scoloro.  ^^ 

Se  tu  sentissi  le  pene^ 

Dolce  cara  luce  mia, 

Che  per  te  mia  vita  tiene, 

Non  saresti  ver  me  ria. 

Par  che  tu  contenta  sia 

Ch'io  mora  con  gran  tormento: 

Se  ti  piace,  i'  son  contento. 

Pensa  in  che  vita  i'  dimoro.  so 

Ne'  begli  occhi  ti  riguardo, 

Ma  temenza  mi  raffrena: 

E  d'amor  consumo  e  ardo, 

Si  che  vivo  con  gran  pena. 


Vers.  2.  Così  il  C:  né  saprei  riparare.  Leggendo  o  più  bella,  si 
provvede  alla  sentenza  non  alla  misura  del  verso.  —  -15.  sostiene:  C. 


)(  i25  )( 
Tanto  à  l'anima  mia  pena 
Delle  lue  bellezze,  amore, 
Ch'i'  consumo  e  ardo  il  core: 
Se  non  ti  veggio,  mi  moro.  « 

Virtù  porti  pel  bel  viso: 

Con  pietà  sempre  mi  tiene, 
Angiola  di  paradiso: 
De,  non  mi  dar  tante  pene. 
Vedi  che  '1  mio  cor  sostiene 
Per  te  tanta  amara  vita. 
Se  tua  merzè  non  m'  aita, 
Certo  con  gran  doglia  moro.  st 

Raccomandomiti,  amore; 
Che  si  dolcemente  l'amo. 
Vo  languendo  con  dolore: 
Notte  e  di  sempre  ti  chiamo. 
11  dolce  frutto  ch'io  bramo 
Non  mi  tener  più  nascoso. 
De,  per  dio,  dammi  riposo: 
Se  non,  vedi  ch'io  mi  moro.  ** 

Con  pietà  merzè  addimando. 


XCVIl. 
Dal  cit.  cod.  strozz.  magi.,  carte  54  r." 

Da  poi  ch'altra  allegreza  aver  d'amore 

No  spero,  o  me  dolente!, 

Almen  del  rilucente 

Viso  appagassi  lo  'nfiamato  core. 
Né  fu  ne  fia  donna  che  di  biltade 


)(  i26  )( 

Già  mai  s'appressi  a  questa  vaga  donna: 

E  sì  di  gentileza  e  d'onestade 

Di  virtù  di  costumi  ell'é  colonna. 

De,  chi  potria  contar  1'  alto  valore 

Che  'n  te,  donna,  seria. 

Se  d'amor  cortesia 

Porgessi  al  servo  con  gli  occhi  del  core? 
Quando  rimiro  questa  sola  luce. 

Ogni  passato  mal  metto  in  oblio. 

Questa  m' essalta  ed  a  virtù  m'induce, 

Quest'é  l'argento  e  tutto  '1  tesaur  mio. 

Altra  isperanza  più  là  non  conduce 

Il  foco  ched  io  sento: 

Perchè  viver  contento 

Amante  degge  a  amar  simil  valore. 
Da  poi  ch'altra  allegreza. 

Vers.  6.  s'aprezi:  C.  —  20  degia  amar:  C. 

XCVIII. 


42 


20 


Dal  cit.  cod.  strozz.  magliab.,  carte  49  v° 

V  son,  donna  diletta. 

Disposto  a  seguir  sempre  tuo'  virtute, 

Perché  '1  mio  core  aspetta 

Quando  che  sia  trovare  in  te  salute. 
Né  è  né  sarà  mai 

Ch'  i'  volga  il  fedel  core  in  altra  parte 

Po'  che  tanto  ben  ài 

Che  con  onor  di  te  farmi  può'  parte: 

Volgi  le  chiome  isparte 


)(  127  )( 

Coir  angelico  viso  a  darmi  tanto, 

Che  degni  anriarmi  alquanto 

Sopra  qual  segue  te,  o  giovinetta.  n 

Canzonetta  vezosa, 

Alla  mia  donna  di'  —  l'son  mandata 

A  te  tutta  amorosa 

Con  giusto  priego  solo  questa  fiata. 

Per  la  mente  infiamata, 

Ti  priego,  alquanto  volga  a  piata  '1  core; 

Salvando  tuo  onore 

Porti  tal  grazia  al  servo  che  t'affrella.  so 

V  son,  donna  diletta. 

XCIX. 

Dal  cit.  cod.  strozz.  magi.  e.  49.  La  pubblicò  il  Trucchi  in  Poes. 
ital.  ined.  II,  49. 

Non  per  ben  eh'  i'  ti  voglia 

Né  per  eh'  i'  abbia  vagheza 

Di  veder  tua  belleza, 

Ma  i'  ti  guardo  per  far  altrui  doglia.  -* 

Che  s' altri  pensi  eh'  i'  sia  innamorato 

Di  tua  persona  bella, 

Ad  altra  donna  i'  ho  il  cor  donato 

Che  par  un' angiolella; 

E  lutto  son  di  quella. 

Perch'  eli'  è  di  belleza 

E  si  di  gentileza 

Compiuta  più  eh' ogn' altra  alla  mia  voglia.     ^^ 

Vere.  8.  ch'abbia:  T.  —  5.  pensa:  T,  —7.  donna  chioil:  C. 


)(  128  )( 
Ell'é  negli  atti  vaga  e  costumata 

E  leggiadra  e  onesta; 

Non  isprezzando  te,  che,  chi  ti  guata, 

Tu  piaci  più  che  questa. 

Ma  a  cui  piace  una  vesta, 

A  cui  ne  piace  un'  altra  : 

A  me  piace  quest'altra. 

Però  voglio  amar  lei,  e  sia  che  voglia.        ^^ 
Non  per  ben  eh'  i'  ti  voglia. 

Vers.  18.  E  a  cui  piace:  T. 

G. 

Dal  cit.  cod.  strozz.  magliab. ,  carte  49,  v° 

Da  poi  eh'  i'  fui  lontan  di  tua  bellezza, 
Vivuto  son  con  pena  e  con  tristezza.  ^ 

Tante  lagrime  ò  isparte  con  sospiri 
Che  non  à  tanti  razi  sol  o  stella. 
Né  mai  aranno  fine  i  miei  martiri, 
S' i'  non  ti  veggio,  o  virtudiosa  bella, 
0  me  dolente!,  perchè  tu  se'  quella 
Che  se'  mia  vita  riposo  e  riccheza.  s 

Quella  fede  ti  porto  e  quello  amore 
Gh'  i'  t'  ò  portato  con  ferma  costanza  : 
r  ti  tengo  e  terrò  per  mio  signore; 
Tuo  fedel  son,  tu  se'  l'alta  isperanza. 
In  fin  eh'  io  viverò  arai  possanza 
Sopra  di  me  per  tua  gran  gentilezza.  n 

Vers.  4,  sol  la  stella:  C. 


)(  i29  )( 
Da  poi  che  vedi  eh'  i'  son  si  coslante 
E  nel  fuoco  ardo  tanto  dolcemente, 
Tiemmi  per  servo,  tienimi  por  amante! 
De,  vedimi  con  gli  occhi  della  mente  ! 
Ben  eh'  io  conosco  non  essere  possente 
Essere  amato  dalla  tua  grandezza.  *^ 

Al  mio  parlar  fo  fine  lagrimando, 
Perchè  vivi  discreta  e  con  virtute; 
E  sol,  benigna,  a  te  mi  raccomando, 
In  fin  eh'  i'  veggia  l' amata  salute 
Del  viso  tuo,  per  cui  in  me  ferute 
1'  ò  portale  e  pCrto  con  dolcezza.  ^^ 


CI 


È  nel  cit.  cod.  strozz.  magliab.,  carte  55.  La  pubblicò  il  Trucchi 
in  Poes.  ital.  ined.  II,  39.  Nel  cod.  ha  inscrilto  quasi  in  nota: 
Ceciliana. 

Par  che  la  vita  mia 

Ornai  debbia  finire 

Con  pianti  e  con  sospiro, 

Ch' a  me  conviene  gire —  a  l' estrania.  < 

0  me  dolente,  parto  sconsolata 

Piangendo  e  sospirando, 

E  bagnala  di  pianto  dico  —  Quando 

S;irà  la  mia  tornala?  — 

Vers.  2.  debba:  T.  —  3.  sospiri,  qui  e  al  23  leggono  il  Cod.  e 
il  T  :  ma  la  rima  richiede  sospire.  È  un  vestigio  del  dialetto  origi- 
nale in  cui  fu  dettata  questa  canzone.  —  7.  di  pianto,  e  dico:  C. 
e  T.  Ma  quella  congiuntiva  ci  forzerebbe  a  riferire  E  bagnata  di 
pianto  come  un  altro  aggiunto  u  parlo,  aggiunto  superfluo  dopo 
Piangendo. 

9 


)(Ì30K 

Partomi  sconsolata, 

Lo  cor  mi  sì  tormenta: 

Partomi  'discontenta, 

E  dolorosa  vado  a  l'estrania. 
Dallo  mio  corpo  l'alma  si  disranca, 

Tante  lacrime  getto: 

Lo  cor  m'angoscia  di  pianto  e  rispetto, 

E  lo  spirto  mi  manca: 

Rimagno  lassa  e  stanca, 

Che  vo  contro  a  mia  voglia. 

Ben  creo  che  di  gran  doglia 

lo  moriraggio  in  mezzo  della  via. 
Par  che  la  vita  mia 

Ornai  deggia  finire 

Con  pianti  e  con  sospire, 

Ch'a  me  conviene  gire  —  a  l'estrania. 


i2 


SO 


u 


Vers.  <0.  sì  mi:  T.  —  43,  Così  il  C.  e  il  T.  Ma  forse  è  da  leggere 
dispetto.  —  16.  Lo  spirito:  T. 


CU. 


Dal  Cod.  rediano  151  della  Med.  laur.  a  carte  118,  sotto  la  ru- 
brica Canzone  a  ballo  fatte  da  più  persone.  È  anche  in  copia  moderna 
liei  C.  Moùckiano  viii  della  Bibl.  di  Lucca. 


Amante 

Se  d'amor  ti  diletta,  —  o  giovinetta, 
Ne'  tuo'  begli  atti  vaghi  or  si  vedrà. 

Amata 

V  mi  son  vaga;  e  solo  amor  mi  piace; 
E  d'altro  che  di  voi  pensier  non  ho. 


)(  131  )( 
E  'n  voi  è  il  mìo  diletto  e  la  mia  pace, 
E  senza  voi,  messere,  esser  non  so. 
Sì  m'  ha  preso  io  core  —  il  vostro  amore. 
Che  innamorata  sonipro  mi  terrà.  g 

Amante 

S'amor  t'  ha  preso,  giovinetta  bella, 
E'  ben  mille  cotanti  ha  preso  me . 
E,  quando  per  me  teco  si  favella, 
Non  mi  vorrei  già  mai  partir  da  te: 
E,  quando  i'  pur  mi  movo  — ,  i'  mi  ritrovo 
In  pena  tal  eh' ancor  per  me  si  sa.  u 

Amata 

Messer,  se  avete  pena  del  partire. 
Questo  mi  so,  e  già  non  posso  più: 
Ma  la  speranza  del  vostro  reddire 
A  quella  gioia  che  già  mai  vi  fu 
Vi  deggia  rallegrare  —  co  '1  pensare 
Che  sarà  tosto  come  a  voi  parrà.  20 

Amante 

Se  la  speranza  del  tornar  non  fusse, 
La  pena  del  partir  m'accende  sì. 
Che  neve  mai  da  sol  non  si  distrusse 
Quando  fugge  la  notte  e  viene  il  di, 

Vere.  49.  rallegrare  che  l  pensare:  Cwid. 


)(  m  )( 

E  ched  el  partimento  —  con  tormento 
Distrutta  avrebbe  la  mia  vita  già.  56' 

Se  d'amor  ti  diletta,  —  0  giovinetta, 
Ne'  tuo'  begli  occhi  vaghi  or  si  vedrà. 

Vcrs.  25.  E  che  del  partimento:  Codd. 


CHI. 

Dal  cit.  cod.  strozz.  magi.  e.  48,  v°La  pubbl.  il  Trucchi  in  Poes. 
ital.  ined.  II,  80. 

Amante 

Di  sospirar  sovente 

Costretto  son,  veggendo  per  sembiante 

Il  cor  che  ti  consente 

Volger  gli  occhi  tuo'  vaghi  ad  altro  amante,     ^ 
Ricever  questo  inganno 

La  mente  mia  convien  ch'ogni  or  sospiri, 

Non  trovando  all'  affanno 

Rimedio  alcun,  tanti  sono  i  martiri. 

E  assai  mi  raggiri. 

Che  ''nel  pensier  mi  paia  aver  fallato  : 

Ma  pur,  s'i'  son  errato, 

Piacciati  farne  chiara  la  mia  mente.  ^^ 

Donna 

Ciò  non  ti  dee  dolere. 
Però  che  torto  da  me  non  ricevi; 

Vers.  8.  tanto  sono:  Cod. 


)(  133  )( 
Che,  mentre  che  'n  piacere 
Ti  fu  il  mio  amoV,  sai  che  tulio  l'avevi. 
Se  poi  da  me  li  lievi 
K  non  se'  ad  amar  servo  leale, 
Giusi' è  che  un  giovin  lalc 
Prenda  ad  amar  che  l'è  fermo  e  fervente.      ** 

Amante 

Se  per  senno  di  fora 
Mostrato  ho  quel  che  'I  contradio  era  drento, 
Qucsfè  quel  che  m'incuora, 
Gilè  per  virtù  da  me  volta  li  sento. 
Piacciati  tal  tormento 
Levar  al  primo  tuo  servo  e  suggello. 
Po'  che  per  suo  difetto 
Perder  non  deggia  il  tuo  viso  lucente.         ^* 

Donna 

Quand'  efficacemente  * 

In  giovine  fede]  d'amor  si  trova, 
Caso  veracemente 

Non  è  che  ma'  da  segno  lo  rimova: 
Questa  sentenza  è  prova 
Ch'amando  stran  d'amor  non  li  faresti, 
Sempre  amor  seguiresti 
Cosi  in  palese  come  occultamente.  •>* 


Vere.  20.   ch'eli  è:  T.  —  M.  dentro:  T.  —  26.  soggetto:  T. 
30.  Così  il  C.  e  il  T.  Il  senso  vorrebbe  o  l'amor  o  d'amor  fede. 


)(  134  )( 
Amante 

Perchè  poco  durare 
Puote  piacer  dell'  amor  palesato, 
L'  uom  savio  il  de'  celare 
Secondo  il  modo  e  '1  tempo  e  in  che  lata. 
Ma  lo  stolto  è  menato 
Sol  dalla  volontà  che  '1  ben  li  toglie. 
Perché  dunque  ta'  doglie 
Mi  dai,  s'  amor  non  seguo  mattamente?        44 

Donna 

Per  veder  tua  intenzione, 
Fatt'  ho  contrasto  al  tuo  dir  rispondendo: 
Or,  che  per  tua  ragione 
Emmi  palese,  a  te  mi  dono  e  rendo, 
E  '1  tuo  senno  commendo. 
Però  che  solo  in  donna  è  caro  onore: 
Quand'  à  savio  amadore, 
Perder  non  può  sua  fama  fra  la  gente.        ss 

Di  sospirar  sovente 
Costretto  son,  veggendo  per  sembiante 
Il  cor  che  ti  consente 
Volger  gli  occhi  tuoi  vaghi  ad  altro  amante,  ss 

Vers.  42.  lolle:  C.  —  51.  Quand' à:  manca  nel  T. 


)(  1:^5  )( 
CIY. 


Dal  già  cil.  cud.  red.  15<.  a  carte   418.    È  anche  in  copia  ino- 
•V^mu^ne!  cod.  moùckiano  vni  delia  Bibliot.  di  Lucca. 


Amante 

V  mi  sono  avveduto, 
Falsa,  del  Iradinicnlo: 
Ond'  io  mollo  mi  pento, 
S' i'  l'ò  mai  ben  voluto.  * 

AmaUf 

De,  non  mi  dir  villania, 
Chò  tu  non  ài  ragione; 
Però  eh'  m  fede  i'  mai  non  ti  fallai. 
Ma  tu  per  g:elosia 
Credi  a  quelle  persone 
Che  'nvidia  portan  del  diletto  e'  ài. 
Ben  Io  sa  Dio  che  mai 
Non  li  fé'  fallimento; 
Si  l'ho  fallo  contento; 
Ma  '1  merito  n' ò  avuto.  ^* 

Amante 

Falsa,  non  ti  scusare; 
Ch'  egli  è  palese  alimi 

Vers.  5.  Così  nei  codd.  —  7.  Di  questo  i  cod«l.  fan  «lile  versi; 
Però  che  'n  fede  mia  /'  tnai  non  ti  fallai,  certo  p<T  orrore  de!  copi- 
sta; che  è  contro  1'  ordine  della  stanza  e  delle  rime  ;  e  la  restitu- 
zione era  facile.  —  H.  Bello  sa:  Red.  —  44.  merito  non  l'ho  nutn. 
Moiick. 


X^36)( 

Lo  tuo  mal  far,  eh'  ogni  tuo  dir  t'  accusa. 

r  ti  saprei  contare 

Come  quando. e  con  cui 

Più  volte  fatto  m'ài  le  torte  fusa. 

Ma  tu  te  ne  se'  usa 

Di  far  si  fatti  inganni. 

Sta  con  mille  malanni  : 

Che  tua  amistà  rifiuto.  ^4 

Amata 

0  cuor  del  corpo  mio, 
La  scusa  eh'  io  ti  faccio 
È  perchè  tu  non  creda  a'  mal  dicenti. 
Or  sapesti!  mai  eh'  io 
Con  altrui  stessi  in  braccio 
Se  non  con  teco  perchè  mi  contenti? 
Onde  di  ciò  ti  penti? 
S' i'  mi  t' arreco  a  noia. 
Po'  ti  terrò  in  gioia 
Come  ma'  t'ho  tenuto.  54 

Amante 

Tanto  mi  contentavi, 
Falsa,  di  tuo'  vaghezza. 
Ch'i'  non  curavo  di  maggior  conforto; 
Sol  perch'  io  mi  credea 

Vers.  M.  Anche  qui  nei  codd.  è  turbato  l'ordine  dei  versi  e 
delle  rime,  facendosi  d'un  verso  due,  così:  Lo  tuo  tanto  mal  fare, 
Ch'  ogni  tuo  dir  t'  accusa.  —  -19.  El  come:  Codd.  —  35  e  38.  La  rima 
non  torna.  Forse  il  35  era  da  leggere,  Tanto  contento  stea. 


)(  137  )( 
(loder  la  Ina  bellezza, 
Come  sovente  da  le  m'  era  porlo. 
Poi  eh'  io  mi  son  accorto 
Che  tu  mi  se'  fallace. 
Fa  omai  che  li  piace; 

Che  Ina  amistà  ri  fin  lo.  44 

Falsa,  tu  mi  «iiurasli 
Con  tue  false  parole 

Cir  allr'  uom  che  me  non  volei  per  amante  : 
Poscia  sì  mi  mostrasti 
La  luna  per  lo  sole, 
Dand'  io  fede  al  tuo  falso  sembiante  : 
r  non  potrei  dir  quante 
Volte  tu  m'  hai  ingannato, 
Perch'  io  mi  son  fidato 
Neil'  amor  e'  ho  perduto .  54 

Vers.  80.  a  tuoi  falsi  sembianti:  Red. 

CV. 

Dal  cit.  coti.  rt'd.  a  carte   US  t'.":  ed  è  anche   nel  moiickiano 
vili  di  Lucca. 

Amante 

Slatti  con  dio,  —  amor  mio; 

Che  io  —  non  t'  amo  più. 

Di  ciò  certa  sie  tu. 

Ch'i'  non  curo  ma'  più  —  tuo  bel  disio.        4 
Tu  ti  rivolgi  come  foglia  al  vento 

Vers.  4.  Istatti:  Codd.  Ma  statti  vuole  la  ragion  del  verso. 


)(  138  )( 
E  miri*  questi  o  quel  com' a  le  pare: 
Ond'  io  ò  fermo  lo  mio  intendimento 
Di  non  aver  mai  più  con  loco  a  fare 
Né  creder 'né  pensare 
Cose  eh'  a  te  talenti 
Ne  poco  né  nienti; 
E  non  curo  di  te  quanto  d' un  fio . 


iS 


Amata 


0  me  lassa  dogliosa!  che  mi  dici 
Del  grande  amor  che  t'  ò  portato  e  porlo? 
Non  ti  ricordi  del  tempo  filici, 
Che  ti  lagni  di  me  a  si  gran  torto? 
Ma  '1  tempo  sarà  corto; 
Ch'  i'  pur  ti  serviroe, 
E  mai  non  mireroe 
Persona  che  tu  n'  abbi  pensi er  rio. 


so 


Amante 


Tu  dici  e  non  farai  quel  che  prometti, 
Perchè  non  ài  'n  te  tanta  fermezza, 
l'ò  veduto  co'  miei  occhi  aperti 
Mostrarti  altrui  con  tutta  tua  vaghezza. 
E  io  perdo  ogni  allegrezza 
E  son  pien  di  sospiri 
Pensando  chi  tu  miri: 
Né  nessun  é  che  t'ami  si  com' io. 


S8 


Canzona  mia,  ringrazia  questa  donna 
Che  m'ha  del  suo  amor  fallo  boniuno 


\ 


)(  130  )( 
Che  r  è  biltà  d' ogni  virtù  colonna, 
E  fallo  m'  ha  d' ingralo  servo  digno. 
E  però  ogni  disdegno 
Dimenticar  si  vuole 
E  dir  poclic  parole: 

E  chi  '1  contradio  vuol,  morto  '1  vegg'  io.     ^^ 
Staiti  con  dio,  —  amor  mio. 

evi. 

Fu  pubbl.  da  Salv.  Bongi  nell'  Eccitamento,  giornale  filologico  di 
Bologna  [Aprile,  'ISoS,  tip.  delle  Scienze ],  di  su  il  cod.  Moùcke  viii 
della  Bibliot.  comunale  di  Lucca:  ed  è  nel  Rediano  161  della  Medie. 
Laur.  L'ordine  delle  rime  è  più  d'una  volta  turbato:  e  mal  potreb- 
besi  riparare  a  questo  difetto  forse  originale.  Secondo  le  solite  norme 
critiche  ho  ridotti  quei  versi  che  crescevano  d' una  sillaba  :  non 
sempre  però;  che,  dov'entra  il  rimalraezzo,  questo  accrescimento 
secondo  I  precetti  e  gli  esempii  può  comportarsi.  Cosi  almeno  di- 
cono i  maestri:  ed  io,  benché  non  tenga  per  affatto  certi  quei  pre^ 
celti  ed  esempii,  questa  volta  obbedisco. 

Madonna. 

Messere,  lagrimando 

Domandovi  merzede  umilemenle, 

Ch'  i'  moro  veramente  —  innamorata.  8 

Innamorata  moro,  allo  ver  dire. 

Per  voi,  gentil  messere. 

Tanto  son  presa  di  vostra  figura: 

E  giorno  e  notte  sto  'n  pene  e  martire.- 

Di  lacrime  il  cor  piena, 

Se  non  mi  soccorrete  alla  mia  ardura. 

Vers.  ì.   lacrimando:  B. 


-       )(  I^^O  )( 
Esguardandovi  ogni  ora, 
Amor  col  suo  piacer  m'  ha  sì  costretta, 
Come  augelletta  —  quand' è  ringabbiata.        is 

Messere. 

Pulcella,  dello  vostro  innamorare 
El  cor  n'  è  si  allegrato 
Che  colla  lingua  contar  no  '1  potria. 
Se  giorno  e  notte  m'  ha'  fatto  penare, 
Sguardar  non  m'  ha'  sdegnato. 
Ringrazio  Amore  se  a  me  v'  invia. 
Ma  vostra  signoria 
Io  la  riiiuto  e  tua  falsa  amistanza: 
Mia  innamoranza *— ad  altra  donna  ho  dala.  ^^ 

Madonna. 

Messer,  non  vi  mostrate  sì  orgoglioso; 
Ch'  a  me  donate  morte. 
Se  'n  core  avete  ciò  che  dimostrate. 
Che  molte  donne  son  eh'  eli'  àn  per  uso, 
Quando  aman  l' uom  ben  forte, 
Di  mostrar  lor  sembianti  sì  crucciati. 

Vers.  -IO.  Che  guardandomi  ogn' ur a:  B.  —  11.  costretto:  Red.  — 
43.  Pulzella:  B.  —  14.  El  mio  cor:  Red.  El  cor  mio  n'  è  si  rallegrato: 
B.  —  16-17  E  giorno  e  notte  m'ha  fatto  penare:  E  sguardar  non 
m'  ha  sdegnato:  Red.  e  B.  La  mia  correzione  parmi  cha  resulti  ne- 
cessaria dal  contesto:  e  la  sentenza  riuscirà  chiara,  chi  pensi  che 
questi  due  versi  Messere  li  dica  fra  sé.  Il  passaggio  poi  dai  voi  al 
tu  si  può  notare  in  altri  luoghi  di  questa  stessa  tenzone.  — 18.  se 
dar  tenvia  i?;.-  Red.  —  19.  La  vosìra:  Red.  —  20.  e  sua:  B.  — 
21.  La  mia:  B.  —  2't.  Se  core  :  B.  —25.  che  si  han:  B.  -  27.  cruc- 
ciate :  B. 


H   lil  )( 
Messer,  mi  perdonale: 
Ricordivi  del  buon  tempo  eh' è  gito: 
S' i'  v'  ho  fallito,  —  Amor  m'  ha  gastigata.    50 

Messere. 

Madonna,  a  me  non  piace  tale  usanza, 
Ch'  egli  è  contra  ragione 
Che  'I  buon  amor  si  possa  mai  cclaro. 
Sete  fontana  di  sì  gran  fallanza, 
Piena  di  tradigione. 
Fosti  spiatosa  nel  mio  tormentare: 
Or  vorresti  tornare 
A  somiglianza  del  tempo  passalo, 
Io  ho  pensato  —  che  tft  Y  hai  fallata.  59 

Madonna. 

Spesse  fiate  1'  aggio  udito  dire 
Che  r  acqua  ha  tal  natura 
Che  pietra  dura  volge  per  tornare; 
E  bollo  udito  alla  santa  scrittura 
Al  frate  predicando 

—  Chi  non  perdona  non  si  può  salvare  —  : 
Ond'  io  vi  vo'  pregare 
Che  non  guardiate  allo  mio  poco  senno; 
Ch'i'  ardo  e  inconno -f  di  voi  so'  infiammala.  43 


Vers.  28.    Messere,  or  mi:  Red.  —  31 tale  usanza   a  me 

non  piace:  Red.  —  34.  Siete:  B.  —  36.  Non  fosti  piatosa  nel: 
Red.  —  VJ.  al  mio:  Red.  —  48.  e  'ncendo:  Red.  —•  jono  infiammata  : 
Red.  e  B. 


)(  U<2  )( 

Messere 

Mille  merzedi,  se  tornata  siete 
A  me  con  gentilezza. 
Ben  conoscete  che  servente  fui 
D'  un'  altra  amante  :  vo'  che  vi  pensiate 
Che  la  mia  giovinezza 
Interamente  1'  ho  donata  altrui. 
Ma  i'  son  ben  colui 
Che  voi  vedesti  e  non  conoscevate: 
D'  altr'uom  pensate:  —  di  me  sete  errata.     ^^ 

Madotma 

Messere,  se  io  sapessi  certamente, 
Quello  che  voi  mi  dite 
Colla  lingua,  vo'  l'avessi  nel  core. 
Morire  mi  vedreste  di  presente. 
Ma  io  so  che  voi  sapete  veramente 
Ch'  i'  v'  aggio  amato  di  leale  amore. 
S' i'  v'  ho  fatto  offensione. 
Al  tuo  piacer  me  ne  dà  penitenza: 
Ch'i' veggio  ben  ch'in  faUenza  —  son  stata.    ^^ 

Messere 

Madonna,  tu  mi  se'  sì  'n  dispiacere, 
Che  creder  no  '1  potreste 


Vers.  49.  merzè:  Red.  —  52.  altro:  Red.  pensate:  B.  —  57.  pen- 
sate che:  Red.  e  B.  —  62.  certamente:  B.  —  66.  bene:  B. 


X  1-W  )( 

Come  il  mio  amore  in  lulto  (i  riliula. 

Però  più  a  me  non  li  ridolere, 

Che  non  mi  conosceste 

Oliando  dicevo  a  te  —Per  dio  m'aiuta — . 

Ora  li  se'  penlula; 

Cosi  son  io.  Se  mai  ti  volsi  bene, 

Ogni  mia  spene  -  da  le  ho  levata.  rs 

Madonna. 

Messere,  voi  avete  ben  ragione 
Di  farmi  consumare. 
Po'  eh'  io  non  fui  piatosa  del  dolore. 
lo  non  sapea  che  cosa  fusse  amore: 
Tant'  era  pargoletta. 
Che  gran  sciocchezza  lo  mi  fece  fare. 
Ond'  io  mi  vo'  'nchinare 
Con  riverenza  a  domandar  perdono; 
Che  tutta  vostra  sono  —  e  sempre  so'  slata.    «4 

Messere. 

Fuor  son,  madonna,  del  vostro  legame, 
Che  mi  stringea  si  forte 
Che  solo  un'  or'  partir  non  mi  polla  : 
E  non  vi  lorncria  per  un  reame 
Dentro  da  quelle  porte 
Ch'  eran  serrate  e  aprir  noUe  polla. 
Giurovi  in  fede  mia 

Vers.  69.  mio  core:  B.  —  70.  fwn  mi  ridale:  B.  —  78.  Perchè 
non:  B.  del  vostro  grandono  (ì):  Red,  —79.  amare:  Red.  —84.  son 
stata:  B.  —  87.  ora:  Red.  e  B.  —  90.  eron  ....  non  te.  B. 


)(  144  X 
Ch'  i'  sono  innamorato  d'  altra  donna, 
E  la  mia  voglia—  tutt'or'  n' é  appagala.       93 

Madonna 

Molto  m' incresce  di  tanto  tardare  ; 
-  Ma  vien  da  vostra  parte. 

Che  '1  buon  guerrier  la  vince  sofferendo: 

E  '1  mastro  marinar  eh'  entra  fra  '1  mare 

E'  piglia  il  pesce  ad  arte, 

Che  sotto  r  acqua  lo  va  sottraendo. 

Così  a  voi  m'  arrendo  : 

Da  che  m'  avete  presa  in  vostra  rete, 

Non  m'uccidete;  —  che  a  voi  mi  son  data.  102 

Messere. 

Stella  chiarita,  d'  adornezza  lume, 
Al  tutto  i'  son  contento 
Ch'  i'  ho  provato  il  tuo  fermo  disio. 
Viva  colonna,  di  chiarezza  fiume. 
Deh  non  aver  pavento: 
Rendoti  in  tutto  1'  anima  e  '1  cor  mia. 
Ornata  di  desio. 

Creduto  avesse  in  te,  ferma  colonna! 
Per  altra  donna  —  non  t'  avrei  cambiata,    m 

Madonna. 

r  lodo  Iddio  che  mi  dà  grazia  tanta, 

Vers.  93.  tuttora:  B.  —  94.  Solo  m' :  B.—  98.  Che  piglia:  Red. 
E  piglia:  B.  —  102.  avoi  son:  Red.  —  108.  il  tutto:  B. 


K  145  )( 
Caro  lo  mio  signore, 
Che  'n  vèr  di  me  vi  siete  umiliato. 
Se  or  morissi,  parriami  esser  santa 
E  saria  fuor  d'  errore  ; 
Che  oggi  mai  io  era  consumala. 
Poco  fuss'  io  più  stata 
A  sostener  le  pene  che  io  aveo, 
L'  anima  e  '1  corpo  meo  —  era  dannata.     420 

Messere. 

Vince  la  prova  chi  dura  1'  affanno. 
Ben  che  possihil  sia 
Di  pure  amare  e  non  essere  amalo, 
Alcuna  volta  1'  uom  riceve  inganno  : 
E  tutt'or'  fu  e  fia 

Che  tal  risponde  che  non  è  chiamato. 
Ma  io  si  m'  ho  pensato 
D'  accostarmi  a  quel  ramo  che  mi  tiene, 
Ch'io  veggio  bene  —  che  tu  ferma  se'  stata.  129 

Madonna. 

Gentil  messere,  io  molto  son  contenta 
Di  tanta  cortesia 

Ch'  i'  ho  da  te  e  tengo  che  mi  fai. 
Il  mio  core  in  grande  allegrezza  sento: 
E  nulla  villania 
Alla  mia  vita  mi  faresti  mai. 

Vers.  Uk.   vo'  siete.    Red.   —  U9.    avea:   Red.  —  420.   mio: 

Red. 421.  B.  mette  virgola  al  fine  di  questo  verso  e  punto  in 

fine  del  423.  —  432.  da  te,  e  tegìU),  che:  B. 

in 


)(  1^6  )( 
Poi  che  si  a  me  ti  dai, 
Divisa  pur  quel  che  ti  sia  in  piacere; 
Che  al  tuo  volere  —  son  sempre  apparecchiata,  iss 

Vers.  '136.  sì  libero  a  me:  B.  e  Red.  Quel  libero  non  è  consentito 
né  dal  metro  né  dallo  stile  del  tempo. —  -138.  L'ult.  vers.  di  questa 
st.  e  l'ultimo  pure  dell' antec.  passano  d'una  sillaba  la  misura 
dell'  endecasillabo,  e  ciò  per  amore  del  rimalmezzo.  Ma  chi  ci  vieta 
di  credere  che  gli  antichi  pronunziassero  tronche  le  due  parole  che 
in  fine  del  vers.  penultimo  e  in  mezzo  dell'  ultimo  fanno  rima,  e 
dicessero  :  D'  accostarmi  a  quel  ramo  che  mi  tien,  Ch'  io  veggio  ben, 
che  tuec;  e  così  poi  piacer  e  voler  ec?  si  sa  che  ne'  mss.  antichi 
si  scrivevano  intere  le  parole  tutte,  lasciando  al  leggitore  la  cura 
di  troncarle  ove  Io  imponesse  la  legge  del  verso.  Ciò  noto  perché 
non  sono  ancora  affatto  persuaso  che  gli  antichi  componessero  e 
cantassero  versi  che  non  tornano. 

CVII. 

Dal  cit.  cod.  strozz,  magliab.,  carte  49,  v.* 

0  donna  sanz'amor,  fatti  con  Dio, 

Ch'a  nuovo  signor  servo  son  fatto  io.  ^ 

Da  po'che  fuor  del  pelago  alla  riva 
Amor  per  sua  pietà  tutto  m'à  tratto, 
Non  pensar  mai  ched  io  cantando  scriva 
Di  te  né  segua  più  tuo  vezoso  atto; 
Che,  com'Amor  non  fossi,  il  cor  à  fatto 
Vago  di  fuggir  sempre  suo  disio.  * 

Ballata,  a  questa  donna,  per  vendetta, 
Ch'or  non  à  più  del  mio  cor  signoria. 
Va'  da  mia  parte  e  di'  ch'Amor  s'affretta 
SoXto  mio  priego  a  punir  suo'  follia 

Vers.  -1.  Donna:  C.  —  4.  lutto:  C. 


)(  U7  )( 
Con  un  giovane  crudo  che  'n  balia 
Avn\  M  suo  cor  quanl'  à  tenuto  'I  mio;  4 a 

Né  che  però  avrà  di  lei  pictadc 
Mentre  che  basterà  l'ardente  gioco; 
Tanto  che  consunìato  suo'  biltade 
Avrà  con  giovintude  a  poco  a  poco; 
Po'  lasceralle  ne'  vecchi  anni  il  foco 
E  mostreralle  il  cor  pien  d'ogni  rio.  xo 

0  donna  sanz'amor,  fatti  con  Dio, 
Ch'a  nuovo  signor  servo  son  fatt'io. 

Vers.  2<.  Donno.  C. 

CVIII. 

Dal  cit.  cod.  strozz.  magliab.,  carte  50,  v.** 

Pulzella,  gran  villania 

Tu  mi  dì'  sì  ispessamente, 

Gli'  io  non  so  per  che  si  sia 

Ch'  io  son  tuo  leal  servente.  4 

Tu  se'  tanto  bella  cosa 

Che  qual  uom  ben  ti  rimira 

Sanza  far  danza  amorosa 

Forte  per  amor  sospira. 

Cosi  fossi  tu  pietosa 

Di  queir  uom  che  ti  disia, 

Ch'i'  i' arei  in  mia  balla! 

E  sarei  tanto  tegnente 

E  così  li  servirla 

Com'  a  donna  suo  servente.  '^ 

V«rs.  2.  Tulio  im  di  :  C. 


)(  US  K 

E  un  poco,  se  tu  volessi, 

Ti  vorre'  toccar  la  mano; 

E,  quand'  i'  fatto  l' avessi, 

r  ti  bacere'  pian  piano. 

Credi  tu  eh'  io  ti  mordessi? 

Àimi  tu  per  si  villano? 

E  per  tuo  amor  servirla 

Te  e  ogni  altro  tuo  parente 

E  la  tua  sorella  in  pria 

Che  m'  à  cosi  da  niente.  94 

Quando  tu  ara'  detto  e  detto, 

Credo  che  te  n'  rimarrai; 

Credo  che  farai  disdetto: 

Pur  da  te  a  me  il  dirai. 

—  Tu  se'  tutto  il  mio  diletto: 

Per  amarti  sempre  mai 

Son  nella  tua  signoria. 

Amor,  comanda  arditamente.  — 

Udraimi  dir  —  Cosi  sia  : 

Ciò  eh' a  te  sera  in  piacente. —  sì 

Non  mi  chieder  tu  ischeggiali 

Né  fettuzze  né  borselle. 

Anzi  cose  imperiali 

Da  reine  e  da  donzelle; 

E  vedraimi  tender  l'ali 

E  tosto  volar  per  elle. 

E,  se  questo  a  me  non  credi 

Gh'  io  sia  tanto  sufficiente, 

Volentier  lo  ti  diria 

Neil'  orecchio  pianamente.  44 

Vers.  23.  prima:  C.  —  27.  disdetta:  C. 


)(  1^  )( 

Oliando  ti  veggo  ire  ai  santo, 

Ben  cl»e  m*  incontri  di  rado, 

Volenticr  ti  saluteria; 

Ma  tu  non  l'aresli  a  grado. 

Kl  mio  saluto  ài  da  tanto 

Che  non  te  ne  curi  un  ago. 

Lass'  a  me,  eh'  io  no  'i  pensava 

Ch'a  me  fossi  sì  tignenle! 

E,  s' io  avessi  un  coltello, 

M'  uccidiria  veramente.  <54 

Pulzella,  gran  villania 

Tu  mi  dì'  sì  ispessamente. 

Vers.  47.  Il  verso  non  va  bene:  ma  cosi  il  C—  56.  TuUamidi:  C. 


GIX. 

Dal  cod.  gadd.  laur.  pi.  lxxxx  super,  n.»  lxxxix,  carte  449. 
Amante. 

S'i'  l'ò  fallilo,  donna,  e'  mi  dispiace: 
Misericordia,  amor!  rendimi  pace! 

In  ginocchioni  con  lagrime  assai, 
Le  braccia  in  croce  alla  tua  riverenza, 
Se  tu  non  mi  perdon',  si  mi  vedrai 
Morir  dinanzi  dalla  tua  presenza. 
Dò,  dammi  una  si  l'alta  penitenza. 
Che  sia  punito  il  mio  pensitM-  fallace. 

Vers.   6.    dinansi   alla .    C. 


)(  150  )( 
Donna. 

Non  ti  varrà  il  far  delle  braccia  croce, 
Ch'  i'  son  disposta  a  non  ti  vole'  udire . 
Quanto  più  mi  ricorda,  il  cor  mi  coce  : 
Tant'  à'  fallito,  i'  non  le  '1  potre'  ma'  dire. 
S' i'  ti  vedessi  innanzi  a  me  morire, 
Ben  son  contenta  se  morte  ti  sface.  u 

V 

Amante . 

0  signor  mio,  sarai  tu  si  crudele, 
0  gentil  donna  di  biltà  corretta. 
Che  tu  vogli  che  muoia  il  tuo  fedele? 
Colle  tuo'  sacre  man  fanne  vendetta. 
Piglia  lo  strai  d'amore  e  la  saetta. 
Disserra  l'arco  e  dammi  ov'a  te  piace.        so 

S' i'  t'  ò  fallito^  donna,  e'  mi  dispiace. 

Vers.  iO.  disposto  . .  .ti  vore:  C.  —  1^.  Così  il  C.  Si  ridur- 
rebbe a  buona  misura  il  verso,  leggendo  :  i  non  te  'l  potre'  dire, 
o:  i'  no'l potre'  ma'  dire.—  ii.  contento  . . .  .disfacie:  C. —  20.  dov'a:  C. 


ex 


Dal  cit.  gadd,  laur.   carte  448;    dov'è  dopo  alcune   rime  del 
Petrarca. 

Vivo  per  voi,  madonna,  in  gran  pensiero, 

Se  m'  abbandoni  per  un  forestiero.  s 

Non  ti  ricorda  quando  incominciai 
A  vagheggiarti  ch'eri  fanciuUina? 


)(  151  X 
Gnun  nitro  amore  ì'  non  conohl)!  inai: 
Pareslimi  sopr  ogni  pelleg^rina. 
Dieci  anni  i'  l'ò  amata,  o  fior  di  spina: 
Tu  se'  il  mio  specchio  e  io  so'  il  tuo  vtM'zero.     .? 

Ed  io,  pensando  drcnto  dal  mie'  quore 
—  Se  m'abbandoni,  o  me,  così  vilmente. 
Or  vedi,  donna,  quant'c  poco  onore  — 
Di  drieto  li  verrò  sopr'  ogni  gente. 
Lasciai'  andar,  signor  dolz'  e  piacente. 
Et  ama  me  eh' a  amarli  fu  '1  primiero.  u 

E  sono  e  freddi  e  caldi  e  gran  martiri, 
Nevi  con  ghiacci  co'  gli  morta'  venti: 
E  i  'vivo  in  doglia  e  in  gravi  pensieri 
Per  sostener  per  vdì  tanti  tormenti. 
Per  dio,  non  sian  da  voi  scwdati  o  spenti  ! 
Ched  io  per  la  mia  fé'  eh'  i'  mi  dispero.        so 

Vanne,  ballata  mia,  e  dì'  che  io 
r  ama'  lei  sopr' ogni  pellegrina: 
S'ella  disdegna,  giura  in  fé'  di  Dio, 
E  tu  in  vèr  di  lei  cosi  giura: 
Dì'  eh'  ella  non  si  mostri  acerba  o  cruda. 
Di'  che  si  parti  e  torni  al  suo  sentiero.  se 

Vivo  per'  voi,  madonna,  in  gran  pensiero. 

Vers.  8.  ed  io  sono  il:  C.  —  U.  quanto  tè:  C.  —  U.  chamare 
ti  fu':  C.  —  47.  doglia  e'n  gran:  C.  —  2?.  E  ama  lei    C.  —  23-24- 

Cosi  il  C. 

CXI. 

Dal  cod.  rediano  laur.  151,  e.  420  v.<*  È  intitolata  Canzonetta. 

Come  tradir  pensaste,  donna,  mai 

Chi  t'ampva  con  fé'  più  eh' alti' «issai?  s 


)(  152  )( 
r  non  credo  che  mai  con  tanto  amore 
Fosse  nissun  fedel  quant'a  te  fui, 
Però  ch'ai  ben  servir  dispuosi  il  core 
Lo  primo  di  eh'  i'  vidi  gli  occhi  tui  : 
Ora  m'  à'  tolto  il  bene  e  dato  altrui; 
Sanza  mia  colpa  sospirar  mi  fai.  8 

Se  per  mio  fallo  abbandonato  fossi, 
Verre'  piangendo  a  domandar  merzede: 
Ma  se'  palese  agli  tu'  occhi  mossi; 
Che  più  non  spero,  e  già  nissun  ti  crede: 
E  questo  è  esemplo  a  chi  sì  rea  ti  vede 
Di  non  seguir  dove  condotto  m'ài.  14 

V  priego  Amor  che  ne  sia  gran  vendetta 
Del  mal  ch'ai  fatto  a  tradimento  tale; 
Gh'  à'  nuovo  amante  eh'  à  tuo'  mente  stretta. 
Che  lasci  ogni  uom  che  più  di  lui  ti  cale; 
Si  che  tu  senta  alquanto  duol  mortale, 
Provando  quel  che  sofferir  mi  fai.  20 

Vers.  6.  tuoi:  C.  —  4i-i2.  Così  il  C.  • 

CXII. 

Dal  cod.  gadd.  laur.,  pi.  lxxxx  sup.  n."  lxxxix,  carte  -ISO  v.° 


Contento  son  da  poi  eh'  io  sono  uscito 
Delle  man  di  costei  che  m'  à  tradito.  3 

Una  cosa  da  te  vorre'  sapere: 
Perchè  tu  m'  ài  così  abbandonato? 
Un'altra  giovinetta  ò  preso  amare, 
E  tutto  il  mio  amore  a  lei  ò  dato: 
Nel  suo  bel  viso.  Amor,  ch'i'  sono  entrato; 
E  del  suo  amore  ella  m'  à  '1  cor  ferito.  s 


X  153  X 
D'un' altra  cosa  ancor  ti  vo'  pregare, 

Che  tu  non  venga  mai  dove  io  sia. 

In  veril;\  tu  mi  fai  consumare, 

Pensando  clic  m'  a  fatto  tal  follia. 

Ma  io  ti  prometto  e  giuro  in  fede  mia 

Che  'n  altra  parte  lo  mio  amore  é  gito.  n 
Contento  son  da  poi  eh'  io  sono  uscito. 

Vers.  42.  che  tu  m'a':  C. 

CXIII. 

Dal  cod.  strozz.  tnagliab.  4040,  ci.  vii,  c.  57  v.» 

Lasso,  d'ogni  baldanza 

Mi  spogli,  donna,  nel  tuo  bel  sembiante, 

Po'  che  per  altro  amante 

Amor  mi  nieghi;  ond'io  vivo  in  dollanza.  4 
Tu  mi  mostravi  amore 

Si  dolcemente  ne'  begli  atti  adorni, 

Ch'  i'  contentava  il  core 

Solo  isperando  in  più  felici  giorni. 

De,  donna,  fa'  eh'  io  torni 

Dov'amor  mi  tenea  umile  e  piano. 

S'  i'  son  stato  lontano. 

Uccider  non  mi  dèi  sanza  fallanza.  ii 

Nel  dolce  disio  porlo 

Creata  la  tua  'magine  gentile, 

E  non  ò  più  conforto 

Che  di  trovarti  pietosa  e  umile. 

Vers.  7.  rontava:  C.  —  8.  ispregiando  in:  C—  4i.  Si  $e  stato:  C. 


)(  154  )( 
De  perchè  tieni  a  vile 
Ora  '1  desio  che  già  tanto  amasti, 
Se  con  gli  occhi  mostrasti 
Quel  che  nel  cor  portavi?  che  leanza?  so 

—  Non  è  mie'  la  cagione, 

Ma  credo  eh'  onestà  m'  abbia  conquiso.  — 

Certo  non  è  ragione 

Gh'  i'  sia  però  dal  tuo  piacer  diviso. 

Dov'*è  il  dolce  viso. 

Dove  '1  disio  la  carità  la  spene 

Il  grazioso  bene 

Che  mi  mostrava  Amor  per  tua  possanza?  ss 
A  tal  partito  sono. 

Ma,  se  fortuna  o  tempo  mai  rivene, 

Spero  trovar  perdono 

E  dar  conforto  alle  mie  dolce  pene. 

E,  s'ora  si  conviene 

Per  onestà,  tacendo,  alma,  soffrire, 

Riprenderonne  ardire. 

Se  mai  vincer  potrà  nostra  costanza.  ^^ 

Canzonetta  amorosa 

Che  se'  creata  tra  tanti  disiri. 

Questa  freschetta  rosa 

Non  so  s'ara  pietà  di  mie'  sospiri. 

Ma,  se  cogli  occhi  miri, 

Credo  che  aran  dal  core  riprensione; 

-  Per  che  per  lor  cagione 

Rotto  m'ài  fede  e  tolto  ogni  speranza.  u 

Lasso,  d'ogni  baldanza. 


Vers.  3-1-34.    A  me  non  riesce   cavar   senso  che  buono  sia  da 
questi  versi . 


)(  155  )( 
CXIV. 

Dal  cit.  cod.  strozz.  raagliab.,  carte  56  v." 

La  menle  mi  riprende 

Che  per  altra  lasciai 

Quella  eh'  io  prima  amai  ; 

Ma  la  potenzia  d'  amor  mi  difende.  ^ 

Amor,  come  potesti 

Far  eh'  io  abbandonassi 

La  prima  a  cui  mi  desti, 

Acciò  eh' un'altra  amassi? 

Ben  ched  io  m'accostassi 

A  mirar  sua  biltate, 

Perchè  'n  mia  lialtate 

*Ruppi.  il  suo  vago  viso  che  risplende?  12 

—  r  tendo  r  arco  e  getto 

Vere  saette  e  vane: 

Ma  quella  che  più  metto 

Nel  cor,  quella  rimane. 

Perchè  ferito  t'àne 

Questa  più  duramente. 

Ogni  altra  della  mente 

Ti  leva  e  fa'  d'amar  qual  più  l'accende. —    so 
Io  amai  l'altra  forte; 

Ma  me  vie  più  amava, 

E  dimostra  per  morte 

Quant'amor  la  legava. 

Vers.  9-12.  La  sentenza  non  corre  limpida.  Si  può  supporre  che 
dovessero  i  vv.  H  ei2  leggersi  cosi:  Perchè  mia  lialtate  Ruppe  ce.  — 


)(  ^56  )( 

Questo  forte  mi  grava, 

Che  bramava  sua  pace: 

Ben  che  seguir  mi  piace 

Quest'altra  e  d'esser  sua  mia  vita  intende. 
Come  fu  da  Parissi 

Cenone  lasciata 

Poi  che  punto  sentissi 

D'  Elena  disiata, 

Cosi  da  me  è  stata 

Abbandonala  quella 

Per  questa  eh'  é  sì  bella 

Ch'  i'  son  felice  s'  a  pietà  si  stende. 
La  mente  mi  riprende 

Che  per  altra  lasciai 

Quella  eh'  io  prima  amai; 

Ma  la  potenzia  d'amor  mi  difende. 


28 


86 


40 


Vers.  33.  me  constata:  C. 

cxv. 

