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STRAMBOTTI E MADRIGALI
NEI SECOLI Xni E XIV
A CURA
GIOSUÈ CARDUCCI
PISA
TIPOGRAFIA NISTRI
1871
^
AVVERTENZA
Il mio primo intendimento era di raccogliere il
più che mi fosse dato di quelle poesie dei secoli xiii,
XIV, XV, le quali furono o popolari o piiì largamente
sparse, mediante la musica e il canto, nei vari ordini
della nazione: ma del molto che feci posso dar faora
poco. Ho notato in fronte a ciascuna poesia le fonti
e certe altre particolarità; e da cotesto note chi
ha conoscenza deUe raccolte di rime antiche e dei
codici italiani giudicherà quanto io abbia faticato e
come: che son rimasto ben lontano dalla meta lo so,
pur troppo, da me. Gli amici e i benevoli che mi sov-
vennero in parte ho nominato a lor luogo; qui debbo
ringraziare Carlo Gargiolli che mi aiutò quasi per
tutto.
Bologna 24 aprile 1869.
G. C.
LIBRO I.
CANZONI DI RIMATORI DEL SEGOLO XIII
0 AD ESSI ATTRIBUITE.
I.
Ruggieri Pugliese.
Fu pubbl. da F. Trucchi col nome di Ruggieri Pugliese di su 'I
cod. vatic. 3793 in Poes. ital. ined. Prato, Guasti, 4846; i. 50.
L' altro ier fui 'n parlamento
Con quella eh' i' aggio amata.
Fecemi grande lamento
Che a forza è maritata;
E dissemi — Drudo mio,
Merzè ti chero, or m'aiuta;
Che tu se' in terra il mi' dio;
'N le tue man mi so' arrenduta.
Per te colui non vogl' io. 9
Vers. 4. L' altrier: Tr. Ma i versi sono ottonari — 3. gran: T. —
4. Ch' a: T. — 8. Ne le tue mani mi sono: T. D'un ottonario un en-
decasillabo I
)( 2 )(
Certo ben deggio morire,
Che '1 cor del corpo m' è tratfo.
Veggio '1 mio padre ammannire
Per compier lo mal m' ha fatto.
Sir Iddio, or mi consiglia
E donami lo tuo conforto
De r om eh' a forza mi piglia.
E gnana lo \egg' io morto !
Di farmi dol s' assottiglia. is
Drudo mio, da lui mi parte
E tra' mi di questa travaglia;
Mandame in altra parte.
Che m' é in piacer san' faglia.
Che non m' aggia in balia
Lo padre mio che m' ha morta :
Non pare che prò' mi dia.
Se non di gioì' mi sconforta
E di ben far mi disvia. — 37
— Donna, del tuo maritare
Lo mio cor forte mi duole.
Cosa non é da disfare:
Ragion so ben che non vuole.
Che io t' amo si lealmente.
Non vo' che faccia fallanza;
Che ti biasmasse la gente
Vers. 40. bene: T. — -H. lo core: T. — -12. lo mio: T. — 43.
mal che: T. Ma il v. crescerebbe d'una sillaba: l'elissi poi del che
relat. è ovvia nelle poesie del sec. XIII non tanto italiane quanto
anche provenzali e francesi. — i4. Siri Dio: T. — 46. omo: T. — 47.
veggio- T. — 48. dolo: T. — 23. Il cod. legge: Che non aggio: T. —
25. par: T. E il resto dovrebbe forse leggersi: «che prò gli dia»
o vero «che prò gli sia». — 26. gioia: T. — 27. bene: T. — 34.
bene: T. —32. Ch'io: T. — 33. voglio: T.
)( 3 )(
Ed io ne stesse in dottanza.'
Dico il vero fermamente. se
Assai donne marito hanno
Che da lor son forte odiate:
De' be' sembianti li danno,
Però non son di più amato.
Cosi voglio che tu faccia;
Ed averai molta gioia.
Quando ,
Tutt' andrà via la tua noia.
Di cosi far ti procaccia. 4^
Vers. 41. vo' che: T. — 43. «Questo verso si tace per onestà»
ann. il T. Suppongo dovesse leggere: Quando m'avrai [o t'avrò]
nelle braccia. — 44. onderà: T. — 45. fare: T.
II.
Federigo II.
Fu pubbl. da Lod. Valeriani tra le rime di Federigo II in Poeti
del primo sec. della lingualital. Firenze, 1816, 1. 55.: ma, quale la pub-
blicò il Valeriani, è monca di parecchi versi. Il primo e il solo,
credo, ad avvertire lo strazio di questa canzone nel testo Val. fu il
Monti [Proposta, voi. in, p. ii, pagg. cxii. e segg. , Milano, 1824], che
pure, senza far segno di dubbio su l'essere ella di Federigo, avanzò
che contenesse un lamento in persona della Florimonda amata da Pier
delle Vigne e perciò mal trattata dal marito: così tenne anche il Nan-
nucci. Però il De Blasis [Pier.della Vigna, 60] osserva giustamente che
di questo amore del cancelliere imperiale per una Florimonda man-
cano le prove. A ogni modo il Monti non ha ragione quando vuole
che tutta la canzone sia in bocca della donna, e che per Ciò debban
ridursi a desinenza femminile anche certe voci della prima stanza.
No: fino a lutto il v. 17 è il poeta o l'amante che fa una sua intro-
duzione e una breve esposizione (tei fatto: dal v. 18 in poi riporta il
lamento che fa in suo pensiero la mal maritata. Del resto le canzoni
^'
)( ^^ )(
di consimile argomento abbondano poi nel sec. xiv e xv, e per lo
più in versi ottonarii come la presente, che ne sarebbe antichis-
simo esempio: certo all'andamento e allo stile ella diversifica assai
dalle canzoni di Federigo e degli altri della scuola cavalleresca-pro-
venzale: il che si può generalmente affermare di tutte le rime com-
ptese in questo lib. I. Gl'indizii a scoprire le interpolazioni e gli
sconci della lezione Val. gli abbiamo avuti nel fissare il metro; che
è la stanza di dodici versi, de' quali il decimo settenario, senario
il duodecimo e ottonarii gli altri, rimati in quest' ordine : a b, a b,
a b; e, e, e; d, e, d.
Di dol mi convien cantare
Com' altr' uom per allegranza,
Ch' io non lo so dimostrare
Lo mal eh' i' ho per sembianza:
In cantan' lo vo' contare
A tutta gente e dar dottanza.
E dico: Oì me tapino!
Di colei cui sono al chino
Sospirar mai non rifmo,
Della rosa fronzuta.
Diventerò pellegrino,
Ch' io r aggio perduta. 12
Perduta non vo' che sia
Né di questo secol gita:
Ma r uomo che 1' ha in balia
Da tutte gioi' 1' ha partita.
E pens' a ciascuna dia:
Vers. i. Di dolor mi conviene: Val. Il Nannucci, citando questo
v. nelle note del Manuale ec. corregge Mi convien di duol cantare. —
4. male: V. — 5. cantando lo voglio: V. — 6. dare: V. — 7. E ohimè,
dico, ohimè tapina: corr. il Monti. — 8. Di colui: corr. il M. — 9. Di
sospirar: V. — 12. così perduta: V. Potrebbe anche correggersi Ch'io
l ho sì perduta. Ma certo il verso deve esser senario. — 13. voglio: V. -
14. secolo: V. — 16. gioie: V.
)( 5 X
Lo giorno che fui parlila
Non fuss' eo naia al mondo !
Ciascun giorno che m' appressa
Sospiro ed aggrondo. 54
Nel mondo non foss' eo naia
Femina con ria venlura!
Ch' a tal marito son data
Che d' amar non mette cura.
Se m' allegro alcuna fiala,
Tutto '1 giorno sto in paura
Però eh' io non sia veduta
Da cosi sozza paruta.
'Ncontanenle son battuta:
Non fo' che dicer: basta.
Se Dio del ciel non m' aiuta,
Morta sono e guasta. 30
Dio del ciel, tu che lo sai
Or mi dona il tuo conforto:
Del peggior che sia già mai
Vengiam'. Il vedess' io morto
Vers. 48-24. Così legare il V.: Lo giorno, che fui partita, Non
fuss' eo nata nel mondo. Ciascun giorno che m' appressa Sospiro ed
aggrondo. Al mondo non foss' eo nata, Che a tal marito son data
Che d'amore non mette cura. Ma il turbamento delie rime e dei
versi e le inutili ripetizioni mostran chiaro che il mal copista, sal-
tando i versi -19-21, anticipò al lettore i primi tre della stanza se-
guente. — 25. Non foss' io nel mondo nata: corr. il iM. — 27. Che a
marito tal: corr. il M. '— 28. d' amare: V. — 33. Incautamente so-
no: V. — 34. Non fore che dicere: V. Ma che vuol dire? e il verso
dev'esser settenario. — 35. cielo: V. — 37. cielo: V. — 39. peggiore: \ •
)f6)(
Con pen' e dolori assai!
Poi ne saria a buon porto:
Che io ne saria gaudente
A tutto lo mio vivente:
' Piangerialo in fra la gente »
E batteriami a mano;
Poi dirla 'n fra la mia mente:
Lodo Dio sovrano. 43
Sovran Dio, or tu che '1 sai! *"'
Gran mestier mi fa ch'io pianga
D' un cattivo eh' io pigliai.
Non mi vai chiave nò stanga
Sempre che mi tiene in guai:
Che nel mon' più non rimanga!
A ciascun della magione
Si ranuzza il suo sermone,
Guardin bene la prigione
Che io non n' esca fore.
Si ardente é
Che m' arde in fra '1 core. eo
Voglio che r amor mio canti,
Vers. 49. Sovrano: V. — 80. mestiero: V. — 52. vale: V. — 54. mon-
do: V. — 55. ciascuno: V. — 59. è lo foco: V. ma in onta della mi-
sura del verso che ha da essere ottonario e della rima che ha da
essere in one. — 60. lo core: V. — 60. A questo verso il V. ricongiunge
senza interruzione Voglio che Vamor. — 67. amore: V.
)(7)(
Di bella druda si vanti:
Di mio amor vo' che s' ammanti
E portine ghirlanda.
Ch' io farò tanti sembianti
Quanti amor comanda. 7i
Vers. 69. amore. . . amanti: V. — 72. amore: V.
'^ III.
= Odo delle Colonne.
Fu pubbl. col nome di Odo delle Colonne dà mons. Allacci in
Poeti antichi race, dai ùodd. della Vaticana e Barberina, Napoli,
d' Alecci, ^661; quindi, con la slessa lezione, da L. Valeriani in Poeti
del pr. sec. i. <99; e in ultimo riprodotta con emendazioni dal Nan-
nucci nel Manuale della letter. del primo sec. della ling. Hai. [ediz.
Magheri, ii. 242.: ediz. Barbèra, i. 86.], il quale ancbe avvertì:
« Questa canzone è in nome d' una donzella a cui è stato sviato il
suo amante ». Agost. Gallo in una Lettera al cav. Ant. Mira [Effe-
meridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, t. v, Palermo, 4833]
l'attribuisce alla Nina ma senza ninna autorità di codd., e pur senza
autorità di codd. ne muta in più d'un luogo la lezione.
Oi lassa innamorata!,
Contar vo' la mia vita
E dire ogni fiata,
Come r amor m' invita,
Ch' io son, senza peccata, •
D' assai pene guernita
Per uno eh' amo e voglio
E non aggio in mia bàglia
Si come aver io soglio:
Vers. 8. balia: V. .
)( 8 )(
Però palo travaglia.
Ed or mi mena orgoglio;
Lo cor mi fende e taglia. 4 a
Oi lassa tapinella,
Come V amor m' ha prisa !
Come lo cor m' infella
Quello che m' ha conquisa !
La sua persona bella
Tolto m' ha gioco e risa,
Ed hammi messa in pene
Ed in tormento forte.
Mai non credo aver bene,
Se non m' accorre morte;
E sperola che vene,
Traggami d' està sorte. 54
Lassa!, che mi dicia.
Quando m' avia 'n celato :
— Di te, 0 vita mia,
Mi tegno più pagato
Che s' i' avessi in balia
Lo mondo a signorato — •.
Ed or m' ha in disdegnanza,
E fatta conoscenza
Par eh' aggia d' altra amanza.
0 Dio, chi lo m' intenza
Mora di mala lanza
E senza penitenza! 36
Vers. 45. Che lo suo amor m' appella: V. —23. Esperò, là: N. —
24. A trarmi d': G. — 26. celata: V. — 28. pagata: V. — 30. signo-
rata: V. — 31. £ dormo a dis. . . V.: m'hai: G. — 32. E fammi
con. ... V.: E faimi scon. . . G. — 33. d' altro: V.
)(0 H
0 ria ventura e fera,
Trammi d' eslo penare !
Fa' tosto cir io mi péra,
Se non mi degna amare
Lo meo sire, clie m' era
Dolce lo suo parlare,
Ed hammi innamorata ^
Di sé oltre misura.
Ora lo cor cangiai' ha.
Sacciate, se mi dura.
Si come disperala
Mi metto alla ventura. 48
Va', canzonella fina,
Al bene avventuroso;
Ferito alla corina,
Se il trovi disdegnoso;
No'l ferir di rapina,
Che sia troppo gravoso:
Ma ferila chi '1 tene,
Ancidela sen' fallo.
Poi saccia che a me vene
Lo viso di cristallo:
E sarò fuor di pene
E avrò allegrezza e gallo. eo
Vers. 39. io non péra- V. — 42. col suo: G. — 45. Or san di cor
cangiata: G. — 46. Sacciaio, e se più dura: G. — SO. Al buono: V. —
65. feri là: V. e N. feri lei che: G. — 57. Poi faccia: V. Poi fa si
che: G. — 59. E sarà: V.
)( 10 )(
IV.
Ciacco dell' Anguillara .
Fu pubbl. così a frammenti dal Trucchi col nome di Ciacco
dell' Anguillara di su '1 cod. vatic, 3793 in Poes. ital. incd. i. 73.
Mentr' io mi cavalcava
" Audivi una donzella:
Forte si lamentava
E diceva — Oi madre bella,
Lungo tempo è passato
Che deggio aver marito,
E tu non lo m' hai dato.
La vita d' esto mondo
Nulla cosa mi pare.
Quand' altri va giocondo.
Me ne membra penare. —
, 16
La madre li risponde: -*
— Figlia mia benedetta,
Vers. 8. La stanza, come resulta dal congedo e dalla canzone
seguente attribuita allo stesso autore che è intiera, si compone di
settenarii rimati in quest'ordine: ab, a b: e d, e d. Dunque a questo
punto manca un verso. Il Tr. non se n'è accorto, e ha confusi i
primi 7 con i 4 vv. segg. in una sola stanza. — U. ride e va: T.
Quel ride, onde il v. crescerebbe di due sillabe, è certo una glossa
del copista.
H li )(
So r amor ti confonde
De la dolce saetta,
Ben te n' puoi soffe rere.
Tempo non è passato
Che tu potrai avere
Ciò e' hai desiderato. — S4
— Per parole mi teni
Tutt' or cosi dicendo :
Questo patto non fina,
Ed io tutt' ardo e incendo .
La voglia mi domanda
'Na cosa che non suole:
Luce più chiar che '1 sole:
Per ella vo languendo. — ss
— Oi figlia, non pensai
Si fossi mala tósa;
Che ben conosco omai
Di che se' goliosa;
Che tanto m' hai parlato.
Non s' avviene a pulzella.
Credo che 1' hai provato, ^■
Sì ne sai la novella. 40
Vers. 21. te ne: T. — 24. Qui l'ediz. del T. accenna a qual-
che cosa che manca: forse una stanza. — 32. In questa stanza, e
segnatamente nei vv. 29-32, l' ordine delle rime è turbato, né io
oserei portarci le mani per restaurarlo: forse che il 31 e 32 sono la
finale d' un altra stanza, rappiccicata qui dall'amanuense coli' omis-
sione di tutto quel che v'era di mezzo. Ho però osato di correggere
i vv. 30-31 certamente errati: nella jezione del T. dicevano: Cosa
che non suole Una luce più chiara che 'l sole. Nulla di più facile che
o l'amanuense antico o il T. abbiano tra.sportato 1' artic. indeterm.
una da cosa a luce. Ciò avvertilo, le altre due correzioni provengono
immediatamente dalla ragion metrica.
^
)( '12 K
L.'iscioli, dolorosa.
4«
Canzonetta novella,
Moviti a la palese,
E vanne a la donzella
Che sta ne le difese.
A Saragozza la manda,
E va fedelemente:
Cantala ad ogni banda
Per la rosa piacente. se
Vers. 41. Il T. congiunge questo verso alla st. antec, poi nota
mancar qualcosa. Certo manca la st. di cui questo è il primo
verso. — 50. Moviti e vanne alla palese: T. Queir e vanne è certa-
mente un'aggiunta del copista suggeritagli dalla memoria che ri-
correva al principio del v. seg. — 56. Per la mia rosa: T.; mia è
delle solite giunte del copista.
DELLO STESSO.
Fu pubbl. come di Ciacco di su '1 cod. vatic. 3793 dal Trucchi
in Poes. ined. i. 69, e riprodotta dal Nannucci nel Manuale, 2.* ediz.
I. -191. E su '1 tenore del sirventese di Ciullo d'Alcamo, che pure
avrei dovuto ristampare in questo lib. I, come poesia probabilis-
simamente cantata e certo d' indole meglio paesana che non quelle
della scuola provenzale-sicula da cui differisce affatto: ma ho repu-
)( 13 )(
tato inutile il ripubblicare cosa tante volte edita e sì variamente e
dottamente illustrata.
Amante.
0 gemma leziosa,
Adorna villanella.
Che se' più virtudiosa
Che non se ne favella;
Per la vi r Inde e' hai
Per grazia del signore,
Aiutami; che sai
Gh' io son tuo servo, amore. s
Madonna.
Assai son gemme in terra
Ed in fiume ed in mare,
C hanno virtude in guerra
E fanno altru' allegrare.
Amico, io non son dessa
Di quelle tre nessuna:
Altrove va per essa
E cerca altra persona. le
Amante .
Madonna, troppo é grave
La vostra risponsione:
Che io non aggio nave
Né non son marangone,
Ch' io sappia andar cercando
Colà ove mi dite.
Per voi perisco amando.
Se non mi sovvenite. 24.
Vers. <6. «Se pure il cod. non dice persunao: ann. il N.
,)( i^ K
Madonna.
Se perir tu dovessi
Per questo cercamento,
Non crederia che avessi
In te innamoramento.
Ma, s' tu credi morire
Innanzi eh' esca Tanno,
Per te fo messe dire.
Come altre donne fanno. ss
Amante .
0 villanella adorna,
Fa' si eh' io non perisca :
Che r uom morto non torna
Per far poi cantar messa.
Se vuoimi dar conforto.
Madonna, non tardare:
Quand' odi eh' io sia morto.
Non far messa cantare. 40
Madonna.
Se morir non ti credi,
Molto hai folle credenza,
Se quanto in terra vedi
Trapassa per sentenza.
Ma, s' tu sei dio terreni,
Vers. 27. crederei: N. — 36. messe: T. e il N. ann.: «Qui perisca
rima con messe, e sarebbe una strana assonanza. Pare che debba dire
(se pure il cod. non ha così ) peresse, cioè peressi, perissi ». La no-
stra correzione è più semplice, e, se non c'inganniamo, più d'ac-
cordo con la sintassi e risponde alle libertà del rimare che allora
si prendevano: avrei volentieri posto missa in vece di messa, se que-
sta canzone ci desse altri esempii di tal forma. — 44. Trapassi: T.
)( 15 )(
Non ti posso scampare.
Guarda che legge tieni,
So non credi all' altare. 4S
Amunte .
Per r aitar mi richiamo
Che adoran li cristiani.
Però mercè vi chiamo,
Ch' io sono in vostre mani;
* Pregovi in cortesia
Che m' atiate, per Dio; ^
Perchè la vita mia
Da voi conosco in fio. se
Madonna.
Si sai chieder mercede
Con umiltà piacente!
Giovar deeti la fede,
Se ami coralmente.
Tanto m' hai predicata
E sì saputo dire,
Ch'io mi sqno accordata:
Dimmi, che t' è in piacire? sa
Amante.
Madonna, a me non piace
Castella né monete:
Fatemi far la pace
Con l'amor che sapete.
Questo addimando a vui
Vers. 54. aitiate: T.: aiutiate: N. —6ì. piacere: T. e N. — 69.
dimando: N.
**
)( 16 )(
E facciovi lìnita.
Donna siete di lui,
Ed egli è la mia vita. 73
VI.
Mico DA Siena.
È la canzonetta della quale ci narra il Boccaccio [x. 7.] che
fu composta da Mico da Siena e «intonata d'un suono soave e pie-
toso» da Minuccio d'Arezzo a istanza della Lisa inferma, a signi-
ficar r amore che celatamente la struggeva per Pietro d' Aragona
re di Sicilia [a. -1282]. La riporta il Bocc. ma il Crescimbeni la
ristampò [Coment, ist. volg.poes., voi. II, p. II, 1. 1, Venezia, mdccxxx.]
dal cod. 400 chisiano. Il Valeriani [Poet. del pr. sec. II. 417.] si
attiene alla lezione del Bocc; dalla quale poco si discosta quella
del Creso. , mostrando però un' aria più senese ed antica. Io tenni
a confronto il Bocc. [ediz. Fanfani] col Crescimbeni.
Moviti, Amore, e vattene a messere
E contagli le pene ch'io sostegno;
Digli eh' a morte vegno
Celando per temenza il mio volere. ' 4
Merzede, Amore, a man gionte ti chiamo
Gh' a misser vadi là dove dimora.
Dì che sovente lui disio et amo.
Sì dolcemente lo cor m' innamora;
E per lo foco ond' io tutta m' infìamo
Temo morire, e già non saccio 1' ora
Ch' i' parta da sì grave pena e dura
La qual sostegno per lui, disiando
Temendo e vergognando.
Deh! il mal mio per Dio fagli assapere. a
Vers. 2. cantagli: C. — 5. giunte: B. — 6. messer: B. — 7. ed: C. -
9. infiammo: C. — il. Ch'io: C... pena dura: B. — <4. a sapere: C.
)( i7 )(
Poi eh' i' di lui, Amor, fu' innamorata
Non mi donasti ardir quanto temenza,
Ched io potesse sola una fiata
Lo mio voler dimostrare in parvenza
A quelli che mi tien tanto affannata:
Cosi morendo, il morir m' è gravenza.
Forse che non gli sarie dispiacenza
Se el sapesse quanta pena i' sento,
S' a me dato ardimento
Avessi in fargli mio stato vedere. 24
Poi che 'n piacere non ti fu, Amore,
Ch' a me donassi tanta sicuranza
Ch' a misser far savessi lo mio core,
Lassa!, per messo mai 0 per sembianza;
Merzè ti chero, 0 dolce mio signore.
Che vadi a lui e dòn idi membranza
■p"
Del griorno eh' io il vidi a scudo e lanza
o
Con altri cavalieri arme portare;
Presilo a riguardare
Innamorata si che '1 mio cor pére. j4
Vers. 45. Poi che di: B. — 17. Che io potessi: B. — 49. A que-
gli: B. — 21 . saria spiacenza: B. [ spiacienza: ediz, Kanf.] — 24. Aves-
se... sapere: B. — 27. messer: B. — misser savessi: C. — 28. Lasso:
B. — 29. Mercè ti chero, dolce: B. — 30, donagli: B. — 34. eh' il: C.
ilBEO IL
CANZONI STORICHE 0 DI OCCASIONE E
DI TRADIZIONE STORICA.
VII.
Rinaldo d' Aquino .
Fu pubbl. come di Rinaldo d'Aquino di su '1 cod. vatic. 3793
dal Trucchi nelle Poes. (ned. i. 3i. e ristampata dal Nannucci nel
Manuale, 2* ediz. i. 525., col titolo «Lamento dell'amante del
Crocialo partito per terra santa». Sull'argomento non v'è che
ridire: ma non inclinerei leggermente a credere che qui si tratti
della terza crociata [l'I 88], come parrebbe doversi arguire dai ra-
gionamenti del Trucchi; perchè di quel tempo non conosciamo mo-
numenti certi di poesia volgare in Italia: terrei piuttosto per la
crociata del -1228 capitanata da Federigo ii.
[Confr. col Lai de la Dame du Fael su la partenza del Cha-
telain de Couci: Chanterai por moti corage Que je vueill recon^
forter; Car uvee man grani damage Ne vueill morir n' afoler, Quant
de la terre sauvage Ne voi nului retorner, Où cil est qui m' assoage
Le cuer, quant j e n' oi parler. Dex! quant crieront outrée Sire,
aidiez au pelerin Por qui sui espoentée, Car felon sunt Sarra-
zin. ec. ] A. D' A.
Giammai non mi conforta
Né mi voglio allegrare.
Le navi sono al porto
)( 19. )(
E vogliono collare:
Vassene la più gente
In terra d' oltremare:
Ed io, lassa dolente!,
Como degg' io fare? 8
Vassi in altra contrata,
E no '1 mi manda a dire;
E io rimango ingannata.
Tanti son li sospire
Che mi fanno gran guerra
La notte con la dia;
Né in cielo né in terra
Non mi pare eh' io sia. 4s
Sàntusse santus Deo
Che 'n la Vergin venisti,
Tu salva 1' amor meo
Po' che da me '1 partisti.
Oi alta potestate
Temuta e dottata.
Il dolze mio amore
Vers. 7. io, oimè lassa: T. e N. Ma V oimè è delle solite glosse
dell' amanuense. — 8. Come: N. — 9. Vassene: T. e N. Ma il verso
cresce duna sillaba. — ii. Ed io: T. e N. — -17. Santus santus: T.
e N. E sta bene, ma il v. cala d'una sillaba. Non c'era altro ri-
medio che rappresentare con la grafia quello strascico di cadenza
onde il popolo italiano, così ora come in antico, pronunzia l' us la-
tino e stampare, come ho fatto: Sàntusse — iS. ne la Vergine: T.
e N. — t9. Tu salva e guarda: T. e N.: e addio il settenario e
qualunque versoi Ma l'è guarda è delle solite del copista saputo,
se non forse del T. — 20. da me lo dipartisti: T.: il N. per salvare
il v. corresse Po' che lo dipartisti, ma con iscapito dell' affetto. —
21-24. In questi quattro versi, ripetuti più sotto [37-40], son da
notare due cose; la sconcordanza // dolze mio amore Ti sia racco-
mandata, che potrebbesi per avventura toglier di mezzo facendo di
)( 20 )(
Ti sia raccomandala! ' u
La crux salva la gente,
E me fa disviare:
La crux mi fa dolente,
E non mi vai Deo pregare.
Oi me, crux pellegrina,
Perche m' hai si distrutta?
Oi me lassa tapina,
Ch' io ar(Jo e incendo tutta! s2
Lo 'mperador con pace
Tutto il mondo mantiene
E a me guerra face,
M'ha tolta la mia spene.
Oi alta potestate.
Temuta e dottata,
Lo meo dolze amore
Ti sia raccomandata. 40
Quando la crux pigliào.
Certo no '1 mi pensai.
genere femm. amore, come i dugentisti fecero con flore, valore,
mare e simili; la mancanza della rima corrispondente al verso Oi alta
potestate. E qui sta forse il principio delia scorrezione di questi
versi. 0 nel passaggio del canto di bocca in bocca 0 per arbitrio del
copista fu intruso Oi alta potestate, e quindi accordati in genere eoa
esso verso i due aggiunti del seguente, e quindi si venne anche alla
sconcordanza, amore Ti sia raccomandata. Probabilissimamente tale
era la lezione originaria: Oi alto signore Temuto e dottato. Il dolze
mio amore Ti sia raccomandato. — Vers. 25. cruce: T. e N. Ho notato
che ogni verso di questa canzone ove entra la croce cresce d' una
sillaba, ho notato che nella penultima stanza croce rima con duce:
ne ho dedotto che chi compose e cantò questi versi dovea dire cruce
e crux con la forma latina: e delle forme latine portate serie serie
nel volgare non c'è penuria nel dugento tanto in Italia che in
Francia. — 30. così distrutta: T, e N. — 36. Che m'ha: T. e N, —
K 21 K
Quel che tanto m' amào
Ed io lui tanto amai,
Che io ne fui battuta
E messa in prigionia
E in celato tenuta
Per la vita mia. 49
Le navi so' alle celle:
'N buon' or' possano andare,
E lo mio amor con elle
E la gente che v' ha andare.
0 padre criatore,
A san' porto le conduce,
Che vanno a servidore
De la tua santa cruce. s$
Però ti prego, Dolcetto,
Che sai la pena mia,
Che me n' facci un sonetto
E mandilo in Soria.
Ch' io non posso abentare
La notte né la dia:
In terra d' oltremare
Ita è la vita mia. «4
Vers. 43. Quelli: T. Quello: N. — 45. Ch'io: T. e N. — 47. Ed:
T. e N. — 48. II V. cala d'una sillaba, e certo manca qualcosa; ma
è dlflBcile veder che. Forse dovrebbe leggersi Tutta la vita mia. —
49. sono: T. e N. — 50. In buon'ora: T. e N. — 63. Padre: T. e N.
— 54. A santo: T. e N. Ma il v. cresce di due sillabe. — 56. croce:
T. e N. — 57. Il V. cresce d'una sillaba: ma non saprei che cosa
tagliar via senza taccia d' arditezza. — 59. me ne: T. e N. — 62.
Nolte né dia: T. e N.
)( 22 )(
Vili.
È copiata a tergo d'un rotolo in pergamena il quale porta la
sottoscrizione notarile dell'anno ^^11, indizione V., giorno di sa-
bato, 23 decembre. Fu pubblicata la prima volta da Giov. Bru-
nacci in Antiche origini della lingua volgare de' Padovani [1759].
Alcuni versi ne furono ristampati dal Gantù negli Schiarimenti
al voi. XI della Storia Universale e neW Appendice I al voi. I della
Storia degli Italiani. Fu per intero ristampata dal Biondelli negli
Studi linguistici [Milano, 4856] pag. -153. Questa poesia è cono-
sciuta sotto il titolo di Lamento della sposa padovana per la lonta-
nanza del marito crociato o simile; ma lamento è solo nei primi
50 versi; e del resto il canto par che sia in bocca ad un pellegrino
innamorato della donna, il quale narrando la fedeltà coniugale di
lei ne riferisce anche il lamento su la lontananza del marito. La
Crociata a cui s'accenna par quella bandita da Urbano IV.
Responder vói a dona Frixa,
Ke me conscia en la soa guisa
E dis k' eo lasse ogna grameza
Vezandome senza alegreza;.
Kè me mario se n' è andao, s
K' el me cor cum lui à portao.
Et eo cum ki me deo confortare,
Fink' el starà de là da mare?
Zamai no '1 ver. . . el vegnire,
No ai paura d' envegolire ; io
Kè la speranza me mantene
Del me segnor ke me sovene. ^^
Vers. 3. ogni: Biond. — 4. Vegandome: Biond. Al fine di questo
vers. Br. e Biond. mettono punto fermo. — 5. se ne. Br. — 7. cum ti:
Br. — 9. Dopo ver il Br. accenna a una lacuna, che anche il nu-
mero monco del verso ci fa supporre: il Biond. no, e annota « non
vedendolo venir mai » —
)( 23 )(
En lui è tulio el me conforlo;
Zamai non vói altro deporto;
Kè de lui sol zoia me nasce, **
K' el me forlin noriga e pasce.
El no me par k' el sia luilano;
Tanto m' è el so amor prusimano.
Eo sto en la cambra, piango e pluro.
Per tema k' el no sia seguro ; so
Kè d' altro mai no ai paura .
E la speranza m' asegura,
K' el de' vegnir en questo logo.
Tulo el me pianto torna en zogo,
E i me sospiri ven en canto, ss
Membrandome del ben cotanto.
Veder mia faza eo mai no quero
En spicco, k' el no fa mesterò;
Kè non ai cura d' eser bela.
Eo me'n sto sola en camarela so
E an' tal ora en mei la sala:
No ai que far zo de la scala
Ne a balcon né a fenestra;
Kè trovome luitan la festa
Ke plur desiro a celebrare. ss
Co guardo en za de verso el mare.
Sì prego Deo ke guarda sia
Del me segnor en pagania,
Vers. 20. non sia: Br. — 22. assegura: Biond. — 24. Tutto:
Biond — 29. esser: Biond. —Zi. Questo en, eh' è necessario,
nel Br. è aggiunto sopra nell' interlinea. — 34. Ket " rome: sic.
Br. — 38. en compagnia: Biond. \(a nella lez. Br. compagnia è
cancellalo e scritto sopra nell' interlinea pagania; clie parrai più
opportuno.
)( 24 )(
E faza si k' el mario meo
Alegro e san se 'n tome endereo, 40
E done vencea ai Cristiani,
Ke tutti vegna legri e sani.
Kè quando ai fato questo prego,
Tuto el me cor roman entrego;
Sì k' el m' è viso ke sia degna 45
K' el me segnor tosto se 'n vegna.
Eo no crerave altro conseio.
El vestro è bon, mai questo è meio,
E questo me par de tegnire:
Nexun me 'n porave departire. — so
Le done oidi zo ke la disse:
Nexuna d'eie contradisse;
Anzo fo tegnuo tuto per bene
E cosa ke ben se convene.
E fi' la tene, fi' liale, ss
Cum' bona dona e naturale;
K' el' atendè tanto al mario
K' el so deserio fo compilo.
En verso lui mostra legreza,
Lassando tuta la grameza. 60
Zamai penser no volse avere,
Se non com' se poes plaxere
Et el a lei et eia a lui.
Zilusi i gera entrambi dui,
Mai no mio;a de rea creenza: es
•o"
Vers. 43. ai faro: Br. — 46. Tra questo verso e il se-
guente la lez. Br. porta una N inaiiiscola interposta — 48. ma
questo: Bioiid. — Si oidi: Br. e Biond. — 52. elle: Biond. — 55.
E fila tene filiule: Br. E fé' eia tene fé' liale: Biond. — 56. Cum:
Br. e Biond.— 57. Kela tende: Br. Ke la tende: Biond. — 61. no
vose: Br.
)( 25 )(
Entrambi eran d'una sentenza;
K' i se portava tanto amore,
K' i gera entrambi d' un sol core.
El volse zò k' eia volea,
Et eia zò k' a lui plasea : 70
Non ave mai tenzon né ira
Ke ben tegnise da terza a sera.
Questa fo bona zilosia,
K' el fino amor la guarda e guia.
E questa voi lo pelegrino 73
Aver da sera e da mattino.
E an' no i ave desplaxere, ^,
S' eia volese ancora avere ;
En verso lui no clian ella
K' ancora un poco li revella. • so
Mai el à si ferma speranza
K' el ere' complire la soa entendanza,
E far sì k' eia 1' amerà
E fé Hai li porterà.
Eia li sta col viso claro 55
Quan li favela; mai de raro
1 aven quella rica aventura:
Kè r è sì alta per natura,
Ke, quando el è da lei apresso,
De dir parole sta confesso, 90
E sta contento en lo guardare;
Vers. 72. tegnisse: Biond. — 73. Questo v. nella lez. Br. è di-
stinto dagli altri e segnato d'una croce. — 78. volesse: Biond. —
79-80. Cosi Br. e Biond. Questi sotto clian annota: inclinando. —
Si. Ma: Biond. — 86. Nel fine di questo v. Br. segna punto fermo
e Biond. punto e virgola.— 88. E qui pure su 'I fine Br. e Biond.
segnano punto e virgola.
, )( 26 )(
Altro no i à elsa demandare.
E si, i averav' el ben que dire!
Querir mercè, mercè querire
Mille fiae e più ancora, gs
Se li bastas e tempo e ora.
F] ki credivu k' ella sia?
Eia è de tal beltae compila
K' el no è miga meraveia
S' el pelegrin per lei se svela. uo
An' no devrav' el mai dormire^
Ma pur a lei mercè querire,
Mercè k' eia el degnase amare,
/ Ké malamentre el fa penare.
Mai el non osa el pelegrino: 405
Tut' ora sta col cavo enclino ;
Mercè no quere; mai sta muto;
Sospira el core e arde tuto.
Vers. 92. olsa: Br. ia olsa: Biond. — 96. Selli: Br. bastasse.
Biond. — 401. deuravel: Br. devrave 'l: Biond. — 103. degnasse:
Biond.
IX.
Leggesi nel Chronicon imaginis mundi di fra Jacopo d'Aqui
[Monum. Hist. Patr.; Scriptores, ni. Aug. Taurinor. 1848. pag. i5Tl]
il seguente racconto su Pietro delle Vigne:
« Hic Petrus nolarius habuit uxorem pulcherrimam. quam habet
Petrus suspectam de imperatore Frederico. et tamen non creditur
quod ibi esset malum. licet de hoc multus sermo fieret in curia im-
peratoris. Accidit uno mane imperatorem intrare dotnum Petri: sicut
saepe intrabat propter officium quod habebat notarie et etiam quia
homo sollempnis erat. et videt imperator in absentia Petri cameram
X 27 )(
ipsius apertam. et intrat imperator cameram. et invenit uxorem Pe-
tti in ledo dormientem. quam imperator cooperuit, quia habebat
brachia discooperta: et tutte imperator cooperuit dominam et cum
frequentia recessit. Nec aliquis propter honorem domine de hoc adver-
teret, nihil aliud faciens. sed super coffanum domine relinquit impe-
rator suum cyrotheca vel libenter vel ignoranter. Venit Petrus a casu
et invenit cyrotheca imperatoris in lecto suo. Et cognoscens cum do-
lore totum dissimulat. tamen Petrus non loquitur domine que de hoc
multum affligitur. Notificat domina imperatori de duritia viri sui.
Contro illam vadit imperator ad domum Petri. et est imperator et
Petrus et domina simul. et alia familia a longe. Et Petrus videns
se cum imperatore et. cum domina sua vult imperatorem reprehen-
dere cum concordantia verborum non nominato imperatore nec do-
minam et dicit.
Petrus de Vineis loquitur stillo materno:
Una vigna ò pianta:
Per travers è intra
Chi la vigna m' à goastà.
Àn fait gran pecca
Di far ains che tant mal.
Domina loquitur concordiam verborum:
Vigna sum, vigna sarai.
La mia vigna non fali mai.
Consolatus Petrus respondit concorditer:
Se cossi è comò è narra,
Più amo la vigna che fis mai,
Et sic facta est pax inter dominam et Petrum. et tunc Petrus
cantal prò gaudio motrice de XII mensibus anni et de proprietatibus
eorum ».
Narrazione e versi son citati anche da Cantù [ Storia degli Ita-
liani Vili. XCI not. 39]. Primo gli aveva citati il Fauriel [Dante
et les origin. de la lang. ital. Paris, Durand, ii, leg. xvi. ] senza
)( 28 )(
però accennare le fonti. Noi non crediamo che la redazione in dia-
letto subalpino di Fr. Jacopo d'Aqui sia la forma originale della
meridional tradizione, ma non sappiamo con quale autorità il Fauriel
legga così i primi 7 versi: Una vigna ho piantato: Ma per traverso
è intrato Chi la vigna m'ha guastato: Manne fatto gran peccato
Di fare a me tanto male.
[ L' avventura è più antica del sec. xiii.°; ma neanche il più re-
cente ed egregio biografo di Pier delle Vigne, il De Blasis {Pier della
Vigna p. 209) ne conobbe la origine orientale. Essa è infatti un rac-
conto che trovasi in parecchie versioni del Libro di Sendabar, e
precisamente nel Mischie Sendabar ebraico, nel Syntipas greco e nei
Sette Vizir turchi, col titolo: l'orma del leone. Su di che, vedi Loise-
leur: Essai sur les fables indiennes pag. 97. Questa tradizione che
trovasi anche nel Milo di Matteo di Vendóme (ved. Hist. Liltér. de
la France xxii. 56.) è poi da Brantóme [Vie des dames galantcs ii )
riferita come un caso occorso nel xvi.° sec. al Marchese di Pescara.
I versi recati da Brantóme sono i seguenti. La dama dice: Vigna
era, vigna son, Era podata, or più non son E non so per qual cagion
Non mi poda il mio padron. 11 marito risponde: Vigna eri, vigna
sei, Eri podata or più non sei. Per la granfia del leon Non ti poda
il tuo padron. Il Marchese: A la vigna che voi dicete Io fui, e qui
restete: Alzai il pamparo, guardai la vite Ma non toccai, se dio
m'aiute. E dell' attribuirla al cancelliere di Federigo certo deve esser
stata principal causa l'immagine della vigna: poi la novella durò
nella memoria delle genti ma perduti i nomi dei protagonisti, ed
altri pur illustri e noti furono scelti a sostituire gli antichi. — Di
cosifatte appropriazioni a personaggi illustri ed indigeni di fatti e
motti tradizionali, spesso venuti di fuori e contenuti in versi facili
a imprimersi nella memoria, recherò un altro esempio che servirà
a scolpar Dante di una quartina a lui attribuita; ed è la seguente:
Chi nella pelle d' un monton fasciasse
Un lupo, e fra le pecore il mettesse
Dimmi, ere' tu, perche monton paresse
Ch'egli però le pecore salvasse?
1 quattro versi racchiudono intera la sentenza, ma sembra che ta-
luno ve ne accodasse altri dieci per farne un sonetto; ved. Trucchi
Poes. hai. ined. i, 296. Comecchesia, questo epigramma che doveva
esser divenuto proverbiale e che -si voleva scritto dal sommo poeta
per far accorto il conte Guido Salvatico delle non caste intenzioni
di un frate che faceva spesse visite alla contessa Caterina, è una
pretta traduzione di un passo del Roman de la Uose, come notò il
Puymaigre, Poèt. et romanciers de la Lorraine p. <0:
Qui de la toison Dan Belin (la pecora)
En leu de mantel sebelin
Sire Ysangrin ( ti lupo) afubleroit,
Li leu qui monton sembleroit,
Si 0 les brebis demorast,
Pensez qu' il ne les dévorast?] A. DA.
Quando frate Elia generale de' Francescani, distaccatosi dal papa,
aderì a Federigo II scomunicato e si facea vedere nell'abito del-
l'ordine cavalcar con lui, che appunto allora [4240] assediava Faenza
e Ravenna, «rustici et pueri et puellae (racconta Fra Salimbene,
Chronica, Parma, Fiaccadori, mdccclvh, pag. Hi \ quotiens obvia-
bant fratribus Minoribus per vias in Tuscia, ut centies audivi, can-
tabant: Hor attoma... ; et tristabantur boni fratres et irascebantur
vere usque ad mortem dum talia audiebant». I due versi furono
primieramente pubblicati dal padre Affò in Vita di frate Elia [Parma,
Carmignani, mdcclxixiii, pag. 90]; ed egli lesse il primo verso: Or
è attorno. . .
Or attorna fratt' Elia
Che pres' ha la mala via
XI.
La strofa seguente cantavasi dai Reggiani nel 4243, quando il
fiorentino Lambertesco de' Laraberteschi era loro pode.stà, qui li-
benler factebat iustitiam et rationem hominibus. Così Fra Salimbene
[Chron. pag. 58.] che ci ha conservato la strofa.
Venuto é '1 lione
De terra fiorentina
Per lenire raxone
In la cita regina.
)( 30 )(
XII.
Di questa canzone il Malispini [ccxxvii] riporta i primi quattro
versi, e Giovanni Villani [VII, lxvih] loro aggiunge i due uUinrii.
Occasione ne fu l' assedio posto a Messina da Carlo d' Angiò nel
4282. Ecco quel che ne dice il Villani «... stette lo re con sua oste
intorno a Messina da due mesi: e, dando la sua gente alcuna bat-
taglia dalla parte ove non era murata, i Messinesi colle loro donne,
le migliori della terra, e co' loro figliuoli piccoli e grandi, subita-
mente in tre dì feciono il detto muro e ripararono francamente agli
assalti dei Franceschi. E allora si fece una canzonetta che disse:
Deh, com' egli è gran pietale
Delle donne di Messina,
Veggendole scapigliate
Portando pietre e calcina!
Dio gli dea briga e travaglio
Chi Messina vuol guastare. e
XIII.
Di questo frammento dice il Fauriel [Dante et les origines de la
langue et de la littér . Hai.. Paris, Durand, mdcccliv, t. II, leg. vn]:
«Dante [De vulg. el. I, xiii] cite, comme échantillon du dìalecte
pisan, une ligne formée, je crois, de deux petits vers ... C'est en-
core là, selon tonte probabilité, le commencement d'un de ces
chants historiques par lesquels les républiques italiennes du XIII.*
siècle célébraient leurs funestes démélés et les tristes victoires
qu'elles remportaient l'une sur l'autre».
Bene andonno li fanti
De Fioransa per Pisa.
K 31 )(
XIV.
Simone della Tosa negli Annali [Cronichette antiche, Firenze,
Menni, ^33] all'anno 1309 narra: « E di maggio cavalcaro i Fio-
rentini a oste in Ano ad Arezzo. E da questo si cominciò la guerra
tra' Volterrani e quelli di San Gimignano. E allora si fece la can-
zone:
*
1 nostri cavalcarono »
Non ne conosciamo che questo primo verso riferito anche dal
Fauriel [I. e.].
XV.
I Lucchesi, preso nell'agosto del 4288 Asciano a' Pisani, fecero
nella maggior torre mettere più specchi, perchè i Pisani vi si spe-
chiassero [G. Vili. Vili, cxiii] . Or avvenne che, dopo la morte di
Arrigo VII movendo i Pisani pratiche d'accordo con Lucca, sempre
però messa innanzi la restituzione di Asciano, Bonturo Dati rispon-
desse al loro ambasciatore « Noi lo tegnamo, perchè le vostre donne
vi si specchino dentro ». Di che sdegnati i Pisani mossero con Uguc-
cione della Faggiuola a danno de' Lucchesi, e rottili iM8 nov. del
4313 a Ponletetto li rincorsero fin dentro la città; dopo che rizza-
rono presso le mura due grandissime antenne con porvi due specchi
e queste parole
Tolle, Bonturo Dati,
Che i Lucchesi hai mal [e] consigliati.
( Monum. pi*, in Scrip. r. ital. XV.: Cron. pis. in Misceli, novo
ordine digesta, Lucae, 476t, I 448].
E Albertino Mussato, [ De gett. italic. post Henric VII Caes.,
IH, III, in Scrip. r. ital. X]: Utque tantae in Lucenses illatae contu-
meliae triste monimentum memorabilisque ignominia non dcessent,
nonnuUus occisorum cruore antiportis inscripsit haec tusco idio-
mate epigrammata:
Or ti specchia, Bonlur Dati
Ch' e' Lucchesi hai consigliali.
)( 32 )(
Lo die idi San Fidrìano
Alle porte di Lucca fu '1 Pisano. 4
Vers. 2. Che Lucchesi. — 4. su 'l Pisano.
[ Benvenuto da Imola ricorda anche questo motto ingiurioso ai
Lucchesi :
Buona terra è Lucca,
Ma Pisa la pilucca.
Forse non è altro che un proverbio, forse anche è parte di qualche
canzone perduta.] A. D' A.
XVL
Di questa ballata storica riproduco la lezione data dal prof.
É. Teza in appendice alle Rime di m. Cino da Pistoia ed altri del
secolo XIV ordinate da me [1862] per la collezione diamante di G.
Barbèra. L'amico mio avvertiva: «È ballata contemporanea alla
rotta [di Montecatini, 29 agosto Ì3i5, data da Uguccione della Fag-
giuola a' guelfi fiorentini, e vi furono morti due de' reali di Napoli] .
L' apografo, unico forse, è del sec. XIV; e si conserva nella Lauren-
ziana nel cod, -193 de' Gadd. Fu pubbl. intera dall'Emiliani Giudici
nella bella sua Storia della lett. ital. [1, 280; ediz. Le Mounier];
ma primo a darcene notizia fu mons. Bandini ( Cat. mss. laur. II,
484. ) che con parecchi errori ne stampò pochi versi Seguii di-
ligentemente la lettera del cod. che non è di copista ignorante».
Delle brevi ma succose note del Tèza mi spiace non potere, secondo
il mio instituto, riportare se non quelle che attengono alla lezione.
La ballata è a dialogo tra la madre del re Roberto e un guelfo re-
duce dal campo.
— Deh avrestù veduto messer Piero
Poi che fu '1 nostro campo sbaraltato?
Tuo viso mostra pur che vi sie stato. 3
Deh! non celare il vero all'angosciosa
E desolata sua madre che fie
Vers. 3. ch'ivi: Giud. — 5. disolata: G.
)( 3cJ )(
Fin al suo stremo die
Nuda d'ogni allegrezza e di conforlo;
Ch'io '1 veggio alla tua faccia paurosa:
Ma temi di recar novelle rie
E d' apportar bugie,
Cioè che vogli dir vivo del morto.
Se fosse vivo, tu '1 diresti scorto,
Come tu di' del prence infortunato:
Ma palpi si ch'io l'ho per isbrigato. — ^4
— ^ Poi che mia faccia turba T ha scoverto
11 tuo cordoglio, dicerolti il vero,
lo vidi mcsser Piero
Gagliardo fra' nemici alla battaglia:
Vidi Carlotto, un paladin per certo;
E seco il buon Garocio cavaliero.
Don Brasco ardilo e fero
Ricever colpi e darne di rigaglia.
Ma, poscia che rimasa fu la taglia,
Carlotto e chi '1 scguia vidi spezzato:
Pier non si trova morto nò scampato. — . so
— Dunque, tapina, ov' è questo mio figlio?
Ov' è il mio giglio e la mia rosa e il fiore?
Ov' è quel dio d' amore,
Nel qual non par eh' errasse la natura?
Chi biasma s' i' mi straccio e mi scapiglio?
Che '1 sol dovea celar lo suo splendore
Vers. 6. Sin: Giud. — <0. O di recar: G. — U. Ma parli. G.
n Se avessi prove di amanuense trascuralo, leggerei palpili e non
palpi s\; ma la lettera è chiara.» T. — <5. torba: G. — 'IT-IS. Io
vidi messer Piero gagliardo Fra' nemici in battaglia: G. — i9. pa-
ladin perfetto: G. — 20. Caraccio: G. — 24. fiero: G. — 32. Lodi
che: G. il quale mette non il segno d'interrogazione ma una vir-
atila in line del vcrs. 30.
)( 3'i )(
Lo di che tal signore
Pervenne a morte far cotanto oscura:
Pianger le pietre ed ogni créatura
Dovrebbe di quell' agnolo incarnato.
Piacesse a*Dio che non fosse mai nato! — 36
— Reina, in sulle grandi avversitadi
Lo senno uman si prova e paragona,
Secondo uom ragiona,
E non quand' egli ha pur cosa che i piaccia.
Cosi di guerra van le novitadi;
E cotai son le gioie che ci dona
11 mondo; e non perdona
Morte a nuli' uom eh' al suo 'mpero soggiaccia.
Non pianger né percuoter più tua faccia:
Accorda il re Roberto col cognato.
Se vuoi che '1 sangue tuo sia vendicato. — 47
— Con Federigo intendo far trieguare
Lo re Ruberto, che li fie ben duro ^
Più che pietra di muro;
E dorma la question dell' isoletta.
Quel d' Aragona fo sollecitare
Ch' entri nel regno sardo, eh' è suo puro,
Dirittamente: e giuro
Che Pisa aver non può maggior distretta.
Deliberato avem di far vendetta:
Ma ho veduto alcun eh' è già affrettato.
Che poscia ha il suo disnor moltiplicato. — ss
— Perdonami, reina di tristizia,
Gh' a tal millanto non do fede alcuna.
Vers. 39. Secondo eh': G. — 40. che piaccia: G. — 45. pur tua:
G. — 49. gli fie: G. — 53. sul regno: G. — 57. già frettato: G. «Il
ms. ha che già: si può leggere eh' è già oppure che già: » T.
)( 35 )(
Apri ben V altra e l' una
Orecchia e intendi, eh' io non so' allamanno:
Che il re Roberto, fonte d'avarizia,
Per non scemar del colmo della Bruna,
Passerà està fortuna
E smaltirà il disnor, temendo '1 danno.
Tosto vedrem come le cose andranno.
Se tu per questo il trovi rimutato,
Toglio esser nella fronte suggellato. — 69
— Perchè Roberto re non fosse in terra
Né altro mio figliuol né discendente,
Io n' ho il cuor si fervente
Ch' io sola spero in Dio che '1 forniraggio;
E trarrò a fine questa mala guerra
Col mio disforzo e legion di gente
Del franco re possente,
Al qual n'ho scritto già per mio messaggio.
Oro ed argento per neente avraggio,
Pensando il caso ontoso eh' è incontrato,
E corra Bruna, Puglia e il Principato. — so
— È per natura, e la scrittura il dice,
Redina, che le donne son pietose,
Avare e paurose.
Sarestù di color che snaturassi?
Non eh' io ti riputasse peccatrice
Per ciò di più, sponendo chi te spuose,
E chi le sue man puose
Nel tuo sangue; ma che meritassi.
Di questo non vorrei dimenticassi:
Vers. 62. allumano: T. —66. tenendo il: G. — 73. io spero sola:
^'(i. — 75. difforzo: G. — 80. E corrà: T. — 82. Regina: C,
)( 3(3 )(
Lo conte Nier si cinse spada allato
Sul corpo del tuo Carlo dilicato. — 91
— Se il sangue mio fu sparto per la tede
Da quella setta eretica pagana
Ghibellina e pisana,
Spietata più che genti saracine,
Di lor, sie certo, non si avrà mercede;
'Che fien venduti e spersi di Toscana;
E Pisa farò piana.
Ararla e seminarvi sale e spine.
Lodasi la vittoria in sul fine:
Per quello onde '1 Pisan ha trionfato
È pur mestier che sia diradicato. — 102
— Redina, al tuo voler Cristo dea possa.
Omai questo amaror trapòllo e bèlo,
E osta via quel velo,
E tutta in allegrezza ti rinnova:
Che '1 dolce messer Piero in carne ed ossa
Dopo il martirio fu levato in cielo
E in terra non ha pelo:
Non ti meravigliar se non si trova.
E, non foss' altro, pur questo ti mova,
Che sie davante a Dio per tuo avvocato
Quello innocente agnello immacolato. — 115
Va', ballatuzza di lamento, ratta
In ogni parte dove Guelfo sia
Sceso di signoria;
Di' che stea allegro e non abbia temenza:
Che, se i Pisan co' lievri ci diér gatta.
Vers. 90. Vier: G. — <00. in sulla fine: G. — 403. Regina. .
dia: G. — iiS. II Bandini lesse, colierti: il G.: i Pisan sollerti ci.
)( 37 )(" ,
1/ 111 '1 peccato nostro e la mattia,
Non per lor vigoria;
Ma Dio ci tolse il cor e la prudenza.
Sig^nori, incontro a Dio non è potenza.
Qual otta il nostro fallo fie purgato,
Avrem 1' ardire e il senno apparecchiato. 134
XVll.
M. Leonardo Bon.\fedi di Firenze.
Questo madrigale è nel cod. I. ix. <8. della Bibliot. comunale
di Siena, ove ha il titolo di ballata: lo debbo alla gentilezza del
sig. E. Sarteschi. Contiene evidentemente un'allusione politica, e
probabilmente è della seconda metà del 300: ma determinare il
tempo e il fatto a che accenna è difficile.
Di pugno a Cesar mosse il santo uccello;
Roteando pe' '1 ciel vide il signore,
El qual conobbe suo governatore.
Su la spalla sinestra giunse a quello.
Fermando suo' artigli e le suo' ali,
Cantando in suo parlar parole tali:
Non è mestier di cercare altra caccia;
Che preso ho quel che tutto '1 mondo abbraccia.
é
:.%
;v • ♦
LIBKO IH.
CANZONI POPOLARI DEL SECOLO Xlil e XIV.
XVilI.
I due versi seguenti san Francesco d' Assisi tolse a testo d'una
sua predica in Montefeltro [av. 1226]: il che dimostra che dovessero
essere popolari, [v. Fioretti di S. Fr. Delle Sacre Sante stimate, I. ]
Tanto è il bene eh' io aspetto
Ch' ogni pena m' é diletto. s
Vers. < . è quel bene. Var. di più codd. nell' ediz. del Cesari.
XIX.
I due versi seguenti riporta fra Salimbene nella sua Chronica
[64], narrando come frate Enrico da Pisa, che fu suo maestro di
canto tempore Gregorii papae noni «illam litteram fecit et cantum
Christe deus - Christc meus, ad vocem cuiusdam pedissequae quae
per maiorem ecclesiam pisanam ibat cantando:
E tu no cure de me,
E no curaro de te.
)( :i!i )(
XX.
È una stanza che fra Salimbene riferisce nella sua Chron.
[<23] sotto l'anno <248 a proposilo del peccato della superbia. Ri-
ferisce anche altri 4 versi a modo di proverbii o sentenze che non
fan per noi come questi, i quali probabilmente furon parte di poesia
cantata.
0 lasso me, che fu' tentato
Cum' fo Adam nel paradiso;
Chi vols' più che no i fo dato,
Perde '1 bene o' era miso. 4
Per zo n' prego ogne amadore
Che no alze tanto '1 core
Cada in terra e sia dannato. 7
Vers. i. Cresce d'una sillaba, ma Vo doveva essere assimilato
nella pronunzia e nel canto con la vocale onde finiva il verso pre-
cedente. — 3. volse. — 4. lo bene. — 5. ne prego. — 6. lo core. —
7. Ke cadha. Ma il vers. crescerebbe d'una sillaba. D'altra parte
l'omissione del che congiunzione relativa è ovvia nelle rime e nelle
prose del secolo.
XXI.
Fu rinvenuta dall' avv. Angelo Gualandi nella prima carta d'un
libro bambagino Memorialiuin contractuum et ultimarum voluntatum
anni mcclxxxh tempore dni. Rolandini de Canossa potestalis Bono-
niae della collezione che conservasi nell'Archivio notarile di essa
città: e il carattere è lo stesso del notare Guidone da Argile che
ha vergato in quell'anno i memoriali.
Prima cognata.
Oi bona gente, oditi et entenditi
La vita che fa questa mia cognata. 2
1
)( ^^0 )(
La vita che la fa vui 1' odirete,
E, se ve place, vóilave contare.
A lato se ne tien sette galete
Pur del meglior per poter ben roncare,
E tutt' or dice che more di sete
En tln eh' a lato non se 'l pò accostare :
Né vin né acqua non la pò saziare
S' ella non pon la bocc' a la stagnata. io
Seconda cognata.
Per deo, vicine mie, or non crediti
A quel che dice questa falsa ria.
L' altr' ier eh' io la trovai fra le pariti,
Et io la salutai in cortesia
Assai; le dissi — Donna, che faciti? — ,
Et ella me respose villania.
Ma saQO ben l'opera che facia:
No '1 ve direi, eh' eo ne seria blasmata. i8
Prima cognata.
Oi soga putta, chi te conoscesse
E sapesse, com' eo so, lo to affare ! *
L' altr' ier, per cason de far dir mésse,
Al prete me volisti ruffianare:
Ma nauti fus' tu arsa che '1 facesse
E eh' eo cun teco mai volesse usare !
Da mi te parti e non me favellare,
Gh' eo non voglio esser mai de to' brigata. 26
> Vers. 7. tutor a. . . mor: Cod. — \\. credite: C. Ma le due rime
di poi son sempre in iti — 12. rea: C. Ma non conviene colle rime
di poi. — i9. puta: C. Ma più sotto putta. — gì. Nel ms. la s dolce
chefa vece delta g è rappresentata coli' a?. : qui caxon, più sotto raxone.
•)( il M
Seconda cognata.
Or Deo ne lodo eh' eo son eonusciuta.
Né non fo eom' tu, putta, al to marito,
Ch' a r olla te par aver q.oV compiuta
\Che tu hai prego d' averi' cmbozito.
Et oi me lassa trista deceduta!,
Ch' a tutta gente '1 fai mostrar a dito,
E de le come 1' hai sì ben forjiilo
Ch' una gallèa ne serebbe armala. 54
Prima cognata.
