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Full text of "Comedia"

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COMEDIA      DI 

M.    VINCENZO 

G  A  B  I  A  N  I, 

G   E  N  T  I  L  H  V  O  M  O,  E  T 

Academico  Brefciano. 

DI  VJ'OVO   I^ICOim^ETT^ 

E       R  I    S    T   A  M    P   A   T  A  ♦ 


V 

N   V  I  N  E  ' .  1  A  APPRESSO  GABRIEL 
GIOLITO     DE*  FERRARI, 
M         D         L      X. 


AL     MOLTO 

MAGNIFICO, 

ET    VIRTVOSO    M.  DO- 
MENICO   VENIERO, 

SIGlS^OIi    MIO     OSSEI^j- 

VANDI  SSIMO. 


r  ^ 


^  quello  tempo  in 
quàyMdgnifico  mef 
fer  Domenico  y  che 
uojìrci  Mao  niji  e  en- 
fia uenne  Cimar l in 
goin  qtiejìa  nojìra  cittk,  nelqualt 


?  egli  mi  Uenne  fatto  di  prendere  fud 
conofcen'^yi&  dilei{fua  merce) 
in  qualche  mia  bifogna  ualendomi, 

A      tj 


Upritttìcdi  tanto  gentile  >  ^  cimo- 
reuole ,  quanto  dire  fipofjk ,  io  fem- 
ore le  fono  fiuto  ctffettionato  feruido 
re;  c^piirendomi  che  U  in^ratitudi 
ne  fiu  uno  di  pia  brutti  ^  uerooo^no 
Ji peccati  che  auhuom  rimprouera- 
'^cftpojja  yfommamente  ho  deftde^ 
rato  :  ajfìne  di  uolermipur  alquanto 
yìfcuotere dalle  obli^atimi , cheal- 
Ihora  con  ejjo  lei  contrasfi,  di  farli 
co  fa  oprata .  Ma  daWun  canto  il  mio 
hafjh flato  <^  picciol  potere,^  del- 
l'altro  la  copia  (^  eccellenza  fua  di 
tutte  quelle  co  fé,  che  bene  ifiia  defi- 
derare  a  difcreto  ^  moderato gen- 
tithuomo ,  nonfolamente  leuato  me 
-  ne  hanno  orni  occafione  >  ma  oltre 
di  CIO  fattomi  marauigliare ,  ^  uer 
gognare  di  me  fteffo ,  quafi  credejsi 
posfibile  effere  ad  auenire ,  che  ella 
'■  mai  tale  haueffe  adarriuare ,  che  di 
.me  i  0  di  mie  cofe  patiffe  bifogna^ 


1 

Onero  che  qualche  uenturd  me  tan- 
to già,  mai  indl:^dfje ,  che  mip-liora- 
re  potesfi  Li  fud  conditìcne .    Per 
t  cinto  conofcendo'io  udndprefuntion. 
e  [Ter  e  il  penfare  di  difoblio^drmeney 
^piti  udud  ancora  iluolere  >  ojòe- 
rdre  di  contendere  feco  di  (n-ande:^ 
;^e  (^  cortefie ,  nonfo  uedere  come 
per  altro  hdbbia  la  namra  in  me  de- 
fiato  tal  defiderio ,  (e  non  accio  che 
io  pigli  baldan:^^  di  ricorrere  allo 
ufato  mio  cojÌHme-,^Voflra  Ma- 
gnificentia  in  concedere  g^ratie  lar- 
ghijìima  uiepiu  lodata  fehipre  ne  di 
uenga ,  ^  ago^randita .  Del  che  ha- 
ucndo  io  da  lei  tanta  arra  in  mano, 
quanta,  fono  i piaceri,  <^  benefici  ri 
ceuuti  fonomi  asficurato  di  manda- 
re allaMagnifìcentia  Voftra  lapre 
fentemia  fauola,  fperando  che  ella, 
per  la  immenfàfua  bontà,  non  le 
habbia  a  mancare  di  aiuto .  JOintor- 

A      iti 


no  alla  quale  y  ueggendo  io  quanto 
hoggidiacutii^Jmerifiano  o;li  hu^ 
mani  inoegniy  ^9*  come  per  cojapic- 
ciolisfimafi  offendano, ho  cercato  di 
hauerne  il  ?iudicio ,  c^  il  parere  di 
molti  dotti  y  <^  eleuatijpìriti  y  ^  a 
quelli  :  in  quanto  ho  potuto ,  <^fa^ 
puto  ;  mi  fono  accojìatoidi  maniera, 
che  hauendo  in  lei  co  fa  buona,  iopof 
fo  dire ,  ciò  auenire  più  tojìo  per  le 
opere  loro ,  che  per  le  mie .  Ma  co-, 
munque  ciò  fi  fia  (  che  non  uorrei 
chef  die  effe ,  che  iofotto  coperta  di 
mamficare  le  amoreuole:^eyet  au- 
torità loro  procaccia  fi  di  uoltr  man 
tenere  in  credito  &*  riputatione  le 
cofe  proprie  fi  come  ne  col  troppo  di- 
minuire le  mie  fatiche  uorrei  incor^ 
vere  infojhetto  di  qualche  ajfcttatio 
ne  di  modeflia  )  Perche  io  fo ,  che 
qu^Jla  mia  fauola  ha ,  ^  haura  af- 
fai bi fogno  di  V .  Magni f  cernia ,  io 


4 

Id prego  con  ogni  mìo  affatto ,  ^  de 
hitit  riuerent'ut addbbracciarU ,  (^ 
porgerle  foccorfo ,  ci?»  quejio  tanto 
più  caldamente  far  e,  quanto  ella  ne- 
derà  fargliene  di  mìjlieri.  Et  allei 
humilmente  mi  raccomando . 

Maaccioche  V,  Magnijicentia 
non  hahbia  a  prenderfi  ammiratio-- 
ne  di  quejle  tre  lettere  a,b,c,che  nel 
quarto  ^tto  in  più  di  un  luo^^oji  tro 
nano  prepojle  ad  alcune  righe  ,par-~ 
mi  di  fignijìcare  fi  come  uolendo 
io^affne  di  abbellire  alquanto  lafce 
na,i^  rifueo^liare  orjifhettatoriffhri 
mere  una  certa  impatientia  di  Imo- 
mini  y  cì^  animi  adirati  :  co  fa  pur 
naturale ,  ^folita  (  com.e  che  ella, 
in  quanto  io  mi  ricordi  hauer  letto , 
non  mai  da  uecchi ,  o  moderni  com\ 
cifia  ne  componimeti  loro  fiata  imi 
tata)non  hofaputo  come  me^liofo- 
ter  dare  a  conofcere  a  coloro ,  che 

A      iiij 


leggeranno  y  hora  due ,  O*  hom  tre 
perfine  in  quelli  luoghi  parlare  ad, 
un  medejimo  tempo  infiemeyche  con 
trajporre  le  righe  de  ragionamenti 
loro ,  icjuali-pcfiia ,  accioche  foffe- 
ro  ime  fi  ygli  ho  dijlinti  colpropcne- 
re  a  quelli  tali  carrateri . 
Di  Brefiia  il  di  ,V .  di  Maggio, 
M     D     XLV. 

Di     V.     M. 

^jfettionatoferuidorc 

Vincenzo  Gahiani, 


L'ARGOMENTO 

DELLA    COMEDIA, 

PER.    M.     VINCENZO 
METELLO. 

O  Auttore  della   Comedi  a ,  per 

e/jerejìato  occupato  Ì7i  rifponde- 
re  ad  alcuni ,  parendogli  di  noie- 
re  ancora  tn  quefia  cofa  Terenno 
imitare  ,  non  le  ha  prepojìo  ar- 
gomento alcuno  .  Ma  logentdisfìme  donne  ,  ua- 
go  de  uojìri piaceri  (che  fogli  httommi  non  haue- 
re  di  me  bifogno)  affine  che  pos/ìate  meglio  tnten 
deve ,  (jr  riportarne  cjuelfi-utto  ,  <y  quel  diletto, 
chefperate ,  mie  parato  di  dtrm  lafomma  m  po- 
che parole , 

1»  Scio,  lac}  ti  ale  è  quefla  terra.che  cjua  uedete, 
due gtouani  fono  grandemente  inamorati,  L^uno 
chiamato  Eromane  innamorato  di  una  cortigia- 
na forefìiera  ietta  per  fopranome  la  Kodietta.. 
Valtro,che  nome  ha  thilorote,  di  Yferecallea  figli 
ucla  di  Timeo  Kali.  QHelli,  catro  al  uolere  di  fin 
largirò  Neuridt  fuo  padre  ,  che  di  dargli  intende 
per  moglie  Pericallea,fìudia  a  tutti  i  modi  la  fua 
Kodiettadi  non  lafc:are:(fuejii  ciò  fentendnjì  ap- 
parecchia  a  non  l.ijciarfì prittare  dtlia  amata gio 
Itane,  ^quafìtnuna  medefima  horaìrhtierote 
rapito  di  me\o  lajìrada  Vertcallea^  che  andana  a 
nofira.  donna  di  Neamom ,  (hitfa  cofi  da  loro 
chiamata  ,  non  molto  lontana  alla  atta  ,  lame' 
u-am  cijo- fud  .  Et  Ero  mane  cvt*  in'f.i^mu  ^(^ 


P    R    O    L    O     G    O. 

ajlut'ut  entrato  in  cifa  fua  la  R.odiett:a ,  a  cafa 
poi  di  Dijco  fuo  amico  ne  U  conduce  ,  con  la  mi- 
glior parie  delle  Yohbe  di  lei  cjt  del  fratello  Zela- 
dclpho  ,  foidato glurtofo  ,  tlquale ,  arriuato  poco 
auanti  in  Scio  a  cafa  della,  [or  ella  ^er  a  agli  amoro  fi 
loro  piaceri  molejlo  impedimento  .  Co/lui  tojlo 
accorto/I  della  forella  menatagli  uia,^  delle  roh- 
he  tolte  ,  andatofene]  a  cafa  di  elìderete ,  doue 
penfa  lei  cfj'er  fiata  condotta ,  fa  alcune  fcempie 
brauarie .  V It imamente  nconofctut'! fi  Phderote 
fitto  il  nome  di  Carino  ejjèrefratell  o  di  Eromu- 
ne  y  gli  fidi  perm'>glie  Pericallea  ;  <^  perdona 
tofl  alliii  dal  padre  tuttodì  allegre\\a  ripieno^ 
perfgliuolo  noM.ìmente  ritrouato ,  concedutogli 
il  godere  la  amica  ancora  alqi<anti  dì,  fifa  et'an 
dio  al  foidato  tuie  partito ,  che  fi  rimane  di  ogni 
co/a  ceni ento  . 

P    R.    O    L    O    G    O. 

LA  Comedia  ,  che  per  comparire ,  &  f^erfan 
'Jpettacolo  dauinti^  a  mi-,  fi  e  me/fa  in  affet- 
to ,  fi  chiama  i  gelosi  ,  per  effere  le  perfine^ 
che  in  eff^i  interuengono,  da  nane  Q*  diuerfege- 
ìofle  mole  fiate.  QjieTia  Comedia,  fi  c'irne  e  di  ar- 
gomento doppio  j  parimente  dalle  due  prime  di 
"Terentio ,  Adr  alcuna  ,  Eunuco  l'altra  chiama- 
te ,  parte  di  fuo  foggetto  fi  h.x  tolto  .  Dellaquale 
licentia  non  uogbate^  Magnifici  et  honorati  Spet- 
tatori ,  lo  Auttcr  riprendere  ,  non  lìauendo  ri' 
prefo  primieramente  quella  dt  Plauto  ,  ^  di  Te' 
rentio ,  ne  quella  dello  Ariosh^c  di  altri  comi" 


PROLOGO.  6 

ci  moderni .  De  quali  quelli  da  Greci ,  a^  queTH 
da  Latini  componimenti, quafi pili  rampolli  Jpìc' 
cando  ad  tnnejìarli  nelle  loro  piante  fenT^  rijpar 
mio ,  fi  fono  mesji.  ?enfauafilo  A  ut  tare ,  che  lo 
Andarfì  con  gli  e/fempi  di  co/loro ,  come  confer- 
misjimi  feudi  ricoprendo  centro  coloro  ^iquali  lo 
hiafìmauano  ,  perche  alle  uo'te  'hauejje  imitati 
alcuni  ?oeti ,  baflareglt  doue/fe.  Ma  allui  rtfor- 
ge  maggiore  contrajlo  da  altro  canto  .  Vercioche 
trouanfi  alcuni ,  che  mai  non  ri f  nano  con  agre^ 
^  Ucentiofe  parole ,  di  uoler  porre  la  Comedia 
in  ahhommattone  del  mondo  ,  dicendo  quella  ef* 
fere  opera  immonda  ,  O"  diabolica  .  ìlche  affer- 
mano da  Ciò  comprenderfi  di  Icrgierl ,  perciò  che 
ella  poco  altro  contegna  ,  che  lafiuie,  c^cattiut- 
tà ,  CjT  che  da  effe  più  mal ,  che  ben  fi  appari,^ 
altre  loro  maled-ttionì .  Ahi  quanto  temerari,0' 
indiscreti  fi  po/Jò?io  chiamar  coloro  ,  iquali  impe- 
tunfamcnte  danno  fententia  finale  fopra  a  fatti 
altrui ,  efjendo  il  parere  humano  infì abile  ,  O" 
fallace  ;  C  lafamx  ,  (^  lo  honore  degli  Intommi 
piti ,  che  oro ,  (<;'  gemme ,  cari ,  c^pretiofi.  Et 
quanto  fuori  del  conueneuole  è  alle  uìke  creduto 
ogni  cofa  a  ciafcuno  ,  che  a  mi  fi  moflri  coperto 
della  peUe  della  pecora  ,  comunque  cffo  affermi,  o 
neghilo  danni  che  fia.  Adunque  pare  a  cofloro, 
che  la  Comedia,  Ijqutle  ha  il  'un  principio  hauu- 
to  diUe  cofe  d'iuine  ,  (in  tanto  da  biafimtre  ?  La 
Comcdia  .  laquale  col  contenere  diuerft  cofìumi, 
^affetti  di  cofe  ciuili ,  ^  prmate  ,  ne  mofìra 
ciò  ,  che  utile  fia  alla  uita ,  &  ciò  ,  c//e  da  fu^- 
gire^uorranno  cofloro  cacciare  dtl  inondo  ?  E'  for 

A     'vj 


P    R    a    LOGO, 

[e  la  Qomedia  (  di  quella  parlo ,  (he  noua  è  chia- 
mata) dal  jUo  principio  j  diì  tettigli  hiiominiy 
per  tutti  t  tempi ,  m  tutti  i  luanì)i  fiata  permejfit, 
lod^ita ,  c^r  approi*ata  ,  perche  bora  fare  Je  ne 
debba  tanto  rumore  ì  O  pure  fi  fanno  tjli  a  cre- 
dere,che  qKeJìi  tanti  Magnifici  Conftglieri,!  Cla 
rijìimi  Signori  Kettori ,  cr  il  Keuerendifìmo  Ve 
fcouo  flfarebbono  cofi  [cordati  di  fé  mede  fimi ,  (y 
degli  uffici  loro  ,  che  non  ci  uietajjero  la  prtfente 
Comedta  ,fe  elle  tutte  fo/Jero  abhomineuub^come 
ej?i  le  fanno?  O  uè  hanno  trouato  cajhroyche  dalla 
Comedia   fi  appari  più   mal ,  che  bene  ?  Che  fìa 
frohibita  f  Che  ella  debba  ejjere  odiofa  al  Chri- 
jet  ano  f  No/  uorremmo  ben  intendere  quejli  loro 
pajìi   delh  /aera  Jcriitura ,  con  le  Jpùfìuoni  di 
quelli .  O  y  le  parole ,  O'gli  atti ,  che  uaccag- 
giuno  ,  altramente  funo  interpretati  da  coloro^ 
che  con  alt  emione  Tianno  ad  a'cvìiare  .    Si  che, 
oue  ella  mai  per  altro  non  f  effe  da  uietare  ,  fi  fa- 
rebbe egli^  da  Icuarla  intieramente  ,  perJje  fa 
fcandaliA^are  le  brigate  .  Sophijìiee  fono  quejìe 
urgomentationi ,  ^/en'^aneruo  .  Adunque  per 
la  mtdefìma  ragione  diremo  noi  lagiujìitia  effe- 
re  empia  tirannia  f  Diremo ,  die  lo  andar  ad  udì 
re  la  pareli  di  Dio  ,  O"  il  ri  neri  re  le  cojefacrc  fìa 
ito  opere  da  [therani ,  ^  malu^^gi  huomni',qt4an 
do  altri  al  fuicndo  farà  ereduto  i  ngfu fio, eterni - 
nato  ,  ciT'  hipocrita  5*  Ufimile  ancora  doura(it  di 
re  della  cerna  ?  &  di  ogni  kdnuole  ,  a^^  [amo  or- 
dmtìChe  ehiunq;  fcuiene  alla  neeefiia  delprofii 
ino  ,  ciafcuno  ;  che  offerua  i  Chrijìiani  comanda- 
menti ,  faccia  qitclìs  ,  che  egli  non  dee  farei  Deh 


PROLOGO.  7 

come  a  mal  termine  furehbe  la  mrita  ,  ^  la  dif' 
finttione  delle  cofe  ,  qu.tndo  concedere  (ì  dcueffct 
che  tutte  le  capere  taUfo/Jero ,  quah  elle  da  altrui 
Jlimate  fono  .  A  noi  pare ,  che  tutto  ciò ,  che  da 
ueruna  legge  di/ponente  il  contrario  non  è  probi'  ' 
bito  ,  fi  intenda  permeilo  ,  &  po/fu  ufarfl  dalle 
buone  ,  ^  cajìs  menti ,  come  ci  te  cjtieUofo/Je  per 
uerfamente  da  alcuni  altrui  ceruedi  intefo,&  in- 
terpretato .  Sen:{a  che  tutte  le  cofe  non  fi  conucn- 
gono  a  tutti  gli  htiomini ,  in  ogni  tempo  ,  ^7*  //» 
tutti  i  luoghi .  Altro  Jìj  bene  al  prete,  &  al  me 
dico  ,  ^  altro  al  cauihere ,  ^  cittadino.  Quan- 
do fra  duoi  parentadi  fi  contraggono  Jponfahtie, 
ejìi  amcndue  fi  allegrano  .  il  contrario  aduien  ne 
m 'fiori.  Et  nella  Città, O"  nelle  ViUe.O"  "^  />«/>/* 
ì-OjCSt"  in  priuuto  ,  O'  '»  '^^^''^  occorrentie  è grai% 
dijferen'Xa  tener  pnt  una  maniera,che  una  altra. 
Molte  altre  cefe  per  breuna  fi  lafciatto,per  leqitaU 
apprejjò  dimof  rare  potrebbe  fi, che  la  Comedia  na 
({a,ne  debba  agutfa  ueruna  efjere  odtofa  al  Chri- 
Jliano  Et  che  lo  andare  hiafimando  ciò  ,  che  pojja 
per  cagione  deUa  Comedia  auenire,fia  una  fatica 
di  fouer.hio,  ^  un  ttoler  mojìrare  difiper  pià^ 
che  di  fapere  non  fa  me  fieri .  La  ultima  fatica,  ■ 
che  a  noi  rimane, è  di  pregare  uoi  tutiiy  che  piactr- 
re  ui  debba  di  emanarci  uno  ài  cjue  taciti  Jtletii, che 
afì/ndi  btfognefi  ri  chieggono  ,faiedo  con  effo  non 
meno  di  fauore  a  Gelofi,ci?e già  ui  facefìe  al  Tai^ 
lento  del  medtfimo  A  uttore  ,  pofcia  che  ancora  Itt 
prefeute  Comedia  non  è  per  darui  minore  giona- 
mento,(&  dilettole  ui  piacerà  di  attender  lacche 
quella  già  ui  lubbia.  dato . 


I   NOM 

A  T 

Periergio 
Eromane 
Hipocoriftria 

Zeladelpho 

Dolone 

Philerote 

Siro 

Philargiro 

Mifi 

Sannione 

Sciihropa 

Philicio 

Timeo 

Maonefe 

Tre 

Paiifània 

Lieo 

Geta 


I    D  E    GLI 

TORI. 

giouane . 
giouane. 
ma  più  fpeflb  det- 
ta Rodietta  femina. 
Capitano . 
feruo . 
giouane. 
feruo  . 
uecchio. 
ferua . 
rigattiere, 
iiecchia . 
famiglio . 
uecchio. 
giouane. 
ferui . 
uecchio. 
feruo . 
feiuo . 


ATTO 


8 

ATTO    PRIMO, 

PER.IER.GIO,      EROMANE 
GIOVANI. 

O  S  I  diccua  quejlo  Geno- 

utfe  j  che  con  noi  per  mare 
tteniua.  altro  dt  nuouo  io 
non  ti  faprei  dire  .  Ma  che 

uifo  me  fio  è  quello  ,  che  io 

tt  ho  uedutofare ,  mentre  che  con  Dolone 
di  nonjo  che  ragionnui  ? 

Ero.  ^hjforfcyti  e  paruto  co  fi . 

Ptr.  forfè  cefi  mi  è  paruto  dici  ,  che  due  uolte  ti 
fono jQate  per  cadere  le  lagrime  da  gli  oc- 
chi .  Contami  dt gratin  che  infortunio  fìa 
quejìo  tuo,  fé  non  con  ijperan'^  ,  che gioua 
re  tt  pofja  ,  almeno  con  fede  che  a  dolere 
me  ne  habbia  con  ejfo  teco.  Vercioche^effen 
do  io  ciuci  tuo  buon  amico,  che  io  mi  tengo, 
tmol  la  ragione ,  che  anch'io  ne  fenta  la 
parte  mia . 

Era,  A»!^,  o  Periergio  ,  non  potendomi  in  ciò  la 
tua  op-.ragiouare,  poco  auedimento Jàreh" 
he  il  mio  ,  fé  ,  penfando  di  farti  cofà  grata, 
lo  animo  ti  aggranafii  con  mie  molefìie. 

F<r.   Quefìe  tutte  fono  parole .  O*  '«  "ero  Ero- 
mane  tu  fai  torto  alla  amicitia  no/ira  • 
Quejio  non  aj]fet  latta  io  già  da  te , 


ATTO 

Ero.  Infine  quejìo  era  il  meglio .  Tuttauia ,  poi 
che  io  ne  ueggo  m  te  tanta  uoglta,no  rimar 
ro  di  compiacerti. Sapidi ,  che  altro  non  è  di 
CIO  cagione yje  non  troppo  amore,  et  gelofia. 

fer.  Di  CUI  fei  tu  inamorato^O'  onde  hut  tu  que 
fiagelofta? 

Ero.  Dirottoti.  Vanno pajjato  facendofi  fecon- 
do il  coftume  nojlro  in  ^anc'n  il  Polataettt^ 
alquale  Jpettacolo  ,  perche  è  di' gran  piace- 
re ,  anch*io  mi  trouai ,  uennermi  gli  occhi 
adiofjo  pofli  ad  una  leggiadra  fore/l:era 
aW)ora  di  pochi  di  uenuta  ajìare  m  Scio. 

Ver.    forejìiera  f  come  ha  nome  ? 

Ero.  Il  proprio  fuo  nome  è  Hippocori/lria.  Ma 
pereto  che  da  Kodi  uiene  ,  la  Kodiettafi  ap- 
pella .  Le  CUI  belle'^e,e  maniere  di  parte  in 
frarte  confìderando  ,  mentre  io  meco  quelle: 
fommamente  lodaua  ,  fi  fortemente  me  ne 
inuagìn  ,  c^c;  ego  mi  è  flato  att.'fo  di  non 
hattere  mai  da  indi  m  qua  ueduto  fi  bella 
O'  ualorofa  donna.  Vedi  fé  amore  fifa  infi- 
gnor  ir  e  de  gli  huomini . 

Ter.  che  difauentura  lyo  io  ad  intendere  di  tan- 
to tuo  amore? 

Ero.  igli  fono  tre  di  pa/fiti ,  che  fiandomene  io 
con  cofiei  fenXa  un  penfìere  ,  cr  uita  beata 
menando  ,  mio  padre  trouaiomt  cefi  prefe 
adirmi .  Vhiierote  tuo  compagno  fu  hteri  a 
trouarmi,  pregandomi  che  uulefii  parlare  a 
me/Jer  Timeo  Keah  ,  z>"  f^^g^'  hauere  ^e- 
■  ne  allea  juaf.gbuola  per  moglie  .  Sopra  che 
difioTfcndvìfli  henne  Omfato  di  douerti  da 


PRIMO.  9 

re  moglie  ,  O*  appunto  cojìei.  Conciofìa  co- 
fi  che  IO  fono  ueccìuo  ,  non  ho  più  figlinoli ^ 
che  te^et  no  ci  è  gouerno  in  ca/a,per  ltqnaU 
ri/petti  fa  forici  che  tu  ne  prenda  Alcuna. 

fer.   Appunto  lofaua  afpettado  una  fmile  cofa. 

Ero.  Soggiongendo,che  perche  me/fer  Timeo  non 
farebbe  mai  no'X;\efen\a  fapiita,  <&  confen 
timento  di  mejjèr  ^uafantafuo  padre  adot 
tiuo  ,  che  in  brieuefafpetta,era  fouerchio 
parlare  de  fatti  fuoi.  Ma  che  parlato  di  me 
gh  haueua  ,  cj;"  fperaua  difirlami  hauere 
con  meglio  di  tre  milla  ducati  di  dote  ,  fa, 
cafe ,  argenti ,  terreni ,  &  contanti . 

IBer.  Quejìo  è  ni  cofume  deglt  hodierni  padri; 
fur  che  eglmo  a  figliuoli  prouedano  di  mo- 
glie ,  O"  di  gran  dote ,  cbe  fi  curano  esfi  di 
altro . 

Ero.  lo  fiordi .  ?enfi  tu  ,  che  gli  potesf  rifponde- 
re  parola  ,  ofcufa  alcuna  trouare  ?  almeno 
inconfìderata  ,  fai/a  ,  lontana  dalpropofi- 
to^^Egli  mi  fi  mori  la  parola  fa  i  denti. 
La  onde,  ueggendomi  egh  hauere  afcoltato, 
Cir  dure  indugio  alla  rijj'ofa  ,  credo  per  con 
tento  mi  hauefjè.  Or  che  ti  diro  io  della  ama 
ritudine ,  della  mohfia ,  dtUa  ingdia  ,  di 
quella  cena  ,  di  qi:el  leixo  di  qt4ella  notti? 
Certamente  ^fe  non  che  io  jferuiyttfcendo  la 
mattina  fegucnte  per  tempo  di  la, di  andare 
Alla  Kodietta,  accio  che  ella  con  le  ptacduo- 
le\\e  fue  mi  animoU.jfe  lagraue\\i  di  tali 
paroUjf  irei  falò  hiauo  a  duenirne  pa\\o. 
?er.   ì»  no»  mi  marautgtlo ,  perno  chg  tutu  coU' 


ATTO 

ro ,  che'  am.ino ,  non  pofjono  comportare f 
che  loro  fìafutto  metto  di  menar  moglie . 

Ero.  M4^,  d/;<'  Injfo.  Come  ucggo  io  e/Jere  ne  ' 
ro  ciò,  che  uoìgArmente  fi  dice  .  Che  lafor- 
ttiim  non  fi  moTira  già  )mai  contraria  <t 
nÌM>ìo,che  ell.t  cjuel  tale  non  jl sfar \i  di  mei 
ter  e  del  tutto  al  fondo .  Io  non  uenni  cefi  lo 
Jìo  la  ,  doue  ella  era ,  che  ancora  lei  nidi  a 
Jìretto  ragionamento  con  ungiouane  in  fui 
la  fua  porta  ,  ilcjuaU,  uolendo  io  andar  oU 
tre  per  uedere  chi  f offe ,  ella  fenica  una  mi 
nima  ucrgogna  hehbe  a  trouar/i  in  cafà, 
chiudendo  a  me  lo  ufcio  in /iti  uifo , 

Ver.   Ofemine  ingrate  ;  C^'fconofcenti. 

Ero.  Per  U  quali  rifletti ,  fé  il  mio  uifo  ti  è  paru 
to  mefloyC  mutato ,  non  ti  marauigliare. 
?>en  da  marauigliare  farebbe  fé  fatto  bauef 
fé  ritorno  alla  f uà  prima  forma . 

Ter.  Eromane ,  io  ho  hauuto  caracche  tu  mi  hah 
hia  palefato  quejli  tuoi  amorofi  accidenti , 
fé  non  in  quanto  la  ramemoratione,  che  tu 
hai  fatto  di  quelU ,  mi  pare ,  che  fta  più  to- 
Jìo  fiata  uno  rinouellarti  nella  mente  le 
tue  doglie  che  un  contarle .  Ma  che penfi  di 
poter  fare? 

'Ero,  lo  nonfo  ..  il  di/io  di  mio  padre ,  c^  la  ri- 
ueren'^t ,  di  che  io  gli  fino  debitore  ,&  ol 
tre  di  ciò  lo  amore  di  coflei ,  c^  la*ngiuria 
riceuuta  ,  coft  dentro  mi  combattono  ,  che 
io  nonfo  ,  quajì  y  prendere  partito  ,  ne  con 
figlio . 