Dal  cod.  gadd.  laur. ,  p.  lxxxx,  n.°  lxxxix,  carte  -l'IS  r. 

Morte  con  amar  pianti 

M'  à  tolto  ogni  virtue, 

Poi  eh'  i'  non  sento  piue 
Gli  dolzi  canti. 
Morte,  perchè  scendesti 

In  tanta  gentileza? 

Gran  torto  mi  facesti 


Vers.  3.  Enpoi  ch'i':  C. 


)(  157  )( 

Di  spegner  lai  belleza. 

Dov'è  la  bionda  treza 

Ch'  é  degna  di  corona, 

E  la  gentil  persona 

Co'  be'  sembianti?  12 

Dov'  è  il  bruno  vestire 

Col  vermiglio  addogato? 

Dov'è  il  vago  disire 

Che  sempre  ò  disiato? 

Amor  si  m'à  privalo 

D'ogni  mio  giuoco  e  riso, 

E  ogni  ben  m'à  diviso 

Co'  be'  sembianti.  so 

Tanto  è  '1  dolor  mio  intero 

Che  vita  m'è  noiosa. 

Ballatina,  di  nero 

Vestita  e  angosciosa. 

Gli  amanti  sanza  posa 

Va'  truova  e  mena  teco. 

Venite  a  pianger  meco 

Voi  tutti  quanti.  ss 

Morte  con  amar  pianti. 

Vers.  <<.  E  la  tuo'  gentil:  C. 


LIBRO    VI. 

BALLATE  TRATTE  DALLE  DIECI  GIORNATE  DEL 
DECAMERON  ED  ALTRE  CANZONI  A  BALLO 
E  MADRIGALI  DI  MESS.  GIOVANNI  BOCCACCIO. 


Per  le  ballate  del  Decameron  seguiamo  le  moderne  e  diligenti 
impressioni  del  Colombo,  Parma,  Banchon,  '18-12,  e  Dal  Rio,  Firenze, 
Passigli,  -1844-1844,  e  1'  ultima  del  Le  Monnier;  per  le  altre  seguiamo 
le  Rime  di  Mess.  Giovanni  Boccacci  raccolte  e  pubblicate  dal  Baldelli 
Livorno,  presso  T.  Masi  e  comp.,  -1802,  in  8.° 

CXVI. 

lo  son  sì  vaga  della  mia  bellezza, 

Che  d'altro  amor  già  mai 

Non  curerò  né  credo  aver  vaghezza.  3 

Io  veggio  in  quella,  ogn'ora  ch'io  mi  specchio, 

Quel  ben  che  fa  contento  lo  'ntelletto: 

Né  accidente  nuovo  0  pensier  vecchio 

Mi  può  privar  di  sì  caro  diletto. 

Qual  altro  dunque  piacevole  oggetto 

Potrei  veder  già  mai. 

Che  mi  mette'sse  in  cuor  nuova  vaghezza?  10 
Non  fugge  questo  ben,  qual  or'  disio 

Di  rimirarlo  in  mia  consolazione; 

Anzi  si  fa  incontro  al  piacer  mio 


)(  159  )( 

Tanto  soave  a  sentir,  che  sermone 
Dir  no  '1  poria  né  prendere  intenzione 
D'alcun  mortai  già  mai, 

Che  non  ardesse  di  cotal  vaghezza,  n 

Et  io,  che  ciascun'ora  più  m'accendo 
Quanto  più  fiso  tengo  gli  occhi  in  esso, 
Tutta  mi  dono  a  lui,  tutta  mi  rendo, 
Gustando  già  di  ciò  eh'  el  m'  ha  promesso  ; 
E  maggior  gioia  spero  più  da  presso 
Sì  fatta,  che  già  mai 
Simil  non  si  senti  qui  di  vaghezza.  m 

cxyii. 

Qual  donna  canterà,  s' i'  non  cant'io 

Che  son  contenta  d'  ogni  mio  disio?  2 

Vien  dunque.  Amor,  cagion  d'ogni  mio  bene, 

D' ogni  speranza  e  d' ogni  lieto  effetto  : 

Cantiamo  insieme  un  poco, 

Non  de'  sospir  né  delle  amare  pene 

Ch'  or  più  dolce  mi  fanno  il  tuo  diletto. 

Ma  sol  del  chiaro  foco 

Nel  quale  ardendo  in  festa  vivo  e  'n  gioco. 

Te  adorando  come  un  mio  iddio.  io 

Tu  mi  ponesti  innanzi  agli  occhi.  Amore, 

Il  primo  di  eh'  io  nel  tuo  foco  entrai. 

Un  giovinetto  tale. 

Che  di  bilia  d'ardir  né  di  valore 

Non  se  ne  troverebbe  un  maggior  mai 

Né  pure  a  lui  eguale  : 

Di  lui  m'accesi  tanto,  che  aguale 

Lieta  ne  canto  teco,  signor  mio.  /« 


)(  160  )( 

E  quel  che  'n  questo  m'è  sommo  piacere 
È  ch'io  gli  piaccio  quanto  egli  a  me  piace, 
Amor,  la  tua  merzede. 
Per  che  in  questo  mondo  il  mio  volere 
Posseggo,  we  spero  nell'altro  aver  pace. 
Per  quella  intera  fede 
Che  io  gli  porto.  Iddio,  che  questo  vede, 
Del  regno  suo  ancor  ne  sarà  pio. 

CXVIII. 


26 


I 


Ninna  sconsolata 

Da  dolersi  ha  quant'  io, 

Che  'n  van  sospiro,  lassa!,  innamorata. 
Colui  che  muove  il  cielo  et  ogni  stella 

Mi  fece  a  suo  diletto 

Vaga  leggiadra  graziosa  e  bella, 

Per  dar  qua  giù  ad  ogni  alto  intelletto 

Alcun  segno  di  quella 

Biltà  che  sempre  a  lui  sta  nel  cospetto: 

Et  il  mortai  difetto, 

Come  mal  conosciuta. 

Non  mi  gradisce,  anzi  m'ha  dispregiata. 
Già  fu  chi  m'ebbe  cara,  e  volentieri 

Giovinetta  mi  prese 

Nelle  sue  braccia  e  dentro  a'  suoi  pensieri, 

E  de'  miei  occhi  tututto  s"  accese, 

E  '1  tempo,  che  leggieri 

Se  n'  vola,  tutto  in  vagheggiarmi  spese  : 

Et  io,  come  cortese, 

Di  me  il  feci  degno: 

Ma  or  ne  son,  dolente  a  me!,  privata. 


i3 


Si 


)(  101  K 

Fcmmìsi  innanzi  poi  presuntuoso 

Un  giovinetto  fiero, 

Sé  nobii  reputando  e  valoroso: 

E  presa  tienmi,  e  con  falso  pensiero 

Divenuto  è  geloso. 

Là  ond'  io  lassa  quasi  mi  dispero, 

Cognoscendo  per  vero, 

Per  ben  di  molti  al  mondo 

Venula,  da  uno  essere  occupata.  39 

Io  maledico  la  mia  sventura, 

Ouando,  per  mutar  vesta. 

Si,  dissi  mai:  sì  bella  nella  oscura 

Mi  vidi  già  e  lieta,  dove  in  questa 

Io  meno  vita  dura. 

Vie  men  che  prima  reputata  onesta. 

0  dolorosa  festa, 

Morta  foss'  io  avanti 

Che  io  t'avessi  in  tal  caso  provata.  3$ 

0  caro  amante,  del  qual  prima  fui 

Più  che  altra  contenta, 

Che  or  nel  ciel  se'  davanti  a  colui 

Che  ne  creò,  deh  pietoso  diventa 

Di  me  che  per  altrui 

Ttì  obliar  non  posso  :  fa  eh'  io  senta 

Che  quella  lìamma  spenta 

Non  sia  che  per  me  t'arse, 

0  costà  su  m'impetra  la  tornata.  m 

CXIX. 

Lagrì  mando  dimostro 
Quanto  si  dolga  con  ragione  il  core 

44 


)(  462  )( 
D'esser  tradito  sotto  fede  Amore.  j 

Amore,  allora  che  primieramente 
Ponesti  in  lui  colei  per  cui  sospiro 

Senza  sperar  salute, 

Si  piena  la  mostrasti  di  virtute, 

Che  lieve  reputai  ogni  martiro 

Che  per  te  nella  mente, 

Ch'  è  rimasa  dolente, 

Fosse  venuto;  ma  il  mio  errore 

Ora  conosco,  e  non  senza  dolore.  ts 

Fatto  m'  ha  conoscente  dello  'nganno 

Vedermi  abbandonato  da  colei 

In  cui  sola  sperava: 

Ch'  allora  eh'  i'  più  esser  mi  pensava 

Nella  sua  grazia  e  servidore  a  lei, 

Senza  mirare  il  danno 

Del  mio  futuro  affanno, 

M'  accorsi  lei  aver  1'  altrui  valore 

Dentro  raccolto  e  me  cacciato  fore.  si 

Com'  io  conobbi  me  di  fuor  cacciato. 

Nacque  nel  core  un  pianto  doloroso 

Che  ancor  vi  dimora: 

E  spesso  maladico  il  giorno  e  1'  ora 

Che  pria  m'apparve  il  suo  viso  amoroso 

D'  alta  biltà  ornato 

E  più  che  mai  'nfiammato. 

La  fede  mia  la  speranza  e  l'ardore 

Va  bestemmiando  l'anima  che  more.  so 

Quanto  '1  mio  duol  senza  conforto  sia, 

Signor,  tu  '1  puoi  sentir,  tanto  ti  chiamo 

Con  dolorosa  voce: 

E  dicoti  che  tanto  e  si  mi  cuoce. 


)(  163  )( 

Che  per  minor  marlir  la  morie  bramo. 

Venga  dunque,  e  la  mia 

Vita  crudele  e  ria 

Termini  col  suo  colpo  e  '1  mio  furore; 

Ch',  ove  eh'  io  vada,  il  sentirò  minore.  39 

Nuli' altra  via,  niun  altro  conforto 

Mi  resta  più,  che  morte,  alla  mia  doglia. 

Ballami  dunque  omai. 

Pon  fine,  Amor,  con  essa  alli  miei  guai, 

E  '1  cor  di  vita  sì  misera  spoglia. 

Deh  fallo,  poi  eh'  a  torto 

M'è  gioi'  tolta  e  diporto. 

Fa  costei  lieta,  raorend'  io,  signore, 

Come  r  hai  fatta  di  nuovo  amadore.  4^ 

Ballata  mia,  se  alcun  non  l'appara, 

Io  non  me  n'  curo;  per  ciò  che  nessuno, 

Com' io,  ti  può  cantare: 

Una  fatica  sola  ti  vo'  dare, 

Che  tu  ritruovi  Amore,  e  a  lui  sol  uno 

Quanto  mi  sia  discara 

La  trista  vita  amara 

Dimostri  a  pien,  pregandol  che  'n  migliore 

Porto  ne  ponga  per  lo  suo  valore.  sj 

Lagrimando  dimostro. 

cxx. 

Amor,  la  vaga  luce 

Che  move  da'  begli  occhi  di  costei 

Servo  m'  ha  fatto  di  te  e  di  lei.  3 

Mosse  da'  suoi  begli  occhi  lo  splendore 

Che  pria  la  fiamma  tua  nel  cor  m'accese 


)(  '1«^^  )( 

Per  li  miei  trapassando, 
.E  quanto  fosse  grande  il  tuo  valore 

fi  bel  viso  di  lei  mi  fé  palese: 

Il  quale  imaginando, 

Mi  sentii  gir  legando 

Ogni  virtù  e  sottoporla  a  lei, 

Fatta  nuova  cagion  de'  sospir  miei.  ig 

Cosi  de'  tuoi  adunque  divenuto 

Son,  signor  caro,  et  ubidente  aspetto 

Dal  tuo  poter  merzede: 

Ma  non  so  ben  se  'utero  è  conosciuto 

L'alto  disio  che  messo  m' hai  nel  petto 

Né  la  mia  intera  fede 

Da  costei,  che  possiede 

Si  la  mia  mente,  che  io  non  torrei 

Pace  fuor  che  da  essa  né  vorrei.  21 

Per  eh'  io  ti  priego,  dolce  signor  mio, 

Che  glie  '1  dimostri,  e  faccile  sentire 

Alquanto  del  tuo  foco 

In  servigio  di  me;  che  vedi  eh'  io 

Già  mi  consumo  amando,  e  nel  martire 

Mi  sfaccio  a  poco  a  poco; 

E  poi,  quando  fìa  loco. 

Me  raccomanda  a  lei,  come  tu  dei; 

Che  teco  a  farlo  volentier  verrei.  ^^ 

CXXI. 

Amor,  s'  i'  posso  uscir  de'  tuoi  artigli, 

A  pena  creder  posso 

Che  alcun  altro  uncin  mai  più  mi  pigli.  5 

Io  entrai  giovinetta  cn  la  tua  guerra, 


)(  105  )( 

Quella  credendo  somma  e  dolce  pa«e; 

K  ciascuna  mia  arme  posi  in  terra. 

Come  sicuro  chi  si  fida  face. 

Tu,  disleal  tiranno,  aspro  e  rapare 

Tosto  mi  fosti  addosso 

Con  le  tue  armi  e  co'  crude'  ronrij^li.  40 

Poi,  circundata  delle  tue  catene, 

A  quel  che  nacque  per  la  morte  mia, 

Piena  d'amare  lagrime  e  di  pene, 

Presa  mi  desti;  et  hammi  in  sua  halia: 

Et  è  si  cruda  la  sua  signoria, 

Che  già  mai  non  1'  ha  mosso 

Sospir  né  pianto  alcun  che  m'assottigli.  i? 
Li  prieghi  miei  lutti  glien'  porla  il  vento; 

Nullo  n'  ascolta,  né  ne  vuole  udire  : 

Per  che  ogni  ora  cresce  'I  mio  tormento; 

Onde  '1  viver  m'  è  noi'  né  so  morire. 

Deh  dolgati,  signor,  del  mio  languire: 

Fa'  tu  quel  eh'  io  non  posso  ; 

Dalmi  legato  dentro  a'  tuoi  vincigli.  n 

Se  questo  far  non  vuogli,  almeno  sciogli 

I  legami  annodati  da  speranza. 

Deh  io  ti  priego,  signor,  che  tu  vogli! 

Che,  se  tu  '1  fai,  ancor  porto  fidanza 

Di  tornar  hella  qual  fu  mia  usanza, 

Et,  il  dolor  rimosso. 

Di  bianchi  fiori  ornarmi  e  di  vermigli.  si 

CXXII. 

Deh  lassa  la  mia  vita! 

Sarà  già  mai  eh'  io  possa  ritornare 


)(  166  )( 

Donde  mi  tolse  noiosa  partita?  3 

Certo  io  non  so:  tanto  è  '1  disio  focoso, 

Che  io  porto  nel  petto, 

Di  ritrovarmi  ov'  io,  lassa!,  già  fui. 

0  caro  bene,  0  solo  mio  riposo, 

Che  '1  mio  cuor  tien'  distretto. 

Deh  dilmi  tu;  che  '1  domandarne  altrui 

Non  oso,  né  so  cui. 

Deh,  signor  mio,  deh  fammelo  sperare, 

Si  ch'io  conforti  Tanima  smarrita.  42 

Y  non  so  ben  ridir  qual  fu  '1  piacere 

Che  sì  m'  ha  infiammata, 

Che  io  non  trovo  di  né  notte  loco: 

Perchè  1'  udire  e  '1  sentire  e  '1  vedere 

Con  forza  non  usata 

Ciascun  per  sé  accese  novo  foco, 

Nel  qual  tutta  mi  coco: 

Né  mi  può  altri  che  tu  confortare 

0  ritornar  la  virtù  sbigottita.  si 

Deh  dimmi  s'esser  dee  e  quando  fìa 

Ch'  io  ti  trovi  già  mai 

Dov'  io  basciai  quegli  occhi  che  m' han  morta. 

Dimmel,  caro  mio  bene,  anima  mia. 

Quando  tu  vi  verrai; 

E  col  dir  tosto  alquanto  mi  conforta. 

Sia  la  dimora  corta 

D'ora  al  venire  e  poi  lunga  allo  stare, 

Ch'  io  non  me  n'  curo,  si  m' ha  Amor  ferita.    30 
Se  egli  avvien  che  io  mai  più  ti  tenga, 

Non  so  s' io  sarò  sciocca, 

Com'  io  or  fui,  a  lasciarti  partire. 

Io  ti  terrò,  e  che  può  si  n'avvenga: 


)(  107  )( 
E  (lolla  dolce  bocca 

Convien  ch'io  sodisfaccia  al  mio  disiro: 
D'altro  non  voglio  or  dire. 
Duncjuc  vien  loslo,  vinnmi  ad  abhrarriare; 
Clio  'I  pur  ju^n'i.'MlM  «li  coulni-  di'  invifri.  .7.9 

CXXIII. 

Tanto  è,  Amore,  il  bene 

Ch'  i'  per  te  sento  e  l'allogezza  e  '1  gioco, 

Ch'  io  son  felice  ardendo  nel  tuo  foco.  j 

L' abbondante  allegrezza,  eh'  è  nel  core, 

Dell'alta  gioia  e  cara 

Nella  qual  m'ha'  recato, 

Non  potendo  capervi,  esce  di  foro, 

E  nella  faccia  chiara 

Mostra  '1  mio  lieto  stato  : 

Che  essendo  innamorato 

In  cosi  allo  e  ragguardevol  loco 

Lieve  mi  fa  lo  star  dov'io  mi  coco.  /* 

Io  non  so  col  mio  canto  dimostrare 

Né  disegnar  col  dito, 

Amore,  il  ben  eh'  i'  sento  ; 

E,  s'io  sapessi,  me  '1  convien  celare. 

Che,  s'el  fosse  sentilo, 

Torneria  in  tormento: 

Ma  i'  son  si  contento, 

Ch'  ogni  parlar  sarebbe  corto  e  fioco 

Pria  n'  avessi  mostrato  pure  un  poco.  ?/ 

Chi  potrebbe  estimar  che  le  mie  braccia 

Aggiugnesser  già  mai 

Là  dov'  io  r  ho  tenute, 


)(  168  )( 
E  ch'io  dovessi  giunger  la  mia  faccia 
Là  dov'  io  r  accostai 
Per  grazia  e  per  salute? 
Non  mi  sarien  credute 
Le  mie, fortune:  ond'io  tutto  m'infoco, 
Quel  nascondendo  ond'io  m'allegro  e  gioco.    5& 

CXXIV. 

lo  mi  son  giovinetta,  e  volentieri 
M'allegro  e  canto  en  la  stagion  novella, 
Merzè  d'Amore  e  de'  dolci  pensieri.  j 

lo  vo  pe'  verdi  prati  riguardando 

I  bianchi  fiori  e'  gialli  et  i  vermigli, 

Le  rose  in  su  le  spini  e  i  bianchi  gigli; 
E  tutti  quanti  gli  vo  somigliando 
Al  viso  di  colui  che  me  amando 
Ha  presa  e  terrà  sempre,  come  quella 
Ch'altro  non  ha  in  disio  eh' e'  suoi  piaceri,     jo 
De'  quai  quand'io  ne  truovo  alcun  che  sia 
Al  mio  parer  ben  simile  di  lui, 

II  colgo  e  bacio,  e  parlomi  con  lui, 
E,  com' io  so,  cosi  l'anima  mia 
Tututta  gli  apro  e  ciò  che  '1  cor  disia: 
Quindi  con  altri  il  metto  in  ghirlandella 
Legato  co'  miei  crin  biondi  e  leggieri.  i7 

E  quel  piacer,  che  di  natura  il  fiore 
Agli  occhi  porge,  quel  simil  me  '1  dona 
Che -s'io  vedessi  la  propia  persona 
Che  m'  ha  accesa  del  suo  dolce  amore  : 
Quel  che  mi  faccia  più  il  suo  odore, 
Esprimer  no  '1  potrei  con  la  favella; 


)(  i«o  )( 

Ma  i  sospiri  ne  son  leslimon  veri.  s4 

Li  quai  non  cscon  già  mai  del  mio  petto, 
Come  dell'altre  donne,  aspri  né  gravi; 
Ma  se  ne  vengon  fuor  caldi  e  soavi. 
Et  al  mio  amor  se  n'  vanno  nel  cospetto: 
Il  qual,  come  gli  sente,  a  dar  diletto 
Di  sé  a  me  si  muove,  e  viene  in  quella 
Ch'i' son  per  dir:  Dehvien,  ch'i' non  disperi.  5/ 

cxxv. 

S'amor  venisse  senza  gelosia, 

Io  non  so  donna  nata 

Lieta  com'  io  sarei,  e  qual  vuol  sia.  5 

Se  gaia  giovinezza 

In  bello  amante  dee  donna  appagare, 

0  pregio  di  virtule 

0  ardire  0  prodezza, 

Senno,  costume,  0  ornato  parlare 

0  leggiadrie  compiute; 

Io  son  colei  per  certo,  in  cui  salute, 

Essendo  innamorata. 

Tutte  le  veggio  en  la  speranza  mia.  u 

Ma,  per  ciò  ch'io  m'avveggio 

Che  altre  donne  savie  son  com'  io, 

Io  triemo  di  paura; 

E  pur  credendo  il  peggio 

Di  quello  avviso  en  l'altre  esser  disio 

Ch'  a  me  V  anima  fura: 

E  cosi  quel  che  m'  è  somma  ventura 

Mi  fa  isconsoiata 

Sospirar  forte  e  stare  in  vita  ria.  n 


)(  170  )( 

Se  io  sentissi  fede 

Nel  mio  signor  quant'io  sento  valore, 

Gelosa  non  sarei: 

Ma  tanto  se  ne  vede, 

Pur  che  sia  chi  inviti  l'amadore, 

Ch'  io  gli  ho  tutti  per  rei. 

Questo  m'  accuora;  e  volenti er  morrei;  - 
'    E  di  chiunque  il  guata 

Sospetto,  e  temo  non  ne  '1  porti  via.  30 

Per  Dio  dunque  ciascuna 

Donna  pregata  sia  che  non  s'  attenti 

Di  farmi  in  ciò  oltraggio: 

Che,  se  ne  fia  nessuna 

Che  con  parole  0  cenni  0  blandimenti 

In  questo  il  mio  dannaggio 

Cerchi  0  procuri,  s' io  il  risapraggio, 

Se  io  non  sia  svisata, 

Piagner  farolle  amara  tal  folha.  59 

Vers.  26.    Ho  osato  mettere  inviti  in  luogo  del  vulgato  'nviti, 
sol  per  aiutare  un  poco  il  verso. 


GXXVI. 

Dal  libro  IV  del  Filocopo.  Avvene  una  varia  lezione  in  un  cod. 
di  man  del  Varchi ,  che  già  era  il  227  della  bibliot.  della  ss.  An- 
nunziata; e  fu  inserita  dal  Baldelli  nelle  Rime,  72. 

Io  son  del  terzo  ciel  cosa  gentile 

Si  vago  de'  begli  occhi  di  costei 

Che  s'io  fossi  mortai  me  ne  morrei.  j 

E  vo  di  fronda  in  fronda  a  mio  diletto 


Vers.  4.  Ecco  di ...  :  Bald. 


)(  171  )( 
Intorniando  gli  aurei  suoi  crini 
E  me  di  me  accendendo. 
E  'n  questa  mia  Fiammetta  con  cffettd^ 
Mostro  il  poter  de'  dardi  mici  divini, 
Andando  ogn'uom  ferendo 
Che  lei  negli  occhi  mira;  ov'  io  discendo 
Ciaschedun'  ora  eh'  é  piacer  di  lei, 
Vera  regina  degli  regni  miei.  12 

Vers.  5.  gli  aurei  tttoi  bei:  st.  del  Filoc—  6.  me  di  m«  accendo: 
B.  —  7.  E  questa:  B.—  8.  Mostra  la  forza  de' miei  dardi  fini:  B.  — 
9.  ognun:  B.  —   ■10.  guarda:  B.  —  H.  Ciascuna  volta:  B. 

CXXVIl. 

Io  non  ardisco  di  levar  più  gli  occhi 

In  verso  donna  alcuna, 

Qual  or' io  penso  quel  che  m'ha  fatt'una.      5 
Nessun  amante  mai  con  puro  core 

0  con  fermo  valore 

Donna  servì  com'  io  servia  costei  : 

E,  quand'io  più  fedel  al  suo  volere 

Credea  merito  avere, 

Giovane  novo  fé'  signor  di  lei: 

Ond'  io  bassando  gli  occhi  dico  —  Omei  ! 

Non  vo'  mirar  nessuna, 

Che  forse  come  questa  inganna  ognuna.  —   / • 

CXXVIII. 

Il  fior  che  '1  valor  perde. 

Da  che  qui  cade,  mai  non  si  rinverde.  s 

Perdul'  ho  '1  valor  mio, 


)(  172  )( 

E  mia  bellezza  non  sarà  com'era; 

Però  eh'  è  van  desio 

Chi  perde  il  tempo  e  d'acquistarlo  spera: 

Io  non  son  primavera 

Gh'  ogni  anno  si  rinnova  e  fassi  verde.  8 

Io  maledico  l'ora 

Che  '1  tempo  giovenil  fuggir  lasciai  : 

Femmina  essendo,  ancora 

Essere  abbandonata  non  pensai: 

Non  si  rallegra  mai 

Chi  '1  primo  fiore  del  primo  amor  perde.  14 
Ballata,  assai  mi  duole 

Ch'  a  me  non  lice  di  metterti  in  canto  : 

Tu  sai  che  '1  mio  cor  suole 

Vivere  con  sospiri  doglia  e  pianto: 

Così  starò  fin  tanto 

Che  '1  foco  di  m.ia  vita  giunga  al  verde.         so 

Prima  che  il  Baldelli  di  su  '1  già  cit.  cod.  della  ss.  Annunziata, 
di  sur  un  marciano,  di  su  '1  riccard.  2846,  tutti  del  sec.  xvi  inol- 
trato 0  cadente,  pubblicasse  questa  ballata  fra  le  altre  Rime  del 
Boccaccio,  ella  era  a  stampa  nelle  vecchie  e  popolari  raccolte  di 
Canzoni  a  ballo  del  1532,  1562-68,  1614,  con  varietà  che  testimo- 
niano l'intramettersene  che  fece  la  musa  del  popolo.  Ecco  la  lezione 
delle  prime  tre  stampe  citate  che  concordano  fra  loro ,  ed  in  nota 
le  varianti  della  st.  del  -1614. 

Quel  fior  che  valor  perde. 

Biancheggia  e  casca  e  giammai  non  riverde.  2 

Perduto  ho  il  tempo  mio, 

E  le  bellezze  non  son  più  com'era. 

Egli  ii^  ben  van  desio 

Chi  perde  il  tempo  e  racquistarlo  spera. 

Noi  non  slam  primavera, 

Vers,  4.  E  bello  non  son  più  com'  io  era.  —  7.  Non  siano  in 
primavera. 


)(  m  )( 

eh'  ogni  alber  si  rinnova  o  torna  I  verde.  8 

Ben  posso  pianger  l'ora 

Che  la  mia  giovanezza  andar  lassai, 

Sendo  fanciulla  ancora, 

E  d' invecchiar  si  presto  non  pensai. 

Non  sì  rallegra  mai 

Chi  'I  primo  fior  di  sua  gioventù  perde.  f  4 

Canzona,  assai  mi  duole 

Che  le  mie  pene  l'abbia  a  dire  in  canto, 

Da  poi  che  amor  vuole, 

Di  lacrime  e  sospiri  in  doglia  e 'n  pianto: 

Ma  i'  farò  al  fin  tanto 

Che  la  mia  gioventù  tornerà  verde,  20 

Vers.  <t.    Io  fui  fanciulla.    -  42.  i' non.  —  i9.  io  farò  'l.  — 
20.  in  verde. 


CXXIX. 

ir 

Amor,  dolce  signore, 

Poi  e' hai  il  nostro  cuore  in  tua  balia, 

Per  dio,  fanne  contente.  j 

Tu  se'  nostro  signor  caro  e  verace, 

E  noi  cosi  volemo; 

Tu  se'  colui  che  ne  può  render  pace 

Nel  gran  disio  che  avemo. 

Però  quanto  potemo 

Preghiam  tua  signoria. 

Che  in  vèr  di  noi  si  porti  urailemente.  io 

Noi  siam  qui  giovinette,  e  tu  il  ti  sai, 

Che  poca  di  gravezza 

Che  noi  sentiam,  ci  par  sentire  assai. 

Però  la  tua  grandezza 

A  chiunque  la  sprezza, 

Signor,  falla  sentire; 

Che  a  noi  non  cai,  che  siam  tue  veramente.  47 


)(  i74  )( 
Fa'  sentire  a  coloro  il  tuo  valore, 

Che  si  fanno  chiamare 

Innamorati  senza  farti  onore: 

Che,  se  tu  fai  provare 

Lor  quanto  tu  puoi  fare, 

Saranno  innamorati  ; 

E  noi  ti  loderem  più  degnamente.  h 

Noi  ardiam  tutte  per  la  tua  virtute 

Nel  tuo  cocente  foco. 

Per  dio,  mercè!  deh,  donaci  salute 

Anzi  che  mutiam  loco! 

Che  già  a  poco  a  poco 

Per  te  ci  consumiamo. 

Se  tu  non  ci  soccorri  tostamente.  .51 

Fa',  signor  nostro,  gli  animi  pietosi 

Degli  nostri  amadori; 

Raffrena  alquanto  i  lor  atti  orgogliosi 

Con  più  aspri  dolori 

Che  non  hanno  ne'  cori; 

Sì  che  la  nostra  pena 

E'  provi  come  noi  chi  non  la  sente.  38 

Entra  in  gli  orecchi  qui,  ballata,  avanti 

Ad  Amor  nostro  sire: 

E,  come  tu  pietosamente  canti 

1  nostri  aspri  martiri. 

Fa'  che  pregando  il  giri 

A  darci  tosto  gioia. 

Prima  che  ei  n'uccida  crudelmente.  45 

Vers.  40.  La  rima  non  concorda,  come  dovrebbe,  coi  versi  42 
e  43.  Dovrebbe  forse  leggersi  stri,  com'è  in  qualche  antico? 


)(  i75  )( 

cxxx. 

Non  so  qiial  io  mi  voglia, 

0  viver  o  morir,  per  minor  doglia.  i 

Morir  vorrei,  che  '1  viver  m'é  gravoso, 

Veggendomi  per  altri  esser  lascialo; 

E  morir  non  vorrei,  che  trapassato 

Più  non  vedrei  il  bel  viso  amoroso; 

Per  cui  piango,  invidioso 

Di  chi  l'ha  fatto  suo  e  me  ne  spoglia.  « 

CXXXI. 

Come  su  '1  fonte  fu  preso  Narciso 
Di  sé  da  sé,  così  costei,  specchiando 
Sé,  sé  ha  preso  dolcemente  amando; 
E  tanto  vaga  sé  stessa  vagheggia 
Che  ingelosita  della  sua  figura 
Ha  di  chiunque  la  mira  paura, 
Temendo  se  a  sé  non  esser  tolta. 
Quello  ch'ella  di  me  pensi,  colui 
Se  '1  pensi  il  quale  in  sé  conosce  altrui. 
A  me  ne  par,  per  quel  ch'appar  di  fuore, 
Qual  fu  tra  Febo  e  Dafne,  odio  et  amore.      // 


LIBEO    VII. 

CANZONETTE    A    BALLO 
DI    SER    GIOVANNI    FIORENTINO., 


Sono  tolte  dal  Pecorone,  del  quale  abbiamo  raffrontato  la  edi- 
zione del  Poggiali  [Londra,  Bancker,  4793,  in  8.<*,  ma  veramente  fatta 
in  Livorno  dal  Masi]  e  quella  del  Silvestri  [Milano,  4815,  in  8.°j 
all'antica  e  citata  dalla  Crusca  [Appresso  di  Giovann' Antonio  degli 
Antonij,  Milano,  mdlvhi;  in  8.°].  Ho  avuto  anche  a  mano  un  cod. 
magliab.  [cart.  in  -12.°  del  sec.  xv,  376  var.  ci.  vii],  ove  senza 
nome  d'autore  stanno  di  seguito  le  prime  12  (una  eccettuatane)  da 
pagg.  Hi  a  121,  e  d'onde  il  Trucchi  riprodusse  in  Poes.  it.  ined. 
[  II,  325-31  ]  quelle  che  incominciano  Nessuno  in  me,  Quante  leg- 
giadre fogge,  0  lassa  sventurata.  Tradita  sono,  Al  mio  primo  ama- 
tor,  attribuendole  a  incerta  donna  quattrocentista.  Di  questo  cod.  ho 
riportato  fedelmente  le  varianti ,  pur  derivandone  pochissime  e  a 
pena  percettibili  modificazioni  al  testo  già  accettato,  perchè  un  cod. 
solo  e  miscellaneo  non  può  dare  autorità  a  mutare  una  lezione.  Del 
resto  il  cod.  magliab.  ci  mostra  che  le  ballate  di  ser  Giovanni  eb- 
bero vita  e  fama  da  sé  anche  fuor  del  Pecorone:  e,  se  le  varianti 
attestano  alcuna  volta  l' ignoranza  del  copista  o  meglio  le  licenze 
inevitabili  di  chi  le  commetteva  alla  memoria  o  le  cantava,  gl'in- 
telligenti vi  scorgeranno  il  fondo  d'una  lezione  ben  più  ingenua  di 
quella  accettata  del  Pecorone.  Si  ricordi  che  nella  prima  edizione 
ebbe  che  fare  un  [filologo  cinquecentista,  e  che  questi  era,  ahimè, 
Lodovico  Domenichi. 

GXXXII. 

Alzando  gli  occhi  i'  vidi  una  donzella 

Con  arco  in  mano  e  con  le  sue  quadrella.       2 

Vers.  1.  viddi:  Magi.— 2.  Con  un  arco  in  mano  e  saettare  quadr.:  M. 


)(.177  H 
Era  di  bianco  al  mio  parer  vestita. 

Con  un  color  dirin,  l(?pr},Madra  e  bella: 

Aveva  il  petto  e  la  faccia  fiorita, 

Che  pareva  a  veder  rosa  novella. 

Questa  è  quella  amorosa  damigella 

C'ha  gli  occhi  in  testa  più  chiari  che^stelIa.      s 
Apriva  l'arco  per  forza  d'amore 

Con  quelle  braccia  prezioso  e  bianche; 

E  saellonimi  uno  strale  nel  core, 

Che  fece  le  mie  forze  inferme  e  manche. 

Non  si  vedranno  mai  mie  voglie  stanche 

Di  rimirar  questa  lucente  stella.  /4 

Quando  prima  guardai  quel  vago  viso 

Del  qual  Amor  m' avea  fatto  servente,- 

Col  suo  soave  ed  angelico  riso 

Mi  salutò  cortese  e  riverente. 

Rondelle  il  cenno:  ed  ella  incontanente 

Riprese  l'arco  e  saettommi  in  quella.  to 

Avea  negli  occhi  un  arco  soriano 

Col  qual  gittava  saette  dorato, 

Più  grave  assai  che  quel  ch'aveva  in  mano: 

E  questo  sa  ciascun  che  l'ha  provate; 

Ch'ella  ha  saette  d'amor  temperate. 

Ch'entrano  al  vivo  più  ch'altre  quadrella.      te 
Poi  con  un  vago  ed  amoroso  inchino 

Da  me  prese  commiato  l'angioletta. 

Ed  io,  guardando  a  quel  fior  di  giardino, 

Vers.  4.  color  angelv'o  di  perla:  M.  —  6.  Ch' a  veder  pare 
una:  M.  —42.  fone  venir  manche:  M.  —48.  umile  e  riverente  M.  — 
49.  Rendeile:  Pogg.  e  Silv.  e  poi  subitamente:  M.  —  23.  Possente 
più  che  quel  che  avia  :  M.  —  26.  Passano  il  viro:  M.  —  27.  E  :  M.: 
e  sempre  cosi  in  vece  di  ed  e  et. 

42 


)(  178  )( 
Le  dissi  —  Or  va,  che  tu  sia  benedetta  ; 
Che  tu  se'  quella  vaga  amorosetta 
Ch'  avanzi  di  costumi  ogni  altra  bella.  32 

GXXXIII. 

Un' angioletta  m'apparve  un  mattinò 
Pulita  e  bianca  quanto  un  ermellino.  s 

Avea  la  testa  di  pel  di  leone, 

E  gli  occhi  avea  d'un  pellegrin  falcone: 

Soave  andava  a  guisa  di  pavone, 

Più  bella  assai  ch'uno  angel  cherubino.  ^ 

Io  non  vidi  già  mai  nessuna  cosa 
Che  fosse  tanto  fresca  et  odorosa 
Quanto  era  questa  risplendente  rosa 
Assai  più  bella  che  perla  0  rubino.  io 

Ella  pareva  un  giglio  pur'  or  colto. 
Tanto  avea  dilicato  il  petto  e  '1  volto: 
Avea  la  treccia  bionda  e  '1  capo  avvolto. 
Assai  più  bella  eh'  un  fior  di  giardino.  ut 

Quando  m'apparve  pria  questa  angioletta. 
Con  gli  occhi  al  cor  mi  trasse  una  saetta, 
Poi  fece  pace  meco  lascivetta: 
r  mi  partii  da  lei  con  bello  inchino.  is 

Ella  parlò  tanto  benignamente 
Con  quel  bocchino  amoroso  e  piacente, 
E  poi  mostrommi  il  viso  rilucente 

Vers.  3.  Avia:  M.  —  5.  pagane:  M.  —  6.  angiol:  M.  —  7.  viddi: 
M.  —  8.  e  olorosa:  M.  —  9.  sprendente:  M.  —  ii,  pur  tno :  M,  — 
45.  m' aparve  questa  amorosetta  :  M.  —  <6.  Co  gli:  M.  —  '17.  Po' . .  . 
l' angioletta  :  M.;  qui  e  al  15  meglio  certamente  che  il  testo.  — 20. 
Che  quel:  M.  —  24.  Poi  mi  mostrò  quel  v.  :  M. 


)(  179  )( 
Ch'  era  più  bel  di'  un  fior  di  gelsomino.        a 
Vanne,  ballala,  a  quella  chiara  stella 
Ch'  avanza  di  costume  ogni  altra  bella  : 
Di'  che,  se  mai  mi  troverò  con  ella, 
Bascierò  cento  volte  il  suo  bocchino.  te 

Vers.  2*.  giensomino:  hi.—  26.  mi  ritruovo:  M.  —  26.  Bacerò:  M. 

CXXXIV. 

Benedetto  sia  il  giorno  ch'io  trovai 

Pace  negli  occhi  bei  ch'io  tanto  amai.  2 

Io  era  stato  gran  tempo  lontano 

Da  quegli  occhi  leggiadri  pien  d'onore: 

E  questo  è  stato  colpa  del  villano 

Che  voleva  ingannare  il  fino  amore. 

Ora  è  palese  ch'egli  é  traditore: 

Ond'  io  vivo  contento  più  che  mai.  8 

Io  mi  ti  scuso,  caro  mio  signore,  * 

Se  già  gran  tempo  io  son  stato  adirato; 

Che  la  colpa  è  del  villan  traditore 

Che  mi  t'aveva  tanto  difTamato: 

Ond'  io  ti  prego  che  per  iscusato 

Tu  abbia  me,  eh'  io  ho  te  sempre  mai.  u 

Quando  mi  ritrovai  in  sua  presenza, 

Dov'  era  sol  quel  bel  fior  di  giardino. 

Tre  rose  mi  donò  con  riverenza 

Col  suo  sottile  e  vermiglio  bocchino: 

Poi  con  un  vago  ed  amoroso  inchino, 

Vers.  3.  ero:  M.  —  4.  Da  que'  begli ....  d'amore:  M.  —  6.  in 
fino:  M.  —  40.  stato  cruciato:  M.  —  13.  priego:  M.  —  H.  abbi:  ti.  — 
46.  sola  quel  fior:  &f.  r-  47.  reverenza:  M. 


)(  180  )( 
Senza  più  dir,  da  lei  m'allontanai,  20 

Poi  che  donato  m'ebbe  la  sua  pace 
Questa  leggiadra  e  nobil  creatura, 
Innamorommi  d'uno  amor  verace, 
Ch'io  l'amo  più  che  prima  olire  misura; 
E  porto  anco  nel  cor  la  sua  figura 
Per  tanta  lealtà  che  in  lei  trovai.  se 

Vanne,  ballata,  a  quel  fior  di  natura 
La  quale  è  stella  sopra  l'altre  stelle, 
E  prega  quella  angelica  figura 
Che  da  villan  non  curi  più  novelle: 
Poi  eh' eli' è  bella  sopra  l'altre  belle, 
Io  son  suo  servo  e  sarò  sempre  mai.  ss 

Vers.  24.  oltre  a:  M.  —  25.  porto  nel  mio  cor  la:  M.  — 
29.  priega:  M.  —  30.  del  villan:  M. 

cxxxv.  ' 

Troverò  pace  in  te,  donna,  già  mai? 

Che  t'amo  più  che  la  mia  vita  assai.  s 

Sì  mi  riscalda  l'amoroso  foco 
De'  dolci  sguardi  eh'  escon  da'  tuoi  occhi, 
Ch'  io  non  posso  né  so  ritrovar  loco, 
Tanto  co'  tuoi  be'  raggi  il  cor  mi  tocchi: 
Che  veramente  par  neve  che  fiocchi 
La  saporita  manna  che  mi  dai.  g 

Non  ti  ricorda  con  quanto  disio 
Io  t'ho  portalo  lealtade  e  fede, 

Vers.  2.  Che  sai  eh'  io  V  amo  più  che  vita  assai:  M.  —  4.  De'  tua 
occhi:  M.  — 5.  trovare:  M.  —  6.  tua  be'  razzi:  M.  —  8.  che  or  mi: 
M.— 9.  ricordi:  M.—  iO.  portato  con  leanza  fede:  M. 


)(  i8i  X       - 
E  d'iòni  me  con  Palma  e  col  cor  mio 
Sempre  sperando  in  te  trovar  mercede? 
La  tua  discrezion  questo  ben  vede: 
E  mal  fai,  che  pietà  di  me  non  hai.  44 

Già  sai  tu  ben  quanta  dolcezza  porse 
La  tua  dolce  parola  alla  mia  mente, 
Quando  dicesti  senza  nessun  forse 
—  Si,  ch'io  li  vo'  per  mio  leal  servente  — . 
Adunque,  donna,  non  t'esca  di  mente 
Quel  che  con  gli  occhi  e'I  cor  promesso  m' bai.  so 

Io  t'  ho  portato  e  porto  quella  fede 
Che  dee  portare  ogni  leale  amante: 
Per  che  mi  credo  ancor  trovar  mercede 
Da  le  tue  braccia  preziose  e  sante. 
Non  posso  più  portar  le  pene  tante, 
Se  prima  qualche  grazia  non  mi  fai.  ^c 

Vanne,  ballata,  a  quella  e'  ha  il  mio  core 
E  fatta  è  donna  dell'anima  mia; 
Dille  da  parte  del  suo  servidore 
Ch'ella  farebbe  oggi  mai  cortesia 
Ad  esser  verso  lui  alquanto  pia, 
Poi  ch'egli  è  suo  e  sarà  sempre  mai. 

Vers.  <<.  coU'anima  e  l  cor  :  M.  —  ii.  meriede:  M  -  <4.  Dunche 
perchè  piata  di  menonài?  M.—  16.  Le  lua  dolci  parole:  M.  Noto  che 
l'edizion  milanese  e  il  P.  e  il  S.  leggono  a  mia  mente,  dove  a  me 
è  parso  necessario  prender  alla  dal  M.  —  il.  sansa:  \l.  —  iS.  vi 
voglio:  M.—  i9.  Adunche:  M.  —  20.  co  gli:  M.  —  23.  mercede:  M.— 
24.  Dalle  lua:  M.  —  :i\.  A  esser  in  vèr  lui:  li. 


)(  182  )( 
GXXXVI. 

Apri  il  dolce  arco,  o  caro  signor  mio, 

E  fa'  a  costei  sentir  quel  che  sent'  io.  a 

0  tu  risana  le  crudei  ferute 

Che  nel  centro  del  core  han  fatto  nido; 

0  tu  dimostra  in  lei  la  tiia  virtute, 

Si  eh'  ella  senta  quel  che  sentì  Dido. 

E  questo  è  quel  che  giorno  e  notte  i'  grido  : 

Mercè,  mercè,  mercè,  signor,  per  dio!  8 

0  cor  di  marmo,  o  diamante,  o  sasso, 
0  donna  che  sei  serpe  diventata  ! 
Fatta  se'  sorda  e  vai  col  capo  basso, 
Perchè  durezza  t'ha  fatta  spietata. 
Piacesse  a  Dio  che  tu  non  fossi  nata 
0  tu  sentissi  al  cor  quel  che  sento  io.  là 

Se  tu  trapassi  la  tua  vaga  etade 
Che  tu  non  senta  d'amor  la  saetta, 
E  non  avrai  del  tuo  servo  pietade 
Mentre  che  tu  ti  trovi  giovenetta, 
Se  tu  c'invecchi,  ne  vedrai  vendetta. 
Or  si  vedrà  se  avrai  l'  animo  pio.  20 

Ballata  mia,  se  tu  saprai  ben  dire. 
Or  m'avvedrò  se  grazia  troverai: 
E  ponti  in  cor  di  mai  non  ti  partire 
Da  quella  donna,  lasso  !  che  tu  sai, 

Vers.  2.  E  fa  sentir  costei  quel:  M.  —  3.  crudei:  M.  —  7.  ch'io 
dì  e  notte  grido:  M.  —  8.  Merzè :  M.  —  9.  o  di  diamante,  legg.  le 
st.  M'è  parso  meglio  accettare  la  lezione  del  M.—  13.  Piacessi  .... 
fussi:  M.  —  17.  piatade:  M.  —  18.  truovi  giovinetta:  M.  —  20.  orai: 
M.  —  23.  di  non  mai  dipartire:  M. 


)(  183  X 
Se  qualche  grazia  da  lei  tu  non  hai 
Che  sia  conforto  a  raflfìUo  desio.  se 

Vers.  26.  disio  :  M. 

CXXXVII. 

Donna  che  segue  Amor,  non  mostri  altiera, 
Ma  il  core  abbia  gentile,  e  sia  maniera.  2 

Se  fra  gli  amanti  vuol  fama  acquistare, 
Non  sia  superba  e  non  viva  sdegnosa: 
Quando  si  vede  saviamente  amare, 
Diventi  onestamente  graziosa; 
E,  secondo  eh' è  il  merto,  sia  pietosa, 
Sì  ch'andar  possa  con  allegra  cera.  s 

Quanto  sta  male  a  donna  esser  crudele. 
Volendo  saviamente  Amor  seguire! 
Ma  viva  pur  senz'aver  nessun   fele, 
E  faccia  il  don  secondo  eh'  é  il  serv4re. 
E  questo  è  il  modo  a  volere  ubbidire 
Iddio  d'  amore,  ed  esser  di  sua  schiera.         /4 

Quante  ne  passan  la  novella  etade. 

Che  piangon  poscia  il  lor  tempo  perduto, 
C  hanno  usato  agli  amanti  crudeltade 
Nel  vago  tempo  e  non  l'han  conosciuto: 
Donne,  chi  ha  d'amore  il  cor  fronzuto 
Pigli  partito,  e  non  s' indugi  a  sera.  ^'^ 

Ballata  mia,  a  le  dame  eccellenti 

Vers.  4 .  segua  ....  non  sia  :  M.  —  9.  Ma  abbi  il  cor  gentile  e  sia 
altera:  M.  —  3.  Se  fama  vuol  fra  gli  amanti  acq.:  M.  — 7.  piato- 
sa:  M.  —  H  pura  sansa  nessun  fele:  M.  —  4G.  poi  il:  M.  —  48.  Del 
vago:  M.  —  i9.  Dunrhe  chi:  M. 


)(  184  )( 
Ti  farai  serva,  e  a  l'altre  non  parlare; 
E,  se  trovassi  di  quelle  valenti 
Che  si  voglion  di  nuovo  innamorare, 
Con  lor  ti  posa,  e  statti  a  ragionare, 
Che  crudeltà  non  sia  di  lor  bandiera.  .  se 

Vers.  22.  serva,  all'  :  M.  —24.  in  man  giurare:  M. 

cxxxyiii. 

Non  segua  amor  chi  non  ha  il  cor  prudente. 
Se  non  vuol  nella  fme  esser  perdente.  § 

Lo  specchio  abbiam  de'  famosi  passati, 
Del  bon  Tristan,  del  valoroso  Achille, 
Che  per  amor  fùr  di  vita  privati 
Sentendo  al  cor  d'  amor  le  dolci  stille, 
E  d'altri  uomini  illustri  più  di  mille. 
Che  per  ria  morte  son  lor  fame  spente.  8' 

E  chi  più  ne  conosce  men  ne  vale. 
Perchè  a  la  fin  si  trovano  ingannati. 
Virgilio  per  amor  ne  perde  l'ale, 
Con  molti  altri  poeti  chiari  e  ornati 
Ch'ebbero  il  senno  e  pur  furo  gabbati, 
Perchè  egli  è  traditore  ad  ogni  gente.  ia 

Ma  pigli  esempio  ognun  che  segue  amore 
Da  questa  sventurata  di  Gostanza,  (*) 

Vers.  4.  Tristano  e  'l  valoroso:  M.  —  1.  E  d'  altri  valorosi  più 
di:  M.  —  -IO.  alla  fine  si  truova:  M.  — 42.  Con  altri  poeti  assai  co- 
ronati: M.  —  43.  Ch'  ebbono  il  senno  e  'l  quale  furono  ingannati:  M.— 
45.  asempro:  M. 

(')  Allude  alla  novella  di  madonna  Gostanza  Malatesta  da  Ari- 
mino che  nel  racconto  del  Pecorone  precede  questa  ballata. 


)(  185  )( 
E  non  si  lasci  mai  ingannare  il  core 
Per  alti  o  sguardi  ch'abbia  da  sua  manza: 
Che  spesse  volle  falla  la  speranza 
A  chi  non  è  di  ciò  mollo  intendente.  20 

Ballata  mia,  a  gli  amanti  n'andrai, 
Ammaestrando  ogn'un  che  savio  sia, 
E  quantunque  tu  puoi  li  pregherai 
Che  in  quel  che  Amor  gli  sprona  e  li  disvia 
Sien  cauti  e  savi,  e  tengan  tutta  via 
11  freno  in  man  per  non  esser  corrente.        se 

Vers.  <7.  incatenare  il  core:  M.  —  H.  Satira  mia,  agli  inamo- 
rati:  M.  — 23.  quantunche :  M.  —  26.  £1  freno:  M. 

