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Full text of "Del "Caffè" : periodico milanese del secolo XVIII"

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Ferrari,  Luigi 
Del  "Cr.ffè". 


40 

C2653F47 
1900 
e.  1 


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LUIGI    FERRARI 


DEL «CAFFÈ» 


PERIODICO  MILANESE 


DEL 


SECOLO   XVIII 


'\\^o<3'f'^^^°-     Suw  cce^'iSo  Yv      VrcàeWi    Wv5\V» 


\^oo 


INTRODUZIONE 


Nella  letteratura  periodica  italiana  del  sec.  XVIII,  che  fu  abbon- 
dantissima e  contò  numerosi  e  pregevoli  cultori,  due  forme  tennero 
il  campo  :  il  giornale  erudito  ed  accademico,  che  regnò  da  solo  per 
tutta  la  prima  metà  del  secolo,  e,  quantunque  trasformato  dal  Ba- 
re tti,  continuò  ad  essere  coltivato  anche  nella  seconda,  conforme 
il  tipo  costante  del  Giornale  dei  Letterati;  ed  il  periodico  di  amena 
letteratura  e  di  costumi,  imitato  dallo  Spectator,  di  cui  sono  esempio 
l'Osservatore  e  il  Caffè. 

Il  giornalismo  erudito  ha  avuto  il  suo,  piiì  che  storico,  cro- 
nista, in  Luigi  Piccioni  ^)  ;  la  Frusta  ha  trovato  in  questi  ultimi 
tempi  diligenti  illustratori,  come  il  Canti  ^);  V Osservatore  del  Gozzi, 
studiato  alla  lesta  dallo  Zanella  in  raffronto  collo  Spectator  ^),  fu 
da  poco  esaminato  nuovamente  da  G.  Zambler  ^).  Al  Caffè  invece 


*)  n  Giornalismo  letterario  in  Italia.  Voi.  I.  Giornalismo  Erudito 
Accademico.  Torino,  Loscher,  1894.  Il  II  Voi.  dell'opera,  nel  quale  l'au- 
tore prometteva  di  trattare  della  Frusta,  deìV  Osservatore  e  del  Caffè  non 
ha  ancora  veduto  la  luce. 

^)  G.  Canti,  La  Frusta  letteraria.  Alessandria,  Chiari  Romano,  1893. 

^)  G.  Addison  e  G.  Gozzi  in  Nuova  Antologia,  15  gennaio  1883  :  art. 
riprodotto  nei  Paralleli  letterarj,  Verona,  Mùnster,  1884. 

*)  Gaspare  Gozzi  e  i  suoi  Giornali,  in  Ateneo  Veneto  anno  XIX  (1896) 
Voi.  II,  p,  285  e  segg.  e  anno  XX  (1897)  Voi.  I,  p.  218  e  segg.,  p.  385 
e  segg.,  Voi.  II,  p.  83  e  .segg. 


4  L.  Ferrari 

mancò  chi  ne  facesse  particolare  oggetto  di  studio.  Forse  non  lo 
meritava  quanto  gli  altri? 

Storici  e  critici  non  hanno  risparmiato  al  giornale  dei  Verri 
e  del  Beccaria  lodi  amplissime.  Il  Calvi,  ad  es.,  un  lombardo, 
avendo  riguardo  specialmente  alla  parte  filosofica  e  politica  del 
periodico,  non  esitò  a  scrivere  ^):  "  Quel  razzo  incendiario,  che 
"  guizzò  air  improvviso  sopra  un  orizzonte  in  apparenza  ancora 
"  così  tranquillamente  sereno,  fu  una  delle  imprese  più  strane 
"  e  più  arrischiate  della  nostra  aristocrazia;  senza  riscontro  pos- 
"  sibile  negli  annali  delle  altre  nazioni.  Se  4a  pubblicazione  del 
"  Caffè  non  produsse  uno  scoppio  istantaneo,  fulminante,  come 
"  quello  causato  dalla  commedia  di  Beaumarchais,  le  Noz^e  di 
"  Figaro,  quei  fascicoli  ci  sembrano  con  V  Enciclopedia  le  prime 
"  serie  avvisaglie  della  guerra  che  stava  per  impegnarsi  fra  il 
"mondo  feudale  e  la  democrazia  dei  nuovi  tempi,,.  L'Ugoni, 
altro  lombardo,  considerandone  il  contenuto  letterario  e  critico, 
chiamò  il  Gaffe,  non  diversamente  dal  Conciliatore,  "  strumento 
"  e  prova  di  passi  progressivi  nelle  lettere  italiane  „  ^).  Lo  Za- 
nella, che  deprime  tanto  V  Osservatore,  proclamava  il  foglio  mila- 
nese "  uno  dei  più  bei  monumenti  della  nostra  letteratura  del 
"  secolo  scorso  „  ^). 

Una  considerazione  più  attenta  e  più  equa  ed  uno  studio  più 
accurato  confermano  tali  giudizj  ?  Si  trovano  veramente  degne  del 
nome  di  nuove,  certe  dottrine  letterarie  simili  a  quelle  esposte 
nella  famigerata  Rinuncia  avanti  Notaio  al  Vocabolario  della  Cru- 
sca? Si  fecero  veramente  banditori  di  libertà  politiche  e  filoso- 
fiche gli  autori  di  un  giornale,  il  cui  programma  era  "  di  profonda 


*)  Il  patriziato  milanese.  Curiosità  storiche  e  diplomatiche  del  secolo 
XVIII.  Milano,  Vallardi,  1878,  p.  222-3. 

*)  Della  Ietterai,  it.  nella  2*  rtietà  del  secolo  XVIII.  Milano,  Bernar- 
doni,  1856-58,  Voi.  II,  pag.  133. 

3)  Storia  della  lett.  it.  dalla  metà  del  100  ai  giorni  nostri.  Milano, 
Vallardi,  1880,  pag.  56. 


Del  «  Caffè  » ,  2)&')'iodico  milanese  del  secolo  xvm  5 

"  sommissione  alle  Divine  leggi,  di  perfetto  silenzio  su  i  soggetti 
"  sacri,  di  rispetto  per  ogni  Principe,  ogni  Governo  ed  ogni 
"  Nazione  „  :  programma,  che  una  volta  osservato,  come  fu  os- 
servato, niente  conteneva  di  rivoluzionario  o  di  democratico  o  di 
avverso  alla  nobiltà,  direbbe  il  Calvi,  feudale?  Ma  d'altra  parte, 
se  ai  moderni,  come  afferma  il  Foscolo  ^),  il  Caffè  può  sembrare 
nulla  più  che  un  tentativo  puerile  „,  studiate  le  condizioni  della 
cultura  e  dei  tempi,  non  riscontriamo  noi  nel  periodico  milanese 
tali  pregj  di  pensiero  da  assicurargli,  avuto  riguardo  al  momento, 
una  importanza  effettiva  nella  storia  civile  e  letteraria?  Nel  tempo 
in  che  l'Italia  settentrionale  si  faceva  promotrice  alla  intera  na- 
zione di  una  vita  nuova,  non  ebbe  parte  il  Caffè  insieme  con  altri 
fatti  storici,  politici  e  letterarj,  alla  formazione  di  un  centro  di 
coltura  lombarda,  che  diresse  la  rivoluzione  ed  il  risorgimento 
delle  lettere  in  Italia? 

Sono  domande,  cui  cercherà  rispondere  lo  studio  presente  ;  fine 
del  quale,  come  di  ogni  ricerca,  per  quanto  modesta,  è  dare  all'o- 
pera studiata  ciò  che  merita,  assegnandole  il  posto  che  le  spetta 
nella  vita  e  nella  letteratura  del  tempo. 


^)  Art.  sulla  Letteratura  periodica  in  Saggi  di  critica  storico-lette- 
raria, (Opere  edite  e  2)ostume.  Firenze,  Lemonuier,  1859.  Voi.  X,  p.  462). 


I. 

F.  Verri  e  la  Società  dei  Pugni. 


Il  Caffè  è  l'opera  di  una  società  di  giovani  milanesi,  stretti 
in  amicizia  dal  desiderio  comune  di  gloria  e  di  sapere  e  animati 
dall'  amore  dell'  utile  cittadino  e  sociale.  Prima  di  studiare  l'opera 
facciamo  la  conoscenza  degli  autori,  e  vediamo  quali  furono  i  loro 
studj,  quali  ragioni  li  accomunarono  negli  intenti  e  nei  propositi, 
qual  vincolo  di  speranza  e  di  ideali  li  tenne  uniti  e  confortò  al- 
l'impresa. 

Verso  la  metà  del  700  tutta  la  vita  letteraria  di  Milano  si  trovava 
concentrata  in  un  istituto  fiorentissimo,  l'accademia  dei  Trasformati, 
la  quale,  risorta  per  opera  del  conte  G.  M.  Imbonati  ^)  il  6  luglio 
1742  da  un'accademia  cinquecentistica  dello  stesso  nome,  ebbe  vita 
per  ventisei  anni:  sino  al  settembre  del  '68.  Che  cosa  essa  si  propo- 
nesse, 0  se  avesse  qualche  scopo  ben  definito,  non  sapremmo  dir 
bene  ^).  Statuto  non  ne  aveva,  o  almeno  non  ne  fu  pubblicato  alcuno, 


*)  V.  Orazione  di  G.  Giulini  nei  Compon.  in  morte  del  C.  G.  M.  Imhonati 
ristoratore  e  conservatore  perpetuo  dell'  accademia  dei  Trasformati.  Milano, 
Galeazzi,  1769. 

')  Vedi  intorno  ad  essa  l'art,  del  Carducci,  L' Accademia  dei  Trasformati 
e  Giuseppe  Parini  in  N.  Aìit.  16  aprile  e  1  maggio  1891. 


8  L.  Ferrari 

e  neppure  dei  versi  e  delle  prose  recitate  nelle  riunioni  pubbliche  e  pri- 
vate, tenute  nel  palazzo  Imbonati,  fu  dato  alle  stampe  alcun  saggio.  A 
nessun  fatto,  in  corpo,  diremo  così,  parteciparono  gli  accademici, 
se  non  alla  contesa  poco  gloriosa  col  P.  Branda,  e  ad  alcune  raccolte; 
e  anche  di  queste  le  più  note  nella  letteratura  accademica  del  700, 
come  Le  Lagrime  in  morte  di  tm  gatto  e  le  raccolte  iu  morte  di  G.  M. 
Lribonati  e  di  Dom.  Balestrieri  sono,  la  prima  anteriore  alla  costitu- 
zione della  società,  le  seconde  composte  quando  gli  amici  milanesi, 
mancato  l'Imbonati,  non  avevano  più  veste  di  accademici  ').  Tuttavia 
e  dalle  poesie  che  sappiamo  aver  recitato  i  primarj  socj  nei  tratteni- 
menti accademici,  e  dall'indole  delle  opere  che  essi  composero,  chiaro 
appare  qual  posto  spetti  a  questo  sodalizio  nella  letteratura  ita- 
liana. Autori  di  poesie  burlesche  e  dicerie  cruschevoli  i  Trasfor- 
mati non  si  discostano  molto  dai  Granelleschi,  e  con  essi  coope- 
rano a  mantenere  salda  la  tradizione  del  toscano  popolare  contro 
il  dilagare  della  letteratura  filosofica,  delle  composizioni  musicali 
e  della  gonfia  poesia  frugoniana.  Ma,  a  difi'erenza  dei  Granel- 
lescìii,  presso  i  quali,  eccettuati  i  Gozzi,  l'imitazione  classica  è 
più  che  altro  di  parole,  presso  i  Trasformati,  sia  per  l'ingegno  arti- 
stico (che  certo  non  si  può  negare  al  Passeroni,  al  Balestrieri,  al 
Parini),  sia  per  l'uso  della  poesia  dialettale,  paesana  e  spontanea, 
la  forma  si  venne  liberando  dagli  impacci  convenzionali,  e  servì  più 
agevolmente  al  concetto  :  ravvivata  da  quella  gioviale  e  fine 
malizia,  lontana  dagli  eccessi  e  nemica  del  gonfio  e  del  pomposo, 
che  è  propria  dei  Lombardi. 

In  questa  Accademia,  accanto  al  conte  G.  M.  Imbonati^  a  Carlo 
Tanzi,  a  Domenico  Balestrieri,  al  Can.  Agudio,  al  P.  Saverio  Qua- 
drio, accanto  al  Villa,  al  Soresi,  al  Parini,  al  Baretti,  al  Passeroni, 
noi  troviamo  un  altro  zelatore  di  raccolte,  scrittore  di  cicalate, 
versaiolo  di  martelliani,  un  giovane  ventiduenne,  già  da  quattro 


*)  L'ultima  adunanza  dell'Accademia  fu  tenuta  il  10  sett.  1768  per  com- 
memorare la  morte  del  fondatore,  l'Imbonati.  V.  Salveraglio,  prefazione 
alle  Odi  di  0.  Parini.  Bologna,  Zanichelh,  1882  p.  IX. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  9 

anni  arcade  dell'Arcadia  romana,  Pietro  Verri:  quegli  che  sarà 
poi  il  capo  della  filosofica  compagnia  ^).  Egli  non  ha  ancora  sco- 
perta la  propria  strada,  ma  va  tentoni  per  quella  additata  dai  suoi 
maestri  e  maggiori. 

Il  conte  Pietro  Verri  è  il  primogenito  dell'illustre  senatore 
Gabriele,  dal  quale  era  nato  il  12  die.  1728  2).  I  suoi  primi  anni 
si  compendiano  in  una  peregrinazione  continua  dalla  casa  paterna 
al  collegio,  dal  collegio  a  casa,  e  di  collegio  in  collegio;  prima 
presso  i  Gesuiti  a  Monza,  poi  alle  pubbliche  scuole  di  S.  Ales- 
sandro dei  Barnabiti,  quindi  al  collegio  Nazareno  di  Roma,  tenuto 


*)  Anche  Cesare  Beccaria,  come  si  rileva  da  uua  rassegna  in  versi  che  dei 
Trasformati  inseri  Teodoro  Villa  nella  Raccolta  di  comp.'in  morte  di  G.  M  Itn- 
bonati,  fu  ascritto  all'Accademia;  ma  piii  tardi,  quando  il  Verri  aveva  cessato 
di  frequentarla  ed  era  partito  pel  campo. 

2)  La  fonte  comune  delle  notizie  biografiche  intorno  a  P.  Verri  è  l'Elogio 
storico,  che  ne  scrisse  l'amico  ab.  I.  Bianchi  (Cremona,  Manini,  1803),  traendo 
profitto  delle  memorie  fornitegli  dalla  vedova  del  grande  economista,  contessa 
Vincenza  Melzi,  e  dei  manoscritti  di  lui.  Al  Bianchi  attinsero  Pietro  Custodi 
per  le  sue  Notizie  di  Pietro  Verri,  che  furono  premesse  ai  tre  volumi  delle 
Opere  economiche  di  lui  {Raccolta  dei  Classici  Economisti  Italiani.  Milano,  1804), 
e  riprodotte  innanzi  alla  Storia  di  Milano  (Milano,  presso  gli  editori  1824, 
voi.  I,  e  Milano,  Lampato  1840),  innanzi  alle  Opere  filosofiche  e  di  economia 
politica  di  P.  V.  (Milano,  soc.  tip.  dei  classici  it.  1835,  t.  I)  e  nelle  Biografie 
degli  italiani  i/Zi<s^ri  del  Tipaldo  (Venezia,  1837,  IV  39  e  segg.);  il  prof.  A- 
DEODATO  Ressi  per  VOrazione  in  lode  del  conte  P.  V.  Milanese  (Pavia,  1818); 
I'Ugoni,  op.  cit.  (ed.  Brescia,  Bettoni  1821,  II,  268  e  segg.  e  ed.  Milano  1856-8, 
II,  35  e  segg.);  V.  Saltagnoli  pel  Saggio  civile  premesso  alla  raccolta  di 
Scritti  varj  del  Verri,  ordinati  da  G.  Cabcano  (Firenze,  Lemonnier  1844,  2 
vqI.);  ^-  Caecano  pel  Discorso  sulla  vita  e  sulle  opere  di  P.  V.  premesso  alla 
Storia  di  Milano  (Firenze,  Lemonnier  1851,  voi.  I);  ed  Eugène  Bouvy,  Le 
comte  P.  Verri,  ses  idées  et  son  temps  (Paris,  Hachette  1889).  Per  gli  scritti 
del  Verri  si  consultino  i  Cataloghi  delle  opere  edite  ed  inedite  uniti  dal  Bianchi 
al  BUG  Elogio  storico  (pp.  289-322)  e  riprodotti  nell'edizione  della  Storia  di 
Milano  citata  (voi.  I,  pp.  LV-LXXI),  e  A.  Vismara,  Bibliografia  Verriana, 
in  Arch.  stor.  lomb.  An.  XI  (1884)  p.  357  e  segg.  e  in  ed.  a  parte,  Milano, 
Bortolotti  1884. 


10  L.  Ferrari 

dagli  Scolopi,  e  di  nuovo  a  Milano  presso  i  Gesuiti  di  Brera: 
infine  a  Parma  nel  Collegio  dei  Nobili.  A  casa  "  un'educazione 
umiliante  „,  priva  di  confidenza  e  di  dolcezze  :  in  collegio  una  vita 
da  "  galera  „.  Nel  1750  P.  Verri  è  ormai  tornato,  compiuti  defi- 
nitivamente gli  studj,  in  famiglia  ^). 

Il  padre,  custode  fermissimo  e  severissimo  di  ogni  uso  antico, 
vuole  sia  osservata  la  più  rigida  disciplina  domestica;  Pietro,  gio- 
vane e  bello,  ama  l'eleganza,  i  divertimenti,  le  conversazioni,  i  tea- 
tri, la  libertà,  e  non  è  lasciato  libero  di  azione  veruna.  Di  più, 
il  padre  esige  che  il  proprio  primogenito  cresca  simile  a  sé,  vuol 
farne  un  giureconsulto  al  pari  di  lui,  che  era  un  alto  impiegato  del- 
l'Impero.  Il  figlio  odia  le  leggi,  i  codici,  il  diritto;  ed  è  costretto  a 
passare  le  giornate  sui  libri  del  giure.  Egli  è  uscito  di  collegio, 
se  non  uomo  fatto,  letterato;  e  per  amore  alla  letteratura  e  per 
un  fantasma  di  gloria  poetica,  si  ostina  a  disprezzare  le  leggi  e 
la  via  degli  impieghi.  A  Roma  ha  ottenuto  Tonore  di  venir  ascritto, 
ancor  collegiale,  all'  Arcadia  romana  col  bel  nome  di  Midonte 
Priamideo.  A  Parma,  nel  collegio  dei  Nobili,  ha  acquistato  l'amicizia 
del  p.  Roberti,  che  per  alquanti  anni,  scriveva  al  Goldoni  2),  "  fu 
"  persona  dell'  ultima  sua  confidenza  non  solamente  negli  afi'ari  che 
"  aveva  con  Apollo,  ma  ancora  con  quelli  che  aveva  con  suo  padre 
"  senatore  „.  E  a  Milano  egli  trova  due  sfoghi  alle  sue  velleità  let- 
terarie: l'Accademia  dei  Trasformati  e  le  conversazioni  di  casa  Ser- 
belloui. 


^)  Lettere  e  scritti  ined.  di  Pietro  e  Alessandro  Verri  pubblicati  da  C.  Ca- 
sati. Milano,  Galli,  1879-81,  IV,  290.  «  Noi  fratelli  »,  scriveva  noi  i804  Ales- 
sandro oramai  vecchio,  «  noi  fratelli,  quanti  siamo  e  fummo,  abbiamo  sofferta 
«  una  umiliante  educazione,  privi  di  confidenza  e  di  dolcezza,  sempre  sotto  il 
«  rigore  e  rimproveri,  in  collegi  molto  simili  a  galera. .  . .  Per  un  falso  giu- 
«  dizio,  che  fossimo  cervelli  ritrosi  e  torbidi,  siamo  stati  trattati  in  modo,  che, 
«  almeno  quanto  a  me,  in  ogni  luogo  viveva  meglio  che  in  mia  casa,  e  tutti 
«  gli  uomini  del  mondo  mi  trattavano  meglio  di  quelli  che  l'abitavano  >. 

*)  Lettere  inedite  di  illustri  italiani  che  fiorirono  dal  principio  del  sec. 
XVIII  fino  ai  nostri  tempi.  Milano,  tip.  de' classici  italiani,  1835,  p.  36(5. 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  secolo  xvni  11 

Dei  Trasformati  fu  per  alcuni  anni  uno  dei  soci  più  operosi.  Nelle 
loro  adunanze  recitava  anacreontiche  sulla  Filosofìa  alla  moda,  ver- 
sioni in  terza  rima  di  Salmi,  cicalate  Sul  linguaggio  delle  bestie  e 
sonetti  e  ottave  e  capitoli  ^)  e  un  discorso  Sulle  maschere  "  con 
"  parole  in  ordine  di  battaglia  „  ^),  come  diceva  poi,  fattosi  superiore 
a  tali  inezie,  "  e  con  qualche  impostura,  poiché  erano  cose  che  piace- 
"  vano  ai  Trasformati  „.  Al  pari  di  tutti  i  letterati  milanesi,  il  Verri 
fece  allora  poesie  d'occasione;  per  esempio  un'anacreontica  per  la 
nascita  del  primogenito  di  Gr.M.  Imbonati  (il  conservatore  perpetuo 
dell'Accademia)  3),  di  quel  Carlo,  la  cui  guarigione  dal  vaiuolo  doveva 
essere  cantata  in  una  delle  sue  più  belle  odi  dal  Parini,  e  la  morte 
pianta  in  un  carme  dal  figlio  di  Griulia  Beccaria,  Alessandro  Man- 
zoni; e  quando  il  Balestrieri  raccolse  le  rime  dell'arcade  Puri- 
celli  (1750),  fu  tra  gli  amici  che  ne  piangevano  poetando  la 
morte,  insieme  col  Pozzobonelli,  col  Passeroni,  coll'Agudio,  col 
Morigia,  col  Giulini.  Anche  fece  il  compilatore  di  raccolte;  e  per 
deridere  un  tal  Plodes,  che  la  pretendeva  a  poeta,  una  ne  pro- 
mosse nel   1751,  alla  quale  prese  parte  l'intera  Accademia"^). 


*)  Vedi  Catalogo  delle  Opere  edite  ed  inedite  di  P.  Verri,  preniesao  all'ediz. 
citata  della  Storia  di  Milano.  Op.  ined.  n.  I.  31-32,  e  n.  XXiX. 

*)  Catalogo  cit.  Op.  ined.  n.  I.  24. 

3)  Ibidem.  Op.  ined.  n.  I.  29. 

*)  La  Borlanda  impasticciata  con  la  concia,  e  la  trappola  de^  sorci;  composta 
per  estro,  e  dedicata  per  bizzarria  alla  nobile  curiosità  di  testa  salata  dell'in- 
cognito d'Eritrea  Pedsol,  riconosciuta,  festosamente  raccolta  e  fatta  dare  in 
luce  dall'  abitatore  Disabitato  Accademico  Bontempista  ecc.  ed  accresciuta  di 
opportune  annotazioni  per  opera  di  vari  suoi  coaccademici.  Milano,  Agnelli  1751. 

Alle  poesie  del  Plodes  commentate  burlevolmeute  precedono  cinquanta 
componimenti  di  varie  lingue,  e  dialetti  e  metri:  sonetti  colla  coda  e  senza, 
quartine,  terzine,  distici;  sonetti  in  italiano  del  Giulini,  dell'Imbonati,  del  Pas- 
seroni, di  Ang.  T.  Villa,  del  Bicetti,  nascosti  sotto  gli  armoniosi  nomi  di 
Calocero  Cococero  da  Colofone,  Cocco  Biricocco  da  Biricoccone,  Castruccio 
Castracane  di  Castres,  Chalcocefalo  Chalcochitone,  Crysoglotta  da  Figine  (V. 
la  chiave  dei  nomi  in  Melzi,    Dizionario  di  opere  aìionime  ecc.  II  325-6): 


12  L.  Ferrari 

Nel  salotto  jìgì  della  duchessa  Maria  Vittoria  Serbelloni,  sa- 
lotto puramente  letterario,  a  differenza  di  quello  scientifico  e  poli- 
tico, tenuto  da  Clelia  del  Grillo-Borromeo,  il  Verri  occupò  il 
primo  posto;  fu  il  confidente  della  padrona.  *  Aveva  una  memoria 
"  eccellente  „,  lasciò  poi  scritto  il  Verri  stesso  di  donna  Maria 
Vittoria,  "  e  rendeva  buon  conto  di  tutte  le  produzioni  teatrali  e 
"  di  romanzi.  Io  Pietro  Verri  che  scrivo  questa  nota  ^)  vissi  fre- 
"  quentandola  quattro  anni,  e  fu  la  prima  signora  che  frequentai, 
"  e  le  debbo  d'aver  conosciuta  la  bella  letteratura  fi-ancese„.  Le 
raccolte  erano  allora  la  letteratura,  diremo  così,  spicciola,  come 
il  teatro  la  passione  di  moda  e  dei  ricchi  :  e  il  Verri,  che,  in  fatto  di 
lettere,  fu,  si  può  dire,  sempre  un  dilettante,  anche  quando,  come 
allora,  più  se  ne  curava  e  piìi  sperava  da  esse,  si  mutò  da  poeta  di 
raccolte  in  autore  drammatico,  e  colla  Duchessa  coltivò  l'amore 
pel  teatro.  Egli  tradusse  dal  francese  un  componimento  drammatico 
del  Saintfoix,  Y Oracolo,  ed  abbozzò  una  commedia  in  tre  atti  2);  e 
donna  Maria  Vittoria,  per  suo    suggerimento,  traduceva  il  teatro 


del  Can.  Agudio  iu  veneziano  {Momolo  del  Carbon),  del  Can.  Irico  {Franz 
Freunddestvein  di  Schzivitzer  o  SandoUo  Protopapas  de  Drisco)  in  roma- 
nesco, siciliano,  tedesco  da  burla,  albanése,  spagnuolo;  in  milanese  del  Ba- 
lestrieri (Metieghin  de  Meneghin  de  Meìieghella),  in  parmigiano  del  Fogliazzi  : 
poi  distici  greci  di  T.  Villa  e  latini  del  Giulini,  sestine  inglesi  del  Morigia, 
francesi  del  Verri  {Abitatore  Disabitato),  versi  in  lingua  runica  con  am- 
plissimo commento  dell' ab.  Quadrio,  perfino  un  carme  in  ebraico  di  Ruben 
Rabbino  di  Rabbata  ecc.  In  tali  frivolezze  e  puerilità  gettavano  l'opera  loro 
scrittori,  valenti  e  per  ingegno  e  per  forti  studj,  come  alcuni  dei  ricordati  : 
tanta  era  la  miseria  dei  tempi. 

*)  Nota  inedita  citata  dal  Carducci,  Storia  del  giorno.  Bologna,  Zanichelli, 
i892,  pag.  21. 

2)  Catalogo  delle  Opere  etc.  op.  ined.  n.  XXVIII.  L"  Oracolo  del  Saint-Foix 
fu  tradotto  anche  dal  Cesarotti,  per  la  Fiorilli-Pellandi.  (vedi  G.  Mazzoni. 
Appunti  per  la  storia  de'  teatri  padovani  nella  2.^  metà  del  sec.  XVIII, 
Padova,  Randi,  1891). 


Del  «  Caffè-»,  periodieo  milanese  del  secolo  xvm  13 

del  Destouches,  che  Sfidante  Priamkleo  le  pubblicava,  premettendovi 
di  suo  una  prefazione  ^). 

Poi  vediamo  Midonte  prender  parte  alle  contese  sollevate  dalla 
riforma  del  teatro  comico,  iniziata  coraggiosamente  dal  Goldoni. 
"  Le  pére  Roberti,  Jésuite,  aujourd'hui  l'abbé  Roberti,  un  des  plus 
"  illustres  poétes  de  la  Sociéf'.é  supprimée,  „  raccontava  il  Goldoni 
nelle  sue  Métnoires  ^),  "  publia  un  poème  en  vers  blanc,  intitulé  la 
"  Comklie  ^)  ;  dans  lequel,  parlant  de  ma  réforme,  et  faisant  l'ana- 
"  lyse  de  quelques  scènes  de  mes  pièces,  il  encourage  ses  compa- 
"  triotes  et  les  miens  à  suivre  Texemple,  et  le  système  de  l'auteur 
"  Venitien.  Le  co.  Verri  Milanois  suivit  de  près  l'abbé  Roberti  ;  il 
"  mit  pour  titre  à  son  ouvrage  la  VérìtalÀe  Comédie  ^),  fìt  des  dé- 
"  tails  de  mes  pièces  qui  lui  parurenfc  les  meilleures,  et  les  donna 
**  comme  des  modèles  à  suivre  pour  achever  la  reforme  du  Théà- 
"  tre  Italien  „.  Il  Verri  ci  guadagnò  l'amicizia  di  Gian  Rinaldo 
Carli  ^),  che  girava  allora  l'Italia  facendo  studj  per  lo  scritto 
suo  Delle  monete,  e  la  riconoscenza  del  Goldoni,  che  gli  dedicava 
"  il  Festino  „   ^);  una  commedia  di  combattimento,  scritta  nel  car- 


*)  Il  Teatro  comico  del  sig.  Destouches,  dell'  Accademia  francese,  novel- 
lamente in  nostra  favella  trasportato.  Milano,  G.  Agnelli  1754. 

2)  Parigi,  Duchesne  1787,  voi.  2,  p.  262.  Vedi  pure  Lettera  cit.'*  del  Roberti 
al  Goldoni  in  Lettere  d' illustri  it.  cit.  pag.  366. 

^)  La  Commedia  poemetto  in  Roberti,  Opere,  Lucca,  Berlini  1819,  voi. 
XI,  pp.  159-176. 

*)  La  vera  Commedia  al  chiarissimo  sig.  avv.  Carlo  Goldoni.  Venezia. 
Pitteri  1755. 

5)  Lettere  e  Scr.  iìi.  cit.,  I,  138.  Il  Carli,  chiamato  pochi  anni  dopo  a  Mi- 
lano presidente  del  Consiglio  supremo  di  Commercio  e  d'economia  pubblica, 
visse  il  restante  della  vita  in  questa  città  e  fu  l'amico  più  autorevole  e  più 
fido  di  Pietro.  Vedi  su  lui  e  sull'amicizia  col  Verri  L.  Bossi,  Elogio  storico  di 
Q.  R.  Carli.  Venezia,  1797;  Ugoni,  op.  cit.  (1821)  II,  125  e  segg.;  e  Tamaro, 
Nel  primo  centenario  della  morte  di  G.  R.  Carli,  Discorso  in  Atti  e  Memorie 
della  Soc.  Istriana  di  archeologia  e  di  Storia  patria,  Voi.  XI. 

^)  Come  alla  Serbelloni  intitolava  la  Sposa  Persiana,  pure  dell'edizione  Pit- 
teri. Dell'occasione,  nella  quale  fu  scritto  il  Festino,  che  il  Goldoni,  non  senza 


14  L.  Ferrari 

nevale  del  1754,  quando  i  suoi  detrattori  per  la  caduta  del  Vecchio 
Bizzarro  lo  credevano  avvilito.  E  da  parte  di  uno  dei  piti  acerbi  av- 
versarj  del  commediografo  veneziano,  dal  Chiari,  si  tirò  addosso 
una  epistola  di  197  martelliani  ^),  di  quei  martelliani  che  Carlo 
Gozzi  fingeva  far  indigestione  al  re  delle  tre  Melarancie;  alla  quale 
Midonte  rispondeva  stampando  un  florilegio,  compilato  coli'  aiuto 
del  Carli,  di  tutti  gli  errori  filosofici,  di  tutte  le  definizioni  sbagliate, 
di  tutti  i  25assi  contraddittorj  sparsi  nelle  Lettere  del  Chiari. 

Con  queste  operette  doveva  il  Verri  essersi  già  acquistato  un 
certo  nome  nella  società  milanese.  Quando  Mad.  Du  Boccage  nel 
1758  attraversava  in  trionfo  l'Italia  ^),  a  Milano  Midonte  fu  il  suo 
cicerone,  e  presso  i  "  coaccademici  „  promosse  una  traduzione  del 
poema  della  nuova  Minerva:  la  Colombiade^).  Oramai  Pietro  Verri 


ragione,  volle  dedicato  ad  uno  dei  suoi  difensori,  discorre  il  Masi  nella  prefaz. 
alle  Lettere  dì  Carlo  Goldoni  da  lui  raccolte  (Bologna,  Zanichelli,  1880,  p.  44). 
*)  AlV Eruditissimo  Midonte  Priamideo  milanese  pastor  arcade  di  Roma, 
epistola  in  martelliani  premessa  a  La  filosofia  per  tutti.  Lettere  scientifiche 
in  versi  martelliani  sopra  il  buon  uso  della  ragione  dell'  abate  Chiari,  Ve- 
nezia e  Parma,  F.  Carmignani  1763. 

2)  Dei  trionfi  e  degli  onori  ricevuti  la  Du  Boccage  scrisse  da  per  sé  gli  annali 
nelle  Lettres,  in  cui  racconta  i  suoi  viaggi.- Vedi  in  generale  sul  suo  soggiorno  in 
Italia  l'art,  di  A.  D'Ancona  in  Fanf.  della  Domenica  1882,  n.  28:  Mad.  Du  Boc- 
cage in  Italia;  e  per  le  accoglienze  ricevute  nelle  varie  città,  a  Roma,  Rime 
degli  Arcadi  (T.  XIV  [1781]  pp.  290-96)  e  Grosley.  Nouveaux  Mémoires  ou 
observations  sur  l'Italie  et  sur  les  Italiens  par  deux  gentilshommes  suédois 
(Londre,  Nourse  1764  11,476-7)  a  Venezia,  Goldoni.  Mémoires  cit.  11.  256: 
a  Bologna,  Lettere  della  Du  Boccage  all' Alg arotti  e  viceversa,  in  Algarotti, 
Opere  ed.  Palese  XVI,  pp.  413-19. 

3)  Anche  il  Frugoni,  che  la  Du  Boccage  aveva  conosciuto  nel  suo  soggiorno 
a  Parma,  le  aveva  promesso  per  complimento  di  tradurre  la  Colombiade ;  ma 
si  guardò  poi  bene  dal  sobbarcarsi  all'ingrata  fatica.  AU'Algarotti,  che,  pregato 
dalla  Du  Boccage,  lo  sollecitava  a  tenere  la  promessa,  il  Frugoni  rispondeva 
(lett.  all'A.  2  febr.  1759  in  Algarotti,  Opere,  ed.  cit.  XIII,  97):  «  Io  per  vezzo 
promisi  a  mad.  Du  Boccage  fra  il  fumoso  Sciampagna  ed  il  nettareo  Peralta  la 
traduzione  della  sua  Colombiade;  ma  calmati  i  dolci  vapori  del  vino  promisi  a 


Del  «  Caffè  •>•>,  lìerioàico  milmiese  del  secolo  xvni  lo 

era  noto  nella  repubblica  letteraria  italiana.  Quando  ad  un  tratto 
addio  accademia,  addio  poesie,  addio  teatro  ;  il  giovane  conte  li  a 
deciso  di  imprendere  la  carriera  militare,  e  parte  come  ufficiale  per  la 
guerra  che  si  combatte  in  Sassonia  tra  gli  alleati  e  Federico.  Egli 
si  è  ribellato  a  quella  vita  di  abnegazione  della  volontà  propria 
e  di  sacrifizj  continui,  ha  scosso  la  disciplina  paterna  (nel  '52,  non 
si  sa  per  quali  colpe,  il  padre  aveva  minacciato  di  rinchiuderlo  in 
Castello,  e  lo  avrebbe  fatto,  se  non  si  fossero  interposti  il  sen. 
Aless.  Castiglioni,  il  march.  Ant.  Litta  e  lo  stesso  governatore  Pal- 
lavicini )  ;  forse  ancora  si  è  accorto  della  futilità  e  vanità  delle  sue 
occupazioni:  ansioso  di  progredire  e  conscio  di  non  tenere  la  via 
più  adatta,  ma  incapace  tuttora  a  distinguere  quale  sia  destinato 
a  percorrere,  egli  ha  voluto  intanto  togliersi  bruscamente  a  quella 
vita  inutile  e  infruttosa.  Infatti  vedremo,  trascorso  poco  più  di  un 
anno,  ritornare  in  patria  filosofo,  economista,  politico  chi  ne  era 
partito  poeta  di  raccolte,  autore  di  cicalate  e  vagheggino. 

Un  caso,  diceva  il  Verri  ^),  lo  aveva  gettato  nella  realtà  della 
vita,  e  un  altro  caso  fece  sì,  che  quell'  anno  passato  al  campo  più 
giovasse  al  suo  sviluppo  intellettuale  che  otto  anni  di  studj  forzati 
delle  leggi,  di  puerili  esercizj  accademici  e  di  perditempi  lette- 
rarj.  Al  campo,  dove  il  giovane  ufficiale,  si  credeva  "  di  vedere  , 
effettuate  nella  realtà  "  le  descrizioni  del  Tasso  e  dell'Ariosto,  un 
"  unione  di  eroi  che  avvampano  per  la  gloria,  anime  appassionate 
"  pel  mestiere,  avide  d'illuminarsi,  animate  da  principij  di  generosa 
*  elevazione  „,  non  trovò  che  "ipocondria,  noja,  schiavitù,  invidia, 
"  rusticità  ')„.  Tuttavia,  in  mezzo  a  soldati  "  canaglia  „  ed  ufficiali 


me  stesso  di  farlo  giammai  ».  La  traduzione  dei  milanesi  invece  fu  compita,  ed 
uscì  nel  1771  (Milano,  Marcili).  La  prefazione  è  del  Frisi;  e  il  primo  canto 
fu  tradotto  da  Midonto  II  Parini,  che  pose  in  versi  una  parte  del  nono  canto, 
sconfessò  poi  questo  suo  lavoro  poetico,  che  è  ben  misera  cosa  (Vedi  Melzi, 
Diz.  d'opere  anonime  cit.  I,  221). 

*)  Sor.  in.  cit.  I,  136. 

»)  Scr.  in.  I,  35. 


16  L.  Ferrari 

"  cadetti  spiantati  „  Midonte  scorge  finalmente  un  uomo:  "  Vestigia 
hominum  video  „  ^)  :  trova  un  amico.  E  chi?  Un  avventuriere 
inglese,  che  ha  corso  la  Spagna  e  l' Italia.  Fuggito  di  patria  a  Ber- 
lino, di  là  andato  con  una  ballerina  a  Venezia,  è  cavato  d' impaccio 
dai  Gesuiti,  che  lo  mandano  a  studiare  a  Roma.  Finiti  gli  studj,  passa 
in  Ispagna,  ove  imprende  dapprima  la  carriera  diplomatica,  poi 
serve  come  ufficiale  fra  gli  ingegneri  militari.  Scoppiata  la  guerra 
in  Alemagna,  lascia  la  Spagna,  va  a  Vienna,  ed  è  fatto  tenente  del 
più  miserabile  reggimento  dell'armata.  Non  importa  ;  egli  si  farà 
strada  col  sapere,  col  coraggio,  coU'audacia,  fino  a  salire  al  grado 
di  aiutante  del  gen.  Lascy.  Ma  non  soddisfatto  dei  compensi  avuti 
dall'Austria,  passerà  alla  Prussia:  finita  la  guerra,  andrà  in  Russia 
a  combattere  contro  i  Turchi.  Poi  vagherà  di  nuovo  per  l'Italia,  la 
Spagna,  il  Portogallo  ^),  e  disoccupato,  per  non  saper  che  fare,  si 
muterà  da  soldato  in  scrittore,  e  scriverà  non  solo  di  guerra,  ma  di 
politica,  di  morale  (Saggi  sulle  passioni)  e  di  economia  (Saggi  sulle 
finanze). 

Tale  era  Enrico  Lloyd,  il  nuovo  compagno  del  Verri,  vero  tipo 
dell'avventuriere,  uomo  di  tutti  i  paesi  e  di  tutte  le  professioni 
e  scrittore  di  tutte  le  scienze.  Ma  la  compagnia  di  quest'uomo  pieno 
di  coraggio  e  d' ingegno,  conoscitore  profondo  non  solo  "  dell'arte 
della  guerra,  ma  eruditissimo  nella  storia  „ ,  è  destinata  a  scuotere 
il  Verri  e  a  risvegliarne  le  riposte  energie.  Abbandonato  l'esercito 
ai  primi  di  gennaio  del  '60  ^),  Pietro  Verri  torna  a  Vienna.  Lo 
scopo  eh'  egli  si  è  proposto  fermamente  è  questo  :  ottenere  un 
impiego  "  non  a  forza  di  riverenze  e  di  anticamere,  ma  coli'  oc- 
"  cuparsi  seriamente  di  fatti  domestici,  attinenti  alle  regalie,  al 
"  commercio,  alla  zecca  „  *)  ;  facendosi  valere  col  sapere  e  colla 


*■)  Sor.  in.  I,  49  Vedi  per  notizie  sul  L.  Lloyd  la  nota  apposta  dal  Casati 
a  questa  lettera  del  Verri,  pp.  53-4. 

2)  Il  Lloyd,  generale,  passando  nel  1768  per  l'Italia,  si  fermò  dall'amico 
a  Milano  più  mesi.  Vedi  Sor.  in.  Ili,  5-6,  225. 

3)  Sa:  in.  I,  50. 
*)  Sa:  in.  I,  146. 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  secolo   xvni  17 

dottrina.  Cominciano  allora,  fin  dal  soggiorno  cioè  a  Vienna  ^), 
quegli  studj  severi,  chi*,  ristretti  dapprima  al  fine  meschino  di 
procurarsi  "  una  nicchia  , ,  si  allargheranno  e  svolgeranno  in  un 
ideale  disegno  di  sapienti  riforme,  dirette  a  migliorare  non  solo 
l'ordine  civile  e  sociale,  ma  anche  il  morale. 

Tornato  a  Milano,  il  Verri  prosegue  indefessamente  a  lavorare. 
Per  raggiungere  il  suo  intento  molte  difficoltà  gli  si  oppongono:  il 
disprezzo  e  le  prevenzioni  degli  esperti  verso  gli  inesperti,  la  diffidenza 
del  governo,  la  potenza  dei  fermieri,  i  pregiudizj  di  usi  inveterati, 
r  ignoranza  del  popolo.  Ma  egli  non  è  tale  da  lasciarsi  abbattere 
dalle  avversità,  anzi  ne  è  spronato:  e  si  pone  all'opera  auda- 
cemente. 

Lo  sostengono  i  consigli  del  Carli  ^)  e  lo  conforta  la  confi- 
denza dei  congiunti  :  giacché  questa  volta  non  è  più  solo,  ma  nella 
casa  stessa  paterna  ha  chi  partecipa  alle  sue  idee  ed  ai  suoi  desi- 
derj:  il  fratello  Alessandro,  minore  di  tredici  anni,  uscito  da  poco 
tempo  dal  collegio  imperiale  dei  Barnabiti  ^).  "  Non  è  un  campo 


*)  Mentre  la  sera  cerca  favori  e  protezioni  nei  salotti  dei  ministri  e  delle 
dame,  la  mattina  egli  studia  alla  Biblioteca  filosofi  ed  autori  di  economia  politica  : 
fa  la  sua  settimana  di  ciambellano  e  balla  colle  arciduchesse,  ma  non  trascura  di 
lavorare  al  tavolino,  e  compone  durante  il  soggiorno  a  Vienna  un  opuscolo 
sui  principj  essenziali  delle  scienze  sociali,  che  pubblicherà  poi  sul  Caffè  (I. 
n.  3,  pp.  24-29). 

2)  L'amicizia  era  stata  confermata  da  una  visita  fatta  al  Carli,  nel  ritorno 
da  Vienna,  a  Capo  d'Istria.  Vedi  Scr.  in.  I,  139-42. 

3)  Citiamo  una  volta  per  sempre  come  fonti  e  delle  notizie  biografiche  di 
Alessandro  Verri  la  Vita,  che  di  lui  scrisse  G.  A.  Maggi,  usando  per  gentilezza 
dal  co.  Gabriele,  nipote  di  A.  e  figlio  di  Pietro,  del  carteggio  tenuto  dai  due 
fratelli  per  circa  trenta  anni; premessa  dapprima  alle  Opere  scelte  di  A.  Verri. 
(Milano  soc.  tip.  de'  classici  it.  1822)  e  riprodotta  nelle  Biografie  del  Tipaldo 
(IV,  39  e  segg.)  e  dinanzi  alle  Vicende  memorabili  dal  1789  al  1801  narrate 
da  Aless.  Verri  (Milano,  Margheri  1858).  Vedi  pure  Ambrogio  Levati,  Elogio 
storico  in  Discorsi  Varj  del  co.  A.  V.  (Milano,  Silvestri  1828)  e  Ugoni,  op.  cit. 
(1856)  II,  129.  Per  la  bibliografia  delle  Bue  opere  vedi  la  Bibliografia  Verriana 
cit.  del  VisMARA  pp.  376-87. 

R.  Se.  Norm.  « 


18  L.  Ferrari 

•  coltivato  „  scrive  Pietro  pochi  giorni  appena  dopo  il  suo  arrivo  a 
Milano  ^)  "  ma  la,  natura  ne  è  feconda  assai  e  inquieta  di  produrre. 
"Alessandro  ha  un'anima  piena  di  energia;  mi  pare  spinto  a 
"  diventare  mio  amico,  come  io  di  lui  „.  Alessandro  non  ha  ancora 
dato  prove  del  suo  ingegno,  è  inesperto  della  vita  e  della  scienza; 
ma  trovando  il  fratello  maggiore  più  audace,  più  intraprendente, 
tutto  entusiasta  delle  nuove  idee  di  libertà,  di  progresso,  di  riforme, 
lo  fa  sua  guida,  fa  proprie  le  sue  dottrine,  esagerandole  con  foga 
di  giovane  e  di  proselite;  perfino,  da  principio,  ne  imita  lo  stile, 
pur  migliorandolo.  Anche  Alessandro  è  di  indole  fierissima,  tanto 
da  essere  chiamato,dal  padre,  quando  era  piccolo,  *  il  Neroncino  „  '^); 
e,  come  Pietro,  vuol  liberarsi  dalla  servitù  domestica,  e  farsi 
noto  collo  studio  e  col  sapere;  sicché  tra  i  due  fratelli  comincia 
una  calda  intimità,  che,  non  disturbata  se  non  da  ragioni  di  inte- 
resse per  qualche  tempo  ^),  dovrà  durare  anche  nella  loro  lonta- 
nanza, costante. 

Due  scritture  composte  da  Pieti'O  appena  arrivato  a  Milano,  una 
sul  'Tributo  del  sale,  l'altra  sulla  Grandezza  e  decadenza  del  Com- 
mercio di  Milano  *)  e  da  lui  presentate  al  Firmian  come  saggio  del 
proprio  valore,  sono  accolte  freddamente.  Il  Verri  si  fa  ridare  il  ma- 
noscritto e  con  una  costanza  mirabile  si  pone  nuovamente  a  lavo- 
rarvi intorno  :  vi  aggiungerà  una  seconda  parte,  dove  studierà  lo 
stato  presente  del  commercio,  e  magari  una  terza,  dove  esporrà  i 
rimedj  alla  decadenza  presente.  Trova  il  suo  consolatore  in  Ales- 
sandro, il  quale  alla  sua  volta  riceve  dal  fratello  consigli  per  gli 
studi  di  giurisprudenza,  a  cui  attende  per  volere  del  padre,  e  per  un 
Saggio  di  storia  d' Italia  da  Romolo  ed  1761;  compendio  destinato 
a  "  svellere  dalle  mani  di   pochi  eruditi   la   storia   nostra  e  dif- 


i)  Scr.  in.  I,  144-5. 
»)  Scr.  in.  II,  55. 

3)  Vedi  E.  Greppi,  Recensione  al  libro  cit.  del  Bouvy  in  Arch.  stor.  lomb. 
XVII  (1890)  p.  471. 
*)  Scr.  in.  I,  153. 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  secolo  xvin  19 

"  fonderla  nei  suoi  leggitori  ^)  „  :  uno  dei  tanti  tentativi  di  volga- 
rizzamento delle  cognizioni  e  della  scienza,  così  comuni  a  quel 
tempo  in  Italia  2). 

Ben  presto  la  doppia  compagnia  si  accresce  di  un  nuovo  perso- 
naggio, che  viene  ogni  giorno  in  casa  Verri  *  a  studiare  con  Pietro 
"  ed  Alessandro  nel  silenzio  della  stessa  camera.  E  figlio  di  famiglia 
"  di  25  anni.  È  un  profondo  algebrista,  buon  poeta,  testa  fatta  per 
"  tentare  strade  nuove,  se  l'inerzia  e  l'avvilimento  non  lo  soffocano. 
"  La  fantasia  e  l' imaginazione  vivacissima,  unita  ad  un  intenso 
"  studio  sul  cuore  umano  ne  fanno  un  uomo  di  merito  singolare  „  ^). 
Così  sono  tre  gli  spostati,  come  potremmo  chiamarli  con  un 
vocabolo  moderno,  bene  applicato  ai  nostri  filosofi  milanesi  ^)  da 
Aless.  Paoli  ;  spostati  nelle  loro  famiglie  e  nella  classe,  cui  appar- 
tengono. Giacché  anche  il  nuovo  venuto,  il  march.  Cesare  Beccaria, 
è  in  rotta  colla  sua  famiglia  ed  è  disoccupato.  Per  aver  voluto  man- 
tenere la  parola  data  a  Teresa  de  Blasco  ha  sofi^erto  sotto  il  go- 
verno patriarcale  la  prigione,  è  stato  cacciato  di  casa  per  volere  del 


')  Pref.  al  Saggio  cit.  riportata  in  parte  dal  Levati,  Elogio  cit.,  Milano, 
Silvestri  1818,  p.  18. 