Ver.  Vurei  ^ 


PRIMO.  IO 

Ero.  Io  non  hùjperan\a  in  altro,  che  nelle  ajlu» 
tiedt  Dolone  mio  ferno . 

Ver.  che  j^eran^  ti  da  egli . 

Ero.  Niente  di  fermo .  [e  non  che/apendo  io  f/ò, 
che  egli  fa  fare  ,  quando  uuole ,  &  promet 
tendami  dipenfar  come  Jìurbare  Jl pojjano 
quefle  no^J^e ,  ben  che  io  non  negga  in  che 
modo  ,  meneTlo  cojl. 

Per.    Er  di  cjuejla  tua  B^odictta? 

Ero.  Quando  tu  et  fcfragiugnej}! ,  parlauamo 
di  lei .  Dice  ejjer  bene,che  io  uada  a  trottar 
la, et  rimprouerandole  la  ingratitudine  fua 
afpettare  cto  ch*ella  mi  [apra  rijpondere. 

Ver.  Forfè  ,  non  ti  confìgUa  male.  Or  io  non  uo- 
glio  ejferti  piti  molejìo  .  Eromane  fratello, 
ricordati ,  fé  io  poffo  alcuna  cofu  per  te ,  di 
comandarmi. 

Ero.  lotiringratio.  Non  ti  rìf^armiero ,  fé  mi 

j^^i    occorerà  a  ualermi  di  te . 

SCEl<ljA  SECOJiD^. 

RODIETTA    CORTIGIANA, 
E  R  O  M  ANE. 

MISERA  me  yto  temo ,  che  Eroma' 
ne  ìion  Ijahbia  hauuto  a  male  la  ui- 
ftu  y  che  l^  alt  r*  hi  eri  gli  feci ,  o  altramente, 
che  io  non  ho  fatto  ,  la  flìmlhia  \tnter pre- 
tata .  bercio  che  egli  da  indi  in  qua  non  fi 
e  mai  lafciato  ucdcre,  ne  mandato  da  me 
hafuqt  mejit ,  come  ufato  era  di  fare  . 


ATTO 

Ero.  O  gran  [enteriti a  di  Dio.  E  pare,che  la  ani- 
ma mia  tutta  tremate  Jìiafempre  in  forfè 
di  abbandonarmi  il  corpo  come  anuime^che 
io  mi  rttroui  al  cofpetto  dt  coflei . 

Ko.  Ma  eccolo .  O  Eromane,  fernutmente  io  erg 
do  ,  che  bene  non  fojje  mai  tanto  defidera- 
to,  quanto  ho  toboggt  fatto  lamnutatua 
Ulta  mia . 

Ero,  Ahimè,  cjuejìe  care"^  coft  affettate  rinfre 
fcano  le  mie  piaghe  : 

K.O.    che  uHol  dir  e, che  tu  jìai  coftfopra  penftero? 

Ero.  Vuol  dire ,  eh*  io  fono  il  tuo  Eromane ,  la  ni 
ta  tua . 

Ko.    Lafcia  andar  i  motti . 

Ero.  che  lafciare  andare  i  moti  ?  O  KodiettM, 
Kodi^tta  .  uolejfe  iddio ,  che  lo  amore  mio 
Jlef?e  in  bilancia  col  tuo  di  pari ,  fi  che  egli 
adiuenijfe  ,  che  o  quejlo  a  te  doleffe  ,  come- 
a  me  duole  ,  onero  che  io  non  fosjl  aggraua 
to  da  cofa  che  tu  mifacesjl . 

Ro.  •  Ufo  ciò  ,  che  uuoi  dire .  &  appunto pìsr  if- 
gannarti  di[quejla  credenT^a,  hor  hora  ho- 
.  Uua  mandarti  a  domandare . 

Ero.  E  non  è  marauiglia  fé  tu  come  eolpeuole  fai 
ciò  ,  che  io  uoirlio  dire .  Ma  quejìo  non  mt 
titauagiamai  la  fede  ,  cì?e  io  haueua\in  te, 
^  meno  lo  ardentisfimo  amore  ,  che  io  ti 
ho  fempre  portato,  da  che  prima  ti  conobbi. 

Ko.  Non  ti  crucciare  anima  mia  ,  che  io  non  h 
fatto  cofa  perche  habbta  donato  lo  amore 
mio  ad  alcuno . 

Ero.  Qtancie.  Se  tu  nonfet  eolpeuole  dt  nuìla^cht 


r     R     I     M      O.  ir 

fé  tti  di  che  io  intenda  accufarti  ?  Vedi  uè- 
di  y  che  non  fmXa  cagione  tu  fai  il  tonte 
inanxj . 

T«  ti  adiri  meco^  attorto  affé ,  che  quefìi  è 
un  mio  fratello . 

Si ,  egli  è  un  fuo  fratello.  Or  sii ,  tu  haira 
gione  ,  hahbilo  .  godilti  in  pace .  O  fé  ma 
pili  m  i  lafcio  . 

\edi ,  a  [colta  Cromane .  egli  non  mi  fi  la- 
fiera  mai  credere,  che  quefa  e  afa  p  offa  ha 
uere  in  te  tanta  for"^  ,  che  li  fepari  dallo 
amor  mio  .  Ha  t  ut  t  ani  a  ti  prego  per  que- 
fa  tua  [erena  front  e, ((^  per  queftì  tuoi  leg 
giadri  occhi ,  onde  efiono  quelli  tuoi  lu- 
mino fi,  ^  ardenti  lampi ,  /  quali  mi  ten- 
gono [empre  in  tiiuo  fuoco  ,  che  ti  piaccia  dì 
ascoltare  quattro  parole , 
Di  pure  .  ma  io  ti  auifo  ,  che  io  [oglio  tene- 
re altro  conto  degli  atti ,  che  non  fo  delle 
parole . 

Ah' caro  mio  bene],  la[cia  che  io  otteno-a  da 
te  quella  gratta  .  Egli  è  gran  co[a  quejla, 
che  tu  fa  cofritrofo  ,  cì)e  non  ti  pieghi  per 
preghiere . 

E^  maggiore  quefa  altra  ,  ^odietta ,  che 
tu fempreuokndo fecondare  tutti]  fìi  appe 
ti  ti  tuoi  yfpoco  ti  curi  de  miei  dtjjjiaceri, 
di  che  quando  amene  ,  che  io  mi  fa  auedu- 
to  ,  tu  uuoi  appreffh  ojfufcarmi  con  tue  pa- 
role imhelettate gli  occhi  della  mente ,  accio 
che  io  non  habbia  a  credere  a  quelli ,  che  /;a 
incapo. 


ATTO 

Ro .   T«  ti  puoi  dare  a  credere  cto  'che  mot.  M4 
[e  tu  mi fì Arai  ad  udire ,  io  ti  fari  toccare 
con  mano  ,  che  attorto  di  me  ti  duoU  . 
Ero.  \nfne  èforT^a  compiacerti .  T«  uuoi  fern- 
pre  ,  che  la  tuajlia  di  [opra .  -  -    p     ,. 

Ko.    Or  sii,  tu  uuoi  pur  bandire  ogni  cofa  tufOdt 
feuuoi.  Mio  padre,  come  li  ho  detto  altre 
uolte,[ugrangentilhuomo  ,  &  tienendo  a 
morte  lafcC^  'mJìgUuolo  dime  maggiore, 
detto  2elad4pho  ,  il  quale  ,  fi  come  quegli, 
che  fu  fempre  prodigo  ,  &  uanaglortofo  pò 
tendo  a  fua  uo'rba  difponere  di  ogni  nopa 
fofìantia,quda  ,  [aitando  tutti  gli  appetit, 
fuoi ,  quantunque  Jlf ani,  di  maniera  fi  die 
de ,  fehXa  ritegno  ,  a  {pendere ,  che  non  att 
ab  moho ,  che  egli  comincio  aj]at  uoheapa 
tirnehifgno. 
£ra.  chefauolafChemueUaequeJla? 
Ko.    Afcolta ,  àigratia .  ?erche  ueggendola  «e- 
cesfta,rJa  quale  perlefue  immoderatc 
(hefe  era  mcorfo^O'  uergognandofenetrat- 
to  il  rimanente  de  fuoi  beni  in  robbe ,  ^ 
contanti ,  con  animo  di  andare  pel  mond» 
fua  uentura  cercando  ,  e  per  mia  fciagura 
Jl.to  [hinto  dalla  fortuna  in  Scio    O' e  que 
ili ,  per  CUI  rifletto  dire  imrrejli  di  eterne 
rf  ragione  potuto  dtuenire gelo/o  .  ^ 
Ero.   Maife.  fgU  ha  tutto  del  uenfimiie.  0/e- 

mtne  deldiauolo,  ^ 

Ra.  Attendi ,  fé  mi  ami .  Del  quale  perciò  che 
io  non  lioleua ,  per  la  prattica,cbe  io  ho  con 
tefolo . 


PRIMO»  «» 

Ero.  ÌHOtaquefìa  altra  ucr Ita. 

Ko.  Chefacejje  nrgo-òtent omelie  iofos/ì  meno  chi 
honejì.i  n-iouane  ,  c/.>e  altro  potè  uà  iofare, 
perche  egli  male  di  me  non gìudscaJjLÌCon' 
ciofìahofà ,  che  fofrauenendo  tu  a  no!,t'qua 
h  di  più  cofe  agwnauamo  ^io  teneua  per 
fermo^ejfendo  tu  lieto,- 0'  feJìeggieuole,che 
hamrefii  motteggiato, <y  fatto }cher\i ^chi 
haurehbono  guajh  ogni  mio  dijjegno  . 

Ero.   Vuoi  altro  da  me ,  che  ti  do  ragione  ? 

Ko.  AÌj ,  egli  è  pure  mioi  fiatello  ,  unico,gia  tre 
anni  non  ueduto.Ma  tu  dirai .  Se  per  altro 
rifpetto  non  mi  facejìt  tale  uifla  uuoi  tu 
adunque  fempre  tenere  qucJlofìileÌMai  nOy 
che  IO  noi  uo  tenere .  Ben  che  a  quefto  non 
fappta  ancora  riparo .  f'ercio  che  hauendo- 
mi  ejjo  trouata giouane  ,  morbida  ,  gratio- 
fa  ;  dilicata  (  q'tale  tu  mi  uedt  )  gelofo  di' 
ttenuto  ,  lafciami  di  continouo  un /uo  fami- 
glio in  cafa^di  modo  che  entrare  non  ui può 
anima  uiuente ,  fen\afua  faputa  .  Ver  la 
qual  cofa  io  non  ttorrei ,  fangue  mio,  che  ti 
marau/gliasfìfe  ti  feci  quell'atto  :  ojè  io  ti 
pares fi  angora  alquanto  duretta,  tanto  che 
egli  ci  sìa  ,  duoi ,  o  tre  di . 

Ero.  lo  non  mi  marauiglio  mente.  Che  queflefo 
no  delle  tue.  Si  che  io  non  fdpeua,a  che  ca- 
mino tu  andaui  ?  Benché  a  queflo  non  fap- 
pia  ancora  riparo  .  ]  Egli  la/cia  di  [contìnuo 
■  unfuo  famiglio  in  ca/a  .  Non  uorrei ,  fan- 
gue mio ,  che  ti  marauigliasjt.^  tante  bel 
le  parole .  lutte  tutte ^  quejìe  dande  uengo 


ATTO 

no  a  ejuefìo  fine  ,  che  il  buon  Eromane  uten 
dt  ftiori  ferrato,  ^  e  colni  dentro  riceuuto. 
Ahi  maladetto  fiala  forte  mìa  maluagia. 
?erche  mnfeppi  to  prima  come  erauatefat 
te  ,  che  non  haurei  mai  me/fo  il  piede  oue  ut 
folje  j  0  aineno  ben  bene  haurei  hauuto  ri' 
guardo  ad  inamorarmt  di\tale  ,  che  meglio 
/offe  fiata  per  conofcermi ,  che  tu  non  fai. 

Ko.  No  ,  Eromane,  Tagliamo  le  parole .  Va  cofi 
troua  conipenfo  di  uenire  a  me,  mentre  che 
egli  nolfapput ,  c^  uederat ,  che  io  ti  amo 
di  cuore  . 

Ero.  O  dicesjl  da  douero  ,  effìmeramente  .  O* 
tiedrai ,  che  io  ti  amo  di  cuore . 

Ko.    Io  mi  fera  me ,  nu*l  dico  di  cuore  ? 

-'Ero.  Vojfo  io  fermamente  credere,  che  quejlo  ho' 
ra  ncn  fia  uno  inganno  doppio  f  O'^  che  ttt 
mi  umi  ? 

Ko.  Con.e  f  chi  lo  ti  ordì  fa,  inganni ,  c^  non 
ti  ani  f  Vita  della  uita  mu  non  dm  pia 
in  quefìo  modo  ,  che  quejìe  parole  mt  fono 
tute  cokditte  ,  c^*  acerbisfìme  punte . 

Ero.  Admque  meritcuolmer.te  ti  boto  fcmpre 
cucrcaro  amato  c^ fi  come . 

Ko.  Te  Ci ,  taci ,  che  uiene .  Se  mi  dice  rulla,* fa 
che  le  tue  parole  fi  accordino  con  le  mie . 

Ero    No;;  è  meglio ,  che  io  me  ne  uada  ? 

Ko    Koi  dubitare .  Egli  èfcioco,  &  p  hront. 

SCE|NA    , 


PRIMO. 

SCE'Hyi  TEB^Z^. 

ZELADELFO     CAPITANO. 
RODIETTA.    EROMANE. 


B 


E  u  fino  fiati  Jìregliati  i  mìei  caualUì 
H/pocori/ìria  f 

Ko.    che  cura  uuoi,che  habbia  io  d€\[fioi  caualli. 

Zel.   Sonojìati  rifatti  i  letti  ?  è  cotta  la  cena? 

Ko.  I  letti  furono  rifatti  fino  Jìamuttina,  O"  '** 
cena  fi  apparecchiar  a  . 

Zel.  Va ,  che  ti  ricordi  affare  qualche  buono  in 
tingolo  ,  c^  a  darmi  dello  arrojìo  ,  confa- 
pore  di  uua  ,  c^r  cofi  delle  sfogliate  alla  lom 
barda  :  perche  quejìe  cofe  fi  tifano  alle  ta~ 
uole  de  principi,  c  Marchefì .  Ma  che  eri- 
tu  ufcita  di  cafa  uff  are  ì 

V<o.  io  fono  ufcita  per  d:tre  rifpojìa  a  quejlo  gen 
tilhuomo  ,  uenuto  hor  hora  a  parlarti  di 
non  fo  che  trabacche  ,  o  padiglioni . 

Ero.   Che  è  quefli ,  quel  uoflrof-at elio  ? 

Ko.  E'  defjQ  .  Or  parlate  fecco  fé  uolete  compe- 
rarla. 

Ero.  Genti Ihuomo  e<ili  mi  e  detto  ,  che  uoi  haue- 
te  padiglioni ,  ^  trabacche  da  ucndcre^O" 
hucmo  mi  parete  da  comperarne  pia  tofìo. 

Zel.  Non  (/  è  detto  tlfafo.  Io  ho  una  trabacca. 
Non  mi  accader  a  p-à  da  qui  inan\t  ilcam 
feggiarejìaui'do  io  racqutflato  il  Re^«o  al 
la  mapfì'a  del  Re,  Si  che  io  uoglio  uenderla. 

Ero.  Quado  fra  noi  ne  jegua  accordo ^  io  uè  ne  da 
rò  i  danari.Ma  io  la  uorrei prima  uedere. 
B 


ATTO 

Zeì.  Se  tu  uttoi  uentre  mtcojìno  a  cafa  del  rWat 
tiere,  a  chi  data  la  ho  con  altre  mie  robbe, 
n  ucndere,to  Li  ti  faro  utdtre  a  tuo  piacere. 

Ero.   lo  non  ho  tempo  .  Mandate  per  ejìa . 

Zel.  T«  pu  i  adunque  andartene  dip>ortando,fìn 
che  IO  la  fo  portare  quindi . 

Ro.     Ceffate .  Intendete gentilhmmof 

Ero.   Ho  intefo  .  Darò  di  mlta, 

ZELADELFO,    RODlETTA. 

E^  Egli,  Bìpocorijìria ,  coflume  in 
quefta  citta  ,  che  le  donne  da  bene  uè» 
gano  cofl  m  fuUa  porta  ajfare  nffojìa  a 
ditanti  uanno  ,  t;^  uengono  f 

Ro.  .  Renfii ,  fratello^,  che  le  donne  di  quejìa  at 
ta  ,  <^  d'altri  luoghi  ancora  ,  non  fono  me 
no  honejìe  di  quelle  di  Kodi,  per  rifletto  di 
uenire infitgti  ufci ,  oche  tale  uenirttijìa 
di cojlame  jO  no. 

Zel    Vur  non  fo  come  conuenga . 

Ko.  Varia  pur  ,  7.elade!pho  ,  liberamente  .  2>(n 
mi  fno  io  aueduta  aquel  tuo  jlnglire  di 
cr.ttill:  di  co  ,  cl,e  uuoi  d  re . 

Zel.  Ho  piacere  appunto ,  the  tu  te  ne  fìa  am- 
duta.  Però  io  ti  comando,H!pocoriftria(^ 
apri  qua  bene  gli  or  eccidi)  che  tu  ttoglia-O* 
bajìa  .  Ecco  qua  ilcajltga  paT^i . 

Ko.  O  mifera  me  ,  fé  io  hanesfipur  in  animo  di 
fare  tale  cofa .  \a.  in  mala,  hora  Capitan 


PRIMO.  14 

md>rro  ,  ^  fallito  .  Si  certo  ,  che  lo  debito 
temere ,  perche  egli  è  ualente  ,  (jr  frode. 
Et  in  nero  io  Intendo  bene  ,  tanto  che  e^U 
ci  (ìaM  non  menaro-li  lo  a>?tat€  mio  dinan 
Xl  ,  perche penfo,  che  tifare  quejìo  nonpoj 
fo  nuocermi .  Md  quando  io  non  rtmanesji 
di  farlo  per  una  cena  honejla  ,  O"  p^^  ^^^^ 
ragione  ,  che  dentro  mn  detta  ciò  conueni- 
re  non  fo  come  uenire  fatto  gUpotejfe  di 
torcermi  pur  un  pelo  . 

ATTO  SECONDO. 

EROMANE,    DOLONE     SeUVO. 

^^^^g  1 ,  Si  ho  intefo .  Ma  di  quejlo 
wMs^"^^  p^^^'^^^rno  co  più  agio.Dim- 
WS^^'^m  ''"'>Do/o?;e,  come  haitu  fatto 
S^^^^^   della  mia  co  fa  f 

Do.  che  f  di penfare  qualche  garbuglio  ,p€r' 
che  tu  non  habbia  a  menare  moglie  ì 

Ero.  Si. 

Do.  Vuoi  tu  credere ,  che  io  fono  quafl  tutto  ho<r 
gì  corfo  di  fu  dt  gtà  ,  per  la  citta  ,  fantaJH 
cando  ,  C7  chimcrt\Ì^ando  dintorno  a  que- 
flo  <•  Poi  quando  fono  flato  jì  anco,  ^  hom^ 
■  mi  ben  rotto  ti  capo  ,  ho  trouato,che  quejlo 
è  facile  facile  a  fare.  Vedi  come  io  era  'rrof- 
Jo  a  non  auedermi  in  un  tratto  del  come  . 


ATTO 

Ero.  e''  uero  ?  O  Dolcne ,  io  non  pofjo  contener" 
mi ,  l'/v-  to  non  ti  baci  un  occhio . 

Do.  Orf; ,  che  ani  fono  cotefìi  daputtanaìOdt 
quaj'e  uuoi . 

Ero.  io  tt  afiolto . 

Do.    Come  ti  uecchio  ti  parla  pivt  di  Vericallea. 

Ero    hh ,  non  mela  nominare  ,  fc  mi  ami . 

Do.  Taci ,  ^fìa  in  pofa  .  io  uo^Uo  ,  che  tu  gli 
dica  di  hiìuerne  ottima  informai  ione",  O* 
che  tu  il prie^hiyihe  in  ogni  modo  uoglia  o- 
perare  talmete  che  tu  la  hahhiaptr  moglie 

Ero.  O  0  0  . 

Do.    che  ha/tu  ? 

Ero.  Or  è  quejìo  quel  tuo  facile, facile  modo,  per 
fare  che  io  no  meni  mogHeflo  noi  faro  mai. 

Do.  tìor  togli .  Tutto  di  mi  tormenti.mi  (et  die 
tro  ,  mi  uai  rimprouerando  certi  tuoi  bene 
fct ,  pregandomi ,  O'jiipplicandomi  apett 
far,  0  fare  che  tu  non  ifpofì  coflei  &  quan- 
do pofia  io  ho  trouato  il  modo ,  che  tu  hai 
a  tenere ,  0'  tu  mi  efci  di  mano . 

Ero.     An\i  ti  ajcolto  ,  cir  ch'adi fco . 

Do,  Ah'^  no  .  Rifogna  prima  afcoltare ,  (^poi 
r  jpmdere  .  lonoHfaro  mai.  che  parlare  è 
ti  tuo? 

Ero,  Or  non  più  .  che  debbo  fare  ? 

Do,  N:}}i  hai  tu  udito  do  ,  che  io^  uoglio ,  che  tH 
rijpondu  al  uecchio  f 

Ero.   Non  mi  uolere  perfuadere  queTio  di  gratta. 

Do.  Perche  ?  Confiderà  quello ,  ihe  di  ciò  auer* 
ra. 

Ero.  che  iojìu  della  Kodietta  difgiunto ,  ^  a 


SECONDO.  tf 

cojlei  legato . 
Do.  EgU  non  è  co  fi.  Perciò  che,  dicendo  tu  di  lei 
tutti  i  beni  del  mondo ^^  defiderofo  dtjpo- 
farla  mojlrandoti ,  Ietterai  ogni  cagione  di 
gridare  al  uecchio .  Saitu  f  quejlo  ne  auer' 
rà  .  He  con  tutto  ciò  farai  a  Pericallea  le- 
gato .  fercio  che^andando  ella  domant  con 
fua  madre  a  nojìra  donna  dt  Neamonì ,  fi 
come  elle  Hanno  per  tepo,uerra  lì)ilerote  a 
rapirla.  Vuoitu  il  pia  hello  rimedio  di  que- 
fio  per  te,  fé  tal  dijegno  riefce  a  ?ht  erote? 
Ero.  chi  mi  asflcura  ,  che  tutte  quefie  cofe  deb' 

bino  pafjkre  cofì  f 
Do.  Dt  fhilerote  non  ti  prendere  penjìero ,  per- 
CIÒ  che^ììAnendóili  ioho'^<^i  fatto  a  f'apere 
come  ti.tnno  Le  coje  ,  &  come  non  e  mai  per 
hauerla  ,  eccetto  che  per  qualche  fi  raordt~ 
naria  uia,ha  quefio  deliberato.  Pur  per 
maggiore  ficurtk  della  cofa  ,  io  ti  trouero 
di  ttouo  ,  O" gli  diro  due  parole  più  aitanti. 
Ero.  Farai  bene .  Ma  poniamo  ,  che  ella  non  an 

dajje  alla  Madonna . 
Do.  Ma  poniamo ,  che*l  del  rotttnajje . 
Ero.   Egli  è  pur  posfibile  . 
Do.   Se  ella  non  ui  andajje  .  Ica  cofi,  per  giocare 
di  flcuro.  Di  al  uecchio,  che  dapiuperfo- 
ne  hai  intefo  lei  ejjèrefo"^  ,  &  contrafat 
ta ,  per  la  qual  cofa  ,  che  tu  il  preghi ,  che 
e/fo  tella  faccia  uedere  . 
Ero.   Dirà  fé  io  non  ho  occhi  in  capo  da  poterme- 
ne chiarire ,  fcn'i^a  riportarmi  a  parole  dt 
maldicenti . 

B     itj 


ATTO 

Do.    Et  tu  dirai ,  che  fé  ella  non  uà,  non  ti  puoi 
accorrere  che  non  fui  fcinncata  ,  &  cojifs 
non  [duella,  che  non  fra  fci linguai  a . 
Ero.   Si  bene  .  piacenti  .  Ma  in  cafo ,  cl)e  eJ?o  di 
ciò  non  ne  uolefje  parlare  a  Timeo,  o  parlan 
dolitene  quejlo  non  impetrafje  ? 
Do.   Va  buon  utfo  .  Diche  tu  non  uuoi/t  brutti 
fììojìri  alato,  ajferrttu  quello  ,  che  io  ti  uo 
dire  ? 
Ero.  Intendo  ,  ^  uuoitu  ciredere,cl/e  qucjla  tua 
fantajìa  non  mi  fp/ace  ,  CT*  parmt  più  fot' 
tile ,  che  io  non  mi  farei  mai  auifato  ? 
Do.   Credi  a  me  Eromane  ,  fé  tu  gli  faprai  dire 
quefle  co  fé  con  buon  ufo ,  che  effo  non  te- 
lefapra  negare . 
Ero.   l')  mi  sfor'^ero  .  Ma  come  faro  io  di  quella 

altra  cofa  ? 
Do.    che  f  colla  Kodietta  ? 
Ero.  Si. 
Do.    e'  uero  certo  ,  che  quel  gua'^apenacchio 

Jìa  fuo  fratello  f 
Ero.    Maijì. 

Do.  '  Sai  tu  di  certo  ,che  cofifìa  ? 
Ero.  io  il  tengo  per  f  rmo  .  Ma  perche  ? 
Do.    lo  penfaua  co/ìfra  mejìcjjoje  ella  ti  hauef- 
fe  mai  ferrato  di  fuori ,  per  metterti  in 
qualche  Tirana  difperatione ,  accio  che  tu, 
uolendo  nhauerc  la  jua  gratta  ,  le  hauesft 
a  gettar  dietro  il  tuo  pm  sbardellat  amen- 
te ,  come  elle  fanno  fare  . 
Ero.   Quejìo  ,  nel  uero ,  e  buono  auedimento ,  Si 
che  pur  uilenda  mantenermi  lufuagratia^ 


)dl 


SECONDO.  i(f 

chepotreio  mandarle,  che  le  [offe  a  grado, 

Do.  che  uuoitH  mandarle  f  Tufei  il  nom pe/cie. 
iifcia  cjucjìi  pei) fieri  . 

Ero.   Adunque  non  ti  piace? 

Do.    Varmi  pur  troppo  quello  ,  che/in  qui  le  /; 
donato  .  Specialmente  che  ao  ,  oue  il  btfo  - 
gno  pur  il  iichiegga  ,  fi  potrà  femprefare 

Uro.  lojeguiro  adunque  ti  tuo  conflglio.  Ma  dtm 
rni ,  come  potrò  io  Jlanotte  fecretamente 
andar  ajjare  con  e/Jo  lei  una  danT^a  ? 

Do.  Si  alla  Triu^^iana  uuoi  dir  tu.  M/  domandi 
tu  qucjìo  arr-s  f  1)  credeua ,  che  alle  donne 
Jlupparteneffe  il  dare ,  0"  trouare  commo- 
dtta  ,  per  confolar  ':li  amadori  toro  ,  non  a 
^(/  huGmtni . 

Ero.  Ben  ti  apponi .  Ut  fhppi  appunto  ,  che  io 
gliene  ho  parlato  ,  <:^  hoggt  ancora  j^ero 
di  ricordargliele . 

Do.    che  ti  rijpojef 

Ero.  che  non  uifapeua  modo ,  c^  che  io  douesji 
imaginarlomi . 

Do.  No»  uifapeua  modo  ah  ?  O  puttana.  Vedi 
fé  tu  fai  affrenare  quejlo  tuo  deftderiofino 
a  domani^  che  io  fra  tanto  penfero  come  fi 
poffafare  qualche  bel  tratto. 

Ero,  Aj^e,  o  Dolone,  quando  mio  padre  l'ahr'an 
no ,  hauendofi  trouato  mancare  una  pe^a 
di  carifea ,  ti  focena  girare  il  mangano  pi' 
gado  ,  CjT'  andauatt  col  pungetto  ,  in  luo- 
go della^jnula,  trafjìgendo  le  fhalle  ,  to  non 
disfi.  Vedi,  D olone  y  dt/ojfcrireinpateji 
no  a  domani .  An\i  fen\a  the  tu  mi  face f- 


ATTO 

fi  motto  ,  hnuendoti  ejjh  cojt  ch'wfo gli  oc- 
chi ,fubito  aìlui  in  ginocbione  ti  domandai 
dtgratia  ,  C^  impetraiti . 

Do.  E/;,f  0  non  me  ne  dimentico  pero  ;  &  un  di^ 
fé  utuo . 

Ero.  Or  lafciamo  andare  cotejìo  .  No»  ueditu, 
c1)e  io  non  poffo  jlare  fen\a  cjuejìa  incanta- 
trice  due  fjore  ,  tefn  tutto  che  mi  fìa  Jlato 
forXa  flarne  fenica  già  due  di  intieri  ? 