CXXXIX. 

Sì  mi  riscaldan  gli  ardenti  desiri, 
Che  rinnovano  al  cor  doppi  martiri.  2 

Tant'è  la  fiamma  penetrai  che  m'arde 
Del  lume  de'  begli  occhi  di  costei. 
Che,  quanto  più  l'effigio,  più  riarde 
La  mente  mia  per  l'amor  e'  ha  in  lei. 
Veggomi  consumare,  e  non  vorrei 
Poter  partire  il  ben  e' ho  co*  sospiri.  « 

Per  che,  s'i'  trovo  un  dolce  in  quello  amaro. 
Che  fa  portare  in  pace  ogni  tormento. 
Il  suo  diletto  m'è  si  grato  e  caro 
Che  mi  fa  viver  poi  lieto  e  contento. 
Dunque,  s'io  amo  ed  ardo,  non  me  n' pento; 
Che  nel  fine  hanno  pace  i  miei  desiri.  n 

Manca  nel  M. 


)(  186  )( 
GXL. 

Donne,  che  siate  d'ogni  mal  radice 
E'  vede  ogn'uno  e  non  vi  si  disdice:  2 

Perché  .l'amor  è  cieco  e  la  fé'  manca 
E  lealtà  non  si  trova  in  nessuna. 
Adunque  é  folle  ciascun  che  s'ammanta 
A  por  amor  0  credere  a  nessuna: 
Perchè  e'  non  fu  mai  bianca  né  bruna 
Che  fé'  portasse  se  non  a  pendice.  8 

Disfessi  Troia  per  amor  di  donna; 
E  tanti  gran  signor  ne  fùr  disfatti 
Sol  per  amor  d' Eléna  e  d' Esionna, 
Per  disviati  sguardi  e  lor  vani  atti; 
Ben  che  quelle  persone  furon  matti, 
Guastando  per  amor  il  ben  ielice.  n 

Dunque  s'accheti  chi  é  innamorato, 
E  non  seguisca  quel  che  non  si  trova. 
Quanti  ingannati  n'ha  il  tempo  passato, 
G' hanno  voluto  vederne  la  prova! 
Pensi  ciascun  che  non  é  cosa  nova, 
Ghé  la  prima  ne  fu  pianta  e  radice.  20 

Ganzon,  cortesemente  parlerai 

Fra  donne  e  giovanetti  innamorati. 
Per  eh'  io  son  certo  che  tu  troverai 


Vers.  1.  sete:  M.  —  2.  Vedalo:  M.  —  4.  truova:  M.  —  8.  Adun- 
che: M.  —  6.  a  porre  :  M.  —  7.  Perchè  non  ;  M.  —  8.  portassi:  M.  — 
M.  di  Lena:  legg.  la  st.:  ho  corretto  col  M.,  che  però  ha  dopo  e 
d'Ansion.  —  <3.  Ben  che  que'  che  la  preson:  M.  —  44.  el:  M.  —  45. 
Donche:  M.—  16.  truova:  M.  —  18.  pruova:  M.  —  19.  nuova:  M. — 
22.  0  giovinetti,  le  st.  :  ho  corretto  col  M. 


)(  187  )( 
Che  i  versi  tuoi  ti  saran  biasimati  : 
Non  li  curar,  che  quei  son  gl'injjannati 
C hanno  nel  cor  quel  che  di  fuor  non  dice,  te 

Vere.  2i.  Che':  U. 

CXLI. 

Non  perda  tempo  chi  cerca  aver  fama 
0  voglia  acquistar  grazia  di  sua  dama.  2 

Jl  perder  tempo  a  chi  più  sa  più  spiace  : 
Dunque  non  dorma  chi  ha  da  vegghiare, 
Che  '1  tempo  passa  a  quel  che  in  piume  giace 
E  tardi  mal  poi  si  può  racquistare. 
Adunque  cerchi  ogn'un  che  vuol  trovare 
Il  desiato  fin  di  ch'egli  ha  brama.  8 

E  non  aspetti,  se  può,  nel  futuro; 
Che  tardi  vien,  se  l' uom  non  se  l'acquista; 
Che  pur  ne  l'acquistar  pare  altrui  duro, 
Ben  che  non  sia  com' altrui  pare  in  vista: 
Che  non  è  poi  fatica  a  chi  resista 
Quant'egli  è  il  cominciar  per  lunga  trama,    a 

E'  non  fu  mai  d'amor  donna  sì  nova. 
Che,  s'io  non  dormo  a  volerla  seguire, 
Da  durezza  di  cor  non  la  rimova; 
E  fia  rimunerato  il  mio  servire. 


Vers.  4 .  cerca  per  fama:  M.  —  2.  da  sua .  M.  —  3.  Che  'l  perder: 
il.—  4.  Donche:  M.  :  veggiare  legg.  le  st.:  ho  corr.  col  M. —  5.  quei  che 
in  piuma:  M.  —  6.  tardi  poi  si  può:  M.  —  7.  Adunche:  M.  —  8.  di- 
siato: M.  —  9.  non  speri:  M.  —  <0.  viene,  se  non  se  V:  legg.  le  st.  : 
ho  corr.  col  M.—  <2.  come  pare  altrui:  M.  —  i5.  nuova:  M.  —  il.  Che 
da  dureza  il  cor  non  la  rimuova:  M. 


)(  188  )( 
Dunque  non  dorma  chi  vuol  pervenire 
Al  fine  di  quel  ben  ch'ogn'un  tanto  ama.      so 
Ballata  mia,  a  chi  è  negligente 
Non  t'accostar,  né  sia  di  sua  brigata; 
Ma  di  chi  ha  il  cor  valoroso  e  prudente 
Sia  la  fama  per  te  sempre  onorata; 
Perchè  tu  sarai  meglio  accompagnata, 
Rispondendosi  ogn'ora  a  chi  altrui  chiama.   26 

Vers. <9.DMnc/ie;  M.— 20.  checerca  ed  ama:  M.— 23.  Machi  à:  M.— 
24.  La  sua  fama  per  te  sia  onorata:  M.  —  2S.  Perchè  sarai:  M.  — 
26.  Che  fusse  mai  amante  da  sua  dama:  M. 

CXLII. 

Chi  sente  nella  mente  il  dolce  foco 
Diventi  savio,  se  vuol  trovar  loco.  s 

Poniamo  che  sia  duro  il  comportare 
I  crudei  colpi  che  '1  dio  d'amor  dona: 
Dunque  chi  vuol  perfettamente  amare 
Vinca  sé  stesso  quando  Amor  lo  sprona; 
E  porterà  nel  fm  degna  corona, 
Ben  che  contra  sua  voglia  indugi  un  poco.      8 

Perchè  le  donne  savie  son  contente 
Quando  si  veggon  saviamente  amare, 
E  veggon  più  che  l'uom  non  crede  o  sente, 
Ma  r  onestà  no  '1  lascia  lor  mostrare , 
Ma,  quando  il  tempo  vien  del  meritare, 
Elle  il  san  far  con  ogni  vago  gioco.  ■/4 

,  Vers.  3.  Pognam  che  duro  sia:  M.  —  4.  E'  crudei  colpi  che 
dio:  M.  —5.  Dunche:  M.  —  7.  fine  la  c:  M.  —  8.  contro  a:  M.  — 
42.  Ma  onestà  non  lascia  dimos.  :  M.  —  44.  Elle  san:  M. 


K  l«9  ){ 
Adunque,  amanti  che  seguite  amore, 
Non  ispendete  il  tempo  oltre  il  dovere. 
Chi  porta  in  sé  la  passion  nel  core, 
Sappiala  onestamente  mantenere, 
Sì  che  nessun  già  mai  l'abhia  a  vedere 
Se  non  colei  per  cui  egli  vive  in  foco.  so 

Ballata  mia,  va'  agli  amanti  di  pregio 
Che  sanno  con  prudenza  amor  seguire, 
E  diventa,  se  puoi,  del  lor  collegio. 
Perché  son  savi  e  ti  staranno  a  udire; 
Con  lor  t'  allarga  in  ciò  che  tu  sai  dire  : 
Con  gli  altri  non  parlar  nulla  né  poco.         se 

Vers.  io.  Adunche:  M.  —  18.  Sapila:  M.  —  i9.  E  fa  che  nulla 
mai  il  possa  ved.:  M.  — 20.  cui  tu  senti  il  /"..•  M.  —  21.  mia,  agli: 
M"  —  23.  Diventa  quanto  puoi  di  lor:  M.  —  24'.  e  staranti  o;  M.  — 
25.  Co'  lor .  ...  a  ciò:  M.  —  26.  Cogli . troppo  ne:  M, 

CXLIII. 

Chi  d'amor  sente  ed  ha  il  cor  pellegrino 

Non  ismarrisca  mai  il  dritto  cammino;  s 

E,  ancor  eh'  egli  abbia  da  sua  donna  sguardi 
0  atti  0  modi  ond'ei  non  si  contenti, 
Non  perda  mai  la  speme  e  non  ritardi, 
Ma  porti  onestamente  i  suoi  tormenti, 
E  sempre  segua  con  savi  argomenti. 
Come  Amor  vuole,  or  alto  or  basso  or  chino.    8 

E  chi  d'amor  vuole  imparar  dottrina 

\Vers.  i.eàil  core  peregrino  ;  M.—  2.  None  smarisca  el  diritto  :  M . — 
3.  Non  mi  sgomenti  se  da  sua  manza  sguardi:  M.  —  4.  modi  che  non 
gli  cont,:  M.  —  5.  E  non  perda  del  tutto  la  speranza:  M.  —  6.  i  sua: 
M.  —  9.  Chi ....  anparar  la  doti.:  M. 


)(  190  )( 
Abbia  il  cor  franco  ad  esser  sofferente, 
E  non  sgomenti  d'ogni  cosellina, 
Ma  sempre  sia  a  sua  donna  ubidiente. 
Però  che  ciaschedun  eh' è  sofferente 
Porta  ghirlanda  di  fior  di  giardino.  jì 

Ben  che  chiamar  si  possa  avventurato 
Chi  pone  amore  a  donna  valorosa; 
Perchè  non  se  ne  trova  mai  ingannato, 
Amando  drittamente  in  ogni  cosa; 
Che  sempre  si  gli  mostra  graziosa 
Avendo  il  core  e  1'  alma  in  suo  dimino.         20 

Vanne,  ballata^  al  mio  signore  Amore 
E  fa'  che  da  lui  tu  prenda  licenza; 
E  poi  dirai  a  ciascuno  amadore 
Ch'a  la  sua  donna  porti  riverenza, 
Perchè  le  donne  savie  han  conoscenza 
Ed  hanno  in  lor  del  chiaro  e  del  divino.       26 

Vers.  -IO.  Ahhi a  esser:  M .  —  \%.  sua  manza:  M.  —  -14.  gril- 

landa  :  M.  —  il.  truova:  M.  —  '19.  Perchè  a  ogni  ora  la  truovi  gr.: 
M.  —  20.  Avendo  il  dolce  bene  a  suo:  M.  —  22.  lui  abi  la  lic:  M.  — 
23.  dirai  ciascheduno:  M.  —  24.  Che  portino  a  lor  donne:  M.  — 
26.  E  sempre  stanno  chiare  più  eh'  or  fino  :  M. 

CXLIV. 

Troverò  io  pace  in  te  donna,  già  mai, 
Che  sai  ch'i'  t'amo  più  che  me  assai?  2 

Tu  se'  sola  colei  che  puoi  dar  pace 
A  l'animo  fedel  che  tanto  t'ama. 
Adunque  apri  le  braccia,  se  ti  piace, 

Vers.  i.  Troverò  p.:  M. 


)(  li)l  H 

Al  servo  tuo  che  li  disia  e  br.ima. 

Or  t'innamora  mentre  che  sei  dama, 

E  non  perdere  il  tempo  quando  l'hai.  s 

Quanto  felice  e  bene  avventurala 
Si  può  chiamar  colei  che  d'amor  sente! 
Dunque  che  fai,  die  non  se'  innamorala 
Verso  colui  che  l'  è  tanto  ubidiente 
Che  per  le  dentro  il  core  il  foco  sente, 
E  di  e  notte  consumare  il  fai?  44 

Amor  non  sta  là  dove  è  crudeltade 
Né  mostra  suo  poter  dov'è  durezza, 
Ma  vuol  trovar  nel  cor  benignitade 
Sì  che  possa  mostrar  la  sua  dolcezza. 
E  però  scopri  la  tua  gentilezza 
Al  servo  tuo,  poi  che  legato  il  trai.  so 

Vanne,  ballata,  a  quella  chiara  stella 
La  quale  adoro  e  tengo  per  mia  insegna. 
Poi  con  pulita  e  soave  favella 
Le  di'  la  pena  che  nel  mio  cor  regna, 
E  di'  se  l'alma  mia  sarà  mai  degna 
Di  trovar  pace  a  gì' infiniti  guai.  26 

Vers.  6.  tuo  ilqual  t'onora  ed  ama,  legg.  le  st.  :  ho  corr.  col 
M.  —  8.  mentre  l'ai:  M.  —  40.  Quello  si  può  chiamar  che:  M.  — 
44.  Dunche:  M.  —  43.  al  core:  M.  —  44.  Che  dì:  M.  —  45.  none  sta 
dove:  M.—  46.  sua  possanza  ove:  M.  —  49.  Adunque  scuopri  tua  pia- 
cevoleixa:  M.  —  20.  po'  che  legato  l  ài:  M.  —  25.  ma'  degna:  M. 

GXLV. 

Chi  è  dalla  fortuna  folgorato 

Non  si  disperi  a  racquistar  suo  stalo;  2 

Vers.  4.  infolgorato:  U. 


)(  102  )( 

Ma  segua  il  suo  pensier  senza  dormire 
Se  vuol  lo  stato  suo  ricoverare, 
E  valorosamente  pigli  ardire 
Volendo  a  la  fortuna  contrastare. 
E  questo  è  il  modo  per  voler  scampare: 
Quando  la  piena  vien,  donarle  lato.  s 

Però  che  chi  si  sente  valoroso 
Non  dee  curar  fortuna  di  niente, 
Ma  abbia  sempre  il  suo  cor  valoroso 
A  racquistar  quel  eh' è  stato  perdente: 
Che  spesse  volte  chi  ha  il  cuor  prudente 
Per  più  saper  ricovera  suo  stato.  n 

E  non  si  dee  spezzar  per  ogni  vento 
0  per  sinistri  che  fortuna  dia; 
Che  in  questo  mondo  nessun  e'  è  contento 
Generalmente  in  cosa  ,che  ci  sia. 
Dunque  chi  vuole  aver  quel  che  desia 
Cerchi  chi  sa,  e  verragli  trovato.  20 

Ballata  mia,  a  chi  è  inimicato 
Da  la  fortuna,  come  so'  stato  io. 
Di'  che,  se  vuol  ritornare  in  istato. 
Si  disponga  a  fermare  il  suo  disio 
In  racquistar,  senza  esser  lento  0  pio, 
E  non  si  curi  d' esser  biasimato .  se 

Vers.  3.  sano  pensier  sanza:  M.  —  4.  ricoperare  :  M.  —  6.  Se 
vuol  dalla  fortuna  riparare:  M.  —  7.  a  volere:  M.  —  8.  Ho  seguito 
il  ms. :  le  st.  legg.  E  quando  piena:  M.  —  <i.  abi  sempre  il  cor 
volonteroso:  M.  —  42.  è  suto:  M.  —  -fS.  E  spesse:  M.  —  H.  riconpera: 
M.  —  49.  Dunche:  M.  —  gì.  nimicato:  M.  —  24.  Che  si .  ...  il 
disio:  M.  —  25.  sanz':  M. 


)(  IJ)3  X 
CXLVI. 

Chi  ama  di  l)uon  cor  non  può  perin;, 

Gilè  grazia  dee  trovar  del  ben  servire.  • 

Amor  ha  fallo  per  decreto  o  legge 
Che  ciascun  c'ama  debba  esser  amato: 
Però  ben  fa  ciascun  che  si  corregge, 
Per  non  volere  esser  chiamato  ingrato. 
Dee  il  ben  servir  da  te  esser  meritato, 
Se  vuoi  a  Dio  e  natura  servire.  » 

Privar  si  dee  d'ogni  verace  onore 
Ciascun  eh' è  ingrato  veggendosi  amare. 
Adunque  si  conforti  ogni  amadore, 
Che,  ben  servendo,  è  per  grazia  trovare; 
Né  si  disperi,  s'  a  lui  par  penare. 
Che  pare  altrui  miglior  poi  nel  finire.  u 

E'  non  è  uom  chi  non  sente  d'amore 
Per  qualche  tempo  e  per  qualche  maniera: 
Gli  alberi  e'  prati  ogn'un  mena  suo  fiore 
Nel  dolce  tempo  della  primavera. 
Donne,  per  dio,  non  v'indugiate  a  sera: 
Si  vuole  in  giovinezza  amor  seguire.  so 

Vanne,  leggiadra  e  dolce  ballatetta, 
A  chi  sente  nel  cor  quel  che  sent'  io: 
Di'  :  Chi  sente  nel  petto  la  saetta 


Vers.  <.  cuor  non  de':  M.  —  2.  de'  trovare  il  ben:  M.  —  3.  Amo- 
re  dicreto:  M,  —  4.  Ciaschedun  rh'ama  vuole  che  sia  amato:  M.  — 

5.  Dunche  ben:  II.  —  7-8,  Chi  vuole  Idio  e  natura  ubidire.  Che  l  ben 
servir  debb' esser  meritato:  M.  —  U.  Adunche:  M.  —  42.  servendo 
grazia  di:  M.  —  43.  Non  si  sgomenti  se  a:  M.—  47.  Cosi  il  M.  :  le  st.: 

prati  ogni  anno  hanno  il  lor.  —  20.  Chi giovinezza:  M. 

43 


-    )(  m  )( 

De  l'esca  che  fa  premere  il  desio, 

Non  isgomenti;  perchè  il  nostro  iddio 

Non  lasciò  mai  nessuno  atto  a  punire.  se 


Vers.  24.  disio:  M. 


GXLVII. 

Oi  me  !  fortuna,  non  mi  stare  a  dosso, 

Abbia  pietà  di  me,  che  più  non  posso.  s 

Tempera  ornai  i  tuoi  venti  crudeli, 

E  non  isconquassar  più  la  mia  barca; 

Poi  che  colei  che  pavoneggia  i  cieli 

L'ha  di  sospiri  e  di  lagrime  carca. 

Ahi  lasso  me!  che  '1  dolce  tempo  varca, 

E  il  mio  vago  pensier  non  s'è  rimosso.  8 

Com'  io  potei  e  seppi  favellare, 

Cosi  fortuna  ria  m'ha  travagliato; 

E  non  m'ho  mai  potuto  riparare, 

Ch'  ella  non  m' abbia  sempre  nimicato; 

E  cosi  io  vivo,  lasso!,  isfolgorato, 

Perchè  aitar  da  lei  più  non  mi  posso.  lA 

Io  son  da  due  contrari  combattuto, 

Gh'ogn'un  per  sé  mi  dà  grave  tempesta; 

E  son  per  forza  si  vii  divenuto. 

Ch'io  vo  come  le  fiere  per  foresta: 


Vers.  i.  0  me:  M.  —  2.  piata:  M.  —  3.  t  tua:  M.  —  4.  non  sfol- 
gorare più:  M  —  5.  pagoneggia:  M.  —  7.  lasso  a  me:  M.  —  8.  E  l 
vago  mio:  M.  —  40.  fortuna  mia  mi  fu  donato:  M.  —  i^.  non  mi  potè' 
mai  sì  riparare:  M.  —  42.  abbi:  M.  —  -13.  E  così  vivo,  o  lasso  sven- 
turato: M.  —  H.  atar:  M.  —  15.  sono  da  dua  contrai:  M,  —  -16.  mi 
dona  gran  tempesta:  M. 


H  ly^  )( 

E  ciascun  vuol  che  sua  divisa  io  vesta, 
Ed  io  non  vo'  de'  lor  peli  in  mio  dosso.         iO 
Ballata  mia,  a  chi  è  tra  due  nodi. 
Come  son  io  in  questo  mar  dubbioso, 
Non  li  fermar,  ch'io  so  chi"» tiene  i  modi 
C  ho  tenuto  io  nel  tempo  doloroso  : 
Ma,  se  nessun  ch'abbia  il  cor  valoroso 
Ti  riprendesse,  di'  eh'  io  piìi  non  posso.  se 

Vers.  49.  eh'  i'  a  sua  divisa  vesta:  M.  —  SO.  di  lor  peli  in  mie': 
M.  —  H.  dua:  M.  —  24.  Ho  corr.  col  M.  :  le  st.  legg.:  Che  tenuti  io 
ho:  —  2o.  abi:  M. 

CXLVIII. 

Nessun  in  me  troverà  mai  mercede 

Per  amor  d'un  che  m'ha  rotto  la  fede.  i 

Io  mi  fé'  serva  d'un  gentil  signore 

Dal  qual  io  mi  credeva  esser  amata, 

E  dona'gli  con  fé'  l'anima  e  '1  core: 

Or  io  mi  trovo  da  lui  ingannala, 

Ch'  e'  se  n'  è  ito,  ed  hammi  abbandonata. 

Adunque  è  folle  chi  più  a  nessun  crede.  8 

E'  m'  era  già  cosi  nel  cor  entrato, 

Ch'  i'  m'  era  fatta  serva  a  sua  beltade; 

E  lant'  era  il  niio  cor  di  lui  infiammalo, 

Ch'  io  gli  donava  mia  virginilade:  «. 

Or  se  n'  è  ilo  per  sua  crudellade; 

E  '1  dolor  ch'io  ne  porto  ninno  il  crede.        /4 

Vers.  4.  merzede:  M.  —  2.  rotto  sua  fede:  M.  —  4.  i  mi  credea: 
M.—  5.  donali:  M.—  6.  truovo:  M.—  8.  chi  a  nessun  più.  M.  —  9.  già 
sì  nell'animo  entrato:  M.  —  10.  biltade:  M.  —  42.  donavo:  M,  — 
n.  nuUo  il:  M. 


)(  106  )( 

Adunque,  donne  che  seguite  amore, 
Pigliate  essempio  da  me  sventurata. 
r  non  volli  nessun  mai  per  signore 
Se  non  costui  che  m' ha  così  lasciata: 
Ma,  s'io  vedessi  mai  sua  ritornata, 
Ben  gli  direi  che  folle  è  chi  gli  crede .  so 

Ballata  mia,  conterai  il  mio  tormento 
A  ciaschedun  che  con  pietà  t' ascolta: 
Dì'  come  il  dolce  mio  innamoramento 
M' è  venuto  fallato  a  questa  volta; 
Che  se  m'avesse  per  sua  donna  tolta, 
Sempre  gli  avrei  portala  ferma  fede.  26 

Vers.  46.  esempro:  M.  —  47.  Ch'i'  non  volsi:  M.  —  19.  io 
sapessi:  M.  —  22.  Ho  corr.  col  JVI.:  le  st.  legg,,  A  ciascun  che. — 
23.  Ho  corr.  col  M.:  le  st.  legg  ,  il  mio  dolce.  —  25.  Ho  corr.  col 
M.  :  le  st.  legg.,  E  s' e'  —  26.  .Ho  corr.  col  M.:  le  st.  legg.,  gli  avrei 
porla . 

CXLIX. 

Quante  leggiadre  fogge  trovan  quelle 
Che  voglion  sovra  l'altre  esser  più  belle.  2 

Fan  di  lor  teste  belle  tante  chiese 
Per  esser  ben  dagli  amanti  guardate, 
E  fan  ne'  vestimenti  sì  gran  spese 
Per  parer  più  che  l'altre  innamorate. 
Queste  son  quelle  che  son  vagheggiate. 
Perchè  negli  atti  lor  son  tanto  snelle.  s 

Veston  villani  e  cappe  alla  francesca 

Vers.  2.  sopra:  M.  —  3.  tante  belle:  legge  li  Trucchi.  —  5.  E 
usan  ne'  vestimenti  tante  divise:  M.  H  T.  stampando  corregge 
vestir.  —  8.  tante  isnelle:  M.  —  9.  e  cioppe:  M. 


)(  197  )( 
Cinte  nel  mezzo  all'uso  mascolino, 
Le  punte  grande  alla  foggia  tedesca, 
Polite  e  bianche  quanto  un  armellino. 
Queste  son  quelle  donne  d'  amor  fino, 
C  hanno  lor  visi  più  chiari  che  stelle.  44 

Portano  a  lor  cappucci  le  visere 
E  mantelline  a  la  cavalleresca 
E  capezzali,  e  strette  alle  ventriere, 
Coi  petti  vaghi  alla  guisa  inghilesca. 
Qualunque  donna  è  più  gaia  e  più  fresca 
Più  tosto  il  fa  per  esser  fra  le  belle.  20 

Vanne,  ballata,  alla  città  del  fiore 
Là  dove  son  le  donne  innamorate: 
Di'  dove  ti  creai  e  per  cui  amore 
A  vedove  e  a  donzelle  e  a  maritate: 
Dì'  che  le  fogge  che  loro  han  trovate 
Le  fan  parer  più  che  le  non  son  belle.  se 

Vers.  <0.  a  uso.  hi.:  al  viso,  certo  per  errore,  l'antica  ediz. 
milanese.  —  iì.  Pulite:  M.  —  H.  i  lor:  M.  —  i6.  Le  mantelline:  M.  — 
47.wen(iere.M.—  49.  Qualunchi:  M.—  20.  trale:  M.  —23.  criai:  M  — 
2t.  A  vedove,  donzelle  e  maritate:  M.—  25.  che  l'anno:  M.—  26.  Fanno 
parer  più  eh'  elle:  M. 


CL 


0  lassa  sventurata,  a  che  partito 
Venuta  son  pe  '1  mio  dolce  marito! 

Donne,  per  dio  vi  piaccia  d'ascoltare 
Questa  eh' è  sovra  ogni  altra  sventurata, 
lo  con  disio  .'ivc.i  preso  ad  .iniare 

VV-rs.  t.  e  i.  isventurata:  M.  —  j.  Io  area  con  disio  preso:  M. 


)(  198  )( 
Un  giovinetto  a  cui  io  m'era  data: 
Or  m'  ha  senza  cagione  abbandonata 
E  senza  farmi  motto  se  n'  è  gito.  * 

Ei  m'impalmò  e  giurò  per  sua  fede 
Ch'altra  donna  che  me  non  torria  mai: 
Or  m'  ha  tradita  e  rotta  la  sua  fede, 
Ond'  io  contenta  non  sarò  già  mai . 
E  chi  no  '1  crede  provasse  che  guai 
Io  sento  e  sentirò  e  anc' ho  sentito.  ^^ 

Or  chi  potrebbe  contare  il  dolore 
Ch'io  n'ebbi,  quando  questo  mi  fu  scritto 
Da  un  mio  caro  e  leal  servidore 
Che  per  mio  amor  ne  porta  il  cor  afflitto? 
Ma  possa  io  cosi  veder  sconfitto 
Quel  e' ha  '1  mio  fedel  cor  così  tradito.  ^^ 

Dirizza  il  tuo  camin,  ballata  mia, 
E  trova  quel  eh' a  torto  m'ha  tradita; 
E  di'  che  non  ha  fatto  cortesia 
A  aver  la  serva  sua  cosi  schermita; 
E,  se  non  se  ne  fosse. ito,  in  mia  vita 
Non  avrei  preso  mai  altro  marito.  ^^ 

Vers.  6.  ero:  M. —  7  e  S.sanza:  M.  —  40.  Non  tore':  M.—  U.  tradito 
e  rotto:  M.  —  'IS.  non  crede  provassi  que'  guai:  M.  —  14.  Ch'  io  ...  . 
e  ò  sentito:  M.  —  18.  Che  più  di  me  ne  porta:  M. —  49.  pass' io:  le  st.  : 
Ma  così  poss' io  vedere  isconfilto:  M.  Il  Tr.  corregge:  Ma  così  possa 
vedere.  —  20.  Chi  à:  M.  —  25.  Se  non  se  ne  fusse  ito,  alla:  M.  -~ 
26.  arci:  M. 


)(  I^M)  )( 

GLI. 

Tradita  sono  da  un  falso  amadorn 

Glie  m'  avea  per  vaghezza  tolto  '1  core.  * 

E'  se  n'è  ilo,  lassa  sventurata!, 
E  so  che  più  di  me  non  va  penando. 
Ed  io  rimango  tutta  sconsolata, 
Perch'  io  so  ben  eli'  io  mi  morrò  amando. 
Non  me  n'avvidi,, lassa!,  se  non  quando 
Un  leal  servo  mi  scrisse  '1  tenore.  8 

Quando  prima  di  lui  m'innamorai, 
E'  non  ardiva  di  guatarmi  in  viso; 
Ed  io  cortesemente  il  salutai. 
Guardando  sempre  ne'  suoi  occhi  fiso; 
Ed  ei  parti  da  me  col  cor  conquiso, 
E  de'  miei  vaghi  sguardi  il  prese  amore.       n 

Con  quanta  pace  e  con  quanta  allegrezza 
Mi  veniva  a  veder  quel  damigello! 
E  per  la  tanta  sua  piacevolezza 
Ogni  or'  eh'  io  lo  vedea  parca  più  hello. 
Ben  mi  credea  portar  di  lui  l'anello 
E  non  aver  già  mai  altro  signore.  io 

Con  quanti  dolci  suon  e  con  che  canti 
Io  era  visitata  tutto  '1  giorno! 


Vers.  J.  m' ave:  M.  —  3.  o  lassa  isventurata :  M.  —  4.  penando: 
così  legg.  le  st.  Ma  non  è  egli  inopportuno?  E  so  più  di  me  ne  va 
penando:  M.  Ma  non  accorda  col  contesto.  Forse  pensando.  — 
5.  isconsolata:  M.  —  6.  moro:  M.  —  8.  tinore:  .M.  —  9.  di  lui  inamo- 
rai:  M.  — <0.  guardarmi;  M.  — U.  cortesemente  gli  parlai:  M. — 
42.  sua:  M.  —  43.  E  si  partì:  M.  —  H.  {sguardi:  M.—  <8.  Ogni  ora 
ch'io  'l:  M.  —  -19.  Ben  credetti  da  lui  portar:  Sì. 


)(  200  )( 
zambra  venivan  gli  amarili 
Facendo  festa  e  standomi  d'intorno: 
Ed  io  guardava  nel  bel  viso  adorno, 
Che  d'allegrezza  mi  cresceva  il  core.  se 

Ei  mi  teneva  il  giorno  per  la  mano, 
Ed  io  era  contenta  più  che  mai. 
Or  se  n'é  gito  il  traditor  lontano, 
Ed  io  rimango  in  angosciosi  guai: 
Ma,  s'avvien  caso  che  '1  rivegga  mai. 
Gli  vo'  da  lui  a  me  dir  traditore.  ss 

Ballata  mia  dolce,  conterai 

A  ciascun  che  t'ascolta  i-  miei  martiri: 

Dì'  il  modo  e  com'  io  m' innamorai 

D'un  che  lasciata  m'ha  in  tanti  sospiri; 

E  dì'  eh'  io  pongo  flne  a'  suoi  disiri, 

E  vo'  tornar  al  mio  primo  amadore.  ss 

Vers.  25.  guardavo:  M.  —  29.  ito  il  traditor  di  Gano:  M.  — 
31.  se  vien  caso  ch'io  'l:  M.  —  32.  Da  me  a  lui  gli  dii-ò  traditore: 
M.  —  35.  Vi   l:  M.  —  36.  lasciato  ...  martiri:  M.  —  37.  a'  sua:  M. 

GLII. 

Al  mio  primo  amator  vo'  far  tornata. 
Perchè  l'anima  sua  lui  m'ha  donata.  a 

lo  son  tradita  da  ogni  altro  amatore, 
Perchè  senza  cagion  m'  hanno  lasciata  : 
E  tu  mi  segui  come  servitore, 
E  tra  gli  amanti  m'  hai  sempre  onorata  : 
Ond'  io  vo'  far  tornata 


Ver.s.  4.  amador:  M.  —  2.  l' anima  e  'l  core  e'  m' à:  M. —  3.  Io 
mi  truovo  tradita  Da  ogni  altro  amadore:  M. —  4.  sanza:  M. — 
5.  Tu  m'ùi  sempre  seguita  Come  buon  servidore  :  M. 


4 


)(  201  X 

A  te,  n:enlil  amante, 

Perchè  m'hai  sempre  sopra  ogni  altra  amala,  o 
Non  vo'  più  amar  per  non  esser  amala 

Si  com'  ho  fallo  nel  tempo  passalo. 

E  però  vo'  tornare  in  questa  fiata 

A  chi  m'  ha  intieramente  il  cor  donato. 

Colui  che  se  n'è  andato 

Vada  ne  la  bon'  ora: 

Non  darò  mai  più  fede  a  sua  tornata.  te 

Il  mio  servo  non  m'ha  dimenticata 

E  non  ha  fatto  come  foglia  al  vento; 

Ma  col  cor  valoroso  m'  ha  onorata 

E  portalo  ha  per  me  pena  e  tormento: 

Onde  il  suo  intendimento 

Vo'  componer  col  mio, 

Perchè  m'ha  con  disio  sempre  guardata.  sj 
Va,  ballata  amorosa,  al  mio  servente 

Il  qual  mi  porta  tanlo  ver  amore: 

Digli  che  sovr'al  tutto  i'  l'avrò  a  mente, 

Perch'  egli  è  bono  e  leal  servidore  : 

Vo'  lui  por  amatore    . 

Ed  ogni  altro  lasciare. 

Ben  che  dur'  è  aspett^ire  sua  tornata.  50 

Vers.  8.  Al  mio  gentile:  M  .—  9.  Che  sopra  tutte  l'altre  mò 
amata:  M.  — ■IO.  Io  non  vo'  più  amare  Per  non  essere  amata:  M. — 
4i.  Com'  io  ò:  M.  —  42.  E  però  vo'  tornare  A  quel  che  ma  amata. 
M.  —  43.  E  interamente  il  suo  cor  m' à  donato.  M.  —  44.  che  n'  è: 
M.  —  15.  Vadia:  M.  —  46.  ma'  più  cura  a:  M.  —  47.  El  mio  servo 
amoroso  Non  mi  à  ilimenticata  ;  M.  —  49.  Ma  col  cor  valoroso  Sempre 
m'à  onorata:  M.  —  20.  portato  per:  M.  —  23.  sempre  mai  amata: 
M.  —  24.  Vanne,  ballata  amorosa,  Al  mio  leal  servidore:  M.  — 
26.  Digli  sopra  ogni  cosa  Ch'io  l'  arò  sempre  a  mente:  M.  —  27.  Per- 
chè m'  è  stato  leal  servitore:  M.  —  28.  Lui  voglio  per  amadnre:  M.  — 
30.  Bewhè  il  troppo  aspettare  Paia  mala  derrata:  M. 


)(  302  )( 


GLIII 


Non  t' insalvatichir,  poi  che  tu  sai 
Ch'io  t'ho  amata  ed  amo  più  che  mai. 

Io  non  so  questo,  amor,  perchè  si  sia, 
Che  tu  se'  meco  sì  insalvatichita. 
Tu  mi  solevi  per  tua  cortesìa 
Mostrar  ispesso  tua  faccia  gradita; 
Ma,  poi  che  '1  car  signor  fece  partita. 
In  gran  maninconia  sempre  ti  stai. 

Se  la  fortuna  volge  mai  sua  rota 

Ch'  io  possa  un  dì'  veder  quel  chiaro  viso, 
Bascerò  cento  volte  quella  gota 
Da  la  qual  stalo  son  tanto  diviso, 
Il  dolce  sguardo  e  l'amoroso  viso 
Che  per  l'altrui  disdegno  tolto  m'hai. 

S' amore  o  caritade  o  forza  o  ingegno, 
Mi  conducesse  a  quel  tranquillo  porto. 
Tal  che  di  pace  mi  donassi  segno; 
Di  questo  soavissimo  conforto 
Sarei  contento  a  la  pena  eh'  io  porto, 
Né  più  ricercariano  i  miei  guai. 

Per  consolar,  ballata,  il  mio  martire. 
Vanne  a  colei  ch'ai  mondo  mi  lien  vivo, 
E  fa'  che  tu  le  sappia  sì  ben  dire 
Ch'  al  tuo  tornar  tu  m' arrechi  l' ulivo  : 
E  poi  sempre  vivrà  il  mio  cor  giulivo, 
Amando  lei  più  che  mia  vita  assai. 


14 


20 


26 


Vers.  47.  donasti:  Ediz.  milan. 


)(  203  )( 
CLIV. 

Donna  leggiadra,  per  l'altrui  fallire  - 

Mai  non  abbia  a  disdegno  il  ben  servire.        2 

Chi  serve  puramente  al  suo  signore 
Deve  esser  doppiamente  meritato; 
E  così  quel  che  tradisce  l'amore 
Deve  esser  come  merta  ben  pagato: 
Ma  chi  diventa  per  grandezza  ingrato 
Non  vuol  Amor  che  rimanga  a  punire.  s 

Già  sai  tu,  donna,  eh'  io  non  t' ho  fallito 
Né  ruppi  mai  la  fé'  eh'  io  t' ho  portata  : 
Se  '1  tuo  caro  signore  s' é  partito, 
Contento  non  fui  mai  de  la  sua  andata: 
Adunque,  donna,  non  mi  star  turbata, 
E  non  aver  a  sdegno  il  mio  servire.  14 

Quanto  sta  male  a  donna  esser  ingrata 
Verso  l'amante  e  diventare  altiera! 
Perché  ti'a  l'altre  la  donna  è  biasmata 
Che  viene  in  fama  di  selvaggia  e  fiera. 
Piacciati  adunque,  donna,  esser  maniera, 
Se  vuoi  per  fama  al  terzo  ciel  salire.  w 

Vanne,  ballata,  a  le  donne  amorose 
Che  fanno  il  cor  de  gli  amanti  gioire; 
E  lor  bellezze  non  tengon  nascose 
Facendo  i  servi  lor  d'amor  sentire: 
Queste  son  quelle  che  son  da  gradire. 
Perchè  a'  lor  servi  vogliono  ubbidire.  26 


)(  2()/i.  )( 


CLV 


Oi  me  lassa  dolente  e  sventurata, 
Che  son  per  ben  amar  sula  ingannata! 

E'  non  mi  debbe  mai  del  cor  uscire 
L'amore  e' ho  portato  fedelmente, 
E  '1  disio  ch'aveva  al  ben  servire 
Ed  esser  tanta  umile  e  riverente, 
Quant'  io  son  stata,  a  quel  donzel  piacente 
Che  m'  ha  senza  cagion  abbandonata. 

E  quel  che  più  di  ciò  mi  maraviglio, 
Come  fortuna  1'  ha  potuto  fare, 
0  qual  forza  o  destino  o  qual  consiglio 
L'abbia  potuto  mai  da  me  stranare: 
Ond'  io  mi  vo'  per  certo  monacare 
Né  d'alcuno  esser  mai  più  innamorata. 

Donne,  per  dio,  non  vi  fidate  mai 

In  nessun  damigel  che  non  sia  saggio, 
Che  fui  tradita  da  chi  mi  fidai; 
Ben  che  da  lui  non  venisse  1'  oltraggio  : 
Ma  pur  è  contro  a  me  fatto  selvaggio, 
E  non  so  se  mi  s'ha  dimenticata. 

Dirizza  il  tuo  camin,  dolce  ballata, 
E  fa'  che  trovi  il  mio  caro  signore, 
E  a  lui  per  me  farai  questa  imbasciata; 
Ch'io  gli  aveva  donata  l'alma  e  '1  core. 
Or  è  fallito  l'intrinseco  amore 
Del  quale  i'  vivrò  sempre  sconsolata. 


7  4 


20 


26 


)(  -io.")   )( 


GLVI 


Amor,  lu  m'hai  contento  quel  disio 

Clio  già  gran  tempo  ha  bramalo  '1  cor  mio.       g 

lo  ti  ringrazio  della  cortesia 
Che  fatta  m'hai  con  tanta  diligenza: 
E  sempre  fu  disposla  1'  alma  mia 
D'esser  mai  sempre  alla  tua  ubidienza 
Perchè  la  tua  magnanima  potenza 
M'ha  fatto  grazia  senza  nessun  rio.  g 

Io  benedico  gli  affanni  e'  sospiri 
E  le  lagrime  tante  eh'  io  ho  sparte 
E  gli  afllilti  pensieri  e'  gran  martiri 
Che  ho  con  versi  piene  tante  carte; 
E  benedico  quell'amorosa  arte 
Che  fé'  contento  il  dolce  mio  disio.  u 

Mille  migliai  di  grazie  con  mercede 
Ti  rendo,  signor  mio,  del  ricco  dono 
Che  fatto  m'hai  con  tanta  pura  fede, 
Di  eh'  io  sarò  come  fui  tuo  e  sono  ; 
E,  s'io  fallisco,  dimando  perdono, 
Com'a  signore  che  sempre  ha  il  cor  mio.      so 

Ballata  mia,  cantarai  fra  gli  amanti 

La  grazia  che  m'  ha  fatta  il  mio  signore, 
A'  ciò  che  si  confortin  tutti  quanti 
E  francamente  ciascun  segua  Amore, 
Com' ho  fati' io,  che  n'ho  colto  quel  fiore 
Che  farà  sempre  giocondo  il  cor  mio.  se 

Vers.  9.--e  sospiri:  le  altre  st. —  <<.  e  gran:  le  altre  st. 


LIBRO    Vili. 

BALLATE  E  MADRIGALI  DI  FRANCO  SACCHETTI 


Delle  poesie  del  Sacchetti  contenule  in  questo  libro  la  cxciv, 
ccxiv,  ccxvi!!,  ccxv  furono  la  prima  volta  messe  a  luce  dal  Trissino 
nella  Quarta  divisione  della  Poetica;  riprodotta  poi  la  ccxv  dal  Min- 
turno  nella  Poetica,  dal  Crescimbeni  nei  Coment,  ist.  volg.  poes. 
[  V.  I,  1.  II,  e.  xiii)  e  dal  Baldelli  fra  le  Rtme  di  G.  Boccaccio  per  un 
errore  a  cui  riparò  nelle  note.  Mario  Equicola  riprodusse  anch' egli 
la  cxciv  e  la  ccxiv  e  proiiusse  primo  le  clxiv,  clxix,  clxxxv,  ccxv, 
ccxxxi  nelle  Institutioni  al  comporre  in  ogni  sorte  di  rima  della  lingua 
volgare  [Milano,  mdxli,  in  4.°].  La  clxxii,  della  quale  come  della 
CLxxxvi  lo  stesso  Equicola  cita  alcuni  versi  nel  1.  v  della  Natura 
d'amore  [Venezia,  Bindoni,  mdxxxi]  fu  data  per  intiero  di  sur  un  cod. 
chigiano  dal  Serassi  nelle  Annotazioni  alle  Stanze  pastorali  del  Casti- 
glione [Lettere  di  B.Castiglione,  \ol.  ii,  Padova,  Comino,  mdcclxxi]. 
E  da  un  cod.,  sul  quale  torneremo  più  sotto,  il  Poggiali  ridiè  a 
stampa  la  ccxxv  e  pubblicò  primo  la  clix  e  clx,  la  clxxx  e  clxxxi, 
la  cxcii,  la  ccii  e  ceni,  la  ccviii,  la  ccx  e  ccxi,  la  ccxxiii  nella  Serie 
dei  testi  di  lingua  [Livorno,  Masi,  1813]  t.  i.  Queste  e  le  già  edite 
dal  Trissino  e  dal  Serassi  furono  anche  ammesse  nel  voi.  iv  della 
Race,  di  rime  ant.  tose.  [Palermo,  Assenzio,  <817].  Nel  1819  il  Per- 
ticar! ripubblicava  la  cxciv  già  edita  dal  Trissino  e  pubblicava  la 
cxcvii  nel  Giorn.  Arcad.  [quad.  x.  iSi9]  di  sur  un  cod.  vatic.  che  fu 
dell'Orsino:  e 'I  Trucchi  stampava  in  Poes.  ital.  ined.  [t.  ii.  Prato, 
1846]  la'CLxxxvui  fra  altre  rime  di  Pierozzo  Strozzi  dietro  1'  autorità 
del  cod.  red.  451  che  male  1' attribuisce  allo  Strozzi.  Alcune  delle 
accennate  fin  qui  vennero  anche  ristampate  senza  novità  di  sorta 
nella  Scelta   di  poes.  lir.  ital.  [Firenze,  Le  Monnier,  1839,  in  4."]  e 


)(  'i07  X 

in  Lirici  del  sec.  primo,  secondo  e  terso  [Venezia,  Antonelli,  1846, 
in  4.*].  Nel  4846  F.  Zamhrtni  in  occasione  di  nozze  ripubblicava  la 
CLX,  cxcii,  OCX,  ccxi,  e  pubblicava  le  olii,  clxviii,  clxxvii,  CLXxxvr, 
CLxxxvni,  CLXxxix,  cxci,  ccvi,  coir  inlilolaz.  :  Ballate  di  F.  Sacchetti 
ed.  e  ined.  [Faenza,  Conti,  in  4."];  e  nello  stesso  anno  e  per  consi- 
mile occasione  dava  alla  luce  ancora  le  ccxvii,  ccxxvi,  ccxxix,  ccxxxiii, 
ccxxxv-xxxvm,  con  la  intìtolaz.  Madrigali  inediti  di  F.  Sacclutti 
[Faenza,  Marabini,  in  8.°].  Tre  anni  dopo,  nel  4849,  lo  slesso  istanca- 
bile  filologo  dava  a  stampa  pure  per  nozze  le  Ballate  edile  e  inedite  di 
F.  Sacchetti  [Imola,  Galeati,  in  8.".  a  100  esempi.  ],  e  nei  48cO  per  gli 
stessi  tipi  e  nello  stesso  formato  e  adeguai  numero  di  copie  i  Madri- 
gali; raccogliendo  con  ciò  da  stampe  e  mss.  quasi  tutto  quel  che  si 
contiene  nel  presente  libro,  se  ne  togli  la  ccxii,  ch'ei  lasciò  indietro 
per  la  sua  singolare  oscurità;  e  le  clvii,  clviii,  clxiii,  clxt,  clxxxiii, 
CLixxiv,  ccvii,  ccix,  che  omise  o  perchè  insieme  col  Bottari  non  le 
ritenne  del  genere  delle  ballate  o  perchè  il  cod.  da  lui  seguito  non 
ne  dava  intiera  o  chiara  la  lezione.  E  il  cod.  prescelto  dal  Zamlirini 
per  tutte  le  sue  pubblicazioni  di  rime  del  Sacchetti  fu  il  magliab.  852, 
ci.  VII,  p.  IV,  tenuto  a  confronto  con  un  palat.  di  Firenze  già  del  Poggiali 
e  dal  Poggiali  adoperato  per  quel  che  del  Sacchetti  die  fuori;  copie 
sì  il  magliab.  che  il  palat.  dell'antico  autogr.  del  Sacchetti,  fatta  la 
prima  dal  Biscioni,  la  seconda  dal  Rosso  Martini.  E  una  terza  copia 
di  quell'antico  autogr.  fatta  dal  Moùcke  serbasi  nella  Bibliot.  pubbl. 
di  Lucca  fra  i  mss.  di  quel  libraio  erudito  già  acquistati  dal  Lucche- 
sini:  su  la  qual  copia  venne  condotta  la  raccolta  intiera  e  compiuta 
che  si  stampò  in  Lucca  nel  1853  pei  Franchi  e  Maionchi  in  8."  con 
la  intitolaz.  Delle  Rime  di  F.  S.  le  ballate  e  consoni  a  ballo  i  madri- 
gali e  le  cacce:  se  non  che  gli  edd.  lucch.  avvertivano  che  per  due 
ballate  [clxxxiii-iv  di  questo  libro],  non  leggibili  nel  cod.  originale 
e  nelle  sue  copie,  atteso  l'essere  in  quello  danneggiata  la  pagina 
dove  erano  scritte,  si  erano  attenuti  a  un  ms.  di  varii  rimatori 
antichi,  37  pi.  90  sup.  laurenz.;  e  che  1'  ultimo  madrig.  ['ccxl]  ave- 
vano copiato  pur  dall' ediz.  Zambrini,  poiché  nel  nostro  cod.  (scrivono 
essi)  e  ncll  originale  non  si  leggeva.  Che  il  madrigale  manchi  nella 
copia  lucchese  e  che  in  questa  siano  illeggibili  le  due  ballate,  non 
negasi.-  ma  non  si  vorrebbe  affermar  ciò  dell'  originale,  poiché  il 
cod.  palat. ,  che  ne  è  copia  fedelissima,  porge  a  leggere  assai  como- 
damente e  le  une  e  l'altro.  Dall' ediz.  luch.  furono  ripubblicate  con 
qualche  emendazione  alcune  canzoni  a  ballo  e  madrigali  nelle  Rime 
di  Gino  e  d'altri  del  sec.  XIV.  Firenze,  Barl)èra,  1862,  in  16.»  Noi  per 
la  lezione  ritorniamo  in  tutto  al  cod.  palat.  [lo  designamo  nelle  note 
per  Pal.^:  e  |)erò  non  sarà  inutile  il  diro  rlio  questo,  ora  ccv  nel  catal. 


)(  208  )( 

dei  mss.  palat.  ordinalo  dal  Palermo  [i,  373],  e  già  del  Poggiali  che  lo 
descrive  nella  sua  Serie  [  I.  e],  è  copia  accuratissima  tutta  di  mano 
del  Rosso  Antonio  Martini,  il  Ripurgato  nell'Accademia  della  Crusca, 
fatta  nel  1723  del  cod.  autogr.:  Opere  diverse  di  Franco,  celebrato  dai 
compilatori  del  Vocab.,  e  che  fu  già  del  Rimenato  e  poi  di  casa  Giraldi, 
descritto  largamente  dal  Bottari  nella  prefaz.  alle  Novelle,  ma  già 
ridotto  a  male  quando  lo  copiava  il  Martini  ed  oggi  andato  a  finir 
con  alcuno  in  terre  straniere.  Peccato  da  vero:  ma,  messa  da  una 
parte  l'antichità,  quanto  è  della  lezione,  il  cod.  autogr.  ci  è  quasi 
scusato  dalla  copia  del  Martini,  condotta  con  tanto  scrupolo  che  né 
pur  si  attentò  di  emendare  alcuni  erroruzzi  di  lettera,  contentandosi 
a  notarli  nel  margine.  Inutile  dunque  ricorrere  ad  altri  mss.:  pure 
per  curiosità  volemmo  tenere  a  confronto,  per  quel  che  vi  si  com- 
prende del  Sacchetti,  il  cod.  ricc.  i-US  [R.  nelle  nostre  note];  bella 
copia  di  rime  antiche  fatta  nel  sec.  xvi,  il  magliab.  vn,  Var.  1041 
[M.  nelle  note]  raccolta  pur  di  rime  antiche  fatta  con  grande  accu- 
ratezza da  un  cinquecentista,  l'altro  magliab.  misceli,  più  volle 
cit.,  vn  Var.  1040  [M.  2  nelle  note],  e  in  fine  il  7767,  pure  altra  volta 
citato,  della  Bibl.  imper.  di  Parigi  [Par.  nelle  note].  Null'altro  ci 
resta  se  non  che  notare  cogli  Edd.  lucch.,  che  il  Bandini  nel  Catal. 
dei  codd.  laur.  [v,  442],  registrando  i  primi  versi  di  assai  ballate  del 
Sacchetti  che  in  uno  di  quei  mss.  si  leggono,  ne  cita  una  che  prin- 
cipia Voi  siete  qui  brigata  tutti  quanti:  ma  non  una  ballata,  è  un 
sonetto  in  bisticcio  di  quelli  che  più  tardi  si  dissero  alla  burchiel- 
lesca . 