^)  Quest'opera,  frutto  di  cinque  anni  di  lavoro,  già  mandata  allo  stampa- 
tore Aubert  a  Livorno,  fu  poi  abbandonata  da  Alessandro,  ad  onta  delle  esorta- 
zioni di  Pietro,  sia  per  lo  stile,  «  vacillante  tra  lo  stile  di  Tacito  e  quello  di 
Voltaire»,  sia  per  la  pubblicazione  sopravvenuta  frattanto  delle  Rivoluzioni 
(V Italia  del  Deniua,  sia  perchè  (ed  è  questa  senza  dubbio  la  ragione  capitale) 
Alessandro,  stabilitosi  a  Roma  presso  la  March.  Boccapadule,  temè,  stampando 
quella  storia  ispirata  a  sentimenti  liberi,  di  attirarsi  «  le  dicerie  di  questo 
«  paese,  gli  sgarbi,  le  accuse,  le  ricerche,  e  forse  qualcosa  di  più  serio  »  {Scr. 
in.  Ili,  108,  133, 138).  Il  giudizio,  che  di  questa  storia  dette  nel  Conciliatore 
(n.  103,  pag.  407)  un  anonimo,  che  ne  aveva  veduto  il  manoscritto,  non  ci  fa 
dolere  che  l'opera  corresse  tale  sorte.  «  Verri,  così  scrive,  non  ha  metodo,  non 
€  precisione,  non  esattezza  e  incappa  talvolta  in  errori  di  fatto  e  di  data  sin- 
«  golarissimi:  a  ([uanto  mi  pare,  la  sua  persona  valeva  assai  più  del  suo  libro  ». 

^)  Scr.  iìi.  I,  153-54. 

*)  P.  Verri  e  Alessandro  Manzoni  in  N.  Ant.  s.  3»  voi.  57,  fas.  12,  p.  673. 


20  L.  Ferrari 

padre,  e  perfino  pianto  per  morto  ^).  Privo  cVogni  agio,  costretto 
a  vivere  della  dote  della  moglie,  avvilito,  in  questo  stato  venne 
a  conoscerlo  il  Verri;  e  per  trarlo  dalle  strettezze,  contro  cui 
non  sapeva  lottare,  ai  genitori,  burberi,  ma  buoni  di  cuore,  imma- 
ginò una  sorpresa  che  riuscì  felicemente  ^).  Ridonata  al  Beccaria 
la  tranquillità  così  necessaria  ad  una  persona  del  suo  carattere  per 
sopportare  la  fatica  del  lavoro,  il  Verri  gli  trova  anche  un  argo- 
mento di  studio:  il  disordine  delle  monete  nello  stato  di  Milano  ^). 
Al  Beccaria  a  poco  a  poco  nell'inverno  1761-62  •*)  altri  si  vanno 
aggiungendo,  sinché  "  una  scelta  compagnia  di  giovani  di  talento  „ 
si  trova  raccolta  ogni  sera  nelle  stanze  di  Pietro  Verri.  Vi  appartiene 
il  giovane  co.  Luigi  Lambertenghi,  "  che  ha  molte  cognizioni  di 
"  fisica  e  di  geometria  „  ■''),  e  scriverà  di  economia  (Saggi  sull'al- 
bergo dei  poveri,  sugli  oziosi  e  sulle  ricchezze  del  Clero)  ;  e  sarà 
dapprima  direttore  della  Casa  di  Correzione  *'),  e  poi  direttore  ge- 


^)  V.  l'art,  di  P.  Ghinzoni,  Cenare  Beccaria  e  il  suo  pruno  matrimonio, 
in  Arch.  stor.  lomb.  an.  XVIII,  2^  s.  fase    31. 

2)  Scr.  in.  I,  164. 

')  Sulle  relazioni  del  Beccaria  con  P.  Verri  e  cogli  amici  del  Ca/fè,  intorno 
alle  quali  non  ci  sofferoiiarao,  vedi  ampj  ragguagli  nella  Notizia  biografica  di 
C.  P.  Villa  premessa  alle  Opere  di  C.  B.  (Milano,  Classici,  1821-22),  nel  Discorso 
del  ViLLARi  (Opere  di  C.  B.  Firenze,  Lemonnier,  1854),  nel  Cantù  {Beccaria  e  il 
diritto  penale.  Firenze,  Barbèra,  1862  p.  100  e  segg.),  nel  IJouvy.  (Op.  cit.  p.  91 
e  segg.)  e  presso  Gr.  A.  Venturi,  C.  Beccaria  e  le  lettere  di  P.  e  A.  V.,  in 
Preludio  (Ancona  1882)  a.  VI,  n.  3,  4,  6,  7. 

*)  Osserva  giustamente  il  Nevati  (  Otto  lettere  di  Tito  Pomponio  Attico 
(Beccaria)  a  l'ubilo  Cornelio  Scipione  (Biffi)  pubb.  da  F.  Novati,  per  le  nozze 
Renier-Campostrini,  Ancona  1887,  p.  16)  che,  sebbene  della  Società  dei  Pugili  si 
faccia  menzione  la  prima  volta  solo  in  una  lettera  di  P.  Verri  dell'aprile  '62,  già 
nell'inverno  1761-62 dovevano  usare  i  giovani  amici  di  convenire  presso  il  Verri  : 
giacché  del  Biffi,  che  lasciò  Milano  nell'estate  del  1762,  resta  un  grosso  libro  di 
estratti,  contenente  scritti  dei  Verri  e  del  Lambertenghi,  compilato  senza 
dubbio  durante  le  lunghe  serate  invernali. 

^)  Scr.  in.  I,  155. 

«)  Scr.  in.  Ili,  119. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvni  21 

nerale  delle  dogane,  consigliere  del  dipartimento  d'Italia  a  Vienna, 
indi  membro  di  uno  dei  quattro  comitati  della  Repubblica  Cisal- 
pina ^),  consultore  della  Repubblica  italiana,  senatore  del  regno 
d'Italia  ^).  Altro  compagno  indivisibile  del  Verri  e  del  Beccaria  è 
un  cremonese,  il  co.  G.  B.  Biffi,  uscito  nel  1755  dal  collegio  dei 
nobili  di  Milano  ^),  e,  dopo  essersi  recato  a  Parma  a  studiarvi 
legge,  ritornato  nella  capitale  lombarda  nel  1760,  per  farvi  prati- 
che per  la  diplomazia.  Egli  però  non  si  tratterrà  a  Milano  che 
un  anno  al  più,  dopo  il  corainciamento  delle  riunioni  degli  amici, 
né  avrà  molta  parte  nei  lavori  della  società  e  non  sarà  neppure 
degli  scrittori  del  Caffè',  come  anche  non  fu  di  tal  numero  il  march. 
Giuseppe  Menafoglio,  il  quale,  appartenuto  dapprincipio  alla  filo- 
sofica compagnia,  se  ne  allontanò  quasi  subito  accasandosi"^). 

Altri  soci  però  entrano  via  via  ad  occupare  il  posto  degli  uscenti: 
nobili  e  abati.  Il  march,  ab.  Alfonso  Lonoro  fa  lega  coi  Verri  nel 
1763.  "  Brianzuolo,  canonico  della  collegiata  di  S.  Stefano  a  Mi- 
lano ,,  così  ne  tesse  la  vita  il  Canta  ^),  "  bellissimo  dicitore,  versato 
"  nel  diritto  pubblico  e  ecclesiastico,  stampò  varie  operette,  la  più 
"  parte  anonime,  e  attese  alle  questioni  di  legislazione  e  di  eco- 
"  nomia  politica.  Scrisse  nel  Caffè;  dimorò  a  Vienna,  poi  nelle  scuole 
"  palatine  succedette  al  Beccaria  nella  cattedra  di  economia  poli- 
"  tica.  Era  revisore  dei  libri,  poi  prefetto  della  nuova  biblioteca  di 
"  Brera.  Nella  rivoluzione  ebbe  posto  fra  i  legislatori;  fu  dell'Istituto 
"  nazionale,  e  morì  il  5  gennaio  1804  „.  Amico  del  Beccaria  e  del 
Verri  seppe  nello  stesso  tempo  serbarsi  familiarissimo®)  del  Parini; 
del  quale  ebbe  la  modesta  severità  della  vita  e  la  savia  moderazione 


1)  Scr.  in.  IV,  247. 

')  M.  nel  1813.  Vedi  su  lui  la  breve  nota  apposta  alla  lettera  di  P.  V.  ad 
A.  6  aprile  1752  dal  dott.  C.  Casati.  I,  154. 
3)  Scr.  in.  Ili,  71. 

*)  NovATi,  Opusc.  cit.  p.  14.  Scr.  in.  I,  210.  II,  75. 
*)  Beccaria  etc.  ed.  cit.  p.  94. 
«)  Vedi  le  Odi  di  G.  Parini  per  cura  di  F.  Salveraglio  ed.  cit.  pp.   XLI 

e  LX. 


22  L.  Ferrari 

dei  giudizj,  come  partecipò  coi  Socj  dei  Piuini  all'amore  per  la  no- 
vella scienza  economica  e  alla  venerazione  perla  letteratui'a  filosofica 
di  oltr'alpe  ^).  Nello  stesso  anno  sono  ammessi  alla  società  il  co. 
Giuseppe  Visconti  di  Saliceto,  dei  discendenti  di  Bernabò  2),  cugino 
germano  del  Beccaria,  studioso  di  scienze  fisiche;  il  co.  Pietro  Secchi 
Comneno  ^),  futuro  segretario  e  poi  consigliere  camerale,  estensore 
per  incarico  del  governo  degli  statuti  della  Società  Patriottica  *), 
e  l'ab.  Sebastiano  Franci,  di  cui  non  conosciamo  altro  scritto  che 
l'opera  citata  dal  Melzi,  "  La  moneta,  soggetto  istorico,  civile  e  poli- 
tico „  ^).  In  tutto,  nove  furono  i  membri  di  questa  società,  della 
quale  fin  da  principio  P.  Verri,  che  n'  era  come  capo,  presagiva  ^): 
"  Questa  piccola  e  oscura  società  di  amici,  collegati  dall'amore 
"  dello  studio,  dalla  virtìi,  dalla  somiglianza  della  condizione  e  niente 
"  stimata  nella  opinione  pubblica,  forse  un  giorno  farà  parlare  di  sé, 
"  e  farà  onore  a  quella  patria  che  ora  la  motteggia  „. 

La  compagnia,  in  tanta  abbondanza  e  varietà  di  nomi  proprj 
ed  improprj,  faceti  e  ridicoli,  strani  e  pazzeschi,  quanti  contò  la 
letteratura  accademica  italiana,  non  poteva  non  avere  un  nome,  e 
si  chiamò  V Accademia  dei  Pugni  ^).  E  anche  gli  accademici  pre- 
sero un  appellativo,  traendolo  non  da  territorj  non  posseduti,  ne 
da  simboli  presi  ad  insegna  dell'Accademia  ;  ma  da  personaggi  della 
storia  Romana,  e  ciò  per  somiglianza  di  tendenze,  di  gusto,  di 
indole.  Pietro  Verri,  ambizioso,  energico,  spregiatore  del  volgo, 
assunse  il  nome  di  Lucio  Cornelio  Siila  ^):  il  Beccaria,  epicureo  nel- 
r  anima,  si  chiamò  Tito  Pomponio  Attico  ;  Alessandro  Verri  per 


*)  Il  Melzi  op.  cit.  T.  l.'',  pag.  289,  ci  informa,  che  l'ab.  Longo  fece  stam- 
pare a  Milano  nel  1780,  con  una  breve  prefazione,  Les  devoirs  de  Mirabeau. 

2)  Calvi,  Op.  cit.  p.  223  n.  22. 

3)  Sa:  in.  Ili,  259.  Vedi  pure  Calvi  op.  cit.  p.  494 
*)  Bianchi,  Elogio  cit.,  p.  181. 

s)  Milano,  Galeazzi,  1769. 

^)  Scr.  in.  I,  155. 

')  Scr.  in.  I,  284,  III,  72. 

*)  Come  rileva  il  Novati  (opusc.  cit.,  p,  14)  dai  manoscritti  del  Biffi. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvni  23 

l'umanità  sua,  Marco  Claudio  Marcello  ;  il  Visconti  Quinto  Ortensio, 
forse  per  certa  abilità  oratoria;  il  Biffi  P.  Cornelio  Scipione:  e 
così  via. 

A  cominciare  dall'invernata  1761-62,  ogni  sera  tutti  questi 
giovani,  accomunati  nella  fatica  dello  studio  dall'amore  del  sapere 
e  della  gloria,  si  riuniscono  nella  stanza  di  P.  Verri  a  discutere, 
a  consultarsi,  a  leggere  e  a  lavorare:  vista  nuova,  se  si  paragona 
alle  radunanze  accademiche  di  vecchi  assonnati,  convenuti  ad  udir 
recitare  infinito  numero  di  cicalate^  di  sonetti,  di  capitoli  sulle  piìi 
frivole  e  scipite  materie:  spettacolo  insolito,  per  chi  era  uso  ad 
assistere  ogni  dì  ad  accademie  di  dame  cincischiate  e  cascanti  e 
di  cavalieri  serventi  scioperati,  raccolti  a  festeggiare  o  uno  stra- 
niero, il  primo  capitato,  o  un  improvvisatore  o  un  avventuriere. 
E  parve  spettacolo  tale  da  destar  l'estro  dell'artista  e  meritare 
d'esser  consegnato  alla  tela.  Il  visitatore  del  nuovo  Museo  del 
Risorgimento  di  Milano  vede  tuttora  rappresentati  in  un  quadro, 
riuniti  in  casa  Verri  nella  via  ora  Monte  Napoleone,  alcuni  giovani 
uomini  intenti,  altri  a  consultar  libri,  altri  a  conversare:  e  sono  "  gli 
illuminati  patrizj  fondatori  del  famoso  Caffè  „^). 

In  queste  riunioni  del  1761-62  il  Verri  continua  le  sue  ricerche 
sul  commercio  di  Milano  e  compone  una  serie  di  almanacchi  satirici, 
nei  quali,  tenendo  presente  l'esempio  dello  Swift,  combatte  abusi  o 
pregiudizj  del  tempo,  il  Beccaria  studia  sulle  monete,  e  Alessandro 
Verri  compila  la  sua  Storia;  avviamento  ad  opere  maggiori.  Gli  al- 
tri, che  non  hanno  alle  mani  qualche  lavoro,  lasciati  padroni  delle 
biblioteche  di  casa  Lambertenghi  e  Trivulzi  2),  leggono  in  comune, 
e  delle  letture  fanno  estratti.  Tutta  la  letteratura  in  voga,  fran- 
cese e  inglese,  è  così  studiata,  compendiata  e  ridotta  in  excerpta  ^)  ; 


*)  Illustrazione  ita'inna,  a.  XXIII,  n.  27,  p.  315.  R.  Barbièra,  Un  giro 
nel  museo  del  Risorgimento. 

2)  Scr.  iti.  TV,  297. 

3)  Un  grosso  volume  di  e.stratti,  «  frutti  delle  letture  che  si  andavano  fa- 
cendo in  comune»,  e  tutto  scritto  di  pug;no  dal  Biffi,  fu  trovato  dal  Novati 
fra  i  manoscritti  di  questo  (Optisc.  cit   p.  10). 


24  L.  Ferrari 

dove,  accanto  a  sentenze  di  autori  greci  e  latini,  si  ricopiano  ar- 
ticoli dello  Spettatore,  brani  dello  Shakespeare  e  del  Crebillon, 
dello  Swift  e  del  Gresset,  dell' Addison  e  del  Montaigne,  del  Fon- 
tenelle,  del  Dryden  e  del  Pope,  dell' Hume  e  del  Montesquieu, 
del  Voltaire,  del  Rousseau,  del  D'Alembert  ^).  Di  pochi  italiani 
pur  troppo  si  cercano  e  si  leggono  le  opere;  alcuni,  eccellenti  e 
originali  per  pensiero  e  per  forma,  come  il  Machiavelli,  il  Savpi, 
il  Galileo:  altri  di  forma  e  di  pensiero  piìi  affini  agli  stranieri  che 
ai  nostri  classici,  in  special  modo  il  Bettinelli  e  l'Algarotti.  E  agli 
studj  si  mischiano  gli  scherzi  (un  bel  giorno  i  due  Verri,  il  Bec- 
caria, il  Lambertenghi  e  il  Biffi  si  fanno  ciascuno  l'epigrafe  se- 
polcrale^)), o  le  occupazioni  galanti;  "  perchè  quella  società  hrW- 
"  laute,  leggera,  spensierata,  tutta  intrighi  e  pettegolezzi,  della 
"  quale  essi  dicono  tanto  male,  ravvolge  anche  loro  nei  suoi  vor- 

"  tici  „   3). 

Nel  '63  aumenta,  come  abbiamo  veduto,  il  numero  dei  socj,  e 
cresce  anche  l'operosità.  Pietro  reca  a  compimento  in  quest'anno 
le  sue  prime  opere  notevoli:  il  Discorso  sulla  felicità  e  le  Con- 
siderazioni sul  commercio  dello  Stato  di  Milano,  che  invia  al  Kau- 
nitz:  quello,  frutto  di  un  ingegno  sorto  ed  educatosi  senza  guida, 
ma  già  maturato  nella  meditazione  e  nella  ricerca  filosofica,  e 
testimone  insieme  di  una  coscienza  profondamente  devota  all'idea 
del  dovere;  questo,  principio  felice  di  una  lotta  gloriosa,  la  lotta 


*)  Neil'  82  il  Colpani,  un  amico  dei  Verri  che  vedremo  scrivere  anche  nel 
Caffè,  stampava  un  poemetto  intitolato  Ai  miei  libri,  nel  quale  enumera  i  suoi 
autori  prediletti.  E  sono  il  Buffon,  il  Pope,  il  Montesquieu,  il  Fonteuelle,  G.  G. 
Rousseau,  il  Voltaire  e  un  italiano,  l'Algarotti  ;  la  cui  maniera  infatti,  come 
diremo  più  oltre,  continuò  nelle  sue  poesie. 

2)  NOVATI,  Opiisc.  cit.  p.  19. 

3)  Il  NovATi  (pag.  20)  accanto  agli  epitaffi  trovò  nel  volume  del  Biffi  ri- 
cette per  la  composizione  di  sacchetti  di  odore,  per  pomate  ed  «  altri  elet- 
tuarj  misteriosi  ».  Quanto  a  P.  Verri,  come  notava  il  Barbiti  {Fntsta,  n.  XXI), 
«  aveva  avuto  dalla  natura  un  buon  paio  di  calcagna  da  ballerino  ».  e  ne  sa- 
peva usare. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  x\'ni  25 

contro  i  ferniieri,  e  inizio  della  fama  e  della  fortuna  del  Verri, 
Della  qual  guerra  non  istaremo  qui  a  narrar  le  vicende  ;  che  non 
sarebbe  il  luogo.  Ricorderemo  soltanto,  che  elezione  e  partecipa- 
zione ai  lavori  del  Supremo  Consiglio  d'economia,  composizione 
del  famoso  Bilancio  del  Commercio  di  Milano^  compilazione  di  un 
nuovo  bilancio  per  incarico  del  Governo  sui  dati  ufficiali,  ammi- 
nistrazione della  ferma  mista,  come  delegato  dello  Stato  ;  tutti 
questi  lavori  erano  compiuti  dal  Verri  nel  1764  e  nel  '65,  mentre 
si  stampava  il  Caffè,  al  quale  vedremo  prender  parte  attivissima. 
Tale  era  l'operosità  e  la  costanza  di  questi  giovani. 

Nell'anno  1764  la  Società  dei  Pugni  ci  dà  per  mezzo  di  Pietro 
nuovi  almanacchi  satirici,  il  M(d  di  Milza  e  il  Collegio  delle  Ma- 
rionette, volti  a  deridere,  l'uno  la  boria  dei  nobili  e  l'altro  la  va- 
nità e  le  frivolezze  dell'educazione  data  nei  monasteri  alle  fanciulle; 
e  per  opera  del  Beccaria  produce  cosa  destinata  a  spanderne  il  nome 
in  tutta  Europa  e  assicurarne  la  memoria  presso  i  posteri:  il  pic- 
colo libro  sui  delitti  e  sulle  pene  ^). 

Con  questa  opera,  V Accademia  dei  Pugni  aveva  diritto  ad  essere 
nota  a  tutta  Europa.  I  suoi  lavoi'i  di  economia  avevano  fermata 
l'attenzione  dei  ministri  austriaci;  due  dei  suoi  membri,  il  Secchi 
e  Pietro  Verri,  stavano  per  ottenere  l'ufficio  desiderato:  perfino 
a  Milano  le  condizioni  della  compagnia  ei"ano  di  assai  mutate.  I 
Socj  dei  Pugni,  prima  "  déniés,  hérétiques,  esprits  forts,  ennemis 
de  la  patrie  „  ^),  comiuciavano  a  riconciliarsi  "  avec  le  genre  hu- 
main  „;  e,  mentre  un  tempo  passavano  "  per  novatori,  cattivi  citta- 
"  dini,  poco  buon  cristiani  e  compagnia  pericolosa  „  ^),  andavano 
ora  a  poco  a  poco  acquistando  la  stima  universale.  Vinta  la  diffi- 
denza e  lo  sprezzo  dei  concittadini,  appagata  la  legittima  ambi- 


*)  Non  oc.orre  ricordare  quanta  parte  abbiano  avuta  i  Socj  'lei  Pugni, 
e  specialmente  P.  Verri,  nel  concepimento,  nella  stesura  e  nella  stampa  di 
quell'opera  famosa.  Vedi  su  ciò  ampj  particolari  in  Bouvy,  op.  cit.  p.  91  e  segg. 

»)  Scr.  in.  IV,  267. 

3)  P.  Verri,  Scritti  varj,  ed.  cit.  voi.  Il,  p.  253, 


26  L.  Feirari 

zione  di  alcuni  socj,  era  questo  il  momento  opportuno  per  un'opera 
in  comune,  la  quale  raflforzasse  la  fama  ottenuta  e  preparasse  il 
trionfo  di  quelle  idee,  alle  quali  si  erano  votati.  Nulla  di  più  adatto 
a  ciò,  che  un  periodico  cui  tutti  potessero  cooperare  a  seconda  della 
volontà,  delle  attitudini  e  degli  studj  proprj. 

Un  giornale  serviva  anzitutto  a  quello,  die  i  Socj  dei  Pugni 
si  erano  proposto  come  scopo  ultimo  dei  loro  studj:  l'attuazione 
di  riforme.  In  Lombardia  l'opposizione  a  queste  veniva,  non  dal  So- 
vrano, né  dal  Governo  austriaco,  pronti  a  proraovere  ogni  sorta 
di  miglioramenti,  ma  bensì  dalle  autorità  locali,  gelose  delle  loro 
franchigie  e  devote  a  forme  secolari,  e  dal  popolo  ignorante, 
pigro,  indifferente.  Per  ottenere  la  stima  dei  magistrati,  per 
smuoverli  dalle  loro  tenaci  opinioni,  per  convincerli  della  necessità 
di  cose  nuove,  occorreva  domandarle  pubblicamente,  e  apertamente 
dimostrarne  la  giustizia  e  l'utilità.  E  perchè  le  riforme  potessero 
ottenersi  e  prosperare,  questa  ancora  era  condizione  essenziale:  che 
l'universale  dei  cittadini  fosse  tolto  all'indolenza  e  all'ignoranza 
diffondendo  in  esso  i  nuovi  principii  di  illuminata  filosofia;  che  il 
popolo  fosse  istruito  convenientemente  delle  nuove  necessità  della 
vita  sociale  e  morale,  allargando  la  cultura,  così  scarsa  allora  in 
Milano,  che  il  Beccaria,  sia  pur  esagerando,  scriveva  "  trovarvisi 
"  appena  una  ventina  di  persone  che  amino  istruirsi  e  che  sacri- 
*  fichino  alla  virtù  e  alla  verità  ,  ') .  Soltanto  un  giornale  avrebbe 
potuto  combattere  abusi  e  pregi udizj  d'ogni  specie,  dovunque  si 
trovassero  ;  nell'  educazione,  nelle  scienze,  nell'  amministrazione 
dello  Stato,  nell'  ordinamento  sociale  ed  anche  nella  letteratura, 
nella  quale  dai  Socj  dei  Pugni  non  si  volevano  lasciar  spadroneg- 
giare i  Trasformati,  come  dall'amministrazione  dello  stato  cerca- 
vansi  cacciare  i  curiali. 

"  Persuasi  ,  perciò,  "  che  le  opere  periodiche  sono  uno  dei  mi- 
"  gliori  mezzi  per  indurre  a  qualche  lettura  le  menti  incapaci  di 


*)  Lettera  del  Beccaria  all'ab.  Morellet  riferita  in  parte  e  senza  data  dal 
Cantù,  Beccaria  ecc.,  p.  69. 


Del  «  Caffè  »,  periodico  milanese  del  secolo  XTm  27 

"  seria  applicazione  „,  i  Socj  del  Pugni  decisero  di  "  stampare  dei 
"  fogli,  ad  imitazione  dello  Spettatore,  opera  che  tanto  lia  con- 
"  tribuito  nell'Inghilterra  ad  accrescere  la  coltura  delle  menti  e  i 
"  progressi  del  buon  senso  „  ^).  Far  "  vivere  i  proprj  concittadini 
"  nel  secolo  XVIII"  ,  doveva  essere  lo  scopo  del  nuovo  giornale. 

II. 
Natura  del  periodico  e  suoi  estensori. 

Il  Giornalismo  milanese  del  '700,  prima  del  Caffè,  non  conta 
ne  molte  né  importanti  pubblicazioni.  Non  parliamo  di  giornali 
politici  ;  che  Milano  ne  ebbe  in  tutto  il  secolo  uno  solo,  il  quale  durò 
per  più  di  cinquant'anni,  cambiando  nome  più  volte  ^),  finche  nel 
1769  assumeva  il  titolo  di  Gazzetta  di  Milano  col  motto  "  medio 
tutissimus  ibis  „,  attribuito  al  Parini,  che  ne  ebbe  per  qualche  tempo 
la  direzione.  Di  giornali  letterarj,  il  primo,  anch'esso  settimanale, 
aveva  veduto  la  luce  nel  1756,  sotto  il  nome  di  Raccolta  Milanese: 
ed  era  infatti  una  raccolta  di  scritti  di  erudizione  e  di  cose  inedite, 
tratte  negli  archivj  di  famiglie  milanesi  ^).  Seguirono  due  altre 
Collezioni  di  Opuscoli  e  di  Nuovi  Opuscoli,  pure  di  materie  erudite  ; 
indi  il  Caffè:  al  quale  terranno  dietro  V Estratto  della  Letteratura 
Europea  (dal  1767  al  '69)  e  la  Gazzetta  Letteraria  pubblicata  dallo 
stampatore  Galeazzi  (dal  '72  al  '76). 


*)  C.\NTÙ,  ibidem. 

*)  V.  De  Castro,  Milano  nel  700  giusta  le  ■poesie,  le  caricature  ecc.  Mi- 
lano, Dumolard  1887,  pp.  335  e  344. 

3)  Il  1.0  voi.  edito  nei  1756,  contiene,  fra  le  altre,  scritture  del  Carli,  del 
Gìulini,  del  Mazzucchelli,  di  Dom.  Maria  Manni,  dell' ab.  Villa,  del  Muratori; 
e,  non  prive  di  importanza,  quattro  lettere  del  Bembo  inedite,  tre  del  card. 
Federico  Borromeo,  nove  sonetti  di  Bramante  d'  Urbino,  del  Filelfo  due  lettere 
in  greco,  de'.  Tibaldeo  un  sonetto  e  d'altri  altre  cosette.  Meno  importante  è 
il  2.0  volume,  pubblicato  nel  1757  del  tipografo  stesso  Agnelli,  il  quale,  es- 
sendosi sciolta  la  compagnia  dei  letterati  che  aveva  curata  la  stampa  del 
primo  tomo,  volle  trar  profitto  del  materiale  sopravanzato. 


28  L.  Ferrari 

Il  Caffè  comincia  il  1^  giugno  1764  e  va  a  tutto  maggio  1766. 
Usciva  ogni  dieci  giorni  ed  era  stampato  a  Brescia  (dove  abitava 
come  vedremo,  uno  degli  scrittori,  il  Colpani),  fuori,  cioè,  di  Stato, 
a  scanso  di  noie  ^). 

La  forma  del  Giornale,  in  special  modo  nei  primi  numeri,  ri- 
corda quella  dello  Spectatoì\  ad  imitazione  del  quale,  come  abbiamo 
visto,  e  come  scriveva  il  Beccaria  al  Morellet,  egli  ed  i  suoi  amici 
avevano  voluto  si  formasse  il  nuovo  periodico  ^).  Dallo  Specta- 
tor,  del  quale  vedemmo  uno  della  Società  dei  Pugni  compilare 
nelle  lunghe  serate  d'inverno  ampj  estratti,  è  tolto  in  realtà 
il  concetto  direttivo  e  il  criterio  nella  scelta  degli  argomenti. 
Scopo  degli  estensori  del  Caffè,  come  espone  il  Beccaria  è  in  primo 
luogo  "  fare  amabile  la  virtù  e  inspirar  quel  patetico  entusiasmo, 
"  per  cui  pare  che  gli  uomini  dimentichino  per  un  momento  sé 
"  stessi  per  V  altrui  felicità  „  ;  e  secondariamente  "  render  comuni, 
"  familiari,  chiare  e  precise  le  cognizioni  tendenti  a  migliorare  i 
"  comodi  della  vita  privata  e  quelli  del  pubblico  „  ^).  Il  periodico 
non  è  quindi  un  Journal  des  Savans  o  un  Giornale  dei  Letterati, 
un  giornale  cioè  d'informazione  erudita;  ma  tratta  di  tutto  ciò, 
che  forma  la  vita  familiare  e  civile:  opinioni  ed  usanze,  leggi  e  cre- 
denze, vizj  e   virtìi. 

E  anche  si  cerca  imitare  l'ordine  dello  Spectator.  Lo  Spetta- 
tore è  un  gentiluomo,  che  ha  coi  viaggi  acquistata  1'  abitudine 
di  osservare,  e  di  questa  sua  facoltà,  venuto  a  Londra,  fa  uso  nei 
caffè,  al  teatro^  per  la  via,  nelle  conversazioni.  Intorno  a  lui  si 
raccolgono  un  vecchio  celibe,  baronetto,  che  vive  sempre  in  cam- 
pagna, nemico  delle  donne,  delle  cerimonie  e  delle  mode;  un  giu- 
reconsulto studioso  e  molto  dotto  di  cose  letterarie;  un  mercante 


*)  Brescia,  Bizzarri  1764-5  voi.  2.  Vedi  la  licenza  per  la  stampa  dei  Ri- 
formatori dello  Studio  di  Padova,  datata  li  16  aprile  17  64  e  riprodotta  ia 
fine  al  1."  volume. 

2)  Anche  P.  Verri  nel  programma  {Caffè,  I,  p.  10)  ricorda,  che  il  fine  pro- 
postosi dagli  scrittori  è  «  spargere  utili  cognizioni  fra  i  nostri  cittadini  diver- 
tendoli, come  già  fecero  Swift,  Addison  e  Pope  ». 

3)  Caffè,  II,  p.  7. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  tnilanese  del  secolo  xvm  29 

instancabile  ed  espertissimo;  un  prete  buon  filosofo  e  uomo  onesto, 
e  un  bi-avo  militare.  Si  visitano  fra  loro,  riferiscono  quanto  hanno 
veduto,  discutono,  giudicano  di  quelle  materie  di  cui  più  si  inten- 
dono ;  sicché  ogni  aspetto  della  vita  è  toccato  nelle  loro  discus- 
sioni. Non  diversamente  nel  Caffè,  per  dare  unità  ad  articoli  varj 
e  slegati,  si  immagina  che  nella  bottega  di  caffè  ^)  di  Demetrio, 
uomo  franco,  onesto,  indipendente,  convengano  "  alcuni  uomini, 
"  altri  ragionevoli,  altri  irragionevoli;  si  discorra,  si  parli,  si 
"  scherzi  ,  ;  e  si  finge,  che  i  discorsi  pubblicati  nel  giornale  non 
siano  se  non  trascrizioni  delle  discussioni  colà  avvenute  ^). 

Sin  qui  le  somiglianze;  ma  non  mancano  anche  le  differenze. 
Anzitutto  i  Socj  dei  Pugni  non  sanno  conservare  a  lungo  questa 
finzione;  e  privi  dell'ingegno  artistico  dei  moralisti  inglesi,  che 
del  giornale  fecero  opera  di  fantasia  e  di  stile,  pur  continuando 
a  togliere  dallo  Spectator  qualche  argomento  e  ad  imitarne  alcuni 
artifizj  3),  finiscono  col  dare  alla  materia  una  forma  puramente  di- 


*)  La  Bottega  del  Caffè  per  la  2«  metà  del  600  e  pel  700  è  quello  che 
il  club  nel  secolo  nostro.  Sino  dalla  fine  del  600  essa  aveva  avuto  il  suo 
cantore  in  Quinto  Settano,  di  cui  la  Satyra  quinta  è  del  Ridotto  del  Caffè. 
(Q.  Sectani,  Satyrae  nunc  primum  in  lucem  editae.  Apud  Trifonem  Bibliopolam 
in  foro  Palladio,  1701).  Anche  il  Gozzi  faceva  l'elogio  delle  botteghe  del  caffè 
nelVOssei-vatore  (Bergamo,  Fantozzi,  1825,  voi.  Ili,  pp.  36-42). 

^)  «  Una  bottega  del  Caffè  »,  scrive  il  Verri  (I.  285),  «  è  una  vera  enci- 
«  clopedia  all'occasione,  tanto  è  universalissima  la  serie  delle  cose  sulle  quali 
«accade  di  ragionare:  né  v'è  pericolo  che  manchi  giammai  la  materia  a  chi 
«  stiavi  spettatore  con  qualche  accorgimento  ». 

3)  Il  discorso  dello  Spettatore,  De  la  cause  clii  rive  et  de  ce  qui  l'excite 
dans  les  hons  et  Ics  petits  esprits,  (trad.  francese  Le  Spectateiir  ou  Le  Socrate 
Moderne,  Amsterdam,  Wetsteins  et  Smith,  1744,  t.  I,  p.  239  discorso  XXXV), 
svolge  la  dottrina  dell'Hobbes,  che  la  passione,  la  quale  ci  eccita  al  riso,  non 
è  se  non  la  vanagloria  e  l'amor  di  sé  stesso;  e  la  stessa  dottrina  svolge  l'art. 
del  Verri,  Sìd  ridicolo,  nella  sua  prima  parte  {Caffè  II,  n.  15,  pp.  110-15).  Molto 
simili  sono  i  discorsi.  Le  caractire  d'un  liomme  qui  est  agréàble  en  compagnie 
et  son  oppose,  e  Pour  ohtenir  les  bonnes  graces  des  hommes,  il  n'y  a  qu'à  les 
prendrepar  leur  faille  (XXV  del  voi.  IV,  pp.  149-53  e  XXXII  del  voi.  I  pp.  193-8), 


30  L.  Ferrari 

dattica  e  scientifica.  Poi  agli  apologhi,  ai  sogni,  alle  allegorie,  spe- 
dienti  comuni  e  classici  di  ammaestramenti  morali,  che  l'Addison 
come  il  Gozzi,  aveva  prediletti,  ma  che  agli  scrittori  del  Caffè 
parevano  avere  "  qualcosa  di  duro  e  di  inverosimile  „  ^),  e  al  dia- 
logo, che  avrebbe  richiesta  troppa  arte,  essi  preferirono  serj  ra- 
gionamenti, "  che  invitino  alla  virtù,  non  per  i  motivi  del  dovere, 
"ma  per  quelli  dell'utile  „.  Mentre  gli  estensori  dello  Spectator 
trattano  di  preferenza  problemi  di  moralità  pubblica  e  privata 
o  rappresentano  artisticamente  costumi,  passioni  e  sentimenti 
umani,  i  Socj  dei  Pugni  curano  assai  una  seconda  parte  tradi- 
zionale nel  giornalismo  italiano,  cioè  la  letteraria;  e  anche -più 
una  terza  suggerita  dai  bisogni  locali,  dagli  studj  e  dalle  occupa- 


e  quello  di  Alessandro:  SiilVuomo  amabile.  I  piaceri  dell'imaginazione  for- 
mano soggetto  di  varj  discorsi  dell' Addison  (segnato  0,  discorsi  XLII,  L,  LI 
del  voi.  IV,  p.  253  e  segg.,  p.  307  e  segg.,  p.  312  e  segg.),  e  d'uno  del 
Beccaria,  sebbene  la  trattazione  sia  fatta  da  un  aspetto  molto  difterente 
{Caffè,  II,  n.  7,  pp.  51-54).  L'Exercice  de  Véventail  (XI  del  voi.  II,  pp.  63-8), 
riprodotto  dal  Gozzi  sul  suo  Esercizio  militare  detta  tabacchiera  {Osservatore 
in  Opere,  Padova,  Seminario  1819,  VIII,  p.  11),  diventa  nel  Gafè  con  lontana 
imitazione  lo  Scherzo  sulle  Riverenze  (I,  n  6-7,  pp.  53-56).  Cfr.  anche  il  di- 
scorso, Mauvaise  economie  des  Gentilshommes  Anglais  qui  vivetit  à  la  cam- 
pagne (XIX  del  voi.  II,  p.  112  e  segg.),  coll'art.  del  Verri  Sulla  spensieratezza 
della  privata  economia  :  e  i  due  articoli,  uno  dell'  Addison  (XXIV  del  t.  II, 
p.  48,  e  segg.),  Réflexions  sur  Ics  gros  livres  et  les  feuilles  volantes,  e  l'altro 
del  Beccaria,  Sullo  scopo  dei  fogli  periodici  {Caffè  II,  n.  1,  p.  4-8).  Cinesi 
e  Indiani  entrano  tanto  nel  giornale  inglese,  quanto  nel  milanese  (v.  ad  es. 
disc.  XVIII  del  t.  VI,  p.  113  e  segg.  Conte  Chinois  fait  avatit  le  déluge  e 
disc.  XXXVII  del  T.  I,  p.  253  e  segg.  Observations  faites  à  Londre  par  4  Rois 
Indiens  e  gli  articoli  del  Caffè:  Badi,  novella  indiana,  II,  n.  12  pp.  91-94  e 
Viaggio  d'un  selvaggio  del  Canada  a  Pekino,  I,  n.  36,  p.  280  e  segg.)  ;  come 
del  resto  appaiono  nella  più  parte  delle  scritture  satiriche  del  700  :  ad  es.  nei 
pamphlets  del  Voltaire.  I  cittadini,  soggetti  alla  censura,  prendono  veste  di 
forestieri  per  censurare  a  lor  volta  impunemente  le  instituzioni  vigenti;  e, 
partecipi  della  civiltà,  si  camuffano  da  barbari  per  rilevare  ingenuamente  le 
incongruenze  e  le  ingiustizie  dei  popoli  civili  nel  secolo  illuminato. 
*)  Art.  cit.  del  Beccaria.  II,  7. 


Del  «  Caffè-»,  j)er iodico  milanese  del  secolo  xvin  31 

zioni  del  maggior  numero  degli  scriventi  :  quella  economica  e  sociale. 
In  questa  un  nuovo  criterio  di  scelta  è  suggerito  dalle  necessità 
del  momento,  e  dalle  condizioni  della  società,  nella  quale  gli  scrit- 
tori del  Caffè  erano  cresciuti.  Conviene  cioè  trattare  di  "  cose  di- 
sparatissime  „,  purché  siano  "  dirette  alla  pubblica  utilità  „,  purché 
*  diano  "  delle  viste  e  dei  lumi  che  facciano  pensare  e  fermentar 
"  ridea  di  chi  legge  „;  e  alle  cognizioni  positive  preferire  le  "  ne- 
gative „,  adatte  "  a  distruggere  i  pregiudizj  e  le  opinioni  anticipate, 
'  che  formano  l'imbarazzo  a  ogni  scienza  „  ^).  N'esce  così  non  un  vero 
giornale  di  costumi,  come  è  lo  Spectator ;  ma  un  periodico,  didattico 
nella  forma,  per  facilità  e  chiarezza  di  stile  e  per  piana  e  popo- 
lare esposizione,  e,  nella  materia,  scientifico-letterario  e  vera- 
mente enciclopedico  :  nel  quale  si  dà  luogo  non  soltanto  alla  varia 
Letteratura,  ma  all'Economia  politica,  all'Agronomia,  alla  Storia 
naturale,  alla  Metereologia  e  persino  alla  scienza  medica.  Una  serie 
sola  di  argomenti  ne  è  esclusa,  i  religiosi  e  quelli  che  volgar- 
mente si  dicono  politici.  Il  programma  promette  "  profonda  sommis- 
"  sione  alle  divine  leggi,  perfetto  silenzio  sui  soggetti  sacri,  rispetto 
'^  per  ogni  Principe,  ogni  governo  ed  ogni  nazione  „:  e  la  promessa 
è  mantenuta  fedelmente  in  tutto  il  corso  del  giornale,  nel  quale 
nulla  troviamo  di  politico,  se  non  qualche  parola  di  ossequio  tribu- 
tata alla  imperiai  Padrona  ^),  e  nessuna   considerazione    intorno 


*)  Art.  cit.  del  Beccaria.  II,  7. 

*)  Il  Secchi  ia  un  articolo  intitolato:  Alcune  ragioni  della  mediocrità  del 
nostro  Teatro,  rilevando  i  danni  sofferti  dalla  commedia  italiana  per  l'esilio 
del  Goldoni  e  studiandone  i  rimodj,  esprime  la  speranza,  riferendosi  senza 
dubbio  alla  fortuna  incontrata  dal  melodramma  presso  la  corte  Parmense 
(v.  E.  Bertana,  Intorno  al  Frugoni  in  Giorn.  stor.  d.  leti.  ita.  XXIV,  337-79), 
che  la  commedia  goldoniana  trovi  i  suoi  protettori  contro  quella  dell'arte 
nei  principi,  «  che  l'Italia  conta  nel  suo  seno  e  che  può  chiamare  oramai  ita- 
liani »  {Caffè,  II,  230).  E  Alessandro  Verri  scriveva  {Di  Cameade  e  di  Qrozio 
II.  225)  :  «  Noi  viviamo  in  moderati  governi  ne'  quali  ciò  che  dobbiamo  abbor- 
«  rire  e  temer  sono  le  sole  rivoluzioni.  Non  c'è  memoria  che  le  dolcezze  del 
«  governo  e  le  idee  di  giustizia  sicuo  state  più  universali  e  rispettate  in  Europa... 


32  L.  Ferrari 

alle  cose  pubbliche  e  italiane,  che  oltrepassi  le  opinioni  comuni 
del  tempo. 

V  è  tuttavia  un  articolo,  quello  Sidìa  Patria  degli  Italiani^  che 
si  dice  composto  da  P.  Verri,  e  sembra  fare  eccezione  a  quanto 
abbiamo  asserito  intorno  alla  natura  del  nostro  giornale.  Sulla 
supposizione  che  questo  discorso  fosse  opera  del  Verri  il  Bouvy 
intessè  un  capitolo  del  suo  libro,  nel  quale  volle  fare  di  lui  un 
precursore  dell'Alfieri^);  e  molti,  come  il  Carducci,  asserirono 
"  ch'egli  [P.  Verri]  rimuginasse  a  quando  a  quando  un  concetto 
vago  di  patria  italiana  „  ^),  o,  come  il  Calvi  ^),  videro  nel  Caffè 
un  foglio  anche  politico.  Ora,  come  dimostreremo  digredendo 
brevemente,  né  lo  scritto  Sulla  Patria  degli  Italiani  è  tale,  da 
attribuire  al  Caffè  un  colore  politico,  né  è  opera  di  Pietro  Verri  ; 
anzi  le  opinioni  in  esso  espresse,  opposte  ai  sentimenti  suoi  e  degli 
altri  Socj  dei  Pugni,  furono  da  lui  e  da  quelli  disapprovate,  e  non 
ebbero  nel  giornale  alcun  seguito. 

Prima  di  tutto  esaminiamo  il  contenuto  dell'articolo  ^).  Nella 
bottega  di  Demetrio  compare  un  incognito  e  siede  chiedendo  un 
caffè.  Un  giovane,  che  gli  si  trova  vicino,  dopo  averlo  fissato  con 
aria  arrogante,  gli  domanda  se  è  forestiero  :  al  che  l' altro  risponde 
di  no.  E  dunque  milanese?  riprende  il  primo.  No,  signore,  non 
sono  milanese,  risponde  lo  sconosciuto  con  gran  meraviglia  del- 
l'interrogante, che  afferma  di  non  capire.  Sono  italiano,  grida 
l'incognito,  e  un  italiano  in  Italia  non  è  mai  forestiere,  come  un 
francese  non  è  forestiere  in  Francia,  un  inglese  in  Inghilterra,  un 
olandese  in  Olanda.  Questo  pregiudizio,  egli  continua,  rende  gli 


«  Dico  che  i  buoni  cittadini  osservano  le  Leggi  del  loro  paese,  rispettano  la 
«sua  forma  di  governo,  abborriscono  ogni  idea  di  sedizione;  dico  che  non 
«  conosce  la  Storia  chi  non  sa  quanti  danni  seco  traggono  le  rivoluzioni  ». 

*)  Op.  cit.  p.  199  e  segg, 

*)  Storia  del  Giorno  cit.  p.  227. 

^)  Il  patriziato  milanese  ecc.  1.  cit. 

<)  Caffè,  II,  n.  2  pp.  12-17. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  33 

italiani  inospitali  e  nemici  di  lor  medesimi;  è  impedimento  for- 
tissimo alla  gloria  nazionale,  è  causa  "  d'arenamento  delle  arti  e 
delle  scienze  „  ;  giacché  gli  uomini  d'ingegno  in  Italia  non  sono 
apprezzati  degnamente,  e  non  si  ha  coraggio  di  lodare  una  ma- 
nifattura, una  scoperta,  un  libro  d'Italia.  Eppure  siamo  nati  tutti 
in  quello  spazio 

che  Appeuniu  parte,  il  mar  circonda  e  l'Alpe, 

e  siamo  tutti  figli  di  uno  stesso  popolo,  simili  tutti  in  origine. 
Al  tempo  dei  Romani,  dal  Varo  all'Arsa  eravamo  tutto  un  po- 
polo, partecipe  degli  onori  di  Roma;  i  barbari  ci  divisero.  Poi  "  la 
"  distanza  degli  Imperatori,  la  loro  debolezza  e  la  gara  fra  i  con- 
"  correnti  all'Impero  diede  comodo  agli  italiani  di  risvegliare  e 
"  porre  in  moto  i  sopiti  spiriti  di  libertà.  E  felice  l'Italia,  se  c^ue- 
"  sto  comune  genio  di  libertà  fosse  stato  diretto  ad  un  solo  fine 
"  cioè  all'universale  bene  della  nazione! ,.  Ma,  ridestiamoci  alla  fine, 
per  nostro  bene  :  e,  come  siamo  un  sol  popolo,  formiamo  una  sola 
civiltà.  "Come  nel  sistema  planetario  nel  fuoco  dell' elissi  sta  il 
"  sole,  e  i  pianeti  si  aggirano  attorno  a  lui  nel  tempo  stesso  che 
"  si  aggirano  sui  propri  assi,  così,  noi  pure  restando  divisi  in  do- 
"  mini  diversi  e  obbedendo  a  diversi  sovrani,  formiamo  una  volta 
"  per  i  progressi  delle  scienze  e  delle  arti  un  solo  sistema.  Diven- 
"  ghiamo  pertanto  tutti  di  nuovo  italiani  per  non  cessare  d'essere 
"  uomini  j,. 

L'articolo,  che  il  Bouvy  non  senza  esagerazione  trova  degno 
di  Dante,  del  Petrarca  e  del  Machiavelli  ^),  non  svolge,  è  vero, 
alcun  principio  politico,  ma  è  tuttavia  notevole.  Esso  non  pro- 
clama certamente  il  principio  d'indipendenza,  il  torsi  cioè  dall'Au- 
stria e  far  da  sé  {cosa,  che  né  passava  per  la  mente  di  alcuno,  né, 
pensata,  sarebbesi  espressa  pubblicamente),  ma  efficacemente  propu- 
gna una  unione  fraterna  degli  ingegni  italiani,  afferma  vigorosa- 
mente il  senso  della  comune  patria,  allora  si  scarso  da  non  albergare 


')  Op.  cit.  p.  203. 
R.  Se.  Norm» 


34  L.  Ferrari 

neppure  negli  spinti  più  puri  ed  elevati.  Ne  dà  esempio  il  Pa- 
ri ni,  che  obbedendo  appunto  al  pregiudizio  combattuto  in  questo 
articolo,  chiamava  la  ligure  Amoretti  straniera  agli  ospiti  in- 
subri ^),  Ma  perchè  in  tutto  il  Caffè  è  questa  l'unica  affermazione  di 
sentimenti  italiani r*  Perchè  1"  articolo  Sulla  Patria  degli  Italiaìii 
rimane  soletto  in  mezzo  a  lodi  prodigate  a  stranieri,  in  mezzo  ad 
improperi  lanciati  alle  cose  più  care  al  patriota,  come  la  lingua, 
frammisto  a  quadri  foschi  del  carattere  italiano? 

L'articolo  non  porta  segnatura:  ma  già  il  Bianchi  ^)  dando 
l'elenco  dei  discorsi  pubblicati  da  Pietro  Verri  nel  Caffè  (un  elenco 
così  inesatto  da  mancare  di  alcuni  articoli  segnati  colla  sigla  P., 
e  comprenderne  altri  di  diversi,  come  quelli  sul  Faraone  e  Sui  fofjli 
2)eriodicl,  che  sono  del  Beccaria,  e  il  Dialogo  dell'agricoltura,  lavoro 
del  Franci),  l'aveva  annoverato  fra  gli  scritti  di  lui,  ritenendolo 
suo  "  per  lo  spirito  con  che  era  dettato  „.  La  congettui'a  del  Bianchi 
accettata  dall'Ugoni  ^),  dal  Carcano  ^),  dal  Vismara  ^j  e  ripetuta,  pre- 
stando fede  a  questi,  da  critici  e  storici  della  letteratura  ''),  trovò 
fede  anche  presso  l'ultimo  e  diligente  illustratore  della  vita  e  delle 
opere  del  Verri,  il  Bouvy.  Egli  non  tenne  conto,  forse  perchè  non 
ne  veniva  recata  alcuna  prova,  che  il  Bossi  nel  suo  copioso  Elogio 


*)  Vedi  Odi  del  Parini  ed.  curata  dal  prof.  D'Ancoxa.  Firenze,  Lemonnier, 
1893,  p.  73: 

luaubria,  onde  romore 
va  per  mense  ospitali  ed  atti  amici 
sa  gli  straniei-i  ancor  render  felici,  vv.  165-8. 