Do.  Tu  hai  ragione  .  afpetta.  Che  ti  parrebbe 
quando  io  mi  ueflisft  da  uno  di  quefli  poi- 
tronieri ,  che  uanno  per  gli  ufci  domandan 
do  limojìna ,  ^  hauendo  te  auiluppato  in 
quaklfe  cofa  in  ijpalla,  come  farebbe  coltre 
ojluoia^ti  portasfìa  cafafttaì  Creditu^ 
che  chiedendo  io  al  Jcldato  di  ejjere  alberga 
to  (he  me'l  ccmedcjje  ? 

Ero.  A  tuo  dire  uorrefìu  ,  che  io  mi  lafciasjr  Uga 
re  in  coltre  ,  ojìucia ,  o  a'trojìmile  lauore. 

Do.  Uora  w^glio  io  uedere  quanto  tu /imi  ti  tra 
uarti  con  cojìei . 

Ere.  Legarmi  in  una  coltre ,  ojluoia  ? 

Do.     Perche  no  ? 

Ero.  Or  fé  io  wf'sjl  troudto  che  dourà  dire  ? 

Do.  Ah,  ah  ,  ah  .  Vouero  gtouare  :  Se  a  te  pare 
ce  fa  nona  il  lafciarti  portare  attorno  a  tale 
■  guifa  ,  non  farà  ella  ancora  più  noua  ,  che 
'altri  iritidtchi  un  huom  effere  quiui  auilup^ 
pato  ?  Come  ,  dumolo  ,  doura  mai  cadere 
nella  mente  d'un  (ciocco ,  che  un  furfante 
forti  lo  amadore  di  fuaforellu  in  unajìue 
ia  f  0"  cenar  ui  dentro. 

Ero. 


SECONDO.  «7 

Ero.  Tur  quel  lafciarmi  portare  H7  quella  manie 
ra  m:  fa  di  un  non  fo  che ,  M^  la'cianio  an 
dare  quefto  .  Cralitu  po/cia^  chejarejìt  al' 
ber  gaio  ? 

Do,  Se  egli  non  mi  uorrà  albergare ,  ne  anche 
faprà  cì)i  io  mi  fa  ,  &  uada  facendo  il  per 
che  f  potrà  fantaficare  altri f^edienti . 

"Ero.   Io  mi  lafiero  reggere . 

Do.  Or  uà  ,  c;^ proucdi  di  unaftuoia  ,  ^  delle 
corde  ,  che  andrò  aneli  io  a  trouare  2hilero 
te  ,  che  fa  ,  quafì  ^  oue  trouarlo  . 

S  CE'HjA   SECOJi^D^. 

tHILEROTE    GIO\''ANE, 
SIROSERVO. 

AD  V  N  Qj/  £  €  CO  fa  certa  ,  che  Vhi- 
largirò  Jìudia  di  far  hiuere  ^erical- 
lea  ad  Eromane  ? 

Si.  Se  Dolone ,  per  qualche  rifletto  ,  cl)e  io  non 
fo  ,  non  ci  ha  detto  la  bugia  ,  tu  il  puoi  al- 
trefi  benfapere ,  come  to  . 

vhi.  Ahi  lealtà  pregiata  dt  huomo ,  il  quale  im  • 
palmato  haueui  la  tua  fede  di  f  ire  per  me 
quello,  Jìe/Jo, che  fatto  huurefìi  per  uno  tuo 
propio  filinolo  .  O  quanto  ti  era  egli  me- 
glio fubito  negare  di  uolerii  per  me  affati- 
care ,  che  me  allettando  ,  O*  di  u.;nu [pe- 
tanT^ pafcendo  recare  in  un  do lorofo pun- 
to m/ullo  Tiremo  della  u:ta  mia  . 

si      Vhiler&te  ,  io  ti  uoglio  conf'lfire  la  mia 


ATTO 

i^norantia ,  chegih  credetti  amore  douer 
fare  le  per  Jone  bete  c^-  gntiiué.O'  dilettar 
Ji  di  [noni ,  canti  ,  giochi ,  O"  di  altri  pia' 
ceri .  Ma  per  cjHanto  in  te  tfeggo  la  prona, 
e/Jò  fa  d  centrano  . 

Vhi.  Deh  Siro  ,  egli  non  mi Jì potrebbe  dare  la 
peggiore  nona  ,  che  il  uedere  con  altri ,  che 
meco  ,  feguire  quejìz  nowe  .  Se  io  mi  tro- 
uasjì  jcitiauo  ,jì-ule  mani  de'  Turchi ,  ^ 
in  prigione  ,  come  già  trottato  mi  fono, non 
fentirei  tanti  martiri .  Perche  nel  nero  ne 
catene ,  ne  prigioni ,  ne  ceppi  pojf  no  ejj'ere 
tanto  atroci  ,  O"  crudeli ,  quanto  le pasfìo 
ni  di  un  uero  amante  d'fjjerato  . 

^i.  Taci,  non  ti  addolorar  e, che  feifra  le  mani 
di  un  medicOjchefa  rifanare  ogni  morbo''. 

ì)t?.  Q^cjìafede  ho  io  appunto  in  le .  Ma  a  che 
tanto  mi  tarditu  LtJJ.-cran'^  ,  fé  tujai  co- 
fa  ,  cì}e  in  CIO  mi  pojjagnuiare  : 

Si.  lo  ti  diro  il  parer  mto  .  Tu  fai  quanto  Ero- 
n^tane  ami  la  Kodietta  .  \o  foni  di  parere^ 
chefiuada  a  trou aria  Jco prendale  comepaf 
fano  le  co  fé  ,  aggiungendo ,  0'  Iettando  fe- 
condo che  fura  apropofuo . 

Vhi.   A  che  f  ne  f 

Si.  Non  faitu  quanto  piene  fano  di  lufìnirhe 
quesle  ladre  puttane  fue  p.mì  Ef  quanto 
loro  aggraui  perdere  un  utile  ,  quale  egli  è 
allei  f  Potrebbe  ar.  dare  fi  la  h'Iogua^che  di 
tanta  for"^  farehbono  le  preghii're,  i  baci, 
Cr  '  l.imenti,che  ella gh /apra  porgere, che 
tfjjo ,  oltre  al  grande  amor  e, che  le  porta,  fi 


SECON'DO.  18 

lajcìarehhe  mag<^iormeni  e  ancora  ila  cjuelli 
innefcare  ,  che  dallo  amore  ,  0  dal  timore 
del  padre  rn enere  ,  ojpauentare  . 

Thi.   ?arti ,  parti ,  che  queTlo  mi  poj] azionare? 

Si.  Co/i  parmi .  hSa  fé  non  ti  gì  mera  ,  che  ti 
nuocerà  egli  ?  Wuoitu  ,  che  io  nada  un  pò- 
co  a  trouarla ,  &  p^outfe  io  le  fo  piantare 
una  carota  ? 

P/;/.  T«  mi  farai  co  fa  grati  sftma.  Va  ,  che  ti 
attenderò  aca'a  D  fco  ,  otte  fono  affettato. 
Ma  uedi ,  che  Eromarie  di  ciò  non  habbia 
mai  a  doler  fi  di  me  . 

Si.  Afua  pofla  .  O  tu  ti  pigli  Jlrani  impacci . 

RODIETTA,     SIRO. 


o 


I  O  folamente  nata  fono  a  pronojìicar 
mi  male  ,  0  il  rifpetto  ,  che  io  uoglio 
hauere  a  quefla  befttadi  Zeladelpho /ara 
Ancor  buono  per  impedirmi  (gualche  d'ffè' 
gm  ,  lo  non  fo  trouare  luogo  tn  cafa  ,  che 
mi  tenga  . 

Si.  Se  io  non  mi  inganno  ,  cjuefla  andata  mi 
fucc edera  profpera  ,  che  la  uentura  mi  fi 
para  in^n\i.  O  Signora  Kcdretta  , 

Ko.    O  Siro . 

Si.  Voi  fate  cof  ociofa  infuUa  porta, cerne  ben 
nulla  a  uoi  appartenefjero  le  no\\e .  O  Dio 
del  cielo  .  Infn  bifogna  dire  ,  che  lo  amo- 
Te  degiouani  è  come  fuoco  di  paglia  ,  che  è 


ATTO 

prima  JJjento  ,  cheJJa  accefo . 

Ro.    D'  che  no\^  mi  parlttH  Siro  f 

Si.      Delle  ìiol^e  dt  ^.romane  . 

Ko.  DelL' no'^e  d(  Eromme .  ^  ^  forfè  ,  Ero- 
nijneper  menar  mojlie  ? 

Si.  Eh  bel  piacere ,  che  haitete ,  a  mojiraru  ene 
noua . 

Ko.    lo  ne  fono  ,  certo  ,  nouisfima  . 

Si.  P«r  io  uo  dtfcorrendo  fra  me  mede/lino  in 
che  ui  p'/J^i  ciò gioucire.  fS  poifihile.khe  noi 
fola  no*lfappiate,che  ne  è  pieno  tutta  Scio. 

Ko.    Quejla  è  la  prima  parola  . 

Si.  Certamente  io  penfaua  ,  uegendom  coft  di 
mala  uo'rlia  ,  che  ne  fofle  informati sfimA, 
^  (juando  hauesfi  creduto  altramente^non 
m  ne  haurei  fatto  un  motto .  Perciò  che  an 
ci)  IO  fono  nel  numero  di  coloro ,  che  maino 
hntieri  anuuntiano  le  male  none  . 

Ko.  Df  nulla  ,  per  certo  ,  non  mi  Tiaua  e^h  te- 
Jìè  lo  animo  fo(j>efo  .  Dimmi  Stro  .  ne  pen- 
fare  ,  che  io  di  ciò  (la  mai  pa  deftderarliy 
fé  non  bene .  Che  moglie  uuol  ej^li  torre? 

Si.  Le  cofe  uan  bene.  ?tricallea  unica  figlinola 
dt  quel  Timeo  Kali  cofì  ,  ricco  . 

Ko.    che  ne  fai  tu  ? 

Si.      io  ti  fo  ■  M'J  non  ni  p  ffo  dire  più  auanti. 

Ko.  E^  egli  Er umane  ,  fé  tu  il  fai ,  di  cfei  ina- 
morato Jt  chela  habbia  fatto  ncIiicdere^O 
come  hanno  cofì  i  uecch-  hauuio  a  parlarne? 

Sì.  KonpMoeJJere  altramente  y  fé  no»  che  ejjo 
le  habbia  affettione ,  per  uo  che  cofìei  è  af- 
fai bella  ,  cr  cojlumata  giouane .  Ma  nin^ 


SECONDO.  i9 

ns ,  è  y  che  meglio  conofca  Cromane  Ài  nei 
O  poca  fede  di  huomo  .  Quejìo  è  quello ,  di 

che  io  fempre  ho  dubitato  .  E^^b  andrà  a 

dure  di  co"^  in  qualche  piagnoncella  ,  & 
jyigohpra  ,  (^  io  faro  Jempre  fiuta  la  tri- 
fìa ,  ^/celerata . 

che  ìionefla  giouaneflfa  coflei  f  Quafìio 
uon  debba  fapere  ,  che  ella  t  una  puttana. 
Ahi ,  che  non  dottrebbe  mai  donna  alcuna 
mattamente  credere  a  vromejjè ,  ite  afacra 

menti  dt  amami . 

Certo  ,  Signora  P^od^etta  ,  io  cofìpenfo.?ur 
non  dt  meno  potrebbe  ancora  auenire ,  che 
la' ingordigia  di  fuo  padre  ,  che  ajpirajfe  al 
la  gran  dote ,  che  ella  haurà  ,  a  ciò  fare  lo 
Jlimolaffe .  Ma  ,  come  che  egli  fé  neflia  il 
fatto  ,  Ditemi ,  che  male  farebbe  fé  uoi  il 
mandaTie  chiamando,  0»  con  ejfo  lui  uè  ne 
dolcjle  r* 

che  altro  ,  fé  non  un  rinouellare,  ^  accre 
fcermi  il  dolore  . 

E/; ,  uoi  non  ne  potete  perdere  nulla .  Oltra 
che  potrefìe  ancora  fare  fommo  piacere  a 
Vhilerote  mio  Signore  ^  il  quale  e  di  coflei 
inamoratiiflmo  .  Et  certo,  fé  Eromane  noo 
la  prende  fé  per  moglie  ,  ella  non  farebbe 
di  altri ,  che  fua  . 

Siro  y  io  fui  fempre  prefla  in  fare  piacere  a 
tutti,  ^  fpecialmente  ad  un  pari  del  Si- 
gnor Vhilerote  ,  in  acconcio  ancora  di  me.. 
lAache  JperanTapotre^io  haueredi  e/fere 
fur  [afcoliata  j  fé  tu  mi  di,  che  effo  è  cofi 


ATTO 

Aello  amore  di  colei  accecato, onero  che  eglte 
per  confentire  allo /limolo  del  padre . 

Sf'  O  S'gtiora  B^odietta,  egli  e  tanta  la  paura, 
che  ctafcuno  ha  di  abbatterft  male  in  cjuejii 
mercati ,  che  egli  è  come  nane  ,  che  picciol 
mare  di  qua  y  <^  dt  la  fojp'gne.  Siate  pur 
uoifollecita  ,  0>  ufate  in  cto  ogni  uojìro  in 
gegno  ,  fi  che  noi  non  hahb'.ate  mai  ara- 
maricariit,  0'  del  rimanente  lafciate  la  cu 
r-a  al  dianolo  ,  che  ni  metterà  anch' egli  la 
coda .  Et  eccolui  a  tempo,  lo  ut  ricordo, che 
lapoten'^a  uojìra  è  grande  .  A.ddto . 

Ko,    'faro  lo  nfficio  . 

ERO  MANE,    RODIETTA. 

SE  con  una  catena  di  acciaio  legato  mi 
teneffeU  Kodietta  mia  ,  io  credo  fer-^ 
mamente  ,  cìje  ella  non  haurcbbe  maggior 
for'Xa  per  trarmi  a  fuo  diletto ,  che  fi  hah- 
bia  lo  amore  ,  onde  io  nonfpero  mai  per  al 
tro  difcioglìermt ,  che  per  morte .  Et  ecco- 
la .  che  nnol  dir  Koditcta  ,  che  io  non  fono 
mai/ì  tnjlo  ,  ne  ntaninconofo  ,  che  ti  tuo 
uago  y  cy  leggiadro  nifi  non  mi  filletiì  il 
cuore  da  cj  idunquc  accidente ,  che  oppref- 
fo  fcH  tenga  f 
Ro.  Tm  ;/  dici  bene  con  la  bocca  ,  ma  per  gli  ef^ 
fetti  fluede  il  contrario  ;  fi  bene  mi  rendi- 
tH  U  cambioxh^o  amyre ,  cì>e  io  ti  porto  . 


SECONDO  20 

Ero.    Ma  che  uorra  dire  cjuejlo  ? 

Ko.  Si  che  farà  pur  nero  una  ttoba ,  che  tu  me- 
nerai ruotile  f 

Ero.  che  io  menerò  moglie  ?  Deh  ,  di  grattala- 
fila  una  uolta  di  martoriarmi  con  tante 
tue  gelojìe  ,  Che  fé  tu  dietro  ejfe  andando 
f  enfi  di  p:u  forte  legame  flr ingermi ,  que- 
fio  è  impos filile  .  Se  di  umcermi  amando^ 
io  mi  chiamo  uinto  .  Se  dijìratiarmi,  fé  di 
farmi  dananti  la  hora  mia  dehna  morire^ 
eccomi.  Piglia  un  coltello,  Crf^  di  me  quan 
to  ti  piace . 

Ko.  Si ,  io  ti  uogliG  legare  ,  io  ti  uoglio  uincere 
amando  ,  ^  tflratiare  ,  ^  far  morire,  kl  - 
lafe((reddo  a  me)  hora  non  mi  abbaglie- 
rai  f  gli  occhi  dello  intelletto  con  tue  belle 
farolette  ,  comegta  mi  alleUaJìigli  orec- 
chi ad  afloltnre  tue  disleali  promtsfonr. 
che  huomo  da  bene  f  Che  <rentilhiiomQ  ?  // 
quale  pojìo  da  canto  il  riguardo  ;  che  haue 
re  dourebbe  a  tanto  amore  ,  come  togli  ho 
fempre  portato ,  O'  ^U^  fede  data ,  uà  cer 
c.indo  mo'^lie , 

Ero.    Cjje  moglie  uo  iocercando? 

Ko.  Vericallca  figliuola  di  Timeo  Kali.  Conofci- 
tu  ?ertcaìlia ideila  quale  tu  hauraifìgran 
dote  ? 

Ero.  Tu  fei  fata  fatta  comamufa  :  Chi  t'ha  det 
to  qaefa  huggia  ì 

Ko.  Oue  fono  le  promefe ,  ^  i  facr  amenti  fat- 
ti di  non  abbandonarmi  f  co  quali  mi  da- 
Hi  a  credere  ,  che  fen\A  me  uiuere  non  ha" 


ATTO 

urejìì  potuto  ?  Oue  cjuelle  tue  am oro/è  ,  c^ 
cuocenti Jìumme  ?  Le  dolci, &  melate  paro- 
le ì  Oue  fono  bora ,  o  ualorofo  amante,cj'-4el 
tuo  effere  fchiauo\  quelli  cjjerirti ,  &  ri- 
cercare di  ejjere  comandato  f  Va  ,  uà, ti/fai 
parole  mi  haitu  dato ,  ^jìn  qui  di  Jperan 
^  mi  hafaputopafcere  la  tua  fede  .  Hor^, 
henche*tardi  io  ti  ho  conofciuto.  Wa  uia  pren 
di  moglie ,  contentati,  Satia  tuo  padre,com 
piacigli .  Di  una  fila  cofa  mi  conforto  ,  che 
tu  per))  non  uiuerai  contento.  Perc/ò  che 
quejìa  tua  fpofa  ,  fé  donna  facente  ;  &  **f- 
corta  farà  ,  intendendo  con  quante  arti  tu 
haurai  me  gabbata,,  a  mio  cofìo  cauta  diue 
nuta ,  non  ti  potrà  mai  riceuere  dentro  al 
cuore  . 

Ero.  khfangue  mìo ,  non  dtre  in  quejlo  modo, 
che  non  ne  hai  cagione . 

Ko.  lo  ne  ho  cagione, O'  '«  colpa.^on  faitu  quel 
lo  ,  che  IO  ho  per  te  fatto  in  compiacerttfo* 
ciò  ,  cÌj€  mille  uobe  mi  hai  prome/Jò? 

Era.  Kodietta ,  fé  io  uo  cercando  moglie ,  io  pre- 
go quel  Dio  che  mi  mantien  uiuo  . 

irò.  Deh  che  quel  Dio  indugia  pur  troppo  a  pren 
dere  di  te  uendetta  ,  andando  tu  ifchernen 
dolo  con  tanti  tuoi  facrum  enti  fai  fi . 

Zro.  Verchi' mi  fuitu  mirire  di  doglia  f  Perche 
tn'  trattitu  dt  mancatore  di  fede ,  cy  da 
ribaldo  ,  effendo  tu  ingannata  dafalfafo- 
Jbfttione  ?  Odimi ,  di  grati  a  ,  c^r/e  trout- 
rctipofcia,  cheto  mentito  hahbia  ,aUhora 
tf'^^h ,  che  tu  dea,  che  tu  non  fei  mai  piit 

J>cr 


S    E    e    O;  N    D    O.  »i 

per  hautre  fede  in  me  • 

Ko.  AÌ?  caro  theforo  .  Tu  uedt ,  cf7e  io  fono  gio- 
itane ^  nuda  ,  ^fola .  T«  uedi,che  c^ui  non 
ho  parente  ,  ne  amico,  ^  puoi  pen fare, che 
per  lo  amore,  che  a  te  foto  ho  femprc  porta- 
to,io  fono  da  tutta  Scio  odiata,&  farai  cefi 
crudele  ,  &  inìjumAno,  che  ue'igmdomi  da 
tante  fortune  sbattuta^  fojferirai  di  ucder- 
mi  cacciare  al  fondo  ?  Sojferirai  di  uedere 
andar  in  ruina  colei ,  la  cjuale  ,  Je  le  tue  pa 
fole  non  hanno  mentito ,  hai  \amato  fopra 
la  uitapropia?\h porgi  le  orecchie  alle  mie 
gitijìe  querele ,  ciT*  mouafia  compasflone  di 
pie  la  tua  cortefe  natura,&  rincrefcati  del 
le  calamita  mie .  Se  io  fono  fiata  tuaftrui' 
trice  .  Se  tu  fei  fiato  il  mio  Signore .  Se  $9 
ho  femprejìudiato  di  fecondare  tutti  i  pia- 
ceri tuoi ,  no:i  mi  abbandonare.  Sia  tu  mio 
conftglto ,  ma  fperan'^a ,  mia  compagnia, 
mio  amico ,  m<Q  parente ,  mio  dijfenfore, 
bocca  mia  dolce ,  boahina  mia  faporita. 

Ero.  hfcolta ,  afcolta  Kodieita  .  io  non  focomt 
quefla  nouUa  peruenuta  ti  fia  a  gli  oreC' 
chi ,  ne  chi  di  cjuella  fi  a  flato  ti  mejjo  .  Ma, 
comunque  ciò  flfia  -.'egli  ti  è  sìato  referto 
ilfalfo . 

Ro.  Come  può  quefio  e/fere  ? 

^ro.  Odi ,  fé  uuoi .  E'  ben  il  nero ,  che  il  vecchi» 

-    Ì'altr*hieri  mi  parlo  di  coflei  ,  &  tut  - 

to  di  mi  uà  combattendo  ,  che  la  prenda. 

Ma  che  io  di  hauerla  habbia  procaccuito ,  0 

che  io  la  prenda  j  nonfaragia  uero.lo  non 


ATTO 

la  uoglio  ,  io  non  la  torro.  Non  fé  fos/ìcer 
to  di  nimicarmi  tutti glt  huomini.  Te  ho  io 
dejtderata ,  ^  te  mi  è  uenuto  fatto  di  hu' 
uere  ,  uadta  in  buon*hora  chi  cerca  di  tor- 
ne l'uno  dall'altro.  Te  non  lafiioio,fn 
che  uiuo . 

Ro.  Voffo  io ,  cara  anima  mia  ,  uiuere  fecura 
con  cjuefia  promeffa  ,  0-  fberan\a  ? 

Ero.  Securisjlma  .  M^  ecco  il  Capitano  ,  che  ma 
ladetto  fìa  egli .  Io  uoleuapure  ,  che  tu  mi 
infegnasfì  come  io  baueua  affare  a  trouar- 
mi  ijìanotte  teco . 

ZELADELPHO,   ER.OMANE, 
RODIETTA. 

CH  Efaitu  quìgiouane  ? 
.         O  uoi  uè  ne  giungete  a  Ump9 . 

Ze/.  Quanto  è,  chefei  qua  ? 

Ero.   VHrhora. 

Zel  lo  ho  fatto  portare  la  trabacca,'^  accioche 
tu  la  uegga  a  compimento ,  io  la  ti  uoglio 
far  uedere  m  piedi .  Fd  uenir  fuori  tu  tre , 
0  quattro  di  quelle  tuefchiaue ,  con  hajle , 
€  pertiche . 

Ko.    Iole  faro  mnire  a  m4no  a  mano. 

Zel.  Ben  tela  farei  uedere  in  cafa  doue  io  ho  un 
cortile  da  poterut  correre  una  lancia  .  M<i, 
addirti  il  uero ,  io  mi  uegi^o  mal  uolentieri 
andare  gente  per  cafa  » 


S  E  e  O  N  D  a'  z\. 

Ero.  A»!^"  è  da  defìderare,  ejjendo  ella  cofa  uaga 
O"  bèlla  ,  che  ne  etiandio  altrui  uenga  cela, 
ta  ,je  pnre  ad  alcuno  ^affando  per  qua  pia 
cejje  difermarJJ  a  uederla . 
Zel.  Che  dita  di  piacejjè  ?  Worrò  ,  che  habbiano 
di  gratta  a  poterla  uedere .   Ma  ben  ti  ap- 
poni .  Io  la  guadagnai  (^  fé  il  Caperlo  ti  ag- 
grada )  quel  di  con  le  arme  indo/Jò  ,  che  io 
fracajjai ,  O'fio^^f'fì  '  nimici  di  fua  Mae- 
Jìa ,  nella  quale  giornata  furono  fcaricate 
più  di  ducente  artigliarie ,  ne  da  alcuna 
mai  fui  colto 
"Ero.  Dio  fa  fé  cojlui  uide  mai  appiccar/ì  fcara' 
mu\ya,ofe  conofce  quanto  obligo  egli  hab- 
bla  ad  hauere  alle  gambe . 
"Lei.  che  dttu  di  gambe  ? 
Ero.  Dico,  che  meritamente  douete  efjere  deflro^ 
(y  aitante  delle  gambe ^  afaperuifchermi' 
re  da  tante  palle. 
Zel.   ?en/a  ,  cl?€  il  contrapafjo  è  neceffario  a  uo' 
lere  ben  flìer  mire  .  benché  il  mio  erapm 
tojìo  un  offendere  ,  che  riparare  . 
Ero,  Verchtf 

Zel.  Ver  che  io  flAua  mirando  da  quale  parte  del 
campo  ueiùuano  a  ferire  k  palle  ,  ricontan- 
dole con  maggiore  empito  aj]a!,che  elle  non 
erano  fojp iute  ,  le  rimandauafra  le  fchie- 
re  de  nimici ,  ribattendole  con  le  palme  ,  a 
dijlra,  e  A  f.nifra  di  dritto  ,  c^  rcuefcio 
Ero.  Konpojjo  più  tenere  ti  rtfo .  Ah,ah, ah. 
Zel.  Tu  ridi  perche  mi  fenti  addire  cofe  nuaue, 
Jìupende .  i'>\a  [appi ,  certo ,  che  io  dico  alle 


ATTO 

uohe  cofè  da  non  credere . 

Ero.  Credo  anch'io  . 

7.el.  Ma  ecco  lefchiaue .  Leuate  in/tt  quelle  per* 
tichett  e  quelle  trabacca  mi.  Mettiuima' 
no  anchora  tu  ra^a\7;p  ;  allargatela  bene, 
io  credo  di  farti  hoggi  uedere  cofi  bella  co- 
fa ,  per  una  trabacca  ,  come  unqua  da  te 
uedutafìa  fiata  .  Che  te  ne  pare  ? 

Ero.  Non  è  cofa  me'^^na .  Tuttauia  il  mercato 
è  quell),  che  acconcia  il  tutto.  Che  mi  co- 
fiera  ella  ? 

Zel.  A  farti  poche  parole,  tu  mi  darai  cento  du- 
cati dtl  conio  Vinitiano  ,  o  mille . 

f.rn.   Cento  ducati  Vinitiani  ?  Cacafangue , 

Z:l.  chef  IO  u  fglio  ,  che  tufappia  ,  quando  io  la 
hauefìt  uoluta  dare  per  nonantacinque,che 
dieci  uohejjaurei  trouato  da  uenderlaa 
bocca  baciata , 

Ero.  Quejìo  pecorone  Jìa  in  f(t*l  tirato  ,  come  fé 
io  hauejìi  ben  gran  uoglia  di  comperarla, 

Zel.   che  dici  di  comperarla  f 

Ero.  Dico  ,  che  uot  la  dite  tanto  cara ,  che  mi  fa 
te  fuggire  la  uoglia  ddcomperarla.Ne  ito- 
lete  uenti  ? 

Zel  Se  non  uenti  ?  Di  ragione  tu  dei  ejfere  ufo  a 
\inegia ,  doueflo^erifce  poco . 

Ero.  Voi  più  tojìo  ui  douete  e/Jere  ufo,  a  doman- 
darne tanto.  Pereto  che  il  domandare  fuo- 
ri di  modo  ,  che  fanno  i  uenditori  fa  tene- 
re b^ffa  la  mira  a  coloro  ,  che  comperano. 

Zel.   \n  fine  fono  pochi . 

Ero.  A  me  pare  un  bel  danaio . 


SECONDO.         »j 

Ze/.  O  noi  ftamo  troppo  diltingi . 

Era.  Vedile  uoi . 

Ze/.  Certamente  io  hauea  deliberato  dì  non  dar» 
la  per  meno  di  quejìi  cento  ducati .  P«r  , 
quando  tu  me  ne  dia  nonantacinque ,  come 
ne  ho  ambe  già  trouato ,  ella  [ara  tua. 

Ero.  lo  ui  ho  detto  in  una  parola  ciò,  che/pender 
ui  intendo . 

Zel.  Or  ua.perche  tujèi  qttegli,  che  prima  hog~ 
gi  me  ne  parlo  ,  che  io  te  la  do  per  ottanta. 
Sedi  per  tua  fede  ,che  lauorijono  lotejli, 
C/fe  la  tela  fola  non  uale  quejli  pochi  dd" 
nari . 

Ero.  lo  non  poffo  fare  quella  (pe fa. 

Zel.   Dammene  Jettant a  . 

Ero.  Mai  non  uidi  fparuiere  uenire  meglio  alpu 
gno  .  Vnperpero  più  guajlarebbe  ilmer" 
cato. 

