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Full text of "Crestomazia italiana dei primi secoli; con prospetto delle flessioni grammaticali e glossario"

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CRESTOMAZIA 

ITALIANA 


DEI    PRIMI    SECOLI 


CON 


trosp etto    delle   flessioni   granifnaticali 


e   glossario 


PER 


ErxNesto  monaci 


FASCICOLO  PRIMO 


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CITTA  DI  CASTELLO  :  S.  LAPI  EDITORE 


M      .      D  C  C  C      .      I.  X  X  X  I  X 


CONTENUTO  DI   QUESTO  FASCICOLO 


Avvertenza Pag.  ni 

1.  —  Carta  capuana  del  960 ^  i 

2.  —  Iscrizione  romana  anteriore  al  10S4 >  4 

3.  —  Carta  sarda  anteriore  al  10S6 »  ivi 

4.  —  Forinola  di  confessione '  5 

5.  ■ —  Carta  rossanese  del  1104  e  112  2 >  6 

6.  —  Iscrizione  ferrarese  del  1135 >  S 

7.  —  Cantilena  di  un  giullare  toscano >  9 

8.  —  Carta  sarda  del  1173 v  io 

9.  —  Carta  fabrianese  del  1186 >  n 

IO.  —    Sermone  in  dialetto  galloitalico >.  12 

11.  —  Contrasto  di  Rambaldo  di  Vaqueiras »  14 

12.  —  Cantilena  bellunese »  15 

13.  —  Carta  picena  del  1193 >  if» 

14.  —  Il  ritmo  cassinese >^  17 

15.  —  Frammenti  di  un  libro  di  banchieri  fiorentini  scritto  nel  1211.     ...  >•  19 

16.  —  Carta  sarda  del   1212 >  28 

17.  —  Cantico  di  S.  Francesco  d'Assisi. »  29 

18.  —  Carta  sangemignanese  del  1327 »  3^ 

19.  —  Formòle  epistolari  del  maestro  Guido  Fava  da  Bologna >  32 

20.  —  Lauda  del   1233 *  35 

21.  —  Ricordi  di  Matasala  di  Spinello  senese,   1233-43 '-36 

22.  —  Frammento  di  un  libro  toscano  di  ricordi  del   1235-36 »  40 

23.  —  Brano  di  atto  giudiziale  toscano  del   1236 »  ivi 

24.  —  Documento  ferrarese  del   1242 »  41 

25.  —  Iscrizione  veneziana  del   1249 >  ivi 

26.  —  Rime  di  Giacomo  da  Lentino,  il  Notajo v  ivi 

27.  —  Canzone  di  Pier  della  Vigna  da  Capua »  56 

28.  —  Canzone  di  Jacopo  Mostacci  da  Pisa »  5S 

29.  —   Tenzone  di  Jacopo   Mostacci,  Pier  della  Vigna  e  Giacomo  da  Lentino  »  59 

30.  —  Tenzone  dell'Abate  di  Tivoli  e  di  Giacomo  da  Lentino »  60 

31.  —  Canzone  di  Arrigo  Testa  d'Arezzo »  63 

32.  —  Canzone  di  Paganino  da  Serezano    . >  66 

33.  —  Canzone  di  Rugieri  d'Amici  da  Messina >  6S 

34.  —   Canzone  del  Re  Giovanni >  69 

35.  —  Canzoni  di  Federico  II  degli  Iloenstauffen >  71 

36.  —  Canzoni  di  Odo  della  Colonna >  7.S 

37.  —  Canzone  di  Ruggerone  da  Palermo >  77 

38.  —  Canzone  di  Tiberto  Galliziani  da  Pisa. •  >  7^ 

39.  —  Canzone  di  Percivalle  Doriada  Genova >  80 

40.  -    Canzone  di  Folcacchiero  de'  Folcacchieri  da  Siena >  81 

41.  —  Rime  di  Rinaldo  d'Aquino >  82 

■>''  42.  —  Canzoni  di  Giacomino   Pugliese .     .  >  88 

.43.  —  Canzoni  di  Compagnetto  da  Prato •  94 


Se^ue  in  terza  J>ai,^ì>i(i  della  copertina. 


7. 


»V^A.     f c«  ^ 


CRESTOMAZIA 

ITALIANA 


DEI   PRIMI   SECOLI 


CON 


prospetto    delle  flessioni   grammaticali 

e  glossario 


PER 


Ernesto  MONACI 


FASCICOLO  PRIMO 


CITTA  DI  CASTELLO  :  S.  LAPI  EDITORE 


M     .      DCCC     .     LXXXIX 


PROPRIETÀ    LETTERARIA 


AVVERTENZA 


In  questa  Crestomazia^  dedicata  alle  scuole  superiori  e  a 
chi  voglia  ristudiar  da  sé  la  storia  delle  lettere  italiane  nei  se- 
coli che  precedettero  il  rinascimento,  furono  raccolti  tutti  i  do- 
cumenti che  meglio  da  quella  età  ci  rappresentano  il  vario 
atteggiarsi  e  svolgersi  del  pensiero  e  della  parola  nostra  nel- 
l'arte contemporanea  e  nella  vita  reale. 

I  testi  diedi  a  fede  dei  manoscritti,  il  più  delle  volte  co- 
piati o  collazionati  per  questa  stessa  edizione.  Li  adattai  pe- 
raltro all'uso  moderno  nella  interpunzione,  nei  segni  diacritici, 
nel  riordinamento  dei  nessi  e  nello  scioglimento  delle  abbre- 
viature, cercando  così  di  agevolarne  a  tutti  quanto  si  potesse 
la  lettura,  senza  alterarli  nella  loro  essenza  o  nelle  peculiarità  del- 
la grafia.  Quando  poi  di  un  medesimo  testo  ebbi  dinanzi  più 
copie,  ora  riprodussi  una  per  intero  e  delle  altre  raccolsi  le 
varianti;  ora  di  tutte  diedi  la  riproduzione  integrale,  premet- 
tendovi un  tentativo  di  ricostituzione  critica;  ora  simile  ripro- 
duzione diedi  senz'altro;  ora  il  tentativo  critico  accompagnai  con 
le  varianti  sole;  ora  lo  spoglio  delle  varianti  limitai  ai  passi 
dove  il  senso  era  guasto.  Per  tali  guise  mi  studiai  di  accon- 
ciare l'edizione  alle  speciali  e  spesso  ben  diverse  esigenze  dei  sin- 
goli testi,  e  insieme  procurai  di  dar  materia  ai  corsi  universitari 
per  una  serie  graduata  di  esercitazioni  critiche  ;  quelle  eccet- 
tuate che  s'attengono  alla  paleografia^  per  cui  fu  ordinata  altra 


IV  Avvertenza. 


raccolta.  *  Similmente  alla  didattica  subordinai  le  illustrazioni 
dei  testi,  omettendo  i  e  omenti  propriamente  detti,  e  ponendo 
in  fin  del  volume,  nel  Prospetto  delle  flessioni  grammaticali,  nel 
Glossario  e  nell'Indice  delle  materie  la  dichiarazione  dei  voca- 
boli oscuri  e  la  nomenclatura  delle  forme  letterarie.  Nelle 
note  che  precedono  ciascun  testo,  mi  ristrinsi  alle  più  necessarie 
indicazioni  biografiche  e  bibliografiche. 

Circa  la  maniera   tenuta   nel   disporre  i  versi  di   parecchie 
liriche,    debbo    una    spiegazione.        In    ciò   l'uso   moderno   dif- 
ferisce assai  dall'antico:   oggi,  ponendo  tutti  i  versi  in  colonna, 
a  tutti  dando  la  iniziale  majuscola,   dovunque  togliendo  la  pun- 
teggiatura ritmica,  si  giunse  a  metter  fì,iori  della  stanza  quanto 
per  l' innanzi  era  valso  a  farne  comprendere  in  un  batter  d'oc- 
chio,  prima  anche  della  lettura,   la  distribuzione  delle  parti,  il 
parallelismo  delle  desinenze,   la  mutazione  musicale.        Ora,  se 
è  vero  che  il  perder  di  vista  tutto  ciò   è  come  perder  di  vista 
uno  degli  elementi  più  essenziali  di  quell'arte  che  in  ogni  figura 
vedeva  e  sentiva  un  simbolo,  parrà  anche,  opportuno  che  in  tal 
caso  si  ritorni  per  quanto  è  possibile  all'antico.       Dico  quanto 
è  possibile,  perocché  oggi,  naturalmente,  non  si  potrebbe  ravvivar 
più  l'uso  di  colorire  variamente  le  iniziali,  per  distinguere  piede 
da    piede    e    volte  da  sirima;  e  conviene  anche   rinunziare   per 
sempre   alla   punteggiatura   ritmica,   dacché  della   sintattica,    con 
la  quale  si  confonderebbe,  non  possiamo  più  far  di  meno.        Ma 
con  un  uso  più  ristretto  delle  majuscole  pur  si  giunge  tuttora  a 
mostrare  la  partizione  interna   della   stanza,    e    disponendo    due 
versi  per  riga  spesso  si  può  dare  più  giusto  risalto  alle  molte- 
plici combinazioni  delle  rime.        Questo  dunque  feci,  e  se  non 
lo   feci  per  tutte   le   liriche,    fu   perché    credetti   più    opportuno 
per  ora  in  un  libro  di  questa  natura  mettere  sott'  occhio  al  let- 
tore  ambedue  i  metodi  e   promuovere  sul   confronto  i  giudizj. 
Intanto   qui   ricordo  che  la  maniera  a  cui  s'accenna,   non   solo 
ha  per  sé  il  vantaggio  di  una  maggiore  perspicuità,  ma  è  anche 
più  dell'altra  giustificata  dalla  tradizione  antica,  siccome  sarebbe 
ovvio  il  dimostrare,  se  pei  più  ciò  non  fosse  superfluo. 

*  Facsimili  di  antichi  manoscritti  ad  uso  delle  scuole  di  filologia  neolatina  pubblicati 
da  E.  Monaci;  Roma,  Martelli,  1884. 


Avvertenza. 


Una  spiegazione  debbo  anche  rispetto  alla  misura  dei  versi. 
I  versi  ipermetri  qui  abbondano,  ed  era  pur  facile  il  più  delle 
volte  ridurli  al  giusto  con  alcuno  di  quei  troncamenti  che  sono 
nell'indole  e  nell'uso  della  lingua  nostra,  o  con  altro  simile 
spediente.  Nondimeno,  fuor  dei  casi  in  cui  la  pluralità  delle 
varianti  mi  faceva  lecito  di  attenermi  alla  lezione  più  misurata, 
quasi  sempre  mi  astenni  negli  altri  casi  dal  toccare  il  testo. 
Ora,  con  ciò  non  intesi  di  riconoscere  o  di  sospettare  in  uno 
od  in  altro  dei  nostri  poeti  una  ignoranza  o  una  obliterazione 
di  quelle  più  elementari  leggi  del  senso  ritmico  la  cui  antichità 
certo  risale  assai  più  su  dei  nostri  primissimi  rimatori.  Sola- 
mente mi  parve  che ,  non  potendosi  omai  negare  la  esistenza 
in  genere  dell'  ipermetro  nella  nostra  vecchia  poetica ,  ma  insieme 
non  essendo  ancora  determinati  tutti  e  singoli  i  casi  nei  quali 
siffatta  licenza  ammettevasi,  sarebbe  stato  per  lo  meno  assai 
incauto  il  procedere  fin  da  ora  alle  correzioni  contro  l'autorità 
dei  manoscritti,  tanto  più  che  agli  ipermetri  veri  e  proprj  sono 
da  aggiungere  le  semplici  parvenze  ipermetriche,  prodotte  dalla 
consuetudine  ,  nel  medio  evo  frequente ,  di  scrivere  le  parole 
intere  secondo  grammatica  e  di  troncarle  poi  nella  pronunzia 
siccome  suggeriva  l'uso  comune. 

Presentando  il  libro  al  pubblico,  sento  bene  che,  malgrado 
le  cure  adoperate ,  esso  è  rimasto  assai  al  disotto  dell'  ideale 
che  me  n'  era  fatto  nella  mente.  Possano  i  critici  mettermi  pre- 
sto in  grado  di  migliorarlo^  ajutandomi  a  correggerne  le  mende 
che  mi  saranno  sfuggite. 

Roma,  ottobre   iSSS. 


Ernesto  Monaci. 


CRESTOMAZIA  ITALIANA 

DEI    PRIMI    SECOLI. 


1.      CARTA  CAPUANA  DEL  960. 

Archivio  del  Monastero  di  Montecassino,  caps.  LVIII,  fase,  I,  n.  J:  scrittura 
originale  in  lettera  longobarda.  Fu  data  alle  stampe  prima  dal  Gattaia,  Accessio- 
nes  ad  histor iam  Cassinensem ,  p.  68,  poi  dal  Tosti,  Storia  delV  Abbazia  di 
Montecassino,  /,  220,  e  fu  collazionata  per  questa  edizione  dal  eh.  P.  Piscicelli.  È 
questo  il  pia  antico  documento  finora  conosciuto,  ove  s'' incontri  non  soltanto  qualche  pa- 
rola 0  frase,  ma  un  periodo  intero  scritto  in  volgare. 

In  nomine  domini  nostri  Jhesu  Xristi.  bicesimo  primo  anno 
principatus  domni  nostri  Landolfì  gloriosi  principis,  et  septimo  decimo 
anno    Pandolfi,    quam    et    secundo  anno   principatus  domni  Landolfi, 

4       excellentissimis    principibus   ejus   filiis,    ....ante   mense  martio,  tertia 

indictione.       dum  nos  Arechisi   judex  cibitatis   capuane judican- 

dum  et  definiendum  causantibus  die  quadam  erga  nobiscum  ades- 
sent  ceteris judicio,  domnus  Aligernus    venerabilis    abbas    mona- 

8        sterii   sancti  Benedicti  situs  in  Monte  Casino erga  secum  haben- 

do  Petrum  clericum  et  notarium  abbatie  predicti  sui  monasterii  ex 
parte  etenim,  et ... .  homo  nomine  Rodelgrimus,  tilius  quondam  Lupi, 
qui  fuit  natibo  de  Aquino.       qui  cum  venissent  et  essent  exconjuncti, 

12  tunc  ipse,  qui  supra  Rodelgrimus,  contra  supradictum  dominum  Ali- 
gernum  abbatem...  unam  abbreviaturam,  in  qua  erant  scripte  terre, 
in  finibus  Aquino,  per  has  fines,  idest ....  habentes  fines  :  ab  una 
parte  line  Rapidu,  de    alia  parte   fine   ipsu   Carnellu,  de  tertia  parte 

16  fine  ribo  qui  dicitur  de  Marocza,  et  fine  Farnictu,  et  fine  lacum  qui 
nominatur   de   Ra....    et    quomodo  vadit  usque  in  silice;    de   quarta 

4.   ^ui  e  appresso  i  puntini  stanno  in  luogo  delle  lettere   che    nel  tns.  non   sono  più 
leggibili. 


Carta  capuana  del  g6o. 


SEC.    X. 


autem  parte   fine   ipsa  silice,  ipsa   alia   terra....  quomodo  incipit  de 
ipsa  Cosa,  et  salit  per  ipsum  montem  qui   dicitur  Sancti  Donati  per 
me .... ,  et  quomodo  descendit  super  ipsi  monticeli!  de  Marri,  et  vadit      20 
ad  Vpsi  Pleschi,  qui  sunt   ad   pede....    monte  de  Balba,  et  quomodo 
vadit  inde  per  duos  Leones,  et  inde  salit  per  ipso  serre  super....  et 
inde   descendit  per  ipsum   montem  super  ipsa  bilia   de   Gariliano,  et 
inde  vadit  ad  ipsum  Pleschi,. ..  nominatur  Grupta  Imperatoris,  usque      24 
ad  ipsum  flumen.       et  causare  contra  eum  cepit  dicendo,  ut  p...dicti 
eius  monasterii  infra  predicte  fines,  que  ipsa  abbrebiatura  continebat 
habere...  et  terris,    que   ipsius  Rodelgrimi   pertinerent  per  heredita- 
tionem  genitoris  et  abii  sui  et  de  aliis  ....bus  suis;  querebat  exinde      28 
ab  eo  audire  responsum,  et  secundum  lege  exinde  cum  eo  finem  fa- 
cere,       qui   domnus  Aligernus  abbas,  erga  secum  abendo  predictum 
abbocatorem   suum,  hec    audiens,  dixerunt,    ut   pars  predicti  sui  mo- 
nasterii legibus  haberet  et  possideret  integre  superìus  diete  terre,  que      32 
predicta  abbreviatura  continebat,  que  ipse  Rodelgrimus   ostendebat; 
eo  quod,  dicebat,  ut  pars  memorati  sui  monasterii  ipse  jam  per  tri- 
ginta  annos  possedissent,  et  talem  se  dicebat  exinde  secundum  legem 
per  testes  potererent ....  probationem.       nos  vero,  qui  supra  Arechisi      36 
judex,  cum  talia  audivimus,    diximus   ipsius   Rodelgrimi,  ut...  nobis, 
si  haberet  de  predictis  terris  scriptiones,  aut  si  poteret  secundum^  le- 
gem comprobare  quomodo  infra  supradicte  finis  terre  haberent.  ^    ille, 
quo  auditus,  manifestabit,  ut   scriptiones   non   haberet,   nec  talia  se-      40 
cundum  lege  comprobare  poteret.       ideo  nos,  qui  supra  judex,  judi- 
cabimus,    et    per   nostrum  judicium  eos  gaudiare  fecimus  tali  tenore, 
quatenus  ipse,  qui  supra  Rodelgrimus,  plicaret  se  cum  lege,  et  ipse.... 
Aligernus  benerabilis  abbas  prò  pars  memorati  sui  monasterii  faceret      44 
ei  per  testes  talem  consignationem  se....  lege,  ut  singulo  ad  singulos 
ipsi  testes  ejus  teneat  in  manum  supradicta  abbrebiatura,  quam  ipse 
Rodelgrimus  ostenserat,  et  testificando  dicant  :  SAO  ko  kelle  terre, 

PER    KELLE    FINI    QUE    KI    CONTENE,    TRENTA    ANNI    LE    FOSSETTE    PARTE        48 

SANCTI  BENEDiCTi;   et   firmarent   testimonia   ipsa  secundum   lege  per 
juramenta.       et    de   taliter  inter  se  complendum  mediatores  Inter   se 
posuerunt   et   abierunt.       in    costituto   vero,    quod   inter   se   positura 
habuerunt  pariter  ambarum  partes  nostra,  qui  supra  Arechisi  judici,      52 
presentia   sunt   reconjuncti:   ipse   Rodelgrimus    a   parte   sua   paratus 
erat  cum  Evangelia,  bolendo  a  predicto    venerabile   abbate  predieta 
testimonia  et  ipsa  sacramenta  recipere  ;  et  jam  dictus  domnus  Ahger- 
nus   abbas   prò  parte  memorati  sui  monasterii  paratus  erat  cum  hos      56 
testes  suos,  idest  Theodemundum  diaconum  et  monachum,  et  Marcum 
clericum  et  monachum,  et  Garipertum  clericum  et  notarium;  et  cum 
sacramentalibus   legitimis   volendo  ipsius  Radelgrimi  predicata  testi- 
monia   dare,    et   secundum   lege   per   sacramenta   firmare.       cumque      60 
nos,  qui  supra  judex,  taliter  eos  per  partes,  secundum  lege,  paratos 
constiteremus,   sicut   nobis   jussum   fuit,  a  predicto  domino   Landulfo 


SEC.    X.  Carta  capuana  del  góo.  3 

glo  rioso  principe,  ut  predicta  testimonia  exinde  nos  reciperemus,  in- 
64     terrogabimus   predi  cti    testes,    si   inde    venissent   prò   pars   memorati 
monasterii  testimonia  reddendum,  indicarent  nobis.       illi,  quo  auditi, 
dixerunt  ut  inde  venissent,  et,  quod  rectum  exinde  scirent,  indicarent 
nobis.       et  tunc   fecimus    eos    separari ...  ;    predictum   Teodemundum 
68      diaconum   fecimus  duci  in  partem  unam,    et    memoratum  Garipertum 
clericum  et  notarium  duci  ex  parte  alia,  predictum  Marcum  clericum 
et  monachum  ante  nos  stare  fecimus;  quem  monuimus  de  timore  Do- 
mini, ut  quod  de  causa   ipsa    veraciter   sciret,    indicaret  nobis.       ille 
72     autem,  tenens  in  manum  predictam  abbreviaturam,  que  memorato  Ro- 
delgrimo  ostenserat,  et  cum  alia  manu  tetigit  eam,  et  testificando  dixìt  : 

SAO  co  KELLE  TERRE,  PER  KELLE  FINI  QUE  KI  CONTENE,  TRENTA  ANNI 

LE  FOSSETTE  PARTE  SANCTi  BENEDiCTi.  deinde  ante  nos  benire  fecimus 
76  predictum  Theodemundum  diaconum  et  monachum,  quem  similiter  mo- 
nuimus de  timore  Domini,  ut  quìcquid  de  causa  ista  veraciter  sciret,  dì- 
ceret  ipsas.  ille  autem,  tenens  in  manum  predicta  abbrebiatura,  et  cum 
alia  manu  tangens  eam,  et  testificando,  dixit  :  sao  ko  kelle  terre, 

80       PER    KELLE    FINI     QUE    KI   CONTENE,    TRENTA    ANNI    LE    FOSSETTE    PARTE 

SANCTI  BENEDicTi.  nobissimc  cum  fecimus  ante  nos  benire  memo- 
ratum Garipertum  clericum  et  notarium,  et  ipsum  similiter  monuimus 
de  timore  Domini,  ut  quod  veraciter  sciret  de  causa  ista,  diceret  eos. 
84  ille  autem,  tenens  in  manum  msmoratam  abbreviaturam,  e  t  tetigit 
eam  cum  alia  manu  et  testificando  dixit:  sao  ko  kelle  terre,  per 

KELLE  FINI  QUE  KI  CONTENE,  TRENTA  ANNI  LE  FOSSETTE    PARTE    SANCTI 

BENEDiCTi.       cumque  taliter  toti  tres  quasi  ex  uno  ore  exinde  testificas- 

88  sent  ;  posita,  ipse  qui  super  Rodelgrimus,  ipsa  Evangelia,  juraberunt;  et 
toti  tres  predicti  testes  singulo  ad  singulos  tangentes  ipsa  Evangelia, 
et  dixerunt  per  sacramentum  ut  sic  esset  veritas  sicut  illi  de  causa 
testimonium  reddiderunt.       ipsi  vero  reliquos  sacramentales,  qui  exinde 

92  prò  pars  memorati  monasterii  jurare  debuerunt,  noluit  ipse  Rodelgri- 
mus eos  recipere,  set  per  fustem  ipsos  predicti  domini  abbati  dona- 
bit,  et  launegilt  exinde  ab  eo  recepit  mantellum  unum  in  omni  deci- 
sione,   et   in   ea   ratione,  ut   si    aliquando  ipse    Rodelgrimus  vel  ejus 

96  heredes  hanc  dationem  aliquando  per  qualecumque  ingenium  disrum- 
pere  vel  remobere  quesierint,  centum  bizantinos  solidos  pena  se  et 
suos  heredes  eidem  domino  abbati  et  ad  successores  suos  et  pars 
memorati  monasterii  componere  obbligavit;  et   eadem   donatio   firma 

100  permaneat  semper.  dum  nos,  qui  supra  Arechisi  judex,  taliter  ante 
nos  hec  omnia  supradicta  facta  et  perfecta  conspeximus,  prò  recor- 
dandum  in  perpetuum  ea  omnia,  qualiter  superius  gesta  sunt,  quam 
et   prò   securitate   memorati    monasterii    et    de    ejus    abbatibus    atque 

104  successoribus,  de  jam  dictis  terris  hunc  emisimus  judicatum,  quod 
tibi  Adenolfo  notarlo,  qui  ibi  fuisti,  scribere  jussimus.  ego  qui  su- 
pra Arechisi  judex.  ego  Atenolfus.  ego  Petrus  clericus  et  nota- 
rius.       ego  Petrus  notarius. 


Iscriziojie  romana.   Carta  sarda. 


SEC.    XI. 


2.      ISCRIZIONE  ROMANA  ANTERIORE  AL  1084. 

In  Roma,  tiella  basilica  inferiore  di  S.  Cleinenfe,  scomparsa  sotto  le  rovine  durante 
il  saccheggio  che  per  opera  di  Roberto  Guiscardo  desolò  nel  1084  specialmente  la  re- 
gione del  Celio,  si  rinvennero  quattro  piloni  con  pitture  a  fresco,  fattevi  eseguire  da  un 
tal  «  Beno  de  Rapiza  cum  uxore  sua  Maria  » .  Queste  pitture  rappresentano  scene  della 
vita  di  S,  Clemente,  ìionché  la  traslazione  del  corpo  di  lui  0  piuttosto  di  S.  Cirillo  dal 
Vaticano  alla  basilica  celimontana',  v.  De  Rossi,  Bullettino  di  archeologia  cri- 
stiana, ser.  II,  a.  I,  p,  140;  ed  una  di  esse  e  accompagnata  da  una  leggenda  in  parte 
volgare  che,  attesa  la  sua  antichità,  merita  di  non  andars  esclusa  da  una  raccolta  di 
questa   spcie.       Il  disegno    che  ne  diamo  e  riprodotto   da  una  fotografìa. 


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falite  dereto  co  lo  palo,  carvoncelle.  duritiam  cordis 
vestris.  saxa  traere  meruistl  cos.  maris  :  albertel,  trai, 
sisinium:  fili  de  le  pute,  traite. 


3.      CARTA  SARDA  ANTERIORE  AL  1086. 

Pergamena  originale  nel  R.  Archivio  di  Stato  in  Pisa  ;  fu  pubblicata  da  L.  Tanfani 
nelV Ar chivio  storico  italiano,  ser.  Ili,  voi.  XIII^  p.  3Ò3.  Il  Gelardu,  o  Ge- 
rardo, nominato  alla  r.  io,  fu  vescovo  di  Pisa  dal  1080  al  fo8j;  v.  Gams,  Ser ies  epi- 
scopo rum  ecclesia  e    catholicae,  p.  "/Ói. 

IN  nomine  Domini,  amen,  ego  judice  Mariano  de  Lacon  fazo 
ista  carta  ad  onore  de  omnes  homines  de  Pisas  per  xu  toloneu  ci  mi 
pecterunt,  &  ego  donolislu  per  cali  sso  ego  amicu  caru,  e  itsos  a  mimi, 
ci  nullu  inperatore,  e'  il  vaet  potestare  istum  locu  de  Non,  n'  apat 
comiatu  de  levarelis  toloneum  in  placitu;  de  non  occidere  pisanu  in 
gratis,  &  ccausa  ipsoro  ci  lis  aem  levare  in  gratis,  de  faccerlis  justi- 
tia,  inperatore  cince  aet  exere  intu  locu.       e  ccando  mi  petterum  su  to- 


I,  ego]  ms.  &go,  così  anche  alle  r.  3,  9,  15. 


SEC.  XI?  Formala  di  confessione,  5 

8  loneu  ligatarios,  ci  mi  mandarum  homines  ammicos  meos  de  Pìsas, 
fuit  Falceri  &  Azulinu  &  Manfridi  ;  ed  ego  fecindelis  carta  prò  honore 
de  xu  pisccopum  Gelardu  &  de  Ocu  biscomte  &  de  omnes  consolos  de 
Pisas,  e  ffecila  prò  honore  de  omnes  ammicos  meos  de  Pisas,  Guido 

12  de  Vabilonia  &  Lieo  su  frade,  Repaldinu  &  Jannellu  &  Valduinu  &  Ber- 
nardu  de  Conizo,  Francardu  &  Dodimundum  &  Brunu  &  Rranuzu  & 
Vernardu  de  Garulictu  &  Ttornulu  :  persiant  in  onore  mea  ed  in  aju- 
toriu  de  xu  locum  meu.       custu  placitu  lis  feci  per  sacramentu  ego 

i6     e  domnicellu  Petru  de  Serra  &  Gostantine  de  Azzem  &  Voso  Vecce 

su &  Dorgotori  de  Ussam  &  Nniscoli  su  frade Niscoli  de  Zor 

Mariane     de  Ussam,  Pet  — 


4.      FORMOLA  DI  CONFESSIONE. 

Roma,  Biblioteca  Vallicelliana,  Coi.  B,  ój,  miscellaneo,  proveniente  dalt antica  Aba- 
zia di  S.  Eutizio presso  Norcia;  E.  Monaci,  F acsimili  di  antichi  manoscritti  ad 
uso  delle  scuole  di  fi  lo  logia  neolatina,  Roma,  Martelli,  1880,  ig  e  ao.  Il 
Flechia,  che  pubblicò  questa  forinola  neW  Ar  chivio  g  lo  tto  lo  gic  o  italiano,  VII, 
I2T  e  ss.,  inclina  ad  attribuirla  «  ad  epoca  che  non  dovrebbe  discostarsi  molto  dal  1000.  » 
Ma  la  sancta  treva,  menzionata  alla  r.  17,  cominciò  soltanto  dopo  il  1040,  e  Urbano  IT 
fu  il  primo  papa  che  le  desse  sanzione  universale  nel  lojs. 

CONFESIO. 

D-nt. 
OMiNE,  mea  culpa.       confessu  so  ad  me  senior  Dominideu  et  ad 

mat  donna  sancta  Maria  et  ad  s.  Mychael  archangelu  et  ad  s.  Johanne 
Baptista  et  ad  s.  Petru  et  Paulu  et  omnes  sancti  et  sancte  Dei,  de 
omnia  mea  culpa  et  de  omnia  mea  peccata,  ket  io  feci  da  lu  batismu 
meu  usque  in  ista  hora,  in  dictis,  in  factis,  in  cogitatione,  in  locutio- 
ne,  in  consensu  et  opere,  in  perjuria,  in  omicidia,  in  aulteria,  in  sa- 
crilegia,  in  gula,  in  crapula,  in  commessatione  et  in  turpis  lucris.  me 
accuso  de  lu  corpus  Domini,  k'  io  indignamente  lu  accepi.  me  ac- 
cuso de  li  mei  adpatrini  et  de  quelle  penitentie  k'  illi  me  puseru  e 
nnoir  observai.  me  accuso  de  lu  genitore  meu  et  de  la  genitrice 
mia,  et  de  lì  proximi  mei,  ke  ce  non  abbi  quella  dilectione  ke  me  se- 
nior Dominideu  commandao.  me  accuso  de  li  mei  sanctuli  et  de  lu 
sanctu  baptismu,  ke  promiseru  prò  me  et  noli'  observai.  me  accuso 
de  la  decema  et  de  la  primitia  et  de  offertione,  ke  nno  la  dei  sic- 
como  far  dibbi.  me  accuso  de  le  sancte  quadragessime  et  de  le  vi- 
gilie de  r  apostoli  et  de  le  jejunia  .iiii."'"  tempora,  k'  io  noli'  ©servai, 
me  accuso  de  la  sancta  treva,  k'  io  noli'  observai  siccome  promisi, 
me  accuso  de  .v.  sensus  corpori  mei,  visus,  auditus,  gustus,  odoratus 

I.  mat  donna]  cos^  anche  alla  r.  28;    legg.    mater,  donna?   ovvero    matdonna  per 
madonna? 


6  Carta  rossaìiese  del  1104  e  1122,  SEC.  xn. 

et  tactus.  me  accuso  de  .vii.  pricipali  vitìa  et  de  .vii.  criminali 
peccata,  he  cke  d'esse  se  genera,  et  quecumque  humana  fragilitas  pec-  20 
care  et  polui  potest.  de  istis  et  his  similia  si  men  demecto  en  col- 
pa, corno  ipsu  Dominedeu  lo  sa,  k'  io  menesprisu  de  sono.  pregon- 
de  la  sua  sancta  misericordia  e  la  intercessione  de  li  soi  sancti  ke 
me  d' aja  indulgentia.  et  pregonde  te,  sacerdote,  kend' ore  prò  24 
imi  miseru  peccatore,  ad  dominum  nostrum  Jhesum  Xristum,  et  die 
mende  penitentia,  ke  lu  Diabolu  non  me  de  poza  adcusare,  k'  io  ju- 
decatunde  no  sia  de  tutte  le  peccata  mie. 

Da  la  parte  de  me  senior  Dominideu  et  mat  donna  sancta  Maria     2S 
et  de  s.  Mychael  et  de  s.  Johanne  et  de  s.  Petru  et  s.  Paulu  et  de  omni- 
bus sanctis  et  sancte  Dei,  et  meu;     si  age  tu  judicium  penitentie  per 
unumquemque  peccatu,  siccó  tu  facte  1'  ài  da  lu  baptismu  tou  usque 
in  ista  bora.       et  comò  li  sancti  patri  constitueru  ne  le  sancte  e  anule     32 
et  lege,  et    derictu  est    et  tende  vene,  tu  sinde  sie    envestutu,  ke  lu 
Diabolu  no  tende  poza  accusare  ken  tu  judecatunde  no  sie  en  questa 
vita  prò  raccar  quella.       et  qual  bene  tu  ài  factu  ui  farai  en  quan- 
nanti,  ui  altri  farai  prò  te,  si  sia  computatu  em  pretiu  de  questa  pe-      36 
nitentia.       se  ttou  judiciu  ene  ke  tu  ad  altra  penitentia  no  poze  accor- 
rere,   con  questa    penitentia    et    coll'altre    ke    tu   ài  levate,  si  sie  tu 
rappresentatu  ante  cospectu  Dei,  ke  lu  Diabolu  no  tende  poza  accu- 
sare ke  ttu  nde  non  sie  pentitu.       per  intercessionem   beatissime  Dei     40 
genitricis  ejus  semper  virginis  Marie  et  omnium  sanctorum  atque  sanc- 
tarum    misereatur  tibi  omnipotens    usque  in  finem.      indulgentiam    et 
remissiones,  absolutiones  omnium  peccatorum  tuorum  et  spatium  vere 
penitentie  et  cor  penitens  tribuet   tibi   omnipotens  et   misericors    Do-     44 
minus.       amen. 

26.  poza]  il  ms.  ppza.  35.  raccar]  corr.  racatar.?  36.  altri]  il  ms.    alti. 


5.      CARTA  ROSSANESE  DEL  1104  E  1122. 

L''originale  stava  nell'Archivio  Capitolare  di  Rossano  in  Calabria  quando  fu  pubbli- 
rato  dalV  Ughelli  neW I talia  Sacra,  IX,  jSj  (ediz.  di  Roma).  Non  avendo  potuto 
far  collazionare  il  testo  uffhelliano,  lo  riproduco  tal  quale,  benché  in  più  luoghi  la  le~ 
zione  sia  evidentemente  guasta. 

XvoGERius  Comes  &c.  Sigillum  factum  est  ex  nostra  parte  Ro- 
gerio,  comite  Calabria^  &  Siciliaì,  &  datum  est  tibi,  patri  spirituali 
meo,  domino  Bartholomeo  venerabili  abbati  abbatia;  sanctas  Dei  geni- 
tricis virginis  Marise  Odigitriae  Ursianam,  in  mense  septembrìs,  indi- 
ctione  duodecima   . m .  e. mi . 


SEC.  XII.  Carta  rossanese  del  1104  e  1122. 


Borium  &  optimum  ante  Deum  est  omnes  benefacientes  ;  &  quoniam 
ipsi  mediabimini,  quae  midiam  habuerunt,  nos  autem  vìctantem  vir  reli- 

S  giosì,  &  sancto  pronominato  Bartholomeo  venerabili  abbati  desideravi- 
mus  partem  habere  in  beneficiis  ecclesige  sanctae  Dei  genitrix  Mariaì  no- 
vam  Odigitriam.  unus  autem  ex  nostris  hominibus,  Guidelmus  de  Jos- 
dum  nomine,  fìlius  Framundus,  terram  liabebat  juxta  ipsa  prsedicta  ab- 

12  batia  in  pertinentiae  Viscanum  civitate,  &  Torillianam,  &  Sancto  Mauro 
in  pertinentia  Rosianam  civitatem,  casalem  quo  dicitur  Sancto  Petro, 
Torillianam  cum  totam  suam  pertinentia,  hominibus  &  terra  labrantes, 
vel  non  labrantes,  montaneas,  vineas,  gerdinos  una  cum  molino,  quod 

16  in  ipso  flumine  Corilliano  est,  cum  toto  tenimento  &  pertinentia^  & 
villanis  iuris,  &  iurisdictionis,  &  similiter  cum  totis  hominibus  de  ipso 
leno,  quos  in  civitate  Rusinam  habitantes  sunt,  tanti  creditores,  & 
omnia  eorum,  &  in  pertinentia  Sancto  Mauro  casalinos  tres,  uno  ca- 

20  sale,  quod  dictur  de  Cephalino,  cum  flumine  qui  currit  per  pertìnentiee 
ipsius  casale  ;  casale  Cephalimon  nomine  cum  existentes  molinos  omnes, 
quae  tenet  Framundus,  &  hominibus  suis  in  eodem  flumine  Cephalino, 
&  similiter  villanis,  &  juribus,  &  jurisdictionibus,  &    aliud  casale    de 

24  Sancto  Jorio,  &  aliud  casale  de  la  Cona  cum  omnibus  hominibus 
qui  sunt  in  dictos  casales,  sicut  tenuit  Framundus  cum  montes  & 
montaneas,  aquas,  herbas  &  mulendinia,  jardinos,  jura  &  jurisdictio- 
nibus, &  omnia    quae   tenebat   dictus  Framundus  de  majore  usque  in 

28  minima  causa.  hiis  finibus  terminatis,  videlicet  incipiendo  da  li  fi- 
naudi,  «&  recte  vadit  per  serram  Sancti  Viti,  &  la  serra  ad  hirta  esse 
per  dieta  serra  Gruinico,  e  ly  tronte  tronti  aqua  trondente  inverso 
Torilliana,  &  esse  per  diete  fronte  a  lo  vallone  de  Ursara,  &  lo  val- 

32  Ione  apeneino  cala  a  lo  Forno,  &  recte  ferit  ad  humare  Malbran- 
tati,  &  per  dieta  flumaria  ad  hirto  ferit  a  lo  vallone  de  li  Caniteli, 
&  prsedicto  vallone  ad  hirto  esse  supra  la  serra  de  li  Palumbe  a  la 
crista  custa,  &  per  dritto  ferit  ad    ecclesiam  Sancti   Petri,  &  deinde 

36  vadit  a  lo  vado  dicto  da  Thomente,  &  ferit  per  dritto  ad  ecclesiam 
Sancti  Andreas,  &  dieta  ecclesia  Saneto  Andrea  abe  ortare  unum  et 
non  aliud,  &  deinde  vadit  ad  serram  Matana,  &  dictam  serra  apen- 
dino,  &   cala  allo  vallone  de  donna  Leo,  &   lo  vallone  apendino  ferit 

40  a  la  via  che  vene  ad  Santo  Jorio,  &  volta  supra  l'ara  de  li  Mara- 
Cini,  et  ferit  a  la  gumara  de  ly  Lathoni,  «&  a  la  gumera  de  Apen- 
dini,  &  esse  a  Santa  Maria  de  Jesus  a  facto,  &  deinde  esse  a  la  thu- 
bita  marina  he  venit  ad  Sanetum  Maurum,  &  per  dieta  balia  vadit  a 

44  li  finaude  unde  incipit.  similiter  offerimus  tibi  praenominato  mona- 
sterio  hominibus,  qui  sunt  in  castello  Saneto  Mauro  cum  h^redibus,  & 
etiam  causa  eorum  similiter  Landrino,  &  Rinolfo  milytes  cum  totus 
tereo,  &  servitium  cum  tulsuras   flumine   grati  &  in  pertinentia  Ru- 

18.  Rusinam]    legg.   Rusiana  44.  finaude]    //  testo  ugheUiano  ha  finande,  ma 

cìif.  alle  r.  2S-29. 


Iscrizione    ferrarese  del  iiJS'  sec.  xn. 


sianam  civitatem  in  Sancto  Mauro   haec  omnia  suprascripta  sunt,  sicut      48 
tenuit  Framundus,  &  postea  fratrem  suum  Rìnaldus.       ideo  Guidelmus 
de  Losdum,  qui  michi  omnia  reliquit,  offero  &  confirmo  in  sancta  ab- 
batia  sanctae  Dei  genitrix  virginis  Mariae,  quae  dicitur  nova  Odigitria, 
Se  in  venerabili  &  religiosi  abbati,  domino  Bartholomaso  &  omnibus  sue-      52 
cessoribus  suis  usque  finem  SEeculi,  prò  redemptione  animas  patris  mei, 
&  mea,  &  salutis  animae,  &  redemptionem  peccatorum  suorum  fidelem 
meo  admiratus  domino  Christodolo,  qui  prò  sua  dilectione  casto  bono 
actuum  misitus  fuimus,  unde  prò  isto  fevo  dedit  unum  casale  Gidel-      56 
mus  de  Losdum  in  Siciliee,  in  pertinentiam  Gertanam  civitatem,  &  do- 
mino Christodulo  dedit  ipsius  Guidelmus  prò  supradicto  fevo  tantum, 
&  quinquaginta   uncias    aureas    tareno  de  Sicilie.       in    casale   autem 
quod  ego  dedi  ipsius  Guidelmus  in  stangio,  habet  in  eo  homines  qua-      60 
draginta  precipiorutem  terram  istam,  &  fevo,  sicuti  pernominata  sunt, 
teneant  &  potestate   abbatia   per   nominata  sanctae   Mariae  Odigitria, 
&  religiosi  abbati  domino  Bartholomaeo  cum  suis  successoribus  usque 
in  finem   sseculi,  nullo   invicto,  neque  contrario,  ex  nullo  homine  ha-      64 
bente,  nec  ex  mea  parte,  nec  de  haeredibus  meis,  nec  de  nullo  homine 
€x  parte  nostra  invictum  in  ecclesia  facit,  ut  deinde  vendicta  faceant 
precipio  autem  ut  habent  potestate   abbatis  praedictam   abbatiam  in 
pertinentiam   terram    istam   praenominatam,    quod   offerimus  Domino,      63 
&  sanctae  Dei   genitrici  ubicumque   loco   voluerit  habitare  hominibus 
suis,  &  colligere  alìos,  quos  antea  venerint  sine  nullo  contrario,   nec 
contradictione.         hgec    omnia   confirmavit   per  me    sigillum   aureum. 
testis    domnus    Goffri dius    episcopus   Messanse,    &   domnus   Rubertus      72 
Borrellus,  &  Goffridius  fratres  nostri  d'Orogos,  &  Robertus  de  Sas- 
se, &  plurimis  aliis  militibus  mense  &  indictione  supra.       mense  augu- 
sto, indictione  .xv.  an.  mundi  6630,  Christi  vero    1122.         f   signum 
manus  Maniliae  filias  felicissimi  Roberti  Viscardi.        f  signum  manus      76 
Guillelmi  Granti  ipsium  Maniliae  filius. 

61.  precipiorutem]   così  il   testo.  64.  invicto]   cioc  invito 


6.      ISCRIZIONE  FERRARESE  DEL  1135. 


Questa  iscrizione  leggevasi  nel  Duomo  di  Ferrara  su  IP  arco  del  coro,  a  lettere 
romane,  in  musaico.  Guasta  fer  un  terremoto,  fu  restaurata  ma  imperfettamente  nel  iJT^y 
e  nel  secolo  passato,  in  seguito  alla  demolizione  delVarco  ove  stava,  andò  affatto  perduta. 
Due  facsimili  oggi  ne  rimangono,  uno  anteriore  P altro  posteriore  al  restauro,  che  pos- 
sono vedersi  in  Affò,  Dizionario  precettivo,  critico  ed  istorico  della  poe- 
sia vo  l gare,  Parma,  1777,  insieme  con  varie  notizie  sulle  vicende  della  iscrizione  e 
con  un  diligente  esame    della   questione   sulla   sua   autenticità.      ^ui  si  riproduce,  secondo 


SEC.  XII.  Cantilena  di  up  g'mUare  toscano. 


il  frimo  facsimile,  la  lezione   anteriore  al  restauro.,  e  sotto  si  danno  le  varianti  del  testo 
rifatto  (B),  affinché  si  veggano  le  alterazioni  che  vi  furono  introdotte. 

Li  mile  cento  trenta  cenqe  nato,     \\^>  OjL-- 

FO    QUESTO    TEMPLO    A    SAN    GOGIO    DONATO 

DA    GLELMO    CIPTADIN    PER   SO    AMORE,  / 

E    MEA    FO    l'  OPRA    NICOLAO    SCOLPTORE.  w  - 

1.  Il  mille  B        cinque  B  2.  tempio  B        a    Zorzi  consecrato  B  3.  Fo   Nicolao  scol- 

ptore  B  4.  E  Glielmo  fo  lo  auctore  B 

» 
I.  Li  mile]  VAjff'o  lesse  II  mile,  ma  secondo  il  facsimile  il  nesso  va  risoluto  in  li  m. 
3.  Glelmo]  Guglielmo  della  Marchesella,  sul  quale  v.  Borsetti,  Historia  almi  Fer- 
rar ice  Gy  mnasii,  /,  3SS.  4.  e  mea  fo]  V  Affo  lesse  e  ne  a  fo,  che  non  dà 
senso;  ma  il  facsimile  non  lascia  dubbio  sulla  lezione  qui  adottata.  opra]  così  an- 
che VAffo  ;  ma  il  taglio  nell'asta  del  p,  come  si  vede  nel  facsimile,  porterebbe  a  leg- 
gere piuttosto  opera,  se  il  metro  lo  consentisse.  Nicolao]  su  questo  scultore  nativo 
■di  Figaro  lo  (Vico  Aureolo)  nel  ferrarese,    v.    Borsetti,    op.  cit.  II,  4J4. 


© 


CANTILENA  DI  UN  GIULLARE  TOSCANO. 


Firenze,  Biblioteca  Laurenziana,  fomlo  S,  Croce,  PI.  XV,  Cod.  IV;  Archivio  pa- 
leografico italiano,  I,  17;  F acsimili  di  antichi  manoscritti,  66.  Il  Ban- 
dini,  che  prima  pubblicò  questa  cantilena  tiel  Catalogus  Codicum  latinorum  Bi- 
bliothecae  Mediceo  -  Laur enti anae,  IV,  468,  la  attribuì,  per  la  scrittura,  al 
sec.  XII ;  cf   la  notizia  del  Novali  in  Arch.  paleogr.  loc.  cit. 

'    ''^         OALVA  lo  vescovo  senato,  de  tutto  regno  cristiano;             \-..<*/ 

lo  mellior  c'umque  sia   nato;  i6     peroe  vene  da  Lornano, ' -'^'''"''^ 

ke  da  l'ora  fue  sagrato  del  paradis  dil  Viano. 

^       tutt'allumina  1  cericato.  ca  non  fue  questo  villano, 

né  fisolaco  né  Cato  da  ce  '1  mondo  fue  pagano 

non  fue  sì  rin erati  ato.  so      non  ci  so  tal   marchisciano.               w^ 

el  papa  '1  ^^^}.^.\:V-  '-^^'''^'^^'^^  se  mi  dà  cavai  balcano, 


S       per  suo  drudo  più  privato.  monsterroll'  al   bon  Galgano, 

suo  gentile  vescovato  al  vescovo  volterrano,  ^ 


ben  è. cresciuto  e  melliorato,  24      cui  bendicente  bacio  la  mano. 

L'apostolico  romano,  Lo  vescovo  Grimaldesco        "  1  -  '  >  ^  ) 


^^^^or. 


12     1...;......  Laterano,  cento  cavaleri..... . . ... 

san  Benedetto  e  san  Germano  da  'n  un  tempo  non  Hi  crescono, 

'1  destinò  d' esser   sovrano  28     anci  placono  et  abbelliscono. 

4.    cericato]    pronunzia  kericato,  cf.  19.  17.    dil    Viano]    ms ,    diluiano    0   di- 

liuano,  Novali  propone  diliciano  19.   da  ce]  pronunzia  da  ke  20.  tal]  ìns.  cai 

22,   Un    Galgano  fu  vescovo  di  Volterra  dal  iijo  al  ti^t;  v.  nella   Series   episcop. 
e  e  e  l .   cathol.  del  Gams.  > 


.v< 


10                                  Carta  sarda  (Jel  117 3.                      SEC.  xii. 

né  latino  né  tedesco  li  arcador  ne  vann'a  tresco, 

né  lonbardo  né  francesco  di  paura  sbagutesco.                      36 

suo  mellior  te  non  vestrsco;  rispos'e  disse  latinesco: 

tant'é  di  boutade  fresco.  32           stenettietti  nutiaresco  ;  ^ '^  ^ 

a  llui  ne  vo.u.'.i'iporesGO  di  lui  bendicer  non  finisco 

corridor  cavai  p... .i.  mentr'en  questo  mondo  tresco.      40 


'IS.iiu'f^':  ' 


8.      CARTA  SARl^A  DEL  1173. 

Pisa,  R.  Archivio  di  Stato  (Opera  del  Duomo),  pergamena  originale  j  fu  pubblicata 
prima  dal  Tronci,  Memorie  istoriche  di  Pisa,  Livorno,  1682,  poi  piti  corret- 
tamente dallo  Stengel,  Rivista    di  filo  lo  gi  a    romanza,   I,  JJ,  124. 

In  nomine  Domini,   amen.      ego  Benedictus  operariu   de   sancta 
Maria  de  Pisas,  ki  1'  a  fatho  custa  carta  cum  voluntate  di  Deo  e  de 
sancta  Maria  e  de  sanctu  Simplichi  e  de  judike  Barusone  de  Gallul  e 
de  sa  muliere,  donna  Elene  de  Laccu  reina;  appit  kertu  piscupu  Ber-        4 
nardu  de  Kivita  cun  Joanne  operariu,  e  mecu,  e  cum  previtero  Monte 
Magno  kertait  noscus    prò    sancta    Maria  de  Vingnolas  e  prò  sancta 
Nastasia  de  Marrajano    e   prò   sanctu  Petru  de  Surake  e  prò  sancta 
Maria  de  Surake  e  prò  sanctu  Lusuriu  de  Uruviar  e  prò  sancta  Ma-       & 
ria   de  Larathanos  e  prò    sa    domo    de    Villa  Alba  e  de  Gisalle    cun 
omnia   pertinenthia  issoro   prò  levarelilas  ass'  opera  de  sancta  Maria 
de    Pisas.       e  nois    fekimus    inde    Campania   cun   isse  a  boluntate  de 
pare  e  de  judike  Barusone,  e  levait  sanctu  Simplichi  a  sancta  Nasta-      12 
sia  de  Marrajanu  e  issa  corte  de  Villa  Alba  e  issa  corte  de  Gisalle 
cun  onnia  pertinenti  issoro.       e  issa  opera  de  sancta  Maria  levait  a 
sancta  Maria  de  Larathanos  e  a  sanctu  Lusuriu  de  Oroviar  e  a  sancto 
Petru  de  Surake    e  a  sancta   Maria    de    Vingnolas    cun  onnia  perti-      16. 
nenthia   issoro  e   cun   so   populu   de   Surake  e  de  Vingnolas  cun  sa 
eclethia  paupera   prò    aver   inde  su  pisscopatu  prò  su  populu  sa  ju- 
stithia  e  obedienthia  sua  carta  li  dittat.        testes  :  judike  Barusone,  e 
Gosantine,  e  Isspanu,  e  Petru  de  Pupellu,    e   preite  Natale,  e  preite      2» 
Gomita  Prias,  e  preite  Marthu,  e  preite  Lupu,  e  Gomita  Gattu,  e  preite 
Gosantine  Troppis,  e  preite   Gosantine  Gulpio  e  alteros  mecu  testes, 
esende   fatta   custa   Campania   cun   su    pisscupu,  a  boluntate  de  pare 
Torraitinos;  su  pisscupu,  sa  domo  de  Gisalle,  prò  anima  sua  e  de  sos      24 
clericos  suos    e   issa  domo    de   Villa  Alba  prò  precu  k'  inde  li  man- 
darun  sos  consolos,  e  nois  deimus  illi  duas  ankillas,  ki  furun   conju- 
vatas,  s'  una  cun   servo    suo   in   loco    de   Mola  e  s'  attera  in  Tempio 
cun  servo  de  Malusennu.       a  s'  una  naran  Thirvillo,  a   s'  attera  Jor-      28- 
già  Furkilla;  s'una  fuit   de   sa  domo    de    Villa  Alba,  e  s' attera  fuit 
de  sanctu  Petru  de  Surake  ;  prò  partire  isso  fetu  ke  fu  nata,     e  appimus 


SEC.   XII.  Carta  fabrianese  del  1186.  11 


cunvenutu  de  departire  sos  filios  de  Gavini  Totumu  ke  appe  in  an- 
32  killa  de  santu  Petru  de  Surake.  testes:  judike  Barusone,  episscopu 
Jovanne  de  Galtelli,  e  preite  Petru  Luppu,  e  Gosantine  Troppis,  e  prei- 
te  Marthu,  e  preite  Natale,  e  preite  Gosantine  Gulpio,  e  preite  Comi  a 
36  Gattu,  e  preite  Gomita  Prias,  e  Gerardu  di  Conettu,  e  Vivianu  majore 
di  Portu  Orisei,  e  Petru  di  Pupellu,  e  Kitimel...,  e  Marianu  Elkise, 

e  Isorcor  de  Laccao,  e  Gianni  Saraca,  e  Jacone  Petresa  e  atteros 

a  testes.      anno  Domini  millesimo  centesimo  settuagesimo  terthio. 


9.      CARTA  FABRIANESE  DEL  1186. 

Fabriano.,  Archivio  del  Comune,  pergamena  originale;  comunicazione  del  eh.  sig.  Can. 
A.  Zonghi. 

t  In  nomine  Domini,  anni  sunt  mille  .  e  .  lxxx  .  vi .  regnante  Fede- 
rico inperatore,  mense  madius,  indictione  .111.''  ideoque  ego  Actolin  o 
comte,  filio  de  Martino  comite  et  Berta  uxorem  de  Rugeri,  an  carta 

4  convenimentu  et  pactu  fieri  rogavi  a  tibi  Sancto  Vectore,  qui  è  di- 
ficatu  in  fundo  Victurianu,  et  tibi  donno  Murico  priore  et  tuisque 
successoribus,  et  tibi  Rotlando  de  Bernardo  tuisque  eredibus,  idem 
de  nostra  consortia  quod  nos  abemus  comunus  in  comitato  Camerino 

s  et  in  loco  qui  dicitur  Corte  de  Riscano,  et  de  Roti,  et  de  Clavi,  et 
de  Colcilu;  .1.''  sinaita  Setinu  veniente  ad  santo  Adpolenaru  et  per  fo- 
satu  de gn ad  Bervetlone;  et  11.*  sinaita  Colle  de  Preta  ve- 
niente per  via  ad  Trezano;  .111."  sinaita  Serra  de  Tretljo.       et  veniente 

1 2      per  senaita  nostra  sr filiu  de  conte  Martino  et  de  conte  Actolino 

ad  Setinu,  qui  fuss  .1.°  per  senaita  et  ubicumque  inventa  fusse  infra 
senaita  et  extra  senaita,  de  qualec  fortia  nui  advemo  più  de  vui,  nui 
partimo  et  vui  tollete;  et  o  advemo  de  paradegu,  de  paradegu  par- 

16  terimo,  et  presalìe  quale  nui  advemo  de  lo  vostru  et  nostra  sientia,  né 
da  qui  non  ce  adbamo  rattione,  adrederimu  ad  vui  admicavele  mente. 
et  set  ratione  ce  odstendemo,  siane  toltu  ad  dictu  de  set  rigo  scretiu 
et  desia  santo  Vectore  et  Rolando  fare  similiter  mente  ad  nui,  et  de 

20  mo  ad  sante  Marie  de  agusto  l'atverimo  tuttu  repletu  senza  impede- 
mento.  et  set  ce  fosse  inpedementu  varcante,  lu  pedemento  sia  com- 
pletu  et  pingnu  vet  metu  per  .  x .  livere  de  inforzati,  nostri  mansi  qui 
teni  Martinu  de  Moricu  et  Petri  de  Bonomo,  cum  segum  et  alodum; 

24  set  questo  non  ve  adtendemo.  post  abeatis  et  teneatis  et  lugratis  ad 
uso  de  bonu  pingnu,  sine  ad  te  coisto  pingnu  arcoltu  fuss  ;  et  si  qui- 
sta  carta  corrupere  adfalsare  volueri,  sia  in  pena  dare  .  xx  .  libres  de 

14.  qualec  fortia]   legg.  qualecumqua  sortia.?         22.  de  inforzati]  nella  pergamena 
è  scrino  due   volte,         23.   segum]    corr.   fegum,         25.    sine    ad    te]    corr.   fine   ad   ke 


12  Sermone  in  dialetto  galloitalico.  SEC.  xii. 

inforzati  in  corte  potestate;  et  post  pena  data  et  obluta,  ista  carta 
firma  permanead  sine  ad  prefinitum  tempus.  Rigo  de  Lupu,  et  Pe- 
tri  de  Johannes,  et  Baronzo  de  Gozo,  Albrico  et  Lorenzo  filii  de  Acto 
de  Johannes:  omnes  isti  sunt  testes.         Florentinus  notarius  scripsi. 

27.  oblata]  corr.  oblata,* 


10.      SERMONE  IN  DIALETTO  GALLOITALICO. 

Torino^  Bibl.  Nazionale^  cod.  Z>,  K/,  io;  E.  Monaci^  F acsimi li  di  antichi 
manoscritti^  40-^.  La  scrittura  del  codice,  attribuita  al  sec.  XII,  non  è  originale, 
ma  copia,  a  quanto  sembra,  di  amanuense  francese,  ha  raccolta  di  cui  questo  sermone  fa 
parte,  fu  pubblicata  e  illustrata  da  W.  Foerster,  Rom  ani  sche  Studi  e  n,  IV,  f-92; 
cf.  Ascoli,  Archivio  -glottologico,    Vili,  107. 

SERMO  IN  NATALE  DOMINI. 

r  RATRES  karissimi,  hodie  celebramus  sanctam  nativitatem  Xpisti 
secundum  carnem.       seignor,  oi  celebrem  la  sancta  natività  del  nostre 
seignor  Jhesu  Xpist  segun  le  carn.      or  devem  esgarder  &  perpenser 
en  nos  meesme  quan  grant  fo  la  misericordia  de  nostre  seignor  vers        4 
hom  plus  que  vers  nuilla  creatura  que  el  fees.       la  premera  creatura 
que  el  fei,  si  fo  angel,  sicum  dit  Liber  sapientie  :  prior  omnium  creata 
est  sapiencia.       car  de  sutil  &  de  invisìbel  substancia  la  crié,  zo  es  de 
se  meisme,  sicum  dit  Ezechiel  propheta  del  mal    angel  :    tu  signacu-        s 
lum  similitudinis,  plenus  sapiencia   &  perfectus  decore,  in  deliciis  pa- 
radisi Dei  fuisti.       omnis  lapis  preciosus  operimentum  tuum:  sardius, 
topacius,  crisolitus,  onix,  berillus,  carbonculus  &  smaragdus.       tu   fos 
seignal  de  la  sembianza  Deu,  plens  de  saver  &  dej)erfeita  beltà,  &      12 
el  deleit  del  paradis  de  Deu  fos.       e  questa  creatura  per  orgoil  qu'  eia 
of,  si  chaì,  &  de  angelo  factus  est  diabolus.       or  apres  si   cria  Deus 
home  del  limun  de  la  terra.       quare  de  limo   fecit  ?    ajosté  visible  ma- 
teria cum  l'envisible:  zo  es  la  car  cum  l'arma.       car  sola  invisibilis      10 
substancia  noluit  per  se  subsistere,    mixta   est   lutea   materia   ut  non 
posset  elevar!  in  proterviam,  zo  est  superbia,  gravata  fragili  materia, 
car  la  subsistancia  angelica  per  levità  &  per  grant  beltà  e  per  lo  so 
sen  chaì  en  orgoil.       or  nostre  seignor  si  à  ajostaa  1'  arma  qui  est  in-      20 
visible  &  lef,  cum  la  carn  qui  est  pesant.       quare  hoc  fecit?       per  zo 
que  l'arma  per  grant  travail  muntas  a  quella  gloria,  dun  lo  mal  an- 
gel chaì  per  orgoil.      aisì  est  fait  omen  cum  est  la  rei  del   pescaor; 
car  eia  à  lo  suber  qui  est  lef,  &  à  si  lo  plum  qui  est  pesant.       or  la      24 
rei,  quant  hom   la   met  en  l'aiva,  lo  suber  qui  est  lef,  noa  desure;  e 
lo  plum,  qui  est  pesant,  va  al  funtj     eisament   est   1'  ome  fait.       lo 
suber   significa   l'arma   qui   est   faita   de  lef  materia  &   voldrea  ades 


SEC.  XII.  Sermone  in   dialetto  galloitalico.  13 

2S      anar  en  sus  a  sua  natura.       lo  cors  trait  ades  en  jus  ad   inferiorem 
substanciam,  zo  est  la  terra.       sicum  Deus  dist  a  Adam  :  terra  es  &  in 
terram  ibis.       zo  est,   terra  es  segun  la  carn,  &  a  terrenes  choses  tor- 
neras  dun  tu  fos  fait.       or  aqueste  doe   chose,  l' arma  &  lo  cors,  si  son 
32      contrarie,  sicum  l'Apostol  dit:   spiritus  concupiscit  adversus  carnem,  et 
caro  adversus  spiritum,  ut  non  que  vultis  illa  faciatis.       e  per  zo  fìs 
Deus  home  de  doe  contrarie  substancie.       sicum  dit  Saint  Gregoris  en 
son  libre  qui  a  num  Dialogus  :   tres  spiritus  condidit  Deus  :  unum  invi- 
36      sibilem  &  racionalem,  quod  angelus  ;  alium  invisibilem  &  carne  tectum 
&  racionalem  &  mortalem,  id  est  homo;  tercium  bestia,  que  carne  te- 
gitur  &  est  irracionale  &  mortale  &  cum  carne  deficit.       saint  Grego- 
ris fait  metaforam  en  son  liber.       et  dit  qug  trei  esperit  tei  Deus  :   l'un 
40     si  est  invisibel  &  racional,  &  no  morrà  ja,  zo  est  l'angel;  l'autre  si  est 
hom,  qui  est  vestì  de   carn  &  est  racional  &  mortai;  lo  terz  si  est  la 
bestia,  qui  est  muta  &  mortai,  e  la  carn  e  l'esprit,  &  nun  a  rasun.       or 
Tom  si  est  antre  l'angel  e  la  bestia,  zo  est  antre  la  via  e  la  mort;  car 
44      l'angel  non  morrà  ja,  e  la  bestia  est  mortai.       or  lo  mal  angel  per  la 
folia  si  perde  la  vita  perpetuai  &  si  esdeven  mort  eternai,  e  si  doné  a 
home  mort  per  envia  que  el  of  quant  el  sof  que  si  fragel  chosa  cum 
hom  est  devea  monter  en  la  gloria  dun  el   era  chait.       trové    engeig 
48     contra  Tom  per    subiectam   creaturam,  zo  fo  lo  serpent  e    la  femena. 
car  per  si  sol  noi  porraf  aver  engeignà  ;  e  per  zo  se  mis  en  creatura 
mua,  zo    fo   serpent,    qui    erat    callidior    cunctis  animantibus;  &   per 
aquela  creatura  qui  erat  sot  l'om,  engeignò  l'om  e  parie  a  la  femina 
53     qui  era  faita  de  l'om,  &  ita  seduxit.       car  zo  dis  saint  Poi:  vir  non  est 
seductus,  set  mulier  ;  zo  dis  que  1'  hom  non  fo  mia  engeignà,  mas  la 
femena.      e  per  zo  secundus  Adam,  zo  fo  Crist,  vicit  eum  per  la  carn 
qui  est  vii  chosa  &  fragel  sicum  est  femena.       d'  aquel  meesme  engeig 
56      de  que   el   venqué   lo   premer   Adam  en  paradis,  victus  est  a  seculo 
Adam,  zo  est  Xpist,  quando  carnem  accepit  ex  virgine   Maria,   senz 
pecà.       car  lo  plum,  zo  est  carn,  qui  fo  pesant,  descendé  jus  el  per- 
funt,  e  la  deità  remas  desore.       si  que  de  nulla  part  no  pot  escamper 
60     lo  diavol  qu'el  no  fos    pres,    sicum   lo  peisun   no    pò  escamper  de  la 
rei  qui  est  ben  armaa  ;  sicum  dit  Job  :  proprio  amo  captus  est  Levia- 
than, zo  est  lo  diavol.       cum  lo  so  meesme  engeig  fo   pres,  car  carn 
desceve   e  per  carn  fo  pris.       car   unque  la  deità   non  pot  conoistre, 
64      si  per  sospeita  non.       sicum  conta  lo  Vangeli   d'un  hom  qui  fo  amena 
davan  piesu  Xpist,  qui  avea  una  legium  de  diables  el  corp.     si  lor  co- 
mande que  il  s'en  exissen;  e  il  s'en  eisirent  criant  &  disant  :  quid  nobis 
&  tibi,  filli  Dei?     venisti  ante  tempus  torquere  nos.       il   noi    diseron 
68      mia  per  zo  que  il  lo  savesen  certanament,  si  no  per    suspeita.       aisì 
fo  la  deità  coverta  de  l'umanità  cum  est  lo  soleil  del  nuvol,  mas  tota- 
via  fai  clartà  &  illumina  la  terra  e  plus  lo  cel.       seignor  frare,  la  san- 
cta  natività  de  Xpist  devem  celebrer  cum  grant  ioi,  e  si  devem  pre- 
7  2      her  nostre  seignor  Jhesu  Xpist,   que  el  la  nos  concea  si  celebrer,  que 


Contrasto  di  Ramhaldo  di   Vaqueiras.  SEC.  xii. 


lo  cors  &  l'arma  qu'el  en  nos  mes,  &  per  la  qua!  el  recevé  passiun 
&  mort,  e  vols  eser  judicatus,  quant  el  vendra  juger  lo  munt,  qua 
nos  a  la  soa  destra  part  slam  asis,  &  que  nos  possam  oir  la  soa  dolza 
voz:  venite,  benedicti  patris  mei,  percipite  regnum  quod  vobìs  pa- 
ratum  est  ab  origine  mundi. 


76 


11.       CONTRASTO  DI  RAMBALDO  DI  VAQUEIRAS. 

Modena^  Bibl.  Estense,  Cod.  IV.  163;  Galvani,  Strenna  filologica  modenese , 
1863,  fp.  84-gi  (E);  Parigi,  Bibl.  Nazion.  frane.  834,  ani.  722^  ;  Rocliegude,  Par  nasse 
occitanien,  pp.  7S-79  (P)-  Ramhaldo  fu  nel  genovesato  fra  il  ii8g  e  ngo,  v.  Diez, 
Leben  und    IVerke    der     Tr oub adotir s,  pp.   26S-70. 


JLJoMNA,  tan  vos  ai  pregada, 
sius  platz,   qu'amar  me  volhatz, 
que  sui  vostr'endomeniatz, 
quar  etz  pros  et  enseignada 
e  totz  bos  pretz  autreiatz; 
per  quem  piai  vostr'amistatz. 
quar  etz  en  totz  faitz  corteza, 
s'es  mos  cors  en  vos  fermatz 
plus  qu'en  nullia  genoesa: 
per  qu'er  merces,  si  m'amatz; 
e  poi  serai  milhs  pagatz 
que  s'efa  mia  la  ciutatz, 
ab  l'aver  qu'y  es  ajostatz, 
Dels  genoes.  „ 
"  Jujar,  voi  no  se  corteso, 
che  me  cardajai  de  co: 
che  neente  non  farò 
anzi  foss'oi  voi  apeso, 
vostr'amia  non  serò, 
certo  ja  v'escarnirò, 
provenzal  malagurado, 
tal  enojo  ve  dirò, 
sozo,  mozo,  escalvado; 
né  ja  voi  non  amaro, 
ch'eo  chiù  bello  mari  ho 
che  voi  no  sé,  ben  lo  so. 


16 


24 


Andai  via,  frare,  en  tempo 

meillurado.  „  28 

"  Domna  genta  et  eissernida, 

gaja  e  pros  e  conoissens, 

vaillam  vostre  cauzimens: 

quar  jois  e  jovens  vos  guida,        32 

cortezia  e  pretez  e  sens 

e  totz  bos  ensenhamsns; 

perq'ieus  soi  fizels  amaire 

senes  totz  retenemens,  36 

francs,  humils  e  mercejaire, 

tant  fort  me  destreinh  em  vens 

vostr'anjors,  que  m'es  plazens, 

per  que  sera  jauzimens,  40 

s'eu  sui  vostre  bevolens 

E  vostr'amics.  „ 

"  Jujar,  voi  semellai  mato, 

che  cotal  razon  tegnei  :  .        44 

mal  vignai  e  mal  andei, 

non  ave  sen  per  un  gato; 

perché  trop  me  deschazei, 

che  mala  cossa  parei;  48 

né  non  farla  tal  cossa 

se  sia  fiUo  de  rei. 

credi  vo  che  e'  sia  mossa? 

per  mia  fé  non  m'averci.   ,  52 


2.  mi  voillatz  P            3.  qu'ea  P            A.  cs'P            7.  quar  es  P            9,  nulla  P  10.  merce  P 

11.  meils  P                12.  miai  P                 13.  qu' es  P                16.  que  me  chardeiai  de  cho  P  17.   que 

niente  P            18.  ance  fosse  P            20.  certa  P      già  E      escarnerò  P            2 1 .  provensal  P  23.  vos  P 

24.  ni  P       già  E               25.  qu'  ech  un  P        niario  P                26.  que  P               27.  frar  P  29.  gent'et 

essemida  P           30.  gai  e  /*           33.  cortesi  e  P            35.  fidels  P           38.  destreing  P  41.  s'ieu  /» 

43.  vos  P               44.  rason  P                47.  que  P       descasei  P               48.  que  m.  cosa  P  49.  cosa  P 
50.  sias  E       dei  £               51.  voi  que  sia  mousa  P               52.  non  av.  P 


SEC.    XII. 


Cantilena  bellunese. 


15 


56 


■óo 


6S 


se  per  amor  vo  restei, 

ogano  morré  de  Irei:  76 

tropo  son  de  mala  lei 

Li  provenzal.  „ 
"  Domna,  no  siatz  tan  fera, 
que  nos  cove  ni  s'eschai;  80 

ains  taing  ben,  si  a  vos  piai, 
que  de  bon  sen  vos  enquera, 
e  queus  am  ab  cor  verai, 
e  vos  quem  gitetz  d'esmai:  84 

qu'eu  vos  sui  hom  e  servire, 
quar  vei  e  conosc  e  sai, 
quan  vostra  beutat  remire 
fresca  com  rosa  de  mai,  88 

qu'el  mon  plus  bella  no  sai. 
per  qu'ieus  am  eus  amarai; 
e,  si  bona  fes  mi  trai. 

Sera  peccatz.  „  92 

"  Jujar,  to  provenzalesco, 
si  ben  s'engauza  de  mi, 
non  lo  prezo  un  genoì, 
né  t'entend  chiù  d'un  toesco  96 


o  sar desco  o  barbari, 
ni  non  ho  cura  de  ti. 
vo'  ti  cavillar  con  me^o? 
se  lo  sa  lo  meo  mari, 
malo  piato  avrai  con  sego, 
bel  meser,  vero  ve  di, 

non  voUio  questo  lati, 
frare,  zo  aja  una  fi; 
provenzal,  va,  mal  vestì; 

Lagame  star.  „ 
"  Domna,  en  estraing  cossire 
m'avetz  mes  et  en  esmai; 
mas  enqueraus  prejarai 
que  voillatz  qu'eu  vos  essai, 
si  com  provenzals  o  fai 

Quant  es  pojatz.  „ 
"  Jujar,  no  serò  con  tego 
poi  cossi  te  cai  de  mi  : 
mei  valrà,  per  san  Marti, 
se  andai  a  ser  Opetì, 
chev  darà  fors'un  roncì, 
Car  si  jujar.  „ 


53.  si  per  m'amor  ve  cevei  P  54.  morrei  P  55.  tropos  P  56.  provensal  P  57.  siat  E 
58.  s'escai  P  59.  ans  P  60.  de  mo  P  61.  ama  E  63.  vos  soa  P  6S.  et  amarai  P 
71.  provensalesco  P  72.  si  eu  jag-gauza  P  73.  no  preso  P  74.  no  t'enten  plus  P  75.  sar- 
do P  lo.  o  P  77.  voit'  acavillar  P  7S.  si  P  meu  P  79.  mal  plait  P  consegui  P 
80.  verrà  vo  di  P  81.  no  volo  P  82.  fradello,  zo  voi  ali  P  83.  provensal  P  84.  lar- 
gai ni' estar  P  88.  voillatz  P  89.  provenzal  E  92.  pois  aissi  P  93.  meill  P 
sant  P               94.  s'andai  P               95.  que  dar  v' à  P 


12.       CANTILENA  BELLUNESE. 

Leggevasi  in  una  particola  o  brano  di  cronaca,  scritta  probabilmente  circa  il  irgS, 
della  quale  oggi  rimangono  tre  copie,  a  quanto  pare,  fra  loro  indipendenti:  i,  (E)  di  G. 
A,  Egregia  (1^30-1344)^  nel  suo  Catalogo  dei  Vescovi  di  Belluno,  vis,  nel  Museo  civico 
di  quella  città;  2,  (D)  di  G,  Doglioni  (av.  il  15 5^)  nel  suo  Catalogo  pure  dei  Vescovi 
di  Belluno,  ms.  nel  predetto  Museo;  3,  (P)  di  G.  Piloni,  /iella  sua  Hi  stori  a  stampata 
a  Venezia  (iboj).  V.  Morandi,  Origine  della  lingua  italiana,  terza  ediz,  p,  71  ; 
Ascoli,  Ar  chivio  gioito  logico,  I,  41T,  n.  3.  Con  i  versi  diamo  anche  il  testo  della 
cronaca  che  li  commetita. 

Anno  Domini  nostri  Jesu   Christi  millesimo  centesimo  nonagesimo  tertio,  indictione 
.XI.  .viiij.  intrante  mense  aprilis.      Prudentissimi  milites  et  pedites  bellunenses  e  feltren 
ses  castrum  Mirabelli  maxima  vi  occupaverunt,  illud  vero  infra  octo  dies  conbuxerunt 
atque  in  omnibus  edificiis  ipsum  dextruxerunt.      Item  eodem  mense  clausas  Queri  cepe- 


1.  1196  p 


2.  indictione  xil,  die   octavo  P 


3.  Mirabeli  E 


16  Carta  picena  del  iigj.  SEC.  xii. 


runt  et  destruxerunt,  et  sexaginta  sex  inter  milites  et  pedites  atque  arceatores  secum  in 
vinclis   duxerunt,    et  predam  valentem  duo  millia  librarum   habuerunt,  alios  interfece- 
runt  et  alios  vero  gravitar  vulnerarunt.     Item  eo  anno  castrum  Landredi  ceperunt,  ibi 
vero    plures  homines  interiiecerunt  et  .xxvi,   inter   milites  et  pedites  atque  arceatores        "S 
secum  in  vinculis  duxerunt,  et  totum  castrum  conbuxerunt  et  funditus  destruxerunt. 

J_Je  Casteldard  havi  li  nostri  bona  part 
i  lo  zetta  tutto  intro  lo  flumo  d'Ard, 
e  sex  cavaler  de  Tarvis  li  plui  fer  12 

con  se  duse  li  nostri  cavaler. 

Preterea  domum  Banca  vi  occupavarunt  et  eam  destruxerunt,  et  ,xviij.  latrones  inde 
secum  duxerunt,  Postaa  anno  1196,  indictione  .xrij.  die  .vj.  exeunte  mense  junii,  dicti 
milites  bellunenses  et  feltrenses  ad  castrum  Giumellarum  iverunt,  illud  autem  magna  16 
vi  in  .xvij.  die  ceperunt  et  combuxerunt,  atque  cum  omnibus  edificiis  destruxerunt,  et 
cum  maxima  latitia  domibus  radierunt.  Et  hoc  totum  factum  fuit  fere  sub  nobilis- 
simo et  prudentissimo  D.  Gerardo  bellunensi  episcopo,  anima  cujus  sit  locata  in  pa- 
radiso.    Amen.  20 

5.  ac  pedites  et  P        in  vinculis  dediixerunt   P  6.  duo]  iif.  P  7.  et  omette  P        vulne- 

raverunt  P  8.  milites,  pedites  ac  P  10.  Casteldart  P  bave  E  11.  zettò  P        fiu- 

me P        d'Art  P  12.  cavalier  P  de]  di   P        li]    di  E  13.  li]  i  P        nostre  D        cavaler] 

presoner   P  14.  Banche   D  15.  Postea  dia    Sexto  P  16.     Gumellarum  tì  Zumellarum    P 

17.  xvij]  vij  D  18.  cum]  in  P  domum  P  18-20.  Et  hoc  —  Amen  omette  P 


13.      CARTA  PICENA  DEL  1193. 

Roma,  R,  Archivio  di  Stato,  fondo  Piastra,  2Ó1,  pergamena  originale;  E.  Monaci, 
F ac simi li  di  antichi  mss.  21.  Una  illustrazione  a  cura  di  G,  Levi  sta  nel 
Giorn.  di  filol,    romanza,   i,   23. f.   e   ss. 

In  nomine  domini  nostri  Hiesu  Xristi.  anni  sunt  .  mg  .  xc  .  iii . 
indictione  .  xi .  die  martiris,  qui  fuit  settimo  die  infra  mense  setembris. 
paginam  vendictionis,  tradictionis,  obligationis,  quam  facio  ego  Blandi- 
deo,  consemtientem  michi  patri  meo  Arduino  Oldrici  et  Johanne  filius 
quodam  Alberto  Ofridi  et  ad  tuas  ehredes,  rem  juriis  mee  proprietatis  : 
idest  la  terra  ke  jacet,  in  integrum,  in  fundo  la  fonte  Fracliti,  aduna- 
tam  cum  omnia  que  super  se  vel  infra  se  habet  ;  et  abet  fines  :  a  capo 
la  terra  de  Carvone  de  Gualteri;  a  pede  via;  ab  uno  lato  terra  de 
Alberti  Carvuni;  e  quarto  lato  terra  de  Johanni  Ofridi.  unde  a  te 
recepi  in  pretio  libras  .  xx  .  de  lucenses  ;  et  isti  denari  .  xx  .  libras 
deole  Johannes  ad  Plandeo  ad  ojenantio,  da  quistu  Samieli  prossimu 
ad  .  Ili .  annos  compiiti,  unu  mese  poi.  se  Plandeo  non  potes,  non 
volese  redere  li  denari  .  xx .  libras  et  la  mitade  de  lo  prode,  ke  que- 
sta terra  si  aba  Johanni  ad  proprietate,  issu  et  sua  redeta.  .  se  que- 
sto avere  se  perdesse  sentia  frodo  et  sentia  impedimentu  ke  fose  pa- 

2.  martiris]   il  ms.  martir.  5.  quodam]  corr,  quondam. 


SEC.  XII?  //  ritmo  cassinese.  17 


i6  lese  per  la  terra,  ke  la  mitade  se  ne  tose  ad  resicu  de  Johann!  de 
tuctu,  et  la  mitade  de  Plandideo.  e  se  Plandideo  rede  ad  Johann! 
uo  a  ssua  redeta  isti  denari,  ke  Johanni  uo  sua  redeta  redese  senti 
onnem  sconditione  ista  terra  ad  Plandideo.      et  se  Plandideo  non  re- 

20  desse  li  denari  ad  Johanni  et  uo  a  ssua  redeta,  ke  la  terra  sia  loro 
a  proprietate.  abeatis  teneatis  et  possideatis,  a  nullo  homìne  ali- 
quando  contradicentem  non  audead.  si  quis  vero  contra  ire  volue- 
rit,  promitto  me  ad  meas  ehredes  tibi  Johanni  tuisque   eredibus  iure 

24  detendere  contra  omnes  ominines.  quod  si  noluerimus  aut  non  potue- 
rimus,  aut  aliqua  causationem  vobiscum  inposuerimus,  duplam  et  me- 
lioratam  vobis  restituamus.  ac  carta  firma  permaneat,  quam  de- 
nique  carta  a  predicto  Plandideo  ego  Firmo  notarius,  rogatus  scribere, 

25  scrisi;  et  Senebaldo,  Granariu  de  Actovuni,  et  Uliveri,  Tadeu  de 
Morico,  Adtun  d'Adammi,  Rainaldo,  e  Girardo  Scariti  in  carta  tue- 
runt  testes. 

24.  ominines]     legg.  homìnes  o  omini. 


14.      IL  RITMO   CASSINESE. 

Biblioteca  del  Mjnastero  (li  Montecassi/io,  Cod.  S5^t  3^^  facsimile  nella  Rivista  dì 
filalo  già  romanza,  JT,g2.  Illustrarono  questo  oscurissìmo  componimento  I.  Giorgi 
e  G.  Navone  nella  Rivista  predetta,  pp.  gi-/io.  Sulla  interpretazione  cf.  F.  Novali  nella 
Mise  ellanea  di  f itolo  già  e  lÌ7i  guis  tica,  in  memoria  di  N.  Cain  e  U.  A. 
C  a  71  e  Ilo,  Firenze^  1886,  p.  J7j  ^  ■^•^-  L^  lacune  noi  sono  indicate  nel  codice  i  la  dis- 
posizione dei  versi  e  delle  stanze  fu  regolata  secondo  i  segni  diacritici  del  ms.  cioè  se- 
conio  la  punteggiatura  e  le  iniziali  majuscole, 

JlLo,  sinjuri,  s'  eo  fabello,         lo  bostru  audire  compello  : 
de  questa  bita  interpello         e  ddell'altra  bene  spello, 
poi  k'enn  altu  m' encastello,         ad  altri  bia  renubello, 
em  mebe  cendo  flagello. 
Et  arde  la  candela  sebe  libera 
et  altri  mustra  bia  dellibera. 

Et  eo,  se  nce  abbengo  culpa  jactio,         por  vebe  luminaria  factìo. 
tuttabia  me  nde  abbibatio         e  ddiconde  quello  ke  sactio: 

c'alia  scriptura  bene  platio  . 

Ajo  nova  dieta  per  fegura, 

ke  da  materia  no  sse  transfegura 

e  ccoir  altra  bene  s'affegura. 

La  fegura  desplanare;         ca  poi  lo  bollo  pria  mustrare. 

2.    Ms.    intpello  con  omissione  del  segno  di  abbreviatura  come  anc'ie  in  n  per  non 
al  V.  34  e  al  65,  in   glo  per   gloria  al  v.  69.  13.  desplanare]    Coi.  desplauare 


18  //  ritmo  cassinese.  SEC.  xii? 


ai,  dumque  pentìa  nuU'omo  fare         questa  bita  reguare, 

deducere,  deportare?         morte  non  guita  gustare, 

cunqua  de  questa  sia  pare  ?  i6 

Ma  tantu  quistu  mundu  è  gaudebele, 

ke  l'unu  e  l'altru  face  mescredebele. 

Ergo  poneteb'  a  mente,         la  scriptura  comò  sente. 
ca  là  sse  mosse  d'oriente         unu  magnu  vir  prudente,  20 

et  un  altru  occidente;         fori  junti  'nalbescente, 
addemandaruse  presente. 
Ambo  addemandaru  de  nubelle, 
l'unu  e  ll'altru  dicuse  nubelle.  24 

Quillu  d'oriente  pria         altia  l'occhi,  sì  llu  spia. 


addemandaulu  tuttabia         comò  era,  comò  già. 


28 


"  Frate  meu,  de  quillu  mundu  bengo, 
loco  sejo  et  ibi  me  combengo.  „ 

Quillu,  auditu  stu  respusu         cuscì  bonu  'd  amurusu, 
dice:  "frate,  sedi  josu;         non  te  paira  despectusu;  33 

ca  multu  fora  colejusu         tia  fabellare  ad  usu. 
Hodie  mai  più  non  andare, 
ca  te  bollo  multu  addemandare.  „ 
"  serbire  !  se  mme  dingi  commandare.  „  36 

"  Boltier'  audire  nubelle         de  sse  toe  dulci  fabelle, 
onde  sapientia  spelle,         dell'altra  bene  spelle.  „ 


40 


"  Certe  credotello,  frate,         ca  tutt'  è  'm  beritate. 
una  caosa  me  dicate         de  ssa  bostra  dignitate:  44 

poi  k'en  tale  destuttu  state,         quale  bita  bui  menate? 
que  bidande  mandicate  ?     • 
Abete  bidande  cuscì  amorose 
corno  queste  nostre  saporose  ?  „  48 

"  Ei,  parabola  dissensata  !         quantu  male  fui  trobata  I 
obebelli  n' ài  nucata         tia  bidanda  scelerata? 
obe  r  ài  assimilata  ?         bidand'  abemo  purgata, 

dab  enitiu  preparata,         perfecta  binja  piantata,  5* 

de  tuttu  tempu  fructata. 
En  qualecumqua  causa  delectamo 
tutt'  a  quella  binja  lo  trobajo, 

14.  reguare]  corr.  regnare,*  21.  fori]  corr.    foro  52.   dab   enitiu]   cosi 

il  Novati;  il  Navone  da  Benitiu  55.  trobajo]  corr.  trobamo 


SEC.  XIII.  Libro  di  hanchiei'i  fiorentini.  19 


56     eppuru  de  bedere  ni  satiamo.  „ 

"  Ergo  non  mandìcate  ?         non  credo  ke  bene  ajaté  ! 


60      Homo,  kì  nnim  bebé  ni  manduca, 

non  sactio  comunqua  se  deduca 

nin  quale  vita  se  conduca. 

Dunqua  te  mere  scollare,         tiè  que  tte  bollo  mustrare; 
64     se  tu  sai  judicare,         tebe  stissu  metto  a  llaudare  : 

credi,  non  me  betare         lo  mello,  ci  tende  pare. 

homo,  ki  fame  unqua  non  sente, 

non  è  sitiente,         qued  à  besonju,  tebe  saccente, 
68      de  mandicare,  de  bibere?  niente. 

Poi  k'  en  tanta  gloria  sedete,         nuUu  necessu  n'  abete  ; 

ma,  quantumqua  Deu  petite,         tuttu  lo  'm  balia  tenete 

et  em  quella  forma  bui  gaudete.         angeli  de  celu  sete!...„ 

56.  ni]  corr.  nei   (non  ci) 


15.      FRAMMENTI  DI  UN  LIBRO  DI  BANCHIERI 
FIORENTINI  SCRITTO  NEL  Ì2n. 

Dal  cod.  Aedil.  Ó7  della  Laurenziana  di  Firenze  edito  nel  Giornale  storico 
della  letteratura  italiana'^  A'',  lóó-y/,  a  cura  di  P.  Santini  con  illustrazioni  di  E. 
G.  Parodi,  «  guanto  al  valore  storico  del  presente  documento  è  bene  notare  che  il  libro  è 
rivestito  di  un  certo  carattere  pubblico.  Difatto.,  siccome  le  le^^i  determinavano  le  norme 
da  seguirsi  nella  compilazione  e  manutenzione  dei  libri  commerciali,  è  chiaro  che  i  giuris- 
periti fin  dal  1211  ritenevano  valido.,  per  gli  effetti  giudiziarj  in  materia  commerciale,  un 
atto  scritto  in /orma  volgare.  E  poiché  questi  frammenti  hanno  un  formulario  assai  svi- 
luppato, e  'le  non  può  credersi  formato  ti  per  lì,  è  naturale  ammettere  che  il  libro  di  banco 
scritto  in  volgare,  quale  lo  abbiamo  nel  1211,  avesse  già  vita  nel  secolo  2CIT.  Se  è  così, 
e  se  vogliamo  tener  conto  della  tenacità  del  legislatore  del  medioevo  nel  voler  conservata 
la  for?na  latina  negli  atti  che  potevano  prodursi  in  giudizio,  bisogna  pensare  che  questa 
tenacità  sia  stata  vinta  per  gli  atti  di  commercio  quando  già  per  un  periodo  non  breve  di 
anni  il  volgare  scritto  doveva  essere  introdotto  e  comunemente  usato  nelle  relazioni  affatto 
private  fra  mercante  e  mercante.  »        (P.  Santini,  ivi,  p.  178  n.) 

.  ivi .  ce .  XI .  Aldobrandino  Petro  e  Buonessegnia  Falkoni  no  di- 
ne dare  katuno  in  tuto  libre  .lij.  per  livre  diciotto  d'imperiali  me- 
zani,  a  rrascione  di  trenta  e  cinque,  meno  terza,  ke  demmo  loro  tre- 
dici dì  anzi  kalende  luglio,  e  dino  pagare  tredici  dì  anzi  kalende 
luglio:  se  più  stanno,  a  .irij.  denari  libre  il  mese,  quanto  fusse  nostra 

2.  libre  sempre  abbreviato  nel  ms.  1.  ovvero  lib.  4.  kalende  sempre  abbreviato 

nel  ms.    k.   0  kl.  0  kal.  5.    denari  libre  nel  ms.  sempre  d.  lib.  che  valeva   «  denari 

per  libra  » . 


20  Libro  di  banchieri  fiorentini.  sec.  xiii. 

volontade.       testimoni  Alberto  Baldovini  e  Quitieri  Alberti  di  porte 
del  Duomo. 

Item  die  dare  Buonessegnia  soldi  .  xij .  per  u  massamutino.  8 

Buonessegnia  Falkoni  ci  à  dato  libre  .  xl  ;  rekò  Jakopo  a  termine, 
item  die  avire  libre  .irij.  e  soldi  .ij:  levammo  di  rascione  Buonesse- 
gnie  ove  dovea  avire  per  ser  Kalkagnio  .xj.  dì  anzi  kalende  luglio. 
item  die  libre  .iij.  meno  denari  .xij.  per  Tornaquinci,  k'ei  pagò  nei  12 
panni  suoi.  item  ci  die  Buoninkontro  da  Ppopio  soldi  .xl.  di  ssua 
mano  tre  dì  anzi  kalende  luglio.  item  ci  die  Aldobrandino  libre  .irj. 
meno  denari  .xij.  rekò  Giannozo. 