2)  Eloffio  di  P.  Verri  cit.  p.  293. 

•^)  Op.  cit.,  ed.  1856.  II,  112.  Nell'ediz.  del  1820  invece,  attingendo  all'elo- 
gista del  Carli,  il  cav.  Luigi  Bossi,  l'Ugoni,  nell'art,  dedicato  a  G.  R.  Carli,  aveva 
ricordato  il  Discorso  Sulla  Patria  degli  Italiani  fra  le  opere  di  questo  (II 156). 

•*)  Cat.  cit.  premesso  alla  Storia  di  Milano,  p.  LX. 

^)  Bibliografia  cit.  p    364. 

^)  Fra  gli  altri  dal  Carducci  {Storia  del  Giorno  ì.  cit.)  e  dai  professori 
D'Ancona  e  Bacci  {Mammle  della  letteratura  italiana.  Firenze.  Barbèra  1894 
IV,  511). 


Del  «  Caffè  »,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  35 

storico  del  Carli  ^)  e  TUgoni  nella  prima  edizione  della  sua  opera  ^) 
avevano  affermato,  che  il  Carli  aveva  cooperato  al  Caffè,  e  gli  aveano 
attribuito  l'articolo  Sulla  Patria  dei/li  Italiani.  Eppure  egli  co- 
nosceva quel  passo  di  una  lettera  di  Pietro  al  fratello  Alessandro, 
in  cui  gli  scrive  in  confidenza:  "  egli  (il  Morellet)  trova  bello  il 
"  pezzo  sulla  Patria  ed  io  no.  Tradidit  munduni  disputationibus  ^)  „-, 
e  cercò  darne  una  qualche  spiegazione,  dicendo:  "  Verri  semble 
"  méme  avoir  craint  un  moment  d'étre  alle  trop  loin,  et  laissé 
"  échapper  un  regret  „  . 

Ma  al  Bouvy  è  sfuggita  una  lettera  di  Alessandro  Verri,  edita  in 
un  altro  Caffè,  giornale  politico  milanese  del  1884,  ora  dimenticato: 
nella  quale  abbiamo  testimonianza  esplicita,  che  la  Patria  degli  Ita- 
liani è  opera  d'altra  persona  e  non  di  Pietro  Verri  ^).  La  lettera  dava 
il  nome  del  co.  G.  R.  Casati.  Ma  poiché  la  famiglia  Casati  non 
ebbe  nel  '700,  come  si  rileva  dal  Calvi  ^),  alcun  membro  che  si 


*)  Tedi  il  passo  riferito  anche  dall' Ugoni  ed.  1820,  II.  pp.  156  e  160. 

*)  II.  156.  Il  Tamaro  {Nel  lìrimo  centenario  della  morte  di  G.  Carli 
cit.  p.  516)  nomina  anch'esso,  senz'altro,  l'articolo  fra  le  opere  dell'istriano. 

••')  Scr.  in.  I,  277. 

'')  Anno  I,  n.  12.  2o-27  maggio  1884.  La  lettera,  inviata  al  giornale  dal- 
l'on.  co.  Codronchi,  ad  un  antenato  del  quale,  che  non  si  nomina,  era  diretta, 
ha  la  data  di  Roma  13  febr  1798.  Alessandro,  richiesto  di  notizie  sugli 
scrittori  del  CatJ'c,  risponde  brevemente  fidandosi  alla  memoria,  perchè  sono 
passati  venti  anni  da  che  ebbe  parte  u-.-ir  opera  e  non  ha  potuto  trovare  a 
Roma  un  Caffè.  «  La  lettera  C,  scrive,  è  del  mar.  Ce.sare  Beccaria  del  quale 
«  sono  i  discorsi  .sugli  odori,  e  sui  piaceri  della  imaginazione.  La  lettera  P. 
«  è  del  co.  Pietro  Verri  mio  fratello:  la  lettera  A.  è  mia.  Il  co.  G.  R.  Casati 
«  ha  fatto  il  discorso  sulla  Patria  degli  italiani  e  non  ho  presente  la  sua 
«  lettera  che  potrà  scoprire  a  pie  del  suddetto.  Il  march.  Alfonso  Longo, 
«attuale  Bibliotecari)  e  Censore  regio  ha  fatto  il  dis  orso  sopra  T Orologio 
«  oltramontano  parag^rato  coli' Italiano,  ci  ivi  si  potrà  riconoscere  la  sua  let- 
«  tera  II  p.  dottor  V.  Frisi  ha  fatto  il  discordo  sugli  influssi  lunari.  Il  consi- 
«  gliere  e  segretario  di  S.  M.  Giu-eppe  II,  D.  Luigi  Limb^rtenghi  ha  fatto 
«  il  discorso  sopra  i  ciarlatani,  e  le  sepolture  ...  ». 

2)  TI  patriziato  milanese  cit.  Vedi  ivi  Elenco  delle  attuali  tobili  famiglie  pa- 
trizie Milanesi  in  esecuzione  dell'editto  di  Governo  del  di  20  ncv.  1769,  p. 


36  L.  Ferrari 

chiamasse  Gian  Rinaldo,  e  di  Casati  non  si  parla  mai  nelle  lettere 
dei  fratelli  Verri,  né  si  ha  memoria,  che  un  Casati  appartenesse 
alla  Società  dei  Pugili,  tutto  induceva  a  credere,  che  la  parola 
Casati  non  fosse  che  un  errore  di  trascrizione  o  di  stampa,  e 
r  autore  dell'  articolo  designato  nella  lettera  fosse  il  Carli,  conte 
e  Gian  Rinaldo.  Il  che  fu  confermato  da  una  lettera  di  Pietro  Verri 
al  Carli,  data  non  è   molto  alla  luce  ^). 

Nel  Carli  tali  sentimenti  di  italianità  e  un  tale  sfogo  ardente 
e  coraggioso  non  possono  meravigliare,  chi  ne  ricordi  i  fatti  della 
vita  e  ne  conosca  le  opere.  Nato  in  Istria  e  dimorato  ora  in  un 
luogo  ora  in  un  altro  d'Italia,  a  Padova,  a  Torino,  a  Milano,  in 
Toscana,  dalle  vicende  stesse  della  vita  era  stato  tratto  a  deporre 
i  pregiudizi  di  regione  e  di  campanile  ;  forse  piìi  volte  gli  era  oc- 
corso il  caso,  di  cui  come  di  cosa  provata,  dette  una  viva  imagine 
in  quello  scritto.  Ci-esciuto  poi  alla  scuola  del  Muratori,  del  Maffei, 
del  Vallisnieri,  scienziati  ed  eruditi  veramente  enciclopedici,  ma 
sinceramente  italiani,  non  alla  lettura  del  Voltaire,  dell' Hélvetius, 
dell' Hohbes,  e  profondo  conoscitore  della  storia  della  nostra  cultura, 
che  i  giovani  scolari  dei  fVancesi  trascuravano  aifatto,  il  Carli  era 
stato  educato  a  sentire  italianamente.  E  a  sensi  patriotici  in- 
formò le  opere  sue,  delle  cpuili  non  poche  troviamo  esser  state 
composte  per  difendere  o  vendicare  all'Italia  qualche  gloria  di- 
sconosciuta o  negata:  come  la  Geografìa  lìrimitiva,  diretta  ad  assi- 
curare agli  italiani  le  prime  piìi  esatte  determinazioni  di  latitudine 


394,  e  segg.  e  T Elenco  generale  dei  cavalieri  e  dame  che  godono  l'accesso  alla 
R.  duca!  Corte  ecc.  p.  46S  e  segg. 

^)  Bass.  hihì.  della  hit.  it.  IV,  n.  1,  p.  2G.  Comunicazione  di  Fr.  Novati:  I  mn- 
noscrilti  d'alcune  hibliofeche  del  Belgio  e  dell'Olanda.  La  lettera  è  tratta  dalla 
collezione  di  autografi  Diederichs  della  biblioteca  di  Amsterdam.  la  essa  il  Verri, 
pregando  l'amico  di  coopcrazione  «  al  nostro  foglio  »,  gli  dice  d'  aver  «letto 
«  il  proseguimento  dell'Italiano  »  La  lettera  ha  la  data  del  17  aprile  1765,  e 
l'articolo  apparve  nel  2."  numero  della  nuova  annata  del  Caffè,  cioè  il  10 
giugno  '65,  non  vi  è  dubbio  dun(iue  che  si  tratta  dtUa  Patria  degli  Italiani 
e  di  G.  Fi.  Carli. 


Del  «  Caffè -^ ,  periodiro  ìiiilanese  del  secolo  xvm  37 

e  longitudine,  attribuite  dagli  stranieri  al  Vavenio;  le  Osservazioni 
sulla  )nusi('a  a  rivendicare  ali"  Italia  il  vanto  dell'  invenzione  del 
clavicembalo;  la  Dissertazioìie  delle  Triremi  o.  dimostrare,  contro 
l'opinione  del  Deslandes,  anteriore  l'uso  dell'alfabeto  marino  in 
Venezia  che  in  Inghilterra;  le  Antichità  italiche  a  ricordare  ai  fran- 
cesi "Italia  madre  e  datrice  delle  lettere  „  ^).  Egli  era  ben  lon- 
tano dal  dividere  cogli  amici  dei  Pugni  le  nuove  idee  cosmopo- 
lite; ed  essi,  come  testimoniano  più  lettere  dei  Verri,  né  appro- 
vavano né  partecipavano  quei  sensi  e  quell'entusiasmo  patriottico. 
^ei  convegni  del  giovedì  in  casa  Carli,  narra  Alessandro  in  una 
lettera  scritta  a  G.  Rinaldo  da  Parigi  "),  nacque  una  volta  tra  i  due 
amici  una  disputa  sulle  qualità  morali  degli  italiani,  degli  inglesi  e 
dei  francesi.  Alessandro  levava  al  cielo  gli  stranieri,  deprimendo  gli 
italiani,  mentre  il  Carli  stava  per  questi.  Alessandro,  che  non  aveva 
saputo  accordarsi  col  suo  oppositore,  riprendeva  per  lettera  la  di- 
scussione, ripetendo  le  lodi  dei  francesi,  da  lui  ora  avvicinati,  e  dipin- 
gendo coi  colori  più  foschi  "  il  carattere  dell'italiano  maldicente, 
"  inquieto,  tumultuante  fra  la  miseria  di  piccole  passioni,  costante 
"  nell'odio,  vendicativo,  maligno,  povero,  abbietto,  furbo  „.  L'Italia 
sola,  egli  diceva,  ha  prodotto  un  Machiavelli  e  la  sua  "  antimo- 
rale „:  l'Italia  sola  non  ha  né  "  genio  di  libertà  „  come  l'Inghil- 
terra, né  "  pieghevolezza  al  dispotismo  ,  come  la  Francia  ^).  E 
terminava  facendo  questo  complimento  agli  italiani,  per  farne 
uno  al  Carli:  "  Voi,  che  fate  tanto  l'italiano,  ho  l'onore  di  dirvi 
"  che  non  lo  siete  punto:  l' entusiasmo  vostro  per  la  virtù  e  la 
"  limpidezza  del  vostro  cuore  non  sono  roba  italiana  „.  In  altra 
lettera,  Alessandro,  giudicando  di  un  amico  scriveva  ^)  :  "  Il  fondo 
"  non  é  cattivo,  ma  vi  é  dell'inquietudine,  della  vanità,  del  falso 
"  spirito,  della  bassezza,  e  perfino  è  italiano  e  semigesuita  „:  quasi 


*)  Bossi,  Elog.  stor.  cit.,  p.  224. 

2)  Lettera  20  giugno  1767.  Scr.,  in.  II,  265. 

3)  Sor.  in.,  II,  372-3. 
*)  Sa:  in.,  Ili,  85. 


38  L.  Ferrari 

nutrire  spiriti  italiani  fosse  un  obbrobrio,  e  chiamare   alcuno  col 
nome  d'italiano,  un  insulto  da  far  il  paio  con  quello  di  gesuita. 
EPietro?   Egli,   le   cui    opinioni    si   accordavano    allora   con 
quelle    del    fratello    così    perfettamente,    da    chiamarlo    il    "  mio 
unisono  „  ^),  non  la  pensava  diversamente  da  lui  neppure  in  questo 
riguardo.  Nella  lettera   citata  egli    scriveva  al  Carli:   "  Ho  letto 
"  il  proseguimento  dell'  Italiano,  bello  veramente  ;  non  vorrei  però 
'  che  sembrasse  che  l'amor  della  Patria  ci  pregiudicasse  nelF  im- 
"  parzialità  di  buoni  Cosmopoliti;  vi  esporrò  le  mie  obiezioni  con 
"  comodo  e  voi  ne  giudicherete  „.  Il  suo  pensiero  dunque,  al  tempo 
della   pubblicazione  del    Caffè,  cui    ci  riferiamo,  non    che    essersi 
sollevato  a  quell'altezza,  che  raggiunse  poi  nella  Decadenza  del 
papato  e  nel  Dialogo  fra  Giuseppe  11  e  nn  filosofo,  non  era  ancor 
giunto  a  maturità,  non  aveva  ancora  preso  consistenza.  Quel  sen- 
timento profondo  del  basso  stato  d' Italia  e  della  inferiorità  sua  di 
fronte  alle  altre  nazioni  'j,  che  si  notava  in    Pietro  Verri   e  dal 
quale  pure    trarranno  origine    le    dottrine   sue  dell'avvenire,  non 
trovava  in  lui,  come  in  nessun  altro  degli  Accademici  dei  Pugni, 
un  contrappeso  nello  studio  e  nella  conoscenza  di  un  nostro  passato 
glorioso,  che  convenisse  tentar  di  rinnovare.  Egli  anteponeva  senza 
discussione  e  senza  rimessione  ai  p.roprj  connazionali  ipopoli  d'ol- 
tramonte,  già  di  troppo  avanzati  al  nostro  confronto  ;  e  credeva 
che  la    coltura  italiana  non    avrebbe  potuto    risollevarsi,  se  non 
imitando  ed   emulando    la   straniera.  Non    era    insomma    che    un 
seguace  del  cosmopolitismo  filosofico;  effetto  del  quale  sono,  ad 
esem[)io,  le  dottrine  che  vedremo  professate  su   la  lingua.  Come 
conciliare  invero  simili  teorie  con  affermazioni  di  nazionalità,  con 
invito  ad  esser  italiani,  se  la  storia  della  lingua  non  può  a  meno 
di  non  apparire  storia  della  nazione?  ^)  Qual  patriotismo  meglio 


1)  Sor.  in.  Ili,  195. 

»)  Cfr.  Scr.  in.  I,  115 

3)  Il  Bou  vy  (p.  21 4).  scrive  che  il  Verri  ri  onobbe  questa  verità,  quando  volendo 
Giuseppe  II  imporre  ai  Milanesi  uu  nuovo  gergo  anuniuistrativo,  levò  la  voce 
contro  tale  barbarie  {Scr.  vnr.  II,  p.  15,  n.  1").  Sfa  a  ciò  egli  era  mosso  allora  dal- 
l'avversione concepita  contro  Giuseppe  II,  per  le  sue  precipitose  innovazioni. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milcmese  del  secolo  xvm  39 

inteso  che  parlare  e  scrivere,  in  buon  italiano?  Ma  Pietro  Verri 
era  conseguente  nelle  sue  idee:  come  disprezzava  il  carattere  degli 
Italiani,  come  sentiva  profondamente,  e  anche  troppo,  la  decadenza 
della  patria,  così  ne  vilipendeva  la  lingua  e  ne  dimenticava  le  tradi- 
zioni. Amava  e  lodava  troppo  il  presente  perchè  desidei-asse  di  rin- 
novare un  passato  ch'egli  non  conosceva,  e  aveva  troppo  cattiva 
stima  degli  Italiani  per  esortarli  ad  esser  Italiani. 

Posta  così  in  chiaro  l'opposizione,  che  era  tra  il  patriottismo 
nazionale  del  Carli  e  le  dottrine  cosmopolite  accettate  dai  Socj  del 
Piic/nl,  facile  è  intendere,  perchè  l'articolo  sulla  Patria  degli  Italiani 
resti  nel  Caffè  unico  testimonio  di  italianità  di  sentire  e  solo  ri- 
chiamo alla  storia  e  al  nome  avito.  Né  meno  facilmente  riusciamo 
a  comprendere,  perchè  nulla  si  ritrovi  nel  rimanente  del  giornale, 
che  lasci  intravedere  la  più  lontana  aspirazione  ad  un  rinnovamento 
politico. 

Il  Verri  (a  questo  risultato  riescono  gli  studj  recenti  intorno 
al  grande  economista  e  alle  riforme  attuate  nella  Lombardia  nella 
2*  metà  del  secolo  XVIII  che  il  Bouvy  raccoglie  nel  suo  libro),  il 
Verri,  al  pari  degli  amici  milanesi  filosofi,  fu  un  discepolo  in  scienze 
economiche  della  scuola  fisiocratica,  della  cjuale  uno  dei  canoni 
era  che  la  monarchia,  o  piuttosto  il  dispotismo,  dovesse  conside- 
rarsi come  sola  forma  capace  di  assicurare  la  libertà  e  la  proprietà. 
Che  tale  principio  egli  accettasse  teoricamente  dà  prova  un  articolo 
del  Caffè,  SidU  interpretazione  delle  leggi,  che  svolge  appunto  quelle 
dottrine  i);  e  che  praticamente  ad  esso  si  conformasse,  è  testi- 
mone tutta  la  vita  spesa  a  servire  la  monarchia  austriaca.  Alla 
quale  gli  uomini  amanti  delle  riforme  e  del  progresso  tanto  piìi 
dovevano  essere  devoti,  in  quanto  ad  ottenere  le  migliorie,  im- 
pedite dall'ostinazione  dei  poteri  paesani  e  dall'ignoranza  e  in- 
dolenza del  popolo,  questo  solo  mezzo  si  offriva:  concentrare  nelle 


1)  Caffè  ir,  n.  28,  pp,  209-216.  II  Verri  iu  questo  articolo,  come  nota 
il  Bouvy  (p.  216),  svolge  la  tesi,  accettata  comuuemente  dagli  economisti,  che 
debba  ammettersi  la  distinzione  posta  dal  Montesquieu  fra  giudice  e  legislatore, 
ma  rigettarsi  invece  quella,  da  lui  pure  propugnata,  fra  potere  legislativo  ed 
esecutivo. 


40  L.  Ferrari 

mani  del  signore  o  ministro  illuminato  e  dispotico  le  autorità  divise 
fra  quelle  potestà  e  le  facoltà  competenti  ai  cittadini.  Per  ciò,  quando 
il  Verri  parla  di  patriottismo  ^),  egli  non  intende  significare  con 
questo  vocabolo  se  non  una  specie  di  filantropia,  quella  per  la 
quale  si  migliorano  le  condizioni  sociali  ed  amministrative  di  un 
paese;  e  per  questo  i  Socj  del  Pugni,  i  quali  non  avrebbero  potuto 
porre  le  speranze  di  quella  restaurazione  del  popolo  italiano  che 
pure  aff^rettavano,  se  non  nello  straniero,  nulla  sentirono  e  nulla 
espressero  che  permetta  di  considerarli  anche  in  politica  come 
novatori. 

Delle  dottrine  letterarie,  morali  e  sociali,  contenute  nel  Caffè, 
parleremo  esaminandole  nel  loro  complesso  senza  distinzione  degli 
scrittori:  i  quali  ora   nominiamo  ricordandone  le  note  principali; 
se  pure  nei  minori  qualità  tali  possiamo  riscontrare  da  distinguerli 
gli  uni  dagli  altri,  e  per  tutti  non  sia  piuttosto  a  dire  la  stessa 
cosa:  "  Voltaire  est  passe  par  là  „.  In  tutti  infatti  la  lingua  è  impura, 
e  lo  stile  pieno  di  vivacità  satirica  e  infarcito  di  antitesi  ;  in  tutti 
si  scorge  la  stessa  ricerca  dell'  utile,  le  stesse  tendenze  alle  riforme, 
la  stessa  venerazione  d'ogni  cosa  oltremontana.  Pietro  Verri  è  a 
capo  del  drappello.  Egli  espone  il  programma  del  giornale,  collega, 
almeno  da  principio,  i  varj  articoli  dando  loro  unità  d'  assieme,  e 
compone  il   numero    maggiore   di    discorsi  2):  egli  è  direttore  del 
Caffè,  se  è  lecito  dare  nomi  nuovi  a   cose  antiche.  Con  uno  stile 
piano  e  chiaro,  se  non  elegante,  scorrevole  se  non  variato,  talora 
efficace  e  forte,  egli  scrive  di  tutto:  novelle  satiriche  e  studj  sul 
Commercio,  sul  Lusso,  sulle  Leggi,  note  sulla  Medicina  ed  osser- 
vazioni sulla  Musica,  critiche  letterarie  e  notizie  sulle  Stufe  e  sul 
Cacao,  saggi  d'Aritmetica  politica  e  invettive  contro  i  pedanti  e  i 
parolai.  Di  tutto  discorre  con  dottrina    varia   piìi   che    profonda, 
con  vivacità  più  che  con  grazia. 


1)  Scritti  vnrj,  ed.  cit.  Il,  367  e  372. 

2)  Del  Caffi-  citeremo  l'ed.  di  Milano  (Silvestri  1804,  voi.  2,  in  4o).  Pietro  vi 
gerisse  trentotto  articoli;  dei  quali  uno  soltanto  intitolato  Alcuni  pensieri  sul- 
l'origine degli  errori  non  fu  riprodotto,  come  gii  altri,  nel  II  voi.  degli  Scritti 
varj  (ed.  cit.).  Si  segna  colla  sigla  P. 


Del  «  Caffè  » ,  7?e?"?  orfico  milanese  del  secolo  xvm  41 

Segue  Alessandro  '),  calcando  le  orme  del  fratello:  del  quale, 
inesperto  come  è,  accetta  le  idee  esagerandole  giovanilmente. 
Tratta  di  morale  non  senza  cadere  in  paradossi  e  non  senza 
affettare  una  misantropia  irragionevole;  con  gran  dottrina  scrive 
lunghi  articoli  di  cose  giuridiche,  e  detta  i  discorsi  più  violenti 
contro  i  pedanti. 

Non  trascorsi  ancora  due  anni  Alessandro  stesso,  rinsavito  dal 
soggiorno  di  Roma,  lamentava  che  "  passioni  „  particolari  gli  aves- 
sero ispirate  le  critiche  dei  pedanti,  e  le  domestiche  angustie  "sparso 
di  fiele  lo  stile  „  ^);  e  confessava  "che  avrebbe  cancellato  volen- 
"  tieri  la  maggior  parte  di  quanto  aveva  scritto  nel  Caffè  „.  In 
seguito,  come  a  poco  a  poco  si  venne  staccando  dai  fautori  delle 
novità  francesi  e  dai  liberali  sino  a  toccar  l'estremo  opposto  colle 
Vicende  memorabili  dal  1789  al  1801,  così  egli,  fiero  denigratore  del 
Casa,  del  Castiglione  e  del  Gelli,e  autore  della  Rimmzia  alla  Crusca, 
ritornò  al  culto  dei  classici,  e  lo  predicò  agli  altri  gridando  contro 
"  quello  strano  dialetto  composto  delle  dae  lingue  sorelle,  che  non 
"  solo  si  parla,  ma  si  scrive  ,  ^).  Tuttavia,  anche  quando  pro- 
pugnerà l'ossequio  ai  classici,  Alessandro  non  saprà  vincere  i  tristi 
effetti  di  una  educazione  letteraria  affrettata  e  cattiva.  All'  ec- 
cessiva spezzatura  e  acrimonia  delle  prime  scritture  sostituirà 
una  soverchia  cura  dell'armonia  e  della  gravità,  che  torrà  vi- 
gore e  chiarezza  al  suo  stile;  e  di  cattivo  gusto  darà  nuova 
prova  col  rimaneggiamento  deW  Iliade:  sicché  rileggendo  nel  1800 
dopo  tanto  tempo  i  suoi  scritti  giovanili,  egli  vi  troverà  "  una  tal 
"  qual  freschezza  e  semplicità,  unita  a  cognizioni,  che  non  si  ricor- 
"  dava  più  fossero  allora  nel  suo  cervello  di  25  anni  „.  Facilità 


*)  Compose  trentuno  articoli;  dei  quali  undici  riprodotti  dal  Silvestri  (Di- 
scorsi varj  del  co.  A.  V.  pubblicati  nel  Gioitale  letterario  intitolato  il  Caffè. 
Milano,  1818).  La  sua  sigla  è  A. 

2)  Scr.  in,  lì,  310-11:  lettera  al  fratello  29  die.  1767. 

^)  A.  Veni  agli  Amatoìi  dell'Italiana  letteratura,  pref.  premessa  alla  tra- 
duzione dei  Detti  Memorabili  di  Socrate,  opera  di  M.  Axg.  Giacomelli.  Milano 
Bettoni  1827,  voi.  I.  p.  8. 


42  L.  Ferrari 

infatti  e  chiarezza  di  eloquio,  unite  ad  una  copia  di  notizie  che  diffi- 
cihnente  si  riscontrano  in  un  giovane,  sono  i  pregi  di  questi  discorsi. 

Gli  articoli  del  Beccaria  ^)  sono  svariati  anch'essi,  e  notevoli, 
parte  per  importanza  d'argomento  (come  quelli  Sullo  Stile  e  Sui 
fogli  periodici),  parte  per  novità  di  trattazione,  sebbene  talora  pa- 
radossale (come  quello  dei  Piaceri  dell'  imaginazione).  E  tutti  hanno 
i  caratteri  delle  cose  del  Beccaria;  un  tono  cioè  sentenzioso  e  così 
solenne  da  diventar  talora  declamatorio,  e  spesso  luoghi  difficili  ed 
oscuri  per  troppa  profondità  e  involuzione  del  pensiero;  ma  qua 
e  là  vi  sono  degli  sprazzi  di  viva  luce,  che  bastano  a  rivelare  un 
ingegno  poderoso. 

Dopo  questi,  scrivono  d'ordinario,  segnandosi  ciascuno  con  una 
sigla  tutti  i  Socj  dei  Pugni,  salvo  il  Biffi  :  cioè  l'ab.  march.  Al- 
fonso Longo  ^),  il  co.  Giuseppe  Visconti  ^),  il  co.  Pietro  Secchi  ^) 
r  ab.  Sebastiano  Franci  ^),  il  co.  Luigi  Lambertenghi  ^)  ;  sui  quali 
sono  da  fare  poche  osservazioni.  Il  Visconti  si  occupa  di  metereo- 
logia  e  di  igiene,  il  Secchi  scrive  d'agricoltura  e  insieme  di  critica 


')  Scr.  in.,  IV,  286-7. 

^)  Scrisse  due  art.  nel  l*'  voi.:  Osservazioni  sui  fidecommessi  (n.  10-11-12 
pp.  82-93)  e  Dissertazione  sujìi  orologi  (n.  32-35  pp.  251-75). 

^)  Non  co.  Francesco,  come  dice  il  Bouvy  (Op.  cit.  p.  17):  sigla  G.  Ab- 
biamo di  lui  due  art.  nel  1"  voi.:  Lettera  sul  dima  milanese  (n.  7-10, 
pp.  57-60,  59-74,  76-81)  e  Lodi  della  campagna  (u.  21,  pp  171-3),  e  un  art. 
nel  II  voi.  :  Della  maniera  di  conservare  robusta  la  sanità,  (n.  9-12,  pp.  67-91). 

^)  E  non  Sacchi,  come  dice  il  Bouvy  (p.  17):  sigla  S.  Sono  opera  sua  i  seguenti 
articoli:  Coltivazione  del  tabacco  (I,  n.  5,  pp.  11-13).  —  Aneddoto  chinese  (I,  n.  30, 
pp.  236-39)  —  Contraddi  zioni  morali  (II,  n.  6,  pp.  42-8)  —  Del  teatro  (II,  n.  20, 
pp.  155-161)  —  Causa  della  mediocrità  del  teatro  italiano  (II,  30,  pp.  228-30). 

^)  Sigla  F.,  art.  cinque:  Dell'agricoltura.  Dialogo  fra  Afranio  e  Cresippo 
(I,  n.  5-6,  pp.  44-53J  —  Alcuni  pensieri  -politici  (I,  n.  12,  jìp.  101-6)  —  Del 
lusso  delle  manifatture  d'oro  e  d'argento  (II,  n.  8,  pp.  64-67)  —  Se  il  com- 
mercio corrompa  i  costumi  (II  n.  24,  p.  183-87)  —  Della  precauzione  contro 
le  opinioni  (II,  u.  25,  pp.  192-96), 

6)  Sigla  N.  N.,  2  art.:  Sulle  Poste  (I,  n.  27,  pp.  212-220)  —  SulVorigine 
e  sul  luogo  delle  sepolture  (II,  n.  7,  pp.  54-59). 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvra  43 

e  di  morale,  il  Franci  d'agricultur.a  o  di  economia  politica,  come  il 
Lambertenglii  d'istituzioni  sociali,  non  senza  dare,  come  notava  Ales- 
sandro Verri  ^),  *  troppa  importanza  al  suo  soggetto  ed  essere  pa- 
negirista del  suo  santo  „.  Notevoli  sono  gli  articoli  di  economia, 
del  Longo  specialmente  quello  sui  Fedecommessi.  Due  scritti,  l'uno 
volto  a  combattere  il  pregiudizio  scientifico  delle  influenze  mete- 
reologiche  della  luna,  l' altro  a  ricordare  una  gloria  italiana  di- 
menticata o  calunniata,  il  Galileo,  pubblica  nel  Caffè  il  celebre  ma- 
tematico e  astronomo  barnabita,  Paolo  Frisi,  amico  di  scuola  di 
Pietro  Verri,  tornato  in  quell'anno  di  Toscana  a  Milano  ad  in- 
segnarvi matematiche  alle  scuole  palatine  ^).  Anche  Gius.  Colpani 
bresciano,  versiscioltaio  dei  più  fecondi  e  non  dei  peggiori  ^),  dà 
nel  Caffè  un  saggio  dei  suoi  Dkdojhi  dei  morti  *),  nei  quali  si  di- 


1)  So:  in.  Ili,   129. 

2)  Sigla  X,  2  art.:  Degli  influssi  lunari  (I,  n.  26,  pp.  206  10).  Saggio  sul 
Galileo  (II,  n.  3-4,  pp.  19-29).  Per  notizie  biografiche  intorno  al  Frisi  vedi  Fa- 
BRONi,  Vitae  Italorum,  voi.  I,  e  P.  Verri,  Memorie  appartenenti  agli  studi  del 
signor  P.  Frisi  (Milano,  Morelli,  1787.  Seguono  alcune  poesie  in  onore  delFr.), 
riprodotte  negli  Scritti  varj  del  Verri  (ed.  cit.  II,  303)  e  in  Raccolta  di  prose 
e  lettere  del  secolo  XVIII  {Elof/i,  voi.  I,  Milano,  Classici,  1829),  e  premesse 
alle  Operette  scelte  del  Frisi  (Milano,  Silvestri,  1825). 

^)  Sigla  G.  C.  Dialogin  dei  morti  (I,  n.  20  pp.  158-66).  Continuatore  del- 
l'Algarotti  nelle  Epistole  filosofiche  (il  Commercio,  il  Gusto,  l'Emilia  o  l'Edu- 
cazione delle  donne  ec^)  e  nei  poemetti  ga'auti  (la  Toletta,  l'Amore),  il  Colpani 
fu  poeta  dei  più  noti  nella  seconda  metà  del  sec  XVIII.  I  suoi  versi  sciolti 
(ScioHi  del  cav.  6.  Colpani,  di  Brescia.  Lucca,  Bonsignori  1780.  L' intestazione 
«  quae  legat  ipsa  Lycoris  »  è  presa  a  prestito  dal  Newtonianismo  dell'Algarotti) 
non  sono  privi  di  pregio,  specialmente  per  gli  esenipj  che  ci  offrono  di  poesia 
descrittiva  {L'Appennino,  i  Bagni  di  Lucca).  Ricordiamo  anche  una  sua  Epi- 
stola al  sig.  di  Voltaire  (p.  231  e  segg.),  imitata,  nell'ordine,  da  quella  dell'Al- 
garotti al  sig  di  Ferney.  Il  C.  vi  cauta  una  visita  fatta  al  Voltaire,  e  «  ancor 
pien  del  suo  nome  »  lo  torna  «  ne'  Toschi  versi  a  salutar  da  lunge  ».  Vedi  sul 
Colpani  il  Carducci,  Storia  del  Glorilo  cit.  pp.  202-3,  e  Gnoli,  Questioni  Pa- 
riniane  io"  N.  Anf.  s.  2^,  voi.  17,  1879  pp.  415-421. 

"•)  Lucca  1765  La  citazione  è  tratta  dalle  Novelle  letterarie  fiorentine, 
t.  XXVIII,  col.  444. 


44  L.  Ferrari 

battono  le  idee  dei  novatori:  assai  ben  fatti  quanto  al  concetto, 
poiché  tra  i  personaggi  e'  è  vero  contrasto,  ma  poveri  e  sco- 
loriti, se  si  confrontino  con  quelli  classici  del  Gozzi.  Il  p.  Ruggero 
Boscovich,  professore  allora  all'Università  di  Pavia,  dà  nel  Caffè 
il  benvenuto  al  Lalande,  che  veniva  allora  in  Italia  ^J,  con  un 
estratto  delle  opere  di  quest'astronomo  2),  che  egli  aveva  conosciuto 
in  un  viaggio  compiuto  per  la  Francia  e  l' Inghilterra  nel  1760  ^): 
e  infine  il  co.  Gian  Rinaldo  Carli  è  autore,  come  abbiamo  veduto, 
dell'articolo  Sulla  Patria  degli  Italiani^). 


III. 
Dottrine  e  polemiche  letterarie. 

Trenta  articoli  circa,  opera  in  massima  parte  di  Pietro  e  Ales- 
sandro Verri  e  del  Beccaria  (neppure  un  terzo  dei  due  volumi), 
formano  la  parte  letteraria  del  giornale:  i  piìi  di  critica  e  di  pole- 
mica, alcuni  di   "  varia  letteratura  „. 

Di  questi,  che,  per  la  natura  loro  espositiva,  non  hanno,  per  lo 
più,  uè  molta  novità  né  grandi  pregj,  poco  diremo.  Ricordiamo  il 
Saggio  sul  Galileo  del  Frisi,  breve,  ma  sicura  esposizione  della  vita 
e  deir  opera  del  grande  scienziato  ;  il  discorso  del  Beccaria  Sui 
fogli  periodici,  già  citato;  un  articolo  di  P.  Verri,  //  Tu^  Voi  e  Lei  ''), 


^)  Il  Lalande  dette  poi  per  il  primo  nel  suo  Voyage.  d'un  fran^ois  en  Italie 
fait  dans  les  années  1765  et  1766  (2.«  ediz.  Yverdon,  1769)  l'eleaco  degli  scrit- 
tori, del  Caffè,  e  delle  sigle  da  essi  usate. 

2)  L'estratto  è  senza  sigla,  ma  al  Boscovich  l'attribuisce  il  Bianchi,  Elogio 
cit.,  p.  157.  Caffè,  I,  n.  3,  pp.  45-8. 

3)  Ugoni,  op.,  cit.  ed.  1820, 1,  32.  Vedi  sul  B.  oltre  quest'articolo  dell'Ugoni, 
YElogio  scrittone  dal  Fabroni  e  pubblicato  nelle  Memorie  della  Società  Ita- 
liana, Verona,  1788. 

*)  Caffè,  II,  n.  2,  pp.  12-17. 
5)  II.  n.  2,  pp.  17-19. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xrni  45 

che  ricorda  in  molti  luoghi  quel  brano  del  Baretti  ^),  che  da  tanti 
anni,  collo  stesso  titolo,  fa  il  giro  delle  antologie,  e  fu  dapprima  da 
lui  premesso  alla  scelta  di  Lettere  familiari  fatte  per  uso  degli  stu- 
diosi inglesi  di  lingua  italiana  ^).  L'articolo  del  Verri  non  si  discosta 
dall'intento  grammaticale  di  cotesta  prefazione,  se  non  in  quanto, 
imitando  il  Voltaire  nel  suo  pamphelet  Dei  titoli,  tocca  leggermente 
le  leggi  e  il  costume  ^).  Qualche  importanza  hanno  anche  tre  scritti 
riferentisi  al  Teatro:  uno  di  P.  Verri,  che,  seguendo  il  Riccoboni, 
studia  r  origine  delle  Maschere  della  Commedia  italiana  '^),  e  due  di 
P.  Secchi.  Nel  primo,  intitolato  Del  Teatro  ^),  il  Secchi,  spiegate  le 
ragioni  del  nuovo  genere  drammatico,  già  discusso  in  Francia  dal 
Lachaussée  e  dal  Diderot,  fra  i  primi  in  Italia  si  fa  sostenitore  della 
tragedia  borghese  *');  nel  secondo,  esaminando  Alcune  cagioni  della 
mediocrità  del  nostro  Teatro  "'),  il  Secchi  stesso  ci  dà  notevole  testi- 
monianza degli  ostacoli,  che  attraversarono  la  via  al  Goldoni,  e 


1)  Dell'Ella,  del  Voi  e  del  Tu.  in  Baretti  So:  in.,  I,  291-7. 

2)  Londra,  Nourse,  1779. 

^)  Simile  è  ad  es.  il  principio  dell'articolo  e  del  pamphelet.  Il  VoUaire 
così  incomincia  il  suo  scritto  (  Opere  scelte  per  la  prima  volta  dalla  lingua 
francese  nelV italiana  trasportate,  Londra,  Milocco,  1760  1. 1,  p.  39):  «  Kileggendo 
«  Orazio,  notai  quel  verso  in  un'epistola  a  Mecenate;  Te,  du'cis  amice,  revisam. 
«  Questo  Mecenate  era  la  seconda  persona  dell'  Impero  Romano,  cioè  a  dire 
«  un  uomo  più  potente  del  più  grande  monarca  che  sia  in  Europa  ».  E  il  Verri 
(p.  17):  «  Gli  antichi  Italiani  ne'  tempi,  ne'  quali  da  Roma  si  spediva  i  decreti 
«all'Inghilterra  e  alla  Siria,  parlandosi  l'un  l'altro,  usavano  la  seconda  per- 
«  sona  singolare,  e  così  scrivendo  Orazio  ad  Augusto  diceva  : 

Godi  piuttosto  un  nobile  trionfo 
Ed  udirti  acclamar  principe  e  padre 
Né  inulto  cavalcar  reggasi  il  Parto 
Te  duce  Augusto. 

*)  I,  n.  55,  pp.  275-7. 
^)  li,  n.  20,  pp.  155-61. 

°)  Solo  dieci  anni  più  tardi  la  Camincr  pubblicava  la  sua  raccolta  di  Pièces 
larmoyahles  tradotte  {Composizioni  teatrali,  Venezia,  1772-74-76  t.  20). 
')  II,  n.  30,  pp.  228-30. 


4G  L.  Ferrari 

ci  attesta  quali  fossero  le  condizioni  del  nostro  teatro,  dopoché  fu 
abbandonato  dal  suo  riformatore  ^). 

Anche  l'articolo  del  Beccaria,  Sullo  stile  2),  va  compreso  fra  quelli 
di  varia  letteratura,  ed  ha  uno  speciale  valore  per  ciò,  che,  quan- 
tunque non  sia  se  non  un  frammento,  racchiude  già  tutte  le  dot- 
trine che  saranno  svolte  nell'opera  Dello  stile  ^).  E  noto  come  in 
questo  lavoro,  che  negli  scritti  del  Beccaria  formerà,  insieme  col- 
r  opera  Dei  Delitti  e  delle  pene  e  colle  Lezioni  di  Economia  poli- 
tica, come  un'  armonica  triade  rappresentante  le  scienze  dell'onesto, 
dell'utile  e  del  bello,  il  Beccaria  tentò  per  lo  stile  ciò  che,  seguendo 
gli  esempi  del  Locke,  del  Condillac  e  del  Dumarsais,  il  Cesarotti 
compì  poi  per  la  lingua;  sottoporne  cioè  l'analisi  e  lo  studio  a  leggi 
filosofiche.  Fondando  la  scienza  dello  stile  sulla  psicologia  e  muo- 
vendo dalle  teoriche  del  Condillac,  il  Beccaria  svolse  queste  dot- 
trine: "Ogni  differenza  di  stile  consiste  o  nella  diversità  delle 
*  idee  0  nella  diversa  e  meccanica  successione  dei  suoni  rappresen- 


^)  Partito  il  Goldoni,  scrive  il  Secchi,  senza  aver  condotta  la  riforma  fin 
dove  il  «  suo  genio  regolare  e  fecondo  l'avrebbe  estesa  in  tempi  migliori  ■», 
da  una  parte  il  cattivo  gusto  del  popolo  costringe  i  comici  a  ritornare  alla 
commedia  dell'arte,  dall'altra  l'introduzione  della  commedia  francese  «rompe 
«il  corso  del  teatro  nazionale  e  ne  ritarda  l'avanzamento».  Il  teatro  è  di- 
ventato un  «  luogo  di  ridotto,  di  conversazione,  di  gioco,  di  visite»;  le  per- 
sone di  una  certa  istruzione  si  mostrano  indifferenti,  il  popolo,  lasciato  giudice, 
applaude  piuttosto  alla  commedia  dell'arte;  e  i  comici  pel  proprio  vantaggio 
e  comodo  lo  accontentano.  Quindi  di  nuovo  «  il  punto  principale  di  una  com- 
«  pagnia  è  quello  di  scegliere  un  buon  Arlecchino,  un  buon  Brighella,  un  buon 
«  Dottore,  poco  importando  che  i  soggetti  sieno  capaci  a  coprire  i  personaggi 
«di  carattere,  che  seco  porta  laverà  commedia».  In  tale  stato  di  cose,  per- 
chè vengano  affatto  proscritte  le  maschere,  un  uuico  mezzo  si  offre  :  ed  è  che 
i  principi,  anziché  chiamare,  come  fauno,  compagnie  francesi  (e  qui  senza  dub- 
bio si  allude  alla  corte  parmense,  che  scritturò  pivi  volte  compagnie  drammatiche 
francesi;  v.  Dejob,  Études  sur  la  Tragèdie,  Parigi,  Colin,  p.  181),  si  impegnino 
a  sostenere  il  nostro  teatro. 

«)  Caffè,  I,  n.  25,  pp.  197-201. 

3)  Ricerche  intorno  alla  natura  dello  Stile,  Milano,  Galeazzi,  1770. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  47 

"  tatori  , .  Le  idee,  alle  quali  è  da  concedersi  la  preferenza,  sono 
principali  o  accessorie.  Ora  "  la  diversità  dello  stile  non  può  con- 
"  sistere  nella  diversità  delle  idee  principali,  ma  delle  accessorie, 
"  se  per  diversità  di  stile  intendasi  l'arte  di  esprimere  in  diversa 
"  maniera  la  stessa  cosa„.  Quindi  lo  stile  consiste  "nelle  idee  o 
"  sentimenti  accessorii  che  si  aggiungono  ai  principali  in  ogni  di- 
"  scorso  „  ;  o  meglio,  poiché  "  tutte  le  nostre  idee  e  sentimenti  „  , 
egli  dice  "  in  ultima  analisi  si  possono  considerare  come  derivanti 
"  dalle  sensazioni,.,  lo  stile  consiste  nelle  sensazioni  accessorie  che 
"  si  aggiungono  alle  principali  „.  Studiare  lo  stile  è  dunque  studiare 
quali  sensazioni  o  idee  accessorie,  fisiche  o  morali,  debbano  aggiun- 
gersi alla  sensazione  principale,  in  che  ordine  possano  meglio  esser 
disposte,  quando  debbano  essere  espresse,  e  quando  semplicemente 
suggerite  o  poste  in  contrasto.  Di  qui  i  primi  cinque  capitoli  del- 
l' opera  :  Delle  Idee  espresse  e  delle  idee  semplicemente  suggerite, 
Delle  idee  di  cose  psiche  e  delle  idee  morali^  Dei  contrasti  e  Di 
un  altro  genere  di  contrasti;  ai  quali  tengono  dietro  quelli  Degli 
aggiunti,  Delle  figure,  Delle  dicerse  specie  di  Stili,  Dei  difetti  dello 
Stile  e  così  via,  che  non  starò  a  dire  come  si  facciano  dipendere 
dalle  esposte  dottrine.  Questa  è  la  prima  parte  del  libro  :  e  di  essa 
le  linee  principali,  l' esposizione  del  principio  generale,  era  già 
quasi  per  intero  contenuta  nell'  articolo  del  Caffé. 

Dal  quale  pure  già  si  scorgono  i  difetti,  che  furono  poi  rim- 
proverati, e  non  ingiustamente,  all'intero  libro:  di  trattar  dello  stile 
con  pessimo  stile;  d' esser  scarso  di  esenipj  ed  oscuro  talora  a  tal 
segno,  da  confessare  l'ab.  Moreilet  d'aver  tradotto  non  inten- 
dendo ^),  di  sviluppare  dottrine  aprioristiche  in  modo  incompiuto 
e  troppo  rigido,  così  da  riuscire  a  conseguenze  speciose  ed  errate  ^). 
Il  merito  dell'opera  consiste  nel  concetto  che  l'anima  3);  quel  con- 
cetto, che  trasformò  la  critica  da  un  complesso  disordinato  di  regole 

*)  Vedi  le  critiche,  che  muove  al  libro  del  Beccaria  il  Bonghi  {Perchè  la 
letteratura  it.  non  sia  popolare  in  Italia.  Lettere  critiche  a  Celestino  Bian- 
chi, Milano,  T.  Colombo,  1856,  p.  54). 

-)  Avviso  premesso  alla  trad.  frane,  Parigi,  Molini,  1771. 

3)  Vedi  YiLLARi, Discorso  premesso  alle  Opere  del  Beccaria,  ed.  cit.,  p.  XXIX. 


48  L.  Ferrari 

empiriche  ed  artificiali  e  di  osservazioni  comuni  o  cervellotiche,  in 
una  vera  scienza,  connessa  e  soggetta  alla  scienza  dello  spirito 
umano,  e  regolata  da  principj  razionali  e  da  norme  costanti.  Que- 
sto concetto  noi  lo  vediamo  formato  nella  mente  del  Beccaria  sin 
dal  1765,  in  mezzo  ai  giovani  Socj  del  Pugni;  mentre  dal  più  il- 
lustre dei  Trasformati,  si  detteranno  dalla  cattedra  ai  giovani, 
ansiosi  di  apprendere  le  ragioni  dell'arte,  regole  di  pura  pratica; 
e  si  ripeterà,  pur  partendo  dalle  teorie  psicologiche  del  Condillac, 
che  il  bello  è  l'unità  nella  varietà,  e  a  conseguirlo  bastano  pro- 
porzione, ordine,  chiarezza,  facilità,  convenevolezza.  Tanto  è  vero, 
che  neppure  dagli  stessi,  che  sono  signori  dell'arte,  si  riesce  a 
sottoporla  ad  esame;  e,  spesso,  meno  da  essi  che  da  altri  è  dato 
apprenderne  il  magistero. 

Ma,  più  che  gli  articoli  di  varia  letteratura,  importano  a  noi 
ed  hanno  valore  i  discorsi,  nei  quali  si  svolgono  dottrine  critiche 
originali  :  dottrine  incomposte  e  legate  ad  un  particolar  momento 
del  passato,  ma  appunto  perciò  non  trascui  abili  nella  storia  della 
critica  italiana. 

Varcata  la  metà  del  secolo  XVIII,  quando  l' ingegno  italiano, 
riscossosi  dal  lungo  torpore,  combatte  per  sottrarsi  alle  istituzioni 
politiche  spagnuole,  all'educazione  gesuitica,  airx4rcadia  e  all'Ac- 
cademia, e  da  ogni  parte  scoppiano  segni  di  vita  nuova,  anche  la 
critica,  che  nel  primo  cinquantennio  del  secolo  era  stata  o  pedante- 
sca e  retorica  col  Crescimbeni  e  col  Quadrio,  o  accademica  ed  eru- 
dita col  Muratori  e  col  Maffei,  o  filosofica  e  metafisica  col  Gra- 
vina e  col  Conti,  si  trasforma,  ed  assume  uno  spirito  nuovo.  Sorta 
e  diffusasi,  colla  coscienza  dell'inferiorità  della  nostra  coltura,  la 
speranza  di  un  rinnovamento,  essa  deve,  in  servigio  di  questa  re- 
staurazione lontana  ed  incerta,  additare  i  difetti  della  letteratura 
presente,  indicare  le  cause  di  decadimento,  le  lacune  da  riempire, 
gli  abusi  da  togliere,  i  pregiudizj  da  vincere.  E  poiché  questi,  cre- 
sciuti e  prosperati  da  più  che  due  secoli,  nel  campo  della  nostra 
vecchia  letteratura  hanno  tutto  invaso  e  corrotto,  la  critica  è  lo 
strumento,  col  quale  si  dibosca  e  ripulisce  il  terreno,  e  si  prepara 
a  renderlo  fruttifero  nell'  avvenire. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvni  49 

Danno  le  mosse  quelli,  che  non  ingiustamente  sono  designati  nella 
storia  letteraria  col  nome  poco  onorevole  di  Italo-galli  ^);  ma  nei 
quali  a  torto  si  disconoscei'ebbe,  come  fu  disconosciuto  per  lungo 
tempo,  un  senso  acuto  della  modernità,  una  percezione  chiara 
delle  mancanze  e  dei  bisogni  della  letteratura  nostra  e  un  amore 
attivo  e  vivace  pel  suo  avanzamento.  Primo  a  tracciare  a  questi 
la  via  fu  PAlofarotti,  che  alcuno  continua  tuttora  a  chiamare  con 
disprezzo  un  "  irrequieto  commesso  viaggiatore  di  letteratura  e  di 
"  gusto  straniero  in  Italia  ^)  „,  e  che  invece,  non  solo  serbò  un  pro- 
fondo rispetto  per  le  tradizioni  nazionali,  rintuzzando  piìi  volte  la 
superbia  francese  ^),  ma  nutrì  sensi  così  sinceramente  italiani  da 
indicare  come  causa  del  basso  stato  d'Italia  la  piccolezza  e  la  divi- 
sione degli  stati,  e,  gridando  necessaria  alla  gloria  delle  lettere 
quella  delle  armi  '^),  augurare  unite  le  "  disperse  membra  ^)  „  della 


*)  Gioberti,  Pensieri  e  giudizi  stilla  letteratura  italiana  e  straniera,  rac- 
colti da  Filippo  Ugolini,  Firenze,  Barbèra,  1867,  p.  93. 