CLVII. 

Cosi  m'  aiuti  Dio 

Gom'io  —  cantar  non  so.  2 

Già  mai  —  i'  non  cantai , 

E  non  sapre'  cantare; 

E  son  poco  uso  ancora  di  ballare: 

V.  1-4.  Di  questi  4  versi  gli  Edd.  lucch.  ne  fan  due,  e  legg.:  Così 
m'aiuti  Dio,  com'io  cantar  non  so.  Giammai  i'  non  cantai,  e  non  sapre' 
cantare.  Vero  è  che  il  Pai.  li  porta  scritti  così  :  ma,  se  s'  avesse  a 
tenersi  fede  a'codici  nella  divisione  de'  versi,  la  poesia  italiana  avreb- 
be anche  il  verso  di  221  sillabe. 


)(  209  )( 
.    .  Sì  che  per  cerio  io  non  canterò.  —  6 

—  Oh  sta  hcn  duro  e  sic  ben  provano, 
Falli  ben  dire  assai  come  villano, 

Che  cantar  suogli;  et  io  udito  l'ho.  —  9 

—  Non  seppi  mai  alcuna  canzonetta, 
Et  ho  la  boce  che  par  di  capretta; 

Si  che  per  questo  tanto  dir  mi  fo.  —  12 

—  Or  canta  ornai,  s'  tu  vuogli,  col  mal  anno! 
Non  canterai,  se  a  Dio  piace,  uguanno? 

Che  duol  ti  vegna,  0  canti  tu  0  no!  —       is 

—  Or  ecco  i'  canto,  poi  che  vo'  volete: 
Venir  vi  possa  fame  grande  e  sete. 

Che  d'ogni  vostro  danno  lieto  so'.  is 

Risponda  ognuna  che  sente  d'amore; 

A  tutte  l'altre  vegna  gran  dolore: 

Ciascuna  dica  sì  com' io  dirò.  24 

Se  in  questo  ballo  fosse  ninna  vecchia. 

Tosto  se  n'esca  fuor  come  vertecchia 

E  'n  altro  spenda  ornai  il  tempo  so'.  24 

Se  e'  ci  fosse  alcun  tristo  geloso, 

Vadasen  fuor;  sì  come  doloroso 

Che  mai  non  mangia  che  li  facci  prò'.  27 
Se  ninno  avaro  è  in  questo  ballo. 

Le  sue  scarpette  rompe  senza  fallo: 

A  seder  vada,  per  consiglio  do.  50 

Se  e'  ci  fosse  monna  Scoccalfuso, 

Vo'  la  conoscerete  pur  al  muso. 

Ch'ella  disgrigna  come  il  diavolo.  .55 

Vers.  44.  Gli  edd.  lue.  pongono  sol  punto  e  virgola  alla  fine  di 
questo  V.  Il  lettore  giudichi  se  l'interrogativo  per  avventura  prov- 
veda meglio  alla  sentenza  —  45.  venga:  E.  lue.  —  20.  venga:  E. 
Juc.  —  27.  mangi:  E.  lue.  —  28.  è  'n:  E.  lue.  con  danno  del  verso. 

U 


)(  210  )( 
Se  e'  ci  fosse  monna  Pocofìla, 

Dir  se  ne  possa  oggi  la  vigila, 

Che  mai  un  fuso  d'accia  non  filò.  55 

Se  e'  ci  fosse  monna  Zuccalvento, 

A  vederla  ballar  è  grande  stento, 

Che  par  gli  vegna  puzzo  del  mondò.  39 

Se  e'  ci  fosse  monna  Tristalfuoco, 

Tosto  si  parta  dello  nostro  giuoco; 

Che  questo  ballo  guasterebbe  mo'.  ^^ 

Tutta  la  gente  che  i'  ho  contata 

Fuor,  fuor  se  n'escan  di  nostra  brigata; 

E  gli  altri  ballin  forte  chi  più  pò.  ^^ 

Ballate  forte,  e  alto  le  man  su . 

Se  e'  é  il  gallo,  canti  cu  cu  ricù; 

E  se  e'  è  r  oca,  dica  pur  co  co.  48 

Se  la  cornacchia  e'  è,  gridi  era  era  ; 

Se  c'è  la  quaglia,  canti  qua  qua  riquà; 

Se  e'  il  corbo,  allor  faccia  ero  ero.  5/ 

Se  c'è  il  porcello,  ancor  faccia  truin; 

Se  e'  è  il  piccion,  canti  quin  quiriquin; 

E  se  ci  fosse,  ragghi  l'asino.  S4 

Se  c'è  la  pecorella,  dica  be; 

A  cui  dolesse  il  capo,  gridi  —  0  me  —, 

E  —  Die  ti  mandi  —  ognun  risponda  a  lo.    S7 
La  capinera  canti  ci  ci  rici; 

E  '1  grillo  salti  e  dica  spesso  cri; 

E  mugghi  forte,  se  ci  fosse,  il  bo.  60 

Canti  il  suo  verso  ogn' altro  che  ci  fosse; 

Vers.  39.  venga:  E.  lue—  4i.  dallo:  E.  lue  — 80.  qua  glia  riquà: 
E.  lue.  In  ogni  modo  il  v. cresce  d'una  sillaba  ;  né  saprei  che  farci. — 
S6.  corpo:  E.  lue.  --  58.  Così  anche  il  Pai.  ma  il  v.  cresce  d'  una 
sillaba. 


)(  211  )( 
E  forte  tossa  chi  avesse  tosse; 
Che  coccoUna  fosse  ella  ampo'.  6S 

V  credo  voi  avete  assai  hallalo: 
Et  i'  ò  la  mia  canzon  cantalo;   ^ 
Quei  che  la  fece  più  non  m'insegnò.  68 

Vers.  62.  la  tosse:  E.  lue.  —  63.  un  po':  E.  lue.  —  65.  Et  io  la: 
E.  lue.  Vero  è  ehe  cosi  legge  pure  il  Pai.;  ma,  se  non  distinguessimo 
le  dizioni  più  d'una  volta  ne'  mss.  riunite,  addio  senso  e  versi 
Dc'  testi  antichi. 

CLVIII. 

CANZONETTA    BALLATELLA 

Benedetta  sia  la  state 

Che  ci  fa  sì  solazare! 

Maladetto  sia  lo  verno 

Che  a  città  ci  fa  tornare!  4 

No'  Siam  una  compagna, 

r  dico  di  cacciapensieri  ; 

Per  foresta  e  per  campagna 

Sempre  andiamo  volentieri . 

Re,  baron,  donne  e  scudieri. 

Tutti  al  suon  d'una  campana, 

Su  Marignolla  sovrana 

Corrìamci  a  ragunare.  ^^ 

E'  ci  é  il  re  di  Mattre  Strade 

E  *l  sir  di  Montefiasconi 

E  '1  conte  delle  contrade 

Canzonetta  ballatetta:  E.  lue.  —  Vers,  2.  sollazzare:  E.  lue— 
3.  Maledetto:  E.  lue—  5.  siamo:  E.  lue—  9.  donne,  scudieri:  E.  lue— 
4i.  Marignolle:  E.  lue  —  43.  è  re  di  Mattestrade:  E.  lue 


)(  '^i2  )( 

De'  Cummini  e  Tartaglioni 

E  '1  marchese  de'  Valloni 

E  '1  cont'  Ugo  della  Valle 

E  quel  dello  Scuro  calle 

Che  fa  sua  magion  conciare.  ^(^ 

Ecci  il  sir  di  Castelletto 

E  quel  di  Rocca  afforzata 

E  '1  marchese  del  Boschetto 

£'  conti  di  Piazza  erbata . 

Maliscalco  di  brigata 

È  lo  doge  di  Peschiera, 

Che  per  ciascuna  rivera 

La  sua  boce  fa  sonare,  -^* 

Altri  assai  d'attorno  attorno 

Vegnon  alla  nostra  insegna, 

Come  il  sir  di  Valdintorno 

E  quel  della  Ripa  degna 

E  lo  re  di  Pian  di  Legna 

E  lo  sir  di  Colombino 

E  quel  di  Poggio  petrino 

Col  Morocco  d'oltremare.  36 

Sempre  danze  e  rigoletti! 

Con  diletto  e  gioi'  ciascuno! 

Vecchi  come  giovenetti. 

Non  é  differente  alcuno: 

Siam  cento  e  siam  uno 

Vers.  -16.  Di:  E.  lue.  —  21.  Ecco:  E.  lue.  —  25-6.  Maliscalco  di 
brigata,  E  lo  doge  di  Peschiera  E.  lue.  Veggasi  se  meglio  giovi  al 
senso  la  interpunzione  da  me  adottata.  —  30.  alla  nuova:  E.  lue.  — 
33.  Segna:  E.  lue.  —  38.  gioia:  E.  lue.  e  eosì  legg.  i  Mss.  Noi  abbia- 
mo preso  per  sistema  di  elidere  sifTatti  dittonghi  quando  ve  n'  è 
bisogno  :  con  qual  conforto  del  verso  ognun  e'  ha  orecchio  se  'I 
senta.  —  39.  giovinetti:  E.  lue.  —  41.  Siamo:  E.  lue. 


)(  213  )( 

In  un  animo  e  volere. 

Ciascun  grida  per  godere, 

E  muoia  chi  non  vuol  cantare!  44 

D'amor  suoni  e  vaghi  canti 

Et  in  ballo  e  fuor  di  ballo; 

Donne  e  pulzelletle  avanti 

Cantan  dolce  sanza  fallo; 

E  non  fanno  intervallo. 

Che,  come  Tuna  ha  cantato, 

L'  altra  ha  tosto  incominciato. 

Sol  per  gioco  e  festa  dare.  m 

11  senno  e  la  contenenza 

Lasciam  dentro  all'alte  mura 

Della  città  di  Fiorenza, 

Si  che  non  ci  sia  paura 

Che  compagna  0  gente  fura 

Ce  'I  possa  rubare  0  tórre. 

Cosi  nostra  vita  corre 

E  me'  eh'  io  non  vi  so  contare.  eo 

Dunque,  se  la  state  manca 

E  vien  su  la  fredda  brina. 

La  brigata  divien  franca. 

Ognun  si  parte  a  testa  china. 

Già  la  neve  s'avvicina 

E  'I  bel  verde  e'  fiori  asconde. 

Il  vento  caccia  le  fronde; 

E  ciascun  se  n'  vuole  andare.  is 

Ballata,  truova  coloro 

Per  li  qua'  creata  fosti; 

E  di'  lor  sanza  dimoro 

Vers.  43.  gridi:  E.  lue.  —  47.  donzeìleUe.  E.  lue. 


)(  214  )( 
,,  Che  dal  verno  ognun  s'arrosti, 

E  col  buon  piacer  s'accosti 
Fin  che  torni  il  vago  tempo; 
E  allor  ciascun  per  tempo 
Si  cominci  a  rassegnare.  76 

Vers.  75.  Allor:  E.  lue. 

CLIX. 

CANZONETTA 

0  vaghe  montanine  pasturelle, 

D'onde  venite  si  leggiadre  e  belle?  2 

Qual  è  '1  paese  dove  nate  sete, 

Che  sì  bel  frutto  più  che  gli  altri  adduce? 

Creature  d'amor  vo'mi  parete. 

Tanto  la  vostra  vista  adorna  luce! 

Né  oro  né  argento  in  voi  riluce, 

E  mal  vestite  parete  angiolelle.  8 

—  Noi  stiamo  in  alpe  presso  ad  un  boschetto; 
Povera  capannetta  é  '1  nostro  sito; 

Col  padre  e  con  la  madre  in  picciol  letto 
Torniam  la  sera  dal  prato  fiorito, 
Dove  natura  ci  ha  sempre  nodrito; 
Guardando  il  di  le  nostre  pecorelle.  —         •/4 

—  Assai  si  de'  doler  vostra  bellezza, 
Quando  tra  monti  e  valli  la  mostrate; 
Che  non  è  terra  di  si  grande  altezza 
Dove  non  foste  degne  et  onorate. 

Canzonetta  a  ballo  pastorale.  E.  lue.  —  1.  pastorelle:  Par., 
Pogg.  Zamb.—  2.  Onde:  Par,— 41.  tetto:  Z.  Pog.  fa  punto  in  fine, del 
verso.  —  <2.  Torniàn:  Par.  —  IS.  nutrito:  Par.  —  18.  ed:  Z. 


)(  ^215  )( 
Deh,  ditemi  se  voi  vi  contentate 
Di  star  ne' boschi  così  poverelle? —  20 

—  Più  si  contonta  ciascuna  di  noi 
Andar  drieto  alle  mandre  alla  pastura, 
Clic  non  farebbe  qual  fosse  di  voi 
D'  andar  a  feste  dentro  a  vostre  mura. 
Ricchezza  non  cerchiam  né  più  ventura 
Che  balli  canti  e  fiori  e  ghirlandelle.  —       ** 

Ballala,  s'  i'  fosse  come  già  fui. 
Diventerei  pastore  e  montanino; 
E,  prima  ch'io  il  dicesse  altrui, 
Serei  al  loco  di  costor  vicino; 
Et  or  direi  Biondella  et  or  Martino, 
Seguendo  sempre  dov'  andasson  elle.  52 

Vers.  20.  nel  bosco:  Par.  —  22.  dietro:  Pogg.  Z.  E.  lue.  —  2i. 
àfntro  vostre:  E.  lue.  —  26.  e  canti:  Par.  — 5}9.  che  io  'l:  Pogg.  Z.  io 
lo:  Par.  —  30.  Sarei:  Par.  Z.  E.  lue.  —  31    Ed  ...  .  ed:  Z. 

Questa  ballata  dal  sec.  passato  in  poi  venne  attribuita  al  Polizia-, 
no:  chi  attende  alla  presente  raccolta  cosi  ne  scriveva  nelle  note  alle 
l^oesie  volgari  del  Poliziano,  ediz.  tìor.  del  Barbèra,  t8fi3  «...  non  tro- 
vasi in  alcuno  dei  mss.  da  me  conosciuti  che  han  rime  del  Poliziano 
e  ne  pure  nella  raccolta  di  Ballate  del  sec.  xv;  si  bene  trovasi  nelle 
due  raccolte  di  canzoni  a  ballo  del  Sermartelli  <5tì2e  68)  e  nell'  altra 
del  Simbeni  (t614)  non  però  col  nome  del  Poliziano;  che  anzi  l'ediz. 
Simbeni  l' attribuisce  al  Magnifico;  e  va  nello  slampe  del  Sermartelli 
fra  quelle  che  non  han  nome  d'autore.  Trovasi  però  ne'codd.  che  han 
rime  di  Franco  Sacchetti  e  col  nome  di  lui;  e  a  Franco  Sacchetti  è  data 
in  parecchie  raccolte  di  Rime  antiche:  nei  codd.  e  nelle  stampe  che 
l'attribuiscono  al  Sacchetti  ha  molte  varietà  di  lezione  e  una  stanza 
di  più.  Con  tutto  ciò  fìn  dal  secolo  passato  fu  in  alcune  raccolte  (per 
es.  nei  Lirici  antichi,  t.  vi  del  Parnaso  italiano  raccolto  dal  Hubbi  ) 
attribuita  al  Poliziano;  e  gli  è  attribuita  da  tutte  le  moderne edd.  delle 
poesie  di  lui,  incominciando  dalla  milanese  dei  Classici  italiani  (1808' 
Potrebbe  credersi  che  il  Poliziano  l'avesse  rafTazonala  per  usodi  qual- 
che mascherata  o  festa  del  tempo  suo,  e  che  da  ciò  procedesse  la  voce 
che  al  Poliziano  raltnbui.^ce.  Potrebbe  creder*:*  ■'•■■'    '■''  nol!n  lezjd- 


)(  216  )( 

ne,  con  la  quale  vien  data  a  Messer  Angiolo,  non  fosse  più  irregolare 
e  scorretta  che  non  in  quella  che  ha  il  nome  dell'antico  novelliere  e 
poeta  ».  Dèi  quale,  aggiungo  oggi,  è  senza  dubbio;  chi  non  volesse, 
che  è  impossibile,  negare  l'autorità  del  cod.  palatino,  esemplato  fedel- 
mente sull'autogr.  del  Sacchetti.  «  Forse  (  riprendo  quel  che  dicevo 
nel  63)  questa  ballata  di  Franco  rimase  lungamente  nelle  bocche  del 
popolo;  e  di  qui  certe  mancanze  e  scorrezioni  che  ravvisiamo  nella 
seconda  lezione.  Fu  quindi  ammessa,  con  altri  canti  che  sono  eviden- 
temente popolari  e  della  popolarità  hanno  anche  i  guasti,  nelle  rac- 
colte del  Sermartelli:  dove  il  trovarla  così  graziosa  e  candida,  a 
comparazione  d'altre  un  po'  rozzette  e  artificiate,  fece,  a  chi  le  rime 
del  Sacchetti  non  conosceva,  attribuirla  al  più  grazioso  e  candido 
poeta  del  sec.  xv  ».  Ecco  la  lezione  con  la  quale  trovasi  nelle  raccolte 
del  Sermartelli  e  del  Simbeni  e  nelle  edizioni  del  Poliziano,  sebbene 
non  d'  un  modo  affatto  in  tutte: 

Vaghe  le  montanine  e  pastorelle, 
D'  onde  venite  sì  leggiadre  e  belle?  2 

—  Vegnam  dall'alpe  presso  ad  un  boschetto: 
Picciola'capannella  è  '1  nostro  sito. 

Col  padre  e  colla  madre  in  picciol  letto, 

Dove  natura  ci  ha  sempre  nutrito  : 

Torniam  la  sera  dal  prato  fiorito, 

Ch' abbiam  pasciuto  nostre  pecorelle.  —  8 

—  Qual  è  il  paese  dove  nate  siete? 

Che  si  bel  frutto  sopra  ogni  altro  luce. 
Creature  d'  amor  voi  mi  parete, 
Tant'  è  la  vostra  fama  che  riluce: 
Né  oro  né  argento  in  voi  non  luce; 
E  mal  vestite,  e  parete  angiolelle.  1A 

Non  si  posson  doler  vostre  bellezze, 
Poi  che  fra  valle  e  monti  le  mostrate; 
Che  non  è  terra  di  sì  grandi  altezze 
Che  voi  non  fussi  degne  et  onorate: 
Ora  mi  dite  se  vi  contentate 
Di  star  neir  alpe  così  poverelle.  —  20 


Vers.  1.  0  vaghe  moni.  Sinib.  1614.  —  3.  n  un:  Simb.  —  5.  tetto:  Edd. 
fior.  1814  e  Silvestri  182  5.  ~  8.  pasciute:  Edd.  milan.  1808.  —  10.  sovra  ogni 
altro  adduce:  E.  f.  14.  Silv.  sopra  ogni  altra  luce:  Canz.  a  b.  1562 e 08  e  Simb. — 
15.  possan  vestir:  Simb.  —  16.  fra  valli:  st.  mod.  —  17.  terre  di  sì  grande: 
r,anz.  a  b.  1562  e  08:  terra  di  sì  grande:  Sirab.  — 18.  foste:  Pailibi.  E.  niil.  1808, 
E,  fior.  1814:  e  onorate:  Simb:  ed  onorate:  m.  mud. 


)(  217  )( 

--  Più  si  contenta  ciascuna  di  noi 
Gire  alla  mandria  drieto  alla  pastura, 
Più  che  non  fate  ciascuna  di  voi 
Gire  a  danzare  dentro  vostre  mura: 
Ricchezza  non  cerchiani  né  più  ventura 
Se  non  be'  fiori,  e  facciam  grillandelle.  96 

Vers.  22.  dii-.ln):  K.  lìor.   l«l  l.  Silv^lil. 

Noti.mio  III  Ime  die  (iella  presente  ballata  si  legge  una  parodia 
spirituale  nel  libro  delle  Laudi  di  diversi  [eJiz.  dei  Bonardo]:  co- 
mincia a  0  vaghe  di  Gesù,  o  verginelle.  Dove  n'andate  si  ieggiadr'  e 
belle:  ». 

CLX. 
Franctis  sonum  dedit. 

Innamorato  pruno 

Già  mai  non  vidi,  come  l'allr'ier  uno.  s 

Su  la  verde  erba  e  sotto  spine  e  fronde 

Giovinetta  sedea 

Lucente  più  che  stella.  * 

Quando  pigliava  il  prun  le  chiome  bionde, 

Ella  da  sé  il  pignea 

Con  bianca  mano  e  bella; 

Spesso  tornando  a  quella 

Ardito  piìi  che  mai  fosse  altro  pruno.  io 

Amorosa  battaglia  mai  non  vidi, 

Qual  vidi  essendo  sciolte 

Le  treccie  e  punto  il  viso. 

Oh!  quanti  in  me  allor  nascosi  stridi 

Il  cor  mosse  più  volle, 

2.  altrieri:  M.  Par.  —  3.  Sulla  bella  erba:  M.  erba  sotto':  R.  e 
Par.  —  4.  Giovenetta:  R.  —  7.  pingea:  M.  R.  —  !).  ad  ella:  R.  —  iO. 
fusse:  M.  R.  e  Par. 


)(  218  )( 
Mostrando  di  fuor  riso, 
Dicendo  nel  mio  avviso: 
Volesse  Dio  ch'io  diventassi  pruno!  48 

Vers.  -18.  volessi  Iddio:  M.  R.  e  Z.  diventasse:  Par. 

CLXI.  ^ 

Già  mai  non  fu  nò  fìa 

Che  dove  regna  Amor  virtù  non  sia.  s 

Non  vuol  Amor  se  non  il  cor  gentile, 

E  quello  è  cor  gentil  che  perfetto  ama 

Fug'gendo  ogn'ora  dalla  cosa  vile 

Per  seguir  quel  valor  che  sempre  brama  : 

Chi  amante  si  chiama 

Per  questo  veder  può  se  d'Amor  sia.  8 

Chi  ama  teme  di  non  dispiacere 

Per  nissun  modo  alla  sua  donna  amata, 

Usa  vergogna  se  la  va  a  vedere; 

E  mai  da  lui  non  è  infamata, 

Ma  sempre  è  onorata; 

Per  che  cotale  amor  vertù  gli  fìa.  44 

Non  è  innamorato  per  mostrarsi 

Alcuno  in  atti  0  per  spander  sospiri 

0  con  sue  veste  di  novo  adornarsi. 

Parendo  disonesto  a  chi  le  miri; 

Che  per  li  suo'  disiri 

L' effetto  mostra  spesso  chi  l'  uom  sia.  so 

Y  non  potre'  ma'  dir,  mia  canzonetta, 

Vers.  8.  che  d':  E.  lue.  —  H.  onor  virtù:  M.  Par.  e  Z.  —  48.rfj- 
soneste:  M.  Par.  eZ.  —  -19.  Che  li  suo' desiri:  E.  lue—  20.  L  affetto: 
E.  lue. 


)(  219  )( 
Quanli  son  que'  che  ardono  in  parole 
E  morii  chi  di  lancia  o  di  sactla; 
E  tal  non  sente  amor  che  più  si  duole: 
Però  trova  chi  vuole 
Seguir  virtù,  che  sempre  amor  vi  lìa.  te 

Vers.  28.  ch'ardono:  E.  lue.  —  23.  e  di:  Par.  —  *6.  sia:  E.  lue. 

CLXll. 

CANZONCINA  0   BALLATA   DI   FR.\NCO   FATTA   PER  ALTRI. 

0  giovinetta,  poi  che  se'  sposata. 

Non  mi  dimenticar  s'  io  t'  ho  amala.  2 

E  cosi  fermo  son  sempre  d'amarti. 

Che  caso  sia,  avvegna  ciò  che  vole, 

Perchè  fanciulla  vedrò  donna  farti 

E  sentirai  più  l'amoroso  sole 

Considerando  gli  alti  e  le  parole 

Che  movon  dalla  mente  innamorata.  8 

Al  mio  amare  et  al  tuo  tempo  puro 

In  dietro  raguardando,  vederai 

Quel  che  per  purità  ti  era  oscuro, 

E  '1  mio  fedele  amor  conoscerai. 

Sperando  che  contento  mi  farai 

Della  tua  vista  tanto  disiala.  n 

A  tal  sposa  novella,  ballalina. 

Ne  va;  e  quando  in  testa  avrà  ghirlanda 

D'  ulivo  e  di  argento  la  mattina, 

Umilmente  l'addestra  d'ogni  banda, 

Vers.  2.  Non  ti:  E.  lue.  —8.  moven    E.  lue.— 9.  amore  ed:  Z.— 
40.  riguardando:  Par.  oZ   —  41    i-utitate:  Z.   t'era:  Pai    Par   Z 


)(  220  )( 
Dicendo  —  Il  servo  a  te  si  raccomanda, 
Che  per  tua  cameriera  m'  ha  mandata.  20 

Vers.  20.  camariera:  Par. 

GLXIII. 

CANZONETTA   A   BALLO   AMOROSA. 
XXIII.  Intonata  per  Francum  Sacchetti. 

Mai  non  serò  contento  immaginando 

Il  tempo  e  loco  e  dov'  io  fui  e  quando.         s 

Amata  lungo  tempo  giovinetta, 
Et  ella  me  dimostrando  d'amare, 
In  un  boschetto  riscontrai  soletta 
Presa  da' pruni;  e  non  potea  passare 
Innanzi  né  a  drieto  ancor  tornare. 
Si  d'ogni  parte  la  venien  pigliando.  8 

Come  la  vide  me,  cosi  partila 

Fu  dalle  spine,  e  con  lamento  pio 

Diceva  —  Oi  me  lassa!  son  smarrita 

Fra  queste  fronde,  ch'altro  non  vegg'io. — 

Allor  pietoso  contro  al  voler  mio 

Le  dimostrai  sua  via  rinsegnando.  /4 

Così  quel  giorno  foss'io  anzi  morto 
Ch'esser  com'era  d'uno  accompagnato, 
Però  che  sol  per  questo  mi  fu  corto 
Il  mio  pensier  che  tanto  avea  bramato: 
Si  ^he  per  esser  tre  venne  fallato 
Il  dolce  don  ch'io  disiava  amando.  20 

Vers.  i.  imaginando:  Par.—  2.  e  'l  loco  dov':  Par.  —  7.  né  dietro: 
E.  lue.  —  9.  Come  ella:  Par.  —  <2.  Tra:  Par. 


)(  -221  )( 
Io  dico  spesso:  Ornai  voglio  andar  solo: 
Ma,  quando  penso  che  tal  caso  mai 
Non  credo  ritrovar,  cresce  il  mio  duolo; 
E  alcun' ora  andando  ov'io  lasciai, 
Veggcndo  solo  ove  sola  trovai, 
Mai  non  serò  contento  immaginando.  h 

Wi^.  2>.  Et:  Par.—  26.  imaginando:  Par. 

GLXIV. 

CANZONETTA    A    BALLO. 

Ma'  non  senti'  tal  doglia 

Quant'  è  con  fede  amare 

Donna,  che  abbandonare 

Po'  mi  convien  e  gir  contro  a  mie'  voglia.  4 
Amor,  tu  mi  facesti 

Venir  in  un  paese  da  me  strano, 

E  in  quello  mi  prendesti 

Per  farmi  poi  da' begli  occhi  lontano. 

11  mare  e  '1  monte  e  '1  piano 

Non  so  com'  io  trapassi, 

Ch'  e'  mie'  dogliosi  «passi 

Non  mi  mettan  ogni  or  a  mortai  doglia.  n 
Come  potrà  soffrire 

11  cor  penoso  che  la  luce  mia 

Si  convegna  partire 

Vers.  4.  Mai:  R.  Par.  Eq.  Z.  —  4. mia;  E.  lue.  contramia:  R.P. 
Eq.  Z.  —  7.  E'  n:  P.  Eq.  Z.  —  9.  il  monte:  R.  Eq.  Z.  E.  lue.  il 
piano:  R.  —  40.  come  trapassi:  R.  —  H.  Che  mei:  R.  Che  miei:  Pai. 
Che'  miei:  Eq.  Z.—  43.  convenga:  Eq.  Z.  Si  convien:  R. 


•  )(  m  )( 

Da  quella  che  veder  sempre  desia? 

Lasso,  eh'  al  tutto  fìa 

Distrutta  mia  valenza, 

Quando  la  sua  presenza 

Mi  vedrò  allungar  con  grave  doglia.  so 

Una  speranza  alquanto 

La  mente  trista  immaginando  porta. 

Che  tal,  or  nel  mio  pianto 

Giugne  il  pensiero  e  dice  —  Or  ti  conforta. 

Che  la  dimora  corta 

Sera,  se  tu  vorrai, 

E  ritornar  potrai.  — 

Ma  questo  ogni  or  m'accende  maggior  doglia.  28 
Ballatetta,  con  pena 

Mi  movo,  e  vonne  sì  come  colui 

Ch'alia  morte  si  mena 

Sanza  sperar  d'aver  aiuto  altrui. 

Però  tu  sola,  in  cui 

Ogni  mio  stato  posa. 

Rimanti  dolorosa 

Contando  a  questa  donna  la  mia  doglia.        se 


Vers.  47.  sia:  R.  —  20.  vederò:  R, —  22.  emaginando:  R.  imagi- 
nando:  Par.  —  24.  Giunge  il  pensier  che  dice:  Eq.  Z.  —  26.  Sarà:  Eq. 
Z.  E.  lue.  —  27.  ritrovar:  Eq.  —  28.  m'accresce:  R.  P.  Eq.  Z. — 
30.  vommen:  Eq.  Z.  —  32.  Senza:  R.  Eq.  Z.  E.  lue.  sperar  aver 
l'aiuto-  R.  —  36.  Cantando:  P.  Eq.  Z.  E.  lue. 


)(  223  )( 
CLXV. 

CANZONETTA  A  BALLO. 

XXIII.  Intonata.  Francisciis  de  Organis  sonum  dedit. 

Né  te  né  altra  voglio  amar  giA  mai, 

Falsa,  po'  che  cosi  tradito  m'  hai  !  i 

Pensando,  lasso!,  al  tempo  eh'  i'  ho  perduto 

Amando  te,  or  grave  doglia  sento; 

Che,  se  amante  amar  fu  mai  veduto, 

Con  fede  amava  te  per  ognun  cento; 

Tanto  che  '1  tuo  amor  di  vertù  spento 

Mi  promettesti,  e  poi  tradito  m'  hai.  s 

Della  promessa  tua  fu'  lieto  tanto, 

Che  gioia  non  sentì'  ma'  quanto  allora; 

Tornato  m'  era  in  riso  ogni  mio  pianto; 

Ma  in  me  fece  picciola  dimora. 

Credeami  esser  dentro,  or  son  di  fora; 

Ad  altrui  data  se',  tradito  m'hai!  44 

Al)bandonato  sanza  mia  cagione 

Da  te  mi  trovo;  et  or  amante  tale 

Hai  tolto  che  ne  renderà  ragione; 

E  già  ti  trade,  ov'  io  t'  era  leale. 

Così  costui  conforterà  '1  mio  male. 

Tradendo  te  come  tradito  m'  hai.  so 


Nel  M  2.  è  intitolata  Ballata  dolorosa  piena  di  martiri.  —  v.  3. 
e' ho:  Par.  —  5.  mai  fu:  Par.  —  7.  virtù:  Par.  —  8.  e  po':  M  2.  —  9-U, 
Mancano  nel  Par.  —  <3.  Credeva  ....  e  son:  MS.  —  20.  Dopo  questo 
verso  nel  M.  M  2.  e  Par.  v'  è  dì  più  la  seg.  stanza: 
Se  femina  si  volge  come  foglia 


)(  224  )( 
Vatlene  ad  Amor,  mia  ballatella, 
Digli  eh'  alquanto  aggia  di  me  merzede, 
Punendo  si  questa  malvagia  e  fella 
Ch'assempro  sia  a  qual  donna  la  vede; 
Che  m'  ha  tradito  sanza  alcuna  fede 
Come  nessun  fosse  tradito  mai.  26 

E  piglia  il  peggio,  in  te  posso  vedere. 

Rea,  diversa,  nata  per  mia  doglia, 

Già  mai  in  me  tu  non  arai  potere . 

E  s'io  t'amai,  or  brama  il  mio  volere 

Di  quel  vendetta  che  tradito  m'hai. 
Nella  quale  st.  il  M.  ha  queste  var.:  0  piglia  al  v.  2  ;  vèr  me:.  .  .  . 
arai  (anche  il  M.  2.) . ..  podere:,  al  v.  4.  —  22.  mercede:  M.  Par.   E. 
lue.  —  23.  questd  maligna:  M.  —  21-.  exemplo:  Par.  —  26.  fussi:  M. 

CLXYI. 

OttoUnus  de  Brixia  sonuni  dedit. 

Se  crudeltà  d'amor  sommette  fé', 

Qual  è  che  ami  che  trovi  merzé?  jg 

Chi  sta  suggetto  e  suo  ben  per  mal  dà 

(Merito  che  per  sua  sente  vertù) 

E  chi  contro  a  durezza  umile  va, 

Servo  si  trova  a  nimistanza  più. 

Dunque  perchè  voler  languir  qui  su? 

Spengansi  i  cori  e  qual  più  in  donna  v'è.    8 

Vers.  2.  eh' ami:  E.  lue.  mercè:  M.  —  4.  virtù:  M.  —  5.  cantra 
durezza:  R.  e  Par.  —  7.  i)ongMe.- R. 


)(  225  K 
GLXVII. 

(Jual  diavoi,  vecchie,  subilo  vi  tocca 

Oliando  vo'  mormorate? 

Perché  non  contentar  gli  occhi  lasciale?  j 

Vo'  ci  togliete  quel  tanto  eh'  abbiamo 

Agli  occhi  nostri  in  oscurarci  i  volli, 

E  non  pensale  che  sempre  cerchiamo 

Star  nel  veder  con  umiltà  raccolti. 

Lasciate  dunque  il  corso  agli  occhi  sciolti, 

Tanto  che  appariate 

Quel  dir.  amor,  che  non  par  che '4  sappiale,  io 

Vers.  9.  eh' appariate:  E.  I. 

CLXVIII. 

Prima  Intonata.  Magìster  LauretUius  de 
Florentia  sonum  dedit. 

Donna,  servo  mi  sento; 

Assa'  fia  grave  in  me  mortai  tormento.  s 

Fammi  sentire  il  vostro  amore  omei 

Pel  dolce  sguardo  che  nel  cor  discende; 

Fortuna  pianger  fa  i  sensi  miei 

Pel  crudel  piglio  che  la  mente  offende. 

A  qual  merzè  piìi  rende 

La  chiama,  lagrimando,  il  mio  lamento.  8 

2.  sia:  E.  I.  —  7.  tMrcè:  Z.  —  8.  La  chiamo:  E.  I. 

45 


)(  226  K 
CLXIX. 

Non  penso  consolar  la  trista  luce, 

Poi  che  la  verde  fronda 

Per  sua  vaghezza  in  scurità  l'affonda.  5 

Si  come  suol  per  sua  dolce  stagione 

La  primavera  confortar  gli  amanti, 

Cosi,  contrara  in  me  sanza  ragione. 

Mi  to'  '1  disio  del  cor  dagli  occhi  avanti; 

Ond'  io  non  spero  oma'  ched  e'  sian  tanti 

Pensier  che  '1  core  asconda. 

Quanto  i  dolor  che  'ntorno  a  lui  fann'  onda,   fa 

Vers.  6.  contraria-.  Par.,  R.,  Eq.,  Z.,  E.  lue.  senza:  R.,  Eq.,  Z.  — 
7.  tuo'  il:  R.  —  8.  Onde  non:  R.  spero  mai:  R.,  Par.,  Eq. ,  Z.  che  desir 
(0  disiroj,  Eq.,  Z.,  E.  lue.  —  9.  Pensier  del  core:  Eq.,  Z.,  E.  lue.  — 
40.  Quanti  i:  Par.  Eq.,  Z. 

CLXX. 

un.  Irdonata.  Ottólinus  de  Brixia  sonum  dedit. 

V  sento  pena,  o  me,  per  tali  amanti, 

Che  di  donna  pietosa 

Fanno  venir  d'amor  cruda  e  noiosa.  ^ 

Con  viziati  modi  e  con  lor  traccia, 

S'  eli'  han  pietà,  da  lor  la  fan  partire; 

Credendo  amar,  fanno  più  tosto  caccia 

Con  atti,  come  can  fier'a  seguire. 

Et'  io,  lasso  \,  costretto  dal  disire, 

D'  una  donna  amorosa 

Trovo  già  per  costor  fatta  sdegnosa.  io 

Vers.  7.  fiera  seguire:  codd.  e  st. 


)(  227  )( 

CLXXI. 

Deh,  dimmi,  Amor,  se  move 

Da  le,  die  donna  a  fedcl  servo  sia 

Nimica  e  più  quanto  più  la  d^ìa.  j 

Se  tu  lant'alto  vedi,  che  nel  core 

Si  posi  quel  che  fuor  mostra  l'aspetto. 

Dico  che  tal  non  sente  mio  valore. 

Se  lascia  il  ben  per  mal  suo  intelletto. 

Et  io  da  le  costretto 

Che  fo,  se  'n  questa  sta  la  mente  mia?  — 

Amando  segui,  e  diverratli  pia.  40 

Vers.  8.  constretto:  Par.  —  10.  siegui:  R. 

CLXXII. 

VI.  Intonata.  Ser  Jacobus  frater  Ser  GherardeUi 
soHum  dedit. 

Se  ferma  slesse  giovenezza  e  tempo. 
Donna,  dagli  occhi  mie'  il  tuo  fuggire 
Non  mi  faria  la  mente  si  languire.  j 

Ma,  perch'io  sento  ch'ogni  bilia  perde 
Sua  vaga  vista  e  più  che  '1  tempo  passa. 
Languisco  immaginando  che  tua  verde 
Slagion  nascondi  alla  mia  luce  lassa. 
In  alla  età  se'  or;  ma  forse  in  bassa. 
Là  dove  nessun  ben  si  può  senlire, 
Ricorderai  il  mio  pel  tuo  martire.  io 

Vers.  h.  stessi:  Par.  giooanessa:  Par.  e  Z.  giovinesja:  E.  lue.  — 
2.  mei:  R.  miei:  Ser.  e  Z.—  4.  perchè  sento  .  . .  beltà:  R.,  S.,  Z.  ogni 
virtù:  E.  lue.  —8.  ma  fosse:  Pai.  e  Z;  ma  è  certo  errato. 


)(  228  )( 
GLXXIIl. 

S'amor  sentissi, -donna,  com'io  sento 

Acerbo,  tanto  forte 

Il  dir  tuo  non  saria  della  mia  morte.  3 

Adunque,  s' tu  no  '1  senti  e  la  tua  voglia 

Nel  mio  mal  cresce  sempre  con  disio. 

Contento  son  mostrarti  maggior  doglia 

La  qual  mi  doni  con  tormento  rio. 

Morte  non  è  maggior  che '1  viver  mio; 

Che  tanto  ho  mortai  scorte 

Quanto  più  veggio  tue  bellezze  accorte.        jo 

Vers.  2.  tanto  e:  R.  —  3.  El:  Par,:  seria:  R.  —  4.  Adonque  se 
no  'l:  R.  —  6.  mostrarte:  R.  —  9.  mortali:  E.  lue.  sorte:  Z. 

CLXXIV. 

Lasso,  donde  ma'  vene, 
Amor,  eh'  a  questa  donna  il  suo  bel  viso 
Con  gli  occhi  miei  non  posso  mirar  fiso?        3 

Movendo  tu  '1  mio  cor  che  gli  occhi  meni 
A  questa  che  per  signoria  lor  desti, 
Giunti  dov'  è  '1  disio,  par  gli  appeni 
Un  cieco  panno  nel  qual  tu  gli  vesti. 
Deh,  dimmi,  perchè  questi 
Per  tal  signor  da  luce  m'han  diviso. 
Amando '1  più  quanto  più  son  conquiso?     io 

Vers.  i.  m'  adviene:  R:  w'  advene:  Par.  —  3.  mei:  R.  —  5.  si- 
gnora: Z.  —  6.  dove'l  desio:  Z.  par  che  gli:  R.  e  Par;  —  7.  pel  qiml: 
E.  lue. —  9.  la  luce:  R.  —  iO.  Amando:  E.  lue. 


)(  220  )( 

CLXXV. 

Qual  foro  volto  lia  già  mai  ch'io  miri, 
Da  po' ohe  la  mia  luce 
Timida  guarda  donna  ove  Amor  luce?  8 

Amor  dagli  occhi  al  cor  suo  valor  spira, 
E  '1  cor  si  move  agli  occhi  penetrando 
Con  un  disio  eh'  a  tal  donna  gli  tira. 
Da  lei  fuggendo  et  essa  disiando  : 
Cosi  son  volto  nel  pensier  amando, 
Che  colu'  che  m'  adduce 
Fede  e  speranza,  in  pena  mi  conduce.         io 

Vers.  4.  fiero:  R.  —  3.  guardo:  R.  Gli  E.  lue.  ponendo  donno 
tra  due  virgole  moslran  prepdcr  la  dizione  per  vocativa:  male. 
9.  colui:  R. 

CLXXVl. 

Così  potess'io.  Amor,  da  te  partirmi, 
Come  da  me  partita  hai  tua  piotate, 
Usando  io  fé'  e  tu  pur  crudollate.  J 

Perchè  tu  solo  mi  conduci  in  parte 
Che  niente  esser  vorrei  come  ma'  fui, 
Véggendo,  lasso!,  che  tu  hai  parte 
Di  donar  sempre  mal  per  bene  altrui. 
Guai  a  me  !  e,  po'  dico,  a  colui 
Che  soìtopone  a  le  tal  libcrtale, 
Qual  perder  Y  alma  è  per  sua  fedeltate.        io 

Vors.  2.  partito:  Z. 


)(  230  )( 
CLXXVII. 

Amor  ricerca  dentro  alla  mia  mente 
Per  far  sì  eh'  ella  e  '1  cor  contento  sia 
Venir  di  nova  donna  in  segnoria,  s 

Ma  egli  è  dentro  al  cor  sì  d'Amor  fera 
Un'altra  donna  di  cu' sempre  fui, 
Che  convenia  che  fosse  troppo  altera 
Questa  che  giugne  per  cacciar  altrui. 
Per  non  cambiar  mia  fé',  dunque  colui 
Prego  che'l  fa,  che  quella  nel  cor  stia 
Che  sempre  tenne  il  cor,  eh'  è  l'alma  mia.    40 

Vers.  6.  converia:  Z.  converria:  E.  lue.  fossi:  R.  —  7.  giunge: 
E.  lue.  —  9.  fa,  quella  nel  core:  R.,  Par.  —  10.  «7  cor  e  l'alma:  R. 
Par.,  Z.  Gli  E.  lue.  non  mettono  segno  veruno  d'  interpunzione 
dopo  cor. 

GLXXVIII. 

MORALE 

XJ.  Intonata.  Magister  Laurentius  sonum  dedit. 

Temer  perchè,  po' eh' esser  pur  convene? 

Se  ciascun  dee  morire, 

Qual  con  paura  morte  può  fuggire?  3 

Tempo  si  perde  a  star  pur  in  timore 

Di  quel  che  chi  più'l  teme  più  l'acquista: 

Ma  chi  è  que'  che  vive  in  alto  cOì^e? 

Chi  vertù  segue,  e  di  ciò  non  s'  attrista. 

Vers.  6.  Z.  non  mette  segno  interrogativo  in  fine  di  questo  v., 
né  altro  che  una  virgola  in  fine  al  seg. 


)(  231  )( 
Costui  ispecchia  in  fama  la  sua  vista 
Per  quel  che  de'  venire, 
E'I  viver  dietro  a  vita  fa  salire.  40 

Vers.  8.  specchia:  E.  lue.  —  9.  dee:  E.  lue.  —  <0.  viver  dritto:  Z. 

CLXXIX. 

MORALE 

Chi  quando  può  dottrina  in  sé  non  usa 

Incolpa  sé,  s'altrui  che  sé  n'accusa.  t 

Libero  arbitrio  Dio  a  ciascun  porge 
'    E'I  tempo  e'I  modo  d'acquistar  vertute; 
Ma  tal  per  gentil  animo  si  scorge, 
E  tal  per  vizio  fugge  sua  salute: 
Folle  è  chi  dietro  al  tempo  ha  tal  pentute: 
Chi  non  appara  non  ha  buona  scusa.  s 

Vers.  i.  quanto:  E.  lue.  —  2.  Incolpi:  R.  —  3.  Iddio:  R.  —  4, 
virtute:  R.  --  7.  drieto-.  Par.  e  R. 

CLXXX. 
XIJI.  Intonata.  Magister  Nkólaus  Propositi  sotmm  dedit. 

Di  diavol  vecchia  femmina  ha  natura, 
Fiera  diversa  e  fuor  d'ogni  misura.  * 

Del  ben  s'  attrista  e  con  invidia  il  mira, 
E  di  veder  il  mal  ingrassa  o  ride; 
Ordina,  pensa  ciò  ch'altrui  martira, 
E  dentro  ha  gioia  quando  di  fuor  stride. 

Vers.  2.  Fera:  Par. 


)(  232  )( 

Così  quest'  animai  brutto  conquide 

Ciascun  che  vive,  et  ogni  luce  oscura.  s 

Al  mondo  spìace  la  sua  opra  e  vista 
Più  che  non  piacque  a  drieto  in  giovenezza: 
E  per  questo  che  vede  al  cor  acquista 
Superbia  et  ira  nella  sua  vecchiezza, 
Sì  che  le  fa  bramar  l'altrui  bellezza 
Tornare  al  simil  della  sua  figura.  u 

Dunque,  qual  gioven  donna  è  si  beata 
Che  non  giugno  a  tal  tempo,  de'  volere. 
Poi  e'  ha  passata  la  stagion  amata. 
Metter  la  morte  sua  a  non  calere  : 
Che  dietro  al  buono  stato  il  teo  vedere 
È  peggio,  che  chi  al  mal  sempre  s' indura.    20 

Di  diavol  vecchia  femmina  ha  natura. 
Fiera  diversa  e  fuor  d'ogni  misura.  ss 

Vérs.  7.  bruto:  Par.  —  8.  ed:  Z.  —  iO.  a  dietro:  Z.  giovine^^a: 
Par.  —  <2.  e  ira:  Pog.  e'Z.  —  i5.  Donque:  Par.  gioven:  E.  lue.  — 
48.  in  non:  Par.  —  49.  drieto:  Par. 

CLXXXI. 

Donne,  per  tempo  alcun  donna  non  sia 

Che  già  mai  fede  a  suo  amante  dia.  3 

Chi  perde  il  nome,  già  mai  non  l'acquista, 
Di  donna,  perchè  donna  non  è  mai; 
E,  se  col  penter  poi  di  ciò  s'attrista. 
Donna  non  torna  per  mover  di  guai. 
Or  pensa,  donna,  al  fin  di  ciò  che  fai, 
Che  tanto  è  donna  quanto  onor  disia.  8 

Vers.  2.  al  suo:  R.,  E.  lue. —  5.  pentir:  R.  —  6.  de'  guai:  R. — 
7.  il  fin  :  R. 


)(  2:Ui  )( 

rrwxìi. 

XVI.  Intonata.  S.  Jacobus  S.  Gherardelli  sonum  dciUU 

Di  tempo  in  tempo,  e  di  marliro  in  pena 
Questo  fallace  Amor  mia  vita  mena. 

Però  ch'amar  mi  fa  in  parte  tale 
Che  mi  dà  doglia  e  non  posso  dolermi; 
Scovrir  non  oso  onde  vcgna  '1  mio  male, 
Nò  qual,  ne  dove  il  mio  pcnsier  si  fermi. 
Di  morte  in  mone  vo,  non  vai  pentermi  : 
Lasso!  no'l  vede  quella  che  m' appena. 

^Vers:  3.  PeroccK Amor-.  Z. 

GLXXXllI. 

Fra  '1  bue  T  asino  e  le  pecorelle 
Per  un  boschetto  van  due  paslurelle. 

Gom'  elle  vanno  lor  bestie  guardando, 
Così  lor  una  vecchia  cruda  guarda 
Filando  drieto  a  loro  e  borbottando, 
E  con  un  fiero  volto  altrui  riguarda. 
Par  eh' ella  sempre  con  invidia  arda; 
Diavolo  assembra  a  vederla  fra  elle. 

Dicendo  —  Anda,  arri  —  con  amore. 
Una  di  lor,  eh' è  si  piacevoletla, 
Si  dolcemente  m'  ha  ferito  il  core, 
Ch'  a  le'  seguir  mia  vita  si  diletta. 

Vcrs.  2.  pastorelle:  Par.  —  48.  Che  Ui  seguir:  Par.,  E.  lue. 