A  mesere  Kancillieri  prestammo  soldi  .ij.  in  sua   mano;    abiamo      16 
posto  sotto  sua  rascione  ove  die  avire, 

A  Manetto  Passarimpetto  prestammo  soldi  .xx.  in  sua  mano. 
Aldobran.  item  ci  die  soldi  .xx.  levammo  di  ssua  rascione  ove 
die  avire  per  Bonaquida  Forestani.  20 

M .  ce. XJ .  Jacopo  f .  del  Barone  degli  Aquerelli  e  Simone  suo 
fratello  no  dino  dare  katuno  libre  .  lij  .  per  livre  diciotto  d' imperiali 
mezani,  ke  demmo  loro  tredici  dì  anzi  kalende  luglio  a  trenta  e  cin- 
que meno  terza  ;  e  dene  pagare  tredici  dì  anzi  kalende  luglio  :  se  più  24 
stanno,  a  .iiij.  denari  libre  il  mese,  quanto  fosse  nostra  volontade. 
testimoni  Alberto  Baldovini  e  Gaglietta  de  Pekora  e  Buontalento 
Macketi  e  Rugieri  figliastro  Buonfantini  di  Buorgo  Salorenzi, 

Item  ci  die  Buoninkontro  f.  del  Barone  degli  Aquerelli  libre  .  xirrj .      28 
e  soldi  .xj:  rekò   Kambio  e  Tornaquici   .v.   dì  anzi  kalende   agosto. 
item  ci  die  Arrigetto  Arrigoni  libre  .v.  Buoninkontro:   rekò  Tegiajo 
a    questo    termine.       item    Jacopo  ci    à   dato   libre   .  xv .    kenne    ebe 
Ricovero  kompagnio  Pieri  Rossi  da  San  Firenzo  le  sei  libre,  e  Bue-     32 
nacfede  Varliani  li  ciento  soldi,  e  '1  Tessta  di  Kodarimessa  le  quattro 
libre   due  dì  intrante  agossto  per  noi,  e  diede  per  noi  a  Kambio .... 
libre  .X.  e  soldi  .iij.  dì  dodici  anzi  kalende  ottobre.       item  ci  diede 
Jacopo  soldi  .cvj.  rekò  Jacopo  cinque  dì  anzi  kalende  ottobre.      item      36 
diemmo  avire  soldi  .xl.  per  Dato  Quitoitti  otto  dì  intrante  ottobre, 
item  ci  die   Jakopo   soldi  .xxx:  rekò  Aldobrandino. 

. M . ce. XJ .  Buonagiunta  da  Ssomaja  die  dare  libre  . xxiij .  e 
soldi  .xviij.  per  livre  ventitré  ke  i  prestammo  .j.  die  anzi  kalende  40 
luglio  :  posto  ke  die  aire  e  dene  pagare  in  kalende  agosto  :  se  più 
stanno,  a  .iiij.  denari  libre  il  mese,  quanto  fosse  nostra  volontade; 
e  s'ei  no  pagasse,  sì  no  promise  di  pagare  Buonone  f.  Farolfi  da 
Duomo,  prode  e  kapitale  quant'elli  sstesero.  testimoni  Prestorso  44 
d'Oltrarno   e  Llutieri    f.  Galgani   Balsimi  ed  Ugolino  f.  Sassolini  da 


6.  testimoni  nel  ms.  sempre  tt.  S.  soldi  quasi  sempre  nel  m'.  s  o  sol  i^.  de- 

nari nel  ms.  quasi  .'e  iipre  d.  o  den.  13.   mano    nel  ms.  quasi  sempre  mano  0  mano, 

ma   iv'dentemenle   il  segno    sovrapposto   qui   non   è    aòirei'ialivOy   bensì   dissimilatilo  o  su- 
ferfiuo.  19.  ms,  sssua  21.  f.  abbreviazione  di  figlio  0  fi  29.  ms,   agostosto 


SEC.  xiir.  Libro  di  banchieri    fiorentini.  21 


Ckapiano.  item  Buoriketto  del  Greccio  ci  die  libre  .  xxirj .  e  soldi 
.xviij.  posto. 

48  .M.cc.xj.       Ristoro   f.    Pieri    buorsajo  e   Jakopino  f.  Sigoli   no 

dino  dare  katuno  in  tuto  libre  .  viij .  e  soldi  .  xx .  denari  .  viij .  per 
livre  otto  ke  i  demmo  dodici  dì  anzi  kalende  giugnio  a  sedici  denari 
libre,  e  dino  pagare  .xij.  dì  anzi  kalende  agosto;  e  se  più  stanno,  a 

52  .iiij.  denari  libre  il  mese  quanto  fosse  nostra  volontade.  testimoni 
Alberto  Baldovini  e  Konsiglio  dei  Kastagniaci.  item  die  dare  per 
prode  soldi  .xviiij.  e  denari   .iiij. 

Ristoro  ci  à  dato  di  sua  mano  soldi  .  xl  :  rekò  Tegiajo  .  iij .  in- 

56  trante  decembre.  item  die  per  noi  Tadellato  f.  del  Buono  libre  .  vij . 
e  soldi   .x.  .xij.  dì  anzi  kalende  aprilis. 

M . ce. xj .  Banzara  del  Garbo  no  die  dare  libre  . xv .  prove- 
sini  nuovi  ke  demmo  a  Bartolo  ispeziale,  ke  li  demmo  dodeci  dì  anzi 

60  kalende  luglio,  e  dino  pagare  in  kalende  luglio  :  se  più  sstanno,  a 
denari  .  iiij .  libre  un  mese,  quanto  fosse  nostra  volontà  :  s'elli  non  pa- 
gasse, sì  no  promise  de  pagare  Buonvenuto  f.  del  Romeo  del  Garbo, 
prode    e  kapitale  quant'elle  isstessero.       testimoni  Alberto  Baldovini 

64  e  Bonackorso  f.  del  Villano  da  Samikele  Berteldi.  item  die  dare 
Banzara  denari  .  xxviij .  per  lo  prode  de  la  ssua  parte.  item  li  ren- 
demmo denari  .xvj.  item  die  dare  Benvenuto  soldi  .iij.  per  prode. 

Banzara  ci  à  dato  libre  .  iiij .  e  soldi  .  xiij .  e  denari  .  viij  :  rekò  il 

68  Teckiajo  le  quattro  livre  da  Gerardo  del  Papa  tre  dì  anzi  kalende 
agosto.  item  die  per  noi  a  Todino  Allero  libre  .irj.  quatro  dì  anzi 
kalende  agosto.  item  ci  die  Benvenutto  f.  del  Romeo  del  Garbo 
libre   .Lvij.  e  soldi  .xvj:  rekò  Jacopo  da  Quidottito  Rusticuci  per  ~ 

72      setembre. 

M.CC.XJ.  .XJ.  dì  anzi  kalende  luglio.  Buonackorso  Man- 
freducci  da  Ssanmartino  del  Veskovo  no  die  dare  libre  .xl.  e  soldi 
.XI.  per  Domeniko  da  Ssan  Firenze:  posto  ke  die  avire  e  dene  pa- 

76  gare  in  kalende  setembre  :  se  più  stanno,  a  .iiij.  denari  libre  il  mese, 
quanto  fosse  nostra  volontade;  e  s'ei  non  pagasse,  sì  no  promise  di 
pagare  Dietajuti  del  Banzara,  prode  e  kapitale  quant'elli  stesero.  te- 
stimoni Alberto  Baldovini  e  Varliano  di  Kodarimessa  e  Bunaffé  suo 

80      kompagnio. 

Buonackorso  ci  à  ddato  libre  .xl.  e  soldi  .xi:  avemmone  bolo- 
gnini,  e  àcci  pagato  il  prode. 

Gerardo  f.  Buona ckorsi  Monteloro  die  dare  soldi  ,xx.  e  denari  .x. 

84      per  Buoglione  f.  Traversi,  ke  i  dovea  dare  Traverso  in  libro  vekio. 
Appollonio    Tribaldi  no  die  dare    soldi  .  viij .  ke  Ili  prestammo  : 
disse  che  i  dava  al  fanciello  Aldobrandini  fabro  per  grano. 

Item  die    dare   soldi  .xxxv.  e  ~   per    urròmeo,  ke   i   ne  demmo 

SS      tornesi:  disse  k'elli  li  dava  di  panno  linio. 

50.  ms,  sedidi  59.  ms.  ispeziaale  74.  ms,  veckovo 


22  Libro  di  banchieri  fiorentini.  sec.  xiii. 

Item  die  avire  soldi  .xxj.  meno  denari  .j.  per  Servodeo  osste  Mai- 

neti  del  Mediko.       item  die  avire  soldi  .v.  ke  diede  ad  Arnolfino 

Atauciano  de  l'Acierbo.       item  ci   die   Apollonio   soldi   .xvij.  e  de- 
nari .V.  di  sua  mano 92 

Item  ci  die  Mainetto  Tornaquici  libre  .  xij .  ke  le  ritenemmo  per  la 
mamma  Sinibaldi  Rinucietti  in  quaderno  nuovo  a  termine.  item  ci  die 
Bonaquida  de  la  Gina  per  Mainetto  Tornaquici  libre  .  viij .  ke  li  davava- 
mo  per  Benintendi  Pizikelli  di  rascione  Buonajuti  Rikardini  .  xij .  dì  in-  96 
trante  luglio.  item  ci  die  Buonaquida  da  Ssarromedio  soldi  .  xl  .  per 
Mainetto  Tornaquici  :  levammo  di  rascione  Benintendi  f.  Pizekelli. 

B  enei  venni  Marci  da  Ssan  Firenzo  no  die  dare  libre  .iij.  per   li- 
bre tre  e  soldi  tre  di  bolongnini  a.,  to a  Buonaciete  f.  Gajazzi,    100 

ke  demone  per  lui.       item  die  dare  libre  .viiij:  prestamolelli  à  Aldo- 

bra  —       item  die  dare  soldi .  x libre  .  iiij .  e  soldi  .  viij .  levam .... 

otto  dì  intrante  luglio  :  se  più  stanno,  a  .  iiij .  denari  libre  il  mese, 
quanto  fosse  nosstra  volontade.  testimoni  Alberto  Baldo  vini  e  Rri-  104 
storo  Kafferelli  e  Compagnino  fratello  dei  Tebalduci.  Bonaquida 
Bencivenni  ci  à  dato  soldi  .lij.  e  denari  .irij:  posto  ke  die  dare 
quidinazi.  item  die  avire  soldi  .xxxiiij.  per  lo  Kacia  f.  Arringieri 
del  Buorgo  Sant'Apostoli:  levammo  di  ssua  rascione  a  termine.  108 

Buonaquida  Bencivenni  ci  à  dato  libre  .xxxvij.  e  item  ci  die  Kie- 
rito  f.  Arrihi  Malverni  soldi  .  e .  disse  che  i  ci  dava  per  Buonaquida 
Bencivenni  a  ttermine.  item  Buonaquida  f.  Bencivenni  libre  .  xv . 
meno  denari  .iiij.  ebele  la  mamma  Sinibaldi  Rinucietti  per  Sinibaldo:  113 
iera  iskritta  in  quaderno  nuovo.  disse  ke  Ile  fecie  dare  in  su  la  tavola 
del  fornajo  f.  del  Rosso  del  fornajo,  che  lia  avea  presi  KanoUo  ed 
Ubaldino.  item  ci  die  Ispinello  kasciajuolo  per  Bonaquida  f.  Benci- 
venni del  Ckierito  libre  .xj.  e  soldi  .xxiij.  ci  à  dare  per  noi  Arrisalito    116 

f.  Turpini  in  su  la virij.  dì  intrante  luglio.       item  diede  per  noi... 

avogadi  libre  .viij.       item.... 

In  nomine  Domini,  amen.  San  Brocolo.  m.cc.xj.  Orlandino 
galigajo  da  Santa  Trinità  no  die  dare  libre  .xxvj.  per  metzo  magio  120 
per  buolongnini  ke  i  demmo  a  Bolongna  per  lo  mercato  San  Brocoli. 
se  più  sstanno,  a  .iiij.  denari  libre  il  mese:  e  s'elli  non  pagasse,  sì 
nno  promise  da  pagare  Angiolino  Bolongnini  galigajo.  testimoni 
Compangnio  Avanelle  e  Bellacalza.  item  die  avire  soldi  .  xliij  .  per  124 
Mikele  f.  Galleti:  levammo  dì  rascione  de  lo  Scilinquato  Maineti. 

Orlandino  ci  ave  dato  libre  .  vij .  e  soldi  .  viiij .  ebele  Manette  f . 
Quidi  dell'avogado  per  Aldobrandino  Avekari  Forcelle  de  Quitton- 
cino  f.  Gianni  e  Griffo  Konankede  tredici  dì  anzi  kalende  giungnip.  12S 
item  ci  die  Orlandino  libre  .vj.  e  soldi  .iiij.  rekolle  Jakopo  a  quessto 
termine.  item  Orlandino  ci  à  dato  libre  .iiij.  e  soldi  .xvj.  ke  i 
diede  ad  Arrigo  f.  Rugieri  de  lo  Ngemmato;  pagavalli  per  Quaskone 

109.  ^ui  e  appresso  lasciamo  come  sotto  nsl  ms.  le  abreviature  di  soluzione  incerta. 


SEC.  XIII.  Libro  di  banchieri  fiorentini.  23 


132  Ttortolini  .xj.  dì  anzi  kalende  giunnio.  item  diede  per  noi  a  Buo- 
naquida  de  la  Gattaja  soldi  .  xlvij  .  e  li  davavamo  di  rasione  Rinieri 
Orlandini  .  x .  dì  anzi  kalende  giunnio.  item  diede  per  noi  a  Uguic- 
cione   f.   Kastellani  soldi  .l.  .v.  dì  anzi  kalende  giunnio.      item  ci 

136    die  di  ssua  mano  Orlandino  soldi  .xi.  a  kò  Giannozo. 

Angiolino  galigajo  no  die  dare  libre  .xl.  per  bulongnini  ke  i 
demmo  a  Bolongna  per  lo  mercato  Sanbrocoli,  e  de  pagare  per  metzo 
magio:  se  più  sstanno,  a  .iiij.  denari;  e  s'elli  non  pagasse,  si  nno  pro- 

140  mise  di  pagare  Orlandino  galigajo,  prode  e  capitale  quant'elli  istessero. 
testimoni  Matzingo,  Mainetto  d'Albitzo  co.  e  Bernardo  Bertti. 

Angiolino  ci  à  dato  libre  .xj.  di  ssua  mano  quatro  dì  anzi  ka- 
lende giugnio.       item  ci  die  Benivieni  galigajo  per  Angiolino  libre  .iij. 

144  e  soldi. x.rekò  Albizo  di  Fferrara  pezzajo  di  Lungarno  a  questo  ter- 
mine, item  ci  die  Orlandino  libre  .x.  rekò  Kambio  da  lo  Scotto 
pezzajo  libre  tre,  e  da  Jakopo  del  Campo  libre  quatro  meno  soldi 
tre,  e  le  tre  livre  e  tre  soldi  diede  Orlandino  di  ssua  mano  a  questo 

145  termine  di  ssopra. 

Item  Angiolino  di  ssua  mano  soldi  .  ex .  un  die  anzi  kalende 
giugnio,  ed  à  pagato  il  prode.  item  ci  die  Orlandino  libre  .iij.  e 
soldi  .  xvj .  per  Jakopo  un  die  anzi  kalende  giugnio.  item  ci  die 
152  Orlandino  libre  .irij.  e  soldi  .iij.  rekò  Kambio  da  Bernardo  lo  pezajo 
tre  dì  intrante  giugnio.  item  ci  die  Orlandino  di  ssua  mano  soldi 
.  XL .  à  kon  Arnolfino  .j.  die  anzi  metzo  giugnio.  item  diede  Orlan- 
dino soldi  .iij.  ed  à  pagato  in  quiderdone  de  la  ssu  parte  a  Aldo- 
156    brandino   per  -^-  giugnio. 

M.cc.xj.       Guillielmo   f.    Gianni   Guadangnuoli    no    die  dare  li- 
bre .  XVJ .  e  soldi  .  xj .  per  buolongnini  ke  i  demmo  a  Bolongna  per  lo 
mercato  Sanbrocoli,  e  de  pagare  in  kalende  giunnio;  se  più  stanno,. 
160    a  .iiij.  denari  libre  il  messe. 

Jakopo  Farisei  ci  à  dato  libre  .xiij.  avemmone  da  Gaglietta  del 
Pekora  tre  libre  e  nove  soldi,  rekò  Albizo  a  termine.       item  ci  die 
Jako  di  ssua  mano  libre  .iij.  e  soldi  .xj.  rekò  Renaldo  e  Gianni. 
164  M.CC.XJ.       Diede  Bilicotzi  no  die  dare  libre  .viiij.  e  soldi  .xirj. 

e  denari  .iiij.  per  bolongnini  ke  i  demmo  a  Bolongna  per  lo  mercato 
Sanbrocoli,  e  de  pagare  in  -4-  matgio  :  se  più  sstanno,  a  .  iiij .  denari. 
Mainetto  Tornaquici  ci  à  dato  libre  .viiij.  e  soldi  .xiij.  e  denari 
168  .iiij.  pagelli  per  noi  a  Vinediko  Prestazi  ke  li  davavamo  per  Dello  f. 
Maineti  de  lo  Sscilinquato  Konackede  di  rascìone  Rinieri  f.  Orlandini 
di  Lungarno. 

Risstoro  Kafferelli  no  die  dare  soldi  .x.  ke  li  li  prestammo  per 
172    ispesa  di  Ristoro    in    sua    mano.       item  in   mano    Ristori    soldi  .xx^ 

di :  è  posta  in  quaderno  nuovo  sotto  sua  ràscione. 

A  Aldebrandino  Kapi  prestammo  soldi  .  x .  a  Aldobra,  disse  che 
i  dava  ser  Nikape  (?)  :  posto  sotto  ràscione  Kapi  ove  die  avire. 


24  Libro  di  banchieri  jìoreìitini,  sec.  xiii. 


Gerardo  dell'Asino  no  die  soldi  .viij.  bolongnini  ke  i  prestammo:    176 
posto  sotto  sua  rascione  ove  die  avire  Bentivegnia. 

Albertino  del  Ripajo  die  dare  libre  .xxxvij.  e  soldi  .xvij.  e  de- 
nari .  V .  per  questa  rascione  di  dietro  che  dicie  di    sopra  Uquicione 
Burneti,  ke  sso....  le  sei  libre  e  undici  soldi,  meno    denari    quattro    180 
di  prode  :  sodammoli  per  -^  novembre. 

M .  ce .  XI .       Donato  f .  Ciatferi  e  Quido  de  la  spada  no  dino  dare 
katuno  in  tucto  libre  .cvij.  e  soldi  .vij.  e  denari  .viij.  per  bulongnini 
ke  i  demmo  in  Bolongnia  per  lo  mercato  Sanbrocoli,  e  de  pagare  in    1S4 
kalende  giunnio:  se  più  stanno,  a  .iiij.  denari  libre  il  mese. 

Buonackolto  Salintorri  ci  à  dato  libre  .  xviij .  meno  denari  .  xxvj  : 
ebene  mesere  Aldobrandino  f.  Rinieri  Foresi  libre  quattordeci  per 
Simone  Gianrolandi;  e  '1  kopimento  rekò  Albizo  tredici  intrante  giù-  188 
gni,  ke  ne  portone  quatordici  libre  Rinieri  f.  Martinelli  arciolajo. 
item  ci  die  Rinieri  Rinuci  libre  .  xviij .  meno  denari  .  xxv .  avemmone 
da  Ckorbizo  de  la  Pressa  soldi  cento  diecie  :  rekò  Jakopo  ;  e  '1  kom- 
pimento  rekò  Giannozo  a  questo  termine.  192 

Item  diede  per  noi  a  Ttorsello  Giungni  libre  .xviij.  pagammo 
per  Kapo  tintore  .viij.  dì  intrante  giungno.  item  ci  diede  Donato 
libre  .viiij.  e  soldi  .x.  rekolle  Albizzo  a  quessto  termine.  item  ci 
die  Ciaffero  di  ssua  mano  libre  .xviij.  e  soldi  .xij.  .xj.  dì  intrante  196 
giugnio.  item  die  avire  libre  .xviij.  meno  denari  .xxvi.  ke  i  ci 
die  Arrigo  dell'  Erro  :  levammo  di  ssua  rascione  ove  dovea  avire  a 
termine.  item  die  avire  soldi  .  xl  .  per  Karro  orrafo  :  levammo  dì 
rascione  Quarnelleti  f .  Grigori  .  v .  dì  intrante  luglio .  item  die  200 
per  noi  a  l'Ackolto  f.  Ugeti  da  Ssan  Firenzo  libre  .  iiij .  pagolli 
Donato  f.  Ciafferi  .viiij.  dì  intrante  luglio.  item  ci  die  Donato 
soldi  .  xxxij .  e  '1  prode  de  la  sua  parte  a  kó  Tornaquici  .  viiij . 
dì  intrante  luglio.  204 

Serr  Ackorri  f .  Pancosole  no  die  dare  libre  .  vj .  di  bolongnini 
ke  li  li  prestoa  Arnolfino  a  Bolongnia  per  San  Brokolo.  item 
ci  die  ser  Ackorri  soldi  .  cviiij .  di  pisani  :  rascionamo  i  bolongnini 
soldi  due  libre.  208 

M.cc.xi.  Albertino  Paganelli  no  die  dare  libre  .xlij.  e  soldi,  viiij. 
meno  denari  .  ij .  per  rasione  ke  fue  per  San  Brocoli,  ke  i  diede  Ar- 
nolfino a  Bolongna;  e  '1  compimento  de  dare  a  Mainetto,  e   de  pa- 
gare per  San  Pietro:  rendemmo  ad  Albertino  Paganelli  soldi  . cviiij .    212 
e  denari  .viij:  posto  ove  die  avire  Quidalocto. 

Albertino    Paganelli   di   giunnio   ci   à   dato    libre    .  vij .    e   denari 
.xxxiiij.  rekò  Tornaquici  dal  Vezoso  dei   Baroncielli  in  kalende  se- 
tembre.       item  die  avire  soldi  .viiij.  per  Taone,  ke  i  ne  skontammo    216 
per   denari   ke  i  davava    Guicco    del    Konpangno    .  iiij .    dì    anzi  ka- 
lende ottobre. 

207.  VIS,  pisani,  v.  la   nota   alla   r.  13. 


SEC.  XIII.  Libro  di  banchieri  fiorentini.  2  5 

Item    die  avire  soldi  .  xlij  .  e  denari  .  vij .  per  Ispinello  di  Kal- 
320    lemala    quatro    dì    anzi    kalende    luglio.        item    ci    die    Taone    libre 
.  vij.    e    soldi    .  XV .    rekò  Albizzo    da   Rinuccino  f.  Alamanni    Ansel- 
mini    .viij.    dì    intrante    luglio. 

Item  ci  die  Dietesalvi  f .  Rodolfi  di  porte  San  Brankazo  libre  .  iij . 
2,2A^    e  soldi  .viiij.  meno  denari  .j.  ebele  Ugolino  di  Kosa  de  l'Abraccia 
del  Garbo  :  a  quessto  termine.       item  die  per  noi  a  Bencivenni  f.  Gri- 
spingniani  libre  .  x .  pagava  per  Baldovino    suo    fratello    tre    dì   anzi 
kalende  agosto. 
3::S  Item  die  avire    libre  .xij.  e  soldi  .iij.  e  denari  .viiij.  per  Gui- 

daloto  di  ssua  rascione  ove  die  avire.     Taone   ci    à   dato  soldi  .irij. 
e  denari  .  ij .  ed  à  pagato  il  quiderdone.       item  ci  die  Davidalo  libre 

.  iij .  e  soldi    .  xj  :  disse  ke    ne    pagava    Taone levammo    di    ssua 

332    rascione  ove  die  avire.       item  ci  die  Taone  libre  .  iiij  :  rekò  Arnolfino 
da  Rrinucino  Simioni  .viiij.  dì  intrante  agosto. 

Item  ci  die  Mainetto  Tornaquici  soldi  .  cv .  e  denari  .  ij  :  pagolli 
per  noi  a  Buonaquida  Bencivenni:  disse  ke  i  rendea  de  la  rascione 
.23Ó    ove  l'avea  sopra  pagato  Albertino  .xviij.  dì  intrante  agosto. 

Item  ci  die  Kapitanio    soldi  .  cv ,  e  denari    .j  :    ebeli    Bonaquida 
Bencivenni  .xj.  anzi  kalende  settembre. 

Mainetto  die  dare  libre  .  vij .  e  denari  .  xiij .   per   lo  storamento 

240    di   San   Bran kolo.       Maineto  ci  à  dato  soldi  .  xlviij  .  e  denari 

.  ij  :  posto  ke  die  avire  . . .  che  die  dare  tre  1 . . . .       item  die  avire  libre 
.  iij .  e  soldi  .  XV .  per  rascione  ke  ssodammo,  ke  ci  a . . . .  avea  sopra 
pagato  in  libro  veckio.       item  die  avire  soldi  .  xxij.  meno  denari .... 
JJ44    per  la  rascione  de  le  ciento  cinquanta  libre  ke  ssodammo. 

Mainetto  Tornaquici  no  die  dare  libre  .  vij .  e  denari  .  xiij .  per 
rascione  di  San  Brocoli  ke....       item  die  avire   libre    .vij.    e    soldi 

.  xiij .  per  Rikovero  f to  :    levammo  di  ssua  rascione  ove  dovea 

J24S    avire medaglie. 

Ristoro  de  l'Arlotto  no  die  dare  soldi  .  xviij .  e  denari  .  ij 

per  rasione  di  San  Brocoli.      risstorammone  a  Mainetto  soldi  cinque. 
Risstoro  ci  à  dato  soldi   .  xx .  bolongnini. 
252  Guidalotto  Rustichelli  da  Somaja  no  die  dare  libre  .xiij.  e  soldi 

.vj.  per  Attaviano  Becki,  ke  i  ci  dava  per  Uquiccione  Godini. 

Donosdeo  Bengnoli  ci  à  ddato  libre  .  v  .  e  soldi  .  xij .  e  denari ....  : 
ebeli  Albizo. 
:256  Item  Guidalotto  die  avire   libre  .xnj;  levammo  di  sua  rascione 

a  termine mo  Ugetti  da  Buonackorri,  nepote  Ugetti  Giambuoni. 

posto.       rekò  Riciardo  soldi  .  xxxiiij .  e  denari  .  ij . 

Burnetto  Godini  die  dare  soldi  .  xiiij .  per  la  parte  Baldovillani 

360    del  prode 

Kavalkante  f.  Kavalkanti  no  die  dare   libre  .xlj.  soldi    .xiij.  e 

323-327.    Tutto    questo   paragrafo   nel  ms.  fu  cancellato. 


26  Libro  di  banchieri  fiorentini.  SEC.  xiii. 


denari  .  ij .  per  libre  quaranta  e  sei  di  bolongnini  ke  diede  Arnolfino 
per   lui    a   Bonizo    Maltempo  per  lo   ba . . .  allo  a  venticinque    denari 
libre.       item  ci  die  Jakopo  Simoni  libre  .xlj.  soldi  .xiij.  denari  .ij:    264. 
pagolli    per   noi  a  Mainetto    Tornaquici:    davavamlili    ne  la  rascione 
de  le  ciento  cinquanta  libre  dell'Orfo. 

M.cc.xj.  Lutieri  Kalkagni  no  die  dare  libre  .xliiij.  e  soldi 
.xj.  per  livre  quaranta  due,  meno  denari  diciotto  di  nuovi  k'ebbe  26S 
in  Pisa  a  quindici  denari  libre  undici  dì  intrante  giugnio,  e  déne  pa- 
gare .XJ.  die  intrante  luglio.  se  più  stanno,  a  .iiij.  denari  libre: 
disse  ke  ssono  tra  llui  e  Kardinale.  item  die  dare  Kardinale  libre 
.xxiiij.  e  denari  .xxx.  per  la  rascione  Rinucini  f.  Macene,  ke  so-  272 
dammo  .xiij.  dì  intrante  novembre. 

Lutieri  ci  à  dato  di  ssua  mano  libre  .ij.  e  soldi  .x.  e  -4-  tre- 
dici dì  intrante  luglio.  item  ci  diede  Kardinale  libre  .  lj  .  soldi  .  xv . 
e  denari  .v.       posto.  276. 

Item  libre  cinquanta  di  nuovi  ke  diede  per  noi  a  Quarneri  f. 
Gajazzi  di  porte  San  Pietro,  ke  li  fecie  dare  a  Bernardo  bankiere  di 
Pisa  .  xiij .  dì  intrante  novembre.  item  ci  die  Luttieri  e  Kardinale 
libre  .  XV .  e  soldi  .  xvj .  e  denari  .  viij .  innanzi  .  virij .  pergamene.        28» 

A  Pacie  f evino  avemo  prestato  libre  .  iiij .  meno  denari  .  xxviij . 

ke  li  li  diede  Mainetto  Tornaquici,  ke  i  ci  dava  per  l'Acbraccia  del 
Gatto  (?).  item  die  dare  denari  .xxviij.  ke  i  demmo  in  sua  mano: 
disse  ke  i  pagava  nei  panni  suoi   AUalbardo.  2S4. 

Pacie  ci  à  dato  libre  .iiij:  levammo  di  ssua  rascione  ove  die 
avire  per  Alberto  Rosso. 

In  nomine   Domini,    amen.       Arnolfino    porta  seco  a  la  badia   li- 
bre .ciij.  e  soldi   .XV.    di   veronesi   ke   i   tollemmo    da   Qualterotto.    2SS 
item  porta  libre  .  xxxj .  di  veronesi ....  di  cambio.       item  porta  soldi 
.  XX .  di  bolongnini  perr  ispese.       montano  i  veronesi  libre   .  lxxviij  . 
item    die    dare    libre    .viiij.  meno  soldi  .iij.   ke   le    demmo   per   lui 
a  Quaskonne   f.   Rineri   libertini    per    lo    storamento    dei    veronesi.    292 
posto  ke  die  avire.       item  per   Paganello    del    Garbo  libre  .lxxxx. 
e  denari  .xxv.       item  per   lo   Bene  Prestasini    libre  .xlvij.  e  soldi 
.  xvij .  e  denari  .  iij .      item  Buonessengnia  de  rAnquillaja  libre  .  xlv. 
e  soldi  .iiij.  e  denari  .j.       item  per  ser  Arrigo  Rinieri  Mediki  libre    29(> 
.  Lxxxxiiij .    e   soldi    .  v .    e    -^-       item   per   Rugieri    figliastro   Buon- 
fantini    libre    .lxviiij.    e    soldi  .xiij.  e  denari    .iiij.       item  per  Ar- 
rigo f .  Rinieri  Mediki  libre  .  liij  .    e   soldi  .  ij .       item   die  dare  per 
lo  prode  libre   .xiirj.   e  soldi  .iij.  item  per  Bencivenni   Kompagnio    300 
Quernieri  soldi  .  xlvj  .  denari ....  monta  in  tutto  libre  .  diiij  .  e  soldi 
.viiij.   e    denari    .ij.        item   ravemmo   tra   ppagatori   per    quelli   di 
Laska  libre  .  diiij  .  e  soldi  .  xij . 

Lutieri  f.  Ruffoli  no  die  dare  libre  .iiij.  per  Benci  di  Buorgo  ke    304. 
i  ci  dava  per  nuovi.      posto  che  die  avire.       item  die  per  noi  a  Kam- 
bio  Minerbetti  libre  .iiij. 


SEC.  XIII.  Libro  di  banchieri  fiorentini.  27 


Alberto  f.  Ubertini  no  die  dare  soldi  .xxij.    e    denari   .iiij.  per 
30S    due  massasmutini. 

Ubertino  ci  à  dato  soldi  .  xxij .  e  denari  .  iiij .  posto  sotto  sua  ra- 
scione  ove  die:  sì  avea  sopra  pagato  innanzi  tre  pergamene. 

M.cc.xj.  Ridolfo  f.  Gualfredi  de  l'Anquillaja  no  die  dare  libre 
312  .xxxvij.  e  soldi  .xiij.  e  denari  .vij.  per  libre  trentacinque  di  nuovi, 
ke  i  diede  Aldobrandino  in  Pisa  a  diciotto  denari  per  libre,  ke  li 
li  diede  .  x .  dì  anzi  kalende  giunnio  :  e  de  pagare  .  x .  dì  anzi  ka- 
lende  lullio  :  se  più  sstanno,  a  .  iiij .  denari  libre,  quanto  fosse  nostra 
316  volontade.  e  s'elli  non  pagasse,  si  nno  promise  di  pagare  Jacopo 
Rickardini  di  porte  del  Duomo,  prode  e  capitale  quant'elli  isstessero. 

Kieriko  f.  Gerardi  Tornaquici  e  Bartolo  de  li   Sstorna.       item 

die  dare  soldi  .  xiij .  per  rascione  k'avavamo  sopra  pagato  Fierletto 
320    suo  fratello. 

Donato  f.  Guidi  Fanciellì  ci  à  dato  libre  .xxij.  e  soldi  .x.  uno  die 
anzi  kalende  lulio.  avemmoli  da  Alberto  Ubertini.  posto.  item  ci 
diede  il  fornajo  f.  del  Rosso  del  fornajo  libre  .viij.  e  denari  .xxij: 

324  rekò  cambio  a  questo  termine.  item  ci  die  Gaglieta  del  Pekora  libre 
.  vij .  e  soldi  .  xiiij .  ke  i  ne  skointammo  soldi  diecie  ke  i  davavamo 
per  Konsiglio  Kompagnio  Dietiquardi  di  Borgo  Salorenzi,  e  le  sei  li- 
bre tre  soldi  die  per  noi  ad  Amizo  del  Secka,  e  venti  uno  soldi  an- 

325  noverò  redita  per  lui.       item  diede  redìta  denari  .viij. 

Kompagnio   Soldi   no    die   dare   soldi  .  xxxviiij .  per   Uquicio  f. 
Burnetti  Godini  per  rascione  ke  ssodammo  in  libro  veckio  in  kalende 
luglio.      item  die  dare  denari  .  xxx .  per  Baldovillano  Dissotto.       item 
332    die  dare  soldi  sei  per  quiderdone. 

Kompagnio  ci  à  dato  soldi  .xlviij:  levammo  di  ssua  rascione 
ove  die  avire  per  kalende  marzo. 

Baldovillano  Dissotto  casa  Burneti  Godini  no  die  dare  soldi  .  xxv . 
336    e  ~  per   Uquicione  f.  Burneti    Godini  per  rascione  ke  ssodammo   in 

libro  veckio  ke Kompagno  Fedi.       Baldovillano  ci  à  dato  soldi 

.  xxiij  :  rekò  Aldobrandino.       item  ci  die  Kompagnio  soldi . . .  denari 
.  xxx .      posto  ove  die  dare  di  sopra. 
340  M.CC.XJ.       Jakopo  f.  Quidilungi  no  die  dare  libre  .xij.  e  soldi 

.  xviiij .  per  libre  dodici  di  nuovi,  ke  i  demmo  a  diciennove  denari  libre 
otto  dì  anzi  kalende  giugnio.  posto.  dene  pagare  otto  dì  anzi  ka- 
lende lulio.      si  più  stanno,  sì  no  promise  di  dare  per  pena  denari  .  iiij . 

344  de  l'una  livra  infino  in  due  mesi,  e  dai  due  mesi  innanzi  a  .  vj .  denari  li- 
bre quanto  fosse  nostra  volontade.  e  s'ei  no  pagasse,  si  no  promise 
di  pagare  Albizo  Ar manni,  prode  e  kapitale,  quant'  elli  sstes- 
sero         Isscilinquato  Mainetti  e  Quernieri  f.  Quidi  Quernieri. 

345  Bernardo  Miadonne  Diane  ci  à  dato  per  Jacopo  libre  .xiij.  e 
denari  .xx:   ebbeli   Buonaguida   Bencivenni  per  Guidotto   Rustikuci. 

345.  w.s\  promimise. 


28  Carta  sarda  del  1212.  SEC.  xiii. 


Guiglìelmo  fratello  Rinuccini  Simioni  die  dare   libre  .iij.  per  bo- 
longnini,  e  dino  pagare  .v.  dì  anzi  kalende  agossto.       se  più  sstanno, 
a  denari  .iiij.  libre.       se  no  pagasse,  sì  no  promise  di  pagare  Rinuc-    352 
cino,  prode  e  kapitale. 

Bandino  ci  à  dato  .  liiij  .  soldi  per  Quillielmo.  posto.  item  ci 
à  dato  .XX.  soldi  del  prode. 

Kirispino  Attiglianti  no  die  dare  soldi  .  e .  per  la  rascione  del  li-    356 
bro  veckio,  ke  sopra  pagammo  ad  Attigliante. 

Attigliante  ci  à  ddato  libre  .iij.  ke  de  avere  i  ssterlino  e  altro 
kambio.  item  Attigliante  ci  à  ddato  soldi  .  xxviij .  e  denari  .  iij  :  le- 
vammo di  ssua  rascione  ove  dovea  avire.  360 

Bandino Ataviani  die  dare  .  liiij  .  soldi  per  Quillielmo  fra- 
tello Rinucini.       Bandino  ci  à  dato  soldi  .liiij:  rekò  a  Arnolfino. 

Attaviano    Becki  no    die    dare    soldi  .  l  .  per  la  sua    parte    de   la 
rascione    di    dietro  .vj.  pergamene,    ke    dicie   di    sopra   Uquicione  f.    364 
Burnetti  Godini. 

Ataviano  ci  à  dato  soldi  .  xx .  di  ssua  mano.  item  ci  die  Ata- 
viano  soldi  .xxx.  di  ssua  mano,  e  '1  prode  per  deciembre. 


16.      CARTA  SARDA  DEL  1212. 

Pisa,  R.  Archivio  di  Stato.,  fergamena  originale,  già  edita  mlt^Archiv io  storico 
ita/i  ano,  ser.  Ili,  voi.   XIII,  f.  364.. 

In  nomine  Patris  et  Filli  et  Spiritus  Sancti.    amen.       ego  judigì 
Salusi   de  Lacon  cun  lilia  mìa  Benedicta  per  bolintate  de  donnu  Deu 
potestando  parti  de  Kalaris,  fazzulla  custa  carta  prò  beni  ki  fazzu  a 
onori  de  Deu  et  de    sanctu   Jorgi  et  de   sanctu    Gorgonii  et  de    san-       4 
ctu  Vitu  martirus  de  Xristu,  et  prò  remissioni  de  sus  peccadus  mius 
et  de  parentis  mius,  et  prò   pregu   ki    m'indi   fegit   candu    andei   ad 
Pisas  donnu  Albertu  su  abbadi   de  Gorgona  et  de    Sanctu  Vitu  cun 
issus   fradis   suus.       assolbulla  sa  domu  de  sanctu  Jorgi   de  SeboUu,       8 
ki  si  clabat  ad  pusti  su  monasteriu  de  Gorgona  et   de    sanctu   Vitu, 
et  assolbu  sus  serbus  et  is  ankillas  de  cussa  domu  et  totu  sus  homi- 
nis  ki  ant  istari  ad  sirbitiu   de    cussa   domu:  ki  non   denti    aligandu 
dadu   ni   issa   domu,    ni    is    serbus,    ni  is  sirbidoris  suus;  ni  ad  juigi,      12 
ni  ad  curadori,  ni  ad  majorì  de  scolca,   ni   ad   armentariu,    et   ni   ad 
peruna  personi   ki   siat;   nin   per    nomini   de  judigi,   nin   per   nomini 
alienu;  far  ci  siatsi  libera  et  assolta,  et  icussa  domu  de  sanctu  Jorgi 
de  SeboUu    et  totu  sus  hominis    suus   de   non   dari  aligandu    perunu      16 
dadu,  nin  prò  personis,  nin  prò  causa  issoru  peruna.       et  icustu  beni 
ki  apu  fatu  ad   sa    domu    de   sanctu  Jorgi  de  Sebollu  et  ad  totu  sus 
hominis  suus,  de  noUis  lebari  aligandu  dadu,  non  apat  balia  nin  pò- 


SEC.  XIII.  Cantico  di  S.  Francesco  d'Assisi.  29 

:o  testadì  perunu  juigi  et  nin  perima  personi  ki  ad  benni  pust  mei,  a 
isfairillii  ni  ad  minimarillu  aligandu,  cantu  adi  durari  su  seguili.  et 
icustu  beni  fegi  sendu  in  Pisas,  in  sa  desia  de  sanctu  Pedru  ad  vin- 
cula,  ante  stimonius  Nigola  nodajii  et  Barlecta  de  Luca  filiu  de  Bru- 

24  nectu,  Gualteroto  tiliu  de  Gilardinu  Castagnaccii,  et  Bandinu  filiu 
de  Bonajuncta  de  Philipu,  et  Brunectu  filiu  de  Villanu  Follaje.  et 
sunt  destimonius  Pedru  Darcedi,  Barisoni  Passagi  et  Gomita  de  Serra 
de  Frailis.      et  est  facta  custa  carta  anno  Domini  .M.cc.xir,  indictione 

25  .xiiir,  sexto  idus  madii,  habendumilla  sa  curadoria  de  Campidanu 
ad  manu  mia  per  logu  Salbadori.  et  ki  U'aet  devertere  apat  ana- 
thama  daba  Padre  et  Filio  et  Sancto  Spiritu,  daba  .xii.  apostolos 
et  . mi .°'' evangelistas,  daba  .xvi.  prophetas  et  .xxrii.   seniores,  daba 

32  .cccxviii.  sanctos  patres,  et  sortem  habeat  cum  Juda  traditore  in 
inferno    inferiori.         amen   et  fiat. 


17.      CANTICO  DI  S.  FRANCESCO  D'  ASSISI. 

Secondo  la  leggenda^  S.  Francesco  non  scrisie^  ma  detto  ad  uno  dei  suoi  compagni 
questo  cantico,  il  quale  in  sostanza  è  una  parafrasi  del  salmo  148  in  prosa  rimata  o  asso- 
nanzata,  e  fu  composto,  pare,  circa  il  1224.  Fonti  del  testo  :  i,  il  Cod.  L .  IT.  m .  6 
della  Comunale  di  Assisi,  miscellaneo  del  sec.  XIII  0  XIV  (A);  2-4,  le  Conformi- 
tà te  s  di  Fra  Bartolommeo  da  Pisa  (ijSj),  delle  quali  un  ms.  è  il  Cangiano  C .  Vili. 
2ig  (C^),  altro  ms.  era  nel  convento  di  Cortemaggiore  (C^),  e  la  prima  stampa  è  di 
Milano,  iSio  (C^)  ;  *  J.-  6,  lo  Sp  e  cu  In  m  p  e  rfe  e  tio  nis  S.  Fr  ancisci  (prima  metà 
del  sec.  XV),  di  cui  un  ms.  era  nel  Convento  di  Busseto  (B),  altro  ms.  è  il  n.  1330 
della  Mazariniana  di  Parigi  (M)  ;  7-8,  la  così  detta  F r  ancesc kina  (seconda  metà 
del  sec.  XV),  di  cui  un  ms.  è  nelt ex-convento  delV Annunziata  di  Norcia  (N),  e  altro  è 
nella  Comunale  di  Perugia  (P).  V.  Affò,  Dei  Cantici  volgari  di  S.  Fran- 
cesco d'Assisi,  Guastalla,  f777 ;  Boehmer,  Romanische  Studien,  I,  118 ;  A.  Rossi, 
Il   Cantico    del  sole   in   quattro   diverse    lezioni,    Foligno,   1882**. 

INCIPIUNT    LAUDES    CREATURARUM 

QUAS    FECIT    BEATUS'  PRAXCISCUS    AD    LAUDEM    ET    HONOREIM    DEI 

CUM    ESSET     INFIR3IUS    AD    SAXCTUM     DAMIAXUM. 

/Vltissimu,  onnipotente,  bon  signore, 
tue  so  le  laude  la  gloria  e  l'onore  et  onne  benedictione. 
Ad  te  solo,  altissimo,  se  konfano  ^.fl^-^^  ^' 
et  nuUu  homo  ene  dignu  te  mentovare. 

La   rubrica   Incipiunt    —    Dainianum   manca    in   BOCT-OMNP  1.    Altissimo    BC^C-C^MNP 

onipotente    BC^M  oninipotente  C  et  potente  P  et  bone  et  potente  N         sengore  C  2.  tee  M 

toi  N  tuoe  P  sonno  NP  sompno   M  sono  B  son    C^C-C^  le  gloria  M         et  BNP,  manca  in  C 

lo  honore  C-^iV  lenore  M  e  BC-C^  ogne  BC-P  ogni  OC~N         benedicione  M  3.  A  BC^ 

altissimo  soppresso  in  BOC-C^M,  sostituito  da  signore  in  JVP         si  C  confano  C-*  confanno  BC'^MN 

confonno    P  confcinno    C  4.    e    BC^ M  nullus    M  nullo   BOC^(?NP  e    BC^C^C^MNP 

dignus  M  digno    C^C^   degno    BC^NP  te  manca   in    P  de  C  de  te  BN  mentoriare    M  menzo- 

nare    C*  non    trovare  B  nominare  N  nominarte  O 

*  A  cura  di  Gottardo  Ponzio.  **  Della  lezione  datane  dal  Crcscimbeni  non 

tenni  conto,  perché  quella  non  riproduce  alcun  ms,  ed  è  nient' altro  eie  un  rifacimento  del 


30  Cantico  di  S.   Francesco  d'Assisi.  sec.  xiii. 


Laudato  sie,  mi  sicrnore,  cum  tucte  le  tue  creature 
spetialmente  messor  lo  frate  sole, 
lo  quale  jorna  ,  et  allumini  per  lui  ; 

Et  ellu  è  bellu  e  radiante  cum  grande  splendore  ;  8 

de  te,  altissimo,  porta  significatione. 

Laudato  si,  mi  signore,  per  sora  luna  e  le  stelle, 
in  celu  r  ài  formate  clarite  et  pretiose  et  belle. 

Laudato  si,  mi  signore,  per  frate  vento  12 

et  per  aere  et  nubilo  et  sereno  et  onne  tempo, 
per  le  quale  a  le  tue  creature  dai  sustentamento. 

Laudato  si,  mi  signore,  per  sor  acqua,  \,,»; 

la  quale  è  multo  utile  et  humele  et  pretiosa  et  casta.  16 

Laudato  si,  mi  signore,  per  frate  focu, 
per  lo  quale  ennallumini  la  nocte, 
ed  elio  è  bello  et  jucundo  et  robustoso  et  forte. 

Laudato  si,  mi  signore,  per  sora  nostra  matre  terra,  20 

la  quale  ne  sustenta  et  governa 
et  produce  diversi  fructi  con  coloriti  fiori  et  herba. 

5.    Laudatu  jl/laodatoO  sia  C^C-C^   sii  M  &\  B  sì  tu  NP  mio  NP  meo  M  \non  B  dio 

mio    C^C^C^  singiore   C         con   OC^C^NP        tutte  PCP  twta  C^  O^        le  tee  M  \e.  tuo    C   le  NP 

6.   specialmente    C^C   specìalimente    C    specialamentu  M  raesser   C^C^  nieser  /•  misser  JV  niiser  B 

misyer  C  misìer  Af         lu  frate  jI/ frate  lo  jV  7.  lu  quale  M  \\  quale  C^C  aquaile    C  iorno 

A   giorna   BOC^  il  giorno    C^    lo   di    NP  et  manca  in    C^MNP  e  BC^  alumini  J/ allumina  C 

alumena   P  aluinina   B  illumina   C'^N  per  loi  A  nui  per  lui  BC^M  noi    per  lui  C  noy  per  lume  C 

8.  Et   manca  in  B  elio    C'C^C^NP  illu  J/ esso    B  bello    BC^C^C^NP  buUu    M         et    C^MNP 

manca  in  C-  con   C'C-NP  granC  gravi   C-  9.  di  te  TV  de  ti   vi/"  altissinni   M  signore 

C-C  §engore  C  signifficacione   J/ la  significatione   C'C-  10-11.   mancano  in  Af  10.  sia 

OC^C'^JVP         mio   C^CW^  mon  B  el   mio  NP  suor   C-»  siior  C^C^  soror  B  et  C-C^NP  per 

le  BC^C^NP  11.  in   celo   C  in  cielo  BC^  che  in  celo  NP  il  quale  in  cielo   C>  la  CC^  le  ai 

B  le   hai    C^    ha  NP  formato    C  C^  chiarite    N  et   chiarite    P  chiare   BC^C-C^  e    C'OC 

pretiose    vianca   in    C'C-C^  et  malica   in   BC^C-C  12.    Laudatu   M  sia   C^C-C^NP  sii  M 

mio   C^C'O  meo  M  mon  B  lo  mio   P  el  mio  N  per  due  volte   in  C  venture  M  13.   e   jP 

C^C-M         laire  C^C-C^  layre  7VP  e  C'J/,  »«a«ca  ««  BC-NP  nuvolo   OCJ  nudo  O  nugolo  TVP 

e  BC^M,  manca  in  C  sreno    O,  manca  in  C*  e  ^C*,  manca  in  C^  omne   BMP  omni  C  ognie 

C'*    ogni   C-  rfo/o   tempo    C*    agg-iunge   sereno  14.    per   lo    quale   AB   per   le   quali  C*   per  la 

quail  C  alle    CJ/ a  C^  toi  iV  tuoe  P  creature  tue  M        day  MP,  premesso  ad  a   le  in  C^C^O 

substentamento  N  sustentamintu  M  sostentamento    C^P  15.    manca  in  B  Laudatu  M         sia 

C^C-ONP  sii  M         mio   C^OC^   meo    J/ el  mio  A^  lo  mio   P  sora  iV  suora  P  suor  C^C-»  siior  O 

soror  M         aquaC'C^C»  16.  manca  in   B  la  qual  M         multu  yJ/"  molto   C'C'T-'/'        e  C'C-, 

manca  in  NP         hxxmìie  A  C^C^MN         i.  C^  C\  manca  in  N        preciosa  C  CM/        &  C'^C*  17.  Lau- 

datu M  sia  C^C'CNP  sii  Af         mio   C'C-'C-»   meo  Af  mon   ^  el    mio  iV  lo  mio  P  singnore  C 

focho    C    fuoco    BC'-NP  fuocho    C  18.  per   lu  qual  AI  per  le  quale  C  nalumena  P  ne   illu- 

mina  iV  tu    alumini   BC-    tu    allumini    AI  tu    illumini    C'C-  la   notte    P  et    BC^AfNP  fi  C^C* 

ilio  J/,  manca  in  B  bullu  il/  e  C^C-Af,  manca  in  BN  19.  zocundo  iW  iocondo  P  e  BC^C* 

Af,  manca  in   P  robustissimo    BC^C-C-    robustissimu   Af  robusto  NP   che  lo  pospongono    a   forte 

e  BC^C  20.  Laudatu   AI  sia    C^C-C^NP  sii    Af         mio    C'C-'C    meo  Af  mon  .ff   el    mio  N 

lo  mio  /*  singnore   C  sorore  .ff    soror  AT,  manca  in  C^C-C^  madre    BC'C-C^  21.  ne] 

ce  NP  noi  C  sostenta  BCW^AfNP         e  BC^C^Af  22.  e  /fC'C»  produci   C'C^iV         di- 

versa   C»  frutti    P         con]  e  ^C-' et  C'C^J/"         fiori  BC^C^C^NP  e  jPC'C* 

bolognese  Orazio  Dìo /a.  Costui,  traducendo  in  italiano  ie  Croniche  di  Fra  Marco  da 
Lisbona,  ritradusse  anche  il  Cantico  di  S.  Francesco,  che  l)  era  stato  xioltato  in  porto- 
ffhese,  e  fece  ciò,  si  noti  bene,  lavorando,  non  sulla  versione  portoghese,  bcns)  sopra  una 
riduzione  di  essa  in  castigliano  :  di  ff^uisa  che  il  testo  del  Crescimbeni,  riprodotto  anche 
nei  Poeti  del  primo  secolo,  rappresenterebbe  una  traduzione  di  traduzione  (V al- 
tra   traduzione!      V.  Affò,  op.   cit.  pag,  43. 


SEC.  xiir.  Carta  sangemignanese   del  I22y.  31 

Laudato  si,  mi  signore,  per  quilli  ke  perdonano  per 
24  et  sostengo  infirmitate  et  tribulationeH'-       '     [lo  tuo  amore 

beati  quilli  ke  sosterrano  in  pace, 

ka  da  te,  altissimo,  sirano  incoronati. 

Laudato  si,  mi  signore,  per  sora  nostra  morte  corporale, 
28  da  la  quale  nullu  homo  vivente  pò  skappare; 

guai  a  quilli  ke  morrano  ne  le  peccata  mortali; 

beati  quilli  ke  se  trovarà  ne  le  tue  sanctissime  voluntati, 

ka  la  morte  secunda  noi  farrà  male. 
32  Laudate  et  benedicete  mi  signore  et  rengratiate 

et  serviteli  cum  grande  liumilitate. 

23.   Laudati!    M  sia    OC-C^NP   sii  M  mio   C^C-C>    meo    M  men    B  el    mio    TV  lo    mio    P 

quelli  AC^  tucti  quelli  A''  tutti  quilli  P,  manca  in  C  che  BOC^NP,  manca  in  C-  perdonati  C  C^ 

perdona  M  per  tuo  C^   tuo   C  per  loro  M  per  suo  NP  24.  e  BC^C-M         sostengono  BJVP 

sostene  C-'J/"  soestene  C^C^  infirmitade  CC^C-'iV  infermitate  MP,  manca  in  B  e  C'^  tribu'a- 

cione  J/,  manca  in   B  25.    quelli   AC,   manca  in   B  che  lo  CC  che  le  MNP  che  C  so- 

sterranno P  sosterranon     M   sostenerano  C^    sostegnerano   C^  sustentano    C    portano   N,    manca    in   B 

26.  ke   M  che  BCC-C^NP  da  ti  BO  serano   C-C  scranno    BNP  serando    M         scranno    C> 

27.  Lauda  M  sia  CC^C  sii  jW  si  tu  NP  mio  CC^CNP  meo  M  mon  B  suor  CC^C  soror 
BM  nostra,  manca  in  B  2%.  nnWo  BCC^CNP  può  OC^C^  scampare  ^C'C» ^l/A^P  cam- 
pare O  29.  manca  in  CC ;  gaiai  J/Et  guay  NP  ac  A  ad  NP  quelli  AC-^  quello  B  che 
BC^NP,  manca  in  M  morranno  P  morerando  N  more  BC ,  manca  in  M  ne  le]  in  BCN  col  P, 
manca  in  M  peccato  mortale  BC  NP,  manca  in  M  30.  manca  in  B  Beati  quelli  AC ,  manca  in 
M,  Et  beato  quello  NP  che  CC-CNP  se  man: a  in  A  troverà  P  trova  il/ trovano  C^C-C 
nelle  CP  nello  C  in  le  M  tuoe  P  toe  C  M  toi  TV  tuo  C^  suo  C  sanctissimo  C  santissimo  C^ 
sancte  NP  voluntadi  C  volontadi  C^  voluntate  M  voluntade  C-^N  volontade  P  31.  manca  in  B 
T<.e  M  che  CC'-C^  Però  che  NP  seconda  C'C-^CiA^P  secondo  M  non  li  C'C-C'iV non  gli  P  farà 
iVPporà  fare^/porà  far  C  poterà  far  C  podra  fare  C  32.  manca  tn  B  Laudato  C  e  C  be- 
nedicite C^J/ benediate  C  mio  C'CC^  lumeo  J/ lo  mio  P  el  mio  iV  singnor^  C  e  C'C^ 
Tegratiate  C'  ringratiate  C  ringratiati  C^  engratiate  M  rengratiatelo  NP  33.  manca  in  B  e  C' 
C-'J/  serviateli  A  servitelo  P  servite  a  lui  C  C-jK/"  serviti  a  lui  C  con  C'CNP  humilitads  C- 
C'NP        in  fine  NP  aggiungono  Amen. 

23.  Questo  verso  nelle  Con  formi  la  ies  è  preceduto  dalle  seguenti  parole:  Sequen- 
tem  versiim  fecit  beatus  Franciscus  et  prefatis  addidit  quando  coram  episcopo  Assisiì 
et  Potestate  fecit  prefatas  laudes  decantari,  ut  ad  concordiam  venirent:  quod  et  fac- 
tum est.  27.  A  questo  verso  le  Conformitates  recano  quest^altra  nota:  Istum 
versum  sequentem  apposuit  beatus  Franciscus  quando  sibi  de  die  mortis  sue  a  Christo 
revelatuni  fuit.  33.  I  mss.  della  Fr  ance s china  recano  dopo  Phrcì^xv  questa  nota: 
Era  lo  spiritu  de  sancto  Francesco,  quando  fece  quisto  cantico,  in  tanta  dolcezza,  che 
voleva  mandare  per  frate  Pacifico,  che  era  maestro  de  versi  et  de  canto ,  acciò  che 
li  frati  lo  cantassero  et  andassero  per  lo  mundo  predicando  et  laudando  Dio. 


18.      CARTA  SANGEMIGNANESE  DEL  1227. 

Di  sulf  originale,  esistente   nelV Archivio  di  Stato  in  Firenze,  edita  da  E.  G.    Parodi 
nel  Giorn.  stor.  d.   letter .   ital.   A',  i()4. 

iVlESSERE  Rugiri  e  Frederigo  e  Arigo  anno  tolto  i  tenuta  una  vi- 
gna elio  via  di  soto,  e  di  sopra  est  via,  da  l'uno  lato  este  Prete  e 
da  l'atro  est  Aldobrandino  Galigiani.       item  anno  tolto  una  peca  di 


32  Formole  epistolari  di  G.  Pava.  sec.  xiir. 

terra,  la  quale  est  posta  in  Calcinaja,  che  di  sopera  est  Fidanca  e  da    .   4 
l'atro  lato,  e  est   Martino   da'  monti,  e  da  Tato  lato  è  Fidaca,  e  di 
soto  Atavante  e  /ilioli  Guitocini  da  colle.       item  anno  tolto  una  peca 
di  terra,  de  la  quale  è  data  Alperino,  ch'è  di  soto  e  di  sopra ,  e  est 
messere  Rinieri  dell'oche,  che  da  l'uno  latoro  est  Martino  da'  monti  e       s 
da  l'atoro  lato  est  via.       item  anno  tolto  uno  bosco  mandria,  el  quale 
è  di  sopra  Galgano  e  Biro  Balsafolle,  e  da  l'atro  lato  è  Fidanca,  e 
da  l'atro  lato  el  Santo.       item    anno  tolto  i  Tavernolone    una   peca 
di  terra,  cha  di  sotto  est  Martino  da'  monti  e  di  sopra  est  via  e  da     ir 
lato  via  e  da  l'atro  lato  è  Martino  da'  monti.       item  a  li  Piane  vuna 
peca  di  terra,   la    quale    est   via   di   soto    e    mesere    Atavante ,    e   di 
sopra   est   via  e  da   lato   Piero   Balsafolle  e  da   l 'atro    lato    messere 
Atavante.       item   ne  li  Costi   una   peca    di  terra,   che    di    sopra    est     lO 
Aldobrando  e  di  sotto  est   via  da  l'un  lato  e  est  filioli  Geradini  da 
Mottechi.       item  a  li  Vetrocelle  una   peca    di    terra   ch'è    di    sottuo 
Aldobrando  e  da   lato  est  Piro  BasavoUe  e  da  l'atro  lato  Atavante: 
testimonio  Bonisegna  filiolo  Titi,  e  Gunta  fiolo  Rafali,  e  Gunta  filiolo      20 
Jovanni. 

4.   est]   mx.  et  19.  lato]  ins,  laro 


19.       FORMOLE  EPISTOLARI 
DEL  MAESTRO  GUIDO  FAVA  DA  BOLOGNA. 

Queste  formale  si  leggono  nella  D oc tr ina  ad  t nve ni endas,  inci p i e nda s  et 
for mandas  tnaterias,  composta  dal  maestro  Guido  Faba  o  Fava  circa  il  i32g  in 
Bologna.,  e,  secondo  due  mss.  del  sec.  X^IH,  esistenti  tiella  Biblioteca  di  Alonaco  in  Ba- 
viera., 234gj  (A)  e  16124  (B),  pubblicata  nel  t.  IX  dei  ^uellen  zur  b ayerischen 
und  deutchen  Geschichte ,  M'ilnchcn,  i86j.  Di  una  nuova  collazione  d^anibedue  t 
testi  debbo  ringraziare  il  prof.  W.  Meyer  di  Spira.  Sì  V  uno  che  V  altro  testo  presen- 
tano frequenti  errori.,  ma  dal  confronto  delle  lezioni  è  facile  eruire  l^  emendamento. 

AI.  B 

JVlANDEMO  a  vui  supto  pena  IVlandemo  a   vui  supto   pena 

de  scomunegaxone,  che  no  deipae  de  scomunegaxone,  che  no  deipae 

fare  cum  l'emperatore  alcuna  cura  fare  cum  l'emperatore  alcuna  cura 

o  conpagnia  contra  Lombardi  e  la  u  copagna  contra  Lombardi  e  la       4. 

glesia  de  Roma.  desia  de  Roma. 

II. 

Pregar  ms  ve  convene  vui  tan-  Pregar  me  ve  con  vene  vui  tan- 
to spessa  fiade,  k'a  me  rencrexe;  to  spisso  fiada,  ch'a  me  rencrexe; 
e  no  ferave  da  sufrire,  se  no  ke  &  no  serave  de  suffrete,  se  no  che 
r  amistrà  deo    de    tanta   virtute,  1'  amistade   è    de   tanta   vìrtude,       4 


SEe.  XIII. 


Fornwle  epistolari  di  G.  Fava. 


33 


ke  tute  le  consse  sustene  patiente 
mente.  unde  qualora  e'  ve  man- 
darò  le  mee  littere,  s'ella  sera  meo 
caro  amigo,  elle  ut  farà  cutalle  sì- 
gno;  &  per  lu'  farle  quello  che 
per  la  mia  persona.  e  s'el  signo 
noi  sera,  io  ve  caregà  del  fado, 
mandar  li  podrie  bone  parole  & 
benigna  respoxione. 


ke  tute  loco  se  sustine  patiente 
mente.  unde  qualora  e'  v'aman- 
darò  le  mee  littere,  s'elo  sera  me' 
caro  amigo,  eo  farò  cutale  si- 
gno; &  per  lue  farle  quello  ke 
per  la  mia  persona,  e  s' el  segno 
noi  sera,  no  ve  caregà  del  fato, 
mandare  le  poduice  bone  parole  e 
benigna  responsione. 


III. 


Supplica  la  mia  parvitate  a  la 
vostra  segnoria  devota  mente,  ke 
vui  per  De  e  per  lo  nostro  hono- 
re,  segunda  le  vostra  forca,  eh'  è 
sufficiente  in  questa  parte,  vngla 
dare  overa  co  possa  avere  officio 
in  Comune. 


Suplica  la  mia  parvitae  a  la 
vostra  segnoria  devota  mente,  ke 
vui  per  Deo  &  per  lo  vostro  hono- 
re,  secundo  la  vostra  torta,  chi  è 
sufficiente  in  questa  parte,  voglae 
dare  overa  ke  possan  avere  officio 
in  lo  Comuno. 


mi. 


Ad  vui,  sicomo  ad  altro  meo 
deo  in  terra,  in  lo  qual  è  onne  una 
fidiuca,  segura  mente  recurro  in  le 
mie  necessitade  ;  sperando  eh'  eo 
non  podrave  essere  offenso  u  grau- 
do  da  alcuno  homo  u  persona,  schi 
ella  vostro  potencia  defensando. 


V. 


Da  la  vostra  boutade  segura 
mente  adoiando  ay torio  &  consegio 
per  me  &  per  le  me  amixi  e  signure, 
e  per  l'amore  che  ene  tra  nui  & 
per  la  liberalitade  che  ene  in  vui» 
&  per  chello  que  fareve  omni  die 
per  la  vostra  persona  co  che  po- 
desse,  e  ve  plaxe  recevere  &  a- 
dommadare. 


Ad  vui,  sicomo  ad  altro  meo 
deo  in  terra,  è  omne  mia  fidan- 
za ,  secura  mente  recurro  in  le  mie 
necessitae  ;  sperando  ko  e'  non  po- 
ravi  esere  offeso  u  gravado  da 
alcuno  homo  u  persona,  sì  che  la 
vostra  potencia  defendando. 


De  la  vostra  bontae  segura 
mente  domando  aytorio  &  consi- 
glo e  per  mi  &  per  li  mei  amise  e 
signure,  &  per  l'amore  che  è  tra 
nui,  &  per  la  qualitate  ke  è  in 
vui,  &  per  quello  che  farave  omni 
die  per  la  vostra  persona,  &  che 
podesse  recevere  &  adomandare. 


VI. 


Quando  e'  voge  la  vostra  splen- 
diente  persona  per  laude  alegreca 


Quando  eo  vego  la  vostra  splen- 
diente  persona  per  grande  alegre- 


34 


Pormole  epistolàri  di  G.  Pava, 


SEC.  xnr. 


me  par  che  sia  in  paradiso  ;  se  me 
prende  lo  vostro  amore,  donna 
cencore,  sovra  omne  bella. 


B 

ce  me  pare  ke  sia  in  paradiso  ;  sì 
me  prende  la  vostro  amore,  dona 
censore,  sovra  omne  bella. 


VII. 


Vollesse  Deo,  che  fosse  tanto 
e  talle  in  persona  &  in  avere,  k'eo 
digna  mente  podesse  servire  a  vui 
sicomo  a  ssegnore,  lo  quale  ene 
vero  consiglo  agl'amisi  &  seguro 
refugio  ar  soi  fidelli. 


Volesse  Deo,  ke  fose  tanto  & 
tale  in  persona  &  in  avere,  k'  eo 
digna  mente  podesse  servire  a  vui 
sicomo  a  segnore,  lo  quale  è  vero 
consiglo  agi'  amisi  e  segure  refu- 
gio ai  sei  fideli. 


Vili. 


Forte  mente  ne  dolemo  de  le 
vostro  adversitade;  lo  bene  &  al- 
tro, quando  a  vui  appare,  reputan- 
do nostro  speciale,  sicomo  de  bo- 
no  amigo  e  de  persona  ke  è  da  a- 
mare  &  honorare  per  la  sua  bon- 
tade. 


Forte  mente  ne  dolemo  de  la 
vostra  aversi  de;  lo  bene  &  l'atro, 
quando  a  vui  appare,  reputando 
nostro  speciale,  sicomo  de  bono 
amigo  &  de  persone  ke  è  da  a- 
mare  &  honorare  per  la  soa  bon- 
tade. 


Villi. 


Troppo  ene  grande  chosa,  in 
quello  che  l'omo  de  fare,  essere 
ajutudo  a  eoe  che  le  vicende  no- 
stre u  altre  possano  avere  debito 
complemento. 


Ava  fìada  u  tre  de  1'  omo  re- 
chedede  lo  soe  amigo;  e  s'ello  non 
responde  u  no  volle  satisfare  a  lea 
domandaxone,  possa  po'  fare  la 
sua  voluntade. 


Tropo  ene  grande  cosa,  in  quel- 
lo che  l'omo  de  fare,  esere  a 
zoe  ke  le  vixende  nostre  u  al- 
true  posano  avero  debito  comple- 
mento. 


X. 


Qua  fiada  u  trec  de  1'  omo  re- 
cordare lo  soe  amico  ;  e  s' el  no 
esponde  u  no  vole  satisfare  a  la 
domandasone,  poxe  po'  fare  la  sua 
voluntae. 


XI. 


Scicomo  eo  son  tenudo,  omne 
tempo  voglo  essere  al  vostro  ser- 
vici©, &  placa  a  Deo  dare  a  me 
gratia  et  forca  de  fare  quelle  cose 
ke  a  vui  sotiano  a  plaxare. 


Sicomo  eo  son  tenudo,  omne 
tempo  voglo  esere  al  vostro  ser- 
vicio,  «&  plasia  a  Deo  dare  a  mie 
gracia  e  forca  de  fare  quelle  cosse 
r'  a  vui  stiane  a  plaxere. 


SEC.    XIII. 


Lauda  del  12 jj. 


35 


XII. 


B 


Hoc  miravegla  se  l'uno  homo 
no  vole  seccurrere  a  1'  altro  in  la 
necessìtade.  ka  per  le  peccare  no- 
stre la  fé  è  perduta  in  terra  &  no 
se  trova  la  verità  levemente  in 
questo  mundo. 


o  e  miravegia  si  l  omo  no 
vele  succurrere  a  l'altro  in  neces- 
sitate, ka  per  le  pecade  nostre 
la  fede  è  perduta  in  terra  e  no 
sse  trova  veritade  levemente  in 
questo  mundo. 


XIII. 


Em  per  quello  che  tu  è  homo 
digno  de  multo  honore  &  semper 
fusti  nostro  amigo  speciale,  vole- 
mo  a  li  to  pregi  e  demandaxone 
satisfar  voluntera. 


En  per  quello  che  tu  è  homo 
digno  de  multo  honore  &  semper 
fuisti  nostro  amigo  speciale,  vole- 
mo  a  li  toi  pregi  e  domandaxone 
satisfare    voluntera. 


XIIII. 


Quamvisdeo    che  tu  scia   bon- 

taso  homo  vel  a  persona,  tamen 

non  die  troppo  currere,  saypando 

4       eh'   el  savere   unice    la    prodeca. 


Quamvisdeo  che  tu  sei  bon- 
tadose  homo  quela  a,  tamen  non 
die  tropo  currere,  sapiando  ch'el 
save  vice  la  prodeca. 


XV. 


Cun  co  sia  consa  eh'  el  bono 
amigo  sia  meglio  che  Ilo  re'  pa- 
rente, la  vostra  amistate  voglio 
tenire  cara,  cognoscando  inutile 
essere  lo  stranio  parentado. 


Cum  co  sia  cosa  eh'  el  bono 
amigo  scia  meglio  ka  lo  re'  pa- 
rente, la  vostra  amistade  voglo 
tenere  cara,  inutile  cognoscando 
essere  la  stroma  parentede. 


20.      LAUDA  DEL   1233. 

Da  ila  Cronaca  di  Riccardo  da  San  Germano,  il  cui  ms.  autografo  conservasi  ?iella 
Biblioteca  di  Montecassino. 

Eodem   mense  [junii  1233]  quidam  frater  J.  vili  contectus  tegmine,  tamquam    de 
ordine  fratrum  minorum,  ad  Sanctum  Germanum  veniens,  cum  cornu  quodam  convo- 
cabat  populum,  et  alta  voce  cantabat  tertio  Alleluia,  et  omnes  respondebant  Alle- 
4         luja;  et  ipse  consequenter  dicebat: 

Jdenedictu  laudatu  et  glorificatu  lu  Patre, 
benedictu  laudatu  et  glorificatu  lu  Fillu, 
benedictu  laudatu  et  glorificatu  lu  Spiritu  Sanctu. 
8  AUeluja,  gloriosa  Donna. 


hoc  idem  alta  voce  respondentibus  pueris,  qui  erant  presentes. 


36  Ricordi  di  Matasala  senese.  sec.    xiii. 


21.       RICORDI  DI  MATASALA  DI  SPINELLO  SENESE, 

1233-43. 

Siena,  Biblioteca    Comunale,  Cod.  A.  III.  32,  ms,  originale;   G.  Milanesi,  Archivio 
storico  italiano,  ser.  I,  appena.    V,  23-^2.        Estratti;  collazionati  da  Eurico  Moltem. 

Anno  Domini  .  m  .  ce .  xxxiii .  in  kalen  decenbre.       cheste  sono  le 
sspese  fatte  del  mese  di  dicenbre  per  la  chasa.... 

Item  .V.  soldi  meco  .iii.  denari  nei  chalcari  di  mona  Moschada, 
del  mese  di  magio.  item  .xiiij.  denari  rachonciatura  il  farseto  di  4 
Spinello.  item  .  iiij .  soldi  e  .  ij  .  denari  che  si  die  in  pano  curatura. 
item  .  II .  soldi  cucitura  il  farseto  di  Matasala.  item  .  v .  soldi  nel 
talamacio.  item  .vii.  che  si  die  ne  la  soprasberga  di  Matasala. 
item  .mi.  soldi  per  due  paja  di  maniche  di  madona  Moschada,  di  8 
banbascino.  item  .  xxiii .  soldi  che  si  die  nel  bambascino  di  mona 
Moschada.  item  .xxi.  soldi  per  lo  banbascino  de  la  f ancella.  item 
.XXXII.  denari  in  ceri  per  sante  Marie  d'agosto. 

Chesto  è  del  mese  d'otobre.  in  prima  .v.  soldi  ne  le  maniche  12 
di  mona  Moschada.  item  .  11 .  e  .  vi .  denari  nei  chalcari  di  Mata- 
sala. item  .  XV .  soldi  che  demo  in  .  vii  .  staja  di  sale,  che  mandamo 
a  Ferchole  per  eso.  item  .  iiij  .  soldi  e  .  11 .  denari  ranchonciatura  il 
pillicione  di  madona  Moschada.  item  .11.  soldi  e  .vi.  denari  nei  16 
chalcari  di  madona  Moschada.  item  .111.  soldi  in  uno  pajo  di  cha- 
poni  che  mandoje  madona  Moschada,  che  mandoje  a  la  suoro  cuando 
Aldobrando  murio.  item  .  xii .  denari  rachonciatura  le  pelli  di  mona 
Moschada ....  20 

Chesto  ene  del  mese  di  genajo  [m  .  ce .  xxxiiii .]  in  prima  .  xxxvii . 
soldi  per  uno  porco  che  véne  da  monte  Grosoli,  che  nel  fece  venire 
mesere  Pepo,  per  dispesa  de  la  chasa.  item  .  v .  soldi  e  .  in .  denari 
ne  le  maniche  di  madona  Moschada .  item  .  mi .  e  .  vi .  denari  nel  24 
mantello  di  madona  Moschada  ;  che  le  tre  livre  e  tre  soldi  e  sei  de- 
nari si  fue  di  vino  che  si  vendeo,  e  gli  atri  si  fue  di  grano.  item 
.  XXVI .  denari  in  una  libra  di  candela  che  si  benedisse  per  sante  Ma- 
rie candelorio,  per  la  casa.  item  .  mi .  soldi  meno  .  mi .  denari  in  2S 
panno  tegnitura  de  la  coltre  de  li  fanti.  item  .11.  soldi  che  si  die 
per  l'amor  Dio  :  che  di  cheli  cinque  soldi  si  ne  die  li  due ....  e  sei  ne 
la  coltre  de  le  fancelle.  item  .  xiii .  soldi  e  .  in .  denari,  i  quali  de- 
nari si  die  in  uno  porcellino  per  dispesa  de  la  chasa  del  messe  di  mar-  32 
co.  item  .  VI .  soldi  e  .  vi .  denari  per  dispesa  de  la  chasa  n  uno  pajo 
di  calcari  de  la  fancella.  item  .  xviii .  denari  inn  uno  pajo  di  chalcari 
solatura  di  madona  Moschada.  item  .11.  soldi  e  .111.  denari  per  car- 
ne, di  pasqua,  dispessi.       item  .  11 .  soldi  per  dispesa  de  la  chasa,  che     36 

3.  soldi]   nel  ms.  s,  e  così  sempre.         meco]  nel  ms,  m.  e  così  sempre.         denari]  nel 
ms.  d.  e  così  sempre.  25.  livre]  il  ms.  qui  ha  1.   ma  altrove  livre. 


SEC.  XIII.  Ricordi  di  Matasala   senese. 


si  diero  in  palgla.  item  .vili,  denari  in  uno  catino  per  dispesa, 
item  .XII.  soldi  e  .vi.  denari  che  die  madona  Moschada  in  trenta  bra- 
cia  di  tovalie  tesitura.       item  .  v  .  soldi  meco  .  mi .  denari  ne  li  calchari 

40  di  madona  Moschada  e  ne  li  Matasala.  item  .1.  livra  meco  .xxxiiii. 
denari  ne  li  pani  di  Matasala.  item  .11.  soldi  tra  in  cope  e  inn  una 
guastarda .... 

Chesto    ene  del  mese  di  lulglo.       in  primis  .  iii .  soldi    meco  .  11 . 

44  denari  in  polastri,  per  dispesa.  item  .  v .  soldi  meco  .  mi .  denari 
per  dispesa  di  lengna.  item  .vini,  some  di  lengna,  .vi.  soldi  per 
dispesa.  item  .  iii .  soldi  meco  .  mi .  denari  in  .  mi .  some  recatura 
di   Selva  di  Lago.       item    .xv.  denari  in  uno  pajo  di  chalcari  di  ma- 

48  dona.  item  .  vi .  soldi  in  due  bichieri  per  dispesa.  item  .  11 .  soldi 
meco  .III.  denari  per  dispesa  in  panno  curatura.  item  .m.  soldi 
meco  .11.  denari  in  ceri  pe  sante  Marie.  item  .111.  soldi  in  uno  ca- 
pello di  feltro  per  Matasala.       item  .  xi .  denari  in  due  bende  tesitura 

52  per  dispesa.  item  .xviii.  denari  per  dispesa  in  istovelie  de  la  chasa 
in  copi  e  in  orcuoli.  item  .vili,  soldi  che  si  diero  ne  li  osati  di 
Matasala.  item  .v.  soldi  in  una  caldaneta.  item  .vi.  soldi  e  .vii. 
denari  nel  vestimento  di  Matasala.       item  .  in .  soldi  per  dispesa,  che 

56  demo,  menatura  de  lo  mulo.  item  .  xvii .  soldi  meco  .  11 .  denari  ne 
la  guaracia  di  Spinelo  per  dispesa.  item  .  xl  .  soldi  i  quali  si  diero 
in  uno  porco  per  dispesa.  item  .  v .  soldi  e  .  in .  denari  per  dispesa 
in  polli. 

60  Cheste  sono  dispese  de  la  chasa  a  minuto  da  chine'  in  drietro .... 

Anno  Domini  . m .  ce. xxxviii .     in  kalen  di  f ebrajo,  a  la  signoria 

d'Orlando  di  Lupo   podestà  di  Siena.       sì  à  dato  madona  Moschada 

e  Matasala  lo  mulino  di  Paternostro  ad  afito  a  lo  priore  di  san  Villo 

64  per  .  VII .  mogia,  meno  .  vi .  stajà  di  grano,  di  chieduno  anno,  ed  ene 
richolta  chiuso  da  san  Cristofano,  del  deto  afito.  e  ano  inpromesso 
di  rechare  a  loro  dispese  overo  grano  overo  farina,  per  ciasceduno 
mese,  tredici  staja  e  meco  o  di  grano  o  di  farina,  qual  noi  piacese  ; 

68  a  pena  del  dopio.  la  pena  data,  lo  contrato  tenere  fermo.  e  Ma- 
tasala inpromise  dì  fare,  se  la  chasa  si  discipasse,  di  farla  a  le  sue 
spese  per  la  sua  parte;  e,  se  bisciogno  v'avesse  macine,  per  la  sua 
parte,    di   rechàvile  a  le  sue  dispese  fino  al    mulino,  e  di   murare    lo 

72  petorale  a  le  mie  dispese.  e  se  infra  chesto  tenpo  eli  non  maci- 
nasse lo  mulino,  Matasala  lo  perfarà,  overo  di  deto  afito  o  tanto  ten- 
po quanto  eli  fusse  istato  comodamente,  ch'eli  no  avese  macinato  lo 
deto  mulino.       e  se  lo  stechato  si  disfacese  per  aqua  o  per  altro  fare 

76  del  mulino,  lo  deto  priore  lo  die  rifare  de  legname  comunale  a  le 
sue  dispese.  ed  eli  die  fare,  lo  deto  priore,  tute  l'altre  dispese  ne- 
cesarie  che  vi  sono  bisciogno  al  deto  mulino.  e  charta  n'apare  di 
cheste    cose    da  qui  'n  suso  per  mano  d' Arigo  notajo,  e  testimonio  n'  è 

79.  notajo]  /■/  testo  not. 


38  •  Ricordi   di  Matasaìa   senese.  sec.  xiii. 


de  le  dete    cose  di  sopra   Talìacapo   Aldobrandino,  et  Aldobrandino     80 
Guido  da  Fogne,  e  Bernardo  Vitali,  e  Bartolomejo  Talomejo 

Anno  Domini  .m  .  ce  .  xxxiii .  da  genajo  in  drieto,  per  un  ano,  a 
r  escita  da  la  signoria   di   Gullielmo   Amati  si  à  uti  sere   Lambertino 
de  le  piscioni  di  Val  di  Montone  .  lv  .  soldi  per  lo  deto  ano  da  Mata-     84 
sala,  per  la  quarta  parte  d'undici  libre  che  si  richoliano  alota  di  Val 
di  Montone  per  Lanbertino 

Avemo   fata   racone   del   grano  che    si  richolse  al   tenpo  di  Ber- 
nardino di  Pio  seconda  volta  podestà  di  Siena,  d'agosto,  che  è  rimaso     88 
da  genajo  inanci,  a  la  signoria  d'Alberto  dal  Canale,  ch^  è  .  vii  .  mogia 
e  .  xiif .  staja  di  grano,  sencia  lo  grano   che   riviene  dal  mulino,   che 
chore  anno  xli  .... 

Anno  Domini    .m.  cc.xl item  .xxii.   soldi  et  .iiij.  denari     93 

dispesi  al  bagno...  item  .xiiii.  soldi  meco  .11.  denari  per  la  la- 
vorascione  de  la  cortigela ....  e  sono  dispesi  nel  coreto  di  Matasa- 
ìa... .  item  .  II .  soldi  in  uno  coltelo  da  desco.  item  .  iii .  soldi  in 
una  maca  di  fero,  di  Matasaìa.  item  .vi.  soldi  in  pano  tegnitura.  95 
item  .III.  soldi  in  due  charte.  item  .11.  soldi  in  uno  roncino  a  ve- 
tura.       item  .  c.xii .   soldi  ne  li  pani  di  Matasaìa,  di  verno,  contiati  li 

denari  de  le  chalce  di  Matasaìa  e  la  guaracia item  .  xii .  staja  di 

grano  che  si  trase  de  l'arcile,  che  si  macinò,  che  si  die  per  l'amore    100 
di  Dio,  per  anima  di  fratelma  a  l'anovale 

Anno  Domini  .m. ce. xli.  del  mese  di  genajo,  per  la  signoria  d'Al- 
berto dal  Canale,  a  le  dispese  in  denari.       in  primis  .  e .  soldi,  li  quali 
denari  die  Matasaìa  a  Viviani  del  donichato,   sindaco  de  le  done   di    104 
santa  Petornela,  e  a  frate  Tomascino  ;  e  dielili  mec'  edima  a  meco  ge- 
najo, e  chiamosine   pagato;  e    aparne   charta   per    mano   sere    Arigo 

notajo  ;    e   fuoro  de  li  denari   de   la   tera  che  si  vendeo item 

.Liiij.  soldi  dispesi  in  uno  convito  che  f  eci  a  cognatoma . . . .  108 

Abo  fata  racone  che  lo  grano  che  si  richolse  al  tenpo  Bernar- 
dino di  Pio,  che  soperchiò  al  tenpo  Alberto  da  lo  Ganale,  eh' è  tuto 
venduto  e  jmanichato.  lo  venduto  si  è  sete  mogia  e  uno  iscafio  di 
grano,  senca  quelo  del  mulino,  e  senca  tre  scafia,  che  die  madona  Ce-  n^ 
ma  li  denari  a  li  frati  Predicatori  per  noi.  item  .vi.  soldi  e  .1111. 
denari  del  majestro  Rainieri  dispesi  a  minuto,  contiati  sedici  denari 
di  legni  eh'  à  ne  la  sua  butiga. 

In  nomini  Domini,  amen.       per  la  signoria  Alberto  dal  Canale  sì    116 
avemo  da  la  badia  a  san  Donato  diece  staja  di  grano,  a  missere  Me- 
colonbardo  de  la  Scuarcia;  ed  ebelo  tredici  die  a  l'escita  d'otobre;  e 
uno  stajo  di  grano  n'  ebe  Cristofano  giolare ,  di  chele    diece  ;  e  dello 
che  choriva  ano  quaranta  e  due.  120 

Item  .XX.  soldi  dispesi  a  minuto:  e  li  oto  soldi  si  diero  a   Corso 
cuocho,  e  li  altri  si  dispesero  per  pasqua  di  ciepo.       item  .xx.  soldi 


117.  a  missere]  sottintendi  date 


SEC.  XIII.  Ricordi  di  Matasala  senese. 


in  uno  elmo  di  cuojo  di  Matasala,  de  li  denari  del  fondaco item 

i24   .VI.  soldi  e  .VI.  denari,  die  Renaldo  de  la  Porta,  in  mele  e  pepe   e 

in  gruogo  per  Ognesanti,  e  in  uno  cero  d'oto  oncie  per  sant'Andrea  — 

Item  uno  mogio   di  grano   trato    de  l'archeta,    venduto  d'aprile 

.1.  soldo;  e  dierosi  a  la  balia  del  citolo  cinque  soldi,  e  dicioto  soldi 

128  al  majestro  eh'  aitò  a  Paternostro  e  a  li  manovali,  e  dispesi  a  minu- 
to vinti  e  sete  soldi e   dierosi  a  Signoreto  diece  e  nuove   soldi 

per  lo  porco  eh'  eli  prestò.  e  dierosili  cinque  soldi  in  uno  freno , 
e  cinque  soldi  in  due  paja  di  speroni  e  due  soldi  in  anona 

132  Anno  Domini  .  m  .  ce .  xxxviii .  in  kalendis  genuari,  a  la  signoria  di 

Pietro  Parenci  potestà  di  Siena.  queste  sono  le  spese  de  li  filinoli 
Spinelli  Matasala  in  denari.  item  .  xx .  soldi  donati  alla  cognata  sere 
Vesconti  giudice.       item  .viii.  soldi  in  lino  per  la  casa.       item  .\a, 

136  soldi  in  uno  porco  che  si  comprò  di  genajo.  item  .11.  soldi  Adala- 
scia  fancella  per  dispesa.  item  .vini,  soldi  in  lino  per  la  casa, 
item  .XXII.  soldi,  li  quali  denari  à  dati  Matasala  a  Mafejo  del  Gre- 
ci© per  domino  Pandolfino  Bartalomeo  de  la  soma  de  le  tre  livre,  e 

140  venti  e  nuove  denari.  si  chiamò  pagato,  e  aparne  charta  per  mano 
sere  Arigo  notajo  ;  ed  ebeli  lunidie  .  x .  die  a  l' eseita  di  genajo  ;  e 
tue  per  nove  braccia  di  stanforte  verdello,  e  uno  quaro  ch'ebe  mi- 
sere Pandolfino.       item  .  11 .  soldi  ne  la  chonpagna  di  Matasala.       item 

144  .11.  soldi  nel  nasale item  .xxvii.  soldi,  li  quali  prestai  sopra 

a  l'asbergo  d'Arnolfo    Qualenghi  per  l'oste   di  Marema item 

.XX.    soldi   per    dispesa  a  minuto   de   la   semana  di  sant'Andrea 

item  .  XVII .  soldi  e  .  11 .  denari  ne  le  bustora  d' Ugulinella.      item  .  xiiii . 

145  soldi  ne  la  bote    achonciatura . . . .       item  .xxx.  soldi  in  due    cerave- 

liere  per  Matasala  e  per  Spinello item  .  xxv .  soldi  donati  a  la 

molle  di  Rico item  .111.  livre  e  .11.  soldi,  i  quali  biscacò  Spi- 
nello, del  f ondacho item  .  xiii .  staja  di  grano  à  dato  Buonamico 

152  e  Orlandino  a  Matasala  martidie  .vi.  a  l'entrante  di  marco,  in  fari- 
na, item  .  xii .  staja  di  grano  à  dato  a  Buonamico  e  Orlandino,  Ma- 
tasala, venardie  santio,  a  meco  aprile,  in  farina.  item  .  xii .  staja  di 
grano  à  dato  Buonamicho  a  Matasala  la  primaja  domenicha  d'otobre.... 

156  Anno  Domini   .m.cc.  xxxviii.  a  l'entrante  d'otobre  .xiii.  die,  a 

la  signoria  d'Orlando  di  Lupo  podestà  di  Siena,  si  à  Viviani  fata 
racone  cho  Matasala  de  la  biada  di  Val  di  Pogne  d'  ugnano,  eh'  è 
suto  in  soma  .  un .  mogia  e  cinque  staja  di  grano,  contiato  quatro  mo- 

160  già  di  grano,  recato  lo  stajo  de  l'affito  al  drito  stajo  di  Siena,  e  con- 
tiato .vi.  staja  d'orco  a  trenta  denari  lo  stajo,  monta  quindici  soldi; 
e  sei  staja  di  spelda,  contiato  vinti  denari  lo  stajo,  monta  sete  soldi 
tra  l'orco  e  la  spelda 

164  Anno   Domini    .m  .  cc.xxxviii.    in   kalende  gugno,  a  la  signoria 

d'Orlando  di  Lupo,  podestà  di  Siena,  Ugolino  de  la  Seharlata  sì  fece 
isbandire  Matasala  per  Paganello  da  Orgiale,  per  l'erede  Rainieri 
Mastinelli.       e  anco  sì  si  fece  ribandire  Matasala  a  Luterengo  bandi- 


40  Frammenti  toscani,  SEC.  xiir. 


tore,  per  parabola  di  sere  Ferante,  gudice  de  la  podestà,  de  lo  sban-    i68 
dimento  d' Ugolino  de  la  Scharlata .... 

In  nomine  Domini,  amen.       questi  so  li  denari  que  io  Matasala  e 
Spinello  diemo  ne  lo  chartelacio .... 

In  nomine  Domini,  amen.       testimonio  n'  è  di   queste  chose  che  si    172 
dicierà  da  quae  a  valle,  Gaccaneto  Alberichi  e  Prietro  Anbruosci,  Ja- 
chomo  Orlandini,  a  la  singnoria  di  Prietro  Parenti,  podestà. 

Anno  Domini  millesimo    .  ce.  xxxviij .  in  kalende  f ebrajo  madona 
Moschada  e  Matasala  a  Buonamicho  Buonachorsi  e  richolt'  ane  Arnol-    176 
fo  Gacani  e  la  molle.       altresì  per  lo  mulino  di  Paternostro,  e  àio  tolto 
per  .VI.  mogia  e  .iiij.  staja  di  grano  e  pagare.... 


22.      FRAMMENTO 
DI  UN  LIBRO  TOSCANO  DI  RICORDI  DEL  1235-36. 

Firenze,  R.  Archivio  di  Siato  ;  E.  G.  Parodi,  Giorn,  star,  della  letter  a  tura 
italiana^  X,  igs.  «  Trovasi  in  foglietto  sciolto  e  lacero,  che  attualmente  e  inserto  tra  i 
ff.  ij  e  16  del  registro  che  si  riferisce  agli  anni  123^-1236.  Sono  ricordi  domestici,  e  vi 
si  farla  di  un  Palmieri,  notajo  del  ^podestà  [in  Firenze^  ne  IV  a.  123^.»   (Parodi,  loc.  cit.) 