Cognata, eo ti dirò bona rasonc,
Se a credenza tu me vói tenere.
Eo agio colto un si grosso capone
Che lo buglion serebbe bon da bere. ^.y'^
Al to marito e '1 meo vegna passione,
Che 'nseme no ne lasson bene avere:
Egli anno doglia, e farenci morere
A pena et a dolore onne fiata. 42
Seconda cognata.
Cognata mia, co ched eo t' ho detto
Io sago ben ched eli' é mal a dire. , •
Ma raenarotti a casa un fancelletto,
E lui daremo ben manzare e bere:
E tu recarai del to vin bruschetto,
Eo recare del meo plen un barile.
Quando gli avrén da' ben manzare e bere,
^ascuna faga la soa cavalcata. so
Vers. 32. lo fai: C. — 41. faremri: C. — 43. <fi«o. -C.
^
X ^^^2 )(
XXll.
Proviene ti onde l'antecedente.
[È evidentemente una antica Canzone da tavola e da bevitori.
E forse di essa si troverebbe, chi avesse agio di far ricerche, qual-
che indizio nei Canti popolari latini del medio evo, per es. nei
Carmina burana. Forse anco qualche frammento se ne troverebbe
nei Canti popolari moderni. Così ad es. una canzone nizzarda co-
mincia (il solo principio ci è noto):
Dounetz-li beour' à la coumaire
Dounetz-li beoure qu'aiira set.
Una canzone provenzale ( Arbaud Chanls poptil. de la Prov. i. 180 :
Se n' en sont tres coumairetos
Parloun de n' en fa 'n banqiiet,
Lantiri li goudet
Parloun de n' en fa 'n banquet.
Nella nostra ballata per effetto del vino si scalza 1' albero e la ra-
dice: nel canto provenzale per effetto del gran mangiare [n' en lu-
cilo quatr' cu cinq pets ] casca in chiesa la statua del Santo, e peg-
gio sarebbe successo:
Moun Dioul s' aqueou temps duravo
Restarle pa 'n aubre drech,
Lantiri li goudet,
Restarle pa 'n aubre drech.] A. D'A.
« Pur bei del vin, comadre, — e no lo temperare:
Che. . . lo vin è forte, — la testa fa scaldare. » 2
Giernosen' le comadri — trambe ad una masone:
Qercór de '1 vin sottile, — se 1' era de sasone :
Bevén cinque barili — et erano desune,
Et un quartier de retro — per bocca savorare. e
« De questa botezella — più no ne vendiamo :
Mettamo i la cannella, — per nui lo beviamo. »
« Et oi, comadre bella, — elcaive la gonnella:
Vers. 2. Manca una sillaba nel primo emistichio: forse è da
supplire: Che xe lo vin. — -5 fìevenon.... borii:., ernnnn: Cod.
»
)( f^'^ )(
Faraino canipanolla, - eh' el me Ifìn gran pissare. » io
Coinenga de pissare — la bona bevedrise;
Ella descalza l'albore — tra qui e le radise.
Disse l'altra cornare — « Per deo quel buso stagna;
Che tatt' ài tal lavagna, — podressi navegare. » f/*
Klle gierno a la stufa — per gran delicamento:
Porton sette capuni — et ove ben dusento
(E fen lor parinientoi — che 'n corp' avean vento)
E un capun lardato — per bocca savorare. /*
H Una nave, comadre, — de vino è zunt' al porto,
Et un'altra de lino: — lo marinar sia morto! »
« Pur biviam, comadre; — emplemon' ben lo corpo :
E la barca del lino — vad' en fondo de mare ! » ^t
Giernosen le comadre — trambedue a la festa:
Di lardo e di lasagne — se fen sette menestre.
E disse l'una a l'altra — « Non foss' altra tempesta,
Gh' eo non volesse tessere — mai ordir né filare ! » .
XXIII.
Proviene donde le due antecedenti.
Figliuola .
Mamma, lo lemp' é venuto
Gh' eo me vorria maritare %
D' un fante mi é si piaciuto
No 1 te poderia contare. 4.
Tanto me plage 'l so fatto
I soi portamenti e i sembianti,
Ghe ben te '1 dico entrafatto,
Vers. 3. fante che: Cod. Ma il vers. deve esser ottonario. — 4,
podria: C. — fi. Li soi: C. — 7. te lo: C.
>
)( ^^^ )(
Sempre '1 vorria aver davanti.
El drudo mio ad onne patto
Del meo amor voi' che se vanti.
Matre, lo cor te scianti,
S' tu me lo vói contrariare. is
Madre.
Eo te '1 contrario en presente,
Figliola mia maledetta.
Prender marito in presente
Troppo me par eh' abbi fretta.
Amico non hai né parente
Che '1 voi', tant' ei picoletta.
Tanto mi par garzonetla,
Non ei da tai fatti fare. so
Figliuola.
Madre, de flevel natura
Te ven me vai sconfortando
De quel eh' eo sun più segura "■
Non fo per arme Rolando
Né '1 cavalier sen' paura
Né lo buon duso Morando.
Madre, '1 to dir sia en bando;
Ch' eo pur me voi' maritare. ss
Madre.
Figlia, lo cor te trasporta
Né la persona non hai:
Tosto podrissi esser morta,
Vers. 15. De prender: C. — 20. colai fatti: C. — 22. ven che:
C - 25. senz': C. —
S'usassi con om, ben sai.
Or figlia, per deo, sii accorta;
Né no te gli ammetter mai.
Che a la ventura che sai
Morte n' pudrissi portare. se
Figliuola .
Matre, tant' ò '1 cor azunto
La voi' 'morosa e conquisa,
Che aver vorrie lo meo drudo
Visin più no é la camisa.
Con lui me starla tutt' nuda
Né mai vorria far devisa.
Eo r abragaria en tal guisa
Che '1 cor me faria allegrare. 4 a
Vers. 32. Ben lo: C. — 3t. (amai: C. — 38. voglia amorosa: C.
— 40. più che no ne: C. — H. tutta nuda: C. — 42. iVè mai non: C.
> XXIV.
[ Dal medesimo libro Memorialium ec. : e il carattere è quello
stesso del notaro Biagio Olivieri che ha vergato i memoriali del
secondo semestre 4282.]
Non posso più coperire
Lo meo fino 'namorare:
. Convenlo me demostrare
A vui, dol^e donna mia. 4
Demostrar lo me convene
A vui che me 'namorate,
Vers. 6-8. 'namorati. . . apati.: ma il vers. 9. porta chiara-
mente ventate: e devono rimare insieme.
)( ^^6 )(
Che de le mi' grave pene
Alcuna pietanza a^ate:
Che non posso in ventate
Più celar lo meo tormento
Che ne lo cor duro e sento
Per vui, dolQe donna mia. is
Lungo tempo ago sofferto:
Che non volsi addimostrare
Lo meo 'namorar coperto.
Non fìnava de pensare,
Vogliendomene celare,
Ch' altri non ve s' adornasse.
Lo meo cor se ne sottrasse
Per vui, dolQe donna mia. 20
Desiando el vostro onore,
Me parca sentir affanno:
Perch' eo non ce volsi errore
0 desplacemento 0 danno.
Ancora che el sia un anno
Che de vui me 'nnamorai, x
In gran zoi' lo me contai.
Stando 'n vostra signoria. ss
Non posso celar la fiamma
Che me 'nzende più che foco:
E lo so amor me 'nflamma
Si che n' ardo dentro e coco.
Che non trovo in alcun loco
Che mi sia posa 0 deporto.
Però vegname conforto
Da vui, dolge donna mia. 56'
X4.7)( ,
XXV.
La trovò l'aw. Gualandi in calce del fol. 29 recto d'un libro
membranaceo MemoriaUum contractuum et uUimarum voluntatum
anni MCCCV tempore domino rum Symeonis dni hynghelfredi de Pa-
dova et Ramberti de Rambertis Capitaneorum Populi Civit. Bonon.,
della collezione che conservasi nell'Archivio notarile di Bologna.
Fuor de la bella caiba
Fuge lo liisignolo.
Piange lo fantino, — poi che non trova
Lo so osilino — ne la gaiba nova;
E dice cum dolo : — Chi gli avrì V usolo?
E dice cum dolo: — Chi gli avrì T usolo?
En un buschetto — se mise ad andare,
Senti l'ozletto — sì dol^e cantare.
Oi bel lusignolo, — torna nel mio brolo:
Oi bel lusignolo, — torna nel mio brolo.
Vers. i. de la bella bella caiba: Cod. — 5. cu dolo: C.
letto: C. — 9. broylo: C. — 10. broylo: C.
10
030'
XXVI.
Francesco da Bull, nel Comento sopra la D. C, al Par. xv. -122.
«... usava r idioma Che pria li padri e le madri trastulla », di-
chiara: « lo parlare che si fa da' padri e da le madri ai suoi fanciulli,
cioè: Nanna nanna, fante ec. ». È il principio d'una ninna ninna. Il
sig. Paulin Paris [Les mss. franp. tu, 316.] cita questo brano del
Commento di Benvenuto da Imola al passo surriferito del Par. ; che
non trovasi nel testo di Benvenuto edito nella versione italiana del-
I avv. Tamburini [Imola, 1866, ni.].
Nanna nanna,
Li miei begli fanti.
)( ^48 )(
Già mai non fu cotanti.
Tre in camerella,
Tre in fosserella, s
Tre a prova del fognòlo,
E tre entro el bagnolo
E tre entro la cuna.
E graveda e saduna. 9
Vers. 5. foserella: P. — 9. Così il P. Può vSupporsi che si debba
leggere «E gravida è za [già) d'una. » o pure È gravida e s'aduna».
Del resto, il testo del P. dopo i versi aggiunge: « E dì nanna nanna
replicando spesso questo in suo canto».
XXVII.
Giovanni Boccaccio, dopo aver narrato [g. iv, n. v] della Li-
sabetta da Messina e come i fratelli le facessero portar via il testo
dove avea sepolto il capo dell' amante e piantalo al di sopra basi-
lico, conchiude: « La giovane, non restando di piagnere e pure il suo
testo addimandando, piagnendo si morì: e così il suo disavventu-
rato amore ebbe termine. Ma poi a certo tempo, divenuta questa
cosa manifesta a molti, fu alcuno che compuose quella canzone la
quale ancora oggi si canta, cioè: Quale esso fu lo mal cristiano
che mi furò la grasca ec». Il sig. P. Fanfani nelle note a questa
novella [Decameron, Firenze, Le Monnier, 4857, in 8.° i, 349] la
pubblicò di su '1 Cod. laur. 38 pi. 42. « scritto in sullo scorcio
del sec. XIV. ». Ma era già a stampa nelle Canzone a ballo del -1533
e del 1568; monca, è vero, dei primi sei versi, ma non però difet-
tosa nella stanza quarta come nella lezione edita dal Fanfani. Mi
valsi de' due testi per ridurre a miglior lettura questa importante
canzone: e mi fu guida e norma anche la metrica. La stanza è di 7
versi, de' quali il secondo il quarto e il sesto ottonarli, endecasil-
labi gli altri; rimati a b, a b, a b, fino al settimo che ha il rimal-
mezzo e la cui ultima parola è base alle rime della st. seguente.
Air antica canzone siciliana risponde in parte questo Canto po-
polare romano raccolto e inserito da Fabio Nannarelli nel suo Gu-
glielmo, novella in isciolti pubblicata nella Strenna Romana pel -1858
[parte li, pag. 85. Firenze, Le Monnier] e a me accennato dal prof.
G. Bustelli: — La prima volta che m'innamorai Piantai lo dolce
)( ^9 )(
persico alla vigna, E poi gli dissi: «Persico benigno, S'amor mi
lassa, ti possi seccare! » A capo all'anno ritornai alla vigna;
Trovai lo dolce persico seccato: Mi butto in terra, e tutta mi scapi-
glio: Questo è segno ch'amore m'ha lassato. Albero che t'avevo
tanto a caro. E t' innacquavo co' li miei sudori I Si son seccate le
cime e le rame, I frutti han perso lo dolce sapore. Morte, vieni da
me quando ti pare, Giacché il mio bene ha mutato pensiere.
Qual esso fu lo malo cristiano
Lo qual mi furò la grasta
Del bassilico mio selemonlano?
Cresciut' era in gran podestà :
Ed io lo mi chiantai colla mia mano:
Fu lo giorno della festa.
Chi guasta — 1' altrui cose, é villania. 7
Chi guasta 1' altrui cose, è villania
E grandissimo il peccato.
, Ed io la meschinella eh' i' m' avia
Una grasta seminata!
Tant' era bella, all' ombra mi dormia.
Dalla gente invidiata,
Vers. 4. Il Fanf. legge col laur: Questo fu lo malo cristiano,
ma con danno della misura del verso, che deve essere un endecasil-
labo, e della sentenza. L'emenda n' è porta da esso il Boccaccio.
— 2. Che mi furò: così il Bocc. e il F. Ma il verso deve essere ot-
tonario; e la correzione è necessaria ed ovvia. Il F. poi col Cod.
laur. legge la resta, il testo Mannelli, la grasta. Né l'uno né l'altro:
il proprio vocabolo è grusca, che vale, specialmente nel dialetto
siciliano, testo, vaso di fiori. Il Mann, non fece che corromperlo alcun
poco, se pur la colpa è sua e non degli stampatori del 4 76-1: il trascrit-
tore toscano del laur., non intendendolo, mutò nel più cognito, ma
in questo caso improprissimo, resta. La rima di grasta con podestà
è di quelle che abbondano nella poesia popolare. — 3. Forse è da
leggere selinuntano, o, anche meglio salernitano, com' ha il Bocc.
nella novella — 8. fa villania: Canz. a ballo. — 9. E fa grandissimo
peccato: C. a b. Non conviene, come dovrebbe, nella rima col
vers. 40 e <2: ma è difBcile indovinare una correzione. —
)( 50 )(
Fummi furata, — e davanti alla porla. n
Fummi furata, e davanti alla porta.
Dolorosa ne fu' assai.
Ed io la meschinella or fosse io morta,
Che sì cara 1' accattai !
È pur r altr' ier eh' i' n' ebbi mala scorta
Dal messer cui tanto amai.
Tutto lo 'ntorniai — di maggiorana, 21
Tutto lo 'ntorniai di maggiorana.
Fu di maggio lo bel mese.
Tre volte lo 'nnaffìai la settimana.
Che son dozi volte el mese,
D'un' acqua chiara di viva fontana.
Signor mio , com' ben s' apprese !
Or è in palese — che mi fu raputo. ag
Or è in palese che mi fu raputo.
Non lo posso più celare.
Sed io davanti 1' avessi saputo
Che mi dovesse incontrare,
Davanti all' uscio mi sare' iacinto
Vers. 10-14. Onci' io la meschinella, Hor eh' io m' havia Una mia
resta ben seminata, Tanto era bella che all' ombra vi si stasiu, E tutto
il giorno eh' io la visitai, Fummi furata davanti alla porta: Cab. —
46. Et dolorosa eh' io ne fussi assai: Cab. — 17-18. Mancano nelle
Cab. — 19. Et pur: C. a b. E pur: F. una mala scorta: C a b.
1533. una maseorta: C a b. 1568. — 20. Dal mio signor che: C. a
b. — 21 . Tutta l'attorniai: Cab. — 23. Et fu di maggio di quel bel
mese: C. a b. — 24. la innaffiava: Cab. — 25-6. Mancano nella
ezione del F. Dodici: Cab: ma il v. deve essere ottonario. — 27.
Si vid' io come: F. 0 signor mio, ciuanlo ben s.': C a b. Ma il v.
deve essere ottonario. — 28. Or è in paese chi me V ha: C ab. —
30. Et non la posso ritrovare: C a b. — 31. Tre giorni innanzi
l' havess' io: Cab. — 32. Quello che me doveva: Cab. — 33. sa-
ria: C a b. dormita: F. Certo che questo iaciuto. quand' è una donna
che parla, imbroglia un po' la sintassi.
)( 51 )(
Per la mia grasta guardare.
Potrebbemene alare — sol V alto Iddio . 35
Potrcbbemene alar sol 1' alto Iddio,
Se fusse suo piacimento,
Dell' uomo che m' è slato tanto rio.
Messo m'ha in pene e 'n tormento;
Che m' ha furato il bassilico mio
Pieno di tanto ulimenlo.
Suo ulimenlo — tutta mi sanava. 42
Suo ulimenlo tutta mi sanava,
Tant' avea freschi gli olori.
* E la mattina quando lo 'nnaffiava
Alla levala del sole,
Tutta la gente si maravigliava:
Onde vien cotanto aulore?
Ed io per lo suo amore — morrò di doglia. i9
Ed io per lo suo amor morrò di doglia,
Pr' amor della grasta mia.
Fosse chi la mi rinsegnare voglia,
Volentier la raccatlria;
Cent' once d' oro eh' i' ho nella fonda
Vers. 34. Sol per: Cab. — 35. aiutare l'alto: F. Dio: C. a b.
— 37. Se egli fussi in piacimento: C. ab. — 39. Che m' ha messo in
pena et in tormento: C. a b. — 41. El guai pieno era d' ogni alimento:
C. a'b. Che era pieno di: F. Ma il v. deve essere ottonario. — 42.
Et suoZalimento lutto il cor mi sanava: Cab. tutto mi: F. Ma chi
parla è femmina: lo stesso è da dire del v. seg. , che abbiamo
egualmente corretto. — 44. Manca nelle Cab.— 45. la innaffiai:
Cab.— 46. Era in sulla levata: Cab. — 48. D'onde venir po-
tessi tanto odore: Cab. — 49. amor: F: Ond' io . . . moro: Cab. —
o<. Sol per: C. a b. Per: F. — 52. rinsegnar: F. E chi mela insegnassi
hor di sua voglia: C a b. - 53. raccatteria: F. Farebbe grande
honore e cortesia: C a b. — 51. Tre once d'oro i' ho nelle mie fo-
glie: Cab.
' )(52)(
Volentier gli le donria;
E doneria — gli un bascio in disianza. §6
Vers. 55. doneria: F. Che forse forse glene doneria: C. a b. —
56. E doneriegli: F. E doneregli un bacio: Cab.— Nelle C. a b.
leggesi di più;
Et sempre alla sua vita sarei sua manza
Sol per amore della resta mia.
Chi guasta V altrui cose fa villania
Et fa grandissimo peccato.
XXVIII.
Dal cod. magliab., già strozz., ci. vii, 4040, Var., cartac. in f.,
misceli, di varii tempi ma non posteriore al sec. XV. La parte che
contiene le ballate da noi edite è certamente de' primi del 400, se
non forse degli ultimi del sec. preced. Questa ballata, che è a car-
te 55 r., vi ha titolo di Ciciliana.
Donna .
Levati dalla porta:
Lassa, eh' or foss' io morta
Lo giorno eh' i' t' amai ! 3
Levati dalla porta,
Vàtten alla tua via;
Che per te seria morta,
E non te ne encresceria.
Parti, valletto, partiti -
Per la tua cortesia:
De, vattene ora mai. /<?
Vers. 1. Qui come al 4 il cod. legge: Levati dalla mia porta.
Per ridurre i due versi alla misura degli altri niun dubbio che do-
vesse eliminarsi il mia, intruso forse nel passaggio di bocca in
bocca 0 anche dal copista.
)( 53 )(
Amante .
Madonna, ste paraulc
Per dio non me le dire.
Sai che non venni a casata
Per volermene gire.
Levati, bella, ed aprimi,
E lasciami trasire;
Poi me comanderai. 47
Donna .
Se me donassi Trapano,
Palermo con Messina,
La mia porta non t' aprirò.
Se me fessi regina.
Se lo sente maritamo
0 questa ria vicina.
Morta distrutta m' ài. si
Amante .
Maritato non sentelo,
Ch' el este addormentato,
E le vicine dormeno:
Primo sonno è passato.
Se la scurta passassenci.
Seria stretto e ligato.
Vers. ii. Madonna, queste parole: C. Ma in questa maniera di
metro, che ricorda il verso politico, ove il primo verso di ciascuna
coppia non finisca con la rima, alla rima è sostituito lo sdruc-
ciolo: vedasi in Giulio d'Alcamo, in Jacopone, ec. Ho dunque eliso
il queste e cambiato parole con paraule, conforme leggesi anche in
Ciullo. — 2^ faciessi: C. — 25. sentalo: C.
)( 54 )(
Donna .
E tu perchè ci stai? 31
Amante .
Che la scurta passassence,
0 vergine Maria!,
Tutti a pezzi tagliassenci
En mezzo della via!
Donna .
Ma non dinanzi a càsama,
Ch' io biasmata seria.
E perchè non te n' vai? 38
Vers. 32. Forse: Se la scurta.
XXIX.
- Dal cit. cod. strozz. magliab. carta 51. v."
Entrai allo giardino delle rose,
E non le colsi per là mia follia. 2
Entrai allo giardino,
Ov' erano le rose con le fiori
E aulente il gialsomino
Gh' a tutta la contra' rendia splendori.
Eo non ti vegno mino.
Solo eh' uno basciare mi perdoni:
Che ssa boccuccia tua masculìata
Vers. 6. contrata. . . splendore: Cod. Ma la rima è in ori: e il
dialetto siciliano porta lu splenduri. — 7. meno: C. — 8. con uno:
C. — 9. Per chessa: C. È poi forse da leggere musculiata in vece
di masculiata, come porta ciiiaramente il C.
)( 55 )(
Una fiata — basciarla volia. fo
Figliola se' de garbi,
Saggia palerrìiilana e amorosella.
E morirò per tia,
Quando ti vesti la verde gonnella.
Convencti 1' anella.
Stessima alle camari
Entrami ctia
#»
Vers. 42. e amorella: C. — i6-i8. Così nel C.
XXX.
Questi versi ( e son forse una reliquia degli antichi strambotti )
mi furono gentilmente ceduti dal eh. cav. F. Zambrini, il quale
ne avea tratto copia da un cod. in fogl. cari, del sec. xvi, intitolato
Rime antiche di diversi autori, che sta sotto il n." 33 nella libreria
di S. Salvatore in Bologna.
Io mi vuo' richiamare a tutta gente
De le pene eh' io pato e lo gran torlo.
Ch' io amo una pulzella più piacente
Più bella assai che la rosa de 1' orto,
E Servolo tanto gecchitamente :
E quella leva gli occhi et hammi morto. s
Dice — Non ti doler, che non ti duole,
Che di me non ti puoi tu blasmare;
Che tu m' avesti a tutto il tuo volere,
E lasciastimi per merzè chiamare.
Vers. 7. Non accorda per rima co' segg. Certo è scomposto: e
originariamente l'ultima parola doveva esser dolere. — 40. per mia
merzè: Cod. Quel mia era certamente intruso. E forse dovrebbe
leggersi: E lasciastimi pur mersè chiamare.
)( 56 )(
Or che mi vuoli, non mi puoi avere.
Quando hai il tempo, saccilo pigliare. 42
Ne lo tuo cor tu ti dovei pensare,
Monaca né romita non mi dovea fare. 4/
Vers. 44. È verso a uso di quelli del santissimo e veneratissimo
sacramento: ma come rimediarci?
XXXI.
Dal cit. cod. strozz. magliab. È antichissimo esempio dello
strambotto siciliano che rima — a b, a b — per serie di otto e
anche più versi. Ma qui qualche verso è perduto.
Sonno fu che me ruppe, donna mia.
En quelle parti dov' io m' arrivai
Una angioletta in sonno me dicia,
■ — Che per troppo dormir perduta m' ài.
0 dormiglioso, forte addormentato
Già non sia amante per donna acquistare.
Sta notte mi levai, vennit' a lato.
Credendomi con teco solazare.
Tu eri tanto forte adormentato
Che già mai non te potè' esvegliare.
46
Vers. 2. marivai: Cod. — 3. dicea: C. — 4. Il C. riattacca su-
bito con 0 dormiglioso. Probabilmente mancano 4 versi. — 44. Il C.
riattacca con Geniti madonna. Ed anche qui forse mancano 2. versi.
)( 57 )(
Gentil madonna, non me biasimate,
Che la vostra venuta non sapia.
11 sonno traditor che m' à ingannalo
À già gabbato più saggio de mia.
Non me lamento tanto dello sonno,
Quanto faccio de voi, patrona mia,
Che n' ci venisti a 1' alba dello giorno
Quando lo dolce sonno me tenia. u
Sonno fu che me ruppe, donna mia.
Vere. <7. La sola stanza intiera è la seg. — <8. sapea: C.
XXXII.
Dal cod. magliab. strozz. 4040 ci. vii ove questo e i cinque segg.
stanno a e. 55 v." copiati tutti di seguito e come un solo componi-
mento, col titolo comune di Napolitana. Questo ch'io stampo primo,
ma che nel codice sarebbe nell'ordine di quarto, ha forma di stram-
botto siciliano, imperfetto nella seconda stanza.
Gìmene al letto della donna mia.
Stesi la mano e toccaile lo lato.
Ella si risvegliò, ch'ella dormia:
— Onde ci entrasti, o cane rinnegato? — 4
— Entraici dalla porla, 0 vita mia;
Priegoti eh' io ti sìa raccomandalo. —
— Or poi che ci se' entrato, fatto sia.
Spogliali ignudo e corquamiti a lato — . s
Poi ch'avem fatto tutto nostro gioco.
Tolsi li panni e voleami vestire:
Ed ella disse: — Stacci un altro poco,
Che non sai i giorni che ci puoi transire. is
Vers. 8. Ispogliati: Cod. — 9. avemo: C. — ii. gli giorni: C.
)( 58 )(
XXXIII.
Onde l'antecedente, e questo è nel codice il quinto.
Alegreze se ne andò alle damigelle
Che tessono la seta di Sona:
Non anno chi riempia le cannelle :
0 dio, com' buon discepolo saria!
Allor gli empèria tanto buone e belle,
Ch'alia maestra buon gli parerla. &
Vers. 1. Allegreze: così il C— 3. rempia: C. — 4. chon buono:
C. — 6. buoni gli: C.
XXXIV.
Onde i due anteced. ed è nel codice il primo.
Valletto, se m'amate, siate saggio.
Non vi fidate in nullo compagnone;
Tieni celato quel che ditto l'aggio;
Non vi vantate della mi' persone:
Che se '1 sapesson gli parenti ch'aggio.
Tu sarie morto ed io scampana none.
S' tu fossi morto, saria gran dannaggio;
S' io fossi morta, saria gran ragione.
8
Vers. 3. quello che: C. — 5. se lo sapesso: C. — 7. se tu fossi
morti: C.
ì{ 51) )(
XXXV.
Onde i tre anteced. ed è nel codice il terzo.
Brunella eh' ài le ruose alle mascelle,
Le labbra dello zucchero rosalo;
Garofolale porli le mammelle,
Che ali più che non fa lo moscaio.
Tu se' la fiore; s'io n'amassi mille
Non t'abandono menlre ch'aggio il fialo.
XXXVI.
Onde i quattro anleced. Questo che è secondo nel codice si av-
vicina nella forma al rispetto toscano.
Non mi mandar messaggi, che son falsi;
Non mi mandar messaggi, che son rei.
Messaggio sieno gli occhi quando gli alsi.
Messaggio sieno gli occhi tuoi a' miei.
Riguardami le labbra mie rosse,
Ch'aggio marilo che non le conosce.
Vers. i. me^ggi: C. e così sempre.
XXXVII.
Onde i cinque anteced. ed è nel codice il sesto. È tutt' intero
il rispetto in ottava rima del quattrocento e de' nostri giorni.
Più che lo mele ài dolce la parola.
Saggia e onesla, nobile e insegnata.
)( 00 )(
Ài le bellezze della Camiola
Isotta la bionda e Morgana la fata.
Se Biancifiori ci fossi ancora,
Delle bellezze la giunta è passata.
Sotto le ciglia porti cinque cuose,
Amore e foco e fiamma e giglio e rose.
Vers. 3. Si legge male nel codice e par che dica: Alle bellezze
della Camiola. A me sembra di aver giustamente corretto, salvo a
raccapezzar chi sia quella Camiola.
XXXVIII.
Dall' amico prof. D' Ancona fu rinvenuta nel voi. x della Raccolta
manoscritta Biscioni e Moùcke della Bibiiot. di Lucca, ove ha questa
nota: «Canzona della quale fa menzione Giovanni Boccaccio nella
novella della Belcolore; la quale si canta ballando e scambiandosi
del ballo tondo da un luogo all' altro, secondo il desio, andando
appresso a chi più gli piace ». Il Bocc. [Decam. Vili, ii] dice della
Belcolore: « Era quella che meglio sapeva sonare il cembalo e can-
tare L' acqua corre alla borrana e menare la ridda et il ballonchio ».
Da ciò e dal contesto della canzone si può arguire che fosse di
quelle che coli' accompagnamento del suono regolavano il giro del
ballo, massime su 'I punto che si spartivano e barattavano le coppie
dei danzatori: nello spazio punteggiato del vers. 7. probabilmente
doveva andare il nome proprio del compagno, mobile e variabile
secondo 1' opportunità.
L' acqua corre alla borrana,
E l'uva è già vermiglia;
E '1 mio amor mi vuol gran bene,
E datemi quella figlia.
Questo ballo non sta bene,
E potrebbe stare meglio.
Vers. 3. amore: Cod. Ma i versi sono generalmente ottonarii
— 5. none: C.
)( 61 )(
E tu, . . . compagno mio,
Vanne a lato al tuo desio,
E quivi ti sta fermo. 9
Yers. 6. star: C. — 9. È un settenario indocile a mostrarci il
vestigio d'una sillal)a ipancante per ridurlo alla misura generale.
XXXIX.
Su '1 fine della Giorn. V. del Decameron si legge: = A Dioneo fu
comandalo che cantasse una canzone. Il quale prestamente comin-
ciò: a Monna Aldruda, levate laicoda, Che buone novelle vi reco.».
Di che tutte le donne cominciarono a ridere, e massimamente la
reina; la quale gli comandò che quella lasciasse e dicéssene un' al-
tra. Disse Dioneo: Madonna, se io avessi cembalo, io direi « Alza-
tevi t panni, monna Lapan o «Sotto l'ulivello è l'erba»; o voleste
voi che io dicessi «L'onda del mare mi fa gran male»: ma io non
ho cembalo, e per ciò vedete voi qual voi volete di queste altre.
Pjacerebbevi « Escici fuor, che sia tagliato Com' un maio [ Maio
leggo con l'Aldo del 1322, non sapendo qual senso ricavarmi dalle
stampe che hanno mio] in su la campagna»? Disse la reina; No,
dinne un'altra. Dunque, disse Dioneo, dirò io « Monna Simona,
imbotta, imbotta »? e' non è del mese d' ottobre. La reina ridendo
disse: Deh in malora dinne una bella, se tu vuogli; che noi non
vogliam cotesta. Disse Dioneo: No, madonna, non ve ne fate male.
Pur qual più vi piace? io ne so più di mille. 0 volete « Questo mio
nicchio s' io no 'l picchio » o « Deh fa pian, marito mio » o « Io mi
comperai un gallo delle lire cento»? La reina allora un poco tur-
bata, quantunque tutte l' altre ridessero, disse: Dioneo, lascia stare
il motteggiare, e dinne una bella; e se non, tu potresti provare
come io mi so adirare =. Canzoni, delle quali bastava cantare o
dire le prime parole perchè le donne intendessero di che si trat-
tava e ne ridessero o se ne sdegnassero, dovettero certo essere
diffuse tra 'I popolo. È ancor da notare che parecchi di que' prin-
cipii accennano, come avverte nelle sue note su '1 Decam. il Rolli,
a ballate rusticali; di che dovremmo recare a' tempi del Boccaccio
le origini di quella poesia che poi fece un genere letterario a sé
ne' giorni del Medici e del Pulci. E in fatti esempii di poesia rusti-
cale nel trecento non mancano, come vedremo per innanzi. Del
resto anche i Deputati su 'I Decameron annotano [ LXXXVI ] : « Le
)( (32 )(
canzonette qui tocche da Dioneo son di quelle che a que' tempi si
cantavano in su le feste e veglie a ballo, come ancor oggi si usa
per sollazzo: e se ne ritroverebbe forse qualcuna; ma non porta il
pregio ridurle in vita». Oggigiorno però s'intende quasi da tutti
che il pregio di ridurle in vita ci sarebbe almen per amore della
erudizione, ma il male è che delle nove citate da Dioneo una sola
è riuscito a' filologi disseppellire, quella del nicchio. La pubblicò
di sui «manoscritti di storia letteraria del Magliabechi » l'amico
mio Prof. Isidoro Del Lungo nella Disp. xlix [^1864] della Scelta
di curiosità letterarie edita in Bologna da G. Romagnoli. E il xMa-
gliabechi l' avea trascritta da qualche antico esemplare oggi ignoto :
quando non fosse il cod. ricc. Mi8, scritto fra '1 finire del sec.'XIV
e '1 cominciare del XV, ove questa canzonetta sta a carte 92 r. come
mi accennò l'avv. Bilancioni di queste cose bene esperto ; se non che
il testo riccard. è un po' differente da quel del Magliabechi. Anche il
sig. Antonio Cappelli nell' appendice alle Lettere di Lorenzo de' Medici
conservate nell' Archivio palatino di Modena da lui pubbl. negli Atti
e Memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le provincie mo-
denesi e parmensi [Voi. I, Modena, Vincenzi, -1863; p. 3-13] aveva
accennato che pur un cod. antico della Palatina di Parma segnato
HH. III. 443 portava questa canzone. Ed io n'ebbi la copia dalla
cortesia del cav. F. Zambrini a cui il Cappelli l'aveva ceduta. Es-
sendo ben diverse e nella dizione e nel numero delle stanze e nel
metro le due lezioni, fiorentina e parmense, io le riporto ambe-
due. La redazione fiorentina, più semplice e più breve, ha per me
l'apparenza della maggiore antichità: ma la parmense, contenuta
in un codice del sec. XV ineun., ci mostra che la canzonetta durò
in essere ben oltre il tempo di Dioneo. E il crescere questa il nu-
mero delle strofe e colle strofe il numero delle sillabe sino a pre-
tendere talvolta all'endecasillabo, son di que' vestigi che il passaggio
di paese in paese non che di bocca in bocca e lo scorrer del tempo
lasciano nella poesia veramente popolare. Perciò non ho questa
volta voluto rendere alla misura metrica, che mi sarebbe stato non
difficile affatto, le due redazioni; ma le dò come giacciono nei codd.;
se bene ho modificato in qualche punto la lezione del Magliabechi
con la riccardiana.
1.
Questo mio nicchio, s' io no '1 picchio,
Vers. i. nel picchio: Ricc.
)( 63 )(
L' animo mio non mi lassa slare. s
Questo mio nicchio vorrebb' uno,
Molto si g!iarda dal digiuno,
Per lo star diventa bruno:
10 lo 'ntendo adoperare. e
Questo mio nicchio egli è si fatto:
E' non é si folle e matto,
Che chi v' entra e vói far patto
11 pegno vi dee lassare. io
Questo mio nicchio egli è ritroso,
Intorno intorno egli è piloso,
Par il diavol quand' è cruccioso.
Madre mia, non indugiare. /4
De le minor ci é di noi
Che hanno marito e figliuoi;
E io lassa guardo i buoi:
Che si possin scorlicai-e! is
Questo mio nicchio, s'io no '1 picchio
L'animo mio non mi lassa stare. 20
Vers. 2. lascia: Magliab. — 4. Et molto: R. — 5. J? per lo
istar doventa: R. — 7. Questo nicchio gli: M. E non importa che la
lez. magliab. aiuti meglio il verso , che la ripetizione del sog-
getto vuole anche la ripetizione delle stesse parole. Del resto, can-
tando., in 'questo e negli altri versi di consimil principio dovean dire :
Sto mio nicchio. — 8. Che non: M. o matto: R. — 9. fatto: M. —
40. Che 'l pegno vi dea: R. — H. gli è: M. — -12. peloso: M. —
^5. Delle minori ci ha: M. — <6. figlioli: R.: C hanno marito e
hanno: M. — 47. Et io trista: R. — 48. possine ; M. — Col testo
riccard. e ammettendo che debba leggersi 'Sto mio nicchio in prin-
cipio delle quattro strofe, ci è venuto fatto di ridurre a buona mi-
sura alcuni versi che nella lez. magliab. vagavano extra flnes.
Rimangono eslegi il 2" 4°, 42", 43". Dei quali gli ultimi due son di
facile riduzione, chi legga 'Ntorno ntomo nel 42° e diaul nel 43°: del
4° il baco dev'esser nel molto, e forse diceva originalmente E
ovvero Ben: più ostinato a rendersi il 2° chi non cacciasse via il
mio e in luogo d'animo ponesse almo, che pur trovasi nelle scritturo
del trecento anche di prosa.
)( 64 )(
2.
Questo mio nicchio, s' io non me '1 picchio,
L'animo mio non mi lassa stare. s
Questo mio nicchio vorrebbesi uno;
Molto si turba per lo digiuno;
E per lo stare doventa bruno:
Vorrebbesi adoperare. e
Questo mio nicchio si è boscoso.
Intorno intorno egli è piloso;
Pare un diaulle quand' è coruccioso :
Con il cotal si vorre' azzuffare. — 40
Figlia mia, ora ti tace.
Questo tuo nicchio non è verace:
Quando fia tempo di darvi pace,
Un bel mazzapicchio ti vuo' comprare. — a
Madre mea, che hai tu detto?
Guata corno mi cresce il petto.
Questo mio nicchio pare un pennecchio:
Quanto diaule vuoi tu indugiare? /s
Assai vi sono delle mie minori;
Chi ha marito e chi ha lìglioi:
E io, meschina, guardo i buoi,
Ch' oggi si possano scorticare ! 22
XL
D' altra canzona sincrona e simigliante a questa'del Nicchio il
Magliabechi [1. e] riporta i primi quattro versi, e il Del Lungo li
die a stampa nella cit. ediz.
Madre, che pensi tu fare
Che marito non mi dai?
)( «io )(
Credimi In sempre mai
Tener in questo cianciare?
XLI.
Dal cod. palai, parmense HH. iii. <<3. del sec. xv ine. L'ebbi
dal cav. F. Zambrini a cui l'aveva ceduta il eh. Ani. Cappelli.
Segue nel codice a, quella del Nicchio: e il Cappelli nella citata
append. alle Leti, del Magnifico notava la relazione che è tra le
due canzoni: «Come questa [del Nicchio] è in bocca di donna, ha
il suo riscontro in un'altra in bocca d'uomo, il cui principio è
Date beccare all'ugellino'». Questa relazione e la vicinanza nel codice
bastantemente antico e la maniera poetica ce la fa ritenere per
composizione del sec. XIV: tale è anche l'opinione autorevole
del Cappelli.
Date beccare all' ugellino. . . ,
Donne e fanciulle, per 1' amor di Dio. 2
Questo ugellino gli é tanto bello,
Ardito e forte com' un lioncello:
Un dipintor no 'l farebbe più bello,
Com' egli ha fatto la testa e '1 suo crino. e
Quest' ugellino è vago dell' ova,
Vanne cercando quantunque ne trova:
Quando v' è dentro non par che si mova,
E poi se n' esce un cotal pocolino. io
E non si cura là onde s' attufia
Per che li sappi di feccia 0 di muffa:
Cacciasi dentro a la baruffa,
Cacciasi dentro quel buon piccolino. 14
Vers. 4. Certo è difettoso: forse doveva leggersi all'ugellino
mio. — <0. cotal piccolino: Cod. Ma che ci entra qui, parlandosi
dell' ugellino, un cotal piccolino? E poi piccolino è in rima nel verso
<4. — 43. Difettoso, ma non di facile emenda.
)( co )(
Chi lo vedesse cosi ben armato
Andare a la giostra quel dileggiato ;
Dà solo un colpo ed è iscavalcato,
Torna piangendo com' un fanciullino. is
Questo ugellino egli è costumato,
Nanti a le donne non tien nulla in capo:
Egli sta ritto e sta iscapucciato,
E mai non cura né giel né scrino. 32
Questo ugellino è di questa conviglia;
Egli sta ritto com' una caviglia:
Mona Bernarda per man se lo piglia,
Gacciasel dentro com' un cacciolino. 26
Vers. il. scavalcato: C. Coll'aggiuuto dell'i, che gli antichi
usarono spessissimo innanzi alla s impura anche se la parola antece-
dente non finisse per consonante, come vedesi al v. 21, è provve-
duto alla misura del verso.
XLII.
Dalle Canzone a hallo del 4533 e 1568. Il cenno della partenza
per Avignone mi fa credere che questa canzone appartenga al se-
colo XIV, quando la corte romana residente in quella città invi-
tava gli italiani a concorrervi. Né osta che in fine si accenni a S.
Maria del Fiore non anco nel sec. xiv compita; perchèavevan fin
d'allora cominciato a seppellirvi i cittadini e gli uomini illustri;
p. es. l'Aguto, nel 1396.
[A me questa ballata sembra un accozzo di due frammenti mal
riuniti insieme. L'uno di questi frammenti va a tutto il verso 18;
l'altro dal verso 19 sino alla fine. L'indole dell'ultimo frammento
è prettamente popolare, specialmente per quel procedere della nar-
razione per via di dimande e risposte: cosa che trovasi nella poesia
di quasi tutti i popoli. Ad es: in spagnolo: La Marieta es morta -
Deu la perdo. - Ahout li faran V ensolta? - Sota 'l balco. [Mila y
Fontanals, Romancerillo catalan p. 400] E una canzone veneta: In
cao de nove mesi - Marieta fa un bambin. - Andove lo batiseo? -
)( 07 )(
In chiesa a San Belin. - Cossa ghe metiu il nome? - Lorenzo e Ba~
tistin. - De cossa lo vestiu? - De verde e verdolin. [Wolf, yolkslied.
aus. Venet. p. 28] E in unu canzone veronese [Righi, Cant. popol.
veron. 29] le diniande seguitano ancora: Cossa ghe insegna a fare? -
Sonar el violin, ce] A. D'A.
0 morie dispielala,
Tu m' liai l'atto gran torlo : i
Tu m' hai tolto mia donna
Ch' era lo riiio conforto 4
La notte con lo die
Fin air alba del giorno. e
Già mai non vidi donna
Di cotanto valore s
Quanto era la Galrina
Che mi donò il suo amore. /o
La mi tenne la staffa,
Et io montai in arcione: /^
La mi porse la lancia,
Et io imbracciai la targa: n
La mi porse la spada,
La mi calzò la fronte, le
La mi mise l'elmetto:
Io gli parlai d' amore. is
Addio, la bella sora;
Ch' io me ne vo a Vignone so
E da Vignone in Francia
Per acquistare onore. 22
S' io fo colpo di lancia,
Farò per vostro amore: sa
S' io moro alla battaglia,
Vers. 9, CatheriiKi: ambedue le edd. delle Cab.— 19. Addio,
bella: Cab. <568.
)( 68 )(
Moro per vostr' onore. ss
Diran le maritate
— Morto è il nostro amadore — : ss
Diran le pulzellette
— Morto è per nostro amore — : so
Diran le vedovelle
— --Vuolscgli fare onore. 33
Dove il sotterreremo?
'N Santa Maria del fiore. si
Di che lo copri rremo?
Di rose e di viole. —
Vers. 3Ì-. In Santa: ambedue le edd. delle C. a b. — 35. Copri-
remo: Cab. 1368.
XLIII.
Dalle Canzone a ballo, ec. del 4533 e <568. Già l' amico prof. D'An-
cona in un saggio su la poesia popolare fiorentina nel secolo xv
stampato nella Rivista Contemporanea [voi. xxx, fase, evi, sett. 1862.
Torino], dopo aver detto che nelle precitate raccolte di canzoni a
ballo, « mischiate alle canzoni le quali furono evidentemente dettate
da "quei poeti di professione che tentavano di riprodurre la maniera
popolare, ve ne ha alcune le quali certo debbono essere un pro-
dotto schietto della musa del popolo e possono perciò considerarsi
come i modelli a cui cotesti poeti si attenevano», ne adduceva in
prova questa cantilena: « clie (aggiungea) io ritengo esser avanzo
di una ballata forse più antica che i tempi del Magnifico, ma di cui
pel presente suo stato frammentario mal può intendersi il senso e
gustare il valore poetico. Nonostante, se fosse lecito arguire qual-
che cosa di probabile dalle poche e misteriose parole di questa can-
zone, ardirei dire che mi pare scorgervi un riflesso, una memoria
lontana delle maravigliose tradizioni sparse per entro le vecchie
ballate brettoni ».
Questi accenti interrotti della ballata mi ritornano all'orecchio
da varie parti, come per un eco largamente dilfuso all'intorno. Mi
ricordano anzi tutto la ballata brettone del nascimento di Merlino
)( 09 )(
i-ecata dai VillcmarqiK^ nel suo libro sopra Myrdhinn ou l'enchan-
teur Merlin [Paris, Didier, <862, pag. ii-il] la qual comincia: Ecco
tredici mesi e tre settimane eh' io vi' addormentai nel bosco. Io avevo
sentilo un uccello cantare. E' cantava con una voce fresca, e cantava
con una voce sì dolce ec. Di più ricorda la canzone francese della
lH.'lla Alice della quale sf hanno tante varie lezioni del principio,
mancando a tutte la continuazione, sicché anch'essa è un fram-
mento. Una lezione: Main se leva In bien (aite Aelis - Bel se para
et plus bel se vesti - Si prist de l'aigue en un dorè bacin - Lava sa
bouche et ses jex et san vis - Si s' en entra la belo en un jardin -
Un altra lezione: Main se leva la bien faite Aelis- Vous ne savez
que li lonseignols dist. E una terza che ,si trova in un sermone
sacro: Bele Alis matin leva - Sun corz vesti e para- Ens un ver-
ger s'en entra - Cink flurettes i truva - Un chapelet fet en a - De
rose flurie Inoltre, un moderno canto popolare di Provenza
recato dall' Arbaud [Ch. pop. de la Prov. i. Hi]: La bello Margarido
se lev' avanl loujour - Nen prend sa coulougneto et son fuset d'amour.
- Au jardin de soun pero V y a'n aubre tout en flour - La bello Mar-
garido l y vai ploumar dessous . E un altro che trovasi nella
stessa raccolta [u. <36]: Par un dimenche de matin- Ai pres les
claus de moun jardin - Pour n'en culhir la viouleto Quand lou
bouquet es istat fach - Sabiou nas par qu lou mandar - L' y agut lou
roussignocAi sauvagi - Lou messagicr des amourous - Per iou voues-
tu fair un messagi - A ma mia, la Blancnflour? ec. - Nella nostra
ballata l'uccello parla, ma la bella non l'intende: chi volesse sapere
cosa e' diceva, oda il seguenle rispetto toscano: Il primo giorno di
calen di Maggio- Andai nell'orto per cogliere un fiore- Evi trovai
un uccellin selvaggio - Che discorreva di cose d'amore - 0 uccellin
che vieni di Fiorenza- Insegnami l'amor come comincia - L'amor
comincia con suoni e con canti - E poi finisce con dolori e pianti -
L' amor comincia co» canti e con suoni - E poi finisce con pianto e
dolori-] A. D' A.
E per un l)el cantar d' un merlo
La bella non può dormire; g
E quando dorme e quando vegghia
E quando trae di gran sospiri. 4
E la si leva nuda nudella
Fuor del suo letto puli' ; $
Vcrs. 6. pulito: C. a b. VjdS.
)( 70 )(
E poi ne già nel suo giardino
Sotto lo suo mandorlo fiori'; g
E li si calza e lì si veste
E lì aspetta el suo dolze amor fi'. io
Venne l'uccello dello buon Selvaggio
E 'n su la spalla se gli posò, 12
Messegli el becco dentro all' orecchio
Sotto li suoi biondi capelli; 14
Che gli parlava del suo linguaggio,
E la bella non lo 'ntendeva. is
Vers. 8. fiorito: C. a b. -1568. — iO. il suo dolce amor fino: C.
a b. 4568. — 'IS. Et sotto: C. a b. -loSS. — La forma metrica di que-
sta canzone deve probabilmente essere la stanza di due versi ,
quinario doppio il primo, ottonario tronco il secondo; e questo solo
in rima co' suoi eguali per una certa serie di stanze. Su questa
ipotesi, leggerei; al vers. 4, bello; 2, dormir; 4, sospir; 8, Sotto 'l
suo mandai fiorì; 40, el suo amor..., o pure el dolze amor...; H,
del; 42, spallagli; 44, Sotto i suoi biondi cape'; 46. lo 'ntende'.
XLIV.
Dai cod. strozz. magliab. 4040, ci. VII., e. 54 v.
E lo mio cor s'inchina:
Ohi, merzè v' addimando.
Ohi me . .
Ohi merzè, istella fina!
Ed io sì mi lamento:
Ohi bella, — vo dicando.
Così.'. . .
Così com' io mi sento,
E di dolor penando:
E vi ... .
)( 71 )(
E vivo in gran tormento.
Ohi me, eh' i 'moro amando.
Ohi me . . .
Ohi merzè, istella fina! /4
E leale a tutt' ore
E sempre a voi son stato,
Come ....
Come fino amatore:
E ne son mal merlato
Da . . . ohi . . ,
Da voi gentil fiore
Che m' à si innamorato.
Ohi me . . .
Oi merzè, istella fina! 2i
El giorno che gir voglio.
Gir vo' tutto imperlato,
Ohi, da . . .
Ohi, davanti da quella
Che m' à si innamorato.
Or gli . . .
Or gli foss' io donato ! /
Ne prenderla peccato. 32
Ohi me . . .
Ohi merzè, istella fina!
E lo mio cor s' inchina. ss
Ecco come giace nel codice:
Elio mio chor sinchina oi inerze vadimando
Ome oime istella fina
Ed io simi lamento oi bella vo dicbando chosi chosi comio
Mi sento e di dolor penando e vi e vivo in gran tormento
Oime olii moro amando oime oi merze stella fina
X 72 )(
E leale a tutte ore e senpre avoi son stato chomc
Come fino amatore e ne son mal merlt to oi
Da oi da voi gentil fiore che ma si inamorato oidie
Oi merze istella fina
El giorno che gir volgilo gir vo tutto imperlato oida
Oi davanti da quella che ma sì inamorato orgli
Fosse io donato ne prenderla pechato do ide oi
Merze istella fina
Elio mio cor sinchina
La sola possibile riduzione metrica parmi quella da me tentata.
Anche nei canti del popolo d'oggigiorno v'è l'interruzione non so
delle parole ma delle sillabe e la loro ripresa fra un verso e l'altro.
XLV.
Ecco dal medesimo cod. un' altra varietà della stessa canzone;
la quale non mi è riuscito di ridurre a metro e forma affatto rego-
lare: forse è difettosa di alcuni versi dal 12 In giù, e doveva' ori-
ginalmente comporsi di tre stanze.
E lo mio cor s' inchina.
0 bella, vo dicando
Così . . . cosi . . . così com' io mi sento,
E di dolor penando,
E vi..-, e vivo... e vivo in gran tormento.
Oimè eh' io moro amando !
Oimè . . . oimè . . . oimè, la donna mia !
Oimè, la vita mia! 8
Pr' amor vo sospirando
Per ti . . . per ti . . . per ti, o vita mia,
E sempre lamentando,
Aimì . . . aimi . . . aimì ! , e la morte querando.
Più eh' a donna che sia
Vers. 9. Per: Cod,
( 73 )(
A li ... a li ... a li mi raccomando,
Oimè lasso, pensando;
E di... e di... e dico, o perla mia. 46
E lo mio cor s'inchina.
XLVI.
Dal cod. strozz. magliab. 1040, ci. vii, c. 51 v. Più che imita-
zione, è probabilmente traduzione per intiero dal francese.
Lo gior' eh' io non vi veggio, m' amiclla,
Lo gior' eh' io non vi veggio morlo m' ài. 3
V altra sera mi dormia,
E mi paria ch'io vi senlia.
Or vo vo, m' ami ella!
Lo gior' eh' io non vi veggio, m' amietta.
Lo gior' ch'io non vi veggio, morto m' ài. 7
L' altra sera eh' io sognava
E mi paria che vi basciava.
Voi, m' amiella!
Lo gior' eh' io non vi veggio, m' amietta.
Lo gior' ch'io non vi veggio, morlo m' ài. /?'
L' altra sera mi posava,
Mi paria eh' io v' abbracciava .
Voi, m' amietta!
Lo gior' eh' io non vi veggio, m' amietta.
Lo gior' ch'io non vi veggio, morto m'ài. ir
Ecco come giace il testo nel cod., per chi credesse poter ridurlo
ad altra forma metrica:
Lo giorno chi novi veggio mamietta lo giorno chio no vi veggio
. morto mai
Lallra sera mi dormia e mi paria chio vi sentia or vouo mamietta
)( 74 )(
lo giorno chio non vi veggio mamietta lo giorno chio novi
veggio morto mai '
L' altra sera chio songniava e mi paria che vi basciava voi mamietta
lo giorno chio non vi veg.. mamietta lo giorno chio novi vegio
morto mai
Laltra sera mi posava e mi paria chio vabbracciau . . voi mamietta
lo giorno chio non vi veggio mamietta lo giorno chio novi
veggio morto mai.
XLVII.
Dal cod. strozz. magliab. -1040, ci. VII, e. 52. È questo forse il
più antico esempio di poesia rusticale che si conosca, fatta, s'in-
tende, per imitazione burlesca; un dei prototipi di Lorenzo de' Me-
dici e degli infiniti suoi imitatori. Anche la forma metrica tiene assai
dell'antico, come quella che è incerta tra la ballata, o meglio can-
tilena, e lo strambotto. L'ordine delle rime nella stanza par che
dovesse essere a, b b, a a, b; se bene quest' ordine è turbato nel-
l'ultima stanza, ed anche nella seconda; ma qui per colpa del
copista.
Gentil madonna sanza alcun tintume,
De che non gite voi disogolata?
Che mi si schianta el cor e la curata
Quel di' eh' io non vi veggio un poco al lume.
Siete più netta che non è il pattume
E rilucete più eh' una stagnata, e
Per vostro amore i' ò già logorato
Ben dieci lire eh' i' abbi d' un bue.
E, se volete dir quando ciò fue,
Quel dì che mi desti la capellina foderata:
Vers. 3. Vi si: Cod. — 5. Voi siete: C. — 8. d'uno: C. — -10. È
verso che corre come un barbero. Ma forse fu licenza del copista e
dee leggersi: Quel di' mi desti 'l cappel foderato. Con ciò, e leggendo
poi portato nel verso seguente, si restituirebbe anche l'ordine delle
rime.
X 75 K
E per voslr' amor l'ò tanto portala
Che solo un pel non v' è riinaso sue. 42
Madonna mia, siete tanto dolriata
Glie la metà di voi non è il confetto:
E tutta quanta siete inciennamata.
Innanzi vi vorrei trovar nel letto
Ch'aver una focaccia ben casciata
0 de vin cotto bene un pien barletlo. 48
Vers. 43, voi siete: C. — -15. Così il C.
XLVIII.
Dal cod. strozz. magliab. <040, ci. VII. e. 52; come l'antece-
denle, con la quale è d'un genere. Nel codice è intitolata sonetto,
ma s'accosta alla forma dello stramboUo 0 del rispetto.
Amante sono, vaghicela, di voi;
Quando vi veggio, tutto mi divoro.
Esco del campo, quando io lavoro,
E come pazzo vo gridando oi oi.
Poi corro corro, e ò digiunto i buoi;
E vo pensando di voi, che non lavoro.
Voi siete pii'i luciente che l'oro. 7
E siete più bella eh' un fior di ginestra,
E siete pii!i dolce che no è '1 cerconcello.
De fatevi un poco alla finestra;
Vers. i. Anche sono: Cod. Ma è contro il senso e contro la mi-
sura del verso. Facile mi parve e ragionevole l'emenda. — 4. gridan-
do omei: C. Corressi per amor della rima — 7. Dopo questo verso
il copista ne aveva comincialo un altro, Ch'un diamante, lascian-
dolo cosi interrotto. Segno che fosse un trascorso della fantasia o
un errore della memoria. E in fntti anche la strofa seguente è di 7
versi — 9. non è il : C.
)( 76 )(
Ch' io vi promotto eh' al vostro porcello
Drò delle ghiande una piena canestra,
E anche vi dico che al -vostro vitello
Drò della paglia una piena canestra. a
E a voi, madonna cotanto dolciata,
A^i darò un ... . cesto d'insalata. 16
Vars. 42. darò: C. Su quali esempii qui e al v. 14 io abbia
stampato per amor del verso Drò, vedi nel glossario — 15. Invece
di questo verso nel cod. se ne leggeva due: E a voi madonna mea
Che siete cotanta dolciata. Ma questa forma poetica non ammette
versi minori, e il secondo di que' del codice non si sa che razza
•di verso sia , e v' è il mea senza rima corrispondente. Cotesta è
dunque per me una scapestrataggine dei mal copista, uomo non
letterato che trascriveva a memoria le poesie in allora cantate e di
quando in quando rifaceva a suo senno.
XLIX.
Ecco, dal cod. cart. riccard. 11 18. e. 92 v.°, una redazione o ri-
composizione letteraria, ma pur di popolesca eleganza, de' due saggi
precedenti. Esempio questo che è stato una fortuna ritrovare, e che
può chiarire come e quanto le ballate gli strambotti e i rispetti della
scuola fiorentina del secolo XIV e XV si foggiassero su rozzi e
popolari prototipi. E, come il codice da cui ho tratta la presente
ballata contiene tutte cose del trecento fuor due o tre e come que-
sta vi seguita subito al Nicchio, così io la ritengo per composizione
del miglior secolo, però su '1 cadere.
Fatevi a l'uscio, madonna dolciata;
Che v' ho recato un cesto d' insalata. 2
Io v' ho recato d' ogni fin' erbetta
(Fatevi a l'uscio, madonna sovrana).
Cicerchia, invidia, metaschio e rutetta;
Menta, fiorranza, nepitella e borrana.
Vers. 6. E' corre: né a me riesce raffrenarlo. —
)( 77 )(
Più chiara sete ch'acqua di fonlaria
E riiucenle più che una stagnala. «
Séte più bella che 'I fior de ginestra,
Più dolce ancor che '1 vin del bolticello.
Darévi volontieri una canestra
Di belle glande pel vostro porcello;
Faròvi un fascio d' erba pel vitello,
Et òvi a far un di' una mattinata. n
L'altr'ier, quand' io vi vidi, donna mia,
Coir altre donne alla festa a danzare,
Se non che avete troppa compagnia,
Un pomeranzo vi volea donare.
Tutto '1 commun vi stava a vagheggiare:
Ognun diceva — Ve' bella bracciata — . so
Vanne, ballata mia, bella e paziente,
A quella rosa colta di genaio.
Più che l'aratol chella è rilucente.
Et è più bianca che no è '1 mugnaio.
Di che '1 suo drudo l'aspetta al pagliaio
E vorebbe donarle una giuncata. S6
Fatevi all'uscio, madonna dolciata;
Ch'io v'ho recato un cesto d'insalata, ss
2< . E paziente. Forse ha da dire piacente.
L I B E 0 lY.
BALLATE E MANDRIALI DI VARII RIMATORI
ILLUSTRI E LETTERATI
DAL 4282 AL 1350.
L.
D' Incerto.
Autore di questa ballata, secondo gli edd, dei Sonetti e Canzone
didiv. aut. ant. tose. [Giunta, mdxxvii, in 8."] ove sta in principio
del 1. II, sarebbe Dante Alighieri. Ma il Dionisi [Anedd. ii, 97] non
volle riconoscerla per opera legittima dell'Alighieri. Altri I' attribuì ad
Enzo re di Sardegna; e G. M. Barbieri [Orig. poes. rimat., Modena,
<700, pag. 77] la tiene di G. Cavalcanti, e a lui si accosta il Fraticelli
[ Canzon. di D. A. Firenze, Barbèra, -ISoB, pag. 234]. Ma, che che ne
paia al benemerito illustratore delle opere minori di Dante, questa
poesia non sente dello stile di Guido né trovasi mai ne' testi a penna
o stampati delle rime di lui. Io do ragione al Nannucci il quale vi
ravvisa il carattere di Dante da Maiano [Manuale ec. ediz. 2.* p. 278],
sebbene conchiude poi col darla anch' egli a Guido, per la sola ra-
gione che primavera è qui metaforicamente salutata l'amata donna
e Primavera chiamavano per sopranome la donna di Guido. Tengo
a confronto l'edizione giuntina col Fraticelli e '1 Nannucci.