)(  ^3^  )( 
Ma,  lasso!,  quando  vo  ver  lei  più  in  fretta, 
La  vecchia  giugne  e  mena  le  mascelle.        ^4 

L'altra  m'assembra  tanto  d'amor  vaga 
Quand'  ella  dice  —  0  me.  Biondella  mia, 
Rossella,  Ricciutella  —  che  m'  appaga 
Come  se  fosse  dolce  melodia. 
Ma,  quando  a  lei  m' appresso,  allor  s' invia 
Vèr  me  la  vecchia  con  la  crespa  pelle.         so 

Non  fo  sì  picciol  busso  che  non  senta, 
Né  tanto  son  di  lungi  che  non  veggia: 
Un  bavalisco  par,  si  mi  spaventa 
E  fammi  rimbucar  sotto  ogni  scheggia. 
Diavolo,  a  te  la  do:  0  tu  l'aspreggia 
Si  che  di  morte  io  non  senta  novelle.  gè 

Femmina  vecchia  poco  suol  sentire. 
Suol  poco  udire  e  men  vedere  assai, 
Non  suol  vegghiare  ma  molto  dormire, 
Suol  stare  inferma  e  non  andare  mai. 
Questa  non  truova  loco  in  darmi  guai, 
D'Amor  nimica  e  delle  sue  sorelle.  ss 

Ballata,  truova  tutti  gli  avoltoi 
»     Et  orsi  e  lupi  ch'abbian  forti  artigli; 
Dì'  lor  —  Merzè:  io  me  ne  vegno  a  voi, 
Ch'  a  questa  vecchia  vo'  diate  di  pigli  ; 


Vers.  <7.  Rosella:  ^ar.  —  20.  colla  crespa:  E.  lue.  —  22.  di  lun^ 
ghi:  Par.  —  23.  bavalisch(^:  Par.  —  25.  e  tu:  E.  lue.  —  26.  io  non 
senta:  legge  il  Pai.  E  anehe  nel  Vocab.  eosì  al  v,  aspreggiare  si  riporta 
questo  passo  «  0  tu  l'aspreggia  Si  che  di  morti  io  non  senta  novelle.  Ma 
gli  E.  lue.  seguitando  il  laurenz.  37.  pi.  90.  super,  leggono:  di  morte 
io  ne  senta  novelle.  A  primo  tratto  è  certo  più  chiaro  —  29.  vegghiar 
ma  tosto  suol  dormire:  E.  lue.  Par.  —  30  andar  già  mai:  E.  lue., 
Par.  —34.  abbin:  E.  lue,  Par.  —  35.  mercè.-  Par.  vengo:  E.  lue. 


)(  235  )( 
K  chi  ne  porli  il  cuore  e  ch'i  ventrigli; 
E  corbi  e  nibbi  s'abbian  le  budello.  ss 

Vers.  37.  el  cuore:  Par.  —  36.  ubbtu:  E.  lue,  Par. 

CLXXXIV. 

Amor,  poi  che  avvien  ch'io  sia  lontano 
Da  questa  donna  che  mi  tien  suggello, 
Serba  il  mio  cor  nel  suo  gentile  aspello.       3 

E  col  vago  disio  eh'  io  lascio  in  lei 
Tienla  ferma,  signor,  che  far  lo  puoi: 
Però  che  quel  che  grava  i  spirti  miei 
E  che  tu  non  rivolga  i  pensier  suoi. 
Ben  che'l  partir  mi  doglia,  guarda  i  tuoi 
Effetti  e  che'l  voler  Iruovi  l'effetto 
Ch'  io  porto  e  lascio  a  lei  denlr'al  suo  petto,  io 

Vers.  4.  poi  che  convien:  R.,  Par.,  E.  lue—  4.  lasso  in:  R.  — 
6.  farlo:  Par.  —  6.  mei;  R.  —  <0.  lasso:  R. 

CLXXXV. 

MORALE 

Chi  segue.  Amor,  ciò  che  '1  piacer  tuo  vólo, 
Su'  alma  fugge  dall'  eterno  sole.  2 

r  son  colui  che  mi  conosco,  lasso!, 
Ch'io  pur  vo  con  speranza  a  van  disio; 
Seguendo  te,  yegg'  io  ben  eh'  io  passo 

Vers.  4.  vuole:  Z.,  E.  lue—  4.  vo  pur:  Eq.,  Z.  e  van:  Par.,  Z., 
e  quest'  ultimo  non  mette  alcun  segno  d' interpunzione  al  fine  del 
V.  —  5.  te,  veggio:  E.  lue:  io  veggio:  Par.,  Eq.,  Z. 


)(  236  )( 
Con  pcnsier  folle  il  corto  viver  mio. 
Cosi  nel  fallo  sto,  ma  sento  ch'io 
Lasciar  no  'I  posso  :  e  questo  più  mi  dolo. 


CLXXXVl. 

Amor,  dagli  occhi  vaghi  d'  està  donna 

Tanto  valor  discende, 

Che  chi  gli  mira  ogni  virtù  comprende.  5 

Ne'  primi  di  d'  amar  mia  gioventude 

Fedel  si  fece  alla  lor  signoria. 

Da'  quali  in  lei  vide  venir  salute 

Che  volse  al  ben  la  viziosa  via. 

Questa  regina  della  mente  mia 

Sempre  a  servir  m'  accende, 

E  quanto  servo  a  lei  men  mal  m'  offende.      io 

Vers.  2.  dipende:  E.  lue.  —  3.  la  mira:  M.  vertù:  M.,  E.  lue.  — 
4.  primi  anni:  R.  d'amor:  M.,  Z.  —  5.  il  fece:  —  40.  E  quando:  R., 
E.  lue. 


GLXXXVII. 

Crudel  nimica,  o  me!,  deh  qual  tormento 
Grudel  mi  può'  tu  dar  maggior  eh'  io  sento? 

Crudel,  mi  fuggi  agli  occhi  s'io  ti  miro; 
Crudel  dimori  ancor  se  tu  non  fuggi; 
Crudel,  t'allegri  quanto  più  sospiro; 
Crudel  più  monti  quanto  più  mi  struggi. 
Crudel,  se  a  pietà  tu  non  rifuggi, 
Crudel,  morrò  per  te  nel  mio  lamento. 


)(  ^2S1  ){ 

CLXXXVIU. 

XVm.  Intonata.  8.  Giovannes  S.  GhcrardeUi 
sonum  dedU. 

Chi  più  si  crede  far,  colui  men  fa; 

Perchè  vivendo  niun  conlento  sia.  s 

Disia  ciascun  d'esser  più  che  non  è: 
Vorrebbe  chi  non  ha:  chi  ha  vuol  più: 
Per  questo  mancar  veggio  amor  e  fé*, 
E  *1  pensier  della  morie  cader  giù. 
Così  va '1  mondo  errante  giù  e  su: 
Beato  è  colui  che  viver  sa.  s 

Vers.  i.  ci  crede:  M.,  Z.  —  2.  Che  vivendo  nessun:  M.,  Tr.  —  3. 
Desia:  M.,  Tr.  —  6.  di  morte:  M.  Che  fa  'l  pensier  di  morte:  Tr.  — 
8.  E  colui  beato  è  che:  T. 


CLXXXIX. 

XX.  Intonata.  S.  Giovannes  S.  GherardeUi  sonum  dedit. 

Se  la  mia  vita  con  verlù  s'ingegna, 
Da  donna  vien  che  sovra  '1  mio  cor  regna. 

Veggio,  mirando  lei,  la  vaga  luce 
Che  penetra  valor  nella  mia  mente. 
Con  quel  disio,  eh' a  ben  servir  m'induce, 
D'  un'  accesa  vertù,  tant'  è  possente  ! 
Cosi  amando  sento  che'l  cor  sente 
Che  donna  di  vertù,  verlù  gì'  insegna. 


)(  238  )( 
CXG. 

MORALE 

XX.  Intonata.  Magister  Nicolaus  Propositi  sonum  dedit. 

Ghi'l  ben  soffrir  non  può, 

Se  truova  il  mal,  ragion  é  eh'  el  sia  so.  2 
Pensar  de'  ciaschedun  eh'  al  mondo  sta, 

Che  può  venir  quel  eh'  è  e  che  già  fu, 

E  non  seguir  ciò  che  sua  voglia  dà. 

Se  quella  non  misura  con  vertù; 

Che  r  uom  che  cade  giù 

Per  ignoranza,  mal  si  scusa  po'.  8 

S'  alcun  per  suo  mal  far  dal  ben  parti. 

Non  si  dolga  d'altrui  se  non  di  sé; 

Che  spesse  volte  tal  lamentasi 

Della  fortuna,  et  esso  il  mal  si  fé'. 

Faccia  l'uom  ciò  eh'  el  de'. 

Che  le  pili  volte  se  ne  vede  prò'.  i4 

Chi'l  ben  etc. 

Vers.  2.  che'l:  Z.,  E.  lue.  —  iZ.-che'l:  Z.,  E.  lue. 

GXGI. 

Oh  quanto  ogni  intelletto  amando  sale 
Questa,  che  sovra  ogni  vertù  vale!  2 

Ne'  suoi  begli  occhi  mostra  qual  valore 
Puote  comprender  la  natura  umana: 
Dipinto  v'  è  vertù  con  tale  onore 

Vers.  5.  Dipinta:  Z. 


)(  239  )( 
Che  la  corrolla  mente  loslo  sana; 
Conduce  a  vera  via  la  vita  vana, 
Con  grazia  dona  il  ben  e  caccia  ik  male.       » 

CXCII. 

BALLATINA    INTONATA 
Franciscus  de  Organis  sonum  dedii. 

Non  creder,  donna,  che  nessuna  sia 
Donna  di  me,  se  non  tu,  donna  mia.  i 

Cosi  potess'  io  dimostrarti  il  core 

Là  dove  ogn'or  la  mente  in  te  si  posa! 

Che  ben  vedresti  in  esso  star  Amore 

E  la  tua  vista  bella  et  amorosa, 

A  cui  servir  non  e  V  alma  nascosa, 

Che  te  servendo  pur  servir  disia.  a 

Di  questo,  lasso!,  non  posso  far  prova; 
Però,  donna,  deh  prova  la  mia  fede; 
E,  se  per  mio  effetto  altro  si  trova. 
Non  poss'  io  mai  trovar  da  te  merzede. 
Ch'  i'  t'  ho  amato  et  amo,  et  amar  crede 
Te  sempre  il  cor  che  fu  tuo  sempre  e  fia.      n 

Canzon,  sì  come  se'  del  mio  amor  certa. 
Così  costei  fa  certa  col  tuo  dire; 
E,  se  mostrato  t'  ho  la  mente  aperta, 

Vere.  3.  el  core--  M.  —  4.  ogn'ora  la  mente  si:  Par.  —  6.  e  amo- 
rosa-. Pog.  —  7.  V alma  riirosa:  Par.  Pog.,  Z.,  E.  lue.  —  8.  desia: 
R.,  M. —  ^^.  mio  difettoi0k..  Par.  altro  si  prova:  R.  —  42.  possa  io: 
Pogg.,  Z.,  E.  lue.  mercede:  R.,  Par.—  43.  e  amo  ed:  Z.  amo,  esempre 
crede:  R.  Par.  —  H.  Amarti  il  cor:  Par.  Amarle  il  cor  ch«  fu  tuo  e 
sempre  fia:  R.—  45.  sei  del  mio  cor  certa:  R.,M. 


)(  240  )( 

Aperto  mostra  a  lei  il  mio  disire; 

Sì  che  amando  il  ver  possa  sentire 

Ch'altra  non  amo  né  amar  porrla.  ^o 

Vers.  18.  desire:  R.,  M.  —  20.  amare:  E.  lue.  , 

GXGIII. 

FATTA  PER  ALTRUI. 

Se  io  son  vecchio,  donna,  e  tu  che  se'? 
Vecchia  com'io,  se  tu  riguardi  a  te.  2 

Amor  pietoso  già  tanto  mi  fu, 

Ch'altro  disio  mia  vita  ancor  non  sa: 

Dunque  non  perder  per  non  donar  più 

Quel  che  passando  fia  chi  no  '1  vorrà, 

E  non  spregiar  ciò  che  natura  dà; 

Chè'l  tempo  non  m'  ha  tolto  amor  né  fé'.        5 

Tu  corri  si  com'  io  s' io  corro  e  vo, 
E  '1  tuo  amor  non  m'  abbandona  qui. 
Certo  tu  non  può'  dir  —  Io  ferma  sto  — ; 
Né  tua  bellezza  non  starà  cosi. 
Però  volgi  '1  pensiero,  et  ama  chi 
Da  te  servito  già  servo  si  fé'.  14 

Se  io  son  vecchio  etc. 

Vers.  9.  corri  siccom' io  corro:  E.  lue. 

GXCIV. 

Questa  che  '1  cor  m'  accende, 
Col  cor  mi  fugge  e  con  gli  occhi  mi  prende. 

Vers.  2.  cogli:  M.,  Pert. 


)(  241  )( 
Vaga  della  mia  pena 
Ogn'  or  si  fa  ;  perché  con  dolce  sguardo 
Al  suo  disio  mi  mena, 
Mostrando  danni  quel  che  sempre  è  tardo. 
Cosi  consumo  et  ardo 
Seguendo  chi  mi  guida  e  chi  m'  offende.       « 

Vers.  6.  Al  tuo:  R.  disir:  Peri:  desio.  Z.  —  6.  eh' è  sempre  tardo. 
M.,  Par.  —  7.  ed:  Pert.,  Z.  —  8.  mi  gxuirda:  Z. 

cxcv. 

Lasso  !  s' io  fu'  già  preso, 
Amor,  tu  disciogliesti  il  forte  nodo, 
Et  or  di  nuova  stella  m'  hai  acceso.  j 

Se  scioglier  mi  dovei  per  rilegarmi,  / 

Mai  non  m'  aves'  tu  sciolto  ! 
Però  eh'  io  ardo  più  che  prima  assai, 
Quando  credea  omai  libero  starmi; 
Et  io  son  tutto  tolto 
A  crudcl  donna  a  cui  sommesso  m'  hai. 
Cosi  mi  sento  offeso. 
Perdendo  me  due  volte,  per  tal  modo 
Ch'  io  vivo  servo  sotto  mortai  peso.  42 

Lasso!  s'io  fu' già  preso  etc. 

Vcrs.  3.  stella  sono  acceso:  R.  —  4.  sciogliermi:  Par.  relegarmi: 
R.  —  9.  Da  crudel:  Par.  e  R.  —  <4.  Perdendomi:  R. 

CXCVL 

Per  non  seguire,  amanti,  i  ncjslri  lai, 
Stesson  le  donne  in  loco 

46 


)(  242  )( 
Che  vedute  per  noi  non  fosson  mai  !  5 

E,  ben  eh' a  perder  l'usato  disio 
Pena  s'  avesse  nel  principio  alquanto, 
Per  tempo  verria  meno, 
Quando  venisse  alla  luce  in  oblio 
La  vaga  vista  che  consuma  tanto 
Il  cor  sanz' alcun  freno. 
Et  io  son  uno  che  ma'  non  trovai 
Mia  vita  sanza  foco 
Dall'  ora  in  qua  che  con  amor  mirai.  is 

Vers.  3.  fusson:  M.,  Par.  —  5.  si  avessi:  M.  —  9.  sens':  Z.  — 
40.  Ed:  Z.  —  44.  senza:  Z. 

GXCVII. 

Che  deggio  fare  omai.  Amor,  nel  mondo, 
Da  po'  eh'  io  amo  e  d' amar  mi  nascondo?        3 

Raffrena  il  biasrimar  l'ardente  voglia 
Donna  di  non  seguir,  com'  io  solca: 
Con  questo  cresce  amor,  raddoppia  doglia,  ^ 

Perch'  altri  più  di  me  contento  stea . 
Cosi  son  preso  più  eh'  io  non  credea, 
Da  me  tenendo  me  sotto  tal  pondo.  8 

Vers.  i .  degg'  io:  Z. 

CXCVIII. 

XXVIII.  Intonata.  Magister  Nicolaus  Propositi 
sonum  dedit. 

Chi  vide  più  bel  nero  i 

Che  questa  nera  mai,  .  j 

i 

Vers.  1.  vidde:  M.  —  2.  Di  questo  nero:  Pert.,  Z. 


)(  ^2W  )( 

La  qnal  più  ch'altro  bianco  «•  bianca  assai?    s 
Inlellelto  non  è  clic  comprendesse  *■ 

Qual  è  nel  suo  colore 
Bianco  vermiglio  e  biondo  ; 
Nò  credo  che  alcun  già  mai  vedesse 
Rosa  vivola  o  fiore 
Sì  colorila  al  mondo, 
Quanto  '1  viso  giocondo, 
Amor,  che  dipint'  hai 
D'intorno  agli  occhi  dove  preso  m'hai.        /j 

Vers.  3.  Qual  più  di  qwsto  bianco  è  bianco  assai?-.  Perl.,  Z.  - 
7.  Non:  M.  Né  mi  credo:  Peri.,  Z.  —  8.  viola:  R.,  Par.,  Perl.,  Z., 
E.  lue.  —  9.  colorito:  Pert.,  Z.  —  44.  0  Amor:  Peri.,  Z.  depinto:  R. 

CXCIX. 

Se  altra  donna  al  fine  non  m' aiuta, 
In  donna  veggio  1'  alma  mia  perduta.  s 

Più  amo  che  amar  non  può  natura 
Sotto  le  stelle  questa  donna  altera; 
E  lo  'ntelletto,  che  di  sé  ha  cura, 
Per  tal  amor  si  duol,  che  morte  spera. 
Dicendo:  Lascia  questa  e  va  alla  vera. 
Ma'l  nodo  che  mi  stringe  non  si  muta.         « 

Vcrs.  7.  queslo;  E.  Inc.  --  8.  sì  stringe:  E.  lue. 

ce. 

BALLATA   PER   ALTRUI 

Per  l'altrui  dir  non  vuo',  donna,  eh'  io  l'ami  ; 
Et  io  non  posso  ;  poi  che  '1  cor  ni'  ha'  tolto. 


)(  2M  )( 
S' tu  non  me  '1  rendi,  sì  eh'  i'  sia  disciolto.     3 

Tutti  i  pensier  col  core  e  con  la  mente 
Suggetti  stanno  a  te  servir  con  fede  : 
Partir  da  questo  già  non  son  possente, 
Ch'altri  legò  chi  scioglier  non  si  crede. 
Dica  chi  vuol,  che  mia  luce  non  vede 
Più  oltre  che'l  disio  del  tuo  bel  volto: 
E  chi  riprende  Amor  fa  come  stolto.  40 

Per  r  altrui  dir  etc. 

Vers.  4.  e'  pensier:  M.  —  5.  sugetti:  M. 

CCI. 

Poi  ch'Amor  vuol,  tempo  non  è  né  fia 

Né  fu  già  mai  che  io  disciolto  sia.  2 

Se  nella  giovinezza  Amor  mi  prese, 
Or  m'  ha  legato  più  nel  capo  cano  : 
Più  arde  '1  foco  che  di  pria  s'  accese 
Quando  credea  suo  calor  esser  vano. 
Così  in  vecchiezza  mi  vedrò  tostano 
Con  amor  tal  che  spento  mai  non  fia.  8 

Vers.  2.  eh'  io:  Z.  —  6.  suo  valor:  E.  lue. 

CCII. 

MORALE 

Franciscm  de  Organis  sonum  dedìt. 

Perchè  virtù  fa  l'uom  costante  e  forte, 
A  virtù  corra  chi  vuol  fuggir  morte.  s 

Vers.  \.  Po'  che:  E.  lue. 


)(  245  )( 

Che  vai  fuggir  quel  che  sempre  s'  appressa 
E  che  ci  guida  ogn'  ora  a  mortai  fine? 
Corre  la  nostra  vita  e  mai  non  cessa 
In  fm  che  giugnc  air  ultimo  confine. 
Chi  più  combatte  contro  a  tal  ruine 
Più  tosto  è  vinto  e  più  s'  appressa  a  morte.     8 

Che  vai  terra  cercar  o  aer  sano 

E  'n  quello  viver  coli'  alma  corrotta? 

Oh  pensier  cieco  ignorante  e  vano! 

Tant'  è  tua  mente  da'  vizi  condotta, 

Che  r  alma  immortai  conquidi  ogn'  otta 

E'I  mortai  corpo  vuo' campar  da  morte!      n 

Che  vai  più  tardi  che  più  tosto  andare 
Dove  infinito  è  il  tempo  e  '1  loco? 
Quanti  son  folli  che  pur  credon  stare 
E  trovansi  ingannati  da  tal  gioco, 
Usando  assai  del  male  e  del  ben  poco. 
Tanto  che  vien  la  non  saputa  morte!  so 

Che  vai,  mia  canzonetta,  che  tu  canti 
Di  quel  che  ciaschedun  pianger  dovria? 
Vattene  pur  e  dillo  a  tutti  quanti: 
Ch'alcun  non  fu  già  mai  ne  è  ne  fia 
Che  passar  non  convegna  quella  via 
Che  ciascun  fugge  e  che  ci  guida  a  morte.     26 

Vers.  4.  chi  ci:  Par.  —  tO.  Et  in  qud:  Par.  —  4<.  et  ignorante: 
Par.  —  43.  anima:  Z.  —  U.  mortai  capo:  E.  lue.  —  <6.  lo  tempo: 
Par.  —  47.  che  più:  E,  lue.  —  82.  chi:  E.  lue. 


)(  246  )( 
CGIII. 

BALLATINA  DI  FRANGO  PER  ALTRUI  DOVE  IL  NOME 
DI  NANNA  SI  DIMOSTRA 

Qual  donNA  NAcque  mai  vaga  et  onesta, 
Come  costei  che  m' lia  in  sua  podestà?  2 

Dunque  ben  posso  più  ch'altro  lodarmi, 
Essendo  servo  a  donna  tanto  degna. 
Che,  pur  pensando  in  lei,  ogni  ben  parmi 
Sentire  al  core  dov' ella  più  regna. 
Questa  mi  guida  conduce  et  ingegna. 
Si  ch'ogni  mio  valore  amando  desta.  8 

E,  per  star  fermo  sempre  a  tal  disio. 
Amor  mi  fé'  trovar  sua  ghirlandetta  ; 
Dove  benigna  mi  domandò  s'io 
L'avea;  et  io  rispuosi:  0  giovinetta. 
Chi  l'ha  d'intorno  al  cor  la  porta  stretta. 
Pensando  a  quella  che  già  l'ebbe  in  testa.  ^4 

Vers.  i.  e  onesta:  Par.  —  7.  mi  guarda:  E.  lue.  insegna:  Z.  —  '11. 
dimandò:  E.  lue.  —  42.  ed  io:  Z.  —  -13.  Gli  E.  lue.  pongono  una  vir- 
gola dopo  al  cor  rilegando  così  queste  parole  al  verbo  l'ha:  non 
bene,  parrai. 

CCIV. 

FATTA   PER  ALTRUI  DOVE   IL   NOME   d' ANTONIA 
SI    DIMOSTRA 

Par  che  siAN  TONI  Al  core  d'  ogni  parte, 
Po'  che  si  fé'  lontana 
Donna  da  me,  che  da  sé  non-  mi  parte.         3 

Vers.  1.  cor-'E.  lue.,  Z.  —  2.  Poiché:  E.  lue.,  Z. 


)(  2-47  )( 
Non  credo  che  morir  lai  pena  sia, 

Qual  è  a  me  suo  dilungar  veggendo; 

Però  eh'  ella  se  n'  porla  1'  alma  mia, 

E'I  corpo  lascia  misero  languendo. 

Dunque,  se  morte  ogn'  or'  provo  vivendo, 

Sanza  aver  mortai  fine. 

Non  è  tormenlo  con  più  crudel  arte.  19 

Tutti  i  pensieri  dicon:  Oimè,  dove 

È  gita  questa?  A  star  tra  gli  arbuscelli. 

Come  si  perdon  sue  bellezze  nove? 

A  dimorar  Ira  fere  e  tra  augelli. 

Cosi  seguendo  lei  foss'  io  di  quelli. 

Mirando  il  viso  altero 
^^el  cui  valor  ogni  virtù  comparte!  47 

Vers.  42.  aWuscelli:  Z. 

CGV. 

BALLATINA   PER  ALTRUI 

Nella  più  bella  terra  Casentina 

È  apparita,  Amor,  un'Angelina.  t 

La  qual  è  tanto  graziosa  e  vaga 

Che  qualunque  la  vede  ne'nnamora; 

Ond'  io  veggendo  le'  senti'  la  piaga 

Che  mi  tirò  più  volte  ove  dimora; 
.  Come  colei  che  Falterona  onora 

E  il  fiume  suo  in  sino  alla  marina.  8 

Ballata,  su  per  Arno  dove  V  onde 

Corrono  a  pie  della  donna  gentile 

Vers.  2.  Angiolina:  Par.  —  5.  lei:  M.,  Par. 


)(  248  )( 
Ne  vaj  e  lei  saluta  che  risponde 
Come  benigna  accorta  et  umile, 
E  fagli  onor;  che  la  ti  die  lo  stile 
D'amar  nella  montagna  fiorentina.  io 

Vers.  42.  et  accorta:  Par.  —  43.  ch'eUat  Par. 

CGVI. 

Chi  sa  dir  dica,  e  chi  può  far  sì  faccia; 

Che  chi  fa  mal,  nel  mal  convien  che  giaccia.  2 

Venuto  è'I  mondo  a  tal  che  non  disserve 
E  non  fa  mal  se  non  quel  che  non  puote; 
Ma  spesso  avvien  che  la  fortuna  serve, 
Sì  che  fa  lieti  assai  quando  percuote, 
Girando  ciaschedun  nelle  sue  ruote, 
Perchè  all'  uno  il  mal  dell'  altro  piaccia.        8 

Altro  non  è  a  dir  bene  far  male. 
Se  non  altrui  e  sé  spesso  tradire. 
Misero  chi  disserve  quando  sale. 
Però  che  in  basso  stato  dee  venire 
E  di  quel  colpo  che  fiede  morire, 
Com'  uom  che  nuoce  e  peggio  a  sé  procaccia.    ia 

Vers.  3.  diserve:  Z.,  qui  e  al  v.  ii. 

CGVII. 

FATTA  PER  ALTRUI. 

Sempre  servito  m'  hai,  or  mi  diservi, 
Amor,  e  parmi  ch'io 


)(  249  )( 
Servilo  ho  loalnionlf^  al  tuo  disio. 


Vcrs.   3.  Manca  il  resto  per  la  mancanza  della  e.  34  del  ms. 
uncinalo. 


CCVUI. 

Costanza  sempre  avrò  d'amar  costei, 

Perch'  ogni  ben  eh'  io  sento  vien  da  lei.       i 

Mai  non  m'  assale  pensier  doglia  o  pena 
Che  non  si  parta  gli  occhi  suo' mirando: 
S' io  vo  0  slo,  tal  regina  mi  mena, 
Perchè  natura  al  suo  ben  corre  amando: 
Né  che  né  come  non  saprei  né  quando 
Veder  sanza  la  sua  luce  serena.  8 

L'  alto  mio  genilor  deggio  adorare. 
Il  qual  di  niente  al  mondo  m'  ha  creato; 
E  questa  donna  debbo  sempre  amare, 
Che  conoscenza  di  virtù  m'  ha  dato.  42 


Vers.  4.  suoi:  M.,  Pog.,  Z.  —  8.  sensa:  M.,  Pog.,  Z.  —  9.  d^)bo: 
Z.  —  io.  di  nulla:  M.  —  42.  Dopo  questo  v.  ne  mancano  almeno  altri 
due  per  chiuder  la  stanza:  il  difetto  procede  dal  cod.  originale  in  cui 
qualche  carta  mancava,  e  trovasi  anche  nel  cod.  magliab. 

CGIX. 

PER  ALTRUI. 

Tempo  e  loco  mi  bisogna  Amore, 
Po'  che  '1  disio  di  questa  giovinetta 


)(  2-^0  )( 
Ver  me,  sì  come  '1  mio  ver  lei,  saetta.  3 

Dunque,  signore  che  condotto  m'  hai 
Presso  a  quel  porto  d'  amoroso  bene, 
Fa'  che  alla  riva  de'  lucenti  rai 
Giunga  col  fine  ov' og^ni  amante  ha  spene: 
Che,  dopo  il  navicar  con  tante  pene, 
Avendo  il  dono  che  da  te  s'aspetta, 
Fia  r  alma  mìa  sempre  a  te  diletta.  40 

Vers.  8.  navigar:  E.  lue. 

ccx. 

Altri  n'  avrà  la  pena  et  io  il  danno. 
Se  sotto  fede  ho  riceuto  inganno.  2 

NoU'  manca  mai  la  divina  vendetta. 
Ben  eh'  alcun'  ora  paia  che  rispiarmi  : 
Ond'  io  spero  venir  giusta  saetta 
In  verso  chi  ha  creduto  saettarmi, 
E  di  ciò  che  è  fatto  non  curarmi; 
Che  gran  virtù  è  vincer  ogni  affanno.  s 

Vers.  -1.  e  io:  Pog.  ed  io:  Z.  —  2.  ricevuto:  Pog.,  E.  lue,  Z. 

CCXI. 

BALLATETTA   DI   FRANCO 
FATTA    PER   UNO    GIOVINE    CHE   AMAVA   LISA 

Splendor  dal  ciel  vaga  fioretta  Alisa 

Produsse  in  terra,  ove  '1  mio  cor  s'  affisa.        s 
Con  quelli  raggi  che  la  mente  accese, 

Vers.  -1.  del  ciel:  E.  lue. 


)(  251  )( 
Vivo  suggello  sempre  a  seguir  lei  : 
E,  perchè  mai  di  me  pietà  non  prese, 
Umile  vo  con  pene  e  con  omei. 
Sperando  pur  eli'  alli  lormenli  miei 
Divegna  pia,  e'  hanno  1'  alma  conquisa.  « 

Come  che  sia,  io  ti  ringrazio.  Amore, 
Che  servo  fallo  m'  ha'  di  cosa  tale  ; 
E  sempre  1'  amerò  con  fermo  core, 
Se  fermo  core  a  niuno  amante  vale; 
Che  suo  sono  e  d'  altro  non  mi  cale, 
.     Fin  che  l'alma  dal  corpo  sia  divisa.  i4 

Vors.  40.  m'  hai:  Pog.  e  Z. 

CCXII. 

UT.  Intonata.  Magistcr  Gherardcllus  de  Florentia 
sonum  dedit. 

Di  bella  palla  e  di  valor  di  pelra 

Seguendo  un' augellelta  gi'a  discesa. 

Per  trovar  sua  pietanza,  d'  amor  presa.  j 
Per  stran  sentier  cercando  sua  rivera, 

Sanza  volar,  con  amorosi  passi 

Dinanzi  agli  occhi  mie'  leggiadra  vassi.  e 

.  Et  io,  veggendo  quanto  bella  fassi, 

Dietro  tenea  alle  piacevol'  orme, 

Umil  andando,  ov'  ella,  fra  le  torme  ;  9 

In  fin  che  guidò  1'  ali  e  volò  al  nido 

D'una  foresta,  et  io  rimasi  al  grido.  n 

Vers.  2.  già:  E.  lue.  già:  tuUi  i  inss.  —  5.  sema:  R.  —  6.  mei- 
li.  —  8.  Dietro:  R.,  E.  lue. 


)(  252  )( 
GGXIII. 

Nel  verde  bosco,  sotto  la  cui  ombra 
Vago  d'  amor  pensando  mi  trovai, 
Su  la  fresch'  erba  e  su'  be'  fior  posai.  3 

Cosi  dormendo  subito  m'  apparve 
Donna  gentil  che  m' inducea  sospiri 
Nel  cor  che  sempre  in  lei  fermò  desiri  :  6 

Dolcezza  mi  donava  con  martiri 
Mostrando  sé  a  me,  e  po'  fuggia 
In  fra  le  fronde  quando  la  seguia.  9 

Sveglia'  mi  ;  e  'n  doglia  tal  mio  cor  salio, 

Qual  Febo  dietro  a  Dafne  al  fm  sentìo.        11 

Vers.  6.  i  desiri:  Par.  e  R.  —  44.  drieto:  R. 

GCXIV. 

V.  Intonata.  Magister  Laiirentitis  de  Flormtia 
sonum  dedit. 

Sovra  la  riva  d'  un  corrente  fiume 
Amor  m'indusse,  ove  cantar  sentia 
Sanza  saver  onde  tal  voce  uscia;  5 

La  qual  tanta  vaghezza  al  cor  mi  dava. 
Che  'n  verso  il  mio  signor  mi  mossi  a  dire, 
Da  cu'  nascesse  si  dolce  disire.  e 

Et  egli  a  me,  come  pietoso  sire, 
La  luce  volse,  e  dimostrommi  a  dito 

Vers. 4.  ripa  deh  R.—  Z.senza:  R.,  T.,  Eq.,  Z.  sapere:  T.,Eq.,  Z.— 
4.  al  mio  cuor:  T.,  Z.  —  5.  Che  verso:  Eq.  mi  messi  a:  R.  —  6.  cui.  . .  . 
desire:  R.,  T.,  Eq.,  Z.  —  7.  Ed:  Z.  —8.  tolse  et  dimostrome:  Z. 


)(  253  )( 
Donna  cantando  che  scdca  sul  lilo,  9 

Dicendo;  eli' ò  delle  ninfe  di  Diana 
Venuta  qui  d'una  foresta  strana.  u 

Vers.  <0    ella  è  una  ninfa:  T.,  Z:  dicendo:  è  una  ninfa:  R.  — 
H.  venuta  par:  Eq. 


ccxv. 


i 


vii.  Intonata.  Ser  Jacobus  Ser  GherardéUi 
sonum  dedit. 

.  Lonlan  ciascuno  uccel  d'  amor  si  trova 
Nella  fredda  station  eh'  ogni  foresta 
Di  fior  si  spoglia  e  di  sua  verde  vesta.  3 

Et  io  che  giunto  già  mi  sento  in  questa 
Che  con  suo  gel  contr'  ogni  caldo  prova, 
Amor  più  m'arde  et  ella  a  me  non  giova,    e 

Di  petra  usci  cosi  possente  foco, 

E  venne  in  me  per  non  mutar  mai  loco.      « 

Vers.  4.  gionto:  R.  —  7.  pietra:  R  ,  Z. 

CCXVI.. 

Su  per  lo  verde  colle  d'  un  bel  monte, 

Dove  si  vede  una  rivera,  stando, 

Con  amoroso  cor  giva  pensando.  j 

Quando,  in  parte  essa  riguardando, 

Vidi  star  con  un'orsa  a  fronte  a  fronte 

Donna  gentile  e  d'ogni  biltà  fonte;  6 

La  qual  parca  Laudomia  che  mirava 

L'acque,  se  ancor  Protesila©  tornava.  « 

Vers.  3.  già:  Par.  —  4.  risguardando:  R.  —  6.  beltà:  R.  —  8. 
L'acqua:  R.,  E.  lue. 


)(  254  )( 

CCXVII. 

VII.  Intonata.  Otiolimis  de  Brixia  sonum  dedit 

Verso  la  vaga  tramontana  é  gita, 

Quando  più  luce  il  sol  co'  raggi  ardenti, 
Amor,  costei  eh'  è  con  pietà  fuggita.  3 

Cercando  va  li  dis'iosi  venti 

Il  verde  e'  fiori  e  degli  augelli  il  canto, 

Et  ha  lasciato  i  mie' spirti  dolenti.  e 

Dona  ove  giugno  d'  allegrezza  tanto. 

Quanto  d' ond'  è  partita  lascia  pianto.  8 

Vers.  2.  con:  R.  —  6.  lasciati:  Par.  e  R.  mei:  R.  —  7.  Così  cor- 
reggemmo già  nell'ediz.  barberiana  delle  Rime  di  Gino  e  d'altri:  e 
questa  correzione  n'è  ora  approvata  dai  R.  e  Par.  Il  Pai.  gli  E.  lue. 
e  Z.  legg.  :  Donna  ove  giugne  allegrezza:  ma  l'errore  è  evidente. 

CGXVIII. 

Come  selvaggia  fera  fra  le  fronde 
Nasconde  sé  per  spayentevol  grido 
Del  cacciator  quand'  è  presso  al  suo  nido,       s 

Così  il  piacer  in  cui  mia  mente  guido 
Tostan  ciascun  mio  senso  fé'  gir  onde     * 
Donna  senti'  tra  spine  verdi  e  fronde,  e 

Amor  e  me  fuggendo,  ov'  io  vedea 

Tal  prun  che  più  di  lei  mio  cor  pungea.      8 

Vers.  i:  fiera:  T.,  Z.  —  5.  Tosto:  T.,  Z.  —  6.  sentii:  Z.  fra  spine 
e  verdi:  T,,  Z.,  E.  lue.  e  l'onde:  R.  —  7.  me  fuggir:  Z. 


)(  r^r*  )( 

GCXIX. 
X  Intonata.  Ser  Nicolaus  Propositi  sonum  dedit. 

Come  la  gru  quando  per  1'  aer  vola, 
Seguendo  T  una  X  allra  vanno  a  schera, 
E  lor  regina  innanzi  a  tulle  è  sola;  j 

Cosi,  mirando  in  vèr  del  sol  la  spera. 
Una  voce  mi  volse  in  parie,  ov'  io 
Vidi  nel  terzo  ciel,  ch'Amor  impera,  e 

Donna  dinanzi  a  donne  con  disio, 

Che  lor  guidava  sì  come'l  cor  mio.  8 

Vers.  2.  a  V altra:  R.  schiera:  E.  lue—  3.  tutte  vola:  R.  —  4. 
dil  sol:  Par.  e  R. 

ccxx. 

Rivolto  avea  il  zappalor  la  terra, 
E  poi  risecca  era  su  '1  duro  colle. 
Là  dov'  io  giunsi  sì  com'  Amor  volle.  s 

Su  '1  qual  correan  verso  un  pomo  verde, 
Donne  in  ischiera,  e  1'  una  a  1'  altra  avanti 
Con  leggiadre  parole  e  be'  sembianti.  e 

Giunte  ^d  esso  et  io  mirando,  tanti 
Frutti    non  vidi  tra  '1  suo  verde  adorno. 
Quant'  i'  vidi  man  bianche  a  quel  d' intorno,    9 

Dolce    parlando,  tirar  rami  e  fronde: 
Regina  vidi  'n  cui  '1  mio  cor  s'  asconde.       // 

Vers.  i.  lo  zappator:  R.,  E.  lue.  — -  3.  dove  giunsi:  R.  —  4.  cor- 
revan  . ,  .  pome:  R.  —  5.  Dove  in:  il  Pai.,  ma  è  ccrlamcnle  errore  — 
7.  Giunti:  R.—  8.  fra'l:  R.  e  Par.—  9.  Quant'  io:  R.  e  Par.  —  -IO. 
rame:  R.  —  H.  in  cui  mio:  R.  e  Par. 


)(  256  )( 
GGXXI. 

XII.  Intonata.  Ser  Nicolaus  Propositi  sonum  dedit. 

Correndo  giù  del  monte  alle  chiar'  onde 
D' un  vago  fiume  dov'  io  già  pescando 
Donne  venia,  e  tal  di  lor  cantando.  s 

Tal  dicea  oh,  tal  uh,  e  tal  omei; 
E  tale  il  bianco  piede  percotea; 
Tal  punta  essendo  a  seder  si  ponea.  e 

Un  forse,  un  si,  un  no  mi  combattea, 
Che  in  fra  queste  fosse  una  che  nacque 
Per  darmi  morte.  Come  ad  Amor  piacque,      9 

Cosi  costei  di  subito  discese: 
Dov' amor  e  vergogna  il  cor  m'accese.         // 

Vers.  \.  dal:  Z.  —  2.  dove  già:  R.  —  3.  venian:  R.,  Par.,  Z.,  E. 
lue.  —  4.  tal  ah:  E.  lue.  tal  ve:  R.  —  7.  forsi:  R. 

CCXXII. 

Si  come  il  sol,  nascoso  d'  alto  monte, 
0  d'  una  nuvoletta  uscendo,  luce  ♦ 
Agli  occhi  umani  ove  vaghezza  adduce;         j 

Cosi  mi  si  mostrò  con  chiara  luce 
Subito  uscir  di  scogli  quella  fronte 
Che'l  mio  cor  tiene  in  amorosa  fonte.  e 

Di  quanti  color  venni  il  sa  colui 

Che'l  fa,  et  ella  di  cu'  sempre  fui.  8 

* 

Vers.  ■«.  da:  E.  lue.  —  2.  niviktta:  R.  —  8.  Cui:  R. 


)(  i57  )( 

CCXXIII. 

XrV.  IntotMta.  Magister  Donaius  presbiter 
de  Chascia  sonum  dedit. 

Fortuna  avversa  del  mio  amor  nimica, 
Che  poss'io  più?  che  dietro  a  lungo  aflanno, 
Sperando  aver  riposo,  ho  doppio  danno?       j 

Quando  la  vaga  stella  che  m'accese 
D'oscuro  mar  m'avea  tratto  e  scorto 
Con  una  navicella  presso  a  porto,  e 

Vento  si  volse  e  'n  parte  m'ha  condotto 
Ch'  i'  son  gittato  a'  scogli  et  ella  ha  rotto.        « 

Vers.  2.  drieto:  R.,  Par,  al  lungo:  Par.  —  5.  mare:  R.  avevat 
Z.   -  6.  al:  R.  -     7.  f/je  ha:  R.  —  8.  ed:  Z. 

GCXXIV. 

XV.  Intonata.  Magister  Nicolaus  Propositi 
soììtim  dedit. 

Nel  mezzo  già  del  mar  la  navicella 
Tra  r  oriente  e  1'  occidente  è  giunta. 
Che  mi  mena  a  fedir  in  scura  punta  .5 

Col  vento  tempestoso:  e  quella  stella, 
La  qual  fedel  mi  fece,  che  più  forte 
Affretta  sua  giornata,  è  la  mia  morte.  6 

Lasso!  Natura  forza  non  le  dà 
Che  ma'  per  tempo  ella  dia  volta  in-cià.  ft 


Vcrs.  4.  Le  si.  Iianiio  due  punii  «lopo  tempestoso. 


17 


•        )(  -258  )( 
CGXXV. 

Di  poggio  in  poggio  e  di  selva  in  foresta, 
•  Come  falcon  che  da  signor  villano 

Di  man  si  leva  e  fugge  di  lontano,  j 

Lasso,  me  n' vo,  ben  ch'io  non  sia  disciolto. 

Donne,  partir  volendo  da  colui 

Che  vi  dà  forza  sovra  i  cor  altrui.  e 

Ma,  quando  pellegrina  esser  più  crede 

Da  lui  mia  vita,  più  presa  si  vede.  8 

Vers,  ^.  poggio,  di:  T.,  Cresc.  — 3.  lieva:  T.  —  6.  sopra  i  cuori 
R.,  T.,  Cr.  —  7.  peregrina:  R,,  P.,  T.,  C. 

GCXXVI. 

Fiso  guardando  con  Amor  Fetonte, 
Discender  vidi  una  fiamma  tostana 
Con  Lucina  Proserpina  e  Diana:  ,  j 

Quando  vèr  me  le  donne  lampeggiando 
Disson  —  Ne'  boschi  la  tua  donna  impera  — , 
Po'  ritornò  ciascuna  alla  sua  spera.  6 

Lasso,  qual  io  rimasi  !  I'  veggio  l'orma, 
Che  come  Atteon  muterò  forma.  s 


GCXXVII. 

MORALE . 

0  perfida  crudel  dannosa  invidia, 
D'  ogn'  alma  struggimento  sanza  termine. 
Come  nel  mondo  tu  se'  mortai  vermine  ! 


)(  ^5!)  )( 
Por  te  ciascun  condanna  e  fa  nuovo  ordino  ; 

IV ogni  opera  perversa  tu  se' Ionica; 

Disfai  la  legge  e  la  ragion  canonica.  s 

Or  pensi  e  guardi  chi  di  le  fa  specolo, 

Che  qui  non  vive  né  in  altro  secolo.  « 

CCXXVIII. 

Magister  Donatus  de  Cascia  smum  ded'U, 

Volgendo  i  suo'  begli  occhi  in  vèr  le  fiamme. 
Le  quali  una  colomba  avea  accese, 
Vidi  colei  da  cui  Amor  discese.  3 

Poi  che  fu  volta  alquanto,  vide  serpi 
Che  un  mostrala,  et  ella  a  quelle  corse 
Col  più  bel  riso  che  ma'  viso  porse.  6 

Ma'  non  mi  piacquon  serpi  altro  eh'  allora  ; 
Bontà  degli  occhi  ov'  Amor  s' innamora  !         « 

Vers.  <.  Vogliendo  t  soi  be'  occhi:  R.  —  i.  columba:  Par.  aveva 
una  colomba:  R. —  3.  di  cui:  Par.  ,E.  lue.  —  4.  vi'ìi;  Par.  e  R.  — 
6.  Con:  R. 

CCXXIX. 

Perduto  avea  ogn'  arbuscel  la  fronda. 
Quando  tra  verdi  lauri,  Amor,  guardando 
Vidi  risplender  una  lesta  bionda.  J 

Tra  l'un  cespuglio  e  l'altro  penetrando 

Vers.  t.  aveva  ogni  arboscel:  R.  albiurel:  Z.  —  3.  Cosi  correggo 
col  Par.  e  col  R.  che  però  legge  Vide  risptender  una  treccia.  Z.  e 
gli  E.  lue.  leggono:  Risplender  vidi  una  testa  bionda,  col  Pai.;  ma 
dev'essere  uno  scorso  di  |»ennii.  --  4.  Fra:  R.,  E.,  lue. 


)(  2G0  )( 
Scorsi  la  donna  alquanto  l'iior  d'un  ramo, 
Per  cui  mori  sempre  mia  vita  amando.  6" 

Dolce  fu  il  giorno  e  vago  fu  il  verde, 

Ma  più  il  viso  che  stagion  non  perde.  s 

Vers.  7.  e  vago  e  dolce  il  verde:  R.  —  8.  il  bel  viso-.  R. 

CGXXX. 

XVII.  Intonata.  Ser  Jacohus  Ser  GJierardelU 
sonum  dedit. 

Vana  speranza,  che  mia  vita  fosti 

Suggetta  a  due  amor,  come  m'  ha'  fatto 

Dell' un  per  morte  rimaner  disfatto!  3 

Dell'  altro,  lasso,  ov'  io  sempre  con  fede 
Fui  e  sarò,  invidia  altrui  s'ingegna 
Levar  ciò  che  nel  core  amando  regna.  e 

Sia:  quel  che  dee  venir,  0  me  non  so! 
Colui  m'  aiuti  a  cui  più  servo  sto.  8 

Vers.  7.  Preferisco  l'interpunzione  del  Z.  Gli  E.  lue:  Sia  quel 
che  dee  venir;  omè  non  so! 

GGXXXI. 

Passato  ha'l  sol  tutti  i  celesti  segni 

Già  l'undecima  volta. 

Che  nel  tempio  ov'  io  son  voi,  donna,  amai; 

E  qui  mi  trovo  amando  più  che  mai.  4 

I  lucenti  capelli  erano  sparti: 

Or  su  la  vaga  fronte 

Vers.  3.  tempo:  R.,  M.,  P.,  Eq.,  Z.,  E.  lue. 


)(  2(i1  )( 
Vejri^io  raccolli,  e  con  maggior  hillalo 
Che  non  fnron  gi<i  mai  in  loro  clale.  h 

Tempo  non  vien  che  lai  bellezza  olTenda 
Né  che  per  tempo  Amor  più  non  m'accemla. 

Vers.  7  heltate:  R  ,  Eq.,  Z. 

CCXXXIi. 

Vanno  gli  augelli  intorno  al  nuovo  gulo, 
E  ciascun  vola  a  dar  nelle  sue  corna: 
Parlesi  il  tristo  e  subito  ritorna.  5 

T'na  augelletta  del  suo  onor  vaga 
Pena  ne  porta,  perchè  tutta  umile 
Vorrebbe  lui  veder  falcon  gentile.  e 

Eir  ha  dolor  del  gufo,  et  io  di  lei  : 
Aitar  la  potess'  io  com'  io  vorrei  !  s 

Vers.  4.  l'augelli:  E.  lue.  —  2.  sua:  R.  —  3.  Partissi.  R.  —  4. 
oftor  più  vaga:  R.  —  8.  Aitar:  R.  e  Par. 

CCXXXIII. 

FATTO  PER  ALTRUI. 

XIIIII.  Infonata.  Magister  Nkolam  presh!fpr 
sotmm  dedit. 

rn'augelletla,  Amor,  di  penna  nera, 
Vaga,  volando,  col  posare  adorno 
Mi  fa  seguir  sua  vista  ciascun  giorno.  > 

Per  veder  lei,  comc'l  disio  mi  mena, 
M'appresso  ad  essa;  e  quando  più  mi  \rAt;, 
.MIor  si   fuQge  sanza  aver  merzede.  fì 


)(  262  )( 
Voli  quant'  ella  può,  che  sempre  fìa 
Mia  vita  serva  alla  sua  signoria. 

CCXXXIV. 

I 

FATTO  PER  ALTRUI. 

Come  àugel,  serrando  alcuna  volta, 
Amor,  per  suo  desio  per  caso  vola 
In  parte,  e  lascia  l'augelletta  sola; 

Così  mi  parto,  lasso!,  da  costei, 
Contro  al  voler,  tanto  che'l  tornar  sia, 
Lasciando  in  lei  il  cor  e  1'  alma  mia. 

Fa  dunque,  signor  mio,  che  nel  suo  core, 
Come  al  partir,  tornando  truovi  amore. 

Vers.  ^.  augtel:  Z. 

ccxxxv. 

Amor,  nel  loco  della  bella  donna. 
Come  fortuna  vuol,  le  pecorelle 
Stanno  con  lor  pastori  e  pastorelle: 

E'  buoi  che  tornan  da'  solcati  colli 
Risuonan  i  lor  mugghi  ov'  ella  tanto 
Spirò  già  con  vaghezza  il  dolce  canto. 

Distrutto  sia  ciascun  che  segue  Marte, 
Perchè  distrugge  il  ben  in  ogni  parte. 


)(  2(;n  )( 

CCXXXVl. 

FATTO    PER    ALTRUI. 

Tra  vaghi  monli  si  serra  una  valle, 
Dove,  per  prender  augelletti  andando. 
Me  prese  vaga  pulzellella  amando,  j 

Accompagnata  da  due  pulzelletle  : 
E  tutte  e  tre  con  halli  e  dolci  «ami 
Giù  per  un  colle  mi  vennon  d'  avanti  ;  i 

Tanto  che  gli  occhi  mi  fér  servo  a  quella, 
Che  col  suo  canto  passa  ogni  altra  hella.       « 

CCXXXYIl. 

XXII.  Intonata.  Magister  Guglielmus  Pariginus 
fraier  romitanus  sonum  dedU. 

La  neve  e  'I  ghiaccio  e'  venti  d'  oriente 
La  fredda  brina  e  V  alta  tramontana 
Cacciata  hanno  de' boschi  suo' Diana.  .7 

Perch'ella  vide  secche  l'erbe  e' fiori. 
Volar  le  fronde  e  spogliar  la  foresta, 
Coverto  s'  ha  col  vel  la  bionda  testa  ;  € 

Va  è  venuta  al  loco  ov'  ella  nacque. 
Dove  più  ch'altra  donna  sempre  piacque.        8 

Vers.  4.  giaccio:  R.  —3.  Cacciato-.  M.da'.-  E.  lue.  —5  (rondi:  R. 