Ìtem  diede  Palmieri  .iirj.  livfe  e  .x.  fiorini  per  la  gonela  Marie. 
item  .1.  paria  di  chalzari  .vi.  fiorini.  item  Palmieri  porttoa  a  la 
molle  Sasetti  uno  isciacale  d'ariento,  che  costoa  .  iii .  livre  e  .  v .  fiorini, 
item  le  portoa  una  benda  che  costa  .  xvij .  fiorini.  item  inn  una  pa- 
ria di  iscalzari  .  viiij .  fiorini.  item  uno  iscagiale  d'ariento  che  costa 
.  xxxvi .  fiorini. 

I.  livre]   nel  ms.  abbreviato  1.  cos)  f.  invece  di  fiorini. 


23.      BRANO  DI  ATTO   GIUDIZIALE   TOSCANO  DEL  1236. 

V.  In  fine  ad  un  atto  del  nostro  Archivio  [di  Stato  in  Firenze^  del  1236  marzo,  17 
(Passignano) ,  che  contiene  la  notizia  di  una  sentenza,  fer  mezzo  della  quale  è  dato  al 
Sindaco  della  Badia  di  Passignano  il  possesso  di  alcune  terre,  contro  Dietìfeci  del  Ju 
Oliviero  Fr esoni,  si  trova  la  lista  delle  spese  fatte  dalV attore.  La  seguente  parte  del 
conto  è  scritta  in  volgare.»    (P.  Santini  nel  Giorn.  stor.  d.  letter.  ital.   A',  1Ò4.) 

....  iTEM  diedi  ad  un  messo  ke  venne  per  Dietif eci,  denari  .  xii . 
item  diedi  per  lo  konfasamento  di  Dietifeci  soldi  .ij.  item  ded  per 
lo  puronuxiamento  soldi  .ij.  di  fruti.  item  demmo  ad  un  messo 
soldi  .ij.  ke  venne  a  dare  i  fruti  Dietiiecie. 


SEC.    xiir.  Doc,   ferrarese.  Iscrizione    veneziana.  41 


24.      DOCUMENTO  FERRARESE  DEL  1242. 

Da  un  codice  contenente  V  Eneide  di  Virgilio,  scritto  nel  ngS,  che  si  conservava  nella 
Biblioteca  dei  Carmelitani  di  S.  Paolo  in  Ferrara,  edito  in  Borsetti,  Hi  stori  a  almi 
Ferr ariae  gy mnasii,   II,  447. 

/V.NNO  Domini  f  in  el  presente  ano  de  salute  .m.  doixento  qua- 
ranta doi  lo  strenuo  ac  splendido  viro  Athon  de  Esthi  gh'  à  facto 
impinger  una  tabula  per  lo  excelente  magistro  de  impinctura  m.  Ge- 

4  laxio,  fiol  de  Nicolao  de  la  Masna  de  sancto  Georgi,  el  qual  dicto 
Gelaxio  fo  en  Venexia  subtus  la  disiplina  de  lo  admirando  magistro 
Theophani  de  Constantinopolo  ;  ibi  cum  el  so  ingenio  ac  sedula  ala- 
crità el  gh'  à  facto  maximo   proficto.       ac  ideo   el  venerabile  miser 

8  Phelipo  de  Fhontana  delecto  per  nu  dal  sancto  padre  en  Xristo  Ino- 
centio,  ac  per  la  nostra  gexia  del  vescovado  ,  jussu  de  lu ,  el  gh'  à 
impincto  l'afigie  della  nostra  Dona  cum  el  benedicto  fructo  del  so 
ventre  Jexus  inter  hulnas  ;  item  el  ghonfalon  cum  sancto  Georgi  ka- 

12  valieri  cum  la  puela  ac  el  dracon  truce  interfecto  cum  la  lancea. 
cum  el  dicto  ghonfalon  se  obviò  el  prò  dux  Tehupol  de  Venexia. 
en  epsa  dieta  tabula  estorià  el  gh'  à  el  caxo  del  Phaeton  cum  venu- 
stà de  colora  juxta  li  poete,  nec  non    exemplo  memorabil  secundum 

16  el  psalmo:  Dispersit  superbos.  laus  Deo,  amen.  Huldovicus  de 
Joculo  sancti  Georgi  memoriam  fecit  mirabilium,  feliciter.  amen  f 
amen. 


25.      ISCRIZIONE  VENEZIANA  DEL  1249. 

«  È  questa  la  più  antica  iscrizione  sepolcrale  in  veneziano,  in  cui  si  vegga  scolpito 
tanno.  Leggesi  nel  pavimento  della  chiesa  di  S.  Stefano  di  Murano,  e  venne  riportata  dal 
Moschini,  Guida  di  Murano,  Venezia,  r8o8,  p.  47. ■»  Gamba,  Serie  degli  scritti 
impressi  in  dialetto  veneziano,    Venezia,  1832,  p.  12. 

IVi.CC.XLIX.    DE    SIER    MICHELE    AMADI 
FRANCA    PER    LU    E    PER   I    SO    HEREDI. 


26.      RIME  DI  GIACOMO  DA  LENTINO,  IL  NOTAJO. 

Le  notizie  di  questo  trovatore  scarseggiano,  ma  si  pub  tenere  per  certo  che  egli  fu 
uno  dei  contemporanei  di  Federico  II  e  per  più  che  probabile  c^ie  vivesse  in  Toscana,  ove 
salì  in  pregio  sì  da  essere  considerato  il  caposcuola  dei  lirici  anteriori  a  Guittone  d^ Arez- 
zo;   cf  Dante,   Purg.    XXIV,    55-6,  e  Benvenuto  da  Imola,   Coment 0,  ivi;  onde  il 


42 


Rime  di  Giacomo  da  Lentino. 


SEC.  xm. 


primo  posto  fra  i  rimatori  di  quel  ciclo  gli  puh  essere  assegnato,  benché  forse  vi  sia  tra 
essi  qualcuno  di  lui  p ih  anziano.  Della  canzone  VII  fa  ricordo  Dante  nel  De  vulg. 
e  log.  I,   XII. 

I. 

Dal  Cod.    Val.  3793>    unico  per  questa   poesia. 

NOTARO    GIACOMO. 


D 


OLCiE  coninciamento 


canto  per  la  più  fina 
cne  sia  al  mio  panmento 
d'Agri  infino  in  Mesina, 
Ciò  è  la  più  avenente. 
o  stella  riluciente 
che  levi  la  maitina, 
quando  m'apare  avanti, 
li  tuo  dolzi  sembiantì 
m'inciendon  la  corina. 

"  Dolcie  meo  sir,  s'enciendi, 
or  io  che  degio  fare  ? 
tu  stesso  ini  riprendi,Vo>^v>'^i'- 
se  mi  Veì  favellare. 
Ca  tu  m'  ài  namorata, 
a  lo  cor  m'  ài  lanciata 
sì  ca  fori  non  pare, 
rimembriti  a  la  fiata 
quando  t'  ebi  abrazata, 
a  li  dolzi  basciari.  „  20 

S,  ms.  davanti  9.  ms.  li  suo 

zione  primitiva  di  questi  tre  versi  era  :  quando 
m'  enciende  la  corina.  11.  ms.  sire 

lancata  17.  ms.  di  fori  22.  ms. 


16 


Ed  io  basciando  stava 
in  gran  diletamento 
con  quella  che  m'amava, 
bionda,  viso  d'argiento. 
Presente  mi  contava, 
e  non  mi  si  cielaya, 
tuto  suo  convertente  ; 
e  disse  :   "  io  t'ameragio, 
e  non  ti  falleragio 
a  tuto  1  mio  vivente. 

Al  mio  vivente,  amore, 
io  non  ti  falliragio'*"^" 
per  lo  lusingatore      .e 
che  parila  di  fallagio.  r.^ 

Ed  io  '^sì  t'  ameragio  y^I-*^'*^ 
per  quello  eh'  è  salvagio'*"^' 
Dio  li  mandi  dolore, 
unqua  non  vengna  a  magio  : 
tant'  è  di  mal  usagio, 
che  di  stat  a  gielore.  „ 

IO.  ms.   m'  inciendono;   e  forse  la  le- 
m'apare   avante     lo  tuo  dolze  sembiante 
14.  ms.  vedi  16.   ms.    core  e 

grande  34.  ms.  di  tal  fall. 


W^A-^ 


24 


2S 


3» 


{.^""^ 


3& 


40 


IL 

Si  da  il  testo  dei  tre  mss,  i  più  antichi:    Vat.  3793  (A),  Laurem.-Red.  9  (B), 
Palatino  418  (C),  preceduto  da  un  tentativo  di  ricostituzione  critica, 

NOTARO  JACOMO. 

iVlERAVII.LIOS  AMENTE 

un  amor  mi  distringe         e  soven  ad  ogn'ora,  ' 


Kom  omo  ke  ten  mente 
A  B 

NOTAR  JACOMO. 


NOTARO    GIACOMO. 

Maravilgliosamente 
un  amore  mi  distringne 
e  sovenemi  ad  ongn'  ora, 
coni  omo  che  tene  mente 


Meraviglosamente 
un  amor  mi  distringe 
e  ssoven  ad  ogn'  ora, 
Com  omo  che  ten  mente 


c 

NOTARO     JACOMO. 

Meravilliosamente 
un  amor  mi  distringe 
mi  tene  ad  ogn'ora, 
Kom  on  ke  pone  mente 


SEC.    XIII. 


Rime  di  Giacomo  da  Lentino. 


43 


i6 


in  altra  parte  e  pinge         la  simile  pintura. 

Così,  bella,  face'  eo  : 

dentr'  a  lo  core  meo         porto  la  tua  figura. 

In  cor  par  k'eo  vi  porte 
pinta  corno  parete,         e  non  pare  di  iore. 
O  deo,  ko  mi  par  forte  ! 

non  so  se  lo  savete         com  io  v'amo  a  bon  core; 
Ka  son  si  vergognoso 
k'eo  pur  vi  guardo  ascoso         e  non  vi  mostro  amore. 

Avendo  gran  disio 
dipinsi  una  pintura,         bella,  voi  somiglante; 
E  quando  voi  non  veo, 

guardo  in  quella  figura         e  par  k'  eo  v'  agia  avante, 
Sì  kom  om  ke  si  crede 
salvarsi  per  sua  fede,         ancor  non  vegia  inante. 

Al  cor  m'arde  una  dogla 
com  om  ke  tene  1  foco         a  lo  suo  seno  ascoso, 
E  quanto  più  lo  'nvogla 


A 


B 


in  altra  parte  e  pingie 
la  simile  pintura. 
Cosi,  bella,  facci'  eo  : 

8         dentro  a  lo  core  meo, 
portto  la  tua  figura. 

In  core  pare  eh'  i'  vi  portte 
pinta  come  voi  sete, 

12        e  no  pare  di  fore, 

anzi  m'  asembra  mortte  : 
che  no  so  se  savete 
com  io  v'  amo  a  bon  core. 

i6        Ca  sono  si  vergongnoso 
eh'  io  vi  pur  guardo  ascoso 
e   non  vi   mostro  amore. 
Avendo  gran  disio, 

2o       dipinssi  una  pintura, 

bella,  a  voi  similgliante  ; 
e  quando  voi  non  vejo, 
guardo  in  quella  figura 

24       e  par  ch'io   v'agia  avante; 
Sì  com  omo  che  si  crede 
salvarsi  per  sua  fede, 
ancora  non  à  davante. 

^8  Cosi  m'  arde  una  dolglia 

com  omo  che  tene  lo   foco 
a  la  suo  seno   ascoso; 
che  quanto  più  lo  'nvolglia 


in  altra  parte  e  pinge 
la  simile  pintora. 
Cosi,  bella,  facc'eo: 
dentr'  a  lo  core  meo 
porto  la  tua  figora. 

Al  cor  par  eh'  eo  vi  porte 
pinta  corno  parete, 
e  non  pare  di  fore 
E  molto  mi  par  forte, 
non  so  se  vi  savete 
com  io  v'  am'  a  bon  core. 
Cha  sson  sì  vergognoso 
ch'eo  pur  vi  guardo  ascoso 
e  non  vi  mostro  amore. 

Avendo  gran  dizio, 
dipinsi  un  figura, 
bella,  voi  simiglante  ; 
E  quando  voi  non  vio, 
guardo  'n  quella  'npintura 
e  ppar  eh'  eo  v'  aggia  avante  ; 
Si  com  om  che  ssi  crede 
salvare  per  sua  fede, 
ancor  non  vad'  avante. 

Al  cor  m'  ard'  una  dogla 
com  om  che  tene  il  foco 
a  lo  su'  seno  ascozo  ; 
E  quanto  più  lo  'nvogla 


in  altro  exemplo  pinge 
la  simile  pintura. 
Così,  bella,  fac'  eo  : 
k'  entra  lo  core  meo 
porto  la  tua  figura. 

In  cor  par  k'  eo  vi  porti 
pinta  comò  parete, 
e  non  pare  di  fore. 
O  deo,  ko  mi  par  forte, 
non  so  se  lo  sapete 
con  v'  amo  di  bon  core. 
k'  eo  son  sì  vergognoso 
ka  pur  vi  guardo  ascoso 
e  non  vi  mostro  amore. 

Avendo  gran  disio, 
dipinsi  una  pintura, 
bella,  voi  simiglante; 
E  quando  non  vi  veo 
guardo  in  quella  figura 
e  par  k'  eo  v'  agia  davante  ; 
Kome  quello  ke  crede 
salvarsi  per  sua  fede 
ancor  non  vegia  inante. 

S'eo  guardo  quando  passo, 
in  ver  voi  no  mi  giro, 
bella,  per  risguardare; 
Andando,  ad  ogne  passo 


44 


Rime  di  Giacomo  da  Lentino. 


SEC.    XIII. 


e  non  pò  stare  incluso  ; 


a  VOI,  VISO  amoroso. 


alora  arde  più  loco 
Similemente  eo  ardo 
quando  passo  e  non  guardo 

Se  siete,  quando  passo, 
in  ver  voi  non  mi  giro,         bella,  per  risguardare 
Andando,  ad  ogne  passo 

gittone  uno  sospiro         che  mi  facie  ancosciare. 
E  certo  bene  ancoscio, 
k'a  pena  mi  conoscio, 

Assai  v'  aggio  laudata, 
madonna  in  molte  parte. 
Non  so  se  v'è  contato 
k'eo  lo  faccia  per  arte, 
Sacciatelo  per  singna 
zo  k'  e'  vói  dire  a  lingua, 

Kanzonetta  novella, 
va  e  canta  nova  cosa; 
Davanti  a  la  più  bella 


tanto  bella  mi  pare, 
di  belleze  e'  avete, 
ké  voi  ve  ne  dolete. 

quando  voi  mi  vedete, 
levati  da  maitino 


24 


28 


32 


39 


B 


C 


alora  arde  più  loco 
e  non  può  stare  inchiuso. 
Similemente  eo  ardo, 
quando  esso  pa  non  guardo 
a  voi,  viso   amoroso. 

Perzò  s' io  v'  ò  laudata, 
madonna,  in  tute  parti 
di  belleze  e'  avete  ; 
non  so  se  v'  è  contata 
ched  i'  1  facca  per  artti, 
che  voi  ve  ne  dolete. 
Saccatelo  per  singa 
zo  eh'  i'  vi  dirò  Unga, 
quando  voi  mi  vedete. 

Se  voi  siete  quando  passo' 
in  ver  voi  non  mi  giro, 
bella,  per  isguardare  ; 
andando,  ad  ongni  passo 
gittone  uno  sospiro 
che  mi  facie  ancosciare  ; 
E  ciertto  bene  ancoscio, 
e' a  pena  mi  conoscio; 
tanto  bella  mi  pare. 

Kanzonetta  novella, 
va  e  canta  nova  cosa; 
levati  da  maitino 
davanti  a  la  più  bella 


tanto  prende  pio  loco 
e  non  pò  star  rinchiozo. 
Similemente  ardo 
quando  pass'  e  non  guardo 
a  voi,  viz'  amorozo. 

S'  i'  colpo  quando  passo 
ìnver  voi  non  mi  giro, 
bella,  per  voi  guardare; 
Andando,  ad  ogne   passo 
si  gitto  uno  sospiro 
che  mi  faci' angosciare; 
E  certo  bene   angoscio 
eh'  a  pena  mi  conoscio, 
tanto  forte  mi  pare. 

Assai  v'aggio  laudata, 
madonna,  in  molte  parte 
di  bellesse  eh'  avete; 
Non  so  se  v'  è  contato 
ch'io  lo  faccia  per  arte, 
che  voi  ve  ne  dolete. 
Aggiatelo  per  singna 
ciò  che  voi  dire  a  lingua, 
quando  voi  mi  vedete. 

Mia  chansoneta  fina, 
va,  chanta  nova  cosa; 
moveti  la  maitina 
Davante  a  la  più  fina 


gecto  un  gran  sospiro 
e  facemi  angosciare. 
E  certo  ben  cognosco 
k'  a  pena  mi  cognosco, 
tanto  bella  mi  pare. 

Al  cor  m'arde  una  dogla 
com  on  ke  te  lo  foco 
in  del  suo  seno  ascoso  ; 
E  quando  più  lo  'nvollia 
allora  arde  più  in  loco 
e  non  pò  stare  incluso. 
Similitente  eo  ardo, 
quando  passo    e  non  guardo 
a  voi,  viso  amoroso. 

Assai  v'  agio  laudata, 
madonna  in  tucte  parti 
le  bellece  e'  avete  ; 
Non  so  se  v'è  contato 
k'eo  lo  facia  per  arti, 
ke  voi  ve  ne  dolete. 
Sacciatel  per  insegna 
ciò  k'  eo  vi  dico  a  llingua, 
quando  voi  mi  vedrete. 


32 


36 


40 


44 


48 


52 


56 


SEC.    XIII. 


Rime  di  Giacotìio  da  Lentìno. 


45 


40 


fiore  d' ogn'  amorosa,         bionda  più  e'  auro  fino. 

Lo  vostro  amor  eh'  è  caro 

donatelo  al  Notaro         eh' è  nato  da  Lentino. 


B 


60 


fiore  d'  ongni  amorosa, 
e  bionda  più  e'  auro  fino, 
lo  vostro  amore  eh'  è  caro, 
donatelo  al  Notaro 
eh'  è  nato  da  Lentino. 


fiore  d'  ogn'  amoroza, 
bionda  pio  ch'amo  fino, 
lo  vostro  amor  eh'  è  caro, 
donatelo  al  Notaro 
eh'  è  nato  da  Llentino. 


m. 

//  testo  è  costituito  sui  mss.  Lauretiz,  -  Red,   g  (B)  e   Palatino  418   (C). 
In  C  va  sotto  il  nome    di  Rugieri  d^ Amici, 


NOTARO  JACOMO. 


16 


iVIadonna  mia,  a  voi  mando 
in  gioì  li  mei  sospiri; 
ea  lungiamente  amando 
non  vi  volsi  mai  dire 
Com'  era  vostro  amante 
e  lealmente  amava, 
e  però  k'eo  dottava 
non  vi  faeea  sembiante. 

Tanto  set'  alta  e  grande, 
k'  eo  v'  amo  pur  dottando  ; 
non  ao  per  eui  vi  mande, 
per  messaggio  parlando; 
Und'  eo  prego  l'amore, 
a  eui  pregha  ogni  amanti, 
li  mei  sospiri  e  pianti 
vi  pungano  lo  eore. 

Ben  vorria  s'eo  potesse, 
quando  sospiri  getto, 
e'  ogni  sospiro  avesse 
spirito  e  intelletto. 


24 


28 


32 


36 


40 


K'  a  voi,  donna,  d'  amare 
domandassen  pietanca, 
da  poi  k'eo  per  doetanca 
no  m'auso  dimostrare. 

Voi,  donna,  m'aneidete 
e  faitemi  penare, 
da  poi  ke  voi  vedete 
k'io  vi  dotto  parlare. 
Perehé  no  mi  mandate, 
madonna,  confortando 
k'  eo  no  desperi  amando 
de  la  vostr'  amistate  ? 

Vostra  cera  plagente, 
mercé  quando  vi  clamo, 
m'inealeia  fortemente 
ch'io  v'ami  più  ch'io  v'amo. 
Ch'io  non  vi  poteria 
più  eoralmente   amare, 
ancor  che  più  penare 
poriasi,  donna  mia. 


4.  n.  vi  porcai  6.  e  coralm.    C  7.  ma  p.    C 

10.   ch'io   B  doctando  C  11.   e  non   so  cui    vo 

12.  messagier  C  13.  io  B  14.   accui  B  serven   li    C  15.  miei  B 

16.  vo  17.  s'io  B  IS.   quanti  B  eo    gecto    C  19.   ciascun  s.    C 

22.  dimandasser  pietansa  B  23.  da  p.  che  p.  dottansa 

B  da  k'eo  p.  d.  C  24.  non  vo  posso  parlare  B  25.  alcidete  B  26.   e   allegiate    a    p.  -ff 

27.  che  B  mi  V.  C  28.  ch'io  vo  B  docto  in  p.  C  29.  Come  C  noa  B  30.  t  ut- 

tavia  e.  B  31.   eh'   B  io   non  disp.    C  32.   vostra   B  33  -  40.     mancano  tn    C 

34.  vo  ci.  ^ 


2.  miei  B  3.  e  coralmente  C 

ch'io^  doctava  C  9.  sete  C 

m.  B 
p.B 
20.   anima  e  int.    C  21.  Ch'a  B 


46 


Rime  di  Giacomo  da  Lentino. 


SEC.    XIII. 


In  gran  dilectanca   era, 
madonna,  in  quello  giorno 
quando  vi  forma'  in  cera 
le  bellece  d'intorno.  44 

Più  bella  mi  parete 
ke  Isolda  la  bronda; 
amorosa,  gioconda, 
fior  de  le  donne  sete.  48 


Ben  sai  k'eo  son  vostr'omo, 
s'a  voi  non  dispiacesse, 
ancora  ke  1  meo  nomo, 
madonna,  non  dicesse. 
Per  vostro  amor  fui  nato, 
nato  fui  da  Lentino  ; 
dunqua  debbo  esser  fino, 
da  poi  c'a  voi  son  dato. 


41.  dilettans  B               43.  q.  ti  formai  B               44.   Le  bellesse    5  e  le   h.  int.  C  46.  cha  Iz.  B 

Ysocta  C                47.  amoroza  B                48.  che  sovro  ogn*  altra  siete  B  49.  Ben   so  C               che 

sson  B       vostro  C               51.  che    '1  mio  B               53.  son  nato  C  54.  fui  nato    C  Llentino   B 
55.    donqua  C          debb'  B               56.  ke  vi  C 


52 


56 


mi. 

Si  riproduce  il  testo  quale  trovasi  nei  due  mss.    Vat.  3793  (A),  Laur.-Red.  9  (B) 
nella  parte  di  origine    comune  con  A. 


A 


'  B 


NOTARO   GIACOMO. 

/Vmore  non  vole  eh'  io  chiami 
merzé  com  omo  clama; 
né  eh'  io  m'  avanti  e'  ami, 
eh'  ongn'  omo  s' avanta  e'  ama  : 
Che  lo  servire  c'on'omo 
sape  fare  non  à  nomo; 
e  non  è  im  presgio  di  laudare 
e  quello  che  sape  ciascuno. 
a  voi,  bella,  tal  dono 
non  voria  apresentare. 

Perzò   r  amore    m' insengna 
eh'  io  non  guardi  a  l'antra  giente  ; 
non  vuol  eh'  io  resembri  a  scingna 
e'  ongni  viso  tene  mente. 
Perzò,  donna  mia, 
a  voi  non  dimanderia 
merzé  né  pietanza: 
che  tanti  son  gli  amatori, 
eh'  este  scinta  di  favori 
merzé  per  troppa  usanza. 

Ongni  gioja  ch'é  più  rara 
tenuta  é  più  preziosa; 
ancora  che  non  sia  cara, 
de  l'altre  è  più  graziosa: 


NOTARO    GIACOMO. 

/Vmoe  non  vuole  ch'io  clami 
merzé  con  omo  clama; 
né  ch'io  m'avanti  c'ami, 
e' ongn' omo  s' avanta  c'ama:  4 

Che  lo  servire  c'on'omo 
sape  fare  nonn  à  nomo; 
e  non  é  in  pregio  di  laudare 
e  quello  che  sape  ciascuno.  8 

a  voi,  bella,  tal  dono 
non  vorria  apresentare. 

Perzò  l'amore  m' insengna 
ch'io  non  guardi  a  l'altra  giente;    12 
non  vuol  ch'io  resenbli  a  scingna 
e'  ongni  viso  tene  mente. 
Perzò,  madonna  mia, 
a  voi  non  dimanderia  ^6 

merzé  né  pietanza: 
che  tanti  sono  gli  amatori, 
eh'  este  santa  di  savori 
merzé  per  troppa  usanza.  20 

Ongni  gioja  eh'  è  più  rara 
tenut'é  più  preziosa; 
ancora  che  non  sia  cara, 
de  l'altre  è  più  graziosa:  24 


SEC.    XIII. 


Rime  di  Giacomo  da  Lentino, 


47 


38 


32 


36 


40 


44 


48 


Ca  feste  orientale, 
lo  zafiro  asai  più  vale 
ed  à  meno  di  vertute; 
e  perzò  ne  le  merzede 
lo  mio  core  non  v'  aciede, 
perché  1'  uso  1'  à  'nvilute. 

Inviluto  sono  li  scolosmini 
di  quello  temppo  ricordato 
eh'  erano  sì  gai  e  fini, 
nulla  gioja  non  n'è  trovato. 
E  Ile  merzé  siano  strette, 
ch'e  nulla  partte  non* siano  dette 
perché  paino  gioje  nove, 
i  nulla  partte  siano  trovate 
né  dagli  amadori  chiamate 
infino  che  comppie  anni  nove. 

Senza  merzé,  potete 
savere,  bella,  lo  mio  disio, 
c'assai  melcrlio  mi  vedete 
ch'io  medesimo  non  mi  veo. 
E  però  s'  a  voi  paresse 
altro  eh'  essere  non  dovesse, 
per  lo  vostro  amore  avere, 
unque  gioja  non  ci  perdiate: 
così  volete  amistate? 
inanzi  voria  morire. 


Ca  s'este  orientale, 
lo  zafiro  asai  più  vale 
ed  à  meno  di  vertute; 
e  perzò  ne  le  merzede 
lo  mio  core  non  v'  aciede, 
perché  l'uso  l'à  'nvilute. 

Inviluto  sono  li  scolosmini 
di  quello  tenpo  ricordato 
eh'  erano  sì  gai  e  fini, 
nulla  gioja  non  n'è  trovato. 
E  Ile  merzé  siano  streete, 
ch'e  nulla  parte  non  siano  decte 
perché  pajano  gioje  nove, 
i  nulla  parte  siano  trovate 
né  dagli  amadori  chiamate 
infine  che  conpie  anni  nove. 

Senza  merzé,  potete 
savere,  bella,  lo  meo  disio, 
c'assai  meglio  mi  vedete 
ch'io  medesmo  non  mi  veo. 
E  però  s'  a  voi  paresse 
altro  eh'  essere  non  dovesse, 
per  lo  vostro  amore  avere, 
unque  gioja  non  ci  perdiate: 
eusì  volete  amistate? 
inanzi  voria  morire. 


V. 

Mss.    Vat.  3793  (A),  Laiir.-Rcd.  9  (B)  nella  parte  d'orìgine  comune  con  A. 


NOTARO    GIACOMO. 


-Ual  core  mi  vene 
che  Igli  ochi  mi  tene, 
rosata. 

spesso  m'adivene 
che  la  ciera  ò  bene 
bangnata, 
quando  mi  sovene 
di  mia  bona  speme 
c'ò  data 
in  voi,  amorosa 

1.   occhi  B  5.   cera   B 

in  A  20.  cass'  io  B 


16 


20 


bonaventurosa. 

però  se  m'  amate, 

già  non  v'inganate 

nejente  ; 

ca  pur  aspetando, 

in  voi  maginando, 

r  amor  e'  agio  in  voi 

lo  core  mi  distringie, 

avenente. 

ca  s' io  temesse 


1 1 .   beaaventurosa   B 


13.  v'  incannate  B 


17.  m.ìnca 


48 


Rime  di  Giacomo  da  Lentino. 


SEC.  xm. 


e'  a  voi  dìspìaciesse, 

ben  m'aucideria 

e  non  vìverla 

e  ste  tormente. 

ca  pur  penare 

e  disiare 

giamai  non  fare 

mia  diletanza. 

la  rimembranza 

di  voi,  aulente  rosa, 

gli  ochi  m'  arosa 

d'  un'  aigua  d'  amore. 

ora  potess'eo, 

o  amore  meo, 

come  romeo 

venire  ascoso 

e  disioso, 

con  voi  mi  vedesse 

non  mi  partisse 

dal  vostro  dolzore. 

dal  vostro  lato 

alungato, 

bel  r  o  provato, 

mal  è  che  non  salda. 

Tristano  ed  Isalda 

non  amar  sì  forte. 

bem  mi  pare  morte 

non  vedervi  fiore. 

Vostro  valore, 
e'  adorna  ed  invia 
donne  e  donzelle; 
r  avisatura 
di  voi,  donna  mia, 
sono  gli  ochi  belli, 
pens'  a  tutore 
quando  vi  vedia 
co  gioi  novelli, 
boi  tu,  meo  core, 


perché  non  ti  more? 

rispondi,  che  fai?  60 

perché  doli  così? 
24  "  non  ti  rispondo, 

ma  ben  ti  ci  confondo, 

se  tosto  non  vai  64. 

là  ove  volilo  co  mi  ; 
28  ca  la  fresca  ciera 

tempesta  e  dispera  ; 

in  pensiero  m'  ài  6& 

miso  e  'n  cordollio  per  ti.  „ 
32  Così,  bella, 

si  favella 

lo  mi  core  con  meco;  72 

di  null'altra  persona 
36  non  mi  ragiona, 

né  parla,  né  dice 

sì  churale  76 

e  naturale. 
40  amore  di  voi  mi  piace, 

c'ongni  vista 

mi  par  trista  80 

e'  altra  donna  facie. 
44  ca  s' io  velilo 

o  sonno  pilglio, 

lo  mio  core  non  insonna  8  4 

se  non  scietto, 
48  si  m'  à  stretto 

pur  di  voi,  madonna. 

Sì  me  sdura  '  88 

scura 
52  fighura 

di  quant'  eo 

ne  veo.  93 

gli  ochi  avere 
56  e  vedere 

e  volere 

mai  altro  non  disio  96 


21.  dispiacess  B                 25.  a  pur  B                29.  rimembransa  B  30.  alente  A  32.  agua  A 

34.   or  am.   A                 42.  allungato    B                43.   ben  o  B                 44.  non  sira  A  45.   Isolda  B 

46.  amai  AB          fortte  A               47.  morite  A                 52.  manca  in  A  55.  penss'  a  A  tuttora  B 

56,  vedea  B              57.   con   B       gioje   novelle  A               58.  hoi  B  63.  mi  ci  cof.  A  65.  voli 

con  B                 66,   frescha  cera  B                 67,  rempesta  B                 69,  misso  en  cordoglio  A  per  te  B 

72.  lo  mi  che  cemento  A               73,  nul    A               75.   ne  dicon   B  78.  piace  B  81.  face  B 

82.  cass'io  B         velglio  A               83,  piglio  B                 85,  saetto  A  88.  mi  A  90,  figura  B 


91,  di  quantonqu'eo  B 


92,  ne  vejo  A 


93.  con  gli  occhi  B 


96.  e  l'oro  non  d,  A 


SEC.    XIII. 


Rime  di  Giacomo  da  Lentino* 


49 


treccie  sciolte, 
ma  volte, 
ma  dolte, 
Too    né  bruna  né  bianca; 
gioja  complita 
norita 
m' invita  ; 

104  voi  siete  più  fina, 
che  s'io  faccio 
solacelo 

eh'  io  piaccio, 

105  lo  vostro  amore  mi  mena 
dotrina 

e  benevolenza. 

la  vostra  benevolenza 
112    mi  dona  caunoscenza 

di  servire  a  chiacenza 

quella  che  più  m'agienza; 

e  agio  ritenienza 
116    per  la  troppa  sovenenza. 
E  non  mi  porta 

amore,  che  porta 

e  tira  ad  ongne  freno, 
120    e  non  corre 

sì  che  scorre 

per  amore  fino. 

ben  vorrìa, 
124    e  noi  lasceria 

per  nulla  leanza, 

s' io  sapesse 

ch'io  morisse, 
128    sì  mi  distringie  amanza. 

e  tucto  credo, 

e  non  discredo 

che  la  mia  venuta 
132    dea  placiere 

ed  alegrare 

de  la  veduta. 

Ma  senpre  mai  non  sento 
136    vostro  comandamento; 


e  non  ò  confortamento 

del  vostro  avenimento  ; 

ch'io  mi  sto  e  non  canto 
140    si  e' a  voi  piaccia  tanto, 

e  mandovi  infratanto 

saluti  e  dolze  pianto. 

piango  per  usagio, 
144    giamai  no  rideragio 

mentre  non  vederagio 

lo  vostro  bello  visagio; 

ragione  agio, 
148    ed  altro  non  faragio 

né  poragio; 

tal  é  lo  mi'  coragio. 
C  altre  parole 
152    no  vole; 

ma  dole 

de  li  parlamenti 

de  la  giente  : 
156    non  consente 

né  che  parli  né  che  dolenti, 

ed  agio  veduta 

per  lasciare  la  mia  tenuta 
i6o    de  lo  meo  dolcie  penzare. 
Sì  comò 

noi,  che  somo 

d'uno  core  dui, 

164  ed  ora  plui 

ched  anch'  era  non  fui, 
di  voi,  bel  viso, 
sono  priso 

165  e  conquiso, 

che  fra  dormentare 

mi  fa  levare 

e  intrare 
172    in  sì  gran  foco, 

ca  per  poco 

non  m'  aucido 

de  lo  strido 
1 76    eh'  io  ne  gitto. 


97.  triecie^  101.  complita  A  103.  nunvita  B  105.  che  omesso  in  B  106.  sol- 
laccio  A  lOS.  mina  A  111.  benvelenza  B  112.  canoscienza  A  113.  a  chi  à 
senza  A  a  piagenza  B  114.  agenza  B  117.  portta  A  118.  portta  A  123.  le 
vena  A  124.  lasserea  B  128.  stringe  B  129.  tuto  A  131.  chella  A 
132.  piacere  ^  134.  della  i?  135.  sempre  ^  139.  eh' i  ^  140.  piacca  yl  147.  ra- 
sgione  A  152.  non  A  155.  da  le  gienti  A  gente  B  156.  consenti  A  165.  an- 
chora  B  167.  preso  B             173.  cha  B 


50  Rime  di  Giacomo  da  Lentino.  SEC.  xiii. 


eh'  io  non  vengna  là  ove  siete, 

pur  cherendo 

rimembrando, 

ond'  io  m'  asconda. 

bella,  quando 

onde  lo  core  m'  abonda 

con  voi  mi  vedea 

i8o 

e  gli  ochi  fuori  gronda. 

solazando 

sì  dolciemente  fonda 

ed  istando 

come  lo  fino  oro  che  fonda. 

in  gìoja  sì  come  fare  solea. 

ora  m'  arisponda 

Per  quant'  agio 

184 

e  mandatemi  a  dire 

di  gioja, 

voi  che  martiri 

tant'  agio 

per  me  soferite. 

di  mala  noja; 

ben  vi  dovereste 

la  mia  vita  è  croja 

t88 

infra  lo  core  dolire 

senz;a  voi  vedendo. 

de'  mie'  martire. 

cantando  aivo. 

se  vi  sovenite. 

in   gioja  or  vivo 

come  sete 

pur  pensi vo  ; 

192 

lontana, 

e  tucta  giente  iscrida. 

sovrana 

sì  ch'io  vo  sfugiendo, 

de  lo  core  prosimana. 

181.  sollazando  A                    193.  tuta  A 

194. 

ch'i  B         fugiendo  B                   200.    ffonda  B 

201.   mi  risp.  A                204.  sofferite  B 

206.  inver  lo 

VI. 

e.  B                   212.  prossimana  B 

196 


204 


20S 


Dal  cod.    Vat.   3793. 
NOTARO     GIACOMO. 

jL(A  namoranza  disiosa 
eh'  è  dentro  al  mi'  core  nata 
di  voi,  madonna,  è  pur  chiamata 
■^•''''- mèrzé;  se  ffosse  aventurosa  ! 
E  poi  ch'i'  non  truoVo  pietanza 
per  paura  o  per  dottare,'"-  "'* 
s' io  perdo  amare,  ^^^^^  i"^" 

amor  comanda  eh'  io  faccia  arditanza. 
Grande  arditanza  e  coragiosa 


:^yr^ 


in  guiderdone  amor  m'  à  data  ; 

e  vuol  che  donna  sia   quistata 

per  forza  di  gioja  amorosa.  ' 

Ma  troppo  è  villana  credanza 

che  donna  degia  inconinzare; 

ma  vergongnare 

perch'io  coninzi  ?  non  è  mia  spregianza.  i6 

Di  mia  speranza  amor  mi  schusa, 
se  gioja  per  me  «©n  è  coninzata 

8.   ms.   amore   e  facca  11.   ms.    vuole  13.    ms.   credenza  16.    corr. 

non  è  mispregianza  ?  17.  corr.  Di  mispregianza  f 


SEC.  XIII.  Rime  di  Giacomo  da  Leiìtino.  51 


di  voi,  che  tant'  ò  disiata 
20  e  sonne  in  vita  cordolgliosa, 

C  abella  sanza  dubitanza 

tute  fiate  in  voi  mirare: 

veder  mi  pare 
24  una  maraviliosa  similglianza. 

Tanto  siete  maravilgliosa 

quand'  i'  v'  ò  bene  afigurata, 

e'  altro  parete  eh'  encarnàta  : 
28  se  non  ch'io  spero  in  voi,  giojosa. 

Ma  tanto  tarda  la  speranza, 

solamente  per  donare 

i  mal  parllare 
32  amor  non  vuol  ch'io  perda  mia  intendanza. 

Molt'  è  gran  cosa  ed  inojosa       ^""'^ 

chi  vede  ciò  che  più  gli  agrata, 

e  via  d' um  passo  è  più  dotata   '^*^'"' '^ 
36  ched  oltre  mare,  in  Saragosa, 

E  di  batalglia,  ov'om  si  lanza 

a  spade  e  lanza  in  terra  o  mare; 

e  non  pensare 
40  «to^V*^     ^^  bandire  una  donna  per  dottanza. 

^"v  Nulla  bandita  m'  è  dottosa  /tvi-'^"')'*'"'' 

se  non  di  voi,  donna  presgiata. 

e'  anti  voria  morir  di  spata 
44  eh' i' voi  vedesse  churociosa.  ■^"^"'"' 

Ma  tanto  avete  canoscianza, 

ben  mi  dovreste  perdonare, 

e  comportare,  :  ^  I    ^_. 

48  s' io  perdo  gioja,  che  sso  m'  aucide  amanza 


W' 


23,  m$.   vedere  30.  //  sen;o  e  guasto   e   manca  una  sillaba  ;  legg.  solam.  per 

perdonare?  32.  ms.  amore  e   vuole  37.    vis.  omo  41.    ms.   bandirà 

43.    ms.    morire  45.    ms.  canosrienza 


VII. 

//  testo  è  costituito  sui  fiiss.    Vat.  3793  (A),  Laur.-Red.  g  (B),  Palai.  4/8   (C), 
Me'ìioriale  74.  delPArch.  notar,  di  Bologna  (M). 

NOTARO    GIACOMO. 

iVlADONNA  dir  vi  voglio         comò  l'amor  m'  à  preso 
inver  lo  grande  orgoglio 
ke  voi,  bella,  mostrate,  e  no  m' aita. 

1.  dire  A  vo  5  ve  Hf  volgilo  A  vojo  M  come  AC  l'amore  A  prizo  B  2.  lo 

vostro  orgaglio  A   orgoglo  B  argolUo  C  orgojo  M  3.  che  ABM         bela  mostrati  M         non    A 


52  Rime  d'i  Giacomo  da  Lentino.  sec.  xiii. 

Oi  lasso,  lo  meo  core         eh'  è  'n  tanta  pena  miso,  4 

ke  vede  che  si  more 

per  ben  amare,  e'  tenelosi  in  vita. 

Dunque  morire'  eo  ? 

no,  ma  lo  core   meo         more  spesso  e  più  forte  8 

ke  no  farla  di  morte   naturale 

per  voi,  donna,  cui  ama, 

più  ke  sé  stesso  brama,         e  voi  pur  lo  sdegnate. 

amor,  vostr' amistate         vidi  male.  12 

Lo  meo  namoramento    ,    non  pò  parire  in  detto; 
cusi  com  eo  lo  sento 
core  noi  penzeria  né  dirla  lingua  ; 

Zo  eh'  eo  dico  è  neente         in  ver  k'  eo  son  distretto  16 

tanto  coralemente; 

foc'  ajo,  no  credo  che  mai  se  stingua. 
Anzi  si  pur  aluma. 

perché  non  me  consuma  ?         la  salamandra  audivi  20 

ka  ne  lo  foco  vivi         stando  sana; 
cusì  fo  per  long'  uso, 

vivo  in  foco  amoroso         e  non  saccio  che  dica; 
lo  meo  lavoro  spica         e  poi  no  grana.  '      24 

Madonna,  sì  m' avene         k'  eo  nom  posso  invenire 
com  eo  diciesse   bene 
la  propia  cosa  k'  eo  sento  d' amore. 

Sicom  omo  inprodito,         lo  cor  mi  fa  sentire  28 

che  giamai  non  è  kito 
fintanto  che  nom  vene  al  suo  sentore. 
Lo  nom  poter  mi  turba, 

com  om  che  pingie  e  sturba         e  pura  li  dispiacie  32 

lo  pingiere  ke  facie,         e  sé  riprende. 

4.  O  e  Ai  ^        laso  M        eh'  è  'n  tante  pene  CM  in  tante  pene  è  B        mezo  B  meso  M  5.  che  ABM 

vive  BC  quando  m.  BCM  6.  bene  BCM  amar  tenelos'  en  M  teneselo  a  v.  B  tenesel  a  ita  C 

7.  Adunque  A  Donqua  Af  Or  donqua  C         moro   C  a  morirne  V  ne  ò  B  8.  m.  più  speso  e  f.  M  assai 

più  spesso  e  {.  B         fortte  A  9.  che  ABM         non  ABM         morite  A  10.  madonna  e'  a.  B  vai 

madona  c'a,  J/  11.  piò  B  che  ACM  si  steso  M  sdengane  A  12.  donqua  v.  ami- 

stade   M         vide    ABC      ■  13.   E  Io   J/  De   lo    C  innamoramento    CM       non   BM  parer  BM 

en  M        decto  M  alcuna  cosa  ò  decto  C  14.  così  A  ma  si  BC         é'  B  '\o  A  15.  cor  no  lo  BC 

penseria  B  pensarla  M         direa  C         lengua  M  16.  Ciò  C  Ecciò  B        io  B         niente  M  nente  B 

eh  ABM         io  ne  A  sono  A  som  M         destretto  M  constrecto  C  18.  foch  B  foco  M  ajo 

al  cor  B         non  BCM        che  manca  in  BC         si  stingua  estingua  A  si  stringa  C  19.  anse  B  an- 

ei  M  inanti  C  se  pur  BAf  pur  s'  C  20.  perché]  e  mai  B         non  BAf         mi  AC  se  Af        aldi- 

ve  Af  21.  ca  ^  che  M  eh  B        nello  Af  enfra  Io  B  dentro  il  C         vive  BCAf  22.  cosi  ^  eo  si  ^ 

ed  eo  C         ffo  J?  già  C         longo  Af  lungo    C  ozo  B  23.  'n  foc'  amorozo  B         sacio  C  so  BM 

ch'eo  C  ch'eo  me  M  che  mi  B  24.    chel    AM  mio  B  mi  A  poi  manca  in  BCM  non 

ABAf  ingrana  B  mi  grana  C  25.   Madona  M  eh   ABAf         e  M  io  A  non  BCM 

poso  Af       avenire  BCAf  26.  cum  M       io  AB       dicesse  C  dice.»  Af       27.  propria  CM       eh  ABM 

io   AC  28.   manca   in    C  chassi    B  homo   Af  om   B  prudito  B  inpendito  Af  kal    cor  C 

me  M  29.  che]  e  C         zamai  M        è]  di  jW  son  C         chito  A  quito  B  ehedo  M  30.  mentre 

non  pò  tocchare  il  B  s'eo  non   posso  trar  lo  C         so  s.  Af  31.   non   BCM       poder  B        me  Af 

torba   B  32.    Cumm    M  hom   ^V  on    BC  P'nge    C   pingue  M         storba   ^  e    pure   BM 

pero  ke  C         dispiace  C  despiache  Af  33.  pingere  C  pingnere  M         ciie  ^^^V        face  C  fache  jV" 

sse  B  si  M 


SEC.  XIII.  Rime  di  Giacomo  da  Leiitino.  53 


ké  non  è  per  natura 

la  propia  pintura,         e  non  è  da  blasmare 
36  omo  ke  cad'  en  mare,         se  s'  oprende. 

Lo  vostro  amor  ke  m'  ave,         in  mare  tempestoso 

è  sì  comò  la  nave 

e'  a  la  fortuna  gitta  ongni  pesante 
40  E  campane  per  gietto         di  loco  perilglioso. 

similemente  eo  gietto 

a  voi,  bella,  li  mei  sospiri  e  piante. 

E  s'  eo  no  li  gitasse, 
44  parria  ke  s'  ofondasse,         e  bene  s'  ofondara 

lo  cor  tanto  gravara         in  su'  disio, 

tanto  si  frangie  a  terra 

tempesta,  che  s'  aterra,         ed  eo  così  mi  frango  ; 
48  quando  sospiro  e  piango         posar  creo. 

Assai  mi  son  mostrato         a  voi,  bella  spietata, 

com  eo  so  innamorato; 

ma  crejo  ke  dispiacieria  a  voi  pinto. 
52  Poi  k'  a  me  solo,  lasso,         cotal  ventura  è  data, 

perké  no  m' inde  lasso  ? 

non  posso:  di  tal  guisa  amor  m'  à  vinto. 

A  deo,  k'  or'  avenisse 
56  a  lo  meo  cor  eh'  uscisse         com  encarnato  tutto 

e  non  diciesse  motto         a  voi  sdengnosa. 

k'  amore  a  tal  T  adusse, 

ca  se  vipra  ivi  fosse,         natura  perderla; 
60  a  tal  lo  vederla,         fora  pietosa. 


34.  che  ABM         fa  per  B  35.   propria    CM         pictura   M         plasmare   M         biasmare  C 

36.  homo   M  hom    C  e'  omo  A  che  ABM  cade  m.   A  cade  in  in.  BM  cade   in  m.    C  se]    a 

che    B  ove    C  s'  aprende  BCM  37.   amore  A  che  BCM  tempestozo  B  38.  essi 

B  cosi  A  cus\  M  come   C  manca   ti  resto  della  canzone  in  M  39.  getta  B  che  gecta  a 

la   f.    C  ogni    B  ogne  C  pezante  B  40.    canpan   B  scanpane    C  di  loco  manca  in  C 

periglozo  5  perigloso  C  41.  getto  B  gecto  C  42.  bella]  madonna  B        mie  A  miei  B        pian- 

ti AB  43.  Ke  s' eo  CE  ss'  eo  B        nolgli  A        gittasse  BC  44.  paria  A  parrea  B        che  AB 

s'offondasse  C  for  fondasse  B  ebbene  B  s' offondara    C  for  fondya  B  45.  lo  core  A  suo 

BC  dizio  ^  46.  ke  tanto  frange  C  chettanto  frange  atterra  B  47.   che]  e    poi   C         s'atera  A 

ss'  atterra  B  ed  eo]  io  A  mi  fr.]  rifrango    BC  48.   posare  A  e  posar    C  crejo  A   crio  C 

49.  asai  C         sono  AC         bella]  donna  A  50.  io  A  sono  AC  inamorato  A  51.  cre- 

do BC  che  ^  eh' i  A  dispiacerla  B  dispiacerei  C         a  manca  in  BC  52.  Per  C  e' a  AB 

cotale  A  53.  perché  AB  non  me  ne  1.  A  54.  tale  A        guiza  B  amare  A  55.  A 

deo]  Vorria  B  Ben  vorria  C        e'  or  B  e'  C  56.  che  lo  5  ke  lo   C        me  core  A        eh'  manca  in  BC 

escisse  B  oscisse  C  come  ine.  tucto  C  57.  e  non  BC  dicesse  C  facesse  B         moeto  C         a  voi 

isdegnosa  C  voi  sdegnoza  B  58.  eh' a.  AB         a  tale  a..  A  9.  tal  m'a.  C  59.  easse  5  ke  se  C 

ivi]  i  B,  manca  in  C         fusse  B         perdsrea  B  60.  a  tale  o  A  ella  mi  C        vederea  B         pietoza  B 


54  Rime  di  Giacomo  da  Lentino.  SEC.  xm. 


Vili. 

Dai  cod.    Vat.  3793,  unico. 
NOTARO    GIACOMO. 

Molti  amadori  la  lor  malatia 
portano  in  core  che  'm  vista  non  pare; 
ed  io  non  posso  si  cielar  la  mia 
eh'  ella  non  paja  per  lo  mio  penare  ; 
però  che  so  sotto  altrui  sengnoria, 
né  di  meve  non  ò  nejente  a  ffare 
se  non  quanto  madonna  mia  voria; 
eh'  ella  mi  potè  morte  e  vita  dare. 
Su'  è  lo  core  e  suo  so  tuttoquanto, 
e  chi  non  à  consilglìo  da  suo  core, 
non  vive  imfra  la  giente  come  deve, 
cad  io  non  sono  mio  né  più  né  tanto, 
se  non  quanto  madonna  é  de  mi  fore 
e  uno  poco  di  spirito  eh'  é  'n  meve. 

I.   VIS.   loro  3.    ms.   cielare  5-   ««•    sono  9-   ««•   sono  13.   ms. 

vedemi  forse  14.  ms.  ed  uno 

^  Vini. 

Dal  cod.    Vai.  3793,  tmico. 
NOTARO    GIACOMO. 

SicoME  il  sole  che  manda  la  sua  spera 
e  passa  per  lo  vetro  e  no  lo  parte, 
co<^   Q  l'altro  vetro  che  le  donne  spera,T 

che  passa  gli  ochi  e  va  da  l'altra  parte; 
così  r  amore  fere  ìaove  spera  ^^ 

e  mandavi  lo  dardo  da'  sua  parte  ;  ^ 
fere  in  tal  loco  che  l'omo  non 'sìjera, 
passa  per  gli  ochi  e  lo  core  diparte^^ 
Lo  dardo  de  l'amore  laove  giungier 
da' pòi 'che  dà  feruta,  sì  s' aprende 
di  foco"  (?  arde  dentro  e  fuor  nom  pare, 
e  due  cori  imsieme  ora  lì  giungle; 
de  r  arte  de  T  amore  sì  gli  aprende, 
e  fa  eh'  é  1'  uno  e  1'  altro  d'  amor  pare. 

I.   corr.  Come  lo  sole  manda»  7-  '«>•-  tale  S.  ms.  e  passa  n.  mi 

fuori  14.  ms.  d'amore 


4 


SEC.  XIII.  Rime  di  Giacomo  da  LejiUno.  55 


X. 

Z>a/  codice    Vai.  j/^j,  unico. 
NOTARO    GIACOMO. 

-Lo  gilglio  quand'  è  colto  tost'  è  passo, 
da  poi  la  sua  natura  lui  no  è  giunta;^'"' 
ed  io  dà"  clié  so  partuto  uno  passo 
da  voi,  mia  donna,  dolemi  ongni  gìànta. 
perché  d'amare  ongni  amadore  passo, 
in  tanteLalteze  lo  mio  core  giunta ^f"'-'*"^'*'        f.P^M.  ^^^'^^"^ 

^°^\TÌ^''^  ^^^""^  ^^  vunque  passo, 

com'aghila  quando  la  caccia  è  giunta. 

Oi  lasso  me,  che  nato  fui  in  tal  punto  .  .^     ^ 

s'  umque  no  amasse  se  non  voi  chiù  giente-r'' 

questo  saccia  madonna  da  mia  parte!  *  .  ^^ 

im  prima  che  vi  vidi  ne  fu^  pilfttbV        ^U    i^ù  ec^^ ^""^^^    ' 

servivi  ed  inoravi  a  tutta  giente;  ' 

da  voi,  bella,  lo  mio  core  non  partte. 

3.  che  so]  tns.  qunche  sono  6    corr  in  f-anf-a  q 

*-,_  „  "•  ^'^'^'^-  1"  ^^nta.  8.  ms.  cacca  o.   ms 

tale  II.   ms.  sacca  14.  ms.  cor  ^ 


XI. 

Z>rt/  cod.  Laur.-Red.  <p,  utiico. 
NOTARO    GIACOMO. 

e  per'  aviso  credo  ben  visare  : 

pero  diviso  viso  da  lo  ^vis5,         ,,       , .   .^• 

cn  altr  e  lo  viso  che  lo  divisare. 

e  per  aviso  viso  in  tale  viso, 

del  quale  me  non  posso  divisare. 

viso  a  vedere  quell'è  per  aviso, 

che  non  è  se  non  Deo  divisare. 

Entro  aviso  e  per  aviso  no  è  diviso, 

che^  non  è  altro  che  visare  in  viso  ; 

però  mi  sforzo  tuctora  visare. 

credo  per  aviso  che  da  viso 

giamai  me  non  poss' esere  diviso, 

che  r  uomo  vinde  possa  divisare. 

I.  ms.  ovisso  con  il  f  osto  vuoto  per  la  iniziale.  2    ms    avissn 

omette  altro  avisso  io,  ms. 


56  Canzone  di  Pier  della  Vigna.  sec.  xiir. 

XII. 

Dal  cod,   Latir.-Red.   g,  unico, 
NOTARO    GIACOMO. 

/Vngelicha  figura  e  comprobata, 
dobiata         di  riqura  e  di  grandeze, 
di  senno  e  d'  adorneze  sete  ornata, 
e  nata         d'  afinate  gentileze. 
non  mi  parete  femina  incarnata, 
ma  fatta         per  gli  frori  di  beleze, 
in  cui  tutta  virtudie  è  divisata 
e  dat'  a         voi  tute  avenanteze. 
In  voi  è  pregio,  senno  e  conoscienza 
e  sofrenza,         eh'  è  somma  de  lo  bene, 
comò  la  speme,         che  fioriscie  in  grana, 
come  lo  nome  avete  la  potenza 
di  dar  sentenz'a         chi  contra  voi  viene, 
sicom  avene         a  la  cita  Romana. 

4.  ;m5.   e  nate  dafinare  io.  ms.  de  le  belle  12.  7ns.  aute 


27.       CANZONE  DI  PIER  DELLA  VIGNA. 

Pier  della  Vigna  nacque  in  Capua  poco  dopo  il  1180 ,  studiò  in  Bologna  e  verso 
il  1220  entrò  come  notajo  nella  corte  di  Federico  II.  Nel  122J  era  stato  già  elevato 
al  grado  di  giudice  della  magna  curia.  Finì  suicida  nel  124^.  Intorno  alla  sua  vita  e 
ai  suoi  scritti  V,  Huillard-Bréholles,  Vie  et  ceuvres  de  Pierre  de  la  Vigne,  Paris, 
1864;  De  Blasiis,  De  Ila  vita  e  delle  opere  di  Pietro  della  Vigna,  Napoli, 
z88o.       La  canzone  che  segue,  è  data  secondo  i  mss.    Vat.  3793  (A)  e  Laur.-Red.  g  (B) . 

PIETRO    DE    LE    VINONE. 

/\.MORE,  in  cui  disio  ed  ò  speranza^  li.  .oj^^*^  ^^^ 

di  voi,  bella,  m'  à  dato  guiderdone  ;^'  *" 
e  guardomi  infino  che  vengna  la  speranza, 
pur  aspetando  bono  tenpo  e  stagione:  ,         ;,^f„Uw  ^ 

Com  omo  eh'  è  iri  mare  ed  à  spene  di  gire, 
e  quando  vede  lo  tempo  ed  elio  spanna,    •^v'^''-'^' 
e  giamai  la  speranza  no  lo  'nganna  ; 
così  faccio,  madonna,  in  voi  venire.  8 

1.  chui  A  3.  infine  B  4.  aspectando  B  buono  temppo  A  6.  teinppo  A  7.  nga- 

na  B 

I.  a  speranza  gli  antichi  editori  sostituirono  fidanza,  ma  questa  lezione  non  h  autO' 
rizzata  dai  mss,  3.  corr.  e  guardo  infin  f  0  guardo   infino  f 

^  •( 


SEC.  XIII.  Canzone  di  Pier  della  Vigna,  57 


Or  potess'  eo  venire  a  voi,  amorosa, 

come  lo  larone*  ascóso  e  non  paresse  ! 

bel  lo  mi  teria  in  gioja  aventurosa, 
12  se  r  amore  tanto  bene  mi  faciesse.  / 

Si  bello  parlante,  donna,  con  voi  fora,  Ty  ,        /'        ^.jJt. 

e  direi  comò  v'  amai  lungiamente 

più  ca  Piramo  Tisbia  dolzemente, 
i6  ed  ameragio  infìno  eh'  eo  vivo  ancora. 

Vostro  amor  è  che  mi  tene  in  disio, 

e  donami  speranza  con  gran  gioja, 

eh'  eo  non  curo  s'  io  dolilo  od  ò  martire 
20  menbrando  1'  ora  ched  io  vengno  a  voi  ; 

Ca  ss'  io  troppo  dimoro,   aulente  lena, 

par  eh'  io  pera,  e  voi  mi  perderete. 

adunque,  bella,  se  bene  mi  volete, 
24  guardate  ch'eo  no  mora  in  vostra  spera. 

In  vostra  spera  vivo,  donna  mia, 

e  lo  mio  core  adesso  a  voi  dimando^ 

e  l'ora  tardi  mi  pare  che  sia  ..f*ii«>^ 


A'^— 


28  che  fino  amore  a  vostro  core  mi  manda  ; 

E  guardo  tempo  che  mi  sia  a  piaci^Èe 
e  spanda  le  mie  vele  inver  voi,  rosa,  y  ^^ 

e  prendo  porto  laove  si  riposa  ^"^^^ 

32  lo  meo  core  al'  vostro  insengnamento. 

Mia  canzonetta,  porta  esti  compianti 
a  quella  e'  à  'n  bailia  lo  meo  core, 
e  le  mie  pene  contale  davanti 

36  e  dille  com  eo  moro  per  su'  amore, 

E  mandimi  per  suo  messagio  a  dire 
com  io  conforti  l'amore  ch'i'  lei  porto; 
e  s' io  ver  lei  feci  alcuno  torto, 

40  donimi  penitenza  al  suo  valore. 

Vù  (  i  .-£ 

IXtamto^  facesse   B  13.   vui  A  14.    corame^  15.   Triamo  ^5  16.  in- 

fine   B  17.   tiene   A  19.   eh'  io   non   churo   s' io    dolglio   A  20.    membrando   A 

24.   eh'  io  B  non  A  28.  mando  B  29.  temppo  A  piaeere  B  31.  portto  A 

32.  lo   mio  A  33.  eanzonecta  B  portta   A  34.    m  bailia  lo  mio  A  36.  com  io  A 

38.  comfortti  —  portto  A  39.  Ilei  —    alehuno  tortto  A 

IO.    corr.    come  larone  ?  o  come  el  larone  f  21.   a  lena  ^à'  editori  precedenti 

sostituirono  cera;  ma  è  lezione   arbitraria,  non  potendosi  escludere  che  P autore  talvolta 
ammettesse,  accanto  alla  rima,  V assonanza.  22.    corr,    pare  26.   gli  editori 

precedetiti   mutar  otto    arbitrariamente   dimando  in  dimanda,  ma  v.   la  nota  al  verso  21. 
32.  corr.  a  lo 


XoVaLf^^-^"^'""^ 


58 


Canzone  di  yacofo  Mostacci. 


SEC.    XIII. 


28.   CANZONE  DI  JACOPO  MOSTACCI  DA  PISA. 

Che  il  Mostacci  fosse  pisano  è  delio  nel  canzoniere  Palai.  418  ;  che  sia  stalo  con- 
temporaneo di  Giacomo  da  Lentino  e  di  Pier  della  Vigna  «'  h  prova  la  tenzone  eh  '  ebbe 
con  essi  (v.  n.°  sj).  Ala  egli  sopravvisse  a  quei  due,  se  a  lui  si  riferisce  la  seguente 
notizia  raccolta  dallo  Zurita,  importante  anche  per  la  relazione  che  mostrerebbe  aver 
avuto  il  Mostacci  con  la  corte  sveva:  <s.  Embió  el  rey  Manfredo  (para  concertar  lo  deste 
matrimonio,  por  sus  embaxadores  al  rey  de  Aragon)  a  Guiroldo  de  Posta,  Majore  de  lu- 
venaczo  y  lacobo  Mostacio  ;  y  vinieron  a  Barcelona,  y  alti  se  concerto  a  2S  del  mes  de 
julio  del  12Ó0 . .  .  ry.  Anales  de  Aragon,  I,  17 J.  La  canzone  seguente  si  trova  nel 
cod.    Val.  37^3  (A),  e  nel  Palai.  418  (C). 

MESSER  JACOPO    MOSTACCI. 

Umile  core  e  fino  e  amoroso 
già  fu  lungia  stasgione  e'  ò  portato 
buonamente  a  l'amore. 
Di  lei  avanzare  adesso  fui  penzoso 
oltre  poder  e,  infino  eh'  era  afanato, 
nonde  sentìa  dolore. 
Pertanto  non  da  Ilei  partia  coragio 
né  mancava  lo  fino  piacimento, 
mentre  non  vidi  in  ella  folle  usagio, 
lo  quale  avea  cangiato  lo  talento. 

Ben  m'  averla  per  servidore  avuto, 
se  non  fosse  di  fraude  adonata; 
perché  lo  gran  dolzore 

E  la  gran  gioja  che  m' è  stata,  i'  la  rifiuto  : 
ormai  gioja  che  per  lei  mi  fosse  data, 
non  m'averla  savore. 
Però  ne  parto  tutta  mìa  speranza, 
ch'ella  partì  del  pregio  e  del  valore; 
che  mi  fa  uopo  avere  altra  'ntendanza, 
ond'io  aquisti  ciò  che  perdei  d'amore. 

Però  se  'n  altra  intendo  o  da  ella  parto, 
no  le  par  grave  né  sape  d'oltragio, 
tant'è  di  vano  affare; 
Ma  bene  credo  savere  e  valere  tanto, 
poi  la  solglio  avanzare,  e' a  danagio 
la  saveria  trattare. 
Ma  non  mi  piace  adesso  quello  dire 
ch'eo  ne  fusse  tenuto  misdicente: 

2.  lungiainente  C  3.  ad  amore  C  5.  e,  s'eo  n'era  a.  C  6.  non  è  senza  d.  C  9.  fin- 

ch'io  non  vidi  in  essa  C  10.  qiial  l'avu-a  C  12.  se  non  f.  d.  f.  adornata  A  13.  di  quello 

g^ran  C  14.  Or  lo  gran  bene  che  ni'è  stato,  rifiato  C  15.  giamai  gioi  che  da  lei  C  16.  fa- 

vore A  sapore   C  17.  ne  porto  A  a  ciò  diparto  t.  in.  intendan'.a   C  18.  eh  e.  pari  3.  A    ke   la 

parti  vie  da  honore  C  19.  kn  me  non  potè  aver    C  20.  la  'nd  *eo  a.  e.  k'eo    C  21.   Se 

da  Ilei  parto  o  inn  altra  intendo  C  22.  no  Ile  sia  greve  e  no  Ile  sia  o.  C  24.  Ma  io  mi  credo 

valere  e  savere  t.  C  25.  s'eo  la  solca  a.  d.  C  26.  le  s.  contare  A  27.  se  non  fosse  nella 

qual  eo  A  desso  q.  dare  C  28.  dir  tanto  niisdiciente  A 


16 


20 


24 


28 


SEC.   XIII.  Tenzoìie  di  yacopo  Mostacci  i&c.  59 

e' assai  vai  melglio  chi  si  sa  partire 

da  reo  sengnor  e  alungiar  buonamente. 
Omo  che  si  parte  a  lunga,  fa  savere 
32  di  loco  ove  possa  essere  affanato, 

e  trane  suo  penserò; 

Ond'io  mi  parto  e  tragone  volere 

e  dolglio  de  lo  tempo  trapassato, 
36  che  m'è  stato  falliero. 

Ma  non  dotto,  e' a  tale  sengnoria 

mi     son  donato;  ca  bon  guiderdone 

mi  donerà,  per  ciò  che  no  m'oblia: 
^o  lo  ben  servente  merit'  a  stagione. 

30.  dal  C  alungiare   A  32.   da  1.  o.  dev'è.   C  23.  e  tracia  C  35.  e  dogliomi 

del  t.  C  36.  fallire  A  37.  Ma  non  o  mispere  e' a  tal  sengnora  A   signoria    C  38.  son 

servato  che  buono  A  39.   aveiagio,   che  perzò  eh'  è  'n  obria  A  40.  lo  bon  s.  intra  'n  sua 

stasione  C  K,uiA^  t^^-ii—   Z'^  1  c^-^  t-,'^"^'^^   <.^^r.(r  "±^ Ut- -"*'->    '-''I^g^-^,.  ^'  *^  Ì*^l 

■'  «4—  ''-  v-jì:  ?#^  5^."^  '^■^x^,^.^'^-^~Iz':.  ^ 

29.       TENZONE  DI  TACOPO  MOSTACCI,  fi-.^-.^i-^--—"  P^'^ 


PIER  DELLA  VIGNA  E  GIACOMO  DA  LENTINO. 


C 


Da/  codice  Barberimano  J^L  V-47, 
I.         JACOPO    MOSTACCO. 


.\ 


H 


^«Or.JT    t*-'»^   wtx**^ 


wDoLrciTAKDO  un  poco  meo  savere 
e  cum  luy  voglendomi  deletare, 
un  dubio  che  me  misi  ad  avere, 
a  vuy  lo  mando  per  determinare. 
*  ■   on' omo  dice  ch'amor  à  podere  ,  .a  .a^7*'*^ 

e  gli  corazi  destrenze  ad  amare;  ^     0        -jO^^ 

ma  eo  no  lo  voglo  consentere,  C^ 

però  eh'  amore  no  parse  ni  pare. 
Ben  trova  l'om  una  amorosa  elatè, 
la  quale  par  che  nassa  de  piacere,        v<-"<- 
e  zo  voi  dire  hom  che  sia  amore, 
eo  no  li  sacco  altra  qualitate  ; 
ma  90  che  è  da  vui  lo  voglo  odere, 
però  ve  ne  faco  sentencatore. 

II.         PETRO    DA    LA    VIGNA    RESPOSE. 

Però  ch'amore  no  se  pò  vedere  ^j-i-'"'^ 

e  no  si  trata  corporalemente,      >     '      ' 
^^'*manti  ne  son  de  sì  fole  sapere 
che  credono  ch'amor  sia  niente, 
ma  po*^  eh'  amore  li  face  sentere 
dentro  dal  cor  signorezar  la  zente. 


60 


Tenzone  delVah,  di  Tivoli  (&c. 


SEC.   xni. 


molto  mazore  presio  de  avere 

che  se  1  vedessen  o  è  sì  bellamente,     o^*^ 

Per  la  vertute  de  la  calamìt^''*'?^^ 

corno  lo  ferro  atra',  no  se  vede, 

ma  si  lo  tira  signorivelemente; 

e  questa  cosa  a  credere  m'envita 

ch'amore  sia,  e  dame  grande  fede 

che  tutor  sia  creduto  fra  la  cente. 

III.         NOTAR  JACOPO   RESPOSE. 

Amor  è  un  desio  che  ven  da  core 
per  habundanza  de  grand  piacimento; 
egl'ogli  en  prima  genera  l'amore, 
e  lo  core  li  dà  nutrigamento. 
ben  è  alcuna  fiata  om  amatore 
senza  vedere  so  namoramento, 
ma  quel  amor  che  strenze  cum  furore, 
da  la  vista  dig  ogli  à  nasemento. 
Che  gì' ogli  rapresenta  a  lo  core 
d'onni  cosa  che  veden  bono  e  rio, 
cum  è  formata  naturalemente. 
e  1  core  che  di  co  è  concipitore, 
ymacina  e  place  quel  desio; 
e  questo  amore  regna  fra  la  zente. 


^ 


i^ 


0^ 


30.      TENZONE  DELL'  ABATE  DI  TIVOLI 
E  DI  GIACOMO  DA  LENTINO. 

Chiamavasi  Abate  di  Tivoli  o  «  Abbas  Tiburtinus  »  nel  medio  evo  Pabate  della  Men- 
torella  (VulturìUa)  famoso  monastero  del  Lazio  ;  ma  ai  tonfi  del  Notajo  troviamo  in 
Roma  un  Gualtiero  «  laìcus  de  urbe»  chiamato  ancW  esso  l'' Abate  di  Tivoli,  che  Inno^ 
cenzo  IV  in  un  suo  breve  (Arch.  Vat.  Regesti,  XXII,  101-2)  riconosceva  col  titolo 
di  suo  devoto,  e  ad  esso  va,  secondo  o^ni  probabilità,  attribuita  questa  tenzone  pei  son. 
I,  III,  e  V.  Nel  predetto  breve,  che  è  del  12J0,  facendosi  menzione  di  un  figlio  di  lui, 
«Lucido  scolare»,  che  per  le  benemerenze  paterne  il  papa  provvedeva  di  un  benefizio 
ecclesiastico  in  Morea,  si  avrebbe  la  conferma,  oltre  a  quanto  apprendiamo  per  le  rela- 
zioni con  Giacomo  da  Lentino,  che  questo  trovadore  romano  dovette  fiorire  nella  prima 
metà  del  sec.  XIII.  Secondo  la  testimonianza  del  Notajo  egli  compose  «  novi  versi 
tanti  »  ;  ma  oggi  non  se  n»  conosce  che  questa  tenzone,  conservataci  assai  guasta  nel  cod. 
Vat.  37g3  (A)  e,  tranne  l^ultimo  sonetto,  anche  nel  C'iig.   L.    Vili.  303  (D). 

I.       l'abate  di  TIBOLL 

\Ji  deo  d'amore,  a  te  faccio  pregherà 
ca  m'inteniate  si  chero  razone: 
cad  io  son  tutto  fatto  a  tua  manera, 


I,  1.  Ai  D 
80n  io  facto  D 


a  voi  D 
tuo  A 


facco  A 


2.  che  m' intendiate  Z>  s'io  ^         ragione  D 


3.  già 


SEC.  xin.  Tenzone  deU  ah.  di  Tivoli  <&c.  61 


cavelli  e  barba  agio  a  tua  fazone 

ed  ongni  parte,  agio  viso  e  ciera, 

e  fegio  in  quatro  serpi  ongne  stagione, 

e  la  lengua  a  giornata  m'è  legiera, 

però  fui  fatto  a  tua  speragione. 

E  son  montato  per  le  quatro  scale 

e  sono  afficto;  ma  tu  m'ài  feruto 

de  lo  dardo  de  l'auro:  ond'ò  gran  male, 

che  per  mecco  lo  core  m'à  partuto. 

di  quello  de  lo  piombo  fa  altrectale 

a  quella  per  cui  questo  m'è  avenuto. 

IL  NOTARO    GIACOMO. 

Feruto  sono  svariatamente. 
amore  m'à  feruto;  o,  per  che  cosa? 
cad  io  degia  dire  lo  convenente 
di  que'  che  di  trovar  non  anno  posa, 
ca  dicon  ne  lor  detti  fermamente, 
e' amore  à  deità  im  se  richiosa; 
ed  io  lo  dico  che  nonn  è  nejente, 
ca  dio  d'amore  sia  od  essere  osa. 
E  chi  me  ne  volesse  contastare, 
i  gliene  mostreria  ragion  davanti, 
ca  Dio  non  è  se  non  una  deitate. 
ed  io  in  vanità  non  voloflio  stare. 
voi,  che  trovate  novi  detti  tanti, 
posatelo  di  dir,   che  voi  pechate. 

III.       l'abate  di  tiboli. 

Qual  omo  altrui  riprende  spessamente, 
a  re'  rampongne  vene  a  le  fiate. 
a  te  lo  dico,  amico,  imprimamente, 
ca  non  credo  ca  lealemente  amiate, 
s'amor  t'avesse  feruto  coralmente, 
nom  parleresti  per  divinitate  ; 

4.  aggio  cavelli  e  barba  —  faccoiie  D  5.  ed]  en  D  aggio  —  cera  D  6.  seggio  in  quattro  D 

ogni  D  stasgione  A  7.  per  l'ale  gran  g.  —  leggera  D  8.  sono  ben  nato  D  a  questa 

niispregione  A  9.  sono  A  salito  —  quattro  D  10.  som  assiso  A  ma  tu]   a   dato   A 

11.   del  dardo  D  12.  e  par  mercede  A  m'ài  D  13.  da  q.  del  D  pimbo  fo  altretale  A 

14.    chui  A  n,    1.    isvariatam.    D  2.  amor  —  chosa   D  3.  clied  io  deggia  dir  D 

4.    quelli  —  trovare  A  5.  che  —  decti  D  dicono  A  6.    eh'  amor  —  in   —  rinchiusa  D 

7.  diche  —  non  —  niente  D  8.  che  —  amor  —  esser  D  10.  gle  —  mosterria  D  rasgione 

avanti  A  11.  che  —  nonn  D  12.  non  vi  postare  D  13.  decti  D  14,  dire — pec- 

chate  D  m,  1.  uomo  altni   D  2.  a  le  rampogne    vene   a  le  fiate  D  3.    a  vo  lo  di- 

cho  amicho  D  4.  eh  eo  —  che  lealment'   D  5.  s'amor  v'Z)  coralemente  A  6.  non 

parlereste  D 

I,  7.  corr.  e  la  lengua  agi'  ornata  e  m' è  legiera,' 


62  Tenzone  delV  ab.  di  Tivoli  i&c.  sec.  xirr. 


nanti  credereste  ciertamente 
c'amore  avesse  im  sé  gran  potestate. 
Amore  à  molto  scura  canoscienza; 
sì  n'adiven  corno  d'una  batalglia: 
chi  sta  vedere  riprende  chi  combatte, 
quella  ripresa  non  tengno  valglienza: 
chi  acatta  lo  mercato  sa  che  valgila, 
chi  leva  sente  più  che  quel  che  batte. 

IIII.  NOTARO    GIACOMO. 

Cotale  gioco  mai  nom  fue  veduto 
c'agio  vercongna  di  dire  ciò  ch'io  sento, 
e  dettone  che  non  mi  sia  creduto, 
pere' ongn' omo  ne  vive  a  scaltrimento. 
pur  uno  poco  sia  d'amore  feruto, 
sì  si  racchocca  e  fa  suo  parlamento, 
e    dicie:   "donna,  s'io  non  agio  ajuto, 
io  mende  moro  e  fonne  saramento  „. 
Grande  noja  mi  fanno  i  menzoneri, 
sì  'nprontamente  dicon  lor  mencogne  ; 
ma  io  lo  vero  dicolo  volontieri; 
ma  tacciolmi,  che  no  mi  sia  vergongna: 
ca  d'onne  parte,  amor,  ò  penseri 
ed  entra'  meve  com  agua  in  ispungna. 

V.       l'abate  di  tiboli. 

Con  vostro  onore  facciovi  un  onvito, 

ser  Giacomo  valente , 

lo  vostro  amore  voria  fermo  e  compito 
e  per  vostro  amore  ben  amo  Lentino. 
lo  vostro  detto,  poi  eh'  io  l'agio  udito, 
più  mi  rischiara  che  l' airo  sereno; 
magio  infra  li  mesi  è  1  più  alorito, 
per  dolzi  fiori  che  spande  egli  è  1  più  fino. 
Or  dumque  a  magio  asimilgliato  siete, 
che  spandete ed  amorosi 


7.  vostra  creden9a  fora  D  8.  c'aniora  D  9.  sch'tri»  A        chanoscen^a  D  10.  adi- 

viene A  e  diven  come  que'  eh' è  a  la  battag-la  D  11,    che    tten  mente  e  riprende  que'  che  D 

12.  ri  presta  —  valenza  D  chi  accatta  I  merchato  D  fa  A  valgla  D  14.  che  lievie  A 

mi,  1.  Cotal  giuocho  non  fu  mai  D  2.   eh' ò  vergongna-dir  D  3.  e  temone  nom  D 

"t.  però  —  uom  vive  D  5.  e  pur  un  —  amor  D  6.  si  ragienza  A  (fa  D  portamento  A 

(f  Uz.  ine.)  7,  e  dice  —  s'io  non  ò  il  tuo  D  8.  io  me  ne  D  9.  Però  gran  —  fanno 

menzonieri  D  10.  per  lu  prontamente  D  11.  ch'eo  1  vero  e  dirial  volentieri  D  12.  ma 

cielolo  però  che  m'h  D  13.  cad']  en   D  ongni  partta  A  ò  nunca   in  D  pemsleri   A 

U.  cà  Manca  in  D         entrate  in  mi  chom  Z)  V,  1.  faccovi  ^  6.  airo]  aira  ^ 


SEC.  xm. 


Canzone  dì  ArrigoTesta. 


63 


più  di  nullo  altro  amador  corti*  omo  saccia, 
ed  io  v'amo  più  che  non  credete; 
s'enver  di  voi  trovai  detti  nojosi, 
riposo  mende  date,  e  ciò  vi  piaccia. 


11.  amadore  e  sacca  A 


14.  piacca  A 


31.      CANZONE  DI  ARRIGO  TESTA  D^  AREZZO. 

Un  Arrigo  Testa  si  trova  nominato  nella  Cronica  di  Riccardo  da  San  Germano  alP  a. 
ligi]  altro  dello  stesso  nome  morì  podestà  di  Reggio  (Emilia)  nel  1247,  e  questo  è 
creduto  V autore  della  canzone,  unica,  che  segue.  Da  una  carta  delVa.  I2ig,  comuni- 
catami dal  prof.  Giulio  Salvadori ,  risulta  che  in  quelfanno  egli  era  di  già  maggiore 
d'età.  Fu  ucciso  sotto  Reggio  combattendo  per  V  imperatore  Federigo  II.*  Esso  non 
era,  come  si  credette,  di  Lentino  0  di  Reggio  in  Calabria,  ma  d^ Arezzo,  e  la  confusione 
fatta  intorno  alla  sua  patria  e  al  suo  nome  si  vede  esser  nata  dal  titolo  con  invio  al 
Notajo,  che  questa  canzone  recava  sul  ms.  d'onde  derivarono  le  tre  copie  che  sono  nei 
canzonieri  Vat.  3793  (A),  Laurenz.-Red.  g  (B),  Palat.  418  (C).  Si  dà  il  testo  di  tutti 
e  tre  i  predetti  fnss.  preceduto  da  un  tentativo  di  ricostituzione  critica. 

ARRIGUS    TESTA    DE    ARITIO    NOT.  JACOMO    DE    LENTINO. 

V  ostr"  argoglosa  ciera         e  la  fera  sembranca 
mi  trae  di  fin' amanca         e  metem' in  errore; 
Fami  tener  manera         d'  omo  k'  è  'n  disperanca, 
ke  non  à  in  sé  menbranca         d'avere  alcun  valore. 
In  ciò  biasimo  amore,         che  non  vi  dà  misura, 
vedendo  voi  sì  dura         ver  naturale  usanca. 


A 

NOTAJO    ARIGO    TESTA 
DA    LENTINO. 

Vostra  orgolglosa  ciera 
e  la  fera  sembianza 
mi  tra  di  fin'  amanza 
e  metemi  in  erore. 
fami  tenere  manera 
d'  omo  eh'  è  'n  disperanza 
e  non  à  in  sé  menbranza 
d'avere  alcuno  valore. 
In  ciò  biasimo  amore 
che  non  vi  dà  misura, 
vedendo  voi  s\  dura 
ver  naturale  usanza. 


B 

N.   JACOMO. 

Vostr' orgoglosa  cera 
e  la  fera  senbiansa 
mi  trae  di  fin'  amansa 
e  mettem'  in  errore. 
Fanmi  tenere  mainerà 
d'omo  eh'  è  'n  disperansa 
che  non  mostra  senbiansa 
d'  avere  alcun  valore. 
In  ciò  biasmo  1'  amore 
che  non  vi  dà  mizora, 
vedendovi  si  dora 
ver  naturale  uzansa. 


ARRIGUS    DIUITIS. 

Vostr'  argoglosa  ciera 
e  la  fera  sembranca 
mi  trae  di  fina  amanca 
e  mectemi  in  errore. 
Fami  tener  manera 
d'omo  k'  è  'n  disperanca 
ke  non  à  in  sé  menbranca 
d'avere  alcuno  valore. 
E  in  ciò  biasmo  amore 
ke  no  mi  dà  misura, 
vedendo  voi  s*i  dura 
ver  naturale  usanca. 


*  Salimbene ,   Chron.  ff.  68-g,  e  Memoriale  pò  test,    reginen,  in  Murato- 
ri, Rer.    Ital.    Scr.    Vili,  iiiS. 


64 


Canzone  di  Arrigo  Testa. 


SEC.    XIII. 


ben  passa  costumanza         ed  è  quasi  for  d'  uso 
r  afar  vostro  nojoso         per  leveca  di  core. 

Del  vostro  cor  certanca         ben  ò  veduto  in  parte, 
k'  assai  pogo  si  parte         vista  da  pensamento, 
Se  non  forse  a  fallanca         proponimento  d'  arte, 
ke  dimostrasse  in  parte         altro  e' ave  in  talento. 
Ma  lo  fin  piacimento,         da  cui  l'amor  discende, 
solo  vista  lo  prende         e  in  core  lo  nodrisce, 
si  ke  dentro  s'  acrescie         formando  sua  manera, 
poi  mette  fuor  sua  spera         e  fande  mostramento. 

Però,  madonna  mia,         non  pò  modo  passare, 
né  stasione  ubriare  :         ogne  cosa  à  suo  loco. 
Conven  k'  elio  pur  sia         ke  manifesto  pare, 
e  tutto  r  apostare         ver  la  natura  è  poco. 
Vedete  pur  lo  foco,         ke  fin  ke  sente  legna 
infiamma  e  non  si  spegna         né  pò  stare  nascoso. 


8. 


ben  passa  costumanza 
ed  è  quasi  fuori  d'uso 
1'  afan  vostro   nojoso 
per  li  vezi  di  core. 

Del  vostro  core  ciertanza 
ben  ò  veduto  in  partte, 
eh'  assai  poco  si  partte 
vista  di  pensamento, 
se  non  fosse  fallanza 
o  'mponimento  d'artte 
che  dimostrasse  in  partte 
altro  e'  ave  in  talento. 
Ma  lo  fino  piacimento 
di  cui  1'  amore   disciende, 
solo  vista  lo  prende 
ed  i  core  lo  nodriscie, 
sì  che  dentro  s'  acrescie 
formando  sua  manera, 
poi  mette  fuori  sua  spera 
e  fanne  mostramento. 

Però,  madonna  mia, 
nom  pò  mondo  passare 
né  stasgione  ubriare, 
c'ongni  cosa  à  suo  loco, 
conviene  eh'  elio  pur  sia 
che  manifesto  pare, 
e  tutto  1'  apostare 
ver  la  natura  poco. 
Vedendo  per  lo  foco, 
infin  che  sente  lengna 
infiamma  e  non  ispengna 
ne  pò  stare  nascoso. 


B 

ben  passa  costumansa 
ed  è  quazi  for  d'  ozo 
1'  afFar  vostro  nojozo 
per  levessa  di  core. 

Del  vostro  cor  certansa 
ben  ò  veduto  in  parte, 
cha  ssi  pogho  si  parte 
vista  da  pensamento, 
Se  non  fusse  a  fallansa 
proponimento  d'arte 
che  dimostrasse  sparte 
altro  e'  ave  'n  talento. 
Ma  lo  fin  piacimento 
da  cui  1'  amor  discende, 
solo  vista  lo  prende 
e  'n  core  lo  notrisce, 
si  che    dentro  s'acrisce 
formando  sua  mainerà, 
poi  mette  fuor  sua  spera 
e  fande  mostramento. 

Però,  madonna  mia, 
non  pò  modo  possare 
ne  stagion  obbriare, 
ogna  cosa  à  su  loco. 
Convien  ch'elio  pur  sìa 
che  manifesto  pare, 
e  tutto  1'  apostare 
verso  l'amore  è  poco. 
Vedete  pur  lo  foco, 
che  fin  che  sente  legna 
inflanma  e   non  si  spegna 
né  pò  stare  nascozo. 


c 

ben  passa  costumanza 
ed  è  quasi  for  d'  uso 
l'afar  vostro  nojoso 
per  leveca  di  core. 

Del  vostro  cor  certanca 
bene  vedut'  ò  in  parte, 
k'  assai  pogo  si  parte 
vista  da  pensamento, 
Se  no  fosse  a  fallanca 
proponimento  d'  arte 
ke  dimostrasse  exparte 
altro  e'  ave  in  talento. 
Ma  lo  fin  piacimento 
da  cui  l'amor  discende, 
sola  vista  lo  prende 
e  in  cor  lo  nodrisce, 
sì  ke  dentro  acrescie 
formando  sua  manera, 
poi  mecte  fuor  sua  spera 
e  fande  mostramento. 

Però,  madonna  mia, 
non  pò  modo  passare 
ne  stasione  obliare, 
ogne  cosa  in  suo  loco. 
Conven  k'  elio  pur  sia 
ke  manifesto  pare, 
e  tucto  1'  apostare 
ver  la  natura  è  poco. 
Vedete  pur  lo  foco, 
ke  fin  ke  sente  legna 
infiamma  e  non  si  spegna 
né  pò  stare  nascoso. 


i6 


i6 


24 


28 


32 


36 


40 


44 


SEC.    xra. 


Canzone  di  An'igo  Testa. 


65 


24 


28 


32 


36 


52 


56 


60 


64 


68 


72 


76 


COSÌ  r  amore  à  in  uso         per  fermo  sengnoragio, 
ke  cui  ten  per  coragio         conven  ke  mostri  gioco. 

No  mi  mostrate  gioco         né  gajo  semblamento 
d'alcuno  bon  talento,         ond'  avesse  allegranca  ; 

ond'  io  gran  noja  sento  ; 
di  verace  amistanca: 
ke  così  mi  tradite, 
trovate  alcuna  guisa 
di  sì  gran  fallimento; 
agiate  in  cor  fermanza. 


Ma  mi  mettete  in  loco 
ke  faite  infingimento 
E  ciò  è  gran  fallanca, 
poi  ke  tanto  savete, 
ke  non  siate  ripresa 
di  vista  o  pensamento 

Di  me  fermanza  avete, 
però  meo  cor  non  muta 
Donqua  se  voi  mi  sete 
ben  è  straina  partuta 
Poi  savete  eh'  è  oltragio,' 
ke  n'  è  presio  'n  alteze 


k'  eo  so  in  vostra  tenuta  ; 
di  far  leale  omagio. 
di  sì  fera  paruta, 
per  bene  aver  damagio. 
cangiate  la  fereze; 
centra  umiltade  usare. 


A 

così  1'  amore  à  in  uso 
per  fermo  sengnoragio, 
che  cui  tiene  per  usagio 
conviene  che  mostri  gioco. 

Non  mi  mostrate  gioco 
ne  gajo  semblamento 
d'alcuno   bono  talento, 
ond'  avesse  alegranza ; 
ma  mi  mettete  il  loco 
là  nd'io  gran  noja  sento; 
che  fate  ofingimento 
di  veracie  amistanza: 
E  ciò  è  gran  fallanza, 
che  cosi  mi  tradite, 
poi  che  tanto  savete, 
trovate  alcuna  guisa 
che  non  siate  ripresa 
di  vista  o  pensamento; 
d'alcuno  bono  talento 
agiate  in  core  fermanza. 

Di  me  fermanza  avete, 
ch'io  sono  vostra  tenuta; 
poi  lo  meo  core  non  muta 
di  fare  vostro  omagio. 
dunque  se  voi  mi  siete 
di  sì  fera  paruta, 
ben  è  strana  partuta 
per  bene  avere  danagio. 
Poi  savete  eh' è  oltragio, 
cacciate  le  fereze; 
che  non  è  presgio  ne   alteze 
verso  umiltate  usare. 


B 


così  r  aniore  e'  ozo 
per  fermo  signoraggio, 
che  conven  per  coraggio 
conven  che  mostri  gioco. 

No  me  mostrate  gioco 
ne  gajo  senblamento 
d'alcuno  bon  talento, 
und'  avess'  allegransa  ; 
Ma  mi  mettete  in  loco 
ond' io  gran  noja  sento; 
ké  faite  infingimento 
di  verace  amistansa; 
E  ciò  è  gran  fallansa, 
che  così  mi  tradite, 
poi  che  tanto  savite, 
trovate  alcuna  guiza 
che  non  siate  ripriza 
di  sì  gran  fallimento; 
di  vista  in  pensamento 
aggiate  in  cor  fermansa. 

Di  me  fermessa  avete, 
eh'  i'  so  in  vostra  tenuta  ; 
però  meo  cor  no  muta 
di  far  leale  omaggio. 
Dunque  se  voi  mi  sete 
di  sì  fera  paruta, 
ben  è  straìna  partuta 
per  bene  aver  dannaggio. 
Poi  savete  eh' è  oltraggio, 
cangiate  la  feressa; 
che  non  pregi' è  ne  altessa 
contra  umile  uzare. 


c 

così  1'  amore  è  miso 
per  fermo  signoragio, 
ke  cui  tem  per  coragio 
conven  ke  mostri  gioco. 

No  mi  mostrate  gioco 
ne  gajo  sembramento 
d'alcuno  bon  talento, 
ond' io  avesse  allegranca; 
Ma  mi  tenete  in  loco 
und'  io  gran  noja  sento  ; 
ké  faite  infingimento 
di  verace  amistanca: 
E  ci  è  gran  fallanca, 
ke  così  mi  tradite, 
poi  ke  tanto  sapete, 
trovate  alcuna  guisa 
ke  non  siate  ripresa 
di  sì  gran  fallimento  ; 
di  vista  o  pensamento 
agiate  in  cor  fermeca. 

Di  me  fermeca  avete, 
k'  eo  sono  in  vostra  tenuta; 
però  mio  cor  non   muta 
di  fare  leale  omagio. 
Donqua  se  voi  mi  siete 
di  sì  fera  paruta, 
ben  è  strania  partuta 
per  bene  aver  damagio. 
Poi  savete  e' oltragio 
cangiate  la  fereca  ; 
ke  n'  è  presio  'n  alteca 
contra  umiltade  usare. 


66 


Canzone  di  Pasc<^nlno  da  Sei'ezano. 