Zel.  O  tu  uuoi  dunque  ,  che  la  tua  parola  fia  di 
Re  ì  Ma  pur  non  dimeno .  Dimmi .  hai  te^ 
co  i  danari  ? 

Ero.  che  monta  quefìofQuando  noi/ìamo  d^ ac- 
cordo delpreT^ ,  io  uè  li  faro  hauere  tutti 
fra  una  bora . 
Zel.  Va  adunque  per  efì ,  che  fé  tu  non  uoi  fare 
a  mio  modojfì  ho  in  gran  uoglia  dtfar  da- 
nari ,  che  faro  al  tuo  .  odi ,  quando  tu  uo- 
glia andar  alla  guerra ,  0'  feruire  a  ca- 
uallo . 
Ero.  Si  a  quella  di  amore ,  O*  <*  cauaìlo  afuaft- 

relìa. 
Z  eh   Volgiti  in  qua ,  che  io  non  ti  intendo» 


ATTO 

Ero.  Di  co, che  io  il  bramo  fopra  tutte  le  cofe  del 
mondo . 

Zcl.  Se  adunque  uoglia  ti  ueniffe  di  hauerefellcy 
briglie  j  coperte  da  caualli ,  O'  altri  ricchi 
arnejta  tale  mejltere  appartenenti  y  io  gli 
ho  coft  belli ,  come  uedefli  a  tuoi  di ,  &  te 
ne  faro  conueniente ,  c^  buon  mercato . 

Ero.  Vo/  parlate  bene .  Andate  per  ej?i ,  ^  mo- 
Jlrateglimi ,  che  fé  hauerete  cofa  che  mi  un 
da  pel  capo ,  io  mi  accorderò  per  lo  douere. 

Zel.  Tu  potrai  adunque  dare  di  uoita  co  danari 
della  trabacca  ,  che  fra  tanto' faro  recare 
quejle  cofe  dalla  bottega  del  rigattiere.  An- 
date  .  riponetela  m  qualche Jor^^ere .  Va 
qua  tu  raga^o . 

SCEl^^    SEST^. 

PHILARGIRO    VECCHIO, 
EROMANE. 


I 


0  andrò  fra  tanto  a  uederejè  trotto  mio 

^figliuolo . 

Ero.  Ma  ecco  mio  padre . 

Tln.  Oh? 

Ero.   Egli  mi  ha  uijìo . 

^hi.  Eromane?  Appunto  io  mi  era  partito  da  ca^ 
fa  per  trouarti  :  lo  fono  hoggi  flato  a  ra- 
gionamento con  mejjer  I/meo  ,  O"  habbia^ 
mo  conchiujo  ,  che  tu  domani  Jp«Ji  Veri- 
e  allea . 

Ero.   Ahimè. 


SECONDO.  14 

Vhi.   Volgiti  in  qua  .  Vedi ,  che  tu  mi  Jìia  in 

cerucllo . 
Ero.  che  io  la  j^ofi domani  ? 
Thi.  si  domani  .perche  ? 
Ero.   Ah.  Fra  pur  honejìa  co  fa  ,  che  io  prima  it 

uedefì  almeno  una  uohafola. 
?hi.  Comecché  parlare  è  quejlo  Eromane  ? 
Ero.   Già  non  dico  io  quejlo  perche  non  fappia  lei 

efjere  una  delle  più  accorte,  c^  coftumate, 

da  hengiouani  di  Scio  .  Ma^ma .  So  ben  io 

quello  ,  che  io  mi  dico, 
^hi.   io  non  t  t'intendo  .Qua fi  tu  mgUa'dire, 

che  eìlapatifca  qualche  altra  eccettione^per 


cui  cagione  ella  non  ti  pi 


faccia 


Ero.   se  io  il  uoglio  dire  ?  Se  uoifosìe  fiato,  do- 

ue  io  hoggt  era ,  ^  dt  lei  Ji  ragionaua,  già 
-    non  ui  parrebbe  marnuiglia  quejlo  . 
Vhì.   D/' ,  di .  cheji  diceua  S  Lei  qui  ni  ? 
Ero.  Sene  diceua  quello,  che  non  [e  ne  puo^dir 

paggio  i  &  dtl  che  ricordandomi, io  mi  uer 
'  ó^S*^^  y  quaf  che  (Ifappia  ,  che  io  pure  hab 

bia  afcoltato  parola  di  tarla  per  moglie . 
'?hi.  Dime .  che /ara  quejlo  ? 
Ero.  che  ella  ha  il  najo  ifchiacciato  forte ,  ^  la 

bocca  torta . 
?hi.    Adunque  dicono  quefto  di  lei  ? 
Ero.   che  ha  le  labbra grojje ,  &  che  è  sdentata, 

Cr  che  que  pochi  denti,  che  ha  fono  grandi, 

C^*  neri . 
Hi.    lo  nonfo.   Tuo  effere ,  che  io  hauefi,quan' 

do  la  uidi,le  traueggole.Ma  pure  ella  par  uè 

unagiouanepiu,che  meT^namente  bella» 


ATTO 

Era.  Voi  non  ne  hauete  ancora  udito  ciò ,  che  è 
peggio  .  V)icono  y  che  [ente  del  guercio  ,  ne 
mat  trouarf  fenx^  mal  d'occhi . 

fhi.  Ah  che  egli  è  in  quejla  città  una  brigata  di 
giouani [correttilo'  d'/foluti,  icftialijjauen 
do  ben  mangiato, et  meglio  beuuto  infuUe 
tauerne  ,  dannoji  fempre  ,  fi  come  quelli t 
che  ghiotti,  O'  sfacendati  fono  ,  a  calum- 
niare  quejlo  ualent'huomo,  quella giouane, 
0  alcun  rehgiofo  .  fanno  gran  male  noftri 
signori  a  non  mettere  fejìo  a  quejìe  cofe. 

Ero.  ?adre  ,'co/ìoro  me  ne  hanno  detto  tan- 
to male  ,  che  mi  perdonerete  bene ,  fé  diro 
di  non  uolerla ,  fé  prima  con  gli  occhi  prò- 
pi  non  mi  chiari fco  di  tante  cofe.Dicono  art 
Cora  ,  che  ella  è  di  un  colore  uerdeyO' giaU 
lo  ,  o*  fciancata ,  O*  monca  della  mano 
defìra . 

Vhi.  Come  è  pof?ibile ,  che  huomojt  trcui  di  ui- 
Jla  tanto  peruerfa  ? 

Ero.  Et  che  li  pute  il  fiato  ,  O"  ^  c^^i  ^^  uedefa 
uenir  uoglia  di  recere. 

Vhi.  Deh  quanto^  fciocco  fono  io  ,fin  qui ,  fiato. 
Bora  intendo .  Saitu  Eremane  come  ella  fi 
fìa  ?M  entre  che  la  età  te'l  concedeua  ,  io, 
perai  che  fola  mi  fé  rmiafo  ,  affai  uokeglt 
occhi  cìitudeua  a  gli  ajpetiti  tuoi  ^fptran- 
do  pure  ,  che  ti  tempo  una  uolta  ti  haue/Jè 
a  nìaturare,0'f^T'  «»  huùm  da  bene'.  Ma, 
quando  io  ho  ucduto  ,  che  da  te  Jìeffo  non 
ti  ammendi ,  ne  la  età  è  baflante  a  porger' 
ti  il  debito  (onofctmento ,  ho  uoluto  tu  effe- 
re  colli  ly 


SECONDO.  ts 

re  colui,  che  ti  metta  in  fnUa  Jìrada  del  ben 
uinere.Non  ueditu,  che  io  fono  uecchtoìcht 
to  non  ho  più  figliuoli ,  che  te  ?  Che  eglt  no 
ci  egonerno  in  cafa  ?  Per  b  quali  rijpetti  è 
necefjario  ,  che  io  tt  (iccompagm  ì 

Ero.  Ahi  Carino  fratel  caro  ,  doue  hora  li  troui? 
Maladetto/ìa  quel  corfale  ,  che  in  tale  p un 
to  ti  rubo  ,  che  mai\  pia  non  ne  habbiamo 
potuto  hauere  certa  nouella . 

P/?/.   che  ditu  di  Canno  ì  a  che  pro^ofito? 

Ero.    Niente.  Seguite  pure  . 

?hi.  che  fojpiri  adunque  ? 

Ero.  Io  mifojpiro ,  perche  uoi  mi  hauete  ,  col  di- 
re dt  non  hauere  più  figliuoli ,  che  me ,  tor- 
nato a  memoria  la  fua  perdita . 

?hi.  Ah  capefiro  io  ti  intendo  bene,/t.  Ma  afcol- 
ta  qua, .  Qitando  quell'altro  mio  figliuolo 
fof]e  uiuo  ,  !0  non  farei  molta  dtjferentia, 
che  uno  più  ,  che  l'altroydi  uoi  prendefje  mo 
glie.  Ma  che  accade  affare  disegno  in  quelle 
cofe,che  ejjere  non  po/J()no?bia/cono  alle  uol- 
te  delle  co  fé,  alle  quali  per  prouedere  tndar^ 
no  fi  affatica  ogni  ddigen\a,^  ingegno 
humano.Ma  ancora  ne  occorrono  di'qucUet 
nella  cui  elettiom  ,  ^  rnane^rtrio  ficonofce 
ilgiudicio  ,  C"  la  matitrtia  di  chi  lepratti 
ca  .  Vedi  Eromane  ,  tre  nula  ducati],  che 
haura  Pericallca  dt  dote  ,  è  una  bella  cofa. 
Et  fé  io  mi  lafciafìi  fuggire  dalle  mani  tale 
Hentura  ,  iddio  fa  quando  mai  altra  tale 
me  ne  haue/Jé  a  capitare.  (^jìroì 

Ero.   O  padre  uorrefiè  mai  darmi  fi  brutto  rììo- 

C 


ATTO 

Vhi.  Non  dire  cofi ,  fé  pur  i/cu  fare  di  ciò  ti  uuoi. 
Di ,  che  tu  ha:  legato  le  budella  con  qttejlo 
dianolo  di  f emina  .  Che  mal  adetti  fi  ano  la 
ì>ora  y  CjT  il  punto ,  in  che  ella  prima  uen' 
ne  ajl.ire  in  Scio .  Et  che  uorrejìi  prolunga 
re  ijuejìe  nowe  ,  perche  tujperi  pure ,  che 
qualche  dijiutjlo  a  fi  intrometta,  per  cagio- 
ne del  quale  tu  non  hahbia  a^f^iccarti  da 
colei .  che  ?  Penfìtu  ,  ihe  io  non  ci  uegga? 
^  nonfappia  da  qual pie  tu  T^ppichif't.gU 
fono  tre  d!,che  te  ne  parlai, ne  mai  di  no  no 
Urla  mi  hai  detto  .  Che  haitu  fatto  in  que- 
Jìo  tempo, che  non  la  hai  potuta  uederefTu 
non  potrai  già  dir  e, che  difftculta  ci  fìa  a  uè 
Here  le  gì  cu  ani  di  Scio,Jl  come  quelle ,  che 
Jìanno,quaft,  del  continouo  tnju  le  porte. 

Ero.  ?adre,le  belle  mcrcantie  fi foghono  mette- 
re in  mo(}r.t,oue  le  brutte fì  tengono  nafco- 
Jle  ne  maga\<^ni,ne  fi  mojìranofe  non  cofl 
ili  barlume .  Sen^a  che  je  io  non  la  ueggo 
andare,come potrò  sgannarmi,  chenonjia 
fciancataf  ht  Je  non  parlale  he  non  fìa  fci' 
ìinguata?  Se  non  le  uado  apprejfo ,  che  non 
puta  ? 

Vbt .  h\ni  fi.  Ella  dee,  furfe  ,  c/fere  un  cauallo,  da 
farla  paJJeggiarcO'  da  farne  tante  altre 
proue,quante  ft  fanno  a  \'inegia,oue  fanno 
loro  infilare  in/Ino  alTago?  Tutte  quejìe  tue 
ciancie  non  attendono  ad  altrol,  che  di  me" 
nare  in  lungo  la  cofa. 

Ero.  Non  dite  già, che  io  intenda  menare  la  cojk 
in  lungo.Che  Li  uorrei  tagliare. 


SECONDO.  ts 

Vhi.  Ninna  altra  co/a  te*lfa  dire.  Verctoche  affai 
ti  patena  hajìnre  per  farla  brutta  ,  quando 
tu  le  hauejìi  attribuito  una,o  due  di  tante 
dijparute\\e  ,  fen\a  dolerla  tanto  [mitre. 
Non  la  ho  io  mai  ueduta? 

Ero.  Aduuque  fatemi  uedere ,  che  ella  (la  altra- 
mente ,  aceto  che  io  mi  cani  quejlo  eccome' 
ro  di  corpo . 

Yhì.  Quello  faro  bene, per  leuarti  ogni  fcufa.Or 
uattene  a  e  afa . 

Ero.  lo  uado . 

ATTO   TERZO. 

R  O  DIET  r  A,    MI  si    SERVA. 

^''^^  V    M  1  hai  intefa:Dilli  y  che 

-=-'-  .A  ìwi  y^  „g  u£!i<ra  pure  per  la  porta 

alla  diritta  ,  che  non  uoglio 

più  fare  alle  fue  ciancie.  Fer- 

ciò  che  hauendo  io  ben  difor/o  il  cafo  mio, 

ho  trouato  ,  che  non  ho  migliore  fat  elio  di 

lui  in  Scio.  Ne  tato  mt giouarono  mat  tutti 

i  miei  parenti ,  cjuanto  egli/ob.  Et  per  con 

feguente  io  debbo  meritamente  preporre  il 

piacere  ,  &  il  commodo  fuo  a  quello  di  Zela 

delpho .  Vedi ,  ^  nota  bene  ti  parlar  mio, 

Cr  btfogtiando  [appi  replicare  ^  &  ag^tun 

gere ,  dieci ,  0"  utnt  i  parole . 

C     V 


ATTO 

Mi.     Signorajì,/ìgt2orafì.  Lafciatepur  dire  a  me. 

Ro.  Dopo  tu  te  ne  andrai  cjtih  in  cafa  di  Vhilero 
t^  >& gì'  d^^^f  ì  f/^^  d.t  cjuanto  hoggt  imi' 
dentemente  il  fio  Siro  mi  di/Je  dello  amore, 
che  e/Jo  porta  a  quella  giouane ,  io  hofat' 
to  per  lui  buon  ufficio  con  Cromane ,  //  qua 
le  mi  ha  prome/fo  di  non  menare  moglie  al 
cuna .  sopf^*lqf*'^le  p^oponimento,acciv  che 
meglio  confermare  il pojfa  y  mando  apre' 
garlo  ,  che  uoglia  in  ogni  modo  uenire  me' 
co  ad  albergare  quejìa  notte .  lo  ti  ricordo 
pili  tiolte  quello  ,  che  ti  ho  impojìo  ,  perciò 
che ,  efjendo  cofa  di  importane ,  non  ttoV' 
rei  che  tello  fcordasft ,  hauendo  men  cernei 
lo  di  una  oca . 

M/'.     No«  hahbiate  paura .  Io  mi  porterò  bene, 

sce^jJ:    secovjc>^. 

Phi  largirò. 


N 


E  L  uero  Meffer  Timeo  non  è  meno  àé 
(ìderofo  di  me  ,  che  fi  contragghi  que 
jìofponJaUtio.  Non  prima  gli  hoioffoflo 
fi  come  Lf  ornane  haurebbe  [caro  di  uedere 
fua  figliuola,  che  fubito  mi  rijpnfe.  Che  non 
mi  diceuate  quefìo  prima,  che  gliele  haurei 
fatta  uedere  il  di  medefmo,  che  me  ne  par 
lafe.  Ancora  che  io  mi  marauiglto,  che  effo 
non  la  habbia  ueduta,  chefapete  quanto  di 
liberta  in  quejla  parte  noi  diamo  a  nofire 
figliuole.  i.glt  non  mene  ha  fatto  motto  più 


T  E  R  2  O.  17 

tofìo ,  che  bora.  Sen\a  che  egli  ha  certe  om 
hre ,  0  Colpetti ,  che  in  uero  bifogna  a  leuer 
^hele(^  fiate  contento  di  compiacere  a  me 
m  Quejìo  )  fargliele  uedere  di  meglio  .  O 
egli  douea  quejìo  dire  per  tempo ,  C^  non 
s'indugiare  a  Voglio  fanto .  Tutia  tua  io 
non  nomilo  ,  che  a  pojìa  di  ombre ,  0'  difo- 
Jpettt ,  che  e<rli  di  lei  hcibbia^  potendogliele 
Iettare  ,  not  ci  nmagniamo  di  fare  <juefle 
wo!^^ .  Demandando  del  come.  Varemo  coji 
ha  detto .  Scitrhopa  mia  moglie  ha  in  gran 
deuotione  lo  andare  in  tale  di ,  come  farà 
domani,  a  nojìra  donna  dt  Neamoni,  &fa 
ra  di  condiicerne  [eco  ?ericalleayOue  elle  an 
dranno  per  te^npo.  Voi  potete  d  re  a  uojìro 
Jìgltuolo-jci-'e  lapctrh  uedere  nel  tempio,^ 
nello  andar  ,  &  tornare  .  il  che  Jjaucndo 
to  intefo  yfnhito  mi  fono  partito  d.t  lui .  lo 
(pero  pure, che  Eromane  a  quejìo  modo  tteg 
gendola ,  non  potrà  dir  dt  nonjapere  fé  el- 
la  è  brutta ,  o  bella . 

SCEr^jA  TE\Zj£. 

SIRO,   PHILERO  TE. 

IN  FINE  io  ne  fono  con  Dolane  ,  che  il 
megho  fìa  il  leuarcene  domani  una  buo 
na  hora  auanti  di ,  O*  afpettare ,  che  ella 
fé  ne  uada  a  nojìra  donna  di  ^eamoni . 
P/;/.   D/  qutjlo  è  detto  a  hajìan\a  .  Wia  ueniran» 
no  poi  Difla ,  ^  Getaad  aiutarci  ? 

C    /^- 


ATTO 

S/.     Cofl  mi  hanno  promefjo . 

P/;/'.    Doue  la  attenderemo  noi  ì 

Si.      Qui  in  fuìla  Jìrada  , 

fhi.   E^  co  fi  certo  ,  che  ella  andandotii  debhepaf 

fare  per  cjue/ìa  contrada  f 
Si.     lo  non/o  a  che propoflto  ,  potendo  ella  ania 

re  per  una  corta  Jìrada  ,  debba  uoler  anda 

re  per  una  lunga  . 
fhi.  hndtamo  adunque  in  ca/a. 


s 


MISI. 

E  cofìui  non  flandaffe  cercando  (t  troue» 
rthbe  in  caft.o  per  contrada  .  Ma  per- 
Ciò  che  fa  dt  meflieri  hor  horafauellarli,no 
fifa  nulla  di  lui, ne  di  Dolane. Or  cue potrei 
io  trouarlofal  ba^aro  f  poche  uolte  ut  baci- 
ca  egh.  A  quattro  canti?  quefìa  non  è  la  ho 
ra.Appreffo  Difco?\  che  farcelo  uoglio  uè" 
derefe  egli  foffe ,  per  uentura ,  agiocare  a 
Scacchi  in  cafa  di  ?hilerote,  (ir  irouandoue 
lo  faro  in  un  ut  aggio  due  feruigt . 

scEisiy4  Qj^mr^. 

DOLONE,    SANNIONE    RIGAT- 
TIERE,   ZELA  DELPHO. 

IO  ti  appoggerò  qui  a  quejio  canto, ^  co- 
me  uedero  ,  che  ef/'o  uenendo  Jla  per  c;i- 
trare  meli  faro  incontro. Et  eccolo  co*l  ri- 
gattiere. 


TERZO.  i8 

San.  Certdmente^uoifareSie  buone  candele, co/t 
buona  cera  hauete  Hoi.c^  bello  aj^etto^che 
iddio  ue'l  conferma 
Zel.  Tu  non  hai  udito  nuUa.Vorr etiche  tu  uedef- 
fi  con  quanta  grauith  io  foglio  federe  fra  le 
corone  de  Ke,deglt  imperatori, c^  di  altri 
"Principi,  et  S/^«or/,c;j7'  conquanta  attentio 
ne  io  fono  afcoltato  ,  quando  ragiono  deliri 
guerra  ,  della  pace ,  delgouerno  de  ^egni. 
Imperi, in^  delle  Kepubliche 
San.  Cojìui  non  dice  mai  fé  non  miracoli,  ^  rie 
fce  unofiocco,credendo  farfi  filmare  Orla 
do  dal  quartiere. 
Zel.   Varia, che  to  ti  intenda . 
54».  Dico  fé  uoi  fete  incora  per  fare  uoflrauìta 
con  que  uoflri  Ke,^  Imperatori, Dnchi,?^ 
Marchefi,[che  non  dourefìe  uendere.fi  belle , 
^  care  cofe . 
Zel.  Tu  dici  il  uero,che  iprìegiati ,  ^  horreuoli 
arnefi  fogliano  far  rtguardeuolt  i  Capitani. 
lAa  che  mi  curo  di  quello  io  hauendogia  ac- 
quijìato  il  credito,  0^  fatto  la  n^utatione?^ 
per  huuere  condotto  a  fine  tante  iniprefe,^ 
marauiglie,  come  fa  il  mondo.  Sen\a  che  gli 
arnefl  non  fono  quelli ,  che  mettono  ipari 
nofiri  auantt ,  apprejfo  alle  corone ,  ^  a 
gli  fcettri .  t*la  quefìa  qua  fi  bene,  che  im- 
porta ti  tutto  .  y adomanda  in  Acarnania^ 
m  Tgitto  ,  in  Soria  .  Domanda  di  me  in 
Aphrica,in  Guafcogna,  in  Boemia, ^  [opra 
tutto  i  Me/opotamia  ,  etfentirai  la  relatio- 
n« ,  che  te  ne  farà  fatta . 

C     ;■///■ 


ATTO 

San.   signore,  troppo  paia  di  [carpe  mi  hifogne' 
rebhe,ajj-are  cojt  grade  /corribanda  pepite- 
Jì,dou€  uoi  haue  le  guerreggiato .  Er  certa' 
mente  io  comprendo, che  Jet  e  huomo  da  far 
Jìopire  chi  non  ui  conofceffe.  Come  fanno  de 
barbagianni  gli  altri  uccelli,  ah, ah. 
Zel.   A  me  non  ijìa  bene  di  lodare  me  feffo. 
San.   SMtiamente,pcrche  chi  fi  loda  s'imbroda. 
Zel.    Md  ti  d,ro  ben  qucjìo,  che  ouunque  io  ui  uà 
do,maraMgltoJo,0'  attonito  rimane  ciafctt 
no ^qu andò  fono  mojìrato  a  dito,^  attorno 
mi  fi  dice.  Ecco  colui, che  tenne  tauola  ingio 
Jìra  a  tutti  i  caualheri  del  ^egno. 
San.   si, forfè  co'l  affo  a  mojìaccioni . 
Zel.    Ecc^  chi  lottando  con  un  ualenttjiimo gioca 
tare  di  braccia  dauanti  lo  imperio  jl  reco  a 
tale, che  d'  medico  non  hebbe  dibifogno. 
San.   Vorfe,Hon  hibbc  male  al.uno. 
Zel.   ti  fnalmente, accio  che  io  taccia  dello  arre 

slare,^  correre  lande. 
San.  Di  Murano jche  il  f accano  pei  fare  quelle 

mavauiglie . 
Zel.   Et  cofi  del  bagordar,  (jr  torneare  a  combat 

tere  sbarre ,  che  io  in  condure  efferati . 
San.  Si  di  puttane. 
Zel.   In  mettere  afcolte ,  in  iijjegnare  trincerei 

in  fare  batterie . 
San.   ?iu  tojlo  barrerie . 

Zel.    Et  injapere  meglio  di  ogni  duce^  condot- 
tiere  ,  quando  è  da  Jjiingere  inan^i ,  & 
quando  rnrarft . 
san.  Che  uìen  addir  brauare  a  credenT^ ,  &poi 
fuggire. 


T  E  R.  Z  o  •  »  > 

fug^kt. 

"Lei.  Et  tn  altre  affai  cofe ,  iojìa  il  Capitan  Zt - 
ladelpho  ,  Si  cJ)e  benegiudicajìi . 

San.  Or  uadajta  riporre  chi  fi  crede  dijapere 
meglio  metterft  la  giornea  di  cojìui . 

Zel.  No»  ijìàbene  rigattiere  quel  tuo  cojìume 
di  uolgerti  in  altra  [parte  ,  &  ragionare 
tra  tejlefjo  ,  quando  fei  al  cofjjetto  di  huo- 
mini  degni  ,  C"  honorati . 

San.  Sapendo  appunto  ,Jìgnore  ,  al  cofpetto  dì 
cui  mi  trouo  io  ,  mi  uolgo  fpeffo  tn  là  ,  per 
buon  rifletto .  Disft,che  ti  medejìmo  mt  fu 
hieri  contato  da  un  altro  buio ,  che  ui  ha 
conofciuto  in  Carampane  a  Vinegia  . 

Zel.  che  uuol  dir  Carapane?  ^  che  co  fa  è  buio? 

San.  Carampane  è  un  luogo  molto  f-equentato 
in  Vinegia  .  Che  è  come  dire  R.w/fo,o  Qan 
cìn  de  traffichi  de  caualicri  uojìri  pari^coft 
detto  perche  ui  ft  ucnde  più  caro  il  pane, 
che  la  carne  .  Della  qualmercar.tia  ncn  ui 
è  m-nore  ffacciamento.C^  derratn^che  fìa 
delle  arme  di  hrefcia,r>  de  panni  di  Londra. 

Zel.  lo  fono /iato  in  tanti  luo<^hi ,  &  ho  liauuto 
pr  attica  di  tanti  grandi  huomim  ,  che  non 
mi  ricordo  ddmilefimo . 

San.  Cofi  auiene  a  chi  ha  dato  il  ceruello  in  dipo 
fìto.  Chiamanfì  \juii  poi  certi  cauaìtert  più, 
che  erranti  giganti  di  nome  ,  C^  camere  di 
/pergiuri  ,  che  fono  di  [chiatta  parte  di  uc- 
cellt  ghermitori ,  cy' parte  di  cunigli ,  O" 
con  la  uoce  fola  Jpauenterehbono  t  tuoni.  Si 
cbt  ncn  è  atto ,  chefiano  più  braui  di  loro 
C     y 


ATTO 

i  ?aìadini  di  Firen"^  ,  ne  i  Sergenti  di  Cor 

te  Sauella,  o  di  Torre  di  Nomi  . 

Zil.  Adunque  deono  co/loro  per  le  predelle  loro 
e [J  ere  fumo  (l  come  già  i  Mamalmhi  al  Cai- 
ro  ?  de  quali  auegna  che  hoggidt /pento Jìa 
la  ra'^T^a  ,  uiuranne  pero  la  memoria  centi- 
naia di  anni .  Ma  dimmi,  huttu  mai  intefo 
perche  in  Rertagna  io  fono  chiamato  il  ma 
gmfico  caualiere  ?a/lello . 

San.   Di  gratta ,  fatelmi  fapere  . 

Zel.  lo  fono  contento .  Quejìo  è  auenuto  ,  perche 
quando  io  entro  tn  fatto  di  arme  faccio 
quella  fìtàge  ,  ^  quello  Jìermmio  de  gli  ef 
fercttt  nimici  j  che  fanno  le  donne  di  bis- 
ro  ,  di  formaggio  ,  carne  cotta  ,  c^*  altre 
cofe  ,  quando  elle  uoglionofare  torte  raui' 
uoli ,  ^puThlli . 

San.  Ah,  ah,  ah.  O  che  caTirone  in  cremisi  è  co- 
jlui .  ÌAa  che  non  entriamo  magnifico  caua 
liere  ?efiello  ? 

Zel.  lo  disfi  FaJìtUo  ,  ma  chi  uolejjè  anche  dir 
Fejlello  non  farebbe  peccato  injpirito  fan- 
to  ,  battendo  rifletto  al  pejìar  che  iofo  di 
coloro  ,  che  uogHono  la  baia  del  fatto  mio. 

San.  Certo  ,  che  uo:  douete  hauer  battuto  fem- 
pre  affai  che  fare  ,  ma  che  non  entriamo. 

Zel.  lojìaua  affettando  un  gioitane,  che  dee  por 
tarmi  danari .  ^  meco  fare  mercato  di  tut 
te  qurfie  cofe . 

San.  Come  ri  uolete  uoi  cofì  qui  afpettare^Se  egli 
ha  btfo^no  di  uoi  nega  a  battere*alla porta, 

Zti.    fer  certo  tu  hai  buono  aiufo . 


T  E  R.  Z  O.  j 

SCE^jA  SEST^. 

DOLONE,    ZELADELPHO 
S  ANN  I  ON  E. 


AH  C  A  R  I  mejjèri ,  io  ut  pYego  per 
amore  di  Dio  ,  che  mi  uogUate  per 
quejla  notte  alloggiare  in  cafa  ttoflra.ìo  fo- 
no  forejliere ,  non  fo  dotte  andare . 

Zel    Onde  fa  lu  . 

Do.  D/  Ponente ,  ftgr.ore .  Là  di  una  terra  chia 
mata  Men:{Ggna . 