2)  V.  Gian,  Italia  e  Spagna  nel  sec.  XVIII.  G.  B.  Conti  e  alcune  rela- 
zioni letterarie  fra  l'Italia  e  la  Spagna  nella  2^  metà  del  700.  Studi  e  ri- 
cerche, Torino,  Loescher,  1896,  p.  21  e  pp.  104-5. 

')  L'Algarotti  fu  sempre  pronto  ad  alzare  la  voce,  quando  fosse  necessario 
confutare  qualche  opinione  iudecorosa  all'Italia.  Come  nelle  Lettere  militari 
rivendicò  il  Machiavelli  dalle  accuse  del  francese  Folard,  e  nel  Saggio  sopra 
Cartesio  difese  il  Galilei  contro  i  partigiani  del  filosofo  francese,  provandone 
l'importanza  delle  scoperte  e  delle  dottrine;  così  agli  oltramontani,  che  ne- 
gavano reverenza  alle  glorie  italiane,  rispose  col  Saggio  sopra  l'Accademia 
di  Francia  che  è  in  Roma,  e  con  due  lettere  notevoli,  e  per  dottrina  e  per 
concetto,  l'una  Sopra  i  plagi  dei  Francesi  e  l'altra  Sopra  le  cose  che  i  Fran- 
cesi hanno  imparato  dagli  Italiani,  indirizzate  al  Frugoni,  che  viveva  a  corte 
di  Francesi  {Opere,  ed.  Palese,  voi.  IX  [Lettere  Varie],  lettere  15  ottobre  1752, 
pp.  226-32,  e  17  nov.  1752,  pp.  242-52). 

*)  Sopra  la  ricchezza  della  lingua  italiana  in  termini  militari,  in  Discorsi 
militari,  V.  194  (ed.  cit.).  Anche  in  una  lettera  al  De  Bernis  l'Algarotti  scri- 
veva (lett.  24  aprile  1755,  XVI,  346):  «  Le  plus  grand  mal  pour  la  pauvre 
«  Italie,  comrae  nous  l'avons  dit  souvent  ensemble,  c'est  qu'elle  est  partagée 
«  et  esclave.  La  gioire  des  lettrcs  est  ordinairement  jointe  à  celle  des  armos;  et 
«  rarement  l'on  estime  la  piume  d'une  nation,  dont  on  ne  craint  point  l'épée». 

^)  Lo  Sciolto  al  Voltaire  {Opere,  ed.  cit.,  I,  40-44),  nel  quale  si  lamenta  poe- 

R.  Se.  Norm.  a. 


50  L.  Ferrari 

patria.  In  certe  sue  Lettere  rarie,  composte  dal  1740  al  '50  e  nei 
Pensieri,  cavati  per  la  maggior  parte  da  queste,  egli  esprimeva 
intorno  allo  stato  attuale  delle  lettere  in  Italia  giudizj  notevoli, 
dei  eguali  molte  opinioni  del  Baretti  non  sembrano  essere  che  ri- 
petizioni. Egli  vi  toccava  dei  problemi  maggiori,  che  afiPaticheranno 
in  seguito  la  nostra  critica:  la  mancanza  di  una  prosa  viva  ^)  e 
di  libri  utili  all'universale  ^),  V  insufficienza  della  riforma  operata 
dall'Arcadia,  che  ha  mutato  i  poeti  da  idropici  in  tisici  ^),  la  con- 
tinuazione di  certe  forme  e  maniere  non  rispondenti  ai  bisogni 
dell'arte  moderna,  quale  il  Petrarchismo^),  e  i  dannosi  effetti  degli 
esercizj  accademici  e  dell'imitazione  dei  cinquecentisti  °).  Queste 
considerazioni  dell'acuto  critico  veneziano  ricomparivano,  esage- 
rate, nelle  Lettere  Virgiliane  del  Bettinelli.  Il  quale  sotto  nome  di 


ticamente  la  miseria  dell'  Italia  di  allora,  «  neghittosa,  serva  e  divisa  »,  si 
chiude  cou  questo  augurio: 

Ohi  sieno  ancora,  Italia  mia,  le  belle 

E  disperse  tue  membra  in  uno  accolte, 

Ne  l'itala  virtù  sia  cosa  antica 

Ma  il  quando,  ch'il  vedrà?  Forse  il  vedranno 

Anche  un  giorno  i  nepoti. 

Il  concetto  dell'  unità,  come  si  vede,  appare  distinto  dinnanzi  alla  mente  del- 
l'Algarotti,  assiduo  lettore  del  Machiavelli  e  amico  di  più  figli  della  libera 
Albione;  come  manifesta  gli  sembra  la  difficoltà  dell'impresa.  Tuttavia,  teme 
ma  non  dispera  ;  e  quel  timore  stesso  è  prova  di  sincerità  e  di  fiducia  se- 
rena. Come  si  vede,  non  soltanto  dal  ricorso  delle  tradizioni  antiche  doveva 
nascere  ed  essere  favorito  il  sentimento  della  nazionalità,  ma  ancora  dal 
contatto  cogli  stranieri,  per  quanto  nocivo  alla  purezza  della  lingua  e  dello 
stilo. 

^)  Vedi  la  Dedica  al  Fontanelle  della  prima  edizione  dei  Dialoghi  sopra 
V  Ottica  Newtoniana,  in  Lettere  Varie,  Vili,  10-20. 

2)  Pensieri,  VII,  35  e  178. 

3)  Lettera  a  Giuseppe  Tartini,  22  feb.  1754  (IX,  269). 
*)  Pensieri,  VIII,  269. 

s)  Lettera  al  sig.  barone  N.  N.  10  maggio  1752  (IX,  212),  e  lettera  sulle 
Api  del  Rucellai  ad  Eustachio  Zanetti  (IX,  121-25). 


Del  «  Caffè  •!> ,  periodico  milanc-se  del  secolo  xvin  51 

combattere  "  il  genio  dell' imitazione  „  ,  peste  delle  nostre  lettere, 
segnava  la  condanna  della  parte  maggiore  della  letteratura  italiana 
antica,  da  Dante  ai  petrarchisti  cinquecentistici,  dai  berneschi  al 
Cliiabrera;  mentre  un  ingegno  non  meno  subitaneo  e  appassionato, 
ma  assai  piìi  colto,  il  Baretti,  istruito  dei  nostri  difetti  dalla  co- 
noscenza delle  letterature  straniere,  assaliva  impetuosamente  tutta 
la  letteratura  italiana  contemporanea,  ponendone  a  nudo  la  vanità 
e  le  frivolezze.  All'Algarotti  poi  e  al  Bettinelli  tennero  dietro, 
col  Rezzonico  e  col  Cesarotti ,  numerosi  seguaci,  combattendo 
perchè  all'esempio  degli  antichi,  legge  inviolabile  in  materia  di 
critica  è  di  gusto,  si  sostituissero  principj  scientifici  fondati  sulla 
conoscenza  dello  spirito  umano,  e  impugnando  ogni  sorta  di  auto- 
rità, non  senza  trascendere  nella  reazione,  non  senza  confondere 
il  sano  col  guasto  e  trascorrere  in  opinioni  avventate  o  erronee. 
Di  questa  schiera  sono  i  SocJ  dei  Pugni.  Anch'essi,  scrivendo 
il  Caffè,  fanno  opera  di  combattimento,  e  si  propongono  di  sba- 
razzare il  campo  e  da  pastori  arcadi  e  da  cicalatori  accademici 
e  da  imitatori  cinquecentisti  e  da  grammatici  cruscanti  e  da  re- 
torici parolai.  Profondo  è  il  senso,  che  in  loro  si  riscontra,  della 
nostra  decadenza,  e  sommo  il  disprezzo  per  la  gloriosa  lettera- 
tura italiana  antica;  intorno  alla  quale  fanno  proprj  i  giudizj  del- 
l' autore  delle  Lettere  di  Virgilio.  "  Un  Addison,  un  Swift,  un  Hume, 
"  un  Montesquieu  non  possono  paragonarsi  „ ,  essi  dicono  ^),  "  senza 
"  un  grande  spirito  di  partito  ai  Boccacci^  ai  Firenzuola,  ai  Casa, 
"  ai  Bembi,  ai  Castiglioni,  ai  Giambullari,  ai  Borghini,  ai  Gelli, 
"  oscurissimi  scrittori,  dei  quali  l'Europa  colta  non  legge  nep- 
"  pur  uno  solo  , .  Nella  repubblica  letteraria,  pensano,  deve  re- 
gnare la  più  ampia  libertà  di  giudizio  e  di  azione.  "  La  troppa  dol- 
"  cezza  del  carattere  di  noi  Italiani  ci  ha  fatti  con  somma  facilità 
"  piegare  l'un  dopo  l'altro  al  giudizio  di  alcuni  pochi,  i  quali  ci 
"  hanno  voluto  porre  in  ceppi,  dirò  così,  l'anima,  e  ce  ne  hanno 


*)  Vedi  Tart.  Dei  Difetti  della  letteratura,  e  di  alcune  loro  cagioni  {Caffè, 
11,98),  e  l'art.  Sullo  spirito  della  letteratxira  {Caffè,  I,  157). 


52  L.  Ferrari 

"  pedanteggiate  le  facoltà.  Tempo  è  ormai  che  in  una  materia 
"  libera,  quaP  è  quella  delle  Lettere,  sia  dato  ad  ognuno  il  sentire 
•^  con  proprio  sentimento,  e  il  rendere  le  proprie  idee  quali  si  rice- 
"  vono  dai  sensi  ;  et  aperto  vivere  voto  ^)  „ .  Non  è  autorità,  che  gli 
scrittori  del  Caffè  non  disconoscano;  sia  grammaticale  sia  retorica, 
d'Arcadia  o  di  Crusca.  Gridino  pure  i  cruscanti;  ma  essi  intanto 
rinunziano  alla  "  pretesa  purezza  della  lingua  italiana  „  ^),  e  pro- 
pugnano questi  principj,  "  che  la  ragione  suggerisce  a  chiunque  la 
"  consulti  „;  che,  cioè,  *  ogni  parola  che  sia  intesa  da  tutti  gli  abi- 
"  tanti  d'Italia  è  una  parola  italiana  „,  e  che,  "  qualora  uno  scrit- 
"  tore  dica  cose  ragionevoli,  interessanti,  e  le  dica  in  una  lingua 
"  che  sia  intesa  da  tutti  gì'  Italiani,  e  le  scriva  con  tal  arte  d'esser 
"  letto  senza  noia,  quell'autore  deve  dirsi  un  buono  scrittore  ita- 
"  liano  ^)  „  .  "Se  italianizzando  le  parole  francesi  „,  jiichiara  Ales- 
sandro Verri  ^) ,  "  tedesche,  inglesi,  turche,  greche,  arabe,  schia- 
"  vone  noi  potremmo  (sic)  rendere  meglio  le  nostre  idee,  noi  non 
"  ci  asterremo  di  farlo  per  timore  o  del  Casa  o  del  Crescimbeni 
"  o  del  Villani  „ .  Regole  e  precetti  sono,  a  giudizio  dei  SocJ  del 
Pugni,  del  tutto  inutili  e  dannose  ^) .  Tutte  le  retoriche,  "  tutti 
"  quei  libri,  che  imitarono  le  Istituzioni  di  Quintiliano,  e  le  imi- 


i)  I,  206. 

2)  Vedi  la  Rinunzia  avanti  Noàaro  al  Vocabolario  della  Crusca  (Caffè,  I, 
n.  4,  pp.  31-7).  Non  contenti  di  questo  scritto  i  Socj  dei  Pxigni  tornarono  sul- 
l'ara^omento  con  una  Lettera  agli  amici  in  risposta  alla  rinunzia  (Caffè,  I, 
n.  9,  pp.  175-6),  nella  quale  il  Beccaria  motteggiava  con  fine  ironia  gli  av- 
versar], e  con  un  Promemoria  che  serve  a  maggior  spiegazione  alla  rinuncia 
al  Vocabolario  della  Crusca  (Caffè,  I,  n.  13,  pp.  173-4),  in  cui  Alessandro  ri- 
peteva il  già  detto,  a  dispetto  dei  pedanti. 

3)  Su  i  Parolai,  II,  51. 
*)  I,  36. 

^)  Il  V  articolo  del  Saqgio  di  Legislazione  sul  Pedantismo  {Caffè,  II,  96) 
suona  così:  «  Dovrassi  dalla  studiosa  gioventù  prima  d'ogni  cosa  dar  buon 
«  ordine  alle  proprie  idee,  avvezzarsi  a  far  uso  della  ragione,  ed  a  sentire 
«  la  verità  a  preferenza  della  autorità  d'  opinione,  e  poi  sarà  loro  concesso 
«  di  seriamente  occuparsi,  se  il  vogliono,   della  ortografia,  e  della  lingua  » . 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  53 

"  tarono  male,  sono  da  riporsi  fra  gl'inutili.  ,,;  perchè  le  passioni 
"  non  s'ispirano,  non  si  raffinano  colla  S'niecdoche,  colla  Amplia- 
'  zione,  colla  Enumerazione  delle  parti,  o  con  simili  inezie,  e  non 
"  è  un  affare  d'industria,  non  di  meccaniche  dottrine  il  senso 
"  squisito  del  cuoi-e,  il  linguaggio  delle  passioni,  la  robusta,  la 
"  libera  immaginazione  ^)  „  .  Affermazioni  ardite  di  ribellione,  che 
vorremmo  vedere  accompagnate  da  una  serie  ordinata  di  dottrine 
innovatrici,  e  non  sono  seguite,  al  contrario,  che  da  violente  in- 
vettive contro  i  letterati  devoti  all'autorità  e  alla  tradizione;  nel 
che  consistono  tutti  i  principj  critici  espressi  nel  Caffè  dai  suoi 
scrittori. 

Dei  non  molti  articoli  di  critica  letteraria  una  buona  parte 
sono  rivolti  contro  i  pedanti;  come  il  Saggio  di  Legislazioìie  sul 
Pedantisnìo  ^),  il  Dialogo  fra  un  i^edante  e  un  Ottentoto  ^),  e  i  Voti 
sinceri  agli  onesti  letterati  *)  di  Alessandro  Verri,  V Avviso  ai  gio- 
vani d' ingegno  che  temono  i  pedanti  ^)  e  il  discorso  Su  i  Parolai 
di  Pietro  ^) .  Nei  pedanti  i  Socj  dei  Pugni  combattono  insieme,  e 
il  pedagogo  ottuso  di  mente  e  inumano,  armato  del  tradizionale 
staffile  ■'),  e  l'educatore  del  secolo  XVIII,  personificato  nel  gesuita, 
che,  sol  curante  della  lettera  e  delle  formule,  cerca  rinfarcire  di 
precetti  la  memoria  giovanile,  lasciando  vuoto  l'intelletto  e  la  co- 
scienza ^),  e  il  retore,  che  "  insegna  a  sostenere  a  spese  della  lo- 


')  Caffè,  II,  112. 

2)  Caffè,  n.  12,  pp.  95-99. 

3)  Caffè,  II,  n.  5,  pp.  35-40. 
<)  Caffè,  II,  n.  15,  pp.  115-8. 
5)  Cafè,  I,  n.  35,  pp.  278-80. 
«)  Cafè,  II,  n.  6,  pp.  48-51. 

■')  A.  Verri  punge  in  uno  dei  migliori  suoi  articoli  (il  Dialogo  fra  un 
pedante  e  un  Ottentoto  citato),  sparso  di  fine  ironia,  1'  uso  inumano  di  per- 
cuotere gli  alunni. 

^)  «  La  sapienza  »,  dispone  giudiziosamente  lo  stesso  Alessandro  nel  Codice 
del  pedantisnìo  (Caffè,  I,  97),  «  non  consisterà  più  nella  sola  memoria;  né 
«  più  dirassi  scire  est  reminisci,  ma  bensì  scire  est  ratiocinari:  dovrassi  dalla 


54  L.  Ferrari 

"  gica  qualunque  tesi  „  *) ,  e  il  tenace  adoratore  dalla  parola,  "  clie 
"  fissa  tutti  i  suoi  sguardi  sul  conio  della  moneta  senza  mai  valu- 
"  tare  la  borita  intrinseca  del  metallo  „  2) ,  e  l' imitatore  degli 
antichi,,  che  "  non  s' induce  mai  a  giudicar  buona  o  cattiva 
"  una  cosa  qualunque,  percbè  provi  un'  emozione  aggradevole, 
"  0  disgustosa;  ma  chiama  buono  quel  che  somiglia  a  un  tal 
"  modello,  che  si  è  prefisso  per  il  modello  del  buono,  chiama 
"  cattivo  tutto  ciò  che  da  questo  si  allontana  „  ^) .  "  Non  badate  a 
"  que'  sgherri  „,  grida  P,  Verri  ai  giovani  di  talento  "^),  "  non  ba- 
"  date  a  quegli  assassini  della  Letteratura,  eh'  io  chiamo  Pedanti, 
"  seguite  franchi  il  buon  genio  che  vi  guida,  e  sia  questo  costan- 
"  temente  l' intimo  sentimento.  Essi  co'  loro  rigidi  precetti  im- 
"  piccoliscono  ed  estinguono  il  genio  de'  giovani  nell'età  appunto 
"  più  atta  a  svilupparsi;  essi  colle  eterne  loro  dicerie  intimori- 
"  scono  talmente  i  loro  disgraziati  alunni,  che  in  vece  di  solle- 
"  varsi  con  un  felice  ardimento  a  quell'  altezza,  a  cui  giunger 
"  possono  le  loro  forze,  con  mano  tremante  servilmente  si  piegano 
"  alla  scrupolosa  imitazione  di  chi  fa  testo  di  lingua.  Non  arros- 
"  site  di  far  degli  errori;  le  più  belle  cose  degli  uomini  ne  hanno; 
"  le  sole  mediocri  possono  non  averne,  perchè  le  mediocri  sole 
"  son  fatte  a  sangue  freddo;  lasciate  ai  meccanici  temer  gli  er- 

*  rori,  voi  temete  i  precetti  de'  pedanti,  e  contenti  di  quella  ve- 
"  nustà  che  danno  sempre  le  buone  idee  allo  stile,  scrivete,  e  at- 
"  traverso  del  gracchiare  di  que'  Pedanti,  che  cercarono  d' avvi- 
"  lire  Orazio,  che  giunsero  a  far  impazzire  il  troppo  compiacente 

*  Torquato  Tasso,    seguite  tranquillamente  la  vostra   carriera  , . 

JSelle  accuse,  che  si  fanno  dagli   scrittori  del  Caffè  a  cotesti 


«  studiosa  gioventù  prima  d'ogni  cosa  dar  buon  ordine  alle  proprie  idee,  av- 
«  vezzarci  a  far  uso  della  ragione,  ed  a  sentire  la  verità  a  preferenza  del- 
<  l'autorità  di  opinione». 

1)  Caffé,  I,  98. 

*)  Caffè,  l,  255. 

3)  Caffè,  I,  281. 

*)  Cap,  I,  282. 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  seeolo  xvm  55 

"  aristotelici  della  letteratura  „  (che  così  sono  detti  gli  ossequenti 
alla  tradizione,  preudendo  l'epiteto  dall' Algarotti  *)),  ricompaiono 
ingrandite  tutte  le  critiche,  che  questi  e  il  Bettinelli  avevano  mosso 
sino  allora  ai  classicisti  e,  per  essi,  alla  letteratura  italiana.  Prima 
fra  tutte  quella,  in  che  convenivano  il  Baretti  ^)  e  il  Bettinelli  ^), 
che  il  pedantismo  aveva  fatto  di  essa  "  la  cosa  più  inutile  e  son- 
"  nifera  del  mondo  ^)  „  .  "  Chi  ci  vien  di  questi  eruditi  ad  op- 
"  primere  con  grossi  volumi  „ ,  scrive  Alessandro  Verri,  "  chi  con 
"  largamente  stemprate  dissertazioni,  chi  con  medaglie,  iscrizioni, 
"  pergamene  ci  addormenta;  in  somma  la  maggior  parte  vendonci 
"  al  caro  prezzo  di  eterna  noia  molte  parole,  e  poche  cose  ^).  Nelle 
*  scienze  e  nelle  lettere,  in  ogni  umana  cognizione  perfine,  vi  ab- 
"  bisogna  ogni  sorta  di  moneta,  grande,  minuta,  d'oro  e  d'argento: 
"  chi  non  può  spendere  la  dobla,  spenda  il  paolo  „ .  Perciò  porti 

')  Opere,  ed.  cit.,  IX,  125,  lett.  cit.  ad  Eustachio  Zanetti:  «Ma  ciò  riman- 
«  gasi,  come  vi  dissi,  tra  noi.  Quella  divozione,  che  era  una  volta  nelle  classi 
«  di  filosofia  verso  Aristotile,  pare  che  sia  presentemente  passata  nelle  classi 
«  di  grammatica  e  retorica  verso  i  ciu(iiiecentisti  ». 

2)  Frusta,  ed.  di  Napoli,  Rossi-Romano,  1856,  II,  30-1. 

^)  «  Non  posso,  scriveva  il  Bettinelli  per  bocca  di  un  Lord  immaginario 
(Lettere  inglesi  ed.  cit.,  XII,  157),  «  dissimulare  che  di  tutte  le  nazioni,  quanto 
<  a  letteratura,  mi  ha  la  vostra  annoiato  pili  di  nessuna  ».  E  altrove  (XII,  201): 
«  Io  feci  uua  volta  il  coiupendio  di  tutta  quella  farragine  che  i  torchj  veneti 
«  mandan  fuori  dentro  il  corso  d'alcuni  mesi,  e  v'assicuro,  che  se  gl'italiani 
«  fosser  capaci  di  disinganno,  questo  solo  bastar  dovrebbe  ad  aprir  gli  occhi 
«  alla  vostra  nazione.  In  pia  di  cento  opere  differenti  non  trovai  altro  che  un 
«  tomo  della   storia   de'  viaggi   tradotto,  il  qual   meritasse  almen   pel   titolo 

«  qualche  considerazione (p.  202).  Quante  critiche,  quante  risposte,  repliche 

«  e  controrepliche  in  ogni  materia!  XuUa  dirò  delle  poesie,  nulla  delle  reto- 
«riche  e  dei  quaresimali —  Quanti  tomi  dogmatici  o  scolastici,  che  danno 
«  i  loro  dogmi,  e  vogliono  le  loro  scuole  per  infallibiH  ! . . .  Oh  qual  torto  fatto 
«  alla  patria,  alla  famiglia,  alla  società,  che  da  noi  esigono  tanti  uffizj  e  ser- 
«  vigj  più  necessari!  ». 

*)  Caffè,  I,  95. 

^)  II  disprezzo  de2;li  eruditi  e  degli  antiquari  è  anch'esso  comune  al  Ba- 
retti {Frusta,  I,  39-40),  ail'Algarotti  (Pensieri,  VII,  91)  e  al  Bettinelli  (Lettere 
inglesi,  XII,  201). 


56  L.  Ferrari 

il  Codice  del  Pedantismo  quest'articolo:  "Non  si  chiameranno 
"  più  superficiali  quegli  uomini  insigni,  clie  sapendo  la  difficil'  arte 
"  di  mescolare  l'utile  al  dolce  resero  comuni  e  piacevoli  le  lettere 
"  che  in  prima  erano  ispide  di  pedantismo  „  ^):  come  per  es.,  l' Al- 
garotti  ed  il  Cocchi  '^) . 

Le  lettere  italiane,  prive  di  tali  scrittori,  continuano  i  SocJ  dei 
Pugni,  sono  divenute  insopportabili  al  bel  sesso.  Ma  quando  "  ci 
"  saremo  spogliati  di  questo  austero  pedantismo  „,  essi  si  augurano, 
"  perfino  le  delicate  madamigelle  alle  loro  toilette  e  le  tenere  spose 
"  fra  i  soavi  profumi  d'un  solitario  gabinetto  ^)  „  parteciperanno  e 
godranno  della  nuova  letteratura  ;  desiderio  legittimo,  espresso  ad 
un  tempo  da  conservatori  e  da  novatori,  dal  frustatore  Baretti^) 
e  dal  frustato  Denina  ^);  e  che  sarà  comune  nella  critica  italiana  dal 
Bettinelli  ^)  al  Bonghi  ^).  Né  tacciono  di  un  altro  vizio  dei  let- 


0  Caffè,  I,  p.  96. 

2)  Caffè,  I,  p.  153. 

3)  Caffè,  II,  96. 

'')  Frusta,  II.  25-9. 

^)  In  un  capitolo,  che  il  Denina  dedica  alla  Letteratura  donnesca  (vedi  Pen- 
sieri diversi,  uniti  al  Discorso  sopra  le  vicende  della  letteratura,  Berlino,  1875, 
voi.  20,  pp.  211-12),  egli  scrive:  «  Se  l'Italia  e  la  Spagna  sono  rimaste  inferiori 
«  alle  altre  nazioni  in  alcune  spezie  di  bella  letteratura  la  vera  cagione  è  l'igno- 
«  ranza  della  massima  parte  delle  donne.  —  Non  c'è  domanda  che  dia  maggior 
«  impaccio  ad  un  letterato  italiano  che  quando  una  donna  gli  chiede  qualche 
«libro  di  pura  lingua  nazionale  ». 

^)  Questa  dello  scriver  libri  che  servissero  alle  donne  d'amena  lettura 
fu  una  preoccupazione  costante  di  molti  letterati  del  700  :  dall'Algarotti,  che 
componeva  il  suo  Newtonianismo  per  le  Dame,  all'  .Albergati,  che  pubblicava 
più  volumi  di  Lettere  capricciose,  varie  e  piacevoli;  iaì  Roberti,  che  fu  perciò 
appunto  accetto  ai  contemporanei,  al  Bettinelli,  che  dando  esempio  della 
«erudizione  color  di  rosa»  da  lui  propugnata  (vedi  ades.  Risorgimento,  IX,  82), 
compose  più  che  mezza  dozzina  di  opere  donnesche.  Vedine  1'  elenco,  fattone 
dall'autore  stesso,  in  Lettere  di  una  dama  ad  una  sua  amica  sìdle  belle  arti, 
XIII,  220. 

')  Lettere  critiche  cit.  I  vizi,  che  il  Bonghi  nella  prima  di  queste  let- 
tere rinfaccia  alla  letteratura  italiana   della   prima   metà   del   nostro   secolo, 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvin  57 

terati  italiani,  quello  delle  contese  :  comunissimo  nel  settecento,  se 
si  pensi  alle  calunnie  lanciate  contro  il  Muratori,  alle  brighe  avute 
dal  Maffei,  alle  lotte  sostenute  dallo  Zaccaria  e  dal  Baretti,  alle 
guerre  fra  i  Branda  e  i  Trasformati,  tra  i  Granellescìd  e  il  Goldoni, 
il  Gozzi  ed  il  Chiari,  Alessandro  Verri  poi,  che  dedica  ai  Difetti 
della  letteratura  italiana  un  articolo  speciale  ^),  scorge  un  nuovo 
e  non  minor  ostacolo  allo  svolgimento  di  una  letteratura  viva 
neir  imitazione  dello  stile  e  dei  generi  stabiliti  dai  cinquecentisti  2), 
tiranneggiante  le  lettere  italiane  per  opera  delle  accademie.  Le 
accademie,  che  professano  le  scienze,  dice  Alessandro,  distinguendo 
opportunamente,  sono  utilissime;  mentre  quelle,  che  coltivano  le 
arti  belle,  hanno  molteplici  inconvenienti.  Giacché,  se  qualche 
volta,  istituite  a  tempo  debito,  servono  a  richiamare  le  buone 
tradizioni  (come  per  es. ,  "  passato  il  metaforico  ed  ampolloso  regno 
"  della  secentista  letteratura,  fu  proficuo  il  restaurare  e  richiamare 
"  ai  suoi  principj  il  buon  gusto  naufragato  „  ^)  ),  per  lo  più,  né 
possono  durar  lungo  tempo  a  produrre  buoni  effetti,  né  ravvivano 
il  corso  della  letteratura,  ma  lo  ritardano.  "  Succede  infatti  che 
"  questi  corpi  acquistano  di  mano  in  mano  uno  spirito  parziale, 
*  che  si  oppone  all'  universale  libertà  della  repubblica  degli  in- 
"  gegni:  e  generalmente  questo  spirito  di  corpo  è  quello  della  pas- 
"  sata  generazione,  più  che  della  presente  „. 


sono  si  può  dir,  quegli  stessi,  che  i  letterati  settecentistici  riscontravano  nella 
letteratura  del  loro  tempo  (pp.  1-13):  che  cioè  i  libri  italiani  hanno  troppo 
scarsa  diffusione,  che  non  sono  letti  da  donne,  che  i  letterati  fanno  parte  da 
sé  e  trattano  soggetti  inutili  all'  universale,  ecc. 

1)  Caffi-,  II,  n.  13,  pp.  96-110. 

2)  Non  la  pensava  diversamente  l'Algarotti,  che  chiamava  i  cinquecentisti 
«autori  sinonimi»  e  «paglia»  (lettera  al  sig.  barone  N.  N.,  16  marzo  1752, 
in  Lettere  varie,  IX,  112-3),  né  il  Bettinelli  {Lettere  Virgiliane,  XII,  78-84), 
né  il  Baretti,  che  si  avvicinò  d'assai  ai  due  eccellenti  nei  suoi  giudizj  intorno 
agli  autori  cinquecentistici  più  lodati  ed  imitati:  per  es.  ilBonfadio  {Frusta,  II, 
52-58),  il  Casa  (1,266)  e  il  Bembo  (11,203-9). 

3)  Caffè,  II,  p.  106. 


58  L.  Ferrari 

Queste  sono  le  critiche,  che  dai  Socj  dei  Pugni  si  muovono 
alla  letteratura  italiana.  Dopo  averle  enumerate  vieu  fatto  di  do- 
mandarci: e  ai  vizj,  che  in  essa  si  riscontrano  ^),  quali  rimedi  si  pro- 
pongono come  più  efficaci?  Le  lettere  italiane  si  dicono  poco  po- 
polari, poco  diffuse,  una  cosa  rimorta.  Come  ravvivarle  e  diffonderle? 
Si  lamentano  gli  svantaggi  dell'imitazione  degli  antichi,  delle  ac- 
cademie, della  retorica:  ma  si  può  cassare  con  un  tratto  di  penna 
ciò  che  ha  fondamento  nella  natura  stessa  umana,  la  quale, 
per  apprendere,  ha  bisogno  di  precetti,  per  produrre,  di  imitare? 
Se  a  bisogni  nuovi  e  veramente  sentiti  mal  si  può  soddisfare  tenendo 
la  via  vecchia,  quale  sarà  la  nuova  da  imprendere?  Gli  scrittori 
del  Caffè,  con  grave  loro  demerito,  né  hanno  curato  di  rivolgersi 
tali  domande,  né  vi  hanno  lasciato  risposta.  Conformandosi  a  ciò 
che  dei  fogli  periodici  aveva  scritto  il  Beccaria  ^),  essi  hanno  pre- 
ferito alle  notizie  e  alle  dottrine  "  positive,  le  negative,  adatte  a 
"  distruggere  i  pregiudizj  e  le  opinioni  anticipate,  che  formano  V  im- 
"  barazzo  d'  ogni  scienza  „ ,  e  si  sono  accontentati  di  "  travagliare 
"  più  a  distruggere,  che  ad  edificare  ,  .  La  luro  critica  è  stata  in 
ogni  sua  parte  negativa. 

Noi  non  troviamo  nel  Caffè  alcuno  di  quei  concetti  di  restaura- 
zione, sia  pur  vaghi  e  paradossali,  chei  critici  del  700,  non  soddisfatti 
del  solo  esame  dei  mali  delle  nostre  lettere,  cercarono  innestare 
alle  loro  teoriche,  anch'esse  per  massima  parte  negative.  I  Socj 
dei  Pugni  non  ripeterono  ad  es.  la  dottrina,  già  espressa  dall' Al- 
garotti  e  dal  Bettinelli,  della  necessità  di  un  "  centro  „,  di  una  me- 
tropoli, dalla  quale  quegli  si  attendeva  un  teatro,  "  una  satira  pun- 
"  gente  con  mollezza,  e  filosoficamente  scherzosa,  un'arte  del 
"  conversare,  una   lingua   ricca    e   pura  ^)  „^   e   1'  altro    si    ripro- 


')  Art.  cit.  Sui  fogli  periodici,  II,  7. 

2)  «  Le  accademie  nostre  di  oggigiorno  »,  scriveva  l' Algarotti  al  Voltaire 
(lett.»  10  die.  1746,  IX,  84-86),  «  ognuna  si  crede  depositaria  del  buon  gusto 
«  in  poesia —  Tutte  però  paiono  convenire  in  questo,  che  non  si  abbia  in  so- 
«  stanza  se  non  a  ripetere  quello  che  è  stato  mille  volte  detto,  e  sentenziano 
«  come  ribelle  qualunque  si  attenti  di  dir  cosa,  di  cui  non  ci  sia  l' eseaipio 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xnn  59 

metteva  la  fine  delle  raccolte  ^),  delle  contèse  ^)  e  dei  pedanti  3), 
nonché  lo  stabilimento  di  quella  "  letteratura  italiana  „  '^),  ch'egli 
negava  esistere  realmente:  utopia  destinata  allora  a  ravvivare  il 
senso  della  comune  patria,  e  ad  incitare  ad  un'  unione  letteraria, 
prodromo  della  politica,  e  tuttora  di  tratto  in  tratto  risorgente  e 
col  Bonghi  ^)  e  coll'Ojetti  '').  Ne  ebbero  fede  in  quella  A.ccademia 


«  negli  autori  che  scrissero  nei  secoli  i  meno  illuminati. . .  Tali  sono  gli  ef- 
«  fetti  della  piccolezza  e  divisione  degli  stati,  ignoranza  e  presunàone,  fri- 
«  volezza.  La  vera  accademia  è  una  capitale,  dove  i  piaceri,  la  fortuna  vi 
«  richiaraino  da  ogni  provincia  il  fiore  di  ogni  nazione,  dove  otto  in  nove- 
«  centomiia  persone  si  elettrizzino  insieme.  Allora  si  avrà  un  teatro  o  sia 
«  scuola  di  costumi,  una  satira  pungente  con  mollezza,  e  filosoficamente  scher- 
«  zosa.  Ci  sarà  allora  un'arte  della  conversazione,  si  scriveranno  lettere  con 
«  disinvoltura  e  con  grazia,  la  lingua  diverrà  ricca  senza  eterogeneità,  e  pura 
«  senza  affettazione  E  dalla  società  si  sbandiranno  i  sonetti,  come  da  un  pa- 
«  lagio  di  gran  Signori  le  mosche  »  .  Dei  vantaggi  di  una  capitale  si  fa  parola 
dali'Algarotti  anche  nel  Saggio  sopra  la  questione  perchè  i  grandi  ingegni  a 
certi  tempi  sorgano  tutti  ad  un  tratto  e  finiscano  insieme  (IV,  229-30). 
*)  Lettere  inglesi,  XII,  189. 

2)  Lettere  inglesi,  XII,  190. 

3)  Lettere  inglesi,  XII,  159, 

■*)  «  In  Italia,  scrive  il  Bettinelli  {Lettere  inglesi,  XII,  157),  ogni  provincia 
«  ha  un  Parnaso,  uno  stile,  un  gusto,  e  secondo  il  genio  del  clima,  un  par- 
«  tito,  una  lega,  un  giudizio  separato  dalle  altre.  Napoli,  Roma,  Firenze, 
«  Venezia,  Bologna,  Milano,  Torino  e  Genova  sono  tante  capitali  di  tante 
«letterature...  Ciascuno  di  questi  gusti  è  l'ottimo,  e  l'unico  e  vero  di  quella 
«  città,  dove  esso  regna,  la  qual  disprezza  e  deride  la  sua  vicina,  e  tutte  le 

«  altre  con  tutti  i  lor  gusti (XII,  195)  Dunque,  dico  io,  non  v'  è  lette- 

«  ratura  italiana,  né  gusto  italiano.  De'  gusti  romani,  de'  napoletani,  de'  si- 
«  ciliani,  ecc.  ne  troverete  forse,  seppure  alla  porta  del  Popolo  non  troviamo 
«  diverso  gusto  da  quello  di  porta  Pia  in  Roma  stessa  » .  Altrove  (  Lettere 
a  Lesbia  Cidonia,  XXI.  89)  il  Bettinelli  magnificava  1'  efficacia,  che  il  grande 
centro  parigino  esercitava  sopra  l'intera  Francia;  come  degli  effetti  della  divi- 
sione politica  degli  Italiani  riparlò  a  lungo  neU! Entusiasmo  (IV,  pp.  337-39). 

^)  Lettere  critiche  citate,  pp.  17-22. 

")  L' avvenire  della  letteratura  in  Italia,  in  La  Vita  Italiana,  n.  s.  a.  1° 
(1896),  pp  113-125.  In  questo  discorso  l'Ojetti,  svolgendo  dottrine  già  accen- 


60  L.  Ferrari 

unica,  disegnata  sull'esempio  àeW  Arcadia  àd\  Muratori^),  e  va- 
gheggiata come  restauratrice  e  direttrice  delle  lettere  italiane  da 
più  letterati  del  700:  dal  Bettinelli  stesso  -),  dal  Cesarotti  3),  dal 
Pindemonte  ■^),  dall' Arteaga  ^);  e  attuata   veramente  colla  fonda- 


nate  nel  libro  Alla  scoperta  dei  letterati  (Milano,  Bocca-Duinolard  1895),  af- 
ferma che  manca  «un'anima  italiana»  (ogni  secolo  ha  le  sue  parole  predi- 
lette; il  Bettinelli  per  indicare  lo  stesso  fatto  aveva  detto  mancare  «  un  gusto 
italiano  »)  :  e  vede  di  ciò  le  cagioni  nella  «  insufficiente  fusione  etnica  e  po- 
«  litica  delle  varie  regioni  d'Italia»,  e  nella  «  mancanza  di  un  centro  letterario  ». 

')  Nei  suoi  Primi  disegni  della  liepiibblica  letteraria  d' Italia  (1703),  in 
Raccolta  delle  Opere  minori  di  Lud.  Ant.  Muratori,  Napoli,  G.  Ponzelli, 
1757,  voi.  1°,  p.  1  e  segg. 

2)  Bettinelli,  Entusiasmo,  in  Opere,  ed.  cit.,  IV,  342-3.  II  Bettinelli  ideava 
una  società,  divisa  in  due  classi,  sacra  e  profana,  la  quale  avrebbe  pubblicato 
«  due  giornali  corrispondenti  alle  due  classi  »  e  dato  notizia  di  «  quanti  libri 
«  vedesser  la  luce  in  tuttala  Italia».  Dall'intiera  penisola  dovevano  «esser 
«  presi  gli  accademici,  e  socj  pensionati,  oppure  onorar),  i  quali  avessero  pen- 
«  siero  di  notificare  e  mandar  a  Koma  l' opere  nuove  o  le  notizie  più  belle 
«  ed  importanti  in  ogni  maniera  di  scienze  e  di  lettere  » . 

^)  Il  Cesarotti  invece  {Opere,  ed.  Capurro,  XVfl,  16,  Riflessmii  sui  doveri 
accademici  lette  all'Accademia  di  Padova  il  1780)  proponeva  una  federazione 
fra  le  accademie  italiane. 

^)  Il  Pindemonte  in  uua  Dissertazione,  presentata  all'  Accademia  di  Man- 
tova {Dissertazione  del  sig  march.  I.  Pindemonte,  cav.  Gerosolimitano  sul 
quesito  Qual  sia  presentemente  il  gusto  delle  Belle  Lettere  in  Italia  e  come  possa 
restituirsi,  se  in  parte  depravato,  Milano,  Gius.  Marelli,  1783),  propone  la  crea- 
zione di  una  nuova  e  generale  accademia,  che  diriga  il  corso  del  gusto  e  curi 
lo  studio  della  lingua  (p.  22).  Ufficio  ad  essa  assegnato  sarebbe  di  pro- 
muovere la  conoscenza  degli  antichi  e  l'imitazione  dei  migliori  con  «  nuove 
edizioni  e  versioni  » ,  specialmente  «  d' ogni  buon  libro  francese  che  venisse 
prodotto  in  luce  »,  e  con  «  un'  edizione  nuova  del  nostro  vocabolario  ».  L'ac- 
cademia, che,  così  istituita,  «  farebbe  le  veci  di  quello  spirito  nazionale 
«  che  mancar  dee  necessariamente  all'Italia,  divisa  in  tante  provincie  varie, 
«  esser  dovrebbe  per  ogni  buon  motivo  nella  'capitale  della  Toscana;  ma 
«  quando  non  fosse  a  ciò  luogo,  io  credo,  che  ancora  in  qualche  altra 
«  ingegnosa  e  eulta  città  venir  potesse  instituita,  ove  il  Principe  di  quella 
«  volesse  farla  :  poiché  certamente  senza  la  mano  del  Principe  non  s' inalza 
«  una  tal  fabbrica  (pp.  24-5)  » . 

^)  L' Arteaga,  nelle  Osservazioni  aggiunte  alla  Dissertazione  di  M.  Borsa 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  GÌ 

zione  ò.eW Accademia  Italiana  di  scienze,  lettere  ed  arti  di  Siena 
(1798)  e  àdV Istituto  nazionale  italiano  (1802).  E  tanto  meno  gli 
scrittori  del  Caffè  domandarono  come  panacea  dei  mali  delle  no- 
stre lettere  una  nuova  edizione  del  vocabolario  della  Crusca,  rifatto 
ed  accresciuto,  e  un  "  consiglio  italico  „  a  ciò  deputato  ^).  Neppure 
quel  cosmopolitismo  letterario,  che  era  la  loro  aspirazione  e  pel 
quale  si  ribellavano  ad  ogni  autorità,  seppero  svolgere  in  una  dot- 
trina precisa,  particolareggiata  e  positiva. 

Per  ciò  le  dottrine  letterarie  sostenute  dal  Caffè  né,  considerate 
rispetto  ai  bisogni  dei  tempi,  hanno  il  pregio  della  compiutezza; 
né,  studiate  per  sé  stesse,  meritano  del  tutto  la  lode  della  novità. 
La  guerra  mossa  dai  Socj  dei  Pugni  ai  pedanti,  assai  comune  allora 
presso  gli  enciclopedisti  francesi  ^),  è  condotta  per  buona  parte  sulla 
scorta  dell' Algarotti  e  del  Bettinelli  ^).  Lo  stesso  libertinaggio  della 


{Il  gusto  presente  in  letteratura  italiana,  s.  n.  t  [Venezia  1788],  p.  143).  si 
unisce  al  Pindemonte  nel  propugnare  tale  accademia  come  adatto  riparo  alla 
corruzione  del  gusto. 

*)  Come  il  Cesarotti  (Saggio  sulla  filosofia  della  lingua,  in  Opere,  ed.  cit., 
I,  215),  il  Pindemonte  e  l'Arteaga  (vedi  la  nota  precedente). 

*)  Vedi  il  libro  del  Rocafort,  Les  doctrines  Uttéraìres  de  V  Enciclopédie 
oxi  le  romantisme  des  encyclopédistes,  Paris,  Hachette,  1890,  passim. 

3)  Le  osservazioni  degli  scrittori  del  Caffè  riproducono  cosi  perfettamente 
i  pensamenti  comuni  a  tutti  gli  italogalli,  che  noi  le  ritroviamo,  quasi  a  bella 
posta,  riunite  in  una  lettera  del  Cesarotti  al  Vannetti  (lett.'»  s.  d.,  in  Opere 
ed.  Molini  e  Laudi,  XXXVI,  215).  —  «La  servile  imitazione»,  scrive  il  Cesa- 
rotti, «  la  superstizione  della  lingua,  la  scarsezza  delle  idee,  la  timidezza  ec- 
«  cessiva  dello  stile,  l' abborrimento  a  tutto  ciò  che  sente  di  novità  o  d'ar- 
ac ditezza  anche  la  più  felice,  sono  i  caratteri  dominanti  dell'italianismo,  e 
«  se  volessi  citar  dei  nomi,  Venezia,  Padova,  Verona,  per  non  estendermi 
«  più  oltre,  potrebbe  soramiaistrarmi  più  d' un  esempio ...  La  cieca  adorazione 
«  dei  Latini  e  dei  Greci,  l' erudizione  grammaticale,  la  critica  senza  filosofia 
«  e  senza  gusto,  la  ridicola  fedeltà  delle  traduzioni  sono  i  difetti  comunis- 
«  simi  della  corrente  dei  maestri  e  dei  dotti . . .  L' educazione  della  gioventù 
«  è  in  mano  di  pedanti  e  di  scrittori  mediocri  che  diffondono  il  pregiudizio, 
«  e  lo  avvalorano  per  loro  proprio  interesse.  Gli  oltramontani,  che  hanno  il 
«  doppio  peccato  d' essere  moderni  e  stranieri,  non  hanno  un  credito  cosi  ra- 


62  L.  Ferrari 

lingua,  codificato  con  pochi  tratti  di  penna,  mossi  da  inconsulta 
veemenza,  non  è  che  un  frutto  dello  sprezzo  dei  letterati  settecen- 
tisti per  la  Crusca,  e  delle  dottrine  propugnate  dagli  oppositori  di 
questa  istituzione,  a  cominciare  dal  Tassoni  sino  al  Cesarotti  ed  al 
Monti. 

Da  Fr.  M.  Zanotti  ^),  che  protestava  di  scrivere  italiano,  e  non 
toscano,  al  Bettinelli  che  non  credeva  la  Crusca  neppur  degna 
dei  suoi  colpi,  e  "  alla  Crusca  o  al  fuoco  „  voleva  "  consegnati 
"  tutti  gl'antichi  o  contemporanei  di  Dante  „  ^),  la  maggior  parte 
dei  letterati  del  700  non  parlarono  dell'Accademia  fiorentina  che 
per  vituperarla  o  per  negarle  rispetto.  I  Trasformati  e  il  Parini, 
che  saranno  i  difensori  delle  tradizioni  classiche  contro  questi 
stessi  Verri,  non  esitavano,  nella  contesa  avuta  col  p.  Branda, 
ad  imprecare  ai  cruscanti  ^)  : 

alla  malora,  stolidi  cniscauti, 
altro  non  fate  che  imbrogliar  gli  astanti 
e  siete  in  odio  al  mondo,  a  Cristo,  ai  Santi, 

e  chiamavano  la  Crusca 

un  malefizio 
che  offusca  l'intelletto  e  copre  il  vizio. 

Il  Baretti  ^),  che  menerà  tanto  scalpore  per  la  Binuncia  degli  scrit- 
tori del  Caffè  avanti  nodaro,  frustava  a  sangue  l'Accademia  nella 
Diceria  da  recitarsi  all'Accademia  della  Crusca  il  dì  die  sarà  rice- 


vi, dicato  che  basti  ad  imporre  all'universale. ...  laddove  gli  antichi  e  i  prin- 
«  cipali  italiani  hanno  per  loro  il  fanatismo  dell'  antichità,  la  fazione  autore- 
<  vole  degli  eruditi,  la  prevenzione  del  patriottismo  »  . 

^)  Fa.  M.  Zanotti,  Paradossi,  in  Opere,  Bologna,  S.  Tommaso  d 'Aquino, 
1790,  V.  271-72. 

2)  Lettere  Virgiliane,  XII,  105. 

^)  la  componim.  mas.  della  Braidense  cit.  dal  De  Castro,  Milano  nel 
700  giusta  ecc.,  p.  219. 

*)  Frusta,  H,  195. 


Del  «  Caifè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvni 


63 


rido  accademico  ^).  E  il  popolo?  Il  popolo  italiano  non  soltanto 
aveva  rinunziato  in  allora  alla  Crusca,  ma  alla  lingua  italiana;  sicché 
molti  degli  autori  componevano  in  vernacolo  o  in  francese,  e  si 
stampavano  gazzette  in  francese  sul  suolo  italiano  2),  e  la  lingua 
gallica  era  divenuta  V  usuale  nella  corrispondenza  e  nelle  conversa- 
zioni presso  i  più,  specialmente  nell'Italia  settentrionale  ^).  La  ri- 
nunzia era  già  fatta  in  realtà:  e  i  Socj  dei  Pugni  vollero  compierla 
anche  a  parole.  Ma  essi  dimenticarono  che  ignoranza  di  lingua  e 
non  altra  era  allora  e  fu  sempre  la  ragione,  che  si  credesse  la  lingua 
italiana  insufficiente  alle  scienze  e  ai  bisogni  del  pensiero  moderno; 
né  posero  mente,  che  il  miglior  mezzo  per  far  cessare  gli  scritti  vuoti 
dei  parolai  era  quello,  di  contrapporre  loro  cose  fortemente  pen- 
sate, ma  espresse  italianamente.  Questi  risultamenti  dava  nel  Caffè, 
portato  alle  ultime  conseguenze,  il  principio  "  cose  e  non  parole  ,, 
con  che  i  novatori  avevano  iniziato  quel  movimento  d'idee,  di- 
retto a  dar  nuova  vita  alla  letteratura  italiana,  innestando  nel 
sangue  dell'anemica  lo  spirito  filosofico  e  lo  spirito  scientifico; 
né  l'uno  ne  l'altro,  a  dir  vero,  effettori  di  arte. 

Dottrine  così  ardite,  quali  sono  quelle  da  noi  esaminate,  non 
potevano  non  trovare  opposizione  presso  i  letterati  obbedienti  alla 
tradizione  classica  e  nazionale,  ed  anzitutto  presso  i  Trasformati 
milanesi. 