SEC.    XIII. 


c'  omo  dì  grande  affare         perde  lo  suo  savere, 
ca  lo  'nganna  volere         per  soperkio  coragio. 


40 


B 


C 


e'  omo  di  grand'  affare 
perde  lo  suo  savere, 
che  Ho  'nganna  volere 
per  soverchio  coragio. 


e'  omo  di  grande  affare 
perde  lo  suo  savere, 
che  lo  'nganna  volere 
per  soperchio  coraggio. 


e'  omo  di  grande  affare 
perde  lo  suo  savere, 
ca  lui  inganna  volere 
per  soperkio  coragio. 


80 


32.      CANZONE  DI  PAGANINO  DA  SEREZANO. 


Nessuna  notìzia  si  ha  intorno  a  questo  trovadore  ;  ma  dalla  struttura  e  dallo  stile  di 
di  questa  sua  unica  canzone^  e  dal  fosto  che  fu  dato  alV  autore  nel  canzoniere  A ,  fra 
Arrigo  Testa  e  Pier,  della  Vigna,  si  puh  argomentare  che  sia  stato  u?to  dei  piti  antichi. 
Il  nome  della  sua  patria  in  B  è  Serzana,  ofide  si  venne  alla  confusione  con  Sor  zana; 
ma  invece  trattasi^  secondo  A,  di  Serezano,  detto  anche  Serzana,  nelf  Italia  superiore,  vi- 
cino a  Tortona*  La  canzone  trovasi  solamente  nei  Codici  Vat,  jygj  (A),  Laur.-Red, 
g  (B),  Palat.  418  (C),  IH  quest''ultimo  mancante  della  st.  VI  e  con  la  V  anteposta  alla  III. 

MESSER    PAGANINO    DA   SEREZANO. 

ivoNTRA  lo  meo  volere         amor  mi  face  amare 
donna  di  grande  affare         troppo  altera; 


Però  ke  1  meo  servire 
per  lo  suo  disdegnare, 
Che  la  sua  fresca  cera 
né  giorno  non  anotta 
Donqua,   s'aggio  provato 
ch'amor  face  sentire 


non  mi  pora  ajutare 
tant'  è  fera. 

già  d'amar  non  s'adotta, 
là  ove  apare. 

li  afanni  e  li  martire 
a  chi  gli  è  dato, 


d'  amor  prendo  cumiato 

Lo  partir  non  mi  vale; 
amor,  eh'  en  omo  asende 
Ca  tutto  lo  meo  male 
s'  elio  ver  me  s'  arende 
Pur  uno  poco  in  pace 
e'  amor  di  bona  donna 
Però  s'  a  lei  piacesse 


e  vói  partire, 
eh'  adesso  mi  riprende 
poi  li  piace; 
di  gran  gioi  si  riprende, 
ed  amar  face 
la  mia  plagiente  donna; 
non  discende, 
d'  amare,  eo  1'  amarla. 


1.  Contro  a  lo  mio  A  amore  mi  facie  A  2.  grad  afare  tropp'  B  3.  Per  C        che^l^ 

servere  B  paria  A  pot  B  4.  ver  lo  su  B  destengnare  A  5.  E  la  suo  C  ciera  A 

damare  noni  A  si  docta  C  6.  el  g.  non  a  nocte  C  là  du  pari  C  7.  Dunqua  c'agio  A 

li  affanni  A  1'  afanno  B  Io  martire  B  li  martiri  C  8.  amore  A  facie  A  mi  fa  C  a  cui 

9.  d'  manca  in  C  amore  A  prende  C  comiato  A  \o  A  voi  C  10.  par- 

no  C  eh  omette  A  11.  che  non  m'ofende  B  che  nogl'  of.  C  12.  tute  A 

mio  A  mi  B         gioia  A  prende  C  13,  s' ella  ^C  'nver  —  arrende  ^         amare 

14.  Pur  un  B        piacente  BC        in  pacie  A  15.  e'  amore  —  disciende  A  16.  Per- 


son  d.  C 
tire  A 
tucto  C 
acie  A 


io  A  Dunqua  B 


se  C 


allei  BC  piaciesse  A 


A'  manca  in  C 


amar  B 


io  BV  A 


*  O.  Morena  in  Muratori,  Rer.  Ital,  Scr.   VI,  987. 


Il- 


io 


SEC.  XIII.  Canzone  di  Paganino  da  Serezano.  67 

co  meco  porteria         lo  mal  e'  avesse, 

e,  poi  lo  mal  sentisse,         lo  ben  voria. 

Sicom  omo  distretto         che  non  potè  fugire, 
20  convenelo  seguire         1'  altrui  voglia, 

Mi  tene  amore  afritto,         che  mi  face  servire 

ed  amando  gradire,         e  più  m'  orgoglia 

Madonna,  che  mi  spoglia         di  coragio  e  di  fede  ; 
24  ma  s' ella  voi  merzede         consentire. 

Tutto  lo  meo  corotto         sera  gioi  e   dolzore  ; 

ma  più  li  fora  onore,         s'  al  postutto 

mi  tornasse  in  disdotto         di  bon  core. 
28  Ai  plagente  persona,         cer'  allegr'  e  benigna, 

di  tutte  alteze  degna         e  d'  onore, 

Ciascun  omo  ragiona:         quella  donna  disligna, 

che  mercede  disdegna         e  amore. 
32  Donqua  vostra  valore         e  mercede  mi  vaglia, 

ca  foco  mi  travaglia         che  no  spegna; 

E  vostra  canoscenza         ver  mi  d'amor  s' inflame 

e  a  ciò  me  recliiame         a  benvoglenza, 
36  avend'  al  cor  sofrenza         eh'  io  l' ame. 

Quando  fra  due  amanti         amore  ogualemente 

si  mostra  benvoglente,         nasciene 

Di  quello  amore  manti         piaceri,  und'  omo  sente 
40  gioi  a  lo  cor  parvente         e  tutto  bene. 

Ma  s'  elio  pur  si  tene         ad  uno  e  1'  altro  lassa, 

elio  penando  atassa         ed  è  sofrente 

Del  mal  d'amor  gravoso,         pieno  di  disianza, 
44  e  vive  'n  disperanza         vergognoso. 

donqua  s'  eo  son  dottoso,         non  è  infanza. 

Mercé,  donna  gentile,         a  cui  piacere  aspetto; 

vostro  senno  perfetto         mi  conforte, 

17.  con  B        parzeria  A  porteria  B  partirla  C        male  A        eh'  BC  18.  male  —  bene  A         vor- 

ria  B  verrea  C  19.  destritto  B  distructo  C  nom  A  fuggire  B  20.  convelli  C  vol- 

gila A  voUia  C  21.  tiene  AB  aff ritto  B  alecto  C  facie  A  22.  e  ani.   C  eppiù  B 

upur  C  orgolglia  A  orgollia    C  23.  spolglia  A  spogla  C  coraggio  B  e  manca  in  B 

24. mass  A  elio  C  vole  A  vola  .ff  vai  C  mercede  C  25.  Tucto  C  mio  A  cor- 

rotto B  corocto  B  farà  gioja  A  ke  rasione  C  e  omette  C  dolsore  B  dolcore  C  26.  le 

fora  A   la   fa  honore    C  s'  a   p.    C  27.    disducto    C  bono  A  28.   A  plagiente  A 

Ahi  piacente  C  ciera  allegra  AC  benegna  C  29.  tucte  C  altesse  B  altece   C  den- 

gna.A  30.  Ciaschuno  —  rasgiona  ^  dislingna  A  d'slegna  C  31.  merciede  A  distend- 

gna  A  non  degna    C  ed    B  32.  Dunqua   AB  vestro  B  vostro   C  merciede  A  vai- 

glia  A  vagla   C  33.  cha  B  ke  C  travalglia  A    travagla  C  spingna   A  e  non  si  spegna  C 

34.  canoscienza  A  caunosienca  C  avermi  d'amore  A  s' imframe  C  35.  e  assai  mi  rischia- 

mo C  e  'n  su'  amore  chiame  A  benvolenza  A  benvoglenca  C  36.  avendo  al  core   A  sof- 

frensa  B  soffrenca  C  37.  dui  C  squalemente  A  igualmente  B  38.  si  mostran  BC  be- 

nevolente A  nasce  bene  B  nasce  e  vene  C  39.  quell'  B  piacieri  A  piacier  B  end'  A 

40.  gioja  al  core  A  tucto  B,  omettendo  e  41.  lasscia  A  lasso  B  42.  ed  elio  A  quello  B 

kille'  C  attassa  B  sofferente  BC,  omettendo  ed  43.  male  A  d'amore  AC  diziansa  B 

44.  e  omette  B  vivo  C  disperansa  B  vergongnoso  A  45.  dunque  A  dunqua  B  s'io 

sono  A  sisson  B  doctoso  C  n'  è  infanca   C  infansa  B  46.  Mercié  A  accui  B  pia- 

re affetto  A 


68 


Canzone  di  Rugieri  d^ Amici. 


SEC.    XIII. 


E  per  mei  non  s'  avile         tenendomi  in  dispetto. 

ch'io  non  ajo  rispetto         de  la  morte, 

E  ciò  mi  piace  forte,         solo  e'  a  voi  non  sia 

ritratto  a  villania         per  sospetto. 

Ca  se  voi  m'  alcidete,         ben  dirla  Paganino  : 

troppo  fora  dilino,         ben  savete, 

r  alto  pregio  che  tenete         in  dimino. 


48 


52 


48.  E  per  iiie- 
dete  perdiria  A 
prescio  A 


■  tenendomi  A 
Paghanino   B 


49.  aggio  sospetto  B 
53.   forai  dichino  B 


50.  Ecciò  B        piacie  A 
bene   A  sapete   B 


52.  auci- 
54.    l'altro 


33.      CANZONE  DI  RUGIERI  D'AMICI. 

La  famiglia  (V Amici  o  iV Amico  fu  di  Messina  e  me'^ser  Rugieri  fu  uno  dei  grandi 
dignitarj  della  corte  di  Federico  IT.  Le  seguenti  note  croniche  bastano  per  farlo  clas- 
sificare fra  i  lirici  pih  antichi:  «1238,..  fuit...  Siciliae,...  capitaneus  Rogerius  de 
Amicis»*;  «1240,  Rogerius  de  Amico,  dux  et  vicarius  exercitus  imperatoris  Friderici, 
accessit  centra  Saladinum  de  Babilonia»**;  «1241,...  dominus  Rogerius  de  Amicis 
manebat  in  Babiloniam  et  in  Cayrum  cum  Soldano  »  *^*;  «1248,  Conrado  et  aliis  filiis 
quondam  Rogerii  de  Amicis ...». f  La  canzone  seguente  si  trova  nel  cod,  Vat.  3793 
(A)  e  nel  Palai.  418  (C)  ;  in  questo  secondo  attribuita  a  Bonagiunta  da  Lucca  ;  ma  V  in- 
vio   «  allo    regno  »   v.  36,    dice    abbastanza  a  conferma  della  attribuzione  di  A. 

A  C 


RUGIERI    D  AMICI. 

L^o  meo  core  che  si  stava 
in  gram  penserò  finenora 
per  voi,  dolze  donna  mia, 
e  giorno  e  notte  penava 
faciendo  sì  gran  dimora, 
che  disiando  perla. 
E  l'angosgia  m'  aucidia, 
quando  mi  rimembrava 
del  vostro  amore  che  mi  dava 
sollazo  e  tuto  bene, 
al  core  sofria  gram  pene. 

Dolcie  mia  donna  valente, 
ben  m'  era  fera  pesanza 
d'  essere  lontano  da  voi, 


BONAGIUNTA    URBICIANI. 

v_/RA  mai  lo  meo  core  ke  stava 
in  gran  pensieri  finora 
per  voi,  dolce  donna  mia, 
Ka  giorno  e  nocte  penava 
facendo  sì  gran  dimora, 
ka  disiando  perla. 
E  r  angoscia  m'  ancidea, 
quando  mi  rimenbrava 
del  vostro  amor  ke  mi  dava 
solaco  e  tucto  bene, 
al  cor  soffria  gran  pene. 

Dolce  mia  donna  valente, 
ben  m'  era  fera  pesanca 
esser  luntan  da  voi, 


*  Appendice  alla  Historin  di  G.  Malaterra  in  Muratori-,  Rer .  Ital.Scr.  V,  604. 
**  Chronicon  Siciliae,  ms.   1628  della  Bibl.    Univ.  di  Padoz<a. 
dice  cit.  ^ Doc.  in  Berger,  Regis tres  d* Innocc nt  IV,   /,  «.  4034. 


***  Appen- 


SEC.    XIII. 


Canzone  del  Re    Giovanni. 


69 


A 


C 


i6 


24 


28 


32 


36 


40 


44 


tant'  amorosamente 
mi  date  gioja  com  baldanza 
quando  sono,  bella,  con  voi; 
E  non  voria  mai  avere 
potesse  avere  comfortto. 
e  bene  faria  gran  tortto 
s'io  inver  voi,  bella,  fallisse 
per  cosa  e'  avenisse. 

Donna,  la  pesanza  vostra 
m' incora,  poi  che  mi  rimembra 
com'  io  mi  partia  dolglioso  ; 
vegiendo  la  gioja  nostra 
che  faciavamo  noi  imsembra, 
lo  core  me  ne  sta  pensoso. 
Amore  vuole  eh'  i'  sia  giojoso 
poi  e'  a  voi,  bella,  torno, 
dio,  si  vederai  lo  giorno 
eh'  io  vostro  dolzore  senta, 
sì  ca  lo  meo  core  n'abenta. 

Canzonetta  mia  giojosa, 
per  lo  bene  e'  amore  comanda, 
partiti  e  vanne  a  lo  rengno, 
saluta  la  bonaventurosa, 
e   dille,  se  t' adimanda, 
che  per  lei  pene  sostengno. 
Né  contento  no  mi  tengno 
di  gra  richeza  avere 
sanza  lo  suo  volere  ; 
e'  amor  m' à  preso  e  distretto 
assai  più  ch'io  non  ò  detto. 


Ke  tanto  amorosamente 
mi  davavate  gioi  con  baldanca 
quand'  era,  bella,  con  voi  ; 
Ke  non  porla  dir  k'  eo 
più  potesse  avere  conforto, 
donqua  serea  gran  torto 
se  ver  voi,  bella,  fallisse 
per  cosa  k'  avenisse. 

Madonna,  la  pesanca  vostra 
m'  accora,  quando  mi  menbra 
comò  mi  partia   dollioso; 
Menbrando  la  gioi  nostra 
e'  avavamo,  bella,  insembra, 
lo  cor  mi  stava  pensoso. 
Amor  voi  k'  eo  stia  giojoso 
quand'  a  voi,  bella,  torno, 
quando  seria  lo  giorno 
ke  1  vostro  dolcor,  bella,  eo  senta, 
e  lo  meo  male  abenta. 

Kanconecta  mia  giojosa, 
per  lo  ben  k'  amor  ti  manda, 
partiti  e  vande  a  lo  regno, 
A  la  benaventurosa, 
e  dille,  se  t'  adomanda, 
k'  eo  pena  pato  e  sostegno, 
E  contento  no  mi  tegrno 
di  gran  riccheca  avere 
senca  lo  suo  volere; 
k'amor  m'à  preso  e  distrecto 
assai  più  k'eo  no  v'ò  decto. 


34.       CANZONE  DEL  RE  GIOVANNI. 

//  Re  Giovanni,  ossia  Jean  de  Braine  0  de  Brienne  0  di  Brenna,  nato  nella  seconda 
metà  del  sec.  XII,  morto  nel  123J,  passò  parecchi  anni  in  Italia,  prima  guerreggiando 
pel  fratello  alla  conquista  del  regno  di  Napoli,  poi  governando  lo  stato  papale  ossia  il 
Patrimonio,  da  Roma  a  Radico/ani,  nominatone  rettore  da  Clemente  IX.  I  documenti  ita- 
liani del  tempo  spesso  lo  ricordano:  «Anno  Domini  1218...  regebat...  tunc  christianos 
rex  Jerosolimltanus,  vir  strenuus  et  forma  pre  filiis  hominum  speciosus  »*;  «  a.  1223 
Johannes  rex  Jherosolimitanus,  qui  postmodum  de  fìlia  sua  cum  imperatore  contraxit, 
veniens  de  partibus  transmarinis  cum  magistro  domus  Hospitalis  Jherosolimitani,   Ro- 


*  Annales    S.    lustinae    Patav.    in    Monum.    Gemi,    histor.    XIX,    i^i . 


70 


Canzone  del  Re   Giovanni. 


SEC.    XIII. 


mam  vadunt  ad  Honorium  papam»**;    «a.  1225  Johannes  Jherosol.   rex,  cum  uxore 

sua  pregnante  filia  regis  Hispanie apud   Capuani  morari  elegit,    ubi,   imperatore 

mandante,  honorifice  receptus  est»*^*;  «  eodem  anno  [1225]  rex  Johannes  cum 
uxore  sua  venerunt  ad  Urbemveterem  et  steterunt  in  palatio  sancti  Martini»  f; 
«anno  Domini  1225,  xiv  indict.  Fredericus  imperator  accepit  uxorem  filiam  domini 
regis  Johannis  »  ff  .  Fra  Salimbene,  che  lo  conobbe,  così  lo  descrive:  «  Erat  enim  rex 
magnus  et  grossus  et  longus  statura,  robustus  et  fortis  et  doctus  ad  prelium,  ita  ut 
Johannes  alter  Karolus  Pipini  filius  crederetur.  et  quando  in  bellum  cum  clava  ferrea 
percutiebat  hinc  inde,  ita  fugiebant  saraceni  a  facie  ejus,  sicut  vidissent  diabolum...; 
revera  non  fuit  tempore  suo,  uti  dìcebatur,  miles  in  mundo  melior  eo.  unde  et  de 
eo....  facta  fuit  ad  laudem....  quaedam  cantio,  partim  in  gallico  partim  in  latino, 
quam  multotiens  cantavi,  quae  sic  inchoat:  Avent  tutt  mantenent  tempori- 
bus» 4->  UHist.  littér.  de  la  France,  XXIII,  6^8-42,  dia  di  lui  tre  canzoni 
francesi.  Questa  italiana  non  si  trova  se  non  nel  codice  Vat.  3793.  Al  Bartoli^  parve 
un  insieme  di  frammenti  diversi  mal  cuciti.  ^J^  Probabilmente  fautore  intese  di  fare  un 
discordo,  e  al  modo  dei  discordi  sta  essa  scritta  nel  codice. 

MESSER    LO    RE    GIOVANNI. 


UoNNA,  audite  corno 
mi  tengno  vostro  omo 
e  non  d'altro  sengnore. 
la  mia  vita  fina 
voi  l'avete  in  dotrina 
ed  in  vostro  tenore, 
oi  chiarita  spera, 
la  vostra  ^olze  ciera 
de'  r  altr'  è  gienzore. 
così  similemente 
è  lo  vostro  colore, 
colore  non  vidi  sì  giente 
né  'n  tinta  né  'n  fiore, 
ancora  la  fiore  sia  aulente. 
voi\avete  il  dolzore, 
dolze  temppo  e  gaudente 
inver  Ila  pascore. 
ogn'omo  che  ama  altamente 
sì  de  avere  bon  core 
d'essere  cortese  e  valente 
e  leale  servidore 
inver  la  sua  donna  piagiente 


16 


chui  ama  a  tutore. 

Tutora  de  guardare  24 

di  fare  fallanza; 
che  nonn  é  da  laudare 
chi  nonn  à  leanza 
e  bene  de  omo  guardare  28 

la  sua  noranza. 
cierto  be  mi  pare 
che  si  ffaccia  blasmare 
chi  si  vuole  orgolgliare  32 

là  ove  nonn  à  possanza; 
e  chi  bene  vuole  fare 
sì  si  de  umiliare 

inver  sua  donna  amare  36 

e  fare  conoscanza. 
or  vengna  a  ridare 
chi  ci  sa  andare; 
e  chi  à  intendanza  40 

si  degia  allegrare 
e  gran  gioja  menare 
per  fin'  amanza, 
chi  no  lo  sa  fare  44 


**  Riccardi  de  S.  Gemi.   C/ironica,  alPa.   1223.  *^*  loc.  cit.  ^An- 

nui.   Urbevet.  in  Man.  Germ.  histor.  XIX,  2Òg.  ^^  Appenlix  Gaufr.  Ma- 

lateme  in  Muratori,  Rer.  Ital,  Scr.    V,  604.  \.  Fr.  Salimbene    Chr  onic  a ,   Par- 

ma, i8j7,  p.  ló;  cf.  Novali  in  (riornale  storico   della    letteratura   italiana, 
I,  4/r.  4-I-  ^ior.  della    Ictter.    ital.  II,    122.  21.    e   leale]    ms.  elele 

31.    ms.  facca 


SEC.  xiir. 


Caiizofii  di  Federico  II. 


71 


sì  si  vada  a  posare, 

non  si  faccia  blasmare 

di  traresi  a  danza. 
48  Fino  amore  m'  à  comandato  76 

eh'  io  m'  allegri  tuta  via, 

faccia  sì  ch'io  serva  a  grato 

a  la  dolze  donna  mia, 
52      quella  e'  amo  più  'n  cielato  So 

che  Tristano  non  faciea 

Isotta,  com'  è  contato, 

ancora  che  le  fosse  zia; 
56      lo  re  Marco  era  'nganato,  84 

perch'  el  lui  si  confidia. 

elio  n'  era  smisurato, 

e  Tristano  se  ne  godea 
60      de  lo  bello  viso  rosato  88 

eh'  Isaotta  blond'  avia: 

ancora  che  fosse  pecato, 

altro  fare  non  ne  potea: 
64     e'  a  la  nave  li  fui  dato  92 

onde  ciò  li  dovenia. 

nullo  si  faccia  mirato 

s' io  languisco  tutavia, 
68      eh'  io  sono  più  namorato  96 

che  nuli'  altro  ommo  che  sia. 
Per  la  fior  de  le  contrate, 

che  tute  r  altre  passate 
72      di  belleze  e  di  bontate,  100 

46.   ms.  facca  54.    com'  è]   ms.  corno 

tute  1'  altr'  è  passate  ?  cioè  son   passate  ? 


donzelle,  or  v'  adornate  ; 
tute  a  madonna  andate 
e  merciede  le  chiamate, 
che  di  me  agia  pietate. 
di  que'  eh'  ella  à,  rimembran- 
le  degiate  portare:  [za 

giamai  'n  altra  'ntendanza 
non  mi  volgilo  penare, 
se  no  '1  lei,  per  amanza, 
che  lo  melglio  mi  pare. 

Dio  mi  lasci  vedere  la  dia 
eh'  io  serva  a  madonna  mia 
a  piacimento, 
eh'  io  servire  la  voria, 
a  la  fiore  di  cortesia 
e  d' insegnamento. 

jVIelglio  mi  tengno  per  pagato 
di  madonna, 

che  s' io  avessi  lo  contato 
di  Bologna, 

e  la  Marca  e  lo  ducato 
di  Guascongna. 
e  le  donne  e  «le  donzelle 
rendano  lo  loro  castelle 
sanza  tinore; 
tosto  tosto  ^ada  fore 
ehi  non  ama  di  bono  core 
a  piaciere.  _ 


66.  /».*.  tacca 


71.  corr.  che 


-   35.      CANZONI  DI  FEDERICO  II  DEGLI  HOENSTAUFFEN. 

Federico  nacque  a  Iesi  (Marca  tV Ancona)  nel  1194,  e  fino  alla  metà  circa  del  ligi 
visse  a  Foligno.  Nel  isjpS  fu  froclamato  re  di  Sicilia  a  Palermo,  ove  ebbe  educatori 
Nicola  arcivescovo  di  Taranto  e  il  notajo  Giovanni  di  Traetto.  Nel  i2og_  s^oso  Co- 
stanza sorella  del  re  di  Aragona,  e  nel  1220  veniva  coronato  imperatore.  Vedovo  nel 
i22j  <;posò  Isabella  di  Brienne  figlia  del  re  Giovanni  (v.  «,"  34)  e  amoreggiò  con  altra 
donzella  della  casa  di  Brienne  che  Isabella  aveva  condotta  seco  di  Soria*.  Vedovo  di 
nuovo,  sposò  in  terze  nozze  una  sorella  di  Enrico  III  iP Inghilterra,  piaciutagli,  dice  Mat- 
teo Paris,  perché  istruita  nelle  leggi  del  bel  parlare.  Morì  Federico  nel  1230.  Par- 
lando di  lui  e  di  Manfredi,  disse  Dante:    «  Eorum  tempore  quicquid   excellentes  lati- 

*  Chronicon  Turonense  alP a.  122 j  in  Bouquet,  Recucii  des  hist.  de  la 
France,   t.  XVIII. 


72 


Canzoni  di  Federico  IL 


SEC.    XIII. 


no  rum  enitebantur,  primitus  in  tantorum  coronatorum  aula  prodibat;  et  quia  regale 
solium  erat  Sicilia,  factum  est,  quicquid  nostri  pr;cdecessores  vulgariter  protulerunt, 
sicilianum  vocetur.»   (De  vulff.    e  log.  I,  XII.) 

'      I. 

Dal  cod,    Vat.  3793,    unico. 


RE    FEDERIGO. 


J-v'OLZE  meo  drudo,  e  vaténe; 
meo  sire,  a  dio|  t'acomando» 
che  ti  diparti  da  mene, 
ed  io  tapina  rimanno.  4 

Lassa,  la  vita  m' è  noja, 
dolze  la  morte  a  vedere, 
eh'  io  nom  penssai  mai  guerire, 
menbrandome  fuori  di  gioja."        8 

Membrandome   che  ten  vai, 
lo  core  mi  mena  grande  guerra  ; 
di  ciò  che  più  disiai 
il  mi  tolle  lontana  terra.  12 

Or  se  ne  va  lo  mio  amore, 
ch'io  sovra  gli  altri  l'amava; 
biasmomi'de  la  dolze  Toscana 
che  mi  diparte  lo  core.„         ^     16 
.     "  Dolcie  mia  donna,  lo  gire 
nonn  è  per  mia  volontate; 
che  mi  convene  ubidire 
quelli  che  m'  à  'm  potestate.      20 


8.   ms.  di  noia 


ms.  biasomomi 


Or  ti  comfortta  s'io  vado, 
e  già  nom  ti  dismagare, 
ca  per  nuli'  altra  d'  amare, 
amore,  te  nom  falseragio.„ 

"  Lo  vostro  amore  mi  tene' 
ed  ami  in  sua  sengnoria; 
ca  lealemente  m'  avene 
d'amar  voi  sanza  falsia. 
Di  me  vi  sia  rimembranza 
no  mi  agiate  'n  obria, 
c'avete  in  vostra  balia 
tuta  la  mia  disianza.„ 

"  Dolze  mia  donna,  lo  com-''^ 
domando  senza  tenore  ;    [miato 
che  vi  sia  racomandato 
che  con  voi  rimane  lo  mio  core. 
Cotal'  è  la  namoranza 
delgli  amorosi  piacieri, 
che  non  mi  posso  partire 
da  voi,  donna,  il  leanza.„ 


24 


28 


0^ 


.  32 


36 


40 


23.  7IIS.   nulla  l'altra 


24.     VIS. 


faseragio 


ms.  che  mi. 


IL 

Dal  cod.  Palai.  418  (C)  con  le  varianti  dei  codd.  Vat.  3793  (A),  CAi^.  L.VIII. 
30  J  (D),  Vat.  3214  (E).  In  A  il  titolo  fu  raschiato  j>ih  volte;  sulla  fritna  raschia- 
tura fu  scritto  «  Messer  Rinaldo  d'Aquino»,  al  quale  probabilmente  la  canzone  era 
stata  inviata  da  Federico  ;  ma  anche  quel  nome  fu  raschiato  sì  che  appetta  ne  re- 
sta la  traccia. 


.-.^ 


■V 


REX    FREDERICUS. 

1  01  ke  ti  piace,  amore,         ke  eo  degia  trovare, 
faronde  mia  possanca         k'io  vegna  a  conpimento. 
Dat'agìo'lo  meo  core         in  voi,  madonna,  amare 

Tit.      Lo  mperadore  Federigho  D  Federigo  tmperadore  E  (per  A  vtd.  sopra)  1.  che  D  <^  A 

tti  2)  a  voi  -^  piagie  AD  k  E  eh  AD  io  A  deggia  D  2.  faronne  ADE  pos- 

san/.a  AR         c\\^AD        vengna  AD        compimento  ADE  3.  aggio  D  daraggio  E         mio  A         in 

vo  inadonn'  E 


SEC.  XIII.  Canzoni  dì  Federico  II.  73 


4  e  tucta  mia  speranca         in  vostro  piacimento. 

E  no  mi  partiragio  da  voi,  donna  valente, 

k'  eo  v'  amo  dolcemente, 

e  piace  a  voi  k'eo  agia  intendimento. 
8  valimento         mi  date,  donna  fina, 

ke  lo  meo  core  adesso  a  voi  s'inchina. 

Si  inkino,  rason  agio         di  sì  amoroso  bene; 

ka  spero,  e  vo  sperando,         c'ancora  dejo  avere 
12  Allegro  meo  coragio         e  tucta  la  mia  spene: 

fui  dato  in  voi  amando         e  in  vostro  volere. 

E  vejo  li  senbianti  di  voi,  kiarita  spera, 

k'aspecto  gioja  intera; 
i6  ed  ò  fidanca  ne  lo  mio  servire 

a  piacere        di  voi  ke  siete  fiore, 

sor  l'altre  donne  avete  più  valore. 

Valor  sor  l'altre  avete         e  tucta  caunoscenca, 
2o  null'omo  non  porla         vostro  presio  contare; 

Di  tanto  bella  sete,         secondo  mia  credenca, 

non  è  donna  ke  sia         alt'a  sì  bella  pare, 

Né  e' agia  insegnamento  di  voi,  donna  sovrana. 
24  la  vostra  ciera  humana 

mi  dà  conforto  e  facemi  allegrare; 

allegrare         mi  posso,  donna  mia, 

più  conto  mi  ne  tegno  tuctavia. 

4.  tuta  A  tutta  D  speranza  AE  piagimento  A  5.  E   non  E   E  nom   D  Ch*  io  non  A 

partiraggio  DE  6.   ch  AD  io  A  dolzemente  AE  7.  piacie  A  ipaccia  E  eh'  AD 

io   AE  aggia    DE  9.  che  AD  Ilo  E  a  manca  in  A  10.  S'  io  A  Si  v'    DE 

inchino  ADE  rasgione  A  ragione  D  raggìone  E  aggio  DE  11.  cha  D  ch'io  A  spe- 

ro] aspecto  E  in  voi  A  k'E  che  D  ch'A  anchora  D  ancor  E  deio]    credo  A  12.    il 

mio  A  choraggio  D  coraggio  E  tuta  A  tutta  D  la  manca  tn  D  fu   E  c'ò   ^4 

data  A  ed  A  volere]  piaciere  A  14.  Che  v.  A  vegio  A  veggio  DE  sembianti  ADE 

di  vo  E  chiarita  AD  15.  cha  spero  AD  k'aspetta  E  16.  fidanza  AE  ne  lo  manca  in 

CDE  meo  A  17.  piaciere  ^  e  di  piaciere  a  A  che  AD  ssiete  D  18.  sovra  A 

■    19.  Valore  A  tuta  A  tutta  D  canoscienza  A  canoscienca  D  kanoscenca  E  20.  cha  null'^  uo- 

mo D  non  manca  in  A  presgio  A  pregio  DE  chontare  D  21.  Di]    Deo  D  Che  A 

tanta  beltà  E  siete  ADE  credenza  ADE  22.  nonn  AE  che  AD  sia  con  /"a  espun- 

to D  ssia  E  alt'a  si  bella  pare]  ch'agia  tante  belleze  A  23.  ch'aggia  D  ke  già  E  tanto   A 

insengnamento  AD  di]  inver  A  24.  cera  D  faciemi  A  fammi  DE  26.  e  s'eo  pregare 

vi  p.  d.  mia  A  27.  me  ne  tengno  D  mi  tengno  A  tuctavia    manca  in   E  tutav.  A   vita   mia   D 

Dopo  il  27  seguono  in  A  queste  altre  due  stanze  di  lezione  assai  guasta  che  do  in  trascrizione  diploma- 
tica; A  tutora  vegio  e  sento,  ed  onne  gra  rasgione.  chamore  mi  consente.  uoi  gientile  criatura.  gia- 
mai  nonno  abento.  uostra  bella  fazone.  cotanta  ualimente.  per  uo  sono  fresco  ongnora.  Al  sole  ri- 
guardo, lo  nostro  bello  uiso.  che  ma  daniore  priso.  e  tengnolomi  in  grande  bona  ventura,  pero  a  tutora. 
chi  al  buono  sengnore  crede.  pero  sono  dato  ala  uostra  merzede.  Merze  pietosa  agiate.  di  meue  gien- 
tile cosa.  che  tuto  il  mio  disio.  e  ciertto  bene  sacciate.  alente  più  che  rosa.  che  ciò  chio  più  colio. 
e  uoi  uedere  souente.  la  uostra  dolze  uista.  a  cui  sono  ublicato.  core  e  corpo  donato.  Alora  chio  ui 
uidi  prima  mente.       mantenente  fui  in  uostro  podere,      che  altra  donna  mai  non  uolglio  auere. 


74  Canzoni  di  Federico  II.  sec.  xiii. 


III. 

Dal  cod.    Vat.  3793,   correggendo  il  titolo  col  Laur.-Red,  g, 
che  in  questa  parte  ha  origine  comune  col  primo, 

REX    FEDERICO. 

\Ji  lasso,  nom  pensai         sì  fortte  mi  paresse 
lo  dipartire  da  madonna  mia. 

da  poi  eh'  io  m'  aloncai,-        ben  paria  eh'  io  morisse, 
membrando  di  sua  dolze  compagnia  ;  4 

E  giamai  tanta  pena  non  durai     ^/h^iaa^^. 
se  non  quanto  a  la  nave  adimorai; 
ed  or  mi  eredo  morire  eiertamente, 
se  da  lei  no  ritorno  prestamente.  S 

Tutto  quanto  eo  via         sì  fortte  mi  dispiaeie, 
che  non  mi  lascia  im  posa  in  nesù  loco; 
sì  mi  distringie  e  disia,         che  nom  posso  aver  pacie 
e  fami  reo  parere  riso  e  gioco.  12- 

Membrandomi  suo'  dolze  sengnamente, 
tutt'  i  diportti  m'  escono  di  mente, 
e  non  mi  vanto  eh'  io  disdotto  sia, 
se  non  là  ov'  è  la  dolze  donna  mia.  16 

O  deo,  comò  fui  matto         quando  mi  dipartive 
là  ov'  era  stato  in  tanta  dengnitate. 
e  s' io  caro  1'  acàtto         e  sciolglio^come  neve, 
pensando  e'  altri  1'  aja  'm  potestate,  2a 

Ed  e'  mi  pare  mill'  anni  la  dia 
ched  io  ritorni  a  voi,  madonna  mia; 
lo  reo  penserò  sì  fortte  m'  atassa,-^^  ^**'' 
che  rider  né  giucare  non  mi  lassa.  24. 

Kanzonetta  giojosa,         va'  la  fior' di  Soria, 
a  quella  eh'  à  in  presgione  lo  mio  coré^; 
dì  a  la  più  amorosa,         ea  per  sua  cortesia 

si  rimembri  del  suo  servidore,  2& 

Quelli  che  per  suo  amore  va  penando, 
menfre  non  faccio  tutto  il  suo  comando; 
e  priegalami  per  la  sua  bontate 
che  la  mi  degia  tenere  lealtate.  32 

3.  ms.  m'alontai  bene  19.  ms.  scolglio  25.  ma.  fiore  26.  ms.  lo  mio 

core  in  presgione 


SEC.    XIII. 


Canzoni  di  Odo  della  Colonna, 


75 


36.   CANZONI  DI  ODO  DELLA  COLONNA 
O  DELLE  COLONNE. 

«  De  Columnis  »  <?  «  De  Columna  »  trovasi  alternamente  in  varie  soscrizioni  originali 
delV  altro  Colonnese  Guido  (v.  appresso).  Odo  e  Guido  furono  da  qualche  moderno  cre- 
duti fratelli ,  ma  di  ciò  non  si  ha  prova  né  indizio;  soltanto  è. assai  verosimile  che  ambedue 
sieno  stati  della  medesima  famiglia,  di  quella  cioè  che  diede  alle  lettere  anche  Egidio  il 
comentatore  di  Guido  Cavalcanti,  Landolfo  fautore  del  Mare  historiarum,  e  più 
tardi  Giacomo  che  ebbe  corrispondenza  in  versi  col  Petrarca ,  Vittorio  la  poetessa  famosa, 
ed  altri.  E  vero  che  il  cod.  Vat.  3793  lo  dice  di  Messina  ;  ma  anche  i  Colonned  di 
Messina  discesero  dai  Colonnesi  di  Roma.  Inoltre  è  da  avvertire  che  il  ramo  siciliatu) 
ebbe  principio  soltanto  nel  12SS  (v.  Litta  e  Coppi),  quando  cioè  Guido  esercitava  di  già 
P  ufficio  di  notaj'o  e  di  giudice,  e  Odo  aveva  forse  già  cessato  di  vivere.  Si  avverta  al- 
tresì che  il  nome  di  Odo  non  s' incontra  mai  tra  i  Colonnesi  di  Messina,  laddove  fra  quelli 
di  Roma  esso  è  assai  frequente.  Probabilmente  il  nostro  è  quello  stesso  messer  Odo  che 
nel  1238  e  nel  i2^r  fu  senatote  di  Roma  e  che  Bomfazio  Vili,  nella  sua  bolla  contro 
i  Colonnesi  (io  maggio  1297),  dice  morto  da  oltre  quaranf  anni  e  accusa  di  avere  osteg- 
giato la  chiesa  insieme  «  curri  damnatae  memoriae  Frederico  olim  romanorum  impera- 
tore. »  //  suo  modo  di  poetare  è  quello  dei  contemporanei  del  Notajo,  con  i  quali  nel  co- 
dice lo  troviamo  aggruppato. 

I. 

Dal  cod.    Vat.  37<P3,  unico. 
MESSER    ODO    DE    LE    COLLONNE    DI    MESINA. 


16 


v_yi  llassa,  namorata, 
comtare  volgilo  la  mia  vita 
e  dire  ongne  fiata 
come  l'amore  m'invita; 
eh'  io  sono  sanza  pecata 
d'  assai  pene  guernita 
Per  uno  ch'amo  e  volgilo 
e  noli'  agio  in  mia  balglia 
sì  com  avere  solglio  ; 
però  pato  travalglia,  (|v. 

ed  or  mi  mena  orgolglio  ; 
lo  core  mi  sende  e  talglia. 

Oi  llassa,  tapinella, 
come  r  amore  m' à  prisa  ! 
che  lo  suo  amore  m'apella, 
quello  che  m' à  conquisa  ; 
la  sua  persona  bella 


28 


3- 


tolta  m'  à  gioco  e  risa. 
Ed  ami  messa  im  pene 
ed  im  tormenti  forte  ; 
mai  non  credo  avere  bene 
se  non  m' accorre   mortte  ; 
aspetola  che  vene, 
tragami  d'  este  sortte. 

Lassai  che  mi  diciea 
quando  m'avea  in  cielata: 
"  di  te,  oi  vita  mea, 
mi  tengno  più  pagata 
ca  ss'  io  avesse  im  ballia 
lo  monddo  a  sengnorata  „. 
Ed  or  m'  à  a  disdegnanza 
e  fami  scanoscenza  ; 
par  ch'agia  d' altr' amanza. 
o  dio,  chi  lo  m' intenza  ? 


7.  ms.  ammo  12.  corr.   fende  e  talglia  ovvero  sende  talglia 

scanza  33.  ms.  e  d'altr'  34.  ms.  chio 


32.  ms.  scano- 


76 


Canzoni  di  Odo  della  Colonna. 


SEC.    XIII. 


mora  dì  mala  lanza 
e  senza  penitenza. 

O  ria  ventura  e  fera, 
trami  d' esto  penare  ; 
fa  tosto  ch'io  nom  pera 
se  non  mi  dengna  amare 
lo  mio  sire,  che  m' era 
dolze  lo  suo  parlare. 
Ed  ami  namorata 
di  sé  oltre  misura, 
or'à  lo  core  cangiata, 
saciate  se  m'è  dura; 
sì  come  disperata 


36 


40 


44 


mi  metto  a  la  ventura.  48 

Va,  canzonetta  fina, 
al  buono  aventuroso  ; 
ferilo  a  la  corina 
sei  truovi  disdengnoso;  52 

noi  ferire  di  rapina, 
che  sia  troppo  gravoso; 
Ma  ferii  a  chi  1  tene, 
aucidela  sen  fallo.  56 

poi  saccio  e'  a  me  vene 
lo  viso  del  cristallo, 
e'  sarò  fuori  di  pene 
ed  avrò  alegreza  e  gallo.  60 


57.  ms.  sacco. 


II. 

Dal  cod.    Vat.  3793,  unico. 
MESSER    ODO    DE    LE    COLLONNE    DI    MESINA. 


JUisTRETTO  core  ed  amoroso 
giojoso  mi  fa  cantare  ; 
e  ciertto  s' io  sono  pensoso 
non  è  da  maravilgliare  4 

C  amore  m' à  usato  a  tal  uso 
che  m'à  si  presa  la  volgila, 
che  1  disusare  m' è  dolglia 
vostro  piaciere  amoroso.  8 

L'amoroso  piacimento 
che  mi  donava  allegranza, 
vegio  che  reo  parlamento 
me  n'à  divisa  speranza;  12 

Ond'io  languisco  e  tormento 
per  fina  disianza, 
ca  per  lunga  dimoranza 
troppo  m'adastia  talento.  16 

Lo  pensoso  adastiamento 
degiate,  donna,  allegrare 
per  ira  e  per  ispiacimento 
d'invidioso  parlare,  20 


E  dare  comfortamento 

a  li  leali  amadori, 

sì  che  li  rei  parladorì 

n'  agiano  scomfortamento.  24 

Iscomtbrtamento  n'  averano, 
poi  comandato  m'avete 
eh'  io  mostri  tale  viso  vano 
che  voi,  bella,  conosciete.  28 

E  co  crederano 
ch'io  ci  ò  già  mia  dilettanza, 
e  perderanno  credanza 
del  falso  dire  che  fano.  32 

Fannomì  noja  e  pesanza 
di  voi,  mia  vita  plagiente, 
per  mantenere  loro  usanza 
la  nojosa  e  falsa  giente:  36 

Ed  io  com'auro  im  blanza 
vi  son  leale,  sovrana 
fiore  d'ongni  cristiana, 
per  cui  lo  mi  core  s' inavanza.      40 


SEC.  XIII.  Canzone  di  Rtcggerone  di_Palermo.  77 


37.   CANZONE  DI  RUGGERONE  DI  PALERMO. 

//  nome  di  questo  rimatore  non  s*  incontra    se  non    nei  canzonieri    Vai.   3793    (A)  e 
Laur.  Red.  g  (S)  ;  in  A  con  questa  e  con  un'altra   canzone;  in  B  con  questa  canzone  sol- 
tanto, l^  altra  ivi  trovandosi  attribuita  a  Federico  IT,   al  quale  più  frob  abilmente  sfetta. 
Si  dà  il  testo  secondo  la  lezione  di  A  correggendone  gli  errori  più  evidenti. 

RUGIERONE    DI    PALERMO. 

-Den  mi  degio  alegrare         e  fare  versi  d'amore, 

ca  chui  son  servidore 

m'à  molto  grandemente  meritato. 
4  nom  si  poria  contare         lo  gran  bene  e  l'aunore: 

ben  agìa  lo  martore 

ch'io  per  lei  lungiamente  agio  durato. 

Però  consilglìo  questo  a  chi  è  amadori; 
8  non  disperi,  ma  sia  soferidori, 

e  lo  no  'ncresca  la  gran  dimoranza. 

chi  vole  compiere  su'  atendanza, 

viv'  a  speranza;  * 

12  che  non  mi  pare  che  sia  valimento, 

da  e' omo  vene  tosto  a  compimento. 

Ben  ò  veduti  manti         a  cui  pare  forte  amore 

e  non  vole  penare, 
i6  e  fa  come  lo  nibio  ciertamente; 

eh'elgli  è  bello  e  possanti         e  non  vole  pilgliare, 

per  nom  troppo  affanare, 

se  non  cosa  quale  sia  parisciente. 
2o  Così  fa  quelli  c'à  povero  core, 

di  soferire  pene  per  amore; 

e  già  sa  egli  ca  nuli'  altra  amistanza 

non  guadangna  omo  mai  per  vilitanza. 
24  sia  rimembranza: 

chi  vole  amor  di  donna,  viva  a  spene, 

contesi  in  gran  gioja  tutte  le  pene. 

Kosì  dovemo  fare         come  il  buon  marinaro 
28  che  core  temppo  amaro, 

per  afanno  già  sé  no  abandona. 

pria  s'adastia  al  ben  fare,         ancora  che  li  sia  caro, 

mentr'unque  à  buon  dinaro, 
32  non  si  ricrede  de  la  sua  persona; 

I.  ms.  Bene  2,  nis.  sono  8.  ms.  non  si  speri  ma  siano  buoni  sof.  9.  ms. 

e  loro  12.  ms.  di  vai.  22.  ms.  sanno  egli  25.  ms.  amore  27.  ms. 

buono.  29.  ms.  nonn  30.  ms.  bene  31.  ms.  buono 


78 


Canzone  di  Tiberio  Galliziani. 


SEC.  xni. 


Vede  la  morte  ed  à  sempre  speranza, 

e  sta  in  tormento  e  dassi  buon  conforto, 

fin  che  camppa  i  rio  tempo,  e  giungle  a  portto, 

ed  in  diportto 

noUi  rimembra  poi  di  quelle  pene. 

dolcie  è  lo  male  ond'omo  aspetta  bene. 


36 


34.  ms.  buono 


35,  ms.  infino 


38.       CANZONE  DI  TIBERTO  GALLIZIANI  DA  PISA. 

Della  patria  di  questo  trovadore  fa  testimonianza  il  canzoniere  A,  indirettamente 
lo  conferma  il  Breve  antianoriim  civitatis  Pisar um* ,  che  registra  nella  sua  se- 
rie un  altro  Galliziani.  Circa  il  tempo  in  cui  visse  messer  Tiberio,  si  può  argomentarlo 
dalla  relazione  che  egli  ebbe  con  Rinaldo  d'' Aquino,  al  quale  vediamo  indirizzata  questa 
canzone,  e  dalla  forma  della  canzone  stessa  che  ci  riporta  ai  tempi  preguittoniani.  Essa 
trovasi  nel  cod.  Vat.  3793  (A)  sotto  il  nome  del  Galliziani ,  nel  Palat.  4.18  (C)  e  nel 
C'iig.  L.  VITI.  30S  (D)  sotto  il  nome  di  Rinaldo  d'Aquino,  e  nel  Laur.  -  Red.  9  (B)  con 

V  invio  che  qui  poniamo  nella  seconda  riga  del  titolo. 

* 

MESSER    TIBERTO     GALIZIANI    DI     PISA 
DOMINO   RAINALDO    d'AQUINO. 


IDlasmomi  de  l'amore 
ke  mi  donao  ardimento 
d'amar  sì  alt'amansa. 
Di  dire  ò  tal  temore, 
ke  sol  di  pensamento 
mi  trovo  in  disviansa. 
Assai  faccio  acordansa 
di  dire,  e  poi  mi  scordo, 
tanto  fra  me  mi  stordo 
per  la  gran  dubitansa! 
Però  faccio  senblansa 
a  lo  cor  che  sia  sordo. 


che  mi  dicie:  e'  m'accordo 
che  adomandi  pietansa. 
Ma  tutto  m'è  neente 
k'entenda  in  tal  parlare;  i6 

ke  l'altro  cor  m' intensa, 
E  dicie:  oi  me  dolente! 
non  poi  tanto  durare 
ke  vinke  per  soffrensa.  20 

Se  fa'  di  me  partensa, 
da  lo  su'  bel  plagere 
già  mai  non  pori' avere 
gioja,  ma  pur  doglensa.  24 


1,  Biasniomi   AD  dell  A  2.  che   ABD  innii  D  dona  AD  3.  d'amare  AD 

alta  CD  amanza  ACD  4.  dir  JB  tale  tinore  A  timore  CD  5.  che  ABD  so- 

lo A  ssolo  B  del  CD  pemsamento  A  6.  truovo  A  disianza  ACD  7.  Ma  ss  eo  A 

Ma  si    CD  facci  B  acordanza   AC  achordanga   D  9.    tucto  C  tutto  D  iaframme  D 

franme  B  scordo   AD  10.    grande   dubitanza   A  11.    ma  ss' eo  facco  sembianza  A   sen- 

biansa  B  10,  11.  mancano  in  CD  12.    core  A  ssia   B  13.    dici  B  si  mi  dice  C 

simmi  dice    D  U.    chi   jB  k'  io  C  eh'  io  D  dimandi  pietanza   ACD  15.   tucto  C  tato  A 

niente  CD  mente  A  16.  eh'  ABD  intenda  B       tale  A  17.  che  ACD         11"  BD         co- 

re A  intenza  ACD  18,  Dice  BD  come  C  chome  D  19.  nom  A  puoi  AB  può  D 

20,  che  vinche  ^5Z)  per  fare /l         sofrenza  M  soEfrenza  C2)  21.  (fui  B         parenza  .(4CZ)        22.  bel- 

lo A  piacicre  A  piacere  CD  23,    giammai  CD  poria   ACD  24,  dolglienza  AD  do- 

glenqa  C 


*  Archivio  storico  italiano,    Vf^^,  647  e  segg. 


SEC.    XIII. 


Canzone  di  Tiberio  Galliziani. 


79 


28 


32 


36 


40 


44 


48 


Ke  tant'à  di  valensa,  52 

ke  melilo  m'è  soffrire 

le  pene  e  lì  martire, 

ke  'n  ver  lei  dir  fallensa. 

Kosì  amor  m'  à  mizo  56 

in  due  contensione  : 
ciascuna  m'è  guerrera. 
Ke  r  una  m' à  divizo 
di  dire  mia  ragione,  60 

e  l'altra  mi  par  fera. 
Ma  s' eo  faccio  pregherà, 
tem'ao  e  vao  pensando; 
unqu' a  Ilei  non  dimando  64 

perk'  eir  è  tanto  altera. 
Però  in  tal  mainerà 
d'amor  mi  vau  blasmando, 
ke  sì  mi  stringe  amando,  6S 

dottando  k'eo  non  pera. 

Ben  amo  follemente 
s'eo  pero  per  dottansa 
di  dir  lo  meo  penare.  72 

E  morrò  certamente, 
s' eo  faccio  più  tardansa 
tante  pene  a  portare. 
C'amor  non  voi  mostrare  76 

le  pene  k'  eo  tant'  aggio, 
e  queir  und'  i'  arraggio 


tuttor  per  lei  amare. 
Und'eo  mi  voi  provare 
di  dir  lo  mal  k'eo  aggio 
a  lo  su  sengnoraggio, 
e  noi  vói  più  celare. 

Però  mi  torno  a  voi, 
plagiente  criatura, 
k'  eo  sia  per  voi  inteso. 
Ke  già  non  posso  plui 
sofrir  la     pena  dura 
d' amor  ke  m' à  conquizo. 
S' eo  però  son  misprizo, 
l'amore  ne  blasmate 
e  le  vostre  bieltate, 
ke  m' àn  d'amor  sì  prizo. 
Merzé,  plagente  vizo, 
prendavene  pietate 
di  meve,  non  mostrate 
eh'  io  sia  da  voi  divizo. 

Certo,  madonna  mia, 
ben  seria  convenensa 
k'amor  voi  distringesse. 
Ké  tanto  par  ke  sia 
in  voi  piena  plagensa, 
k'a  l'altre  dai  manchesse. 
Però,  s'a  voi  tenesse 
amor  distrettamente, 


23.  zhs  ABD  valenza /lC/>  26.    ca  ^  che  ^Z>  melglio   ^4  meglo  ^  melglo  D  so- 

frire  ^  27.  martiri  ^Ci)  28.  che  ^5Z)  Ilei  ^  fallenza  ^C/)  29.  amore  ^ 

miso   ACD  30.    du    B  contenzione    A    contentione    C  contenzioni  D  31.    ciaschuna  A 

32.  che  V  BD   nell' ^  m'è    CD  diviso  ACD  33.  rasgione  A  rasone  C  34.  e  U' ^ 

pare  A  sta  B  35.  Ma  si  A  Assai  B  facio  pregerà  C  36.  tema  C  di  te  /l  aggio  CD 

merze  A  e  vo  CB,  manca  in  A  37.    unqu']  ca  ^  ke  C  che  D  eo  non  le  A  38.  per- 

ch'  ABD  altera]    fiera  B  39.  di  t.  B  tale  A  manera   ACD  40.    d'amore  A 

mi  va  A  mi  vo  CD  biasmando  B  41.  che  i>  ca  ^  che  mi  distringe  B  stringie  A  strige  D 

noni  A  43.  Bene  v'  a.  A  44.  s'  io  AB        do- 

nilo AB  46.  Ben  B         morto  cierta  A  47.  s'io 

48.  tanto  pena  B  o  portate  D  o  portare  C  49.  C'a- 

vole  A  voglo   C  volglo   D  50.  eh'  ABD  io  AB 

d' ella  per  chui  moragio  A  a  quella  k'  eo  dovragio  C  a  q.  ch'eo 
53.  ond'  AD  io  A  volgilo  A  vo  CD  54.  dir- 

eo]  i  B,  manca  in  A  agio  A  55.  suo  manca  in  C 

56.  vo  ACD  57.  torn'  B  58.  piacente  BCD 


42.  dotando  A  doctando  C  eh'  io  ^5 

tanza  A  doetanca  CD  45.  dire  A 

AB  facio  pur  C  tardanza  ACD 

more  A  Como  C  Come  D  nom    A 

tante  A  tanto  D  agio  AC  51. 

dovraggio  D  52.  tutora  A  tuctor  C 

Ile  .4  lo  mal]  l'amor  ^CZ)  c\i  ABD 

sengnoragio  A  segnoragio  C  signoraggìo  B 


intiso  A  60. 

62.  d'amore  A 


59.  che  D  eh  AB  io  A  &'  B  ssia   B 

più  CD  61.  soferire  A  soflfrir  C  soffrire  D 

qniso  CD  63.    mispreso   AC  sì   preso  D    mi  spizo    B  64.  a  l'amore    del  A 

65.  la  vostra    CD  beltate   BCD  66.    che  ABD  va'  ave  ^4  m' a  C  mm'  a  D 

priso  A  preso  CD  67-70.    mancano  in  CD  67.  merde  plagiente  viso  A 

voi  A  mevi  B  e  non  A  dimiso   A  71.  Ciertto  A  12.  bene  A 

caunonoscenca  C  canoscenca  D  73.  e'  AB  eh'  D  amore  A  stringiesse  A 

pare  A  che  ABD  ssia  B  75.  pienca    CD  plasenza   A  piacenca  CD 


che  ABD  gg'à  B  pioi  B 

che  ABD  comquiso  A  coa- 

biasimate  D 

d'  amore  A 

6S.    prenda  a 

convenenza  A 

74.  Che  ABD 

76.  che  A 


e'  B  eh'  D 
voi  ACD 


ali  BC  Ila  A  altre  da]  renda  A 

78.  amore  A  distreeta    CD 


manchece  C  manchecce  D  ma  chesse  A 


77.  se 


80  Canzone  di  Percivalle  Doria.  sec.  xiii. 

ben  so  che  doblamente  blasmo  seria  parvente, 

varrian  vostre  bellesse;  So  poi  sete  sì  plagente, 

Ed  anco  a  vostre  altesse  s'amor  en  vo  fallisse.  S4 

79.  beni  A  vorben  C                80.    varriam   C  varriano  D  varia  A          bellece  C  belle^ce  D  81.  ed 

ancho    D  ancora  B           vostr'  B           altece  C   altecce  D                   82.  biasimo  A  biasmo  D  saria  A 

83.  siete  ACD          plagiente  A  piacente  CD                   84.  s'amore  AD  s'amare  C          in  ACD  voi  ABD 
falisse  B 


39.      CANZONE  DI  PERCIVALLE  DORIA. 

Messer  Percivalle  Doria  fu  genovese.  Nel  1237  lo  troviamo  in  Provenza  fodesth  di 
Avignone  *  ;  nel  124.3  ^^(i  podestà  di  Parma  **,  e  più  tardi  fu  vicario  di  re  Manfredi  nella 
marca  d'' Ancona  e  nel  ducato  di  Roma  e  di  Spoleto* ^ .  Nel  1264.  peri  annegato  nella 
Nera  (Urbani  IV  Epis  to la  ad  card,  Simon.)  f.  La  canzone  seguente  si  trova 
nel  cod.    Vat,  3793  soltanto. 

MESSER    PREZIVALLE    DORÈ. 

r\.MOR  m' à  priso         e  misso  m'  à  'm  balia 
d'altro  amore  salvagio. 

Posso  ben,  ciò  m' è  aviso,         blasmar  la  sengnoria 
che  già  m'à  fatto  oltragio.  4 

Che  m'à  dato  a  servire 
a  tale  che  vedere         né  parlare  mi  vole  : 
onde  sì  grava  e  dole 

sì  duramente  ca,  s'io  troppo  tardo,  8 

consumerò  ne  lo  dolglioso   sguardo. 

Pecato  fecie  e  torto         amore  quando  sguardare 
mi  fecie  la  più  bella 

Che  mi  dona  scomforto         quando  degio  alegrare,  12 

tanto  m'è  dura  e  fella. 
Ed  io  perciò  nom  lasso 

d'amarla,  oì  me  lasso,         tale  mi  mena  orgolglio. 
asai  più  che  non  solglio,  16 

sì  coralemente  eo  la  desio  e  bramo; 
amor  m'à  preso  come  il  pescie  a  l'amo. 

Eo  so  preso  di  tale         che  non  m'  ama  nejente, 
e  io  tutora  la  servo;  20 

Né  1  servire  mi  vale,         né  amare   coralmente; 

*  Rambaud,    Ilis'oire   de    la  e iv ilisati on  francaise,  /,  243.  ** Mo' 

num.     Germ.    histor.   XVTTT,    670.  *^*  Gregorovius,    Storia    della    citth 

di  Roma,    V,  386.  \  Archivio  della  Società    romana    di  storia  patria,  X,  3J. 

2.  amore]  ms.  m'era  3.  ms.  bene  e  blasmare  6.  ms.  a  tale  donna  —  non  mi 

15.  ms.  tale  che  19.  ms.  sono  21.   ms.  non  mi 


SEC.  XIII.       Canzone  di  Folcacchiero  de  FolcacchierL  ,    81 

dunque  aspetto;  ch'io  servo 
Sono  de  la  melgliore, 
24  e  serajo  con  amore         d' amare  meritato  ; 


che  lo  servire non  valgila, 

eo  moragio  dolglioso  sanza  falglia. 

25.  La    lacuna  di  questo  verso  e  del  seguente  nel  ms.  non  è  indicata. 


40.      CANZONE  DI   FOLCACCHIERO  DE'  FOLCACCHIERI. 

JVei  documenti  senssi  trovasi  nominato  />iù  volte  messer  Folcacchiero  fino  alVa.  12J2; 
frima  del  1260  egli  era  di  già  morto,  e  certamente  in  età  non  fresca,  poiché  aveva  lasciato 
un  figlio,  Mino,  il  quale  apparisce  fra  i  consiglieri  del  Comune  di  Siena  già  dal  3  gen- 
najo  delPanfio  predetto.*  Si  conosce  di  lui  soltanto  questa  canzone,  conservataci  da 
UH  ms,  unico,  il  Vaf.  3793,  di  cui  si  riproduce  la  lezione. 

MESSER    FOLCACHIERI    DI    SIENA. 

1  UTTO  lo  monddo  vive  sanza  guerra 

ed  io  pacie  non  posso  avere  nejente. 

o  Deo,  co  faraggio  ? 
4  o  Deo,  corno  sostenemi  la  terra? 

e  pare  ch'io  viva  i  noja  de  la  giente, 

ongn'  omo  m' è  salvagio. 

Nom  pajono  li  fiori         per  me  con  già  soleano, 
8  e  Igli  auscielli  per  amori 

dolzi  verssi  tacieano         algli  albori. 
E  quand'eo  vegio  gli  altri  cavalieri 

arme  portare  e  d'amore  parlando, 
12  ed  io  tuto  mi  dolglio; 

solazo  m'è  fallito  e  tornato  in  pemsieri, 

la  giente  mi  riguardano  parlando 

s' io  sono  quello  eh'  esere  solglio. 
16  Nom  so  ciò  ch'io  mi  sia,         né  so  perché  m' avene; 

fortt'  è  la  vita  mia, 

tornato  m'è  lo  bene         in  dolori. 
'  Bene  credo  ch'eo  lenisco,  e  non  conenza, 

20  e  lo  meo  male  nom  porla  contare 

né  le  pene  eh'  io  sento. 

li  drappi  di  vestire  non  mi  s'agienza, 

né  bono  non  mi  sa  lo  manicare: 

*  Mazzi,  Folcacchiero  Folcacchieri  rimatore  senese  del  sec.  XIII, 
Firenze,  Lemonnier,  T878. 


82  Rime  di  Rinaldo  d^ Aquino.  SEC.  xiii. 


così  vivo  in  tormento.  24 

Nom  so  onde  fugire         ned  a  chui  m' acomandare, 
convenemi  sofrire 
tute  le  pene  amare         in  dolzori. 

Eo  credo  bene  che  l'amore  sia:  28 

altro  deo  non  m'à  già  a  giudicare 
così  crudelemente: 
che  r  amore  è  di  tale  sengnoria, 

che  le  due  partti  a  sé  vole  tirare,  32 

e  1  terzo  è  de  la  giente. 

Ed  io  per  bene  servire,         s'io  ragione  trovasse, 
non  doverla  fallire 
a  lui,  così  eh'  i'  amasse         per  cori.  36 

Dolcie  madonna,  poi  ch'eo  mi  moragio, 
non  troverai  chi  sì  bene  a  te  servire 
tut'  a  tua  volontate. 

ch'i'unque   non  volli  né  volgilo  né  voragio  40 

se  non  di  tutto  a  fare  a  piaciere 
a  la  vostra  amistate. 

Mmerzé  di  me  vi  prenda         che  non  mi  sfidi  amando, 
vostra  graza  discienda,  44 

però  ch'eo  ardo         e  'nciendo  da  fori. 


41.)     RIME  DI  RINALDO   D'AQUINO. 


La  canzone  I  parla  della  crociatale  dell^ imperatore:  l'imperatore  h  certamente  Fe- 
derico II,  ma  non  si  pub  determinare  se  la  crociata  a  cui  lì  si  allude,  sia  quella  del 
{£pS,  ovvero  V altra  del  1240,  in  cui  pure  ebbe  parte  t  imperatore,  essendo  t esercito  im- 
periale condotto  da  Rugieri  d'' Amici  (v.  nP  ^j).  La  famiglia  d^ Aquino  fu  una  delle 
grandi  famiglie  signorili  di  Terra  di  Lavoro;  si  dtibito  se  qui  ti  predicato  «d'Aquino» 
indicJn  propriamente  la  famiglia  o  soltanto  il  luogo  di  nascita  del  poeta  ;  ma  si  noti  che 
nei  mss.  questo  trovadore  ha  sempre  il  titolo  di  messere,  titolo  che  non  si  dava  nel  medio  evo 
ad  un  vassallo.  Da  varie  rubriche  dei  più  antichi  canzonieri  si  vede  che  egli  ebbe  cor- 
rispondenza poetica  con  Giacomo  da  Lentino,  con  Ruggeri  d'Amici,  con  Tiberio  Galliziani 
e  con  Federico  II.  Apostolo  Zeno  giustamente  inclinava  a  identificarlo  con  quel  Rinaldo 
d'Aquino  che  nel  12^7  fu  viceré  di  Manfredi  in  terra  d'  Otranto  e  di  Bari. 

Dal  cod.    Vat.  37g3,  unico. 
MESSER    RINALDO    d' AQUINO. 

vjriÀ  mai  non  mi  comfortto  e  volgliono  colare, 

né  mi  volgilo  ralegrare,  Vassene  lo  più  giente 

le  navi  sono  giunte  al  portto  in  terra  d'oltra  mare, 

3.  ms.  giute 


SEC.    XIII. 


Rime  di  Rinaldo  d'Aouino. 


83 


i6 


24 


ed  io,  oi  me  lassa,  dolente, 
corno  degio  fare? 

Vassene  in  altra  contrata 
e  no  lo  mi  manda  a  dire, 
ed  io  rimangno  ingannata; 
tanti  sono  li  sospire. 
Che  mi  ffanno  grande  guerra 
la  notte  co  la  dia  ! 
né  'n  cielo  ned  in  terra 
non  mi  pare  ch'io  sia. 

Santus,  santus  Deo 
che  ne  la  Vergine  venisti, 
tu  salva  e  guarda  1'  amor  meo, 
poi  che  da  me  lo  dipartisti. 
Oit  alta  potestade 
temuta  e  dottata, 
il  dolze  mi'  amore 
ti  sia  raccomandata. 

La  crocie  salva  la  giente 
e  me  facie  disviare,      '  —  'i- 
la  crocie  mi  fa  dolente 
e  non  mi  vale  Dio  pregare. 
Oì  me,  crocie  pellegrina, 
perché  m'  ài  così  distrutta  ? 
oi  me,  lassa  tapina, 
eh'  io  ardo  e  'nciendo  tuta. 

Lo  'mperadore  com  pacie 
tuto  '1  mondo  mantene 
ed  a  me  guera  facie, 


36 


40 


44 


48 


56 


60 


64 


che  m'  à  tolta  la  mia  spene. 
Oit  alta  potestate 
temuta  e  dottata, 
lo  mio  dolze  amore 
vi  sia  racomandata. 

Quando  la  crocie  pilgliao  - 
cierto  no  lo  mi  penssai, 
quelli  che  tanto  m'amao, 
ed  i'Uui  tanto  amai! 
Ch'  i'  ne  fui  batuta 
e  messa  in  presgionia 
ed  in  cielata  tenuta 
per  la  vita  mia.  ^^,^^_ 

Le  navi  sono  a  le  colle, 
im  bon'  ora  possan  andare, 
e  lo  mio  amore  coji  elle 
e  la  giente  che  v'  à  andare. 
Padre  criatore, 
a  santo  portto  le  conducie, 
che  vanno  a  servidore 
de  la  santa  crocie. 

Però  ti  priego,  dolcietto, 
che  ssai  la  pena  mia, 
che  me  ne  facie  un  sonetto 
e  mandilo  in  Soria, 
ch'io  nom  posso  abehtare 
notte  né  dia: 
in  terra  d'  oltre  mare 
istà  la  vita  mia. 


P 


\ 


IL 


MOROSA  donna  fina, 
istella  che  levi  la  dia 
sembrano  le  vostre  belleze. 
sovrana  fiore  di  Messina, 
nom  pare  che  donna  sia 
vostra  para  d'  adorneze. 
Or  dunqua  nonn  é  maraviglia 
se  fiamma  d'  amore  m'  apilglia 
guardando  lo  vostro  viso. 


Dal  cod.    Vat.  3793,  unico. 
MESSER    RINALDO    d' AQUINO 


i6 


che  l'amore  m' infianma  in  foco. 
solo  eh'  i'  vi  riguardo  um  poco, 
levatemi  gioco  et  riso. 

Gioco  e  riso  mi  levate, 
membrando  tuta  stagione 
che  d'amore  vi  fui  servente, 
né  de  la  vostra  amistate 
non  eb'  io  anche  guiderdone, 
se  non  uno  bascio  solamente. 


84 


Rime  di  Rinaldo  d'Aquino. 


SEC.    XIII. 


E  quello  bascio  m' infiamao, 
che  dal  corppo  mi  levao 
lo  core  e  diello  a  voi. 
degiate  provedere  : 
che  vita  pò  l'omo  avere, 
se  lo  core  non  è  co  lui? 

Lo  mio  core  nonn  è  co  meco, 
ched  io  tuto  lo  v'  ò  dato, 
ed  io  ne  sono  rimaso  im  pene  : 
di  sospiri  mi  notrìco, 
membrando  da  voi  sono  errato, 
ed  io  nom  so  perché  m'  avene  : 
Per  li  sguardi  amorosi 
che,  savete,  sono  ascosi 
quando  mi  tenete  mente; 

che  li micidiali 

voi  facete  tanti  e  tali, 
che  aucidete  la  giente. 

Altrui  aucidete  che  meve, 
che  m'  avete  im  foco  miso 
che  d'  ongne  parte  m'  aluma. 


tuto  esto  mondo  è  di  meve, 

20  di  tale  foco  so  raceso 

che  me  ne  consuma, 
E  con  foco  che  non  pare, 
che  la  neve  fa  'llumare, 

24  ed  inciendo  tra  Ho  Ghiaccio, 

queir  è  lo  foco  d'  amore, 
eh'  arde  lo  fino  amadore 
quando  e'  nonn  à  sollaccio. 

28  Se  Ilo  sollazo  non  avesse 

se  non  da  voi  lo  sembiante 
com  parlamento  sguardare 
la  gran  gioja  quando  volesse; 

32  perché  pato  pene  tante 

ch'io  no  le  porla  contare; 
Né  di  nuli'  ommo  che  sia 
la  mia  volgila  non  diria, 

36  dovesse  morire  penando,— 

se  non  este  u  montellese, 
ciò  è  1  vostro  serventese; 
a  voi  lo  dico  in  cantando. 


40 


44 


48 


52 


56 


60 


34.  La  f  arala  non  si  può  leggere  nel  tns.  a  cagione  di  una  macchia  ;  la  prima  lei' 
tera  pare  f  0  p  48.  ms,  sollacco 


III. 

Dal  cod.  Palai.  418,  unico. 
MESSER   RAINALDO    d' AQUINO. 


e  mostrano  verdura 


dentro  da  la  frondura 


Ormai  quando  flore 
le  prata  e  la  rivera. 
Li  auselli  fanno  isbaldore 
cantando  in  lor  manera. 
Infra  la  primavera         che  ven  presente 
frescamente         così  frondita, 
ciascuno  invita         d'aver  gioja  intera. 

Confortami  d'  amare         1'  aulimento  dei  fiori 
e  1  canto  de  li  auselli; 
Quando  lo  giorno  appare 


sento  li  dolci  amori 


e  li  versi  novelli 

Ke  fan  sì  dolci  e  belli         e  divisati 

lor  trovati         a  provasione, 

a  gran  tencone         stan  per  li  arbuscelH. 


13 


SEC.  XIII.  Rime  di  Rinaldo  d'Aquino.  85 


Quando  1'  aloda  intendo         e'  rusìgnuolo  vernare, 
i6  d'amor  lo  cor  m' afina, 

E  magiormente  intendo         k'  è  llegno  d'  altr'  affare, 

ke  d'  arder  non  rifina. 

Vedendo  quell'  ombrina         del  fresco  bosco, 
20  ben  cognosco         k'  acortamente 

sera  gaudente         1'  amor  ke  m' inkina. 

Kina  k' eo  sono  amata         e  giamai  non  amai; 

ma  1  tempo  m' inamora 
24  E  fami  star  pensata         d' aver  mercé  ormai 

d'  un  fante  ke  m'  adora, 

E  sacio  ke  tortura         per  me  sostene 

e  gran  pene;         1' un  cor  mi  dice 
28  ke  si  disdice,         e  l' altro  m' incora. 

Però  prego  1'  amore         ke  m' intenda  e  mi  svolila 

come  la  follia  lo  vento, 

Ke  no  mi  facie  fore         quel  ke  presio  mi  tollia, 
32  e  stia  di  me  contento. 

Quelli  k'  à  intendimento         d'  avere  intera 

gioja  e  cera         del  mio  amore 

senca  remore,         nonde  à  conpimento. 


mi. 

Di  questa  canzone  ricordata  da  Dante,    De   vulg.    e  log.  I,  XII,  si  dà  il  testo  costi- 
tuito sui  tre  mss.    Vat.  3793   (A),  Palai.  418  (C),   CItig.  L.    Vili.  30S  (D). 

MESSER    RINAI.DO    d' AQUINO. 

1  ER  fino  amore  vao  sì  allegramente, 
k'  io  non  agio  veduto 
omo  k'  en  gioja  mi  possa  aparilgliare, 
E  paremi  ke  falli  malamente 
omo  k'  à  ricieputo 

ben  da  sengnore  e  poi  lo  voi  cielare. 
Perk'  eo  noi  cielaragio 
com  altamente  amor  m'  à  meritato: 
ke  m'  à  dato  a  servire 
a  la  fiore  di  tucta  canoscienza 
e  di  valenza, 
ed  à  belleze  più  k'  eo  non  so  dire. 

1.  fin  A  vo  AD  ssi  D  altramente  A  2.  ch'io  A  ch'i  B  n' uggia  D  3.  ho- 

mo I)  ch'en  A  che   di  Z>  gio  C  apparilgliare  I?   pareare  C  4.  parmi  Z>  che  AB 

5.  homo    CD  ch'à   AD  riceputo    C  ricevuto    D  6.   bene   AD  singnore    D   signore  C 

vele  A  celare  CB  7.  Ma  AD         io  B         nolo  A         celeraggio  B  celarajo  C  8.  chom  D 

9.   che  AD  IO.  canoscenca  i>  caunoscenca  C  11.  valenca  Ci)  12- bellece  C  bellecce  Z> 

eh'  i  ^i? 


86  Rime  di  Rinaldo  d^ Aquino,  sec.  xm. 


amor  m'  à  sormontato 

lo  core  in  mante  guise  e  gran  gioja  n'  agio. 

Agio  gioja  più  di  nuli'  on  ciertamente; 
e'  amor  m'  à  sì  ariccuto,  i6 

poi  ke  le  piacie  k'eo  la  degia  amare. 
Poi  ke  delle  donne  è  la  più  giente, 
più  ricco  dono  ajo  riceputo 

d'altro  amadore,  più  degio  in  gioja  stare:  20 

Ké  nuir  altro  coragio 
porla  aver  gioja  ver  core  innamorato, 
però  senca  fallire 

a  la  mia  gioja  nuli' altra  gioja  s' intenza;  24 

né  ò  credenza 

e'  altro  amadore  potesse  unque  avenire, 
per  suo  servire,  a  grato 
de  lo  suo  lino  amore,  al  meo  paragio.  28 

Para  non  averai,  sì  se'  valente; 
ke  lu  mondo  à  cresciuto 
lo  presio  tuo,  sì  lo  sape  avanzare. 

Presio  d'  amore  non  vale  neente,  33 

poi  donn'  à  ritenuto 
in  servidore,  e'  altro  voi  pigiare. 
Ké  r  amoroso  usasrio 

non  voi  ke  sia  per  donna  meritato  36 

più  d'  uno  aritenere, 
ké  altrui  ingannare  è  gran  fallenza, 
in  mia  parvenza; 

ki  fa  del  suo  servire  dipartire  40 

quelli  k'  asai  e'  è  stato 
senza  mal  fare,  mal  fa  sengnoragio. 

Sengnoria  voi  k'  eo  serva  lealmente, 
ke  mi  sea  ben  renduto  44 

bon  merito,  ke  non  saccia  blasmare. 

14.  il  chore  D  in  molte  D  guis  C  grande   D  gio  C  aggio    -^  15.  Aggio   J) 

Gio  agio    C  nuli'  uomo  D  nullo  A  eerta  CD  16.  cU  D  ssl   D         arichuto   A         arric- 

cliuto  Z>  17.    da  elle  il  £>  piace   CD  eli' io  A  eh'i  D  deggia   D  18.   che  AD 

dell'  altre  donne  C  gente  CD  19.  si  alto  dono  AD  agio  A  o  D  ricevuto  D  avuto  A 

20.  d'altr'D        deggio  D  21.  Ca  ACD        coraggio  D  22.  non  poria  A  non  pò  D        avere  A 

naraorato  A  però]  duinqua  A  dunque  D  sanza  A  24.  a  la  mia  gioia  manca  in  D  gio 

s'intenda  C  gioia  inten9a  D  25.  non  ò  temenza  A  26.  eli  AD  altr' amador  D  unque 

manca  in  D  27.   in  grato  C  28.  a  lo  .4  .su  D  fin  A  mio  A  mi  D  corag- 

gio 2)  29.  avaria^/)  ssc  D        piagiente /l  ZO.  c\\e  AD        lo  AD        mond  C  31.  lo 

presgio  A  il  prasgio  D         avanzare  CD  32.  preso  C  presgio  A  pregio  D        d'amor  non  vai  niente  D 

33.   donna  A  ricevuta    D  34.   in]    a  .<4   un   Z>  voi]   de    A  voi    D  pilgliare  AD 

35.  Che  AD  usaurgio  D  36.  vuole  A  che  AD  s.sia  D  37.   piìi]   ki  C  arri- 

tenere  D  38.  che  D         ched  A         inganare  A         fallenza  CD  39.  a  mia  D         parvenza  CD 

40.  chi  D  ke  C  eh?  A  dal  C  due  partite  D  4).  quello  CD  eh'  assai  AD  ci  h  A  h  D 

42.  sen9a  CD       signoragio  B  43.  Signoria  C        eh  AD        io  A        lealem^nte  A  44.  ceke  A 

che  D        mjni  D       sia  A  de  D        ìten  manca  in  A  45.  buorL^Z»        «lerto />        ch'io  A        ch'eo  D 

saccio  A        biasniare  C 


SEC.  XIII.  Rime   di  Rinaldo  d^ Aquino.  87 


Ed  eo  mi  laudo,  che  più  altamente 

ka  eo  non  ò  servuto, 
^8  amor  m' à  coninzato  a  meritare. 

E  so  ben  k'  eo  seragio, 

quando  serò  d'  amore  così  inalzato. 

però  voria  conplere, 
52  con  de  fare  ki  sì  bene  inconenza; 

né  ò  credenza 

e'  umque  avenisse  mai  per  meo  volere  ; 

sì  d'  amor  sono  ajutato, 
56  i'  ò  più  d'  aquisto  k'  eo  non  serviragìo. 


46.  io  A                47.  ca  ^  ke  C  eh  Z>                48.  cominciato  D  incominciato  C  49.  E  manca 

in  A          bene   A            che    AD           eo  manca  in  A            saragio   A  faraggio   D  50.    sarò  AD 

d'amor   D             innalzato    C  nalcato  D                   SI.  perciò  C            duorria  A            chomplere  D  con- 

piere    C  compiere  A                52.   come  CD           chi  AD           bene  A           comincia  CD  53.  ne]  ma  A 

credenca  CD                54.  c'umque]  che  non  A  ch'unque  già  D          mai]  ma  D          mio  A  55.  s' io  D 

amore  A           non  sono  A                56.  i'ò]  in  A         aquistato  C'acquistato  D         eh  AD  io  A          nom  A 
serviraggio  D  serviregio  A 


V. 

Da/  cod.  Vai.  3793,  ove  ricorre  due  volte,  sotto  il  n.  348  (A)  e  sotto  il  n,  29  (A^). 
Sotto  il  n.  34.8  e  allonimo  ;  sotto  il  n.  2g  si  trova  incorporato  in  iena  canzone  di  Ri- 
naldo d'Aquino,  della  quale  forma  la  terza  stanza^  v.  A,  Borgognorù,  Un  sonetto 
in  una  canzone,  Ravenna,  i8jó. 

IVlELGLio  vai  dire  ciò  e'  omo  à  'n  talento,  ' 

ca  vivere  penando,  istando  muto; 
solo  ched  agia  tale  coninzamento 
che  dipo'  1  dire  non  vengna  pentuto. 
potè  omo  fare  tale  movimento, 
pur  asgio  n'  agia  ;  non  este  intenduto  : 
perzò  di  dire  agia  avedimento, 
che  non  si  blasmi  de  lo  suo  creduto. 
Ma  pèmsando  e'  a  molti  è  adivenuto 
zo  eh'  àn  detto,  non  à  loco  nejente 
asempro  di  lor  e'  omo  avere  spera, 
che  foUegiando  àn  zo  ched  àn  voluto, 
nom  per  savere  né  per  esser  temente: 
chi  così  facie,  cierto  ben  finera. 


1.  che  vivere  ini  penare  A'  3.  coiiiinzainento  A  5.  che  ben  potè  A  6.  che  s'elgli 
a  purasgione  non  è  'nteduto  A  7.  perciò^*  diri  ^  agio  vi  ^  avegiamento  ^  8.  bia- 
simi A  9.  E  sacio  ben  c'a  molti  A'  divenuto  A  10.  ciò  c'a  A'^  II,  sempre  di  loro 
de' omo  A'^  12.  anno  avuto  ciò  c'an  A'^  anno  A  13.  non  per  sapere  A'  essere  AA^ 
14.  fa  A-i 


88 


Canzoni  di  Giacomino  Pugliese. 


SEC.  xiir. 


42.       CANZONI  DI  GIACOMINO  PUGLIESE. 

Fu  creduto  da  Prato,  perché  in  Prato  nel  sec.  XIII  si  trova  una  famiif/ia  Pu- 
gliesi. Ma  piuttosto  che  un  cognome,  qui  evidentemente  si  ha  un  aggettivo  indicante  la 
patria  deW  autore.  Nessuna  notizia  fu  di  lui  raccolta  finora  ;  dai  suoi  versi  parrebbe 
che  fosse  cavaliere  (V,  12),  innamorato  di  una  dama  forse  ditnorante  in  Firenze  (IV, 
34- S)'  L^ allusione  alla  sua  lontananza  e  la  menzione  di  Aquilea  (IV,  i,  31)  fanno 
pensare  a  quel  Giacomino  che  apparisce  nel  Friuli,  tra  i  testitnoni  di  un  atto  rogato 
a  Cividale  nel  123J,  *  /'  anno  stesso  in  cui  vi  capitò  /'  imperatore  Federico  con  la  sua 
corte.**  Il  ravvicinamento  puh  essere  illusorio,  ad  ogni  modo  la  precoce  scomparsa  di 
questo  trovadore  dai  canzonieri,  la  struttura  e  lo  stile  delle  sue  canzoni,  e  /'  essere  stata 
taluna  di  esse  confusa  con  le  canzoni  di  Pier  della  Vigna,  sono  altrettanti  indizj  che 
portano  a  classificarlo  fra  i  contemporanei  del  Notajo. 

I. 

Dal  cod.    Vat.  3793,   unico. 
GIACOMINO    PULGLIESE. 


v^UANDO  vegio  rinverdire 
giardino  e  prato  e  rivera, 
gli  auscielletti  odo  bradire, 
udendo  la  primavera 
Fanno  loro  gioja  e  diportto, 
ed  io  voglio  pensare  e  dire 
canto  per  donare  confortto 
e  li  mali  d'  amore  covrire, 
che  gl'amanti  perono  a  gran  tor- 

L' amor  è  legiere  cosa;     [tto. 
molt'  è  fortte  esere  amato, 
chi  è  amato  ed  ama  im  posa, 
lo  monddo  à  dal  suo  lato; 
Le  donne  n'  anno  pietanza 
chi  per  loro  patiscie  pene. 
sed  è  nullo  e'  agia  amanza, 
lo  suo  core  in  gioja  mantene, 
'tutora  vive  in  allegranza. 


16 


In  gioja  vive  tuta  via; 
al  core  sento  ond'  io  mi  dolglio, 
madonna,  per  gielosia. 
lo  pensamento  mi  fa  orgolglio. 
Amore  non  vole  invegiamento, 
ma  vuole  essere  soferitore 
di  servire  a  piacimento, 
quello  che  tende  amore 
si  conviene  a  compimento. 

Vostra  sia  la  'ncomincianza, 
che  m' invitaste,  d'  amore  ; 
non  guataste  in  falla  nza, 
che  comprendeste  il  mio  core. 
Donna,  per  vostra  noranza 
sichurastemi  la  vita, 
donastemi  per  amanza 
una  treccia  d'  auro  ponita, 
ed  io  la  portto  a  rimembranza. 


24 


28 


32 


36 


*  Archeografo   triestino,  n.  ser.  XI,   400. 
Chr ùnica,  a.  1235.  21.  ms.  pur  gielosia 


35- 


**  Riccardi  de  S.  Germano 
ms.  trecca 


II. 

Dal  cod.    Vat.  3793,  unico. 
GIACOMINO    PULGLIESE. 

-LJoNNA,  di  voi  mi  lamento  ;  donastemi  auro  co  ramo, 

bella,  di  voi  mi  richiamo  Lo  vostro  amore  penssai  tenere 

di  si  grande  fallimento:  fermo,  senza  sospecione; 


SEC.     XIII. 


Rime   dì  Giacomino  Piircrliese. 


89 


or  m'asembra  d'altro  volere 
S       e  truovolo  in  falsa  cascione, 
Amore  „. 
"  Meo  sire,  se  tu  ti  lamenti^ 

tu  non  ài  dritto  né  rasgione; 
12      per  te  sono  in  gran  tormenti, 

ben  doveresti  guardare  stasgio- 

Ancora  ti  sforzi  la  volgila     [ne. 

d'amore  e  la  gielosia, 
i6      con  senno  portta  la  dolglia 

e  non  perdere  per  tua  folla, 
Amore  „. 
"  Madonna,  s'io  pene  portto, 
20     a  voi  no  ne  screscie  baldanza 

di  voi  non  agio  scomfortto 

e  f  alss'  è  la  tua  leanza. 

Quella  che  voi  mi  mostraste 
24     laove  avea  tre  persone, 

la  sera  che  mi  seraste 

in  vostra  dolze  presgione, 
Amore  „. 
28  "  Meo  sire,  se  tu  ti  compiangi, 

ed  io  mi  sento  la  dolglia; 

lo  nostro  amore  falssi  e  cangi, 

ancora  che  mostri  tua  volgila. 
32      Non  ssai  che  parte  mi  tengna 

di  voi,  onde  sono  smaruta. 

tu...  falssi  di  convengna, 

e  mortta  m'  à  la  partuta, 
36  Amore  „. 

"  Madonna,  non  ti  pesa  fare 

fallimento  o  villania; 

quando  mi  vedi  passare 
40      sospirando  per  la  via, 

asconditi  per  mostranza. 

tuta  giente  ti  rampongna, 

a  voi  ne  torna  bassanza 
44     ed  a  me  ne  crescie  vergongna. 
Amore  „. 


"  Meo  sire,  a  forza  m'  aviene 
ch'io  m' apiatti  ed  asconda, 

48      ca  ssì  distretto  mi  tene 

quelli  chui  Cristo  confonda. 
Poi  non  m'auso  fare  a  la  portta, 
ond'  io  sono  confusa  in  fidanza, 

52      ed  io  mi  giudico  mortta, 

e  tu  non  n'ài  nulla  pietanza. 
Amore  „. 
"  Madonna,  non  ò  pietanza 

56      dì  voi,  che  troppo  m'incanni; 
che  sempre  vivi  inn  allegranza 
e  ti  diletti  in  mie'  danni. 
L'amore  nonn  à  inver  voi  forza, 

60      che  tu  non  ài  fermagio; 

d'  amore  non  ài  se  non  scorza; 
ond' io  di  voi  sono  salvagio. 
Amore  „. 

64         "  Meo  sire,  se  ti  lamenti  a  me, 
tu  tinde  prendi  rasgione, 
ch'io  vengno  laove  mi  chiame 
e  nonde  guardo  persone. 

68      Poi  che  m'ài  al  tuo  dimino, 
pilglia  di  me  tal  vegianza, 
che  lo  libro  di  Giacomino 
lo  dica  per  rimembranza, 

72  Amore  „. 

"  Madonna,  in  vostra  inten- 
nejente  mi  posso  fidare,  [denza 
che  molte  fiate  in  perdenza 

76      trovomi  di  voi  amare. 

Ma  s'eo  sapesse  in  ciertanza 
esere  da  voi  meritato, 
non  averei  rimembranza 

So     di  nesuno  fallo  pasato, 
Amore  „. 


8.  ms.  fassa  34.  ms.  tu  au  0  an,  /ez.  incerta. 

intendanza,   cf.  v,  33. 


59.  ms.  iver 


73.  ms. 


90  Canzoni  di  Giacomino  Pugliese.  sec.  xni. 


III. 

Dal  cod.    Vai.  37^3,  unico. 
GIACOMINO    PULGLIESE. 

IspENDiENTE         Stella  d' albore 
e  plagiente         donna  d'amore; 
bella,  lo  mio  core         e' ài  'n  tua  ballia, 

da  voi  non  si  dipartte  in  fidanza.  4 

or  ti  rimembri,  bella,  la  dia 
che  noi  fermammo  la  dolze  amanza  ? 

Bella,  or  ti  sia         rimembranza 
la  dolze  dia         e  l'alegranza  S 

quando  in  diportanza         istava  con  voi. 
basciando  mi  dicie  :   ^  anima  mia,  . 
lo  dolze  amore  eh'  è'  ntra  noi  dui, 
non  falsasse  per  cosa  che  sia  „  .  12 

Lo  tuo  splendore         m' à  si  preso, 
di  gioia  d'amore         m'  à  conquiso 
sì,  che  da  voi  non  oso         partire. 

e  non  farla,  se  Dio  lo  volesse.  16 

ben  mi  porla  adoblare  li  martire 
s'enver  voi  fallimento  faciesse. 

Donna  valente,         la  mia  vita 
per  voi,  plagiente,         è  ismarita,  20 

se  nom  fosse  la  dolze  aita         e  lo  comfortto, 
membrando  eh'  ei  te,  bella,  a  lo  mio  brazo, 
quando  sciendesti  a  me  in  diportto 
per  la  finestra  de  lo  palazo.  24 

Alora  t'ei,  bella,  i  mia  balìa, 
rosa  novella         per  me  temia. 
di  voi  presi,  amorosa  mia,         vegianza. 

o,  in  fide  !  rosa,  fosti  patuta.  2^ 

se  'n  mia  ballia  avesse  Spangna  e  Franza, 
nonn  averei  sì  rica  tenuta. 

Ch'io  mi  partia         da  voi  lutando, 
diciavatemi         sospirando  :  32 

"  se  vai,  meo  sire,  e  fai  dimoranza, 
ve  eh'  io  m' arendo  e  faccio  altra  vita, 
giamai  non  entro  in  gioco  né  in  danza, 
ma  sto  rinchiusa  più  che  romita  „ .  36 

Or  vi  sia  a  mente,         donna  mia, 
eh'  entrava  giente        v'  à  'm  balìa  ; 

38.  ch'entrava]  corr.  che  prava.* 


SEC.  xm.  Canzoni  di  Giacomino  Pugliese.  91 

lo  vostro  core  non  falsasse; 
40  di  me,  vi  sia  rimembranza. 

tu  sai,  amore,  le  pene  ch'io  trasse: 

chi  ne  dipartte  mora  in  tristanza. 
Chi  ne  dipartte,         fiore  di  rosa, 
44  non  abia  partte         im  buona  cosa; 

che  deo  f ecie  l' amore  dolcie  e  fino 

di  due  amanti  che  s' amaro  di  core. 

assai  versi  canta  Giacomino 
48  che  sparte  di  reo  amore. 


mi. 