)(  2f)4  )( 
CCXXXVIII. 

MORALE. 

Magister  Nicolaus  Propositi  sonum  dedit. 

Povero  pellegrin  salito  al  monte 
Mi  veggio  lasso  a  scender  alla  valle, 
Dove  tostano  è  scuro  ogni  suo  calle. 

0  erta  vana  dilettosa  e  falsa, 

Quanto  se'  vaga  all'  ignorante  ingegno  ! 
Guai  a  chi  passa  e  non  riguarda  il  segno! 

Passato  sono,  e  vo  e  sto  e  corro: 
Stella  mi  doni  lume  a  cui  ricorro. 


Vers.  2.  e  scendere:  Par.  e  Z.  lasso  scendere:  R.  —  5.  ad  igno- 
rante: Par.  —  7.  e  sto  e  vo:  R. 


GCXXXIX. 

Ben  s'affatica  in  van  chi  fa  or  versi, 

Pensando  chi  per  Beatrice  disse 

E  chi  per  Laura  tanti  versi  scrisse.  5 

Pien  è  il  mondo  di  chi  vuol  far  rime; 

Tal  compitar  non  sa  che  fa  ballate, 

Tosto  volendo  che  sieno  intonate.  e 

Cosi  del  canto  avvien  :  sanz'  alcun'  arte 

Mille  Marchetti  veggio  in  ogni  parte.  5 

Vers.  i.  Non  s':  Z.,  e  pone  il  segno  interrogativo  al  fine  del  v.  3 , 


CGXL. 

Onesta  nimica  ileU' umana  lurl)a, 

Che  con  sua  crudeltà  il  mondo  abbraccia. 

Pili  che  non  suole,  altrui  di  vila  caccia. 
Mossa  dall'alto  re.  Ciascun  la  fugge, 

Et  ella  si  sta  ferma,  e  qnal  vuol  giugno: 

No'l  crede  alcun,  se  non  quand'ella  pugne. 
Aquila  né  serpente  in  lei  non  prova: 

Spegne  l'orgoglio  là  dov'ella  il  trova. 


LIBRO     IX. 

BALLATE  E  MADRIALI  DI  NICCOLO  SOLDANIERl. 


Di  queste  poesie  la  maggior  raccolta  eh'  io  conosca  è  nel  cod. 
laurenz.  rediano  ilìi  cart.  del  sec:  xv;  e  vi  si  leggono  dalla  e.  88  v." 
alla  91  ¥.<>  Le  riproduco  nell'  ordine  ohe  hanno  nel  cod.,  dove,  segna- 
tamente per  le  prime,  v'è  un  po'  di  confusione  tra'  metri  e  sono 
intitolate  madriali  le  proprie  ballate  semplici  che  nella  presente 
stampa  hanno  i  numeri  ccxli,  ccxlix,  cclii-lviii,  cclx,  cclxii-lxui, 
ccLxv.  La  lezione  del  rediano  (  nelle  nostre  note  vien  designato  per 
LR.)  è  tutt'altro  che  ottima,  sì  che  talvolta  non  se  ne  ricava  senso: 
dove  potei,  raffrontai  ad  altri  codd.;  che  ve  ne  sono.  A  Roma,  il 
chigiano  580  ha  rime  del  nostro  Soidanieri,  sebbene  sotto  il  nome  di 
Niccolò  della  Tosa:  e  il  Crescimbeni  ne  pubblicò  una  ballata  [cclxvui] 
nei  Coment,  intorno  all'ist.  della  volg.poes.  voi.  i.  lib.  ii.  cap.  ii,  e  di 
nuovo  nel  voi.  ii.  part.  ii.  lib.  iv.  §.lxxxi.  Dai  particolari  che  ne  dà 
il  Crescimbeni  e  dallo  stile  di  quella  ballata  si  rileva  che  il  Niccolò 
della  Tosa  del  cod.  chig.  è  uno  col  Niccolò  Soidanieri  dei  codd.  fio- 
rentini: forse  Della  Tosa  fu  soprannome  o  nome  distintivo  d'un  ramo 
della  famiglia.  Il  cod.  riccard.  l'I 00  cart.  del  sec.  xv.  ine.  ta  pure 
quattro  componimenti  del  nostro  [cclxxvu,  cclxxix-lxxx,  cclxxxiv]; 
e  i  primi  due  e  1'  ultimo  che  vi  si  leggono  li  pubblicò  di  su  quel 
testo  il  Trucchi  in  Poes.  ital.  ined.  II,  189  e  191  (  il  cod.  ricc.  vien 
significalo  nelle  nostre  note  per  R.,  e  per  T.  1'  ediz.  del  Trucchi  ):  il 
quale  tredici  altri  componimenti  del  Soidanieri  die  pur  primo  alla 
luce  nella  cit.  opera  dal  cod.  red.,  e  sono  nella  nostra  numerazione 

CCXLV,    CCXLIX-L,    CCLXIII-IV,    CCI.XIX-LXX ,    CCLXXIV,     CCLXXX,    CCLXXXVIII, 

ccxciii-iv,  ccci.  Ho  poi  visto,  e  me  ne  son  giovato,  anche  lo  Stroz- 
ziano  1398,  ora  magliab.  ci.  vii.  var.  lOjl,  cart.  della  prima  metà  del 


)(  267  )( 

cinquecento  (  lo  designo  n^lle  note  con  le  lettere  MS.  ),  che  continio 
le  poesie  di  n.  ccxli,  ccxliii,  ccxlvi-ix,  ccliix  ,  cclxxiv,  cctxxvii, 
ccxciii;  e  il  palat.  laurenz.  87  con  musica  (PL.  nelle  note),  che  ha  del 
Soldanieri  le  bdllale  di  n.  ccxlii,  ccxlv,  ccl.  cclxiv,  cclxxuiv  ;  e  per 
la  ccLix  il  cod.,  della  Bibl.  iniper.  di  Parifti  53S  tuppl.  frane.  (Par). 

CCXLI. 

Tra   ì  Ilio  lugjjire  e  'l  mio  se<,^uir  sarà 

Se  male  o  bene  amor  a  me  darà. 
Se  tu  in  fiig^jjirmi  avrai  ben  lene  il  pie. 

In  le  seguir  più  eh'  altro  lena  arò:  4 

Fuggi,  se  sai,  che  'n  fine  pur  l'arò, 

Se  per  affanno  vincer  poss'io  le:  e 

0  tu,  donna,  farai  eh'  amor  né  fé' 

Conlra  te  lor  nemica  non  porà.  8 


Si  nel  LR.  che  nel  »MS.  è  intitolato  madriale.  —  Vers.  2.  e  bene: 
MS.  —3.  fuggir .  .  .  il  pè:  LR.  —  5.  che  alla  fine  t'arò:  MS. 

Nel  laureiiz.  pi.  xc  sup.  n."  89  e  nel  magliai),  ii,  40,  ambe<Iue 
del  secolo  xv  ine,  si  legge  un  componimonlo  che  oltre  il  primo 
verso  ha  quale'  altra  somiglianza  con  questa  ballata  del  Soldanieri. 
Qual  fu  prima?  e  qual  è  l'imitazione,  do'  due?  Nel  magi.,  ove  seguita 
[e.  126]  ad  alcuni  sonetti  anon.  ma  che  il  Follini  illustratore  del  cod. 
dà  l'uno  a  Gino  da  Pistoia  l'altro  ad  Ani.  Pucci,  questo  componi- 
mento ch'io  dico  ha  forma  di  sonetto,  se  ìten  monco  d'un  >crso. 
Nel  laur  ,  ov'è  pur  anonimo,  par  diviso  in  due  quasi  ballate  [carte 
Lxxi  V.**  e  Lxxii  r."  ].  Per  me  è  un  sonetto,  e  come  tale  lo  dò  qui 
appresso,  tenendomi  più  stretto  al  cod.  laur.  che  presenta  miftlior 
lezione. 

Tra  il  tuo  fuggire  e  1  mio  seguir  sarà. 

Fuggi,  se  sai,  eh'  io  pur  ti  seguirò, 

Tanto  che  forse  forse  io  troverò. 

Gentil  fanciulla,  in  te  qualche  piata.  4 

Vers.  3.  »  '  trovn-rò:  M.  —  4.  Nel  tuo  betiigno  cor  qualrhe:  M. 
1 


)(  268  )( 

Come  comporti  tanta  crudeltà? 

0  mei  non  vedi  tu  ch'i'  mi  disfo? 

Soccorrimi,  per  dio,  non  dir  pur  no; 

Volgi  tuo'  luce  e  tua  nobilita.  8 

Io  maladisco  1'  ora  e  '1  punto  e  '1  di 

E  '1  luogo  e  '1  tempo  dove  Amor  mi  fé' 

Veder  le  tuo'  bellezze  e  '1  bel  disi',  il 

E  quella  crudeltà  che  regna  in  le.  ' 

Sia  maladetto  chi  già  mai  seguì 

Le  leggi  tue  e  chi  per  me  le  fé'.  14 

Amor,  soccorri  me; 

Rivolgi  l'arco  tuo  colle  saette 

Sì  che  del  mie'  gran  mal  vegga  vendette.  •/7 

Vers.  7.  Soccorrimi,  che  puoi;  non  dir  di  no:  L.  —  8.  e  la  tuo' 
nobiltà:  M.  —  9.  /'  benedisco:  M.  —  10.  E  'l  tempo  e  'l  loco:  M.  —  \\. 
la  tua  belleza  e  dir  di  sì:  M.  —  13.  Fu  maladetta  in  chi  giam,ai  se 
ghh  M.  —  44.  Manca  nel  M.  —  46.  tuo  e  la  saetta:  M.  —  47.  mio  .  .  . 
vendetta:  M. 


CCXLII. 

L' aguglia  bella  nera  pellegrina, 
Che  gi'  da  me  pasciuta  e  non  tornò, 
Gol  pasto  in  man  la  chiamo:  oh  oh  oh  oh! 

Perch'olla  guarda  un  aguiglion,  non  riede, 
Ch'ella  covò  nel  nidio  il  diavol,  che 
Rimuto  oh  oh  in  dire  ome  ome. 

Ma  sì  la  tira  amor  pe'  geti  e  crolla. 
Che  se  la  vecchia  bada,  in  mano  àroUa. 


Vers.  4.  aquila.  .  .  .  nera:  PL.  —  2.  Ch'  oggi  da  me  è  partuta: 
LR.  —  4.  Perchè  lei:  LR.,  agoglion:  PL. 


)(  201)  ){ 

CGXLIll. 

A  forniuol  vuol  cu  cu  un  (  ucù  laiiui, 
Voglicudo  un  mio  l'ufr^ilo  uccol  pigliare; 
Sì  ch'io  uccello  e  veggomi  uccellare.  .,- 

Una  che  fa  co  co,  coni' ella  sente 
Ch'i'  cheto  a  Uri  m'accosti  in  tempo  scuro, 
E'  par  pur  ch'ella  gridi  —  al  furo!  al  furo!  —  e 

Onde  si  scuote  e  tutto  si  rintocca, 

Poi  fugge  rae.  Perdi' è  l'oca  sì  sciocca?  « 

Vers.  i.  Si  il  R.  che  il  MS.  legg..-  A  forniuol  voci»  cu  un  cu  cu 
farmi.  Il  contesto  mi  ha  suggerito  la  correzione.  In  somma  questo  è 
il  senso:  Andando  io  a  forniuolo,  un  cucii  (cuculo)  vuol  farmi  cu  cu 
in  quel  eh'  io  vorrei  ripigliare  un  mio  uccello  fuggitomi;  si^  che  io 
uccello  e  mi  veggo  uccellare  —  2,  Volendo:  MS.  —  4.  Uno:  R. 

GCXLIV. 

L'un  biasma  l'altro  e  niun  sé  riprende, 
Veggendo  per  altrui  nell'  uovo  il  pelo 
Tal  ch'à  di  sé  inanzi  agli  occhi  il  velo.  j 

Lo  dir  del  reo  altrui  non  dà  fama, 
Perchè  non  sa  dir  bene;  e  '1  suo  dispregio 
Nel  petto  al  buono  è  giudicato  fregio.  e 

Non  dura  infamia  né  ingiusta  loda, 
Perché  '1  ver  luce  e  'I  falso  à  corta  coda.        s 

Vers.  i.  l'altra:  LR.  —7.  dura  in  forma:  LU.  La  correzione  è 
suggerita  dai  versi  anteced. 


)(  270  )( 
GCXLV. 

Dà  dà  a  chi  avareggia  pur  per  sé, 
Se  '1  tempo  gli  si  volge  a  scherzi  d'orsa; 
Che  non  si  trova  amici  sanza  borsa.  3 

Tu,  0  tu  che  ài  stato,  ascolta  me: 
Quegli  à  il  destro  affare  a  sé  amico 
G'à'l  pie  nell'acqua  e '1  becco  nel  panico.        6 
Pensa  pensa  che  tardi  si  rincocca 
Chi  scende  a  risalir:  zara  a  cu'  tocca.  s 

Vers.  2.  a  scherzo-.  PL.  —  3.  fuor  di  borsa:  PL.  scusa:  T.  4-6 
Mancano  nel  PL.  —  4.  ch'hai:  T.  —  5.  Quelli  .  .  .  a  fare:  T.  —  6.  a 
pie:  LR.  —  8.  scende  risalir:  PL. 

CCXLVI. 

Come  da  lupo  pecorella  presa 
Spande  il  be  be  in  voce  di  dolore 
Perch'  allo  "scampo  suo  tragga  il  pastore,  .T 

Simil  piata  d' una  eh'  i'  presa  avea, 
La  qual  —  o  me  —  dicea  con  alti  guai. 
Mi  fé'  lasciarla:  ond'  io  non  poso  mai.  6 

E  quel  che  di  tal  fatto  più  mi  scorna 
È  ch'io  raspetto  il  caso  e  quel  non  torna.      8 

Vers.  2.  il  be  in:  LR.  —  4.  pietà  .  .  .  io:  MS.  —  8.  rascetlo:  LR., 
MS.  que':  LR. 

CCXLVII. 

Amante  Come  se'  sì  di  dolce  fatta  rea? 

Donna        Sa'  come?  come  tu  fatto  se'  reo.         s 

Vers.  2.  tu  se'  fatto:  MS. 


J 


H  371  K 
Amantk  r  soli  ben  reo  amando  le,  giudea. 
Donna        Giudea  non  son,  ma  tu  se' ben  giudro.     ; 
A.  Oh,  i'  V  ho  messo  in  mezzo  del  cor  meo: 

>felli  me  in  quel  di  te. 
I).  r  non  ti  molloiri  al  suol  d«^l  p'u).  '      7 

\crs.  5.  r  t  ho:  LR.  —  6.  Mette:  IM. 

CCXLVIII. 

Amor,  verso  costei  1'  arco  disserra, 

Po'  che  mi  fugge  pace  e  vuol  pur  guerra.       ^ 
K  forse,  signor  mio,  quando  sentire 

Se  le  farà,  sentir,  la  tua  saetta,  4 

Ara  pietà  del  mio  crudo  martire; 

Ov'  ora  me  conquide  e  si  diletta. 

Così  di  lei  per  me  farai  vendetta.  7 

Vers.  4.  Tu  le  farai:  MS.  —  5.  mio  crudel:  MS.  —  6.  conquider 
si:  MS. 

CCXLIX. 

Donna,  quand'  io  li  miro. 

Fuggimi  lu  per  darmi  più  martiro?  s 

Se  per  più  pena  darmi  tu  mi  fuggi. 

Non  è  remunerare  il  mio  servire. 

E  quando  l'altre  vedran  che  mi  fuggi  j 

Servendo  le,  de  che  potranno  dire? 

Che  mi  convien  morire. 

Se  a  pietà  non  ti  muove  il  mio  sospiro.  8 

Ver».  ^.  quando  ti:  LR.  —  5.  Quando  l'altre  vedraimo:  LR.  —  8. 
Se  non  ti  muove  a  piata  il:  LR. 


)(  272  )( 
CGL. 

Virtù  loco  non  ci  à  perchè  gentile 
Animo  non  ci  trova:  il  vulgo  c^ri 
Tien  zappator  pur  ch'egli  abbian  denari.         j 

Per  questo  ogni  un  pecunia  sempre  agogna, 
Non  avendo  rispetto  chi  raguna 
Al  mond'  ov'  è  maggior  chi  à  più  fortuna.      e 

Quel  che  ci  acquisti  lascia  te  o  tu  lui: 
Tristo  chi  spende  il  tempo  in  ciò  colui  !  s 

Vers.  2.  trovo:  PL.  —  6.  Al  mar  dove  maggior  cha  più:  LR,  PL. 
Sarà  buona  correzione  la  mia?  —  7.  o  e'  lascia:  LR.  —  8.  Colui  leg- 
gono il  LR.  e  PL:  forse  co'  [con]  lui. 

GCLI. 

Amor,  s'  i'  son  dalle  tue  man  fuggito,  . 

Non  ti  doler  di  me  ma  di  costei, 

Che  'n  pene  mi  tenea  servendo  lei.  '5 

E  non  pensar  eh'  i'  sia  ma'  più  ghermito 

Da  te  in  lei,  ben  che  le  stie  nel  volto  ; 

Che  reddire  in  prigion  chi  n'esce  è  stolto,  e 
Que'  libertà  conosce  quant' è  cara 

Che  la  smarrisce  e  ritrovare  impara.  s 

GCLII. 

Perchè  se',  donna,  in  grazia  farmi  lenta? 

Che  di  vedermi  tu  par  sì  contenta.  s 

Chi  à  tempo  e  tempo  aspetta,  tempo  perde; 

E  cotal  perdila  mai  non  si  racquista.  4 


)(  473  )( 
Donna  che  non  fiorisce  ih  tempo  verde, 
Di  frutto  fare  al  tempo  perde  vista .  e 

Non  to'  riprension  chi  'n  ciò  l'aquisla, 

N»''  '1  (cmpo  poi  tìA  porche  si  penta.  * 

Vers.  8.  il  pente:  LR. 

CCLIll. 

Donna,  non  spero  che  '1  morir  mi  gravi. 

Po' oh' ò  perduto  il  ben  che  tu  mi  davi.  ^ 

r  fu'  per  le  filine,  or  m'  à  fortuna 
Il  ben  eh'  avea  nel  contrario  volto.  4 

Piange  la  mente  mia,  tal  duol  s'  aduna  ^ 

Lo  'mmaginar  quel  che  Y  è  stato  tolto.  e 

0  me,  amore,  0  me  !  ove  m' à'  collo  ! 
De,  dammi  morte  che  di  qui  mi  cavi!  « 

N'ers.  8.  Da  dammi:  LR. 

CCLIV. 

Non  temo,  donna,  di  pianger  già  mai 

Po'  che  '1  ben  eh'  i'  perde'  renduto  m'ài.  i 
Che  doglia  0  che  martire  aver  porrei 

Per  lo  qual  mai  si  ritignesse  il  volto?  4 

V  fui  in  gloria  e  poi  a  terra  dici, 

E  or  tempo  felice  m'à  ricolto.  t 

Egli  è  sì  dolce  il  raquistare  il  tolto. 

Che  trar  non  può  più,  que'  che'l  prova,  guai,  s 

Vers.  4.  mai  mi  si:  LR.  Ma  il  mi  è  di  più. 

48 


)(274)( 
CCLV. 

Amor,  mira  costei  nova  nel  bruno: 
E  so  che  '1  cor  di  lei  col  mio  é  uno. 

Poscia  che  morte  tolto  l'à  il  signore 
Crudele  in  quel  piacere  ov' io  disiro 
E  mosse  per  pietà,  piata,  amore 
De  mova  te  per  me  eh'  ognior  sospiro 
Con  dir  —  Non  odi,  giovane,  il  martiro 
Che  pale  il  servo  il  qual  servir  t'aduno? 

Vers.  4.  disio:  LR.  • 

CGLVI. 

De',  quando  me  farai,  donna,  contento, 
Che  fo  per  te  il  di  morte  ben  cento? 

Quando  sarà  che  mia  dogliosa  mente 
Per  te  da  te  di  te  contenta  sia? 
Tu  vedi,  e  so  che  dentro  a  te  si  sente. 
Ch'i'  vo'  da  te  quel  ch'uom  ch'ama  disia. 
Molto  è  gradita  più  la  cortesia 
A  farla  presta  che  con  passo  lento. 

Vers.  ■!.  mi  farai:  T.  —  2.  morti:  T .  —  i.  di  te  da  te:  T. 

CCLVIl. 

Questa  eh'  à  '1  cor  di  pietra  margarita 
Più  che  di  viver  a  morir  m'invita. 

E  quel  che  mi  soetiene  in  vita  vivere 
Son  gli  occhi  suoi  eh' a  me  si  fan  sentire 


)(  275  )( 
Denlr'al  mio  cor  sì  dolci,  che  uccidere 
Non  puomi  crudeltà  di  suo  marlire. 
Per  gli  occhi  grazia  e  per  Io  cuor  morire 
Mi  veggio,  e  così  sta  per  ir  mia  vita.  s 

Vere.  1.  e  per  lo  suo:  LR.  Ma  rileggasi  bone  la  ballala,  e  s'appro- 
verà, spero,  la  mia  correzione. 


CCLVIII. 

Se  tanto  gosta  il  ben  quanto  il  dir  male, 
Dò,  perchè  a'  più  di  ben  parlar  non  cale?       2 

Il  favellar  colla  ragione  abbiamo 
Vantaggio  noi  agli  altri  animai  tutti: 
E,  se  fuor  d'onestà  noi  operiamo, 
Simili  allor  ci  facciàn  bestie  e  brulli. 
Chi  parla  molto,  e  'n  ben  suo  dir  non  frulli. 
Riso  gli  è  'n  bocca  e  tenuto  bestiale.  s 

GCLIX. 

r  fui  già  usignuolo  in  tempo  verde 
E  con  dolce  cantar  segui'  amor  tanto 
Che  '1  giunsi  ove  in  fi.«;chiar  si  mula  il  canto.    3 

Così  mutai  per  l'accidente  verso: 
Or  i'  aver  cerco  e  non  curo  fatica 
Per  non  ire  a  merzé  della  formica.  s 

Chi  vuol  sanza  fallir  venire  in  tempo, 

Le  cose  deve  far  secondo  il  tempo.  g 

Vers.  i.  un  usignolo:  Par.  —  4.  peli:  Par.  —  b.  Or  viver:  LR.  — 
7.  senza:  LR.  —  8.  de'  i  uom  far  sicondo:  LR. 


)(  'm  )( 

GGLX. 

Come  vuoi,  donna,  tu  ch'io  ini  dia  pace? 
Ch'amor  per  te  mi  fa  si  aspra  guerra 
Ch'ogni  uscio  di  piata  mi  chiude  e  serra.       3 

Ma,  se  del  pianger  tu  vuoi  ch'io  mi  posi, 
Fa'  che  m'allenti  il  tuo  tormento  amore: 
Ancor,  che  gli  occhi  tuoi  sien  sì  piatosi  6 

Che  '1  tuo  per  me  faccian  piatoso  core: 

Altrimenti  vedrai  me  per  dolore 
Inanzi  un  dì  cadérti  morto  in  terra.  9 

CGLXI. 

Venus  al  suo  Cupido,  per  diletto 

Di  me,  me  puose  per  sua  compagnia 

Ove  si  posa  e  sta  la  donna  mia.  5 

Li  s'  assenbraron  danzatori  e  suoni 
Perch'ella  a  me  la  sua  mostrasse  spera: 
E  ciò  fecesi  in  van,  eh'  ella  non  v'  era.  e 

Ma  questo  mio  signor  tutto  pietoso 
Lei  verso  me  e  me  lei  verso  mosse, 
E  presso  insieme  che  non  ci  percosse.  9 

Ond'ella  alzando  gli  occhi,  ciascun  disse 

—  Muoia  costui  — :  e  credo  ch'io  morisse.    // 

Vers.  6.  faciessi:  LR. 

GCLXII. 

11  pianger,  donna,  tuo,  oimè,  quanto 
M'induce  all'amoroso  pianto!  '  i 


)(  277  )( 
11  pianger  me  or  oltre  a  me  per  qiu-j^li 

Che  pianj^on  piango  ov'io  son  preso  e  fiie;      4 
Ciò  son  quegli  occhi  tuoi  che  struggi,  belli, 

Per  morte  alcuna  delle  cose  tue.  e 

0  me!  o  me!  che  non  ne  muoion  due? 

Per  quei  leggie  ciloe  d' amor  lamanto.  s 

Se  non  fosse  stato  lo  scrupolo  di  pubblicare  intera  la  serie  delle 
ballate  e  dei  madrigali  del  Soldanieri  avrei  lasciato  volentieri  da 
parte  questa  ballatìna.  Mi  giovi  avvertire  che,  tolta  qualche  h,  ag- 
giunto qualche  segno  ortografìco  e  disgiunte  certe  lotterc  in  pochi 
luoghi,  la  riproduco  come  sta  nel  ms. 

CCLXIII. 

Amor,  come  farò?  rhè  ricoprire 

Non  posso  te  ne  per  cui  m'ardi  dire.  i 

E,  s'io  il  dicessi,  i'  torre'  vie  l'onore 
Di  me,  d'onestò  amare  e  di  chi  m'ama:         4 
E,  s'  i'  '1  celo  in  parlar  quel  ch'ò  nel  core, 
Pur  gli  occhi  scuopron  l'amorosa  brama.        6 
Cuopri  la  fiamma,  acciò  che  costei  fama 
Non  perda,  e  noi  non  perda  a  te  servire.       s 

Vers.  3.  dicessi,  torr&  via:  T.  —  5.  se  celo:  T. 

CCLXIV. 

Un  bel  girfalco  scese  alle  mie  grida: 

Dell'aere  in  braccio  a  piombo  giù  mi  venne, 
Com'amor  volle  e  'I  disio  di  suo'  penne.  .; 

^  Il  T.  nota  che  nel  cod.  535  della  Bibl.  irap.  di  Parigi  si  legge  che 
a  questo  madrig.  Don  Donato  da  Cascia  pose  le  note  musicali:  —  v.  2. 
Dall'aer:  T.  dell'aria:  PL.  —  3.  sue:  T.  Non  si  sa  poi  perchè  il  T. 
dopo  questo  verso  segni  una  lacuna,  come  i^  mancasse  qualcosa  — 


)(  278  )( 
In  piò  gli  misi;  e,  fatto  ch'ebbe  gorga, 

Alzò  più  assai  che  non  fu  la  caduta; 

Onde  giocando  il  perde'  di  veduta.  6 

E  che  ritorni  non  mi  dice  il  core, 

Che  credo  che  se  '1  tenga  altro  signore.  s 

Vers.  6,  più  alto  assai  che  la-.  LR.  —  6.  giucando:  PL. 

GGLXV. 

Chi  l'à  quel  cor  ch'ornai  è,  donna,  tu' 
Suo  servo?  alcuna  non  ne  fia  né  fu.  2 

Ma  non  si  truova  in  me;  perch'io  in  te  sono,    ' 
Avendo  il  cor  di  me  ch'i'  dato  t'ò: 
Dunque,  s'a  te  io  per  fedel  mi  dono, 
Far  mi  dei  grazia;  eh'  altro  ben  non  ò. 
Se  non,  sia  certa,  donna,  ch'io  morrò 
Per  non  poter  portar  tue  pene  più.  8 

Vers.  1-2.  Il  LR.  legge  propriamente  cosi:  Chilla  pel  core  chomai 
me  donna  tu  Suo  servo  alchuna  ne  ne  fia  ne  fu.  Mi  è  parso  necessario 
correggere  come  si  vede  nel  testo,  intendendo:  Quel  core  che  ornai, 
donna  è  tuo  [  tu'  ]  chi  l'  ha  [per  ]  suo  servo'ì  Alcuna  [  che  V  abbia] 
non  ne  fia  ne  fu  [tra  le  donne:].  — 6.  mi  do-,  LR.  Ma  la  rima  vuol  dono. 

CCLXVl. 

Non  far  contro  al  dover,  che  forse  forse 
Contro  ti  tornerà  quel  ch'ai  pensato: 
El  — ben  gli  sta —  è  sempre  apparecchialo.    5 

El  tempo  passa;  e  però  guarda  guarda 
Prima  che  giri,  e  non  al  fatto  dopo: 

Vers.  5.  Prima  chengiuri .  .  .  doppo:  LR. 


)(  279  )( 

Che    I  liuii  j,m;i  bisogno  ebbe  d«'l  tupc».  6 

Apri  gli  orecclii  e  rico'  queste  verba, 
E  pensa  ch'umiltà  vince  superba. 

Yers.  7.  orecchi  e  ritho:  LR.  La  lezione  e  rito'  [  ritògli  ]  sarcbb* 
stata,  parmi,  men  propria  dell'adottata  da  me  [ricogli]. 

ncLxvn. 

Non  escon  preste  si  quadrella  e  pietre 
Di  terra  ove  si  dà  crudel  battaglia 
Perch'  altri  al  inur  non  vegna  o  su  vi  saglia,    j 

Com' uscir  d'una  pr' una  finestrella 

A  giungner  gli  occhi  suoi  vèr  gli  occhi  miei 
Saette,  che  fedel  mi  fér  di  lei.  e 

Ond'io  pregando  lei  ch'alasse  me, 

-Non  posso  più  -  risptiose,  e  disse  -o  me!  -     s 

Vers,  4.  per  una:  LR. 

ccLXvm. 

Pregoti,  donna,  che  'I  percln*  mi  dica 

Fatta  mi  se'  nemica 

Senz'io  fallirti.  j 

Nemichi  me,  veggendo  che  conlenta 

Non  so  che  in  me  si  senla 

Per  donna  di  me  guida.  $ 

Ma,  come  che  d'avermi  tu  ti  penta, 

Non  fia  mia  mente  lenta 

Pensar  me  Irar  di  strida.  j 

Vere.  2.  nimica:  LR.  —  6.  me  senta-,  LR.  —  7.  come  tu:  LR.— 


)(  280  )( 
Gonvien,  seguendo  te,  che  tu  m'uccida 
0  eh'  io  di  pianto  rida 
Per  ben  servirti.  ^^ 

Vers.  <0.  seguendo  in  te:  LR. 

CGLXIX. 

Donna,  i'  so  ben  che  servon,  più  ch''un,  due; 
Ma,  perchè  stanno  mal  duo  cani  a  un  osso, 
Ti  lasso  e  son  contento  com'io  posst>.  3 

Che  m'ài,  servendo  te,  di  te  tradito. 
Facendo  altrui  di  quel  che  me  signore,  5 

E  sai  che  dare  a  due  non  si  può  il  core, 
Ma  può  trar  d'uno  in  altro  l'appetito.  7 

Dunque  non  mi  t'asconder  sotto  il  dito 
Mostrando  avere  a  me  le  voglie  tue; 
Che  sai  ch'i'  so  ch'altri  è  dov'io  già  fue.      io 

Vers.  2.  due:  T.  can:  MS.  —  4.  m'  a':  MS.  —  5.  eh' è  mio:  T.  — 
7.  Ma  trar:  T.  —  8.  doppo  il  dito:  MS.  doppo  il  dito:  T.  —  9.  in  me: 
T.  -^  40.  fui:  LR. 

GCLXX. 

Però  che  due  più  eh'  un  serveno  a  una 

Femina,  ragione 

Non  vuol  cb'a  uno  stia  contenta  alcuna.  3 

E  vedi  come  questa  è  la  ragione 

No'  veggiàn  eh'  una  ara  un  giovin  bello 

Al  piacer  suo  e  terrallo  in  pregione, 

Vers.  '1.  d'un  servono:  T.  —  4.  Dopo  ragione  il  T.  mette  due 
punti;.  Io  poi  sospetto  s'abbia  a  corregger  cagione.  —  5.  Noi  veg- 
giam:  T.  —  tì.  prigione--T. 


)(  281  X 
K  non  dimeno  un  sozzo  o  un  vecchiarello 
S'aopcra,  per  dire  —  l'ò  questo  e  quello — : 
K  per  più  operazione, 
Anzi  ch'iin,  due  ne  vuole  .i>  *   ■  lasnina.        /o 

Vers.  8.  Sa  operra,  legge  il  LR.  Accettiamo  la  correzione  del  T. 

CGLXXl. 

Quanto  mi  posso,  amor,  di  le  dolere, 

Del  tempo,  ch'ò  perduto, 

Che  non  t'ò  conosciuto, 

Or  quando  un'orsa  mi  ti  fa  vedere.  4 

Ell'é  donna,  ben  ch'à  nome  di  fera, 

Questa  che  d'ignoranza  fuor  m'à  tratto. 

Chi  non  conosce  il  sol  per  la  sua  spera 

E  abbia  gli  anni  a  ciò,  de'  esser  matto:  « 

Io  che  '1  tempo  ò,  e  cieco  era  'n  quest'atto, 

Che  non  ti  conoscea 

Né  ben  né  male  avea, 

Servo  costei  che  te  mi  fa  piacere.  4i 

CCLXXII. 

A.   Donna  se  'nganni  me,  chi  poi  ti  crede? 
D.      Sa'  chi?  un  altro  te. 


A.   Non  é  d'altrui  far  beffe  in  donna  beilo. 

D.      r  befTo  te  per  non  esser  beffata.  s 

A.      Lasso!  tu  '1  fai  per  volgermi  mantello, 

Vers.  3.  Non  mi  riesce  cavar  senso  da  queì>tu  \crsu  come  ^'iacc 
nel  LR.:  Che  rreJea  avere  perdere  a  tue  se  me. 


)(  282  )( 
Come  che  sia  di  me  disamorata. 
Non  m'  ami  tu  sendo  da  me  amata? 
D.       Si,  se  in  uom  fusse  fé': 

Ma  uomo  ama  a  diletto  di  sé.  io 

Vers.  7.  dime:  l'ho  aggiunto  io:  manca  nel  RL.,   ma  è  richiesto 
air  interezza  del  verso. 

CCLXXIIl. 

Tu  che  biasimi  altrui  guarda  in  te  prima, 
Ch'altrui  non  de  biasmar  chi  sé  non  slima.       ^ 

Condanni  me,  per  medesimo  te, 

Se  tu  di  quel  che  me  condanni  pecchi; 

E,  se  tu  r  opre,  non  guardare  a  me. 

Ma  ch'io  al  tuo  ben  dir  fermi  gii  urecchi:        < 

Dico  che  canti  ben  ma  mal  ti  specchi, 

Se  stai  nel  vizio  e  virtù  pregi  in  cima.  s 

Que'  de'  voler  ch'altrui  dottrina  dà 
Mostrar  di  sé  secondo  il  ben  dir  l'opre: 
Chi  parla  onesto  contro  al  suo  dir  fa; 
Di  lui  r  effetto  la  malizia  scopre, 
Pognam  che  'n  bigio  panno  alcun  si  copre, 
Come  l'atto  parlare  la  sorda  lima.  a 

Vers.  5.  E  stu  all'opere:    LR.  —  13.  Copra:  LR.  —   U.  È  diffi- 
cile cavarne  un  senso:  ma  così  porta  il  LR. 

GCLXXIV. 

Se  tu  pensassi  al  torto  che  mi  fai, 
Donna,  rivolgeresti  gli  occhi  tuoi 
A  me,  dicendo  pur  —  Che  grazia  vuoi? —      3 


)(  283  )( 
Però  ch'ogni  servir  merito  aspetta, 
Dee  il  servito  servidor  servire, 
K  donna  amala  è  ad  amar  costretta. 
Per  debita  raj^ion  non  può  fuggire: 
Sì  ch'io  non  dubbio  che  farmi  languire. 
Pensando  a  le,  che  so  po'  che  vorrai 
0  'n  più  matura  età  ti  pentirai.  40 

Vers.  5.  servitorT  MS.—  6.  ad  amare  è  constretta:  MS.—  8.  duòto 
che  farmi  morire:  LR.  —  9.  son  poco  vorrai:  MS.  —  iO.  E'  in 
piùi  LR. 

CGLXXV. 

Amor,  tu  sai  eh'  i'  fu'  per  te  ferito 
Da  una  donna,  e  non  ne  pianse  tanto 
Ch'  un  poca  di  piata  le  desse  vanto.  j 

Ond'  io  veggendo  lei  non  voler  patti 
Di  me  scampar,  fuggi'  le  forze  sue: 
E  or  di  nuovo  un'altra  con  suoi  atti 
Mi  vuol  far  suo  com'io  di  questa  fue. 
Ond' io  pel  primo  inganno  sto'n  tra  due 
Che  di  colei  costei  abbia  appetito: 
Temo...  e  non  so  pigliar  partito.  io 

Vers.  10.  Manca  qualche  parola  nel  LR. 

CCLXXVI. 

r  servo  e  non  mi  pento,  ben  eh'  a  'ngrato 
Abbia  servito:  poss'  io  pur  servire, 
Perch'  ogni  ben  sarà  rimuneralo.  j 

Servir  sol  per  servir  dee  quel  che  serve 
E  non  già  per  rispetto 


)(  284  )( 

Di  premio  che  si  dea  per  chi  riceve. 
Non  dico  clie  tu  serva  chi  diserve 
Chi  '1  serve:  ma  costretto 
Ogni  altro  a  servir  si  e  quanto  può  breve; 
Che  '1  tempo  se  ne  va  sì  leve  leve 
Che  par  un  dì  a  que'  che  più  ci  é  stato, 
E  che  ne  porta  ogni  un  quel  eh'  à  portato.     12 

GCLXXVII. 

Donne,  e'  fu  credenza  d'  una  donna 
Con  falsi  modi  suoi  far  tanto  eh'  io 
Suo  fossi:  io  me  n'  avvidi,  e  son  pur  mio.      3 

Cogli  occhi  agli  occhi  e  con  parlar  coperto 
Mostrava  a  me  di  me  che  fosse  presa; 
Di  eh'  io  servia  costei:  e,  quando  merlo 
Volli  in  segreto,  misesi  a  difesa: 
Ond'  io  partito  son  dalla  contesa, 
E  fuggo  avendo,  ah  me  me!,  tal  desio, 
E  lascio  lei  col  pensier  falso  e  rio.  io 

Vers.  i.  Donna,  e':  LR  di  madonna:  RT.  —  2.  far  ch'io:  T.  —3. 
aviddi:  MS.  —  4.  e  un:  MS.  —  5.  Da  questo  in  poi  mancano  nel  MS. 
e  nel  PL.  —  7.  Volle  in  sagreto:  LR.  misese  difesa:  MS.  —  9.  a  me 
cotal:  T.  —  40.  lei  con:  LR. 

CCLXXVIIl. 

La  larda  grazia,  tarda  donna,  fa'; 
Mostrando  te  a  pietà  vie  si  torte, 
Che  chi  ti  segue  segue  in  sé  sua  morte.  5 

Vers.  -1.  Il  LR.  aggiunge  un  lume  dopo  fa',  che,  se  non  è  uno 
scherzo  del  copista,  non  so  che  ci  abbia  a  fare. 


)(  285  )( 
r  l'  ò  dal  puciii  al  viiil  icmpo 

Servito  come  servo,  ben  eh'  i'  'I  celo; 

E  non  giugne  piatA;  ehè  par  che  'n  lonipo 

L'  aspetti  agli  anni  laidi  o  'n  grosso  velo. 
Se  tu  il  capello  imbianchi  e  io  il  pelo; 

La  mia  virtù  al  disio  non  fia  forte; 

E  l'ore  all'aspettar  tal' or  son  corte. 

CCLXXIX. 

0  giovin  donne  che  'I  tempo  perdete 

Per  viltà  della  mente, 

Pensate  che  vecchiezza  il  ben  non  sente.  5 

Se  voi  guardate  al  tempo  che  vi  dura. 

Che  sete  al  mondo  giovane  tenute, 

Parràvi  un  di;  e  la  trista  paura 

Ch'  é  'n  voi  vi  tòe  d'  amore  oprar  virtute. 

Quanto  dolor  n'  avrete  e  che  pentute, 

Ito  '1  tempo  presente! 

E  pentervi,  iti  i  di,  non  vai  niente.  io 

Vers.  4.  0  giovani:  LR.  ^Giovani:  T.—  5.  siate:  LR.  giovam:  LR. 
e  T.  —  6.  alla  trista:  LR.  —  7.  vinto  d'amore  o  per  virtute:  LR. 
o  per  virtute:  R.  to'  d'amore  per  virtute:  T.  —  8.  arete:  LR.  —  40. 
penter  gì'  iti:  LR.  pentirvi:  T. 

GGLXXX. 

E'  non  è,  donna,  gioco 

Tener  chi  ama  con  lusinghe  in  foco.  i 

Mon  sola  pasce  lo  'nlianimalo  core 

Vers.  3.  solo:  R.  e  T. 


)(  286  )( 
La  cosa  amata  per  mostrarsi  altrui: 
Ma  che  è  quel  che  fa  vivere  amore? 
Amar  chi  ama  e  quel  voler  che  lui. 
Merzè!  i'  son  colui 
Che  amando  te  tu  ardi'  a  poco  a  poco.  s 

Vers.  4.  e  per:  R.  e  T.  —  8.  E  amando  te  cui  ardi:  R.  Amando 
te  i'  ardo:  LR. 

CGLXXXI. 

Se  dir  potessi,  Amor,  mio  ben  celato, 
Darei  invidia  altrui  di  me  beato.  s 

Quel  che  mi  tìen  ciò  dire 

È  tema  di  non  perder  mio  diletto 

Per  astio  eh'  è  in  altrui: 

Però  no  '1  fo  sentire, 

E  mai  di  me  non  uscirà  del  petto 

Che  dica  in  chi  né  cui: 

Basta  a  chiunche  m'oda,  udire  a  lui, 

Gh'  i'  son  per  una  cui  io  amo  amato.  io 

Vers.  2.  Direi  ....  altrui  per  te  di  me:   LR.  Direi  m'  è  parso 
errato  e  per  te  superfluo:  —  9.  a  chi  che:  LR. 

CCLXXXII. 

Amor,  di  questa  candida  colomba 

Cerca  sotto  suo'  piuma  ■ 

Chi  sprona  sì  '1  disio  che  mi  consuma.  j 

De,  sguarda,  signor  mio,  quanta  merzede 

Vers.  2.  Ciercar:  LU. 


il 


)(  287  )( 
Tu  fai,  se  ciò  mi  fai; 
Che  mi  scampi  da  morte  a  buona  fede. 
Se  peni,  lu  sarai 

Cagion  del  danno  mio,  e  perderai 
A  le  un  servidore, 
Morendo  me;  che  sai  che  tien  mio  core.        io 

CGLXXXIII. 

Che  io  d'altra  sia,  certa  sie  tu 

Di  no;  ma  sì  di  te  com'io  ma'  fu'.  t 

De,  donna,  non  pensare 

Ch'  io  per  altra  guatare 

Il  cor  le  dia,  che  sai  ch'i'  '1  die'  a  le. 

Celo  di  te  mirare 

Per  alcun  bucinare 

Che  di  cioè  sento:  un'altra  il  tiri  a  sé. 

De,  non  dottar:  de,  fidati  di  me, 

Di  quel  eh'  i'  fo;  che  '1  fo  per  senno  più.  /o 
Più  dee  guardar  la  fama 

Colui  di  donna  ch'ama 

Che  quel  disio  che  l'appetito  dà: 

Donna  che  cade  in  fama 

Vivendo  morte  chiama; 

Perchè  che  muore  ella  vivendo  sa.  46 

Non  gli  occhi  miei  ma  '1  core  in  te  si  sta, 

Ed  è  maggior  per  lór  mal  dir  virtù.  /« 

Vers.  4.  Ch'io  .  .  .  cerio:  LR. 


)(  288  )(  ■       " 

CCLXXXlV. 

Ben  di  fortuna  non  fa  ricco  altrui; 
Che  par  che  chi  più  aver  del  suo  si  prova 
Più  nudo  di  virtù  ogn'or  si  trova.  j 

Tengasi  gli  occhi  alle  cose  celeste 
E'  piedi  alle  ricchezze  fuggitive. 
Beato  chi  qua  giù  del  ciel  si  veste, 
E  guai  a  chi  per  far  pecunia  vive! 
Virtù  non  ór  fa  ricco;  e  ciò  si  scrive 
Perch' egli  é  fermo  ben:  ma  di  colui 
Tesor  può  dir  doman  —  Non  son,  ma  fui.     io 

Vers.  2.  'par  chi  in  più  aver:  R.  e  T.  suo  prova:  LR.  —  3.  gnit- 
do:  R.  e  PL.  —  4.  Tengansi:  PL.,  R.  e  T.  —  6.  /  piedi:  T.  fugitive: 
R.  e  T.  ~  8.  acciò  si:  R.  —  9.  Perchè  gli  è:  T. 

GCLXXXV. 

De  pregisi  chi  tien  di  virtù  loco, 

Ch'  ogn'  altra  cosa  è  poco 

Avendo  sanza  ciò  a  nudrir  sé.  5 

Chi  sé  seguendo  l'appetito  pasce 

D'omo  non  vita  mena, 

Perché  più  che  ragione  il  diletto  ama:  e 

Ma  que'  che  pensa  perchè  al  mondo  nasce 

La  volontà  rifrena 

In  quanto  tenga  vizio  quel  che  brama.  9 

Virtù  ciò  che  ragion  non  vuol  disama; 

Cosi  chi  aver  vuol  fama, 

Non  chi  ragion  fa  volontà  di  sé.  n 


)(  289  )( 
CCLXXXVI. 

Donna,  d'nna  pietosa  cerco  donna 

Che  'n  amor  saggia  sia, 

Per  por  la  viia  al  suo  servigio  mia.  3 

Temo  me  por  vana  donna  a  servire, 

Perchè  star  non  vi  può  amor  celato; 

Ma  fa  di  sé  e  di  chi  l'ama  dire 

Il  mal  più  tosto  assai  che  sia  pensalo.  7 

Guardo  volere  amando  esser  amato 

Da  tal  che  per  follia 

Buona  ventura  non  mi  cangi  in  ria.  io 

Vcrs.  i .  Donna,  cosi  il  LR.  Forse  è  da  correggere  Donne. 

CCLXXXVIl. 

Sol  d'un  picciol  sospir  l'anima  mia 

Conforta  in  su  '1  partire. 

Giovane,  che  reddir  non  sa  se  sia.  j 

Se  guardi  ben,  questo  partir  mi  stringe 

Si  forte  il  cor  che  di  pianger  m'induce; 

Perchè  riparo  ove  fortuna  pinge. 

None  i'  vo  dove  ella  mi  conduce.  7 

Se  per  questa  pietà  turbi  tuo'  luce. 

Ricevo!  per  gran  dono; 

Servo  ti  sto  e  sono  —  ove  eh*  i*  siia.  10 


Vers.  3.  Reddir:  così  il  LR.  Forse  dovrebbe  essere  rima  me<1ia 
come  al  v.  iO.  —  7.  dov'  ella:  LR.  —  9.  Ricevil:  LR.  Ma  non  se  no 
cavava  senso. 

49 


)(  29a  )( 

GGLXXXVIII. 

io  vo'  bene  a  chi  vuol  bene  a  me 
E  non  amo  chi  ama  propio  sé.  g 

Non  son  colui  che  per  pigliar  la  luna 
Consuma  il  tempo  suo  e  nulla  n'  à; 
Ma,  se  m' avvien  e' amor  m'incontri  d'una 
Che  mi  si  volga,  dico  —  E  tu  ti  sta  — ; 
Se  mi  fa  lima  lima,  e  io  a  lei  da  da: 
E  cosi  vivo  in  questa  pura  fé'.  s 

Com' altri  in  me,  così  mi  sto  in  altrui; 
Di  quel  eh'  i'  posso  a  chi  mi  dona  do: 
Ninno  può  dir  di  me  —  Vedi  colui 
Che  con  duo- lingue  dice  sì  e  no  — : 
Ma  fermo  a  chi  sta  fermo  sempre  sto; 
S' io  r  ò  al  bisogno  mio,  me  à  a  sé.  /4 

-  Vers.  i.  r  vo':  LR.  —  5.  m'incontro:  LR.  m'incontri  a:  T.  — 
6.  tolga:  T.  —  7.  ed  io:  T.— 8.  mi  vivo:  LR.  —  10.  cheposso:T.— 
42.  dite;  T.  —  M.  m'ha  egli  a  se:  T. 

CCLXXXIX. 

Chi  '1  dover  fa,  mal  dir  non  curi  altrui; 
Che  '1  vero  a  lungo  andare  scusa  lui.  s 

E  ben  che  '1  falso  vero  tal'  or'  paia 
Per  ragion  false  e  pronte, 
Convien  che  poco  duri-  ò 

Che  ragion  vuol  che  nel  volto  e'  si  paia 
Nel  mezzo  della  fronte 

A'  frodolenti  e  furi.  *» 

Ove  giustizia  può,  dunque  non  curi 
Falsarla  infamia  chi  à  '1  ver  con  lui.  yo 


)(  291  )( 
CCXC. 

Seguendo  il  tuo  appelilo  i'  perdo  onore — , 
Cosi  costei:  merzè,  dunque,  signore.  f 

Pon  freno  al  mio  error  prima  che  bianco 
11  tempo  faccia  il  mio  capello  e  '1  pelo 
Con  far  che  'n  quesla  il  vizio  venga  manco 
Anzi  che  pigli  benda  e  lasci  il  velo. 
Tó'ci  per  tua  piata  da  bestiai  zelo, 
Lasciando  onesto  a  ciascun  te  nel  core.  s 

Vers.  2.    Così  costar:  LR.  Ma  nel  resto  della  ballala  si  traUa 
sempre  d'una  donna.  —  6.  chi  pigli:  LR.  —  7.  T'ari;  LR. 

CCXCI. 

S'  agli  occhi  gli  occhi  piata  di  costei 
Mostran  di  me,  perchè  no  il  cor  di  lei?  i 

V  so  che  gli  occhi,  come  spie  del  core. 
Mostrando  altrui  merzè,  che  '1  fan  sentire;       4 
Per  questo  so  che  sa  il  mio  dolore: 
Da  eh'  io  mi  maraviglio  nel  languire  6 

Che  tu,  Amor,  non  fai  le  porte  aprirò, 
Sì  come  a  servo  di  piala;  che  dèi.  8 

Vers.  2.  non.-  LR. 