Dello  stato  della  coltura  milanese  nella  2."  metà  del  sec.  XVIIP 
si  ebbero  per  lungo  tempo  notizie  così  scarse  ed  incerte,  che  il 
Desanctis,  trovando  che  due  dei  socj  dei  Pugni  avevano  appar- 
tenuto un  tempo  all'accademia,  potè  confondere  quest'istituto 
e  la  società  del  Caff'è^  fantasticando,  che  "  nei  Trasformati  era  pe- 


1)  Frusta,  II,  197. 

2)  Il  Piccioni  (op.  cit.,  p.  171)  ricorda  un  giornale,  la  Gazzetta  Univer- 
sale di  Letteratura,  che  si  stampava  nel  1770,  a  Firenze,  in  francese. 

3)  Nella  maggior  parte  delle  case  milanesi  (Vedi  Alfieri,  Vita,  ed.  cit., 
I,  91)  si  parlava  francese:  e  questa  lingua  era  usata  spesso  dai  Socj  dei 
Pugni  nelle  loro  lettere  (vedi  le  Otto  lettere  di  Pompoìiio  Tito  Attico  cit.),  e 
da  P.  Verri  nel  comporre. 


64  L.  Ferrari 

"  netrata  l'Enciclopedia,  e  dominava  sotto  tutti  gli  aspetti  lo 
"  spirito  nuovo.  Si  chiamavano  Trasformati  e  si  può  dire,  che  fi- 
"  losofia  e  legislazione,  economia  politica,  morale,  tutto  lo  scibile 
"  era  già  trasformato  nelle  loro  menti  ^)  „  .  E  Paolo  Ferrari  nella 
sua  commedia.  La  Satira  e  Parini,  faceva  di  questo  uno  scrittore 
del  Caffè  "):  come  il  Guerzoni,  dimenticando  gli  accenni  fatti 
dall'  Tigoni  ^)  alle  "  note  gare  „ ,  che  esercitarono  economisti 
e  accademici,  disse  il  Parini  "  confortato,  spronato,  aiutato  „  nella 
composizione  del  suo  poema  dal  Verri  e  da  Paolo  Frisi,  "  orgo- 
"  gliosi  del  Mattino  come  di   cosa  propria  ^)  „ . 

Ma  un  articolo  dello  Gnoli  ^)  e  le  Lettere  inedite  dei  fratelli  Verri 
hanno  messo  in  chiaro  cjuali  relazioni  passarono  veramente  tra  i  due 
maggiori,  P.  Verri  e  il  Parini,  e  in  quanti  modi  la  Società  dei  Pugni 
e  i  Trasformati  si  avversarono  ed  osteggiarono.  Le  due  società 
differivano  profondamente  tra  loro  :  da  una  parte  stavano  uomini 
di  età  avanzata  e  lodatori  dell'  antico,  dall'  altra  giovani  e  amanti 
del  nuovo;  di  qua  poeti  e  grammatici  ed  encomiatori  dei  classici, 
di  là  partigiani  del  filosofismo  enciclopedico  e  cultori  di  scienze 
utili;  da  un  lato  conservatori  avversi  a  qualunque  cambiamento 
e  riforma,  e  dall'  altro    i   novatori  '^) .  Troppo  gravi   erano  le  ra- 


*)  Letteratura  italiana,  Napoli,  Morano,  1873,  voi.  II,  p.  374. 

2)  Torino.  Gareffi,  p.  96  e  p.  120. 

3)  Ediz.  1856,  voi.  I,  p.  365. 

*)  Il  terzo  rinascimento,  Verona,  Driicker  e  Tedeschi,  1876,  p.  240. 

^)  Questioni  Pariniane  cit.e,  p,  401  e  segg.  Ai  luoghi  di  autori  contem- 
poranei recati  dallo  Gnoli  a  testimoniare  delle  inimicizie  dei  Socj  dei  Pugni 
contro  i  Trasformati,  possiamo  aggiungere  quanto  ne  ha  lasciato  scritto  il 
Lalande  {Yoyage  cit.°,  I,  224). 

^)  Cito  ad  esempio  questo  fatto:  P.  Verri  fu  il  primo  a  svelare  l'iniquo 
procedimento,  usato  nel  processo  degli  untori  del  1630  in  un'opera  sulla  tor- 
tura, che  lasciò  inedita,  per  non  contraddire  apertamente  al  padre;  il  quale, 
nel  collegio  dei  giudici  criminali,  ove  sedeva,  si  era  opposto  all'abolizione 
della  tortura,  quando  da  Giuseppe  II  fu  proposta  al  Senato  milanese.  Al  con- 
trario l'avv.  Francesco  Fogliazzi,  amico  intimo  del  Parini,  leggendo  di  quei 
fatti  all'Accademia  dei  Trasformati,  accettò  la  testimonianza  della  Colonna 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  secolo  xnn  G5 

gioni  di  dissenso,  perchè  questo,  come  suole  avvenire  in  una 
stessa  città,  non  degenerasse  in  una  guerra  continua  di  dispetti, 
di  ripicchi,  di  ingiurie. 

I  violenti  scritti  contro  i  pedanti,  dei  quali  abbonda,  come  ab- 
biamo veduto,  il  Caffè.,   se   si  rivolgono  a   tutti    i  seguaci    della 
tradizione  classica,  sono  particolarmente  diretti,  come  confesssava 
A.  Verri    stesso,  contro   "  al  Parini  e   ai   suoi  compagni,  cioè  ai 
"  Trasformati .  ^)  ;  nei  quali  i  SocJ  dei  Pur/ni  non  scorgevano  se  non 
meschini  verseggiatori  ed  imitatori  pedanteschi  degli  antichi.  La 
punta,  è  vero,  è  per  lo  più  coperta,  e  l'oflFesa  nascosta;  perchè 
gli   scrittori    del    Caffè   si   attengono   fedelmente    all'art.   XII    di 
quella  Legislazione,  che  essi  volevano  imporre  al  Pedantismo.  Il 
quale   suonava  così  :    "  Dovranno   tutti  li  seguaci   della    ragione 
"  guardarsi  bene  dall'  insultare  o  deridere  personalmente  i  pedanti  ; 
"  poiché  egli  è  da  uomo  ragionevole  il  tollerare  gli  errori  ed  i 
"  difetti   degli    animali    della  nostra  specie.  Onde  non  sarà  per- 
"  messo  che  di  burlarsi  del  pedantismo,  ma  non  mai  personalmente 
"  dei  suoi  professori  ;  i  quali,  tutt'  al  piti,  possono  essere  compresi 
"  nel  numero  degli  uomini,  che  hanno  una  particolare  pazzia  ^)  „  . 
Ma    qua    e  là    è   qualche    allusione    palese    ai    puristi    lombardi, 
come  nella  RiìiunrAa  alla  Crusca,  ove  gli  scrittori  del  Caffè,  fa- 
cendo infinite  scuse  per  aver  "  consagrato  il  prezioso  tempo  al- 
"  l'acquisto  delle  idee,  e   posto  nel  numero  delle  secondarie  co- 
"  gnizioni  la  pura  favella  „ ,  dicono  volerne  far  "  amende   hono- 
"  rable  avanti  a  tutti  gli  amatori  di  riboboli  noiosissimi  dell'  in- 
"  finitamente  noioso  Malmantile,  i  quali,    sparsi  qua  e  là  come 
"  gioielli  nelle  lombarde  cicalate,  sono  proprio  il  grottesco  delle 


infame,  e  levò  al  cielo  la  previdenza  degli  avi;  come,  esaltando  la  sapienza 
di  questi,  il  Parini  cantava  quella  coIoana  in  un  poemetto,  di  cui  non  ci  resta 
se  non  un  frammento  (già  pubblicato  in  nota  alla  Girusahm>ne  liberata  tra- 
vestita in  lingua  milanese  da  Domenico  Balestrieri,  o  riprodotto  in  Parini, 
Opere,  ed.  Reina,  Milano,  Classici,  1801,  voi  I,  p.  239). 

1)  Scr.  in.,  n,  311. 

«)  Cap,  I,  99. 

B.  Se.  Nornt.  % 


66  L.  Ferrari 

"  belle  lettere  ^)  „  .  Al  che  il  Beccaria  nella  Lettera,  ironica,  agli 
amici  in  risposta  alla  rinunzia,  scriveva  di  ricambio  ^)  :  "  perchè  avere 
*  l'inumanità  di  togliere  l'unico  pregio  al  bene,  all'unica  sostanza 
"  di  tanti  uomini  dabbene,  che  si  beano  al  leggere  i  loro  madri- 
"  gaietti,  sonetti,  poemetti  tutti  lindi,  tutti  melati,  tutti  tessuti 
"di  ricamo  fiorentino  su  di  un  buon  fondo  lombardo?,. 

Chi  più  degli  altri,  fra  i  Socj  dei  Pugni,  credeva  doversi  do- 
lere dei  Trasformati,  e  in  particolar  modo  del  Parini,  era  P.  Verri. 
Dopo  avere  appartenuto  all'accademia,  e  dopo  aver  partecipato 
largamente,  come  abbiamo  visto,  ai  suoi  lavori,  il  Verri  se  ne  era 
staccato  al  suo  ritorno  da  Vienna;  ed  ora,  tutto  infervorato  nelle 
nuove  idee,  non  doveva  ricordarsi  di  quei  suoi  esercizj  accademici, 
se  non  come  di  un  tempo  sciupato  in  occupazioni  inutili,  frivole 
e  degne  dell'  inesperienza  di  un  principiante.  Troppo  lontano 
era  ormai  dai  Trasformati,  quanto  a  opinioni,  ed  anche  quanto 
a  fortuna.  Egli,  così  bramoso  di  farsi  notare,  aveva  dovuto 
deporre  qualunque  speranza  di  gloria  letteraria,  e  volgersi,  se 
volle  sollevarsi  sopra  il  comune,  agli  studj  utili;  dei  quali  faceva 
ora  gran  pompa,  ostentando  un  superbo  disprezzo  della  forma  e 
dell'arte;  mentre  alcuni  compagni  suoi  dell'Accademia  si  erano 
resi  illustri  nelle  lettere  :  per  es.  quel  contadino  del  Parini. 

Il  Verri,  oltre  che  presso  i  Trasformati,  l'aveva  conosciuto  in 
casa  Serbelloni,  dove  1'  abate  precettore  era  venuto  a  contrastare 
il  primato  al  giovane  e  bel  conte  con  quel  fascino,  che  suole  in 
qualche  modo  accompagnare  un  poeta.  L'abatino  era  ancor  rustico 
e  rozzo,  si  era  segnalato  soltanto  per  zelo  e  violenza  nelle  con- 
tese contro  il  Branda  ed  il  Bandiera,  che  poi  compianse  e  scon- 
fessò, poteva  perciò  giudicarsi  iroso  e  silvatico:  e  tale  parve  senza 
dubbio  al  Verri,  che  sin  d'allora  sentì  per  lui  una  forte  avversione. 
Crebbe  il  maltalento,  quando  1'  abate  plebeo  osò  porre  a  nudo  i 
vizj  della  nobiltà  e  descrivere  1' abbiezione  della  casta,  alla  quale 

*)  Caffè,  l,  37. 
2)  Caffè,  I,  75. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  67 

gli  economisti  milanesi,  per  quanto  nemici  dell'ozio  nobilesco,  si 
sentivano  intimamente  legati  e  per  idee  e  per  sangue;  e  quando  piii 
volte  l'accademico  Trasformato  manifestò  una  venerazione  al  pas- 
sato, del  tutto  opposta  alle  opinioni  dei  filosofi.  E  durò  a  lungo  l' ini- 
micizia, che  non  fu  soltanto  di  Pietro  e  dei  suoi  amici  dei  Pugni, 
ma  del  Pariui  ancora  ;  che  il  Reina  racconta  esser  stato  solito 
raccomandare  ai  giovani:  "  fuggite  gli  scrittorelli  lombardi  ^)  „,  non 
senza  designare  gli  scrittori  improvvisati  del  Caffè.  Poi,  costretti 
ad  avvicinarsi  in  pubblici  ufficj,  ad  es.  nel  '76  nella  Società  Pa- 
triottica -),  i  due  impararono  a  conoscersi  e  a  stimarsi;  e  per 
opera,  come  è  facile  supporre,  di  amici  comuni,  quali  il  Frisi  ed  il 
Longo  ^),  deposero  l'antico  rancore.  Finirono  coli' amarsi,  quando, 
concordi  nell'  amore  della  patria  e  della  libertà  e  nella  fede  del 
trionfo  della  giustizia,  si  trovarono  un'ultima  volta  uniti  a  com- 
piere i  doveri  di  cittadino  e  a  patrocinare  gli  interessi  della  loro 
Milano,  nel  terzo  comitato  della  Repubblica  Cisalpina. 

Ma  al  tempo  della  pubblicazione  del  Caffè,  quando  era  ap- 
pena uscito  il  Mattino  e  stava  per  stamparsi  il  Mezzogiorno,  Pietro 
Verri  non  s'era  ancora  ricreduto  sul  conto  del  Parini,  né  era  vi- 
cino a  ricredersi  ^)  :    ed  al  poeta   del  Giorno  non   risparmiò   nel 


')  Parixi,  Opere,  ed    Reina,  voi.  I",  p.  LUI. 

^)  Verso  quel  tempo  il  Verri  doveva  essersi  rappacato  coi  Trasformati 
superstiti,  se,  richiesto  dal  Carcauo,  1'  ultimo  segretario  dell'Accademia,  non 
negò  per  una  raccolta  in  morte  del  Balestrieri  (Milano,  1780)  i  proprj  versi  ; 
i  quali  comparvero  accanto  a  quelli  del  Passeroni,  del  Corniani.  del  Bicetti, 
del  Parini,  del  Villa,  come  già  nei  bei  tempi  giovanili.  Il  Balestrieri  aveva 
dedicato  al  Verri  (Bianchi,  Elogio  di  P.  Verri  cit ,  p.  283)  il  tomo  4°  delle 
sue  Rime  toscane  e  milanesi  [i779]. 

')  Giorn.  stor.  d.  lett.  it.,  I,  124.  Recensione  di  F.  [rancesco]  N.  [ovati] 
alla  edizione  delle  Odi  del  Parini,  curata  dal  Salveraglio. 

■*)  Dei  Socj  dei  Pugni  alcuni  furono  impenitenti  e  negarono  il  loro  omag- 
gio al  Parini,  anche  negli  anni  della  maggiore  sua  gloria.  Nel  Carli  ad  es., 
del  quale  abbiamo  avuta  occasione  di  esaminare  il  carteggio  tenuto  col  Bet- 
tinelli e  posseduto  dalla  Comunale  di  Mantova  (sono  64  lettere  e  vanno  dal 
1792  al  '95),  l'avversione  durò,  sembra,  sino  agli  ultimi  anni  della  vita.  Il  Carli, 


68  L.  Ferrari 

Caffè  gli  strali  della  critica  e  dello  scherno.  Fu  già  notato  dal- 
l' Tigoni  ')  e  ripetuto  dallo  Gnoli  ^),  che  al  Mattino  si  alludeva 
in  un  articolo  Sai  Ridicolo  ^),  nel  quale  il  Verri  svolgendo  la  teo- 
rica dell' Hobbes,  che  il  riso  non  è  eccitato  in  noi,  se  non  da  un  sen- 
timento di  vanagloria  e  di  compiacimento  per  l'inferiorità  altrui, 
mosse  una  critica  altrettanto  grave  quanto  ingiusta  all'opera  pa- 
riniana,  della  quale  pretendeva  dimostrar  errato  il  concetto  fon- 
damentale. "  Dico,  scriveva,  che  colui  che  per  questa  strada  prende 
"  a  maneggiare  il  ridicolo,  manca  di  giudizio  per  ben  maneg- 
"  giarlo:  poiché  nessuno,  facendo  il  confronto  di  sé  medesimo 
"  colla  pittura  di  quel  ganimede,  potrà  mai  sinceramente  sentire 


che  in  quelle  lettere  grida  perpetuamente  contro  le  novità  dei  giacobini,  e  scopre 
in  ogni  cosa  una  offesa  alla  religione  e  alla  monarchia,  così  giudica  nella  let- 
tera 22  aprile  1793  del  sonetto  del  Parini  «  Viva  o  Signor,  viva  in  eterno, 
«  viva  »,  scritto  in  quei  dì  Per  un  Te  Deum  comandato  dagli  Austriaci  alla 
città  di  Milano  in  occasione  di  vittoria  [Opera,  ed.  cit.,  I,  30)  :  «  Non  si 
«  penta  Ella,  uè  si  disdica  di  Parini  per  aver  veduto  un  sonetto  fatto  per 
«insinuazione  o  per  forza;  e  che  ben  esaminato,  non  rappresenta  altro  che 
«un'ironia.  Si  celobran  forse  le  vittorie?  Si  detestano  forse  i  nemici?  Si 
«augurano  felici  successi  alle  armi?  si,  lodano  finalmente  le  ragioni,  per  le 
«  quali  i  sovrani  si  sono  determinati  a  vendicar  un  Regicidio,  e  le  insidie 
«ordite  da  quei  scellerati  contro  di  loro  e  contro  la  quiete  dell'Europa? 
«  Nulla  di  questo.  Si  accenna  con  occulta  malignità  la  felicità  che  godiamo, 
«  e  che  diciamo  di  godere  senza  suparbia  etc.  ;  e  con  affettata  ipocrisia  si 
«augura  da  Dio  il  bene  all'augusta  Famiglia;  a  guisa,  come  Ella  benissimo 
«  osserva,  d'un  Inno  Ecclesiastio,  cantato  però  da  uno,  che  non  ha  uè  reli- 

«  gione,  né  giudizio ».  E  nella  lettera  sagiieate  (24  aprile),    prendendo 

argomento  dalla  notizia  datagli  dal  Bettinelli  della  scoperta  di  una  «  macchina 
«  parlante  »,  il  Carli  scrive  ribattendo  il  chiodo:  «...  Ora  si  è  arrivato  a  far 
«  articolare  le  macchine,  e  a  farle  suonare  i  clavicembali,  a  farle  giuocare  agli 
«  scacchi.  E  chi  sa  che  non  si  arrivi  a  farle  mangiare,  bere  e  digerire?  Io 
«  credo  più  facile  una  tale  operazione  di  quella  di  raddrizzare  il  giudizio 
«  ai  francesi,  e  al  Parini . .  .  »  . 
*)  Op.  cit.,  ed.  1856,  II,  p.  110. 

2)  Art.  cit.,  pp.  41011. 

3)  Ca/fè,  n,  n.  15,  pp.  110-15. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xywl  69 

*  la  superiorità  propria  sopra  di  esso,  né  ridere  di  cuore  per  con- 
"  seguenza.  Il  solo  seutinietito  che  da  pitture  sì  bene  espresse 
"  può  nascere,  è  il  desiderio  di  poter  fare  altrettanto  „.  Critica 
del  tutto  opposta  a  quella  del  Foscolo  ^),  pur  soverchiamente  severa; 
che  un  tal  personaggio,   "  destituito  affatto  d'ogni  merito  perso- 

*  naie  „,  non  eccita  se  non  disprezzo:  '  e  questo  ne  toglie  per  con- 
"  seguenza  tutto  l'interesse  „.  Mostravano  dunque  i  giovani  filoso- 
fanti, 0  di  non  aver  compreso^  o  di  non  aver  voluto  comprendere 
l'intento  morale  e  sociale  dell'opera:  ma  v'entrava  forse  in  gran 
parte  il  dispetto. 

L'articolo  Sul  ridicolo  comparve  nel  n.  15  della  seconda  annata 
del  Caffè,  che  è  del  20  ottobre;  e  fu  pubblicato,  come  è  proba- 
bile, qualche  tempo  dopo  del  Mezzogiorno,  ^  di  cui  fu  permessa 
"  la  stampa  ai  24  luglio  del  '65  „,  e  "  che  usciva  indi  a  poco  dai  tipi 
"  del  Galeazzi  „  ^).  Nel  Mezzogiorno  tutti  ricordano,  come  fra  i 
convitati,  raccolti  a  mensa,  intorno  al  "  giovin  signore  „  ed  alla 
sua  dama,  appaia  il  fautore  delle  nuove  dottrine  economiche, 
che  grida  "  all'  altro  lato  della  mensa , . .  con  fanatica  voce  :  Com- 

*  mercio,  Commercio  „,  e   sfoggia, 

tra  il  fragoi'e 
D'  un  peregrino  d'  eloquenza  fiume 

pensieri   "  brillantati  „   e   "  forme 

Di  bella  novità  stampate  al  conio  ') . 

Dopo    la  pubblicazione   delle   opere  economiche   di   Pietro  e   dei 
suoi  compagni,  dopo  gli  articoli  del  Caffè,  dir  lodatore  del  com- 


*)  Saggi  di  critica  storico-letteraria,  in  Opere,  ed.  cit.,  voi.  IX",  p   220. 

*)  Storia  del  Giorno,  ed.  cit.,  p.  8.  L'eminente  critico  (op.  cit.,  p.  14)  crede 
l'aiticolo  pubblicato  nell'estate  del  '65,  «  pochi  giorni  avanti  che  uscisse  il  Mez- 
zogiorno ».  Ma,  cominciando  l'annata  del  CaftP  dal  1"  di  giugno,  il  n.  15  è 
del  20  ottobre. 

')  Il  Meriggio,  vv.  558-564,  in  Cantù,  L'abate  Parini  ecc.,  p.  380. 


70  L.  Ferrari 

mercio,  a  Milano,  era  dire  Verri  o,  per  lo  meno,  alcuno  della  so- 
cietà del  Pugni.  Qual  supposizione  più  verisimile  di  questa;  che 
il  Verri,  che  la  piìi  parte  dei  crit'ci,  cominciando  dall' Tigoni  ^)  e 
venendo  allo  Gnoli  ^)  e  al  Carducci  ^j,  hanno  riconosciuto  nell'apo- 
stolo del  commercio  satireggiato,  vedendosi  deriso,  cercasse  pren- 
dersi quella  vendetta,  che  poteva,  scrivendo  l'articolo  Sul  ridicolo?^). 
Un  altro  luogo  del  Caffè,  ove  appare  evidente  il  fine  di  con- 
trastare al  Parini,  fu  già  notato  dallo  Gnoli,  ed  è  pure  di  Pietro 
Verri  ^);    al  quale  si   può  aggiungere  l'art,   di  Alessandro    (Voti 


«)  Ed.  i856,  II,  38. 

2)  Art.  cit,  p.  412. 

3)  Storia  del  Giorno  cit.,  p.  86. 

*)  Sino  allora  dagli  scrittori  del  Caffè  non  si  era  mai  offeso  apertamente 
il  poeta  del  Giorno;  anzi  Alessandro  Verri,  nel  Saggio  di  legislazione  sul 
Pedantesimo  (I,  n.  12,  pag.  99),  aveva  recato  a  sostegno  delle  proprie  asserzioni 
i  noti  versi  del  Mattino,  ove  con  pochi  tratti  felici  si  dà  un'imagine  delle 
scuole  del  tempo  (vv.  26-30),  chiamandoli  opera  di  «  eccellente  poeta  » . 

^)  Art.  cit.,  p.  403.  —  Il  Parini  in  un  suo  sermone,  letto  all'Accademia  dei 
Trasformati,  lo  Studio  {Opere,  ed.  cit.,  pp  200-203),  si  era  lamentato  del  poco 
onore  concesso  ai  suoi  tempi  alle  lettere  ed  ai  letterati  ;  querela  che  era 
un  luogo  comune  dei  conservatori  (vedi  Gozzi,  Osservatore,  ed.  cit.,  HI,  pp. 
28-32).  Nel  n.  25  del  1°  anno  del  Caffè  (pp.  201-4)  si  finge,  che  agli  scrit- 
tori del  giornale  si  proponga  la  questione  seguente:  «  Perchè  mai  gli  uo- 
«  mini  di  lettere  erano  onorati  ne'  tempi  addietro,  e  lo  sono  sì  poco  ne' 
«tempi  nostri?».  Ed  essi  per  bocci,  di  P.  Verri  rispondono,  che  «chi  f* 
«  questo  quesito  dev'  essere  sicuramente  professore  di  sonetti  e  canzoni, 
«  ovvero  grammatico  squisito,  se  mai  però  non  fisie  qualche  valente  anti- 
«  quario  »:  perchè  altrimenti  dovrebbe  riconoscere,  che  «  ora  ogni  autore  che 
«  sappia  scrivere,  cioè  scriva  delle  cose  che  paghino  della  fatica  di  leggere, 
«è  sicuro  di  ottenere  tosto  o  tarli  la  st'ma  del  pubb'ico...  Ma  viene  uno, 
«  e  vi  scarabocchia  egloghe,  sonetti,  eterne  inezie  in  rima,  le  quali  partono 
«  da  un  animo  vuoto  d'idee;  e  non  lasciano  al  lettore  che  il  rimorso  d'avere 
«malamente  speèo  il  suo  tempo;  e  con  qual  titolo  pretende  alla  stima  dei 
*  contemporanei?  ».  In  questo,  veramente,  il  Verri  si  trovava  d'accordo  col  Ba- 
retti,  che  nella  Frusta  (I,  239)  scriveva:  «  Molti  dei  nostri  poetanti  avrai  cs- 
«  servati,  che  nuU'altro  sanno  fare  col  lor  malanno,  che  un  sonetto  o  una  can- 
«  zone  alla  petrarchesca,  e  .che  poi  gridano  con  quanta  voce  hinno  nella 
«  strozza  coLtro  la  scarEe7za  dei  mecenati,  e  contro  la  cecità  del  trasandato 
«  secolo  » . 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  secolo  xvui  71 

sinceri  agli  onesti  letterati),  che  sembra  ripieno  di  note  personali  ^). 
E  un  saggio  ancora  delle  punture,  che  si  celano  ad  ogni  tratto 
nelle  opere  dei  contendenti,  possono  darci  un  terzo  discorso  del 
Caffè  ed  un  frammento  del  Parini,  fra  i  quali  scorgiamo  una  qual- 
che corrispondenza.  Alessandro  in  certi  suoi  Pensieri  scritti  da 
un  buon  uomo  per  istruzione  di  un  buon  giovane,  nei  quali  si  ab- 
bandona a  considerazioni  misantropiche  e  paradossali,  venuto  a 
parlare  della  timidità  dei  giovani  e  dell'  "  indiscrezione  di  taluni 
"  vecchi  che  esigono  dai  giovani  una  ingiusta  schiavitìi  per  le 
"  loro  opinioni  „,  scriveva:  "  i  vecchi  decaduti  nel  corpo  e  per- 
"  duti  quei  diritti  che  solo  competono  alla  gioventù,  sono  ge- 
"  losissimi  del  rispetto  loro  dovuto:  e  questo  è  quasi  l'ultimo 
"  steccato  in  cui  si  racchiudono  in  mancanza  d'altro  alimento  al 
"  loro  amor  proprio.  In  fatti,  se  perdendo  la  gioventìi  e  tanti 
*  beni,  che  l'accompagnano,  non  si  supplisse  a  sì  amara  perdita 
"  con  altri  piaceri  d' opinione,  la  vecchiezza  sarebbe  insopporta- 
"  bile  „  2).  E  il  Parini,  sfogandosi  in  un  Sermone  col  Passeroni, 
usciva  in  queste  amare  parole,  nelle  quali  ci  sembra  scorgere 
un'allusione  ai  Verri  ed  ai  loro  compagni  : 

I  detti  nostri 

Beffa  insolente  il  giovin  che  pur  ieri 
Scappò  via  dalle  scuole,  e  che  provvisto 
Di  giornali  e  di  vasti  dizionari 
E  d'  un  po'  di  francese,  oggi  fa  in  piazza 
Il  letterato,  e  ciurma  una  gran  turba 


*)  Dove  si  lamenta  (1,114),  che  «  quanto  talvolta  s'elevano  dal  volgo  al- 
«  cuni  de' letterati  colla  fjrza  dell'ingegno,...  altrettanto  manchino  dalla 
«  parte  della  moderazione  »,  e  dove  si  dice,  che  la  vendetta  di  tali  letterati  è 
«  fatta  colla  satira  » .  In  un  terzo  luogo  si  parla  di  chi,  «  ottenuta  la  gloria 
«di  poeta,  si  veste  de'  publici  applausi,  e  diviene  in  Pindo  impertinente,  into- 
*  lerando  ancora  come  uomo,  che  si  vendica  di  quella  oscurità,  in  cui  giacque  >: 
e  così  via. 

2)  Caffè,  I,  n.  17,  pp.  133-39. 


72  L.  Ferrari 

Di  sciocchi  eguali  a  lui.  Odi  ch'ei  dice: 
0  vecchierelli  miei,  troppo  è  già  nota 
L'usanza  vostra:  disprezzar  vi  giova 
L'età  presente,  ed  esaltar  l'etade 
Che  voi  vide  sbarbati.  E  qual  vi  resta 
In  questi  dì  cadenti  altro  conforto 
Fuorché  la  dolce  vanità  con  molte 
Vane  querele  lusingar  tossendo?*). 

Che  "  il  Parini,  sollécito  d'ogni  cosa  clie  potesse  tornare  a 
"  vantaggio  della  sua  Milano,  fosse  assiduo  lettore  del  Caffè  „, 
affermò  già  lo  Grnoii  ^)  ;  e,  quantunque  non  ne  recasse  alcuna 
prova  di  fatto,  disse  "  non  parergli  possibile  dubitarne  „ .  Il  raf- 
fronto di  questi  due  passi,  al  quale  possiamo  aggiungere  un  altro 
indizio,  assai  tenue,  ma  non  trascurabile  ^),  conferma  tale  sup- 
posizione. Il  che  non  è  senza  importanza,  se  .si  abbia  riguardo  ad 
un  altro  fatto,  rilevato  dallo  Gnoli;  ad  una  continua  rispondenza 
cioè  d'argomenti  e  di  idee,  che  intercede  fra  le  odi  del  Parini  e  gli 
articoli  del  giornale  milanese.  Simile  è  il  concetto  fondamentale, 
al  quale  così  i  Socj  dei  Pugni  come  il  Parini  fanno  servire  l'opera 
loro  ;  la  ricerca  cioè  di  ogni  cosa  utile  alla  moralità,  al  sapere,  al 
vivere  sociale  e  privato,  sia  pure  la  più  umile  e  la  più  negletta:  e 
simile  è  più  di  un  argomento.  Mentre  il  Parini  nella  prima  ode  loda 
La  vita  rustica,  il  Visconti  descrive  in  una  lettera  agli  amici  ìe  De- 


')  Opere,  ed.  cit.,  Frammento  d'  un  sermone,  voi.  Ili,  pp.  180-81. 
2)  Art.  cit,  p.  421. 

^)  È  noto,  come  il  Parini  nei  concieri  inediti  del  suo  poema,  al  v.  140  del 
Mattino 

€  Ove  abbronzato  |  fuma  et  arde  il  legume,  a  te  d'Aleppò  ]  giunto  ecc., 

abbia  sostituito  l'altro: 

«  Arde  e  fumica  il  grano  a  te  d'Aleppo  ecc.  »; 

evidentemente  per  togliere  l'errore  d'aver  fatto  del  caffè  un  legume.  Sarà 
un  caso,  ma  nella  Storia  naturale  del  Caffè  (I,  n.  1,  p.  li)  P.  Verri  si  era  fatto 
premura  di  avvisare,  «  che  il  Caffè  non  è  altrimenti  una  fava  o  un  legume, 
«  come  6i  crede  » 


Del  «  Caffè-»,  periodico  milanese  del  secolo  xvin  73 

lizie  delia  Campagna  ;  nella  Salubrità  dell'aria  il  poeta  rappresenta, 
con  tratti  da  verista  anticipato,  le  sozzure  che  corrompono  il  clima 
milanese,  già  viziato  da  risaie,  e  gli  stessi  lamenti  compaiono 
in  due  scritti  del  Visconti  e  di  Alessandro;  l'ode  ^)  suìV  Impo- 
stura è  architettata  in  modo  molto  simile  al  Tempio  deW  Igno- 
ranza di  P.  Verri  ^);  in  quella  le  sferzate  all'ipocrita  Cluvieno, 
nel  Caffè  gli  scritti  di  P.  Verri  contro  i  "  polsisti  „  ed  i  "  pseu- 
domedici „  ^)  ;  suir  innesto  del  Vaiuolo  il  Parini  scrive  un'ode,  e 
Pietro  l'ultimo  discorso  dell'anno  secondo '^).  Che  cosa  ci  dicono 
tutte  queste  concordanze? 

A  noi  sembra,  che  nuli' altro  possano  né  vogliano  significare, 
se  non  una  stessa  cura  delle  cose  locali,  uno  stesso  desiderio  di 
utili  e  assennate  riforme,  una  stessa  condanna  di  dannosi  e  igno- 
bili pregiudizj,  una  stessa  filantropia:  argomento  di  lode  pei  Verri, 
e  di  lode  anche  maggiore  pel  Parini,  il  quale  vediamo  ritrarre 
da  artista  ogni  aspetto  della  vita,  per  umile  che  sia,  e  conciliare 
mirabilmente  l'amore  dell'utile  e  "  il  vanto  di  lusinghevol  canto  „, 
L'  ode  Della  vita  rustica  infatti  e  quella  Sulla  salubrità  dell'aria, 
la  cui  composizione  cade  all'incirca  negli  anni  1758  e  '59,  sono  di 
troppo  anteriori  al  Caffè,  perchè  si  possano  dire  ispirate  dalla 
lettura  di  questo;  quella  delV Innesto  del  Vaiuolo,  scritta,  come 
è  noto,  nel  1765  per  lodare  le  esperienze  del  dott.  Bicetti,  è  an- 
teriore anch'essa  all'articolo,  e  composta  per  un'occasione  certa. 
Per  eguaglianza  di  studj  e  di  aspirazioni  si  trovavano  dunque  a 
scrivere  intorno   allo    stesso    argomento    discorsi   ricchi    di    cose. 


')  Nel  Frammento  sugli  Odori  (I,  n.  4,  pp.  29-35)  A.  scrive  (p.  30):  «do- 
«  vunqiie  io  volga  gli  occhi  nou  veggo  che  latrine  aperte,  né  si  pensa  a  ripa- 
«  rare  la  puzza  che 

«  Aequo  pulsai  pede  pauperum  tabernas 
«  Règumque  turres  ». 

2)  I,  n.  2,  pp.  21-23. 

3)  I,  n.  18,  pp.  141-8  {La  Medicina)  e  I,  n.  31,  pp.  248-49  {Dei  lucri 
dei  medici). 

*)  II,  n.'  34-38,  pp.  252-85. 


74  L.  Ferrari 

se  non  eleganti,  i  Socj  dei  Pugili,  ed  odi  di  classica  forma  e  di 
concetto  moderno  l'ab.  Parini;  come  per  affinità  di  parentela  e  di 
amicizia  questi  e  Pietro  Verri  cantavano,  Tuno  la  nascita  di  Carlo 
Imbonati,  l'altro  la  guarigione,  e  tutti  e  due  la  morte  del  Ba- 
lestrieri. 

Resta  tuttavia  1'  ode  V  Impostura,  la  quale  offre  veramente  una 
certa  rassomiglianza  col  discorso  del  V^erri,  il  Tempio  dell'  Igno- 
ranza ^),  in  qualche  particolare^),  e  specialmente  nel  disegno; 
poiché  nell'uno  e  nell'altro  componimento  lo  scrittore,  per  de- 
scrivere la  natura  e  gli  effetti  di  un  vizio  e  rappresentare  gli  usi 
e  gli  accorgimenti  dei  suoi  seguaci,  ricorre  alla  figurazione  di  un 
tempio,  nel  quale,  intorno  al  simulacro  di  quel  vizio  deificato,  si 
fingono  raccolti  in  follagli  adoratori.  L'articolo  del  Caffè  apparve  nel 
2."  numero  della  prima  annata,  cioè  il  10  giugno  1764;  mentre 
della  data  dell'ode  pariniana  nulla  altro  sappiamo,  se  non  ciò  che  ne 
lasciò  scritto  il  Gambarelli  nel  1791:  "  recitata  in  una  pubblica 
'  adunanza  dei  Trasformati  circa  un  trent'anni  fa  3)  „.  G.  Maz- 
zoni, rilevando  acutamente  le  somiglianze  che  passano  fra  i  due 
scritti,  e  trovando  un'allusione  al  Parini  in  un  poscritto  all'arti- 
colo, che  però,  considerato  unitamente  al  prologo,  ci  sembra  privo  di 
tale  punta  *),  congetturò  che  l'ode  del  Parini  fosse  stata  scritta  ap- 


1)  Caffè,  I,  n.  2,  pp.  13-15 

2)  Nel  tratto  ove  è  toccato  dell'affollarsi  della  gente  intorno  alla  statua 
della  Dea  e  nella  descrizione  del  simulacro.  Nel  Tempio  dell'  Ignoranza  «  stassi 
«  la  possente  Dea  rappresentata  in  una  colossale  statua  di  sughero,  a  cui 
«  servono  di  base  una  prodigiosa  mole  di  libri  disposta  in  forma  di  cono»; 
in  quello  àtW  Impostura  il  colosso,  nel  quale  è  rappresentato  il  nume  in  modo 
non  meno  strano  e  barocco,  posa,  come  su  propria  base,  sul  «  dosso  del  Vero- 
simile » . 

^)  cit.  dal  Salveraglio,  in  Odi  del  Parini,  ed.  cit.,  p.  197. 

*)  All'articolo  del  Caffè  segue  il  poscritto  seguente,  segnato  P.  :  «Se 
«l'armonia  del  verso  servisse  ad  abbellire  sì  fatti  pensieri,  forse  il  numero 
«  de'  poeti  non  sarebbe  sì  grande,  né  la  professione  di  poeta  sì  poco  onore- 
«  vole».  Queste  parole,  nelle  quali  il  Mazzoni  scorse  una  punta  al  Parini,  non 


Del  «  Caffè  » ,  j^er iodico  milanese  del  secolo  xvni  75 

pena    letto    V  articolo    del    giornale    il    Cciffè,    cioè    nel    giugno 
1764   1). 

Senonchè  fra  il  Tempio  dell'  Ignoranza  e  V  Impostura  pariniana 
le  somiglianze  non  sono  forse  di  tal  fatta,  da  ammettere  una 
reminiscenza.  La  personificazione  di  un  ente  astratto,  la  rappre- 
sentazione degli  attributi,  degli  effetti,  delle  vicende  di  esso  sotto 
forma  di  simbolo  o  di  persona,  e  la  descrizione  del  luogo,  ove 
abita  o  è  venerato,  sono  vecchj  spedienti  della  poesia  epico-narrativa 
italiana;  già  usati  dall'Ariosto  nella  bellissima  descrizione  della 
casa  del  Silenzio,  e  trasmessi,  a  traverso  gli  esempj  datine  da 
stranieri,  specialmente  dal  Voltaire  e  dal  Pope  nei  loro  famosi 
Templi  del  Gusto  e  della  Fama,  alla  poesia  narrativa  settecentistica. 
Tali  descrizioni  sono  frequentissime   nei  poemetti  del  Roberti  2), 


si  riferiscono  se  non  al  prologo,  premesso  dallo  stesa  d  Verri,  al  Tempio  dell' Igno- 
ranza per  serbare  la  fiazioae,  che  gli  articoli  del  Caffè  ripetessero  discorsi 
fatti  nella  bottega  di  Demetrio.  «  Ebbirao  nel  Caffè,  così  scrive  il  Verri,  gran 
«  soggetto  di  ridere,  e  ce  lo  somministrò  un  magro  Poetuzzo,  il  qual  venne  a 
«  sfoderarci  un  Coronale  di  Sonetti  Petrarcheschi  tanto  dolci,  tanto  armoniosi, 
«  tanto  esangui,  e  vuoti  di  pensieri,  che  avrebber  fatta  la  lor  comparsa  na- 
«  turale  in  una  bottega  di  droghiere  fra  l'oppio,  e  il  sugo  de'  papaveri.  Son 
«  già  mille,  e  quasi  ottocent'  anni  dacché  al  nostro  buon  amico  Orazio  non 
«  piacevano  veìsus  inopes  rerum  nugaeque  canorae,  eppure  certi  poverelli  si 
«  provano  anche  al  dì  d'oggi  di  carpire  la  stima  e  l'onore  de'  loro  cittadini 
«  con  canore  inezie.  Fatto  sta  che  sbadigliammo  tutti  quanti  ben  bene  al- 
«  r  onore,  e  gloria  del  Coronale,  e  per  destarci  dal  sopore  Petrarchesco  in 
«  cui  eravamo,  un  tale  si  cavò  di  tasca  un  pezio  di  carta,  e  ci  pregò  di  ascol- 
«  tare  un  pezzo  di  sua  Poesia  in  prvsa;  essa  ci  piacque,  la  richiesi,  la  ot- 
«  tenni;  ed  eccovi  cosa  contiene  ».  In  questo  esordio,  come  ci  sembra,  è  un'al- 
lusione generale  ai  meschini  verseggiatori  del  tempo,  non  un'offesa  al  Parinij 
al  quale  sconviene  d'altra  parte  ciò  che  vi  si  dice  del  «  Coronale  di  Sonetti 
Petrarcheschi  »,  delli  dolcezza  ed  armonia  di  essi,  e  così  via. 

')  L'Impostura  Pariniana,  in    Vita  Nuova,  a.  II  (18jO),  n.  5. 

2)  Vedi  nel  poemetto    ia   Moda  {Opere,  ed.  cit.,  voi.  XI,  e.  I,  ottava  31 
e  segg.)  la  descrizione  della  casa  della  Moda. 


76  L.  Ferrari 

del  Bettinelli  \),  del  Bondi  ^),  e  di  altri  2);  e  sono  condotte  se- 
condo un  disegno,  di  cui  il  Tempio  dell' I(j)ioranza  non  è  che  una 
copia  ;  come  possiamo  scorgere  dal  confronto,  ad  esempio  colle  de- 
scrizioni, che  dei  soggiorni  di  Cacoete,  della  Sofistica  e  della 
Pedanteria  fece  il  Bettinelli  nel  suo  poemetto  delle  Raccolte  *) . 
Il  Tempio  dell'Ignoranza  "  trovasi  in  una  spaziosissima  valle 
"  di  cui  il  facile  pendìo  invita  gli  uomini  a  scendere  fino  alla  fine  „  ; 
e,  non  diversamente,  alla  casa  della  Pedanteria  guidano  "  molti  e 
larghi  sentieri  „ ,  e  "  agevole  è  l' entrata  in  quel  ricetto  ^) .  "La 
"  struttura  del  vasto  tempio  è  gotica  „  ,  cioè  barbara  e  barocca, 
come  la  porta  dell'  abitazione  della  Pedanteria  "  gotico  ha  Y  ai*co, 
"  e  tutto  il  marmo  è  finto  „  *').  Nel  Tempio  dell'Ignoranza  le  pareti 
sono  coperte  di  "  stravaganti  arnesi,  manaje  e  lacci,  eculei  e  tor- 
"  ture  d'ogni  sorta  „:  e  nella  spelonca  della  Sofistica 

Tesi  e  couclusion  veston  le  mura 
De  l'araba  magiou  fumose  e  rotte"). 


*)  Vedi  nel  Parnaso  Veneziano  la  descrizione  del  tempio  costruito  da 
Apollo  alla  poesia  nelle  lagune  (ottava  16  e  segg),  nelle  Raccolte  quelle  delle 
case  di  Cacoete  (e.  I,  ott.''^  27  e  segg  ),  della  Solìstica  (e.  II,  ott.'^  34  e  segg.),  e 
della  Pedanteria  (e.  Ili,  ott.*»  8),  e  della  sede  del  giuoco  nel  Giuoco  delle  Carte 
(e.  II,  ott  «  18). 

')  Il  secondo  cauto  della  Felicità  del  Bondi  è  tutto  una  enumerazione 
di  vizj  personificati,  i  quali  abitano  la  casa  dell'  Errore  (vedi  Poemetti  e  Rime 
varie  di  Cu   B.  Venezia,  Storti,  1778,  p.  28  e  segg.). 

3)  Ricordiamo  il  poemetto  intitolato  la  Gloria  del  co.  Vincenzo  Marenco,  nel 
quale  si  descrive  il  tempio  di  questa,  passandone  in  rassegna  gl'illustri  abitatori 
{Poemetti  italiani,  Torino,  Società  letteraria  di  Torino  presso  M.  A.  Morano, 
vv.  221-34),  e  il  Tempio  della  Follia,  poemetto  del  co.  Ottavio  Girolamini 
(Poemetti  cit.,  VII,  121-61  ). 

■*)  Le  Raccolte  canti  IV  al  nobilissimo  sig.  Andrea  Cornaro.  In  Venezia, 
1751:  riprodotte  nelle  Ojyere  (ed.  Zatta,  1789-82  e  Cesare,  1799-1800),  a  e,  parte, 
a  Milano  (Gius.  Marelli,  1752)  e  a  Venezia  (s.  tip.,  1758). 

^)  Le  Raccolte,  e.  Ili,  ottava  H. 

6)    »         »        e.  Ili,  ott."^  16. 

')    »         »        e.  II,    ott.«  35. 


Del  «  Caffè  >->,  ^jer iodico  milanese  del  secolo  xviu  77 

Alla  statua  ilell' Ignoranza  è  base  "  una  prodigiosa  mole  di  libri  „ . 
"  Oh  quanti,  esclama  P.  Verri,  oh  quanti  libri  venerati  da  noi  e 
"  rilegati  splendidamente  nelle  nostre  Biblioteche  servono  ivi  a 
"  questo  ministero!  „.  E  anche  nella  dimora  di  Cacoete 

Ammonticchiati  e  posti  lì  alla  cieca, 
Con  sopravi  di  polve  più  d'  un  dito 
Bastanti  ad  una  gran  biblioteca 
V  era  di  libri  un  numero  infinito  ')  : 

opere  di  filosofi,  trattatisti,  grammatici,  eruditi  ^);  come  eruditi, 
grammatici,  trattatistici,  filosofi  sono  i  settatori  dell'Ignoranza,  che 
P.  Verri  rinchiude  in  "  una  spaziosa  caverna  sotterranea  „,  aperta 
a  pie  dell'  ara  della  dea. 

Ora,  se  neW  Impostura  pariniana  compaiono  alcuni  particolari, 
che  si  ritrovano  anche  nel  Tempio  delV  Ignoranza,  è  perciò  detto 
che  tali  somiglianze  siano  da  attribuirsi  ad  una  reminiscenza  del- 
l'articolo del  Verri,  o  non  piuttosto  ad  una  ripetizione  di  luoghi 
comuni  della  poesia  narrativa  d'allora,  dalla  quale  l'ode  pariniana, 
come  si  conviene  ad  uno  dei  primi  componimenti  del  nostro  lirico, 
avrebbe  derivato  il  motivo  principale? 

Ma  passiamo  ad  un  altro  e  più  acerbo  oppositore  del  Caffè,  amico 
dei  Trasformati  e  perciò  nemico  dei  Socj  dei  Pugni:  Giuseppe  Ba- 
retti.  Da  antica  data  il  Baretti  era  amico  dei  milanesi;  sin  da 
quando,  reduce  da  Venezia,  ove  era  stato  ascritto  ai  Granelleschi 
col  nome  di  Severo  fuggitivo^  capitò  nel  1740  ^)  a  Milano,  ed  ebbe 
accesso  alle  conversazioni  in  casa  Bicetti.  In  mezzo  a  quell'accolta 
di  letterati  tutti  dediti  alle  poesie  d'occasione  il  Baretti  che  do- 


*)  Le  Raccolte,  e.  I,  ott.='  31. 

•^)    »         »        e.  I,  ott.«  33-34. 

3J  Sulle  relazioni  del  Baretti  coi  Trasformati  vedi  Custodi,  Nuove  Me- 
morie (Idia  vita  di  G.  Baretti,  premesse  agli  Scritti  scelti  inediti  o  rari  di  G. 
Baretti,  Milano,  G.  B.  Bianchi,  1822  (I,  p.  57  e  segg.)  ;  e  Cardccci,  L'Acca- 
demia dei  Trasformati  e  Giuseppe  Parmi,  in  iV",  ^n^,l"  maggio  1891,  pp.  5-8. 


78  Li.  Ferrm'i 

veva  fare?  Mise  insieme  anch' egli  una  raccolta  per  la  nascita  del- 
l' arciduca  d'Austria,  che  fu  poi  Giuseppe  II,  alla  quale  coopera- 
rono molti  dei  futuri  Trasformati  ^);  e  nei  tre  anni  che  si  trattenne 
a  Milano,  attese  alle  traduzioni  in  versi  sciolti  dei  Kimed}  d' Amore 
e  del  De  Arti  amandi  di  Ovidio  ^).  Cominciava  col  razzolar  male:  a 
predicar  bene  aveva  ancora  tempo. 

Stabilitosi  a  Cuneo,  di  là  fino  alla  sua  partenza  per  l'Inghil- 
terra (1751),  egli  mantenne  viva  corrispondenza  cogli  amici  mila- 
nesi, specialmente  con  casa  Bicetti  ^);  prese  parte  alle  raccolte  fatte 
da  essi  '^),  e  appunto  a  causa  di  una  di  queste  {le  Lagrime  in  morte 
di  un  gatto),  per  aver  persuaso  il  Balestrieri  a  non  ammettervi 
"  un  ladrissimo  sonetto  „  del  dott.  Biagio  Schiavo,  si  procurò  la 
nota  contesa.  L'amicizia  continuò  anche  durante  il  suo  soggiorno 
in  Inghilterra,  quantunque  in  quegli  anni  il  Baretti  deponesse  a 
grado  a  grado  molte  delle  opinioni  condivise  coi  Trasformati, 
come  la  predilezione  del  genere  bernesco  e  l'amore  delle  raccolte: 
e  durò  il  carteggio;  per  modo  che,  quando,  di  ritorno  dall'Inghil- 
terra, egli  cercava  ove  allogarsi,  gli  amici  di  Milano  lo  chia- 
marono tra  loro  nella  fiducia  di  procurargli  un  impiego  presso 
il  Firmian,  giunto  da  Vienna  nel  giugno  del  1758  in  fama  di 
protettore  dei  letterati.  È  noto  come  queste  speranze  non  si  com- 
pissero, e  come  il  Baretti,  costretto  a  cessare  la  stampa  delle  Lettere 
familiari  ai  fratelli  per  puntigli  del  ministro  di  Portogallo,  si 
rifugiasse  a  Venezia,  dove,  stretto  dal  bisogno,  prese  a  pubblicare 


*)  Orazione  e  Poesie  recitate  in  una  pubblica  Radunanza  in  Milano  per 
lo  faustissimo  nascimento  dell'Arciduca  d'Austria.  la  Milano,  s.  d.  t. 