Dal  cod.    Vat.  3793,  unico. 
GIACOMINO    PULGLIESE. 

Lontano  amore  mi  manda  sospiri, 
mercé  cherendo  inver  11' amorosa, 
che  falsso  non  mi  degia  tenere, 

4  che  f alsitate  già  non  m' achusa  : 

Non  eh'  io  fallasse  lo  suo  fino  amore, 
con  gioja  si  dipartisse  lo  mio  core 
per  altra  donna  ond'ella  sia  pensosa. 

8  Di  ciò  s' inganna,  s' eli'  à  sospetto 

ca  piacimento  d'altra  mi  sia; 
eh'  en  altra  donna  già  non  mi  diletto, 
se  non  in  voi  che  siete  la  gioja  mia: 

12  Vista  né  riso  d'altra  non  m' agienza, 

anzi  mi  tengno  im  fortte  penitenza 
i  bei  sembianti  e' altra  mi  faciea. 
Se  m'intendesse  a  non  cruciare, 

i6  lo  mio  diritto  senza   cascione 

iiianzi  volgilo  bene  conffessare, 

e'  agia  tortto  de  la  mia  rascione. 

Ma  faccia  che  le  chiacie,  ch'io  m'arenddo 

2o  a  sua  merzé,  colppa  non  mi  difendo, 

enver  l'amore  nom  fo  difemsione. 

Se  la  mia  donna  bene  si  pensasse, 
eh'  io  sono  più  ardente  de  la  sua  amanza, 

24  ch'ella  si  penssa  ch'io  la  ffallasse, 

che  m'à  donato  sì  gra  leanza 

19.  ms.  facca 


92  Canzoni  di  Giacomino  PuorUese.  SEC.   xiii. 


De  lo  suo  amore,  che  m'à  radopiato; 

ch'ella  si  penssi  ch'io  non  sia  vietato, 

lo  core  m'inciende  di  grande  adiranza.  28 

Canzonetta,  va  a  quella  eh'  è  dea, 
che  l'altre  donne  tene  in  dimino 
da  la  Mangna  imfino  in  Aghulea, 

di  quello  rengno  eh'  è  più  fino  32 

Delgli  altri  rengni;  a  deo!  quanto  mi  piacie! 
in  dolze  terra  dimoranza  facie 
madonna  e'  a  lo  fiore  sta  vicino. 


V. 

Dal  cod.    Vat.   3793,  nmco. 
GIACOMINO    PULGLIESE. 

iVioRTTE,  perché  m'ài  fatta  sì  gran  guerra 
che  m'ài  tolta  madonna,  ond'io  mi  dolglia  ? 
la  fiore  de  le  belleze  mort'ài  in  terra, 

perché  lo  mondo  non  amo  né  volgilo.  4 

Villana  morte,  che  non  à'  pietanza  ! 
disparti  amore  e  tolgli  l'alegranza 
e  dai  cordolglio. 

La  mia  alegranza  post'  à'  in  gran  tristanza,  8 

che  m'ài  tolto  la  gioja  e  l'alegranza 
ch'avere  solglio. 

Sollea  avere  sollazo  e  gioco  e  riso 
più  che  nuli' altro  cavalleresche  sia.  ,  12 

or  n'è  gita  madonna  ini  paradiso, 
portóne  la  dolze  speranza  mia; 
Lasciòmi  im  pene  e  com  sospiri  e  pianti, 
levommi  da  gioco  e  canti,  '  16 

e  da  la  dolze  compangnia 
ch'4o  m'avea  delcfli  amanti. 
Or  no  la  vegio  né  le  sto  davanti 

e  non  mi  mostrano  li  dolzi  sembianti  20 

che  solia. 

Oi  deo  I  perché  m' ài  posto  in  tale  stanza  ? 
ch'io  sono  smaraito  né  so  ove  mi  sia, 

8.  VIS.  stristanza  21.    in  questa  stanza   la   siriina  cresce    di   un    verso    e  per 

ridurla    alla    giusta    misura    converrebbe    espungere  il  i8,  che  Ita  tutta  V  apparenza  di 
una  glossa. 


SEC.  XIII.  Canzoni  di  Giacomino  Pugliese,  93 


24  che  m'àì  levata  la  dolze  speranza, 

partit"  ài  la  più  dolze  compangnia. 
Oi  me,  che  sia  in  nulla  parte  ciò  m' è  aviso  I 

'"•madonna,  lo  tuo  viso 
28  chi  lo  tene  in  sua  ballia  ? 

Lo  vostro  insengnamento  e  dond'  è  miso  ? 

e  lo  tuo  franco  core  chi  mi  l'à  priso, 

donna  mia  ? 
32  Ov'  è  madonna  e  lo  suo  insengnamento  ? 

la  sua  belleza  e  la  gran  canoscienza  ? 

lo  dolze  riso  e  lo  bello  parlamento  ? 

gli  ochi  e  la  bocca  e  la  bella  sembianza, 
36  Lo  adornamento  e  la  sua  cortesia 

e  la  sua  nobile  gientilia  ? 

madonna,  per  cui  stava  tuttavia 

in  alegranza, 
40  or  no  la  vegio  né  notte  né  dia, 

e  non  m'  abella  sì  com  fare  solia 

in  sua  sembianza. 

Se  fosse  mio  lo  reame  d'Ungaria 
44  con  Greza  e  la  Mangna  infino  in  Franza, 

lo  gran  tesoro  di  Santa  Sofia, 

non  porla  ristorare  sì  grande  perdanza. 

Come  in  quella  dia  che  si  n'andao 
48  madonna,  d'està  vita  trapassao 

con  gran  tristanza  ! 

Sospiri  e  pene  e  pianti  mi  lasciao, 

e  giamai  nulla  gioja  mi  mandao 
52  per  comfortanza. 

Se  fosse  al  meo  volere,  donna,  di  voi 

direste  a  Dio  sovrano  che  tutto  facie, 

che  giorno  e  notte  istessimo  ambonduoi. 
56  or  sia  il  volere  di  Dio,  da  e' a  lui  piacie. 

Membro  e  ricordo  quand'  era  co  meco, 

sovente  m'apellava  dolce  amico, 

ed  ora  noi  facie, 
60  Poi  Dio  la  prese  e  menolla  con  seco. 

la  sua  v^értiite  sia,  bella,  con  teco 

e  la  sua  pacie. 


33-    corr.    canoscianza  /    o   si   dovrà    qui    ammettere  un    caso    di   rima   dissonante  ? 
36.  ms.  lo  suo  cortesia  ^.   anche  qui  troviamo  un  verso  di  fiu  nella  sirima, 

^^  37>  ^^  <^^i  soppressione  nulla  toglie  al  senso.  54.  ms.  diceste 


94 


Canzoni  di  Cornpagnetto  da  Prato,  SEC.  xin. 


43.   CANZONI  DI  COMPAGNETTO  DA  PRATO. 

Compagnetto  da  Prato  fu  frobahilinente  giullare  ;  nessuna  notìzia  e  stata  sinora  rac- 
colta di  lui;  esso  apparisce  soltanto  nel  più  antico  dei  nostri  canzonieri  e  con  queste  due 
sole  poesie,  le  quali  così  alla  struttura  come  anche  allo  stile  sembrano  dei  tempi  del 
Notajo. 

I. 

Dal  cod.    Vat.  3793,  unico. 
COMPAGNETTO    DA    PRATO. 


JL  AMORE  fa  una  donna  amare, 
e  dicie  :  "  lassa,  come  faragio  ? 
quelli  a  chui  mi  volgilo  dare, 
nom  so  se  m'  à  'n  suo  coragio. 
Sire  dio!  che  lo  savesse 
ch'io  per  lui  sono  al  morire, 
o  e'  a  donna  s'  avenisse  : 
manderia  a  lluì  a  dire 
che  lo  suo  amore  mi  desse. 

"  Dio  d'amore,  quello  per  cui 
comquisa,  di  llui  m'ajuta.  [m'ài 
non  t' è  onore  s' a  llui  non  vai, 
combatti  per  la  renduta. 
Dio,  che  n'avessero  in  usanza 
l'altre,  d'inchiedere  d'amare! 
eh'  io  inchedesse  lui  d'amanza, 
que'che  m'à  tolto  lo  possare; 
per  lui  moro  for  fallanza. 

"  Donne,  noi  tenete  a  male 
s' io  danneo  il  vostro  onore  ; 
che  1  pensiero  m'à  messa  a  tale, 
convenemi  inchiedere  d' amore. 
Manderò  per  1'  amore  mio, 
saperò  se  d'  amore  m' invita  ; 
se  non,  sì  gliela  dirabo  io 
la  mia  angosciosa  vita: 
lo  mio  aunore  ne  disio.  „ 


i6 


24 


"  Madonna,  a  vostre  belleze      28 
non  era  ardito  d' intendre  : 
non  credea  che  vostre  alteze 
ver  me  dengnassero  isciendre  : 
A  voi  mi  do,  donna  mia;  32 

vostro  sono,  mio  non  mi  tengno, 
mio  amore  corale  in  voi  sia; 
fratuto,  senza  ritengno 
metomi  in  vostra  ballia.  „  36 

"  Deo,  comò  mi  fa  morire 
l'amore,  a  chui  mandai  il  mesa- 
domandomi  :  che  vuoli  dire  ?  [gio. 
quando  im  zambra  meco  1'  agio,      40 
Non  me  ne  de  domandare, 
drudo  mio,  aulente  più  e'  ambra, 
ben  ti  dovresti  pensare 
pere'  i'  òti  meco  in  zambra;  44 

sola  sono,  non  dubitare.  „ 

"  Dimi  s'è  vero  l'abrazare 
che  mi  ffai,  donna  avenente; 
che  sì  gran  cosa  mi  pare,  48 

che  credere  noi  posso  nejente.  „ 
"  Drudo  mio,  se  dio  mi  valgila, 
ch'io  del  tuo  amore  mi  disfaccio; 
merzé,  non  mi  dare  travalglia  ;       52 
poi  che  m' ài  ingnuda  in  braccio, 
meo  sire,  tenimi  in  tua  balglia.  „ 


46.  ms,  lo  brazare. 


SEC.    XIII. 


Canzoni  anonime. 


95 


i6 


24 


II. 

Dal  cod.    Vai.  3793,  unico. 
COMPANGNETTO  DA  PRATO. 


JL  ER  lo  marito  e'  ò  rio, 
l'amore  m'  è  'ntrato  in  cor  agio; 
sollazo  e  gram  bene  ag'  io, 
ca  per  lo  suo  lacierare 
Tal  penserò  eo  no  1'  avea, 
che  son  preso  d'  amare, 
fin  amante  agio  im  balia, 
eh'  en  gran  gioja  mi  fa  stare 
per  lo  mal  che   co  llui  agio. 

"  Gieloso  !  battuta  m'  ài, 
piacieti  di   darmi  dolglia; 
ma  quanto  più  male   mi  fai, 
tanto  il  mi  metti  più  in  volgila. 
Di  tal  uomo  m'  acasgionasti, 
e'  amanza  non  avea  intra  noi  ; 
ma  da  che  lo  mi  ricordasti, 
r  amore  mi  prese  di  llui; 
lo  tuo  danagio  pensasti,    [gione 

"  Mio  amore  mi  mette  a  ras- 
e  dicie  :  sì  'o  l' amo  a  core  fino, 
però  che  m'  abe  a  cascìone 
eh'  era  nel  male  dimino. 
Per  ira  del  male  marito 
m'  avesti,  e  nom  per  amore  ; 
ma  da  che  m"  ài,  sì  m'  è  gito 
lo  tuo  dolzore  dentro  dal  core, 
mio  male  in  gioja  m'  è  ridito. 


5.  eo]  ms.  o 


9.  o  corr.  avia? 


28  "  Drudo  mio,  a  te  mi  richiamo 

d'  una  vecchia  e'  ò  a  vicina; 
eh' ella  s'è  acortta  ch'io  t'amo, 
del  suo  male  dire  no  rifina; 

32      Co  molto  adiroso  talento 
m'  ave  di  te  gastigata, 
metemi  a  magiore  tormento 
che  quelli  cui  sono  maritata; 

36      non  mi  lascia  avere  abento.  „ 
"  Madonna,  per  lo  tuo  onore, 
a  nulla  vechia  non  credere; 
eh'  elle  gueriano  1'  amore, 

40      pere'  altri  loro  non  credere. 
Le  vecchie  sono  mala  giente, 
non  ti  lasciare  dismagare; 
che  1  nostro  amore  fino  e  giente 

44      per  loro  nom  possa  falzare. 
metale  dio  im  foco  arzente  !  „ 
La  bella  dicie:  "  par  deo, 
giuroloti  per  la  mia  leanza, 

48      che  non  è  cosa  per  eh'  eo 
lasciasse  la  tu'  amistanza. 
Ma  perch'  io  mi  ti  lamento 
d'  una  mia  disaventura, 

52      non  avere  tu  pensamento 
che  d'  altr'  amore  agie  cura, 
se  non  fare  lo  tuo  piacimento.  „ 

25.  m'  è]  ìn$.  mi 


44.      CANZONI  ANONIME. 
I. 

Dal  cod.    Val.  3793,   unico. 


iVloRTTE  fera  e  dispietata, 
crudele,  senza  pietanza, 
per  rasgione  dèi  essere  blasma- 
non  churi  di  fare  fallanza  :     [ta, 


Che  spint'  ài  la  chiara  lucie 
che  risplendea,  ora  non  lucie, 
di  belleze  era  portto  e  focie 
e  d'adorneze  l'angieliea  bocie. 


96 


Canzoni  anonime. 


SEC.  xiri. 


Mortte,  in  te  nulla  merciede 
né  pietà  si  può  trovare, 
né  umiltà  sanza  fede, 
non  vale  c'orno  ti  possa  fare 
Che  non  aucide  a  tua  tenza 
quale  vuoli  ;  non  ci  ài  canoscien 
mortale  sentenza  à' dato;    [za: 
sovra  il  fiore  ài  sentenzato. 

Morte,  per  tuo  fallimento, 
che  dai  mortte  a  lo  più  fino, 
sono  in  tanto  turbamento, 
di  piangiere  mai  no  rifino. 
Tolto  m'  ài  lo  sollazo  e  1  gioco, 
sì  che  melglio  in  esso  loco 
mi  teria  m'avesse  alocato, 
im  pungiente  foco   lasciato. 


In  gran  foco,  mortte  e  dura, 

in  tristanza  m'ài  lasciato; 

per  solazo,  gran  chura, 
12       pensiero  et  dolglia  m'ài  dato:      aS 

C  ài  sotratta  de  sta  vita 

r  alta  persona  compita 

di  savere  e  di  cortesia: 
91       tuto  piaciere  avea  in  su  ballia.      32 
Ciertto,  mortte  micidera, 

troppo  giuda  mi  se'  stata. 

e'  a  la  tua  possa,  guerera 
20       in  tuto  mi  ti  se'  mostrata;  36 

Distrutta  m' ài  d'  ongne  gioja: 

lassa  !  lo  vivere  m' é  noja, 

per  lo  più  giente  cavaliere  d'onore, 
24       ch'era  servente  di  buoni  a  tutore.    40 


II. 

Dal  cod.    Vat.  37gj,   unico. 


JL)ispiETATA  morte  e  fera, 
cierto  se'  da  biasmare, 
che  non  ti  vale  pregherà, 
né  merzede  chiamare; 
Con  ti  faccia,  sì  se'  dura 
che  d'auzidere  non  ài  cura 
quale  t'é  in  talento, 
e  per  sollazi,  rancura 
dai  e  pene  e  tormento. 

Di  te  mi  biasimo,  che  m'ài 
el  gioco  e  ir  alegreza.        [tolto 
mortte  dura,  del  mio  diportto 
messa  m'  ài  in  grande  tristeza. 
Sì  che  già  mai  non  credia, 
lassa,  vedere  quella  dia 
di  tanto  ismarimento, 
che  da  così  dolcie  compangnia 
faciesse  partimento. 

Dipartit'ài,  micidera, 
lo  più  veracie  amore 
che  tra  me  e  1  più  fino  era, 
Baldo  di  valore. 


16 


In  chui  era  valimento, 
cortesia  et  ardimento, 
fatt'  ài  grande  fallenza, 
e' a  nuli' omo  rincrescimento 
faciea,  anzi  piagienza. 

A  ciascuno  a  piagimento 
servia  e  co  leanza, 
e  a  nullo  afendimento 
faciea  né  soperchianza  ; 
Era  omo  giovane,  e  piano 
a  li  boni  ad  ongne  mano 
e  tutora  serventese, 
lo  gientile  Baldo  sovrano 
di  terra  Scarlinese. 

Maladetta  sia  ad  ongnore 
colonna  maremmana, 
là  onde  venne  quello  dolore 
che  già  mai  no  risana, 
C'auzise  la  persona  umana, 
ch'era  in  ventate 
di  tute  bontà  fontana 
e  d' ongne  gientile  umilitate. 


24 


2S 


32 


36 


40 


44 


2.    se    nel  ms.   sta   al  j>rincipio   del  v.    3  4.  ms.    mezede  5.  ms.  facca 

41.  inna*nzi  0  appresso  a  questo  mancherebbe  un  altro  verso  a  integrare  la  sirima. 


SBC.  xin. 


Canzoni  a?io?iime. 


97 


III. 

Dal  cod.    Vat.  ^793)  unico. 


l6 


L' ALTRIERI  fui  in  parlamento 
com  quella  chui  agio  amata; 
feciemi  gra  lamento 
e'  a  forza  fui  maritata, 
E  dissemi:   "drudo  mio, 
merzé  ti  chero,  or  m' ajuta, 
che  tu  se'  in  terra  il  mi  dio: 
ne  le  tuo'  mani  sono  arenduta  ; 
per  te  coUuJ  non  volgilo  io. 

"  Ciertto  bene  degio  morire, 
che  lo  chuore  del  corppo  m' è; 

[tratto 
vegio  lo  mio  padre  amanire 
per  compiere  lo  male  che  m' à 
Siri  dio,  or  mi  consilglia    [fatto, 
e  donami  lo  tuo  comfortto 
de  r  omo  e'  a  forza  mi  pilglia. 
uguanno  lo  vegia  io  mortto  ! 
di  farmi  dolo  s' asotilglia. 

"  Drudo  mio,  da  llui  mi  partte 
e  trami  d'està  travalglia, 
mandamene  in  altra  partte, 
che  m'è  im  piaciere  sanza  fal- 

[glia. 


24 


28 


32 


40 


44 


Perché  non  agio  im  balìa 
lo  padre  mio  che  m'à  morta? 
nom  pare  e' altro  mi  dia, 
se  non  di  gioja  mi  sconfortta 
e  di  bene  fare  mi  disvia.  „ 

"  Donna,  del  tuo  maritare 
lo  mio  core  fortte  mi  duole, 
chosa  non  è  da  disfare  ; 
rasgione  so  bene  che  non  vuole  ; 
Ch'  io  t' amo  sì  lealemente, 
non  volgilo  che  facie  fallanza, 
che  ti  biasimasse  la  giente 
ed  io  ne  stesse  in  dotanza. 
dico  il  vero  fermamente. 

"  Assai  donne  marito  anno 
che  da  loro  sono  fortte  odiate  ; 
de'  be'  sembianti  lod'ànno, 
però  nom  sono  dispiù  amate. 
Così  volgilo  che  tu  faccia, 
ed  averai  molta  gioja. 
cando  t' averò  nuda  in  braccia 
tutt'anderà  via  la  noja. 
di  così  fare  ti  procaccia.  „   ' 


2.  ms.  quelli 


41.  ms.  tacca 


43.  ms.  bracca. 


mi. 

Dai  cod.    Vat.  3793,  unico. 

Vj/UANDO  fiore  e  folglia  la  rama 
e  la  prima  vera  s'  adorna 
de  lo  bello  temppo  che  torna, 
che  s'  alegra  chi  ben  ama; 
E  gli  auscielletti  per  amore 
isbèrnaro  sì  dolzemente 
i  loro  versetti  in  fra  gli  albore, 
ciascheduno  im  suo  parvente; 
chi  d'amore  sente 


98  Canzoni  anonime.  sec.  xiii. 

veramente         berti  sì  de  allegrare 
e  comfortare         lo  core  e  la  mente. 

Ed  io  che  sento  amore  penando,  12 

chanto  per  la  più  avenente 
eh'  umque  sia  al  mio  sciente, 
che  mi  fa  morire  amando. 

Non  ò  comfortto  d'alegranza,  16 

sicome  altri  fini  amanti, 
tuto  mi  sfaccio  d'amanza      * 
per  li  suoi  dolzi  sembianti. 

pensieri  ò  tanti  20 

discordanti,         eh'  io  nom  saccio  a  quale  m'aprenda 
ned  a  chui  m'arenda         ch'en  gioja  m'avanti. 

Poi  che  non  truovo  pietanza 
inver  madonna  cui  tant'  amo,  24 

.idi'  umque  non  m'  à  dato  ramo 
né  del  suo  amore  intendanza, 
Se  non  im  pene  ed  in  martiri 

ami  fatto  tormentare;  28 

dal  core  mi  vengnono  sospiri, 
che  mi  dengnano  d'amare, 
lo  mio  penare 

in  gioja  mi  pare,         perché  audire  non  vole;  32 

così  si  dole         lo  mio  namorare. 

S' io  blasmo  amore,  fero  fallanza 
che  tutora  mi  fa  languire, 

poi  che  mi  convene  servire  36 

là  ove  non  è  conoscienza. 
Falsso  sembiante  ciò  m'è  aviso 

volere  che  sia , 

ch'emfino  ch'amante  sia  comquiso,  40 

che  voi  doni  alegranza 

la  mia  speranza 

e  ineranza,  da  poi  che  lo  comsente, 

villana  mente         n'ò  misso  intendanza.  44 

18.  VIS.  tuti  20.  ò  manca  nel  m$.  2i.  ;«5.  sacco 

V. 

Dal  cod  .  Vat.  3793,  unico. 

L^  AMOROSO  comfortto  e  lo  disdotto, 
che  madonna  mi  mandao  sovente, 
tornato  lo  m'  à  im  pianto  ed  in  corotto, 
che  m'à  fallito  de  lo  suo  convente.  4 


SEC.  xin.  Canzoni  anonime.  99 


Sì  grande  dolglienza  n'ave  lo  meo  core, 
che  gli  ochi  mei  ne  piangiono  d'  amore, 
ed  arde  più  che  1  foco  la  mia  mente. 

8  Molto  ne  sono  pesante  e  cordolglioso, 

pensando  che  m'  à  tolta  la  speranza  ; 
che  non  vegio  lo  suo  viso  amoroso, 
pemsoso  e  sospirando  di  pesanza. 

12  Oi  lasso,  lo  mio  core  nom  pò  sentire 

come  madonna  potea  soferire, 
che  mi  l'alasse  per  nulla  dottanza. 
Non  mi  degia  fallire  la  più  cortese, 

i6  .  né  metere  in  dottanza  lo  suo  core, 

che  Tisbia  per  Prima  sì  s' aucise 
e  lasciausi  perire  per  amore. 
Adumqua  bene  poria  madonna  mia 

2o  um  poco  tormentare  in  cortesia, 

per  comfortare  lo  suo  fino  amore. 

Nòm  so  se  mi  comfort!  o  mi  disperi, 
poi  ch'amore  non  mi  lascia  disperare. 

24  che  molte  volte  ò  visto  due  guerieri 

tornare  im  pacie  e  Igli  amici  gueriare. 
Dunque  mi  ritorno  a  la  mia  spene, 
che  troppo  mi  sariano  grave  se  pene, 

28  partire  X  anima  e  1  corppo  penare. 


17.  ms.  Tubia 


Q. 


VI. 

Dal  cod.    Vat.  3793,  unico. 


Quando  la  prima  vera  merzé,  che  m'  ài  conquiso, 

apare  1'  aulente  fiore,  Lo  suo  dolze  sembiante 

guardo  in  ver  Ila  rivera  20      e  l'amorosa  ciera 

4       la  matina  algli  albore,         -  tutora  mi  sta  davante 

Audo  gli  rausingnuoli  la  matina  e  la  sera, 

dentro  dalgli  albuscielli,  E  la  notte   dormendo 

e  ffanno  verssi  novelli  24      istò  co  madonna  mia, 

8       dentro  dalgli  loro  cagiuoli,  per  ch'eo  morire  vorria. 

perchè  d'  amore  spera.  melglio  m'è  dormire  gaudendo, 

Spera,  che  m'  ài  preso  c'avere  penzieri  veghiando. 

di  servire  l' avenente,  28  S' io  dormo,  in  mia  parvenza 

12      quella  col  chiaro  viso,  tutora  l'agio  im  ballia, 

alta  stella  luciente,  e  lo  giorno  m' intenza. 

Flore  sovr'  ongne  sovrana,  di  Ilei  sembianti  m'  invia  : 

conta  e  gaja  ed  adorna,  32      Mostr amisi  guerrera, 

16      in  chui  l'amore  sogiorna,  ma  nonn  è  per  sa  volgila; 

tu  c'avanzi  Morgana,  a  lo  core  nonn  ò  gran  dolglia. 


100 


Canzoni    anonime. 


SEC.  xm. 


per  una  laida  ciera 
perdo  sua  benvolglienza. 

Lo  tempo  e  la  stasgione 
mi  comfortta  di  dire 
novi  canti  d'amore 
per  madonna  servire. 
Rasgione  è  ch'io  ne  cante, 
ancora  mi  faccia  orgolglio, 
tutora  sono  quello  eh"  io  solglio, 
leale  e  fino  amante 
senza  falssa  sembianza. 

Ancora  tengno  speranza 
ne  lo  vostro  franco  core, 
che  li  sia  rimembranza 
de  lo  suo  fino  amore. 


36 


40 


44 


48 


Se  madonna  distringie 

le  lingue  de'  mai  parlante, 

eo  le  farò  sembianti 

com  io  r  amo  a  dritta  fede 

e  senza  fallisgione. 

Dio  scomfonda  in  terra 

le  lingue  de'  mai  parlanti 
ch'en  tra  noi  d ae  misero  guerra, 
ch'eravammo  leali  amanti. 
Chi  dispartte  sollazo, 
gioco  ed  ispellamento 
Dio  lo  metta  in  tormento, 
che  sia  preso  a  reo  lazo 
e  giudicato  di  serra. 


52 


56 


60 


42.  ms.  tacca 

VII. 

Dal  cod.    Val.  3793}  unico. 

Rosa  aulente,         spendiente, 
tu  se'  la  mia  vita, 
per  chui  vivo         più  pemsivo 

cha  per  Dio  romita; 
da  paura         nom  si  chura 

giaumque  1 1  ferita 
ch'agio  al  core         del  tuo  amore, 
l'arma  m'  è  fallita. 
Se  tu  non  mi  doni         comfortto  ned  ajuto, 
perdoci  le  persone,         come  l'omo  eh'  è  'mpenduto. 
dumque  ci  prò  vedi,         piaciente  orlatura, 
che  bene  conosci  e  vedi         ch'io  ci  sono  in  aventura. 

Donami  comfortto,         angielica  sembianza, 
ch'io  non  divengna  mortto         per  la  troppa  dimoranza; 
tu  se'  più  plagiente,         aulente  fiore  rosato, 
che  nonn  è  il  sole  lugciente         da  la  matina,  poi  eh'  è  levato. 
Fiore  e  folglia         la  tua  volgila, 
per  dio  l'umilia; 
loco  ora  dolglia         sì  che  tolglia 

la  speranza  mia. 
la  tua  ciera,         dolce  spera, 
che  lo  core  mi  conducie, 
m'  è  sì  fera,        fosse  vera, 


i6 


23.  ms,  mi  sì 


SEC.  XIII.  Lo  s-planamento  di  Patecchio.  101 

24  morite  al  core  m' aducie. 
La  tua  lucie,         che  rilucie 

sovr'  ongn'  altro  splendore, 
già  consuma         me  ch'aluma, 

25  sì  mi  stringie  amore. 

si  m'  à  preso         e  comquiso 

di  core  tua  benvolglienza, 
che  niente         imfra  la  giente 
32  pare  mia  benevolglienza. 

Chi  mi  vede         di  te  crede 
eh'  agia  pemsasgione; 
la  fede         mi  conciede 
36  eh'  elgli  agia  rasgione  : 

che  1  mio  core         istà  n  erore 

pur  di  te  pemsare; 
a  nullore         mi  fa  sentore 
40  se  non  di  te  amare. 

Io  prego         senza  nego 
che  n'  agie  pietanza; 
teco  r  esgio         e  meco  il  presgio 
44  e  tuta  mia  speranza. 

e  te  comfortti         e  me  che  sportti, 

eh'  era  senza  noja, 
nom  porti         di  comfortti 
48  né  langore  croja, 

gioja  mi  doni  ch'amore  non  m'  amortti. 


45.      LO  SPLANAMENTO  DEI  PROVERBJ  DI  SALOMONE 
PER  MAESTRO  GIRARDO  PATIvCCHIO  DA  CREMONA. 


Fra  Salimbene  da  Parma,  nato  nel  1221,  più  volte  menziona  nella  sua  Cronaca 
questo  maestro,  in  ispecie  ricordando  una  burla  fattagli  da  uno  zio  di  esso  cromsta.  Sem- 
bra dunque  che  Patecchio  fosse  fio,  anziano  di  Salimbene,  e  si  può  ritenere  che  abbia  fio- 
rito nella  prima  metà  del sec.  XIII,  Compose  un  Lib  e  r  taediorum  0  de  taediis 
perduto,  e  questo  Splaìiamento  di  cui  diamo  degli  estratti.  Esso  trovasi  nel  cod. 
già  Saibante-Hamilton,  ora  sqo  della  Bihl.  di  Berlino,  d^ onde  fu  pubblicato  da  A,  Tobler 
negli  Abhandlungen  der  Konigl.  Preuss.  Akademie,  188Ò. 

QUESTO    È    LO    SPLANAMENTO    DE    LI    PROVERBII    DE    SALOMONE 
COMPOSTO    PER    GIRARDO    PATEG    DA    CREMONA. 

JlL  NOME  del  pare  altissemo        e  del  lìg  beneeto 
E  del  spirito  santo,         en  cui  forca  me  meto, 
Comenz  e  voig  fenir         e  retrar  per  rason 

2.  ms.  forca  meto  3.  ms  e  cercar 


102  Lo  splanatìiento  di  Patecchio.  xiii.  sec. 

Un  dret  ensegnamento         e' aferma  Salamon,  4 

Sì  con  se  trova  scrito         en  proverbi  per  letre. 

Girard  Pateg  l' esplana         e  'n  volgar  lo  voi  metre, 

De  quili  qe  parla  tropo,         com  se  n  debia  mendar, 

Con  li  irosi  e  li  soperbii         se  possa  omiliar,  8 

Da  li  mati  se  varde,         et  enprenda  saver 

Com  a  le  done  coven         boni  costumi  aver, 

Com  un  amig  a  l' antro         de  andar  dretamente, 

E  con  povri  e  riqi         de  star  entre  la  cente.  la 

Li  savi  non  reprenda         s' eu  no  dirai  sì  ben 

Com  se  vorave  dir,         o  s'  eu  dig  plui  o  men  ; 

Q'eu  no  1  trovo  per  lor,         q'ig  sa  ben  co  q'ig  de, 

Anz  per  comunal  omini         qe  no  san  ogna  le.  i6 

Mai,  cui  illi  voi  sia,         se  tuto  1  ben  adovra 

E  fai  ben  e  1  mal  lassa,         no  pò  far  mejor  ovra. 

Mai  qi  no  porà  tuto         retegnir  ad  un  flado, 

Sì  poco  no  n  terrà         qe  non  sea  mejorado.  20 

Mo  pari'  elo  de  la  lengua. 

De  la  lengua  voi  dir         alò  primeramente. 
Per  quel  q'ela  nos  più         a  gram  part  de  la  cente. 
Da  tropo  dir  se  varde         qi  se  voi  far  laudar, 
E  dèa  luog  ad  altri,         s'ig  voi  anq  ig  parlar;  24 

Q'  el  gè  n'  è  f ort  de  lor         qe  voi  dir  qualqe  causa, 
M'el  no  de  comencar         tln  qe  l' antro  no  pausa. 
No  fi  tegnudo  savio         qi  parla  sovra  man. 

Da  picol  ni  da  grande,         da  par  ni  da  sovran.  28 

Se  1  picol  no  se  n  venca         lo  par  fors  sen  laimenta, 
El  major  per  ventura        je  n  dis  per  una  trenta  ; 
Vilan  e  malparler        se  pò  tenir  quelui, 

Quand  à  dit  quant  el  voi,         e  'n  tut  desplas  a  altrui.  32 

Nisun  hom  de  gabar         alcun  descognosente  ; 
K'el  tien  lo  mal  per  peco         e  1  ben  cet'  a  niente. 
Qi  amaestra  un  fol,         sen  q'  el  no  voi  enprendre, 
Doi  dan  par  qe  je  n  vegnà,         qi  gè  voi  ben  atendre,  36 

Q'el  perd  lo  sen  q'el  dis,    •     e  1  mat  par  qe  1  desdegne  ; 
Ma  1  savi  om  castige        qe  voi  ben  c'om  je  'nsegne. 
Ki  respont  umelmentre,         ira  no  se  je  tien; 
Mai  qi  favela  orgojo,         s' eia  no  nd'  è,  sì  vien.  40 

Per  lenga  se  departe         l'amor  dig  compagnon, 
E  no  è  major  tesauro         el  mond,  qi  1  trova  bon. 
Lengua  part  li  fradeli,         qe  se  voi  mal  de  morte, 
E  pare  da  fijoli,         ràr  è  qi  la  conporte,  44 

9.  Toblcr  Con  li  mati  se  varde 


SEC.  xm.  Lo  spianamento  di  Patecchio.  103 

La  mugìer  dal  mario,         q'  è  per  lengua  blasmado, 

E  la  fine  amistate         c'à  quarant'ag  dorado. 

Con  Tom  c'à  tropa  lengua,         non  è  bon  far  tenzone, 
48  Qe  'ntre  1  so  tan  parlare         se  perd  bona  rasone. 

L'om  qe  ben  non  entende,         s'el  responde,  fa  mal, 

E  da  e' à  ben  enteso,         s'el  pensa  ancor,  je  vai. 

Anz  qe  l'omo  fa  vele,         responder  par  folia, 
52  Tut  q'el  creca  saver         co  qe  dir  je  volia. 

Fors  li  dirà  tal  causa,         mai  no  l'avrà  audua; 

S'el  j'avia  dit  d' antro,         er  mateca  tegnua. 

Mat  è  l'om  qe  no  lauda         lo  ben,  quand  Dieu  je  1  da; 
56  E  se  1  ben  je  desplase,         del  mal  corno  farà  ? 

Ka  dis  a  l'omo  causa         qe  para  qeil  desplaca. 

No  je  la  de  dir  plui,         e,  là  u  el  è,  sì  la  taca; 

Q'en  parlar  se  cognose         l'omo  q' è  savi  o  mato; 
60  Taser  lo  fai  laudar,         sì  comò  dise  Cato. 

Ki  no  voi  fir  enteso,         è  mato  s'el  favela; 

Mai  s' elo  tas,  fai  ben,         s' el  non  è  qi  l' apela. 

Grand  grada  à  da  Deu         l'omo  qe  pò  tasere 
64  Segond  qe  se  conviene,         bià  se  n  pò  tenere. 

No  se  de  alcun  laudar         de  soa  propia  boca; 

Qe  Deu  sa  ben  e  i  omini         quanta  bontà  lo  toca. 

L' om  e'  usa  dir  pur  mal         e  1  ben  e  l' onor  sciva, 
68  A  pena  se  n  partrà         tro  q'en  sto  mondo  viva. 

Ben  è  de  tal  parleri         qe  la  lengua  ama  tant. 

Se  li  autri  li  f ala,         soli  va  f avelant .... 

Mo  voi  elo  contar  de  soperbia  e  d'ira  e  d'umilitate. 

Apres  ve  voi  contar        de  soberbia  e  d'ira 
72  Et  an  d'omililat,         qe  contra  entranbe  tira. 

Qi  tien  soperbia  et  ira,         l'amor  de  Deu  no  avrà. 

Ma  1  speta  la  sog  ira,  qui  senca  lui  sera. 

Là  o  è  l'omo  soperbio         se  truova  ogna  tencone; 
76  Mai  l'umel  sta  cortese,         ca  no  varda  casone. 

Reo  è  esser  amigo         d'om  qe  soperbia  mena; 

Q'el  se  n  traz  tal  fiada         e  mal  e  dan  e  pena.... 

Ki  siede  a  l'autruì  mensa,         umelmentre  ne  stea, 
80  No  guarde  ca  e  là,         que  se  toja  o  se  dea: 

Né  no  se  de  irar,         s'el  fides  ad  altrui 

Servì  de  qualqe  causa         mieg  gè  no  fi  a  lui. 

Soperbia  par  qe  sia,         cui  Deu  dà  qualqe  onor; 
84  s'el  se  n' exalta  tropo,         sig  torn' a  ^esenor . . . . 

Mo  parola  elo  de  mateca  e  de  mati. 

De  mateca  e  de  mati,         voig  dir  mescladament, 
Per  q'  ig  è  più  per  nomerò         qe  tuta  l' atra  cent. 


104  Lo  splanamento  di  Patecchio.  sec.  xiii. 

Et  anc  del  so  contrario,         co  è  sen  e  saver; 

Cui  tien  r  un,  lassa  1'  autro,         tuti  n'  à  qe  veder.  88 

Lo  mat  om  pur  riandò         fai  matec'e  folia; 

Tut  co  qe  1  cor  je  dis,         a  lui  par  dreta  via. 

Plui  eoa  qi  castiga         un  savio,  co  m'  è  viso, 

Qe  qi  bates  un  mato         oto  dì  o  un  meso.  92 

Que  vai  al  mat  riqece         ne  quant  el  pò  aver, 

Da  q'el  no  pò  conprar         de  l'or  sen  e  saver? 

Mai  se  1  mat  omo  tase,         q'el  no  diga  niente, 

Savio  fi  conputado         per  gran  part  de  la  cente.  96 

Qi  respondes  al  mato         segondo  soa  stolteca. 

Deventa  tal  con  lui         e  dopla  la  mateca; 

Anz  de  responder  sen,         tal  parola  è  si  dreta 

Q'  el  fia  tegnudo  savio,         e  quel  mat  qe  1'  à  dita.  100 

Sì  con  la  nef  no  dura         d'istat  per  lo  calore, 

Sì  desdes  ad  un  mato,         s'el  à  gloria  et  onore. 

Tanto  vai  ad  un  mato         donar  onor  del  mondo, 

Com  una  copa  d'aigua         cetar  en  mar  perfondo.  104 

Un  mat  om  qe  redise         la  mateca  doi  ora. 

Fai  comò  1  can  qe  manca         co  e' a  gitadho  fora. 

Sì  con  se  voice  l'usso         en  1  pileng  o  el  sta, 

Sì  fa  1  mat  en  matece,         e' altro  penser  non  à.  108 

Ca  parole  sotìle         no  dies  ni  gran  riqeca 

Ad  omo  qe  sia  mato;         tut  li  torn'en  mateca. 

Un  mat  se  tien  plui  savio         e  de  major  valer, 

Qe  no  fai  sete  savi         con  tuto  1  so  saver.  112 

A  dir  Tom  q'el  sea  mato,         non  è  sen  rasonadho. 

Ni  de  laudarse  savio         el  no  è  prisiadho. 

Non  è  sen,   qi  n  pò  altro,         tor  servisio  del  mat; 

Q'elo  se  va  vantando         qe  per  un  set  n'à  fat.  u6 

Unca  no  sper  de  mato,         qi  s'amistat  avrà; 

C  amig  non  è  de  si,         e  meo  comò  sera?.... 

Mo  pari'  elo  de  le  femene. 

De  lengua  e  de  soperbia,         de  li  mati  avem  dito. 
Mo  par  lem  de  le  femene,         sì  con  ne  dis  lo  scrito,  120 

Como  s'  è  bon'  e  re'         e  com  fai  prò  e  dan 
A  tuta  cent  del  mondo         la  major  part  de  l'an. 
A  i  ogli,  quando  i  leva,         se  cognos  en  presente 
La  grant  part  de  le  femene,         q'a  luxuria  tende.  124 

Meig  fa  Tom  s'el  sta  sol         e  qualqe  volta  'scosa, 
Qe  s'  el  stes  ^n  palese         con  femena  nojosa. 
Qi  nudriga  puitana         fai  mal;  q'el  e  autrui, 

88.  Cui]  VIS.  Cuti 


SEC.   XIII.  Lo  splanamento  di  Patecchio,  105 


12S  E  sì  je  perde  1  so,         e  no  retorna  en  lui. 

Com  f emena  d'autr'omo         no  se  voi  trop  sedhere; 

Qe  Tom  sen  dà  guarda         e  'n  blasmo  n  pò  cacere. 

Femina  savia  e  casta         de  marid  è  corona; 
132  Gadhal  mat'  e  soperbia         vergoigna  et  onta  ig  dona. 

Lo  serpent  venenoso         el  cor  porta  grand  ira; 

major  la  porta  femena         qe  1  diavol  enspira. 

Col  lion  e  col  drago         mieg  abitar  s'aven 
136  Qe  con  femena  dura,         cui  desplas  ogno  ben. 

Cascun  om  pò  guarire         del  mal,  se  Deu  je  1  dà; 

Ma  de  femena  rea         no  pò  guarir  qi  1'  à. 

Se  Tom  li  fai  onore,         soperbia  i  cres  e  monta, 
140  E  tenlo  soto  pe         eg  fai  gremeca  et  onta. 

El  mond  non  è  mai  grada         sovra  bona  mujer; 

Né  mal,  qi  l'avrà  rea,         sovra  quel  ca  no  quier. 

Q'en  tuta  la  soa  vita         la  de  trovar  a  ca; 
144  Per  lei  perd  questo  mondo,         l'altro  mal  je  darà. 

Mujer  bela  e  cortese         de  legreca  1'  om  passe. 

Se  Tom  è  conosente,         et  altro  mal  noi  nasse. 

E  tut  q'  eia  sea  rustega,         s' el'  è  pur  savia  e  bona, 
148  Mat  è  quel  qe  per  autra        una  tal  n'abandona. 

Tute  le  ca  per  done         fi  monde  e  nete  fate; 

S'ele  sta  pur  un  ano         senca  ler,  e  desfate. 

En  ogna  luog  del  mondo         o  rea  dona  sta, 
152  Segur  sea  de  quelo         c'ognunca  mal  avrà. 

Bela  possesion         è  dona  savia  e  neta, 

A  cui  Deu  dà  la  gracia         e' al  so  servir  la  meta. 

Grand  povertad  avrà         cui  bona  dona  manca; 
156  En  sto  mondo  né  'n  l' antro         no  starà  en  legra  banca. 

Qi  à  rea  fijola,         sovra  lei  meta  sogna, 

Q'ela  no  faca  quelo         ond'  el  aiba  vergoingna. 

Ananz  q'el  pò,  la  dea         ad  om  savi  e  prò; 
160  No  tema  s'  el  n'  è  rico  ;         qe  1  sera  s' el  no  fo. 

La  femena  fa  Tom         enivriar  comò  1  vino, 

Fai  desperad  e  nesio         e  fai  tornar  plui  fino. 

Non  è  cosa  en  sto  mondo,         s'ela  je  1  comandase, 

164  Q'el  no  la  fes,  ni  tal         q'elo  je  la  vedase. 
De  femena  comuna         se  guard  ogn'om  qi  pò; 
Non  à  l'om  tanto  seno  q'elo  noi  perda  alò. 
No  se  meta  en  vertue         hom  de  femena  vaga; 

165  Carnai  no  n'  issirà         levement,  o  q'  el  vada. 
L'om  qe  l'autrui  mujer         voi  ni  tol  ni  percaca, 
Pecato  fai  mortale;         omecidio  lo  caca.... 

161.  ms  enuriar 


106  Cofitrasto  di  Cielo  dal  Canio,  sec.    xiii. 


46.      CONTRASTO  DI  CIELO  DAL  CAMO  O  D'ALCAMO. 

La  menzione  della  defensa  e  degli  agostari  (v.  22)  ci  porla  ad  un  tempo  non  ante- 
riore al  1231,  mentre  /'  allusione  alV  imperatore  vivente  (v.  24.)  non  permette  che  si  scenda 
più  giù  del  T230.  Dante  nel  D e  vu l g .  e  loq .  I,  XII,  ricorda  questo  poemetto  che 
fu  lasciato  anonimo  dal  compilatore  del  canzoniere  Vaticano  3793,  fonte  unico  oggi  del 
testo.  A,  Colocci,  annotando  quel  codice,  vi  iscrisse  il  nome  di  «  Cielo  »,  e  «.  Cielo  dal 
caino-»  lo  chiamò  in  un  notamento  che  fu  ritrovato  fra  le  sue  carte,  v.  Ar  chivio  paleo- 
grafico  italiano,   I,  8-14, 

rvosA  fresca  aulentisima  e'  apar'  in  ver  la  state, 
le  donne  ti  disiano  pulzelle,  maritate; 
trami  d'  este  focora,  se  t'  este  a  bolontate. 

per  te  non  ^  abento  notte  e  dia,  4 

penzando  pur  di  voi,  madonna  mia.  „ 

"  Se  di  meve  trabalgliti,  follia  lo  ti  fa  fare  : 
lo  mare  poteresti  arompere,  avanti  asemenare, 
c?v<A-/'ì*^  r  abere  d' esto  secolo  tuto  quanto  asembrare,  8 

avereme  nom  poterla  esto  m orino  : 
avanti  li  cavelli  m' aritonno.  „ 

"  Se  li  cavelli  artoniti ,  avanti  foss'  io  morjto, 
ca  i'  sì  mi  perderà  lo  solacelo  e  lo  diportto.  12 

„wv«ia  quando  ci  passo  e  vejoti,  rosa  fresca  de  l'ortto, 

bono  confortto  donimi  tutore  ; 
poniamo  ché's'^unga  il  nostro  amore.,,  '"'^' 

"  Ke  1  nostro  amore   ajungasi  non  boglio  m' atalenti:  16 

se  ci  ti  trova  paremo  colgli  altri  miei  parenti, 
guarda  non  t'  argolgano  questi  forti  corenti. 
comò  ti  seppe  bona  la  venuta, 
consilglio  che  ti  guardi  a  la  partuta.  „  20 

"  Se  i  tuoi  parenti  trovami,  e  che  mi  pozono  fare? 
una  difemsa  metoci  di  dumilia  agostari, 
non  mi  tocara  padreto  per  quanto  avere  à  'm  Bari, 
viva  lo  'mperadore,  graz' a  Deo;  24 

intendi,  bella,  quello  che  ti  dico  eo.  „ 

"  Tu  me  no  lasci  vivere  ne  sera  né  maitino. 
donna  mi  sono  di  perperi,  d'  auro  massamotino. 
se  tanto  avere  donassemi  quanto  à  lo  Saladino  2S 

e  per  ^junta  quant'  à  lo  soldano, 
tocareme  nom  poteria  la  mano.  „ 

"  Molte  sono  le  femine  e'  anno  dura  la  testa, 
e  r  omo  com  parabole  1'  adimina  ed  amonesta  ;  32 


II.   ms.  solacco  i3.  0  legg.  ambari^ 


SEC.    XIII. 


Contrasto  di  Cielo  dal  Canio, 


107 


36 


40 


44 


4S 


52 


I 


56 


60 


64 


68 


72 


^:> 


tanto  intorno  percazala  fino  che  11'  à  in  sua  podestà, 
l'emina  d'omo  nom  si  può  tenere,    -.^^^^J^=^'^ '.°^^c    '^ .- -4  .' 
guardati,  bella,  pur  de  ripentere.  „ 

K'  eo  me  ne  pentesse  ?  davanti  foss'  io  aucisa^. 
ca  nulla  bona  l'emina  per  me  fosse  ripresa, 
ersera  ci  passasti  corenno  a  la  distesa; 
a  questi  ti  riposa,  canzoneri, 
le  tuo  parabole  a  me  nom  piacciono  gueri.  „  ^..«^   vrC^ 

"  Doi  me,  quante  sono  le  schiantora  che  m'  à  mise  a  lo  core,  ^-^€<?<^  ^•'  "^ 
e  solo  pur  penzannome,  la  dia  quanno  vo  l'ore, 
l'emina  d'  esto  secolo  tanto  nonn  amai  ancore 
quant'  amo  leve,  rosa  invidiata  ; 
bene  credo  che  mi  fosti  distinata.  „    pt.jii^^ 

"  Se  distinata  l'osseti,  cadérla  de  1'  alteze, 
che  male  messe  l'orano  in  teve  mie  belleze. 
se  tutp  adivenissemi,  talgliarami  le  t^eze 
e  comsore  m'  arenno  a  una  magione 
avanti  che  m'  artochino  le  persone.  „ 

"■  Se  tu  consore  arenneti,  donna  col  viso  cleri, 
a  lo  mesterò  venoci  e  rennomi  comfreri; 
per  tanta  prova  venderti,  l'aralo  volonteri, 
con  teco  stao  la  sera  e  lo  maitino  :        " 
besongn'  è  eh'  io  ti  tenga  al  meo  dimino.  „ 

"  Boi  me,  tapina,  misera  !  com  ao  reo  distinato. 
Gieso  Cristo  1'  altissimo  del  loto  m'  è  airato, 
conciepistimi  ad  abattare  in  ommo  blestiemato.     :  " 

cerca  la  terra  eh'  este  granne  assai,'"^ 
chiù  bella  donna  di  me  troverai.  „ 

"  Ciercat' aio  Calabra,  Toscana  e  Lombardia, 
Pulglia,  Costantinopoli,  Gienoa,  Pisa,  Scria,  • 

Lamangna  e  Babilonia,  tuta  Barberia, 
donna  non  trovai  tanto  cortese  ; 
per  dea  sovrana,  di  meve  te  pese.  „ 

"  Poi  tanto  trabalgliasti,  f acioti  meo  pregheri , 
che  tu  vadi,  adomanimi  a  mia  mare  ed  a  mon  peri  ;    ifi^^uct^- 
se  dare  mi  ti  dengnano,  menami  a  lo  mosteri 
e  sposami  davanti  da  la  jente      "''^'  ' 
e  poi  farò  le  tuo'  comannamente.  „    -^  ^^ 

"Di  ciò  che  dici,  vitama,  nejente  non  ti  baie; 
ca  de  le  tuo'  parabole  fatto  n^  ponti  e  scaie: 
penne  penzasti  metere,  sonoti  cadute  1'  ale, 
e  dato  t'  a]o  la  bolla  sotana  : 
dunque,  se  poi,  leniti  villana.  „ 


^S 


'C- 


40.   ms,   piaccono 


59.  nis.  grane 


M-Ù^.  U- 


108  Contrasto  di  Cielo  dal   Camo.  SEC.  xm. 


"  En  paura  non  metermi  di  nullo  manganiello,  76 

istomi  n  està  groria  d'  esto  fortte  castiello  ; 
prezo  le  tue  parabole  meno  che  d'  uno  zitello  : 
se  tu  no  levi  e  vatine  di  quaci, 
se  tu  ci  fosse  mortto,  ben  mi  chiaci.  „  80 

"  Dunque  voresti,  vitama,  ca  per  te  fosse  strutto? 
se  mortto  essere  deboci  od  intagliato  tuto, 
di  quaci  non  mi  mosera,  se  non  ài  de  lo  frutto 
lo  quale  stao  ne  lo  tuo  jardino;  84 

disiolo  la  sera  e  lo  matino.  „ 

"  Di  quello  frutto  non  abero  conti  né  cabalieri, 
molto  lo  disiano  marchesi  e  justizieri: 

avere  nonde  pottero,  gironde  molto  feri.  88 

^j^^  tf'Oi  intendi  bene  ciò  che  boi  dire, 

men  este  di  mill'  onze  lo  tuo  abere.  „ 

"  Molti  sono  li  garofani,  ma  non  che  salma  nd'  ài; 
bella,  non  dispresgiaremi  s' avanti  non  m'  assai.  -^  /     '      ^^ 

\r^        ■  '        se  vento  è  im  proda  e  girasi,  e  giungieti  a  le  prai,  '■'  <^i/*^^^  ^ 
f-  arimembrare  t'  àf  este  parole,  tu^^  ^'' 

ca  d'  està  animella  assai  mi  dole.  „ 

"  Macara  se  doleseti,  che  cadesse  angosciato,  96 

la  giente  ci  coresoro  da  traversso  et  dallato, 
^l^_^  tut'  a  meve  diciessono:  acori  esto  malnato; 

non  ti  dengnara  porgiere  la  mano 
per  quanto  avere  à  1  papa  e  lo  soldano.  „  100 

"  Deo  lo  volesse,  vitama,  ca  te  ffosse  mortto  in  casa: 
r  arma  n'  anderia  consola,  ca  dì  e  notte  pantasa  ; 
la  jente  ti  chiamarano:  oi  perjura,  malvascia, 

e' à'  morto  l'omo  in  casata,  traita!  104 

sanz'  onni  colppo  levimi  la-  vita.  „ 

"  Se  tu  no  levi  e  vatine  co  la  maladizione, 
li  frati  miei  ti  trovano  dentro  chissà  magione, 
bello  mi  sofero,  perdici  le  persone.  108 

ca  meve  se'  venuto  a  sormonare, 
parente  ned  amico  non  t'  ave  aitare.  „ 

"  A  meve  non  aitano  amici  ne  parenti,  ,  ^ , 

istrano  mi  sono,  carama,  en  fra  està  bona  jente;  112 

or  fa  un  anno,  vitama,  eh'  entrata  mi  se'  mente, 
di  canno  ti  vististi  lo  ntajuto, 
bella,  da  quello  jorno  sono  feruto.  „ 

"Ai,  tanto  namorastiti,  Juda  lo  traito,  116 

come  se  fosse  porpore,  iscarlato  o  sciamito. 
s'  a  le  Vagiele  jurimi  che  mi  sia  a  marito, 
avereme  nom  poterà  esto  monno, 

no.  tns,  aiatare 


SEC.  xiir. 


Contrasto  di  Cielo  dal  Canio, 


109 


124 


128 


13^ 


1C.6 


140 


144 


14S 


152 


156 


'>'^// 


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avanti  in  mare  itomi  al  perlonno.  „ 

"  Se  tu  nel  mare  gititi,  donna  cortese  e  fina, 
dereto  mi  ti  misera  per  tuta  la  marina; 
poi  e'  anegaseti,  trobareti  a  la  rina, 
solo  per  questa  cosa  adimpretare: 
con  teco  m'  aiil.a  giungle  re  a  pecare.  „ 

"  Sengnomi  in  Patre  en  Filio  ed  i  santo  Mateo  ; 
so  ca  non  se'  tu  retico,  fi^^ij?  di  giudero,    o-«^=^  ^  "^ 
e  cotale  parabole  non  udì  dire  anch'  eo. 
morttasi  la  femina  a  lo  ntutto 
perdeci  lo  sabore  e  lo  disdotto.  „ 

"  Bene  lo  saccio,  carama,  altro  non  pozo  fare  ; 
se  quisso  nonn  arcomplimi,  lassone  lo  cantare.    "    "'" 
fallo,  mia  donna,  pjazatj,  che  bene  lo  puoi  fare,     je/'^t^^t^j.^ 
ancora  tu  no  m'  ami,  molto  t'  amo  ; 
sì  m'  ài  preso  come  lo  pescie  a  1'  amo.  „ 

"  Sazo  che  m'  ami,  amoti  di  core  paladino  ; 
levati  suso  e  vatene,  tornaci  a  lo  matino, 
se  ciò  che  dico,  faciemi,  di  bon  core  t'  amo  e  fino: 
quisso  t' imprometto  sanza  falglia, 
te  la  mia  fede,  che  m'  ài  in  tua  balglia.  „ 

"  Per  zo  che  dici,  carama,  nejente  non  mi  movo, 
inanti  prenni  e  scannami,  tolli  esto  cortello  novo.   . 
esto  fatto  fare  potesi  inanti  scalfì  un  uovo.  \:-^'^     ^ 
arcompli  mi  talento,  mica  bella, 
che  r  arma  co  lo  core  mi  s' infella.  „ 

"  Ben  sazo,  1'  arma  doleti  com  omo  e'  ave  arsura, 
esto  fatto  non  potesi  per  nuli'  altra  misura 
se  non  a  le  Vangiele,  che  mo  ti  dico,  jura. 
avereme  nom  £uoi  in  tua  podestà,     <'-\'C-    /S" 
inanti  preni  e  talgliami  la  testa.  „ 

"  L'  Envangiele,  carama,  eh'  io  le  porto  in  seno, 
a  lo  mostero  presile,  non  ci  era  lo  patrino; 
sovr'  esto  libro  juroti,  mai  non  ti  vengno  meno, 
arcompli  mi  talento  in  caritate, 
che  1'  arma  me  ne  sta  in  sutilitate.  „ 

"  Meo  sire,  poi  jurastimi,  eo  tuta  quanta  incienno; 
sono  a  la  tua  presenza,  da  voi  non  mi  difenno; 
s'  eo  minespreso  ajoti,  merzé,  a  voi  m'  arenno.  ^"^•-        •• 
a  lo  lletto  ne  gimo  a  la  bon'  ora, 
che  chissà  cosa  n'  è  data  in  ventura.  - 


/»**-<* 


^S'-72^foc/~!9y 


128.  ms.  udire 


147.  ms.  non  poterssi 


158.  ms.  aoiti 


11 0  //  libro  di  Uguccione  da  Lodi.  sec.  xnr. 


47.      IL  LIBRO  DI  UGUCCIONE  DA  LODI. 

Cod.  già  Saibante-Hamilton,  ora  3go  della  Bibl.  Reale  di  Berlino;  Tobler,  Abhand- 
lungen  d.  Konigl.  Preuss.  Akademie,  1884.  DalV uso  che  sembra  aver  fatto  di  questo 
libro  Pietro  da  Bascafè,  il  cui  poema  fu  terminato  nel  1264.,  '*"  argomenta  che  P  autore 
fiorisse  circa  la  metà  del  sec.   XIII. 

IN  xpi  nomine:  questo   è   lo  comenc amento   de   lo   libro 

DE    UGU9ON    de    LAODIIO. 

/\l  to  nome  comenco,         pare,  Deu,  creator, 
Divina  majestà,         verasio  salvator. 
A  ti  prega  et  adora         li  grandi  e  li  menor, 
Li  principi  e  li  re,         li  marqes  e  i  contor.  4 

Sire  Deu,  qi  t'  onfende,         de  aver  grand  paor, 
S'  el  li  remenbra         del  fogo  e  del  calor, 
Qe  la  scritura  dis         e  li  nostri  antecesor 

Qe  èn  en  inferno         en  la  grand  tenebrori  8 

Quili  qe  è  là  dentro,         molt  à  malvas  segnor. 
Là  no  se  trovarà         nul  bon  albergaor, 
Leto  ni  banca         qe  sia  da  onor, 

Vairi  ni  armelin,         coltra  ne  cuvertor;  i 

No  à  desduto         de  sparver  ni  d'  aostor, 
Né  no  se  cerne         qual  sia  lo  pecor. 
Tuti  son  pieni         d'ira  e  de  furor 

Et  è  plui  nigri         de  corvi  ni  d' avoltor.  16 

E  en  r  inferno         è  un  albro  major, 
Q' è  major  de  negun         e' omo  vedhes  ancor; 
Né  carnai  no  porta         nigun  fruito  ni  fior; 

La  foja  e  lo  fusto         tronca  comò  rasor.  20 

O  voja  o  no  voja,         su  monta  1  peccator, 
E  co  de  su  trabuca,         quand'é  plui  en  altor, 
E  cace  en  un  fogo         q'  è  de  sì  grand  calor, 
Qe  cent  agni  li  par         anci  qe  sia  1  fredor.  24 

"  Deu,  miserere  „  clama  cascun  de  lor, 

"  Mo  no  me  pò  valer         parente  ni  uxor. 
Né  fijolo  né  fija,         fradhelo  ni  seror. 

Né  castelo  né  roca,         grand  palasio  né  tor  „.  38 

Domenedeu  propicio,  qe  de  tuti  es  major, 
Del  mondo  salvatore,  a  cui  preg  et  ador, 
Tu  me  defende         de  le  pene  'nfernor, 

Q'  eu  mai  no  senta        de  quel  lìer  dolor.  32 

Signor  Deu,  qi  te  serve,        de  aver  grand  baudor, 
-  E  qi  te  portata         bona  fé  et  amor; 


SEC.  XIII.  //  libro  di  Uguccione  da  Lodi. 


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40 


Qe  tu  r  albergaras         pur  en  rose  et  en  flor 

En  paradiso,         o  è  tanto  splandor, 

Qe  sol  né  luna         no  g'  averà  valor. 

E  sicom  eu  co  credo         senca  ogno  tenor, 

Qe  tuto  questo  è  vero,         Deu,  magno  redentor, 

Pur  q'  el  te  plaqua,         altissemo  signor. 

Tu  me  perdona,         e' asai  son  peccator  — 


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Avarìcia  en  sto  segolo 
Tradiment  et  engano, 
Camai  no  io  la  cente 
Qe  de  l'ovra  de  Deu 
Del  magno  re  de  gloria 
Quel  per  cui  se  mantien 
Ben  savi  qe  ve  dise 
Tuti  semo  formadhì 


abunda  e  desmesura, 
avolteri  e  socura. 
sì  falsa  ni  spercura; 
unca  no  mete  cura, 
qe  sta  sopra  1'  altura, 
og^nunca  creatura, 
la  divina  scritura  : 
a  la  soa  figura; 


Mai  quel  tegn'  eu  per  fole         qe  tropo  s'  asegura, 
Ni  d'  ensir  dig  pecadhi         ca  no  voi  aver  cura. 
Mo  si  son  percevù,         poqi  è  qig  qe  la  «dura; 
Lo  plusor  de  la  cente         voi  autra  caosa  dura. 
Qi  pò  aver  dinari         de  livrar  ad  usura, 
E  conprar  de  la  terra,         canpi,  vigna  e  closura, 

d'  aver  bona  coltura, 
riqa  semenadhura  „. 
no  r  à  veder  madura. 
de  la  scarsa  mesura, 
a  far  la  sepoltura! 
la  fera  guardaura. 


Deu,  comò  se  percaca 
E  dis:  "  aguan  farai 
Mai  tal  r  à  semenar 
Mo  s'  el  se  recordasse 
Como  ven  con  la  cana 
Quando  è  reversaa 


La  soperbia  e  1  regojo         e'  avea  oltra  mesura, 
•  Molt  tost  è  getaa         entro  la  terra  dura. 


Lo  torsel  è  malvasio 
La  mujer  e  i  parenti 
Tal  je  mena  gran  dol 
S'  el  lo  pò  abandonar, 
E  r  anema  dolentre 
Entro  r  infern  ardente. 


et  à  rea  voltura, 
de  grand  ver  tu  lo  plura, 
en  la  soa  portadura, 
asai  poco  n'  à  cura, 
à  pres  rea  pastura 

en  quela  grand  calura. 
Là  no  se  trovarà         bela  cavalcadhura, 
Destrier  né  palafren         cum  soaf  anblandura. 
Né  norbia  vestimenta         né  rica  flibadhura, 
Palasio  ni  tor         ni  negun'  armadhura. 
Mai  ben  devria  la  cente         aver  molt  grand  paura 
De  la  mort  crudhel,         negra,  pessima  e  scura; 
Qe  re  ni  enperador         encontra  lei  no  dura. 
Né  principe  ni  dus         qe  sia  d'  alta  natura. 


112  //  libro  di  Uguccione  da  Ij)di.  sec.  xni. 


L'  apostolico  de  Roma         non  à  quela  ventura. 

Ca  no  lo  defendrà         né  sorte  né  agura, 

Né  la  cristianitad         e'  à  tuta  en  soa  rancura.  80 

Mai  qig  sera  biadhi         e'  à  vivre  con  mesura .... 

No  me  besogna  dir         de  quig  mal  aguradhi 
Q'  ili  no  voi  veder         quig  q'  é  desasiadhi, 

Nisun  pover  de  Deu         n'  avogol  né  sidradhi  ;  84 

Mai  grassi  palafreni         e  destrier  secornadhi, 
De  belle  vestimente         spesso  esser  mudhadhi, 
Aostor  ao  sparaveri         voi  e  falcon  mudhadhi, 
E  bon  osbergi  blanqi         et  elmi  afaitadhi,  •  SS 

Palasi  e  bitefredhi         e  tor  enbatajadhe, 
E  mangani  e  preere         per  scremir  le  contradhe, 
Alcir  r  un  omo  1'  autro         e  de  lane'  e  de  spadhe, 
De  quareig,  de  balesti         e  de  seite  'npenadhe.  92 

Quelo  se  tien  plui  alto         qe  pò  far  plui  maltade 
E  r  autrui  terra  tor,         le  canpagn'  e  le  pradhe, 
li  busci  e  le  masone,         le  closure  seradhe. 

Mai  d' una  cosa  fai         1'  omo  grande  derradhe,  96 

De  sacrament,  qe  molt         era  ca  redotadhe; 
Mai  lo  plui  de  la  cente         1'  à  en  befe  cetadhe. 
Qe  tanto  je  plase         le  calde  peveradhe, 

Bele  lonce  rostie,        fugacine  rassadhe,  100 

E  fasani  e  pernise         et  altre  dignitadhe. 
Forte  vin  e  posone        e  galine  faitadhe, 
Delenquid  a  Jesu,         la  vera  majestade 

Domenedeu  propicio,         molto  t' ài  onfenduo,  104 

Tropo  son  stato         q'  eu  no  t'  ài  cognosuo. 
Enfin  qu'  eu  puti         portar  lanca  ni  scuo, 
Enfin  a  tanto         q'  eu  son  veglo  canuo, 

Encontra  ti         senpre  ài  conbatuo.  108. 

Per  toa  bontad         or  son  recognosuo 
Qe  raegava         sì  com  omo  perduo. 
A  toa  marce,         segnor,  eu  son  renduo, 

De  mi  albe  'ndulgencia,         qe  a  ti  son  vegnuo.  iia 

Se  tu  fai  tanto         q'  eu  sea  recevuo, 
Enfin  q'  eu  viva,         mai  no  serò  vencuo. 
Del  to  servisio        stanco  ni  recreuo. 

Mai  d'una  cossa        me  son  percevuo:  ii5 

Ben  sai  q'  eu  vigni         en  questo  mondo  nuo. 
Mai  no  gè  son         tropo  ben  darecuo; 
Mai  a  la  fine         si  firò  car  tegnuo, 
En  un  celicio        firà  1  corpo  metuo  120 


SEC.    XIII. 


//  libro  di   Uguccìone  da  Lodi. 


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Tuto  1  plui  vii         qe  gè  firà  venduo, 

E  quel  medessemo         sera  asai  perduo. 

Que  unca  voja,         del  corpo  se'  avegnuo, 

Lo  spirito  meo         vojo  qe  sea  renduo, 

Si  sera  elo,         s'  el  me  fi  atenduo 

Lo  rico  don         qe  m'  è  enprometuo, 

K'  entro  1  Guagnelio         asai  1'  ò  entenduo. 

S'  eu  fui  sì  fole         q'  eu  no  fu  avecuo 

Q'  en  li  peccati         son  longamen  casuo, 

Da  q'  eu  me  repento         de  co  qe  m'  è  avegnuo, 

En  la  toa  corte         do  esser  recevuo, 

Dig  mei  peccadhi         deslavad  e  solvuo. 


Ben  sai  eu,  Deu, 
Qe  eu  né  altri 
Enfin  q'  eu  fui 
Fin  questo  dì 


Marce  te  clamo,         veras  Deu,  en  plorante, 
Qe  la  toa  ira         no  me  sea  davanto. 

q'  eu  t'  ài  onfendù  tanto, 
no  savria  dir  quanto; 
covencel  et  enfanto 
q'  eu  son  vejo  e  ferranto, 
Encontro  ti         von  senpre  conbatando. 
Mai  stu  no  fussi         cossi  soaf  e  blando. 
No  creria         qe  Paul  fos  vegnù  santo. 
Mai  eu  era  sì  fole,         quand  avea  cento  1  brando, 
K'  eu  me  tegnia  mejo         de  lo  conte  Rolando. 
Mai  entro  li  peccati         eu  ài  demorad  tanto 
Qe  sovence  fiadhe         n'  ài  sospirad  e  pianto. 
Mo  è  vegnù  tal  tenpo         q' eu  son  recreto  e  stanco. 


Amici  mei,  que  fai  vuì, 

14S    Qe  no  servì  pur  a  quelui 
Da  cui  vien  tute  le  bontate. 
La  terra  e  1  ciel  à  en  poestate, 
Ke  sofrì  dol  e  tormento 

152    Per  noi  condur  a  salvamento 
Per  la  soa  sainta  volontate, 
E  per  la  nostra  necessitate 
Sostene  fiera  passione 

156    E  grande  tribulacione  ? 

Ca  fo  el  per  nui  marturiado, 
Preso  e  batuo  e  lapidado, 
E  sì  fo  despujato  nuo, 

160   De  piere  e  de  baston  batuo, 
Sus  en  la  erose  fo  clavelato, 
Per  noi  forte  marturiato. 
Claudà  li  fo  le  man  e  li  pei 

164    Da  quili  pessimi  cudei; 


De  spine  ague  molto  poncente 
L'  encoronà  la  mala  cente, 
Poi  lo  ferì  dal  destro  lato 
D'una  lanca  per  lo  costato. 
Sì  q'  el  n'  ensì  sangue  et  aigua 
Per  quela  santissema  plaga. 
Per  quel  sangue  preciosissimo 
Avrem  nui  lo  regno  santissimo. 
Se  nui  farem  lo  so  plaser 
E  co  q'  el  ne  comanda  crer. 
Enlora  pars   com  el  n'  ama, 
Quand  el  tanto  s'  omilià 
Q'  el  se  lassa  per  noi  morir  ; 
Q'  el  ne  vols  salvar  e  guarir 
Da  quele  penne  crudelissime, 
iSo    Q'  è  tanto  pessim'  è  fortisseme, 
Qe  boca  no  1  poria  parlar, 
Né  regie  audir  né  cor  pensar. 


16S 


172 


176 


114 


//  libro  di   Uguccione  da  Lodi. 


SEC.    XIII. 


Q'  elo  no  volse  metre  guace 
Mai  si  medesemo  per  ostaco,      184 
Per  noi  condur  a  guarison 
De  cruelissema  preson. 
Mai  si  è  ben  qe  nui  pensemo 
Qual  gueerdon  nui  li  rendemo.    188 
Se  nui  avem  en  lui  temor, 
Bona  speranca,  te  et  amor, 
Se  nui  farem  co  q'  el  n'  à  dito, 
A  nui  no  sera  contradito  192 

Lo  so  regno  a  poseder. 
Biadi  quili  qe  1  de  gauder! 
Qe  1  Guagaelio  lo  dis  e  li  profeti 
E  li  desipuli  de  Deu  eleti,  196 

Qe  nui  aibam  umilitate, 
Pas  et  amor  e  caritate; 
Qe  Deu  no  volse  mai  descordia. 
Anco  ama  pas  e  concordia,        200 
Sì  comò  dis  lo  devin 
Ambros,  Gregor  et  Agustin. 
Messer  sant  Paulo  ben  afigura 
En  la  santissima  scritura  204 

Quelor  qe  sta  en  paciencia; 
Ben  à  verasia  penetencia. 
Mai  poqi  sunt  quig  qe  se  covra 
De  caritat  e  de  bon  ovra:  208 

E  tal  cuita  esser  al  coverto 
Q'  è  cento  mija  en  lo  deserto .... 
Ben  posso  dir  senca  bausia 
Qe  poqi  tien  per  quela  via....    212 
Se  1  corpo  à  ben  quel  qe  li  placa. 
No  li  cai  de  l' anema  com  eia  fa- 
Mai  ella  non  à  forca  niguna  [ca  ; 
Centra  la  gola  q'  è  enportuna.    216 
La  gola  è  molt  rea  vesina, 
No  i  cai  de  quela  meesina 
Qe  r  anema  voi  per  guarir, 
Qe  grand  paur'  à  de  morir.        220 
E  quela  malaeta  gola 
Com  volontiera  se  trova  sola! 
Quando  à  ben  co  q'  eia  vole, 
Nojecalde  l'anema,  s'elasedo-    224 
Enfin  qe  1  desco  sera  coverto,  [le. 


No  voi  qe  l'uso  stea  averto  ; 

E  s'  el  ne  vien  nigun  qe  clama, 

La  gola  n'  è  dolentr'  e  grama;    228 

Né  no  je  cai  de  conpagnia; 

Qi  voi,  si  vaa  per  la  via. 

Mai  quando  1  corpo  è  ben  pas- 

Et  avrà  feramen  bevuto,      [suo    232 

Con  grand  regojo  vien  a  la  placa 

Con  lo  scirupo  e  con  la  maza. 

S'  el  è  nesun  qe  voja  dir 

Se  no  quant  elo  voi  audir,  236 

Con  grand  soperbia  je  responde, 

Alò  1  manaca  de  1  confondre. 

Per  molto  picola  rason 

Li  moverà  fiera  tencon,  240 

Viacamentre  gè  comenca 

Per  grand  folla  una  mescienca... 

E  se  r  anema  voi  cunar. 

La  gola  no  jel  lassa  far.  244 

E  lo  nostro  premier  parente 

Fo  enganato  dal  serpente 

Per  la  gola  tut  en  primier 

E  per  consejo  de  la  mujer.  24S 

Per  consejo  d'  Eva  pecca 

E  per  lo  pomo  q'  el  manca. 

No  atendé  1  comandamento, 

Et  el  n'  ave  grieve  tormento.      252 

Alò  q'  el  fo  en  lo  peccato, 

Se  vete  nuo  e  despujato. 

Mo  quando  Eva  fo  percevua 

Q'  el'  era  descoverta  e  nua,        256 

No  sai  se  Adam  gè  n'ave  sogna, 

Mai  Eva  pur  n'  ave  vergoigna  ; 

De  sengle  foje  se  cuverse. 

Mai  non  a  guisa  de  converse.    260 

Mo  sì  ne  stete  longamentre; 

Qe  Deu  je  tramis  vestimente. 

E  quando  entranbi  fo  vestiti, 

Molto  se  tene  per  guariti.  264 

Mai  molto  poco  demorà 

Qe  r  uno  e  1'  autro  fora  andà. 

Del  paradis  deliciaro 

Ensì  entranbi  a  man  a  mano.     268 


219.  per]  ms.  pur 


SEC.  XIII.  Poemetto  didattico.  115 


A  grand  onta  fo  fora  spentì,  Mai  tosto  je  fo  aprestadhi 

No  damandai  s'ig  fo  dolentri.  276    Dui  grand  saponi  enmanegadi, 

E  quand  ig  f o  en  la  canpagna,  E  sì  g  disse  1  nostro  segnore  : 

272    L' un  centra  r  antro  molto  se  "  Mo  vivré  vui  con  grand  sudore. 

[lagna  ;  Con  questi  mover!  la  tera  ; 

Q'ig  no  saveva  lao  ig  s'andase,  280    No  v'è  mistier  nuj'altraguerra„. 
E  no  trovava  qi  g' albergasse. 


48.      POEMETTO  DIDATTICO. 

Cod.    Vat.  4476,  dei  sec.  XIII  ;  K.  Bartsck  e  A  Mussafiay 
Rivista   di  filologia   romanza,  II,  43. 

OoNPANGNO  Guliemo,  tu  me  servisi  tropo 
e  no  me  lo  citar  possa  adosso  ; 
mandote  saluto  quanto  e'  posso; 
4  deo  te  faca  a  bon  porto  arivar. 

Ké  veco  e  recevo  co  ke  te  mando  in  scrito  ; 
che  no  fastidiare  lo  meo  dicto, 
pregote  ke  tu  1  debie  governare. 
8  Questo  te  consego  de  schivare, 

ke  multi  n'  à  fato  desviare  : 
lo  zogo  de  la  buschaca  aloe  emprumero. 
E  l'antro  eser  tropo  bevatore, 
12  qu'  el  conduce  l'omo  tosto  a  desenore 

e  faglo  de  grant  presio  desmontare. 

E  brigar  e  usar  co  le  puitane  è  mortai  pecca; 
r  anima  e  1  corpo  sì  n'  è  forto  damnà  ; 
i6  ki  r  à  per  usanza  ben  de  andar  a  mendigar. 

Ki  requere  he  vole  co  ke  te  digo, 
no  pò  stare  ke  no  fia  mendico; 
intel  paradiso' no  porà  intrare. 
2o  Se  tu  vo  star  al  mondo  cortesament, 

e  vo  eser  ama  da  tu  cente, 
be  guarda  quan  tu  pò  de  valinar. 

Se  per  ventura  tu  no  à  melle  in  bota, 
24  fa  sì  che  tu  n' abie  in  la  tua  boca; 

parola  dolca  gran  pax  fas  fare. 

En  omo  ke  sia  mal  parlere  d'altrù, 
no  te  voler  aconpagnare  con  lu: 
28  tosto  avistù  le  so  mende  inparare. 

Se  tu  stare  con  bona  brigata. 


1 1 6  Poemetto  didattico.  sec.  xiii. 


seguramente  poré  andare  per  strata: 
ja  l'autrù  mal  se  pò  l'om  castigare. 

Qu'  è  venduto  ki  prende  rea  conpagna,  32 

multa  fiata  per  co  tes  lo  bregangna, 
la  fam  fa  l'omo  tristo  e  tosto  perigolare. 

Quel  omo  fo  nato  in  bon  segno 
ke  prenderà  dal  savio  consego  36 

e  savrà  altrù  ben  consegare. 

E  quel  fu  nato  in  rea  ventura 
ke  briga  a  sto  mundo  in  tal  mesura, 
ke  tutti  so  vesini  se  fas  blasemare.  40 

Né  no  andar  de  nocto  per  la  tera; 
si  no,  te  trare  adosso  l'autrù  guera; 
quel  ke  leva  tosto  se  pò  incargare. 

Per  si  sagata  tosto  ke  non  è  bon,  44 

ni  no  se  lava  tosto  con  fa  1  savon: 
per  molte  colse  se  pò  l'omo  vastare. 

Si,  com  l'omo  ke  spende  più  k' el  no  gaagna, 
no  volere  intrare  in  sua  conpagna,  48 

tosto  te  farafo  venire  a  mendigare. 

E  quel  ke  spende  lo  so  e  no  sa  com, 
no  ne  serve  a  deo  ni  a  mo: 
primament  pensa  quando  de'  spensar,  52 

E  donar  quando  vo  alegrament; 
se  tu  1  vo  dare,  fai  cortesament: 
per  bele  semblance  se  fa  l'omo  amar. 

Quel  servixio  no  vara  nient  56 

ki  fi  fato  a  l'omo  desconosent, 
a  cui  tu  servi  no  gè  l'imputare. 

Un  servisio  è  ke  li  a ri 

ki  servo  a  deo  sanza  di 60 

segurament  porà  albergare. 

Se  tu  fi  convitato  a  mensa, 
de  poco  favelare  te  sia  am ....       , 
là  u  te  fi  dicto,  tu  te  de  asentar.  64 

S' el  t'  è  dato  a  mangar  con  al . . . 
ke  sia  maor  die  ti  o  menor  de ... , 
tosto  te  costuma  de  tagar  a  be . . . . 

Tan  ke  tu  mange  no  levar  lo  n...  68 

né  no  te  purgare  lo  naso  sanza . . . 
.  poi  a  due  man  lo  napo  dì  levare. 

Bever  un  poco  u  quant  t'  è  necesso, 
e  pò  lo  mete  al  compagno  sì  presso,  73 

k'  el  posa  b  e  vere  sanza  invitare. 


SEC.  XIII.  Lettera  senese  del  12^ j.  .  117 

E  de  mandegar  tant  fi  ke  te  basto; 
non  è  bon  prender  trop  gran  pasto; 
76  ki  r  à  per  uso  ben  de  mendìgar. 

De  povertà  pò  scanpar  l'omo  che  1' à, 
de  felonia  ciscù  ke  l'afiarà; 
bià  quelù  ke  se  n'  à  gurdar. 
80  Quel  ke  se  fatiga  ben  indarno 

ki  in  roto  vaselo  fa  governaro; 
in  omo  vano  no  te  parentar. 

Grande  pene  conven  sofrir  quelù 
84  ,  a  ki  besogna  de  pregar  altrù: 

è  quela  cousa  dura  da  provar. 

Ancora  n'  è  un'  altra  k'  è  magor  : 
l'omo  quand  el  prega  so  pecor; 

SS  quel  k' a  la  doga far. 

A  star  in  altra  forca  è  gran  doUore; 
quel  ke  la  prova,  lo  sent  al  core. 


49.      LETTERA  SENESE  DEL  1253. 

Siena,  R.  Archivio  di  Sia  io  ^  C.  Paoli  ed  E.  Piccoìomivi,  Lettere  volgari  del 
sec.  XIII,  Bologna,  Romagnoli,  1872.  La  data  della  lettera  fu  determinata  dagli 
editori  fra  il  20  settembre  e  il  2  ottobre  12^3. 

A    DOMINO    RUGIERI    DA    BANGNUOLO, 
CAPITANO    DEL  POPOLO  DI  SIENA. 

LJoMiNO  Rugeri  de  Bangnolo,  per  la  grazia  di  Dio  e  di  domino 
re  Currado,  capitano  di  popolo  di  Siena  e  del  comune,  Tuto  Arigo 
Acatapane  vi  si  manda  racomandando.       contio  sia  a  voi  che  Ge- 

4  Tardone  e  Angnelone  di  Spoleto  che  vi  recha  chesta  letera,  io  di 
loro  vi  foa  molte  grazie  di  molto  onore  e  di  molto  servizio,  il  quale 
elli  m'à  fato,  per  avere  i  cavajeri  di  Spoleto  e  de  la  contrada,  che 
vengono  al  nostro  servizio.      sapiate  eh'  ellino  sì  vi  s' adoperaro  in  ciò 

8  eh' ellino  poterò  di  buono,  perché  noi  li  avesimo:  inperò  vo  mando 
pregando  che  vo  s'i  rigraziate,  se  voi  piace. 

Contio  si  a  voi   che  i  cavajeri  che  vengono  di  Spuleto,  sì  sono 
pagati  primo  mese.       dei  quali  anno  nome  sere   André  e  Radicone 

12  sojo  filio,  e  Politio  di  Palmiere,  e  Tristaneto,  e  Tomassone  di  ^mo,  e 
Giovaneto  di  sere  Andrea,  e  Tomasone  di  sere  Andrea,  e  Simoneto 
di  sere  Andrea,  e  Francescone  di  Palmiere.  tuti  chesti  sì  ano  due 
cavalli  ;  però  ellino  deono  venire  con  buoni  cavalli  e  bene  armati,  sì 

16  che  voi  deono  piacere.  le  carte  dei  pati  io  no  vi  poso  mandare, 
perché  no  sono  anco  fate. 


118  Liber  ystoriartun  Romanorum.  sec.  xm. 

Anco  sapiate,  che  vi  viene  cho  Uoro  uno  fante  con  uno  cavallo, 
che  non  è  pagato  ;  e  dise  che  aveva  bono  cavallo  ed  era  bene  armato  ; 
perrò  sì  riceverete,  se  voi  piacerà;  et  à  nome  Giovaneto. 


50.  LIBER  YSTORIARIUM  ROMANORUM, 

STORIE  DE  TROJA  ET  DE  ROMA. 

È  questa  la  più  vecchia  compilazione  di  storia  antica  che  possieda  la  Ttostra  lettera- 
tura. Dapprima  scritta  in  latino,  forse  da  un  maestro  del  dodicesimo  secolo,  fu  nel  secolo 
successivo  volgarizzata  in  romanesco  e  dovette  per  qualche  tempo  godere  di  una  certa 
popolarità,  specie  in  Toscana,  dove  ne  furon  fatte  più  copie  e  diede  materia  a  tutta  una 
parte  dei  Conti  di  antichi  cavalieri,  che  di  qui  derivarono  le  loro  narrazioni  di 
storia  romana,  mentre  se  ne  traeva  profitto  anche  per  qualche  altra  opera.  Uopera  con- 
siste in  una  magra  cucitura  di  brani  d^  Isidoro,  di  Darete,  di  Orosio,  di  Solino ,  cV  Eu- 
tropio, di  Paolo  diacono  e  di  qualche  mitografo ,'  è  rozzissima  e  presto  andò  dimenticata, 
quando  cominciarono  a  circolare  la  Storia  troj'ana  di  Guido  della  Colonna,  i  Fatti 
dei  Romani  tradotti  dal  francese  e  la  Cronaca  di  Martin  Polono.  La  data  del 
volgarizzamento  par  sia  da  circoscriversi  7tegli  anni  in  cui  fu  senatore  di  Roma  Branca- 
leone  degli  Andato  (/2j2-j8)  ;  in  fatto  tra  le  pitture  die  adornano  uno  dei  mss.  di  esso, 
due  rappresentano  i  due  lati  delP  unica  moneta  senatoriale  fatta  coniare  da  Brancaleone, 
e  altre  due  riproducono  due  affreschi  dipinti  nelP oratorio  dei.  monastero  dei  Santi  Quat- 
tro, al  Celio,  in  quelli  anni  medesimi.  Gli  estratti  seguenti  son  dati  secondo  i  due  mss. 
più  antichi,  uno  esistente  nella  Laurenziana  dt  Firenze,  Gadd.  rei.  14.8  (L),  V  altro  nella 
biblioteca  civica  di  Amburgo  (A) ,  ambedue  del  sec.  X^III.  Sotto  le  due  colonne  del 
testo  volgare  si  aggiungono  i  passi  corrispondenti  del  testo  latino,  tratto  dal  cod.  Lauren- 
ziano-Strozz.  8j  (S). 

L  A 

La  terza  etate  se  commenza  .La  terca  etate  sì  sse  comen- 
da  Abraham.  Abraham  fece  Isa-  sa  da  Abraam.  Abraam  genuit 
ac,  et  Hismael  de  Agar,  anelila  Ysaac,  et  Ismael  genuit  de  Agar, 
egyptia.  Ysaac  fece  Jacob,  de  anelila  de  egiptia.  Ysaac  genuit 
Jacob  descese  primo  lo  regno  de  Jacob,  de  Jacob  descese  lo  re- 
li  Greci.  Jacob  fece  Joseph,  et  gno  de  li  Greci.  Jacob  genuit  Jo- 
Joseph  co  li  soi  annaro  in  Egy-  seph,  Joseph  co  li  soi  andaro  in 
pto.  et  li  filli  de  Jsrahel  per-  Eypto.  e  li  filli  de  Istrael  per- 
manzero  . ecce. XXX .  anni  in  Egy-  manero  .ecce.xxx.  anni  in  Egi- 
pto.  in  quello  tempo  fo  Foro-  pto.  in  quello  tempo  fo  Foro- 
neus,  uno  sapio  homo  de  Grecia,  neus,  uno  sapio  homo  de  Grecia, 


De  tertia  etate.  tertia  etas  incipit.  Ilabraam  genuit  Ysaac,  et  Ih-smael 
de  Agar,  ancilla  egiptia.  Ysaac  genuit  lacob.  regnum  Grecorum  incipit.  Jacob 
vero  genuit  Joseph,  et  cum  suis  ingressus  est  Egiptum.       eo  tempore  Foroneus  leges 


SEC.  xiir. 


Liber  ystoriarmn  Romanorimi. 


119 


i6 


24 


28 


32 


36 


40 


et  intanno  deo  la  lege  ad  li  Gre- 
ci, post  Foroneus  fo  Cecrobs 
rege  de  Grecia,  et  in  quello  tempo 
fece  Athenas.  lo  quale  primo 
sacrifìcao  co  le  interiora  de  lo 
bove,  et  jettaole  in  mare  ad  ho- 
nore  de  dio  Neptunus.  lo  quale 
Cycrobs  dicto  fo  homo  et  ca- 
vallo, imperzò  ke  fece  prima  men- 
te cavalieri.  in  quello  tempo 
fo  uno  gigante  ke  avea  nome 
Ysion,  lo  quale  occise  quelli  .e. 
cavalieri  ke  fece  Cycrobs.  et 
Cycrobs  da  lo  numero  et  da  la 
custumanza  de  .  e.  cavalieri,  dicto 
fo  Nocentaurus. 

De  li  parenti  de  Priamo. 

Etlas  trovao  la  astronomia,  et 
fece  Jasium.  Jasjum  fece  Dar- 
danum  et  un  altro  ne  le  contra- 
de de  Spannia.  Dardanum  oc- 
cise lo  fratre  et  fugio  in  Ytalia. 
in  quello  tempo  Ytalia  avea  no- 
me Cenotria;  se  per  longo  tempo 
da  Abitalo  rege  vocata  ene  Yta- 
lia. Dardanum  in  Ytalia  fece 
Arsanicum  et  un  altro  filio,  et 
Arsanicum  occise  lo  fratre  et  fu- 
gio  in  insula  Crete,  de  li  Gre- 
ci. Arsanicum  in  Creta  insula 
fece  Teucum,    Teucus  fece  Eri- 


et  deo  la  lege  a  ttucti  li  Gre- 
ci, poi  Foroneus  fo  Cedrobs  re- 
ge de  Grecia,  et  in  quello  tempo 
fece  Athanas.  lo  quale  primo 
sagrificao  co  le  enteriora  de  lo 
bove,  etjectaole  in  mare  ad  ho- 
nore  de  dio  Neptunus.  lo  quale 
Cycrobs  dicto  fo  homo  et  ca- 
vallo, enpercò  ke  trovao  prima 
mente  cavalieri,  in  quello  tem- 
po uno  gigante  ke  abe  nome 
Ysyon,  lo  quale  primo  occise 
.e.  cavalieri  ke  fece  Cecrobs. 
da  lonumero  et  da  la  costumanca 
de  .e.  cavaleri,  fo  dicto  Nocen- 
tarius. 

Atlas  trovao  la  strologia,  et 
genuit  Jasium.  Jasium  genuit 
Dardaneum  et  un  altro  ne  le  con- 
trade de  Spangia.  Dardanum 
occise  lo  frate,  fugio  in  Ytalia. 
in  quello  tempo  Ytalia  avea  nome 
Cenotria;  se  per  longo  tempo  da 
Abitalo  rege  vocata  ene  in  Yta- 
lia. Dardanium  in  Ytalia  ge- 
nuit Arsanicum  et  un  altro  filio, 
et  Arsenicum  occise  lo  frate  et  fu- 
gio in  Creti,  insula  Tecum. 