Zel.  Quando  uenijiu  da  quelle  parti  ? 

Do.    Vedetemi ,  che  fono  ancora  carico. 

Zel.Ohdei  hauer  noueChe  fìdicefche  fifa  di  lì. 

Do.  che  uolete  ,  chefappia  io  ?  Diconfl  molte  co 
fé  .  che  lo  aglio  andrà  n  uenti  fonnt  ti  ca- 
gno ,  (jT"  il  grano  tornerà  a  due  .'St  (pera, 
che  i  cordouani ,  i  fìcìn  ,  O"  ^^  pefche  fi  deb 
hono  uendere  per  poco  ,  nulla  .  Vannofi  ap~ 
prefìo  tutto  di  cal\e  ,  "^scoli ,  giubbe ,  «e- 
JifiO'  ^It^^  co/e, come  fifa  etia^dio  di  qua. 

Zel.  Ah  ,  ah  ,  ah.  lo  non  ti  domando  dt  quejie 
cofe ,  pouero  huomo.  Ma  della  Cefarea  Mae 
Jìà  ,  del  Crrjìianisfìmo  Ke ,  et  degli  altri 
gran  Principi ,  et  Signori . 

Do.    Qofljlesfi'no  noi .  Tutti  fi  danno  buon  tepo. 

Z  el.    ?arLifì  p.-u  della  guerra  ? 

Do.  Par  che  fi  dica  ,  che  lo  Imperatore  fi  troni 
hauere  nonfo  quante  migliaia  di  combat- 
tati,fra  quelli, che  fono  a  piedi  C^  a  cauallo. 

7.eL   Adunque  non  è  uero  ciò ,  che/ì  è  detto  qua; 
C     T/ 


ATTO 

fua  Mae/ìa  Cefarea-,  &  ciuella  del  Crijìia- 
ntsjtmo  ejìcr/t  abbracciate ,  c^  hauere  fat- 
to buona  pace  infteme  f 

Do.  E^  troppo  il  uero.Ma  uoi  w«  domandate,che 
io  ut  debba  dire  ciò  ,  che  fi  dica  . 

Zel.  tìor  lafciamt  da  canto  ciò  ,  che  fi  dice  .  ^ 
dimene  (quello  ,  che  fai  ;  Come  fi  contenta- 
no i  popoli  dt  tal  pace?  credefi ,  che  durerai 

Do.  Certo  non  mjaprei  dire .  Dtceuano  alcuni, 
che  ella  farebbe  una  pace  ifmaccata  .  Ma  i 
foldati  deflderatiano,  chefcjje  ciucila  del  mo 
naca  .  Ma  per  non  e/Jere  io  ntidritofra  tali 
genti ,  non  inlendeua  aue  loro  uocaboU  . 

Zfi/.  E^li  fi  deono  fare  per  tutti  i  luoghi  gran 
fuochi  di  lettila  ,gtofire  ,  bagordi ,  come- 
die  y  cacete  ,  O'  tiri  di  artigliane. 

Do.  Tiri  ui  fi  fanno  di  due  fjìecct  jj^auentemli 
ì'una  ,  quando  fljpara  ,  l'altra  dolci  tiran 
do  <^tu  il  uino  a  bigoncie  . 

Zel .  O  che  bel  utderefare  deono  tanti  baroni  di 
conto  ,  0'fignore  elette  .  che  foperbe ,  ^ 
altiere  cofe giudico  io  efitre  quelle  atnpiefa 
le  ,  ^  camere  ornate  per  eccellentta  ,  0' 
tanti  appi-.ratt  pieni  diftfie  ,  di  allegre'^ 
^,di  magnifìceiitte.di maeTia.Ma  dimmi: 
è  uero,  che  a  cjut'Jìa  prima  utra  fi  metta  ef 
[eretti  tn  campagna  ,  per  disfare  il  gran 
Signore  f 

Do.  Quelle  genti  y  che  io  tcfic  diceua  trouarfì 
alfcrmgio  dello  imperatore,  faranno  le  pri 
meapaffare.  1/  Re  ui  uà  ancora  egli  con 
parécchie  migliaia  d*huomini  a  cauallo . 


TERZO,  it 

Zel.  Huamlni  d*arme  ,  o  caualli  leggieri . 

Do.  No»  uifo  dire jper che  noglt  ho  pefati.ìAa  io 
reputo  efjendo  Francejt ,  che  ftano  leggieri. 

Zel.  Non  fi  pejn  la  carne  dell'huomo  fcimonito. 
Ma  il  cuor  fi  bene ,  l'ordine ,  0'  il  ttalore. 
Ma  non  uengono  a  co  fi  alta  imprefa  ancora 
lafantita  dei  Papa  ,  ilKede  Komani ,  t  Si 
gnort  yinitiani ,  C^  altri  Qaroni ,  Duchi ^ 
Principi ,  €>*  ^\archefi? 

Do.  No»  mi  fate  Jìare  qui  tanto  carico ,  digra 
tia .  Andiamo  in  cafa  uojìra  ,  che  perche 
ueggo  ,  che  fete  cupido  di  intendere  notte  co 
fé  ,10  HI  fodtsfaro  . 

Zel.  Tu  dici  ti  uero  ,  Et  affé  ,  hai  ragione . 

San.    Pian  un  poco  .  No»  andar  tu  . 

Do.     io  non /lo  teco  . 

Zel.   Perche  dttu  cofi  ?  piano  .  Affermati . 

San.  Cljefapete  uoichicoTiui  fta  ,  Cf  uadafa- 
cendo  f  lo  ni  d/ro  il  uero,che  egli  mi  ha  ut- 
fo  di  ladro  o  di  ultra  maniera  dt  ribaldo. 
Vogliamo  noiuedere  ,fè  aprendogli  quella 
Tiuoia  ,  io  mi  apponesfimai  al  uero  j* 

Do.    hh  me/feri, io  non  poffo  dire  U  ragion  mia» 

Zel.   Ondehanu  quefìa  foffttione  ? 

San.  Efrli  ne  ha  uifo .  Ezli  ci  ha  detto  una^ran 
bugia  ,  che  lo  Imperatore  fi  troui  hauere  le 
migliaia  di  combattenti .  Oltra  di  ciò  non 
ijìa  fermo  in  un  parlare .  Et  a  me  pur  pa* 
rejirano  ,  che  efjo  uada  cefi  poutramente 
uefìiio .  hauendo  la  stuoia  piena  di  tanta 
robba . 

Do.    Or/H ,  io  uedero  di  alloggiare  altrout .     . 


ATTO 

Z«!.  Verche  no*l  uederemo  noi?  O  là  tufoue  uai? 

pan  giù  lajìuoid . 

Do.     a/;  m'i[Jeri ,  ah  (Ignori .  non  mi  fate  torto. 

Zel.  Stendila  in  terra  ,  poltrone  .  Aiutalo  tu,  ra 
ga'^o.  Leuategliele  per  for'Xa  . 

Do.  Ah  huomini  da  bene ,  è  quejìo  il  douere  ?  è 
queJÌG  ? 

Zel,   Se  non  taci  ti  catterò  gli  occhi . 

Do.     lo  fono  fpacciato  .  Chcfapro  io  dire  ? 

San.  che  cofa può  ejfere  qua  dentro  di  ualuta? 
Elia  è  legata  con  tante  funi ,  che  ajfai  fa- 
rebbe fé  egli  ui  hauejfc  le  ricche'^e  de  no- 
Jlri  %tgnori  Maonefi.  Ma  o  o,che  cofa  e  que 
fia  ?  un  morto  . 

Zel.   An\i  uiuo  .  Vedi ,  che  (Imoue . 

San,  Sta  f  lido  .  O uè  uorrejl'.t  fuggire  . 

Do.    O  baldanza  mia  traditrice  . 

Zel.  fermatelo  cantra  terra  fi  che  non  Uui  in 
piedi .  A  chi  dico  io  ?  raga'^o  ?  aiuta  qua. 

San.  Ah  ?  Vi  disfi  io ,  che  cosini  mi  Jentiua  di 
furbo  f 

SCETSl^  SETTIMA. 

ZELADELPHO,     DOLONE,    KRQ- 
M  ANB,    5  ANNI  ONE. 

D\  MMl  fu.  chifel  tu?  Età  che  fine  tifai 
tu  portare  cofl  audupltato  qua  dentro  ?  Sei- 
tu  colui ,  che  h-}ggt  lui,  comperato  la  mia. 
trabacca  ? 
Do.    hi  cheguifa  lo  aiuterò  io  piuf 
Ero.   Al uojìro piacere. 


TERZO.  j» 

Zel  A  che  ti  baitu  fatto  legare  nella jluoia  ? 
Do.  O  hauejìe  egli  fatto  il  fardo  ,  o*/  mutol* . 
Ero,  Dite  perche  io  mi  fono  fatto  legare  nella 

Tluotaf 
Zel.  Si  parlerei  io  mai  Tedefco^cbe  tu  non  mi  in- 
tenda f 
Do.    O  io  ho  penfato  la  gran  carotta . 
San.   Domandate  un  poco  ancora  cojlui  perche 

egli  coft  ilportajfe. 
Do.    che  ^  Perche  egli  non  ha  lingua?  Digliele 

Cromane  .  digliele . 
Ero.   Digliele  ?  come  ?  feitu  pal^o  f 
Do.    hfpetta  .    T«  dt  il  uero  .  egli  ft  teme  adir» 

lo  ,  perche  la  con fesfìone  fatta  di  propria 

hocca,cjiiando  fi  fapefìe  del  mictdio  per  lui 

fatto,gh  potrebbe  uenire  in  gran  preludi' 

cio.lo  non  ci penfaua  tn  uero. 
Zel.  che  confezione, &  preiudicio  mi  ditu?  Et 

perche  ti  uatturiuolgendo,  O"  ^'*^ttandoti 

d'attorno  ? 
Do.    Dio  ci  metta  lafua  mano.  Digratia^Signo- 

re  yfate  una  opera  pta.  Fate  cojìui  entrare 

in  cafa  uojìra.fatelui  entrar  fubito  fuhito. 
Zel.   in  cafa  mia  non  entraragia  eJfo.Che  uorre 

Jìu  ,  che  io  nefacefìi  dentro? 
San.  che  noueUafara  queflaì 
Do.    Signore,gran  cofa  mi  moue  a  pregaruene.  ' 

Eglijìa  qui  in  pericolo  di  morte.  EgU  è  cofi. 

lo  non  ut  direi  bugia. 
Zel.  f  arale,  io  ti  dico, che  no  ne  uogliofar  nulla. 

An\iuogltofapere,  che ^enfierofia fiato  ti 

Hojlro.. 


TERZO.  J5 

Do.    D'tglieUyfe  il  uuol  pur fapercQueJlo  mt  pa- 
re anche  honefìo. 
Ero.  Torna  pur  cojlt. 
San.   Quejla  è  per  certo  cffiAlche  trama. 
Do.    La/cta  andare, che  ejjopofcia  uogUa. ,  o  non 
uoglia  alljggiarti,  che  maladettofta  tanta 
uiUhfO'  rijjfondi  a  ciocche  ti  domanda, 
Vhaitu  fatto  per  albergare  in  caja  fuajla 
notte, 0  pur  perche?  ledimi  in  wfo.  Di  fa. 

Ero.   Ver  potere  albergare  in  cafafua. 

Do.    O  lodato  Dio. 

Zel,  Come  per  albergare  in  cafa  mia?  A  che  fare? 

Ero.   Dice  a  te.  Dolane. 

De.  l^er  dormirui.  Volgete  ti  parlare  a  me,fìgno 
re. Non  uedele  cojfìui  fuori  di  fejìeijò  di  pan 
rA,che  non  fa  aprire  la  bocca?  Et  di  aero  il 
cafo  èfl:it:tfj>auentetiole.  Ma  pure  in  ti  ri' 
cord),  fé  uorrat  andare  alfoldo  ,  bifognerù 
che  tu  faccia  un'altro  cuore. 

Zel.   che  cagime  ha  egli  da  temere? 

Do.  Di  coloro  :he  hanno  fatto  lui  auilttppare  in 
qn2Uaflitoia,0'  me  ueflire  dix^uefltflrcact. 
Per  quanto  to  mi  aueggo,uoi  non  facete  nul 
li  d^i.l  i  \ujfi  inieruenuta,  ne  di  colui, clt$ 
e  Jìuto  morto? 

Zel.    lo  non  n.?  fo  nulla . 

Sari,   chi  è  (ì  Ito  morto? 

D^,  Ix^  ut  diro  il  tutto],  M4  uedete ,  cheJtafott9 
tpn-ra . 

Zel    <sln:i  hauere  paurdé 

San.    D'^  fecuramcnte . 

Do.    Andrind}  hjggi  cojìui,che  mìo  (tgnore  è, per 
lo  e ar oggi 9 


TERZO.  3^ 

lo  cdro^gìo  dritto,(he  uà  a.  San  Dominico, 
Jl abbatte  in  unogiouane  fuo  nimico  ,  co'l 
qualcyCome  penfare  potete  ^  fé  mai  facejìe 
<juiJìtone,erttrato  in  parole  . 

Zel.  Se  io  ho  malfatto  cjpf'fl  ontfiù  Capitan  uec- 
cJ?io?lo,che  ne  ho  [canati  a  migliaia  ne  gli 
Jìeccati:  Ah,ahyah,V edi  come  parla  quejìa 
bejlia . 

San.   Perche  non  ui  conofce.cofi  dice. 

Do.  Tanto  megho  adunque .  Or  ejìi  entrati  in 
parole^tn  un  momento  peruennero  alle  mila 
nie^O'  ^^^  arme  .  Ma  non  cofttojìo  cojìui, 
tratto  hebbe  la /uà,  che  al  nimico  mando  a 
terra  unojpicchio  di  tejìa.  Et penfando  di 
non  efjerejìato  ui/lo,fe  ne  torno  a  cafa.  ?en 
fate  fé  ut  mancauano  le  chiefe. 

Tei.  hdimqHe  queflo giouaneìia  fatto  uno  cojl 
bel  colpo  f 

Vo.  Di  pur  francamente, Cromane  .  Io  /;o  quella 
fede  mi  fìgnor  qua  ,  che  gli  potremmo  fco» 
prire  cofa  maggiore,  Jtn:^a pericolo  ^>e  mai 
parola  fé  ne  rijapejje. 

Zel.  chi  fa  meglio  dt  me  quefle  cofeì  Quante  de- 
cine di  uolte  credete  uot,  che  quefìa  qua  fìa 
fiata  in  fattione  fen\ajapernc  mai  nulla? 

S.:n.  Eh,i  tefìimoni  et /uno  tanto  lungi,  che  non 
ce  ne  è  potuto  giungere  nouella. 

Ero.    Chifdoaea  io  lafciarmi  ama\\are  da  lui? 

Do.  Or  potete  uedere  fé  io  di-co  ti  uero  ,  cì)e  ejfo 
jìtjjo  lo  ha  confejfato. 

ZeL  E'  ben  da  negare  una  tale prode\^.  Leu4 
fu  ualent'huomo  .  Dammi  la  mano. 


ATTO 

Ero.  ta  Signoria  uojìra  appara  a  conofcere  uno, 
ilquale  ancora  le  potrebbe  far  uederectò, 
che  fa  fare. 
Zel.  lo  ti  ringratìo.  Seguì  tu. 
Da.  La  noHellu  di  que/lo  morto  peruìene,per  (jue 
rimonia  de  \mi parenti,  alle  orecchie  del  Po 
dej}a,f)er  eomandameto  del  quale  in  unfu' 
hito  à  ueggtamo  attorniare  la  cafa  daljot' 
to  Cauahere  con  forfè  quaranta  birri. 
ZeL   O  che  generation  poltrona  fono  cojloro.  Q«« 

Jli  porci  non  uanno  mai  fé  non  a  branchi. 
Do.    Afcoltate  pure .    Egli  riman  me^^x»  rnorto: 
che  debbo  far  Dolone?(dice  egli  a  me\)  più 
non  ji può  [campare.  Se  Dio  mt  aiuta  a  que 
Jìa  uoltafo  Hoto  di  andare  un  anno  uejlito 
di  bigio  ,  &  di  non  mangiare  mai  carne\il 
mercole  di.  Il  che  io  ueggendo  Mejfer  Dome 
nedio  mi  mi  fé  auanti  come  poterlo  aiutare, 
Ze/.  Qitiejìo  hauro  piacere  ad  intendere. 
Do.    Era^quatìdo  effo  fatto  lo  effètto  uenne  a  ca» 
fa,un  pouero  accattapane  con  quejìa  fìuo' 
ia  in  ifpalla  uenuto  a  chiederci  limojlna  .  \l 
quale, per  la  fetta  che  hauemmo  di  chiude 
re  la  parta  ,  quando  uedemmo  i  birri ,  non 
potè  itfcire.  A  co/lui  Jpoglio  io  fuoiJlracci,et 
a  megli  ue/loyO'/uiluppata  lajluoia  lo  di- 
sbratto di  alcune  fue  A^cchere^  c^  dentro 
m  riuolgo  coflui . 
Zel.   A  che  effetto? 

Do.  Ad  effetto,che  io  nonfofi  conofciuto,^  lui 
trarpotefì  d'  cafa,che  ueduto  nonfo(fe,jpe 
randa  dt  potere  trouare  qui  preffo  alcuna 


TERZO.  j  4 

per  fona  pia  ^  niifericordiofa,che  mt  uolef- 
fe  alloggiare  jì no  aTalba  in  cafa ,  dando  to 
a  quella  credere  (  come  ancora  d'Jìi  a  noi  ) 
che  era  f ore Jl  ter  e . 

Zel.  Non  fu  mal  difjegno. 

San.  Sihene.Queflo  èpitt  uerijtmile almeno^che 
quelloyche  egli  dijje  prima. 

Ero.   Co/l  in  fatti  è  fuccejfo  ti  cafo. 

Do.  Ernie  uenttto  fatto  di  trarlo  di  la  ,  ^  di 
non  effere  fiato  conofciuto,  Ma  ritrouato  an 
Cora  non  ho  huomo,ne  dowta,  che  alloggia' 
re  yni  habbia  uoluto.  Là  onde,  pofcia  che  mi 
horafapete  iltuttOy^y  quato  importi,  io  ui 
frego^che  ci  uogliate  commodare  di  qualche 
luogo  in  cafa  uoJìra\  Io  uè  ne  prego  per  lo 
amore  di  Dio.Et  uedetexhegia  è  notte . 

Ero.  Voi  ci  hauete  tenuti  buona  pe'^a  a  bada,et 
facilmente _  andando  più  attorno,potremmo 
dare  ne  mali/piriti,Di  maniera  che  uoi,ol' 
tre  al  non  hauerci  uoluto  alloggiare ,  ueni- 
rejle  ad  effere  flato  la  cagione  della  ruina 
mjìra . 

Do.    O  buono . 

Zel.  che  è  buono  f 

Do.  Dico,che  egh  è  buono,cio  è  ragioneuokjche 
CI  alloggiate  . 

Zel,  Tu  dt  il  uero .  Quejìa  ricbiefia  è  tanto  ra- 
gioneuole,(he  io  mi  uergognerei ,quafi,a  ne 
garlaui.Ma  uedtgiouane,io  hauea  fatto  re 
care  buona  parte  di  mie  cofe  ,  di  che  hoggi 
ti  ho  parlato  .   Vedi  come  ti  aggradano.!^ 

Ero.  Vate, fate  portare  dmiro  ogni  co/a  ,  che  qui 


ATTO 

Jio  con  gTdndifimo  fojpetto. 
T>o.    Et  che  Ione  Ò /ojpettnf 
Zel.  Ka^a^o.porta  qaejìe  coCe  dentro» 
San.   Volete  noi  altro  da  me^fìgnor  Capitano  ? 
2c/.  DymaninaU'ciatt  uedere,cheiotifar))il 

tuo  douere. 

SCEJ^jA   OTT^V^. 

MISI,    ZEL  ADELPUO. 

CO  fi  faro  ,  benché  non  accadono  ratcO' 
mandationi ,  che  uot  le  fete  Signore, 

e<r  Uberamente  in  ogni  uojìra  occoTren\ti 

le  potete  comandare  , 
7Lcl.    Onde  uientu  Mifi? 
Mi.   Onde  uengo?  vengo  da  rejlituire  il  fuofoT-' 

mento  alia  fante  di  quejia  cafa ,  che  ella  ci 

haueua  prejiato . 
Zel.  Quando  facemmo  noi  pane  ? 
Mi.   An^  che  ut  uenijìe.  Ando  ?brigia  affarlofi 

prejiare,ne  mai  fi  è  ricordata  a  riportarlo. 
Zel.   Se  io  mi  accorgo, puttana, che  tu,ne  altri  di 

quejìa  cafa  (i  uada  rimefcolando  conhuo- 

minifiouifaro  cacare  il /angue  a  quante 

fete. 
ìAi.  Alla  buona ,  non  farete  uot ,  Simelofark 

pifciare . 
Zel.  Tu  bujfonchi  anche fiìbajla.  Io  uifar)>  tut' 

te  dolenti. 


ATTO 


ARTO. 


ÌS 


aVARTO- 


SCET^^    VBJMoi 


SIRO,     PHILEROTE, 


V  E  s  T  A  è  la  più  bella  hora, 
che  de/tderare  poteuamo^.  Ecco 
come  pian  piano  fé  ne  mcn  uia 
la  aurora . 

fhi^    AÌ)ime,pur  die  elle  non  ftanogta partite , 

Si.  Di  do  non  temer  e, che  con  tutto  che  elle  an* 
corafojjèro  leuate  di  letto  una  hora  inan^i 
noi ,  non  pereto  hauranno  ancora  moffo  ti 
pie  fuori  di  cafa.  Spendono  le  donne  tanto 
tempo  in  abellir/ì,jpelarfì,0' Jlrifciar/t(fpe 
cialmente  (Quando  elle  fi  uoglionofar  uede- 
re  in  luoghi  publici)  che  egli  è,  quafl ,  una 
vergogna. 

Jìhi  Deh  Dio,  quando  farà  mai  quel  tempo ,  che 
io  po/fa  cojt  godere  della  prefentia  tua,  Peri 
callea  mia  defiata,\come  tu  puoi  efjere  cer* 
ta  dello  infinito  mio  ardore  ? 

Si.  Kefia  di  ramaricartt^^  uatene  in  cafa  ^fin 
che  io  uo  a  conducere  Difilo,^  Geta^iqua^ 
li  ci  aiutino  fpedirci  m  un  tratto,  0-  a  dar 
ci  la  co  fa  fianca . 

fhi.  ¥a,di gratia,che  il  difegno  riefca ,  che  qui 
confifle  tutta  la  mia  pace,tutto  il  rtpofo,0* 
la  Ulta  mia.Quifia  quanto  di  bene  io  bro» 
mo'f^fat  cio,(h€  ti  hopromej^o» 


ATTO 

Si.    Non  ti  dare  penftero  .  ¥  a, che  al  ritorno  mio 

io  ti  troni  in  cafa  . 
Vhì.   Non  ti  credere,  che  io  mene  parta, 

SCEJiyi    SECO'^iD^. 

DOLONE,    SIRO. 

Siro  è  colui, che  di  qua  mene.  Altri  non 
appare. 

Si.    chi  è  cojtm  f  O  Dohne . 

Do.  ?arla  bafj'o .  Come  hauete  noi  fatto  di  c/o, 
che  hiert  ordinammo  ? 

Si.  Di  Vericaliea  ?  Appunto  hora  uado  per  com* 
pagni ,  che  ci  ai  ut  ino.Lafcia  pure  fratello, 
che  ella  uenga  ,  ^  uederai  [e  la  fapremo 
conducere  in  cafa  a  mnnfalua . 

Do.  Di  gratia  ,  non  ci  fate  la  beffa  .  Noi  hah- 
biamo  lafciato  quejìa  cura  a  uoi,  perche  ha 
ueuamo  altro  chtfare,^  perche  uoi  haue- 
te a  me  promefjo  di  compirla . 

Si.  O  Dolane,  tu  fai  bene ,  che  noi  ferui  non  jla» 
mo  negligenti  ;  ne  beffardi ,  quando  agio 
uà  il  fatto  da  douero .  lo  ti  uuifo  ,  cì)e  quc- 
Jìa  è  cofa  da  farmi  abiure  ti  fancho  per 
un  tratto  ,  C  here  ttvito  ,  che  mi  imbria- 
chiper  otto  di .  Or  dimmi ,  è  quesìo  lo  ha- 
btto  ,  che  tu  diceut  e/Jerti  uenutopenfato. 
Per  fare ,  che  il  faldato  ,  contro  alfuo  noie 
re ,  tntroducerebbe  Cromane  afuaforellaf 

Do.  S/  .  che  te  nep.ire? 

Si.  ?armi  una  carpta  da  furbo'^marcone^- Che 


Q.V    ARTO.  3(f 

auenuto  è  dì  lui ,  che  non  è  teco?^  che  UO" 
gliono  dire  queTle  leìt^uola,  camicie  ^  ^ 
uejli  ?  Et  oue  uaittt  cofì  a  grande  bora  ? 

[  0  O  Siro  fratello  ,  duolmi ,  che  io  non  habbia 
tempo  da  poterti  contare  quefio  fucceffo  da 
fuo principio  fino  alfine ,  che  certo  ,  ioti 
farei  rìdere.  ' 

Si,  QHello  che  hora  non  mi  puoi  contare ,  ferha- 
lo  ad  una  altra  uolia  ,'(j7'  quefio,  che  io  ho 
ra  ti  chiedo  ,  mìjpcni. 

Do.  Meniamo  uia  la  Koitetta^  babbi  amo  uo~ 
tato  laftta  cafa  di  tutte  le  migliori  robbe. 

Sì.   Ah  ,  ah  ,  ah  ,  Narami  di  gratta ,  come . 

Da.  Virollott.  Giunti  noi  in  cafa  ,  ti  faldato  ci 
mena  nella  camera  terrena^  dicendociiQue 
fìafarajìa  notte  la  Tlan\a  uoflra .  Ef  la- 
fciaioci  un  lume ,  fi  parte.  Cerche  poco  flati 
te  y  ejfendo  ogmuno  andato  a  dormireyE.ro 
mane ,  fen tendo  ogni  cofa  tacita,chetamen 
te  di  camera  ufcito ,  O*  andatofene  a  quel' 
la  della  Kodtetta  ,  battuto  lo  ufcio  due  uoU 
te  con  un  dito  ,  gì:  fu  aperto  . 

Si   Sapeua  ella  di  fua  uenuta  . 

Do.  Ben  fai .  lo  deWaltro  canto ,  al  quale  il  pen 
fare  ,  che  io  hauea  del  Signor  mio ,  caccia- 
to  hauea  tlfonno  della  tefìa  . 

Si.  che  penfier  dt  'signore  ?  Di  pur  lapaura.che 
haueui  di  tefleffo. 

Do.  Qofiè.  Lafciami  dire*  Et  meffo  il  pie  fuUa 
foglia  ,  &  l^orecchio  ftwTlro  alfejfo  deWu- 
fctOyCofi  tacitamente  fio  ad  afcoltare  fé  apri 
refenta  ufci:  O"  ^ente  uenire  alla  camera 


ATTO 

noJlra.Y.t  ecco  odo  gli  amanti  cianciar^  ri- 
dert,(^  ifcher^^are  infìeme.  Perche  dubitati 
domi,che  eifmon  fo(J'ero  fentiti^  prejìamen 
te  Mudo  ad  ammonirgli .  Et  la  Kodietta  a 
me.Non  ci  è  periglio,  che  fono  dormiglioni^ 
C^  hieri  fera  beuero  bene  a  cena. 

Si .  ìojìoa  di  [correre  fra  me]  mede  fimo  oue  hab' 
bia  a  riufcire  quefla  prattica. 

.  Do.  Horrt  la  intenderai.  Se  uotfapet e, che  perico- 
lo non  cijìa(lc  dico  io)perche  adunque  non 
W  leuate  a  mano,a  mano  ^ccn  quinte  rob- 
he  hauete,0'  andate  in  luogo^oue  al  dijpet 
to  del  Soldato,  ti  quale  Iddio  fa  quando  par 
Urefi  uoglia,quante  fiate  ui  fìa  in  piacere, 
uiposjìate  trouare  injlemef 
Si.  Tu  buon  ricordo. 

Do.  Aneli  to(rifj>onde  la  Kodietta)  a  queflo  hier 
fera  penfaua.  ¥.t  enfi  ne  comando  ,  che  fus/i 
mo  in  pie  all'alha.Et  tratto  da  fuot forie- 
ri lefue  più  beU.e,0'  care  robbe ,  O'  altrejl 
di  quelle  del  fratello  hauendo  parecchie  in- 
fardeìlato,  le  andò  compartendo  tra  me,et 
lefue  tre  fer  uè, fi  come  tu  potrai  uedereipo^ 
co  più,  che  qui  ti  indugi. 