CCXCll. 

r  prego  ch'ogni  donna  cruda  invecchi 

E  poi  per  più  sua  pena  ogn'or  si  specchi,      i 
Che  vcggia  i  di  perduti  e  sé  condotta 


)(  292  )( 
Negli  anni  ove  natura  lei  dispetta. 
Vero  è  che  'l  tempo  ritorna  a  bell'otta 
A  chi  '1  trapassa  a  dar  quel  che  diletta:  g 

Cosi  d'ogni  una  invidia  fa  vendetta, 
Tornando  el  ben  dell'altre  a'  loro  urecchi.       8 
Se  stesse  fermo  e  non  fuggisse  il  tempo 
0  che  in  ier  si  tornasse,  ristorare 
Sé  donna  altrui  potrebbe:  ma  di  tempo 
Chi  la  potrà,  ben  ch'ella  avesse,  amare?        12 
Non  uom  per  suo  piacer:  dunque  filare 
Pensa  po' tu  che  perder  tempo  pecchi.  /4 

Vers.  8.  al  ben:  LR.  —  -12.  ben  eh'  ella  avesse:  così  chiaramente 
il  LR.  Forse  bisognerebbe  emendare:  ben  che  volesse. 

CCXCIII. 

Costei  cogli  occhi  e  co'  suo'  modi  vaghi 
M'à  fatto  servo,  e  poi  si  mostra  nova 
Ogn'or  che  '1  mio  col  suo  sguardo  si  trova.    3 

V  seguo  lei  onestamente  a  passi, 
Mostrandole  l'occulta  mia  ferita; 
E  ben  eh'  ella  ciò  veggia,  sora  stassi.  e 

Cosi,  signor,  fa  l'anima  partita, 
Se  già  col  colpo  lei  tu  a  me  non  piaghi, 
Che  s'inchini  ad  amar  sì  che  m' apaghi.         9 

Vers.  1 .  con  suoi.  MS.  —  3.  che  'l  suo  col  mio  sguardo  si  truo- 
va:  MS.,  T.  — 8.  lei  che  me:  LR.  lei  teme  non  paghi:  MS.  lei  te  me 
non  paghi:  T.  E  anch'io  ho  voluto  leggere  a  mio  modo. 


il 


)(  293  )( 
CGXCIV. 

Ninno  al  mondo  fu  nù  sarà  mai 
Gir  amore  il  contentasse  sanza  guai.  2 

E  io  più  ch'altri  in  fine  a  qui  contento 

Mi  sento  e  fermo  sto  in  su  la  rota.  4 

Temo  che  tosto  giunga  nuovo  Vento 

Che  mi  trabocchi  giù  in  su  la  mota.  6 

Fresca  mi  può  donar  di  vila  morie, 
Così  come  mi  tiene  in  gloria  a^sai.  8 

Vers.  2.  Che  .  .  ,  senza:  T.  —  3.  Ed:  T.  —  5.  nn  nuovo:  T.  — 
8.  gloria  sai:  T. 

CGXGV. 

L'anima  non  ci  può  più  dentro  stare, 
Poi  che  'n  tenuta  in  me  t'  à  messo  amore, 
Ardendo  tu  sanza  piata  il  mio  core.  3 

Veggio  che  fuor  di  mia  poca  ventura 

Altro  crudele  a  me  non  ti  può  fare:  s 

Bella  e  gentil  t'  à  prodotto  natura, 

Perch'io  ti  debba  benigna  trovare.  7 

E  tu  non  m'ami  e  a  me  ti  vedi  amare. 

Ghe  ragion  e'  è?  Son  teco  sventurato: 

Così  m'uccide  in  te  vecchio  peccato.  io 

Vers.  2.  II  LR.  legge:  Poi  rhen  tenuta  in  me  tamcsso  amore. 
Cosi  il  LR.  Che  vuol  dire?  V'è  forse  di  mezzo  un  nome  proprio?  e 
<lt»vrebl)e  leggersi  Poi  che  te.  Nula,  in  me  t'à  messo  amore,  o  simil 
cosa? 


)(  294  )( 
CGXGVI. 

Donna,  io  mi  credea  come  fedele, 
Amando  te,  da  te  esser  amato: 
Veggio  e'  altro  é,  e  cosi  son  beffato.  s 

Non  già  perchè  già  mai  t'  abbia  fallito, 
Che  sola  dir  di  me  potevi  mio,  a 

Ma  per  poca  onestà  tu  m'  ài  tradito. 
Tenendo  altrove  fuor  di  me  il  disio.  7 

Or  ti  riman',  eh'  a  te  più  non  pens'  io; 
Che  corpo  senza  il  cor  non  è  pregiato: 
E  tengati  colui  a  cui  1'  ài  dato.  10 

GGXGVII. 

Fuggimi  da  colei  negli  occhi  d'una 

Ghe  tradito  m'  avea;  là  ove  preso 

Son  si  che  nel  cor  porto  un  foco  acceso.        3 
Ghe  vai,  signor,  ch'i'  sia  da  quella  sciolto, 

Poi  che  tu  m'  ài  in  quest'  altra  legato?  s 

S' eli'  era  disleal,  costei  è  molto 

Grudel  verso  il  disio  che  m'  à  tirato.  7 

Gosì  mi  truovo  due  volte  pigliato 

Gon  inganno,  al  mio  creder,  di  ciascuna, 

Se  'n  questa  non  mi  megliora  fortuna.  io 

GGXGVIII. 

Golui  può  dir  e' a  sé  sé  porge  pena. 

Fuggito  amor,  se  poi  vi  si  rimcna.  2 


I 


)(  205  )( 

V  credo  che  ciascun  che  pigli  l'amo 
Del  piacer  d'una,  a  quel  piacer  sì  stia: 
Chi  più  ne  cerca  e  dichi  a  quella  —  l' t'amo,  — 
Se  '1  crede,  mostra  palese  follia.  6 

Per  questo  a  me  rimango,  e  tuo  ti  sia 
Chi  pensa  le  tenere  in  sua  balia.  s 

Vers.  7.  tu  ti  sia:  LR. 

CGXCIX. 

Niun  si  fidi,  perchè  spesso  avvènc 

Che  chi  si  fida  troppo  non  fa  bene.  ? 

Non  si  Iruova  oggi  lealtà  né  fé'. 

Però  ch'ogni  un  procura  al  peggio  fare:  4 

Tenuto  è  il  più  sapulo  in  buona  fé' 

Que'  che  più  sottilmente  sa  ingannare:  '   s 

Onde  per  questo  non  si  può  fidare 

L'un  dell'altro  oggi,  che  fé'  non  si  tene,        « 

Vers.  5.  Tenuto  il:   LR.  Ho  ìaggiunto  l'è. 

ecc. 

Nel  mondo  no'  mi  par  che  s'usi  più 

Rendere  onore  a  uom  c'abbia  virtù.  i 

Solca  ogni  virtù  esser  madonna 

E  governare  il  mondo  in  vera  pace:  4 

Or  chi  di  vizii  à  più  piena  la  gonna 

Tenuto  è  in  fra  gli  altri  più  verace,  e 

Dicendo  —  Vedi  e' a  costui  non  piace 

11  viso  d'Aristotil  ch'era  un  bu'.  s 


)(296)( 
CCCI. 

• 

Chi  vuol  far  falli  non  dica  parole, 

Stringa  la  bocca  e  lassi  dir  chi  vuole.  2 

Che  monta  a  dir  parole  e  non  far  fatti? 
Che  spesse  volte  avien  che  n'  è  pentuto. 
E  questo  incontra  spesse  volle  a'  malli, 
Che  quando  parlan  troppo  é  conosciuto: 
E  però  il  savio  sta  come  saputo 
E  sempre  pensa  a  quel  che  'I  suo  cuor  vuole.  8 

Non  in  male  operar  de  far  tal  prova 
Né  vizi  rei,  che  '1  fine  gesta  caro. 
Ma  con  virtù  che  lo  'ntelletto  mova 
E  buone  operazioni  el  gusto  amaro. 
E  nel  ben  far  non  esser  mai  avaro. 
Fuggendo  quel  che  pe'  più  usar  si  suole.       -/4 

Vers.  2.  lasrA:  T.  —  8.  sempre  ha:  T.  —  U.  l'intelletto:  T.  — 
42.  Manca  in  T.;  ma  non  era  un  gran  peccato,  che  non  si  racca- 
pezza nulla  di  più. 

CCCII. 

r  sono  un  pipistrel  che  vo  gridando 
Qi  QÌ  di  notte  intorno  a  una  lana, 
Aspettando  gi  qì  con  voce  piana.  3 

QÌ  ci  non  viene;  ed  io  non  so  che  farmi, 
E  volo  in  giù  e  in  su  qì  qì  chiamando 
Tanto  che  l'alba  si  viene  appressando.  6 

0  me,  0  me!  sogn'io  o  vo  sognando? 
Qi  qì  rispuose  —  Entra  — ,  e  fé'  entrarmi 
Ov'io  più  amo,  e  sto  con  dolce  lana.  9 


I 


LI  BEO     X. 

MADRIALI  E  BALLATE  D'ALESSO  DI  GUIDO  DONATI 

E 

DI  BINDO  D'ALESSO  DONATI 


Le  poesìe  di  Alesso  Donati  contenute  in  questo  libro  si  leggono 
tutte  nel  cod.  magliab.  vii  var.  624  cart.  in  4."  del  sec.  xv.  Sei,  e 
propriamente  le  numerate  da  me  cecili,  cccvii-ix,  cccxviii,  cccxxi, 
erano  già  stale  pubblic.  dal  Triiccbi  in  Poes.  ital.  ined.  i.  2u4  e  segg. 
E  il  Trucchi  registra  Alesso  Donati  fra  i  rimatori  del  duecento,  tratto 
per  avventura  in  inganno  da  un  sonetto  variato  di  endecasillabi  ed 
ettasillabi  che  sotto  il  nome  di  lui  riporta  il  Crescimbeni  dal  cod. 
chig.  580,  foglio  680,  nei  Coment,  intorno  all'ist.  della  volg.  poes.  vol.I, 
lib.  II,  cap.  XVI.  Quel  sonetto  e  per  la  versificazione  e  per  la  lingua  e 
Io  stile  è  indubitatamente  poesia  del  sec.  xiii.  iMa  queste  presenti 
rime,  o  ch'io  non  intendo  nulla  delle  varietà  dello  stile  e  della  ma- 
niera nei  varii  tempi,  o  che  sono  del  sec.  xiv  cadente  :  e  spero  che 
ognuno  il  quale  abbia  pur  lette  con  un  po'  d'attenzione  ne'  prece- 
denti libri  le  ballate  e  i  madrigali  del  Sacchetti  e  del  Soldanieri  mi 
darà  ragione.  E  già,  per  quanto  io  abbia  cercato  e  domandato  a 
uomini  eruditi  e  competenti,  né  Alessi  né  Dindi  appariscono  nella 
famiglia  Donati  nei  sec.  xiii.  Né  Bindi  ho  detto:  perchè  anche  di 
Bindo  sì  vorrebbe  fare  un  rimatore  duecentista.  Ma  la  ballata  dì  lui 
che  io  riporto  sotto  il  num.  cccxxvi,  già  pubblicata  dal  Crescimbeni 
di  su  1  cit.  cod.  chig.  foglio  776  ne'  Coment,  voi.  II,  par.  II,  lil).  II, 
§  e,  e  quindi  riprodotta  ne' Poeti  del  primo  sec.  della  lingua,  Firenze, 
48<6,  II,  243,  pareva  già  al  Crescimbeni  troppo  squisita  per  un  dugen- 
tista:  «essendo  la  maniera  di  questo  rimatore,  egli  dice,  assai  tersa 
gentile  dolce  e  leggiadra,  per  non  dire  che  egli  facesse  la  strada  a  Cino 


)(  298  )( 

da  Pistoia  che  universalmente  viene  acclamato  per  trovatore  di  quel- 
la, bisogna  che  lo  facciamo  suo  seguace,  ponendolo  nel  chiudersi  del 
sec.  XIII  ».  Meglio  vide  il  Trucchi,  il  quale  riportando  la  ballata  di  Bindo 
di  Alesso  Donati  nelle  notizie  di  esso  Alesso,  scrive:  «  Esaminando  il 
madrigale  [*  ballata  dovea  dire]  di  Bindo  di  Alesso  Donati  che  si  dice 
fiorisse  del  4270  ['cotesta  età  gli  assegnano  gli  edd.  de'  poeti  antichi 
del  48-16],  è  facile  il  riconoscere  che  quella  poesia  non  può  essere  di 
quel  tempo  né  di  quel  secolo;  ma  si  può  veder  in  que'  pochi  versi 
tutto  il  fare  largo  e  maestoso  e  splendido  de'  migliori  trecentisti.  Mi 
conferma  in  questa  opinione  l'aver  veduta  questa  ballata,  benché 
senza  nome  di  autore,  nel  cod.  535  della  Bibliot.  nazion.  di  Francia, 
messa  in  musica  colle  note  musicali  a  tre  voci  dal  maestro  Fran- 
cesco degli  Organi  di  Firenze  che  fioriva  su  'I  finir  del  trecento  ».  E 
anch'io  l'ho  veduta  nel  magi,  vii,  var.  1041  già  strozz.  pur  senza 
nome  d'autore  e  diètro  a  due  altre  di  Francesco  degli  Organi.  Del 
resto  io  accetto  volontieri  come  rimatore  anche  Bindo  di  Alesso,  ma, 
insieme  con  suo  padre,  come  rimatore  trecentista  degli  anni  più 
bassi.  Lo  scrittore  del  cod.  chig.  può  avere  errato  attribuendo  ad 
Alesso  quel  sonetto  variato  che  certo  è  del  duecento  e  confondendo 
rime  d'altri  fra  le  sue.-  può  aver  errato  il  Crescimbeni  pigliando 
come  di  Alesso  o  di  Bindo  altre  rime  che  seguitavan  d'appresso 
alle  loro.  Tornando  a  noi,  per  la  ballata  di  Bindo  ho  dunque  tre 
testi;  quel  del  Crescimbeni  [C],  quel  del  Trucchi  [T]  e  '1  cod.  strozz. 
magi.  [  MS.  ]:  pe'  componimenti  d'Alesso  non  ho  pur  troppo  che  il 
magi.  VII.  624.  [M.]  di  copista  plebeo:  né  ripara  gran  fatto  il  Truc- 
chi fT,]  per  quei  pochi  che  ne  die  fuori  nella  sua  raccolta. 

cecili. 

La  dura  corda  e  '1  vel  bruno  e  la  tonica 

Gittar  voglio  e  lo  scapolo 

Che  mi  tien  qui  rinchiusa  e  fammi  monica; 

Poi  teco  a  guisa  d'assetato  giovane, 

Non  già  che  si  sobarcoli, 

Venir  me  'n  voglio  ove  fortuna  piovane:  6 

E  son  contenta  star  per  serva  e  cuoca, 

Che  men  mi  cocerò  eh'  ora  mi  cuoca.  8 


Vers.  5.  Manca  nel  T.  —  7-8.  quoqua-.  M. 


)(  200  )( 

CCCIV. 

Ellera  non  s'awilola 
Più  stretta  verzicando  ad  alcun  albero 
Gli' a  me  tremando  fé'  la  bella  zitola, 
Pian  pian  —  Che  fo?  — dicendomi  — 
r  sento  sbadigliar  la  madre  vetula: 
Fo  vista  di  dormire  e  teco  stendomi.  — 

—  Abbracciànci,  risposile: 
E,  s'  ella  ci  ode  e  grida,  fuor  cacciamola.  —  8 

E  ciò  dicendo  volto  a  volto  puosile, 

E  colsi  frutto  del  su'  orto  giovane.  io 

Vers.  4.  savittola:  M.  —  5.  vettula-.  M.  —  6.  o  teco:  M. 


CCGV. 

Accese  montanine  che  portate 
Con  voi  d'amor  sembianza  e  atti  gai, 
De  la  via  mia  smarrita  m'insegnate. 
Venga,  che  fie  merzè,  l'  una  di  vui 
Tanto  ch'i'  torni  al  mio  dritto  cammino; 
Che  già  mai  'n  queste  parti  più  non  fui.   —     6 

L'una  si  mosse  sospirando  meco, 
E  io  con  boci  sollazando  seco.  8 

Vers.    4.  voi:  C.  Ho  corretto  per  amor  della  rima.  —  8.  Cosi 
legge  il  M.  Meglio  baci,  e  meglio  davvero. 


lOO  )( 


GGGVI 


Cercando  d'un  cespuglio  calcatreppì, 
Due  pargolette  alzate  alla  rifonda 
Viddi  in  un  bosco  fondo,  in  fronda  fronda. 

Rideva  l'una  sovra  il  bel  cespuglio; 


L' altra 


;tridia, 


a  gran  boci  subito  st 
Perchè  saltando  fuor  un  gril  n'uscia. 

Ond'  io  che  tra  le  foglie  mi  celava, 
Pel  vago  e  pauroso  suon  ridendo, 
Mi  fé'  palese  ov'era  nascondendo: 

E  da  lor  ricevuto  in  compagnia 
Cosa  senti'  eh'  i'  canto  tutta  via. 


H 


Vers.  \.  Quando  d'un:  M.  M'è  parso  dover  correggere:  e  fra  le 
ipotetiche  correzioni  la  più  probabile  mi  parve  Cercando.  —  3.  bosco 
fronda:  M.  E  forse  sareblje  anche  da  correggere  in  fonda  fronda. — 
5.  stridea:  M.  Ho  corretto  per  la  rima. 


CCGVII. 

In  pena  vivo  qui  sola  soletta 
Giovin  rinchiusa  dalla  madre  mia. 
La  qual  mi  guarda  con  gran  gelosia. 
Ma  io  le  giuro  alla  croce  di  Dio 
Che,  s'ella  mi  terrà  qui  più  serrata. 
Ch'i'  dirò  —  Fa'  con  Dio,  vecchia  arrabiata 

E  gitterò  la  rocca  il  fuso  e  l'ago, 

Amor,  fuggendo  a  te  di  cui  m'appago 


Vers.  4.  de  Dio:  T.  —  5.  S'ella  mi  terrà  inìi  sola  serrala:  T. 


)(  301  )( 
GCCVIII. 

Di  rietro  a  un  volpon  che  se  n'  portava 

Una  pollastra  bianca 

Venie  correndo  una  forese  stanca, 
—  Piglia  la  putta  fui',  piglia  —  dicendo 

Tanto  piacevolmente, 

Gh'  i'  preso  fu'  di  lei  subitamente. 

E  con  un  fiero  veltro  ch'avie  meco 

Mossi  gli  passi  miei, 
*  Pigliando  insieme  Io  volpone  e  lei. 
La  volpe  il  pollo,  e  '1  can  la  volpe  s'abbia: 

C'avendo  te  non  veggio  chi  megli'  abbia.         ii 

Verso  1.  Diretro:  T.—  3.  Venia:  T.  —  4.  futa:  M.Ho  eliso  Va  per 
amor  del  verso,  come  va  fatto  sempre  in  simili  casi.  II  Trucchi  non 
intende  nulla,  e  stampa:  Piglia,  la  putta',  fra  via,  piglia,  direndo. 
Che  orecchi!  —  6.  da  lei:  T.  —  8.  li  passi:  T.—  iL  avendo  io  te:  T. 

CCGIX. 

De  vattene  oggimai,  ma  pianamente, 

Amor;  per  dio,  sì  piano 

Che  non  ti  senta  il  mal  vecchio  villano. 

Ch'egli  sta  sentecchioso,  e,  se  pur  sente 

Ch'  i'  die  nel  letto  volta, 

Temendo  abbraccia  me  no  gli  sie  tolta. 
Che  tristo  faccia  Iddio  chi  gli  m'  à  data 

E  chi  spera  'n  villan  buona  derrata  8 

Vcrs.  3,  il  vecchio:  T.  —  6.  non:  T.  —  7.  me  gli  ha:  T. 


)(  302  )( 
GGGX. 

Di  fiori  e  d'erbe  inghirlandata  e  cinta 

Alzata  in  sottanel  una  forese 

Me  uccellando  prese 

Si  strettamente,  eh'  i'  non  so  né  posso 

Partir  dalla  beli'  alpe  ove  m'  à  seco 

Ruzzando  spesso  meco,  6 

Ma  stemmi  con  amore 

Mutato  qui  da  Circe  in  un  pastore.  8 

CCCXI. 

r  mi  son  qui  selvaggia  pasturella 
Che  tendo  in  queste  selve  reti  al  varco, 
Come  colei  che  volentieri  uccella.  s 

Altrove  son  figliuola  d'un  de' conti, 
E  'n  mie'  compagna  son  più  damigelle 
Con  grossi  uccelli  e  can  per  gli  alti  monti. 
Se  ti  piacesse  in  me  cogliere  il  fiore, 
Apparecchiata  son,  come  colei 
Che  certamente  t'à  donato  il  core.  —  9 

r,  ciò  sentendo,  a  volo  un  mio  sparviero 
Presto  gittai,  e  divenni  maniero,  14 

CCGXII. 

Con  lieve  pie,  come  la  pecorella 
Timida  fugge  il  lupo  al  suo  pastore. 
Me  alla  madre  fugge  pasturella.  5 

Seguival'  io,  dicendo  umilmente 


)(  303  )( 

—  0  me  !  r  umido  pie  percolerai, 
S'alquartlo  tu  non  vai  —  più  pianamente .  —     6 

Ella  pur  si  fuggìa,  in  fin  die  presa 

Fu  da  un  pruno  e  d'amor  meco  accesa.  « 

CCCXIII. 

Di  nuova  e  bella  età  duo  monlon  vaghi 

La  paslurella  a  cozzarsi  invitava, 

E'I  vincitor  di  fronda  inghirlandava.  5 

Pigliava  per  la  coda  l'un,  dicendo 

—  Cozza,  Biondol,  che  Goderin  t'aspetta  — , 
Dolce  parlando  vezzosa  e  vaghetla: 

Tanto  che  ciò  guardando  i'  eh'  era  freddo 

Di  subito  senti'  1'  anima  calda 

E  fonder  com'  al  sol  fa  bianca  falda. 

E  così  calda  calda  amor  la  serva.  io 

Vers.  9.  E  fondar-.  M.  —  -IO.  ealda  mor:  M. 

CCGXIV. 

Cogliendo  in  una  grotta  raperonzoli 

Una  forese,  e  io  la  salutai, 

Ed  ella  mi  rispose  —  Va,  che  sbonzoli  !  —  5 
Udendo  sua  risposta  sì  salvatica. 

Ch'i'  mi  puosi  a  seder  rimpetto  ad  ella 

E  ragionai  con  lei  di  nuova  pratica.  e 

iTn  rapcronzol  mi  die  sanza  foglie, 

Che  mi  chetòe  tutte  le  mie  voglie.  8 

Vers.  <.  raparonziolù.  M. 


)(  304  )( 
GCGXV. 

Dò  or  volesse  Idio  ch'i'  fossi  donna, 

Acciò  che  io  madonna 

Potesse  sempre  star  mirando  fiso  !  s 

De,  che  non  m'adivene 

Com' a  Tiresia  che  mutò  sembiante? 

Che,  là  ov'i'ò  pene 

Avre'  riposo  ed  allegrezze  tante. 

Amor,  cosi  pesante  —  m'è  tua  voglia, 

Che  la  mia  tutta  à  voglia 

Di  quel  e'  ognun  volere  sta  diviso,  io 

Vers.  9-10.  Così  il  M.    Potrebbe  intendersi:  Che  tutta  la  voglia 
mia  à  voglia  di  quel  che  sta  diviso  dal  volere  d'ognuno:  o  simil  cosa. 

cbcxvi. 

Amor,  della  mia  morte  a  te  do  carico, 
Poi  se'  cagion  del  male  ond'io  son  carico.        s 

Tu  se'  cagione  e  que'  e' a  fine  menimi, 
Però  e'  a  donna  tal  sugetto  destimi 
Che  mai  non  seppe,  ah  me!,  che  pietà  fossesi. 
Or  è  lungata:  e  tu  l'ardor  non  menomi 
Che  mi  consuma,  anzi  ad  amar  più  destimi; 
Ond'  i'ò  pena,  e  penso  mai  non  fossesi. 

La  qual  mi  tira  vinto  a  mortai  varico, 
Onde  con  morte  e  con  blasmarti  varico.  io 

GCCXVIl'. 

Che  ci  rilieva.  Amor,  l'affatigare? 
C'ogn'ora  è  questa  bella 


)(  305  )( 

A  te  più  lungi  e  a  me  ribella.  3 

Certo  a  te  torna  a  casa  in  onore 

E  a  me  torfia  a  danno: 

Onde  resliam  come  li  savi  Ianni» 

Dclli  principi  loro 

Quand'a  lor  mal  li  veggion  ritornare. 

E  tu  alla  tua  stella 

Ritorna,  e  me  dal  fren  togli  e  dissella.  io 

Questo  non  dico  già  perchè  mi  pesi 

Lo  tuo  diletto  peso, 

Che  sempre  mal  l'amai  e  amo  acceso: 

Anzi,  mi  piace  tanto  il  tuo  affare, 

Che,  se  la  presta  e  snella 

Mie'  mente  ad  altra  volgi,  ecce  tua  ancella.     16 

Vers.  4.  a  casa  n  onore:  C.  Ma  che  vuol  dire?  —  10.  distella:  C. 

CCCXVIIl. 

Da  poi  e'  ogni  speranza  m'  è  fallita 

E  altro  in  vita  —  non  truovo  che  morte, 

Ben  che  sia  cosa  forte. 

Cercare  in  morte  —  voglio  omai  la  vita.  4 

Fallita  m'è  ogni  speranza,  poi 

Che'n  voi  —  guerra,  non  pace,  donna,  acquisto 

Promessami  in  amore. 

Dolore  —  i'  truovo  e  morte  in  vita,  poi 

Che  'n  voi,  —  servendo,  ogn'ora  men  acquisto 

E  più  monto  in  amore. 

Vo'  con  dolore  —  in  morte  cercar  vita, 

Vers.  7.  Permessami:  C.  Il  T.  corregge  Promessomi:  meglio 
Promessami,  che  si  può  riferirò  a  pace  del  verso  anteccd.  —  10-14 
Mancano  nel  T.  —  11.  rcar  vita:  C. 

20 


« 

)(  306  )K 
Perch'è  fallita  —  l'anima  per  morte. 
Ben  che  sia. cosa  forte, 
Vita  avrò  in  morte  —  che  non  Tie  fallita.         m 

Vers.  14.  avrà-.  C. 

GCGXIX. 

Di  te  son  servidor:  dunque,  signore 
Amor  della  mie'  vita, 
Conforta  l'alma  dentro  sbigottita, 
Si  ch'abbia  pace  il  core.  4 

Questo  se  fai,  signore,  onor  li  fia: 
Che  scampar  vero  servo  a  signoria 
Sempre  torna  ad  onore: 
E  io  pur  vero  son  di  te  suggetto, 
E  tu  sempre  sedesti  nel  mio  petto,    ' 
Si  come  possessore, 
*     Guida  del  mie'  dolore.  n 

GGGXX. 

Tanto  più  guardo  voi,  più  bella  sete, 

E  cosi,  donna,  avete, 

Ghe  la  mostrate  in  voi,  maggior  durezza.  5 

Ond'io  veggio  mie' morte: 

Però  che  la  bellezza  più  m'accende 

E  la  durezza  più  mi  dà  dolore; 

Ghè  ciascun  per  sé  forte 

E  di  poter  disfar  me  servo  forte; 

11  qual  dolce  e  umil  non  si  difende. 

Anzi  si  stende  —  alla  pena  che  'l  tene. 

Gosi,  s'a  voi  non  vene 

Di  lui  pietà,  morrà  con  istanchezza.  n 


^ 


)(  f]07  )( 

Dò,  come  solTeris'  tu  farti  fura, 

Morte  crudele,  disfatta  figura?  3 

Non  ti  tolse  pielade 

L'antica  forza,  riguardando  lei? 

Non  li  commosse,  omei  ! , 

Sua  gtan  bellezza  cinta  d'onestade? 

Ma  che!  crudel  se'  tanto  per  natura 

Che  mai  pietà  non  torse  tua  puntura.  8 

Così  fus'  tu  pietosa,  • 

Che  questa  arebbe  vita  o  morte  i'  seco! 

Morte,  i'  ragiono  teco; 

E  però  il  ragionar  non  mi  dà  posa: 

Ma  ciò  che'l  ciel  conterrà  mi  dà  cura, 

Lasso!,  di  farmi  tosto  tua  fattura.  /4 

E  ènne  tal  disio. 

Po'  che  se'  stata  in  questa  donna  mia.   , 

Che,  s'a  me  fatta  pia 

Non  vien'  tostana,  a  te  verrò  tost'io, 

E,  per  trovarti,  in  cosa  tanto  dura 

Mi  gitterò  che  tu  n'avrà'  paura.  so 

Vers.  9.  Questa  e  la  seg.  stanza  nel  cod.  appariscono  staccalo 
dalla  prima  come  un  componimento  a  sé;  tanto  che  il  T.  pubblica 
di  fatto  la  prima  stanza  come  una  sola  ballata.  —40.  averebbezC.  — 
42.  in  ragionar:  C.  —  43.  con  terra:  C. 

CGCXXll. 

Giovane,  tanto  temo 

Di  venire  allo  stremo 

Di  vita,  ch'i'  rifuggio  a  le  per  posa.  J 

E  dolcemente  pricgo 


)(  308  )( 

La  tua  vera  pietate, 

Ch'ai  mostrar  crudeltate 

Si  metta  tutta  al  ni  ego; 

Che  però  priego  —  a  morte, 

Tanto  mi  noia  forte 

Veder  nel  viso  tua  vista  noiosa.  4o 

CCCXXIIl. 

Per  gli  occhi  al  core  spesso  fa  camino 

Un  pian  pensier  d'amore 

A  guisa  di  riposo  pellegrino.  3 

E  quand'é  dentro  sua  pianezza  sveste 

E  mette  foco  nel  mie'  manco  lato 

Sì  fatto  eh'  a  me'  vita  dà  tempeste: 

E  però  vo  cotanto  consumato, 

Donne  piatose;  e,  s'i'non  sono  alato, 

Per  la  cocente  fiamma 

,  andrò  al  dichino.       /o 

Aiuto  mi  sarebbe  che  colei, 

Da'  cu'  begli  occhi  a'  mie'  prendea  viaggio. 

Ponesse  fine  agli  tormenti  miei. 

Che  n'à  potenza;  ov'io  possa  non  aggio, 

Ma  son  si  vinto  che  qui  là  qua  caggio, 

E  vo  com'  uom  che  passa 

Da  vita  lassa  —  e  da  notte  al  mattina.  i7 

Vers.  4.  quando  dentro:  C.  —  5.  ne  mie:  C.  —  <0.  Di  questo  v. 
nel  C.  è  fatto  tutt'uno  con  l'antecedente.  Ma  si  vede  bene  che  manca 
il  primo  emistichio,  il  quale  può  aver  sonato  press'  a  poco  così:  Che 
sì  m' infiamma,  me  n' . . . .  —  12.  prendean:  C. 

CCCXXIV. 

De,  se  madonna  fosse, 
Quant'è  crudel,  pietosa, 

Vers.  4-2.  Nei  C.  è  tutt'  un  verso. 


)(  300  )( 

Avrebbe  il  mondo  tanta  cara  cosa?  J 

No  cerlamente:  cbè  Té  tutta  bella, 
Gentile,  onesta,  e  di  virtù  colonna: 
Gli  occhi  suo'  lucon  co' la  grande  stella 
Che  radiando  ogni  vapor  scolonna. 
E  fatto  e  dato  in  carri 
Così  con  penne  varri. 
Ballata,  a  digliel  de  non  prendei*  posa.  io 

Vers.  8-9.  Così  il  C.  È,  non  è:  indovinati  quel  che  gli  è. 

CGCXXV. 

Da  poi  eh'  amor  più  volte  m'à  fallito 
E  ch'i'  trovar  non  posso  donrìa  in  fede, 
Disposto  al  tutto  son  farmi  remito;  > 

Sì  che,  rimoto  stando,  in  aspri  loci 
Folli  silvestri  solilarii  e  duri. 
Ove  veder  non  possa  donna  mai. 

Mi  posi,  Iddio  lodando  ad  alte  voci. 
Lui  eh' è  pace  perfetta,  e  più  non  curi 
Di  donne  né  d'amor  eh' è  pien  di  guai; 

Le  quali  pur  veggendo,  o  lasso  I,  assai 
Si  scherme  l'uom  colla  mano  e  col  dito 
Che  per  amor  non  sia  tal' or  ferito.  12 

Vers.  2.  Forse  sarebbe  da  correggere:  in  donna  fede.  —3.  Dispo- 
sto sono  al  tutto:  C. 

CCCXXVI. 

BiNDO  d' Alesso  Donati 

Non  avrà  mai  pietà  questa  mia  donna, 
Se  tu  non  fai,  Amore, 


)(  310  )( 
Ch'ella  sia  certa  del  mio  gran  dolore. 

S'ella  sapesse  quanta  pena  porlo 
Per  onestà  celata  nella  mente 
Sol  per  la  suo'  bellezza,  che  conforto 
Altro  non  prende  l'anima  dolente,  7 

Forse  sarebbon  da  lei  in  me  spente 
Le  fiamme  che  nel  core 
Di  giorno  ih  giorno  mi  accresce  il  dolore.       io 

Vers.   6.  sua  bellezza:   C,   T.   —  8.  da   lei  sarebbero:  T.    — 
40.  acresca:  MS. 


L 1  mi  0  XI. 

BALLATE    K'MADIIlALf    DI    VAIlll 


CCCXXVIl. 
Conte  Ricciardo  da  Dattifolle. 

Dal  cod.  <289,  e.  173  v.,  della  Bibl.  univers.  di  Bologna  cart.  in 
i.^  del  sec.  xvi;  ov'  è  inlitol.  Ballala  del  conte  Ricciardo,  con  una 
postilla  o  non  vestita  » . 

Amor,  tu  fieri  e  san',  come  ti  piace; 

A  molli  dcài  tormenti,  a  pochi  pace.  s 

Tu  cieco  nudo  corri  e  disfrenalo, 
E  col  tuo  arco  qual  s' avien  saelli. 
Nessun  li  può  fuggir,  che  se'  alalo: 
Giovane  e  puro  ijicrccde  impromoUi. 
Dò  fa,  signor,  ch'i'  sia  de'  tuoi  diiclli, 
E  sana  il  colpo  che  mia  vita  sface.  s 

CCCXXVllI. 
M.  Taddeo  de'  Pepoli. 

È  in  un  cod.  nìembran.  «r  scritto,  a  quanto  pare,  sul  finire  del 
sec.  XIV  da  un  menante  bolognese»:  cosi  il  cav.  Giov.  Ghinassi, 
del  quale  è  il  cod.  Ed  egli  la  pubblicò  insieme  ad  altre  cose  in  un 
liiscicoletto  di  8  pagg.  [Faenza,  Conti,  IsGi]  per  nozze  Loiela- 
Zamltrini.  La  ballata  è  nel  cod.  accompagnata  da  questa  notizia 
«  Verba  Domini  Tadci  Do  nini  Joannis  De  Pei>olis  rum  crai  in  castro 


)(  312  )( 

Planorii  de  mense  aprilis  MCCCLXX VII .  Il  eh.  editore  annota:  «se 
Taddeo  de'PepoIi  è  chiaro  per  la  parte  ch'ebbe  nelle  vicende  della 
sua  patria,  per  ia  prima  volta  qui  ne  si  mostra  gentil  poeta;  quando 
non  sia  che  altri  così  parlasse  in  suo  nome  ».. 

Or  sia  che  può  e  sia  corno  a  voi  piace, 

Che  sol  di  voi  serò  servo  verace.  g 

Vostre  parole  altiere  e  aspra  vista 
Remover  non  potran  mia  fede  pura. 
Io  certo  son  eh' a  gran  pena  s'acquista 
Stato  diletto  e  mutase  in  altura: 
Ma  pur  più  volte  vince  chi  la  dura, 
E  d'aspra  guerra  si  fa  bona  pace.  s 

GGCXXIX. 
Matteo  di  Landozzo  degli  Albizzi. 

Dal  cod.  ricc.  HOO,  e.  44;  onde  la  pubbl.  il  Trucchi  in  Poes.  ital. 
ined.  H,  U5. 

Dò,  discacciate,  donne,  ogni  paura 

Da  vostra  mente  vile, 

Mentre  che  siete  in  tempo  giovenile.  3 

11  dolze  tempo  che  per  voi  si  pei^de 

Già  mai  non  si  racquista. 

Perchè  non  torna  giovinezza  mai. 

E  voi,  donne,  che  siete  in  età  verde, 

Questa  temenza  trista 

Lasciate,  che  vi  dà  tormento  assai. 

Però  seguite,  giovin  donne,  omai 

D'amore  il  dolce  stile; 

Che  mai  viltà  non  fu  in  cor  gentile.  i3 

Vers.  1.  o  donne:  T.—  2.  Di:  T.  —  3.  in  mente  giovanile:  T. 


)(  313  )( 

cccxxx 

Messer  Gregorio  Calonista  da  Firenze. 

Dal  ricc.  HOOc.67.  La  pubbl.  primo  il  Lami  nel  Calai,  codd.  mss. 
ricc,  pag.  223;  poi  il  Trucchi  in  Poes.  ital.  it\ed.  II.,  U7.  È  anche  nel 
codice  di  musica,  palai,  laurcnz.  87  e.  50  r.,  ma  solo  i  primi  7  w., 
con  altre  musicate  da  mess.  Gregorio. 

Sento  d'amor  la  fiamma  e  '1  gran  podere, 

E  veggio  che  temere 

Non  si  convien  chi  vuol  vincer  la  prova.         .> 
Ma  se  fiereza  in  questa  ogn'or  si  trova, 

De  che  farò? 

r  te  '1  dirò. 

Perseverando  vincerò  la  guerra. 

Non  fu  d'amor  già  mai  donna  sì  nova. 

Che,  s' i'  vorrò 

E  seguirò. 

Con  suo'  potenza  Amor  nolla  disserra. 

Non  sia  però  1'  ardir  centra  '1  dovere: 

Anzi  si  vuol  calere 

Che  sdegno  di  pietà  nolla  rimova.  U 

■  Vers.  2.  che  'h  T.—  5-6.  UT.  li  rifa  a  suo  modo:  Che  dessi  far? 
i' te  'Ivo  dire.  —  iO.  Eseguirò:  L.  II  T.  rifa  anche  questi:  Che  s' e 
vorrà  seguire.  —  41.  sua:  T.  non  la:  L.  e  T. 

CCCXXXI. 
Fr.vncesco  di  Tura  da  Firenze. 

Dal  riccard.  <100,  e.  67.  r.,  onde  primo  lo  pubblicò  il  Lami  nel 
Calai,  mss.  ricc.  pag.  iOi. 

Ninno  aspelli  il  tem{)u  (lu.uido  l'à; 

Che  tardi  poi  forse  ritornerà,  2 

Né  mai  l'animo  tuo  riprenderalli 

E  non  potrai  aver  pena: 


)(  31-4  )( 

Com'io,  lasso!,  ch'og'n'or  di  morie  ò  (ratti, 

E  mancami  ogni  vena, 

Quando  penso  che  tempo  i'  ebbi  e  lena 

E  no  '1  presi  pensando  —  E'  riverrà  .  h 

V.  7.  tempo  ebbi-.  C. 

CCCXXXIl 
Ser  Durante  da  San  Miniato. 

sta  col  nome  di  Ser  Durante  e  con  l'intitolazione  di  ballata  a 
carte  27  v.  del  ricc.  4100  e  senza  nome  a  e.  52.  v.  dello  strozz. 
magliab.vii.  '104'!.  L'avea  già  pubbl.  colla  denominazione  di  madriale 
e  fra  le  Rime  di  m.  G.  Boccaccio  [Livorno,  -1802,  pag.  59]  il  Baldelli 
di  su  le  copie  di  rime  antiche  del  Moùcke  che  ora  si  conservano  nella 
Comunale  di  Lucca.  Ma  anche  per  lo  stile  non  la  crederei  del 
Boccaccio. 

Né  morte  né  amor,  tempo  né  stato 
Né  vostra  crudeltà  potrien  far  eh'  io 
Altra  donna  mettessi  nel  cor  mio.  s 

j  Ne'  primi  tempi  di  mie'  giovinezza, 
Com'amor  volse,  donna,  .vostro  fui: 
E^  s'io  mostrai  d'altra  aver  vaghezza, 
Fecil  per  tór  di  noi  'l  mal  dir  altrui: 
Ond'  io  vi  giuro,  solo  per  colui 
Le  cui  saette  non  curate  un  fio. 
Ch'altra  che  voi  di  me  non  può  dir  mio.      i5 

Vers.  4.  Negli  anni  primi  di  mia:  SM,  B.  —  6.  Se  poi  mostrai: 
B.  Se  poi  mostrai  d'  altro  amor:  SM.  — 7.  Ver  tór  di  noi  il  mormorar 
altrui:  SM,  B.  —  8.  Donna,  Vho  fatto,  e  giuro  per  colui:  B,  SM.  — 
40.  Ch'  altri  di  voi,  di  me:  B.  Ch'altri  che  voi:  SM. 

CCGXXXIII. 

Stefano  di  Gino  merci.uo. 

Dal  cod.  red.  i51,  e.  80.  v.,  ov'è  intitolato  madriale:  lo  pubbl 
il  Trucchi  in  Poes.  ital.  ined.  II,  416.  È  anche  nel  cod.  535  della  Bi- 
blioteca imperiale  di  Parigi,  con  la  musica  di  un  Ser  Niccolò  . 


)(  ^M5  )( 
Non  dispregiar  virlù,  ricco  villano, 

Né  perder  tempo  a  vincerla  con  oro; 

Che  pur  sua  fama  passa  ogni  tesoro.'  t 

De  pensa  ciii  tu  se'!  Se  mai  Ibrluna 

Rota  volgendo  dell'aver  ti  spoglia, 

A  che  ricorrerai  se  non  a  doglia?  e 

Però  non  biasimar;  che  '1  ver  sì  trova 

Che  pure  al  fin  dimostra  la  sua  prova.  8 

V.  2.  temp'  a:  P.  —  3.  suo'  fama  pass' ogni:  P.  —  8.  ti  fin:  T. 
i  fin  .  .  .  suo':  P. 

CGCXXXIV. 

Dal  cit.  coti.  red.  151  e.  <20,  ov' è  denominata  madriale,  e  onde 
la  pubbl.  il  Trucchi  1.  e. 

Lasso!  che  '1  mio  dolor  non  à  mai  fine, 
Né  veggio  che  per  me  tregua  mai  s'abbia: 
Così  dogliendo  vivo  in  questa  rabbia.  5 

Anno  né  mese,  dì,  ora  né  punto 
Non  m'abbandona  amorosa  battaglia: 
E  dir  non  posso  come  e  quando  giunto 
r  fu'  dal  bel  piacer  che  qui  m'  abbaglia: 
E  per  duol  balzo  come  in  acqua  scaglia 
Or  qua  or  là  fin  ch'io  m'atluflb  in  gabbia,     .v 

Vers.  4.  mese  né  ora:  T.  —  9.  tuffi:  T. 

CCGXXXV. 
Matteo  coRREGr.uio. 

Dal  red.  451  e.  Si  v,  ov'  è  intitol.  madriale.  La  pubbl.  di 
su'l  cod.  177  della  Bibl.  univ.  di  Bologna  P.  Zambrini  a  pag.  285 
delle  Opere  a  stampa  dei  sec.  XIII  e  XIV  indicate  e  desritle  (  Bo- 
logna, Fava  e  Garagnani,  4806  ). 

Mille  merzè,  o  donna,  o  mio  sostegno, 

Che  m'ài  della  ina  «grazia  l'alio  degno  i 

Vers,  1.  mercede:  Z. 


)(  31 G  )( 

Vago,  leggiadro,  gioioso,  contento. 
D'allegra  voglia  canto, 
Perchè  tu  d'amoroso  e  buon  talento 
M'ài  tratto  fuor  di  pianto, 
Poi  m'a'  coperto  del  tuo  nobil  manto 
Con  viso  d'  umiltà  senza  disdegno.  s 

Vers.  3.  e  contento:  Z. 

GCGXXXVI. 

Dalriccard.  1100,  e.  82  v. 

A'nnamorarmi  in  te  ben  fu'  matt'io, 
Che  tu  non  donna  se'  ma  '1  dolor  mio.  ~ 

Tu  mi  mostrasti  prima  il   volto  chiaro, 
Facendomi  sentir  di  pace  segno 
E  di  cor  dolce  amoroso  e  benegno: 
Me  sol  tenevi  per  tuo  servo  caro. 
Or' ài  rivolto  il  bene  in  pianto  amaro, 
Veggendo  ch'io  t'adoro  come  Dio.  8 

Ahi  lasso  a  me!,  ben  fallo  e  dico  male, 
Che  'n  te  non  fu'  matt'io  a  'nnamorarmi; 
Ma  pien  di  grazia  ben  posso  chiamarmi, 
Ghè  'n  pregio  venni  sotto  alle  tue  ale. 
Perchè  virtù  in  donna  assa'  più  vale, 
Voglio  gradire  il  tuo  vero  disio.  f4 

Tu  sai  eh'  a  fede  pura  i'  t'  ò  servita 
E  servo  e  servirò  per  me'  morire. 
Ohi,  come  ti  può  il  core  sofferire 
Ghe  la  pietà  per  me  sie  tramortita? 
Se  mi  consumi  o  fai  perder  la  vita, 
Onor  non  ti  sarà  ma  biasmo  rio.  20 

V.  8.  benigno:  C. 


)(  317  )( 

CCCCXXXVII. 

[*EscioNE  Cerchi. 

Di  questo  liorcnlìiio  contemporaneo  di  Fr.  Sacchetti  e  di  Niccolo 
Soldanieri  pubbl.  primo  il  Crescimbeni  di  su'I  co<l.  chig.  580  l'appres- 
so madrigale,  ch'io  ripubblico  confr.  al  cod.  red.  451,  ove  leggesi 
a  e.  <20  v.coii  la  seg.  nota:  Madriale  di  Pescion  Ciervhi,  che  fede  per 
monna  Marinella  che  vagheggiava,  e  facieasi  menare  quando  la  volea 
vedere,  perchè  non  vedea  lume,  e  'l  compagno  la  guatava  per  lui. 

Seguendo  un  pescalor  eh' ariva  a  riva, 
Pescando  giva  —  senza  navicella 
Per  una  chela  e  chiara  marinella.  .; 

E  poi  che  per  più  volte  ebbi  pescalo, 
Pesce  alcun  non  prendea: 
Ma  la  rivera  tanto  mi  piacea, 
Che  vago  mi  posai  presso  a  quell'onde 
Che  ombreggiava  di  verdette  fronde;  s 

Dove  donna  gentil  veder  mi  parve, 

Ch'a  perdut' occhi  mai  piti  bella  apparve.       io 

Vers.  4.  ebbe:  Cr.  e  R.  Ma  per  levarne  un  senso  parmi  bisogni 

emendare  come  hofHtto  e  intendere  per  prima  persona  il  giva  del  v. 

2.  —  5.  In  esso  pesci  non:    R.  —  7.  quelV  ombra:  Cr.   —  9.  Ove:  Cr. 

Due  donne:   R.   —  iO  a  mortai  occhio:  Cr. 

CCGXXXVIII. 
Francesco  degli  Organi. 

■  Pubbl.  di  su  1  cod.  chigiano  580,  f.  776,  dal  Crescimbeni  nei 
Commentari  della  volg.poes.  voi.  IV,  I.  i,  e  riprodotta  dal  Viliarosa 
in  Race,  di  rime  ant.  tose.  IV,  291 .  In  questa  ristampa  si  raffronta 
al  cod.  slrozz.  magliab.  <0.H,  ci  VII,  ove  leggesi  a  carte  51  v.,  o 
a'  due  codd.  di  musica,  palai,  laur.  87  (  e.  433  r.  )  e  imper.  parig. 
536  (e.  66  v.  e  67  r.)  ov'è  fra  altre  musicate  da  Francesco. 

Gentil  aspetto  in  cui  la  mente  mia 
D'amor  costretta  ha  lutti  i  suoi  pensieri. 
Perché  gli  ài  tu  vèr  me  tanto  leggieri 

Vers.  2.    D'amar:  LP.    suo':  LP.  Par.  —    3.  in  vèr:  LP,  Par.  — 


)(  318  )( 

Che  non  l'increscc  di  mia  pena  ria?  4 

Amor  m'iia  sì  del  tuo  piacer  legalo 

Ch'i'  non  posso  pigliare  alcun  diletto 

Se  da  te  non  mi  vene, 

Né  d'altra  avversità  teme '1  mio  stato 

Che  di  sentire  sdegno  nel  tuo  petto 

Più  che  non  si  convene.  io 

Poi  che  la  tuo'  beltà  tanto  mi  tene 

Suggetto  a  te  che  d'altro  non  mi  cale,' 

Sosta  la  grave  pena  che  m'assale 

Veggendo  a  si  gran  fé'  far  villania.  H 

Vers.  4.  di  mie':  Par.  —  6.  Ch'io-,  st. —  7.  viene:  st.  —  10.  con- 
viene: st.  —  H.  hiltà:  LP,  Par.  —  12.  soggetto:  st.  —  13.  Sostami  la 
gran:  Chig.,  SM.  e  st. 

CCCXXXIX. 

Pifbbl.  da  Fr.  Trucchi,  Poes.  it.  ined.  Il  153,  di  su  '1  cod.  strozz, 
magi.  VII.  var.  1041,  ove  ieggesi  col  nome  di  Francesco  degli  Organi 
a  e.  51  v;  e  riscontrata  ora  su  esso  cod. 

De,  pon  questo  amor  giìi: 

Dico  a  te,  mente  stolta. 

Dove  ti  se'  tu  involta? 

Troppo  col  tuo  pensier  raguardi  in  su. 
Come  se'  tanto  folle  4 

Mirar  sì  alto  e  non  misuri  te? 

—  Perchè  questo  Amor  volle 
Quando  tal  donna  udire  si  mi  fé'. 
Di  lei  degno  non  se'. 

Nò  a  lei  degno  pare 

Che  tu  la  deggi  amare.  — 

—  Leva  dunque  il  disio;  non  l'amar  piti.  —  /^ 

Vers.  8.  mi  si  fé':  T.  — 


)(  .'!•.'  )( 
L.  N.ii   noi  potrei  ma' 
L'amor  mio  da  costei, 
Tanto  legalo  m'à 
In  pene.  —  E  degli  omoi 
Di  te  non  curbrà.  — 
—  Certo  nessun  lo  sa: 
Donna  di  gran  valore, 
Ch'à  un  picciol  servitore. 
Per  soferenze  già  benigna  fu.  »/ 

Vers.  <3.  non  potre':  T.  Del  resto  e  il  T.  e  il  cod.  leggono  qui 
mai;  ma  per  amor  della  rima  bisogna  leggere  ma'.  Nò  il  T.  ha 
fatto  segno  d'intendere  che  questa  ballata  è  a  dialogo  fra  il  poeta  e 
/la  mente  sua. 