Teucus  genuit 


dedit  Grecie.  steterunt  autem  filii.  Israel  in  Egipto  quadringentìs  .xxx.  annis  post 
Foroneum  Cecrobs,  rex  Grecorum,  Athenas  condidit,  primus  qui  intestina  boum  pro- 
jecit  in  mare,  tanquam  licteras  ad  honorem  Neptuni.  qui  Cicrobs  dictus  est  eqiius 
et  homo,  quia  in  primis  miles  extitit:  propterea  centaurus  describitur.  et  dicuntur 
centauri,  quia  centum  armati;  eo  quod  Ysion,  qui  primus  equites  invenìt,  centum  ar- 
matos  instruxit.       a  numero  et  habitu  Centauros  appellavit. 

Tlas  invenit  astrologiam.  qui  genuit  Jasium.  Jasius  Dardanum  et  quendam 
alium  in  extremis  finibus  Hyspanie,  Dardanus  vero ,  interempto  fratre ,  aftugit  in 
Ytaliam,  que  tunc  temporìs  dicebatur  Cenotria;  set  longo  tempore  post  ab  Italo  rege 
dieta  est  Ytalia.  Dardanus  vero  in  Italiam  genuit  Asanicum  et  quendam  alium.  set 
Asanicus,  interempto  fratre,  fugit  in  Cretam  insulam  Grecorum.       qui   genuit   Teu- 


120 


Liber  ystoriarttm  Romanorum. 


SEC.    XIII. 


ctonìum.  Erictonius  prima  men- 
te trovao  et  fece  lo  carro,  et 
sedenno  suso  ne  lo  garo  tenea 
li  pedi  sotto  nascosi,  et  vole  ho- 
mo dicere  ka  avea  li  pedi  ser- 
pentini; et  per  molto  sapere  fo 
dicto  filio  de  dea  Paladis.  Eric- 
tonius fece  Ylum  et  Troem.  Ilus 
fece  Laumedoth.  Laumedot  fece 
una  citate,  la  quale  vocao  Ylum, 
da  lo  nome  de  lo  patre.  Laume- 
dot fece  Priaraum,  Ypsilum,  Jo- 
cundum  et  Ambi,  et  una  filia, 
Exiona,  et  Tyronum  fratre  suo. 

De  Jason  et  de  lo  pecorone, 
et   de   Laumedoth  lege    de    Troja. 

In  quello  tempo  in  Grecia  fo- 
ro doi  fratri,  Eson  et  Pelias.  Pe- 
lias  non  avea  filio  masculo,  ma 
presore  filie.  Eson  avea  filio, 
Jasone,  lo  quale  era  dicto  filio 
de  dea  Cereris,  et  avea  bona 
agura  ne  li  sementi  de  la  terra. 
Pelias  avenno  p  agura  de  Jasone 
suo  nepote,  ke  era  molto  sapio 
et  ardito,  sotrasselo  et  gioii  ad 
tradimento  komo  devesse  morire, 
et  dixe  :  "  filio  mio,  ne  l' isola  de 
Colcho  ene  una  ventura  de  uno 
pecorone,  ke  ao  la  lana  de  l'au- 


A 

Erictonium.  Erictonius  in  prima 
mente  trovao  lo  carro,  et  se- 
dendo suso  tenea  li  piedi  ne  lo 
carro  sotto  nascosti,  et  volea  ho- 
mo dicere  k'avea  li  pedi  serpen- 
tini; e  per  molto  sapere  era  dicto 
filio  de  dea  Palidis.  Erictonius 
genuit  Ylum  et  Troem.  Ilum  fe- 
ce Lamendone,  Laùmedont  fece 
una  citade,  la  quale  vocao  Ylum, 
per  lo  nome  de  lo  patre.  La- 
mendot  genuit  Priamum,  Ysilum, 
Jocundum,  Anibi,  et  una  soa  filia, 
Exiona,  et  Tironum  frate   suo. 


In  quello  tempo  in  Gretia  fuo- 
ro  doi  frati,  Exon  et  Pel3-as.  Pe- 
lyas  non  abe  filio  mascolo,  ma 
presore  femmine.  Exon  abe  uno 
filio,  Naasonem,  lo  quale  fo  di- 
cto filio  de  dea  Cereris,  et  abe 
bona  agura  ne  li  sementi  de  la 
terra.  Pellias  abendo  pagura  de 
Jasone  suo  nepote,  k'ello  era  mol- 
to sapio  et  ardito,  volselo  sotrare 
et  gioii  a  tradimento  comò  de- 
besse  morire,  e  disse  :  "  filio  mio, 
nella  insola  de  Ponto  ene  una 
ventura  de  uno  pecorone,  lo  qua- 


44 


48 


52 


56 


60 


6S 


cum;  Teticus  vero  Erictomum.  qui  Erictonius  primus  currum  invenit.  qui,  cum  se- 
dendo pedes  occultaret,  dictus  est  in  fabulis  serpentinos  pedes  habere;  et  prò  aslutia 
reputatus  filius  Pallidis.  Erictomus  vero  genuit  Ilum  et  Tironem.  Ilus  vero  ge- 
nuit Laumedontam.  Laumedonta  construxit  cìvitatem,  quam  a  nomine  patris  Ilum  ap- 
pellavit.  Laumedonta  vero  genuit  Priamum,  Isilum,  locundum,  Ambi,  et  filiam,  Exio- 
nam;  fratrem  etiam  dicitur  habuisse  Tironeum. 

De  Jasone  et  thosone  aureo.  eo  tempore  fuerunt  duo  fratres,  Eson  et  Pe- 
lias. Pelias  non  habuit  masculam  prolem,  set  filias  plurimas.  Eson  vero  habuit  filium 
Jasonem,  qui  dictus  est  filius  Cereris,  eo  quod  multo  habundavit  in  frugibus  terre- 
nis.  •  Pelias,  timens  ne  lason  nepos  ejus  sibi  regnum  auferret,  eo  quod  vir  probus  erat 
et  strenuuS,  ipsi  calide  persuasit,  ut  iret  in  Pontum  insulam  et  vellus  aureum  inde  au- 


24 


SEC.    XIII. 


Libei'  ystoriarum  Romanoriim. 


121 


72 


76 


80 


84 


ss 


92 


96 


L 

ro,  et  ene  facto  ad  honore  de  dio 
Jovis  ;  se  tu  me  l' aduci ,  io  te 
donno  la  mitade  de  lo  regno 
mio  „  ;  extimanno  ka  potea  mo- 
rire de  la  ventura  de  lo  pecoro- 
ne. Jason  incontenente  recipea 
la  ventura  de  lo  pecorone,  et 
fece  fare  una  granne  nave  per 
esso  et  per  li  compangi  soi,  et  me- 
nao  seco  molti  nobili  homini  de 
Grecia,  li  quali  foro  questi:  Er- 
cules,  Peleus,  Telamon,  Pilium, 
Nestore,  et  altri  assai  compangi. 
cum  Jason  adlitasse  ad  lo  porto  de 
Troja,  per  granne  tempestate  ke 
abe  ne  lo  mare,  fo  nuntiato  a  Lau- 
medonte  rege  de  Troja,  ka  era 
una  nave  venuta  ne  lo  porto  de 
Troja  da  Grecia.  et  Laumedot 
commannao  a  li  soi  et  dixe,  ke 
ne  la  cazassero,  et  de  tutto  loro 
tenimento.  ad  Jason  sape  trop- 
po rio  et  ad  li  compangi  soi,  et 
annaosenne  ad  Colchum  insula,  et 
avenno  lo  pecorono ,  retornao- 
senne  in  Grecia,  stajenno  in  Gre- 
cia Jason  et  Hercules  et  li  com- 
pangi loro,  racordaro  la  injuria 
ke  li  fece  fare  Laumendot  rege 
de  Troja,  et  per  tutti  li  granni 
de  Grecia  mannaro  lectere  et  si- 
gnificaoli  la  injuria  ke  li  fece  fare 
Laumendoth  rege  de  Troja.  et 
così  tutti  li  Greci  fecero  una  gran- 


A 

le  ao  lana  de  auro,  facto  ene 
ad  onore  de  dio  Jove;  se  tu  lo 
vai,  aduci,  io  te  donno  la  mi- 
tade de  lo  mio  regno  „  ;  estiman- 
do esso  ke  potea  morire  de  la 
ventura  de  lo  pecorone.  intan- 
do  Jason  recipeo  la  ventura  de  lo 
gire ,  fece  fare  una  grande  nave, 
e  menao  seco  molti  novili  homini 
de  Grecia ,  li  quali  f uoro  que- 
sti: Ercules,  Pelleus,  Telamon, 
Pilium,  Neston,  et  altri  compangi 
assai. 

quando  Jasone  allìtao  a  lo  porto 
de  Troja,  per  grande  tempestate 
de  lo  mare,  fo  nuntiato  a  Lla- 
mentot  rege  de  Troja,  ka  era 
una  nave  de  Grecia  ne  lo  por- 
to, e  lo  re  commandao  a  li  soi 
et  disse,  ke  fosse  cacata  de  tu- 
cto  loro  tenimento.  ad  Jason 
sappe  troppo  rio  et  a  li  soi  con- 
pangi,  et  andaosenne  a  l'isola 
de  Ponto,  et  avendo  lo  peco- 
rone, retornaosende  in  Grecia, 
allora  recordandose  Jason  co  li 
sopradecti  conpangi  la  injuria 
ke  li  fece  fare  Lamendont  re- 
ge, mandaro  lectere  per  tucti  li 
granni  homini  de  Grecia,  signi- 
ficandoli la  injuria  k'aveano  re- 
ciputa.  lutando  li  Greci  fece- 
ro una  grande  oste  et  gero  so- 
pre  Troja.       et    in    Grecia    las- 


2S 


32 


S 

ferret,  quod  erat  simulacrum  ad  honorem  Jovis,  ubi  revera  ostendebantur  mìracula; 
existimans  illum,  propter  ferocitatem  Scitarum,  periturum.  quod  si  faceret,  dicebat 
medietatem  sui  regni  sibi  daturum.  Jason  vero  statim  navim  hedificat  et  omnes  no- 
biles  Grecorum  secum  adducit:  Erculem,  Peleum,  Telamonem,  Pilium,  Nestora  et 
alios  quamplures.  cumque  Jason,  cum  essent  ad  litus  Trojani,  et  nuntiatum  est 
Laumedonti  regi  Pelagias  rates  ad  venisse;  eos  in  portu  recipi  non  permisit  et  a  suis 
finibus  turpiter  expulit.  illi  vero  indignantes  recesserunt,  et  post  reditum  de  Col- 
cho  insula,  habito  veliere,  cum  Hercules  domum  repeteret  quantas  injurias  Laume- 
don  ipsis  euntibus   intulisset,  per  omnes  nobiles  Grecorum  licteras  direxit,  et  congre- 


122 


Liber  ystoriarum  Romanontm. 


SEC.  xra. 


L 

ne  hoste  et  gìero  sopre  Troja. 
et  in  Grecia  lassare  questi  ca- 
pitami: Nestore  et  Pilo,  Castore 
et  Polluce.  et  komo  nuntiato 
forse  ad  Laumedoth  rege  de  Tro- 
ja ,  gessio  fore  de  Troja  con  gran- 
ne  multitudine  de  cavalieri,  et 
gioii  incontra  d'esso  ad  la  vatta- 
lia.  Hercules  et  Telamon  se 
pusero  de  reto  ad  uno  monte,  ke 
avea  nome  Sigeus. 

De  Laumedoth  et  de  li  Greci, 

Si  corno  Laumedoth  commat- 
tenno  ne  lo  porto  de  Troja,  Her- 
cules et  Telamon  co  li  soi  pu- 
sero in  terra  et  presero.  Troja, 
et  Laumedot  rege  de  Troja  fo 
sconfitto,  et  ne  la  fuga  fo  morto 
et  tre  soi  filii,  li  quali  foro  que- 
sti: Ipsilus,  Jocundus  et  Ambiter. 
et  Exiona  soa  filia  data  fo  ad 
Telamone  in  puttanajo,  ké  fo  lo 
primo  intratore  de  Troja.  lo 
quale  facto  fo  nuntiato  ad  Pria- 
mo, ke  era  in  Peonia  provìncia, 
ke  li  Greci  aveano  sconza  Troja , 
et  aveano  occisi  lo  patre  et  li 
fratri,  et  Exiona  soa  sorore  era 
data  in  puttanajo  ad  Telamone, 
onne  questo  odito,  ne  abe  gran  do- 
lore, et  incontenente  retornao  ad 
Troja  et  molto  miliore  la  fece  fa- 


saro  questi  capitami:  Nestore,  104 
Pilo,  Castore  et  Polluce.  e  co- 
mò nuntiato  fosse  a  Llaumentont 
rege  de  Troja,  gessio  fore  con 
grande  moltitudine  de  cavalieri,  loS 
et  gioii  encontra  ad  essi  a  la  va- 
ctalgia. 

Hercules  et  Telamon  se  am-    ii> 
missero  ad  uno  monte  de  reto  ke 
avea  nome  Figeus. 


E  la  dimane  pusero  in  terra, 
sicomo  Laumendot  commactesse 
ne  lo  porto  de  Troja,  Hercules  et 
Telamon  co  li  soi  dall'altra  parte 
dero  la  vactalgia  et  presero  Tro- 
ja, e  Lamendot  fo  sconfitto  et  ne 
la  fuga  fo  morto  con  .in.  soi  filii, 
li  quali  so  questi:  Ipsis,  Jocun- 
dus et  Ambiter.  et  Essiona  soa 
filia  data  fo  ad  Telamonem  in 
guidardone,  enpercò  ke  fo  primo 
entratore  in  Troja.  la  quale  co- 
sa fo  nuntiata  ad  Priamo,  ke  era 
in  Peonia  regione,  ke  li  Greci 
aveano  destructa  Troja,  et  lo  pa- 
tre et  li  frati  aveano  occisi,  et 
Syona  soa  sorore  era  data  in  puc- 
tanajo  ad  Telamon.  unde  odite 
queste  cose,  abe  grande  pagura 
et  dolore ,  et  in  quello  tempo  re- 


116 


124 


12S 


132 


S 

gato  exercitu,  Nestore  et  Polluce  et  Pilo  Nestore  in  custodia  domi  dimissis,  ipse  cum 
ceteris  ivit  in  Frigiam.  quod  cum  nuntiatum  esset  Laumedonti,  cum  multitudine 
militum  obvius  exivit.  Hercules  vero  et  Telamon  latuere  post  montem,  qui  mons  di- 
ctus  est  Figeus  ab  eorum  latatione;  nam  figere  dicitur  latere. 

De  prima  destructione  Troianorum.  et  cum  Laumedon  in  portu  pu- 
gnarci, Hercules  et  Telamon  invaserunt  opidum,  ad  quod  dimicadum  cum  Laumedon 
se  converteret,  mortuus  est  et  tres  ejus  filii:  Ipsilus,  Jocundus  et  Anbiter  ;  et  Exiona 
ejus  filia  data  est  in  premium  Telamoni,  quia  ipse  primus  urbem  est  ingressus.  quod 
cum   nuntiatum  esset  Priamo,  qui  erat  in  Peonia  regione,  Grecos  honustos   predam 


3& 


40 


SEC.    XIII. 


Llber  ystoriarum  Romanorum. 


123 


L 

re;  et  Ector  lassao  capitanio  in 
136  Peonia  provincia,  et  fece  fare 
uno  granne  palazo  per  stare  esso, 
et  f eceli  fare  .  vii .  porte  ;  le  qua- 
le foro  queste  :  Antenorida,  Darda- 
140  nia,  llia,  Scea,  Docea,  Timbria 
et  Trojana.  et  facta  la  citate, 
abe  Consilio  con  tutti  li  Trojani 
corno   potesse  ravere  la  soro,   et 

144  in  Grecia  mannao  Antenor,  ad 
sapere  et  ademannare  ad  li  Gre- 
ci la  soro,  et  de  la  injuria  ke  l'era 
facta.        et  Antenor   gio  in  Gre- 

145  eia,  et  tutti  li  nobili  homini  de 
Grecia  li  dissero  vergonia.  et 
Antenor  retornao  in  Troja  ad 
Priamo,  et  dixe  corno  ademannao 

152  de  la  soro,  et  de  le  paravole  in- 
juriose  ke  odio,  et  incontenente 
Priamus  adonao  tutti  li  filli,  li 
quali   foro  questi:    Ector,    Paris 

156  Helenus,  Deifebus  et  Troylus,  li 
quali  avea  de  Heccuba  soa  mo- 
lle, filia  de  Eriseo  rege;  et  tutti 
li  altri  soi  filli  ke  avea  de  soe  con- 

160  cove,  et  tutti  li  sapii  et  tutti  li 
granni  de  Troja.  co  li  quali 
abe  Consilio  se  devesse  commen- 
zare    guerra    co    li    Greci.        ma 

164  solo  Hector  dicea  ka  tante  sonno 
vitiamenta  et  le  tradimenta  de  li 


A 

tornaro  a  Troja  et  fecela  reedi- 
ficare molto  milgiore,  et  Ector  las- 
sao en  Peonia  nauti  de  tucti  ca- 
pitanio, et  in  Troja  ve  fece  fare 
uno  grande  palaco  per  stare  esso, 
et  f  eceli  fare  .  vii  .  porte  ;  le  quale 
so  queste  :  Atenorida ,  Dardania , 
Ylia,  Becea,  Docea,  Timbria  et 
Trojana.  da  poi  ke  la  citade 
fo  facta,  abe  Consilio  co  li  Tro- 
jani comò  potessi  reavere  la  so- 
ro, e  mandao  Attenore  in  Gre- 
cia a  ssapere  et  ademandare  a 
li  Greci  de  la  soro.  quando  At- 
tenor  gio,  tucti  li  Greci  li  di- 
ceano  vergonia.  et  Attenor  re- 
tornao in  Troja  a  Priamo,  et  dis- 
seli  corno  ademandao  a  li  Greci 
la  soro  et  comò  li  Greci  l'aveano 
dieta  vergonia.  e  Priamo  ade- 
mandao tucti  li  filli,  li  quali  so 
questi:  Ector,  Pari,  Deifebus  et 
Troylus,  li  quali  avea  de  Ecu- 
ba soa  molgie,  filia  de  Criseo  re- 
ge ;  et  tucti  l'altri  soi  filli  k'avea 
de  l'altre  soe  concubine,  ensem- 
bori  con  tucti  li  granni  de  Tro- 
ja. co  li  quali  abe,  Consilio  che 
devessi  comencare  guerra  co  li 
Greci.  solo  Ector  dicea:  "  io  sa- 
co  ka  tante  so  le  vecamenta  de  li 


S 

44  recessisse,  urbem  dìrutam,  patrem  fratres  occìsos,  et  sororem  ductam  captivam,  ni- 
mis  tulit  moleste.  domum  tandem  reversus  urbem  multo  priore  meliorem  costrunxit, 
regiam  domum  hedificavit,  quorum  hec  sunt  nomina:  Antenorida,  Dardania,  llia, 
Scea,  Dotia,  Timbria,  Trojana.  post  urbem  conditam  accepit  consilium,  qualiter  sal- 
tem  sororem  posset  recuperare,  et  Antenorem  misit  in  Grecia,  qui  sororem  posceret 
et  requireret  a  Grecis,  ut  de  illata  injuria  sibi  satisfacerent.  De  omnibus  filiis 
P riami  regis.  qui  Antenor,  cum  in  Greciam  devenisset,  ab  omnibus  nobilibus  Gre- 
corum  contumeliosa  verba  recepit.  domum  tandem  reversus,  que  audierat  Priamo  re- 
nuntiavit.  qui,  congregatis  filiis,  Ectore,  Alexandro,  Eleno ,  Deifebo ,  Troilo ,  quos 
ex  conjuge  Hecuba,  filia  Crisei  regis,  habuerat;  et  aliis  filiis,  quos  ex  concubinis  ge- 
neraverat,  et  omnibus  sapientibus  totius  Grecie,  majoribus  natu  precipue  ;  quorum 
omnium  utrum  bellum  Grecis  indicerent.       quod  omnibus  placuit,  preter  Ectorem,  qui 


124 


Liber  ystoriarum  Romanorum . 


SEC.    XIII. 


L 

Greci,  ke  li  Trojani  non  porraco 
resistere  centra  de  li  Greci.  An- 
tenor  se  deliberato  de  la  guerra. 
Pari  disse  ka  esso  era  lo  primo 
intratore  de  la  nave  a  gire  in  Gre- 
gia,  ad  tollere  preda;  et  disse  ka 
uno  die  se  già  cazanno  et  ador- 
miose,  et  in  sompno  l'aparse  deus 
Mercurius  et  disseli  ka  devea 
avere  molie  de  Grecia  .... 


A 

Greci,  ke  per  nullo  modo  li  Tro- 
jani no  li  saperaono  resistere  en- 
contra  li  Greci.  Antenon  se  del- 
liverao  de  guerra.  Pari  disse 
k'esso  era  primo  entratore  in  nave 
per  gire  et  tollereli  preda;  e  dis- 
se ka  uno  die  se  già  cacando  et 
adormiose,  et  in  sonno  li  apparse 
dio  Mercurio  e  disseli  ka  devea 
avere  molgie  de  Grecia  .... 


i68 


172 


De  Enea   et   Latino  et  Turno. 

Regnao  lo  rege  Priamo  quan- 
no  Dola  judex  regnao  in  Israel, 
infra  la  terza  etate.  et  poi  ke 
fo  destructa  Troja,  Eneas  con 
Ascanio  suo  filio,  lo  quale  avea 
de  Creusa  soa  molia,  poi  ke 
fo  occisa  Polixena,  co  la  gran 
moltitudine  de  li  homini  et  de 
li  navi  vennesenne  in  Ytalia,  et 
fo  receputo  honoratamente  da  La- 
tino, lo  quale  regnava  in  Ardi  a  ci- 

vitate.       et  Latino  la  filia   Lavinia  avea  data  ad  molge  ad  Turno, 
rege  de  Campania,  et  Latino  fo  preso  de  l'auro  e  de  l'argento  de  li    188 
Trojani,  da  capo  deo   Lavinia  soa  filia  ad  molie  ad  Enea.       donne 


Regnao  lo  re  Priamo  de  Tro-  176 
ja  quando  Dola  judex  regnava 
in  Israel,  infra  la  terca  etate.  e 
poi  destructa  Troja,  Eneas  con 
Ascanio  fìlio  suo,  de  Creusa  soa  iSo 
molgie,  poi  ke  ffo  occisa  Puli- 
sena  la  filia  de  Priamo,  co  la 
moltitudine  de  li  navi  et  de  li 
homini....  184 


S> 


solus  dicebat  astutiam  et  dolositatem  Grecorum  metuere  ;   quibus   vix   credebat   Tro-       56 
janos  pre  sollertìa  Grecis  posse  resistere.       Antenor  tamen  bellum  suadet,    ut   paulo 
ante  despectus  a  Grecis.       Visio  Parìdis.       Alexander  etiam  suasu  patris  promit- 
tk  se  cum  classe  intraturum.       retulit  enim,  cum  in  Ida  silva  quadam  die,    dum    ve- 
naretur,  in  sopnis  apparuit  Venus  sibi  promittens  etiam  conjugem  de  Grecia  sibi  fora       60 

venturam 

Regnavit  autem  Priamus  Troje  cum  Dola  judex  fuit  in  Israel,  infra  tertiam  eta- 
tem.  et  post  dirutam  Trojam,  Eneas  cum  Ascanio  suo  filio ,  et  uxore  sua  Creusa 
interfecta  filia  Priami ,  cum  multitudine  hominum  et  navium,  ut  diximus,  ad  capien-  6^ 
dum  premeditatas,  venit  Ytaliam,  ubi  a  Latino  receptus.  qui  Latinus  eo  tempore  Ar- 
dee  regnabat,  et  filiam  suam  Laviniam  Turno  regi  Rutilorum  sponsaverat  ;  captus  Lati- 
nus auro  et  argento  Trojanorum ,  iterum  Laviniam  Enee  dedit  in  conjugem,       unde 


184.  a  questo  punto  nel  ms.  A  manca  una  carta 


64.    ubi]    tHS.    ut 


SEC.  XIII.  Liber  ystorìarii/ii  Ronianoriom.  125 


L 

Turnus  rege  de  Campania,  et  Maxentìus  rege  de  Toscana,  et  molti 
altri  nobili  de  Ytalia  vennero  incontra  de  Latino  et  de  Enea,  con 
granne  hoste;  et  poi  ke  tre  anni  erano  passati  ke  Enea  era  venuto, 
192  lo  quella  hoste.  et  fece  fare  uno  castello  da  lo  nome  de  Lavinia 
soa  molle,  Civitaslavinia,  et  Eneas  se  commatteo  con  Turno  ad  corpo 
ad  corpo,  et  fecerosse  molte  ferute,  et  Eneas  in  quella  vattalia  occise 
Turnus. 

De  Ascanio  et  Mexentìus. 

196  Po  la  morte  de  Enea,  Ascanius  et  Mexentius  fecero  granne  vat- 

talie,  et  Ascanius  occise  Mexentius.  et  Anchises  fo  morto  in  Troja, 
non  in  Sicilia.  pò  la  morte  de  Enea,  Lavinia  soa  molle  de  Enea 
fece  uno  filio  et  f ecelo  nutrire  ne  la  selva   de   Ardia,    privato.       et 

200  puseli  nome  Silvius  Postumus  Eneas.  pò  la  morte  de  Enea,  Asca- 
nius non  volze  abitare  con  Lavinia  soa  matrea,  fece  Albam  civitatem, 
ad  similitudine  de  una  scrofa  bianca  ke  trovao  in  quello  loco. 

De  Silvio  filio  de  Enea.  yl 

In  quello  tempo  Samson  re-  In  quello  tiempo  Sanson  re- 
204  gnava  in  Israel,  et  lo  dicto  Asca-  gnao  in  Israel,  et  lo  dicto  Asca- 
nio fo  molto  rio  et  pessimo  ;  non  nio  fo  molto  rio  et  pessimo  ;  non 
abbe  nullo  filio,  ma  abbe  una  filia,  habe  nullo  filio,  ma  abe  una  filia, 
la  quale  abbe  nome  Roma.  pò  la  quale  abe  nome  Roma.  pò 
208  la  morte  de  Ascanio,  Silvius  filio  la  morte  de  Ascanio,  Silvio  filio 
de  Enea  tulze  la  terra  ad  la  filia  de  Enea  tulle  lo  regno  a  la  filia 
de    Ascanio;    lo    quale   Ascanius  de    Ascanio;    lo    quale    Ascanio 

S 

68  Turnus  et  Mecentius,  rex  Tuscorum,  et  multi  nobiles  vtalici  generis  contra  Latinum 
bellum  indixerunt.  et  post  tres  annos  ubi  Eneas  in  Ytaliam  venerat,  et  post  condi- 
^um  castrum,  a  nomine  conjugis  dictum  Laviniam,  et  singulari  certamine  cum  Turno 
dimicavit   et   mutuis   inflictis   vulneribus   Enea   interfecit    Turnum.        De    Ascanio. 

72  Post  mortem  vero  Enee  Ascanius  bella  sedavit,  et  Ascanius  Mecentium  interfecit.  et 
mortuus  fuit  Anchises  in  Trojam ,  non  in  Siciliani  ncque  in  Ytaliam,  ut  narrat  Vir- 
gilius  ad  veram  ystoriam.  interim,  post  mortem  Enee,  Lavinia  ex  ipso  genuit  filium, 
qui,    quia    in    silvis   fuerat   nutritus,   et   post   mortem    patris,    nutrix    appellavit    eum 

76  Silvium  Postumum  Enee.  post  mortem  vero  Enee,  Ascanius  dedignans  habitare 
Lavinie  livore  noverce ,  civitatem  sibi  condidit  Albam. 

Silvius   Postumus  Enee.       eo  tempore  Sanson  judicavit  in  Israel,  jamdictus 
Ascanius  nequam  et  pessimus  masculam  prolem  non  habuit;  set  sustulit  filiam,  ut  di 
80       citur,  que  dieta  Roma.       post  mortem  Ascanii,  ejus    regnum    accepit   Silvius    Eneas, 
cui  Ascanius  insidias  tetenderat,  et  ob  hoc  ipsum,  Ascanio  vivente,  mater  occultaverat 

75.  nutrix]  ms.  notus 


126 


Libeì'  ystoriarum  Romànoi'uni. 


SEC.    XIII. 


abbe  molto  in  odio.  et  poi  Sil- 
vius  fece  Latinus,  et  puselilli  no- 
me per  lo  amore  de  l'avo.  La- 
tinus fece  Epitum;  Epitus  fece 
Capim,  lo  quale  fece  Campan- 
nia,  da  lo  suo  nome  dieta.  Ca- 
pim fece  Arotam;  Arotam  fece 
Tyberinum,  lo  quale  fo  affocato 
in  Alvula  fluvio  ;  et  lo  fiume  avea 
nome  Alvilla,  et  da  esso  recipeo 
nome  Tyber  vel  Tibris  vel  Tybe- 
rinus.  et  Tyberinus  fece  Aven- 
tinum,  et  fo  sotterato  ne  lo  monte 
de  Aventino,  dove  stette  Caccus, 
et  da  esso  abbe  nome  Avetino. 
Avetinus  fece  Palatinus,  da  lo 
quale  fo  dicto  monte  de  la  Pal- 
lara.  Palatinus  fece  Amuliu  et 
Munitore,  doi  regi;  li  quali  ge- 
nerale, nome  abbero,  Amuliu 
filiu,  Munitore  filiu.  et  infra  loro 
cresceo  tanto  hodio,  ke  Amulius 
cazao  Munitore  et  occise  Laviniu 
sovo  filio,  et  Ilia  fìlia  de  Muni- 
tore la  fece  monacha  de  lo  tem- 
pio de  dea  Vesta.  et  lo  tem- 
pio era  ad  lato  ad  la  selva  de 
Ardia,  et  lo  sacerdote  de  lo  tem- 


A 

Silvio  avea   molto  in  odio.       poi 
Selvius  fece  Latino,  et  puseli  no-    212 
me  de  lo  nome  dell'avo.      Latino 
fece   Epitum;    Epito   fece    Capi- 
ni,  lo  quale  fece  Campangia,  da 
lo  suo  nome  dieta.       Capini   fece    216 
Arotam;  Arotam  fece  Tiberinum, 
lo    quale  fo  affocato   nell'Alvola 
fiume;  e  lo  fiume  avea  nome  Al- 
vula, et  da  esso  ao    nome  Tiber    220 
vel  Tibris  vel  Tiberinus.       et  Ti- 
berinus  fece  Aventino,  e  fo  sot- 
terrato ne  lo  monte    de   Aventi- 
no,   dove    stava    Caccus,    et    da    224 
esso  ao  nome  Aventinus.      Aven- 
tinus  fece  Palatinus,  de  lo  quale 
fo  dicto  Palatinus.       Palatino  fe- 
ce  Amulium  et  Numitorem,   doi    2 28 
regi  ;  li  quali  regi  fuoro   doi  ge- 
nerale mente.      nome  abero  Ami- 
lium  Silvium,  Munitorem  Silvium, 
et   infra   ambora    cresciero   tanto    232 
odio,  ke  Amulius  cacao  Munito- 
rem  et  occise   Lavinio   suo    fìlio, 
et  Ilia  fìlia  de  Munitorem  la  fece 
monacha  de  lo  tempio  de  la  dea    236 
Veste.      stava  lo  tempio  allato  de 
la  selva  de  Ardia,  et  uno  sacer- 


in  nemore.       hic  Silvius  genuit  filium,  quem  a  nomine  avi  materni  appellavit  Latinum. 
Latinus  vero  genuit  Epitum.       Campania.       Epitum  genuit  Capim,  qui  Campaniam 
condidit  a  suo  nomine  denominatam,  a  qua  Rutilorum  provincia  dieta  est  Campania.       84 
Alvula   fluvio.       Capim  vero  genuit  Arotam,  Arotam    Tiberinum,   qui   Tiberinus 
submersus  fuit   in   Alvula   fluvio;    ab   ipso,    mutato    nomine    fluvius    dictus   est   Tiber 
vel  Tibris  vel  Tiberinus.      Mons  Aventinus.      Set  jamdictus  Tiberinus  genuit  Aven- 
tinum.       hic,  quia  sepultus  est  in  monte  quodam  ubi  Caccus  habitavit,  ab  ipso  postea       88 
dictus  est  mons  Aventinus,      Mons  Palatinus.       Hic  vero  genuit  Palatinum,  a  cu- 
jus  sepulcro  etiani  mons  postea  dictus  est  Palatinus.      Generatio  Romuli  et  Remi 
et  de    Ylia   matre    eorum.       hic  vero  genuit  Amulium  et  Munitorem.      predicti 
reges  vero  generali  nomine  omnes  Silvi  appellati  sunt,  plerique  vero  eorum   binomii       92 
aut  trinomi!   extiterunt:  unde    diverso  modo  apud  auctores  inveniuntur.       Inter  jam- 
dictos  vero  fratres  ortum  discidium  usque  adeo  quod  Amulius  fratrem  suum  Munito- 
rem  parte  privaret  et  filium  ejus  Lavinium  interficeret.       Iliam  vero  filiam  Munitoris 
suam  neptem  et,  ut  aliqui  dicunt,  Ardeam  Silvam  appellatam  in  tempio   Vestem  san-       96 


SEC.    XIII. 


Liber  y storiar uin  Roiìia7iorum. 


127 


240 


244 


24S 


dote  de  lo  tempio  de  dio  Martis 
se  jacque  con  essa.  et  impre- 
naose  e  partono  doi  molto  belli 
guarconi.  ad  Amulio  venne  as- 
saputo,  fece  essa  viva  sotterrare, 
e  li  titelli  commandao  ke  ffos- 
li  presi  et  portaoli  ad  nutrire 
ad  Ylia  soa  molie.  et  Acca 
era  publica  puttana,  et  devasta- 
va molto  bene,  et  tutte  le  soe 
vicine  lo  vocavano  Lopa.  et 
tutte  le  locora  dove  stavano  puc- 
tane,  se  diceano  lupanaria,  pu- 
252    blicamente. 

De  Romulo  et  Remo. 

Et  crescuti  li  zitelli,  puserolli 
nome  Romulus  et  Remus.  Ro- 
mulus   avea   .xviii.  anni   quanno 

256  facea  molte  prove  infra  li  pasto- 
ri, et  poi  ke  sappe  ke  era  nato 
de  regale  sangue,  abbe  in  gran 
hodio  Amulio   suo  zio,   ke    avea 

260  caczato  lo  avo  et  occiso  lo  zio 
et  morta  la  matre.  et  esso  pri- 
mamente trovao  lo  lardo  et  fecelo 
fare.       et  una  die  gio  in  Albam 

264  civitate,  et  co  lo  lardo  occise  Amu- 
lio suo  zio,  et  fece  renere  lo  re- 
gno ad  Munitore   suo    avo.       et 


A 

pio  de  dio  Martis  se  jacque  con 
essa.  et  Ylia  fece  doi  zitelli. 
Amulio  lo  vene  assaputo,  fece 
Ylia  sotterrare  viva  in  terra  et 
commanao  ke  li  zitelli  forsero 
jectati  in  fiume.  et  Faustulus 
sero  jectati  in  fiume.  intando 
Faustulus  li  prese  e  portaoli  ad 
Accam  molgie  soa  a  nnutrire.  et 
Ecca  era  piubica  puctana,  e  molto 
bene  devastava,  e  tucte  soe  vicine 
la  vocavano  Lopa.  e  tucte  le  lo- 
cora dove  puctane  stavano  inper- 
cò  è  dicto,  per  quella,  lupanaria. 


Et  cresciuti  li  garconi,  puseli 
nome  Remus  et  Romolus.  Ro- 
molus  avea  . .  xiii .  anni  quando 
fecea  molte  prove  infra  li  pastori, 
e  ssappe  k'era  nato  de  regale  san- 
gue, abe  in  grande  odio  Emulio 
suo  tio,  ke  avea  cacato  l'avo  et 
morta  la  matre.  esso  primo  tro- 
vao lo  lardo  et  fecelo  fare.  et 
andando  una  die  in  Albam  civi- 
tatem ,  con  quello  lardo  occise 
Emulio  suo  ciò,  et  a  Mmonitore 
suo  avo  fece  rendere  lo  regno, 
e  poi  vende  con  Fastulo  et  Acca, 


S 


ctìmonialem  deicavit,  quìa  sacerdos  quidam  de  tempio  Martis  vitiavit,  qui  tandem  ge- 
mellos  genuit.  quod  ubi  ad  aures  Amulii  devenit,  ut  incestam  et  Vestem  corruptri- 
cem,  vivam  terre  fecit  infodi,  pueros  vero   in  alveum  Tiberis  jactari  precepìt,      quos 

100  pastor  quidam  Faustulus  nomine  accepit  et  ad  conjugem  suam  Accam  ad  nutriendum 
asportavit;  erat  enim  Acca  meretrix  publica  et  multa  devastabat:  und  a  vicinis  quasi 
lupa  dicebatur.  inde  consuetudo  inolevit,  ubi  domus  meretricum,  lupanaria  dicantur. 
Quando    Romulus    occidit   Amulium.       Creverunt    autem   pueri    et    appellati 

104  sunt  alter  Romulus,  alter  Remus.  sic  cum  Romulus  .xvij.  esset  annorum  et  probra 
multa  fecisset,  et  se  de  regali  sanguine  natus  congnovisset ,  et  Amulio  suo  patruo  ha- 
buit  insidias,  et  pilo  sibi  parato,  quod  genus  gladii  ipse  primus  invenit,  Amulium  diem 
quemdam  infra  Albam  occidit,  et  avum  sum  Munitorem  in  regno  restituit,  et  per  aliqua 


95.  aliqui]  ;«.«.  aliam. 


128 


Liber  y storiarti] it  Romarìorum. 


SEC.    XIII. 


poi  vene  con  Faiistulo    et   Acca 
ad  abitare  in  Aventino 


ke  lo  nutrio,  ad  avitare  in  Aven-    268 
tino .... 


De  Hercule. 

Hercules  regnao  in  Grecia  so 
Euristeo  rege,  et  co  li  cavalieri 
soi  adquisio  Thesalia  et  occise 
Ydram.  et  lo  fiume  de  Thesa- 
lia, lo  quale  avea  nome  Archelaus, 
avea  doi  corna,  fecene  uno  fiume, 
et  in  quello  fiume  era  uno  com- 
patre,  ke  ne  lo  fiume  onne  homo 
occidea;  et  Hercules  lo  occise  in 
midate  de  lo  fiume.  et  sicomo 
ene  dicto  de  sopre,  occise  Dio- 
medes,  rege  de  Tracia,  lo  quale 
dava  ad  manicare  ad  li  cavalli 
soi  le  corpora  de  li  homini.  et 
vicque  Taristidem  regina  Amazo- 
num,  et  poi  fo  quasi  vicquo  da 
essa .... 


Hercules  regnao  so  Curisteo 
rege,  e  co  li  cavalieri  de  Curisteo 
rege  acquisio  Tesebam  et  occise 
Ydriam.  e  quello  fiume  de  Archi- 
lao  de  Thesalia  avea  doi  corna, 
fecenne  uno  fiume.  et  in  quello 
fiume  era  uno  compatre,  ke  onne 
homo  occidea;  et  Ercule  l'occise 
in  mitade  de  lo  fiume,  et  occi- 
se Diomedem  rege  de  Tracia,  lo 
quale  dava  a  mmanicare  le  cor- 
pora a  li  cavalli  soi.  e  vicque 
Taristidem ,  regina  Amaconum , 
e  poi  quasi  fo  vicqua  da  essa .... 


276 


2  So 


284 


De  Hercule,  Evandro  et  Cacco. 

Hercules  retornao  in  Afri- 
ca et  vicque  Anteum,  rege  de  Li- 
dia, et  esso  lo  cessao  da  la  se- 
mente de  la  terra,  lo  quale  era 


....  Hercule  retornao  in  Africa 
et  vicque  Anteum,  rege  de  Libia, 
et  esso  da  la  coltura  de  la  terra 
cessao,  lo  quale  era  dicto  fìlio  de 


28S 


S 

tempora   postea   habitavit  in   Aventinuni,    ubi    ab    Acca   et   Faustulo   fuerat   nutritus.      108 
set   collectis   pasto ribus  latronibus  ex  villulis  aliquot,  urbem  condidit  Romam,  de  cujus 
urbis  positione  varia  est  opinio, 

....Omnia   que   fecit  Hercules.       Hercules  dicitur  quod  regnavit  in  Grecia 
sub  dicione  tamen  regis  Euristei  Gei    insule,  cujus  iussu  et  copiis  Thesaliam  acquisivit,      112 
unde  dicitur  Jdram  interfecisse  in  fabulis.       Archeloum  fluvium  habentem  duo  cornua 
in  unum  alveum  reduxit;  unde  a  poetis  dicitur  Archeloom  fluvii  deno  cornu  fregisse; 
ubi  cancrum  dicitur  pressisse  calcaneo,  eo  quod  in  medio  paludis  aquam  scaturientem 
et  hinc  inde  quasi  varia  brachia  e  vomere  dicitur  desiccasse.     Diomedem  regem  Tra-      116 
eie  qui  cum  potentibus  equis,  ut  paulo  ante  in  historia  dixìmus,  Trojanos  omnes  perse- 
quebatur  et   capiebat,   ipsuni    Hercules    interfecit.        De    morte    Diomedis    et   de 
Amazonibus.       unde    dictum    vel    fictum    est    in  fabulis   quod   cadavera   hominum 
Diomedes  ad  vescendum  suis  dabat  equis.       postea  Hercules,  ut  supra  diximus,  cum     120 
Amaconibus  pugnavit  et  Taristidem  reginam  Amaconum  vicit,  et  ab  ipsa  tamen  postea 
quasi  victus  affugit ...  .  Africa,  Hercules,    postea  Hercules  reversus  Africam  intra- 


SEC.    XIII. 


Liber  vstoriarum  Romanorum. 


129 


L 

chiamato  filio  de  dea  Tellurìs,  et 
292    Hercule  da  quello   abe  l'arte  de 
la  astronomica  doctrina;  lo  quale 
era  dicto  ka   sostentava  lo  celo, 
et  poi  gio    in  Ispannia  et  occìse 
296    Gerionem  et  tulzeli  tre  regna   et 
molta  preda,  et  poi   retornao  ad 
Roma  et  fo    receputo  da   Evan- 
dro honorata  mente.       et   Hercu- 
300    les  mannao  le  bestie  ad  pascere 
ad  lato   ad   lo  fiume;  et  Caccu, 
duca  de  Aventino,  rompitore    de 
la  pace,  et  malefactore  ad  li  vi- 

304  cini,  rapio  una  parte  de  le  be- 
stie de  Hercule.  et  Hercules 
et  Evander  lì  gero  sopre  con 
granne    hoste    con   tutti  loro    ad 

305  lo  flume.  et  Caccus  fugio  ne  la 
rocca,  et  Hercules  li  fece  fare 
foco  con  pice  et  de  solpho  et  de 
altre  cose,  et  fo  morto  ne  la  rocca 

312  da  Hercule  et  da  Evandero.  et 
Hercules  fece  sacrificare  una  vac- 
ca viva  ad  h  onore  de  dio  Jovis, 
e  fecefe  fare  una  altare    ad    ho- 

31  ò  nore  de  dio  Jovis.  et  per  gran 
tempo  fo  clamata  gran  altare  et 
sacrificata  da  lo  bove;  et  quella 
contrata  fo  dieta  Bovilla  per  gran- 

320  ne  tempo  poi  ke  Roma  fo  facta. 
et  poi  Hercules  gio  in  Calabria, 
et  sicomo  volze  dormire  in  uno 
monte,  non  potea  dormire  per  lo 


A 

dea  Telluris,  et  da  esso  abe  Her- 
cule l'arte  de  astrolomia;  la  quale 
era  dieta  ke  ssostentava  lo  cielo, 
e  poi  gio  in  Yspangia  et  occise 
Girrionem  et  tulleli  regnerà  et 
molta  preda,  e  retornao  a  Rroma 
et  fo  reciputo  da  Evantro  honora- 
ta mente.  et  Ercule  mandao  le 
bestie  a  ppascere  allato  a  lo  fiu- 
me; e  Ccaccus,  dux  de  Aventino, 
rompitore  de  la  pace  et  malfacto- 
re  a  li  vecini,  rapio  una  grande 
parte  de  le  bestie  de  Hercule. 
et  Evandro  con  tucti  soi  ajutato- 
ri. 


e  Caccus  salilo  su  ne 
la  rocca,  et  Hercule  lì  fece  fare 
fuoco  de  pice  et  de  solfo  et  de 
altre  cose,  e  fo  muorto  ne  la  roc- 
ca da  Ercule  et  da  Evandro, 
et  Ercule  fece  sacrificare  una 
vacca  vìva  ad  honore  de  dìo  Jo- 
vis, e  feceve  fare  una  nova  al- 
tare ad  honore  de  dìo  Jovis.  e 
pò  longo  tempo  fo  appellata  ma- 
gna altare  et  sacrificata  da  lo 
bove  ;  e  quella  parte  fo  dieta  Bo- 
villa per  longo  tempo  poi  ke  fo 
facta  Roma.  pò  questo,  Ercule 
sì  gio  in  Calabria,  et  comò  volse 
dormire  in  uno  monte,  et  non  po- 


vit,  et  Anteuni  regem  Libie  devicit,  prohibendo  ipsum  a  terra  cultura,  unde  ille  plu- 

124  rimum  habundabat.       unde  in  fabulis  dicitur  filius  Telluris  extitisse.      tandem  Athelanta 

devenit  et   ipsum  in  astronomicam  doctrinam Hercules,  Yspania.     unde  in 

fabulis  dicitur  celum  substentasset.       deinde  in  Hispaniam    transiens  Gerionem  tribus 
regnis   que   possidebat,   privavit  et  multa    sibi  abstulit  armenta.       et  inde  in  Ytaliam 

125  veniens  officiose  receptus  est  ab  Evandro,  qui  de  Archadia  venerat,  ut  diximus,     Her- 

cules et  Evander.       set  dum  armenta  juxta  Tiberim  depasceret,  Caccus  dux  Aven- 

tine  arcis,  pacis    disturbator  vicinorum  lictator  hostiunque  predator,  de  ipsis  armentis 

vi  partim  arripuit.      contra  quem  Hercules,  Evander  et  omnes  affines  dimicarunt,  et  arce 

132     tandem  capta  ipsum  Caccum    Hercules  interfecit.        De  Cacco  rege  et  Herciile. 


130 


Liber  y storiar um  Romanorum. 


SEC.    XIII. 


cantare  de  le  cicade,  et  quello 
li  commanao  ke  non  cantassero; 
et  non  cantaro  da  quello  tempo 
inante;  in  onne  parte  cantano, 
se  no  kello.  corno  gio  et  corno 
fo  non  sapemo .... 

De  lo  nome  de  Roma,  et  conio  fo  facta. 

Da  capo  de  lo  ordinamento  de 
Roma,     vole  homo  dicere  ka  Ro- 
ma fo  una  femina  nobilissima  tro- 
iana, ke  fugio  de  Troja  et  venne 
ad  questo  loco,  lo  quale  se  dice 
Roma.       et   ad   li  Romani   sap- 
penno  rio  de  Roma,  ke  era  capo 
de  lo  muno,  avesse  nome  da  fe- 
mina, dissero  soppena  de  lo  capo 
ke  Roma  magi  se  non  clamasse 
da  nome  de  femina.       et  da  tutti 
li  Romani  fo  tacuto.       et   molte 
oppinione  lassate  diceno  la  veri- 
tate,      narra  Varrò  philosopho  et 
Ovidio  in  Faustis   et  altri   sapii, 
ka  Roma  clamata  f  o  da  Romulo  ; 
ka   Romulus   abitao  con  Tigerio 
Faustolo  et  Arracio  su  ne  lo  monte 
de  Aventino,  et  con  essi  vixe  et 
morio. 

Et  comenzata  la  citate,  una 
die  li  Romani  da  fore  le  citate 
faceano  sacrificio.  et  fo  dicto 
ad  essi  ka  genti  aveano  guasto 
lo  sarificio  et  tolta  la  preda   ad 


A 

tea  dormire  per  li  cicadi  ke  can- 
tavano, et  quello  li  commandao 
ke  nnon  cantassero;  e  non  cantaro 
da  quella  ora  nanti;  in  onde  parte 
cantano,  se  nno  kello.  come  fo 
et  comò  gio  non  sapemo .... 


Da  capo  dell'ordinamento   de 
Roma,      vole  omo  dicere  ka  Ro- 
ma fo  una  bellissima  trojana  don- 
na, ke  fugio  de  Troja  et  venne 
in  queste   contrade,  ne  le  quale 
dicemo  Roma.      e  li  Romani,  sa- 
pendoli molto  rio ,  ke  Roma ,  la 
quale  era  capo  de  tucto  lo  mon- 
do, recipessi  nome  de   femmina, 
et  dissero   soppena   de   la   testa, 
ke  Roma   se   non  chiamassi  per 
nome  de  femmina.       e  da  tucti  li 
Romani  fo  tacuto.     so  molte  oppi- 
nione passate  dicendo  la  ventate, 
dice   Varrò   filosofo  et  Ovidio  in 
Faustis  et  altri  savii,  ka  Roma  era 
chiamata  da  Romulo  ;  ka  Romulo 
avitao  con  Tigurio   Fausturio   et 
Archadio  su  nello  monte  de  Aven- 
tino, e  con  essi  vìsse  et  morio. 

E  pò  la  citade  ja  comencata, 
una  die  fore  la  citade  se  fecea 
sacrificio.  a  li  Romani  fo  dicto 
ka  genti  aveano  guasto  lo  sacri- 
ficio et  tolta  preda,      lutando  Ro- 


324 


328 


332 


7,2fi 


340 


344 


343 


352 


et  quia  Caccus  igne  sulphure  pica  alìisque  liquoribus  se  in  arce  defendebat,   dictus  est 
in  fabulis  postea  filius  extitisse  Vulcani. 

Sacrificium  in  monte  Aventino.  Hercules  vero  baccam  unam  Jovì  sacri- 
ficavit,  aram  unam  instituit  que  longo  tempore  postea  appellata  est  maxima  ara  et 
a  bove  illa  litata  Illa  pars  urbis  postea  appellata  est  Bovilla;  nam  ibi  longo  tempore 
post  urbs  Roma  condita  est,  Ercules  transivit  in  Calabriam.  ind  Hercules 
digrediens  Calabriam  intravit,  et  cum  in  monte  quodam  vellet  dormire  et  propter 
cicadas  stridentes  nequiret,  dicitur  ipsis  cicadis  inposuisse  silentium.  quod  qualiter  sit 
factum  nescimus ,  nisi  quod  cicades  in  ipso  solo  loco  silentes  et  penitus  reperiuntur 
tacentes....       Oppinio  romane  civitatis.       iterum  de  constitutiones  urbis  aliter 


'36 


140 


SEC.     XIII. 


Liber  y storiar nm  Romanoriim. 


131 


556 


360 


364 


36S 


372 


376 


380 


li  Romani.  Romulus  cavalcao 
con  Quintus,  et  Remus  cum  Fa- 
biis.  quelle  foro  doi  nobile  scla- 
cte  de  Roma.  Remo  primo,  ven- 
cenno  hoste  et  retolta  la  pre- 
da, retornao  ad  manicare  co  li 
soi,  et  non  spectao  lo  fratre,  et 
mannicao  tutta  la  vidanna.  et 
Romulus  retornao,  abene  gran- 
ne    dolore  ;   incontenente    pensao 

tradimento  de  lo  fratre 

Et  li  homini  de  le  contrade  non 
voleano  dare  nulla  femina  ad  mo- 
lie  ad  quelli  ke  stavano  con  Ro- 
molo, inpercò  ke  tutti  erano  la- 
troni  et  homini  adventici.  et  Ro- 
molo fece  ordinare  uno  generale 
joco  et  molto  bello.  et  com- 
mannao  ad  quelli  de  le  contrade, 
ke  onne  homo  securamente  ve- 
nisse ad  lo  joco.  lo  quale  joco 
odenno  quelli  de  Savini,  quelli 
de  Sancto  Pietro  in  Forma  et 
quelli  de  Ciciliano  et  tutti  li  altri 
maritimi,  essi  non  ce  vennero,  ma 
lassaro  venire  le  femine.  Ro- 
mulus avea  ordinato  co  li  soi: 
"  quanno  Linio  joculatore  averao 


A 

mulus  cavalcao  con  Quintus,  et 
Remus  con  Fabus.  foro  doi  no- 
vile  schiatte  de  Roma.  Remo, 
vencendo  l'oste  primo  et  retolta 
la  preda,  retornao  a  mmanicare 
co  li  soi,  e  nnon  spectao  lo  fra- 
te, ma  si  manicaro  tucta  la  vi- 
danda. .  et  Romulus  retornao , 
abe  grande  dolore;  incontinenti 
pensao  tradimento  de  lo  frate .... 

E  li  homini  de  le  contrade 
non  voleano  dare  a  molge  a  nullo 
homo  de  quelli  ke  stavano  con 
Romulo,  enpercò  ke  tucti  erano 
latroni  et  abentici.  intando  Ro- 
mulo pensao  de  fare  uno  gene- 
rale joco  et  grande  et  molto  bel- 
lo, e  commandao  a  cquelli  de  le 
contrade,  ke  tucti  venissero  a  be- 
dere.  lo  quale  joco  odendo  quel- 
li de  Savini  et  quelli  de  Santo  Pe- 
tro  in  Forma  e  quelli  de  Ciciliano 
e  tucti  li  altri  maretimani,  essi  non 
ce  vennero,  ma  lassaro  venire  le 
femmine  loro.  Romulo  sì  avea 
commandato  a  li  soi:  "  quando 
Livio  joculatore  averao  date  .111. 


dicitur.       dicunt    enim  quidam  quod  Rome   fuit  quedam   mulier  nobilissima   trojana , 

144  que  fugiens  ab  excidio  trojano,  navigio  appulsa  est  ad  locum  ubi  nunc  est  Roma. 
alii  vero  dicunt  quod  filia  fuit  Julii  Ascanii  et  ab  ipsa  dieta  est  Roma.  set  Romani 
postea  dedignantes,  cum  Roma  esset  caput  mundi,  a  muliere  nomen  accepisse,  talem 
institutionem  occultari  fecerant.       set  multis  opinionibus  pretermissis,  narrat  Varrò  do- 

148  ctissimus  latinorum  et  Ovidius  in  Fastis  et  alii  poete,  quod  a  Romulo  dieta  est  Roma; 
qui  Romulus  habitavit  ubi  fuit  tugurium  Faustuli  et  ars  Cachi  super  montem  Aven- 
tinum ....  deinde,  post  civiteculam  jam  adultam,  quadam  die,  dum  extra  civitatem 
sacrificium  facerent,  denuntiatum  est  eis  hostes  ipsorum  armenta  invasisse.       ad  quos 

152  persequendos  Romulus  bine  cum  Quintiis,  Remus  inde  cum  Fabiis  cucurrerunt;  fuerunt 
autem  due  nobilissime  tribus  romane.  Remus  vero  devictis  hostibus  et  preda  recu- 
perata ad  convivium  redit,  et  fratre  non  expectato  cum  suis  totam  carnem  comedit. 
De  morte  Remi.       qui,    cum  Romulus  circa  civitatem  vallulum  fecerat  parvulum , 

156  ubi  quendam  suum  militem,  pronomine  Celerem,  prefecerat,  indicens  ei  ut,  siquem  in- 
veniret  per  valium  transeuntem,  ipsum  ilico  occideret;  quod  fertur  dolositatem  ad  fra- 

trem  necandum  fecisse set  cum  latrones  et  aventicios  secum  solummodo  habe- 

ret,  et  affines  ipsis  utpote  latronibus,  filias  tradere  nolunt,  constituit  Romulus  forum 


132 


Liber  y storiar um   Romanorum. 


SEC.     XIII. 


L 

date  tre  volte  a  terra,  se  peliarao 
la  soa.  „  et  quello  facto,  onne 
homo  se  peliao  la  soa 


volte  a  torno,  omne  homo  se  pil- 

gi  la  soa.  „  e  facto  questo,  onne    384 

homo   se  pilgiao  la  soa .... 


De  Numa  Pompilio. 

Et  po  .  mi .  anni  ke  avea  re- 
gnato Tito  Tatio,  regnao  Numa 
Pompilius.  et  fo  molto  bono  sa- 
pio, et  deo  la  lege  ad  li  Romani, 
et  da  Pitagora  mirabile  philosofo 
sappe  ka  l'anima  era  inmortale; 
ka  molto  bene  facea  nigromantia. 
et  la  nocte  favellava  co  le  De- 
monia  ad  priesso  ad  una  acqua 
la  quale  avea  nome  Egregia,  et 
la  amica  soa  avea  nome  Nimpha 
Egregia,  la  quale  li  dicesse  cose 
ke  li  devea  venire.  et  Numa 
Pompilius  suso  ne  lo  monte  Aven- 
tino con  Pitagora  ademannaro  lo 
Diabolo,  se  Roma  devea  perire, 
et  quello  dixe,  ka  deo  avere  ta- 
liato  lo  capo.  et  Numa  respu- 
se:  "  sì,  de  la  cipolla.  „  et  lo 
Diabolo  respuse  :  "  ma  de  lo  ani- 
male.„  et  Numa  respuse  :  "  ma 
de  lo  pesce.  „  et  quello  respu- 
se :  "ma  de  lo  homo.  „       et  Nu- 


Poi  ke  regnao  Tito  Statio,  po 
.  un .  anni  regnao  Nimma  Pompi- 
lio,      et  era  homo  bono  et  sapio,    3S8 
et  deo  la  lege  a  li  Romani.       e 
da  Pictagora  mirabile  filosofo  de 
Salerno,  inseniaoli  ke  ll'anima  era 
inmortale;   enpercò  ke   mirabele    392 
mente  sapea  nigromantia.       e  la 
nocte  favellava  co  le  Demonia  ap- 
priessQ    ad   una   acqua   currente 
k'avea  nome  Egregia.       et  avea    396 
una   soa   amanca,   k'avea   nome 
Nimpha,  ke  l'inanti  dicea  le  cose 
ke  li  deveano  abenire.      e  Nim- 
ma Pompilio  con  Pictagora  salilo    400 
suso  ne  lo  monte   de   Aventino, 
et  conestrence  lo  Diabolo,  et  ade- 
mandaolo  se  Roma  devea  perire, 
voi  no.       e  lo  Diabolo  disse,  ka    404 
deo  avere   talgiato   lo  capo.       e 
Nimma  dixe:   "  sì,  de  la  cipolla  „. 
e  lo  Diabolo  :    "sì,   dello  anima- 
le. «       e  Nimma  disse:   "sì,  de    408 


S 

generale,  videlicet  nundinas  et  ludum  mirabilem,  et  precepit  ut  undique  omnes  ad  forum 
venirentsecuri.  De  primo  ludo  generale  in  civitate  romana.  Jl-'^ -'^-- 
tes  Sabey.  Anuntiantes,  Fidenates,  Crustumii,  Cecinenses  et  ala  popuU  afhnes  ^s  vir 
venire  noluerunt,  inconstantiam  Romuli  et  ferocitatem  videre  metuentes,  set  muheres 
ire  permiserunt.  Romulus  autem  statuerat  ut  lusor  quidam,  Livius  nomme,  dato  si- 
gno,  quum  cito  ter  terram  concuterent,  in  medio  plausus  suorum  quis  hoc  signo  quan 
vellet  in  suam  acciperet.  quod  ubi  factum  -est....  Titus  Statius.  postquan 
regnavitTitus  Statius  per  .mi.  annos,  cui  succedit  Numa  Pompilius.  // P''^'^"^/* 
sapiens  legem  dedit  Romanis,  et  a  Pitagora  samio,  mirabili  philosopho,  didicit  animam 
esse  inmortalem.  hic,  quia  fuit  nigromanticus  mirabilis,  et  cum  <1— ^^  ^J^" 
loquebatur  juxta  rivulum  per  densissima  nemora  decurrentem.  que  q^^^em  aqua 
proprio  nomine  dicebatu.'  Egregia;  que  sibì  dicebatur  futura,  ^^^^^^^'^l'''^ 
diabolica.       jam  dictus  etiam  Pompilius  cum  in  nemore  montis  Aventmi  htare  dia- 


160 


164 


168 


i7i 


165,  w.<.  quam  e  concurrerant. 


16S.  /«.«.  sanuo. 


SEC.   xm.  Volgarizzamenti  dei  distici  di  Catone. 


133 


412 


L 

ma  respuse  :  "  sì,  de  li  capelli  de 
lo  capo.„  et  lo  Diabolo  se  gio 
la  via  soa,  et  dixe  ka  Roma  ser- 
rao  capo  de  lo  munno. 


176 


A 

lo  pesce.  ^  e  lo  Diavolo  disse  : 
"  sì  dell'omo.  „  e  Pompilio  :  "  sì, 
de  li  capelli  de  lo  capo.  „  e  lo 
Diavolo  se  gio  la  via  soa,  e  nanti 
disseli  de  tre  imperatori  de  Ro- 
ma ke  deveano  morire  de  mala 
morte. 
S 

bolo,  dictum  est  eì:  "  litandum  est  caput  „.  cui  respondit:  "cepe,,.  Diabolus  respon- 
dit:  "immo  animai,,,  cui  respondit:  "  piscis  „.  "  immo  hominis  „.  addit  Pompis 
lius:  "capilli  capitis  „.  nec  ultra  questio  processit  diabolica,  et  tunc  dicìtur  dicisse 
romanum  magnum  futurum  fore  imperium. 


51.      VOLGARIZZAMENTI  DEI  DISTICI  DI  CATONE. 

La  raccolta  di  distici  che  va  sotto  ti  nome  di  Catone,  fu  uno  dei  libri  di  testo  fiìi 
diffusi  nelle  scuole  medioevali  e  f  resto  se  ne  fecero  traduzioni  per  ofera  anche  di  disce- 
poli e  come  esercitazioni  scolastiche.  Tali  sono  probabilmente  le  tre  toscane  pubblicate 
da  M.  Vannucci  nel  i82g  a  Milano,  tale  la  veneta  pubblicata  dal  Tobler  nelle  Ab  ha  nd- 
lungen  d.  K.  Preuss,  Akademie,  1883.  Quella  del  Tobler  sembra  la  piti  antica  e  pro- 
viene dal  cod.  già  Saibante-Hamilto  n,  ora  3go  della  R.  Biblioteca  di  Berlino  (S)  ;  delle 
altre  tre  che  stanno  sotto  in  colonna,  la  prima  (T),  creduta  ma  senza  suff denti  motixn 
della  metà  del  dugento,  proviene  da  un  cod.  del  sec.  XIV  di  casa  Trivulzio  ;  la  seconda 
(R)  dal  cod.  Riccard.  lòig,  del  sec.  XV',  la  terza  (M)  da  un  cod.  pure  del  sec.  XV, 
appartenuto  a  R.  A.  Martini.  Se  esse  sieno  0  no  indipendenti  fra  loro  non  fu  sinora 
ricercato.  Dandone  un  saggio  secondo  le  stampe,  si  aggiunge  il  corrispondente  testo 
latino  (L),  giusta  la  edizione  del  Bàhrens,  insieme  con  una  specie  di  riduzione  o  para- 
frasi in  prosa  (P)  che  accompagna  nel  ms.  il  testo  S.  Così  se  ne  potranno  meglio  inve- 
stigare le  mutue  relazioni  e  si  avrei  un  saggio  del  modo  che  tenevano  i  nostri  vecchi 
nelP  interpretare  i  testi  latini. 


i^UM  co  è  causa  k'  eu  Cato  k"  eu  vardase,  eu  viti  le  plusor  omini 
greve  mentre  raegar  in  via  de  li  costumi;  eu  enpensai  esser  da  soco- 
rere  a  lo  empensamento  de  lor,  ke  grande  mentre  e  gloriosa  mentre 


T  R 

Conciossiacosa  ch'io  Ca-  Io    Cato    pensando     nel- 

to  pensasse  nell'animo  mio,  l'animo  mio  vidi  più    e  più 

vidi    molti    uomini    grave-  uomini   gravemente    errare 

mente  errare  nella  via  de'  nella  via  de'  costumi;  onde 


31 

Conciossiacosa  ch'io  Ca- 
to pensi  nell'animo  mio,  e 
abbia  veduti  molti  uomini 
errare  gravemente  nella  via 


Cum  ego  Cato  animadvertem,  vidi  quam  plurimos  homines  graviter  errare  in  via 
morum.       ego  existimavi  fore  succurrendum  opinioni  eorum ,  ut  maxime  et  gloriose 

L 

Cum  animadverterem,  quam  plurimos  graviter  in  via  morum  errare,  succurrendum 
opinioni  eorum  et  consulendum  famae  existimavi,  maxime  ut  gloriose  viverent  et  ho- 


154 


Volgarizzamenti  dei  distici  di  Catone.         sec.  xiii. 


S 


vivese  e  contignise  onore.  ora  mo,  o  carissemo  filio,  eu  amaestraraì 
ti  en  quel  pato,  en  lo  qual  tu  conponeras  li  costumi  de  lo  to  anemo. 
adonca  leceras  en  tal  mesura  li  mei  comandamenti ,  ke  tu  li  enten- 
des.       prò  quia  lecere  e  no  entendere  sì  s"  è  negligencia. 

Adonca  adora  a  Domenideu,  ama  to  pare  e  toa  mare,  aunora  li 
toi  parenti,  varda  co  qe  te  ven  dato,  obedis  a  lo  mercato,  va  con  li 
boni,  no  andaras  a  lo  consejo  ananti  ke  tu  ne  sìs  damandato,  sis  mondo, 
saluta  volonter,  dà  logo  a  lo  to  majore,  temi  to  maistro,  fuci  le  tavole, 


costumi;  ed  ho  pensato  di 
dare  soccorso  e  consiglio 
alla  loro  oppinione ,  spe- 
zialmente acciocché  vives- 
sero gloriosamente  con  ono- 
re, aguale  ammaesterra- 
boti,  o  figliuolo  carissimo, 
in  che  modo  li  costumi  del 
tuo  animo  tu  debbi  ordi- 
nare, dunque  li  miei  co- 
mandamenti sì  leggi,  che  tu 
l'intendi;  che  leggere  e  non 
intendere  si  è  negligenzia. 

Sie  sottoposto  a  Dio,  ono- 
ra lo  padre  e  la  madre , 
ama  li  tuoi  cognati,  temi  lo 
tuo  maestro  guarda  quello 
che  t'  è  dato,  ubidisci  lo  tuo 
comune,  va  co'  buoni,  anzi 
che  sìa  chiamato  non  anda- 
re a  consiglio,  sie  onesto,  sa- 
luta voluntieri,  fa  onore  a 
tuo  maggiore,  sie  sottopo- 


R 

io  pensai  che  era  da  soccor- 
rere e  da  consigliare,  e  spe- 
zialmente che  gloriosamente 
vivessono  epervenissono  ad 
onore,  odi  ora,  figliuol  mio 
carisssimo,  siati  ammaestra- 
mento in  che  modo  ordini 
e'  costumi  del  tuo  animo, 
ma  im  prima  ti  priego  che 
li  comandamenti  leggi  sii, 
che  tu  gl'intenda;  che  leg- 
gere e  non  intendere  è  ne- 
gligenzia. 

El  primo  comandamento 
ch'io  ti  faccio  si  è,  che  tu 
prieghi  Iddio  con  riverenzia 
che  t'ajuti  in  tutte  le  cose 
che  tu  fai,  poi  ama  el  tuo 
padre  e  la  tua  madre,  ono- 
ra e'  tuoi  parenti ,  temi  el 
tuo  maestro,  serba  quello 
che  t'è  dato,  ubbidisci  alia 
corte ,  va  colli    buoni,  non 


M 

de'costumi  ;  hoe  pensato  di 
dare  soccorso  e  consiglio 
alla  loro  oppenione,  e  spe- 
zialmente acciò  eh'  eglino 
vivano  gloriosamente  e  con 
onore,  aguale,  figliuol  mio 
carissimo,  io  t'ammaestrer- 
rò#in  che  modo  li  costumi 
del  tuo  animo  tu  dei  ordina- 
re, dunque  le  mie  coman- 
damenta  in  tal  modo  leggi, 
che  tu  le  intenda  ;  che  leg- 
gere e  non  intendere  si  è 
negligenzia. 

E  però  in  prima  sia  sot- 
toposto a  Dio,  e  ama  i  pa- 
renti padre  e  madre,  e  a' 
tuoi  cognati  fa  onore,  temi 
il  tuo  maestro,  guarda  quel- 
lo che  t'  è  raccomandato , 
ubbidisci  il  tuo  comune,  va 
co'buoni,  anzi  che  sia  chia- 
mato non  andare  a  consi- 
glio, sia  onesto,  saluta  vo- 


lò 


20 


2+ 


28 


viverent  et  contingerent  onorem.  nunc,  o  carissime  fili,  ego  docebo  te  eo  pacto,  quo 
tu  conponas  mores  tui  animi.  igitur  legito  ita  mea  precepta,  ut  intelligas.  et  enim 
legare  et  non  intelligere  est  negligere. 

Itaque  supplica  Deo,  ama  parentes,  colle  cognatos,  serva  datum,  pare  foro,  am- 
bula cum  bonis,  ne  acceseris  ad  conscilium  ante  quam  voceris,  esto  mundus,  saluta 
libenter,  cede  locum  majori,  metue  magistrum,  fuge  aleas,  disce  literas,  benefacito  bo- 


norem  contingerent.  nunc  te,  fili  karissime,  docebo,  quo  pacto  morem  animi  tui  com- 
ponas.  igitur  praecepta  mea  ita  legito,  ut  intelligas.  legere  enim  et  non  intellegere 
neclegere  est. 

Deo  supplica,  parentes  ama,  cognatos  cole,  datum  serva,  t'oro  parce,  cum  bonis 
ambula,  antequam  voceris  ne  accesseris,  mundus  esto,  saluta  libenter,  majori  con- 
cede, magistratum  metue,  verecundiam  serva,  rem  tuam  custodi,  diligentiam  adhibe,  fa- 


SEC  XIII.  Volgarizzamenti  dei  distici  di  Catone. 


135 


i6 


s 

enprendi  letere,  ben  faras  a  li  boni,  tu  te  conseja,  varda  la  vergoncia, 
varda  la  causa  toa,  acostra  amor,  rancura  la  toa  fameja,  dà  ad  enpre- 
steo,  vardaras  a  cui  tu  lo  dar,  de  raro  fai  tu  grande  spendio,  dorme  ke 
sea  bastevele,  varda  lo  sagramento,  tempra  ti  dal  vino,  conbate  per 
lo  to  paese,  nient  crederas  tu  matamentre,  fuci  le  puitane,  lece  libri, 
séate  recordamento  le  cause  ke  tu  leceras,  amaestra  li  toi  fijoli,  sis 
humele,  no  te  irar  senca  perké,  nesun  no  befaras,  staras  a  lo  cudi- 
sio,  staras  a  lo  palaco,  seras  consejado,  usa  de  la  vertù,  coga  a  lo 


sto,  sie  vergognoso  secondo 
che  si  conviene,  leggi  i  li- 
bri, rangola  la  famiglia,  sie 

32  umile,  non  t'  adirare  senza 
lo  'mperché,  non  sie  scher- 
nitore, sie  al  judicio,  sie  di- 
nanzi al  judice,  dormi  che 

36  sia  bastevole,  guarda  lo  sa- 
ramento,  temprati  del  vino, 
pugna  per  la  tua  patria,  non 
credere  ciò  che  ti  è  detto, 

40  sicuramente  consiglia,  fuggi 
la  puttana,  non  mentire,  fa 
bene  agli  uomini  che  sono 
buoni,  non  sie  maldicente, 

44  pensa  e  ritieni ,  judica  lo 
diritto,  con  pazienzia  vin- 
ci li  tuoi  parenti ,  ricorditi 
del  bene  che  t'  è  fatto,  usa 

48  la  tua  vertude,  temperati 
dell'  ira,  fuggi  lo  giuoco  del- 
le tavole,  non  ti  meni  vo- 
luntà  in  fare  ragione ,  non 

52       dispregiare    minore    di    te , 


R 

andare  a  consiglio  innanzi 
che  tu  sia  chiamato,  guar- 
dati dal  peccato,  saluta  vo- 
lentieri, dà  luogo  al  tuo 
maggiore  ,  guarda  la  tua 
casa,  sia  sollecito,  leggi  de' 
libri,  e  tieni  a  mente  quello 
che  tu  leggi,  abbi  cura  della 
tua  famiglia,  sia  piacevole, 
non  ti  adirare  senza  ca- 
gione, nulla  persona  scher- 
nirai, presta  e  sovvieni  al- 
trui ,  guarda  a  cui  tu  dai, 
sta  al  parlamento  e  va  a 
vedere  la  giustizia  ,  rade 
volte  fa  convito,dormi  quan- 
to t'è  assai ,  temprati  dal 
vino,  combatti  per  lo  tuo 
paese,  nulla  cosa  crederrai 
mattamente,  tu  stesso  ti  con 
sigila,  fuggi  le  meritrici,  im- 
prendi la  lettera,  per  nulla 
non  mentire ,  sia  buono  e 
fa  bene  a'  buoni ,  non   sia 


M 

lentieri,  a  tuo  maggiore  dà 
luogo,  guarda  la  casa  tua, 
sia  vergognoso ,  leggi  i  li- 
bri e  quello  che  leggi  poni 
in  memoria,  abbi  cura  della 
tua  famiglia ,  sia  benigno , 
non  t'  adirare  sanza  il  per- 
ché ,  non  sii  schernitore , 
comparisci  al  giudicio,  rade 
volte  farai  convito,  fa  che 
dorma  a  necessità,  le  cose 
ch'ai  giurate  serva,  bei  tem- 
peratamente, pugna  per  la 
tua  patria,  non  vender  mat- 
tamente, consiglia  te  stesso, 
fuggi  le  meretrici ,  appara 
volentieri ,  non  mentire,  fa 
bene  a'  buoni,  non  sia  mal- 
dicente, pensa  e  ritieni,  giu- 
dica il  diritto,  con  pazienza 
vinci,  ricorditi  del  beniiicio 
ricevuto,  sii  buon  consiglie- 
re ,  usa  tua  virtude ,  tem- 
pera la  tua  iracundia,  giuo- 


nis,  tute  consule,  serva  verecundiam,  custodi  rem  tuam,  adhibe  diligentiam ,  cura  fa- 
miliam,  da  mutuum,  videto  cui  des,  raro  convivare,  dormi  quod  est  satis,  serva 
jus  jurandum,  tempera  te  vino,  pugna  prò  patria,  nil  credideris  temere,  fuge  mere- 
trices ,  lege  libros,  memento  ea  que  legeris,  erudi  liberos,  esto  blandus  ,  noli  irasci 
ab  re,  neminem  irriseris,  adesto  in  judicio,  stato  ad  pretorium,  esto  consultus ,  utere 
virtute,   lude    trocho,  ne  esto  maledicus,  retine    existimacionem ,  judica    equum ,  noli 


miliam  cura,  mutuum  da,  cui  des  videto,  convivare  raro,  quod  satis  est  dormì,  con- 
jugem  ama,  jusjurandum  serva,  vino  tempera,  pugna  prò  patria,  nihil  temere  credideris. 
meretricem  fuge,  libros  lege,  quae  legeris  memento,  liberos  erudi,  blandus  esto,  ira- 
scere  ob  re-n  gravem,  neminem  riseris,  in  judicio  adesto,  ad  praetorium  stato,  consultus 
esto,  virtute  utere,  trocho  lude,  aleam  fuge,  litteras  disce,  bono  benefacito,  tute  con- 
sule, maledicus  ne  esto,  existimationem  retine,  aequum  judica,  nihil  mentire,  iracun- 


136 


Volgarizzamenti  dei  distici  di  Catone.         sec.  xiii. 


curio,  no  seras  maldigolo,  reten  la  enpensasone,  judega  dretura,  no 
voler  mentir,  tempra  la  toa  ira,  seate  recordamento  a  reportar  hu- 
mel  mentre  to  pare  é  toa  mare,  nient  faras  per  arbitrio  de  force,  man- 
ten  la  lece,  la  qual  tu  ensteso  reportaras,  seras  recordevele  de  lo  be- 
neficio recevuo,  parla  pauco  en  lo  mancar,  no  voler  befar  lo  pover 
homo,  pauco  cudega,  no  voler  desirar  le  altrui  cause,  quelo  studia  a 
far  lo  qual  è  justo,  volonter  reporteras  amor. 

Se  Demenedeu  è  anemo  a  nui,  sicum  questi  versi   dise,   questo 


non  dìsiderare  l'altrui,  ama 
la  moglie,  ammaestra  li  tuoi 
figliuoli,  la  legge  che  tu  me- 
desimo hai  fatta  sostiella, 
parla  poco  al  mangiare , 
istudia  di  fare  quello  che 
si  è  giusto ,  sie  rapporta- 
tore dell'  amore ,  non  judi- 
care. 

Se  Dominedio  è  animo  a 
noi,  secondo  eh'  e'  versi  di- 
cono, dunque  lui  adora  ed 
onora  sopra  tutte  l'altre  co- 
se con  pura  mente.  Sem- 
pre più  vegghia,  ne  sie  trop- 
po dato  al  sonno;  imper- 
ciocché lo  riposo  del  die  dà 
nutricamento  a'  vizj.  co- 
stringere la  lingua  credo 
che  sia  la  prima  vertude: 
quelli  è  prossimo  a  Dio  che 
sa  tacere  a  ragione.  di- 
spregia la  tua  ira  combat- 
tendo ,  quando  ella  ti  con- 


R 

maledicente,  ritieni  e'  pen- 
sieri, giudica  el  diritto,  pa- 
zientemente vinci  el  padre 
e  la  madre,  ricorditi  de'  ri- 
cevuti benefizj,  non  scherni- 
re el  misero,  temprati  dall'i- 
ra, giuoca  al  palèo,  fuggi  le 
tavole,  nulla  cosa  farai  per 
arbitrio  di  forza,  non  desi- 
derare l'altrui,  ama  la  tua 
moglie,  osserva  la  legge  che 
tu  fai,  parla  poco  al  man- 
giare, studiati  che  è  bene 
amare,  volentieri  amerai  al- 
trui, sempre  più  vegghia, 
non  giudicare  altrui. 

Imperocché  Iddio  è  vita 
a  noi,  i  versi  dicono  :  lui 
spezialmente  con  pura  men- 
te sacrificherai,  sempre  più 
vegghia  e  non  ti  dare  al 
sonno  ;  che  el  cotidiano  ri- 
poso dà  nutricamento  a' 
vizj.      la  prima  virtù  si    è 


M 

ca  al  palèo  e  fuggi  i  giuo- 
chi delle  tavole,  non  ti  meni 
volontà  a  fare  ragione,  nul- 
la farai  per  tuo  albitrio, 
non  dispregiare  tuo  minore, 
non  disiderare  l'altrui,  ama 
tha  moglie,  dirozza  i  tuoi 
figliuoU,  legge  che  tu  hai 
fatta  osservala,  nel  convito 
favella  poco,  studia  di  fare 
cosa  giusta,  sii  rapportatore 
d'amore  e  di  concordia,  non 
giudicare. 

Se  Iddio  è  a  noi  animo, 
secondo  che  i  versi  delle 
scritture  pongono,  dunque 
lui  adora  con  pura  men- 
te sopra  tutte  l'altre  cose, 
sempre  veghia  molto,  e  non 
ti  dare  al  sonno,  perocché  il 
troppo  riposo  a'  vizj  dà  ac- 
crescimento, la  prima 
vertù  penso  che  sia  l'uomo 
costringere    la   sua   lingua; 


^4 


S6 


60 


64 


63 


72 


76 


mentire,  tempera  iracundiam,  memento  ferre  pacienter  parentes,  nìl  feceris  arbitrio 
virium,  patere  legem  quam  tu  ipse  tuleris,  esto  memor  beneficii  accepti,  loquere  pauca 
in  convivio,  nolli  irridere  miserum,  minime  judica,  noli  concupiscere  aliena,  illud  stude 
agere  quod  est  justum,  libenter  ferto  amorem. 

Si  Deus  est  animus  nobis,  sicut  carmina  dicunt,  hic  Deus  precipue    sit   colendus 
tibi  pura  mente.        semper  plus  vigila,  nec  esto  deditus  sompno;  nam  diuturna  quies 


16 


diam  rege,  parentem  patientia  vince,  minorem  ne  contempseris,  nihil  arbitrio  virium 
fecetis,  patere  legem  quam  ipse  tuleris,  benefici  accepti  esto  memor,  pauca  in  con- 
vivio loquere,  miserum  noli  inridere,  minime  judica,  alienum  noli  concupiscere,  illud 
agredere  quod  justum  est,  libenter  amorem  ferto,  liberalibus  stude. 

Si  Deus  est  animus   nobis,  ut  carmina  dicunt,  hic  tibi  praecipue  sit  pura  mente 
colendus.       Plus  vigila  semper  neu  somno  deditus  esto  ;       nam  diuturna  quies  vitiis 


16 


SEC.  xm. 


Parafrasi  del  Paternoster. 


137 


28 


32 


80 


Domenedeu  grande  mentre  sea  venerado  de  ti  cum  pura  mente, 
senpre  plui  vegla,  ke  tu  no  sis  dado  al  sonno;  prò  quia  lo  cotidian 
repauso  sì  apresta  nurigamenti  a  li  vicii.  eu  enpenso  esser  prima 
vertù  constrencer  la  lengua;  quelui  è  proseman  a  Deu  lo  qual  sa  ta- 
sere  cum  rasone.  refua  contra  conbatando  esser  contrario  a  ti; 
quelù  à  negun  covignirà,  lo  qual  descorda  si  medesemo  cum  si. 


trarla;  a  nullo  piace  colui 
lo  quale  è  adiroso  e  dispia- 
cevole a  sé  medesimo. 


R 

costringer  la  lingua;  colui 
è  prossimano  a  Dio,  che 
sa  tacere  con  ragione,  sfor- 
zati al  tuo  potere  di  non 
essere  contradicente  ;  con 
veruno  si  converrà  chi  con- 
tradirà a  sé  stesso. 


M 

perocché  quegli  è  propinquo 
a  Dio  che  sa  stare  cheto 
per  ragione,  sprezzati  con- 
tradicendo all'ira,  ne  sia 
contradio  a  te  medesimo; 
con  nullo  coverrà  chi  seco 
stesso  non  sa  convenire. 


ministrat  alimenta  vitiis.  ego  puto  esse  primam  virtutem  conpescere  linguam:  ille 
est  proximus  Deo,  qui  sit  tacere  racione.  speme  repugnando  esse  contrarius  tibi; 
ille  nulli  conveniet  qui  discidet  ipse  secum. 


alimenta  ministrat.  Virtutem  primam  esse  puto,  conpescere  linguam:  proximus  ille 
Deo  est,  qui  scit  ratione  tacere.  Speme  repugnando  tibi  tu  contrarius  esse  :  con- 
venient  nulli,  qui  secum  dissidet  ipse. 


52.       PARAFRASI  VERSEGGIATA  DEL  PATERNOSTER. 

Dal  Liber  Memorialium  n.  40  d 2 W Archivio  Notarile  di  Bologna,  scritto  nel  127 g, 
Carducci,  Intorno  ad  alcune  rime  dei  secoli  XIII  e  XIV  ritrovate  nel- 
P  Archivio  Notarile  di  Bologna,  Imola,  Goleati,  iSjò,  p.  T02.  A  riscontro  di 
questa  lezione  (M)  se  ne  dà  sotto  un^  altra  (S)  fornita  dal  cod.  già  Saibante-Hamilton,  ora 
3go  della  R.  Biblioteca  di  Berlino,  che  comunico  il  Toblcr  nelle  Abha  n  diunge n  der 
K.   Preuss.  Akademie,  1886. 

M 

Jl  ATER  noster,  a  deo  me  conteso 
mia  colpa  d'  one  pecà  che  ò  comesso. 

Qui  es  in  celis,  tu  me  1  perdona 
per  pietate,  che  son  flagele  persona. 

S 

Pater   noster,  a  ti.  deu.  me  confesso;         mea  colpa  e  mei  peccadhi  com   esso. 
Qui  es  in  celis,  tu  me  le  perdona         per  piatad  q'eu  son  fragel  persona. 


138 


Parafrasi  del  Pater ^loster. 


SEC.    XIII. 


M 

Santificetur  lo  to  biato  regno, 
mi  bone  overe  offessa  alcuna  tegna. 

Nomen   tuum  mi  guardi  e  me  conduca 
con  li  santi  guagnelisti  Matheo  e  Luca. 

Adveniat  in  me  tua  vos,  venite; 
da  l'altra  me  defendi  che  dirà,  ite. 

Regnum   tuum  a  mi  conserva,  patre, 
che  intri  co  li  mei  tuti  e  con  la  mia  matre. 

Fiat   voluntas  tua,  segnor  meo, 
tale  che  el  to  paradiso  digno  sia  meo. 

Sicud   in   cello  avese  vita  eterna, 
con  tute  bone  aneme  eh'  el  governa, 

Et   in   tera,  me  consenti  a  fare,  agyos, 
quanto  a  ti  senpre  placa,  ely  theos. 

Panem  nostrum  chotidianum  me  sia, 
tu  lo  n  porgi  che  me  pasca  tuta  via. 

Da  no  bis  ho  die  a  conoscere,  alfa, 
che  tu  èi  et  O  primo  e  novissimo  alfa. 

Et   dimitte  nostre  offensioni 
per  fé  per  overe  o  per  confisioni. 

Nobis   debita  nostra  tu  relasa 
per  toa  mercé,  e'  avemo  de  fin  la  fassa. 

Sicud   e  nos  falemo  per  fare  re  overe, 
abii  misericordia  e  sì  l'en  erovi. 

Dimitimus  a  fare  che  doveamo 
perdonare  e  fare  andare  in  seno  d'x\braamo. 

Debito  ri  bus    nostris,  a  nui  tuti 
dona  la  gratia  toa  a  grandi  et  a  picuUi. 

Et   ne    nos   inducas  dentro  l' inferno, 
recivimi  in  loco  regno  senpreterno. 


i6 


24 


2S 


3* 


Sanctificetur  al  to  biato  regno         mia  bona  overa  e  fé,  s' alcuna  n  tegno. 
Nomen  tuum  me  guard  e  me  conduca         con  li  santi  guagnelisti  Marc  e  Matheu  e  Lu- 
Adveniat  en  mi  toa  vos,  venite;         da  l'altra  me  defend  qe  dirà,  ite.  [ca. 

Regnum   tuum  a  mi  conserva,  patre,         q'eu  g'entre  coi  mei  tuti  e  con  mia  matre. 


Fiat    voluntas  tua,  signor  meu, 
Sic    ut   in   celo  avis  vita  eterna 
Et  in  terra  me  consent  far,  agjos, 
Panem  nostrum  cotidian  me  sia, 
Da  nobis  odie  a  cognoser,  alfa, 


tal  q'  enl  to  paradiso  vegna  eu. 
con  tute  bone  aneme  q'el  governa, 
quant  a  ti  senpre  placa,  ely  theos. 
tu  ne  lo  dà  qe  n  pasca  tuta  via. 
e  mantegnir  ferma  fé  e  no  falsa. 
Et  dimite  nostre  ofensione         per  fc  per  ovre  e  per  confessione. 
Nobis    debita  nostra  tu  ne  lassa         per  toa  mercé,  c'avem  desida  fassa, 
Si  cut   et   nos  falem  per  far  rei  ovre;         aiben  misericordia,  sì  ne  covre. 
Dimitimus  a  far  qe  devresamo  ;         perdonan  e  fan  andar  el  sen  d' Abramo. 
Debitorìbus   nostris  e  a  noi  tuti         dona  la  gracia  toa  a  grand  e  a  putì. 
Et   ne    nos    inducas  en  inferno,         receven  el  to  regno  senpiterno. 


16 


SEC  XIII.  Proverbia  super  natura  f eminar  uni. 


139 


36 


40 


M 

In   tentatione  sto  dì  e  note; 
non  derelinquire,  propicio  Sabaot. 

Set   libera   nos  da  one  grameca, 
in  la  toa  gloria  me  dà  grande  alegreca. 

A  mallo  tu  guarda  quel  dì  in  lo  spirto  malo 
quanti  no  dirà  o  chi  dirà  sto  salmo. 

Amen  digano  evagnelisti  profeti  e  conf esuri 
e  tuti  gli  aprobati  virtute  celorum.       amen. 


In    temptacionem  stem  dì  e  not,         non  delinquir,  propicio  sabaot. 
Set   libera    nos  da  ognunca  grameca,         en  la  toa  gloria  ne  dà  granda  legreca. 
20     A  malo  guard  tuti  lo  spirit  almo,         quanti  l'adora  e  dirà  questo  salmo. 
Amen  diga  gli  apostoli  confesori,  ogno  profeta  e  tute  suria  celorum. 


53.      PROVERBIA  QUE  DICUNTUR 
SUPER  NATURA  FEMINARUM. 


16 


Furono  at  ribuiti  a  maestro  PateccMo  da  Cremona  (v.  »"  43),  ma  senza  sicuro  fon- 
damento^ è  peraltro  assai  probabile  che  appartengano  allo  stesso  tempo.  Si  trovano 
nel  cod.  già  Saibante- Hamilton,  ora  j90  della  R.  Biblioteca  di  Berlino,  d^onde  furono 
ptibblicati  dal  Tobler  nel  Ze  itsc  kr  ift  fìlr  romani  se  'te  Philo  lo  gie  ,  TX,  287-J3T, 
yntorno  ai  medesimi  v.  F.  Novali  nel  Giorn.  stor.  d.  letter .  ital.  VII,  432; 
P.  Meyer  nella  Romania ,  JCV,  óoj ;  S,  Morpurgo  nella  Rivista  critica  della 
letter.  itali  III,  jg. 

JjoNA  cent,  entendetelo         per  que  sto  libro  ài  fato  : 
per  le  malvasie  femene         l'ajo  en  rime  trovato, 
quele  qe  ver  li  omini         no  tien  conplito  pato  ; 
cui  plui  ad  elle  serve,         plui  lo  tien  fol  e  mato. 

Sacai,  per  ogna  femena         ste  cause  no  vien  dite  ; 
k'asai  creco  qe  seande         cui  no  plas  queste  scrite. 
le  bone  se  n'  alegra         de  queste  rime  drete, 
e  le  rei,  quando  le  aude,         stane  dolente  e  triste. 

Unca  per  bona  femena         saca,  pura  e  cortese 
queste  verasie  rime         ca  no  sera  represe  ; 
se  le  bone  le  scoltano,         quando  l' avrà  entese, 
laodarà  senca  falò         qi  le  trova  e  fese. 