Fresca rosa novella,
Piacente primavera,
Per prala e per rivera
Gaiamente cantando,
Vers. 3. riviera: F, N.
)( 70 )(
Vostro fin presio mando alla verdura. s
Lo vostro presio fino
In gio' si rinnovelli
Da grandi e da zitelli
Per ciascyno cammino,
E canlinne gli auselli
Ciascuno in suo latino
Da sera e da mattino
Su li verdi arbuscelli :
Tutto lo mondo canti
Po' che lo tempo vene^,
SI come si convene,
Vostra altezza presiala;
Che sete angelicata — criatura. 48
Angelica sembianza
In voi, donna, riposa:
■Dio! quanto aventurosa
Fu la mia disianza.
Vostra cera gioiosa,
Poi che passa e avanza
Natura e costumanza.
Ben è mirabil cosa.
Fra lor le donne dea
Vi chiaman, come sete. .
Tanto adorna parete,
Ch'io non saccio contare;
E chi poria pensare — oltr' a natura? sj
Oltra natura umana
Vostra fina piacenza
Fece Dio per essenza
Vers 5. pregio: F, N,— 6. pregio: F, N.— 10. augelli: F, N. —
24 ed: F, N. — 28. Siete: F. — 30. noi: F, N. — 31. porrla: ?, N.
)( 80 )( -
Che voi Ibste sovrana.
Perchè vostra parvenza
Ver me non sia lontana,
Or non mi sia villana
La dolce provedenza. ^
E, se vi pare oltraggio
Ch' ad amarvi sia dato,
Non sia da voi biasmato;
Che solo Amor mi sforza,
Contra cui non vai forza — né misura. 44
Vers. 35. N, seguitando la giiintina, mette punto e virgola in
fine di questo verso. — 39. provvedenza: F, N — 44. Contro: F, N.
LI.
Guido Cavalcanti.
Fra le ballate di questo poeta scelgo la Pastorella, come
quella che, se bene imitata di su le pastorelle provenzali, par che
dovesse esser più difTusa e cantata. In fatti, un di que' notari bolo-
gnesi che trascrivevan ballate svi memoriali [ved. lib. iii, xxi-xxvj,
Antolino Rolandino de' Tedaldi, ricopiava nel memoriale del 4300 13
Pastorella; o meglio, ricopiava la prima stanza e lì rimanevasi: forse
r aveva udita cantare, e ne trascrisse quella sola parte che aveva
a mente: e dopo riattaccava col primo verso d'una canzonetta di
popolare andatura: « Fuor de la bella caiba » [ v. 1. iii, xxv ]. Per la
lezione abbiam tenuto a riscontro i Sonetti e Canzone di div. aut. tos.
[Giunta, 1527] ove sta al 1. vi e le Rime di G. Cavalcanti per opera
di Ant. decaparci [Firenze, Carli, Ì8i3, S°] riviste su' vari codici.
In un boschetto trovai pastorella,
Più che la stella bella — al mio parere.
Vers. 2. è bella: Codd. laur. xli 34, xc 37.
)( 8i )(
Capcgli avea biondetli e ricciutclli,
E gli occhi pìcn d'amor, cera rosata:
Con sua vergliotla pasturava agnelli,
E scalza e di rugiada era bagnata:
Cantava come fosse innamorata.
Era adornata — di tutto piacere. s
D'amor la salutai immanlenente,
E domandai s' avesse compagnia :
Ed ella mi rispuose dolcemente
Che sola sola per lo bosco già,
E disse — Sappi, quando 1' augel pia,
Allor disia — lo mio cuor drudo avere. li
Poi che mi disse di sua condizione
E per lo bosco augelli udio cantare,
Fra me stesso dicea — Ora è stagione
Di questa pastorella gioi' pigliare.
Mercè le chiesi, sol che di basciare
E d' abbracciare — fosse '1 suo volere. 20
Per man mi prese d'amorosa vogHa,
E disse che donato m' avea '1 core;
Menommi sotto una frcschetta foglia,
Là dov' io vidi fior d' ogni colore;
E tanto vi sentio gioi' e dolzore ^
Che dio d' amore — mi parve ivi vedere. ^^
Vers. 3. E' capegli eran biondi e: Laur. xli 34. — 5. pastorava:
ediz. giunt. — 8. Ed adornata: Laur. xli 34, e Magi. 40. — 9. im-
mantinenle: Nann. ~ U. rispose prestamente: Magi. 40. — <2. sola
sol per lo bosco se n' già: Laur. xli 20 e 34. — 46. E pel boschetto:
Magi. <<08. ugei: ed. giunt.*- 48. Il mio disio con sua pace piglia-
re: Laur XLI 34. — 49. baciare: ed. fior. 4813. — 20. Ed: Nann.
Ed abbracciar, se fusse l . . : Laur. xm 34, xc 37. — 22. Risponden-
domi—I' t'ho donato l core: Magi. 4408. — 25. gioia: Nann. — 26.
d'amor: ed fior. 4843, e Nann.
6
)( 82 )(
LII.
Dante Alighieri.
Fu pubblicata dall'ab. Luigi Fiacchi, nel fase, xiv degli Opuscoli
letterari [ Firenze, ISIS, Stamp. di Borgo Ognissanti, in 8.°] e nella
tiratura a parte col titolo di Scelta di rime antiche, di sur un cod.
cart. in f. del sec. xvi appartenuto al p. Alessandri della Badia fio-
rentina. La ritrovò in altri codici il prof. Witte; e il Fraticelli la
ristampò nel Canz. di D. A. [Firenze, Barbèra, 4856, in 8.°] segui-
tando la lezione del filologo tedesco. Ho eletto questa fra le ballate
di Dante, come la più facilmente acconcia a intelligenza e musica
popolare, non che per 1' accenno del penultimo verso, da cui rile-
vasi che anche le ballate de' dotti ed illustri venivano cantate.
Per una ghirlandetta
Gh' io vidi mi farà
Sospirar ogni fiore. 3
Vidi a voi, donna, portar ghirlandetta
A par di fior gentile,
E sovra lei vidi volare in fretta
Un angiolel d' amore tutto umile : ,
E 'n suo cantar sottile
Dicea — Chi mi vedrà
Lauderà il mio signore. — ^o
S' io sarò là dove un fioretto sia,
Allor fia eh' io sospire.
Dirò — La bella gentil donna mia
Porta in testa i fioretti del mio sire. —
Ma per crescer desire
La mia donna verrà ,
Coronata da Amore. 47
Di fior le parolette mie novelle
Han fatto una ballata :
)( 83 )(
Da lor per leggiadria s' hanno lolt' elle
Una veste ch'altrui non fu mai data:
Però siete pregata,
Quand' uom la canterà,
Che le facciate onore. ^*
Dopo i primi tre versi il cod. Alessandri edito dal Fiacchi porla
una lezione tutta diversa dalla Wiltiana, e che forse attesta l' im-
mischiarsi che fece di questa ballata la musa del popolo. Eccola:
Vidi a voi, donna portare
Ghirlandetta di fior gentile
E sovra lei vidi volare
Angiolel d' amore umile.
E nel suo cantar sottile
Dicea — Chi mi vedrà
Lauderà il mio signore.
S' io sarò là dove sia
Fioretta mia bella e gentile,
Allor dirò alla donna mia
Che porti 'n testa i miei suspiri:
Ma per crescere i desiri
Una donna ci verrà
Coronata dall' amore.
Le parole mie novelle
Che di fior fatto han ballata,
Per leggiadria ci han tolt'elle
Una veste ch'altrui fu data.
Però ne siate pregata,
Qual uom la canterà,
Che a lui facciate onore.
0 non par proprio il caso del fabbro di Porta San Piero, che,
battendo ferro su la 'ncudine cantava il Dante come si canta uno
)(84)(
cantare, e tramestava i versi suoi smozzicando e appiccando? [Sac-
chetti, nov. cxiv].
LUI.
M. Gino da Pistoia.
Di questo gentil poeta, non però insigne nelle ballate come
parecchi suoi coetanei ( de' quali^ molte rime avrei dovuto recare
che appartengono a questo genere, se non fossero note a' moltissimi
massimamente pel Manuale del Nannucci ), basti per saggio la se-
guente ballatina che il Trucchi pubblicò [ Poes. ital. ined. I, 288 ]
di su '1 cod. riccardiano HiS, ed io accolsi già in Rime di Gino e
d'altri, ed ora emendo su '1 detto cod.
Giovane bella, luce del mio core,
Perchè mi cali l'amoroso viso?
Tu sai che '1 dolce riso
E gli occhi tuoi mi fan sentire amore.
Sento nel core tanto di dolcezza
Quando ti son davante,
Ch' io veggio quel eh' Amor di te ragiona.
Ma, poi che privo son di tua bellezza
E de' tuoi be' sembianti.
Provo dolor che mai non m'abbandona.
Però chiedendo vo la tua persona,
Disioso di quella chiara luce
Che sempre mi conduce
Fidel soggetto de lo tuo splendore.
u
Vers. L Giovanne: cod. giovine: T. — 4. toi: cod.. ma è del
copista non toscano — 5. tanta dolcezza: T. — 5. davante: T. —
'12. cara: T, — U. Fedel: T.
)( 85 )(
MV.
Ceccolino I de" MicnELOTTi I DA Perugia .
Fu pubbl. dal Vincioli, di sur un manoscritto in. 4.° cho conser-
vavnsi presso G. B. Boccolini maestro di i)elio lettere in Foligno, in
Rime di Francesco Coppetta ed altri poeti perugini, scelte con alcune
no(e [Perugia, Ciani, MÌO, in 8."]. Fu riprodotta in Scelta di Sonetti
e Consoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo, parte <.• [Venezia,
Baseggio, 4739, in"<2]. Alcuni versi ne furono riportati, con emenda-
zioni arbitrarie e non sempre ragionevoli, dal Perticari ncW'Apolog.
del vulg, eloq, cap. xxiv.
Non spero mai conforto
Partito, donna mia, da voi vedere;
Che, desioso del vostro piacere
Ch'ogni beltade inchiude, vivo morto. 4
Tanto di voi veder, donna, disio
Che morte m' è la vita
Per lo greve dolor che per voi provo.
De perchè anzi el partir non morio,
Poi che più amara trovo
Lasso!, ch'io non credei, la mia finita?
Nulla pietà m' aita
Ne r angoscioso pianto ov' io allago :
Che ritornare a voi di cui son vago
Speranza, per la gran pena, non porto. u
Vers. t. vivo e morto: le st. a scapito del senso — .'}. Tanto voi
vedere, donna, disio: st.; il Perticari correggo: Tanto di veder voi,
donna, è il disio— 6. Il Perticari corr. : Che la morte m' è vita. 0
perchè? — 7. per voi porto : st. Accetto la correzione del P. , per
amore della rima corrispondente del v. 9 — 8. el mio partire non
moro io: st. Il P. corr. :, Perdi' anzi al mio partir non mi mor io. ,
col punto fermo in fine. — 9. Poi più eh' amara : st. Il P. : Perchè
più— 40, non avrei: le st. E qui il P. non corregge: e si che il
bisogno v'era. — 44. Il P. mette il segno dell' interrogazione infine
a questo verso e non no reca altri. — 22. alago : st.
)( 86 )(
LV. ,
Sennuccio del Bene
Queste due ballate furono pubbl. in Race, di Rime ant. dopo là
Bella Mano di G. de' Conti [Parigi, Patisson, 4395, in 42.°; e Firenze,
Guiducci, 47-15, in 42."; e Verona, Tumermani, 4730, in 8.", e 4755
in 4 °] e riprodotte poi nelle raccolte moderne di rime antiche, e
ultimamente in Rime di Messer Cino da Pistoia e d'altri del sec. XIV
[Firenze, Barbèra, 4862, in 46]. La prima è riportata ancora in
Scelta di Sonetti e Canzoni de' più eccellenti autori d' ogni secolo,
parte I [ ed. cit.]; e la seconda in Scelta di poesie liriche del primo
secolo sino al 1700 [ Firenze, Le Mounier, 4839, in 8.°]. Per ambe-
due le ballate ho tenuto a confronto con le tre prime edizioni della
Bella Mano, il cod. 7767 cart. in 4. ".della Bibiiot. imperiale di Parigi
del sec. xvi Inc. contenente Rime italiane antiche.
Amor, cosi leggiadra giovinetta
Già mai non mise fuoco in cor d'amante,
Con cosi bel sembiante,
Come r ha messo in me la tua Saetta. ^
Vidila andar baldanzosa e secura
Cantando in danza bei versi d'amore
E sospirar sovente;
Talvolta scolorar la sua figura,
Mosti^ando nella vista come il core
Era d' Amor servente. *
Volgeva gli occhi suoi soavemente.
Per saper se pietà di lei vedesse
In alcun che intendesse
Nel cantar suo come l'avea distretta. '^^
Vers. 4. a me: cod. par. tua saetta: le st. Io comincio questo
nome con la maiuscola, perchè Io ritengo per proprio, non ritro-
vando altrimenti il bandolo della sentenza, — 44. Volgea: C. p. —
44. come Amor l'à distretta: C. p.
)( 87 )(
LVl.
Del medesimo.
Si giovin bella e soUil furatrice,
Comò lu, non fu mai,
Pensando come e che furato m' hai. ^
Del mezzo del mio cor secreto e chiuso
Ogni potenzia hai tolta,
Con un sol d'occhi aprendo ogni serraglia:
Poi v' hai lasciato tanto amor rinchiuso,
Che sempre 5 te mi volta:
Ora ti fuggi, e non par che te n' caglia.
Cosi di pianto una crudel battaglia
Dentro schierata v' hai,
Che durerà quantunque tu vorrai. ^^
Io ti pur seguo quanto più mi fuggi;
Né truovo ov' io mi volga
A tór soccorso col quale io t'aggiunga,
. Se non al pianto con che tu mi struggi;
Che tanto se n'accolga
Che faccia una pietà cfie M cor ti punga .
Se questo fia per via corta o lunga.
Tu sola se' che '1 sai:
Che fia di me ciò che tu disporrai. **
Mia vita e morte sta nel tuo disporre;
Et io parato aspetto
A ciò che tu farai tenerlo caro:
Vers. 5. potensa: C. p. — 6. d' occhio: C. p. — 45. io ti giunga:
C. p. — 48. facci: C. p. — 21. Che fia di me? ediz. fior, ilio e st.
mod. — 23. Ed: ed. fior. 47»5 e ut. mod. —
)( 88 )(
Ma ben conosco che non mi- puoi tórre
L'amor puro e perfetto,
Che il sol degli occhi in mezzo il cor lasciaro.
Sia, dopo questo, dolce o vuogli amaro;
Che, ciò che disporrai.
Pur lo dolce disio non mi torrai, ^^
Gol quale io spero divenir felice: >
Che tu pur ti avvedrai.
Quando che sia, del torto che mi fai. ^^
Vers. 27. Che tuoi begli occhi: C. p.
LVII.
Francesgiiino m Taddeo degli Albizzi.
Pubbl. nel lìb. IX di Sonetti e Canzone di div. aut. ant. tose.
[Giunti, ■1527 in 8.''], e nelle ristampe. Fu riprodotta dal Crescimbeni
nel voi. II. p. Il, 1. Ili dei Comment. alla ist. della volg. poes.; nelle
moderne raccolte di rime antiche, e ultimamente in Rime di Cina
e d' altri. L' ho veduta anche in qualche testo a penna, senza trovar
però varietà di lezione dalla giuntina.
Per fuggir riprensione
Rifreno il mio talento,
Volendo anzi contento
Far r altrui torto che la mia ragione. ^
Rifreno il mio talento di mirare
La dolce donna mia,
Perché la gente mi ne ripigliava:
Ma in verità, per quel eh' a me ne pare,
Seguir tal signoria
Alcuna riprension non meritava: ^
Anzi m'imaginava,
)( 89 )(
Clic, dove io son biasmalo,
Dovessi esser mirato
Per mia grandezza da tutte persone. ^^
Ancor mi meraviglio vie più molto
Come ogn'uom che la vede
Debita riverenza non le rende:
Ma, perché l'ignoranza fugge il volto
Del lume, non ha fede,
Né veritate in lei mai no risplende:
Così, chi mi riprende.
Non dubbio, s' occhi avesse,
' Ched ci non mi ponesse
Gran pregio, dove dispregio mi pone. * -^
Grazia ad un piccol omo è riputata.
Quando un signor possente
Gli smonta a casa; e déne loda avere:
Se questa bella donna é dichinata
A venir nella mente,
Di ciò mi dee ciascun miglior tenere:
Ch' almen si può vedere
Per manifesto segno,
Ch' ella m' ha fatto degno
D' esser di tanta e tal donna magione. ^^
A simiglianza della gran vertute,
La qual, perchè si degna
D'alzar, bassar non può la sua grandezza.
Dico che '1 venir nella servilute
Di donna cosi degna
Non è pur libertà ma somma altezza:
Vers. i8. La Giunt. e 'I Creso, pongono virgola alla fine di
questo verso, e del lume del v. seg. Io fan reggere da non ha fede.
— 27. deve; Cresc.
)('90)(
Che, quand' uom si disprezza
Sotto degno signore,
Allor si fa maggiore
Che s' e' si stime in più vii suggezionc.
Fa' che tu trovi la mia donna sola,
E con gran riverenza.
Ballata, a lei mi raccomanderai:
E poi nel cor le metti una parola,
E pongliela in credenza.
Sì eh' e' miei riprensor no '1 sappian mai :
E cosi le dirai :
— Madonna, certa siate
Che nella veritate
No'l cor ma gli occhi han presa eorreziine.-
44
54
LVIII.
Matteo DI Dino Frescobaldi.
Le seguenti ballate di Dino Frescobaldi furono pubbl. di su '1
cod. nitigi. 40, ci. VII, in occasione di nozze Pepoli-Hohenzollern
[Firenze, IMatti, 4844, in -12.°], eccetto la lxvii che venne a stampa
nella Miscellanea di cose ined. o rare race, e puhbl. da F. Coraz-
zini [Firenze, Baracchi; -1853, in 8°]. La lviii, lix, lx, lxi, lxii,
Lxiii, Lxiv, Lxviii, Lxix, furouo riprodotte anche nelle Rime di Gino
e d'altri. Nella presente ristampa fu tenuto a confronto il codice.
Giovinetta, tu sai
Cir i' son tuo servidore.
Merzé del mio dolore
Che mi consuma, e non ho posa mai ! _ "*
Tu mi consumi e struggi, giovinetta,
Veggendoti si fiera e dispiatata;
E non mostri che sia d' amor costretta
)( JH )(
Ne che di lui già mai fussi 'nfìammala.
Dell! pensa una fiata
Al mio gravoso affanno
Kd a' sospir che vanno
Mercè chiamarti con dogliosi guai. '^
Leggiadra se', vezzosa, conta e bella
E di virtù fiorita:
Tu se' colei per cui ogni donzella
Si vede adorna e 'n costumi nodrila.
Se 'n verso la mia vita
Ti movessi a piatanza,
Are' lede e costanza •
Di non morir, come m' ucciderai. ^^
Quando riguardo nel tuo dolce viso
Dove si specchia mie' figura ispenta,
E fuggi da finestra non con riso
Ma con sembianza eh' è di sdegno tinta;
Allora è morta e vinta
La vita mia crudele :
Più è amara che fele
La dolorosa pena che mi dai. -•*^
Merzè merzè merzè del mio tormento!
Merzè, eh' i' moro per servire a fede !
Merzè li mova del dolor eh' i' sento;
•Mercé di quel che pére e mercè chiede J
Merzè, per Dio, concede.
Giovane, e non sia fera!
Come se' più che fera!
Mercè mercè del cor eh' i' ti donai ! ^^
Vers. 24. che disdegnosa tinta: Cod- Mi è parso do\er accet-
tare la correzione delle st.; a qualcuno però potrehlie piacere: con
sembianza disdegnosa e tinta. — 27. Piti amara: il cod, e l'ediz. P.
Mi è parso necessario aggiungere il verbo.
)( 02 )(
LIX.
Del medesimo .
Deh cantate con canto di dolcezza;
Ch'egli è tornato el fior d'ogni allegrezza. ^
La donna eh' è d' ogni biltà fontana
È tornata per dar pace e salute
A chi la guarda non con mente vana
Ma con amor fiorito di vertute:
•Però che '1 suo valore e sua altezza
Risprende solo ovunque è gentilezza. *
Dunque si può e' dir che sia beato
Nella corte d'Amor più ch'altro amante
Chi di tanta biltà è infiammato
0 chi nella sua fé servo è costante:
Che per servir si rompe ogni durezza IH
E sormontasi in pregio e in grandezza. ^4 1
Vers. 2. il fior: st. —8. Risplende: st. —ti. Chedditanta: cod.
LX.
Del medesimo .
Tant' è la nobiltà eh' ogn' or si vede
Nel vostro dolce aspetto,
Che stando di voi servo m' è diletto. ^
Come dall'alto sol lume discende
E dona suo' virtute
Ad ogni creatura nel suo stalo;
11
)( i^3 )(
Cosi da voi ciascuna donna prende
Ogni cara salute
Con adorno piater d'amor creato:
Dunque el disio, che m' ha cosi infiammato
El cor per voi costretto,
Sonnonta ciascun altro ben perfetto. ^^
LXI.
Del medesimo . Ì^
Clii vuol veder visibilmente Amore
Guardi colei che m' ha rubato el core. ^
Negli occhi suoi dimora e fa soggiorno
E tiene un arco in man, coéche e saetta;
Non ferisce ogni uom che gli è d'intorno
Né chi d' innamorarne si diletta.
Ma sol colui che vede e ha valore
E costanza di starle servidore. *
LXII.
Del medesimo.
Si mi consuma, donna, quand' i' sento
La scura dipartenza
Che de' far vostra essenza,
Ch' ogni altro mio dolor m' è dolce vita. *
Però pensate quanto sia el tormento
Che sostener mi converrà, oh lasso!.
Quando lontan dagli occhi miei sarete;
Vers. 7. lontana dagli: cod.: lontana agli: st.
)( 94 )(
Ch' i' sento già ogni valore ispento
Dentro nel cor, che m' ha condotto a passo
Che sola voi difender mi pónete:
Dunque, merzè, pella virtù ch'avete!
Non vogliate eh' i' mora
Od io consumi ad ora!
Ched io non veggia la mortai partita! '^^
LXIII.
Del medesimo.
Non mi conforta lo sperar tornare
Ch' i' faccio immaginando :
Mi veggio allung'iando
Da voi, madonna, in parte sì stranerà. ^
E 'n si stranerà parte, lasso, veggio
Diviar mie' viaggio.
Che ritornar a voi non saccio quando.
Ond' io tormento sì, che spesso chieggio
Morte nel mio coraggio:
Sì mi consuman gli sospir eh' i' spando
Ciascun' ora, membrando el vostro viso
Ch' un paradiso chiamo.
0 gentil donna ch'amo.
Da voi mie' vita lontan si dispera. ^^
Vers. 6. Diviare: ediz. P.
■^1
X 05 )(
LXIV.
Del MtutsiMn .
Donne leg^giadre e giovani donzelle,
Deh!, per Io vostro onore,
Per me pregate a cui son servidore. ^
Egli è una tra voi
Con sì vaga bellezza
Che face amante ciascun che la mira:
Perchè dagli occhi suoi
Si move una chiarezza
Che dà conforto a chi per lei sospira;
E, quando i begli occhi in vèr me gira,
Sento lo gran valore
Che per grazia mi fa sentire Amore. ^^
Nel suo vago cospetto
Verace Amor dimora.
Lo quale è pien di grazie e di merzede;
Ond' ha gioie e diletto
Ciaschedun che l'onora,
Perch' altro dal suo viso non procede.
Oneste e vaghe, questa con voi siede,
Da cui sento lutt'ore
La chiara luce del suo sprendore. ^'
Se questa mia preghiera
Da voi sarà accettata.
D'ogni salute averà el mio cor manto;
Che l'anima ne spera
d
Vers. a. suo {splendore: si.
)( 96 )(
Per lei esser beala;
Ond' io vi mando questo nuovo canto;
E, se le degna d'ascoltare alquanto,
Dice che lo mie' core
Sarà sempre lontan d'ogni dolore.
30
LXV.
Del medesimo
L' amante .
Donna, dove dimora
In voi la sconoscenza?
Poi di senno e piacenza
Siete più piena che viva fontana.
Donna, i' son dimorato
Vostro lontan servente
Sanz' alcun guidardone ;
Né per ciò meritato
Sol d'un guardar piacente
Per nessuna istagiofie.
Donque, fuor di ragione,
Donna, voi mi tenete:
El gran saver eh' avete,
La vostra cortesia a me è villana.
Donna, merzè, merzede
Di me, poiché davante
Vi sono inginocchiato.
So ben, vostro cor vede.
Se non é ver diamante,
Forte crudel peccato.
1
u
)( 97 )(
Po' eh' i' sono arrivalo,
Donna, in vostra amagione,
Sanz' alcun guiderdone
Non fo partenza, chiara stella diana. ^<
La donna.
Sire, lo tuo savere
Mi ha messo in erranza,
Né perciò dismagata
Del tuo lontan servire
C ha fatto dimostranza.
Follia tien tuo' brigata.
Po' eh' i' son maritata
Parti d'està novella:
Mentre eh' i' fu' pulzella,
Sai, di tua innamoranza ben fu' vana. 54
Vers. 22. II C. ha chiaramente ^magfione. — 26. M' ha: cod. e st.
Ledendo Mi aggiusto il verso. — 27. dismagato: st.
LXVI.
Del medesimo. .
Quanto più fiso miro
Le bellezze che fan piacer costei,
Amor tanto per lei
M' induce più di soverchio martiro. -*
Parmi vedere in lei, quando la guardo,
Tutt'or nuova bellezza
Che porge agli occhi miei nuovo piacere.
7
)( 98 X
Allor mi giugne Amor con un suo dardo,
E con tanta dolcezza
Mi fere il por, che non si può tenere
Che de' colpi non gridi.
E dice — Occhi, per vostro mirare
Mi veggio tormentare,
Tanto' eh' i' sento l' ultimo sospiro. **
LXVII.
Del medesimo.
Sed io credessi che virtù in donna
Fosse 0 conoscimento,
Se m'uccidessi. Amor, sarei contento.
Ma, perch' i' veggio che ragion non sente
Il lor basso intelletto,
Contr'a voler, signor, tuo servo sono.
E, quando, lasso!, meco ne ragiono
Com'è vile il diletto
Che libertà m' ha tolto della mente,
Prendo vergogna; poi non son possente
Di rimuover talento. ^
Cosi legato in tuo' forza mi sento !
LXVIII.
Del medesimo.
Deh, confortate gli occhi miei dolenti
Che di lagrime fecion lago e fiume,
Poi che dal chiaro lume
42
)( in* n
Lontan mi Irovo vivere in loninmi. 4
Non è gioia ch'i' prenda né dìletlo,
Nù mai sentirò posa,
S' i' non riveggo a cui donato ho 'l core:
K quando miro alcun nohilc aspetto
Di donna alta e vezzosa,
Allor più mi combatte e strugge amore;
Memhrandomi di quel sommo valore
Del (|ual i' son suggetlo e fedel servo,
11 cui onor conservo,
E per cui provo sì dolor cocenti. ^<
LXIX.
Del medesimo.
Vostra gentil melizia,
Signori Fiorentini,
Vi darà vera laude,
Seguendo sanza fraude
Ciò che 'n questa ballata vi s'indizia. ^
Fiorentin saggi, sia vostro disio,
Con grande istudio e con isperienza.
Di viver sempre nel Iremor d'Iddio,
Perch' é prencipio della sapienza :
Poscia, con gran valenza,
Discrezion eh' è d'ogni virtù madre
Con suo' figlie leggiadre
Seguendo, crescerà vostra grandizia. ^3
Prudenza fate che sia vostra guida.
Che con tre occhi tre tempi governa.
Qucst'é virtù che chi con lei s'afiìda
)( 100 )(
Convicn che sempre lo miglior discerna,
E della fama eterna
Risplcnda con onor, miglior tesoro.
Gemme argìento ed oro
Prudenza passa, e vince ogni delizia. 21
Giustizia eh' a ciascuno el suo diritto
Rende, eh' è volontà perpetuale,
E per lei si punisce ogni delitto.
Signor, seguite; che per lei si sale.
Fiorentin, cui ne cale
Sarà in memoria eterna, com'è giusto:
Dunque, sievi nel gusto;
Però che questa ispegne ogni malizia. ^^
Temperanza, la qual fugge ogni troppo.
Che tiene in mano el fren della misura,
Fate, signor, che sia del vostro groppo,
E 'n voi si vegga suo' bella figura;
Che questa ancella pura
Disegna gli suo' servi temperati
Nel regno de' beati.
Nel qual possiede ogni uom somma letizia. ■^^
Fortezza, che 1' uom fa sicuro e franco
Sì che non smaga neh' avversitate
E nel periglio non si truova manco,
Perchè s'accosta a magnanimitate,
Signori, or l'abbracciate;
Che fortezza 1- uom, rende valoroso
Forte e vittorioso.
Sempre a' nemici suoi dando trestizia. *^
Queste virtù che son le cardinali,
Vers. 29. questo: st. — 45. tristizia : si. —
)( iOI )(
Con ciasrun' allra din ila lor diriva.
Chi le abbandona, alli brulli animali
Simil si face e da gloria si priva.
Cosi convien che viva
Per lo contrario nelT eternai luce
Chi con lor si conduce,
E pien di somma allegrezza e benizia. ^^
Ballata nova, i Fiorentin novelli.
Per cui onore t'ho ritratta in forma,
Priega che guardin quel che tu favelli.
Sì che adornin lor vita di tua norma.
Fuggendo quella torma
Che virtù ischifi e viva in gran dispregio,
Per acquistar buon pregio:
Che la verace fama ciascun sazia. '»'
Vcrs.' 49. face addagrolia: cod. — 53. e di leuizia: cod . Il di
v'è soverchio. L' ed. P. pensa che dovrebbe correggersi; e divista.
Può anche darsi. — 61. « La rima vorrel)be sizia, che poirebite
senza troppo difTicoItà interpretarsi per asseta o fa sitibondo di sé.
Ma, siccome T aut. si serve non rade volle delle semplici a-ssonanze
(come può vedersi anche in altre poesie inedite del medesimo),
siamo stati qui pure fedeli al nostro testo, il quale ha chiaramente
sasia ». Ed. P.
LXX.
Francesco Petrarc.\.
Fra le ballate e i mandriali del gran lirico, eleggiamo le loon
conosciute, quelle cioè non comprese nel canzoniere. Cominciando
da questa prima ballata, ella è nella giunlina del 4522 dopo i Trionfi
tra le cose rifiutate, ed è anche riportata in alcune delle più recenti
stampe del Petrarca che hanno la Giunta.
Nova bellezza in abito gentile
Volse il mio core all'amorosa schieia
Ov' il mal si sosten e '1 ben si spera. .>
X 102 )(
Gir mi conveno o star com' altri vòle,
Poi cir al vago pensier fu posto un freno
Di dolci sdegni e di pietosi sguardi.
E '1 chiaro nome e '1 son delle parole
Della mia donna e '1 bel viso sereno
Son le faville, Amor, per che il cor m'ardi.
Io pur spero, quantunque che sia tardi;
Ch', avvegna ella si mostre acerba e fiera,
Umil amante vince donna altiera. ^^
LXXI.
Del medesimo.
È nella prima edizione delle rime del Petrarea, la vindeliniana
veneta del 4470 in f., e nella giuniina del 1522; ed è fra le Rime
antiche in fine della Bella Mano [Parigi, Patisson, 1595; Firenze
Guidacci e Franchi, 1715; Verona, Tumerraani, 1730]. La ristampò
il Volpi nella cominiana de! 1722 di sur un ms. di A. Zeno. E tro-
vasi anche in quelle fra le più recenti edizioni del Petrarca che
hanno la Giunta. L'ho rivista su 'I cod. ricc. 1100.
Donna mi vene spesso nella mente;
Altra donna v'è sempre;
Ond' io temo si stempre — '1 core ardente. ^
Quella '1 notrica in amorosa fiamma
Con un dolce martir pien di disire;
Questa lo strugge oltre misura e 'nfiamma:
Tanto eh' a doppio è forza che sospire. '^
Né vai perch'io m'adire — ed armi '1 core:
Ch' io non so come Amore,
Di che forte mi sdegno, glie '1 consente. ^^
Vers. 1. viene: Comin, — 4. 'l nutrica- Com.— 5, desire: Com. —
6. oltr' a misura: Com. Questo e '1 seguente mancano nel Ricc. —
8. né armi: Ricc. — 10. lei.: Com.
)( m )(
Del Nt:i)KMMo.
Dalle Aime di P. Petrarca estratte da tin tuo origineUe, e pubbl.
da Federigo Ubaldini [Roma, Grignani 1648 in f.«].
Amor che 'n cielo e 'n genlil core albcrgiii
E quanto é dì valore al mondo inspiri,
Acqueta l' infiammati miei sospiri. *
Altera donna con si dolce sguardo
Leva tal' or el mio pensier da terra
Che lodar mi convien degli occhi suoi ;
Ma dogliomi del peso ond' io son tardo
A seguire il mio bene; e vivo in guerra
Co l'alma rebellante a' messi tuoi. *
Signor che solo intendi lutto e puoi,
Pur spero che miei passi in parte giri
Ove in pace perfetta al fin respiri. **
Vere. 6. Altra lezione proposta da esso autore: • Vel , il gravt
peiuier talor da terra ». 7. — Altra lez, dell'aut.: « Voi, norfo ondio.^
U. Altre lez. dell'aut..- Piofrìoti rke. Prenoti che.
LXXlll.
Del medesimo.
Dal co<l. magi. 404< (sec. ivi), ci. vii, c. 9 vers. : od hn notalo
sopra: Dicono di Frane. Petrarcha.
Gli occhi mirùr l'immensa tua heltade:
E 'I cor aspra ferita ne sostenne,
)( m )(
Onde a ragion si duol del suo martire,
Che d'altrui colpa certo el suo mal venne:
Ma lor di sua ferita
Prende tanta pietade,
Che per lavar la piaga e per mostrare
Che del suo male han dolorosa vita
Piangon: e questo sol lor doglia aita. ^
Vers. 5. Ma dolor: Cod. — 6. Prenda: C. —9. doglia vita: C.
LXXIV.
Frate Stoppa de' Bostichi
Fu pubbl. di su '1 cod. riccard. 0. iv. cartac. in f.» n. xxxx da
G. Lami nel Catalog. Codd. Mss. riccard. [Liburni, mdcclvi] pag.81.
Nella presente ristampa abbiam tenuto soli' occhio il cod. ricc.
confrontandolo col laurenz. pi. xc, inf., 40, ove leggesi in fine del
Dittamondo, con questo titolo: Laida della fortuna e come la morte
e 'l tempo ogni cusa consuma. Del resto, canzonetta a ballo è deno-
minata in altro cod. laur. citato dalBandini. Suppl. Ili, 329: e, come
la XVI del 1. ii e la lxix in questo 1. iv ci han mostrato l'esempio
della maggior altezza cui potesse toccar la ballata trattando argo-
menti storici e storico-morali, cosìf la presente e la seguente ancora
son documento della maggior gravità che questa forma potesse as-
sumere pigliando argomenti mistici e morali, quasi a confine tra la
canzone e la laude.
Se la fortuna e '1 mondo
Mi vuol pur contastai^e,
Non me ne vo' turbare,
Anzi ringrazio il mio segnor giocondo. ^
Rallegromi pensando
Vers. <. al mondo: Laur. — 4. il mi': Ricc. signor: Laur. —
8. Questa stanza nel Laur. è posposta a quella che seguila nei nostro
testo e nel R.
)( 105 )(
Che creato non fui bruto animala.
E non vo mareggiando
Né dello m'é — Te' le' — nò ballo l'ale.
Questa ni'é grazia tale
Che tuli' or rhinino osanna,
E parmi dolce manna
Ciò che mi dona, e in allegrezza abondo. *'
L'uoni nasce al mondo ignudo;
Dunque d'avanzo è ciò che poi acquista:
Però non mi par crudo
Se fortuna mi balte o mi molista.
Chi dal mondo s'allista
Non si de' contentare:
Però che '1 tórre e '1 dare
A. sé riserba il suo favor profondo. ìq
De quanta somma gloria
Fu quella ch'ebbe Roma triunfanle!
E già la sua memoria
À spenta la fortuna novercante.
De, quanto c'è costante?
Che Cesare e Pompeo,
Vers. 8. Detto non tn' è tette: Laur. — H. Farmi sì dolce:
Laur. — 43. nudo: l\. — H. Dunqu'à d'avanzo: Laur. s'acquista:
Lami — 46. e mi molesta: Laur. — 47. E chi nel mondo s'arresta:
Laur. — 48. Non si de turbare: Laur. — 20. Tutto riserba al suo
voler profondo: Laur. — SI. quanta e santa: Laur. Avverto qui che
tuU' altro dal testo riccard. , per noi seguito, è l'ordine delle stanze
nel Laur. Egli è tale. Dov'è Nembrotto . . . . Dcv è la gran for-
tezza . ... Or dove son coloro .... Carlo co' paladini .... Tristano
e Lancillotto .... De quanta e santa gloria .... Ecci degli altri
assai .... e qui finisce la l>allat». — 82. trionfante: Laur. e Lami —
i3. E or la sua vettoria: Laur.— 24. Mal si leggono le prime tre
parole nel Laur. — 25. Il Lumi mette una virgola al (ine di (|ucsto
verso. Il Laur. ha. Dunque che ci è costante? — i6. Cetere: Laur—
)( 106 )(
Scipion che rifeo
Roma, cogli altri, lutti sono al fondo. 28
Il possente Ansuero
Segnor del mondo fu quant' altrui piacque:
E Alessandro altero
Segnoreggiò la terra e l'aria e l'acque;
E annullossi e tacque,
Po' che fortuna volse,
E la vita gli tolse
Colei che tutte cose mena a tondo. se
Dov'*è Nembrotto il grande
Che fece la gran torre di Babelle?
Le braccia più non spande
Per voler prender l'alto Manuelle.
De quant' è amaro il felle
Che 'i mondo dona e porge!
E quante nuove fogge
Vegg' io mutare! ond' io non mi confondo, u
E in fra gli altri assai
Dov' è '1 cortese e nobil Saladino?
Che non tornò già mai
Poscia che morte l'ebbe in suo dimino?
E quel lungo cammino
Fa ciaschedun che nasce,
Si che 'n suir erba pasce
Vers. 27-28. Scipion con Orfeo Tutti di Roma sono andati al fondo:
Laur. — 29. Questa st. manca nel Laur. — 38. l'alta torre di
Babello: Laur. — 39. Suo braccia in alto spande: Laur. — 40. Per
prender l'alto Dio Emanuello : Laur. — M. De quanto è amaro
quello: Laur. — 42. dà e porge: Laur. — 43. De quante: Laur. —
44. Veggio . ... io sì mi: Laur. — 45. Ecci degli altri: Laur. — 46. il
possente e ricc^: Laur. — 48. Poi che fortuna l ebbe a, suo: Laur. —
49. Cosi lungo: Laur; — 51. Sì che folle erba: Laur.
)( 107 )(
Oliai di fermezza dice — Qui mi Tondo — . ss
Tristano e Lancialotto,
Ancor nel mondo la lor fama vale?
Li altri di Cammellotto
Per la fortuna fecer l' altrettale.
Scende ciascun che sale
Della rota volgente,
E giovali niente
Dicer — Fortuna, da te mi nascondo — . so
0 buon re Carlo Magno
Che perJa fede nostra combattesti
Ed a si gran guadagno
Oliando e Olivier leco volesti,
Or non par che si desti
Il glorioso nome
Che tenne alte le chiome,
Qual che si fosse, umile o iracondo. cs
Or dove son coloro
Che 'l 'mondo alluminar con lor savere,
Salamone, Ormansoro,
Ipoclas, Avicenna e '1 lor podere?
Dov'è l'antivedere
D'Arislolil sovrano?
Vers. 62. Chi di: Laur. e Lami — o3. Lancilotto: Laur, — 5V.
Son qui, avvfgna che lor fama sale: Laur. Il Lami mette in fìnc
un punto e virgola — 56. fecien d': Laur. — 59. E non gli vai:
Laur. — 60. .^ dir: Fortuna: Laur. — 61-68. Que.'ita stanza manca
nel Laur.; o meglio vi è stala stranamente trasformata. Eccola:
Carlo co' paladini. Prelati e 'mperador con alti regi Cristiani e
saracini Che s addobbaro al mondo maggior fregi, Roman che fér
le legi Canoniche e civili, Fortuna fatti gli à vili, (sic) Qual, che si
sia, umile e iracondo — 70. col lor: Lami — 71. Platone ed Alinan-
soro: F.aur. — 72. Ipocras, Salamon: Laur.
)( 108 )(
E Virgilio e Lucano?
Dove si sieno, a ciò non ti rispondo. ^<'
Dov' é la gran foi'tezza
Gh' ebber le dure braccia di Sansone?
Dov' è la gran bellezza,
Di Ginevra e d' Isotta e d' Ansai on e?
Dov'è l'ardir che fone
In Ettore e in Achille?
Dove son le gran ville
Troia e Gerusalem? son ite al fondo. «/,
Salandone il più saggio
Dice eh' è vana ogni cosa terrena.
Dunqu' è di vii coraggio
Chi nell'aversità sua vita allena.
Questa parola affrena
Ciascun che ben la 'ntende :
Si che poco gli offende
Dardo d' aversitade o altro pondo. ^^
Ben è saggio colui
Ch' al sommo Giove l' anima dirizza
E sempre serve a lui,
E per aversità già non s' adizza,
E a torto non guizza
Nel ben monda n eh' è nulla,
Ma sempre si trastulla
Servendo a Dio coli' animo facondo. ^^^
Vers. 75. Vergilio con: Laur. — 80. Di Ginevra, d' : T-aur. —
84. Gerusalem? disperse al: Laur.
)( m )(
LXXV.
M. Hruzzi di Luchino Visconti.
Dal cod. strozz. magliai). 991 in f. del sec. xiv, Poesie diverse;
ove sia a e. 36 v.° con l' intitolazione: Mess. lìruszi fiyliuol naturale
di mess. Lttchino. Fu piibbl. da F. Trucchi in Poes. ital. ined. II,
408, mancante della st. (iiiinta.
Senza la guerra di fortuna ria,
La qual vincer si puotc per valore,
Non può mai gentil core
Esser felice in stato alcun che sia. *
Non ha diletto Iddio più grazioso.
Se volger degna li occhi suoi in terra,
Com'è di riguardare un virtuoso
A cui l'aspra fortuna faccia guerra:
E quanto più di^ male ella disserra
Verso r animo eh' è di valor pieno,
Cotanto il cura meno,
Perch' è di chi la fa la villania. ^*
Per ingannar soffrir vari tormenti.
Soffrir infamia povertade e morte,
Non creda alcun che gentil cor paventi,
Perchè è di quel che è fuor di lui più forte:
El vince tutto quel che manda sorte,
E '1 muta in ben né si lascia mutare,
Come fa '1 vivo mare
I fiumi che riceve, in compagnia. 20
Vere. 7. Come di ... . virtuoso: T. — 43. Per ingcumo: T.
17 E l: T.
)( no )(
Or quel che dotta essere in esilio,
De guardi ciò eh' el nocque a Scipione,
E pensi quant' el spiacque a quel Rulilio
Che disdegnò tornare a sua magione.
Sollazzo è questo delle menti bone,
Che '1 savio per profitto ogni or porta
Per dritta via e per torta;
E patria con amici è dov' el stia. ^*
D'assai soffrir tormenti e non turbarse
Regulo valoroso avrò in esemplo;
E Muzio che la mano stesso s'arse
Con santi e sante assai a ciò contemplo.
La voglia mia per cotal voglia adempio,
Che donne àn vinto il disio della carne:
Onde, s'el pò turbarne,
Noi avanziàn le femmine in codardia. ^f
La povertà che par mortai supplizio
Necessità contemplo ai cuori elati;
Guardi ciascun che nocque al buon Fabrizio
A Zenone ad Igine ai santi abati.
Nulla bramando, costor fur beati:
Però che poco sazia la natura,
Nulla cupida cura:
Ond'è beato più chi men disia. ''*^
Se '1 bon per molti ispesso si disfama,
Perch' egli è bono, questo è falsamente :
Vers. 21. d'essere: T. — 22. che 'l nocque: T. — 23. quanto
spiacque: T. — 25. questi . . . buone: T. — 26. per suo profitto: T.—
31. Così il Cod. — 33. per tal voglia: C. — 36. Così il C. Potrebbe
correggersi: Le femmine avanziamo in codardia. Tutta questa stanza
manca nel T. — 40. Il C. legge adigine, il T. st. ad Igine: forse è
da leggere a Diogene. — 41. Nuli' ha; T. — 45. buon: T. e sotto:
buono, —
)( IH )(
El bon d'esser binsinnto dal vii ama,
Peivliù gli è loda il hiasnio di tal genio:
E, se lurbazion di questo ol sente,
Pensi elle vizio in lui ancor tien loco;
Ch' el non s' accende il foco
Se non in cosa dove à signoria. *^
S' el pensa l' omo cb' una morte sola
Veloce inoppinata aver convene,
E pensa poi per quante vie li é nota,
Coi morbi sol che natura contene,
Gagion bramerà ogni or di morir bene,
Speran' che morte che è con vertute
Mena a somma salute.
Come sperò David contra Golia. ^^
Ahi quanto è al cor gentil gravosa lite
Spendere un' ora mal di tutto Tanno!
Ahi quanto Sardanapal e Tersitc
Gola e lussuria, anco sedendo, isfanno!
Sol non bene operar fo loro danno;
E quanto in ciò fortuna li è più fiera
Tanto più gloria spera;
Che dopo nube chiar convien che sia. ^*
Dunque ciascun faccia T animo grande.
Al quale grande nulla cosa ò magna;
E pensi ciò che fortuna li mande
Esser uffìcio del qual si guadagna;
E se d' Eversila el sì dà lagna,
Vers. 47. E l buon: T. de essere: C. da vilama: T, — 61.
Che 'l: T. — 53. Se '<: T.— 64. conviene: T. — 56. contiene: T. —
67. Bramerà cagione ognior : C. Bramerà cagione di: T. — 58. Spe-
rando. C. e T.— 64. Il C. par che legga, istanno. ~ 65. fo danno: C.
fa danno: T. Ma era facile veder la mancanza.
)( 112 X
Pensi che vien difetto da sé stesso,
Perche è da Dio concesso
Che poco senno vince assai follia. 7ff
Ballata, io son come '1 porco ferito,
Son qui li amici spasimati a doglia.
Che del suo caso si fa per guarito
E sol procura che a questi el teglia:
Onde vattene omai di buona voglia
A chi tu senti del mio stato infermo,
E di ch'io sto pur fermo:
Ma chi assai priega tosto romperla. *^
Vers. 74. che difetto vien: C. e T. — 77. son qui come: C. —
78. Son qui li amici son: C. — 80. il toglie: T. Del resto questi
primi quattro versi della licenza sono tutt' altro che chiari : ma così
stanno nel cod. — 84. Forse in vece di priega è da leggere piega.
LIBRO V.
BALLATE ANONIME DEL SECOLO XIV.
LXXXVII.
Dal cod. cart. in 4.°, del sec. iv, clxxxix della Palatina di Fi-
renze; ove sta in fine del canzoniere del Petrarca,
Era tutta soletta
In un prato d'amore
Quella che feri il core
Di me con sua saetta. 4
Quando io vidi colei
Che fior giva cogliendo,
Subito giunsi a lei
E dissi — Io mi t' arrendo — .
Ed ella sorridendo
A me tutta si volse,
E lasso mi ricolse
La vaga giovinetta. 42
Quando le fu' a lato,
E ella mi prese a dire:
— Tu se' innamorato,
E già no '1 puoi disdire;
Cir i' veggio il tuo disire
In vèr di me acceso — .
)( ^U )(
Allor fu' io più preso
Di quella pargoletta.
Non senti mai Achille
Per Pulisena bella
Le cocenti faville
Quant'io senti' per quella,
Udendo sua favella
Angelica e vezzosa
Parlar sì amorosa
In su la fresca erbetta.
Poi colse di que' fiori
Ch'a lei parean più begli,
Dicendo — Agli amadori
Sogliamo andar con egli — ;
E a' suoi biondi capegli
Se gli giva legando:
E ivi a poco stando
Mi die la ghirlandetta.
Poi con un bello inchino
Da me prese comiato.
lo rimasi tapino
In su quel verde prato.
Sentendomi legalo
Col nodo Salamone.
E per cotal cagione
Fé' questa canzonetta.
so
S8
36
u
Vers. 30. belli: C. — 33. E suoi: C. — 42. nodo di Salamone: C.
)( 115 H
LXXXVIII.
Pubbl. da Fr. Trucchi, Poes. ital. (ned. II. U4. di sa 'I cod.
laur. pi. XI, n.*> xlix; dice lui: ma certo sbagliò la citaziooe : onde
mi è stato impossibile correggere il testo, errato nell'ultima stanza
anche nella ragion metrica.
Cantando un giorno in voce umile e lieve
Vidi una gittar neve — a chi passava. 2
Ell'era giovinetta presta e snella,
Cinta in gonnella, — e negli atti amorosa:
Ed era sua figura tanto bella.
Vaga, novella — e tanto graziosa.
Che dissi in vèr di lei: In te si posa
Ogni biltate. Ed ella pur cantava. s
La vista e '1 suo cantar m'entrava al core.
Si che 'n dolzore — ogni senso ridea :
E uno spiritel chiamato amore,
Che non di fuore — ma dentro sedea,
Di subito feruto entro surgea
Con gran sospiri. Ed ella pur cantava. 14
Uscivan fuor del petto e' miei sospiri
Pien di desiri — con voce planetta,
Dicendo: Io prego te, che alquanto miri.
Anzi ch'io spiri, — 0 gaia giovinetta,
Come feruto son da tua saetta.
Volgiti alquanto. Ed ella pur cantava. 20
Onde l'anima mia, che ciò sentia
E che vedia — in amor lo cor languire,
Per gran paura pallida stridia,
Vers. M. Vedea in: T.
)( 110 )(
E se ne già — lasciandomi finire.
10 gridava merzè, per non morire,
Piangendo forte. Ed ella pur cantava. S6
Così tal divenn' io, al ver parlando,
Caduto stando, — nella vista tale.
Che chi passava giva sospirando
E ragionando: — Amor colui assale.
Ond' io per ricoprir d' amore il male
Partimmi stanco. Ed ella pur cantava. ss
E, come che si sia, mi son trovato
Poscia passato, — donne mie pietose.
D'un fero dardo, che m' ha divorato
Si il manco lato, — che nelle amorose
Fiamme, ballata, di eh' i' son venuto
A fin, s'i' non ho aiuto: — onde mi grava, ss
Vers. 35. foco dardo: T. — 38. A fine: T. ■
L XXXIX.
Dal cod. gadd. laur. pi. xc sup. n." lxxxix, cart, in 42.", mise,
del sec. xv: sta a carte ci v° fra alcune rime del Petrarca e del
Boccaccio .
lo innamorai d'una fanciulla a Londa,
De' suo' vaghi occhi e della treccia bionda. s
Eli' à i capelli suoi crespi e volanti
Con un colore angelico di perla,
E à i vaghi occhi e onesti sembianti
Ch' a veder par una rosa novella:
11 viso suo riluce più che stella:
Vers. i. allonda: C.
)( H7 )(
Tanfè nej^li atti amorosa e gioromla. s
Eir à el parlai* del suo piacente viso
Ch'a veder paro una rosa di spina,
E ;\ un bocchin che pare un paradiso;
Riluce più che 'I sole da mattina.
Quest'è la dolze anima mia fina,
Che avanza di bilia ogni gioconda. '^
Vanne, ballata, e porta la ghirlanda •
A quella eh' à nel cor lo dio d'amore;
Pogliele in testa, e non dir chi ti manda
Per onestà di lei e di mio amore:
Dirai a lei eh' io son so' servidore:
De, non si curi perch'io mi nasconda. 20
Vers. 9. Cosi il C. — iX fina: manca nel C; e mi è parso
bene supplirlo per amor della rima — 46. chetici: C. — M. E
pogliele: C.
xc.
Dal cit. cod. gadd. laur. a carte cxlviii v.", ove sta con altre
Inaliate in mezzo a certi sonetti del Petrarca.
Il senno e' be' costumi e lo sprendore
D'una fanciulla m' à legato il core. 2
Questa fanciulla è tanto vertnosa
Ch' eir à lo dio d' amor nelle suo' braccia,
Di virtù piena e tanto graziosa
Chiunque la vede del suo amore allaccia;
Ma sol nel rimirar della suo' faccia
Di virtù passa ogni vago colore. 8
Gentile onesta vaga e costumata,
Piatosa, umile, e pare un'angiolella.
)( ^^^ )(
Da tutta gente tu se' disiata,
Più che non fu da' tre magi la stella.
0 viso di zaffin, fiorita perla,
Aiuta me che son tuo servidore. /4
EU' è fra l' altre nel danzare snella,
E va soave a guisa di paone:
Quand'ella ride o quand'ella favella.
Ben par che s'apra il ciel con suo' ragione:
E rallegrar fa tutte le persone
Facendo canti e festa per amore. so
Il senno i be' costumi e lo sprendore.
XCI.
Dal cit. cod. stroi^z. magi. 1040, ci. vii, carte $i.
Più bella donna non vidi già mai.
Che m' à ferito il core:
Falle sentir. Amore,
Per me quel che per lei sentir mi fai. ^
Quant' é bella e genti! falla amorosa,
Si che l'anima mia ne sia contenta.
Che la piaga d' amor eh' i' porto ascosa
Questa leggiadra nel suo cor la senta;
Si che non sia ver me di pietà spenta.
Che dolcemente 1' amo.
Sempre sua biltà chiamo.
Poi che nel cor sua vagheza portai. ^^
Si dolce fiamma m'accese d'amore
Com'io la riguardai negli occhi fiso,
Vers. 12. nel mio cor. C.
)( 119 )(
Ch'altro piacer non senti' poi nel core
Che di vedere il suo vezoso viso.
Ond'io la priego, poi che m' à conquiso,
Gh'ahbi di ine merzede;
Ch'altro che lei non chiede
L'anima sospirando in pene e 'n guai. ^^
Va, canzonella, a questa gentil cosa,
E 'I servo con pietà le raccomanda;
E di' che '1 mio pensier già mai non posa.
Che per segijo d'amor sospir le manda;
E poi con reverenza le domanda
Qualche dolce salute,
Sì che per tua virlute
Soccorra il servo da cui parte vai. ^*
Più bella donna non vidi già mai.
Vers. SO. in pene assai: C. L'assai è segnato sotto, e d'altra
mano v' è sostituito e 'n guai.
XGII.
Dai cit. cod. strozz. niagiiab. , carte 54. r."
Donna, l'animo tuo pur fugge amore,
E gli occhi vaghi tuoi
Portan gli strai eh' uccidon cui tu vuoi. ^
Ètti dato tesor di gran belleza
Perche sia dura? no. Questo richiede
A te benignità fuggendo aspreza,
Che segua 'I cor quel che di for si vede.
Mostrando '1 volto bel pien di merzede
E durezza aver poi.
Non è dolor che tanto '1 servo nói. ^^
)(120)(
Quegli è felice che conosce '1 bene
E 'i dolze tempo mentre eh' el gli è dato :
Usar quella viltà non si convene
Gh' offenda '1 cor dal gran disio chiamato.
Quando '1 fiorito tempo è trapassato,
Allor fugge amor noi.
' Donche lo segui mentre che tu puoi. 17
Donna, l'animo tuo pur fugge amore.
XGIII.
Dal cit. cod. strozz. raagliab. carte 83 r.°
Che c' a me facci, donna, i' son contento;
Poi che l'alto valore
Di te m'à punto '1 core,
Sicché nel pensier fiso a te sto attento. ^
Tu se' bella gentil e graziosa,
E se' leggiadra e più ch'ogni altra onesta;
Di be' costumi se' tanto vezzosa.
Che la mia mente è ogn' ora desta
A seguir sempre l'amorosa festa
Della tua gran virtute.
Acciò che la salute
In soccorrer mia vita stia attento. ^^
Va', canzonetta, a questa gentil donna,
E umilmente con pietà la 'nchina,
E dì' ch'ell'é de l'alma mia colonna;
Si che '1 suo amor dolcemente latina
Gh' io gli chiami merzede a testa china.
Vers. 6. E leggiadra se': Cod. — ^^-\%. Così il C.
)( 121 )(
Che la l)ella manera
Di te, 0 donna altera,
Faccia me servo d'allegrezza allento. ^^
Che e' a ino fn«ri, donna, i' soii r.uitf'nfr».
XCIV.
Dalcit. cod. strozz. magi. e. 48 v° Dei vv. 30-40 sono, per gua-
sto della carta, leggibili le sole parole finali : era però facile supplire
i 37-40 che devon contenere il ritornello, e restaurare con qualche
prol>abilità i 30-32; per gli altri è impossibile.
Che farai, giovinetta,
Di me tuo servidore?
Arai tu mai amore
Di me eh' ò punto '1 cor con tua saetta? 4
Ferito m' à nel cor sì duramente
La tua crudei saetta,
Ch' i' non posso a le esser possente,
S'amor non fa vendetta.
Se morte non m' affretta.
Ti vederò straziare
Da un giovinetto amare,
Ch' i' riderò di te, 0 crudeletta. ^^
Tu credi sempre stare in giovineza
E non pensi invecchiare,
E il tempo se n' va con tua belleza,
E ciò non può mancare.
De, non voler piìi stare
In questa tua dureza.
Ma lascia la tua aspreza;
Vers. 5. Ferito mai: C.
)( i22 X
Che perde '1 tempo suo ohi troppo aspetta. ^^
Quanti n' ài presi già degli amadori,
E a nessun porti fede;
E a ciascheduno mostri il tuo amore,
E po' non ài merzede.
Guai a colui che crede
A' tuoi vaghi sembianti!
. Perchè non curi amanti ,
Amor faccia di te somma vendetta. ^^
Vendetta cheggio a te, alto signore,
Di questa pargoletta;
Ch'ella non cura le tue forze, Amore,
E a te non è suggella
a atte costretta
ma paura
sempre dura
questa ballatetta. , ^^
Che farai, giovinetta,
Di me tuo servidore?
Arai tu mai amore
Di me ch'ò punto 'l cor con tua saetta? ^^
XCV.
Dal cìt. cod. strozz. magliab. e. 48 r."
Amor, perché mi fai morir amando
Questa che col suo amore
Tien istretto nel core,
E non mi vai merzede, e tiemmi in bando? ^
Vers. 2. Così il Cod. qui e al 29 e 30. Forse è da leggere lo suo.
)( 12rì )( .
Ella non pensa le lue forze, Amore,
E non crede che tu abbi podere
Di trarlo di quel suo avaro core
L'amor ch'ella vi tiene, e crede avere
Tal forza contra '1 tuo allo podere
Ch'ella sta enlera e dura
E le ella non cura;
Non pensa che la rota va voltando. is
Che arai fatto , quand' io sarò morto
Per lo suo amore e per sua crudeltade?