CCCXL. 

È  nel  cit.  strozz.  magliab.,  e.  52  r.,  senza  nome  d'aut.,  dopo  due 
ball,  attrib.  a  Francesco  degli  Organi  ed  una  terza  anonima  ma  che 
è  d'altri.  È  nel  red.  laur.  151,  e.  59  v.,  col  nome  di  Francesco- degli 
Organi,  e  indi  la  pubblicò  il  Trucchi,  I.  e.  È  anche  ne'codd.  musi- 
cali, laur.  palat.  87  e.  <o9  v.)o  iinper.  parig.  53o(c.  87  r.),  fra  altre 
musicate  da  Francesco. 

0  fanciulla  giulia. 
Con  le  sarà  el  è  sempre  il  cor  mio, 
El  ogni  altro  pensier  mosso  ho  in  oblio.         5 

A  ciò  m'induce  un  conoscer  d'amore, 
Che  m'à  mostrato  e  più  mi  mostra  ogn'ora 
Quant'è  l'alta  bellcza  e  '1  gran  valore 
Che  in  te  risplende  e  la  tuo'  schiatta  onora: 
E  se  leco  dimora 
Benignità,  che  sdegnosa  non  sia, 
Per  certo  ogn' altra  da  parie  si  stia.  io 

Vers.  2.  e  sempì-'  è  'l:  L  P.  -  3.  Ch'ogni:  S.\I ,  RL,  T.  f  ogn': 
PL.  ho  messo:  T.  —  4.  cognoscer:  LP,  Par.  —  6.  Tanta  è  la  tuo.... 
e  il:  S  M,  T.  e  il  gran:  PL.—  8.  Se  con  leco:  LP,  Par.  Questi  ultimi 
tre  versi  mancano  nel  T. 


)(  320  )( 
CCCXLI. 

È  nel  cit.  cod.  strozz.  magi.,  e.  32  r.,  dopo  altre  due  altribuHc  a 
Francesco  degli  Organi;  e  indi  col  nome  di  lui  la  pubblicò  il  Truc- 
chi, 1.  e.  È  anche  ne' due  già  citati  codd.  musicali,  laurenz.  pai. 
(e.  92  V.]  e  parig.  e. -128  v.  ■129  r.)  fra  altre  ballate  intonate  da  mess. 
Francesco.  Le  altre  che  il  Trucchi  pubblica  sotto  la  serie  di  questo 
autore  parve  anche  a  lui  non  certo  che  fossero  di  Francesco.  Si 
leggono  nel  cod.  parig.  fra  le  musicate  da  Francesco,  ma  egli  mu- 
sicava anche  quelle  di  altri  autori,  anzi  specialmente.  Né  è  poi 
certissimo  che  sien  di  lui  pur  queste  che  sotto  il  suo  nome 
ristampo  dietro  l'esempio  del  Crescimbeni  e  del  Trucchi. 

Ben  che  partir  da  te  molto  mi  doglia, 
0  luce  del  cor  mio, 
Sempre  con  meco  porto  il  tuo  desio.  j 

E  non  sperar  però  che  la  mia  mente 
Si  parta  mai  da  te,-  ben  ch'io  non  sia 
Alla  tua  gran  biltà  ogn'or  presente: 
Ma  pur  vo'  pregar  te  per  cortesia, 
Gom'  i'  con  teco  son,  tu  meco  sia; 
Però  che  la  mia  voglia 
Altro  non  brama  che  '1  tuo  viso  pio.  in 

Vers.  \.  Bench'el:  SM.  Benché  il:  T.  —2.  Oi:  SM.  — 3.  rimo: 
Par.  —  4.  mie:  LP,  Par.  — 6.  tuo':  Par.  beltà:  T.  — 8.  contento:  Par. 
ed  è  «rrore.  Cam' io  con  teco,  tu  con  meco  sia:  SM,  T.—  9.  la  tuo': 
SM.:  per  errore,  la  mie':  Par. 

CGCXLII. 

Questa  ballata  la  riproduco  dal  Paradiso  degli  Alberti,  romanzo 
di  Giovanni  da  Prato  edito  e  dottamente  illustrato  da  Alessandro 
Wesi5elofsky  [Bologna,  Romagnoli,  mdccclxvii;  t.  IH,  pag.  21]. 
S'  introducono  ivi  a  cantarla  due  fanciullette  al  Paradiso,  villa 
degli  Alberti,  in  un  ritrovo  di  gentili  uomini  e  donne,  con  piacere 


)(  321  )( 
di  tutti  e  stngularmente  di  Francesco  musicò,  fe  anche  nel  cod. 
laurcnz.  87  (  già  di  Antonio  Squarcialupi,  che  contiene  tutte  canzoni 
musicate';  e  vi  si  legge  fra  quelle  di  Francesco  Cieco,  che  è  uno 
stesso  con  h'rancesco  degli  Organi.  «  Era  dunque  .domanda  il  WeSse- 
lofsky)  da  lui  posta  in  musica?  od  anche  poeliciinienle  era  sua?  ed 
ò  questa  la  cagione  perchè,  quando  si  viene  a  cantare  la  ballata,  si 
nota  che  questo  si  faceva  con  singolare  piacere  di  Francesco  mu- 
sico? »  Per  le  allusioni  a  una  madonna  Cosa  (Niccolosa)  vedi  lo  stesso 
Wesselofsky,  che  di  lei  e  d'  altre  molte  cose  discorre  così  bene  nel 
cap.  Ili  del  suo  Saggio  di  storia  letteraria  italiana  (  della  line  del 
sec.  XIV  )  premesso  al  romanzo. 

Or  SU,  gentili  spirli  ad  amar  pronti, 

Volete  voi  vedere  il  Paradiso? 

Mirate  d'  està  Cosa  suo  bel  viso.       ""  j 

Nelle  sue  sante  luci  arde  e  sfavilla 

Amor  vetlorioso,  che  divampa 

Per  dolcezza  di  gloria  chi  la  mira; 

Ma  r  alma  mia,  fedelissima  ancilla, 

Piala  non  trova  in  questa  chiara  lampa, 

E  nuli'  allro  che  lei  ama  o  disira. 

0  sacra  iddea,  al  tuo  servo  un  po'  spira 

Mercé:  mercè  sol  chiamo,  già  conquiso: 

De,  fallo  pria  che  morte  m' abbia  anciso.         i2 

Il  laur.  ha  i  soli  primi  6  versi,  con  queste  varianti:  —  v.  t.  Or 
sun.  —  3.  de  sta  petra  el  vago  viso.  —  4.  suo'  luce  sancte  ard'  e.  — 
5.  victorioso. 

GCCXLUl. 
M.\TTE0  de'  Griffoni 

Di  questo  bolognese,  n.  nel  4351,  m.  nel  442').  autore  d^l  Memo- 
riale historicum  rerum  bononiensium  ec.,  die  primo  alcune  rime  alla 
luce  Giov.  Fantuzzi  [  Notizie  degli  scritt.  boi.,  t.  IV,  299-301,  Bologna, 
stamp.  di  san  Tommaso  d'Aquino,  MDCCLXXIV,  in  4.°  ]:  e  le  trasse 
da  un  ms.  membr.  a  forma  di  vacchetta  dell'Archivio  bolognese  ove 
son  descritti  i  notai  all'ullicio  de'mcmoriaii  cominciando  dal  1265,  e 

21 


)(  322  )( 

ne'  cui  primi  fogli,  oltre  varie  notizie  storiche,  stan  quei  versi  che  il 
Fantuzzi  riprodusse  colla  stessa  ortografìa.  E  il  Fantuzzi  dal  vedere 
alcune  parole  non  finite  di  scrivere  e  sol  punteggiate  e  qualche 
verso  incompiuto  dedusse  che  il  ms.  fosse  autogr.  Anche  il  cod. 
membr.  8  (  sec.  XIV  ex.)  della  Bibliot.  del  Semin.  di  Padova  con- 
tiene Aliquot  Ballate  Mathei  de  Griffonibus  civis  Bononiae;  e  l'amico 
prof.  E.  Teza  che  le  trovò  e  trascrisse  ha  voluto  gentilmente  ceder- 
mele. La  lezione  del  cod.  padovano  concorda  quasi  affatto  con  quella 
del  bolognese,  ma  è  più  regolare  e  compiuta;  ed  offre  più-componi- 
menti. In  fine,  il  cod  membr.  N.°  i  Diversorum  nell' Archiv.  del 
Reggimento  di  Bologna  e  ora  della  Prefettura,  mostratomi  dall'eru- 
dito e  gentile  consiglier  B.  Podestà,  ha  nella  prima  carta  di  guar- 
dia, di  carattere  dello  stesso  tempo  (  che  è  1'  a.  1383),  una  ballata 
del  notaro  Griffoni  e  dietrole  un  madrigale  dello  stesso  che  è  pur 
nella  vacchetta  de' notai.  Noi  riproduciamo  il  tutto  dai  tre  codici. 

Prima  nel  cod.  pad.,  ultima  nel  bologn.,  con  l'intitolazione 
Balata  Mathei  predicti  e  con  gli  ultimi  versi  di  ciascuna  volta 
incompiuti. 

Nessun  se  fidi  troppo, 

Che  tal  per  modo  fitto 

Se  fa  lial  e  dritto 

Che  po'  se  trova  zoppo.  4 

Chi  numera  i  amici 

Ne  li  tempi  felici 

Parn'  aver  per  uno  otto.  7 

Ma,  s'  el  caze  de  scanno, 

Se  trova  sol  al  danno 

E  paga  tutto  '1  scotto.'  /o 

Vers.  4.  Che  po'  se  tro  .  .  .  :  F.  — 7.  Parnaver  per  ar  .  .  .  .F.  — 
del  scanno:  Pad.  —  40.  E  paga  tu  ...  :  ¥. 

CCCXLIV. 

Seconda  nel  cod.  pad.,  quarta  nel  bologn. 

0  tu  che  sedi  'n  cima  de  la  rota. 
Non  superbir  perchè  1'  è  che  ti  nota.  s 

Vers.  4.  siedi:  Pad. 


)(  323  )( 
Onando  dol  dolce,  quando  de  1'  amaro 
Porge  colei  che  fortuna  se  chiama. 
Non  esser  donque  de  servir  avaro, 
Ma  sempre  de  bon  co*r  ama  chi  l'  ama: 
Che  tal  te  rid'  in  bocca  e'  of^nor  brama 
Che  colai  donna  non  te  sia  devota.  s 

Vers.  4.  colie':  Pad. —5.  doncha:  Pad.  -7.  ride  .  .  .  che:  Pad. 

CCCXLV. 

Nel  n.  -1.  Diversorum  dell'Arch.  della   Prefettura  di  Bologna, 
con  l'intitolazione  Boiata  Jf.  D.  Griff. 

Non  sia  chi  tenga  dentro  da  l'ospicio 
Can  che  de  lupo  voglia  far  l'officio.  2 

Ma  volse  tener  can  presti,  gaiardi, 
Vigili,  attenti  e  fidi  al  so  signore. 
Che  di'  e  nocte  fazan  bone  guardi 
A  defender  le  pecor'  e  '1  pastore, 
E,  quando  el  lupo  ven,  senza  timore 
Mettano  quel  a  1'  ultimo  supplicio.  8 

CCCXLVI. 

Manca  nel  cod,  pad.  Nel  bologn.  è   quinto  ed  è  intitolato  Ma- 
drigal.  Immediatamente  sopra  il  titolo  ha  questi  versi: 

Et  quando  fortuna  vuol  che  giù  desmunti  sumunti 
Li  trova  tanti  ingegni  da  cadere 
Che  nulla  par  che  sua  difesa  munti. 

Fatius  de  Ubertis. 
Il  Fantuzzi  annota:  «  Pare  che  i  tre  preced.  versi,  il  primo  dei 
quali  è  informe,  contengano  qualche  sentimento  del  celebre  Fazio 
degli  Ul)erti.  e  che  Matteo  Grifoni,  avendolo  a  memoria,  qui  lo  scri- 
ves.se  con  animo  di  valersene  in  qualche  suo  componimento.  Se  ciò 
sussiste,  sarà  questo  indicio  di  scrittura  autografa  ■.  È  anche 
nel  n.  I.  Diversorum  dell'Arch.  della  Prefettura  di  Bologna,  con 
r  intitolazione  Madergal  m.  Griff. 


)(  324  )( 

Non  te  fidare  in  stato  né  richeza 
Ma  fidati  'n  virtù  s'  in  ti  n'  abonda, 
Perchè  fortuna  sempre  non  segonda.  3 

Quando  se  volge  la  su£r  rota  tonda 
Rompendo  fede,  chi  calla  chi  monta, 
E  tal  crede  montar  eh'  alora  smonta.  6 

Vertù  chi  1'  ha  con  si  perir  non  lassa, 
Vince  richeza,  stato,  e  vicii  cassa.  8 

Vers.  4. in  richeza:  Div.  —  2.  fidate:  Div.  —  7.  Verta:  F.  con 
se:  Div. 

GGGXLVII. 

Terza  nel  cod.  pad.  e  nel  boiogn. 

Non  tema  '1  spino  chi  voi  coglier  fiore, 

Che  r  amor  poche  volte 

Zova,  né  da  piacer  senza  dolore.  3 

Trovas'  alcun  signor  o  donna  mai 

Si  dolze  che  tal  or  crudel  non  sia  ? 

Chi  de  cor  ama  non  curi  de  guai, 

Ma,  com'  più  crudi  son,  umel  più  stia.  7 

Cosi  seguendo  la  lor  signoria 

Ara  frutto  d'  amore, 

Perch'  umel  servo  vinz'  aspro  signore.  io 

Vers.  -1.  coglier  /".,..;  F,  —  3.  Zovane:  F.  Annota:  o  Questo 
Zovane  sembra  che  equivaglia  alle  due  uni  [sic]  Zovane,  e;  cioè 
Giova  e  dà  piacere  a  noi  ».  —  5.  dolce:  F.  che  za  ma':  Pad.  — 
7.  sia:  Pad.  s.  ...  :  F.  —  40.  vince:  Pad. 

CGCXLVIII. 

Quarta  nel  cod.  pad.,  e  sesta  nel  boiogn. 

Amor,  i'  me  lamento  de  sta  dea 

Che  com'  più  1'  amo  più  me  sta  iudea.  2 

Amai'  i'  ho  costei 


)(  325  )( 
Et  amo  più  che  mai  de  puro  core, 
E  ma'  non  vidi  lei 
Che  me  facess'  alcun  allo  d'  amore. 
Però  le  prego,  dolce  mio  signore, 
Che  mi  la  faci  pia  come  1'  è  rea.  8 

Vers.  8.  fasi:  Pad.  come  le  r.  .  .  .•  F. 

CCCXLIX. 

Quinta  nel  cod.  pad.,  manca'al  bologn. 

Se  questa  dea  de  vertù  et  onestate 
In  vèr  mi  fosse  pia, 
Fedel  servo  de  He'  sempre  saria.  3 

E,  ben  che  sia  crudel,  però  non  manca 
Ch'  a  la  soa  maiestà  non  sia  soletto, 
E  de  servir  za  ma'  mio  cor  non  stanca 
E  prende  onne  tormento  per  diletto: 
Ma,  se  r  è  nobil  come  1'  ha  1'  aspetto, 
Po' che  servo  li  fia, 

Non  lassarà  finir  la  vita  mia.  io 

t 

CCCL. 

Sesta  nel  cod.  pad. 

Se  pur  ve  piaze,  ginlil  donna  mia, 

Farme  morir,  e  vo'  che  cosi  sia.  ? 

Vu  ben  sapeti  che  sempre  son  stalo 

Servo  fedel  de  vu,  né  d'  altra  mai: 

E  a  me  ingrata  non  m'  avete  amato, 

E  ma'  da  vu  non  ebbi  se  non  guai. 

Ditemi  donca  se  ma'  ve  fallai, 

E  mi  serò  contento  star  al  quia.  « 


)(326    )( 

r  so  e'  altrui  ve  mostra  d'  amare; 

Ma  quant'  el  dice  non  v'  ama  de  core, 

E  tutto  fa  per  poterve  'nganare; 

Che  per  un'  altra  donna  i'  so  eh'  el  more: 

Forse  ve  piaze  lu'  per  servo  tòre, 

Uccider  mi  che  tenete  in  balìa?  u 

Ma  certo,  donna  mia,  se  m'  ociditi, 

D'  avermi  morto  ne  seri  pentita; 

Che  si  lial  servo  ma'  non  averiti, 

Da  chi  vostra  vertù  sia  sì  gradita: 

Vu'  si'  mia  pace,  guerra,  morte,  vita: 

Però  de  mi,  com'  a  vu'  piaze,  fia.  io 

CCCLI. 

Settimo  nel  cod.  pad.,  primo  nel  bologn. 

Non  sa  che  ben  se  sia  chi  mal  non  prova; 
No  se  pò  dir  beato 
Chi  mal  non  à  gustato. 
Se  aver  provato  si  non  se  ritrova. 

Vers.  2.  Né  se:  Pad. 

GCGLII. 

ottava  nel  cod.  pad. 

Chi  ha,  si  legna;  perché  chi  possedè 

Segnor  se  trova  de  zascun  che  chede.  S 

Et  a  voler  tenir,  zascun  signore 
Sempre  se  faza  temer  et  amare; 
Al  pizol,  al  mezan  et  al  magiore 
lusticia  renda  egual,  se  voi  regnare: 
Perchè  1'  è  mie'  morir  che  deventare 
Di  signor  servo  e  dimandar  merzede.  8 


)(  .-527  )( 
Chi  ha,  si  legna;  perchè  chi  possedè 
Segnor  se  trova  de  zaschun  che  chede.  io 


CCCMII. 


Nona  nel  cod.  pad. 


Chi  tempo  ha,  e  tempo  per  viltade  aspetta. 

Se  quel  el  perde  no  'I  raqiiista  in  fretta.  ? 

Però  che  de  far,  faza; 

Perch'  a  ben  far  non  richiede  demora, 

E  gran  tempo  se  caza 

Quel  che  fortuna  concede  in  un'  ora. 

Fin  che  ventura  voi,  donna  lavora; 

Che  '1  tempo  passa  quanto  una  saictta.  « 

CCCLIV. 

Decima  nel  cod.  pad. 

Zurote,  donna,  per  la  fede  mia, 

Gh'  altri  che  ti  de  mi  non  ha  balia.  3 

r  t'  ho  amata  de  core 

E,  fin  eh'  io  viva,  son  disposto  amaro; 

Perchè  sie*  de  valore 

E  de  bellade  assai,  come  se  pare. 

Altri  che  Dio  non  polria  dir  nò  fare 

Che  vivo  0  morto  to  servo  non  sia.  8 

Non  creder  a  parole 

Ch'  altri  ti  dica  per  esserli  a  grato, 

Che  le  son  tutte  fole; 

Che  de  ti  sola  son  servo  zuralo. 

Tu  sola  sie'  che  me  pò  far  beato: 

Per  mia  te  tengo,  e  l' ho  tenuta,  Dia.  /4 


)(  328  )( 
r  t'  ho  dona'  la  vita: 
De  quella  fa,  come  a  ti  pare,  ornai; 
La  qual  te  chiama  aita. 
Se  tu  la  ucidi,  gran  peccato  fai. 
Più  fidel  servo  de  mi  tu  non  hai. 
Credo  però  eh'  amor  te  farà  pia.  20 

GGGLV. 

Nono  nel  cod.  pad.,  .secondo  nel  bologn. 

Da  picol  can  spesso  se  ten  zinglare: 
Però  tu  che  se'  grande  non  spresiare 
Le  to  nimico  de  picol  affare; 
Che,  quanto  '1  to,  punge  so  semitare.  4. 

Vers.  <.  se  te'  senglaro:  Pad.  —  3.  El  io:  Pad.  —  4.  Perchè 
qual  to  punge  so  semitaro:  Pad. 

GGCLVL 
Arcolano  da  Perugia 

Fu  pubbl.  di  sur  un  cod.  oliveriano  dal  prof.  G.  B.  VermigJioli 
nelle  Memorie  di  Jacopo  Antiquari  (Perugia  ISIS),  e  venne  riprodotta 
dal  Perticari  nella  p.  IT.  della  Difesa  di  Dante  [Proposta  ec.  Milano, 
4820,  in  8.»  voi.  II.  p.  II.  232,  e  Opere  del  Perticari,  varie  ediz.]. 

Amante 
De,  donzelletta  mia,  non  mi  dir  no: 

Gh''i'  t' addimando  amore. 

Aggi  pietoso  il  core. 

Lo  tuo  bel  tempo  non  li  perder  mo'.  4 

Anima  mia,  se  '1  bel  tempo  si  perde, 

Ghi  '1  ti  racquisterà? 

Se  r  alber  non  fa  frutto  mentr'  è  verde, 


)(  ^^20  )( 

Poi  eli'  è  secco  no  M  fa  . 

Or  pensa  dunque  che  li  seguirà. 

Se  la  lua  giovinezza 

Mancliorà  per  vecchiezza, 

Non  li  varrà  di  dir:  Penluta  islò.  /* 

Donna 
Quanlo  impaccio  li  dai  !  Deh.  non  menlire  ! 

Che  dimanda  fai  tu  ? 

Lassami  star,  ti  prego,  e  non  pur  dire, 

E  non  mi  adastar  più . 

Che  '1  mio  bel  tempo  ogn'  ora  va  più  su 

E  non  mi  fugge  ancora: 

Si  che  far  potrò  allora 

Della  persona  mia  quel  eh'  io  vorrò.  so 

Amante 
Cosa  licita  è  quella  eh'  i'  addimando, 

Vita  mia  dolce,  a  le: 

r  son  per  fare  e  dire  il  luo  comando. 

Perchè  fedel  mi  se'. 

L'  iddio  d'  amor  che  mi  ferì  per  le 

D'  una  saetta  d'  oro, 

Quei  fu  cagion  eh'  i'  adoro 

La  lua  figura,  e  tuo  suggello  istò.  i8 

Donna 
Ancora  par  che  tu  non  ti  rimanga 

Di  parlar  pur  così. 

Tu  credi  forse  per  la  lua  lusinga 

Ancor  poter  far  sì 

Ch'ai  luo  piacere  i'  parli  e  dica  .sì. 

Ma  dirò  pure  al  mio 

E  quel  che  in  un  disio: 

Come  li  piacerà,  così  farò.  36 


)(  330  )( 

Amante 
Anima  mia,  allr'  i'  non  porria  fare 

Che  quel  che  'n  piacer  t'  è. 

Amor  mi  slrigne,  e  convienmi  osservare 

Quel  che  comandi  a  me. 

Dunque  ti  piaccia  inchinarti  a  mercè 

Del  mio  grave  tormento, 

Che  per  te  pato  istenlo, 

Poi  che  in  anima  e  'n  corpo  a  te  mi  do.         44 
Donna 
Lassa  !  che  par  che  più  fuggir  non  possa 

Dalla  tua  volontà, 

Che  già  d'  amor  mi  sento  la  percossa 

Si  che  commossa  m'ha. 

Non  posso  sofferir:  vicnmi  pietà, 

Se  ti  lamenti  e  duole. 

Da  poi  eh'  amor  pur  vuole, 

Se  mi  comandi,  ed  io  t'  ubbidirò.  óì 

Amante 
r  benedico  e  laudo  in  primaniente 

Amor  che  mi  ti  die'  : 

Ancor  ringrazio  te  benignamente 

Quanto  più  far  si  de. 

Donzella  mia^  poi  che  pietosa  se' 

D'  ogni  mio  gran  tormento. 

Fatto  m'  hai  si  contento 

Gh'  al  mondo  mai  uom  più  di  me  no  '1  fu.     6o 

Vers.  49.  Il  Pertic.  mette  punto  fermo  in  fine  di  questo  v.,  e 
virgola  in  fine  del  seg.  . 


)(  3.^1  )( 

CCGLVII. 
Andrea  Stefani 

Francesco  Del  Furia  die  queste  due  ballate  a  una  raccolta  di 
poesie  per  nozze  Soprani  e  Carave!  stainp.  in  Piacenza  da  Mauro  Del 
Majno  nel  MDCCCVIII  in  16.®;  e  le  trasse  da  un  cod.  marucelliano 
di  rime  di  varii,  ove  altre  cose  si  contengono  dello  Stefani,  e  da 
una  postilla  al  margine  d'una  sua  lauda  è  dato  raccogliere  l'età  in 
che  visse:  dice  «  Di  Andrea  Stefani  cantore  al  tempo  de'Bianchi.. . 
■  D'agosto  a'di  45,  <399,  uscirono  tutti  e'  quattro  quartieri  di  Firen- 
«  ze  vestiti  a  bianco  co'  crocifìssi  ec.  ».  Il  comm.  Ani.  Bertoloni 
senza  conoscere  la  raccolta  piacentina  ristampò  la  prima  di  queste 
ballate  nel  fase.  Ili,  pag.489  [marzo  t858],  dcW  Eccitamento,  giornale 
bolognese  di  Glologia;  e  ne  furono  tirati  a  parte  50  esempi.  Il  sig.  A. 
Tessier,  dando  notizia  della  raccolta  piacentina,  prese  occasione  a  ri- 
pubblicare anche  la  seconda  delle  ballate  dì  Andrea  Stefani  nel  fasci- 
colo IX,  pagg.  522  e  segg.  [  sett.  4858],  dello  stesso  giornale,  e  se  ne 
impressero  a  parte  30  esempi. 

Chi  mi  terrà,  amor,  che  io  non  canti 
Di  questa  pargoletta 
Che  m'  è  apparita  a  guisa  d'  angioletta?  3 

La  qual  col  guardo  de'  suo'  occhi  belli 
Con  dolce  nodo  m'  ha  legato  il  core, 
Veggendo  il  capo  biondo  e  li  capelli 
Che  paion  d'oro  con  sommo  splendore, 
E  lei  gentile  e  degna  d'  ogni  onore 
Più  eh'  altra  pargoletta, 
Vezzosa  e  lieta  e  tutta  leggiadretta.  io 

E  '1  suo  bel  viso  e  le  tranquille  ciglia 
A  guisa  d*  arco  sorian  sì  belle, 
Che  sol  sé  stesso  e  nuli' altro  somiglia; 
Sotto  alle  qua'  porta  duo  vive  stelle 
Che  giltan  raggi  d'  oro,  e  poi  in  quelle 
Si  vede  una  riammetta 
Che  adorna  d'  onestà  quesl'  angioletta.  /: 


)(  332  )( 

Or  quale  amante  sarà  tanto  ardilo 
Che  miri  il  viso  e  gii  occhi  e  lo  splendore, 
E  non  si  senta  dentro  al  cor  ferito 
Di  sua  beltà  con  dolcezza  d'amore? 
Però  partir  non  vo'  già  mai  il  core 
Da  questa  pargoletta 
Che  sola  al  mondo,  e  nuli'  altra,  m' alletta.      sa 

Ond'  io  ti  prìego,  Amor,  per  cortesia, 
Che,  se  a  lei  tu  ti  debbi  inviare, 
Di'  che  io  moro  in  tanta  pena  ria. 
Se  ella  non  mi  aiuta  che  '1  può  fare. 
De,  dolce  Amor,  de  sappila  pregare! 
Che  la  mia  alma  aspetta 
Da  te  soccorso  colla  pargoletta.  si 

Vers.  <3.  sé  sfessa;  Bertoloni,  il  quale  portò  pure  qualche  altra 
varietà  ortografica  nella  stampa  di  questa  ballata.  —  2i.  Forse  Ch  è 
sola? 

GCCLVIII. 

Lassa,  dolente,  ahi  me!  marito  mio, 

Perchè  morir  mi  fai  in  tal  disio?  a* 

Ben  mi  posso  dogliosa  lamentare 

Piangendo  e  lacrimando 

Di  te,  marito,  poi  che  mi  giurasti. 

Ahi  me  lassa,  ahi  me!  che  debbo  fare? 

Gh'  i'  mi  consumo  amando 

Di  seguitarti,  poi  che  mi  lasciasti  : 

Che  veramente  tu  mollo  fallasti 

A  lasciar  me  in  tal  martirio  rio.  i3 

Già  sai  tu  bene  che  tornar  non  puote 

Il  tempo  trapassato 

Né  le  beltà  del  mio  viso  amoroso; 


)(  33^  )( 

Le  qua'  mi  voggo  allo  specchio  limole, 

E  quasi  già  mancato 

Ojrni  valore,  ond' è  il  mio  coidoglioso: 

E  perduto  mi  veggio  ogni  riposo 

E  trapassare  il  mi'  tempo  giulio.  so 

Poi  che  tu  m'  hai  in  tutto  abbandonata. 

Mi  manca  ogni  speranza 

Che  fino  a  qui  portata  ho  dentro  al  core. 

Ahi  me  lassa  dolente  isventurala! 

Poco  mi  vai  clamanza 

E  bagnarmi  di  pianto  il  viso  fora, 

Se  non  pregare  il  mio  dolce  signore 

Che  mi  conservi  nel  suo  slato  pio.  is 

Ballala  mìa  tanto  lamentosa. 

Piangendo  con  sospire 

Ti  rappresenta  e  con  umil  favella 

A  lui  che  m'  ha  lasciata  dolorosa 

Sol  per  farmi  morire, 

Poi  ch'io  veggo  eh' ei  segue  altra  donzella; 

E  di'  eh'  i'  son  dolente,  tapinella  !, 

Privata  in  tutta  d'  ogni  mio  disio.  56 


APPENDICE 


Licenziando  per  la  stampa  V  ultimo  foglio  di 
questo  volume  di  Ballate.,  compilato  con  la  diligenza 
e  la  cura  che  il  lettore  noterà  facilmente,  dal  Prof. 
Carducci,  mi  è  venuto  voglia  di  far  come  avevo  già 
fatto,  con  licenza  dell'  amico,  sulle  bozze  dei  fogli 
anteriori,  e  raccogliere  qui  alcune  noterelle  messe 
insieme  dopo  la  stampa,  contenenti  o  aggiunte  o 
raffronti,  specialmente  di  canzoni  popolari  :  e  con 
esse  compongo  la  seguente  Appendice. 

A.  D'  Ancona. 


Pag.  A%  N.o  XXII. 

Ai  canti  popolari  già  arrecati  in  confronto  deli'  antica  ballata, 
sarebbe  da  aggiungersene  anche  un  altro  che  troviamo  nel  Cénac- 
Moncaut,  Litterat.popul.  de  la  Gascogne,  Paris,  Dentu,  4868,  pag.  484, 
intitolato  Las  tres  coumayretes,  e  che  comincia: 

Tres  coumays  de  botine  bile 
U  diyaus  que  s'en  anèn 
De  dret  en  ta  Peryrehitte, 
Aquìou  que  s'embriagueii. 
Da-m'en  et  pren-l'en,  coumayrette, 
Da-m'en  et  pren-l'en  bèt  goutet.  ec. 

Cioè:  Tre  comari  di  buona  vita  —  Un  giovedì  se  n'  andarono  — 
Dritte  a  PierrefLtte  —  Là  si  ubbriacarono.  —  Dammene  e  prendine, 
comaretta  --  Dammene  e  prendine  una  gocciolelta. 


)(  335  )( 
Pag.  57.  N.»  XXXII. 

Confr.  con  questo  canto  veneziano  cosi  riferito  dal  Caselli,  Chants 
popul.  de  l'Italie.  Paris,  Lacroix,  <8G5,  pag.  218: 

Sianole,  anoma  mia,  so  vegnu  al  lelo 
Ti  geri,  sangue  mio,  che  lì  dormivi. 
Ti  geri  descoverla  '1  bianco  peto, 
Un  anzolo  del  ciel  li  me  parevi. 
E  mi  te  melo  una  manina  al  peto 
E  ti  me  disi:  —  0  sieslu  benedeto!  — 
Cussi  pian  pian  te  melo  una  ma'  al  core, 
E  li  me  disi:  —  Seslu  lo  mio  amore? 
Ma  da  che  parte  mai  sestu  vegnio?  — 

—  Su  per  i  lo  balconi,  anema  mia.  — 

—  E  sestu  si  venudo,  e  così  sia, 
e  fame  compagnia 

E  fame  compagnia  sin  a  seti'  ore. 
Sino  a  lo  canto  de  la  rondinela.  — 
La  rondinela  scomenza  a  cantare: 

—  Leva  su,  belo,  che  zorno  voi  fare.  — 

—  Oh  rondinela,  falsa  Iraditora 
Via  lassime  dormire  un  altra  ora. 
Che  ti  m'  ha    roto  '1  sono  delicato: 
Oh  che  dolce  dormir  da  inamorato  !  — 

Pag.  59,  N.o  XXXVIl. 

Questa  Camicia  qui  ricordata  potrebbe  essere  la  messinese  Ca- 
miola  Turinga,  celebre  per  bellezza  ed  onestà,  ricordata  anche  da  un 
canto  popolare  siciliano,  come  ne  fa  fede  il  Pitrè,  Canti  popol.  sicil. 
Palermo,  Pedono,  1,  pag.  <26: 

Oh  bedda,  quantu  t' haju  addisiatu 
Cchiù  di  la  Camiola  di  Missina! 


)(  33G  )( 
Pag.  64.  N.o  XL. 

Frugando  per  entro  i  codd.  della  Laurenziana  mi  avvenne  di  ritro- 
vare questa  antica  canzonetta  per  intiero,  e  avendo  allora  preso  sol- 
tanto l'appunto  del  manoscritto  e  della  sua. numerazione,  che  è  pi. 
XLii  n.'  38,  mi«rivolsi  poi  all'amico  Prof.  Del  Lungo,  che  già  ne  aveva 
ripubblicato  i  quattro  primi  versi  trovati  dal  Magliabechi,  ed  egli 
me  la  mandò  copiata,  con  queste  avvertenze:  «  Non  ommetlere  di 
correggere  il  Bandinì,  Catal.  V.  200  il  quale  nell'  indicarla,  descri- 
vendo il  cod.  sotto  il  n."  v  del  §.  xxx,  ne  dà  il  principio  Madre  che 
pensi  tu  fare  e  la  fine  Ch'io  ti  farò  pigliare  E  metter  nelle  prigionoie, 
la  quale  appartiene  ad  un  altra  canzone  che  sta  nella  medesima 
pagina,  ed  essendo  come  le  altre  del  codice  scritta  di  seguito,  e  la 
lettera  iniziale  che  divide  1' una  dall'altra  poco  distinta,  venne  fatto 
al  Bandìni  di  farne  di  due  una.  In  conseguenza  di  ciò  le  aliae  can- 
tiones  quinque  anepigraphae  accennate  dal  Bandini,  divengono  sei  ». 

—  Madre,  che  pensi  tu  fare 

Che  marito  non  mi  dai? 

Credimi  tu  sempre  mai 

Tenere  in  questo  cianciare?  ^ 

Se  tosto  non  ho  marito, 

Madre,  non  sia  tua  credenza 

Che  di  stare  a  tal  partito 

r  n'  aggia  più  sofferenza: 

Quando  Amor  mi  fa  lo  'nvito 

Troppo  m'  è  gran  penitenza, 

Gh'  i'  ne  veggio  per  Firenza 

Maritare  a  grand'  onore 

Un  braccio  di  me  minore: 

Pensa  quel  che  me  ne  pare!  —  /4 

—  Figliuola,  non  esser  matta 

Di  seguire  il  tuo  volere; 

Tu  potresti  aver  la  gatta 

Di  colui  che  t'  è  in  piacere; 

Poi,  quando  la  cosa  e  fatta, 


)(  337  )( 
Dussezzo  non  vai  pcntérc. 
Tu  sai  eh'  e'  ci  ha  poco  avere, 
E  però  t*  aggio  indugiata; 
Tu  sarai  ben  ristorala, 
Si  che  non  li  crucciaru.  —  ?4 

-  Più  fiate  m'  à'  'mpromesso, 
Madre,  di  farmi  ristoro, 
E  pur  mi  tieni  'n  soppresso, 
Laond'  io  tutta  mi  divoro, 
E  '1  giorno  e  la  notte  spesso 
I*  ne  piango  et  adoloro 


Àlmen  mi  darà  diletto, 
E  vedra'mene  contentare.  —  .74 

—  Figlia,  non  guastare  il  giuoco, 
Raffrena  la  tua  maltezza: 
Uno  é  gito  in  altro  loco 
Che  ti  de'  tórre  per  vaghezza; 
Tornerà  di  qui  a  poco. 
Tosto  ne  vedrai  certezza: 
Giovine  con  gran  ricchezza, 
Ed  é  bene  imparentato: 
Siccome  sarà  tornato. 

Cosi  ti  vorrà  sposare.  —  j  ; 

.       —  Madre,  coteste  parole 

Paionmi  da  quocer  accia; 
Che  r  amor  più  che  non  suole 
Coir  amante  pur  m' alacela: 

Vers.  il.  Checia  il  cod.  Ma  iwrmi  da  preferire  il  singolare, e  cosi 
correggo. 

Vers.  31-32.  Ilancano  i  due  vv.  anche  nel  cod. 

22 


)(  338  )( 
Farò  come  far  si  vuole, 
0  lu  tosto  te  ne  spaccia: 
Se  non,  seguirò  la  traccia 
Tostamente,  senza  fallo: 
Poi,  quando  sarò  nel  ballo, 
Pur  mi  converrà  ballare.  —  57 

Pag.  76.  N.o  XLIX. 

Fin  dal  4866  questa  Ballata  era  stata  inserita  nel  giornale  ro- 
nfiano Il  Buonarroti,  voi.  iii,  l."  della  Nuova  Serie,  ma  offrendo 
qualche  notevole  variante ,  la  riproduciamo  per  intero  da  cotesto 
periodico. 

Fatevi  air  uscio,  madonna  dolciata, 

Ch'  io  v'  ho  recato  un  cesto  di  salala.  2 

r  v'ho  arrecalo  alsi  di  fina  erbetta; 
Hovvi  recalo  molta  porcellana, 
E  nempitella,  salvia  con  rughetta, 
Persia  coviella  e  di  molta  borrana. 
Siete  più  chiara  che  acqua  di  fontana, 
E  rilucente  più  che  una  stagnata.  * 

Fatevi  all'  uscio  ecc. 

11  primo  di  che  innamorai  di  voi 
Si  fu  una  volta,  madonna,  a  ballare. 
Se  non  che  troppa  gente  era  con  voi. 
Un  beli'  arancio  vi  volea  donare. 
Tutto  il  convito  vi  stava  a  guardare-, 
Ognun  dicea:  guarda  bella  bracciata!  /4 

Fatevi  all'uscio  ecc. 

Siete  più  bella  che  fior  di  ginestra, 
E  più  dolce  che  il  vin  del  botticello. 
Ilovvi  recalo  una  piena  canestra 
Di  fine  ghiande  pel  vostro  porcello: 


)(  3.^0  )( 
Dell'erba  ho  fatta  pel  vostro  asinelio: 
Vogliovi  fare  una  bella  giuncala.  20 

Fatevi  all'  uscio  ecc. 

Della  gran  voglia  tutto  mi  divoro; 
Tanto  son  vago,  madonna,  di  voi. 
Esco  dal  campo  quando  vi  lavoro; 
Vo  per  la  via  gridando  omei. 
Po'  corro,  ricorro,  raggiungo  i  miei  buoi: 
Or  t'  avess'  io  po'  una  siepe  abbracciata!      26 
Fatevi  all'uscio  ecc. 

Or  te  ne  va,  ballala  mia  piaciente, 
À  quella  rosa  colla  di  gennaro, 
Che  più  che  l'aratro  si  è  riluciente,  30 

E  più  bianca  che  non  è  il  mulinaro; 
Dì'  che  il  suo  drudo  l'aspolla  al  pagliaro, 
E  le  vuol  far  'na  bella  mallinala.  35 

V.24.  Qui  gli  è  caduta  di  cintola  la  rima  e  la  misura.  Certo  che 
•I  poeta  volle  scrivere:  Vo  per  la  via  gridando  omei,  ohi;  ma  Yohi 
non  gli  gocciolò  dalia  penna;  o  fors'anco  è  crror  di  copista. 

Pag.  208.  N.o  CLVII. 

Canti  di  tal  fatta  si  trovano  nella  poesia  popolare  di  tutte  le 
nazioni.  Ne  citiamo  dge  esempi  che  togliamo  dal  Bujeaiid.  Chauts 
popul.des  provinces  de  l'  Ouest,  Paris,  Aubry,  ■1866,  i,  30: 

Ma  mère  m'envoie-t-au  marche 
Cesi  pour  des  emplelt'  achcter. 
Mes  sabots  font  digue,  don,  daine, 
Mon  coq  fail  coquerico, 
Mon  lambour  fail  bour,  bour,  bour, 
Ma  flut'fait  tur  lu  tu  tu  ole. 
Che  così  seguila  in  altro  Canto  a  pag.  43: 

Ma  mèr'  m'envoic-l-au  marchia 
Cesi  pour  une  lliìle  ageler: 


)(  340  )( 
Ma  flilte  fait  Inrlululu, 
Mes  sabots  font  dig'  don  daine, 
Dig'  don  dain'  font  mes  sabots. 
Je  n'  suis  pas  marchand',  ma  mère, 
Pour  une  flùte  ageter. 

Ma  mèr'  m'  envoie-l-au  marche, 
C  est  pour^un  tambour  ageter: 
Mon  tambour  fait  bour,  bour,  bour 
Ma  flùte  fait  turlutulu,  etc. 

Ma  mèr'  m'envoie-t-au  marche 
G'est  pour  un  violon  ageter: 
Mon  violon  fait  zin  zin  zin 
Mon  tambour  fait  bour,  bour,  bour  etc. 

Ma  mèr'  m'envoie-t-au  marche 
G'est  pour  une  poule  ageter, 
Ma  poule  fait  cot'  col'  cot, 
Mon  violon  fait  zin,  zin,  zin  etc. 

Ma  mèr'  m'envoie-t-au  marche 
G'est  pour  un  beau  coq  ageter: 
Mon  coque  fait  coquerico, 
Ma  poule  fait  cot',  cot',  cot'  etc. 

Ma  mèr'  m'envoie-t-au  marche 
G'est  pour  une  cane  ageter: 
Ma  cane  fait  coin,  coin,  coin, 
Mon  coque  fait  coquerico  etc. 

Ma  mèr'  m'envoie-t-au  marche 
G'est  pour  une  dinde  ageter 
Ma  dinde  fait  giou,  giou,  giou. 
Ma  cane  fait  coin,  coin,  coin  etc. 

Ma  mèr'  m'envoie-t-au  marche 
G'est  pour  un  àne  ageter;        , 
Mon  ane  fait  hi  han,  hi  han, 


)(  :^4I  )( 

Ma  dinde  fail  gioii,  gioii,  gioii,  ole. 
Ma  iiièr'  m'envoie-l-au  marche 
C'osi  pour  une  fi  Ile  ageler; 
Ma  fi  II  e  l'ail  lire  lan  lai  re, 
Moii  àne  fait  hi  han,  hi  han, 
Ma  dinde  fait  giou,  gioii,  gioii, 
Ma  cane  fait  coin,  coin,  coin, 
Mon  coque  fait  coquerico, 
Ma  poule  fait  col'  col'  col', 
Mon  violon  fait  zin,  zin,  zin, 
Mon  tambour  fait  bour,  bour,  bour, 
Ma  filile  fait  turlululu, 
Mes  sabols  font  dig'  don  daino. 
Dig  don  dain'  font  mes  sabols. 
Je  suis  bien  marchand',  ma  mèro, 
Pour  une  fi  Ile  ageter. 


)(  342  )( 
AVVERTENZA  DELL'  EDITORE 


Per  la  indugiata  pubblicazione  di  questo  volume,  è  avvenuto 
che  alcune  poche  poesie  in  esso  contenute  sieno  state  edite  altrove  da 
altri;  come  le  ballate  di  Matteo  Frescobaldi  riunite  da  me  stesso 
alla  raccolta  che  detti  di  tutte  le  rime  di  quel  poeta  {Pistoia,  1866, 
in  16.°),  e  alcune  ballate  di  Matteo  De'  Grifoni  che  furono  date  in 
luce,  di  su  lo  stesso  codice  padovano  onde  le  avevo  avute  io,  dai 
Sig.  Giusto  Grion  in  appendice  al  Trattato  delle  rime  volgari  di  An- 
tonio da  Tempo  (Bologna,  Romagnoli  4869,  8.°). 

Debbo  inoltre  notare  come  dopo  la  stampa  uscì  a  luce  una 
diversa  lezione  della  Ballata  popolare  riferita  a  p.  60,  sotto  il 
n.^xxxvni;  la  quale  fu  data  dal  Prof.  Mussatìa,  nel  Propugnatore, 
anno  i,  fase,  ii,  p.  231,  tolta  di  sul  margine  di  una  edizione  venti- 
settana  de|  Boccaccio,  e  che  qui  riferiamo  con  le  parole  che  la  illu~ 
strano,  e  che  furon  scritte  da  un  anonimo  nel  secolo  xvi. 

«  Io  udi'  cantare  a  Rovezano  l'anno  1552  quella  canzone  di 
che  fa  mentione  il  Boccaccio,  che  comincia  ;  «  L'  acqua  corre  alla 
Borrana  »,  la  quale  è. questa  appresso  et  cantasi  nel  modo  eh'  io  dirò. 
Cantasi  in  ballo  tondo,  dove  sia  ugual  numero  di  huomini  el  di 
donne,  disposti  un'huomo  et  una  donna,  et  colui  che  la  impone 
comincia  così,  nel  tuono  di  quella  canzone  che  voi  potete  aver 
sentita: 

Quanti  polli  è  in  sul  pollaio. 

L'acqua  cornee  alla  Borrana 

El  runa  è  nella  vigna  —  alias  Et,  fa  tremar  la  foglia 

che  così  diversamente  da  due  diverse  persone  la  senti' cantare. 

,  Ripetonsi  per  le  persone  del  ballo  questi  due  versi  nel  mede- 
simo tuono,  et  così  detto,  colui  che  impone  si  parte  dal  lato  suo  et 
va  a  quella  donna  che  gli  è  da  man  ritta,  et  presala  con  la  man 
manca  la  leva  del  lato  suo  dicendo  nel  medesimo  tuono: 

Et  mio  padre  mi  vuol  gran  bene 
Et  datemi  questa  figlia 

Et  ritornasi  con  essa  nel  lato  suo  mettendosela  da  man  manca, 
et  el  ballo  ripete:  L'acqua  corre  alla  Borrana  ctc.  Et  tante  volle  fa 


)(  343  )( 

così  elio  egli  lovn  tulle  le  donne  del  lato  loro  et  niolteie  da  tniui 
ninncci,  in  modo  che  l'ultittiu  è  (|uclla  che  gli  resta  da  niaii  ninm-n 
come  prima,  et  cosi  si  trovano  tutte  le  donne  da  una  handa  et  gli 
huomini  dall'altra;  et  all' bora  muta  parole  dicendo  pur  nel  mede- 
simo tuono; 

Questo  ballo  non  sia  bciir 

Ed  io  ben  lo  veggio. 

Le  quali  parole  si  repetono  per  il  ballo  nel  suono  dello,  et  di 
poi  colui  che  impone  seguila  pur  nel  tuono: 

Et  Uj  N.  coiti pag:no  mio 
Vanne  alialo  al  Ino  desio 
Et  quivi  li  sta  fermo. 

Et  facendo  dare  una  volta  a  colui  che  egli  tiene  con  la  man 
destra  lo  lascia  andare,  et  colui  se  ne  \a  et  Irameza  due  donne  dovo 

fili  pare  e  il  ballo  intanto  replica; 

è 

Questo  ballo  non  istà  bene  .eie 

Et  così  fa  tante  volte  che  gli  uomini  tramezono  tulle  le  donne, 
et  tornono  un'huomo  et  una  donna  come  erano  prima  et  finisco  Ih 
Canzone  ».  — 

Avverto  ancora  come  ritrovai  pur  dopo  la  stampa  ,  il  cod.  laur 
onde  il  Trucchi  trasse  prima  la  ballala  i.xxxviii,  a  pag.  tl5,  elicè 
segnalo  pi.  42,  n."  38,  ov'  è  a  e.  24  e  che  offre  queste  varianti: 
V.  <.  Cantando  in  voce  dolce  umile  e  leve. 
7.  Ch'  i'  dissi. 
9.  Su'  cantar 
t2.  Di  fora. 
t3.  erto  surgea 
\h.  i  miei 
46.  disiri 
17.  r  priego  te  eh'  alquanto 

22.  vedea 

23.  stridea 
26.  r  gridava 

28.  vista  fiale  (sic) 

34.  pìatose. 

35.  dardo  (  cardo  ?  ) 
3(L  Sì  'I 


I  N  DICE 


LIBRO  I. 
Cttnnoni  di  rimatori  del  neeolo  XIII  o  ad  e»»»  attribuite  fil-     I 

LIBRO  IL 
Caiuoiii  ttoricìte  o  di  oeeanoné  e  di  tradizione  ttorien    ...  /s 

LIBRO  IlL 
A^  'Vmaoiit  popolari  del  aeeolo  XIII  e  XIV .rs 

LIBRO  ir. 

Jiallate  e  Madrxali  di  varii  rimatori  iìluetri  e  letterati  dal  12H2 

ai  ISSO ;s 

LIBRO    V. 

Ballate  anotiime  del  teeolo  XIV. >      il-! 

LIBRO   VI 
Hallate  tratte  dalle  dieci  giornate  del  Decameron  ed  altre  Canzoni 

a  ballo  e  Madrigali  di  metter  Giovanni  Boceacfùo  .     .  J'iS 

LIBRO   VIL 

l'antonette  a  ballo  di  ter  Giotianni  Fiorentino /. '. 

LIBRO    Vili. 

Rollate  e  Madrigali  di  Franco  Sacdtetti. :'"■■ 

LIBRO  IX. 

Hallate  e  Madriali  di  Siecold  Soldnnieri »       /tìO 

LIBRO  X 
Madriali  e  hallate  d'Alestio  di  Guido  Donati  e  di  Binda  d' Aletto 

Donati. »       e»; 

LIBRO  XL 
Ballate  e  Madriali  di  varii ♦       :ì07 

.Appendice »       S94 


97,     9.     Forse:  contar  la  nobiltade. 
106,    8.    Dalle  rime  Tediamo  che  e'  è  errore. 

—  43.    Forse  va  letto  • 

Ed  hollo  udito  al  frate, 
Alla  santa  scrittura 

—  49.     Leggi:  siate. 

—  62.     Cancella  il  veramente. 


108,     9.     Leggi  distra. 

—     51.  53.    Forse:  Ch'io  noi  credia  e  s'io  un  coltello  avia. 


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