')  Vedi  Piccioni,  Il  Baretti  traduttore,  in  Studi  e  ricerche  intorno  a  Giu- 
seppe Baretti,  Livorno,  Giusti,  1899,  p.  89. 

3)  Scr.  scelti,  ed.  cit.,  II,  pp.  7-18. 

*)  Vedi  il  Catalogo  delle  Opere  di  G.  B.  in  Scr.  se.  cit.,  I,  p.  16.  Del  Baretti 
sono  cinque  sonetti  e  una  nenia  a  pag.  2  e  pp.  192-7  delle  Lagrime  in  morte 
d'un  Gatto  (Milano,  Gius.  Marelli,  1741)  e  una  canzone  a  pag.  36  della  Eaccolta 
pubblicata  dal  dott.  A.  T.  Villa  per  le  nozze  di  Donna  Laura  Giulini  con  Don 
A.  Giuseppe  Tomielli  conte  di  Loyolo  (Milano,  1746). 


Del  «  Caffè»,  lìer iodico  milanese  del  secolo  xvni  79 

la  Frusta.  In  quell'occasione  i  Trasformati  non  gli  furono  avari 
di  incoraggiamenti  e  di  aiuti.  A  lui  il  Carcano  inviava  la  Lettera 
di  Fille  dal  biondo  crine  ^),  che  Aristarco  pubblicava  nella  Frusta  ^; 
e  il  Balestrieri  alcune  sue  Capricciose  stanze  ^):  e  a  lui  ugualmente 
gli  Accademici  milanesi  fecero  pervenire  gli  almanacchi  del  Verri 
e  il  giornale  dei  loro  nemici,  perchè  ne  facesse  degna  recensione. 
Contro  il  Verri  il  Baretti  aveva  forse  particolari  motivi  di 
antipatia  e  di  disgusto;  ma  le  dottrine  del  nuovo  periodico  per  se 
sole  erano  tali  da  commuovere  potentemente  la  sua  bile  e  sugge- 
rirgli alcune  delle  sue  bizzarre  e  piacevoli  invettive.  Chi  parlava 
di  rinunzia  alla  pura  favella,  chi  non  aveva  parole  di  lode,  se  non 
pegli  stranieri  e  j)el  secolo  di  Luigi  XIV,  e  adorava  i  filosofi  francesi 
ed  il  Voltaire,  chi  esaltava  PAIgarotti  e  il  Bettinelli,  e  sopratutto 
chi  scriveva  come  scrivevano  i  Verri  e  i  loro  compagni,  doveva 
apparire  degnissimo  della  sferza,  ad  Aristarco  che,  senza  essere  un 
bigotto  della  Crusca,  era  però  un  devoto  della  forma,  ed  univa 
l'orrore  delle  nuove  dottrine  irreligiose  e  rivoluzionarie  al  culto 
delle  nostre  tradizioni  letterarie.  E  le  frustate  non  mancarono; 
e  furono  sonore.  La  Frusta  durava  dal  1°  ottobre  1763,  quando, 
per  istigazione  di  Carlo  Gozzi  specialmente  e  dell'Accademia  dei 
Graìielleschi '^) ,  il  Baretti  fu  indotto  ad  assalire  il  Goldoni;  e  prese 
a  scrivere  i  noti  articoli  contro  il  commediografo  veneziano,  che 
sono  e  resteranno  sempre  una  vergognosa  taccia  pel  critico  pie- 
montese. Il  1°  art.,  che  trattava  della  commedia  il  Teatro  comico, 
compariva  nel  n.  12,  il  2°  sulla  Bottega  del  Caffè  nel  n.  14,  il  3° 
sulla  Pamela  nubile  nel  n.   17  ^),  Ai  violenti  attacchi  del  Baretti 


^)  Baretti,  Scr.  se.  cit,  II,  38. 

2)  Frusta,  I,  n.  10,  pp.  243-4. 

3)  Fnista,  II,  n.  21,  pp.  123-29. 

*)  Vedi  G.  Sanesi,  Baretti  e  Goldoni,  in  Rassegna  nazionale.,  fase.  16,  febbr. 

1893,  p.  669. 

5)  N.  12  (15  marzo  17G4),  ed.  cit.,  I,  243-55,  n.  14  (15  aprile  1764),  I,  287-96, 

n.  17  (1«  giugao  1764),  II,  25-35. 


80  L.  Ferrari 

il  Goldoni  lontano,  né  si  adirò  ^),  né  rispose;  ma  non  mancò  chi 
volle  rintuzzare  la  petulanza  di  Aristarco,  tra  gli  altri  P.  Verri,  che 
già  altra  volta  aveva  sostenuta  la  causa  del  Goldoni,  e  questa 
l'assmise  con  tanto  maggior  impegno,  perché,  sotto  specie  di  difen- 
dere il  giusto,  sperava  veiidicare  sé  stesso.  Aristarco  infatti,  "  per 
"  compiacere  a  certa  persona,  piuttosto  che  per  voglia  „ ,  nel  mede- 
simo numero  che  conteneva  il  terzo  articolo  sul  Goldoni,  aveva  par- 
lato di  un  almanacco  satirico  del  Verri  come  "  di  cosa  affatto  misera 
"  e  spregevolissima  „,  chiamando  l'autore  "  uno  di  quei  scioperati, 
"  che  vogliono  scrivere  ad  onta  della  natura,  da  cui  furono  formati, 
"  perchè  consumino  pane^  e  non  perchè  scrivano  „  ^).  Nessuna  mi- 
gliore occasione  per  prendersi  una  rivincita  sul  Baretti,  che  combat- 
terlo nelle  critiche  fatte  al  Goldoni;  e  queste  appunto  ribatteva  P. 
Verri,  senza  pronunziare  il  nome  del  Baretti,  in  un  articolo,  intitolato 
La  Commedia  ^).  Lo  stesso  giorno,  in  cui  il  Caffè  usciva  con  questo 
scritto,  la  Frusta  recava  il  seguente  annunzio  ^):  "^  Aristarco  prega 
"  il  suo  amico  di  Milano  a  non  gli  mandare  gli  ulteriori  fogli  del 


*)  «  Io  sono  c[iiello  che  sono  »,  scriveva  all'  Albergati  il  16  aprilo  1764. 
«  Vaglio  quello  che  vaglio.  Buono,  cattivo  o  mediocre  eh'  io  sia,  il  Baretti 
<i  non  può  darmi  né  togliermi  nulla  »  [Lettere  del  Goldoni  cit.,  p.  249).  «  Tutt'al 
«più»,  soggiungeva  il  28  maggio  1764  allo  stesso,  «se  fossi  stato  in  Italia, 
«  avrei  provato  a  metter  in  commedia  il  Baretti  »  (Misi,  Fr.  Albergati,  la  vita 
e  i  tempi  e  gli  amici,  Bologna,  Zanichelli,  1878,  p.  157) 

«)  Frusta,  TI,  40. 

3)  Caffè,  n.  4-5  (1°  luglio  e  10  luglio  1764),  I,  pp.  38-41.  Se  tutte  le  ottanta 
e  più  commedie  dell'avv.  Goldoni,  dice  il  Verri,  non  sono  pregevolissime,  «  in 
«tutte  però  è  posto  un  fondo  di  virtù  vera,  d'umanità,  di  benevolenza,  d'amor 
«  del  dovere  »:  tutte  sono  tali  da  piacere  all'universale.  Ora  «  gli  uomini,  di  let- 
«  tere  e  i  filosofi  veramente  tali  sono  giunti  a  scoprire  questa  grande  verità, 
«che  le  regole  e  le  leggi  d'ogni  cosa  dipendente  dal  sentimento  sono  stabilite 
«unicamente,  perchè  sono  credute  necessarie  per  produrre  l'effetto  a  cui  si  de- 
«  stina  l'opera  qualunque  ella  sia;  in  conseguenza,  qualora  l'opera  ottiene  il 
«suo  effetto,  in  vece  di  trovarla  cattiva  per  le  regole  che  vi  si  trasgrediscono, 
«  ragion  vuole  che  si  trovino  tante  regole  inutili  quanto  sono  le  trasgredite  ». 

*)  N.  19  (lo  luglio  1764),  II,  p.  89. 


Del  «  Caffè»^  periodico  milanese  del  secolo  xvm  81 

"  Caffè,  perchè  quel  pi*imo  è  una  delle  più  magre  buffonerie  che  si 
"  possano  leggere.  Se  l'autore  di  tale  opera  non  sa  terminare  nep- 
*  pur  il  primo  foglio  senza  ricopiare  la  storia  del  caffè  dalle  Me- 
"  morie  dell' Acc.  reale  delle  Scienze  di  Parigi,  sta  fresco  davvero. 
"  Chi  vuole  intraprendere  di  questa  sorte  di  opere  bisogna  che  abbia 
"  un  ampio  capitale  di  sapere,  d' ingegno  e  di  giudizio,  e  Fautore 
"  del  Caffè  non  ha  alcuna  di  queste  cose,  neppure  in  grado  me- 
"  di ocre  „. 

La  guerra  era  dichiarata  da  ambe  le  parti,  e  continuò  con  una 
serie  di  scaramuccie.  Alle  accuse  di  plagio  il  Caffè  rispondeva 
difendendosi  ^),  e  alle  ingiurìe  contrapponeva  ironiche  discolpe  e 
proteste  di  rispetto  nel  Memoriale  ad  un  rispettatissimo  nostro  mae- 
stro 2).  Né  da  parte  sua  Aristarco  tacque  all'articolo  Sulla  Commedia. 
Non  solo  l'amico  milanese,  che  egli  pregava  a  non  mandai-gli  più 
i  numeri  del  Caffè,  e  che  era  D.  Francesco  Carcano,  non  aveva 
obbedito  ^)  ;  ma  altri  ancora  aveva  fornito  materia  all'ira  del  Baretti  : 
ed  era  uno  dei  fermieri,  ai  quali  P.  Verri  aveva  mossa  guerra 
nel  principio  del  1764  col  Bilancio  del  commercio  dello  Stato  di  Mi- 
lano, il  Greppi,  di  cui  l'autore  della  Frusta  era  da  lungo  tempo 
amico.  Per  raccomandazione  del  Tanzi  il  Greppi  aveva  ospitato  il  Ba- 
retti a  Mantova  nell'inverno  1760-61  ^),  e,  quando  egli  fu  costretto 
a  lasciar  Milano,  gli  era  stato  nuovamente  largo  di  aiuti,  pei  quali 


*)  I,  n.  11,  p.  94. 

2)  I,  n.  12  (20  sett.  1764),  pp.  99-101. 

^)  Vedi  le  lettere  del  Baretti  a  Francesco  Carcano  16  giugno,  7  luglio  e  20 
ottobre  1764,  in  Lettere  e  frammenti  mediti  6ìq\  Baretti  (Piccioni,  Shtdi  e  ri- 
cerche cit.  pp.  448-51).  Nella  lett.  7  luglio  il  Baretti  scrive  all'amico:  «Del 
«  Caffè  non  mi  mandate  altri  fogli,  che  non  monta  il  pregio  il  leggerli.  Ve 
«  lo  dico  anche  in  istampa  nel  N.  XIX.  Mi  pare  che  sia  il  conte  Verri  Tau- 
«  tore  di  quel  Gaffe  ».  E  nella  seguente  invece  scrive  allo  stesso  (  20  ott.  )  : 
«  Avrò  cari  quei  fogli  del  Caffè.  Né  il  conte  Verri  né  altri  non  fanno  paura  »  : 
parole  che  fanno  sospettare  fortemente  di  nuove  istigazioni. 

■*)  Arch.  stor.  lomh,  18,  1886.  Lettere  inedite  di  G.  Baretti  «(?  Ant. 
Greppi,  pubb.  da  Achille  Neri,  lett.  27  marzo  1762,  p.  645. 

B.  Se.  Nomi,  fl 


82  L'  Ferrari 

il  critico  piemontese  attestavagli  gratitudine  eterna  ^).  I  Fermieri 
avevano  combattuto,  è  vero,  il  Bilancio  e  colla  confutazione  del 
march.  Carpani  e  con  sonetti  e  col  Bilancio  del  senat.  Muttoni  ^)  ; 
ma  un  buon  paio  di  frustate  di  Aristarco  non  erano  da  disprez- 
zare, e  il  Greppi  inviava  al  Baretti  il  Bilancio  del  Commercio,  per- 
chè ne  parlasse  nel  suo  giornale  3),  Nel  n.  21  (1°  agosto)  della  Frusta 
usciva  infatti  una  recensione  del  Bilancio,  nella  quale  non  si  rispar- 
miavano beffe  air  *  anonimo  sacciutello  „  ;  che  co'  suoi  "  calcoli 
bestiali  „  aveva  scoperto,  che  lo  stato  di  Milano  aveva  avuto  un 
commercio  passivo  di  dieci  milioni  circa  di  lire  milanesi  Tanno  "  per 
"  lo  spazio  di  questi  ultimi  vent'  anni  *)  „.  L'  articolo  finiva  consi- 
gliando l'autore  del  libro  "  (s'egli  è  giovane,  come  ho  ragione  di 
"  sospettare)  a  studiare  tuttavia  V Aìmahle  Vainqueur  o  qualche 
"  altra  danza  francese,  e  a  rinunziar  per  sempre  alla  filosofia, 
"  avendo  avuto  dalla  natura  un  buon  paio  di  calcagna  da  ballerino, 
"  e  non  una  testa  da  politico  e  da  filosofo  „  ^). 

Questa  per  conto  del  Greppi;  per  conto  proprio  poi  il  Baretti 
applicava  al  Verri  una  frustata  anche  più  sonora  nel  riprendere 
le  critiche  al  Goldoni  (n.  22,  15  ag.  1764  ^)  ).  Nell'esame  della  Pa- 

i)  Lett.  15  nov.  1762,  p.  651.  «Il  mio  caro  sig.  Antonio»,  scrivevagli  il 
Baretti,  «il  mio  cordiale,  il  mio  generoso,  il  mio  magnanimo  sig.  Antonio 
«che  ha  fatto  tanto,  e  che  ha  procurato  di  far  tanto  per  me,  che  bisogne- 
«  rehbe  eh'  io  fossi  il  più  insipito  e  il  più  mostruoso  uomo  del  mondo  a  non 
«  essergli  legato  con  eterna  catena  di  tenerezza  e  di  gratitudine  ».  Lo  stesso 
ripete  nella  successiva  del  29  genn.  1763  (p.  653). 

«)  Vrrri,  Scr.  in.  cit.,  I,  178-9. 

3)  Vedi  lett.  21  luglio  1764,  p.  659,  e  2  agosto  1764,  p  6.58.  Che  i  Fermieri 
aizzarono  il  Baretti  contro  di  sé  sapeva  il  Verri,  e  lasciò  scritto  nelle  sue  lettere 
{Scr.  in.,  I,  178.  IV,  11,  144). 

*)  Frusta,  II,  130.  I  Fermieri  al  bilancio  del  Verri  avevano  opposto  quello 
del  Muttoni,  secondo  il  quale  ogni  anno  erano  invece  11  milioni  di  avanzo: 
ambedue  inesatti,  poiché  un  terzo  bilancio,  compilato  nel  1765,  «per  superiore 
comando  »,  dal  Verri  e  dal  ilaraviglia  sui  dati  ufficiali  dette  un  passivo  di  un 
milione  e  mezzo. 

5)  Frusta,  II,   131. 

6)  Frusta,  II,  135-144. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xviu  83 

mela  maritata  egli  trovava  modo  di  introdurre  una  invettiva  pia- 
cevolissima contro  quello  "  spietato  ammiratore  e  panegirista  „  del 
Goldoni,  ch'era  "il  nuovo  filosofo  di  Milano,,,  che  sa  rinunziare 
alla  Crusca  ed  ha  "intenzione  e  modo  d'italianizzare  parole  fran- 
"  cesi,  tedesche,  inglesi,  turche,  greche,  arabe,  e  schiavone  per  ren- 
"  dere  le  sue  idee  meglio.  Renderle  „,  soggiungeva,  "  per  di  sopra 
"  0  per  di  sotto?  Eh  signor  Pamela  maschio,   vi  vuol  altro   che 

*  un  nano  come  sei  tu,  per  aggiungere  all'altezza  di  scrittore  pe- 
"  riodico;  vi  vuol  altro  che  i  tuoi  bilanci,  e  i  tuoi  Zoroastri,  e  i 
"  tuoi  Caffè,  e  il  tuo  cianciar  di  pittura,  di  musica,  e  di  poesia  e 
"  di  commercio,  e  d'arti  e  di  manifatture,  rubacchiando  tutti  gli 
"  autori  francesi  che  tu  leggi;  vi  vuol  altro  che  abbandonarti  al 
"  sentimento,  chiamar  pedanti,  e  ignoranti  arditi  que'  che  ti  possono 
"  ancora  condurre  a  scuola  cento  anni!  Vendica  l'amore  de'  tuoi 
"  probocomici  a  tua  posta,  caro  il  mio  bellimbusto,  ma  lasciati  o 
'  colle  buone  o  colle  cattive  porre  sulla  dritta  strada,  e  china  ri- 
"  spettosamente  quella  tua  testa  piena  di  farfalle  dinanzi  a  chi  ti 
"  vince  troppo  in  virtù  ed  in  sapere lascia  far  il  critico  e  il 

*  filosofo  a  chi  lo  sa  fare,  altrimenti  io  ti  renderò  tanto  ridicolo, 
"  che  ti  farò  da  buon  senno  maledire  chi  ti  ha  insegnato  a  cono- 
"  scere  le  lettere  dell'alfabeto,  che  molto  meglio  per  te  sarebbe,  se 

*  non  le  avessi  mai  conosciute  „  ^). 

La  minaccia  non  ebbe  effetto,  perchè  la  Frusta  fu  sospesa 
prima  che  vi  trovasse  luogo  la  "  scardassatura  ,  promessa  al 
giornale  milanese  ^)  :  ed  il  Caffè  alla  nuova  sciacquata  di  capo  ri- 
spose indirettamente  e  in  termini  assai  moderati  ^),  quando  il  gior- 
nale di  Aristarco  aveva  cessato  le  sue  pubblicazioni.  E  tutto  appa- 


*)  Frusta,  II,  140-41. 

*)  Un  articolo  intero  contro  il  Caffè  era  già  approntato  e  doveva  apparire 
nel  numero  IP  dell'anno  1765  (XXVP  della  Frusta):  vedi  lett.*  del  Baretti 
a  G.  B.  Cbiaramonti  29  die.  1764,  pubblicata  da  L.  Piccioni,  G.  Baretti  e 
G.  B.   Chiar amonti,  in  Studi  e  Ricerche  cit.,  p.  323. 

')  Nell'art    di  P.  Verri,  I  tre  seccatori,  n  30,  pp.  240-41. 


84  L.  Ferrari 

rentemente  fu  finito.  Ma  rimase  nell'animo  dei  due  contendenti  tale 
un  livore,  da  serbar  l'odio  per  tutta  la  vita  e  manifestarlo  l'un  contro 
l'altro  ad  ogni  più  piccola  occasione.  Nel  Baretti  specialmente  lo 
sdegno  fu  così  costante  e  profondo,  che,  come  narra  il  Custodi  ^), 
"  sempre,  e  perfino  negli  ultimi  anni  della  sua  vita,  non  potea  parlare 
"  di  tale  oggetto,  anche  nell'intimità  dell'amicizia,  che  colla  più 
"  viva  commozione  e  col  più  pronunciato  risentimento  „.  Dopo  la 
pubblicazione  della  Frusta  egli  era  uscito,  è  vero,  dalla  via,  che,  ad 
onta  del  progresso  compiuto  dalle  lettere,  si  ostinavano  a  seguire 
i  più  degli  Qx.- Trasformati,  ed  aveva  proceduto  così  arditamente, 
che  gli  antichi  amici,  come  avvenne  ad  es.  pel  suo  Discorso  nello 
Shakespeare,  non  riuscivano  più  né  ad  accordarsi  con  lui  né  a  com- 
prenderlo ^).  Tuttavia  il  Baretti,  che  ora  non  esitava  a  chiamare 
cattive  le  poesie  piacevoli  e  le  raccolte  dei  Trasformati,  "  perchè 
"  in  poesia  secondo  me  tutto  il  mediocre  è  cattivo  „  ^),  aveva  man^ 
tenuta  ad  essi  fedele  amicizia,  e  cordiale  inimicizia  ai  nemici 
loro.  Nelle  lettere  ai  milanesi ,  che  lo  tenevano  informato 
delle  novità  cittadine,  continuò  a  chiamare  Pietro  Verri,  an- 
che quando  "  era  portato  dalla  goffa  sorte  sul  più  alto  pinna- 
"  colo,  una  bestia  piena  di  albagia  come  d'ignoranza  „  '^),  e  "  uno 
"  scioccone  senza  ingegno  „  ^);  e  seguitò  a  dir  male  di  tutti  i  libri 
del  Beccaria,  che  il  Carcano  gli  regalava  ^).  Non  solo;  ma  in  ogni 
opera  che  stampava  non  dimenticò  un  accenno  ai  Socj  dei  Pugni; 


*)  Baretti,  Scr.  se.  cit.,  I,  p.  113. 

«)  Vedi  lett.  a  Fr.  Carcano  12  agosto  1778,  Scr.  se,  II,  295. 

3)  Lettera  a  D.  Frane.  Carcano  25  genn.  1771,  Scr.  se.  cit.,  II,  213.  Al- 
trove (II,  325)  diceva,  che  il  troppo  leggere  il  Passeroni  aveva  guastato  il 
Balestrieri,  il  Carcano  e  molti  altri;  «perchè  la  poesia  non  debb' esser  fatta 
«  così  alla  presta,  così  alla  disperata  » 

*)  Baretti,  Scr.  se.,  II,  296. 

5)  Ibidem,  II,  32. 

6)  Il  Baretti  chiamava  (lì,  189),  non  senza  ragione,  il  libro  Dei  delitti  e  delle 
pene  «  una  cosaccia  scritta  molto  bastardamente  »:  e  dell'opera  Dello  Stile  dava 
il  seguente  giudizio:  «  Ho  veduto  a'  dì  passati  un  libro  del  Beccaria,  che  ci 


Del  «  Caffè  » ,  jjeriodico  milanese  del  secolo  xYin  85 

non  nel  Discorso  sopra  lo  Shakespeare  ^),  ne  in  quella  scelta  di  let- 
tei-e  pubblicate  a  Londra  ad  uso  degli  studiosi  di  lingua  italiana  2), 
e  neppure  nella  difesa  degli  Italiani  ^),  quando  cercò  coprire  di  un 
pietoso  velo  i  mali  della  patria  e  dimenticare  le  ire  private  di  fronte 
alle  offese  straniere. 

Da  parte  sua  il  Verri  accomunava  il  Baretti  "  coi  Fachinei 
"  e  simili  scarafaggi  „^),  ne  tralasciava  di  chiedere  al  fratello  Ales- 
sandro, quando  si  recò  a  Londra  nell'inverno  1766-67,  del  "  signor 
"  Scannabue  nobilissimo  „  ^).  E  Alessandro  rispondeva:  "  il  nostro 
"  caro  Baretti  è  qui  insieme  di  (sic)  tant'altra  canaglia  che  disonora 
"  la  nostra  nazione  „®).  Senonchè,  se  gli  scrittori  del  Caffè  non  si 


«  vuole  insegnare  a  scrivere  con  buono  stile  senza  saper  egli  stesso  un'acca  né 
«  di  stile  né  di  lingua.  Il  pover  uomo  s'è  lambiccato  il  cervello  per  esprimersi  in 
«  modo  da  non  essere  inteso,  se  non  forse  da  quell'altro  cervello  bujo  del  co. 
«Verri»  (II,  208,  lettera  a  Fr.  Carcano  19  genn.  1771). 

*)  Vedi  il  passo  citato  dal  Ccstodi,  Memorie  cit.,  I,  p.  112. 

2)  È  la  quarta  di  quelle  ripubblicate  dal  Morandi  {Voltaire  contro  Shake- 
speare e  Baretti  contro  Voltaire,  Roma,  Sommaruga,  1882,  pp.  179-85);  e  si  finge 
scritta  da  Gfius.  Visconti  a  Sebastiano  Franci,  due  della  società  del  Caffè.  In 
questa  lettera  il  Baretti,  venti  anni  dopo  la  contesa  del  Branda  e  più  di  tre- 
dici dopo  la  pubblicazione  del  Caffè,  si  prende  beffe  dei  nemici  maggiori  dei 
Trasformati,  il  p.  Onofrio  Branda  e  Pietro  Verri,  l'uno  «  cruscaio  »  e  l'altro  «  anti- 
«  cruscaio  »,  dei  quali  fa  una  pittura  piacevolissima.  Il  Verri  è  rappresentato  «  iu 
«  quella  bottega  male  scopata  di  messer  Demetrio  »,  mentre  nomina  «  il  Dit- 
«  tamondo  insieme  con  molt' altri  Toscani,  a'  quali  cento  scrittori  milanesi  hanno 
«  dato  cento  volte  il  gambetto  »,  e  dice  «  agli  attenti  circostanti,  come  nello 
«  scrivere  i  nostri  libri  non  importa  le  nostre  parole  s'abbiano  un  ette  di  più, 
«  0  un  elle  o  un  eife  di  meno  del  bisogno  »,  e  altre  simili  asinerie.  «  Il  conte 
«  Pietro  Verri  non  ne  dice  una  mai,  a  cui  il  conte  Alessandro  Verri,  suo  fra- 
«  tellino  mosciolino  piccin  piccino,  non  faccia  subito  eco,  e  non  la  pigli  su  con 
<  due  dita,  e  non  la  mostri  come  si  mostrerebbe  una  delle  perle  di  Cleopatra  ». 

^)  Gli  Italiani  o  sia  Relaz.  derfli  usi  e  costumi  d'Italia,  Milano,  Pirotta, 
1818,  p.  42. 

•»)  Verri,  Scr.  in.,  II,  120. 

5)  Verri,  Scr.  in.,  II,  .21. 

«)  Verri,  Scr.  in.,  II,  83. 


86  L-  Ferrari 

dimenticarono  così  facilmente  di  Aristarco,  finirono  assai  presto 
di  parlare  di  lui.  Altre  cure  più  gravi  occupavano  Pietro  ;  e  l'Ales- 
sandro Verri  di  Roma  non  era  più  quello  di  Milano. 

Un  altro  tenace  difensore  delle  tradizioni  cinquecentistiche  e 
trecentistiche,  e  propugnatore  dell'italianità  dei  generi  e  dello 
stile,  dementino  Vannetti,  volle  fare,  come  sembra,  una  rivendi- 
cazione postuma  dei  nostri  classici  vilipesi  e  della  lingua  vituperata 
dai  Socj  dei  Pugni  in  uno  dei  suoi  dialoghi,  intitolato:  La  scuola 
del  buoti  gusto  nella  bottega  del  Caffè  ^).  Personaggi  sono  l'ab.  Buon- 
naso,  l'Eremita  (che  è  il  Vannetti),  Fabrizio  padrone  della  bottega, 
e  il  co.  Russone;  che  ha  bensì  dei  tratti  comuni  col  Verri,  come 
quello  di  gridare  :  "  l'onore  d'una  nazione  consiste  nell'  industria 
"  e  nel  commercio,  non  in  queste  bazzecole  ^)  „  [i  libri],  ma  nel  re- 
stante è  uomo  quasi  illetterato,  non  un  filosofastro  alla  francese. 
Si  legge  e  si  commenta  burlevolmente  dalla  compagnia  un  libro 
intitolato:  La  crisi  benefica  del  Gusto  ovvero  Dettagli  e  quadri  d'' elo- 
quenza e  poesia  per  gli  Italiani  del  secolo  iUuminato,  i  cui  principi 
fondamentali  si  avvicinano  d'assai  alle  massime  divulgate  dalla 
scuola  milanese.  Basti  ricordare  i  sommarj,  del  capitolo  2°:  *  Le 
"  parole  non  sono  che  segni  di  convenzione  a  spiegar  le  idee. 
"  Dunque  l'eleganza  è  una  chimera  fuor  di  moda^)  „,  e  del  capi- 
tolo 4°  :  "  Essendo  l' eloquenza  e  la  poesia  egualmente  figlie  delle 
"  passioni,  e  trovandosi  queste  nel  cuor  d'ogni  uomo,  si  rende  su- 


*)  I  Dialoghi  del  Vannetti  furono  editi  dapprima  in  dodici  almanacchi 
annuali,  che  si  stamparono  a  Rovereto  dal  1783  in  poi.  Quello,  di  cui  trat- 
tiamo, è  il  5<>  dell'ed.  di  Venezia  (Opere  italiane  e  latine  del  cav.  Cl.  Van- 
netti, Alvisopoli,  1826-31,  voi.  I,  pp.  53-74):  sicché  sembra  doversi  assegnare 
all'anno  1787.  Ma  forse  l'ordine  dei  dialoghi  fu  mutato  nella  edizione  delle  opere 
complete.  Se  il  dialogo  infatti  fosse  da  riportarsi  al  '90  o  ad  anni  successivi, 
potremmo  metterlo  in  relazione  con  ciò,  che  ci  dicono  due  lettere  del  Vannetti 
al  pr.  Fontana;  in  una  delle  quali  il  Vannetti  chiede  una  copia  del  Caffè 
(9  genn.  1790,  in  Lettere  inedite  d' ili.  it.,  ed.  cit.,  p.  464),  e  nell'altra  (3  marzo 
1790,  p.  465)  ringrazia  dell'invio  del  giornale. 

2)  Opere  cit.,  I,  p.  55. 

')  Opere  cit.,  I,  p.  56. 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  secolo  xvni  87 

"  perfluo  il  ricorrere  ai  modelli  consecrati  dal  tempo.  Danni  perciò 
"  dell'imitazione,  inutilità  dei  precetti,  e  bando  necessario  di  tutti 
"  gli  antichi  autori,  che  sono  i  tiranni  dell'ingegno  ^)  „.  La  satira 
è  acuta,  ma  priva  di  quella  vivacità,  che  viene  dall'ispirazione  del 
momento,  e  di  quel  calore,  che  nasce,  per  così  dire,  dall'attrito 
delle  circostanze  presenti. 

Finora  del  Caffè  abbiamo  visto  i  nemici  e  i  detrattori;  dobbiamo 
adesso  vederne  i  lodatori  e  i  fautori.  E  questi  troveremo  non  in 
Italia  soltanto,  ma  ancora  in  paesi  stranieri;  il  che  contraddice 
l'affermazione  di  molti,  che  il  Caffè  fosse  disconosciuto  dai  suoi 
contemporanei.  Il  periodico  ebbe  quella  diffusione  che  poteva, 
in  quei  tempi  in  che,  a  confessione  del  Baretti  stesso,  a  Roma  gli 
associati  della  Frusta  ^)  erano  sol  tre,  ed  a  Firenze  e  a  Napoli 
pochissimi  i  lettori  :  ma  visse  più  dell'  Osservatore  e  più  della  Fru- 
sta, e  cessò  le  sue  pubblicazioni,  non  già  come  affermò  il  Cantù, 
"  per  mancanza  di  lettori  „  ^);  ma  per  la  dipartita  di  Alessandro 
Verri  e  del  Beccaria. 

Il  giornalismo  letterario  fece  al  Caffè  assai  benevola  acco- 
glienza. La  Minerva  a  sia  Giornale  dei  letterati  d'Italia,  che  si 
stampava  a  Venezia  dal  1762  al  '67  per  opera  del  p.  Angelo 
Calogerà  e  dell'abate  .Jacopo  Rebellini  *)  {VAdelasto  Anascalio  no- 
minato dal  Baretti  insieme  con  Pietro  Verri  tra  gli  "  invincibili 
ignoranti  „  difensori  del  Goldoni  ^)),  faceva  gli  elogj  del  Caffè  e  ne 


*)  p.  57.  E  del  capo  3"  la  tesi  è  questa  (pp.  56-7):  «  II  linguaggio  degli 
«affetti  è  il  medesimo  in  tutti  i  popoli,  ed  è  una  pedanteria  la  distinzione 
«  fra  '1  genio  grammaticale  e  '1  gonio  rettorico  d' un  idioma.  Dunque  libertà 
€  di  voci  e  di  sintassi  straniera  in  ogni  idioma  ». 

«)  I,  p.  137. 

3)  Il  Parini  e  la  Lombardia  ecc.,  ed.  cit.  p.  209. 

*)  Piccioni,  Op.  cit.,  p.  103.  Per  notizie  particolareggiate  sul  Calogerà  e 
sul  Rebellini  vedi  Piccioni,  Studi  e  ricerche  intorno  a  Giuseppe  Baretti  cit., 
pp.  270-7.  Nella  stessa  opera  (p.  280  e  segg.)  sono  ampi  ragguagli  sulle  con- 
tese che  il  Baretti  ebbe  col  Rebellini  o  colla  Minerva. 

5)  Frusta,  II,  135. 


88  L.  Ferrari 

prendeva  le  difese  contro  Aristarco,  cui  rinfacciava  "  d'essersi  espo- 
*  sto,  parlandone  con  disprezzo  sopra  il  primo  foglio,  a  comparire 
"  o  di  non  intendere^  o  d'esser  portato  alla  maldicenza,  o  d'aver  qual- 
"  che  passione  contro  i  rispettabili  autori  di  quel  foglio,  nato  dall'u- 
"  nione  di  alcuni  valentuomini  „  ^).  A  Venezia  pure  un  altro  periodico, 
il  Corriere  letterario  (sorto  il  13  die.  1765  e  che  durò  un  anno  solo  2)  ), 
ripubblicava  molti  degli  articoli  del  Caffè  accanto  a  discorsi  tolti 
dall'  Enciclopedia  francese  e  dalle  Novelle  letterarie  di  Firenze. 

In  Francia  la  Gazette  littéraire,  che  si  pubblicava  dall' Arnaud 
e  dal  Suard,  non  solo  dette  relazione  delle  opere  filosofiche  dei 
SocJ  dei  Pugni,  per  es.  delle  Meditazioni  sulla  felicità  ò\  Pietro  Verri  3), 
ma  nell'S"  volume  ^)  riportò  tradotti  alcuni  pochi  discorsi  del 
Caffè.  Altri,  come  lo  scritto  di  Alessandro  sui  Difetti  della  letteratura 
italiana^  il  Suard  trasportò  in  francese  ed  inserì  in  quella  raccolta 
di  articoli  suoi,  dell'ab.  Arnaud,  del  Devaisne  e  d'altri,  che  pubblicò 
nel  1768  sotto  il  titolo  di  Variétés  littéraires  ^).  In  Germania  la 
Gazzetta  letteraria  di  Gottinga  nel  n.  126-28  (ott,  1766)  aveva  per  la 
prima  annata  del  Caffè  parole  di  elogio  ^):  e,  come  ci  informa  l'Ugo- 
ni  "'),  ventitre  discorsi  del  Caffè  erano  tradotti  in  tedesco  e  stampati 
in  Zurigo.  D'oltre  Alpi  vennero  pure  gli  incoraggiamenti  dell'  Hol- 
bach,  del  Morellet  e  del  D'Alembert,  coi  quali  i  Socj  dei  Pugni 
avevano  stretta  amicizia  e  iniziata  corrispondenza  per  mezzo  del 
Frisi  0  al  tempo  del  viaggio  del  Morellet  e  del  duca  de  la  Roche- 
foucauld  a  Milano  *)  ;  e  dalle  Alpi  scese  la  lode  del  Voltaire,  dit- 


*)  N.  31  del  1764  :  anche  nei  n.  36  e  41  si  combatte  in  prò  del  Caffè. 

^)  Piccioni,  Op.  cit.,  p.  166. 

3)  Scr.  in.,  II.  Questa  recensione  fu  fatta  dal  p.  Jacquier,  professore  di 
matematiche  nel  collegio  romano  e  corrispondente  della  Gazette  dall'  Italia. 

'»)  Scr.  in.,  II,  164,  I,  264. 

5)  Variétés  littéraires,  t.  Ili,  p.  332,  sotto  il  titolo  di  Réflexiotis  sur  l'esprit 
de  la  littérature  italienne. 

«)  Verri,  Scr.  in.,  II,  199. 

')  Ed.  1821,  voi.  n,  p.  273. 

8)  Veeri,  Scr.  in.,  U,  10  e  35. 


Del  «  Caffè»,  lìeriodico  milanese  del  secolo  xvin  89 

tatore  della  letteratura  cosmopolita:   "  Fècole   de   Milan  fait  des 
grands  progrés  „  ^). 

In  Italia  primo  ad  applaudire  ai  novatori  fu  il  p.  Saverio  Betti- 
nelli, lodato  a  più  riprese  nel  Caffè,  come  pochi  autori  italiani  ^). 
Al  tempo  della  pubblicazione  di  questo  giornale  il  Bettinelli  at- 
traversava uno  dei  momenti  più  difficili  della  sua  vita:  duravano 
tuttora  le  polemiche  e  lo  scandalo  sollevato  dalle  Lettere  virgiliane 
e  le  dicerie  ed  i  sospetti  pel  recente  suo  viaggio  in  Francia,  per 
la  visita  fatta  al  Voltaire  e  per  le  occupazioni  e  le  amicizie  cor- 
tigiane, strette  durante  il  soggiorno  al  collegio  dei  nobili  di  Parma, 
che  egli  aveva  dovuto  mutare  colla  solitudine  claustrale  del  casino 
di  esercizj  di  Avesa,  presso  Verona.  Avversato  e  combattuto  co- 
m'era  da  ogni  parte,  e  incapace  a  continuare  da  solo  la  lotta 
iniziata  colle  Lettere  virgiliane  ^),  il  Bettinelli  non  potè  non  ralle- 
grarsi vedendo  continuata  dai  giovani  lombardi  quell'opera  di  cri- 
tica discussione,  di  cui  egli  aveva  dato  esempio,  e  sperò  trovare 
in  loro  un  appoggio.  Scrisse  adunque  al  Beccaria,  ch'egli  aveva 
conosciuto  in  collegio  a  Parma,  per  porgergli  "  una  sincera  con- 
"  gi-atulazione  sopra  i  fogli  del  Caffè  e  insieme  un  ringraziamento 
"  per  l'onorata  menzione  che  in  un  foglio  si  fa  delle  Lettere  di 
"  Virgilio  „ .  Intanto  egli  coglieva  l'occasione  di  offrire  "  per  certa 
"  prova  della  sua  riconoscenza,  anzi  pure  di  nuovo  coraggio  ispi- 
"  ratomi  da  quei  fogli,  qualche  coserella  propria  dell'  intento  del 
"  periodico  e  degli  scrittori  „  .  La  proposta  di  collaborazione  fu 
accettata*):  e  il  Bettinelli  prometteva  pel  Caffè  l'apologia  delle 


1)  Verri,  Scr.  in.,  II,  209. 

2)  A.  Verri  nel  discorso  citato  Dei  difetti  della  Letteratura  e  di  alcune 
loro  ragioni  (p.  99)  loda  le  Lettere  virgiliane  al  pari  del  Parallelo  degli  an- 
tichi co'  moderni  del  sig.  di  PerrauU,  come  «  opere  veramente  pregevolissime  e 
scritte  con  ima  illuminata  libertà  ». 

=")  Lett.  del  Bett.  al  Beccaria,  10  ag.  1765,  riferita  dal  Cantù,  Beccaria  ecc., 
pp.  181-82. 

*)  Lettere  d' ili.  it.  ecc.,  ed.  cit.,  p.  34,  lett.  del  Bett.  a  P.  Verri,  6  die, 
1766. 


90  L.  Ferrari 

Lettere  virgiliane  e  il  secondo  codice  dei  novatori,  le  Lettere  Inglesi. 
"  Una  canna  di  piti  all'  organo  che  fa  roraore  in  favore  del  buon 
"  senso  da  introdursi  nelle  nostre  contrade  ,,  scriveva  Pietro  Verri 
al  fratello  ^). 

Per  tal  modo,  una  viva  amicizia  si  stringeva  fra  l'abate  e  Pietro 
Verri  e  il  Beccaria,  tenuta  desta  da  frequente  corrispondenza.  Il 
Verri  e  il  Bettinelli  si  confortavano  a  vicenda  a  proseguire  sulla 
via  impresa  animosainente.  Padre  Saverio  chiamava  i  Socj  dei 
Pugni  "  i  suoi  migliori  amici,  suoi  fratelli  „  ^),  si  augurava  di  poter 
insieme  concorrere  a  *  toglier  quelle  molte  che  ancora  nianent  ve- 
"  stigia  ruris  ,  ;  e  fissava  "  un  pellegrinaggio  a  Milano  per  la 
"  prossima  estate  „  ^).  Le  Lettere  Liglesi,  condotte  a  fine  troppo 
tardi,  non  poterono  inserirsi  nel  Caffè,  che  aveva  cessato  frat- 
tanto di  uscire;  ed  apparvero  invece  a  Venezia  in  una  ristampa 
degli  sciolti  e  delle  Virgiliane  ^).  In  compenso,  in  un  nuovo  gior- 
nale milanese  VEstratto  della  Letteratura  Europea,  nel  quale  ve- 
dremo arer  parte  alcuni  fra  i  Socj  dei  Pugni,  il  Verri  faceva 
un'  ampia  recensione  di  quest'opera  così  salutare  per  la  lettera- 
tura, ripetendo  e  confermando  i  giudizi  irriverenti  pronunziati  dal 
Bettinelli  contro  i  classici  nostri,  e  spingendo  anche  più  oltre 
le  audaci  afl^ermazioni  del  Gesuita.^).  Poco  dopo  la  pubblicazione 


i)  Sa:  in.,  I,  347. 

^)  Lettere  d' ili.  ecc.,  Lettera  cit.,  p.  34, 

3)  Ibidem,  Lettera  a  P.  Verri,  31  gennaio  1767,  p.   36. 

■*)  Venezia,  Pasquali,  1766. 

^)  Vedi  Estratto  della  letteratura  enroi^ea  "per  Vanno  1767,  t.  2»,  Yverdon, 
estr.  2°:  continua  in  Estratto  ecc.  per  V  anno  1767,  t.  3°,  estr.  11«  e  in  Estratto 
per  l'anno  1768,  t.  1",  estr.  1°.  Il  Verri  chiama  l'opera  del  Bettinelli  «uno 
«  dei  pochi  libri  che  possiamo  presentare  agli  oltremontaui  per  discolparci 
«  dall'accusa  d'esser  sempre  mediocri  e  imitatori  nelle  Belle  lettere  »  (t.  I,  p.  30); 
e  si  ripromette,  che  se  esso  sarà  «  tanto  letto  e  conosciuto,  quanto  ei  merita  di 

«  esserlo, colla  generazione  presente  sarà  perfettamente  distrutto  anche  in 

€  Italia  il  regno  dell'impostura  nella  liberissima  repubblica  delle  lettere». 
{Estratto  ecc.  1768,  t.  I,  p.  15).  Il  Verri  ribadisce  il  giudizio,  che  di  Dante 


Del  «  Caffè-»,  periodico  milanese  del  secolo  xnn  91 

delle  Lettere  Inr/Jesi,  nell'estate  del  '67,  il  Bettinelli  faceva  il 
viaggio  progettato  a  Milano.  Pei  nuovi  insulti  a  Dante  e  per  le 
nuove  eresie  letterarie  i  guaj  erano  cresciuti  al  gesuita.  Da  Ve- 
rona, ove  abitava,  il  Torelli  aveva  scherzato  in  un  opuscolo  sulla 
conoscenza  del  cuore  femminile  e  sulla  galanteria,  dimostrate  dal 
mantovano  nelle  Lettere  a  dame;  ed  aggiungendo  sarcastici  com- 
menti sulle  voci  sparse  dal  p.  Saverio  e  dai  suoi  amici  circa  il 
non  essere  egli  autore  delle  Lettere  Inglesi^  non  avea  risparmiato 
l'onore  stesso  della  Compagnia  ^).  Era  di  piii  accaduto,  che  la  re- 
pubblica veneta  sopprimesse  il  casino  di  esercizj  di  Avesa,  cui  era 
preposto  il  Bettinelli  ^).  Amareggiato  per  l'avversione  mostratagli 
da  molti  letterati  veronesi,  incerto  della  sua  destinazione,  e  irato 
per  dover  contenere  lo  spirito  battagliero  e  rinnegare  le  proprie 
opinioni,  egli  aprì  col  Verri  l'animo  suo,  e  a  lui  si  raccomandò, 
perchè  in  qualche  modo  lo  traesse  d'angustia  e  gli  procurasse 
comodi  e  libertà  maggiori.  E  il  Verri,  "  glorioso  „  di  poter  solle- 
vare "  un  uomo  di  lettere  illustre  e  benefico  „,  come  il  Bettinelli, 
fece  pratiche  per  lui  presso  il  co.  Firmian,   "  Son  pochi  giorni  „ , 


aveva  dato  il  Bettinelli,  «  giudizio  ottimo  e  disappassionato  ».  «  Dante,  egli 
afferma,  «  è  un  codice  da  conservarsi  per  l'erudizione  che  ci  dà  de'  suoi 
«  tempi.  Ma  per  un  poeta  sarebbe  utilissima  cosa  seguire  il  consiglio  del  no- 
«  stro  ingegnoso  e  saggio  autore.  Una  cosa  è  ben  però  che  si  stabilisca  ed  è, 
«che  per  giungere  alla  mediocrità  in  un  secolo  barbaro  vi  vuole  un  uomo 
«  sommo,  e  tale  forse  è  stato  il  Dante  ;  ma  quel  Dante  medesimo  se  ora  ri- 
«  sorgesse,  cancellerebbe  forse  tutto  il  suo  male  organizzato  poema.  È  molto 
«verisimile  anche  il  credere,  che  se  Dante  dovesse  giudicare  fra  l'autore  di 
«  queste  lettere  e  i  Dantisti,  abbraccierebbe  l'ingenuo  autore  e  secolui  si  ride- 
«  rebbe  degli  adoratori  del  vecchio  informe  suo  caos  di  versi  »  [Estratto  ecc., 
1767,  t.  Ili,  p.   166). 

*)  AlVautors  delle  Lettere  Virgiliane  P.  Paladinozzo  de'  Montegrilli,  gen- 
tiluomo Veronese  (stampato  a  Verona  nel  1767  e  a  Venezia  nello  stesso  anno, 
premettendovi  la  Lettera  del  Bettinelli  a  Miladi  Vaing-Reit,  e  riprodotto 
in  Opere  varie  in  verso  e  in  prosa  di  Gius.  Torelli  Veronese  per  cura  di 
A.  Torri,  Pisa,  Capurro  e  Comp.,  1833,  I,  27  e  segg.). 

2)  Vedi  Napione,  Vita  dell' ah.  S.  Bettinelli,  in  Vite  ed  elogi  d' illustri  ita- 
liani, Pisa,  Capurro,  1818,  III,  p.  194. 


92  L.  Ferrari 

scriveva  nel  marzo  del  1768  ^)  al  Bettinelli,  ritornato  a  Verona, 
"  che  ho  parlato  di  lei  con  S.  E.  il  sig.  conte  Firmian.  Ho  detto:  è 
"  un  peccato  che  un  uomo  di  quel  merito  si  trovi  imbarazzato  come 
*  deve  attualmente  essere  per  il  vestito  che  ha  in  dosso  ;  abban- 
"  donare  la  società  non  è  in  mano  sua:  restandovi,  son  duri  assai  i 
"  trattamenti  ai  quali  è  esposto,  e  difficilmente  potrà  dormir  bene  le 
"  sue  notti.  S.  E.  è  meco  convenuta  ed  ha  mostrata  molta  sensi- 
"  bilità.  Io  sono  andato  piti  avanti  e  gli  ho  detto  che,  mentre  il 
"  P.  Bettinelli  era  a  Milano,  in  un  discorso  che  ebbe  meco  conve- 
**  nimmo,  che  S.  E.  avrebbe  potuto  onestamente  cavarlo  d'impiccio 
"  col  procurargli  una  Lettura  o  a  Pavia  o  anche  a  Brera,  caso  che 
"  i  Gesuiti  dovessero  sloggiarne  „.  Il  Bettinelli  non  ottenne  poi 
ne  la  lettura  a  Pavia,  ne  il  trasferimento  a  Milano  ;  ma  passò  a 
Modena,  dove  per  un  anno  fu  lettore  d' Eloquenza  in  quella  Uni- 
versità. E  il  Verri,  che  non  aveva  potuto  far  di  meglio,  curò  col 
Lambertenghi  e  sostenne  con  alcuni  amici  le  spese  della  stampa 
dell'  Entusiasmo  delle  Belle  Arti.,  che  il  Bettinelli,  per  suggerimento 
dell'amico,  dedicava  "  al  Mecenate  delle  belle  arti ,,  il  co.  Firmian  2). 
Riconoscente  degli  aiuti  concessigli,  il  Bettinelli  nella  prefa- 
zione àeW  Entusiasmo  additava  all'italiana  gioventù,  come  esempio, 
l'operosità  dei  giovani  amici  milanesi,  "  eletti  per  molto  ingegno 
"e  studiosi  per  molto  amore  dell'ottime  discipline,  cioè  dell'utili 
"  insieme  e  delle  ornate  e  liberali  „  ;  per  merito  dei  quali  egli  auspi- 
cava un  risorgimento  delle  lettere  italiane  e  prevedeva    "  un  se- 


^)  Lettera  di  P.  Verri  al  Bettinelli,  19  marzo  1768,  in  Epistolario  Betti- 
nelliano.  Biblioteca  Comunale  di  Mantova. 