Che non par ch'ella pensi il grave torto
Ghed ella fa, po' che 'n sua libertade
lo son e fu', po' che la sua billade
l'vidi tanto bella
Che luce più che stella;
E non pensa di me che muoio amando. 20
A te ricorro. Amor, coni' a signore
E sì li priego con umil favella
Che tu le metta dentr' al duro core
Delle tue alte e cociente quadrella
(Ch'ella non sia crudel (piani' oli' è bella),
Come tu ài fatto a me:
E, s' i' ò questo da te,
Che ch'abbi fatto, i' sono al tuo comando. ^*
Amor, perchè mi fai morir amando
Questa che col suo amore
Tiene stretto nel core,
E non mi vai merzede, e tiemmi in bando? ^^
Vers. 46. gran torto: C. — 46. libertade ha li C: ma forse è
errore del copista, e potrebbesi sostituirle potestade. — 47. lo sono
fu: C. — 34. Cosi il C.
- )( 124 )(
XGVI.
Dal cit. cod. strozz. magliab. carte 50 v.°
Con pietà merzé addimando,
Lagrimando, e più bella che 1' oro.
Fa'mi consumar amando:
Yedi ben eh' io per le moro . ^
Giovane bella e leggiadra,
Tu mi fai morir di doglia:
El mio cor per te si isquadra,
D' ogni allegrezza si spoglia .
r son sempre alla tua voglia
Certo fedel servidore:
r ti raccomando il core;
Che piangendo i' mi scoloro. ^^
Se tu sentissi le pene^
Dolce cara luce mia,
Che per te mia vita tiene,
Non saresti ver me ria.
Par che tu contenta sia
Ch'io mora con gran tormento:
Se ti piace, i' son contento.
Pensa in che vita i' dimoro. so
Ne' begli occhi ti riguardo,
Ma temenza mi raffrena:
E d'amor consumo e ardo,
Si che vivo con gran pena.
Vers. 2. Così il C: né saprei riparare. Leggendo o più bella, si
provvede alla sentenza non alla misura del verso. — -15. sostiene: C.
)( i25 )(
Tanto à l'anima mia pena
Delle lue bellezze, amore,
Ch'i' consumo e ardo il core:
Se non ti veggio, mi moro. «
Virtù porti pel bel viso:
Con pietà sempre mi tiene,
Angiola di paradiso:
De, non mi dar tante pene.
Vedi che '1 mio cor sostiene
Per te tanta amara vita.
Se tua merzè non m' aita,
Certo con gran doglia moro. st
Raccomandomiti, amore;
Che si dolcemente l'amo.
Vo languendo con dolore:
Notte e di sempre ti chiamo.
11 dolce frutto ch'io bramo
Non mi tener più nascoso.
De, per dio, dammi riposo:
Se non, vedi ch'io mi moro. **
Con pietà merzè addimando.
XCVIl.
Dal cit. cod. strozz. magi., carte 54 r."
Da poi ch'altra allegreza aver d'amore
No spero, o me dolente!,
Almen del rilucente
Viso appagassi lo 'nfiamato core.
Né fu ne fia donna che di biltade
)( i26 )(
Già mai s'appressi a questa vaga donna:
E sì di gentileza e d'onestade
Di virtù di costumi ell'é colonna.
De, chi potria contar 1' alto valore
Che 'n te, donna, seria.
Se d'amor cortesia
Porgessi al servo con gli occhi del core?
Quando rimiro questa sola luce.
Ogni passato mal metto in oblio.
Questa m' essalta ed a virtù m'induce,
Quest'é l'argento e tutto '1 tesaur mio.
Altra isperanza più là non conduce
Il foco ched io sento:
Perchè viver contento
Amante degge a amar simil valore.
Da poi ch'altra allegreza.
Vers. 6. s'aprezi: C. — 20 degia amar: C.
XCVIII.
42
20
Dal cit. cod. strozz. magliab., carte 49 v°
V son, donna diletta.
Disposto a seguir sempre tuo' virtute,
Perché '1 mio core aspetta
Quando che sia trovare in te salute.
Né è né sarà mai
Ch' i' volga il fedel core in altra parte
Po' che tanto ben ài
Che con onor di te farmi può' parte:
Volgi le chiome isparte
)( 127 )(
Coir angelico viso a darmi tanto,
Che degni anriarmi alquanto
Sopra qual segue te, o giovinetta. n
Canzonetta vezosa,
Alla mia donna di' — l'son mandata
A te tutta amorosa
Con giusto priego solo questa fiata.
Per la mente infiamata,
Ti priego, alquanto volga a piata '1 core;
Salvando tuo onore
Porti tal grazia al servo che t'affrella. so
V son, donna diletta.
XCIX.
Dal cit. cod. strozz. magi. e. 49. La pubblicò il Trucchi in Poes.
ital. ined. II, 49.
Non per ben eh' i' ti voglia
Né per eh' i' abbia vagheza
Di veder tua belleza,
Ma i' ti guardo per far altrui doglia. -*
Che s' altri pensi eh' i' sia innamorato
Di tua persona bella,
Ad altra donna i' ho il cor donato
Che par un' angiolella;
E lutto son di quella.
Perch' eli' è di belleza
E si di gentileza
Compiuta più eh' ogn' altra alla mia voglia. ^^
Vere. 8. ch'abbia: T. — 5. pensa: T, —7. donna chioil: C.
)( 128 )(
Ell'é negli atti vaga e costumata
E leggiadra e onesta;
Non isprezzando te, che, chi ti guata,
Tu piaci più che questa.
Ma a cui piace una vesta,
A cui ne piace un' altra :
A me piace quest'altra.
Però voglio amar lei, e sia che voglia. ^^
Non per ben eh' i' ti voglia.
Vers. 18. E a cui piace: T.
G.
Dal cit. cod. strozz. magliab. , carte 49, v°
Da poi eh' i' fui lontan di tua bellezza,
Vivuto son con pena e con tristezza. ^
Tante lagrime ò isparte con sospiri
Che non à tanti razi sol o stella.
Né mai aranno fine i miei martiri,
S' i' non ti veggio, o virtudiosa bella,
0 me dolente!, perchè tu se' quella
Che se' mia vita riposo e riccheza. s
Quella fede ti porto e quello amore
Gh' i' t' ò portato con ferma costanza :
r ti tengo e terrò per mio signore;
Tuo fedel son, tu se' l'alta isperanza.
In fin eh' io viverò arai possanza
Sopra di me per tua gran gentilezza. n
Vers. 4, sol la stella: C.
)( i29 )(
Da poi che vedi eh' i' son si coslante
E nel fuoco ardo tanto dolcemente,
Tiemmi per servo, tienimi por amante!
De, vedimi con gli occhi della mente !
Ben eh' io conosco non essere possente
Essere amato dalla tua grandezza. *^
Al mio parlar fo fine lagrimando,
Perchè vivi discreta e con virtute;
E sol, benigna, a te mi raccomando,
In fin eh' i' veggia l' amata salute
Del viso tuo, per cui in me ferute
1' ò portale e pCrto con dolcezza. ^^
CI
È nel cit. cod. strozz. magliab., carte 55. La pubblicò il Trucchi
in Poes. ital. ined. II, 39. Nel cod. ha inscrilto quasi in nota:
Ceciliana.
Par che la vita mia
Ornai debbia finire
Con pianti e con sospiro,
Ch' a me conviene gire — a l' estrania. <
0 me dolente, parto sconsolata
Piangendo e sospirando,
E bagnala di pianto dico — Quando
S;irà la mia tornala? —
Vers. 2. debba: T. — 3. sospiri, qui e al 23 leggono il Cod. e
il T : ma la rima richiede sospire. È un vestigio del dialetto origi-
nale in cui fu dettata questa canzone. — 7. di pianto, e dico: C.
e T. Ma quella congiuntiva ci forzerebbe a riferire E bagnata di
pianto come un altro aggiunto u parlo, aggiunto superfluo dopo
Piangendo.
9
)(Ì30K
Partomi sconsolata,
Lo cor mi sì tormenta:
Partomi 'discontenta,
E dolorosa vado a l'estrania.
Dallo mio corpo l'alma si disranca,
Tante lacrime getto:
Lo cor m'angoscia di pianto e rispetto,
E lo spirto mi manca:
Rimagno lassa e stanca,
Che vo contro a mia voglia.
Ben creo che di gran doglia
lo moriraggio in mezzo della via.
Par che la vita mia
Ornai deggia finire
Con pianti e con sospire,
Ch'a me conviene gire — a l'estrania.
i2
SO
u
Vers. <0. sì mi: T. — 43, Così il C. e il T. Ma forse è da leggere
dispetto. — 16. Lo spirito: T.
CU.
Dal Cod. rediano 151 della Med. laur. a carte 118, sotto la ru-
brica Canzone a ballo fatte da più persone. È anche in copia moderna
liei C. Moùckiano viii della Bibl. di Lucca.
Amante
Se d'amor ti diletta, — o giovinetta,
Ne' tuo' begli atti vaghi or si vedrà.
Amata
V mi son vaga; e solo amor mi piace;
E d'altro che di voi pensier non ho.
)( 131 )(
E 'n voi è il mìo diletto e la mia pace,
E senza voi, messere, esser non so.
Sì m' ha preso io core — il vostro amore.
Che innamorata sonipro mi terrà. g
Amante
S'amor t' ha preso, giovinetta bella,
E' ben mille cotanti ha preso me .
E, quando per me teco si favella,
Non mi vorrei già mai partir da te:
E, quando i' pur mi movo — , i' mi ritrovo
In pena tal eh' ancor per me si sa. u
Amata
Messer, se avete pena del partire.
Questo mi so, e già non posso più:
Ma la speranza del vostro reddire
A quella gioia che già mai vi fu
Vi deggia rallegrare — co '1 pensare
Che sarà tosto come a voi parrà. 20
Amante
Se la speranza del tornar non fusse,
La pena del partir m'accende sì.
Che neve mai da sol non si distrusse
Quando fugge la notte e viene il di,
Vere. 49. rallegrare che l pensare: Cwid.
)( m )(
E ched el partimento — con tormento
Distrutta avrebbe la mia vita già. 56'
Se d'amor ti diletta, — 0 giovinetta,
Ne' tuo' begli occhi vaghi or si vedrà.
Vcrs. 25. E che del partimento: Codd.
CHI.
Dal cit. cod. strozz. magi. e. 48, v°La pubbl. il Trucchi in Poes.
ital. ined. II, 80.
Amante
Di sospirar sovente
Costretto son, veggendo per sembiante
Il cor che ti consente
Volger gli occhi tuo' vaghi ad altro amante, ^
Ricever questo inganno
La mente mia convien ch'ogni or sospiri,
Non trovando all' affanno
Rimedio alcun, tanti sono i martiri.
E assai mi raggiri.
Che ''nel pensier mi paia aver fallato :
Ma pur, s'i' son errato,
Piacciati farne chiara la mia mente. ^^
Donna
Ciò non ti dee dolere.
Però che torto da me non ricevi;
Vers. 8. tanto sono: Cod.
)( 133 )(
Che, mentre che 'n piacere
Ti fu il mio amoV, sai che tulio l'avevi.
Se poi da me li lievi
K non se' ad amar servo leale,
Giusi' è che un giovin lalc
Prenda ad amar che l'è fermo e fervente. **
Amante
Se per senno di fora
Mostrato ho quel che 'I contradio era drento,
Qucsfè quel che m'incuora,
Gilè per virtù da me volta li sento.
Piacciati tal tormento
Levar al primo tuo servo e suggello.
Po' che per suo difetto
Perder non deggia il tuo viso lucente. ^*
Donna
Quand' efficacemente *
In giovine fede] d'amor si trova,
Caso veracemente
Non è che ma' da segno lo rimova:
Questa sentenza è prova
Ch'amando stran d'amor non li faresti,
Sempre amor seguiresti
Cosi in palese come occultamente. •>*
Vere. 20. ch'eli è: T. — M. dentro: T. — 26. soggetto: T.
30. Così il C. e il T. Il senso vorrebbe o l'amor o d'amor fede.
)( 134 )(
Amante
Perchè poco durare
Puote piacer dell' amor palesato,
L' uom savio il de' celare
Secondo il modo e '1 tempo e in che lata.
Ma lo stolto è menato
Sol dalla volontà che '1 ben li toglie.
Perché dunque ta' doglie
Mi dai, s' amor non seguo mattamente? 44
Donna
Per veder tua intenzione,
Fatt' ho contrasto al tuo dir rispondendo:
Or, che per tua ragione
Emmi palese, a te mi dono e rendo,
E '1 tuo senno commendo.
Però che solo in donna è caro onore:
Quand' à savio amadore,
Perder non può sua fama fra la gente. ss
Di sospirar sovente
Costretto son, veggendo per sembiante
Il cor che ti consente
Volger gli occhi tuoi vaghi ad altro amante, ss
Vers. 42. lolle: C. — 51. Quand' à: manca nel T.
)( 1:^5 )(
CIY.
Dal già cil. cud. red. 15<. a carte 418. È anche in copia ino-
•V^mu^ne! cod. moùckiano vni delia Bibliot. di Lucca.
Amante
V mi sono avveduto,
Falsa, del Iradinicnlo:
Ond' io mollo mi pento,
S' i' l'ò mai ben voluto. *
AmaUf
De, non mi dir villania,
Chò tu non ài ragione;
Però eh' m fede i' mai non ti fallai.
Ma tu per g:elosia
Credi a quelle persone
Che 'nvidia portan del diletto e' ài.
Ben Io sa Dio che mai
Non li fé' fallimento;
Si l'ho fallo contento;
Ma '1 merito n' ò avuto. ^*
Amante
Falsa, non ti scusare;
Ch' egli è palese alimi
Vers. 5. Così nei codd. — 7. Di questo i cod«l. fan «lile versi;
Però che 'n fede mia /' tnai non ti fallai, certo p<T orrore de! copi-
sta; che è contro 1' ordine della stanza e delle rime ; e la restitu-
zione era facile. — H. Bello sa: Red. — 44. merito non l'ho nutn.
Moiick.
X^36)(
Lo tuo mal far, eh' ogni tuo dir t' accusa.
r ti saprei contare
Come quando. e con cui
Più volte fatto m'ài le torte fusa.
Ma tu te ne se' usa
Di far si fatti inganni.
Sta con mille malanni :
Che tua amistà rifiuto. ^4
Amata
0 cuor del corpo mio,
La scusa eh' io ti faccio
È perchè tu non creda a' mal dicenti.
Or sapesti! mai eh' io
Con altrui stessi in braccio
Se non con teco perchè mi contenti?
Onde di ciò ti penti?
S' i' mi t' arreco a noia.
Po' ti terrò in gioia
Come ma' t'ho tenuto. 54
Amante
Tanto mi contentavi,
Falsa, di tuo' vaghezza.
Ch'i' non curavo di maggior conforto;
Sol perch' io mi credea
Vers. M. Anche qui nei codd. è turbato l'ordine dei versi e
delle rime, facendosi d'un verso due, così: Lo tuo tanto mal fare,
Ch' ogni tuo dir t' accusa. — -19. El come: Codd. — 35 e 38. La rima
non torna. Forse il 35 era da leggere, Tanto contento stea.
)( 137 )(
(loder la Ina bellezza,
Come sovente da le m' era porlo.
Poi eh' io mi son accorto
Che tu mi se' fallace.
Fa omai che li piace;
Che Ina amistà ri fin lo. 44
Falsa, tu mi «iiurasli
Con tue false parole
Cir allr' uom che me non volei per amante :
Poscia sì mi mostrasti
La luna per lo sole,
Dand' io fede al tuo falso sembiante :
r non potrei dir quante
Volte tu m' hai ingannato,
Perch' io mi son fidato
Neil' amor e' ho perduto . 54
Vers. 80. a tuoi falsi sembianti: Red.
CV.
Dal cit. coti. rt'd. a carte US t'.": ed è anche nel moiickiano
vili di Lucca.
Amante
Slatti con dio, — amor mio;
Che io — non t' amo più.
Di ciò certa sie tu.
Ch'i' non curo ma' più — tuo bel disio. 4
Tu ti rivolgi come foglia al vento
Vers. 4. Istatti: Codd. Ma statti vuole la ragion del verso.
)( 138 )(
E miri* questi o quel com' a le pare:
Ond' io ò fermo lo mio intendimento
Di non aver mai più con loco a fare
Né creder 'né pensare
Cose eh' a te talenti
Ne poco né nienti;
E non curo di te quanto d' un fio .
iS
Amata
0 me lassa dogliosa! che mi dici
Del grande amor che t' ò portato e porlo?
Non ti ricordi del tempo filici,
Che ti lagni di me a si gran torto?
Ma '1 tempo sarà corto;
Ch' i' pur ti serviroe,
E mai non mireroe
Persona che tu n' abbi pensi er rio.
so
Amante
Tu dici e non farai quel che prometti,
Perchè non ài 'n te tanta fermezza,
l'ò veduto co' miei occhi aperti
Mostrarti altrui con tutta tua vaghezza.
E io perdo ogni allegrezza
E son pien di sospiri
Pensando chi tu miri:
Né nessun é che t'ami si com' io.
S8
Canzona mia, ringrazia questa donna
Che m'ha del suo amor fallo boniuno
\
)( 130 )(
Che r è biltà d' ogni virtù colonna,
E fallo m' ha d' ingralo servo digno.
E però ogni disdegno
Dimenticar si vuole
E dir poclic parole:
E chi '1 contradio vuol, morto '1 vegg' io. ^^
Staiti con dio, — amor mio.
evi.
Fu pubbl. da Salv. Bongi nell' Eccitamento, giornale filologico di
Bologna [Aprile, 'ISoS, tip. delle Scienze ], di su il cod. Moùcke viii
della Bibliot. comunale di Lucca: ed è nel Rediano 161 della Medie.
Laur. L'ordine delle rime è più d'una volta turbato: e mal potreb-
besi riparare a questo difetto forse originale. Secondo le solite norme
critiche ho ridotti quei versi che crescevano d' una sillaba : non
sempre però; che, dov'entra il rimalraezzo, questo accrescimento
secondo I precetti e gli esempii può comportarsi. Cosi almeno di-
cono i maestri: ed io, benché non tenga per affatto certi quei pre^
celti ed esempii, questa volta obbedisco.
Madonna.
Messere, lagrimando
Domandovi merzede umilemenle,
Ch' i' moro veramente — innamorata. 8
Innamorata moro, allo ver dire.
Per voi, gentil messere.
Tanto son presa di vostra figura:
E giorno e notte sto 'n pene e martire.-
Di lacrime il cor piena,
Se non mi soccorrete alla mia ardura.
Vers. ì. lacrimando: B.
- )( I^^O )(
Esguardandovi ogni ora,
Amor col suo piacer m' ha sì costretta,
Come augelletta — quand' è ringabbiata. is
Messere.
Pulcella, dello vostro innamorare
El cor n' è si allegrato
Che colla lingua contar no '1 potria.
Se giorno e notte m' ha' fatto penare,
Sguardar non m' ha' sdegnato.
Ringrazio Amore se a me v' invia.
Ma vostra signoria
Io la riiiuto e tua falsa amistanza:
Mia innamoranza *— ad altra donna ho dala. ^^
Madonna.
Messer, non vi mostrate sì orgoglioso;
Ch' a me donate morte.
Se 'n core avete ciò che dimostrate.
Che molte donne son eh' eli' àn per uso,
Quando aman l' uom ben forte,
Di mostrar lor sembianti sì crucciati.
Vers. -IO. Che guardandomi ogn' ur a: B. — 11. costretto: Red. —
43. Pulzella: B. — 14. El mio cor: Red. El cor mio n' è si rallegrato:
B. — 16-17 E giorno e notte m'ha fatto penare: E sguardar non
m' ha sdegnato: Red. e B. La mia correzione parmi cha resulti ne-
cessaria dal contesto: e la sentenza riuscirà chiara, chi pensi che
questi due versi Messere li dica fra sé. Il passaggio poi dai voi al
tu si può notare in altri luoghi di questa stessa tenzone. — 18. se
dar tenvia i?;.- Red. — 19. La vosìra: Red. — 20. e sua: B. —
21. La mia: B. — 2't. Se core : B. —25. che si han: B. - 27. cruc-
ciate : B.
H lil )(
Messer, mi perdonale:
Ricordivi del buon tempo eh' è gito:
S' i' v' ho fallito, — Amor m' ha gastigata. 50
Messere.
Madonna, a me non piace tale usanza,
Ch' egli è contra ragione
Che 'I buon amor si possa mai cclaro.
Sete fontana di sì gran fallanza,
Piena di tradigione.
Fosti spiatosa nel mio tormentare:
Or vorresti tornare
A somiglianza del tempo passalo,
Io ho pensato — che tft Y hai fallata. 59
Madonna.
Spesse fiate 1' aggio udito dire
Che r acqua ha tal natura
Che pietra dura volge per tornare;
E bollo udito alla santa scrittura
Al frate predicando
— Chi non perdona non si può salvare — :
Ond' io vi vo' pregare
Che non guardiate allo mio poco senno;
Ch'i' ardo e inconno -f di voi so' infiammala. 43
Vers. 28. Messere, or mi: Red. — 31 tale usanza a me
non piace: Red. — 34. Siete: B. — 36. Non fosti piatosa nel:
Red. — VJ. al mio: Red. — 48. e 'ncendo: Red. —• jono infiammata :
Red. e B.
)( U<2 )(
Messere
Mille merzedi, se tornata siete
A me con gentilezza.
Ben conoscete che servente fui
D' un' altra amante : vo' che vi pensiate
Che la mia giovinezza
Interamente 1' ho donata altrui.
Ma i' son ben colui
Che voi vedesti e non conoscevate:
D' altr'uom pensate: — di me sete errata. ^^
Madotma
Messere, se io sapessi certamente,
Quello che voi mi dite
Colla lingua, vo' l'avessi nel core.
Morire mi vedreste di presente.
Ma io so che voi sapete veramente
Ch' i' v' aggio amato di leale amore.
S' i' v' ho fatto offensione.
Al tuo piacer me ne dà penitenza:
Ch'i' veggio ben ch'in faUenza — son stata. ^^
Messere
Madonna, tu mi se' sì 'n dispiacere,
Che creder no '1 potreste
Vers. 49. merzè: Red. — 52. altro: Red. pensate: B. — 57. pen-
sate che: Red. e B. — 62. certamente: B. — 66. bene: B.
X 1-W )(
Come il mio amore in lulto (i riliula.
Però più a me non li ridolere,
Che non mi conosceste
Oliando dicevo a te —Per dio m'aiuta — .
Ora li se' penlula;
Cosi son io. Se mai ti volsi bene,
Ogni mia spene - da le ho levata. rs
Madonna.
Messere, voi avete ben ragione
Di farmi consumare.
Po' eh' io non fui piatosa del dolore.
lo non sapea che cosa fusse amore:
Tant' era pargoletta.
Che gran sciocchezza lo mi fece fare.
Ond' io mi vo' 'nchinare
Con riverenza a domandar perdono;
Che tutta vostra sono — e sempre so' slata. «4
Messere.
Fuor son, madonna, del vostro legame,
Che mi stringea si forte
Che solo un' or' partir non mi polla :
E non vi lorncria per un reame
Dentro da quelle porte
Ch' eran serrate e aprir noUe polla.
Giurovi in fede mia
Vers. 69. mio core: B. — 70. fwn mi ridale: B. — 78. Perchè
non: B. del vostro grandono (ì): Red, —79. amare: Red. —84. son
stata: B. — 87. ora: Red. e B. — 90. eron .... non te. B.
)( 144 X
Ch' i' sono innamorato d' altra donna,
E la mia voglia— tutt'or' n' é appagala. 93
Madonna
Molto m' incresce di tanto tardare ;
- Ma vien da vostra parte.
Che '1 buon guerrier la vince sofferendo:
E '1 mastro marinar eh' entra fra '1 mare
E' piglia il pesce ad arte,
Che sotto r acqua lo va sottraendo.
Così a voi m' arrendo :
Da che m' avete presa in vostra rete,
Non m'uccidete; — che a voi mi son data. 102
Messere.
Stella chiarita, d' adornezza lume,
Al tutto i' son contento
Ch' i' ho provato il tuo fermo disio.
Viva colonna, di chiarezza fiume.
Deh non aver pavento:
Rendoti in tutto 1' anima e '1 cor mia.
Ornata di desio.
Creduto avesse in te, ferma colonna!
Per altra donna — non t' avrei cambiata, m
Madonna.
r lodo Iddio che mi dà grazia tanta,
Vers. 93. tuttora: B. — 94. Solo m' : B.— 98. Che piglia: Red.
E piglia: B. — 102. avoi son: Red. — 108. il tutto: B.
K 145 )(
Caro lo mio signore,
Che 'n vèr di me vi siete umiliato.
Se or morissi, parriami esser santa
E saria fuor d' errore ;
Che oggi mai io era consumala.
Poco fuss' io più stata
A sostener le pene che io aveo,
L' anima e '1 corpo meo — era dannata. 420
Messere.
Vince la prova chi dura 1' affanno.
Ben che possihil sia
Di pure amare e non essere amalo,
Alcuna volta 1' uom riceve inganno :
E tutt'or' fu e fia
Che tal risponde che non è chiamato.
Ma io si m' ho pensato
D' accostarmi a quel ramo che mi tiene,
Ch'io veggio bene — che tu ferma se' stata. 129
Madonna.
Gentil messere, io molto son contenta
Di tanta cortesia
Ch' i' ho da te e tengo che mi fai.
Il mio core in grande allegrezza sento:
E nulla villania
Alla mia vita mi faresti mai.
Vers. Uk. vo' siete. Red. — U9. avea: Red. — 420. mio:
Red. 421. B. mette virgola al fine di questo verso e punto in
fine del 423. — 432. da te, e tegìU), che: B.
in
)( 1^6 )(
Poi che si a me ti dai,
Divisa pur quel che ti sia in piacere;
Che al tuo volere — son sempre apparecchiata, iss
Vers. '136. sì libero a me: B. e Red. Quel libero non è consentito
né dal metro né dallo stile del tempo. — -138. L'ult. vers. di questa
st. e l'ultimo pure dell' antec. passano d'una sillaba la misura
dell' endecasillabo, e ciò per amore del rimalmezzo. Ma chi ci vieta
di credere che gli antichi pronunziassero tronche le due parole che
in fine del vers. penultimo e in mezzo dell' ultimo fanno rima, e
dicessero : D' accostarmi a quel ramo che mi tien, Ch' io veggio ben,
che tuec; e così poi piacer e voler ec? si sa che ne' mss. antichi
si scrivevano intere le parole tutte, lasciando al leggitore la cura
di troncarle ove Io imponesse la legge del verso. Ciò noto perché
non sono ancora affatto persuaso che gli antichi componessero e
cantassero versi che non tornano.
CVII.
Dal cit. cod. strozz, magliab., carte 49, v.*
0 donna sanz'amor, fatti con Dio,
Ch'a nuovo signor servo son fatto io. ^
Da po'che fuor del pelago alla riva
Amor per sua pietà tutto m'à tratto,
Non pensar mai ched io cantando scriva
Di te né segua più tuo vezoso atto;
Che, com'Amor non fossi, il cor à fatto
Vago di fuggir sempre suo disio. *
Ballata, a questa donna, per vendetta,
Ch'or non à più del mio cor signoria.
Va' da mia parte e di' ch'Amor s'affretta
SoXto mio priego a punir suo' follia
Vers. -1. Donna: C. — 4. lutto: C.
)( U7 )(
Con un giovane crudo che 'n balia
Avn\ M suo cor quanl' à tenuto 'I mio; 4 a
Né che però avrà di lei pictadc
Mentre che basterà l'ardente gioco;
Tanto che consunìato suo' biltade
Avrà con giovintude a poco a poco;
Po' lasceralle ne' vecchi anni il foco
E mostreralle il cor pien d'ogni rio. xo
0 donna sanz'amor, fatti con Dio,
Ch'a nuovo signor servo son fatt'io.
Vers. 2<. Donno. C.
CVIII.
Dal cit. cod. strozz. magliab., carte 50, v.**
Pulzella, gran villania
Tu mi dì' sì ispessamente,
Gli' io non so per che si sia
Ch' io son tuo leal servente. 4
Tu se' tanto bella cosa
Che qual uom ben ti rimira
Sanza far danza amorosa
Forte per amor sospira.
Cosi fossi tu pietosa
Di queir uom che ti disia,
Ch'i' i' arei in mia balla!
E sarei tanto tegnente
E così li servirla
Com' a donna suo servente. '^
V«rs. 2. Tulio im di : C.
)( US K
E un poco, se tu volessi,
Ti vorre' toccar la mano;
E, quand' i' fatto l' avessi,
r ti bacere' pian piano.
Credi tu eh' io ti mordessi?
Àimi tu per si villano?
E per tuo amor servirla
Te e ogni altro tuo parente
E la tua sorella in pria
Che m' à cosi da niente. 94
Quando tu ara' detto e detto,
Credo che te n' rimarrai;
Credo che farai disdetto:
Pur da te a me il dirai.
— Tu se' tutto il mio diletto:
Per amarti sempre mai
Son nella tua signoria.
Amor, comanda arditamente. —
Udraimi dir — Cosi sia :
Ciò eh' a te sera in piacente. — sì
Non mi chieder tu ischeggiali
Né fettuzze né borselle.
Anzi cose imperiali
Da reine e da donzelle;
E vedraimi tender l'ali
E tosto volar per elle.
E, se questo a me non credi
Gh' io sia tanto sufficiente,
Volentier lo ti diria
Neil' orecchio pianamente. 44
Vers. 23. prima: C. — 27. disdetta: C.
)( 1^ )(
Oliando ti veggo ire ai santo,
Ben cl»e m* incontri di rado,
Volenticr ti saluteria;
Ma tu non l'aresli a grado.
Kl mio saluto ài da tanto
Che non te ne curi un ago.
Lass' a me, eh' io no 'i pensava
Ch'a me fossi sì tignenle!
E, s' io avessi un coltello,
M' uccidiria veramente. <54
Pulzella, gran villania
Tu mi dì' sì ispessamente.
Vers. 47. Il verso non va bene: ma cosi il C— 56. TuUamidi: C.
GIX.
Dal cod. gadd. laur. pi. lxxxx super, n.» lxxxix, carte 449.
Amante.
S'i' l'ò fallilo, donna, e' mi dispiace:
Misericordia, amor! rendimi pace!
In ginocchioni con lagrime assai,
Le braccia in croce alla tua riverenza,
Se tu non mi perdon', si mi vedrai
Morir dinanzi dalla tua presenza.
Dò, dammi una si l'alta penitenza.
Che sia punito il mio pensitM- fallace.
Vers. 6. dinansi alla . C.
)( 150 )(
Donna.
Non ti varrà il far delle braccia croce,
Ch' i' son disposta a non ti vole' udire .
Quanto più mi ricorda, il cor mi coce :
Tant' à' fallito, i' non le '1 potre' ma' dire.
S' i' ti vedessi innanzi a me morire,
Ben son contenta se morte ti sface. u
V
Amante .
0 signor mio, sarai tu si crudele,
0 gentil donna di biltà corretta.
Che tu vogli che muoia il tuo fedele?
Colle tuo' sacre man fanne vendetta.
Piglia lo strai d'amore e la saetta.
Disserra l'arco e dammi ov'a te piace. so
S' i' t' ò fallito^ donna, e' mi dispiace.
Vers. iO. disposto . . .ti vore: C. — 1^. Così il C. Si ridur-
rebbe a buona misura il verso, leggendo : i non te 'l potre' dire,
o: i' no'l potre' ma' dire.— ii. contento . . . .disfacie: C. — 20. dov'a: C.
ex
Dal cit. gadd, laur. carte 448; dov'è dopo alcune rime del
Petrarca.
Vivo per voi, madonna, in gran pensiero,
Se m' abbandoni per un forestiero. s
Non ti ricorda quando incominciai
A vagheggiarti ch'eri fanciuUina?
)( 151 X
Gnun nitro amore ì' non conohl)! inai:
Pareslimi sopr ogni pelleg^rina.
Dieci anni i' l'ò amata, o fior di spina:
Tu se' il mio specchio e io so' il tuo vtM'zero. .?
Ed io, pensando drcnto dal mie' quore
— Se m'abbandoni, o me, così vilmente.
Or vedi, donna, quant'c poco onore —
Di drieto li verrò sopr' ogni gente.
Lasciai' andar, signor dolz' e piacente.
Et ama me eh' a amarli fu '1 primiero. u
E sono e freddi e caldi e gran martiri,
Nevi con ghiacci co' gli morta' venti:
E i 'vivo in doglia e in gravi pensieri
Per sostener per vdì tanti tormenti.
Per dio, non sian da voi scwdati o spenti !
Ched io per la mia fé' eh' i' mi dispero. so
Vanne, ballata mia, e dì' che io
r ama' lei sopr' ogni pellegrina:
S'ella disdegna, giura in fé' di Dio,
E tu in vèr di lei cosi giura:
Dì' eh' ella non si mostri acerba o cruda.
Di' che si parti e torni al suo sentiero. se
Vivo per' voi, madonna, in gran pensiero.
Vers. 8. ed io sono il: C. — U. quanto tè: C. — U. chamare
ti fu': C. — 47. doglia e'n gran: C. — 2?. E ama lei C. — 23-24-
Cosi il C.
CXI.
Dal cod. rediano laur. 151, e. 420 v.<* È intitolata Canzonetta.
Come tradir pensaste, donna, mai
Chi t'ampva con fé' più eh' alti' «issai? s
)( 152 )(
r non credo che mai con tanto amore
Fosse nissun fedel quant'a te fui,
Però ch'ai ben servir dispuosi il core
Lo primo di eh' i' vidi gli occhi tui :
Ora m' à' tolto il bene e dato altrui;
Sanza mia colpa sospirar mi fai. 8
Se per mio fallo abbandonato fossi,
Verre' piangendo a domandar merzede:
Ma se' palese agli tu' occhi mossi;
Che più non spero, e già nissun ti crede:
E questo è esemplo a chi sì rea ti vede
Di non seguir dove condotto m'ài. 14
V priego Amor che ne sia gran vendetta
Del mal ch'ai fatto a tradimento tale;
Gh' à' nuovo amante eh' à tuo' mente stretta.
Che lasci ogni uom che più di lui ti cale;
Si che tu senta alquanto duol mortale,
Provando quel che sofferir mi fai. 20
Vers. 6. tuoi: C. — 4i-i2. Così il C. •
CXII.
Dal cod. gadd. laur., pi. lxxxx sup. n." lxxxix, carte -ISO v.°
Contento son da poi eh' io sono uscito
Delle man di costei che m' à tradito. 3
Una cosa da te vorre' sapere:
Perchè tu m' ài così abbandonato?
Un'altra giovinetta ò preso amare,
E tutto il mio amore a lei ò dato:
Nel suo bel viso. Amor, ch'i' sono entrato;
E del suo amore ella m' à '1 cor ferito. s
X 153 X
D'un' altra cosa ancor ti vo' pregare,
Che tu non venga mai dove io sia.
In veril;\ tu mi fai consumare,
Pensando clic m' a fatto tal follia.
Ma io ti prometto e giuro in fede mia
Che 'n altra parte lo mio amore é gito. n
Contento son da poi eh' io sono uscito.
Vers. 42. che tu m'a': C.
CXIII.
Dal cod. strozz. tnagliab. 4040, ci. vii, c. 57 v.»
Lasso, d'ogni baldanza
Mi spogli, donna, nel tuo bel sembiante,
Po' che per altro amante
Amor mi nieghi; ond'io vivo in dollanza. 4
Tu mi mostravi amore
Si dolcemente ne' begli atti adorni,
Ch' i' contentava il core
Solo isperando in più felici giorni.
De, donna, fa' eh' io torni
Dov'amor mi tenea umile e piano.
S' i' son stato lontano.
Uccider non mi dèi sanza fallanza. ii
Nel dolce disio porlo
Creata la tua 'magine gentile,
E non ò più conforto
Che di trovarti pietosa e umile.
Vers. 7. rontava: C. — 8. ispregiando in: C— 4i. Si $e stato: C.
)( 154 )(
De perchè tieni a vile
Ora '1 desio che già tanto amasti,
Se con gli occhi mostrasti
Quel che nel cor portavi? che leanza? so
— Non è mie' la cagione,
Ma credo eh' onestà m' abbia conquiso. —
Certo non è ragione
Gh' i' sia però dal tuo piacer diviso.
Dov'*è il dolce viso.
Dove '1 disio la carità la spene
Il grazioso bene
Che mi mostrava Amor per tua possanza? ss
A tal partito sono.
Ma, se fortuna o tempo mai rivene,
Spero trovar perdono
E dar conforto alle mie dolce pene.
E, s'ora si conviene
Per onestà, tacendo, alma, soffrire,
Riprenderonne ardire.
Se mai vincer potrà nostra costanza. ^^
Canzonetta amorosa
Che se' creata tra tanti disiri.
Questa freschetta rosa
Non so s'ara pietà di mie' sospiri.
Ma, se cogli occhi miri,
Credo che aran dal core riprensione;
- Per che per lor cagione
Rotto m'ài fede e tolto ogni speranza. u
Lasso, d'ogni baldanza.
Vers. 3-1-34. A me non riesce cavar senso che buono sia da
questi versi .
)( 155 )(
CXIV.
Dal cit. cod. strozz. raagliab., carte 56 v."
La menle mi riprende
Che per altra lasciai
Quella eh' io prima amai ;
Ma la potenzia d' amor mi difende. ^
Amor, come potesti
Far eh' io abbandonassi
La prima a cui mi desti,
Acciò eh' un'altra amassi?
Ben ched io m'accostassi
A mirar sua biltate,
Perchè 'n mia lialtate
*Ruppi. il suo vago viso che risplende? 12
— r tendo r arco e getto
Vere saette e vane:
Ma quella che più metto
Nel cor, quella rimane.
Perchè ferito t'àne
Questa più duramente.
Ogni altra della mente
Ti leva e fa' d'amar qual più l'accende. — so
Io amai l'altra forte;
Ma me vie più amava,
E dimostra per morte
Quant'amor la legava.
Vers. 9-12. La sentenza non corre limpida. Si può supporre che
dovessero i vv. H ei2 leggersi cosi: Perchè mia lialtate Ruppe ce. —
)( ^56 )(
Questo forte mi grava,
Che bramava sua pace:
Ben che seguir mi piace
Quest'altra e d'esser sua mia vita intende.
Come fu da Parissi
Cenone lasciata
Poi che punto sentissi
D' Elena disiata,
Cosi da me è stata
Abbandonala quella
Per questa eh' é sì bella
Ch' i' son felice s' a pietà si stende.
La mente mi riprende
Che per altra lasciai
Quella eh' io prima amai;
Ma la potenzia d'amor mi difende.
28
86
40
Vers. 33. me constata: C.
cxv.
Dal cod. gadd. laur. , p. lxxxx, n.° lxxxix, carte -l'IS r.
Morte con amar pianti
M' à tolto ogni virtue,
Poi eh' i' non sento piue
Gli dolzi canti.
Morte, perchè scendesti
In tanta gentileza?
Gran torto mi facesti
Vers. 3. Enpoi ch'i': C.
)( 157 )(
Di spegner lai belleza.
Dov'è la bionda treza
Ch' é degna di corona,
E la gentil persona
Co' be' sembianti? 12
Dov' è il bruno vestire
Col vermiglio addogato?
Dov'è il vago disire
Che sempre ò disiato?
Amor si m'à privalo
D'ogni mio giuoco e riso,
E ogni ben m'à diviso
Co' be' sembianti. so
Tanto è '1 dolor mio intero
Che vita m'è noiosa.
Ballatina, di nero
Vestita e angosciosa.
Gli amanti sanza posa
Va' truova e mena teco.
Venite a pianger meco
Voi tutti quanti. ss
Morte con amar pianti.
Vers. <<. E la tuo' gentil: C.
LIBRO VI.
BALLATE TRATTE DALLE DIECI GIORNATE DEL
DECAMERON ED ALTRE CANZONI A BALLO
E MADRIGALI DI MESS. GIOVANNI BOCCACCIO.
Per le ballate del Decameron seguiamo le moderne e diligenti
impressioni del Colombo, Parma, Banchon, '18-12, e Dal Rio, Firenze,
Passigli, -1844-1844, e 1' ultima del Le Monnier; per le altre seguiamo
le Rime di Mess. Giovanni Boccacci raccolte e pubblicate dal Baldelli
Livorno, presso T. Masi e comp., -1802, in 8.°
CXVI.
lo son sì vaga della mia bellezza,
Che d'altro amor già mai
Non curerò né credo aver vaghezza. 3
Io veggio in quella, ogn'ora ch'io mi specchio,
Quel ben che fa contento lo 'ntelletto:
Né accidente nuovo 0 pensier vecchio
Mi può privar di sì caro diletto.
Qual altro dunque piacevole oggetto
Potrei veder già mai.
Che mi mette'sse in cuor nuova vaghezza? 10
Non fugge questo ben, qual or' disio
Di rimirarlo in mia consolazione;
Anzi si fa incontro al piacer mio
)( 159 )(
Tanto soave a sentir, che sermone
Dir no '1 poria né prendere intenzione
D'alcun mortai già mai,
Che non ardesse di cotal vaghezza, n
Et io, che ciascun'ora più m'accendo
Quanto più fiso tengo gli occhi in esso,
Tutta mi dono a lui, tutta mi rendo,
Gustando già di ciò eh' el m' ha promesso ;
E maggior gioia spero più da presso
Sì fatta, che già mai
Simil non si senti qui di vaghezza. m
cxyii.
Qual donna canterà, s' i' non cant'io
Che son contenta d' ogni mio disio? 2
Vien dunque. Amor, cagion d'ogni mio bene,
D' ogni speranza e d' ogni lieto effetto :
Cantiamo insieme un poco,
Non de' sospir né delle amare pene
Ch' or più dolce mi fanno il tuo diletto.
Ma sol del chiaro foco
Nel quale ardendo in festa vivo e 'n gioco.
Te adorando come un mio iddio. io
Tu mi ponesti innanzi agli occhi. Amore,
Il primo di eh' io nel tuo foco entrai.
Un giovinetto tale.
Che di bilia d'ardir né di valore
Non se ne troverebbe un maggior mai
Né pure a lui eguale :
Di lui m'accesi tanto, che aguale
Lieta ne canto teco, signor mio. /«
)( 160 )(
E quel che 'n questo m'è sommo piacere
È ch'io gli piaccio quanto egli a me piace,
Amor, la tua merzede.
Per che in questo mondo il mio volere
Posseggo, we spero nell'altro aver pace.
Per quella intera fede
Che io gli porto. Iddio, che questo vede,
Del regno suo ancor ne sarà pio.
CXVIII.
26
I
Ninna sconsolata
Da dolersi ha quant' io,
Che 'n van sospiro, lassa!, innamorata.
Colui che muove il cielo et ogni stella
Mi fece a suo diletto
Vaga leggiadra graziosa e bella,
Per dar qua giù ad ogni alto intelletto
Alcun segno di quella
Biltà che sempre a lui sta nel cospetto:
Et il mortai difetto,
Come mal conosciuta.
Non mi gradisce, anzi m'ha dispregiata.
Già fu chi m'ebbe cara, e volentieri
Giovinetta mi prese
Nelle sue braccia e dentro a' suoi pensieri,
E de' miei occhi tututto s" accese,
E '1 tempo, che leggieri
Se n' vola, tutto in vagheggiarmi spese :
Et io, come cortese,
Di me il feci degno:
Ma or ne son, dolente a me!, privata.
i3
Si
)( 101 K
Fcmmìsi innanzi poi presuntuoso
Un giovinetto fiero,
Sé nobii reputando e valoroso:
E presa tienmi, e con falso pensiero
Divenuto è geloso.
Là ond' io lassa quasi mi dispero,
Cognoscendo per vero,
Per ben di molti al mondo
Venula, da uno essere occupata. 39
Io maledico la mia sventura,
Ouando, per mutar vesta.
Si, dissi mai: sì bella nella oscura
Mi vidi già e lieta, dove in questa
Io meno vita dura.
Vie men che prima reputata onesta.
0 dolorosa festa,
Morta foss' io avanti
Che io t'avessi in tal caso provata. 3$
0 caro amante, del qual prima fui
Più che altra contenta,
Che or nel ciel se' davanti a colui
Che ne creò, deh pietoso diventa
Di me che per altrui
Ttì obliar non posso : fa eh' io senta
Che quella lìamma spenta
Non sia che per me t'arse,
0 costà su m'impetra la tornata. m
CXIX.
Lagrì mando dimostro
Quanto si dolga con ragione il core
44
)( 462 )(
D'esser tradito sotto fede Amore. j
Amore, allora che primieramente
Ponesti in lui colei per cui sospiro
Senza sperar salute,
Si piena la mostrasti di virtute,
Che lieve reputai ogni martiro
Che per te nella mente,
Ch' è rimasa dolente,
Fosse venuto; ma il mio errore
Ora conosco, e non senza dolore. ts
Fatto m' ha conoscente dello 'nganno
Vedermi abbandonato da colei
In cui sola sperava:
Ch' allora eh' i' più esser mi pensava
Nella sua grazia e servidore a lei,
Senza mirare il danno
Del mio futuro affanno,
M' accorsi lei aver 1' altrui valore
Dentro raccolto e me cacciato fore. si
Com' io conobbi me di fuor cacciato.
Nacque nel core un pianto doloroso
Che ancor vi dimora:
E spesso maladico il giorno e 1' ora
Che pria m'apparve il suo viso amoroso
D' alta biltà ornato
E più che mai 'nfiammato.
La fede mia la speranza e l'ardore
Va bestemmiando l'anima che more. so
Quanto '1 mio duol senza conforto sia,
Signor, tu '1 puoi sentir, tanto ti chiamo
Con dolorosa voce:
E dicoti che tanto e si mi cuoce.
)( 163 )(
Che per minor marlir la morie bramo.
Venga dunque, e la mia
Vita crudele e ria
Termini col suo colpo e '1 mio furore;
Ch', ove eh' io vada, il sentirò minore. 39
Nuli' altra via, niun altro conforto
Mi resta più, che morte, alla mia doglia.
Ballami dunque omai.
Pon fine, Amor, con essa alli miei guai,
E '1 cor di vita sì misera spoglia.
Deh fallo, poi eh' a torto
M'è gioi' tolta e diporto.
Fa costei lieta, raorend' io, signore,
Come r hai fatta di nuovo amadore. 4^
Ballata mia, se alcun non l'appara,
Io non me n' curo; per ciò che nessuno,
Com' io, ti può cantare:
Una fatica sola ti vo' dare,
Che tu ritruovi Amore, e a lui sol uno
Quanto mi sia discara
La trista vita amara
Dimostri a pien, pregandol che 'n migliore
Porto ne ponga per lo suo valore. sj
Lagrimando dimostro.
cxx.
Amor, la vaga luce
Che move da' begli occhi di costei
Servo m' ha fatto di te e di lei. 3
Mosse da' suoi begli occhi lo splendore
Che pria la fiamma tua nel cor m'accese
)( '1«^^ )(
Per li miei trapassando,
.E quanto fosse grande il tuo valore
fi bel viso di lei mi fé palese:
Il quale imaginando,
Mi sentii gir legando
Ogni virtù e sottoporla a lei,
Fatta nuova cagion de' sospir miei. ig
Cosi de' tuoi adunque divenuto
Son, signor caro, et ubidente aspetto
Dal tuo poter merzede:
Ma non so ben se 'utero è conosciuto
L'alto disio che messo m' hai nel petto
Né la mia intera fede
Da costei, che possiede
Si la mia mente, che io non torrei
Pace fuor che da essa né vorrei. 21
Per eh' io ti priego, dolce signor mio,
Che glie '1 dimostri, e faccile sentire
Alquanto del tuo foco
In servigio di me; che vedi eh' io
Già mi consumo amando, e nel martire
Mi sfaccio a poco a poco;
E poi, quando fìa loco.
Me raccomanda a lei, come tu dei;
Che teco a farlo volentier verrei. ^^
CXXI.
Amor, s' i' posso uscir de' tuoi artigli,
A pena creder posso
Che alcun altro uncin mai più mi pigli. 5
Io entrai giovinetta cn la tua guerra,
)( 105 )(
Quella credendo somma e dolce pa«e;
K ciascuna mia arme posi in terra.
Come sicuro chi si fida face.
Tu, disleal tiranno, aspro e rapare
Tosto mi fosti addosso
Con le tue armi e co' crude' ronrij^li. 40
Poi, circundata delle tue catene,
A quel che nacque per la morte mia,
Piena d'amare lagrime e di pene,
Presa mi desti; et hammi in sua halia:
Et è si cruda la sua signoria,
Che già mai non 1' ha mosso
Sospir né pianto alcun che m'assottigli. i?
Li prieghi miei lutti glien' porla il vento;
Nullo n' ascolta, né ne vuole udire :
Per che ogni ora cresce 'I mio tormento;
Onde '1 viver m' è noi' né so morire.
Deh dolgati, signor, del mio languire:
Fa' tu quel eh' io non posso ;
Dalmi legato dentro a' tuoi vincigli. n
Se questo far non vuogli, almeno sciogli
I legami annodati da speranza.
Deh io ti priego, signor, che tu vogli!
Che, se tu '1 fai, ancor porto fidanza
Di tornar hella qual fu mia usanza,
Et, il dolor rimosso.
Di bianchi fiori ornarmi e di vermigli. si
CXXII.
Deh lassa la mia vita!
Sarà già mai eh' io possa ritornare
)( 166 )(
Donde mi tolse noiosa partita? 3
Certo io non so: tanto è '1 disio focoso,
Che io porto nel petto,
Di ritrovarmi ov' io, lassa!, già fui.
0 caro bene, 0 solo mio riposo,
Che '1 mio cuor tien' distretto.
Deh dilmi tu; che '1 domandarne altrui
Non oso, né so cui.
Deh, signor mio, deh fammelo sperare,
Si ch'io conforti Tanima smarrita. 42
Y non so ben ridir qual fu '1 piacere
Che sì m' ha infiammata,
Che io non trovo di né notte loco:
Perchè 1' udire e '1 sentire e '1 vedere
Con forza non usata
Ciascun per sé accese novo foco,
Nel qual tutta mi coco:
Né mi può altri che tu confortare
0 ritornar la virtù sbigottita. si
Deh dimmi s'esser dee e quando fìa
Ch' io ti trovi già mai
Dov' io basciai quegli occhi che m' han morta.
Dimmel, caro mio bene, anima mia.
Quando tu vi verrai;
E col dir tosto alquanto mi conforta.
Sia la dimora corta
D'ora al venire e poi lunga allo stare,
Ch' io non me n' curo, si m' ha Amor ferita. 30
Se egli avvien che io mai più ti tenga,
Non so s' io sarò sciocca,
Com' io or fui, a lasciarti partire.
Io ti terrò, e che può si n'avvenga:
)( 107 )(
E (lolla dolce bocca
Convien ch'io sodisfaccia al mio disiro:
D'altro non voglio or dire.
Duncjuc vien loslo, vinnmi ad abhrarriare;
Clio 'I pur ju^n'i.'MlM «li coulni- di' invifri. .7.9
CXXIII.
Tanto è, Amore, il bene
Ch' i' per te sento e l'allogezza e '1 gioco,
Ch' io son felice ardendo nel tuo foco. j
L' abbondante allegrezza, eh' è nel core,
Dell'alta gioia e cara
Nella qual m'ha' recato,
Non potendo capervi, esce di foro,
E nella faccia chiara
Mostra '1 mio lieto stato :
Che essendo innamorato
In cosi allo e ragguardevol loco
Lieve mi fa lo star dov'io mi coco. /*
Io non so col mio canto dimostrare
Né disegnar col dito,
Amore, il ben eh' i' sento ;
E, s'io sapessi, me '1 convien celare.
Che, s'el fosse sentilo,
Torneria in tormento:
Ma i' son si contento,
Ch' ogni parlar sarebbe corto e fioco
Pria n' avessi mostrato pure un poco. ?/
Chi potrebbe estimar che le mie braccia
Aggiugnesser già mai
Là dov' io r ho tenute,
)( 168 )(
E ch'io dovessi giunger la mia faccia
Là dov' io r accostai
Per grazia e per salute?
Non mi sarien credute
Le mie, fortune: ond'io tutto m'infoco,
Quel nascondendo ond'io m'allegro e gioco. 5&
CXXIV.
lo mi son giovinetta, e volentieri
M'allegro e canto en la stagion novella,
Merzè d'Amore e de' dolci pensieri. j
lo vo pe' verdi prati riguardando
I bianchi fiori e' gialli et i vermigli,
Le rose in su le spini e i bianchi gigli;
E tutti quanti gli vo somigliando
Al viso di colui che me amando
Ha presa e terrà sempre, come quella
Ch'altro non ha in disio eh' e' suoi piaceri, jo
De' quai quand'io ne truovo alcun che sia
Al mio parer ben simile di lui,
II colgo e bacio, e parlomi con lui,
E, com' io so, cosi l'anima mia
Tututta gli apro e ciò che '1 cor disia:
Quindi con altri il metto in ghirlandella
Legato co' miei crin biondi e leggieri. i7
E quel piacer, che di natura il fiore
Agli occhi porge, quel simil me '1 dona
Che -s'io vedessi la propia persona
Che m' ha accesa del suo dolce amore :
Quel che mi faccia più il suo odore,
Esprimer no '1 potrei con la favella;
)( i«o )(
Ma i sospiri ne son leslimon veri. s4
Li quai non cscon già mai del mio petto,
Come dell'altre donne, aspri né gravi;
Ma se ne vengon fuor caldi e soavi.
Et al mio amor se n' vanno nel cospetto:
Il qual, come gli sente, a dar diletto
Di sé a me si muove, e viene in quella
Ch'i' son per dir: Dehvien, ch'i' non disperi. 5/
cxxv.
S'amor venisse senza gelosia,
Io non so donna nata
Lieta com' io sarei, e qual vuol sia. 5
Se gaia giovinezza
In bello amante dee donna appagare,
0 pregio di virtule
0 ardire 0 prodezza,
Senno, costume, 0 ornato parlare
0 leggiadrie compiute;
Io son colei per certo, in cui salute,
Essendo innamorata.
Tutte le veggio en la speranza mia. u
Ma, per ciò ch'io m'avveggio
Che altre donne savie son com' io,
Io triemo di paura;
E pur credendo il peggio
Di quello avviso en l'altre esser disio
Ch' a me V anima fura:
E cosi quel che m' è somma ventura
Mi fa isconsoiata
Sospirar forte e stare in vita ria. n
)( 170 )(
Se io sentissi fede
Nel mio signor quant'io sento valore,
Gelosa non sarei:
Ma tanto se ne vede,
Pur che sia chi inviti l'amadore,
Ch' io gli ho tutti per rei.
Questo m' accuora; e volenti er morrei; -
' E di chiunque il guata
Sospetto, e temo non ne '1 porti via. 30
Per Dio dunque ciascuna
Donna pregata sia che non s' attenti
Di farmi in ciò oltraggio:
Che, se ne fia nessuna
Che con parole 0 cenni 0 blandimenti
In questo il mio dannaggio
Cerchi 0 procuri, s' io il risapraggio,
Se io non sia svisata,
Piagner farolle amara tal folha. 59
Vers. 26. Ho osato mettere inviti in luogo del vulgato 'nviti,
sol per aiutare un poco il verso.
GXXVI.
Dal libro IV del Filocopo. Avvene una varia lezione in un cod.
di man del Varchi , che già era il 227 della bibliot. della ss. An-
nunziata; e fu inserita dal Baldelli nelle Rime, 72.
Io son del terzo ciel cosa gentile
Si vago de' begli occhi di costei
Che s'io fossi mortai me ne morrei. j
E vo di fronda in fronda a mio diletto
Vers. 4. Ecco di ... : Bald.
)( 171 )(
Intorniando gli aurei suoi crini
E me di me accendendo.
E 'n questa mia Fiammetta con cffettd^
Mostro il poter de' dardi mici divini,
Andando ogn'uom ferendo
Che lei negli occhi mira; ov' io discendo
Ciaschedun' ora eh' é piacer di lei,
Vera regina degli regni miei. 12
Vers. 5. gli aurei tttoi bei: st. del Filoc— 6. me di m« accendo:
B. — 7. E questa: B.— 8. Mostra la forza de' miei dardi fini: B. —
9. ognun: B. — ■10. guarda: B. — H. Ciascuna volta: B.
CXXVIl.
Io non ardisco di levar più gli occhi
In verso donna alcuna,
Qual or' io penso quel che m'ha fatt'una. 5
Nessun amante mai con puro core
0 con fermo valore
Donna servì com' io servia costei :
E, quand'io più fedel al suo volere
Credea merito avere,
Giovane novo fé' signor di lei:
Ond' io bassando gli occhi dico — Omei !
Non vo' mirar nessuna,
Che forse come questa inganna ognuna. — / •
CXXVIII.
Il fior che '1 valor perde.
Da che qui cade, mai non si rinverde. s
Perdul' ho '1 valor mio,
)( 172 )(
E mia bellezza non sarà com'era;
Però eh' è van desio
Chi perde il tempo e d'acquistarlo spera:
Io non son primavera
Gh' ogni anno si rinnova e fassi verde. 8
Io maledico l'ora
Che '1 tempo giovenil fuggir lasciai :
Femmina essendo, ancora
Essere abbandonata non pensai:
Non si rallegra mai
Chi '1 primo fiore del primo amor perde. 14
Ballata, assai mi duole
Ch' a me non lice di metterti in canto :
Tu sai che '1 mio cor suole
Vivere con sospiri doglia e pianto:
Così starò fin tanto
Che '1 foco di m.ia vita giunga al verde. so
Prima che il Baldelli di su '1 già cit. cod. della ss. Annunziata,
di sur un marciano, di su '1 riccard. 2846, tutti del sec. xvi inol-
trato 0 cadente, pubblicasse questa ballata fra le altre Rime del
Boccaccio, ella era a stampa nelle vecchie e popolari raccolte di
Canzoni a ballo del 1532, 1562-68, 1614, con varietà che testimo-
niano l'intramettersene che fece la musa del popolo. Ecco la lezione
delle prime tre stampe citate che concordano fra loro , ed in nota
le varianti della st. del -1614.
Quel fior che valor perde.
Biancheggia e casca e giammai non riverde. 2
Perduto ho il tempo mio,
E le bellezze non son più com'era.
Egli ii^ ben van desio
Chi perde il tempo e racquistarlo spera.
Noi non slam primavera,
Vers, 4. E bello non son più com' io era. — 7. Non siano in
primavera.
)( m )(
eh' ogni alber si rinnova o torna I verde. 8
Ben posso pianger l'ora
Che la mia giovanezza andar lassai,
Sendo fanciulla ancora,
E d' invecchiar si presto non pensai.
Non sì rallegra mai
Chi 'I primo fior di sua gioventù perde. f 4
Canzona, assai mi duole
Che le mie pene l'abbia a dire in canto,
Da poi che amor vuole,
Di lacrime e sospiri in doglia e 'n pianto:
Ma i' farò al fin tanto
Che la mia gioventù tornerà verde, 20
Vers. <t. Io fui fanciulla. - 42. i' non. — i9. io farò 'l. —
20. in verde.
CXXIX.
ir
Amor, dolce signore,
Poi e' hai il nostro cuore in tua balia,
Per dio, fanne contente. j
Tu se' nostro signor caro e verace,
E noi cosi volemo;
Tu se' colui che ne può render pace
Nel gran disio che avemo.
Però quanto potemo
Preghiam tua signoria.
Che in vèr di noi si porti urailemente. io
Noi siam qui giovinette, e tu il ti sai,
Che poca di gravezza
Che noi sentiam, ci par sentire assai.
Però la tua grandezza
A chiunque la sprezza,
Signor, falla sentire;
Che a noi non cai, che siam tue veramente. 47
)( i74 )(
Fa' sentire a coloro il tuo valore,
Che si fanno chiamare
Innamorati senza farti onore:
Che, se tu fai provare
Lor quanto tu puoi fare,
Saranno innamorati ;
E noi ti loderem più degnamente. h
Noi ardiam tutte per la tua virtute
Nel tuo cocente foco.
Per dio, mercè! deh, donaci salute
Anzi che mutiam loco!
Che già a poco a poco
Per te ci consumiamo.