'  ti.  Ver  certo  ,  uoi  non  poteuate  fare  il  più  bello, 
et  fattile  tratto  di  queflo.  Ah,ah  ,  ah  io  go- 
do fra  mefleffò  confiderando  come  rimane- 
re [pennacchi. ^to  queflo  a  lacco, che  fi  penfa 
ua,confue  ctancie,0'  gf*ardie,  di  fare, che 
la  P^odietta  uoleffe  teìierfi  maggiore  conto 
dt  lui ,  che  dello  utile  ,  ^piacere  proprio' 
Ouero  ancora  di  impedire,che  da  lei  non  pò 

tejje 


Q^  V  A   R  T  O  ;  J  7 

teffe  andare  Eromane. 

Do.  Certo.ejjo  nei  degno.TuttauUnoi nonhah 
biamo  CIO  fatto  per  ritenergliele.  Ma  accio 
che  egli, non  trouado  cofa  da  ciò  m  cufaj)ah 
bia  ad  andare  a  bufcarfua  uetura  ahroue, 
0  rimanere  qui  uoledo Riabbia  dt  gratta  che 
rejìttuite gU  Jlano  lefue  robbe^fen^a  curar 
fidia'tro. 

S/i.  Oue  hauete  fatto  penftero  di  andare  a  ripor 
re  tante  rohhe  ,  0"  f emine  ? 

Do.    A  cafa  di  Di/co,  ilquale  tu  fai  quanto  accon 
ciò  (la  di  cafa  per  ri  cenere  ,  Et  che  ci  ama 
tanto  y  che  posfiamo  fen^a  fua  faputa^hal 
danT^/amente  ufare  con  lui  quejìaprofun' 
tione  . 

Si.   Cerio  egli  è  molto  buon  compagno  . 

Do.  Qojloro  comma  ano  ad  ufcire.  Va  ancora  tu 
Siro  al  tuo  camino  .  A  rtuederci. 

si.   Addio. 

SCEl<ljA    TE\ZJL. 

RODIETTA,    E  P.  OMAN  E, 
D    O    L    O    N    E  . 

VEDI,  ben  mio  ,  di  cui  tu  habbia  af- 
farti maggiore  firma, di  una  gioua- 
ne  da  te  appena  per  wfta  conofciuta,  cuero 
di  me ,  quando  to  non  curandomi  del  tra- 
sportar robbe  ,  non  del  lafciare  il  rimanen- 
te della  mia  cafa  abba>3dono  .  non^  del  mio 
muco  f -al elio  ,  non  di  molte  altre  cofe^data 
D 


ATTO 

mi /òtto  m  preda  a  te]  in  tale  guìfa .  Vedi, 
ben  mio  di  cui  tu  hahhia  ajfarti  maggiore 
Jìimj ,  di  una  gioitane  da  te  apf^ena  per  ui- 
Jìa  cono/cinta,  ouero  di  me ,  che  tutta  tut' 
fa  per  amor  tuo  miflruggo ,  O"  sfaccio. 

Ero.  Deh  cuore  del  corpo  mio, io  cono/co  ,  che  mi 
ami ,  &  mi  appre'^i  a!  pari  della  tua  uita 
prepria  ,  per  tanto  ioj'empre  più  mi  confer 
mo  nella  jfede  ,  che  ti  ho  data  di  mai  non 
abbandonarti . 

Ko.  Adunque ,  anima  mìa ,  liberami  da  quejìa 
fofpitione .  Dammene  un  bacio  per  arra. 

Ero.  che  penfttu  di  fare  ,  caro  mio  theforo  ?  ba 
dami  quanto  fai ,  che  per  ciafcuno  de  tuoi 
baci  io  te  ne  uoglio  redere  quattro  de  miei. 

Do.  Deh  andate  oltre  ,  che  ui  dourejle  uergogna 
re .  Voi  non  hauete  riguardo  a  perigli,  che 
cipotrehbono  auenire . 

Ko.  O  forte  mia  infelice ,  perche  non  pojjo  io  cojl 
tefempre  abbracciato ,  &  fìretto  tenere^ 
come  ioti  ho  col  cuore  ^  come  io  ti  ho  con 
quefte  mie  braccia ,  ^fatiar/ni  una  uolta 
del  toccarti ,  baciarti,  &  accare'i^rti', 
che  quando  bene  tutto  i  Icielo  mi  minacciaf 
fé  ruina ,  non  temerei  di  male  alcuno 

Do.  O  Dio  ,  con  quante  arti  fanno  qnefle  ladre 
puttane  uotare  d'ogni  ragion  borfe  . 

Ero.  Habbianfi ,  per  Dio  ,  loro  ricche^e  i]  ric' 
chi ,  Habbianjì  loro  regni  i  Re .  Paghin/p 
quelli  con  lo  amajfare  ,  &  accumulare  da* 
nari .  Godanf  quejli  loro  uittorìe ,  e^  tri- 
omphi ,  che  io ,  mentre  che  tu  Jìa  meco,non 


QVAR.TO.  j8 

fono  per  hauere  inuidia  alle  projjferità  loro. 
Do.  In  ucro, quando  io  uè  lo  hauro  ricordato  duey 
C^  tre  mite  ,  O"  fatto  più  ,  che  ti  mio  doue 
re ,  anch*io  lafctero  la  acqua  correre  allo  in 
giù  .  che  diauolo  non  cantinate?  Non  haue 
te  ancora  confumato  queflo  matrimonio? 
henche  io  dubito  fé  quefla  pratticauapiu 
in  lungo ,  che  egli  confumerà  anche  ti  pa- 
trimonio . 

J?HILARGlRO,    EROMANE, 
D   O   L    O   N   E. 

BE  N  e  flato  ,  che  io  me  nefta  più  per 
tempo  del  folito  leuatoper  intendere 
doue  bora  fi  troui  miofighuolo . 

"Ero.    Ahimè  ,  Dolane  ,  ecco  mio  padre. 

Do.    Tuo  danno  .  Quefio  è  quello ,  che  io  diceuo, 

¥hi.  Ma  che  gente  è  quella  ? 

Ero.  lo  fono  di/erto . 

Do.  che  diauolo  guida  bora  quejlo  uecchìo  at- 
torno <• 

Ero.  Deh  che  bifngnerebhe ^  bauere  qualche  ccja 
in  punto . 

Do.   lo  la  uado  penfando  . 

Hi.  CoTioro  han  dietro  ferui  :  &ferue  carichi. 
Deano  ,  certo ,  andare  ad  tmbarcarfi. 

Ero.  Che  facciamo  ?  Dobbiamo  tornare  a  dietro. 

Do.  Non  ,  che  a  ha  uislt .  Va  dire  ,  fingi  di  con 
fonare  cofiei ,  O'  mentre  io  il  retenero  in 
D      ,; 


ATTO 

cìamie  ,  toglietetteli  dauanti .  chi  j»ggt 

un  punto  ,  ne  fugge  mille . 
?hi.   Vno  di  loro  mi  pare  ajJomigUarJl  al  mìo 

Cromane . 
Do.  AÌ  fuoco ,  al  fuoco .  O  che  difauentura  èjìa 

ta  quejìa. 
Vhì.   Quejìa  è  la  noce  di  Dolane. 

a.  Ero.  No//  ui  uogltate fconfottare ,  ogni  cofa. 

b.  ?hi.  \ien,EronLine,e  cjuefa  la  bora  di  tornare, 
e.  Do.    O  Signore ,  uot  Jete  (juà.  Vedete^uedeteil 

a.  andrà  bene , 

b .  a  cu  fa  ?  "* 
e:         fumo  ,  che  ancora  ne  uiene  d'in  cima  a 

quelle  cafe. 

Vhi.  che  hai  tu  troudto  da  tirarmi  per  ^  la  ttefia? 
che  uuoìtu,che  io  uegga  ?, 

Do.  llfu-mo.  Veditelo  per  me\^  quelli  duoi  ca- 
mini dipinttt.  Mirate  qua  dritto  al  mio  di- 
to.Ofe  uoi  fojle  fiato  qui  tejìè  haurefteue 
àuto  lefamme,chefe  ne  andauano  a  tocca 
re  il  Cielo,  lo, per  me,ui  dico  ,  die  a  miei  di 
non  uidi  mai  cofa  più  Jj>auenteuole.Et  eccO' 
ut  eccoui  una  altra  uolta.O  che  gran  nuuo' 
lo  difumoOr  lo  hauete  uoi  uedutoì 

fhi.  biocche  non  l'ho  ucduto.  Non  ne  uedefìi  mai 
altro  tu?per  attendere  alle  ciancie  di  queJla 
hejìta  ,  mi  fi  è  tolto  dinan\!  Eromane,  che 
non  me  ne  fono  aueduto.  Vedi  fé  io  fono  ben 
grojjo  . 

Do.  Lafciatelne  andare  Egli  è  un  piacere,  che  fa 
la  Jì  rada  . 

Vhi.   ?cnftuforfe,che  io  creda  altrametefM putì 


QJV  A  R  T  0 .  j  9 

to  è  queJlo,cììe  io  uolena  tornargli  rifpoJÌA 
di  nonfo  che  cof(tJen\ci  che  uolena  intende 
re  chijia  colei,che  uà /eco  a  pari . 

Do,  Che?uoi  non  la  hauete  conofciuta? 

fhi.  Io  noti  la  ho  conofciuta  altramente. 

T>o.    Non  la  hauete  conofciuta  ajfe? 

?hi.  Come  la  poteua  io  conofcere^che piangendo 
fi  teneua  turata  la  faccia? 

Do.  La  catiuella  piangeua  la  fuenturafua ,  ^ 
u!  filo  manto.  £'  madonna  Lidia  uojìra  ni- 
potè . 

Vhi.   Si'cojlei  è  Lidia  mia  nipote  ? 

Do.  Quale  altra,per  uojìra fede,penfauate  uoi^ 
che  ella /offe  ? 

Vhi.  Ella  mi  è paruta  alquanto  più  alta  di per- 
fona ,     , 

Do.  Appunto  io  mi  fono  marauìgliato  ,  che  non 
le  hauete  detto  nulla  .  Et ,  certo  ,  iojlaua 
affettando, che  uoi  le  dcmandajìe  la  cagio- 
ne delfìio  pianto,  c^  cjuella  udita  la  confo- 
lafle,perciò  che  Eromane  non  è  atto  affare 
Jìmde  ofJjcio,come  farete  uoi. 

T^hì.  Vucitu  più  ,  che  io  non  la  ho  conofciuta.  f^ 
harei  creduto, a  uederla  andare  co  fi  per  te- 
po  attorno  ,  che  ella  fofje  ogni  altra  donna 
di  Scio,faluo  lei?  che  fo  ,  che  ella  non  fuole 
andare  alla  madonna  .  Come  fi  troua  enfi 
Eromane  feco  ?  ^  oue  uanno  tfìt  a  quejìe 
hore,con  tante  rohbe? 

Do.     Egli  mi  duci  bene^che  fta  per  darui  la  mala 
nona.  Mapattentia  .    Egli  è  auenuto,che  It 
fue  ferite  facendo  il  bucato  hanno  lafciat» 
D     iij 


ATTO 

appicciare  ti  fuoco  in  cafa.Vedete  che  infe' 
lice  forte. 

Vhi.  Comey  diauolo\'tn  cafa  de  Demetrio  Jì  è  ap- 
picciato ti  fuoco? 

Do.    Cofìparmi. 

Thi.   O  ribalde, 0  uhbriache,o  pa"^  in/ènftte. 

Do.  Vsrche  madonna  Lidia,  raccolto  t  migliora 
ntentt  di  cafi,&  poche  altre  m  affarìi  te, eh  e 
nello  tifaire  ri/j  cafa  fono  uenute  alle  mani 
delle  fue  Jerue  ,  O"  ejfendofl  abbattuta  in 
Eromane  ,  ilquale  ueniua  da  far  fare  una 
mattinata  . 

Thi.   Quefefono  delle  fue. 

Do.  lo  ut  diro  il  tutto  appunto  come  èfuccejfo.lo 
ha  pregatocele  uolefje  farle  compagnia  fino 
a  cafa  de  fratelli.  Forfè,  fono  tn  quella  con" 
trad.i  poche  donne  fedeli ,  ^  di  buon  nome 
di  poterf  fermare  nelle  cafe  loro  .  Et  alt  refi 
allei  può  ejfere  paruto  fconueneiiolelo  anda- 
re co/ì  per  tempo  per  le  contrade,  fen"^  co- 
pagniadi  qualche  fuo  fretto  parente .  Che 
diauclo  fo  io  perche  ella  non  hahbia  uoluto 
rimanere  più  tojìo  in  uicinanl^  ? 

uhi.  Ella  èfaui.i,t^  accorta  .  il  dee  pur  hauere 
fatto  per  buon  rijpetto .  Ma  uedt  fé  quejla 
dilgrutia  macaua  a  quello  hmmo  da  bene. 
Quejì e  fer uè  poltrone j  ct"  ttoi  altri  ferui ^^^ 
fchiaui generation  pejsima  mai  mai  non  pò 
nete  mente  a  cofa,che  ni  facciate.  Che  aue- 
nuto  èpofcia  di  Demetrio  ? 

Do.    O  Signor  e, f e  ti  uedefe,è  meT^o  fuori  di  fé. 

thi.  Coìno  dee  egli  poterf  trcuare  altramente. 


Q^    V     A     R     T     O.        40 

hauendo  il  fuoco  in  cafa? 
Tur  ftajfatica  a  trarre  dalle fìnejl re  di  quel 
le  robbe,^'  arnejt,  che  in  cafa  fono  rima/t, 
mentre  che  gli  huomini  della  contrada  at- 
tendono a  Jpegnere  il  fuoco. 
Si  che  tu  ti  haurejli  rotto  la  fchena  ,  ajtno 
da  baflone^a  rimanere  a  dietro,^  lafcian- 
do  portare  quelle  poche  robbe  ad  unoaltro^ 
aiutarlo  in  maggiore  ìv fognarlo  tifo  dire, 
che  la  poca  fatica  ti  è  fana .  E^  egli  arfo 
'molto? 

I  uicini  fono  flati  tanto  prejìi,  che  non  farà 
pero  auenuto  tanto  male,come  Jì  temeua. 
E^  minor  male.Or  dimmi,  che  ueflimento  è 
quejlo  ? 

Sciocco jio  mtfono^per  aiutare  altrui, da  me 
mede/imo  murato  in  un  forno  .  Come  dite? 
Dico ,  che  uejlimento  è  cote/lo ,  che  hai  in- 
dorò'. 

ìnfn  non  fo penfare.lh  quejlo  uejlimento  è 
un'altra  cofa. 

che  altra  cofa  è  ?  Dio  uoglia^che  mnjìujla 
to  bejfato,^  che  quejìa  nonfìa  la  fcufa  di 
di  colui ^che  dijfe .  Eraui  un  mulinaccio.  Ri 
fiondi  qua.Dico  io  ate^oa  cui  ì  Che uejli- 
mento  è -quejlo  ? 

Signor  (ijUot  dite  a  me  .Ma  lafciatemi  an^ 
dare  ,  che  madonna  Lidia  non  mi  aj^etti. 
Sta  fera  poi  hauro  agio  da  narrarloui. 
A  propoJtto.Egli  è  cofi,come  io  fono  Philat' 
giro.  Moro  ?  lega  le  mani  a  co/lui .  Farotti 
(on0fcere,fe  io  uiuo,che  cofa  fa  il  uokr  dur$ 
P     iiij 


ATTO 

àancte  a  fuoi Jìgnori. 
Do.    Dio  m:  guardi  dal  mangno  pigado. 
Tbi.  Legagliele,  chef  ai  ?  Spacciati.B.ibaldo,ga' 

gliojfo,che  fei . 
Do.    Comc?0  che  ho  io  fatto  da  farmi  legare  le 


mani 


Vhi.  Si  che  tu  penfaiii  di  mojìrarmi  la  Luna  nel 
po'^o, dandomi  a  credere^che  il  fuoco  fi  fof- 
fé  appicciato  in  cafa  di  Demetrio  ,  che  colet 
fojje  Udiate  che  ella  farebbe  uoluta  and^i 
re  più  to/ìo  a  quejìe  hore  di  lungi  we!^ 
miglic  a  cafa  de  fuoi  f-ateUi ,  che  rimanere 
in  contrada  ? 

Do.    Voi  U  hauete  pur  ueduta.  Vhyuh. 

fhi.   Chepiangitu? 

Do.  Afcoltate,fe  miete  pur  faperlo,che  io  ue*l  di 
rè  .  Vn  cor:7p,i'^no  di  Eromaire, 

Thi.    Tu  pefìi  Pa'-cjua  nei  mortaio. 

Do.    AfoÌtate,dtgratia  afcoUate  un  poco: 

Vht.  Kon  afcolto. 

Do.     \n  quattro  parole  uijpedtfco. 

Thi.    Acqua  a  molino  . 

Do.  Ah  Sign(jr^,fe  auuenuto  è  una  cofapiu,  che 
una  altra, IO  non  ci  ho  colpa.VhjUh^uhyWo- 
Jìrof 'Aiuolo  Eromanc.VkfUh, 

fhi.  O  tu  com  nei  a  confefJare,C7  dianzi  ti  cre- 
de»! dt  a'.'girarnìi^lotifaro  .  Ma  io  uoglio 
prima  tntclere  che  nouella  (la  fiata  quefia. 
Aftiateui  inan'^  uoi . 

SCENA 


Q.  V    A    R    T    O       41 


SIRO,    PHILEROTB, 
GETA     SERVO. 


O 


Ve  feitu  Vhilerote  ?  lo  ho  condct' 
to  gli  amici . 

Vhi.  O  uoi  Jìate  i  ben  uenuti ,  fratelli  cari. 
No-'  tii  hahbixmo  richiefìi  a  fidanza.  Vn*al- 
tra  uolta  uoi  comandarete  a  noi ,  che  fa- 
pete  bene,  che  e<r!i è  ufan'^  di  mandare  la 
palla  l*uno  alTaltro  . 

Gè.  Et  i  buoni  utcini  di  prejìare  Vajlno  l'uno 
aW  altro . 

S/.  Lafcutmo  i  conueneuoli ,  che  fa  di  mejlie- 
ro  d^  dijponere  fra  noi  come  meglio  fart 
ne  pof?iamo  acqu'Po . 

Vht.    che  d'.j^onimento  farà  quejìo  ? 

Si.  Tu  ,  con  cofni ,  come  effe  arriuino  ,  dando 
di  piglio  a  Pericalleà,  la  conducerete  in  ca- 
fa.  Ritrahetei'.i  ben  folta  la  porta,  che 
non  fofle  ueduti  prima  ,  che  bifngni,  aceto 
che  ad  un  tratto  fta  ti  tuono  ,  (^  il  baleno. 
Et  to  ,  con  Geta  ,  mi  faro  contro  al  re/lo 
delle  donne  ,  &  ^eteneremo  impedite,  fin 
(he  uoi  habbiate  fatto  il  fatto  uojìro .  Ma 
auertite  anoti  Ufciaxe  alle  grida  .  ^t  ec- 
(ole  a  tempo, 

D    y 


ATTO 
SCEJij^   SEST^. 

SCITHROPA     VECCHIA, 
PHILER  OTE,    SIRO. 

GRANDE  neramente  è  quejla  diuo' 
tione . 

P/;/.    Dobbiamo  andare  ? 

Si.       O  non  ancora  . 

Sci.  io  ho  qucfia  ferma  credenza  mlT anima , 
che  chi  dura/Jè  fatica  di  cercare  tutta  Scio, 
poche  cafe  trouerehhe  ,  lequali  non  hauef- 
feroaqHeflagloriofamadre  o^erto  qual- 
che dono, 

Thi.    lo  non  ue<rgo  la  hora  di  ufcire . 

Si.  Ititene  hai ucduto  Fericallea  tu?  Ne» 
Jì  fa  cofi  bello  ,  ne  fi  bene  alla  preda  fi  di' 
batte  lo  fparuiere  ,  come  tu  . 

Sci,  \uottu  uedere  ,  filinola  ,  che  io  dica  il  uè- 
ro  ?  Vuon  mente  alle  cere ,  CiT*  <igi'  argen^ 
ti  quiui  consacrati , 

Vht.    lo  non  poffo  Tiar  più  alle  mojfe , 

Sci.     ohimè  ,  la  mia  figliuola  . 

Thi.  Anima  mia ,  uoi  Jete  fianca  .  andiamo  a 
ripofare . 

Sci,     Ah  ribaldi ,  ajfajìini  » 

Si.       State  indietro  donne . 

Sci.  Lajciateci  andare  mi .  La  mia  figliuola 
ribaldi  ah  ?  aiuto  . 

Vhi.    Non  piangete  ,  uita  cara . 

Sci.     Aiuto  ,  aiuto .  Lafciamt  andar  tu» 


(^    V     A     R     T     O.       4t 

Si  che  farete  pi»?  Ella  è  in  cafa.  Tornate 
adietro ,  tornate . 

Sci  Tornate  adietro  ah?  Credete  noi  di  andar- 
ne impuniti  ?  Non  andrete  ajfe .  O  do- 
lente ,  C  fconfolata  Scithropa ,  che  mal 
giorno  ha  hoggi  colto  te ,  con  tua  figliuola. 

Si  AnXi  ella  è  per  haiter  il  migliore  giorno , 
^  la  miglior  notte ,  che  mai  hauefje . 

Sci  Ah  fen\a  uergogna ,  che  fete .  Non  du- 
bitate ,  che  nojìri  Signori  fono  ben  per  in- 
tendere ,  ^  cajìigare  i  uojìri  portamenti , 
accio  che  uot  non  credejìe  di  ufctrne^  coft 
pel  rotto  della  coffia . 

Si  Si  jft ,  andai  e  a  dirgliele .  In  quejlo  me- 
^0  noi  Tlaremo  in  poffe^ione ,  poi  qualche 
fanto  ci  aiuterà  . 

SCE^i^  SETTIMA. 

ZE  L  ADELFO,     SIRO. 


V 


E  D  E  R  A  I  fé  farà  uero ,o  là?  9 
la?  a  chi  dico  io  ? 
si      Domandate  mi  me  ? 
Zel.    Si .  corri  toflo  ,  di  a  quello  huomo  da  bene, 

che  fi  lafci  uedere  in  fuUu  uia  . 
Si       Qual  huomo  da  bene  dite  uoi  ? 
TLeL    Colui ,  che  ha  condotto  uia  colei , 
Si.      Dite  il  Signor  mio  ? 
ZeL    O  che  egli  (la  tuo  Signore  ,0  di  altrui,  che 

mi  curo  io  ? 
S^      Volete  uoi^che  io  il  chiami  fuori  da  douero? 
D     y; 


ATTO 

Zel.  Se  elfo  non  ne  uuAe  ufare  di  uolontà,aJpet 
ti  di  ejjerne  Tlrafetnato  fuori . 

Si.  Canchero  ,  cojìui  è  di  mal  talento  contro 
Fhilerote ,  non  /o  perche .   lo  uado . 

PHILACIO     famiglio", 
ZELADELFO. 


D 


Itemi  di  gratta ,  %t<rnore ,  come 
jeteuot  uenuto  tn  cagni fone ,  che  tn 
cafa  di  queflo  ^hilerote  fa  flato  condotta 
uojlra  forelU  ,  con  le  robbe  uojlre  ? 

Zel.  Come  ah  f  Perche  io  comprendo,  che  cojlo- 
ro  non  fono  andati  difofo  ,  Intendo  coJìhì 
ejfere  agiato  di  cafa ,  ne  hanerut  gente  di 
rifletto . 

P/;/'.  Guardate  di  non  pigliare  qualche  gran- 
chio . 

Zel.  Kon'piglio granchi  io .  Si  che  come  tu  mi 
hai  detto  ,  che  fono  compagni ,  ^  che  un 
fuo  feruo  hoggi  è  flato  a  parlare  ad  H/pO" 
corifìria,  io  finche  non  poffo  ing^annarmi, 

Vhi.  Non  fi  può  ingannare  .  Ma  è  co/ì  fiocco^ 
che  non  fi  dotte  e^li  s'hahhia  il  capo . 

Zeì.    che  d  et  fra  te  mede  fimo  ? 

Fhi.  che  ti  feruo  è  fiato  colui ,  coH  quale  hora 
parlauiite . 

Zel.  Sia  chi  fi  uoglia .  Sen:{a  che  io  ho  uedulo 
M?,/f  hoggi  ad  uscire  fuori  di  cfuefta  cafa  , 
laquale  domandata ,  che  andaffe  facendo , 


CL  V     A     R     T     O.       4J 

mi  accorfl ,  che  nel  rijpondermi  fi  amlitp' 
pana  nelle  parole .  ¥ino  allhora  s'indetta- 
uano  i  ladri  in  (teme  di  ff*gg'^e  .  O  ni  un 
huomo  è  al  mondo  (  credilo  a  me)  che  per 
fapere  trouar  il  uero  mi  uenga  a  parago- 
ne .  Md  fé  tu  non  uedt ,  che  io  ne  faccia 
una  horribile  ,  C^  diabolica  uendetta ,  io 
fono  contento,  che  tu  dica .  figliuolo  di  una 
puttana ,  metti  giù  le  arme . 

SCE^yi  ^O^yi. 

PHILEROTE,      ZELADELFO, 
P   H   I    L   A   C    1    O  . 

IO  non  fogia  di  hamrli  fatto  cofa  da 
ejfere  meco  adirato  . 
Zel.   Ben  ?hilerote,che  umidire, che  queìThuom 

da  bene  del  tuo  copagno  no  è  uenttto  teco  a 

bajfo?  Sete  uot  per  nflttuirmi  d  mio,o  no? 
Vhi.  'ledete  ben ,  Signor  Zeladelpho,  che  non  mi 

cogliete  in  cambio  ,  che  di  quanto  mi  ricor 

do ,  non  hebbi  mai  che  fare  con  uoi . 
Zel.   An\i  tu  hai  hauuto  troppo  che  far  meco,  fé- 

c'odo  quelle  cofe,aUe  quali  hai  tenuto  mano. 
Vhi.   Io  non  ho  tenuto  mano  a  cofa  ,  che  a  uoi (ì 

appartenga ,  che  iofappia. 
Zel.  O  che  iofappia  ?  Come  no  a  leuarmi  colei, 

C  miei  arnefì? 
Vhi.   Qual  colei  dite  uoi  ? 
Zel.  Vedi  come  fi  fa  di  buona  aria  negare  la  uè" 

rità . 


ATTO 

P/;/.  Di  uoTlri  arnefì  non  foia  niente.  Ma  egli 
è  b^n  uerOy  che  io  mi  trono  hattere  unagio 
uane  in  cafa  ,  ma  fi  ancora ,  che  ella  non 
ui  attiene .  Volete  uoi  dire  di  lei  ? 

Zel.  Tu  hai  una  gioitane  in  cafa  f  è  il  uero?ie  tu 
fapesjicome  acconciamente  potesji  negare 
di  hauerlaui ,  io  fono  certo ,  che  per  uolere 
benfare  delVbuom  da  bene ,  non  farefli  fla 
tofin  hora  .  Non  fa  meflieri ,  che  ttt  dica. 
Ella  non  ui  attiene,  lo  fono  più  malitiofo  di 
te,  Or  falla  uenire  fuori . 

Vhì.  Voi  potete  ejfer e  malitiofo  a  uojlra  posia, 
che  ella  non  ui  appartiene. 

Zel.  O  io  crederò  ben  toTio ,  che  ti  darà  lo  ani' 
modi  uolere y  (j;* poter  meco  contraflare? 
Vaila  uenire  fuori  ,  fé  ti  piace  e^*  fi  non  ti 
piace  ancora,  &  ufa  manco  parole . 

Vhi.  Se  uoi  uolete ,  che  io  ui  dica  il  uero ,  uoi  mi 
parete  un  huomo  coft  fatto  . 

Zel.  che  huomo  ?  Voitu  ,  forfè,  dire ,  che  io  non 
(la  huomo  da  bene  ? 

Vhi.  chi  mette  queflo  in  controuerfia  fi  non  uoi, 

Zel.  che  uaitu  adunque  dicendo  ,  cheto  ti  paio 
un  huomo  cofi  fatto  ?  Per  certo ,  io  non  ci 
faro  conofciuto  per  fin  che  io  non  ci  la  feto  il 
figno  della  mìaflampa . 

Vhi.   Si  quello  della  lumaca  ci  lafcierà . 

ibi.  che  ,  diauoh,  quando  io  hi  benfofferto,^ 
fofferto  ,  che  farà  f  si  che  io  l'ho  detto  ,  <& 
il  diro  di  nouo  ,  che  tu  fii  un  huomo  cofi 

^  fatto  .  Adunque  uorreflu ,  hora  che  dopo 
mille  trauagli  ella  è  uenuta  in  mia  balia. 