E  lo  tesauro  d'India,         quanto  c'à  preste  Cano, 
plui  varia  una  savia         senca  menda  et  engano; 
cui  tal  trovar  poesela,         ogno  corno  de  l'ano, 
se  a  fin  auro  pesasela,         no  nde  avria  dano. 


140 


Proverbia  super  natura  feminarum. 


SEC.    XIII. 


Formento  et  erba  mena         no  nase  d'una  semenca, 
tute  c'à  nome  civite         no  son  par  de  valenca; 
da  l'una  a  l'autra  femena         sì  è  gran  diferenca, 
plui  qe  no  è  dal  Tigris         a  lo  flume  de  Renca. 
L'  encantator  è  savio         qe  lo  dracone  doma; 
e  qi  trovase  spino         qe  d'ambro  portase  soma, 
quest'è  vera  paravola         et  este  dreta  e  soma, 
q'el  varia  lo  tesauro         de  lo  papa  de  Roma. 

Enposibel  è  atrovar  tonsego         qe  morti  susitase, 
o  flore  de  tal  fata         qe  leprosi  mondase; 
mai  cui  trovar  poesele,         d'auro  varia  tal  massa, 
major  de  le  montagne         de  la  terra  de  Rassa. 

E  questo  ben  sacatelo,         segnori,  veramente: 
qi  de  cor  ama  femena,         molto  tardo  se  pente. 

saipa  dire  niente 
e  d'amore  no  sente, 
la  travaja  e  la  pena, 
comò  se  porta  e  mena, 
ma  cui  ben  perpensaselo         com  è  forte  catena, 
camai  non  ameria         contessa  ni  raina. 

Mai  quand  l'omo  è  scotato         de  fort  ardente  flama, 
fol  è,  se  con  lo  fuogo         mai  de  cugar  à  brama. 

co  del  dosso  la  squama, 
non  avrai  cor  ni  brama, 
e  tino  ditatore,  ' 

la  mente  mia  nel  core  ; 
ni  laudo  per  amore 
no  laso  per  temore. 
de  parlar  o  de  tasere. 


a  pena  qe  d'  amore 
quel  omo  qe  no  ama 
E  qi  sente  d'amore 
lo  gaudio  e  la  letìcia. 


si  me  rascà  le  femene 
9amai  de  lo  so  amore 
Perveditor  son  nobele 


per  amor  no  comovese 
per  odio  nujo  blasemo 
né  ca  del  vero  dicere 

Que  qe  li  antri  faca 
eu  dirai  tuta  via,         cui  qe  debia  plasere; 
qe  ben  l'ai  entenduto         en  li  proverbi  dire, 
per  complir  so  talento         de  Tom  molto  sofrire. 

Co  fo  el  mes  de  marco,         quando  i  albri  florise; 
per  prati  e  per  verceri         le  verd'  erbe  parese, 
aprosema  la  estate,         e  lo  temp  adolzise, 
escurtase  la  note         e  li  corni  s' acrese. 

Levaime  una  maitina         a  la  stela  diana, 
entrai  en  un  cardino         q'era  su  'na  fiumana, 
et  era  plen  de  fiore         aulente  plui  de  grana; 
colgaime  su  le  fiore         apres  una  fontana. 

Oi  deu,  com  de  grande  gloria         era  plen  sto  cardino, 
de  bele  erbe  aulente         e  de  flore  de  spino, 
e  de  rosignoleti         qe  braiva  en  so  latino, 
lo  merlo  e  lo  tordo         cantava  sopra  1  pino. 

Siconi  eu  repausavame         sovra  le  ilor  aulente, 
un  penserò  veneme         qe  me  torba  la  mente, 


so 


24 


28 


32 


36 


40 


44 


48 


52 


56 


60 


SEC.  xiir.  Proverbia  super  natura  feminarum.  141 


de  l'amor  de  le  femene,         com  este  fraudolente; 
64  quand  Tom  en  elle  enfiase,         corno  1  mena  rea  mente. 

E  comò  son  falsìseme,         piene  de  felonia, 
et  unqa  mai  no  dotano         far  caosa  qe  rea  sia. 
or  dirai  qualqe  caosa         de  la  lor  malvasia, 
68  onde  se  varde  li  omini         de  la  soa  tricaria. 

Segnori,  s'entendeteme,  diraive  un  sermone; 

se  lo  volé  enprender,         e  entender  la  rasone, 
molti  ne  trovarete         de  li  sempli  Catone, 
72  D'Ovidio  e  de  Panfilo,         de  Tulio  Cicerone. 

Molto  tiegno  per  fole         cui  d'amar  s'entromete. 
asai  veco  de  quili         qe  per  amar  caze  en  dite; 
eie  prend  senca  rendere         e  li  musardi  abate. 
76  però  tiegno  per  fole         qi  en  loro  se  mete. 

D'una  causa,  sacatelo,         molto  me  meravejo, 
onde  lo  corno  pensome         e  la  noite  m' esvejo, 
comò  pò  omo  credere         asdito  ni  consejo 
80  de  femena  qe  'ntencese         de  blanc  e  de  vermejo. 

L'amore  de  la  femena         si  è  causa  comuna; 
quand  l'omo  lo  cor  metende         nonde  pò  andar  senz'una. 
lasaile  d'amar,  faite         bel  semblant  a  cascuna; 
84  c'autresì  è  vecaa         la  bianca  con  la  bruna. 

El  mondo  non  è  causa         sì  forte  né  sì  greve 
né  qe  se  trove  scrita         en  libro  ni  en  brieve, 
s'ela  plas  a  la  femena,         ke  a  l'omo  no  sea  leve; 
88  più  son  piene  de  rei  arte         qe  le  Alpe  de  neve. 

En  prima  comencaa         Eva  enganà  Adamo, 
come  fé  a  Salamon         la  mujer  sot  un  ramo; 
Elena  cun  Paris         sen  fucì  al  re  Priamo; 
92  quel  qe  fé  al  re  Carlo         audito  n'  ài  lo  clamo. 

Audisti  de  Sansone         cum  el  fo  encegnao: 
la  mojer  en  dormando         le  crene  li  tajao, 
qe  li  dava  la  forca,         com  en  scrito  trovato  l'ajo  ; 
96  trailo  a  li  Filistei,         et  illi  l'à  orbao. 

Pasifea  la  raina,         per  longo  tempo  é  dito, 
quel  q'  eia  fé  col  tauro  ;         ben  lo  trovemo  scrito. 
enpercò  q'ela  lese         si  forte  contradito, 
100  rnéc'omo  e  meco  tauro         nascede,  co  fo  dreto. 

E  Dedo  libiana,         qe  regnao  en  Tire, 
è  posta  en  Cartaco,         com  ài  audito  dire, 

avanti  qe  1  marito         en  Persia  andas  morire,  ^  1 

104  feceli  sagramento         e' altr'omo  non  avere.  .y^.  Ui^^f^A^  . 

Com  eia  se  contene,         en  scrito  trovato  l'aio, 
e  de  quel  sacramento         tosto  se  spercurao. 

76.  ms.    en  lero  105.  ms.  eie 


142  Proverbia  super  natura  feminarum.  sec.  xiii. 

alò  col  dus  Eneas         a  Cartaco  rivao, 

sene'  ogna  demoranca         a  lui  s'abandonao.  io8 

Qel  qe  fece  Aurisia    ^     la  y storia  lo  dise,     ,*/.':>- 
com  eia  a  lo  mario       "  cura  e  mal  i  atese  ; 
ke  de  la  tomba  traselo         eia,  e  1  drut  l'apese; 
de  quelo  reo  spercurio         ogn' om  de  Roma  rise.  112 

Medea,  la  fija         del  rei  de  Meteline, 
per  amor  de  Jason         lo  frar  tras  a  réà^  fine 
e  felo  desmenbrar         e  gitar  per  le  spine; 
poi  fucì  con  lo  druo         per  pelago  marine.  116 

E  poi  con  le  soi  arte         eia  Jason  aucise;  ^_^ 

eu  no  truo  qi  digatmé','        eia  qe  via  prese.  .,«a^       Zfh' 

voi  qe  lece  ste  scrite,         en  celato  e  en  palese,  „\^-  "  ji^^ 

vardaive  da  le  femene,         q'ele  son  vaire  e  grise.         -^  v       uo 

D'Antipatol  filosofo         audisti  una  rasoùé^^ 
con  la  putana  en  Roma         ne  fé  derisione, 
q'entr'  un  canestro         l'apese  ad  un  balcone  ;         „  , 
ogno  Roman  vardavalo,         con  el  fose  un  bricone.  134 

De  le  fije  de  Lot        le  cause  ave  entese 
qe  'n  la  Scritura  trovase         et  en  libri  se  dise, 
de  lo  stranio  penserò         q'ele  en  cor  se  fese 
d'  enivrar  lo  pare,         e  con  si  caser  lo  fese.  1 28 

E  per  cason  d'Enbrisia         lecemo  et  est  a  mente, 
ociso  fo  Achile,         lo  nobele  e  sacente, 
e  Priamus  per  Tibia         morì  tristo  e  dolente, 
e  per  Antiochea         Eneas  fo  auciso  mala  mente.  133 

'  "  ""  Ancor  de  Rodiana         audito  ave  contare, 

Joanes  lo  batista         eia  fé  decollare, 
nuj'om  se  devria         en  femena  enfiare;  sfe^i'*"^"'" 
lo  cor  à  felonissemo         asai  plui  qe  no  pare.  136 

Et  entre  en  lo  Passio         se  truova  sta  rasone,''o-"''i 
comò  sain  Pero  la  note         se  scaldav'  a  le  i5rone  ; 
acusàl  una  femena         e  mesclo  a  tendone: 
"e  quest'è  galileo,  de  Cristo  conpagnone?  „  140 

No  remase  per  eia         qe  no  desse  conforto, 
de  lo  fedel  desipolo,         no  fosse  pres  o  morto; 
de  lo  cor  de  la  femena         eu  men  son  ben  acorto, 
fontana  é  de  malicia         e  arbor  fruitante  torto.  144 

E  del  re  Faraone         se  lez  en  un  sermone, 
la  soa  mojer  Josep         fé  meter  en  presone; 
per  q'el  no  volse  far         la  ley  requirisone, 
sovra  1  covene  mese         una  falsa  rasone.  148 

Et  un  Roman  set  ami         cercando  andà  li  regni, 
scrivendo  de  le  femene         le  art  e  li  encegni; 

130.  ms,  fa. 


SEC.  xni.  Proverbia  super  natura  feminarum.  143 

e  poi  una  vilana         lo  scernì  com  encegni, 
152  c'arder  li  fé  li  libri         en  grand  fogo  de  legni. 

Così  enganà  a  Pisa         la  mujer  ser  Martino  ; 
en  testa  li  fé  ponere         en  la  canbra  un  cortino 
e  caca  fora  lo  druo         q'  era  scos  sot  un  tino  ; 
156  per  dieu,  questo  fo  abeto         molto  nobel  e  fino. 

E  tanti  per  sto  segolo         d'esti  fati  ài  entesi, 
corno  le  false  femene         gabi  li  soi  amisi, 
quando  d'  esi  recordo  me,         molto  ne  faco  risi, 
i6o  quili  c'ad  eie  serveno,         ben  li  tegno  barbisi. 

La  raina  Triesta         comò  lo  fijo  aucise, 
Ovidio  de  le  Pistole         ben  lo  conta  e  1  dise: 
sta  eniquitosa  femena         stranio  penserò  fese,  « 

164  ond  no  s'enfid  en  femena         né  vilan  né  cortese. 

Sacate,  ogna  malicia         et  ogna  mala  causa 
en  lo  cor  de  la  femena         sta  serata  e  repausa, 
sta  paraula  descovrove         e  no  stea  reclausa. 
168  mervejo  cui  conosele         com  une'  amar  le  ausa. 

La  fija  d'un  re         c'amirail  om  apela, 
co  q'  eia  fé  al  pare,         Ovidio  ne  favela. 
Mira  con  la  soa  baila         li  fé  tal  garbinela, 
172  no  la  fece  più  laida         vetrana  ni  poncela. 

Ca  lo  cor  de  la  femena         no  repausa  né  fina 
tant  fin  q'ela  no  empie         co  q'  a  en  soa  corina, 
cortese  né  vilana,         contesa  ni  raina. 
176  tuto  tenpo  sta  en  eie         sta  malvasia  dotrina. 

E  la  mojer  de  Cab,         la  raina  Cocabel, 
c'aucis     multi  profeti         et  adorava  Obel, 
per  la  lei  enìquità         fé  Dieu  serar  lo  ciel, 
180  qe  tre  ani  e  sei  mesi         no  piove  en  Israel. 

Quest'  aucis  li  profeti         e  lo  mari  soduse, 
lo  regno  d'Israel         en  grand  error  aduse;    iUyt_ct 
ke  le  yodole  d'Obel         molti  adorar  conduse; 
184  per  quest  pecad  oribele         l'auto  Deu  la  destruse. 

E  qi  d' isti  proverbii         de  legere  à  entenduto, 
se  mai  se  las'  a  femena         sodure,  sera  destruto. 
quand  l'om  cred  a  femena,         en  tal  afar  è  duto, 
t88  qe  mejo  li  seria         q'  el  fosse  sordo  o  muto. 

Et  en  Jerusalem,         sicon  la  ystoria  dise, 
la  raina  Atalia         li  soi  propinqui  aucise. 
vardai,  comò  sta  impia         stranio  penserò  fese. 
192  cui  primo  servì  a  femena,         a  mal'  art  se  mese. 

Sovra  tute  malicie         femen'  à  pensamenti, 
e  però  sont  artifice         de  mali  argumenti. 
questa  per  cubitisia         aucise  li  soi  parenti, 
196  e  la  mandegà         cani,  corvi  e  serpenti. 


144  *  Il  Panfilo.  SEC.  xm. 

Qui  lece  tanti  exempli        e  ve  tanta  figura, 
molto  me  meravejo         se  de  f emena  cura, 
molt'  è  folle  quel  omo         e  de  strania  natura, 
qe  va  abitar  en  forn         ó  è  flama  e  calura.  200 

La  raina  de  Franca     .   con  Rigo  curt-mantelo, 
per  questo  mondo  sonase,         qual  eia  fé  canbelo. 
a  cui  qe  fose  laido,         a  liei  fo  bon  e  belo, 
q'  eia  pianta  le  come         al  re  soto  1  capelo.  204 

E  de  la  enperatrice         questo  ensteso  ve  dico, 
ke  se  fé  un  cavalier         borgoignon  per  amico, 
e  poi  luci  com  elo;         questo  vero  ve  dico, 
q'  eia  pianta  le  come         a  l' enperer  Perico.  208 

%\ncor  d'un  altro  fato         eu  me  son  recordato, 
de  r  alta  marchesana         qe  f o  de  Monferato  ; 
cugav'  a  lo  mari         spesor  con  falso  dato, 
con  più  de  set  e  cinque         le  come  i  à  piantato.  2x2 

E  la  ceciliana         raina  Margarita, 
con  Majo  1'  amiraja         molto  mena  rea  vita, 
on  el  av'  en  la  testa         fort  una  spaa  fita  ; 
Matheu  Bonel  com  essa         li  nd  tolé  la  vita.  2t6 

A  r  enperer  de  Grecia         c'on  dis  Bambacoradi, 
r  emperatrice  feceli         molti  mali  mercadi  ; 
su  la  fronte  li  pose         doi  corni  sì  ramadi, 
per  Franca  e  per  Grecia         ben  sono  resonadi.  220 

Le  done  à  solaco         far  come  a  lo  marito, 
de  questa  orda  befa         spesora  me  nde  rito; 
s'un  spend  e  l'autro  gaude,         non  è  bono  partito; 
eu  cognosc  asai  beci         e'  à  lo  corno  fiorito.  224 

Li  lial  e  li  savi         ben  ne  son  avecuti; 
sete  tanti  è  li  cogoci         qe  no  sono  li  druti. 
però  li  amor  de  femene         a  mal  port  è  venuti, 
qe  li  loro  mal  fati         è  scoverti  e  conosuti.  228 

De  li  loro  mal  veci         lo  cor  m'art  et  encende, 
et  an  questi  proverbii         d'amar  me  le  defende, 
sì  q'  en  alta  né  'n  bassa         lo  meu  cor  non  entende  ; 
li  soi  cogi  e  li  envidi        tuti  è  com  male  mende ....  232 


54.      IL  PANFILO  IN  ANTICO  VENEZIANO. 

TI  D  e  amor  e  o  De   arte   a  mandi  di  Panfilo  h  un  altro  dei  libri  di  testo  delle 
scuole  medioevali.       Prima  creduto  del  sec.  X,  poi  del  XV,  probabilmente  esso  appar- 
tiene al  XII;  Albcrtano  da  Brescia  che  scriveva  nella  prima    metà    del  sec.    XIII,   lo 
cita  sovente.       Il  volgarizzamento  di  cui  qui  si  dà  saggio,    trovasi  nel  cod.  già  Haihan- 
te-Hamilton,  ora  sgo  della  li.  Biblioteca  di  Berlino,  d^ondc  Ju  pubblicato  dal  Tablet  nel- 


SEC.  XIII.  //  Panfilo.  145 


V Archivio  gioitolo gico   italiano ,  ^V,  i77-2jj.       Dallo  stesso  codice  fu  tratto  il 
tanto  latino  che  si  pone  sotto   a  riscontro. 

INCIPIT    LIBER   PANFILI 
e  Panfilo  parla  en  comencamento  sovra  si  medesemo. 

Eu  Pantìlo  son  enplagà  e  port  lo  lancon,   eoe  1'  amor,  serad  en 
lo  mieu  pieto.       e  cotidianamentre  eresse  a  mi  la  plaga  e  lo  dolore, 
eoe  r  amor. 
4  Et  aneora  no  auso  dir  ni  manefestar  lo  nome    de  quela   ke  me 

fiere.       e  la  plaga,  eoe  l'amore,  no  me  lassa  aneora  veder  li  soi  guar- 
damene. 

Per  la  qual  eaosa  eu  spero  et  ài  paura  qe  li  perigoli  ke  me  de 
8       vegnir,  sera  major  de  li  damaci.       con  co  sea  eaosa  k'eu  speiro  ao- 
torio  de  sanità;  né  quela,  eoe  Galathea,  no  me  darà  medecena. 

Per  la  qual   medecina  eu  possa   prendere  a  lo  comencamento  la 
mejor  via.       guai  a  mi,    que  farai  eu,  q'eu  no  von   ben  segur  en  ne- 
12      guna  parte. 

Et  eu  me  laimento  e  la  caoson  de  la  mea  laimentanca  si  è  molto 
justa.       cum   co   sea   eaosa   ke   nesuna    abundanca  de   eonseglo   sea 
a  mi. 
i6  Mai  enpercò  ke  molte  cause  nose  a  mi,    mester  m'  è  a  veder  et 

a  cercar  molte  caose.       ké  l'arte  e  lo  encegno  suol  molte  fiade  aidar 
lo  so  segnor,  s'el  la  sa  adovrar. 

E  se  la  mea  plaga  descovri  per  ordene  tuti  li  soli  volti,    eoe   le 
2o     soi  voluntà,       ki  sea  quela  plaga  et  ond'  ella   vene  e  kì   sea  quelui 
ke  gè  mete  le  arme  ; 

Per  la  ventura  perdrave  quela  plaga  la  speranca  de  la  soa  me- 
dicina,      ké  la  speranca  qe  1'  om  à,  sì  lo  passe  et  aidalo  sovence  fiade, 
24      e  sovence  fiade  sì  lo  engana. 

E  se  la  plaga  descovre  del  tuto  la  soa  faca  e  li  soi  movementi 
de  dolor,         e  la  plaga  demande  grand  ajutorio  de  sanità. 

Per  la  ventura  vegnirà  pecor  caose  ab  vili  comencamenti  ke  s'  è 
28      dite  de  sovra^         e  covignirame  a  postuto  morir  de  quela  plaga. 

Eu  enpenso  meglo  fir  mostra  ;  enpercò  ke  lo  fogo  forte  sparso, 
eoe  l'amore,  sol  esser  plui  temprad,  e  lo  fogo  rescoso,  eoe  l'amore, 
plui  cruele. 

Vulneror  et  clausum  porto  sub  pectore  telum,  crescit  et  asidue  plaga  dolorque 
michi.  Etferientis  adhuc  non  audeo  dicere  nomen,  nec  sinit  aspectus  plaga  videre 
suos.         Unde  futura  meis  majora  pericula  dampnìs         spero  salutis  opem  nec  medi- 

4  Cina  dabit,  Quam  prius  ipse  viam  meliorem  carpere  possim,  heu  mihi  quid  faciam 
non  bene  certus  eo.  Conqueror  estque  mee  justisima  causa  querele,  cum  sit  consilii 
copia  nulla  mihi.  Set  quia  multa  nocent,  opus  est  mihi  querere  multa,  nam  solet 
ars  dominum  sepe  juvare  suum.       Si  mea  plaga  suos  denudet  in  ordine  vultus,       qui  sit 

8  et  unde  venit  armaque  quis  posuit  ;  Perdet  et  ipsa  sue  fortasis  spem  medicine,  spes 
reficit  dominum  fallit  et  ipsa  suum.  Si  tegat  ex  toto  faciem  motusque  doloris  et 
magnam  querat  plaga  salutis  opem,  Forsitan  evenient  pejora  prioribus  illis,  et 
me  continget  protinus  inde  mori.         Estimo  monstrari  melius,  nam  conditus  ignis 


36 


40 


145  //   Panfilo.  sec.  xiii. 

Adonca  parlarai  a  madona  Venus,    cum  co  sea  causa  q'ela  sea     32 
la  nostra  vita  e  la  nostra  morte,       e  tute  le  cause  sera  menade  per 
per  soi  consegli  de  madona  Venus. 

Qui  aloga  parla  Panfilo  a  madona  Venus,  eoe  la  dea  de  1'  amore. 

"O  madona  Venus  santa,  una  speranca  de  la  nostra  vita,  Dìeu  ve 
salve;       la  qual  voi  fad  tute  le  cause  sotocaser  al  vostro  comanda- 

""'La'qual  a  ti,    madona  Venus,    teme    e   serve   l'alta   potencia   de 
li  dusil  li  re;       e  voi  madona  Venus,  piena  de  piata  perdonad  a  li 

mei  desideri. 

Né  no  voglai  eser    dura  a  mi,  né  contrastar  a  li   mei  pregi;       e 
fai  quelo  k'eo  ve  domando,  con  co  sea  k'eu  no  ve  damando  grande 

cause.  ,  j      _„: 

Eu  disi  no  grande  cause,  et  a  mi  misero  parele  tropo  grande;  mai      44 
enpermordecò  a  dar  tu  a  mi  queste  cause  non  è  a  ti  grande  causa. 

Et  enpermordecò  et  eu  firai  ca  abiù  viacamentre  viacamentre  ale- 
gro    et  con  tal  mésura  vignirà  a  mi  tute  le  cause  cun  prosperità. 

E  la  f antesella  sie  vesina  a  mi,  cun  co  sea  causa  k'eu  no  voraye 
q'  eia  fose  mea  vesina,       se  la  vostra  gracia  no  me  devesse  sovegnir. 

Enpercò  qe  lo  fogo  lo  qual  è  da  provo,  suol  plui  danar  e  plm 
scotar  ke'  quelo  ke  s'  è  da  luitano.  onde  per  que,  se  quela  me  tosse 
da  luitano,  eoe  Galathea,  eia  me  danarave  meno  e  faresse  a  mi  menor 

""^Q'el  fi  dito  et  è  veritade,  ke    quela,    eoe   Galathea,  è  plui   bella 
de  tute  le  soi  visine.       e  s' elo  non  è  verità  k'ela  sea  più  bela,  donca 


48 


56 


60 


12 


me  engana  l' amore ,       ,   .  .1 

El  fi  dito  et  eu  lo  confesso  ben  k'ela  è  nada  de  plm  centil  genera- 
cione  de  mi,        e  per  queste  cause  eu  temo  de  dir  a  lei  la  mea  vo- 

lontade.  ,     .  .        ^  v  o„ 

E  fi  dito  et  è  ben  veritade  k'ella   è    plm   rica   de   mi,       e  1  au- 
nore  e  le  rikece  k'ela  à,  sì  Ila  fa  tegnir  molto  grande. 

acrìor  efusus  parcior  esse  solet.  Ego  loquar  Veneri,  Venus  est  mors  vitaque  no- 
rr  ducenturque  suis  omnia  consiliis.  «Unica  spes  vite  nostre,  Venus  mchta  salve 
nue  facis  imperio  cuncta  subire  tuo.  Quam  timet  alta  ducum  servUque  potenza 
rgum  sUibusvotistupiaparcemeis.         Ne  michi  sis  dura  precibusque  resistere        ■ 

met         et  fac  quod  posco-,  non   ego  magna  peto.         Dixi  non  magna    m.sero  m.cM       .6 
TagL  videntur,'       set  tamen  ista  dare  non  tibi  dificile  est.     ^  Annuo  d.ta^^^^^^^ 
jamque  beatus  habebor,         et  sic  evenient  prospera  cuncta  mich.         Est  mi  h  ^  icma 
lele'm  non  esse  puella,         si  non  subveniat   gracia  vestra  michu         Nam  so^t  amoto 
plus  ledere  proximus  ignis-,         me,  si  mota  foret,  lederet  xpsa  mmus  ^ertur  v  e  n  s 

formosior  omnibus  illa,         aut   me  tallit  amor,  omnibus  aut  superest..  .  .         ^icitur  e 
fateor  me  nobilioribus  ortam,         huic  ideo  metuo  dicere  vel  meum.         Fertur  et  es 
verum  quod  me  sit  dicior  illa,         et  decus  et  dotes  copia  sepe  rogat.       ^^^J^^^ 
sunt  dotes  decus  ingens  copia  grandis;  «ed  quod  habere  queo,  quero  labore  meo.       24 


SEC.   XIII.  //  Panfilo.  147 


Ne  a  mi  non  è  eoe,  eu  non  ài  grande  rikece  né  grand  aonor  né 
grand  abundanca  de  cause;       mai  quela  causa  k'eu  posso  avere,  eu 

64  la  damando  con  la  mea  fadiga. 

E  cum  co  sea  causa  qe  la  femena  sea  nada  d'un  bevolco,  pur 
k'ela  sea  rica,  ella  lece  de  mile  omini  uno,  lo  qual  ella  vole  a 
marido. 

65  Et  en  la  beleca  de  quelei  la  paura  sì  sovraprende  le  nostre 
membre;  e  questa  causone,  eoe  k'  eia  è  così  bela  e  così  centil  e 
così  rica,  me  veda  majormentre  a  dir  a  lei  la  mea  volontade „ 

Mo  responde    madona  Venus  a  Panfilo. 

En  quela  fiada  madona  Venus  sì  disse  :  "  la  sovrastagante  fadiga 
72      vence  e  sopercla  tute  le  cause  ; 

E  no  te  vergoncaras  né  no  aver  dobio  de  dir  li  toi  anemi,  eoe  le 
toi  volontade  a  cascuna  femena.      ke  apena  sera  dentre  mile  femene 
una,  la  quale  devede  a  ti  qiielo  ke  tu  li  damandaras. 
76  Mai  per  la  ventura  quelo  ke  tu  li  damandaras,  pregandola  e  cla- 

mandoje  mercé,  eia  lo  vedarà  a  ti  aspramentre  da  lo  comencamento  ; 
mai  lo  encargo  de  quela  aspreca  k'ela  te  mostrarà,  si  é  molto  leve. 
Si  qe  ca  curando  dal  comencamento  quele  caose  le  qual  quel  me- 
So     dhesemo  vendeor   negava,       vecando  elo  lo  bon   compraore,  sì  3  e  de- 
mostra le  cause,  le  qual  davanti  le  avea  devedhadhe. 

E  saipe  ferma  mentre,  kè  se  lo  primer  naucler  ke  entra  en  mar 
fosse  stado  spavuroso,   elo   no  la   avrave    mai  passada,       quando  elo 
84      sentì  enprimeramentre  la  ravinosa  onda  contrastar  a  la  nave. 

Adonca  se   la   femena  no  consente  alò  enprimeramentre  a  li  toi 
parlamenti,       per  arte  ao  per  servisio  tu  fai  q'ela  te  consenta. 
Empercò  qe  la  arte  sì  speca  la  volontade,  e  la  arte  deruinea  le 
SS     ferme  citade  ;       e  le  tore  si  cace  per  la  arte,  e  per  la  arte  si  ven  le- 
vado  lo  grande  encargo. 

E  lo  corente  pesse  sì  fi  preso  per  arte  soto  le  onde  de  l' aigua, 
e  lo  homo  core  per  arte  su  per  lo  mare  en   tal  mainerà  q'  elo  no  se 
92      bagna  li  pei. . . 

Dumodo  sit  dives  cujusdam  nata  bubulci,  elegit  e  mille  quemlìbet  Illa  virum.  Illius 
in  forma  nostros  tremor  occupai  artus  et  magis  hec  votum  dicere  causa  vetat. ...» 
Tunc    Venus   hoc  inquid  :    «  labor   improbus    omnia  vincit,         qualibet  et  poteris  ipse 

28  labore  frui.  Et  monstrare  tuos  animos  nuli  verearis;  vix  erit  in  mile  que  neget 
una  tibi.  Quodque  precando   petis   prius    aspera  forte  ncgabit,         sed  leve  pondus 

habet  illius  asperitas.  Jam  jurando  prius  quos  vendìtor  ipse  negabat,  venales  census 
inprobus  emptor  habet.         Nec  mare  transiset  pavidus  si  nauta  fuisset,         turgida  cum 

32  primus  restitit  unda  rati.  Ergo  tuia  primum,  si  non  favet  ipsa  loquelis,  arte  vel 
oficio  fac  tamen  ut  faveat.  Ars  animos  frangit  et  firmas  diruit  urbes,  arte  cadunt 
turres,  arte  levatur  honus.  Et  piscis  liquidis  deprehendìtur  arte  sub  undis,         et  pe- 

dibus  sicis  per  mare  currit  homo  ....  Incipe  spe  melius,  dedit  et  dabit  omnia  tem- 

36       pus,         nec  timor  ullus  erit  in  quibus  esse  times.  non  tibi  plus  dicam;  vinces  stu- 

diosus  amicam       inceptumque  viis  mile  patebit  opus».        Incolumi?  egro  leviter  solacia 


148  //  Panfilo.  sec.  xni. 


Comenca  a  la  speranca  de  Deu,  ke  lo  tempo  darà  a  ti  tute  le 
cause  con  mejoramento.  ke  nesuna  paura  sera  a  ti  en  quele  cause 
le  qual  tu  teme  ke  debia  essere. 

Eu  no  dirai  plui  alguna  causa;  tu  venceras  toa  amiga  per   lo  stu-     96 
dio,  se  tu  lo  avras.      e  sì  qe  comencado  questo  lavorerò,  eoe  l' amore, 
andando  per. meco  le  vie  tu  gè  veras  mile  migloramenti  „ . 

Oi  me,  dise  Panfilo,  ke  quelui  ke  à  sanitade,  si  dà  levementre 
solaci  a  lo  enfermo.  100 

Mo  parla  Panfilo  a  si  ensteso. 

Mai  per  mor  de  quili  solaci  lo  enfermo  no  se  sente  aver  men 
male. 

Et  en  cotal  mesura  lo  mieu   dolore  no  m'è   aleviado  per  lo  con- 
sejo   de   madona   Venus;       mai  lo  amore  sì  regna  e  sovrasta   en   lo    104 
mieu  tristo  peito. 

E  da  quence  endredo  tuta  la  mea  speranca  d'aotorio  si  fo  et  è 
stada  en  ella,  eoe  en  madona  Venus  ;  mai  mo  la  speranca,  la  qual  eu 
aveva  en  madona  Venus,  se  n'è  andaa  via,  e  lo  dolore  sì  me  remane.    loS 

Guai  a  mi  misero,  k'  eu  no  scamparai  e  no  posso  scanpare  ;  ké  lo 
nauclero  me  à  abandonado  entre  le  onde;  et  eu  cerco  e  damando 
porto,  e  no  lo  posso  trovare. 

Mai  mo  que  farai  eu,  qe  la  mea  mente  e  la  mea  volontade  varda    112 
solamentre  ad  ella?       per  la  qual  causa  el  me  covene  parlar  ad  ella 
novelamentre. 

Mo  parla  Panfilo  a  si  ensteso. 

O  domenedeu,  cum  eia  vene  bela  cum  li  soi  cavili  descuverti  ! 
e  quanto  logo  serese  mo  stado  de  parlar  a  lei  de  co.  116 

Mai  si  ke  recevù  ò  cotanto  asio  de  parlarli,  ora  mo  vene  a  mi 
tante  paure,       ke  né  la  mea  mente  né  le  mei  parole  remase  con  mi. 

Né  le  mei   vertude  né  le  mei    force  non  é  a  mi,  sì  ke  tremando 
a  mi  li  mei  pei  e  le  mei  mane,       et  algun  bon  abito  né  alguna  con-    120 
vìgnivole  volontade  non  é  a  mi. 

Eu  pensai  et  aveva  pensado  en  lo  conponemento  de  la  mea 
mente  de  dir  ad  ella,  eoe  a  Galathea,  plusor  cause  ;  mai  la  paura 
si  caca  via  tute  le  cause  le  qual  eu  voleva  dire.  124^ 

prebet,  nec  mìnus  infirmus  sentit  adesse  malum.  Conscilio  Veneris  michi  non 
dolor  aleviatur,  set  meus  in  tristi  pectore  regnat  amor.  Hactenus  auxillii  michi 
spes  f uit  omnis  in  illa  ;  spes  modo  dissesit  et  manet  ipse  dolor.  Non  miser  evadam,  40 
me  nauta  reliquid  in  undis,  .  et  portum  quero  nec  reperire  queo.  Sed  modo  quid 
faciam?  mea  mens  modo  spectat  ad  illam,  illi  me  noviter  convenit  inde  loqui. 
Quam  formosa,  Deus  I  nudis  venit  unda  capillis  ;  quantus  et  esset  ei  nunc  locus  inde 
lo"iui.  Set  sumpto  tanti  mihi  nunc  venere  timores,  nec  mea  mens  mecum  nec  mea  44 
verba  manent.  Nec  mihi  sunt  vires  trepidantque  manusque  pedesque  attonitoque 
nuUus  congruus  est  abitus.         Mentis  in  aft'ectu  sibi  dicere  plura  paravi,         set  timor 


SEC.  XIII.  //  Sermone  di  P.  da  Bascape.  149 

Oi  me,  dise  Panfilo,  q'  eu  no  son  quelo  q'eu  soleva  esere;  ke 
apena  qe  me  poss'eu  cognoscere;  mai  quamvìsdieu  ke  la  mea  vose 
no  me  segua  ben  a  dir  quelo  k'eu  vojo,  anpercò  sì  parlarai  eu  e  dirai: 

Mo  parla  Panfilo  a  Galatea. 

12S  "  O  madona  Galathea,  una  mea  neca  de  quel'altra  vila  sì  te  manda 

mile  saludi;       e  manda  a  ti  per  mi  lo  so  amore  e  lo  so  servisio. 

E  no  te  cognose  se  no  solamentre  per  lo  dito  de  la  cente  e  per 
lo  to  nome.       Mai  s'elo  gè  n'è  logo,    ao  elo  gè  fosse,  ella  te  desira 
132    molto  a  vedere. 

Li  miei  parenti  e  me'  pare  e  mea  mare  sì  me  volse  retenir  iva- 
loga  e  quela  vila;  e  quili  sì  prometeva  a  mi  e  volevame  dar  una 
f antasela  con  grande  enpromessa . . . .  „ 

excussit  dicere  que  volui.         Non  sum  qui  fueram,  vix  me  cognoscere  posum,         nec 
48     bene  vox  sequitur,  set  tamen  inde  loquar:  «  Alterius  ville  mea  neptis  mille   salutes 

per  me  mandavit  oficiumque  sibi.         Nec  te  cognoscit  dictis  et  nomine  tantum;  sed 

te,  si  locus  est,  ipsa  videre    cupit.         Illic  me  voluere  mei  retinere  parentes,         hii  mihi 
spondebant  cum  sum  a  dote  puellam  . . . .  » 


55.      IL  SERMONE  DI  PIETRO  DA  BASCAPE. 

Da  Bascafè  o  Barsegape  («a  Basilica  Petri»)  è  nome  di  antica  famiglia  lombarda. 
Pietro  dovette  fiorire  circa  la  meta  del  sec,  XIII,  giacché  il  ms.  del  suo  poema,  non  ori- 
ginale ma  copia,  è  del  1264,  o  tutto  al  più  del  isjif..  Questo  poema,  che  V  autore  chiama 
«  sermone  » ,  riassume  la  storia  del  Vecchio  e  del  Muovo  Testamento,  parafrasando  per  sommi 
capi  il  Simbolo  degli  Apostoli.  Conservasi  in  un  codice ,  già  della  famiglia  Archinfi, 
ora  della  Biblioteca  Nazionale  di  Milano,  AD  .XIII .48.  Un  saggio  della  sua  scrittura 
-\   in  Facsimili   di   antichi   manoscritti,   t.  43. 

JNo  è  cosa  in  sto  mundo,  tal  è  Ha  mia  credenca, 

ki  se  possa  fenir,  se  la  no  se  comenca. 

Petro  de  Barsegape  si  voi  acomencare 
4  E  per  raxon  fenire,  segondo  ke  1  gè  pare. 

Ora  omiunca  homo  intenca  e  stia  pur  in  pax, 

Sed  kel(ne)ge  plaxe  audire  d'un  bello  sermon  verax;  vu^^x/^ 

Cumtare  eo  se  volio  e  trare  per  raxon         J^.:U»-V^(^'*^"***^ 
8  Una  istoria  veraxe  de  libri  e  de  sermon, 

In  la  qual  se  conten   guangii  e  anche  pistore,  " 

e  del  novo  e  del  vedre  testamento  de  Criste. 

/\lto  deo,  patre  segnior,  Jesu  Cristo  filiol  de  gloria, 

12     Dà  a  mi  forca  e  valor;  16     Dà  a  mi  seno  e  memoria, 
Padre  Deo,  segnior  veraxe,  Intendimento  e  cognoscanca 

Mandime  la  toa  paxe;  In  tuta  grande  lialtanca, 


150 


//  Sermone  dì  P.  da  Bascapè. 


SEC.    XIII. 


-vH 


-V«-' 


Si  me  adrica  in  quella  via 

Ke  placa  a  toa  grande  segnioria.   20 

Spirito  sancto,  de  toa  bontà 

Eo  ne  sia.  sempre  inluminao; 

Inluminao  e  resplendente 

Del  to  amore  sì  sia  sempre.       24 

E  clamo  marce  al  me  segnio- 
Patre  Deo  creatore,  [re, 

Ke  possa  dire  sermon  divin, 
E   comencà  e  trare  a  fin,  28 

Como  Deo  à  fato  lo  mondo, [mo, 
E  comò  de  terra  fo  lo  homo  for- 
Cumel descendé  de  ciel  interra 
In  la  vergene  regal  polcella;      32 
E  cum  el  sostene  passion     <r\jUdy^ 
Per  nostra  grande  salvation;  V 

E  cum  vera  al  dì  de  l' ira. 
Là  ó  sera  la  grande  roina;V      36 
Al  peccatore  darà  grameca,  I^^A^ 
Lo  justo  avrà  grande  alegreca.       , 
Ben  è  raxon  ke  l'omo  intenca  A^^^ 
De  %^'  è  traita  sta  legenda.  40 

L'  altissimo  Deo  creatore 
De  tuti  beni  comencadore 
\Plaque  a  lui  in  comencament^, 
y^Lo  cel  e  la  terra  el  creò,  44 

La  luxe  resplendente  a  far  di- 
Lo  sol,  la  luna  e  le  stelle,  [gnò. 
Lo  mare  e  li  pissi  e  li  olcelli, 
Aer  e  fogo  al  firmamento,  48 

Bestie  tute  e  li  serpente. 
Partì  la  lux  da  tenebria, 
Partì  la  nocte  da  la  dia,      il*' 
Et  a  la  terra  de  bailiaV.  ^^'         52 
Potestà  et  segnoria. 
De  le  nasce  lo  alimento. 
Herbe  e  lenie  e  Tormento, 
Biave  e  somenca  d'onna  gran,   56 
Arbore  e  fruite  d'omiunca  man.  W^*^  ^'^ 
E  vide  Deo  e  si  pensare     ),^'^ 
Ke  tuto  questo  par  ben  stare. 
Possa  de  terra  formò  l'omo        60 
Et  Adam  gè  mette  nome; 
Sì  li  dà  una  compagna. 
Per  la  soa  nome  Eva  se  clama; 
Femena  facta  d'una  costa,  64 


La  qual  a  l'omo  era  posta. 

De  cinque  sem  el  gè  spiroe, 

In  paradiso  i  alogò.         [xello 

El  g'  è  d'ugni  fructo  d'arbor-  \§St^" 

Dolce  e  delectevele  e  bello: 

Tal  rende  vita  sanca  dolore, 

E  tal  morte  con  grande  tremore. 

In  questo  logo  i  à  ponìi  72 

Segondo  quel  ki  g'è  plaxù. 

Quatro  fiumi,  co  m'  è  viso, 

Èn  in  questo  paradiso  : 

Lo  primer  à  nome  Physon,        76 

Lo  segondo  à  nome  Geon, 

Tigris  fi  giamao  lo  tertio. 

Lo  quarto  à  nome  Eufrates. 

Questo  lo^o  veraxemente  80 

Lo  piantò  al  comenc amento, 

In  lo  qual  Deo  segniore 

Adam  è  facto  guardaore. 

Sì  li  fa  comandamento,  84 

De  le  fruite  k'  è  là  dentro. 

De  cascun  possa  mangiare  ;       j/i  ^"i^^^' 

Un  gè  n'  è  ke  1  laga  stare.  ^.  ^^*^ 

El  è  un  fruito  savoroso,  88 

Dolce  e  bello  e  delectoso. 

Da  cognoscer  e  ben  e  1  mal. 

Percò  li  ào  vedao  de  niancà. 

Si  11  dixe  per  meco  lo  viso       92 

Lì  aloga  in  lo  paradiso:  j^^it^owc^/- 

"  Qualunca  dì  tu  mangirae,  ■'^  "^ 

Tu  a  morte  morire,,. 

Tute  le  cose  vivente  96 

D'avanco  Adam  lì  im  presente  ij^ 

Serpente,  ò:>ielo,  co  k'el  criò,  =  "^^ 

Ad  Adam  li  apresentò:  .--<^^ 

K'el  miti  nomi  com  i  plaxe,  "^  100 

E  quilli  seran  nomi  veraxe.L  '^'^"^^'^^ 

Adam  mete  nome  a  le  cose 

segondo  quel  k'el  vose . 

Or  sen  partì  lo  creatore         104 
si  cum  gè  plaxe,  ciim  à^segnio- 
Lo  serpente  ce  ad  Eva       [^e^\l^'  •^/v*'^ 
Dritamente  là  ó  el'  era. 
Plen  de  venin  n'era  1  serpente    108 
Tosegoso  e  remordente, 
Sì  portò  mala  novella 


SEC.    XIII. 


//  Sermone  di  P.  da  Bascape. 


151 


Comencamento  de  la  guerra. 
112     Dix  quella  figura  soca  e  rea: 

"  Perqué  non  mangi,  madona 

[Eva, 

Del  fruito  bon  del  paradiso? 

E  molto  bello,  co  m' è  viso!„ 
ii6    Eva  disse  a  lo  serpente: 

"  De  le  fruite  k'  èn  ca  dentro. 


i:;6 


ìnM^ 


>^ 


De  tute  mangiar  possemo 

Ma  un  gè  n'è  ke  nu  schiveniò,  i6o 

I20    Nu  no  r  osemo  ca  mangiare, 
K'  el  partisce  lo  ben  dal  male. 
Quel  segnor  ke  ne  criò, 
Duramente  ne  1  comandò, 

124    Ke  nu  de  quel  no  fesomo  torto,  164 

Ke  nu  seravem  ambi  morti„. 
Dix  lo  serpente  a  madona  Eva: 
"  Or  ne  mance  ben  volentera; 

128    Vu  seri  sicomo  Deo; 

Cognoscerì  lo  bon  e  1  reo, 

Vu  seri  de  Deo  inguale,  168 

Ke  vu  savrì  el  ben  e  1  male„. 

132    Eva  si  à  crecuo  al  serpente, 
Lo  fructo  prende  e  metel  al  den- 
Po  ne  de  al  compagnion,    [te, 
Ke  Adam  1'  apell'  a  nome.  172 

136     Quendo  1' aven  mandegao, 

Zascaun  se  ten  per  inganao,  (j<^'**'^ 
E  killi  se  videno  scrini dhi^b^^^'^^^-^o^-^ 
Vergoncià,  grami  e  unidhi.    i,,itùc^*i.76 

I  40    Illi  se  volcen  intro  le  frasclie,,y  |k  ^ , 
Come  fai  li  ribaldi  entro  le  stra-  ^     Ai 

[ce;- 
De  folie  de  figo,  dixe  la  Scriptu-  iSo 

Ke  illi  se  fen  la  covertura.   [ra, 

1 44  Pos  meco  dì  vernando  a  lor 
Illi  odìn  la  voxe  del  Segnior; 
Illi  s'  asconden  intrambidù,  184 

De  grande  timore  k'illi  àn  abiù. 

1 4  8    Quando  lo  Signor  gè  fo  apresso, 
Et  e  lo  clama  li  adesso: 
"  0  è  tu,  Adam  ?  „  dixe  lo  Se- 

[gnior.  188 

Et  el  responde  con  grande  tre- 

[more: 

153     "  E' odi,  meser,  la  toa  voxe. 


De  pagura  me  rescose: 
In  per  quelo  ki  era  nudho, 
Sì  me  sonto  asconduo  „. 
Dix  lo  Segnior  :  "  ki  t'  à  mo- 

[strao 
Ki  t'  à  quillo  nudho  trovadho. 
Se  no  lo  fructo  ke  tu  è  man- 
[giadho  ? 
de  lo  qual  t'aveva  comandadho 
Ke  non  mangiasi;  e  tu  man- 

[giasi, 
Contra  1  meo  dito  tu  andasti  „. 
Adam  casona  la  compagniesa 
E  dix:  "  meser,  eia  fo  desa, 
La  femena  ke  tu  m'è  dao; 
Me  de  lo  fructo,  eo  l'ò  man- 

[giao„. 
La  femena  caxpiia  lo  serpente 
Ke  rompe  gè  fé  lo  comanda- 

[mento. 
Lo  Segnior  ce  a  lo  serpente, 
E  1  maledixe  fortemente. 
Per  co  k'  à  fato  sta  folia: 
"  Lo  pegio  to  andarà  per  la 

[via; 
Sempre  mai  ke  tu  sii  vivo. 
La  terra  sera  to  inimigo  ; 
Entre  ti  e  dona  Eva 
No  sera  mai  pax  ni  tregua. 
Lo  filio  ked  bela  avrà, 
E  li  toi  ki  nascerà, 
E'  gè  meterò  tencon  e  guera 
Fin  ke  ne  sera  suso  la  terra. 
Suso  lo  co  illi  te  daran. 
La  testa  toa  illi  la  tucaran^ 
Illi  guardaran  li  pei  da  te. 
Tu  lor  vorai  grande  mal  per  fe„. 
Po  dixe  lo  Segnior  a  dona  Eva 
Una  menaca  molto  fera: 
"  Multiplicarò  li  toi  erore, 
E  t'aparturirè  con  grande  do- 

[lore. 
Tu  avrà  sempre  de  lo  lupo 

[grande  pagura, 
Et  elo  sera  to  segnior  sanca 
[rancura  „ . 


CJV»^'* 


152 


//  Sermone  di  P.  da  Bascapè. 


SEC.    XIII. 


Or  se  voice   inverso   l'omo, 
Brega  gè  dà  in  questo  mundo. 
Dixe:   "  per  co  ke  mi  non  obe-    192 

[disti, 
A  toa  mojer  ancoi  ere  disti, 
Maledhegia  la  terra  sia! 
In  la  tua  lavorari^ 
Zermo  nascerà  garcon  e  spine,    196 
E  vivere  a  grande  fadige; 
Lo  pan  avrà  con   grande  su- 

[dore, 
In  grande  grameca  e  in  dolo- 
De  chi  a  che  tu  retornerà    [re,    200 
Da  la  terra  unde  te  crea. 
Pulver  fusto  e  pulver  ee, 
Et  in  pulver  tornar  tu  dì  „ . 
Or  a  lor  fa  vestimente,  204 

De  pelixe  verax  mente 
Sì  li  vestì  lì  aloe; 
Del  paradis  li  descomioe. 
Esen  fora  e  vasen  via,  208 

En  intrambidù  in    compagnia. 
Fano  lì  r  albergaria. 
Illi  lavoran  feramente 
Per  ben  viver  nudriamente,        212 
E  si  dan  aver  fiol  anche  loro, 
Tal'  è  rè  e  tal  è  bono, 
Tuti  semo  de  loro  ensudhi 
Ki  in  questo  mondo  semo  ve-    216 

[nudhi  ; 
Tal  fan  ben  e  tal  fan  1  male, 
Segondo  quel  k'i  à  plaxé  fare. 


Zetessemo  tuti  in  ginugion 
E  facemo  a  lui  oration, 
Gante  mo  tuti  d'  alegreca 
Da  la  soa  grande  grandeca 
Cancon  ke  sieno  spiritale,  224 

Ke  nu  debiesin  de  lu  cantare: 


e  lo  sancto  glorioso 

D'ognia  bono  e  precioso 

Daghemo  a  lu  loxo  et  honore;    228 

Del  nostro  incenso  abian  odor, 

Clamemo  marce  e  pietà 

A  quela  sancta  podhestà 

Ke  tuto  lo  mundo  à  in  bailia    232 

E  perpetuale  segnoria; 

Sì  n  dia  gratia  et  ventura, 

Sens'  e  bontà  e  grande  mesura, 

Ki  al  so  amor  posema  stare,   236 

Pensare  e  dire  et  adovrare 

In  quelo  ke  sia  loro  placimen- 

[to; 
Et  sia  a  nu  grande  salvamen- 
E  de  quelo  abia  marce        [to,    240 
Ke  questo  digio  exponé, 
E  1  someliante  vu  apresso 
Ki  ir  avi  inteso  adesso 
Com  molto  gran  devotion;         244 
Et  a  co  ke  nu  habiemo  salva- 

[tion 
Un  paternoster  et  ave  maria 
Debia  dir  per  l'anima  mia 
E  con  tuto  per  la  vostra,  248 

A  zo  ki  in  gloria  el  sian  poste, 
Zo  è  la  sancta  eternale. 
Là  no  se  sente  miga  de  male. 

Petro  da  Barxegapè  ke  era    252 
[un  fanton. 
Sì  à  fato  sto  sermon. 
Sì  compililo  e  sì  r  à  s  cripto 
Ad  honor  de  Jesu  Cristo. 

In  mille  duxento  sexanta  e    256 
Questo  libro  si  fo  fato,  [quatro 
Et  de  junio  si  era  lo  prumer  dì 
Quando  questo  dito  se  lenir, 
Et  era  in  secunda  diction  260 

In  un  venerdì  abassando  lo  sol. 


SEC.  XIII.  Ricordi  domestici  del  1255.  153 


56.      RICORDI  DOMESTICI  DEL  1255. 

Firenze,  R.  Archivio  di  Stato,  Bigatto  1273:  ms.  originate;  comunicazione  de t prof . 
N.  Zingarelii.  Vedasi  ora  su  questo  documento  C.  Paoli  in  Miscellanea  di  filologia 
e  linguistica   C aix-C anello ,  Firenze,   t886,  p,  gì. 

A  nome  dì  Dio/  Provìnzano  Martinelli  da  Chiana  de  la  corte 
di  Petrojo  in  Greti.  avem  komperato  da  lui  il  podere  suo  da  Chiana 
od   altrove,  ke  n'avesse  in  questa  korte.       avvene  karta  per  mano 

4  di  ser  Rolenzo  da  Sunigliana,  ke  ne  diede  parola  la  moglie  di  Pro- 
vìnzano ,  e  avvene  un'  altra  karta ,  di  questo  podere,  da  Daniello 
figlio  di  questo  Provìnzano  e  da  la  moglie ,  ke  la  fece  Markiano  da 
Fucinkio,  ke  l'avem  kompiuta ....  e  deone  avere dies  quattro  in- 

5  trante  aprile,  ano  cinquantacìnque. 

Miniato,  figlio  Tinazzi   da   Chiana.       avemo   komperato  la  terza 

parte  del  podere  ke  fue  di  Tinazzo  suo  padre.       avvene  karta  per 

mano  di  ser  Jakopo  da  Kole  Gonzole ,  ke  s' imbrevò   dies   dodici  in- 

12      trante  aprile,  ano  cinquantacinque.       avem  la  parola  della  moglie,  e 

deve  avere ....  questo  die  di  sopra. 

Figliuoli   di    messer  Aldobrandini  del  duka  da  Petrojo.       avem 

komprato  da  loro  due  pezzi  di  terra  posti  ad  Aliana,  la  quale   fue 

16      di   Guido  figlio   Tinazzi  d' Aliana  di  quella  dì  Provìnzano.       avvene 

karta  per  mano  di  ser  Jakopo  da  Kole  Gonzole,  ke  s' imbrevò  dies 

tres  anzi  kalende  maggio  nel  55,  e  deone  avere  fiorini  .xxvii.... 

Anke  avem  komprato  da  loro  medesimi  sette  pezzi  di  terra  po- 
so stì  nella  villa  d' Aliana,  e  quattro  istaja  dì  grano,  il  quale  dava  loro 
Ispìnello  e  Venturo  Petroni  d'Agliana.  àci  fatta  karta  messer  Ka- 
valli  e  Lazarino,  de  la  loro  metade,  per  mano  di  ser  Perìno  da  Pa- 
gnava,  ke  s' imbrevò   dì  quattro  ìntrante  luglio  ;   e   ànoci  fata  karta 

24  Prezìvalle  e  Manovaldì  de"  figli  de  messer  Salvagio,  ke  la  fece  Pe- 
rino  da  Pagnava,  ke  s' imbrevò  dies  otto  ìntrante  luglio  nel  55,  ke 
ne  deono  avere ....  queste  due  dì  sopra. 

Spinello  figlio  Giovanni  d' Aliana.       avéli  dato  ad  afitto  uno  pezo 

25  di  terra  posta  a  Rio  d'Aliana  in  cinque  ani,  ke  ci  né  de  dare  ogni 
ano  cinque  istaja  di  grano,  a  lo  stajo  enpolese.  avvene  karta  per 
mano  di  ser  Jakopo  da  Kole  Gonzole,  ke  s' imbrevò  dies  dodici  ìn- 
trante luglio. 

32  A  dato  Giaferro  Triki  .v.  istaja  di  grano,  tuto  settembre  nel 

cìnquantasei.  à  dato  Giaferro  .v.  istaja  di  grano,  ke  ci  ne  diede 
danari....  a  sua  ragione,  ove  de  avere  nel  quadernuccio  de  le  per- 
ghamene,  ìntrante  settembre  nel  cinquantasei. 

IO,  ms.  pradre  28.  de]   ms.  da 


154  Retorica  di  fra  Guidotto  da  Bologna,        SEC.  xiii. 


57.        IL  FIORE  DI  RETORICA  DI  FRA  GUIDOTTO 
DA  BOLOGNA. 

Dì  fra  Guidotto  nulla  si  sa  di  certo  se  non  che  la  famiglia  Guidotti  fu  veramente 
bolognese.)  e  che  egli  dedicò  la  sua  opera  a  re  Manfredi,  quindi  tra  il  12J4  e  il  i2Óò^ 
^uesi' opera,  siccome  già  dimostrò  il  Nannucci  (Ma nuale ,  II,  zi 3)  è  un  comperulio  della 
lì  e  t  lorica  ad  Erennio  volgarizzata  or  più  or  meno  liberamente.  Di  essa  si  cono- 
scono parecchie  copie  fatte  da  toscani,  tutte  lontane  abbastanza  dai  tempi  deli'autore. 
Secondo  uno  dei  copisti,  Filippo  di  ser  Geri  da  Rabatta,  che  viveva  nel  1390  (coi.  Rie- 
card.  2338),  il  vero  autore  del  libro  sarebbe  stato  Bono  Giamboni,  raffazzonatore  di  esso^ 
fra  Guidotto.  Il  contrario  si  crede  dal  Sortoli  (Star.  d.  le  Iter,  ital.  III,  121-34) 
e  più  risolutamente  lo  afferma  il  Gazzani  (Frate  Guido tto ,  Bologna,  1884).  Del 
resto,  i  varj  mss.  accanto  alle  forme  toscane,  che  sono  le  più  comuni,  altre  ns  presentano 
qua  e  là  noti  toscane  ;  ora,  se  toscani  furono  i  copisti,  bisogna  ammettere  che  le  forme  non 
toscane  sono  le  più  antiche.  Chi  potesse  confrontare  tutte  le  copie  esistenti,  forse  ve- 
drebbe quelle  forme  non  toscane  moltiplicarsi  e  ne  trarrebbe  un  testo  probabilmente  non 
dissimile  per  la  lingua  dalle  formale  epistolari  di  Guido  Fava  (v.  n.°  ig)  e  da  altri  scritti 
volgari  del  medesimo  ora  ritrovati.  Negli  estratti  seguenti,  si  riproduce  la  lezione  del 
cod.  II,  IV,  127  della  Bibl.  Nazionale  di  Firenze,  supplendo  nei  luoghi  guasti  col  testo 
seguito  dal  Nannucci,  che  si  dà  chiuso  tra  parentesi  quadre. 

QUI    COMINCIA    LA    RETHORICA    NOVA    DI    TULIO,     TRASLATATA    DI    GRA- 
MATICA    IN    VOLGARE    PER    FRATE    GUIDOTTO    DA  BOLOGNA. 

ÌNel  tempo  che  segnoreggiava  lo  grande  e  gentile  huomo  Giulio 
Cesare»  ^l  quale  fu  il  primo  imperadore  di  Roma,  de  cui  Lucano  et 
Salusto  et  altri  autori  dissero  alti  et  maravigliosi  versi  nel  quartode- 
cimo et  .XV.  anno  dinanzi  alla  nativitade   del   nostro  segnore  Gesù:       4. 
in  quel  tempo  fue  un  nobile  et  vertudioso  huomo,  cittadino  nato  di 
Capova,  del  regno  di  Pulglìa,  il  quale  era  facto  habitante  de  la  no- 
bile città  di  Roma,  et  avea  nome  Marcho  Tulio  Cicerone.       il  quale 
fu  maestro  et  trovatore  de  la   grande   scienza   di  rethorica,  cioè  de       S 
ben  parlare;  si  trovò  et  ordinò  per  lo  suo  gran  sermo  naturale  que- 
sta scienza  di  rethorica,  la  quale  sormonta  tutte  le  altre  scienzie  per 
la  bisogna  di  tutto  giorno  parlare  nelle  valenti  cose,  sicome  in  fare 
leggi  et  piati  civili    et   criminali,  et  nelle   cose   cittadine,   sicome  in      12 
fare  battalglie  et  ordinare  schiere,  e  confortare  cavalieri  nelle  vicende 
delgl'  imperii  regni  et  principati,  et  governare  popoli  et  regni  et  cittadi 
et  ville,  et  strane  et  diverse  genti,  sicome  conversano  nel  grande  del  cer- 
chio del  mappamundo  de  la  terra.      et  a  contare  brievemente  la  vita  del      \(y 
detto  Marco  Tulio  volgilo  che  sappiate,  ke  elgli  fu  huomo  intento  de 
la  sua  vita  amabile  et  costante  di  gratia  et  de  virtù,  grande  de  la  per- 
sona et  bene   facto  di   tutte   le  menbra,  et  fue  d'arme  maraviglioso 
cavaliere,  franco  del  coraggio,  armato  de  gran  senno,  fornito  di  scienza      20 
et  di  discretione,  ritrovatore  di  tutte  cose.       e  io  frate  Guidotto  da 
Bolongna,  cercando  le  sue  magne  vcrtudi,  sì  mmi  mosse  talento  di  vo- 
lere  alquanti   membri  del  fiore  di  rethorica  volgarizare  di  latino  in 


SEC.  XIII.        Retorica  di  fra  Giddotto  da  Bologna.  155 


24  nostra  lingua,  sicome  apartiene  al  mestiere  de'  layci,  volgarmente, 
et  come  conteremo  per  innanzi  nel  versificato  che  fece  il  gran  poeta 
Vergilio,  nel  tempo  che  fu  Actaviano  inperadore  augusto,  figluolo 
adoptivo  di  Giulio  Cesare.      nello  mperio  de  la  sua  dignità    nacque 

25  Christo,  glorioso  salvatore  del  mondo.  il  quale  Virgilio  si  trasse 
tutto  il  costrutto  de  lo  'ntendimento  de  la  rethoricha,  et  più  ne  fece 
chiara  dimostrazione,  sì  che  per  lui  possiamo  dire  che  l'abbiamo  ri- 
trovata, et  conoscere  la  via  de  la  ragione  et  la  thimologia  dell'  arte 

32  di  rethorlca;  imperciò  che  trasse  il  grande  fascio  in  piccolo  volume 
et  recollo  in  abreviamento.  e  io  considerando  te  et  la  tua  gran 
bontade,  alto  Manfredi,  lancia  e  re  di  Cecilia,  sicome  a  dilecto  et  caro 
segnore,  ne  l'aspecto  de'  valenti  prencipi  del  mondo,  essere  sopra  gli 

36  altri  re  gratioso,  ò  conpilato  questo  libro,  fiore  di  rethorica,  ne  l'or- 
natura de  Marco  Tulio,  nel  quale,  secondo  il  mio  parere,  voi  potete 
avere  sufiìciente  et  adorno  amaestramento  a  dire,  per  questo  libro,  in 
piuvico  et  in  privato. 

Prologo. 

40  Acciò  che  la  vita  è  corta,  e  l'arte  è  lunga  e  1  mestiere  e  1  bi- 

sogno, non  potemo  in  tutto  considerare  pienamente  il  nostro  volere, 
ma  piglierenne  una  partita  brievemente,  sicome  il  nostro  segnore  Idio 
ci  donerae  de  gratia  ;  et  diremo  come  l'uomo,  per  la   vertù  che  Igli 

44  è  data  da  la  somma  potentia  di  Dio  nella  lingua,  di  sapere  favellare, 
perché  avanza  tutti  gli  altri  animali.  sicome  noi  avemo  detto  di 
sopra,  avanza  gli  altri  huomini  e  le  bestie:  et  quanto,  per  la  detta 
cagione,  è  più  nobile  et  migliore  che  gli  altri  animali,  cotanto  l'uno 

45  huomo  è  maggiore  et  migliore  che  nonn  è  l'altro,  in  ciò  ke  sa  favel- 
lare meglio  et  più  saviamente;  che,  tutto  che  la  reynale  pecunia  sia 
mantello,  lo  quale  molti  vizii  ricuopre  fra  le  genti,  non  fa  ricoperta 
di   colui   che   non  sa  bene  dire.       e  io  però,  vegendo  ne   la  favella 

52  tanta  vertude  et  utilitade,  sì  misi  tempo  .et  compilai  in  istudio  per  trarre 
a  fine  questa  opera.  non  certo  che  fosse  mia  credenza,  che  sola  la 
bella  favella  in  sé  avesse  tanta  d' utilitade,  se  colui  che  sa  bene 
favellare  non  avesse  in  sé  senno  e  giustitia.       anzi,  sanza  le  dette  due 

'~<n  cose,  secondo  ke  dicono  i  savii,  è  quella  persona  pestilentia  grandis- 
sima del  suo  paese  et  del  suo  comune,  perché  la  favella  sua  si  è 
comò  uno  coltello  aguto  e  talgliente  in  mano  d'un  furioso;  ma  se 
l'uomo  àe  in  sé  senno  in  sulle  cose  in  sapere  ben  provedere,  et  à  in 

60  sé  giustitia,  cioè  ferma  voluntade  di  volere  le  cose  ben  disporre  et 
dirictamente  volere  giudicare,  sì  Igli  fae  bisogno  di  sapere  favellare, 
acciò  che  sappia  le  cose  mostrare  et  aprire.  et  sanza  la  favella  sa- 
rebbe la  bontà  com  uno  tesoro  riposto  sotterra,  che  se  non  è  saputo, 

64  più  che  terra  non  vale.  et  da  che  la  favella  è  accompagnata  in  al- 
cuna persona  co  la  justitia  e  col  senno,  si  rende  sì  perfecto  l' uomo, 
eh' è  tanto  melglio  che  non  sono  gli  altri,  quanto  v"ò  mostrato  di  sopra. 


156  Retorica  dì  fra  Guidotto  da  Bologna.        sec.  xiii. 

quanto  sono  gì'  uomini   per  la  favella   melglio    che  gli  altri   animali  ; 
però  che  molto  vale,  sé  medesimo  ed  è  molto  utile  et  caro  ad  altrui,      68 
sì  al  suo  comune  sì  a'  suoi  amici  et  a'  parenti,  che  sovente  volte  n'ànno 
conforto  ne'  loro   facti  et  grandissimo    consiglio  e  refuggio,    avendo 
savio  dicitore.       dunque  qualunque  persona  à  voluntà  et  vuole  sapere 
bene  favellare  et  piacevolmente,  sì  si  peni  et  pensi  d'avere  in  prima     72 
senno  acciò  che  cognosca  et  senta  quello  che  dice.       poi  prenda  fer- 
ma  voluntà  da  operare    giustitia  et  misura  et  ragione ,    acciò  che  la 
sua  parola  non  si  possa  altro  ke  ben  seguire.       et  questo  libro  legga 
sicuramente,  et  senta  meco  certi  amaestramenti  che  sono  dati  dal  sa-      76 
vio  in  sul  favellare.       et  da  che  gli  à  lecti  et  bene  impresi,    sì    usi 
spesse  volte  il  dire  :  perché   il  ben  parlare  si  è  tutto  dato  a  l'usanza, 
che  ongni  cosa  s' acquista  per  uso  et  abassa  molto  per  disusare  ;  et 
sanza  usare  non  può  essere  alcuno  buono  parladore 80 

Ragionare. 

Ed  è  un  altro    ornamento    che    si    chiama    ragionare,  il  quale    à 
luogo    quando  il  dicitore    da  sé  medesimo  addomanda  la  ragione  di 
quello    che   dice,  et  di  ciascuno  suo    detto  rende  ragione,   in  questo 
modo:    I   nostri   maggiori,    quando    vedeano   la    f emina   rea  d'alcuno      84 
peccato,   sì   l'aveano    poscia  per  rea  de  molti  altri   peccati,     in   che 
modo  ?     quando  vedeano  la  femmina  luxuriosa,  sì  l'aveano  per  vele- 
nosa incontanente,       per  che  cagione  ?     perché   chi  corrompe  il  corpo 
suo  di  luxuria,  bisogno  fa  che  tema  molte  persone  cui  ella  conosce.      88 
et  quali  sono  queste  ?     il  marito,  il  padre,  i  fratelli,  la  madre  et  l' al- 
tre persone  cui  ella  conosce  che  1  facto  suo  torni  a  vergogna.       che 
ne  interviene  adunque  ?     de  quella  cotale  paura  eh'  ella  àe,  sì  avelena 
incontanente  colui  de  cui  ella  àe  paura,  s' ella  puote,  et  non  si  tem-     92 
pera  mai  di  neuna  malitia,  sì  ssi  sente  paurosa  et  de  sì  grave  pec- 
cato,   che    1  calore   de  la  luxuria  la  fa  ardita;  e  la  f emina  è  d'una 
natura  che  non  considera  mai  che  del  facto  si  può  seguitare.       dun- 
que qual  f emina  è  colpevole  c'abia  avelenato  alcuna  persona,  bisogno     96 
fa  che  sìa  luxuriosa?       assegnane  la  cagione.        perché   neuna  cosa 
muove  la  femìna  in  quel  facto  così  agevolmente,  come  il  vizio  de  la 
luxuria  ;  et  quando  il  suo  animo  è  corrocto,  non  credono  i  savi  che  1 
suo  corpo  sia  casto.       interviene  degl'uomini  il  somigliante?      certo    100 
no.       per  che  cagione?     perché  ciascuno  desiderio  muove  l'uomo  al 
suo  maleficio,  ma  la  femina  per  un   desiderio   solamente  si  muove  a 
fare    molti  peccati.       item:  Molto   bene  giudicaro  li  nostri  magiori, 
che  1  re  che  fosse  preso  in  battalglia,  non  dovesse  poscia  essere  morto.    104 
per  che  cagione?       perché    colui  eh' è  iguale  in  prima  con  noi,  e  la 
ventura  il  mette  poscia  in  nostra  podestade,  noi  dobbiamo  uccidere, 
poscia   potrebbe   altri  dire:    come?    non   ci  venne   indosso  coli' oste? 
certo  ciò  dobbiamo  noi  dimenticare  tostamente,     per  che  cagione?    per-    loS 

103.  ms.   dopo  giudicaro  ripete  bene 


SEC.  xra.         Retorica  di  fra  Gitidotto  da  Bologna.  157 


che  colui  è  de  grande  animo,  che  non  àe  per  nemici  coloro  che  sono 
vinti,  ma  per  huomini,  acciò  che  la  nobiltà  possa  menomare  battal- 
glia,  e  la  sua  humilitade  generare  pace.      e  se  avesse  vinto,  avrebbe 

1 1 2  elgli  facto  il  simigliante  ?  forse  che  no,  che  non  avrebbe  avuto  tanto 
senno.  perché  dunque  si  perdona  a  costui?  perché  tanta  mattia 
si  dee  dispregiare  et  non  seguitare  per  li  savi.  questo  ornamento 
tiene  molto  atteso  l'animo  de  l'uditore,  sì  per  belle  parole,  sì  perché 

ii6    de  le  cose  ode  render  ragione. 

Color  qui  dicitur  designatìo. 

E  un'altra  che  s'appella  disegnamento,  la  quale  à  luogo  quando 
il  dicitore  disegni  che  gravi  cose  d'alcuno  facto  si  possono  seguitare 
per  innanzi,  in  questo  modo  :  Se  questo  reo  huomo,  eh'  è  ora  caduto 
I20  alle  mani  del  comune,  non  fie  punito  per  voi,  et  de  le  vostre  mani 
camperà,  incontanente,  sicome  leone  o  altra  crudele  bestia  scatenata, 
andrà  per  la  città  et  per  lo  contado  uccidendo  et  rubando  et  ardendo 
amico  et  nemico,  forestiere  et  cittadino,  e  1  comune  poscia  non  si  po- 

124  tra  dì  costui  atare.  però,  messer  la  podestà,  deliberate  i  nostri  cit- 
tadini de  le  mani  di  costui,  et  a  voi  medesimo  provedete;  perché,  se 
questi  de  le  vostre  mani  camperà,  contra  voi  medesimo  si  rivolgerà 
questa   fiera  et  sarete  in  gran  parole  de   campare.       item:    Messer 

125  podestà,  se  di  costui  prendete  troppo  aspra  vendetta,  non  solamente 
costui,  ma  molti  altri  per  la  vostra  sententia  saranno  puniti  ;  perché 
questo  giovan'è  nato  da  grande  sangue,  e  1  padre  è  un  vecchio  e 
ttutta    la   sua   speranza  è  oggi  in  costui,  e'  suoi   figluoli  son  pargoli 

132  tutti,  et  anno  molti  nemici;  sì  che  incontanente,  privati  del  loro  pa- 
dre, verranno  loro  adesso  et  torranno  loro  le  case  e  le  terre  et  cac- 
cerannogli  via,  et  neuno  sarà  poscia  chi  gli  difenda  o  chi  si  levi  per 
loro.       item:      Se  non  vi  difenderete  francamente,  et  lascerete  vincere 

136    la  vostra  città,  potete  bene  essere  certi   che   incontanente,   presa  la 

,    terra,  tutti  quelgli  da  arme  saranno  morti  et  spezzati.       i  vecchi  e  le 

femine  e  i  pargoli,    qual   sarà    morto    dinanzi  a  suo  padre,  et  quale 

storpiato  ;  quelli  che    rimarranno ,    saranno  tutti  presi  et  venduti  per 

140  servi,  e  sarà  sceverato  il  marito  da  la  molglie,  e  1  padre  dal  figluolo, 
et  l'uno  fratello  da  l'altro,  li  quali  avea  congiunti  la  natura  ;  la  vostra 
città  sarà  arsa  e  tutti  li  beni  vostri  verranno  a  le  mani  de'  nemici, 
neuno  potrebbe  contare  le  cose  che  n'averrebbe.       per  questo  orna- 

144  mento,  onde  s'aprono  molto  le  cose  che  possono  incontrare,  o  recasi 
r  animo  de  l'uditore  a  misericordia,  o  rendesi  indignato. 

Lenitio. 

E  un'altra  che  s'apella  punimento;  il  quale  à  luogo  quando  so- 
prastiamo in  un  luogo  a  dire  sopra  una  medesima  cosa,  et  pare  che 

117.  altra]  suppl.  sentenzia  132.  ms.  privato 


158  Retorica  dì  fra  Giildotto  da  Bologna.         sec.  xiii. 


noi  diciamo  cose  diverse;  et  puossi  fare  in  due  modi:  l'uno  quando    148 
diciamo  quella  medesima  cosa  ch'è  già  detta  di  sopra  ;  l'altro,  quando 
non  quella    medesima   cosa,    ma    di    quella    diciamo.       quando    ridi- 
ciamo quella  medesima  cosa  ch'è  detta  già  di  sopra,  sì  Ila  ti   con- 
viene  ridire    per   altre    parole,    perché   se    le    dicessimo    per    quelle    152 
medesime  parole,   non  sarebbe  ornamento,  ma  sarebbe  detto  nojoso. 
questo  è  l'exemplo:       Neuno  pericolo  è  sì  grande  che  li   savi  huo- 
mini   vogliano  fuggire  per   fare  salva  la  città   loro,  per   campare  il 
comune  loro,  che  non  perischa.       coloro  che  son   savi  non  si  danno    156 
travalglio,  non  schifano  travalglio  né  pericolo  neuno.        del  secondo 
modo,  quando  non  ridiciamo  quella    medesima  cosa,  ma  diciamo  de 
quella,  et  questo  è  l'exemplo.       volendo  il  dicitore  dire  che  per  di- 
fendere il  suo  comune  non  si  dee  fuggire  pericolo  neuno,  sei  dirae    160 
in  questi    modi:     Color   che   son   savi,  per  lo   comune  non   schifano 
mai   pericolo   neuno;    perché   chi   per  lo  suo  comune  non  vuole  pe- 
rire, col  suo  comune  spesse  volte  perisce;  conciò  sia  cosa  che  de  la 
città,  ove  l'uomo  habita  e  ogni  suo  bene,  neuno  pericolo  vi  dee  avere    164 
grande  per    camparla;    dunque    chi  fugge  quel  pericolo,  perché  per 
lo  suo  comune  il  dee  pilgliare,  ma  altrimenti  si  porta,  perché  fuggie 
da   sezzo    vitiperando.       ma  chi  propone  il  pericolo   del  comune  al 
suo  spetiale,   fa  saviamente;   perché  al   suo  comune  rende  il  debito    168 
suo,  et  vuole  per  molti  più  avaccio  perire,  che  con  molti  vivere  per 
la   vita    che  de  la  natura  àe  avuta  et   per  lo  suo   paese  l' à  conser- 
vata; con  ciò  sia  cosa  ca  la  natura  la  renda  per  lo  suo  paese,  quando 
fa  bisogno,  non  darla,  et  a  grande  onore  potendo  morire,  et  volere    172 
con  disonore  vivere.       et  com  è  da  riprendere  colui  che,  quando  na- 
vica, più  avaccio  la  nave  che  le  persone  intenda  a  salvare;  così  di 
colui   è  da  fare   beffe   et  schernie,  che  in  sul    grande  pericolo  più 
provede   al   suo  salvamento  che  a  quello  del  comune;  perché,  spez-    176 
zata  la  nave,  molti  ne  possono   scampare;  ma  quando  perise  il  co- 
mune, no  nne  scampa  neuno.       per  la  qual  cosa  possiamo  dicere  che 
[Decio]  si  portò  saviamente,  che  per  campare  la  città  sua  si  mise  a    * 
la  morte,  a  fedire  li  nemici,  [e  ricomperò]  per  vii,  cosa  certana,  et    iSo 
per  piccola,  grande;    diede  la  vita   et  fecie  salvo  il  paese;   partissi 
l'anima,  accattò   grolla  et  honore,  il  quale  non  menoma  ma  sempre 
cresce  et  inforza.       dunque,  se  per  viva  ragione  et  grandissimi  exem- 
pli  t'ò  mostrato  che  per  lo  suo  paese  si  dee  l'uomo  mettere  ad  on-    184 
gni  rischio,  savi  debbono  essere  tenuti  coloro  che,  [per]  far  salva  la 
città  loro,    non   schifano  pericolo  né  fatica   neuna.        questo  è  bel- 
lissimo ornamento,  per  lo  quale  una  medesima  cosa  in  molti  modi  si 
ridice,  et  sempre  pare  che  si  dica   altre  cose:  et  fassi  solamente  al    188 
buono  dicitore,  e  chi  l'usa  di  fare,  appara  tosto  a  bene  parlare. 

Similitudine. 

Ed  é  un'altra  sententia  ch'é    appellata    similitudine,    la   quale  à 
luogo   quando  il  dicitore  mostra  alcuna   cosa  che  vuole   dicere,  per 


SEC.  XIII.         Retorica  di  fra  Guidotto  da  Bologna.  159 

• 

192  un'altra  ke  a  quella  sia  simigliante  ;  et  questo  fa  per  ornare  il  detto 
suo  o  per  renderlo  più  approvato,  o  per  darlo  a  intendere  melglio, 
o  per  farlo  sì  aperto  come  se  in  presenza  e  dinanzi  algli  occhi  de 
l'uditore  sì  facesse.       per  ornare  il  detto  suo  fae  il  dicitore  in  que- 

196  sto  modo:  Non  come  colui  che  pilglia  il  pennone,  per  correre 
nel  prato,  da  colui  c'à  corso  melglio;  così  la  podestà  nuova  che 
pilglia  la  segnoria,  de  la  vecchia  è  migliore;  pere' afaticato,  colui  c'à 
corso,  rende  il  pennone  ad  un  altro,  che  corra.       ma  la  podestà  giae 

200  usata  rende  la  segnoria  a  la  nuova.  in  questo  luogo  sanza  al- 
cuna similitudine  potè  il  dicitore  dare  a  intendere  il  detto  suo  chia- 
ramente in  questo  modo  :  La  podestà  nuova  non  è  perciò  melgliore 
che  la  vecchia ,  perché  ne  sia  la   vecchia  rimossa  e  la  nuova  entri 

204  in  suo  luogo;  ma  fece  quella  similitudine  per  dare  alcuno  ornamento 
al  detto  suo.  per  rendere  più  approvato  il  detto  suo,  fa  similitu- 
dine il  dicitore  in  questo  modo:  Né  1  puledro  non  domato,  ave- 
gna  che  sia  buono,  può  essere  acconcio  a  quella  utilità  che  F  uomo 

208  desidera  del  cavallo  ;  né  ll'uomo  non  usato,  avegna  che  sia  ingegnoso, 
può  essere  di  molta  bontà.  questa  similitudine  rende  il  detto  del 
dicitore  più  approvato,  ed  al  detto  suo  è  data  più  piena  fede,  per- 
ché né  ir  uomo  non  può  essere  de  gran  bontà,  se  prima  non  usa,  né 

212  1  puledro,  se  prima  non  é  domato.  per  rendere  il  detto  suo  più 
chiaro  et  aperto,  fa  similitudine  il  dicitore  in  questo  modo:  Non 
come  coloro  che  corrono,  debbono  fare  coloro  che  sono  amici  ;  per- 
ché basta  a  colui  che  corre,   correre  infino  a  la  fine  del  suo  corso; 

216  ma  colui  ch'é  amico,  dee  il  fine  passare  et  amare  i  filliuoli ,  poscia 
che  l'amico  sia  morto.  questa  similitudine  dà  ad  intendere  mel- 
glio il  detto  suo  de  colui  che  favella  ;  fallo  più  chiaro  et  aperto,  per- 
ché basta  a  colui  che  corre,  di  essere  de  tanta  leggerezza  e  fforza, 

220  che  corra  infino  ala  fine  del  suo  corso;  ma  l'amico  é  di  tanta  fede 
et  amore  a  l' amico  portare ,  che  valichi  il  fine ,  cioè  la  vita  del- 
l'uomo, e  passi  i  figluoli.  per  fare  la  cosa  che  *i  dice  sì  chiara  et 
aperta,  come  se  in  presenza  et  dinanzi  algli  occhi  delgli  uditori  si 

224  facesse,  fa  il  dicitore  similitudine  in  questo  modo:  Come  giullare 
che  si  lieva  in  pie  per  giocare,  ch'à  una  bella  persona,  ed  è  di  scia- 
mito  vestito,  ed  à  un  bel  capo  biondo,  pettinato  con  bella  corona  di 
ghirlanda  in  testa,  et  tiene  in  mano  uno  maraviglioso  stormento,  tutto 

228  dipinto  et  lavorato  di  viverlo,  et  per  le  dette  cose  corrono  molte 
genti  a  vedere,  et  aspectano  di  vedere  un  bellissimo  giuocho;  e 
stando  ogn'  uomo  queto  et  attento ,  comincerà  questi  a  cantare  con 
una  boce  fioca  et  con  un  bruttissimo  modo,  et  sconciamente  menerà 

232  l'anche  e  i  piedi  e  le  mani  quando  verrae  a  ballare;  quanto  più  sarà 
stato  acconcio  et  guardato  dinanzi,  cotanto  sarà  facto  di  lui  mag- 
gior belle  eschernie;  così  quanto  l'uomo  sarà  più  riccho  et  gentile, 
et  averallo  la  ventura  messo  in  grande  stato,  se  in  sé  non  avrà  senno 

236  et  larghezza  et  bontà,  quanto  più  sarae  guardato  per  le  cose  che 
sono  in  lui,  tanto  più  sarà  schernito  et  avuto  in  dispregio  et  cacciato 


160  Docmnento  -pistojese  del  i2^g.  sec.  xiii. 


dell'usanza  de'  buoni.  questo  simile  è  così  al  facto  simigliante, 
sì  nella  bontà,  come  nell'altro,  e  rende  la  cosa  che  si  dice,  [sì  chiara 
e  aperta,  come  se  in  presenzia  e  dinanzi  agli  occhi  degli  uditori  si  240 
facesse.  nelle  similitùdini]  che  si  pongono,  dee  sempre  il  dicitore 
servare,  et  a  quello  che  dice  et  alla  similitudine  che  pone,  renda 
sempre   le   sue   propie   parole... 

242.  ms.  et  che  a  quello 


58.      DOCUMENTO  PISTOJESE  DEL  1259.  • 

Firenze,    R.  Archivio   di  Stato,    scrittura  originale,    edita  da  F,  Berlan  nel  Pro~ 
pugnatore  IX,  I,  2J^. 

In  nomine  Domini,  ame.  questo    este    lo    quaderno   dei    kapi- 

tali  de  la  compangnia,  la  quale  si  dice    dei  Boni,   ciò  è  di  mesere 
Giunta  Kerardi  e  di  Jacopo  F  oresi  e  di  Thakaria  Jacopi  ed  Arriko  e 
Fucio,  filioli  Dolciamori,  e  di  Lambertino  de  lo  'nsegna;  lo  quale  qua-        4. 
derno  volemo  tuti  in  konkordia   che  sia  dato  a  li  quatro  u  a  li  tre , 
li  quali  venisero  in  konkordia  per   eso. 

In  nomine  Domini,  ame.      questi  sono  li    kapitali  nuovi    sokondo 
ke  'ntendrete  innanthi  saldemo  rasione   in  kalende  macio  ne  la  sen-        S 
gnoria  di  mesere  Cencio  di  Kerardini  di  Fiorense  a  la  'ntrata  de  la 
sua  segnoria  mesi  quatro;  korea  ani  Domini  .mcclviiii. 

Questo  este  lo  kapitale    di  messer  Ciunta:  este    lire    .dccxxxiii. 

Questo  este  lo  kapitale  Lambertini,  lo  quale  este  dei   nepoti,  de      12 
li  f anelili  Aldibrandini  :  este  lire  .  dclxxv  . 

Questo  este  lo  kapitale    Lambertini,  lo  suo  propio  :  este  lire  .  dccl  . 

Questo  este  lo  kapitale  Arriki:  este  lire  .dccc. 

Aci  anko  Arriko  lire  .lxi.  16 

Àci  anko  Arriko  lire  .xxxvi. 

i  quali  àe  dal  f anelilo  ser  Rùberti:  elicli  da  Jacopo  Fortebracci 
per  lui. 

Questo  este  lo  kapitale  Fuci:   este  lire  .dcclxv.  20 

Àci  anko  lire   .l  .  e  soldi  .  xi . 

Questo  este  lo  kapitale  Thakaria:  este  lire  .ccxl.  , 

Questo  este  lo  kapitale  Jakopi  :  este  lire  .  dlxv  . 

Questo   este  lo  kapitale  de  T  eredi  Cullianini:    este  lire  .cxxvii.      24 
e  soldi  XVI. 

Questo  este  lo  kapitale  di  madonna   Parmisiana:  este    lire  .ccxxiii. 
e   denari  .  xri . 

Questo  este  lo  kapitale  de  l'eredi  ser  Ruberti  :  este  lire,  cclxiiii.      2S 

:i.  lire]  ucl  ms,  sempre  abbreviato  1.  tranne  chi  alle  r.  41  e  45. 


SEC.  xrir.  Lettera  senese  del  1260.  161 


Questo  este  lo  kapitale  de  monna  Gemma  :  este  lire  .  cxviii . 

Montano  per  tuto  i  kapitali ,  li  quali  sono  iscriti  in  questo  qua- 
derno da  qui  indirietro,  centina]  a  .  liiii  .  e  lire  .viii.  e  soldi  .viii. 
32  Questi  sono  li  avantaci,  li  quali  sono  ordinati  in  conkordia  per 

li  compangni. 

De  avere  Arriko  d' avantacio  di  quello  del  corpo  de  la  compan- 
gnia  lo  quadannio  che  faranno  lire  .ce. 
36  De  avere  Jakopo  lo  quadannio  che  faranno  lire  .cl. 

De  avere  Lambertino  lo  quadannio  che  faranno  lire  .  e . 

De  avere  Fucio  lo  quadannio  che  faranno  lire  .  l  . 

De  avere  Francessco  lo  quadannio  che  faranno  lire  .  l.  . 
40  Ordinamo  che  casscuno  de  companni  di  koloro  ke  vanno  di  fuori, 

abbia  arnesi  di  suo,  ed  abbia  da  la  compangnia  lire  .111.  peranno. 

Ordinamo  che  posa  trare    cascuno  dei  companni,    li    quali   sono 
isscriti  in  questo  quadrerno,  lire  sete  per  centinajo  per  anno,  e  posa 

44  trare,  s'elli  àe  avantacio,  altresì  kome  per  lo  kapitale;  e  se  trajese 
più,  si  posa  trarre  per  anno  lire  .  xx .  e  cinque,  in  questo  modo  : 
k'  elli  debbia  iscontarsi  del  quadannio  quello  ked  avese  da  la  compan- 
gnia per  lo  tempo  korso,  secondo  kome  piliase  ke  linde  avese  trati. 

45  Ordinomo  anke  ke  nessuno  compangno  mettrà  dinari  ne  la  com- 
pangnia meno  di  lire  diece,  nond'  abbia  quadannio. 


59.       LETTERA  SENESE  DEL  1260. 

Fu  pubbbicata  da  P.  Fan/ani  ne  11^ appendice  alle  Letture  di  famig Ha ,  agosto, 
t8S7,  secondo  Pantografo,  che  era  posseduto  dal  sig.  Giulio  Bandinelli-PaparoTti  già  Ban- 
chi di  Siena;  cf.  Paoli  e  Piccolomini,  Lettere  volgari  del  sec.  X 1 1 1 ,  p.  13-24.. 

A  JACHOMO  GUIDI  CACIACHONTI  E  NON  ALTRUI  DETUR. 

In  nomine  Domini,  amen.  Responsione  de  le  Iettare  di  Fran- 
cia del  primo  messo  de  la  fiera  di  Provino  di  maggio  anno  mille 
dugento  sesanta. 

Jacomo   Guido   Chaciaconti  ;    Jacomo  e  Giovanni   di gli   altri 

chonpangni  ti  salutano,  e  facenti  asapere  che  noi  avemo  bene  le  Iettare 
che  tu  ne  mandasti  per  lo  messo  de  la  merchantia  de  la  sopradetta 
fiera  di  Provino  di  maggio  del  detto  anno:  e  per  esse  Iettare  inten- 
demo  bene  ciò  che  tu  ne  mandasti  dicendo,  e  adoparéne  bene  in  ciò 
che  a  noi  sarà  da  aoparare  chagiuso.  pe  la  quale  cosa  ti  pregiamo 
te,  che  tu  istiei  inteso,  et  siei  solecido  a  fare  et  adoparare  bene  ciò 
che  tu  ài  a  fare;  e  spiciale  mente  ti  pregamo  che  tu  abi  guardia  a 
mettare  e  a  prestare  chello  che  ài  intra  le  mani,  et  che  ti  vera  per 
innanzi,  in  buoni  pagatori  et  in  sichuri,  sì  perché  noi  i  posiamo  ria- 
vere a  tutte  le  stagioni  che  mistiere  ne  fusse;  et  che  noi  e'  rivolesimo. 
e   di  ciò  fare  chiamamo  merciede   a  Dio  nostro  signiore,   che  ti  dia 


162  Lettera  se?iese  del  1260.  SEC.  xm. 


grazia  di  sì  farlo,  che  sia  onore  de  la  tua  persona,  e  la  conpangnia      16 
se  ne  ritruovi  in  buono  istà.       amen. 