Se tu non ci soccorri tostamente. .51
Fa', signor nostro, gli animi pietosi
Degli nostri amadori;
Raffrena alquanto i lor atti orgogliosi
Con più aspri dolori
Che non hanno ne' cori;
Sì che la nostra pena
E' provi come noi chi non la sente. 38
Entra in gli orecchi qui, ballata, avanti
Ad Amor nostro sire:
E, come tu pietosamente canti
1 nostri aspri martiri.
Fa' che pregando il giri
A darci tosto gioia.
Prima che ei n'uccida crudelmente. 45
Vers. 40. La rima non concorda, come dovrebbe, coi versi 42
e 43. Dovrebbe forse leggersi stri, com'è in qualche antico?
)( i75 )(
cxxx.
Non so qiial io mi voglia,
0 viver o morir, per minor doglia. i
Morir vorrei, che '1 viver m'é gravoso,
Veggendomi per altri esser lascialo;
E morir non vorrei, che trapassato
Più non vedrei il bel viso amoroso;
Per cui piango, invidioso
Di chi l'ha fatto suo e me ne spoglia. «
CXXXI.
Come su '1 fonte fu preso Narciso
Di sé da sé, così costei, specchiando
Sé, sé ha preso dolcemente amando;
E tanto vaga sé stessa vagheggia
Che ingelosita della sua figura
Ha di chiunque la mira paura,
Temendo se a sé non esser tolta.
Quello ch'ella di me pensi, colui
Se '1 pensi il quale in sé conosce altrui.
A me ne par, per quel ch'appar di fuore,
Qual fu tra Febo e Dafne, odio et amore. //
LIBEO VII.
CANZONETTE A BALLO
DI SER GIOVANNI FIORENTINO.,
Sono tolte dal Pecorone, del quale abbiamo raffrontato la edi-
zione del Poggiali [Londra, Bancker, 4793, in 8.<*, ma veramente fatta
in Livorno dal Masi] e quella del Silvestri [Milano, 4815, in 8.°j
all'antica e citata dalla Crusca [Appresso di Giovann' Antonio degli
Antonij, Milano, mdlvhi; in 8.°]. Ho avuto anche a mano un cod.
magliab. [cart. in -12.° del sec. xv, 376 var. ci. vii], ove senza
nome d'autore stanno di seguito le prime 12 (una eccettuatane) da
pagg. Hi a 121, e d'onde il Trucchi riprodusse in Poes. it. ined.
[ II, 325-31 ] quelle che incominciano Nessuno in me, Quante leg-
giadre fogge, 0 lassa sventurata. Tradita sono, Al mio primo ama-
tor, attribuendole a incerta donna quattrocentista. Di questo cod. ho
riportato fedelmente le varianti , pur derivandone pochissime e a
pena percettibili modificazioni al testo già accettato, perchè un cod.
solo e miscellaneo non può dare autorità a mutare una lezione. Del
resto il cod. magliab. ci mostra che le ballate di ser Giovanni eb-
bero vita e fama da sé anche fuor del Pecorone: e, se le varianti
attestano alcuna volta l' ignoranza del copista o meglio le licenze
inevitabili di chi le commetteva alla memoria o le cantava, gl'in-
telligenti vi scorgeranno il fondo d'una lezione ben più ingenua di
quella accettata del Pecorone. Si ricordi che nella prima edizione
ebbe che fare un [filologo cinquecentista, e che questi era, ahimè,
Lodovico Domenichi.
GXXXII.
Alzando gli occhi i' vidi una donzella
Con arco in mano e con le sue quadrella. 2
Vers. 1. viddi: Magi.— 2. Con un arco in mano e saettare quadr.: M.
)(.177 H
Era di bianco al mio parer vestita.
Con un color dirin, l(?pr},Madra e bella:
Aveva il petto e la faccia fiorita,
Che pareva a veder rosa novella.
Questa è quella amorosa damigella
C'ha gli occhi in testa più chiari che^stelIa. s
Apriva l'arco per forza d'amore
Con quelle braccia prezioso e bianche;
E saellonimi uno strale nel core,
Che fece le mie forze inferme e manche.
Non si vedranno mai mie voglie stanche
Di rimirar questa lucente stella. /4
Quando prima guardai quel vago viso
Del qual Amor m' avea fatto servente,-
Col suo soave ed angelico riso
Mi salutò cortese e riverente.
Rondelle il cenno: ed ella incontanente
Riprese l'arco e saettommi in quella. to
Avea negli occhi un arco soriano
Col qual gittava saette dorato,
Più grave assai che quel ch'aveva in mano:
E questo sa ciascun che l'ha provate;
Ch'ella ha saette d'amor temperate.
Ch'entrano al vivo più ch'altre quadrella. te
Poi con un vago ed amoroso inchino
Da me prese commiato l'angioletta.
Ed io, guardando a quel fior di giardino,
Vers. 4. color angelv'o di perla: M. — 6. Ch' a veder pare
una: M. —42. fone venir manche: M. —48. umile e riverente M. —
49. Rendeile: Pogg. e Silv. e poi subitamente: M. — 23. Possente
più che quel che avia : M. — 26. Passano il viro: M. — 27. E : M.:
e sempre cosi in vece di ed e et.
42
)( 178 )(
Le dissi — Or va, che tu sia benedetta ;
Che tu se' quella vaga amorosetta
Ch' avanzi di costumi ogni altra bella. 32
GXXXIII.
Un' angioletta m'apparve un mattinò
Pulita e bianca quanto un ermellino. s
Avea la testa di pel di leone,
E gli occhi avea d'un pellegrin falcone:
Soave andava a guisa di pavone,
Più bella assai ch'uno angel cherubino. ^
Io non vidi già mai nessuna cosa
Che fosse tanto fresca et odorosa
Quanto era questa risplendente rosa
Assai più bella che perla 0 rubino. io
Ella pareva un giglio pur' or colto.
Tanto avea dilicato il petto e '1 volto:
Avea la treccia bionda e '1 capo avvolto.
Assai più bella eh' un fior di giardino. ut
Quando m'apparve pria questa angioletta.
Con gli occhi al cor mi trasse una saetta,
Poi fece pace meco lascivetta:
r mi partii da lei con bello inchino. is
Ella parlò tanto benignamente
Con quel bocchino amoroso e piacente,
E poi mostrommi il viso rilucente
Vers. 3. Avia: M. — 5. pagane: M. — 6. angiol: M. — 7. viddi:
M. — 8. e olorosa: M. — 9. sprendente: M. — ii, pur tno : M, —
45. m' aparve questa amorosetta : M. — <6. Co gli: M. — '17. Po' . . .
l' angioletta : M.; qui e al 15 meglio certamente che il testo. — 20.
Che quel: M. — 24. Poi mi mostrò quel v. : M.
)( 179 )(
Ch' era più bel di' un fior di gelsomino. a
Vanne, ballala, a quella chiara stella
Ch' avanza di costume ogni altra bella :
Di' che, se mai mi troverò con ella,
Bascierò cento volte il suo bocchino. te
Vers. 2*. giensomino: hi.— 26. mi ritruovo: M. — 26. Bacerò: M.
CXXXIV.
Benedetto sia il giorno ch'io trovai
Pace negli occhi bei ch'io tanto amai. 2
Io era stato gran tempo lontano
Da quegli occhi leggiadri pien d'onore:
E questo è stato colpa del villano
Che voleva ingannare il fino amore.
Ora è palese ch'egli é traditore:
Ond' io vivo contento più che mai. 8
Io mi ti scuso, caro mio signore, *
Se già gran tempo io son stato adirato;
Che la colpa è del villan traditore
Che mi t'aveva tanto difTamato:
Ond' io ti prego che per iscusato
Tu abbia me, eh' io ho te sempre mai. u
Quando mi ritrovai in sua presenza,
Dov' era sol quel bel fior di giardino.
Tre rose mi donò con riverenza
Col suo sottile e vermiglio bocchino:
Poi con un vago ed amoroso inchino,
Vers. 3. ero: M. — 4. Da que' begli .... d'amore: M. — 6. in
fino: M. — 40. stato cruciato: M. — 13. priego: M. — H. abbi: ti. —
46. sola quel fior: &f. r- 47. reverenza: M.
)( 180 )(
Senza più dir, da lei m'allontanai, 20
Poi che donato m'ebbe la sua pace
Questa leggiadra e nobil creatura,
Innamorommi d'uno amor verace,
Ch'io l'amo più che prima olire misura;
E porto anco nel cor la sua figura
Per tanta lealtà che in lei trovai. se
Vanne, ballata, a quel fior di natura
La quale è stella sopra l'altre stelle,
E prega quella angelica figura
Che da villan non curi più novelle:
Poi eh' eli' è bella sopra l'altre belle,
Io son suo servo e sarò sempre mai. ss
Vers. 24. oltre a: M. — 25. porto nel mio cor la: M. —
29. priega: M. — 30. del villan: M.
cxxxv. '
Troverò pace in te, donna, già mai?
Che t'amo più che la mia vita assai. s
Sì mi riscalda l'amoroso foco
De' dolci sguardi eh' escon da' tuoi occhi,
Ch' io non posso né so ritrovar loco,
Tanto co' tuoi be' raggi il cor mi tocchi:
Che veramente par neve che fiocchi
La saporita manna che mi dai. g
Non ti ricorda con quanto disio
Io t'ho portalo lealtade e fede,
Vers. 2. Che sai eh' io V amo più che vita assai: M. — 4. De' tua
occhi: M. — 5. trovare: M. — 6. tua be' razzi: M. — 8. che or mi:
M.— 9. ricordi: M.— iO. portato con leanza fede: M.
)( i8i X -
E d'iòni me con Palma e col cor mio
Sempre sperando in te trovar mercede?
La tua discrezion questo ben vede:
E mal fai, che pietà di me non hai. 44
Già sai tu ben quanta dolcezza porse
La tua dolce parola alla mia mente,
Quando dicesti senza nessun forse
— Si, ch'io li vo' per mio leal servente — .
Adunque, donna, non t'esca di mente
Quel che con gli occhi e'I cor promesso m' bai. so
Io t' ho portato e porto quella fede
Che dee portare ogni leale amante:
Per che mi credo ancor trovar mercede
Da le tue braccia preziose e sante.
Non posso più portar le pene tante,
Se prima qualche grazia non mi fai. ^c
Vanne, ballata, a quella e' ha il mio core
E fatta è donna dell'anima mia;
Dille da parte del suo servidore
Ch'ella farebbe oggi mai cortesia
Ad esser verso lui alquanto pia,
Poi ch'egli è suo e sarà sempre mai.
Vers. <<. coU'anima e l cor : M. — ii. meriede: M - <4. Dunche
perchè piata di menonài? M.— 16. Le lua dolci parole: M. Noto che
l'edizion milanese e il P. e il S. leggono a mia mente, dove a me
è parso necessario prender alla dal M. — il. sansa: \l. — iS. vi
voglio: M.— i9. Adunche: M. — 20. co gli: M. — 23. mercede: M.—
24. Dalle lua: M. — :i\. A esser in vèr lui: li.
)( 182 )(
GXXXVI.
Apri il dolce arco, o caro signor mio,
E fa' a costei sentir quel che sent' io. a
0 tu risana le crudei ferute
Che nel centro del core han fatto nido;
0 tu dimostra in lei la tiia virtute,
Si eh' ella senta quel che sentì Dido.
E questo è quel che giorno e notte i' grido :
Mercè, mercè, mercè, signor, per dio! 8
0 cor di marmo, o diamante, o sasso,
0 donna che sei serpe diventata !
Fatta se' sorda e vai col capo basso,
Perchè durezza t'ha fatta spietata.
Piacesse a Dio che tu non fossi nata
0 tu sentissi al cor quel che sento io. là
Se tu trapassi la tua vaga etade
Che tu non senta d'amor la saetta,
E non avrai del tuo servo pietade
Mentre che tu ti trovi giovenetta,
Se tu c'invecchi, ne vedrai vendetta.
Or si vedrà se avrai l' animo pio. 20
Ballata mia, se tu saprai ben dire.
Or m'avvedrò se grazia troverai:
E ponti in cor di mai non ti partire
Da quella donna, lasso ! che tu sai,
Vers. 2. E fa sentir costei quel: M. — 3. crudei: M. — 7. ch'io
dì e notte grido: M. — 8. Merzè : M. — 9. o di diamante, legg. le
st. M'è parso meglio accettare la lezione del M.— 13. Piacessi ....
fussi: M. — 17. piatade: M. — 18. truovi giovinetta: M. — 20. orai:
M. — 23. di non mai dipartire: M.
)( 183 X
Se qualche grazia da lei tu non hai
Che sia conforto a raflfìUo desio. se
Vers. 26. disio : M.
CXXXVII.
Donna che segue Amor, non mostri altiera,
Ma il core abbia gentile, e sia maniera. 2
Se fra gli amanti vuol fama acquistare,
Non sia superba e non viva sdegnosa:
Quando si vede saviamente amare,
Diventi onestamente graziosa;
E, secondo eh' è il merto, sia pietosa,
Sì ch'andar possa con allegra cera. s
Quanto sta male a donna esser crudele.
Volendo saviamente Amor seguire!
Ma viva pur senz'aver nessun fele,
E faccia il don secondo eh' é il serv4re.
E questo è il modo a volere ubbidire
Iddio d' amore, ed esser di sua schiera. /4
Quante ne passan la novella etade.
Che piangon poscia il lor tempo perduto,
C hanno usato agli amanti crudeltade
Nel vago tempo e non l'han conosciuto:
Donne, chi ha d'amore il cor fronzuto
Pigli partito, e non s' indugi a sera. ^'^
Ballata mia, a le dame eccellenti
Vers. 4 . segua .... non sia : M. — 9. Ma abbi il cor gentile e sia
altera: M. — 3. Se fama vuol fra gli amanti acq.: M. — 7. piato-
sa: M. — H pura sansa nessun fele: M. — 4G. poi il: M. — 48. Del
vago: M. — i9. Dunrhe chi: M.
)( 184 )(
Ti farai serva, e a l'altre non parlare;
E, se trovassi di quelle valenti
Che si voglion di nuovo innamorare,
Con lor ti posa, e statti a ragionare,
Che crudeltà non sia di lor bandiera. . se
Vers. 22. serva, all' : M. —24. in man giurare: M.
cxxxyiii.
Non segua amor chi non ha il cor prudente.
Se non vuol nella fme esser perdente. §
Lo specchio abbiam de' famosi passati,
Del bon Tristan, del valoroso Achille,
Che per amor fùr di vita privati
Sentendo al cor d' amor le dolci stille,
E d'altri uomini illustri più di mille.
Che per ria morte son lor fame spente. 8'
E chi più ne conosce men ne vale.
Perchè a la fin si trovano ingannati.
Virgilio per amor ne perde l'ale,
Con molti altri poeti chiari e ornati
Ch'ebbero il senno e pur furo gabbati,
Perchè egli è traditore ad ogni gente. ia
Ma pigli esempio ognun che segue amore
Da questa sventurata di Gostanza, (*)
Vers. 4. Tristano e 'l valoroso: M. — 1. E d' altri valorosi più
di: M. — -IO. alla fine si truova: M. — 42. Con altri poeti assai co-
ronati: M. — 43. Ch' ebbono il senno e 'l quale furono ingannati: M.—
45. asempro: M.
(') Allude alla novella di madonna Gostanza Malatesta da Ari-
mino che nel racconto del Pecorone precede questa ballata.
)( 185 )(
E non si lasci mai ingannare il core
Per alti o sguardi ch'abbia da sua manza:
Che spesse volle falla la speranza
A chi non è di ciò mollo intendente. 20
Ballata mia, a gli amanti n'andrai,
Ammaestrando ogn'un che savio sia,
E quantunque tu puoi li pregherai
Che in quel che Amor gli sprona e li disvia
Sien cauti e savi, e tengan tutta via
11 freno in man per non esser corrente. se
Vers. <7. incatenare il core: M. — H. Satira mia, agli inamo-
rati: M. — 23. quantunche : M. — 26. £1 freno: M.
CXXXIX.
Sì mi riscaldan gli ardenti desiri,
Che rinnovano al cor doppi martiri. 2
Tant'è la fiamma penetrai che m'arde
Del lume de' begli occhi di costei.
Che, quanto più l'effigio, più riarde
La mente mia per l'amor e' ha in lei.
Veggomi consumare, e non vorrei
Poter partire il ben e' ho co* sospiri. «
Per che, s'i' trovo un dolce in quello amaro.
Che fa portare in pace ogni tormento.
Il suo diletto m'è si grato e caro
Che mi fa viver poi lieto e contento.
Dunque, s'io amo ed ardo, non me n' pento;
Che nel fine hanno pace i miei desiri. n
Manca nel M.
)( 186 )(
GXL.
Donne, che siate d'ogni mal radice
E' vede ogn'uno e non vi si disdice: 2
Perché .l'amor è cieco e la fé' manca
E lealtà non si trova in nessuna.
Adunque é folle ciascun che s'ammanta
A por amor 0 credere a nessuna:
Perchè e' non fu mai bianca né bruna
Che fé' portasse se non a pendice. 8
Disfessi Troia per amor di donna;
E tanti gran signor ne fùr disfatti
Sol per amor d' Eléna e d' Esionna,
Per disviati sguardi e lor vani atti;
Ben che quelle persone furon matti,
Guastando per amor il ben ielice. n
Dunque s'accheti chi é innamorato,
E non seguisca quel che non si trova.
Quanti ingannati n'ha il tempo passato,
G' hanno voluto vederne la prova!
Pensi ciascun che non é cosa nova,
Ghé la prima ne fu pianta e radice. 20
Ganzon, cortesemente parlerai
Fra donne e giovanetti innamorati.
Per eh' io son certo che tu troverai
Vers. 1. sete: M. — 2. Vedalo: M. — 4. truova: M. — 8. Adun-
che: M. — 6. a porre : M. — 7. Perchè non ; M. — 8. portassi: M. —
M. di Lena: legg. la st.: ho corretto col M., che però ha dopo e
d'Ansion. — <3. Ben che que' che la preson: M. — 44. el: M. — 45.
Donche: M.— 16. truova: M. — 18. pruova: M. — 19. nuova: M. —
22. 0 giovinetti, le st. : ho corretto col M.
)( 187 )(
Che i versi tuoi ti saran biasimati :
Non li curar, che quei son gl'injjannati
C hanno nel cor quel che di fuor non dice, te
Vere. 2i. Che': U.
CXLI.
Non perda tempo chi cerca aver fama
0 voglia acquistar grazia di sua dama. 2
Jl perder tempo a chi più sa più spiace :
Dunque non dorma chi ha da vegghiare,
Che '1 tempo passa a quel che in piume giace
E tardi mal poi si può racquistare.
Adunque cerchi ogn'un che vuol trovare
Il desiato fin di ch'egli ha brama. 8
E non aspetti, se può, nel futuro;
Che tardi vien, se l' uom non se l'acquista;
Che pur ne l'acquistar pare altrui duro,
Ben che non sia com' altrui pare in vista:
Che non è poi fatica a chi resista
Quant'egli è il cominciar per lunga trama, a
E' non fu mai d'amor donna sì nova.
Che, s'io non dormo a volerla seguire,
Da durezza di cor non la rimova;
E fia rimunerato il mio servire.
Vers. 4 . cerca per fama: M. — 2. da sua . M. — 3. Che 'l perder:
il.— 4. Donche: M. : veggiare legg. le st.: ho corr. col M. — 5. quei che
in piuma: M. — 6. tardi poi si può: M. — 7. Adunche: M. — 8. di-
siato: M. — 9. non speri: M. — <0. viene, se non se V: legg. le st. :
ho corr. col M.— <2. come pare altrui: M. — i5. nuova: M. — il. Che
da dureza il cor non la rimuova: M.
)( 188 )(
Dunque non dorma chi vuol pervenire
Al fine di quel ben ch'ogn'un tanto ama. so
Ballata mia, a chi è negligente
Non t'accostar, né sia di sua brigata;
Ma di chi ha il cor valoroso e prudente
Sia la fama per te sempre onorata;
Perchè tu sarai meglio accompagnata,
Rispondendosi ogn'ora a chi altrui chiama. 26
Vers. <9.DMnc/ie; M.— 20. checerca ed ama: M.— 23. Machi à: M.—
24. La sua fama per te sia onorata: M. — 2S. Perchè sarai: M. —
26. Che fusse mai amante da sua dama: M.
CXLII.
Chi sente nella mente il dolce foco
Diventi savio, se vuol trovar loco. s
Poniamo che sia duro il comportare
I crudei colpi che '1 dio d'amor dona:
Dunque chi vuol perfettamente amare
Vinca sé stesso quando Amor lo sprona;
E porterà nel fm degna corona,
Ben che contra sua voglia indugi un poco. 8
Perchè le donne savie son contente
Quando si veggon saviamente amare,
E veggon più che l'uom non crede o sente,
Ma r onestà no '1 lascia lor mostrare ,
Ma, quando il tempo vien del meritare,
Elle il san far con ogni vago gioco. ■/4
, Vers. 3. Pognam che duro sia: M. — 4. E' crudei colpi che
dio: M. —5. Dunche: M. — 7. fine la c: M. — 8. contro a: M. —
42. Ma onestà non lascia dimos. : M. — 44. Elle san: M.
K l«9 ){
Adunque, amanti che seguite amore,
Non ispendete il tempo oltre il dovere.
Chi porta in sé la passion nel core,
Sappiala onestamente mantenere,
Sì che nessun già mai l'abhia a vedere
Se non colei per cui egli vive in foco. so
Ballata mia, va' agli amanti di pregio
Che sanno con prudenza amor seguire,
E diventa, se puoi, del lor collegio.
Perché son savi e ti staranno a udire;
Con lor t' allarga in ciò che tu sai dire :
Con gli altri non parlar nulla né poco. se
Vers. io. Adunche: M. — 18. Sapila: M. — i9. E fa che nulla
mai il possa ved.: M. — 20. cui tu senti il /"..• M. — 21. mia, agli:
M" — 23. Diventa quanto puoi di lor: M. — 24'. e staranti o; M. —
25. Co' lor . ... a ciò: M. — 26. Cogli . troppo ne: M,
CXLIII.
Chi d'amor sente ed ha il cor pellegrino
Non ismarrisca mai il dritto cammino; s
E, ancor eh' egli abbia da sua donna sguardi
0 atti 0 modi ond'ei non si contenti,
Non perda mai la speme e non ritardi,
Ma porti onestamente i suoi tormenti,
E sempre segua con savi argomenti.
Come Amor vuole, or alto or basso or chino. 8
E chi d'amor vuole imparar dottrina
\Vers. i.eàil core peregrino ; M.— 2. None smarisca el diritto : M . —
3. Non mi sgomenti se da sua manza sguardi: M. — 4. modi che non
gli cont,: M. — 5. E non perda del tutto la speranza: M. — 6. i sua:
M. — 9. Chi .... anparar la doti.: M.
)( 190 )(
Abbia il cor franco ad esser sofferente,
E non sgomenti d'ogni cosellina,
Ma sempre sia a sua donna ubidiente.
Però che ciaschedun eh' è sofferente
Porta ghirlanda di fior di giardino. jì
Ben che chiamar si possa avventurato
Chi pone amore a donna valorosa;
Perchè non se ne trova mai ingannato,
Amando drittamente in ogni cosa;
Che sempre si gli mostra graziosa
Avendo il core e 1' alma in suo dimino. 20
Vanne, ballata^ al mio signore Amore
E fa' che da lui tu prenda licenza;
E poi dirai a ciascuno amadore
Ch'a la sua donna porti riverenza,
Perchè le donne savie han conoscenza
Ed hanno in lor del chiaro e del divino. 26
Vers. -IO. Ahhi a esser: M . — \%. sua manza: M. — -14. gril-
landa : M. — il. truova: M. — '19. Perchè a ogni ora la truovi gr.:
M. — 20. Avendo il dolce bene a suo: M. — 22. lui abi la lic: M. —
23. dirai ciascheduno: M. — 24. Che portino a lor donne: M. —
26. E sempre stanno chiare più eh' or fino : M.
CXLIV.
Troverò io pace in te donna, già mai,
Che sai ch'i' t'amo più che me assai? 2
Tu se' sola colei che puoi dar pace
A l'animo fedel che tanto t'ama.
Adunque apri le braccia, se ti piace,
Vers. i. Troverò p.: M.
)( li)l H
Al servo tuo che li disia e br.ima.
Or t'innamora mentre che sei dama,
E non perdere il tempo quando l'hai. s
Quanto felice e bene avventurala
Si può chiamar colei che d'amor sente!
Dunque che fai, die non se' innamorala
Verso colui che l' è tanto ubidiente
Che per le dentro il core il foco sente,
E di e notte consumare il fai? 44
Amor non sta là dove è crudeltade
Né mostra suo poter dov'è durezza,
Ma vuol trovar nel cor benignitade
Sì che possa mostrar la sua dolcezza.
E però scopri la tua gentilezza
Al servo tuo, poi che legato il trai. so
Vanne, ballata, a quella chiara stella
La quale adoro e tengo per mia insegna.
Poi con pulita e soave favella
Le di' la pena che nel mio cor regna,
E di' se l'alma mia sarà mai degna
Di trovar pace a gì' infiniti guai. 26
Vers. 6. tuo ilqual t'onora ed ama, legg. le st. : ho corr. col
M. — 8. mentre l'ai: M. — 40. Quello si può chiamar che: M. —
44. Dunche: M. — 43. al core: M. — 44. Che dì: M. — 45. none sta
dove: M.— 46. sua possanza ove: M. — 49. Adunque scuopri tua pia-
cevoleixa: M. — 20. po' che legato l ài: M. — 25. ma' degna: M.
GXLV.
Chi è dalla fortuna folgorato
Non si disperi a racquistar suo stalo; 2
Vers. 4. infolgorato: U.
)( 102 )(
Ma segua il suo pensier senza dormire
Se vuol lo stato suo ricoverare,
E valorosamente pigli ardire
Volendo a la fortuna contrastare.
E questo è il modo per voler scampare:
Quando la piena vien, donarle lato. s
Però che chi si sente valoroso
Non dee curar fortuna di niente,
Ma abbia sempre il suo cor valoroso
A racquistar quel eh' è stato perdente:
Che spesse volte chi ha il cuor prudente
Per più saper ricovera suo stato. n
E non si dee spezzar per ogni vento
0 per sinistri che fortuna dia;
Che in questo mondo nessun e' è contento
Generalmente in cosa ,che ci sia.
Dunque chi vuole aver quel che desia
Cerchi chi sa, e verragli trovato. 20
Ballata mia, a chi è inimicato
Da la fortuna, come so' stato io.
Di' che, se vuol ritornare in istato.
Si disponga a fermare il suo disio
In racquistar, senza esser lento 0 pio,
E non si curi d' esser biasimato . se
Vers. 3. sano pensier sanza: M. — 4. ricoperare : M. — 6. Se
vuol dalla fortuna riparare: M. — 7. a volere: M. — 8. Ho seguito
il ms. : le st. legg. E quando piena: M. — <i. abi sempre il cor
volonteroso: M. — 42. è suto: M. — -fS. E spesse: M. — H. riconpera:
M. — 49. Dunche: M. — gì. nimicato: M. — 24. Che si . ... il
disio: M. — 25. sanz': M.
)( IJ)3 X
CXLVI.
Chi ama di l)uon cor non può perin;,
Gilè grazia dee trovar del ben servire. •
Amor ha fallo per decreto o legge
Che ciascun c'ama debba esser amato:
Però ben fa ciascun che si corregge,
Per non volere esser chiamato ingrato.
Dee il ben servir da te esser meritato,
Se vuoi a Dio e natura servire. »
Privar si dee d'ogni verace onore
Ciascun eh' è ingrato veggendosi amare.
Adunque si conforti ogni amadore,
Che, ben servendo, è per grazia trovare;
Né si disperi, s' a lui par penare.
Che pare altrui miglior poi nel finire. u
E' non è uom chi non sente d'amore
Per qualche tempo e per qualche maniera:
Gli alberi e' prati ogn'un mena suo fiore
Nel dolce tempo della primavera.
Donne, per dio, non v'indugiate a sera:
Si vuole in giovinezza amor seguire. so
Vanne, leggiadra e dolce ballatetta,
A chi sente nel cor quel che sent' io:
Di' : Chi sente nel petto la saetta
Vers. <. cuor non de': M. — 2. de' trovare il ben: M. — 3. Amo-
re dicreto: M, — 4. Ciaschedun rh'ama vuole che sia amato: M. —
5. Dunche ben: II. — 7-8, Chi vuole Idio e natura ubidire. Che l ben
servir debb' esser meritato: M. — U. Adunche: M. — 42. servendo
grazia di: M. — 43. Non si sgomenti se a: M.— 47. Cosi il M. : le st.:
prati ogni anno hanno il lor. — 20. Chi giovinezza: M.
43
- )( m )(
De l'esca che fa premere il desio,
Non isgomenti; perchè il nostro iddio
Non lasciò mai nessuno atto a punire. se
Vers. 24. disio: M.
GXLVII.
Oi me ! fortuna, non mi stare a dosso,
Abbia pietà di me, che più non posso. s
Tempera ornai i tuoi venti crudeli,
E non isconquassar più la mia barca;
Poi che colei che pavoneggia i cieli
L'ha di sospiri e di lagrime carca.
Ahi lasso me! che '1 dolce tempo varca,
E il mio vago pensier non s'è rimosso. 8
Com' io potei e seppi favellare,
Cosi fortuna ria m'ha travagliato;
E non m'ho mai potuto riparare,
Ch' ella non m' abbia sempre nimicato;
E cosi io vivo, lasso!, isfolgorato,
Perchè aitar da lei più non mi posso. lA
Io son da due contrari combattuto,
Gh'ogn'un per sé mi dà grave tempesta;
E son per forza si vii divenuto.
Ch'io vo come le fiere per foresta:
Vers. i. 0 me: M. — 2. piata: M. — 3. t tua: M. — 4. non sfol-
gorare più: M — 5. pagoneggia: M. — 7. lasso a me: M. — 8. E l
vago mio: M. — 40. fortuna mia mi fu donato: M. — i^. non mi potè'
mai sì riparare: M. — 42. abbi: M. — -13. E così vivo, o lasso sven-
turato: M. — H. atar: M. — 15. sono da dua contrai: M, — -16. mi
dona gran tempesta: M.
H ly^ )(
E ciascun vuol che sua divisa io vesta,
Ed io non vo' de' lor peli in mio dosso. iO
Ballata mia, a chi è tra due nodi.
Come son io in questo mar dubbioso,
Non li fermar, ch'io so chi"» tiene i modi
C ho tenuto io nel tempo doloroso :
Ma, se nessun ch'abbia il cor valoroso
Ti riprendesse, di' eh' io piìi non posso. se
Vers. 49. eh' i' a sua divisa vesta: M. — SO. di lor peli in mie':
M. — H. dua: M. — 24. Ho corr. col M. : le st. legg.: Che tenuti io
ho: — 2o. abi: M.
CXLVIII.
Nessun in me troverà mai mercede
Per amor d'un che m'ha rotto la fede. i
Io mi fé' serva d'un gentil signore
Dal qual io mi credeva esser amata,
E dona'gli con fé' l'anima e '1 core:
Or io mi trovo da lui ingannala,
Ch' e' se n' è ito, ed hammi abbandonata.
Adunque è folle chi più a nessun crede. 8
E' m' era già cosi nel cor entrato,
Ch' i' m' era fatta serva a sua beltade;
E lant' era il niio cor di lui infiammalo,
Ch' io gli donava mia virginilade: «.
Or se n' è ilo per sua crudellade;
E '1 dolor ch'io ne porto ninno il crede. /4
Vers. 4. merzede: M. — 2. rotto sua fede: M. — 4. i mi credea:
M.— 5. donali: M.— 6. truovo: M.— 8. chi a nessun più. M. — 9. già
sì nell'animo entrato: M. — 10. biltade: M. — 42. donavo: M, —
n. nuUo il: M.
)( 106 )(
Adunque, donne che seguite amore,
Pigliate essempio da me sventurata.
r non volli nessun mai per signore
Se non costui che m' ha così lasciata:
Ma, s'io vedessi mai sua ritornata,
Ben gli direi che folle è chi gli crede . so
Ballata mia, conterai il mio tormento
A ciaschedun che con pietà t' ascolta:
Dì' come il dolce mio innamoramento
M' è venuto fallato a questa volta;
Che se m'avesse per sua donna tolta,
Sempre gli avrei portala ferma fede. 26
Vers. 46. esempro: M. — 47. Ch'i' non volsi: M. — 19. io
sapessi: M. — 22. Ho corr. col JVI.: le st. legg,, A ciascun che. —
23. Ho corr. col M.: le st. legg , il mio dolce. — 25. Ho corr. col
M. : le st. legg., E s' e' — 26. .Ho corr. col M.: le st. legg., gli avrei
porla .
CXLIX.
Quante leggiadre fogge trovan quelle
Che voglion sovra l'altre esser più belle. 2
Fan di lor teste belle tante chiese
Per esser ben dagli amanti guardate,
E fan ne' vestimenti sì gran spese
Per parer più che l'altre innamorate.
Queste son quelle che son vagheggiate.
Perchè negli atti lor son tanto snelle. s
Veston villani e cappe alla francesca
Vers. 2. sopra: M. — 3. tante belle: legge li Trucchi. — 5. E
usan ne' vestimenti tante divise: M. H T. stampando corregge
vestir. — 8. tante isnelle: M. — 9. e cioppe: M.
)( 197 )(
Cinte nel mezzo all'uso mascolino,
Le punte grande alla foggia tedesca,
Polite e bianche quanto un armellino.
Queste son quelle donne d' amor fino,
C hanno lor visi più chiari che stelle. 44
Portano a lor cappucci le visere
E mantelline a la cavalleresca
E capezzali, e strette alle ventriere,
Coi petti vaghi alla guisa inghilesca.
Qualunque donna è più gaia e più fresca
Più tosto il fa per esser fra le belle. 20
Vanne, ballata, alla città del fiore
Là dove son le donne innamorate:
Di' dove ti creai e per cui amore
A vedove e a donzelle e a maritate:
Dì' che le fogge che loro han trovate
Le fan parer più che le non son belle. se
Vers. <0. a uso. hi.: al viso, certo per errore, l'antica ediz.
milanese. — iì. Pulite: M. — H. i lor: M. — i6. Le mantelline: M. —
47.wen(iere.M.— 49. Qualunchi: M.— 20. trale: M. —23. criai: M —
2t. A vedove, donzelle e maritate: M.— 25. che l'anno: M.— 26. Fanno
parer più eh' elle: M.
CL
0 lassa sventurata, a che partito
Venuta son pe '1 mio dolce marito!
Donne, per dio vi piaccia d'ascoltare
Questa eh' è sovra ogni altra sventurata,
lo con disio .'ivc.i preso ad .iniare
VV-rs. t. e i. isventurata: M. — j. Io area con disio preso: M.
)( 198 )(
Un giovinetto a cui io m'era data:
Or m' ha senza cagione abbandonata
E senza farmi motto se n' è gito. *
Ei m'impalmò e giurò per sua fede
Ch'altra donna che me non torria mai:
Or m' ha tradita e rotta la sua fede,
Ond' io contenta non sarò già mai .
E chi no '1 crede provasse che guai
Io sento e sentirò e anc' ho sentito. ^^
Or chi potrebbe contare il dolore
Ch'io n'ebbi, quando questo mi fu scritto
Da un mio caro e leal servidore
Che per mio amor ne porta il cor afflitto?
Ma possa io cosi veder sconfitto
Quel e' ha '1 mio fedel cor così tradito. ^^
Dirizza il tuo camin, ballata mia,
E trova quel eh' a torto m'ha tradita;
E di' che non ha fatto cortesia
A aver la serva sua cosi schermita;
E, se non se ne fosse. ito, in mia vita
Non avrei preso mai altro marito. ^^
Vers. 6. ero: M. — 7 e S.sanza: M. — 40. Non tore': M.— U. tradito
e rotto: M. — 'IS. non crede provassi que' guai: M. — 14. Ch' io ... .
e ò sentito: M. — 18. Che più di me ne porta: M. — 49. pass' io: le st. :
Ma così poss' io vedere isconfilto: M. Il Tr. corregge: Ma così possa
vedere. — 20. Chi à: M. — 25. Se non se ne fusse ito, alla: M. -~
26. arci: M.
)( I^M) )(
GLI.
Tradita sono da un falso amadorn
Glie m' avea per vaghezza tolto '1 core. *
E' se n'è ilo, lassa sventurata!,
E so che più di me non va penando.
Ed io rimango tutta sconsolata,
Perch' io so ben eli' io mi morrò amando.
Non me n'avvidi,, lassa!, se non quando
Un leal servo mi scrisse '1 tenore. 8
Quando prima di lui m'innamorai,
E' non ardiva di guatarmi in viso;
Ed io cortesemente il salutai.
Guardando sempre ne' suoi occhi fiso;
Ed ei parti da me col cor conquiso,
E de' miei vaghi sguardi il prese amore. n
Con quanta pace e con quanta allegrezza
Mi veniva a veder quel damigello!
E per la tanta sua piacevolezza
Ogni or' eh' io lo vedea parca più hello.
Ben mi credea portar di lui l'anello
E non aver già mai altro signore. io
Con quanti dolci suon e con che canti
Io era visitata tutto '1 giorno!
Vers. J. m' ave: M. — 3. o lassa isventurata : M. — 4. penando:
così legg. le st. Ma non è egli inopportuno? E so più di me ne va
penando: M. Ma non accorda col contesto. Forse pensando. —
5. isconsolata: M. — 6. moro: M. — 8. tinore: .M. — 9. di lui inamo-
rai: M. — <0. guardarmi; M. — U. cortesemente gli parlai: M. —
42. sua: M. — 43. E si partì: M. — H. {sguardi: M.— <8. Ogni ora
ch'io 'l: M. — -19. Ben credetti da lui portar: Sì.
)( 200 )(
zambra venivan gli amarili
Facendo festa e standomi d'intorno:
Ed io guardava nel bel viso adorno,
Che d'allegrezza mi cresceva il core. se
Ei mi teneva il giorno per la mano,
Ed io era contenta più che mai.
Or se n'é gito il traditor lontano,
Ed io rimango in angosciosi guai:
Ma, s'avvien caso che '1 rivegga mai.
Gli vo' da lui a me dir traditore. ss
Ballata mia dolce, conterai
A ciascun che t'ascolta i- miei martiri:
Dì' il modo e com' io m' innamorai
D'un che lasciata m'ha in tanti sospiri;
E dì' eh' io pongo flne a' suoi disiri,
E vo' tornar al mio primo amadore. ss
Vers. 25. guardavo: M. — 29. ito il traditor di Gano: M. —
31. se vien caso ch'io 'l: M. — 32. Da me a lui gli dii-ò traditore:
M. — 35. Vi l: M. — 36. lasciato ... martiri: M. — 37. a' sua: M.
GLII.
Al mio primo amator vo' far tornata.
Perchè l'anima sua lui m'ha donata. a
lo son tradita da ogni altro amatore,
Perchè senza cagion m' hanno lasciata :
E tu mi segui come servitore,
E tra gli amanti m' hai sempre onorata :
Ond' io vo' far tornata
Ver.s. 4. amador: M. — 2. l' anima e 'l core e' m' à: M. — 3. Io
mi truovo tradita Da ogni altro amadore: M. — 4. sanza: M. —
5. Tu m'ùi sempre seguita Come buon servidore : M.
4
)( 201 X
A te, n:enlil amante,
Perchè m'hai sempre sopra ogni altra amala, o
Non vo' più amar per non esser amala
Si com' ho fallo nel tempo passalo.
E però vo' tornare in questa fiata
A chi m' ha intieramente il cor donato.
Colui che se n'è andato
Vada ne la bon' ora:
Non darò mai più fede a sua tornata. te
Il mio servo non m'ha dimenticata
E non ha fatto come foglia al vento;
Ma col cor valoroso m' ha onorata
E portalo ha per me pena e tormento:
Onde il suo intendimento
Vo' componer col mio,
Perchè m'ha con disio sempre guardata. sj
Va, ballata amorosa, al mio servente
Il qual mi porta tanlo ver amore:
Digli che sovr'al tutto i' l'avrò a mente,
Perch' egli è bono e leal servidore :
Vo' lui por amatore .
Ed ogni altro lasciare.
Ben che dur' è aspett^ire sua tornata. 50
Vers. 8. Al mio gentile: M .— 9. Che sopra tutte l'altre mò
amata: M. — ■IO. Io non vo' più amare Per non essere amata: M. —
4i. Com' io ò: M. — 42. E però vo' tornare A quel che ma amata.
M. — 43. E interamente il suo cor m' à donato. M. — 44. che n' è:
M. — 15. Vadia: M. — 46. ma' più cura a: M. — 47. El mio servo
amoroso Non mi à ilimenticata ; M. — 49. Ma col cor valoroso Sempre
m'à onorata: M. — 20. portato per: M. — 23. sempre mai amata:
M. — 24. Vanne, ballata amorosa, Al mio leal servidore: M. —
26. Digli sopra ogni cosa Ch'io l' arò sempre a mente: M. — 27. Per-
chè m' è stato leal servitore: M. — 28. Lui voglio per amadnre: M. —
30. Bewhè il troppo aspettare Paia mala derrata: M.
)( 302 )(
GLIII
Non t' insalvatichir, poi che tu sai
Ch'io t'ho amata ed amo più che mai.
Io non so questo, amor, perchè si sia,
Che tu se' meco sì insalvatichita.
Tu mi solevi per tua cortesìa
Mostrar ispesso tua faccia gradita;
Ma, poi che '1 car signor fece partita.
In gran maninconia sempre ti stai.
Se la fortuna volge mai sua rota
Ch' io possa un dì' veder quel chiaro viso,
Bascerò cento volte quella gota
Da la qual stalo son tanto diviso,
Il dolce sguardo e l'amoroso viso
Che per l'altrui disdegno tolto m'hai.
S' amore o caritade o forza o ingegno,
Mi conducesse a quel tranquillo porto.
Tal che di pace mi donassi segno;
Di questo soavissimo conforto
Sarei contento a la pena eh' io porto,
Né più ricercariano i miei guai.
Per consolar, ballata, il mio martire.
Vanne a colei ch'ai mondo mi lien vivo,
E fa' che tu le sappia sì ben dire
Ch' al tuo tornar tu m' arrechi l' ulivo :
E poi sempre vivrà il mio cor giulivo,
Amando lei più che mia vita assai.
14
20
26
Vers. 47. donasti: Ediz. milan.
)( 203 )(
CLIV.
Donna leggiadra, per l'altrui fallire -
Mai non abbia a disdegno il ben servire. 2
Chi serve puramente al suo signore
Deve esser doppiamente meritato;
E così quel che tradisce l'amore
Deve esser come merta ben pagato:
Ma chi diventa per grandezza ingrato
Non vuol Amor che rimanga a punire. s
Già sai tu, donna, eh' io non t' ho fallito
Né ruppi mai la fé' eh' io t' ho portata :
Se '1 tuo caro signore s' é partito,
Contento non fui mai de la sua andata:
Adunque, donna, non mi star turbata,
E non aver a sdegno il mio servire. 14
Quanto sta male a donna esser ingrata
Verso l'amante e diventare altiera!
Perché ti'a l'altre la donna è biasmata
Che viene in fama di selvaggia e fiera.
Piacciati adunque, donna, esser maniera,
Se vuoi per fama al terzo ciel salire. w
Vanne, ballata, a le donne amorose
Che fanno il cor de gli amanti gioire;
E lor bellezze non tengon nascose
Facendo i servi lor d'amor sentire:
Queste son quelle che son da gradire.
Perchè a' lor servi vogliono ubbidire. 26
)( 2()/i. )(
CLV
Oi me lassa dolente e sventurata,
Che son per ben amar sula ingannata!
E' non mi debbe mai del cor uscire
L'amore e' ho portato fedelmente,
E '1 disio ch'aveva al ben servire
Ed esser tanta umile e riverente,
Quant' io son stata, a quel donzel piacente
Che m' ha senza cagion abbandonata.
E quel che più di ciò mi maraviglio,
Come fortuna 1' ha potuto fare,
0 qual forza o destino o qual consiglio
L'abbia potuto mai da me stranare:
Ond' io mi vo' per certo monacare
Né d'alcuno esser mai più innamorata.
Donne, per dio, non vi fidate mai
In nessun damigel che non sia saggio,
Che fui tradita da chi mi fidai;
Ben che da lui non venisse 1' oltraggio :
Ma pur è contro a me fatto selvaggio,
E non so se mi s'ha dimenticata.
Dirizza il tuo camin, dolce ballata,
E fa' che trovi il mio caro signore,
E a lui per me farai questa imbasciata;
Ch'io gli aveva donata l'alma e '1 core.
Or è fallito l'intrinseco amore
Del quale i' vivrò sempre sconsolata.
7 4
20
26
)( -io.") )(
GLVI
Amor, lu m'hai contento quel disio
Clio già gran tempo ha bramalo '1 cor mio. g
lo ti ringrazio della cortesia
Che fatta m'hai con tanta diligenza:
E sempre fu disposla 1' alma mia
D'esser mai sempre alla tua ubidienza
Perchè la tua magnanima potenza
M'ha fatto grazia senza nessun rio. g
Io benedico gli affanni e' sospiri
E le lagrime tante eh' io ho sparte
E gli afllilti pensieri e' gran martiri
Che ho con versi piene tante carte;
E benedico quell'amorosa arte
Che fé' contento il dolce mio disio. u
Mille migliai di grazie con mercede
Ti rendo, signor mio, del ricco dono
Che fatto m'hai con tanta pura fede,
Di eh' io sarò come fui tuo e sono ;
E, s'io fallisco, dimando perdono,
Com'a signore che sempre ha il cor mio. so
Ballata mia, cantarai fra gli amanti
La grazia che m' ha fatta il mio signore,
A' ciò che si confortin tutti quanti
E francamente ciascun segua Amore,
Com' ho fati' io, che n'ho colto quel fiore
Che farà sempre giocondo il cor mio. se
Vers. 9.--e sospiri: le altre st. — <<. e gran: le altre st.
LIBRO Vili.
BALLATE E MADRIGALI DI FRANCO SACCHETTI
Delle poesie del Sacchetti contenule in questo libro la cxciv,
ccxiv, ccxvi!!, ccxv furono la prima volta messe a luce dal Trissino
nella Quarta divisione della Poetica; riprodotta poi la ccxv dal Min-
turno nella Poetica, dal Crescimbeni nei Coment, ist. volg. poes.
[ V. I, 1. II, e. xiii) e dal Baldelli fra le Rtme di G. Boccaccio per un
errore a cui riparò nelle note. Mario Equicola riprodusse anch' egli
la cxciv e la ccxiv e proiiusse primo le clxiv, clxix, clxxxv, ccxv,
ccxxxi nelle Institutioni al comporre in ogni sorte di rima della lingua
volgare [Milano, mdxli, in 4.°]. La clxxii, della quale come della
CLxxxvi lo stesso Equicola cita alcuni versi nel 1. v della Natura
d'amore [Venezia, Bindoni, mdxxxi] fu data per intiero di sur un cod.
chigiano dal Serassi nelle Annotazioni alle Stanze pastorali del Casti-
glione [Lettere di B.Castiglione, \ol. ii, Padova, Comino, mdcclxxi].
E da un cod., sul quale torneremo più sotto, il Poggiali ridiè a
stampa la ccxxv e pubblicò primo la clix e clx, la clxxx e clxxxi,
la cxcii, la ccii e ceni, la ccviii, la ccx e ccxi, la ccxxiii nella Serie
dei testi di lingua [Livorno, Masi, 1813] t. i. Queste e le già edite
dal Trissino e dal Serassi furono anche ammesse nel voi. iv della
Race, di rime ant. tose. [Palermo, Assenzio, <817]. Nel 1819 il Per-
ticar! ripubblicava la cxciv già edita dal Trissino e pubblicava la
cxcvii nel Giorn. Arcad. [quad. x. iSi9] di sur un cod. vatic. che fu
dell'Orsino: e 'I Trucchi stampava in Poes. ital. ined. [t. ii. Prato,
1846] la'CLxxxvui fra altre rime di Pierozzo Strozzi dietro 1' autorità
del cod. red. 451 che male 1' attribuisce allo Strozzi. Alcune delle
accennate fin qui vennero anche ristampate senza novità di sorta
nella Scelta di poes. lir. ital. [Firenze, Le Monnier, 1839, in 4."] e
)( 'i07 X
in Lirici del sec. primo, secondo e terso [Venezia, Antonelli, 1846,
in 4.*]. Nel 4846 F. Zamhrtni in occasione di nozze ripubblicava la
CLX, cxcii, OCX, ccxi, e pubblicava le olii, clxviii, clxxvii, CLXxxvr,
CLxxxvni, CLXxxix, cxci, ccvi, coir inlilolaz. : Ballate di F. Sacchetti
ed. e ined. [Faenza, Conti, in 4."]; e nello stesso anno e per consi-
mile occasione dava alla luce ancora le ccxvii, ccxxvi, ccxxix, ccxxxiii,
ccxxxv-xxxvm, con la intìtolaz. Madrigali inediti di F. Sacclutti
[Faenza, Marabini, in 8.°]. Tre anni dopo, nel 4849, lo slesso istanca-
bile filologo dava a stampa pure per nozze le Ballate edile e inedite di
F. Sacchetti [Imola, Galeati, in 8.". a 100 esempi. ], e nei 48cO per gli
stessi tipi e nello stesso formato e adeguai numero di copie i Madri-
gali; raccogliendo con ciò da stampe e mss. quasi tutto quel che si
contiene nel presente libro, se ne togli la ccxii, ch'ei lasciò indietro
per la sua singolare oscurità; e le clvii, clviii, clxiii, clxt, clxxxiii,
CLixxiv, ccvii, ccix, che omise o perchè insieme col Bottari non le
ritenne del genere delle ballate o perchè il cod. da lui seguito non
ne dava intiera o chiara la lezione. E il cod. prescelto dal Zamlirini
per tutte le sue pubblicazioni di rime del Sacchetti fu il magliab. 852,
ci. VII, p. IV, tenuto a confronto con un palat. di Firenze già del Poggiali
e dal Poggiali adoperato per quel che del Sacchetti die fuori; copie
sì il magliab. che il palat. dell'antico autogr. del Sacchetti, fatta la
prima dal Biscioni, la seconda dal Rosso Martini. E una terza copia
di quell'antico autogr. fatta dal Moùcke serbasi nella Bibliot. pubbl.
di Lucca fra i mss. di quel libraio erudito già acquistati dal Lucche-
sini: su la qual copia venne condotta la raccolta intiera e compiuta
che si stampò in Lucca nel 1853 pei Franchi e Maionchi in 8." con
la intitolaz. Delle Rime di F. S. le ballate e consoni a ballo i madri-
gali e le cacce: se non che gli edd. lucch. avvertivano che per due
ballate [clxxxiii-iv di questo libro], non leggibili nel cod. originale
e nelle sue copie, atteso l'essere in quello danneggiata la pagina
dove erano scritte, si erano attenuti a un ms. di varii rimatori
antichi, 37 pi. 90 sup. laurenz.; e che 1' ultimo madrig. ['ccxl] ave-
vano copiato pur dall' ediz. Zambrini, poiché nel nostro cod. (scrivono
essi) e ncll originale non si leggeva. Che il madrigale manchi nella
copia lucchese e che in questa siano illeggibili le due ballate, non
negasi.- ma non si vorrebbe affermar ciò dell' originale, poiché il
cod. palat. , che ne è copia fedelissima, porge a leggere assai como-
damente e le une e l'altro. Dall' ediz. luch. furono ripubblicate con
qualche emendazione alcune canzoni a ballo e madrigali nelle Rime
di Gino e d'altri del sec. XIV. Firenze, Barl)èra, 1862, in 16.» Noi per
la lezione ritorniamo in tutto al cod. palat. [lo designamo nelle note
per Pal.^: e |)erò non sarà inutile il diro rlio questo, ora ccv nel catal.
)( 208 )(
dei mss. palat. ordinalo dal Palermo [i, 373], e già del Poggiali che lo
descrive nella sua Serie [ I. e], è copia accuratissima tutta di mano
del Rosso Antonio Martini, il Ripurgato nell'Accademia della Crusca,
fatta nel 1723 del cod. autogr.: Opere diverse di Franco, celebrato dai
compilatori del Vocab., e che fu già del Rimenato e poi di casa Giraldi,
descritto largamente dal Bottari nella prefaz. alle Novelle, ma già
ridotto a male quando lo copiava il Martini ed oggi andato a finir
con alcuno in terre straniere. Peccato da vero: ma, messa da una
parte l'antichità, quanto è della lezione, il cod. autogr. ci è quasi
scusato dalla copia del Martini, condotta con tanto scrupolo che né
pur si attentò di emendare alcuni erroruzzi di lettera, contentandosi
a notarli nel margine. Inutile dunque ricorrere ad altri mss.: pure
per curiosità volemmo tenere a confronto, per quel che vi si com-
prende del Sacchetti, il cod. ricc. i-US [R. nelle nostre note]; bella
copia di rime antiche fatta nel sec. xvi, il magliab. vn, Var. 1041
[M. nelle note] raccolta pur di rime antiche fatta con grande accu-
ratezza da un cinquecentista, l'altro magliab. misceli, più volle
cit., vn Var. 1040 [M. 2 nelle note], e in fine il 7767, pure altra volta
citato, della Bibl. imper. di Parigi [Par. nelle note]. Null'altro ci
resta se non che notare cogli Edd. lucch., che il Bandini nel Catal.
dei codd. laur. [v, 442], registrando i primi versi di assai ballate del
Sacchetti che in uno di quei mss. si leggono, ne cita una che prin-
cipia Voi siete qui brigata tutti quanti: ma non una ballata, è un
sonetto in bisticcio di quelli che più tardi si dissero alla burchiel-
lesca .
CLVII.
Cosi m' aiuti Dio
Gom'io — cantar non so. 2
Già mai — i' non cantai ,
E non sapre' cantare;
E son poco uso ancora di ballare:
V. 1-4. Di questi 4 versi gli Edd. lucch. ne fan due, e legg.: Così
m'aiuti Dio, com'io cantar non so. Giammai i' non cantai, e non sapre'
cantare. Vero è che il Pai. li porta scritti così : ma, se s' avesse a
tenersi fede a'codici nella divisione de' versi, la poesia italiana avreb-
be anche il verso di 221 sillabe.
)( 209 )(
. . Sì che per cerio io non canterò. — 6
— Oh sta hcn duro e sic ben provano,
Falli ben dire assai come villano,
Che cantar suogli; et io udito l'ho. — 9
— Non seppi mai alcuna canzonetta,
Et ho la boce che par di capretta;
Si che per questo tanto dir mi fo. — 12
— Or canta ornai, s' tu vuogli, col mal anno!
Non canterai, se a Dio piace, uguanno?
Che duol ti vegna, 0 canti tu 0 no! — is
— Or ecco i' canto, poi che vo' volete:
Venir vi possa fame grande e sete.
Che d'ogni vostro danno lieto so'. is
Risponda ognuna che sente d'amore;
A tutte l'altre vegna gran dolore:
Ciascuna dica sì com' io dirò. 24
Se in questo ballo fosse ninna vecchia.
Tosto se n'esca fuor come vertecchia
E 'n altro spenda ornai il tempo so'. 24
Se e' ci fosse alcun tristo geloso,
Vadasen fuor; sì come doloroso
Che mai non mangia che li facci prò'. 27
Se ninno avaro è in questo ballo.
Le sue scarpette rompe senza fallo:
A seder vada, per consiglio do. 50
Se e' ci fosse monna Scoccalfuso,
Vo' la conoscerete pur al muso.
Ch'ella disgrigna come il diavolo. .55
Vers. 44. Gli edd. lue. pongono sol punto e virgola alla fine di
questo V. Il lettore giudichi se l'interrogativo per avventura prov-
veda meglio alla sentenza — 45. venga: E. lue. — 20. venga: E.
Juc. — 27. mangi: E. lue. — 28. è 'n: E. lue. con danno del verso.
U
)( 210 )(
Se e' ci fosse monna Pocofìla,
Dir se ne possa oggi la vigila,
Che mai un fuso d'accia non filò. 55
Se e' ci fosse monna Zuccalvento,
A vederla ballar è grande stento,
Che par gli vegna puzzo del mondò. 39
Se e' ci fosse monna Tristalfuoco,
Tosto si parta dello nostro giuoco;
Che questo ballo guasterebbe mo'. ^^
Tutta la gente che i' ho contata
Fuor, fuor se n'escan di nostra brigata;
E gli altri ballin forte chi più pò. ^^
Ballate forte, e alto le man su .
Se e' é il gallo, canti cu cu ricù;
E se e' è r oca, dica pur co co. 48
Se la cornacchia e' è, gridi era era ;
Se c'è la quaglia, canti qua qua riquà;
Se e' il corbo, allor faccia ero ero. 5/
Se c'è il porcello, ancor faccia truin;
Se e' è il piccion, canti quin quiriquin;
E se ci fosse, ragghi l'asino. S4
Se c'è la pecorella, dica be;
A cui dolesse il capo, gridi — 0 me —,
E — Die ti mandi — ognun risponda a lo. S7
La capinera canti ci ci rici;
E '1 grillo salti e dica spesso cri;
E mugghi forte, se ci fosse, il bo. 60
Canti il suo verso ogn' altro che ci fosse;
Vers. 39. venga: E. lue— 4i. dallo: E. lue — 80. qua glia riquà:
E. lue. In ogni modo il v. cresce d'una sillaba ; né saprei che farci. —
S6. corpo: E. lue. -- 58. Così anche il Pai. ma il v. cresce d' una
sillaba.
)( 211 )(
E forte tossa chi avesse tosse;
Che coccoUna fosse ella ampo'. 6S
V credo voi avete assai hallalo:
Et i' ò la mia canzon cantalo; ^
Quei che la fece più non m'insegnò. 68
Vers. 62. la tosse: E. lue. — 63. un po': E. lue. — 65. Et io la:
E. lue. Vero è ehe cosi legge pure il Pai.; ma, se non distinguessimo
le dizioni più d'una volta ne' mss. riunite, addio senso e versi
Dc' testi antichi.
CLVIII.
CANZONETTA BALLATELLA
Benedetta sia la state
Che ci fa sì solazare!
Maladetto sia lo verno
Che a città ci fa tornare! 4
No' Siam una compagna,
r dico di cacciapensieri ;
Per foresta e per campagna
Sempre andiamo volentieri .
Re, baron, donne e scudieri.
Tutti al suon d'una campana,
Su Marignolla sovrana
Corrìamci a ragunare. ^^
E' ci é il re di Mattre Strade
E *l sir di Montefiasconi
E '1 conte delle contrade
Canzonetta ballatetta: E. lue. — Vers, 2. sollazzare: E. lue—
3. Maledetto: E. lue— 5. siamo: E. lue— 9. donne, scudieri: E. lue—
4i. Marignolle: E. lue — 43. è re di Mattestrade: E. lue
)( '^i2 )(
De' Cummini e Tartaglioni
E '1 marchese de' Valloni
E '1 cont' Ugo della Valle
E quel dello Scuro calle
Che fa sua magion conciare. ^(^
Ecci il sir di Castelletto
E quel di Rocca afforzata
E '1 marchese del Boschetto
£' conti di Piazza erbata .
Maliscalco di brigata
È lo doge di Peschiera,
Che per ciascuna rivera
La sua boce fa sonare, -^*
Altri assai d'attorno attorno
Vegnon alla nostra insegna,
Come il sir di Valdintorno
E quel della Ripa degna
E lo re di Pian di Legna
E lo sir di Colombino
E quel di Poggio petrino
Col Morocco d'oltremare. 36
Sempre danze e rigoletti!
Con diletto e gioi' ciascuno!
Vecchi come giovenetti.