^)  Il  Bettinelli,  nel  viaggio  tatto  a  Milano,  aveva  portato  seco  il  mano- 
scritto deW  Entusiasmo,  e,  per  facilitarne  la  stampa,  pensò  dedicarlo  al  co. 
Firmian.  Ma  questi,  non  ostante  lo  studio  di  apparire  amico  e  protettore  di 
letterati,  si  degnò  appena  di  accoglierne  la  dedica ,  e  non  volle  sostenere  le 
spese  della  pubblicazione  che  si  fece  a  Milano  presso  il  Galeazzi  {Dell' Entu- 
siasmo delle  belle  arti,  In  Milano,  1769,  appresso  Gius.  Galeazzi),  concorrendo 
alle  «pese  il  Verri,  il  march.  Recalcati  e  il  march.  Marliani  (  lettera  del  Verri 
al  B.,  1  ott.  1768,  in  Epistolario  BettintUiano). 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvni  93 

"  colo  luminoso  filosoficamente  rinnovellato  „.  Senonchè,  ne  il  se- 
colo luminoso  della  scienza  economica  brillò  per  buon  gusto,  né  le 
"  chiare  imprese  „  della  scuola  filosofica  furono  sole  a  risollevare 
le  decadute  lettere  italiane. 

E  il  mutevole  p.  Saverio  fu  uno  dei  primi  a  riconoscerlo 
e  ad  avvisare  gli  altri  delPerrore,  che  era  stato  anche  suo.  Pochi 
anni  dopo,  quando,  ammaestrato  dal  tempo  e  dalle  contrarietà,  e 
convertito  dall'amicizia  del  Vannetti  e  dal  Cesari,  il  B.  si  era  fatto 
difensore  delle  buone  tradizioni  e  del  buon  gusto,  e  da  versisciol- 
taio era  retrocesso  a  sonettista  e  poeta  d'occasione,  nel  1780,  egli 
scriveva  in  un  Discorso  sopra  la  poesia  italiana,  che  è  il  perfetto 
opposto  delle  prime  sue  opere  di  critica  letteraria,  queste  parole  ^): 
"  se  al  lor  confronto  (del  Castiglione,  Davanzati  ecc.)  chiamiam 
"  tante  opere  anche  applaudite  in  verso  e  in  prosa  di  moderni 
"  scrittori  e  le  piti  gradite  del  secolo,  sopra  il  Commercio,  i  Delitti 
"  e  le  pene,  la  Felicità,  anzi  su  lo  Stile,  su  l'Eloquenza,  sul  Buon 
"  gusto  e  simili  argomenti,  quale  resisterebbe  alla  critica  giusta, 
"  qual  veramente  scritta  in  italiano?  E  ciò  non  dico  già  per  cen- 
"  surarli  amaramente,  ma  prendo  anzi  la  parte  loro,  avvisandoli 
"  amichevolmente  del  lor  pericolo,  perchè  debbon  sapere  anch'essi, 
"  die  uìC  intera  nazione  non  itigannasi  a  lungo  andare,  che  non  p)uò 
"  cambiarsi  la  natura  e  l' indole  della  lingua  ^)  „.  Che  savie  massime 
in  bocca  allo  scrittore  delle  Lettere  Virgiliane,  che  parole  d'oro 
da  un  Saverio  Bettinelli!  Né  basta:  che  p.  Saverio,  pochi  anni  dopo 
aver  aderito  alla  Società  dei  Pugni,  ha  concepito  un  dubbio  sulla 
verità  e  sulla  bontà  delle  loro  dottrine.  "  Chi  sa  che  volendo 
"  evitare  un  estremo  non  diamo  sul  contrario,  e  che  fuggendo  i 
"  i  ceppi  grammaticali  non  abusiamo  d'  una  libertà  ancor  più  fu- 
"  nesta?  „  ^).  Il  dubbio  prende  forza,  e  il  Bettinelli  grida  ancora 


*)  Discorso  sopra  la  poesia  italiana,  pubblicato  dapprima  nelle  Opere  del 
Bettinelli  (Venezia,  Zatta,  1779-82,  t.  V)  e  nuovamente,  con  correzioni  ed 
aggiunte,  nell'ediz.  Cesare  (Venezia,  1799-1800,  t.  I). 

2)  Bettinelli,  ed.  Cesare,  t.,  I.,  p.  24. 

")  Ibidem. 


94  L.  Ferrari 

una  volta  contro  un  inganno.  Non  è  più  l'inganno  di  stimar  troppo 
gli  esempj  antichi,  né  d'usare  una  retorica  e  un'educazione 
aristotelica,  né  di  sprezzare  gli  stranieri:  è  un  altro  errore  che 
"  per  pigrizia  o  per  ignoranza  ha  preso  piede  tra  noi;  quel  di 
"  credere  indifferente  il  mescolamento  di  linguaggi,  se  pur  non  giun- 
"  gasi  a  prenderlo  ad  ornamento  e  a  vezzo,  o  a  riputarlo  una  ricchezza 
•  aggiunta  alla  patria  ^)  „ .  Non  é  forse  questa  una  vera  confu- 
tazione delle  dottrine  sostenute  dal  Caffè? 

A  compire  la  trattazione  della  parte  letteraria  resta,  che  noi 
brevemente  studiamo,  se  e  quale  efficacia  ebbero  le  teorie  svolte 
dal  Caffè  sulle  opinioni  linguistiche  e  critiche  dominanti  nella 
letteratura  milanese  del  primo  quarto  del  nostro  secolo,  dal  Monti 
alla  società  del  Conciliatore  e  al  Manzoni:  e  resta,  che  esami- 
niamo le  relazioni  corse  tra  il  Caffè  e  il  Foglio  azzurro,  che  già 
rUgoni  ^)  disse  "  similissimo  a  quello  negli  estensori  e  nello  scopo  „, 
e  il  Piergili  chiamò  "  una  continuazione  „  del  giornale  dei  Verri  ^). 

Che  molti  dei  letterati  milanesi,  anche  in  seguito,  abbiano  par- 
tecipato cogli  scrittori  del  Caffè  il  disprezzo  alla  Crusca  e  la  non- 
curanza della  lingua,  che,  così  il  Monti  e  i  classicisti,  come  il  Fo- 
scolo e  i  neoclassici  abbiano  ripetuta  qualche  osservazione  o  opi- 
nione già  espressa  dai  Socj  dei  Pugni,  sono  fatti,  che  nuli' altro 
significano,  a  nostro  parere,  se  non  questo:  che  quegli  scrittori, 
al  pari  degli  estensori  del  Caffè,  foggiarono  le  loro  dottrine  a 
seconda  dell'indole  lombarda,  amante  del  semplice  e  del  popo- 
lare, nemica  di  fronzoli  e  di  agghindature,  prosecutrice  dell'utile, 
devota  al  vero_,  e  si  conformarono  alla  tradizione  dei  paesi  sub- 
alpini, avversi  alla  Toscana  ed  alla  Crusca.  Queste  tradizioni 
erano  state  accettate  anche  dal  Parini  e  dai  Trasformati,  e  dal 
Baretti;  così  che  il  Monti,  ad  es.,  potè  dire  la  sua  Proposta  "  co- 
"  mare  e  buona  comare  „  della  Frusta  ^).  Nel  campo  avverso  ai 


^)  Bettinelli,  ed.  Cesare.  I,  p.  41. 
»)  Op.  cit.,  ed.  1856,  II,  132-33. 

3)  Il  Foglio  azzurro  e  i  primi  Romantici,  in  N.  Aìit.,  1.°  settembre  1886. 
*)  Vedi  il  Dialogo  di  V.  Moxti,  I  poeti  dei  primi  secoli  della  lingua  ita- 
liana, in  Opere  varie,  voi.  Vili,  Milano,  Soc.  tip.  dei  classici  italiani,  1827,  p.  43. 


Del  «  Caffè  •>•>,  yar iodico  milanese  del  secolo  xvni  95 

novatori,  ove  militava  il  Parini,  le  cui  opere  educarono  alla  poesia 
il  Foscolo  e  il  Manzoni  giovinetti,  sono  adunque  da  ricercarsi  le 
origini  di  tali  opinioni.  Sicché  a  torto  si  affermerebbe  l'assoluta 
efficacia  delle  dottrine  degli  scrittori  del  Caffè  sul  Monti  e  sui 
neoclassici;  come  a  torto,  ci  pare,  quelle  si  sono  annoverate  dal 
Buccellati  ^)  tra  le  fonti,  onde  trasse  le  sue  teoriche  il  Manzoni; 
congiunto,  è  vero,  da  vincoli  di  sangue  con  alcuni  Socj  dei  Pugni,  ma 
lontano  dai  giudizj  avventati,  dalle  negazioni  recise,  dalla  ribellione 
aperta  e  non  ragionata  di  quelli,  e  che  venne  componendo  il  proprio 
sistema  per  intima  e  profonda  convinzione  formata  coli' esperienza 
propria  e  colla  lunga  meditazione.  Vi  è  però  un  momento  nella 
storia  della  letteratura  milanese,  in  cui  del  Caffè  si  ricercò  l'esempio, 
e  si  ravvivò  lo  spirito  stesso:  e  fu,  quando  i  giovani  scrittori  del 
Conciliatore  si  fecero  banditori  all'  Italia  delle  nuove  teoriche,  che 
si  dissero  del  Romanticismo  primo  o  lombardo. 

Del  romanticismo  italiano,  non  si  può  dire  che  le  origini  siano 
state  ancora  indagate  compiutamente  ^).  Certo  è,  a  giudizio  co- 
mune dei  critici,  che  esso  andò  di  assai  debitore  alla  letteratura 
settecentistica;  la  quale,  colle  opere  dell' Young  e  del  Rousseau 
dette  i  primi  esemplari  di  sentimentalismo  fantastico  e  ideali- 
sta, colla  tragedia  borghese  insorse  contro  i  generi  imposti  dalle 
regole  aristoteliche  ed  accademiche,  coli' Ossian  e  colle  Voci  dei 
Popoli  dell'Herder  aprì  una  fonte  nuova  di  ispirazione  e  di  motivi 
poetici,  che  fu  la  poesia  popolare  e  tradizionale  delle  nazioni.  Né 
meno  dovette  alla  critica  del  sec.  XVIII,  la  quale  aveva  dati  nu- 
merosi eserapj  di  avversione  al  convenzionale  e  all'  antico,  di  ribel- 
lione alle  dottrine  aristoteliche  intorno  al  dramma  e  all'epopea, 
di  rinunzia  a  tutto  ciò,  che,  quanto  a  forma  e  a  materia,  si  può 


*)  Buccellati,  Manzoni,  ossia  il  progresso  morale,  civile  e  letterario,  Mi- 
lano, tip.  editrice  lombarda,  1873,  voi.  II,  p.  79  e  segg. 

^)  Il  Mazzoni,  nel  suo  articolo  Le  origini  del  romanticismo  (N.  Atit.,  1°  ot- 
tobre i-i93),  volle  solo  ricordare  alcuni  fatti,  che  precedettero  l'apparire  del 
romanticismo  nella  storia  delle  letterature  nostra  e  straniera,  e  comunicare  al- 
cune vedute  originali  intorno  al  modo,  col  quale  le  dottrine  romantiche  vanno 
considerate  rispetto  al  corso  intero  della  nostra  critica  letteraria. 


96  L.  Ferrari 

comprendere  sotto  il  nome  di  mitologia;  avversione,  ribellioni,  ri- 
nunzie che  furono  in  vario  modo  e  in  diverso  grado  d'  ogni  tempo 
e  d' ogni  popolo,  ma  nelle  quali  consiste  sostanzialmente  il  ro- 
manticismo. 

La  questione  intorno  alla  prevalenza  degli  antichi  sui  mo- 
derni, già  accesa  in  Italia  nel  600  col  Tassoni  ^),  e  combattuta 
in  Francia  nei  primi  del  700,  aveva  sminuita  la  venerazione  per 
gli  antichi  ;  mentre  l' uso  delle  "  belle  infedeli  „ ,  introdotto  ancor 
esso  dapprima  dagli  Italiani  coli'  Eneide  travestita  del  Lalli  e  col- 
V Iliade  ridotta  da  Frane.  Malipiero,  avtva  favorito  l'allontanarsi  dalla 
storia  e  dall'arte  classica.  Contro  i  comandamenti  assoluti  dei  legi- 
slatori poetici  avevano  alzata  la  voce  il  Becelli,  nel  libro  Delia 
Novella  Poesia  2),  dicendoli  a  nulla  utili,  se  non  ad  impedire  ed 
opprimere  i  nobili  intelletti,  e  il  Buonafede  in  due  suoi  scritti  no- 
tevoli ^).  Questi,  preanunciando  la  dottrina  manzoniana,  che  la  forma 


*)  Vedi  L.  Ambrosi,  Sopra  i  pensieri  diversi  di  Aless.  Tassoni,  estratto 
dalla  Rassegna  nazionale.  Roma,  Loscher,   1896. 

^)  Della  Novella  Poesia,  cioè  del  vero  genere  e  particolari  bellezze  della 
poesia  italiana,  libri  tre.  Verona,  1732.  Di  questo  e  di  altri  scritti  del  Be- 
celli, nei  quali  sono  espresse  dottrine  assai  nuove  e  vicine  alle  romantiche,  ha 
trattato  il  Bertana  in  un  articolo  intitolato  Un  precursore  del  Romanticismo, 
in  Giorn.  st.  d.  leti,  it,  XXVI,  114-140. 

3)  Un'  Orazione  per  le  tre  arti,  recitata  nelV  Istituto  di  Bologna  (pub- 
blicata dapprima  negli  Opuscoli  di  Agatopisto  Cromaziano,  Venezia,  G.  B. 
Pasquali,  1797)  e  una  Epistola  della  libertà  poetica,  preposta  ai  Versi  liberi 
d' Agatopisto  Cromaziano,  editi  a  Cesena  nel  1766  e  nuovamente  nel  1797 
(Venezia,  Pasquali.  —  Vedi  Elogio  storico,  letterario  di  Agatopisto  Croma- 
ziano scritto  da  Agatopisto  Cromaziano  giuniore,  Venezia,  1795).  Questa  let- 
tera, che  il  Buonafede  dirige  ad  Eleuteria  Lacedemonia,  è  un'invettiva  con- 
tinua contro  le  grammatiche,  le  logiche  e  le  retoriche,  a  cominciare  dalla 
Epistola  di  Orazio  ai  Pisoni,  «  le  cui  leggi  o  sono  vulgari  e  note  ad  ognuno, 
«  e  non  abbisognano  di  molte  ammonizioni,  o  sono  arbitrarie  ed  ambigue,  e 
«  non  vogliono  astringer  veruno  ad  ubbidienza  »  (ed.  di  Venezia,  1797,  p.  9). 
Si  tocca  nella  Epistola  dell'uso  delle  favole  greche  e  della  questione  delle  tre 
unità  con  non  comune  libertà  di  giudizio.  «  Disputano,  scrive  il  Buonafede, 
«  se  le  favole  greche  e  romane  bene  st'eno  ne'  gravi  e  costumati  poemi,  di 
«  che  disputando  fauno  il  medesimo  che  litigare,  se  i  Poeti  possano  cantare 


Del  «  Caffè  » ,  jìcr iodico  milanese  del  secolo  xvni  97 

dovesse  uscire  dell'intimo  stesso  dall'opera,  non  essere  prestabilita 
e  applicarsi  meccanicamente  all'opera  d'arte,  scriveva,  che  mentre 
gli  eruditi  "  definiscono  il  poema  epico,  la  tragedia,  la  commedia, 
"  r  ode,  tante  vorrebbero  essere  le  definizioni,  quanti  per  avventura 
"  sono  i  componimenti  e  gli  autori  ^)  , .  La  legge  delle  due  unità, 
di  luogo  e  di  tempo,  che  la  Biblioteca  italiana,  nel  1817,  affermava 
essere  la  cagione  principale  della  discordia  fra  romantici  e  classici, 
era  stata  sconfessata  più  volte  da  critici  italiani  nel  '700:  dal  Be- 
celli-),  dal  Baretti^),  dal  Metastasio*),  dal  Buonafede^),  e  dal  Carli  ^). 


«  seriamente  quelle  fantasie,  di  cui  giustamente  i  Filosofi  ridono,  oppure  se 
«  la  domanda  vuol  ridursi  ad  essere  insulsa,  pìr  che  vogliano  dubitare,  se  sia, 
«siccom'è  veramente,  una  frenesia  condur  Proteo  a  dir  vaticinj  al  Presepio, 
«e  un  Evangelista  a  tenere  discorsi  con  l'Ippogrifo  (p.  96)....  Disputano 
«  delle  tre  unità;  e  intanto  che  alfri  nello  spazio  di  tre  ore  e  di  poche  scene 
«  rappresentano  venti  grandi  azioni  fatte  da  venti  uomini  in  venti  anni  in 
«  venti  paesi,  e  le  genti  corrono  venti  volte  ad  udirgli  e  far  plauso,  altri 
«  comandano  che  un  uomo  solo  con  una  sola  azione  in  un  sol  luogo  signoreggi 
«  alla  brigata,  e  faccia  egli  tutto,  e  tutto  sia  fatto  per  lui  »  (p.  18). 

^)  Epistola  ad  Elenteria  cit.,  p.  13. 

^)  Della  Novella  Poesia  cit,  p.  145. 

')  Nel  noto  Dìscoìd-s  sur  Shakespeare  et  sur  Monsleur  de  Voltaire,  intorno 
al  quale  vedi  Mor.a.ndi,  op.  cit. 

■*)  Il  MoRANDi  (op.  cit.,  p.  83  e  II  Metastasio  critico  e  prosatore,  in  Fan- 
fulla  della  Domenica,  1882,  u.  15),  per  assicurare  al  Metastasio,  sopra  il  Les- 
sing  e  il  Baretti,  la  priorità  nel  combattere  le  due  unità,  ne  cita  varie  let- 
tere posteriori  al  1750.  Potevasi  notare,  come  già  nel  Giustino  il  Metasta- 
sio, consigliato  a  ciò  dal  Gravina  (parrà  strano,  ma  lo  dice  egli  stesso  nel- 
V  Estratto  della  -poetica  di  Aristotile,  Gap.  V,  10}  abbia  fatto  uso  di  frequenti 
mutazioni  di  scena:  e  nella  dedicatoria  della  prima  stampa  del  Giustino- 
stesso  abbia  recato  argomenti,  per  mostrare  essere  impossibile  «  recedere  dal 
«  comune  uso  delle  mutazioni  della  scena  a  chi  voglia  comporre  per  il  teatro 
«  presente  e  non  per  la  sola  gloria  »  {Dedicatoria  delle  Poesie  [ed.  Napoli, 
1717]  a  D.  Auralia  d' Este  Gambacorta  Duchessa  di  Limatola,  riprodotta 
in  Carducci,  Lettere  disperse  ed  inedite  di  P.  Metastasio,  Bologna,  Zani- 
chelli, 1883,  p    10). 

^)  Epistola  ad  Eleuteria  cit.,  p.  18. 

^)  Dell'  Indole  del   teatro  tragico   antico  e  moderno,  in  Opere  (Milano,  S. 

B.  Se.  Norm.  7 


98  L.  Ferrari 

Ed  anche  intorno  alPuso  del  maraviglioso  mitologico  e  di  ar- 
gomenti, epiteti,  imagini  tratte  dalle  favole  e  dalla  storia  antica 
si  era  disputato  dai  letterati  settecentisti,  recando  contro  la  mitolo- 
gia argomenti  non  dissimili  da  quelli  usati  poi  dai  romantici.  La 
questione,  che  aveva  preso  le  mosse,  non  altrimenti  che  al  tempo  del 
Tasso  ^),  dalla  ricerca,  se  le  favole  mitologiche  fossero  conveniente 
ornamento  al  poema  epico  o  didascalico,  fa  trattata  in  libri  appo- 
siti ^) ,  e   proposta    come   quesito   di    accademie^).    E   dai  critici 


Ambrogio,  1787,  t.  XVII,  pp  5-191).  Questa  dissertazione  noa  citata  dal  Mo- 
randi,  che  trascura  anche  il  Buonafede,  contiene  oltre  una  breve  ma  dotta  storia 
della  tragedia  italiana,  alcuni  capitoli  destinati  a  «  far  conoscere  essere  incon- 
«  ciliabili  col  moderno  costume  e  modo  di  rap^iresentare,  le  maniere  e  le  forme 
«  usate  dagli  antichi  nelle  loro  tragedie  ».  Citiamo  il  cap.  VII  intitolato:  Nella 
diversità  di  circostanze  fisiche  e  morali,  in  cui  noi  siamo  per  rispetto  a  gli 
antichi,  non  doversi  abbracciare  gli  argomenti,  che  non  e'  interessano,  e  il  XII  : 
Belle  leggi  non  osservate  da  gli  antichi,  sull'unità  di  luogo,  e  di  tempo.  La 
dissertazione,  già  edita  nella  Raccolta  di  Opuscoli  scientifici  e  filosofici  del 
Calogerà  (t.  XXXV,  p.  146  e  segg.),  fu,  come  avverte  l'autore  nella  prefa- 
zione, letta  nel  1744  a  Venezia  ;  ed  ebbe  origine  da  contese  sorte  intorno  alle 
leggi  della  tragedia  fra  il  Carli  e  «  il  celebre  abate  Conti,  il  padovano  Giu- 
«  seppe  Salio,  e  il  conte  Gasparo  Gozzi  »,  addetti  «  alla  setta  peripatetica  ». 

*)  Vedi  il  suo  dialogo  il  Cataneo,  ovvero  degli  Idoli,  in  Tasso,  I  dialoghi 
a  cura  di  Cesare  Guasti,  Firenze,  Lemoonier,  1859,  III,  p.  210  e  segg: 

2)  Il  dantista  veronese  Lodovico  Salvi  (intorno  al  quale  vedi  V  Elogio 
scrittone  dal  Pindemonte,  in  Elogi,  Verona,  Gambaretti,  1826,  II,  p.  149  e 
segg.)  pubblicò,  nel  1745  circa,  una  dissertazione  contro  L'uso  dell'antica  mi- 
tologia nelle  poesie  moderne,  già  da  lui  letta  nell'Accademia  degli  Aletofili.  Al 
Salvi  rispose  il  co.  Jacopo  Antonio  Sanvitale,  il  mecenate  degli  arcadi  parmensi 
e  del  Frugoni,  e  autore  del  Poema  parabolico,  dando  alle  stampe  un  Parere  sopra 
la  dissertazione  del  sig.  Luigi  Salvi  intorno  all'  uso  dell'  antica  Mitologia  co- 
municato per  lettera  al  Rev.  Padre  D.  Gian  Pietro  Bergantini  (pubbl.  colla  dis- 
sertazione del  Salvi  a  Venezia,  presso  Pietro  Bassaglia,  1746).  Ricordiamo  anche, 
come  cosa  curiosa,  una  Dissertazione  sidla  Mitologia  aggiunta  ad  una  disserta- 
zione contro  la  Religione  naturale  dell'  arciprete  Bernardino  Rodolfi,  Verona, 
Moroni,  1791),  nella  quale  il  buoa  arciprete  vuol  dimostrare,  che  «  non  è  senza 
«gran  danno  al  buon  costume  lo  iutralasciamento  dalla  Mitologia»,  perchè 
essa  «  è  quasi  un  corso  fisico  di  Morale  ritormatrice  ». 

^)  Dall'accademia  degli   Orditi  di  Padova,   fondata  e  sostenuta  dall' ab. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  99 

del  tempo  si  manifestarono  opinioni  non  meno  varie,  che  nelle 
future  contese  dei  classici  e  dei  romantici.  Chi  impugnò  Fuso 
della  mitologia,  come  gli  scrittori  dello  Spectator  ^),  il  Varano  2) 
e  il  Salandri  3),  pensando  essere  cosa  indegna  di  un  cristiano 
"  attingere  le  idee  alle  false  e  impui-e  sorgenti  delle  gentilesche 
"deità,;  chi  lo  assalì,  come  il  Rezzonico '^) ,  facendosi  forte 
delle  parole  dello  Shaftesbury ,  del  Ramsay  e  del  Blackwell,  che 
le  favole  mitologiche  sono  pei  moderni  prive  di  significato  e 
di  interesse;   chi,   come   il  Salvi  °),    mostrò    "  che    ogni    poetica 


Gennari  (vedi  Notizia  intorno  alla  vita  e  opere  délV  ab.  Gennari,  premessa 
dal  Gamba  alle  Lettere  famigliari  dell'  ab.  Gius.  Gennari  padovano,  Venezia, 
Alvisopoli,  1829,  p.  8)  fu  proposto  a  tema  delle  letture,  per  una  seduta  del 
mar^o  1743  il  quesito  «  Se  ad  un  cristiano  poeta  sia  lecito  adoperare  le  fa- 
«  vole  dei  gentili  » .  Il  Gennari  vi  lesse  «  una  Dissertazione  per  la  parte  ne- 
«  gativa,  r  arciconsolo  [ch'era!' ab.  Doni.  Salvagnini]  per  l'altra.  Vianelli 
«  principe,  nel  decidere  usò  distinzione,  e  die  ragione  ad  amendue  »  (  ett.^  del 
Gennari  al  dott.  Fr.  Vimena,  in  Lettere  cit.,  p.  23).  Molti  anni  dopo,  nel 
1796,  dall'Accademia  Mantovana  si  proponeva,  per  un  concorso  a  premio,  il 
tema  seguente:  «  Qualora  si  voglia  esclusa  dall' epopeja  l'uso  della  mitologia 
«  e  delia  magia,  determinare  qual  sorta  di  grande  e  di  maraviglioso  vi  si 
«  possa  sostituire  »  . 

*)  Vedi  la  prefaz.  del  Varano  alle  sue   Visioni. 

2)  Vedi  l'art.  XLVII  del  voi.  V  (ed.  cit.,  pp.  299-304):  Coìitre  les  aiiteurs 
Chrétiens,  qui  mélent  dans  leur  poesie  les  fàbles  et  les  divinités  du  Paga- 
nisme. 

3)  L'ab.  Pellegrino  Salandri,  segretario  perpetuo  dell' Accademia  di  Man- 
tova e  buon  facitore  di  sonetti,  speci ilmente  sacri,  recitò  in  un'adunan/a 
dell'Accademia  (30  die.  1769)  una  dissertazione,  fosse  tuttora  inedita,  nella 
quale  propugnava  il  concetto,  che  alle  imagini  ed  ai  concetti  pagani  si  do- 
vessero sostituirne  altri,  tolti  dalle  Sacre  Carte,  e  specialmente  dai  Libri  dei 
Profeti  (Dà  qualche  notizia  dello  scritto  del  Salandri  G.  B.  Intra,  Agostino 
Paradisi  e  l'Aecaiemia  Mantovana,  in  Atti  e  Memorie  deVa  R.  Accademia 
Virgiliana,  Mantova,  Mondovi  1885,  p   57  n). 

*)  Vedi  il  Ragionamento  su  la  volgar  poesia  dalla  fine  del  passato  secolo 
fino  a'  nostri  giorni,  premesso  al  1°  voi.  delle  Opere  poetiche  dell'ab.  C.  I. 
Frugoni  (Parma,  Stamp.  Reale.   1779),  p.  CLVII. 

5)  Elogio  cit.,  p.  152. 


100  L.  Ferrari 

"  composizione  aver  dee  l'impronta  del  secolo  a  cui  appartiene, 
"  conforme  presso  i  Grreci  1'  ha  ed  i  Latini,  de'    quali    per  con- 

*  seguenza  coloro  vanno  più  lontani,  die,  valendosi  delle  favole, 

*  credono  anzi  seguirli  meglio  „ .  Alcuni,  ad  esempio  il  Salvi,  non 
diversamente  dal  D'Alembert  ^),  dal  Sulzer  ^)  e  dal  Marmontel  ^), 
volevano  bandita  affatto  la  mitologia  e  dall'  epica  e  da  ogni  ge- 
nere di  poesia;  e  trovarono  seguaci  nel  Lorenzi  e  nel  Tirabosco, 
elle  la  esclusero  dai  loro  poemi,  la  Coltivazione  dei  monti  e  la  Vc- 
ceìlugione.  Altri,  come  TAlgarotti  *)  e  il  Bettinelli  ^),  non  osarono 
sconfessarla  affatto  e  ne  condannarono  solo  1'  abuso.  Insomma,  a 
cominciare  dal  Conti,  che  si  faceva  sostenitore  presso  M.™*"  Ferrant 
del  meraviglioso  cristiano  e  orientale  ^),  si  ebbe  anche  nella  critica 
italiana  quel  Romanticismo  avanti  i  Romantici  ^),  di  cui,  rispetto 
alla  poesia,  si  vanno  scoprendo  sempre  nuovi  eseiiipj,  non  solo  nel 
Cesarotti  ^),  ma  nel  Parini  ^). 

A  cotesto  Romanticismo  anticipato  i  SocJ  dei  Pugni  avevano 
dato  impulso  non  piccolo  colla  guerra  mossa  ai  pedanti  e  alla  reto- 


^)  Mélanges  de  littérafure.  Amsterdam,  1767,  V,  p.  437. 

^)  Encyclo'pédle,  art.  Epopèe,  Supp.,  t.  II. 

3}  Ibidem,  art.  Epopèe,  t.  V. 

■*)  Algarotti,  Lettera  al  cons.  P.ecis,  4  febr.  1760,  in   Opere,  XIV,  219. 

^)  Bettinelli,  Entusiasmo,  in  Opere,  ed.  cit.,  IV,  p.  235. 

^)  Lettre  à  Mad.  la  presidente  Ferrant,  in  A.  Conti,  Prose  e  Poesie,  t.  I. 
Venezia,  Pasquali,  1739,  p.  XCIV  e  segg. 

')  Giustaraente  l'Ugoni,  parlando  della  Epistola  cit.  del  Buonafede,  fa  pa- 
rola di  uu  «  Romanticismo  prima  de'  Romantici  »  (ed.  1820,  I,  302);  e  il 
Tommaseo,  giudicando  delle  Operette  scelte  del  Rezzonico  (in  Antologia, 
T.  XXVIII,  nov.  e  die.  1827,  p.  239,  rilevava  con  piacere  e  chiamava  notabile 
il  modo,  con  cui  «  il  co.  Rezzonico,  che  alla  fin  fine  non  era  altro  che  il  co. 
«  Rezzonico,  e  che  viveva  nel  1770,  aveva  ragionato  intorno  al  talento  mito- 
«  logico  de'  poeti  italiani  » . 

^)  Del  quale  potrebbesi  ricordare  persino  un  sonetto  alla  «  candida  lampa 
della  notte  bruna  |  madre  di  dolci  idee,  tacita  Luna  (  pubblicato  in  Antio 
poetico  quinto,  Venezia.  Curtì,  1797,  p.  13. 

^)  Vedi  la  conferenza  di  G.  Mazzoni,  Gius.  Parini,  in  Vita  italiana  del 
700.  Letteratura,  Milano,  Treves,  1896.  pp.  30-34. 


Del  «  Caffè-»,  j^eriodieo  milanese  del  secolo  xvin  101 

rica  e  colla  critica  spietata  dei  difetti  della  letteratura  italiana: 
sicché,  quando  da  una  società  di  giovani  amici  si  fondò  per  di- 
vulgare le  nuove  dottrine  il  giornale  il  Conciliatore,  parve  ad  essi 
non  inopportuno  ricordare  e  rinnovare  T  esempio  di  compae- 
sani, che,  sprezzati  un  tempo  e  osteggiati  "  con  astio  invere- 
condo „,  allora,  "  morte  essendo  e  seppellite  le  brutte  invidie  dei 
"  loro  contemporanei,  ottenevano  giusta  venerazione  ^)  „.  Assai 
somiglianza  erano  fra  l'antica  Società  dei  Pugni  e  questa,  che 
si  raccoglieva  in  casa  Porro  Lambertenghi  a  discutere  sulle  que- 
stioni vive  d'arte  e  di  utilità  sociale:  ancor  essa  era  composta  ad 
un  tempo  di  economisti,  di  cultori  di  scienze  esatte,  di  critici  e  di 
poeti,  quali  il  Gioia,  il  Romagnosi,  il  Pecchio,  Ermes  Visconti, 
il  Berchet,  il  Pellico  ;  giovani  tutti,  come  i  compagni  dei  Verri,  di 
età  e  di  spirito,  schivi  di  ogni  ossequio  irragionevole,  anelanti  ad 
un  risorgimento  nelle  lettere  e,  di  più,  ad  un  rinascimento  politico 
ed  economico  della  nazione,  non  coll'aiuto  del  dispotismo  illuminato, 
ma  coU'unità  di  stato  indipendente,  E  simile  fu  l'intento,  che  si 
proposero  gli  autori  del  nuovo  giornale:  "  dar  l'ultimo  crollo  al- 
"  l'edifìcio  del  pedantismo  che  già  cominciò  anche  fra  noi  ad  in- 
"  chinarsi  nell'ultima  metà  del  secolo  scorso  verso  la  sua  fiera  cata- 
"  strofe,  2);  "  benemeritare  non  solo  della  repubblica  letteraria  ma 
"  della  sociale  pur  anco,  come  fecero  Addison  e  Steele,  Verri  e 
"  Beccaria,  Heeren  e  Bouterweck,  Laharpe  e  Ginguené  ^)  „  coi 
loro   "  ottimi  „   periodici. 


')  TI  Conciliatore,  foglio  scientifico-letterario,  Milano,  Ferrarlo,  1818-19, 
art.  Sopra  un  manoscritto  inedito  degli  ardori  del  foglio  periodico  il  Caffè, 
n.  91,  p.  368.  Si  finge  dagli  scrittori  del  Conciliatore  di  pubblicare  in  que 
sto  articolo  «  un'elegia  comico-seria  e  in  prosa  »,  lasciata  manoscritta  dai 
Socj  dei  Pugni  e  da  essi  ritrovata,  narrando  in  essa  le  persecuzioni  sofferte 
per  opera  della  polizia  austriaca. 

2)  Conciliatore,  n.  9,  p.  33,  recensione  di  Grisostomo  alla  Storia  della 
poesia  del  Bouterweck. 

3)  Introduzione  al  giornale.  Ancho  nell'articolo  sopra  citato  (n.  91,  p.  368) 
si  dice,  che  «  gli  estensori  del  Conciliatore  non  vogliono  paragonare  sé  stessi 
«  agli  illustri  scrittori  del  Caffè:  hanno  bensì  in  coscienza  di  aver  comune 
«  con  essi  l' intenzione  ». 


102  L.  Ferrari 

Il  Conciliatore,  pur  allontanandosi  alquanto,  per  la  forma,  dal 
Caffè,  e  tenendo  assai  del  giornale  bibliografico,  segue  tuttavia  lo 
stesso  criterio  dell'utilità  nella  scelta  degli  argomenti,  ed  offre  uguale 
varietà  nella  materia:  traduzioni  dello  Schiller  accanto  ad  articoli 
sul  vino  e  sulle  bigatterie,  esami  di  opere  drammatiche  e  disser- 
tazioni sulle  scuole,  articoli  di  critica  letteraria  e  notizie  sull'arte 
di  istruire  i  sordomuti  e  sugli  stabilimenti  penali.  Questa  cura  del- 
l'utile e  del  progresso  degenera  ancora  una  volta  negli  estensori  del 
Conciliatore  in  soverchio  disprezzo  dell'antico,  che  giudicano  anti- 
quato ed  inutile.  Sicché  di  nuovo  si  grida  da  Grisostomo  contro  i 
cinquecentisti  e  "  quelli  eccellentissimi  seccatori  che  si  chiamano  i 
"  nostri  novellieri  ^)  ,;  e  si  propugna  dal  Di  Breme,  citando  l'esempio 
di  A.  Verri,  la  libertà  d'arricchire  la  lingua  di  nuovi  termini  ^);  si 
lamenta  l'indole  litigiosa  dei  letterati  italiani  ^)  e  la  mancanza 
di  una  letteratura  femminile^),  e  si  ripete  "  che  l'Italia  è  addor- 
"  mentata  sulla  filosofìa  di  Aristotile,  e  frattanto  il  pensiero  è 
"  andato  avanti  in  Europa  ^)  „.  Più  articoli  sono  dedicati  anche 
nel  Conciliatore  a  combattere  la  plebe  dei  pedanti,  "  plebe  congiu- 
*  rata  a  fare  in  Italia  stagnare  e  retrocedere  l' incivilimento,  rabbini 
"  d'una  vera  sinagoga.  Miserabili  !  „,  grida  il  Di  Breme  ^),  "  son 
"  essi,  che  deturpano  e  fanno  ridicola  la  bella  patria  nostra  nel 
"  cospetto  dello  straniero  e  dell'  Muropa;  essi  che  la  tengono 
"  isolata,  immobile  in  mezzo  all'  universale  energia,  e  alla  gran- 
"  diosa  lega  degli  ingegni  „. 

In  tutte  insomma  le  dottrine  critiche  negative  del  Conciliatore 
è  qualche  somiglianza  con  quelle  propugnate  nel  Caffè,  dal  quale 


*)  Conciliatore,  n.  67,  p.  272. 

2)  Recensione  di  L.  di  Brejie  alla  Proposta  del  MoN"Tr,  art.  IV,  n  109, 
p.  44). 

^)  Recensione  di  Grisostomo  all'opera,  forse  iraaginaria  di  X.  Niemand, 
Kurzgefasste  Uehersicht  der  ìiterarischer  Streitigkeiten  in  Italien,  n.  19,  p  73 

*)  Lettera  di  una  ingenua,  n.  10,  p.  39. 

5)  Recensione  cit.  alla  Proposta  del  Monti,  n    109,  p.  439. 

*)  Ibidem. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  103 

sono  derivati  anche  alcuni  spedienti  atti  a  deridere  i  pedanteschi 
adoratori  d'  ogni  costumanza  antica  ^).  Ma,  come  avviene  nella 
storia  d' ogni  cosa  umana,  che,  procedendo,  sempre  piìi  si  vanno 
distinguendo  e  determinando  gli  intenti,  così  negli  scrittori  del 
Conciliatore,  che  pure  peccano  dello  stesso  peccato  che  quelli 
del  Caffè,  d'  essere  più  atti  a  distruggere  che  ad  edificare,  più 
chiara  è  la  visione  dei  vizj  della  nostra  letteratura  e  più  sicuro 
e  retto  il  giudizio  intorno  ai  rimedj.  A  produrre  quel  rinnova- 
mento della  letteratura  italiana,  che  i  Socj  dei  Pugni,  errando 
grossolanamente,  credevano  ottenere  solo  col  negare  il  passato, 
gli  scrittori  del  Conciliatore,  recano  in  mezzo  un  complesso  di 
nuove  teoriche  critiche  e  nuovi  motivi  poetici,  dei  quali  dettero  un 
esposizione  non  del  tutto  ordinata  il  Berchet,  G.  B.  De  Cristoforis,  e 
specialmente  Ermes  Visconti  nelle  sue  Idee  elementari  sulla  Poesia 
romantica.  Per  alcune  somiglianze  sarebbero  adunque  a  notare 
molte  e  rilevanti  differenze;  delle  quali,  come  ben  note,  ci  passiamo. 

IV. 
Dottrine  morali  e  sociali. 

Le  dottrine  letterarie  esposte  nel  Caffè  hanno  procurato  ad  esso 
assai  nemici  e  nome  poco  glorioso.  Migliori  sono  le  restanti  due 
parti  del  giornale,  gli  articoli  cioè  di  morale  e  di  legislazione  o 
di  economia  pubblica,  nei  quali  i  difetti  di  forma  sono  compen- 


')  La  Lettera  dell'  Ignorante  I  Conciliatore,  n.  5,  p.  20  ),  nella  quale  si 
finge  che  uno  sconosciuto  si  lamenti  cogli  scrittori  del  giornale,  perchè  da 
essi  si  minaccia  il  sud  quieto  vivere  nell'  errore,  è  ricopiata  quasi  dall'  arti- 
colo del  Caffè,  Un  Ignorante  agli  scrittori  del  Caffè  (I,  n.  3i,  pp.  249-50). 
Il  Singolare  del  Caffè  (II,  n.  1,  pp.  10-12)  ricompare  nel  Conciliatore  (V.  n.  32, 
p.  127);  ove  si  ripetono  pure  alcune  finzioni;  usate  nel  Caffè  sull'esempio  del 
l'Osservatore.  Citiamo  ad  es.  il  Dialogo  tra  %in  Chinese  e  un  Europeo  (I,  n.  12, 
p.  45),  che  ricorda  il  Ragionamento  tra  un  Pedante  e  un  Ottentotto  del  Caffè 
(I,  n.  5,  pp.  35-9). 


104  L.  Ferra/i'i 

sati  dalla  vivacità  dello  stile  e  dalla  bontà  delle  dottrine  filoso- 
fiche, 0  dall'  importanza  degli  argomenti  e  dalla  novità  della 
trattazione.  L'  ultima  parte  anzi,  nella  quale  si  comprende  quanto 
del  Caffè  si  riferisce  ai  progressi  delle  scienze  e  alle  migliorie 
dell'amministrazione,  è  tale  da  raccomandarne  validamente  la  fama. 

I  numerosi  articoli  (circa  trenta),  che  spettano  al  costume, 
vanno  distinti  in  tre  categorie;  giacche  alcuni  non  contengono  se 
non  usuali  precetti  di  morale,  altri  svolgono  teoriche  di  psico- 
logia morale,  ed  altri  ancora,  obbedendo  a  quello  che  fu  il 
canone  fondamentale  degli  scrittori  del  Caffè,  riformare  quanto 
della  vita  pubblica  e  privata  apparisse  ingiusto  o  irragionevole, 
sono  rivolti  contro  i   vizj  piti  comuni  del  tempo. 

Non  nuove,  né  del  tutto  concordi  ed  armoniche  sono  le  dottrine 
svolte  nei  primi  articoli  dagli  scrittori  del  Caffè:  ma  tutte  segnate  di 
quella  nota  di  franchezza  e  di  onestà,  che,  specialmente  nei  Verri, 
aveva  impressa  la  rigida  disciplina  del  padre  conservatore  e  la 
onestà  severa  della  vita  famigliare  milanese  del  tempo.  Messi  da 
parte  gli  "  illustri  delirj  dei  filosofi  antichi  intorno  alla  virtù  „,  le 
*  entusiastiche  declamazioni  „  e  le  sottili  astruserie,  i  SocJ  del  Pugni 
pongono  a  fondamento  della  loro  dottrina  queste  massime:  che 
"  virtù  ed  interesse  nostro  siano  per  natura  loro  la  stessa  cosa  „, 
e  che  "  la  vera  strada  di  procurarci  una  vera  e  costante  utilità  sia 
"  quella  di  essere  uomo  dabbene  ,  ^);  e  ragionano  nel  modo  che  se- 
gue ^).  Non  vi  è  dubbio,  che  la  maggior  parte  degli  uomini  "  vedono 


')  Art.  di  A.  Verri,  Alcune  idee  sulla  filosofia  morale,  II,  204.  E  nell'ar- 
ticolo stesso  il  Verri  scrive  poco  dopo  (11,267):  «I  vizj  tutti  in  fondo  sono 
«  vermi,  che  corrodono  i  fondamenti  della  società,  e  le  virtù  tutte  in  giro 
«  recano  vantaggio  a  tutti  gli  uomini,  d'onde  ne  deriva  che  ciascun  uomo 
«abbia  un  vero  interesse  di  non  dar  l'esempio  del  vizio,  e  di  dar  quello  di 
«seguire  la  virtù.  Dall'omicidio  fino  alla  menzogna  si  può  provare  che  la 
«  nostra  costante  utilità  esige  che  non  ammazziamo,  e  che  non  siamo  bu- 
«  giardi  ». 

2)  Queste  dottrine  si  svolgono  nell'articolo  del  Visconti  intitolato,  Intorno 
alla  malizia  dell'Uomo,  II,  n.  33,  pp.  250-52. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xnn  105 

*  ed  approvano  il  bene  ma  seguono  il  male  „;  e  che  pochissimi  sono 
i  buoni,  mentre  infiniti  sono  i  cattivi,  dei  quali  i  piìi  non  sanno 
d'essere  tali.  Donde  ciò?  La  natura,  dicono  gli  scrittori  del  Caffè, 
non  produce  gli  uomini  pervertiti  e  cattivi,  né  tali  li  renderebbe 
l'interesse,  "  se  il  bene  o  il  male  avesse  attualmente  lo  stesso 
"  vantaggio  „.  Perchè  si  scelga  il  secondo  a  preferenza  del  primo, 
conviene  che  se  ne  stimi  maggiore  il  profitto,  e  che  si  giudichi 
erroneamente  della  natura  della  virtù  e  dell'  utile,  che  sempre  l'ac- 
compagna. Di  questo  giudizio  errato  qual'è  la  causa?  I  moralisti 
del  Caffè  la  scorgono  nelle  condizioni  artificiali  ed  ingiuste  stabi- 
lite dalla  civiltà  progredita;  poiché  "  naturalmente  gli  uomini  sono 
"  buoni,  e  cattivi  diventano  o  per  educazione,  o   per  esempio,  a 

*  proporzione  che  i  bisogni  loro  fattizj  aumentano,  o  superano  in 
"  numero  li  pochi  e  semplici  primitivi  della  natura  „  ^).  Uffizio 
della  morale  dev'  essere  quindi,  da  una  pai-te  ammaestrare  gli  uo- 
mini intorno  ai  "  loro  veri  interessi  „  e  mostrar  loro,  "  che  li  mag- 
"  giori  vantaggi  stanno  dalla  parte  della  bontà,  e  li  piti  forti  svan- 
"  taggi  dalla  parte  della  malizia  „,  e  dall'altra  illuminarli  sulle 
tristi  necessità  e  sulle  menzognere  virtìi  del  vivere  sociale. 

Così  ad  un  principio  di  sana  e  ragionata  morale,  quale  è  quello 
che  P.  Verri  aveva  già  svolto  nel  suo  Discorso  sulla  felicità,  che 
cioè  "  la  felicità  non  è  fatta  che  per  l'uomo  virtuoso  ^)„,  si  uniscono 
l'utopia  ottimistica  della  perfezione  della  natura  e  il  paradosso, 
che  il  vivere  sociale  e  la  civiltà  tutto  abbiano  corrotto  e  deturpato; 
e  alla  fede  nel  potere  della  virtù,  legata  coli'  utile  da  vincoli  in- 
dissolubili, si  accoppia  lo  sprezzo  della  società  civile.  Tali  dottrine, 
sviluppate  in  questi  articoli  di  morale,  che  sono  opera  in  massima 


1)  Ibidem,  li,  252 

*)  Dei  suoi  scritti  morali  il  Verri  scriveva  {Scritti  varj  cit.,  I,  5):  «  Forse 
«  il  solo  merito  loro  è  quello,  che  rappresentano  le  vere  opinioni  del  loro  au- 
«  toro  e  i  veri  suoi  sentimenti.  Io  penso  che  la  sola  virtù  può  farci  godere 
«  quel  poco  di  felicità  di  cui  siamo  capaci,  e  che  la  sola  coltura  della  mente 
«  può  farci  conoscere  in  ogni  caso  la  strada  della  virtù  ». 


106  L.  Ferrari 

parte  di  Alessandro  Verri,  ci  danno,  come  è  naturale,  una  mi- 
stura incomposta  di  massime  semplici  e  moderate,  e  di  altisonanti 
paradossi,  di  lodi  entusiastiche  della  virtìi  e  dei  suoi  benefìzj,  e  di 
tristi  considerazioni  sulla  iniquità  ed  imbecillità  umana.  Dal- 
l'ottimismo sereno  del  discorso  intitolato,  Alcune  idee  sulla  filosofìa 
morale  ^),  si  trascorre  alle  considerazioni  misantropiche  del  Comnien- 
tariolo  di  nn  galantuomo  di  mal  umore  che  ha  ragione  (sic)  sulla  defi- 
nizione: l'uomo  è  un  animale  ragionevole  ^):  il  quale  non  ha  altro 
scopo  se  non  di  enumerare  tutti  gli  errori,  i  mali,  le  aberrazioni  della 
mente  umana,  per  concludere,  che  "l'uomo  è  sempre  imbecille,. 
Dall'  insegnamento  piano  dei  discorsi  La  Bugia  ^)  e  L' Ingratitu- 
dine ^),  nei  quali  si  dimostra,  che  "  la  falsità  è  un  vizio,  che  pu- 
"  nisce  chi  lo  possiede  „;  perchè  "  chi  passa  per  bugiardo  ha  per- 
"  duta  la  fede,  e  con  essa  tutti  i  vantaggi  che  ne  risultano  „,  e 
che  "  intende  male  i  suoi  veri  interessi  chi  corrisponde  a'  beneficj 
*  coir  ingratitudine  „ ,  giacché  "  l'uomo  ingrato  non  può  essere  be- 
"  neficato  piìi  volte  „,  si  passa  alle  massime  paradossali  dei  Pensieri 
scritti  da  un  buon  uomo  per  istruzione  di  un  buon  Giovine  ^),  ove  si 
espongono  i  mali  della  timidità  e  della  soggezione.  Si  esaltano  con 
una  favola  i  Beni  dell'insensibilità  ^)  ;  che  in  una  seconda  favola,  La 
prova  del  cuore  ^),  è  combattuta  come  nemica  d'ogni  atto  generoso. 
Dopo  un'invettiva  fierissima  contro  il  Machiavelli  e  gli  altri  autori, 
che  accomodarono  la  morale  ai  bisogni  sociali  ^),  si  traccia  un  fosco 
quadro  della  cosidetta  Virtù  sociale,  in  una  lettera,  che  si  finge 
scritta  da  un  precettore  ad  un  alunno,  per  congedarsi  da  lui  e  dar- 
gli insieme  utili  ammaestramenti  per  la  vita  '').  Mentre  sino  allora. 


*)  Cap,ll,  n.  27,  pp.  203-210 

2)  Caffè,  II,  n.  21-23,  pp.  161-83. 

3)  I,  n.  13,  pp.  107-8. 
")  I,  n.  13,  p.  108. 

5)  I,  n.  17,  pp.  133-39. 

6)  I,  n.  28,  pp.  225-7. 
')  II,  n.  24,  pp.  186-7. 

®)  Di  alcuni  sistemi  del  pubblico  diritto,  articolo  di  A.  Verri,  II,  239. 
»)  II,  n.  32,  pp.  240-45. 