Sappi,  Jachomo,  che  noi  iscrivaremo    bene    ciò  che  noi  avaremo 
a  scrivare,  e  spiciale  mente  chello  che  tu  ne  mandarai  dicendo  per 
tua  lettara,  sichome  de'  tuoi  auti  e  de'  tuoi  renduti,  e   le  prestanze      20 
le    quali   tu   farai,    sichome    tu   ne  1  mandarai  dicendo  per  tua  let- 
tara et  per  cìaschuna  fiera,  chosì  per  ciascuna  fiera  li  scrivaremo  e 
metaremo  nel  nostro  libro:  li  auti  poremo  a'  tuoi  auti,  e'  renduti  po- 
remo  a'  tuoi  arenduti,  e  le  prestanze  iscrivaremo  a  le  prestanze,  si-     24 
come  avemo  chostumato  di  fare  da  chi  indietro.       per  ciò  neuno  de- 
najo  che  tu  richolgi,   o  che   ti  venga  a  le   mani,   quando   tu  ce  l'ai 
mandato  dicendo  una  volta  per   tua   lettara,   che  tu  non  ce  1  mandi 
dicendo  più,  per  ciò  che  sì  tosto  chome  tu  ne  l'ai  mandato  dicendo,      28 
chosì  tosto  i  metemo,  chelli  che  tu  ne  mandi  per  auti  agli  auti,  e'  ren- 
duti  ponemo  a'  renduti,  e  le  prestanze  a  le  prestanze;    e  chosì  fa- 
cemo  per  ciascuna  lettara:  per  ciò,  se  tu  ne  1  mandasi  dicendo  per 
più  d'una  lettara,  vedi  che  no  sarebe  buona  opera;  che  per  quante      33 
volte  tu  me  1  mandasi  dicendo,  per  tante  volte  el  metaremo  ne  libro, 
a  chello  modo   che   noi    tenemo:  per  ciò  sì  te  ne  guarda.       e  ciò   ti 
dicemo  per  le  tre  libre  di  provesini  che  ne  sostene  Testa  Tebaldi  e 
dà  Tederico  Lei  ;  che  ne  ricevesti  trenta  e  quatro  soldi  meno  quatro      36 
denari;  e  àmelo  mandato  dicendo  per    parechie    Iettare;    che,    se    no 
se  ne  fusimo  rachordati  avareli  mesi  una  volta  a'  tuoi  auti,  sì  si  sa- 
rebero  mesi  un'  altra:  per  ciò  te  ne  guarda  di  no  mandamelo  dicendo 
per  più  d'una  volta.  40 

E  chome  ti  mandamo  dicendo  per  l'altra  lettara,  chosì  ti  dicemo 
in  chesta  che    tu    no    ti    maravigli,   perché   noi  abiamo  venduti  pro- 
vesini e  vendiamo;  che  sapi ,  Jachomo,  che  noi   semo  in  grande  di- 
spesa e  in  grande  facenda,  a  chagione  de  la  guerra  che  noi  avemo      44 
chon   Fiorenza;   e  sapi  che  a  noi  pur  cho viene  avere  de'  denari  per 
dispendare  e  per  fare  la  guera;  onde  noi  vedemo  che  noi  no  potemo 
avere  denari  da  neuna  parte,  che  sia  meglio  per  noi,  che  a  vendare 
provesini.       e  se  tu  voli  diciare  che  noi  togliamo  in  presta  chagiuso,      48 
non  è  buono  per  noi;  che  sapi  eh' e  denari  ci  sono  valuti,  da  uno 
merchatante  ad  altro,  cinque  denari   e  sei  libra;  e  altri  che  no  siano 
merchatanti  sono  valuti  diece  danari  e  dodici  in  chorsa,  et  ancho  sono 
in  chello  istato:  or  vedi  che  'nprontare  avemo  noi  chagiuso!  per  ciò     52 
no  ti  spiacia,  perché  noi  vendiamo  provesini;   che  noi  amamo  meglio 
di  stare  in  devito  in  Francia,  che  noi  non  amamo  di  starene  chagiuso 
in  devito,  né  di  vendare  isterlinio:    inperciò  cne  vale  troppo  meglio 
per  noi,  avendoli  noi  a  chello  costo  i  provesini  che  tu  li  ài  ogi,  che      56 
no   varebe    a   vendare    lo    sterlino    né    a' nprontare    chagiuso;    perciò 
che  noi  traemo  più  utulità  d'Ingilterra  che  noi  no   faremo  di  Fran- 

19.  tns.  scivare  22,  ms.  scivaremo  24.  ms.  iscivaremo  30.  ms. 

re  venduti  38.  ms.  avateli 


SEC.  XIII.  Lettera  senese  del  1260.  163 


eia  ;  e  a  tolare  in  presta  ogi  chagiuso  sarebe  più  el  chosto  che  noi 
60  daremo,  che  no  sarebe  el  prò  che  noi  n'avesìmo  in  Francia.  per  ciò 
ti  piacia  ciò  che  noi  faemo,  e  no  te  ne  maravigliare  neente.  e  sa- 
pi,  Jachomo,  che  se  nel  paese  di  Francia  si  guadagniase  melglio  che 
no  vi  si  può  guadagniare  ogi,  noi  faremo  bene    sichome   tu   avaresti 

64  de'  provesini  asai,  sì  che  tu  potresti  avere  bene  chello  achontio  che 
tu  volessi,  e  del  guadagnio  che  si  facese  nel  paese,  avaremo  Bine  la 
parte  nostra;  e  di  ciò  istà  arditamente. 

E  intendemo  da  te  per  la  tua  lettara,  chome  eri  ìstato  sanza  Ta- 

65  lomeo  Pelachane,  e  chon  Talomeo  Pelachane,  dinanzi  dal  diano  di 
sa  Stefano  di  Tresi,  per  lo  fatto  di  Leon  so  Rodano,  e  chome  fave- 
laste  e  ragionaste  asai  col  prochuratore  del  detto  arcivescovo  di 
Leon  so  Rodano,  e  cho  lui  no  poteste  trare  né  chapo  né  achordo 

72  neuno,  che  buono  fusse  per  noi;  né  no  potevate  trare,  se  noi  non  vi 
mandasimo  lettara  da  chorte  di  papa  sopra  a  llui;  unde  sapiate  che  noi 
avemo  autat  anta  briga  e  avemo,  a  chagione  de  la  guerra  e  di  fare 
oste  e  chavalchate,  che  noi  no  v'aviamo    ponto   intendare  per   avela 

76  achatata:  unde  sapi  che,  sì  tosto  chome  noi  avaremo  ispazio  di  potervi 
intendarvi,  noi  v'  antendaremo,  e  prochaciaremo  sichome  voi  l' avarete 
la  detta  lettara  sopra  a  loro. 

E  ancho  intendemo  da  te  per  la  detta  tua  lettara,  chome  tu  a  Ta- 
so    lomeo  Pelachane  eravate  istati  a  Bonicho  Maniardi,  e  avateli  detto 
come  voi  volavate   andare  a  Leona,  per  sapere  se  voi  poteste  trare 
achordo  o  chapo  neuno  cho  lui;  e  el  detto  Bonicho  vi  rispose  e  disse, 
che  voi  andaste  in  buon'  ora,  che  egli  no  pagarebe  de  le  spese  neuna 

84  chosa,  se  Mino  Pieri  no  li  li  mandase  dicendo,  che  vi  disse  che  Mino 
no  ne  li  aveva  mandato  dicendo  neuna  chosa.  unde  noi  di  ciò  ne 
maravigliano,  chon  ciò  fusse  chosa  che  noi  ne  fumo  in  chonchordia 
cho  Mino  Pieri  chagiuso,  e  Mino  ne  disse  che  i  mandarebe  dicendo 

SS  ch'elli  ne  pagase,  per  la  parte  sua,  ciò  che  ne  tochase;  e  noi  no  ne 
potemo  per  chesta  lettara  diciarten'  altro,  per  ciò  che  Mino  Pieri  è 
ne  r  oste  a  Montepulciano,  quando  iscrivemo  chesta  lettara.  per 
l'altre  Iettare  ne  saremo  cho  lui:  e  s'eli   no  li  l'avesse  mandato   di- 

92  cendo,  s'i  diciaremo  che  li  li  mandi  dicendo,  e  a  te  ne  divisaremo  ciò 
ch'elli  ne  rispondarà. 

E  ancho  intendemo  da  te,  per  una  tua  cedola,  che  noi  dovesimo 
pregare  Orlando  Buonsigniore,  ch'elli  dovese  mandare  dicendo  a'  soi 

96  chompangni  di  chetesto  paese  che,  quanto  tu  volesi  inpronto  da'  soi 
chonpangni,  eh'  elino  tei  facesero,  che  potrebe  esare  grande  prò  di  noi. 
per  la  quale  chosa  ti  dicemo  chosì,  che  el  detto  Orrando  Buonsigniore 
non  era  a  Siena  quando  chesta  lettara  si  scrisse,  anzi  era  ne  l'oste 

100  a  Montepulciano;  per  ciò,  quando  egli  sirà  tornato,  sì  saremo  a  llui, 
e  richordarelili,  e  crederne  bene  ch'elli  ce  ne  farà  a  piacere.  sapi, 
Jachomo,  che  io  Vincenti  sì  darò  sesanta  a  madonna  Pacina,  sichome 

99.  ms.  scisse 


164  Lettera  senese  del  1260.  sec.   xiii. 


tu  mi  mandasti  dicendo;  e  mandati  pregando  Nichelò  di  domino  Ni- 
y^Yl-i-  chola,  che,  se  tu  no  li  ài  venduto  el  suo  chrcivaldo  de  la  biffa,  che  104 
che  tu  li  li  faci  vendare  per  lo  suo  amore.  egli  te  l'avarebe  man- 
dato dicendo  per  sua  lettara,  s'eli  no  fusse  ìstato  ne  l'oste  a  Monte- 
pulciano; che  v'andò  anzi  che  le  Iettare  si  scrivesero,  e  pregòne  me 
Vincenti  ch'io  tei  dovese  iscrivare  in  chesta  lettara.  loS 

Anco  ti  facemo  asapere  che  noi  aviamo  venduti  cento  sei  libre 
di  provesini  a  Jachamo  libertini  chanbiatore,  a  pagare  ne  la  fiera 
di  s.  Giovanni,  anno  sesanta;  e  vendemoli  a  razone  di  trenta  e  tre 
soldi  la  dozina,  e  se  n'è  pagati.  per  ciò  sì  i  pagarai  a  Rinbotto  Buo-  112 
najuti  per  lui,  a  sua  volontà;  e  quando  i  farai  el  pagamento,  sì  ne 
fa  fare  la  scripta  ne  libro  d'i  signiori  de'  merchatanti,  chome  si  chu- 
stuma  di  ^are. 

E  ancho    n'avemo    venduti   vinti  e  quatro   libre    di   provesini  ad    116 
Achorso  Guarguaglia  e  a  sua  chonpangnia,  a  pagare  ne  la  detta  fiera 
di  s.  Giovanni,  a  razone  di  trenta  e  uno  la  dozina,  e  semone  pagati, 
per  ciò  sì  i  paga  a  Gregorio  Rigoli  a  sua  volontà  per  la  detta  fiera; 
e  quando  i   pagi,  sì  ne  la  fare   la  scripta  ne  libro  de'  signiori  de'    120 
merchatanti,  chome  si  chustuma  di  fare. 

D' altra   parre  ti    volemo  fare  asapere   d' i  chonvenentri    di  To- 
scana; che  sapì,  Jachomo,  che  noi  semo  ogi  in  grande  dispesa  et  in 
grande  faconda,  a  chagione  della  guerra  che  noi  avemo  chon  Forenza.    124 
e  sapi  che  a  noi  chostarà  asai  a  la  borsa,  ma  Fiorenza  chonciaremo  v.fe: 

noi  sì,  che  giamai  no  ce  ne  miraremo  drieto,  se  Dio  di  male  guardia 
messere  lo  re  Manfredi,  a  chui  Dio  dia  vita,  amen.       sappi,  Jachomo, 
che  noi  avemo  guasto  tutto  Cholle  e  Montalcino  intorno  intorno,  e  a    128 
Montepulciano  andamo  per  guastare  ;  unde  el  Montepulcianese  vide 
che  noi  li  eravamo  indosso  e  guastavàlo,  inchomìnciò  a  tenere  mene 
di  choncia,  e  bastaro  le  mene  parechie  dì;  e  achordasi  le  mene  in  che- 
sto  modo:  eh' elino  dovevano  fare  la  fedeltà  di  messer  lo  re  Manfredi    132 
e  di  Siena,  e  di  giurare  la  fedeltà,  ciascuno  di  Montepulciano,  per  bo- 
cha  a  uno  a  uno  da  quartordici   anni  isino  a  setanta;   e  di  ciò  fare, 
diserò  che  ne  farebero  inprometare  al  chumune  di  Perogia,  soto  certa 
pena,  che  chelo  che  el  chomune  di  Montepulciano  n'aveva  inpromes-    136 
so,  che  el  chomune   di  Perogia  el  farebe  avere   rato  e  fermo,  soto 
chela  pena  che  posta  era.       e  andò  la  detta  choncia  chotanto  innanzi, 
che  tutti  cheli  di  Montepulciano  giuraro  la  fedeltà  del  detto  re,  a  uno 
a  uno,  chome  ordinato  era  di  fare,  da  quatordici  a  setanta  anni;  e    140 
bastaro  a  fare  le  saramenta  parechie  dì.       e  quando  ebero  facte  le 
saramenta,  e  noi  ce  ne  partimo  e  noi  guastamo  più,  e  tornamene  a 
chasa.     e  venivane  pur  asai  de'  Montepulcianesì  in  Siena  cho  loro  mer- 
chantie  e  di  grano  e  di  vino  ed  altre  merchantie,  cha  s'aferivano  da    144 
noi  a  loro;  e  credeva  onnie  uomo  che  elino  fuseno  nostri  amici.       e 

107.  >«,«.  scive.<ero  loS.  wi«.   iscivare  114.   /«.«.  scipta  120.  tns. 

scipta  12S.  ma,  cholte. 


SEC.  XIII.  Lettera  senese  del  1260.  165 


stando  noi  intorno  di  quattro  dì,  ed  elino   no   ne   mandaro  dicendo 
che  noi  andasimo  a  ricevare  la  promesione,  ch'elino  ne  dovevano  fare 

14S  lare  al  chomune  di  Perogia;  e  noi  facemo  anbasciadore,  e  mandamo 
dicendo  ch'elino  ne  facesero  fare  chelo  ch'elino  n'avevano  inpromes- 
so, ed  elino  risposero  ch'erano  istati  al  chomune  di  Perogia,  e  ave- 
vaiolo  messo  innanzi;  ed  elino  no  ne  lo  volsero  fare  neente,  onde  noi 

152  odendo  chosì,  credemo  esare  inganati.  dimandamoli  istadichi  per 
ch'elino  atenesero  ciò  ch'avevano  inpromeso,  ed  elino  no  ne  volsero 
fare  neente.  noi  in  chesto  chonosciemo  la  loro  male  inchorata,  e 
ch'elino  l'avevano  fatto  per  chanpare  el  guasto  eh'  el'  aveva,  el  più 

156    bello   ch'elino    avesero  poscia  che  Montepulciano  fu  chastello.       in- 
chontanente  si  partì  el  chonte  Giordano  chon  tuti  i  chavajeri  tedeschi 
e   senesi  e  col  terziero  di  cita ,  e  andò  là  per  guastarlo  ;  e  guastalo  r  jì  uuVKA^^tw/*^ 
onnie  dì  ;  e  tuta  volta  ano  mena  di  choncia.       che  si  farà  per  innanzi,      ^ 

160  noi  no  sapemo:  insino  a  chi,  istà  chosì.  e  sapi  che  ne  la  cita  di 
Siena  sono  posti  ottocento  chavali  per  dare  morte  e  distrugimento  a 
Fiorenza  ;  e  sapi  ch'elino  ano  sì  grande  paura  di  noi  e  de'  nostri  cha- 
vajeri, eh'  elino  si  schonpisciano  tutti ,  e  non  aspetano  in  neuna  parte 

164  là  've  eglino  siano  ;  che  sapi  che  quando  noi  guastamo  ChoUe,  eglino 
trasero  popolo  e  chavajeri  isino  a  Barbarino;  ma  venero  a  malotta, 
che  ce  n'eravamo  partiti  dal  guasto  e  tornati  in  Siena  d'uno  dì.  in- 
chontanente   che  noi  el  sapemo,   traemo  tutti,   popolo  e  chavajeri,   e 

168  andavanne  a  loro.  traemo  insino  a  Pogibonizi.  ine  sapemo  ch'elino 
erano  fugiti  ed  andavansi  via:  noi  rimandàmo  el  popolo  a  Siena,  e' 
chavajeri  lo'  trasero  dietro,  e  andavali  chaciando  di  pogio  in  pogio 
chome   gativi;  e  andaro  ardendo  e  abrusciando  isino  apresso  a  Fio- 

172  renza  àr^uatro  miglia.  (v^uoi  vedere,  s'* elino  ne  dotano  e  avone. 
paura  di  noi.  e  sapi  che  noi  a  loro  daremo  el  malano  unguannoTn" 
chesto  anno,  se  Dio  piace. 

Sapi,  Jachomo,  che  poscia  che  chesta  lettera  fu  iscripta  da  chi 

175  in  su,  sì  avemo  novella  chome  Montepulciano  e  era  choncio  e  aveva 
fata  la  fedeltà  a  messere  lo  re,  lo  re  Manfredi,  e  di  Siena;  e  farà  oste 
e  chavalcata  a  chui  noi  voremo,  e'  nostri  amici  terà  per  amici,  e'  ne- 
mici  terà  per  nimici.        e  fato   chesto  sì  si  partì   messer   lo    chonte 

iSo    Giordano  chon  tutta  l'oste  ch'eli  aveva  a  Montepulciano,  e  si  ne  an- 
daro ad  Arezo,  e  credemo  ch'eli  l'avara  a  sua  volontà.       or  chesto 
ista  chosì  insino  a  chi,  per  innanzi  istarà  chosì  e  meglio,  se  Dio  piace- 
Muta  lunidì,  cinque  dì  intrante  lulglio. 

175.  VIS.  iscipta. 


166  Trattato  di  face  del  1264.  sec.  xiii. 


60.      TRATTATO  DI  PACE  FRA  I  PISANI 
E  L'EMIRO  DI  TUNISI,  A.  1264. 

R.  Archivio  di  Firenze,  atti  pubblici,  t.  XX  TI,  nS*  12,  «Pergamena  scritta  da  una 
sola  faccia  a  caratteri  det tetnpo»:  Amari,  I  diplomi  arabi  del  R,  Archivio  fio- 
rentino, Firenze,  Lemonier,  1863,  p.  sgj.  È  questo  il  più  antico  volgarizzamento  die 
trovisi  fra  i  Diplomi  arabi  pubblicati  dalV Amari.  Quelli  datati  del  lojg,  1208  e 
121^-16  non  sono  volgarizzamenti  di  contemporanei,  come  mostrò  di  credere  il  Zambrtni, 
Opere  volgari ,  367 ,  ma  di  Tommaso  di  Ramando  Cardus  di  Cipro,  che  li  scrisse 
tiel  1422, 

Danctus  Spiri tus  adsit  nobis  gratia.  Ave,  Maria  gratia  piena; 
Dominus  tecum. 

Questa  este  la  pace  facta  Inter    dominum  elmiram    Mommini  re- 
gem  de  Tunithi,  et  dominum  Parentem  Vesconte  ambasciadore  de  lo       4 
comuno  de  Pisa,  per  lo  comune  de  Pisa. 

Prologus  pacis.         In  nomine  Domini.       Perlo  comandamento 
de  lo  signore  califfo  grande  et  alto,  per  la  gratia  di  Dio,  elmire  Mo- 
mini  Buabidelle,  filio  de  lo  alto  et  de  lo  potente  et  gentile,  cui  Dio       s 
mantegna  et  diali  la  sua  buona   volontade,   et  rimagna  a  li  Saracinì 
la   sua  benedictione  ;   in  de   la  presentia  de    li   testimoni    di   questo 
scripto,  che  questo  testimoniono  di  rinovamento   di   questa  pace,   la 
quale  este  fermata  per  lo  comandamento  altissimo,  che  Dio  guardi,      12 
cum  domino  Parente  Vesconte,  filio  quondam  domini  Galgani  Grossi 
Vesconte,  imbasciadore  mandato   da  la  podestade  di  Pisa,  in  de  la  in- 
dictione  sub  scripta,  da  domino  Guillelmo  da  Cornassano  podestade  de 
Pisa,  el  da  li  scecha  et  da  lo  comuno  di  Pisa,  dimandando  et  fermando      16 
da  la  loro  parte.       unde  giungendo  lo  soprascritto  imbasciadore,   et 
dimandando    da   la    parte   di  culoro  che  l'aveano  mandato,  carta  di 
pace,  de  la  quale  elli  avea  imbasciata,  a  li  pacti  che  elli  dimandove 
et   pregove ,    et   piaqueli.       et    comandolo   l' altissimo    et   lo   magno ,      20 
cui  Dio  mantegna,  che  li  fusse  dato  lo  suo    dimandamento   a  la  sua 
volontade 

Quod  Pisani  sint  sani  et  salvi.  Et  che  tucti  li  Pisani 
che  verrano  in  tucta  la  terra  de  Affrichia  et  in  tucta  quella  de  Bug-  24 
gea,  et  in  dell'altre  contrade  et  terre  de  lo  dicto  domino  elmina,  lo 
quale  Dio  guardi  et  difenda,  siano  et  essere  debbiano  sani  et  salvi 
et  segurì  in  persone  et  in  avere,  infine  che  questa  pace  durerave, 
chome  dicto  este  di  sopra....  2S 

Dì  non  fare  male.  Et  che  nullo  de  li  legni  de  la  forsa  no- 
stra vegna  in  de  le  predicte  terre  per  fare  alchuno  male,  infine  che 
questa  pace  durerave .... 

De    lo    naufragio,   vel  roppimento.       Et   se    alchuna  nave     32 
ut  legno  loro  in  alchuna  parte  de  le  terre  de    Affrichia  vel   di  Bug- 
gea,  che  diete  sono,   rompesse  ut  andasse  ad  terra  ut  impedimento 
avesse;  quelli  li  quali  fusscno  in  de  la  nave,  ut  in  de  lo  legno,   pos- 
sano andare  a  lo  luogo  populato,  ut  vero  inde  quale  fusseno  le  gente,     36 


SEC.  XIII.  Trattato  di  -pace  del  1264.  .167 

et  debbiano  essere  ajutati  da  loro  sensa  prescio  alchuno,  intine  a 
tanto  che  isp adicati  fusseno  quelli  de  la  suprascripta  nave  ut  legno. 
Et  se  elli  vollesseno  le  loro  cose  tramutare,  ut  ad  altre  parte  andare, 

40  ut  ad  altra  terra  quelle  portare  fare,  la  portatura,  secondo  che  usato 
este,  pagare  debbiano  ;  et  se  discordia  ne  fusse  tra  lo  Cristiano  et 
lo  Saracino,  debbiano  essere  ad  rascione .... 

De  le  mercia.       Et  chiunque  perverrave  ad  alchuna  terra  de 

^4  Affrichia  ut  di  Buggea,  possa  in  quella  stare  quanto  elli  vorrave,  et 
possa  et  sia  licito  a  lui  di  partissine  et  andarne  quando  elli  vorrave. 
Et  non  sie  vietato  a  loro  di  comperare  quelle  cose  che  comperare 
vorrano,  et  nominata  mente  acqua  et  vidanda .... 

48  De   la   do  vana.       Quelli   li    quali  sono   sopra    la  do  vana,  et  li 

turcimanni,  et  li  garabarii,  et  li  bastasci  ut  vero  li  portatori,  non  deb- 
biano a  loro  tollere  né  exigere  alchuna  cosa,  se  non  secondo  che 
usati  sono  di  tollere  et  di  pillare. 

52  Delagalicha.       Et  che  elli  possano  et  debbiano  avere  galiche 

secondo  che  usato  este  di  fare. 

De  lo  fondaco  dì  Tunithi  .  Et  che  lo  fondacho  lo  quale 
este  in  Tunithi,  lo  quale  Dio  mantegna,  debbia  a  loro  essere  cresciuto 

56     et  ampliato  secondo  la  grandessa  de  lo  fondacho  de  li  Genovesi.       et 
muro  si  faccia  intra  voi  et  li   Genovesi,  sì  che  voi  a  loro  né  elli  ad 
•       voi  andare  non  possano;  et  e  converso .... 

De  li  fondachi  di  Buggea.       Et  li  fondachi   li   quali   avete 

60  in  Buggea,  si  debbiano  aconciare,  et  in  quelli  alchuno  altro  homo 
con  voi  stare  non  debbia.        et  che  si  debbia  fare  inde  li  fondachi 

l'ecchesie 

Delonaulodelenave.      Et  che  non  debbia  ad  voi  alchuna 

64     cosa  essere  tolta  di  meso  diricto  de  lo  naulo  de  le  nave. 

De  le  nave  ad  naulo  per  la  corte.  Et  se  abisognasse  a 
la  corte  nostra,  possa  la  corte  pillare  de  le  treje  nave  l'una  ad 
naulo,  et  quella  la  quale  lo  consulo,  che  quine  fi  per  li  Pisani,  vorrave 

6  8     et  eligerave. 

De  lo  raccomandamento  de  le  cose.  Et  sia  licito  ad 
ciascheduno  Pisano,  che  diricto  de  le  suoje  cose  abbia  pagato,  lassare 
et  accomandare  le  suoje  cose  ad  alchuno  suo  parente  ut  amico  de  la 

72      sua  gente 

De  li  corsali  pisani.  Et  se  alchuno  pisano  corsale  iscisse 
de  la  citade  di  Pisa,  ut  de  le  predicte  3'sule,  per  fare  male  in  Affri- 
chia ut  in  Buggea,  li    consuli    et   le  podestade    de  li   Pisani    li  quali 

76  per  temporali  fusseno,  quinde  vendecta  fare  debbiano  sopra  loro  et 
et  sopra  li  beni  loro .... 

De  lo  tes timoniamento  et  lo  datale  di  questa  pace. 
Et  testimoniòve  dominus  Parente,  pur  culoro  che  lui  mandòno,  in  sua 

80  buona  volontade  et  in  sua  buona  memoria  et  in  sua  buona  sanitade, 
che  questa  pace  a  lui  piace;  e  cusì  la  ricevette  e  fermove.  et  in- 
teseno  li  testimoni  de  lo  scecha  grande  et  alto  et  congnosciuto  secre- 


168 


Rime  e  -prose  di  Guittone  d^ Arezzo.  sec.  xin. 


tarlo ....  et  lo  compimento  di  questa  pace  suprascripta,  chome  dicto 
este  in  questo  modo  suprascripto,  et  fue  scripta  in  die  di  sabbato,  a 
die  .XIII.  de  lo  mese  che  si  chiama  Isciavel,  anni  .lxii.  et  .do,  secondo 
lo  corso  de  li  Saracini;  et  sub  anni  Domini  millesimo  ducentesimo 
sexagesimo  quinto,  indictione  septima,  tertio  idus  augusti,  secondo  lo 
corso  de  li  Pisani .... 

Rainerius  Scorcialupi  notarius,  scriba  publicus  Pisanorum  et  co- 
munis  portus  in  Tunithi,  presens  translatum  hujus  pacis  scripsit,  exi- 
stente  interprete  probo  viro  Bonajuta  de  Cascina,  de  lingua  arabica 
in  latina. 


84 


88 


92 


61.      RIME  E  PROSE  DI  GUITTONE  D'AREZZO. 

Guittone,  di  Viva  di  Michele,  nacque  circa  il  12^0  in  Santa  Formena,  borgo  presso 
Arezzo.  Menò  dapprima  vita  allegra  e  mondana,  e  trovò  versi  d' amore',  poi  un  bel 
giorno,  circa  il  126Ó,  abbandonò  d' improvviso  la  famiglia  e  il  secolo  per  vestire  V abito  di 
Maria  ossia  delV ordine  da'  Cavalieri  Gaudenti,  e  d' allora  in  poi  la  sua  attività  let- 
teraria non  ebbe  altro  oggetto  che  la  religione,  la  morale  e  la  politica.  Questo  secondo 
periodo  della  sua  vita  si  passò  fra  Arezzo,  Bologna  e  Firenze,  ove  morì  fra  Guittone  nel 
isg^.,  dopo  aver  dato  opera  alla  fondazione  di  quel  monumento  che  è  S.  Maria  degli 
Angeli.  Fra  gli  antichi  rimatori  desso  e  il  primo  che  abbia  lasciato  nei  suoi  versi 
V  impronta  della  propria  personalità,  s\  che  sfogliando  il  canzoniere  di  lui  ci  si  rappre- 
sentino quasi  agli  occhi  i  tratti  strani,  ma  energici  della  sica  maschia  fisonomia.  Guittone 
fu  il  secondo  caposcuola  dei  lirici  predanteschi  ;  per  il  giudizio  fattone  da  Dante  cf.  D  e 
vulg.  e  log.  I,   XIII,   e  Purg.  XXIIII,  55-7. 


I. 

Dai  codd.    Vat.  37^3  (A)  e  Laur.-Red.   9  (B). 

A  B 


D* 


guittone  del  viva  d'aeezzo. 

/Vmore  non  ò  podere 
di  più  taciere  omai 
la  grande  noja  che  mi  fai; 
tanto  mi  fa  dolere, 
Che  me  pur  isforza  volgila, 
amore,  che  di  te  mi  dolglla. 
però  per  cortesia 
sostieni  la  mia  follia,  \"^ 

poi  di  dolere   cagione 
mi  dà  s' io  n'  ò  rasgione. 

Amore,  mira  si  ono 
chasgione  ch'io  dolere  dia, 
ca  la  tua  sengnoria 


GUITTONE    D  ARESSO. 


y^ 


/Vmor  non  ò  podere 
di  più  tacere  ormai 
la  gran  noi  che  mi  fai  ; 
tanto  mi  fa  dolere        ,    , 
Che  me  pur  \sforza  voglia, 
amor,  eh'  eo^  de  te  doglia, 
peròj  per  cortezia 
sostien  la  mia  follia, 
poi  de  doler  cagione 
me  dai  sansa  ragione. 
Amor,  or  mira  s'one 


p^    ragion  che  doler  dia, 
che  la  tua  signorìa  ' 


SEC.  XIII.  Rime  e  fi'ose  di  Giùttone  d'Arezzo. 


169 


A 

conperagione  nom  pone, 

E  manti  ne  travolgila 
i6     ne  fai  amare  con  dolglia. 

eo  nom  posso  capere, 

che  con  merzé  cherere 

bene  gì' inprometti  assai: 
20      tanto  a  rasgione  for  m'ài. 
Amore,  cierto  torto  ài, 

eh'  è  per  poco  savere 

volere  tu  ritenere 
24      tale  ti  presgia  assai, 

E  che  ver  te  s'orgolglia: 

e  me  che  di  grande  volgila 

tuo  servidore  mi  fone, 
28      poi  sdengni,  ond'  io  morrone. 

d'està  noja  si  gueria 

lo  cor  e  l'alma  mia. 

Amore,  più  ch'altro  odia 
32      ti  piacie  per  rasgione, 

che  sì  piaciere  sone 

de  la  madonna  mia; 

Che  pregare  che  m'acolglia, 
36      né  che  1  servire  me  tolglia 

non  m'è  mestiere,  ciò  sai. 

ma  non  mi  poria  mai 

farmi  di  lei  gaudere 
40     in  alchuno  suo  piaciere. 
Amore,  poi  sostenere 

de  lo  male  me  nom  fai, 

non  era  ciò,  ben  sai, 
4^      che  del  bene  degio  avere. 

Che  se  1  male  me  no  sfolglia, 

non  mi  rende  il  bene  folglia. 

ciò  sono  se  servo  alpia, 
48      non  savere  m'averla; 

e  fo  fallo,  se  clone 

prend'  onde  dengno  non  sone. 
Amore,  verso  e  canzone 
52      e  ciascuna  rasgione 

che  di  sollazo  sia, 

lascio  per  tuta  via, 

mentre  che  sta  ria  dolglia 
56      non  torna  im  buona  volglia. 


B 

caper  quazi  om  non  pone, 
E  manti  contra  voglia 
ne  fai  amar  con  doglia.  e 

e'  non  possol  capere,  ,-, 

che  con  mercé  chedere 
[y^x^^vciS:  li  prometti  assai: 

tanto  a  gran  scifo  m'ài.  tr 

Amor,  certo  tort'ài,  ~~~c' 

e  par  poco  savere  a 

voler  tu  retenere  ^^ 

tal  che  te  V  pregia  assai,  6^ 

E  che  ver  te  s'orgoglia:  "^ 

e  me  che  de  gran  voglia        e 
tu  servidor  mi  fone,  «- 

pur  isdegni,  unde  morrone.      " 
d'està  noi  sì  guerria 
lo  core  e  l'alma  mia.  A 

Amor,  più  ch'altr'om  dia  ,, 
te  piacer  per  ragione, 
che  s'en  piacere  sone     ^^c^v^^ 
de  la  madonna  mia; 
Che  preghar  che  m'  acoglia, 
né  che  1  servir  meo  teglia 
non  m'  è  mestier,  ciò  sai.  Vw<r>'»~' 

ma  non  me  parria  mai 
forte  di  lei  gaudere 
né  d'alcun  suo  piacere.     [_^ 

Amor,  poi  sostenere,,^^^''*^'^*^;^^,..^^ 
de  lo  mal  me  non  fai, 
no  è  ragion,  ben  sai. 


IVV^" 


j-n»-^  * 


ch'eo  del  ben  deggia  avere. 


■H 


'^ 


Vi^\ 


Che  se  1  mal  me  no  sfoglia,  \  rj^ih^  '  ^  . 
non  mi  render  ben  foglia.       &  [ifi^wi^^^s^^^^, 
ciò,  s'eo  non  servol  pria,  ^ 

non  saver  m'averria; 
e  fo  fallo ,  se  clone  ■ 

prend'  u  degno  non  sone. 
Amor,  verso  a  cansone 
af  ciascuna  ragione 
che  lo  solasso  sia, 
lass'eo  per  tutta  via, 
mentre  che  sta  rea  doglia 
non  torna  in  bona  voglia. 


170 


Rime  e  -prose  di  Giiittone  d Arezzo. 


SFE.   xiir. 


II. 

Dal  cod.  Laur.-Red.  g,  unico. 


OOPRAPiACiENTE  donna,  di  tutto  conpiuto  savere,  di  pregio  co- 
ronata, degnia  mia  donna  conpiuta,  Guitton  vero  devotissimo  fedel 
vostro,  de  quanto  el  vale  e  pò ,  umilemente  sé  medesmo  racomanda. 
gientile  mia  donna,  l'onipotente  Dio  mise  in  voi  sì  meravigliosamente 
conpimento  di  tutto  bene,  che  maggiormente  senbrate  angelica  cria- 
tura  che  terrena,  in  ditto  e  in  fatto  e  in  la  sembianza  vostra  tutta; 
che  quanto  homo  vede  di  voi,  senbra  mirabil  cosa  a  ciascuno  bono 
conoscidore.  perché  non  degni  funmo  che  tanta  presiosa  e  mirabele 
fìghura,  come  voi  siete,  abitasse  intra  l'umana  generassione  d'esto 
seculo  mortale.  ma  credo  che  piaciesse  a  llui  di  poner  vo  tra  nnoi 
per  fare  meravigliare,  e  perché  fuste  ispecchio  e  miradore,  ove  se 
provedesse  e  agienssasse  ciascuna  valente  e  piaciente  donna  e  prode 
homo,  solfando  visio  e  seguendo  vertù.  e  perché  voi  siete  deletto 
e  desiderio  e  pascimento  de  tutta  gente  che  vo  vede  e  ode,  or  don- 
que,  gientile  mia  donna,  quanto  el  Signor  nostro  v' à  magiormente  allu- 
mata e  smirata  a  conpimento  de  tutta  presiosa  vertute  più  e'  altra 
donna  terrena,  e  cusi  più  e' altra  donna  terrena  dovete  intendere  a 
llui  servire  e  amare  de  tutto  corale  amore  e  de  pura  e  de  conpiuta 
fede.  e  però  humilìatevi  a  llui ,  reconosciendo  ciò  e'  avete  da  lui , 
in  tal  guiza  che  11'  autessa  dell'  animo  vostro ,  né  la  grandessa  del  20 
core ,  né  la  beltà ,  né  1  piacere  de  V  onorata  persona  vostra  non  vo 
faccia  obbriare  né  mettere  a  non  calere  lui,  che  tutto  ciò  v'à  dato; 
ma  ve  ne  caglia  tanto  che  1  core  e  1  corpo  e  1  penseri  vostro  tutto 
sia  consolato  in  lui  servire,  acciò  che  voi  siate  in  de  la  corte  di  pa- 
radizo  altressì  meravigliosamente  grande,  come  siete  qui  tra  noi,  e 
perché  l' onorato  vostro  cominciamento  e  mezzo  per  presiosa  fine 
vegnia  a  perfessione  de  conpiuta  laude.  che  troppo  fora  perigliozo 
dannaggio  e  perta  da  pianger  senpre  mai  sensa  alcun  conforto ,  se 
per  defetto  vostro  voi  falliste  a  perfetta  e  onorata  fine. 


16 


2+ 


ì% 


III. 

Dal  cod.  Laur.-Red,  g  (B)  con  correzioni  dal   Vat,  3793. 
GUITTONE    d' AREZZO. 

Voglia  de  dir  giusta  ragion  m' à  pòrta, 
che  la  mia  donna  m' accogli'  e  m'  aporta, 
a  tutto  ciò  che  mi  piace  m'  aporta, 
or  non  m'  è  morte  el  suo  senno,  ma  porta 


2.  e  la  niiu  Ji 


SEC.  XIII.  Rime  e  -prose  di  Guittone  cC Arezzo.  171 


Di  vita  dolcie,  ove  mi  pasch'  e  deporto, 
che  tanto  acconciamente  mi  deporto 
en  tenpestoso  mar,  che  voi  eh'  eo  porti 

8  per  lei  la  vita,  e  lui  de  faccia  porti; 

ed  eo  sì  fo,  pur  li  piaccia  e  li  porti. 
Tanto  è  dolcie  e  amorosa  e  conta, 
altro  non  voi  om  contar  ni  conta, 

12  che  1  pregio  suo,  eh'  amar  chi  sa,  conta 

più  c'altro  assai  là  unde  cont'  esser  conta. 
Ond'  eo  non  posso  già  metter  en  conto 
la  gran  gio'  eh'  ò,  che  de  sé  tenmi  conto  : 

i6  ma  voglio  ben  che  per  suo  tal  mi  conti, 

che  me  più  piace,  e  de'  piacer  più  conti, 
istarli  servo  che  sengnor  de'  conti. 

Tant'  aggio  enn  amar  la  voglia  penta 

2o  e  tanto  sua  piagenza  in  cor  mi  penta, 

che  mai  de  servir  lei  non  credo  penta, 
né  sia  de  mei  la  sua  figura  enpenta. 
Ch'  ella  m'  à  for  di  nojosa  noi  pento 

24  e  a  cciò  ma  che  più  piace  me  pento, 

però  s'  èn  forte  forzosi  e  repenti 
li  miei  piacer  ver  de  lei  senpre  penti, 
ni  de  ciò  non  credo  mai  far  repenti. 

28  Deritto  so,  merzé  so  ched  i  avisa, 

e'  altro  per  me  ben  si  pensa  ed  avisa  ; 
ma  solamente  lei  saccìo  devisa 
che  so  figura  parme  en  tutte  visa. 

32  Così  m'  à  departuto  e  devisato 

da  tutto  ciò  ch'avea  anch'  avisato, 

che  mme  non  piace  altro  cosa  eh'  avisi; 

e  certo  in  verità  che  gli  altri  visi 

36  son  ver  del  suo  d'ongne  bieltà  divisi. 

Prego  fo  lei,  che  tuttor  sia  ben  saggia, 
si  non  m'  auzida  alcuna  stagion,  s'  agia 
temenza  ch  eo  1'  afenda,  se  non  saggia 

40  che  vero  n'  àn  per  afermata  saggia. 

Ch'  eo  son  sì  d'  amar  lei  coverto  e  saggio, 
alcon  non  pò  de  mio  amor  levar  saggio, 
però  sì  con  li  piace  voi  mi  saggi 

44  e  merti  tutti  li  miei  fatt'  in  saggi, 

comò  li  piace,  e  li  valenti  saggi. 


10.  ainoroza  B  13.  piò  —  contasser  B  17.  che  più  mi  B  18.  pìgtior  B  20.  pia- 

censa^  23.  nojoza  B  25.  forsosi  B  28.  merzé  —  aviza  B  29.  aviza  B  30.  de- 

viza  ^  31.  viza5  32.  devizato  ^  34.  avizi  ^  35.  vizi  5  36.  d'ogni  beltà 

divizi  B  38.  m'azida  B  39.  teinensa  —  li  offenda  B 


172  Rime  e  -prose  di  Gidttone  cP Arezzo.  sec.  xiii. 


Va,  canson,  s'  el  te  piace,  da  mia  parte 
al  bon  messer  Miglior,  eh'  è  donn'  e  parte 
tutto  ciò  che  r  om  à  inn  està  parte.  48 


.  mi. 

Dal  cod.    Vai.  3793. 
GUITTONE    d' AREZZO. 

/Vi  chera         donna  di  valore  al  sommo, 
perché  fera         m' è  sì,  lasso,  vostra  alma? 
più  chera         assai  vostro  fedele  sommo 
si  nom  fera         ne  fo  cosa  alcuna  alma, 
che  chera         vostro  presgio  orato  sommo 
non  mi  fera         più  mai  lingua  che  calma, 
con  eh'  era         vostra  grandez'  a  sommo 
sì,  ea  fera         aportare  sì  grande  salma. 
Conchero         sì  che  l'almo  di  bene  soma, 
se  lo  fero         di  voi  torna  dolze  almo, 
che  fere         me  sì  forte  il  male  m'  asomi. 
ben  chero         tant'  amore  rasgione  soma, 
ma  sofero         se  voi  piacesse  almo 
che  fere        sengnore  sono  forte  somi. 


V. 

//  iesio  è  costituito  sui  codd.    Vat.   3793  (A)  e  Laur.-Red.   g  (B). 
FRATE    GUITTON    d' AREZZO. 

Ora  para  s'  eo  saverò  cantare 
e  s'  eo  varò  quanto  valer  già  solglio, 
poi  che  del  tuto  amor  fugo  e  disvoglio 
e  più  che  cosa  mai  forte  mi  spare. 
C  a  omo  tenuto  sagio  audo  contare, 
che  trovare  non  sa  né  valer  punto 
omo  d'  amor  non  punto  ; 
ma  che  digiunto         da  verità  mi  pare 
Se  lo  pensare         a  lo  parlare         senbra; 
che  'n  tute  parte  ove  distringie  amore, 
regie  foUore         in  loco  di  savere. 
Donque  corno  valere 

I.   parrà   li  s'io  ^  2.  e  s'  io  ^  varrò  B  valere  A  soglio  B  3.  tutto  B 

amore  A        ftt.?h'  B  ■     svoglio  A  5.  dia  B       saggio  B       odo  A  6.  vale  A  7.  homo  B 

«l'amore^  9.  rasembra  ^  10.  tutte  —  tUatringe  5  21.  reggie  5       iloco^  12.  dun- 


SEC.  XIII.  Rime  e  prose  di  Gidttone  d'Arezzo.  173 


pò  né  pìaciere         di  guisa  alcuna  fiore; 

poi  che  1  fatore         d'ongne  valore         disembra, 

e  al  contraro  d'  ongni  mainerà  asembra? 

i6  Ma  chi  cantare  vole  né  valer  bene 

in  suo  lengno  nochier  diritto  pone, 
ed  orrato  saver  mette   al  timone. 
Dio  fa  sua  stella  e  inver  lausor  sua  spene. 

20  Che  grande  onor  ne  gran  bene  no  è  stato 

conquistato         carnai  volgila  seguendo, 
ma  promente  valendo 
ed  astinendo         a  vizo  ed  a  pecato. 

24  Vnd'  el  sennato         aparigliato         ongnora 

de  core  tuto  e  di  poder  dea  stare 
d'  avanzare         lo  suo  stato  ad  onore, 
no  schifando  labore. 

28  Che  già  ricore         non  dona  altrui  posare, 

ma  1  fa  lungiare  ;         e  ben  pungnare         onora  ; 
ma  tutavia  lo  'ntenda  altri  a  misura. 

Volgila  'n  altrui  ciascuno  ciò  che  'n  sé  chere  ; 

32  non  creda  prò  d'  altrui  danagio  trare. 

che  prò  nom  può  ciò  e'  aonor  tolle,  dare, 
ne  dà  unor  cosa  u  graza  e  amor  pere: 
E  grave  ciò  eh'  è  preso  a  disinore, 

36  eh'  a  lauzore         dispeso  esser  porla, 

ma  non  viver  creria 

sanza  falsia,         fell'  omo,  ma  via  magiore 
fora  prusore         giusto  di  core         provato; 

40  che  più  onta  che  morte  è  da  dotare 

e  portare         disragion  più  che  danagio. 

che  bella  morte  hom  sagio 

dea  di  coragio         più  che  vita  amare  ; 

44  che  non  per  stare         ma  per  passare         orato 

dea  creder  ciascun  om  d'esser  criato. 

In  vita  more  e  sempre  in  morte  vive 
omo  fellon  eh' è  di  ragion  nemico; 


quc  con  A  13.  ne  piacere  pò  di  guiza  B  14.  poi  dal  fattore  d'ogni  —  disenbra  B  15.  ed  A 

d'ogni  B         uianera  A         senbra  B  16.  né]  e  B         valere  A  17.  legno  B         a  nocchiere  A 

18.  e  orr.  savere  A  19.  et  B        .vera  lausore  A  20.  onore  —  non  A  21.  acquistato  B 

carnale  A  voglia  B  22.    ma   promette  A  23.   e    stenendo   a  visi   e   a   ppecchato   B 

24.  Ond'.4  appaiecchiato  ognora  B  25.  di  core  A  tutto  B         podere  de'^  26.  e  avan- 

sare  —  a  onore  B  28.  ricorre  B  29.  alungiare  e  bene  A  pugnare  B  30.  tuttavia  B 

l'intendi  A  altrui  a  mizora  B  a  manca  in  A  31.  Voglia  inn  B  ciaschuno  A  in  .sé] 

mise  A  32.  dannaggio  B  33.  non  può  ciò  ch'onor  B  34.  unore  A  onor  B        grasia^S 

ed  amore  pera  A  35.  disonore  A  36.  cW manca  in  A        lauzore  B        essere  A  37.  vivere  A 

credria  B  38.sensa.ff        fello  homo  B        ma  ria  A        maggiore  B  39.  pluzore  B        cor  B 

40.  e  più  A        honta  B        mort' è  da  dottare 'jff  41.  di  sì  ragione  A        dannaggio  .ff  42.  omo  A 

saggio  B  43.  de'di  B  44.  noni  per  istare  A  honrato  B  45.  da'  credere  ciaschuno  A 

omo   manca  in  B        d'esere  A        creato  B  46.  ssempre  B  47.  homo  B        fellone  —  rasgione  A 


174  Rime  e  -prose  di  Gulttone  d Arezzo.  sec.  xiii. 


credendo  venir  rico  ven  mendico.  43 

che  non  già  cupid'  omo  pot'  esser  dive 

C  adessa  forte  più  crescie  vagheza 

e  graveza         ove  più  crescie  tesoro. 

non  manti  acquistan  l'oro,  52 

ma  r  oro  loro         è  più  di  gientileza, 

e  di  richeza         e  di  belleza         àn  danno. 

Ma  chi  richeza  dispregia  è  manente, 

e  chi  giente         danagio  e  prò  sostene  56 

e  dubitanza  e  spene, 

e  se  contene         de  pocho  orevolmente, 

e  sagiamente         in  sé  consente         affanno, 

segondo  voi  ragione  e'  tenpi  danno.  60 

Onne  cosa  fue  sola  all'  om  criata, 
e  Y  om  no  a  dormir  né  a  mangiare^ 
ma  solamente  a  drittura  operare  ; 

e  fue  discrezione  lui  però  data;  64 

Natura  deo  ragion,  scritta  è  comune, 
reprensione         fuggir,  pregio  portare, 
ne  comanda  ischifare 

vizi,  ed  usare         via  de  vertù  n'  enpone,  68 

Ongne  cagione         e  condizione         remossa, 
ma  se  legie  né  Deo  no  1'  enponesse 
né  rendesse         qui  merto  in  nulla  guisa, 

né  poi  l'alma  è  divisa,  73 

m'  è  pur  avisa         che  ciascun  dovesse 
quanto  potesse         far  che  stesse         in  possa 
ongne  cosa  che  per  ragione  è  mossa. 

Ai,  comò  valemi  poco  mostranzal  76 

eh'  ingnoranza  non  da  ben  far  ne  toUe, 
quanto  talento  folle, 

e  mai  ne  'nvolle         a  ciò  malvagia  usanza: 
che  più  fallanza         è  che  leanza         astata.  80 

no  è  1  mal,  più  che  1  bene,  a  far  legiero; 
ma  che  fero         lo  bene  tanto  ne  pare 
via  più  per  disusare, 

48.  venire^        ricco  5        vene /l  49.  che  cupid'oiiio  —  essere  ^  50.  adesso  ^        vaghessa  ^ 

51.  gravessa  ut  — e/.oro  B  52.  aquistano  A  53.  e  i  più  di  gientilessa  B  54.  richessa  —  bei- 

lessa  B         anno  A  55.  richessa  dispregi  B  56.  gente  daiinaggio  B  57.  dubitansa   B 

58.  e  si  ^         di  poco  orevoleniente  A  59.  saggiam.  B  60.  secondo   vuole   rasgione   e  tem- 

pi v4  61.   Ongni  A  fu  B  omo  A  62.  ne  l'omo  ne  a  dormire   A  63.   dirittura 

oprare  A  64.  fu  B        discrezione  A  descression  B  65.  deo]  dio  B        rasg^ione  A         scritt'  A 

66.  ripremsione  fugire  presgio  A  68.  visii  e  uzare  B  di  vertù  n'emp.  A  69.    Onne   B 

casgione  A  condissione  B  70.  leggie  B         Dio  A  lo  impon.  A  71.  merito  i  nulla  yl 

guiza  ^  72.  l'alm'è  divÌ7,a  5  73.  aviza^        ciaschuno  j4  74.  fareim  ,4  75.  ad 

ongne  A  onni  chosa  B  rasgion  A  76.  niostransa  B  77.  engnoransa  B         da  ben» 

fare  no  yl  79.  volle  B  nialvasgia  A  uzansa  B  80.  fallansa   che   leansa  astara  B 

81.  non  —  male  —  fare  A        leggero  B  82.  el  ben  B  83.  solo  per  dizuzare  B  84.  lo  con 


SEC.  XIII.  Rime  e  -prose  di  Guittone  d^ Arezzo.  1 75 

S4  e  per  portare         nel  centrar  disidero. 

u  ben  mainerò         e  volontero         agrata, 
usar  r  aducie  in  allegreza  orata. 

traro  A  85.  ove  iiianero  A  86.  uzar  B  Vi.  A  inn  allegressa  honrata  B 


Dal  cod.  Laur.-Red.  9. 

Infatuati  miseri  Fiorentini!  homo  che  de  vostra  perta  perde, 
e  dole  de  vostra  doglia,  odio  tutto  a  odio  e  amore  ad  amore,  etter- 
nalmente.       la   pietoza  e  lamentevile    vocie    del    perigliozo    vostro    e 

4  grave  infermo  per  tutta  terra  corre  lamentando  la  malisia  sua  grande, 
linde  onni  core  benignio  fiede,  e  ffa  languire  di  pietà,  e  nel  mio  duro 
core  di  pietra  quazi  pietate  alcuna  adducie,  che  m'aducie  talento  ad 
operare  alcuno  soave  unguento,    sanando  e  mitighando   alcuna   cosa 

5  suoje  pefiglioze  piaghe,  se  1  sonmo  ricco  e  saggio  bono  majestro  mio 
Dio,  che  fare  lo  deggia,  e  di  fare  lo  savere  donar  me  degna,  eh' è 
per  me  onni  cosa  ni  sapere  finendo  o  cominciando  alcuno' bene.  ca- 
rissimi e  amatissimi  molti  miei,  ben  credo  savete  che  da  fera  a  homo 

12  non  è  già  che  ragione  in  connoscere  e  amare  bene;  perché  l'uomo 
è  ditto  animale  rassionale,  e  senno  più  che  bestia  à ,  eh'  è  ragione, 
ragione  donque  perduta,  più  che  bestia,  che  vale.  parola  di  gran 
saggio ,  eh'  è   vera   perfessione  di  ragionevole    criatura  si  à  per    tale 

i6  com  avere  catuna  cosa,  cioè  in  cosciensia  e  inn  amore.  no  è  sapien- 
sia  già  che  a  conosciere  bene  e  amare  bono  ;  donque  ove  si  crede  e 
sse  ricieve  perdita  grande  in  procaccio,  ontoza  onta  a  onore,  mortale 
piagha  in  salute,  no  ragione  né  sapientia  no,  ma  disragione  e  mat- 

20  tessa  disnaturata  dimora  loco,  unde  vedete  voi  se  vostra  terra  è  cita, 
e  sse  voi  citadini  homini  siete.  e  dovete  savere  che  non  cita  fa  già 
palagi  né  rughe  belle,  né  homo  persona  bella  né  drappi  ricchi;  ma 
leggie  naturale,  ordinata  giustisia,  e  pace   e  ghaudio  intendo  che  fa 

24  cita;  e  homo  ragione  e  sapiensia  e  costumi  onesti  e  retti  bene.  o, 
che  non  più  senbrasse  vostra  terra  dezerto,  che  cita  senbra,  e  voi 
dragoni  e  orsi  che  citadini.  cierto,  sicome  voi  no  rimaso  è  che  men- 
bra  e  fassione  d'omo,  che  tutto  l'altro  é  bestiale  ragion  fallita,  non 

28  é  a  vostra  terra  che  fighura  di  cita  e  chasa;  giustisia  vietata  e  pace. 
che  come  da  homo  a  bestia  non  é  già  che  ragione  e  sapiensia,  non 
da  cita  a  bosco  che  giustisia  e  pacie.  come  cita  può  dire,  ove  la- 
droni fanno  leggie,  e  più  pubrichi  istanno    che   mercatanti?  ove    se- 

32  gnioreggiano  micidiali,  e  non  pena  ma  merto  ricieveno  dei  micidj?  e 
ove  son  omini  devorati  e  denudati  e  morti  come  in  dizerto?  o  reina 
de  le  cita,  corte  di  diritura,  scola  di  sapiensia,   specchio   de   vita  e 

I.  »?.«.  parte  11.  ms.  amarissimi 


176  Rime  e  -prose  di  Guittone  d'Arezzo.  sec.  xiii. 


forma  di  costumi,  li  cui  figliuoli  erano  regi,  regniando  inn  ogni  terra, 
o  erano  sovra  degli  altri,  che  devenuta  se'  non  già  reina,  ma  ancilla     36 
conculcata  e  sottoposta  a  tributo!  non  corte  de  dirittura,  ma  di   la- 
trocinio spiloncha;  e  di  mattezza  tutta  e  rabbia   scola,   specchio   de 
morte  e  forma  de  fellonia;  la  cui  fortessa  grande  è  denodata  e  rotta; 
la  cui  bella  fassione  è  coverta  di  laidessa  e  d'onta;  gli  cui  figliuoli     40 
non  regi  ora,  ma  servi  vili  e  mizeri,  tenuti,  ove  che  vanno,  in  brob- 
bio  e  in  deriso  d'altra  gìente  !  oh  che  temensa  à  ora  il  Perogino  no 
Hi  tolliate  il  lago?  e  Bolognia  che  non  l'Alpe  passiate?      sia  convi- 
tato, sia  del  mond'ogne  barone,  e  corte  tenete  grande  e  meravigliosa,      44 
rei  dei  Toscani,  coronando  vostro  leone,  poi  conquizo  l'avete  a  ffine 
forsa.       o  mizeri,  mizerissimi  disfiorati,  ov'è  l'orgoglio  e  la  grandessa 

•  vostra ,  che  quazi  senbravate  una  novella  Roma ,  volendo  tutto  sug- 
giugare  el  mondo?  e  cierto,  non  ebbero  cominciamento  li  Romani  più  4S 
di  voi  bello,  né  in  tanto  di  tenpo  di  più  non  federo,  né  tanto  quanto 
avavate  fatto  e  eravate  inviati  a  ffare,  stando  a  ccomune.  o  mizeri, 
mirate  ove  siete  ora,  e  ben  considerate  ove  sareste,  fustevi  retti  a 
una  comunitate.  li  Romani  suggiugòno  tutto  il  mondo;  divisione  tor-  52 
nati  ali  a  nejente  quazi.  e  voi,  ver  che  già  fuste,  tegno  che  pogho 
siate  più  che  nente,  e  quel  pocho  che  siete,  credo  ben,  mercié  vostra, 

^h'avaccio  torretel  via.     non  ardite  ora  di  tenere  leone,  che  voi  già 
non  pertene;  e  se  1  tenete,  scorciate   over  cavate  lui  coda  e  oreglie      56- 
e  denti  e  unghi'e  1  dipelate  tutto,  e  in  tal  guiza  porà  figurare   voi. 
o  non  Fiorentini ,  ma  desfiorati  e  desfogliati  e  'nfrantil  sia  voi  quazi  se- 
pulcro  la  terra  vostra,  non  mai  partendo  d'essa,  mostrando  a  le  giente 
vostro  obbrobbio  spargiendo;  che  non  è  meritricie  aldacie  più  che  de     60 
catuno,  che  n'escie  e  mostrase,  poi  la  sua  faccia  di  tanta  honta  è  lorda, 
o  desfiorati,  a  che  siete  venuti,  e  chi  v'  à  fatto  ciò  che  voi  estessi  ?  e 
senbravi  forse  scuza  che  no  altri  àvel  fatto  ?       ma  mal  ragion  pensate, 
che  dobbra    cierto    l'onta;  e  1  fallo    credo    eh' è   primamente  a  Dio.     64 
ucidere  sé  stesso  l'omo  è  ppeccato  che  passa  onni   altro   quazi.       e 
desnore  qual  è  maggio  a  esto  mondo  che  arabbire  homo  in  sé  stesso 
mordendo  e  devorando  sé  e  i  soi  di  propia  volontà?      o  disfiorati  e 
forssennati,  rrabbiosi  venuti  come  cani,  mordendo  l'uno  e  devorando     6S 
l'autro,  acciò  che  poi  lui  morda  e  devori  !  che  non  sé  stesso  struggie 
e  aucide  homo,  ma  struggie  e  aucide  altro,  acciò  che  1  poi  struggha 
e  aucida  esso.       e  sse  volete  dire  che  vostra  intensione  no  è  già  tale, 
dico,  che  se  non  tale  è  ffallacie,  e  tenebre  vostro  lume.       che,  come     72 
che  nessuno  serve  che  per  intensione  d'aver    merito,    non   de   homo 
sì  bene  provedere  alcuno  homo,  che  deservito,  credendo  essere  apresso, 
e  molto  maggiormente,  eppoi  avaccio  è  grande  mal  attender  di  male, 
che  di  bene  bene  avere.       perch'  è  troppo  più  prunto  e  ssollicito  homo     76 
male,  che  ben,  rendendo.       ben  meritando,  è  quazi  ongni  omo  avaro 
rendendo  tanto,  o  meno  de  quel  che  prende;  e  le  più  fiate  è  tardo. 

35,  ;«.<.  in  ngni 


SEC.  XIII.  Rime  e  -prose  di  Gidttone  d^ Arezzo.  1 7  7 


a  male  de  mal  rendendo  el  piò  avaro  par  largho;    che   non   d'uno, 

So  uno,  ma  molti,  e  de  più  picciuli,  grandi,  non  de  rendere  mai  male, 
o  che  peccato  grande,  e  desnatorata  e  llaida  cosa  offendere  homo  a 
homo  e  spesialemente  al  dimestico  suo.  che  non  Dio  fecie  homo  in 
dannaggio  d'omo,  ma  inn  ajuto,  e  però  non  catuno  vale  per  sé,  ma 

84  congregati  a  uno.  no  è  già  fera  crudele  tanto  e'  al  suo  simile  of- 
fenda, for  solamente  fere  che  dimorano  coli' omo,  come  cavallo  e 
cane;  e  cciò  non,  credo,  appreseno  a  la  lor  natura,  ma  da  la  mali- 
sia  dell'omo,  coli' omo  addimorando,  ànol  aprezo.       non   unghie  né 

SS  denti  grandi  diede  natura  ad  omo,  ma  menbra  soave  e  lievi,  e  figura 
benignia  e  mansueta,  mostrando  che  non  fellocie  e  non  nocente  esser 
dea,  ma  pacifico  e  dolcie  uttulità  prestando,  e  Dio  rinchiuse  e  chiuse 
solo  in  caritade  e  profesia  e  leggie;  e   chi  carità  enpie,  enpie   onni 

92  justisia  e  onni  bene.  e  nostro  Singnore  in  de  la  sua  salute  non  pors* 
altro  già  che  pacie;  e  finalmente  in  ultima  voglia  sua  a  li  suoi  pacie 
lassò  eredità,  mostrando  che  nulla  cosa  utile  è  for  pacie,  né  con  essa 
dizutile  né  nociva.       o  mizeri,  come  donque  l'odiate  tanto?  non  co- 

96  nosciete  voi  che  cosa  alcuna  no  amata  s'à  bona?  né  d'alcun  bono 
ghauxiere  si  può,  for  pacie?  unde  onni  abitaculo  d'omo  pacifico  es- 
ser vorria;  ma  pur  cita  dico  che  specialissimo  è  lloco,  ó  ghaudio  e 
pacie   trovare   senpre   si  dèa,  e  ove  si  dèa  refuggire  chi  ghaudio   e 

100  pacie  chiere.  e  ss'  è  loco  a  guerra  reputato  alcuno,  no  é  cita,  ma 
alpi,  ove  alpestri  e  selvaggi  si  sogliano  trovare  homini,  come  fere; 
ma  a  la  gran  mattessa  dei  citadini  alpe  son  cita  fatte,  e  cita  alpe, 
e  citadini  alpestri  in  guerra  tribolando,   e  alpestri  citadini  gaudendo 

104  in  pacie.  isbendate  oramai,  isbendate  vostro  bendato  vizo;  voi  a 
voi  rendete,  e  specchiate  bene  in  voi  estessi,  e  mirate  che  è  de  guerra 
a  pacie;  e  cciò  conoscerete  ai  frutti  loro.  o  che  dolci  e  delettozi 
e  savorevili  frutti  gustati  avete  già  in  del  giardino    di  pacie,   e    che 

105  crudeli  e  amarissimi  e  venenosi  in  el  dezerto  di  guerra,  che  gustare 
li  potete  è  meraviglia,  e  senbravi  fagiani  savore,  e  vi  pasciete  in  essi, 
perché  pare  esser  malato  forte  palato  de  vostro  core  ;  c'a  lo  sano  sa 
meglio  bucciella  seccha  in  pacie  e'  ogni  condutto  in  guerra.       e  voi 

112  ha  più  savore  in  guerra  bucciella  secca  che  'n  pacie  onni  vidanda. 
o,  chi  vi  move  a  cosa  tanto  diversa?  ditelmi,  se  vi  piacie,  in  vostra 
iscuza;  che  natura  né  leggie  né  alcuno  uzo  bono  né  ragione  né  ca- 
gione, prò  né  honore  vostro  né  gaudio  vedere  ci  so.       e  se  dire  me 

116  volete,  che  pregio  e  piaciere  sia  grande  voi  danneggiare  e  desfare 
vostri  nemici,  dico  che  ciò  è  vero;  ma  vi  dimando,  chi  vostri  nemici 
sono?  e  se  mi  dite,  vostri  vicini,  negho  in  tucto,  e  dico  che  non  son 
già.       nemico  all'omo  no  é  che  nociva  cosa,  e  cosa  nociva  no  è  che 

1 20  peccato  ;  peccato  alcuno  non  prende  ove  non  vole.  donque  a  ragione 
dell'omo  nemico  è  solo  peccato,  e  se  solo  è  nemico ,  solamente  è  da 
odiare  :  onde  se  llui  odiate  e  destruggiete,  odiate  e  destruggiete  vostro 

87.    né]    ms.  de  102.  ms.  citadi,  inJÌH  diriga. 

12 


17S  Rime  e  -prose  di  Guittone  d^ Arezzo.  sec.  xiii. 


nemico;  e  io  molto  vel  lodo,     ma  se  odiate  e  destruggiete  homo,  odiate 
e  destruggiete  voi,  e  cciò  si  mostra  per  pluzor  ragione,  de  le  quale  al-    124 
cuna  assegnio.       prima  dico,  che  non  honore,  non  prode,  non  onta 
né  danno  alcuno  anno  vostri  vicini,  non  voi  in  comune  abbiaten  parte, 
seghondo  dicho,  chi  sono  vostri  vicini?  non  sono  nati  di  voi,  e  voi  di 
loro,  perché  d'un  sangue  e  d'una  carne  siete?  no  è  alcuno  in  parte    128 
non  in  l' autra  parte  aggia  pluzori  de    sangue  e  d' amore    seco    con- 
giunti, cui  danno,  cui  onta  e  cui  dolore  participa,  voglia  o  no;  e  se 
tutto  ciò  pregiate  pogho,  ne  di  loro  non  sentite,  pregiate  e  sentite  al- 
meno di  voi,  che  se  bene  li  occhi  aprite,  e  vostro  vizo  è  chiaro,  non    133 
vederete  anticha  o  nova  mente  esser  devenuto  che  terra  a  terra  offen- 
desse ,  homo  a  homo ,  unde  non  fusse  alcun  tenpo   vendetta.       e    se 
cciò  non  vedete  in  altrui  bene,  almeno  mirate  voi,  e  non  credo  che 
ggià  troviate  guaire  che  parte  a  parte,  homo  ad  omo  desse  una,  che    136 
non  presa  aggiane  un'altra ,  u  forse  due  :  che  s'  e'  vostri  vicini  donar 
già  voi ,    non  doglion  già  de  non  bon  paghamento ,   che   chapitale  e 
merto  rendete  loro,  e  assai  ben  sufìciente  via,  credo,  più  non  fu  loro 
intensione,  e  forse  non  credete  ei  rendan  voi.       ma  inghannati  siete,    140 
se  mantenete  lo  giocho  lunghamente  ;  che  finalmente  voi  essi  consu- 
merete, e  essi  voi,  come  dui  baratteri  l'uno  consunma  l'altro  al  gioco, 
gìochando  lunghamente.       unde  dico,  tutto  contradìo  fusse  e  contra 
giustisia  e  disavere  prender  vendetta  l'omo,  sarebbe  alcuno  rimedio,    144 
e  mattezza  e  fallo  menore  offender  l'omo  e  fare  vendetta,  se  sigurtà 
avesse  de  non  prenderne  merto.       ma   creder  si   può,   sì   com   è    al 
certo,  riavere  d'una,  una  u  forse  più,  come  chi  ferire  ardisele  e  sé 
non  guarda;  e  però  dico  voi,  se  ragione  e  cagione  aveste  molta   di    148 
confondere  l'uno  l'altro,  se  non  timore  e  amore  del  Signor  nostro,  né 
sangue  umano  e  dimestico  ten  voi,  tegniavi   almeno  timore  e  amore 
de  voi  estessi  e  de  vostra  famìglia;  che  gli    antichi  padri   e    madre 
vostre,  che  di  travaglio  loro  in  sigurtà  in  pace  e  gaudio  posare  vor-    152 
riano,  in  guerra  e  in  dolore  e  in  paura  languire  e  penare  fatti  lì  avete, 
e  correre  eia  e  là  di  terra  in  terra.       e  mogliere  vostre,  che  morbide 
sono,  è  grave   che   posando  e  pasciendo  bene  doveano  demorare   in 
elle  sale  e  in  le  sambre  vostre  tra  i  dimestichi  loro,  pasciute  e  ve-    156 
stìte  male,  e  sole  come  anelile  e  male  aconpagniate,  alcuna  fiata  di 
loco  in  loco  andate  tribulando,  in  magioni  laide  e  strette,  tra  masnade 
tal  fiata  e  con  istraina  giente  addìmorare,  sì  che  Tancille  altrui  eran 
loro  quazi  donne.       e  a  figliulì,  a  cui  padre  dèa  magione   adìficare,    160 
conquistare  podere  e  procacciare  amore  con  pacie  loro,  l'altrui  ma- 
gione struggìe,  acciò  c'omo  la  loro  struggha.      podere  spendete  e  con- 
sumate in  guerra,  e  ucìdete  altrui,  che  quazi  pegnìo  è  lloro  d'essere 
ucisi.       ai,  che  pessima  eredità  lassate  loro!  cierto  non  padri  già  ma    164 
annemici  tener  posson  voi,  che  struggimento  e  morte  lor  procacciate, 
ben  deno  rifiutare  a  padre  voi,  e  nel  sepulcro  ispogliarsi  a  vostra  fine, 

147.   chi  manca   nel  ;«.«. 


SEC.  XIII.  Rime  e  -prose  di  GuiUone  d^ Arezzo.  179 


rifiutando  voi  e  onni  vostro.      consanguinei  e  amici  vostri  a  fforza  met- 

i6S  tete  in  brigha,  e  procacciate  loro  danno,  travaglio  e  odio.  se  a  pa- 
dri e  a  moglieri  e  a  figliuoli  e  ad  amici  danno  tenete  in  guerra,  e 
anco  a  voi  stessi ,  a  cui  donque  valete  ?  cierto  a  demoni  molto ,  e  a 
catuno  che  vole  lo  danno  e  l' onta  vostra ,  che  spessamente  ghauder 

172  di  voi  li  faite.  amici  donque  a  nemici  e  a  nemici  più  chi  più  v'ama; 
e  cciò  poi  conosciete  apertamente,  che  pur  donque  seguite?  e  sse  al- 
cuno è  intra  voi,  che  pure  guerra  li  piaccia,  piacciali  ad  opo  suo; 
non  tutti  il  seguite  a  morte  vostra  ;  che  ben  credo  de  voi  la  maggio 

176  parte,  che  pur  perdeno  senpre,  ed  àn  perduto,  quale  che  perda  vinca, 
onni  perde  vinciente  ed  esconfiggie  perdend'onni  guerra  e  ricievendo 
vittoria  d' onni  pacie.  e  credo  tali  e  tanti  a  ccui  avene  che  se  Ili 
volesser  bene,  malgrado  a  cui  pesasse,  sconfiggereano  in  buona  pacie 

180  chi  lloro  sconfigge  in  guerra.  ma  senbra  che  ssiamo  infatuati,  lor 
morte  permettendo  ante  o  lor  vizo.  e  s'elli  dicono  :  "  ma  vorremmo 
e  non  potemo  „  ,  dico  dicon  non  vero.  catuno  salvar  se  vole ,  ma 
non  procacciare  come  si  salvi.       se  volesseno  la  lor  comune   pacie, 

184  come  vole  ciascuno  lo  ben  suo  propio,  e  come  ad  esso  acquistando 
veglia  e  pensa,  e  ffa  quant'el  può  fare  com  elio  sia,  sarebbe  in  pa- 
cie avere,  e  facciendo  sì  bene,  non  già  dotto  che  fallir  potesse.  quale 
cosa  sì  dura ,  che  grande  e  ferma   voglia  e  sollicita  e  ssaggia    ope- 

i8S  rassione  non  ben  finisca?  ma  vostra  voglia  è  vile  e  debile  molto,  e 
pare  che  catuno  dicha  :  non  toccha  a  me  ;  e  se  mi  toccha,  non  tanto 
che  vogliame  travagliare.  o  mizeri  voi  e  ciechi,  che  cosa  vi  per- 
tene  più?  non  pende  in  ciò  anima  e  corpo  e  onor  tutto  vostro  e  1  prò? 

192  in  ciò,  che  vale  quanto  avete,  anima  e  corpo  e  figliuoli  vostri,  è  danno, 
no  è  ciò  tutto  in  vano,  che  sson  posti  presso  ciò  a  pperire  in  guerra, 
oh  quanti  ne  sapete  istrutti  e  morti ,  che  non  sei  pensar  già  a  cciò 
venire,  e  quanti  anche  àne  intra  voi  di  tali,  che  dottan  poco,  che  in 

196  vostra  guerra  perirano,  se  dura!  e  però  non  s'infingha  alcun  omo  di 
scanpare  li  suoi  e  sé.  non  dican  no  :  no  è  mio  fatto  ;  che  sson  fatto 
è  ben  tale,  onni  suo  fatto  è  fatto,  se  non  fa  esso;  e  sse  fa  esso,  ri- 
fatto,      piacciavi  donque,    piaccia   ormai   sanare  e  no  scifare   medi- 

200  cina  amara,  che  tanto  amara  malatia  vi  toUe.  bono  spendere  è  de- 
najo  che  soldo  salva;  e  bono  sostener  male  che  tolle  peggio;  e  mo- 
neta con  angostia  non  pogho  ghosta  voi  a  conquistare  la  nostra  infer- 
mitate,  e  non  meno  vi  gosta  a  mantenerla.       e  cche  mattessa  maggio, 

204  che  solicito  e  llargho  esser  homo  in  accatar  male,  e  negrigiente  e 
scharso  bene  acquistando?  vinca,  vinca  ormai  saver  mattessa;  e  se 
non  pietate  à  U'un  de  voi  del  mal  grave  dell'antro,  aggialo  almeno 
del  suo ,  e  per  amor  di  sé  partasi  da  male.       ciò  che  ditt  'aggio ,    e 

205  che  dir  pore'  anco  in  questa  parte,  vi  conchiudo  inn  uno  sol  motto, 
cioè:  catuno  ami  ben  sé  stesso  e  viv'  a  sua  salute. 

209.  ms.  vivasta    salute. 


180 


Rime  e  -prose  di  Gidttone  d^ Arezzo.  sec.  xiii. 


VII. 

Il  testo  h  costituito  sui  codd.   Vat.  3793  (A)  e  Laur.-Red.    g  (B). 


GUITTONE     D  AREZZO. 

/\i  lasso,  or  è  stagion  de  doler  tanto 
a  ciascuno  che  ben  ama  ragione; 
ch'eo  meraviglio  u  trova  guerigione, 
cha  morte  no  l'agia  corotto  e  pianto, 
Vegiendo  l'alta  fior  senpre  granata 
e  l'onorato  antico  uso  romano 
cha  cierto  pere;  crudel  forte  villano, 
s'avaccio  ella  no  è  ricoverata! 
Che  l'onorata  sua  rica  grandeza 
e  1  pregio  quasi  è  già  tutto  perito, 
e  lo  valor  e  1  poder  si  desvia, 
ohi  lasso,  or  quale  dia 
fue  mai  tanto  crudel  danagio  audito? 
deo,  com'  àilo  sofrito 
deritto  pera  e  torto  entr'inn  alteza? 

Alteza  tanto  ella  sfiorita  fiore 
fue,  mentre  ver  sé  stessa  era  leale, 
che  ritenea  modo  inperiale, 
aquistando  per  suo  alto  valore 
Provincie  e  terre  presso  e  lunge  mante; 
e  senbrava  che  far  volesse  inpero, 
sicomo  Roma  già  fece,  e  legiero 
li  era,  ch'alcun  no  i  potea  star  avante. 
E  ciò  li  stava  ben  certo  a  ragione, 
che  non  se  ne  penava  per  prò  tanto, 
corno  per  ritener  giustiza  e  poso; 
e  poi  fulli  amoroso, 
di  fare  ciò  si  trasse  avante  tanto, 
eh'  al  mondo  no  à  canto 
u  non  sonasse  il  pregio  del  leone. 


i6 


24 


1.  ahi  lliisso  —  stasgione  di  dolere  A        2.  a  ciaschiino  omo  che  meno  —  rasgione  A  3.  ch'io  meravilglio 

chi  truova  guerisgione  A  trovan  B  K.  che  mortto  noli'  A  corrotto  B  omettendo  e  5.  Vedendo 

B  fiore  sempre  A         6.  e  sonorata  A  anticho  uzo  B  7.  certo  B         per   crudele  forte  e  A 

8.  se   di  vaccio  nonn  è  ricoverato  A  9.  ricclia  granJessa  B  Che  l  presgio  è  già  quasi  tuto  pe- 

rito A  IO.  e  l'anorata  sua  rica  grandeza  A  11.  lo  valore  e  1  podere  si  disvia  A  12.  oS 

ÌÌSLS80  A  13.  ia  B  crudele  yl  dannaggio  ^  13.  come  lasso  perito  .4  15.  diritto 

pena  e  tortt'eotra  'n  A  allessa  B  16.    Allessa  B  tanta  e  la  fiorita    A  17.   io  B 

mentre  sé  stesso  A  18.  riteneva    inonddo   imp.    A  19.    acquistando   A  20.    e    omette  B 

prese  lungiamente  A  21.  e  sembrava  che  fare  voUesse  imp,  A  22.sicom'era  —  fecie  L  A        leg- 

gero B  23.  gli  era  ciaschuno  noi  contastante  A  24.  gli  —  bene  ciertto  —  rasgione  A  25.  noin 

si  dipcnava«  suopro  ^  26.  ritenere  M         giustisie  po/.o  .ff  27.  folli  amoroso  A'  28.  avan- 

ti A  29.  monddo  nonn  è  A  30.  ove  noni  —  presgio  de  A  31.  chi  lo  vea  A  32.  trat- 


I 


SEC.  XIII.  Rime  e  -prose  di  Gtdttoiie  d^ Arezzo.  181 


Leone,  lasso,  or  no  è;  cli'eo  li  veo 
32  tratto  l'onghie  e  li  denti  e  lo  valore, 

e  1  gran  lingnagio  suo  mort'à  dolore, 

ed  en  crudel  pregio  messo  à  gran  reo. 

E  cciò  li  à  fatto  chi?  quelli  che  sono 
36  de  la  schiatta  gentil  sua  stratti  enanti, 

che  fun  per  lui  cresciuti  e  avanzati 

sovra  tutti  altri  e  collogati  im  bono. 

E  per  la  grande  alteza  ove  li  mise, 
40  ennantir  sì,  che  1  piaghar  quasi  a  morte. 

ma  Deo  di  guerigion  feceli  dono, 

ed  el  fé  lor  perdono; 

e  anche  el  refedier  poi,  male  fu  forte, 
44  e  perdonò  lor  morte; 

or  anno  lui  e  soje  menbre  conquise. 
Conquise  l'alto  comun  fiorentino, 

e  col  senese  in  tal  modo  à  cangiato, 
48  che  tutta  l'onta  e  1  danno  che  dato 

lì  à  sempre,  comò  sa  ciascun  latino, 

Li  rende,  e  i  toUe  il  prò  e  l'onor  tutto; 

che  Montealcino  av'  abattuto  a  forza, 
52  Montepulciano  misoro  en  sua  forza, 

e  de  Marenma  à  la  Ciervia  el  frutto; 

Sangimignan,  Pogibonize  e  Colle 

e  Volterra  e  1  pajese  a  suo  tene; 
56  e  la  canpana,  l'ensegne  e  li  arnesi 

e  li  onor  tutti  presi 

ave  con  ciò  che  seco  avea  di  bene, 

e  tutto  ciò  li  avene 
60  per  quella  schiatta  che  più  e'  altra  è  folle. 

Foli'  è  chi  fugie  il  suo  prode  e  cher  danno 

e  l'onor  suo  fa  che  vergognia  i  torna; 

e  di  bona  libertà  ove  sogiorna 
64  a  gram  piacier,  s'aducie  a  suo  danno, 

Sotto  sengnoria  fella  e  malvagia, 

e  suo  signor  fa  suo  grande  anemico. 


t'à  l'unghie  —  e  1  v.  ^  33.  gran  lignaggio   B  mortale   A  motta   B  34.  e  di   crudele 

presgio  A  miz'à  B  gra  rea  A  35.  gli  à  —  quelgli  A  36.  gientile  sch.  sua  stati  e  nati  A 

37.  fuorop.  llui  er.  e  A  avansati  B  38.  tuti  A  collocati  a  b.  B  39.  altessa  B  gli  ^ 

40.  e  mostrano  s\  che  pare   che  1  piangono  A  quazi  B  mortte  A  41.  Dio  di  guerisgione 

fedeli  A  42.  e  Dio  fé  loro  A  43.  ed  anche  rifediro  A         ma  fu  B        fortte  A  44.  loro  mortte .4 

45.  sue  membra  46.  Comune  A  47.  sanese  in  tale  —  chang.  A  43.  tuta  A  49.  gli 

a  semp  —  ss'a  ciaschuno  A  50.  le  r.  e  t.  e  prende  l'onore  tuto  A  51.  Monteal.  ave  combatuto  A        a 

forsa  B  52.  e  M.  A  mizo  B  im  A  forsa  B  53.  e  di  Marema  A  cerina  B  e 

lo  B  54.   Sangminginano  e  A  Pogibonis'  e  B  55.  paese  A  paieze  B  56.  la  champ.  e 

le'msegne  elgli  A  57.  elgli  onori  tuti  A  59.  tuto  —  li  ^  60.  sciatta  B        è  omette  A  61.  fug- 

ge B  prò  e  cria  A  62.  onore  —  vergogna  gli  A  63.  liberttà  A        sogiorna  B        64.  gran  pia- 

-cer  B  sa  da  ciò  suo  A  65.  signoria  B  malvasgia  A  66.  sengnors;  A  nemicho  B 


182  Rime  e  -prose  di  Gidttone  d^ Arezzo.  sec.   xiii. 

a  voi  che  siete  in  Fiorenza  dico, 

che  CIÒ  eh'  è  divenuto  par  v'adagia  ;  68 

E  poi  che  li  alamanni  in  casa  avete, 

servite!  bene  e  faitevo  mostrare 

le  spade  lor  con  che  v'àn  fesso  i  visi, 

e  padri  e  filgli  aucisi;  72 

e  piacieme  che  lor  degiate  dare, 

perch'ebero  en  ciò  fare, 

fatica  assai,  de  vostre  gran  monete. 

Monete  mante  e  gran  gioi  presentate  ,  .  76 

ai  Conti  e  a  li  Ubarti  e  alli  altri  tutti 
ch'a  tanto  grande  onor  v'àno  condutti, 
1  aJ^    che  miso  v'  ano  Sena  in  podestate. 

Pistoja  e  Colle  e  Volterra  fann'  ora  80 

guardar  vostre  castella  a  vostre  spes^,     ~^^-''" 

e  1  conte  Rosso  à  Marenm'  e  1  pajese, 

Montalcin  sta  sigur  senza  le  mura,         v'-^'^ 

De  !^ipafratta  temor  a  il  pisano^  84 

e  1  perogino  che  1  lago  no  i  tolliate. 

e  Roma  voi  con  voi  far  conpagnia 

onore  e  segnoria. 

or  dunque  pare  che  ben  tutto  abiate  88 

ciò  che  disiavate:  i- 

potete  far  cioè  re  del  toscano. 

Baron  lonbardi  e  romani  e  pugliesi 
e  tosci  e  romagnuoli  e  marchigiani,  92 

Fiorenza,  fior  che  senpre  rinovella, 
a  sua  corte  v'apella  ; 
che  far  voi  de  sé  re  i  toscani, 

da  poi  che  li  alamani  96 

ave  comquiso  per  forza  e  i  senesi. 


67.  or  ini  A  Fiorensa^  Firenze  A  dicho  B  68.  par  vi  A  69.  gli  A  chasa  B 

70.  servite  —  fatevi  ^  7 1 .  loro  —  v' anno  fesi  ^        viri  jff  72.  padri  e  figliuoli  aucizi  ^  73.pia- 

cenii  B  loro  A  dobiate  B  74.   ebber  B  va.  A  75.   faticha  B  grandi  A 

76.  grande  gioja  presentare.4  77.  ed  ai  C.  ed  agi'  U.  ed.  algli  a  tuti  A  78.  onore  v'ànno  condot- 

ti A  79.  e  che  A  niizo  B  v'ànno  Siena  iin  potestate  yl  80.  fanno  A  81.  vostre 

chastella  guardare  a  loro  A  82.  Marenia   e  1  paese    A  83.    E  Montalcino   sta   sichuro  sanza 

ni.  A  84.  il  p.   A  85.  penisgino  cheg  1.  nolgli  fogliate  A  86.  vuole  —  fare  conipangnia  ^ 

87.  sengnoria  ^  %%.  ■a.ò.\xi\(\-as  B  omettendo  or  bene  tanto  .4  abbiate  i9  89.  dizìavate  if 

90.  ffare  fare  .,4  91.  Baromi  lonb.  e  r.  e  pulgliesi  ^  92.  toschi  ^,  0«#«,r»rfo  e,  romangnoliyl 

niarchisgiani  ^  93.  Firenze  ^  fiore  sempre  ^  94.  cortte^  95.  vuole  di  se  re  de' M 

96.  Pulglia  tuta  alemani  A  97  ave]  ^  A  e  conquizo  —  forsa  B         ave  sanesi  B 


SEC.  XIII.  Rime  e  -prose  di  Gicittone  d^ Arezzo. 


18; 


vili. 

Dal  cod,  Laur.-Red.   g. 
FRATE    GUITTONE. 

ÌVIesser  Corso  Donati,  si  ben  veggio,  in  potensa  non 
poco  évi  valensa,  solo  seguirla  voi  promente  agradi  ;  che  d'a- 
mici e  d'avere  è  giusto  in  voi  podere.  persona,  abbito  e  atto 
mi  senbra  in  voi  bene  atto,  pugniando  valoroso  in  ver  valore, 
adonque,  caro  amico  bon  mio,  non  giovenil  dezio,  non  negri- 
giensa  né  pigressa  alcuna  né  cosa  altra  depona  vostro  iscudo 
da  ben  forte  pugniare.  ed  ove  fero  più  pare,  valore  operare, 
più  vi  sia  dizioso;  che  non  leve  e  giojoso,  ma  grave  e  peri- 
gliozo  mesteri  fa  vero  valore  provare.  sicome  coco  bono  cre- 
scie  vidanda  ove  famiglia  agranda ,  cresca  sempre  e  inforti 
e  a  vigore  conforti  vostro  valore  ;  e  forte  e  retto  pugni,  quanto 
più  gravi  e  forti  e  spessi  ver  di  voi  pugnan  bizogni,  giojendo 
sempre  e  honorando  honore. 


3.  in$.  abbi  e  atto 


5.  ms.  negrigigiensa 


IX. 

Dal  cod.   Laur.-Red.   g. 


x6 


FRATE    GUITTONE. 

L^HOMUNE  perta  fa  comun  dolore 
e  comuno  dolore  comun  pianto; 
perché  chere  onni  bon  pianger  ragione: 
Perduto  à  vero  suo  padre  valore 
e  pregio,  amico  bono  e  grande  manto, 
e  valente  ciascun  suo  conpagnone. 
Giacomo  da  Leona,  in  te,  bel  frate, 
o  che  crudele  ed  amaroso  amaro 
ne  la  perdita  tua  gustar  dèa  core, 
che  gustò  lo  dolsore 
dei  dolci  e  veri  tuoi  magni  condutti, 
che  pascendo  bon  ghiotti 
lo  valente  valor  tuo  chucinava, 
e  pasciea  e  sanava 

chatun  mondan  ver  gusto  e  vizo  chiaro, 
sentendo  d'essi  ben  la  bonitate. 


184  Riine  e  prose  di  Guittone  d^ Arezzo.  sec.  xiii. 

Tu  frate  mio,  vero  bon  trovatore 
in  piana  e  'n  sottile  rima  e  chiara 
e  in  soavi  e  saggi  e  chari  motti, 

Francesca  lingua  e  proensal  labore  20 

più  de  Tartina  è  bene  in  te,  che  chiara 
la  parlasti  e  trovasti  in  modi  totti. 
Tu  sonatore  e  cantor  gradivo, 

sentitor  bono  e  parlador  piacente,  24 

dittator  chiaro  e  avenente,  eretto 
adorno  e  bello  'spetto, 
corteze  lingua  e  costumi  avenenti, 

piacenteri  e  piacenti;  28 

dato  fu  te  tutto  ciò  solamente. 

Non  dich' alcun  donque  troppo  io  t'onori, 
acciò  che  non  tu  hom  di  gran  nassione; 

che  quanto  più  è  vii,   più  de  car  prizo  32 

Omo  quello,  li  cui  anticessori 
fuor  di  valente  e  nobel  condissione. 
se  valor  segue  honor,  poco  li  è  avizo; 

Se  figlio  de  distrier  distrieri  vale,  36 

no  è  gran  cosa,  e  se  non,  lausor  magno  ; 
ma  magna  è  unta,  se  ronsin  somiglia  ; 
ma  che  è  meraviglia 

e  cosa  magna  se  di  ronsin  vene  40 

che  destreri  vai  bene, 
e  tale  da  orrar  sovra  destrero 
bass'  omo,  che  altero 

à  core  e  senno,  e  or  se  fa  de  stagno;  44 

und'  è  ver  degno  d'  aver  pregio  tale. 

Non  ver  lignaggio  fa  sangue,  ma  core; 
ni  vero  pregio  poder,  ma  vertute; 

e  si  grasia  ed  amor  è  appo  sciente,  .  48 

di  cui  sol  pregio  è  giente  , 
nullo  o  parvo  è  pregio  in  ben  de  fore, 
ma  ne  le  interiore  ; 

che,  don  move  lui  che  pregio  o  onta  52 

le  più  fiate  desmonta, 
à  valere,  à  pregio  e  à  salute, 
be  alta  domo,  lignaggio  e  riccore. 

17.  ms,  ver  29.   ms,  date  * 


44-   —  Canzoni  anonime P^g-  95 

45.  —  Lo  splanamento    dei   proverbi  per  maestro  Patecchio  da  Cremona  .  »  lor 

46.  —  Contrasto  di  Cielo  dal  Camo  .0  d'Alcamo >  106 

47.  —   Il  libro  di  Uguccione  da  Lodi >  iiO 

4S.   —  Poemetto  didattico »  115 

49.  —  Lettera  senese  del  1253 »  117 

50.  —  Liber  Ystoriarum  Romanorum,  Storie  de  Troja  et  de  Roma     .     .  »  iiS 

51.  —  Volgarizzamenti  dei  distici  di  Catone »  133 

52.  —  Parafrasi  verseggiata  del  Paternoster »  137 

53.  —  Proverbia  que  dicuntur  super  natura  feminarum »  139 

54.  —   Il  Panfilo  in  antico  veneziano ^  144 

55.  —  Il  Sermone  di  Pietro  da  Bascapè »  149 

56.  —  Ricordi  domestici  del  1255 »  153 

57.  —  Il  fiore  di  retorica  di  fra  Guidotto  da  Bologna »  154 

58.  —  Documento  pistojese  del  1259 »  160 

59.  —  Lettera  senese  del  1260 >>  161 

60.  —  Trattato  di  pace  fra  i  Pisani  e  l'Emiro  di  Tunisi,  1264     ....  »  166 

61.  —  Rime  e  prose  di  Guittone  d'Arezzo »  16S 


Prezzo  del  presente  fascicolo  L,  5 


PQ 

A3M65 
fasci 


Monaci,  Ernesto 

Crestomazili  italiana  dei 
primi  secoli 


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