Q^V  ARTO.  44 

chea  tela dssfl. 
Zel.  Vedi  pur  tu.  So  ben  io  fé  amoreuolmete  non 

meda  rendete,  o  ella  non  uoglia  uenirefpon 

taneamente  ,  che  io  andrò  a  Jlrafcinarla 

dtcafaper  le  treccie. 
Vhi.  Strafcin^rla  dica/a  per  le  treccie?  hifogna' 

rehbe ,  che  tu  fosft  altro  huomo  ,  0*  meglio 

accompagnato  .  prona  un  poco  ,  proua  . 
Vili,   kh  Signore  ,fateui  adietro  .  Volete  noi 

romperui  il  collo  apojla  dì  una  cicala  ? 
Wi.   cicala  fei  ben  tu  .  Egli  non  it guaterà  mi' 

ca  afua  uoglia .  Con  cuipenfate  ,forfey  di 

hauer  affare . 
a.  Zel.   hdunque  tu  non  penjl ,  che  iofia  huomo, 
h.Vhi.  lopenfo  ^'chetunonftahuomo  da  fare. 
a.  da  fare  qmflo ,  &  altre  cofe  cento  mila. 

h.  contro  di  me  una  co  fa  piu^che  una  altra, 

a.  mite  maggiori ,  fin  che  io  no  te  nef accio 

b.  (jr  quando  ti  metterai  in  proua,tu  te  ne, 

a.  amaramente  uedere  la  proua  . 

b.  aueJerai.Or  che  appartiene  a  te  ?ericaUea? 
zel.    Quale  Fericallea .  Far,  che  eglifipenjidi 

cauarmi  del  femtnato , 
Vhi.  O  tu  te  pigli  gli  firani  impacci  ? 
zel.  Situteglipgli. 
Vhi.  Voi  tu  fare  a  miofenno?  Attendi  a  fatti 

tuoi ,  ^  non  ti  dare  gli  impacci  del  Kofju. 
Zel.   che  imbaca  del  Koffh  ?  Non  fono  quefii  i 

fatti  miei  ?  Al  dijpetto  di  quella  lupa ,  ca* 

gna  ,  majìina  ,  traditora  . 
Vhi.  Ah  non  beflemmiate .  Non  fapete  i  bandi? 
zel.  Se  io  mi  penfasfi ,  che  per  quefie  parole ,  tt» 


ATTO 

penfiisfi  pur  di  pensare  dt  douer  dire  co/à, 
che  fipoteffe/ojjjtcare ,  che  ueniff e  cotanto 
in  detrimento  di  honore  del  minimo  camel- 
lo ,  tlìe  IO  lì  abbia  in  capo  . 

Vhì.  Che  mi  potefìufare  ? 

Zel.  So  quello,  che  farei ,  fo  quello  y  che  farei, 
non  HogUo  dir  altro  , 

a.  ?hi.Braua  fé  fai  ,  che  io  non  ti  Jìimo  queTlo  ; 

b.  Zel.  Vedi  come  e?U  parla  ?  ciel ,  che  non  ho . 
a.      Et  fé  non  ti  leui  ancora  giù  di  quefla . 

h,       qua fj  detto  partigiano  .  Per  quel  che  io  mi. 
e.  Ph:.  Ah gentf!!)Uomini ,  chi  ha  più  ceruiUo  più. 

a.  Jlrada ,  o  almeno  non  procacci  di  tenere  . 

b.  (iuejTgo  ,  tu  non  dei  fapere  le  cofe  ,  che  io . 
e.      l'adoperi .  Tatti  adietro  Philerote,  che  fé  . 

a.  la  lingua  dentro  a  adenti ,  io  tifar)) . 

b.  ho  fatto  in  Ver  fa  ,  che  parlerefti  più. 
e.       tu  non  hai  nulla  del  fw  ,  egli  no'l  uuole 

a.  fonare  per  eccellenlia  ,  con  un  pe'^o. 

b.  cojìumat amente  .  Ma  in  ogni  modo  tu  . 

a.  di  legno  ,  da  gente ,  che  non  conofcerai  : 

b.  hai  uogl/a  ,  che  io  mi  ti  faccia  cono/cere . 
Thi.   che  ditH  dt  uolertifar  conofefe  ? 

2el.  Che  dici  tu  di  uokre  fare  fonare  con  peT^ 
dj  legno'?  Do ,  fé  io  non  rim.mes(t  per  tema 
della  ragione . 

Vhi.   Clìefartfìi  <  Di  un  poco  fu. 

Zel.   Di  pur  tu. 

fhi.   Va  ,  fa  ,  che  io  ti  i-ttenda . 

Zel.   Fa  tu, che  io  ti  oda  co  fi  dire  una  altra  uolta. 

¥hi.  Dì  grafia  ,  dite  uoflre  ragioni  pacificamen 
te .  Non  mglidtefar  raunare  U  contrada. 
Se  elfo 


V, 


d  V  A  R  T  O.  45 

Zel  Se  ejjo  non  mi  uol  rendere  il  mio^come  uuoi 
tu  ,  che  io  faccia  a  non  gridare  ? 

?hi.  Se  io  non  ho  cofa  ueritna  del  tuo,  come  uuoi 
tu ,  che  io  faccia  a  render  lati  ? 

Zel.  Or  come  ilpuoitu  negare,  che  domandando 
ti  io  hor . 

a.  hora  Hipocorijìria  mìa  forella . 

b.  ?hi.  che  HipocoriHriafche  tuaforellafVìine. 

sceXj^  decima. 

SIRO,    ZELADELPHO, 
Philerqte,  PHILACIO. 

O  R  R  E  M  o  not  ancora  tardare 

più  ?  Se  uoi . 

a.  diceflt  di  hauerla  in  tua  balia  ?  Vedi  come. 

b.  nella  mala  hora,  &  nel  mal  putOy  che  Iddio. 
e.      non  uileuale  incontanente  giù  di  quejia  . 

a.  t  ti  po/Jà  dire  il  uero . 

h.       ti  iii^r'.i    ^Irdese  che  feicaggine  mi  è  uè- 

ÌUnV  . 

c.  Jlrada,  nei  ui  darem }  li  meglio ,  chefapre- 

mo  ,  dt  do  , 

b.  addate  cojìuifia  mattina . 

e.       che  CI  uerrh  allemani .  gaglioffi  ^  poltroni . 
Zel.   O  ,  non  è  murauigiia  Je  al\am  ben  la  «o- 

ce .  T»  teneui  ajco/o  lo  efferato  in  cafa. 
?hi.  picciolo  numero  di  gente  pare  unoejjercito 

a  tuoi  pari . 
Si.      Vien  in  cafa ,  Signore  ,  che  non  ti  è  J)onore 

a  gridare  con  qucjìo  lauaceci. 
Zel.  Si  ,fi.  Andate  pure .  No/  ci  tornerem»  be- 


ATTO 

ne, che  non  haurete  tanto  auantagio,  ne  ci 

farete foperchiaria ,  Si, fé  dauesfibenue- 

nire  a  combatterci  la  cafa,  ^  trattene  fm 

riape:^ape'^o. 
Vhi.  ?roua  ,  proua  tua  uentura . 
Zel.  Quando  tutto  manchi  yfapenfìere  ,  che  io 

ti  chiami  nudo  con  un  pugnale  in  mano,  in 

iJieccato.Mai più  non  mi  auenne,  chefacen 

do  parole  con  alcuno  ,  non  lo  ìiroppiasjì  al 

meno  di  una  gamba . 
P/;/.  1/  minor  malefufempre  buono .  Or  che  fa- 

rete? 
Zel.   Non  (o  .  lo  fono  in  tanta  colera  ,  che  i  cani 

non  mangierebhono\  delle  carni  mie  ,  tan- 

to parrebbono  loro  amare. 
Fht.  Andiancene  adunque  in  cafa  a  recere  que- 
fio  ueleno ,  che  io  hofempre  intefo  dir  e, che 

l'huomo  fauio  non  dee  mai  nulla  debberà  - 

re,  mentre  ejfo  è  alterato. 
Zel.  Sauiamente  ricordi .  Andiamo . 

ATTO  aviNTO. 

SCEJiyi    VBJM^. 

TIMEO    VECCHIO,    PHILAR- 
GIRO,    SIRO. 

N  molte  cofe  mi  ho  io  già  tro- 
uato  la  fortuna  contraria. 
Ma  hora  contrarisflma ,  ^ 
nimica  più  che  mot .  O  cielo. 


Q,    V     I     N     T     O.       4  (f 

0  terra ,  o  chtapiena  di  ribaldi . 
lo  diftdero  di  intendere  fé  nero  Jta ,  che  a 
me/fere  Timeofìa  fiato  raf}ito  fua  figliuola. 
Ef  eccolo .  Me/Jer  Timeo  f  Che  buona  uen- 
tura  ui guida  attorno  cojì  per  tempo  ? 
Ahimè  f  io  fono  cofì  fuori  di  mejìefjo^ihe 
non  fa  dove  io  uada  ,  ne  onde  uenga . 
Certo  ,  uoi  parete  molto  alterato . 
Et /e  io  fono  ,  io  ne  ho  cagione. 
Ditemi ,  è  nero  ciò  ,  che  io  ho  intefo  di  que- 
Jlogiouane ,  che  Jla  qua ,  <^  di  uojlrafì' 
gliuola  ? 

lo  non  temo  ,  che  te/limoni  non  mt  manchi 
no  a  prouargltele.Et  ringratio  Me/fere  Gie 
fu  Chrijlo ,  che  hahbiamo  tali  Signori,  che 
faranno  giuflitia . 

O  Dio  ,  quando  una  cofa  dee  hauere  effet- 
to y  non  ui  manca  mai  nulla .  Io  mi  doglio, 
meffer  Timeo  ,  non  follmente  perche  to 
tanto  ut  amo ,  che  ogni  uoflro  J^iacere  e 
ancora  mio  ,  Ma  etiandio  perche  qttefìo  ca- 
foè  a  uoi  incontrato,  uolendo  uoi  a  me  fa' 
re  cofa  grata . 

Or  lafctamo  andar  quefìo  .  Varui  bel  cafo 
qiicflo  ,  meffer  Vhilargjro  ?  ?arui ,  che  co- 
flui  la  habbia  fatta  da  giouane  dfcreto , 
e^  moderato  f  Non  cc/fro  di  fegutre  ciò  , 
che  uuol  la  ragione ,  che  il  uedero  andare 
in  bando ,  CjT"  forfè  peg 


e>d> 


IT  10  . 


Nel  uero ,  la  fna  audacia  è  Uata grande , 
&  mi  ha  raailitppato  tutti  i  fangui .  Pw 
re  , per  dirui  d parere  mio,fm'Xa  ejjernt 


ATTO 

rìchlejìo ,  io  non  ui  lodo  lo  andare  per  uta 
della  corte  .  Pìm  tojìo  mi  piacerebbe  ,  che 
Jìcercafje  di  intendere  come ,  ^  perche  co^ 
jìui  habbia  fatto  quejla  dishonejfìà  .  Ver- 
cio  che  io  ui  rendo  certo ,  che  effo  altre  uoU 
te-hebbe  animo  di  faruela  domandare  per 
moglie . 

Ti.  Si  certo ,  farmela  domandare  per  moglie 
d-ìpo  il  fatto .  logli  faro  conofcere ,  che 
elfo  non  hanra  fatto  qiiejlo  oltraggio  ai 
un  morto .    andiamo  pure  adagio  . 

Vhi.  Lafciate  la  ira ,  O*  ^^  paltone ,  mejfer 
Timeo  ,  ^  attendete  alla  ragioue  .  CertOy 
qujindo  la  Cui  intentione  fo/Jè  di  torla  per 
morire  (  lafci.imo  andare ,  che  egli  porta- 
to fi  fa  da  giouane.  ) 

Ti.  Da  giouane^  Dite  da  ribaldo ,  da  ajfaf- 
fìno. 

fhi.  Da  peggio  ancora.  Ha  lafciatemi  dire, 
lo  crederei,  che  di  lui  non  potrefle  hauere 
fé  non  buono  ,  &  horreuole  parentado,  ^ 
haurefle  allogato  bene  uojlra  figliuola. 
Di  gratta  ^  fiate  contento  di  itfciarui  tra- 
uxre  in  cafa  di  qua  a  un  peT^o .  perciò  che 
io  mi  uoglio  intromettere  m  qucjla  cofa  , 
&  mi  confido  di  farne  riuscire  un  pacifico 
ma  trimonio  . 

Ti.  1/  matrimonio  è  fin  hora  troppo  per  temp» 
in  mio  danno, (&  dishonore  riufcito.  M.i  per 
certo, la  cofa  no  gli  andrà  come  egli  fìpenfa. 

Si.       chi  picchia  la  giù  . 

fhi.    Apri ,  Siro  ,  che  fono  vhtlargiro  . 


Q^   V     I     N     T     O.       47 

Si      Cbif 

vhi.    vhilaro-tro . 

S^      Correte  ad  aj>rirgtì , 

SCE'ìiyl   SECOVJ)^. 

Lieo    SERVO,    PAVSANIA 
VECCHIO. 

IN  ogni  modo  quejio  uiaggio  dì  Coffa 
è  un  lungo  uia^gio  . 

Vau.  Si  bene  .  T  ut  tanta  a  me  non  ijpìace  lo /fa- 
re in  naue ,  quando  fi  nauica  con  bonac' 
eia .  Ma  lo  ejjere  Ùato  que/ìi  tre  di  f-a 
morte ,  &  Mita  ,  più  mi  è  sìato  noiofo  <U 
quante  nauigationi  io  facejìi  mai . 

Li.  Quefie  fono  le  fiutte  de  mercanti ,  /'/  pa- 
tire  caldi  ^  freddi  ,fete  ,fame  ,  fimjìri,^ 
tutto  di giofirare  con  la  morte  .  Pur  non* 
dimeno  ogni  uojlro  trauaglto  fi  dehbe  ad- 
dolcire ,  trouandouf  con  fi  gro/Jo  guada- 
gno  giunto  a  cafa  uofirafano  ,  ^  trouan- 
dn  Philerote  uofiro  figliuolo  /ano ,  ^  ogni 
cofa  fitlua . 

Fau.  io  di  ogni  cofa  ringratto  meffere  Domene- 
dio  .  Ma  di  una  ,  dt  che  per  auentura  mol- 
to più  ringratiare  doureilo  ,  confiderando 
che  l'huomo  non  fa  Jpe/Je  uolte  ciò ,  che 
egli  ben  fiuoglia  ,  nonfo  che  mi  dire .  Che 
effo  non  mi  ha  dato  alcun  figliuolo . 

li.  Certo  fé  uoi  miete  dtfcorrere  come  i  figli" 
uoli  legitimi ,  c^*  nat ur alt  fono  dalla  na- 


ATTO 

tura  dati  a  padri  loro ,  per  forte  ^  Là  do- 
uè  m't  ni  hauete  fatto  vhilerote  ,  giouane 
cortefe  ,  O*  cojlumato  ,  figliuolo  per  adot- 
tione  ,  non  ui  hauete  da  ramaricare .  Ma 
ditemi .  Hauete  noi  mai  intefo  onde  egli 
fi  a? 
vau.  Ver  che  me*l  domanditu  f 
Li,     Verche  hauendo  io  altre  uoltedettoaCo- 
rebo  mercante  fi  come  il  giouane  a  uoi  per 
lui  uenduto  era  cofi  auenente  ,  ^  di  tale 
accorteT^a  ,  che  tutti  Jlimauano  lui  effere 
nato  di  gentile  ,  ^  honoreuole  legnaggio , 
ejjò  mi  diffe  ,  fi  come  Mimichiulè  corfale , 
dal  quale  anch*egli  comperato  lo  hauea , 
detto  gì t  hauea,fe  hauerlo  rapito  [opra 
quejla  ifola . 
Vau.   Ancora  a  me  ha  detto  il  medefìmo  .   Ma  io 
ho  di  meglio  ,  C^Jpero  ,  che  hauro  trgaato 
fuoi  parenti . 
Vt.     e'  uero  ì  O  ,io  ne  haurei  piacere . 
Vau.  lu  lo  intenderai.   Hauendo  altre  mite 
Mimichiulè  rubbato  in  parte  cjuejìa  \fola , 
con  eJJò  lui  condujfe  quejlo  fanciullo  allho' 
ra  di  età  di  tre  anni ,  in  circa  ,  ^  uedtt- 
togli  al  collo  una  medaglia  cerchiata  di 
oro  , /limando  (  per  non  hauerla  ben  con- 
fiierata)  ciò  effere  cofa  di  qualche  ualore, 
la  mtfje  in  una  fua  cafja ,  fen\a  mai  ri- 
cordarfene  per  molti  anni . 
Li.      ben  ,  che  norrà  dire  quejìa  medaglia  ? 
Va  u.    Dopo  alcun  tempo  uenemlogU  alle  mani  la 
detta  medaglia ,  0"  hauendo  con  diligen» 


Q.    V     I     N     T     O.        48 

:{a  uijlo ,  ^  confìderato  il  tutto ,  ^  Jpe- 
tialmente  per  hauere  pojlo  mente  ad  alcu- 
ne lettere  /colpite  in  quella, gif  cadde  in 
animo  di  mandarla  a  Coreho  fuo  amico , 
auifandofi  lui ,  per  me^o  di  quella ,  poter 
uenire  in  qualche  Jperan\a  di  trouare  ti 
padre  del  fanciullo .  llquale  fofcia ,  per 
lo  medefimo  rijpetto  ,  la  ha  a  me  donata . 
eccola. 
Li.     Queffe  fono  lettere ,  certamente .  Sapete 

uoi  che  dicano . 
Pan.   Dicono  lui  e  fere  figliuolo  di  vhilargiro 

Neurtdi . 
li.      Dime/fere  vhilargiro  Neuridi  nojlroui* 

cino  ì 
Pau.  Quale  altro  habbiamo  mt  di  quejlo  nome 

in  Scio  ?  Or  faittt  cto  ,  che  io  penfo  ì 
L/.     Che  co  fa? 

?au.  Che  in  uero  fta  fuo  figliuolo ,  ^  che  effo 
giagltponefje  al  collo  quejla  medaglia  per- 
che  ti  fanciullo  fojje  ,  d»;^'  che  no  ,  ran^ 
dagio ,  O*  f  eretto  ,  di  maniera  che  an- 
dando fuori  di  e  afa ,  e  pofcia  non  fapen- 
do  far  ritorno  ,  ne  dire  di  cui  foffe  figlia 
uolo  y  il  padre  temeffe  di  perderlo  . 
li.  Quejìo  mi  uà  per  capo  ,  pereto  che  cojt  an- 
Cora  in  tale  cafoho  ueduto  far  fi  da  altri 
padri . 
*au.  lo  cofi  credo  :  "Et  uoglioper  maggiore  cer* 
teX\^ ,  &  affine  di  dare  del  tutto  notitia 
a  mejjer  Philargiro ,  mandarlo  a  chiama- 
re, ricordati,  tojìo  che  Jìano  fcaricatt 


ATTO 

^uejìe  rohbe  ,  ad  andare  per  lui . 
L».      hndr^o  fignore .   Qhi  apre  qua  . 


N 


SIRO,     PAVSANIA. 

O  N  far  Diauolo ,  che  non  è  il  Sol- 
dato . 

Vau.   Aprite. 

Si.  O  ,  e^li  è  il  Signor  nojìro ,  cJye  uiene  da 
Cajfa . 

P4M.  a/;  ,  che  bi fognerebbe  rouefciare  quel  fec 
chio  di  acqua  in  capo  a  uoi ,  &  co/i  inac- 
quare ben  bene  la  uojlra  imbriacatura  . 
V-Hì  è  ben  uero  ,  che  quando  la  gatta  non 
è  in  cafa ,  /  topi  ballano . 

SCETi^   QJ^KT^. 

ZELADELPHO,     PHILACIO. 

OR.  che  la  temperantia  ha  moderato 
la  colera  ,  la  ragione ,  O"  Uprttden- 
tid  faranno  in  me  lo  ufficio  loro .  M4 
dimmi ,  non  ti  pare  ,  che  quefta  ingiuria 
menti  una  horrenda ,  &  ifiomunicata 
ticndetta  ? 
vhi,  Diauol  è  ,  che  uoi  lo  cajlriate . 
Ztl.  primieramente  ^  fé  io  uogUobene  confidi- 
rare  o"-ni  coja  ,  una  mia  forcUa  unica  e 
fiata  uiolata  ,  c^  rapita  di  cafa  mia . 

Fhi. 


CLV  I  N  T  O.  o 

Pht.    Md;  y? .  La  rofa  matutina  è  slata  coU 

ta  . 
2^.    Ef  co»  f;^  /^/'  ruhbatomi  gran  parte  di 

mie  rohbe . 
vili.    Qofi  auiene  a  chi  ft  fda  di  puttane . 
Zel    La'ingiuria  è  fatta  al  gran  Capitano , 
vhi.    De  ruffiani  fi  dee  intendere . 
ZeL     hd  huonio gentthfiimo  . 
Vhi.    Gentil/fi:  mo  ,  Ct'  pnganifiìmo  ì 
ZeL    Che  uuol  dire  pagnnifiimo  ì 
vhi.    Vuol  d,re  {fecondo  il  Caraffuia  )  che pa7a 

benijìimo .  ré, 

Ztl    Qì^efiafu  femprelaufanlamia. 
Vhi.    Si  di  allettare  fempre  a  cafa  i  mefsi 

taT  ^'  "'  '"  ^'"'  '^'Z'^'^^'f^'^oparen^ 

Vhi.    Come  i  bafiardi,  che  hanno  parenti  ad 

ogni  ufcto . 
zel    Laonde,  pedanti  ri/petti,  io  mirifoluo 

di  Uuarmt  le  mani  nel  f angue  loro  .   M4 

fio  m  dubbio  di  che  pena  gì,  pumfca 
Vhi.    DicfuellaallaTurchefca. 
ZeL    Konfarcbbonoi  primi.  Ma  io  uotUo  fare 

cofa  più  notabile ,  o-  fegnalata 
vhi.    che  farete  ? 
ZeL    Farne  una  tale  notomia ,  che  fare  non  U 

faprebbe  un  Cerufìco . 
vhi.    Non  dite  cofi ,  di  gratta. 
ZeL    Verche  f 
Vhi.    Verche  uot  non. li  hauete  nelle  mani,  ^on 

fapeteilprouerbro  f  Non  d,re  mai  e  quat^ 

tro  ,fe  tu  non  l'hai  nel  fiacco .  ^ 


ATTO 

Zel, .  che  miccnfìglitu  dunque  ^ffitrc  ì 
vhi.    Non  fono  hnonìG  da  confìgliArui io. 
Zel.    lo  fo  lene  .   Vur  dimmi  il  tue  parere.     _, 
vhi.    lo  HI  loderei ,  che  anLifiimo  a  trottare  qud 
gentilhuomo  Mcne/e ,  che  hitri  ui  f.ce  tan^ 
te  ojftYte  ,  C  pregarlo  adami  aiuto  ,(i 
che  almeno  po/siate  ricuperare  le  uojlre 
robbe  . 
Zel.    Fhilacio ,  come  io  faccia  il  coìlonnello  ,  «o- 
glio  the  tti  fra  uno  de' primi  Caf^itani ,  che 
Jìano  JJ/edni .   Tu  fei  molto  japiente . 
Vhi.    Tacete  f  tacete  i  che  gente  e/eie  di  cajadi 
thilerote . 

SCETsi^   (^VIVJ^. 

PAVSANIA.      PHILARGIRO. 

Vai4.    f~y  Osi  uè  ne  andrete  a  trouare  mejjer 
^— '  Timeo ,  0'  jubito  fatemi  fapere  la 

fua  uolonta . 
vhi.    Cojl  faro  .   Non  dubitate  ,  che  io  ho  fede 
di  recarlo  a  ciò  ,  che  io  uorro . 

SCmijA    SESTA. 

ZELADELPHO.      PHILACIO. 


O 


P  H  r  L  A  c  I  o  ,  io  mi  fono  creduto 
auampare  di  tra  ,  ^  di  dt(J^etto,ueg- 

gendo  quejìi  uecchi ,  che  per  ttentura  fono 

del  fangue  loro . 


Q.  V  1   N  T  O  .  j  o 

fhl.  Quefie  fono  delle  fue  prode\\e  y  che' il 
freddo  de*  uecchi  il  fa  rifcaldare  ,  e'I  cal- 
do de*  gi  cu  uni  raffreddare . 

Zel.    che  bisbigli  tutto  di  l'oggi  fra  te  TieJJò  ? 

Thi.    Dico ,  che  mi  hauete  proprio  un  uifo  rojfo  , 

0*  infiammato  aguifa  di  un  Thedefco  cot- 

,  io  dal  uino .   h\a  eccout  il  Signor  Mone/è , 

che  e(c:e  di  cajìedo .   O  che  uentura  è  la 

uojìra . 

SCEJ^a   SETTIMA. 

ZELADELPHO,     MOnESB 
GIOVANE. 

OS  I  G  N  o  R  Monefe  a  tempo  ufcite 
di  Cafello .  lo  ueniua  appojìa  per 
trouarui  a  e  a  fa. 

Mtf.  Sara  adunque  la  mia  uenuta  a  te  buon  au- 
gurio j  si  come  ancora  io  fono  pronto  in 
fatti  per  farti  piacere ,  doue  pojfa  .  che 
bt fogna  ? 

Zel.  Certi  furfantelli  sfacciati ,  &  temerari 
fono  uenuti  in  cafa  mia  ,  &  hanno  con  ejfo 
loro  condotto  w.a  mia  fòrella  ,  ^  fualigia^ 
tomi  la  ca'a .  Et  perche  io  non  fo'xlio  in 
uendicare  le  mie  ojfefe  andare  per  altra 
ragione,  ne  per  altro  aiuto ,  che  per  cjuella 
delle  arme ,  &  di  queflo  braccio  ,  uorrei 
che  mi  defte  uenticinque  ,  o  trenta  alebar- 
d'eri  . 

Mo.  che  uuoitu  fare  di  alebardieri ,  fé  il  tuo 
£     // 


ATTO 

braccio  è  quello  ,  che  uuol  fare  quejla  uen- 

detta  ì 
Zei    O  non  fafjete ,  che  chi  per  me\o  ct^altrifa, 

fi  dice  fare  per  fé  mede/imo  ? 
Mo.    Non  farebbono  affli  tre ,  o  quattro  ? 
Zel.    NÒ  ,  perche  io  uoglio  far   pefiare  quefii 

ghiotti  più  minutamente  ,  cì;e  non  fi  fa 

la  carne  del  porco  ,  quando  fi  fanno  i 

falciccioli . 
Mo.     Tanta  crudeltà  ?      - 
Zel.    lo  ho  d'fcorfo    minntamente    la  qualità 

della  ingiuria  a  me  fatta ,  &  i^ouo ,  che 

altramente  non  fi  può  njlorare  il  mio 

honore  . 
Mo.     A/; ,  ah  ,  ah . 
Zel.    Voi  ridete  in  cofa  di  tanta  conftderatio- 

ne  . 
Mo.    S^ido  ,  ma  non  di  queflo  . 
Zel,    Di  che  adunque  ? 
Mo.    Io  mi  fono  ricordato  di  alcune  tue  ualorojt 

imprefe . 
Zel.    O ,  io  ne  ho  fatto  fen\a/ìne»    Ma  di 

quali ,  di  gratta  f 
Mo.    Yna  è  quella^  quando  dentro  Metellino 

tagltajìt  t  capelli  a  quella  femminella  . 
Zel.    Coft    bifogna  difciplmare   certe  bagafcie 

lorde  infanciofate ,  die  non  uoglicno  fa» 

re  differen"^  da  gli  huomini  a  gli  orci^ 

uoli . 
Mtf.    Et  quando  a  Napoli  defli  quella  mentita  al 

f achino  ,  che  ti  hauea  detto  captgliatore  ,* 

fnergognato ,  caparrane . 


CLV  I  N  T  O.  51 

La generojtta  mi  ritenne ,  che  io  non  caC' 
ciaf  mano  alla  Jpada  ,  che ,  in  uero ,  que» 
Jle  non  fino  arme  da  imbrattare  di  fan- 
gue  di  f achini . 

Ma  che  uuol  dire ,  che  non  facejli  nulla  a 
quel  giouanetto ,  che  il  dì  medeftmol  in 
contrada  di  Malpertugio  ti  getto  in  w'e7o 
al  fango  ? 

Perche  io  era  occupato  in  nettarmi  da  quel 
la  bruttura  i  per  non  dijpiacerc  ad  una 
mia  amorofa ,  che  quiui  dalla  finejìra  m\ 
attendeua ,  di  maniera ,  che  io  non  hebbi 
tempo  da  tifeutirmi .   Ma  fé  egli  Uaua 
..ad  af^etta^e  t*:-t  qttarto  di  bora . 
Chegìihaurefu  futto  ? 
che  gli  h-iurei  fatto  f  Gli  haurei  dato 
delle  per  e  offe  ,  o  fattomi  uobare  lafchena, 
fi  come  io  figlio  fare  co'fuoipari . 
lo  mi  indomno  ,  ZeUdelpho  ,  che  tu  hau' 
rejli  piacere  affare  qualche  bulata .    Et 
perciò  che  io  ancora  mi  diletto  uedere  di 
quejli  Jpett acoli ,  io  uoglio  compiacerti . 
Non  intendo  come  uogliate  compiacermi , 
Voglio  uenire  con  huomim  armati  con  ejjo 
teco  a  cafa  di  coforo  . 
Di  quejìo  appunto  ui  prego  io . 
Et  prometto  di  farti  reflituire  cto ,  che  ti 
hauranno  tolto . 

Anche  quejìo  mi  farà  caro  .  Ma  non  'uO' 
gli  opero  ,  che  fi  parli  di  pace ,  fi  prima , 
per  patto  tj^reffo ,  io  non  do  a  cojìoro 
quattro  pugnalate  per  ciafiuno .  Notate 
E     /// 


ATTO 

hert  qtiejìo  paffo . 
Ma.    Non  più ,  di  gratia .  Andiam», 

SCE^y£    OTT^Fjl. 