Non é differente alcuno:
Siam cento e siam uno
Vers. -16. Di: E. lue. — 21. Ecco: E. lue. — 25-6. Maliscalco di
brigata, E lo doge di Peschiera E. lue. Veggasi se meglio giovi al
senso la interpunzione da me adottata. — 30. alla nuova: E. lue. —
33. Segna: E. lue. — 38. gioia: E. lue. e eosì legg. i Mss. Noi abbia-
mo preso per sistema di elidere sifTatti dittonghi quando ve n' è
bisogno : con qual conforto del verso ognun e' ha orecchio se 'I
senta. — 39. giovinetti: E. lue. — 41. Siamo: E. lue.
)( 213 )(
In un animo e volere.
Ciascun grida per godere,
E muoia chi non vuol cantare! 44
D'amor suoni e vaghi canti
Et in ballo e fuor di ballo;
Donne e pulzelletle avanti
Cantan dolce sanza fallo;
E non fanno intervallo.
Che, come Tuna ha cantato,
L' altra ha tosto incominciato.
Sol per gioco e festa dare. m
11 senno e la contenenza
Lasciam dentro all'alte mura
Della città di Fiorenza,
Si che non ci sia paura
Che compagna 0 gente fura
Ce 'I possa rubare 0 tórre.
Cosi nostra vita corre
E me' eh' io non vi so contare. eo
Dunque, se la state manca
E vien su la fredda brina.
La brigata divien franca.
Ognun si parte a testa china.
Già la neve s'avvicina
E 'I bel verde e' fiori asconde.
Il vento caccia le fronde;
E ciascun se n' vuole andare. is
Ballata, truova coloro
Per li qua' creata fosti;
E di' lor sanza dimoro
Vers. 43. gridi: E. lue. — 47. donzeìleUe. E. lue.
)( 214 )(
,, Che dal verno ognun s'arrosti,
E col buon piacer s'accosti
Fin che torni il vago tempo;
E allor ciascun per tempo
Si cominci a rassegnare. 76
Vers. 75. Allor: E. lue.
CLIX.
CANZONETTA
0 vaghe montanine pasturelle,
D'onde venite si leggiadre e belle? 2
Qual è '1 paese dove nate sete,
Che sì bel frutto più che gli altri adduce?
Creature d'amor vo'mi parete.
Tanto la vostra vista adorna luce!
Né oro né argento in voi riluce,
E mal vestite parete angiolelle. 8
— Noi stiamo in alpe presso ad un boschetto;
Povera capannetta é '1 nostro sito;
Col padre e con la madre in picciol letto
Torniam la sera dal prato fiorito,
Dove natura ci ha sempre nodrito;
Guardando il di le nostre pecorelle. — •/4
— Assai si de' doler vostra bellezza,
Quando tra monti e valli la mostrate;
Che non è terra di si grande altezza
Dove non foste degne et onorate.
Canzonetta a ballo pastorale. E. lue. — 1. pastorelle: Par.,
Pogg. Zamb.— 2. Onde: Par,— 41. tetto: Z. Pog. fa punto in fine, del
verso. — <2. Torniàn: Par. — IS. nutrito: Par. — 18. ed: Z.
)( ^215 )(
Deh, ditemi se voi vi contentate
Di star ne' boschi così poverelle? — 20
— Più si contonta ciascuna di noi
Andar drieto alle mandre alla pastura,
Clic non farebbe qual fosse di voi
D' andar a feste dentro a vostre mura.
Ricchezza non cerchiam né più ventura
Che balli canti e fiori e ghirlandelle. — **
Ballala, s' i' fosse come già fui.
Diventerei pastore e montanino;
E, prima ch'io il dicesse altrui,
Serei al loco di costor vicino;
Et or direi Biondella et or Martino,
Seguendo sempre dov' andasson elle. 52
Vers. 20. nel bosco: Par. — 22. dietro: Pogg. Z. E. lue. — 2i.
àfntro vostre: E. lue. — 26. e canti: Par. — 5}9. che io 'l: Pogg. Z. io
lo: Par. — 30. Sarei: Par. Z. E. lue. — 31 Ed ... . ed: Z.
Questa ballata dal sec. passato in poi venne attribuita al Polizia-,
no: chi attende alla presente raccolta cosi ne scriveva nelle note alle
l^oesie volgari del Poliziano, ediz. tìor. del Barbèra, t8fi3 «... non tro-
vasi in alcuno dei mss. da me conosciuti che han rime del Poliziano
e ne pure nella raccolta di Ballate del sec. xv; si bene trovasi nelle
due raccolte di canzoni a ballo del Sermartelli <5tì2e 68) e nell' altra
del Simbeni (t614) non però col nome del Poliziano; che anzi l'ediz.
Simbeni l' attribuisce al Magnifico; e va nello slampe del Sermartelli
fra quelle che non han nome d'autore. Trovasi però ne'codd. che han
rime di Franco Sacchetti e col nome di lui; e a Franco Sacchetti è data
in parecchie raccolte di Rime antiche: nei codd. e nelle stampe che
l'attribuiscono al Sacchetti ha molte varietà di lezione e una stanza
di più. Con tutto ciò fìn dal secolo passato fu in alcune raccolte (per
es. nei Lirici antichi, t. vi del Parnaso italiano raccolto dal Hubbi )
attribuita al Poliziano; e gli è attribuita da tutte le moderne edd. delle
poesie di lui, incominciando dalla milanese dei Classici italiani (1808'
Potrebbe credersi che il Poliziano l'avesse rafTazonala per usodi qual-
che mascherata o festa del tempo suo, e che da ciò procedesse la voce
che al Poliziano raltnbui.^ce. Potrebbe creder*:* ■'•■■' '■'' nol!n lezjd-
)( 216 )(
ne, con la quale vien data a Messer Angiolo, non fosse più irregolare
e scorretta che non in quella che ha il nome dell'antico novelliere e
poeta ». Dèi quale, aggiungo oggi, è senza dubbio; chi non volesse,
che è impossibile, negare l'autorità del cod. palatino, esemplato fedel-
mente sull'autogr. del Sacchetti. « Forse ( riprendo quel che dicevo
nel 63) questa ballata di Franco rimase lungamente nelle bocche del
popolo; e di qui certe mancanze e scorrezioni che ravvisiamo nella
seconda lezione. Fu quindi ammessa, con altri canti che sono eviden-
temente popolari e della popolarità hanno anche i guasti, nelle rac-
colte del Sermartelli: dove il trovarla così graziosa e candida, a
comparazione d'altre un po' rozzette e artificiate, fece, a chi le rime
del Sacchetti non conosceva, attribuirla al più grazioso e candido
poeta del sec. xv ». Ecco la lezione con la quale trovasi nelle raccolte
del Sermartelli e del Simbeni e nelle edizioni del Poliziano, sebbene
non d' un modo affatto in tutte:
Vaghe le montanine e pastorelle,
D' onde venite sì leggiadre e belle? 2
— Vegnam dall'alpe presso ad un boschetto:
Picciola'capannella è '1 nostro sito.
Col padre e colla madre in picciol letto,
Dove natura ci ha sempre nutrito :
Torniam la sera dal prato fiorito,
Ch' abbiam pasciuto nostre pecorelle. — 8
— Qual è il paese dove nate siete?
Che si bel frutto sopra ogni altro luce.
Creature d' amor voi mi parete,
Tant' è la vostra fama che riluce:
Né oro né argento in voi non luce;
E mal vestite, e parete angiolelle. 1A
Non si posson doler vostre bellezze,
Poi che fra valle e monti le mostrate;
Che non è terra di sì grandi altezze
Che voi non fussi degne et onorate:
Ora mi dite se vi contentate
Di star neir alpe così poverelle. — 20
Vers. 1. 0 vaghe moni. Sinib. 1614. — 3. n un: Simb. — 5. tetto: Edd.
fior. 1814 e Silvestri 182 5. ~ 8. pasciute: Edd. milan. 1808. — 10. sovra ogni
altro adduce: E. f. 14. Silv. sopra ogni altra luce: Canz. a b. 1562 e 08 e Simb. —
15. possan vestir: Simb. — 16. fra valli: st. mod. — 17. terre di sì grande:
r,anz. a b. 1562 e 08: terra di sì grande: Sirab. — 18. foste: Pailibi. E. niil. 1808,
E, fior. 1814: e onorate: Simb: ed onorate: m. mud.
)( 217 )(
-- Più si contenta ciascuna di noi
Gire alla mandria drieto alla pastura,
Più che non fate ciascuna di voi
Gire a danzare dentro vostre mura:
Ricchezza non cerchiani né più ventura
Se non be' fiori, e facciam grillandelle. 96
Vers. 22. dii-.ln): K. lìor. l«l l. Silv^lil.
Noti.mio III Ime die (iella presente ballata si legge una parodia
spirituale nel libro delle Laudi di diversi [eJiz. dei Bonardo]: co-
mincia a 0 vaghe di Gesù, o verginelle. Dove n'andate si ieggiadr' e
belle: ».
CLX.
Franctis sonum dedit.
Innamorato pruno
Già mai non vidi, come l'allr'ier uno. s
Su la verde erba e sotto spine e fronde
Giovinetta sedea
Lucente più che stella. *
Quando pigliava il prun le chiome bionde,
Ella da sé il pignea
Con bianca mano e bella;
Spesso tornando a quella
Ardito piìi che mai fosse altro pruno. io
Amorosa battaglia mai non vidi,
Qual vidi essendo sciolte
Le treccie e punto il viso.
Oh! quanti in me allor nascosi stridi
Il cor mosse più volle,
2. altrieri: M. Par. — 3. Sulla bella erba: M. erba sotto': R. e
Par. — 4. Giovenetta: R. — 7. pingea: M. R. — !). ad ella: R. — iO.
fusse: M. R. e Par.
)( 218 )(
Mostrando di fuor riso,
Dicendo nel mio avviso:
Volesse Dio ch'io diventassi pruno! 48
Vers. -18. volessi Iddio: M. R. e Z. diventasse: Par.
CLXI. ^
Già mai non fu nò fìa
Che dove regna Amor virtù non sia. s
Non vuol Amor se non il cor gentile,
E quello è cor gentil che perfetto ama
Fug'gendo ogn'ora dalla cosa vile
Per seguir quel valor che sempre brama :
Chi amante si chiama
Per questo veder può se d'Amor sia. 8
Chi ama teme di non dispiacere
Per nissun modo alla sua donna amata,
Usa vergogna se la va a vedere;
E mai da lui non è infamata,
Ma sempre è onorata;
Per che cotale amor vertù gli fìa. 44
Non è innamorato per mostrarsi
Alcuno in atti 0 per spander sospiri
0 con sue veste di novo adornarsi.
Parendo disonesto a chi le miri;
Che per li suo' disiri
L' effetto mostra spesso chi l' uom sia. so
Y non potre' ma' dir, mia canzonetta,
Vers. 8. che d': E. lue. — H. onor virtù: M. Par. e Z. — 48.rfj-
soneste: M. Par. eZ. — -19. Che li suo' desiri: E. lue— 20. L affetto:
E. lue.
)( 219 )(
Quanli son que' che ardono in parole
E morii chi di lancia o di sactla;
E tal non sente amor che più si duole:
Però trova chi vuole
Seguir virtù, che sempre amor vi lìa. te
Vers. 28. ch'ardono: E. lue. — 23. e di: Par. — *6. sia: E. lue.
CLXll.
CANZONCINA 0 BALLATA DI FR.\NCO FATTA PER ALTRI.
0 giovinetta, poi che se' sposata.
Non mi dimenticar s' io t' ho amala. 2
E cosi fermo son sempre d'amarti.
Che caso sia, avvegna ciò che vole,
Perchè fanciulla vedrò donna farti
E sentirai più l'amoroso sole
Considerando gli alti e le parole
Che movon dalla mente innamorata. 8
Al mio amare et al tuo tempo puro
In dietro raguardando, vederai
Quel che per purità ti era oscuro,
E '1 mio fedele amor conoscerai.
Sperando che contento mi farai
Della tua vista tanto disiala. n
A tal sposa novella, ballalina.
Ne va; e quando in testa avrà ghirlanda
D' ulivo e di argento la mattina,
Umilmente l'addestra d'ogni banda,
Vers. 2. Non ti: E. lue. —8. moven E. lue.— 9. amore ed: Z.—
40. riguardando: Par. oZ — 41 i-utitate: Z. t'era: Pai Par Z
)( 220 )(
Dicendo — Il servo a te si raccomanda,
Che per tua cameriera m' ha mandata. 20
Vers. 20. camariera: Par.
GLXIII.
CANZONETTA A BALLO AMOROSA.
XXIII. Intonata per Francum Sacchetti.
Mai non serò contento immaginando
Il tempo e loco e dov' io fui e quando. s
Amata lungo tempo giovinetta,
Et ella me dimostrando d'amare,
In un boschetto riscontrai soletta
Presa da' pruni; e non potea passare
Innanzi né a drieto ancor tornare.
Si d'ogni parte la venien pigliando. 8
Come la vide me, cosi partila
Fu dalle spine, e con lamento pio
Diceva — Oi me lassa! son smarrita
Fra queste fronde, ch'altro non vegg'io. —
Allor pietoso contro al voler mio
Le dimostrai sua via rinsegnando. /4
Così quel giorno foss'io anzi morto
Ch'esser com'era d'uno accompagnato,
Però che sol per questo mi fu corto
Il mio pensier che tanto avea bramato:
Si ^he per esser tre venne fallato
Il dolce don ch'io disiava amando. 20
Vers. i. imaginando: Par.— 2. e 'l loco dov': Par. — 7. né dietro:
E. lue. — 9. Come ella: Par. — <2. Tra: Par.
)( -221 )(
Io dico spesso: Ornai voglio andar solo:
Ma, quando penso che tal caso mai
Non credo ritrovar, cresce il mio duolo;
E alcun' ora andando ov'io lasciai,
Veggcndo solo ove sola trovai,
Mai non serò contento immaginando. h
Wi^. 2>. Et: Par.— 26. imaginando: Par.
GLXIV.
CANZONETTA A BALLO.
Ma' non senti' tal doglia
Quant' è con fede amare
Donna, che abbandonare
Po' mi convien e gir contro a mie' voglia. 4
Amor, tu mi facesti
Venir in un paese da me strano,
E in quello mi prendesti
Per farmi poi da' begli occhi lontano.
11 mare e '1 monte e '1 piano
Non so com' io trapassi,
Ch' e' mie' dogliosi «passi
Non mi mettan ogni or a mortai doglia. n
Come potrà soffrire
11 cor penoso che la luce mia
Si convegna partire
Vers. 4. Mai: R. Par. Eq. Z. — 4. mia; E. lue. contramia: R.P.
Eq. Z. — 7. E' n: P. Eq. Z. — 9. il monte: R. Eq. Z. E. lue. il
piano: R. — 40. come trapassi: R. — H. Che mei: R. Che miei: Pai.
Che' miei: Eq. Z.— 43. convenga: Eq. Z. Si convien: R.
• )( m )(
Da quella che veder sempre desia?
Lasso, eh' al tutto fìa
Distrutta mia valenza,
Quando la sua presenza
Mi vedrò allungar con grave doglia. so
Una speranza alquanto
La mente trista immaginando porta.
Che tal, or nel mio pianto
Giugne il pensiero e dice — Or ti conforta.
Che la dimora corta
Sera, se tu vorrai,
E ritornar potrai. —
Ma questo ogni or m'accende maggior doglia. 28
Ballatetta, con pena
Mi movo, e vonne sì come colui
Ch'alia morte si mena
Sanza sperar d'aver aiuto altrui.
Però tu sola, in cui
Ogni mio stato posa.
Rimanti dolorosa
Contando a questa donna la mia doglia. se
Vers. 47. sia: R. — 20. vederò: R, — 22. emaginando: R. imagi-
nando: Par. — 24. Giunge il pensier che dice: Eq. Z. — 26. Sarà: Eq.
Z. E. lue. — 27. ritrovar: Eq. — 28. m'accresce: R. P. Eq. Z. —
30. vommen: Eq. Z. — 32. Senza: R. Eq. Z. E. lue. sperar aver
l'aiuto- R. — 36. Cantando: P. Eq. Z. E. lue.
)( 223 )(
CLXV.
CANZONETTA A BALLO.
XXIII. Intonata. Francisciis de Organis sonum dedit.
Né te né altra voglio amar giA mai,
Falsa, po' che cosi tradito m' hai ! i
Pensando, lasso!, al tempo eh' i' ho perduto
Amando te, or grave doglia sento;
Che, se amante amar fu mai veduto,
Con fede amava te per ognun cento;
Tanto che '1 tuo amor di vertù spento
Mi promettesti, e poi tradito m' hai. s
Della promessa tua fu' lieto tanto,
Che gioia non sentì' ma' quanto allora;
Tornato m' era in riso ogni mio pianto;
Ma in me fece picciola dimora.
Credeami esser dentro, or son di fora;
Ad altrui data se', tradito m'hai! 44
Al)bandonato sanza mia cagione
Da te mi trovo; et or amante tale
Hai tolto che ne renderà ragione;
E già ti trade, ov' io t' era leale.
Così costui conforterà '1 mio male.
Tradendo te come tradito m' hai. so
Nel M 2. è intitolata Ballata dolorosa piena di martiri. — v. 3.
e' ho: Par. — 5. mai fu: Par. — 7. virtù: Par. — 8. e po': M 2. — 9-U,
Mancano nel Par. — <3. Credeva .... e son: MS. — 20. Dopo questo
verso nel M. M 2. e Par. v' è dì più la seg. stanza:
Se femina si volge come foglia
)( 224 )(
Vatlene ad Amor, mia ballatella,
Digli eh' alquanto aggia di me merzede,
Punendo si questa malvagia e fella
Ch'assempro sia a qual donna la vede;
Che m' ha tradito sanza alcuna fede
Come nessun fosse tradito mai. 26
E piglia il peggio, in te posso vedere.
Rea, diversa, nata per mia doglia,
Già mai in me tu non arai potere .
E s'io t'amai, or brama il mio volere
Di quel vendetta che tradito m'hai.
Nella quale st. il M. ha queste var.: 0 piglia al v. 2 ; vèr me:. . . .
arai (anche il M. 2.) . .. podere:, al v. 4. — 22. mercede: M. Par. E.
lue. — 23. questd maligna: M. — 21-. exemplo: Par. — 26. fussi: M.
CLXYI.
OttoUnus de Brixia sonuni dedit.
Se crudeltà d'amor sommette fé',
Qual è che ami che trovi merzé? jg
Chi sta suggetto e suo ben per mal dà
(Merito che per sua sente vertù)
E chi contro a durezza umile va,
Servo si trova a nimistanza più.
Dunque perchè voler languir qui su?
Spengansi i cori e qual più in donna v'è. 8
Vers. 2. eh' ami: E. lue. mercè: M. — 4. virtù: M. — 5. cantra
durezza: R. e Par. — 7. i)ongMe.- R.
)( 225 K
GLXVII.
(Jual diavoi, vecchie, subilo vi tocca
Oliando vo' mormorate?
Perché non contentar gli occhi lasciale? j
Vo' ci togliete quel tanto eh' abbiamo
Agli occhi nostri in oscurarci i volli,
E non pensale che sempre cerchiamo
Star nel veder con umiltà raccolti.
Lasciate dunque il corso agli occhi sciolti,
Tanto che appariate
Quel dir. amor, che non par che '4 sappiale, io
Vers. 9. eh' appariate: E. I.
CLXVIII.
Prima Intonata. Magìster LauretUius de
Florentia sonum dedit.
Donna, servo mi sento;
Assa' fia grave in me mortai tormento. s
Fammi sentire il vostro amore omei
Pel dolce sguardo che nel cor discende;
Fortuna pianger fa i sensi miei
Pel crudel piglio che la mente offende.
A qual merzè piìi rende
La chiama, lagrimando, il mio lamento. 8
2. sia: E. I. — 7. tMrcè: Z. — 8. La chiamo: E. I.
45
)( 226 K
CLXIX.
Non penso consolar la trista luce,
Poi che la verde fronda
Per sua vaghezza in scurità l'affonda. 5
Si come suol per sua dolce stagione
La primavera confortar gli amanti,
Cosi, contrara in me sanza ragione.
Mi to' '1 disio del cor dagli occhi avanti;
Ond' io non spero oma' ched e' sian tanti
Pensier che '1 core asconda.
Quanto i dolor che 'ntorno a lui fann' onda, fa
Vers. 6. contraria-. Par., R., Eq., Z., E. lue. senza: R., Eq., Z. —
7. tuo' il: R. — 8. Onde non: R. spero mai: R., Par., Eq. , Z. che desir
(0 disiroj, Eq., Z., E. lue. — 9. Pensier del core: Eq., Z., E. lue. —
40. Quanti i: Par. Eq., Z.
CLXX.
un. Irdonata. Ottólinus de Brixia sonum dedit.
V sento pena, o me, per tali amanti,
Che di donna pietosa
Fanno venir d'amor cruda e noiosa. ^
Con viziati modi e con lor traccia,
S' eli' han pietà, da lor la fan partire;
Credendo amar, fanno più tosto caccia
Con atti, come can fier'a seguire.
Et' io, lasso \, costretto dal disire,
D' una donna amorosa
Trovo già per costor fatta sdegnosa. io
Vers. 7. fiera seguire: codd. e st.
)( 227 )(
CLXXI.
Deh, dimmi, Amor, se move
Da le, die donna a fedcl servo sia
Nimica e più quanto più la d^ìa. j
Se tu lant'alto vedi, che nel core
Si posi quel che fuor mostra l'aspetto.
Dico che tal non sente mio valore.
Se lascia il ben per mal suo intelletto.
Et io da le costretto
Che fo, se 'n questa sta la mente mia? —
Amando segui, e diverratli pia. 40
Vers. 8. constretto: Par. — 10. siegui: R.
CLXXII.
VI. Intonata. Ser Jacobus frater Ser GherardeUi
soHum dedit.
Se ferma slesse giovenezza e tempo.
Donna, dagli occhi mie' il tuo fuggire
Non mi faria la mente si languire. j
Ma, perch'io sento ch'ogni bilia perde
Sua vaga vista e più che '1 tempo passa.
Languisco immaginando che tua verde
Slagion nascondi alla mia luce lassa.
In alla età se' or; ma forse in bassa.
Là dove nessun ben si può senlire,
Ricorderai il mio pel tuo martire. io
Vers. h. stessi: Par. giooanessa: Par. e Z. giovinesja: E. lue. —
2. mei: R. miei: Ser. e Z.— 4. perchè sento . . . beltà: R., S., Z. ogni
virtù: E. lue. —8. ma fosse: Pai. e Z; ma è certo errato.
)( 228 )(
GLXXIIl.
S'amor sentissi, -donna, com'io sento
Acerbo, tanto forte
Il dir tuo non saria della mia morte. 3
Adunque, s' tu no '1 senti e la tua voglia
Nel mio mal cresce sempre con disio.
Contento son mostrarti maggior doglia
La qual mi doni con tormento rio.
Morte non è maggior che '1 viver mio;
Che tanto ho mortai scorte
Quanto più veggio tue bellezze accorte. jo
Vers. 2. tanto e: R. — 3. El: Par,: seria: R. — 4. Adonque se
no 'l: R. — 6. mostrarte: R. — 9. mortali: E. lue. sorte: Z.
CLXXIV.
Lasso, donde ma' vene,
Amor, eh' a questa donna il suo bel viso
Con gli occhi miei non posso mirar fiso? 3
Movendo tu '1 mio cor che gli occhi meni
A questa che per signoria lor desti,
Giunti dov' è '1 disio, par gli appeni
Un cieco panno nel qual tu gli vesti.
Deh, dimmi, perchè questi
Per tal signor da luce m'han diviso.
Amando '1 più quanto più son conquiso? io
Vers. i. m' adviene: R: w' advene: Par. — 3. mei: R. — 5. si-
gnora: Z. — 6. dove'l desio: Z. par che gli: R. e Par; — 7. pel qiml:
E. lue. — 9. la luce: R. — iO. Amando: E. lue.
)( 220 )(
CLXXV.
Qual foro volto lia già mai ch'io miri,
Da po' ohe la mia luce
Timida guarda donna ove Amor luce? 8
Amor dagli occhi al cor suo valor spira,
E '1 cor si move agli occhi penetrando
Con un disio eh' a tal donna gli tira.
Da lei fuggendo et essa disiando :
Cosi son volto nel pensier amando,
Che colu' che m' adduce
Fede e speranza, in pena mi conduce. io
Vers. 4. fiero: R. — 3. guardo: R. Gli E. lue. ponendo donno
tra due virgole moslran prepdcr la dizione per vocativa: male.
9. colui: R.
CLXXVl.
Così potess'io. Amor, da te partirmi,
Come da me partita hai tua piotate,
Usando io fé' e tu pur crudollate. J
Perchè tu solo mi conduci in parte
Che niente esser vorrei come ma' fui,
Véggendo, lasso!, che tu hai parte
Di donar sempre mal per bene altrui.
Guai a me ! e, po' dico, a colui
Che soìtopone a le tal libcrtale,
Qual perder Y alma è per sua fedeltate. io
Vors. 2. partito: Z.
)( 230 )(
CLXXVII.
Amor ricerca dentro alla mia mente
Per far sì eh' ella e '1 cor contento sia
Venir di nova donna in segnoria, s
Ma egli è dentro al cor sì d'Amor fera
Un'altra donna di cu' sempre fui,
Che convenia che fosse troppo altera
Questa che giugne per cacciar altrui.
Per non cambiar mia fé', dunque colui
Prego che'l fa, che quella nel cor stia
Che sempre tenne il cor, eh' è l'alma mia. 40
Vers. 6. converia: Z. converria: E. lue. fossi: R. — 7. giunge:
E. lue. — 9. fa, quella nel core: R., Par. — 10. «7 cor e l'alma: R.
Par., Z. Gli E. lue. non mettono segno veruno d' interpunzione
dopo cor.
GLXXVIII.
MORALE
XJ. Intonata. Magister Laurentius sonum dedit.
Temer perchè, po' eh' esser pur convene?
Se ciascun dee morire,
Qual con paura morte può fuggire? 3
Tempo si perde a star pur in timore
Di quel che chi più'l teme più l'acquista:
Ma chi è que' che vive in alto cOì^e?
Chi vertù segue, e di ciò non s' attrista.
Vers. 6. Z. non mette segno interrogativo in fine di questo v.,
né altro che una virgola in fine al seg.
)( 231 )(
Costui ispecchia in fama la sua vista
Per quel che de' venire,
E'I viver dietro a vita fa salire. 40
Vers. 8. specchia: E. lue. — 9. dee: E. lue. — <0. viver dritto: Z.
CLXXIX.
MORALE
Chi quando può dottrina in sé non usa
Incolpa sé, s'altrui che sé n'accusa. t
Libero arbitrio Dio a ciascun porge
' E'I tempo e'I modo d'acquistar vertute;
Ma tal per gentil animo si scorge,
E tal per vizio fugge sua salute:
Folle è chi dietro al tempo ha tal pentute:
Chi non appara non ha buona scusa. s
Vers. i. quanto: E. lue. — 2. Incolpi: R. — 3. Iddio: R. — 4,
virtute: R. -- 7. drieto-. Par. e R.
CLXXX.
XIJI. Intonata. Magister Nkólaus Propositi sotmm dedit.
Di diavol vecchia femmina ha natura,
Fiera diversa e fuor d'ogni misura. *
Del ben s' attrista e con invidia il mira,
E di veder il mal ingrassa o ride;
Ordina, pensa ciò ch'altrui martira,
E dentro ha gioia quando di fuor stride.
Vers. 2. Fera: Par.
)( 232 )(
Così quest' animai brutto conquide
Ciascun che vive, et ogni luce oscura. s
Al mondo spìace la sua opra e vista
Più che non piacque a drieto in giovenezza:
E per questo che vede al cor acquista
Superbia et ira nella sua vecchiezza,
Sì che le fa bramar l'altrui bellezza
Tornare al simil della sua figura. u
Dunque, qual gioven donna è si beata
Che non giugno a tal tempo, de' volere.
Poi e' ha passata la stagion amata.
Metter la morte sua a non calere :
Che dietro al buono stato il teo vedere
È peggio, che chi al mal sempre s' indura. 20
Di diavol vecchia femmina ha natura.
Fiera diversa e fuor d'ogni misura. ss
Vérs. 7. bruto: Par. — 8. ed: Z. — iO. a dietro: Z. giovine^^a:
Par. — <2. e ira: Pog. e'Z. — i5. Donque: Par. gioven: E. lue. —
48. in non: Par. — 49. drieto: Par.
CLXXXI.
Donne, per tempo alcun donna non sia
Che già mai fede a suo amante dia. 3
Chi perde il nome, già mai non l'acquista,
Di donna, perchè donna non è mai;
E, se col penter poi di ciò s'attrista.
Donna non torna per mover di guai.
Or pensa, donna, al fin di ciò che fai,
Che tanto è donna quanto onor disia. 8
Vers. 2. al suo: R., E. lue. — 5. pentir: R. — 6. de' guai: R. —
7. il fin : R.
)( 2:Ui )(
rrwxìi.
XVI. Intonata. S. Jacobus S. Gherardelli sonum dciUU
Di tempo in tempo, e di marliro in pena
Questo fallace Amor mia vita mena.
Però ch'amar mi fa in parte tale
Che mi dà doglia e non posso dolermi;
Scovrir non oso onde vcgna '1 mio male,
Nò qual, ne dove il mio pcnsier si fermi.
Di morte in mone vo, non vai pentermi :
Lasso! no'l vede quella che m' appena.
^Vers: 3. PeroccK Amor-. Z.
GLXXXllI.
Fra '1 bue T asino e le pecorelle
Per un boschetto van due paslurelle.
Gom' elle vanno lor bestie guardando,
Così lor una vecchia cruda guarda
Filando drieto a loro e borbottando,
E con un fiero volto altrui riguarda.
Par eh' ella sempre con invidia arda;
Diavolo assembra a vederla fra elle.
Dicendo — Anda, arri — con amore.
Una di lor, eh' è si piacevoletla,
Si dolcemente m' ha ferito il core,
Ch' a le' seguir mia vita si diletta.
Vcrs. 2. pastorelle: Par. — 48. Che Ui seguir: Par., E. lue.
)( ^3^ )(
Ma, lasso!, quando vo ver lei più in fretta,
La vecchia giugne e mena le mascelle. ^4
L'altra m'assembra tanto d'amor vaga
Quand' ella dice — 0 me. Biondella mia,
Rossella, Ricciutella — che m' appaga
Come se fosse dolce melodia.
Ma, quando a lei m' appresso, allor s' invia
Vèr me la vecchia con la crespa pelle. so
Non fo sì picciol busso che non senta,
Né tanto son di lungi che non veggia:
Un bavalisco par, si mi spaventa
E fammi rimbucar sotto ogni scheggia.
Diavolo, a te la do: 0 tu l'aspreggia
Si che di morte io non senta novelle. gè
Femmina vecchia poco suol sentire.
Suol poco udire e men vedere assai,
Non suol vegghiare ma molto dormire,
Suol stare inferma e non andare mai.
Questa non truova loco in darmi guai,
D'Amor nimica e delle sue sorelle. ss
Ballata, truova tutti gli avoltoi
» Et orsi e lupi ch'abbian forti artigli;
Dì' lor — Merzè: io me ne vegno a voi,
Ch' a questa vecchia vo' diate di pigli ;
Vers. <7. Rosella: ^ar. — 20. colla crespa: E. lue. — 22. di lun^
ghi: Par. — 23. bavalisch(^: Par. — 25. e tu: E. lue. — 26. io non
senta: legge il Pai. E anehe nel Vocab. eosì al v, aspreggiare si riporta
questo passo « 0 tu l'aspreggia Si che di morti io non senta novelle. Ma
gli E. lue. seguitando il laurenz. 37. pi. 90. super, leggono: di morte
io ne senta novelle. A primo tratto è certo più chiaro — 29. vegghiar
ma tosto suol dormire: E. lue. Par. — 30 andar già mai: E. lue.,
Par. —34. abbin: E. lue, Par. — 35. mercè.- Par. vengo: E. lue.
)( 235 )(
K chi ne porli il cuore e ch'i ventrigli;
E corbi e nibbi s'abbian le budello. ss
Vers. 37. el cuore: Par. — 36. ubbtu: E. lue, Par.
CLXXXIV.
Amor, poi che avvien ch'io sia lontano
Da questa donna che mi tien suggello,
Serba il mio cor nel suo gentile aspello. 3
E col vago disio eh' io lascio in lei
Tienla ferma, signor, che far lo puoi:
Però che quel che grava i spirti miei
E che tu non rivolga i pensier suoi.
Ben che'l partir mi doglia, guarda i tuoi
Effetti e che'l voler Iruovi l'effetto
Ch' io porto e lascio a lei denlr'al suo petto, io
Vers. 4. poi che convien: R., Par., E. lue— 4. lasso in: R. —
6. farlo: Par. — 6. mei; R. — <0. lasso: R.
CLXXXV.
MORALE
Chi segue. Amor, ciò che '1 piacer tuo vólo,
Su' alma fugge dall' eterno sole. 2
r son colui che mi conosco, lasso!,
Ch'io pur vo con speranza a van disio;
Seguendo te, yegg' io ben eh' io passo
Vers. 4. vuole: Z., E. lue— 4. vo pur: Eq., Z. e van: Par., Z.,
e quest' ultimo non mette alcun segno d' interpunzione al fine del
V. — 5. te, veggio: E. lue: io veggio: Par., Eq., Z.
)( 236 )(
Con pcnsier folle il corto viver mio.
Cosi nel fallo sto, ma sento ch'io
Lasciar no 'I posso : e questo più mi dolo.
CLXXXVl.
Amor, dagli occhi vaghi d' està donna
Tanto valor discende,
Che chi gli mira ogni virtù comprende. 5
Ne' primi di d' amar mia gioventude
Fedel si fece alla lor signoria.
Da' quali in lei vide venir salute
Che volse al ben la viziosa via.
Questa regina della mente mia
Sempre a servir m' accende,
E quanto servo a lei men mal m' offende. io
Vers. 2. dipende: E. lue. — 3. la mira: M. vertù: M., E. lue. —
4. primi anni: R. d'amor: M., Z. — 5. il fece: — 40. E quando: R.,
E. lue.
GLXXXVII.
Crudel nimica, o me!, deh qual tormento
Grudel mi può' tu dar maggior eh' io sento?
Crudel, mi fuggi agli occhi s'io ti miro;
Crudel dimori ancor se tu non fuggi;
Crudel, t'allegri quanto più sospiro;
Crudel più monti quanto più mi struggi.
Crudel, se a pietà tu non rifuggi,
Crudel, morrò per te nel mio lamento.
)( ^2S1 ){
CLXXXVIU.
XVm. Intonata. 8. Giovannes S. GhcrardeUi
sonum dedU.
Chi più si crede far, colui men fa;
Perchè vivendo niun conlento sia. s
Disia ciascun d'esser più che non è:
Vorrebbe chi non ha: chi ha vuol più:
Per questo mancar veggio amor e fé*,
E *1 pensier della morie cader giù.
Così va '1 mondo errante giù e su:
Beato è colui che viver sa. s
Vers. i. ci crede: M., Z. — 2. Che vivendo nessun: M., Tr. — 3.
Desia: M., Tr. — 6. di morte: M. Che fa 'l pensier di morte: Tr. —
8. E colui beato è che: T.
CLXXXIX.
XX. Intonata. S. Giovannes S. GherardeUi sonum dedit.
Se la mia vita con verlù s'ingegna,
Da donna vien che sovra '1 mio cor regna.
Veggio, mirando lei, la vaga luce
Che penetra valor nella mia mente.
Con quel disio, eh' a ben servir m'induce,
D' un' accesa vertù, tant' è possente !
Cosi amando sento che'l cor sente
Che donna di vertù, verlù gì' insegna.
)( 238 )(
CXG.
MORALE
XX. Intonata. Magister Nicolaus Propositi sonum dedit.
Ghi'l ben soffrir non può,
Se truova il mal, ragion é eh' el sia so. 2
Pensar de' ciaschedun eh' al mondo sta,
Che può venir quel eh' è e che già fu,
E non seguir ciò che sua voglia dà.
Se quella non misura con vertù;
Che r uom che cade giù
Per ignoranza, mal si scusa po'. 8
S' alcun per suo mal far dal ben parti.
Non si dolga d'altrui se non di sé;
Che spesse volte tal lamentasi
Della fortuna, et esso il mal si fé'.
Faccia l'uom ciò eh' el de'.
Che le pili volte se ne vede prò'. i4
Chi'l ben etc.
Vers. 2. che'l: Z., E. lue. — iZ.-che'l: Z., E. lue.
GXGI.
Oh quanto ogni intelletto amando sale
Questa, che sovra ogni vertù vale! 2
Ne' suoi begli occhi mostra qual valore
Puote comprender la natura umana:
Dipinto v' è vertù con tale onore
Vers. 5. Dipinta: Z.
)( 239 )(
Che la corrolla mente loslo sana;
Conduce a vera via la vita vana,
Con grazia dona il ben e caccia ik male. »
CXCII.
BALLATINA INTONATA
Franciscus de Organis sonum dedii.
Non creder, donna, che nessuna sia
Donna di me, se non tu, donna mia. i
Cosi potess' io dimostrarti il core
Là dove ogn'or la mente in te si posa!
Che ben vedresti in esso star Amore
E la tua vista bella et amorosa,
A cui servir non e V alma nascosa,
Che te servendo pur servir disia. a
Di questo, lasso!, non posso far prova;
Però, donna, deh prova la mia fede;
E, se per mio effetto altro si trova.
Non poss' io mai trovar da te merzede.
Ch' i' t' ho amato et amo, et amar crede
Te sempre il cor che fu tuo sempre e fia. n
Canzon, sì come se' del mio amor certa.
Così costei fa certa col tuo dire;
E, se mostrato t' ho la mente aperta,
Vere. 3. el core-- M. — 4. ogn'ora la mente si: Par. — 6. e amo-
rosa-. Pog. — 7. V alma riirosa: Par. Pog., Z., E. lue. — 8. desia:
R., M. — ^^. mio difettoi0k.. Par. altro si prova: R. — 42. possa io:
Pogg., Z., E. lue. mercede: R., Par.— 43. e amo ed: Z. amo, esempre
crede: R. Par. — H. Amarti il cor: Par. Amarle il cor ch« fu tuo e
sempre fia: R.— 45. sei del mio cor certa: R.,M.
)( 240 )(
Aperto mostra a lei il mio disire;
Sì che amando il ver possa sentire
Ch'altra non amo né amar porrla. ^o
Vers. 18. desire: R., M. — 20. amare: E. lue. ,
GXGIII.
FATTA PER ALTRUI.
Se io son vecchio, donna, e tu che se'?
Vecchia com'io, se tu riguardi a te. 2
Amor pietoso già tanto mi fu,
Ch'altro disio mia vita ancor non sa:
Dunque non perder per non donar più
Quel che passando fia chi no '1 vorrà,
E non spregiar ciò che natura dà;
Chè'l tempo non m' ha tolto amor né fé'. 5
Tu corri si com' io s' io corro e vo,
E '1 tuo amor non m' abbandona qui.
Certo tu non può' dir — Io ferma sto — ;
Né tua bellezza non starà cosi.
Però volgi '1 pensiero, et ama chi
Da te servito già servo si fé'. 14
Se io son vecchio etc.
Vers. 9. corri siccom' io corro: E. lue.
GXCIV.
Questa che '1 cor m' accende,
Col cor mi fugge e con gli occhi mi prende.
Vers. 2. cogli: M., Pert.
)( 241 )(
Vaga della mia pena
Ogn' or si fa ; perché con dolce sguardo
Al suo disio mi mena,
Mostrando danni quel che sempre è tardo.
Cosi consumo et ardo
Seguendo chi mi guida e chi m' offende. «
Vers. 6. Al tuo: R. disir: Peri: desio. Z. — 6. eh' è sempre tardo.
M., Par. — 7. ed: Pert., Z. — 8. mi gxuirda: Z.
cxcv.
Lasso ! s' io fu' già preso,
Amor, tu disciogliesti il forte nodo,
Et or di nuova stella m' hai acceso. j
Se scioglier mi dovei per rilegarmi, /
Mai non m' aves' tu sciolto !
Però eh' io ardo più che prima assai,
Quando credea omai libero starmi;
Et io son tutto tolto
A crudcl donna a cui sommesso m' hai.
Cosi mi sento offeso.
Perdendo me due volte, per tal modo
Ch' io vivo servo sotto mortai peso. 42
Lasso! s'io fu' già preso etc.
Vcrs. 3. stella sono acceso: R. — 4. sciogliermi: Par. relegarmi:
R. — 9. Da crudel: Par. e R. — <4. Perdendomi: R.
CXCVL
Per non seguire, amanti, i ncjslri lai,
Stesson le donne in loco
46
)( 242 )(
Che vedute per noi non fosson mai ! 5
E, ben eh' a perder l'usato disio
Pena s' avesse nel principio alquanto,
Per tempo verria meno,
Quando venisse alla luce in oblio
La vaga vista che consuma tanto
Il cor sanz' alcun freno.
Et io son uno che ma' non trovai
Mia vita sanza foco
Dall' ora in qua che con amor mirai. is
Vers. 3. fusson: M., Par. — 5. si avessi: M. — 9. sens': Z. —
40. Ed: Z. — 44. senza: Z.
GXCVII.
Che deggio fare omai. Amor, nel mondo,
Da po' eh' io amo e d' amar mi nascondo? 3
Raffrena il biasrimar l'ardente voglia
Donna di non seguir, com' io solca:
Con questo cresce amor, raddoppia doglia, ^
Perch' altri più di me contento stea .
Cosi son preso più eh' io non credea,
Da me tenendo me sotto tal pondo. 8
Vers. i . degg' io: Z.
CXCVIII.
XXVIII. Intonata. Magister Nicolaus Propositi
sonum dedit.
Chi vide più bel nero i
Che questa nera mai, . j
i
Vers. 1. vidde: M. — 2. Di questo nero: Pert., Z.
)( ^2W )(
La qnal più ch'altro bianco «• bianca assai? s
Inlellelto non è clic comprendesse *■
Qual è nel suo colore
Bianco vermiglio e biondo ;
Nò credo che alcun già mai vedesse
Rosa vivola o fiore
Sì colorila al mondo,
Quanto '1 viso giocondo,
Amor, che dipint' hai
D'intorno agli occhi dove preso m'hai. /j
Vers. 3. Qual più di qwsto bianco è bianco assai?-. Perl., Z. -
7. Non: M. Né mi credo: Peri., Z. — 8. viola: R., Par., Perl., Z.,
E. lue. — 9. colorito: Pert., Z. — 44. 0 Amor: Peri., Z. depinto: R.
CXCIX.
Se altra donna al fine non m' aiuta,
In donna veggio 1' alma mia perduta. s
Più amo che amar non può natura
Sotto le stelle questa donna altera;
E lo 'ntelletto, che di sé ha cura,
Per tal amor si duol, che morte spera.
Dicendo: Lascia questa e va alla vera.
Ma'l nodo che mi stringe non si muta. «
Vcrs. 7. queslo; E. Inc. -- 8. sì stringe: E. lue.
ce.
BALLATA PER ALTRUI
Per l'altrui dir non vuo', donna, eh' io l'ami ;
Et io non posso ; poi che '1 cor ni' ha' tolto.
)( 2M )(
S' tu non me '1 rendi, sì eh' i' sia disciolto. 3
Tutti i pensier col core e con la mente
Suggetti stanno a te servir con fede :
Partir da questo già non son possente,
Ch'altri legò chi scioglier non si crede.
Dica chi vuol, che mia luce non vede
Più oltre che'l disio del tuo bel volto:
E chi riprende Amor fa come stolto. 40
Per r altrui dir etc.
Vers. 4. e' pensier: M. — 5. sugetti: M.
CCI.
Poi ch'Amor vuol, tempo non è né fia
Né fu già mai che io disciolto sia. 2
Se nella giovinezza Amor mi prese,
Or m' ha legato più nel capo cano :
Più arde '1 foco che di pria s' accese
Quando credea suo calor esser vano.
Così in vecchiezza mi vedrò tostano
Con amor tal che spento mai non fia. 8
Vers. 2. eh' io: Z. — 6. suo valor: E. lue.
CCII.
MORALE
Franciscm de Organis sonum dedìt.
Perchè virtù fa l'uom costante e forte,
A virtù corra chi vuol fuggir morte. s
Vers. \. Po' che: E. lue.
)( 245 )(
Che vai fuggir quel che sempre s' appressa
E che ci guida ogn' ora a mortai fine?
Corre la nostra vita e mai non cessa
In fm che giugnc air ultimo confine.
Chi più combatte contro a tal ruine
Più tosto è vinto e più s' appressa a morte. 8
Che vai terra cercar o aer sano
E 'n quello viver coli' alma corrotta?
Oh pensier cieco ignorante e vano!
Tant' è tua mente da' vizi condotta,
Che r alma immortai conquidi ogn' otta
E'I mortai corpo vuo' campar da morte! n
Che vai più tardi che più tosto andare
Dove infinito è il tempo e '1 loco?
Quanti son folli che pur credon stare
E trovansi ingannati da tal gioco,
Usando assai del male e del ben poco.
Tanto che vien la non saputa morte! so
Che vai, mia canzonetta, che tu canti
Di quel che ciaschedun pianger dovria?
Vattene pur e dillo a tutti quanti:
Ch'alcun non fu già mai ne è ne fia
Che passar non convegna quella via
Che ciascun fugge e che ci guida a morte. 26
Vers. 4. chi ci: Par. — tO. Et in qud: Par. — 4<. et ignorante:
Par. — 43. anima: Z. — U. mortai capo: E. lue. — <6. lo tempo:
Par. — 47. che più: E, lue. — 82. chi: E. lue.
)( 246 )(
CGIII.
BALLATINA DI FRANGO PER ALTRUI DOVE IL NOME
DI NANNA SI DIMOSTRA
Qual donNA NAcque mai vaga et onesta,
Come costei che m' lia in sua podestà? 2
Dunque ben posso più ch'altro lodarmi,
Essendo servo a donna tanto degna.
Che, pur pensando in lei, ogni ben parmi
Sentire al core dov' ella più regna.
Questa mi guida conduce et ingegna.
Si ch'ogni mio valore amando desta. 8
E, per star fermo sempre a tal disio.
Amor mi fé' trovar sua ghirlandetta ;
Dove benigna mi domandò s'io
L'avea; et io rispuosi: 0 giovinetta.
Chi l'ha d'intorno al cor la porta stretta.
Pensando a quella che già l'ebbe in testa. ^4
Vers. i. e onesta: Par. — 7. mi guarda: E. lue. insegna: Z. — '11.
dimandò: E. lue. — 42. ed io: Z. — -13. Gli E. lue. pongono una vir-
gola dopo al cor rilegando così queste parole al verbo l'ha: non
bene, parrai.
CCIV.
FATTA PER ALTRUI DOVE IL NOME d' ANTONIA
SI DIMOSTRA
Par che siAN TONI Al core d' ogni parte,
Po' che si fé' lontana
Donna da me, che da sé non- mi parte. 3
Vers. 1. cor-'E. lue., Z. — 2. Poiché: E. lue., Z.
)( 2-47 )(
Non credo che morir lai pena sia,
Qual è a me suo dilungar veggendo;
Però eh' ella se n' porla 1' alma mia,
E'I corpo lascia misero languendo.
Dunque, se morte ogn' or' provo vivendo,
Sanza aver mortai fine.
Non è tormenlo con più crudel arte. 19
Tutti i pensieri dicon: Oimè, dove
È gita questa? A star tra gli arbuscelli.
Come si perdon sue bellezze nove?
A dimorar Ira fere e tra augelli.
Cosi seguendo lei foss' io di quelli.
Mirando il viso altero
^^el cui valor ogni virtù comparte! 47
Vers. 42. aWuscelli: Z.
CGV.
BALLATINA PER ALTRUI
Nella più bella terra Casentina
È apparita, Amor, un'Angelina. t
La qual è tanto graziosa e vaga
Che qualunque la vede ne'nnamora;
Ond' io veggendo le' senti' la piaga
Che mi tirò più volte ove dimora;
. Come colei che Falterona onora
E il fiume suo in sino alla marina. 8
Ballata, su per Arno dove V onde
Corrono a pie della donna gentile
Vers. 2. Angiolina: Par. — 5. lei: M., Par.
)( 248 )(
Ne vaj e lei saluta che risponde
Come benigna accorta et umile,
E fagli onor; che la ti die lo stile
D'amar nella montagna fiorentina. io
Vers. 42. et accorta: Par. — 43. ch'eUat Par.
CGVI.
Chi sa dir dica, e chi può far sì faccia;
Che chi fa mal, nel mal convien che giaccia. 2
Venuto è'I mondo a tal che non disserve
E non fa mal se non quel che non puote;
Ma spesso avvien che la fortuna serve,
Sì che fa lieti assai quando percuote,
Girando ciaschedun nelle sue ruote,
Perchè all' uno il mal dell' altro piaccia. 8
Altro non è a dir bene far male.
Se non altrui e sé spesso tradire.
Misero chi disserve quando sale.
Però che in basso stato dee venire
E di quel colpo che fiede morire,
Com' uom che nuoce e peggio a sé procaccia. ia
Vers. 3. diserve: Z., qui e al v. ii.
CGVII.
FATTA PER ALTRUI.
Sempre servito m' hai, or mi diservi,
Amor, e parmi ch'io
)( 249 )(
Servilo ho loalnionlf^ al tuo disio.
Vcrs. 3. Manca il resto per la mancanza della e. 34 del ms.
uncinalo.
CCVUI.
Costanza sempre avrò d'amar costei,
Perch' ogni ben eh' io sento vien da lei. i
Mai non m' assale pensier doglia o pena
Che non si parta gli occhi suo' mirando:
S' io vo 0 slo, tal regina mi mena,
Perchè natura al suo ben corre amando:
Né che né come non saprei né quando
Veder sanza la sua luce serena. 8
L' alto mio genilor deggio adorare.
Il qual di niente al mondo m' ha creato;
E questa donna debbo sempre amare,
Che conoscenza di virtù m' ha dato. 42
Vers. 4. suoi: M., Pog., Z. — 8. sensa: M., Pog., Z. — 9. d^)bo:
Z. — io. di nulla: M. — 42. Dopo questo v. ne mancano almeno altri
due per chiuder la stanza: il difetto procede dal cod. originale in cui
qualche carta mancava, e trovasi anche nel cod. magliab.
CGIX.
PER ALTRUI.
Tempo e loco mi bisogna Amore,
Po' che '1 disio di questa giovinetta
)( 2-^0 )(
Ver me, sì come '1 mio ver lei, saetta. 3
Dunque, signore che condotto m' hai
Presso a quel porto d' amoroso bene,
Fa' che alla riva de' lucenti rai
Giunga col fine ov' og^ni amante ha spene:
Che, dopo il navicar con tante pene,
Avendo il dono che da te s'aspetta,
Fia r alma mìa sempre a te diletta. 40
Vers. 8. navigar: E. lue.
ccx.
Altri n' avrà la pena et io il danno.
Se sotto fede ho riceuto inganno. 2
NoU' manca mai la divina vendetta.
Ben eh' alcun' ora paia che rispiarmi :
Ond' io spero venir giusta saetta
In verso chi ha creduto saettarmi,
E di ciò che è fatto non curarmi;
Che gran virtù è vincer ogni affanno. s
Vers. -1. e io: Pog. ed io: Z. — 2. ricevuto: Pog., E. lue, Z.
CCXI.
BALLATETTA DI FRANCO
FATTA PER UNO GIOVINE CHE AMAVA LISA
Splendor dal ciel vaga fioretta Alisa
Produsse in terra, ove '1 mio cor s' affisa. s
Con quelli raggi che la mente accese,
Vers. -1. del ciel: E. lue.
)( 251 )(
Vivo suggello sempre a seguir lei :
E, perchè mai di me pietà non prese,
Umile vo con pene e con omei.
Sperando pur eli' alli lormenli miei
Divegna pia, e' hanno 1' alma conquisa. «
Come che sia, io ti ringrazio. Amore,
Che servo fallo m' ha' di cosa tale ;
E sempre 1' amerò con fermo core,
Se fermo core a niuno amante vale;
Che suo sono e d' altro non mi cale,
. Fin che l'alma dal corpo sia divisa. i4
Vors. 40. m' hai: Pog. e Z.
CCXII.
UT. Intonata. Magistcr Gherardcllus de Florentia
sonum dedit.
Di bella palla e di valor di pelra
Seguendo un' augellelta gi'a discesa.
Per trovar sua pietanza, d' amor presa. j
Per stran sentier cercando sua rivera,
Sanza volar, con amorosi passi
Dinanzi agli occhi mie' leggiadra vassi. e
. Et io, veggendo quanto bella fassi,
Dietro tenea alle piacevol' orme,
Umil andando, ov' ella, fra le torme ; 9
In fin che guidò 1' ali e volò al nido
D'una foresta, et io rimasi al grido. n
Vers. 2. già: E. lue. già: tuUi i inss. — 5. sema: R. — 6. mei-
li. — 8. Dietro: R., E. lue.
)( 252 )(
GGXIII.
Nel verde bosco, sotto la cui ombra
Vago d' amor pensando mi trovai,
Su la fresch' erba e su' be' fior posai. 3
Cosi dormendo subito m' apparve
Donna gentil che m' inducea sospiri
Nel cor che sempre in lei fermò desiri : 6
Dolcezza mi donava con martiri
Mostrando sé a me, e po' fuggia
In fra le fronde quando la seguia. 9
Sveglia' mi ; e 'n doglia tal mio cor salio,
Qual Febo dietro a Dafne al fm sentìo. 11
Vers. 6. i desiri: Par. e R. — 44. drieto: R.
GCXIV.
V. Intonata. Magister Laiirentitis de Flormtia
sonum dedit.
Sovra la riva d' un corrente fiume
Amor m'indusse, ove cantar sentia
Sanza saver onde tal voce uscia; 5
La qual tanta vaghezza al cor mi dava.
Che 'n verso il mio signor mi mossi a dire,
Da cu' nascesse si dolce disire. e
Et egli a me, come pietoso sire,
La luce volse, e dimostrommi a dito
Vers. 4. ripa deh R.— Z.senza: R., T., Eq., Z. sapere: T.,Eq., Z.—
4. al mio cuor: T., Z. — 5. Che verso: Eq. mi messi a: R. — 6. cui. . . .
desire: R., T., Eq., Z. — 7. Ed: Z. —8. tolse et dimostrome: Z.
)( 253 )(
Donna cantando che scdca sul lilo, 9
Dicendo; eli' ò delle ninfe di Diana
Venuta qui d'una foresta strana. u
Vers. <0 ella è una ninfa: T., Z: dicendo: è una ninfa: R. —
H. venuta par: Eq.
ccxv.
i
vii. Intonata. Ser Jacobus Ser GherardéUi
sonum dedit.
. Lonlan ciascuno uccel d' amor si trova
Nella fredda station eh' ogni foresta
Di fior si spoglia e di sua verde vesta. 3
Et io che giunto già mi sento in questa
Che con suo gel contr' ogni caldo prova,
Amor più m'arde et ella a me non giova, e
Di petra usci cosi possente foco,
E venne in me per non mutar mai loco. «
Vers. 4. gionto: R. — 7. pietra: R , Z.
CCXVI..
Su per lo verde colle d' un bel monte,
Dove si vede una rivera, stando,
Con amoroso cor giva pensando. j
Quando, in parte essa riguardando,
Vidi star con un'orsa a fronte a fronte
Donna gentile e d'ogni biltà fonte; 6
La qual parca Laudomia che mirava
L'acque, se ancor Protesila© tornava. «
Vers. 3. già: Par. — 4. risguardando: R. — 6. beltà: R. — 8.
L'acqua: R., E. lue.
)( 254 )(
CCXVII.
VII. Intonata. Otiolimis de Brixia sonum dedit
Verso la vaga tramontana é gita,
Quando più luce il sol co' raggi ardenti,
Amor, costei eh' è con pietà fuggita. 3
Cercando va li dis'iosi venti
Il verde e' fiori e degli augelli il canto,
Et ha lasciato i mie' spirti dolenti. e
Dona ove giugno d' allegrezza tanto.
Quanto d' ond' è partita lascia pianto. 8
Vers. 2. con: R. — 6. lasciati: Par. e R. mei: R. — 7. Così cor-
reggemmo già nell'ediz. barberiana delle Rime di Gino e d'altri: e
questa correzione n'è ora approvata dai R. e Par. Il Pai. gli E. lue.
e Z. legg. : Donna ove giugne allegrezza: ma l'errore è evidente.
CGXVIII.
Come selvaggia fera fra le fronde
Nasconde sé per spayentevol grido
Del cacciator quand' è presso al suo nido, s
Così il piacer in cui mia mente guido
Tostan ciascun mio senso fé' gir onde *
Donna senti' tra spine verdi e fronde, e
Amor e me fuggendo, ov' io vedea
Tal prun che più di lei mio cor pungea. 8
Vers. i: fiera: T., Z. — 5. Tosto: T., Z. — 6. sentii: Z. fra spine
e verdi: T,, Z., E. lue. e l'onde: R. — 7. me fuggir: Z.
)( r^r* )(
GCXIX.
X Intonata. Ser Nicolaus Propositi sonum dedit.
Come la gru quando per 1' aer vola,
Seguendo T una X allra vanno a schera,
E lor regina innanzi a tulle è sola; j
Cosi, mirando in vèr del sol la spera.
Una voce mi volse in parie, ov' io
Vidi nel terzo ciel, ch'Amor impera, e
Donna dinanzi a donne con disio,
Che lor guidava sì come'l cor mio. 8
Vers. 2. a V altra: R. schiera: E. lue— 3. tutte vola: R. — 4.
dil sol: Par. e R.
ccxx.
Rivolto avea il zappalor la terra,
E poi risecca era su '1 duro colle.
Là dov' io giunsi sì com' Amor volle. s
Su '1 qual correan verso un pomo verde,
Donne in ischiera, e 1' una a 1' altra avanti
Con leggiadre parole e be' sembianti. e
Giunte ^d esso et io mirando, tanti
Frutti non vidi tra '1 suo verde adorno.
Quant' i' vidi man bianche a quel d' intorno, 9
Dolce parlando, tirar rami e fronde:
Regina vidi 'n cui '1 mio cor s' asconde. //
Vers. i. lo zappator: R., E. lue. — - 3. dove giunsi: R. — 4. cor-
revan . , . pome: R. — 5. Dove in: il Pai., ma è ccrlamcnle errore —
7. Giunti: R.— 8. fra'l: R. e Par.— 9. Quant' io: R. e Par. — -IO.
rame: R. — H. in cui mio: R. e Par.
)( 256 )(
GGXXI.
XII. Intonata. Ser Nicolaus Propositi sonum dedit.
Correndo giù del monte alle chiar' onde
D' un vago fiume dov' io già pescando
Donne venia, e tal di lor cantando. s
Tal dicea oh, tal uh, e tal omei;
E tale il bianco piede percotea;
Tal punta essendo a seder si ponea. e
Un forse, un si, un no mi combattea,
Che in fra queste fosse una che nacque
Per darmi morte. Come ad Amor piacque, 9
Cosi costei di subito discese:
Dov' amor e vergogna il cor m'accese. //
Vers. \. dal: Z. — 2. dove già: R. — 3. venian: R., Par., Z., E.
lue. — 4. tal ah: E. lue. tal ve: R. — 7. forsi: R.
CCXXII.
Si come il sol, nascoso d' alto monte,
0 d' una nuvoletta uscendo, luce ♦
Agli occhi umani ove vaghezza adduce; j
Cosi mi si mostrò con chiara luce
Subito uscir di scogli quella fronte
Che'l mio cor tiene in amorosa fonte. e
Di quanti color venni il sa colui
Che'l fa, et ella di cu' sempre fui. 8
*
Vers. ■«. da: E. lue. — 2. niviktta: R. — 8. Cui: R.
)( i57 )(
CCXXIII.
XrV. IntotMta. Magister Donaius presbiter
de Chascia sonum dedit.