Del  «  Caffè  » ,  periodico  milanese  del  secolo  xrni  107 

scrive  il  maestro  al  discepolo,  lo  ha  educato  all'amore  puro  della 
Virtù,  ora  deve  ammaestrarlo  "  intorno  alle  virtù  sociali,  le  quali 
"  nello  stato  in  cui  siamo,  non  sono  più  semplicissime....  Un  uomo 
■  ognor  sincero,  un  uomo  che  ognora  rendesse  altrui  esatto  conto  di 
"  ciò  che  sia  nell'animo  suo,  non  potrebbe  vivere  fra  gli  uomini. 
"  E  necessario  fare  il  gran  passo  di  diventar  prudente,  cioè  dissi- 
"  mulatore.. .  E  necessario  nascondere  agli  occhi  degli  uomini  pro- 
"  fani  li  sacri  entusiasmi  della  virtù.  Ogni  grandezza  è  così  vicina 
"  al  ridicolo,  che  facilmente  vi  cade ...  Tu  finora  fosti  sincero^  i  tuoi 
"  sentimenti  non  trovano  niente  di  mezzo  fra  il  cuore,  e  la  bocca  . . . 
"  Ma  gli  uomini  ti  condannano  a  mentire.  Dovrai  soffocare  gì'  im- 
"  peti  d'un  troppo  robusto  amor  del  vero...  Tu  sai  quanto  è  dolce 

*  l'amicizia:  e  la  riponi  fra  i  pochi  beni  disseminati  fra  i  molti 
"  mali  ond'  è  sparso  questo  lampo  di  vita  mortale . . .  Ma  tu  non 
"  conosci  la  seduzione...  Poiché  ti  vedo  destinato  a'  vortici  della 
"  società,  o  non  sii  (sic)  maggiore  degli  uomini,  o  li  fuggi.  Io  t'ab- 
"  bandono.  Questa  è  l'ultima  dottrina  che  ti  ho  riserbata  ,. 

A  questa  "  tinta  di  misantropia  „ ,  che  Alessandro  stesso  ricono- 
sceva poi  nei  suoi  scritti  ^),  e  diceva  nata  dalle  mortificazioni  e  an- 
gustie domestiche,  fa  riscontro  il  pessimismo  teorico,  al  quale  si 
informano  alcuni  dei  pochi  articoli  di  psicologia  morale.  P.  Verri, 
del  quale  sono  nel  Caffè  alcuni  Pensieri  sull'origine  degli  errori  ^), 
degni,  per  acutezza  e  profondità  di  investigazione  filosofica,  del- 
l' autore  delle  Meditazioni  sul  piacere  e  sul  dolore,  svolge  in  due 
discorsi,  imo  Sul  ridicolo  ^)  e  l' altro  Della  buona  compagnia  *),  al- 
cune particelle  delle  dottrine  dell'  Hobbes  ;  sostenendo,  che  buona 
compagnia  è  per  ognuno  "  quella  dove  non  resti  offeso  il  suo  amor 
"  proprio  „,  e  che  "  il  riso  è  il  segnale  del  trionfo  dell'amor  proprio, 

*  quando  ei  fa  qualche  confronto  di  se  stesso  con   un  altro  con 


1)  Sor.  in.,  Ili,  1. 

2)  Cnp,  II,  n.  13,  pp.  94-96. 

3)  II,  n.  15,  pp.  110-15. 
*)  II,  n.  4,  pp.  29-33. 


108  L.  Ferrari 

"  proprio  vantaggio  „.  Non  diversamente  Alessandro,  in  certe  Di- 
gressioni snWUomo  amahile,  sulla  noja  e  suU'amor  proprio  ■^),  defi- 
nisce per  uomo  amabile  "  quello,  che  piìi  si  piega  alle  nostre  pas- 
"  sioni,  ed  a  nostri  difetti,  che  conosce  la  natura  del  nostro  amor 
"  proprio,  e  che  se  lo  tien  sempre  presente  per  non  irritarlo  ,.  Né 
manca  negli  articoli  di  psicologia  qualche  paradosso,  degno  di  un 
filosofo  "  illuminato  „  ;  anzi  un  gruppetto  intero  ne  oflfre  un 
Frammento  siigli  odori  ^),  nel  quale  Alessandro  Verri  studiando  i 
piaceri,  troppo  trascurati,  dell'odorato,  augura  un'  arte,  che  scru- 
tando le  segrete  armonie  degli  odori,  ne  tragga  profitto  pel  lusso 
e  pel  piacere  ^).  Alcunché  di  paradossale  è  pure  nell'articolo  del 
Beccaria  sui  Piaceri  dell'  imaginazione  *),  notevole  ed  ingenua  con- 
fessione di  un'  indole  fiacca,  ma  onesta.  Senza  disprezzare  la  natura 
umana  e  sé  stesso,  dice  il  Beccaria,  egli  non  ha  l' illusione  di  es- 
sere irreprensibile,  né  vagheggia  un  "modello  ideale  di  perfe- 
zione „  ;  ben  sapendo  che  così  troverebbe  "  in  ogni  evento  un  di- 
singanno „ .  Fugge  il  delitto,  ma  per  non  essere  tratto  "  dal  timore 
"  e  dall'incertezza  della  sorte  nel  tumulto  degli  affari  umani  „;  non 
soffoca  le  proprie  passioni,  ma  ne  divide  le  forze  "  in  tanti  piccoli 
"  desideri  che  non  amareggino  „,  e  si  riposa  mollemente  in  "  quella 
"  illuminata  indifferenza  delle  umane  cose,  che  non  gli  tolga  il  pia- 


i)  Cap,  II,  n.  26,  pp.  196-202. 

2)  Gap,  I,  n.  4,  pp.  29-35. 

3)  Alessandro  scriveva  scherzando  (p.  33):  «forse  la  combinazione  fra  odori 
«  si  raffinerà  a  segno  di  accompagnare  i  drammi  colla  musica  degli  odori,  e 
«  mi  figuro,  che  saranno  destinato  le  essenze  di  rosa,  d'ambra,  ecc.  ai  dia- 
«  loghi  amorosi,  gli  odori  forti  ai  discorsi  galanti  e  spiritosi,  e  gli  odori  seri 
«ai  gravi  e  politici.  Io  non  dubito  punto  che  i  nasi  raffinati  fabbricheranno 
«da  qui  a  qualche  milione  d'anni  una  musica  d'odori,  come  una  di  colori  è 
«già  stata  imaginata».  I  milioni  di  anni  non  sono  passati,  e  il  secolo  nostro 
ha  veduto  attuata  la  profezia  da  burla.  Il  Nordau  nota  fra  i  segni  della  de- 
generazione dell'età  presente  l'uso,  di  cui  fu  dato  esempio  a  Parigi,  di  ac- 
compagnare una  rappresentazione  drammatica  con  profumi  diversi  ad  ogni 
atto  0  proiezioni  luminose  di  vario  colore. 

')  Caffè,  II,  n.  7,  pp.  51-54. 


Del  «  Caffè  »,  periodico  milanese  del  secolo  -^xui  100 

"  cere  vivissimo  d'essere  giusto  e  benefico,  e  gli  risparmi  gli  inutili 
"  affanni,  e  le  tormentose  vicende  di  bene  e  di  male  „.  "Da  uomo 
"  saggio  che  conosce  quanto  scarsi  e  brevi  siano  i  piaceri,  che  le 
'  fuggitive  occasioni  ci  presentano,  lascia  correre  ansanti  e  com- 
"  battersi  gli  uomini  per  rubarsi  i  fisici  piaceri  sparsi  qua  e  là  nel 
"  deserto  dell'umana  vita.  Egli  sa  della  piccola  porzione,  che  gli 
"  è  toccata  in  sorte,  per  mezzo  dell'imaginazione  prolungarne  la 
"  durata  e  ampliarla  „. 

Restano  alcuni  articoli  di  morale,  assai  pregevoli;  perchè  vi 
si  palesa  un  intento,  che  invano  si  cercherebbe  nei  periodici  di 
costume  del  tempo,  ad  es.  waW Osservatore  del  Gozzi;  opera  di  uno 
scrittore,  nato  in  mezzo  alla  società  più  svigorita  d'Italia^  poco 
esperto  della  vita,  che  non  fosse  veneziana,  d' ingegno  gentile  e 
festivo,  ma  poco  profondo,  e  costretto  a  far  mercato  delle  proprie 
facoltà  intellettuali  ;  sicché  della  frivola  società  d'  allora,  non  dico 
si  impinguava,  ma  viveva.  Trattano  dei  vizj  eleganti  e  delle  vanità 
oziose  di  quella  classe,  nella  quale  era  concentrata,  si  può  dire,  la 
vita  sociale  del  tempo,  e  alla  quale  i  Socj  dei  Pugni  appartenevano, 
ma  ribellandovisi;  stimolati,  e  dal  ricordo  dell'educazione  inumana 
e  dell'  istruzione  pedantesca  ricevuta,  e  da  un  senso,  sortito  da 
natura,  di  ripugnanza  all'  infingardaggine,  alle  frivolezze,  all'accidia. 
La  lettura  degli  enciclopedisti  dal  Voltaire  al  Rousseau,  dal  D'A- 
lembert all'Helvétius,  non  aveva  che  rafforzato  e  ingagliardite  que- 
ste tendenze,  istillando  nei  nobili  giovani  della  Società  dei  Pugni  uno 
spirito,  se  non  di  eguaglianza  sociale,  di  filantropia,  che  li  faceva 
arditi  contro  i  pregiudizj  aristocratici  e  gli  usi  dissoluti  o  irra- 
gionevoli del  vivere  nobilesco. 

Nello  Scherzo  sulle  riverenze  ^)  Alessandro  Verri  si  beffa  assai 
graziosamente  del  cerimoniale,  così  curato  nell'educazione  e  nella 
vita  settecentistica,  e  che  il  Gozzi  non  solo  compativa,  ma  van- 
tava come  frutto  della  civiltà  moderna  ^).  Pietro  al  vestire  com- 


')  Caff?^,  I,  n.  6-7,  pp.  53-56. 

2)  Osservatore,  in  Opere,  ed.  cit.,  II,  61-3. 


110  L.  Ferrari 

plicato  ed  effemminato  dei  cicisbei  contrappone  la  foggia  orientale, 
semplice  e  costante  ^),  e  nell'articolo  sulla  Buona  compagnia  deride 
l'uso  delle  conversazioni  maldicenti  e  frivole  ^).  Contro  il  giuoco, 
che  fu  gravissima  piaga  della  società  italiana  nel  700,  il  Beccaria 
scrive  il  discorso  11  Faraone  ^);  e  Pietro  Verri  contro  i  sollazzi 
vani  ed  insipidi  la  Festa  da  ballo  **).  I  vant;iggi  Della  solitudine  ^), 
"  che  dà  all'animo  un  non  so  qual  vigore  senza  del  quale  non  v'è 
'  virtù  „,  si  ricordano  da  Pietro  opportunamente  in  un  tempo,  in 
che  la  vita  della  nobiltà  era  tutta  occupata  in  spassi,  in  visite, 
in  passeggi  e  ciancie:  e  non  meno  opportunamente  si  dimostrano 
da  Alessandro  i  dannosi  effetti  di  quello  Spirito  di  società  ®j,  di 
cui  il  secolo  XVIII  menò  tanto  vanto,  notando  come  esso  giunga 
a  distruggere  colla  cortesia  la  franchezza  e  colla  officiosità  l'ami- 
cizia vera;  e  possa  "collo  sparpagliamento  degli  affetti  „  estin- 
guere lo  spirito  di  famiglia.  Né  si  tace  dagli  scrittori  del  Caffè 
della  vita  oziosa  e  dissipata,  che  menavano  le  dame,  vaghe  solo 
d'essere  ammirate  e  riuscir  piacenti,  e  sol  curanti  dell'abbiglia- 
mento e  della  passeggiata,  del  teatro  e  della  conversazione.  Giu- 
stamente essi  si  oppongono  alla  credenza  allora  comune,  e  profes- 
sata anche  dal  Gozzi  ^),  che  alle  donne  convenga  un  unico  uffizio, 
quello  di  lusingare  e  di  piacere  5  e  lamentano  che  troppo  se  ne  tra- 
scuri l'educazione  nella  fanciullezza,  e  si  abbandonino  poi  "  a  se 
"  medesime  in  mezzo  ad  una  truppa  di  frivolissimi  giovinastri, 
"  senza  soccorso,  senza  presentar  loro  mai  alcun  nobile  oggetto, 
"  in  cui  possano  esercitare  utilmente  il  loro  talento  „,  senza  dar 


i)  Caffè,  I,  10. 

2)  Caffè,  II,  n.  24,  pp.  29-33. 

3)  CafTe,  I,  n.  2,  pp.  13-19. 
*)  Caffè,  I,  n.  8,  pp.  66-9. 

5)  Caffè,  II,  n.  25,  pp.  188-92. 

«)  Caffè,  I,  n.  36,  pp.  287-92. 

')  Vedi  Risposta  alla  questione:  in  qual  forma  si  avesse  a  dare  educa- 
zione alle  giovani  per  coltivare  loro  l'ingegno,  in  Osservatore  (Opere,  ed.  cit., 
n,  pp.  116-29). 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  secolo  xvni  111 

loro  "  giammai  una  lezione  al  cuore  di  virtù  e  di  forza  „.  Sino 
dalla  prima  giovinezza,  raccomandano,  si  inculchi  alle  femmine, 
che  l'ufficio  ad  esse  appropriato  è  la  cura  dei  figli,  e  che  non  ha 
"  la  natura  legame  da  paragonarsi  a  quelli  che  uniscono  una  madre 
"  amorosa  ai  fighuoli  „.  Si  persuada  loro,  "  che  il  maneggio  e  Teco- 
"  nomia  domestica  è  di  loro  ragione,  e  che  il  travaglio  essendo  una 
"  necessità  universale,  conviene  anche  ad  esse,  di  qualunque  rango 
"  siano  „  ^).  Anche  contro  le  spese  profuse  inconsideratamente  dai 
ricchi  in  conviti,  in  sontuosi  equipaggi,  in  abiti  sfarzosi,  si  leva 
la  voce,  ricordando  quante  opere  di  beneficenza  o  di  arte  potrebbero 
essere  soccorse  o  sostentate  mercè  tali  somme,  e  "  quanti  giovani 
"  e  uomini  di  talento  tolti  dall'angustia  domestica  „  ^).  Infine  l'ozio, 
il  sommo,  anzi  il  padre  dei  vizj,  che  affliggevano  la  vita  patrizia 
del  tempo,  è  combattuto  nel  Caffè,  non  solo  con  savie  considerazioni 
morali^),  ma  con  proposte  concrete  di  riforma.  Giacché  Alessandro 
Verri  impugnando  U Opinione  che  il  Commercio  derogJii  alla  Nobi- 
ltà ^),  e  dimostrando  quanto  svantaggiosa  sia  allo  stato  "  l'indolenza 


*)  Vedi  l'articolo  anonimo  intitolato  Difesa  delle  Donne  (Caffi,  I,  n.  22, 
pp.  174-181).  In  questo  articolo  gli  scrittori  del  Caffè,  sempre  pronti  a  far 
propria  ogni  idea  nuova,  purché  ragionevole,  non  solo  propugnano  gli  studj 
femminili  di  scienze  e  bell'arti,  intorno  ai  quali  si  discusse  assai  nel  700  (Vedi 
E.  Bertana,  Il  Parini  tra  i  poeti  giocosi  del  700,  in  P  snjyplemenfo  del  Giorn. 
star.  d.  lett.  it.,  1898,  p.  26),  ma  propongono  l'impiego  delle  donne  in  uffizj 
commerciali,  aderendo  a  principj  che  a  noi,  nati  nel  secolo  XIX,  sembrano  del 
tutto  moderni.  «Il  sedere  ad  un  banco,  scrivono  (p.  178),  per  dirigere  le  op- 
«  portune  corrispondenze,  ed  il  presiedere  ad  una  manifattura  non  è  fuori  della 
«  sfera  d'una  mente  ben  regolata  d'una  cittadina.  Vi  sono  molte  arti,  le  quali 
«  essendo  compatibili  colla  delicatezza  delle  femmine,  potrebbero  essere  comu- 
ne nemente  esercitate  dalle  plebee,  senza  pericolo  che  soffra  alcun  intacco  la  loro 
«beltà.  Questo  costume  sarebbe  d'un  utile  insigne  allo  Stato,  perchè  si  for- 
«  merebbero  esse  da  sé  la  loro  dote  e  soccorrerebbero  nelle  occasioni  il  marito 
«  e  la  famiglia  ». 

2)  Sulla  spensieratezza  nella  privata  economia,  I,  n.  29,  pp.  231-2. 

3)  L'Ozio,  I,  n.  26,  pp.  205-6. 
*)  I,  n.  23-24,  pp.  189-95. 


112  L.  Ferrari 

d'un  numeroso  corpo  di  cittadini  „,  incita  i  nobili  ed  applicarsi  alle 
industrie  e  al  grosso  commercio,  facendosi  manifattori  dei  loro 
prodotti,  e  domanda  che,  "  concessa  ai  nobili  la  mercatura  „  ^), 
i  grossi  mercanti  più  non  si  escludano  dall'  ordine   aristocratico. 

In  un  tempo,  in  che  alla  rettorica,  al  galateo,  e  agli  esercizj  ca- 
vallereschi era  posposta  l'educazione  vera  della  mente  e  dell'animo, 
e  così  scarse  erano  le  energie  morali  da  aversi  non  virtù  grandi  né 
vizj  tremendi,  non  passioni  veementi  né  eroici  sacrifizj,  ma  ozio,  cici- 
sbeismo e  cerimonie,  utile  era  l' opporsi,  sia  pure  incorapostamente, 
all'accidia  viziosa  e  all'ignoranza  indolente:  nobile  era  l'aspira- 
zione, per  quanto  vaga,  alla  virtù,  e  a  virtù  "  forti  e  coraggiose  „ , 
e  lodevoli  gli  sforzi  compiuti  per  abbattere  quegli  infiniti  piccoli 
ostacoli,  che  intralciavano  il  progresso  civile.  Tali  pregi  non  man- 
cano in  questi  discorsi  del  Caffè  ^  moderni  e  onesti  nei  principj, 
popolari  e  spigliati  nella  forma,  se  non  garbati  ed  originali; 
tutti  volti  al  fine  nobilissimo  di  migliorare  i  costumi  dei  proprj 
concittadini. 

Un  uguale  amore  del  bene  pubblico  è  il  criterio,  al  quale  ob- 
bedirono i  Socj  dei  Pugni  nella  scelta  degli  argomenti  di  quella 
parte,  che  abbiamo  chiamata  sociale.  Gli  scrittori  del  Caffè  non 
occupano  di  regola  le  pagine  del  loro  giornale  nell'esposizione  par- 
ticolareggiata di  principj  teorici  o  in  erudite  dissertazioni  scien- 
tifiche. Una  sola  eccezione  si  fa  per  scienze  nuove  o  poco  cono- 
sciute; come  per  la  scienza  economica^  della  quale  si  espongono 
da  Pietro  Verri  i  principj  elementari,  secondo  le  note  dottrine 
della  scuola  fisiocratica,  negli  articoli:  Elementi  del  Commercio  ^), 
Considerazioni  sid  Lusso  ^)  e  Osservazioni  sulla  questione^  se  il 
Commercio  corrompa  i  costumi,  e  la  morale^);  per  l'igiene,  di  cui 


*)  «  Lo  statuto  de'  giureconsulti  di  Milano  »,  testimonia  il  Cantù  (L'abate 
Parini  ecc.  cit.,  p.  103^,  «  dichiarava  scaduto  il  nobile,  che  attendesse  al  com- 
€  mercio.  Carlo  VI  derogò  questo  statuto,  ma  poco  valse  ». 

«)  Caffè,  I,  n.  3,  pp.  24-29. 

3)  CafTe,  I,  n.  14,  pp.  109-114. 

<)  Caffè,  II,  n.  24,  pp.  183-97. 


Del  «  Caffè»,  periodico  milanese  del  secolo  xvni  113 

dà  un  saggio  Giuseppe  Visconti  coi  suoi  utilissimi  Precetti  di 
sanità  per  gli  abitanti  del  suolo  milanese^);  e  per  la  agronomia, 
della  quale  tratta  il  Franci  in  un  lungo  Dialogo  ^),  descrivendo 
nuovi  strumenti,  proponendo  usi  migliori  di  coltivazione  o  nuove 
coltivazioni,  dando  conto  dei  progressi  di  questa  scienza,  già 
copiosa  fuori  d'Italia  di  cultori,  di  giornali  e  d'accademie. 

Né  il  Caffè  ci  offre  trattazioni  ampie  ed  originali  dei  problemi 
maggiori  del  diritto,  dell'economia,  della  scienza  sociale;  al  che 
sarebbero  occorse  una  maturità  e  una  profondità  di  studj,  che 
i  suoi  autori,  giovani  come  erano,  ancora  non  avevano,  e  una 
franchezza  ed  indipendenza  di  giudizio,  che  mal  si  poteva  ritrovarle 
in  chi  tutte  le  speranze  proprie  e  della  patria  riponeva  nei  gover- 
nanti. Lungi  dal  farsi  divulgatori  di  dottrine,  volte  a  mutare 
radicalmente  le  condizioni  politiche  e  sociali  del  tempo  ^),  essi  si 
propongono  solo,  applicando  il  razionalismo  appreso  colla  lettura 


1)  Caffè,  U,  n.  8-10,  pp.  67-90. 

2)  Caffè,  I,  n.  5-6,  pp.  44-53. 

2)  Ne  abbiamo  un  esempio  nell'articolo  già  citato,  Sulla  opinione  die  il 
commercio  deroghi  alle  nobiltà,  nel  quale  A..  Verri,  volendo  dimostrare 
che  alla  nobiltà  si  converrebbe  esercitare  il  commercio,  ma  solo  all'  in- 
grosso, «per  via  d'institori,  e  di  commessi  »,  cosi  ragiona:  «In  qualunque 
«  paese  ove  i  Nobili  siano  il  Seminario,  da  cui  cavinsi  i  cittadini  inservienti 
«  alla  spada,  alla  toga,  ed  a  qualunque  ufficio  civile,  militare,  politico ...  conviene 
«  che  la  Nobiltà  abbia  un'  educazione,  e  che  l'abbia  con  tutti  i  comodi.  Per 
«lo  che  s'ella  al  commercio  di  dettaglio  discendesse,  ed  in  ciò  occupasse 
«  molta  parte  della  vita,  ne  seguirebbe  che  le  arti  cavalleresche,  gli  studj,  ed 
«  ogni  altra  cosa,  che  costituisce  la  educazione  d' un  nobile  sarebbero  iti  ;  e 
€  laddove  cercassi  o  il  giureconsulto,  o  '1  politico,  o  '1  militare,  non  vi  trove- 
«  resti  che  il  piccolo  mercante  ;  ed  i  piccoli  mercanti  non  ponno  governare  la 
«  Repubblica.  Ma  qui  molte  altre  cose  verrebbero  forse  in  acconcio  di  dire 
«intorno  alla  Nobiltà;  in  che  debba  ella  consistere;  quali  privilegi  debba 
«avere;  cosa  debba  chiamarsi  Nobiltà;  s'ella,  com'è,  sia  necessaria  in  una 
<  Monarchia  ;  s' ella  sia  utile  ;  se  debba  essere  ereditaria  ;  per  qual  via  si  do- 
«  vesse  divenir  nobile;  ed  altre  importanti  disquisizioni,  che  lascierò  ch'altri 
«  intraprenda.  Io  parlo  della  Nobiltà  quaJe  ella  è  a'  dì  nostri  ;  e  tale  quale  ella 
«  è,  io  sono  di  parere,  che  dovrebbe  commerciare  »  (pp.  193-4). 


114  L.  Ferrari 

degli  Enciclopedisti,  di  esaminare  al  lume  della  ragione  le  con- 
suetudini e  le  leggi  e  quanto  si  appartiene  alla  vita  pubblica,  e 
riformare  tutto  ciò  che  ne  sembri  ingiusto  o  irragionevole,  sebbene 
confermato  da  usi  antichissimi. 

Onde  questa  parte  del  giornale  non  è  che  una  serie  di  proposte 
d'ogni  maniera,  volte  a  migliorare  istituzioni,  a  riformar  leggi  ed 
usanze,  a  toglier  opinioni  errate  o  abusi.  Al  pari  degli  estensori 
del  Conciliatore,  che  propugnarono  pei  primi  in  Italia  le  scuole 
Lancasteriane  e  l' uso  del  battello  a  vapore,  ed  esperimentarono  in 
casa  del  co.  Porro  e  fecero  nota  la  recente  scoperta  del  Taylor 
sulla  produzione  del  gaz  illuminante,  i  Socj  dei  Pugni  accolgono 
e  divulgano  qualunque  novità,  che  sembri  giovare  alla  felicità 
dello  Stato  o  dell'uomo,  e  ne  promuova  il  progresso  morale  o 
economico.  Dall'  Imiesto  del  vainolo,  difeso  da  P.  Verri  in  un  lun- 
ghissimo articolo,  facendo  la  storia  della  scoperta  e  delle  sue 
applicazioni  e  provandone  i  vantaggi  con  abbondanti  esempj  e 
con  statistiche  ^),  si  passa  alla  Coltivazione  del  Tabacco  2),  che  il 
Secchi  vuole  introdurre  nel  Milanese,  dimostrandone  adatto  il 
clima  ed  i  terreni:  e  dalle  stufe,  poco  usate  in  Italia,  che  il 
Verri  raccomanda  in  una  lettera  agli  scrittori  del  Caffè  ^) ,  si  viene 
al  seme  di  lino  del  Baltico,  che  lo  stesso  propone  sia  sperimentato  nei 
terreni  lombardi*).  Un  anonimo  (forse  il  Longo)  dimostra  con 
ricchezza  di  ragioni  scientifiche,  anche  sovrabbondanti,  esser  da 
preferirsi  all'orologio  italiano,  che  variava  col  variar  del  tra- 
monto, quello  straniero  regolato  costantemente  a  partire  dall'ora 
meridiana  ^). 


*)  Sull'innesto  del  Vajuolo,  II,  n.  34-8,  pp.  252-85. 

«)  Caffè,  I,  n.  5,  pp.  41-3. 

5)  I,  n.  26,  pp.  211-12. 

*)  I,  n.  15,  pp.  123-4. 

^)  L'orologio  odierno  fu  poi  introdotto  in  Lombardia  il  1°  dicembre  1786; 
dopoché  già  l'avevano  adottato  il  Piemonte,  il  ducato  di  Parma  e  Piacenza, 
il  granducato  di  Toscana  e  lo  stato  di  Modena  e  Reggio.  Pietro  Verri  nella 
Memoria  cronologica  dei  cambiamenti  politici  dello  Stato  di  Milano  (  1750- 


Del  «  Caffè-»,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  115 

Da  veri  enciclopedici  gli  scrittori  del  Caffè  toccano  molte  parti 
dallo  scibile,  e  penetrati  appena  per  entro  la  superficie  sanno  ad- 
ditare difetti  e  proporre  rimedj.  Alessandro,  che  allora  attendeva 
a  studj  di  diritto,  e  alcuni  anni  dopo  avrà  dal  governo  austriaco 
l'offerta  di  una  cattedra  di  giurisprudenza  ^),  combatte  arditamente 
in  un  articolo  ^)  l'autorità  delle  leggi  romane,  che  erano  a  quei 
tempj  r  unica  norma  in  materia  di  diritto  civile,  mostrandone  con 
esempi  le  "  antinomie  e  le  oscurità  „.  Egli  sostiene  doversi  compilare 
un  codice  nuovo,  che,  obbedendo  a  principj  generali  sicuri,  tolga 
le  tante  "ambiguità,  contraddizioni  e  materie  di  dubbj  „,  renda 
inutile  la  "  scienza  difficile,  e  misteriosa  „  dei  commentatori  e  dei 
giurisperiti,  e  alla  tradizione  incerta  sostituisca  regole  corrispon- 
denti ai  bisogni  presenti,  *  ed  intelligibili  ad  ognuno  „  ^).  In 
un  secondo  articolo,  ripetendo  e  ampliando  le  considerazioni 
intorno  all'origine  e  alle  cause  "  dell'attuale  disordine  „  delle  leggi, 
traccia  le  linee  fondamentali  del  codice  novello  *).  Dal   Lamber- 


1791  ),  alla  rubrica  «  abolito  l' orologio  italiano  »  annotava:  <  Questa  novità 
«  produsse  il  bene  di  render  più  regolare  la  vita,  e  accostare  le  ore  del  coro 
«  e  dei  tribunali  alle  ore  sociali  degli  altri  uomini  ». 

*)  Allora  Alessandro  trovavasi  da  poco  a  Roma,  e  rifiutò  l'offerta  per  non 
staccarsi  dalla  marchesa  Eoccapadule  {Scr.  in.,  Ili,  96). 

2)  Di  Giustiniano  e  delle  sue  leggi,  I,  n.  16,  pp.  125-132. 

^)  «  Succede  a'  dì  nostri,  scrive  A.  Verri  (p.  132),  quello,  che  si  vede  in 
«  Roma  antica  quando  il  Collegio  de'  Pontefici  faceva  monopolio  delle  azioni, 
€  dette  adus  legitimi,  riserbandosi  a  loro  la  scienza  delle  formolo  dalle  leggi 
«  prescritte . . .  Regna  la  Tradizione,  chiamata  Pratica,  che  è  in  mano  di  pochi 
«  e  partecipa  dell'incertezza  comune  —  Ne'  paesi  del  Nord,  che  con  sì  rapidi 
«progressi,  trascorsero  l'intervallo  che  divide  la  oscurità  dalla  gloria,  un  sag- 
«  gio  Principe  si  provalse  dell'opra  di  due  illustri  giurisperiti  per  fare  un  co- 
«dice:  ha  sbandita  la  cabala  forense,  tre  piccoli  volumi  in  ottavo  stabilirono 
«la  pubblica  tranquillità.  Imiteremo  noi  sì  utile  esempio?». 

*)  Ragionamento  sulle  Leggi  Civili,  Caffè,  II,  n.  16-19,  pp.  118-123.  Di  Ales- 
sandro Verri  sono  nel  Caffè  due  altri  articoli  di  giurisprudenza,  assai  dotti  : 
il  primo,  Di  alctmi  sistemi  del  pubblico  diritto  (II,  n.  31-2,  pp.  231-41),  nel 
quale  si  esaminano  e  si  muovono  giuste  critiche  alle  dottrine  del  Grozio,  del 
Puftendorfio  e  del  Gravina,  e  ifsecondo  intitolato,  Di  Cameade  e  di  Grozio 


116  L.  Ferrari 

tenghi  con  fortissime  ragioni  storiche  e  morali  si  combatte  l'uso 
della  tumulazione  dei  cadaveri  in  chiesa,  che  verrà  pochi  anni  dopo 
abolito  in  Lombardia  ^).  Contro  le  ordinanze  di  Maria  Teresa,  che 
frenavano  la  manifattura  ed  il  commercio  dell'oro  e  dell'argento 
lavorato,  e  davano  prescrizioni  severe  e  minute  suU'  uso  di  tali 
oggetti  di  lusso,  è  scritto  un  articolo  del  Franai  ;  il  quale,  non  diver- 
samente dagli  altri  giovani  economisti  suoi  amici,  sostiene  che  il 
lusso  "  non  corrompe  i  costumi,  né  è  un  vizio  politico,  ma  è  pro- 
"  fittevolissimo,  e  degno  di  promoversi  dai  saggi  legislatori,  per 
"  l'umanità,  la  perfezione  delle  arti,  lo  splendore  delle  Nazioni  ^)  „. 
Le  istituzioni  dei  Maggioraschi  e  dei  Fidecommessi  trovano  nell'ab. 
Longo  un  valoroso  nemico,  che  tutta  ne  pone  in  chiaro  l'ingiu- 
stizia e  gli  svantaggi.  A  differenza,  della  Toscana,  dove  Pompeo 
Neri,  per  appianare  la  via  alla  totale  abolizione  dei  fidecommessi, 
che  fu  poi  compita  da  Leopoldo  I,  aveva  accortamente  pubblicata, 
sin  dal  1747,  una  legge  dii'etta  a  rallentare  i  vincoli  della  pro- 


(II,  a.  29-30,  pp.  212-228),  nel  quale  l'autore,  ponendo  a  raffronto  le  idee  di 
Cameade  sulla  giustizia,  che  sollevarono  tanto  scandalo,  e  quelle  del  Grozio, 
che  è  considerato  come  il  legislatore  delle  genti,  cerca  dimostrare,  che  le 
dottrine  di  questo  sono  più  nocive  e  più  oltraggiose  alla  virtù. 

^)  II,  n.  7,  pp.  54-59.  P.  Verri  nella  Memoria  cronologica  agli  anni  1785-90 
segnava  {Scr.  in.,  cit.,  Ili,  371  )  :  «  Abolita  la  tumulazione  nelle  chiese.  — 
«  Ragionevole  e  salubre  provvedimento,  ma  reso  odiosissimo  dalla  violenza.  Al- 
«  cune  monache  tennero  occulte  le  morti  delle  loro  suore.  Altre  cucirono  le 
«  vesti  delle  defunte  e  le  resero  con  pece  indurata  in  modo  da  non  esporle 
«  allo  sguardo  dei  becchini  che  le  trasportavano  ». 

2)  Caffè,  II,  n.  8,  pp.  67-70.  Con  un  dispaccio  del  20  settembre  1749,  scrive 
il  Cantù  (op.  cit.,  p.  141),  Maria  Teresa  proibiva  «l'introduzione  di  drappi 
«  stranieri,  e  di  qualunque  oro  o  argento  lavorato,  eccettuato  i  soli  oriuoli  da 
«  tasca  ;  chi  lo  facesse,  se  è  mercante,  sarà,  oltre  la  confisca  di  esse  merci, 
«  sottoposto  ad  una  pena  sensibile  corporale ...  Segue  infinito  treno  di  pre- 
«  scrizioni....  Nelle  livree  signorili  non  v'abbia  argento  e  oro,  salvo  il  galene 
«  sul  cappello  :  non  si  indorino  o  si  inargentino  carrozze,  pareti  di  stanze, 
«cornici:  non  s'importino  gioje  forestiere;...  di  gioje  non  traffichino  che  i 
«soli  negozianti,  e  facendo  pagamento  in  contanti;  alle  nozze  non  se  ne  re- 
«  galino  altre  che  gli  anelli  sposalizi  >,  e  così  via. 


Del  «  Caffè  »,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  117 

prietà  fondiaria  ^),  in  Lombardia  essi  non  erano  stati  ancora  né 
aboliti  ne  combattuti.  E  il  Longo  pel  primo,  in  un  articolo  del 
Caffè,  che  è  dei  più  notevoli  "),  dimostra  con  copia  di  argomenti 
e  rigorosa  dialettica  essere  i  fidecommessi  e  i  maggioraschi  un  osta- 
colo fortissimo  al  fiorire  dell'agricoltura,  fomite  di  malumori  e  di 
odio  tra  fratelli  e  parenti,  incentivo  all'ozio  e  fonte  di  un  lusso 
sproporzionato,  cagione  principale  della  decadenza  del  commercio. 
Coraggiosi  così  e  nuovi  e  moderni  ci  appaiono  in  questi  di- 
scorsi i  Socj  (lei  Pivjni;  e  tali  li  ha  fatti  la  retta  comprensione 
e  la  moderata  applicazione  del  principio  razionalistico,  che  alla 
autorità  dell'uso  e  dell' antichità  si  debba  sostituire  quella  della 
ragione.  Un  altro  principio,  fondamento  della  scienza  moderna, 
che  pure  gli  scrittori  del  Caffè  avevano  pensato  e  proclamato, 
(che  cioè  "  chi  ama  la  verità  ha  da  essere  indifferente  nel  rice- 
"  vere  o  rigettare  una  opinione  che  gli  venga  proposta,  sino  a 
*  che  per  mezzo  di  un  accurato  esame  non  venga  a  conoscere  la 
"  solidità  dei  fondamenti  sopra  dei  quali  esso  si  sostiene  ,^)  se  si 
fosse  da  essi  applicato  alle  matei'ie  storiche  o  erudite,  avrebbe 
dato  frutti  non  meno  utili  e  rilevanti.  Buon  saggio  ce  ne  offre 
un  articolo  intitolato:  Della  precauzione  contro  le  opinioni^),  nel 
quale  il  Franci  espone  alcune  sue  osservazioni  intorno  agli 
storici  antichi.  I  fatti  riportati  da  questi,  egli  dice,  sono  di  due 
specie:  o  si  riferiscono  agli  agenti  liberi,  sopratutto  alle  azioni 
degli  uomini  riuniti  a  società  (ciò  che  forma  la  storia  della  vita 
civile  e  dei  costumi),  o  riguardano  gli  agenti  naturali.  "  I  primi, 
"  devono  esser  esaminati  colle  circostanze  dei  secoli,  dei  luoghi, 
"  dei  costumi^  si  ha  da  osservare  l' eguaglianza,  l'ordine  dell'  epoca 
**  e  la  costanza  delle  asserzioni.  Finalmente  conviene  assicurarsi 
"  della  probabilità,  col  sapere  se  1'  autore  fu  contemporaneo,  od 
"  almeno  vicino  al  tempo,  in  cui  i  fatti    medesimi    avvennero  „  . 


*)  G.  Rocchi,  Pompeo  Neri,  hi  Arch.  stor.  it.,  a.  3»,  voi.  24  (1876),  p.  67. 

2)  I,  n.  11-12,  pp.  82-94. 

3)  CafTe,  II,  193. 

*)  Caffè,  II.  n.  25,  pp.  192-96. 


IIS  L.  Ferrari 

I  secondi  devono  essere  verificati  colla  esperienza.  Ora  se  appli- 
chiamo questi  principj  agli  antichi,  continua  il  Franci,  "  se  li 
"  sottoponiamo  a  quest'  esame,  bisognerà  convenire  che  ci  hanno 
"  anch'essi  regalate  di  molte  falsità^  hanno  troppo  facilmente 
•^  adottati  incredibili  racconti,  e  si  sono  ciecamente  ricopiati  l'un 

*  l'altro  senza  esame,  senza  critica  e  senza  esperienza  „.  E  di 
ciò  egli  reca  a  dimostrazione  una  serie  di  esempi  tolti  da  Ari- 
stotile, da  Plutarco,  da  Ctesia,  da  Plinio;  concludendo  che  "  ca- 
"  rattere  specifico  degli  antichi  fu  l'inventar  ogni  giorno  favole, 
"  colle  quali  hanno  infettato  lo  spirito  dei  contemporanei  e  dei 
"  successori,  giacche  questi   hanno    ricopiato    ciecamente  quanto 

*  dai  più  antichi  era  stato  detto  „  .  Non  va  piìi  oltre  la  critica 
moderna. 


V. 
Fine  della  Società,  dei  Pugni  —  Conclusione. 

Col  terminare  del  maggio  1766  il  Caffè  cessava  le  sue  pub- 
blicazioni, ed  aveva  fine  insieme  la  Società  dei  Pugni,  che  durava 
oramai  da  più  che  quattro  anni.  "  La  piccola  società  di  amici, 
"  che  ha  scritti  questi  fogli  „ ,  avvertivano  gli  estensori  del  Caffè  nel 
congedarsi,  "  è  disciolta;  alcuni  hanno  intrapreso  un  viaggio,  altri 

*  sono  impiegati  in  affari;  vuole  la  necessità  che  sì  termini  un 
"  lavoro  che  secondo  il  progetto  degli  autori  non  doveva  sì 
"  presto  chiudersi,  e  ciò  accade  nel  tempo,  in  cui  1'  accoglimento 

*  del  pubblico,  più  che  mai  invitava  a  proseguirlo  „ .  Grià  nei 
primi  del  '66  il  Frisi  si  era  staccato  dagli  amici  milanesi,  recan- 
dosi a  Parigi;  a  lui  avevano  tenuto  dietro  Alessandro  Verri  e 
il  Beccaria,  invitati  dalla  società  dell' Holbach;  poi  anche  il  Longo 
si  era  allontanato  da  Milano  ^) .  La  dipartita  di  Alessandro  e  del 
Beccaria,  che,  dopo  Pietro,  avevano  dato  al  giornale  gli  scritti  più 


i)  Sor.  in.,  II,  20. 


Del  €  Caffè  ■>•>,  periodico  milanese  del  secolo  xvni  119 

copiosi  e  migliori,  impediva  che  si  continuasse  più  oltre  il  gior- 
nale. Il  Caffè  cessò;  ma,  quel  che  è  più,  per  il  contegno  puerile 
e  scortese  ^),  tenuto  dal  Beccaria  durante  questo  viaggio,  dal  quale 
Pietro  si  riprometteva  la  sanzione  europea  dell'opera  comune^ 
cessò  la  cordialità  e  la  concordia  fra  gli  amici  milanesi.  Rattie- 
piditasi l'amicizia  dei  Verri  col  Beccaria,  gli  antichi  Socj  dei 
Piupii  si  divisero  anch'essi  in  due  schiere:  da  un  lato  col  Bec- 
caria il  Visconti  2),  cui  si  aggiunsero  V  Odazzi  e  il  Calderari  ;  dal- 
l'altro,  con  Pietro  Verri,  il  Lambertenghi  3),  il  Secchi  e  il  co. 
Biffi,  tornato  in  quel  tempo  a  Milano  *)  :  e  le  gelosie  e  i  sospetti 
fra  le  due  parti  durarono  alcuni  anni, 

Pietro  Verri  e  gli  ex-socj  rimasti  a  Milano  non  avevano  an- 
cora deposta  la  penna  e  dismesse  le  abitudini  giornalistiche, 
quando  dallo  stampatore  Galeazzi,  che  aveva  preso  a  stampare 
a  Milano  uno  dei  soliti  giornali  accademici,  \  Estratto  della  Let- 
teratura Europea,  continuazione  di  un  periodico  dello  stesso  ti- 
tolo edito  per  l'innanzi  a  Berna  ^),  furono  invitati  a  concorrere 
alla  compilazione  del  foglio.  Il  Galeazzi  non  aveva  parte  nel 
giornale,  se  non  per  distribuire  gli  estratti  agli  scrittori  e  stam- 
parli raccolti  in  un  volume  bimestrale  ;  e  poiché  si  era  assunta 
l'impresa  a  solo  scopo  di  lucro  *'),  chiamò  a  scrivervi  quanti  più 
potè  dei  letterati  milanesi  di  qualche  nome,  senza  riguardo  a  ini- 
micizie private  o  letterarie.  Sicché  n&W  Estratto  della  Letteratura 
Europea  accanto  a  scritti  del  Verri  '^)  si  stamparono  estratti  del 


')  Vedi  Cantù,  Beccaria  ecc.,  cit.,  p.  100  e  segg. 

*)  Scr.  in.,  II,  18. 

3)     »       »    II,  221.. 

*)     »       »    III,  71. 

^)  Vedi  su  questo  periodico  Piccioni,  op.  cit.,  pp.  194-96, 

6)  Scr.  in.,  II,  263. 

'')  Pietro  Verri,  che  si  dette  anche  a  quest'opera,  col  vigore  e  l'attività 
in  lui  soliti,  fu  degli  scrittori  del  giornale  più  diligenti.  Basti  dire,  che  di  lui 
(vedine  la  testimonianza  in  Scr.  in.,  II,  255)  nel  solo  1."  volume  dell'anno  1767 
sono  tre  recensioni  :  aii  un  Discorso  recitato  all'  Accademia  Francese  dal  sig. 


120  L.  Ferrari 

Parini  ^),  e  presso  a  recensioni  del  Beccaria  ^)  scritti  degli  amici  di 
Pietro,  del  Lambertenglii,  del  Biffi  e  dell'abate  Isidoro  Bianchi; 
come  accanto  agli  elogj  del  Bettinelli  e  all'  apologia  delle  Lettere 
Virgiliane  ed  Inglesi  apparvero  le  lodi  del  Baretti  ^)  e  del  Pas- 
seroni  *). 

\j  Estratto  della  Letteratura  Europea  visse  dal  1767  al  '69; 
e  fu  l'ultima  opera  o  intrapresa,  alla  quale  gli  amici  milanesi 
parteciparono  in  comune.  Pietro  Verri,  è  vero,  non  aveva  ancora 
deposto  il  pensiero  di  un  nuovo  periodico  da  scriversi  insieme 
coi  socj  rimastigli  fedeli;  e  nel  1767,  quando  Alessandro  dopo 
il  viaggio  in  Inghilterra  tornò  in  Italia,  aveva  sperato  di  poter 
riassumere  col  Longo,  col  Lambertenghi  e  col  fratello  la  com- 
pilazione di  un  foglio  letterario,  che  "  facesse  vedere  all'Italia 
"  come  si  debba  imparzialmente  giudicare  delle  produzioni  let- 
"  terarie  •'')  „ .  Ma  Alessandro,  venuto  a  Roma,  vi  rimase  sta- 
bilmente. Pietro  dovè  deporre  la  speranza  di  "  riedificare  la  Ge- 
rusalemme 6)  „ ,  e  la  Società  dei  Pugni  fu  sciolta  per  sempre. 

Da  quanto  abbiamo  detto  sparsamente  nella  nostra  trattazione, 
facile  ci  sembra  trarre  ora  un  giudizio  complessivo  intorno  all'opera 
maggiore  della  Società,  il  quale  risponda  alle  domande  e  risolva 
i  dubbj  in  sul  principio  propostici.  Perchè  tale  giudizio  sia  equo, 


Thomas,  alla  operetta  dell'ab.  Ferdinando  co.  d'Adda:  Considerazioni  sofra  lo 
scritto  che  ha  per  titolo  «  Dei  pregiudizi  del  celibato  »,  e  ad  un  Discorso 
Sull'amministrazione  delta  Giustizia  criminale  dell' avv.  Serman. 

*)  Il  Parini,  come  si  rileva  da  una  lettera  al  Bettinelli  (pubblicata  dal 
Bertana,  Sei  lettere  inedite  del  Parini,  in  Rassegna,  hibl.  d.  lett.  it,  VI,  3-4. 
p.  83),  scrisse  fra  gli  altri  per  L'Estratto  della  Letteratura  Europea  (anno  1767, 
T.  II,  p.  24  e  segg.)  un  estratto  dell'opera  del  cav.  di  Méhégan  intito- 
lata :  Quadro  dell'  Istoria  Moderna  della  caduta  dell"  Impero  di  occidente  alla 
pace  di   Westfalia. 

2)  Vedi  Scr.  in.,  II,  26S. 

3)  Estratto  ecc.  per  l'anno  1769,  I,  218. 

*)  Estratto  ecc.  per  l'anno  1768,  III,  122-37,  estratto  9". 
6)  Scr.  in.,  II,  108. 
6)  Scr.  in.,  II,  107. 


Del  «  Caffè-»,  periodico  milanese  del  secolo  xvm  121 

utile  è,  0  piuttosto  necessario,  che  si  faccia  una  distinzione,  già 
piti  volte  accennata  nel  corso  di  questo  scritto,  tra  il  valore  sto- 
rico e  il  pregio  intrinseco,  che  nelle  dottrine  degli  scrittori  del 
Caffè  noi  riscontriamo.  Esse,  abbiamo  veduto,  ebbero  ragione  di 
reazione:  le  sociali  contro  le  ingiustizie  del  regime  d'allora,  le 
morali  contro  i  vizj  della  società,  le  critiche  contro  i  difetti  della 
letteratura.  E  come  tali,  sebbene  incompiute  ed  eccessive,  asso- 
lute e  manchevoli,  cooperarono  efficacemente  a  restaurare  la  col- 
tura del  popolo  italiano,  a  ridestarne  la  coscienza,  a  snebbiarne 
l'intelletto:  più,  forse,  che  non  quelle  di  ogni  altro  giornale  del 
tempo;  giacché  la  Frusta  ci  liberò  dalle  pastorellerie  arcadiche 
e  dalle  vanità  accademiche,  mentre  il  Caffè  da  queste  insieme  e  da 
parecchi  pregiudizj  morali  e  sociali. 

Ma,  se  togliamo  il  Caffè  dalle  condizioni,  in  mezzo  alle  quali 
sorse  ed  ebbe  vita,  se  ne  consideriamo  in  sé  e  per  sé  le  teoriche, 
molta  parte  di  valore  scompare.  Le  massime  morali  non  mancano 
di  contraddizioni  e  di  errori,  e  sono  espresse  con  troppo  poca  arte, 
perchè  non  si  preferisca  1'  Osservatore  ;  e  la  parte  letteraria  non 
solo  non  ci  offre  una  serie  ordinata  di  critiche  e  di  precetti,  ma 
ci  palesa  audacie  così  irragionevoli  e  pazze,  da  non  apparire 
degna  di  studio,  se  non  come  testimone  degli  eccessi  dei  no- 
vatori. 

Con  tutto  ciò  non  vogliamo  aggravar  troppo  la  mano.  Ab- 
biamo veduto,  che  i  Socj  dei  Pugni  non  si  proposero  col  Caffè 
di  fare  opera  d'arte  o  di  fantasia,  ma  di  scienza  e  di  coltura; 
ed  effettivamente  il  Caffè,  che  fu  il  primo  giornale  didattico  ita- 
liano, come  r  Osservatore  il  primo  di  costumi,  e  la  Frusta  di  cri- 
tica letteraria,  onora  se  non  la  lingua  e  la  letteratura,  il  pen- 
siero italiano.  Un'  aura  di  modernità  spira  dall'  opera  dei  giovani 
economisti  milanesi.  Da  un  lato  poniamo  la  perfetta  opposizione, 
ch'era  tra  il  pensare  dei  Socj  dei  Pugni  e  quello  dei  padri  loro, 
dall'altro  la  concordanza  colle  loro  di  molte  idee  nostre;  forse 
che  buona  parte  delle  nostre  opinioni  non  possono  esser  frutto 
del  seme  gettato  da  essi? 


122  L.  Ferrari 

Il  difetto  capitale  degli  scrittori  del  Caffè  fu  quello,  che  il 
Manzoni  con  acuta,  quanto  geniale  sentenza,  rimproverò  al  Bec- 
caria, e  noi  possiamo  ripetere  di  tutti  i  Socj  dei  Pu^/nl:  "  eb- 
"  bero  tutte  le  illusioni  de'  giovani  e  smisurata  convinzione  nel 
"  trionfo  di  tutto  ciò  che  a  loro  pareva  verità.  E  verità  parve 
"  loro  ciò  che  contraddiceva  a  quel  che  avevano  imparato  alla 
"  scuola  ^)  „ . 


')  Epistolario  raccolto  e  annotato  da  Giov.  Sforza,  Milano,  Carrara,  1879. 
Lettera  a  Cesare  Cantù  (1862),  II,  304. 


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