PHILARGIRO,     TIMEO.' 

SI  che  come  io  ut  diceua  ,  cfuejlo  Vhile* 
rote  è  c^uel  Carino  mio  figliuolo  ,  che 
altre  uolte  efjendo  fanciullo  mi  fa  da  i 
Corfali  rapito  ,  ^  nel  paffaggio  di  NatO' 
Ha  ,  per  quanto  ne  mandai  afpiare ,  uert" 
duto ,  che  fo  ,  che  uoi  mi  hauete  più  uolte 
per  lo  adietro  fentito  dolere  delU  fua  per- 
dita  . 

Ti.  Quepo  è  il  uero .  Mao  che  mi  dite .  egli  è 
deffo  ?  eh  . 

vhi.  DeJJo  è  .  cojt  ho  ritrouato  per  fegni ,  (^r 
argomenti  certifìmi . 

Ti.  Meffer  ?hilargtro ,  io  mi  allegro  con  uoi  » 
0  che  gran  piacere  ne  ftnto  io  .  Ma  che 
dice  mtjjer  ?aiifunia ,  che  lo  hauea  adot- 
tato f 

vhi.  Tacete  ,  che  non  ftpete  come  rag'onandofì 
hor  hora  fra  noi ,  con  quale  forte  dt  padre 
egli  doutffe  (lare  ,  <:<r  ciafcuno  di  noi  per 
fé  medefimo  uolendolo  ,  rimafl  fiamo  in 
un  helhjitno  ,  0-  raro  accordo . 

Ti.      che  accordo  f 

vhi.  llahhictmo  determinato  di  accommunare 
ogni  noflra  fxculta  infìeme  ^  mettendo  a 
mente  mobili ,  cafe  ,fundi ,  c^  figliuoli , 


Q^V  I  N  T  O;  s% 

C^  facendo  di  due  cafe  una  c^^fa  .  Del  che 
prefoci  habbiamo grandisfima  ìeùtia  ,  la^ 
quale  niuna  altra  cofa  è ,  che  la  po/fa  ac' 
crefcere ,  ^  compirli ,  faluo  il  uedere  fra 
noi  feguire  quejìe  no^e  .  Per  tanto  ^ 
ÌAeJJer  Timeo ,  non  mt  mancate  della  pa- 
rola uoflra . 

Voi  ui  douete  ricordare ,  me/fer  Vhilargì' 
ro ,  quando  primieramente  mi  parlajle 
del  fatto  di  Eromane ,  che  io  ui  rifpQ- 
jl  piacermi  il  genero ,  il  parentado  ,  ^ 
ogni  altra  cofa  ,  c^  perciò  uolentieri  ue- 
derei  fra  noi  feguire  quejìe  nol^e  .  U 
perche  ,  benché  la  fortuna  non  habbia 
Hohtlo ,  che  ci  riefca  di  farle  con  lui ,  io 
non  ttoglio  ,  che  uipenflate ,  che  cambialo 
mi  fia  di  partire .  Et  pereto  ut  dico  ,  che 
caro  ancora  mi  farà  che  Carino  .  o  vhile- 
rote  (  che  non  fa  come  per  lo  auenire  il 
thiamerete  )  diuenga  fuo  marito  ;  concor- 
rendo fpetialmente  che  i  fuoi  bttoni  porta- 
menti hanno  meritato  appreffo  mefjer  Patt 
fania  di  farlo  fare  franco  ,  ^  da  lui 
ejfere  per  figliuolo  adottato  .  SenT^a  che  io 
mi  trouo  affare  doppio  parentado . 
Datemi  la  mano ,  O  lodato  Dio .  io  hauro 
pure  una  letitia  da  me  lungamente  difl- 
derata  .  Ma  ecco  me/fer  vaufania  in  fu'd* 
ufcio.  Andiamo  a  trottarlo . 

E     /"//; 


ATTO 

PA  VS  AN  I  A  ,    TIMEO, 
PHIL  ARGIRO. 

AT  E  M  P  O  fona  ufcito .  ^gU  mi  i 
ben  certo  doluto  di  quello  brutto  at- 
to ,  mejjer  Timeo  ,  (jT*  mefjtre  Philargiro 
ut  può  ì)Auere  detto  che  r  timor  e  io  gliene 
habbia  fatto  in  capo  . 

Ti.  Appunto  per  tjuejìo  fo  io  bora  argomento, 
che  cjjo  fta  per  hauerìa  cara ,  0-  trattar" 
la  da  moglie  ,  poi  che  fi  tiede  in  lui  fi  fo' 
uerchio  amore . 

tfau.  lo  ui  ringratio  ,  che  maggiore  filma  fare 
uoglfute  della  amicitia  nofira  avtua  ,  ihe 
del  poco  fenno  di  un  giou.uietto  n/^mr.rato. 
Et  nel  uero  ,  io  fo  poche  cofe  ,  (he  t,mto  a 
grado  e/Jere  mi  potcffero  ,  come  ti  uuUte 
fra  noi  feguirt  cjuefia  no'^e . 

Ti,  lo  ettari  dio  ho  uoluto  haitere  quefia  con- 
tente'^\n  ,  per  molti  riJJ^etti ,  fra  t  quali 
quifio  non  è  il  minimo  ,  che  io  defìderaua, 
che  tanta  nofira  amicittafojfe  rtfiretta  di 
p'u  forte  ,  cìr  fitldo  legame . 

?Iji.    Siro? 

SCENA 


Q^V  I  N  T  O.  jj 

SCET^^   DECIMA. 

SIRO,   PHILA  RGIR  O, 
P  A  VS  A  NI  A. 


S 


I  G  N  O  R  E  ? 

?rendf  quejlo  anneUo ,  ^  Uditene  a 
cafa  mia ,  con  quefìo  fe^no  ,  0>  ài  che  ti 
lafcino  parlare  a  Dolane ,  che  quiui  trotte- 
rai legato  .  ¥atti  infegnare  doue  Jì  troui 
Cromane ,  ^guidalo  jubito  a  noi . 

S/.  Kon  è  meglio ,  che  Dolone  uenga  meco ,  eh» 
co  f,  più  tojlo  mi  potrò  Jpedire  f 

vhi.  Nò  ,  ch«  io  gli  uoglio prima  ricordare ,  che 
ccfa  Ita  lafcherntre  i  fioi  Signori . 

fan.  Non  mi  pare  honefto ,  mcfjer  vhilargiro  , 
che  perfana  alcuna  di  r^CtrA  cafa  ,  per  mt' 
nima  che  clhfia,  habbta  a  Ugnmare 
fra  tante  nojlre  letitie .  Si  che  perdonati- 
glt  a  quejìa  uolta . 

Ti.     Coft  ancora  a  me  pare . 

]?hi.  Or  fu ,  facciajì  il  uoflro  uolen .  V<i , 
Siro  yfcioglielo .  ¥a  come  ti  piace . 

P4«.  Andiamo  tn (afa, 

E     y 


ATTO 

ZELADELPHO,     PHILAClO, - 
MONESE,     SERVI. 

CH  E  io  patifca  coft  folenne  /corno  ? 
morirei  più  tofìo . 
vln.  Dne  pianamente  ,  che  fé  cojloro ,  che  ci 
uengono  dietro  ,  fi  imaginafjero  ,  che  fo' 
Jìe  per  fare  da  donerò  ,  fé  ne  andrebbono 
in  tanta  maVhora. ,  che  non  gli  p>otremm» 
rihauere  mai  piu . 
ZeL  Non  habbiano  paura .  Sono  ben  hmmo  io 
da  non  entrare  in  briga,  fé  non  aeggio  la 
battao-lia  uinta . 

o 

p/j/.    Co/7  fan  ftmprs  i  uojìri pari . 

Zel.  E?  a  quefìo  vhilerote  faro  ben  uedere  i»  , 
che  cofa  è  comperare  le  qutfìioni  per  altri 
a  danari  contavti . 

Thi.  O  pouereUo  ,  egli  non  Pha  ueduto  tagliare 
glihuominia  trauerfo ,  come  l'ho  ueduto 
10  fare  a  tamia  i  capponi ,  O"  i  rasittt- 
uoli. 

Zel.  Egli  è  uno  fiocco  ,  che  uà  cercando  il  ma»- 
le  ,  coìrie  i  medici .  Ma  fé  io  gli  fo  afj'ag- 
giare  quefla  mia  più ,  che  Fusberta ,  fy 
Durindana ,  il  diuido  fino  al  petto . 

Mo.  Se  tu  ti  leui  ancora  alquanto  più  in  punta 
di  piedi ,  ti  partirai  fino  alle  calcagna .  O 
egli  è  lo  sbardcllato  fchtappaferro . 

ZeL    il  tutto  confijìe  q^uì,  che  come /ìamo giuit' 


Q.  V   I  N  T  O.  54 

tt  ahi  capi ,  cojloro  /?  facciano  ben  fen- 
t  ir  e  gridando  tutti  ad  una  uoce  .  'Serra  , 
ferra .  Noi  faremo  loro  tanta  cacac^ola  , 
che  prima  fi  morranno  ,  che  fi  apparec- 
chino alla  dijfefa  .  Prouate  un  poco  . 

Set,  Noi  faremo  ogni  cofa,  ma  guardate  a  non 
ci  mettere  in  qualche  trauaglto  ,  che  noi 
non  ce  ne  pofsiatepoi  cauare . 

Zel.  Non  habbiate  paura.  La  mia  per  fona 
far  a  per  cento  .  Prouate  un  poco ,  fu . 

Ser.    Serra ,  ferra  ,  ferra . 

Zel    Mandate  fuori  le  uoci  unite  . 

Ser.    Serra  ,  ferra  ,  ferra . 

Zel.  Accelerate  le  parole ,  fi  che  paiate  adirati 
da  maladetto  fsnno  . 

Ser.    Serra  ,  ferra  ,  ferra  . 

Zel.  Serbate  a uefìo ,  lìaricoriattui  ad  aliare 
le  uoci . 

Mo.    Ah  ,  ah ,  ah . 

Zel.   T)i  che  ridete  ,  Signor  Monefe  ? 

Mo.  R  ido ,  the  pare,  che  tu  uoglta  loro  infegnd' 
re  la  fifa . 

Ser.  Alle  guagnele ,  Signor  Monefe,  none  da 
ridere  .  Venjiamo  un  poco  come  potrebbe 
di  caCa  tifare  quaUhe  ceruello  bi^arro , 
(y  fonarci  la  jchena  con  un  buon  pe'^o 
di.  legno.    ' 

Mo.    Qtiefo  mrrei  io  uedere , 

Ser.    Ne  io  rimarrà  ,  meffere  ,  perche  pare,  che 

altri  non  habbia  quefìo  aueìimento,  di 

dirui  ciò  ,  che  io  fento .     Che    Dianolo  ,' 

poi  (he  noi  andiamo  a  pofìa  per  entrare  io 

E     yt 


ATTO 

iaja  d*  coJloYù  ,  «0»  farebbe  meglio  gri- 
dar, apri ,  apri ,  the  far  ferrare  la  porta  f 

Zel.    Ah  y  ah  y  ah. 

Mo.    Ah  ,  ah  . 

Ser.  Deh  rijpondele  un  poco  ancora  a  me , 
Signor  Capitano . 

Zel.    Di  fu . 

Ser.  Noi  fappiamo ,  che  ajjai  uolte  fi  ferrano 
degli  ufi ,  0"  non  fichiauano  ,  per  tanto 
io  lauderei ,  che  per  fare  compiuto  lauoro 
fo/Je  meglio  a  gridare .   Chiana  ,  chiaua  . 

Ze/.  Ah  ,  ah ,  ah .  Moi  certo  non  uedejìe  mai 
bandiere  fuentolare ,  ne  gridar  ,  arme , 
arme .  Quefìa  è  una  uoce  apprejjo  coloro. , 
che  fi  intendono  della  guerra  ,  latjuale 
uien  a  fignificare  che  andare  hifogm  ben 
rifireltt  mfìeme,  zp"  non  aprire  ne  chiaua- 
re .  A  Hoi  yfarfetti  bianchi  ,0'ate  dalla 
penna  ,  che  fete  capi  di  Squadre,  c^  laa'^ 
Jpe'^ate ,  tocca  il  primo  ferire. 

Ser.  Come  il  prtirw  ferire  ì  Ejjere  i  primi  ad 
andare  inan\i  f 

Zel.  Mai  fi ,  io  ui  fo  quefio  uant aggio ,  perche 
fo  ,  che  defiderate  accjuifiar  honore 

Ser.  a/  corpo  di  San  B«omo  ,  non  uogliamo  già 
noi  ejjere  primi  a  corre  quefie  Juflne  acer- 
he  .  C'irne  canchero  efjere  quelli ,  che 
uadano  inan\i  f  Quefio  honore  fa  per  di 
altrui . 

Zel.  No»  dubitate ,  non  dubitate ,  che  io  ho 
tanto  ualore  in  corpo  ,  die  fé  e  ur  amente  ne 
pofjo  fare  feudo  a  tutti  uot  contro  a  $acri 


Q.  V  I  N  T  O  SS 

f^  alle  Colubrine . 

faremo  adunque  co/i .  Saremo  iprtmi  ai 
andare  con  fratto  ,  che  Jìamo  anche  i  primi 
a  prouare  fé  fapremo  correre  . 
Non  habbiate  paura  ,  m  dico  io .  Vateni 
attanti  uoi  altri .  Ecco  io  ui  partifco  a 
tre  a  tre  per  fila  ,  perche  con  la  battaglia 
quadrata  fi  combatte  più  Jècuramente . 
W4  doue  è  la  traue  da  Jpeware  la  porta  ? 
che  non  domanditu  più  tojlo  oue  fiano  i 
cannoni  da  ottanta ,  &  da  cento ,  per 
fare  la  batteria  ? 

Or  fu  ,  io  faro  Capitano ,  c^  Sergente, 
Marchiate  tutti  meco  infume .  Via  ,  che 
ui  facciate  fenttre .  S» . 
Serra  ,  ferra  ,  ferra  ,  ferra  . 
il  principio  è  fato  perfetto.  Voi,  che 
hauete  gli  archi,  Ubaleflre  ,gU  archibu' 
et ,  ponete  mente  tche  alcuno  non  uenga 
affare  dijfefe  alle  fnefre .  Voi  altri  tutti 
che  hauete  le  arme  hajlate ,  siringeteui  irt 
battaglia  dirincontro  alla  porta  ,  Et  fi 
come  a  ualorofi  ,  &  €sfor\adi  foldati  fi 
appartiene ,  ricordateui  dello  honor  mio , 
f^  del  uoflro . 

Signor  ,  Signore  ,  Siamo  rotti .  O  pouerini 
noi ,  Non  uederemo  mai  più  Kodi . 
Ah  y  ah .  Qel  p/m.ipio  da  incuorare  i  foU 
dati .  che  uuol  dire  f 
lo  ho  fentÌLo  gente  alla  porta .  Io  fon» 
certo ,  che  farà  buon  numero  di  gente . 
I0  vado  in  qua . 


A     T     T     O 

2e/.  Anch'io  audro  ara/Jet  tare  le  ultime  Jìle  . 
Et  quando  tempo  fura  ,faro  dare  princi- 
pio siilo  affaho . 

Ser.  Si ,  cg  V  17  ha  piantati  quk  come  torrioni 
contro  le  bombarde .  Noi  faremmo  ben 
faoschi  ad  allettare,  che  elle  ne  disfa- 
cejfero . 

Ma.  Non  ni  partite  di  luogo .  State  faldi ,  che 
no»  farà  niente . 

Ser.    Volta  ^  mila.    Chi  fi  può  faluare  ,  fi 


^aìui. 


MiJ.  Ah  ,  ah  ,  come  di  le^ieri  fi  mettono  in 
fugagli  ejferciti . 

PAVSANIA,    ZELADELPHO, 
SERVI,    MONESE. 

LAfciate  fare  ame ,  che  penfo  di  ripor- 
tarne honore.  che  nouelle  fono  que- 
/?e,  0  buon  compagni?  lo  fo  pure,  che 
noi  non  meritiamo  di  an'd^re  in  prigione , 
aguifa  di  ribelli ,  cy  che  uoi  non  fete  bir- 
ri,  di  uolerà  uenira  pigliare  fino  nelle 
proprie  cafe, 

Zel.  Che  dite  noi  di  nouelle  ?  Voi^ue  ne  auede- 
rete  a  mano  a  mano ,  one  non  reflituuiate 
il  ma!  tolto, 

P4«.  Di  gratta  gentìlhuomo  ,  fé  uoi  Cete  colui, 
cheva  qui  condottrcofìoro ,  fiate  coment» 
di  udire  quattro  parole  .     ■      . 


Q  V  1  N  r  O.  5<J 

Ze/.    Varoie  appunto ,  ,    .^ 

Fan.  vah ,  afcoltate.  Che  fapeti  mt  ito  ,  cbt 

io  intènda  dir  ut  ? 
Mo.    Eo^b  domanda  cofa  honefia . 
zd.    O-rJlt .  io  ne  udirò  anche  quaranta. . 
P4«.  Gentilhuomojopratlcanco  dtììa  anima 
mia ,  Crediate  ,  che  m  cjuejla  cafa  non  fi 
troua  ,  ne  anche  è  fiato  portato  del  uofiro 
tanto  ,  che  mi  fiejje  fulla  Utce  de  gU  oc- 
chi. Egli  e  cefi. 
Zel.    Se  cjuefio  foffe  il  nero  ,  a  che  fine  farefie 
mi  ufcito  di  cafa  a  parlarmi?  lo  non  uè  n$ 
*  credo  tanto  . 
Vat4.   O  ,  io  fono  ufi  ito  ,  coft  affine  di  torui  d$ 
capo  quefia  falfa  cì'eden':(a  ,  che  in  cafa 
mia  fi  tram    cofa   uofira  ,  come  ancora 
perclje  e  m'> pure  ufficto  da  huomo  da  bene 
lo   tntrometterfi  nelle    dijferentie  ,    O" 
farne  iifcire  gli  accordi . 
zc/.    In  quefìo  ,  cèrto  ,  la  fate  mi  da  uecchìo , 
come  fete  .    M4  io  non  fo  fé  lecito  fia  cofi 
a  ms  lo  afcoltartti ,  O'  come  a  noi  lo  intrO' 
metterui  negli  accordi .   Pur  dite  un  poco 
ftiCo  ,  che  accordo  uorrefie  uoi ,  che  fi  fa- 
ceffef  .       . 

Tau.   che  uolete  uoi  pi»  ,fe  non  che  refiitutto  «» 

fi^no  uofire  len'XuoU ,  O*  camicie  ? 
zel.  Ben  ,  quanto  fia  da  qttefio  canto  ,  uoi  mi 
refiituerete  ancora  la  trabacca  ,  la  fopra- 
uefia  ,  /  pennoni ,  il  cimiero  ,  &  '^  ^^^^ 
nente  di  ciò  ,  che  mi  è  fiato  tolto .  M4  <i. 
coki  che  fata  ì 


ATTO 

Pan.  Io  ni  diro  il  nero  ,  c/>s  per  U  hreulta  del 
tempo  non  fi  è  ancora  potuto  ragionare 
con  alcuno  di  loro ,  il  che  io  pur  uorrei  fa- 
re ,  per  intendere  ti  penfier  loro . 

Zel.  Qtiella  puttana  uacca ,  fé  ella  mi  fi  para 
dÌ4ian\i . 

Vau.  O  ,  non  dite  co  fi ,  pereto  che  ,  oue  auenljfe^ 
che  ella  uoleffe  più  tofio  uiuere  a  fuo  pi  ai  e- 
re  ,  (he  al  uoftro ,  io  non  fi  fé  la  ragione 
ui  concedere  ,  che  le  poisfie  fare  for"^  . 

zd.  Non  dite  più  aitanti .  Come  f  Penfate  mi, 
forfè  ,  di  ejjère  fojficieìHt  per  farmi  met- 
ter l'honor  mio  folto  a  piedi  ah  f  Vhonor  ' 
tnijahf  Hon  ne  fa  fatto  nulla  .  louoglio 
ogni  cofaper  for\a ,  Ct*  "*-'»  altramente . 
Su  ualent'huomint .  i^uefia  è  la  uolta  dtt 
fare  la  nnprefa  . 

Ser,    S''rra  ,  ferra  ,  ferra  ,  ferra  ,  ferra  . 

M'j.    Ah  ,  ah  ,  ah  ,  ah  ,  ah . 

Vau.  Ajpettatey  ajfjrmateui,  una  parola .  Cer- 
tamente ,  quefio  era  partito  da  prendePe  , 
luttafìai^a,  pofóa  che  uoi  ui  mofirate  tan- 
to ritrofi  affarìo ,  andate  che  ,  oue  coloro 
non  fipolfano  Jpiccare  l'uno  dalTaltra  ,  io 
ftPglio  ,  che  tfi  fa  dato  cincjuanta  ducati . 

2^^  Chi  mi  curo  io  d:  c:n:ju.int^  ducati?  Sa- 
tebbono  come  una  faua  ad  un  Leone  . 

Vau.   Ve  «?  furo  dare  fettanta . 

ZtL    P«r  forbici . 

Fau.   Certo ,  io  non  fo  perche  uoi  ut  rendiate 
tanto  df/ìsile  .    io  mt  ucrgognerei  cjuando 
mn  cotitfcejy'  / 1  o^eita  ,  f/^t  io  ui  ho  fat- 
ta ,  non 


Q.  V  I  N  T  O.  i7 

fa ,  non  ejjère  conueneuole . 

lei    Non  è  conueneuole  ,  ne  ragioneuole , 

?aH.  Ve  ne  faro  dare  ottanta ,  cento  ,  fé  li  do- 
uejfe  ben  pagare  io  .  Vedete ,  che  bella 
partita  è  cjùejìa  ,  &  fé  mi  non  bauete  a 
confentirle  ? 

lei  lo  non  fono  ufoauendere  l'honor  mio  a 
contanti ,  &  maggiore  Jlima  fo  io  dt 
quello ,  che  di  tante  facultà ,  come  fono 
quelle ,  che  io  hogiafpefo ,  &Jparfo  nella 
Cut  a  mia.  Vna  bella,  &  honefla  condt- 
tione  affé  ,  perche  uoi  il  dite .  maifi . 

P4«.  No«  penfate  ,  gentilbuomo\y  che  io  ui 
hahbta  fatto  quefto  parlare ,  per  denigra- 
re punto  lo  honore  uojìro  ,  Ne  perche  pia* 
tere  fthabbia  ,  che  Eromane  con  lei  uiua, 
come  che  ,  uolendo  effo  cofi ,  ciò  gli  fta 
ancora  per  ejfere  fofferto  dal  canto  noflr» 
per  atqiunti  dì  Ma,  perciò  che  efjendo 
egli  cofi  mia  cofa ,  come  dt  fuo  padre ,  19 
temo^JÌAndo  le  cofc  in  quefla  maniera, 
dt  qualche  fcandalo  ,  che  /eguire  ne  pò- 
tejje. 

Zei  lo  ucl  fo  dire  io  ,  che  fcandalo  ne  auerra 
la  prima  mlta  che  mi  abbatto  allui .  Gli 
fari)  ben  io  prouare  quefìe  mie  braccia ,  O* 
di  che  tempra  fiano  quejìe  arme . 

Vau,  Gentilhuomo  mio ,  io  uoglio  ,  chefippiatCt 
che  noi  uiuiamo  fotta  alla  ombra  dt  tali 
Signori ,  che  con  la  gratta  dt  Dio,  non  ci 
accade  temere  dt  utfo  arcigno  .  V>enche 
ancora,  quando  altra  ragione  non  àfoffe, 


ATTO 

/e  «0»  <^iiell.t ,  che  alle  mite  fi  fanno  le 
Arme.  Ma  io  non  diro  più  manti ,  acciò 
che  Ha  me  non  udiate  co  fa  ,  che  m  annoi . 
Solamente  ui  uo^lio  ricordare ,  che  a  uoi , 
&  (là  ogni  altro  dee  effere  caro  il  potere 
Jperimentare  dò ,  che  noi  uogliamo,  ^ 
poliamo  fi  come  amici ,  ma  come  ni  mici 


no 


Mo.    Or  fatti  un  poco  in  qua  zeladelpho . 

Ze/.    Be«  ,  che  mi  confìgliate  uoi  ? 

Mo.  Io ,  per  me ,  ti  U  udo  a  non  lafciare  perdere 
tante  tue  robbe ,  c^  beccandotene  fufo 
quejìi  cento  ducati ,  andare  per  i  fatti 
tuoi .  Tu  fei  pmsro  ,  Tu  fei  sbandito  da 
cafa  tua  ,  (^  Jpendi  largamente  .  Quefia 
è  una  uentura  (fé  uuoi ,  che  io  te'l  dica,  ) 
laqy^le  Iddio  ti  manda  auanti . 

Zel  Voi  non  dite  pofcia  come  fia  da  [offerire , 
the  mia  forella  faccia  a  me ,  ^d  paren- 
tado nojlro  tale  uergogna^O,  quejìo  mi 
pare  Jìrano . 

M<;.  Se  tu  fapejfi ,  o»  potejìi  pur  fare  di  meno, 
io  direi  non  ci  mancare  .  Minacciala, 
tienla  rinchiufa ,  falle  fare  la  guardia. 
Ma  io  ti  auifo ,  che  [e  ella  mrra  non  ti 
giouera  il  metterle  coltelli  alla  gola ,  le 
prigioni  non  faranno  fof fetenti  a  tenerla^ 
ne  cento  occhi  a  guardarla  .  Fercio  che  allo 
appetito  di  quefle  bejìie,  poi  che  elle  hanno 
una  uolta  dato  della  fliena  in  terra ,  non 
fi  troua  morfo ,  che  le  raffreni  . 

Zel.    lo  mi  trouo  impacciato . 


Q_V  I  N  T  O.  58 

Vedi  hoggimai  tu  .  Io  ti  ho  detto  il  parer 
mio  . 

Or  fu  ,  Jpeditela  .   Che  facciamo? 
No»  lo  tenere  piu  a  bada .   Kifoluiti  di 
farlo . 

Pigliate  quejii  cento  ducati,  &  farete 
bene . 

Uor  debbo  io  acconfentire  a  cfuejìo  accor^ 
do  ?  In  fomma  uoi  me  ne  conftgliate  ? 
Via,  fallo. 

Or  fu .  Certamente  quejlo  torto  non  era 
da  comportare  con  tanta  modejlia,  come 
io  ho  fin  qui  fatto  .  Et  di  uero ,  io  farei 
huomo^quando  bifognd(Je,\non  tanto  dari- 
fèntirmene ,ma  da  pagamelo  a  fette  doppi . 
No«  tante  parole ,  digratia .  Venite  alla, 
conchiufione . 

Per  amore  del  Signor  Mone  fé  qua ,  io  uo», 
glio  lafciarmi  reggere .   Quando  hauro  io^ 
le  mie  robbe  ,  &  qiiejli  cento  ducati  f  In 
Jìntrion  ftpuo  riparare  ,  che  colti  ancora 
non  uadu  a  Jlare ,  con  le  altre  fuepari,  a 
fatila  chiara  . 
Et  tu  con  lei  di  compagnia. 
Mandate  domani  a  che  hora  ui  place» 
Mi  date  uoi  cofl  la  fede  f 
Coflui  do  la  mano  da  leale  mercante,  C 
dagentilhuomo . 

Et  10  ancora  dono  la  uitaa  quel  uojlfo  gÌ9 
uane,&  feruafidr  quella  poltrona  a -"fu  A 
uogha  .  ilor  fu  ,  Signor  Monefe  ,  poi  che 
quejìa  pace  è  fatta  ^  andiamo  a  h:ri.. 


ATTO 

ÌAo.  "E que  faranno  quella  di  Marcane.  No» 
heuo  auanti  mangiare  io.  Cojìoro  tutti 
uerranno ,  ^  faranno  la  parte  loro ,  (^ 
la  mia . 

Ser.  Weniremo  a  bere ,  &  anche  a  mangiare , 
perche  oltra  quella ,  che  hahhiamo  fatto  , 
fiamo  pronti  affare  molto  maggiori  cofe 
per  lui  . 

Mo.  Siaddare  lo  ajfalto  aduna  infornata  di 
pane. 

Zel.  Honejla  cofa  è  fempre  il  guidardonare  i 
ualenti  faldati ,  che  nel  fatto  di  arme  fo' 
no  flati  cagione  della  uittoria  del  Princi- 
pe ,  Si  che  entriamo  .  Va/fa  auanti  phila- 
\  ciò  tu  a  rifciaquare  i  bicchieri .  A  nueder* 
ci  Signor  ÌAonefe . 

Spettatori  non  affettate ,  che  altri  più  a 
uoiefca.  Perciò  che  laComediaè  qui  fi- 
nita yC^  fé  ella  ut  è  piacciuta  fate  fe^ni 
di  ìetitia. 

J     E       F     I     N     E. 


REGISTRO. 

^     B     e     D     E. 

Tutù  fono  Seftemi . 


.■irti'-  ^^^ 


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