Fortuna avversa del mio amor nimica,
Che poss'io più? che dietro a lungo aflanno,
Sperando aver riposo, ho doppio danno? j
Quando la vaga stella che m'accese
D'oscuro mar m'avea tratto e scorto
Con una navicella presso a porto, e
Vento si volse e 'n parte m'ha condotto
Ch' i' son gittato a' scogli et ella ha rotto. «
Vers. 2. drieto: R., Par, al lungo: Par. — 5. mare: R. avevat
Z. - 6. al: R. - 7. f/je ha: R. — 8. ed: Z.
GCXXIV.
XV. Intonata. Magister Nicolaus Propositi
soììtim dedit.
Nel mezzo già del mar la navicella
Tra r oriente e 1' occidente è giunta.
Che mi mena a fedir in scura punta .5
Col vento tempestoso: e quella stella,
La qual fedel mi fece, che più forte
Affretta sua giornata, è la mia morte. 6
Lasso! Natura forza non le dà
Che ma' per tempo ella dia volta in-cià. ft
Vcrs. 4. Le si. Iianiio due punii «lopo tempestoso.
17
• )( -258 )(
CGXXV.
Di poggio in poggio e di selva in foresta,
• Come falcon che da signor villano
Di man si leva e fugge di lontano, j
Lasso, me n' vo, ben ch'io non sia disciolto.
Donne, partir volendo da colui
Che vi dà forza sovra i cor altrui. e
Ma, quando pellegrina esser più crede
Da lui mia vita, più presa si vede. 8
Vers, ^. poggio, di: T., Cresc. — 3. lieva: T. — 6. sopra i cuori
R., T., Cr. — 7. peregrina: R,, P., T., C.
GCXXVI.
Fiso guardando con Amor Fetonte,
Discender vidi una fiamma tostana
Con Lucina Proserpina e Diana: , j
Quando vèr me le donne lampeggiando
Disson — Ne' boschi la tua donna impera — ,
Po' ritornò ciascuna alla sua spera. 6
Lasso, qual io rimasi ! I' veggio l'orma,
Che come Atteon muterò forma. s
GCXXVII.
MORALE .
0 perfida crudel dannosa invidia,
D' ogn' alma struggimento sanza termine.
Come nel mondo tu se' mortai vermine !
)( ^5!) )(
Por te ciascun condanna e fa nuovo ordino ;
IV ogni opera perversa tu se' Ionica;
Disfai la legge e la ragion canonica. s
Or pensi e guardi chi di le fa specolo,
Che qui non vive né in altro secolo. «
CCXXVIII.
Magister Donatus de Cascia smum ded'U,
Volgendo i suo' begli occhi in vèr le fiamme.
Le quali una colomba avea accese,
Vidi colei da cui Amor discese. 3
Poi che fu volta alquanto, vide serpi
Che un mostrala, et ella a quelle corse
Col più bel riso che ma' viso porse. 6
Ma' non mi piacquon serpi altro eh' allora ;
Bontà degli occhi ov' Amor s' innamora ! «
Vers. <. Vogliendo t soi be' occhi: R. — i. columba: Par. aveva
una colomba: R. — 3. di cui: Par. ,E. lue. — 4. vi'ìi; Par. e R. —
6. Con: R.
CCXXIX.
Perduto avea ogn' arbuscel la fronda.
Quando tra verdi lauri, Amor, guardando
Vidi risplender una lesta bionda. J
Tra l'un cespuglio e l'altro penetrando
Vers. t. aveva ogni arboscel: R. albiurel: Z. — 3. Cosi correggo
col Par. e col R. che però legge Vide risptender una treccia. Z. e
gli E. lue. leggono: Risplender vidi una testa bionda, col Pai.; ma
dev'essere uno scorso di |»ennii. -- 4. Fra: R., E., lue.
)( 2G0 )(
Scorsi la donna alquanto l'iior d'un ramo,
Per cui mori sempre mia vita amando. 6"
Dolce fu il giorno e vago fu il verde,
Ma più il viso che stagion non perde. s
Vers. 7. e vago e dolce il verde: R. — 8. il bel viso-. R.
CGXXX.
XVII. Intonata. Ser Jacohus Ser GJierardelU
sonum dedit.
Vana speranza, che mia vita fosti
Suggetta a due amor, come m' ha' fatto
Dell' un per morte rimaner disfatto! 3
Dell' altro, lasso, ov' io sempre con fede
Fui e sarò, invidia altrui s'ingegna
Levar ciò che nel core amando regna. e
Sia: quel che dee venir, 0 me non so!
Colui m' aiuti a cui più servo sto. 8
Vers. 7. Preferisco l'interpunzione del Z. Gli E. lue: Sia quel
che dee venir; omè non so!
GGXXXI.
Passato ha'l sol tutti i celesti segni
Già l'undecima volta.
Che nel tempio ov' io son voi, donna, amai;
E qui mi trovo amando più che mai. 4
I lucenti capelli erano sparti:
Or su la vaga fronte
Vers. 3. tempo: R., M., P., Eq., Z., E. lue.
)( 2(i1 )(
Vejri^io raccolli, e con maggior hillalo
Che non fnron gi<i mai in loro clale. h
Tempo non vien che lai bellezza olTenda
Né che per tempo Amor più non m'accemla.
Vers. 7 heltate: R , Eq., Z.
CCXXXIi.
Vanno gli augelli intorno al nuovo gulo,
E ciascun vola a dar nelle sue corna:
Parlesi il tristo e subito ritorna. 5
T'na augelletta del suo onor vaga
Pena ne porta, perchè tutta umile
Vorrebbe lui veder falcon gentile. e
Eir ha dolor del gufo, et io di lei :
Aitar la potess' io com' io vorrei ! s
Vers. 4. l'augelli: E. lue. — 2. sua: R. — 3. Partissi. R. — 4.
oftor più vaga: R. — 8. Aitar: R. e Par.
CCXXXIII.
FATTO PER ALTRUI.
XIIIII. Infonata. Magister Nkolam presh!fpr
sotmm dedit.
rn'augelletla, Amor, di penna nera,
Vaga, volando, col posare adorno
Mi fa seguir sua vista ciascun giorno. >
Per veder lei, comc'l disio mi mena,
M'appresso ad essa; e quando più mi \rAt;,
.MIor si fuQge sanza aver merzede. fì
)( 262 )(
Voli quant' ella può, che sempre fìa
Mia vita serva alla sua signoria.
CCXXXIV.
I
FATTO PER ALTRUI.
Come àugel, serrando alcuna volta,
Amor, per suo desio per caso vola
In parte, e lascia l'augelletta sola;
Così mi parto, lasso!, da costei,
Contro al voler, tanto che'l tornar sia,
Lasciando in lei il cor e 1' alma mia.
Fa dunque, signor mio, che nel suo core,
Come al partir, tornando truovi amore.
Vers. ^. augtel: Z.
ccxxxv.
Amor, nel loco della bella donna.
Come fortuna vuol, le pecorelle
Stanno con lor pastori e pastorelle:
E' buoi che tornan da' solcati colli
Risuonan i lor mugghi ov' ella tanto
Spirò già con vaghezza il dolce canto.
Distrutto sia ciascun che segue Marte,
Perchè distrugge il ben in ogni parte.
)( 2(;n )(
CCXXXVl.
FATTO PER ALTRUI.
Tra vaghi monli si serra una valle,
Dove, per prender augelletti andando.
Me prese vaga pulzellella amando, j
Accompagnata da due pulzelletle :
E tutte e tre con halli e dolci «ami
Giù per un colle mi vennon d' avanti ; i
Tanto che gli occhi mi fér servo a quella,
Che col suo canto passa ogni altra hella. «
CCXXXYIl.
XXII. Intonata. Magister Guglielmus Pariginus
fraier romitanus sonum dedU.
La neve e 'I ghiaccio e' venti d' oriente
La fredda brina e V alta tramontana
Cacciata hanno de' boschi suo' Diana. .7
Perch'ella vide secche l'erbe e' fiori.
Volar le fronde e spogliar la foresta,
Coverto s' ha col vel la bionda testa ; €
Va è venuta al loco ov' ella nacque.
Dove più ch'altra donna sempre piacque. 8
Vers. 4. giaccio: R. —3. Cacciato-. M.da'.- E. lue. —5 (rondi: R.
)( 2f)4 )(
CCXXXVIII.
MORALE.
Magister Nicolaus Propositi sonum dedit.
Povero pellegrin salito al monte
Mi veggio lasso a scender alla valle,
Dove tostano è scuro ogni suo calle.
0 erta vana dilettosa e falsa,
Quanto se' vaga all' ignorante ingegno !
Guai a chi passa e non riguarda il segno!
Passato sono, e vo e sto e corro:
Stella mi doni lume a cui ricorro.
Vers. 2. e scendere: Par. e Z. lasso scendere: R. — 5. ad igno-
rante: Par. — 7. e sto e vo: R.
GCXXXIX.
Ben s'affatica in van chi fa or versi,
Pensando chi per Beatrice disse
E chi per Laura tanti versi scrisse. 5
Pien è il mondo di chi vuol far rime;
Tal compitar non sa che fa ballate,
Tosto volendo che sieno intonate. e
Cosi del canto avvien : sanz' alcun' arte
Mille Marchetti veggio in ogni parte. 5
Vers. i. Non s': Z., e pone il segno interrogativo al fine del v. 3 ,
CGXL.
Onesta nimica ileU' umana lurl)a,
Che con sua crudeltà il mondo abbraccia.
Pili che non suole, altrui di vila caccia.
Mossa dall'alto re. Ciascun la fugge,
Et ella si sta ferma, e qnal vuol giugno:
No'l crede alcun, se non quand'ella pugne.
Aquila né serpente in lei non prova:
Spegne l'orgoglio là dov'ella il trova.
LIBRO IX.
BALLATE E MADRIALI DI NICCOLO SOLDANIERl.
Di queste poesie la maggior raccolta eh' io conosca è nel cod.
laurenz. rediano ilìi cart. del sec: xv; e vi si leggono dalla e. 88 v."
alla 91 ¥.<> Le riproduco nell' ordine ohe hanno nel cod., dove, segna-
tamente per le prime, v'è un po' di confusione tra' metri e sono
intitolate madriali le proprie ballate semplici che nella presente
stampa hanno i numeri ccxli, ccxlix, cclii-lviii, cclx, cclxii-lxui,
ccLxv. La lezione del rediano ( nelle nostre note vien designato per
LR.) è tutt'altro che ottima, sì che talvolta non se ne ricava senso:
dove potei, raffrontai ad altri codd.; che ve ne sono. A Roma, il
chigiano 580 ha rime del nostro Soidanieri, sebbene sotto il nome di
Niccolò della Tosa: e il Crescimbeni ne pubblicò una ballata [cclxvui]
nei Coment, intorno all'ist. della volg.poes. voi. i. lib. ii. cap. ii, e di
nuovo nel voi. ii. part. ii. lib. iv. §.lxxxi. Dai particolari che ne dà
il Crescimbeni e dallo stile di quella ballata si rileva che il Niccolò
della Tosa del cod. chig. è uno col Niccolò Soidanieri dei codd. fio-
rentini: forse Della Tosa fu soprannome o nome distintivo d'un ramo
della famiglia. Il cod. riccard. l'I 00 cart. del sec. xv. ine. ta pure
quattro componimenti del nostro [cclxxvu, cclxxix-lxxx, cclxxxiv];
e i primi due e 1' ultimo che vi si leggono li pubblicò di su quel
testo il Trucchi in Poes. ital. ined. II, 189 e 191 ( il cod. ricc. vien
significalo nelle nostre note per R., e per T. 1' ediz. del Trucchi ): il
quale tredici altri componimenti del Soidanieri die pur primo alla
luce nella cit. opera dal cod. red., e sono nella nostra numerazione
CCXLV, CCXLIX-L, CCLXIII-IV, CCI.XIX-LXX , CCLXXIV, CCLXXX, CCLXXXVIII,
ccxciii-iv, ccci. Ho poi visto, e me ne son giovato, anche lo Stroz-
ziano 1398, ora magliab. ci. vii. var. lOjl, cart. della prima metà del
)( 267 )(
cinquecento ( lo designo n^lle note con le lettere MS. ), che continio
le poesie di n. ccxli, ccxliii, ccxlvi-ix, ccliix , cclxxiv, cctxxvii,
ccxciii; e il palat. laurenz. 87 con musica (PL. nelle note), che ha del
Soldanieri le bdllale di n. ccxlii, ccxlv, ccl. cclxiv, cclxxuiv ; e per
la ccLix il cod., della Bibl. iniper. di Parifti 53S tuppl. frane. (Par).
CCXLI.
Tra ì Ilio lugjjire e 'l mio se<,^uir sarà
Se male o bene amor a me darà.
Se tu in fiig^jjirmi avrai ben lene il pie.
In le seguir più eh' altro lena arò: 4
Fuggi, se sai, che 'n fine pur l'arò,
Se per affanno vincer poss'io le: e
0 tu, donna, farai eh' amor né fé'
Conlra te lor nemica non porà. 8
Si nel LR. che nel »MS. è intitolato madriale. — Vers. 2. e bene:
MS. —3. fuggir . . . il pè: LR. — 5. che alla fine t'arò: MS.
Nel laureiiz. pi. xc sup. n." 89 e nel magliai), ii, 40, ambe<Iue
del secolo xv ine, si legge un componimonlo che oltre il primo
verso ha quale' altra somiglianza con questa ballata del Soldanieri.
Qual fu prima? e qual è l'imitazione, do' due? Nel magi., ove seguita
[e. 126] ad alcuni sonetti anon. ma che il Follini illustratore del cod.
dà l'uno a Gino da Pistoia l'altro ad Ani. Pucci, questo componi-
mento ch'io dico ha forma di sonetto, se ìten monco d'un >crso.
Nel laur , ov'è pur anonimo, par diviso in due quasi ballate [carte
Lxxi V.** e Lxxii r." ]. Per me è un sonetto, e come tale lo dò qui
appresso, tenendomi più stretto al cod. laur. che presenta miftlior
lezione.
Tra il tuo fuggire e 1 mio seguir sarà.
Fuggi, se sai, eh' io pur ti seguirò,
Tanto che forse forse io troverò.
Gentil fanciulla, in te qualche piata. 4
Vers. 3. » ' trovn-rò: M. — 4. Nel tuo betiigno cor qualrhe: M.
1
)( 268 )(
Come comporti tanta crudeltà?
0 mei non vedi tu ch'i' mi disfo?
Soccorrimi, per dio, non dir pur no;
Volgi tuo' luce e tua nobilita. 8
Io maladisco 1' ora e '1 punto e '1 di
E '1 luogo e '1 tempo dove Amor mi fé'
Veder le tuo' bellezze e '1 bel disi', il
E quella crudeltà che regna in le. '
Sia maladetto chi già mai seguì
Le leggi tue e chi per me le fé'. 14
Amor, soccorri me;
Rivolgi l'arco tuo colle saette
Sì che del mie' gran mal vegga vendette. •/7
Vers. 7. Soccorrimi, che puoi; non dir di no: L. — 8. e la tuo'
nobiltà: M. — 9. /' benedisco: M. — 10. E 'l tempo e 'l loco: M. — \\.
la tua belleza e dir di sì: M. — 13. Fu maladetta in chi giam,ai se
ghh M. — 44. Manca nel M. — 46. tuo e la saetta: M. — 47. mio . . .
vendetta: M.
CCXLII.
L' aguglia bella nera pellegrina,
Che gi' da me pasciuta e non tornò,
Gol pasto in man la chiamo: oh oh oh oh!
Perch'olla guarda un aguiglion, non riede,
Ch'ella covò nel nidio il diavol, che
Rimuto oh oh in dire ome ome.
Ma sì la tira amor pe' geti e crolla.
Che se la vecchia bada, in mano àroUa.
Vers. 4. aquila. . . . nera: PL. — 2. Ch' oggi da me è partuta:
LR. — 4. Perchè lei: LR., agoglion: PL.
)( 201) ){
CGXLIll.
A forniuol vuol cu cu un ( ucù laiiui,
Voglicudo un mio l'ufr^ilo uccol pigliare;
Sì ch'io uccello e veggomi uccellare. .,-
Una che fa co co, coni' ella sente
Ch'i' cheto a Uri m'accosti in tempo scuro,
E' par pur ch'ella gridi — al furo! al furo! — e
Onde si scuote e tutto si rintocca,
Poi fugge rae. Perdi' è l'oca sì sciocca? «
Vers. i. Si il R. che il MS. legg..- A forniuol voci» cu un cu cu
farmi. Il contesto mi ha suggerito la correzione. In somma questo è
il senso: Andando io a forniuolo, un cucii (cuculo) vuol farmi cu cu
in quel eh' io vorrei ripigliare un mio uccello fuggitomi; si^ che io
uccello e mi veggo uccellare — 2, Volendo: MS. — 4. Uno: R.
GCXLIV.
L'un biasma l'altro e niun sé riprende,
Veggendo per altrui nell' uovo il pelo
Tal ch'à di sé inanzi agli occhi il velo. j
Lo dir del reo altrui non dà fama,
Perchè non sa dir bene; e '1 suo dispregio
Nel petto al buono è giudicato fregio. e
Non dura infamia né ingiusta loda,
Perché '1 ver luce e 'I falso à corta coda. s
Vers. i. l'altra: LR. —7. dura in forma: LU. La correzione è
suggerita dai versi anteced.
)( 270 )(
GCXLV.
Dà dà a chi avareggia pur per sé,
Se '1 tempo gli si volge a scherzi d'orsa;
Che non si trova amici sanza borsa. 3
Tu, 0 tu che ài stato, ascolta me:
Quegli à il destro affare a sé amico
G'à'l pie nell'acqua e '1 becco nel panico. 6
Pensa pensa che tardi si rincocca
Chi scende a risalir: zara a cu' tocca. s
Vers. 2. a scherzo-. PL. — 3. fuor di borsa: PL. scusa: T. 4-6
Mancano nel PL. — 4. ch'hai: T. — 5. Quelli . . . a fare: T. — 6. a
pie: LR. — 8. scende risalir: PL.
CCXLVI.
Come da lupo pecorella presa
Spande il be be in voce di dolore
Perch' allo "scampo suo tragga il pastore, .T
Simil piata d' una eh' i' presa avea,
La qual — o me — dicea con alti guai.
Mi fé' lasciarla: ond' io non poso mai. 6
E quel che di tal fatto più mi scorna
È ch'io raspetto il caso e quel non torna. 8
Vers. 2. il be in: LR. — 4. pietà . . . io: MS. — 8. rascetlo: LR.,
MS. que': LR.
CCXLVII.
Amante Come se' sì di dolce fatta rea?
Donna Sa' come? come tu fatto se' reo. s
Vers. 2. tu se' fatto: MS.
J
H 371 K
Amantk r soli ben reo amando le, giudea.
Donna Giudea non son, ma tu se' ben giudro. ;
A. Oh, i' V ho messo in mezzo del cor meo:
>felli me in quel di te.
I). r non ti molloiri al suol d«^l p'u). ' 7
\crs. 5. r t ho: LR. — 6. Mette: IM.
CCXLVIII.
Amor, verso costei 1' arco disserra,
Po' che mi fugge pace e vuol pur guerra. ^
K forse, signor mio, quando sentire
Se le farà, sentir, la tua saetta, 4
Ara pietà del mio crudo martire;
Ov' ora me conquide e si diletta.
Così di lei per me farai vendetta. 7
Vers. 4. Tu le farai: MS. — 5. mio crudel: MS. — 6. conquider
si: MS.
CCXLIX.
Donna, quand' io li miro.
Fuggimi lu per darmi più martiro? s
Se per più pena darmi tu mi fuggi.
Non è remunerare il mio servire.
E quando l'altre vedran che mi fuggi j
Servendo le, de che potranno dire?
Che mi convien morire.
Se a pietà non ti muove il mio sospiro. 8
Ver». ^. quando ti: LR. — 5. Quando l'altre vedraimo: LR. — 8.
Se non ti muove a piata il: LR.
)( 272 )(
CGL.
Virtù loco non ci à perchè gentile
Animo non ci trova: il vulgo c^ri
Tien zappator pur ch'egli abbian denari. j
Per questo ogni un pecunia sempre agogna,
Non avendo rispetto chi raguna
Al mond' ov' è maggior chi à più fortuna. e
Quel che ci acquisti lascia te o tu lui:
Tristo chi spende il tempo in ciò colui ! s
Vers. 2. trovo: PL. — 6. Al mar dove maggior cha più: LR, PL.
Sarà buona correzione la mia? — 7. o e' lascia: LR. — 8. Colui leg-
gono il LR. e PL: forse co' [con] lui.
GCLI.
Amor, s' i' son dalle tue man fuggito, .
Non ti doler di me ma di costei,
Che 'n pene mi tenea servendo lei. '5
E non pensar eh' i' sia ma' più ghermito
Da te in lei, ben che le stie nel volto ;
Che reddire in prigion chi n'esce è stolto, e
Que' libertà conosce quant' è cara
Che la smarrisce e ritrovare impara. s
GCLII.
Perchè se', donna, in grazia farmi lenta?
Che di vedermi tu par sì contenta. s
Chi à tempo e tempo aspetta, tempo perde;
E cotal perdila mai non si racquista. 4
)( 473 )(
Donna che non fiorisce ih tempo verde,
Di frutto fare al tempo perde vista . e
Non to' riprension chi 'n ciò l'aquisla,
N»'' '1 (cmpo poi tìA porche si penta. *
Vers. 8. il pente: LR.
CCLIll.
Donna, non spero che '1 morir mi gravi.
Po' oh' ò perduto il ben che tu mi davi. ^
r fu' per le filine, or m' à fortuna
Il ben eh' avea nel contrario volto. 4
Piange la mente mia, tal duol s' aduna ^
Lo 'mmaginar quel che Y è stato tolto. e
0 me, amore, 0 me ! ove m' à' collo !
De, dammi morte che di qui mi cavi! «
N'ers. 8. Da dammi: LR.
CCLIV.
Non temo, donna, di pianger già mai
Po' che '1 ben eh' i' perde' renduto m'ài. i
Che doglia 0 che martire aver porrei
Per lo qual mai si ritignesse il volto? 4
V fui in gloria e poi a terra dici,
E or tempo felice m'à ricolto. t
Egli è sì dolce il raquistare il tolto.
Che trar non può più, que' che'l prova, guai, s
Vers. 4. mai mi si: LR. Ma il mi è di più.
48
)(274)(
CCLV.
Amor, mira costei nova nel bruno:
E so che '1 cor di lei col mio é uno.
Poscia che morte tolto l'à il signore
Crudele in quel piacere ov' io disiro
E mosse per pietà, piata, amore
De mova te per me eh' ognior sospiro
Con dir — Non odi, giovane, il martiro
Che pale il servo il qual servir t'aduno?
Vers. 4. disio: LR. •
CGLVI.
De', quando me farai, donna, contento,
Che fo per te il di morte ben cento?
Quando sarà che mia dogliosa mente
Per te da te di te contenta sia?
Tu vedi, e so che dentro a te si sente.
Ch'i' vo' da te quel ch'uom ch'ama disia.
Molto è gradita più la cortesia
A farla presta che con passo lento.
Vers. ■!. mi farai: T. — 2. morti: T . — i. di te da te: T.
CCLVIl.
Questa eh' à '1 cor di pietra margarita
Più che di viver a morir m'invita.
E quel che mi soetiene in vita vivere
Son gli occhi suoi eh' a me si fan sentire
)( 275 )(
Denlr'al mio cor sì dolci, che uccidere
Non puomi crudeltà di suo marlire.
Per gli occhi grazia e per Io cuor morire
Mi veggio, e così sta per ir mia vita. s
Vere. 1. e per lo suo: LR. Ma rileggasi bone la ballala, e s'appro-
verà, spero, la mia correzione.
CCLVIII.
Se tanto gosta il ben quanto il dir male,
Dò, perchè a' più di ben parlar non cale? 2
Il favellar colla ragione abbiamo
Vantaggio noi agli altri animai tutti:
E, se fuor d'onestà noi operiamo,
Simili allor ci facciàn bestie e brulli.
Chi parla molto, e 'n ben suo dir non frulli.
Riso gli è 'n bocca e tenuto bestiale. s
GCLIX.
r fui già usignuolo in tempo verde
E con dolce cantar segui' amor tanto
Che '1 giunsi ove in fi.«;chiar si mula il canto. 3
Così mutai per l'accidente verso:
Or i' aver cerco e non curo fatica
Per non ire a merzé della formica. s
Chi vuol sanza fallir venire in tempo,
Le cose deve far secondo il tempo. g
Vers. i. un usignolo: Par. — 4. peli: Par. — b. Or viver: LR. —
7. senza: LR. — 8. de' i uom far sicondo: LR.
)( 'm )(
GGLX.
Come vuoi, donna, tu ch'io ini dia pace?
Ch'amor per te mi fa si aspra guerra
Ch'ogni uscio di piata mi chiude e serra. 3
Ma, se del pianger tu vuoi ch'io mi posi,
Fa' che m'allenti il tuo tormento amore:
Ancor, che gli occhi tuoi sien sì piatosi 6
Che '1 tuo per me faccian piatoso core:
Altrimenti vedrai me per dolore
Inanzi un dì cadérti morto in terra. 9
CGLXI.
Venus al suo Cupido, per diletto
Di me, me puose per sua compagnia
Ove si posa e sta la donna mia. 5
Li s' assenbraron danzatori e suoni
Perch'ella a me la sua mostrasse spera:
E ciò fecesi in van, eh' ella non v' era. e
Ma questo mio signor tutto pietoso
Lei verso me e me lei verso mosse,
E presso insieme che non ci percosse. 9
Ond'ella alzando gli occhi, ciascun disse
— Muoia costui — : e credo ch'io morisse. //
Vers. 6. faciessi: LR.
GCLXII.
11 pianger, donna, tuo, oimè, quanto
M'induce all'amoroso pianto! ' i
)( 277 )(
11 pianger me or oltre a me per qiu-j^li
Che pianj^on piango ov'io son preso e fiie; 4
Ciò son quegli occhi tuoi che struggi, belli,
Per morte alcuna delle cose tue. e
0 me! o me! che non ne muoion due?
Per quei leggie ciloe d' amor lamanto. s
Se non fosse stato lo scrupolo di pubblicare intera la serie delle
ballate e dei madrigali del Soldanieri avrei lasciato volentieri da
parte questa ballatìna. Mi giovi avvertire che, tolta qualche h, ag-
giunto qualche segno ortografìco e disgiunte certe lotterc in pochi
luoghi, la riproduco come sta nel ms.
CCLXIII.
Amor, come farò? rhè ricoprire
Non posso te ne per cui m'ardi dire. i
E, s'io il dicessi, i' torre' vie l'onore
Di me, d'onestò amare e di chi m'ama: 4
E, s' i' '1 celo in parlar quel ch'ò nel core,
Pur gli occhi scuopron l'amorosa brama. 6
Cuopri la fiamma, acciò che costei fama
Non perda, e noi non perda a te servire. s
Vers. 3. dicessi, torr& via: T. — 5. se celo: T.
CCLXIV.
Un bel girfalco scese alle mie grida:
Dell'aere in braccio a piombo giù mi venne,
Com'amor volle e 'I disio di suo' penne. .;
^ Il T. nota che nel cod. 535 della Bibl. irap. di Parigi si legge che
a questo madrig. Don Donato da Cascia pose le note musicali: — v. 2.
Dall'aer: T. dell'aria: PL. — 3. sue: T. Non si sa poi perchè il T.
dopo questo verso segni una lacuna, come i^ mancasse qualcosa —
)( 278 )(
In piò gli misi; e, fatto ch'ebbe gorga,
Alzò più assai che non fu la caduta;
Onde giocando il perde' di veduta. 6
E che ritorni non mi dice il core,
Che credo che se '1 tenga altro signore. s
Vers. 6, più alto assai che la-. LR. — 6. giucando: PL.
GGLXV.
Chi l'à quel cor ch'ornai è, donna, tu'
Suo servo? alcuna non ne fia né fu. 2
Ma non si truova in me; perch'io in te sono, '
Avendo il cor di me ch'i' dato t'ò:
Dunque, s'a te io per fedel mi dono,
Far mi dei grazia; eh' altro ben non ò.
Se non, sia certa, donna, ch'io morrò
Per non poter portar tue pene più. 8
Vers. 1-2. Il LR. legge propriamente cosi: Chilla pel core chomai
me donna tu Suo servo alchuna ne ne fia ne fu. Mi è parso necessario
correggere come si vede nel testo, intendendo: Quel core che ornai,
donna è tuo [ tu' ] chi l' ha [per ] suo servo'ì Alcuna [ che V abbia]
non ne fia ne fu [tra le donne:]. — 6. mi do-, LR. Ma la rima vuol dono.
CCLXVl.
Non far contro al dover, che forse forse
Contro ti tornerà quel ch'ai pensato:
El — ben gli sta — è sempre apparecchialo. 5
El tempo passa; e però guarda guarda
Prima che giri, e non al fatto dopo:
Vers. 5. Prima chengiuri . . . doppo: LR.
)( 279 )(
Che I liuii j,m;i bisogno ebbe d«'l tupc». 6
Apri gli orecclii e rico' queste verba,
E pensa ch'umiltà vince superba.
Yers. 7. orecchi e ritho: LR. La lezione e rito' [ ritògli ] sarcbb*
stata, parmi, men propria dell'adottata da me [ricogli].
ncLxvn.
Non escon preste si quadrella e pietre
Di terra ove si dà crudel battaglia
Perch' altri al inur non vegna o su vi saglia, j
Com' uscir d'una pr' una finestrella
A giungner gli occhi suoi vèr gli occhi miei
Saette, che fedel mi fér di lei. e
Ond'io pregando lei ch'alasse me,
-Non posso più - risptiose, e disse -o me! - s
Vers, 4. per una: LR.
ccLXvm.
Pregoti, donna, che 'I percln* mi dica
Fatta mi se' nemica
Senz'io fallirti. j
Nemichi me, veggendo che conlenta
Non so che in me si senla
Per donna di me guida. $
Ma, come che d'avermi tu ti penta,
Non fia mia mente lenta
Pensar me Irar di strida. j
Vere. 2. nimica: LR. — 6. me senta-, LR. — 7. come tu: LR.—
)( 280 )(
Gonvien, seguendo te, che tu m'uccida
0 eh' io di pianto rida
Per ben servirti. ^^
Vers. <0. seguendo in te: LR.
CGLXIX.
Donna, i' so ben che servon, più ch''un, due;
Ma, perchè stanno mal duo cani a un osso,
Ti lasso e son contento com'io posst>. 3
Che m'ài, servendo te, di te tradito.
Facendo altrui di quel che me signore, 5
E sai che dare a due non si può il core,
Ma può trar d'uno in altro l'appetito. 7
Dunque non mi t'asconder sotto il dito
Mostrando avere a me le voglie tue;
Che sai ch'i' so ch'altri è dov'io già fue. io
Vers. 2. due: T. can: MS. — 4. m' a': MS. — 5. eh' è mio: T. —
7. Ma trar: T. — 8. doppo il dito: MS. doppo il dito: T. — 9. in me:
T. -^ 40. fui: LR.
GCLXX.
Però che due più eh' un serveno a una
Femina, ragione
Non vuol cb'a uno stia contenta alcuna. 3
E vedi come questa è la ragione
No' veggiàn eh' una ara un giovin bello
Al piacer suo e terrallo in pregione,
Vers. '1. d'un servono: T. — 4. Dopo ragione il T. mette due
punti;. Io poi sospetto s'abbia a corregger cagione. — 5. Noi veg-
giam: T. — tì. prigione--T.
)( 281 X
K non dimeno un sozzo o un vecchiarello
S'aopcra, per dire — l'ò questo e quello — :
K per più operazione,
Anzi ch'iin, due ne vuole .i> * ■ lasnina. /o
Vers. 8. Sa operra, legge il LR. Accettiamo la correzione del T.
CGLXXl.
Quanto mi posso, amor, di le dolere,
Del tempo, ch'ò perduto,
Che non t'ò conosciuto,
Or quando un'orsa mi ti fa vedere. 4
Ell'é donna, ben ch'à nome di fera,
Questa che d'ignoranza fuor m'à tratto.
Chi non conosce il sol per la sua spera
E abbia gli anni a ciò, de' esser matto: «
Io che '1 tempo ò, e cieco era 'n quest'atto,
Che non ti conoscea
Né ben né male avea,
Servo costei che te mi fa piacere. 4i
CCLXXII.
A. Donna se 'nganni me, chi poi ti crede?
D. Sa' chi? un altro te.
A. Non é d'altrui far beffe in donna beilo.
D. r befTo te per non esser beffata. s
A. Lasso! tu '1 fai per volgermi mantello,
Vers. 3. Non mi riesce cavar senso da queì>tu \crsu come ^'iacc
nel LR.: Che rreJea avere perdere a tue se me.
)( 282 )(
Come che sia di me disamorata.
Non m' ami tu sendo da me amata?
D. Si, se in uom fusse fé':
Ma uomo ama a diletto di sé. io
Vers. 7. dime: l'ho aggiunto io: manca nel RL., ma è richiesto
air interezza del verso.
CCLXXIIl.
Tu che biasimi altrui guarda in te prima,
Ch'altrui non de biasmar chi sé non slima. ^
Condanni me, per medesimo te,
Se tu di quel che me condanni pecchi;
E, se tu r opre, non guardare a me.
Ma ch'io al tuo ben dir fermi gii urecchi: <
Dico che canti ben ma mal ti specchi,
Se stai nel vizio e virtù pregi in cima. s
Que' de' voler ch'altrui dottrina dà
Mostrar di sé secondo il ben dir l'opre:
Chi parla onesto contro al suo dir fa;
Di lui r effetto la malizia scopre,
Pognam che 'n bigio panno alcun si copre,
Come l'atto parlare la sorda lima. a
Vers. 5. E stu all'opere: LR. — 13. Copra: LR. — U. È diffi-
cile cavarne un senso: ma così porta il LR.
GCLXXIV.
Se tu pensassi al torto che mi fai,
Donna, rivolgeresti gli occhi tuoi
A me, dicendo pur — Che grazia vuoi? — 3
)( 283 )(
Però ch'ogni servir merito aspetta,
Dee il servito servidor servire,
K donna amala è ad amar costretta.
Per debita raj^ion non può fuggire:
Sì ch'io non dubbio che farmi languire.
Pensando a le, che so po' che vorrai
0 'n più matura età ti pentirai. 40
Vers. 5. servitorT MS.— 6. ad amare è constretta: MS.— 8. duòto
che farmi morire: LR. — 9. son poco vorrai: MS. — iO. E' in
piùi LR.
CGLXXV.
Amor, tu sai eh' i' fu' per te ferito
Da una donna, e non ne pianse tanto
Ch' un poca di piata le desse vanto. j
Ond' io veggendo lei non voler patti
Di me scampar, fuggi' le forze sue:
E or di nuovo un'altra con suoi atti
Mi vuol far suo com'io di questa fue.
Ond' io pel primo inganno sto'n tra due
Che di colei costei abbia appetito:
Temo... e non so pigliar partito. io
Vers. 10. Manca qualche parola nel LR.
CCLXXVI.
r servo e non mi pento, ben eh' a 'ngrato
Abbia servito: poss' io pur servire,
Perch' ogni ben sarà rimuneralo. j
Servir sol per servir dee quel che serve
E non già per rispetto
)( 284 )(
Di premio che si dea per chi riceve.
Non dico clie tu serva chi diserve
Chi '1 serve: ma costretto
Ogni altro a servir si e quanto può breve;
Che '1 tempo se ne va sì leve leve
Che par un dì a que' che più ci é stato,
E che ne porta ogni un quel eh' à portato. 12
GCLXXVII.
Donne, e' fu credenza d' una donna
Con falsi modi suoi far tanto eh' io
Suo fossi: io me n' avvidi, e son pur mio. 3
Cogli occhi agli occhi e con parlar coperto
Mostrava a me di me che fosse presa;
Di eh' io servia costei: e, quando merlo
Volli in segreto, misesi a difesa:
Ond' io partito son dalla contesa,
E fuggo avendo, ah me me!, tal desio,
E lascio lei col pensier falso e rio. io
Vers. i. Donna, e': LR di madonna: RT. — 2. far ch'io: T. —3.
aviddi: MS. — 4. e un: MS. — 5. Da questo in poi mancano nel MS.
e nel PL. — 7. Volle in sagreto: LR. misese difesa: MS. — 9. a me
cotal: T. — 40. lei con: LR.
CCLXXVIIl.
La larda grazia, tarda donna, fa';
Mostrando te a pietà vie si torte,
Che chi ti segue segue in sé sua morte. 5
Vers. -1. Il LR. aggiunge un lume dopo fa', che, se non è uno
scherzo del copista, non so che ci abbia a fare.
)( 285 )(
r l' ò dal puciii al viiil icmpo
Servito come servo, ben eh' i' 'I celo;
E non giugne piatA; ehè par che 'n lonipo
L' aspetti agli anni laidi o 'n grosso velo.
Se tu il capello imbianchi e io il pelo;
La mia virtù al disio non fia forte;
E l'ore all'aspettar tal' or son corte.
CCLXXIX.
0 giovin donne che 'I tempo perdete
Per viltà della mente,
Pensate che vecchiezza il ben non sente. 5
Se voi guardate al tempo che vi dura.
Che sete al mondo giovane tenute,
Parràvi un di; e la trista paura
Ch' é 'n voi vi tòe d' amore oprar virtute.
Quanto dolor n' avrete e che pentute,
Ito '1 tempo presente!
E pentervi, iti i di, non vai niente. io
Vers. 4. 0 giovani: LR. ^Giovani: T.— 5. siate: LR. giovam: LR.
e T. — 6. alla trista: LR. — 7. vinto d'amore o per virtute: LR.
o per virtute: R. to' d'amore per virtute: T. — 8. arete: LR. — 40.
penter gì' iti: LR. pentirvi: T.
GGLXXX.
E' non è, donna, gioco
Tener chi ama con lusinghe in foco. i
Mon sola pasce lo 'nlianimalo core
Vers. 3. solo: R. e T.
)( 286 )(
La cosa amata per mostrarsi altrui:
Ma che è quel che fa vivere amore?
Amar chi ama e quel voler che lui.
Merzè! i' son colui
Che amando te tu ardi' a poco a poco. s
Vers. 4. e per: R. e T. — 8. E amando te cui ardi: R. Amando
te i' ardo: LR.
CGLXXXI.
Se dir potessi, Amor, mio ben celato,
Darei invidia altrui di me beato. s
Quel che mi tìen ciò dire
È tema di non perder mio diletto
Per astio eh' è in altrui:
Però no '1 fo sentire,
E mai di me non uscirà del petto
Che dica in chi né cui:
Basta a chiunche m'oda, udire a lui,
Gh' i' son per una cui io amo amato. io
Vers. 2. Direi .... altrui per te di me: LR. Direi m' è parso
errato e per te superfluo: — 9. a chi che: LR.
CCLXXXII.
Amor, di questa candida colomba
Cerca sotto suo' piuma ■
Chi sprona sì '1 disio che mi consuma. j
De, sguarda, signor mio, quanta merzede
Vers. 2. Ciercar: LU.
il
)( 287 )(
Tu fai, se ciò mi fai;
Che mi scampi da morte a buona fede.
Se peni, lu sarai
Cagion del danno mio, e perderai
A le un servidore,
Morendo me; che sai che tien mio core. io
CGLXXXIII.
Che io d'altra sia, certa sie tu
Di no; ma sì di te com'io ma' fu'. t
De, donna, non pensare
Ch' io per altra guatare
Il cor le dia, che sai ch'i' '1 die' a le.
Celo di te mirare
Per alcun bucinare
Che di cioè sento: un'altra il tiri a sé.
De, non dottar: de, fidati di me,
Di quel eh' i' fo; che '1 fo per senno più. /o
Più dee guardar la fama
Colui di donna ch'ama
Che quel disio che l'appetito dà:
Donna che cade in fama
Vivendo morte chiama;
Perchè che muore ella vivendo sa. 46
Non gli occhi miei ma '1 core in te si sta,
Ed è maggior per lór mal dir virtù. /«
Vers. 4. Ch'io . . . cerio: LR.
)( 288 )( ■ "
CCLXXXlV.
Ben di fortuna non fa ricco altrui;
Che par che chi più aver del suo si prova
Più nudo di virtù ogn'or si trova. j
Tengasi gli occhi alle cose celeste
E' piedi alle ricchezze fuggitive.
Beato chi qua giù del ciel si veste,
E guai a chi per far pecunia vive!
Virtù non ór fa ricco; e ciò si scrive
Perch' egli é fermo ben: ma di colui
Tesor può dir doman — Non son, ma fui. io
Vers. 2. 'par chi in più aver: R. e T. suo prova: LR. — 3. gnit-
do: R. e PL. — 4. Tengansi: PL., R. e T. — 6. / piedi: T. fugitive:
R. e T. ~ 8. acciò si: R. — 9. Perchè gli è: T.
GCLXXXV.
De pregisi chi tien di virtù loco,
Ch' ogn' altra cosa è poco
Avendo sanza ciò a nudrir sé. 5
Chi sé seguendo l'appetito pasce
D'omo non vita mena,
Perché più che ragione il diletto ama: e
Ma que' che pensa perchè al mondo nasce
La volontà rifrena
In quanto tenga vizio quel che brama. 9
Virtù ciò che ragion non vuol disama;
Cosi chi aver vuol fama,
Non chi ragion fa volontà di sé. n
)( 289 )(
CCLXXXVI.
Donna, d'nna pietosa cerco donna
Che 'n amor saggia sia,
Per por la viia al suo servigio mia. 3
Temo me por vana donna a servire,
Perchè star non vi può amor celato;
Ma fa di sé e di chi l'ama dire
Il mal più tosto assai che sia pensalo. 7
Guardo volere amando esser amato
Da tal che per follia
Buona ventura non mi cangi in ria. io
Vcrs. i . Donna, cosi il LR. Forse è da correggere Donne.
CCLXXXVIl.
Sol d'un picciol sospir l'anima mia
Conforta in su '1 partire.
Giovane, che reddir non sa se sia. j
Se guardi ben, questo partir mi stringe
Si forte il cor che di pianger m'induce;
Perchè riparo ove fortuna pinge.
None i' vo dove ella mi conduce. 7
Se per questa pietà turbi tuo' luce.
Ricevo! per gran dono;
Servo ti sto e sono — ove eh* i* siia. 10
Vers. 3. Reddir: così il LR. Forse dovrebbe essere rima me<1ia
come al v. iO. — 7. dov' ella: LR. — 9. Ricevil: LR. Ma non se no
cavava senso.
49
)( 29a )(
GGLXXXVIII.
io vo' bene a chi vuol bene a me
E non amo chi ama propio sé. g
Non son colui che per pigliar la luna
Consuma il tempo suo e nulla n' à;
Ma, se m' avvien e' amor m'incontri d'una
Che mi si volga, dico — E tu ti sta — ;
Se mi fa lima lima, e io a lei da da:
E cosi vivo in questa pura fé'. s
Com' altri in me, così mi sto in altrui;
Di quel eh' i' posso a chi mi dona do:
Ninno può dir di me — Vedi colui
Che con duo- lingue dice sì e no — :
Ma fermo a chi sta fermo sempre sto;
S' io r ò al bisogno mio, me à a sé. /4
- Vers. i. r vo': LR. — 5. m'incontro: LR. m'incontri a: T. —
6. tolga: T. — 7. ed io: T.— 8. mi vivo: LR. — 10. cheposso:T.—
42. dite; T. — M. m'ha egli a se: T.
CCLXXXIX.
Chi '1 dover fa, mal dir non curi altrui;
Che '1 vero a lungo andare scusa lui. s
E ben che '1 falso vero tal' or' paia
Per ragion false e pronte,
Convien che poco duri- ò
Che ragion vuol che nel volto e' si paia
Nel mezzo della fronte
A' frodolenti e furi. *»
Ove giustizia può, dunque non curi
Falsarla infamia chi à '1 ver con lui. yo
)( 291 )(
CCXC.
Seguendo il tuo appelilo i' perdo onore — ,
Cosi costei: merzè, dunque, signore. f
Pon freno al mio error prima che bianco
11 tempo faccia il mio capello e '1 pelo
Con far che 'n quesla il vizio venga manco
Anzi che pigli benda e lasci il velo.
Tó'ci per tua piata da bestiai zelo,
Lasciando onesto a ciascun te nel core. s
Vers. 2. Così costar: LR. Ma nel resto della ballala si traUa
sempre d'una donna. — 6. chi pigli: LR. — 7. T'ari; LR.
CCXCI.
S' agli occhi gli occhi piata di costei
Mostran di me, perchè no il cor di lei? i
V so che gli occhi, come spie del core.
Mostrando altrui merzè, che '1 fan sentire; 4
Per questo so che sa il mio dolore:
Da eh' io mi maraviglio nel languire 6
Che tu, Amor, non fai le porte aprirò,
Sì come a servo di piala; che dèi. 8
Vers. 2. non.- LR.
CCXCll.
r prego ch'ogni donna cruda invecchi
E poi per più sua pena ogn'or si specchi, i
Che vcggia i di perduti e sé condotta
)( 292 )(
Negli anni ove natura lei dispetta.
Vero è che 'l tempo ritorna a bell'otta
A chi '1 trapassa a dar quel che diletta: g
Cosi d'ogni una invidia fa vendetta,
Tornando el ben dell'altre a' loro urecchi. 8
Se stesse fermo e non fuggisse il tempo
0 che in ier si tornasse, ristorare
Sé donna altrui potrebbe: ma di tempo
Chi la potrà, ben ch'ella avesse, amare? 12
Non uom per suo piacer: dunque filare
Pensa po' tu che perder tempo pecchi. /4
Vers. 8. al ben: LR. — -12. ben eh' ella avesse: così chiaramente
il LR. Forse bisognerebbe emendare: ben che volesse.
CCXCIII.
Costei cogli occhi e co' suo' modi vaghi
M'à fatto servo, e poi si mostra nova
Ogn'or che '1 mio col suo sguardo si trova. 3
V seguo lei onestamente a passi,
Mostrandole l'occulta mia ferita;
E ben eh' ella ciò veggia, sora stassi. e
Cosi, signor, fa l'anima partita,
Se già col colpo lei tu a me non piaghi,
Che s'inchini ad amar sì che m' apaghi. 9
Vers. 1 . con suoi. MS. — 3. che 'l suo col mio sguardo si truo-
va: MS., T. — 8. lei che me: LR. lei teme non paghi: MS. lei te me
non paghi: T. E anch'io ho voluto leggere a mio modo.
il
)( 293 )(
CGXCIV.
Ninno al mondo fu nù sarà mai
Gir amore il contentasse sanza guai. 2
E io più ch'altri in fine a qui contento
Mi sento e fermo sto in su la rota. 4
Temo che tosto giunga nuovo Vento
Che mi trabocchi giù in su la mota. 6
Fresca mi può donar di vila morie,
Così come mi tiene in gloria a^sai. 8
Vers. 2. Che . . , senza: T. — 3. Ed: T. — 5. nn nuovo: T. —
8. gloria sai: T.
CGXGV.
L'anima non ci può più dentro stare,
Poi che 'n tenuta in me t' à messo amore,
Ardendo tu sanza piata il mio core. 3
Veggio che fuor di mia poca ventura
Altro crudele a me non ti può fare: s
Bella e gentil t' à prodotto natura,
Perch'io ti debba benigna trovare. 7
E tu non m'ami e a me ti vedi amare.
Ghe ragion e' è? Son teco sventurato:
Così m'uccide in te vecchio peccato. io
Vers. 2. II LR. legge: Poi rhen tenuta in me tamcsso amore.
Cosi il LR. Che vuol dire? V'è forse di mezzo un nome proprio? e
<lt»vrebl)e leggersi Poi che te. Nula, in me t'à messo amore, o simil
cosa?
)( 294 )(
CGXGVI.
Donna, io mi credea come fedele,
Amando te, da te esser amato:
Veggio e' altro é, e cosi son beffato. s
Non già perchè già mai t' abbia fallito,
Che sola dir di me potevi mio, a
Ma per poca onestà tu m' ài tradito.
Tenendo altrove fuor di me il disio. 7
Or ti riman', eh' a te più non pens' io;
Che corpo senza il cor non è pregiato:
E tengati colui a cui 1' ài dato. 10
GGXGVII.
Fuggimi da colei negli occhi d'una
Ghe tradito m' avea; là ove preso
Son si che nel cor porto un foco acceso. 3
Ghe vai, signor, ch'i' sia da quella sciolto,
Poi che tu m' ài in quest' altra legato? s
S' eli' era disleal, costei è molto
Grudel verso il disio che m' à tirato. 7
Gosì mi truovo due volte pigliato
Gon inganno, al mio creder, di ciascuna,
Se 'n questa non mi megliora fortuna. io
GGXGVIII.
Golui può dir e' a sé sé porge pena.
Fuggito amor, se poi vi si rimcna. 2
I
)( 205 )(
V credo che ciascun che pigli l'amo
Del piacer d'una, a quel piacer sì stia:
Chi più ne cerca e dichi a quella — l' t'amo, —
Se '1 crede, mostra palese follia. 6
Per questo a me rimango, e tuo ti sia
Chi pensa le tenere in sua balia. s
Vers. 7. tu ti sia: LR.
CGXCIX.
Niun si fidi, perchè spesso avvènc
Che chi si fida troppo non fa bene. ?
Non si Iruova oggi lealtà né fé'.
Però ch'ogni un procura al peggio fare: 4
Tenuto è il più sapulo in buona fé'
Que' che più sottilmente sa ingannare: ' s
Onde per questo non si può fidare
L'un dell'altro oggi, che fé' non si tene, «
Vers. 5. Tenuto il: LR. Ho ìaggiunto l'è.
ecc.
Nel mondo no' mi par che s'usi più
Rendere onore a uom c'abbia virtù. i
Solca ogni virtù esser madonna
E governare il mondo in vera pace: 4
Or chi di vizii à più piena la gonna
Tenuto è in fra gli altri più verace, e
Dicendo — Vedi e' a costui non piace
11 viso d'Aristotil ch'era un bu'. s
)(296)(
CCCI.
•
Chi vuol far falli non dica parole,
Stringa la bocca e lassi dir chi vuole. 2
Che monta a dir parole e non far fatti?
Che spesse volte avien che n' è pentuto.
E questo incontra spesse volle a' malli,
Che quando parlan troppo é conosciuto:
E però il savio sta come saputo
E sempre pensa a quel che 'I suo cuor vuole. 8
Non in male operar de far tal prova
Né vizi rei, che '1 fine gesta caro.
Ma con virtù che lo 'ntelletto mova
E buone operazioni el gusto amaro.
E nel ben far non esser mai avaro.
Fuggendo quel che pe' più usar si suole. -/4
Vers. 2. lasrA: T. — 8. sempre ha: T. — U. l'intelletto: T. —
42. Manca in T.; ma non era un gran peccato, che non si racca-
pezza nulla di più.
CCCII.
r sono un pipistrel che vo gridando
Qi QÌ di notte intorno a una lana,
Aspettando gi qì con voce piana. 3
QÌ ci non viene; ed io non so che farmi,
E volo in giù e in su qì qì chiamando
Tanto che l'alba si viene appressando. 6
0 me, 0 me! sogn'io o vo sognando?
Qi qì rispuose — Entra — , e fé' entrarmi
Ov'io più amo, e sto con dolce lana. 9
I
LI BEO X.
MADRIALI E BALLATE D'ALESSO DI GUIDO DONATI
E
DI BINDO D'ALESSO DONATI
Le poesìe di Alesso Donati contenute in questo libro si leggono
tutte nel cod. magliab. vii var. 624 cart. in 4." del sec. xv. Sei, e
propriamente le numerate da me cecili, cccvii-ix, cccxviii, cccxxi,
erano già stale pubblic. dal Triiccbi in Poes. ital. ined. i. 2u4 e segg.
E il Trucchi registra Alesso Donati fra i rimatori del duecento, tratto
per avventura in inganno da un sonetto variato di endecasillabi ed
ettasillabi che sotto il nome di lui riporta il Crescimbeni dal cod.
chig. 580, foglio 680, nei Coment, intorno all'ist. della volg. poes. vol.I,
lib. II, cap. XVI. Quel sonetto e per la versificazione e per la lingua e
Io stile è indubitatamente poesia del sec. xiii. iMa queste presenti
rime, o ch'io non intendo nulla delle varietà dello stile e della ma-
niera nei varii tempi, o che sono del sec. xiv cadente : e spero che
ognuno il quale abbia pur lette con un po' d'attenzione ne' prece-
denti libri le ballate e i madrigali del Sacchetti e del Soldanieri mi
darà ragione. E già, per quanto io abbia cercato e domandato a
uomini eruditi e competenti, né Alessi né Dindi appariscono nella
famiglia Donati nei sec. xiii. Né Bindi ho detto: perchè anche di
Bindo sì vorrebbe fare un rimatore duecentista. Ma la ballata dì lui
che io riporto sotto il num. cccxxvi, già pubblicata dal Crescimbeni
di su 1 cit. cod. chig. foglio 776 ne' Coment, voi. II, par. II, lil). II,
§ e, e quindi riprodotta ne' Poeti del primo sec. della lingua, Firenze,
48<6, II, 243, pareva già al Crescimbeni troppo squisita per un dugen-
tista: «essendo la maniera di questo rimatore, egli dice, assai tersa
gentile dolce e leggiadra, per non dire che egli facesse la strada a Cino
)( 298 )(
da Pistoia che universalmente viene acclamato per trovatore di quel-
la, bisogna che lo facciamo suo seguace, ponendolo nel chiudersi del
sec. XIII ». Meglio vide il Trucchi, il quale riportando la ballata di Bindo
di Alesso Donati nelle notizie di esso Alesso, scrive: « Esaminando il
madrigale [* ballata dovea dire] di Bindo di Alesso Donati che si dice
fiorisse del 4270 ['cotesta età gli assegnano gli edd. de' poeti antichi
del 48-16], è facile il riconoscere che quella poesia non può essere di
quel tempo né di quel secolo; ma si può veder in que' pochi versi
tutto il fare largo e maestoso e splendido de' migliori trecentisti. Mi
conferma in questa opinione l'aver veduta questa ballata, benché
senza nome di autore, nel cod. 535 della Bibliot. nazion. di Francia,
messa in musica colle note musicali a tre voci dal maestro Fran-
cesco degli Organi di Firenze che fioriva su 'I finir del trecento ». E
anch'io l'ho veduta nel magi, vii, var. 1041 già strozz. pur senza
nome d'autore e diètro a due altre di Francesco degli Organi. Del
resto io accetto volontieri come rimatore anche Bindo di Alesso, ma,
insieme con suo padre, come rimatore trecentista degli anni più
bassi. Lo scrittore del cod. chig. può avere errato attribuendo ad
Alesso quel sonetto variato che certo è del duecento e confondendo
rime d'altri fra le sue.- può aver errato il Crescimbeni pigliando
come di Alesso o di Bindo altre rime che seguitavan d'appresso
alle loro. Tornando a noi, per la ballata di Bindo ho dunque tre
testi; quel del Crescimbeni [C], quel del Trucchi [T] e '1 cod. strozz.
magi. [ MS. ]: pe' componimenti d'Alesso non ho pur troppo che il
magi. VII. 624. [M.] di copista plebeo: né ripara gran fatto il Truc-
chi fT,] per quei pochi che ne die fuori nella sua raccolta.
cecili.
La dura corda e '1 vel bruno e la tonica
Gittar voglio e lo scapolo
Che mi tien qui rinchiusa e fammi monica;
Poi teco a guisa d'assetato giovane,
Non già che si sobarcoli,
Venir me 'n voglio ove fortuna piovane: 6
E son contenta star per serva e cuoca,
Che men mi cocerò eh' ora mi cuoca. 8
Vers. 5. Manca nel T. — 7-8. quoqua-. M.
)( 200 )(
CCCIV.
Ellera non s'awilola
Più stretta verzicando ad alcun albero
Gli' a me tremando fé' la bella zitola,
Pian pian — Che fo? — dicendomi —
r sento sbadigliar la madre vetula:
Fo vista di dormire e teco stendomi. —
— Abbracciànci, risposile:
E, s' ella ci ode e grida, fuor cacciamola. — 8
E ciò dicendo volto a volto puosile,
E colsi frutto del su' orto giovane. io
Vers. 4. savittola: M. — 5. vettula-. M. — 6. o teco: M.
CCGV.
Accese montanine che portate
Con voi d'amor sembianza e atti gai,
De la via mia smarrita m'insegnate.
Venga, che fie merzè, l' una di vui
Tanto ch'i' torni al mio dritto cammino;
Che già mai 'n queste parti più non fui. — 6
L'una si mosse sospirando meco,
E io con boci sollazando seco. 8
Vers. 4. voi: C. Ho corretto per amor della rima. — 8. Cosi
legge il M. Meglio baci, e meglio davvero.
lOO )(
GGGVI
Cercando d'un cespuglio calcatreppì,
Due pargolette alzate alla rifonda
Viddi in un bosco fondo, in fronda fronda.
Rideva l'una sovra il bel cespuglio;
L' altra
;tridia,
a gran boci subito st
Perchè saltando fuor un gril n'uscia.
Ond' io che tra le foglie mi celava,
Pel vago e pauroso suon ridendo,
Mi fé' palese ov'era nascondendo:
E da lor ricevuto in compagnia
Cosa senti' eh' i' canto tutta via.
H
Vers. \. Quando d'un: M. M'è parso dover correggere: e fra le
ipotetiche correzioni la più probabile mi parve Cercando. — 3. bosco
fronda: M. E forse sareblje anche da correggere in fonda fronda. —
5. stridea: M. Ho corretto per la rima.
CCGVII.
In pena vivo qui sola soletta
Giovin rinchiusa dalla madre mia.
La qual mi guarda con gran gelosia.
Ma io le giuro alla croce di Dio
Che, s'ella mi terrà qui più serrata.
Ch'i' dirò — Fa' con Dio, vecchia arrabiata
E gitterò la rocca il fuso e l'ago,
Amor, fuggendo a te di cui m'appago
Vers. 4. de Dio: T. — 5. S'ella mi terrà inìi sola serrala: T.
)( 301 )(
GCCVIII.
Di rietro a un volpon che se n' portava
Una pollastra bianca
Venie correndo una forese stanca,
— Piglia la putta fui', piglia — dicendo
Tanto piacevolmente,
Gh' i' preso fu' di lei subitamente.
E con un fiero veltro ch'avie meco
Mossi gli passi miei,
* Pigliando insieme Io volpone e lei.
La volpe il pollo, e '1 can la volpe s'abbia:
C'avendo te non veggio chi megli' abbia. ii
Verso 1. Diretro: T.— 3. Venia: T. — 4. futa: M.Ho eliso Va per
amor del verso, come va fatto sempre in simili casi. II Trucchi non
intende nulla, e stampa: Piglia, la putta', fra via, piglia, direndo.
Che orecchi! — 6. da lei: T. — 8. li passi: T.— iL avendo io te: T.
CCGIX.
De vattene oggimai, ma pianamente,
Amor; per dio, sì piano
Che non ti senta il mal vecchio villano.
Ch'egli sta sentecchioso, e, se pur sente
Ch' i' die nel letto volta,
Temendo abbraccia me no gli sie tolta.
Che tristo faccia Iddio chi gli m' à data
E chi spera 'n villan buona derrata 8
Vcrs. 3, il vecchio: T. — 6. non: T. — 7. me gli ha: T.
)( 302 )(
GGGX.
Di fiori e d'erbe inghirlandata e cinta
Alzata in sottanel una forese
Me uccellando prese
Si strettamente, eh' i' non so né posso
Partir dalla beli' alpe ove m' à seco
Ruzzando spesso meco, 6
Ma stemmi con amore
Mutato qui da Circe in un pastore. 8
CCCXI.
r mi son qui selvaggia pasturella
Che tendo in queste selve reti al varco,
Come colei che volentieri uccella. s
Altrove son figliuola d'un de' conti,
E 'n mie' compagna son più damigelle
Con grossi uccelli e can per gli alti monti.
Se ti piacesse in me cogliere il fiore,
Apparecchiata son, come colei
Che certamente t'à donato il core. — 9
r, ciò sentendo, a volo un mio sparviero
Presto gittai, e divenni maniero, 14
CCGXII.
Con lieve pie, come la pecorella
Timida fugge il lupo al suo pastore.
Me alla madre fugge pasturella. 5
Seguival' io, dicendo umilmente
)( 303 )(
— 0 me ! r umido pie percolerai,
S'alquartlo tu non vai — più pianamente . — 6
Ella pur si fuggìa, in fin die presa
Fu da un pruno e d'amor meco accesa. «
CCCXIII.
Di nuova e bella età duo monlon vaghi
La paslurella a cozzarsi invitava,
E'I vincitor di fronda inghirlandava. 5
Pigliava per la coda l'un, dicendo
— Cozza, Biondol, che Goderin t'aspetta — ,
Dolce parlando vezzosa e vaghetla:
Tanto che ciò guardando i' eh' era freddo
Di subito senti' 1' anima calda
E fonder com' al sol fa bianca falda.
E così calda calda amor la serva. io
Vers. 9. E fondar-. M. — -IO. ealda mor: M.
CCGXIV.
Cogliendo in una grotta raperonzoli
Una forese, e io la salutai,
Ed ella mi rispose — Va, che sbonzoli ! — 5
Udendo sua risposta sì salvatica.
Ch'i' mi puosi a seder rimpetto ad ella
E ragionai con lei di nuova pratica. e
iTn rapcronzol mi die sanza foglie,
Che mi chetòe tutte le mie voglie. 8
Vers. <. raparonziolù. M.
)( 304 )(
GCGXV.
Dò or volesse Idio ch'i' fossi donna,
Acciò che io madonna
Potesse sempre star mirando fiso ! s
De, che non m'adivene
Com' a Tiresia che mutò sembiante?
Che, là ov'i'ò pene
Avre' riposo ed allegrezze tante.
Amor, cosi pesante — m'è tua voglia,
Che la mia tutta à voglia
Di quel e' ognun volere sta diviso, io
Vers. 9-10. Così il M. Potrebbe intendersi: Che tutta la voglia
mia à voglia di quel che sta diviso dal volere d'ognuno: o simil cosa.
cbcxvi.
Amor, della mia morte a te do carico,
Poi se' cagion del male ond'io son carico. s
Tu se' cagione e que' e' a fine menimi,
Però e' a donna tal sugetto destimi
Che mai non seppe, ah me!, che pietà fossesi.
Or è lungata: e tu l'ardor non menomi
Che mi consuma, anzi ad amar più destimi;
Ond' i'ò pena, e penso mai non fossesi.
La qual mi tira vinto a mortai varico,
Onde con morte e con blasmarti varico. io
GCCXVIl'.
Che ci rilieva. Amor, l'affatigare?
C'ogn'ora è questa bella
)( 305 )(
A te più lungi e a me ribella. 3
Certo a te torna a casa in onore
E a me torfia a danno:
Onde resliam come li savi Ianni»
Dclli principi loro
Quand'a lor mal li veggion ritornare.
E tu alla tua stella
Ritorna, e me dal fren togli e dissella. io
Questo non dico già perchè mi pesi
Lo tuo diletto peso,
Che sempre mal l'amai e amo acceso:
Anzi, mi piace tanto il tuo affare,
Che, se la presta e snella
Mie' mente ad altra volgi, ecce tua ancella. 16
Vers. 4. a casa n onore: C. Ma che vuol dire? — 10. distella: C.
CCCXVIIl.
Da poi e' ogni speranza m' è fallita
E altro in vita — non truovo che morte,
Ben che sia cosa forte.
Cercare in morte — voglio omai la vita. 4
Fallita m'è ogni speranza, poi
Che'n voi — guerra, non pace, donna, acquisto
Promessami in amore.
Dolore — i' truovo e morte in vita, poi
Che 'n voi, — servendo, ogn'ora men acquisto
E più monto in amore.
Vo' con dolore — in morte cercar vita,
Vers. 7. Permessami: C. Il T. corregge Promessomi: meglio
Promessami, che si può riferirò a pace del verso anteccd. — 10-14
Mancano nel T. — 11. rcar vita: C.
20
«
)( 306 )K
Perch'è fallita — l'anima per morte.
Ben che sia. cosa forte,
Vita avrò in morte — che non Tie fallita. m
Vers. 14. avrà-. C.
GCGXIX.
Di te son servidor: dunque, signore
Amor della mie' vita,
Conforta l'alma dentro sbigottita,
Si ch'abbia pace il core. 4
Questo se fai, signore, onor li fia:
Che scampar vero servo a signoria
Sempre torna ad onore:
E io pur vero son di te suggetto,
E tu sempre sedesti nel mio petto, '
Si come possessore,
* Guida del mie' dolore. n
GGGXX.
Tanto più guardo voi, più bella sete,
E cosi, donna, avete,
Ghe la mostrate in voi, maggior durezza. 5
Ond'io veggio mie' morte:
Però che la bellezza più m'accende
E la durezza più mi dà dolore;
Ghè ciascun per sé forte
E di poter disfar me servo forte;
11 qual dolce e umil non si difende.
Anzi si stende — alla pena che 'l tene.
Gosi, s'a voi non vene
Di lui pietà, morrà con istanchezza. n
^
)( f]07 )(
Dò, come solTeris' tu farti fura,
Morte crudele, disfatta figura? 3
Non ti tolse pielade
L'antica forza, riguardando lei?
Non li commosse, omei ! ,
Sua gtan bellezza cinta d'onestade?
Ma che! crudel se' tanto per natura
Che mai pietà non torse tua puntura. 8
Così fus' tu pietosa, •
Che questa arebbe vita o morte i' seco!
Morte, i' ragiono teco;
E però il ragionar non mi dà posa:
Ma ciò che'l ciel conterrà mi dà cura,
Lasso!, di farmi tosto tua fattura. /4
E ènne tal disio.
Po' che se' stata in questa donna mia. ,
Che, s'a me fatta pia
Non vien' tostana, a te verrò tost'io,
E, per trovarti, in cosa tanto dura
Mi gitterò che tu n'avrà' paura. so
Vers. 9. Questa e la seg. stanza nel cod. appariscono staccalo
dalla prima come un componimento a sé; tanto che il T. pubblica
di fatto la prima stanza come una sola ballata. —40. averebbezC. —
42. in ragionar: C. — 43. con terra: C.
CGCXXll.
Giovane, tanto temo
Di venire allo stremo
Di vita, ch'i' rifuggio a le per posa. J
E dolcemente pricgo
)( 308 )(
La tua vera pietate,
Ch'ai mostrar crudeltate
Si metta tutta al ni ego;
Che però priego — a morte,
Tanto mi noia forte
Veder nel viso tua vista noiosa. 4o
CCCXXIIl.
Per gli occhi al core spesso fa camino
Un pian pensier d'amore
A guisa di riposo pellegrino. 3
E quand'é dentro sua pianezza sveste
E mette foco nel mie' manco lato
Sì fatto eh' a me' vita dà tempeste:
E però vo cotanto consumato,
Donne piatose; e, s'i'non sono alato,
Per la cocente fiamma
, andrò al dichino. /o
Aiuto mi sarebbe che colei,
Da' cu' begli occhi a' mie' prendea viaggio.
Ponesse fine agli tormenti miei.
Che n'à potenza; ov'io possa non aggio,
Ma son si vinto che qui là qua caggio,
E vo com' uom che passa
Da vita lassa — e da notte al mattina. i7
Vers. 4. quando dentro: C. — 5. ne mie: C. — <0. Di questo v.
nel C. è fatto tutt'uno con l'antecedente. Ma si vede bene che manca
il primo emistichio, il quale può aver sonato press' a poco così: Che
sì m' infiamma, me n' . . . . — 12. prendean: C.
CCCXXIV.
De, se madonna fosse,
Quant'è crudel, pietosa,
Vers. 4-2. Nei C. è tutt' un verso.
)( 300 )(
Avrebbe il mondo tanta cara cosa? J
No cerlamente: cbè Té tutta bella,
Gentile, onesta, e di virtù colonna:
Gli occhi suo' lucon co' la grande stella
Che radiando ogni vapor scolonna.
E fatto e dato in carri
Così con penne varri.
Ballata, a digliel de non prendei* posa. io
Vers. 8-9. Così il C. È, non è: indovinati quel che gli è.
CGCXXV.
Da poi eh' amor più volte m'à fallito
E ch'i' trovar non posso donrìa in fede,
Disposto al tutto son farmi remito; >
Sì che, rimoto stando, in aspri loci
Folli silvestri solilarii e duri.
Ove veder non possa donna mai.
Mi posi, Iddio lodando ad alte voci.
Lui eh' è pace perfetta, e più non curi
Di donne né d'amor eh' è pien di guai;
Le quali pur veggendo, o lasso I, assai
Si scherme l'uom colla mano e col dito
Che per amor non sia tal' or ferito. 12
Vers. 2. Forse sarebbe da correggere: in donna fede. —3. Dispo-
sto sono al tutto: C.
CCCXXVI.
BiNDO d' Alesso Donati
Non avrà mai pietà questa mia donna,
Se tu non fai, Amore,
)( 310 )(
Ch'ella sia certa del mio gran dolore.
S'ella sapesse quanta pena porlo
Per onestà celata nella mente
Sol per la suo' bellezza, che conforto
Altro non prende l'anima dolente, 7
Forse sarebbon da lei in me spente
Le fiamme che nel core
Di giorno ih giorno mi accresce il dolore. io
Vers. 6. sua bellezza: C, T. — 8. da lei sarebbero: T. —
40. acresca: MS.
L 1 mi 0 XI.
BALLATE K'MADIIlALf DI VAIlll
CCCXXVIl.
Conte Ricciardo da Dattifolle.
Dal cod. <289, e. 173 v., della Bibl. univers. di Bologna cart. in
i.^ del sec. xvi; ov' è inlitol. Ballala del conte Ricciardo, con una
postilla o non vestita » .
Amor, tu fieri e san', come ti piace;
A molli dcài tormenti, a pochi pace. s
Tu cieco nudo corri e disfrenalo,
E col tuo arco qual s' avien saelli.
Nessun li può fuggir, che se' alalo:
Giovane e puro ijicrccde impromoUi.
Dò fa, signor, ch'i' sia de' tuoi diiclli,
E sana il colpo che mia vita sface. s
CCCXXVllI.
M. Taddeo de' Pepoli.
È in un cod. nìembran. «r scritto, a quanto pare, sul finire del
sec. XIV da un menante bolognese»: cosi il cav. Giov. Ghinassi,
del quale è il cod. Ed egli la pubblicò insieme ad altre cose in un
liiscicoletto di 8 pagg. [Faenza, Conti, IsGi] per nozze Loiela-
Zamltrini. La ballata è nel cod. accompagnata da questa notizia
« Verba Domini Tadci Do nini Joannis De Pei>olis rum crai in castro
)( 312 )(
Planorii de mense aprilis MCCCLXX VII . Il eh. editore annota: «se
Taddeo de'PepoIi è chiaro per la parte ch'ebbe nelle vicende della
sua patria, per ia prima volta qui ne si mostra gentil poeta; quando
non sia che altri così parlasse in suo nome »..
Or sia che può e sia corno a voi piace,
Che sol di voi serò servo verace. g
Vostre parole altiere e aspra vista
Remover non potran mia fede pura.
Io certo son eh' a gran pena s'acquista
Stato diletto e mutase in altura:
Ma pur più volte vince chi la dura,
E d'aspra guerra si fa bona pace. s
GGCXXIX.
Matteo di Landozzo degli Albizzi.
Dal cod. ricc. HOO, e. 44; onde la pubbl. il Trucchi in Poes. ital.
ined. H, U5.
Dò, discacciate, donne, ogni paura
Da vostra mente vile,
Mentre che siete in tempo giovenile. 3
11 dolze tempo che per voi si pei^de
Già mai non si racquista.
Perchè non torna giovinezza mai.
E voi, donne, che siete in età verde,
Questa temenza trista
Lasciate, che vi dà tormento assai.
Però seguite, giovin donne, omai
D'amore il dolce stile;
Che mai viltà non fu in cor gentile. i3
Vers. 1. o donne: T.— 2. Di: T. — 3. in mente giovanile: T.
)( 313 )(
cccxxx
Messer Gregorio Calonista da Firenze.
Dal ricc. HOOc.67. La pubbl. primo il Lami nel Calai, codd. mss.
ricc, pag. 223; poi il Trucchi in Poes. ital. it\ed. II., U7. È anche nel
codice di musica, palai, laurcnz. 87 e. 50 r., ma solo i primi 7 w.,
con altre musicate da mess. Gregorio.
Sento d'amor la fiamma e '1 gran podere,
E veggio che temere
Non si convien chi vuol vincer la prova. .>
Ma se fiereza in questa ogn'or si trova,
De che farò?
r te '1 dirò.
Perseverando vincerò la guerra.
Non fu d'amor già mai donna sì nova.
Che, s' i' vorrò
E seguirò.
Con suo' potenza Amor nolla disserra.
Non sia però 1' ardir centra '1 dovere:
Anzi si vuol calere
Che sdegno di pietà nolla rimova. U
■ Vers. 2. che 'h T.— 5-6. UT. li rifa a suo modo: Che dessi far?
i' te 'Ivo dire. — iO. Eseguirò: L. II T. rifa anche questi: Che s' e
vorrà seguire. — 41. sua: T. non la: L. e T.
CCCXXXI.
Fr.vncesco di Tura da Firenze.
Dal riccard. <100, e. 67. r., onde primo lo pubblicò il Lami nel
Calai, mss. ricc. pag. iOi.
Ninno aspelli il tem{)u (lu.uido l'à;
Che tardi poi forse ritornerà, 2
Né mai l'animo tuo riprenderalli
E non potrai aver pena:
)( 31-4 )(
Com'io, lasso!, ch'og'n'or di morie ò (ratti,
E mancami ogni vena,
Quando penso che tempo i' ebbi e lena
E no '1 presi pensando — E' riverrà . h
V. 7. tempo ebbi-. C.
CCCXXXIl
Ser Durante da San Miniato.
sta col nome di Ser Durante e con l'intitolazione di ballata a
carte 27 v. del ricc. 4100 e senza nome a e. 52. v. dello strozz.
magliab.vii. '104'!. L'avea già pubbl. colla denominazione di madriale
e fra le Rime di m. G. Boccaccio [Livorno, -1802, pag. 59] il Baldelli
di su le copie di rime antiche del Moùcke che ora si conservano nella
Comunale di Lucca. Ma anche per lo stile non la crederei del
Boccaccio.
Né morte né amor, tempo né stato
Né vostra crudeltà potrien far eh' io
Altra donna mettessi nel cor mio. s
j Ne' primi tempi di mie' giovinezza,
Com'amor volse, donna, .vostro fui:
E^ s'io mostrai d'altra aver vaghezza,
Fecil per tór di noi 'l mal dir altrui:
Ond' io vi giuro, solo per colui
Le cui saette non curate un fio.
Ch'altra che voi di me non può dir mio. i5
Vers. 4. Negli anni primi di mia: SM, B. — 6. Se poi mostrai:
B. Se poi mostrai d' altro amor: SM. — 7. Ver tór di noi il mormorar
altrui: SM, B. — 8. Donna, Vho fatto, e giuro per colui: B, SM. —
40. Ch' altri di voi, di me: B. Ch'altri che voi: SM.
CCGXXXIII.
Stefano di Gino merci.uo.
Dal cod. red. i51, e. 80. v., ov'è intitolato madriale: lo pubbl
il Trucchi in Poes. ital. ined. II, 416. È anche nel cod. 535 della Bi-
blioteca imperiale di Parigi, con la musica di un Ser Niccolò .
)( ^M5 )(
Non dispregiar virlù, ricco villano,
Né perder tempo a vincerla con oro;
Che pur sua fama passa ogni tesoro.' t
De pensa ciii tu se'! Se mai Ibrluna
Rota volgendo dell'aver ti spoglia,
A che ricorrerai se non a doglia? e
Però non biasimar; che '1 ver sì trova
Che pure al fin dimostra la sua prova. 8
V. 2. temp' a: P. — 3. suo' fama pass' ogni: P. — 8. ti fin: T.
i fin . . . suo': P.
CGCXXXIV.
Dal cit. coti. red. 151 e. <20, ov' è denominata madriale, e onde
la pubbl. il Trucchi 1. e.
Lasso! che '1 mio dolor non à mai fine,
Né veggio che per me tregua mai s'abbia:
Così dogliendo vivo in questa rabbia. 5
Anno né mese, dì, ora né punto
Non m'abbandona amorosa battaglia:
E dir non posso come e quando giunto
r fu' dal bel piacer che qui m' abbaglia:
E per duol balzo come in acqua scaglia
Or qua or là fin ch'io m'atluflb in gabbia, .v
Vers. 4. mese né ora: T. — 9. tuffi: T.
CCGXXXV.
Matteo coRREGr.uio.
Dal red. 451 e. Si v, ov' è intitol. madriale. La pubbl. di
su'l cod. 177 della Bibl. univ. di Bologna P. Zambrini a pag. 285
delle Opere a stampa dei sec. XIII e XIV indicate e desritle ( Bo-
logna, Fava e Garagnani, 4806 ).
Mille merzè, o donna, o mio sostegno,
Che m'ài della ina «grazia l'alio degno i
Vers, 1. mercede: Z.
)( 31 G )(
Vago, leggiadro, gioioso, contento.
D'allegra voglia canto,
Perchè tu d'amoroso e buon talento
M'ài tratto fuor di pianto,
Poi m'a' coperto del tuo nobil manto
Con viso d' umiltà senza disdegno. s
Vers. 3. e contento: Z.
GCGXXXVI.
Dalriccard. 1100, e. 82 v.
A'nnamorarmi in te ben fu' matt'io,
Che tu non donna se' ma '1 dolor mio. ~
Tu mi mostrasti prima il volto chiaro,
Facendomi sentir di pace segno
E di cor dolce amoroso e benegno:
Me sol tenevi per tuo servo caro.
Or' ài rivolto il bene in pianto amaro,
Veggendo ch'io t'adoro come Dio. 8
Ahi lasso a me!, ben fallo e dico male,
Che 'n te non fu' matt'io a 'nnamorarmi;
Ma pien di grazia ben posso chiamarmi,
Ghè 'n pregio venni sotto alle tue ale.
Perchè virtù in donna assa' più vale,
Voglio gradire il tuo vero disio. f4
Tu sai eh' a fede pura i' t' ò servita
E servo e servirò per me' morire.
Ohi, come ti può il core sofferire
Ghe la pietà per me sie tramortita?
Se mi consumi o fai perder la vita,
Onor non ti sarà ma biasmo rio. 20
V. 8. benigno: C.
)( 317 )(
CCCCXXXVII.
[*EscioNE Cerchi.
Di questo liorcnlìiio contemporaneo di Fr. Sacchetti e di Niccolo
Soldanieri pubbl. primo il Crescimbeni di su'I co<l. chig. 580 l'appres-
so madrigale, ch'io ripubblico confr. al cod. red. 451, ove leggesi
a e. <20 v.coii la seg. nota: Madriale di Pescion Ciervhi, che fede per
monna Marinella che vagheggiava, e facieasi menare quando la volea
vedere, perchè non vedea lume, e 'l compagno la guatava per lui.
Seguendo un pescalor eh' ariva a riva,
Pescando giva — senza navicella
Per una chela e chiara marinella. .;
E poi che per più volte ebbi pescalo,
Pesce alcun non prendea:
Ma la rivera tanto mi piacea,
Che vago mi posai presso a quell'onde
Che ombreggiava di verdette fronde; s
Dove donna gentil veder mi parve,
Ch'a perdut' occhi mai piti bella apparve. io
Vers. 4. ebbe: Cr. e R. Ma per levarne un senso parmi bisogni
emendare come hofHtto e intendere per prima persona il giva del v.
2. — 5. In esso pesci non: R. — 7. quelV ombra: Cr. — 9. Ove: Cr.
Due donne: R. — iO a mortai occhio: Cr.
CCGXXXVIII.
Francesco degli Organi.
■ Pubbl. di su 1 cod. chigiano 580, f. 776, dal Crescimbeni nei
Commentari della volg.poes. voi. IV, I. i, e riprodotta dal Viliarosa
in Race, di rime ant. tose. IV, 291 . In questa ristampa si raffronta
al cod. slrozz. magliab. <0.H, ci VII, ove leggesi a carte 51 v., o
a' due codd. di musica, palai, laur. 87 ( e. 433 r. ) e imper. parig.
536 (e. 66 v. e 67 r.) ov'è fra altre musicate da Francesco.
Gentil aspetto in cui la mente mia
D'amor costretta ha lutti i suoi pensieri.
Perché gli ài tu vèr me tanto leggieri
Vers. 2. D'amar: LP. suo': LP. Par. — 3. in vèr: LP, Par. —
)( 318 )(
Che non l'increscc di mia pena ria? 4
Amor m'iia sì del tuo piacer legalo
Ch'i' non posso pigliare alcun diletto
Se da te non mi vene,
Né d'altra avversità teme '1 mio stato
Che di sentire sdegno nel tuo petto
Più che non si convene. io
Poi che la tuo' beltà tanto mi tene
Suggetto a te che d'altro non mi cale,'
Sosta la grave pena che m'assale
Veggendo a si gran fé' far villania. H
Vers. 4. di mie': Par. — 6. Ch'io-, st. — 7. viene: st. — 10. con-
viene: st. — H. hiltà: LP, Par. — 12. soggetto: st. — 13. Sostami la
gran: Chig., SM. e st.
CCCXXXIX.
Pifbbl. da Fr. Trucchi, Poes. it. ined. Il 153, di su '1 cod. strozz,
magi. VII. var. 1041, ove ieggesi col nome di Francesco degli Organi
a e. 51 v; e riscontrata ora su esso cod.
De, pon questo amor giìi:
Dico a te, mente stolta.
Dove ti se' tu involta?
Troppo col tuo pensier raguardi in su.
Come se' tanto folle 4
Mirar sì alto e non misuri te?
— Perchè questo Amor volle
Quando tal donna udire si mi fé'.
Di lei degno non se'.
Nò a lei degno pare
Che tu la deggi amare. —
— Leva dunque il disio; non l'amar piti. — /^
Vers. 8. mi si fé': T. —
)( .'!•.' )(
L. N.ii noi potrei ma'
L'amor mio da costei,
Tanto legalo m'à
In pene. — E degli omoi
Di te non curbrà. —
— Certo nessun lo sa:
Donna di gran valore,
Ch'à un picciol servitore.
Per soferenze già benigna fu. »/
Vers. <3. non potre': T. Del resto e il T. e il cod. leggono qui
mai; ma per amor della rima bisogna leggere ma'. Nò il T. ha
fatto segno d'intendere che questa ballata è a dialogo fra il poeta e
/la mente sua.
CCCXL.
È nel cit. strozz. magliab., e. 52 r., senza nome d'aut., dopo due
ball, attrib. a Francesco degli Organi ed una terza anonima ma che
è d'altri. È nel red. laur. 151, e. 59 v., col nome di Francesco- degli
Organi, e indi la pubblicò il Trucchi, I. e. È anche ne'codd. musi-
cali, laur. palat. 87 e. <o9 v.)o iinper. parig. 53o(c. 87 r.), fra altre
musicate da Francesco.
0 fanciulla giulia.
Con le sarà el è sempre il cor mio,
El ogni altro pensier mosso ho in oblio. 5
A ciò m'induce un conoscer d'amore,
Che m'à mostrato e più mi mostra ogn'ora
Quant'è l'alta bellcza e '1 gran valore
Che in te risplende e la tuo' schiatta onora:
E se leco dimora
Benignità, che sdegnosa non sia,
Per certo ogn' altra da parie si stia. io
Vers. 2. e sempì-' è 'l: L P. - 3. Ch'ogni: S.\I , RL, T. f ogn':
PL. ho messo: T. — 4. cognoscer: LP, Par. — 6. Tanta è la tuo....
e il: S M, T. e il gran: PL.— 8. Se con leco: LP, Par. Questi ultimi
tre versi mancano nel T.
)( 320 )(
CCCXLI.
È nel cit. cod. strozz. magi., e. 32 r., dopo altre due altribuHc a
Francesco degli Organi; e indi col nome di lui la pubblicò il Truc-
chi, 1. e. È anche ne' due già citati codd. musicali, laurenz. pai.
(e. 92 V.] e parig. e. -128 v. ■129 r.) fra altre ballate intonate da mess.
Francesco. Le altre che il Trucchi pubblica sotto la serie di questo
autore parve anche a lui non certo che fossero di Francesco. Si
leggono nel cod. parig. fra le musicate da Francesco, ma egli mu-
sicava anche quelle di altri autori, anzi specialmente. Né è poi
certissimo che sien di lui pur queste che sotto il suo nome
ristampo dietro l'esempio del Crescimbeni e del Trucchi.
Ben che partir da te molto mi doglia,
0 luce del cor mio,
Sempre con meco porto il tuo desio. j
E non sperar però che la mia mente
Si parta mai da te,- ben ch'io non sia
Alla tua gran biltà ogn'or presente:
Ma pur vo' pregar te per cortesia,
Gom' i' con teco son, tu meco sia;
Però che la mia voglia
Altro non brama che '1 tuo viso pio. in
Vers. \. Bench'el: SM. Benché il: T. —2. Oi: SM. — 3. rimo:
Par. — 4. mie: LP, Par. — 6. tuo': Par. beltà: T. — 8. contento: Par.
ed è «rrore. Cam' io con teco, tu con meco sia: SM, T.— 9. la tuo':
SM.: per errore, la mie': Par.
CGCXLII.
Questa ballata la riproduco dal Paradiso degli Alberti, romanzo
di Giovanni da Prato edito e dottamente illustrato da Alessandro
Wesi5elofsky [Bologna, Romagnoli, mdccclxvii; t. IH, pag. 21].
S' introducono ivi a cantarla due fanciullette al Paradiso, villa
degli Alberti, in un ritrovo di gentili uomini e donne, con piacere
)( 321 )(
di tutti e stngularmente di Francesco musicò, fe anche nel cod.
laurcnz. 87 ( già di Antonio Squarcialupi, che contiene tutte canzoni
musicate'; e vi si legge fra quelle di Francesco Cieco, che è uno
stesso con h'rancesco degli Organi. « Era dunque .domanda il WeSse-
lofsky) da lui posta in musica? od anche poeliciinienle era sua? ed
ò questa la cagione perchè, quando si viene a cantare la ballata, si
nota che questo si faceva con singolare piacere di Francesco mu-
sico? » Per le allusioni a una madonna Cosa (Niccolosa) vedi lo stesso
Wesselofsky, che di lei e d' altre molte cose discorre così bene nel
cap. Ili del suo Saggio di storia letteraria italiana ( della line del
sec. XIV ) premesso al romanzo.
Or SU, gentili spirli ad amar pronti,
Volete voi vedere il Paradiso?
Mirate d' està Cosa suo bel viso. "" j
Nelle sue sante luci arde e sfavilla
Amor vetlorioso, che divampa
Per dolcezza di gloria chi la mira;
Ma r alma mia, fedelissima ancilla,
Piala non trova in questa chiara lampa,
E nuli' allro che lei ama o disira.
0 sacra iddea, al tuo servo un po' spira
Mercé: mercè sol chiamo, già conquiso:
De, fallo pria che morte m' abbia anciso. i2
Il laur. ha i soli primi 6 versi, con queste varianti: — v. t. Or
sun. — 3. de sta petra el vago viso. — 4. suo' luce sancte ard' e. —
5. victorioso.
GCCXLUl.
M.\TTE0 de' Griffoni
Di questo bolognese, n. nel 4351, m. nel 442'). autore d^l Memo-
riale historicum rerum bononiensium ec., die primo alcune rime alla
luce Giov. Fantuzzi [ Notizie degli scritt. boi., t. IV, 299-301, Bologna,
stamp. di san Tommaso d'Aquino, MDCCLXXIV, in 4.° ]: e le trasse
da un ms. membr. a forma di vacchetta dell'Archivio bolognese ove
son descritti i notai all'ullicio de'mcmoriaii cominciando dal 1265, e
21
)( 322 )(
ne' cui primi fogli, oltre varie notizie storiche, stan quei versi che il
Fantuzzi riprodusse colla stessa ortografìa. E il Fantuzzi dal vedere
alcune parole non finite di scrivere e sol punteggiate e qualche
verso incompiuto dedusse che il ms. fosse autogr. Anche il cod.
membr. 8 ( sec. XIV ex.) della Bibliot. del Semin. di Padova con-
tiene Aliquot Ballate Mathei de Griffonibus civis Bononiae; e l'amico
prof. E. Teza che le trovò e trascrisse ha voluto gentilmente ceder-
mele. La lezione del cod. padovano concorda quasi affatto con quella
del bolognese, ma è più regolare e compiuta; ed offre più-componi-
menti. In fine, il cod membr. N.° i Diversorum nell' Archiv. del
Reggimento di Bologna e ora della Prefettura, mostratomi dall'eru-
dito e gentile consiglier B. Podestà, ha nella prima carta di guar-
dia, di carattere dello stesso tempo ( che è 1' a. 1383), una ballata
del notaro Griffoni e dietrole un madrigale dello stesso che è pur
nella vacchetta de' notai. Noi riproduciamo il tutto dai tre codici.
Prima nel cod. pad., ultima nel bologn., con l'intitolazione
Balata Mathei predicti e con gli ultimi versi di ciascuna volta
incompiuti.
Nessun se fidi troppo,
Che tal per modo fitto
Se fa lial e dritto
Che po' se trova zoppo. 4
Chi numera i amici
Ne li tempi felici
Parn' aver per uno otto. 7
Ma, s' el caze de scanno,
Se trova sol al danno
E paga tutto '1 scotto.' /o
Vers. 4. Che po' se tro . . . : F. — 7. Parnaver per ar . . . .F. —
del scanno: Pad. — 40. E paga tu ... : ¥.
CCCXLIV.
Seconda nel cod. pad., quarta nel bologn.
0 tu che sedi 'n cima de la rota.
Non superbir perchè 1' è che ti nota. s
Vers. 4. siedi: Pad.
)( 323 )(
Onando dol dolce, quando de 1' amaro
Porge colei che fortuna se chiama.
Non esser donque de servir avaro,
Ma sempre de bon co*r ama chi l' ama:
Che tal te rid' in bocca e' of^nor brama
Che colai donna non te sia devota. s
Vers. 4. colie': Pad. —5. doncha: Pad. -7. ride . . . che: Pad.
CCCXLV.
Nel n. -1. Diversorum dell'Arch. della Prefettura di Bologna,
con l'intitolazione Boiata Jf. D. Griff.
Non sia chi tenga dentro da l'ospicio
Can che de lupo voglia far l'officio. 2
Ma volse tener can presti, gaiardi,
Vigili, attenti e fidi al so signore.
Che di' e nocte fazan bone guardi
A defender le pecor' e '1 pastore,
E, quando el lupo ven, senza timore
Mettano quel a 1' ultimo supplicio. 8
CCCXLVI.
Manca nel cod, pad. Nel bologn. è quinto ed è intitolato Ma-
drigal. Immediatamente sopra il titolo ha questi versi:
Et quando fortuna vuol che giù desmunti sumunti
Li trova tanti ingegni da cadere
Che nulla par che sua difesa munti.
Fatius de Ubertis.
Il Fantuzzi annota: « Pare che i tre preced. versi, il primo dei
quali è informe, contengano qualche sentimento del celebre Fazio
degli Ul)erti. e che Matteo Grifoni, avendolo a memoria, qui lo scri-
ves.se con animo di valersene in qualche suo componimento. Se ciò
sussiste, sarà questo indicio di scrittura autografa ■. È anche
nel n. I. Diversorum dell'Arch. della Prefettura di Bologna, con
r intitolazione Madergal m. Griff.
)( 324 )(
Non te fidare in stato né richeza
Ma fidati 'n virtù s' in ti n' abonda,
Perchè fortuna sempre non segonda. 3
Quando se volge la su£r rota tonda
Rompendo fede, chi calla chi monta,
E tal crede montar eh' alora smonta. 6
Vertù chi 1' ha con si perir non lassa,
Vince richeza, stato, e vicii cassa. 8
Vers. 4. in richeza: Div. — 2. fidate: Div. — 7. Verta: F. con
se: Div.
GGGXLVII.
Terza nel cod. pad. e nel boiogn.
Non tema '1 spino chi voi coglier fiore,
Che r amor poche volte
Zova, né da piacer senza dolore. 3
Trovas' alcun signor o donna mai
Si dolze che tal or crudel non sia ?
Chi de cor ama non curi de guai,
Ma, com' più crudi son, umel più stia. 7
Cosi seguendo la lor signoria
Ara frutto d' amore,
Perch' umel servo vinz' aspro signore. io
Vers. -1. coglier /".,..; F, — 3. Zovane: F. Annota: o Questo
Zovane sembra che equivaglia alle due uni [sic] Zovane, e; cioè
Giova e dà piacere a noi ». — 5. dolce: F. che za ma': Pad. —
7. sia: Pad. s. ... : F. — 40. vince: Pad.
CGCXLVIII.
Quarta nel cod. pad., e sesta nel boiogn.
Amor, i' me lamento de sta dea
Che com' più 1' amo più me sta iudea. 2
Amai' i' ho costei
)( 325 )(
Et amo più che mai de puro core,
E ma' non vidi lei
Che me facess' alcun allo d' amore.
Però le prego, dolce mio signore,
Che mi la faci pia come 1' è rea. 8
Vers. 8. fasi: Pad. come le r. . . .• F.
CCCXLIX.
Quinta nel cod. pad., manca'al bologn.
Se questa dea de vertù et onestate
In vèr mi fosse pia,
Fedel servo de He' sempre saria. 3
E, ben che sia crudel, però non manca
Ch' a la soa maiestà non sia soletto,
E de servir za ma' mio cor non stanca
E prende onne tormento per diletto:
Ma, se r è nobil come 1' ha 1' aspetto,
Po' che servo li fia,
Non lassarà finir la vita mia. io
t
CCCL.
Sesta nel cod. pad.
Se pur ve piaze, ginlil donna mia,
Farme morir, e vo' che cosi sia. ?
Vu ben sapeti che sempre son stalo
Servo fedel de vu, né d' altra mai:
E a me ingrata non m' avete amato,
E ma' da vu non ebbi se non guai.
Ditemi donca se ma' ve fallai,
E mi serò contento star al quia. «
)(326 )(
r so e' altrui ve mostra d' amare;
Ma quant' el dice non v' ama de core,
E tutto fa per poterve 'nganare;
Che per un' altra donna i' so eh' el more:
Forse ve piaze lu' per servo tòre,
Uccider mi che tenete in balìa? u
Ma certo, donna mia, se m' ociditi,
D' avermi morto ne seri pentita;
Che si lial servo ma' non averiti,
Da chi vostra vertù sia sì gradita:
Vu' si' mia pace, guerra, morte, vita:
Però de mi, com' a vu' piaze, fia. io
CCCLI.
Settimo nel cod. pad., primo nel bologn.
Non sa che ben se sia chi mal non prova;
No se pò dir beato
Chi mal non à gustato.
Se aver provato si non se ritrova.
Vers. 2. Né se: Pad.
GCGLII.
ottava nel cod. pad.
Chi ha, si legna; perché chi possedè
Segnor se trova de zascun che chede. S
Et a voler tenir, zascun signore
Sempre se faza temer et amare;
Al pizol, al mezan et al magiore
lusticia renda egual, se voi regnare:
Perchè 1' è mie' morir che deventare
Di signor servo e dimandar merzede. 8
)( .-527 )(
Chi ha, si legna; perchè chi possedè
Segnor se trova de zaschun che chede. io
CCCMII.
Nona nel cod. pad.
Chi tempo ha, e tempo per viltade aspetta.
Se quel el perde no 'I raqiiista in fretta. ?
Però che de far, faza;
Perch' a ben far non richiede demora,
E gran tempo se caza
Quel che fortuna concede in un' ora.
Fin che ventura voi, donna lavora;
Che '1 tempo passa quanto una saictta. «
CCCLIV.
Decima nel cod. pad.
Zurote, donna, per la fede mia,
Gh' altri che ti de mi non ha balia. 3
r t' ho amata de core
E, fin eh' io viva, son disposto amaro;
Perchè sie* de valore
E de bellade assai, come se pare.
Altri che Dio non polria dir nò fare
Che vivo 0 morto to servo non sia. 8
Non creder a parole
Ch' altri ti dica per esserli a grato,
Che le son tutte fole;
Che de ti sola son servo zuralo.
Tu sola sie' che me pò far beato:
Per mia te tengo, e l' ho tenuta, Dia. /4
)( 328 )(
r t' ho dona' la vita:
De quella fa, come a ti pare, ornai;
La qual te chiama aita.
Se tu la ucidi, gran peccato fai.
Più fidel servo de mi tu non hai.
Credo però eh' amor te farà pia. 20
GGGLV.
Nono nel cod. pad., .secondo nel bologn.
Da picol can spesso se ten zinglare:
Però tu che se' grande non spresiare
Le to nimico de picol affare;
Che, quanto '1 to, punge so semitare. 4.
Vers. <. se te' senglaro: Pad. — 3. El io: Pad. — 4. Perchè
qual to punge so semitaro: Pad.
GGCLVL
Arcolano da Perugia
Fu pubbl. di sur un cod. oliveriano dal prof. G. B. VermigJioli
nelle Memorie di Jacopo Antiquari (Perugia ISIS), e venne riprodotta
dal Perticari nella p. IT. della Difesa di Dante [Proposta ec. Milano,
4820, in 8.» voi. II. p. II. 232, e Opere del Perticari, varie ediz.].
Amante
De, donzelletta mia, non mi dir no:
Gh''i' t' addimando amore.
Aggi pietoso il core.
Lo tuo bel tempo non li perder mo'. 4
Anima mia, se '1 bel tempo si perde,
Ghi '1 ti racquisterà?
Se r alber non fa frutto mentr' è verde,
)( ^^20 )(
Poi eli' è secco no M fa .
Or pensa dunque che li seguirà.
Se la lua giovinezza
Mancliorà per vecchiezza,
Non li varrà di dir: Penluta islò. /*
Donna
Quanlo impaccio li dai ! Deh. non menlire !
Che dimanda fai tu ?
Lassami star, ti prego, e non pur dire,
E non mi adastar più .
Che '1 mio bel tempo ogn' ora va più su
E non mi fugge ancora:
Si che far potrò allora
Della persona mia quel eh' io vorrò. so
Amante
Cosa licita è quella eh' i' addimando,
Vita mia dolce, a le:
r son per fare e dire il luo comando.
Perchè fedel mi se'.
L' iddio d' amor che mi ferì per le
D' una saetta d' oro,
Quei fu cagion eh' i' adoro
La lua figura, e tuo suggello istò. i8
Donna
Ancora par che tu non ti rimanga
Di parlar pur così.
Tu credi forse per la lua lusinga
Ancor poter far sì
Ch'ai luo piacere i' parli e dica .sì.
Ma dirò pure al mio
E quel che in un disio:
Come li piacerà, così farò. 36
)( 330 )(
Amante
Anima mia, allr' i' non porria fare
Che quel che 'n piacer t' è.
Amor mi slrigne, e convienmi osservare
Quel che comandi a me.
Dunque ti piaccia inchinarti a mercè
Del mio grave tormento,
Che per te pato istenlo,
Poi che in anima e 'n corpo a te mi do. 44
Donna
Lassa ! che par che più fuggir non possa
Dalla tua volontà,
Che già d' amor mi sento la percossa
Si che commossa m'ha.
Non posso sofferir: vicnmi pietà,
Se ti lamenti e duole.
Da poi eh' amor pur vuole,
Se mi comandi, ed io t' ubbidirò. óì
Amante
r benedico e laudo in primaniente
Amor che mi ti die' :
Ancor ringrazio te benignamente
Quanto più far si de.
Donzella mia^ poi che pietosa se'
D' ogni mio gran tormento.
Fatto m' hai si contento
Gh' al mondo mai uom più di me no '1 fu. 6o
Vers. 49. Il Pertic. mette punto fermo in fine di questo v., e
virgola in fine del seg. .
)( 3.^1 )(
CCGLVII.
Andrea Stefani
Francesco Del Furia die queste due ballate a una raccolta di
poesie per nozze Soprani e Carave! stainp. in Piacenza da Mauro Del
Majno nel MDCCCVIII in 16.®; e le trasse da un cod. marucelliano
di rime di varii, ove altre cose si contengono dello Stefani, e da
una postilla al margine d'una sua lauda è dato raccogliere l'età in
che visse: dice « Di Andrea Stefani cantore al tempo de'Bianchi.. .
■ D'agosto a'di 45, <399, uscirono tutti e' quattro quartieri di Firen-
« ze vestiti a bianco co' crocifìssi ec. ». Il comm. Ani. Bertoloni
senza conoscere la raccolta piacentina ristampò la prima di queste
ballate nel fase. Ili, pag.489 [marzo t858], dcW Eccitamento, giornale
bolognese di Glologia; e ne furono tirati a parte 50 esempi. Il sig. A.
Tessier, dando notizia della raccolta piacentina, prese occasione a ri-
pubblicare anche la seconda delle ballate dì Andrea Stefani nel fasci-
colo IX, pagg. 522 e segg. [ sett. 4858], dello stesso giornale, e se ne
impressero a parte 30 esempi.
Chi mi terrà, amor, che io non canti
Di questa pargoletta
Che m' è apparita a guisa d' angioletta? 3
La qual col guardo de' suo' occhi belli
Con dolce nodo m' ha legato il core,
Veggendo il capo biondo e li capelli
Che paion d'oro con sommo splendore,
E lei gentile e degna d' ogni onore
Più eh' altra pargoletta,
Vezzosa e lieta e tutta leggiadretta. io
E '1 suo bel viso e le tranquille ciglia
A guisa d* arco sorian sì belle,
Che sol sé stesso e nuli' altro somiglia;
Sotto alle qua' porta duo vive stelle
Che giltan raggi d' oro, e poi in quelle
Si vede una riammetta
Che adorna d' onestà quesl' angioletta. /:
)( 332 )(
Or quale amante sarà tanto ardilo
Che miri il viso e gii occhi e lo splendore,
E non si senta dentro al cor ferito
Di sua beltà con dolcezza d'amore?
Però partir non vo' già mai il core
Da questa pargoletta
Che sola al mondo, e nuli' altra, m' alletta. sa
Ond' io ti prìego, Amor, per cortesia,
Che, se a lei tu ti debbi inviare,
Di' che io moro in tanta pena ria.
Se ella non mi aiuta che '1 può fare.
De, dolce Amor, de sappila pregare!
Che la mia alma aspetta
Da te soccorso colla pargoletta. si
Vers. <3. sé sfessa; Bertoloni, il quale portò pure qualche altra
varietà ortografica nella stampa di questa ballata. — 2i. Forse Ch è
sola?
GCCLVIII.
Lassa, dolente, ahi me! marito mio,
Perchè morir mi fai in tal disio? a*
Ben mi posso dogliosa lamentare
Piangendo e lacrimando
Di te, marito, poi che mi giurasti.
Ahi me lassa, ahi me! che debbo fare?
Gh' i' mi consumo amando
Di seguitarti, poi che mi lasciasti :
Che veramente tu mollo fallasti
A lasciar me in tal martirio rio. i3
Già sai tu bene che tornar non puote
Il tempo trapassato
Né le beltà del mio viso amoroso;
)( 33^ )(
Le qua' mi voggo allo specchio limole,
E quasi già mancato
Ojrni valore, ond' è il mio coidoglioso:
E perduto mi veggio ogni riposo
E trapassare il mi' tempo giulio. so
Poi che tu m' hai in tutto abbandonata.
Mi manca ogni speranza
Che fino a qui portata ho dentro al core.
Ahi me lassa dolente isventurala!
Poco mi vai clamanza
E bagnarmi di pianto il viso fora,
Se non pregare il mio dolce signore
Che mi conservi nel suo slato pio. is
Ballala mìa tanto lamentosa.
Piangendo con sospire
Ti rappresenta e con umil favella
A lui che m' ha lasciata dolorosa
Sol per farmi morire,
Poi ch'io veggo eh' ei segue altra donzella;
E di' eh' i' son dolente, tapinella !,
Privata in tutta d' ogni mio disio. 56
APPENDICE
Licenziando per la stampa V ultimo foglio di
questo volume di Ballate., compilato con la diligenza
e la cura che il lettore noterà facilmente, dal Prof.
Carducci, mi è venuto voglia di far come avevo già
fatto, con licenza dell' amico, sulle bozze dei fogli
anteriori, e raccogliere qui alcune noterelle messe
insieme dopo la stampa, contenenti o aggiunte o
raffronti, specialmente di canzoni popolari : e con
esse compongo la seguente Appendice.
A. D' Ancona.
Pag. A% N.o XXII.
Ai canti popolari già arrecati in confronto deli' antica ballata,
sarebbe da aggiungersene anche un altro che troviamo nel Cénac-
Moncaut, Litterat.popul. de la Gascogne, Paris, Dentu, 4868, pag. 484,
intitolato Las tres coumayretes, e che comincia:
Tres coumays de botine bile
U diyaus que s'en anèn
De dret en ta Peryrehitte,
Aquìou que s'embriagueii.
Da-m'en et pren-l'en, coumayrette,
Da-m'en et pren-l'en bèt goutet. ec.
Cioè: Tre comari di buona vita — Un giovedì se n' andarono —
Dritte a PierrefLtte — Là si ubbriacarono. — Dammene e prendine,
comaretta -- Dammene e prendine una gocciolelta.
)( 335 )(
Pag. 57. N.» XXXII.
Confr. con questo canto veneziano cosi riferito dal Caselli, Chants
popul. de l'Italie. Paris, Lacroix, <8G5, pag. 218:
Sianole, anoma mia, so vegnu al lelo
Ti geri, sangue mio, che lì dormivi.
Ti geri descoverla '1 bianco peto,
Un anzolo del ciel li me parevi.
E mi te melo una manina al peto
E ti me disi: — 0 sieslu benedeto! —
Cussi pian pian te melo una ma' al core,
E li me disi: — Seslu lo mio amore?
Ma da che parte mai sestu vegnio? —
— Su per i lo balconi, anema mia. —
— E sestu si venudo, e così sia,
e fame compagnia
E fame compagnia sin a seti' ore.
Sino a lo canto de la rondinela. —
La rondinela scomenza a cantare:
— Leva su, belo, che zorno voi fare. —
— Oh rondinela, falsa Iraditora
Via lassime dormire un altra ora.
Che ti m' ha roto '1 sono delicato:
Oh che dolce dormir da inamorato ! —
Pag. 59, N.o XXXVIl.
Questa Camicia qui ricordata potrebbe essere la messinese Ca-
miola Turinga, celebre per bellezza ed onestà, ricordata anche da un
canto popolare siciliano, come ne fa fede il Pitrè, Canti popol. sicil.
Palermo, Pedono, 1, pag. <26:
Oh bedda, quantu t' haju addisiatu
Cchiù di la Camiola di Missina!
)( 33G )(
Pag. 64. N.o XL.
Frugando per entro i codd. della Laurenziana mi avvenne di ritro-
vare questa antica canzonetta per intiero, e avendo allora preso sol-
tanto l'appunto del manoscritto e della sua. numerazione, che è pi.
XLii n.' 38, mi«rivolsi poi all'amico Prof. Del Lungo, che già ne aveva
ripubblicato i quattro primi versi trovati dal Magliabechi, ed egli
me la mandò copiata, con queste avvertenze: « Non ommetlere di
correggere il Bandinì, Catal. V. 200 il quale nell' indicarla, descri-
vendo il cod. sotto il n." v del §. xxx, ne dà il principio Madre che
pensi tu fare e la fine Ch'io ti farò pigliare E metter nelle prigionoie,
la quale appartiene ad un altra canzone che sta nella medesima
pagina, ed essendo come le altre del codice scritta di seguito, e la
lettera iniziale che divide 1' una dall'altra poco distinta, venne fatto
al Bandìni di farne di due una. In conseguenza di ciò le aliae can-
tiones quinque anepigraphae accennate dal Bandini, divengono sei ».
— Madre, che pensi tu fare
Che marito non mi dai?
Credimi tu sempre mai
Tenere in questo cianciare? ^
Se tosto non ho marito,
Madre, non sia tua credenza
Che di stare a tal partito
r n' aggia più sofferenza:
Quando Amor mi fa lo 'nvito
Troppo m' è gran penitenza,
Gh' i' ne veggio per Firenza
Maritare a grand' onore
Un braccio di me minore:
Pensa quel che me ne pare! — /4
— Figliuola, non esser matta
Di seguire il tuo volere;
Tu potresti aver la gatta
Di colui che t' è in piacere;
Poi, quando la cosa e fatta,
)( 337 )(
Dussezzo non vai pcntérc.
Tu sai eh' e' ci ha poco avere,
E però t* aggio indugiata;
Tu sarai ben ristorala,
Si che non li crucciaru. — ?4
- Più fiate m' à' 'mpromesso,
Madre, di farmi ristoro,
E pur mi tieni 'n soppresso,
Laond' io tutta mi divoro,
E '1 giorno e la notte spesso
I* ne piango et adoloro
Àlmen mi darà diletto,
E vedra'mene contentare. — .74
— Figlia, non guastare il giuoco,
Raffrena la tua maltezza:
Uno é gito in altro loco
Che ti de' tórre per vaghezza;
Tornerà di qui a poco.
Tosto ne vedrai certezza:
Giovine con gran ricchezza,
Ed é bene imparentato:
Siccome sarà tornato.
Cosi ti vorrà sposare. — j ;
. — Madre, coteste parole
Paionmi da quocer accia;
Che r amor più che non suole
Coir amante pur m' alacela:
Vers. il. Checia il cod. Ma iwrmi da preferire il singolare, e cosi
correggo.
Vers. 31-32. Ilancano i due vv. anche nel cod.
22
)( 338 )(
Farò come far si vuole,
0 lu tosto te ne spaccia:
Se non, seguirò la traccia
Tostamente, senza fallo:
Poi, quando sarò nel ballo,
Pur mi converrà ballare. — 57
Pag. 76. N.o XLIX.
Fin dal 4866 questa Ballata era stata inserita nel giornale ro-
nfiano Il Buonarroti, voi. iii, l." della Nuova Serie, ma offrendo
qualche notevole variante , la riproduciamo per intero da cotesto
periodico.
Fatevi air uscio, madonna dolciata,
Ch' io v' ho recato un cesto di salala. 2
r v'ho arrecalo alsi di fina erbetta;
Hovvi recalo molta porcellana,
E nempitella, salvia con rughetta,
Persia coviella e di molta borrana.
Siete più chiara che acqua di fontana,
E rilucente più che una stagnata. *
Fatevi all' uscio ecc.
11 primo di che innamorai di voi
Si fu una volta, madonna, a ballare.
Se non che troppa gente era con voi.
Un beli' arancio vi volea donare.
Tutto il convito vi stava a guardare-,
Ognun dicea: guarda bella bracciata! /4
Fatevi all'uscio ecc.
Siete più bella che fior di ginestra,
E più dolce che il vin del botticello.
Ilovvi recalo una piena canestra
Di fine ghiande pel vostro porcello:
)( 3.^0 )(
Dell'erba ho fatta pel vostro asinelio:
Vogliovi fare una bella giuncala. 20
Fatevi all' uscio ecc.
Della gran voglia tutto mi divoro;
Tanto son vago, madonna, di voi.
Esco dal campo quando vi lavoro;
Vo per la via gridando omei.
Po' corro, ricorro, raggiungo i miei buoi:
Or t' avess' io po' una siepe abbracciata! 26
Fatevi all'uscio ecc.
Or te ne va, ballala mia piaciente,
À quella rosa colla di gennaro,
Che più che l'aratro si è riluciente, 30
E più bianca che non è il mulinaro;
Dì' che il suo drudo l'aspolla al pagliaro,
E le vuol far 'na bella mallinala. 35
V.24. Qui gli è caduta di cintola la rima e la misura. Certo che
•I poeta volle scrivere: Vo per la via gridando omei, ohi; ma Yohi
non gli gocciolò dalia penna; o fors'anco è crror di copista.
Pag. 208. N.o CLVII.
Canti di tal fatta si trovano nella poesia popolare di tutte le
nazioni. Ne citiamo dge esempi che togliamo dal Bujeaiid. Chauts
popul.des provinces de l' Ouest, Paris, Aubry, ■1866, i, 30:
Ma mère m'envoie-t-au marche
Cesi pour des emplelt' achcter.
Mes sabots font digue, don, daine,
Mon coq fail coquerico,
Mon lambour fail bour, bour, bour,
Ma flut'fait tur lu tu tu ole.
Che così seguila in altro Canto a pag. 43:
Ma mèr' m'envoic-l-au marchia
Cesi pour une lliìle ageler:
)( 340 )(
Ma flilte fait Inrlululu,
Mes sabots font dig' don daine,
Dig' don dain' font mes sabots.
Je n' suis pas marchand', ma mère,
Pour une flùte ageter.
Ma mèr' m' envoie-l-au marche,
C est pour^un tambour ageter:
Mon tambour fait bour, bour, bour
Ma flùte fait turlutulu, etc.
Ma mèr' m'envoie-t-au marche
G'est pour un violon ageter:
Mon violon fait zin zin zin
Mon tambour fait bour, bour, bour etc.
Ma mèr' m'envoie-t-au marche
G'est pour une poule ageter,
Ma poule fait cot' col' cot,
Mon violon fait zin, zin, zin etc.
Ma mèr' m'envoie-t-au marche
G'est pour un beau coq ageter:
Mon coque fait coquerico,
Ma poule fait cot', cot', cot' etc.
Ma mèr' m'envoie-t-au marche
G'est pour une cane ageter:
Ma cane fait coin, coin, coin,
Mon coque fait coquerico etc.
Ma mèr' m'envoie-t-au marche
G'est pour une dinde ageter
Ma dinde fait giou, giou, giou.
Ma cane fait coin, coin, coin etc.
Ma mèr' m'envoie-t-au marche
G'est pour un àne ageter; ,
Mon ane fait hi han, hi han,
)( :^4I )(
Ma dinde fail gioii, gioii, gioii, ole.
Ma iiièr' m'envoie-l-au marche
C'osi pour une fi Ile ageler;
Ma fi II e l'ail lire lan lai re,
Moii àne fait hi han, hi han,
Ma dinde fait giou, gioii, gioii,
Ma cane fait coin, coin, coin,
Mon coque fait coquerico,
Ma poule fait col' col' col',
Mon violon fait zin, zin, zin,
Mon tambour fait bour, bour, bour,
Ma filile fait turlululu,
Mes sabols font dig' don daino.
Dig don dain' font mes sabols.
Je suis bien marchand', ma mèro,
Pour une fi Ile ageter.
)( 342 )(
AVVERTENZA DELL' EDITORE
Per la indugiata pubblicazione di questo volume, è avvenuto
che alcune poche poesie in esso contenute sieno state edite altrove da
altri; come le ballate di Matteo Frescobaldi riunite da me stesso
alla raccolta che detti di tutte le rime di quel poeta {Pistoia, 1866,
in 16.°), e alcune ballate di Matteo De' Grifoni che furono date in
luce, di su lo stesso codice padovano onde le avevo avute io, dai
Sig. Giusto Grion in appendice al Trattato delle rime volgari di An-
tonio da Tempo (Bologna, Romagnoli 4869, 8.°).
Debbo inoltre notare come dopo la stampa uscì a luce una
diversa lezione della Ballata popolare riferita a p. 60, sotto il
n.^xxxvni; la quale fu data dal Prof. Mussatìa, nel Propugnatore,
anno i, fase, ii, p. 231, tolta di sul margine di una edizione venti-
settana de| Boccaccio, e che qui riferiamo con le parole che la illu~
strano, e che furon scritte da un anonimo nel secolo xvi.
« Io udi' cantare a Rovezano l'anno 1552 quella canzone di
che fa mentione il Boccaccio, che comincia ; « L' acqua corre alla
Borrana », la quale è. questa appresso et cantasi nel modo eh' io dirò.
Cantasi in ballo tondo, dove sia ugual numero di huomini el di
donne, disposti un'huomo et una donna, et colui che la impone
comincia così, nel tuono di quella canzone che voi potete aver
sentita:
Quanti polli è in sul pollaio.
L'acqua cornee alla Borrana
El runa è nella vigna — alias Et, fa tremar la foglia
che così diversamente da due diverse persone la senti' cantare.
, Ripetonsi per le persone del ballo questi due versi nel mede-
simo tuono, et così detto, colui che impone si parte dal lato suo et
va a quella donna che gli è da man ritta, et presala con la man
manca la leva del lato suo dicendo nel medesimo tuono:
Et mio padre mi vuol gran bene
Et datemi questa figlia
Et ritornasi con essa nel lato suo mettendosela da man manca,
et el ballo ripete: L'acqua corre alla Borrana ctc. Et tante volle fa
)( 343 )(
così elio egli lovn tulle le donne del lato loro et niolteie da tniui
ninncci, in modo che l'ultittiu è (|uclla che gli resta da niaii ninm-n
come prima, et cosi si trovano tutte le donne da una handa et gli
huomini dall'altra; et all' bora muta parole dicendo pur nel mede-
simo tuono;
Questo ballo non sia bciir
Ed io ben lo veggio.
Le quali parole si repetono per il ballo nel suono dello, et di
poi colui che impone seguila pur nel tuono:
Et Uj N. coiti pag:no mio
Vanne alialo al Ino desio
Et quivi li sta fermo.
Et facendo dare una volta a colui che egli tiene con la man
destra lo lascia andare, et colui se ne \a et Irameza due donne dovo
fili pare e il ballo intanto replica;
è
Questo ballo non istà bene .eie
Et così fa tante volte che gli uomini tramezono tulle le donne,
et tornono un'huomo et una donna come erano prima et finisco Ih
Canzone ». —
Avverto ancora come ritrovai pur dopo la stampa , il cod. laur
onde il Trucchi trasse prima la ballala i.xxxviii, a pag. tl5, elicè
segnalo pi. 42, n." 38, ov' è a e. 24 e che offre queste varianti:
V. <. Cantando in voce dolce umile e leve.
7. Ch' i' dissi.
9. Su' cantar
t2. Di fora.
t3. erto surgea
\h. i miei
46. disiri
17. r priego te eh' alquanto
22. vedea
23. stridea
26. r gridava
28. vista fiale (sic)
34. pìatose.
35. dardo ( cardo ? )
3(L Sì 'I
I N DICE
LIBRO I.
Cttnnoni di rimatori del neeolo XIII o ad e»»» attribuite fil- I
LIBRO IL
Caiuoiii ttoricìte o di oeeanoné e di tradizione ttorien ... /s
LIBRO IlL
A^ 'Vmaoiit popolari del aeeolo XIII e XIV .rs
LIBRO ir.
Jiallate e Madrxali di varii rimatori iìluetri e letterati dal 12H2
ai ISSO ;s
LIBRO V.
Ballate anotiime del teeolo XIV. > il-!
LIBRO VI
Hallate tratte dalle dieci giornate del Decameron ed altre Canzoni
a ballo e Madrigali di metter Giovanni Boceacfùo . . J'iS
LIBRO VIL
l'antonette a ballo di ter Giotianni Fiorentino /. '.
LIBRO Vili.
Rollate e Madrigali di Franco Sacdtetti. :'"■■
LIBRO IX.
Hallate e Madriali di Siecold Soldnnieri » /tìO
LIBRO X
Madriali e hallate d'Alestio di Guido Donati e di Binda d' Aletto
Donati. » e»;
LIBRO XL
Ballate e Madriali di varii ♦ :ì07
.Appendice » S94
97, 9. Forse: contar la nobiltade.
106, 8. Dalle rime Tediamo che e' è errore.
— 43. Forse va letto •
Ed hollo udito al frate,
Alla santa scrittura
— 49. Leggi: siate.
— 62. Cancella il veramente.
108, 9. Leggi distra.
— 51. 53. Forse: Ch'io noi credia e s'io un coltello avia.
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